H.C.C.

di Angel666
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** the encounter ***
Capitolo 2: *** A voice into the night ***
Capitolo 3: *** Questioning ***



Capitolo 1
*** the encounter ***


La neve aveva cessato di cadere, ma il freddo continuava a pungerle la pelle delle guance e a bruciare l’aria nei polmoni. Piccole nuvolette di condensa si formavano davanti alla sua bocca e si perdevano sotto la luce del lampione dove stava ferma da diversi minuti. O da ore, non lo sapeva più neppure lei. Tutto quello che sapeva era che non riusciva a riconoscere dove fosse finita, il che forse, andava bene.
Scappa!” L’urlo di sua madre ancora risuonava nelle sue orecchie. Prima aveva aspettato che le cose si calmassero; poi quando era sicura che quegli uomini fossero troppo impegnati per badare a lei, era uscita dal suo nascondiglio e aveva iniziato a correre più veloce che poteva, fino a che non si era ritrovata in quella parte sconosciuta della città.
Sebbene si stesse facendo buio, le strade erano gremite di gente che si era ridotta all’ultimo per fare le ultime compere di natale. I passanti correvano frettolosi per via del gelo; nessuno si era fermato alla vista di una bambina sola, immobile sotto a quel lampione da non si sa quanto tempo. A nessuno importava nulla di lei.
Stringeva il suo piccolo orsacchiotto di peluche in una mano, con gli occhi puntati nella neve. Era l’unica cosa che aveva fatto in tempo a prendere prima di scappare. Nonostante un vecchio pupazzo non potesse esserle di alcun aiuto in una situazione come quella, lo stringeva come fosse stata la cosa più preziosa al mondo.
“Ehi bambina ti sei persa?” Una voce. Qualcuno finalmente si era accorto della sua presenza. Alzò gli occhi spaventata, ma vedendo che il suo interlocutore era una ragazzino poco più grande di lei si tranquillizzò.
“Dove sono i tuoi genitori?” chiese quello curioso.
Non seppe perché, ma le lacrime  istintivamente le salirono agli occhi, facendoli pizzicare ancora di più.
Il ragazzino la guardò preoccupato, come se temesse che scoppiasse a piangere.
“Tieni, ti scalderà un po’. Hai proprio una brutta cera.” Tirò fuori dalla tasca del suo cappotto rosso una tavoletta di cioccolato e, dopo averla scartata, gliene porse un pezzo.
La bambina lo fissò per un attimo, incerta: non aveva voglia di cioccolato in quel momento, però rifiutare le sembrava scortese. Sebbene la sua mamma le avesse ripetuto una marea di volte di non accettare cose dagli sconosciuti, decise di dare ascolto al ragazzo. Prese la cioccolata e la morse lentamente. Subito una sensazione di calore le esplose in bocca, espandendosi fino allo stomaco.
“Abiti tanto lontano da qui?” chiese il ragazzino, vedendo che la crisi di pianto era scongiurata.
Lei si limitò a fissarlo in silenzio con aria triste. Non poteva tornare a casa; sperava che il messaggio fosse abbastanza chiaro nei suoi occhi. Infatti lui sembrò capire che c’era qualcosa che non andava. Senza pensarci troppo le prese una mano e la trascinò con se. “Andiamo, ti porto in posto sicuro, altrimenti morirai congelata.”
In quel momento riprese a nevicare, come se la terra volesse cancellare le loro tracce sotto un manto candido. La bambina lo seguì senza paura: si fidava dell’unica persona che si era accorta di lei e che si era mostrata gentile in quella terribile giornata.
Il biondino camminava davanti a lei con passo svelto e deciso. La piccola mano della bambina era salda nella sua più grande e calda, per via dei guanti che indossava.
Camminarono in silenzio fino a che il ragazzo non si fermò di colpo. Lei, impegnata a guardare per terra, gli andò a sbattere addosso. Davanti a loro si ergeva un imponente cancello di ferro, sul quale c’era scritto in lucide lettere d’ottone “Wammy’s House” . Dietro c’era una grande villa vittoriana: le finestre erano tutte illuminate e dai comignoli usciva un denso fumo bianco. Sembrava un bel posto. “Questa è casa mia.” Sussurrò il ragazzino “Sono sicuro che qui dentro c’è qualcuno in grado di aiutarti.”
 
 
 
Il signore seduto dietro alla pesante scrivania di legno, che a quanto pare si chiamava Roger, la fissava preoccupato da più di 5 minuti.
“Siamo sicuri che non sia muta?” chiese.
Mello, questo era il nome del bambino che l’aveva portata fin li, alzò le spalle intento a mangiare la seconda barretta di cioccolato della serata.
“Effettivamente non ha mai aperto bocca. Però non credo che sia muta…piuttosto sembra che sia sotto shock per qualche motivo. Magari ha perso i genitori nella confusione, oppure qualcuno le ha fatto del male.” Le lanciò uno sguardo dubbioso “Eppure non sembra ferita da nessuna parte. Dal momento che si stava facendo buio, ho pensato che non sarebbe stato sicuro lasciarla sola per strada. Magari può passare qui la notte e domani puoi portarla al commissariato di polizia più vicino, per vedere se qualcuno ha denunciato la sua scomparsa.” Disse con fare saccente.
Di una cosa la bambina era certa: quel ragazzino era incredibilmente sveglio per la sua età. Forse aveva fatto bene a seguirlo; magari qui era davvero al sicuro.
Roger Ruvie annuì, per nulla impressionato dal discorso di Mello. “Faremo come dici. Per questa notte la sistemeremo in camera con Linda e domani la porterò alla polizia.”
Mentre seguiva il suo nuovo amico lungo i corridoi, diversi bambini si affacciarono dalle porte delle stanze, sussurrando tra loro.
Lei aveva lo sguardo incollato alla schiena del ragazzo, come se avesse avuto paura di perderlo, e non si curava dei loro bisbigli.
Mello di fermò davanti ad una porta uguale a tutte le altre e la spalancò senza bussare. “Linda! A quanto pare questa notte ti tocca ospitare la nuova arrivata. Ordini di Roger.” Aggiunse veloce, vedendo la faccia contrariata della bambina seduta sul letto, intenta a disegnare su un blocco. “E se impazzisce e mi fa del male mentre dormo?”
Mello fece scorrere lo sguardo dalla piccola alla sua amica “Non mi sembra affatto pericolosa, e poi non ti darà nemmeno fastidio: a quanto pare non parla.” Disse scettico.
Questo catturò l’attenzione di Linda “Sul serio? Perché?”
“La lascio a te, mi raccomando, tienila d’occhio. “ disse lui, ignorando le domande. Si inginocchiò davanti alla bambina “Qui sei al sicuro; ti do un consiglio: domani alla polizia cerca di parlare. Se vuoi che ritrovino i tuoi genitori avranno bisogno della tua collaborazione.” Le fece un mezzo sorriso e uscì dalla stanza, lasciando di stucco la sua amica, che non aveva mai visto il biondo gentile nei confronti di nessuno prima di quella sera.

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Capitolo 2
*** A voice into the night ***


“Ti dico che è rimasta tutta la notte seduta sul letto a stringere quel pulcioso orsacchiotto di peluche! Non si  è neanche tolta le scarpe e il cappotto.” Era almeno le terza volta che Mello sentiva quella storia. Arrivata l’ora di pranzo i bambini dell’istituto erano tutti quanti riuniti a mensa. Linda teneva banco da più di quindici minuti e non aveva ancora toccato il suo piatto di minestra, che sicuramente era diventata fredda. L’unico che non si curava di lei, come da programma, era un bambino albino, intento a giocare con dei pupazzetti al tavolo a fianco.
Mello lo fissava con disgusto, mentre ascoltava passivamente il racconto della ragazza. “Non è che non ci abbia provato a parlarle! Figurati, era come se non esistessi. Non mi ha degnato di uno sguardo ed è stata ferma in quella posizione, fino a che Roger questa mattina non è venuto in camera a prenderla. Non ha fatto chiudere occhio neanche a me, con quella sua presenza inquietante. Io di persone strane ne ho viste tante…ma lei le batte tutte!” concluse teatralmente.
“Ne dubito.” Sussurrò Mello a denti stretti, continuando a fissare l’albino.
“Ehi ragazzi guardate chi è tornato a trovarci?” la voce gioviale di Matt, il suo migliore amico, lo riscosse di colpo.
“Non è possibile!” un brusio si sparse per la mensa. Sulla soglia della grande sala c’era Roger, che teneva per mano la bambina, con aria sconsolata. Mello si alzò e gli andò incontro senza esitare “Cosa è successo?”
“Seguimi.”
 
Si ritrovarono in una situazione analoga a quella della sera precedente. Roger dietro la scrivania, Mello in piedi e la bambina seduta in silenzio su una sedia.
“A quanto pare nessuno ha denunciato la scomparsa di una bambina nelle ultime 24 ore. Inoltre la piccola continua a non aprire bocca; ci abbiamo provato in tutti i modi: sono intervenuti persino gli psicologi dei servizi sociali, ma non c’è stato verso. Essendo io il direttore di un orfanotrofio, e non potendo certo lasciarla al commissariato in quanto minorenne,  mi è stato detto che la scelta più saggia sarebbe stata quella di tenerla qui in attesa di nuovi sviluppi. Magari in mezzo ai bambini riuscirà ad aprirsi un po’.” Concluse dubbioso.
“Ma non è possibile che non abbiate scoperto nulla sul suo conto!” sbottò Mello.
Roger lo fissò per un lungo momento in silenzio. Al ragazzo il direttore apparve improvvisamente più vecchio di dieci anni. “In realtà c’è una cosa che abbiamo scoperto, anche se questo non ci aiuta, al momento.”
“Che cosa?”
“Quando abbiamo aperto il cappotto della bambina, dopo una forte resistenza da parte sua aggiungerei, per farla visitare dal medico del commissariato, abbiamo trovato i suoi vestiti interamente ricoperti di sangue.”
Mello sentì il respiro mozzarsi in gola “Sangue?” sussurrò.
“Si, sangue secco. La bambina addosso non riporta neppure un graffio. E’ visibilmente sotto shock, ma a parte questo è in perfetta salute fisica. La cosa assurda è che non sono stati rinvenuti cadaveri nelle ultime 48 ore sia qui a Winchester che nei distretti circostanti; non è stato denunciato nessun omicidio o tentato omicidio e gli ospedali non hanno ricoverati pazienti nelle ultime 24 ore che riportino ferite così gravi da essere ricollegati al caso. Abbiamo prelevato un campione di sangue dal maglioncino della bambina e siamo in attesa delle risposte dal laboratorio. Questa faccenda non mi piace per niente…sarei quasi tentato di contattare L, se non fosse troppo impegnato con il suo ultimo caso negli Stati Uniti. Tutto quello che sappiamo di lei è che è stata ritrovata ieri sera intorno alle 20:00 nei pressi dell’orfanotrofio, in stato confusionale. Non sappiamo quanti anni ha, anche se possiamo stimare tra i 5 ei 7 anni, non sappiamo come si chiama e di che nazionalità sia…magari non capisce neppure la nostra lingua, ed è per questo che non comunica con noi. Non ha niente addosso che possa farci intuire qualcosa sul suo passato. Solo una cosa è sicura: questa bambina si trova in pericolo ed è per questo che ho chiesto al commissario di mantenere la faccenda il più riservata possibile. Dobbiamo tenerla chiusa qui, finché non abbiamo qualche notizia in più sul suo conto. A quanto pare si fida solo te, quindi ti chiedo il favore ti tenerla d’occhio. Inoltre conto sulla tua discrezione: non devi far parole di queste informazioni con nessun altro bambino dell’istituto, intesi?” Aveva parlato come se in quella stanza ci fosse solo Mello.  Per tutto il tempo la piccola era rimasta seduta immobile con lo sguardo fisso davanti a sé.
Mello annuì serio. Quella storia era più interessante di quanto si sarebbe aspettato. Se lui fosse riuscito a scoprire qualcosa in più sul conto di quella bambina, probabilmente avrebbe potuto indagare sul suo passato e sul trauma che aveva subito. Lui era l’unica persona di cui si fidava e questo sicuramente giocava a suo favore; però doveva stare molto attento a giocare le sue carte. Se avesse risolto il caso, di certo avrebbe attirato su di sé l’ammirazione di L, superando una volta per tutte il suo maledetto rivale. “Puoi contare su di me, Roger.”
 
Quella notte pioveva a dirotto e i tuoni facevano vibrare i vetri dell’orfanotrofio, creando un sinistro sottofondo ai sogni dei ragazzi. Mello aveva un sonno più agitato del solito: la storia raccontatagli da Roger si rifletteva nel suo subconscio assumendo contorni ancora più distorti e raccapriccianti.
L’ennesimo tuono lo trascinò fuori da quell’incubo. Si alzò a sedere di scatto sul letto, aspettando che il respiro si regolarizzasse, con la gola secca e gli occhi sbarrati nel buio. Matt dormiva sereno nel letto accanto, per nulla disturbato dal tempo infernale.
Il cigolare della porta lo riportò alla realtà: chi poteva essere a quell’ora di notte che si intrufolava nella loro stanza?
Una testolina scura e due grandi occhi azzurri fecero capolino dietro la porta. La bambina si guardò intorno con aria spaventata, fino a che i suoi occhi non si posarono su Mello. Subito si avvicinò al suo letto, stringendo quel cencioso orsetto di pezza con gli occhi fissi sui suoi piedini nudi.
“Come diavolo ha fatto a trovarmi?” Pensò il biondo. Notò che indossava una camicia da notte bianca di almeno due taglie più grandi, la cui scollatura le lasciava scoperta una spalla. Era sempre meglio dei suoi vecchi vestiti sporchi di sangue.
“Che cosa ci fai tu qui? Se ti beccano che vaghi per i corridoi di notte finisci nei guai! Non è carino finire in punizione il tuo primo giorno. E poi si puoi si può sapere come hai fatto a trovarmi?” sussurrò per paura di svegliare Matt.
Non si aspettava davvero una risposta, per questo quasi cadde dal letto quanto la senti nominare “Roger.”
“Co-come hai detto?” chiese con gli occhi fuori dalle orbite.
“Me lo ha detto Roger.” Ripeté.  Aveva la voce normalissima di una bambina, forse solo lievemente arrochita per il recente disuso, ma per il resto non denotava alcun accento straniero o alterazione particolare.
Un tuono squarciò l’aria e lei strinse ancora più forte il suo orso. “Posso dormire con te? Ho paura dei temporali.” Chiese tremando.
In teoria era vitatissimo che una bambina dormisse nel letto di un altro bambino dell’istituto; in pratica lei gli aveva appena rivolto la parola, e questo era un gigantesco passo avanti per Mello.
“Ad una sola condizione: che tu domani mi racconti davanti a Roger che cosa ti è successo.” Disse.
Lei sembrò pensarci un po’ su, ma poi finalmente alzò gli occhi da terra e li puntò nei suoi “Va bene.” Mello sapeva che aveva detto la verità, lo aveva letto in quello sguardo innocente; così fece spazio nel letto e tirò le coperte “Salta su, e vedi di non muoverti troppo.” La ammonì.
La piccola non se lo fece ripetere due volte: si arrampicò sul letto e si accoccolò contro il petto del ragazzino.
Mello non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma avere un piccolo corpicino caldo accanto al suo gli procurò una sensazione di calma profonda, che lo fece dormire beatamente fino al mattino seguente.

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Capitolo 3
*** Questioning ***


“Insomma hai rimorchiato.” Lo salutò Matt, con la voce impastata dai cereali.
Mello lo guardò disgustato “Non ti hanno insegnato che non si parla con la bocca piena? Anzi, sarebbe meglio che non l’aprissi proprio quella fogna. Lo sai vero, che se qualcuno lo scopre finisco nei guai?”
“Secondo me sono i capelli.” Disse l’altro dubbioso “Sul serio quel caschetto biondo che fa tanto angioletto attira le ragazze…comunque buongiorno anche a te, raggio di sole!”
A volte Mello si chiedeva come mai quell’imbecille fosse proprio il suo migliore amico. E per quale assurdo  motivo tirava fuori la sua brillante intelligenza solo ed esclusivamente durante i compiti in classe.
“Non è da tutti svegliarsi con una femmina nel letto appiccicata a te.”
“Matt! Quella bambina avrà si e no 5 anni…inoltre ti farei notare che tra di noi due c’era il suo orsacchiotto di pezza.” Sbottò afferrando una fetta di pane e imburrandola con rabbia.
“Stai tranquillo amico, non ho intenzione di spifferare niente a nessuno.” Matt si fece serio di colpo “E’ solo che da quando è apparsa quella bambina tu sei più strano del solito.”
“Ho le mie ragioni. Tranquillo, è tutto sotto controllo.”
L’amico lo fissò con intensità “Sarà, se lo dici tu.”
Mentre Mello si incamminava verso lo studio di Roger, pregustava già il dolce sapore della vittoria. Si immaginava acclamato da L, il quale si congratulava con lui per aver risolto il suo primo difficile caso; mentre Near lo fissava rannicchiato in un angolo, per la prima volta con un’espressione sconfitta sul viso. Ridacchiò tra sé e sé, prima di entrare nella stanza del Direttore.
La piccola era già lì, esattamente nella stessa sedia della sera precedente, con in braccio il suo cencioso orso di pezza. Le avevano trovato dei vestiti adatti alla sua taglia per fortuna; si guardava intorno con aria circospetta.
“Chissà se manterrà la promessa che mi ha fatto.” Pensò Mello.
“Dunque.” Esordì Roger. “A quanto pare sei riuscito a convincere la nostra ospite a parlare.”
Sembrava scettico.
“Si.” Affermò il ragazzo con sicurezza. “Penso che abbia capito l’importanza di fidarsi di noi, dal momento che le abbiamo salvato la vita.”
“Allora piccola, come ti chiami?” chiese gentilmente Roger.
Lei per tutta risposta si limitò a fissarlo in silenzio. “Cominciamo bene.” Il ragazzino stava per perdere la pazienza, ma si impose la calma. Non poteva fallire stavolta, cedendo al suo carattere impulsivo.
“Hai promesso.” Sussurrò a denti stretti.
“Lo so. Sono disposta a rispondere a qualsiasi vostra domanda; ma una cosa non posso dirvi ed è il mio nome.” Aveva parlato in modo tranquillo e distaccato, guardando Roger in faccia con espressione seria.
“Perché?”
“Perché l’ho promesso. E poi loro potrebbero trovarmi.” Rispose.
“Loro?” chiese Roger.
“Gli uomini che hanno ucciso la mia mamma.” Le sue manine strinsero impercettibilmente il peluche, ma il tono rimase fermo.
Nonostante quel ragazzino biondo le avesse salvato la vita, e quell’uomo si fosse dimostrato buono con lei, non poteva fidarsi fino in fondo di loro; anche se in fondo un po’ avrebbe voluto.
Roger assottigliò lo sguardo.
“Uccisa? Ne sei davvero sicura? E’ un’accusa molto grave.”
“Si, lo hanno fatto davanti ai miei occhi.”
Il vecchio si tolse gli occhiali e si asciugò la fronte con un fazzoletto.
“Forse è meglio partire dall’inizio. Se non vuoi dirmi il tuo nome d’accordo; in fondo avresti potuto benissimo inventartene uno, ma non lo hai fatto. Hai scelto di dire la verità e questo lo apprezzo molto, voglio che tu lo sappia. Hai la mia parola che quello che dirai oggi non uscirà mai da questa stanza da parte mia o di Mello, quindi sentiti libera di dirci tutto quello che vuoi. Noi vogliamo solo aiutarti. Credi alle mie parole?” Roger non era mai stato tanto serio in vita sua.
“Si.”
“Bene. Se non te la senti di parlarmi di qualcosa basta che tu resti in silenzio; io non insisterò. Vuoi che Mello rimanga qui?”
La bambina annuì.
“D’accordo. Siediti.” Disse rivolto al ragazzo, che  non se lo fece ripetere due volte; aveva la sensazione che le gambe non avrebbero retto ancora per molto per la tensione.
“Quanti anni hai?”
“Ne ho compiuti 7 il 9 Settembre.”
“Sei nata in Inghilterra?”
“Si, a Londra.”
“Eppure vivevi qui con la tua famiglia.”
La bambina si mosse nervosamente sulla sedia.
“Eravamo solo io e mia madre.” Adesso sono solo io.
“Dov’è tuo padre?”
“Non lo so; non l ho mai conosciuto.”
“E tua madre non te ne ha mai parlato?” chiese Roger curioso.
“No.”
Gli sudavano i palmi delle mani: lui non era un assistente sociale;  neppure amava così tanto i bambini! Doveva stare molto attento a come poneva le domande…se solo L fosse stato lì in quel momento sarebbe stato tutto più facile: lui era bravo a trattare con i più piccoli. Lanciò uno sguardo furtivo a Mello. Il biondino aveva gli occhi fissi sulla piccola e tratteneva il respiro.
 “Che lavoro faceva la tua mamma?”
“Lavorava in un ospedale. Come assistente sociale.”
“Quale ospedale?”
Nessuna risposta.
“Ci sono persone in quell’ospedale che conosci che potrebbero prendersi cura di te?”
“No. Non sono mai andata al lavoro con lei, e lei non ha mai portato colleghi a casa.”
Certo, gli ospedali non erano bei posti per portare la figlia.
“Tua madre aveva qualche amico che badava a te mentre lei era al lavoro? Non so, un vicino di casa…”
“No, nessuno. Eravamo solo io e mia madre.” Il suo tono era fermo, senza alcuna alterazione che indicasse il minimo stato d’animo. Sembrava che stesse rispondendo ad un quiz in televisione.
“Chi badava a te durante il giorno?”
“Nessuno.”
“E’ impossibile! Qualcuno quando eri più piccola ti avrà tenuto mentre tua madre lavorava.”
“Mia madre non lavorava spesso. La chiamavano a seconda dei periodi, se doveva seguire un paziente, altrimenti stava a casa con me. Quando usciva mi lasciava le cose pronte da mangiare e tornava sempre verso sera.”
“E tu che cosa facevi mentre lei era assente?”
“Leggevo. Mi piace molto leggere. Oppure guardavo la tv o coloravo dei disegni.”
Le piaceva leggere… “Sei mai andata a scuola?”
“No.”
“Tua madre ti ha insegnato a leggere?”
“Si. Mia madre mi ha insegnato tutto quello che so. Diceva che avrei dovevo imparare in fretta a diventare una persona indipendente.”
“Ti ha detto il perché?”
“Immagino che sapesse di avere poco tempo a disposizione.” Quella risposta era insolita.
“Quindi ricapitolando: non hai parenti o amici che possano prendersi cura di te in alcun modo e non sei mai andata a scuola. Inoltre hai detto che sei nata a Londra. Da quanto tempo ti sei trasferita qui?”
“Quasi subito dopo la mia nascita, per il lavoro di mia madre.”
“Se tua madre stava spesso con te, e non aveva amici, tu non riesci a immaginare chi avrebbe potuto farle del male?”
 “No. La mamma era una brava persona.” La piccola strinse ancora di più il peluche, come a cercare un po’ di conforto.
“Sapresti riconoscere chi l’ha uccisa se li vedessi in fotografia?”
“Si.”
“Bene questo è già qualcosa.”
“Puoi dirci l’indirizzo di dove abitavi?”
Lei scosse la testa.
“Quegli uomini potrebbero tornare a cercarti e trovare elementi che li riconducano a te: come vecchie fotografie o disegni.”
“Impossibile. La mamma era molto attenta a queste cose.”
Era chiaro che questa storia nascondeva più di quanto avessero immaginato all’inizio; dovevano agire con la massima cautela. Roger sospirò, esausto.
“Come avrai capito questo posto è un orfanotrofio. All’interno di queste mura dovresti essere al sicuro, quindi la cosa più saggia sarebbe che tu rimanessi con noi, dal momento che non hai nessun’altro che possa occuparsi di te. La prima cosa da fare è darti una nuova identità, e procurarti dei documenti falsi. Di questo ci occuperemo noi, stai tranquilla. Dovrai fare solo una cosa: sarai sottoposta ad un test che ci permetterà di conoscere il tuo livello di preparazione al fine di assegnarti ad una classe dovrei potrai seguire le lezioni. Ti verrà data una stanza, che condividerai con un’altra bambina dell’istituto, e tutti i beni di prima necessità saranno a nostro carico. So che per una persona come te, che non è mai stata abituata ad avere gente intorno, all’inizio potrà essere un pochino traumatico; ma spero sinceramente che riuscirai ad ambientarti e a trovarti bene con noi.”
La bambina aveva annuito senza mostrare alcuna emozione in particolare, come se avesse già accettato quel destino da tempo.
Mello aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento, ma il suo cervello lavorava freneticamente per trovare un piano che gli permettesse di scoprire di più sul passato della nuova compagna. Era chiaro che al momento la piccola non aveva intenzione di spingersi oltre con le spiegazioni, ma lui aveva una cosa che Roger non era riuscito ad ottenere fino in fondo: la sua fiducia. Avrebbe provato a parlarle da solo.
“Mello, puoi farle fare un giro dell’istituto e presentarle gli altri ragazzi?” chiese Roger, riportandolo alla realtà.
“Certo. Vieni con me.”
 

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