L'Anello del Bene

di ss55
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Akallabêth ***
Capitolo 2: *** Nuove speranze, nuovi pericoli ***
Capitolo 3: *** In trappola ***
Capitolo 4: *** Il Ritrovamento ***
Capitolo 6: *** Prepararsi alla guerra ***



Capitolo 1
*** Akallabêth ***






Vento dall'ovest, vento di guerra, le scompigliava i capelli.
La sua figura si stagliava sulle alture del Meneltarma, mentre Andúnëdil cercava di trattenere le lacrime ammirando per l'ultima volta tutto ciò per cui era vissuta.
Davanti e tutto intorno a lei si ergevano le testimonianze del potere e della gloria degli stolti re della Terra del Dono; Armenelos la Dorata riluceva di sfarzo, riflettendo, nel suo splendore, i rosseggianti raggi di un sole calante, al quale si opponevano minacciose nubi aviformi provenienti da est.

Era successo.
L'uomo aveva deciso di sfidare, nel delirio del suo terrore, le divinità.
Ormai la paura del più grande dono che Ilúvatar fece loro, aveva corrotto la volontà degli uomini, demolendo la beatitudine di cui godevano fin dai tempi di Elros, primo re dei Dúnedain.
Forse Eru aveva posto troppa fiducia nell'incorruttibilità dei Secondogeniti; essi infatti, una volta raggiunta la felicità in Númenor dei Re, non poterono sopportare di non poterne godere in modo illimitato ed iniziarono ad anelare all'immortalità degli Eldar e della Terra Beata.
Non potendo adempiere a questo desiderio, a causa del Divieto dei Valar, gli Edain cercarono conforto nei beni materiali e nel lusso, diventando cupidi, superbi ed invidiosi.

E fu a questo punto che fu assestato il colpo di grazia all'integrità dei Dúnedain; Sauron, servo del Nemico, fu condotto in catene nella gloriosa isola da Ar-Pharazôn, attuale re di Nùmenor.
Sauron, orditore di inganni, dissimulò abilmente i propri propositi e con abili lusinghe, sfruttando la propria sapienza e il proprio falso bell'aspetto, riuscì a irretire il già corrotto sovrano tanto da diventarne il consigliere più fidato.
Egli conosceva la debolezza degli uomini, che già aveva sfruttato ottenendo i suoi servi più fidati, e fu per questo che riuscì a infervorare gli animi contro le Potenze dell'Ovest, con inganni e falsità.

Avrebbe riso sguaiatamente, l'impostore, alla vista di ciò che Andúnëdil aveva sotto lo sguardo: alti alberi forniti di cordame e maestose vele si profilavano all'orizzonte, sagome di navi che partivano per portare guerra all'Occaso e conquistare l'immortalità tanto agognata.
Una guerra già decisa; non si sfidano impunemente gli dei.

A lei non rimaneva che distogliere lo sguardo e serbare nel cuore il ricordo della Terra Donata, perchè mai più lei o un'altro dei Fedeli, l'avrebbe rivista.
E molto probabilmente, data la folle guerra, neanche lo stesso Ar-Pharazôn.


SPAZIO DI SS55.
Grazie a voi lettori, che siete arrivati fino alla fine di questo prologo, lo ammetto, forse un po' noioso.
Mi scuso per tutti i nomi Tolkieniani che ho inserito e che forse vi hanno messo in difficoltà, ma non ne ho potuto fare a meno!
Posso solo promettere che i prossimi capitoli saranno più movimentati! E fatemi sapere se vi è piaciuto!!

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Capitolo 2
*** Nuove speranze, nuovi pericoli ***




Andúnëdil aprì gli occhi, stringendo le palpebre a causa dei raggi di sole del mattino che filtravano attraverso l'entrata della tenda.
C'erano riusciti.
Erano approdati sulle rive della Terra di Mezzo, dopo aver superato la furiosa tempesta che li aveva divisi dal resto della flotta dei Fedeli.
Era ancora vivido nella sua mente il ricordo di quel fatidico giorno in cui Númenor era venuta a fare parte del passato.
Aveva guardato, gli occhi come zaffiri inondati di lacrime, sporgendosi dalle murate spazzate dal vento e dall'acqua, l'ira degli dei che sgretolava la sua amata terra, la sua amata vita, fino a farla sprofondare negli abissi; il rombo della tempesta, i fragorosi fulmini che colpivano veementi la cima del suo Meneltarma e le immense onde senza fine che si scagliavano a tutta forza contro il ponte della nave non erano riusciti a coprire le strazianti grida di dolore di lei e delle altre donne a bordo.

 

Ma ora finalmente avevano trovato la salvezza nella Terra di Mezzo, e sebbene dolesse ancora il ricordo della Terra del Dono, adesso Andúnëdil sentiva che agli Edain veniva offerto un nuovo inizio, una nuova speranza di felicità.
Lei e i Fedeli a bordo della loro nave avevano risalito il fiume Inondagrigio in cerca di luoghi adatti ad un insediamento e si erano stabiliti ormai da una settimana nel territorio chiamato Eregion.

 

Andúnëdil si alzò dal giaciglio su cui dormiva e squadrò quel giovane che l'aveva destata: doveva avere più o meno la sua stessa età, i suoi corti capelli non erano dorati come i suoi, ma castani, come lo erano anche i suoi occhi che dardeggiavano nervosi da una parte all'altra della stanza.
Bensvegliata, mia dama, vostro padre vi vorrebbe vedere”
Andúnëdil sussultò nel sentire quell'appellativo; non si era ancora abituata ad essere la figlia di uno dei membri del nuovo Consiglio che era stato eletto per reggere il villaggio.
Grazie Manwëlen sarò da lui quanto prima possibile”

 

Non sapeva ancora in che modo, ma suo padre l'aveva infine convinta a partecipare.
Stava cavalcando in compagnia dei più giovani nobili del villaggio, in una noiosa battuta di caccia che era più un pretesto per ingraziarsi i potenti e mantenere i contatti importanti.
Aveva dovuto sorridere con grazia per tutto quel tempo buttato in inchini e inutili convenevoli, mentre il popolo aveva bisogno di sostentamento, essendo il villaggio appena nato.
Fortunatamente accanto a lei, a cavallo di un mulo grigio, c'era Manwëlen, che si stava rivelando un interlocutore interessante ed una gradevole alternativa a tutti quei principi tronfi.
Lei e Manwëlen stavano infatti discorrendo amabilmente quando davanti alla compagnia il bosco si aprì.
Andúnëdil spaziò con gli occhi ciò che aveva di fronte e rimase a bocca aperta: strutture bianche, di un'eleganza e di gusto senza dubbio elfico riempivano la grande radura dove erano entrati.
Tutta la compagnia si fermò ad ammirare la scoperta, ma ad uno ad uno i volti si fecero più seri, quasi impauriti: la città elfica era deserta, e le strutture raffinate presentavano evidenti segni di decadimento o forse addirittura di una battaglia.

 

Fu allora che tutti si girarono verso una persona, che Andúnëdil riconobbe come un membro della piccola avanguardia della loro spedizione, che correva al massimo delle sue capacità verso di loro.
Scappate! Nascondetevi! gli orchi sono qui!” gridò a pieni polmoni.

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Capitolo 3
*** In trappola ***


Il cuore di Andúnëdil saltò vari battiti, e tutto intorno a lei si fece fosco, come velato da una fitta coltre di fumo.
Gli orchi: quegli orribili esseri che fin da bambina aveva imparato a temere come servi del Male, servi di Morgoth, adesso avevano improvvisamente fatto la propria nefanda comparsa nella sua vita...Ma lei non era preparata, non poteva essere vero, non adesso: l'evidenza dei suoi sensi doveva essere sicuramente sbagliata.
Osservava il messaggero strillare, spavantato, quelli che sembravano essere istruzioni urgenti ai giovani che la precedevano, ma le parole le arrivavano lievi, attutite come se assistesse alla scena da molto lontano, come se non appartenesse più a quel luogo.
Le foglie degli alberi diventavano sempre più indistinte, ed il loro verde si fondeva con il blu squillante del cielo ed il bruno dei rami umidi, quando la paura, che le stava penetrando fin dentro alle ossa, riuscì a scuoterla dal torpore.

Gli altri erano scesi da cavallo, spaventati almeno quanto lei, ma, almeno loro, completamente vigili.
Andúnëdil li imitò, maledicendosi per quell'attimo di debolezza che le aveva fatto perdere il discorso dell'uomo, ma quando vide i suoi compagni esortare, con delle vigorose pacche sul didietro, i cavalli a correre avanti senza di loro, esitò.
“Mia Dama!!”
Andúnëdil si voltò accorgendosi che metà della sua compagnia stava correndo a perdifiato verso la città in rovina; Manwëlen però le era rimasto accanto, interdetto dalla titubanza della sua signora, ed era stato lui ad incitarla in quel modo.
“Ma certo” disse Andúnëdil tra i denti, maledicendo la propria stupidità: scappare indietro con i cavalli avrebbe significato lasciare una pista facile da seguire agli orchi che li avrebbe portati dritti nell'accampamento, che non era ancora pronto per affrontare un attacco.
Andúnëdil mise in fuga la propria cavalcatura nella stessa direzione delle altre, e subito, con il suo fedele servitore, sfrecciò verso la più vicina struttura elfica, proprio mentre i primi orribili musi dei nemici si affacciavano nella radura.

I due si nascosero in quella che un tempo avrebbe potuto essere una modesta abitazione, ma che ora era così diroccata da non avere più un tetto e gran parte delle pareti. Solo un muro, orientato esattamente verso i nemici, li proteggeva. Andúnëdil e Manwëlen si strinsero contro quella protezione, sperando con tutto il cuore che agli orchi non venisse in mente di esplorare un povero villaggio semidistrutto.
Ma a quanto pareva, la fortuna non era dalla loro.
Infatti fu subito chiaro che quei mostri, dopo la battaglia che avevano intrapreso contro l'avanguardia, intendevano riposarsi un poco in quell'accogliente radura.
I due compagni, stretti l'uno all'altra sentivano i passi dei nemici e le sconosciute, dure parole della lingua Nera di Mordor; tanta era la loro paura e disperazione che, sebbene cercassero in ogni modo di restare più in silenzio possibile, ogni tanto sfuggiva ad uno dei due un flebile lamento di puro terrore.

Erano braccati, in trappola ed entrambi ormai speravano soltanto che la morte fosse la più veloce ed indolore possibile.

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Capitolo 4
*** Il Ritrovamento ***


Paura.
Il suo cuore, il suo stesso essere poteva essere definito solo con quella fredda, lapidaria parola.
I tentacoli gelidi di un vuoto senza fine erano l'unica cosa che i suoi sensi riuscivano a percepire; lui non poteva fare altro che arrendersi a quella presa, con le membra inermi abbandonate sul terreno.
Paura. Ma cos'è la paura se non la manifestazione della volontà di resistere? Aver paura significa non accettare di perdere qualcosa di caro, la paura è lo stimolo alla resistenza al male, la paura è adesione al bene della vita.
E così i tentacoli gelidi che soffocavano Manwëlen non erano altro che il tiepido abbraccio di Andúnëdil attorno al suo torace; mentre dentro al suo cuore uno sfavillante barlume di speranza nasceva, quasi per miracolo divino.


Fu allora che un insperato aiuto venne dato loro.
Lo sguardo di Manwëlen si destò dal vuoto ove si era perso appena in tempo per intercettare una sfocata, piccola figura alata che sfrecciava verso il terreno poco distante.
Era un piccolo passero bruno, che, saltellando sul pavimento in legno della struttura diroccata, calamitò l'attenzione di Manwëlen.
Il piccolo volatile prese subito a beccare il suolo, apparentemente in cerca di cibo, producendo dei tonfi sordi.
TOC TOC TOC...TUNC
Qualcosa si svegliò nella mente ancora accecata di Manwëlen.
Quell'ultimo “TUNC” non era certo sordo, ma riverberava nell'aria come se.... come se.....
Come se sotto le assi del pavimento ci fosse uno spazio vuoto.


Manwëlen si alzò di scatto, scrollandosi di dosso Andúnëdil che ancora non osava quasi respirare.
Andò più velocemente e silenziosamente che poté verso l'uccellino, il quale, stranamente, non si levò in volo ma lo squadrò, come impaziente.
Manwëlen si chinò e tastò con le mani il terreno. Le sie dita trovarono esattamente ciò che sospettavano, e il suo cuore si risollevò, leggero, nel suo petto.
Una botola.


Lui aprì la botola ed Andúnëdil sobbalzò, sgranando gli occhi per la felicità.
Entrambi sgattaiolarono sotto il pavimento e chiusero con cautela la botola sopra di loro.
Si ritrovarono in un ambiente quasi completamente buio, polveroso e pervaso da un forte odore di muffa.
Sembrava un vecchio studio, ma i tavoli, occupati da pergamene disordinate ed ingiallite dal tempo, erano ormai tarlati e spesso marci.
I due cominciarono a girare per la sala, curiosi.


Manwëlen fece dardeggiare lo sguardo per le pergamene, ma, non riconoscendo la lingua nel quale erano scritte, passò oltre.
Fu allora che il suo sguardo si posò, quasi per caso su una piccola campana di vetro polverosa, sotto la quale, accanto ad un'altra piccola pergamena, giaceva un anello.

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Capitolo 6
*** Prepararsi alla guerra ***



 


Manwëlen si fermò e strinse le palpebre, incuriosito, scrutando quello straordinario oggetto.
Era un anello di foggia molto semplice e lineare, ma allo stesso tempo estremamente gradevole ed elegante; un'opera elfica, senza dubbio.
Al centro di esso si intrecciavano filamenti di oro ed argento, a formare un paio di piccole ali, le quali incastonavano una perla di bianco purissimo, che ammaliava lo sguardo del ragazzo e lo attirava dolcemente a sé.
Manwëlen avrebbe giurato di sentire un flebile sussurro, proveniente dal piccolo gioiello, che lo incitava ad allungare le mani per prenderlo, come se l'oggetto stesso volesse donarsi gratuitamente a lui, quasi ad offrirsi come aiuto.
Dopotutto, che male ci sarebbe stato nel prendere un oggetto che ormai non apparteneva più a nessuno? Non poteva certo essere considerato più disonesto che cogliere more nel bosco o andare a pesca nel fresco Inondagrigio.
Mentre ragionava in questi termini, Manwëlen protese le dita, sollevò delicatamente la leggera campana di vetro, e , raggiunto l'anello, lo carezzò con dolcezza, come fosse un tenero gattino, per poi sollevarlo con cautela insieme alla piccola pergamena al suo fianco.
Distogliendo a fatica gli occhi dal prezioso, scrutò il manoscritto, unicamente per rimanere affascinato da una scrittura fine e raffinata ma completamente incomprensibile per lui.
Manwëlen, guarda!”
Mormorò Andúnëdil, che stava curiosando tra i polverosi scaffali pieni di vecchi testi ormai sbiaditi dal tempo.
Manwëlen si riscosse e si voltò verso di lei, infilando frettolosamente anello e pergamena nelle tasche, quasi avesse paura di venire sorpreso a rubare; ma lei non stava guardando.
Era invece intenta ad osservare vari strumenti apparentemente molto delicati, posti accanto a quella che una volta avrebbe potuto essere una grossa fornace
Dobbiamo essere nella casa di quello che era in fabbro di questo villaggio......Ma allora cosa ci fanno qui tutti questi libri?”
Manwëlen non aveva alcuna risposta.


Prendi!”
Manwëlen agguantò l'estremità del grosso tronco che gli veniva porta, e cominciò ad avanzare verso le fortificazioni in costruzione, sollevando la terra secca per il sole cocente del pomeriggio.
Erano tornati al villaggio con gli altri, dopo che gli orchi erano partiti, ed erano subito corsi nelle tende del padre di Andúnëdil per riferire il pericolo.
Lui non aveva perso tempo, ed aveva subito convocato il Consiglio per decidere sul da farsi.
Ovviamente si era deciso di fortificare il villaggio, per precauzione.
E così Manwëlen si era ritrovato a lavorare come uomo di fatica per cingere la cittadella con almeno una cerchia di tronchi d'albero ammucchiati, nella speranza, comunque, che il villaggio sia passato inosservato ai nemici.
Posò il legname al fianco della nuova palizzata, ancora in costruzione, del villaggio, e si diresse verso il pozzo al centro del villaggio.
Aveva proprio bisogno di una rinfrescata: era stato sotto il sole rovente per tutta la mattinata, ed ora aveva il viso sporco di polvere e striato dalle gocce di sudore.
Stava per avvicinarsi il secchio alle labbra aride, quando sentì una voce, in lontananza.
"Uomini, prepararsi alla difesa! Nemico in avvicinamento da Nord!"
Ed il cuore gli saltò in gola.

 

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