Merry Kurtbastian Christmas

di Kiki87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Playing in the snow - I'm giving you the permission ***
Capitolo 2: *** Mistletoe - Our Secret ***
Capitolo 3: *** Christmas Presents Beneath The Tree - Our Perfect Christmas ***
Capitolo 4: *** Christmas Morning - Who I Am ***
Capitolo 5: *** Santa Claus and The Reindeer - Is Santa Claus coming? Isn't he? ***
Capitolo 6: *** Family Fun - Christmas? No, thanks. ***
Capitolo 7: *** Crossovers During The Holidays - Gossip Glee II ***



Capitolo 1
*** Playing in the snow - I'm giving you the permission ***


1 Ben ritrovati a coloro che mi hanno seguito nella Kurtbastian Oktoberfest e un saluto a chi ancora non ho avuto il piacere di incontrare su queste pagine.
Anche in questo periodo natalizio mi sono cimentata nell'ideare qualche raccontino su questa meravigliosa ma, ahinoi, coppia non canon. Al solito, la mia prima reazione a parte un attacco di fluff per le tracce, è stata un po' scettica perché il mio timore era quello di ideare delle trame troppo smielate o banali per come immagino la collisione/fusione trai personaggi. Evidentemente qualcosa deve prima suscitarmi perplessità (therentgirl è pregata di non ridere) prima di piacermi, come è stato con Sebastian stesso. Quindi non mi dilungo oltre e vi auguro una buona settimana precedente le festività e un buon Natale Kurtbastian per i fan.
Un'ultima annotazione: a parte gli avvertimenti per ogni singola storia, devo avvisarvi che le ho progettate quasi tutte verso la fine di Novembre, o inizi Dicembre, ragion per cui non sarà poco frequente un discostarsi dalla trama originale.
Buona lettura!
 
Merry Kurtbastian Christmas
 
 
 
 
Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock 
Jingle bells swing and jingle bells ring 
Snowing and blowing up bushels of fun 
Now the jingle hop has begun 

Jingle bell, jingle bell, jingle bell rock 
Jingle bells chime in jingle bell time 
Dancing and prancing in Jingle Bell Square 
In the frosty air. 

(Bobby Helmes)


PLAYING IN THE SNOW
I'm giving you the permission
   
 
Non avrebbe immaginato che rivedere la Dalton potesse emozionarlo fino a quel punto: era sceso dalla scalinata esattamente come la prima volta che ne aveva varcato la soglia, mentre i ricordi divenivano persino più vividi. E dolorosi. Ma aveva sentito che quel passo era legittimo ed opportuno dopo la visita al McKinley per quanto, come avevano ripetuto lui e Rachel a più riprese, non sembrasse più essere la loro casa.
La sola accoglienza dei vecchi compagni, tuttavia, era stata sufficiente a dirsi che non poteva ignorare che una parte di sé era rimasta ancorata a quei luoghi: laddove al McKinley non si era più sentito protetto dai suoi amici e dalle persone che costituivano una seconda famiglia; la Dalton si era subito distinta per la rigida osservanza delle regole e del rispetto delle diversità. Dopotutto, persino alla primissima visita non aveva potuto che restare emozionato e commosso di fronte a simile calore tanto sincero da metterlo persino a disagio, accrescendo il senso di colpa per gli scopi della sua intrusione.
In quello stesso edificio era sorta la sua passione per Blaine ed era giunta a compimento, fino al suo primo vero bacio d’amore. Tornarvi a distanza di tempo, quando lui e Blaine non si appartenevano più, era un modo di chiudere il cerchio.
Il tour con Nick e Jeff era culminato nella sala delle prove nella quale, un sorriso nostalgico e lo scintillio commosso dello sguardo, incontrò altri Warblers che si alzarono dalle loro sedie e dai divani o dalla comoda postazione di fronte al camino, per stringerlo. Nuovi abbracci, nuove parole di nostalgia, qualche dispiacere per la fine della sua storia con Blaine e si era nuovamente seduto tra loro constatando, ancora una volta, come fosse particolare stare in quella sala senza indossare l’uniforme prevista. Un po’ come guardare quella realtà dall’esterno malgrado vi fosse uno spirito di coesione e di appartenenza tra i membri del Glee Club che sembrava sopperire le differenze.
Lo avevano anche informato circa i cambiamenti avvenuti nell'organizzazione interna del coro: era stato non poco sorpreso nel constatare che Sebastian aveva cambiato realmente condotta da quel loro colloquio al Lime Bean, dopo la – per fortuna sfiorata - tragedia che si era abbattuta sulla famiglia Karofsky.
“Sebastian non è più il capitano?” aveva chiesto in tono incredulo ed era stato in quel momento che la poltrona di fronte al fuoco, che nessuno aveva osservato fino a quel momento, era stata voltata e Kurt scrutò con le sopracciglia inarcate il giovane che vi stava seduto.
Aveva un portamento tronfio, un sorrisetto suadente ed allusivo mentre lo scrutava con espressione sicura di sé – evidentemente, pensò Kurt con fastidio, aveva origliato l'intera conversazione – e teneva in grembo un gatto dal pelo bianco e vaporoso che accarezzava indolentemente. Vi era qualcosa del tutto particolare nel suo scrutarlo: un evidente compiacimento nonché una certa alterigia che ne faceva curvare le labbra in un sorrisetto supponente ed arrogante per quanto apparisse pacato e quasi statico, tanto da non averne minimamente colto la presenza fino a quando non era stato lui, a quella maniera teatrale, a palesarsi.
Ma fu un'altra voce ad attrarre l'attenzione di Kurt che, con un movimento della coda dell'occhio, notò l'alta figura che si stagliava sulla soglia della sala: era cambiato dall'ultima volta che lo aveva visto. Soltanto un accorgimento dei capelli più morbidi e lunghi che aveva modellato con attenzione: aveva le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni della divisa, incurante di star così sgualcendo il blazer mentre copriva la stanza in ampie falcate. Lo sguardo rivolto proprio a lui, il viso inclinato di un lato e il sorriso beffardo.
“Sono lieto che tu ti preoccupi tanto per me, Kurt, ma non credevo che ti avremmo rivisto”.  Commentò in tono pacato, un lieve stringersi nelle spalle ma lo stesso sorrisetto che ne faceva sfolgorare le iridi smeraldine mentre lo scrutava dalla sua posizione, evidentemente divertito.
Kurt non ebbe modo di formulare una risposta per un lieve schiarirsi della voce ed entrambi, così come gli altri Warblers, si volsero ad osservare il giovane seduto sulla poltrona.
“Kurt Hummel” lo indicò con un cenno del mento, continuando ad accarezzare svogliatamente il suo micio. “Lascia che mi presenti, sono Hunter Clarington, il nuovo Capitano degli Usignoli, quello che li ha condotti alla vittoria delle Provinciali” soggiunse.
Kurt spiò di sottecchi le espressioni di Sebastian – il suo stringere il pugno lungo il fianco e il corrugamento della fronte – e non lo sorprese che apparisse così poco entusiasta di colui che lo aveva messo in ombra. Tuttavia, anche Nick e Jeff si erano scambiati uno sguardo tutt'altro che sereno.
“Le mie congratulazioni, mi dispiace essermi perso la performance ma sono sicuro che abbiate reso onore alla vostra fama ben meritata” aveva commentato in tono ossequioso ma era a Nick e Jeff e ai suoi vecchi amici che aveva rivolto un sincero sorriso.
Hunter inarcò le sopracciglia, vagamente divertito.
“Accetterò i tuoi elogi più che comprensibili ma sarò esplicito: qui non sei il benvenuto” aveva continuato a sorridere, un sorriso persino più suadente ad increspargli le labbra e il solo suono udibile, nel silenzio imbarazzato che ne seguì, furono le fusa del gatto.
“Perché no?” aveva chiesto Jeff, la voce più alta per l'indignazione. “... lui è nostro amico!” alla sua frase così spontanea e diretta seguirono molti cenni di approvazione che fecero ulteriormente sorridere Kurt nell'osservarli con uno scintillio commosso.
Hunter non parve minimamente toccato da simile dimostrazione d'affetto e Sebastian continuava a scrutarli tutti con il viso inclinato di un lato e le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
“Vi ha portato via l'Usignolo Blaine che adesso è dalla parte dei perdenti”.
“Usignolo che si è rifiutato di tornare e sottostare alla tua guida, a quanto ne so” aveva replicato con un sorriso velenoso e, era una sua impressione?, gli parve che un sorrisetto increspasse persino le labbra di Sebastian mentre Hunter inarcava le sopracciglia.
Lasciò cadere il gatto sul pavimento e si mise in piedi: si avvicinò a Kurt fino a fermarsi di fronte a lui, un atteggiamento arrogante e compiaciuto che ne rendeva i lineamenti persino più marcati, così la piega delle labbra e quell'inarcata provocatoria delle sopracciglia.
“Sei piuttosto... strafottente per chi ha fallito clamorosamente l'ingresso all'unica università alla quale aveva fatto domanda. Vuoi ricordarmi il numero con cui ti sei esibito?”.
Kurt aveva sentito le guance arrossarsi ma aveva stretto gli occhi in due fessure mentre Hunter continuava a sorridergli con fare divertito e soddisfatto di sé. Quest’ultimo cercò lo sguardo di Sebastian ma questi aveva il proprio diretto a Kurt.
Sorrise Kurt, un sorriso serafico.
“Certo e magari tu mi suggerirai un altro numero: uno che parli di qualche curiosa frustrazione sessuale[1]”. Se possibile il silenzio era divenuto persino più intenso ma Hunter non sembrò minimamente imbarazzato, al contrario inarcò le sopracciglia, una risatina roca.
Si volse a guardare Sebastian pur continuando a rivolgersi a Kurt.
“Ora capisco cosa intendeva sulla tua falsa innocenza”.
Quel commento fece inarcare le sopracciglia di Kurt che, ignorando la mano di Hunter che si era appoggiata sulla sua spalla stringendola appena, aveva gettato lo sguardo in direzione di Sebastian. Quest'ultimo si strinse nelle spalle ed incrociò le braccia al petto, un'occhiata di blando interesse.
“Oh, e così ti ha parlato di me” aveva domandato in tono quasi divertito.
E poi cosa voleva dire con “falsa innocenza”?
“No, non ho parlato di te più del necessario perché sapesse di Blaine e progettasse di rubargli il trofeo e di convincerlo a tornare alla Dalton” aveva ignorato lo sguardo ammonitore di Hunter ma aveva continuato a scrutare Kurt, un vago sorriso ironico.
“E no, non l'ho fatto con piacere quindi togliti quel sorrisetto compiaciuto, Miss Hummel”.
Era stato nuovamente Hunter a schiarirsi la gola, evidentemente poco propenso ad esser nuovamente un elemento scenico, completamente escluso dagli scambi di cortesia tra i due ragazzi. Si era scostato da Kurt per tornare a sedersi sulla sua poltrona e così il micio fece un balzo per accomodarsi nuovamente sul suo grembo.
“Perché tu e Sebastian non continuate la vostra discussione fuori di qua e così tutti voi che evidentemente siete lieti di rivedere il vostro amichetto?”. Con lo sguardo aveva abbracciato il resto della sala, prima di voltarsi nuovamente verso il fuoco.
Era appena stato congedato, constatò Kurt che appoggiò la mano sul braccio di Jeff notandone l'espressione incupita prima di sorridere.
“Hunter ha ragione: non vorrei essere ulteriormente sottoposto alla vista delle sue folte sopracciglia o del suo ghigno da Joker che neanche il fondotinta mal distribuito riesce ad attenuare”. Fu la sua ultima scoccata prima di stringersi nelle spalle e scuotere il capo.
“Torna a trovarci, Hummel... ” gli giunse la voce di Hunter seppur non si fosse voltato in sua direzione e fosse così costretto a fissare lo schienale della sua poltrona.
“... quando deciderai di ricordare come si sta davvero su un palco: non perderti le Regionali, vinceremo anche quelle”.
Kurt strinse i pugni lungo i fianchi, le sopracciglia aggrottate: sapeva che non sarebbe valsa la pena rovinare il suo ritorno alla Dalton per le sue manie di protagonismo, tanto più che egli era l'ultimo arrivato e, a quanto aveva capito, non sembrava incarnare assolutamente i valori che aveva conosciuto ed apprezzato in quell'Accademia.
“E' molto probabile, se il numero di apertura non sarà il tuo” volse appena lo sguardo a Sebastian che non si era mosso dalla sua postazione, il viso inclinato di un lato nel seguirne l'uscita.
“Se continuerai a parlargli di me, digli che preferivo la tua leadership, buona giornata” si era voltato ed aveva seguito gli altri ragazzi fuori dalla sala.
Risalirono la scalinata e Kurt ascoltò i commenti di disapprovazione degli altri ragazzi con un sorriso.
“Non lasciate che Hunter cambi ciò che vi rende così perfetti: voi siete una squadra unita, qualunque cosa lui possa dire”.
“E tu sarai sempre nostro amico” aveva ribattuto Nick rivolgendogli un sorriso più ampio che indusse Kurt a cingerlo in un abbraccio prima di osservarli nuovamente tutti.
“E' stato bello rivedervi ma devo sbrigarmi: tra due ore ho il volo per New York e devo ancora finire le valigie”. Notò come sembrassero tutti essersi rabbuiati e si promise che sarebbe dovuto tornare a far loro visita e intrattenersi più a lungo, soprattutto senza sgradite presenze come quella del nuovo Capitano.
“Tornerai a trovarci, vero, Kurt? E se arriviamo alle Nazionali-”.
“Sarò lì per voi”. Concluse la frase al posto di Jeff, beandosi dei sorrisi che apparvero nuovamente sui loro volti prima che Nick facesse cenno con il mento all'uscita.
“Andiamo, accompagniamolo fuori”.
“Ma che bel quadretto” si volsero ad osservare Sebastian, fermo qualche scalino più in basso, le braccia incrociate al petto e lo sguardo baluginante in direzione di Kurt che aveva sospirato prima di allacciare il cappotto per uscire.
“Sì, Sebastian ti ho fatto un complimento ma soltanto perché Hunter è persino più viscido di te”.  Immaginava fosse quello il motivo per cui si fosse preso la briga di seguirlo, ma lo scrutò appena mentre insinuava i guanti.
“Non metterci troppa passione nei complimenti, Miss Hummel, non vorrei rischiare di arrossire”.
Un vago sorriso increspò le labbra di Kurt mentre uscivano e contemplavano il grande parco dell'Accademia. Kurt aveva amato quello spazio verde nel quale soleva passeggiare, soprattutto ai tempi della sua passione segreta per Blaine, quando quel luogo gli permetteva di rilassarsi e di riflettere in solitudine. Era tutto sormontato dalla neve e notò come Jeff gettasse un'occhiata di desiderio in direzione di un bel cumulo: non attese l'opinione di Nick ma ci si gettò letteralmente, seguito dall'altro che lo stava ammonendo circa la possibilità di raffreddarsi ma desistette quando, come bambini, Thad e gli altri lo seguirono.
Kurt li scrutò con un sorriso più dolce mentre cercava le chiavi dell'auto del padre, pronto a lasciare Westerville ma si riscosse alla voce di Sebastian, alle proprie spalle.
“Verrai davvero a vederci trionfare?”.
“Verrò per vedere i miei amici” replicò, il sorriso ancora dolce nello scrutare gli ex compagni di corso mentre Jeff, beatamente steso sulla neve, muoveva braccia e gambe a formare la figura di un angelo.
“Questo non mi include nella lista? E' davvero poco gentile, soprattutto dopo avermi detto quanto ti piacesse che io fossi il Capitano”. Aveva sottolineato e non aveva bisogno di voltarsi a scrutarlo per immaginare il sorrisetto che gli increspava le labbra in quel momento.
Si strinse nelle spalle con fare pacato.
“Stavo solo facendo un paragone e-” si volse in sua direzione per poi restare immobile e sconvolto quando una palla di neve lo colpì sul colletto del cappotto per poi colare lungo lo stesso, lasciandolo letteralmente senza fiato.
Il gelo improvviso che si era abbattuto sul collo scoperto – non aveva avuto tempo di avvolgerlo nella sciarpa – e la macchia umida sul tessuto scuro.
Un ghigno trionfante sul viso di Sebastian mentre Kurt – gli occhi ridotti a due fessure – si scrollava di dosso, con espressione stizzita, quei rimasugli di neve.
“Ne hai dimenticata un po' qua” commentò Sebastian, indicandone il collo mentre il ghigno si accentuava.
“D'accordo” commentò Kurt con la stessa intonazione composta. Si tolse i guanti e li adagiò nelle tasche del soprabito prima di chinarsi a sua volta a raccogliere un piccolo cumulo di neve che – malgrado i brividi di freddo e il tremore delle dita affusolate – modellò in una palla.
“Non oserai” commentò Sebastian, stringendosi nuovamente nelle spalle.
“Non sottovalutarmi”.
E così iniziò quella personale sfida.
Persino gli altri interruppero i loro giochi e inseguimenti nel denotare quello scambio di lanci tra Kurt e Sebastian: gli strilli isterici del controtenore quando Sebastian infieriva nuovamente sul suo cappotto o sui capelli, seguiti dagli appostamenti strategici e dal seguirsi e nascondersi dietro agli alberi.
Un cambiamento non poco curioso dagli scorsi Natali quando duettava con Blaine in qualche canzone dallo sfondo romantico o quando immaginava di trascorrere con lui quella ricorrenza, ma qualcosa di assolutamente nuovo e non per questo meno vissuto.
“Allora, Miss Hummel, devo ancora infierire o ti arrendi?”.
Kurt, riparatosi dietro l'albero, sollevò gli occhi al cielo malgrado il sorriso divertito: raccolse un altro cumulo di neve per crearne qualche altra arma ma non riuscì a muovere ad avanzare da quel nascondiglio perché scivolò. Sgranò gli occhi in quel secondo necessario a rendersi conto di star per cadere: Sebastian si sporse istintivamente in avanti per cingerne la vita fin quando non caddero entrambi distesi, e Kurt gemette all'impatto duro.
Ma fu una sensazione momentanea.
L'attimo dopo, quando schiuse gli occhi, fu un altro tipo di sorpresa a paralizzargli il respiro: Sebastian giaceva su di sé.
Aveva gli occhi a sua volta sgranati nei propri, le labbra schiuse e riusciva a percepire il suo profumo avvolgerlo intensamente, tanto da procurargli quell'istintivo socchiudere gli occhi, ad inspirare un momento come quello. Il suo respiro era caldo e ne faceva intirizzire la pelle, sentiva il cuore scalpitare furiosamente a quel contatto.
“Almeno l'atterraggio è stato morbido” fu il commento di Sebastian e Kurt sembrò ritrovare abbastanza lucidità da comprenderne l'implicazione mentre l'altro, per nulla imbarazzato, sorrideva suadente, respirando sul suo viso.
“Mi stai schiacciando, pervertito”. Lo aveva aspramente rimproverato, ma egli non sembrò oltraggiato. Rise ma quando si chinò al suo orecchio, Kurt sentì un brivido serpeggiare lungo la spina dorsale. Schiuse le labbra confuso e un insolito calore affluì al viso malgrado la temperatura tutt'altro che clemente.
“Ti sei fatto male?” gli chiese e Kurt scosse il capo, improvvisamente incapace di proferire parola: era il primo contatto più... intimo che aveva con qualcuno dopo la rottura con Blaine ma persino da prima della partenza per New York. E non avrebbe dovuto provare quell'emozione. Non con Sebastian.
Schiuse le labbra per dire qualcosa ma non ne uscì nulla: indugiava nello sguardo di Sebastian e non riusciva a non soffermarsi sui puntini scuri che ne punteggiavano la pelle diafana.
Nei. Piccole imperfezioni che, al suo posto, avrebbe nascosto con vigore come difetti estetici, come cercava di fare giorno per giorno con le efelidi sotto l'occhio. Ma sembravano quasi tratti di lui, qualcosa di unico.
Se anche Sebastian avesse notato l'indugiare di Kurt, non sembrò prestarvi troppa attenzione o non lo fece notare. C'era qualcosa di curioso nel suo modo di osservarlo a propria volta.
C'erano frasi non dette, pensieri celati dall'altro. C'era la curiosità su come dovesse vivere quell'anno scolastico senza concedersi quelle schermaglie che lo avevano reso un temibile rivale per il McKinley, c’era la curiosità su quanto avesse raccontato ad Hunter di sé e in quali termini, con quale attenzione, c’era la constatazione che avesse preferito battibeccare con lui che rivolgersi al suo Capitano; c'era quel continuare a scrutarsi, quasi aspettandosi fosse l'altro a trovare una spiegazione per quel momento particolare che stavano vivendo.
C'era tutto questo e probabilmente quanto non sarebbero stati disposti ad ammettere ma quando Sebastian sembrò voler coprire la distanza, Kurt scoprì di non riuscire ad impedirglielo. La sua mano era protesa, domandandosi come sarebbe stato tratteggiare quei puntini che aveva osservato così minuziosamente o quale fosse l'esatta gradazione azzurrina negli occhi apparentemente smeraldini dell'altro.
Lo vide chinarsi ma non lo fermò.
Attese, le labbra schiuse e uno scalpitio incessante.
“Kurt! Sebastian! Vi siete fatti male?”.
Le voci degli amici giungevano lontane ed indistinte, probabilmente provenienti da un'altra realtà o almeno fu quella la percezione che ne ebbe Kurt. Ma fu sufficiente a spezzare quel momento che non avrebbe saputo comunque spiegare con normali parole.
Boccheggiò e fissò nuovamente Sebastian come se lo vedesse soltanto in quel momento.
Arrossì prima di improvvisare la sua espressione più stizzita.
“Ti dispiacerebbe alzarti? Se non lo avessi notato, mi stai schiacciando”.
Sebastian non si fece attendere: l'incanto era stato infranto o, come avrebbe continuato a ripetersi Kurt quella sera, era stato soltanto frutto della sua immaginazione, probabilmente un bisogno inconscio di ricevere simili attenzioni.
“Non mi sembrava ti fosse dispiaciuto negli ultimi tre minuti” aveva sottolineato, facendolo arrossire mentre il sorriso si estendeva agli occhi, rendendone l'espressione persino più sorniona e sicura di sé. “... e, poi, credimi, me ne sono accorto”. Gettò un'occhiata ben poco celata al di sotto della propria cintura e Kurt emise un verso stridulo prima di levarselo di dosso e, accettata la mano protesa da Nick, rimettersi in piedi per poi scrollarsi.
La nuca pulsava leggermente laddove aveva urtato il suolo, ma non se n'era accorto pochi istanti prima quando aveva Sebastian su di sé. Riformulò mentalmente la frase.
Quando accidentalmente Sebastian era caduto su di sé e poco accidentalmente vi aveva indugiato.
“E' tardi... devo andare”.
Non si guardò alle spalle, salutò nuovamente i ragazzi con la promessa di restare in contatto, ed ignorò lo sguardo di Sebastian che sembrava perforargli la schiena.
Soltanto quando fu al sicuro nell'abitacolo dell'auto del padre, riuscì a rilasciare il respiro.
Si lasciò alle spalle Westerville, vecchi ricordi e la possibilità di inciderne nuovi.
O almeno era ciò che sperava.
 
~
 
Pattinare a Central Park sembrava qualcosa di incredibilmente newyorchese: sicuramente un modo piacevole di naturalizzarsi, se così la si poteva poi definire una simile iniziativa.
Faceva persino più freddo, o quella era una sua percezione: osservò il proprio respiro condensarsi in una nuvola, lo sguardo volto a Rachel e Brody che, già muniti di pattini, sembravano incoraggiarsi vicendevolmente a muovere i primi passi.
Sorrise divertito alla caduta di Brody e osservò Rachel porgergli la mano per poi cadere a sua volta, coronando il tutto con sorrisi stucchevoli e uno scambio di sguardi che già alludevano ad una particolare sintonia. Non aveva sbagliato: fin da quando aveva scorto quell'aitante giovane alla porta del loft – quando ancora cercavano di renderlo esteticamente accettabile pitturandolo - aveva potuto facilmente indovinare il tipo di legame che vi fosse tra loro.
“Non cadono affatto come noi” aveva commentato una voce alle sue spalle e Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo. Si era voltato in sua direzione, le braccia incrociate al petto mentre cercava di trattenere il sorriso che, impudico e traditore, voleva solcarne le labbra.
“Sei in ritardo”. Lo accusò, a mo' di saluto.
“Ti sono mancato”. Lo rimbeccò, un vago sorriso sulle labbra.
“Non ho detto questo”. Rimarcò in tono altezzoso.
“Lo hai pensato”. Il sorriso persino più esteso e lo scintillio dello sguardo.
“Speri di sentirmelo dire o ne hai bisogno?” non aveva atteso risposta, si era seduto sulla panchina e aveva insinuato i pattini mentre egli si chinava al suo orecchio, restando dietro di lui.
“La parte del conquistatore senza cuore non ti si addice” sussurrò sulla pelle sensibile del collo che non poté che intirizzirsi a quel contatto.
Rise Kurt e si rimise in piedi, osservandolo.
“Hai intenzione di farmi attendere ancora per molto? O ammetti di non saper pattinare?”.
“Non sono io quello che sembrava avere un attacco epilettico per non sbilanciarsi”. Aveva ribattuto, vagamente piccato.
“Non sono io quello che si è sporto ad evitare la caduta dell'altro, fallendo miseramente”.
“Oh, ma io non ho affatto fallito, anzi”. Non ci voleva molta fantasia a comprendere il significato implicito. Rise del vederlo arrossire ma Kurt scosse il capo ed entrò in pista senza più attenderlo ma non occorse molto perché Sebastian lo seguisse.
Non sembrò esser cambiato nulla: non potevano lanciarsi addosso della neve ma presero a seguirsi sulla pista da ghiaccio e Sebastian non si fece remore a nascondersi occasionalmente dietro Brody o urtare Rachel nella sua fuga, suscitandone urla isteriche (sul fatto che questo fosse stato casuale, Kurt aveva dei legittimi dubbi), ma la serata era trascorsa piacevolmente.
Con la stessa leggerezza eppure lo stesso contatto reciproco tra i loro sguardi o lo scrutarsi in silenzio, cercando di non esser visti.
Fino a quando Kurt non gli aveva proposto di dormire sul divano del loft e un Sebastian sogghignante aveva accettato, alludendo a come sarebbe facilmente sgattaiolato nella sua camera, quando Kurt stesso lo avesse supplicato.
Gli aveva porto coperte e cuscino per sistemare il divano letto e gli aveva augurato la buonanotte ma era stato allora che Sebastian lo aveva trattenuto, inducendolo ad adagiarsi contro la porta della sua camera.
“Buonanotte”.
Si era chinato verso il suo orecchio e Kurt ne aveva inspirato nuovamente quel profumo suggestivo, lo aveva sentito sollevargli il mento e aveva trattenuto il fiato quando i loro sguardi non si erano intrecciati.
“Stavi per baciarmi quel giorno”. Si sentì dire: una frase tutt'altro che programmata eppure era stata naturalmente proferita quando i loro sguardi si erano fusi a quella maniera del tutto intima e particolare.
“Stavi per non respingermi”. Fu la replica di Sebastian, il sorriso compiaciuto ma lo scintillio dello sguardo che ne fece scalpitare furiosamente il cuore.
“Cosa te lo fa credere?” Domandò, sorprendendosi di come sembrasse perfettamente sapere a cosa stesse pensando, cosa stesse provando.
“Mi stavi guardando esattamente così”.
“Così come?”. Aveva chiesto, quasi timoroso di saperne la risposta e sentirla così esplicita ed evidente sulle sue labbra.
“Come se avessi paura di desiderarlo così intensamente”. Sussurrò nuovamente, un respiro caldo sulle sue labbra e Kurt fremette, consapevole che se non vi fosse stata la parete, alle proprie spalle, sarebbe stato incapace di sorreggere quelle emozioni.
Emise un verso di emozione e di sorpresa.
“Sebastian”.
“Non dire nulla”.
Malgrado sembrasse un imperativo, suonò come una sussurrata preghiera ma Kurt trattenne il fiato e il suo cuore scalpitò furiosamente: era un momento di suggestiva sospensione quello in cui ne vide le palpebre celarne lo sguardo, ne sentì il respiro sulle labbra, percepì la pressione delle sue braccia intorno alla propria vita.
Un istante semplice eppure intenso quello in cui la sua mano ne sfiorò la guancia: morbida e vellutata, la pelle calda e profumata, ne disegnò i nei prima di socchiudere gli occhi e percepire il contatto tra le loro labbra.
La pressione del braccio di Sebastian divenne persino più intensa, ne cinse il collo con le braccia affusolate perché adesso che riusciva a sentirlo realmente così vicino, non avrebbe voluto lasciarlo andare in alcun modo. Indugiò anche quando quella prima pressione cessò. Sentì il respiro di Sebastian intrecciarsi al proprio, le loro fronti si sfiorarono.
Schiuse gli occhi un solo istante prima che Sebastian ne artigliasse la guancia.
“Non ho finito” commentò suadente ma sembrò anche quella un'accorata preghiera, quasi timorosi che la consapevolezza li avrebbe privati di quel momento.
Sorrise, Kurt, sulle sue labbra, si prestò a quel tocco più esigente, ne cinse più strettamente il collo e insinuò le dita tra i capelli più lunghi e morbidi sotto il proprio tocco.
Indugiarono ancora una volta così vicini.
“Non mi ero fatto male” si sentì dire, riferendosi a quella domanda che gli aveva posto quando gli era caduto addosso nel giardino della Dalton.
“Ma avevo paura”. Aggiunse.
“Ora non più?”.
“Più che mai”. Rispose, un vago sorriso.
“Ma... ”. Indugiò a scrutarlo con le sopracciglia inarcate.
“Ti sto dando il permesso di baciarmi di nuovo”. Precisò con sguardo sornione che lo fece sogghignare.
“L'avevo detto che sarei entrato in quella camera prima del previsto”.
Rise sulle sue labbra, ne schiaffeggiò il braccio ma lo cinse nuovamente a carpirne il respiro e, quando Sebastian lasciò indugiare le labbra sul suo viso, sospirò e socchiuse gli occhi.
 
 
“Verrò a vedervi vincere” gli sussurrò quando l'altoparlante annunciò il volo di Sebastian e questi sorrise ironicamente, trattenendo la borsa sportiva per la fascia a tracollo.
“Verrai a vedere i tuoi amici?” lo canzonò, ricordando la sua promessa e Kurt rise.
Scosse appena il capo.
“I miei amici, un Capitano insopportabile e... ”.
“Un esemplare unico e deleterio di giovane gay meravigliosamente affascinante ed irresistibilmente sexy?”. Domandò con sorriso tronfio, sciorinando quella manfrina quasi senza prendere fiato. Quasi la conoscesse a memoria, il che non era del tutto escludibile a priori.
“... quello che spero si consideri il mio ragazzo”.
Un sorriso increspò le labbra di Sebastian, si chinò a carpirne un bacio, ne sfiorò appena la guancia e si ritrasse.
L'altoparlante fece l'ultimo annuncio e Sebastian indicò l’imbarco: Kurt annuì, incoraggiandolo.
“Chiamami quando arrivi”.
Annuì, indietreggiò con un sorriso e si volse.
Sospirò, Kurt, indugiando con lo sguardo sulla nuca fin quando non scomparve per imbarcarsi con gli altri viaggiatori.
Stava per uscire dall'aeroporto quando sentì il trillo del telefono.
Sorrise a lungo, stringendoselo al petto.
[Da Sebastian]
Ti avverto: il tuo ragazzo non tollererà un'assenza ingiustificata.
 
 
Eccoci qui al finale della prima one-shot che, se non ricordo male, è stata la terz’ultima in ordine di scrittura visto ho cambiato idea sulla trama stessa ma questa mi ha soddisfatta, specialmente la new entry di Hunter (forse non dovevo dirlo °^°).
Al solito commenti e punti di vista sono sempre ben accolti, saluto la mia Blaine che purtroppo ha il pc fuori uso e già mi manca da impazzire ed ovviamente la Sebastian del mio Kurt ♥.
Non mi resta che darvi appuntamento a domani, il tema sarà “Mistletoe” il che dovrebbe già dirla a lunga ;)
Buon proseguimento di giornata.
Kiki (soso ouioui nonnon)87

 

 

 



[1] Immagino di non dovervi dire esplicitamente di cosa tratti la perfomance personale di Hunter durante le provinciali. J

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Capitolo 2
*** Mistletoe - Our Secret ***


Questo è stato il primo racconto che ho scritto della Week (ormai sarete abituati al mio schema tutt’altro che ordinale!) e essendo iniziata a metà Novembre, ho preferito portare questo raccontino in versione A/U, non sapendo bene cosa sarebbe accaduto in Glee. O meglio avevo letto qualche spoiler (e ho visto di recente la puntata coi sottotitoli in italiano), a dirla tutta, ma ho preferito discostarmi.
E’ ambientata, quindi, a partire dalla seconda stagione, come vedrete per contesto, ma ovviamente qui si contempla anche Sebastian.
Prima di iniziare un ringraziamento alla mia Sebastian per la sua splendida recensione che mi ha lasciata, al solito, senza fiato e che rende tanto meraviglioso scrivere di questa coppia! J
Un ringraziamento anche a tutti coloro che hanno inserito la raccolta tra preferite/seguite/ricordate.
Sarò particolarmente curiosa del vostro responso in questa OS ma per un’altra ragione di cui parleremo dopo, per ora buona lettura! :)

 

A tree that smells of pine
A house that’s filled with joy and laughter
The mistletoe says “stand in line”
Loneliness is what I’ve captured
Oh, but this evening can be a holy night
Lets cozy on up the fireplace
And dim those Christmas lights

So please just fall in love with me

this Christmas
There’s nothing else that you will need

this Christmas

(Cold December Night Michael Bublé)

Mistletoe –

Our secret.

 

Poco importava che il calendario segnasse sfacciatamente l’antivigilia di Natale: quella che Kurt Hummel stava affrontando – creme per prevenire le rughe già disseminate con spasmodico ordine sullo scaffale della sua toeletta – era una vera e propria crisi amorosa più idonea alla festività di metà Febbraio. Scosse il capo e prese un bel respiro: c’era ancora tempo, si disse, non era il caso di lasciarsi prendere dall’angoscia e rischiare ulteriore stress per la sua pelle.
Controllò l’orologio ed emise uno stridulo verso: era molto più tardi di quanto avesse sperato e ancora non era completamente sicuro di cosa avrebbe indossato quella sera, alla festa che si sarebbe tenuta a casa di Rachel. Terminò di detergersi il viso e, dopo essersi spalmato una discreta quantità di fondotinta a coprire qualche piccola imperfezione (brufoli di cui nessuno sarebbe mai dovuto entrare a conoscenza!), si volse all’armadio con espressione decisa.
Se aveva già optato per un paio di pantaloni scuri che ne fasciavano perfettamente le gambe ed era tentato da una camicia rossa (probabilmente era più adatta per tema, rispetto a quella viola che, tuttavia, sarebbe stata dell’esatto punto di colore che sarebbe tornata di voga, secondo le anticipazioni di Vogue almeno), non aveva ancora deciso quale soprabito abbinare. Allacciò la cintura in vita ma lo sguardo azzurro era ancora fisso sui due diversi modelli per tessuto, lunghezza e accessori che aveva appeso per la gruccia sull’anta dell’armadio.
Fu in quella silenziosa contemplazione che lo scorse Burt: si era premunito di lasciare la lattina di birra in cucina onde evitare un’altra lavata di capo circa la sua salute e un menù da “coniglio” che gli avrebbe personalmente prescritto.
Si appoggiò allo stipite della porta, un vago sorriso nel contemplarne l’espressione tanto concentrata. Una luce più dolce nello sguardo al pensiero di quanto gli fosse mancato sentirlo girovagare per casa parlando di attrici, modelle, cantanti (o tutte queste categorie insieme) o di una qualche canzone che avrebbe voluto proporre a Mr Shuester alla successiva lezione del Glee Club. Ma sapeva che anteporre il suo benessere e la sua sicurezza al proprio volere, fosse il suo dovere di genitore e doveva ringraziare di aver sposato una donna splendida come Carole che era stata lei stessa promotrice dell’idea di usare i soldi della luna di miele per farlo trasferire alla Dalton.
Si schiarì la gola e solo allora Kurt si volse ad osservarlo.
“Vuoi che ti lasci solo coi tuoi vestiti?” domandò, un vago sorriso sornione sulle labbra. “Ero solo venuto ad avvisarti che c’è quel ragazzo, di sotto, che ti sta aspettando”.
“Blaine è arrivato?” aveva domandato, la voce che era suonata in un falsetto strozzato mentre le guance si pitturavano di un delizioso rosa acceso che ne mise in risalto il colore delle iridi e Burt sospirò, scuotendo leggermente il capo.
“Blaine? Credevo si chiamasse ‘Brillantina’” aveva borbottato, suscitando uno sguardo di muto rimprovero da parte del figlio che si addolcì, tuttavia, con un vago sorriso prima di avvicinarsi all’armadio.
“Blaine è la persona più gentile e premurosa che io abbia incontrato alla Dalton, il che è tutto dire: sono tutti davvero deliziosi. Beh, quasi tutti” aveva soggiunto tra sé e sé prima di volgersi nuovamente all’armadio, indicandolo al genitore.
“Un doppiopetto Marc Jacobs o un classico Armani?” aveva domandato, prendendo entrambe le grucce e trattenendo entrambi i capi a mezz’aria mentre Burt faceva schioccare la lingua sul palato.
“Perché diavolo dovrei sapere qual è la differenza, figliolo?” aveva domandato in tono vagamente interdetto ma questi già non lo stava ascoltando e aveva scostato il cellofan per indossare il lungo cappotto a doppiopetto. Si legò la cintura in vita e aprì l’anta dell’armadio per un’ultima sistemata alla capigliatura prima di studiare il suo riflesso con espressione attenta e meticolosa, continuando a commentare frasi sconnesse come “Armani è troppo austero” “Marc Jacobs non è mai scontato” e cose simili.
Burt scosse il capo.
“Significa che sei innamorato di lui?”.
“Pà!” lo aveva apostrofato Kurt, terrorizzato alla prospettiva che il ragazzo interessato potesse sentirlo e Burt sollevò le mani come a scusarsi prima di entrare nella camera e chiudersi la porta alle spalle.
“Tranquillo, l’ho lasciato in soggiorno con Finn e Carole”.
Ma ciò non parve rassicurarlo, al contrario sembrò persino più agitato.
“Ragione per cui devo sbrigarmi prima che lo faccia scappare con la sua dipendenza da videogiochi”.
“Kurt” Burt lo aveva richiamato e gli aveva posto le mani sulle spalle.
“Non hai risposto alla mia domanda: che cosa c’è tra te e il brillantinato?”.
“Prima di tutto, Blaine fa uso di gel e, d’accordo, a volte forse esagera ma soltanto perché ha qualche problema ad accettare i suoi riccioli che trovo deliziosi e sbarazzini-“.
Burt aveva sospirato e si era portato una mano sulla tempia. Quelle precisazioni di make-up gli avrebbero procurato un mal di testa da guinness, almeno come quando aveva cercato di spiegargli la sua teoria sulle premesse per poter acquistare un anello di fidanzamento. Come in quei suoi consigli fosse riuscito a parlare di arte, di storia e di moda, ancora non era certo di aver compreso ma era stato molto più semplice – e meno doloroso! – assecondarlo.
“Vai avanti” lo esortò e Kurt si morsicò il labbro prima di stringersi le spalle.
“Forse ho una cotta per lui” aveva ammesso e lo sguardo di Burt era sceso sull’agenda del ragazzo dove spiccava il disegno di un cuore con i loro nomi iscritti e ricalcati con la penna rossa.
“Forse?” aveva domandato e Kurt si permise di arrossire, seppur dondolandosi con le spalle quasi a volerselo ingraziare. “Anche lui è gay, sto facendo progressi” aveva commentato e Burt aveva socchiuso gli occhi prima di prendere un bel respiro.
“E questo” aveva gesticolato quasi a cercare di ricordarne il nome.
“Blaine” Kurt era parso vagamente offeso, le braccia incrociate al petto e le sopracciglia inarcate.
“E’ al corrente dei tuoi sentimenti?” aveva chiesto, infine e si era preparato a trattenere il fiato: forse era ancora in tempo per evitare qualche spiacevole conseguenza. Al cenno di diniego del figlio dovette ricorrere a tutta la propria compostezza per non esultare come avrebbe fatto durante una partita di football al punto della sua squadra.
Si era schiarito la gola e ne aveva stretto la spalla.
“Non perderti d’animo: hai tempo per trovare il ragazzo giusto” aveva commentato più dolcemente e Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo.
“Da quando parli per aforismi?”.
“Kurt, quello che sto cercando di dirti è che non devi essere impaziente: lo conosci da poco e… non voglio che tu soffra” aveva concluso in tono meno burbero e più somigliante ad una sospirata richiesta che lo aveva fatto sorridere più dolcemente.
“Niente di affrettato, promesso”.
“Bene. E comunque, aspetterò il tuo ritorno: sobrio e solo” aveva specificato al che il giovane aveva sollevato gli occhi al cielo.
“Stiamo andando ad un party di Rachel: l’unico motivo per cui qualcuno si ubriacherebbe è evitare le sue manie ossessive compulsive da povera solita incompresa”.
“Kurt”.
“D’accordo, pà”.
“E’ bello riaverti a casa, figliolo. Molto più caotico e rumoroso ma bello” avevano sorriso entrambi prima che Burt lo stringesse a sé per un breve istante. Appoggiò il mento contro i suoi capelli profumati e morbidi e per un istante fu come riavere quel bambino che lo svegliava al primo incubo spaventoso, come stringere un fantasma del passato.
“Mi sei mancato anche tu, papà”. Aveva sussurrato e quel nodo in gola sembrò molto più serrato mentre si scostava e gli batteva sulla spalla, un sorriso più allegro.
“Vai ora e divertiti. Ma stai lontano dal vischio”. Lo ammonì con finta espressione severa.
“Questo non posso prometterlo”. Ribatté Kurt con un accenno di sorriso più compiaciuto.
“E io non posso promettere che il tuo amico uscirà di casa”.
 
 
~
 
Come aveva detto a suo padre, l’unico motivo per cui si potesse bere ad un party indetto da Rachel Berry, era la noia. O la disperazione. O magari entrambe. Ma era una fortuna che Kurt Hummel fosse astemio perché quella sera tutto sembrava, invece, indurlo a volersi sgolare qualsiasi bevanda alcolica tanto per evitare di fare qualcosa di terribilmente pericoloso: pensare.
Se aveva sperato che l’atmosfera natalizia potesse giovarlo a farsi avanti con Blaine, non aveva fatto i conti con la stessa Rachel.
Era già abbastanza frustrante passare intere ore con lui tra i corridoi della Dalton o alle riunioni tra i Warblers e avere la netta sensazione di essere completamente invisibile ai suoi occhi. Ma che una disperatamente single Rachel Berry cercasse di manipolarne sempre l’attenzione, coinvolgendolo in duetto, tanto da lodare con uno squittio irritante che “solo un grande talento può confrontarsi col mio ed uscirne indenne. “era più di quanto potesse tollerare.
Decise di censurare nella sua mente il ricordo di come lo avesse ignorato per far strada a Blaine che – educato, dolce e splendido (va bene, questo lo aveva aggiunto come bonus!) – non aveva potuto che ringraziarla per aver cortesemente esteso l’invito anche a lui. Certo, che poi lei lo prendesse sotto braccio per trascinarselo dietro come un pupazzo (forse avrebbe dovuto trovarle un ragazzo: sarebbe stato uno splendido fioretto natalizio), era ulteriormente frustrante.
Si era, tuttavia, lasciato avvincere dalla gioia e dalla commozione nel riabbracciare i vecchi compagni del Glee Club ed era passato da “Il mio unicorno!” di Brittany al “Allora, quanti Usignoli ti sei portato in gabbia? Dillo al tuo Puckmentore” prima di sedersi accanto a Mercedes e abbandonare il capo contro la sua spalla.
“Sai com’è Rachel” lo aveva consolato quest’ultima, come sempre in linea di sintonia con il suo pensiero, senza bisogno di particolari spiegazioni circa il suo stato d’animo. “E per fortuna che Blaine è gay” aveva soggiunto in una risatina mentre Kurt sospirava, sollevando appena gli occhi al soffitto.
“Non credo che le importi più di tanto” no, a giudicare da come ne stringeva saldamente il braccio: lui stesso aveva sperimentato quanto quelle manine, apparentemente delicate, potessero attanagliarsi con artigli appuntiti nell’avvinghiare qualcuno.
“Ma importa a lui” aveva sottolineato Mercedes, prendendone il mento ed osservandolo, l’espressione improvvisamente addolcita. “Hai intenzione di parlargli?”.
Un lieve rossore sfiorò le gote di Kurt ma annuì fermamente, un vago sorrisetto ironico.
“Vuoi dire prima che Rachel si infili sotto il suo papillon?” aveva sollevato il mento con espressione più decisa nel continuare a scrutare i due che si trovavano in fondo alla sala e sembravano scegliere, tra gli spartiti, l’ennesimo numero da provare insieme.
“Oh, sì, assolutamente”.
Non era mai stato un tipo religioso ma aveva amato quel periodo dell’anno: soprattutto quando sentiva ancora la voce della madre mentre cantava, il profumo dei suoi biscotti dalla forma dei fiocchi di neve e tutte le decorazioni che affiggeva per casa e che suo padre, dalla sua scomparsa, cercava goffamente di imitare. Quasi sperando che un ambiente simile a quello in cui avevano vissuto per anni, potesse riportarla indietro.
Non credeva nell’esistenza di una creatura soprannaturale, ma se qualcosa di sacro vi era, lo respirava nel ritorno a casa tra i suoi affetti o in quella stanza tra le persone che aveva amato e il ragazzo che occupava il suo cuore.
Si era appena liberato da Rachel e lo aveva cercato con lo sguardo: gli aveva sorriso e Kurt aveva sentito il cuore fermarsi nel petto. Quasi spontaneamente – non credeva di aver più controllo della contrazione dei muscoli facciali – ricambiò il sorriso.
Scambiò uno sguardo con Mercedes che gli fece un cenno di assenso silenzioso e si rimise in piedi. Lisciò la camicia da pieghe inesistenti e si passò una mano tra i capelli prima di prendere un bel respiro per avvicinarsi.
Quello era il suo momento e niente e nessuno glielo avrebbe rovinato, aveva pensato con così tanta intensità che temette quasi lui potesse scorgerlo chiaramente nel riflesso delle iridi.
Pensò anche a quanto sarebbe stato bello ballare insieme, con quella dolce musica di sottofondo, le luci soffuse e poterne inspirare il profumo, abbastanza vicino da sentire i loro battiti confondersi e risuonare all’unisono. Magari, poi, riuscire ad allontanarlo dalla sala così da poter restare soli e magari consegnargli il regalo di Natale prima che partisse per la vacanza coi genitori e si potessero incontrare soltanto ai primi dell’anno.
Fu con quel proposito che si diede nuova forza per farsi avanti: lo stava attendendo e non aveva smesso di sorridergli con quella luce calda nello sguardo, accentuandone una sfumatura ambrata, dolce almeno quanto il miele e che era capace di procurargli quel singhiozzo all’altezza della gola.
Si era sentito letteralmente camminare sulle nuvole o quella era stata l’impressione… fino a quando Rachel non lo aveva nuovamente stretto il braccio.
Blaine aveva distolto lo sguardo: aveva nuovamente sorriso alla giovane – solo la pazienza dimostrava che era davvero un ragazzo perfetto – e aveva cercato di dire qualcosa, probabilmente un modo educato per congedarsi.
Era stato allora che Brittany era apparsa tra loro e aveva tenuto sollevato sopra le loro teste quello che somigliava straordinariamente ad un ramoscello da cui pendeva…
Ricordò il monito del padre come una sorta di ironica presa in giro.
Non stava realmente accadendo, si disse ma a poco valse che Santana rubasse il vischio per avvicinarsi con sguardo eloquente a Sam, o che Blaine apparisse interdetto mentre Rachel sorrideva nervosamente. Seppur non riuscisse a sentirla – in realtà era come contemplare una scena di un vecchio film drammatico in bianco e nero nel quale tutti i personaggi, improvvisamente, indossavano abiti di alta sartoria del dopoguerra – immaginò che avesse commentato qualcosa in tono stucchevole e dietro lo sguardo di cerbiatta, Kurt scorse quella belva famelica di successo e di attenzioni. Il suo lato oscuro.
“Oh, ti prego, Fringuello: dalle quello che vuole, prima che le si secchino le ovaie” aveva berciato Santana in tono evidentemente ironico che aveva fatto arrossire Rachel ad una maniera mortificata.
Kurt paradossalmente lo seppe prima di tutti: di Puck che aveva fischiato, di Lauren che stava lamentandosi della mancanza di un vero uomo degno di lei, di Finn che restò attonito con le labbra schiuse e il panino addentato, di Brittany e che si tappava gli occhi e di Santana che, tra le braccia di Sam, stava dando loro una sorta di anteprima.
Lo seppe ma non poté sopportarlo malgrado fosse stato solo un casto sfiorarsi di labbra.
Qualcosa dentro di sé sembrò rompersi e, incurante del richiamo preoccupato di Mercedes, e dei fischi o delle frasi di divertimento dei presenti, uscì dalla casa e si rimise in fretta il cappotto.
Era stato Blaine ad accompagnarlo ma avrebbe comunque preferito ignorare il proprio SUV e camminare a piedi: una passeggiata sarebbe stata l’ideale per schiarirsi la mente o, semplicemente, non pensare.
Si allontanò, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni e lo sguardo perso in un punto indefinito.
Neve ovunque ma cielo sgombro di nuvole.
Una perfetta rappresentazione di sé: animo scalpitante e solitudine forzata.
 
~
 
Sapeva che si trattava soltanto di un bacio da vischio. Sì, lo sapeva. Avrebbe dovuto saperlo, continuava ad ammonirsi per la propria reazione. Eccessiva, come era tipico di lui d’altronde: non sembravano mai esistere mezze misure, soprattutto in amore.
O un silenzio doloroso e straziate come quello che lo aveva portato a negare persino la sua omosessualità e i sentimenti per Finn, o l’irruenza come quando aveva reagito alle angherie di Karofsky. Pessimi risultati in entrambi i casi, evidentemente era lui ad avere qualcosa di sbagliato.
Scosse il capo ed ignorò l’ennesima chiamata di Rachel e i suoi sms ma non ebbe il coraggio di aprirne uno da parte di Blaine.
Continuò, invece, la sua solitaria camminata, si confuse tra gli altri passanti: osservò le coppie strette per proteggersi dal freddo, i bambini impazienti del giorno di Natale che passeggiavano coi genitori o le amiche che si davano appuntamento per un’ennesima pattinata prima di chiudersi in un bar per un’ultima cioccolata calda prima di coricarsi. Avrebbe preferito essere qualsiasi altro di quei personaggi, non quel puntino anonimo e solitario tra la folla.
Vi era stato davvero quel periodo in cui il Natale era fonte di calore e di spensieratezza, del sentimento di vicinanza; mai si era sentito così solo e lontano da tutto ciò.
Mai aveva desiderato così tanto non sentirsi intrappolato in quel corpo mentre la consapevolezza di aver sbagliato si faceva largo ma l’orgoglio non avrebbe sopportato di tornare indietro.
Con le sopracciglia inarcate, osservò l’insegna della sua caffetteria preferita prima di entrare e sorridere alla barista, la solita ordinazione e prese posto.
“Buon Natale, Kurt” sussurrò tra sé e sé, osservando il paesaggio dal finestrino e portandosi il caffè alle labbra con un sospiro.
Gli sarebbero davvero venute le rughe precoci.
“Non è un po’ patetico farsi gli auguri da solo?” giunse la voce beffarda, limpida e suadente e poteva persino immaginare il sorrisetto diabolico che aveva accompagnato quella frase.
Poco ci mancò che non sputasse il contenuto del proprio bicchiere o si scottasse la lingua: pregò perché quella fosse solo un’allucinazione dovuta allo stress (esistevano allucinazioni uditive?!), ma sembrò tutto vano quando il giovane circumnavigò il tavolo.
Sollevò il proprio bicchiere, a mo’ di saluto, quel sorrisetto beffardo sulle labbra e, a parte il lungo soprabito, era il solito Sebastian Smythe che incontrava – o meglio detto con il quale si scontrava – tra i corridoi della Dalton. O per dirla in modo più schietto e diretto, spesso attaccato al fondoschiena di Blaine, seppur non nel modo volgare nel quale sicuramente sperasse, ogni volta che desse il meglio (peggio) del suo repertorio da indomito conquistatore dongiovanni gay.
“Ma ripensandoci” approfittò del fatto che Kurt stesse ancora elucubrando circa la sua presenza effettiva per continuare il suo soliloquio. “faccia da checca e patetico sono sinonimi, quindi.” scrollò le spalle con gesto non curante e si sedette.
Ciò era soltanto un piccolo riassunto del tipo di particolare relazione che si era instaurata tra i due da che Kurt era giunto alla Dalton: era stata una sorpresa scorgervi quel ragazzo – non lo aveva visto durante quella prima escursione, tra l’altro fallimentare, a scopo di spionaggio gratuito – e una spiacevolissima coincidenza avvedersi che anch’egli fosse gay e anch’egli avesse puntato lo sguardo su Blaine. Era stato un momento carico di tensione quello nel quale si erano scrutati con cipiglio evidente di reciproca ostilità mentre il bel moretto appariva chiaramente troppo euforico all’idea di frequentarli entrambi dallo scorgere quella che – Nick così la chiamava bonariamente – sembrava la “cortina di ferro” della guerra fredda. Se erano abbastanza affettati e capaci di improvvisare finti sorrisi di cortesia e di complicità, non mancavano momenti nei quali dovessero ricordarsi reciprocamente quanto si detestassero: il che avveniva ogni volta che Blaine si allontanasse per prendere uno spartito, per un assolo o per l’ordinazione ad entrambi alla caffetteria della Dalton.
Kurt sospirò stoicamente: evidentemente il karma doveva averlo punito. Aveva esultato non poco, persino benedetto l’iniziativa di Rachel alla quale ovviamente Sebastian sarebbe stato escluso – nota per sé: mai permettere che Rachel e Sebastian si conoscessero a meno che non dovessero distruggersi a vicenda – ma evidentemente doveva pagare lo scotto di aver partorito pensieri poco puri e da atmosfera natalizia.
“Non dovevi tornare a Parigi?” gli chiese in tono evidentemente stizzito, sbuffando al vederlo prendere posto senza la benché minima intenzione di allontanarsi.
“Cambio di programma” spiegò svogliatamente, stringendosi nelle spalle mentre sorseggiava il proprio caffè – immaginò corretto come lo beveva anche alla Dalton con grande stupore di Blaine – senza togliergli gli occhi di dosso.
“e poi è così… difficile staccarsi da certi luoghi, persone, camere da letto…” si era lambito le labbra dopo aver posato il suo bicchiere ma con fare così languido e lascivo che Kurt dovette distogliere lo sguardo, il pugno stretto sul ginocchio.
“Non vedo Blaine” aveva commentato ad un certo punto e Kurt era certo che fosse l’unico motivo per il quale si stesse intrattenendo con lui, non che volesse dargli alcuna soddisfazione aggiuntiva oltre al trovarlo solo a due giorni dal Natale. “… lo hai lasciato coi tuoi amichetti della scuola pubblica?” pronunciò la frase con evidente alterigia di chi si riteneva troppo speciale ed importante per frequentare un liceo statale, un altro motivo che glielo rendeva così particolarmente inviso.
Non si era tuttavia aspettato che sapesse. Certo, non era un’informazione nuova che Blaine e Sebastian si parlassero tramite telefono o social network e ovviamente Blaine era libero di frequentare chiunque gli fosse gradito, ma… e in che termini gliene aveva parlato? Doveva cercare di carpire qualcosa di più, senza tuttavia compromettersi.
Assunse un’espressione di pacato fastidio – non che dovesse fingerlo! – e sospirò.
“E tu come fai a saperlo?” chiese, lasciando intendere quanto gli fosse fonte di insofferenza il suo conoscere gli impegni e le frequentazioni del moretto. Evidentemente doveva aver centrato il bersaglio perché Sebastian sorrise, il viso inclinato di un lato e le sopracciglia inarcate.
“Sembrava davvero… impaziente” disse e Kurt cercò di non mostrarsi troppo compiaciuto alla rivelazione: sperò che i suoi battiti convulsi non dovessero tradirne lo stato d’animo.
“Povero innocente Blaine che non scorge la tua disperazione” concluse con un sorrisetto allusivo e Kurt non dovette sicuramente improvvisare il rossore che gli colorò le guance. Strinse gli occhi in due fessure, le sopracciglia aggrottate e il mento sollevato.
“Disse il disperato stalker che ne conosceva ogni singolo impegno personale” lo canzonò con voce flautata che fece soltanto sogghignare Sebastian. Posò il suo bicchiere, evidentemente non avendo più particolare attenzione per ciò che stava bevendo e si sporse in sua direzione così da parlare ad una maniera più “privata”.
“Ti ho già detto che con lui non hai alcuna speranza, vero?”.
“Ti ho già detto che la tua opinione non mi interessa, vero?” replicò a tono. “Come se poi tu sapessi qualcosa dell’amore” aveva soggiunto tra sé e sé, lo sguardo nuovamente volto ad osservare il paesaggio fuori dalla finestra.
Nuovamente una fitta allo stomaco all’idea di aver lasciato il ragazzo nel covo del suo ex Glee Club anziché poter condividere con lui quei momenti prima della sua vacanza.
Sebastian non parve affatto aversela a male. Al contrario sogghignò, continuando a studiarlo, le labbra smosse in una vaga smorfia.
“Come se tu sapessi qualcosa del sesso o dell’essere vagamente sexy” aveva replicato in tono velenoso, riscuotendo l’attenzione di quel paio di iridi cerulee che sembrò inchiodare nelle proprie più smeraldine perché il messaggio gli giungesse più limpido. “… avrai notato come scodinzola in mia presenza oppure i tuoi singhiozzi trattenuti coprono tutto il resto?”.
Kurt si rimise bruscamente in piedi: non voleva scorgesse quanto quelle parole potessero innescargli quell’irrigidimento. Soprattutto intorno ad un tema tanto delicato che gli aveva già creato non poche paranoie personali, soprattutto la sua scarsa esperienza in ambito sentimentale. Il ricordo di quell’unico bacio, tra l’altro strappatogli da Karofsky, ne fece bollire le guance mentre si rimetteva frettolosamente il cappotto, neppure curandosi di terminare la sua bibita.
“Se vuoi scusarmi, la mia soglia della sopportazione è arrivata al limite” aveva commentato, in tono altezzoso.
“Fammi indovinare” la voce di Sebastian era giunta troppo vicina perché gli stesse parlando dal tavolo e fu con orrore che si avvide che lo stava seguendo fuori dal locale.
“Neppure stasera sei riuscito ad aprirgli il tuo cuore?”.
Kurt non aveva risposto e aveva soltanto accelerato il passo ma con rapide falcate delle gambe più lunghe, Sebastian riuscì facilmente ad adattarsi a quel ritmo e non mancò di sorridergli ancora mentre lo affiancava. Ostentò quell’aria di altezzosa indignazione nel volerlo ignorare: le mani conficcate nuovamente nelle tasche del soprabito – noncurante di star apparendo poco elegante in simile frangente – e lo sguardo dritto innanzi a sé.
“Magari se gli cantassi un pezzo di Katy Perry nudo” continuò a canzonarlo l’altro, lo sguardo fisso sul suo profilo, il perenne sorrisetto divertito.  “se non altro potremmo sempre farci qualche risata” aggiunse con un lieve scrollare di spalle che fece incupire Kurt nel fermarsi.
Così fece Sebastian.
Sollevò gli occhi al cielo e si volse in sua direzione.
“Mi stai seguendo o-?” si interruppe al suono del cellulare e la suoneria di Lady Gaga, estrasse l’apparecchio soltanto per rifiutare l’ennesima telefonata di Rachel, facendo fischiare Sebastian in tono di evidente scherno.
“La faccia da checca offesa: deve essere andata peggio del previsto” convenne, scrutandolo mentre, con un movimento stizzito, rimetteva il cellulare nella tasca. Scosse il capo e riprese a camminare, Kurt, persino più rapidamente.
Digrignò i denti perché nuovamente Sebastian gli si affiancò.
“Lo Scandals è chiuso per ferie o è stato sequestrato dal reparto sanità pubblica?” aveva domandato, suscitandone soltanto una risatina divertita.
“Sono davvero commosso per come ti preoccupi della mia vita sociale tra le lenzuola ma-“.
“E’ già abbastanza stressante sapere che dovrò rivederti ogni giorno alla Dalton fino alla fine dell’anno-“.
“Puoi sempre ritornare nella tua scuola di disadattati senza talento” sorrise affettato, le braccia incrociate al petto. “Sono sicuro che anche lì sei invisibile. E non preoccuparti per Blaine, ci sarò io a fargli compagnia”. Aggiunse con tono serafico che lo fece ulteriormente incupire.
Cercò di ignorare quel suo riferimento al suo sentirsi spesso messo in secondo piano: qualcosa che gli aveva già suscitato più di un malessere quando, settimana dopo settimana, era Rachel ad avere il podio delle Nuove Direzioni e quando alla Dalton era lo stesso Blaine ad avere quasi tutti gli assoli. Ma quell’ultima scoccata sul ragazzo stesso, gli procurò un’ulteriore fitta di gelosia che lo fece incupire e ne rese lo sguardo più fosco.
“Sei un illuso se credi che Blaine uscirebbe con uno come te!” era la prima volta, forse, che rivolgeva tanto disgusto nei confronti di qualcuno e per qualcosa che non riguardasse un comportamento omofobo o una competizione canora. Si trattava della più basilare delle rivalità e non avrebbe mai pensato di pronunciare simili parole o di ritenere che qualcuno non fosse degno di essere amato.
Probabilmente guardandosi dall’esterno si sarebbe sorpreso di come riuscisse, quasi, a farne sbloccare persino quella sfaccettatura più forte della sua personalità.
Ma, soprattutto, era ulteriormente sconcertante come Sebastian sembrasse insensibile a simili commenti.
“Chi ha parlato di uscirci?” aveva chiesto, infatti, le sopracciglia inarcate. “Non sono io la femminuccia che sogna ad occhi aperti leggendo i romanzi di Nicholas Sparks”.
Un’altra scoccata che Kurt subì con un irrigidimento della mascella. Ecco un altro motivo per il quale la sua avversione per Sebastian era tanto ustionante: se fosse stato in competizione con un ragazzo altrettanto innamorato di Blaine, avrebbe anche potuto trarvi un motivo di sollievo. Qualunque cosa fosse accaduta e chiunque Blaine avrebbe scelto, avrebbe avuto al suo fianco qualcuno che lo apprezzasse e non soltanto per il suo aspetto.
“Sei disgustoso” commentò, infatti, in tono impietoso ma, da come Sebastian sorrise, sembrò soltanto trarvi un ulteriore complimento mentre si stringeva nelle spalle.
“Punti di vista, sono solo sincero”.
Si erano fermati e stavolta Kurt non avrebbe saputo quale altro espediente utilizzare: stava fissando, infatti, la sagoma della sua stessa casa. Non voleva neppure correre il rischio di continuare a vagare e magari incontrare qualcuno che sarebbe rientrato dal party di Rachel.
Stava ancora cercando una soluzione al suo silenzioso dilemma quando Sebastian sogghignò nello scrutare l’insegna.
“E così è qui che vive il figlio di un meccanico”.
“Se pensi che ti inviti ad entrare-“.
“Un giorno, quando capirai di essere davvero gay e non una ragazzina piena di estrogeni, allora mi supplicherai e ti renderai conto dell’occasione persa”. Commentò Sebastian in tono così sicuro di sé ed arrogante che Kurt emise uno sbuffo ironico, un vago sorriso velenoso.
“Un giorno, quando e se mai perderò il senno, sarò lieto di litigare con te per tutto il percorso di ritorno. Ma quel giorno non è oggi e-“.
Si erano entrambi interrotti: un cumulo di neve era caduto tra loro e Kurt levò lo sguardo curiosamente, imitato dall’altro.
Fu allora che, illuminato dalle luci di Natale affisse intorno ad un pioppo e alle decorazioni esterne, scorse un ramoscello di vischio, abbarbicato intorno allo stesso come un parassita, mentre un silenzio incredulo scendeva tra loro.
Vischio, pensò Kurt tra sé, gli occhi sgranati e le labbra schiuse.
Sebastian stesso sembrò restare immobile: si scrutarono per un lungo istante nel quale nessuno dei due parlò ma vi fu una nuova tensione, completamente diversa da quella che precedeva uno dei soliti litigi. Piuttosto la realizzazione che qualcosa fosse richiesto.
Qualcosa che entrambi, ovviamente, non desideravano. Ma per quanto fosse scontato, sembrava una debolezza doverlo ammettere a voce alta.
“Io credo…” fu Kurt il primo a spezzare il silenzio divenuto intollerabile, accennando all’ingresso: se fosse stato abbastanza fortunato, suo padre sarebbe uscito e avrebbe intimato a Sebastian di rispettare una distanza di almeno tre metri tra loro.
Evidentemente non era la sua serata fortunata perché Sebastian colse quel mormorio e sogghignò di fronte alla sua esitazione prima di chinarsi pericolosamente verso il suo volto.
Si avvicinò al suo orecchio, schiuse le labbra e rilasciò un respiro che fece intirizzire la pelle di Kurt.
“Se aspetti un bacio sotto il vischio per una stupida tradizione, temo, cara Miss Hummel, che dovrai gettarne un intero cespuglio addosso a Blaine”.
Si scostò bruscamente, le guance arrossate per la vergogna e l’indignazione: ancora una volta sentendosi non poco oltraggiato dal modo in cui si scherniva di lui, soprattutto in quell’ambito personale, d’altro canto biasimando se stesso per aver reagito, al solito, a quella maniera insicura.
“Non voglio essere baciato da-“.
Si interruppe, un gemito di sorpresa ne sgorgò dalle labbra quando Sebastian lo attrasse a sé, lontano dall’albero, e si chinò verso il suo viso.
Fu un movimento così fluido e rapido che Kurt riuscì a stento a realizzarlo: aveva sentito l’alone del suo respiro sul viso, il suo profumo avvolgerlo stuzzicante ed intenso e, l’attimo dopo, ne aveva carpito le labbra.
Un lungo respiro trattenuto nel quale perse la cognizione di sé.
Tremò e sbatté le palpebre prima di socchiudere gli occhi, completamente avvinto dalla sua vicinanza, da quei battiti divenuti persino più intensi e da quel calore che lo aveva fatto istintivamente (era istinto, ovviamente, la sua mente era offuscata da “normali reazioni fisiologiche”, si sarebbe detto da lì ai giorni seguenti) socchiudere gli occhi nella sua morsa.
Se fino a quel momento, il suo cuore era sembrato strozzato dal pensiero di quel bacio tra Blaine e Rachel sotto il vischio, non vi fu che Sebastian nella sua mente, in quel preciso istante.
Mai si era sentito così consapevole del suo corpo: di quel brivido che scorreva sotto pelle, di quel calore che sembrava direttamente provenire dalle labbra di Sebastian e diffondersi in tutto il suo corpo, malgrado si trattasse di un tocco sfiorato. Ma forse era proprio la sicurezza con la quale lo aveva avvinto a sé, una risoluzione che Kurt aveva sempre sognato, seppur rivolti da un bel altro giovane. Ma era tutto reale, così sentito che non poté che sentirsi avvolgere da quell’emozione, domandandosi se avvicinandosi ulteriormente o trattenendone il viso, ne avrebbe volto un’altra sfumatura.
Fu solo un momento di indecisione ma Sebastian si scostò e Kurt dovette trattenersi dal tastarsi le labbra tremanti.
Seguì un lungo istante di silenzio nel quale boccheggiò, lo sguardo fisso su Sebastian mentre questi conficcava svogliatamente le mani nelle tasche del soprabito, ancora intento ad osservarlo.
“P-Perché l’hai…?” era stata una domanda sincera, spontanea seppur si fosse sentito un bambino che cerchi di comprendere una realtà che appaia troppo difficile da assimilare.
Timoroso della risposta ma, soprattutto, di comprendere cosa si aspettasse e cosa fosse significato per lui quel contatto, se lo shock per il bacio strappatogli da Karofsky era stato paralizzante, in quel caso vi era stato quel solo istante nel quale si era persino abbandonato alla pressione. O aveva persino immaginato di prolungarlo.
Sebastian non parve minimamente turbato, un vago sorriso ancora a sfiorarne le labbra malgrado le iridi apparissero più offuscate ma lo rimandò ad un effetto della luce notturna.
“Non avevo ancora baciato un vergine questa sera” fu la pacata risposta e il cuore di Kurt sembrò fermarsi e la sua mente congelarsi.
L’urto dello schiaffo rimbalzò nel silenzio.
Sebastian non si scompose: continuò a scrutarlo curiosamente, le sopracciglia inarcate e la mano che si massaggiava la guancia lesa, il viso inclinato di un lato.
“Più passione in uno schiaffo che in un bacio… interessante” commentò in tono del tutto casuale.
“Stai-lontano-da-me!”.
Si era scostato più bruscamente, improvvisamente aveva davvero il bisogno di sfiorarsi le labbra quasi a volerle pulire da quel contatto, quasi a voler sentirsi meno contaminato dalla sua presenza o quello che sembrava aver innestato in quel folle istante.
“Ci vediamo a Gennaio, Miss Hummel” gli gridò dietro quando, dopo essersi bruscamente voltato ed aver superato il cancello, si fermò davanti alla porta di casa.
Rientrò e sbatté la porta di ingresso, facendo sussultare il padre che si era assopito sulla poltroncina del salotto.
“Com’è andata alla festa?” aveva chiesto, togliendosi il cappello e sfregandosi le dita sugli occhi, osservandolo attentamente.
L’immagine del padre che seguiva Sebastian con una mazza da baseball era piuttosto seducente ma forse gli avrebbe procurato un infarto.
“Noiosa e banale” replicò in tono neutrale, stringendosi nelle spalle.
“Ti hanno chiamato sia Rachel sia Brillantina, sei sicuro che sia andato tutto bene?” aveva assunto quell’aria più guardinga e preoccupata, malgrado fosse ancora decisamente assonnato.
“Sicuro” gli sorrise con naturalezza. “Sono uscito per fare quattro passi ma avevo il cellulare scarico, vado subito a chiamarli, grazie. Buonanotte” aggiunse con un sorriso prima di salire le scale verso il piano superiore.
Sospirò, detestava mentire a suo padre.
Entrò in camera e si lasciò cadere sul letto, aprì la cartella dei messaggi e, dopo aver sospirato ed ignorato quelli di Rachel, aprì il messaggio che Blaine aveva mandato poco dopo la sua rapida fuga dalla festa.
[Da Blaine] [11.23 pm]
Mercedes mi ha detto che stavi poco bene. (Kurt benedisse la presenza di una persona abbastanza premurosa e sveglia: sicuramente era stata credibilissima).
Avresti dovuto dirmelo, ti avrei riaccompagnato a casa! Rachel è stata molto gentile ma avrei preferito passare più tempo con te. Rimettiti, mi raccomando, e fammi sapere cosa farai in questi giorni.
Un caffè alla caffetteria della Dalton al mio ritorno?
Buonanotte Kurt, mi sei mancato.
 
Un sorriso ne sfiorò le labbra e si abbandonò sul materasso: un sospiro più trasognato mentre leggeva e rileggeva quelle righe, soprattutto quei passi di particolare dolcezza. Quasi volendo immaginare il suo volto mentre le scriveva, il suo sorriso mentre gli dedicava la buonanotte e gli diceva quanto gli era mancato e quanto avrebbe voluto trascorrere quel tempo in sua compagnia.
Fece per premere il tasto di risposta ma si riscosse all’arrivo di un nuovo sms: sperava in un’ulteriore buonanotte di Blaine ma inarcò le sopracciglia nel constatare che fosse un numero sconosciuto, quello del mittente.
Aggrottò le sopracciglia e lesse.
 
[Numero Sconosciuto] [00.38 am]
 
Le tue labbra sono più morbide di quanto immaginassi: forse quel burro cacao, che spalmi ogni cinque minuti, non è così male.
Mi domando cosa ne penserebbe Blaine.
Sognami stanotte,
XXX (Aveva emesso uno strillo indignato a notare un commiato con ben tre baci e scritti in lettera maiuscola).
S.
 
Quasi schifato, lasciò cadere il cellulare sul materasso, un verso stridulo di indignazione e di sgomento prima di aggrottare le sopracciglia nel fissare il soffitto.
Tipico di Sebastian, rovinare sempre tutto.
L’umore non migliorò neppure quando, sotto le coperte, prossimo al sonno, quel viso sembrò nuovamente far capolino nei suoi pensieri. E così la sensazione di quel profumo avvolgerlo, il calore di quel contatto e la morbidezza delle sue labbra.
Sbatté le palpebre e strinse i denti.
Stupido vischio e stupido Sebastian.

 
Come vi dicevo, sarò particolarmente curiosa delle vostre reazioni soprattutto perché, mentre scrivevo questo raccontino, immaginavo di convertirlo in una storia a più capitoli (avrei già creato un piccolo schema in cui appuntare qualche scena visto questo finale sembra averne tutti i presupposti) che pubblicherei a partire dal 2013 con il titolo, appunto, di “Our Secret”.
Fatemi sapere cosa ne pensate :) Intanto vi do appuntamento a domani con “Christmas Presents beneath the tree” e ancora grazie dell’attenzione.
Kiki87
 

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Capitolo 3
*** Christmas Presents Beneath The Tree - Our Perfect Christmas ***


Ben ritrovati! Anche questa traccia mi ha dato del filo da torcere, è stata proprio l’ultima che ho scritto (terminato proprio Giovedì scorso, nella biblioteca della mia città, mentre aggiornavo therentgirl in tempo reale). In realtà è stata la seconda parte se così si può dire perché avevo già in mente l’inizio ma dovevo ancora definire qualche dettaglio sullo svolgimento… ma non mi dilungo troppo, spero alla fine vi soddisfi.
Un abbraccio mega-strapazzante alla mia Sebastian e alle sue recensioni persino più meravigliose di lei – se possibile – e ancora grazie a chi legge ed inserisce tra seguite/preferite/ricordate.
Buona lettura!

 

 

 

I don't want a lot for Christmas 
There's just one thing I need
 
I don't care about presents
 
Underneath the Christmas tree
 
I just want you for my own
 
More than you could ever know
 
Make my wish come true
 
All I want for Christmas is you

(All I Want For Christmas Is You
Mariah Carey)

 

Christmas Presents Beneath The Tree

Our Perfect Christmas

 

Il Natale era sempre stata la festa preferita della mamma: ne osservò, con espressione gioiosa ed interessata, tutti gli sforzi con i quali si apprestava a decorare la loro casa, il tutto accompagnandosi con un sottofondo musicale di tradizionali canzoni che intonava con la sua bellissima voce. Era instancabile mentre volteggiava nel salotto, muovendosi con incedere aggraziato e svolazzante che la faceva tanto somigliare ad una bambina. Era sempre sembrata perfetta ai suoi occhi e Kurt non poteva che osservarla con crescente ammirazione mentre cercava di aiutarla come meglio poteva. Uno dei momenti preferiti era sicuramente quello in cui lei lo sollevava tra le braccia e lo aiutava a sporgersi verso la cima dell’albero per appuntarvi sopra il puntale: restavano poi vicini anche quando l’opera era compiuta.
La stanza era avvolta nel buio, ad eccezione delle luci dell’albero che ne facevano scintillare le decorazioni affisse sullo stesso, e Kurt e sua madre si presero qualche istante di silenzio a rimirare il tutto, con lo stesso sguardo sognante e lo stesso sorriso che illuminava i loro volti.
Era un momento nel quale le parole non sembravano necessarie: non quando potevano sostare l’uno tra le braccia dell’altro, avvolti da quel piacevole silenzio. Cinse il collo della mamma, affondando il viso contro la sua spalla ed inspirandone il profumo delicato e soave, così come tutta la sua figura.
Malgrado fosse lei l'adulta, non poteva che rimirarne il bel viso: gli occhi grandi di quell’azzurro striato di grigio e quel sorriso che sostava e che era pieno di vita e di gioia; un istinto di protezione che sentiva latente in sé, quasi ne percepisse una bellezza etera ma al contempo fragile, quasi ella fosse una bambola di ceramica destinata a rompersi.
La donna abbassò sguardo e gli baciò la fronte, prima di proporgli di preparare insieme i biscotti per attendere il ritorno del papà cui aveva risposto con entusiastica approvazione.
Mezzora dopa sostavano in cucina, entrambi ricoperti di farina, perché sembrava un divertimento irresistibile gettarsela addosso ed era stata una fortuna che avesse indossato un grembiulino, anche se sarebbe poi dovuto ricorrere ad uno shampoo d’emergenza per scrostare i capelli.
La mamma stava ora spalmando lo zucchero a velo sui biscotti a forma di albero di Natale, di fiocco di neve, di bastoncini di zucchero, di vischio e di palline decorative e lui la rimirava con uno sguardo adorante.
Aggrottò le sopracciglia, però, quando notò che anche le sue mani si erano impasticciate. Soprattutto, la sua preoccupazione era volta all’anello che portava all’anulare sinistro.
“Perché non togli l’anello?” le chiese con tono incuriosito mentre stava seduto sullo sgabello e, le braccia appoggiate al balcone della cucina a sostenersi il mento, continuava a studiare i suoi movimenti.
La donna, che stava disponendo i biscotti nella teglia da forno, si riscosse e sollevò il capo ad osservarlo prima di sorridere. Quel sorriso più tenero e devoto che ne faceva scintillare lo sguardo.
“Questa, amore, è la fede nuziale: non si toglie mai” commentò in tono serio e il bambino l’aveva guardata ancora più incuriosito, le sopracciglia inarcate.
Ella sorrise nel comprenderne il bisogno di ulteriori delucidazioni.
“E’ un simbolo: l’anello e il cerchio simboleggiano una promessa d’amore per tutta la vita e indossare l’anello ne è una dimostrazione” aveva spiegato in altre parole mentre porgeva la mano sinistra e Kurt ammirava ancora una volta la perfezione dell’anello.
Era costituito da due bande intrecciate sinuosamente tra loro: una di platino e l’altra di uno zaffiro che ne ricordava lo sguardo dai riflessi azzurrini.
A detta del papà, era stato particolarmente difficile sceglierne uno adatto ma quando aveva visto quello, aveva capito che era perfetto.
Che era l’anello che avrebbe messo al dito della mamma quando sarebbero diventati marito e moglie per poi costruire insieme una nuova famiglia.
“Ne avrò uno così anche io, un giorno?”.
“Quando sceglierai la persona con cui trascorrere la tua vita, sì”.
 
“Allora, hai intenzione di metterlo quel puntale, prima che io faccia qualche commento poco natalizio e molto sessuale?”.
Si era riscosso bruscamente e si era voltato ad osservare il giovane il cui sguardo smeraldino scintillava con malcelata malizia.
Sbatté le palpebre come a cercare di riemergere da quel sogno e dall’immagine di sua madre che sembrava così reale e tangibile da poterla sfiorare con le dita, tanto da lasciarlo quasi basito alla realizzazione si trovasse nel salotto della casa che condivideva con Sebastian, da quasi sei mesi ormai.
Quello sarebbe stato il loro primo Natale, quindi, e tutto ciò che avrebbe potuto auspicarsi, era che fosse tutto esattamente perfetto.
“Buon Natale anche a te” rispose con un filo di divertimento e, poco dopo, lo esortò a spegnere le luci per rimirare l'effetto delle luci, in sottofondo le canzoni natalizie (tranne quelle che Kurt soleva cantare con Blaine e che erano state abolite anche se Sebastian non era geloso).
Si appoggiò alla sua spalla e sorrise quando, in risposta, Sebastian gli cinse le spalle e lo trattenne a sé, il mento appoggiato al suo capo e Kurt percepì nuovamente quel dolce calore di appartenenza a qualcuno.
Non sembrava esser cambiato molto da quando sua madre non vi era più.
“Il puntale è decisamente il tocco di classe”.
Più o meno, aggiunse mentalmente Kurt, un vago sorriso e uno scuotimento del capo.
 
~
 
La cena con Burt e Carole era stata perfetta: aveva preparato tutto per tempo con il discutibile aiuto di Sebastian che aveva cercato di distrarlo a più maniere, interrompendone le manovre con qualche bacio rubato o qualche loro tipica schermaglia più complice. Il tacchino era stato prelibato e gustoso e avevano già inaugurato i brindisi: aveva cercato di ignorare per tutto il tempo le occhiate ben poco celate che il suo compagno gli stava impunemente lanciando – poco disposto a farsi inibire (come se ciò fosse possibile!) dalla presenza del padre e della madre acquisita – ma non aveva davvero potuto rinunciare ad indossare quei pantaloni rossi che erano perfettamente a tema. E non certo per far smaniare Sebastian. Non del tutto almeno.
Tra le risate, gli aneddoti e le premesse per il nuovo anno, era quasi giunta la mezzanotte della Vigilia e Kurt si era preso un solo istante per vagheggiare col ricordo, ancora una volta, cosa significasse quella festa quando ancora vi era sua madre. Era certo che suo padre, pur felice da quando aveva Carole al suo fianco, condividesse lo stesso pensiero, quella stessa stretta al petto, quella dolce malinconia che sembrava promettergli che il ricordo avrebbe serbato anche il loro amore.
“Sarebbe molto orgogliosa di te” aveva commentato Burt stringendone la spalla per un breve istante e sorrise al denotare che, se anche il tempo scorreva, sarebbero sempre riusciti a comprendersi senza bisogno di particolari parole o delucidazioni. Senza dover troppo coinvolgere l'emotività fin troppo accentuata di Kurt e quella più riservata di Burt.
Fu l’esortazione di Carole a riscuoterli con l’avviso della mezzanotte e si unirono ai rispettivi compagni.
Giunse, quindi, il momento preferito di Kurt, da quando era bambino: scartare i regali.
Adorava, soprattutto, osservare come il volto delle persone si trasformasse nel momento in cui stringevano il loro cadeau. Era il senso stesso dell’acquistare un regalo: cercare un’impronta dell’altra persona e dimostrare quanto si tenesse a lei, quanto la si portasse nel cuore, tanto da indovinare cosa potesse esserle gradito, tanto da riuscire a divenire il motivo stesso della loro gioia.
Se aveva osservato con un sorriso le reazioni di Burt e Carole, si era concentrato su Sebastian e ne aveva visto le sopracciglia inarcarsi alla vista della scatola di velluto rettangolare: lo incoraggiò con un sorriso.
Questi, finalmente, schiuse il coperchio per poi restare a rimirare lo splendido bracciale in oro bianco: da esso pendevano diversi ciondoli di forma e colore ma ognuno era un loro simbolo, dal ciondolo di un bicchiere di caffè, fino alle chiavi a simboleggiare la loro vita insieme.
“Ogni anno ne aggiungeremo altri” aveva soggiunto Kurt con tono evidentemente commosso e Sebastian era apparso incapace, per un istante, di trovare le parole opportune ma quando levò uno sguardo emozionato e gli porse il braccio e il bracciale perché lo aiutasse ad indossarlo, Kurt comprese. Comprese ciò che aveva difficoltà ad esprimere con troppa frequenza, ciò che restava sospeso, soprattutto quando non erano soli ma ciò che li legava da tempo e ciò che, lo sapeva, li avrebbe tenuti vicini l'uno all'altro ancora per molto tempo.
Il sorriso nello stringere il gancio fu immortalato da una fotografia e Sebastian si sporse a sfiorarne appena le labbra in un breve sospiro roco che fece scalpitare furiosamente il cuore di Kurt nel trattenerlo per la guancia, un breve istante soltanto.
Attendeva, adesso, lo sguardo adesso trepidante.
Sebastian era apparso alquanto dubbioso mentre prendeva una scatola rettangolare e piuttosto voluminosa che Kurt scrutò con attenzione mentre gliela poneva tra le braccia, bofonchiando gli auguri. Stava già, con sguardo illuminato, ipotizzando varie opzioni (magari cuscini con ricamati i loro nomi e le fotografie? O forse qualche oggetto prezioso che aveva però celato in scatole e scatole a mo' di matriosca per beffarlo?) prima di cominciare a scartare con cura e dedizione.
Il loro primo Natale ufficiale come compagni, sarebbe stato tutto perfetto e...
Si pietrificò in un istante: il suo cuore sembrò letteralmente restare sospeso in gola, boccheggiò e la sua mente sembrò congelarsi mentre il sorriso moriva sulle labbra nell'osservare quello che a tutti gli effetti (anche girandolo in OGNI POSSIBILE ANGOLAZIONE) restava...
“Un frullatore”.
Un sussurro quasi incredulo, la voce in falsetto. Aprì rapidamente la scatola (magari all'interno c'era un gioiello e lo aveva gabbato soltanto per fargli dispetto! Doveva essere così, ecco perché anche suo padre e Carole erano rimasti così silenziosi) per osservare quello che era indubbiamente un elettrodomestico.
Boccheggiò mentre Sebastian, che sembrava aver recuperato il suo sorriso sferzante, si era stretto nelle spalle e fece tintinnare giocosamente i ciondoli del bracciale (quello che era un regalo ORIGINALE e ROMANTICO) vicino al suo orecchio, con aria beata e quasi stolta da non comprendere come avesse letteralmente ucciso lo spirito romantico e natalizio.
E tutto con un solo gesto.
Doveva essere uno scherzo e di pessimo gusto: gliel'avrebbe fatta pagare per averlo messo così in imbarazzo di fronte agli altri due che, evidentemente, dovevano aver a loro volta realizzato la tensione appena scesa tra gli astanti.
Carole si affrettò ad avvicinarsi e osservare la scatola con un sorriso luminoso, stringendogli la spalla.
“E' di ottima marca, non trovi, tesoro?”.
In quel momento, Kurt sperò che “ottima marca” corrispondesse a “arma contundente efficace” perché non avrebbe desiderato niente di meglio che fracassarlo sulla testa del suo amatissimo compagno che rigirava i ciondoli come niente fosse. Quest'ultimo si permise persino di annuire alle parole di Carole con un sorriso affabile.
“Kurt adora i frullati di banana” specificò e Burt, che doveva aver deciso di affogare l'imbarazzo nello champagne, si congelò sul posto. Decisamente se era una battuta a sfondo sessuale tra gay, non era il momento di scoprirlo.
“Ma che pensiero dolce!” continuò a trillare Carole che strinse più forte la mano sulla spalla di Kurt, quasi a volerlo silenziosamente incoraggiare e/o consolare.
Da parte sua, Kurt non gli avrebbe rivolto la parola fino al momento del congedo e, per quanto lo riguardava, avrebbe fatto meglio a cercare le coperte e la trapunta per una notte sul divano.
 
~
Si era chiuso in bagno non appena aveva sentito l'auto dei genitori uscire dal vialetto per far ritorno alla loro casa e Sebastian non lo aveva fermato. Il che conduceva a due possibili opzioni: o non si era completamente avveduto del suo stato d'animo, oppure ne era consapevole fino al midollo e stava optando per quello che tecnicamente poteva definirsi un “lasciargli il suo spazio”, la quiete prima della tempesta, in ogni caso.
Si era fatto una rapida doccia ed aveva già insinuato il pigiama di seta ma erano gesti scoordinati e nervosi quelli con cui si applicava le varie creme per il rituale notturno: non era inusuale che, a quel punto della serata, spesso Sebastian entrasse – ignorando la porta chiusa – per cominciare a mordicchiargli il collo o coricarselo sulla spalla per portarlo a letto quando, a suo giudizio, ci stava mettendo troppo tempo.
La sua mente continuava a rivivere, e con crudele esaustività di dettagli, l'orribile momento nel quale aveva realizzato che Sebastian gli aveva davvero regalato quel... coso. Non riusciva davvero a credere che di tutte le cose che Sebastian amasse di sé o conoscesse, si fosse legato ad uno stupidissimo frullato (aveva già deciso che, in ogni caso!, non ne avrebbe mai più bevuto uno, specialmente se significava toccare quell'apparecchio). D'accordo che Sebastian talvolta difettava di parole e non era tipo da dichiarazioni romantiche come nei film che amava vedere e sui quali versava lacrime di gioia e commozione ma non riusciva davvero ad immaginare cosa gli fosse passato per l'anticamera del cervello.
Come poteva immaginare che avrebbe potuto gradire quel dono? Sebastian amava la carne ma questo non sarebbe certo equivalso a regalargli una mucca, se poi il simbolismo alimentare potesse avere una qualche facoltà romantica.
L'idea di un oggetto per la loro quotidianità sarebbe stato apprezzabile: una morbida trapunta sotto la quale coccolarsi nelle serate fredde, o un set di accappatoi da coppia con le loro iniziali, gesti che rimandassero alla promessa reciproca di una vita futura. Insieme. Condividendo la quotidianità, costellata anche di eventi come quelli.
La prima lacrima che gli solcò la guancia lo colse di sorpresa: e così, ancora una volta, era stato quello il mezzo con cui il suo corpo avrebbe liberato quel cumulo di rabbia, delusione, amarezza e di sconforto. Non poteva fare a meno di chiedersi - mentre deglutiva a fatica e tratteneva il singhiozzo, ritrovandosi presto gli occhi arrossati e il viso bagnato - se quella convivenza non fosse stata precoce o se, semplicemente, lui e Sebastian non vivessero il loro rapporto allo stesso modo.
Si appoggiò con le mani al lavabo, il viso chinato e si tappò le labbra a celare l'ennesimo singhiozzo prima di aprire il rubinetto dell'acqua fredda e sciacquare rapidamente il viso.
Prese qualche respiro profondo ma, ciononostante, quando sentì Sebastian bussare alla porta (e dire che, a suo parere, fossero inutili quando si viveva insieme), sussultò e rivolse uno sguardo impaurito alla stessa.
“Kurt, sei chiuso in bagno da quasi un'ora che è mezzora più del solito: tutto bene?”.
No, non va tutto bene, sarebbe stata la sua spontanea risposta. Non c’è nulla che vada bene.
Strinse le labbra ed osservò la porta al di là della quale vi era l’uomo con cui aveva immaginato e sognato di trascorrere tutta la vita, colui cui aveva donato tutto il suo amore, la sua dedizione, tutto se stesso.
E nulla andava bene, quella che doveva essere la loro prima festività come coppia ufficiale, era divenuta un incubo dal quale non riusciva a svegliarsi. Tutto ciò che avrebbe voluto, in quel momento, era chiudersi in quel bagno e piangere disperatamente come un bambino che si svegli da un incubo.
Mai gli era sembrato che le distanze tra loro fossero così marcate, neppure da quel loro primo incontro/scontro nella caffetteria di Lima; una lontananza che andava ben oltre quella porta di legno.
Di fronte a quel silenzio, Sebastian bussò nuovamente e Kurt si riscosse: si asciugò rapidamente il volto e prese un profondo respiro.
“A-Arrivo” si sentì dire con voce che parve raffreddata ma si concessa un’ultima occhiata allo specchio – un vago tentativo di tamponare gli occhi arrossati e di allontanare quel ciuffo dispettoso dal viso – prima di decidersi, infine, ad aprire la porta.
Non sapeva esattamente come ma non avrebbe potuto ignorare i suoi dubbi e le sue riflessioni: avrebbe parlato a Sebastian con il cuore aperto e poco importava se il giorno dopo avrebbe trascorso un deprimente Natale tra lacrime e fazzoletti, rintanato nella sua vecchia camera in casa Hudson-Hummel, perché non avrebbe sopportato di dover fingere con Sebastian.
Sbatté, tuttavia, le palpebre alla vista o meglio alla non vista: la loro camera da letto era sommersa nel buio e aggrottò le sopracciglia. Si mosse lentamente dalla soglia del bagno e cercò di mettere a fuoco l'immagine.
L’unica fonte di luce proveniva dalla luce del corridoio e l’alta figura di Sebastian era stagliata sulla soglia della camera da letto: si avvicinò istintivamente in sua direzione ed inarcò le sopracciglia quando ne scorse la figura elegantemente rivestita di uno smoking che non gli aveva mai visto indosso.
Già ad una prima occhiata distratta (era troppo arrabbiato e turbato per fare una rapida scansione dei capi d’abbigliamento che aveva indosso e elogiarne fattura, colore, tessuto e proporzioni) si avvide di quanto fosse incredibilmente elegante. Aveva persino acconciato i capelli lievemente all’indietro, in quel tocco più sofisticato a suo parere ma che non aveva mai assecondato, continuando ad adottare quel ciuffo che aveva così ironicamente vezzeggiato dal loro primo litigio.
“Stai uscendo?” gli chiese, la voce ancora più stridula.
Oh, perfetto! Adesso gli avrebbe detto che aveva anche intenzione di lasciarlo, che aveva un altro o qualche altra catastrofica notizia. Lo sapeva! Lo sapeva che dannato frullatore doveva avere un significato ma non avrebbe immaginato che, proprio la notte di Natale, dovesse dargli una notizia che gli spezzasse il cuore e distruggesse il suo spirito natalizio.
Sebastian non rispose: persino con la poca luce ne scorse il sorrisetto beffardo che ne doveva far baluginare lo sguardo. Con un solo fluido ed elegante gesto, gli porse la mano ma Kurt lo osservò ancora confusamente.
“Vieni” lo incoraggiò ma Kurt scosse il capo, indietreggiando.
“Dovremmo parlare” ribatté testardo ma questi, quasi avesse previsto le sue mosse, scosse il capo, un vago sorriso prima di entrare nella camera: prese il suo cappotto e glielo drappeggiò sulle spalle.
Malgrado tutto, Kurt avvertì quel familiare brivido laddove il respiro di Sebastian gli sfiorava la nuca, mentre istintivamente si stringeva nel cappotto, quasi avesse una reale sensazione di gelo prima di sentirlo sospirare nell’orecchio.
“So che sei pazzo di quel frullatore” soffiò con voce suadente e Kurt dovette reprimere l’istinto di calpestargli il piede o assestargli una gomitata alle costole.
Sebastian doveva aver immaginato anche questo perché gli strinse i fianchi, quasi a rassicurarlo ed impedirgli di compiere qualche gesto di naturale stizza. “… ma il vero regalo è di sopra” aveva soggiunto ancora una volta e Kurt aveva lanciato interdetto un’occhiata al soffitto, quasi si aspettasse di vedere una scritta comparire magicamente o qualcosa di altrettanto irreale.
“Andiamo” lo incalzò nuovamente Sebastian che stavolta non attese e ne cinse la mano: fu istintivo, malgrado tutto, rilassarsi a quel tocco familiare, morbido e caldo.
Non poteva ammettere che, in quel momento, l’ipotesi di un altro regalo (anzi, del vero regalo) era abbastanza seducente da rimandare le sue paturnie d’animo ed essere disposto ad assecondarlo. Almeno fino a quando non avrebbe visto di cosa si trattasse perché, a quel punto, non si sarebbe più concesso il beneficio del dubbio e lo avrebbe ringraziato ad una maniera fisica: molto violenta e poco sensuale.
Quello era uno dei motivi per cui Kurt e Sebastian avevano scelto quell’appartamento: il tetto sul quale avevano diversi progetti sui quali dedicarsi nel nuovo anno, probabilmente la creazione di un giardino o di una serra o forse un delizioso gazebo rustico con tavolini e un dondolo. Doveva riconoscergli una certa furbizia nell’aver nascosto lì il regalo ma si strinse nel cappotto, rabbrividendo mentre salivano le scale.
“Non potevi portarlo di sotto? Se non te ne fossi accorto, sta ancora nevicando!” aveva commentato con voce stridula ma Sebastian aveva rafforzato la pressione sulla sua mano, una vaga risata divertita prima di aprire la porta ed essere lui stesso investito da una raffica di fiocchi di neve e Kurt non poté che pensare, con sgomento, a quel bellissimo completo che avrebbe bagnato a quel modo.
“Credo che il freddo sarà l’ultimo dei tuoi problemi” commentò in tono saccente che fece aggrottare le sopracciglia di Kurt. Se credeva che fare l’amore sul tetto lo avrebbe ammorbidito allora avrebbe potuto realmente immaginare di scaraventarlo di sotto: si domandò se Sebastian avesse immaginato la stessa cosa, visto il sorrisetto sulle labbra seppur dovesse soffrire non poco il disagio del freddo.
“Dimmi che ci stai pensando anche tu” domandò in tono smanioso e Kurt strinse il pugno lungo il fianco, considerando l’ipotesi di schiaffeggiarlo subito e violentemente ma Sebastian si limitò a scostarsi e fu allora che vide e tutti i suoi pensieri sembrarono volatilizzarsi.
Aveva disposto una coperta sul pavimento e su di essa aveva disseminato candele dall’essenza di vaniglia, la preferita di Kurt, accuratamente coperte con appositi coperchi di vetro perché la flebile e delicata luce non si spegnesse al sibilo del vento o al posarsi dei fiocchi di neve tutto attorno. Petali di rosa blu e di nontiscordardimé punteggiavano la coperta e Sebastian lo condusse con sé, esortandolo a sedersi su uno dei cuscini (quelli che Kurt aveva comprato perché si abbinassero al divano del salotto) e Kurt, ancora confuso, così fece mentre lentamente cercava di assimilare.
“Un picnic” aveva domandato confuso, ma Sebastian non si era seduto: indugiò in piedi di fronte a lui, l’espressione più seria e concentrata che gli avesse visto per tutta la serata mentre lo scrutava attentamente.
Sembrò un ritrovarsi dopo una lontananza più o meno lunga: sentì la carezza silenziosa e delicata del suo sguardo che gli vezzeggiò il viso, quasi non riuscisse a immortalare completamente la sua immagine, quasi avesse un reale timore di perdere anche solo un dettaglio. Uno sguardo così lungo e così intenso che Kurt stesso non poté che ricambiarlo, il respiro più accelerato e gli occhi velati di emozione e di trepidazione, quasi attendendo qualcosa.
Fu allora che Sebastian sorrise: non era il suo solito ghigno sarcastico o quel sorriso compiaciuto o quello con cui soleva prenderlo in giro soltanto per quei bisticci quotidiani che poi portavano ad un modo del tutto particolare e complice di vezzeggiarsi reciprocamente. Era un sorriso devoto, e Kurt si sentì invadere da un calore quasi ustionante.
Sebastian prese un profondo respiro o così gli parve. Se solitamente si crogiolava dell’essere al centro dell’attenzione, in quel momento appariva concentrato come non mai.
“Sai che i discorsi romantici non sono il mio forte e neppure i gesti eclatanti” e Kurt sapeva che con quello intendeva le serenate che Blaine gli dedicava al McKinley, coinvolgendo l’intera scolaresca ma, seppur fosse incuriosito di quell’esordio tutt’altro che prosaico, un sorriso gli sfiorò le labbra.
“Ne avevo il vago sospetto” replicò, dondolando appena le spalle con fare più vezzoso e complice, il viso inclinato di un lato ma Sebastian continuò, come se non fosse stato interrotto.
“Sai che non sarò mai l’uomo romantico della coppia e che per decine di volte al giorno dovrò reprimere l’impulso di strangolarti: perché ti chiudi in bagno per mezzore per una pulizia del viso inutile o perché impieghi quaranta minuti a scegliere tra due semplici completi o perché mai ti chiederò un consiglio su quale stupida cravatta abbinare ad un completo da ufficio” aveva sciorinato, ogni frase comportava un corrugamento della fronte e la voce sempre più grondante di sarcasmo e di reale fastidio.
“Mi stai dicendo che mi ami o che vuoi lasciarmi?” aveva chiesto ironicamente Kurt, a quel punto.
“Sai che detesto quando mi interrompi” lo incalzò nuovamente seppur sembrasse non riuscire a smettere di sorridere, contagiando persino Kurt malgrado fosse ancora intrigato da tutto quel discorso che stava sciorinando da qualche minuto.
“Scusami” mormorò cercando di tornare serio ma Sebastian lo ignorò e si mise in ginocchio di fronte a lui per essere ad altezza del suo stesso sguardo mentre allungava la mano a cingerne la guancia fredda, sfiorandone delicatamente lo zigomo con le dita, quasi a tracciarne un contorno.
“E sai che non cambierei nulla di noi perché, da quando ti ho, non ho mai desiderato altro” aveva continuato, la voce divenuta più rauca e Kurt stesso si era avvicinato per sentirne il respiro caldo sul viso, la mano che andava ad appoggiarsi al suo petto fasciato dalla giacca elegante e Sebastian ne cinse la vita. Sembrò intenzionato a coprire quella distanza per baciarlo ma si riscosse e scostò la mano per insinuarla nella tasca interna della giacca, sotto lo sguardo confuso ma incuriosito di Kurt.
Sentì il suo respiro paralizzarsi quando lo vide estrarre una scatola di velluto e il suo stesso cuore sembrò restare sospeso in gola mentre il suo respiro diveniva convulso.
Sentì l’istinto di gettargli semplicemente le braccia al collo, fremendo nell’attesa e non volendo attendere che gli ponesse una domanda precisa.
Sebastian sembrò chiedergli con lo sguardo di attendere e Kurt silenziò ma annuì impercettibilmente per quanto lo sguardo si fosse già velato di commozione e stentasse a non ridere di serenità, nonostante stesse letteralmente congelando.
“Ma quello che voglio tu sappia, è che voglio sia per tutta la vita” aveva schiuso il cofanetto di velluto e se Kurt era già pronto a porgergli la mano, fu con occhi sgranati e le labbra schiuse che contemplò l’anello all’interno della scatola.
Un verso di emozione rauco ne sgorgò dalle labbra mentre lo guardava incredulo.
Un anello con due bande intrecciate in platino e in zaffiro: seppur al centro vi fossero poste le iniziali di Kurt, l’immagine della donna tornò così vivida nella sua memoria che lo contemplò con occhi velati di commozione.
Una perfetta replica dell’anello che suo padre teneva ancora con sé.
Si portò la mano al petto mentre, delicatamente, Sebastian ne prendeva la mano sinistra e Kurt fremette a quel tocco caldo e morbido che sembrò rassicurarlo, persino in quel momento.
 “Kurt” ne sussurrò il nome con voce velata della sua stessa emozione. “... vuoi sposarmi?”.
Un singhiozzo sgorgò infine dalle labbra di Kurt ma ne cinse il viso con nuova foga, le lacrime ne bagnavano il viso nel bacio con cui sfiorò le sue labbra, nell’abbraccio con cui Sebastian lo cinse a sé, con foga quasi disperata. Quasi volesse non solo trattenerlo ma inglobarlo nel suo stesso corpo, come volesse annullare ogni distanza.
Si scostò bruscamente Kurt, il viso inclinato di un lato e le labbra tremanti.
“Presumo sia un sì a meno che non baci ogni possibile fidanzato” aveva domandato Sebastian, la voce più rauca ma lo stesso sorriso innamorato sul volto, lo stesso luccichio nello sguardo per quanto restio a mostrare le sue emozioni ad una maniera più palese.
“Sì” aveva risposto con voce rauca, Kurt, annuendo con vigore, il capo già ricoperto di fiocchi di neve, le guance arrossate e gli occhi lucidi.
“Lo voglio” la voce flebile ma lo sguardo colmo del suo amore per lui, mai così intenso ed evidente.
Avevo atteso, fremente, che Sebastian insinuasse l’anello al dito, rimirandolo e ridendo tra le lacrime mentre Sebastian lo cingeva nuovamente a sé.
Ne baciò delicatamente la tempia.
“Tuo padre dice sempre che tutto ciò che sei, è un riflesso di lei e, anche se non l’ho conosciuta, non posso che esserle grato” aveva convenuto a mo’ di spiegazione circa la replica dell'anello. Aveva rafforzato la pressione di quell'abbraccio.
“E voglio che lei sia parte anche di noi”.
Kurt aveva tremato tra le sue braccia e aveva affondato il viso sul suo petto, aveva lasciato che le lacrime di commozione e di gioia sgorgassero in tutta la loro struggente intensità, prima di scostarsi nuovamente e lasciare che Sebastian appoggiasse la fronte alla sua.
Schiuse gli occhi a contemplarlo, lo stesso sorriso velato di emozione.
“Ti amo Sebastian e-“ le sue parole erano nuovamente soffocate dalle sue labbra, dall’ennesimo bacio di conferma, d’amore e di promessa, la stessa che l’anello simboleggiava.
Si appoggiarono sulla coperta che Sebastian aveva disposto, scaldandosi di quell’abbraccio e sentì lo stesso Sebastian ridere contro il suo collo che vezzeggiò con qualche bacio.
“Avresti dovuto vedere la tua faccia quando hai visto il frullatore”.
Kurt stesso rise, lo sguardo volto al cielo da cui continuava a fioccare neve ma ne accarezzò la nuca e ne baciò nuovamente le labbra, intingendosi del suo respiro, il tempo di imprimere un sapore a quel momento, prima di sfiorarne delicatamente la guancia punteggiata di nei.
“Sebastian” lo chiamò l’attimo dopo, la voce mortalmente seria.
“La prossima volta potrei chiederti il divorzio”.
Rise nuovamente Sebastian, una risata serena e divertita prima di sfiorarne la gota.
“Non accetterei, non ti allontanerai: non te lo concederò” ed era una delle più belle promesse che avessero mai stretto.
Passarono così la notte tra blande carezze, fuggevoli contatti, e reciproche promesse ed impegni per il futuro ma sempre stretti l’uno all’altro ed incapaci di allontanarsi.
Ciò li preparò ad un Natale sotto le coperte, interrotti dai reciproci starnuti e dalle linee di febbre, seppur sostassero l’uno tra le braccia dell’altro.
“Tu e le coperte, è esattamente come avevo immaginato questo Natale” aveva commentato Sebastian, la voce camuffata dal raffreddore e Kurt avrebbe riso se ciò non gli avesse comportato la sensazione che il suo cranio si stesse letteralmente dilaniando. Starnutì rumorosamente, gli occhi lacrimanti e febbricitanti e il viso tutto arrossato.
“Il migliore di sempre” aveva replicato Kurt, lo sguardo che ancora vezzeggiava l’anello, lasciando sgusciare la mano dalla coperta per osservarlo, lo stesso sguardo devoto e innamorato di quando glielo aveva insinuato.
“Ti bacerei ma sei un misto di sudore e di muco”. Aveva commentato Sebastian, con uno storcere del naso davvero poco lusinghiero.
Si volse senza guardarlo, il viso contratto dalla smorfia offesa e ricca di disappunto ma Sebastian lo cinse da dietro e ne baciò la nuca.
“Cosa dicevo sul non permetterti di allontanarti?”.
Sorrise malgrado tutto, Kurt, e ne strinse la mano nella propria, baciandola delicatamente e lasciando che le dita si intrecciassero e che Sebastian stesso giocasse con l’anello al suo dito.
“Sebastian, la prossima volta che progetti qualcosa di romantico, assicurati ci sia la giusta temperatura”. Osservò con voce rauca prima di prorompere in un altro rumoroso starnuto.
“Questo, davvero, non posso prometterlo”.
Uno starnuto e un attacco di tosse e lo sfolgorio di un anello: una conferma e una promessa.
Un Natale, tutto sommato, (più o meno) perfetto.
 

 

 

Vi auguro di non passare un Natale come quello dei Kurtbastian, in quanto a salute, ma spero la fanfiction vi sia piaciuta. Al solito commenti sono ben accetti, ma grazie comunque  a chi segue anche in maniera silenziosa.
Appuntamento a domani con il tema “Christmas Morning”, buon proseguimento di giornata :)
Kiki87

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Capitolo 4
*** Christmas Morning - Who I Am ***


Curioso come, a volte, una canzone che abbiamo nel nostro iPod da molto tempo e che sappiamo a memoria, possa essere rivalutata. Addirittura in grado di fornire un'idea folgorante che ci lascia basiti ed ispirarci. Così è stato per questa fanfiction e la canzone in merito ma non vi anticipo nulla e lascerò che lo scopriate da soli :)
La fanfiction prende riferimento un post 4x04 di Glee ma naturalmente è un Natale Kurtbastian :)
 

 

 

I'll have a blue Christmas without you;

I'll be so blue thinking about you.

Decorations of red

On a green Christmas tree

Won't mean a thing if

You're not here with me

(Scritta da Billy Hayes & Jay W. Johnson)

 

Christmas Morning -
Who I Am.
 
 
Persino preparare l’albero di Natale era un ottimo esercizio per il suo occhio estetico: in fondo l’affissione di palle colorate, di nastri, di lucine e delle decorazioni nel loft, era una questione di abbinamento cromatico, sobrietà ed eleganza.
Aveva, inoltre, ritenuto che fosse un ottimo diversivo per poter, semplicemente, estraniare la mente da tutto il resto: quasi assolvendo quei gesti manuali tutto fosse più semplice e quella dolce malinconia, che il Natale sembrava condurre con sé, si sarebbe potuta allontanare.
Una breve pausa. Tra un silenzio e l’altro.
Mai gli era parsa più sofferta la lontananza, mai si era sentito così estraniato da una parte di sé e dalla sua stessa vita a Lima: uno stato d’animo acuitosi persino dopo la telefonata con il padre e la delusione nell’apprendere che, per la prima volta, avrebbero trascorso quel giorno separati.
Come se quell’anno non avesse sofferto per fin troppe separazioni, era stato il suo amaro pensiero ma si era imposto – dopo molte pulizie del viso vanificate e barattoli di gelato mangiati piangendo sulle immagini di “Le pagine della nostra vita” – che avrebbe dovuto trovare il modo di andare avanti e riprendere in mano la propria vita.
“Non credi di aver finito?” la voce di Rachel era giunta alle sue spalle e Kurt non aveva potuto fare a meno di trasalire: si volse per scoprire che la compagna di stanza era immobile sulla soglia del salotto e osservava il tutto con un sorriso.
Così concentrato e preso, non si era minimamente accorto della sua presenza ma tornò a scrutare l’albero con cipiglio concentrato: affisse il puntale, dopo esser salito sulla scala, e lo rimirò un altro istante. Si soffermò sulla cascata di luci che mettevano in risalto le decorazioni i cui colori dominanti erano l’argento e il blu. Solo allora sorrise, dondolandosi appena con il busto ed annuendo.
Un vago sorriso, tuttavia, quello che ne aveva increspato le labbra, ma era da molto tempo che, ormai, Rachel non vedeva quello che sembrava farne scintillare lo sguardo di pura gioia.
Si augurava che tornasse al più presto a risplendere ma poteva solo immaginare per quale motivo sembrasse quasi ossessionato dalla decorazione della casa e dalla preparazione dell’albero.
Un modo anch’esso di non pensare (troppo) a Blaine e la loro definitiva separazione dopo la visita al McKinley, per assistere alla messa in scena di Grease. Non aveva avuto neppure il coraggio di confessargli che, ben lungi dal riuscire completamente a sostenerlo, lei stessa aveva avuto più di un momento di cedimento al ricordo di Finn al desiderio segreto di essere lei stessa sul palco con lui a ricordare quel brano che aveva siglato una sorta di “inizio”. Almeno per lei.
Si riscosse bruscamente, in tempo per scorgere l’altro dondolamento di Kurt prima che azionasse la radio a cercare una stazione che trasmettesse i canti di Natale.
“Adesso è perfetto”.
Almeno aveva confermato, pensò Kurt tra sé, di non aver pianto via anche il suo gusto e le sue abilità in tale ambito. Forse anche troppo, come constatò qualche ora più tardi quando, sotto le coperte del proprio letto, sbuffò per l’ennesima volta cercando di prendere sonno ma il bagliore che si intravedeva dal corridoio era tutt’altro che incoraggiante.
Si strofinò la mano sul viso e controllò la sveglia adagiata sul proprio comodino: rilasciò andare un lungo sospiro accorato. Era una fortuna che il giorno dopo non dovesse recarsi a lavoro ma un’ulteriore notte quasi del tutto insonne, non avrebbe sicuramente giovato al suo umore nonché a quelle occhiaie che doveva coprire con ulteriore e maniacale cura quotidiana.
Scostò le coperte con un gesto secco e si mise seduto sul proprio letto, una mano a tormentarsi i capelli scarmigliati per l’impatto del cuscino: il piccolo oggetto sembrava rimirarlo dalla sua scrivania. Non riuscì a distogliere lo sguardo e si mise in piedi: lo prese tra le mani e schiuse il cofanetto a contemplare, ancora una volta, quell’anello, quel pegno che gli aveva regalato soltanto l’anno prima.
Il primo di tanti Natali da trascorrere insieme, questa era stata la premessa ed entrambi vi avevano creduto senza alcun bisogno di conferma o senza il timore che stessero solo preparandosi ad una cocente illusione che avrebbe spezzato loro il cuore.
Che avrebbe completamente disincantato la visione del loro rapporto e la fiducia in quella persona che aveva immaginato e sperato di avere accanto per tutta la vita.
Chiuse il cofanetto e sospirò.
Avrebbe dovuto restituirglielo, si disse.
Sospirò e, con un altro gesto brusco, aprì le ante dell’armadio.
 
 
~
 
Stava nevicando ma in quel momento non aveva alcuna preoccupazione al riguardo: il lungo cappotto scuro ne copriva il corpo, i fiocchi di neve scivolavano delicati e leggiadri fino a posarsi sulle sue spalle e sul capo. Aveva dimenticato anche i guanti e dovette accontentarsi di insinuare le mani nelle tasche del doppiopetto, continuando a camminare senza alcuna meta precisa.
A differenza di Lima, New York sembrava davvero non dormire mai, come recitava uno dei motti più conosciuti, e non si sorprese più di tanto che, anche a quell’ora tarda, non fosse l’unico a passeggiare per le strade colorate. Sospirò, muovendo un passo dopo l’altro, guardando soltanto distrattamente gli altri passanti, ascoltando chiacchiere e promesse di un Natale magico da trascorrere con una persona speciale, e cercò di scacciare nuovamente l’immagine del viso di Blaine e quel tentativo di spiegarsi e il modo in cui lui stesso gli avesse rifiutato tale opportunità. Come ormai, tutto fosse incrinato e niente sarebbe più rimasto lo stesso.
Scorse l’insegna luminosa di un pub e, senza riflettere, ne varcò la soglia: si appoggiò sul balcone coi gomiti, una mano a sostenersi il viso prima di ricambiare il saluto della barista ed ordinare una cioccolata calda. Probabilmente il sapore dolce avrebbe potuto lenire quella sorta di nodo in gola e quel calore sarebbe riuscito a scalfire le pareti del suo stesso animo.
Ringraziò la giovane e sorseggiò la sua bevanda, lo sguardo che vagava distrattamente sul locale, osservando visi ed abiti degli altri astanti: malgrado la tarda ora, infatti, sembrava essere un bel momento per fermarsi in compagnia, per rubare un momento di serenità a quella notte gelida e al sonno mancato.
In sottofondo, udì l’eco di una chitarra che strimpellava una melodia familiare, l’ascoltò distrattamente: gli occhi chiusi quasi volesse compenetrarsi in quel momento di pace. Quasi a voler mettere a tacere i propri pensieri e il dolore, congelarlo in quel frammento.
L’aria che entrava, quando la porta si schiudeva, sembrò trasportare l’eco della canzone, assieme al profumo delle pietanze e dei drink.
 
And I'd give up forever to touch you[1]
'Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now
 
Schiuse gli occhi, seguendo con le labbra il brano, un sorriso quasi ironico nel constatare come persino le parole sussurrate da uno sconosciuto, accompagnandosi con la sola chitarra, sembrassero un riflesso del suo animo, in quel momento.
 
And all I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
'Cause sooner or later it's over
I just don't want to miss you tonight.
 
Il pubblico improvvisato a quella serata di karaoke lo seguiva con entusiasmo, alcuni accompagnandolo nel vezzeggiare le parole e Kurt, mosso da un’improvvisa curiosità, si era alzato dallo sgabello. Aveva seguito la direzione del suono, dirigendosi verso l’ala opposta del pub: non riusciva ancora a scorgere il cantante poiché lo immaginò seduto sullo sgabello mentre suonava la chitarra.
Dovette farsi largo tra gli altri astanti mentre la canzone giungeva al primo ritornello e si faceva sempre più assillante il pensiero di aver già sentito quella voce.
Persino di conoscerla: non dimenticava mai una voce, seppur potesse aver difficoltà a identificarne il possessore in prima istanza, specialmente – come in quel caso dedusse – quando non la sentiva da diverso tempo.
 
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am
 
“Permesso” commentò in un sussurro, superando una coppia fino a quando, gli occhi sgranati e le dita a coprirsi le labbra, non scorse il profilo del giovane: aveva lo sguardo perso in un punto indefinito, le dita che pizzicavano le corde delicatamente. Vi era una concentrazione e una delicatezza nel suonare e nel dar suono a quelle parole che Kurt non gli avrebbe mai saputo attribuire. Soprattutto se avesse dovuto basarsi sulla reciproca conoscenza, tutt’altro che lieta.
Ciò non gli impedì di rimirare come la sua immagine fosse dolcemente sfiorata dalle luci del locale e dai raggi di luna, come apparisse in simbiosi con il brano struggente e malinconico e come lo sguardo sembrasse sfiorare lande inesplorate all’occhio estraneo.
 
 
And you can't fight the tears that ain't coming
Or the moment of truth in your lies
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know you're alive.
 
Aveva smesso lui stesso di seguire la melodia, sostava semplicemente a contemplarne il viso conosciuto eppure, per qualche motivo, inedito, quasi appartenente ad una diversa realtà. Quella di Lima che lo vedeva ancora impegnato a vezzeggiare il suo sogno con Blaine, quello che lo vedeva ancorato a quella cittadina con tante ambizioni e sogni trattenuti in un cassetto, quasi timoroso di spiccare il volo per lasciare alle spalle ciò che vi era di solido.
Ciò che si era dolorosamente sgretolato, lasciandolo disarmato e incapace di difendersi o di ricomporre quel cuore che sembrò ormai compromesso.
In uno stato di apatia nel quale, come la canzone stessa recitava, soltanto il dolore sembrava una prova della sua esistenza. Di non essersi lui stesso annullato.
Nuovamente il ritmo incalzante della melodia lo sorprese e così l’ennesimo ritornello.
 
And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am
 
Fu in quel momento, probabilmente suggestionati dall’ultimo verso (o questo era un clamoroso ritorno del sentimentalismo di Kurt) che Sebastian Smythe schiuse gli occhi e i loro sguardi si incrociarono.
Sembrò che tutto si paralizzasse. Gli altri avventori, la melodia, l’odore delle bibite, il brusio di accompagnamento, tutto sembrò congelarsi in quello sguardo nel quale l’uno sembrò fissare ed inchiodare l’altro sul posto.
Kurt si domandò se, paradossalmente, nel silenzio che gli aveva congelato il pensiero, Sebastian fosse in grado di percepire il suo battito alterato o se fosse soltanto la sorpresa a farlo reagire a tale maniera. Boccheggiò, ma prima che potesse rispondere, la melodia risuonò ancora una volta per gli ultimi versi.
 
I just want you to know who I am.
 
Si volse, senza guardarsi indietro, improvvisamente colto da un’arsura inspiegabile di porre distanza tra lui e l’altro ragazzo e lasciarsi di nuovo abbracciare da quella notte gelida.
Solo, probabilmente come non mai.
 
~

La luna piena si specchiava nel laghetto del parco come un opalescente ciondolo che scintillasse nel buio e così le stelle che punteggiavano il cielo. Trovava quello spettacolo suggestivo seppur, solitamente, la sua contemplazione avvenisse quando il cielo si tingeva di un color arancio dopo una lunga giornata a lavoro e prima di tornare nel loft. Gli dava una sensazione di pace quello sguardo silenzioso, quasi di stasi da tutto il resto, concentrandosi soltanto su se stesso, tempo per riflessione. Quello che, tuttavia, in quel periodo stava disperando di evitare. Si strinse maggiormente nel cappotto e un lieve sospiro affiorò alle labbra, appoggiato al ponte di pietra. Sentiva nuovamente freddo e si pentì di non aver comprato un caffè da portare con sé e sorseggiare, si domandò se sarebbe rimasto sveglio per assistere all’alba.

Ignorò il suono di passi poco distante fino a quando non percepì il calore di un bicchiere di caffè appoggiato di fronte a sé: sbatté le palpebre e, l’attimo dopo, Sebastian Smythe si pose al suo fianco e si appoggiò a sua volta alla balaustra.
Sorrideva seppur non lo stesse osservando direttamente e Kurt si domandò se non lo avesse seguito fino a quel punto, le sopracciglia inarcate prima di osservare il bicchiere e rendersi conto che conoscesse la sua miscela preferita.
Avrebbe voluto chiedergli qualcosa al riguardo ma fu Sebastian a precederlo:
“Non è avvelenato” commentò con un vago sorrisetto prima di sorseggiare il proprio.
Restò nella stessa posizione prima di scrutarne il profilo ma Kurt ignorò il bicchiere, ancora domandandosi perché Sebastian si trovasse lì, in quel momento. E perché, nello specifico, lo avesse seguito fin lì.
“Non si salutano più i vecchi amici?” aveva domandato, rompendo il silenzio con quella domanda posta a mo’ di provocazione e Kurt si era permesso di stringersi nelle spalle ma le labbra si erano leggermente contratte, l’angolo rivolto all’insù.
“Non mi sembra ti siano venute le rughe dall’ultima volta che ci siamo visti” rispose in tono pacato, voltandosi finalmente ad osservarlo, il sopracciglio inarcato. “tanto meno che potessimo definirci amici”.
Sorrise Sebastian, vagamente divertito e a Kurt stesso sembrò di inspirare un’aria diversa da quella che li aveva sempre visti battibeccare per Blaine o l’arroganza con cui Sebastian lo apostrofava ad una maniera ironica e non poco celata, a ricordargli quanto poco contasse o quanto fosse poco degno di avere al suo fianco un simile fidanzato.
Quasi come un riflesso incondizionato, si portò il bicchiere alle labbra, le schiuse e saggiò il liquido caldo, sospirò del calore che sembrò sciogliere quel vago nodo in gola e Sebastian, ancora al suo fianco, sorrise di riflesso.
“La vita di New York ti ha reso nottambulo, Miss Hummel?” un vago accento ironico sull’intonazione finale della domanda e Kurt si strinse nelle spalle.
“Più o meno”. Rispose, suo malgrado. Nessuna ironia, nessun intento sarcastico: pace e quiete tra un sorso e l’altro di caffè, come forse non ne saggiava da molto tempo.
Avrebbe anche potuto dire addio al suo sonno per quella notte, probabilmente, eppure, per qualche motivo, neppure sembrava importargli a quel punto.
“E’ un sollievo constatare tu sia ancora così eloquente” lo apostrofò con evidente ironia e entrambi gli angoli della bocca di Kurt si contrassero in un sorriso divertito ma sollevò appena il bicchiere in sua direzione prima di voltarsi. Ignorò a quel punto la visione del lago e si appoggiò al muretto con la schiena.
“Il mio silenzio ti esaspera?” aveva domandato con intento altrettanto ironico ma Sebastian lo aveva ignorato, guardandolo di sottecchi.
“Non tornerai a Lima?”.
Kurt a quel punto si domandò se nella domanda fosse sottinteso un riferimento a Blaine o se già sapesse – come era molto probabilmente se lui e Blaine si tenevano ancora in contatto (non voleva assolutamente chiederlo!) – quanto era accaduto tra loro. Era piuttosto persuaso che una simile notizia non gli sarebbe sfuggita, specialmente se vi fosse ancora dell’interesse – e se fosse solo carnale o meno, Kurt decise di concedergli il beneficio del dubbio (comunque non lo interessava, si ripeté) – nei suoi confronti.
Avrebbe anche voluto dirgli che, a quel punto, dubitava persino di poter ancora definire Lima la sua casa quando ogni elemento sembrava ricordargli una parte di se stesso, anzi un Kurt Hummel nel quale non poteva e non riusciva più ad identificarsi.  Era come se fosse riuscito a squarciare quel velo ma, ciononostante, la malinconia sembrava continuare ad artigliarlo velenosamente fino a farlo quasi disperare di divincolarsi completamente.
Tacque a lungo prima di scuotere il capo, finì il suo bicchiere di caffè e si strinse nelle spalle, osservando i fiocchi di neve che sembravano vorticare loro attorno con ancora più intensità, sospinti dalla brezza persino più gelida che aveva già imporporato la punta del naso di Kurt.
Osservò il proprio respiro condensarsi in una nuvola di fronte al proprio viso.
“Fa più freddo” si sentì dire ma non si stava riferendo soltanto al clima più rigido.
Si domandò se, ancora una volta, mentre lo scrutava, Sebastian potesse averne un vago sospetto.
“Andiamo, Miss Hummel, ti accompagno a casa”.
Non aveva protestato, non aveva neppure mostrato particolare timore o qualche valida protesta all’idea che lo accompagnasse: si era limitato a staccarsi dal muretto e cominciare ad incamminarsi, Sebastian al suo fianco.
 
 
Non parlarono durante il tragitto, sembravano ognuno perso nel proprio silenzio eppure era una reciproca presenza, qualcosa di vagamente simile ad una situazione familiare, qualcosa che lasciasse sfuggire Kurt dall’apatia che lo aveva contraddistinto negli ultimi giorni.
Soltanto un anelito di maggiore trepidazione quando estrasse le chiavi per aprire la porta del loft, si volse verso il giovane al proprio fianco.
“Grazie” aveva sussurrato e sperò che quella parola racchiudesse tutto: dal caffè alla sua presenza silenziosa fino anche a quel gesto più cavalleresco. Schiuse la porta ma prima di entrare gli rivolse un altro sguardo, le sopracciglia inarcate.
“Vuoi-?”.
Non ebbe modo di formulare la richiesta interamente, in verità neppure sapeva cosa gli avrebbe esattamente chiesto ma Sebastian lo precedette.
“Un gentiluomo non entra al primo 'non appuntamento'”. Aveva commentato e Kurt aveva ritrovato un vago sorriso prima di varcare la soglia della camera ma non poté chiudere la porta perché Sebastian si era avvicinato.
Lo aveva visto chinarsi in sua direzione e Kurt si era irrigidito: aveva sentito i propri battiti divenire persino più convulsi e il respiro accelerato mentre un’ondata del suo profumo – un profumo intenso ed inebriante – sembrava avvolgerlo in una nuvola che lo stordì e lo indusse, quasi, a socchiudere gli occhi. Schiuse le labbra, Sebastian e soffiò in un respiro caldo nel suo orecchio, sufficiente, tuttavia, a strappargli un brivido lungo la spina dorsale.
“Che tu ci creda o meno, mi dispiace per te e Blaine” si era scostato, un sorriso di fronte allo sguardo interdetto di Kurt, prima di stringersi nelle spalle come a sminuire il tutto.
“Mi ha fatto piacere rivederti, Kurt, buonanotte”.
Ne osservò la nuca fin quando non scomparve dalla sua vista e si chiuse la porta alle spalle. Si adagiò contro di essa, un vago sospiro e socchiuse gli occhi.
“Buonanotte” sussurrò al soggiorno vuoto prima di chiudersi nella propria camera da letto: senza degnare di alcuno sguardo la scrivania, si pose sotto le lenzuola e socchiuse gli occhi.
Sentì nuovamente il profumo di Sebastian, quel dolce sussurro e lo scintillio dello sguardo.
Finalmente, dopo molti giorni, riuscì ad addormentarsi serenamente.
 
Al mattino, vi era una busta ad attenderlo, evidentemente lasciata scivolare sotto l’uscio: vi era scritto il suo nome e la prese tra le dita con espressione confusa.
La sua sorpresa parve persino più marcata allo scorgere uno scontrino di una ben nota caffetteria dell’Ohio e due ordinazioni di caffè, uno dei quali corretto col cognac. Ma fu la vista della data a sorprenderlo: Novembre dell’anno precedente.
Il giorno in cui aveva conosciuto Sebastian, scorgendolo seduto al tavolo con Blaine: volse il bigliettino e lesse un messaggio scritto dietro.
Sì, so come prendi il caffè anche se quel giorno eri troppo impegnato a tenermi d’occhio per prendertene uno.
 
 
Prese l’altro bigliettino nel quale erano riportate delle parole scritte in sinuosa calligrafia, ancora più sorpreso nel riconoscere i versi della canzone in cui si era esibito la sera precedente.
 
I’d give up forever to touch you.
I don’t want to go home right now.
 
L’immagine di Sebastian tornò vivida nella propria mente: lo immaginò mentre, dopo essersi assicurato che avesse spento le luci, faceva dietrofront. Si fermava di fronte alla sua porta e lasciava quella busta.
Ma era qualcosa di poco probabile, avrebbe dovuto esservi una qualche premeditazione che non era sicuramente imputabile ad un incontro casuale come quello della serata precedente.
Non si accorse del sorriso che ancora gli increspava le labbra fin quando Rachel non gli chiese se avesse fatto un bel sogno.
“Più o meno” rispose distrattamente ma nascose la busta e cercò di non pensarci.
Non più.
Non troppo almeno.
 
 
Il lunedì mattina sembrò sollevato dalla propria buona volontà, fino a quando il postino non si fermò di fronte alla sua scrivania. Tolse l’auricolare e gli sorrise prontamente, alzandosi:
“La signora Wright al momento è in riunione, ma può lasciare a me e le farò avere-“.
“Per la signora” aveva commentato il postino porgendogli un fascio di lettere. “e… dove posso trovare un certo Kurt Hummel?”
 “Sono io” rispose confusamente: era sicuramente la prima volta che riceveva posta col recapito del suo luogo di lavoro e poche persone erano a conoscenza di quell'indirizzo.
Osservò la busta con espressione incuriosita e, ignorando lo squillo incessante del telefono, la stracciò a cogliere una fotografia.
Ritraeva molti giovani di sua conoscenza con le uniformi della Dalton, Sebastian stava al centro della stessa e riconobbe la posa di un passo della coreografia durante la loro performance di “I want you back” alla quale aveva, suo malgrado, assistito.
Sul retro della fotografia vi era un altro messaggio scritto.
 
La cantavo per lui, è vero, ma era te che spiavo per assicurarmi di essere perfetto. Ed ovviamente lo ero!
 
Un vago sollevare gli occhi al cielo seppur continuasse a sorridere tra sé e sé, prima di prendere il secondo cartiglio tra le dita.
Altri versi, la stessa canzone.
 
All I can taste is this moment
And all I can breathe is your life
 
 
 
Lo rimirò a lungo, quasi sperando che, dietro quei versi e quelle parole scribacchiate dietro la fotografia, vi fosse un significato. E che quel significato riuscisse ancora a farlo sorridere, come non avveniva da troppo tempo. Era come se l’incontro con Sebastian e tutto ciò che ne era seguito, fosse parte di una parentesi dalla sua esistenza, qualcosa di nuovo e sconosciuto ma che, tuttavia, aveva un dolce calore rassicurante.
Dopo giorni di buio e di apatia, sembrava poter nuovamente sperare.
Non era forse quello uno dei significati del Natale?
 
Evidentemente no, si rispose da lì a poche ore quando Rachel gli comunicò che i suoi papà sarebbero giunti a New York e con loro si sarebbe trattenuta tutta la giornata.
Certo, era qualcosa di legittimo ma aveva sperato di non dover soffrire da solo l’apatia di quella lunga giornata quando non si aveva qualcuno con cui trascorrerla. Si sentì anche in colpa quando, alla sua proposta speranzosa, di trascorrere la giornata coi Berry, aveva declinato l’offerta, mentendole circa una visita del padre dell’ultimo momento ma non avrebbe sopportato, anche quel giorno, di sentirsi compatito.
Non avrebbe neppure avuto voglia di alzarsi quel mattino ma era solo in nome del suo buon senso che non avrebbe trascorso la fatidica giornata di Natale standosene a letto. Sarebbe stata un’ottima occasione per esplorare nuovamente la città o poter avere tempo per sé (che ne avesse avuto fin troppo, fino a quel momento, cercò di ignorarlo).
Entrò nel soggiorno ancora in vestaglia – almeno il lusso della colazione in pigiama avrebbe potuto concederselo, si disse – ma si bloccò alla vista della consueta busta che era stata lasciata passare dalla sommità della porta. Ma quel mattino era di un rosso acceso con un fiocco verde.
“Tradizionalista” aveva commentato con un vago sorriso e si era chinato a raccoglierla: tenne un palmo aperto, in attesa dei cartigli ma questa volta a parte il cartiglio, vi fu un oggetto solido che rimirò con occhi sgranati.
Una chiave d’ottone: un biglietto le era stato legato attorno con un indirizzo corrispondente ad un bel quartiere di New York che conosceva solo in virtù delle sue giornate dedite allo shopping.
 
When everything feels like the movies
Yeah you bleed just to know you're alive.
I just don't want to miss you tonight.
 
Recitava il biglietto e Kurt sentì il battito incrementare: gli parve di riuscire a cogliere tutto il significato di quei messaggi, gli parve di riuscire a dare un significato a quell’insperato ritrovamento e ciò che ne era derivato. Osservò il retro del cartiglio, cercò un’altra spiegazione a quella sorta di implicito invito ma non ne trovò.
Gli aveva dato la possibilità di scegliere: a lui la decisione di ignorare quello che sembrava un fatidico incontro e tutto ciò che ne era seguito. Oppure, a lui la decisione di raccogliere ogni gesto e cercare una spiegazione o fingere non fossero una dedica.
Sorrise ironicamente a rileggere quei due versi: sì, sembrava una situazione da film ma qualcosa a cui, stranamente, si sentiva soggiogato, una dimostrazione che tutto fosse reale. Che non si stesse lasciando semplicemente trascinare dal dolore ma potesse prendere una reale decisione o lasciarsi andare.
Scosse il capo e si diresse con incedere fluido verso la propria camera.
 
 
Aveva fornito l’indirizzo al conducente del taxi con voce ferma e sicura.
“Natale in famiglia?” gli aveva chiesto questi con tono annoiato mentre si fermavano ad un semaforo e, con non poco fastidio di Kurt, aprì il finestrino per gettare fuori una tirata del suo sigaro puzzolente.
“Una sorta” fu la laconica risposta ma ringraziò non fosse in vena di ulteriori convenevoli, gli lasciò la mancia – che non avesse ad infettarlo con qualche moneta estratta da un portafoglio cosparso di ceneri di sigari di pessima marca – e rimirò la strada in cui si era fermato.
Sospirò, la mano guantata stringeva il piccolo vassoio di muffin e di dolci che si era premunito di comprare prima di compiere il tragitto.
Occorsero diversi istanti di contemplazione del portone prima di avvicinarsi: mirò confusamente il campanello. Sarebbe stata buona educazione segnalare la propria presenza ma era stato Sebastian stesso a lasciargli una copia delle chiavi di casa.
Si posò il vassoio sull’altra mano ed estrasse la chiave che insinuò nella toppa e la serratura girò subito mentre entrava nell’appartamento e si chiudeva la porta di ingresso alle spalle.
Era non poco curioso constatare quanto quell’azione sembrasse qualcosa di familiare e quotidiano, come se fosse sempre appartenuto a quelle pareti e lui e Sebastian condividessero quella realtà. Rimase per un istante fermo sulla soglia, in attesa che il padrone di casa venisse ad accoglierlo e lasciò vagare lo sguardo sulle pareti chiare.
Non vi erano fotografie personali a quanto poté constatare in prima istanza, tanto da poter cominciare a temere in uno scherzo di pessimo gusto ma si decise ad inoltrarsi nella stanza fino a fermarsi di fronte all’ala del soggiorno.
Un bel fuoco era stato acceso, un albero di Natale con decorazioni argentate posto ad un angolo della stanza e tutto rimandava ad un’idea di calore e di vissuto che Kurt restò immobile di fronte al bel divano di pelle bianca solo per assaporare quel momento.
Fino a quando dei passi non si palesarono e, finalmente, si volse a rimirare Sebastian: indossava un bel maglione scuro abbinato ad un paio di jeans e aveva i capelli acconciati come quella famosa sera. Più lunghi di come li ricordava ma tirati leggermente all’indietro così da metterne in risalto i tratti del suo viso, cesellati sull’alabastro levigato soltanto sulla piccola scia di nei sulla guancia.
Fu un momento di stasi quello in cui si rimirarono senza battere ciglio prima che Sebastian affondasse le mani nelle tasche dei pantaloni.
“La cioccolata è pronta” esordì come fosse una frase di effetto ma Kurt gli fu grato non vi fosse qualche commento ironico o allusivo a quella situazione sempre più insolita eppure così reale da spezzargli il fiato.
“Ho preso dei muffin” rispose a sua volta, porgendo il vassoio e Sebastian si allungò a prenderlo: fu un solo istante in cui la sua mano sfiorò quella guantata di Kurt e sentì un brivido scivolare lungo la spina dorsale. Si perse in quello sguardo smeraldino ma si schiarì la voce.
“Togliti il cappotto e raggiungimi in cucina” gli aveva indicato la sala da cui era entrato e lo aveva lasciato nuovamente solo.
Kurt trasse un profondo respiro ma tolse la sciarpa, il cappotto e i guanti e li adagiò sul bordo del divano dopo averli accuratamente piegati.
Abbracciò nuovamente con lo sguardo quella stanza: dondolò appena il busto e sorrise.
Non era proprio il significato convenzionale di famiglia ma sì, aveva un sapore di casa, quello che non avrebbe trovato neppure restando solo nel proprio loft per tutta la giornata.
 
~
 
Discussero su tutto: da quale fosse un pranzo idoneo per una ricorrenza come quella (Kurt aveva strillato al sentirlo proporre qualcosa di surgelato) fino anche a quale fosse un film tradizionale da rimirare una volta che si fossero accomodati sul divano. Sentì lo sguardo di Sebastian su di sé per gran parte del tempo ma anche quando egli coprì entrambi con una coperta di calda e si avvicinò per includerlo in quel beneficio, non si ritrasse e non protestò.
Avevano trascorso quella giornata insieme ma era come se stessero soltanto condividendo uno spazio comune senza intromettersi nei pensieri dell’altro eppure era da tanto che Kurt non percepiva quella pace. Quel senso, ed era paradossale pensarlo!, di appartenenza ad un posto o ad un momento come quello.
Il film era finito e aveva sentito le proprie membra appesantirsi ma era stato quando Sebastian si era alzato ad estrarre il dvd dal lettore, che si era sentito, finalmente, chiedere.
“Perché sono qui?”.
Fu un lungo momento di silenzio prima che Sebastian si volse: doveva essersi aspettato quella domanda ma comunque non dimostrò curiosità sul perché fosse stata così posticipata. Un sorriso gli increspò le labbra, strinse le spalle in quella che Kurt immaginò essere una posa difensiva, prima che si stringesse nelle spalle.
Abbozzò un’espressione più guardinga.
“Vuoi davvero sentirmelo dire?” aveva, infine, chiesto con tono quasi cauto e Kurt aveva sentito una vampata di calore che sembrò fermargli il cuore per un lungo istante.
Non riuscì bene ad interpretare quella domanda: se gli stesse chiedendo una sorta di permesso a pronunciare una frase che potesse cambiare le cose o se stesse semplicemente sperando lui stesso di non complicarle con una consapevolezza che avrebbe immortalato le loro memorie.
Boccheggiò ma continuò ad osservarlo anche quando prese posto di nuovo al suo fianco, senza tuttavia invadere il suo spazio personale.
Fu Kurt, questa volta, a sollevare la coperta per adagiarla anche su di lui e si pose di un fianco, la mano a sostenersi la guancia. Seppe di dovergli molto e non lo avrebbe costretto a pronunciare parole che lo avrebbero fatto sentire vulnerabile o avrebbero compromesso quella che era stata una giornata trascorsa insieme.
La fatidica e temuta mattina di Natale.
“Non so se sono pronto per… fidarmi di nuovo di qualcuno o-”.
Sebastian scosse il capo, fu lui a sorridere in modo rassicurante come nessun altro aveva saputo fare con altrettanta intensità, sufficiente a farlo sentire bene. A fargli sentire di non essere solo ad affrontare quel momento.
“Finisci di passare la giornata con me” si limitò a dire e così Kurt fece.
 
Quando si svegliò, molte ore dopo, non riconobbe i contorni della camera da letto: constatò di essere ancora vestito e ciò sarebbe stato giustificabile solo in caso di influenza o… si era volto dall’altra parte del letto dove Sebastian, anch’egli ancora con gli abiti del giorno, riposava con il volto affondato nell’altro cuscino del letto matrimoniale.
Scrutò il soffitto a lungo, cercando di non concentrarsi sul respiro di Sebastian e di non pensare all’ultima circostanza nella quale aveva ospitato Blaine nel suo letto. Cercò di non pensare ancora una volta ma quando si sollevò dal materasso, fu quasi con un sorriso commosso che sentì le parole di Sebastian.
“Non sei obbligato ad andartene se non vuoi”.
Si volse, il busto sollevato e lo rimirò dall’alto, il viso inclinato di un lato ma sorrise, finalmente.
“Lo so” aveva sussurrato e si era nuovamente steso a sua volta, si era posizionato di un fianco e così anche Sebastian.
 
Avevano litigato su chi dovesse alzarsi a preparare o meglio comprare una colazione decente ma, di fatto, erano rimasti insieme tutta la mattinata fino a quando Kurt non aveva più potuto sopportare il non poter avere un ricambio. Aveva fulminato Sebastian quando gli aveva detto sfacciatamente che non avrebbe avuto alcun problema a prestargli anche un paio di boxer ma questi aveva sorriso.
Gli aveva pizzicato il naso.
“Era da tanto che non mi guardavi come se volessi uccidermi”.
Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo, un verso di divertimento.
“Si torna alle abitudini” si giustificò con finta indifferenza.
“Voglio ben sperarlo” aveva replicato l’altro, stringendosi nelle spalle.
 
Era stato un momento di tensione quello in cui Kurt aveva estratto le chiavi del loft e ne aveva schiuso la porta, per poi rimirare il giovane. Aveva voluto rompere gli indugi e si era stretto nelle spalle onde evitare domande e situazioni compromettenti. Si era limitato ad un vago sorriso.
“Un gentiluomo entrerebbe al secondo ‘non appuntamento’?” aveva chiesto e Sebastian aveva sorriso a sua volta ma aveva scrollato le spalle e aveva scosso il capo.
Kurt aveva cercato di ignorare quel singulto in petto simile a… dispiacere.
“Non adesso” aveva bisbigliato e si era chinato in sua direzione quando aveva schiuso la porta: aveva indugiato a pochi millimetri dal suo viso ma aveva chiuso gli occhi e poggiato le labbra sulla sua guancia. Un gesto tanto innocente e delicato ma Kurt percepì comunque il battito divenire più intenso e un singulto d’emozione sgorgare dalle labbra.
“Ciao Kurt” aveva sussurrato, infine ma era stato il momento dell’altro ragazzo di trattenerlo per il braccio. Si era premuto sulla sua schiena e aveva sentito Sebastian sussultare nel mezzo del corridoio prima che, lentamente, si voltasse in quell’abbraccio quasi struggente.
Aveva il viso premuto spasmodicamente sul suo petto, stava tremando quasi timoroso di compiere un qualunque gesto, ma quando Sebastian ne sfiorò la guancia in un movimento rassicurante, i suoi occhi di smeraldo si fusero in quelli di zaffiro.
Fu un istante quasi febbrile quello in cui Kurt si sollevò sulle punte, ne artigliò delicatamente la guancia e Sebastian si chinò fin quando le labbra di Kurt non si premettero alle proprie.
Un respiro tremulo, sentì le braccia di Kurt artigliargli il collo e lo trattenne come sembrò disperatamente richiedere. Premette a sua volta le labbra, un altro respiro.
Un altro momento, prima che si scostasse e Kurt lo rimirasse con le guance arrossate e le labbra ancora tremanti. Innocente e quasi timoroso, malgrado fosse stata la sua determinazione ad avvincere quel momento di sospensione.
Non sembrò farvi caso Sebastian, sfregò appena il naso al suo.
“Sai dove trovarmi, se vuoi” sussurrò soltanto e Kurt annuì, si costrinse a lasciarlo andare ma continuò a scrutarlo fin quando non scomparve dalla sua vista.
 
~
 
Indugiò più a lungo sotto le coperte quella mattina, una parte di sé sperava probabilmente di serbare una traccia di quel calore che non lo aveva più abbandonato da che quel bacio sembrava aver lasciato un’impronta nel suo stesso animo.
Non restava che attendere, qualsiasi cosa a quel punto.
Si sollevò dalle lenzuola solo quando la sveglia annunciò che era giunto il momento di dedicarsi alle proprie faccende: si preparò una rapida colazione, si vestì per uscire ma si bloccò di fronte alla porta alla vista di una busta vicino alla porta.
La prese tra le dita quasi con trepidazione e ne estrasse quello che rimirò con sopracciglia inarcate: un foulard nero con pois bianchi che rimirò con un vago sorriso nello scuotere il capo. Osservò il cartiglio e ne lesse il verso della canzone, trascritto con calligrafia più elegante.
 
I know that you feel me somehow.
 
Lo rigirò tra le dita e scorse l’altro messaggio.
 
Compra il caffè: la terza volta dovrebbe essere il “non appuntamento” ideale per entrare.
 
Sorrise Sebastian ed uscì dall’appartamento dopo aver spento le luci dell’albero di Natale.
 

 
 
Ed eccoci qua, mi sembra incredibile che siamo già alla metà di questa week, così come ancora devo realizzare che la prossima settimana sarà Natale. Sarà perché dovremmo ingaggiare tutti gli elfi di Babbo Natale per preparare albero e presepe (mostruoso ritardo, lo so).
A proposito di Babbo Natale, appuntamento a domani con “Santa Claus and the reindeer”.
Un ringraziamento a tutti coloro che leggono, inseriscono tra preferite/seguite/ricordate; come sempre un abbraccio stritolante alla mia Sebastian che ringrazio di tutto, anche delle consolenze linguistiche (e terrorizzate) dell'ultimo minuto! ♥
A domani,
Kiki87


[1] “Iris”, splendida canzone dei Go Go Dolls: per chi ne avesse bisogno, troverete qui la traduzione del brano: http://www.angolotesti.it/traduzioni/2/traduzione_testo_canzone_tradotto_iris_goo_goo_dolls_206.html

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Capitolo 5
*** Santa Claus and The Reindeer - Is Santa Claus coming? Isn't he? ***


Eccomi qua, dopo un Sabato mattina in città per gli ultimi acquisti, ma prevedo un pomeriggio di completo relax!
Ma veniamo a noi...
Visto che mi lamento sempre della traccia o di problemi logistici miei (molti), questa è stata piacevolissima da scrivere, non fosse altro perché ho potuto, per la prima volta, sbizzarrirmi con un nuovo espediente. Spero la resa sia come le aspettative.
Ancora ringraziamenti ai lettori e un saluto con unicorno galoppante per la Sebastian.
Un ringraziamento anche a mia sorella, Ciuffo Jonas, che ha betato rileggendo il tutto (sì, si stava annoiando :D)
E buona lettura! :)
 



You better watch out
You better not cry
Better not pout
I'm telling you why
Santa Claus is coming to town

He's making a list,
And checking it twice;
Gonna find out Who's naughty and nice.
Santa Claus is coming to town

He sees you when you're sleeping
He knows when you're awake
He knows if you've been bad or good
So be good for goodness sake!
(Scritta da J. Fred Coots, Henry Gillespie, 1934)



Santa Claus And The Reindeer
Is Santa Claus coming? Isn't he?


Canticchiava a ritmo con le canzoni trasmesse alla radio mentre, il grembiule stretto intorno alla vita, sfornava l’ennesima teglia di biscotti. Il dolce aroma si diffuse nella cucina con un languido richiamo cui una mano maschile non poté resistere: fu rapido il movimento con cui cercò di agguantare uno di quegli esemplari di pastafrolla su cui era spruzzato dello zucchero a velo.   
Fu prontamente fermato: un piccolo urto con il mestolo di legno ed un gemito misto ad un’imprecazione soffiata tra i denti.
Kurt dispose tutti i biscotti in un piatto di ceramica dalle decorazioni natalizie su cui aveva disposto anche, a motivo ornamentali, delle  piccole candele sopra le foglie di agrifoglio e, tenuto lontano con un braccio la mano del marito, aveva lasciato cadere una misurata quantità di biscotti in ognuno dei tre piatti. Solo allora si era tolto il grembiule e aveva sorriso con un movimento di spalle che aveva simboleggiato tutto il suo compiacimento personale.
Fu la volta dell’altro di sollevare gli occhi al cielo e prendere, senza troppi complimenti, il piatto che – a prima occhiata distratta – era il più nutrito. Kurt rimase in attesa fino a quando non schiuse le labbra, lo sguardo smeraldino emanò uno scintillio soddisfatto.
“Davvero niente male” aveva commentato Sebastian che, postosi alle sue spalle, ne aveva cinto la vita con un braccio per attirarlo maggiormente a sé e poi sussurrargli all’orecchio. “… proprio come il fondoschiena di chi li ha preparati e che ho osservato tutto il tempo”.
“Sebastian” protestò debolmente Kurt, lo sguardo azzurro volto alla tavola della sala da pranzo quasi a sincerarsi di non aver attirato l’attenzione ma la bambina sembrava completamente assorta dal suo compito.
Aveva inclinato il viso di un lato e l’aveva osservata con un sorriso intenerito: il visino delicato, dai lineamenti cesellati, era modellato in un’espressione corrucciata che evidentemente stava rivolgendo al proprio quaderno con gli esercizi di matematica, la materia nella quale zoppicava maggiormente. Ma era sempre stata un tipino tenace e non era raro che, negli occhi azzurri, si sprigionasse una determinazione e testardaggine che ricordavano così tanto le proprie. Si stava tormentando i capelli con la mano libera malgrado fossero stati raccolti in una sontuosa treccia a spiga, la matita nell’altra mano e un sospiro a sfuggirle dalle labbra imbronciate.
“Sissy, amore, i biscotti sono pronti” la informò una volta che si fu divincolato dolcemente da Sebastian che si appoggiò svogliatamente al balcone della cucina, riprendendo a mangiucchiare i propri.
“Non disturbarla, amore” calcò il vezzeggiativo. “I compiti sono importanti: magari me li mangio io i suoi biscotti, non sia mai che vadano sprecati” aveva commentato con espressione velatamente provocatoria ma la bambina neppure sembrò udirlo.
Si scambiarono uno sguardo confuso: la golosità della bambina era seconda soltanto al suono tono lamentoso quando Sebastian usava una simile provocazione.
“Devono essere compiti difficili” aveva convenuto Kurt con un vago sorriso mentre, dopo aver preso rapidamente i due piatti rimasti con un sorriso di sfida al marito, si allontanava per raggiungerla.
“Pausa biscotti” aveva commentato allegramente, deponendo il piatto sulla tavola ma evidentemente la piccola era persino più concentrata di quanto gli fosse sembrato in prima istanza perché sussultò visibilmente e rimirò il padre con occhi sgranati e le guance arrossate.
Si sedette al posto accanto al suo e ne controllò il quaderno con sopracciglia inarcate nel rendersi conto che non aveva eseguito nessuno degli esercizi assegnategli, in compenso aveva disegnato fiori e case. La bambina arrossì visibilmente ma Kurt si sporse a sfiorarle la gota, un sorriso rassicurante.
“Vuoi che ti aiuti?”.
Sissy non ebbe tempo di rispondere: il vagito del bambino riempì la stanza e si volsero ad osservare Sebastian che, con espressione pomposamente compiaciuta, si chinava sulla culla per prendere il bambino tra le braccia.
Una smorfia gli solcò le labbra mentre tratteneva il bambino per le ascelle, fissando il marito.
“Credo che tu debba cambiarlo”.
Kurt aveva sollevato gli occhi al cielo, si alzò dopo aver baciato la fronte della bambina con un “torno subito” e si avvicinò al marito mentre il piccolo Nicolas1 continuava a piangere e Sebastian lo tratteneva a distanza, quasi temendo che potesse in qualche modo contaminarlo.
“Che succede, amore?” aveva commentato Kurt, sporgendosi a prendere il bambino tra le braccia e stringendoselo al petto. Scrutò negli occhi smeraldini che, appena intravisto il suo viso, si dilatarono: si placò quasi istantaneamente e continuò ad osservarlo, emettendo un verso labiale simile ad un’approvazione, la mano cucciola che cercava il viso di Kurt che ne baciò delicatamente la mano. Quest’ultimo rivolse uno sguardo compiaciuto al marito che si strinse nelle spalle.
“Non è carino rinfacciarmi che sei il genitore preferito ma dovresti ringraziarmi: ha ereditato sicuramente da me l’adorazione per te”. Commentò in tono saputo, le braccia incrociate al petto e lo sguardo corrucciato.
Kurt si concesse persino di ridacchiare.
“Mon petit enfante prodige2” sussurrò baciandone nuovamente la fronte e cullandolo delicatamente.  Lo sguardo azzurro si volse alla tavola per poi sgranare gli occhi quando si rese conto che, nel frattempo, la bambina era uscita rapidamente dalla stanza, portando con sé il materiale scolastico. Sebastian ne seguì lo sguardo ma si volse ai biscotti.
“Non è carino rifiutare i biscotti di papà, ci penso io”.
“Qualcosa non va” commentò Kurt, invece, più pensieroso.
“Solo perché non le piacciono i tuoi biscotti?”. Domandò in tono volutamente provocatorio mentre allungava nuovamente la mano verso il piatto intatto della bambina.
Kurt lo scrutò stizzito, scostando i biscotti con la mano libera.
“Vai da lei”.
“Cosa?” aveva protestato. “Lo sai che non sono io ‘Papà tenerezza’”.
“Bene, se preferisci cambiare il pannolino di Nicolas”. Aveva fatto per porgergli il bambino che si era aggrappato maggiormente alla camicia di Kurt, evidentemente per nulla intenzionato a scostarsi adesso che lo teneva tra le braccia.
“Lei ama il suo papà” rispose prontamente Sebastian, il tono molto più suadente ed accattivante.
“Sono sicuro che mi parlerà di tutto ma se mi confida che ha una cotta per qualcuno, non te lo dirò”.
“Grazie” aveva sorriso divertito appoggiando il bambino sul fasciatoio e prendendo tutto l’occorrente per cambiarne il pannolino. “e comunque si chiama Brian il bambino per cui ha una cotta, nel caso ti servisse saperlo”.
Sebastian si accigliò ma non gli rispose, affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e salì al piano superiore con uno sbuffo.
Gliel’avrebbe fatta vedere al marito che era perfettamente in grado di gestire la situazione.
E poi chi diavolo era quel Brian?


~

Percorse il corridoio con passo svogliato, lo sguardo che vagava distrattamente sulle pareti che raccontavano di quegli anni di convivenza con Kurt. Ogni dettaglio, dalla tappezzeria ai quadri decorativi, raccontavano di un rapporto divenuto sempre più solido nel tempo senza mai smarrire l’essenza stessa del loro dialogo: quella complicità inframmezzata di ironia e di reciproche attenzioni e neppure la nascita dei figli aveva cambiato quell’equilibrio.
Doveva ammettere (a nient’altri che se stesso, ovviamente) che la prospettiva di divenire padre lo aveva letteralmente terrorizzato: e se le prime preoccupazioni riguardavano il poter maneggiare creaturine tanto delicate e fragili, non credeva che sarebbe stato semplice avere a che fare con un piccolo se stesso, magari con gli stessi vizi, gli stessi difetti e le stesse grane che lui aveva dato per anni ai genitori. Oltretutto, quale esempio avrebbe mai potuto essere in quanto “figura adulta” e la fiducia che, invece, Kurt riponeva e aveva sempre riposto nei suoi confronti era suggestiva quanto preoccupante. Il timore, per quanto non dichiarato di non riuscire completamente nel proprio intento, di poterlo deludere sembrava paralizzarlo ma poi era stato qualcosa di naturale, qualcosa in cui non solo aveva scoperto di poter avere una certa dimestichezza – malgrado ancora fosse restio ad ammetterlo – ma che gli piaceva.
O forse era stato prendere Sissy tra le braccia la prima volta: molti ricordi erano sbiaditi come fotografie ingiallite ma non avrebbe mai dimenticato l’emozione di scorgere quello sguardo innocente, intenso. Era come se fosse riuscita, fin dal primo istante, a scorgere nel profondo di se stesso e con una dolcezza e docilità struggenti: il modo in cui si era abbandonata tra le sue braccia al riposo. Scorgere incastonati, nel suo visino di porcellana, quello stesso paio di occhi di quell’azzurro striato, poi, era stato probabilmente l’affondo finale. Avrebbe potuto dargli del filo da torcere se, assumendo quei sghiribizzi da signorina (un terrore che già assaggiava quando vedeva Kurt leggere riviste di dubbio orientamento sessuale), avesse cominciato a far leva su moine; allora sì che avrebbe dovuto cercare di adottare quella scorza che aveva sempre anteposto prima che Kurt facesse breccia al suo interno.
Scosse il capo, guardando la porta della cameretta: si morsicò il labbro per un istante.
Straordinario come compiere un gesto relativamente semplice come estendere il braccio di dieci centimetri per raggiungere il pomello della porta, sembrasse straordinariamente arduo. Adorava Sissy ma tra i due poteva anche ammettere un limite: era sicuramente Kurt il papà comprensivo, quello che sapeva ascoltare i drammi di una bambina di sette anni e porvi rimedio, era lui che avrebbe saputo cullarla e rassicurarla.
E avrebbe dovuto far parte della divisione dei beni: lui era stato il papà da interpellare durante gli incubi, quando credeva che vi fosse un mostro dentro l’armadio o quello per cui la bambina avrebbe dovuto provare un attaccamento degno del Complesso di Elettra3; Kurt era quello che la vestiva, la pettinava, la rassicurava e la consigliava: la parte materna, insomma. Più o meno. Perché sovvertire le regole di un matrimonio, quelle che poi, in senso simbolico, rappresentavano il vivere civile?
Con quei profondi pensieri, scosse il capo e, finalmente, schiuse la porta della camera della bambina.
Mhm, forse prima avrebbe dovuto bussare prima. Ma era il padre, dopotutto, queste regole non avrebbero dovuto valere anche per lui.
“Sissy?” ne vide la sagoma minuta adagiata sotto la pesante coperta che Kurt aggiungeva nelle notti più fredde, volendosi assicurare che fosse abbastanza al caldo e che, personalmente, lo facevano sudare come dentro un forno. Tanto più che c’erano metodi molto più piacevoli per anelare ad un meritato calore.
Concentrazione, Sebastian.
Si avvicinò al materasso: la bambina non aveva risposto ma quando adagiò la mano sulla sua schiena esile e delicata ne percepì il sussulto. Non ci mise molto a comprendere che stesse trattenendo i singhiozzi. Fu con voce più accurata che, allora, ne pronunciò nuovamente il nome e sollevò delicatamente la coperta: allora ne sentì il singhiozzo tremante mentre il moto di dolore riusciva finalmente ad emergere.
Lo sguardo smeraldino sembrò perdere quel moto di timore: rilucette di vera e propria determinazione mentre, ad una maniera simile a quella che adottava con Kurt in situazioni simili, ne prese delicatamente le spalle e l’attirò al suo petto. La sentì artigliarsi al suo petto con la forza della disperazione mentre vi premeva contro il visino: sentì i suoi battiti più agitati e se l’appallottolò al petto, sfiorandone i capelli e baciandone la fronte.
“Schhh, va tutto bene” le sussurrò all’orecchio ed attese che la foga iniziale del pianto si esaurisse fino a quando non silenziò tra le sue braccia: era ancora agitata ma aveva smesso di emettere quei versi strozzati di dolore. Fu allora che le sollevò delicatamente il mento fino a quando non incrociò nuovamente il suo sguardo, arrossato. Una visione che se già era dolorosa nello scorgerla sul volto del marito, in quel momento era dilaniante, soprattutto il timore di cosa ne avesse avvelenato la mente e il cuore fino ad indurla in quello stato d’animo.
La bambina si portò timidamente la manina al viso a scostare le ultime lacrime mentre Sebastian le sfiorava la gota.
“Cosa è successo, Sissy?” aveva chiesto, infine, lo sguardo di smeraldo più attento e concentrato sul viso della bambina che aveva fuggito il suo sguardo. Si era morsicata il labbro in un modo che gli ricordava lo stesso nervosismo di Kurt e lo stesso dondolarsi impacciato – diverso dal dondolamento di entusiasmo e/o euforia – e gli sembrò fosse persino arrossita.
Oh, Dio, no. Fa’ che non sia di quel Brian che vuole parlare.
Sospirò ma, cosa avrebbe detto Kurt in questo caso?, si schiarì la gola.
“Puoi parlarmi di qualsiasi cosa” aveva commentato e si era sorpreso lui stesso del suono più dolce, modulato e delicato che le sue corde vocali erano state in grado di produrre ma pensò fosse più che naturale dopo averne incrociato lo sguardo.
La bambina sospirò ma infine annuì più decisa: le sue piccole spalle si afflosciarono come se sentisse un peso enorme opprimerla.
“Hannah” pigolò infine, pronunciando il nome di quella che Sebastian immaginò fosse una compagna di scuola. Annuì come ad incoraggiarla silenziosamente a continuare la frase ma la bambina si irrigidì e lo guardò nervosamente. “l-lei dice che Babbo Natale non verrà qui da noi” aveva commentato con voce più stridula e Sebastian si era costretto a sbattere le palpebre.
Tutto qui?
Si rimproverò per il pensiero, la voce della coscienza somigliava in modo inquietante a quella di Kurt e aggrottò le sopracciglia ma scosse il capo con vigore.
“E perché mai Hannah avrebbe detto una cosa del genere?” indagò, le braccia incrociate al petto e il sopracciglio inarcato: la stessa espressione con cui, di solito, fingeva di scrutare un mostro prima di cacciarlo dall’armadio, dopo una lotta lunga ed estenuante nella quale si gettava sul pavimento, imitando qualche contorsione che faceva sempre stringere Sissy al collo di Kurt che sollevava gli occhi al cielo a celare il divertimento.
A quel punto lo sguardo della bambina sembrò farsi più addolorato: vi era una serietà e una profondità che lo fecero istintivamente irrigidire e che sembravano davvero inadatti ad un viso ancora così puerile ed innocente, a quei boccoli color mogano e quella lieve spruzzata di efelidi sul nasino. Sissy aveva stretto con i pugni la gonna alla marinara prima di sollevare di nuovo lo sguardo su Sebastian.
“P-Perché dice che non ho una famiglia normale” aveva esalato, infine, la voce nuovamente rauca e quella frase sembrò congelare l’intera stanza.
Sebastian si sentì intirizzire: sembrava qualcosa di così orribile e deturpante se pronunciato da quelle labbra di fragola, in quella cameretta che raccontava di una bambina cresciuta nell’amore e nelle cure di due persone che si erano scelte per un sentimento vero e profondo. Era come se, improvvisamente, la gabbia dorata che racchiudeva la piccola da un mondo spesso troppo ipocrita e superficiale per la sua innocenza puerile e dolce, si fosse sgretolata ed ella stessa potesse perdere quella fiducia incondizionata. Non avrebbe dovuto accadere, si disse.
Non proprio in quel periodo dell’anno che, suo malgrado, era da sempre considerato qualcosa all’insegna della famiglia e dell’amore e di tutte quelle cose smielate di cui Kurt era solito cantare con Blaine per i corridoi della Dalton o del McKinley?
La bambina sembrò irrigidirsi al suo stesso silenzio e all’espressione più corrucciata che ne aveva teso i lineamenti ma appoggiò la mano su quella del padre.
“Sei arrabbiato?” aveva chiesto in un pigolio così dolce e tremante che Sebastian sentì qualcosa rompersi dentro di sé malgrado cercasse di mantenersi composto e tranquillo.
“Mi dispiace, papà, io lo so che non è vero, io-” aveva ripreso a tremare e Sebastian aveva scosso il capo prima di stringerla nuovamente tra le braccia. Affondò il mento contro i suoi capelli.
“Non sono arrabbiato con te, scricciolina” aveva sospirato quella sorta di nomignolo che l’aveva fatta sorridere mentre lo sguardo smeraldino si adombrava prima di scostarla per alzarle delicatamente il mento.
“Qualunque cosa dica questa Hannah o chiunque altro, può anche-”
… andare a farsi fottere.
No, non era una frase adatta.
“… non importa, Sissy, perché tu sai che una famiglia è fatta d’amore e” la fronte si era increspata a cercare altre parole di quella stessa risma, con la stessa dolcezza. “… noi tutti ti amiamo e sarà sempre così”.
Ma sembrò sufficiente perché la bambina ne cinse il collo con un sorriso più spensierato e si strinse al suo petto, gli occhi adesso socchiusi e un sorriso soffuso a fior di labbra mentre annuiva.
“Quindi Babbo Natale verrà?”.
Con tutti i soldi che ho speso per quel set da Principessa? Mi domando se Kurt non lo abbia preso per sé, piuttosto.
“Come ogni anno, scricciolina”.
Ed ecco, finalmente, quel sorriso ad illuminarne nuovamente le iridi, facendole rilucere di quelle sfumature indefinite e rendere il viso persino più bello. Una splendida ricompensa per il suo impegno, ciò che avrebbe sempre anelato di scorgere sul suo viso.
“Ti voglio bene, papà”. Aveva sussurrato con una semplicità e un’intensità che Sebastian sentì un dolce scalpitio in petto mentre ne accarezzava i capelli e ne baciava la fronte.
“Tanto anche io”.

~

“Ma è orribile!” aveva commentato Kurt, la voce strozzata mentre cercava di esprimere la propria opinione mantenendo un tono non troppo alto.
Avevano messo Sissy a letto da non molto e, al momento, era impegnato nella sua quotidiana pulizia del viso serale. O meglio, una mano cercava di spalmare le creme del suo repertorio serale mentre l’altra dondolare Nicolas che sembrava tutt’altro che propenso a dormire: sorrideva nell’osservarlo alle prese con la sua pulizia, agitando il sonaglio che teneva tra le mani a richiamarne l’attenzione quando si volgeva al marito.
Sebastian si accigliò: spalmò il dentifricio sullo spazzolino per lavare i denti prima di aver borbottato qualcosa di simile a “piccola stronzetta” che indignò ulteriormente Kurt mentre, una mano che dondolava il seggiolino da auto di Nicolas,  si riordinava i capelli.
Scosse il capo.
“Non voglio sminuire la gravità di quanto ha detto” sospirò con sguardo rabbuiato e Sebastian sapeva perfettamente quanto, in prima persona, fosse stato oggetto di discriminazioni e di calunnie e umiliazioni ben più gravi. “… ma è una bambina: per quanto la loro schiettezza sia disarmante, non è abbastanza matura da comprendere”.
“Ma lo è per ferire nostra figlia?” aveva domandato l’altro dopo essersi sciacquato la bocca con il bicchiere d’acqua al lato del suo lavello (il sanitario contemplava due rubinetti così che non vi fossero lotte per il controllo dell’acqua durante la puntuale e prolissa operazione di pulizia del viso di Kurt).
“Possiamo provare a parlare con la maestra e i suoi genitori, qualcosa di pacifico e tranquillo ma adesso è di Sissy che dobbiamo occuparci” aveva sospirato nel riporre l’ultima crema al suo posto.
Prese il piccolo tra le braccia, dondolandolo per indurlo a riposare seppur questi, invece, avesse preso ad allungare le manine al suo volto, guardandolo con evidente adorazione, gli occhi sbarrati nella sua contemplazione mentre emetteva versi labiali simili ad un richiamo.
Sebastian annuì, chiuse anche lo sportello del suo mobile prima di dirigersi verso la camera da letto e Kurt si pose al suo lato, trattenendo il bambino tra le braccia. Si adagiarono con le schiene contro la tastiera e Sebastian osservò distrattamente come il bambino continuasse a giocare con la mano di Kurt, gli occhietti accesi di divertimento.
“Credi che mi lascerà mio marito prima dei diciotto anni?” aveva chiesto divertito, avvicinandosi ad entrambi a prendere la manina del bambino che gli aveva rivolto un sorriso prima di tornare a fissare Kurt che appariva tuttavia con lo sguardo fisso in un punto indefinito.
Nicolas si imbronciò ed emise un mugolio di protesta fin quando Kurt non tornò ad osservarlo e riprese a cullarlo, si volse a Sebastian come avesse sentito solo in quel momento che gli fosse al fianco.
“Pretenderò di essere cullato allo stesso modo quando lo metterai nella sua camera perché, sì, dormirà nella sua camera” rivolse le ultime parole al bambino che neppure lo guardò.
Alzò gli occhi al cielo mentre Kurt ridacchiava e scuoteva il capo.
“Abbiamo bisogno di aiuto, Bas” aveva commentato e l’altro si era accigliato.
“Una babysitter per la notte? Sì, sarebbe il caso”. C’era una sfumatura più suadente nella voce ma sembrava trepidante alla prospettiva.
“No, abbiamo bisogno di Babbo Natale” fu la risposta laconica ma decisa.
“Se è l’idea per un giochetto di ruolo, potrei anche seriamente pensarci prima di dirti di no a meno che tu non ti travesta da renna con qualche-“.
“Sono serio, Bas, Sissy non deve smettere di credere in qualcosa di magico”. Lo aveva guardato negli occhi ma Sebastian era apparso piuttosto scettico.
“Babbo Natale non è una risposta all’omofobia” soffiò.
“Babbo Natale è speranza e purezza e non voglio che le perda, dobbiamo proteggerla: il più a lungo possibile, almeno”.
Sebastian continuò a scrutarlo a lungo ma infine annuì: non avrebbe sopportato, a sua volta, che sua figlia perdesse l’innocenza dell’infanzia, non così presto. Non fin quando avrebbero potuto proteggerla.
“E dove lo troviamo un Babbo Natale?”.
“Ho già in mente qualcuno”.


“Aspetta, aspetta un attimo e ripeti: la vista di quel ridicolo costume rosso mi ha annebbiato l’udito” aveva commentato Burt Hummel mentre, seduto sulla sua poltrona preferita, tratteneva il nipotino addormentato tra le braccia e Carole sorrideva divertita.
“Hai sentito, tesoro, è per Sissy” lo aveva blandito stringendogli la spalla ma Burt l’aveva scrutata come a cercare segni di un suo tentativo di trattenere le risate di divertimento.
“Se ti consola, Kurt l’ha cucito con le sue manine” aveva commentato Sebastian mentre Kurt lo rimprovera silenziosamente con lo sguardo prima di sporgersi verso il padre.
“Saresti perfetto: anni passati ad ignorare i miei consigli nutrizionali ti renderanno anche più credibile”. Stava indicando la protuberanza all’altezza dello stomaco che neppure le felpe e l’abbigliamento sportivo, in generale, potevano celare.
“Dirmi che sono leggermente fuori forma non è un buon modo per convincermi” borbottò Burt in risposta, alquanto scornato.
“Papà, ti prego, per Sissy” aveva sussurrato Kurt con voce più struggente.
Burt sospirò, lo sguardo volto al bambino e poi alla moglie.
“Devo solo portare i regali?” indagò fissandolo scrutatore.
“E farti sentire: Sissy deve vederti, dovrai solo recitare”.
“Ma-“.
“Tranquillo, ho già preparato un copione di base e poi tu sei meraviglioso coi bambini e sei il-“
“Papà più forte del mondo” sollevò la tazzina che gli aveva regalato anni prima per poi annuire.
“Sono nelle tue mani e che Dio mi salvi”. Soggiunse mentre, con la mano libera, si toglieva il cappello da baseball e si strofinava il capo con un sospiro.

~

Era stato Sebastian, quella sera, a mettere Nicolas nel suo lettino: anche il piccolo sembrava esser stato coinvolto nell’agitazione febbrile della vigilia di Natale ma era quasi mezzanotte quando si era finalmente addormentato. Kurt, già indossando la sua vestaglia da camera, sopra il pigiama di seta, era seduto sul letto di Sissy, intento a spazzolarle accuratamente i capelli mentre ella sbadigliava ma sembrava non voler facilmente cedere al sonno. Si era rilassata tra le braccia di Kurt, il capo appoggiato contro il suo petto mentre questi finiva di modellare l’ultima treccia per poi baciarne la fronte.
“Dovresti dormire” l’aveva blandita con un sorriso ma ella aveva scosso il capo con ferma decisione.
“Voglio aspettare, papà, ti prego” aveva commentato in tono pigolante, i suoi stessi occhi che lo guardavano con fare supplicante ed era in quelle occasioni che, un vago sorriso ironico, poteva comprendere quanto fosse stato sleale da parte propria esibire la stessa espressione nei confronti del padre.
Si accigliò leggermente, pur sfiorandole la guancia.
“Aspettare, cosa?”.
Le si erano imporporate le guance ma si era stretta al suo petto, con la stessa espressione supplicante.
“Babbo Natale” aveva commentato per poi guardarlo. “… lui verrà, vero?”.
“Certo che verrà e-“ si era interrotto quando, nel silenzio ovattato dai fiocchi di neve, sentirono entrambi quello che somigliava ad un tonfo sul tetto. Kurt aveva esalato con teatrale confusione, un dito di fronte al naso come ad indurla a fare silenzio e Sissy aveva sgranato gli occhi, incapace di contenere l’emozione, saltando letteralmente sul materasso.
“Sissy, devi fingere di dormire” l’aveva ammonita e la bambina si era posta sotto le coperte con un ansimo timoroso mentre Sebastian entrava a sua volta nella camera.
“Avete sentito?” aveva chiesto, parlando a voce concitata prima di fissare la bambina, una mano sul fianco.
“Scricciolina, non dovresti già dormire?”.
“Sarà meglio che andiamo ad aprire la porta” aveva commentato Kurt dopo aver rimboccato le coperte alla bambina.
“Ma Babbo Natale deve passare dal camino” aveva obiettato la bambina, sollevandosi col torso e rimirandoli con le sopracciglia inarcate mentre i due si scambiavano uno sguardo interdetto.
Fu Sebastian a riscuotersi.
“Con tutto quel pancione mi distruggerebbe il comignolo: vado ad aprirgli la porta e tu fingi di dormire!” l’ammonì con un sorriso mentre Kurt annuiva con vigore.
“Buona idea, vado subito a preparargli biscotti e latte, sarà sicuramente affamato e devo trovare qualcosa anche per le renne”.
Si erano chiusi la porta della camera alle spalle e si erano scambiati uno sguardo sorridente, mentre si incamminavano al piano di sotto.
“Scenderà?” aveva bisbigliato Kurt e Sebastian aveva ridacchiato.
“Se è vagamente curiosa come lo sei tu ogni volta che un cliente entra nel mio studio, oh sì, lo farà” Kurt gli aveva dato una gomitata e, fintamente indignato, lo aveva preceduto mentre si affrettava ad aprire la porta dopo che sentirono i tonfi.
“Oh, Babbo Natale” esclamò per farsi sentire anche al piano di sopra. “Ma che piacere, accomodati, ti prego” aveva commentato mentre Burt sospirava, sistemando per l’ennesima volta la cintura.
“Questo costume pizzica” si lamentò. “e detesto questa barba, non vedo l’ora di gettarla nel camino”.
“In realtà ti sta molto bene” era intervenuto Sebastian, le braccia incrociate al petto mentre Burt si premuniva di lasciar cadere la sacca dei regali sul suo piede.
“Non provocarmi” lo aveva ammonito.
“Papà” lo aveva richiamato Kurt, facendogli cenno di parlare e Burt aveva sospirato prima di avvicinarsi alla rampe delle scale.
“Oh, Oh, Oh, Oh!” aveva commentato imitando la risata di Babbo Natale.
“Buon Natale a voi e ai vostri splendidi bambini: sono stati buoni quest’anno?”.
“Meravigliosi, come sempre”.
“Bene” imitò la voce cavernosa e Sebastian dovette trattenere la risata mentre Kurt ne cingeva il braccio.
“Andiamo a preparare qualcosa per Babbo Natale, lasciamolo lavorare tranquillo”.
Sorrisero entrambi al sentire una porta al piano superiore che si schiudeva nel silenzio della casa addormentata mentre si dirigevano verso la cucina.
Lasciarono Burt a chinarsi con un sospiro: cominciò ad estrarre i pacchi già incartati e riporli sotto l’albero mentre un altro paio di occhioni azzurri lo osservava dalla rampa di scale.
Aveva sgranato gli occhi, le labbra schiuse a simularne la sorpresa  e l’emozione prima di scendere i gradini con i piedi scalzi e il sorriso che era divenuto ancora più entusiasta.
“Babbo Natale!” aveva esclamato e Burt aveva appena avuto modo di voltarsi che la ragazzina aveva percorso correndo quella breve distanza per abbracciarne le gambe.
“Sei venuto” aveva commentato con voce resa rauca dalla gioia e dalla commozione e l’uomo aveva sorriso prima di darle qualche colpetto delicato sulla schiena e poi baciarne il capo – attento a non far cadere la finta barba – e porsi sui talloni per essere alla sua altezza.
“Oh, oh, oh guarda chi saluta il vecchio Babbo Natale” aveva improvvisato una finta tosse e la bambina aveva sorriso più entusiasta.
“Vuoi fare due chiacchiere con il vecchio Babbo Natale?” aveva domandato e la bambina aveva annuito e si era fatta attenta ma non aveva sciolto l’abbraccio intorno al suo collo.
Burt si accomodò allora sul divano, prendendola in braccio e carezzandole i capelli con la mano guantata.
“Credevi che non sarei venuto?” aveva chiesto e la bambina si era morsicata il labbro mentre l’uomo le batteva di nuovo gentilmente sulla schiena.
“Oh, oh, oh… puoi parlare con il tuo vecchio Babbo Natale: resterà un segreto tra noi. E le mie renne” aveva aggiunto, facendola ridere prima che si appoggiasse al suo petto, gli occhi socchiusi prima di sospirare.
“Io sapevo che saresti venuto e che Hannah diceva una bugia” aveva pigolato in tono a metà tra un puerile lamento e un bisogno di rassicurazione e Burt aveva scosso il capo.
“Hannah, eh? Credo che la metterò nella lista dei cattivi” aveva commentato facendola sorridere e scuotere il capo prima che riprendesse.
“Dimmi, Sissy: tu sei felice? Ti piace la tua vita? I tuoi papà, il tuo fratellino, la tua casa?”.
La bambina aveva annuito con vigore, lo sguardo raggiante, continuando ad osservarlo.
“Bene, ricorda sempre, Sissy: non importa quello che le persone dicono, quello che davvero importa è l’amore che ti lega alla tua famiglia, fin quando chiamerai questa ‘casa’, saprai che ci saranno delle persone che ti amano e che ami che ti saranno sempre vicino.
Qualunque cosa accada. E’ quello che succede in una vera famiglia” aveva commentato, guardandola dritta negli occhi identici a quelli che erano stati gli occhi di suo figlio, una stretta al petto ogni volta che lo realizzava, un sorriso più commosso.
“Hai capito, Sissy?” la bambina aveva annuito e si era stretta maggiormente a lui.
“Grazie Babbo Natale, ho la famiglia più bella del mondo” aveva commentato mentre Sebastian, appostato sulla soglia dell’uscio del salotto si era volto verso Kurt con un sorriso compiaciuto.
“Sta parlando di me” si era pavoneggiato, inducendo l’altro a sollevare gli occhi al cielo, lo stesso sorriso, tuttavia, mentre Burt si rimetteva in piedi e le accarezzava i capelli.
“Bene, adesso devo solo consegnare i vostri regali ma prima devi andare a dormire”.
Sissy, tuttavia, gli si avvicinò un’ennesima volta e ne strinse la manica.
“Babbo Natale, posso cambiare regalo?” aveva domandato, strappando un singulto incredulo a Sebastian, subito ammonito con lo sguardo da Kurt che era apparso altrettanto preoccupato.
“Oh” Burt aveva cercato entrambi con lo sguardo e Kurt gli aveva fatto un vago cenno di assenso. “E cosa vorresti?”.
“Voglio che i miei papà siano felici e che nessuno gli dica che non sono normali” aveva pigolato ma con intensità così struggente che il silenzio sembrò paralizzare tutti i presenti e gli oggetti presenti nella stanza. Burt stesso boccheggiò mentre la bambina lo guardava con labbra tremanti, stringendogli più forte la mano.
“Ti prego, io posso stare senza giocattoli ma non senza di loro e voglio siano felici”.
“Perché non chiedi a loro?” aveva commentato Burt con un sorriso indicandoglieli con un cenno del mento . “Io sono sicuro che già lo siano”.
Era stato Sebastian il primo a riscuotersi, aveva colto con la coda dell’occhio la lacrima che era sfuggita a Kurt ma si era affettato ad avvicinarsi e prendere la bambina in braccio: ne scostò i capelli dal viso e ne baciò la fronte.
“Bur- Babbo Natale ha ragione: noi siamo già felici, tu e Nicolas siete l’unica cosa di cui abbiamo bisogno” aveva commentato e la bambina ne aveva stretto il collo e aveva porto la mano verso Kurt che si era riscosso, gli occhi più arrossati. Aveva cercato di ricomporsi, scostandole con il pugno della mano libera mentre si avvicinava a cingere la figlia.
“Papà, perché piangi?”.
“Sono felice, incredibilmente commosso e ho appena rovinato l’ultima pulizia del viso – aveva lasciato cadere la mano lungo il fianco – ma sono davvero felice, oh tesoro” . Ne aveva baciato la guancia e aveva appoggiato il mento al suo capo.
“Bene, ora se volete scusarmi, Babbo Natale va a fare merenda” aveva ammiccato in direzione dei due prima di andare verso la cucina.
Aveva appena varcato la soglia della cucina, quando Sissy sollevò il mento dalla spalla di Kurt.
“Buona merenda, Nonnino”.
Si erano tutti congelati sul posto e Sissy aveva boccheggiato notandoli tutti tesi.
“Posso chiamarti così?”
“Oh, oh, oh ma certo, ma solo se al Nonno Burt non dispiace”.
“Sono sicuro di no” aveva risposto Kurt per entrambi, volgendosi ad osservarlo. “E spero che sappia quanto sono orgoglioso che sia il mio, di papà”.
“Oh, ne sono certo, almeno quanto lui è fiero di come suo figlio sia divenuto uno splendido marito e padre” aveva risposto, acconciando ancora goffamente la cintura, per mascherare l’imbarazzo. “Ma questo non significa che accetterà la tua idea di cambiare divisa ai suoi meccanici” aveva replicato, facendolo ridere.
“Un miracolo di Natale alla volta”.
“Signori, credo sia ora di andare a dormire” aveva commentato Sebastian che, un verso di sorpresa e una risata di Sissy, si era posto alle spalle di Kurt prima di sollevarlo e così anche la bambina che si era stretta meglio a Kurt.
“Chiudi pure la porta Babbo Natale, quando esci”.

Era ormai passata la mezzanotte quando uscirono dalla camera di Sissy e si diressero verso quella matrimoniale per poi immergersi sotto le coperte.
Sebastian fu lesto a cingerne la vita e Kurt si rigirò ad accoccolarsi contro il suo torace mentre lui ne accarezzava distrattamente la schiena, sorridendo della traccia di rossore ancora diffusa sul suo volto.
“Sai, preferisco un altro tipo di rossore su quel viso” aveva sussurrato al suo orecchio e, suo malgrado, Kurt aveva ridacchiato con fare più complice, la mano che ne aveva sfiorato la guancia a disegnare la linea di congiunzione tra i nei che ne punteggiavano la pelle diafana.
“Buon Natale, Bas”. Aveva sussurrato, infine.
“Non avrai intenzione di piagnucolare tutta la notte?” aveva indagato con le sopracciglia inarcate e, suo malgrado, Kurt aveva riso e gli si era avvicinato maggiormente.
Un sorriso più suadente increspò le labbra di Sebastian che lo strinse a sé.
“Qualche idea migliore prima che Nicolas si svegli nella prossima mezzora?”. Chiese ancora Kurt mentre Sebastian si chinava a mordicchiarne il collo, inspirandone il profumo.
“Giusto qualcuna per il mio Santo Natale”. Sussurrò in risposta, facendolo ridere.
“Blasfemo” un mugugno più languido e arrendevole.
“Shhh”.



Una volta riuscita ad immaginarmi i figli di Kurt e Sebastian, mi è quasi dispiaciuto porre la fine di questa one-shot ma spero di esser riuscita ad intrattenervi piacevolmente.
Ci avviciniamo anche noi al Natale, intanto appuntamento a domani con la traccia di “Family Fun”.
Buon pomeriggio e buon Sabato a tutti,
Kiki87


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Capitolo 6
*** Family Fun - Christmas? No, thanks. ***


6 FAMILY FUN  
Potrete immaginare la mia perplessità leggendo questa traccia e il timore, come già espresso, di scivolare in cliché già usati. E poi ecco che alla prima settimana di Dicembre, ho avuto l'illuminazione e ho deciso di far convergere questo tema in note molto più ironiche perché, diciamocelo, anche il periodo di festa ha degli aspetti poco gradevoli, soprattutto se sei Sebastian Smythe. Non aggiungo altro e vi auguro una buona lettura.
Ringrazio di cuore therentgirl che ha betato la storia poco dopo la stesura, soprattutto il benestare per le parti in francese, sperando di aver colto tutti i piccoli errori di dislessia e battitura ed eventuali modifiche da fare ;) Oltre a, come sempre, per il suo sostegno e le sue splendide recensioni.
Colgo l’occasione per dare un bentornato strapazzante anche alla mia Blaine

 

 

C'est la belle nuit de Noel
La neige etend son manteau blanc
Et les yeux leves vers le ciel
A genoux, les petits enfants
Avant de fermer les paupieres
Font une derniere priere.
 
Petit papa Noel
Quand tu descendras du ciel
Avec des jouets par milliers
N'oublie pas mon petit soulier.
Mais avant de partir
Il faudra bien te couvrir
Dehors tu vas avoir si froid
C'est un peu a cause de moi.
 
(Canzone natalizia
resa celebre da Tino Rossi, 1946)

 

FAMILY FUN

Christmas? No, thanks.

 

Detestava cordialmente le vacanze natalizie. E tutto ciò che esse comportavano. No, ripensandoci non era un odio “cordiale” ma un odio viscerale e profondo, radicato come una cancrena nel fondo del suo pancreas e già in uno stadio di metastasi avanzata.
Non che potesse darsi torto, non che una qualsiasi persona dotata di una minima dose di raziocinio potesse biasimarlo, se avesse osato passare un Natale come quello degli Smythe – Laurent[1].
Il solo ricordo di quel suicidio letale per le sue sinapsi nonché il suo istinto sessuale, era sufficiente a fargli correre un brivido gelido lungo la spina dorsale e la situazione di anno in anno non era affatto migliorata, tanto da poter lui stesso stendere una vera e propria classifica dei motivi per i quali fosse necessario smascherare le insidie delle vacanze e del cosiddetto tempo da trascorrere in famiglia.
Sei motivi per sei lettere.
 
N di nonni. Oh, sì, il Natale, per quale arcano motivo, è il periodo prediletto per trascorrere il tempo con vegliardi raggrinziti come tartarughe plurisecolari che avrebbero potuto sfidare la mummia di Tutankhamon in una fiera della vanità horror. Che poi proporzionalmente, nel tempo, la loro invadenza diventasse direttamente proporzionale all’alzheimer incombente nonché all’incapacità di ricordare il nome di battesimo degli adorabili nipotini di cui amavano circondarsi, quello era evidentemente un mero dettaglio. Una questione di puntigliosità.
Se avesse ricevuto un centesimo di euro o un penny per ogni volta che suo padre gli avesse lanciato l’occhiata (un misto di “abbi pazienza”, “loro sono la tua famiglia” e “no, non puoi uscire per locali gay la sera della vigilia”) probabilmente a quel punto avrebbe avuto abbastanza denaro non soltanto per frequentare la Dalton, ma persino per comprarla. E così rispedire, con un calcio nel culo  e una raccomandata di sola andata, le versione biondastra, americanizzata e stereotipata del temibile Boss Artiglio[2] e di quel gatto ibernato che avrebbe volentieri affisso per la coda a mo’ di nuova bandiera dell’istituto (chissà dove erano finiti i suoi schizzi, tra l’altro).
In verità, tra tanti discorsi aulici sull’importanza della famiglia e del trascorrere del tempo insieme (tradotti nella sua mente da un continuo “blablablablabla diabete, blablablabla stronzate, blablablabla, ma quando finirai di parlare?” ), si sentiva una voce missionaria, un ambasciatore della verità.
Il tempo trascorso coi parenti era una forma volontaria e legalizzata di “stupro con un clistere” che gli avrebbe succhiato via la linfa vitale e la voglia di vivere, almeno fino a quando dal veglione di Capodanno non avrebbe potuto festeggiare a modo suo. (E con festeggiare, sì, intendeva trapanare quanti più bei ragazzi potesse, prima del rientro alla Dalton).
 
“Ci vediamo a Gennaio, Miss Hummel”.
“E’ una promessa o una minaccia?”.
 
 
 
 
A di amore. Perché era ciò intorno a cui ruotava tutta quella atmosfera da glicemia gratuita: un sacco di chiacchiere e di belle favolette su come in quel periodo dell’anno sarebbe stato opportuno trascorrerlo con le persone più care. Perché niente faceva tanto Natale quanto il ritrovarsi intorno alla stessa tavola, a raccontarsi le reciproche giornate, gli acciacchi della vecchiaia, di quel parente che era riuscito a raggiungere la laurea o, ancora, di quello che stava per sposarsi. A quel punto, era spontanea la domanda circa la sua fidanzata di cui non parlava mai perché evidentemente troppo timido per quel genere di confidenze. Era qualcosa divenuto ormai "tradizione" se così la si poteva definire. Qualcuno ne alludeva (di solito la nonna o la zia, o la cugina, insomma sempre una donna perché era loro diritto di intromettersi nella vita altrui; ossimoro davvero interessante!) e a quel punto i genitori si scambiavano uno sguardo guardingo. Quello sguardo nel quale sembravano chiedersi se fosse davvero opportuno cercare di ricordare loro della sua identità sessuale. Cercava di ignorare i sorrisi divertiti delle zie o dei cugini e si limitava, solitamente, a morsicarsi la lingua per poi sollevare gli occhi al cielo.
Di anno in anno, se lo prometteva, sarebbe riuscito in quella dichiarazione che avrebbe probabilmente congelato la tavola: probabilmente la nonna avrebbe cominciato a sciorinargli il rosario addosso o invocare un santo della sessualità (?) perché il suo povero disgraziato e sventurato nipote trovasse una Via di Damasco per tornare sulla retta via. O, probabilmente, avrebbe cosparso la sua camera di santini e di bibbie a mo' di aglio contro i vampiri e/o costretto ad immergersi in una piscina di acqua benedetta. O forse le sarebbe semplicemente venuto un infarto.
Suo nonno avrebbe avuto bisogno che la parola fosse scandita almeno una mezza dozzina di volte, ognuna delle quali con tono sempre più alto per poi scoprire che il suo apparecchio uditivo era stato spento. Probabilmente avrebbe rischiato che le proprie tonsille gli finissero direttamente nell'esofago prima che potesse riprendersi. A quel punto lo avrebbe guardato con occhi sgranati. Per dieci, quindici secondi (dopo aver messo gli occhiali e aver strabuzzato gli occhi come un barbagianni). A quel punto si sarebbe voltato verso la figlia.
"Che vuol dire gay?".
Mhm, sarebbe valsa la pena provarci.
 
"Oh, mon petit Sébastien" aveva chiocciato la nonna e Sebastian aveva dovuto improvvisare il suo sorriso da "bravo ragazzo", quello che ingollava ogni volta che Hunter prendeva presidenza delle riunioni dei Warblers e lui immaginava di prendere il manico del martelletto ed infilarglielo su per-
"Dis-moi la verité: quelle est la femme qui a volé ton coeur?[3]" cantilenò anche quell'anno, appoggiandogli la mano sul braccio.
Sospirò. Levò lo sguardo sui genitori e quel silenzio sceso tra loro.
Contemplò la nonna, lo sguardo speranzoso misto ad una luce di preoccupazione e Sebastian si odiò perché tutto ciò che riuscì a bofonchiare fu un:
"Aucune femme par le moment [4]" a meno che non assomigli a Jensen Ackles, aveva aggiunto tra sé.
Mentre questa si chinava a lasciargli un bacio umido e salivante sulla guancia, tutto quello che riuscì a fare fu stringere il pugno.
C'è sempre l'anno prossimo, vecchia mummia, non provocarmi.
 
T di trombosi. No, purtroppo non vi era alcun riferimento porno o malizioso seppur avesse sempre, nello spirito, natalizio, pensato di poter far cantare ad un ragazzo un "OH,OH,OH" in una tonalità ben diversa da quello degli spastici bambolotti di Babbo Natale affissi ovunque (e che si premuniva di calpestare o gettare per terra).
Quell'anno, durante le vacanze familiari, sua nonna era afflitta proprio da quella forma di disturbo della circolazione che la costringeva, per la maggior parte del tempo, a restare stesa o coricata. Il che sarebbe potuto essere non poco vantaggioso, se ciò non fosse equivalso a quel suo spasmodico e melodrammatico bisogno di attenzioni e di vezzi per i quali Sebastian avrebbe amorevolmente voluto gettarla giù dalla rampa di scale e costringerla così a rimettersi in piedi e smetterla con quella commediola che l'avrebbe resa sicuramente un'attrice degna di Broadway, in grado di competere con la mestruata e melodrammatica Rachel Berry e le sue smorfie improponibili mentre agganciava un acuto.
Decisamente quell'anno si erano superati nella scala dell'orrore ma non avrebbe saputo e voluto immaginare ciò che avrebbero potuto riservargli l'anno successivo, ragione per cui era più che preferibile sostare in quella comunemente nota come "beata ignoranza".
 
"Sébastian, est-ce que vous pouvez me lire la Bible? [5]"
Ecco, appunto.
 
A di amore (bis). Certo, per tutti quegli anni gli avevano propinato i soliti e dolci racconti su come ad ogni Natale ciò che fosse davvero, davvero importante, fossero i sentimenti, soprattutto riscoprire un po' più di saggezza nel proprio cuore.
Dopo una settimana trascorsa tra quelle pareti, cercando di evitare i parenti in una sorta di flipper fisico e familiare, bevendo di nascosto e scappando dalla finestra della propria camera e lasciandosi cadere dalla tettoia del porticato, attento a non slogarsi una caviglia; sì, aveva fatto del suo meglio per schivare il concetto.
A quel punto era necessario attendere l'intervento di un vecchio amico di infanzia per poi abbandonare il quartiere di sobborgo e raggiungere la vera Parigi natalizia.
Checché ne dicessero i parenti quell'anno, no, non era per alcun motivo distratto. Non cercava costantemente in un ragazzo da rimorchiare, un paio di iridi azzurre e tanto meno una voce da controtenore (che avrebbe definito da uomo-senza-palle), ed era stata una casualità il fatto che, trovato un tipo disponibile al sacro trapanamento, qualcosa non fosse accaduto.
Aveva proceduto il percorso a ritroso, accompagnandosi ad un rosario di invettive nei confronti di Miss Hummel, prima di lasciarsi cadere sul proprio letto.
Solo e, soprattutto, sessualmente frustrato.
E con quel volto fin troppo vivido nella propria memoria.
 
"Dis-moi la verité: quelle est la femme qui a volé ton coeur?" era stata la cantilena che aveva sentito al proprio orecchio. Il fatto che la stessa pronunciando mentre ne carezzava i capelli in quel punto debole che gli consentiva di rilassarsi, avrebbe dovuto farlo arretrare stizzito.
"Mademoiselle Hummel" si era sentito dire, quasi sovrappensiero.
"Donc est-ce que tu est tombé amoreux?[6]". Aveva chiesto, il tono sereno e commosso, intensificando il ritmo di quelle carezze e il giovane aveva scosso il capo.
"Au contraire, grand-mère. Je suis tombé dans un empasse. Je lui veux etre loin[7]". Aveva dichiarato, le braccia incrociate al petto e lo sguardo ostinato.
"C'est la peur, mon petit, a t'arreter[8]" aveva sussurrato in risposta.
"Je n'ai pas peur. Il faut oublier ce que nous ne voulons pas[9]".
"Tu n'es pas sincère, n'est-ce pas?[10]" uno scintillio benevolo nello sguardo, malgrado il sorriso sbarazzino.
"Touché[11]".
 
L di lamento. In fondo, anche quello sarebbe potuto divenire un simbolo e una tradizione familiare, in fondo la famiglia avrebbe dovuto sostenersi reciprocamente, anche in quell’accezione del termine. In fondo, nessuno avrebbe potuto biasimarlo di fronte alla sua stoica sopportazione che, ancora una volta, si vedeva cercare di trattenersi dallo sbattere la testa contro la parete. Ripetutamente. Nel tentativo di procurarsi una commozione cerebrale che gli facesse dimenticare momentaneamente tutto quanto o che, se avesse avuto fortuna, lo facesse allontanare da quella casa, almeno fino a quando il periodo dei festeggiamenti non fosse davvero concluso. O magari sarebbe stato più saggio attendere che i genitori gli avessero già preparato le valigie e acquistato il biglietto aereo per il rientro in America.
Cercava di ignorare il lamento della sua metà sotto la cinta che si era vista letteralmente privata dei suoi di festeggiamenti o il pensiero di quanti lamenti avrebbe potuto procurare nel diffondere il suo concetto di “amore” e di “generosità” nei locali gay parigini.
Cercava di pensare al lamento continuo che era la voce di quella “faccia da checca” ogni volta che lo avesse visto, quel suo sollevare gli occhi al cielo, mostrarsi totalmente insofferente, per poi affermare, con lo stesso tono melodrammatico, che lui avesse iniziato un vero e proprio stalking nei suoi confronti. Immaginare che altro lamento gli avrebbe strappato se avesse osato insudiciare i suoi abiti o attentare alla sua pettinatura e quei colpi di sole che sembravano conferire nuova luce al volto e allo sguardo. Storse le labbra alla portata diabetica di quei pensieri, probabilmente e naturale conseguenza di tutta la quantità di zucchero e di cibi che sua nonna gli avesse fatto ingerire nelle ultime settantadue ore, condite con quel clima al miele difficile da deglutire almeno quanto una palla di polistirolo infilata giù per le narici.
Un lamento ad un casuale (quasi causale) scontro.
 
“Ahi, Sebastian! Ti è così difficile coordinare occhi e piedi se non canti qualcosa di discutibile gusto?”.
“Dovresti vedere quanto so essere coordinato al buio”.
“…”.
 
E di eccitazione. Erano passati gli innocenti (più o meno) tempi dell’infanzia in cui era la credenza di un pancione con problemi di costipazione, che si faceva calare in camino, a rendere la mattina di Natale degna di considerazione. Quando, allora, la più grande fonte di gioia e di fibrillazione era svegliarsi presto per correre giù dalle scale alla ricerca della pila dei propri regali. Osservò con le braccia incrociate al petto i bambini che si rincorrevano per la casa prima di gettarsi letteralmente ai piedi dell’albero e sperò soltanto che, dopo aver improvvisato un sorriso di fronte alle telecamere, potesse crogiolarsi nella sua beata solitudine disintossicante prima di scoprire di avere un pericoloso procinto di emorroidi.
Dopotutto non fu difficile, invece, improvvisare il sorriso quando giunse il momento della separazione, persino quando sua nonna lo strinse in un ulteriore abbraccio e lo trattenne. Sembrò voler siglare quel momento come fosse particolarmente importante, tanto che avrebbe potuto quasi sentirsi in colpa. Aggrottò le sopracciglia, un rapido ripercorrere quelle ultime e disastrose vacanze e scosse il capo deliberatamente.
Scosse stizzito il capo fino a quando non percepì la carezza della donna tra i capelli.
“Bonne chance, Sébastien[12]”.
“Pourquoi?”.
“Tu le sais, mon petit”.
 
Non era eccitazione, si era detto, il riconoscere una particolare fisionomia nella consueta caffetteria e, ancor meno, quello strano ed insolito rimescolio di viscere prima di cingerne il fianco da dietro e chinarsi al suo orecchio.
“Ti sono mancato?”.
Lo aveva sentito sussultare visibilmente, si era immerso in quel profumo delicato e stuzzicante prima che si scostasse, le sopracciglia aggrottate nel voltarsi ad osservarlo. Le braccia incrociate al petto e il mento sollevato. Sembrò scrutarlo come a voler determinare quanto e se fosse serio prima di sollevare gli occhi al cielo.
“Trattengo a stento la commozione”. Aveva scosso il capo prima di pagare il suo caffè, prendere il bicchiere ed allontanarsi. O almeno era la sua intenzione, prima di sentirsi nuovamente avvincere dalla sua stretta.
“Cosa stai facendo?” .
“Ti trattengo” fu la semplice replica.
“Lo vedo e perché, soprattutto, lo stai ancora facendo?”. Stava scrutando la sua mano, quasi si trattasse di qualcosa di contaminante, quasi stesse deliberatamente infettandolo.
“Un consiglio della nonna”. Un sorriso sincero nel dirlo, un guizzo di divertimento che fece ulteriormente inarcare le sopracciglia dell'altro.
“Sei ubriaco?”.
“Non ancora”.
“Mi lasci andare?”.
“No”. Si era chinato a cingerne la guancia, aveva sospirato sul suo viso, un sorriso più voluttuoso al vederlo irrigidirsi, gli occhi sgranati nei propri, mentre alitava sulle sue labbra.
“Decisamente no”.
 
 
 
Spero che tra le imprecazioni di Sebastian, il suo dubbio spirito natalizio e qualche commento molto blasfemo, la storia vi abbia fatto sorridere. E vi auguro, soprattutto, che il vostro divertimento in famiglia non sia lontanamente paragonabile a questo.
Non mi resta che darvi appuntamento a domani con l’ultima traccia, un sequel della mia prima “Gossip Glee” (per chi non l’avesse letta, la troverete cliccando qui ).
Buona Domenica!
Kiki87


[1]     Cognome (naturalmente inventato) dei parenti francesi di Sebastian, da parte materna.

[2]     Boss Artiglio o Dottor Gang è uno dei protagonisti del cartone di “L’ispettore Gadget”. Un cartone che adoravo da bambina. Francamente non lo ricordo molto ma appena ho visto Hunter e la scena della poltrona che si gira per accogliere Blaine, carezzando il gatto, il paragone è stato inevitabile.

[3] “Oh mio piccolo Sebastian… dimmi la verità: quale ragazza ha rubato il tuo cuore?”.

[4] “Nessuna per il momento”.

[5] “Sebastian, puoi leggermi la Bibbia?”.

 

[6] “Allora ti sei innamorato?”.

[7] “Al contrario, nonna. Sono caduto in un bivio. Voglio stargli lontano” (Sebastian lo intende al maschile – ve lo traduco così – ma in francese si usa la parola “lui” come complemento di termine sia al maschile che al femminile per cui la nonna può ancora ritenere si parli di una ragazza).

[8] “E’ la paura, piccolino, a fermarti”.

 

[9] “Non è la paura. Bisogna dimenticare ciò che non vogliamo”.

 

[10] “Non sei sincero, vero?”.

[11] “Beccato”. Letteralmente sarebbe “toccato” ma diciamo che si usa per esprimere uno stato d’animo dove si riconosce che la provocazione altrui ha colto nel segno.

[12] “Buona fortuna Sebastian”.

“Per cosa?”

“Lo sai, piccolino”.

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Capitolo 7
*** Crossovers During The Holidays - Gossip Glee II ***


Questa Week non dava la possibilità di scegliere tra un Crossover o una A/U, ragione per cui ho pensato di scrivere un sequel alla mia prima Gossip Glee che, per chi non l’avesse già letta o volesse fare un ripasso, la troverete qui.
Per chi non conosce Gossip Girl, nessun timore perché non vi sono particolari indicazioni (e nel primo racconto ho inserito delle note per aiutarvi alla lettura più fluida), per i fan di Gossip Girl potrebbero esserci dei piccoli spoiler sull’ultima stagione, ma nulla che non possiate aver intuito dal finale della scorsa stagione, mi riferisco soprattutto all’occupazione di Blair.
Aggiungo che è solo per lo spirito natalizio, se mi trattengo dall'uccidere chi su twitter ha spoilerato la vera identità di Gossip Girl, dopo aver visto la diretta dell'ultima puntata in America.
Tornando a noi, per altre questioni, ho lasciato le cose immutate (ad esempio il matrimonio tra Lily e Rufus) visto  non vi è una particolare collocazione legata a questa fiction: è soltanto uno sfondo diverso dove ambientare la Kurtbastian.
E per i fan di Glee, ho inserito ulteriori note per nuovi elementi o passaggi che possono esservi poco chiari, non conoscendo l’altra fiction, ma sono comunque sempre disponibile per chiarimenti, in caso di necessità!
Non mi resta che augurarvi buona lettura!
 
 
 
 
(Christmas)
The snow's coming down
(Christmas)
I'm watching it fall
(Christmas)
Lots of people around
(Christmas)
Baby please come home
 
They're singing "Deck The Halls"
But it's not like Christmas at all.
Cuz I remember when you were here
And all the fun we had last year
 
(Christmas)
If there was a way
(Christmas)
I'd hold back this tear
(Christmas)
But it's Christmas day
(Please)
Baby please come home.
(Scritta da P. Spector, J. Barry & E. Greenwich)
 
Gossip Glee II
 
L’inverno è nuovamente giunto nell’Upper East Side, gelido come vi avevo promesso in autunno, ma anche allora avevo previsto che una bollente passione avrebbe contrastato il calo di temperature. Quale nuova coppia vedremo sotto l’albero o quale drastica separazione, prima del prossimo San Valentino?
Suvvia, la vostra Regina del Gossip non si ritiene meno importante di Santa Claus, quindi non svelerò subito la mia carta vincente, tuttavia…
Avvistata: la Regina B col suo perenne broncio: a quanto pare sostituirsi a Mammina nell’impero della moda non è poi così semplice, che una nuova lotta con S. le darà nuova ispirazione? O un insperato ritorno di fiamma?  Nel frattempo, un ospite molto gradito è appena sceso dall’aereo. Solo. Sembra proprio che vi sia una ventata di novità o forse no: ma non illudetevi di scoprirlo senza il mio aiuto.
 
 
Dorota sospirò alla vista della giovane che, per l’ennesima volta, stracciava un foglio di carta sul quale era stata chinata nell’ultima mezzora, lanciandolo con non curanza sul pavimento. Non era mai un buon segno quand’ella era così poco ciarliera o le labbra erano perennemente imbronciate: quel suo torturarsi i capelli – solitamente legati in una sontuosa crocchia abbinata agli abiti eleganti e di classica fattura da che era divenuta responsabile dell’atelier – per poi emettere piccoli sbuffi soffocati o il digrignare i denti, erano sintomo palese della sua frustrazione.
Sospirò e si chinò a raccogliere la carta stracciata prima di gettarla nell’apposito cestino mentre la giovane, le unghie smaltate e l’anello di Chuck appeso alla collana a ricordo della loro promessa che rimirava di tanto in tanto quasi a darsi forza, prendeva nuovamente la matita tra le dita.
“Il suo the, Signorina Blair o forse preferisce una camomilla per distendere i nervi-“.
“Come posso non stressarmi, Dorota? E’ tutto un disastro!” aveva esclamato, lasciando cadere la matita e stracciando l’ennesimo foglio. Allungò la mano diafana a mescolare lo zucchero e guardare la sua domestica che aveva scosso il capo.
“Ha soltanto bisogno di rilassarsi: potremmo uscire, guardi che bella giornata, sono sicura che a Central Park, le sue oche[1] stanno ancora aspettando che-“.
“Non dire sciocchezze, sono una donna adulta adesso” aveva ribattuto, il mento sollevato prima di osservare il display del blackberry illuminarsi ed emettere un gemito frustrato. “Mia madre sta tornando da Parigi e non abbiano nessun ordine, Dorota: rischierò che mi diseredi e, come se non bastasse, mi sta venendo un eczema da stress” il tono era sempre più stridulo mentre parlava agitata, quasi senza neppure prendere respiro.
“Manderò la Waldorf Design in rovina e Gossip Girl avrà l’esclusiva del mio crollo nervoso e dirà che la mia pelle si sta desquamando come un povero barbone di Brooklyn”. Aveva concluso con tono ancora più lamentoso e gli occhi umidi, le mani a sostenersi le gote.
“Signorina Blair, lei sta esagerando: ha solo bisogno di ritrovare la quiete e sono sicura-“.
“Ho bisogno di idee nuove, Dorota. Persino quella darkettona di Jenny Humphrey[2] aveva talento ma io sono una Waldorf, la Regina della Constance[3], il mio sangue è nato dalla fusione tra la moda e l’eleganza, io sono la moderna Grace Kelly e io-“ interruppe il suo soliloquio, le labbra tremanti e la fronte corrugata prima di osservare il proprio riflesso e accigliarsi, la voce più stridula.
“Io ho bisogno di un nuovo fard”.
Socchiuse gli occhi ed inspirò ed espirò lentamente prima di sorseggiare il proprio the, un’espressione di profonda afflizione, la mano premuta sul petto.
Dorota fece per prendere parola ma la interruppe con un brusco sollevare la mano.
“Devo solo trovare il modo di ispirare le giovani donne: studentesse, giovani in carriera, alla ricerca della loro strada, dell’amore e della loro gratificazione ma cosa unisce tutte queste cose?” aveva lasciato la frase in sospeso e Dorota, il metro da sarta avvolto attorno al collo, sopra l’uniforme da cameriera, si morsicò il labbro. Sollevò lo sguardo, alla ricerca di ispirazione mentre Blair si rimetteva in piedi ad osservare qualche modello, le mani sui fianchi le labbra ancora imbronciate.
“Occorre trovare un’icona che racchiuda tutte queste qualità, una donna come-“.
“Blair Waldorf”.
“Esatto, una come me” aveva dichiarato la giovane evidentemente soddisfatta prima di sbattere le palpebre interdetta. Sia lei che Dorata si volsero verso l’ingresso. Era già pronta ad intimare all’ennesimo reporter da strapazzo, magari persino un lacchè di Nelly Yuki[4], di andarsene.
“Ciao Blair” proferì il giovane e la ragazza rimirò per un istante la figura alta e sottile del ragazzo che era rimasto sulla soglia dell’uscio del suo ufficio personale. Vestiva in maniera impeccabile come sempre: un bel completo elegante e scuro che ne sottolineava la silhouette, la camicia di seta bianca sotto il panciotto scuro e il foulard immancabile al collo di un lillà a pois.
Lo sguardo azzurro baluginava e i capelli avevano dei colpi di sole che ne rendevano alcuni ciuffi più biondi, in contrasto con quelli del suo naturale color mogano.
Di fronte a lei, vi era Kurt Hummel.
Lo chiamò in tono eccitato prima di correre a gettarsi tra le sue braccia e la sua risata si unì a quella del giovane che la sollevò leggermente da terra, facendola piroettare.
“Blair, è meraviglioso rivederti: guardati, una splendida donna in affari. Mi sembra impossibile sia passato solo un anno” la ragazza aveva sorriso con evidente compiacimento prima di imbronciare nuovamente le labbra.
“Temo che pochi condividano il tuo parere: sono in una crisi profonda, Kurt” aveva sospirato ma gli aveva sfiorato le guance. “… ma vederti è meglio di un trattamento al centro di benessere”.
“Ma così mi lusinghi troppo” aveva risposto l’altro con tono vezzoso, dondolandosi con il busto prima di ridere nuovamente.
“Una missione nell’ambito della moda? Sembra che io sia stato richiamato nel mio mondo, allora” aveva giocherellato con fare fintamente casuale con il proprio foulard e Blair lo aveva nuovamente stretto, affondando contro la sua spalla.
“Mi è mancata la mia anima gemella gay” aveva pigolato e il ragazzo si era scostato appena per sorriderle.
“Adesso sono qui e non me ne andrò fin quando non avremo superato la tua crisi, giurin giurello?” aveva sollevato il mignolo che Blair aveva stretto al suo, lo stesso sorriso gioviale mentre Dorota rimirava entrambi, battendo le mani.
“Preparo subito del caffè per il signorino Hummel e i biscotti”.
“Senza cioccolata” avevano commentato entrambi all’unisono prima che Blair gli facesse strada nell’ufficio, facendolo accomodare. Un sorriso per ogni complimento ricevuto sull’arredo, l’illuminazione, la moquette, le tendine, fino anche a qualche modello esposto che aveva rimirato con espressione concentrata.
“Sono abiti dalla fattura classica e pregiata, Blair” fu il suo commento sommario e la ragazza aveva sorriso nuovamente soddisfatta. “Poche saprebbero indossarli come una Waldorf”.
“Questo è vero” aveva ribattuto l’altra evidentemente sollevata dagli elogi.
“Ma” aveva continuato Kurt, con un vago sorriso. “… saresti indubbiamente fonte di ispirazione per tutti”.
“Una linea d’abiti ispirati a me?”.
“Un compromesso tra la regina della Constance e la giovane donna d’affari: elegante e sofisticata, determinata e fiera, machiavellica e intrigante, ambiziosa ma romantica, Blair Waldorf”. Aveva continuato, Kurt, e la ragazza lo aveva nuovamente stretto a sé.
“Non avrei dovuto lasciarti nelle grinfie di Sebastard[5]”. Lo aveva nuovamente appellato a quella maniera ironica e sarcastica: Kurt sembrò irrigidirsi nell’abbraccio ma le sorrise prima che Dorota appoggiasse il vassoio sulla scrivania.
 
 
Era quasi ora del tramonto quando i due rimirarono, sul leggio, i disegni su cui avevano lavorato per tutte quelle ore: per la prima volta dopo molti giorni, carichi di tensione, Dorota vide nuovamente il sorriso entusiasta sul volto della sua giovane datrice di lavoro.
“Oh, Kurt, è tutto semplicemente parfait: sei la mia Musa”.
Il ragazzo si era crogiolato del commento ma aveva scosso il capo.
“Non perdere la fiducia in te stessa, Blair, sei la donna più pregiata che io conosca: devi solo essere te stessa” ne aveva indicato la mise con dolcezza prima che la giovane ne stringesse il braccio.
“Dobbiamo cenare fuori per festeggiare ma immagino che Sebastard ti stia attendendo in qualche locale a luci rosse di Chuck” era stato allora che il viso di Kurt si era nuovamente contratto e lo sguardo si era rabbuiato. Allo sguardo interrogativo della giovane, aveva sospirato prima di stringersi nelle spalle.
“In realtà sono venuto qua da solo”.
“Che ti ha fatto? Lo posso far deportare in Bielorussia: una sola parola e-“.
Kurt aveva scosso il capo, un vago sorriso divertito ma aveva sospirato.
“Temo di aver rovinato tutto”.
“L’hai tradito?” aveva domandato l’altra a metà tra un verso di stupore e di sorpresa e di curiosità evidentemente febbrile di conoscere nuovi dettagli. L’altro aveva aggrottato le sopracciglia, scuotendo il capo con espressione evidentemente scandalizzata dall’accusa.
“Allora cosa è successo?”.
“Gli ho detto che lo amo”.
 
~
 
 
Le porte dell’ascensore si richiusero di fronte a sé e storse istintivamente il naso: gli sembrava ancora di aver fin troppo impresso nelle narici l’odore della città. Quasi neppure la neve potesse, col suo manto candido, attenuare quella dissoluzione e lo sfarzo, il lusso e il vizio che vi aleggiavano, quella che rendevano quei quartieri l’Upper East Side.
No, non era felice di avervi fatto ritorno, non a caso il momento più memorabile che avesse trascorso con le famiglie di Manhattan era stato il momento della separazione che, lo aveva sperato, avrebbe dovuto essere definitiva.
Allo schiudersi delle porte, vide l’attico di Chuck Bass che, in uno dei suoi smoking gessati, lo rimirò con un vago sorriso, il drink tra le dita che sollevò a mo’ di saluto.
“Bentornato, la tua vecchia suite è proprio come l’hai lasciata” aveva volto un’occhiata incuriosita all’altro giovane che aveva seguito il più alto e gli aveva rivolto a Chuck un sorriso a mo’ di saluto. Se ne stette immobile, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni mentre rimirava Sebastian che aveva ringraziato l’altro con una stretta di mano.
“… ma a quanto pare hai intenzione di cambiare inquilino” aveva alluso al giovane al suo fianco che, al commento, era arrossito visibilmente ma fu Sebastian a sorridere. Un verso divertito mentre incrociava le braccia al petto.
“Conto sulla tua discrezione”.
“Era nella clausola del contratto”. Ribatté Chuck divertito.
“Lily non saprà che alloggio qui”.[6]
“Non da me, almeno. Signori, una riunione mi attende ma vi auguro una buona permanenza” porse la chiave a Sebastian che la prese con un sorriso. Ci giocherellò sollevandola e riprendendola tra le dita: sembrava tutto perfettamente identico a poco più di un anno prima.
“E adesso?” gli chiese l’altro ragazzo e Sebastian si volse ad osservarlo, il sopracciglio inarcato.
“Adesso ci prepariamo e attendiamo che Gossip Girl faccia il suo dovere”.
“Ma Kurt così-“.
“Tanto per essere chiari, Anderson, è per il culo che ti ho scelto, non per le tue elucubrazioni: ho tutto perfettamente sotto controllo”.
Un trillo interruppe il dialogo e Sebastian sorrise.
“Qualcuna non ha perso tempo” sollevò il cellulare a mostrare la schermata del sito di gossip più famoso della città.
“Pensavo volessi discrezione” commentò l’altro rimasto evidentemente scandalizzato da quelle righe, il viso impallidito e le labbra tremanti.
“Cosa ti ho detto sulle tue elucubrazioni?”.
 
Vi avevo promesso uno scoop ed è ciò che otterrete, amici dell’Upper East Side: il lupo è appena tornato nella sua tana preferita e, attenzione!, sembra proprio che abbia cambiato preda.
Oh, Sebastihard potrai anche cercare di nasconderti da Mamma Lily, ma sai di non potermi sfuggire, come chiunque altro… Chissà se sei a conoscenza che il Ragazzo Porcellana è tornato alla corte della Regina B, dunque attenzione: potresti ricevere un esilio e conoscendo la nostra B, non sarà nulla di piacevole. Ma concentriamoci sul misterioso Mister X che lo ha accompagnato: puoi provare a nasconderti sotto i tuoi bei riccioli, ma scoprire gli scoop è il mio dovere.
Dunque, benvenuto nell’Upper East Side, saprai presto di amarmi.
Xoxo Gossip Girl
 
 
~
 
Non era stato facile rivelare ciò che era accaduto: erano partiti nell’Ottobre dell’anno precedente alla volta di Parigi. Aveva sempre amato l’Europa e, in particolare, la città dell’amore era sembrata la meta ideale per vivere quella che avrebbero definito di lì a poco una vera e propria relazione; il motivo per il quale non aveva esitato a lasciare New York pur di stargli accanto e non perdere l’occasione di constatare se, come aveva ritenuto, fossero davvero destinati a restare uniti. Era stato più che ben accolto dalla famiglia con la quale era cresciuto, Sebastian non si faceva remore di elogiarne le qualità.  Sfortunatamente, con qualità Sebastian intendeva soprattutto quello che sarebbe stato preferibile che restassero celate al resto del mondo (come la sua presunta flessibilità e altri riferimenti di natura sessuale) che gli erano valse non poco imbarazzo e occhiate minacciose, inframmezzate soltanto dal sincero divertimento del padre di Sebastian e della matrigna.
Avrebbero dovuto prepararsi a trascorrere quel secondo Natale insieme ma, a differenza dell’anno precedente, avevano convenuto sarebbe stato più piacevole un viaggio o qualcosa di più privato, tanto più che gli Smythe sarebbero partiti per una crociera.
Non avrebbe pensato che una cena per due a lume di candela, l’atmosfera romantica e quelle parole che erano sgorgate dal profondo di se stesso mentre sostavano sotto le coperte, ancora vezzeggiandosi prima di addormentarsi, potessero cambiare tutto.
E non nel modo in cui avrebbe potuto sperare, almeno.
“Gli ho lasciato un biglietto e sono partito quando era già uscito di casa: è da quella sera che non lo vedo e neppure lo sento” aveva sospirato, lo sguardo cadde nuovamente sul proprio cellulare quasi sperando di scorgervi un guizzo di vita, un qualsiasi segnale.
“Immagino che tu abbia il terrore di chiamarlo”.
“Ci ho provato” ammise Kurt, la voce più flebile e si era tormentato un ciuffo di capelli più biondo, lo sguardo afflitto mentre scuoteva il capo. “… ho bisogno di tempo, ho pensato che allontanarmi potesse aiutarmi ma mi manca e ho il terrore di aver rovinato tutto”.
“Non hai fatto nulla di sbagliato” aveva sussurrato la giovane, il tono più dolce nel sussurrarlo ed allungare la mano a stringere quella dell’amico, il viso inclinato di un lato.
“Non volevo forzarlo ad una risposta se non si sentiva pronto” si era affrettato ad aggiungere, il tono persino più ansioso nel cercare lo sguardo di Blair, affinché ella comprendesse ciò che voleva dire. “… ma quel silenzio prima di augurarmi la buonanotte è stato…”.
Non sembrò trovare le parole adatte ma Blair annuì, stringendo la sua mano con entrambe le proprie.
“La prima volta che ho detto a Chuck che lo amavo, è stato un completo disastro” ammise, la voce più rauca al solo ricordo. “… sai cosa mi rispose? ‘Che peccato’”. Vide Kurt aggrottare le sopracciglia ma continuò a sorridergli.
“Stava passando un brutto periodo e forse non è stato il momento ideale ma questo non significava che io non fossi sincera o che lui non mi ricambiasse. Sapevo perfettamente che eravamo e siamo destinati ad essere un’unica cosa, persino quando mi ha respinta” aveva accarezzato l’anello appeso alla collana, una sorta di implicita promessa.
“Conosci Sebastian meglio di chiunque altro e lui lo sapeva prima che tu avessi il coraggio di dirglielo. Devi lasciargli il tempo di sentirselo dire e di dirlo a sua volta”.
Un sorriso sfiorò le labbra di Kurt malgrado gli occhi lucidi e si protese a stringerla in un abbraccio: affondò il viso contro la sua spalla e socchiuse gli occhi, lasciò che quel dolce calore gli penetrasse nell’anima e lì trovasse finalmente respiro.
“Grazie, Blair” aveva bisbigliato ed ella aveva sorriso, carezzandone dolcemente i capelli sulla nuca.
“Andiamo adesso, una bella cenetta e una notte di riposo: non avrai intenzione di rinnovare l’antitetanica e alloggiare da Humphrey, vero?”.
Si alzarono in piedi per recuperare le loro giacche quando il trillo del cellulare di Blair ruppe il silenzio e sorrise.
“Scommetto che Gossip Girl ha seguito i tuoi spostamenti e ora parlerà del nostro meeting e-“ si interruppe, gli occhi sgranati e le labbra tremanti mentre Kurt si avvolgeva la sciarpa intorno al collo e la osservava, il viso inclinato di un lato.
“Non dirmelo” commentò con una smorfia. “… hanno preso il mio profilo peggiore” inarcò le sopracciglia allo sguardo preoccupato della brunetta.
“Blair?”.
“No, solo l’ultima conquista di Serena” si strinse nelle spalle ma Kurt si irrigidì.
“Sebastian?”.
La brunetta si morse il labbro, sembrò indecisa ma quando il ragazzo si fece avanti, si irrigidì.
“Non devi credere a tutto quello che dice: sono sicura che ci sia una spiegazione” si era affrettata a dire mentre Kurt porgeva la mano con il palmo rivolto verso l’alto.
“Il cellulare, per favore”.
Sospirò ma allungò il telefono e lo vide impallidire alla vista della fotografia: i lineamenti del ragazzo – il cosiddetto Mister X – erano molto sfocati poiché si trattava di un fotogramma tratto dalle telecamere dell’aeroporto, secondo la didascalia, ma la sagoma di Sebastian era perfettamente riconoscibile.
Strinse le labbra ma non disse nullo, lo porse alla legittima proprietaria che ne strinse la mano.
“Vuoi che assuma un sicario? O un appuntamento al centro benessere: abbiamo accumulato così tanto stress che rischiamo le rughe precoci e-“.
Kurt le sorrise ma scosse il capo.
“Se non ti dispiace, preferirei fare una passeggiata prima di incontrarci per cena: ti chiamo più tardi” si chinò a baciarle la guancia ma non protestò quando ella lo strinse un altro istante e lo osservò andarsene con sguardo rammaricato.
“Dorota!” esclamò quando vide, dalla finestra, Kurt entrare nel taxi.
“Sì, signorina Blair? Devo convocare un meeting?”.
“Non adesso” rispose laconica l’altra, l’ombra di un sorriso malefico sulle belle labbra, prima di osservarla e Dorota sembrò irrigidirsi.
“Conosco quella faccia”.
“Caro Sebastard, è ora che tu ti ricorda chi è Blair Waldorf”.
 
 
~
 
La giornata era trascorsa con una monotonia quasi asfissiante: aveva acceso il proprio portatile, la pagina internet collegata alla malefica pagina di gossip. Sperava che, allontanandosi da New York, sarebbe finito anche il momento di doverla consultare e, a più riprese, per scoprire cosa stesse accadendo (o non accadendo) tra lui e Sebastian. Era come se, una volta tornati in quella giungla coi grattacieli che era Manhattan, come chiunque altro divenissero pedine di un gioco perverso nel quale le persone sembravano più vicine che mai ma costrette ad una lontananza fisica, spesso soltanto una metafora di quella emotiva. Sospirò per l’ennesima volta quando fu chiaro che il sonno avrebbe faticato a giungere: in realtà non era più riuscito a dormire perfettamente, da quella notte nella quale, pur respirando il suo profumo, e sentendo il calore del suo corpo, sembravano già divisi e lontani.
Si sollevò con il torso e rimase seduto immobile sul letto, la sola luce proveniva dalla finestra, la luna illuminava quel piccolo ambiente familiare e confortevole. Sollevò per l’ultima volta lo schermo del portatile, in attesa che le immagini tornassero sullo screensaver. L’ultimo post era ancora di fronte a sé, beffardo come sempre.
 
E mentre Sebastihard indica a Mister X la direzione per la sua camera da letto, il Ragazzo Porcellana rientra, con la coda tra le gambe, a Brooklyn. Che lui e il Ragazzo Solitario[7] stiano progettando una rivalsa contro i Principini dell’Upper East Side?
Ma dopotutto, il Natale è il tempo del perdono e del riavvicinamento, ma forse Sebastihard dovrebbe considerare qualcosa di più dello spargere il suo amore al prossimo.
E’ tempo che anche la vostra Gossip Girl abbia il suo meritato riposo ma non preoccupatevi: si promettono vacanze poco Kurtbastian ma sicuramente scongiureranno il gelo caduto su Manhattan.
Xoxo Gossip Girl.
 
 
Una vaga smorfia apparve sul volto ma scosse il capo e spense definitivamente il computer: non sarebbe più voluto sottostare alle maligne insinuazioni di quel sito di gossip. Era più che sicuro che vi fosse una spiegazione plausibile e che lui e Sebastian avrebbero affrontato la questione come due persone adulte e civili. Il fatto che ancora non lo avesse chiamato era giustificabile perché, ovviamente, voleva lasciargli il tempo di farlo per primo. Soprattutto, confidava nella sua sincerità circa anche la possibilità che fosse davvero interessato a quel ragazzo seppur, fino ad appena due giorni prima, stessero progettando le vacanze. Insieme. Prima che gli dicesse quelle parole che sembravano aver congelato tutto. Sì, congelato era il termine più opportuno.
Ma, dopotutto, era arrivato a sua volta a New York, probabilmente in uno slancio di cavalleria (?) aveva deciso di seguirlo: dubitava volesse trascorrere le vacanze con la madre naturale, visti i panegirici ben poco lusinghieri che riservava a lei e alla famiglia allargata. Si morse il labbro ma scosse il capo.
Era solo questione di tempo ma il calendario gli ricordava, ad una maniera beffarda, che avrebbe rischiato di trascorrere da solo la Vigilia di Natale.
Si sorprese non poco nello scorgere la luce accesa nello studio di Dan, dopo esser uscito con l’intento di bere un bicchier d’acqua: si avvicinò, una mano pronta a bussare ma il giovane lo vide e gli fece cenno di entrare. Era seduto di fronte al computer: il viso pallido e le occhiaie evidenti ma per lo meno aveva scongiurato di lasciarsi crescere troppo i riccioli che, confusi alla barba, lo facevano somigliare ad un uomo delle caverne.
“Non dormi neppure tu?” aveva chiesto Kurt ma l’altro aveva scosso il capo.
“Mi diletto a credermi uno scrittore e l’ispirazione non ha orari” aveva commentato e Kurt aveva annuito con un vago sorriso.
“Il sequel di “Inside”[8]?”.
“A quanto pare il mio primo suicidio sociale non mi è bastato o forse sono particolarmente masochista”. Aveva replicato l’altro con un sorriso divertito a mascherare i suoi reali pensieri.
“Credo che il tuo libro rispecchiasse perfettamente lo stato d’animo della città, certo non tutti colgono l’ironia pungente o ciò che si cela al di sotto e di più… sentimentale”.
“Dubito che i flirt di Serena o gli intrighi di Blair possano-“.
“Non hai mai pensato di dirle cosa provi?[9]”. Aveva domandato schiettamente e lo aveva visto inarcare le sopracciglia prima di scuotere il capo. La mano era salita a tormentarsi i capelli riccioli prima di sorridere più amaramente e scuotere il capo.
“A quale scopo?”. Aveva domandato soltanto ed apparso stanco.
“Essere sincero con te stesso, non credo sia sbagliato”. Fu la pronta replica di Kurt.
“Imporle sentimenti che non ricambierebbe sarebbe inutile se non per dare prova di ulteriore masochismo almeno… non sono così kamikaze. O forse sì” gettò uno sguardo al proprio portatile, le sopracciglia inarcate con quell’evidente autoironia che celava ben altro ma Kurt scosse il capo.
“Non le dai la possibilità di vedere chi sei realmente”. Aveva sospirato, guardandolo di traverso.
“Se c’è una cosa che si impara a vivere nell’Upper East Side, è che farlo sia il più grande errore”.
“La maschera può essere svelata e alla fine ognuno dovrà mostrare ciò che realmente è, con tutti gli annessi e connessi e il rischio di un rifiuto”.
“Oppure si può restare nell’ombra, analizzare dall’esterno con occhio più oggettivo e decidere, semplicemente, di lasciare andare le cose quando la propria presenza è destinata ad essere una comparsa e non un protagonista”. Aveva ribattuto Dan e Kurt ancora una volta era affascinato da quel loro scambio di aforismi e di riflessioni che andavano ben oltre gli episodi narrati in un libro.
“Un sacrificio d’amore?” chiese con voce più velata.
“Io lo avrei definito un suicidio emotivo ma mi piace il tuo romanticismo”. Aveva ribattuto Dan sorridendogli complice.
Sorrise, Kurt, un sorriso più amaro prima di sospirare: poteva esserci del sensato in quello che diceva Dan? Dopotutto, egli, per deformazione professionale, era un ottimo osservatore della natura umana ma, d’altro canto, quanto quei luoghi comuni e frasi di repertorio potevano essere idonee se accostate ad una personalità come quella di Sebastian o un rapporto come il loro che aveva sempre ritenuto al di sopra di regole o di luoghi comuni.
“Buonanotte, Dan”.
Uscì dalla stanza più stanco che mai e faticò ancora più del previsto a trovare il giusto riposo.
 
~
 
Sveglia, amici dell’Upper East Side!
E’ la Vigilia del Natale: è il tempo per gli ultimi acquisti, le visite ai parenti che non vorremmo vedere durante il corso dell’anno, un’ultima occhiata alla lettera per Santa Claus, il momento dello shopping selvaggio alla ricerca di un abito da sfoggiare per una serata mondana ma, soprattutto, è il momento di trovare un modo di imbucarsi alla festa dei Van Der Woodsen.
A quanto pare, il Natale è davvero la festa delle riconciliazioni e dei gesti d’amore: avvistato, SebastiHard esce dal palazzo della cara madre e, questa sì che è una novità!, è solo ma sembra frettoloso di andarsene. Che la nostra Lily possa conoscere Mister X prima di tutti noi?
Ma non preoccupatevi, non sarà più così anonimo, anche io ho in serbo un regalo per voi, miei fedeli amici: ma, dovreste conoscermi, ogni cosa a suo tempo e domattina non cercherete i regali sotto l’albero, garantito!
 
Eleanor, con grande piacere ed imbarazzo di Kurt, lo accolse con lo stesso entusiasmo della figlia: seppur i dipendenti non dovessero lavorare quella mattina, si erano tutti riuniti nell’atelier ed avevano entrambi mostrato i loro progetti e disegni sulla nuova linea di moda a immagine e misura di quella che sarebbe stata ufficialmente riconosciuta come “Queen of Manhattan”.
“E’ davvero meraviglioso riaverti con noi, Kurt. Se intendi stabilirti anche dopo le feste, avrai un posto fisso qui”. Aveva commentato e la stessa Blair aveva sorriso con evidente entusiasmo all’idea. Anche Kurt sorrise, uno scintillio più dolce che ne fece baluginare lo sguardo azzurrino.
“Sono molto lusingato ma-” Eleanor gli appoggiò la mano sul braccio.
“Non devi darmi subito una risposta: attenderò dopo le feste ma, credimi se te lo dico, ho visto molti giovani ambiziosi e di discreto talento ma nessuno mi ha entusiasmato quanto te. Credo che tu e Blair, insieme, potrete fare grandi cose”.
Una sfumatura più rosate alle gote ma Kurt sorrise nuovamente.
“Le prometto che ci rifletterò sopra con molta attenzione” aveva asserito il giovane la cui testa sembrava cominciare a girare vorticosamente.
Non aveva ancora perfettamente idea di ciò che sarebbe potuto accadere tra lui e Sebastian. Ma l’idea di poter avere un nuovo inizio e in una città che prometteva simili ed irripetibili occasioni, era non poco suggestiva.
Il meeting si era presto concluso ed Eleanor si era congedata ma appena Kurt si alzò per indossare nuovamente il suo cappotto, Blair gli strinse affettuosamente il braccio.
“Sei pallido: riesco a riconoscere le occhiaie anche da sotto un correttore di marca come il tuo”. Kurt aveva scosso il capo, un vago sorriso ironico ma prima che potesse rispondere, entrambi i cellulari erano suonati nello stesso istante.
“Gossip Girl” sussurrarono all’unisono.
 
 
Per chi ancora non si è svegliato, c’è sempre la speranza di una bella colazione a letto: soprattutto se a portarvela è niente poco di meno di un SebastiHard al massimo della forma. Avvistato mentre esce da una caffetteria della Fifth Avenue: busta gigante e caffè per due. Ragazzo Porcellana è il momento di uscire allo scoperto, lascia che B risolva da sola l’eterno enigma su quale cerchietto abbinare all’abito da sera per la festa di Chuck Bass, Mister X non sta certo trafficando tra le stoffe!
 
“Cerchietto? Ma per favore, sono finiti i tempi della Constance e neppure un commento sul nostro meeting di stamani, tutta colpa di Sebastard!” aveva commentato aspramente la giovane, un arricciare del nasino e il corrugamento delle labbra mentre Kurt insinuava il cellulare nella tasca prima di indossare i guanti.
“Ho deciso: se è uno scandalo quello che vuole, lo avrà”.
“Oh, vuoi andare nel quartiere gay di Chelsea e trovarti un accompagnatore: posso venire ad aiutarti a scegliere?”.
Il ragazzo aveva sgranato gli occhi.
“Ho bisogno di un nuovo tight: andrò alla festa di Lily, senza invito”.
“Oh, non preoccuparti: chiamerò S, ti farà entrare dalla porta di servizio. Niente è meglio dell’attacco a sorpresa!” Kurt aveva notato come lo sguardo della giovane si era pericolosamente acceso, come ogni volta che sembrasse macchinare qualcosa. Aveva sorriso ma aveva scosso il capo.
“No, Blair, non intendo abbassarmi al suo livello: siamo due adulti, risolveremo la questione senza intrighi e macchinazioni. Ma puoi venirmi ad aiutare a fare shopping”.
La giovane aveva fatto un vago cenno della mano come a scacciare una nuvola di moscerini.
“Non ci sarebbe gusto: sceglieresti sicuramente il modello migliore e non potrei criticarti”.
L’altro rise.
“Ecco perché non ci divertiamo a fare shopping insieme, grazie comunque. Ti chiamerò” le aveva baciato la guancia e si era allontanato.
Attese di sentire la porta chiudersi ma stavolta non vi fu bisogno di chiamare la sua solerte governante perché quella entrò con un sospiro.
“Ha sentito, Signorina Blair? Niente complotti, il signorino Hummel è stato chiaro e-”.
“Kurt non sa quello che è meglio per lui e poi sono stanca di stare a guardare e lasciare il divertimento a Gossip Girl. Piuttosto, hai fatto quello che ti ho chiesto?”.
Osservò il fascicolo di fogli che la donna recava con sé: le porse la mano ma questa indietreggiò.
“Non credo che sia una buona idea”.
“Non sei pagata per pensare, Dorota. Se non vuoi che ti spedisca a lavorare a Brooklyn, dammi subito i dati che hai raccolto”.
“Soltanto per il signorino Hummel”.
Blair aveva preso il fascicolo con un gesto secco prima di inarcare le sopracciglia.
“Blaine Anderson” lesse dopo essersi seduta sulla poltroncina. “… nato a Westerville… Accademia Dalton, diplomato col massimo dei voti ma a me servono scandali e-“.
Era inorridita con un gemito alla vista di una fotografia che lo ritraeva con un vistoso costume dal mantello blu.

 
“Non posso credere che Sebastard tradisca Kurt con la versione gay di Batman!”.
“In realtà si fa chiamare Nightbird, il Vendicatore Notturno” commentò Dorota cercando di dare alla propria voce un tono misterioso ma la ragazza l’aveva osservata quasi schifata.
Aveva sollevato gli occhi al cielo e sembrò conteggiare fino a dieci prima di riprendere.
“Non hai capito nulla Dorota! Quello che mi serve sono scandali con cui ricattarlo: genitori alcolizzati, un fratello erotomane, uno spaccio di droga, coinvolgimento in un reato, questa è solo spazzatura”. Lasciò cadere il plico con le foto e le documentazioni e accavallò nervosamente le gambe.
“Forse perché questo Blaine Anderson è un bravo ragazzo, Gossip Girl sta solo mettendo in giro delle calunnie e facendo soffrire il signorino Hummel. Mi creda, la cosa migliore è che lasciamo che i due parlino come persone adulte e civili”.
“Sebastard nasconde qualcosa, se non posso arrivare a lui dovrò prendere questo traviato notturno”.
“Vendicatore Notturno” lo corresse l'altra.
“Quello che è” cacciò la precisazione con un cenno distratto della mano.
Digitò rapidamente il nome del sito di Gossip Girl, cercò tra le mappe e sorrise.
“Ma guarda, sembra che il nostro fringuello notturno sia solo in questo momento”.
“Oh, no, non mi piace quello sguardo”.
 
Sorrise quando vide il numero sul display del proprio cellulare e se lo portò immediatamente all’orecchio.
“Ciao Nick, allora, siete arrivati all’albergo?”. Un sorriso nell’ascoltare le parole del suo interlocutore prima di annuire meccanicamente o emettere qualche parola di conferma e di approvazione.
“Perfetto. Sembra che sia tutto perfetto per stasera, Sebastian è molto esigente: allora ti mando l’indirizzo, ciao Nick, a più tardi!” chiuse la comunicazione con un sorriso proprio nel momento in cui una limousine posteggiava di fronte a lui.
La portiera del passeggero fu aperta e Blaine osservò la giovane che ne usciva, un sorriso ne increspava le labbra.
“Blaine Anderson, temo proprio che Sebastard dovrà fare a meno di te”.
“Cosa-?”.
Non poté aggiungere altro perché il fedele autista di Chuck Bass lo spinse dentro, attese che anche la giovane Waldorf entrasse e chiuse la portiera.
La limousine sfrecciò rapidamente tra le strade di Manhattan.
 
 
~
 
La ricerca dell’abito perfetto per una simile occasione non era stata tra le più semplici malgrado il suo innato gusto per la pregiata sartoria e malgrado la propria creatività. Non che esistessero tight che potessero esprimere un pensiero come “mi stai davvero tradendo?” o “siamo ancora una coppia, giusto?” o “Anche se non me lo hai detto, so che mi ami” o qualcosa che potesse sintetizzare tutte queste opzioni. Ciononostante, lo shopping era stato piuttosto rilassante: se non altro il fruscio della seta, il tastare le stoffe e il potersi contemplare di fronte ad uno specchio e scegliere tra diverse nuance di camicie e di cravatte, era stata comunque una piacevolissima distrazione da tutto il resto. Momentanea però.
Spegnere il cellulare per evitare qualsiasi altra contaminazione di Gossip Girl non era stata una sbagliata iniziativa: aveva preso la sua decisione ed era in quei momenti nei quali dava sfoggio di tutta la propria determinazione, che sentiva di essere perfettamente in grado di gestire ogni cosa.
Era sceso dal taxi con un sospiro: si era rimirato per un’ultima volta prima di entrare nel palazzo, salutò con un sorriso Vanya, il portiere, ma notò che non aveva dato segnali di nervosismo, soltanto una lieve sorpresa. Evidentemente era anch’egli un abitudinario di Gossip Girl oppure aveva visto da poco Sebastian salire con quel famigerato Mister X e probabilmente immaginava che avrebbe scatenato una scena madre che sarebbe stata melodrammatica ed isterica, qualcosa di cui quelli dell’Upper East Side erano sicuramente avvezzi.
Niente di tutto questo e la dose di camomilla che si era propinato prima di uscire dal loft era stata una forma di precauzione salutare.
Sarebbe entrato, avrebbe fatto gli omaggi del caso alla padrona di casa (accidenti! Aveva dimenticato le rose, il che era un evidente segnale di quanto fosse stressato. Insomma, recarsi e conoscere per la prima volta la madre naturale del proprio ragazzo, infiltrarsi nel suo attico, irrompendo in una festa a cui non era stato invitato e per di più a mani vuote. Forse non aveva del tutto torto Dan a sostenere che l’Upper East Side fosse una sorta di lato oscuro), si sarebbe complimentato per i pezzi d’arte che erano presenti nell’appartamento, per la sua mise e l’acconciatura e poi lo avrebbe scovato. Che fosse solo o in compagnia non gli sarebbe importato: si sarebbe presentato come il suo legittimo accompagnatore e, una volta che si fossero isolati dagli altri invitati, avrebbero avuto un ragionevole scambio di opinioni.
Come si doveva a due persone adulte e mature.
Se lo stava ripetendo da che le porte dell’ascensore si erano chiuse ma ciò non era bastato a tranquillizzarlo: quei momenti in attesa di giungere al piano designato, infatti, parvero protrarsi ad una maniera quasi infinita ma prese un bel respiro quando la salita terminò.
Si prese un solo istante prima di uscire dall’abitacolo che appariva come ultimo lido sicuro ed era infine entrato nel lussuoso appartamento: malgrado l’ironia che aveva dimostrato a più istanze, Sebastian non aveva esagerato nel descrivere lo sfarzo e l’eleganza che lo circondavano. Il locale era gremito di persone in abiti sfavillanti e gioielli, come si era immaginato, e aveva fatto nervosamente vagare lo sguardo tutto attorno, cercando qualche viso noto: riconobbe Nate Archibald (“non arrossire, non arrossire, non arrossire”), Serena Van Der Woodsen e la donna che si stava avvicinando non poteva che essere:
“Lily Humphrey” si presentò tendendogli la mano (si era quasi dimenticato che il padre di Dan aveva sposato la madre di Serena e di Sebastian) con un sorriso e il ragazzo ne strinse le dita delicate e diafane, notando appena l’anello con il diamante più grande che avesse mai visto da così vicino. Un’ondata di soave profumo lo avvolse e ne rimirò l’eleganza e la pacatezza mentre si prestava ad un galante inchino, dopo averle sorriso.
“Mi perdoni per l’intrusione, sono Kurt Hummel e-”.
“Sono davvero lieta di conoscerti, finalmente” aveva commentato, stringendogli meno formalmente il braccio e riservandogli un sorriso più dolce mentre inclinava il viso di un lato e sorrideva ad una maniera appena più ironica. “… anche se speravo che fosse Sebastian a presentarci come si conviene ma, lo conosci meglio di me, le convenzioni sociali non sono il suo forte” aveva sospirato con fare più stoico che aveva fatto sorridere Kurt.
Non poteva biasimare Sebastian per riconoscere nella nuova compagna del padre, la donna che gli era stata davvero accanto nel suo percorso di crescita, una vera madre. Ma non poteva non ammirare l’eleganza della donna che gli era posta di fronte e quel garbo persino nel parlare di qualcosa di spinoso, quale l’atteggiamento di Sebastian stesso.
“Speravo proprio di poter parlare con lui” aveva commentato e l’aveva vista inarcare le sottilissime sopracciglia, ciononostante la fronte rimase liscia (botox? Si domandò tra sé e sé) prima che sorridesse vagamente divertita.
“Temo ci sia stato un equivoco” aveva convenuto e Kurt si era sentito il cuore sospeso in gola, non riuscendo a comprendere se le implicazioni fossero o meno positive ma si sforzò di dimostrare una certa non chalance mentre la donna gli faceva cenno di attendere.
Tornò poco dopo con una busta che gli porse.
“C’è il tuo nome scritto sopra” aveva sorriso e il ragazzo aveva riconosciuto, un tuffo al cuore, la calligrafia di Sebastian: quello, se non altro, spiegava perché Lily non fosse rimasta particolarmente sconcertata dal suo arrivo.
Con dita quasi tremanti, estrasse il cartiglio: notò distrattamente che, sulla parte bassa del foglio, era stato riportata l’indicazione di un indirizzo ma si concentrò sul messaggio vero e proprio.
 
Bel tentativo, tesoro.
Francamente mi ritengo offeso da simile mancanza di fiducia, ma, dopotutto, persino io a Natale mostro il mio lato migliore.
Raggiungimi a questo indirizzo.
E, Kurt, cerca di non fare il faccino “colpevole” fin quando non varcherai la soglia dell’appartamento. Sono sicuro che troverai modi ingegnosi per farti perdonare.
Ti aspetto,
Sebastian
Ps: vorrei vedere quanto sei arrossito in questo momento: sai che lo adoro.
 
Tipico di Sebastian. Non soltanto perché aveva letto quel messaggio intonandolo, nella sua mente, con la voce dell’altro ragazzo ma perché si sarebbe quasi aspettato di vederlo spuntare dietro la parete, il sorrisetto suadente e sicuro di sé e lo scintillio beffardo dello sguardo.
Qualunque cosa facesse, era sempre in grado di prevedere le sue mosse e agire di conseguenza ma probabilmente quella era una delle tante sfaccettature che aveva imparato ad apprezzare ed amare. Rimirò ancora il biglietto, un sorriso trasognato malgrado il colorito rosato sulle guance, un dolce martellare del cuore che già aveva una familiare sensazione di qualcosa di conosciuto e di proprio, prima di schiarirsi la gola.
“Io-” avrebbe dovuto sicuramente far pagare a Sebastian l’imbarazzo che gli stava procurando: non avrebbe potuto spedire quella lettera a Brooklyn o all’atelier di Eleanor? Immaginò che ciò facesse parte della sua personale punizione e divertimento alle proprie spalle.
Lily si limitò a sollevare il calice.
“Per favore, Kurt, digli che mi farebbe piacere rivederlo prima che torniate in Europa” gli aveva nuovamente allungato la mano.
“Buon Natale”.
 
~
 
Rilesse il messaggio con le sopracciglia aggrottate e l’espressione stizzita: detestava quando qualcosa sfuggiva al suo controllo di abile stratega e manipolatore delle azioni altrui. Ma, dopotutto, lo constatò sorridendo quando sentì bussare alla porta, poteva elogiarsi mentalmente per lo splendido operato compiuto fino a quel momento.
Un ultimo sguardo tutto attorno prima di avvicinarsi alla porta e schiuderla: il sorriso divenne persino più impertinente nel riconoscere i lineamenti dell’altro. Inclinò il viso di un lato, le labbra smosse in quell’espressione di puro compiacimento.
“Ciao tesoro” lo salutò, vezzeggiando ironicamente, come sempre, quel nomignolo e Kurt sospirò, sollevando momentaneamente gli occhi al cielo, seppur fosse palese la gioia e la dolcezza nel rivederlo, soprattutto dopo quella partenza improvvisa.
Non lo avrebbe probabilmente ammesso neppure sotto tortura ma era stata una sensazione angosciante di abbandono e di fragilità quando, rientrato nella loro camera, tutte le sue cianfrusaglie inutili (che passava metà del tempo a calciare o criticare quando era assente) e soltanto quel biglietto scritto nella sua calligrafia svolazzante e tondeggiante.
Si era dovuto sedere prima di leggere il contenuto dello stesso e quella improvvisa e sconclusionata partenza che aveva ricondotto all’episodio della sera precedente.
Stupido sentimentale, lo aveva rimproverato mentalmente ma si era affrettato a prenotare un biglietto di prima classe prima di orchestrare tutto il piano che avrebbe messo in atto: se per Gossip Girl era stato una star, avrebbe potuto facilmente sfruttarla a proprio favore. Equivoci ed intrighi gli erano piuttosto congeniali anche senza riconoscersi legittimo erede di quel mondo dall’aura dorata attorno ma teatro di ipocrisie e di falsità, tollerate soltanto in nome dei cognomi prestigiosi delle famiglie che lo dominavano. La lotta al potere non era mai stata una sua ossessione, se non quando era suggestivo usare i loro stessi strumenti per i propri scopi.
Kurt aveva esitato sulla soglia: si era tolto il cappotto che teneva piegato sul braccio.
“Credo che dovremmo parlare e-”.
Gli aveva posato un dito sulle labbra morbidamente spalmate di quel burro cacao di cui amava privarle fin troppo spesso, un sorriso nel notare lo scintillio dello sguardo e il successivo rossore sulle gote. Era stato tentato di carpirle fin da subito ma dopotutto non vi era fretta, ora che era lì, alla sua mercé.
“Non adesso: è ora di cena”.
Lo aveva privato del cappotto che aveva riposto sull’attaccapanni prima di rimirarlo in quel nuovo tight, cingendolo appena da dietro e morsicandogli il lobo dell’orecchio, respirando sulla pelle sensibile del collo.
“Un nuovo completo? Non vedo l’ora di toglierlo” aveva sussurrato suadente, sorridendo del suo trasalire visibilmente prima di prenderlo per mano – una stretta decisa per quanto delicata – e condurlo nella cucina nella quale il catering aveva già apparecchiato una sontuosa tavola per due a lume di candela.
Sebastian sorrise nel notare il suo stupore prima di avvicinarsi ad una delle due sedie e tirarla all’indietro affinché il giovane potesse sedersi.
“E poi dici che non sono romantico” lo rimproverò con fare suadente, lasciandolo accomodare prima di avvicinarsi alla tavola: riempì due calici con lo champagne prima di sedersi a sua volta e poi sollevare il suo verso quello dell’altro.
“Al primo Natale a New York”.
Kurt parve sorpreso a quella proposta di brindisi ma non obiettò e fece cozzare gentilmente il bicchiere contro quello dell’altro prima di deliziarsi della cena.
 
 
La cena era stata perfetta e ben presto, superati quei minuti di imbarazzo (il proprio), si era immerso nel racconto del suo arrivo, della sistemazione a Brooklyn (aveva ignorato il suo arricciare il naso con lo stesso fare altezzoso e bizzoso di Blair) e dell’offerta di lavoro di Eleanor che lo aveva fatto sorridere persino con fare più impertinente.
Ciononostante, una parte di sé era ancora inquieta: sapeva che non si sarebbe sentito completamente tranquillo fino a quando lui e Sebastian non avrebbero affrontato anche i loro sentimenti, soprattutto quella sua dichiarazione che era sembrata sospesa in silenzio.
Ancora una volta, mentre sostavano sul divano, di fronte al bel camino acceso, Sebastian sembrò interpretarne perfettamente i pensieri.
“So cosa vuoi chiedermi e la risposta è no, non ho un amante… almeno non in questa città” aveva soggiunto al suo orecchio con intento più scherzoso ma aveva indugiato vicino al suo viso ed era stato Kurt a sottrarsi, ritraendosi per poterlo guardare in viso.
Sapeva che se gli avesse permesso di prendere quel tipo di iniziativa, non sarebbe stato in grado di fermarlo fino a quando le parole non fossero divenute superflue e le coperte li avessero nuovamente avvolti in quel calore di pelle, respiri e di profumi fusi in un’unica cosa.
“Non è questo” di fronte all’inarcare delle sopracciglia di Sebastian, alquanto scettico, aveva aggiunto: “… ero geloso, sì, ma non significa non abbia fiducia in te” gli aveva appoggiato la mano sulla guancia, a trattenerlo in quel contatto di sguardi, quasi sperando che, così facendo, le sue parole fossero ancora più comprese dall’altro.
Era certo fosse così perché lo vide annuire e rilassarsi, gli cinse la vita con un braccio a trattenerlo pur aspettando che continuasse.
Aveva preso un profondo respiro, improvvisamente neppure più ricordava il discorsetto che aveva imparato a memoria e che sembrava perfetto, almeno fin quando lo aveva ripetuto allo specchio (tutta la mezzora precedente all’uscita, persino quando annodava la cravatta) ma, come immaginava, contemplarlo così da vicino era sempre deleterio per le sue sinapsi.
“Quello che ho detto l’altra sera era vero” aveva rafforzato la pressione con cui ne cingeva la guancia, malgrado il rossore sulle gote. “Io ti amo” aveva sussurrato, guardandolo dritto negli occhi e sentì la pressione del braccio di Sebastian farsi più intensa, lo scintillio più dolce delle iridi ma prima che potesse interromperlo o sporgersi, continuò.
“Ma l’ultima cosa che voglio è che tra noi ci siano imbarazzi o tensione: mi dispiace di essermene andato così e ti prometto che rispetterò i tuoi tempi e-”.
Sebastian aveva sollevato gli occhi al cielo prima di interromperlo bruscamente: ne aveva cinto la guancia con una mano e ne aveva carpito le labbra in un contatto improvviso ma intenso. Kurt sorrise sulle sue labbra, un mugugno arrendevole prima di cingerne il collo a trattenerlo, prima di sentire il suo corpo adattarsi perfettamente alla cerchia creata dalle braccia di Sebastian, prima di sentirlo attrarlo a sé fino a farlo sedere sulle proprie gambe.
Era tutto perfetto, si disse, lasciando che gli artigliasse i capelli a trattenerlo un altro istante: quello necessario a dare un nuovo sapore a quel contatto, a fargli comprendere quanto gli fosse mancato, quanto fossero un’unica cosa e quanto ormai la sua vita fosse assuefatta alla sua presenza.
Mugugnò quando Sebastian si scostò ma lo guardò dritto negli occhi e questi appoggiò la fronte alla sua.
“Volevo fosse speciale” bisbigliò. “Ho assunto quel ragazzo e il suo coro per farti una sorpresa di quelle stucchevoli e diabetiche che ti piacciono tanto ma la tua malefica amica di cerchietto mi ha preceduto, dovrai accontentarti di me”.
Se aveva inarcato le sopracciglia alla menzione di Blair (povero Mister X, non lo invidiava per nulla!), non aveva potuto che sorridere più dolcemente: si era sporto nuovamente al suo viso, un vago sorriso.
“Potrei farlo”.
Era stato Sebastian a ritrarsi questa volta: un sorriso all’espressione poco lieta di Kurt prima di porgergli un pacchetto che questi aveva preso con un sorriso entusiasta.
“Ho lasciato il tuo-”.
“Aprilo e basta” sembrava fremente.
Inarcò le sopracciglia alla vista della chiave in ottone e Sebastian lo guardò in viso:
“Dimmi di sì e questa sarà la nostra casa: potrai lavorare per Eleanor o creare un atelier tutto tuo. Io proseguirò qui i miei studi: è il mio momento di dimostrare che sono pronto a seguirti ovunque”.
Vi era una reale commozione nello sguardo di Kurt ma lo baciò nuovamente con foga.
“Devo prenderlo come un sì?”.
 
 
 
Lo aveva cullato fino a quando non era caduto nel torpore: ancora una volta ne aveva sfiorato la pelle diafana e delicata, si era beato del suo sguardo trasognato. Era stato un momento così intenso che avrebbe voluto poterlo immortalare in quel momento.
E tra il suo respiro e il suo profumo, il suo bacio e le sue carezze, una dolce conferma e una struggente promessa per l’avvenire.
“Ti amo”.
“Lo so”.
Sorrideva, Kurt, sereno come non mai quasi quel ritrovarsi fosse stato solo l'inizio di una nuova vita insieme. Una nuova tappa.
“Allora la prossima volta non scappare”. Lo aveva ammonito e, malgrado il sorriso, la stretta con cui lo legò a sé era evidente sintomo del suo bisogno di lui.
“Promesso”.
Aveva schiuso gli occhi dopo molte ore al sentire la vibrazione del proprio telefono: prese prima quello di Kurt ed inarcò le sopracciglia al messaggio che era giunto.
 
Kurt, il tuo Sebastard dopotutto non ti tradisce, anzi.
Temo di aver rovinato la sorpresa, mi farò perdonare!
B.
 
Grazie, Miss Cerchietto,
riscuoterò il pagamento quanto prima.
Dirò a Kurt che hai scritto… o forse no.
 
Rise del messaggio sul proprio cellulare.
 
[Da Blaine]
Sebastian… ho bisogno di aiuto. Una pazza mi ha letteralmente sequestrato.
 
Sorrise prima di sentire Kurt mugugnare e strusciarsi al suo collo: si chinò a baciarlo a fior di labbra prima di scattare la fotografia.
“Un sorriso per Gossip Girl”.
 
 
Devo ammetterlo, mio malgrado, mi sto affezionando a queste storie d’amore al sapore di zucchero e di intrigo. E a quanto pare in un locale dell’Upper West Side, non fa assolutamente freddo questa mattina. Dai Kurtbastian, auguri di buone feste ma non illudetevi.
Sarò sempre io la vostra regina, e sono sicura che l’anno prossimo riserverà nuove sorprese.
Ma per ora è tutto,
xoxo Gossip Girl.
 
 
Mi unisco ancora una volta al saluto finale di Gossip Girl.
Vi ringrazio di avermi seguita in questa settimana e auguro a tutti voi un buon Natale e un felice anno nuovo. Il mio sarà ancora all'insegna del Kurtbastian a prescindere da Murphy e, se lo vorrete, ci rivedremo nei capitoli di “Our Secret”.
Ma per oggi e questo 2012 è tutto, un saluto a tutti,
Kiki87


[1]              Questa è una delle abitudini di Blair, soprattutto nelle prime stagioni, quando è particolarmente tesa o giù di morale, la sua fedele domestica le propone sempre una passeggiata al parco e dare da mangiare alle oche, appunto ;)

[2]              Sorella di Dan Humphrey (il ragazzo che insulta sempre perché di Brooklyn: nel mio crossover era lui ad ospitare Kurt nel suo loft) nonché, per un certo periodo, tirocinante al servizio della madre di Blair. La prende in giro perché nel proseguire delle stagioni ha cambiato il suo look fino, appunto, a divenire abbastanza gotica nel vestire e nel truccarsi.

[3]              La Constance è l’istituto privato femminile frequentato da quasi tutte le protagoniste della fiction nonché uno degli scenari fondamentali della narrazione delle prime stagioni e della rivalità tra Serena e Blair per contendersi il ruolo di ragazza più popolare (usavano soprattutto il termine “regina”).

[4]              SPOILER per i fan di Gossip Girl. Nelly era una delle tirapiedi di Blair che, nella nuova stagione, vedremo come un’importante giornalista che seguirà gli esordi e le vicende dalla Waldorf Design con non poca frustrazione di Blair che l’accuserà sempre di essere poco obiettiva per i loro trascorsi.

[5]              Nella serie adoravo sentirla definire Chuck Bass: Bastard e non potevo non adottare nuovamente questa storpiatura del nome di Sebastian vista la poca simpatia e, probabilmente, un pizzico di gelosia per la sua anima gemella gay.

[6]              Questo intreccio di famiglie è meglio ribadirlo per aiutarvi: nel mio Crossover Lily è la madre naturale di Sebastian, ciò lo rende fratellastro di Serena (figlia di Lily e di William Van Der Woodsen). Non ha un vincolo di sangue con Chuck ma Lily è stata sposata con il padre di Chuck, Bart Bass, ragion per cui lo considera come un figlio (avendolo persino adottato in una delle prime stagioni) per cui Sebastian vuole assicurarsi che Chuck non spifferi tutto a quel surrogato di figura materna.

[7]              Nomignolo ironico che Gossip Girl ha affibbiato a Dan Humphrey.

[8]              Libro di Dan Humphrey nel quale raccontava, con pseudonimi, la vita nell’Upper East Side naturalmente creando non poche tensioni con gli altri protagonisti. Nella conclusione dell’ultima stagione, stava progettando un seguito ma senza più nomi in codice ma raccontando dei personaggi con i loro nomi reali.

[9]              Nel primo libro di Dan – per chi lo conosce bene come l’amica Vanessa – ne emergeva il suo amore segreto per Blair Waldorf alla quale, tuttavia, aveva stentato a lungo dal dichiararsi. Ma nel mio crossover non tenete conto della loro breve (ahimé T__T) storia d’amore.

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