L'Amazzone Del Mare

di Aelle Amazon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ho un nuovo compagno di banco ***
Capitolo 2: *** Percy affronta la Chimera con una penna ***
Capitolo 3: *** Campo Mezzosangue (Parte 1) ***
Capitolo 4: *** Campo Mezzosangue (Parte 2) ***
Capitolo 5: *** Rischio di soffocare per troppo affetto ***
Capitolo 6: *** Allenamento con Percy e Annabeth ***
Capitolo 7: *** Accettare una proposta per vendetta ***
Capitolo 8: *** I tralci della follia ***
Capitolo 9: *** Mia madre rovina la Caccia alla Bandiera ***
Capitolo 10: *** Jane Ippolita Amazon cerca di affogarmi ***
Capitolo 11: *** Scopro cose che mai avrei voluto sapere ***
Capitolo 12: *** Il regalo di Poseidone ***
Capitolo 13: *** Rachel Elizabeth Dare mi parla da uno specchio ***
Capitolo 14: *** Quando il numero perfetto è tre, ma noi ce ne freghiamo ***
Capitolo 15: *** Gli strilli che profetizzano morte ***
Capitolo 16: *** Profezie e tori dai nomi impossibili ***
Capitolo 17: *** Il destino non si evita ***
Capitolo 18: *** Via Heather, scompare Travis ***
Capitolo 19: *** Lo stregatto ***
Capitolo 20: *** Dietro l'arcobaleno si nascondono notizie spaventose ***
Capitolo 21: *** Il terzo ingresso ***
Capitolo 22: *** La seconda volta è quella buona ***
Capitolo 23: *** Abbandonare gli istinti da semidea. Impossibile? ***
Capitolo 24: *** Gli ultimi istanti prima della fine ***
Capitolo 25: *** E tutto ando' come doveva andare ***
Capitolo 26: *** Seguito ***



Capitolo 1
*** Ho un nuovo compagno di banco ***


yeah
Ho un nuovo compagno di banco
 
Guardai fuori dalla finestra della classe con aria annoiata. Non ne potevo più di stare ferma: volevo uscire all’aria aperta e fare … già, cosa volevo fare? Nemmeno io lo sapevo.
Riportai una parte del cervello nell’aula: il professore stava presentando un nuovo ragazzo. Com’è che ha detto che si chiama? Socchiusi gli occhi e provai a concentrarmi. Nulla. Avevo il vuoto in testa.
-Vai pure a sederti là- disse l’insegnante indicando il posto vuoto accanto al mio. Sbuffai.
Vidi prima la tracolla malandata cadere sul banco che il mio vicino di banco. Solo quando si sedette riuscii ad osservarlo meglio. Non che mi misi a osservarlo spudoratamente come molti altri in classe, ma quegli occhi erano veramente belli. Azzurri, come il mare.
Immagino che si accorse di me perché si girò, sorridendomi. Che sorriso affascinante, commentai tra me e me.
-Percy Jackson- mi tese una mano – Piacere di conoscerti.-
Contemplai la sua mano per qualche attimo. Che coraggio, nessuno mi aveva mai rivolto la parola da quando ero arrivata alla June Academy, quattro anni prima.
-Aelle Amazon. Piacere mio- gli strinsi la mano, tuttavia non gli sorrisi. Tornai a guardare la pioggia fuori dalla finestra, mentre Percy Jackson si voltava verso la lavagna con un’alzata di spalle.
Rimasi gran parte della lezione con la testa da un’altra parte, anche perché non riuscivo a seguire le parole del professore per più di tre minuti consecutivi. I libri erano il mio peggior nemico, soprattutto quando cercavo di impegnarmi sul serio: le lettere di ogni parola cominciavano a girare su se stesse e non riuscivo a capire nulla. La faccenda mi metteva particolarmente a disagio, ma la June Academy vantava un programma per dislessici da far invidia a qualsiasi altra scuola.
-Jackson, spiegami il significato della frase che ho appena scritto alla lavagna-
Il mio compagno di banco si agitò sulla sedia, torcendosi le mani. Lo vidi sgranare gli occhi e socchiuderli a ripetizione, ma era chiaramente in difficoltà. Fu allora che compresi: Percy Jackson era dislessico al mio stesso livello.
-Non … non lo so- borbottò abbassando la testa.
Il professore non gli badò e diede la parola a Jolie, l’intelligentona, che aveva il braccio alzato da almeno dieci minuti. Appena aprì bocca, tutta la classe roteò gli occhi: sembrava una minuscola Hermione Granger.
Non so perché lo feci, ma mi avvicinai a Jackson e con fare premuroso gli presi una mano tra le mie, sussurrandogli di non preoccuparsi. Certamente rimase sorpreso del mio gesto, ma mi ringraziò dicendo che ormai ci era abituato. Quando mi sorrise un’altra volta, gli lascai andare la mano in tutta fretta e tornai ad osservare la pioggia con un vago rossore ad imporporarmi le guance.
 
La lezione terminò con qualche minuto di ritardo, ma alla fine la campana dell’intervallo suonò. Mi alzai e andai in bagno, dimenticandomi della presenza di Jackson e del fatto che, come sua compagna di banco, forse avrei dovuto passare del tempo con lui.
Tornando dal bagno mi fermai a comprare qualcosa alle macchinette. Il mio stomaco si lamentava per la mancanza di cibo: quella mattina non avevo mangiato nulla a causa della fretta di uscire.
Quando fui in vista della classe, trovai Jackson impegnato in una conversazione con un altro ragazzo. Improvvisamente curiosa, mi portai silenziosamente alle sue spalle.
-Allora hai già fatto amicizia- gli dissi in un orecchio.
L’altro ragazzo saltò in aria, emettendo uno strano verso, qualcosa di simile ad un belato. Ma sicuramente me lo ero sognata. Ignorai quel suono e riportai la mia attenzione su Jackson. Lui non era saltato in aria, anzi. Non sembrava minimamente spaventato. Si era limitato a girarsi con una calma sovrannaturale e a sorridermi. Di nuovo.
-Aelle!- mi chiamò.
Senza accorgermi, gli sorrisi in risposta. – Percy-
Mi ricomposi subito, nonostante la vocina insistente che, in uno spazio recondito della mia mente, si chiedeva perché le barriere che avevo eretto e che funzionavano con tutti, con Percy sembravano inutili.
-Aelle, lui è Grover- mi disse indicando il ragazzo che finora non avevo calcolato. Per la prima volta lo guardai. Era più basso di Jackson, con la carnagione più scura della sua e con degli occhi bruni che certamente non risaltavano come i suoi. A questa analisi aggiunsi la sua evidente disabilità fisica. Portava le stampelle.
Gli porsi la mano, che lui guardò prima di riscuotersi da una bolla invisibile e stringermela con calore. Aveva un viso gentile, mi ritrovai a pensare, e l’aria tipica di un amico.
-Aelle Amazon-
-Grover Underwood- si presentò in risposta.
Percy mi appoggiò una mano sulla spalla e io mi voltai verso di lui, inarcando un sopracciglio.
-Conosco Grover da molto tempo. Ci siamo trasferiti qui insieme, solo che siamo capitati in due sezioni diverse- mi spiegò –E poi non sono così veloce a farmi nuovi amici- ridacchiò.
Non risposi, limitandomi ad un cenno del capo. Certamente non ero nota per la mia loquacità. Tutt’altro.
-Rientro in classe, Percy- lo superai velocemente – E’ stato un piacere conoscerti, Grover- .
Mentre mi allontanavo, Grover si rivolse a Jackson, dicendogli qualcosa a bassa voce.
L’abbiamo trovata.
 
 
Buonasera a chi legge!
Questa è la prima fan fiction in assoluto che scrivo, solitamente faccio solo originali. Visto che la serie di Percy Jackson è la mia preferita, ho deciso di iniziare proprio da qui. Ditemi cosa ne pensate! I commenti mi aiuteranno a migliorare =)
Al prossimo aggiornamento!

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Capitolo 2
*** Percy affronta la Chimera con una penna ***


percyyy
Percy affronta la Chimera con un penna
 
In quei giorni Percy mi disse che Grover era tutto tranne che disabile. Me ne accorsi il primo giorno in cui in mensa servirono le enchiladas. Grover si illuminava a quella parola. Poi cominciava a trottare verso la mensa, dimenticandosi improvvisamente delle stampelle.
Inizialmente rimasi sconcertata, ma alla fine divenne normale assistere a certe scene. E presi anche a divertirmi.
-Allora, Percy- esordii quel giorno in mensa – Cosa ti ha portato alla June Academy?-
Percy scoppiò a ridere. –Niente di speciale. Sono stato espulso da tutte le scuole che ho frequentato-
Niente di speciale.
-Allora sei un bullo!- sorrisi –Ami i guai, eh?-
Lui scosse la testa, mandando giù un sorso di Cola. –Sbagliato. Sono i guai che amano me-
Ridacchiai.
Percy era una persona particolare. Era sempre calmo, come l’oceano in un giorno senza vento. Ma quando perdeva la calma, allora dovevi scappare nel posto più lontano che conoscevi e sperare che non ti inseguisse.
-Grover- parlò con tono nervoso – Grover, la lattina … ehm … -
Solo allora ci feci caso: Grover aveva finito la sua Cola e aveva messo i denti sulla lattina, masticandola distrattamente. Si interruppe quando Percy gli mollò una gomitata nello stomaco.
-Amico, ma che ti è preso?- sbottò lanciandogli un’occhiataccia.
Grover abbassò la testa. –Scusa Peeeercy … sai che non mi controllo-
Mi sporsi sul tavolo in modo tale da poterlo guardare dritto negli occhi, mentre lui cercava in tutti i modi di evitare il mio sguardo.
-Ti sei fatto male?- gli domandai –Va bene essere disattenti, ma masticare una lattina … -
Grover balbettò una risposta poco credibile, qualcosa tipo: “Pensavo che fossero finite le enchiladas …”.
Cielo, quel ragazzo era adorabile, ma non era proprio capace di mentire.
In quel momento suonò la campanella, così mi alzai e svuotai i resti del mio pranzo nella spazzatura. Non mi accertai che Percy e Grover avessero fatto lo stesso perché quei due erano più veloci della luce. Su di loro c’era sicuramente qualcosa che mi sfuggiva.
Difatti quando mi voltai erano già sulla soglia della mensa e mi incitavano a raggiungerli. Affrettai il passo.
-Certo che siete anormali voi, eh!- li apostrofai.
Mentre Grover lanciava una strana occhiata a Percy, questi si aprì in uno strano ghigno non dando alcun segno di averlo notato. –Che abbiamo fatto?-
Decisi di sorvolare. Alzai gli occhi al soffitto e li precedetti.
 
Sono i guai che amano me.
Non compresi il significato di quella frase fino a quando non mi cacciai nei guai, quello stesso pomeriggio.
Visto che abitavo fuori città, Percy mi offrì gentilmente un passaggio fino a casa e io accettai. Finii per essere schiacciata nel sedile tra Percy e Grover, che seguiva il suo migliore amico come un’ombra.
Sally Jackson, la madre di Percy, si dimostrò gentilissima e non mi fece troppe domande. Dopo aver saputo l’indirizzo di casa mia, si limitò a passare al figlio un sacchetto, da cui Percy tirò fuori dei biscotti. Blu.
Percy probabilmente si accorse dell’occhiata stranita che avevo rivolto ai biscotti perché mi sorrise, offrendomene uno.
-Per mamma il blu rappresenta la felicità. Crede che niente sia impossibile. Ecco spiegato il motivo per cui sono di questo colore-
-I vestiti possono essere blu. Non vedo perché non possano esserlo anche i biscotti- commentò la signora Jackson.
Mi sembrava una motivazione infantile, ma simpatica. Accettai di buon grado il biscotto, scoprendolo buonissimo.
Il tragitto, che solitamente era interminabile, passò molto in fretta. Tutto merito di Grover e delle sue imitazioni. Quella che gli riusciva meglio, a detta di Percy, era un certa “signora Dodds”, una delle sue insegnanti di matematica precedenti.
Ora, tesoro … “
Sghignazzai. Quei due erano proprio simpatici. Avevo fatto bene ad aprirmi con loro.
La macchina si fermò nel vialetto davanti a casa mia. Quella villetta aveva il potere di calmarmi. Dentro c’era tutto ciò che volevo e amavo.
-Eccoci qui-
-Grazie mille, signora Jackson-
Non feci in tempo a mettere un piede giù dalla macchina che il terreno cominciò a sussultare e ad ingobbirsi.
-Ma cosa diavolo … - mormorai un momento prima che il mio giardino saltasse in aria con un castello di carte e un mostro ne uscisse fuori. Quando lo vidi per bene, mi ritrovai ad urlare con tutta la voce che avevo in corpo.
-Percy!- strillò la signora Jackson – E’ la figlia di Echidna!-
Percy non sembrava tanto terrorizzato da quel coso visto che estrasse una penna dalla tasca posteriore dei jeans, stringendola come se fosse la sua ancora di salvezza.
-Vorrai dire la Chimera!- le gridò Percy in risposta.
La Chimera, o come l’aveva chiamata, ruggì, caricando Percy, che si spostò di lato molto velocemente. Prima che potessi capire il come la penna di Jackson si tramutò in una spada.
-Stai calma!- mi disse Grover in un orecchio.
Mi accorsi solo in quel momento di avere le braccia di Grover intorno alla vita. Stava provando a tirarmi in macchina, ma io continuavo a dimenarmi. Smisi di agitare gambe e braccia così da permettere a Grover di adagiarmi sul sedile.
-Fai dei grossi respiri, cara- mi suggerì la signora Jackson –La prima volta è sempre la più traumatica-
Cercai di comprendere quello che mi stava dicendo, ma mi fischiavano le orecchie. Un rombo assordante.
Un botto mi fece guardare fuori dal finestrino. Un lato della mia casa era completamente andato distrutto: la testa leonina la stava masticando con dei denti affilatissimi, mentre l’altra testa, quella caprina, non smetteva un minuto di belare.
Trovai il coraggio di distogliere lo sguardo nel momento in cui persi di vista Jackson. Dei colpi attutiti dal masticare della bestia mi fecero comprendere che Percy era ancora vivo. Infatti quando la Chimera spalancò le enormi ali, lo vidi menare fendenti letali e precisi contro la coda di serpente. Era una danza mortale.
-Grover!- urlò Percy – Fai qualcosa!-
Alle mie spalle Grover si agitò. –Cosa?!-
-Qualunque cosa!- strillò la signora Jackson mettendosi le mani nei capelli –Il mio bambino … -
Io non dissi nulla: ero in uno stato di afasia assoluta. Anche se avevo gli occhi offuscati, guardai Grover dritto in viso.
-Per favore, non gridare- mi disse lui.
Poi si tirò giù i pantaloni. E io commisi l’errore madornale di abbassare lo sguardo.
Svenni.
 
 
 
Note:
Buonasera e Buona Pasqua!
Aggiornamento veloce, oggi. In questo capitolo c’è un po’ di movimento..e meno male! Non sarebbe una storia su Percy Jackson se non ci fosse un mostro che lo attacca, no?
Vorrei ringraziare chi ha recensito, l’ho già fatto nelle risposte alle recensioni ma mi piace ripetermi, e chi invece ha messo la storia tra le seguite.
Spero che qualcuno legga ancora le note di una misera autrice come me. L’ho già detto nella nota nel primo capitolo..i commenti mi aiuteranno a migliorare (oltre che ad essere graditi sono anche costruttivi).
Perdonate gli errori di battitura, ho ricontrollato il testo solo una volta e temo di aver dimenticato di correggerne alcuni.
Al prossimo aggiornamento!
Agaravel

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Capitolo 3
*** Campo Mezzosangue (Parte 1) ***


uuuuuu
Il Campo Mezzosangue
(Parte 1)
 
In testa non avevo altro che confusione. I pensieri si accavallavano l’uno sopra l’altro ed erano tutti improponibili.
L’immagine di Grover che si abbassava i pantaloni era impressa a fuoco nella mia mente. Voglio dire, va bene avere le gambe pelose, ma non così tanto pelose. E i piedi non erano piedi, ma zoccoli. Zoccoli. Come quelli delle capre.
Capii di essere sdraiata quando aprii gli occhi, sbattendoli per abituarmi alla luce. Ero stesa su una branda insolitamente comoda e avevo un panno bagnato sulla fronte. Me lo tolsi con gesto pigro della mano. Mi sentivo il corpo vagamente indolenzito tanto che mugolai mentre provavo a mettermi seduta.
-Ti senti meglio?-
La voce di Percy mi giunse un po’ ovattata, sulla destra. Mi girai verso di lui e lo osservai, mantenendo la bocca sigillata. Aveva lo stesso aspetto di sempre: non era ammaccato e non stringeva nessuna spada. Un punto in più a favore della teoria del sogno. Solo l’abbigliamento era differente: al posto della solita maglietta consunta e dal colore sbiadito ne indossava un’altra. Arancione, con una scritta al centro: CAMPO MEZZOSANGUE.
-Sì, anche se mi sento un po’ confusa- gli dissi –Ho fatto un sogno stranissimo, sai? C’eri tu che combattevi contro una cosa enorme e Grover che … - mi interruppi, senza parole.
In quel preciso istante, infatti, era entrato Grover. Anche lui indossava la stessa maglietta arancione di Percy, ma non portava i pantaloni. Gridai.
Percy si mise davanti a me, coprendomi la vista delle gambe caprine di Grover prima che potessi svenire per la seconda volta.
-Ma dovevi per forza entrare così?- lo sgridò Percy, fulminandolo con un’occhiataccia.
Grover emise una specie di belato dispiaciuto. –Scusa, non sapevo che si fosse svegliata!-
Jackson sospirò. –Fai più attenzione- e poi rivolto a me –Ora puoi guardare: si è rimesso i pantaloni-
Si spostò lentamente e quando non ebbi più la visuale ostruita dal suo corpo vidi un Grover che mi sorrideva nervoso, ma con i jeans.
Percepii le mie labbra inclinarsi in una strana imitazione di un sorriso. Annuii, contenta.
-Visto? Lo dicevo io che era un sogno … -
Percy scosse la testa e mi prese una mano tra le sue. –No, non lo è – mi disse fissandomi con sguardo serio –E’ più reale di quanto immagini-
Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia. Voleva veramente che credessi ad una cosa così surreale? Non esisteva proprio.
Percy mi lasciò andare la mano e si alzò in piedi, stiracchiandosi. Si portò al fianco di Grover e gli diede una pacca sulle spalle, spingendolo verso di me.
-Amico, vado da Chirone- gli disse allontanandosi –La lascio nelle tue mani-
Grover fece per rispondergli, ma lui era scomparso. Allora mi guardò teso e io ricambiai l’occhiata.
E ora?
 
Satiro. Grover era un satiro. Faticavo a immagazzinare tutto quello che mi aveva spiegato, ma la verità era proprio sotto il mio naso. Grover mi aveva fatto toccare con mano. Si era tolto ancora i jeans. Io mi ero avvicinata e avevo sfiorato la sua gamba. Dopo quella prova era impossibile persistere nella convinzione che fosse un sogno.
E così Percy era un semidio. Figlio di Poseidone. E aveva seriamente fatto fuori la Chimera. Con una penna.
-In realtà è una spada- prese a dire Grover –Il suo nome è Anaklusmos. In greco significa “vortice”-
Visto che ormai il senso di intorpidimento era passato mi ero messa a sedere sulla brandina. Però, la confusione era ancora lì. Io ero come Percy. Ero una semidea. Molte cose cominciavano ad acquistare un senso. Ecco perché mia madre si rabbuiava sempre quando tiravo fuori l’argomento papà.
-… Mamma!- strillai all’improvviso spaventando Grover –Devo avvisarla!La casa mezza distrutta …!-
Grover mi scompigliò i capelli. –Stai tranquilla. Conoscendolo, Chirone avrà già pensato a tutto con un  messaggio Iride- mi sorrise –E poi tua madre doveva per forza essere a conoscenza della tua natura semidivina, altrimenti non sarebbe stata in grado di proteggerti così bene fino al tuo sedicesimo anno d’età-
Sobbalzai. –Proteggermi?- domandai inclinando la testa.
-Sì, nonostante tua madre sia mortale, finché non raggiungi l’ètà per entrare al Campo sei sotto la sua custodia.-
Mi alzai in piedi. –Quindi mia madre sapeva che sono una … semidea- facevo ancora fatica a dirlo.
Il satiro annuì. Io strinsi i pugni e corrugai la fronte. –Perché non me l’ha detto?!-
-Non poteva. Fino a quando sei all’oscuro della tua natura i mostri non fanno molto caso al tuo odore. Appena diventi consapevole di essere un semidio sprigioni un profumo maggiore, che li attira come il miele con le api-
Mi rilassai leggermente, sbuffando. Era proprio vero il detto secondo il quale il diretto interessato era l’ultimo a sapere le cose.
-L’ha fatto per il tuo bene. Non essere arrabbiata con lei- mi disse Grover.
-Non ce l’ho con lei- gli risposi.
Lo superai con passo veloce e mi avvicinai all’ingresso della tenda, guardando al di fuori di essa. Era tutto così luminoso e splendente … solo vedendolo mi veniva voglia di rotolarmi nel prato e di ridere all’infinito.
-Andiamo?-
Grover inarcò un sopracciglio. –Dove?-
-Fuori. Questo posto è meraviglioso-
Scoppiò a ridere. –Benvenuta al Campo Mezzosangue, Aelle Amazon-
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Se siete arrivati fin qui allora vuol dire che siete ancora vivi. Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento e che non ci siano troppi errori. Questa volta non ho proprio controllato perché sono piuttosto di fretta.
Come mi è stato fatto notare nelle recensioni, questi sono capitoli iniziali, in cui spesso si ripetono cose che già si sanno. Perciò, portate pazienza perché l’azione arriverà prossimamente!
Al solito, ringrazio chi ha recensito e chi ha messo la storia tra le seguite. Grazie mille!
Al prossimo aggiornamento!
Un bacio,
Aelle
 
P.S. Ho cambiato nick!

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Capitolo 4
*** Campo Mezzosangue (Parte 2) ***


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Campo Mezzosangue (Parte 2)
 
Per prima cosa Grover mi accompagnò da Chirone, che scoprii essere un centauro. Il satiro rimase parecchio scioccato quando gli dissi che non avevo idea di chi fosse Chirone. Come potevo non sapere il nome dell’allenatore di tutti i grandi eroi? Achille e molti altri erano stati istruiti da lui. Semplicemente non mi ero mai interessata della mitologia. Non così a fondo. Non fino ad oggi.
-Questa è la Casa Grande- mi disse Grover, riferendosi ad un enorme edificio nel mezzo del Campo. –Vieni, entriamo-
All’interno trovammo Percy intento a parlare con Chirone, il centauro. Sgranai gli occhi vedendo il suo aspetto, ma ormai mi stavo abituando. Un po’ come mi stavo abituando a vedere ragazzini di undici anni con in mano spade più grandi di loro.  Passando attraverso il Campo ce n’erano tantissimi.
Chirone mi gettò una rapida occhiata, prima di interrompere la conversazione con Jackson e avvicinarsi a me. Quindi fu Percy a notarmi, salutandomi con un gigantesco sorriso stampato in faccia. Davvero, quel ragazzo avrebbe rischiato la paralisi per quanto sorrideva.
-Tu devi essere Aelle-
Raddrizzai la schiena. –Sì, signore-
Chirone inarcò un sopracciglio, tentando di sopprimere la risata che gli rombava nel petto.
-Non c’è bisogno di essere così formali, bambina- mi abbracciò e io sentii sotto il naso il tipico odore dei cavalli –Qui siamo tutti una famiglia-
-Va … va bene- bofonchiai contro il petto del centauro, non osando però ricambiare il suo abbraccio. Mi sentivo un po’ in imbarazzo.
-Chirone, Chirone- sbottò una voce in un angolo –Sono stufo dei tuoi trucchi. Abbiamo una partita di pinnacolo in sospeso-
Mi allontanai dal centauro con sguardo confuso. Chi aveva parlato?
-Signor D arrivo subito. Non la faccio attendere oltre-
Chirone si spostò verso un angolo tra i più scuri della stanza, dove notai due occhi fiammeggiare. Automaticamente feci due passi indietro.
Una sedia strusciò sul pavimento e dall’oscurità emerse un uomo piccolo e grassoccio. Aveva il naso rosso, gli occhi grandi e lucidi e dei capelli neri che tendevano al blu. Il particolare che mi colpì di più fu la camicia: hawaiana e tigrata. Nonostante il tono irritato con cui si era rivolto a Chirone, sembrava simpatico.
Il nuovo arrivato mi squadrò con occhio critico poi sbuffò: pareva essere sul punto di mettersi a sbattere i piedi a terra dal nervoso. Ma non lo fece.
-Oh, no- si limitò a piagnucolare –Un altro marmocchio semidivino-
Percy ruotò gli occhi. Grover si rimpicciolì guardando l’ometto con timore e rispetto insieme. Chirone, invece, tornò verso di me e mi prese per un polso, portandomi davanti all’ometto grassoccio.
-Aelle, lui è il Signor D. Il direttore del Campo- disse il centauro.
Il Signor D liquidò le parole di Chirone con un gesto blando della mano. –Sì, sì … benvenuta. Ora che l’ho detto, sparite tutti – commentò tornando a sedersi nell’angolo buio –Chirone, tu rimani. Dobbiamo finire la partita!-
 
-La D sta per Dioniso- mi disse Percy –Ma credo che anche deficiente vada bene-
Un tuono rombò in lontananza. Jackson ridacchiò, mentre Grover si guardava ansiosamente alle spalle con occhi sbarrati. Presumo a causa del timore che il signor D potesse spuntare all’improvviso e incenerirlo.
-Il dio del vino- commentai.
-Proprio lui-
Non sapevo esattamente dove stavamo andando, ma seguivo Percy e Grover senza farmi troppe domande. A parte l’incidente della Chimera, affidandomi a loro non avevo ancora passato guai troppo grossi.
All’improvviso la bocca mi si spalancò quando vidi quello splendore. Una grandissima distesa d’acqua si stagliava davanti a me, allungandosi oltre la linea dell’orizzonte. Scintillava, meravigliosa, ogniqualvolta i raggi del sole ne sfioravano la superficie.
Scansai Percy con una piccola spinta e lui, non aspettandoselo, finì gambe all’aria nella sabbia.
-Ehi!Ma cosa … !- sputacchiò.
Non gli prestai la minima attenzione, intenta com’ero a togliermi le scarpe e ad immergere i piedi nell’acqua, arricciando le dita nel sentirla squisitamente gelida.
Avanzai sempre di più nell’acqua finché questa non mi arrivò fino alla vita, infradiciandomi i pantaloni e parte bassa della maglietta. Ma non mi importava di bagnarmi i vestiti, volevo solo continuare a camminare.
-Torna a riva!- mi urlò Grover.
Ma la sua voce era solo un fastidio lontano, un rumore di sottofondo. Avevo la mente annebbiata. Che mi stava succedendo? Non riuscivo più a pensare.
Senza che mi fossi accorta, mi ritrovai immersa nell’acqua fino alla gola. Perché non andare avanti? Che pericolo c’era? Ora che l’acqua mi era arrivata sopra alla testa mi riusciva sempre più difficile respirare. Mi abbandonai alla corrente.
D’un tratto due mani mi afferrarono sotto le ascelle e con un’improvvisa spinta fui fuori dall’acqua, ansimando disperatamente in cerca di aria.
-Cosa ti è saltato in mente? Si può sapere?- mi rimproverò Percy, cercando di superare il rumore prodotto dalle onde.
La vista mi ritornò lucida e fui di nuovo in grado di pensare. Perché ero in acqua se nemmeno sapevo nuotare? Fortunatamente Percy era figlio di Poseidone. Grazie a lui ero ancora viva.
-Non lo so- mormorai –Ma grazie mille per l’aiuto-
Percy annuì, la mascella tesa, e non mi rispose. Spostò un braccio attorno ai miei fianchi, girandosi verso la spiaggia, dove Grover si stava mangiando le unghie per l’ansia. Il satiro si rilassò impercettibilmente quando vide Jackson tenermi a galla.
Mi ritrovai a riva in men che non si dica, infreddolita, con un Grover preoccupato che mi ronzava intorno con un asciugamano preso chissà dove. Me lo avvolse intorno alle spalle e io me lo strinsi addosso, sentendo i brividi corrermi sulla pelle. Di lì a poco starnutii.
A quel punto Percy e Grover mi si piazzarono davanti, in silenzio, forse pensando che una loro occhiata potesse risolvere il problema.
-Non guardatemi così. Non so cosa sia successo!- strepitai con un tono poco convincente. Ma era la verità: non avevo la minima idea di cosa mi fosse capitato. Mi sentivo ancora un po’ scossa  e non avevo molta voglia di parlare. Tanto più che le mie labbra stavano assumendo una sfumatura blu. Come i biscotti della signora Jackson.
Grover sospirò, imitato da Percy. Mi alzai in piedi, traballando su gambe malferme.
-Mi sa proprio che dovremo interrompere la partita di pinnacolo del Signor D- disse sconsolato il satiro –Ma dobbiamo parlare con Chirone-
-Urgentemente- aggiunse Percy.
Senza obiettare li seguii.
 
 
Note:
Aloha!
Eccomi con il nuovo capitolo. Spero che vi possa piacere!
Ora che Aelle ha rischiato di morire dovrebbero nascervi le prime domande sul perché, che ovviamente non vi dirò. L’ho già detto che sono un’autrice malvagia?
Per farmi perdonare da Soni, che voleva momenti fluffosi … nel prossimo capitolo ce ne sono! Spero di aggiornare presto. Sono piena di cose da fare.
Ringrazio come sempre chi ha recensito e chi ha messo la storia tra le seguite! Grazie mille!
Fatemi sempre notare errori o perplessità varie. Se sbaglio sono sempre pronta a correggermi.
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle
 
P.S. Soni! Sto leggendo “The demigod files”. In inglese! E ce la faccio! Grazie per avermi spronato!

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Capitolo 5
*** Rischio di soffocare per troppo affetto ***


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Rischio di soffocare per troppo affetto
 
C’era già qualcuno con Chirone quando entrammo nella Casa Grande. Era alta, sfiorava il metro e ottanta a occhio e croce, e aveva i capelli biondi. Nel momento in cui sentì dei passi e si voltò, potei guardarla in faccia. Aveva un viso molto carino e al contempo molto maturo. Me lo suggerivano gli occhi: grigi, come nuvole temporalesche.
-Annabeth!- la chiamò Percy.
La ragazza si illuminò, correndogli incontro. –Testa d’Alghe!- e con mio grande stupore lo baciò. Credo che mi si spalancò la bocca perché Grover, ridacchiando, mi disse di chiuderla.
-Mi sei mancata, sapientona- le mormorò Percy, mentre lei arrossiva e cercava di divincolarsi da quell’abbraccio in cui era avvinghiata. Evidentemente non amava le smancerie in pubblico.
Tirai sul col naso e la coppietta si staccò, sempre più imbarazzata.
-Allora- Chirone si schiarì la gola –Avevi bisogno, Aelle?
Scossi la testa. –Non proprio. Ma Grover sostiene che sia opportuno dirglielo-
Mi invitò a sedere e fu allora che notai che il Signor D non era presente, ma non feci domande a riguardo. Presi piuttosto un bel respiro ed iniziai il mio racconto. Non ci misi molto, in fondo era successo tutto in pochi attimi, ma Chirone volle ascoltarmi lo stesso.
Quando terminai, il centauro rimase in silenzio e non proferì parola finché non lo chiamai con voce insicura. Sembrava essersi incantato.
-Scusami, bambina- disse con tono grave –Ma ti è accaduta una cosa piuttosto insolita. Non ho mai sentito parlare di niente del genere-
Annabeth si girò a guardarlo. – Com’è possibile che non sia mai capitato qualcosa di simile? Tu hai vissuto moltissimi anni, dovresti sapere tutto!-
Chirone la fissò con un sorriso mesto. –Purtroppo non so tutto, Annabeth, anche se mi piacerebbe- ammise e la ragazza abbassò le spalle, con lo sguardo perso nel vuoto. Percy la attirò a sé, abbracciandola di nuovo, e questa volta lei non si oppose.
-Spero che non sia nulla di grave- dissi a bassa voce.
Grover sorrise a mezza bocca. –Quando si parla di semidei c’è sempre qualcosa di pericoloso- commentò –Ma fintantoché stai al Campo dovremmo riuscire a proteggerti-
Aggrottai le sopracciglia: il condizionale non mi faceva pensare ad un futuro roseo. Evidentemente avrei dovuto cambiare opinione riguardo alla mia idea di avvenire. Ora ero una mezzosangue.
Per l’ennesima volta starnutii e Grover scattò in piedi. –Ti conviene andare ad asciugarti per bene. Ammalarsi non è mai una buona cosa-
 
Fu Annabeth ad accompagnarmi nello spazio del Campo riservato alle case e ad introdurmi in quella in cui avrei alloggiato, la numero undici. Mi spiegò anche che non sarei stata lì per sempre perché ero la prima indeterminata entrata nel Campo da quando Percy, alla conclusione della Seconda Guerra, aveva fatto promettere agli dei di riconoscere tutti i loro figli.
-Che se ne siano già dimenticati?- ragionò tra sé e sé mentre sorpassavamo una casa che profumava di mare. La osservai in silenzio: qualcosa mi diceva che dovevo entrare. E così feci. O almeno ci provai perché Annabeth mi fermò un attimo prima che ne varcassi la soglia afferrandomi il polso.
-Ferma. Non puoi- mi ammonì con sguardo severo –E’ proibito entrare nella casa di un dio o di una dea che non sia il tuo genitore-
Appuntai questo particolare in testa e le feci un’altra domanda. –Questa casa a che dio è consacrata?-
-Poseidone- mi rispose, facendomi al contempo allontanare da essa. Continuò a trascinarmi finché non raggiungemmo una delle ultime case, quella che Annabeth mi aveva detto essere di Ermes.
-Il messaggero degli dei- sorrisi –Quando ero piccola era il dio che mi piaceva di più-
Annabeth rimase un po’ interdetta per la mia improvvisa confessione, ma scrollò le spalle come se non avessi parlato. Era una ragazza un po’ fredda, ma sentivo che i suoi lati buoni erano rintanati sotto la scorza gelata.
Mi lasciò davanti alla porta e si dileguò immediatamente, sostenendo di avere molto da fare. Sostai davanti alla casa per qualche secondo, poi mi decisi ad entrare. E rimasi scioccata. Era un disastro totale: c’era roba sparsa dappertutto, anche nei posti più improponibili.
Sul momento mi bloccai, ma dopo poco notai che c’erano tanti letti e altrettanti ragazzi che mi fissavano, tutti con lo stesso sorriso scaltro. L’aria divenne improvvisamente tesa. Loro mi osservavano senza dire una parola, ma con curiosità dipinta in faccia. Io non sapevo cosa dire e mi guardavo intorno, imbarazzatissima.
Quando uno di loro tossì, la bolla di sapone si ruppe ed essi presero a gridare tutti insieme. Indietreggiai, spaventata dal chiasso. Probabilmente mi stavano sommergendo di domande, ma non capivo niente. Andarono avanti fino a quando qualcuno non urlò più forte. Si zittirono all’unisono, ma temevo fosse la classica calma prima della tempesta.
-Nuova?- mi chiese uno.
Annuii.
Volevo sprofondare: la loro attenzione era completamente catturata dalla mia presenza. E non feci in tempo a coprirmi le orecchie perché ripresero a strillare. Immaginai che fosse il loro modo per darmi il benvenuto. E reputai che fossi un gesto carino, ma il pensiero mi morì in testa non appena mi si avventarono tutti contro, stringendomi in abbracci senza fine. Ognuno mi stritolava a modo suo, ma ci misi poco per sentirmi soffocare.
Quando finirono di accogliermi ero in fondo alla stanza, ormai asciutta. L’asciugamano mi cadde di mano, mentre il silenzio calva di nuovo e tutti mi fissavano –ancora!- in attesa che dicessi qualcosa.
-Uhm … grazie- strusciai un piede a terra.
Risero. –Di cosa? Sei una figlia di Ermes. Siamo la tua famiglia-
Spalancai gli occhi, affrettandomi a negare. –Oh, no. Non sono figlia di Ermes! Annabeth ha detto che sono indeterminata-
Un centinaio di bocche si spalancarono. E ripresero a parlare tutti insieme. Cercai di attirare la loro attenzione, ma per quanto ci provassi sembrava che quella parola fosse più interessante.
-Scusate … -
Nessuno mi ascoltò. Erano tutti intenti a cercare di capire perché fossi indeterminata ed erano preoccupati che altri ne potessero arrivare.
Rinunciai e mi scelsi un letto tra quelli vuoti, sdraiandomi. Abbassai le palpebre e mi addormentai.
Prima o poi avrebbero smesso,  no?
 
 
 
Note:
Ciao a tutti! Eccomi con il nuovo capitolo!
Spero che vi piaccia. Non vorrei però essere troppo veloce nell’aggiornare. Se lo sono, fatemelo sapere … rallento un po’.
Avevo promesso a Soni un po’ di Percabeth. Ho messo solo un bacio, spero vada bene lo stesso! Più avanti approfondisco un po’. E non pensare male!xD
Beh, al solito: gli errori fatemeli notare sempre.
Grazie per le recensioni e un grazie va anche a chi ha messo la storia tra le seguite –siamo a 11!!- GRAZIE MILLE!!
Ok, questo spazio-note fa schifo.
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle

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Capitolo 6
*** Allenamento con Percy e Annabeth ***


eeeeeeeeee
Allenamento con Percy e Annabeth
 
Tutto era insolitamente calmo quando mi svegliai. Mugolando, mi tirai a sedere sul letto. Sbadigliai: avevo dormito come un sasso, come mai prima d’ora mi era capitato.
Ma che ore erano?
Mi guardai intorno e notai che l’intera camera era vuota. C’ero solo io. E tutti gli altri ragazzi dove erano andati a finire? Mi sentii improvvisamente agitata, il cuore prese a battermi forte e mi ritrovai in piedi senza accorgermene. Controllai ancora, ma non c’era nessuno.
Presi un grosso respiro e aprii la porta della casa. La luce del sole di mezzogiorno mi colpì in faccia come una cannonata. Mi coprii gli occhi con una mano tanto era forte. Non appena riuscii ad abituarmi al sole accecante mi guardai intorno, udendo nel frattempo anche degli schiamazzi: centinaia di ragazzi in armatura greca si rincorrevano brandendo chi spade, chi pugnali, chi lance. Ognuno di loro rideva come un matto mentre cercava di disarmare l’avversario. Poco lontano altri si esercitavano con gli archi sotto la guida di Chirone. Avevano una mira incredibile!
In quel momento un cavallo con le ali mi passò sopra la testa e la forte corrente d’aria mi spinse indietro, facendomi inciampare e cadere sul sedere.
-Ahia … - sollevandomi, mi massaggiai la parte lesa. Poi rimasi incantata a fissare quella splendida creatura finché non divenne un punto lontano nel cielo.
-Aelle!- mi chiamò Percy.
Mi stava correndo incontro, Annabeth dietro di lui che sventolava una mano con un sorriso gentile stampato in volto. Quando mi vennero vicino non avevano nemmeno il fiatone.
-Ciao- dissi con ancora una punta di timidezza.
Annabeth mi circondò le spalle con un braccio con fare amichevole e insieme a Percy mi portò verso il campo in cui tutti si allenavano. Mi spiegò gli orari di ogni lezione, che poi alla fine non erano così rigidi. Una volta che il tuo genitore divino ti riconosceva ti dedicavi ad una attività che potesse avvicinarti a lui. Così i figli di Apollo tiravano con l’arco, i figli di Atena pensavano alla strategia, i figli di Efesto rimanevano quasi tutto il giorno nelle fucine.
Percy si avvicinò alla rastrelliera e prese due spade, porgendomene quindi una. La accettai con disagio, non sapendo come tenerla, e lo fissai con sguardo interrogativo.
-Prima o poi devi provare- mi esortò lui –Dai, scontro amichevole-
Sgranai gli occhi e scossi la testa. –No, no. Non sono capace di usare questa cosa-
Annabeth scoppiò a ridere. –Stai tranquilla, Aelle!Tutti i semidei hanno dei riflessi pronti per la guerra. Non appena Percy proverà ad attaccarti, in qualche modo il tuo corpo reagirà e ti dirà cosa fare-
Il ragazzo al suo fianco confermò quanto aveva appena detto.
Sinceramente – e la cosa mi sconvolse parecchio- non era l’idea del combattimento a mettermi a disagio, ma solo la spada. La sentivo strana tra le mani, non mia. In quell’istante compresi: la spada non era la mia arma.
-Annabeth-  dissi e improvvisamente la mia voce apparve decisa –Non posso usare la spada. Non la sento bene-
Lei mi rivolse un sorriso comprensivo. –Certo, è normale. Non è bilanciata-
-No. Intendo dire che la spada non è fatta per me. Non posso usare qualcos’altro?-
Annabeth e Percy si guardarono per qualche secondo, poi annuirono e mi fecero largo fino alla rastrelliera. Lì riposi la spada, mentre dentro di me si agitava un forte senso di disgusto.
Feci scorrere gli occhi sulla rastrelliera, con sguardo critico. Pugnali, lance, archi. Sembrava che niente potesse fare al caso mio. Stavo quasi iniziando a disperarmi, quando finalmente la trovai.
Un’ascia. Un’ascia bipenne.
La afferrai con mani tremanti. Anche quella non era bilanciata, ma mi sentivo in pace stringendola. La sensazione che provavo stringendola era molto diversa da quella che sentivo con la spada.
-Prendo questa-
-Va bene- mi disse Percy con uno strano ghigno –Sappi che ti straccerò comunque-
Annabeth ridacchiò. –Testa d’Alghe vacci piano. E’ appena arrivata- lo rimproverò.
Percepii montare in me il senso di competizione. Strinsi la presa sul manico dell’ascia fino a che le nocche non mi diventarono bianche.
-Accetto la sfida- alzai il mento –Non trattenerti-
Percy mi fece segno di seguirlo fino al centro del campo di allenamento. Lì si fermò, piantando i piedi a terra e osservandomi. Lo imitai, senza sapere il perché di quello di quello scambio di sguardi.
Quando Percy mi corse contro, impugnai l’ascia con entrambe le mani e mi preparai a ricevere il colpo. Fu faticoso non lasciar cadere a terra l’arma e ancora di più lo fu cercare di contrattaccare, ma in qualche modo ci riuscii.
Percy non si fece intimorire e mi si avvicinò ancora. Mi preparai di nuovo all’impatto, ma lui si tirò indietro all’ultimo secondo, passandomi di fianco e finendo alle mie spalle. Mi buttò a terra con un calcio e mi puntò la spada alla gola. Trattenni il fiato.
-Tutto qui?- mi derise –Che senso ha usare tutta la mia forza contro di te se il risultato è questo?-
La rabbia mi invase, ribollendomi nel petto e facendomi fischiare le orecchie. Riafferrai l’ascia che mi era caduta e spostai la sua spada con un colpo. Dopodiché mi alzai, furiosa.
Lo attaccai senza tregua, quasi inconsapevole dei miei movimenti, e lo costrinsi ad indietreggiare. E al muro ci finì lui, con la mia ascia a un centimetro dal suo stomaco e il mio viso ad un soffio dal suo. Percy perse la presa sulla spada, che cadde a terra con un suono sordo.
-Basta così!- ci interruppe Annabeth.
Ritornai in me e lasciai a Percy modo di muoversi. Lui mi sorrise, questa volta con il fiatone.
-Che ti avevo detto? I semidei hanno un istinto innato per il combattimento-
Risposi al suo sorriso. –No, è solo la fortuna del principiante-
Eppure dentro di me sapevo benissimo che non era così.
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Scusatemi per il ritardo, ma ho avuto dei giorni un po’ pieni.
Spero che il capitolo vi piaccia e che non vi annoi. Aelle che si allena con Percy :D
La ragazza ha qualcosa di strano, spero che ve siate accorti!Ma cosa lo dirò tra un po’ visto che come sempre sono un’autrice malvagia.
Grazie a chi legge, a chi recensisce e chi aggiunge la mia storia tra preferite/seguite/ricordate. GRAZIE MILLE!
Ne approfitto per dirvi che ho pubblicato una one-shot sulla divina coppia Efesto-Afrodite. Sui loro diversi punti di vista riguardo all’amore.
Leggetela, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate! Ovviamente non siete obbligati.
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle

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Capitolo 7
*** Accettare una proposta per vendetta ***


guuuu
Accettare una proposta per vendetta
 
-Ehi tu!-
Mi voltai e una ragazza robusta - un armadio- con degli spaghetti castani al posto dei capelli mi si avvicinò, sulle labbra uno strano ghigno che forse doveva assomigliare ad un sorriso.
-Dove hai imparato a combattere così?- mi domandò –Hai battuto quel Prissy, hai la mia stima! Mi batté una mano sulla spalla, sfondandomela quasi.
-Ehm … chi sei?
La ragazza raddrizzò la schiena e alzò il mento con orgoglio. –Clarisse, figlia di Ares- mi strinse la mano, stritolandomela –Tu in che casa stai?-
-Ermes. Sono indeterminata- preferii specificare subito che non conoscevo il mio genitore divino.
-Sarai determinata presto- mi disse –Sarai sicuramente una figlia di Ares dato che combatti così bene!
Annuii. –Spero di sapere presto chi sia mio padre, ma la guerra non mi piace molto. Non penso proprio di essere figlia di Ares!-
Clarisse mi prese sottobraccio. –La guerra fa parte di tutti i semidei. Solo che alcuni sono più adatti di altri a combatterla-
Mi portò verso un gruppo di ragazzi che facevano più casino di altri messi insieme. –Ti troverai bene con noi, vedrai-
Questo Campo Mezzosangue era seriamente un bel posto e le persone erano tutte gentili. C’era solo il particolare che lì erano tutti figli di dèi greci, ma ormai avevo superato il trauma iniziale.
Mi lasciai trascinare da Clarisse. Quella ragazza aveva una presa ferrea. Non mi sarei stupita più di tanto se avessi trovato segni rossi dove mi aveva stretto il polso.
-Fratelli!- urlò. Mamma mia che voce potente aveva!
Quelli, senza girarsi, la accolsero con grida ancora più forti. Sentii le orecchie fischiare, ma non le coprii. C’era qualcosa dentro di me che mi diceva che non era la prima volta che sentivo degli strilli simili. Non sapevo dove.
Clarisse mi spinse avanti. –Lei è … oh, giusto, non te l’ho chiesto- disse –Com’è che ti chiami?-
Mi venne da ridere, ma mi trattenni. –Aelle Amazon-
Lei mi diede un’altra pacca sulla schiena. –Sì, ecco. Aelle, benvenuta tra i figli di Ares!-
Altre urla mi sfondarono i timpani e altri colpi mi fecero male alla schiena. Erano più casinisti dei figli di Ermes, il che era tutto dire.
 
A cena restai pensierosa per tutto il tempo. Mangiavo la pizza a piccoli bocconi, quasi senza accorgermene. Insomma, per farla breve Clarisse mi aveva proposto di allenarmi con lei. Le avrei anche detto di sì, ma dopo averla vista spedire quattro ragazzi grossi il doppio di lei in infermeria avevo preferito darle una risposta più tardi. Per le dieci del mattino successivo avrei dovuto avere le idee chiare.
-Che hai?- mi chiese Heather.  Era una ragazza della casa di Ermes, l’avevo conosciuta proprio dopo l’incontro con Clarisse e in qualche modo era riuscita a convincermi a dirle tutto. –E’ ancora per la proposta di La Rue?-
Grugnii, deglutendo il boccone. –Heather, quella ragazza è una furia. Fa impressione quando combatte!Non so se accettare o meno … voglio dire, e se ci rimango secca?!-
Heather si strozzò con l’acqua che stava bevendo tanto era la ridarella. –Ti fai troppi problemi. Accetta e basta. Se La Rue ti ha chiesto una cosa del genere devi approfittarne! E’ la prima volta che fa questa proposta a qualcuno che non sia della sua casa-
Mi domandai cosa potessi avere in più di tutti gli altri agli occhi di Clarisse. Avevo battuto Percy, o Prissy, come lo chiamava lei. E allora? Non mi sembrava un fatto così eclatante. Lo dissi a Heather.
-Sì che è importante- mi rispose lei –Percy è uno dei più bravi qui al Campo e da sempre è in competizione con La Rue, fin da quando ha messo piede qui per la prima volta-
Ne fu stupita. Gettai un’occhiata al tavolo di Poseidone, dove Percy sedeva da solo, mangiando tranquillo. Sembrava un ragazzo normale. Lo era veramente?
Troppi pensieri. Sbuffai. Mi alzai dalla panca, mentre tutti gli occhi al tavolo di Hermes si posavano su di me. Non ci feci caso e mi allontanai il più in fretta possibile. Alle mie spalle sentii Heather spiegare agli altri che avevo ancora problemi ad ambientarmi.
Avevo bisogno di stare da sola. Mi addentrai nel buio, quasi senza paura. Mi ritrovai allo spiazzo con le case in poco tempo. L’aria che si respirava l’ era pura, donava un senso di tranquillità mai provata. Mi sedetti a terra e chiusi gli occhi, beandomi dei suoni più comuni. In città non era facile udirli, ma lì tutto era diverso. Un salto indietro nel tempo, con i suoi lati buoni e con quelli negativi. Sorrisi.
Ero immersa completamente nella calma quando dei passi mi riportarono bruscamente alla realtà. Balzai a sedere, agitata. Se erano tutti a cena, chi diavolo stava camminando nella mia direzione? Impossibile che avessero già finito. Mi rimproverai per non aver preso quel pugnale offertomi da Annabeth alla fine delle lezioni. Mi sarebbe tornato proprio utile.
Poi udii le risate e allora mi rilassai. Doveva essere gente del campo. Ma chi, era ancora un mistero.
Da lontano spuntarono due figure, che si inseguivano fra spintoni e scherzi vari. Man mano che si avvicinavano riuscivo a distinguerli meglio: erano due ragazzi giovani, all’incirca della mia età, incredibilmente simili.
Non appena anche loro mi scorsero, si bloccarono. Accennai un timido cenno di saluto, poi tornai a stendermi per terra con gli occhi chiusi.
-Uhm … non mi ero mai messo a guardare le stelle così prima d’ora!- affermò una voce non molto distante dal mio orecchio destro.
-A chi lo dici- quest’altra era alla mia sinistra.
Socchiusi le palpebre e notai che i due ragazzi si erano stesi accanto a me, uno da un lato, l’altro dall’altro. Mi rimisi seduta con un sospiro. Che nervoso.
-Non mi pare di avervi invitato- sbottai.
I due sghignazzarono. –Hai sentito, fratello?- disse uno –Non ci ha invitato!-
-Già, ho sentito- commentò l’altro –Quanta maleducazione nel mondo-
Continuarono ad infastidirmi per altri cinque minuti buoni, poi persi definitivamente la calma. Sollevandomi di scatto, afferrai entrambi per la maglietta –arancione, erano senz’altro ragazzi del campo- e li scossi.
-Insomma, si può sapere chi siete?-
-Potremmo dirtelo, ma cosa otteniamo in cambio?-
Roteai gli occhi. –Non è obbligatorio presentarsi, ma fa parte della buona educazione- mi rivolsi in special modo ad uno dei due –Giusto per farti notare che sono tutto tranne che maleducata-
Li lasciai andare quando sembrarono ben disposti a rispondermi. Mi sbagliai: si alzarono da terra velocemente e prima che potessi dire qualcosa erano già spariti, lasciandosi dietro una scia di risate.
Non so dire quanto esattamente fossi arrabbiata in quel momento, ma feci una promessa: avrei detto di sì a Clarisse e avrei eliminato dalla faccia della terra quei due tizi.
Parola di Aelle Amazon.
 
 
Note:
Ciao a tutti e scusate la lunga assenza.
Purtroppo Zeus ha deciso di far arrivare una serie di temporali nella mia zona ed è saltata la connessione internet. Della serie: che Zeus ti fulmini!
Ho dovuto farmi di strane sostanze per la mancanza di efp – e di face book u.u –
Allora, questo è il nuovo capitolo. Non succede niente di che, se non per uno strano incontro. Immagino che abbiate capito chi ha infastidito Aelle!
Scusate vari errori, sono talmente esaltata che ho di nuovo internet che mi sa che non ho riletto bene :P
Ringrazio per le recensioni, vi adoro!
Al prossimo capitolo (se Zeus non mi fulmina di nuovo!)
Baci,
Aelle

 

 

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Capitolo 8
*** I tralci della follia ***


ssssssssss
I tralci della follia
 
Oltre a essere dei gran rompiballe, Travis e Connor Stoll erano anche i capi della casa di Ermes. L’avevo scoperto qualche giorno prima, svegliandomi al mattino con i due sopracitati esseri che mi facevano il solletico. Non ero stata molto felice di svegliarmi così, tanto che avevo urlato loro contro e mi ero poi rimessa a dormire sotto i loro sguardi stupiti.
-Troppo lenta!- mi ammonì Clarisse puntandomi la spada alla gola –E’ inutile che stai qui se pensi agli affari tuoi-
Non appena le avevo annunciato la mia decisione, Clarisse si era rivelata un’insegnante spietata. Non mi dava un attimo di tregua, mi faceva allenare fino a tarda sera quando ero talmente stanca che faticavo persino a reggermi in piedi.
Caddi a terra con il fiatone e il cuore che mi rimbombava nelle orecchie. Clarisse non si fece impietosire dalle mie condizioni. Con il piatto della lama mi picchiettò la spalla per farmi rialzare. Li ignorai, chiudendo gli occhi.
Stupisci Clarisse.
Quel pensiero si intrufolò nella mia testa come un lampo. Non mi resi nemmeno conto di averlo concepito che già avevo stretto la presa sull’ascia. Con un colpo deciso spostai la spada di Clarisse dal mio collo. Scattai in piedi e presi ad incalzare Clarisse, la quale, nonostante la sorpresa iniziale, rispose ai miei colpi con grazie letale. Solo quando combatteva esprimeva una grazia fuori dal comune. Per il resto, ruttava come il peggiore tra gli uomini.
-Contieni la rabbia!- mi gridò –Non vai da nessuna parte se combatti con la rabbia!-
Non le prestai ascolto. Volevo vincere, solo vincere. Del resto, non mi importava molto. Se avessi potuto farle male, se avessi potuto ucciderla … non era a quello che stavo pensando.
Vittoria.
Aumentai la violenza dei miei colpi e Clarisse cominciò ad indietreggiare. Nell’aria si sentiva solo il clangore delle nostre armi. Ogni volta che entravano in contatto emettevano scintille.
-Calmati, Aelle- tentò di fermarmi Clarisse con voce insicura.
Mi teneva ancora testa, ma iniziava a perdere terreno velocemente. Ben presto si ritrovò contro il muro della Casa Grande. Eppure tenevano le nostre lezioni lontano da lì, come diavolo avevo fatto?
Con un urlo assordante mi preparai a piantarle l’ascia nello stomaco. Sollevai l’arma verso l’alto, ma improvvisamente non riuscii più a muovere le braccia: tralci di vite erano spuntati dal suolo e mi strisciavano addosso come serpenti. Avevo paura dei serpenti. Cominciai a respirare male, vedendo quelle schifose creature strette attorno al mio corpo, gli occhi gialli puntati su di me e le lingue biforcute che sibilavano.
Tornai in me con un singhiozzo, le lacrime che mi scivolavano veloci lungo le guance. I tralci-serpenti si avvolsero attorno alla mia ascia e me la strapparono dalle mani tremanti, gettandola sul terreno, dove rimase immobile.
Clarisse non si era mossa dal muro, la vedevo sfocata a causa delle lacrime. Si riscosse quando capì che di essere ancora viva. Alzò un braccio verso il mio volto, ma io, con la mente confusa dalla follia, vidi solo un serpente spalancare la bocca e avvicinare pericolosamente i denti al mio collo. Chiusi gli occhi e gridai.
Percepii i tralci allentarsi e finalmente fui libera di muovermi. Caddi addosso a Clarisse e scoppiai definitivamente a piangere.
-Mi dispiace!- singhiozzai sulla sua spalla –Non so cosa mi sia successo!-
Pensai che Clarisse si scostasse o che si mettesse a urlarmi contro, ma non fece nessuna delle due cose. Si limitò ad accarezzarmi i capelli, sussurrandomi di smettere di piangere. Un gesto gentile che non avrei mai pensato che le fosse proprio.
Poi lo notai: sulla soglia della Casa Grande Chirone era intento a fissarci e il Signor D era dietro di lui. Tutti e due avevano gli occhi preoccupati. Che loro sapessero qualcosa su di me che io non conoscevo?
Mi irrigidii tra le braccia di Clarisse e lei, seguendo il mio sguardo, capì il motivo della mia reazione.
-Andiamo- mi disse.
Mi aiutò a sollevarmi da terra e mi fece allontanare da lì, portandomi verso la casa di Ares, a quell’ora vuota perché tutti i suoi occupanti erano ad allenarsi.
Sentii puntati sulla schiena due paia di occhi. Ci seguirono finché non entrammo nella casa e scomparimmo alla loro vista.
 
Sedevo a gambe incrociate sul letto di Clarisse, io da una parte, lei dall’altra che mi fissava con  sguardo indagatore. Sembrava Annabeth in quel momento.
-Te l’ho già detto, Clarisse. Non ho idea di cosa mi sia successo prima. Volevo vincere. La mia mente pensava solo a quello-
-Hai rischiato di uccidermi. Mi devi una spiegazione-
Sospirai, passandomi una mano tra i capelli, lunghi e neri come il carbone. –Non lo so. Quante volte te lo devo ripetere?-
Gli occhi di Clarisse fiammeggiarono, ma la ragazza non mosse un solo dito per esprimere la collera che le ribolliva dentro.
Controlla la rabbia. Clarisse me l’aveva detto giusto poco prima. Lei lo stava facendo e ci riusciva benissimo. Ecco perché era così brava nell’arte della guerra.
-Dovrei seguire più spesso i tuoi consigli- le dissi con piccolo sorriso.
Clarisse mi guardò, confusa. –Di cosa stai parlando?-
-Controlla la rabbia. Sei stata tu a dirmelo. Fossi stata ora nei tuoi panni ti sarei già saltata addosso. Riesci a controllarti in modo fantastico-
Lei si lasciò andare ad una risata e finalmente vidi la collera nei suoi occhi sparire. Si spostò accanto a me, circondandomi le spalle con un braccio.
-Imparerai anche tu!- mi disse –Sono o non sono la tua insegnante preferita?-
Risi. –Preferita non è la parola giusta, ma, sì, posso dire che sei passabile-
Clarisse gonfiò le guance e mi si lanciò addosso, schiacciandomi sotto la sua mole. –Passabile? Passabile?!- urlò.
Presi a ridere sempre più forte. Forse non era tanto capace di controllarsi.
 
Il signor D si portò la lattina di Diet Coke alla bocca, bevendo con aria disgustata.
-Chirone- esordì –L’hai vista, vero?-
Il centauro annuì. –Sì, anche se avrei preferito di no-
Il dio si alzò dalla sua sedia, lasciando una partita di pinnacolo a metà per la prima volta. Si avvicinò alla finestra e fissò gli occhi sulla casa di Ares, dove le due ragazze si erano rifugiate dopo l’incidente.
-Immagino anche che tu abbia capito con che cosa abbiamo a che fare-
Chirone annuì nuovamente. –Quello non è il suo vero potere-
Il signor D gli lanciò un’occhiata veloce. –Concordo. Deve esserci qualcosa che la blocca. Un sigillo. Una maledizione. Un qualcosa che ora non capisco-
Chirone si erse in tutta la sua statura e si portò alle spalle del dio, mantenendo una certa distanza.
-Non dimentichiamo della faccenda riguardante il suo genitore divino. Non è ancora stata riconosciuta. Il patto prevede … -
Il Signor D lo interruppe con un gesto brusco della mano. –So cosa prevede il patto. E tutti gli dei lo stanno mantenendo. Ma come ho già detto, c’è qualcosa che la blocca, qualcosa che le impedisce sia di sprigionare i suoi veri poteri sia di essere riconosciuta-
Il centauro sgranò gli occhi, agitando la coda. –Questo significa che rimarrà indeterminata finché questo sigillo, chiamiamolo così, non verrà rimosso?-
-Esatto-
-Ma come lo si toglie?- domandò Chirone.
Il Signor D si voltò verso di lui con aria altamente scocciata. –Se l’avessi saputo te l’avrei detto, no?-
Chirone non era tanto sicuro che lo avrebbe fatto, ma preferì non dirlo. –Spero solo che Rachel arrivi presto. Lei avrà le risposte-
-Per la seconda volta nella mia divina vita mi trovo d’accordo con te, anche perché se loro arrivassero qui per il Campo sarebbe la fine-
E ritornò a bere la sua Diet Coke sotto lo sguardo preoccupato del centauro.
 
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Sono tornata con il nuovo capitolo. Sarete felicissimi vero?
Silenzio.
Lo immaginavo.
Ok, passo a spiegare alcune cose. Non ho mai descritto Aelle fisicamente perché mi piaceva l’idea che ognuno di voi se la immaginasse come più gli piaceva, ma mi sono accorta che non è possibile non descriverla del tutto. Perciò metterò degli indizi in giro. Oggi ho detto che ha i capelli neri? La prossima volta cosa dirò?
E’ un pochino più lungo dei precedenti capitoli, ma è quello che introduce alla storia vera, per così dire. Ho messo due punti di vista. La prima persona di Aelle, come al solito, ma alla fine ho fatto intervenire un narratore esterno. Spero che la cosa sia riuscita bene.
Beh, spero che vi piaccia. Vi invito a farmi sapere cosa ve ne pare: sono accetti sia commenti buoni ch negativi, anche quelli mi aiuteranno a migliorare. Fatemi sapere vari errori!
Da ultimo, ringrazio chi ha recensito ( e chi recensirà!), chi tra le seguite e chi tra le preferite. Grazie davvero!
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle

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Capitolo 9
*** Mia madre rovina la Caccia alla Bandiera ***


fffffffffff
Mia madre rovina la Caccia alla Bandiera
 
 
Dopo aver passato una settimana e mezzo al Campo ero diventata molto più forte: avevo una resistenza maggiore nella corsa, ero in grado di scalare un muro di lava e di usare un’ascia senza avere strane reazioni. L’unica cosa in cui rimanevo una frana assoluta era il canottaggio: dopo l’incidente del primo giorno in cui avevo rischiato di affogare, Chirone mi aveva impedito di avvicinarmi di nuovo all’acqua. Percy, Grover e Annabeth si erano dichiarati totalmente d’accordo con lui.
-Domani c’è la Caccia alla Bandiera- mi ricordò Travis sedendosi accanto a me.
Stranamente avevo fatto amicizia con i fratelli Stoll. A differenza di come avevo pensato a prima vista non erano gemelli e soprattutto non erano poi così antipatici. Erano solo propensi a fare più scherzi di quanti la mente umana potesse sopportare. Tralasciando questo aspetto mi piacevano. Travis in particolare: aveva la mia stessa età e, dopo che avevo superato la diffidenza iniziale, si era dimostrato molto gentile con me.
-Già- sospirai, triste.
Travis me lo aveva spiegato: prima che Percy obbligasse gli dei a riconoscere i propri figli, la Caccia alla Bandiera era considerata un rito di passaggio. Solo facendo il proprio meglio si aveva una possibilità di attirare l’attenzione del rispettivo genitore divino. Ed era l’ultima possibilità.
Travis mi diede una pacca sulla spalla. –Su, su. Sei piuttosto brava con l’ascia. Abbastanza da farti riconoscere, vedrai-
In risposta, gli rivolsi una domanda che certamente lo sorprese. –Come siete stati riconosciuti tu e tuo fratello?-
Prese un respiro profondo. –E’ stato un caso, non ce l’aspettavamo neanche. Avevamo già partecipato alla nostra prima Caccia alla Bandiera perciò ormai avevamo perso le speranze- si fermò, scrutando il cielo davanti a sé.
Mi avvicinai a lui e gli appoggiai la testa sulla spalla, presa da un impulso che non comprendevo. Sobbalzò, ma non si ritrasse. –Continua- lo incitai.
-Beh, mio padre è il dio dei viandanti, ma è ricordato soprattutto per essere il dio dei ladri- mi fissò con la coda dell’occhio e io ricambiai. –E’ stata una scena molto comica, se devo essere sincero. Era sera ed eravamo tutti radunati attorno al focolare. Mentre i ragazzi della casa di Apollo cantavano, io e Connor, annoiati a morte, provammo a rubare il portafoglio ad un ragazzo che ci dava le spalle. Se non sbaglio era della casa di Ares. Quando mettemmo le mani sul portafoglio, fummo riconosciuti. Eravamo in trappola: tutti si girarono a guardarci, incluso il ragazzo che avevamo derubato. E così, oltre ad essere riconosciuti, fummo anche pestati a sangue-
Scoppiai a ridere, forte. –Penso di stimare Ermes!- strillai tra le risate –Sicuramente hai cercato di imitarlo, te ne do atto. Ma lui ha più stile!-
In lontananza sentii rombare un tuono. Qualcosa mi diceva che non era un rimprovero, ma piuttosto un ringraziamento.
A quel punto, mi alzai prima che Travis mi acchiappasse. Si mosse velocemente e per un soffio non mi prese. Mi rincorse per mezzo Campo, ma, come ho già detto, ero migliorata nella corsa abbastanza da distanziarlo. Mi accorsi, però, di averlo sottovalutato quando mi afferrò per un polso e mi tirò indietro. Mi sbilanciai e gli caddi addosso, il respiro pesante.
E improvvisamente tutti smisero di allenarsi e presero a fissarci in modo abbastanza eloquente. Poi iniziarono le risatine da parte delle figlie di Afrodite. Mai in tutta la mia vita mi ero ritrovata in una situazione così imbarazzante.
Mi alzai in fretta e furia e mi portai a distanza di sicurezza da Travis. Gli tesi solo la mano per aiutarlo a tirarsi su. Quando incontrai il suo sguardo mi parve di notare una punta di delusione. Ma, poiché non ero abituata a ricevere attenzioni di un certo tipo, non ci prestai l’attenzione che avrei dovuto prestarci.
E quella giornata finì così, con qualcosa di non detto che mi fece sentire strana, quasi elettrizzata.
 
-Perché non stai mai attenta Clarisse?- sbottai.
La ragazza in questione mi era venuta addosso, travolgendomi come solo lei era capace di fare.
I novellini –mi stupii io stessa del termine che stavo usando perché non ero molto diversa da loro- trattennero il fiato. Clarisse non era certo nota per i suoi modi da signorina. Piuttosto, era violenta come un wrestler.
Quella volta li stupì tutti. Mi diede una delle sue solite manate e ghignò, visto che ancora le riusciva difficile sorridere. –Oh, non farla tanto lunga, Ragazza Innamorata!-
Inarcai un sopracciglio, palesemente stizzita. –Come scusa? Non ho capito bene come mi hai chiamata- mossi le dita a casaccio.
-Ragazza Innamorata- rise, sfondandomi un’altra volta la spalla –Ho sentito che stai con Travis!-
La mia mascella toccò terra. –Chi te l’ha detto?-
-Le figlie di Afrodite lo stanno urlando ai quattro venti- per un attimo parve dubbiosa delle sue stesse parole –Perché, non stai con Travis?-
-No, Clarisse- sbuffai –Da quando ascolti quello che dicono le figlie di Afrodite?-
-Da quando mio padre è Ares- ribatté lei –Ma sei mi dici che non è vero, ci credo-
-Non è vero- le assicurai.
In quel momento odiai le figlie di Afrodite come mai avevo odiato qualcuno, ma compresi che la cabina numero dieci era anche da temere. Se riuscivano a convincere le persone solo parlando erano altamente pericolose.
-Ah, dimenticavo di dirti che la casa di Ermes è in squadra con quella di Ares stasera- esordì Clarisse –Saranno con noi anche le case di Demetra, Efesto, Afrodite e altre di cui non mi ricordo il nome-
Tipico di Clarisse non ricordare le cose che non riteneva degne della sua attenzione. –Ho capito. Che cosa hai in mente?- le chiesi.
Lei allargò il suo ghigno. –Lo vedrai- mi rispose, enigmatica.
Se ne andò spintonando i ragazzi più piccoli e facendoli cadere a terra come birilli.
 
-Eroi!- gridò Chirone alle nove esatte di sera.
Ci radunammo tutti attorno alla sua figura, chi elettrizzato e chi spaventato a morte. Nell’ultima categoria rientravo anche io. Tremavo come una foglia e mi aggrappavo al braccio di Travis come se fosse la mia ancora di salvezza.
-Hai intenzione di staccarmi il braccio?- mi bisbigliò lui, ridacchiando.
Scossi la testa, ma non mi staccai da lui. Neanche un po’. Travis si limitò a ruotare gli occhi e a sorridere.
-Eroi- riprese Chirone –Sta per avere inizio la Caccia alla Bandiera. Conoscete le regole: è vietato uccidere e ferire troppo gravemente. Tenete a mente queste due cose- guardò i figli di Ares con fare ammonitore.
Man mano che il centauro impartiva le istruzioni di base, ognuno si accorpava nella propria squadra. Blu contro rosso. Atena contro Ares. Annabeth contro Clarisse.
Già cominciava male.
Chirone prese il corno dalla cintura e avvicinò le labbra ad esso. Il segnale d’inizio. Ogni semidio si mise in posizione, lanciando occhiatine complici ai compagni di squadra.
Ma il suono del corno venne coperto da un rumore più forte. Un’esplosione assordante. Mi tappai le orecchie e chiusi gli occhi per ripararmi dalla polvere che si stava alzando.
Chirone cercò di sovrastare il frastuono gridando ordini, ma poi cominciarono le urla. E il fuoco. E il sangue. Ne sentivo l’odore nell’aria.
-Travis, cosa succede? Questo non fa parte del normale programma della Caccia alla Bandiera, vero?- commentai con una punta di ironia mista a panico.
-No- mi confermò con occhi preoccupati.
Quando il fumo si diradò le vidi. Un gruppo di donne bardate in armature splendide – anche se imbrattate del sangue di alcuni semidei, quelli che si trovavano più vicini al luogo dell’esplosione- si ergeva sul confine del Campo. Gli sguardi fieri delle donne scandagliarono la folla finché non trovarono i miei occhi.
E allora riconobbi la figura centrale.
Mia madre.
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Volevo aggiornare domani, ma ho deciso di anticipare. Siete contenti? ^-^
Silenzio tombale.
Bene, ma io tanto l’ho pubblicato lo stesso. Ora siamo entrati nella vera storia e spero vi possa piacere. Che non vi annoi, o cose simili. In tal caso fatemelo sapere, se posso modifico. Più che altro non vorrei aver corso troppo, con il rapporto con Travis e Clarisse. Ma se stavo lì a descrivere giorno per giorno non finivo più e sarebbe stato noiosissimo anche da leggere.
Questo è il risultato, insomma. Come sempre fatemi notare se ci sono errori e cose varie, mi piace sapere tutto!
Spero di tornare presto con il prossimo capitolo!
Baci,
Aelle

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Capitolo 10
*** Jane Ippolita Amazon cerca di affogarmi ***


wwwwwwwwww
Jane Ippolita Amazon cerca di affogarmi
 

Il signor D tentò un approccio diplomatico. Incurante del caos che si era creato al Campo, uscì dalla Casa Grande con passo tranquillo e sguardo insolitamente serio.
-Sono sicuro che possiamo arrivare ad una soluzione pacifica- esordì, ponendosi in mezzo ai due fuochi.
Mia madre, la donna dai capelli fiammeggianti e gli occhi di ghiaccio, non fece una piega all’apparire del dio. Non si inchinò né lo guardò con rispetto. Piuttosto, lo fissò con un’arroganza che non le avevo mai visto addosso.
-Vogliamo lei- ringhiò mia madre –Consegnatecela e ne uscirete illesi- fece un passo avanti e tese un braccio verso di me.
Da parte mia non mi mossi di un centimetro e mi rannicchiai dietro a Travis, cercando di calmare il mio respiro agitato. Travis anche senza comprendere bene la situazione – del resto, nemmeno io riuscivo a capire- mi fece da scudo umano, stringendomi una mano con la sua. A quel contatto mi rilassai visibilmente, ma mia madre non sembrò accettare di buon grado la situazione. Si era sempre opposta al fatto che io mi trovassi un ragazzo. Non che Travis lo fosse.
Gettò un’occhiata veloce ad un’altra donna e questa, svelta come la luce, imbracciò l’arco che portava sulle spalle e tirò una freccia contro Travis, il quale si preparò a ricevere un colpo non sarebbe mai arrivato. Infatti, senza rendermene conto mi ero parata davanti a lui e avevo deviato la freccia con la mia ascia. La nota buona era che Travis era ancora vivo. Quella cattiva era che ero nuovamente entrata in una delle mie crisi di aggressività.
Brandendo l’ascia con entrambe le mani, mi gettai addosso alla donna che aveva lanciato il dardo e con una violenza che non mi era propria –non fino a quel momento perlomeno- le tranciai la testa con un colpo secco. Il corpo decapitato si accasciò al suolo e una pozza di sangue prese ad allargarsi attorno ad esso. Nonostante dentro di me avessi compreso la portata dell’orrore che avevo appena compiuto, non mi fermai.
Prima che il gruppo di donne cominciasse ad organizzarsi per il contrattacco, riuscii ad abbatterne altre cinque o sei. Ero una furia e non sarei riuscita ad arrestarmi se non fosse stato per l’intervento di Clarisse.
La sua voce emerse come un tuono tra le urla che si erano alzate dopo la prima decapitazione. –Fermati!- mi gridò.
E io mi fermai. Ritornai me stessa all’improvviso e quasi mi misi a piangere nel vedere tutto quel sangue. Ma, sebbene anche io – da carnefice- mi fossi preoccupata per quelle donne, mia madre non aveva mosso un dito per aiutarle. Era rimasta nella stessa posizione e si era limitata ad osservare le sue compagne cadere. Che razza di storia era quella? La mamma che conoscevo io non era certamente così … impassibile.
Circondata dalle donne rimanenti e con le punte delle loro lance alla gola, fissavo Clarisse con gli occhi annebbiati dalle lacrime.
Mia madre le rivolse uno sguardo pigro. –E tu chi saresti, ragazzina?-
Come suo solito, Clarisse non si fece intimidire. –Clarisse, figlia di Ares- disse con una punta di arroganza.
E allora accadde l’impensabile. Mia madre –la stessa che avevo visto non battere ciglio davanti alla morte delle sue compagne- sgranò gli occhi e si inginocchiò davanti alla figura robusta di Clarisse. Ben presto, le punte acuminate delle lance si allontanarono dal mio collo e tutte le altre donne seguirono l’esempio di madre, inchinandosi anche loro.
Chiesi spiegazioni. –Cosa sta succedendo? Qualcuno si degna di dirmelo?-
Il Signor D, che fino a quel momento era rimasto silenzioso, alzò le braccia al cielo. –Oh, finalmente una domanda sensata! Parla tu, Christabel-
Clarisse lo fulminò con lo sguardo, ma decise di sorvolare sulla questione del nome. Quando fece per aprire bocca, le voce riunite delle donne sovrastarono il suo tentativo di parlare.
-Veneriamo Ares, dio della guerra e padre delle Amazzoni- gridarono all’unisono, portandosi una mano a pugno al cuore.
Spalancai la bocca, incapace di emettere alcun suono. Cosa avevano appena detto?
Clarisse spezzò il mio stupore. –Non sono io a dover dare spiegazioni, Signor D – si avvicinò a mia madre e la tirò in piedi, gettandola con poco garbo verso di me –Ma questa donna. E’ lei che ha tutte le risposte alle domande di Aelle-
Mia madre quasi tremò sotto lo sguardo di Clarisse. All’apparizione di Dioniso non aveva fatto una piega, ma non appena era stato nominato Ares era diventata docile come un agnellino. Cosa diavolo … ?
-Sono un’Amazzone, Aelle. Lo siamo tutte, qui- fu la prima cosa che disse.
-Eh?- la mia voce suonava incredibilmente bassa.
Con la pazienza che ricordavo, mia madre si accinse a dare una spiegazione più completa. –Una donna guerriera. Esattamente come lo sei tu-
Sebbene lo sgomento per la notizia, il mio cervello continuò a funzionare e capii perché mia madre si era agitata al solo sentire il nome del dio della guerra. Le Amazzoni erano figlie sue. O perlomeno quattro lo erano. E fu quello a darmi il colpo finale. Pentesilea, Ippolita, Antiope e Melanippa. Questi erano i nomi delle originarie figlie guerriere di Ares.
E mia madre si chiamava Jane Ippolita Amazon.  
L’aria lasciò definitivamente i miei polmoni e la testa cominciò a girarmi. Sarei caduta se non fosse stato per l’intervento tempestivo di Travis, che mi afferrò un secondo prima che toccassi terra. Sorrisi: lui e la sua velocità da figlio di Ermes.
-Grazie- gli bisbigliai all’orecchio.
Mi aggrappai a lui, strofinando la testa sul suo petto, e in risposta Travis mi strinse di più. E ancora una volta mia madre non gradì.
-Staccati da lui, Aelle- mi ordinò, secca.
Mi irrigidii. –Perché?-
-Fallo e basta-
Si avvicinò a me e a Travis, mi prese per un braccio e iniziò a tirarmi con il chiaro intento di allontanarmi da lui. Mi liberai con uno strattone e la mia espressione si indurì.  No, non di nuovo per favore … .
-No- sbottai, fissandola con sguardo di sfida.
Non avevo mai osato comportarmi così con lei. Se ne accorse anche lei, perché per un attimo rimase spaesata dal mio atto di ribellione alla sua autorità.
-Non puoi obbligarmi- continuai alzandomi in modo tale da essere alla sua stessa altezza. Però, non lasciai la mano di Travis.
-Sono tua madre- mi rinfacciò lei.
-Questo non cambia il fatto che io non mi muoverò di qui-
A quel punto Jane Ippolita Amazon perse definitivamente il controllo. Con un gesto poco materno mi agguantò per il collo e mi sollevò in aria. Ma che razza di forza aveva? Con un grugnito feci quello che mia madre mi aveva ordinato, ovvero lasciare la mano di Travis. Speravo che così si sarebbe calmata, ma così non fu. I suoi occhi divennero di brace e il viso si sfigurò a causa della collera. Tossi e provai a divincolarmi, ma non ottenni grandi risultati. La sua stretta era di ferro.
-Ora bambina impertinente- mi ammonì con uno strano sorriso –Avrai la tua punizione-
Dietro di lei,  le Amazzoni esultarono. Dietro di me, invece, regnava il completo silenzio. Il signor D era diventato improvvisamente pallido. Gli altri ragazzi –perlomeno quelli che non erano fuggiti- trattennero il fiato. Travis digrignava i denti.
Mi mancava l’aria. Scalciai di più, provai a strappare le sue mani dal mio collo. Niente. Mi rassegnai ad emettere dei deboli rantoli per riuscire a prendere ossigeno. Mia madre non mi avrebbe ucciso, vero?
-Cosa hai intenzione di fare?- ansimai.
-Lo scoprirai presto, tesoro mio- mi rispose lei.
All’improvviso Clarisse si parò davanti a mia madre, le braccia spalancate a formare una barriera. –Lei non va oltre- stabilì con un ringhio.
Mia madre quasi le scoppiò a ridere in faccia. –Ragazzina, sia chiaro che mi sono inchinata solo per rispetto del grande Ares, non certo per te- fece un cenno alle Amazzoni che la seguivano. Quelle spostarono Clarisse di peso. La loro forza cominciava a preoccuparmi.
Mentre mia madre procedeva sicura, l’urlo di Clarisse mi sfondò le orecchie.
-No! Le Amazzoni affogano i trasgressori delle loro leggi!-
Sbiancai e tentai di sottrarmi a quello che ormai avevo capito essere il mio destino. Lei non me lo permise e se possibile aumentò la stretta.
Sotto gli occhi di tutti venni trascinata sulle rive del lago. Lì mia madre si fermò e mi lasciò il collo. Caddi a terra e presi a tossire in modo convulso, massaggiandomi la gola che sentivo bruciare.
Fu l’unico momento di tregua che mi venne concesso. Subito le Amazzoni mi risollevarono in aria e si diressero a piccoli passi veloci dentro il lago. Quando l’acqua arrivò a bagnare i loro fianchi smisero di avanzare, voltandosi a guardare mia madre.
-Aelle Amazon- disse lei con voce seria –a causa della tua disobbedienza alle regole sei condannata a morte. Questa è la volontà di Jane Ippolita Amazon, regina del popolo guerriero delle Amazzoni-
Sentii le mani delle donne rafforzare la presa su di me, pronte al lancio. In un ultimo tentativo di liberarmi mi rivolsi a mia madre.
-Sono tua figlia!- strillai.
Lei mi fissò intensamente negli occhi. –Lo so. E’ per questo che ho preferito decidere io di te. Non ti sarebbero piaciute le conseguenze se fossero state decise da Pentesilea-
Con un sorriso triste, diede il via libera alle Amazzoni.
Fui scagliata in aria con una potenza assurda e al mio urlo di terrore si unì anche quello di Travis. Prima di chiudere gli occhi lo vidi mentre superava correndo mia madre, spingendola bruscamente di lato.
Io aspettai. Attesi un impatto con l’acqua che non arrivò mai. Avevo chiuso gli occhi per non vedere, ma non avevo tappato le orecchie perciò le udii benissimo. Le grida di stupore delle Amazzoni e dei ragazzi del Campo mi spronarono ad alzare le palpebre.
E come loro rimasi meravigliata.
Levitavo a pochi centimetri dal pelo dell’acqua e dal mio petto uscivano raggi di luce bluastra.
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Sono tornata con il nuovo capitolo. Teoricamente avrei dovuto postarlo domani, ma praticamente ho deciso di farlo oggi. Spero che non ci siano troppi errori e che vi possa piacere.
Allora, passo a chiarire alcune cose sulle Amazzoni. Società matriarcale, hanno due regine: una della pace e una della guerra. In questo caso Ippolita sarebbe la regina della pace, Pentesilea quella della guerra. Se vi state chiedendo perché al Campo c’è Ippolita, la regina della pace, e non quella della guerra vi dico subito che in quanto madre di Aelle si è presa la responsabilità del suo recupero. Un’altra cosa, Ippolita condanna Aelle perché non ha voluto lasciare Travis. Spiego: essendo una società matriarcale, il contatto con il sesso maschile è proibito. Un po’ come le Cacciatrici di Artemide. Le Amazzoni sono veramente figlie di Ares e i quattro nomi che ho fatto sono esistiti veramente. Quindi, capirete che la madre di Aelle è piuttosto anziana. Sul perché non invecchi e questioni varie tornerò in seguito con i prossimi capitoli. Invece, è totalmente inventata la condanna per affogamento di Aelle. Non so se facessero esattamente così, ma mi serviva per la storia perciò ho fatto finta di sì.
Altre cose sulle Amazzoni ve le dirò più avanti, se vi fa piacere saperle. Sono un popolo che mi ha sempre affascinata!
Bene, vi saluto! Un grazie a chi ha recensito, messo la storie tra preferite/ricordate/seguite.
Alla prossima,
Aelle

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Capitolo 11
*** Scopro cose che mai avrei voluto sapere ***


fffffffffff
Scopro cose che mai avrei voluto sapere
 
 
Il grido di mia madre mi trapanò i timpani. Concentrata com’ero sulla luce blu che mi usciva dal petto, non avevo fatto caso a lei. Era caduta in ginocchio e si teneva la testa tra le mani, mormorando ripetutamente parole che se anche non udivo sapevo essere senza senso. Ma furono i suoi occhi a stupirmi. Spalancati all’inverosimile, erano pieni di terrore. Rigida come una statua, mia madre si riscosse solo per tornare ad urlare. E urlare ancora. Le Amazzoni le si fecero attorno e cercarono di calmarla, ma lei le cacciò via tutte in malo modo.
Allungai un braccio come per raggiungerla e una fitta di calore mi trapassò il busto. Abbassai lo sguardo verso il punto in cui avevo sentito male e mi resi conto che la luce era aumentata d’intensità. Iniziò a farsi largo sul mio corpo a velocità sorprendente finché, dopo aver attraversato il volto, non si fermò nel mezzo della fronte. Il caldo aumentò a dismisura e il mal di testa scoppiò imprevisto. Mi presi il capo tra le mani e strinsi i denti per il dolore acuto. Chiusi gli occhi, pregando che passasse presto, ma fu una speranza vana. Le tempie mi bruciavano come se qualcuno vi avesse appiccato il fuoco.
Non resistetti più.
Alle urla di mia madre si unirono le mie. Gridai fino a non avere più voce, fino a quando non sentii il mio corpo spezzarsi per il troppo male. Mi conficcai le unghie nel cuoio capelluto e piansi lacrime che scivolavano bollenti sulle mie guance.
In ultimo momento di lucidità, distinsi la luce sbiadire e udii un rumore come di vetri infranti. Dopo quel suono il dolore scemò fino a divenire un lieve fastidio e io caddi in acqua. Non avevo abbastanza forza per reagire alla corrente, ma qualcuno mi tirò fuori dal lago. La stessa persona che già mi aveva salvata.
Percy.
Tra le palpebre socchiuse vidi il suo volto preoccupato torreggiare sopra di me, ma fu solo un attimo. Travis mi strappò dalle braccia di Percy e mi strinse tra le sue, affondando il viso nei miei capelli bagnati. Singhiozzava e mi stritolava come se non volesse lasciarmi più andare.
Per la seconda volta da quando avevo scoperto di essere una semidea, svenni. Abbandonai il capo nell’incavo tra il collo e la spalla di Travis e mi lasciai andare all’oblio. Nero e accogliente come lo era stato la prima volta, mi avvolse in un pesante torpore.
 
Mugolai, tentando di svegliarmi. Brancolai nel buio per qualche secondo, poi riuscii ad aprire gli occhi. La luce del sole mi investì in piena faccia e fui costretta a schermarmi con un braccio per evitare di rimanere accecata. Una volta abituata alla luce, provai ad alzarmi. Con molta fatica mi sollevai e subito mi bloccai.
Vicino a me, con il capo beatamente adagiato tra le lenzuola, stava Travis. Dormiva tranquillo, ma le sopracciglia erano aggrottate in un’espressione preoccupata. Istintivamente sorrisi: sembrava un angelo. Mentalmente mi ricordai che poteva assomigliare ad un angelo solo quando era addormentato, perché quando era sveglio era peggio di un diavolo.
Sollevai una mano e gli sfiorai i ricci castani con una carezza leggera. Borbottò nel sonno, ma non si svegliò. Ridacchiai, sembrava così indifeso. Mi chinai su di lui e gli stampai un bacio in fronte.  
Travis si svegliò subito. Per un attimo si guardò intorno, intontito, poi mi mise a fuoco con quei suoi bellissimi occhi blu e si alzò dalla sedia di scatto. Mi toccò una guancia, come per assicurarsi che fossi veramente lì, poi mi abbracciò, stringendomi esattamente come mi aveva stretta prima che svenissi.
-Ciao, Travis- sussurrai.
Mi ritrovai a ricambiare l’abbraccio senza accorgermene: avevo alzato le braccia e le avevo annodate dietro al suo collo. Mi accoccolai lì e non mi sarei mossa se Clarisse non fosse entrata come una furia. Staccò Travis da me con la sua consueta gentilezza e prese il suo posto con uno strillo. E un attimo dopo stavo soffocando in una stretta da gigante.
-Sei viva!- gridò.
Mio malgrado, sorrisi. –Non ci vuole così poco per farmi fuori- ironizzai.
-No, certo che no!- annuì lei –Sei una figlia di Poseidone!-
Mi irrigidii, scostandomi dal suo abbraccio. –Cosa hai detto?-
Clarisse si grattò la testa con fare colpevole e tossicchiò. Travis sospirò, alzando gli occhi al cielo. Nessuno dei due mi rispose.
-Io sono indeterminata- dissi.
Travis mi si avvicinò, sedendosi sul letto accanto a Clarisse, che non si lamentò minimamente. –A questo proposito io andrei a chiamare Chirone … -
-Io sono indeterminata!- ribadii con voce acuta agitandomi.
Travis guardò malissimo Clarisse, che fece finta di niente. –Vai da Chirone- le disse e lei, pur incenerendolo con lo sguardo, obbedì. Tutto sommato, osservai, potevano essere sulla buona strada per diventare amici. Potevano.
Il centauro arrivò praticamente subito e dietro di lui scorsi la figura scocciata del Signor D. Sgranai gli occhi: cosa poteva aver costretto il dio a seguire Chirone? La risposta era chiaramente di due lettere. Io.
-Noto con piacere che ti sei svegliata- esordì il centauro. Dietro di lui, il Signor D lo scimmiottava. Soffocai una risata e annuii in direzione di Chirone, sorridendogli.
-Bene. Credo che sia giunta l’ora per te di sapere- disse inginocchiandosi accanto al letto per essere alla mia stessa altezza –Ieri, dopo che sei svenuta, il tridente simbolo del dio del mare è apparso sopra la tua testa. Sei una figlia di Poseidone, Signore dei Cavalli e delle Lande Marine-
Chissà perché le stesse parole pronunciate da Clarisse avevano un suono diverso se dette da Chirone. Forse il centauro era abituato con gli eroi –non che io potessi definirmi tale- e sapeva come trattare con loro. Era calmo e misurato, non metteva ansia.
Ma ancora una volta mi impuntai. –Io sono indeterminata-
Chirone scosse il capo con comprensione. –No, al contrario. Sei più che determinata. Capisco che per te sia difficile accettare la notizia, ma è così-
E all’improvviso mi arrabbiai. –E perché sono stata riconosciuta dopo così tanto tempo? Forse non sono degna di essere sua figlia?- in lontananza rimbombò un tuono.
Prima che Chirone potesse rispondermi, si fece avanti il Signor D. Con uno sbuffo infastidito si chinò verso di me e incastrò i suoi occhi nei miei. In qualche modo ne fui ipnotizzata e non riuscii a guardare da un’altra parte nemmeno volendolo.
-Ascoltami bene, piccola semidea, perché non ho intenzione di ripetermi. Ieri sei stata riconosciuta, che tu ci creda o no. E a meno che io non abbia perso qualche diottria –cosa quanto mai improbabile- ho visto un tridente volteggiare sopra quella tua testolina vuota. Sei figlia di Poseidone-
Il suo tono non ammetteva repliche ed era spaventoso. Era diverso da quello di Chirone. Anche da quello di Clarisse. Soprattutto da quello di Travis.
Annuii rigida, ma mi intestardii ancora. –Perché non mi ha riconosciuta prima? Lei lo sa sicuramente, altrimenti non avrebbe perso il suo divino tempo per venire da un’insulsa semidea come me-
Clarisse, Travis e Chirone trattennero il fiato e lanciarono occhiate ansiose al Signor D, che inaspettatamente scoppiò a ridere. –Ne hai di fegato, ragazzina, per parlare così ad un dio- commentò dopo essersi calmato.
-Voglio solo delle risposte. Non penso di star agendo male-
Il dio ridacchiò. –No, certo che no. Va bene, otterrai le risposte che cerchi- mi disse –Chirone, lascio a te la parola-
Il centauro si asciugò il velo di sudore sulla fronte e tornò a guardarmi con quei suoi occhi gentili. –Il Signor D e io siamo dell’idea che tu fossi sigillata, che ci fosse qualcosa che bloccasse le tue reali capacità e interferisse con il tuo riconoscimento. E a quanto pare, avevamo ragione-
Piegai la testa da un lato, non capendo. –Cosa intendi dire?-
Il Signor D intervenne di nuovo. –Intende dire che alla nascita ti è stato imposto un blocco che avrebbe impedito a te di usare le tue vere doti e a tuo padre di riconoscerti. Non mi sembra tanto difficile sai?-
Spalancai la bocca. Per tutto quel tempo io non ero stata realmente me stessa, avevo vissuto un’esistenza che non era la mia perché … già, perché?
-Chi mi ha fatto questo? Perché?- mormorai.
-Credo che la risposta tu la sappia già- mi disse il dio –In qualunque caso, la persona che ne è responsabile sta aspettando fuori dall’infermeria da un po’. Domandalo direttamente a lei-
Con una fatica immane scesi dal letto e rifiutando di farmi sorreggere da Travis arrancai fino alla tenda, che scostai di lato con un mano.
Di fronte a me, con gli occhi più preoccupati che le avessi mai visto, sostava mia madre.
 
 
Note:
Eccomi tornata.
Questo capitolo è stato un vero parto, ma fortunatamente sono riuscita a finirlo. Così, Aelle è stata riconosciuta. Mi dispiace di non aver messo il riconoscimento vero e proprio, ma la vicenda è narrata in prima persona ed Aelle era già svenuta.
Per chi mi ha chiesto altre notizia sulle Amazzoni: ne parlerò nel prossimo capitolo, perché in questo non ci sono riferimenti particolari alle donne guerriere.
Cosa dire? Sono talmente stanca che mi mancano le parole. Spero che possa piacervi. Nel prossimo capitolo la storia si evolve e Aelle avrà la sua impresa, se così vogliamo chiamarla, ma non anticipo altro!
Ringrazio chi legge, chi recensisce, chi segue, chi ricorda e chi preferisce. GRAZIE MILLE!
Un bacione,
Aelle

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Capitolo 12
*** Il regalo di Poseidone ***


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Il regalo di Poseidone
 
 
-Aelle … -
Mia madre allungò una mano verso il mio viso, ma io mi scostai, sentendo la rabbia iniziare ad invadermi. Aveva tentato di uccidermi, non potevo perdonarla così facilmente. Solo il ricordo del suo sguardo deciso mentre pronunciava la mia condanna a morte mi faceva ancora rabbrividire. Come aveva potuto?
Mi girai di scatto, con il chiaro intendo di andarmene. In quel momento non le avrei prestato ascolto nemmeno sotto tortura. Purtroppo per me, mia madre fu più svelta di me: capì cosa volevo fare a mi afferrò per un polso. Mi gelai sul posto, dandole sempre le spalle.
-Aelle, ascoltami. Ti prego- mormorò.
Scossi la testa. –No-
-Per favore- ripeté, mentre una nota stonata le velava di tristezza la voce.
Mi rifiutai ancora. Mi scollai di dosso la sua mano e mi diressi a passi esitanti verso Travis, che mi accolse in un caldo abbraccio, mormorandomi nel contempo parole di conforto all’orecchio. Vedendomi appoggiata a lui, mia madre si infastidì ma non disse nulla, limitandosi a scrollare leggermente le spalle.
Il Signor D si intromise e fece un passo avanti, la lattina di Diet Coke perennemente tra le mani. –Penso che dovresti … “darle retta”, si dice così, vero?-
Chirone nascose un sorriso e annuì in direzione del dio del vino. –Sì, è corretto. Anche io sono della stessa idea, bambina- mi disse.
Io alzai gli occhi verso Travis e lui mi diede una silenziosa conferma. Il direttore e il vicedirettore del Campo avevano ragione. Avrei dovuto parlare con mia madre. Fuggire dai problemi non mi avrebbe aiutato a risolverli.
Sospirai. –Andiamo. In un posto tranquillo, però- chiarii in direzione di mia madre, che attendeva sulla soglia dell’infermeria. Quando accettai di ascoltarla, si concesse un piccolo sorriso.
Ancora instabile sui miei piedi, uscii fuori all’aria aperta, respirando a pieni polmoni il profumo degli alberi. Mia madre mi seguì, veloce come suo solito. Senza sapere il perché –no, ripensandoci, lo sapevo bene il perché- mi fermai in riva al lago, dove solo ieri Jane aveva tentato di uccidermi.
Mi sedetti sulla sabbia e attesi che lei facesse lo stesso. Mi abbracciai le ginocchia in silenzio mentre mia madre si sedeva accanto a me, mantenendo comunque una certa distanza.
-Aelle, mi dispiace così tanto- fu la prima cosa che mi disse, accarezzandomi gentilmente una spalla.
Istintivamente mi irrigidii. Era difficile  riconquistare la fiducia in una persona una volta che l’avevi persa. –Perché dovrei crederti? Hai cercato di uccidermi!-
-Lo so. Pur sapendo che non basterà, ho già chiesto scusa-
Rivolsi gli occhi all’orizzonte, quella linea in cui acqua e cielo si incontravano in modo perfetto. Adoravo vedere il sole specchiarsi nel mare, che poi riluceva di luce magica.
-Passiamo oltre. Mi piacerebbe sentire la verità. Mi hanno detto che avevo un sigillo addosso, ora evidentemente spezzato. Sei stata tu ad impormelo?- chiesi.
Mia madre non negò. –Sì-
-Perché?- domandai ancora.
-Tuo padre è stato un grande errore, il più grande che io abbia mai fatto in tutta la longeva vita. Sono vecchia, tesoro, molto più vecchia di quanto tu possa immaginare-
E invece sapevo. Avevo letto qualcosa a riguardo delle Amazzoni, notizie chiaramente contrastanti le une con le altri, ma che avevano sempre un fondo di verità. Le sorelle figlie di Ares –mia madre inclusa- erano vissute ai tempi di Eracle. Secondo queste fonti, l’eroe dalla forza sovraumana aveva trucidato molte donne guerriere con l’unico scopo di impossessarsi della cintura di Ippolita. Ma fissando il busto di mia madre notavo la cintura al suo posto, bella come qualsiasi altro ornamento frivolo. Molto probabilmente aveva distrutto la barriera del Campo con quella. In fondo, chi la indossava riceveva un ardore fuori dal comune. Uno dei pugni di mia madre avrebbe potuto distruggere una montagna.
-Mio padre è Poseidone. Perché un dio dovrebbe essere un errore?-
Jane sorrise. Fu un sorriso amaro. –Perché le Amazzoni non possono innamorarsi- mi rispose.
Rimasi a bocca aperta. Mia madre era innamorata di un dio? Riflettendoci non era poi così strano. Percy e Grover me l’avevano detto: gli dèi apparivano sempre affascinanti e terribilmente irresistibili. Beh, tutti tranne il Signor D. Ridacchiai.
-L’amore non è una cosa brutta- le dissi –E’ la cosa più bella del mondo-
-Ha rovinato la mia vita. Mi ha catturata e non sono stata in grado di liberarmi. Non ricordo nemmeno perché quella volta ho attraversato il fiume. Non era il giorno prestabilito per il mio accoppiamento. Come una stupida, ho trasgredito alle regole e sono andata lo stesso. Tuo padre era lì, insieme a tutti gli altri uomini, ma aveva qualcosa di più di loro. Già da subito si capiva che non era mortale. Al momento non ci feci caso. Me ne accorsi solo dopo perché fu lui a dirmelo- mia madre si interruppe e mi guardò.
Improvvisamente colpita dalla sua narrazione, la incitai a continuare. Non pensavo che avesse potuto vivere qualcosa di simile.
-Il danno ormai era fatto. Tu già stavi germogliando dentro al mio grembo. Man mano che i giorni passavano sentivo il mio corpo cambiare per adattarsi alla gravidanza. La pancia si arrotondava, le gambe si facevano talmente pesanti che faticavo a stare in piedi. Trascorrevo le giornate seduta in riva al fiume, aspettandolo. Finalmente giunse. Era una notte molto buia, ma io lo distinsi subito. Uscì dalle acque, nessuna goccia a bagnargli i vestiti. Si sedette accanto a me e mi abbracciò stretta, dicendomi di essere felicissimo all’idea di diventare padre. Prima di andarsene mi regalò un oggetto di inestimabile fattura: uno specchio così bello che quando lo presi tra le mani ebbi paura di spezzarlo. Gli chiesi il perché. Mi disse che avrebbe preservato il mio corpo-
La fermai. –Preservato il tuo corpo? Cosa significa?-
-Le Amazzoni muoiono e rinascono. Io sono morta e rinata molteplici volte, ma da quando sono entrata in possesso di quello specchio questo ciclo si è interrotto. Non cresco, non invecchio, non muoio. Finché esso è con me, sono immortale-
-Non morirai?-
-No. Non se non me ne separo- mi rispose –Comunque, quella fu l’ultima volta che lo vidi. In prossimità del parto mi resi conto dell’errore e compresi che non avrei dovuto permettere a Poseidone di mettere le mani su di te. Mi rivolsi alle migliori conoscitrici di magia e chiesi loro di mettere un sigillo sulla bambina che presto sarebbe nata. Il sigillo fu messo sia su di me che su di te e avrebbe impedito in qualsiasi modo al dio del mare di avvicinarsi a te. Sia in modo diretto che in modo indiretto. Per funzionare aveva, però, bisogno di un corpo che avrebbe supportato la sua forza. E chi meglio di me avrebbe potuto accollarsi la responsabilità? Qualora si fosse spezzato, il dolore avrebbe sovrastato sia la persona sigillata sia chi aveva prestato la forza. E’ per questo che mentre tu gridavi sentivo male anche io. Eravamo legate-
In quel momento non seppi se arrabbiarmi oppure no. Era una storia triste, quella tra lei e Poseidone, ma chi le aveva dato il diritto di comportarsi così? Non riuscii a capire, ma presto mi resi conto che forse sarebbe stato impossibile capirlo anche in futuro. Le decisioni di una madre spesso erano molto dolorose e altrettanto incomprensibili per i figli.
-Non credo che capirò mai. Non credo che ti perdonerò. Ma credo che una tregua non farà male, magari le cose si sistemeranno da sole con il tempo- mormorai.
-Mi farebbe molto felice, Aelle- mi disse lei con voce rotta dalle prime lacrime che le vedevo in tutta la mia vita.
Mi alzai in piedi. –Allora?-
Mia madre mi guardò senza capire.
-Posso vedere lo specchio?-
Lei rise e annuì. Si portò le mani a coppa sul petto e mormorò una sola parola con tono imperioso. –Εμφανίζεστε! (*)-
Una luce tiepida accompagnò la manifestazione dell’oggetto, che pian piano le uscì dal busto per poi ricaderle in mano. Era bellissimo. Tutto d’oro, si componeva di un intreccio di figure femminili sinuose che si intrecciavano su tutta la cornice per arrivare alla cima dove il simbolo del mare, la Ψ, spiccava come un faro.
-Questo, Aelle, è lo Specchio di Nettuno-
 
(*) Appari!
 
Note:
Eccomi di nuovo. Vi sono mancata?
Spero che il nuovo capitolo vi piaccia. E spero anche che mi farete notare errori, sono sicura che nella mia sbadataggine di non averne corretti alcuni.
Allora, allora, allora. Avevo promesso notizie sulle Amazzoni. Per prima cosa specifico che non è assolutamente vero che le Amazzoni muoiono e rinascono, è la mia mente contorta che se lo è inventato. Per il fiume, invece, credo che sia vero. A quanto ho letto, la terra delle Amazzoni era divisa in due da un fiume. Da una parte c’era la loro società, in cui vivevano solo le donne, mentre dall’altro lato del fiume vivevano gli uomini. Una volta ogni tot di tempo stabilito, le Amazzoni attraversavano il fiume per accoppiarsi con loro. Questa cosa durava un mese, dopodiché se ne andavano. Le figlie femmine venivano accolte e addestrate all’arte della guerra, mentre se nascevano maschi venivano allevati fino ai sette anni, poi erano rimandati dagli uomini dall’altra parte del fiume. Essi non sapevano di chi di loro fosse il figlio, quindi ognuno di loro ne adottava uno e lo cresceva come se fosse figlio suo.
Ah, società un po’ chiusa, non pensate anche voi? Però io le adoro!
Ringrazio chi ha messo la storia tra seguite/preferite/ricordate e chi l’ha recensita. Cosa farei senza di voi?*-*
Un bacione,
Aelle

 

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Capitolo 13
*** Rachel Elizabeth Dare mi parla da uno specchio ***


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Rachel Elizabeth Dare mi parla da uno specchio
 
 

Presi lo specchio tra le mani convinta di trovarlo molto pesante. E invece no, era leggerissimo, quasi quanto un foglio di carta. Per dare una buona definizione, era senza peso. Eppure, sembrava fatto di un materiale così resistente da poter essere paragonato al diamante. Se fosse caduto a terra, ero sicura che non si sarebbe fatto nemmeno un graffio.

-E’ leggerissimo!- esclamai dando voce ai miei pensieri.
Mia madre si accinse a spiegarmi alcuni dettagli. –Nessun umano conosce il materiale di cui è fatto. Solo Efesto lo sa nello specifico. Poseidone mi disse che la pietra utilizzata proveniva dalla Marine Cathedral -
-La Marine Cathedral, che cos’è?- domandai.
-Non ne ho idea- mi disse con una semplicità disarmante.
Per un attimo rimasi senza parole, poi tornai a concentrare la mia attenzione sull’oggetto che ancora tenevo fra le mani. Ne ero totalmente ipnotizzata, non riuscivo a distogliere lo sguardo nemmeno volendolo. Solo grazie ad una forza di volontà che non credevo di possedere, riuscii a guardare da un’altra parte. E fu allora che mi passò per la testa uno strano pensiero.
-Posso tenerlo per un po’?-
Mia madre non si stupì della mia domanda e sorrise malinconica. –Ti ricorda il mare vero? Ti attrae e senti che ti appartiene. Sei figlia del mare, sapevo che me lo avresti chiesto. Quindi, puoi tenerlo, ma solo per poco. Siamo legate, perciò lo specchio alimenterà ancora la mia immortalità. Non perderlo, mi raccomando. Le conseguenze per me non sarebbero piacevoli-
Mi sorpresi dell’arrendevolezza di mia madre, ma allo stesso tempo ne fui felice. Non era da tutti i giorni che un genitore ti concedesse qualcosa così in fretta. Di solito, bisognava pregare tutti i santi del paradiso –ora tutti gli dèi dell’Olimpo- solo per avere qualche spicciolo da spendere con gli amici. In poche parole, non mi lamentai e mi allontanai trotterellando in stile Heidi.
Una parte di me era sicura che lo specchio non aveva solo il potere di rendere immortale mia madre. Poseidone –mio padre- doveva aver avuto qualche altro motivo per regalarglielo.
 
Fissai la mia immagine riflessa e, come era successo prima, venni risucchiata in quel mondo dove esistevamo solo io e lo specchio. Era strano. Fluttuavo, sospesa in aria, in un luogo scuro e opprimente. Il vento soffiava forte, ma avevo la consapevolezza di non trovarmi in superficie. Se mi muovevo, mi sembrava di essere sott’acqua. Strinsi la presa attorno al manico dello specchio e quello cominciò ad emettere piccoli bagliori. Stupita, lo lasciai cadere. Mentre con un urlo cercavo di riprenderlo, lo specchio rimbalzò e prese a svolazzare davanti al mio viso incredulo. La luce che usciva da esso crebbe d’intensità, illuminando a giorno il posto in cui mi trovavo.
In un istante, compresi di non essermi sbagliata. Ero veramente sott’acqua e il luogo in cui ero assomigliava in modo assurdo ad una chiesa. L’unico particolare degno di nota era che era mezza distrutta. Il soffitto era per metà crollato, le pareti ricoperte d’alghe, mentre sul pavimento giacevano pietre ridotte in mille pezzi. Tutto era lasciato in uno stato di decadenza assoluta che mi stupì grandemente. Come era possibile una simile degenerazione? La chiesa doveva essere stata molto bella in passato, ma non capii cosa potesse aver causato tutti quei danni.
Lo specchio emise un sibilo e io riportai la mia attenzione su di esso. Il fischio pian piano si appesantì fino a quando non diventò così assordante che dovetti tapparmi le orecchie. Il mio riflesso cominciò a sbiadirsi e un altro volto prese forma. Il viso di una ragazza dai capelli rossi fiammanti. Lei si guardò un attimo intorno, poi mi vide e sorrise, come se avesse trovato ciò che cercava.
-Ciao Aelle- la sua voce era distorta, lontana, ma al contempo suonava dolce.
Sobbalzai e qualche bolla mi uscì dalle labbra. –Chi sei?- chiesi.
-Rachel Elizabeth Dare, l’Oracolo del Campo Mezzosangue- mi rispose.
Non mi ricordai di averla mai vista. Il suo volto non mi diceva nulla, ma sapevo che, ora che l’avevo vista, non me la sarei facilmente dimenticata.
-Non sono al Campo in questo momento, se è questo che stai pensando. Sono in una stupida scuola per signorine che mio padre mi ha costretto a frequentare. In realtà, no, non mi ha costretta. Sono io che gli avevo promesso che ci sarei andata se mi avesse portato da Percy, ma questo non ti interessa. Sono particolari inutili ora. Ascoltami bene, Aelle. Ho poco tempo- mi disse tutto d’un fiato –Ho avuto una visione su di te e non era  bella. Beh, quando ho visioni non è mai per motivi felici. Comunque, sai dove ti trovi?-
Scossi la testa. Avevo ipotizzato che si trattasse di una chiesa, ma non sapevo che altro pensare. Se non era una chiesa, cosa poteva essere?
-No, hai visto giusto. Anche se il termine corretto è “cattedrale”. Sei nella Marine Cathedral- mi disse Rachel.
La Marine Cathedral di cui mi aveva parlato mia madre. Che cosa era veramente? Perché solo Efesto conosceva i segreti di quel luogo e nessuno scritto ne parlava? Che segreti racchiudeva? Erano tante le domande che volevo fare a Rachel, ma alla fine optai per la più stupida.
-Cosa ci faccio qui?-
Rachel sorrise. –Ti ha richiamata lo specchio. Ti ha mostrato il luogo in cui è stato creato. Ma inaspettatamente non so dirti il perché preciso. Quello che certamente so è che quando ti sveglierai, lo specchio non ci sarà più-
Mi agitai. Se mia madre non avesse riavuto lo specchio sarebbe morta. La sua immortalità sarebbe giunta al capolinea. Non potevo permettere che accadesse una cosa simile. Anche se aveva tentato di uccidermi, era mia madre. Non potevo negare che tra me e lei esistesse un legame, molto più forte di quello che il sigillo aveva creato.
-Stai mentendo- la accusai.
-No- mi rispose tranquilla –Ti sto dicendo la verità. Ascoltarmi o no è una tua libertà, chi sono io per togliertela? In qualunque caso, questo è quello che ho visto. Se lo specchio è tornato qui vuol dire che vuole proteggere questo luogo. Da cosa, lo ignoro. Però, immagino che tu non voglia nemmeno che tua madre muoia perciò tu e i tuoi compagni di impresa –perché ci sarà un’impresa- sarete coinvolti in qualcosa che non vi piacerà affatto-
Rabbrividii. –Cosa devo fare?-
Rachel alzò le spalle. –Te lo ripeto ancora: non lo so. Aspetta ancora due giorni. Arriverò al Campo e ti porterò la profezia. Lo specchio- qui si interruppe e colpì con un pugno il vuoto davanti a sé –mi impedisce di pronunciarla. Non capisco perché. In qualunque caso, tu aspettami. Non partire senza che io sia giunta al Campo-
La voce di Rachel si affievolì e la sua immagine svanì. Lo specchio brillò ancora per qualche secondo, poi scivolò nel buio, sottraendosi ad ogni mio tentativo di recuperarlo. Non voleva essere preso. Mi scivolava dalle dita come se fosse stato olio.
Poi l’acqua mi entrò nei polmoni e non riuscii più a respirare. Mi afferrai la gola con entrambe le mani e tossii, cedendo definitivamente al bisogno di chiudere gli occhi e lasciarmi andare.
Precipitai con un tonfo sordo e persi conoscenza.
 
Quando mi svegliai, ero sdraiata nel bosco attorno al Campo, la faccia sprofondata nella melma, i vestiti fradici e i capelli grondanti d’acqua. Con molta fatica mi tirai a sedere e mi guardai in giro. Una luce rossastra illuminava la foresta che mi circondava, perciò ipotizzai che ormai fosse il tramonto. Ero rimasta svenuta così a lungo? Lo specchio mi aveva tenuta addormentata per così tanto tempo?
Allora ricordai. Scandagliai il terreno attorno a me con occhi frenetici, ma non lo trovai da nessuna parte.
Rachel aveva ragione.
Lo Specchio di Nettuno non c’era più.
 
 
Note:
Aloha, gente!
Sono tornata, siete contenti?
In qualunque caso, io ci sono ^-^
Allora, avrete notato che questa storia sta avendo una svolta solo ora. Purtroppo non potevo saltare tutti gli altri capitoli e nemmeno comprimerli, perciò la storia sarà più lunga del previsto. Spero che la cosa non vi dispiaccia!
Fatemi notare sempre errori e cose varie. Fatemi sapere cosa ne pensate!
Ringrazio come sempre chi recensisce, chi legge, chi preferisce, chi segue e chi ricorda. Grazie mille, siete stupendosissimi!
Baci,
Aelle

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Capitolo 14
*** Quando il numero perfetto è tre, ma noi ce ne freghiamo ***


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Quando il numero perfetto è tre, ma noi ce ne freghiamo
 
 
I minuti passavano lenti, inesorabili e l’arrivo di Rachel Elizabeth Dare sembrava lontanissimo. Seduta sul letto, fissavo l’orologio senza muovere un muscolo. Tutto il mio corpo era dolorante per la posizione forzata, ma non riuscivo a concentrarmi su di esso. Piuttosto, pensavo a mia madre, che avevo incontrato non appena ero rientrata al Campo. L’avevo vista pallida, sciupata e sicuramente molto più vecchia di quanto lo era qualche ora prima. Solo i capelli si erano ingrigiti di colpo e molte rughe le avevano disturbato i lineamenti del viso. Le tremavano le mani e faceva fatica a reggersi sulle gambe, con il risultato che le sue ginocchia apparivano sul punto di cedere da un momento all’altro, facendola crollare a terra. Mi ricordavo ancora le sue parole, che emergevano con la sua solita rabbia dal velo di stanchezza in cui era avvolta.
L’hai perso.
Non potevo fare altro che dirle la verità. Lo specchio non era più con me, era scomparso, ma non le avevo rivelato nient’altro. Non l’avevo informata della Marine Cathedral, qualcosa mi diceva che era meglio nominare quel luogo il meno possibile. Se nessuno sapeva della sua esistenza, allora era meglio non diffondere notizie a riguardo.  Per il bene stesso della cattedrale. Perché ci sono segreti che devono rimanere tali e non devono assolutamente diventare mangime per pettegoli.
Rachel mi aveva detto di aspettare, ma io non ce la facevo più. Non riuscivo –non potevo- stare a guardare mentre mia madre moriva. Non potevo essere senza cuore fino a quel punto. Magari Rachel sarebbe arrivata nel momento in cui mia madre era in condizioni tali da non poter essere più salvata.
Saltai in piedi all’improvviso, consapevole che avevo già preso la mia decisione. Voltai lo sguardo verso il letto accanto al mio, dove Percy russava piano. Non me ne sarei andata senza di lui. Era il mio fratellastro e avevo imparato a volergli bene.
Mi buttai addosso a lui con una grazia fuori dal comune, schiacciandolo con il mio dolce peso e svegliandolo. Percy grugnì, infastidito, e fece per prendere Vortice, ma quando vide che ero io si fermò, rimettendo la penna al suo posto.
Mi fissò per qualche secondo in silenzio. –Cosa stai facendo, Aelle?- mi chiese dopo un po’.
Già, cosa stavo facendo? Dovevo chiederglielo, perché lui era una delle poche persone di cui mi potevo fidare. Faceva parte della mia famiglia. E io non abbandonavo la famiglia.
-Vado via, Percy- dissi –Non posso sopportare oltre la vista di mia madre conciata in quel modo. Devo fare qualcosa. Mi aiuterai?-
Percy si tirò su e io scivolai lungo il copriletto, lo sguardo basso. Mi guardò senza parlare per qualche secondo senza dire nulla. Poi mi prese il mento tra le dita e mi obbligò a fissarlo dritto negli occhi.
-Certo che vengo con te. Sono tuo fratello, non ti lascerei mai da sola- mi rassicurò dandomi un bacio sulla fronte.
Mi illuminai e lo abbracciai di slancio, ributtandolo sul letto.
-Ehi! Vacci piano!- mi sgridò, la voce colma di divertimento.
-Vado a dirlo a Travis. Non lo lascio qui. Va bene se viene anche lui?- gli domandai.
Scosse la testa. –Non c’è problema- mi rispose –Può venire anche Annabeth?-
-Non sia mai che la tua ragazza rimanga qui da sola- risi –Tanto ormai abbiamo superato il numero massimo. Anche se ho l’impressione che tu non abbia mai rispettato molto certe regole!-
Mentre uscivo dalla cabina tre, sentii Percy urlarmi dietro una serie di epiteti poco gentili. Sorrisi.
 
Quando entrai nella cabina undici –quella di Ermes- la trovai esattamente come l’avevo lasciata. Disordinata fino all’esasperazione.
I ragazzi erano tutti addormentati, o così si supponeva, visto che i ladri agiscono di notte. Mi feci largo tra i vestiti e le varie cianfrusaglie cercando di fare meno rumore possibile. In punta di piedi mi avvicinai al letto che Travis condivideva con Connor, suo fratello. Come tutte le volte, rimasi stupita della loro somiglianza. Potevano essere gemelli e invece erano solamente fratelli.
Mi accovacciai accanto a Travis, che dormiva pacifico. Aveva confinato Connor in uno spazio ridotto e si era preso la coperta. Ridacchiai.
Sei così bello, pensai con dolcezza.
Sì, Travis mi piaceva. E anche tanto. Era stata mia madre a farmelo notare con il suo comportamento aggressivo nei suoi confronti. Perché lei aveva già capito, mentre io ero ancora lontana dalla verità.
Mi avvicinai al suo viso e gli scostai una ciocca di capelli da davanti agli occhi. Rimasi a contemplarlo per qualche istante, senza fiato. Il mio sguardo si soffermò soprattutto sulle sue labbra. Ne ero attirata come mai mi era successo prima.
Mi chinai lentamente, soccombendo al desiderio che avevo di baciarlo. Posai la mia bocca sulla sua. Non sapevo nemmeno perché lo stavo facendo. Nella mia vita avevo baciato solo una persona ed stato Patrick in quarta elementare. Era un ricordo piuttosto disgustoso. Eppure con Travis non provai nessun tipo di imbarazzo. Era qualcosa di così naturale che … .
-Aelle …?- mugugnò Travis contro la mia bocca.
Mi staccai subito, rimanendo a guardarlo mentre si stiracchiava e metteva a fuoco ciò che aveva di fianco. Quando capì che ero veramente io, fece un salto di almeno un metro e si preparò a gridare, ma io gli feci segno di stare in silenzio.
-Cosa stai facendo qui?- mi bisbigliò –E … Aelle mi stavi baciando?-
Arrossii come un peperone e annuii. Poi mi riscossi e lo presi per la maglietta. Ero venuta lì per comunicargli delle cose, mica per baciarlo!
-Vado via, Travis. Mia madre ha bisogno del mio aiuto e io non posso negarglielo. Sono venuta qui perché … perché volevo chiederti se volevi venire con me. Ci sono anche Percy e Annabeth, pensavo che dirtelo fosse corretto nei tuoi confronti e … - stavo chiaramente straparlando. Rendermi conto dei miei sentimenti nei suoi confronti mi aveva fatta diventare improvvisamente goffa.
Travis mi mise le mani sulle spalle, bloccando definitivamente il mio chiacchiericcio senza senso.
-Non c’era bisogno di chiederlo. Sai che ti avrei seguito anche se mi avessi detto di no- mi disse sicuro di sé.
Poi fece qualcosa che non ritenni possibile. Mi tirò a sé e mi baciò. Un attimo prima ero accovacciata sul pavimento, l’attimo dopo ero tra le sue braccia, al caldo e al sicuro. Mi lasciai andare, certa che Travis non mi avrebbe fatto del male, e ricambiai quel bacio.
Quando tutto stava andando per il meglio, le luci si accesero. Di colpo. Poi iniziarono le risatine.
Staccandomi dall’abbraccio di Travis, mi guardai intorno. Tutti i ragazzi della casa di Ermes erano svegli –più che svegli, sembrava che non fossero mai andati a letto- e ci fissavano chi sorridendo, chi cercando di non scoppiare a ridere.
Travis tentò di dare una spiegazione. –Ragazzi, non è come pensate … -
Le risate rimbombarono come una frana e qualcuno gridò. –Certo, Travis! Convinto tu!-
A quel punto mi feci avanti io. – Sì, avete visto bene. E’ inutile che discutiamo. Anche se all’inizio ero venuta per riferire a Travis una cosa importante!-
La voce di Heather superò le altre e le zittì. –Lo so. Ero sveglia. E vengo con voi, che mi vogliate oppure no-
-Heather … -
-Niente da fare. Ho deciso e non cambierò idea- mi interruppe –E ora muoviamoci. Non vorrai perdere tempo, vero?-
Scossi la testa. Heather aveva ragione. Più il tempo passava, più per mia madre si avvicinava la fine. Non potevo permetterlo.
Seguita da Heather e da Travis e sotto gli sguardi stupiti di tutti gli altri ragazzi varcai la porta e mi inoltrai nel buio, pronta ad affrontare quella missione.
Mi dispiace, Rachel.
 
 
Note:
Rieccomi!
Ho faticato non poco per questo capitolo, soprattutto a causa della situazione poco piacevole in cui mi trovo ora. Ma ho deciso di pubblicare lo stesso, sperando che il capitolo non sia venuto così male come mi sembra.
Fatemi notare se ci sono errori, io ho riletto una volta di meno e ho la sensazione che forse non avrei dovuto farlo. Avrei dovuto rileggere, ma non mi sento così bene da poterlo fare. Perdonatemi.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche chi legge soltanto. GRAZIE!
Al prossimo capitolo, cari!
Baci,
Aelle

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Capitolo 15
*** Gli strilli che profetizzano morte ***


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Gli strilli che profetizzano morte
 
 
Sapevo nuotare. O meglio, se Percy non mi lasciava andare le mani riuscivo a non mettermi ad urlare in modo isterico. Insomma, stavo a galla. Annabeth, Travis e Heather sarebbero scoppiati a ridere, ma la nostra uscita dal Campo doveva rimanere ignota. Almeno finché non eravamo abbastanza lontani da non dover temere ripercussioni troppo pesanti. Al massimo, come diceva Percy, ci saremmo trovati davanti un Signor D svolazzante e in camicia tigrata. Uno splendore.
Poi il mio nuovo fratello mi annunciò una cosa che mi fece spalancare la bocca per la sorpresa. –Dobbiamo immergerci-
-Starai scherzando spero- bisbigliai, il volto mi si era ridotto ad una maschera di terrore.
-No- scosse la testa – Il lago è la nostra unica uscita sicura. Una volta giunti dall’altro lato saremo pressoché fuori dai confini del Campo. Non possiamo farci vedere. Ripeto che dobbiamo andare sott’acqua-.
Rimasi di sasso. –Percy … io non ce la faccio-
Heather ruotò gli occhi, infastidita. Io strinsi i denti per non pensarci. Heather era mia amica, non potevo disprezzarla. E poi aveva ragione. Nemmeno avevamo iniziato e già volevo tirarmi indietro.
Travis venne in mio soccorso. –Riesci a creare abbastanza bolle d’aria, Percy?-
Lui annuì. –Non c’è problema. Dovrei riuscire anche a modificare le correnti in modo tale da velocizzarci. Perché, cos’hai in mente?-
Travis mi prese le mani e mi baciò leggermente le nocche. Arrossii di botto. Ma che stava facendo?
-Ti fidi di me?- mi sussurrò.
E come dire di no davanti a quegli occhi? Ero totalmente ipnotizzata, tanto che non mi resi conto che ci stavamo muovendo. Pian piano, sotto lo sguardo di Annabeth e Heather, Travis mi fece immergere la testa sott’acqua. Per un attimo rimasi spiazzata e cercai di divincolarmi, poi una bolla d’aria ci avvolse e potei tornare a respirare. E meno male che ero figlia di Poseidone. Facevo ridere i polli.
-Stai tranquilla- mi disse Travis con un sorriso.
Annuii, poco convinta. Dovevo imparare a controllare le mie paure altrimenti sarei morta al primo accenno di pericolo che avremmo incontrato sulla strada. Era uno dei miei tanti doveri. Per il mio bene e anche per quello degli altri.
In breve tempo, sia Annabeth che Heather furono sott’acqua e Percy manovrò le correnti con una maestria che io potevo solo sognare di possedere.
E’ solo più allenato di te, pensai. Ce la farai anche tu, quando supererai questa stupida paura dell’acqua.
-Andiamo- disse Percy in tono sbrigativo.
Con una spinta poderosa fummo spinti in avanti tre le alghe e i pesci di piccola taglia che fuggivano non appena ci avvicinavamo troppo. In fondo, sembravano carini anche loro. Sfrecciavamo ad una velocità assurda, ma tutto quello che vedevo mi sembrava ripreso al rallentatore. Riuscivo a distinguere ogni minimo particolare e memorizzarlo senza problemi.
Poi un pesce mi rivolse la parola. Mia signora, mia signora, mia signora. Era una cantilena unica e un po’ fastidiosa, ma mi venne spontaneo sorridere davanti a quella creaturina che si dimenava per attirare la mia attenzione. Agitai la mano in risposta.
-Ti ci abituerai- mi disse Percy –Esattamente come io mi sono abituato ad essere chiamato ad orari improponibili per risolvere i loro problemi. Perché ne hanno. Eccome se hanno- concluse con un sospiro.
Ridacchiai, ma tornai seria subito. –Siamo arrivati, vero?-
A poca distanza si intravedeva la costa, anche se con il buio era difficile distinguerne i contorni. Eppure, sott’acqua la mia vista era migliore, più pulita e limpida.
-Sì- mi rispose semplicemente Percy.
Appena fummo fuori dal lago, scoprii che i miei vestiti, al contrario di quelli di Annabeth, Travis e Heather, erano completamente asciutti. Li toccai, credendo che si trattasse di uno scherzo, ma non era così.
-Un altro vantaggio di essere figli di Poseidone- mi disse un po’ seccata Annabeth.
Percy le circondò le spalle con un braccio, stringendola a sé, e Annabeth si zittì subito.  Gli si accoccolò addosso e non parlò più per il resto del nostro viaggio. Dietro di loro, io, Travis e Heather li seguivamo, in perfetto silenzio. L’unico rumore che si sentiva era il frinire delle cicale.
 
-Ma è pieno di campi, qui?- esordì Heather.
Effettivamente, non incontravamo altro che campi. Più andavamo avanti, più l’erba diventava alta e le pecore aumentavano di numero. Per un attimo pensai a Grover: sarebbe stato sicuramente felice di trovarsi lì. Era il suo ambiente naturale e c’era abbastanza erba anche per lui.
-A quanto pare- commentò Travis con un sorriso ironico.
Gli diedi una gomitata nello stomaco. –Zitto-
Lui alzò le mani in un gesto di scuse. –Come non detto!-
Heather non aveva tutti i torti. Era almeno un’ora che camminavamo e il paesaggio non era cambiato di una sola virgola. Cominciava ad essere inquietante. Sembrava di essere all’interno di un labirinto. Senza uscita.
Si era fatto giorno da un pezzo. Il sole illuminava tutta la zona attorno a noi e all’orizzonte c’era …. Un momento.
-Cos’è quella?- mi anticipò Percy, indicandola con il dito.
All’orizzonte c’era una figura femminile avvolta in un lungo mantello grigio che la copriva completamente. Gli unici particolari che si intravedevano erano le mani, giovani e bianche, e la bocca, distorta in una smorfia di dolore. Quando ci notò, si avvicinò a noi a passo veloce fino a quando non fu a pochi passi da noi.
Fu a quel punto che Annabeth capì cos’avevamo di fronte. –E’ una banshee. Allontanatevi. Il suo grido è letale!-
Oh. Bene. Ovviamente non poteva andare tutto per il verso giusto. Dovevano esserci dei mostri, altrimenti come semidèi ci saremmo sentiti messi da parte, inutili. A me andava benissimo sentirmi inutile. Non avevo chissà quali manie di grandezza.
Mentre mi allontanavo correndo mi accorsi di una cosa: Heather non si era mossa. Era ancora là, ferma davanti alla banshee. La guardava senza battere ciglio e la banshee, in risposta, non muoveva un muscolo. Poi, all’improvviso, afferrò Heather per le spalle e la scosse violentemente.
-Non dovresti essere qui, figlia di Ermes- mugolò, la voce rotta dal pianto.
La mia amica non ebbe alcuna reazione. Rimase immobile a guardare la donna in lacrime. Non capivo perché non si spostasse di lì. Gettai un’occhiata agli altri: come me erano preoccupati per Heather. Annabeth gesticolava furiosamente, Percy tentava di calmarla e Travis sembrava sul punto di scattare verso sua sorella per portarla via dalle mani della banshee.
A quel punto compresi. Era compito mio. Ero io a doverla salvare. Non Percy, non Annabeth e nemmeno Travis. Io l’avevo portata lì e io doveva tirarla fuori da quella brutta situazione.
Mi slanciai in avanti e una volta arrivata alle spalle di Heather le presi le mani, cominciando a tirarla. Sembrava fatta di pietra: era un blocco unico di paura. Qualsiasi cosa la banshee le ricordasse non era nulla di bello.
-Vieni via, muoviti!-
-Voglio sentire cosa dice- sussurrò, spaesata.
La donna sorrise, afferrandole il mento con una mano. –Brava bambina- disse con voce ipnotica –Ascoltami. Non sopravvivrai a questo viaggio. Ogni … ogni tuo tentativo sarà inutile. Morirai- singhiozzava sempre più forte.
La voce di Annabeth mi avvertì del pericolo. –Sta per urlare! Spostatevi da lì! SPOSTATEVI!- gridò coprendosi le orecchie con le mani, imitata subito da Percy e da Travis.
Vorrei averlo fatto anche io, ma avevo le mani occupate. Osservai la banshee alzare le braccia al cielo e poi urlare. Il suo strillo mi perforò i timpani e mi rimbombò nel cervello, annebbiandomi la vista. Le gambe presero a tremarmi in modo incontrollato, ma io non mi diedi per vinta. Dovevo salvare Heather. Mi trascinai il più lontano possibile e misi al sicuro la mia amica. Poi crollai a terra, percependo qualcosa di caldo scorrermi lungo il collo. Lentamente, mi portai una mano all’orecchio e la ritrassi coperta di sangue.
In sottofondo, la banshee continuava a strillare e io svenni.
 
-Cosa ha fatto?- urlò Clarisse stringendo i pugni.
Chirone tentò di calmarla, invano. Quella ragazza pareva una furia quando si arrabbiava. Una vera figlia di Ares, impossibile non notarlo.
-Se ne sono andati dal Campo. Lei, Travis, Percy, Heather e Annabeth- ripeté il centauro per la milionesima volta. Non riusciva a crederci nemmeno lui. Era un’infrazione grave alle regole. Senza che il Signor D non consegnasse un’impresa e senza profezia non si usciva dal Campo.
Clarisse sbatté il pugno sul tavolo, facendolo sobbalzare. –Non me ne frega nulla di quei mocciosi. Perché Aelle non mi ha portato con sé?- la sua voce si stava alzando di qualche ottava.
-Sto già pensando di chiedere al Signor D di rintracciarli in modo tale che … - venne interrotto prima che potesse terminare la frase.
-Il Signor D un corno. Ci vado io!- gridò la figlia di Ares –E quando la trovo, la pagherà cara per avermi lasciata indietro!-
Il centauro si vide costretto a capitolare. Forse Clarisse era veramente adatta a riportarli al Campo. E una volta tornati, anche lui avrebbe avuto la sua parte. Ci sarebbe stata una bella punizione.
 
 
Note:
Sono viva! Immagino che ne sarete felici xD
Questo è un po’ più lungo degli altri se avete notato. Se vedete errori o quant’altro, ditemelo. Sempre pronta a correggermi!
Allora, una banshee. Se qualcuno si chiede perché i nostri prodi eroi non combattano, ve lo spiego io. Come si fa a combattere contro un avversario che strilla anche quando lo ferisci? E visto che le sue urla sono dannose, ho preferito impostare la scena in questo modo. E, prima che me lo chiediate, i tappi per le orecchie erano finiti. LOL.
Ringrazio chi mi ha recensito (prima o poi passo a rispondere a tutti. Sono piuttosto pigra d’estate) e chi ha messo la storia tra seguite/preferite/ricordate. Ringrazio anche chi legge soltanto!
Baci,
Aelle

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Capitolo 16
*** Profezie e tori dai nomi impossibili ***


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Profezie e tori dai nomi impossibili
 

 
Emersi dall’incoscienza con la strana sensazione di essere da sola. E mi agitai, incredula che gli altri mi avessero lasciata da sola. Non potevano averlo fatto, io non li avrei mai abbandonati.
Saltai a sedere e capii di essere in un campo. Lo stesso campo in cui era apparsa la banshee … già, quanto tempo era trascorso? Mi faceva male la testa. Mugolai, massaggiandomi le tempie.
Una mano mi scosse. Mi voltai di scatto e trovai il viso di Travis a pochi centimetri dal mio. Era preoccupato, lo si vedeva dalle sopracciglia aggrottate e dalla linea severa delle labbra, ma si rilassò non appena capì che stavo bene. Mi abbracciò, borbottando qualcosa. Dico borbottando perché non compresi una sola parola.
-Come, scusa?- dissi.
O almeno credetti di dirlo perché non sentii la mia voce pronunciare quelle parole. Ebbi solo la consapevolezza del movimento delle mie labbra. Nient’altro.
Ero sorda.
Non la presi bene. Mi portai le mani tra i capelli e cominciai a tirarli, urlando senza potermi sentire. Mi rannicchiai su me stessa e piansi. Era quello il prezzo per aver salvato Heather dalla banshee? Era troppo alto per una come me. Ero totalmente disorientata e non sapevo che cosa fare. E la disperazione mi sembrava l’unica soluzione possibile.
Le braccia di Travis mi circondarono immediatamente e le sue mani staccarono le mie dai capelli. Alcune ciocche caddero a terra, confondendosi nell’erba alta, ma io non vi badai. Ero concentrata solamente sul mio dolore.
Poi Annabeth e Percy, che prima non avevo notato, si aggiunsero all’abbraccio. Solo Heather se ne stette in disparte, da sola, a fissare l’orizzonte dove la banshee era comparsa. Il suo sguardo era triste. Immaginai che stesse ripensando alle parole della donna urlante. Lei sarebbe morta in questa impresa. Non sapeva esattamente quando, ma aveva la certezza che sarebbe successo.
Annabeth mi prese il viso tra le mani e mi indicò le sue labbra. Poi cominciò a parlare lentamente, scandendo ogni parola con precisione. E io compresi quello che stava dicendo.
Stai calma. Anche Heather è nelle tue stesse condizioni. Sospettavamo che potesse essere successo anche a te. Comunque, ho una buona notizia. Non rimarrai così per sempre, ma pian piano riacquisterai l’udito. E’ solo una cosa temporanea.
Per poco non saltai al collo di Annabeth per la felicità. Entro qualche tempo sarei tornata a sentire tutto. Ecco, forse non sapevo l’arco di tempo esatto, ma solo il pensiero di ritrovare l’udito mi esaltava.
-Grazie, Annabeth- dissi con sincerità.
Di nulla.
Si alzò e andò a prendere la borraccia dell’acqua dal suo zaino, poi me la porse con un sorriso gentile. All’improvviso, mi accorsi di avere molta sete e trangugiai avida metà del contenuto della borraccia prima di ritenermi soddisfatta.
-Dove andiamo ora?- chiesi.
Percy lanciò una strana occhiata a Travis, mentre Annabeth finse di essere interessata a guardare un filo d’erba. Nessuno parlò. Fu Heather ad intervenire, lo sguardo spento.
Non lo sappiamo. Non abbiamo nessuna profezia per orientarci.
-Bene-  commentai.
Heather aveva ragione. Senza una profezia era come procedere con gli occhi bendati. Sorda e pure cieca. Di male in peggio. Cercai di convincermi che era solo una cosa temporanea.
Mi alzai in piedi e gli altri mi imitarono.
Dove andiamo?, mi interrogò Travis.
-Non ho idea. Dritto? Sì, credo che dritto vada bene-
Mi incamminai, decisa come non mai a portare a termine qualcosa. Non avrei fatto attendere mia madre un minuto di più. Ero partita per lei e avrei concluso quell’impresa con una vittoria. Costi quel che costi.
 
-Dov’è la profezia?- domandò Clarisse, aggressiva.
Chirone distolse lo sguardo, torturandosi le mani sudate. –Rachel ci ha contattati oggi tramite Iride. Dice che non potrà essere al Campo per problemi relativi alla scuola che sta frequentando. In qualunque caso- aggiunse dopo un’occhiata di fuoco della figlia di Ares –Mi ha riferito la profezia e io l’ho trascritta su un foglio che ho messo … giusto dove l’ho messo?-
Il centauro cominciò a frugare tra i vari fogli presenti sulla scrivania fino a quando non trovò quello che cercava. Lo porse alla semidea, che glielo strappò di mano con un gesto poco gentile.
-Vediamo cosa dice … -
Chirone si schiarì la gola e Clarisse riportò la sua attenzione su di lui. –Beh? Che c’è?-
-Tu non devi solo riportarli al Campo, ma devi consegnare loro questo foglio con sopra scritta la profezia. Se Rachel ha avuto questa visione, allora la loro è un’impresa a tutti gli effetti. Non sono molto felice di doverlo ammettere, ma … -
-Sì, sì. Va bene. Ho capito- lo interruppe la semidea –Fammi leggere-
Man mano che i suoi occhi divoravano le parole, il suo viso si faceva sempre più pallido.  Non poteva crederci. Quello non era affatto un bene.
-Qui dice … dice … - rantolò.
Poi lesse ad alta voce e anche il volto di Chirone si riempì di rughe di preoccupazione.
 

Colei in grigio già aveva profetizzato

La morte dell’eroe che davanti a lei si era fermato.
E al grido d’orrore
Fa eco un muto strillo di terrore.
Sarà difficile per l’Amazzone non farsi trarre in inganno
quando sarà proprio l’amato ad arrecarle danno.
Con la sua voce la farà sprofondare
Là dove gli altri non la potranno aiutare.
E per salvare la donna che invecchia sarà costretta ad affrontare
Ciò che anche Ercole ha dovuto temere.
 


-Uhm, vediamo- riflettei –Camminiamo da quanto?-

Mezz’ora, rispose Annabeth guardando l’orologio.
-Fantastico!- spalancai le braccia –E perché diamine il paesaggio non cambia?-
Effettivamente non era un buon segno. Come sempre c’erano solo campi. Campi, campi, campi. Oh, sì. E qualche mucca.
Percy mi strattonò una manica. Ehm, quello è un toro?
Osservai meglio. Sì, c’era un toro. Avanzava verso di noi a testa bassa, il passo pigro e la bocca ruminante.
-Annabeth, questo non è un bene, giusto?-
La figlia di Atena scosse la testa, gli occhi pieni di terrore.
No! Assolutamente! E’ la catoblepa!
 
Note:
Rieccomi qui, tra caldo e zanzare assassine, ad aggiornare!
Sinceramente non ho molto da dire. Questo è un po’ un capitolo di passaggio, visto che non c’è nulla di eclatante. Spero che vi piaccia lo stesso =)
Ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo. Ora passo a rispondervi per bene. Non mi sono dimenticata, sia chiaro u.u
Ringrazio anche chi legge e basta e chi ha messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate.
Concludo con un appello. Passate a dare un’occhiata alla mia nuova fan fiction su Percy Jackson. Si intitola “Ladra di Ombre”.
Al prossimo capitolo, cari!
Vado a mangiarmi un ghiacciolo!
Baci,
Aelle

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Capitolo 17
*** Il destino non si evita ***


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Il destino non si evita
 
 
 
La cose normali da fare erano o scappare a gambe levate –decisamente poco eroico- oppure prepararsi ad affrontare il mostro. Ma io non sono una ragazza normale, perciò passai qualche minuto a pensare a cosa potesse essere una catoblepa. Voglio dire, se non sai a cosa vai incontro è piuttosto stupido gettarsi tra le braccia della morte. Mi picchiettai le dita sulla fronte, cercando di ricordare se avevo già sentito quel nome. Purtroppo no. Mai sentito in vita mia.
Annabeth mi strattonò per un braccio, sollecitandomi a togliermi da lì. Feci come mi disse e anche gli altri seguirono il nostro esempio. Ci spostammo di diversi metri all’indietro, in modo tale da mettere più distanza tra noi e il toro. Sinceramente, non capivo come mai tutta quella fretta. La catoblepa si muoveva al rallentatore, ogni passo sembrava costarle oro e la testa pareva pesarle come un grattacielo. Era un mostro piuttosto strano.
Poi lo sentii. Sì, dico che lo sentii perché cominciavo ad avere una percezione ovattata dei suoni. Come mi aveva garantito Annabeth, l’udito mi stava pian piano ritornando. In qualunque caso, quello era chiaramente un ringhio. Ed era la catoblepa ad emetterlo.
-Uh, non mi sembra un buon segno- dissi –Annabeth, cos’è esattamente una catoblepa?-
Lei mi lanciò un’occhiata scioccata. Si aspettava davvero che conoscessi un mostro con un nome così strano? Neanche per sogno.
E’ un toro, mi rispose, e …
-Ti sento. O meglio, qualcosa. Puoi parlare normalmente, mi sforzerò di capire- la interruppi con un piccolo sorriso.
Annabeth annuì. –Dicevo; è un toro dall’andatura piuttosto pigra. Si ciba di erbe velenose e il suo fiato è molto dannoso per i semidei. Inoltre, ma le fonti non sono certe, si dice che sia in grado di trasformare in pietra con lo sguardo. Tuttavia è difficile guardarlo dritto negli occhi perché la sua testa pesa tantissimo e fa fatica a spostarla, per questo la tiene sempre abbassata-
Avevo udito a spezzoni le sue parole, ma avevo afferrato il succo del concetto. Non guardarlo negli occhi e non fare in modo che ti aliti addosso. Mi rimaneva solo un dubbio. Mi sembrava troppo semplice da battere. Che Annabeth avesse ingigantito la cosa più del dovuto?
-Annabeth, scusa se mi intrometto … - iniziai, ma Percy concluse per me.
-A me sembra troppo semplice- disse –Posso sconfiggerlo in tre secondi-
Fece per togliere il cappuccio a Vortice, ma Annabeth gli mise una mano sul petto e lo tirò indietro. Poi afferrò Vortice e la gettò per terra con rabbia.
-Senti un po’, Testa d’Alghe- gli puntò un dito contro –Non puoi pensare di avvicinarti alla catoblepa. Non così. Usa il cervello!-
Lui alzò le mani in segno di difesa, ma non si preoccupò di riprendere Vortice. La lasciò lì e guardò la sua ragazza, in attesa di spiegazioni. Nonostante la situazione, io e Travis non potemmo fare a meno di ridacchiare. Heather, invece, teneva la bocca cucita. La osservai con la coda dell’occhio e compresi: lei non sentiva. Era ancora sorda. I danni della voce della banshee su di lei erano stati molto più pesanti.
Lei mi guardò con occhi vacui e alzò le spalle, poi fissò lo sguardo sulla cintura di Travis, dove era saldamente legata la sua spada. Prima che io o qualcun altro potesse rendersene conto, Heather aveva sfilato la lama dal fodero e si era messa a correre in direzione del mostro, che avanzava al rallentatore.
-Heather!- gridai –Heather, torna qui! Heather!-
Annabeth spalancò la bocca, Percy fece per rincorrerla e Travis cercò di imitarlo, ma alla fine l’unica che si mosse fui io. Scattai in avanti e seguii Heather tra i campi, fino quasi al mostro, ma quando lo vidi mi fermai. C’era qualcosa, una piccola parte di me, che mi diceva di non avvicinarmi oltre. Come una barriera, mi impediva di avanzare oltre e io non provai nemmeno a sfondarla. Avevo imparato a non contrastare il mio sesto senso.
-Heather!- la chiamai ancora, senza ricordarmi che non poteva sentirmi.
Lei continuava ad avanzare, imperterrita, e non si fermò nemmeno quando la catoblepa la vide. Il mostro non si mosse di un millimetro e io assistetti paralizzata dal terrore a quello che accadde dopo.
Il toro spalancò la bocca –certo, molto lentamente, ma la spalancò- e da essa uscì un fumo violaceo e denso che prese ad diffondersi nell’aria a grande velocità. In breve tempo, l’aria ne fu pregna talmente tanto che cominciai ad avere difficoltà a respirare. Istintivamente mi allontanai e, grazie agli dèi, man mano che retrocedevo l’aria si faceva sempre più respirabile.
Per Heather le cose non erano messe bene. Procedeva a fatica, gli occhi che lacrimavano e le gambe che tremavano ogni volta che appoggiava i piedi per terra. Eppure, continuava a camminare.
D’un tratto, Annabeth mi fu alle spalle e dietro di lei Travis e Percy. Aveva il fiatone come me e gli altri, probabilmente provato dal fiato velenoso della catoblepa, che tutt’ora non si era mossa. All’inizio l’avevo sottovalutata, ma ora capivo che aveva una difesa di ferro e non era così semplice da sconfiggere come avevo pensato.
-E’ velenoso per i semidei- disse Percy –E’ questo che intendevi, sapientona? Faccio fatica a respirare … e non ci sono nemmeno in mezzo-
Annabeth annuì, rigida. –Esatto. Heather dovrebbe essere già a terra a dimenarsi dal dolore. Una volta che l’hai respirato a lungo, il veleno comincia a consumarti i polmoni. Eppure lei cammina ancora-
Dovevo tentare. –Travis, dammi la tua maglietta- dissi tendendo una mano.
Lui mi guardò in modo strano. –Perché?-
-Perché sì. Non posso entrare nel miasma senza una minima protezione. E visto che qui non abbiamo mascherine, mi accontenterò della tua maglietta-
Con uno sbuffo, si levò la maglietta e me la passò. Io la piegai in modo tale da avere tra le mani una striscia e me la avvolsi attorno alla bocca. Tentai di sentire gli odori, ma la maschera improvvisata funzionava bene. Mi tuffai nella nuvola violacea a passo di carica e rincorsi Heather.
Non provai più a chiamarla, tanto non mi avrebbe sentito. Quando fui abbastanza vicina, allungai una mano e la afferrai per i vestiti, ma lei si divincolò e mi sfuggì. Nonostante il bavaglio, gli occhi iniziarono a lacrimarmi lo stesso e le gambe cominciarono a farsi pesanti. Mi sembrava un miracolo essere ancora in piedi.
A quel punto capii cosa aveva in mente Heather. Aveva rubato la spada di Travis per un motivo ben preciso. Lei sapeva. Sapeva di dover morire lì e si era gettata tra le braccia della morte senza pensarci due volte. Voleva lasciare la vita come eroe. Voleva uccidere la catoblepa da sola. Non glielo avrei permesso. Non doveva morire.
A qualche passo dal toro, Heather scivolò. Pensai che il veleno stesse cominciando a fare effetto e probabilmente era così, ma quella mossa era calcolata. Le parole di Annabeth mi rimbombarono nella testa.
Inoltre, ma le fonti non sono certe, si dice che sia in grado di trasformare in pietra con lo sguardo.
Ebbi paura. Paura che le fonti potessero avere ragione e che quindi la catoblepa potesse seriamente pietrificare con lo sguardo. Strinsi i pugni e mi costrinsi ad aspettare.
Heather scivolò sotto la pancia del toro e alzò la spada, squarciandole il ventre. Quindi si rialzò in piedi, lasciando cadere la lama, e io feci per aprirmi in un sorriso. Non era successo nulla.
Avevo parlato troppo presto.
Uno scricchiolio percorse l’aria putrida e la pietra cominciò a ricoprire le caviglie della figlia di Ermes. Osservai scioccata la mia amica diventare di pietra e a quel punto non riuscii a trattenermi. Gridai più forte che potevo. Era l’orrore a farmi reagire in quel modo.
Come se avesse sentito il mio grido, Heather si girò a guardarmi e fece per rispondere al mio grido, gli occhi sbarrati per la paura, ma la pietra fu più veloce e la ricoprì completamente. Di lei non rimase altro che una statua, atteggiata in uno strillo silenzioso.
Persi la ragione. Tolsi la maglietta di Travis da davanti la bocca e corsi accanto a quello che rimaneva di Heather. La abbracciai piangendo, ma tutto quello che sentivo era un gelo fuori dal comune. Mi abbassai a raccogliere la spada e, pur capendo che quell’arma non era fatta per essere impugnata da me, mi lanciai alla carica contro il toro, ancora con la testa abbassata e perfettamente immobile.
Con le lacrime che mi solcavano le guance, gli tranciai la gola e gridai ancora e ancora verso il cielo finché non mi rimase più voce.
 
 
Note:
Eccomi qui!
Questo è un capitolo piuttosto triste, ma spero che vi possa piacere lo stesso.
Fa talmente caldo che non riesco a scrivere tanto. Però, ho delle informazioni sulla catoblepa: il suo nome deriva dal verbo greco καταβλέπω, ovvero “guardare verso il basso”. Non si sa bene cosa sia una catoblepa, le fonti sono discordanti, perciò alcune cose le ho interpretate a modo mio. Spero vi piaccia lo stesso.
Ringrazio chi ha recensito, chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e anche chi legge e basta.
Al prossimo capitolo!
Baci,
Aelle

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Capitolo 18
*** Via Heather, scompare Travis ***


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Via Heather, scompare Travis
 
 

Quando non ebbi più voce per continuare a gridare, iniziai a singhiozzare senza tregua. Solo quando Travis mi si avvicinò e mi avvolse in uno dei suoi abbracci tornai a pensare lucidamente. Heather era morta. Ed era lì di fronte a me che mi guardava terrorizzata, la bocca aperta nell’atto di urlare e la convinzione che mi sarei precipitata a salvarla. Ma così non avevo fatto. L’avevo abbandonata ad un destino che avrei potuto evitare se solo non avessi esitato. Era tutta colpa mia. Avevo pensato più a me stessa che a lei.

Ero una traditrice.
-E’ colpa mia- sussurrai.
Travis scosse la testa. –No, non pensarlo nemmeno. Era mia sorella. E non ho mosso un dito per aiutarla. Se dobbiamo dire la verità, la colpa è mia-
Non risposi, mi limitai a tirare su col naso, poi, lentamente, mi alzai in piedi. Mi guardai intorno con occhi arrossati e vidi Annabeth e Percy ancora nello stesso punto in cui li avevo lasciati prima di mettermi a rincorrere Heather. Feci loro un cenno, in modo tale che capissero di potersi avvicinare senza problemi.
Ci raggiunsero in pochi istanti e tutti e due si fermarono, esitanti, davanti alla statua di Heather. Percy distolse lo sguardo, mentre Annabeth rimase a fissarla con gli occhi lucidi. Non pianse, però. Abbracciò per l’ultima volta Heather, poi fece una cosa che non mi sarei aspettata che facesse. Diede un calcio alla statua e quella, nella caduta, si ridusse in mille pezzi.
Se non ci fosse stato Percy tra me e Annabeth, molto probabilmente le sarei saltata alla gola. –Cosa diavolo hai fatto?- gridai, la gola che mi bruciava per lo sforzo. –Come ti sei permessa? Come?-
Lei mi guardò, impassibile. –Osserva- mi disse semplicemente.
Per poco non feci un salto. I cocci si stavano muovendo. Si agitavano senza sosta da una parte all’altra, come se qualcosa li animasse. Poi, improvvisamente, si bloccarono e si ridussero in polvere, che si dissolse nel vento.
Quando non ci fu più nessun granello lo udii chiaramente. Un rumore di vetri infranti. Eppure lì non c’erano vetri. C’erano prati appena tagliati, una strada asfaltata, mentre alle nostre spalle c’era un bosco.
Un paesaggio che chiaramente non era lì quando eravamo arrivati. Perché prima c’erano solo campi incolti e animali che pascolavano. Ora nemmeno quelli. Era qualcosa di completamente diverso.
Spalancai la bocca e silenziosamente chiesi spiegazioni ad Annabeth, che mi guardò ruotando gli occhi. Quella ragazza dava troppe cose per scontate e molto spesso si dimenticava che ero figlia di Poseidone, non di Atena. Una figlia di Poseidone che non sapeva nuotare, ma pur sempre figlia sua.
-Faceva parte dell’incantesimo della catoblepa- rispose –Aveva creato uno spazio infinito in cui ci saremmo spostati in eterno senza poterne uscire. L’unico modo per spezzare l’incanto era distruggere la statua in cui l’anima della catoblepa sopravviveva. Ora siamo fuori, ma non ho la minima idea di dove siamo-
Strusciai un piede a terra, imbarazzata come non mai. L’avevo trattata male senza pensare al perché lei stesse agendo in quel modo. L’aveva fatto per noi, per farci uscire da lì. Ero proprio una cretina.
-Mi dispiace- bofonchiai.
Lei mi sorrise. –Atena ha sempre un piano-
Non potei fare a meno di sorriderle in risposta, poi mi allungai per stringerla in un abbraccio. Sicuramente rimase stupita del mio gesto, ma si abituò in poco tempo e ricambiò la mia stretta dolcemente.
-Bene- esordì Percy –A quanto pare anche il tempo era manipolato da quel mostro-
Capii cosa intendeva dire quando guardai in alto. Il cielo era arancione e in lontananza si vedeva il buio avanzare velocemente. Era già sera.
-A quanto pare sì- disse Travis –Mi sa che è meglio accamparci per la notte. Quel bosco non mi sembra male- propose.
Annuimmo tutti. La stanchezza si faceva sentire come se avessimo un macigno pesantissimo sulle spalle.
Mentre ci dirigevamo verso il bosco, Travis mi strinse a sé, con un piccolo ghigno. Le cose non promettevano molto bene quando faceva così. Mi aspettai il peggio.
-E mi sa che è meglio se mi ridai la mia maglietta- mi disse, ridendo.
Arrossii. Sì, ce l’avevo ancora io, stretta tra le mani. Come potevo essermi dimenticata di un dettaglio simile? Aveva passato tutto il tempo a consolarmi senza maglietta e io nemmeno me ne ero accorta. Ma come si fa?
Gliela tesi, lo sguardo basso, le guance rosse e lui rise ancora più forte.
 
-Vado da sola- disse Clarisse a Chirone.
Il centauro agitò la coda. –Sei sicura di non voler portare nessuno?-
-Sicura-
Chirone cercò di farle cambiare idea. –Potrebbero esserti utili dei compagni- protestò.
Clarisse strinse i pugni finché le nocche non le diventarono bianche. –Va bene così, centauro. Io basto e avanzo-
Il centauro non osò più contestarla. Ares non era uno degli dei che preferiva e sua figlia gli assomigliava in modo pazzesco. Se fosse andato contro il suo volere, non solo si sarebbe trovato di fronte ad una Clarisse arrabbiata, ma anche ad un Ares di cattivo umore. Per niente al mondo avrebbe voluto sperimentare una simile esperienza.
-Allora vai, figlia di Ares- le disse –E riportali indietro-
Clarisse annuì e uscì dai confini del campo senza mai voltarsi indietro. Ora in testa aveva solo una cosa: salvare Aelle. Perché Aelle non l’aveva giudicata male solo perché era figlia del dio della guerra. La trattava come una sorella e si faceva volere bene per la sua ingenuità.
Per lei, era come una famiglia. Quella che non aveva mai avuto.
 
Ci sedemmo sotto le fronde di un albero gigantesco, consci che se fosse venuto a piovere saremmo perlomeno stati in un luogo riparato. Con gli dèi non si sapeva mai come comportarsi, un secondo prima poteva esserci un sole che spaccava le pietre, mentre il secondo dopo poteva infuriare una tempesta da record.
Perciò, meglio essere prudenti.
-Serve della legna per accedere il fuoco- disse Percy.
Un punto a suo favore. Non potevamo stare al buio più completo. I mostri ci avrebbero fiutato e noi non avremmo avuto modo di capire la loro posizione. Saremmo stati come ciechi.
Travis si alzò. –Sì, vado io- rispose con uno sbuffo –Aspettatemi qui. Dieci minuti e torno indietro-
Detto questo si allontanò e sparì nel cuore della foresta, il mio sguardo che lo seguiva finché la sua figura non fu più visibile.
Annabeth catturò la mia attenzione con un movimento della mano. Stava rovistando nello zaino che si era portata dietro con furia e gettava oggetti a destra e a sinistra senza preoccuparsi del fatto che potessero essere fragili. In quel momento sembrava tutto tranne che una figlia di Atena.
-Oh, eccolo finalmente!- esclamò, tirando fuori dalla borsa un bracciale piuttosto anonimo con al centro un piccolo fiore azzurro. Semplice ma bello.
Io e Percy ci scambiammo un’occhiata perplessa e rimanemmo in silenzio ad osservarla finché lei non capì di doverci spiegare ancora tutto.
Mi porse il braccialetto. –Tieni. L’ho fatto fare per te-
Alzai un sopracciglio. –Ehm, grazie. Credo proprio che mi servirà un braccialetto in questa impresa- commentai, sarcastica.
Lei ridacchiò. –Non è solo un braccialetto. Visto che l’ascia che usavi al Campo era solo un inizio poiché non avevi ancora trovato la tua, ho chiesto ai ragazzi di Efesto di costruire questo-
Guardai il braccialetto con curiosità. Lì dentro c’era un‘ascia? In una cosa così piccola? Strano a credersi.
-Schiaccia il fiore- mi suggerì Annabeth.
Feci come mi aveva detto. Con un sibilo, il braccialetto si aprì e si ingrossò finché non mi trovai in mano un’ascia bipenne che sembrava fatta su misura per me. Non che io avessi mai visto un ragazzo della casa di Efesto. Mi domandai come avessero fatto ad azzeccare il giusto bilanciamento.
-Ti hanno vista combattere. Per loro quello basta e avanza per capire il tuo stile e l’arma giusta per te- mi spiegò Annabeth –Sono fenomenali, vero?-
Annuii, senza parole. Cavolo, se lo erano.
-Come ritorna nella sua forma di braccialetto?- domandai.
Annabeth sorrise. –Schiaccia la base dell’impugnatura con decisione e vedrai che torna come prima-
Ancora una volta, seguii le sue istruzioni e mi ritrovai in mano il braccialetto con il fiore al centro. Fantastico, pensai.
-Dovresti darle un nome- si intromise Percy, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
Guardai il braccialetto e meditai, ma più pensavo più la mente mi si svuotava. Forse non era quello il momento di darle un nome. Forse mi sarebbe venuto col tempo.
-Le darò un nome più avanti- dissi con un piccolo sorriso –Devo sceglierlo bene-
Poi Annabeth saltò in piedi con aria preoccupata. –Ma Travis dove si è cacciato?-
Il sorriso mi morì sulle labbra. Già, i dieci minuti erano passati da un bel pezzo e di lui non si vedeva nemmeno l’ombra. Era normale doversi preoccupare. Cominciai a sudare freddo. Cosa gli era successo?
Saltai in piedi. –Vado a cercarlo- dissi con un po’ troppa fretta –Aspettatemi qui. Torno subito-
Ma quello che né io né gli altri sapevamo era che non sarei mai tornata indietro da quella ricerca. E quando successe, pensai anche che non avrei mai più rivisto né Percy né Annabeth.
 
 

Note:

Oh my gods!
Ce l’ho fatta a pubblicare!
Questo diciottesimo capitolo è un po’ di passaggio, non accade molto. Il prossimo prometto che sarà più movimentato. Altrimenti questa storia diventa una noia.
Vi avverto comunque che non manca molto alla fine. Non so dirvi quanti capitoli manchino, ma certamente sono pochi.
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e anche chi ha solo letto.
Per chi sta aspettando l’aggiornamento di “Ladra di Ombre” … aspettate con calma. Prima vorrei finire questa storia, prima di imbarcarmi in quella. Per evitare di fare confusione. Perdonatemi.
Al prossimo aggiornamento, cari!
Baci,
Aelle

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Capitolo 19
*** Lo stregatto ***


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Lo stregatto
(si consiglia di ascoltare questa canzone durante la lettura  http://www.youtube.com/watch?v=P15kbyCUHt8 )
 
 



Nel buio si nascondono i mostri. O almeno così mi veniva detto quando ero ancora una bambina. Sono sotto il letto, dietro gli angoli e dentro al tuo cuore. Perché è proprio il cuore a farti credere alla loro esistenza. E’ lui che batte come impazzito non appena le tue orecchie sentono qualsiasi rumore che non sia il ciabattare di tua madre che va a dormire o il russare di tuo padre.
E in quel momento mi sembrava tanto di essere tornata bambina. Avanzavo nel buio del bosco come una cieca, le mani strette intorno all’ascia che Annabeth mi aveva donato appena qualche minuto prima. Ma erano minuti? Forse ore? Il tempo lì sembrava passare in maniera diversa. O non passare mai. L’unica cosa che sentivo era il freddo insinuarsi sotto i vestiti e affondarmi nella pelle.
Dov’era Travis in quello spettacolo spettrale?
Un rumore mi distrasse dai miei pensieri. Parevano passi. Passi molto vicini a dove mi trovavo io. Deglutii e strinsi ancora di più la presa intorno all’impugnatura dell’ascia che in quel momento mi sembrava la mia unica ancora di salvezza.
Io non avevo paura. Io non avevo paura. Io non avevo paura.
Ero una semidea, una figlia di Poseidone piuttosto imbranata, e in più un’Amazzone. Ero una donna guerriera che non poteva avere paura del buio. Era una paura ridicola, ma era annidata lì nel suo cuore, e si rifiutava di lasciarlo. Ogni volta che provava ad ignorarla, quella affondava i suoi artigli sempre più in profondità nel suo cuore. Era una bestiolina dispettosa.
I passi si avvicinavano. Erano alle mie spalle, ma io avevo il terrore di voltarmi. La mia testa pareva fatta di granito e si rifiutava di girarsi. Lo stesso valeva per le mie gambe. Il mio respiro stava accelerando visibilmente e ben presto mi ritrovai ad ansimare in cerca di un ossigeno che non era mai abbastanza.
-Travis?- mormorai. –Travis sei tu? Ti avverto che non è divertente. Per nulla-
Non era assolutamente divertente. Mi stavo spaventando a morte. C’era qualcosa nell’aria che mi diceva di stare attenta. Avevo tutti i sensi all’erta. Nella testa, c’era un campanello d’allarme che emetteva un rumore assordante. C’era decisamente qualcosa che non andava.
Alla domanda che credevo di aver lanciato nel vuoto, mi rispose una risatina mal trattenuta. Una risata che assomigliava ad una che avevo ascoltato già molte volte.
Travis. Era la sua. Non poteva che essere la sua.
Mi rilassai all’istante e ripresi a respirare normalmente. Erano spettacolari gli effetti che lui aveva su di me.
Mi girai di scatto, un piccolo sorriso sulle labbra. –Travis, non farlo mai … -
Ma dietro di me non c’era nessuno.
Tornai ad irrigidirmi, mentre un brivido gelato mi correva lungo la schiena. Lì c’era qualcuno. Qualcuno che stava chiaramente giocando al gatto e al topo con me. E dentro di me sapevo di essere il topo. La figura del gatto non mi si addiceva. Tremavo dalla testa ai piedi e non mi riusciva di calmare il battito impazzito del mio cuore. Voleva uscirmi dal petto.
-Chi c’è?- urlai.
Ancora un’altra risatina, questa volta più vicina. Era di fianco al mio orecchio, ma quando mi girai per vedere non c’era nessuno. Esattamente come prima. La situazione stava seriamente diventando brutta. C’era una parte di me che voleva arrendersi al terrore, gettare a terra l’ascia e implorare pietà a qualsiasi individuo stesse giocando con me. Ma l’Amazzone in me non me lo permise.
-Chi c’è?- strillai.
Questa avvertii una mano posarsi leggera sulla mia spalla e nel momento in cui mi voltai incontrai gli occhi di Travis. Erano senza alcun dubbio i suoi, con le stesse sfumature e con la medesima scintilla divertita sempre in agguato. Eppure, non riuscii a rilassarmi. I miei muscoli erano ancora rigidi e il mio cuore non smetteva un secondo di battere.
-Travis?- domandai in un sussurro.
Non rispose, si limitò ad ammiccare, poi mi diede le spalle e cominciò a correre via. E io lo seguii. Non potevo fare altro: ero venuta fino a lì per lui, non sarei tornata indietro finché non lo avessi riportato dagli altri. Dovevo solo stringere i denti e andare avanti, immergermi in quell’abisso di ombre che mi incuteva così tanto terrore. Non sembrava essere così tanto difficile. Solo mi faceva una paura fottuta, e passatemi il francesismo.
-Ok, Travis. Vuoi giocare? E allora giochiamo-
Un passo alla volta mi inoltrai sempre di più nel bosco e, se possibile, l’oscurità divenne ancora più fitta, tanto che mi venne la pelle d’oca. Era più forte di me, non ce la potevo fare. Non se significava quello. Ero sopravvissuta ad una banshee, ad una catoblepa, ma non potevo sopravvivere al buio. Nossignore.
Mi lasciai cadere a terra, nell’erba alta, e abbracciai la mia ascia. Non mi sarei mossa di lì nemmeno sotto tortura. Avrei aspettato il sorgere del sole, poi sarei tornata indietro da Annabeth e Percy. Poi, insieme, saremmo andati a cercare Travis. Quella era la soluzione migliore.
Mi addormentai quasi senza accorgermene perché l’unica cosa di cui ero consapevole erano gli occhi di qualcuno puntati su di me. Poi delle mani mi afferrarono da sotto le ascelle e mi trascinarono via. E io non opposi resistenza.
 
Mi svegliai che era ancora notte. Quanto avevo dormito? Non lo sapevo e forse nemmeno lo volevo sapere. Tutto ciò che volevo era uscire da lì il più in fretta possibile. Feci quindi per alzarmi, ma una voce mi bloccò.
-Sta andando tutto come previsto-
Era la voce di Travis. Sì, era la sua. Che gli dèi mi perdonassero, ma mi era mancato da morire. Lui per me era come la luce del sole, indispensabile. Ed innamorarmi di lui era stata la cosa più avventata che avessi mai fatto, ma anche la più giusta. La più bella, la più felice.
Ma c’era qualcosa che non andava. La sua voce aveva una strana sfumatura: formale, rigida, spenta. Non saprei come spiegarmi. E soprattutto non stava parlando con me, ma con qualcuno che dalla mia posizione non riuscivo a scorgere.
-La ragazzina è qui. Non sa nulla- continuò lui –E’ così ingenua. Sarà una sciocchezza farla fuori-
Ragazzina? Stava … stava parlando di me? Non mi aveva mai chiamata così, non con quel tono gelido e tagliente. Non aveva mai promesso di uccidermi. Mai da quando lo avevo conosciuto. Forse stava parlando di qualche altra persona?
-Sì, è addormentata, svenuta. Non lo so con precisione. Ma fintantoché dorme, mi sarà più facile tagliarle la testa e depositarla sull’altare di quell’idiota di suo padre-
Mio padre … Poseidone. Addormentata … sì, metà del mio cervello era ancora offuscato dal sonno, ma l’altra parte intendeva bene per tutte e due. Quello che aveva appena detto … stava seriamente cercando di uccidermi? La persona di cui mi fidavo di più al mondo mi stava … tradendo? Un suono ovattato si espanse dal mio petto. Il mio cuore si stava spezzando.
Puntellai le mani sul terreno e, facendomi forza, mi alzai. Ed eccolo lì: mi dava le spalle, ma non appena fui salda sui piedi lui si girò e mi guardò negli occhi con un sorriso inquietante. In quel momento ero troppo turbata per accorgermi che la sua bocca si apriva fino a alle orecchie e che al posto dei denti aveva un unico osso. Ero occupata a raccogliere i cocci del mio cuore distrutto.
-Uh, la ragazzina si è svegliata- disse con tono cantilenante.
Una risata femminile fece eco alla sua. Una risata che se fossi stata più concentrata avrei certamente collegato a quella di Heather. Ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da Travis e dalla sua espressione crudele.
-Cosa stai dicendo, Travis?- mormorai.
E lui rise di nuovo. –La verità. Non avrai forse creduto che io ti amassi veramente?- disse con tono sprezzante.
Mi veniva da vomitare. Non lo stava dicendo sul serio. –Sì- risposi solamente.
Travis inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia. –Beh, mi dispiace per te. Soprattutto perché sto per ucciderti-
Si portò una mano alla cintura, dove il fodero era ben agganciato, e afferrò la spada con una mano mentre con l’altra mimava un conto alla rovescia. –Ti do quindici secondi di vantaggio. Ti conviene iniziare a scappare-
-Stai scherzando?-
Lui si strinse nelle spalle. –Se preferisci- disse –Quindici, quattordici … -
Doveva essere un brutto sogno. Non vedevo altra spiegazione. Perciò mi girai e cominciai a correre più veloce che potevo in modo tale da mettere più distanza che potevo tra me e Travis. Quando il conto alla rovescia terminò me lo ritrovai alle spalle in meno di un secondo. Merda, era rapidissimo. Come diavolo faceva a correre così velocemente? Poi lo capii. Era figlio di Ermes e qualcosa da lui doveva avere ereditato.
-Ciao, topolino- mi bisbigliò con una risata all’orecchio.
Mi sforzai al massimo. –No!-
E in quel preciso istante il bosco si diradò e la vidi. Una scogliera alta e dall’aria pericolosa, contro la quale le onde del mare si infrangevano violente. E fissando il mare, compresi ciò che dovevo fare. Se ormai il mio cuore era da buttare, allora avrei buttato anche me stessa. Non avrei permesso a Travis di uccidermi. Mi aveva già fatto troppo male.
E lui parve capire le mie intenzioni. –Non oserai … -
Io non gli prestai attenzione, corsi incontro alla scogliera e mi gettai nel vuoto. Mentre sprofondavo nelle acque turbolente, guardai per l’ultima volta il volto di Travis e poi scoppiai a piangere senza sosta.
Quella era la fine.
 
 





Note:

Eccomi, sono arrivata con un ritardo pazzesco, ma sono arrivata! :D
Questo capitolo è … strano. Sembra quasi horror, non che a me piaccia scrivere horror. Non so perché mi sia venuto così cupo, ma spero lo apprezziate lo stesso.
Adesso passiamo alla canzone. Perché “Requiem for a Dream”? Perché adoro questa canzone e la reputo adatta alle sfumature oscure del capitolo. Sempre che oscure si possano definire. Fatemi sapere cosa ne pensate della lettura con ascolto. E’ la prima volta che lo propongo e mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e messo la storia tra le seguite/preferite/seguite. GRAZIE!
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle

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Capitolo 20
*** Dietro l'arcobaleno si nascondono notizie spaventose ***


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Dietro l’arcobaleno si nascondono notizie spaventose
 
 

Clarisse camminava da ore e ancora non aveva incontrato Aelle. Sapeva che lei e gli altri erano andati in quella direzione, ma di loro sembrava non esserci nessuna traccia. E Clarisse non riusciva a capirne il motivo.
Sospirò, i pugni stretti per la frustrazione. Dove diavolo si era cacciata quella stupida Amazzone? Doveva consegnarle la profezia prima che fosse troppo tardi. Si frugò nelle tasche finché le sue dita non toccarono il metallo freddo di una dracma. Gliel’aveva data Chirone pochi attimi prima che partisse, dicendole di usarla solo per contattare il Campo e far sapere a tutti di aver trovato Aelle e gli altri. Ma lei non era ancora riuscita a rintracciarla e il tempo correva troppo in fretta. Poteva esserle successo qualcosa. Poteva addirittura essere morta.
Se fosse accaduta una cosa del genere, lei si sarebbe sentita spezzata in due per il dolore. Era per quello che doveva tornare a infrangere le regole. Avrebbe cercato di contattarli e rintracciarli solo dopo aver saputo la loro esatta posizione. Sempre che Iride non fosse troppo occupata e la ignorasse.
Prese lo spruzzino che il centauro le aveva dato e lo riempì d’acqua. Quindi creò un rudimentale arcobaleno e vi gettò all’interno la dracma d’oro.
-Oh, Iride, dea dell’arcobaleno, accetta la mia offerta!- disse ad alta voce –Percy Jackson e Annabeth Chase!-
Perché aveva chiamato Prissy e la sapientona invece di Aelle? In fondo era lei quella che cercava. Eppure, qualcosa le diceva che era la cosa migliore da fare.
L’arcobaleno tremolò per qualche secondo, poi lasciò intravedere un piccolo fuocherello e tre persone che parlavano con tono nervoso. Non ricordava che ci fossero solo tre persone nell’impresa. Erano cinque. Sperò che non fosse accaduto nulla di grave.
-Prissy! Finalmente! Dove diavolo siete?- si decise finalmente a parlare.
Percy sobbalzò e si girò di scatto. Annabeth alzò lentamente lo sguardo, per niente spaventata, mentre Travis –ah, ecco chi era- sospirava sconsolato e si prendeva la testa tra le mani. Ma che diavolo era successo?
-Clarisse, non sono in vena di litigare- cominciò lui –Non lo sono per nulla-
La figlia di Ares strinse i denti per evitare di imprecare. –Mi piacerebbe molto litigare con te, Prissy. Purtroppo, non vi ho contattati per questo. Chirone mi ha mandato a riferirvi la profezia dell’Oracolo-
Annabeth spinse di lato Percy e si mise davanti al messaggio-Iride. –Quale profezia?- strillò, perdendo la calma per la prima volta in vita sua.
-Rachel ha avuto una visione e si è affrettata a mandare al Campo la profezia. Mi pare che il centauro mi abbia detto anche che la rossa avesse riferito ad Aelle di aspettarla per poterla sentire di persona, ma quella sciocca se n’è andata prima. Andate a chiamarla, così posso riferirgliela- rispose.
I tre si lanciarono delle occhiate che fecero insospettire Clarisse, poi Annabeth riprese la parola. –Dilla a noi-
-Devo parlare con Aelle- si intestardì lei.
Il figlio di Poseidone perse le staffe. –Dilla a noi, Clarisse!- gridò.
Per una volta Clarisse comprese di non dover contraddire una persona. Non perché le facesse paura –l’unica cosa di cui aveva avuto paura era stata il Labirinto- ma piuttosto perché capì che c’era qualcosa che era andato storto. Si frugò nelle tasche dei jeans e tirò fuori il foglio di carta su cui Chirone aveva trascritto la profezia.
Si schiarì la gola. –Uhm, allora. Qui dice: “Colei in grigio già aveva profetizzato/ la morte dell’eroe che davanti a lei si era fermato./ E al grido d’orrore/ fa eco un muto strillo di terrore./ Sarà difficile per l’Amazzone non farsi trarre in inganno/ quando sarà proprio l’amato a recarle danno./ Con la sua voce la farà sprofondare/ là dove gli altri non la potranno aiutare./ E per salvare la donna che invecchia sarà costretta ad affrontare/ ciò che anche Ercole ha dovuto temere.”-
Annabeth imprecò in greco antico, Percy sospirò e Travis emise qualcosa che assomigliava ad un mezzo ringhio. Clarisse non ne capì il motivo. Non subito. Fissò il foglietto che teneva con una mano, rifletté per qualche secondo sulle parole quindi si concesse si pestare i piedi per terra.
-Dov’è Aelle?- sbraitò.
Annabeth scosse la testa e per un attimo Clarisse temette il peggio, come se “la morte dell’eroe che davanti a lei si era fermato” riguardasse la figlia di Poseidone. –E’ scomparsa-
Clarisse sentì una voragine aprirsi sotto i suoi piedi, mentre il cuore cominciava a batterle più veloce. –Cosa significa che è scomparsa?- disse con un filo di voce.
-Esattamente quello che ho detto- le rispose Annabeth –E c’è di più. Heather è morta-
Senza offesa per lei, ma a Clarisse non importava niente di quella sciocca figlia di Ermes. Da quando era al Campo, mai una volta si erano parlate. Si ignoravano e basta. E a Clarisse andava bene.
E in quel momento Travis cominciò a urlare. –E’ colpa mia, è colpa mia!-
Percy gli mise una mano sulla spalla nel tentativo di calmarlo, ma fu inutile. Lui continuava a gridare al cielo la stessa frase come se fosse un mantra. Strappava ciuffi d’erba con le mani, imbrattandosele di terra, e li gettava via.
-E lui cos’ha?-
Annabeth e Percy si scambiarono una breve occhiata, come se fossero indecisi se dirglielo o meno. Ma Clarisse voleva sapere.
-Ditemelo. Ora- ordinò con la voce più tagliente che aveva.
La figlia di Atena si stropicciò le mani, come se non sapesse da che parte iniziare, poi si decise a parlare. –Dopo che Heather è morta, l’inganno del mostro si è sciolto e ci siamo ritrovati nei pressi di questo bosco. Ci siamo accampati e Travis è andato a prendere la legna. Visto che dopo dieci minuti non era ancora tornato, Aelle è andata a cercarlo e non ha più fatto ritorno-
Clarisse fece per interromperla, ma la figlia di Atena la zittì con un rapido gesto della mano. –Non ho finito. Quando Travis è tornato dal bosco con la legna, abbiamo sentito un urlo. E la voce era di Aelle, ne eravamo sicuri. Abbiamo raccattato le nostre cose e siamo corsi nella direzione da cui proveniva l’urlo. Non abbiamo trovato lei, ma qualcos’altro. Era un mostro che non avevo mai visto di persona, credevo che non esistesse … eppure era lì che ci fissava. Era Travis. O meglio, aveva il suo aspetto. Esattamente come dicevano le fonti che avevo studiato-
-Cos’era?- l’impazienza nella voce di Clarisse era palpabile.
-Una leucrotta-
-E cosa diavolo è?-
-Un incrocio tra una crocotta e un leone. E’ un insieme di vari animali, tra cui l’asino, il leone, il cervo e il tasso. Ma la cosa più importante di tutte è che, oltre a possedere una velocità straordinaria, può imitare l’uomo, sia nella voce che nel corpo. L’unica cosa che la differenzia da un vero essere umano è la bocca: si apre fino alle orecchie. In più, non ha i denti, ma solo un lungo osso-
Involontariamente, Clarisse rabbrividì. Aveva sentito parlare di mostri enormi, dalla forza erculea, dal fiato velenoso e molto altro ancora, ma mai di una cosa del genere. Imitare la voce e l’aspetto di un umano era qualcosa di sottile, che a prima vista non poteva sembrare pericoloso, ma che in realtà lo era. Assumere l’aspetto di una persona estranea poteva distruggerne mentalmente un’altra. Era semplicemente terribile.
-La profezia … - Clarisse deglutì. –La profezia dice che con la sua voce il suo amato la farà precipitare là dove nessun la potrà aiutare. Dove è precipitata Aelle?-
Percy prese un respiro profondo. –Dalla scogliera. Dopo che in tre siamo riusciti ad ucciderlo, tra l’altro non senza danni – abbiamo ferito Travis più volte scambiandolo per la leucrotta- mi sono gettato anche io. Ho setacciato il mare in ogni minimo angolo, ma di lei nessuna traccia-
Clarisse si mosse nervosa. Non sapeva cosa dire, ma doveva dire qualcosa. –Com’è possibile che sia scomparsa nel nulla, Prissy?- lo aggredì.
Annabeth guardò il suo ragazzo con rimprovero e lui alzò le mani in segno di resa. –Glielo dico, non ti scaldare. Ecco, c’era una parte di mare che non riuscivo a raggiungere. Era come se una cupola impenetrabile circondasse quel luogo. E sotto di essa ho intravisto una strana costruzione. Se c’è un posto dove Aelle può essere caduta, è quello. Solo che per quanto mi sforzi non riesco a raggiungerlo- disse, amareggiato.
La figlia di Ares cercò di non scoppiare a piangere davanti al suo nemico. –Dove siete? Vi raggiungo. Una volta che sarò lì, riprenderemo le ricerche- si sforzò di risultare autoritaria.
Annabeth fece per rispondere, ma lo schermo diventò grigio.
Gettare un’altra dracma per altri cinque minuti di conversazione, prego.
Ma Clarisse non aveva altre dracme.
E lo schermo di oscurò del tutto.
 
 




Note:
Ahahahaha. Speravate che riprendessi il capitolo dal punto di vista di Aelle, vero? E invece no, ecco qui una Clarisse come mai l’avete vista!
Ok, era un inizio piuttosto strano, ma dovete capire che a un certa età il cervello parte e non connette più. Siate clementi con me!
Bene, ora che siamo arrivati a questo punto posso dire che nel prossimo apparirà sicuramente la Marine Cathedral. Ve la ricordate? Se non la ricordate, rispolverate i vecchi capitoli.
Bene, ringrazio le persone che hanno recensito lo scorso capitolo e anche chi ha solo letto. E ringrazio pure chi ha messo la storia tra le preferite (ben 11!!)/ seguite/ ricordate. Siete fantastici!
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle
 
P.S. Almeno questo mostro vi è piaciuto?

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Capitolo 21
*** Il terzo ingresso ***


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Il terzo ingresso
 




 
Con un urlo precipitai giù dalla scogliera, sicura che sarei morta nel momento stesso in cui avessi toccato l’acqua. Ma il mare mi accolse tra le sue onde impetuose come se fosse entusiasta di rivedermi.
Affondai in quel blu profondo con la consapevolezza che prima o poi avrei esaurito l’aria e che l’acqua avrebbe invaso i miei polmoni, distruggendoli. Eppure, continuai a respirare come se niente fosse, come se ancora fossi all’aria aperta.
Per un attimo, mi stupii. Riuscivo anche io a respirare sott’acqua, esattamente come mio fratello Percy. Peccato che non avrei potuto fargli vedere i miei progressi.
Chiusi gli occhi e mi lasciai andare a quella calma innaturale. Era quella la sensazione che si provava prima di morire? Mi sfuggì una lacrima al pensiero di quello che mi sarebbe successo.
No, no, no. Gorgogliò una voce nella mia testa. Resta sveglia. Apri gli occhi.
Riaprii gli occhi di scatto, ma intorno a me non c’era nulla. Esattamente come era successo nella foresta con Travis. Istintivamente mi raggomitolai su me stessa, rifugiandomi in un guscio protettivo che speravo avrebbe allontanato qualsiasi cosa mi si fosse avvicinata.
Va bene. Non ti tocco.
-Chi sei?- farfugliai, osservando delle bollicine uscirmi di bocca e salire verso la superficie.
Oh, ecco. Sì. Mi ero dimenticata di presentarmi. Non ricevo molti ospiti sai? A dire la verità, nessuno. La barriera allontana tutti. Io faccio solo la guardia, perché in casi come il tuo …
-Chi sei?- ripetei con uno sbuffo.
Sì. Sì, giusto. Mi chiamo Melena. Sono la sirena guardiana di questo luogo.
Poiché non sapevo nuotare, mi agitai per un po’ prima di riuscire a girarmi a pancia in giù e trovarmi davanti un paio di occhi verdi, uguali ai miei e a quelli di Percy. Appartenevano ad un viso bellissimo che mi guardava con espressione dolce. Lunghi capelli biondi incorniciavano quell’ovale perfetto e fluttuavano nel blu profondo di quelle acque sconosciute. Il suo corpo snello era abbronzato ed era- quando lo notai mi venne un colpo- metà animale. Un po’ come per Chirone, dalla vita in su era una splendida ragazza che dimostrava all’incirca la mia età, mentre dalla vita in giù non aveva le gambe di un essere umano ma possedeva la coda brillante di un pesce.
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, sul punto di mettermi a urlare. Annabeth non me le aveva descritte così. Lei le aveva viste. Mi aveva detto che erano donne-uccello che incantavano i marinai con la propria voce e non donne-pesce.
Per un attimo mi dimenticai della foresta, di Travis e del mio dolore. –Tu non sei una sirena!- esclamai puntandole un dito contro.
Lei roteò gli occhi, sbuffando. –Sì che lo sono- e poi continuò parlando da sola –Perché mi confondono tutti con quelle megere con le ali?-
Inarcai un sopracciglio, ma non ribattei. Se lei diceva di essere una sirena, allora doveva esserlo. E poi, era esattamente come la Disney aveva disegnato Ariel, quindi non feci troppe domande al riguardo.
-Dove mi trovo?- chiesi.
Questa volta fu lei ad inarcare un sopracciglio. –Non lo hai ancora capito, figlia di Poseidone?- fece un gesto con la mano, invitandomi a guardarmi in giro,
Volsi lo sguardo oltre la sua figura e cominciai a distinguere una costruzione scura che affondava le proprie radici in una sabbia nera che brillava come se fosse piena di pietre preziose. Le mura erano alte, molto di più di quanto riuscissi a scorgere con i miei occhi, e in lunghezza si estendevano fino a sprofondare nel buio. Era semplicemente enorme. Questa era la sua unica caratteristica. Perché per il resto assomigliava in tutto per tutto ad una normale chiesa.
Una chiesa …
-La Marine Cathedral!- esclamai.
Melena sorrise. –Esatto, piccola semidea. Questo era il santuario marino di Poseidone, quando ancora era un luogo tranquillo- disse –Ora l’unica persona rimasta sono io. Io controllo che la barriera che la circonda non si spezzi, che nessuna creatura, nessun uomo o dio la sorpassi-
In quel momento mi sentii fuori posto. Cosa diavolo ci facevo in luogo sacro, protetto così bene dal mondo esterno? E, soprattutto, come ci ero arrivata, come avevo sorpassato la barriera se nessuno poteva farlo? Avevo la netta sensazione che presto o tardi anche lì, in quella calma assurda, avrei rischiato la vita. Involontariamente, tremai: la vita da semidei non era così bella come poteva sembrare.
-Come … - mi schiarii la gola. –Come sono arrivata qui? Ero caduta dalla scogliera-
-Ti eri buttata dalla scogliera- mi corresse Melena. –In qualunque caso, sei giunta in questo luogo circondata dalla benedizione di Poseidone. Non potevo di certo ammazzarti, non credi? Avrei offeso il mio signore. E io servo lui da quando sono nata. Cosa farei se lui mi cacciasse?- piagnucolò.
Non seppi cosa risponderle, ma dentro di me fui molto grata a mio padre per avermi benedetto con la sua protezione. Non sarei stata viva se non fosse stato per il suo aiuto. Percy me lo aveva confessato: Poseidone era un dio che ascoltava molto i suoi figli, a differenza di altri dei. C’era peraltro da dire che Poseidone aveva due figli e non quaranta come altri dei. Forse poteva permettersi di ascoltarci.
Le misi una mano sulla spalla, cercando di consolarla. –Su, su. Sono sicura che Poseidone sa che lo servi bene. Te lo garantisco-
In qualche modo la situazione mi pareva comica. Avevo rischiato due volte di morire e ora ero lì a consolare una sirena in piena crisi.
-Davvero?- mi chiese, mentre una lacrima le rigava una guancia bianca e soffice.
Faceva tenerezza.
-Davvero!-  le dissi con il tono più convincente che mi riusciva.
Sotto i miei occhi stupiti, fece quattro capriole all’indietro ed esultò come una bambina di cinque anni. E sicuramente Melena aveva molti più anni di quanti il suo faccino innocente dimostrava. Moliti, ma molti di più.
Quando finalmente si calmò, la espressione si fece seria e mi guardò con occhi preoccupati. Mi prese una mano tra le sue e la strinse. –Forse ho capito-
Inclinai la testa di lato, senza opporre resistenza alla sua presa. Era una strana creatura, ma proprio per quel motivo mi era simpatica. –Cosa?-
-Il motivo per cui il mio signore ti h mandata qui- mi rispose –Per aiutarmi. Lui lo sapeva e mi ha inviato un aiuto. Anche dopo tremila anni, Poseidone non si è dimenticato di Melena-
Sorrisi. Io non ero lì per aiutarla. Ero lì perché lo Specchio di Nettuno era scomparso dalle mie mani, rifugiandosi in quel luogo. Anche se Travis aveva tentato di uccidermi, in fondo lo dovevo ringraziare. Se non fosse stato per lui non avrei mai trovato il coraggio di buttarmi giù dalla scogliera. E se non mi fossi lasciata cadere, non sarei arrivata dove volevo arrivare.
L’unica cosa che ora mi rimaneva da scoprire, era dove lo Specchio si trovasse. Dovevo prenderlo e portarlo al Campo il prima possibile.
Metti da parte la disperazione, Aelle. Torna a puntare ai tuoi obiettivi. Mi incoraggiai.
-In che senso sono venuta a darti una mano?- la interrogai.
Melena sospirò. –Un tempo io custodivo l’intera barriera, che corre lungo un perimetro più esteso di quanto tu possa immaginare. Ero perfettamente sintonizzata con la barriera stessa, riuscivo a capire quando qualcuno vi si avvicinava e intervenivo prontamente per eliminare la minaccia. Ma tutto è cambiato cinquecento anni fa- strinse un pugno con rabbia evidente prima di riprendere a raccontare. –Quel dannato coso si è liberato dalla costrizione di Era ed è tornato sulla terra, rivendicando questo territorio come suo. Poiché io non mi arrendevo, dopo anni e anni di lotta in cui nessuno dei due prevaleva sull’altro, abbiamo deciso di dividerci la Marine Cathedral. Ma lui si è preso l’entrata pericolosa, quella che se non controllata fa entrare più mostri di quanti la cattedrale ne possa contenere, e a me è toccato questo posto lugubre-
Il racconto era chiaro, ma mancavano alcuni punti saldi per farmi capire l’intera situazione. –Di che mostro stai parlando? Che entrata?-
-Sto parlando di Carcino, mi pare ovvio- mi rispose lei, quasi infastidita dal fatto che non lo avessi già compreso.
Sospirai. Se volevo esplorare la cattedrale senza insospettire la sirena, dovevo far finta di collaborare. Mi dispiaceva mentire, ma in quel frangente non avevo molta scelta.
-Ti aiuterò- le promisi. –Ti prego, conducimi da Carcino-
E che gli dèi mi aiutino.
Sempre tenendomi stretta per una mano, Melena mi condusse lungo un corridoio così buio che se non fossi stata insieme a lei mi sarei messa ad urlare. La sua vicinanza mi dava sicurezza, esattamente come quella di … No, non ci dovevo pensare.
-Sa questa parte- mi disse, continuando a nuotare.
Alla fine del corridoio, c’era una stanza enorme piena di colonne altissime, la maggior parte delle quali era crollata e ostruiva il nostro passaggio. Stavo chiedendomi giusto come fare per attraversare quella stanza, quando Melena partì a razzo e fece prese a fare lo slalom tra le colonne come se mi stesse chiedendo l’ora. Sentii il mio stomaco ribellarsi e minacciare di uscirmi di bocca.
Quando ormai stavo per vomitare, Melena si fermò e mi indicò un punto preciso davanti a noi. Io alzai la testa e spalancai la bocca.
La cattedrale non era completamente sottomarina. Una parte di essa si estendeva anche fuori dall’acqua, e dalla mia posizione potevo vedere gli scogli ergersi alti verso il cielo. E per un attimo, mi parve di scorgere un’ombra stagliarsi minacciosa su di essi, ma poiché scomparve praticamente subito non ci feci caso più di tanto.
-Eccoci- disse Melena. –Là sopra c’è il terzo ingresso-
-Il terzo ingresso?- mi voltai verso di lei, curiosa.
Annuì. –Il terzo ingresso del Mare dei Mostri. Quello che nessuno conosce, perché nessuno può entrare nel territorio sacro della Marine Cathedral. Là sopra c’è Carcino- mi spiegò.
Se possibile, la mia bocca si spalancò ancora di più. Il Mare dei Mostri? Annabeth e Percy mi avevano accennato di una loro impresa in quel luogo, ma non avrei mai pensato di vederlo coi miei occhi. Feci cenno alla sirena di scortarmi fino in cima e lei assentì, seppure borbottando tra sé che era impossibile che una figlia di Poseidone non sapesse nuotare.
Con un sospiro, respirai l’aria fresca e mi issai su uno scoglio, scrutando intorno a me nel tentativo di trovare lo Specchio. Non dovetti faticare molto, perché era posto in bella vista su uno scoglio non molto distante da dove mi trovavo io.
La brutta notizia?
Un granchio enorme faceva la guardia accanto ad esso e celava lo specchio con una delle sue grandi chele. Non ci fu bisogno di nessuna spiegazione.
Quello era Carcino.
 
 


Note:

Ehilà, bellissimi! Avete visto che ho aggiornato come vi avevo detto?
Cosa dire? Per chi non conoscesse Carcino o non riuscisse a collegarlo con Ercole: il granchio non fa parte delle dodici fatiche, ma viveva con l’Idra di Lerna e quando Ercole si accinse ad affrontarlo, Carcino si fece avanti. Ercole, però, riuscì a sconfiggerlo spezzandogli la corazza con la sua clava. In seguito alla sua morte, Carcino venne tramutato nella costellazione del Cancro per mano di Era.
Bene, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate. Ho visto che ci sono state nuove persone che hanno commentato. GRAZIE MILLE! Se non ho risposto a tutti, lo faccio presto!
Al prossimo aggiornamento, sperando che questo vi sia piaciuto!
Baci,
Aelle

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Capitolo 22
*** La seconda volta è quella buona ***


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La seconda volta è quella buona
 
 
 
Melena si sedette ai miei piedi, frustando l’acqua con la coda. Evidentemente il non avere le gambe come me la indispettiva. Credo che se li avesse avuti si sarebbe messa a pestare i piedi per terra.
Cercai di ignorare i suoi sbuffi e le posi quella domanda che mi premeva in gola da un po’. –Perché custodisce uno specchio?- chiesi, tenendomi volontariamente sul vago. Non dovevo farle capire che conoscevo l’oggetto che il granchio nascondeva con le sue chele.
Lei mi fissò e inclinò la testa da un lato. –Quello è lo Specchio di Nettuno- mi disse –E’ la prima volta che lo rivedo dopo duemila anni. Pensavo che fosse scomparso-
La guardai, facendole segno con la mano di andare avanti. Se c’era una cosa che stavo cominciando a comprendere era che Melena adorava i discorsi iniziati e non finiti.
-Per millenni è stato un tesoro per questa cattedrale. Se posto all’interno di quella roccia- me indicò con un dito una piccola nicchia decorata finemente –rafforza la potenza dei confini che proteggono questo luogo. O almeno così è stato finché un giorno non scomparve. Essendo un oggetto dotato di volontà propria si sposta in base alle esigenze che ritiene necessarie, ma nessuno riuscì mai a capacitarsi del motivo per cui sparì. E’ per questa ragione che Poseidone scelse Melena e le affidò il compito di fare la guardia ai confini-
Io sapevo benissimo che lo Specchio non era scomparso da solo. Era stato mio padre a portarlo via e a donarlo a mia madre. Perché si fosse complicato l’esistenza, mettendo in pericolo quel santuario, ancora era un mistero. Ma l’agire degli dèi era spesso senza spiegazione.
-E adesso lo Specchio è tornato qui- osservai.
Melena annuì. –Già. Spero solo che Poseidone non tolga il lavoro a questa sirena. Ne soffrirei per il resto della mia vita-
Roteai gli occhi. Avevamo un mostro enorme, uno specchio dotato di volontà propria davanti agli occhi e lei si preoccupava del suo lavoro? Per un attimo presi in considerazione l’idea di urlarle contro, ma poi riacquistai il mio abituale contegno.
-Non hai ancora risposto alla mia domanda- le feci notare.
Mi guardò senza capire. –Quale domanda?-
Strinsi i pugni e digrignai i denti. Poi con un sospiro le risposi. –Perché Carcino tiene lo Specchio in custodia?-
-Ah, quella domanda. Mi pare di avertelo già detto. I confini vengono rafforzati dallo Specchio, ma solo se viene messo nella nicchia che ti ho indicato prima. Quindi se il granchio lo tiene con sé la barriera non lo respinge. Finché lo Specchio rimane con lui, Carcino non potrà mai essere sconfitto. Ecco spiegato il perché-
Ora era leggermente più chiaro. Dico leggermente perché in quel momento capii che se avessi assecondato la richiesta di Melena e avessi rimesso lo Specchio al suo posto mia madre sarebbe inevitabilmente morta. Se avessi invece dato retta al mio egoismo e portato via lo Specchio per salvare mia madre molto probabilmente la sirena mi avrebbe seguita per uccidermi.
Quando si dice futuro roseo.
Sospirai. –Quello che mi stai dicendo di fare è uccidere il mostro, prendere lo Specchio e metterlo nella sua nicchia, giusto?-
-Esattamente- annuì Melena.
-Tu rimarrai qui senza far nulla, vero?-
La sirena fece per rispondermi, ma in quel momento il granchio ci vide e prese ad aprire e chiudere le chele, producendo un rumore così assordante che dovetti coprirmi le orecchie. Nel momento in cui smise, scostai le mani e mi preparai per combattere.
Non avevo altra scelta. Dovevo per forza affrontarlo. Melena non mi avrebbe concesso di ritirarmi. Non ancora in vita perlomeno. E io volevo tornare al Campo ancora tutta intera, almeno fisicamente.
Mi slegai il braccialetto e impugnai l’ascia con entrambe le mani. Allargai le gambe, cercando di trovare una posizione solida che mi avrebbe permesso di resistere all’assalto di Carcino e di contrattaccare senza cadere.
Purtroppo il mio piano non fu dei migliori. Non appena il granchio mi venne incontro compresi che la mia forza non sarebbe bastata a contrastare la sua. Con quasi troppa facilità mi sollevò e mi gettò via come se fossi uno straccio sporco. Sbattei contro uno scoglio e il dolore che provai in quel momento superò per qualche istante quello che divorava il mio cuore.
Gemetti e mi rialzai con fatica, sentendo le gambe tremare, la schiena dolere e la testa pulsare. E il combattimento era iniziato da meno di un minuto. In quel momento ero sicura che sarei morta allo scoccare dei cinque minuti.
Melena si mise a gridare. –Spostati! SPOSTATI!-
Prima che avessi il tempo di capire qualcosa, venni di nuovo sollevata e scagliata lontano. Atterrai ancora sulla schiena e il dolore si moltiplicò per mille. La vista mi si offuscò e lacrime bollenti presero a scivolarmi sulle guance. Piangevo e nemmeno sapevo perché.
Forse era la paura della morte? No. Non poteva essere. Mi ero buttata da uno scogliera convinta di morire e quella paura non mi aveva nemmeno sfiorata. C’era qualcos’altro che mi tormentava.
Poi capii.
Mi sentivo inadeguata. Inferiore. Non comprendevo perché gli dèi avessero scelto me per portare a termine un compito del genere. Non ce l’avrei mai fatta. Non ero all’altezza.
Ero debole.
Troppo debole per oppormi ad un mostro del genere.
I miei singhiozzi si fecero sempre più forti. Ero lì, distesa su uno scoglio, ad aspettare che Carcino mi raggiungesse e mi uccidesse. Non riuscivo a muovermi e sospettai di essermi rotta la colonna vertebrale nei due urti che si erano susseguiti senza un attimo di tregua.
Con la coda dell’occhio, per quanto le lacrime mi offuscassero la vista, notai Melena tuffarsi in acqua e seguire il mostro che si avvicinava sempre di più a me. Quando Carcino alzò una chela e successivamente la abbassò con l’intento di perforarmi lo stomaco, lei saltò fuori dal mare e con le mani mi fece da scudo. Credetti che non avrebbe resistito, ma Melena era la guardiana della Marine Cathedral da tre millenni, sapeva come combattere e non si sarebbe certo fatta battere da un mostro del genere.
Metà in acqua, metà fuori, teneva testa a Carcino con una forza paurosa. Le sue mani brillavano e una barriera sottile impediva alle chele del granchio di raggiungere il suo volto. Le braccia le tremavano visibilmente, ma non cedeva terreno e continuava a respingere gli assalti del mostro.
-Melena … - rantolai.
Lei mi lanciò una breve occhiata. –Ti ho chiesto troppo, semidea, e mi dispiace. Avrei dovuto stare zitta, avrei dovuto evitare di domandarti un simile sforzo. Che gli Elisi siano la tua prossima casa- mi disse con voce sottile.
Non so dove trovai la forza, ma le sputai in faccia. Quella sua affermazione mi aveva messo il nervoso addosso. Che avesse tremila anni più di me era di poca rilevanza. Mi aveva deliberatamente augurato di morire e io non avrei accettato un altro insulto da lei.
Ero debole e mi andava bene.
Ma non sarei morta. Non in quel momento.
Con uno sforzo immane, allargai le braccia e tesi più che potevo le dita, come se volessi raggiungere qualcosa di troppo lontano. La schiena protestava ad ogni mio movimento, ma io continuavo ad allungarmi e non mi arresi nemmeno quando il dolore raggiunse livelli insopportabili.
Urlai e percepii i miei occhi cambiare. Non so come e nemmeno il perché, ma nel momento in cui una luce blu scaturì da essi anche lo Specchio si illuminò, rispondendo alla mia chiamata. Si sollevò dallo scoglio e si materializzò nelle mie mani.
Impugnandolo, mi sentii più forte. La schiena smise di farmi male, la testa smise di pulsarmi e la mia vista ritornò chiara.
Sotto lo sguardo sorpreso di Melena, mi alzai da terra e mi scagliai contro Carcino.
Questa volta avrei vinto io.
 
 


Note:
Eccomi tornata!
Ero in crisi. Non riuscivo a scrivere nulla (e sinceramente nemmeno ora), quindi perdonatemi se il capitolo non è dei migliori. Non volevo tuttavia farvi aspettare troppo, così eccolo qua!
Se notate errori fatemeli notare, esattamente come avete fatto nello scorso capitolo. Siete stati gentilissimi!
Ringrazio chi ha letto, chi ha recensito (presto passo a rispondere, non sia mai che lascio una recensione senza risposta!) e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ ricordate. Siete fantastici, vi adoro!
Direi che il caldo mi ha bruciato anche l’ultimo neurone. Mi dileguo e vado a buttarmi in una vasca piena di ghiaccio.
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle

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Capitolo 23
*** Abbandonare gli istinti da semidea. Impossibile? ***


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Abbandonare gli istinti da semidea. Impossibile?
 
 
 
 



Lo Specchio scottava nelle mie mani. Bruciava talmente tanto che per un attimo credetti di stare impugnando un raggio di sole. Tuttavia non mollai la presa, anzi la rafforzai, credendo ciecamente nelle mie possibilità. Dovevo farcela, per forza.
L’impatto con la barriera di Melena non mi scalfì, non lo sentii minimamente. Eppure ero sicura che il muro della sirena funzionasse da entrambi i lati. E forse anche la sirena ne rimase stupita, perché spalancò la bocca e si immobilizzò completamente, le braccia ancora tese nell’intento inutile di tenere in piedi una barriera che non esisteva più.
Il granchio approfittò della sorpresa di Melena per colpire. Io riuscii a spostarmi, ma la sirena venne stretta tra le chele del mostro e poi scagliata lontano. Urtò uno scoglio e un profondo taglio si aprì nella sua coda di pesce, lasciandola urlante e lontana dall’acqua, sua fonte vitale. Ma il granchio non si accontentò. Seguì la sua preda e la raggiunse senza lasciarle un attimo di tregua. La afferrò di nuovo, la sollevò in aria e ancora la gettò via come un sacco dell’immondizia troppo puzzolente. E se dovevo essere sincera, era vero. Melena cominciava a puzzare e il suo lezzo nauseabondo raggiunse le mie narici, torturandole. Fu allora che capii che era giunto il mio momento di intervenire.
Stavo davvero per salvare qualcuno che senza tanti complimenti mi aveva augurato di morire? Dovevo essere pazza, ma in fondo lo sarei stata di più se le avessi negato il mio aiuto. Era stata lei a salvarmi dal granchio, frapponendosi tra me e lui. Ora toccava a me. Non volevo rimanere in debito con Melena.
-Qui bestiaccia!- gridai.
Non sapevo con esattezza perché il mostro si fosse scagliato contro la sirena e non contro di me, ma immaginai che volesse per prima cosa eliminare gli ostacoli.
Carcino si voltò a fissarmi con quei suoi piccoli occhietti. Mi studiò per qualche secondo, poi si gettò alla carica verso di me, perdendo improvvisamente interesse per Melena, che cadde in acqua con un gorgoglio.
Alzò una chela, pronto a colpirmi, ma lo Specchio, oltre ad avermi guarito, mi aveva anche acuito i sensi. Vedevo meglio, sentivo meglio e fui in grado di evitare il suo colpo, giusto un attimo prima che riuscisse ad aprirmi in due.
E Carcino fu sorpreso dalla mia mossa. Per qualche secondo rimase immobile, gli occhietti malvagi puntati su di me. Ma fu un attimo, perché poi riprese ad incalzarmi con velocità sempre più alta. Sorprendendo anche me stessa, riuscii ad evitarli tutti e le sue chele scavarono solchi profondi negli scogli. Rabbrividii solo nel vedere come la roccia era stata spaccata così facilmente. Se quelle chele avessero toccato la mia pelle cosa sarebbe successo?
Scossi la testa, cercando di togliermi dalla testa l’immagine di una me stessa bucherellata e morente. Non avrei fatto quella fine. Avevo un Campo, una famiglia a cui tornare.
Non potevo perdere.
Strinsi lo Specchio, che imperterrito continuava a brillare. Mi chiesi perché emettesse quella luce blu, poi capii. Era il suo luccichio ad alimentare la mia forza, a rendermi uguale ad Ercole. Era quel ronzio che mi saliva lungo il braccio a suggerirmi ciò che dovevo fare.
Mangia.
Cosa? Lo Specchio stava … parlando? Lo fissai, sgomenta.
Carcino approfittò della mia sorpresa per attaccarmi, ma ancora una volta, sebbene non gli stessi prestando la dovuta attenzione, riuscii a salvarmi. Mi scansai di lato e la chela del granchio aprì una voragine nel terreno, esattamente dove un attimo prima mi trovavo io.
Stai calma, mi dissi. Devi solo stare calma.
Lo Specchio mandava ancora scosse al mio braccio. Stava realmente cercando di comunicare con me. Era un evento al quale era quasi impossibile credere. Eppure era lì, davanti ai miei occhi.
Fu allora che mi vennero in mente le parole di Melena.
 
Essendo un oggetto dotato di volontà propria si sposta in base alle esigenze che ritiene necessarie, ma nessuno riuscì mai a capacitarsi …
 
Sì. Non potevano esserci dubbi. Lo Specchio mi stava veramente parlando, era veramente dotato di una propria volontà. L’unico problema era come rispondergli. Cosa … Come dovevo fare?
Pensa. Chiudi gli occhi e pensa.
Seppur scettica, feci come l’oggetto mi aveva chiesto. Non avrei rischiato di morire senza poter vedere il mostro? Non sarei riuscita ad evitare i suoi colpi e molto probabilmente sarei diventata uno scolapasta, tutto bucherellato. Bella prospettiva.
Non ti accadrà nulla. C’è già una barriera a proteggere il tuo involucro esterno.
Il mio cosa? Intendeva dire il mio corpo per caso? Che linguaggio particolare e antiquato, riflettei.
E allora cominciarono a risuonare dei tonfi spaventosi e io non potei fare a meno di riaprire gli occhi per vedere cosa stava succedendo. Spalancai la bocca: dall’oggetto che tenevo in mano si diramavano mille bracci blu che avvolgevano interamente la mia figura come una gabbia. I tonfi che sentivo non erano altro che i colpi del granchio che andavano a vuoto.
Cosa devo fare?, pensai abbassando le palpebre e precipitando nel buio.
Affidati completamente a me, mi rispose lo Specchio. Le mie onde di energia sono abbastanza forti da metterlo al tappeto senza problemi. Ma se non mi lasci fare, non ne sono in grado.
Lasciarlo fare. Cioè, in poche parole, abbassare completamente la guardia? Grugnii. Era pressoché impossibile che ci riuscissi. I miei sensi di semidea erano sempre attivi e si rifiutavano di abbandonarmi. In fondo, erano loro a tenere in vita la maggior parte dei semidei esistenti. Era logico che fossero un po’ … possessivi.
Espirai lentamente. Se quello poteva salvarmi la vita allora lo avrei fatto. Era difficile ma non impossibile. Dovevo solo stare calma e affidarmi totalmente a lui. Non dovevo più essere Aelle, dovevo essere solo lo Specchio. Nient’altro.
Si può fare, acconsentii.
Isolati da tutto, allora. Estraniati da ciò che ti circonda, senti solo il battito del tuo cuore e cerca di sincronizzarlo con il mio, mi suggerì. Al resto ci penso io.
Ok. Ce la potevo fare.
Chiusi ancora una volta gli occhi e strinsi i pugni. Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira. Espira. Inspira …
I colpi delle chele di Carcino mi distrassero. Erano sempre più potenti e avevo la netta sensazione che la barriera stesse per cedere. La sentivo rimbombare e piegarsi sotto quegli assalti poderosi. Non avevo molto tempo.
Stai calma. Stai calma. Stai calma. Staicalma. Stai calma. Ripetevo quella frase nella testa come fosse un mantra.
E al quel punto lo udii. Il battito del mio cuore si stagliava senza fatica tra i rumori di sottofondo. Lo strappai dal fondo e lo portai in avanti, isolandomi da tutto ciò che mi circondava e tentai di percepire il battito dello Specchio, ma non riuscivo a capire dove fosse.
Aggrottai il viso e scavai più a fondo, facendomi largo tra nuvole nere di pensieri. Li scacciai tutti fino a quando non trovai quello che stavo cercando. Era un suono molto debole, ma costante e perfettamente sano. E anche completamente discordante al battito del mio cuore, che correva veloce.
Provai a rilassarmi. Sciolsi le spalle e smisi di preoccuparmi per il futuro. Quello che doveva accadere in ogni caso sarebbe successo. Non potevo evitarlo.
E pian piano riuscii a sincronizzare il mio battito con il suo. Eravamo psicologicamente una cosa sola. Sottoposta ad una raffica di vento di elevata potenza, la mia personalità venne spazzata via.
Non ero più io.
Ormai c’era lo Specchio di Nettuno a guidare i miei movimenti.
 

Melena cercò di muoversi, ma tutto il corpo le doleva. Quando riuscì a muovere la coda, un dolore lancinante le attraversò la spina dorsale e la fece gridare come impazzita.
Cosa diavolo era successo? Non si era mai sentita così male in vita sua. E ne aveva passati d momenti brutti durante tutti quei millenni.
-Dèi, fate che almeno possa girarmi e guarirmi … - borbottò puntellandosi sui gomiti e provando ad alzarsi.
Strillò per le fitte e per i bruciori, ma non si arrese e continuò a spingere fino a quando non riuscì a mettersi seduta. Lì sospirò, poi prese ad esaminare i danni.
Per poco non le cadde la mascella. Profondi graffi le deturpavano la coda altrimenti perfetta e sangue caldo imbrattava di rosso la sabbia, rendendola fangosa.
Melena aveva paura anche solo a vedere la ferita, figurarsi a toccarla. Ma se voleva tornare a muoversi senza troppi problemi doveva farlo.
Si fece coraggio e affondò le mani nei tagli, sussultando per il dolore che si arrampicò per tutto il suo corpo, ma non demorse e cominciò a recitare un incantesimo curativo, uno dei più potenti che conosceva.
E sotto i suoi occhi la pelle si risanò completamente. Non rimasero nemmeno delle cicatrici e Melena sorrise, soddisfatta del suo lavoro. Dimenò la coda per verificare che tutto fosse veramente a posto come sembrava e sospirò, contenta.
Fu allora che l’intera superficie marina venne inondata da una luce blu. Suoni di schiocchi e frustate riempirono l’aria.
Melena alzò il capo e assottigliò lo sguardo.
Cosa stava succedendo?
 
 




Note:
Ed eccomi ancora qui!
Ditemi la verità, pensavate che in questo capitolo Carcino sarebbe morto, eh? E invece no! Ci sarà anche nel prossimo, poi come mi avete detto in tanti diventerà zuppa per i gatti!
Spero che vi piaccia e che sia migliore del precedente.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, messo la storia tra le seguite/ preferite/ ricordate e anche chi ha solo letto. Siete fantastici!
Vado bellissimi,
Al prossimo aggiornamento!
Baci,
Aelle

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Capitolo 24
*** Gli ultimi istanti prima della fine ***


llllllllllllpoi
Gli ultimi istanti prima della fine
 
 
 
 
Melena non rimase lì seduta ancora per molto a chiedersi che cosa stesse succedendo in superficie. Andò direttamente a vedere. Con un colpo deciso della coda cominciò a salire, a farsi largo nel blu con grandi bracciate. Nelle orecchie continuava a sentire gli schiocchi che l’avevano fatta preoccupare la prima volta che li aveva uditi. Che Carcino stesse banchettando con le carni di quella mezzosangue? Che quei rumori fossero gli schiocchi delle ossa che si spezzavano?
La sirena si accigliò. Poteva essere possibile? Quella semidea, giungendo lì, era stata benedetta da Poseidone, aveva ricevuto la protezione dello Specchio di Nettuno … poteva davvero essere morta?
No, si disse, doveva esserci qualcosa d’altro in corso là sopra. Qualcosa a cui non riuscì a credere finché non la vide con i propri occhi. Anche contemplare una simile idea sembrava l’atto di un folle. Eppure … .
Emerse dall’acqua e si tolse i capelli bagnati dal viso, dopodiché prese un grosso respiro. La prima boccata di ossigeno era sempre la più complicata per esseri che come lei erano fatti e vivevano principalmente di acqua.  Ma Melena aveva avuto millenni per abituarsi al sapore dell’aria tanto che quasi non notava più la differenza tra l’uno e l’altra.
Un’ombra le passò sulla testa, calando sempre di più e la sirena si spostò appena in tempo. Carcino precipitò dal cielo, atterrando malamente sulle zampe, gli occhi acquosi affaticati e il carapace danneggiato in più punti. Scivolò un paio di volte sugli scogli, poi parve riacquistare un po’ di equilibrio, correndo contro un obiettivo che Melena ancora non riusciva a vedere. O era diventata cieca, o il granchio stava combattendo contro il nulla.
Poi la frusta blu si abbatté feroce sulla schiena della bestia, atterrandola senza troppe difficoltà. Un lungo squarcio si aprì nel carapace del granchio che cercò in tutti i modi di mettersi al riparo. Ma, di nuovo, il nastro blu calò e lo mandò a sbattere contro la pietra. Nell’impatto, una zampa si ruppe e Carcino gridò di dolore, pur non arrendendosi e tentando di rialzarsi un’altra volta.
Quindi Melena riuscì a vederla. Contro le regole che vietavano ad un figlio di Poseidone di entrare nel dominio di Zeus, la semidea si librava nell’aria come se non avesse mai fatto altro per tutta la vita. La figura snella si stagliava davanti al disco solare e per quanto fosse possibile lo oscurava, gettando un’ombra minacciosa sulla terra. Gli occhi erano completamente blu, non si distingueva la parte bianca dal resto: la pupilla era stata inglobata da quella strana luce. Le sopracciglia aggrottate, la linea dura della mascella e i capelli che frustavano il cielo, Aelle sembrava molto più grande della ragazza che in realtà era.
Più matura, più letale.
Nella mano destra stringeva lo Specchio di Nettuno che, diventato incandescente, aveva allargato verso l’esterno le sue complicate decorazioni, le aveva allungate fino a trasformarle in lunghi nastri tutti dello stesso colore, quello delle acque più profonde. Era stata la frusta originatasi dallo Specchio a ferire Carcino. E lui lo sapeva. Per questo arrancava a fatica, allontanandosi dalla semidea il più veloce che poteva.
Aelle lo osservò tentare di scappare e sorrise, feroce come mai Melena l’aveva vista nel poco tempo in cui l’aveva conosciuta. Le labbra si piegarono in un ghigno che prometteva solo disastri e le braccia si alzarono insieme. Ma, invece di calare le strisce sul granchio, discese dal cielo come un angelo vendicatore e andò a posare i piedi sul pelo dell’acqua, da dove non si mosse e dove rimase a fronteggiare la bestia.
Inclinò la testa di lato, poi parlò. –Carcino, presto tornerai nelle stelle, dove la Regina degli Dèi ti aveva confinato. E lì rimarrai per sempre!- gridò con una voce che Melena non riconobbe come la sua.
Era distorta, profonda, quasi cavernosa. Ma chiaramente non era la sua.
Fu allora che Melena capì cosa era successo mentre era svenuta. Si coprì la bocca con le mani, stupita. Stava veramente accadendo qualcosa di cui aveva solamente sentito parlare? Lo Specchio aveva sul serio preso possesso del corpo della semidea? L’ultima volta che era accaduto, Melena era ancora in fasce. La storia le era stata raccontata molto tempo dopo dalla madre, ma la sirena aveva faticato a credere che un oggetto potesse appropriarsi di un corpo umano o semidivino che fosse. Eppure, aveva la prova schiacciante davanti ai propri occhi.
Lo Specchio di Nettuno aveva posseduto Aelle e la stava guidando verso la vittoria.
Perché, Melena ne era certa, la semidea non avrebbe potuto perdere. Non con un alleato così potente a darle manforte. Avrebbe solo potuto vincere.
E dal sorriso che le incurvava la bocca, Aelle lo sapeva benissimo.
La semidea rise, poi si lanciò alla carica. Con uno scatto veloce del polso menò un colpo di frusta contro il granchio, più impegnato a trovare riparo che a prestarle attenzione. E la sua distrazione gli fu fatale.
Un altro squarciò si spalancò nella sua schiena, rosso e putrido. Anche se stava osservando la ferita da lontano Melena sentì lo stesso il bisogno di girarsi e vomitare. Trattenne l’impulso e continuò a guardare, il cuore in gola che batteva come un tamburo.
E da quel momento si scatenò l’inferno. Aelle – o qualunque cosa fosse diventata fondendosi con lo Specchio- si divertì a portare avanti quella tortura, accanendosi sempre nello stesso punto finché il carapace di Carcino non cominciò a scricchiolare come una porta vecchia e non si spaccò a metà.
Con uno scoppio, Carcino si ridusse in cenere e le sue polveri salirono verso l’alto, fino a tornare nel luogo in cui avevano sempre dimorato. Le stelle. Per sempre prigioniero nella gabbia eretta da Era.
Aelle sorrise, poi si afflosciò a terra, mentre l’essenza dello Specchio si staccava da lei e rientrava nell’oggetto. E a Melena parve di sentire una risatina. Che fosse la voce dello Specchio?
Ma non ebbe il tempo per rimanere lì a farsi troppe domande. Fino a quel momento era stata a guardare, ora doveva agire. Si issò sullo scoglio e si trascinò verso la semidea con la sola forza delle braccia, quindi si appoggiò la sua testa in grembo e iniziò a cantare una canzone, la stessa che sua madre le sussurrava quando non riusciva a prendere sonno. Era l’unica che sapeva, non aveva una bella voce, ma ce la mise tutta per far sì che Aelle non incappasse in incubi.
 
Rinvenni dal buio con la strana sensazione di essere al sicuro. Ero tranquilla, sì.
Avevo la testa appoggiata su qualcosa di bagnato e avevo le gambe intorpidite, ma tutto sommato stavo comoda. Voglio dire, sicuramente c’era di peggio, no?
Aprii lentamente gli occhi e mi ritrovai il viso di Melena ad un palmo dal naso. Sobbalzai, picchiando la testa contro la sua. Lei si allontanò con un sibilo.
-Sei più carina quando dormi-
Mi morsi la lingua, evitando di ricoprirla di insulti. –Che cosa è successo? Non mi ricordo molto … -
Effettivamente, da dopo che lo Specchio era entrato nel mio corpo, faticavo a mettere insieme un evento con un altro. I miei ricordi sembravano pezzi di puzzle che non combaciavano l’uno con l’altro. E più ci pensavo, e meno ci capivo qualcosa.
-Hai sconfitto Carcino- mi disse la sirena. –E l’hai finito torturandolo-
Spalancai gli occhi. –Io non torturerei mai nessuno!- protestai.
-A quanto pare lo Specchio non si è fatto troppe paranoie e ha agito- mi disse con un sorriso che andava allargandosi. –Ma tu hai salvato la Marine Cathedral, semidea! Te ne sarò sempre grata! Qualunque cosa … farò qualunque cosa per ripagarti!-
Mi feci improvvisamente silenziosa, persa nel mio desiderio più grande. Io volevo tornare a casa, al Campo, dai miei amici, da mio fratello … e anche da Travis, sì. Solo in quel momento mi accorsi di quanto fossi stata sciocca. Non era stato lui ad aggredirmi alla scogliera, avevo pianto lacrime per qualcuno che sicuramente in quel momento stava molto peggio di me. Ero stata un stupida a non capirlo prima. Come avevo potuto dubitare di Travis? Della persona che amavo? Ed era ora di dirglielo. Sarei tornata, avrei … salvato mia madre. L’avrei seppellita nel migliore dei modi. Non potendo portare lo Specchio con me, quella era la soluzione più appropriata.
Alla fine, non avrei potuto portare a termine la mia missione.
Sospirando, mi voltai a guardare Melena. –Puoi … puoi mandarmi a casa? Puoi farmi tornare dai miei compagni?- le domandai. Quasi non riconobbi il tono esitante della mia voce.
Melena sorrise, gentile. Poi spalancò le braccia. –Posso. E’ questo il tuo desiderio?-
-Sì. Solo questo. Per il resto … mi arrangerò-
Lei annuì. –Va bene. Dammi le mani … -
-Aspetta. C’è una cosa che devo fare prima- la interruppi.
Raccolsi lo Specchio e guardai la nicchia in cui avrebbe dovuto riposare per l’eternità, proteggendo quel luogo sacro. Quasi senza indugiare, lo gettai verso di essa …. Ma lo Specchio non si staccò dalla mia mano. Rimase lì.
E io compresi che mi avrebbe seguito. Sarebbe rimasto con me e io lo avrei riportato a mia madre, salvandola. Mi lasciai scappare una risatina: stava per finire tutto bene.
-Sono pronta-
Melena mi tese le mani, invitandomi a stringerle. Eseguii la sua richiesta e con mia sorpresa lei si gettò all’indietro, facendomi sprofondare nell’acqua blu. Per un attimo rimasi spaesata. Non impaurita, solo spaesata. Non sapevo nuotare, quello era vero, ma ero una figlia di Poseidone e l’acqua non era più il mio peggior nemico.
Sentii la voce di Melena nella testa e mi abbandonai al buio.
Chiudi gli occhi. Quando li riaprirai sarai dai tuoi amici.
 
 
Note:
Yes, non sono un miraggio. Sono proprio io. In carne ed ossa.
E vi porto le mie scuse per il ritardo stratosferico. L’inizio della scuola mi ha ucciso i pochi neuroni che mi rimanevano!
Volevo avvisarvi che questo è il PENULTIMO capitolo. Con il prossimo questa storia giungerà al termine. L’unica cosa su cui sono indecisa è se mettere o no l’epilogo. Vedrò.
Vorrei dire un grazie enorme a tutte le persone che hanno recensito i miei capitoli. Non ho dato una risposta non per menefreghismo, le vostre recensioni mi fanno molto felice, ma semplicemente per questioni di tempo. Sappiate che voi contate molto per me. Vi ringrazio molto per ogni commento che mi avete lasciato! Ringrazio anche chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ ricordate e anche chi legge e basta.
Ci vediamo alla fine!
Alla prossima!
Baci,
Aelle

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Capitolo 25
*** E tutto ando' come doveva andare ***


ultimo
E tutto andò come doveva andare
 
 
 
 
Clarisse raggiunse gli altri nello stesso momento in cui le prime bolle incresparono la superficie altrimenti liscia del mare. Non fece in tempo ad avventarsi contro quell’idiota di Prissy per riempirlo di botte che lui si voltò a guardare Annabeth. La sua ragazza aveva appena lanciato un urlo lacerante, svegliando dalla sua trance persino Travis, che da quando l’aveva visto nel messaggio Iride ancora non aveva distolto lo sguardo da quel punto indefinito di fronte a lui.
-Annabeth, cosa succede?- esclamò, allarmato.
Lei puntò il dito davanti a sé e non spiccicò parola.
Percy guardò dove aveva indicato ma non vide nulla. –Non ci sono ragni … - borbottò pensieroso.
Clarisse si fece avanti, spostando Jackson, e scorse ciò che aveva fatto gridare la figlia di Atena. Trattenne a malapena l’urlo che le premeva in gola e si sporse oltre la scogliera, cercando di raggiungerla. –Aelle … !-
La ragazza galleggiava sul pelo dell’acqua, immobile come poteva esserlo solo un morto. La corrente la trasportava senza che lei opponesse resistenza, i flutti le frustavano il volto e i lunghi capelli neri si erano allargati a ventaglio intorno alla sua figura.
Clarisse fece per gridare ancora, ma venne spinta di lato con una forza tale che pestò la testa. Stava per arrabbiarsi sul serio, voleva riempire di insulti chi l’aveva buttata a terra … ma si fermò. Vide le lacrime di Travis e spalancò la bocca per lo stupore.
Si sporgeva dalla scogliera e piangeva senza ritegno. L’immagine che Clarisse aveva di Travis Stoll si infranse. Non era più il tipo divertente che rubava le cose, in quel momento non lo era per nulla. Sembrava … sembrava un innamorato disperato.
Annabeth si fece avanti e gli avvolse le braccia attorno al busto, cercando di tirarlo indietro con scarso successo. Se andava avanti così rischiava di precipitare in acqua e di affogare. –Travis … Travis, finirai per cadere in acqua! Stai indietro! ATTENTO!- strillò, trattenendolo prima che perdesse l’equilibrio. –Percy! Fai qualcosa! Tirala fuori dall’acqua prima che lui si faccia male!-
Percy non esitò un secondo e si buttò in mare, sprofondando nel blu e riemergendo subito dopo. Si avvicinò ad Aelle e la tirò verso di sé, facendole appoggiare la guancia contro la sua spalla. Averla vicino gli dava un senso di conforto. Era sua sorella e saperla finalmente lì con lui, al sicuro, lo faceva stare bene. I suoi muscoli fino a quel momento tesi si rilassarono e lui sospirò per il sollievo.
La tenne contro di sé, ma non uscì dall’acqua. Non sapeva come farla arrivare sulla cima della scogliera. Era svenuta, non poteva arrampicarsi sulla pietra. E tantomeno lui poteva caricarsela sulle spalle e scalare quella salita ripida. Come poteva fare?
Senza quasi rendersene conto, alzò lo sguardo a incontrare quello di Annabeth. Era sicuro che lei sapesse cosa bisognasse fare in casi del genere. Lei era la sapientona, lei aveva la soluzione. Eppure, ciò che vide nei suoi occhi fu una completa fiducia verso le sue capacità, verso di lui.
E Percy si fidò di se stesso. Lasciò andare Aelle, il cui corpo ritornò a galleggiare, e appoggiò i palmi sull’acqua, traendo forza da essa e dandone a sua volta. Dopodiché si affidò a Clarisse.
-Prendila al volo!- le gridò.
Con uno scatto delle mani verso l’alto, ordinò al mare di comportarsi come un geyser e sollevare Aelle fino alla scogliera. E così l’acqua fece.
Percy rimase a guardare mentre Aelle veniva scagliata verso l’alto con una forza spaventosa. Saliva, saliva, saliva. Poi prese a scendere, quasi più velocemente di come era salita, e con sollievo il figlio di Poseidone la osservò cadere tra le braccia spalancate di Clarisse.
Più calmo, fece la stessa cosa per se stesso e atterrò sulla scogliera, completamente asciutto. I vantaggi di essere figli del dio del mare, pensò con un piccolo sorriso. Quasi non finiva mai di stupirsene.
Scosse la testa. Non era il momento per pensare a simili sciocchezze. Aveva ben altro di cui occuparsi. Sua sorella –sorellastra se si voleva essere precisi, ma lui non sentiva molta differenza tra il primo e il secondo termine e preferiva di gran lunga utilizzare il primo- era lì. Viva. Tutto il resto non contava.
E a quanto pareva non era l’unico a pensarla in quel modo, perché Travis, liberatosi a forza dalla presa di Annabeth, era corso ad inginocchiarsi al fianco della ragazza, strappandola dalle braccia della figlia di Ares e attirandola tra le proprie. Era una scena che sapeva di aver già visto. Era accaduta la stessa cosa quando Aelle era stata riconosciuta, tempo prima. Così Percy si accorse dell’amore di Travis per sua sorella. Per un attimo rimase irritato dalla scoperta: aveva visto Travis baciarla prima che partissero per l’impresa, ma di certo non immaginava che tenesse a lei sul serio. E poi Travis non era di certo un ragazzo di cui potevi fidarti. Non subito, perlomeno. Era un figlio di Ermes, dopotutto. Ma forse meritava una seconda possibilità. Sì, non una possibilità, perché era chiaro che Aelle si fosse sentita tradita da qualcosa che la leucrotta le aveva detto, spacciandosi per Travis, ma ogni cosa poteva essere risolta. Percy ne era più che sicuro. Altrimenti, ci avrebbe pensato lui a farli riappacificare, o da solo o con l’aiuto di una figlia di Afrodite. Erano brave in quell’ambito.
-Cosa … come … no, aspetta. Cosa è successo?- sbottò Clarisse. –Mi avevate detto che in mare non c’era!-
Annabeth prese la parola. –E infatti non c’era. Percy ha controllato bene- le rispose. –Credo che l’unica persona in grado di raccontarci tutto sia lei. Non penso che la profezia che ci hai detto possa chiarirci molto le idee. Dobbiamo aspettare che si svegli-
-Già- si intromise Travis, parlando per la prima volta. –Ora lasciamola dormire e riportiamola a casa-
Percy e gli altri non poterono fare altro che dirsi d’accordo. Rimaneva solo un problema: come ritornare al Campo nel più breve tempo possibile. Se Aelle era riuscita nell’impresa doveva terminare in bellezza salvando la vita a sua madre.
-So io come- disse Percy.
Scese di nuovo la scogliera e si chinò, andando a sfiorare con una mano l’acqua che al suo tocco si agitò. Con l’altra mano lanciò un fischio acuto e spedì una richiesta di aiuto a qualcuno che sapeva che non si sarebbe rifiutato di soccorrerlo.
Porta un po’ di amici, Blackjack. Siamo in cinque e uno di noi è svenuto.
Neanche a farlo apposta, un nitrito rispose al suo richiamo e il pegaso nero atterrò al suo fianco, seguito a ruota da altri tre splendidi cavalli alati.
Ehilà, capo. Ci hai chiamati?
 
Mi svegliai in infermeria.
I raggi pallidi della luna colpivano i piedi della branda su cui ero sdraiata. Mi stiracchiai lentamente, constatando con piacere che non avevo ossa rotte o altre lesioni gravi di cui dovermi preoccupare. Mi tirai a sedere e mi guardai intorno, sentendo gli occhi pizzicare per la felicità. Non sapevo come esattamente Melania ci fosse riuscita, ma ero a casa. Ero al Campo Mezzosangue.
Solo quando cercai di mettere i piedi a terra notai che i miei vestiti erano sporchi e sbrindellati, pieni di sangue scuro e secco. Con un respiro profondo mi feci forza e distolsi lo sguardo. Avevo … dovevo … mia madre. Dovevo salvare mia madre.
Scesi dalla branda e mi precipitai sulla soglia, ma nel momento in cui la brezza serale mi scompigliò i capelli compresi che non sapevo dove fosse, cosa le fosse successo. Se fosse ancora viva.
-Pira- disse una voce alle mie spalle. –Pira funebre. Tra poco incendieranno il drappo rosso per lei-
Mi voltai di scatto, scontrando il mio sguardo con quello del signor D, sempre avvolto nella sua cappa di pelle di pantera. Mi fissava con compassione e forse con un po’ di tristezza. Inspiegabile per lui. Per un dio così beffardo, che odiava noi semidei con tutto il cuore.
Poi, finalmente, capii cosa mi aveva detto e il mio cuore perse un battito. Quindi un altro. E un altro ancora. Mia madre era … morta?
No. Non … no!
Scoppiai a piangere davanti al dio dell’ebbrezza. Fu inevitabile per me lasciarmi cadere in ginocchio e rannicchiare le ginocchia al petto. I singhiozzi mi scuotevano le spalle e il mio corpo tremava tutto. Mia madre era stata severa con me, forse non un esempio esemplare di genitore, ma avevo passato tutta la vita con lei … non potevo perderla. Non così. Non senza aver provato.
-Credo proprio che dovresti- mi disse il signor D.
Alzai il volto coperto di lacrime. –C … che?- balbettai.
Non si era abbassato, non mi aveva confortato, non aveva fatto una piega. Se ne stava lì in piedi e mi guardava. Poi con una mano indicò il mio petto. –Lì.  E lì vero?-
Mi toccai il punto da lui indicato, proprio sopra il cuore, che sentii battere ad un ritmo più sostenuto. Capii. Parlava dello Specchio.
Annuii.
-Allora prova lo stesso- mi incoraggiò. –Nessun eroe dovrebbe gettare la spugna in questo modo. Magari … chissà!- mi disse enigmatico.
Voleva che … voleva che facessi tornare mia madre dalla morte? Avevo capito bene?
-Quella cosa lì. Sì- mi disse con uno sbuffo. –Voi semidei siete lenti a capire eh?-
Ridacchiai. –E’ che davanti agli dèi non si sa mai come interpretare le loro parole- gli risposi, schietta.
Il signor D inarcò un sopracciglio. –Chiuderò un occhio e farò finta che sia un complimento-
-Oh, ma lo è!- risi.
Il dio fece un gesto con la mano, come per liquidarmi. –Sì, come vuoi. Ora torno al rito funebre, dove dovrei essere e da dove non mi sono mai spostato. Vero? Io non ti ho detto niente e tu hai fatto tutto di tua spontanea volontà, giusto?-
Annuii, grata del suo aiuto.
Mentre  si dissolveva in una nuvola di fumo, lo sentii borbottare qualcosa come: odio questi momenti di debolezza.
 
Quando feci il mio ingresso in arena, tutti puntarono gli occhi su di me. Il silenzio dovuto al rito si fece ancora più pesante, ma non mi lasciai intimidire e mi avvicinai con calma alla pira, dove il corpo di mia madre era steso, senza vita. Immobile.
Il battito del cuore accelerò, deglutii, ma non infransi l’aura di controllo che mi ero costruita. Dovevo far vedere che ce la facevo, che in qualche modo tutto andava bene.  Fu difficile, ma arrivai davanti a Chirone senza versare una lacrima. Ne avevo già versate troppe.
Il centauro, però, non si fece da parte come speravo. Rimase lì, il drappo tra le mani, a guardarmi con pietà. Cosa che, per un attimo, mi mandò in bestia. Tutto doveva risolversi bene. Anche io dovevo avere il mio lieto fine.
-Chirone, spostati- dissi con voce ferma.
E lui si spostò. –Volevamo chiamarti, ma dormivi. Abbiamo aspettato che tornassi per darle il rito funebre, ma tu non arrivavi mai così … -
Lo interruppi. –Va bene. Ora sono qui-
Presi la mano destra di mia madre tra le mie e vi depositai un bacio dolce, cercando di trasmetterle tutto il mio affetto. Ma la sua pelle era fredda, gelida come la morte e i suoi abissi oscuri.
Reprimendo la paura che la morte mi procurava, appoggiai un palmo sul seno di mia madre, mentre l’altro lo misi sul mio petto, nella stramba imitazione di un vaso comunicante. Quindi chiusi gli occhi e cercai nel mio cuore l’anima dello Specchio. Quando lo trovai, la afferrai e riversai nel corpo di mia madre in una cascata di luce blu, brillante e pura. Quasi non sentii le grida di stupore dei semidei riuniti. Ero concentrata solo sulla riuscita della mia impresa.
Poi, nel momento in cui tutto finì, riaprii gli occhi e osservai il risultato della mia opera. Per qualche secondo rimase tutto come lo avevo lasciato e temetti il peggio, ma poi il colorito di mia madre passò dal blu al roseo e il petto si alzò e si abbassò al ritmo di un respiro debole ma regolare.
Le lacrime tornarono a pizzicarmi gli angoli degli occhi. Resistetti a quell’impulso e attesi che mia madre si svegliasse. Quando lo fece, le saltai addosso, cedendo al pianto. Era più forte di me.
-Mamma!- piagnucolai.
Lei fu sorpresa del mio gesto, ma ricambiò l’abbraccio goffamente. Nel momento in cui si rese conto di essere viva, lanciò un grido. –Cosa è successo? Aelle cosa hai fatto?-
Sorrisi. –Ti ho riportato lo Specchio. Ora è dentro di te- le risposi. –Ho mantenuto la promessa. Non è rimasto lontano da te a lungo, eh?-
Lei rise. –Oh, Aelle! Sei più coraggiosa di quanto avessi mai pensato!- e poi lo disse. –Grazie. Grazie di avermi salvato. Sono in debito con te-
Scossi la testa. –Sai qual è l’unica cosa che voglio. Se tu me la concederai, allora non ci sarà nessun debito-
Ippolita si morse in labbro, poi scandagliò la folla con il suo sguardo deciso. –Va bene- sospirò. –Non posso certo impedirtelo. Questa è la tua vita. Goditela-
La strinsi più forte e mi lasciai andare ad una risata piena di sollievo. Poi, sostenendo mia madre, uscii dall’arena sotto gli sguardi ancora stupiti dei semidei, che durante tutto quello scambio di battute non avevano aperto bocca.
 
C’era un’ultima cosa che dovevo fare. Forse la più importante.
Uscii dalla cabina 5 dopo avervi lasciato mia madre e dopo aver salutato Clarisse con un abbraccio. E sì, le avevo prese. Si era arrabbiata. Perché non l’avevo portata con me? Non mi fidavo di lei? No, io mi fidavo di lei. Molto più di quanto facessero tutti i semidei del Campo messi insieme, ma forse non avevo voluto portarla con me per far sì che non rischiasse la pelle. Cosa molto stupida da parte mia, visto la stazza e la forza della figlia di Ares. Ma l’amicizia era l’amicizia.
Fu il fuoco che scoppiettava allegro nell’arena a farmi avvicinare. Dopo il rito funebre –che poi non era avvenuto, grazie agli dèi- una sola persona era rimasta lì. L’unica che volevo vedere.
Travis osservava il movimento delle fiamme e non si muoveva. Non si mosse nemmeno quando mi sentì entrare. Forse si irrigidì, ma non ne sono sicura.
Mi avvicinai a lui in silenzio e mi sedetti a gambe incrociate di fronte al fuoco. Non so per quanto tempo rimanemmo così, l’uno di fianco all’altra senza dire nulla, ma so che alla fine fui io a rompere quel silenzio snervante.
-Mi dispiace-
Travis si voltò lentamente a guardarmi, quindi con voce rauca mi rispose. –Per cosa?-
Presi a giocherellare con le dita. –Ho sbagliato. Io … ho commesso un errore. Se non lo avessi fatto forse ci saremmo risparmiati tutto questo. Quando mi sono trovata davanti quella cosa, io ho visto te … e quelle parole mi hanno straziato il cuore. Io non riuscivo a respirare. Vedevo solo te che dicevi quelle malvagità, che dicevi di volermi uccidere … -
-Sai che, per quanto arrabbiato, non lo farei mai- mi interruppe lui.
Annuii. –Lo so. E me ne sono ricordata tardi. Al momento ho sentito solo un vuoto al cuore. Una voragine mi si è aperta sotto i piedi e io sono precipitata sempre di più. E sai perché non ho saputo riconoscere il vero dal falso?-
-No-
-Perché non avevo chiari i miei sentimenti per te. Forse ero ancora agli inizi, forse … forse non lo so. Sta di fatto che solo ora ho capito cosa provo per te ed è solo per questo che sono stata in grado di capire la verità-
Lui deglutì, voltandosi completamente verso di me. –E cosa provi per me?-
Arrossii. –Ti amo-
Travis mi attrasse a sé, sprofondando il viso nei miei capelli. –Puoi dirlo un’altra volta?-
Ridacchiai. –No, non se ne parla neanche. Il mio lieto fine non deve assomigliare per nulla ad una soap opera!-
Travis rise. –Sai cosa?-
Mi sottrassi all’abbraccio per poterlo guardare in volto. –Cosa?-
Mi alzò il mento e mi baciò.
-Ti amo anche io-
 
Something’s got a hold on me … oh, it must be love!
 
FINE.
 
 


Note (le ultime!)
:
Siamo giunti alla fine. Per quanto mi dispiaccia dirlo, un po’ sono felice. Voglio dire, è la prima long decente che riesco a finire. E’ un bel traguardo per me.
Sarà dura abbandonare Aelle, veramente dura. Ed è per questo che FORSE potrei tornare con un seguito. Dico forse perché ancora non ho pianificato nulla di preciso. Un’idea c’è, ma non posso garantirvi nulla. Soprattutto perché non voglio illudervi di qualcosa che poi non ci sarà.
Perciò ora guardate quel “fine” e fate finta che sia un “per sempre”. Se dovesse esserci un seguito sarete i primi a saperlo. Promesso!
Ok, ora passiamo a qualcosa di meno deprimente. La canzone che appare alla fine è “Something’s Got a Hold On Me” di Christina Aguilera. Ascoltatela perché è veramente stupenda. E poi Christina ha una voce spettacolare.
La sto tirando in lunga. E’ dura –l’ho già detto, sì- lasciare questa storia.
Passiamo quindi ai ringraziamenti. Non farò dei paragrafi per tutti, ma mi sembra giusto citarvi. Siete stati veramente gentili con me e ricordarvi mi sembra il minimo!
 
Tea_Zeus: Grazie, Tea! La prima fanfic che ho recensito in questa sezione è stata la tua e avere il tuo appoggio nella mia è stato importante!
 
Soni Sapientona ( Dandelion to Dream): Soni, carissima. Sono diventata la tua grammartrainer e avere le tue recensioni qui mi ha fatta molto felice!
Dafne Rheb Ariadne: Dafne, tu sei una delle persone più gentili di questo mondo, ne sono sicura. Non credo che dedicarti l’altra mia storia sia stato abbastanza. Almeno ci ho provato!
 
AleJackson: come farò senza di te, Thalia e Cuore? La mia esistenza non avrà più senso! Ti prego dimmi che almeno Cuore ci sarà nell’altra storia! Potrei impazzire altrimenti! Grazie, sei stata un tesoro!
 
BeeMe: le conversazioni con te sono state le migliori. Anche se abbiamo età differenti non ci sono stai problemi e la cosa mi ha fatto molto piacere. Soprattutto il tuo resoconto del viaggio in America. Quello sì che era fenomenale! Grazie mille per tutto!
 
_Sylvie: tu mi hai riempita di complimenti anche se non me li meritavo e ti meriti un grazie enorme. Come tu poi abbia fatto a indovinare la mia età al primo tentativo ancora è un mistero … xD!
 
LunaSayan: ti ho conosciuta nell’altra fanfic, Ladra di Ombre, che poi ho cancellato (mi dispiace!) e le tue recensioni sono state sempre un piacere da leggere! Grazie!
 
Ailea Elisewin: per quanto tu abbia un nome complicato, le tue recensioni sono state fantastiche, sia in questa storia che nell’altra. Per cui, Grazie!
 
Mnemosines: sì, sono arrivata anche te. A te che fai figure nei momenti più improbabili e che riesci a riderci sopra. Le tue recensioni mi hanno tirato su il morale in molte situazioni. Grazie mille!
 
Prescelta di Poseidone: anche se ti sei aggiunta più tardi, un grazie va di sicuro anche te per l’appoggio che mi hai dato. E non temere, presto passerò a leggere la tua fan fiction!
 
Nico di Angelo: le conversazioni con te mi hanno aiutato a superare molti blocchi. Quindi GRAZIE!
 
Mary: se stai leggendo questo e ti chiedi perché io non abbia utilizzato il tuo nick …. la risposta è: non lo so. Sono così abituata a chiamarti Mary, che il tuo nick non mi è entrato in testa. In qualunque caso, grazie anche a te!
 
Un grazie va anche a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite, ben 40!, e chi invece l’ha messa tra le preferite, ben 19! Anche a chi ha letto e basta: GRAZIE!
Uh, sta venendo fuori un papiro. Sarete riusciti ad arrivare fino a qui?
Non so quando vedrete questo, perché internet a casa mia non va e sto tentando l’impresa impossibile di postare dal cellulare…
Boh. Io ci provo.
In sostanza, grazie mille a tutti per avermi accompagnata in questa fan fiction per tutti questi mesi, per avermi sostenuta e per non avermi lasciata andare mai!
Siete i migliori!
Alla prossima!
Un bacio enorme,
Aelle

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Capitolo 26
*** Seguito ***


avviso
Buongiorno a tutti! O buonasera, dipende da quando leggerete questo messaggio!
Forse questo aggiornamento risulterà strano, ma se mi avete seguita, o comunque letta qualche volta, saprete che sto lavorando al seguito di questa storia.
Dopo il primo tentativo fallimentare che ho cancellato, sono riuscita finalmente a costruirne uno con un senso compiuto. E, spero, all'altezza di questa fan fiction.
Sul titolo sono ancora indecisa, ce ne sono molti che mi frullano in testa, ma è chiaro che non sarà "Halloween Messenger".
Scusatemi veramente tanto per avervi fatto aspettare, sempre che qualcuno mi stesse aspettando eh! Ma, come ho detto molte volte anche nell'aggiornare l'altra mia storia, il mio tempo si sta veramente restringendo.

Ritroverete perciò Aelle, Travis, Percy, Annabeth e tutti gli altri. Più qualche nuovo personaggio.
Sicuro è che la storia non sarà più narrata in prima persona, ma ci sarà un narratore onnisciente.

Se volete farmi sapere il vostro parere sul seguito, se devo o no pubblicarlo, lasciatemi un piccolo commento. Questa volta risponderò a tutti, lo prometto!

Grazie mille per avermi letta!
Baci,
Aelle

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