Merry Kurtbastian Christmas di Kiki87 (/viewuser.php?uid=289)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Playing in the snow - I'm giving you the permission ***
Capitolo 2: *** Mistletoe - Our Secret ***
Capitolo 3: *** Christmas Presents Beneath The Tree - Our Perfect Christmas ***
Capitolo 4: *** Christmas Morning - Who I Am ***
Capitolo 5: *** Santa Claus and The Reindeer - Is Santa Claus coming? Isn't he? ***
Capitolo 6: *** Family Fun - Christmas? No, thanks. ***
Capitolo 7: *** Crossovers During The Holidays - Gossip Glee II ***
Capitolo 1 *** Playing in the snow - I'm giving you the permission ***
1
Ben ritrovati a coloro che mi
hanno seguito nella Kurtbastian Oktoberfest e un saluto a chi ancora
non ho
avuto il piacere di incontrare su queste pagine.
Anche in questo periodo
natalizio mi sono cimentata nell'ideare qualche raccontino su questa
meravigliosa
ma, ahinoi, coppia non canon. Al solito, la mia prima reazione a parte
un
attacco di fluff per le tracce, è stata un po' scettica
perché il mio timore
era quello di ideare delle trame troppo smielate o banali per come
immagino la
collisione/fusione trai personaggi. Evidentemente qualcosa deve prima
suscitarmi perplessità (therentgirl
è pregata di non ridere) prima di
piacermi, come è stato con Sebastian stesso. Quindi non mi
dilungo oltre e vi
auguro una buona settimana precedente le festività e un buon
Natale Kurtbastian
per i fan.
Un'ultima annotazione: a parte
gli avvertimenti per ogni singola storia, devo avvisarvi che le ho
progettate
quasi tutte verso la fine di Novembre, o inizi Dicembre, ragion per cui
non
sarà poco frequente un discostarsi dalla trama originale.
Buona lettura!
Merry Kurtbastian Christmas
Jingle bell, jingle bell, jingle bell
rock
Jingle bells swing and jingle bells ring
Snowing and blowing up bushels of fun
Now the jingle hop has begun
Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock
Jingle bells chime in jingle bell time
Dancing and prancing in Jingle Bell Square
In the frosty air.
(Bobby Helmes)
PLAYING
IN THE SNOW
I'm
giving you the permission
Non
avrebbe immaginato che rivedere la Dalton potesse emozionarlo fino a
quel
punto: era sceso dalla scalinata esattamente come la prima volta che ne
aveva
varcato la soglia, mentre i ricordi divenivano persino più
vividi. E dolorosi.
Ma aveva sentito che quel passo era legittimo ed opportuno dopo la
visita al
McKinley per quanto, come avevano ripetuto lui e Rachel a
più riprese, non
sembrasse più essere la loro casa.
La
sola accoglienza dei vecchi compagni, tuttavia, era stata sufficiente a
dirsi
che non poteva ignorare che una parte di sé era rimasta
ancorata a quei luoghi:
laddove al McKinley non si era più sentito protetto dai suoi
amici e dalle
persone che costituivano una seconda famiglia; la Dalton si era subito
distinta
per la rigida osservanza delle regole e del rispetto delle
diversità.
Dopotutto, persino alla primissima visita non aveva potuto che restare
emozionato e commosso di fronte a simile calore tanto sincero da
metterlo
persino a disagio, accrescendo il senso di colpa per gli scopi della
sua
intrusione.
In
quello stesso edificio era sorta la sua passione per Blaine ed era
giunta a compimento,
fino al suo primo vero bacio d’amore. Tornarvi a distanza di
tempo, quando lui
e Blaine non si appartenevano più, era un modo di chiudere
il cerchio.
Il
tour con Nick e Jeff era culminato nella sala delle prove nella quale,
un
sorriso nostalgico e lo scintillio commosso dello sguardo,
incontrò altri
Warblers che si alzarono dalle loro sedie e dai divani o dalla comoda
postazione di fronte al camino, per stringerlo. Nuovi abbracci, nuove
parole di
nostalgia, qualche dispiacere per la fine della sua storia con Blaine e
si era
nuovamente seduto tra loro constatando, ancora una volta, come fosse
particolare stare in quella sala senza indossare l’uniforme
prevista. Un po’
come guardare quella realtà dall’esterno malgrado
vi fosse uno spirito di
coesione e di appartenenza tra i membri del Glee Club che sembrava
sopperire le
differenze.
Lo
avevano anche informato circa i cambiamenti avvenuti
nell'organizzazione
interna del coro: era stato non poco sorpreso nel constatare che
Sebastian
aveva cambiato realmente condotta da quel loro colloquio al Lime Bean,
dopo la
– per fortuna sfiorata - tragedia che si era abbattuta sulla
famiglia Karofsky.
“Sebastian
non è più il capitano?” aveva chiesto
in tono incredulo ed era stato in quel
momento che la poltrona di fronte al fuoco, che nessuno aveva osservato
fino a
quel momento, era stata voltata e Kurt scrutò con le
sopracciglia inarcate il
giovane che vi stava seduto.
Aveva
un portamento tronfio, un sorrisetto suadente ed allusivo mentre lo
scrutava
con espressione sicura di sé – evidentemente,
pensò Kurt con fastidio, aveva
origliato l'intera conversazione – e teneva in grembo un
gatto dal pelo bianco
e vaporoso che accarezzava indolentemente. Vi era qualcosa del tutto
particolare nel suo scrutarlo: un evidente compiacimento
nonché una certa
alterigia che ne faceva curvare le labbra in un sorrisetto supponente
ed
arrogante per quanto apparisse pacato e quasi statico, tanto da non
averne
minimamente colto la presenza fino a quando non era stato lui, a quella
maniera
teatrale, a palesarsi.
Ma
fu un'altra voce ad attrarre l'attenzione di Kurt che, con un movimento
della
coda dell'occhio, notò l'alta figura che si stagliava sulla
soglia della sala:
era cambiato dall'ultima volta che lo aveva visto. Soltanto un
accorgimento dei
capelli più morbidi e lunghi che aveva modellato con
attenzione: aveva le mani
conficcate nelle tasche dei pantaloni della divisa, incurante di star
così
sgualcendo il blazer mentre copriva la stanza in ampie falcate. Lo
sguardo
rivolto proprio a lui, il viso inclinato di un lato e il sorriso
beffardo.
“Sono
lieto che tu ti preoccupi tanto per me, Kurt, ma non credevo che ti
avremmo
rivisto”. Commentò
in tono pacato, un
lieve stringersi nelle spalle ma lo stesso sorrisetto che ne faceva
sfolgorare
le iridi smeraldine mentre lo scrutava dalla sua posizione,
evidentemente
divertito.
Kurt
non ebbe modo di formulare una risposta per un lieve schiarirsi della
voce ed
entrambi, così come gli altri Warblers, si volsero ad
osservare il giovane
seduto sulla poltrona.
“Kurt
Hummel” lo indicò con un cenno del mento,
continuando ad accarezzare
svogliatamente il suo micio. “Lascia che mi presenti, sono
Hunter Clarington,
il nuovo Capitano degli Usignoli, quello che
li ha condotti alla vittoria delle Provinciali” soggiunse.
Kurt
spiò di sottecchi le espressioni di Sebastian – il
suo stringere il pugno lungo
il fianco e il corrugamento della fronte – e non lo sorprese
che apparisse così
poco entusiasta di colui che lo aveva messo in ombra. Tuttavia, anche
Nick e
Jeff si erano scambiati uno sguardo tutt'altro che sereno.
“Le
mie congratulazioni, mi dispiace essermi perso la performance ma sono
sicuro
che abbiate reso onore alla vostra fama ben meritata” aveva
commentato in tono
ossequioso ma era a Nick e Jeff e ai suoi vecchi amici che aveva
rivolto un
sincero sorriso.
Hunter
inarcò le sopracciglia, vagamente divertito.
“Accetterò
i tuoi elogi più che comprensibili ma sarò
esplicito: qui non sei il benvenuto”
aveva continuato a sorridere, un sorriso persino più
suadente ad increspargli
le labbra e il solo suono udibile, nel silenzio imbarazzato che ne
seguì,
furono le fusa del gatto.
“Perché
no?” aveva chiesto Jeff, la voce più alta per
l'indignazione. “... lui è nostro
amico!” alla sua frase così spontanea e diretta
seguirono molti cenni di
approvazione che fecero ulteriormente sorridere Kurt nell'osservarli
con uno
scintillio commosso.
Hunter
non parve minimamente toccato da simile dimostrazione d'affetto e
Sebastian
continuava a scrutarli tutti con il viso inclinato di un lato e le mani
affondate nelle tasche dei pantaloni.
“Vi
ha portato via l'Usignolo Blaine che adesso è dalla parte
dei perdenti”.
“Usignolo
che si è rifiutato di tornare e sottostare alla tua guida, a
quanto ne so”
aveva replicato con un sorriso velenoso e, era una sua impressione?,
gli parve
che un sorrisetto increspasse persino le labbra di Sebastian mentre
Hunter
inarcava le sopracciglia.
Lasciò
cadere il gatto sul pavimento e si mise in piedi: si
avvicinò a Kurt fino a
fermarsi di fronte a lui, un atteggiamento arrogante e compiaciuto che
ne
rendeva i lineamenti persino più marcati, così la
piega delle labbra e quell'inarcata
provocatoria delle sopracciglia.
“Sei
piuttosto... strafottente per chi ha fallito clamorosamente l'ingresso
all'unica università alla quale aveva fatto domanda. Vuoi
ricordarmi il numero
con cui ti sei esibito?”.
Kurt
aveva sentito le guance arrossarsi ma aveva stretto gli occhi in due
fessure
mentre Hunter continuava a sorridergli con fare divertito e soddisfatto
di sé.
Quest’ultimo cercò lo sguardo di Sebastian ma
questi aveva il proprio diretto a
Kurt.
Sorrise
Kurt, un sorriso serafico.
“Certo
e magari tu mi suggerirai un altro numero: uno che parli di qualche
curiosa
frustrazione sessuale”.
Se possibile il
silenzio era divenuto persino più intenso ma Hunter non
sembrò minimamente
imbarazzato, al contrario inarcò le sopracciglia, una
risatina roca.
Si
volse a guardare Sebastian pur continuando a rivolgersi a Kurt.
“Ora
capisco cosa intendeva sulla tua falsa innocenza”.
Quel
commento fece inarcare le sopracciglia di Kurt che, ignorando la mano
di Hunter
che si era appoggiata sulla sua spalla stringendola appena, aveva
gettato lo sguardo
in direzione di Sebastian. Quest'ultimo si strinse nelle spalle ed
incrociò le
braccia al petto, un'occhiata di blando interesse.
“Oh,
e così ti ha parlato di me” aveva domandato in
tono quasi divertito.
E
poi cosa voleva dire con “falsa innocenza”?
“No,
non ho parlato di te più del necessario perché
sapesse di Blaine e progettasse
di rubargli il trofeo e di convincerlo a tornare alla Dalton”
aveva ignorato lo
sguardo ammonitore di Hunter ma aveva continuato a scrutare Kurt, un
vago
sorriso ironico.
“E
no, non l'ho fatto con piacere quindi togliti quel sorrisetto
compiaciuto, Miss
Hummel”.
Era
stato nuovamente Hunter a schiarirsi la gola, evidentemente poco
propenso ad
esser nuovamente un elemento scenico, completamente escluso dagli
scambi di
cortesia tra i due ragazzi. Si era scostato da Kurt per tornare a
sedersi sulla
sua poltrona e così il micio fece un balzo per accomodarsi
nuovamente sul suo
grembo.
“Perché
tu e Sebastian non continuate la vostra discussione fuori di qua e
così tutti
voi che evidentemente siete lieti di rivedere il vostro
amichetto?”. Con lo sguardo
aveva abbracciato il resto della sala, prima di voltarsi nuovamente
verso il
fuoco.
Era
appena stato congedato, constatò Kurt che
appoggiò la mano sul braccio di Jeff
notandone l'espressione incupita prima di sorridere.
“Hunter
ha ragione: non vorrei essere ulteriormente sottoposto alla vista delle
sue
folte sopracciglia o del suo ghigno da Joker che neanche il fondotinta
mal
distribuito riesce ad attenuare”. Fu la sua ultima scoccata
prima di stringersi
nelle spalle e scuotere il capo.
“Torna
a trovarci, Hummel... ” gli giunse la voce di Hunter seppur
non si fosse
voltato in sua direzione e fosse così costretto a fissare lo
schienale della
sua poltrona.
“...
quando deciderai di ricordare come si sta davvero su un palco: non
perderti le
Regionali, vinceremo anche quelle”.
Kurt
strinse i pugni lungo i fianchi, le sopracciglia aggrottate: sapeva che
non
sarebbe valsa la pena rovinare il suo ritorno alla Dalton per le sue
manie di
protagonismo, tanto più che egli era l'ultimo arrivato e, a
quanto aveva capito,
non sembrava incarnare assolutamente i valori che aveva conosciuto ed
apprezzato in quell'Accademia.
“E'
molto probabile, se il numero di apertura non sarà il
tuo” volse appena lo
sguardo a Sebastian che non si era mosso dalla sua postazione, il viso
inclinato di un lato nel seguirne l'uscita.
“Se
continuerai a parlargli di me, digli che preferivo la tua leadership,
buona
giornata” si era voltato ed aveva seguito gli altri ragazzi
fuori dalla sala.
Risalirono
la scalinata e Kurt ascoltò i commenti di disapprovazione
degli altri ragazzi
con un sorriso.
“Non
lasciate che Hunter cambi ciò che vi rende così
perfetti: voi siete una squadra
unita, qualunque cosa lui possa dire”.
“E
tu sarai sempre nostro amico” aveva ribattuto Nick
rivolgendogli un sorriso più
ampio che indusse Kurt a cingerlo in un abbraccio prima di osservarli
nuovamente tutti.
“E'
stato bello rivedervi ma devo sbrigarmi: tra due ore ho il volo per New
York e
devo ancora finire le valigie”. Notò come
sembrassero tutti essersi rabbuiati e
si promise che sarebbe dovuto tornare a far loro visita e intrattenersi
più a
lungo, soprattutto senza sgradite presenze come quella del nuovo
Capitano.
“Tornerai
a trovarci, vero, Kurt? E se arriviamo alle Nazionali-”.
“Sarò
lì per voi”. Concluse la frase al posto di Jeff,
beandosi dei sorrisi che
apparvero nuovamente sui loro volti prima che Nick facesse cenno con il
mento
all'uscita.
“Andiamo,
accompagniamolo fuori”.
“Ma
che bel quadretto” si volsero ad osservare Sebastian, fermo
qualche scalino più
in basso, le braccia incrociate al petto e lo sguardo baluginante in
direzione
di Kurt che aveva sospirato prima di allacciare il cappotto per uscire.
“Sì,
Sebastian ti ho fatto un complimento ma soltanto perché
Hunter è persino più
viscido di te”. Immaginava
fosse quello
il motivo per cui si fosse preso la briga di seguirlo, ma lo
scrutò appena
mentre insinuava i guanti.
“Non
metterci troppa passione nei complimenti, Miss Hummel, non vorrei
rischiare di
arrossire”.
Un
vago sorriso increspò le labbra di Kurt mentre uscivano e
contemplavano il
grande parco dell'Accademia. Kurt aveva amato quello spazio verde nel
quale
soleva passeggiare, soprattutto ai tempi della sua passione segreta per
Blaine,
quando quel luogo gli permetteva di rilassarsi e di riflettere in
solitudine.
Era tutto sormontato dalla neve e notò come Jeff gettasse
un'occhiata di
desiderio in direzione di un bel cumulo: non attese l'opinione di Nick
ma ci si
gettò letteralmente, seguito dall'altro che lo stava
ammonendo circa la
possibilità di raffreddarsi ma desistette quando, come
bambini, Thad e gli
altri lo seguirono.
Kurt
li scrutò con un sorriso più dolce mentre cercava
le chiavi dell'auto del
padre, pronto a lasciare Westerville ma si riscosse alla voce di
Sebastian,
alle proprie spalle.
“Verrai
davvero a vederci trionfare?”.
“Verrò
per vedere i miei amici” replicò, il sorriso
ancora dolce nello scrutare gli ex
compagni di corso mentre Jeff, beatamente steso sulla neve, muoveva
braccia e
gambe a formare la figura di un angelo.
“Questo
non mi include nella lista? E' davvero poco gentile, soprattutto dopo
avermi
detto quanto ti piacesse che io fossi il
Capitano”. Aveva sottolineato e
non aveva bisogno di voltarsi a scrutarlo per immaginare il sorrisetto
che gli
increspava le labbra in quel momento.
Si
strinse nelle spalle con fare pacato.
“Stavo
solo facendo un paragone e-” si volse in sua direzione per
poi restare immobile
e sconvolto quando una palla di neve lo colpì sul colletto
del cappotto per poi
colare lungo lo stesso, lasciandolo letteralmente senza fiato.
Il
gelo improvviso che si era abbattuto sul collo scoperto – non
aveva avuto tempo
di avvolgerlo nella sciarpa – e la macchia umida sul tessuto
scuro.
Un
ghigno trionfante sul viso di Sebastian mentre Kurt – gli
occhi ridotti a due fessure
– si scrollava di dosso, con espressione stizzita, quei
rimasugli di neve.
“Ne
hai dimenticata un po' qua” commentò Sebastian,
indicandone il collo mentre il
ghigno si accentuava.
“D'accordo”
commentò Kurt con la stessa intonazione composta. Si tolse i
guanti e li adagiò
nelle tasche del soprabito prima di chinarsi a sua volta a raccogliere
un
piccolo cumulo di neve che – malgrado i brividi di freddo e
il tremore delle
dita affusolate – modellò in una palla.
“Non
oserai” commentò Sebastian, stringendosi
nuovamente nelle spalle.
“Non
sottovalutarmi”.
E
così iniziò quella personale sfida.
Persino
gli altri interruppero i loro giochi e inseguimenti nel denotare quello
scambio
di lanci tra Kurt e Sebastian: gli strilli isterici del controtenore
quando Sebastian
infieriva nuovamente sul suo cappotto o sui capelli, seguiti dagli
appostamenti
strategici e dal seguirsi e nascondersi dietro agli alberi.
Un
cambiamento non poco curioso dagli scorsi Natali quando duettava con
Blaine in
qualche canzone dallo sfondo romantico o quando immaginava di
trascorrere con
lui quella ricorrenza, ma qualcosa di assolutamente nuovo e non per
questo meno
vissuto.
“Allora,
Miss Hummel, devo ancora infierire o ti arrendi?”.
Kurt,
riparatosi dietro l'albero, sollevò gli occhi al cielo
malgrado il sorriso
divertito: raccolse un altro cumulo di neve per crearne qualche altra
arma ma non
riuscì a muovere ad avanzare da quel nascondiglio
perché scivolò. Sgranò gli
occhi in quel secondo necessario a rendersi conto di star per cadere:
Sebastian
si sporse istintivamente in avanti per cingerne la vita fin quando non
caddero
entrambi distesi, e Kurt gemette all'impatto duro.
Ma
fu una sensazione momentanea.
L'attimo
dopo, quando schiuse gli occhi, fu un altro tipo di sorpresa a
paralizzargli il
respiro: Sebastian giaceva su di sé.
Aveva
gli occhi a sua volta sgranati nei propri, le labbra schiuse e riusciva
a
percepire il suo profumo avvolgerlo intensamente, tanto da procurargli
quell'istintivo socchiudere gli occhi, ad inspirare un momento come
quello. Il
suo respiro era caldo e ne faceva intirizzire la pelle, sentiva il
cuore
scalpitare furiosamente a quel contatto.
“Almeno
l'atterraggio è stato morbido” fu il commento di
Sebastian e Kurt sembrò
ritrovare abbastanza lucidità da comprenderne l'implicazione
mentre l'altro,
per nulla imbarazzato, sorrideva suadente, respirando sul suo viso.
“Mi
stai schiacciando, pervertito”. Lo aveva aspramente
rimproverato, ma egli non
sembrò oltraggiato. Rise ma quando si chinò al
suo orecchio, Kurt sentì un
brivido serpeggiare lungo la spina dorsale. Schiuse le labbra confuso e
un
insolito calore affluì al viso malgrado la temperatura
tutt'altro che clemente.
“Ti
sei fatto male?” gli chiese e Kurt scosse il capo,
improvvisamente incapace di
proferire parola: era il primo contatto più... intimo che
aveva con qualcuno
dopo la rottura con Blaine ma persino da prima della partenza per New
York. E
non avrebbe dovuto provare quell'emozione. Non con Sebastian.
Schiuse
le labbra per dire qualcosa ma non ne uscì nulla: indugiava
nello sguardo di
Sebastian e non riusciva a non soffermarsi sui puntini scuri che ne
punteggiavano la pelle diafana.
Nei.
Piccole imperfezioni che, al suo posto, avrebbe nascosto con vigore
come
difetti estetici, come cercava di fare giorno per giorno con le efelidi
sotto
l'occhio. Ma sembravano quasi tratti di lui, qualcosa di unico.
Se
anche Sebastian avesse notato l'indugiare di Kurt, non
sembrò prestarvi troppa
attenzione o non lo fece notare. C'era qualcosa di curioso nel suo modo
di
osservarlo a propria volta.
C'erano
frasi non dette, pensieri celati dall'altro. C'era la
curiosità su come dovesse
vivere quell'anno scolastico senza concedersi quelle schermaglie che lo
avevano
reso un temibile rivale per il McKinley, c’era la
curiosità su quanto avesse
raccontato ad Hunter di sé e in quali termini, con quale
attenzione, c’era la
constatazione che avesse preferito battibeccare con lui che rivolgersi
al suo
Capitano; c'era quel continuare a scrutarsi, quasi aspettandosi fosse
l'altro a
trovare una spiegazione per quel momento particolare che stavano
vivendo.
C'era
tutto questo e probabilmente quanto non sarebbero stati disposti ad
ammettere
ma quando Sebastian sembrò voler coprire la distanza, Kurt
scoprì di non
riuscire ad impedirglielo. La sua mano era protesa, domandandosi come
sarebbe
stato tratteggiare quei puntini che aveva osservato così
minuziosamente o quale
fosse l'esatta gradazione azzurrina negli occhi apparentemente
smeraldini
dell'altro.
Lo
vide chinarsi ma non lo fermò.
Attese,
le labbra schiuse e uno scalpitio incessante.
“Kurt!
Sebastian! Vi siete fatti male?”.
Le
voci degli amici giungevano lontane ed indistinte, probabilmente
provenienti da
un'altra realtà o almeno fu quella la percezione che ne ebbe
Kurt. Ma fu
sufficiente a spezzare quel momento che non avrebbe saputo comunque
spiegare
con normali parole.
Boccheggiò
e fissò nuovamente Sebastian come se lo vedesse soltanto in
quel momento.
Arrossì
prima di improvvisare la sua espressione più stizzita.
“Ti
dispiacerebbe alzarti? Se non lo avessi notato, mi stai
schiacciando”.
Sebastian
non si fece attendere: l'incanto era stato infranto o, come avrebbe
continuato
a ripetersi Kurt quella sera, era stato soltanto frutto della sua
immaginazione, probabilmente un bisogno inconscio di ricevere simili
attenzioni.
“Non
mi sembrava ti fosse dispiaciuto negli ultimi tre minuti”
aveva sottolineato,
facendolo arrossire mentre il sorriso si estendeva agli occhi,
rendendone
l'espressione persino più sorniona e sicura di
sé. “... e, poi, credimi, me ne
sono accorto”. Gettò un'occhiata ben poco celata
al di sotto della propria
cintura e Kurt emise un verso stridulo prima di levarselo di dosso e,
accettata
la mano protesa da Nick, rimettersi in piedi per poi scrollarsi.
La
nuca pulsava leggermente laddove aveva urtato il suolo, ma non se n'era
accorto
pochi istanti prima quando aveva Sebastian su di sé.
Riformulò mentalmente la
frase.
Quando
accidentalmente Sebastian era caduto
su di sé e poco
accidentalmente vi aveva indugiato.
“E'
tardi... devo andare”.
Non
si guardò alle spalle, salutò nuovamente i
ragazzi con la promessa di restare
in contatto, ed ignorò lo sguardo di Sebastian che sembrava
perforargli la
schiena.
Soltanto
quando fu al sicuro nell'abitacolo dell'auto del padre,
riuscì a rilasciare il
respiro.
Si
lasciò alle spalle Westerville, vecchi ricordi e la
possibilità di inciderne
nuovi.
O
almeno era ciò che sperava.
~
Pattinare
a Central Park sembrava qualcosa di incredibilmente newyorchese:
sicuramente un
modo piacevole di naturalizzarsi, se così la si poteva poi
definire una simile
iniziativa.
Faceva
persino più freddo, o quella era una sua percezione:
osservò il proprio respiro
condensarsi in una nuvola, lo sguardo volto a Rachel e Brody che,
già muniti di
pattini, sembravano incoraggiarsi vicendevolmente a muovere i primi
passi.
Sorrise
divertito alla caduta di Brody e osservò Rachel porgergli la
mano per poi
cadere a sua volta, coronando il tutto con sorrisi stucchevoli e uno
scambio di
sguardi che già alludevano ad una particolare sintonia. Non
aveva sbagliato:
fin da quando aveva scorto quell'aitante giovane alla porta del loft
– quando
ancora cercavano di renderlo esteticamente accettabile pitturandolo -
aveva
potuto facilmente indovinare il tipo di legame che vi fosse tra loro.
“Non
cadono affatto come noi” aveva commentato una voce alle sue
spalle e Kurt aveva
sollevato gli occhi al cielo. Si era voltato in sua direzione, le
braccia
incrociate al petto mentre cercava di trattenere il sorriso che,
impudico e
traditore, voleva solcarne le labbra.
“Sei
in ritardo”. Lo accusò, a mo' di saluto.
“Ti
sono mancato”. Lo rimbeccò, un vago sorriso sulle
labbra.
“Non
ho detto questo”. Rimarcò in tono altezzoso.
“Lo
hai pensato”. Il sorriso persino più esteso e lo
scintillio dello sguardo.
“Speri
di sentirmelo dire o ne hai bisogno?” non aveva atteso
risposta, si era seduto
sulla panchina e aveva insinuato i pattini mentre egli si chinava al
suo
orecchio, restando dietro di lui.
“La
parte del conquistatore senza cuore non ti si addice”
sussurrò sulla pelle
sensibile del collo che non poté che intirizzirsi a quel
contatto.
Rise
Kurt e si rimise in piedi, osservandolo.
“Hai
intenzione di farmi attendere ancora per molto? O ammetti di non saper
pattinare?”.
“Non
sono io quello che sembrava avere un attacco epilettico per non
sbilanciarsi”. Aveva
ribattuto, vagamente piccato.
“Non
sono io quello che si è sporto ad evitare la caduta
dell'altro, fallendo
miseramente”.
“Oh,
ma io non ho affatto fallito, anzi”. Non ci voleva molta
fantasia a comprendere
il significato implicito. Rise del vederlo arrossire ma Kurt scosse il
capo ed
entrò in pista senza più attenderlo ma non
occorse molto perché Sebastian lo
seguisse.
Non
sembrò esser cambiato nulla: non potevano lanciarsi addosso
della neve ma
presero a seguirsi sulla pista da ghiaccio e Sebastian non si fece
remore a
nascondersi occasionalmente dietro Brody o urtare Rachel nella sua
fuga,
suscitandone urla isteriche (sul fatto che questo fosse stato casuale,
Kurt
aveva dei legittimi dubbi), ma la serata era trascorsa piacevolmente.
Con
la stessa leggerezza eppure lo stesso contatto reciproco tra i loro
sguardi o lo
scrutarsi in silenzio, cercando di non esser visti.
Fino
a quando Kurt non gli aveva proposto di dormire sul divano del loft e
un
Sebastian sogghignante aveva accettato, alludendo a come sarebbe
facilmente
sgattaiolato nella sua camera, quando Kurt stesso lo avesse supplicato.
Gli
aveva porto coperte e cuscino per sistemare il divano letto e gli aveva
augurato la buonanotte ma era stato allora che Sebastian lo aveva
trattenuto,
inducendolo ad adagiarsi contro la porta della sua camera.
“Buonanotte”.
Si
era chinato verso il suo orecchio e Kurt ne aveva inspirato nuovamente
quel
profumo suggestivo, lo aveva sentito sollevargli il mento e aveva
trattenuto il
fiato quando i loro sguardi non si erano intrecciati.
“Stavi
per baciarmi quel giorno”. Si sentì dire: una
frase tutt'altro che programmata
eppure era stata naturalmente proferita quando i loro sguardi si erano
fusi a
quella maniera del tutto intima e particolare.
“Stavi
per non respingermi”. Fu la replica di Sebastian, il sorriso
compiaciuto ma lo
scintillio dello sguardo che ne fece scalpitare furiosamente il cuore.
“Cosa
te lo fa credere?” Domandò, sorprendendosi di come
sembrasse perfettamente sapere
a cosa stesse pensando, cosa stesse provando.
“Mi
stavi guardando esattamente così”.
“Così
come?”. Aveva chiesto, quasi timoroso di saperne la risposta
e sentirla così
esplicita ed evidente sulle sue labbra.
“Come
se avessi paura di desiderarlo così intensamente”.
Sussurrò nuovamente, un
respiro caldo sulle sue labbra e Kurt fremette, consapevole che se non
vi fosse
stata la parete, alle proprie spalle, sarebbe stato incapace di
sorreggere
quelle emozioni.
Emise
un verso di emozione e di sorpresa.
“Sebastian”.
“Non
dire nulla”.
Malgrado
sembrasse un imperativo, suonò come una sussurrata preghiera
ma Kurt trattenne
il fiato e il suo cuore scalpitò furiosamente: era un
momento di suggestiva
sospensione quello in cui ne vide le palpebre celarne lo sguardo, ne
sentì il
respiro sulle labbra, percepì la pressione delle sue braccia
intorno alla
propria vita.
Un
istante semplice eppure intenso quello in cui la sua mano ne
sfiorò la guancia:
morbida e vellutata, la pelle calda e profumata, ne disegnò
i nei prima di
socchiudere gli occhi e percepire il contatto tra le loro labbra.
La
pressione del braccio di Sebastian divenne persino più
intensa, ne cinse il
collo con le braccia affusolate perché adesso che riusciva a
sentirlo realmente
così vicino, non avrebbe voluto lasciarlo andare in alcun
modo. Indugiò anche
quando quella prima pressione cessò. Sentì il
respiro di Sebastian intrecciarsi
al proprio, le loro fronti si sfiorarono.
Schiuse
gli occhi un solo istante prima che Sebastian ne artigliasse la guancia.
“Non
ho finito” commentò suadente ma sembrò
anche quella un'accorata preghiera,
quasi timorosi che la consapevolezza li avrebbe privati di quel momento.
Sorrise,
Kurt, sulle sue labbra, si prestò a quel tocco
più esigente, ne cinse più
strettamente il collo e insinuò le dita tra i capelli
più lunghi e morbidi
sotto il proprio tocco.
Indugiarono
ancora una volta così vicini.
“Non
mi ero fatto male” si sentì dire, riferendosi a
quella domanda che gli aveva
posto quando gli era caduto addosso nel giardino della Dalton.
“Ma
avevo paura”. Aggiunse.
“Ora
non più?”.
“Più
che mai”. Rispose, un vago sorriso.
“Ma...
”. Indugiò a scrutarlo con le sopracciglia
inarcate.
“Ti
sto dando il permesso di baciarmi di nuovo”.
Precisò con sguardo sornione che
lo fece sogghignare.
“L'avevo
detto che sarei entrato in quella camera prima del previsto”.
Rise
sulle sue labbra, ne schiaffeggiò il braccio ma lo cinse
nuovamente a carpirne
il respiro e, quando Sebastian lasciò indugiare le labbra
sul suo viso, sospirò
e socchiuse gli occhi.
“Verrò
a vedervi vincere” gli sussurrò quando
l'altoparlante annunciò il volo di
Sebastian e questi sorrise ironicamente, trattenendo la borsa sportiva
per la
fascia a tracollo.
“Verrai
a vedere i tuoi amici?” lo canzonò, ricordando la
sua promessa e Kurt rise.
Scosse
appena il capo.
“I
miei amici, un Capitano insopportabile e... ”.
“Un
esemplare unico e deleterio di giovane gay meravigliosamente
affascinante ed
irresistibilmente sexy?”. Domandò con sorriso
tronfio, sciorinando quella
manfrina quasi senza prendere fiato. Quasi la conoscesse a memoria, il
che non
era del tutto escludibile a priori.
“...
quello che spero si consideri il mio ragazzo”.
Un
sorriso increspò le labbra di Sebastian, si chinò
a carpirne un bacio, ne
sfiorò appena la guancia e si ritrasse.
L'altoparlante
fece l'ultimo annuncio e Sebastian indicò
l’imbarco: Kurt annuì,
incoraggiandolo.
“Chiamami
quando arrivi”.
Annuì,
indietreggiò con un sorriso e si volse.
Sospirò,
Kurt, indugiando con lo sguardo sulla nuca fin quando non scomparve per
imbarcarsi con gli altri viaggiatori.
Stava
per uscire dall'aeroporto quando sentì il trillo del
telefono.
Sorrise
a lungo, stringendoselo al petto.
[Da
Sebastian]
Ti
avverto: il tuo ragazzo non tollererà un'assenza
ingiustificata.
Eccoci qui al finale della prima one-shot che,
se non ricordo male, è
stata la terz’ultima in ordine di scrittura visto ho cambiato
idea sulla trama
stessa ma questa mi ha soddisfatta, specialmente la new entry di Hunter
(forse
non dovevo dirlo °^°).
Al solito commenti e punti di vista sono
sempre ben accolti, saluto la
mia Blaine che purtroppo ha il pc
fuori uso e già mi manca da impazzire ed ovviamente la Sebastian del mio Kurt ♥.
Non mi resta che darvi appuntamento a domani,
il tema sarà “Mistletoe”
il che dovrebbe già dirla a lunga ;)
Buon proseguimento di giornata.
Kiki (soso ouioui nonnon)87
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Capitolo 2 *** Mistletoe - Our Secret ***
Questo
è stato il primo racconto che ho scritto della Week (ormai
sarete abituati al mio schema tutt’altro che ordinale!) e
essendo iniziata a
metà Novembre, ho preferito portare questo raccontino in
versione A/U, non
sapendo bene cosa sarebbe accaduto in Glee. O meglio avevo letto
qualche
spoiler (e ho visto di recente la puntata coi sottotitoli in italiano),
a dirla
tutta, ma ho preferito discostarmi.
E’ ambientata, quindi, a partire
dalla seconda stagione,
come vedrete per contesto, ma ovviamente
qui si contempla anche Sebastian.
Prima di iniziare un ringraziamento alla mia Sebastian per la sua splendida recensione
che mi ha lasciata, al
solito, senza fiato e che rende tanto meraviglioso scrivere di questa
coppia! J
Un ringraziamento anche a tutti coloro che
hanno inserito la raccolta
tra preferite/seguite/ricordate.
Sarò particolarmente curiosa del
vostro responso in questa OS ma per
un’altra ragione di cui parleremo dopo, per ora buona
lettura! :)
A
tree that smells of pine
A house that’s filled with joy and laughter
The mistletoe says “stand in line”
Loneliness is what I’ve captured
Oh, but this evening can be a holy night
Lets cozy on up the fireplace
And dim those Christmas lights
So
please just fall in love with me
this
Christmas
There’s nothing else that you will need
this
Christmas
(Cold December Night – Michael Bublé)
Mistletoe –
Our
secret.
Poco
importava che il calendario segnasse sfacciatamente
l’antivigilia di Natale:
quella che Kurt Hummel stava affrontando – creme per
prevenire le rughe già
disseminate con spasmodico ordine sullo scaffale della sua toeletta
– era una
vera e propria crisi amorosa più idonea alla
festività di metà Febbraio. Scosse
il capo e prese un bel respiro: c’era ancora tempo, si disse,
non era il caso
di lasciarsi prendere dall’angoscia e rischiare ulteriore
stress per la sua
pelle.
Controllò
l’orologio ed emise uno stridulo verso: era molto
più tardi di quanto avesse
sperato e ancora non era completamente
sicuro di cosa avrebbe indossato quella sera, alla festa che
si sarebbe
tenuta a casa di Rachel. Terminò di detergersi il viso e,
dopo essersi spalmato
una discreta quantità di fondotinta a coprire qualche
piccola imperfezione
(brufoli di cui nessuno sarebbe mai dovuto entrare a conoscenza!), si
volse
all’armadio con espressione decisa.
Se
aveva già optato per un paio di pantaloni scuri che ne
fasciavano perfettamente
le gambe ed era tentato da una camicia rossa (probabilmente era
più adatta per
tema, rispetto a quella viola che, tuttavia, sarebbe stata dell’esatto punto di colore che
sarebbe tornata di voga, secondo le
anticipazioni di Vogue almeno), non aveva ancora deciso quale soprabito
abbinare. Allacciò la cintura in vita ma lo sguardo azzurro
era ancora fisso
sui due diversi modelli per tessuto, lunghezza e accessori che aveva
appeso per
la gruccia sull’anta dell’armadio.
Fu
in quella silenziosa contemplazione che lo scorse Burt: si era
premunito di
lasciare la lattina di birra in cucina onde evitare un’altra
lavata di capo
circa la sua salute e un menù da
“coniglio” che gli avrebbe personalmente
prescritto.
Si
appoggiò allo stipite della porta, un vago sorriso nel
contemplarne
l’espressione tanto concentrata. Una luce più
dolce nello sguardo al pensiero
di quanto gli fosse mancato sentirlo girovagare per casa parlando di
attrici,
modelle, cantanti (o tutte queste categorie insieme) o di una qualche
canzone
che avrebbe voluto proporre a Mr Shuester alla successiva lezione del
Glee
Club. Ma sapeva che anteporre il suo benessere e la sua sicurezza al
proprio
volere, fosse il suo dovere di genitore e doveva ringraziare di aver
sposato
una donna splendida come Carole che era stata lei stessa promotrice
dell’idea
di usare i soldi della luna di miele per farlo trasferire alla Dalton.
Si
schiarì la gola e solo allora Kurt si volse ad osservarlo.
“Vuoi
che ti lasci solo coi tuoi vestiti?” domandò, un
vago sorriso sornione sulle
labbra. “Ero solo venuto ad avvisarti che
c’è quel
ragazzo, di sotto, che ti sta aspettando”.
“Blaine
è arrivato?” aveva domandato, la voce che era
suonata in un falsetto strozzato
mentre le guance si pitturavano di un delizioso rosa acceso che ne mise
in
risalto il colore delle iridi e Burt sospirò, scuotendo
leggermente il capo.
“Blaine?
Credevo si chiamasse ‘Brillantina’” aveva
borbottato, suscitando uno sguardo di
muto rimprovero da parte del figlio che si addolcì,
tuttavia, con un vago
sorriso prima di avvicinarsi all’armadio.
“Blaine
è la persona più gentile e premurosa che io abbia
incontrato alla Dalton, il
che è tutto dire: sono tutti davvero deliziosi. Beh, quasi
tutti” aveva
soggiunto tra sé e sé prima di volgersi
nuovamente all’armadio, indicandolo al
genitore.
“Un
doppiopetto Marc Jacobs o un classico Armani?” aveva
domandato, prendendo
entrambe le grucce e trattenendo entrambi i capi a mezz’aria
mentre Burt faceva
schioccare la lingua sul palato.
“Perché
diavolo dovrei sapere qual è la differenza,
figliolo?” aveva domandato in tono
vagamente interdetto ma questi già non lo stava ascoltando e
aveva scostato il
cellofan per indossare il lungo cappotto a doppiopetto. Si
legò la cintura in
vita e aprì l’anta dell’armadio per
un’ultima sistemata alla capigliatura prima
di studiare il suo riflesso con espressione attenta e meticolosa,
continuando a
commentare frasi sconnesse come “Armani è troppo
austero” “Marc Jacobs non è
mai scontato” e cose simili.
Burt
scosse il capo.
“Significa
che sei innamorato di lui?”.
“Pà!”
lo aveva apostrofato Kurt, terrorizzato alla prospettiva che il ragazzo
interessato potesse sentirlo e Burt sollevò le mani come a
scusarsi prima di
entrare nella camera e chiudersi la porta alle spalle.
“Tranquillo,
l’ho lasciato in soggiorno con Finn e Carole”.
Ma
ciò non parve rassicurarlo, al contrario sembrò
persino più agitato.
“Ragione
per cui devo sbrigarmi prima che lo faccia scappare con la sua
dipendenza da
videogiochi”.
“Kurt”
Burt lo aveva richiamato e gli aveva posto le mani sulle spalle.
“Non
hai risposto alla mia domanda: che cosa c’è tra te
e il brillantinato?”.
“Prima
di tutto, Blaine fa uso di gel e, d’accordo, a volte forse
esagera ma soltanto
perché ha qualche problema ad accettare i suoi riccioli che
trovo deliziosi e
sbarazzini-“.
Burt
aveva sospirato e si era portato una mano sulla tempia. Quelle
precisazioni di
make-up gli avrebbero procurato un mal di testa da guinness, almeno
come quando
aveva cercato di spiegargli la sua teoria sulle premesse per poter
acquistare
un anello di fidanzamento. Come in quei suoi consigli fosse riuscito a
parlare
di arte, di storia e di moda, ancora non era certo di aver compreso ma
era
stato molto più semplice – e meno doloroso!
– assecondarlo.
“Vai
avanti” lo esortò e Kurt si morsicò il
labbro prima di stringersi le spalle.
“Forse
ho una cotta per lui” aveva ammesso e lo sguardo di Burt era
sceso sull’agenda
del ragazzo dove spiccava il disegno di un cuore con i loro nomi
iscritti e
ricalcati con la penna rossa.
“Forse?”
aveva domandato e Kurt si permise di arrossire, seppur dondolandosi con
le
spalle quasi a volerselo ingraziare. “Anche lui è
gay, sto facendo progressi”
aveva commentato e Burt aveva socchiuso gli occhi prima di prendere un
bel
respiro.
“E
questo” aveva gesticolato quasi a cercare di ricordarne il
nome.
“Blaine”
Kurt era parso vagamente offeso, le braccia incrociate al petto e le
sopracciglia inarcate.
“E’
al corrente dei tuoi sentimenti?” aveva chiesto, infine e si
era preparato a
trattenere il fiato: forse era ancora in tempo per evitare qualche
spiacevole
conseguenza. Al cenno di diniego del figlio dovette ricorrere a tutta
la
propria compostezza per non esultare come avrebbe fatto durante una
partita di
football al punto della sua squadra.
Si
era schiarito la gola e ne aveva stretto la spalla.
“Non
perderti d’animo: hai tempo per trovare il ragazzo
giusto” aveva commentato più
dolcemente e Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo.
“Da
quando parli per aforismi?”.
“Kurt,
quello che sto cercando di dirti è che non devi essere
impaziente: lo conosci
da poco e… non voglio che tu soffra” aveva
concluso in tono meno burbero e più
somigliante ad una sospirata richiesta che lo aveva fatto sorridere
più
dolcemente.
“Niente
di affrettato, promesso”.
“Bene.
E comunque, aspetterò il tuo ritorno: sobrio e
solo” aveva specificato al che
il giovane aveva sollevato gli occhi al cielo.
“Stiamo
andando ad un party di Rachel: l’unico motivo per cui
qualcuno si ubriacherebbe
è evitare le sue manie ossessive compulsive da povera solita
incompresa”.
“Kurt”.
“D’accordo,
pà”.
“E’
bello riaverti a casa, figliolo. Molto più caotico e
rumoroso ma bello” avevano
sorriso entrambi prima che Burt lo stringesse a sé per un
breve istante.
Appoggiò il mento contro i suoi capelli profumati e morbidi
e per un istante fu
come riavere quel bambino che lo svegliava al primo incubo spaventoso,
come
stringere un fantasma del passato.
“Mi
sei mancato anche tu, papà”. Aveva sussurrato e
quel nodo in gola sembrò molto
più serrato mentre si scostava e gli batteva sulla spalla,
un sorriso più
allegro.
“Vai
ora e divertiti. Ma stai lontano dal vischio”. Lo
ammonì con finta espressione
severa.
“Questo
non posso prometterlo”. Ribatté Kurt con un
accenno di sorriso più compiaciuto.
“E
io non posso promettere che il tuo amico uscirà di
casa”.
~
Come
aveva detto a suo padre, l’unico motivo per cui si potesse
bere ad un party
indetto da Rachel Berry, era la noia. O la disperazione. O magari
entrambe. Ma
era una fortuna che Kurt Hummel fosse astemio perché quella
sera tutto
sembrava, invece, indurlo a volersi sgolare qualsiasi bevanda alcolica
tanto
per evitare di fare qualcosa di terribilmente pericoloso: pensare.
Se
aveva sperato che l’atmosfera natalizia potesse giovarlo a
farsi avanti con
Blaine, non aveva fatto i conti con la stessa Rachel.
Era
già abbastanza frustrante passare intere ore con lui tra i
corridoi della
Dalton o alle riunioni tra i Warblers e avere la netta sensazione di
essere
completamente invisibile ai suoi occhi. Ma che una disperatamente
single Rachel Berry cercasse di manipolarne sempre
l’attenzione, coinvolgendolo in duetto, tanto da lodare con
uno squittio
irritante che “solo un grande talento può
confrontarsi col mio ed uscirne
indenne. “era più di quanto potesse
tollerare.
Decise
di censurare nella sua mente il ricordo di come lo avesse ignorato per
far
strada a Blaine che – educato, dolce e splendido (va bene,
questo lo aveva
aggiunto come bonus!) – non aveva potuto che ringraziarla per
aver cortesemente
esteso l’invito anche a lui. Certo, che poi lei lo prendesse
sotto braccio per
trascinarselo dietro come un pupazzo (forse avrebbe dovuto trovarle un
ragazzo:
sarebbe stato uno splendido fioretto natalizio), era ulteriormente
frustrante.
Si
era, tuttavia, lasciato avvincere dalla gioia e dalla commozione nel
riabbracciare i vecchi compagni del Glee Club ed era passato da
“Il mio
unicorno!” di Brittany al “Allora, quanti Usignoli
ti sei portato in gabbia?
Dillo al tuo Puckmentore” prima di sedersi accanto a Mercedes
e abbandonare il
capo contro la sua spalla.
“Sai
com’è Rachel” lo aveva consolato
quest’ultima, come sempre in linea di sintonia
con il suo pensiero, senza bisogno di particolari spiegazioni circa il
suo
stato d’animo. “E per fortuna che Blaine
è gay” aveva soggiunto in una risatina
mentre Kurt sospirava, sollevando appena gli occhi al soffitto.
“Non
credo che le importi più di tanto” no, a giudicare
da come ne stringeva
saldamente il braccio: lui stesso aveva sperimentato quanto quelle
manine,
apparentemente delicate, potessero attanagliarsi con artigli appuntiti
nell’avvinghiare qualcuno.
“Ma
importa a lui” aveva sottolineato Mercedes, prendendone il
mento ed
osservandolo, l’espressione improvvisamente addolcita.
“Hai intenzione di
parlargli?”.
Un
lieve rossore sfiorò le gote di Kurt ma annuì
fermamente, un vago sorrisetto
ironico.
“Vuoi
dire prima che Rachel si infili sotto il suo papillon?” aveva
sollevato il
mento con espressione più decisa nel continuare a scrutare i
due che si
trovavano in fondo alla sala e sembravano scegliere, tra gli spartiti,
l’ennesimo numero da provare insieme.
“Oh,
sì, assolutamente”.
Non
era mai stato un tipo religioso ma aveva amato quel periodo
dell’anno:
soprattutto quando sentiva ancora la voce della madre mentre cantava,
il
profumo dei suoi biscotti dalla forma dei fiocchi di neve e tutte le
decorazioni che affiggeva per casa e che suo padre, dalla sua
scomparsa,
cercava goffamente di imitare. Quasi sperando che un ambiente simile a
quello
in cui avevano vissuto per anni, potesse riportarla indietro.
Non
credeva nell’esistenza di una creatura soprannaturale, ma se
qualcosa di sacro
vi era, lo respirava nel ritorno a casa tra i suoi affetti o in quella
stanza
tra le persone che aveva amato e il ragazzo che occupava il suo cuore.
Si
era appena liberato da Rachel e lo aveva cercato con lo sguardo: gli
aveva
sorriso e Kurt aveva sentito il cuore fermarsi nel petto. Quasi
spontaneamente
– non credeva di aver più controllo della
contrazione dei muscoli facciali –
ricambiò il sorriso.
Scambiò
uno sguardo con Mercedes che gli fece un cenno di assenso silenzioso e
si
rimise in piedi. Lisciò la camicia da pieghe inesistenti e
si passò una mano
tra i capelli prima di prendere un bel respiro per avvicinarsi.
Quello
era il suo momento e niente e nessuno glielo avrebbe rovinato, aveva
pensato
con così tanta intensità che temette quasi lui
potesse scorgerlo chiaramente
nel riflesso delle iridi.
Pensò
anche a quanto sarebbe stato bello ballare insieme, con quella dolce
musica di
sottofondo, le luci soffuse e poterne inspirare il profumo, abbastanza
vicino
da sentire i loro battiti confondersi e risuonare
all’unisono. Magari, poi,
riuscire ad allontanarlo dalla sala così da poter restare
soli e magari
consegnargli il regalo di Natale prima che partisse per la vacanza coi
genitori
e si potessero incontrare soltanto ai primi dell’anno.
Fu
con quel proposito che si diede nuova forza per farsi avanti: lo stava
attendendo e non aveva smesso di sorridergli con quella luce calda
nello
sguardo, accentuandone una sfumatura ambrata, dolce almeno quanto il
miele e
che era capace di procurargli quel singhiozzo all’altezza
della gola.
Si
era sentito letteralmente camminare sulle nuvole o quella era stata
l’impressione… fino a quando Rachel non lo aveva
nuovamente stretto il braccio.
Blaine
aveva distolto lo sguardo: aveva nuovamente sorriso alla giovane
– solo la
pazienza dimostrava che era davvero un ragazzo perfetto – e
aveva cercato di
dire qualcosa, probabilmente un modo educato per congedarsi.
Era
stato allora che Brittany era apparsa tra loro e aveva tenuto sollevato
sopra
le loro teste quello che somigliava straordinariamente ad un ramoscello
da cui
pendeva…
Ricordò
il monito del padre come una sorta di ironica presa in giro.
Non
stava realmente accadendo, si disse ma a poco valse che
Santana rubasse il
vischio per avvicinarsi con sguardo eloquente a Sam, o che Blaine
apparisse
interdetto mentre Rachel sorrideva nervosamente. Seppur non riuscisse a
sentirla – in realtà era come contemplare una
scena di un vecchio film
drammatico in bianco e nero nel quale tutti i personaggi,
improvvisamente,
indossavano abiti di alta sartoria del dopoguerra –
immaginò che avesse
commentato qualcosa in tono stucchevole e dietro lo sguardo di
cerbiatta, Kurt
scorse quella belva famelica di
successo e di attenzioni. Il suo lato oscuro.
“Oh,
ti prego, Fringuello: dalle quello che vuole, prima che le si secchino
le
ovaie” aveva berciato Santana in tono evidentemente ironico
che aveva fatto
arrossire Rachel ad una maniera mortificata.
Kurt
paradossalmente lo seppe prima di tutti: di Puck che aveva fischiato,
di Lauren
che stava lamentandosi della mancanza di un vero uomo degno di lei, di
Finn che
restò attonito con le labbra schiuse e il panino addentato,
di Brittany e che
si tappava gli occhi e di Santana che, tra le braccia di Sam, stava
dando loro
una sorta di anteprima.
Lo
seppe ma non poté sopportarlo malgrado fosse stato solo un
casto sfiorarsi di
labbra.
Qualcosa
dentro di sé sembrò rompersi e, incurante del
richiamo preoccupato di Mercedes,
e dei fischi o delle frasi di divertimento dei presenti,
uscì dalla casa e si
rimise in fretta il cappotto.
Era
stato Blaine ad accompagnarlo ma avrebbe comunque preferito ignorare il
proprio
SUV e camminare a piedi: una passeggiata sarebbe stata
l’ideale per schiarirsi
la mente o, semplicemente, non pensare.
Si
allontanò, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e lo
sguardo perso in un
punto indefinito.
Neve
ovunque ma cielo sgombro di nuvole.
Una
perfetta rappresentazione di sé: animo scalpitante e
solitudine forzata.
~
Sapeva
che si trattava soltanto di un bacio da vischio. Sì, lo
sapeva. Avrebbe dovuto
saperlo, continuava ad ammonirsi per la propria reazione. Eccessiva,
come era
tipico di lui d’altronde: non sembravano mai esistere mezze
misure, soprattutto
in amore.
O
un silenzio doloroso e straziate come quello che lo aveva portato a
negare
persino la sua omosessualità e i sentimenti per Finn, o
l’irruenza come quando
aveva reagito alle angherie di Karofsky. Pessimi risultati in entrambi
i casi,
evidentemente era lui ad avere qualcosa di sbagliato.
Scosse
il capo ed ignorò l’ennesima chiamata di Rachel e
i suoi sms ma non ebbe il
coraggio di aprirne uno da parte di Blaine.
Continuò,
invece, la sua solitaria camminata, si confuse tra gli altri passanti:
osservò
le coppie strette per proteggersi dal freddo, i bambini impazienti del
giorno
di Natale che passeggiavano coi genitori o le amiche che si davano
appuntamento
per un’ennesima pattinata prima di chiudersi in un bar per
un’ultima cioccolata
calda prima di coricarsi. Avrebbe preferito essere qualsiasi altro di
quei
personaggi, non quel puntino anonimo e solitario tra la folla.
Vi
era stato davvero quel periodo in cui il Natale era fonte di calore e
di
spensieratezza, del sentimento di vicinanza; mai si era sentito
così solo e
lontano da tutto ciò.
Mai
aveva desiderato così tanto non sentirsi intrappolato
in quel corpo mentre la consapevolezza di aver sbagliato si faceva
largo ma
l’orgoglio non avrebbe sopportato di tornare indietro.
Con
le sopracciglia inarcate, osservò l’insegna della
sua caffetteria preferita
prima di entrare e sorridere alla barista, la solita ordinazione e
prese posto.
“Buon
Natale, Kurt” sussurrò tra sé e
sé, osservando il paesaggio dal finestrino e
portandosi il caffè alle labbra con un sospiro.
Gli
sarebbero davvero venute le rughe precoci.
“Non
è un po’ patetico farsi gli auguri da
solo?” giunse la voce beffarda, limpida e
suadente e poteva persino immaginare il sorrisetto diabolico che aveva
accompagnato quella frase.
Poco
ci mancò che non sputasse il contenuto del proprio bicchiere
o si scottasse la
lingua: pregò perché quella fosse solo
un’allucinazione dovuta allo stress
(esistevano allucinazioni uditive?!), ma sembrò tutto vano
quando il giovane
circumnavigò il tavolo.
Sollevò
il proprio bicchiere, a mo’ di saluto, quel sorrisetto
beffardo sulle labbra e,
a parte il lungo soprabito, era il solito Sebastian Smythe che
incontrava – o
meglio detto con il quale si scontrava – tra i corridoi della
Dalton. O per
dirla in modo più schietto e diretto, spesso attaccato al
fondoschiena di
Blaine, seppur non nel modo volgare nel quale sicuramente sperasse,
ogni volta
che desse il meglio (peggio) del suo repertorio da indomito
conquistatore
dongiovanni gay.
“Ma
ripensandoci” approfittò del fatto che Kurt stesse
ancora elucubrando circa la
sua presenza effettiva per continuare il suo soliloquio.
“faccia da checca e
patetico sono sinonimi, quindi.” scrollò le spalle
con gesto non curante e si
sedette.
Ciò
era soltanto un piccolo riassunto del tipo di particolare relazione che
si era
instaurata tra i due da che Kurt era giunto alla Dalton: era stata una
sorpresa
scorgervi quel ragazzo – non lo aveva visto durante quella
prima escursione,
tra l’altro fallimentare, a scopo di spionaggio gratuito
– e una
spiacevolissima coincidenza avvedersi che anch’egli fosse gay
e anch’egli
avesse puntato lo sguardo su Blaine. Era stato un momento carico di
tensione
quello nel quale si erano scrutati con cipiglio evidente di reciproca
ostilità
mentre il bel moretto appariva chiaramente troppo euforico
all’idea di
frequentarli entrambi dallo scorgere quella che – Nick
così la chiamava
bonariamente – sembrava la “cortina di
ferro” della guerra fredda. Se erano
abbastanza affettati e capaci di improvvisare finti sorrisi di cortesia
e di
complicità, non mancavano momenti nei quali dovessero
ricordarsi reciprocamente
quanto si detestassero: il che avveniva ogni volta che Blaine si
allontanasse
per prendere uno spartito, per un assolo o per l’ordinazione
ad entrambi alla
caffetteria della Dalton.
Kurt
sospirò stoicamente: evidentemente il karma doveva averlo
punito. Aveva esultato
non poco, persino benedetto l’iniziativa di Rachel alla quale
ovviamente
Sebastian sarebbe stato escluso – nota per sé: mai
permettere che Rachel e
Sebastian si conoscessero a meno che non dovessero distruggersi a
vicenda – ma
evidentemente doveva pagare lo scotto di aver partorito pensieri poco
puri e da
atmosfera natalizia.
“Non
dovevi tornare a Parigi?” gli chiese in tono evidentemente
stizzito, sbuffando
al vederlo prendere posto senza la benché minima intenzione
di allontanarsi.
“Cambio
di programma” spiegò svogliatamente, stringendosi
nelle spalle mentre
sorseggiava il proprio caffè – immaginò
corretto come lo beveva anche alla
Dalton con grande stupore di Blaine – senza togliergli gli
occhi di dosso.
“e
poi è così… difficile staccarsi da
certi luoghi, persone, camere da letto…” si
era lambito le labbra dopo aver posato il suo bicchiere ma con fare
così
languido e lascivo che Kurt dovette distogliere lo sguardo, il pugno
stretto
sul ginocchio.
“Non
vedo Blaine” aveva commentato ad un certo punto e Kurt era
certo che fosse
l’unico motivo per il quale si stesse intrattenendo con lui,
non che volesse
dargli alcuna soddisfazione aggiuntiva oltre al trovarlo solo a due
giorni dal
Natale. “… lo hai lasciato coi tuoi amichetti
della scuola pubblica?” pronunciò
la frase con evidente alterigia di chi si riteneva troppo speciale ed
importante per frequentare un liceo statale, un altro motivo che glielo
rendeva
così particolarmente inviso.
Non
si era tuttavia aspettato che sapesse. Certo, non era
un’informazione nuova che
Blaine e Sebastian si parlassero tramite telefono o social network e
ovviamente
Blaine era libero di frequentare chiunque gli fosse gradito,
ma… e in che
termini gliene aveva parlato? Doveva cercare di carpire qualcosa di
più, senza
tuttavia compromettersi.
Assunse
un’espressione di pacato fastidio – non che dovesse
fingerlo! – e sospirò.
“E
tu come fai a saperlo?” chiese, lasciando intendere quanto
gli fosse fonte di
insofferenza il suo conoscere gli impegni e le frequentazioni del
moretto.
Evidentemente doveva aver centrato il bersaglio perché
Sebastian sorrise, il
viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate.
“Sembrava
davvero… impaziente” disse e Kurt cercò
di non mostrarsi troppo compiaciuto
alla rivelazione: sperò che i suoi battiti convulsi non
dovessero tradirne lo
stato d’animo.
“Povero
innocente Blaine che non scorge la tua disperazione” concluse
con un sorrisetto
allusivo e Kurt non dovette sicuramente improvvisare il rossore che gli
colorò
le guance. Strinse gli occhi in due fessure, le sopracciglia aggrottate
e il
mento sollevato.
“Disse
il disperato stalker che ne conosceva ogni singolo impegno
personale” lo
canzonò con voce flautata che fece soltanto sogghignare
Sebastian. Posò il suo
bicchiere, evidentemente non avendo più particolare
attenzione per ciò che
stava bevendo e si sporse in sua direzione così da parlare
ad una maniera più
“privata”.
“Ti
ho già detto che con lui non hai alcuna speranza,
vero?”.
“Ti
ho già detto che la tua opinione non mi interessa,
vero?” replicò a tono. “Come
se poi tu sapessi qualcosa dell’amore” aveva
soggiunto tra sé e sé, lo sguardo
nuovamente volto ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra.
Nuovamente
una fitta allo stomaco all’idea di aver lasciato il ragazzo
nel covo del suo ex
Glee Club anziché poter condividere con lui quei momenti
prima della sua
vacanza.
Sebastian
non parve affatto aversela a male. Al contrario sogghignò,
continuando a
studiarlo, le labbra smosse in una vaga smorfia.
“Come
se tu sapessi qualcosa del sesso o dell’essere vagamente
sexy” aveva replicato
in tono velenoso, riscuotendo l’attenzione di quel paio di
iridi cerulee che
sembrò inchiodare nelle proprie più smeraldine
perché il messaggio gli
giungesse più limpido. “… avrai notato
come scodinzola
in mia presenza oppure i tuoi singhiozzi trattenuti coprono tutto il
resto?”.
Kurt
si rimise bruscamente in piedi: non voleva scorgesse quanto quelle
parole
potessero innescargli quell’irrigidimento. Soprattutto
intorno ad un tema tanto
delicato che gli aveva già creato non poche paranoie
personali, soprattutto la
sua scarsa esperienza in ambito sentimentale. Il ricordo di
quell’unico bacio,
tra l’altro strappatogli da Karofsky, ne fece bollire le
guance mentre si
rimetteva frettolosamente il cappotto, neppure curandosi di terminare
la sua
bibita.
“Se
vuoi scusarmi, la mia soglia della sopportazione è arrivata
al limite” aveva
commentato, in tono altezzoso.
“Fammi
indovinare” la voce di Sebastian era giunta troppo vicina
perché gli stesse
parlando dal tavolo e fu con orrore che si avvide che lo stava seguendo
fuori dal
locale.
“Neppure
stasera sei riuscito ad aprirgli il tuo cuore?”.
Kurt
non aveva risposto e aveva soltanto accelerato il passo ma con rapide
falcate
delle gambe più lunghe, Sebastian riuscì
facilmente ad adattarsi a quel ritmo e
non mancò di sorridergli ancora mentre lo affiancava.
Ostentò quell’aria di
altezzosa indignazione nel volerlo ignorare: le mani conficcate
nuovamente nelle
tasche del soprabito – noncurante di star apparendo poco
elegante in simile
frangente – e lo sguardo dritto innanzi a sé.
“Magari
se gli cantassi un pezzo di Katy Perry nudo”
continuò a canzonarlo l’altro, lo
sguardo fisso sul suo profilo, il perenne sorrisetto divertito. “se non altro
potremmo sempre farci qualche
risata” aggiunse con un lieve scrollare di spalle che fece
incupire Kurt nel
fermarsi.
Così
fece Sebastian.
Sollevò
gli occhi al cielo e si volse in sua direzione.
“Mi
stai seguendo o-?” si interruppe al suono del cellulare e la
suoneria di Lady
Gaga, estrasse l’apparecchio soltanto per rifiutare
l’ennesima telefonata di
Rachel, facendo fischiare Sebastian in tono di evidente scherno.
“La
faccia da checca offesa: deve essere andata peggio del
previsto” convenne,
scrutandolo mentre, con un movimento stizzito, rimetteva il cellulare
nella
tasca. Scosse il capo e riprese a camminare, Kurt, persino
più rapidamente.
Digrignò
i denti perché nuovamente Sebastian gli si
affiancò.
“Lo
Scandals è chiuso per ferie o è stato sequestrato
dal reparto sanità pubblica?”
aveva domandato, suscitandone soltanto una risatina divertita.
“Sono
davvero commosso per come ti preoccupi della mia vita sociale tra le
lenzuola
ma-“.
“E’
già abbastanza stressante sapere che dovrò
rivederti ogni giorno alla Dalton
fino alla fine dell’anno-“.
“Puoi
sempre ritornare nella tua scuola di disadattati senza
talento” sorrise
affettato, le braccia incrociate al petto. “Sono sicuro che
anche lì sei
invisibile. E non preoccuparti per Blaine, ci sarò io a
fargli compagnia”.
Aggiunse con tono serafico che lo fece ulteriormente incupire.
Cercò
di ignorare quel suo riferimento al suo sentirsi spesso messo in
secondo piano:
qualcosa che gli aveva già suscitato più di un
malessere quando, settimana dopo
settimana, era Rachel ad avere il podio delle Nuove Direzioni e quando
alla
Dalton era lo stesso Blaine ad avere quasi tutti gli assoli. Ma
quell’ultima
scoccata sul ragazzo stesso, gli procurò
un’ulteriore fitta di gelosia che lo
fece incupire e ne rese lo sguardo più fosco.
“Sei
un illuso se credi che Blaine uscirebbe con uno come te!” era
la prima volta,
forse, che rivolgeva tanto disgusto nei confronti di qualcuno e per
qualcosa
che non riguardasse un comportamento omofobo o una competizione canora.
Si
trattava della più basilare delle rivalità e non
avrebbe mai pensato di
pronunciare simili parole o di ritenere che qualcuno non fosse degno di
essere
amato.
Probabilmente
guardandosi dall’esterno si sarebbe sorpreso di come
riuscisse, quasi, a farne
sbloccare persino quella sfaccettatura più forte della sua
personalità.
Ma,
soprattutto, era ulteriormente sconcertante come Sebastian sembrasse
insensibile a simili commenti.
“Chi
ha parlato di uscirci?” aveva chiesto, infatti, le
sopracciglia inarcate. “Non
sono io la femminuccia che sogna ad occhi aperti leggendo i romanzi di
Nicholas
Sparks”.
Un’altra
scoccata che Kurt subì con un irrigidimento della mascella.
Ecco un altro
motivo per il quale la sua avversione per Sebastian era tanto
ustionante: se
fosse stato in competizione con un ragazzo altrettanto innamorato di
Blaine,
avrebbe anche potuto trarvi un motivo di sollievo. Qualunque cosa fosse
accaduta e chiunque Blaine avrebbe scelto, avrebbe avuto al suo fianco
qualcuno
che lo apprezzasse e non soltanto per il suo aspetto.
“Sei
disgustoso” commentò, infatti, in tono impietoso
ma, da come Sebastian sorrise,
sembrò soltanto trarvi un ulteriore complimento mentre si
stringeva nelle
spalle.
“Punti
di vista, sono solo sincero”.
Si
erano fermati e stavolta Kurt non avrebbe saputo quale altro espediente
utilizzare: stava fissando, infatti, la sagoma della sua stessa casa.
Non
voleva neppure correre il rischio di continuare a vagare e magari
incontrare
qualcuno che sarebbe rientrato dal party di Rachel.
Stava
ancora cercando una soluzione al suo silenzioso dilemma quando
Sebastian
sogghignò nello scrutare l’insegna.
“E
così è qui che vive il figlio di un
meccanico”.
“Se
pensi che ti inviti ad entrare-“.
“Un
giorno, quando capirai di essere davvero gay e non una ragazzina piena
di
estrogeni, allora mi supplicherai e ti renderai conto
dell’occasione persa”.
Commentò Sebastian in tono così sicuro di
sé ed arrogante che Kurt emise uno
sbuffo ironico, un vago sorriso velenoso.
“Un
giorno, quando e se mai perderò il senno, sarò
lieto di litigare con te per
tutto il percorso di ritorno. Ma quel giorno non è oggi
e-“.
Si
erano entrambi interrotti: un cumulo di neve era caduto tra loro e Kurt
levò lo
sguardo curiosamente, imitato dall’altro.
Fu
allora che, illuminato dalle luci di Natale affisse intorno ad un
pioppo e alle
decorazioni esterne, scorse un ramoscello di vischio, abbarbicato
intorno allo
stesso come un parassita, mentre un silenzio incredulo scendeva tra
loro.
Vischio, pensò Kurt tra
sé, gli occhi sgranati e le labbra
schiuse.
Sebastian
stesso sembrò restare immobile: si scrutarono per un lungo
istante nel quale
nessuno dei due parlò ma vi fu una nuova tensione,
completamente diversa da
quella che precedeva uno dei soliti litigi. Piuttosto la realizzazione
che
qualcosa fosse richiesto.
Qualcosa
che entrambi, ovviamente, non desideravano.
Ma per quanto fosse scontato, sembrava una debolezza doverlo ammettere
a voce
alta.
“Io
credo…” fu Kurt il primo a spezzare il silenzio
divenuto intollerabile,
accennando all’ingresso: se fosse stato abbastanza fortunato,
suo padre sarebbe
uscito e avrebbe intimato a Sebastian di rispettare una distanza di
almeno tre
metri tra loro.
Evidentemente
non era la sua serata fortunata perché Sebastian colse quel
mormorio e
sogghignò di fronte alla sua esitazione prima di chinarsi
pericolosamente verso
il suo volto.
Si
avvicinò al suo orecchio, schiuse le labbra e
rilasciò un respiro che fece
intirizzire la pelle di Kurt.
“Se
aspetti un bacio sotto il vischio per una stupida tradizione, temo,
cara Miss
Hummel, che dovrai gettarne un intero cespuglio addosso a
Blaine”.
Si
scostò bruscamente, le guance arrossate per la vergogna e
l’indignazione:
ancora una volta sentendosi non poco oltraggiato dal modo in cui si
scherniva
di lui, soprattutto in quell’ambito personale,
d’altro canto biasimando se
stesso per aver reagito, al solito, a quella maniera insicura.
“Non
voglio essere baciato da-“.
Si
interruppe, un gemito di sorpresa ne sgorgò dalle labbra
quando Sebastian lo
attrasse a sé, lontano dall’albero, e si
chinò verso il suo viso.
Fu
un movimento così fluido e rapido che Kurt riuscì
a stento a realizzarlo: aveva
sentito l’alone del suo respiro sul viso, il suo profumo
avvolgerlo stuzzicante
ed intenso e, l’attimo dopo, ne aveva carpito le labbra.
Un
lungo respiro trattenuto nel quale perse la cognizione di
sé.
Tremò
e sbatté le palpebre prima di socchiudere gli occhi,
completamente avvinto
dalla sua vicinanza, da quei battiti divenuti persino più
intensi e da quel
calore che lo aveva fatto istintivamente (era istinto, ovviamente, la
sua mente
era offuscata da “normali reazioni
fisiologiche”, si sarebbe detto da lì ai
giorni seguenti) socchiudere gli
occhi nella sua morsa.
Se
fino a quel momento, il suo cuore era sembrato strozzato dal pensiero
di quel
bacio tra Blaine e Rachel sotto il vischio, non vi fu che Sebastian
nella sua
mente, in quel preciso istante.
Mai
si era sentito così consapevole del suo corpo: di quel
brivido che scorreva
sotto pelle, di quel calore che sembrava direttamente provenire dalle
labbra di
Sebastian e diffondersi in tutto il suo corpo, malgrado si trattasse di
un
tocco sfiorato. Ma forse era proprio la sicurezza con la quale lo aveva
avvinto
a sé, una risoluzione che Kurt aveva sempre sognato, seppur
rivolti da un bel
altro giovane. Ma era tutto reale, così sentito che non
poté che sentirsi
avvolgere da quell’emozione, domandandosi se avvicinandosi
ulteriormente o
trattenendone il viso, ne avrebbe volto un’altra sfumatura.
Fu
solo un momento di indecisione ma Sebastian si scostò e Kurt
dovette
trattenersi dal tastarsi le labbra tremanti.
Seguì
un lungo istante di silenzio nel quale boccheggiò, lo
sguardo fisso su
Sebastian mentre questi conficcava svogliatamente le mani nelle tasche
del
soprabito, ancora intento ad osservarlo.
“P-Perché
l’hai…?” era stata una domanda sincera,
spontanea seppur si fosse sentito un
bambino che cerchi di comprendere una realtà che appaia
troppo difficile da
assimilare.
Timoroso
della risposta ma, soprattutto, di comprendere cosa si aspettasse e
cosa fosse
significato per lui quel contatto, se lo shock per il bacio
strappatogli da
Karofsky era stato paralizzante, in quel caso vi era stato quel solo
istante
nel quale si era persino abbandonato alla pressione. O aveva persino
immaginato
di prolungarlo.
Sebastian
non parve minimamente turbato, un vago sorriso ancora a sfiorarne le
labbra
malgrado le iridi apparissero più offuscate ma lo
rimandò ad un effetto della
luce notturna.
“Non
avevo ancora baciato un vergine questa sera” fu la pacata
risposta e il cuore
di Kurt sembrò fermarsi e la sua mente congelarsi.
L’urto
dello schiaffo rimbalzò nel silenzio.
Sebastian
non si scompose: continuò a scrutarlo curiosamente, le
sopracciglia inarcate e
la mano che si massaggiava la guancia lesa, il viso inclinato di un
lato.
“Più
passione in uno schiaffo che in un bacio…
interessante” commentò in tono del
tutto casuale.
“Stai-lontano-da-me!”.
Si
era scostato più bruscamente, improvvisamente aveva davvero
il bisogno di
sfiorarsi le labbra quasi a volerle pulire da quel contatto, quasi a
voler
sentirsi meno contaminato dalla sua presenza o quello che sembrava aver
innestato in quel folle istante.
“Ci
vediamo a Gennaio, Miss Hummel” gli gridò dietro
quando, dopo essersi
bruscamente voltato ed aver superato il cancello, si fermò
davanti alla porta
di casa.
Rientrò
e sbatté la porta di ingresso, facendo sussultare il padre
che si era assopito
sulla poltroncina del salotto.
“Com’è
andata alla festa?” aveva chiesto, togliendosi il cappello e
sfregandosi le
dita sugli occhi, osservandolo attentamente.
L’immagine
del padre che seguiva Sebastian con una mazza da baseball era piuttosto
seducente ma forse gli avrebbe procurato un infarto.
“Noiosa
e banale” replicò in tono neutrale, stringendosi
nelle spalle.
“Ti
hanno chiamato sia Rachel sia Brillantina, sei sicuro che sia andato
tutto
bene?” aveva assunto quell’aria più
guardinga e preoccupata, malgrado fosse
ancora decisamente assonnato.
“Sicuro”
gli sorrise con naturalezza. “Sono uscito per fare quattro
passi ma avevo il
cellulare scarico, vado subito a chiamarli, grazie.
Buonanotte” aggiunse con un
sorriso prima di salire le scale verso il piano superiore.
Sospirò,
detestava mentire a suo padre.
Entrò
in camera e si lasciò cadere sul letto, aprì la
cartella dei messaggi e, dopo
aver sospirato ed ignorato quelli di Rachel, aprì il
messaggio che Blaine aveva
mandato poco dopo la sua rapida fuga dalla festa.
[Da
Blaine] [11.23 pm]
Mercedes
mi ha detto che stavi poco
bene.
(Kurt benedisse la presenza
di una persona abbastanza premurosa e sveglia: sicuramente era stata
credibilissima).
Avresti
dovuto dirmelo, ti avrei
riaccompagnato a casa! Rachel è stata molto gentile ma avrei
preferito passare
più tempo con te. Rimettiti, mi raccomando, e fammi sapere
cosa farai in questi
giorni.
Un
caffè alla caffetteria della
Dalton al mio ritorno?
Buonanotte
Kurt, mi sei mancato.
Un
sorriso ne sfiorò le labbra e si abbandonò sul
materasso: un sospiro più
trasognato mentre leggeva e rileggeva quelle righe, soprattutto quei
passi di
particolare dolcezza. Quasi volendo immaginare il suo volto mentre le
scriveva,
il suo sorriso mentre gli dedicava la buonanotte e gli diceva quanto
gli era
mancato e quanto avrebbe voluto trascorrere quel tempo in sua compagnia.
Fece
per premere il tasto di risposta ma si riscosse all’arrivo di
un nuovo sms:
sperava in un’ulteriore buonanotte di Blaine ma
inarcò le sopracciglia nel
constatare che fosse un numero sconosciuto, quello del mittente.
Aggrottò
le sopracciglia e lesse.
[Numero
Sconosciuto] [00.38 am]
Le
tue labbra sono più morbide di
quanto immaginassi: forse quel burro cacao, che spalmi ogni cinque
minuti, non
è così male.
Mi
domando cosa ne penserebbe Blaine.
Sognami
stanotte,
XXX
(Aveva
emesso uno strillo indignato a notare un
commiato con ben tre baci e scritti in lettera maiuscola).
S.
Quasi
schifato, lasciò cadere il cellulare sul materasso, un verso
stridulo di
indignazione e di sgomento prima di aggrottare le sopracciglia nel
fissare il
soffitto.
Tipico
di Sebastian, rovinare sempre tutto.
L’umore
non migliorò neppure quando, sotto le coperte, prossimo al
sonno, quel viso
sembrò nuovamente far capolino nei suoi pensieri. E
così la sensazione di quel
profumo avvolgerlo, il calore di quel contatto e la morbidezza delle
sue
labbra.
Sbatté
le palpebre e strinse i denti.
Stupido
vischio e stupido Sebastian.
Come vi dicevo, sarò
particolarmente curiosa delle vostre reazioni soprattutto
perché, mentre
scrivevo questo raccontino, immaginavo di convertirlo in una storia a
più
capitoli (avrei già creato un piccolo schema in cui
appuntare qualche scena
visto questo finale sembra averne tutti i presupposti) che pubblicherei
a
partire dal 2013 con il titolo, appunto, di “Our
Secret”.
Fatemi sapere cosa ne
pensate :) Intanto vi do appuntamento a domani con “Christmas
Presents beneath
the tree” e ancora grazie dell’attenzione.
Kiki87
|
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Capitolo 3 *** Christmas Presents Beneath The Tree - Our Perfect Christmas ***
Ben
ritrovati! Anche questa traccia mi ha dato del filo da
torcere, è stata proprio l’ultima che ho scritto
(terminato proprio Giovedì
scorso, nella biblioteca della mia città, mentre aggiornavo therentgirl in tempo reale). In
realtà
è stata la seconda parte se così si
può dire perché avevo già in mente
l’inizio
ma dovevo ancora definire qualche dettaglio sullo
svolgimento… ma non mi
dilungo troppo, spero alla fine vi soddisfi.
Un
abbraccio mega-strapazzante alla mia Sebastian
e alle sue recensioni persino più meravigliose di lei
–
se possibile – e ancora grazie a chi legge ed inserisce tra
seguite/preferite/ricordate.
Buona
lettura!
I don't want a lot
for Christmas
There's
just one thing I need
I
don't care about presents
Underneath
the Christmas tree
I
just want you for my own
More
than you could ever know
Make
my wish come true
All
I want for Christmas is you
(All
I
Want For Christmas Is You – Mariah Carey)
Christmas
Presents Beneath The Tree
Our
Perfect
Christmas
Il
Natale era sempre stata la festa preferita della mamma: ne
osservò, con
espressione gioiosa ed interessata, tutti gli sforzi con i quali si
apprestava
a decorare la loro casa, il tutto accompagnandosi con un sottofondo
musicale di
tradizionali canzoni che intonava con la sua bellissima voce. Era
instancabile
mentre volteggiava nel salotto, muovendosi con incedere aggraziato e
svolazzante che la faceva tanto somigliare ad una bambina. Era sempre
sembrata
perfetta ai suoi occhi e Kurt non poteva che osservarla con crescente
ammirazione mentre cercava di aiutarla come meglio poteva. Uno dei
momenti
preferiti era sicuramente quello in cui lei lo sollevava tra le braccia
e lo
aiutava a sporgersi verso la cima dell’albero per appuntarvi
sopra il puntale:
restavano poi vicini anche quando l’opera era compiuta.
La
stanza era avvolta nel buio, ad eccezione delle luci
dell’albero che ne
facevano scintillare le decorazioni affisse sullo stesso, e Kurt e sua
madre si
presero qualche istante di silenzio a rimirare il tutto, con lo stesso
sguardo
sognante e lo stesso sorriso che illuminava i loro volti.
Era
un momento nel quale le parole non sembravano necessarie: non quando
potevano
sostare l’uno tra le braccia dell’altro, avvolti da
quel piacevole silenzio.
Cinse il collo della mamma, affondando il viso contro la sua spalla ed
inspirandone il profumo delicato e soave, così come tutta la
sua figura.
Malgrado
fosse lei l'adulta, non poteva che rimirarne il bel viso: gli occhi
grandi di
quell’azzurro striato di grigio e quel sorriso che sostava e
che era pieno di
vita e di gioia; un istinto di protezione che sentiva latente in
sé, quasi ne
percepisse una bellezza etera ma al contempo fragile, quasi ella fosse
una
bambola di ceramica destinata a rompersi.
La
donna abbassò sguardo e gli baciò la fronte,
prima di proporgli di preparare
insieme i biscotti per attendere il ritorno del papà cui
aveva risposto con
entusiastica approvazione.
Mezzora
dopa sostavano in cucina, entrambi ricoperti di farina,
perché sembrava un
divertimento irresistibile gettarsela addosso ed era stata una fortuna
che
avesse indossato un grembiulino, anche se sarebbe poi dovuto ricorrere
ad uno
shampoo d’emergenza per scrostare i capelli.
La
mamma stava ora spalmando lo zucchero a velo sui biscotti a forma di
albero di
Natale, di fiocco di neve, di bastoncini di zucchero, di vischio e di
palline
decorative e lui la rimirava con uno sguardo adorante.
Aggrottò
le sopracciglia, però, quando notò che anche le
sue mani si erano
impasticciate. Soprattutto, la sua preoccupazione era volta
all’anello che
portava all’anulare sinistro.
“Perché
non togli l’anello?” le chiese con tono
incuriosito mentre stava seduto
sullo sgabello e, le braccia appoggiate al balcone della cucina a
sostenersi il
mento, continuava a studiare i suoi movimenti.
La
donna, che stava disponendo i biscotti nella teglia da forno, si
riscosse e
sollevò il capo ad osservarlo prima di sorridere. Quel
sorriso più tenero e
devoto che ne faceva scintillare lo sguardo.
“Questa, amore,
è la fede nuziale:
non si toglie mai” commentò in
tono serio e il bambino l’aveva guardata ancora
più incuriosito, le sopracciglia
inarcate.
Ella
sorrise nel comprenderne il bisogno di ulteriori delucidazioni.
“E’ un
simbolo: l’anello e il cerchio
simboleggiano una promessa d’amore per tutta la vita e
indossare l’anello ne è
una dimostrazione” aveva spiegato
in altre parole mentre porgeva la mano sinistra e Kurt ammirava ancora
una
volta la perfezione dell’anello.
Era
costituito da due bande intrecciate sinuosamente tra loro: una di
platino e
l’altra di uno zaffiro che ne ricordava lo sguardo dai
riflessi azzurrini.
A
detta del papà, era stato particolarmente difficile
sceglierne uno adatto ma
quando aveva visto quello, aveva
capito che era perfetto.
Che
era l’anello che avrebbe messo al dito della mamma quando
sarebbero diventati
marito e moglie per poi costruire insieme una nuova famiglia.
“Ne avrò
uno così anche io, un
giorno?”.
“Quando sceglierai
la persona con cui
trascorrere la tua vita, sì”.
“Allora,
hai intenzione di metterlo quel puntale, prima che io faccia qualche
commento
poco natalizio e molto sessuale?”.
Si
era riscosso bruscamente e si era voltato ad osservare il giovane il
cui
sguardo smeraldino scintillava con malcelata malizia.
Sbatté
le palpebre come a cercare di riemergere da quel sogno e
dall’immagine di sua
madre che sembrava così reale e tangibile da poterla
sfiorare con le dita,
tanto da lasciarlo quasi basito alla realizzazione si trovasse nel
salotto
della casa che condivideva con Sebastian, da quasi sei mesi ormai.
Quello
sarebbe stato il loro primo Natale, quindi, e tutto ciò che
avrebbe potuto
auspicarsi, era che fosse tutto esattamente
perfetto.
“Buon
Natale anche a te” rispose con un filo di divertimento e,
poco dopo, lo esortò
a spegnere le luci per rimirare l'effetto delle luci, in sottofondo le
canzoni
natalizie (tranne quelle che Kurt soleva cantare con Blaine e che erano
state
abolite anche se Sebastian non era geloso).
Si
appoggiò alla sua spalla e sorrise quando, in risposta,
Sebastian gli cinse le
spalle e lo trattenne a sé, il mento appoggiato al suo capo
e Kurt percepì
nuovamente quel dolce calore di appartenenza a qualcuno.
Non
sembrava esser cambiato molto da quando sua madre non vi era
più.
“Il
puntale è decisamente il tocco di classe”.
Più
o meno,
aggiunse mentalmente Kurt,
un vago sorriso e uno scuotimento del capo.
~
La
cena con Burt e Carole era stata perfetta: aveva preparato tutto per
tempo con
il discutibile aiuto di Sebastian che aveva cercato di distrarlo a
più maniere,
interrompendone le manovre con qualche bacio rubato o qualche loro
tipica
schermaglia più complice. Il tacchino era stato prelibato e
gustoso e avevano
già inaugurato i brindisi: aveva cercato di ignorare per
tutto il tempo le
occhiate ben poco celate che il suo compagno gli stava impunemente
lanciando –
poco disposto a farsi inibire (come se ciò fosse possibile!)
dalla presenza del
padre e della madre acquisita – ma non aveva davvero potuto
rinunciare ad
indossare quei pantaloni rossi che erano perfettamente a tema. E non
certo per
far smaniare Sebastian. Non del tutto almeno.
Tra
le risate, gli aneddoti e le premesse per il nuovo anno, era quasi
giunta la
mezzanotte della Vigilia e Kurt si era preso un solo istante per
vagheggiare
col ricordo, ancora una volta, cosa significasse quella festa quando
ancora vi
era sua madre. Era certo che suo padre, pur felice da quando aveva
Carole al
suo fianco, condividesse lo stesso pensiero, quella stessa stretta al
petto,
quella dolce malinconia che sembrava promettergli che il ricordo
avrebbe
serbato anche il loro amore.
“Sarebbe
molto orgogliosa di te” aveva commentato Burt stringendone la
spalla per un
breve istante e sorrise al denotare che, se anche il tempo scorreva,
sarebbero
sempre riusciti a comprendersi senza bisogno di particolari parole o
delucidazioni. Senza dover troppo coinvolgere l'emotività
fin troppo accentuata
di Kurt e quella più riservata di Burt.
Fu
l’esortazione di Carole a riscuoterli con l’avviso
della mezzanotte e si
unirono ai rispettivi compagni.
Giunse,
quindi, il momento preferito di Kurt, da quando era bambino: scartare i
regali.
Adorava,
soprattutto, osservare come il volto delle persone si trasformasse nel
momento
in cui stringevano il loro cadeau. Era il senso stesso
dell’acquistare un
regalo: cercare un’impronta dell’altra persona e
dimostrare quanto si tenesse a
lei, quanto la si portasse nel cuore, tanto da indovinare cosa potesse
esserle
gradito, tanto da riuscire a divenire il motivo stesso della loro gioia.
Se
aveva osservato con un sorriso le reazioni di Burt e Carole, si era
concentrato
su Sebastian e ne aveva visto le sopracciglia inarcarsi alla vista
della
scatola di velluto rettangolare: lo incoraggiò con un
sorriso.
Questi,
finalmente, schiuse il coperchio per poi restare a rimirare lo
splendido
bracciale in oro bianco: da esso pendevano diversi ciondoli di forma e
colore
ma ognuno era un loro simbolo, dal ciondolo di un bicchiere di
caffè, fino alle
chiavi a simboleggiare la loro vita insieme.
“Ogni
anno ne aggiungeremo altri” aveva soggiunto Kurt con tono
evidentemente
commosso e Sebastian era apparso incapace, per un istante, di trovare
le parole
opportune ma quando levò uno sguardo emozionato e gli porse
il braccio e il
bracciale perché lo aiutasse ad indossarlo, Kurt comprese.
Comprese ciò che
aveva difficoltà ad esprimere con troppa frequenza,
ciò che restava sospeso,
soprattutto quando non erano soli ma ciò che li legava da
tempo e ciò che, lo sapeva,
li avrebbe tenuti vicini l'uno all'altro ancora per molto tempo.
Il
sorriso nello stringere il gancio fu immortalato da una fotografia e
Sebastian
si sporse a sfiorarne appena le labbra in un breve sospiro roco che
fece
scalpitare furiosamente il cuore di Kurt nel trattenerlo per la
guancia, un
breve istante soltanto.
Attendeva,
adesso, lo sguardo adesso trepidante.
Sebastian
era apparso alquanto dubbioso mentre prendeva una scatola rettangolare
e
piuttosto voluminosa che Kurt scrutò con attenzione mentre
gliela poneva tra le
braccia, bofonchiando gli auguri. Stava già, con sguardo
illuminato,
ipotizzando varie opzioni (magari cuscini con ricamati i loro nomi e le
fotografie? O forse qualche oggetto prezioso che aveva però
celato in scatole e
scatole a mo' di matriosca per beffarlo?) prima di cominciare a
scartare con
cura e dedizione.
Il
loro primo Natale ufficiale come compagni, sarebbe stato tutto perfetto
e...
Si
pietrificò in un istante: il suo cuore sembrò
letteralmente restare sospeso in
gola, boccheggiò e la sua mente sembrò congelarsi
mentre il sorriso moriva
sulle labbra nell'osservare quello che a tutti gli effetti (anche
girandolo in
OGNI POSSIBILE ANGOLAZIONE) restava...
“Un
frullatore”.
Un
sussurro quasi incredulo, la voce in falsetto. Aprì
rapidamente la scatola
(magari all'interno c'era un gioiello e lo aveva gabbato soltanto per
fargli
dispetto! Doveva essere così, ecco
perché anche suo padre e Carole erano
rimasti così silenziosi) per osservare quello che era
indubbiamente un
elettrodomestico.
Boccheggiò
mentre Sebastian, che sembrava aver recuperato il suo sorriso
sferzante, si era
stretto nelle spalle e fece tintinnare giocosamente i ciondoli del
bracciale
(quello che era un regalo ORIGINALE e ROMANTICO) vicino al suo
orecchio, con aria
beata e quasi stolta da non
comprendere come avesse letteralmente ucciso lo spirito romantico e
natalizio.
E
tutto con un solo gesto.
Doveva
essere uno scherzo e di pessimo gusto: gliel'avrebbe fatta pagare per
averlo
messo così in imbarazzo di fronte agli altri due che,
evidentemente, dovevano
aver a loro volta realizzato la tensione appena scesa tra gli astanti.
Carole
si affrettò ad avvicinarsi e osservare la scatola con un
sorriso luminoso,
stringendogli la spalla.
“E'
di ottima marca, non trovi, tesoro?”.
In
quel momento, Kurt sperò che “ottima
marca” corrispondesse a “arma contundente
efficace” perché non avrebbe desiderato niente di
meglio che fracassarlo sulla
testa del suo amatissimo compagno che rigirava i
ciondoli come niente
fosse. Quest'ultimo si permise persino di annuire alle parole di Carole
con un
sorriso affabile.
“Kurt
adora i frullati di banana” specificò e Burt, che
doveva aver deciso di
affogare l'imbarazzo nello champagne, si congelò sul posto.
Decisamente se era
una battuta a sfondo sessuale tra gay, non era il momento di scoprirlo.
“Ma
che pensiero dolce!” continuò a trillare Carole
che strinse più forte la mano
sulla spalla di Kurt, quasi a volerlo silenziosamente incoraggiare e/o
consolare.
Da
parte sua, Kurt non gli avrebbe rivolto la parola fino al momento del
congedo
e, per quanto lo riguardava, avrebbe fatto meglio a cercare le coperte
e la
trapunta per una notte sul divano.
~
Si
era chiuso in bagno non appena aveva sentito l'auto dei genitori uscire
dal
vialetto per far ritorno alla loro casa e Sebastian non lo aveva
fermato. Il
che conduceva a due possibili opzioni: o non si era completamente
avveduto del
suo stato d'animo, oppure ne era consapevole fino al midollo e stava
optando
per quello che tecnicamente poteva definirsi un “lasciargli
il suo spazio”, la
quiete prima della tempesta, in ogni caso.
Si
era fatto una rapida doccia ed aveva già insinuato il
pigiama di seta ma erano gesti
scoordinati e nervosi quelli con cui si applicava le varie creme per il
rituale
notturno: non era inusuale che, a quel punto della serata, spesso
Sebastian
entrasse – ignorando la porta chiusa – per
cominciare a mordicchiargli il collo
o coricarselo sulla spalla per portarlo a letto quando, a suo giudizio,
ci
stava mettendo troppo tempo.
La
sua mente continuava a rivivere, e con crudele esaustività
di dettagli,
l'orribile momento nel quale aveva realizzato che Sebastian gli aveva
davvero
regalato quel... coso. Non riusciva davvero a
credere che di tutte le
cose che Sebastian amasse di sé o conoscesse, si fosse
legato ad uno
stupidissimo frullato (aveva già deciso che, in ogni caso!,
non ne avrebbe mai
più bevuto uno, specialmente se significava toccare
quell'apparecchio).
D'accordo che Sebastian talvolta difettava di parole e non era tipo da
dichiarazioni romantiche come nei film che amava vedere e sui quali
versava
lacrime di gioia e commozione ma non riusciva davvero ad immaginare cosa
gli fosse passato per l'anticamera del cervello.
Come
poteva immaginare che avrebbe potuto gradire quel dono? Sebastian amava
la
carne ma questo non sarebbe certo equivalso a regalargli una mucca, se
poi il
simbolismo alimentare potesse avere una qualche facoltà
romantica.
L'idea
di un oggetto per la loro quotidianità sarebbe stato
apprezzabile: una morbida
trapunta sotto la quale coccolarsi nelle serate fredde, o un set di
accappatoi
da coppia con le loro iniziali, gesti che rimandassero alla promessa
reciproca
di una vita futura. Insieme. Condividendo la quotidianità,
costellata anche di
eventi come quelli.
La
prima lacrima che gli solcò la guancia lo colse di sorpresa:
e così, ancora una
volta, era stato quello il mezzo con cui il suo corpo avrebbe liberato
quel
cumulo di rabbia, delusione, amarezza e di sconforto. Non poteva fare a
meno di
chiedersi - mentre deglutiva a fatica e tratteneva il singhiozzo,
ritrovandosi
presto gli occhi arrossati e il viso bagnato - se quella convivenza non
fosse
stata precoce o se, semplicemente, lui e Sebastian non vivessero il
loro
rapporto allo stesso modo.
Si
appoggiò con le mani al lavabo, il viso chinato e si
tappò le labbra a celare
l'ennesimo singhiozzo prima di aprire il rubinetto dell'acqua fredda e
sciacquare rapidamente il viso.
Prese
qualche respiro profondo ma, ciononostante, quando sentì
Sebastian bussare alla
porta (e dire che, a suo parere, fossero inutili quando si viveva
insieme),
sussultò e rivolse uno sguardo impaurito alla stessa.
“Kurt,
sei chiuso in bagno da quasi un'ora che è mezzora
più del solito: tutto bene?”.
No, non va tutto bene, sarebbe stata la sua
spontanea risposta. Non
c’è nulla che vada bene.
Strinse
le labbra ed osservò la porta al di là della
quale vi era l’uomo con cui aveva
immaginato e sognato di trascorrere tutta la vita, colui cui aveva
donato tutto
il suo amore, la sua dedizione, tutto se stesso.
E
nulla andava bene, quella che
doveva essere la loro prima festività come coppia ufficiale,
era divenuta un
incubo dal quale non riusciva a svegliarsi. Tutto ciò che
avrebbe voluto, in
quel momento, era chiudersi in quel bagno e piangere disperatamente
come un
bambino che si svegli da un incubo.
Mai
gli era sembrato che le distanze tra loro fossero così
marcate, neppure da quel
loro primo incontro/scontro nella caffetteria di Lima; una lontananza
che
andava ben oltre quella porta di legno.
Di
fronte a quel silenzio, Sebastian bussò nuovamente e Kurt si
riscosse: si
asciugò rapidamente il volto e prese un profondo respiro.
“A-Arrivo”
si sentì dire con voce che parve raffreddata ma si concessa
un’ultima occhiata
allo specchio – un vago tentativo di tamponare gli occhi
arrossati e di
allontanare quel ciuffo dispettoso dal viso – prima di
decidersi, infine, ad
aprire la porta.
Non
sapeva esattamente come ma non avrebbe potuto ignorare i suoi dubbi e
le sue
riflessioni: avrebbe parlato a Sebastian con il cuore aperto e poco
importava
se il giorno dopo avrebbe trascorso un deprimente Natale tra lacrime e
fazzoletti, rintanato nella sua vecchia camera in casa Hudson-Hummel,
perché
non avrebbe sopportato di dover fingere con Sebastian.
Sbatté,
tuttavia, le palpebre alla vista o meglio alla
non vista: la loro camera da letto era sommersa nel buio e
aggrottò le sopracciglia. Si mosse lentamente dalla soglia
del bagno e cercò di
mettere a fuoco l'immagine.
L’unica
fonte di luce proveniva dalla luce del corridoio e l’alta
figura di Sebastian era
stagliata sulla soglia della camera da letto: si avvicinò
istintivamente in sua
direzione ed inarcò le sopracciglia quando ne scorse la
figura elegantemente
rivestita di uno smoking che non gli aveva mai visto indosso.
Già
ad una prima occhiata distratta (era troppo arrabbiato e turbato per
fare una
rapida scansione dei capi d’abbigliamento che aveva indosso e
elogiarne
fattura, colore, tessuto e proporzioni) si avvide di quanto fosse
incredibilmente elegante. Aveva persino acconciato i capelli lievemente
all’indietro, in quel tocco più sofisticato a suo
parere ma che non aveva mai assecondato,
continuando ad adottare quel ciuffo che aveva così
ironicamente vezzeggiato dal
loro primo litigio.
“Stai
uscendo?” gli chiese, la voce ancora più stridula.
Oh, perfetto! Adesso gli avrebbe detto che
aveva anche
intenzione di lasciarlo, che aveva un altro o qualche altra
catastrofica
notizia. Lo sapeva! Lo sapeva che dannato frullatore doveva avere un
significato ma non avrebbe immaginato che, proprio la notte di Natale,
dovesse
dargli una notizia che gli spezzasse il cuore e distruggesse il suo
spirito
natalizio.
Sebastian
non rispose: persino con la poca luce ne scorse il sorrisetto beffardo
che ne
doveva far baluginare lo sguardo. Con un solo fluido ed elegante gesto,
gli
porse la mano ma Kurt lo osservò ancora confusamente.
“Vieni”
lo incoraggiò ma Kurt scosse il capo, indietreggiando.
“Dovremmo
parlare” ribatté testardo ma questi, quasi avesse
previsto le sue mosse, scosse
il capo, un vago sorriso prima di entrare nella camera: prese il suo
cappotto e
glielo drappeggiò sulle spalle.
Malgrado
tutto, Kurt avvertì quel familiare brivido laddove il
respiro di Sebastian gli
sfiorava la nuca, mentre istintivamente si stringeva nel cappotto,
quasi avesse
una reale sensazione di gelo prima di sentirlo sospirare
nell’orecchio.
“So
che sei pazzo di quel frullatore” soffiò con voce
suadente e Kurt dovette
reprimere l’istinto di calpestargli il piede o assestargli
una gomitata alle
costole.
Sebastian
doveva aver immaginato anche questo perché gli strinse i
fianchi, quasi a
rassicurarlo ed impedirgli di compiere qualche gesto di naturale
stizza. “… ma
il vero regalo è di sopra” aveva soggiunto ancora
una volta e Kurt aveva
lanciato interdetto un’occhiata al soffitto, quasi si
aspettasse di vedere una
scritta comparire magicamente o qualcosa di altrettanto irreale.
“Andiamo”
lo incalzò nuovamente Sebastian che stavolta non attese e ne
cinse la mano: fu
istintivo, malgrado tutto, rilassarsi a quel tocco familiare, morbido e
caldo.
Non
poteva ammettere che, in quel momento, l’ipotesi di un altro
regalo (anzi, del vero regalo) era
abbastanza
seducente da rimandare le sue paturnie d’animo ed essere
disposto ad
assecondarlo. Almeno fino a quando non avrebbe visto di cosa
si
trattasse perché, a quel punto, non si sarebbe
più concesso il beneficio del
dubbio e lo avrebbe ringraziato ad una maniera fisica: molto violenta e
poco
sensuale.
Quello
era uno dei motivi per cui Kurt e Sebastian avevano scelto
quell’appartamento:
il tetto sul quale avevano diversi progetti sui quali dedicarsi nel
nuovo anno,
probabilmente la creazione di un giardino o di una serra o forse un
delizioso
gazebo rustico con tavolini e un dondolo. Doveva riconoscergli una
certa
furbizia nell’aver nascosto lì il regalo ma si
strinse nel cappotto,
rabbrividendo mentre salivano le scale.
“Non
potevi portarlo di sotto? Se non te ne fossi accorto, sta ancora
nevicando!”
aveva commentato con voce stridula ma Sebastian aveva rafforzato la
pressione
sulla sua mano, una vaga risata divertita prima di aprire la porta ed
essere
lui stesso investito da una raffica di fiocchi di neve e Kurt non
poté che
pensare, con sgomento, a quel bellissimo completo che avrebbe bagnato a
quel
modo.
“Credo
che il freddo sarà l’ultimo dei tuoi
problemi” commentò in tono saccente che
fece aggrottare le sopracciglia di Kurt. Se credeva che fare
l’amore sul tetto
lo avrebbe ammorbidito allora avrebbe potuto realmente immaginare di
scaraventarlo di sotto: si domandò se Sebastian avesse
immaginato la stessa cosa,
visto il sorrisetto sulle labbra seppur dovesse soffrire non poco il
disagio del
freddo.
“Dimmi
che ci stai pensando anche tu” domandò in tono
smanioso e Kurt strinse il pugno
lungo il fianco, considerando l’ipotesi di schiaffeggiarlo
subito e
violentemente ma Sebastian si limitò a scostarsi e fu allora
che vide e tutti i
suoi pensieri sembrarono volatilizzarsi.
Aveva
disposto una coperta sul pavimento e su di essa aveva disseminato
candele
dall’essenza di vaniglia, la preferita di Kurt, accuratamente
coperte con
appositi coperchi di vetro perché la flebile e delicata luce
non si spegnesse
al sibilo del vento o al posarsi dei fiocchi di neve tutto attorno.
Petali di
rosa blu e di nontiscordardimé punteggiavano la coperta e
Sebastian lo condusse
con sé, esortandolo a sedersi su uno dei cuscini (quelli che
Kurt aveva
comprato perché si abbinassero al divano del salotto) e
Kurt, ancora confuso,
così fece mentre lentamente cercava di assimilare.
“Un
picnic” aveva domandato confuso, ma Sebastian non si era
seduto: indugiò in
piedi di fronte a lui, l’espressione più seria e
concentrata che gli avesse
visto per tutta la serata mentre lo scrutava attentamente.
Sembrò
un ritrovarsi dopo una lontananza più o meno lunga:
sentì la carezza silenziosa
e delicata del suo sguardo che gli vezzeggiò il viso, quasi
non riuscisse a
immortalare completamente la sua immagine, quasi avesse un reale timore
di
perdere anche solo un dettaglio. Uno sguardo così lungo e
così intenso che Kurt
stesso non poté che ricambiarlo, il respiro più
accelerato e gli occhi velati
di emozione e di trepidazione, quasi attendendo qualcosa.
Fu
allora che Sebastian sorrise: non era il suo solito ghigno sarcastico o
quel
sorriso compiaciuto o quello con cui soleva prenderlo in giro soltanto
per quei
bisticci quotidiani che poi portavano ad un modo del tutto particolare
e
complice di vezzeggiarsi reciprocamente. Era un sorriso devoto, e Kurt
si sentì
invadere da un calore quasi ustionante.
Sebastian
prese un profondo respiro o così gli parve. Se solitamente
si crogiolava
dell’essere al centro dell’attenzione, in quel
momento appariva concentrato
come non mai.
“Sai
che i discorsi romantici non sono il mio forte e neppure i gesti
eclatanti” e
Kurt sapeva che con quello intendeva le serenate che Blaine gli
dedicava al
McKinley, coinvolgendo l’intera scolaresca ma, seppur fosse
incuriosito di
quell’esordio tutt’altro che prosaico, un sorriso
gli sfiorò le labbra.
“Ne
avevo il vago sospetto” replicò, dondolando appena
le spalle con fare più
vezzoso e complice, il viso inclinato di un lato ma Sebastian
continuò, come se
non fosse stato interrotto.
“Sai
che non sarò mai l’uomo romantico della coppia e
che per decine di volte al
giorno dovrò reprimere l’impulso di strangolarti:
perché ti chiudi in bagno per
mezzore per una pulizia del viso inutile o perché impieghi
quaranta minuti a
scegliere tra due semplici completi o perché mai ti
chiederò un consiglio su
quale stupida cravatta abbinare ad un completo da ufficio”
aveva sciorinato,
ogni frase comportava un corrugamento della fronte e la voce sempre
più
grondante di sarcasmo e di reale fastidio.
“Mi
stai dicendo che mi ami o che vuoi lasciarmi?” aveva chiesto
ironicamente Kurt,
a quel punto.
“Sai
che detesto quando mi interrompi” lo incalzò
nuovamente seppur sembrasse non
riuscire a smettere di sorridere, contagiando persino Kurt malgrado
fosse
ancora intrigato da tutto quel discorso che stava sciorinando da
qualche
minuto.
“Scusami”
mormorò cercando di tornare serio ma Sebastian lo
ignorò e si mise in ginocchio
di fronte a lui per essere ad altezza del suo stesso sguardo mentre
allungava
la mano a cingerne la guancia fredda, sfiorandone delicatamente lo
zigomo con
le dita, quasi a tracciarne un contorno.
“E
sai che non cambierei nulla di noi perché, da quando ti ho,
non ho mai
desiderato altro” aveva continuato, la voce divenuta
più rauca e Kurt stesso si
era avvicinato per sentirne il respiro caldo sul viso, la mano che
andava ad
appoggiarsi al suo petto fasciato dalla giacca elegante e Sebastian ne
cinse la
vita. Sembrò intenzionato a coprire quella distanza per
baciarlo ma si riscosse
e scostò la mano per insinuarla nella tasca interna della
giacca, sotto lo
sguardo confuso ma incuriosito di Kurt.
Sentì
il suo respiro paralizzarsi quando lo vide estrarre una scatola di
velluto e il
suo stesso cuore sembrò restare sospeso in gola mentre il
suo respiro diveniva
convulso.
Sentì
l’istinto di gettargli semplicemente le braccia al collo,
fremendo nell’attesa
e non volendo attendere che gli ponesse una domanda precisa.
Sebastian
sembrò chiedergli con lo sguardo di attendere e Kurt
silenziò ma annuì
impercettibilmente per quanto lo sguardo si fosse già velato
di commozione e
stentasse a non ridere di serenità, nonostante stesse
letteralmente congelando.
“Ma
quello che voglio tu sappia, è che voglio sia per tutta la
vita” aveva schiuso
il cofanetto di velluto e se Kurt era già pronto a porgergli
la mano, fu con
occhi sgranati e le labbra schiuse che contemplò
l’anello all’interno della
scatola.
Un
verso di emozione rauco ne sgorgò dalle labbra mentre lo
guardava incredulo.
Un
anello con due bande intrecciate in platino e in zaffiro: seppur al
centro vi
fossero poste le iniziali di Kurt, l’immagine della donna
tornò così vivida
nella sua memoria che lo contemplò con occhi velati di
commozione.
Una
perfetta replica dell’anello che suo padre teneva ancora con
sé.
Si
portò la mano al petto mentre, delicatamente, Sebastian ne
prendeva la mano
sinistra e Kurt fremette a quel tocco caldo e morbido che
sembrò rassicurarlo,
persino in quel momento.
“Kurt”
ne sussurrò il nome con voce velata
della sua stessa emozione. “... vuoi sposarmi?”.
Un
singhiozzo sgorgò infine dalle labbra di Kurt ma ne cinse il
viso con nuova
foga, le lacrime ne bagnavano il viso nel bacio con cui
sfiorò le sue labbra,
nell’abbraccio con cui Sebastian lo cinse a sé,
con foga quasi disperata. Quasi
volesse non solo trattenerlo ma inglobarlo nel suo stesso corpo, come
volesse
annullare ogni distanza.
Si
scostò bruscamente Kurt, il viso inclinato di un lato e le
labbra tremanti.
“Presumo
sia un sì a meno che non baci ogni possibile
fidanzato” aveva domandato
Sebastian, la voce più rauca ma lo stesso sorriso innamorato
sul volto, lo
stesso luccichio nello sguardo per quanto restio a mostrare le sue
emozioni ad
una maniera più palese.
“Sì”
aveva risposto con voce rauca, Kurt, annuendo con vigore, il capo
già ricoperto
di fiocchi di neve, le guance arrossate e gli occhi lucidi.
“Lo
voglio” la voce flebile ma lo sguardo colmo del suo amore per
lui, mai così
intenso ed evidente.
Avevo
atteso, fremente, che Sebastian insinuasse l’anello al dito,
rimirandolo e ridendo
tra le lacrime mentre Sebastian lo cingeva nuovamente a sé.
Ne
baciò delicatamente la tempia.
“Tuo
padre dice sempre che tutto ciò che sei, è un
riflesso di lei e, anche se non
l’ho conosciuta, non posso che esserle grato” aveva
convenuto a mo’ di
spiegazione circa la replica dell'anello. Aveva rafforzato la pressione
di
quell'abbraccio.
“E
voglio che lei sia parte anche di noi”.
Kurt
aveva tremato tra le sue braccia e aveva affondato il viso sul suo
petto, aveva
lasciato che le lacrime di commozione e di gioia sgorgassero in tutta
la loro
struggente intensità, prima di scostarsi nuovamente e
lasciare che Sebastian
appoggiasse la fronte alla sua.
Schiuse
gli occhi a contemplarlo, lo stesso sorriso velato di emozione.
“Ti
amo Sebastian e-“ le sue parole erano nuovamente soffocate
dalle sue labbra,
dall’ennesimo bacio di conferma, d’amore e di
promessa, la stessa che l’anello
simboleggiava.
Si
appoggiarono sulla coperta che Sebastian aveva disposto, scaldandosi di
quell’abbraccio e sentì lo stesso Sebastian ridere
contro il suo collo che
vezzeggiò con qualche bacio.
“Avresti
dovuto vedere la tua faccia quando hai visto il frullatore”.
Kurt
stesso rise, lo sguardo volto al cielo da cui continuava a fioccare
neve ma ne
accarezzò la nuca e ne baciò nuovamente le
labbra, intingendosi del suo
respiro, il tempo di imprimere un sapore a quel momento, prima di
sfiorarne
delicatamente la guancia punteggiata di nei.
“Sebastian”
lo chiamò l’attimo dopo, la voce mortalmente
seria.
“La
prossima volta potrei chiederti il divorzio”.
Rise
nuovamente Sebastian, una risata serena e divertita prima di sfiorarne
la gota.
“Non
accetterei, non ti allontanerai: non te lo
concederò” ed era una delle più
belle promesse che avessero mai stretto.
Passarono
così la notte tra blande carezze, fuggevoli contatti, e
reciproche promesse ed
impegni per il futuro ma sempre stretti l’uno
all’altro ed incapaci di
allontanarsi.
Ciò
li preparò ad un Natale sotto le coperte, interrotti dai
reciproci starnuti e
dalle linee di febbre, seppur sostassero l’uno tra le braccia
dell’altro.
“Tu
e le coperte, è esattamente come avevo
immaginato questo Natale” aveva
commentato Sebastian, la voce camuffata dal raffreddore e Kurt avrebbe
riso se
ciò non gli avesse comportato la sensazione che il suo
cranio si stesse
letteralmente dilaniando. Starnutì rumorosamente, gli occhi
lacrimanti e
febbricitanti e il viso tutto arrossato.
“Il
migliore di sempre” aveva replicato Kurt, lo sguardo che
ancora vezzeggiava
l’anello, lasciando sgusciare la mano dalla coperta per
osservarlo, lo stesso
sguardo devoto e innamorato di quando glielo aveva insinuato.
“Ti
bacerei ma sei un misto di sudore e di muco”. Aveva
commentato Sebastian, con
uno storcere del naso davvero poco lusinghiero.
Si
volse senza guardarlo, il viso contratto dalla smorfia offesa e ricca
di
disappunto ma Sebastian lo cinse da dietro e ne baciò la
nuca.
“Cosa
dicevo sul non permetterti di allontanarti?”.
Sorrise
malgrado tutto, Kurt, e ne strinse la mano nella propria, baciandola
delicatamente e lasciando che le dita si intrecciassero e che Sebastian
stesso
giocasse con l’anello al suo dito.
“Sebastian,
la prossima volta che progetti qualcosa di romantico, assicurati ci sia
la
giusta temperatura”. Osservò con voce rauca prima
di prorompere in un altro
rumoroso starnuto.
“Questo,
davvero, non posso prometterlo”.
Uno
starnuto e un attacco di tosse e lo sfolgorio di un anello: una
conferma e una
promessa.
Un
Natale, tutto sommato, (più o meno) perfetto.
Vi auguro di non
passare un Natale come quello dei Kurtbastian, in quanto a salute, ma
spero la
fanfiction vi sia piaciuta. Al solito commenti sono ben accetti, ma
grazie
comunque a chi segue anche in maniera silenziosa.
Appuntamento a
domani con il tema “Christmas Morning”, buon
proseguimento di giornata :)
Kiki87
|
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Capitolo 4 *** Christmas Morning - Who I Am ***
Curioso come, a volte, una
canzone che abbiamo nel nostro iPod da molto tempo e che sappiamo a
memoria,
possa essere rivalutata. Addirittura in grado di fornire un'idea
folgorante che
ci lascia basiti ed ispirarci. Così è stato per
questa fanfiction e la canzone
in merito ma non vi anticipo nulla e lascerò che lo
scopriate da soli :)
La fanfiction prende
riferimento un post 4x04 di Glee ma naturalmente è un Natale
Kurtbastian :)
I'll
have a blue Christmas without you;
I'll
be so blue thinking about you.
Decorations
of red
On
a green Christmas tree
Won't
mean a thing if
You're
not here with me
(Scritta da Billy Hayes & Jay W.
Johnson)
Christmas
Morning -
Who
I Am.
Persino
preparare l’albero di Natale
era un ottimo esercizio per il suo occhio estetico: in fondo
l’affissione di
palle colorate, di nastri, di lucine e delle decorazioni nel loft, era
una
questione di abbinamento cromatico, sobrietà ed eleganza.
Aveva,
inoltre, ritenuto che fosse un
ottimo diversivo per poter, semplicemente, estraniare la mente da tutto
il
resto: quasi assolvendo quei gesti manuali tutto fosse più
semplice e quella
dolce malinconia, che il Natale sembrava condurre con sé, si
sarebbe potuta
allontanare.
Una
breve pausa. Tra un silenzio e
l’altro.
Mai gli
era parsa più sofferta la
lontananza, mai si era sentito così estraniato da una parte
di sé e dalla sua
stessa vita a Lima: uno stato d’animo acuitosi persino dopo
la telefonata con
il padre e la delusione nell’apprendere che, per la prima
volta, avrebbero
trascorso quel giorno separati.
Come
se quell’anno non avesse sofferto
per fin troppe separazioni, era stato il
suo amaro pensiero ma
si era imposto – dopo molte pulizie del viso vanificate e
barattoli di gelato
mangiati piangendo sulle immagini di “Le pagine della nostra
vita” – che
avrebbe dovuto trovare il modo di andare avanti e riprendere in mano la
propria
vita.
“Non
credi di aver finito?” la voce di
Rachel era giunta alle sue spalle e Kurt non aveva potuto fare a meno
di
trasalire: si volse per scoprire che la compagna di stanza era immobile
sulla
soglia del salotto e osservava il tutto con un sorriso.
Così
concentrato e preso, non si era
minimamente accorto della sua presenza ma tornò a scrutare
l’albero con
cipiglio concentrato: affisse il puntale, dopo esser salito sulla
scala, e lo
rimirò un altro istante. Si soffermò sulla
cascata di luci che mettevano in
risalto le decorazioni i cui colori dominanti erano l’argento
e il blu. Solo
allora sorrise, dondolandosi appena con il busto ed annuendo.
Un vago
sorriso, tuttavia, quello che
ne aveva increspato le labbra, ma era da molto tempo che, ormai, Rachel
non
vedeva quello che sembrava farne
scintillare lo sguardo di pura gioia.
Si
augurava che tornasse al più presto
a risplendere ma poteva solo immaginare per quale motivo sembrasse
quasi
ossessionato dalla decorazione della casa e dalla preparazione
dell’albero.
Un modo
anch’esso di non pensare
(troppo) a Blaine e la loro definitiva separazione dopo la visita al
McKinley,
per assistere alla messa in scena di Grease. Non aveva avuto neppure il
coraggio di confessargli che, ben lungi dal riuscire completamente a
sostenerlo, lei stessa aveva avuto più di un momento di
cedimento al ricordo di
Finn al desiderio segreto di essere lei stessa sul palco con lui a
ricordare quel
brano che aveva siglato una sorta di “inizio”.
Almeno per lei.
Si
riscosse bruscamente, in tempo per
scorgere l’altro dondolamento di Kurt prima che azionasse la
radio a cercare
una stazione che trasmettesse i canti di Natale.
“Adesso
è perfetto”.
Almeno
aveva confermato, pensò Kurt
tra sé, di non aver pianto via anche il suo gusto e le sue
abilità in tale
ambito. Forse anche troppo, come constatò qualche ora
più tardi quando, sotto
le coperte del proprio letto, sbuffò per
l’ennesima volta cercando di prendere
sonno ma il bagliore che si intravedeva dal corridoio era
tutt’altro che
incoraggiante.
Si
strofinò la mano sul viso e
controllò la sveglia adagiata sul proprio comodino:
rilasciò andare un lungo
sospiro accorato. Era una fortuna che il giorno dopo non dovesse
recarsi a
lavoro ma un’ulteriore notte quasi del tutto insonne, non
avrebbe sicuramente
giovato al suo umore nonché a quelle occhiaie che doveva
coprire con ulteriore
e maniacale cura quotidiana.
Scostò
le coperte con un gesto secco e
si mise seduto sul proprio letto, una mano a tormentarsi i capelli
scarmigliati
per l’impatto del cuscino: il piccolo oggetto sembrava
rimirarlo dalla sua
scrivania. Non riuscì a distogliere lo sguardo e si mise in
piedi: lo prese tra
le mani e schiuse il cofanetto a contemplare, ancora una volta,
quell’anello,
quel pegno che gli aveva regalato soltanto l’anno prima.
Il primo
di tanti Natali da
trascorrere insieme, questa era stata la premessa ed entrambi vi
avevano
creduto senza alcun bisogno di conferma o senza il timore che stessero
solo
preparandosi ad una cocente illusione che avrebbe spezzato loro il
cuore.
Che
avrebbe completamente disincantato
la visione del loro rapporto e la fiducia in quella persona che aveva
immaginato e sperato di avere accanto per tutta la vita.
Chiuse
il cofanetto e sospirò.
Avrebbe
dovuto restituirglielo, si disse.
Sospirò
e, con un altro gesto brusco,
aprì le ante dell’armadio.
~
Stava
nevicando ma in quel momento non
aveva alcuna preoccupazione al riguardo: il lungo cappotto scuro ne
copriva il
corpo, i fiocchi di neve scivolavano delicati e leggiadri fino a
posarsi sulle
sue spalle e sul capo. Aveva dimenticato anche i guanti e dovette
accontentarsi
di insinuare le mani nelle tasche del doppiopetto, continuando a
camminare senza
alcuna meta precisa.
A
differenza di Lima, New York
sembrava davvero non dormire mai, come recitava uno dei motti
più conosciuti, e
non si sorprese più di tanto che, anche a
quell’ora tarda, non fosse l’unico a
passeggiare per le strade colorate. Sospirò, muovendo un
passo dopo l’altro,
guardando soltanto distrattamente gli altri passanti, ascoltando
chiacchiere e
promesse di un Natale magico da trascorrere con una persona speciale, e
cercò
di scacciare nuovamente l’immagine del viso di Blaine e quel
tentativo di
spiegarsi e il modo in cui lui stesso gli avesse rifiutato tale
opportunità.
Come ormai, tutto fosse incrinato e niente sarebbe più
rimasto lo stesso.
Scorse
l’insegna luminosa di un pub e,
senza riflettere, ne varcò la soglia: si appoggiò
sul balcone coi gomiti, una
mano a sostenersi il viso prima di ricambiare il saluto della barista
ed
ordinare una cioccolata calda. Probabilmente il sapore dolce avrebbe
potuto
lenire quella sorta di nodo in gola e quel calore sarebbe riuscito a
scalfire
le pareti del suo stesso animo.
Ringraziò
la giovane e sorseggiò la
sua bevanda, lo sguardo che vagava distrattamente sul locale,
osservando visi
ed abiti degli altri astanti: malgrado la tarda ora, infatti, sembrava
essere
un bel momento per fermarsi in compagnia, per rubare un momento di
serenità a
quella notte gelida e al sonno mancato.
In
sottofondo, udì l’eco di una
chitarra che strimpellava una melodia familiare,
l’ascoltò distrattamente: gli
occhi chiusi quasi volesse compenetrarsi in quel momento di pace. Quasi
a voler
mettere a tacere i propri pensieri e il dolore, congelarlo in quel
frammento.
L’aria
che entrava, quando la porta si
schiudeva, sembrò trasportare l’eco della canzone,
assieme al profumo delle
pietanze e dei drink.
And
I'd give up forever to touch you
'Cause
I know that you feel me somehow
You're
the closest to heaven that I'll
ever be
And
I don't want to go home right now
Schiuse
gli occhi, seguendo con le
labbra il brano, un sorriso quasi ironico nel constatare come persino
le parole
sussurrate da uno sconosciuto, accompagnandosi con la sola chitarra,
sembrassero un riflesso del suo animo, in quel momento.
And
all I can taste is this moment
And
all I can breathe is your life
'Cause
sooner or later it's over
I
just don't want to miss you tonight.
Il
pubblico improvvisato a quella
serata di karaoke lo seguiva con entusiasmo, alcuni accompagnandolo nel
vezzeggiare le parole e Kurt, mosso da un’improvvisa
curiosità, si era alzato
dallo sgabello. Aveva seguito la direzione del suono, dirigendosi verso
l’ala
opposta del pub: non riusciva ancora a scorgere il cantante
poiché lo immaginò
seduto sullo sgabello mentre suonava la chitarra.
Dovette
farsi largo tra gli altri
astanti mentre la canzone giungeva al primo ritornello e si faceva
sempre più
assillante il pensiero di aver già
sentito quella voce.
Persino
di conoscerla: non dimenticava
mai una voce, seppur potesse aver difficoltà a identificarne
il possessore in
prima istanza, specialmente – come in quel caso dedusse
– quando non la sentiva
da diverso tempo.
And
I don't want the world to see me
'Cause
I don't think that they'd
understand
When
everything's made to be broken
I
just want you to know who I am
“Permesso”
commentò in un sussurro,
superando una coppia fino a quando, gli occhi sgranati e le dita a
coprirsi le
labbra, non scorse il profilo del giovane: aveva lo sguardo perso in un
punto
indefinito, le dita che pizzicavano le corde delicatamente. Vi era una
concentrazione e una delicatezza nel suonare e nel dar suono a quelle
parole che
Kurt non gli avrebbe mai saputo attribuire. Soprattutto se avesse
dovuto
basarsi sulla reciproca conoscenza, tutt’altro che lieta.
Ciò
non gli impedì di rimirare come la
sua immagine fosse dolcemente sfiorata dalle luci del locale e dai
raggi di
luna, come apparisse in simbiosi con il brano struggente e malinconico
e come
lo sguardo sembrasse sfiorare lande inesplorate all’occhio
estraneo.
And
you can't fight the tears that ain't
coming
Or
the moment of truth in your lies
When
everything feels like the movies
Yeah
you bleed just to know you're alive.
Aveva
smesso lui stesso di seguire la
melodia, sostava semplicemente a contemplarne il viso conosciuto
eppure, per
qualche motivo, inedito, quasi appartenente ad una diversa
realtà. Quella di
Lima che lo vedeva ancora impegnato a vezzeggiare il suo sogno con
Blaine,
quello che lo vedeva ancorato a quella cittadina con tante ambizioni e
sogni
trattenuti in un cassetto, quasi timoroso di spiccare il volo per
lasciare alle
spalle ciò che vi era di solido.
Ciò
che si era dolorosamente
sgretolato, lasciandolo disarmato e incapace di difendersi o di
ricomporre quel
cuore che sembrò ormai compromesso.
In uno
stato di apatia nel quale, come
la canzone stessa recitava, soltanto il dolore sembrava una prova della
sua
esistenza. Di non essersi lui stesso annullato.
Nuovamente
il ritmo incalzante della
melodia lo sorprese e così l’ennesimo ritornello.
And
I don't want the world to see me
'Cause
I don't think that they'd
understand
When
everything's made to be broken
I
just want you to know who I am
Fu in
quel momento, probabilmente
suggestionati dall’ultimo verso (o questo era un clamoroso
ritorno del
sentimentalismo di Kurt) che Sebastian Smythe schiuse gli occhi e i
loro
sguardi si incrociarono.
Sembrò
che tutto si paralizzasse. Gli
altri avventori, la melodia, l’odore delle bibite, il brusio
di
accompagnamento, tutto sembrò congelarsi in quello sguardo
nel quale l’uno
sembrò fissare ed inchiodare l’altro sul posto.
Kurt si
domandò se, paradossalmente,
nel silenzio che gli aveva congelato il pensiero, Sebastian fosse in
grado di
percepire il suo battito alterato o se fosse soltanto la sorpresa a
farlo
reagire a tale maniera. Boccheggiò, ma prima che potesse
rispondere, la melodia
risuonò ancora una volta per gli ultimi versi.
I
just want you to know who I am.
Si
volse, senza guardarsi indietro,
improvvisamente colto da un’arsura inspiegabile di porre
distanza tra lui e
l’altro ragazzo e lasciarsi di nuovo abbracciare da quella
notte gelida.
Solo,
probabilmente come non mai.
~
La luna piena si specchiava nel laghetto del parco come un opalescente
ciondolo
che scintillasse nel buio e così le stelle che punteggiavano
il cielo. Trovava
quello spettacolo suggestivo seppur, solitamente, la sua contemplazione
avvenisse quando il cielo si tingeva di un color arancio dopo una lunga
giornata a lavoro e prima di tornare nel loft. Gli dava una sensazione
di pace
quello sguardo silenzioso, quasi di stasi da tutto il resto,
concentrandosi
soltanto su se stesso, tempo per riflessione. Quello che, tuttavia, in
quel
periodo stava disperando di evitare. Si strinse maggiormente nel
cappotto e un
lieve sospiro affiorò alle labbra, appoggiato al ponte di
pietra. Sentiva
nuovamente freddo e si pentì di non aver comprato un
caffè da portare con sé e
sorseggiare, si domandò se sarebbe rimasto sveglio per
assistere all’alba.
Ignorò
il suono di passi poco distante
fino a quando non percepì il calore di un bicchiere di
caffè appoggiato di
fronte a sé: sbatté le palpebre e,
l’attimo dopo, Sebastian Smythe si pose al
suo fianco e si appoggiò a sua volta alla balaustra.
Sorrideva
seppur non lo stesse
osservando direttamente e Kurt si domandò se non lo avesse
seguito fino a quel
punto, le sopracciglia inarcate prima di osservare il bicchiere e
rendersi
conto che conoscesse la sua miscela preferita.
Avrebbe
voluto chiedergli qualcosa al
riguardo ma fu Sebastian a precederlo:
“Non
è avvelenato” commentò con un
vago sorrisetto prima di sorseggiare il proprio.
Restò
nella stessa posizione prima di
scrutarne il profilo ma Kurt ignorò il bicchiere, ancora
domandandosi perché
Sebastian si trovasse lì, in quel momento. E
perché, nello specifico, lo avesse
seguito fin lì.
“Non
si salutano più i vecchi amici?”
aveva domandato, rompendo il silenzio con quella domanda posta a
mo’ di
provocazione e Kurt si era permesso di stringersi nelle spalle ma le
labbra si
erano leggermente contratte, l’angolo rivolto
all’insù.
“Non
mi sembra ti siano venute le
rughe dall’ultima volta che ci siamo visti” rispose
in tono pacato, voltandosi
finalmente ad osservarlo, il sopracciglio inarcato. “tanto
meno che potessimo
definirci amici”.
Sorrise
Sebastian, vagamente divertito
e a Kurt stesso sembrò di inspirare un’aria
diversa da quella che li aveva
sempre visti battibeccare per Blaine o l’arroganza con cui
Sebastian lo
apostrofava ad una maniera ironica e non poco celata, a ricordargli
quanto poco
contasse o quanto fosse poco degno di avere al suo fianco un simile
fidanzato.
Quasi
come un riflesso incondizionato,
si portò il bicchiere alle labbra, le schiuse e
saggiò il liquido caldo,
sospirò del calore che sembrò sciogliere quel
vago nodo in gola e Sebastian,
ancora al suo fianco, sorrise di riflesso.
“La
vita di New York ti ha reso
nottambulo, Miss Hummel?” un vago accento ironico
sull’intonazione finale della
domanda e Kurt si strinse nelle spalle.
“Più
o meno”. Rispose, suo malgrado.
Nessuna ironia, nessun intento sarcastico: pace e quiete tra un sorso e
l’altro
di caffè, come forse non ne saggiava da molto tempo.
Avrebbe
anche potuto dire addio al suo
sonno per quella notte, probabilmente, eppure, per qualche motivo,
neppure
sembrava importargli a quel punto.
“E’
un sollievo constatare tu sia
ancora così eloquente” lo apostrofò con
evidente ironia e entrambi gli angoli
della bocca di Kurt si contrassero in un sorriso divertito ma
sollevò appena il
bicchiere in sua direzione prima di voltarsi. Ignorò a quel
punto la visione
del lago e si appoggiò al muretto con la schiena.
“Il
mio silenzio ti esaspera?” aveva
domandato con intento altrettanto ironico ma Sebastian lo aveva
ignorato,
guardandolo di sottecchi.
“Non
tornerai a Lima?”.
Kurt a
quel punto si domandò se nella
domanda fosse sottinteso un riferimento a Blaine o se già
sapesse – come era
molto probabilmente se lui e Blaine si tenevano ancora in contatto (non
voleva
assolutamente chiederlo!) – quanto era accaduto tra loro. Era
piuttosto
persuaso che una simile notizia non gli sarebbe sfuggita, specialmente
se vi
fosse ancora dell’interesse – e se fosse solo
carnale o meno, Kurt decise di
concedergli il beneficio del dubbio (comunque non lo
interessava, si
ripeté) – nei suoi confronti.
Avrebbe
anche voluto dirgli che, a
quel punto, dubitava persino di poter ancora definire Lima la sua casa
quando
ogni elemento sembrava ricordargli una parte di se stesso, anzi un Kurt
Hummel
nel quale non poteva e non riusciva più ad identificarsi. Era come se fosse riuscito
a squarciare quel
velo ma, ciononostante, la malinconia sembrava continuare ad
artigliarlo
velenosamente fino a farlo quasi disperare di divincolarsi
completamente.
Tacque a
lungo prima di scuotere il
capo, finì il suo bicchiere di caffè e si strinse
nelle spalle, osservando i
fiocchi di neve che sembravano vorticare loro attorno con ancora
più intensità,
sospinti dalla brezza persino più gelida che aveva
già imporporato la punta del
naso di Kurt.
Osservò
il proprio respiro condensarsi
in una nuvola di fronte al proprio viso.
“Fa
più freddo” si sentì dire ma non
si stava riferendo soltanto al clima più rigido.
Si
domandò se, ancora una volta,
mentre lo scrutava, Sebastian potesse averne un vago sospetto.
“Andiamo,
Miss Hummel, ti accompagno a
casa”.
Non
aveva protestato, non aveva
neppure mostrato particolare timore o qualche valida protesta
all’idea che lo
accompagnasse: si era limitato a staccarsi dal muretto e cominciare ad
incamminarsi, Sebastian al suo fianco.
Non
parlarono durante il tragitto,
sembravano ognuno perso nel proprio silenzio eppure era una reciproca
presenza,
qualcosa di vagamente simile ad una situazione familiare, qualcosa che
lasciasse sfuggire Kurt dall’apatia che lo aveva
contraddistinto negli ultimi
giorni.
Soltanto
un anelito di maggiore
trepidazione quando estrasse le chiavi per aprire la porta del loft, si
volse
verso il giovane al proprio fianco.
“Grazie”
aveva sussurrato e sperò che
quella parola racchiudesse tutto: dal caffè alla sua
presenza silenziosa fino
anche a quel gesto più cavalleresco. Schiuse la porta ma
prima di entrare gli
rivolse un altro sguardo, le sopracciglia inarcate.
“Vuoi-?”.
Non ebbe
modo di formulare la
richiesta interamente, in verità neppure sapeva cosa gli
avrebbe esattamente
chiesto ma Sebastian lo precedette.
“Un
gentiluomo non entra al primo 'non
appuntamento'”. Aveva commentato e Kurt aveva ritrovato un
vago sorriso prima
di varcare la soglia della camera ma non poté chiudere la
porta perché
Sebastian si era avvicinato.
Lo aveva
visto chinarsi in sua
direzione e Kurt si era irrigidito: aveva sentito i propri battiti
divenire
persino più convulsi e il respiro accelerato mentre
un’ondata del suo profumo –
un profumo intenso ed inebriante – sembrava avvolgerlo in una
nuvola che lo
stordì e lo indusse, quasi, a socchiudere gli occhi. Schiuse
le labbra,
Sebastian e soffiò in un respiro caldo nel suo orecchio,
sufficiente, tuttavia,
a strappargli un brivido lungo la spina dorsale.
“Che
tu ci creda o meno, mi dispiace
per te e Blaine” si era scostato, un sorriso di fronte allo
sguardo interdetto
di Kurt, prima di stringersi nelle spalle come a sminuire il tutto.
“Mi
ha fatto piacere rivederti, Kurt,
buonanotte”.
Ne
osservò la nuca fin quando non
scomparve dalla sua vista e si chiuse la porta alle spalle. Si
adagiò contro di
essa, un vago sospiro e socchiuse gli occhi.
“Buonanotte”
sussurrò al soggiorno
vuoto prima di chiudersi nella propria camera da letto: senza degnare
di alcuno
sguardo la scrivania, si pose sotto le lenzuola e socchiuse gli occhi.
Sentì
nuovamente il profumo di
Sebastian, quel dolce sussurro e lo scintillio dello sguardo.
Finalmente,
dopo molti giorni, riuscì
ad addormentarsi serenamente.
Al
mattino, vi era una busta ad
attenderlo, evidentemente lasciata scivolare sotto l’uscio:
vi era scritto il
suo nome e la prese tra le dita con espressione confusa.
La sua
sorpresa parve persino più
marcata allo scorgere uno scontrino di una ben nota caffetteria
dell’Ohio e due
ordinazioni di caffè, uno dei quali corretto col cognac. Ma
fu la vista della
data a sorprenderlo: Novembre dell’anno precedente.
Il
giorno in cui aveva conosciuto
Sebastian, scorgendolo seduto al tavolo con Blaine: volse il
bigliettino e
lesse un messaggio scritto dietro.
Sì,
so come prendi il caffè anche se quel giorno eri troppo
impegnato a tenermi d’occhio per prendertene uno.
Prese
l’altro bigliettino nel quale
erano riportate delle parole scritte in sinuosa calligrafia, ancora
più
sorpreso nel riconoscere i versi della canzone in cui si era esibito la
sera
precedente.
I’d
give up forever to touch you.
I
don’t want to go home right now.
L’immagine
di Sebastian tornò vivida
nella propria mente: lo immaginò mentre, dopo essersi
assicurato che avesse
spento le luci, faceva dietrofront. Si fermava di fronte alla sua porta
e
lasciava quella busta.
Ma era
qualcosa di poco probabile,
avrebbe dovuto esservi una qualche premeditazione che non era
sicuramente
imputabile ad un incontro casuale come quello della serata precedente.
Non si
accorse del sorriso che ancora
gli increspava le labbra fin quando Rachel non gli chiese se avesse
fatto un
bel sogno.
“Più
o meno” rispose distrattamente ma
nascose la busta e cercò di non pensarci.
Non
più.
Non
troppo almeno.
Il
lunedì mattina sembrò sollevato
dalla propria buona volontà, fino a quando il postino non si
fermò di fronte
alla sua scrivania. Tolse l’auricolare e gli sorrise
prontamente, alzandosi:
“La
signora Wright al momento è in
riunione, ma può lasciare a me e le farò
avere-“.
“Per
la signora” aveva commentato il
postino porgendogli un fascio di lettere. “e… dove
posso trovare un certo Kurt
Hummel?”
“Sono
io” rispose confusamente: era sicuramente
la prima volta che riceveva posta col recapito del suo luogo di lavoro
e poche
persone erano a conoscenza di quell'indirizzo.
Osservò
la busta con espressione
incuriosita e, ignorando lo squillo incessante del telefono, la
stracciò a
cogliere una fotografia.
Ritraeva
molti giovani di sua
conoscenza con le uniformi della Dalton, Sebastian stava al centro
della stessa
e riconobbe la posa di un passo della coreografia durante la loro
performance
di “I want you back” alla quale aveva, suo
malgrado, assistito.
Sul
retro della fotografia vi era un
altro messaggio scritto.
La cantavo per
lui, è vero, ma era te che spiavo per assicurarmi
di essere perfetto. Ed ovviamente lo ero!
Un vago
sollevare gli occhi al cielo
seppur continuasse a sorridere tra sé e sé, prima
di prendere il secondo
cartiglio tra le dita.
Altri
versi, la stessa canzone.
All
I can taste is this moment
And
all I can breathe is your life
Lo
rimirò a lungo, quasi sperando che,
dietro quei versi e quelle parole scribacchiate dietro la fotografia,
vi fosse
un significato. E che quel significato riuscisse ancora a farlo
sorridere, come
non avveniva da troppo tempo. Era come se l’incontro con
Sebastian e tutto ciò
che ne era seguito, fosse parte di una parentesi dalla sua esistenza,
qualcosa di
nuovo e sconosciuto ma che, tuttavia, aveva un dolce calore
rassicurante.
Dopo
giorni di buio e di apatia,
sembrava poter nuovamente sperare.
Non era
forse quello uno dei
significati del Natale?
Evidentemente no, si rispose da
lì a poche ore quando
Rachel gli comunicò che i suoi papà sarebbero
giunti a New York e con loro si
sarebbe trattenuta tutta la giornata.
Certo,
era qualcosa di legittimo ma
aveva sperato di non dover soffrire da solo l’apatia di
quella lunga giornata
quando non si aveva qualcuno con cui trascorrerla. Si sentì
anche in colpa
quando, alla sua proposta speranzosa, di trascorrere la giornata coi
Berry,
aveva declinato l’offerta, mentendole circa una visita del
padre dell’ultimo
momento ma non avrebbe sopportato, anche quel giorno, di sentirsi
compatito.
Non
avrebbe neppure avuto voglia di
alzarsi quel mattino ma era solo in nome del suo buon senso che non
avrebbe
trascorso la fatidica giornata di Natale standosene a letto. Sarebbe
stata
un’ottima occasione per esplorare nuovamente la
città o poter avere tempo per
sé (che ne avesse avuto fin troppo, fino a quel momento,
cercò di ignorarlo).
Entrò
nel soggiorno ancora in
vestaglia – almeno il lusso della colazione in pigiama
avrebbe potuto
concederselo, si disse – ma si bloccò alla vista
della consueta busta che era
stata lasciata passare dalla sommità della porta. Ma quel
mattino era di un
rosso acceso con un fiocco verde.
“Tradizionalista”
aveva commentato con
un vago sorriso e si era chinato a raccoglierla: tenne un palmo aperto,
in
attesa dei cartigli ma questa volta a parte il cartiglio, vi fu un
oggetto
solido che rimirò con occhi sgranati.
Una
chiave d’ottone: un biglietto le
era stato legato attorno con un indirizzo corrispondente ad un bel
quartiere di
New York che conosceva solo in virtù delle sue giornate
dedite allo shopping.
When
everything feels like the movies
Yeah
you bleed just to know you're alive.
I
just don't want to miss you tonight.
Recitava
il biglietto e Kurt sentì il
battito incrementare: gli parve di riuscire a cogliere tutto il
significato di
quei messaggi, gli parve di riuscire a dare un significato a
quell’insperato
ritrovamento e ciò che ne era derivato. Osservò
il retro del cartiglio, cercò
un’altra spiegazione a quella sorta di implicito invito ma
non ne trovò.
Gli
aveva dato la possibilità di
scegliere: a lui la decisione di ignorare quello che sembrava un
fatidico
incontro e tutto ciò che ne era seguito. Oppure, a lui la
decisione di
raccogliere ogni gesto e cercare una spiegazione o fingere non fossero
una
dedica.
Sorrise
ironicamente a rileggere quei
due versi: sì, sembrava una situazione da film ma qualcosa a
cui, stranamente,
si sentiva soggiogato, una dimostrazione che tutto fosse reale. Che non
si
stesse lasciando semplicemente trascinare dal dolore ma potesse
prendere una
reale decisione o lasciarsi andare.
Scosse
il capo e si diresse con
incedere fluido verso la propria camera.
Aveva
fornito l’indirizzo al
conducente del taxi con voce ferma e sicura.
“Natale
in famiglia?” gli aveva
chiesto questi con tono annoiato mentre si fermavano ad un semaforo e,
con non
poco fastidio di Kurt, aprì il finestrino per gettare fuori
una tirata del suo
sigaro puzzolente.
“Una
sorta” fu la laconica risposta ma
ringraziò non fosse in vena di ulteriori convenevoli, gli
lasciò la mancia –
che non avesse ad infettarlo con qualche moneta estratta da un
portafoglio
cosparso di ceneri di sigari di pessima marca – e
rimirò la strada in cui si
era fermato.
Sospirò,
la mano guantata stringeva il
piccolo vassoio di muffin e di dolci che si era premunito di comprare
prima di
compiere il tragitto.
Occorsero
diversi istanti di
contemplazione del portone prima di avvicinarsi: mirò
confusamente il
campanello. Sarebbe stata buona educazione segnalare la propria
presenza ma era
stato Sebastian stesso a lasciargli una copia delle chiavi di casa.
Si
posò il vassoio sull’altra mano ed
estrasse la chiave che insinuò nella toppa e la serratura
girò subito mentre
entrava nell’appartamento e si chiudeva la porta di ingresso
alle spalle.
Era non
poco curioso constatare quanto
quell’azione sembrasse qualcosa di familiare e quotidiano,
come se fosse sempre
appartenuto a quelle pareti e lui e Sebastian condividessero quella
realtà.
Rimase per un istante fermo sulla soglia, in attesa che il padrone di
casa
venisse ad accoglierlo e lasciò vagare lo sguardo sulle
pareti chiare.
Non vi
erano fotografie personali a
quanto poté constatare in prima istanza, tanto da poter
cominciare a temere in
uno scherzo di pessimo gusto ma si decise ad inoltrarsi nella stanza
fino a
fermarsi di fronte all’ala del soggiorno.
Un bel
fuoco era stato acceso, un
albero di Natale con decorazioni argentate posto ad un angolo della
stanza e
tutto rimandava ad un’idea di calore e di vissuto che Kurt
restò immobile di
fronte al bel divano di pelle bianca solo per assaporare quel momento.
Fino a
quando dei passi non si
palesarono e, finalmente, si volse a rimirare Sebastian: indossava un
bel
maglione scuro abbinato ad un paio di jeans e aveva i capelli
acconciati come
quella famosa sera. Più lunghi di come li ricordava ma
tirati leggermente
all’indietro così da metterne in risalto i tratti
del suo viso, cesellati
sull’alabastro levigato soltanto sulla piccola scia di nei
sulla guancia.
Fu un
momento di stasi quello in cui
si rimirarono senza battere ciglio prima che Sebastian affondasse le
mani nelle
tasche dei pantaloni.
“La
cioccolata è pronta” esordì come
fosse una frase di effetto ma Kurt gli fu grato non vi fosse qualche
commento
ironico o allusivo a quella situazione sempre più insolita
eppure così reale da
spezzargli il fiato.
“Ho
preso dei muffin” rispose a sua
volta, porgendo il vassoio e Sebastian si allungò a
prenderlo: fu un solo
istante in cui la sua mano sfiorò quella guantata di Kurt e
sentì un brivido
scivolare lungo la spina dorsale. Si perse in quello sguardo smeraldino
ma si
schiarì la voce.
“Togliti
il cappotto e raggiungimi in
cucina” gli aveva indicato la sala da cui era entrato e lo
aveva lasciato
nuovamente solo.
Kurt
trasse un profondo respiro ma
tolse la sciarpa, il cappotto e i guanti e li adagiò sul
bordo del divano dopo
averli accuratamente piegati.
Abbracciò
nuovamente con lo sguardo
quella stanza: dondolò appena il busto e sorrise.
Non era
proprio il significato
convenzionale di famiglia ma sì, aveva un sapore di casa,
quello che non
avrebbe trovato neppure restando solo nel proprio loft per tutta la
giornata.
~
Discussero
su tutto: da quale fosse un
pranzo idoneo per una ricorrenza come quella (Kurt aveva strillato al
sentirlo
proporre qualcosa di surgelato) fino anche a quale fosse un film
tradizionale
da rimirare una volta che si fossero accomodati sul divano.
Sentì lo sguardo di
Sebastian su di sé per gran parte del tempo ma anche quando
egli coprì entrambi
con una coperta di calda e si avvicinò per includerlo in
quel beneficio, non si
ritrasse e non protestò.
Avevano
trascorso quella giornata
insieme ma era come se stessero soltanto condividendo uno spazio comune
senza
intromettersi nei pensieri dell’altro eppure era da tanto che
Kurt non percepiva
quella pace. Quel senso, ed era paradossale pensarlo!, di appartenenza
ad un
posto o ad un momento come quello.
Il film
era finito e aveva sentito le
proprie membra appesantirsi ma era stato quando Sebastian si era alzato
ad
estrarre il dvd dal lettore, che si era sentito, finalmente, chiedere.
“Perché
sono qui?”.
Fu un
lungo momento di silenzio prima
che Sebastian si volse: doveva essersi aspettato quella domanda ma
comunque non
dimostrò curiosità sul perché fosse
stata così posticipata. Un sorriso gli
increspò le labbra, strinse le spalle in quella che Kurt
immaginò essere una
posa difensiva, prima che si stringesse nelle spalle.
Abbozzò
un’espressione più guardinga.
“Vuoi
davvero sentirmelo dire?” aveva,
infine, chiesto con tono quasi cauto e Kurt aveva sentito una vampata
di calore
che sembrò fermargli il cuore per un lungo istante.
Non
riuscì bene ad interpretare quella
domanda: se gli stesse chiedendo una sorta di permesso a pronunciare
una frase
che potesse cambiare le cose o se stesse semplicemente sperando lui
stesso di
non complicarle con una consapevolezza che avrebbe immortalato le loro
memorie.
Boccheggiò
ma continuò ad osservarlo
anche quando prese posto di nuovo al suo fianco, senza tuttavia
invadere il suo
spazio personale.
Fu Kurt,
questa volta, a sollevare la
coperta per adagiarla anche su di lui e si pose di un fianco, la mano a
sostenersi la guancia. Seppe di dovergli molto e non lo avrebbe
costretto a
pronunciare parole che lo avrebbero fatto sentire vulnerabile o
avrebbero
compromesso quella che era stata una giornata trascorsa insieme.
La
fatidica e temuta mattina di
Natale.
“Non
so se sono pronto per… fidarmi di
nuovo di qualcuno o-”.
Sebastian
scosse il capo, fu lui a
sorridere in modo rassicurante come nessun altro aveva saputo fare con
altrettanta intensità, sufficiente a farlo sentire bene. A
fargli sentire di
non essere solo ad affrontare quel momento.
“Finisci
di passare la giornata con
me” si limitò a dire e così Kurt fece.
Quando
si svegliò, molte ore dopo, non
riconobbe i contorni della camera da letto: constatò di
essere ancora vestito e
ciò sarebbe stato giustificabile solo in caso di influenza
o… si era volto
dall’altra parte del letto dove Sebastian,
anch’egli ancora con gli abiti del
giorno, riposava con il volto affondato nell’altro cuscino
del letto
matrimoniale.
Scrutò
il soffitto a lungo, cercando
di non concentrarsi sul respiro di Sebastian e di non pensare
all’ultima
circostanza nella quale aveva ospitato Blaine nel suo letto.
Cercò di non
pensare ancora una volta ma quando si sollevò dal materasso,
fu quasi con un
sorriso commosso che sentì le parole di Sebastian.
“Non
sei obbligato ad andartene se non
vuoi”.
Si
volse, il busto sollevato e lo
rimirò dall’alto, il viso inclinato di un lato ma
sorrise, finalmente.
“Lo
so” aveva sussurrato e si era
nuovamente steso a sua volta, si era posizionato di un fianco e
così anche
Sebastian.
Avevano
litigato su chi dovesse
alzarsi a preparare o meglio comprare una colazione decente ma, di
fatto, erano
rimasti insieme tutta la mattinata fino a quando Kurt non aveva
più potuto
sopportare il non poter avere un ricambio. Aveva fulminato Sebastian
quando gli
aveva detto sfacciatamente che non avrebbe avuto alcun problema a
prestargli
anche un paio di boxer ma questi aveva sorriso.
Gli
aveva pizzicato il naso.
“Era
da tanto che non mi guardavi come
se volessi uccidermi”.
Kurt
aveva sollevato gli occhi al
cielo, un verso di divertimento.
“Si
torna alle abitudini” si
giustificò con finta indifferenza.
“Voglio
ben sperarlo” aveva replicato
l’altro, stringendosi nelle spalle.
Era
stato un momento di tensione
quello in cui Kurt aveva estratto le chiavi del loft e ne aveva schiuso
la
porta, per poi rimirare il giovane. Aveva voluto rompere gli indugi e
si era
stretto nelle spalle onde evitare domande e situazioni compromettenti.
Si era
limitato ad un vago sorriso.
“Un
gentiluomo entrerebbe al secondo
‘non appuntamento’?” aveva chiesto e
Sebastian aveva sorriso a sua volta ma
aveva scrollato le spalle e aveva scosso il capo.
Kurt
aveva cercato di ignorare quel
singulto in petto simile a… dispiacere.
“Non
adesso” aveva bisbigliato e si
era chinato in sua direzione quando aveva schiuso la porta: aveva
indugiato a
pochi millimetri dal suo viso ma aveva chiuso gli occhi e poggiato le
labbra
sulla sua guancia. Un gesto tanto innocente e delicato ma Kurt
percepì comunque
il battito divenire più intenso e un singulto
d’emozione sgorgare dalle labbra.
“Ciao
Kurt” aveva sussurrato, infine
ma era stato il momento dell’altro ragazzo di trattenerlo per
il braccio. Si
era premuto sulla sua schiena e aveva sentito Sebastian sussultare nel
mezzo
del corridoio prima che, lentamente, si voltasse in
quell’abbraccio quasi
struggente.
Aveva il
viso premuto spasmodicamente
sul suo petto, stava tremando quasi timoroso di compiere un qualunque
gesto, ma
quando Sebastian ne sfiorò la guancia in un movimento
rassicurante, i suoi
occhi di smeraldo si fusero in quelli di zaffiro.
Fu un
istante quasi febbrile quello in
cui Kurt si sollevò sulle punte, ne artigliò
delicatamente la guancia e
Sebastian si chinò fin quando le labbra di Kurt non si
premettero alle proprie.
Un
respiro tremulo, sentì le braccia
di Kurt artigliargli il collo e lo trattenne come sembrò
disperatamente
richiedere. Premette a sua volta le labbra, un altro respiro.
Un altro
momento, prima che si
scostasse e Kurt lo rimirasse con le guance arrossate e le labbra
ancora
tremanti. Innocente e quasi timoroso, malgrado fosse stata la sua
determinazione ad avvincere quel momento di sospensione.
Non
sembrò farvi caso Sebastian,
sfregò appena il naso al suo.
“Sai
dove trovarmi, se vuoi” sussurrò
soltanto e Kurt annuì, si costrinse a lasciarlo andare ma
continuò a scrutarlo
fin quando non scomparve dalla sua vista.
~
Indugiò
più a lungo sotto le coperte
quella mattina, una parte di sé sperava probabilmente di
serbare una traccia di
quel calore che non lo aveva più abbandonato da che quel
bacio sembrava aver
lasciato un’impronta nel suo stesso animo.
Non
restava che attendere, qualsiasi
cosa a quel punto.
Si
sollevò dalle lenzuola solo quando
la sveglia annunciò che era giunto il momento di dedicarsi
alle proprie
faccende: si preparò una rapida colazione, si
vestì per uscire ma si bloccò di
fronte alla porta alla vista di una busta vicino alla porta.
La prese
tra le dita quasi con
trepidazione e ne estrasse quello che rimirò con
sopracciglia inarcate: un
foulard nero con pois bianchi che rimirò con un vago sorriso
nello scuotere il
capo. Osservò il cartiglio e ne lesse il verso della
canzone, trascritto con
calligrafia più elegante.
I
know that you feel me somehow.
Lo
rigirò tra le dita e scorse l’altro
messaggio.
Compra il
caffè: la terza volta dovrebbe essere il “non
appuntamento” ideale per entrare.
Sorrise
Sebastian ed uscì
dall’appartamento dopo aver spento le luci
dell’albero di Natale.
Ed
eccoci qua, mi sembra incredibile che siamo già alla
metà di questa week, così
come ancora devo realizzare che la prossima settimana sarà
Natale. Sarà perché
dovremmo ingaggiare tutti gli elfi di Babbo Natale per preparare albero
e
presepe (mostruoso ritardo, lo so).
A
proposito di Babbo Natale, appuntamento a domani con “Santa
Claus and the
reindeer”.
Un
ringraziamento a tutti coloro che leggono, inseriscono tra
preferite/seguite/ricordate; come sempre un abbraccio stritolante alla
mia
Sebastian che ringrazio di tutto, anche delle consolenze linguistiche
(e terrorizzate) dell'ultimo minuto! ♥
A
domani,
Kiki87
|
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Capitolo 5 *** Santa Claus and The Reindeer - Is Santa Claus coming? Isn't he? ***
Eccomi qua, dopo un
Sabato mattina in città per gli ultimi acquisti, ma prevedo
un pomeriggio di completo relax!
Ma veniamo a noi...
Visto che mi lamento
sempre della traccia o di problemi logistici miei (molti), questa
è stata piacevolissima da scrivere, non fosse altro
perché ho potuto, per la prima volta, sbizzarrirmi con un
nuovo espediente. Spero la resa sia come le aspettative.
Ancora ringraziamenti ai
lettori e un saluto con unicorno galoppante per la Sebastian.
Un ringraziamento anche
a mia sorella, Ciuffo
Jonas, che ha betato rileggendo il tutto (sì,
si stava annoiando :D)
E buona lettura! :)
You better watch out
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming
to town
He's making a list,
And checking it twice;
Gonna find out Who's
naughty and nice.
Santa Claus is coming
to town
He sees you when
you're sleeping
He knows when you're
awake
He knows if you've
been bad or good
So be good for
goodness sake!
(Scritta
da J. Fred Coots, Henry Gillespie, 1934)
Santa Claus And The Reindeer
Is Santa Claus
coming? Isn't he?
Canticchiava a ritmo con le
canzoni trasmesse alla radio mentre, il grembiule stretto intorno alla
vita, sfornava l’ennesima teglia di biscotti. Il dolce aroma
si diffuse nella cucina con un languido richiamo cui una mano maschile
non poté resistere: fu rapido il movimento con cui
cercò di agguantare uno di quegli esemplari di pastafrolla
su cui era spruzzato dello zucchero a velo.
Fu
prontamente fermato: un piccolo urto con il mestolo di legno ed un
gemito misto ad un’imprecazione soffiata tra i denti.
Kurt
dispose tutti i biscotti in un piatto di ceramica dalle decorazioni
natalizie su cui aveva disposto anche, a motivo ornamentali,
delle piccole candele sopra le foglie di agrifoglio e, tenuto
lontano con un braccio la mano del marito, aveva lasciato cadere una
misurata quantità di biscotti in ognuno dei tre piatti. Solo
allora si era tolto il grembiule e aveva sorriso con un movimento di
spalle che aveva simboleggiato tutto il suo compiacimento personale.
Fu
la volta dell’altro di sollevare gli occhi al cielo e
prendere, senza troppi complimenti, il piatto che – a prima
occhiata distratta – era il più nutrito. Kurt
rimase in attesa fino a quando non schiuse le labbra, lo sguardo
smeraldino emanò uno scintillio soddisfatto.
“Davvero
niente male” aveva commentato Sebastian che, postosi alle sue
spalle, ne aveva cinto la vita con un braccio per attirarlo
maggiormente a sé e poi sussurrargli all’orecchio.
“… proprio come il fondoschiena di chi li ha
preparati e che ho osservato tutto il tempo”.
“Sebastian”
protestò debolmente Kurt, lo sguardo azzurro volto alla
tavola della sala da pranzo quasi a sincerarsi di non aver attirato
l’attenzione ma la bambina sembrava completamente assorta dal
suo compito.
Aveva
inclinato il viso di un lato e l’aveva osservata con un
sorriso intenerito: il visino delicato, dai lineamenti cesellati, era
modellato in un’espressione corrucciata che evidentemente
stava rivolgendo al proprio quaderno con gli esercizi di matematica, la
materia nella quale zoppicava maggiormente. Ma era sempre stata un
tipino tenace e non era raro che, negli occhi azzurri, si sprigionasse
una determinazione e testardaggine che ricordavano così
tanto le proprie. Si stava tormentando i capelli con la mano libera
malgrado fossero stati raccolti in una sontuosa treccia a spiga, la
matita nell’altra mano e un sospiro a sfuggirle dalle labbra
imbronciate.
“Sissy,
amore, i biscotti sono pronti” la informò una
volta che si fu divincolato dolcemente da Sebastian che si
appoggiò svogliatamente al balcone della cucina, riprendendo
a mangiucchiare i propri.
“Non
disturbarla, amore” calcò il vezzeggiativo.
“I compiti sono importanti: magari me li mangio io i suoi
biscotti, non sia mai che vadano sprecati” aveva commentato
con espressione velatamente provocatoria ma la bambina neppure
sembrò udirlo.
Si
scambiarono uno sguardo confuso: la golosità della bambina
era seconda soltanto al suono tono lamentoso quando Sebastian usava una
simile provocazione.
“Devono
essere compiti difficili” aveva convenuto Kurt con un vago
sorriso mentre, dopo aver preso rapidamente i due piatti rimasti con un
sorriso di sfida al marito, si allontanava per raggiungerla.
“Pausa
biscotti” aveva commentato allegramente, deponendo il piatto
sulla tavola ma evidentemente la piccola era persino più
concentrata di quanto gli fosse sembrato in prima istanza
perché sussultò visibilmente e rimirò
il padre con occhi sgranati e le guance arrossate.
Si
sedette al posto accanto al suo e ne controllò il quaderno
con sopracciglia inarcate nel rendersi conto che non aveva eseguito
nessuno degli esercizi assegnategli, in compenso aveva disegnato fiori
e case. La bambina arrossì visibilmente ma Kurt si sporse a
sfiorarle la gota, un sorriso rassicurante.
“Vuoi
che ti aiuti?”.
Sissy
non ebbe tempo di rispondere: il vagito del bambino riempì
la stanza e si volsero ad osservare Sebastian che, con espressione
pomposamente compiaciuta, si chinava sulla culla per prendere il
bambino tra le braccia.
Una
smorfia gli solcò le labbra mentre tratteneva il bambino per
le ascelle, fissando il marito.
“Credo
che tu debba cambiarlo”.
Kurt
aveva sollevato gli occhi al cielo, si alzò dopo aver
baciato la fronte della bambina con un “torno
subito” e si avvicinò al marito mentre il piccolo
Nicolas1 continuava a piangere e Sebastian lo tratteneva a distanza,
quasi temendo che potesse in qualche modo contaminarlo.
“Che
succede, amore?” aveva commentato Kurt, sporgendosi a
prendere il bambino tra le braccia e stringendoselo al petto.
Scrutò negli occhi smeraldini che, appena intravisto il suo
viso, si dilatarono: si placò quasi istantaneamente e
continuò ad osservarlo, emettendo un verso labiale simile ad
un’approvazione, la mano cucciola che cercava il viso di Kurt
che ne baciò delicatamente la mano. Quest’ultimo
rivolse uno sguardo compiaciuto al marito che si strinse nelle spalle.
“Non
è carino rinfacciarmi che sei il genitore preferito ma
dovresti ringraziarmi: ha ereditato sicuramente da me
l’adorazione per te”. Commentò in tono
saputo, le braccia incrociate al petto e lo sguardo corrucciato.
Kurt
si concesse persino di ridacchiare.
“Mon
petit enfante prodige2” sussurrò baciandone
nuovamente la fronte e cullandolo delicatamente. Lo sguardo
azzurro si volse alla tavola per poi sgranare gli occhi quando si rese
conto che, nel frattempo, la bambina era uscita rapidamente dalla
stanza, portando con sé il materiale scolastico. Sebastian
ne seguì lo sguardo ma si volse ai biscotti.
“Non
è carino rifiutare i biscotti di papà, ci penso
io”.
“Qualcosa
non va” commentò Kurt, invece, più
pensieroso.
“Solo
perché non le piacciono i tuoi biscotti?”.
Domandò in tono volutamente provocatorio mentre allungava
nuovamente la mano verso il piatto intatto della bambina.
Kurt
lo scrutò stizzito, scostando i biscotti con la mano libera.
“Vai
da lei”.
“Cosa?”
aveva protestato. “Lo sai che non sono io
‘Papà tenerezza’”.
“Bene,
se preferisci cambiare il pannolino di Nicolas”. Aveva fatto
per porgergli il bambino che si era aggrappato maggiormente alla
camicia di Kurt, evidentemente per nulla intenzionato a scostarsi
adesso che lo teneva tra le braccia.
“Lei
ama il suo papà” rispose prontamente Sebastian, il
tono molto più suadente ed accattivante.
“Sono
sicuro che mi parlerà di tutto ma se mi confida che ha una
cotta per qualcuno, non te lo dirò”.
“Grazie”
aveva sorriso divertito appoggiando il bambino sul fasciatoio e
prendendo tutto l’occorrente per cambiarne il pannolino.
“e comunque si chiama Brian il bambino per cui ha una cotta,
nel caso ti servisse saperlo”.
Sebastian
si accigliò ma non gli rispose, affondò le mani
nelle tasche dei pantaloni e salì al piano superiore con uno
sbuffo.
Gliel’avrebbe
fatta vedere al marito che era perfettamente in grado di gestire la
situazione.
E
poi chi diavolo era quel Brian?
~
Percorse
il corridoio con passo svogliato, lo sguardo che vagava distrattamente
sulle pareti che raccontavano di quegli anni di convivenza con Kurt.
Ogni dettaglio, dalla tappezzeria ai quadri decorativi, raccontavano di
un rapporto divenuto sempre più solido nel tempo senza mai
smarrire l’essenza stessa del loro dialogo: quella
complicità inframmezzata di ironia e di reciproche
attenzioni e neppure la nascita dei figli aveva cambiato
quell’equilibrio.
Doveva
ammettere (a nient’altri che se stesso, ovviamente) che la
prospettiva di divenire padre lo aveva letteralmente terrorizzato: e se
le prime preoccupazioni riguardavano il poter maneggiare creaturine
tanto delicate e fragili, non credeva che sarebbe stato semplice avere
a che fare con un piccolo se stesso, magari con gli stessi vizi, gli
stessi difetti e le stesse grane che lui aveva dato per anni ai
genitori. Oltretutto, quale esempio avrebbe mai potuto essere in quanto
“figura adulta” e la fiducia che, invece, Kurt
riponeva e aveva sempre riposto nei suoi confronti era suggestiva
quanto preoccupante. Il timore, per quanto non dichiarato di non
riuscire completamente nel proprio intento, di poterlo deludere
sembrava paralizzarlo ma poi era stato qualcosa di naturale, qualcosa
in cui non solo aveva scoperto di poter avere una certa dimestichezza
– malgrado ancora fosse restio ad ammetterlo – ma
che gli piaceva.
O
forse era stato prendere Sissy tra le braccia la prima volta: molti
ricordi erano sbiaditi come fotografie ingiallite ma non avrebbe mai
dimenticato l’emozione di scorgere quello sguardo innocente,
intenso. Era come se fosse riuscita, fin dal primo istante, a scorgere
nel profondo di se stesso e con una dolcezza e docilità
struggenti: il modo in cui si era abbandonata tra le sue braccia al
riposo. Scorgere incastonati, nel suo visino di porcellana, quello
stesso paio di occhi di quell’azzurro striato, poi, era stato
probabilmente l’affondo finale. Avrebbe potuto dargli del
filo da torcere se, assumendo quei sghiribizzi da signorina (un terrore
che già assaggiava quando vedeva Kurt leggere riviste di
dubbio orientamento sessuale), avesse cominciato a far leva su moine;
allora sì che avrebbe dovuto cercare di adottare quella
scorza che aveva sempre anteposto prima che Kurt facesse breccia al suo
interno.
Scosse
il capo, guardando la porta della cameretta: si morsicò il
labbro per un istante.
Straordinario
come compiere un gesto relativamente semplice come estendere il braccio
di dieci centimetri per raggiungere il pomello della porta, sembrasse
straordinariamente arduo. Adorava Sissy ma tra i due poteva anche
ammettere un limite: era sicuramente Kurt il papà
comprensivo, quello che sapeva ascoltare i drammi di una bambina di
sette anni e porvi rimedio, era lui che avrebbe saputo cullarla e
rassicurarla.
E
avrebbe dovuto far parte della divisione dei beni: lui era stato il
papà da interpellare durante gli incubi, quando credeva che
vi fosse un mostro dentro l’armadio o quello per cui la
bambina avrebbe dovuto provare un attaccamento degno del Complesso di
Elettra3; Kurt era quello che la vestiva, la pettinava, la rassicurava
e la consigliava: la parte materna, insomma. Più o meno.
Perché sovvertire le regole di un matrimonio, quelle che
poi, in senso simbolico, rappresentavano il vivere civile?
Con
quei profondi pensieri, scosse il capo e, finalmente, schiuse la porta
della camera della bambina.
Mhm,
forse prima avrebbe dovuto bussare prima. Ma era il padre, dopotutto,
queste regole non avrebbero dovuto valere anche per lui.
“Sissy?”
ne vide la sagoma minuta adagiata sotto la pesante coperta che Kurt
aggiungeva nelle notti più fredde, volendosi assicurare che
fosse abbastanza al caldo e che, personalmente, lo facevano sudare come
dentro un forno. Tanto più che c’erano metodi
molto più piacevoli per anelare ad un meritato calore.
Concentrazione,
Sebastian.
Si
avvicinò al materasso: la bambina non aveva risposto ma
quando adagiò la mano sulla sua schiena esile e delicata ne
percepì il sussulto. Non ci mise molto a comprendere che
stesse trattenendo i singhiozzi. Fu con voce più accurata
che, allora, ne pronunciò nuovamente il nome e
sollevò delicatamente la coperta: allora ne sentì
il singhiozzo tremante mentre il moto di dolore riusciva finalmente ad
emergere.
Lo
sguardo smeraldino sembrò perdere quel moto di timore:
rilucette di vera e propria determinazione mentre, ad una maniera
simile a quella che adottava con Kurt in situazioni simili, ne prese
delicatamente le spalle e l’attirò al suo petto.
La sentì artigliarsi al suo petto con la forza della
disperazione mentre vi premeva contro il visino: sentì i
suoi battiti più agitati e se
l’appallottolò al petto, sfiorandone i capelli e
baciandone la fronte.
“Schhh,
va tutto bene” le sussurrò all’orecchio
ed attese che la foga iniziale del pianto si esaurisse fino a quando
non silenziò tra le sue braccia: era ancora agitata ma aveva
smesso di emettere quei versi strozzati di dolore. Fu allora che le
sollevò delicatamente il mento fino a quando non
incrociò nuovamente il suo sguardo, arrossato. Una visione
che se già era dolorosa nello scorgerla sul volto del
marito, in quel momento era dilaniante, soprattutto il timore di cosa
ne avesse avvelenato la mente e il cuore fino ad indurla in quello
stato d’animo.
La
bambina si portò timidamente la manina al viso a scostare le
ultime lacrime mentre Sebastian le sfiorava la gota.
“Cosa
è successo, Sissy?” aveva chiesto, infine, lo
sguardo di smeraldo più attento e concentrato sul viso della
bambina che aveva fuggito il suo sguardo. Si era morsicata il labbro in
un modo che gli ricordava lo stesso nervosismo di Kurt e lo stesso
dondolarsi impacciato – diverso dal dondolamento di
entusiasmo e/o euforia – e gli sembrò fosse
persino arrossita.
Oh,
Dio, no. Fa’ che non sia di quel Brian che vuole parlare.
Sospirò
ma, cosa avrebbe detto Kurt in questo caso?, si schiarì la
gola.
“Puoi
parlarmi di qualsiasi cosa” aveva commentato e si era
sorpreso lui stesso del suono più dolce, modulato e delicato
che le sue corde vocali erano state in grado di produrre ma
pensò fosse più che naturale dopo averne
incrociato lo sguardo.
La
bambina sospirò ma infine annuì più
decisa: le sue piccole spalle si afflosciarono come se sentisse un peso
enorme opprimerla.
“Hannah”
pigolò infine, pronunciando il nome di quella che Sebastian
immaginò fosse una compagna di scuola. Annuì come
ad incoraggiarla silenziosamente a continuare la frase ma la bambina si
irrigidì e lo guardò nervosamente.
“l-lei dice che Babbo Natale non verrà qui da
noi” aveva commentato con voce più stridula e
Sebastian si era costretto a sbattere le palpebre.
Tutto
qui?
Si
rimproverò per il pensiero, la voce della coscienza
somigliava in modo inquietante a quella di Kurt e aggrottò
le sopracciglia ma scosse il capo con vigore.
“E
perché mai Hannah avrebbe detto una cosa del
genere?” indagò, le braccia incrociate al petto e
il sopracciglio inarcato: la stessa espressione con cui, di solito,
fingeva di scrutare un mostro prima di cacciarlo
dall’armadio, dopo una lotta lunga ed estenuante nella quale
si gettava sul pavimento, imitando qualche contorsione che faceva
sempre stringere Sissy al collo di Kurt che sollevava gli occhi al
cielo a celare il divertimento.
A
quel punto lo sguardo della bambina sembrò farsi
più addolorato: vi era una serietà e una
profondità che lo fecero istintivamente irrigidire e che
sembravano davvero inadatti ad un viso ancora così puerile
ed innocente, a quei boccoli color mogano e quella lieve spruzzata di
efelidi sul nasino. Sissy aveva stretto con i pugni la gonna alla
marinara prima di sollevare di nuovo lo sguardo su Sebastian.
“P-Perché
dice che non ho una famiglia normale” aveva esalato, infine,
la voce nuovamente rauca e quella frase sembrò congelare
l’intera stanza.
Sebastian
si sentì intirizzire: sembrava qualcosa di così
orribile e deturpante se pronunciato da quelle labbra di fragola, in
quella cameretta che raccontava di una bambina cresciuta
nell’amore e nelle cure di due persone che si erano scelte
per un sentimento vero e profondo. Era come se, improvvisamente, la
gabbia dorata che racchiudeva la piccola da un mondo spesso troppo
ipocrita e superficiale per la sua innocenza puerile e dolce, si fosse
sgretolata ed ella stessa potesse perdere quella fiducia
incondizionata. Non avrebbe dovuto accadere, si disse.
Non
proprio in quel periodo dell’anno che, suo malgrado, era da
sempre considerato qualcosa all’insegna della famiglia e
dell’amore e di tutte quelle cose smielate di cui Kurt era
solito cantare con Blaine per i corridoi della Dalton o del McKinley?
La
bambina sembrò irrigidirsi al suo stesso silenzio e
all’espressione più corrucciata che ne aveva teso
i lineamenti ma appoggiò la mano su quella del padre.
“Sei
arrabbiato?” aveva chiesto in un pigolio così
dolce e tremante che Sebastian sentì qualcosa rompersi
dentro di sé malgrado cercasse di mantenersi composto e
tranquillo.
“Mi
dispiace, papà, io lo so che non è vero,
io-” aveva ripreso a tremare e Sebastian aveva scosso il capo
prima di stringerla nuovamente tra le braccia. Affondò il
mento contro i suoi capelli.
“Non
sono arrabbiato con te, scricciolina” aveva sospirato quella
sorta di nomignolo che l’aveva fatta sorridere mentre lo
sguardo smeraldino si adombrava prima di scostarla per alzarle
delicatamente il mento.
“Qualunque
cosa dica questa Hannah o chiunque altro, può
anche-”
…
andare a farsi fottere.
No,
non era una frase adatta.
“…
non importa, Sissy, perché tu sai che una famiglia
è fatta d’amore e” la fronte si era
increspata a cercare altre parole di quella stessa risma, con la stessa
dolcezza. “… noi tutti ti amiamo e sarà
sempre così”.
Ma
sembrò sufficiente perché la bambina ne cinse il
collo con un sorriso più spensierato e si strinse al suo
petto, gli occhi adesso socchiusi e un sorriso soffuso a fior di labbra
mentre annuiva.
“Quindi
Babbo Natale verrà?”.
Con
tutti i soldi che ho speso per quel set da Principessa? Mi domando se
Kurt non lo abbia preso per sé, piuttosto.
“Come
ogni anno, scricciolina”.
Ed
ecco, finalmente, quel sorriso ad illuminarne nuovamente le iridi,
facendole rilucere di quelle sfumature indefinite e rendere il viso
persino più bello. Una splendida ricompensa per il suo
impegno, ciò che avrebbe sempre anelato di scorgere sul suo
viso.
“Ti
voglio bene, papà”. Aveva sussurrato con una
semplicità e un’intensità che Sebastian
sentì un dolce scalpitio in petto mentre ne accarezzava i
capelli e ne baciava la fronte.
“Tanto
anche io”.
~
“Ma
è orribile!” aveva commentato Kurt, la voce
strozzata mentre cercava di esprimere la propria opinione mantenendo un
tono non troppo alto.
Avevano
messo Sissy a letto da non molto e, al momento, era impegnato nella sua
quotidiana pulizia del viso serale. O meglio, una mano cercava di
spalmare le creme del suo repertorio serale mentre l’altra
dondolare Nicolas che sembrava tutt’altro che propenso a
dormire: sorrideva nell’osservarlo alle prese con la sua
pulizia, agitando il sonaglio che teneva tra le mani a richiamarne
l’attenzione quando si volgeva al marito.
Sebastian
si accigliò: spalmò il dentifricio sullo
spazzolino per lavare i denti prima di aver borbottato qualcosa di
simile a “piccola stronzetta” che
indignò ulteriormente Kurt mentre, una mano che dondolava il
seggiolino da auto di Nicolas, si riordinava i capelli.
Scosse
il capo.
“Non
voglio sminuire la gravità di quanto ha detto”
sospirò con sguardo rabbuiato e Sebastian sapeva
perfettamente quanto, in prima persona, fosse stato oggetto di
discriminazioni e di calunnie e umiliazioni ben più gravi.
“… ma è una bambina: per quanto la loro
schiettezza sia disarmante, non è abbastanza matura da
comprendere”.
“Ma
lo è per ferire nostra figlia?” aveva domandato
l’altro dopo essersi sciacquato la bocca con il bicchiere
d’acqua al lato del suo lavello (il sanitario contemplava due
rubinetti così che non vi fossero lotte per il controllo
dell’acqua durante la puntuale e prolissa operazione di
pulizia del viso di Kurt).
“Possiamo
provare a parlare con la maestra e i suoi genitori, qualcosa di
pacifico e tranquillo ma adesso è di Sissy che dobbiamo
occuparci” aveva sospirato nel riporre l’ultima
crema al suo posto.
Prese
il piccolo tra le braccia, dondolandolo per indurlo a riposare seppur
questi, invece, avesse preso ad allungare le manine al suo volto,
guardandolo con evidente adorazione, gli occhi sbarrati nella sua
contemplazione mentre emetteva versi labiali simili ad un richiamo.
Sebastian
annuì, chiuse anche lo sportello del suo mobile prima di
dirigersi verso la camera da letto e Kurt si pose al suo lato,
trattenendo il bambino tra le braccia. Si adagiarono con le schiene
contro la tastiera e Sebastian osservò distrattamente come
il bambino continuasse a giocare con la mano di Kurt, gli occhietti
accesi di divertimento.
“Credi
che mi lascerà mio marito prima dei diciotto
anni?” aveva chiesto divertito, avvicinandosi ad entrambi a
prendere la manina del bambino che gli aveva rivolto un sorriso prima
di tornare a fissare Kurt che appariva tuttavia con lo sguardo fisso in
un punto indefinito.
Nicolas
si imbronciò ed emise un mugolio di protesta fin quando Kurt
non tornò ad osservarlo e riprese a cullarlo, si volse a
Sebastian come avesse sentito solo in quel momento che gli fosse al
fianco.
“Pretenderò
di essere cullato allo stesso modo quando lo metterai nella sua camera
perché, sì, dormirà nella sua
camera” rivolse le ultime parole al bambino che neppure lo
guardò.
Alzò
gli occhi al cielo mentre Kurt ridacchiava e scuoteva il capo.
“Abbiamo
bisogno di aiuto, Bas” aveva commentato e l’altro
si era accigliato.
“Una
babysitter per la notte? Sì, sarebbe il caso”.
C’era una sfumatura più suadente nella voce ma
sembrava trepidante alla prospettiva.
“No,
abbiamo bisogno di Babbo Natale” fu la risposta laconica ma
decisa.
“Se
è l’idea per un giochetto di ruolo, potrei anche
seriamente pensarci prima di dirti di no a meno che tu non ti travesta
da renna con qualche-“.
“Sono
serio, Bas, Sissy non deve smettere di credere in qualcosa di
magico”. Lo aveva guardato negli occhi ma Sebastian era
apparso piuttosto scettico.
“Babbo
Natale non è una risposta all’omofobia”
soffiò.
“Babbo
Natale è speranza e purezza e non voglio che le perda,
dobbiamo proteggerla: il più a lungo possibile,
almeno”.
Sebastian
continuò a scrutarlo a lungo ma infine annuì: non
avrebbe sopportato, a sua volta, che sua figlia perdesse
l’innocenza dell’infanzia, non così
presto. Non fin quando avrebbero potuto proteggerla.
“E
dove lo troviamo un Babbo Natale?”.
“Ho
già in mente qualcuno”.
“Aspetta,
aspetta un attimo e ripeti: la vista di quel ridicolo costume rosso mi
ha annebbiato l’udito” aveva commentato Burt Hummel
mentre, seduto sulla sua poltrona preferita, tratteneva il nipotino
addormentato tra le braccia e Carole sorrideva divertita.
“Hai
sentito, tesoro, è per Sissy” lo aveva blandito
stringendogli la spalla ma Burt l’aveva scrutata come a
cercare segni di un suo tentativo di trattenere le risate di
divertimento.
“Se
ti consola, Kurt l’ha cucito con le sue manine”
aveva commentato Sebastian mentre Kurt lo rimprovera silenziosamente
con lo sguardo prima di sporgersi verso il padre.
“Saresti
perfetto: anni passati ad ignorare i miei consigli nutrizionali ti
renderanno anche più credibile”. Stava indicando
la protuberanza all’altezza dello stomaco che neppure le
felpe e l’abbigliamento sportivo, in generale, potevano
celare.
“Dirmi
che sono leggermente fuori forma non è un buon modo per
convincermi” borbottò Burt in risposta, alquanto
scornato.
“Papà,
ti prego, per Sissy” aveva sussurrato Kurt con voce
più struggente.
Burt
sospirò, lo sguardo volto al bambino e poi alla moglie.
“Devo
solo portare i regali?” indagò fissandolo
scrutatore.
“E
farti sentire: Sissy deve vederti, dovrai solo recitare”.
“Ma-“.
“Tranquillo,
ho già preparato un copione di base e poi tu sei
meraviglioso coi bambini e sei il-“
“Papà
più forte del mondo” sollevò la tazzina
che gli aveva regalato anni prima per poi annuire.
“Sono
nelle tue mani e che Dio mi salvi”. Soggiunse mentre, con la
mano libera, si toglieva il cappello da baseball e si strofinava il
capo con un sospiro.
~
Era
stato Sebastian, quella sera, a mettere Nicolas nel suo lettino: anche
il piccolo sembrava esser stato coinvolto nell’agitazione
febbrile della vigilia di Natale ma era quasi mezzanotte quando si era
finalmente addormentato. Kurt, già indossando la sua
vestaglia da camera, sopra il pigiama di seta, era seduto sul letto di
Sissy, intento a spazzolarle accuratamente i capelli mentre ella
sbadigliava ma sembrava non voler facilmente cedere al sonno. Si era
rilassata tra le braccia di Kurt, il capo appoggiato contro il suo
petto mentre questi finiva di modellare l’ultima treccia per
poi baciarne la fronte.
“Dovresti
dormire” l’aveva blandita con un sorriso ma ella
aveva scosso il capo con ferma decisione.
“Voglio
aspettare, papà, ti prego” aveva commentato in
tono pigolante, i suoi stessi occhi che lo guardavano con fare
supplicante ed era in quelle occasioni che, un vago sorriso ironico,
poteva comprendere quanto fosse stato sleale da parte propria esibire
la stessa espressione nei confronti del padre.
Si
accigliò leggermente, pur sfiorandole la guancia.
“Aspettare,
cosa?”.
Le
si erano imporporate le guance ma si era stretta al suo petto, con la
stessa espressione supplicante.
“Babbo
Natale” aveva commentato per poi guardarlo.
“… lui verrà, vero?”.
“Certo
che verrà e-“ si era interrotto quando, nel
silenzio ovattato dai fiocchi di neve, sentirono entrambi quello che
somigliava ad un tonfo sul tetto. Kurt aveva esalato con teatrale
confusione, un dito di fronte al naso come ad indurla a fare silenzio e
Sissy aveva sgranato gli occhi, incapace di contenere
l’emozione, saltando letteralmente sul materasso.
“Sissy,
devi fingere di dormire” l’aveva ammonita e la
bambina si era posta sotto le coperte con un ansimo timoroso mentre
Sebastian entrava a sua volta nella camera.
“Avete
sentito?” aveva chiesto, parlando a voce concitata prima di
fissare la bambina, una mano sul fianco.
“Scricciolina,
non dovresti già dormire?”.
“Sarà
meglio che andiamo ad aprire la porta” aveva commentato Kurt
dopo aver rimboccato le coperte alla bambina.
“Ma
Babbo Natale deve passare dal camino” aveva obiettato la
bambina, sollevandosi col torso e rimirandoli con le sopracciglia
inarcate mentre i due si scambiavano uno sguardo interdetto.
Fu
Sebastian a riscuotersi.
“Con
tutto quel pancione mi distruggerebbe il comignolo: vado ad aprirgli la
porta e tu fingi di dormire!” l’ammonì
con un sorriso mentre Kurt annuiva con vigore.
“Buona
idea, vado subito a preparargli biscotti e latte, sarà
sicuramente affamato e devo trovare qualcosa anche per le
renne”.
Si
erano chiusi la porta della camera alle spalle e si erano scambiati uno
sguardo sorridente, mentre si incamminavano al piano di sotto.
“Scenderà?”
aveva bisbigliato Kurt e Sebastian aveva ridacchiato.
“Se
è vagamente curiosa come lo sei tu ogni volta che un cliente
entra nel mio studio, oh sì, lo farà”
Kurt gli aveva dato una gomitata e, fintamente indignato, lo aveva
preceduto mentre si affrettava ad aprire la porta dopo che sentirono i
tonfi.
“Oh,
Babbo Natale” esclamò per farsi sentire anche al
piano di sopra. “Ma che piacere, accomodati, ti
prego” aveva commentato mentre Burt sospirava, sistemando per
l’ennesima volta la cintura.
“Questo
costume pizzica” si lamentò. “e detesto
questa barba, non vedo l’ora di gettarla nel
camino”.
“In
realtà ti sta molto bene” era intervenuto
Sebastian, le braccia incrociate al petto mentre Burt si premuniva di
lasciar cadere la sacca dei regali sul suo piede.
“Non
provocarmi” lo aveva ammonito.
“Papà”
lo aveva richiamato Kurt, facendogli cenno di parlare e Burt aveva
sospirato prima di avvicinarsi alla rampe delle scale.
“Oh,
Oh, Oh, Oh!” aveva commentato imitando la risata di Babbo
Natale.
“Buon
Natale a voi e ai vostri splendidi bambini: sono stati buoni
quest’anno?”.
“Meravigliosi,
come sempre”.
“Bene”
imitò la voce cavernosa e Sebastian dovette trattenere la
risata mentre Kurt ne cingeva il braccio.
“Andiamo
a preparare qualcosa per Babbo Natale, lasciamolo lavorare
tranquillo”.
Sorrisero
entrambi al sentire una porta al piano superiore che si schiudeva nel
silenzio della casa addormentata mentre si dirigevano verso la cucina.
Lasciarono
Burt a chinarsi con un sospiro: cominciò ad estrarre i
pacchi già incartati e riporli sotto l’albero
mentre un altro paio di occhioni azzurri lo osservava dalla rampa di
scale.
Aveva
sgranato gli occhi, le labbra schiuse a simularne la sorpresa
e l’emozione prima di scendere i gradini con i piedi scalzi e
il sorriso che era divenuto ancora più entusiasta.
“Babbo
Natale!” aveva esclamato e Burt aveva appena avuto modo di
voltarsi che la ragazzina aveva percorso correndo quella breve distanza
per abbracciarne le gambe.
“Sei
venuto” aveva commentato con voce resa rauca dalla gioia e
dalla commozione e l’uomo aveva sorriso prima di darle
qualche colpetto delicato sulla schiena e poi baciarne il capo
– attento a non far cadere la finta barba – e porsi
sui talloni per essere alla sua altezza.
“Oh,
oh, oh guarda chi saluta il vecchio Babbo Natale” aveva
improvvisato una finta tosse e la bambina aveva sorriso più
entusiasta.
“Vuoi
fare due chiacchiere con il vecchio Babbo Natale?” aveva
domandato e la bambina aveva annuito e si era fatta attenta ma non
aveva sciolto l’abbraccio intorno al suo collo.
Burt
si accomodò allora sul divano, prendendola in braccio e
carezzandole i capelli con la mano guantata.
“Credevi
che non sarei venuto?” aveva chiesto e la bambina si era
morsicata il labbro mentre l’uomo le batteva di nuovo
gentilmente sulla schiena.
“Oh,
oh, oh… puoi parlare con il tuo vecchio Babbo Natale:
resterà un segreto tra noi. E le mie renne” aveva
aggiunto, facendola ridere prima che si appoggiasse al suo petto, gli
occhi socchiusi prima di sospirare.
“Io
sapevo che saresti venuto e che Hannah diceva una bugia”
aveva pigolato in tono a metà tra un puerile lamento e un
bisogno di rassicurazione e Burt aveva scosso il capo.
“Hannah,
eh? Credo che la metterò nella lista dei cattivi”
aveva commentato facendola sorridere e scuotere il capo prima che
riprendesse.
“Dimmi,
Sissy: tu sei felice? Ti piace la tua vita? I tuoi papà, il
tuo fratellino, la tua casa?”.
La
bambina aveva annuito con vigore, lo sguardo raggiante, continuando ad
osservarlo.
“Bene,
ricorda sempre, Sissy: non importa quello che le persone dicono, quello
che davvero importa è l’amore che ti lega alla tua
famiglia, fin quando chiamerai questa ‘casa’,
saprai che ci saranno delle persone che ti amano e che ami che ti
saranno sempre vicino.
Qualunque
cosa accada. E’ quello che succede in una vera
famiglia” aveva commentato, guardandola dritta negli occhi
identici a quelli che erano stati gli occhi di suo figlio, una stretta
al petto ogni volta che lo realizzava, un sorriso più
commosso.
“Hai
capito, Sissy?” la bambina aveva annuito e si era stretta
maggiormente a lui.
“Grazie
Babbo Natale, ho la famiglia più bella del mondo”
aveva commentato mentre Sebastian, appostato sulla soglia
dell’uscio del salotto si era volto verso Kurt con un sorriso
compiaciuto.
“Sta
parlando di me” si era pavoneggiato, inducendo
l’altro a sollevare gli occhi al cielo, lo stesso sorriso,
tuttavia, mentre Burt si rimetteva in piedi e le accarezzava i capelli.
“Bene,
adesso devo solo consegnare i vostri regali ma prima devi andare a
dormire”.
Sissy,
tuttavia, gli si avvicinò un’ennesima volta e ne
strinse la manica.
“Babbo
Natale, posso cambiare regalo?” aveva domandato, strappando
un singulto incredulo a Sebastian, subito ammonito con lo sguardo da
Kurt che era apparso altrettanto preoccupato.
“Oh”
Burt aveva cercato entrambi con lo sguardo e Kurt gli aveva fatto un
vago cenno di assenso. “E cosa vorresti?”.
“Voglio
che i miei papà siano felici e che nessuno gli dica che non
sono normali” aveva pigolato ma con intensità
così struggente che il silenzio sembrò
paralizzare tutti i presenti e gli oggetti presenti nella stanza. Burt
stesso boccheggiò mentre la bambina lo guardava con labbra
tremanti, stringendogli più forte la mano.
“Ti
prego, io posso stare senza giocattoli ma non senza di loro e voglio
siano felici”.
“Perché
non chiedi a loro?” aveva commentato Burt con un sorriso
indicandoglieli con un cenno del mento . “Io sono sicuro che
già lo siano”.
Era
stato Sebastian il primo a riscuotersi, aveva colto con la coda
dell’occhio la lacrima che era sfuggita a Kurt ma si era
affettato ad avvicinarsi e prendere la bambina in braccio: ne
scostò i capelli dal viso e ne baciò la fronte.
“Bur-
Babbo Natale ha ragione: noi siamo già felici, tu e Nicolas
siete l’unica cosa di cui abbiamo bisogno” aveva
commentato e la bambina ne aveva stretto il collo e aveva porto la mano
verso Kurt che si era riscosso, gli occhi più arrossati.
Aveva cercato di ricomporsi, scostandole con il pugno della mano libera
mentre si avvicinava a cingere la figlia.
“Papà,
perché piangi?”.
“Sono
felice, incredibilmente commosso e ho appena rovinato
l’ultima pulizia del viso – aveva lasciato cadere
la mano lungo il fianco – ma sono davvero felice, oh
tesoro” . Ne aveva baciato la guancia e aveva appoggiato il
mento al suo capo.
“Bene,
ora se volete scusarmi, Babbo Natale va a fare merenda” aveva
ammiccato in direzione dei due prima di andare verso la cucina.
Aveva
appena varcato la soglia della cucina, quando Sissy sollevò
il mento dalla spalla di Kurt.
“Buona
merenda, Nonnino”.
Si
erano tutti congelati sul posto e Sissy aveva boccheggiato notandoli
tutti tesi.
“Posso
chiamarti così?”
“Oh,
oh, oh ma certo, ma solo se al Nonno Burt non dispiace”.
“Sono
sicuro di no” aveva risposto Kurt per entrambi, volgendosi ad
osservarlo. “E spero che sappia quanto sono orgoglioso che
sia il mio, di papà”.
“Oh,
ne sono certo, almeno quanto lui è fiero di come suo figlio
sia divenuto uno splendido marito e padre” aveva risposto,
acconciando ancora goffamente la cintura, per mascherare
l’imbarazzo. “Ma questo non significa che
accetterà la tua idea di cambiare divisa ai suoi
meccanici” aveva replicato, facendolo ridere.
“Un
miracolo di Natale alla volta”.
“Signori,
credo sia ora di andare a dormire” aveva commentato Sebastian
che, un verso di sorpresa e una risata di Sissy, si era posto alle
spalle di Kurt prima di sollevarlo e così anche la bambina
che si era stretta meglio a Kurt.
“Chiudi
pure la porta Babbo Natale, quando esci”.
Era
ormai passata la mezzanotte quando uscirono dalla camera di Sissy e si
diressero verso quella matrimoniale per poi immergersi sotto le
coperte.
Sebastian
fu lesto a cingerne la vita e Kurt si rigirò ad accoccolarsi
contro il suo torace mentre lui ne accarezzava distrattamente la
schiena, sorridendo della traccia di rossore ancora diffusa sul suo
volto.
“Sai,
preferisco un altro tipo di rossore su quel viso” aveva
sussurrato al suo orecchio e, suo malgrado, Kurt aveva ridacchiato con
fare più complice, la mano che ne aveva sfiorato la guancia
a disegnare la linea di congiunzione tra i nei che ne punteggiavano la
pelle diafana.
“Buon
Natale, Bas”. Aveva sussurrato, infine.
“Non
avrai intenzione di piagnucolare tutta la notte?” aveva
indagato con le sopracciglia inarcate e, suo malgrado, Kurt aveva riso
e gli si era avvicinato maggiormente.
Un
sorriso più suadente increspò le labbra di
Sebastian che lo strinse a sé.
“Qualche
idea migliore prima che Nicolas si svegli nella prossima
mezzora?”. Chiese ancora Kurt mentre Sebastian si chinava a
mordicchiarne il collo, inspirandone il profumo.
“Giusto
qualcuna per il mio Santo Natale”. Sussurrò in
risposta, facendolo ridere.
“Blasfemo”
un mugugno più languido e arrendevole.
“Shhh”.
Una volta riuscita ad
immaginarmi i figli di Kurt e Sebastian, mi è quasi
dispiaciuto porre la fine di questa one-shot ma spero di esser riuscita
ad intrattenervi piacevolmente.
Ci avviciniamo anche noi
al Natale, intanto appuntamento a domani con la traccia di
“Family Fun”.
Buon pomeriggio e buon
Sabato a tutti,
Kiki87
|
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Capitolo 6 *** Family Fun - Christmas? No, thanks. ***
6 FAMILY FUN
Potrete immaginare la mia
perplessità leggendo questa traccia e il timore, come
già espresso, di
scivolare in cliché già usati. E poi ecco che
alla prima settimana di Dicembre,
ho avuto l'illuminazione e ho deciso di far convergere questo tema in
note molto
più ironiche perché, diciamocelo, anche il
periodo di festa ha degli aspetti
poco gradevoli, soprattutto se sei Sebastian Smythe. Non aggiungo altro
e vi
auguro una buona lettura.
Ringrazio di cuore therentgirl
che ha betato la storia poco dopo la stesura, soprattutto il benestare
per le
parti in francese, sperando di aver colto tutti i piccoli errori di
dislessia e
battitura ed eventuali modifiche da fare ;) Oltre a, come sempre, per
il suo
sostegno e le sue splendide recensioni.
Colgo l’occasione per dare un
bentornato strapazzante anche alla mia Blaine
♥
C'est
la belle nuit de Noel
La
neige etend son manteau blanc
Et
les yeux leves vers le ciel
A
genoux, les petits enfants
Avant
de fermer les paupieres
Font
une derniere priere.
Petit
papa Noel
Quand
tu descendras du ciel
Avec
des jouets par milliers
N'oublie
pas mon petit soulier.
Mais
avant de partir
Il
faudra bien te couvrir
Dehors
tu vas avoir si froid
C'est
un peu a cause de moi.
(Canzone
natalizia
resa
celebre da Tino Rossi, 1946)
FAMILY
FUN
Christmas? No, thanks.
Detestava
cordialmente le vacanze natalizie. E tutto ciò che esse
comportavano. No,
ripensandoci non era un odio “cordiale” ma un odio
viscerale e profondo,
radicato come una cancrena nel fondo del suo pancreas e già
in uno stadio di
metastasi avanzata.
Non
che potesse darsi torto, non che una qualsiasi persona dotata di una minima dose di raziocinio
potesse biasimarlo, se avesse osato passare un Natale
come quello degli Smythe – Laurent[1].
Il
solo ricordo di quel suicidio letale per le sue sinapsi
nonché il suo istinto sessuale,
era sufficiente a fargli correre un brivido gelido lungo la spina
dorsale e la
situazione di anno in anno non era affatto migliorata, tanto da poter
lui
stesso stendere una vera e propria classifica dei motivi per i quali
fosse
necessario smascherare le insidie delle vacanze e del cosiddetto tempo
da
trascorrere in famiglia.
Sei
motivi per sei lettere.
N di nonni.
Oh, sì, il Natale, per quale arcano motivo, è il
periodo prediletto per trascorrere
il tempo con vegliardi raggrinziti come
tartarughe plurisecolari che avrebbero potuto sfidare la mummia di
Tutankhamon
in una fiera della vanità horror. Che poi proporzionalmente,
nel tempo, la loro
invadenza diventasse direttamente proporzionale all’alzheimer
incombente nonché
all’incapacità di ricordare il nome di battesimo
degli adorabili nipotini di
cui amavano circondarsi, quello era evidentemente un mero dettaglio.
Una
questione di puntigliosità.
Se
avesse ricevuto un centesimo di euro o un penny per ogni volta che suo
padre
gli avesse lanciato l’occhiata (un
misto di “abbi pazienza”, “loro sono la
tua famiglia” e “no, non puoi uscire
per locali gay la sera della vigilia”) probabilmente a quel
punto avrebbe avuto
abbastanza denaro non soltanto per frequentare la Dalton,
ma persino per
comprarla. E così rispedire, con un calcio nel culo e una raccomandata di sola
andata, le
versione biondastra, americanizzata e stereotipata del temibile Boss Artiglio[2]
e di quel gatto
ibernato che avrebbe volentieri affisso per la coda a mo’ di
nuova bandiera
dell’istituto (chissà dove erano finiti i suoi
schizzi, tra l’altro).
In
verità, tra tanti discorsi aulici sull’importanza
della famiglia e del
trascorrere del tempo insieme (tradotti nella sua mente da un continuo “blablablablabla diabete, blablablabla
stronzate, blablablabla, ma quando finirai di parlare?”
), si sentiva una
voce missionaria, un ambasciatore della verità.
Il
tempo trascorso coi parenti era una forma volontaria e legalizzata di
“stupro
con un clistere” che gli avrebbe succhiato via la linfa
vitale e la voglia di
vivere, almeno fino a quando dal veglione di Capodanno non avrebbe
potuto
festeggiare a modo suo. (E con festeggiare, sì, intendeva trapanare quanti più bei
ragazzi potesse, prima del rientro alla
Dalton).
“Ci vediamo a
Gennaio, Miss Hummel”.
“E’ una
promessa o una minaccia?”.
A di amore.
Perché era ciò intorno a cui ruotava tutta quella
atmosfera da glicemia
gratuita: un sacco di chiacchiere e di belle favolette su come in quel
periodo
dell’anno sarebbe stato opportuno trascorrerlo con le persone
più care. Perché
niente faceva tanto Natale quanto il ritrovarsi intorno alla stessa
tavola, a
raccontarsi le reciproche giornate, gli acciacchi della vecchiaia, di
quel
parente che era riuscito a raggiungere la laurea o, ancora, di quello
che stava
per sposarsi. A quel punto, era spontanea la domanda circa la sua
fidanzata di
cui non parlava mai perché evidentemente
troppo timido per quel
genere di confidenze. Era qualcosa divenuto ormai "tradizione" se
così la si poteva definire. Qualcuno ne alludeva (di solito
la nonna o la zia,
o la cugina, insomma sempre una donna perché era loro
diritto di intromettersi
nella vita altrui; ossimoro davvero interessante!) e a quel punto i
genitori si
scambiavano uno sguardo guardingo. Quello sguardo
nel quale sembravano
chiedersi se fosse davvero opportuno cercare di
ricordare loro della sua
identità sessuale. Cercava di ignorare i sorrisi divertiti
delle zie o dei
cugini e si limitava, solitamente, a morsicarsi la lingua per poi
sollevare gli
occhi al cielo.
Di
anno in anno, se lo prometteva, sarebbe riuscito in quella
dichiarazione che
avrebbe probabilmente congelato la tavola: probabilmente la nonna
avrebbe
cominciato a sciorinargli il rosario addosso o invocare un santo della
sessualità (?) perché il suo povero disgraziato
e sventurato nipote
trovasse una Via di Damasco per tornare sulla retta via. O,
probabilmente,
avrebbe cosparso la sua camera di santini e di bibbie a mo' di aglio
contro i
vampiri e/o costretto ad immergersi in una piscina di acqua benedetta.
O forse
le sarebbe semplicemente venuto un infarto.
Suo
nonno avrebbe avuto bisogno che la parola fosse scandita almeno una
mezza
dozzina di volte, ognuna delle quali con tono sempre più
alto per poi scoprire
che il suo apparecchio uditivo era stato spento. Probabilmente avrebbe
rischiato che le proprie tonsille gli finissero direttamente
nell'esofago prima
che potesse riprendersi. A quel punto lo avrebbe guardato con occhi
sgranati.
Per dieci, quindici secondi (dopo aver messo gli occhiali e aver
strabuzzato
gli occhi come un barbagianni). A quel punto si sarebbe voltato verso
la
figlia.
"Che
vuol dire gay?".
Mhm,
sarebbe valsa la pena provarci.
"Oh, mon petit
Sébastien" aveva chiocciato la nonna e
Sebastian aveva dovuto
improvvisare il suo sorriso da "bravo ragazzo", quello che ingollava
ogni volta che Hunter prendeva presidenza delle riunioni dei Warblers e
lui
immaginava di prendere il manico del martelletto ed infilarglielo su
per-
"Dis-moi la verité:
quelle est
la femme qui a volé ton coeur?" cantilenò anche
quell'anno, appoggiandogli la mano
sul braccio.
Sospirò.
Levò lo sguardo sui genitori e quel silenzio sceso tra loro.
Contemplò
la nonna, lo sguardo speranzoso misto ad una luce di preoccupazione e
Sebastian
si odiò perché tutto ciò che
riuscì a bofonchiare fu un:
"Aucune femme par le moment " a meno che non
assomigli a Jensen Ackles,
aveva aggiunto tra sé.
Mentre
questa si chinava a lasciargli un bacio umido e salivante sulla
guancia, tutto
quello che riuscì a fare fu stringere il pugno.
C'è sempre l'anno
prossimo, vecchia
mummia, non provocarmi.
T di trombosi.
No, purtroppo non vi era alcun riferimento porno o malizioso seppur
avesse
sempre, nello spirito, natalizio, pensato di poter far cantare ad un
ragazzo un
"OH,OH,OH" in una tonalità ben diversa da quello degli
spastici
bambolotti di Babbo Natale affissi ovunque (e che si premuniva di
calpestare o
gettare per terra).
Quell'anno,
durante le vacanze familiari, sua nonna era afflitta proprio da quella
forma di
disturbo della circolazione che la costringeva, per la maggior parte
del tempo,
a restare stesa o coricata. Il che sarebbe potuto essere non poco
vantaggioso,
se ciò non fosse equivalso a quel suo spasmodico e
melodrammatico bisogno di
attenzioni e di vezzi per i quali Sebastian avrebbe amorevolmente
voluto
gettarla giù dalla rampa di scale e costringerla
così a rimettersi in piedi e
smetterla con quella commediola che l'avrebbe resa sicuramente
un'attrice degna
di Broadway, in grado di competere con la mestruata e melodrammatica
Rachel
Berry e le sue smorfie improponibili mentre agganciava un acuto.
Decisamente
quell'anno si erano superati nella scala dell'orrore ma non avrebbe
saputo e
voluto immaginare ciò che avrebbero potuto riservargli
l'anno successivo,
ragione per cui era più che preferibile sostare in quella
comunemente nota come
"beata ignoranza".
"Sébastian,
est-ce que vous pouvez me lire la Bible? "
Ecco,
appunto.
A di amore
(bis). Certo, per tutti quegli anni gli avevano propinato i soliti e
dolci
racconti su come ad ogni Natale ciò che fosse davvero, davvero
importante,
fossero i sentimenti, soprattutto riscoprire un po' più di
saggezza nel proprio
cuore.
Dopo
una settimana trascorsa tra quelle pareti, cercando di evitare i
parenti in una
sorta di flipper fisico e familiare, bevendo di nascosto e scappando
dalla
finestra della propria camera e lasciandosi cadere dalla tettoia del
porticato,
attento a non slogarsi una caviglia; sì, aveva fatto del suo
meglio per
schivare il concetto.
A
quel punto era necessario attendere l'intervento di un vecchio amico di
infanzia per poi abbandonare il quartiere di sobborgo e raggiungere la
vera
Parigi natalizia.
Checché
ne dicessero i parenti quell'anno, no, non era per alcun
motivo distratto.
Non cercava costantemente in un ragazzo da rimorchiare, un paio di
iridi
azzurre e tanto meno una voce da controtenore (che avrebbe definito da uomo-senza-palle),
ed era stata una casualità il fatto che, trovato un tipo
disponibile al sacro
trapanamento, qualcosa non fosse accaduto.
Aveva
proceduto il percorso a ritroso, accompagnandosi ad un rosario di
invettive nei
confronti di Miss Hummel, prima di lasciarsi cadere sul proprio letto.
Solo
e, soprattutto, sessualmente frustrato.
E
con quel volto fin troppo vivido nella propria memoria.
"Dis-moi
la verité: quelle est la femme qui a volé ton
coeur?" era stata la
cantilena che aveva sentito al proprio orecchio. Il fatto che la stessa
pronunciando mentre ne carezzava i capelli in quel punto debole che gli
consentiva di rilassarsi, avrebbe dovuto farlo arretrare stizzito.
"Mademoiselle
Hummel" si era sentito dire, quasi sovrappensiero.
"Donc
est-ce que tu est tombé amoreux?".
Aveva chiesto, il tono sereno e commosso, intensificando il ritmo di
quelle
carezze e il giovane aveva scosso il capo.
"Au contraire,
grand-mère. Je suis tombé dans un empasse. Je lui veux etre loin".
Aveva dichiarato, le braccia incrociate al petto e lo sguardo ostinato.
"C'est
la peur, mon petit, a t'arreter"
aveva sussurrato in risposta.
"Je
n'ai pas peur. Il faut oublier ce que nous ne voulons pas".
"Tu
n'es pas sincère, n'est-ce pas?"
uno scintillio benevolo nello sguardo, malgrado il sorriso sbarazzino.
"Touché".
L di lamento.
In fondo, anche quello sarebbe potuto divenire un simbolo e una
tradizione
familiare, in fondo la famiglia avrebbe dovuto sostenersi
reciprocamente, anche
in quell’accezione del termine. In fondo, nessuno avrebbe
potuto biasimarlo di
fronte alla sua stoica sopportazione che, ancora una volta, si vedeva
cercare
di trattenersi dallo sbattere la testa contro la parete. Ripetutamente.
Nel
tentativo di procurarsi una commozione cerebrale che gli facesse
dimenticare
momentaneamente tutto quanto o che, se avesse avuto fortuna, lo facesse
allontanare da quella casa, almeno fino a quando il periodo dei
festeggiamenti
non fosse davvero concluso. O magari sarebbe stato più
saggio attendere che i
genitori gli avessero già preparato le valigie e acquistato
il biglietto aereo
per il rientro in America.
Cercava
di ignorare il lamento della sua metà sotto la cinta che si
era vista
letteralmente privata dei suoi di festeggiamenti o il pensiero di
quanti
lamenti avrebbe potuto procurare nel diffondere il suo concetto di
“amore” e di
“generosità” nei locali gay parigini.
Cercava
di pensare al lamento continuo che era la voce di quella
“faccia da checca”
ogni volta che lo avesse visto, quel suo sollevare gli occhi al cielo,
mostrarsi totalmente insofferente, per poi affermare, con lo stesso
tono
melodrammatico, che lui avesse iniziato un vero e proprio stalking nei
suoi
confronti. Immaginare che altro lamento gli avrebbe strappato se avesse
osato
insudiciare i suoi abiti o attentare alla sua pettinatura e quei colpi
di sole
che sembravano conferire nuova luce al volto e allo sguardo. Storse le
labbra
alla portata diabetica di quei pensieri, probabilmente e naturale
conseguenza
di tutta la quantità di zucchero e di cibi che sua nonna gli
avesse fatto
ingerire nelle ultime settantadue ore, condite con quel clima al miele
difficile da deglutire almeno quanto una palla di polistirolo infilata
giù per
le narici.
Un
lamento ad un casuale (quasi causale) scontro.
“Ahi, Sebastian! Ti
è così difficile
coordinare occhi e piedi se non canti qualcosa di discutibile
gusto?”.
“Dovresti vedere
quanto so essere
coordinato al buio”.
“…”.
E di
eccitazione. Erano passati gli innocenti (più o meno) tempi
dell’infanzia in
cui era la credenza di un pancione con problemi di costipazione, che si
faceva
calare in camino, a rendere la mattina di Natale degna di
considerazione.
Quando, allora, la più grande fonte di gioia e di
fibrillazione era svegliarsi
presto per correre giù dalle scale alla ricerca della pila
dei propri regali.
Osservò con le braccia incrociate al petto i bambini che si
rincorrevano per la
casa prima di gettarsi letteralmente ai piedi dell’albero e
sperò soltanto che,
dopo aver improvvisato un sorriso di fronte alle telecamere, potesse
crogiolarsi nella sua beata solitudine disintossicante prima di
scoprire di
avere un pericoloso procinto di emorroidi.
Dopotutto
non fu difficile, invece, improvvisare il sorriso quando giunse il
momento
della separazione, persino quando sua nonna lo strinse in un ulteriore
abbraccio e lo trattenne. Sembrò voler siglare quel momento
come fosse
particolarmente importante, tanto che avrebbe potuto quasi sentirsi in
colpa.
Aggrottò le sopracciglia, un rapido ripercorrere quelle
ultime e disastrose
vacanze e scosse il capo deliberatamente.
Scosse
stizzito il capo fino a quando non percepì la carezza della
donna tra i
capelli.
“Bonne
chance, Sébastien”.
“Pourquoi?”.
“Tu
le sais, mon petit”.
Non
era eccitazione, si era detto, il riconoscere una particolare
fisionomia nella
consueta caffetteria e, ancor meno, quello strano ed insolito
rimescolio di
viscere prima di cingerne il fianco da dietro e chinarsi al suo
orecchio.
“Ti
sono mancato?”.
Lo
aveva sentito sussultare visibilmente, si era immerso in quel profumo
delicato
e stuzzicante prima che si scostasse, le sopracciglia aggrottate nel
voltarsi
ad osservarlo. Le braccia incrociate al petto e il mento sollevato.
Sembrò
scrutarlo come a voler determinare quanto e se fosse serio prima di
sollevare
gli occhi al cielo.
“Trattengo
a stento la commozione”. Aveva scosso il capo prima di pagare
il suo caffè,
prendere il bicchiere ed allontanarsi. O almeno era la sua intenzione,
prima di
sentirsi nuovamente avvincere dalla sua stretta.
“Cosa
stai facendo?” .
“Ti
trattengo” fu la semplice replica.
“Lo
vedo e perché, soprattutto, lo stai ancora
facendo?”. Stava scrutando la sua
mano, quasi si trattasse di qualcosa di contaminante, quasi stesse
deliberatamente infettandolo.
“Un
consiglio della nonna”. Un sorriso sincero nel dirlo, un
guizzo di divertimento
che fece ulteriormente inarcare le sopracciglia dell'altro.
“Sei
ubriaco?”.
“Non
ancora”.
“Mi
lasci andare?”.
“No”.
Si era chinato a cingerne la guancia, aveva sospirato sul suo viso, un
sorriso
più voluttuoso al vederlo irrigidirsi, gli occhi sgranati
nei propri, mentre
alitava sulle sue labbra.
“Decisamente no”.
Spero che tra le imprecazioni di Sebastian, il
suo dubbio spirito
natalizio e qualche commento molto blasfemo, la storia vi abbia fatto
sorridere. E vi auguro, soprattutto, che il vostro divertimento in
famiglia non
sia lontanamente paragonabile a questo.
Non mi resta che darvi appuntamento a domani
con l’ultima traccia, un
sequel della mia prima “Gossip Glee” (per chi non
l’avesse letta, la troverete
cliccando qui ).
Buona Domenica!
Kiki87
|
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Capitolo 7 *** Crossovers During The Holidays - Gossip Glee II ***
Questa
Week non dava la possibilità di scegliere tra un Crossover o
una
A/U, ragione per cui ho pensato di scrivere un sequel alla mia prima
Gossip
Glee che, per chi non l’avesse già letta o volesse
fare un ripasso, la
troverete qui.
Per chi non
conosce Gossip
Girl, nessun timore perché non vi sono particolari
indicazioni (e nel primo
racconto ho inserito delle note per aiutarvi alla lettura
più fluida), per i fan di
Gossip Girl potrebbero
esserci dei piccoli spoiler sull’ultima stagione, ma nulla
che non possiate
aver intuito dal finale della scorsa stagione, mi riferisco soprattutto
all’occupazione di Blair.
Aggiungo che è solo per lo spirito
natalizio, se mi trattengo
dall'uccidere chi su twitter ha spoilerato la vera identità
di Gossip Girl,
dopo aver visto la diretta dell'ultima puntata in America.
Tornando a noi, per altre questioni, ho
lasciato le cose immutate (ad
esempio il matrimonio tra Lily e Rufus) visto
non vi è una particolare collocazione legata a
questa fiction: è
soltanto uno sfondo diverso dove ambientare la Kurtbastian.
E per i fan
di Glee, ho
inserito ulteriori note per nuovi
elementi o passaggi che possono esservi poco chiari, non conoscendo
l’altra
fiction, ma sono comunque sempre disponibile per chiarimenti, in caso
di necessità!
Non mi resta che augurarvi buona lettura!
(Christmas)
The
snow's coming down
(Christmas)
I'm
watching it fall
(Christmas)
Lots
of people around
(Christmas)
Baby
please come home
They're
singing "Deck The Halls"
But
it's not like Christmas at all.
Cuz
I remember when you were here
And
all the fun we had last year
(Christmas)
If
there was a way
(Christmas)
I'd
hold back this tear
(Christmas)
But
it's Christmas day
(Please)
Baby
please come home.
(Scritta da P. Spector, J. Barry & E.
Greenwich)
Gossip Glee II
L’inverno
è nuovamente giunto
nell’Upper East Side, gelido come vi avevo promesso in
autunno, ma anche allora
avevo previsto che una bollente passione avrebbe contrastato il calo di
temperature. Quale nuova coppia vedremo sotto l’albero o
quale drastica
separazione, prima del prossimo San Valentino?
Suvvia, la vostra Regina del
Gossip
non si ritiene meno importante di Santa Claus, quindi non
svelerò subito la mia
carta vincente, tuttavia…
Avvistata: la Regina B col suo
perenne broncio: a quanto pare sostituirsi a Mammina
nell’impero della moda non
è poi così semplice, che una nuova lotta con S.
le darà nuova ispirazione? O un
insperato ritorno di fiamma? Nel
frattempo, un ospite molto gradito è appena sceso
dall’aereo. Solo. Sembra
proprio che vi sia una ventata di novità o forse no: ma non
illudetevi di
scoprirlo senza il mio aiuto.
Dorota
sospirò alla vista della giovane che, per
l’ennesima volta, stracciava un
foglio di carta sul quale era stata chinata nell’ultima
mezzora, lanciandolo
con non curanza sul pavimento. Non era mai un buon segno
quand’ella era così
poco ciarliera o le labbra erano perennemente imbronciate: quel suo
torturarsi
i capelli – solitamente legati in una sontuosa crocchia
abbinata agli abiti eleganti
e di classica fattura da che era divenuta responsabile
dell’atelier – per poi
emettere piccoli sbuffi soffocati o il digrignare i denti, erano
sintomo palese
della sua frustrazione.
Sospirò
e si chinò a raccogliere la carta stracciata prima di
gettarla nell’apposito
cestino mentre la giovane, le unghie smaltate e l’anello di
Chuck appeso alla
collana a ricordo della loro promessa che rimirava di tanto in tanto
quasi a
darsi forza, prendeva nuovamente la matita tra le dita.
“Il
suo the, Signorina Blair o forse preferisce una camomilla per
distendere i
nervi-“.
“Come
posso non stressarmi, Dorota? E’ tutto un
disastro!” aveva esclamato, lasciando
cadere la matita e stracciando l’ennesimo foglio.
Allungò la mano diafana a
mescolare lo zucchero e guardare la sua domestica che aveva scosso il
capo.
“Ha
soltanto bisogno di rilassarsi: potremmo uscire, guardi che bella
giornata,
sono sicura che a Central Park, le sue oche[1]
stanno ancora
aspettando che-“.
“Non
dire sciocchezze, sono una donna adulta adesso” aveva
ribattuto, il mento
sollevato prima di osservare il display del blackberry illuminarsi ed
emettere
un gemito frustrato. “Mia madre sta tornando da Parigi e non
abbiano nessun
ordine, Dorota: rischierò che mi diseredi e, come se non
bastasse, mi sta venendo
un eczema da stress” il tono era sempre più
stridulo mentre parlava agitata,
quasi senza neppure prendere respiro.
“Manderò
la Waldorf Design in rovina e Gossip Girl avrà
l’esclusiva del mio crollo
nervoso e dirà che la mia pelle si sta desquamando come un
povero barbone di
Brooklyn”. Aveva concluso con tono ancora più
lamentoso e gli occhi umidi, le
mani a sostenersi le gote.
“Signorina
Blair, lei sta esagerando: ha solo bisogno di ritrovare la quiete e
sono
sicura-“.
“Ho
bisogno di idee nuove, Dorota. Persino quella darkettona di Jenny
Humphrey[2] aveva talento ma io sono
una Waldorf, la Regina della
Constance[3],
il mio sangue è nato dalla fusione tra la moda e
l’eleganza, io sono la moderna
Grace Kelly e io-“ interruppe il suo soliloquio, le labbra
tremanti e la fronte
corrugata prima di osservare il proprio riflesso e accigliarsi, la voce
più
stridula.
“Io
ho bisogno di un nuovo fard”.
Socchiuse
gli occhi ed inspirò ed espirò lentamente prima
di sorseggiare il proprio the,
un’espressione di profonda afflizione, la mano premuta sul
petto.
Dorota
fece per prendere parola ma la interruppe con un brusco sollevare la
mano.
“Devo
solo trovare il modo di ispirare le giovani donne: studentesse, giovani
in
carriera, alla ricerca della loro strada, dell’amore e della
loro
gratificazione ma cosa unisce tutte queste cose?” aveva
lasciato la frase in
sospeso e Dorota, il metro da sarta avvolto attorno al collo, sopra
l’uniforme
da cameriera, si morsicò il labbro. Sollevò lo
sguardo, alla ricerca di
ispirazione mentre Blair si rimetteva in piedi ad osservare qualche
modello, le
mani sui fianchi le labbra ancora imbronciate.
“Occorre
trovare un’icona che racchiuda tutte queste
qualità, una donna come-“.
“Blair
Waldorf”.
“Esatto,
una come me” aveva dichiarato la giovane evidentemente
soddisfatta prima di
sbattere le palpebre interdetta. Sia lei che Dorata si volsero verso
l’ingresso. Era già pronta ad intimare
all’ennesimo reporter da strapazzo,
magari persino un lacchè di Nelly Yuki[4],
di andarsene.
“Ciao
Blair” proferì il giovane e la ragazza
rimirò per un istante la figura alta e
sottile del ragazzo che era rimasto sulla soglia dell’uscio
del suo ufficio
personale. Vestiva in maniera impeccabile come sempre: un bel completo
elegante
e scuro che ne sottolineava la silhouette, la camicia di seta bianca
sotto il
panciotto scuro e il foulard immancabile al collo di un
lillà a pois.
Lo
sguardo azzurro baluginava e i capelli avevano dei colpi di sole che ne
rendevano alcuni ciuffi più biondi, in contrasto con quelli
del suo naturale
color mogano.
Di
fronte a lei, vi era Kurt Hummel.
Lo
chiamò in tono eccitato prima di correre a gettarsi tra le
sue braccia e la sua
risata si unì a quella del giovane che la sollevò
leggermente da terra,
facendola piroettare.
“Blair,
è meraviglioso rivederti: guardati, una splendida donna in
affari. Mi sembra
impossibile sia passato solo un anno” la ragazza aveva
sorriso con evidente
compiacimento prima di imbronciare nuovamente le labbra.
“Temo
che pochi condividano il tuo parere: sono in una crisi profonda,
Kurt” aveva
sospirato ma gli aveva sfiorato le guance. “… ma
vederti è meglio di un
trattamento al centro di benessere”.
“Ma
così mi lusinghi troppo” aveva risposto
l’altro con tono vezzoso, dondolandosi
con il busto prima di ridere nuovamente.
“Una
missione nell’ambito della moda? Sembra che io sia stato
richiamato nel mio
mondo, allora” aveva giocherellato con fare fintamente
casuale con il proprio
foulard e Blair lo aveva nuovamente stretto, affondando contro la sua
spalla.
“Mi
è mancata la mia anima gemella gay” aveva pigolato
e il ragazzo si era scostato
appena per sorriderle.
“Adesso
sono qui e non me ne andrò fin quando non avremo superato la
tua crisi, giurin
giurello?” aveva sollevato il mignolo che Blair aveva stretto
al suo, lo stesso
sorriso gioviale mentre Dorota rimirava entrambi, battendo le mani.
“Preparo
subito del caffè per il signorino Hummel e i
biscotti”.
“Senza
cioccolata” avevano commentato entrambi all’unisono
prima che Blair gli facesse
strada nell’ufficio, facendolo accomodare. Un sorriso per
ogni complimento
ricevuto sull’arredo, l’illuminazione, la moquette,
le tendine, fino anche a
qualche modello esposto che aveva rimirato con espressione concentrata.
“Sono
abiti dalla fattura classica e pregiata, Blair” fu il suo
commento sommario e
la ragazza aveva sorriso nuovamente soddisfatta. “Poche
saprebbero indossarli
come una Waldorf”.
“Questo
è vero” aveva ribattuto l’altra
evidentemente sollevata dagli elogi.
“Ma”
aveva continuato Kurt, con un vago sorriso. “…
saresti indubbiamente fonte di
ispirazione per tutti”.
“Una
linea d’abiti ispirati a me?”.
“Un
compromesso tra la regina della Constance e la giovane donna
d’affari: elegante
e sofisticata, determinata e fiera, machiavellica e intrigante,
ambiziosa ma
romantica, Blair Waldorf”. Aveva continuato, Kurt, e la
ragazza lo aveva
nuovamente stretto a sé.
“Non
avrei dovuto lasciarti nelle grinfie di Sebastard[5]”.
Lo aveva nuovamente appellato a quella maniera ironica e sarcastica:
Kurt
sembrò irrigidirsi nell’abbraccio ma le sorrise
prima che Dorota appoggiasse il
vassoio sulla scrivania.
Era
quasi ora del tramonto quando i due rimirarono, sul leggio, i disegni
su cui
avevano lavorato per tutte quelle ore: per la prima volta dopo molti
giorni,
carichi di tensione, Dorota vide nuovamente il sorriso entusiasta sul
volto
della sua giovane datrice di lavoro.
“Oh,
Kurt, è tutto semplicemente parfait:
sei la mia Musa”.
Il
ragazzo si era crogiolato del commento ma aveva scosso il capo.
“Non
perdere la fiducia in te stessa, Blair, sei la donna più
pregiata che io
conosca: devi solo essere te stessa” ne aveva indicato la
mise con dolcezza
prima che la giovane ne stringesse il braccio.
“Dobbiamo
cenare fuori per festeggiare ma immagino che Sebastard ti stia
attendendo in
qualche locale a luci rosse di Chuck” era stato allora che il
viso di Kurt si
era nuovamente contratto e lo sguardo si era rabbuiato. Allo sguardo
interrogativo della giovane, aveva sospirato prima di stringersi nelle
spalle.
“In
realtà sono venuto qua da solo”.
“Che
ti ha fatto? Lo posso far deportare in Bielorussia: una sola parola
e-“.
Kurt
aveva scosso il capo, un vago sorriso divertito ma aveva sospirato.
“Temo
di aver rovinato tutto”.
“L’hai
tradito?” aveva domandato l’altra a metà
tra un verso di stupore e di sorpresa
e di curiosità evidentemente febbrile di conoscere nuovi
dettagli. L’altro
aveva aggrottato le sopracciglia, scuotendo il capo con espressione
evidentemente scandalizzata dall’accusa.
“Allora
cosa è successo?”.
“Gli
ho detto che lo amo”.
~
Le
porte dell’ascensore si richiusero di fronte a sé
e storse istintivamente il
naso: gli sembrava ancora di aver fin troppo impresso nelle narici
l’odore
della città. Quasi neppure la neve potesse, col suo manto
candido, attenuare
quella dissoluzione e lo sfarzo, il lusso e il vizio che vi
aleggiavano, quella
che rendevano quei quartieri l’Upper East Side.
No,
non era felice di avervi fatto ritorno, non a caso il momento
più memorabile
che avesse trascorso con le famiglie di Manhattan era stato il momento
della separazione
che, lo aveva sperato, avrebbe dovuto essere definitiva.
Allo
schiudersi delle porte, vide l’attico di Chuck Bass che, in
uno dei suoi
smoking gessati, lo rimirò con un vago sorriso, il drink tra
le dita che
sollevò a mo’ di saluto.
“Bentornato,
la tua vecchia suite è proprio come l’hai
lasciata” aveva volto un’occhiata
incuriosita all’altro giovane che aveva seguito il
più alto e gli aveva rivolto
a Chuck un sorriso a mo’ di saluto. Se ne stette immobile, le
mani affondate
nelle tasche dei pantaloni mentre rimirava Sebastian che aveva
ringraziato
l’altro con una stretta di mano.
“…
ma a quanto pare hai intenzione di cambiare inquilino” aveva
alluso al giovane
al suo fianco che, al commento, era arrossito visibilmente ma fu
Sebastian a
sorridere. Un verso divertito mentre incrociava le braccia al petto.
“Conto
sulla tua discrezione”.
“Era
nella clausola del contratto”. Ribatté Chuck
divertito.
“Lily
non saprà che alloggio qui”.[6]
“Non
da me, almeno. Signori, una riunione mi attende ma vi auguro una buona
permanenza” porse la chiave a Sebastian che la prese con un
sorriso. Ci
giocherellò sollevandola e riprendendola tra le dita:
sembrava tutto
perfettamente identico a poco più di un anno prima.
“E
adesso?” gli chiese l’altro ragazzo e Sebastian si
volse ad osservarlo, il
sopracciglio inarcato.
“Adesso
ci prepariamo e attendiamo che Gossip Girl faccia il suo
dovere”.
“Ma
Kurt così-“.
“Tanto
per essere chiari, Anderson, è per il culo che ti ho scelto,
non per le tue
elucubrazioni: ho tutto perfettamente sotto controllo”.
Un
trillo interruppe il dialogo e Sebastian sorrise.
“Qualcuna
non ha perso tempo” sollevò il cellulare a
mostrare la schermata del sito di
gossip più famoso della città.
“Pensavo
volessi discrezione” commentò l’altro
rimasto evidentemente scandalizzato da
quelle righe, il viso impallidito e le labbra tremanti.
“Cosa
ti ho detto sulle tue elucubrazioni?”.
Vi avevo promesso uno scoop ed
è ciò
che otterrete, amici dell’Upper East Side: il lupo
è appena tornato nella sua
tana preferita e, attenzione!, sembra proprio che abbia cambiato preda.
Oh, Sebastihard potrai anche
cercare
di nasconderti da Mamma Lily, ma sai di non potermi sfuggire, come
chiunque
altro… Chissà se sei a conoscenza che il Ragazzo
Porcellana è tornato alla
corte della Regina B, dunque attenzione: potresti ricevere un esilio e
conoscendo la nostra B, non sarà nulla di piacevole. Ma
concentriamoci sul
misterioso Mister X che lo ha accompagnato: puoi provare a nasconderti
sotto i
tuoi bei riccioli, ma scoprire gli scoop è il mio dovere.
Dunque, benvenuto
nell’Upper East
Side, saprai presto di amarmi.
Xoxo Gossip Girl
~
Non
era stato facile rivelare ciò che era accaduto: erano
partiti nell’Ottobre
dell’anno precedente alla volta di Parigi. Aveva sempre amato
l’Europa e, in
particolare, la città dell’amore era sembrata la
meta ideale per vivere quella
che avrebbero definito di lì a poco una vera e propria
relazione; il motivo per
il quale non aveva esitato a lasciare New York pur di stargli accanto e
non
perdere l’occasione di constatare se, come aveva ritenuto,
fossero davvero
destinati a restare uniti. Era stato più che ben accolto
dalla famiglia con la
quale era cresciuto, Sebastian non si faceva remore di elogiarne le
qualità. Sfortunatamente,
con qualità
Sebastian intendeva soprattutto quello che sarebbe stato preferibile
che
restassero celate al resto del mondo (come la sua presunta
flessibilità e altri
riferimenti di natura sessuale) che gli erano valse non poco imbarazzo
e
occhiate minacciose, inframmezzate soltanto dal sincero divertimento
del padre
di Sebastian e della matrigna.
Avrebbero
dovuto prepararsi a trascorrere quel secondo Natale insieme ma, a
differenza
dell’anno precedente, avevano convenuto sarebbe stato
più piacevole un viaggio
o qualcosa di più privato, tanto più che gli
Smythe sarebbero partiti per una
crociera.
Non
avrebbe pensato che una cena per due a lume di candela,
l’atmosfera romantica e
quelle parole che erano sgorgate dal profondo di se stesso mentre
sostavano
sotto le coperte, ancora vezzeggiandosi prima di addormentarsi,
potessero
cambiare tutto.
E
non nel modo in cui avrebbe potuto sperare, almeno.
“Gli
ho lasciato un biglietto e sono partito quando era già
uscito di casa: è da
quella sera che non lo vedo e neppure lo sento” aveva
sospirato, lo sguardo
cadde nuovamente sul proprio cellulare quasi sperando di scorgervi un
guizzo di
vita, un qualsiasi segnale.
“Immagino
che tu abbia il terrore di chiamarlo”.
“Ci
ho provato” ammise Kurt, la voce più flebile e si
era tormentato un ciuffo di
capelli più biondo, lo sguardo afflitto mentre scuoteva il
capo. “… ho bisogno
di tempo, ho pensato che allontanarmi potesse aiutarmi ma mi manca e ho
il
terrore di aver rovinato tutto”.
“Non
hai fatto nulla di sbagliato” aveva sussurrato la giovane, il
tono più dolce
nel sussurrarlo ed allungare la mano a stringere quella
dell’amico, il viso
inclinato di un lato.
“Non
volevo forzarlo ad una risposta se non si sentiva pronto” si
era affrettato ad
aggiungere, il tono persino più ansioso nel cercare lo
sguardo di Blair,
affinché ella comprendesse ciò che voleva dire.
“… ma quel silenzio prima di
augurarmi la buonanotte è stato…”.
Non
sembrò trovare le parole adatte ma Blair annuì,
stringendo la sua mano con
entrambe le proprie.
“La
prima volta che ho detto a Chuck che lo amavo, è stato un
completo disastro”
ammise, la voce più rauca al solo ricordo.
“… sai cosa mi rispose? ‘Che
peccato’”. Vide Kurt aggrottare le sopracciglia ma
continuò a sorridergli.
“Stava
passando un brutto periodo e forse non è stato il momento
ideale ma questo non
significava che io non fossi sincera o che lui non mi ricambiasse.
Sapevo
perfettamente che eravamo e siamo destinati ad essere
un’unica cosa, persino
quando mi ha respinta” aveva accarezzato l’anello
appeso alla collana, una sorta
di implicita promessa.
“Conosci
Sebastian meglio di chiunque altro e lui lo sapeva prima che tu avessi
il
coraggio di dirglielo. Devi lasciargli il tempo di sentirselo dire e di
dirlo a
sua volta”.
Un
sorriso sfiorò le labbra di Kurt malgrado gli occhi lucidi e
si protese a
stringerla in un abbraccio: affondò il viso contro la sua
spalla e socchiuse
gli occhi, lasciò che quel dolce calore gli penetrasse
nell’anima e lì trovasse
finalmente respiro.
“Grazie,
Blair” aveva bisbigliato ed ella aveva sorriso, carezzandone
dolcemente i
capelli sulla nuca.
“Andiamo
adesso, una bella cenetta e una notte di riposo: non avrai intenzione
di
rinnovare l’antitetanica e alloggiare da Humphrey,
vero?”.
Si
alzarono in piedi per recuperare le loro giacche quando il trillo del
cellulare
di Blair ruppe il silenzio e sorrise.
“Scommetto
che Gossip Girl ha seguito i tuoi spostamenti e ora parlerà
del nostro meeting
e-“ si interruppe, gli occhi sgranati e le labbra tremanti
mentre Kurt si
avvolgeva la sciarpa intorno al collo e la osservava, il viso inclinato
di un
lato.
“Non
dirmelo” commentò con una smorfia.
“… hanno preso il mio profilo peggiore”
inarcò le sopracciglia allo sguardo preoccupato della
brunetta.
“Blair?”.
“No,
solo l’ultima conquista di Serena” si strinse nelle
spalle ma Kurt si irrigidì.
“Sebastian?”.
La
brunetta si morse il labbro, sembrò indecisa ma quando il
ragazzo si fece
avanti, si irrigidì.
“Non
devi credere a tutto quello che dice: sono sicura che ci sia una
spiegazione”
si era affrettata a dire mentre Kurt porgeva la mano con il palmo
rivolto verso
l’alto.
“Il
cellulare, per favore”.
Sospirò
ma allungò il telefono e lo vide impallidire alla vista
della fotografia: i
lineamenti del ragazzo – il cosiddetto Mister X –
erano molto sfocati poiché si
trattava di un fotogramma tratto dalle telecamere
dell’aeroporto, secondo la
didascalia, ma la sagoma di Sebastian era perfettamente riconoscibile.
Strinse
le labbra ma non disse nullo, lo porse alla legittima proprietaria che
ne
strinse la mano.
“Vuoi
che assuma un sicario? O un appuntamento al centro benessere: abbiamo
accumulato così tanto stress che rischiamo le rughe precoci
e-“.
Kurt
le sorrise ma scosse il capo.
“Se
non ti dispiace, preferirei fare una passeggiata prima di incontrarci
per cena:
ti chiamo più tardi” si chinò a
baciarle la guancia ma non protestò quando ella
lo strinse un altro istante e lo osservò andarsene con
sguardo rammaricato.
“Dorota!”
esclamò quando vide, dalla finestra, Kurt entrare nel taxi.
“Sì,
signorina Blair? Devo convocare un meeting?”.
“Non
adesso” rispose laconica l’altra, l’ombra
di un sorriso malefico sulle belle
labbra, prima di osservarla e Dorota sembrò irrigidirsi.
“Conosco
quella faccia”.
“Caro
Sebastard, è ora che tu ti ricorda chi è Blair
Waldorf”.
~
La
giornata era trascorsa con una monotonia quasi asfissiante: aveva
acceso il
proprio portatile, la pagina internet collegata alla malefica pagina di
gossip.
Sperava che, allontanandosi da New York, sarebbe finito anche il
momento di
doverla consultare e, a più riprese, per scoprire cosa
stesse accadendo (o non
accadendo) tra lui e Sebastian. Era come se, una volta tornati in
quella
giungla coi grattacieli che era Manhattan, come chiunque altro
divenissero
pedine di un gioco perverso nel quale le persone sembravano
più vicine che mai
ma costrette ad una lontananza fisica, spesso soltanto una metafora di
quella
emotiva. Sospirò per l’ennesima volta quando fu
chiaro che il sonno avrebbe
faticato a giungere: in realtà non era più
riuscito a dormire perfettamente, da
quella notte nella quale, pur respirando il suo profumo, e sentendo il
calore
del suo corpo, sembravano già divisi e lontani.
Si
sollevò con il torso e rimase seduto immobile sul letto, la
sola luce proveniva
dalla finestra, la luna illuminava quel piccolo ambiente familiare e
confortevole. Sollevò per l’ultima volta lo
schermo del portatile, in attesa
che le immagini tornassero sullo screensaver. L’ultimo post
era ancora di
fronte a sé, beffardo come sempre.
E mentre Sebastihard indica a
Mister
X la direzione per la sua camera da letto, il Ragazzo Porcellana
rientra, con
la coda tra le gambe, a Brooklyn. Che lui e il Ragazzo Solitario[7]
stiano
progettando una rivalsa contro i Principini dell’Upper East
Side?
Ma dopotutto, il Natale
è il tempo
del perdono e del riavvicinamento, ma forse Sebastihard dovrebbe
considerare
qualcosa di più dello spargere il suo amore al prossimo.
E’ tempo che anche
la vostra Gossip
Girl abbia il suo meritato riposo ma non preoccupatevi: si promettono
vacanze
poco Kurtbastian ma sicuramente scongiureranno il gelo caduto su
Manhattan.
Xoxo Gossip Girl.
Una
vaga smorfia apparve sul volto ma scosse il capo e spense
definitivamente il
computer: non sarebbe più voluto sottostare alle maligne
insinuazioni di quel
sito di gossip. Era più che sicuro che vi fosse una
spiegazione plausibile e
che lui e Sebastian avrebbero affrontato la questione come due persone
adulte e
civili. Il fatto che ancora non lo avesse chiamato era giustificabile
perché,
ovviamente, voleva lasciargli il tempo di farlo per primo. Soprattutto,
confidava nella sua sincerità circa anche la
possibilità che fosse davvero
interessato a quel ragazzo seppur, fino ad appena due giorni prima,
stessero
progettando le vacanze. Insieme.
Prima che gli dicesse quelle parole che sembravano aver congelato
tutto. Sì,
congelato era il termine più opportuno.
Ma,
dopotutto, era arrivato a sua volta a New York, probabilmente in uno
slancio di
cavalleria (?) aveva deciso di seguirlo: dubitava volesse trascorrere
le
vacanze con la madre naturale, visti i panegirici ben poco lusinghieri
che
riservava a lei e alla famiglia allargata. Si morse il labbro ma scosse
il
capo.
Era
solo questione di tempo ma il calendario gli ricordava, ad una maniera
beffarda, che avrebbe rischiato di trascorrere da solo la Vigilia di
Natale.
Si
sorprese non poco nello scorgere la luce accesa nello studio di Dan,
dopo esser
uscito con l’intento di bere un bicchier d’acqua:
si avvicinò, una mano pronta
a bussare ma il giovane lo vide e gli fece cenno di entrare. Era seduto
di fronte
al computer: il viso pallido e le occhiaie evidenti ma per lo meno
aveva
scongiurato di lasciarsi crescere troppo i riccioli che, confusi alla
barba, lo
facevano somigliare ad un uomo delle caverne.
“Non
dormi neppure tu?” aveva chiesto Kurt ma l’altro
aveva scosso il capo.
“Mi
diletto a credermi uno scrittore e l’ispirazione non ha
orari” aveva commentato
e Kurt aveva annuito con un vago sorriso.
“Il
sequel di “Inside”[8]?”.
“A
quanto pare il mio primo suicidio sociale non mi è bastato o
forse sono particolarmente
masochista”. Aveva replicato l’altro con un sorriso
divertito a mascherare i
suoi reali pensieri.
“Credo
che il tuo libro rispecchiasse perfettamente lo stato d’animo
della città,
certo non tutti colgono l’ironia pungente o ciò
che si cela al di sotto e di
più… sentimentale”.
“Dubito
che i flirt di Serena o gli intrighi di Blair possano-“.
“Non
hai mai pensato di dirle cosa provi?[9]”.
Aveva domandato
schiettamente e lo aveva visto inarcare le sopracciglia prima di
scuotere il
capo. La mano era salita a tormentarsi i capelli riccioli prima di
sorridere
più amaramente e scuotere il capo.
“A
quale scopo?”. Aveva domandato soltanto ed apparso stanco.
“Essere
sincero con te stesso, non credo sia sbagliato”. Fu la pronta
replica di Kurt.
“Imporle
sentimenti che non ricambierebbe sarebbe inutile se non per dare prova
di
ulteriore masochismo almeno… non sono così
kamikaze. O forse sì” gettò uno
sguardo al proprio portatile, le sopracciglia inarcate con
quell’evidente
autoironia che celava ben altro ma Kurt scosse il capo.
“Non
le dai la possibilità di vedere chi sei
realmente”. Aveva sospirato,
guardandolo di traverso.
“Se
c’è una cosa che si impara a vivere
nell’Upper East Side, è che farlo sia il
più grande errore”.
“La
maschera può essere svelata e alla fine ognuno
dovrà mostrare ciò che realmente
è, con tutti gli annessi e connessi e il rischio di un
rifiuto”.
“Oppure
si può restare nell’ombra, analizzare
dall’esterno con occhio più oggettivo e
decidere, semplicemente, di lasciare andare le cose quando la propria
presenza
è destinata ad essere una comparsa e non un
protagonista”. Aveva ribattuto Dan
e Kurt ancora una volta era affascinato da quel loro scambio di
aforismi e di
riflessioni che andavano ben oltre gli episodi narrati in un libro.
“Un
sacrificio d’amore?” chiese con voce più
velata.
“Io
lo avrei definito un suicidio emotivo
ma mi piace il tuo romanticismo”. Aveva ribattuto Dan
sorridendogli complice.
Sorrise,
Kurt, un sorriso più amaro prima di sospirare: poteva
esserci del sensato in
quello che diceva Dan? Dopotutto, egli, per deformazione professionale,
era un
ottimo osservatore della natura umana ma, d’altro canto,
quanto quei luoghi
comuni e frasi di repertorio potevano essere idonee se accostate ad una
personalità come quella di Sebastian o un rapporto come il
loro che aveva
sempre ritenuto al di sopra di regole o di luoghi comuni.
“Buonanotte,
Dan”.
Uscì
dalla stanza più stanco che mai e faticò ancora
più del previsto a trovare il
giusto riposo.
~
Sveglia, amici
dell’Upper East Side!
E’ la Vigilia del
Natale: è il tempo
per gli ultimi acquisti, le visite ai parenti che non vorremmo vedere
durante
il corso dell’anno, un’ultima occhiata alla lettera
per Santa Claus, il momento
dello shopping selvaggio alla ricerca di un abito da sfoggiare per una
serata
mondana ma, soprattutto, è il momento di trovare un modo di
imbucarsi alla
festa dei Van Der Woodsen.
A quanto pare, il Natale
è davvero la festa delle riconciliazioni e dei gesti
d’amore: avvistato, SebastiHard esce dal palazzo della cara
madre e, questa sì
che è una novità!, è solo ma sembra
frettoloso di andarsene. Che la nostra Lily
possa conoscere Mister X prima di tutti noi?
Ma non preoccupatevi, non
sarà più
così anonimo, anche io ho in serbo un regalo per voi, miei
fedeli amici: ma, dovreste
conoscermi, ogni cosa a suo tempo e domattina non cercherete i regali
sotto
l’albero, garantito!
Eleanor,
con grande piacere ed imbarazzo di Kurt, lo accolse con lo stesso
entusiasmo
della figlia: seppur i dipendenti non dovessero lavorare quella
mattina, si
erano tutti riuniti nell’atelier ed avevano entrambi mostrato
i loro progetti e
disegni sulla nuova linea di moda a immagine e misura di quella che
sarebbe
stata ufficialmente riconosciuta come “Queen of
Manhattan”.
“E’
davvero meraviglioso riaverti con noi, Kurt. Se intendi stabilirti
anche dopo
le feste, avrai un posto fisso qui”. Aveva commentato e la
stessa Blair aveva
sorriso con evidente entusiasmo all’idea. Anche Kurt sorrise,
uno scintillio
più dolce che ne fece baluginare lo sguardo azzurrino.
“Sono
molto lusingato ma-” Eleanor gli appoggiò la mano
sul braccio.
“Non
devi darmi subito una risposta: attenderò dopo le feste ma,
credimi se te lo
dico, ho visto molti giovani ambiziosi e di discreto talento ma nessuno
mi ha
entusiasmato quanto te. Credo che tu e Blair, insieme, potrete fare
grandi
cose”.
Una
sfumatura più rosate alle gote ma Kurt sorrise nuovamente.
“Le
prometto che ci rifletterò sopra con molta
attenzione” aveva asserito il
giovane la cui testa sembrava cominciare a girare vorticosamente.
Non
aveva ancora perfettamente idea di ciò che sarebbe potuto
accadere tra lui e
Sebastian. Ma l’idea di poter avere un nuovo inizio e in una
città che
prometteva simili ed irripetibili occasioni, era non poco suggestiva.
Il
meeting si era presto concluso ed Eleanor si era congedata ma appena
Kurt si
alzò per indossare nuovamente il suo cappotto, Blair gli
strinse
affettuosamente il braccio.
“Sei
pallido: riesco a riconoscere le occhiaie anche da sotto un correttore
di marca
come il tuo”. Kurt aveva scosso il capo, un vago sorriso
ironico ma prima che
potesse rispondere, entrambi i cellulari erano suonati nello stesso
istante.
“Gossip
Girl” sussurrarono all’unisono.
Per chi ancora non si
è svegliato,
c’è sempre la speranza di una bella colazione a
letto: soprattutto se a
portarvela è niente poco di meno di un SebastiHard al
massimo della forma.
Avvistato mentre esce da una caffetteria della Fifth Avenue: busta
gigante e
caffè per due. Ragazzo Porcellana è il momento di
uscire allo scoperto, lascia
che B risolva da sola l’eterno enigma su quale cerchietto
abbinare all’abito da
sera per la festa di Chuck Bass, Mister X non sta certo trafficando tra
le
stoffe!
“Cerchietto?
Ma per favore, sono finiti i tempi della Constance e neppure un
commento sul
nostro meeting di stamani, tutta colpa di Sebastard!” aveva
commentato
aspramente la giovane, un arricciare del nasino e il corrugamento delle
labbra
mentre Kurt insinuava il cellulare nella tasca prima di indossare i
guanti.
“Ho
deciso: se è uno scandalo quello che vuole, lo
avrà”.
“Oh,
vuoi andare nel quartiere gay di Chelsea e trovarti un accompagnatore:
posso
venire ad aiutarti a scegliere?”.
Il
ragazzo aveva sgranato gli occhi.
“Ho
bisogno di un nuovo tight: andrò alla festa di Lily, senza invito”.
“Oh,
non preoccuparti: chiamerò S, ti farà entrare
dalla porta di servizio. Niente è
meglio dell’attacco a sorpresa!” Kurt aveva notato
come lo sguardo della
giovane si era pericolosamente acceso, come ogni volta che sembrasse
macchinare
qualcosa. Aveva sorriso ma aveva scosso il capo.
“No,
Blair, non intendo abbassarmi al suo livello: siamo due adulti,
risolveremo la
questione senza intrighi e macchinazioni. Ma puoi venirmi ad aiutare a
fare
shopping”.
La
giovane aveva fatto un vago cenno della mano come a scacciare una
nuvola di
moscerini.
“Non
ci sarebbe gusto: sceglieresti sicuramente il modello migliore e non
potrei
criticarti”.
L’altro
rise.
“Ecco
perché non ci divertiamo a fare shopping insieme, grazie
comunque. Ti chiamerò”
le aveva baciato la guancia e si era allontanato.
Attese
di sentire la porta chiudersi ma stavolta non vi fu bisogno di chiamare
la sua
solerte governante perché quella entrò con un
sospiro.
“Ha
sentito, Signorina Blair? Niente complotti, il signorino Hummel
è stato chiaro
e-”.
“Kurt
non sa quello che è meglio per lui e poi sono stanca di
stare a guardare e
lasciare il divertimento a Gossip Girl. Piuttosto, hai fatto quello che
ti ho
chiesto?”.
Osservò
il fascicolo di fogli che la donna recava con sé: le porse
la mano ma questa indietreggiò.
“Non
credo che sia una buona idea”.
“Non
sei pagata per pensare, Dorota. Se non vuoi che ti spedisca a lavorare
a
Brooklyn, dammi subito i dati che hai raccolto”.
“Soltanto
per il signorino Hummel”.
Blair
aveva preso il fascicolo con un gesto secco prima di inarcare le
sopracciglia.
“Blaine
Anderson” lesse dopo essersi seduta sulla poltroncina.
“… nato a Westerville… Accademia
Dalton, diplomato col massimo dei voti ma a me servono scandali
e-“.
Era
inorridita con un gemito alla vista di una fotografia che lo ritraeva
con un
vistoso costume dal mantello blu.
“Non
posso credere che Sebastard tradisca Kurt con la versione gay di
Batman!”.
“In
realtà si fa chiamare Nightbird, il
Vendicatore Notturno” commentò
Dorota cercando di dare alla propria voce un tono misterioso ma la
ragazza
l’aveva osservata quasi schifata.
Aveva
sollevato gli occhi al cielo e sembrò conteggiare fino a
dieci prima di
riprendere.
“Non
hai capito nulla Dorota! Quello che mi serve sono scandali con cui
ricattarlo:
genitori alcolizzati, un fratello erotomane, uno spaccio di droga,
coinvolgimento in un reato, questa è
solo
spazzatura”. Lasciò cadere il plico con le foto e
le documentazioni e accavallò
nervosamente le gambe.
“Forse
perché questo Blaine Anderson è un bravo ragazzo,
Gossip Girl sta solo mettendo
in giro delle calunnie e facendo soffrire il signorino Hummel. Mi
creda, la
cosa migliore è che lasciamo che i due parlino come persone
adulte e civili”.
“Sebastard
nasconde qualcosa, se non posso arrivare a lui dovrò
prendere questo traviato notturno”.
“Vendicatore
Notturno” lo corresse l'altra.
“Quello
che è” cacciò la precisazione con un
cenno distratto della mano.
Digitò
rapidamente il nome del sito di Gossip Girl, cercò tra le
mappe e sorrise.
“Ma
guarda, sembra che il nostro fringuello notturno sia solo in questo
momento”.
“Oh,
no, non mi piace quello sguardo”.
Sorrise
quando vide il numero sul display del proprio cellulare e se lo
portò
immediatamente all’orecchio.
“Ciao
Nick, allora, siete arrivati all’albergo?”. Un
sorriso nell’ascoltare le parole
del suo interlocutore prima di annuire meccanicamente o emettere
qualche parola
di conferma e di approvazione.
“Perfetto.
Sembra che sia tutto perfetto per stasera, Sebastian è molto
esigente: allora
ti mando l’indirizzo, ciao Nick, a più
tardi!” chiuse la comunicazione con un
sorriso proprio nel momento in cui una limousine posteggiava di fronte
a lui.
La
portiera del passeggero fu aperta e Blaine osservò la
giovane che ne usciva, un
sorriso ne increspava le labbra.
“Blaine
Anderson, temo proprio che Sebastard dovrà fare a meno di
te”.
“Cosa-?”.
Non
poté aggiungere altro perché il fedele autista di
Chuck Bass lo spinse dentro,
attese che anche la giovane Waldorf entrasse e chiuse la portiera.
La
limousine sfrecciò rapidamente tra le strade di Manhattan.
~
La
ricerca dell’abito perfetto per una simile occasione non era
stata tra le più
semplici malgrado il suo innato gusto per la pregiata sartoria e
malgrado la
propria creatività. Non che esistessero tight che potessero
esprimere un
pensiero come “mi stai davvero tradendo?” o
“siamo ancora una coppia, giusto?”
o “Anche se non me lo hai detto, so che mi ami” o
qualcosa che potesse
sintetizzare tutte queste opzioni. Ciononostante, lo shopping era stato
piuttosto rilassante: se non altro il fruscio della seta, il tastare le
stoffe
e il potersi contemplare di fronte ad uno specchio e scegliere tra
diverse
nuance di camicie e di cravatte, era stata comunque una piacevolissima
distrazione da tutto il resto. Momentanea però.
Spegnere
il cellulare per evitare qualsiasi altra contaminazione di Gossip Girl
non era
stata una sbagliata iniziativa: aveva preso la sua decisione ed era in
quei
momenti nei quali dava sfoggio di tutta la propria determinazione, che
sentiva
di essere perfettamente in grado di gestire ogni cosa.
Era
sceso dal taxi con un sospiro: si era rimirato per un’ultima
volta prima di
entrare nel palazzo, salutò con un sorriso Vanya, il
portiere, ma notò che non
aveva dato segnali di nervosismo, soltanto una lieve sorpresa.
Evidentemente
era anch’egli un abitudinario di Gossip Girl oppure aveva
visto da poco
Sebastian salire con quel famigerato Mister X e probabilmente
immaginava che
avrebbe scatenato una scena madre che sarebbe stata melodrammatica ed
isterica,
qualcosa di cui quelli dell’Upper East Side erano sicuramente
avvezzi.
Niente
di tutto questo e la dose di camomilla che si era propinato prima di
uscire dal
loft era stata una forma di precauzione salutare.
Sarebbe
entrato, avrebbe fatto gli omaggi del caso alla padrona di casa (accidenti! Aveva dimenticato le rose, il
che era un evidente segnale di quanto fosse stressato. Insomma, recarsi
e
conoscere per la prima volta la madre naturale del proprio ragazzo,
infiltrarsi
nel suo attico, irrompendo in una festa a cui non
era stato invitato e per di più a mani vuote. Forse non
aveva
del tutto torto Dan a sostenere che l’Upper East Side fosse
una sorta di lato oscuro), si
sarebbe complimentato
per i pezzi d’arte che erano presenti
nell’appartamento, per la sua mise e l’acconciatura
e poi lo avrebbe scovato. Che fosse solo o in compagnia non gli sarebbe
importato: si sarebbe presentato come il suo legittimo accompagnatore
e, una
volta che si fossero isolati dagli altri invitati, avrebbero avuto un
ragionevole scambio di opinioni.
Come
si doveva a due persone adulte e mature.
Se
lo stava ripetendo da che le porte dell’ascensore si erano
chiuse ma ciò non
era bastato a tranquillizzarlo: quei momenti in attesa di giungere al
piano
designato, infatti, parvero protrarsi ad una maniera quasi infinita ma
prese un
bel respiro quando la salita terminò.
Si
prese un solo istante prima di uscire dall’abitacolo che
appariva come ultimo
lido sicuro ed era infine entrato nel lussuoso appartamento: malgrado
l’ironia
che aveva dimostrato a più istanze, Sebastian non aveva
esagerato nel
descrivere lo sfarzo e l’eleganza che lo circondavano. Il
locale era gremito di
persone in abiti sfavillanti e gioielli, come si era immaginato, e
aveva fatto
nervosamente vagare lo sguardo tutto attorno, cercando qualche viso
noto:
riconobbe Nate Archibald (“non arrossire, non arrossire, non
arrossire”),
Serena Van Der Woodsen e la donna che si stava avvicinando non poteva
che
essere:
“Lily
Humphrey” si presentò tendendogli la mano (si era
quasi dimenticato che il
padre di Dan aveva sposato la madre di Serena e di Sebastian) con un
sorriso e
il ragazzo ne strinse le dita delicate e diafane, notando appena
l’anello con
il diamante più grande che avesse mai visto da
così vicino. Un’ondata di soave
profumo lo avvolse e ne rimirò l’eleganza e la
pacatezza mentre si prestava ad
un galante inchino, dopo averle sorriso.
“Mi
perdoni per l’intrusione, sono Kurt Hummel e-”.
“Sono
davvero lieta di conoscerti, finalmente” aveva commentato,
stringendogli meno
formalmente il braccio e riservandogli un sorriso più dolce
mentre inclinava il
viso di un lato e sorrideva ad una maniera appena più
ironica. “… anche se
speravo che fosse Sebastian a presentarci come si conviene ma, lo
conosci
meglio di me, le convenzioni sociali non sono il suo forte”
aveva sospirato con
fare più stoico che aveva fatto sorridere Kurt.
Non
poteva biasimare Sebastian per riconoscere nella nuova compagna del
padre, la
donna che gli era stata davvero accanto nel suo percorso di crescita,
una vera
madre. Ma non poteva non ammirare l’eleganza della donna che
gli era posta di
fronte e quel garbo persino nel parlare di qualcosa di spinoso, quale
l’atteggiamento di Sebastian stesso.
“Speravo
proprio di poter parlare con lui” aveva commentato e
l’aveva vista inarcare le
sottilissime sopracciglia, ciononostante la fronte rimase liscia
(botox? Si
domandò tra sé e sé) prima che
sorridesse vagamente divertita.
“Temo
ci sia stato un equivoco” aveva convenuto e Kurt si era
sentito il cuore
sospeso in gola, non riuscendo a comprendere se le implicazioni fossero
o meno
positive ma si sforzò di dimostrare una certa non chalance
mentre la donna gli
faceva cenno di attendere.
Tornò
poco dopo con una busta che gli porse.
“C’è
il tuo nome scritto sopra” aveva sorriso e il ragazzo aveva
riconosciuto, un
tuffo al cuore, la calligrafia di Sebastian: quello, se non altro,
spiegava
perché Lily non fosse rimasta particolarmente sconcertata
dal suo arrivo.
Con
dita quasi tremanti, estrasse il cartiglio: notò
distrattamente che, sulla parte
bassa del foglio, era stato riportata l’indicazione di un
indirizzo ma si
concentrò sul messaggio vero e proprio.
Bel tentativo,
tesoro.
Francamente mi
ritengo offeso da simile mancanza di fiducia, ma, dopotutto, persino io
a
Natale mostro il mio lato migliore.
Raggiungimi a
questo indirizzo.
E, Kurt, cerca di
non fare il faccino “colpevole” fin quando non
varcherai la soglia
dell’appartamento. Sono sicuro che troverai modi ingegnosi
per farti perdonare.
Ti aspetto,
Sebastian
Ps: vorrei vedere
quanto sei arrossito in questo momento: sai che lo adoro.
Tipico di Sebastian. Non soltanto
perché aveva letto quel messaggio
intonandolo, nella sua mente, con la voce dell’altro ragazzo
ma perché si
sarebbe quasi aspettato di vederlo spuntare dietro la parete, il
sorrisetto
suadente e sicuro di sé e lo scintillio beffardo dello
sguardo.
Qualunque
cosa facesse, era sempre in grado di prevedere le sue mosse e agire di
conseguenza ma probabilmente quella era una delle tante sfaccettature
che aveva
imparato ad apprezzare ed amare. Rimirò ancora il biglietto,
un sorriso
trasognato malgrado il colorito rosato sulle guance, un dolce
martellare del
cuore che già aveva una familiare sensazione di qualcosa di
conosciuto e di
proprio, prima di schiarirsi la gola.
“Io-”
avrebbe dovuto sicuramente far pagare a Sebastian l’imbarazzo
che gli stava
procurando: non avrebbe potuto spedire quella lettera a Brooklyn o
all’atelier
di Eleanor? Immaginò che ciò facesse parte della
sua personale punizione e
divertimento alle proprie spalle.
Lily
si limitò a sollevare il calice.
“Per
favore, Kurt, digli che mi farebbe piacere rivederlo prima che torniate
in
Europa” gli aveva nuovamente allungato la mano.
“Buon
Natale”.
~
Rilesse
il messaggio con le sopracciglia aggrottate e l’espressione
stizzita: detestava
quando qualcosa sfuggiva al suo controllo di abile stratega e
manipolatore
delle azioni altrui. Ma, dopotutto, lo constatò sorridendo
quando sentì bussare
alla porta, poteva elogiarsi mentalmente per lo splendido operato
compiuto fino
a quel momento.
Un
ultimo sguardo tutto attorno prima di avvicinarsi alla porta e
schiuderla: il
sorriso divenne persino più impertinente nel riconoscere i
lineamenti
dell’altro. Inclinò il viso di un lato, le labbra
smosse in quell’espressione
di puro compiacimento.
“Ciao
tesoro” lo salutò, vezzeggiando ironicamente, come
sempre, quel nomignolo e
Kurt sospirò, sollevando momentaneamente gli occhi al cielo,
seppur fosse
palese la gioia e la dolcezza nel rivederlo, soprattutto dopo quella
partenza
improvvisa.
Non
lo avrebbe probabilmente ammesso neppure sotto tortura ma era stata una
sensazione angosciante di abbandono e di fragilità quando,
rientrato nella loro
camera, tutte le sue cianfrusaglie inutili (che passava metà
del tempo a
calciare o criticare quando era assente) e soltanto quel biglietto
scritto
nella sua calligrafia svolazzante e tondeggiante.
Si
era dovuto sedere prima di leggere il contenuto dello stesso e quella
improvvisa e sconclusionata partenza che aveva ricondotto
all’episodio della
sera precedente.
Stupido
sentimentale, lo aveva
rimproverato mentalmente ma si era affrettato a prenotare un biglietto
di prima
classe prima di orchestrare tutto il piano che avrebbe messo in atto:
se per
Gossip Girl era stato una star, avrebbe potuto facilmente sfruttarla a
proprio
favore. Equivoci ed intrighi gli erano piuttosto congeniali anche senza
riconoscersi legittimo erede di quel mondo dall’aura dorata
attorno ma teatro
di ipocrisie e di falsità, tollerate soltanto in nome dei
cognomi prestigiosi
delle famiglie che lo dominavano. La lotta al potere non era mai stata
una sua
ossessione, se non quando era suggestivo usare i loro stessi strumenti
per i
propri scopi.
Kurt
aveva esitato sulla soglia: si era tolto il cappotto che teneva piegato
sul
braccio.
“Credo
che dovremmo parlare e-”.
Gli
aveva posato un dito sulle labbra morbidamente spalmate di quel burro
cacao di
cui amava privarle fin troppo spesso, un sorriso nel notare lo
scintillio dello
sguardo e il successivo rossore sulle gote. Era stato tentato di
carpirle fin
da subito ma dopotutto non vi era fretta, ora che era lì,
alla sua mercé.
“Non
adesso: è ora di cena”.
Lo
aveva privato del cappotto che aveva riposto
sull’attaccapanni prima di
rimirarlo in quel nuovo tight, cingendolo appena da dietro e
morsicandogli il
lobo dell’orecchio, respirando sulla pelle sensibile del
collo.
“Un
nuovo completo? Non vedo l’ora di toglierlo” aveva
sussurrato suadente,
sorridendo del suo trasalire visibilmente prima di prenderlo per mano
– una
stretta decisa per quanto delicata – e condurlo nella cucina
nella quale il
catering aveva già apparecchiato una sontuosa tavola per due
a lume di candela.
Sebastian
sorrise nel notare il suo stupore prima di avvicinarsi ad una delle due
sedie e
tirarla all’indietro affinché il giovane potesse
sedersi.
“E
poi dici che non sono romantico” lo rimproverò con
fare suadente, lasciandolo
accomodare prima di avvicinarsi alla tavola: riempì due
calici con lo champagne
prima di sedersi a sua volta e poi sollevare il suo verso quello
dell’altro.
“Al
primo Natale a New York”.
Kurt
parve sorpreso a quella proposta di brindisi ma non obiettò
e fece cozzare
gentilmente il bicchiere contro quello dell’altro prima di
deliziarsi della
cena.
La
cena era stata perfetta e ben presto, superati quei minuti di imbarazzo
(il
proprio), si era immerso nel racconto del suo arrivo, della
sistemazione a
Brooklyn (aveva ignorato il suo arricciare il naso con lo stesso fare
altezzoso
e bizzoso di Blair) e dell’offerta di lavoro di Eleanor che
lo aveva fatto sorridere
persino con fare più impertinente.
Ciononostante,
una parte di sé era ancora inquieta: sapeva che non si
sarebbe sentito
completamente tranquillo fino a quando lui e Sebastian non avrebbero
affrontato
anche i loro sentimenti, soprattutto quella sua dichiarazione che era
sembrata
sospesa in silenzio.
Ancora
una volta, mentre sostavano sul divano, di fronte al bel camino acceso,
Sebastian sembrò interpretarne perfettamente i pensieri.
“So
cosa vuoi chiedermi e la risposta è no, non ho un
amante… almeno non in questa
città” aveva soggiunto al suo orecchio con intento
più scherzoso ma aveva
indugiato vicino al suo viso ed era stato Kurt a sottrarsi, ritraendosi
per
poterlo guardare in viso.
Sapeva
che se gli avesse permesso di prendere quel tipo di iniziativa, non
sarebbe
stato in grado di fermarlo fino a quando le parole non fossero divenute
superflue e le coperte li avessero nuovamente avvolti in quel calore di
pelle,
respiri e di profumi fusi in un’unica cosa.
“Non
è questo” di fronte all’inarcare delle
sopracciglia di Sebastian, alquanto
scettico, aveva aggiunto: “… ero geloso,
sì, ma non significa non abbia fiducia
in te” gli aveva appoggiato la mano sulla guancia, a
trattenerlo in quel
contatto di sguardi, quasi sperando che, così facendo, le
sue parole fossero
ancora più comprese dall’altro.
Era
certo fosse così perché lo vide annuire e
rilassarsi, gli cinse la vita con un
braccio a trattenerlo pur aspettando che continuasse.
Aveva
preso un profondo respiro, improvvisamente neppure più
ricordava il discorsetto
che aveva imparato a memoria e che sembrava perfetto, almeno fin quando
lo
aveva ripetuto allo specchio (tutta la mezzora precedente
all’uscita, persino
quando annodava la cravatta) ma, come immaginava, contemplarlo
così da vicino
era sempre deleterio per le sue sinapsi.
“Quello
che ho detto l’altra sera era vero” aveva
rafforzato la pressione con cui ne
cingeva la guancia, malgrado il rossore sulle gote. “Io ti
amo” aveva
sussurrato, guardandolo dritto negli occhi e sentì la
pressione del braccio di
Sebastian farsi più intensa, lo scintillio più
dolce delle iridi ma prima che
potesse interromperlo o sporgersi, continuò.
“Ma
l’ultima cosa che voglio è che tra noi ci siano
imbarazzi o tensione: mi
dispiace di essermene andato così e ti prometto che
rispetterò i tuoi tempi
e-”.
Sebastian
aveva sollevato gli occhi al cielo prima di interromperlo bruscamente:
ne aveva
cinto la guancia con una mano e ne aveva carpito le labbra in un
contatto
improvviso ma intenso. Kurt sorrise sulle sue labbra, un mugugno
arrendevole
prima di cingerne il collo a trattenerlo, prima di sentire il suo corpo
adattarsi perfettamente alla cerchia creata dalle braccia di Sebastian,
prima
di sentirlo attrarlo a sé fino a farlo sedere sulle proprie
gambe.
Era
tutto perfetto, si disse, lasciando che gli artigliasse i capelli a
trattenerlo
un altro istante: quello necessario a dare un nuovo sapore a quel
contatto, a
fargli comprendere quanto gli fosse mancato, quanto fossero
un’unica cosa e
quanto ormai la sua vita fosse assuefatta alla sua presenza.
Mugugnò
quando Sebastian si scostò ma lo guardò dritto
negli occhi e questi appoggiò la
fronte alla sua.
“Volevo
fosse speciale” bisbigliò. “Ho assunto
quel ragazzo e il suo coro per farti una
sorpresa di quelle stucchevoli e diabetiche che ti piacciono tanto ma
la tua
malefica amica di cerchietto mi ha preceduto, dovrai accontentarti di
me”.
Se
aveva inarcato le sopracciglia alla menzione di Blair (povero Mister X,
non lo
invidiava per nulla!), non aveva potuto che sorridere più
dolcemente: si era
sporto nuovamente al suo viso, un vago sorriso.
“Potrei
farlo”.
Era
stato Sebastian a ritrarsi questa volta: un sorriso
all’espressione poco lieta
di Kurt prima di porgergli un pacchetto che questi aveva preso con un
sorriso
entusiasta.
“Ho
lasciato il tuo-”.
“Aprilo
e basta” sembrava fremente.
Inarcò
le sopracciglia alla vista della chiave in ottone e Sebastian lo
guardò in
viso:
“Dimmi
di sì e questa sarà la nostra casa: potrai
lavorare per Eleanor o creare un
atelier tutto tuo. Io proseguirò qui i miei studi:
è il mio momento di
dimostrare che sono pronto a seguirti ovunque”.
Vi
era una reale commozione nello sguardo di Kurt ma lo baciò
nuovamente con foga.
“Devo
prenderlo come un sì?”.
Lo
aveva cullato fino a quando non era caduto nel torpore: ancora una
volta ne
aveva sfiorato la pelle diafana e delicata, si era beato del suo
sguardo
trasognato. Era stato un momento così intenso che avrebbe
voluto poterlo
immortalare in quel momento.
E
tra il suo respiro e il suo profumo, il suo bacio e le sue carezze, una
dolce
conferma e una struggente promessa per l’avvenire.
“Ti
amo”.
“Lo
so”.
Sorrideva,
Kurt, sereno come non mai quasi quel ritrovarsi fosse stato solo
l'inizio di
una nuova vita insieme. Una nuova tappa.
“Allora
la prossima volta non scappare”. Lo aveva ammonito e,
malgrado il sorriso, la
stretta con cui lo legò a sé era evidente sintomo
del suo bisogno di lui.
“Promesso”.
Aveva
schiuso gli occhi dopo molte ore al sentire la vibrazione del proprio
telefono:
prese prima quello di Kurt ed inarcò le sopracciglia al
messaggio che era
giunto.
Kurt, il tuo Sebastard
dopotutto non
ti tradisce, anzi.
Temo di aver rovinato la
sorpresa, mi
farò perdonare!
B.
Grazie, Miss Cerchietto,
riscuoterò il
pagamento quanto prima.
Dirò a Kurt che hai
scritto… o forse
no.
Rise
del messaggio sul proprio cellulare.
[Da
Blaine]
Sebastian… ho
bisogno di aiuto. Una
pazza mi ha letteralmente sequestrato.
Sorrise
prima di sentire Kurt mugugnare e strusciarsi al suo collo: si
chinò a baciarlo
a fior di labbra prima di scattare la fotografia.
“Un
sorriso per Gossip Girl”.
Devo ammetterlo, mio malgrado,
mi sto
affezionando a queste storie d’amore al sapore di zucchero e
di intrigo. E a
quanto pare in un locale dell’Upper West Side, non fa
assolutamente freddo questa
mattina. Dai Kurtbastian, auguri di buone feste ma non illudetevi.
Sarò sempre io la
vostra regina, e
sono sicura che l’anno prossimo riserverà nuove
sorprese.
Ma per ora è tutto,
xoxo Gossip Girl.
Mi unisco ancora una volta al saluto
finale di Gossip
Girl.
Vi ringrazio di avermi seguita in questa
settimana e
auguro a tutti voi un buon Natale e un felice anno nuovo. Il mio
sarà ancora
all'insegna del Kurtbastian a prescindere da Murphy e, se lo vorrete,
ci
rivedremo nei capitoli di “Our Secret”.
Ma per oggi e questo 2012 è
tutto, un saluto a tutti,
Kiki87
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