Exchanges - Lo straordinario caso della Casa Maledetta di Jadis96 (/viewuser.php?uid=71639)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando ti ritrovi nei panni del tuo coinquilino sociopatico ***
Capitolo 2: *** Quando sperimenti cosa sia la vera noia ***
Capitolo 3: *** Quando il suddetto coinquilino sociopatico interpreta te stesso meglio di te ***
Capitolo 4: *** Quando la vittima del caso torna per puntarti un coltello alla gola ***
Capitolo 5: *** Quando ti dicono che stai facendo progressi ***
Capitolo 6: *** Quando ti scavi la fossa tra abbracci, Tardis nel giardino e coming out ***
Capitolo 7: *** Quando ti rilassi quando non dovresti: ecco cosa succede ***
Capitolo 8: *** Quando inizi a pentirti di non aver messo nessuno al corrente dei tuoi piani ***
Capitolo 9: *** Quando spari ad un assassino e questi ti restituisce il favore... con gli interessi ***
Capitolo 10: *** Quando provi ad invertire uno scambio di corpi confidando nella tua intelligenza superiore ***
Capitolo 11: *** Quando la situazione diventa scottante ***
Capitolo 12: *** Quando inizi ad avere uno strano presentimento ***
Capitolo 13: *** Quando pensi che, nonostante tutto, ne sia valsa la pena ***
Capitolo 1 *** Quando ti ritrovi nei panni del tuo coinquilino sociopatico ***
Ciao
a tutti! Questa è la mia prima long fic in questa
sezione, quindi ancora non so bene cosa ne uscirà fuori xD
Avevo già scritto
una one-shot su Sherlock, passateci se vi piacciono i cagnolini e il
genere
fluff, si chiama “Bulldog inglese”.
Per
quanto riguarda questa ff, lascerò decidere a voi
se mettere insieme Sherlock e il fantasy sia una buona idea o un
insulto alla
serie. Spero nella prima :)
Buona
lettura!
Sherlock aveva sempre
preferito che io non raccontassi il caso della Casa Maledetta ai miei
lettori.
“A chi
interessano i casi
irrisoli?”, diceva.
Ma stavolta era diverso: il
caso era stato risolto, eccome.
Eppure Sherlock provava un
grande senso di sconfitta per non essere riuscito a trovare una
spiegazione
razionale agli eventi a cui avevamo assistito.
Ma procediamo per ordine,
perché fatti tanto straordinari meritano di essere narrati
con accuratezza e
precisione.
Era lunedì 20
novembre,
quando Lestrade venne a Baker Street per offrirci quello che si sarebbe
rivelato il caso più strano che ci sia capitato tra le mani.
In realtà
inizialmente mi
parve banale e fin troppo semplice, tanto che pensai di ipotizzare io
stesso
una soluzione.
Ero già pronto a
sentire la
voce annoiata di Sherlock che mormorava “noioso”,
oppure “ovvio”, oppure (e
questo era quello che più aveva il potere di irritarmi)
“elementare”.
Ma, inaspettatamente, lui
rimase in silenzio per qualche istante, per poi dire, con un sorriso
compiaciuto, << Accetto il caso >>.
Mentre eravamo in auto,
ebbi
modo di farmi spiegare i particolari dell’omicidio di Samuel
Welch.
Questi era stato trovato
morto nel suo appartamento, apparentemente suicidatosi con un colpo di
arma da
fuoco alla testa. L’ipotesi che si trattava di omicidio era
emersa dalla
testimonianza di una passante, che giurava di aver visto dalla finestra
due
uomini immobili uno di fronte all’altro, e in seguito, dopo
essersi ormai
allontanata, il rumore di uno sparo.
La testimonianza era
attendibile, in quanto coincideva perfettamente con l’ora del
decesso.
Uno degli uomini era stato
identificato come Samuel Welch, mentre il secondo era parso
irriconoscibile
alla testimone perché si trovava di spalle rispetto alla
finestra.
L’edificio
conteneva tre
appartamenti in tre piani diversi.
In quello al pianterreno
vivevano i coniugi Joanne e Thomas Carlton, quest’ultimo
sospettato
dell’omicidio.
Al primo piano viveva
Samuel
Welch e al secondo un’anziana signora, che al momento
dell’omicidio era fuori
casa.
Prima di entrare Sherlock
si
soffermò sulla strada che conduceva all’edificio,
guardando la finestra del
primo piano da diverse angolazioni.
Doveva essere una casa
molto
antica, constatai, ma era stata restaurata spesso e pertanto aveva
un’aria
sicura e dignitosa.
Una volta
all’interno ci
dissero che il corpo era già stato rimosso, cosa che fece
innervosire Sherlock.
<< La sensibilità degli altri inquilini
è più importante della soluzione
del caso? >> sbottò irritato.
Ma in compenso la sagoma
della vittima era stata accuratamente tracciata con un gessetto.
Sherlock gli diede una
rapida
occhiata, per poi passare ad esaminare con più interesse un
vaso di fiori
frantumato, probabilmente caduto dal tavolino accanto alla finestra.
<< Su uno di
questi
frammenti di porcellana abbiamo trovato tracce di sangue appartenenti a
Thomas
Carlton. L’avrà fatto cadere e poi si
sarà tagliato… >> disse Lestrade.
<< Che
rapporto
intercorreva tra Welch e Carlton? >> chiese Sherlock.
<< Si
conoscevano da
molti anni. Era risaputo che fossero grandi amici…
personalmente trovo
improbabile che l’abbia ucciso lui >>.
Sherlock non parve
ascoltare
il resto della frase dalla parola “personalmente”
in poi.
Andò a curiosare
in tutte le
stanze della casa, e dopo qualche minuto si ritenne soddisfatto e si
apprestò
ad uscire.
<< Dove sono
i coniugi
Carlton? >> chiese infine.
<< Li stiamo
interrogando. Thomas non ha detto una parola, mentre Joanne sembra
voler
collaborare, pur sostenendo di non aver visto nulla >>
rispose Lestrade.
<< Bene. Per
ora è
tutto >> sentenziò Sherlock.
Durante il tragitto verso
casa fu silenzioso e pensieroso, ed io ebbi il buonsenso di non dire
nulla.
Sapevo come comportarmi in
quei momenti: il segreto era non parlare, non pensare troppo, non
fissarlo, non
muovermi, non respirare troppo pesantemente, spegnere il cellulare, non
incoraggiare nessun tipo di conversazione col tassista, e anche altro
all’occorrenza.
Quando arrivammo a Baker
Street mi ritirai nella mia stanza, lasciando Sherlock che pizzicava
distrattamente le corde del violino, immerso nei suoi pensieri.
Nelle ore successive mi
affacciai ogni tanto al soggiorno, ma la scena era sempre la stessa.
Mentre andavo a letto non
immaginavo minimamente che il giorno successivo sarebbe stato il
più strano
della mia esistenza.
Ricordo che, poco prima di
addormentarmi, mi chiesi cosa si provava ad essere Sherlock Holmes.
E nello stesso momento
pensai
ad una famosa frase di cui non avevo mai compreso appieno il
significato:
“attento a ciò che desideri, potresti
ottenerlo”.
Martedì 21
novembre è stato
ufficialmente il giorno più strano della mia vita.
Sì, so di averlo
già detto,
ma lo ripeto per ribadire il concetto.
Mi svegliai verso le sei,
circa un’ora prima del solito, e dal momento stesso in cui
aprii gli occhi
capii che c’era qualcosa che non andava.
Primo: ero sul divano. Che
ci
facevo sul divano?!
Ricordavo perfettamente di
essere andato nella mia stanza. Era Sherlock che era rimasto sul
divano, in una
meditazione che l’avrebbe tenuto certamente occupato fino al
giorno dopo.
Secondo: avevo in mano un
cellulare.
Era quello di Sherlock,
potevo distinguerlo facilmente anche nella semioscurità.
Ma ciò che
catturò
immediatamente il mio sguardo fu la mia mano. In realtà non
era esattamente la mia mano.
Era grande, magra, dita
lunghe e pelle chiara.
Dov’eravamo
rimasti? Ah sì,
terzo: la mia mano non era la mia mano.
Suona strano, tuttavia in
quel momento pensai proprio questo.
Mi alzai di scatto,
spaventato, ma fui costretto ad aggrapparmi al bracciolo del divano.
Perchè
sono così in alto?, pensai, mentre cercavo di ritrovare
l’equilibrio.
Mossi qualche passo
incerto,
rischiando di inciampare nei miei stessi piedi (ma perché
erano così grandi?!),
fino a riacquistare un po’ di sicurezza, dopodiché
mi precipitai in bagno.
Premetti
l’interruttore e,
esitante, mi voltai verso lo specchio.
Il mio primo impulso fu
quello di guardarmi alle spalle.
Non c’era nessuno.
Ma era impossibile.
Perché
altrimenti avrei visto Sherlock Holmes nello specchio in cui io mi stavo specchiando?
Decisi che era un sogno.
Sì, doveva
essere un sogno.
Mi avvicinai ancora di
più allo
specchio e alzai una mano, osservandola attentamente. Poi, determinato
a
mettere fine a quell’incubo, mi tirai uno schiaffo.
Attesi dieci secondi, poi
trenta, poi un minuto intero.
No, non poteva essere un
sogno, perché niente era cambiato. Però
c’era il dolore alla guancia, il che
poteva significare che ero effettivamente io
quello allo specchio.
Scrutai ancora il mio viso,
ma non ce n’era bisogno, perché lo conoscevo
benissimo e non era il mio viso,
era quello di Sherlock!
In quel momento mi posi una
domanda
spontanea: se, ammettendo per assurdo, quella era la realtà
ed io ero lui…
allora lui dov’era?
La risposta alla mia
domanda
giunse subito dopo come un tonfo secco provenente dalla stanza accanto.
Tornai in soggiorno,
misurando
con attenzione ogni passo, ma non appena alzai lo sguardo, rischiai di
perdere
nuovamente l’equilibrio.
A terra, ai piedi della
scalinata, c’ero io.
Ma non potevo essere io!
Stavo guardando
dall’esterno,
quindi a rigor di logica non potevo essere quella persona.
L’uomo che aveva
le esatte
sembianze di John Watson aveva tutta l’aria di essere appena
caduto dalle scale,
constatai, vedendo che si massaggiava con espressione sofferente la
spalla.
All’improvviso
ricordai che
non avevo ancora provato a parlare.
<<
S… stai … bene?
>> chiesi. Le parole furono pronunciate con la voce
profonda di Sherlock,
ma velata di una paura che mai avevo visto in lui.
L’uomo uguale a
me alzò lo
sguardo e mi fissò atterrito.
<< John?
>>
chiese, con la mia voce, colma di
preoccupazione, ma con un tono diverso, che somigliava vagamente
a…. <<
Sherlock! >> esclamai.
Lui annuì.
<< Perché
sto parlando con me stesso? >>
<< Ci sono io
qui. Sono
John >> cercai di fare chiarimento.
Sherlock, finalmente ero
certo che fosse lui, era sconvolto.
Mi avvicinai lentamente e
gli
porsi una mano, aiutandolo ad alzarsi.
Constatai, con non poco
divertimento, che per la prima volta ero io quello alto, e dovevo
ammettere che
quei centimetri in più mi davano un grande senso
d’importanza.
Restammo a guardarci ancora
a
lungo, senza trovare niente da dire o fare.
Poi Sherlock
indicò le scale.
<< Ho realizzato troppo tardi di non essere al piano
terra… >> disse,
con tono di accusa, << Ragioni troppo lentamente
>>.
Ovvio. Riusciva ad
insultare
le mie facoltà mentali anche mentre si trovava nel mio corpo.
<< Io? Ci sei
tu lì
dentro. La colpa è tua >> ribattei, seccato.
<<
Sì, ma il cervello è
il tuo. Ed è troppo lento per i miei gusti >>.
Preferii non rispondere.
Qualcosa
mi diceva che nei giorni successivi avrei avuto molte altre
opportunità di
perdere la calma…
<< Scambio di
corpi
>> mormorai tra me e me.
Sherlock scosse la testa.
<< E’ impossibile >>.
<< Allora
come ti
spieghi il fatto che io stia parlando con qualcuno uguale a me in tutto
ad
esclusione del pessimo carattere? >>.
<< Non me lo
spiego
perché non è possibile >>
ripeté. << Non è logico!
>>.
<< Ma
è successo. E ora
dobbiamo capire come >>.
Sherlock andò a
posizionarsi
sul suo divano, con la stessa espressione che gli avevo visto la sera
prima e
tutte le volte che ci occupavamo di un caso… solo questa
volta era sulla mia
faccia.
Io mi sedetti sulla
poltrona.
<< Accidenti,
John!
>> esclamò dopo appena qualche secondo,
<< E’ un’impresa formulare
qualche deduzione coerente con questo cervello che ti ritrovi!
>>.
Sbuffai, annoiato.
Perché si
lamentava?
Era così ovvio
quello che
dovevamo fare…
<< Dobbiamo
riflettere
su quello che abbiamo fatto nei giorni scorsi. Luoghi che entrambi
abbiamo
frequentato, persone con cui siamo entrati in contatto…
qualsiasi avvenimento
diverso dal solito, e che sia capitato ad entrambi. Proporrei di
iniziare dagli
eventi delle scorse ore, fino ad allargare il campo
all’intera settimana
>>.
Sherlock sgranò
gli occhi.
Mi chiesi se era questa
l’espressione che avevo ogni volta che mi stupivo delle sue
deduzioni.
<<
Sì, giusto. Non ci
avevo pensato… >> ammise. << Ma
non ti ci abituare >>
aggiunse subito dopo.
Mi meravigliai della
velocità
con cui i pensieri si facevano largo nella mia mente. Era una
sensazione
esaltante e spaventosa allo stesso tempo.
<<
E’ così che ti senti
continuamente? >> domandai, curioso.
<< Ti stavo
per fare la
stessa domanda >> rispose Sherlock, sbuffando.
Restammo in silenzio per un
po’, riflettendo.
Poi, ad un tratto,
un’idea
balenò nella testa di entrambi.
<< La casa di
Samuel
Welch! >> esclamammo all’unisono.
Spero
che vi sia piaciuto questo primo capitolo e che
sia stato divertente leggerlo come lo è stato per me
scriverlo :)
Mi
piacerebbe sapere la vostra opinione, quindi…
recensiteee xD
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Capitolo 2 *** Quando sperimenti cosa sia la vera noia ***
La casa di Samuel Welch era
il primo luogo candidato ad essere responsabile del nostro
“scambio di corpi e
di vedute”, come lo aveva definito Sherlock.
Decidemmo di proseguire le
indagini, nella speranza di venire a capo di quella strana faccenda
(“Io risolverò
il caso, tu farai finta di
essere me e non aprirai bocca davanti agli ispettori, almeno che non
sia per
avvertire che Scotland Yard sta andando a fuoco”, aveva detto
Sherlock, con un
tono che non ammetteva repliche).
La mattinata
proseguì con un irritante
litigio sui vestiti che avremmo dovuto indossare.
<< Io indosserò i miei
vestiti!
>> s’impuntò Sherlock.
<< Non puoi
andare in
giro nel mio corpo con i tuoi vestiti! >> tentai di farlo
ragionare.
<< Non
andrò mai in
giro con i tuoi orrendi maglioni >> ribatté.
<< Nessuno ci
farà caso
perchè in questo momento tu sei me! >>.
<< Non
importa. Finché
mi resterà un minimo di buonsenso non indosserò
niente che sia stato nel tuo
guardaroba… e non c’è nulla che tu
possa fare per farmi cambiare idea >>
incrociò le braccia, fermo sulla sua posizione.
<< Ne sei
certo? Potrei
chiamare Mycroft e dirgli che è il fratello migliore del
mondo e che gli voglio
tanto bene… se fosse necessario potrei anche andare a
dirglielo di persona
>>.
Sapevo che era molto
crudele
da parte mia, ma non potevo perdere l’occasione di ricattare
Sherlock.
<< Non
oseresti…
>> rispose lui, improvvisamente privo di tutta la sua
sicurezza e anche
un po’ impaurito.
<<
Sì che lo farei
>> assicurai.
Sherlock rimase in silenzio
per qualche istante, dopodiché il suo sguardo
s’illuminò nuovamente.
<< Allora io
farò
coming out… mister “non c’è
nulla di male” >>.
Durante il resto della
discussione ci rendemmo conto di avere entrambi la
possibilità di metterci in
imbarazzo in un’infinità di modi diversi, pertanto
concludemmo con un patto:
niente ricatti.
La faccenda dei vestiti
venne
liquidata quando concordammo di avere cose più urgenti da
sbrigare.
Le due ore successive
sembrarono trascorrere velocemente.
Iniziammo a camminare per
la
casa, nel disperato tentativo di abituarci ai nostri nuovi corpi.
Io inciampai numerose volte
nei miei stessi piedi, mentre Sherlock avanzava lentamente e con passo
strascicato.
Persi il conto di quante
volte mi rinfacciò di essere troppo basso, di non vederci
bene come lui, di
pensare troppo lentamente, di avere troppa fame, eccetera
eccetera… ma dopo un
po’ imparai a chiudere la mente ai suoi lamenti.
Mi riusciva incredibilmente
semplice con il corpo di Sherlock. Forse aveva una naturale propensione
ad
ignorare chi non voleva ascoltare.
Eravamo nel mezzo
dell’ennesima discussione (non ricordo neanche cosa
riguardava) quando squillò
il cellulare di Sherlock.
Per circa tre secondi ci
guardammo perplessi, poi Sherlock scattò
dall’altro lato della stanza e prese
il cellulare.
<< Io ti dico
cosa
dire, tu parli >>, ordinò Sherlock.
Accese il vivavoce. Era
Lestrade.
<<
Sherlock, ho i risultati degli interrogatori
a Thomas e Joanne Carlton. Lui si rifiuta di parlare. Non ha voluto
dire dove
si trovava al momento della morte di Samuel. Non ha confermato il fatto
che
fossero amici di vecchia data.
Joanne
è sotto shock. Dice cose apparentemente
insensate. Continua a ripetere che suo marito “non era
più sé stesso”.
Ecco
la sua versione dei fatti: la mattina
dell’omicidio Samuel ha chiamato Thomas, chiedendogli di
passare a trovarlo.
Quando Thomas è uscito di casa per dirigersi al piano di
sopra non è parso
diverso dal normale; poi Joanne ha udito lo sparo e poco dopo Thomas
è tornato a
casa. Aveva un taglio sulla mano e una sorta di tic nervoso per cui
inclinava
la testa in continuazione.
Joanne
giura che l’uomo che ha visto tornare non era
suo marito, nonostante ne avesse le sembianze. Abbiamo fatto accurate
ricerche
per accertarci dell’identità del signor Carlton,
ma non ci sono dubbi: quello è
Thomas.
Adesso
lo stiamo trattenendo in centrale come
sospettato dell’omicidio.
Joanne
è stata rilasciata. >>
Sherlock aveva ascoltato
con
estrema attenzione. << Il signor Carlton porta i capelli
lunghi?
>>, mi sussurrò, ed io ripetei la domanda al
cellulare.
Lestrade rimase in silenzio
per qualche istante, stupido della domanda.
<<
No. >>
<< Ha un
ciuffo che gli
arriva all’altezza del sopracciglio? >>
insistè Sherlock.
<<
Non mi risulta >>
<< Voglio
sapere se ha
cambiato taglio di capelli ultimamente, se era un uomo nervoso e se
questo tic
si era già manifestato in precedenza. Joanne ha menzionato
qualcosa riguardo i
suoi rapporti con Samuel? >>.
<<
Sì. Ha accennato che non provava molta
simpatia per lui. Ma al contrario lui l’ha sempre trattata
con molto riguardo
>>.
Lo sguardo di Sherlock
s’illuminò, come se avesse finalmente trovato una
pista da seguire.
<< Devo
tornare a casa
di Samuel >> dichiarò ad alta voce. Io mi
affrettai a ripetere, sperando
che Lestrade non avesse sentito la prima frase detta con la voce di
John Watson
e l’inconfondibile intonazione di Sherlock Holmes.
<< Forse
manderò John a
dare un’occhiata per me >> aggiunsi, certo che
in ogni caso Sherlock non
mi avrebbe mai permesso di andare ad investigare per conto suo. E
considerando
che ero nel suo corpo… non l’avrebbe fatto neanche
sotto minaccia di morte.
<<
D’accordo. Mi assicurerò che sia lasciato
entrare >>, rispose Lestrade.
Pensai che la conversazione
fosse finita e mi stavo accingendo a chiudere la chiamata, quando
l’ispettore
parlò ancora. << Ehm…
Sherlock?
>>
<<
Sì? >>
risposi, allarmato.
<< Stai bene? Sembri strano >>. Lestrade
sembrava sinceramente
preoccupato.
Guardai Sherlock, che mi
fulminò con lo sguardo. Uno sguardo che sembrava volesse
dire: “Ogni cosa che
dirai potrà e sarà usata contro di te. Hai il
diritto di restare in silenzio”.
Scelsi il silenzio.
Ma non fu una buona idea.
<< Pronto? Ci sei ancora? >>.
Decisi di improvvisare.
<<
Sì. Va tutto bene.
Cosa c’è di strano? >>. Cercai di
imitare il tono leggermente irritato
che Sherlock assumeva quando gli si poneva una domanda a cui non era
interessato a rispondere.
<< Il tuo modo di parlare mi sembrava…
diverso. >>
Una voce
dall’altro capo del
telefono chiamò Lestrade. Il mio salvatore mandato dal
cielo, supposi.
<< Devo andare. Ti terrò aggiornato
>>. Terminai la chiamata.
<< Grazie,
chiunque tu
sia! >> esclamai, sollevato.
Sherlock era già
andato di
sopra, in camera mia. Impiegò circa due minuti per
prepararsi.
La sua scelta degli abiti
non
fu tragica come avevo creduto: aveva semplicemente imitato il mio
abbigliamento
del giovedì precedente.
<< Come sto?
Sembro te?
>> mi chiese.
<< Bene alla
prima, no
alla seconda >> risposi in tutta sincerità.
Nulla nel suo atteggiamento
era
simile al mio. Tutto il resto… era identico.
<< Cerca di
impegnarti
almeno un minimo >> lo pregai.
Lui sbuffò.
<<
D’accordo… ci proverò >>.
Tornò indietro
fino alla
porta del soggiorno, e poi rientrò nella stanza con una
camminata teatrale.
<< Sherlock!
>>
esclamò. << Hai di nuovo sparato contro il
muro?! Un giorno di questi i
vicini chiameranno la polizia, che certamente non avrà
nessuna voglia di
trascorrere altro tempo in tua compagnia. Per non parlare di Mrs.
Hudson! Stai
distruggendo la sua casa e saremo
costretti a pagare i tuoi danni
con i
nostri soldi >>.
Rimasi a bocca aperta.
Sherlock aveva ripetuto parola per parola la ramanzina che gli avevo
fatto due
settimane prima, imitando perfettamente i miei gesti e le mie
espressioni.
Mi sembrò
davvero di trovarmi
di fronte ad uno specchio, oppure di essere tornato indietro nel tempo,
come in
quella serie che trasmetteva la BBC.
Doctor…
qualcosa.
<<
Sei… me >> ammisi.
Sherlock fece un inchino,
soddisfatto.
<< Lasciati
dire che
non sei altrettanto bravo a fingere. Resterai qui… almeno
per adesso >>.
<< Cosa
dovrei fare
qui?! >> domandai, irritato.
<< Quello che
faccio io
di solito. Spara contro il muro, lamentati di essere annoiato,
controlla le
dita nel frigorifero, suona il violino… no, dimentica
quest’ultima >>
aggiunse frettoloso.
Sbuffai, ma alla fine
acconsentii di malavoglia.
<<
Tornerò tra qualche
ora >> disse, e uscì con passo spedito.
Credevo che quel pomeriggio
sarebbe passato in fretta.
Avevo programmato di
leggere
il giornale, accendere il computer, fare un pisolino…
Invece non mi fu possibile
fare nulla di tutto questo.
La noia
rendeva insopportabile ogni istante. Avvertivo il disperato
bisogno di fare qualcosa, ma qualsiasi cosa tentassi di fare non era
abbastanza.
Il mio cervello, quello di
Sherlock, si ribellava prepotentemente
all’inattività.
Era una sensazione orribile
ed esasperante.
Allora
è questo che lui prova continuamente, pensai. Non doveva essere piacevole
essere Sherlock a
tempo pieno.
Circa tre ore dopo, lo
chiamai.
Non rispose.
Scaraventai il mio
cellulare
dall’altra parte della stanza. Se l’era meritato.
Due minuti dopo, ancora
più
avvilito, andai a recuperarlo e richiamai.
Squillò a vuoto
per dieci
volte, all’undicesima la voce di John Watson rispose.
<<
Sono occupato >>.
<< Sherlock.
Aiuto.
>> dissi, incapace di articolare pensieri diversi. La mia
voce venne
fuori monotona e malinconica, identica a quella di Sherlock.
<<
Che succede? >> chiese lui, con una nota di
preoccupazione.
<< Mi sento
di
impazzire. Non so che fare. Mi annoio terribilmente >>.
<<
Mi hai chiamato perché ti annoi?! >>
<<
Sì, ma è quel tipo
di noia che conosci bene. Io non so come gestirla >>.
<< Oh… >>.
Trassi un respiro di
sollievo
al constatare che Sherlock l’aveva presa seriamente.
<< Fuma qualche sigaretta >>, mi
consigliò.
<< Non se ne
parla!
>>, ribattei deciso.
<<
Allora usa un paio di cerotti alla nicotina.
Ti rilasseranno >>
Mio malgrado, accettai. La
soluzione funzionò, almeno temporaneamente.
Avevo fatto i conti con il
rovescio della medaglia dell’essere Sherlock. Ora
l’unica cosa che restava da
fare era trovare il “dritto” della medaglia.
Angolino
buio e solitario dell’autrice:
Eccomi
con il secondo capitolo. Mi dispiace di aver
fatto passare così tanto tempo dal primo, ma prometto che da
ora in poi gli
aggiornamenti saranno più rapidi.
Come
sempre, tutte le recensioni, positive o negative
che siano, sono più che gradite.
A
presto!
Jadis
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