Norway is a story

di OmbraSmagliante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera ad un'amica ***
Capitolo 2: *** Flashback ***
Capitolo 3: *** Incubo notturno-Parte I ***
Capitolo 4: *** Incubo notturno-Parte II ***
Capitolo 5: *** Incubo notturno-Parte III ***
Capitolo 6: *** Viaggio di speranza-Parte I ***
Capitolo 7: *** Viaggio di speranza-Parte II ***



Capitolo 1
*** Lettera ad un'amica ***


Ciao, vecchia amica mia.
Ti scrivo dalle fredde e spumeggianti coste della Norvegia. Ti ricordi, quante volte parlavo della Norvegia e dei suoi fiordi, e di quanto avrei voluto andarci? Beh ora sono qui... e guardo l'abisso sotto di me, le onde che si infrangono sugli scogli. E il loro rumore, mi spinge a ricordare quell'estate che segnò il mio Destino.
Quell'estate. Te la ricordi vero? Il solito 
gruppo, la solita spiaggia, il solito posto. Ma... quell'estate, due persone erano destinate ad incontrarsi. Qualche giorno dopo di te arrivò anche tuo fratello, ricordi che erano due anni che non ci vedavamo? E ricordi, la prima volta che ci rivedemmo, io e lui? Le parole che ti disse, e che tu dopo mi avevi riferito? "Quella ragazza da un brutto anatroccolo è cambiata in un bellissimo cigno". Pensavamo scherzasse e mi prendesse in giro, ricordi? E invece... parlammo, ridemmo, scherzammo... inevitabilmente, ci innamorammo. E tu, già allora tu lo avevi capito, ma non dicesti nulla. La vacanza finì. Ma non il nostro amore. Messaggi, facebook, chiamate. Passarono i mesi e nessuno dei due riusciva a scordarsi dell'altro. Ricordo che mi dicesti di continuare a credere in lui, perchè era la prima volta che lo vedevi così innamorato, e che avevamo un futuro. 
Vi venni a trovare. E furono grida, abbracci, ridate. Momenti bellissimi. Poi, tutto finì. Ma questa parte della storia, tu non la sai. Tuo fratello mi raccontò il suo segreto. Quello che nessuno conosceva. Mi disse che aveva un tumore. Il mondo mi crollò addosso. Ma... la cosa che ricorderò sempre era il suo sorriso rassegnato, dolce. 3 mesi. gli restavano 3 mesi. Mi disse che mi aveva amata a distanza, e che i proverbi sono tutte cazzate, perchè lontano dagli occhi per lui non aveva significato lontano dal cuore, semmai il contrario. Scoppiai a piangere, e lo baciai. In quel bacio, misi tutte le parole non dette, tutto l'amore che provavo per lui. Finimmo sul letto, ansanti, tremanti, desiderosi. Gli sussurai: "Qual'è la cosa che più ti penti di non aver fatto?" la sua risposta fu: "Non aver mai fatto l'amore con te". Non ci fù bisogno di aggiungere altro. Facemmo l'amore, e fu il momento più bello della mia vita. Ero fiera di essermi donata incondizionalmente a lui. 
Come ben sai, restai lì pochi giorni. E uno di quelli, lui disse che andavamo a fare una passeggiata, invece, andammo dal medico. Ci aveva contattati di urgenza. La sua cartella era stata confusa con quella di un altro paziente. Non aveva un tumore. Immaginati la gioia di quel momento. Urlammo, corremmo e fu tutto bellissimo. 
Ma non era destinato a durare. Tornai a casa, ma un mese dopo lui corse giù da me senza preavviso, ti ricordi? Ti disse era solo perchè aveva voglia di vedermi. Non era così. Ero rimasta incinta.
Ecco perchè ti scrivo questa lettera, che sigillerò dentro una bottiglia, sperando ti arrivi. Perchè quel giorno, facemmo finta di restare uccisi in un incidente d'auto. E scappammo. In Norvegia, dai miei amati fiordi. Dovemmo farlo. Sai che i miei genitori mi avrebbero fatta abortire, e non volevo. Volevamo stare insieme, costruirci la nostra vita. A distanza di 3 anni, siamo ancora qui. Tuo nipote è bellissimo sai? Uguale a tuo fratello, ma con i miei immensi occhi azzurri. Proprio come lo volevi tu. E l'ho chiamato Gabriele, come promesso.
Addio, amica mia. Spero che le onde ti portino la mia bottiglia. Con all'interno il segreto d'amore più grande che sia mai esistito. Addio. Ti lascio come nostro unico ricordo questo foglio bagnato dal rimpianto, dalla commozione e dall'amore. Addio.

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Capitolo 2
*** Flashback ***


Il profumo del pane appena sfornato.
Mi giro nel letto, non lo trovo. Sorrido. Mi ha preparato la colazione. Mi alzo con grazia e scivolo lungo il bordo della coperta in tutta calma. Sbadiglio e mi stiracchio, dopodichè mi infilo le pantofole e lo raggiungo in cucina. Gli arrivo da dietro e lo abbraccio, facendolo sobbalzare. Mi sorride. Occhi negli occhi, sorrisi che si trovano famigli
ari. Mi bacia con dolcezza, con amore e con passione allo stesso tempo. Ma il suo tocco è delicato, e so il perchè. Mi siedo sul bancone, e mi sgrida, dicendomi di fare più attenzione. 
Mi appoggia una mano sulla pancia, che mese per mese sta diventando sempre più grossa.
"Come lo chiamiamo?"
"Oh, non ho dubbi al riguardo."
"Ah ma davvero? E a me non mi consulti?" mi fa il solletico, mi prende in braccio e mi fa girare come una trottola, facendomi contemporeaneamente urlare per la paura di cadere. 
"Idiota!" mentre lo rimprovero, sorrido anche io. La nostra intesa è sempre la stessa. Immutata e grandissima, enorme.
"Allora? Come lo chiamiamo?" è vicinissimo a me. Mi si stringono le budella. Questo è l'amore vero. Dopo tutto questo tempo, le mie budella reagiscono ancora a lui.
"Gabriele"
"E perchè?"
"Significa: messaggero del signore. Questo bambino, è stato voluto dal Destino. Senza di lui, non saremmo qui. E sarebbe un peccato."
Mi guarda. Sorride e si commuove, mi abbraccia e mi sussurra, tra le lacrime: "Ti amo scricciolo"
"Se va avanti così, altro che scricciolo! Sto diventando una balena!"
E finisce così, tra le risate e il pane ormai freddo. La nostra nuova vita è incominciata. S.

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Capitolo 3
*** Incubo notturno-Parte I ***


Flashback
Il vento che soffiava quel giorno, alimentando la mia paura e giocando con i miei capelli, non lo dimenticherò mai. Ero lì, sul ciglio della strada, ad aspettare la persona che mi aveva telefonato quella mattina, provocandomi il panico. Avevo deciso di superare le mie paure ed andare all'appuntamento. Quando si trattava di lui, niente poteva farmi paura. Nemmeno
 un rapimento. Gabriele era da Celine, la nostra vicina di casa, la simpatica vecchietta che parlava solo Norvegese, era grazie a lei se ero riuscita ad ambientarmi un minimo. Terrore. Terrore puro. Non potevano avermi portato via lui... non ero in grado di crescere Gabriele da sola, aveva solo sei mesi! Un'ombra dall'altro lato del marciapiede mi allontana da questi cupi pensieri e mi riporta alla realtà, che non è per niente lontana da essi. E' lui il mio uomo, lo so, lo sento. Mi si rivolge in norvegese chiedendomi se sono la signorina T****, domanda a cui sono pronta a rispondere: "Si"
"Mi segua" obbedisco, non in silenzio però.
"Chi è lei? Cosa volete da me e dal mio ragazzo?"
"Non vogliamo niente, tranne che te."
"Me?? E perchè...?"
"SILENZIO!" spaventata, obbedisco nuovamente. Dopo qualche metro, l'uomo si ferma vicino ad un furgone, apre la portiera e malamente mi ci fa salire. Sono spaventatissima, ma devo resistere. Mi benda gli occhi, e sento le sue mani soffermarsi in prossimità dei miei seni, avide. Mi scosto brusca, e lui ingrana la marcia e parte. Durante il viaggio, ripenso alla telefonata della mattina.
"Signorina T****?"
"Si, pronto?"
"Il suo... ragazzo, mio dipendente come lei sa, è nelle nostre mani. Faccia quello che le dico e non gli accadrà niente"
Di seguito, la descrizione del luogo dell'incontro. Mi precipito da Celine, le lascio Gabriele con frettolose parole e corro fuori dal condominio, pensando alla ditta dove lui ha trovato fortunatamente impiego e all'uomo viscido che ne è il capo. Ci aveva invitati a cena, qualche settimana prima. Ricordo come avevano indugiato i suoi occhi sul mio corpo e le voci che correvano sul suo conto. Delle povere malcapitate ragazze che aveva violentato e maltrattato. Di quello che poteva fare se si fissava su una "preda". Un orrendo pensiero si affaccia nella mia mente. 
Il furgoncino si ferma, vengo sbendata ma mi vengono legati i polsi. Il mio cuore batte a mille. Siamo nella casa del titolare. Vengo trascinata dentro e portata al suo cospetto. Attacco, per non dare a vedere che non so difendermi:
"Che cosa volete da me? Che state facendo? Dov'è lui?"
Risate tutt'intorno. Il titolare, Vetle, ecco come si chiama, mi guarda e sorride sornione, deliziandosi ancora del mio corpo. 
"Vuoi vederlo? Eccolo"
Entrano due uomini allo schiocco delle sue dita, reggendolo per le braccia. Il mio cuore salta dei battiti. L'hanno ridotto malissimo. Imbavagliato, sanguinante e pieno di lividi, non appena mi vede cerca di divincolarsi.
"Lascialo, bastardo!"
"E tu cosa mi dai in cambio?" altre risate, poi la mano dell'uomo che mi trattiene scivola verso i miei punti proibiti. Riesco a tirargli un calcio nel suo punto debole. Ma la pago cara: una botta in testa e mentre cado, l'unica cosa che penso è: "Stupida. Devo salvarlo"
CONTINUA

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Capitolo 4
*** Incubo notturno-Parte II ***


Mi risveglio. Sono adagiata su un letto. Le mani legate da corde ruvide, i miei vestiti chissà dove, ho indosso una semplice camicia da notte lunga e bianca, talmente trasparente da lasciare molto poco all'immaginazione. Il mio cuore batte impazzito. Dov'è? Dove l'hanno portato? Perchè a noi? E' chiedere molto vivere insieme e avere come unica preoccupazione quella di arri
vare a fine mese, come le famiglie normali? Dov'è? Ricordo il suo sguardo... appena mi hanno vista, nei suoi occhi si è acceso un fuoco. Il fuoco degli amanti. Voleva proteggermi. 
Entra una signora nella stanza e, con fare frettoloso, mi dice di alzarmi. Mi guarda rassegnata, dispiaciuta di quello che deve fare. Sento che è buona, così azzardo una domanda: "Perchè?"
"Il padrone" dice in fretta, a fatica, ma allo stesso tempo con il fare di chi sa di dovere delle risposte "la desidera signorina. Molto. In tutti questi anni, di ragazzine ne ha fatte... soffrire molte. Ma lei... lei è davvero in pericolo. Se ha preso suo marito, vuole qualcosa da lei, qualcosa che non è semplicemente il piacere"
"Non è mio marito" riesco a rispondere, al colmo della disperazione.
"Ah no? Doveva vederlo prima, quando lei è svenuta e io l'ho portata via per prepararla. Sembrava un leone che difendeva la cosa più preziosa che ha a questo mondo. L'hanno dovuto mettere nei sotterranei, nella prigione e l'hanno incatenato."
"Sta bene, vero?!"
"E' messo male, l'hanno picchiato perchè si ribellava."
"No..." mi si spegne la voce, e l'uomo del furgone entra nella stanza.
"Tu!" si rivolge a me, poi mi prende e mi trascina via, senza fatica, date le mani legate. Mi riporta nella stessa sala di prima, dove sulla medesima sedia è seduto il "padrone".
"Eccoti qui. Sapevo che eri ancora bellissima vestita così. Ti piace la vestaglia? L'ho fatta fare per te."
"Cosa vuoi da me, da noi? Smettila di perdere tempo!"
"Ok, allora andrò direttamente al punto. Voglio te."
"E se io non fossi d'accordo?" risate generali. ma perchè deve sempre esserci tutta questa gente?
"C'è bisogno di chiederlo?" un sorriso maligno, uno schiocco di dita, e viene portato dentro un televisore. Sullo schermo, lui. Ferito, legato. Negli occhi, la disperazione più nera. Rabbrividisco.
"Il concetto mi sembra chiaro, ragazzina."
"Lo libererai, se acconsento?"
"Hai la mia parola, ma attenta: io non voglio una notte d'amore. Voglio sposarti, e averti nel mio letto tutte le notti."
"Ma... io non posso, ho un figlio... no..."
Schiocco di dita. Quasi contemporaneamente, schiocco di frusta. Urlo, e mi accascio a terra. 
"Va bene.. concedimi... una giorno... l'ultimo... da passare con lui."
"Non sei nella condizione di dettar patti. Ma, visto quanto mi piaci ti concedo una notte. Sono le sei del pomeriggio. Alle sei di domani mattina sarai mia, e lui sarà libero."
"Dammi anche gli strumenti per curarlo."
"Concesso."
Mi portano di sotto, nei sotterranei, dove c'è una cella contenente l'amore della mia vita. Già piango. I due uomini che mi accompagnano mi sciolgono le mani e chiudono le porte della cella dietro di loro. 
Corro da lui, legato al muro, malridotto fino al midollo.
"Scricciolo..."
"Ssssh, non parlare" gli dico tra i singhiozzi, e tremante mi metto all'opera con la bacinella di acqua calda e gli asciugamani che mi hanno concesso per lavargli le ferite. Sono tantissime, l'hanno frustato sicuramente.
"Ho sentito tutto il dialogo tra te e il capo, non devi... non devi! Non voglio!" si divincola, così lo libero. Mi hanno dato anche la chiave delle catene. Mi prende per le spalle e mi urla: "Non puoi farmi questo! Tu... non puoi..."
"Ssssh..." mentre lo curo, le lacrime scendono inesorabili. 
"No..." singhiozza anche lui. "E' stata tutta colpa mia. Il capo... lo sapevo! Lo sapevo che ti aveva addocchiata, ma una cosa del genere... prendere me... per avere te! Mi ha fatto patire le pene dell'inferno oggi, per 'vendicarsi' del fatto che ti ho avuta tutto questo tempo... è fuori di testa! Non posso permetterti di... sposarlo! Sposarlo?! Ma sei matta?"
"E' l'unico modo perchè tu viva! Sarebbe capace di ucciderti!"
"Allora voglio morire..."
Scoppio a piangere, e lui mi stringe, mi accarezza. Lo guardo e lo bacio. Lo bacio, ed è come se fosse tutto finito. Sul pavimento di quella fredda, angusta e triste cella, due persone si intrecciano l'una all'altra per quella che sanno essere l'ultima cosa. 
"Promettimi... di non morire." gli dico alla fine, appoggiata al suo petto nudo, con il su e giù del suo petto a cullarmi. 
"Quindi, devo tenerti sempre con me?"
CONTINUA

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Capitolo 5
*** Incubo notturno-Parte III ***


"Una vita senza di te... senza il profumo della tua pelle, senza la tua risata, senza le tue battute sarcastiche, senza i tuoi sorrisi, i tuoi baci, le tue coccole, il tuo amore... sarebbe una vita vuota. Sarebbe come morire. Ho bisogno del tuo amore. Ho bisogno di te, che dolcemente mi svegli, che mi curi come un bambino, che mi ami come un'amante, che mi sei amica come u
na sorella. Ho bisogno di vederti vicina a nostro figlio. Non posso lasciarti nelle mani di quell'essere spregevole. Tu sei la mia luce. Tu sei la stella, che brilla di luce propria, io il pianeta, che brilla di luce riflessa. Se quell'uomo, quel buco nero, mi portasse via la mia stella... io, pianeta, come farei? Cosa mi spingerebbe ad andare avanti?"
"Devi prenderti cura di Gabriele..." fino a quel momento, emozionata, lo avevo semplicemente ascoltato. Ora... ora una fredda determinazione si era presa possesso dei miei pensieri. 
"Si. Ma non senza di te. Non ti lascio qui. Io ti..."
"Zitto!"
"Io ti am..."
"Non dirlo..." piangevo senza ritegno, e non sapevo perchè. Non volevo sentire quella parole. Avrebbero significato molto, troppo.
"IO TI AMO!"
"Anche io..." 
"Perchè piangi?" non rispondo. Salgo fino alle sue labbra, mi impossesso della sua persona. 
"Qui, scricciolo? Vuoi farlo qui?"
"Il silenzio proprio non è una tua virtù vero? Si. Qui. Per l'ultima volta"
"Non voglio che t..."
"Ne parliamo dopo. Abbiamo troppo poco tempo."
Finalmente, mi dà retta. E ci amiamo, ed è la cosa più... meravigliosa della mia breve esistenza. Quando finiremo, quando lui domani sarà... libero, io cesserò di esistere. Ma l'avrò fatto per lui, e questo tanto basterà.
Esausti, ci addormentiamo nella solita posizione, lui con la mano destra sul mio fianco, la mia testa sotto il suo mento.
Lo schiocco della chiave nella serratura di sveglia. Spaventati, ci stringiamo l'uno all'altra convinti sia arrivata la fine. E invece... è la signora di prima. 
Lui si mette davanti a me, con istinto protettivo. 
"Non ce n'è bisogno. Voglio aiutarvi. Non sei tu quella che il padrone deve sposare. Meriti di vivere ragazza. Il vostro amore merita di vivere. Non sei la prima ragazza che faccio scappare, ma sei la più importante. Forza, seguimi."
"Io senza di lui di qui non me ne vado."
"Non essere stupida. Tu vai eccome."
"Altrimenti?"
Sorride. A tradimento, mi prende i polsi e mi sta già legando, tra le mie sonore proteste, quando la signora, ridendo, si rassicura:
"Siete magnifici. Ma vedete, voglio salvare tutti e due. Non litigate." non riesce a trattenere le risate, nonostante la tragicità della situazione. Lui mi lascia andare, e io gli tiro un pungo.
"Idiota! Tu sei più importante!"
"Secondo quale criterio?"
"Il mio!"
"Allora non vale." continua a sorridere.
"Beh vedo che siete traumatizzati dal fatto di stare in una buia e umida cella. Sei fortunata, ragazza. Non si trova così facilmente un ragazzo a cui brillano gli occhi così solo a guardarti. E tu, giovane uomo, sei ancora più fortunato. Hai idea di quanto sia stata coraggiosa?"
Ci guardiamo. Non ci sono parole. I nostri cuori sanno già tutto.
"Seguitemi"
Facciamo come dice, e ci inoltriamo in un corridoio buoi e fetido. 
"Seguitelo fino in fondo e sarete fuori. Poi, prendete la moto che è parcheggiata davanti all'uscita. Ecco le chiavi."
Eseguiamo. Un'ora, e siamo fuori. Stiamo per andarcene da quest'incubo quando...
"Tu non vai da nessuna parte. Proprio no."
Uno sparo. La scena si svolge a rallentatore davanti a me. Il padrone con la pistola in mano e lui, perfettamente sulla traiettoria. Il mio corpo sa già cosa fare. La mia mente, l'ha sempre saputo. Gli faccio da scudo con il mio corpo. La pallottola colpisce al ventre. Proprio dove qualche mese prima Gabriele nuotava ancora incosciente e non affacciato sul mondo dei genitori.
"NO!" mi prende al volo, le sue braccia conoscono il mio corpo a memoria, non sbaglia presa. Mi carica sulla moto fulmineo. E non capisco, il padrone...? Il buio... il buoi mi attira. Non devo chiudere gli occhi. Non devo... 
"Amore...?"
"Dimmi." mi stringe. non mi lascia andare. Mi tiene stretta a lui. Ma io devo andare.
"Lasciami andare. Ti amo..." e... è il buio.




Luce. Fresca. Luce....
"Si è svegliata..."
"Un rumore di sedia rovesciata.
"Scricciolo...?"
Sono all'ospedale, in una branda. Mi raccontano tutti gli infermieri attorno a noi. Di come la signora abbia stordito il padrone e permesso a noi di fuggire, di come lui sia stato processato e io abbia rischiato il coma. Dopo di che, mi portano il mio bimbo. Lo cullo e lui strilla di gioia a ritrovare finalmente la mamma. Sono commossa. 
Per tutto il tempo, lui è rimasto a guardarmi. E stessa cosa fa fino a quando non rimaniamo soli nella stanza, con Gabriele che dorme felice.
Mi bacia. Ardentemente, con passione.
"Non farlo mai più. Ho rischiato di morire."
 

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Capitolo 6
*** Viaggio di speranza-Parte I ***


Ritorno al passato, un passato ancora più remoto dell'inizio di questa storia. O meglio, nella metà.

Ricordo benissimo il 17 aprile. Come fosse ieri. E lui? Molto probabile. Tutto iniziò per colpa di un auto. Un auto qualunque, in una città qualunque.


Centro di Trento, 8 e mezza di una mattina parecchio incerta, nuvolosa.
Lui era semplicemente se stesso, se ne andava per la strada, diretto all'università e completamente ignaro del suo Destino. Del resto, alle 8 di mattina e dopo aver lavorato tutto il giorno precedente, era ancora addormentato. Ma questo non fu importante per lo svolgersi degli eventi. 
Era tutto premeditato. La macchina aspettava, silenziosa e vigile. Aspettava il suo uomo. Un ragazzo sui 20 anni, giocatore di calcio. Era proprio questo il motivo. Giocatore di calcio: la macchina (o meglio, il conducente) erano stati appositamente pagati per infortunarlo. 
Lui, ignaro, era bellissimo. E vivo. Immensamente vivo. Sentì il rumore dei freni e la gente urlare, ma stava attraversando la strada, di certo non poteva aspettarsi di essere investito in pieno sulle strisce pedonali.
Il buio. Quello se lo ricordava bene. Seguito dalla paura e dall'emozione del volo provocato dall'impatto. E, appena prima di toccare terra, il suo ultimo pensiero prima di svenire. Lei. Bella, sorridente. Il volo terminò con un sorriso.


Lei era annoiata. Parecchio. Quella mattina la lezione di matematica sembrava non finire mai. Erano già le 9.30, eppure la campanella che segnava la fine del primo tempo non si decideva a suonare.
Suonò, o meglio vibrò, qualcos'altro e, ripensandoci dopo la fine di questa storia, avrebbe voluto non suonasse mai.
Era il suo telefono. La sorella di lui. Beh? A quell'ora? Aveva appena risposto al suo messaggio, sicuramente le era partita la chiamata per sbaglio. Comunque, suonò la campanella e saettando in bagno riuscì a rispondere prima dell'ultimo squillo.
"Pronto?"
"Non sai cos'è successo! Oddio, oddio! E adesso, con che coraggio te lo dico?" finita la frase a stento, scoppiò a piangere,
"Marianna? Cos'è successo?"
"Mio fratello è stato investito da un auto poco fa in centro a Trento. E' grave."
Tutto si aspettava, ma non questo.
"Arrivo."
"Come? E... come fai? Dovresti prendere il treno e..." riattaccò. 



Un'ora dopo, era in treno. Ancora stentava a crederci. La chiamata al padre, la sua assoluta fiducia. La sua comprensione e la sua premura sul fatto dello stare attenta. Era venuto a firmare per poterla farla uscire. Ferma a Bologna, aspettava il treno che l'avrebbe fatta giungere al suo posto.


Freddo. Tanto freddo. E vuoto, tutto intorno a sè. Voci. Indistinguibili, incomprensibili. Dolore, all'altezza dell'addome. E lei, lei così splendida e dolce. Lei... adesso incominciava a rimpiangere tutte le cose che non le avrebbe mai detto. Urlò il suo nome. E ancora e ancora. Le voci si erano zittite.



"Pronto?"
"Dove sei?"
"Sto arrivando."
"Lui non fa altro che urlare il tuo nome. I medici han detto che gli farebbe bene sentire la tua voce, la tua presenza. Cerca di fare presto." aveva la voce di qualcuno che nonostonte il peso degli eventi non si concede il pianto ma lotta.
"Sto arrivando."
"Ti prego, muoviti. Gli urli che fa sono strazianti."
"Non potrebbero sedarlo?"
"Devono aspettare. Se ha un'emorragia interna, peggiorano la situazione. Avrebbero bisogno si tranquillizzasse."
"Sto arrivando."

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Capitolo 7
*** Viaggio di speranza-Parte II ***


Freddo. Sempre più freddo. I ricordi sbiaditi scorrevano nella sua mente, come cavalli impazziti che galoppano al vento, così, senza nessun filo logico i pensieri si attorcigliavano gli uni agli altri. E il suo viso era sempre lì, pronto a farlo sentire in colpa, in colpa per un amore non dato: non per scelta, ma per amore stesso.
Il dolore acuiva i suoi pensieri e rat
trappiva i suoi sensi, ancora sentiva le voci. Non sapeva bene se nel suo subconscio o se nella realtà, ma sentì la sorella dire: "Sta arrivando" e la madre rispondere: "Vado a prenderla".
Realtà e visioni si mescolavano le une alle altre, ma da quel momento, incominciò a sperare. Se c'era lei, tutto sarebbe stato facile. Se c'era lei, era sempre facile.



Un incubo senza precedenti era il vortice in cui si erano trasformati i suoi pensieri. L'angoscia di ricevere una telefonata dove le dicevano che non c'era più nulla da fare, il dolore per la condizione in cui si trovava lui e la consapevolezza di poter cambiare le cose.
"Si avvisano i signori passeggeri che stiamo per arrivare a Trento Nord."
Finalmente. 
Scesa dal treno, ad aspettarla trovò la madre di lui. Non ci fu bisogno di parole, nè nella stazione nè durante il viaggio per raggiungere l'ospedale. 
Aveva paura.



Non sapeva se avrebbe resistito. Il dolore era così forte, era come se tutto il suo essere stesse protestando contro la vita e la morte stessa premesse per abbracciarlo con le sue braccia calde. Non doveva cedere.



Erano arrivate. Si precipitò fuori dall'auto e corse come non aveva mai corso in vita sua. Non faceva fatica, volava. Era un angelo in quel momento. Il suo angelo. "Resisti, sto arrivando" disse a bassa voce.



Il suo angelo sorrideva. Sorrideva in modo dolce, caldo, un sorriso pieno di promesse. "Resisti, sto arrivando." "Fai presto, scricciolo."



Su per le scale e poi destra, sinistra e ancora destra. Uno scivolone finale quando raggiunse l'estremità del corridoio emergenze, dove una folla di persone era silenziosa e immobile, come in attesa di un segno.
E il segno era lei.
"Muoviti, entra!"



Non ce l'avrebbe fatta. Era la fine.



"Non... come sta?"
"Malissimo. Continua ad urlare e si contorce dal dolore."
Si aprì la porta della camera. Ne uscì un dottore, il volto cupo.
"Temo ormai stia per lasciarci."
"NO! Mi lasci provare, la prego!"
"Sei la sua ragazza?"
"No, io..."
"Allora no, mi spiace. E' tutto il tempo che urla il nome della sua ragazza, e posso fare un'eccezione solo per lei."
"Ma è lei quella ragazza!" a parlare, erano stati i suoi amici. 
"Vai, e riportalo qui. Tienilo stretto alla vita."
Entrò.



Un tunnel. La luce in fondo. E un senso di risucchio verso il basso, come quando si cade in un incubo e ci si sente mancare, svegliandosi poi e dandosi degli stupidi per la paura avuta.
Ma stavolta, non ci sarebbe stato il risveglio.



La camera era illuminata da una luce soffusa. Lui giaceva nel letto, immobile e pallido, fasciato e imbrattato di sangue.
Le lacrime solcarono il suo volto, ma ora toccava a lei, doveva essere forte. Le sue urla erano diminuite, le sue guance erano rigate dalle lacrime. Si dimenava ancora, ma sempre più debolmente ogni secondo che passava.
Urlò il suo nome. Lei gli prese la mano e la strinse con forza.
"Sono qui! Sono arrivata!"



Quella era la sua voce. Avrebbero potuto passare anni, e l'avrebbe comunque riconosciuta. Strinse la mano, per farle capire che c'era.



"Ascoltami, devi calmarti! Devono operarti e se reagisci così, non possono farlo... ti prego, combatti! Non posso perderti, lo sai, senza di te non resisto un giorno! Non posso..." la sua voce si spezzò a metà.



Per tutto il tempo in cui aveva parlato, lui aveva cercato di reagire, ma non ce l'aveva fatta. Furono i suoi singhiozzi a dargli forza. Lei aveva bisogno di lui. 



Piangeva senza ritegno. Lui non dava segni di vita. Lei era inutile.
"Non... mi... lasciare... la mano."
Tirò su la testa, di scatto. Incontrò i suoi occhi, profondi, di quel marrone caldo che tanto la affascinava. Velati di dolore, la guardavano come se fosse la salvezza.
"Non lo farò. Mai."
"Promettilo. Ho... bisogno... di te..."
"Sssssh fai fatica a parlare, ora riposa, che ti operano."
"Scricciolo?"
"Dimmi."
"Sei... bellissima. E..."
"Si?"
"Grazie... per essere venuta."
"Dovevo."







Lo operarono, e lei si rifiutò di lasciargli la mano anche durante l'operazione. Figuriamoci poi per la convalescenza. Non accettava di lasciarlo un minuto, fino a che, dopo quasi 12 ore di veglia ininterrotta, la obbligarono a mangiare qualcosa e a lasciare il suo posto.


Aprì gli occhi. Era indolenzito, ma tutto sommato se la cavava. Si guardò intorno. La sorella emise uno strillò e gli saltò addosso.
"Stai bene! STA BENE!"
"Urla poco, mi fa male la testa."
E lei dov'era? Non c'era... si era sognato tutto. La verità lo travolse. 
"Perchè sei triste?"
"Niente... mi era sembrato... niente."
"Guarda che lei è andata a mangiare. E' stata al tuo fianco veramente, l'hanno obbligata i tuoi amici a lasciare il tuo 'capezzale', han dovuto portarla via di peso. Adesso torna, rilassati."
"Ma..." delle voci dal corridoio lo interruppero. 
"Eddai, ho mangiato! Fammi tornare da lui!"
"Dio, ragionare con te è impossibile! Dai, entra!"
Entrarono tutti e tre. Lei e i suoi due migliori amici.
Sorrise. Lei era bellissima. E quando lo vide, la gioia si espanse sul suo viso e la illuminò tutta. Era ancora più bella.
"Stai bene?" chiese lei, emozionata.
Gli altri uscirono. La parola privacy per fortuna non era loro sconosciuta. Lui le prese la mano.
"Ora si".
 
 

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