Anonymous - Biglietti da nessuno

di Roxar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Al peggio non c'è mai limite. A James Potter neppure. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: Idee discutibilmente geniali sulle quali Remus ha qualcosa da ridire. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: Corrispondenze anonime di dubbia trasparenza ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: Le menzogne di Remus e l’ingenuità di Lily si sposano incredibilmente bene ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV: Quando lustrare le segrete di Hogwarts ti cambia la vita. O quasi ***
Capitolo 6: *** Capitolo V: Quando tocchi il fondo, non ti resta altro da fare che scavare ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI: Tutto finisce, anche le buffonate di James Potter ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII: Il clue del clue del clue. E quattro giovani non proprio contenti. ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII: (S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX: Qualcosa di diverso dall’ordinario: compleanni ignorati, ragazze-procione e gli errori di Remus. ***
Capitolo 11: *** Capitolo X: Sono solo parole. Ma anche pugni, graffi e ferite inattese ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI: Vacanze col botto ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII: Cose di difficile comprensione e le visite inopportune di James Potter. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII: Altrimenti ci arrabbiamo. E contribuiamo a tenere alto il morale di Hogwarts. ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV: Chi dice Sirius dice danno ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV: Equilibri paradossalmente in bilico e cose non dette che sarebbe davvero opportuno dire ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI: Gli imbrogli (smascherati) di Mary Macdonald e i suoi bruschi cambi di rotta. Che diavolo succede? ***
Capitolo 18: *** Epilogo: La fine è come l’inizio, solo un po’ migliore e forse diversa (Lily e Remus ci stanno ancora pensando su) ***



Capitolo 1
*** Prologo: Al peggio non c'è mai limite. A James Potter neppure. ***


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1. Prologo.

Al peggio non c’è mai limite. A James Potter neppure.

 

 

 

 

 

 

Il settimo anno iniziò tra i più spiacevoli auspici.

Quel primo settembre del ’77 – in un lasso di tempo che i lettori stabiliranno a loro discrezione e piacimento – accaddero contemporaneamente tre cose: James Potter diede accidentalmente fuoco ad un vagone colmo di giovani Serpeverde, il treno si presentò al capolinea con quaranta minuti netti di ritardo e Lily Evans sottrasse – tra Grifondoro e Serpeverde – complessivamente ben ottantacinque punti.

 

Vedete, il fatto è che James Potter non voleva affatto dar fuoco al vagone.

Ingenuo ragazzo, quel Potter; credeva fermamente che le lamiere d’acciaio si sarebbero solo lasciate carezzare dalle fiamme.

Peccato avesse trascurato il mobilio interno e la presenza della pelle marrone altamente infiammabile che, di fatto, avvampò, emanando esalazioni scure come di gomma bruciata.

 

Il Ministero della Magia – intervenuto più che celermente e incarnato da un giovane, pigro mago – non prestò la dovuta attenzione all’incidente e lo declassò ad uno spiacevole incidente di percorso.

Inteso in tutte le sue possibili accezioni, probabilmente.

Sirius, d’altra parte, trascorse la metà del suo tempo a cercare di convincere i suoi compagni di vagone della possibilissima intromissione di Silente e di un suo Imperius ben piazzato.

 

E se il Ministero se ne era lavato le mani in quattro e quattr’otto – là fuori c’era una guerra, per le sottane di Merlino!, non potevano certo dedicarsi alle malefatte di un burlone qualsiasi – Lily Evans – Caposcuola tutta d’un pezzo – non era minimante intenzionata a gettare la spugna.

Vestì perciò i panni di un improvvisato Sherlock Holmes e si mise in testa di indagare per il tratto che rimaneva da percorrere, ignorando le lamentele collettive.

 

Così, tra una confessione e l’altra – e i punti che calavano vertiginosamente, saltò fuori il nome di Potter.

Chissà perché, Lily non ne fu assolutamente sorpresa; tutt’al più si limitò al più sconfitto e desolato e abbattuto – sì insomma, i lettori avranno colto succo – dei respiri e per tutto il tempo rimuginò silenziosamente sull’ipotesi di consegnare o meno Potter, ignorando le occhiate bieche e velenose degli studenti che avevano fatto perdere punti alla propria Casa ancor prima di essere nelle mura di Hogwarts.

Qualcuno disse che non era legale,  altri dissero che sì, purtroppo lo era, perché oramai erano entrati nelle vaste proprietà di Hogwarts e le regole valevano tutte, una ad una.

 

Su due cose, però, si era unanimi.

Primo: non si era mai visto un Caposcuola togliere punti ancor prima di varcare la soglia del grandioso castello della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

Secondo: non si era mai visto un Caposcuola tanto stronzo.

 

Se Lily avesse fiutato il clima cupo e ostile, avrebbe realizzato che molti guai erano in indesiderato arrivo.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Come da copione, non appena gli studenti intirizziti e dal viso sciupato dal freddo varcarono la soglia della Sala d’Ingresso, la professoressa McGranitt, in tutta la sua ostentata severità, ghermì i due Caposcuola di Grifondoro per scortarli personalmente – con incedere tamburellante e quasi militare – in una piccola camera adiacente alla Sala Grande.

 

Il fuoco di fila di domande previde ripetute risposte negative da parte di lui e incerti tentennamenti da parte da lei.

James Potter, dal canto suo, pensò a più riprese che Minerva McGranitt fosse la donna più cazzuta su cui si fossero mai posati i suoi occhi e i suoi occhiali.

Ciononostante, continuò ad allontanare da sé qualsiasi responsabilità circa lo spiacevole incidente.

Lily Evans tacque, stringendo impercettibilmente le labbra in una smorfia molto alla McGranitt.

 

«Professoressa», iniziò, «le prometto, in quanto Caposcuola, che tali, spiacevoli episodi non si verificheranno mai più. Glielo giuro sul mio amico Sirius Black».

Azzardò perfino una piccola pacca sul braccio della donna e girò i tacchi, sfregandosi la pancia con aspettativa. Le sue burlonerie mettevano sempre una certa fame.

 

«Potter, giusto perché lei lo sappia: io ero assolutamente contraria alla sua nomina da Caposcuola; non mi dia validi motivi per declassarla».

«Professoressa, onestamente, così mi offende».

«Ah, Potter, ci vuole ben altro per offenderti».

«Signora», mugolò con fare lamentoso, «sta continuando ad offendermi!»

 

La docente strinse le palpebre, in un tacito monito; c’erano confini che agli studenti era proibito oltrepassare, fisici e metaforici.

 

«Signorina Evans», volse lo sguardo alla ragazza, «lei è assolutamente certa che si sia trattato di un incidente

 

«Certo», replicò lestamente, «d’altra parte, anche il Ministero ha detto che—»

«Quel che dice il Ministero, in fatto di Hogwarts, conta ben poco, signorina Evans».

 

Lily stava per attaccare con una sua personalissima considerazione circa l’eterna diatriba tra Ministero e Hogwarts, quando James si schiarì eloquentemente la gola e il gorgoglio imbarazzante del suo stomaco fu provvidenziale.

 

«Professoressa, io avrei una certa fame».

 

La donna soppesò un vasto campionario di richiami e rimproveri, salvo poi abbandonarlo subito.

Ruppe la sua rigida immobilità con un cenno vago della mano.

 

«Andate a cena, ma sappiate che la questione non termina qui. Questa sera ne parlerò al Preside; mi auguro, nel frattempo, che potrete ragionare sulla pericolosità di questo incidente, per dirla a modo vostro, che avrebbe potuto ferire qualcuno. O peggio» aggiunse cupamente, voltando quindi le spalle.

 

Lily aprì la porta e fece cenno all’altro di uscire.

Lo sguardo che passò tra i due fu tra i più ostili mai visti da quelle antiche mura.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

«Che ti è preso? Dare fuoco al vagone, ma ti rendi conto—»

James interruppe il predicozzo di rito di Remus Lupin – zelante studente dai pelosi e lunari segreti – con un versetto stridulo che voleva essere la sua maldestra imitazione.

 

«La situazione mi è un po’ sfuggita di mano, Remus. Andiamo, non penserai davvero che volevo fare di quel vagone la pira di numerosi, disgustosi Serpeverde?»

 

Remus Lupin boccheggiò incredulo, il maglioncino nero che pendeva floscio intorno al collo.

 

«Tu hai dei problemi» dichiarò attonito, continuando a spogliarsi rinchiuso in quel suo inespugnabile silenzio ermetico.

 

«Tirerò ad indovinare», esordì un Sirius Black piuttosto umido e piuttosto nudo, «Remus ti ha appena propinato il suo tradizionale cazziatone da bravo ragazzo, al quale tu hai risposto con una sua goffa imitazione e lui, tradito e offeso, si è chiuso in quel suo infantile silenzio».

 

James gli indirizzò un largo sorriso divertito.

«Ottima mira, compare. Per favore, vuoi dirglielo anche tu che volevo solo spaventarli e bruciare un po’ di quella loro insopportabile boria?»

 

«Ha ragione» convenne seriamente Sirius, col tono di uno che si accingeva a pronunciare un Voto Infrangibile.

James diede le spalle a Remus solo per sorridere scioccamente all’altro, i pollici alzati.

 

«Parlando di cose più importanti, dove sono Peter e il buon vecchio Frank?»

 

Remus, dimentico del proprio voto di silenzio, ruppe il guscio solo per esclamare che i loro comportamento aveva sfiorato i massimi storici in fatto di idiozia, ignoranza e irresponsabilità.

 

«Taci» lo liquidò spassionatamente Sirius, che stava ascoltando il vago resoconto di James, secondo cui i due erano ancora in Sala Grande, sotto il torchio della tenace professoressa McGranitt.

 

«Sì, be’, finirai nuovamente in punizione, allora e mi lascerai solo con questi tre idioti. Fanculo» si congedò Sirius, mostrandosi debitamente – fintamente – offeso e recalcitrante ad abbandonare il suo linguaggio molto poco forbito.

 

«Non è colpa mia se quei due non coltivano la sottile arte della menzogna».

 

«Te lo meriti stavolta, sai? Non che le altre volte non te lo meritassi, comunque» e con ciò, Remus tirò le tende e le coperte frusciarono, facendosi quindi immobili.

 

«Remus, esattamente, perché sei così acidamente stronzo, stasera? La luna gira particolarmente storta?» domandò Potter, senza però ricevere risposta, salvo la soffocata risata complice di Sirius.

 

Sirius, comunque, ci vide giusto.

L’indomani mattina Potter finì in punizione, a sturare i cessi otturati dei bagni comuni.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Amen.

Lo so, spesso sono di un'incoerenza spaventosa, già.

Ma questa idea mi ha solleticato così tanto che ho dovuto scriverci qualcosa su.

E ne è venuta fuori una long, pensa un po'.

Il linguaggio è volutamente altisonante, in certi tratti, perché marca meglio l'ironia e il sarcasmo di cui questa storia è satura.

Vi avverto già da ora: gli aggiornamenti saranno imprevedibili. Nel senso che i capitoli li scrivo volta per volta, quindi non assicuro la costanza settimanale.

Bon, se questo prologo vi è piaciuto, non vi è piaciuto, vi fa pena, vi ha fatto sorridere e quant'altro, sentitevi pure liberi di farmelo sapere (non fatevi pregare e siate buoni, su, che è Natale; prometto di rispondere in tempi brevissimi :3).

 

 

Passo e  chiudo.

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Capitolo 2
*** Capitolo I: Idee discutibilmente geniali sulle quali Remus ha qualcosa da ridire. ***


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2. Capitolo I

Idee discutibilmente geniali sulle quali Remus ha qualcosa da ridire.

 

 

 

 

Accadde mentre James Potter – riottoso e sfacciato Caposcuola Grifondoro – sturava il tredicesimo water, quello al secondo piano.

Accadde così, semplicemente, senza preambolo alcuno: estrasse – con giusto disgusto – l’oggetto di tanta otturazione e lo fissò inebetito, domandandosi come un foglio di pergamena appallottolato potesse trattenere tanti, ehm, escrementi sul pelo dell’acqua.

E quindi, dicevo, accadde: fissò quel pezzo di carta rancido e macero e l’idea lo folgorò.

La sensazione fu familiare, fastidiosa anche; la stessa, conosciuta vertigine che si provava nell’affondare nell’aria vuota da almeno tre metri d’altezza, con lo stomaco che faceva l’hula hoop intorno all’intestino retto.

 

Fantastica idea, pensò.

 

Solo dopo avrebbe scoperto che i suoi amici l’avrebbero ritenuta un po’ meno fantastica.

 

 

 

 

°         °         °

 

 

 

 

«Sei consapevole che infrangerai un’importantissima legge scolastica, sì?»

 

Remus Lupin sollevò il pennino dalla pergamena e si voltò, il gomito poggiato sullo schienale della sedia.

Ora, badino bene i lettori, non capitava quasi mai che Remus interrompesse la sacra stesura di un tema per dedicarsi con tanta passione all’idiozia last-minute del compagno.

James lo prese come un pessimo segno.

 

«Tu non dovresti tipo essere il mio amico sempre pronto ad appoggiarmi?»

 

«Stai parlando di Sirius, mi spiace».

 

«Chi parla di me?»

L’interpellato rientrò in camera giusto in quel preciso momento, in perfetto tempismo per udire il proprio nome.

Remus ricapitolò velocemente la faccenda, aggiungendo quel tocco di dramma e gravità tipico di lui.

Sirius si perse in un eccesso di risate e James ebbe qualche difficoltà a capire se fosse concorde o meno.

 

«Che ne pensi?» domandò quindi e Sirius si schiarì la gola, in un patetico tentativo di ritornare composto.

 

«Compare, tu stai cercando di dirmi che tenterai di conquistare la Bertuccia con biglietti anonimi? Ti prego, ti prego, lasciami qui a morire dal ridere fino a che non mi si torceranno le budella in gola— va bene, va bene, smettila di guardarmi a quel modo; penso che non ti ci vedo nei panni di uno scrivano, ecco».

 

«Ma non sarebbe propriamente così. Si tratterebbe di brevi biglietti» spiegò appassionato, domandandosi perché nessuno cogliesse la genialità e la potenzialità di quel piano tanto semplice ed essenziale.

 

«Mi riesce ugualmente difficile, scusa».

 

«Comunque», s’intromise Remus, ragionevole, «violeresti la legge numero 15: Uso improprio dei gufi».

 

«Sono pronto a correre il rischio» intervenne rapidamente, mettendolo a tacere.

 

Sirius e Remus si scambiarono una veloce occhiata da non-posso-credere-che-faccia-realmente-sul-serio, pur animati da sentimenti assai differenti.

 

«Orsù, compari, dovrete convenire con me che gli scrittori avevano un certo culo nelle faccende amorose» disse infine e quando nessuno ebbe più nulla da ridire, James dichiarò il piano ufficialmente approvato.

 

 

 

 

°         °         °

 

 

 

 

Lily Evans odiava Erbologia.

Odiava la terra che s’incuneava sotto le unghie, odiava l’impossibilità di rimuoverla subito del tutto – passavano giorni prima che anche l’ultima traccia scomparisse – odiava l’olezzo nauseabondo del letame che le impregnava i vestiti, odiava tutte quelle raccapriccianti creature con istinti molto poco amichevoli.

 

La odiava perché spesso la Belkins – nerboruta docente ultrasettantenne – la accoppiava a James Potter, giacché secondo la donna i due possedevano l’affinità necessaria per quel tipo di attività.

 

Lily non seppe mai cosa la Belkins intendesse con affinità necessaria. Probabilmente – ed è solo una mera supposizione – alludeva al doversi forzatamente e reciprocamente salvarsi un arto di fondamentale importanza, come un braccio, o una gamba o addirittura i testicoli di James (sì, che i lettori ci credano o meno, Lily una volta dovette salvare anche quelli; solo un anno dopo se ne sarebbe detta compiaciuta e sollevata).

 

Quel giorno, comunque, la creatura era più raccapricciante del solito.

La Vergatumscorea era una pianta assai particolare: mostrava un’aperta ed inequivocabile passione per gli uomini e, al contrario, nutriva propositi omicida verso le sventurate compagne di banco.

E dal momento che la Belkins mirava all’integrazione tra ragazze e ragazzi, tutte le ragazze presenti furono in potenziale pericolo per la durata di quella lezione e per le altre tre successive.

 

«Oh, ma che piccolina gradevole. Ciao, tesoro, ciao».

Che James Potter fosse un imbecille l’aveva capito approssimativamente dai primi sette secondi dopo la sua conoscenza, ma che fosse un così tale imbecille, ad onor del vero, non lo aveva neppure sospettato.

Detto Potter, difatti, aveva proteso l’indice arcuato sotto il collo dell’orrenda pianta e lì grattava affettuosamente, come se fosse alle prese con un tenero cucciolo di Terranova.

 

«Le ragazze sono pregate di interagire con la pianta; nonostante le apparenze, la Vergatumscorea può perfino sviluppare una sottile forma di tolleranza verso gli umani di sesso femminile, per cui, studentesse, non abbiate timore» cantilenò la docente con quel suo forte accento del Devonshire, la quale però badava bene dal tenersi lontano dai vegetali.

 

«Potter» lo chiamò con insolito fare cospiratorio.

 

«Mmh?»

 

«Occupati di questa robaccia e salterai le ronde per tre giorni».

 

Potter ci rifletté. Tempo libero extra, tempo in più per limare i dettagli della sua ultima buffoneria.

 

«Sei».

 

«Cinque».

 

«Quattro e  non se ne parla più».

 

«Andata».

 

Lily Evans odiava Erbologia poiché pareva l’unica cosa, in un universo tanto imprevedibile e disordinato, in grado di metterla in accordo con Potter.

Forse, e dico forse, se avesse saputo cosa il giovane Potter aveva in serbo per lei, non sarebbe certo stata così collaborativa e disposta al compromesso.

 

 

 

 

°         °         °

 

 

 

 

L’incipit era sempre stato un gran problema.

Capitava sempre: nei temi, nei compiti a sorpresa, nelle interrogazioni e anche in quella corrispondenza anonima cui stava per dare il via.

Anzitutto occorreva contraffare la calligrafia, così che Lily Evans non arrivasse a lui.

Occorreva poi essere suadenti abbastanza da invitarla a rispondere, ma non troppo, così da mon essere scoperto.

Infine, occorreva una firma, un nome falso qualsiasi, così che la magia gettata sui gufi fosse elusa.

 

Fu solo dopo molti minuti e diverse occhiate sospettose da parte di Vitious che James Potter creò il primo di – si sperava – una lunga serie di biglietti.

 

«Fa’ vedere» ordinò Sirius Black, tendendo la mano. James si guardò attorno prima di depositare il pezzo di carta sul palmo del compagno.

Black fece finta di mostrarsi assai interessato ad un paragrafo della pagina del libro.

 

«Sembrerebbe credibile» decretò infine.

 

«Sembrerebbe» convenne l’altro con un sorriso soddisfatto poco prima che Vitious gli intimasse di far silenzio.

 

 

 

 

°         °         °

 

 

 

 

La cena fu particolarmente sontuosa, quella sera. O almeno, a Lily parve tale.

Scrutò distrattamente il tavolo dei Grifondoro e solo allora si accorse della mancanza di Potter. Poi ricordò che era da qualche parte al sesto piano, a sturare water otturati.

Sogghignò nel suo bicchiere di Succo di Zucca.

 

«Trovi che io sia ingrassata?» piagnucolò Mary MacDonald, apparendo dal nulla.

Mary aveva le fattezze e gli atteggiamenti di un folletto. Silenziosa come un felino, aveva la straordinaria capacità di piombare ovunque senza recare alcun rumore. Di terrorizzare a morte chiunque, anche.

I suoi occhioni azzurri da cane bastonato, quella sera, erano lucidi.

Mary era di una sensibilità e di una vanità scioccanti.

 

«Non direi» replicò Lily, addentando una fetta della sua torta.

 

«Rebecca Undersee dice di sì».

 

«Rebecca Undersee ha un quoziente intellettivo pari a meno diciotto ed è una Serpeverde; mi sorprenda che tu le dia ancora retta, dal momento che sono anni che ti perseguita a quel modo».

 

Mary sorrise un po’ – meglio, sollevò l’angolo destro della bocca – e mangiucchiò un pezzo di toast al prosciutto.

Poi, dimenticato l’alterco con la Serpeverde, si lanciò in una chiassosa discussione con alcune Grifondoro del terzo anno circa le nuove tendenze in fatto di moda promosse da certe importanti, esclusive boutique di Parigi.

 

Lily si sentì pervadere da un’intensa ondata di indignazione e incredulità: la fuori c’era una guerra ma, ehi!, la moda era sopra ogni cosa.

La grande pendola, comunque, batté nove rintocchi e capì che era ora di andare.

Mosse un poco la mano per richiamare l’attenzione di Remus – sostituto, come convenuto dal compromesso, di Potter – e quando lui annuì s’alzò in piedi, congedandosi con un sorriso stropicciato rivolto a nessuno.

 

 

 

 

°         °         °

 

 

 

 

«Forse tu puoi dirmi perché James si è auto-esonerato dalle prossime tre ronde» buttò Remus nel mezzo di una scala che virava dolcemente verso destra.

Lily si umettò le labbra.

La sottile arte della menzogna – per dirla alla Potter maniera – non era una sua prerogativa.

 

«Oh, ha un qualche problema».

 

«Tipo?» insisté, perché raramente James Potter aveva un qualche problema che lo esonerasse dalle ronde, specialmente se esse erano condotte assieme a Lily Evans detta “La Bertuccia”, appellativo gentilmente forgiato da Sirius, che abbracciava l’aspetto morale e fisico della ragazza; diffidente, selvaggia e pragmatica nel suo modo di fare e rossa di capelli, come il pelo di una bertuccia.

 

«Non lo so, Remus. Non ha voluto dirmelo» mentì spudoratamente e goffamente, ma Remus, di buon animo, decise di non pressare oltre la ragazza, prendendo comunque l’appunto mentale di indagare su quell’ambiguo comportamento dell’amico.

Prima quell’assurda storia di voler improvvisare una corrispondenza (non) anonima con Lily, poi l’evasione delle ronde; insomma, James Potter era più strano del solito.

 

«Senti», iniziò lei, decisa a cambiare discorso, «che ne dici di ispezionare il terzo piano? A quanto pare c’è sempre qualche Serpeverde in giro e questo non mi piace».

 

Remus annì. Era un piacere poter trascorrere delle ore con Lily, disintossicarsi da tutta la stupidità dei suoi amici con una sana, buona dose di zelo e responsabilità.

 

 

 

 

 

°         °         ° 

 

 

 

Il professor Silente percorreva placidamente il perimetro del suo studio, carezzando distrattamente coi polpastrelli i suoi gingilli d’argento.

Indeciso sul da farsi, esaminò nuovamente la pergamena gettata sulla scrivania.

 

Il fatto era che, come tutti i professori, Silente aveva delle preferenze e non era certo un mistero che James Potter rientrasse nelle sue grazie.

Sin dalla prima malefatta del ragazzino aveva imparato ad apprezzare lo spirito vivace e un po’ rivoluzionario, nonché quell’intelligenza che lo elevava al di sopra dello standard di Hogwarts.

Eccellente nel settanta percento delle materie, Potter era un’anima da plasmare per tempo, lentamente e costantemente, così da fare di lui un pronto guerriero da arruolare una volta fuori da Hogwarts.

 

Scoccò una nuova occhiata alla missiva generatosi automaticamente – come sempre accadeva quando una magia all’interno del castello veniva infranta o elusa. Il testo recitava:

 

 

Violazione di: Incantesimo Anti-Anonimato da parte di: Potter, James Charlus - Grifondoro, anno VII°.

Infrazione rilevata per mezzo di: firma in calce recante black-word (Anonymous).

Infrazione avvenuta tramite gufo numero: 192

 

 

 

Silente si pizzicò il mento, ancora una volta sorpreso dell’efficacia di un incantesimo tanto elementare.

Aveva semplicemente creato una black-list di black-words, ossia parole per mezzo delle quali il malfattore incappava nell’incantesimo, e ne aveva trasmesso le informazioni contenute ad ogni gufo di sua proprietà.

Astutamente, aveva fatto leva su una delle straordinarie prerogative dei gufi: la somma conoscenza di ogni cosa, anche e perfino del contenuto delle lettere.

Informazione che essi non comprendevano, sicuro, ma che erano al contrario colte da chi li possedeva.

Da lì a metter su un tanto geniale stratagemma il passo era stato breve, avvantaggiato dal fatto che nessuno, professori esclusi, sapesse dell’esistenza di detta black-list.

Gli studenti, infatti, sapevano unicamente che tale legge scolastica poteva essere infranta solo senza l’avvenuto inserimento della firma in calce.

 

Vantare il proprio intelletto, comunque, non aiutò il vecchio Silente a decidere circa il giovane Potter.

Decise perciò di fare  ciò in cui era più votato: temporeggiare e pazientare, studiare la situazione e capire perché lo studente avesse avvertito il bisogno di infrangere la legge.

 

Un leggero tocco di bacchetta e il gufo numero centonovantadue varcò la finestra socchiusa e planò sinuosamente, in tondo, sino ad accovacciarsi educatamente sul trespolo di Fanny, fenice appena morta e prossima a risorgere.

 

Il gufo chiurlò sommessamente e i suoi ricordi circa quella misteriosa lettera di Potter volteggiarono nel Pensatoio per adagiarsi sul fondo.

Pochi secondi dopo, Silente, stranissimo a dirsi, si diede del fesso paranoico.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: E mentre cerco di ritrovare la voglia di studiare perduta, vi propino il primo capitolo di questa long di discutibile valore.

Giusto un paio di precisazioni.

Innanzitutto, poiché sono assolutamente incapace di inventare nomi di cose/persone/luoghi di sana pianta, il nome della pianta ninfomane è stato gentilmente coniato da nals, con un provvidenziale riferimento, ehm, anatomico che le era addirittura sfuggito. Se è sfuggito anche a voi, bene, rileggete attentamente il nome della pianta.

Poi, Remus. Rileggendo il capitolo si ha l'impressione che il buon vecchio Remus detesti la simpatica stupidità dei suoi amici. In realtà la ama, solo che ha una dignità da mantenere integra.

Silente.  Ovviamente l'insulto che si rivolge scade nell'OOC, ma ho supposto che l'unico che possa insultare Silente (eccetto il Signore-Oscuro-senza-naso) è Silente stesso. E poi, diciamocelo, Silente ha fatto così tanti errori nella sua vita che sicuramente gli sarà capitato di insultarsi, maledirsi e quant'altro, quindi passatemi per buona questa cosa e andiamo avanti.

La magia anti-Anonimato. Spieghiamo. Ho supposto che Tom Riddle, ai suoi tempi immediatamente successivi a Hogwarts, avesse lasciato dei fedeli all'interno della scuola, gente pronta ad adempiere ad ogni sua richiesta. Gente che doveva comunicare con lui, anche.

Suppongo che dopo il fattaccio di Mirtilla, Voldemort non si sia affatto pentito e anzi, abbia tentato di rovinare la vita di quanti più Mezzosangue possibile, tramite ordini ai suoi servetti. Quindi una volta che Silente ha scoperto ciò ha preso provvedimenti, quale la magia anti-anonimato.

Il funzionamento di questa magia l'ho messo in piedi in due minuti, quindi se vi sembra poco credibile... avete ragione, ovviamente.

...

Ragazzi, che cura dei dettagli! Che fantasia! Potrei farmi addirittura i complimenti per la mia stessa imbecillità. Tant'è.

Cosa stavo dicendo? Ah, sì, la magia. Vi prego, accettate anche questa per buona.

Ultimissime cose: grazie a chi ha recensito, a chi ha messo la storia tra preferiti/ricordate/seguite (siete tutti invitati a recensire; io lo ripeto, non si sa mai), vi amo tutti.

Il prossimo aggiornamento sarà dopo le feste, sempre che i libri di Psicologia mi lascino uno sprazzo di sanità mentale.

Auguri a tutti e passate un Buon Natale. E mangiate, mangiate, mangiate!

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 3
*** Capitolo II: Corrispondenze anonime di dubbia trasparenza ***


Nuova pagina 1

 

3. Capitolo II

Corrispondenze anonime di dubbia trasparenza.

 

 

 

 

Il gufo (numero centonovantadue) beccò tre volte esatte alla finestra e quando non ricevette risposta, beccò nuovamente, come vuole la tradizione del postino.

È da precisare che nessuno aprì all’animale perché era piena notte e le ragazze dormivano sodo.

Comunque, il gufo sapeva il fatto suo: iniziò a beccare ad oltranza, fino a quando un’assonnata Marlene McKinnon – taciturna Grifondoro del settimo anno e dai capelli biondo rame palesemente naturali, a dispetto delle molte voci di corridoio – non spalancò la finestra.

 

Il rapace planò sul letto di Evans, appollaiandosi quindi sul suo comodino.

Secondo le direttive del suo provvisorio padrone doveva attendere fino a che la ragazza non avesse preso il biglietto.

 

«Lily, è per te» mugolò Marlene, appallottolandosi sotto le coperte.

 

Ci vollero parecchi secondi prima che Lily aprisse gli occhi e realizzasse che la figura sul suo comodino non fosse un abatjour di dubbio gusto.

Quando finalmente vide il biglietto legato alla zampa lo slegò e, a giusta ragione, il gufo la beccò, ripagandola della maleducata attesa.

 

«Viziato» sussurrò di malumore, scoccando un’occhiata bieca all’animale.

 

Di quella insolita consegna notturna due cose la colpirono: la dimensione del pezzo di carta e la pochezza del suo contenuto.

Aggrottando la fronte, sollevò il biglietto a mezz’aria, ponendolo contro la luce della luna quasi piena.

Dovette rileggerlo tre volte, un po’ per il buio, un po’ per la calligrafia da prima elementare.

 

 

 

Credo che a volte faccia bene mettersi nelle mani della casualità, anche solo per vedere a chi questo gufo consegnerà questo biglietto.

Anche solo per vedere se è possibile conoscersi senza conoscersi.

Rispondimi, te ne prego.

Gufo Centonovantadue, ricorda.

 

PS: Non ho idea di chi tu sia e, per la tranquillità di entrambi, la cosa sarà reciproca. Questo gufo ha consegnato il biglietto ad una persona scelta secondo i suoi, misteriosi criteri.

 

Anonymous.

 

 

 

Lily era incredula. Così talmente sgomenta che corse in bagno e con il consono gesto della mano accese le candele.

L’atmosfera morbida e notturna infittiva maggiormente il mistero.

Punto primo: quali erano i criteri del gufo? Perché era stata scelta proprio lei tra oltre mille studenti?

Punto secondo: chi si burlava di lei a quell’improponibile ora della notte?

Punto terzo: anonymous?! Ragazzi, che fantasia.

 

Seduta sulla tazza del water pensò al da farsi.

Valutò la possibilità di gettare il foglio giù per lo scarico e liberarsi in fretta di questo imprevisto. Poi valutò anche che probabilmente le tubature vecchie tre millenni non erano sufficientemente larghe e il cesso si sarebbe inesorabilmente ingorgato e Potter avrebbe avuto accesso al suo dormitorio.

 

Valutò quindi l’ipotesi di bruciare il foglio, ma la verità è che moriva di curiosità.

Fece per alzarsi e il sospetto la inchiodò alla tazza del water.

Potter.

Ovviamente c’entrava Potter. Chi altri poteva dar vita ad una pagliacciata di tale entità?

Chi altri poteva agire di notte, come un perfetto idiota in procinto di violare ogni regola (perché, si sapeva, per Potter le regole erano solo per gli sfigati e gli stolti)?

 

Un sorriso furbo le increspò le labbra.

 

Tre minuti e ventuno secondi dopo, Lily Evans, armata di candela d’occasione, carta, piuma e calamaio, era già alla scrivania.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Remus Lupin era prossimo ad una crisi isterica ben dissimulata.

Le luci dell’alba spennellavano appena il prospetto di Hogwarts e lui già girava in tondo per una limitata porzione di dormitorio, mormorando velocemente a bassissima voce.

 

Il cuscino di Sirius lo colpì in piena faccia quando Remus blaterava circa la Terza Rivolta Sanguinosa del Folletti.

Disse qualcosa circa la maleducazione e oh, il mio naso sanguina, sanguina e oh, Merlino, devo vomitare prima di correre in bagno e rimettere saliva e succhi gastrici.

Remus era affetto da emofobia, da quando da bambino aveva scavato a sangue nel petto di sua madre, sfigurandola a vita.

Quando si era risvegliato nel bosco, con le mani e la bocca sporca di sangue, pianse disperatamente e in cuor suo – e nel suo stomaco – nacque la profonda repulsione per esso.

 

I mugolii sofferenti e disgustati, comunque, furono sufficienti a tirar giù dal letto gli altri ragazzi.

Sirius Black, avvertendo un vago sentore di tempesta, si affrettò a vestirsi e mentre era prossimo a sgusciar via di soppiatto, Remus aprì la porta.

 

«Sei un tale coglione che dovrebbero eleggerti come il capobranco dei coglioni» esclamò irritato (giacché Remus usava tali termini sboccati solo quando era arrabbiato, molto, molto arrabbiato), tamponandosi un pezzo di carta bagnato sul naso.

 

«Chi te le scrive le battute? La Bertuccia?»

 

James Potter rinvenne dal suo stato post-risveglio-burrascoso.

 

«Sirius, potresti gentilmente evitare di chiamare Evans in quel modo in mia presenza? Mi disgusta associare l’oggetto delle mie migliori seghe ad una scimmia malevola».

 

«Ti fai le seghe? E da quando? E perché non sono mai stato invitato? Voglio dire, siamo maschi e i maschi fanno tantissime cose assieme, anche le seghe, soprattutto le seghe!»

 

Remus sbuffò e gettò il pezzo di carta nel cestino. La piccola emorragia si era arrestato e lui era pronto ad affrontare il tema di Storia della Magia sui Folletti.

Perciò, dopo essersi vestito e aver fatto un nodo particolarmente preciso alla sua cravatta («Perché tanta precisione, Remus? Non avrai mica un appuntamento con una ragazza? Ragazzi, Remus si è fatto la fidanzata!») si congedò con un sorriso torvo per Sirius e uno gentile per gli altri.

 

«Permaloso. James, sto ancora attendendo una risposta».

 

«Cosa vuoi che ti dica? Un giorno o l’altro ci organizzeremo tutti per un sega-party» replicò frettolosamente, inserendo la cintura nei passanti dei calzoni.

Sirius stava per proporre una data, ma un gufo picchiò sul vetro.

 

«È per me, fermi tutti!» urlò Potter ed a quel punto anche Peter Minus, il più sonnolento tra tutti, fu ufficialmente sveglio.

 

Corse alla finestra, lodò il gufo con eccessivi complimenti e lo premiò con un Biscottino Gufico.

Perché James avesse dei Biscottini Gufici nessuno lo sapeva.

L’animale chiurlò teneramente – Potter intuì fosse una femmina – e volò via.

 

Il contenuto del biglietto, tuttavia, sgonfiò il suo entusiasmo e fu tentato di sfogare la propria frustrazione sul gufo, tempestandolo di Biscottini Gufici.

 

 

 

Potter, la tua imbecillità, con questo biglietto anonimo, ha sfiorato i massimi storici.

Oltretutto, permettimi di sentirmi offesa per la bassa considerazione che hai della mia intelligenza e della mia perspicacia.

E  vorrei ricordarti – in quanto Caposcuola – che stai violando la legge sull’uso improprio dei gufi e che per questo potrei denunciarti alla McGranitt e godere con estremo piacere mentre vieni messo alla porta.

 

PS: La tua fantasia è come te: imbarazzante.”

 

 

 

«Sirius, abbiamo un problema».

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

La campanella suonò nell’esatto momento in cui Lily segnò l’ultimo punto fermo a chiusura del suo tema.

È un gran tema, pensò tutta soddisfatta mentre il vecchio professor-fantasma Ruf svolazzava pigramente tra i banchi, raccogliendo i temi tramite l’uso di un incantesimo, l’uso degli arti perso qualche secolo addietro.

 

Una notte era andato a dormire umano e la mattina dopo s’era svegliato fantasma. Cose che capitano.

 

Lily ripose inchiostro e pennino nella cartella, immobilizzandosi quando la figura smunta e ricurva di Severus Piton le passò davanti, diretto alla porta.

La sua amicizia con Severus era finita due anni addietro, quando lui l’aveva definita in maniera molto poco carina e garbata.

Ma era finita veramente molto prima, quando lui si era votato alle Arti Oscure, preferendo i suoi amici Serpeverde a lei, amica di infanzia.

 

Sospirò turbata, come sempre accadeva ogni volta che lo intravedeva e ne percepiva il gelo della lontananza. Poi, il turbamento venne prontamente rimpiazzato da quella vaga sensazione di fastidio ed esasperazione che associava unicamente ad una persona.

 

L’Imbecille era poco più in là, a vantarsi coi suoi amici circa le dimensioni di qualcosa.

Lily non volle approfondire ulteriormente, perché già una volta aveva avuto a che vedere con le parti intime di Potter ed era decisamente una di quelle esperienze finite nel cassetto “da non ripetere”.

 

Poi le venne in mente quel biglietto vergato al chiarore della candela, qualche ora prima.

Scrutò di sottecchi il ragazzo, il quale non pareva affatto rammaricato o deluso.

Al contrario, si mostrava odiosamente ilare come al solito e Lily, per la prima volta, ebbe un tentennamento che la portò a prendere un poco sul serio la faccenda della corrispondenza anonima.

Era pur vero, rifletté, che Potter era un ottimo attore.

Si passò la lingua sui denti e decise di archiviare la questione fino al prossimo messaggio.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Era il sette settembre e la guerra era appena strisciata di soppiatto all’interno delle mura del castello.

A cena, gli studenti parlottavano fitto fitto circa l’ultimo sopruso dei Mangiamorte: un attacco subdolo e alle spalle ad alcuni rispettabili Auror e famiglie.

Nell’attacco erano rimasti coinvolti i genitori di James Potter – motivo delle molte occhiate penose nei suoi riguardi – i quali presentavano solo qualche escoriazione e un grande spavento.

Potter, seduto al suo solito posto, pareva assolutamente estraneo a ciò che si vociferava.

Come se quelli non fossero i suoi genitori, James parlottava vivacemente – più del solito – circa il primo incontro di Quidditch che si sarebbe tenuto tra un mese.

 

Lily – e di questo se ne sarebbe vergonata, qualche mese dopo – non prestò attenzione al ragazzo: pareva felice e tanto le bastava.

D’altra parte, se anche si fosse mostrato abbattuto, si sarebbe limitata ad una mera pacca sulla spalla, giusto per assecondare la sua inappuntabile educazione (solo dopo avrebbe capito che l’avrebbe fatto perché lo sentiva fin nel cuore).

 

Pertanto, si dedicò alla cena, chiacchierando con Alice – la più affine a lei per temperamento e pensieri – sul tema di Storia della Magia, confrontando i vari argomenti e imprecando laddove aveva avuto qualche dimenticanza.

 

Venti minuti dopo passò il tovagliolo sulla bocca e si congedò prima che il banchetto fosse ufficialmente terminato, adducendo ad un inesistente mal di testa.

Lo negava perfino a se stessa, ma era in attesa.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Con lo stomaco pieno era più facile ragionare.

E quel diversivo era il pretesto perfetto per accantonare lo spavento che Potter aveva avuto quando Silente – nel mezzo dell’ora di Pozioni – lo aveva mandato a chiamare per informalo dell’agguato ai suoi.

 

L’unica cosa che era riuscito ad esclamare era stato un “Oh. Cazzo.” e Silente si era mostrato indulgente al suo linguaggio colorito, mentre Minerva McGranitt, dal suo angolo, aveva stretto le labbra.

Tuttavia era stato a lungo rinfrancato e alla fine era uscito da quello studio col cuore più leggero, sebbene il suo pensiero non avesse mai abbandonato i morbidi visi dei suoi genitori.

 

Solo quando era rientrato nel dormitorio – dopo cena – aveva fatto cenno alla sua preoccupazione e Remus, molto delicatamente, gli aveva ricordato d’avere una questione anonima a cui pensare.

 

James avrebbe voluto baciarlo sulla bocca.

 

«James», disse Sirius, «devi portare avanti la cosa. Convincila che non sei tu, mostrati offeso, dille che è davvero una bertuccia se crede che tu abbia tempo da perdere con questi intrighi. Dille che sei un Corvonero. I Corvonero piacciono alle ragazze».

 

James soppesò le idee e fiutò l’aria, in cerca di ispirazione. Ma alle narici giunse solo il profumo del bagnoschiuma di Frank Paciock che si faceva bello per Alice, la sua storica ragazza.

 

Sedette quindi alla scrivania, a gambe incrociate sulla sedia, la sua posizione da guru-dello-studio.

Si solleticò più volte il naso con la piuma e nessuna bella frase gli venne in mente fino a quando Remus non gli porse un pezzo di pergamena ripiegata.

 

«Tieni», disse, «forse questo può aiutarti».

 

Ancora una volta, provo l’impulso di baciarlo per gratitudine.

 

Cinque minuti dopo stava già copiando dalla pergamena di Remus che, a quanto pareva, era passato al lato nemico.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Il gufo beccò due ore dopo, mentre Mary e Marlene discutevano di un articolo su Vanity Witch, secondo il quale Benedict Blaine era il mago più sexy del momento.

 

Questa volta non beccò le dita di Lily, ma le rivolse comunque un’occhiata bieca.

Lily lo schiaffeggiò.

 

«Gufo viziato, torna nella tua Guferia e impara un po’ d’educazione!»

 

«Lily, sei consapevole di aver appena maltrattato un animale, un essere diversamente intelligente, sì?» tubò Mary mentre scrutava il proprio riflesso alla finestra dove, improvvisamente, spiccava la vistosa scia biancastra di un escremento di uccello.

 

«Sciocchezze; era solo una pacca di ammonimento» ribatté, aprendo il foglio spiegazzato.

 

«Chi ti scrive a quest’ora tarda?» volle sapere Alice, appena rientrata.

Alice aveva la sfortunata tendenza a perdersi ogni cosa.

 

«Aehm» tentennò Lily, salvo poi vuotare il sacco.

 

«Chi mai potrebbe mandarti questi telegrafici post-it anonimi, Lily? Sicura che non sia una trovata di “Vanity Witch”?» domandò Mary, stringendo le palpebre e calzando quella sua smorfia da qualcosa-non-quadra-tutto-ciò-non-mi-convince.

 

«Non lo so» sospirò, tacendo opportunamente quel suo pungolante sospetto circa Potter.

 

Marlene, Mary e Alice si strinsero contemporaneamente nelle spalle (fu una scena parecchio carina) e tornarono a parlottare tra loro.

A Lily piaceva pensare che le avessero donato un po’ di meritata privacy; in realtà sapeva bene che alle tre la faccenda non interessava, giacché non includeva succosi pettegolezzi o qualche ragazzo particolarmente avvenente.

 

Quella sera, il biglietto recitava così.

 

 

 

Potter? Intendi James Potter, il Cacciatore di Grifondoro? Mi dispiace deluderti, ma io vesto ben altri colori.

Però se questa mia iniziativa ti infastidisce a tal punto, non hai che da dirlo e i nostri contatti si esauriscono qui.

Fiduciosamente tuo,

 

Anonymous

 

 

 

 

«Dannazione» imprecò, perché ben sapeva che stavolta il tarlo del dubbio l’avrebbe accompagnata sin nel sonno.

 

Con un sospiro flemmatico, ripiegò il biglietto e lo ripose assieme al primo, nel suo cassetto della biancheria intima; poi, seppur con poca voglia, si dedicò ad un ripasso generale di Pozioni in vista dell’interrogazione, prevista per l’indomani mattina.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Come da me promesso, eccomi tornata dopo Natale e Santo Stefano.

Dato il periodo, immagino che qui su EFP siano rimasti solo quattro gatti, tant'è.

Questo capitolo, l'avete notato, presenta qualche tratto di serietà - quando Lily pensa a Severus (bleah) per esempio - perché, diciamocelo, ci sono cose su cui ironizzare sarebbe da imbecilli e sarebbe totalmente fuori luogo, quindi preparatevi perché i momenti di ironia si alterneranno a sporadici momenti di serietà.

Grazie a chi ha recensito e a chi segue questa storia. *inchino*

Al prossimo aggiornamento!

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 4
*** Capitolo III: Le menzogne di Remus e l’ingenuità di Lily si sposano incredibilmente bene ***


Nuova pagina 1

 

4. Capitolo III

Le menzogne di Remus e l’ingenuità di Lily si sposano incredibilmente bene.

 

 

 

 

Se non sei James Potter (che è solito ad escamotage come questi), allora chi sei? Qual è il tuo nome? A quale Casa appartieni?

 

 

James Potter si fregò la mascella con fare distratto, ignorando le occhiate bieche della professoressa McGranitt.

Era già stato redarguito due volte e ben sapeva che quando la donna sarebbe arrivata alla terza non ci sarebbe stata altro che l’ennesima punizione.

Poco importava, comunque: James Potter aveva altri problemi a cui pensare, ben più importanti, come ad esempio convincere Lily Evans della sua estraneità ala corrispondenza anonima.

 

Perciò, dopo essersi debitamente guardato attorno e aver rivolto un sorriso serafico alla docente, scarabocchiò qualche frase che ricontrollò almeno quindici volte (la calligrafia contraffatta era difficile da riprodurre, di biglietto in biglietto).

 

«Signor Potter», esordì Minerva McGranitt, «le spiacerebbe mettere da parte la corrispondenza amorosa e dedicarmi un poco della sua attenzione?»

 

Lily Evans, a tre banchi di distanza, drizzò le antenne.

 

«Ma, professoressa», intervenne prontamente, «stavo solo prendendo appunti. Ecco, guardi» scartabellò diversi fogli – diversivo necessario per arraffare non visto gli appunti di Remus – fino a trovare ciò che cercava.

 

«Vedo, vedo», convenne, «ottimo lavoro come sempre, signor Lupin».

 

La classe ridacchiò sotto i baffi, Potter incluso.

 

«Signor Potter, non c’è bisogno che le dica che dieci punti verranno sottratti a Grifondoro per la sua ripetuta, costante distrazione, vero?»

 

Potter mise su una smorfia da ahh-che-bella-cosa.

 

«Direi di no» convenne galantemente, armandosi di pennino e foglio pulito, pronto a prendere appunti.

 

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Il gufo giunse all’ora di pranzo, svolazzando sulle molte teste degli studenti affamati.

L’animale atterrò nel suo piatto di insalata, incurante della lattuga su cui poggiava le zampe.

Lily non poté trattenersi dal riservargli un’occhiata astiosa.

 

Slegò rapidamente il biglietto accuratamente arrotolato e il rapace sbatté le ali, spruzzando olio e pomodorini nel raggio di un metro.

I presenti si lamentarono e Lily dovette lasciar andare di malavoglia il coltello che ancora stringeva tra le dita.

 

Odiava i gufi: era un dato di fatto che mai, mai, sarebbe cambiato.

 

«Ancora il tuo spasimante senza nome?» bisbigliò Mary distrattamente e abbozzò un sorriso da lo-immagivavo quando l’altra scosse la testa di assenso.

 

Istintivamente, scoccò un’occhiata a Potter.

Potter che era stato con lei per l’intera mattinata, che non si era mai allontanato. Che avesse ordinato a qualcuno di spedire il biglietto per lui? Improbabile.

Potter si fidava solo dei suoi amici, i Malandrini, e tutti loro non lo avevano mai abbandonato durante le ore di lezioni.

Con la fronte aggrottata, srotolò il messaggio.

 

 

Mi chiedi qualcosa che va contro il nostro patto iniziale, tuttavia risponderò (se questo servirà a rassicurarti circa la serietà delle mie intenzioni), purché anche tu, infine, risponda ad una mia domanda.

Tutto quel che posso dirti è che io sono Nicholas di Corvonero.

E tu, invece? Sei una ragazza o un ragazzo?

 

Anonymous.

 

 

 

Le sopracciglia di Lily erano talmente sollevate da sfiorare l’attaccatura dei capelli.

Nicholas di Corvonero?

Scoccò una nuova occhiata a Potter, che la ignorava come soleva fare dall’inizio di quell’anno, da prima che quella corrispondenza prendesse il via.

 

Il mistero si infittiva.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

«Sei un coglione. Così, giusto perché tu lo sappia».

 

«I coglioni sono sempre in coppia, sai? E comunque, cosa ho fatto per meritarmi cotale complimento?»

 

«Nicholas di Corvonero. Nicholas. Perché Nicholas?»

 

«Be’, è... è un nome carino».

 

«È un nome insolito!» e a quel punto Sirius lo schiaffeggiò forte sui capelli.

 

«Eh?»

 

«Ma non poteva essere, che ne so, Mark, o Jack, o John?» Hai una vaga idea di quanti John ci siano a Corvonero?!» gli fece notare le potenzialità di un’occasione sprecata, come al suo solito.

 

James fissò il vuoto (lo faceva sempre quando si rendeva conto d’aver commesso un fallo) e si schiarì la gola.

 

«Forse potresti aver ragione. Quindi?»

 

«Quindi adesso spera solo che la Bertuccia non vada a ficcanasare in giro e interrogare ogni Nicholas di Corvonero che, ti assicuro, sono ben pochi».

 

«Che palle» fu la sua brillante conclusione e prima che Sirius potesse fermarlo, gli restituì lo schiaffo sui capelli.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Occorreva ragionare.

Occorreva riflettere accuratamente su tutti gli elementi a sua disposizione e giungere ad una valida, ragionevole conclusione.

Ma per riflettere accuratamente Lily aveva bisogno di una persona con la sua stessa mente schematica, analitica, precisa.

 

Trovò Remus Lupin chinò su un grosso tomo prelevato dalla sezione proibita della Biblioteca, che borbottava qualcosa come “roba da non crederci”.

 

«Remus, ho bisogno di te» esordì senza preamboli e Lupin avvampò.

 

«Oh, io... io, ecco, Lily credo che dovremmo parlarne e riflettere sui reciproci sentimenti e—»

 

«Remus», lo interruppe, «di cosa stai parlando?»

 

«Ahem...»

 

«Senti, mi stanno capitando delle cose strane e sento la necessità di parlarne con qualcuno che non abbia l’intelligenza di un budino».

 

Remus sospirò, rincuorato.

 

«Sono a disposizione» assicurò, invitandola poi a seguirlo nella Sala dei Prefetti, la piccola stanza situa al terzo piano usata esclusivamente da Prefetti e Caposcuola.

Invero, Remus fu parecchio titubante.

Sospettava che le preoccupazioni di Lily fossero tutte per quei biglietti anonimi (e imbecilli) inviati clandestinamente da Potter.

 

Giunsero in Sala qualche piano e scalinata dopo, dove due Tassorosso (Jerry Parrish e Adrianne Kluntz) amoreggiavano in maniera molto poco discreta. Lily ordinò bruscamente loro di abbandonare la stanza e di mostrare un poco di pudore, prima che venti punti venissero sottratti alla loro Casa.

 

Poi, sprofondata in una bella poltrona di velluto blu, Lily vuotò il sacco.

Remus ascoltò attentamente, sforzandosi di controllare la propria faccia e le emozioni che la piegavano.

A fine ragguaglio, avrebbe voluto inventare una scusa del tipo “oh, che sbadato, ho dimenticato di dar da mangiare al gatto” e scappare via.

Poi ricordò che non aveva un gatto dai tempi in cui aveva sette anni e la magia inconscia lo aveva fatto avvampare per diventare non più di una manciata di pelo.

Era un ricordo molto poco carino.

 

«Remus, dimmi la verità: c’è Potter dietro tutto questo?»

 

Ecco, era giunto il momento di usufruire di quella cosa riprovevole chiamata menzogna.

Si concesse un profondo respiro e gli occhi si umettarono nel tentativo di non battere ciglio.

«Lily, ti posso assicurare che James è totalmente estraneo alla faccenda. Lui ha altri pensieri adesso. Sai, i suoi genitori...»

 

Remus prese mentalmente nota di far recapitare ai due coniugi Potter dieci scatole del più pregevole cioccolato di Mielandia, al prossimo Natale, per lenire il morso di una coscienza troppo... coscienziosa.

 

«Oh. Mio. Dio» sillabò inorridita.

«Quindi c’è davvero qualcuno che è così disperatamente asociale da voler stringere amicizia con un perfetto sconosciuto? Oh, Remus, che cosa devo fare?»

 

«Forse questo qualcuno ha davvero bisogno di parlare, di stabilire un legame con te. Continuate a scrivervi, lo farai solo felice» e quella volta, per fortuna, Remus non ebbe bisogno di mentire. Si tratto solo di un’omissione. La sua coscienza poteva tollerarlo.

 

Lily annuì lentamente.

 

«Sì», scattò in piedi, «seguirò il tuo consiglio. Come al solito, mi sei stato di grande aiuto, Remus. Sei un amico prezioso» aggiunse, sfiorandogli distrattamente l’avambraccio.

Poi si congedò senza neppure salutarlo.

 

Remus si attardò ancora per qualche minuto, indeciso se avviare una zuffa con James (pericoloso, pericoloso: James lo superava di una spanna ed era più robusto di lui, esile fuscello) o propinargli uno dei suoi soliti predicozzi.

 

Sorrise.

 

Nessuna delle due. James Potter era appena entrato in debito con lui.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Lily Evans, per la prima volta in tutta la sua vita accademica, non prestò attenzione alla lezione di Aritmanzia.

Aritmanzia, infatti, era una delle due materie cui partecipavano anche i Corvonero, il che era una tentazione sufficientemente forte da distrarla dallo studio.

Si domandava se tra quei Corvonero del settimo anno ci fosse un qualche Nicholas, dal momento che aveva avuto la definitiva conferma che Potter, in quello scambio di biglietti, non c’entrasse alcunché.

 

Si rese conto, improvvisamente, di non esserne così contenta e sbuffò di frustrazione.

La sua mente funzionava in maniera ambigua, talvolta.

 

La zazzera di capelli biondi di Emily Joyce attirò la sua attenzione.

Emily era una ragazza assai ambiziosa e assai intelligente ma molto poco propensa al dialogo e a qualsiasi scambio interpersonale.

Cara ragazza, per carità, ma Lily pensava che fosse eccessiva.

L’aveva conosciuta l’anno prima, a Rune Antiche, e ci aveva parlato giusto un paio di volte, decidendo che era una brava persona ma troppo poco propensa ad avere degli amici.

 

Ciò non la distolse, tuttavia, dall’aspettarla sull’uscio della porta a fine lezione.

 

«Emily», la chiamò, «permetti una parola?»

Emily annuì di buon grado (o era particolarmente di buon umore o aveva acquisito fiducia nel genere umano o era cambiata nel corso di un anno).

 

«C’è un qualche Nicholas nel tuo anno?»

 

La domanda dovette sembrarle strana, perché le sue sottilissime sopracciglia bionde si curvarono graziosamente in una smorfia perplessa.

 

«Sì, certo. C’è Nicholas Bellamy, ad esempio» e con il mento accennò ad un ragazzo basso e magro, dai capelli biondo paglia tagliati lunghi sul collo.

 

Lily annuì (dopo aver avuto un eccitato batticuore) ed Emily si congedò, continuando tuttavia a voltarsi più volte mentre percorreva il corridoio.

 

Lily fissò il ragazzo. Non che fosse brutto, anzi, era parecchio grazioso, ma era così ilare e circondato da amici che non le pareva proprio il tipo.

Eppure ne dubitò fortemente quando Nicholas la guardò interessato e con un vago sorriso di vaga consapevolezza.

 

Lily voltò le spalle al manipolo di Corvonero e tornò al proprio dormitorio.

Aveva bisogno di ottenere altre informazioni.

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Sirius aveva l’aria di un cane che aveva appena acchiappato il gatto.

Nel mentre, Remus e James litigavano su qualcosa come un favore da ricambiare.

 

«Remus, smettila di fare la ragazza bizzosa e fatti da parte, mi necessita l’attenzione di James».

 

«Uno di questi giorni io e te taglieremo ogni ponte» lo avvertì Remus, sventolando l’indice.

 

«So che mi ami» replicò l’altro, senza notare l’improvviso rossore dell’amico, che si affrettò a raggiungere il bagno, sbattendosi opportunamente la porta alle spalle.

 

«Sai», iniziò James con fare da vicina-di-casa-pettegola, «credo che Remus potrebbe avere una cotta per te».


Sirius sorrise suadentemente.

 

«Chi non ha una cotta per me, Potter?» e sfoggiò una posa da vecchio dandy. Inutile precisare che quel ribelle ragazzo trasudasse nobiltà da ogni poro, quella stessa nobiltà che tanto disprezzava e che tanto era inevitabilmente radicata in lui.

 

«Molte persone, te lo garantisco. Cosa volevi dirmi, a proposito?»

 

Sirius si riscosse.

 

«Giusto. Marylin, di Corvonero, mi ha detto che un amico di un amico del fratello del suo ragazzo le ha riferito che Evans sta ficcanasando in giro, domandando se ci sia qualche Nicholas a Corvonero».

 

James mise su il suo più ben fatto ghigno da il-piano-fila-che-è-una-meraviglia.

 

«Mi piace questo fatto che tu porti sempre buone notizie, Sirius».

 

 

 

 

°          °          °

 

 

 

 

Sono una ragazza. Bene, Nicholas, ho sufficienti prove per decidere che, effettivamente, tu non hai nulla a che vedere con Potter. E sai, questo tuo bisogno di stringere amicizia mi dà da pensare, mi fa pensare a te come ad un tipo introverso. Sbaglio?

 

 

 

Nel dormitorio maschile dei Grifondoro del settimo anno, James Potter esultò come se avesse appena vinto la Coppa delle Case.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Anno nuovo, capitolo nuovo, già.

Dunque, non ho particolari note su questo capitolo, se non che probabilmente apparirà più moscio degli altri.

Ma non preoccupatevi di ciò: saprò rifarmi nei prossimi capitoli. Questo, ad onor del vero, è un capitolo sostanzialmente inutile, che serve solo a dimostrare che sì, Lily alla fine ci casca con tutte le sue scarpette da strega.

Poi, bene, sono assolutamente lusingata e stupefatta nonché contentissima del seguito che sta avendo questa storia (31 seguiti, wow, mi imbarazzate, così!). Vi amo tutti e vi ringrazio, siete bellissimi. 8)

Come sempre, il mio invito a prendere parola è sempre valido.

Infine, un saluto speciale a Frency, che aspettava particolarmente l'aggiornamento di oggi. :3

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 5
*** Capitolo IV: Quando lustrare le segrete di Hogwarts ti cambia la vita. O quasi ***


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5. Capitolo IV.

Quando lustrare le segrete di Hogwarts ti cambia la vita. O quasi.

 

 

 

 

I giorni si trascinarono nel tempo, tra compiti, interrogazioni e una singolare corrispondenza.

Da quando Lily Evans aveva accettato di intraprendere questa nuova, eccitante e misteriosa strada il numero dei biglietti era progressivamente aumentato, così come si era rinsaldato l’evanescente legame tra lei e Anonymous.

In quel paio di mesi – settembre e ottobre – avevano discusso su tutto: guerra, politica, Ministero, Colui-che-non-deve-essere-nominato, amicizie finite, amori improbabili e addirittura di letteratura inglese – cosa che a Lily piacque moltissimo e che la portò a stabilire che Anonymous era un bravo ragazzo.

Eppure, quando novembre fece il suo ingresso in un martedì temporalesco, la bolla di ilarità e leggerezza scoppiò all’improvviso e a Lily non restarono che sputi di gioia qua e là.

Strani fatti accaddero a Hogwarts. Studenti Babbani vittime di inspiegabili incidenti, bestie magiche che impazzivano, Hagrid che si era messo in ghingheri e che portava un fiore all’occhiello.

Il mondo fuori, poi, era un vero casino.

Mangiamorte ovunque e ovunque morti, Anatemi, traditori e truffatori, subdoli ladri che svaligiavano i piccoli negozi di Diagon Alley nel cuore della notte, commercianti sull’orlo della bancarotta, costretti a chiudere la bottega e ritirarsi in casa, delusi e amareggiati.

Lily ne aveva parlato con Anonymous e dai biglietti di lui era emersa una certa rabbia appena repressa. Si era espresso a più riprese sulla salvaguardia dei Nati Babbani, di come i Purosangue affiliati di Vold— ehm, lui, andassero appesi per la gola ad un ramo e lì lasciati a morire, di come Silente dovesse rinsaldare la severità delle punizioni.

Di come la McGranitt doveva piantarla di indossare quei suoi orrendi guanti di pelle di drago azzurri (ma questo, ad onor del vero, non c’entrava nulla).

 

Di biglietto in biglietto, l’ammirazione di Lily per il ragazzo cresceva e pareva destinata a non esaurirsi più.

Quel ragazzo pareva fatto su misura per lei e dalle sue parole traspariva una sincerità autentica.

 

A metà novembre le recapitò un biglietto che la fece addirittura commuovere.

 

 

 

Sei una bella persona, il lato migliore di questo mondo coglione.


A.

 

 

 

Occorre precisare ai lettori che, tuttavia, Lily provò una strana sensazione.

Aveva la netta idea d’aver già sentito quelle parole, d’averle colte da qualche parte, qualche tempo fa.

Piegò la mente e la costrinse a viaggiare indietro, indietro, senza tuttavia portare nulla di utile.

Poco importava. Le aveva indubbiamente lette da qualche parte o si trattava di quel fenomeno mentale chiamato deja-vù.

Chiuse la questione con un sorriso imbarazzato e lusingato, ripromettendosi di rispondere al galante Corvonero non appena fossero finite le lezioni quotidiane.

 

Eppure, se la giovane Lily avesse insistito, avrebbe certamente ricordato che quelle stesse parole lei le aveva colte di nascosto, quasi per caso, in una sera in cui James Potter e Remus Lupin erano di ronda al pian terreno.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

La McGranitt fu particolarmente impietosa quel giorno.

Sottopose i suoi studenti più anziani alla trasfigurazione umana, estremamente pericolosa e instabile, soprattutto se praticata da giovani streghe e giovani maghi.

 

«Forse qualcuno vuole offrirsi volontario?»

La domanda galleggiò tra i presenti e occorsero parecchi secondi prima che essa facesse presa nei loro animi.

Tutti si ritrassero impercettibilmente dietro i loro banchi e le bacchette, fino ad un attimo prima esposte in bella vista sui banchi, scivolarono accidentalmente in grembo ai loro proprietari.

 

«Signor...» i suoi occhialetti tondi rifletterono il viso di molti ragazzi – improvvisamente molto affaccendati – fino a posarsi senza più muoversi. «... Potter».

 

«Cosa?»

Molti risero, altri pensarono che Sirius, al suo fianco, lo avesse appena colpito tra le gambe.

 

«Venga, venga. I suoi compagni necessitano di una dimostrazione pratica».

 

In quel momento, la McGranitt probabilmente ricordò tutte le volte in cui Potter le aveva apertamente disubbidito o mancato di rispetto o messa in ridicolo con i direttori delle altre Casa.

James, altrimenti, non avrebbe saputo spiegarsi perché la donna invitò Lily Evans ad eseguire l’incantesimo su di lui.

 

Le spiegò con esattezza a cosa pensare e a come formulare l’incantesimo, nonché il movimento oscillatorio del polso.

 

«In cosa devo trasformarlo, professoressa?»

 

Uhm, il tono della sua voce era troppo gaio.

 

«Mi stupisca» replicò l’altra, facendo un passo indietro.

 

Potter avrebbe voluto dirle che era una piccola bertuccia stronza, che nei biglietti era tutt’altro che vendicativa o sadica, che era un’ingenua e una credulona, che il suo piano era andato talmente bene da superare ogni aspettativa (perfino le più catastrofiche che, guarda caso, erano quelle di Remus).

Che... che... che era una piccola bertuccia stronza, insomma.

 

E James avrebbe volentieri formulato altri gentilissimi pensieri se non fosse stato per quel formicolio bruciante che risalì dai piedi, attorcigliandosi intorno al fegato, che gli strinse lo stomaco e gli avviluppò il cervello intero.

 

Fece appena tempo ad esalare un rancoroso “Stronza!”, poi, là dove c’era stata la sua figura snella e longilinea, ci fu solo il pelo rossiccio e vaporoso di un graziosissimo Volpino della Pomerania.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Ovviamente Potter finì in punizione.

Essendo il suo filtro bocca-cervello spesso otturato di impulsività, dopo essere ritornato umano – qualche ciuffo di pelo rossiccio ancora incastrato tra i capelli neri – diede inizio ad un’invettiva contro Lily Evans che oh, quanto amore!, oh, quanta civiltà!.

Ovviamente anche Lily finì in punizione, giacché, per una femminista tenace come lei, era stato impossibile accettare passivamente tali belle parole.

 

La McGranitt li cacciò (al fine della collettiva comprensione, è bene specificare ai lettori che la docente li cacciò personalmente, una volta artigliate le loro braccia) dall’aula, intimando loro di non muoversi, di non parlare, di non guardarsi e, se riusciva loro, di non fiatare.

 

Due ore dopo l’intero corpo studentesco di Hogwarts aveva appreso del gesto della McGranitt che, ad onor del vero, molti, da quel momento in poi, guardarono con cauta ammirazione (Potter non era poi così benvoluto).

 

James e Lily, comunque, furono costretti a scendere nelle segrete del castello – luoghi rimasti inesplorati da almeno un secolo, dai tempi in cui Gazza soleva trascinare laggiù gli studenti più indisciplinati – e, muniti solo di secchio e spazzolone, fu ordinato loro di tirare a lucido le prigioni, i pavimenti, le sbarre delle celle, i catini arrugginiti e perfino i candelabri incrostati di polvere, terra e cose morte.

 

«Non ci posso credere, non ci posso credere!» disse Lily per la cinquantottesima volta – o la sessantesima?, si domandò distrattamente il ragazzo – sbalordita, sgomenta e indignata come poche volte l’aveva vista.

 

«Credici» rispose per la cinquantasettesima volta – o la cinquantanovesima? – e impugnò la scopa di legno vecchio e marcio, iniziando a fregare con forza sul pavimento lercio.

 

Lily afferrò la sua, di scopa, e rimase immobile.

Fissava insistentemente il ragazzo, provando la medesima sensazione di come quando si dimentica qualcosa ma non si sa cosa.

Notò che più volte si scansava i capelli dalla fronte o che spingeva gli occhiali sul naso o che le sue guance si gonfiavano subito prima di svuotarsi in uno sbuffo nervoso.

 

Lily non lo avrebbe mai ammesso, ma quello fu il primo giorno in cui guardando Potter le si bloccò la saliva in gola e avvertì l’esigenza di non guardarlo.

Fu un fenomeno strano, in fondo. Intrappolato tra l’astio e il piacere, tra il dire e il fare, tra il divertimento e il biasimo, tra tante altre cose senza troppo senso.

 

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Quella punizione durò ben tre settimane, giacché fu categoricamente vietato loro di ricorrere anche alla più piccola magia. Venivano scortati da un nostalgico Gazza (oh, quanto mi mancava quest’odore di paura!) dopo le lezioni e riemergevano al pian terreno prima di cena.

 

Non parlavano mai troppo.  Lily si riempiva la testa delle parole di Anonymous e immaginava i paesaggi italiani da lui descritti con tanta cura (Dovresti proprio visitarla, l’Italia), le catene montuose, i boschi rigogliosi spezzati dai ruscelli azzurri, le campagne incolte del sud e le città moderne del nord.

 

James pensava ai prossimi biglietti da vergare (devo farmi venire delle buone idee, cazzo) e ai luoghi di cui parlarle (mi serve un atlante, cazzo), nonché alle giornate meravigliose degne di un diligente Corvonero (per questo ho bisogno di Remus, cazzo).

Però, talvolta, la guardava di sottecchi.

I capelli rossi rilucevano alla luce delle candele e l’elastico con li teneva insieme cadeva sempre.

La guardava con le palpebre immobili quando si chinava a prendere l’elastico e la gonna si tirava un po’ su, scoprendo una fetta di pelle pallida (ho bisogno di un bagno e un calzino, cazzo).

 

Solo una volta Lily lo aveva colto in fallo e l’attimo dopo James era zuppo d’acqua sporca.

 

Comunque, dopo le prime ore, iniziarono a parlarsi. Dapprima furono solo insulti.

 

«Che imbecille. Che idiota».

«Sta’ zitta, bertuccia».

«Smettila di chiamarmi così!»

«Colpa di Sirius, mi ha contagiato».

«Bruciate all’inferno, tu e lui!»

«Sai che se continuerai a piegarti in quel modo delizioso avrò il più meraviglioso orgasmo della mia vita?»

«Sei un maiale».

«No, sono un Volpino della Pomerania».

Lily a quel punto doveva girarsi altrove per reprimere un sorriso.

 

Poi i dialoghi cambiarono e si tinsero di rosso, con grande riprovazione di lei.

 

«L’hai mai fatto, Evans?»

«Questo non ti riguarda».

«Vuoi provare?»

«Non sono incline ad ottemperare alla tua proposta».

«Sai che quella lingua potresti usarla diversamente?»

«Per mandarti a fanculo, intendi?»

«Sono prontissimo. Sapevi che vaffanculo letteralmente indica vai ad avere un rapporto sessuale anale?»

«Maiale».

«Volpino della Pomerania, prego».

E le labbra di Lily tremavano e quelle di James ridevano.

 

Una settimana dopo avevano stipulato un’alleanza contro il nemico comune.

 

«Dovremmo parlare con la Belkins, sai?»

«Hai ragione. Sono stanco di dover difendere in continuazione i miei testicoli».

«Sono io a doverlo fare, mentre tu urli come una ragazzina in calore».

«Sciocchezze. Quella donna dovrebbe essere buttata fuori da Hogwarts».

«Già».

«Come, come?»

«Ho detto: già».

«Ehi, siamo d’accordo su qualcosa».

«Evidentemente».

 

Due settimane dopo James aveva sgraffignato qualche dolce in esubero dalle cucine (Tutto quello che desidera, signor Potter signore; possiamo prepararle tutto, ogni cosa!) e a metà punizione gettarono le scope da parte e seduti sul pavimento lindo e splendente, schiena contro schiena, mangiarono muffin, plumcake al cacao e toast al prosciutto ancora tiepidi, complimentandosi con gli elfi che, ehi, sapevano il fatto loro.

 

Quando la punizione terminò, però, tornarono a comportarsi come di consuetudine.

E mentre l’esperienza con Potter scivolava sempre più nel baratro delle cose inutili e perditempo, il legame con Anonymous diventava più tangibile e concreto.

 

Di quando in quando, Lily ripensava a quella punizione, alle segrete che ora luccicavano di rinnovata pulizia, ai dolci e alla voce di Potter.

Ripensò a quei capelli che le avevano solleticato la nuca scoperta e alla sua guancia che una volta aveva sfregato contro la sua, quando Potter si era voltato per chiederle se le banane al cioccolato fossero di suo gradimento (Lily lo aveva schiaffeggiato sull’altra guancia senza aver notato la mano di Potter che le offriva il citato dolce. Fu una brutta figura, in effetti).

 

Poi venne dicembre.

Prima delle vacanze, Anonymous le spedì un pacco.

 

 

 

Carissima,

permettimi di augurarti un buon Natale. Spero che le divergenze con la tua famiglia possano appianarsi e non badare troppo a tua sorella. Lei non capisce, lei è solo spaventata dalla tua magia.

Io non ho fratelli né sorelle, ma se ne avessi non potrei mai odiarli. È difficile odiare il proprio sangue.

Sono sicurissimo – ci metterei la bacchetta sul fuoco – che lei ti vuole ancora un gran bene. Dalle tempo, falle un bel regalo.

E a proposito di regali, io ti allego qui il mio. Ho appreso abbastanza sui tuoi gusti per essere certo che questo ti piacerà. Spero li indosserai e che quando lo farai, il tuo pensiero andrà al tuo amico di Corvonero.

Infine, fai attenzione. Fuori c’è la guerra e se non tenessi così tanto alla mia identità mi apposterei sotto casa tua solo per proteggerti e per far sì che alla mia amica di piuma non accada nulla di male.

Perdona la lunghezza del messaggio, ma non ho potuto tagliare nulla.

Buon Natale, dolce ragazza.

Affettuosamente tuo,

 

Anonymous.

 

 

Lily sorrise scioccamente al biglietto e scartò la carta dorata del pacco.

La sciarpa, il berretto e i guanti erano di morbidissima lana azzurra – il suo colore favorito – e, notò, al berretto era rimasto attaccato il cartellino di un noto negozio di Diagon Alley, con il prezzo e tutto quanto.

Non poté fare a meno di ridere. Che Corvonero sbadato, quel Nicholas.

Tuttavia non poté non apprezzare il regalo.

Il giorno in cui i bagagli furono tutti ammassati nella Sala d’Ingresso, Lily Evans indossava la sciarpa azzurra, il cappello azzurro e i guanti azzurri.

 

James, qualche metro più indietro, sorrise dolcemente senza neppure rendersene conto.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Biglietto dopo biglietto, Lily si era aperta.

Come il fiore di cui portava il nome.

Aveva confessato al suo misterioso confidente ogni piccola cosa, dal suo colore preferito, ai suoi cibi prediletti, i problemi con sua sorella e la sua passione per i fiori, la sensazione di sentirsi talvolta tagliata fuori dal suo stesso sangue (non aveva avuto il coraggio di scrivergli apertamente del suo stato di sangue), di come Potter l’avesse perseguitata e di come adesso si parlavano appena, della punizione che avevano condiviso.

Gli raccontò perfino del suo sorriso, di quello che tante volte aveva osservato di nascosto, dopo quella punizione.

Lily lo aveva notato solo dopo, ma dopo quella confessione, Anonymous s’era fatto più cupo e telegrafico.

Gli aveva perfino domandato se avesse detto qualcosa di male e lui aveva negato, sostenendo che era un periodo poco felice e che aveva certi problemi personali di cui preferiva non discorrere.

Lily allora aveva adottato la sua tattica del fai-finta-di-niente-e-vai-avanti.

Pochi biglietti dopo, Anonymous era tornato quello di sempre, solare e dolce.

 

Lily non aveva mai avuto un’affinità tanto intensa con nessuno.

Ma la verità era un’altra: aprirsi con un estraneo, qualcuno di cui non si conosce il viso o la voce, era molto più facile.

L’estraneo non avrebbe potuto guardarla negli occhi o ridere di lei e, forse ipocrita o forse no, l’avrebbe consolata e sostenuta.

 

Per questo, mentre l’Espresso viaggiava a tutta forza, covò per la prima volta il desiderio di incontrarlo, di conoscere quell’amico di penna, di dargli un volto e una voce.

Lily sospirò contro il finestrino, notando che solo allora lei non gli aveva regalato nulla.

Rimediò alla prima fermata del carrello.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Cazzo!» gridò e si prese le mani tra i capelli.

 

«Cos’hai?»

 

«Il prezzo. Ho scordato di staccare il cartellino col prezzo dal regalo per Evans».

 

Remus e Peter risero, Sirius lo schiaffeggiò sulla guancia.

 

«Sei un coglione. Sai cosa succede ad un Black se dimentica di rimuovere il prezzo da un regalo?»

 

«Non lo voglio sapere» sospirò malinconico, passandosi la mano sul viso arrossato.

 

Remus si schiarì la gola, con quella sua tipica arietta da sto-per-comunicarti-qualcosa-che-potrebbe-non-essere-di-tuo-gradimento.

 

«Non hai pensato al fatto che lei adesso potrebbe andare in quel negozio e chiedere chi le ha recapitato quel completo?»

 

James perse colore e Sirius tese le braccia, pronto a sorreggerlo (non senza essersi accertato che il ragazzo non era in procinto di vomitare).

 

«Cazzo» ribadì, come se prima non fosse stato abbastanza chiaro.

 

«Spera solo che Lily ormai sia convinta che tu sei estraneo a tutto ciò» replicò l’altro, tornando poi a mangiucchiare la tavoletta di cioccolato che Sirius gli sottrasse abilmente e ingurgitò tutto d’un fiato (fu uno spettacolo disgustoso).

 

«Io stavo pensando di troncare» annunciò d’un tratto e il cielo, oltre il finestrino, si tinse di grigio.

 

«Cosa?» fece eco Peter. «Ma come, ora che il tuo piano andava così bene?»

 

James spiegò con la padronanza di linguaggio di un bambino di quattro anni che Lily stava sviluppando un sincero legame con Anonymous e che non voleva darle una delusione quando lei gli avrebbe domandato di vedersi.

 

«Perché accadrà, me lo sento».

 

Contrariamente alle sue aspettative, nessuno parlò più.

E James rimase a crogiolarsi nell’incertezza.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Orbene, settimana nuova, capitolo nuovo.

Non credo di avere particolari note a riguardo del capitolo (probabilmente lievemente più demente dei precedenti), ma se qualcosa non fosse chiaro non esitate a farmelo sapere, tramite, uhm, un recensione o un MP.

Ciò detto, io mi sento in dovere di condividere con il mondo i bellissimi quanto inattesi banner che le splendide March Hare e June hanno creato appositamente per Anonymos. Qui quello di March e qui quello di June. Sono bellerrimi, nevvero? :3

Grazie ragazze, vi amo.

E grazie anche a chi ha recensito lo scorso capitolo (♥), a chi ha inserito la storia tra le seguite (siete davvero taaanti!), preferite e ricordate. Vi amo tutti quanti.

Come al solito, se volete farmi sapere cosa pensate della storia, sentitevi pure liberi di recensire. :3

Alla prossima!

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 6
*** Capitolo V: Quando tocchi il fondo, non ti resta altro da fare che scavare ***


Nuova pagina 1

 

6. Capitolo V.

Quando tocchi il fondo, non ti resta altro da fare che scavare.

 

 

 

 

A gennaio, Hogwarts fu pervasa da un’atmosfera tesa ed elettrica, nonché da molti nervosi neuroni in caduta libera.

Capitava spesso che le ragazzine scoppiassero un pianto disperato dopo che tutti – ma proprio tutti – i professori rammentassero loro l’imminenza degli esami e di quanto essi sarebbero stati impegnativi.

Capitava ancora più spesso che il malumore degli studenti più anziani contagiasse la magia all’interno del castello, la quale provocava scoppi improvvisi ed improvvisi sputi di scintille.

Le sopracciglia di Marcus Hang ne sapevano qualcosa.

James Potter si vantava in lungo in largo d’avere dentro un sangue magico così potente da creare temibili tornado che precipitavano sulla tavola imbandita, mandando all’aria ogni pietanza.

Sirius Black, di questo, non era assolutamente contento.

 

Quel giorno, James Potter era così di malumore che fece esplodere la zuppiera del minestrone, la quale si riversò addosso ad una dozzina di ragazzi, Sirius incluso.

 

«Oh, James, vaffanculo! Ma guarda qui, guarda che schifo! Ho minestrone anche nel solco del—».

Minerva McGranitt si sentì in dovere di schiarirsi dolorosamente la voce e troncare le parole blasfeme del suo allievo non-proprio-preferito. Bravo, indubbiamente, ma scapestrato e poco propenso alle norme della buona educazione.

 

«Signor Black, le pare forse un’osteria, questa?» allargò le braccia, indicando la Sala Grande improvvisamente ammutolita.

 

«Mi scusi, professoressa. È solo che al momento sono pervaso da una disgustosa sensazione di... viscido. In luoghi molto intimi» aggiunse, tirando la patta del pantaloni verso il basso.

 

La donna ebbe pietà di lui.

 

«Vada a cambiarsi. E lei, signor Potter, contenga il malumore, per l’amor del Cielo» sbuffò, tornando impettita al suo posto.

A James parve di scorgere un sorriso divertito sulle labbra di Silente.

 

Nel frattempo, a pochi posti di distanza...

 

«Mio Merlino, quel Black è disgustoso» si lamentò Marlene McKinnon, le labbra arricciate di riprovazione. Mary, al suo fianco, scosse la testa.

 

«È colpa di Potter, come al solito» aggiunse Lily, inchiodando il ragazzo con uno sguardo di raggelante biasimo.

«Se ne sta sempre lì, con quel suo stupido broncio per qualche suo stupido problema con qualche stupida ragazza».

 

Mary fece per dire qualcosa, ma Marlene la anticipò.

 

«Il problema sei tu, Lily».

 

«Cosa?! Starai scherzando».

 

«Quel povero ragazzo vuole solo godere della tua compagnia. Se solo tu potessi dargli un’occasione...» sventolò la mano a mezz’aria, lasciando cadere la frase.

 

«Ma è un tale idiota!»

 

«Sai», fece Mary, con fare petulante, «non la pensavi così quando tornavi dalle punizioni nei sotterranei. Eri tutta un sorriso, contenta, soddisf—».

 

SPLAT!

 

Mary non ebbe modo di dire altro; per qualche oscuro artificio, il budino le esplose addosso, insozzandole la divisa.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

La vita di uno studente medio di Hogwarts era dura.

La vita di uno studente modello di Hogwarts era un inferno.

D’improvviso pareva che tutti i docenti si aspettassero da Lily e da Remus un rendimento ancora maggiore, ancora più elevato, ancora più tutto.

 

Lily fu la prima ad andare in crisi.

Venne prima il compito di Trasfigurazione (bene, è gestibile, posso farcela), poi quello di Incantesimi (una bazzecola, anche se la domanda numero due mi ha messa in crisi), e ancora quello di Aritmanzia (cos’è questa roba? Quando è stata fatta? Perché io non ne ho saputo nulla?!), nonché quello di Pozioni (oh, che noia. Mancano ancora due ore alla conclusione. Potrei abbozzare un biglietto per Anonymous, nel mentre).

Quello di Erbologia, invece, fu un disastro (Oh, mio Dio, mio Dio! Che cosa disgustosa, che fetore insopportabile, che... no, no, gli escrementi addosso no!). Lily si lasciò distrarre dalla creatura vegetale particolarmente incline ai dispettucci e non prestò al dovuta attenzione al compito, che provvedeva in un ritratto della pianta e la descrizione delle sue funzionalità, in termini rigorosamente tecnici, giusto per facilitare le cose agli studenti.

Il compito di Difesa contro le Arti Oscure fu particolarmente ostico e Lily rischiò davvero una brutta crisi di nervi (Ho sbagliato tutto! Tutto! Dannazione, mi bocceranno, non mi ammetteranno ai MAGO, me lo sento! Maledetta me! Maledetto Merlino! Maledetto Potter, è tutta colpa sua e della sua presenza!).

 

Remus invece tenne duro, salvo poi avere un brutto svenimento quando, durante Erbologia, la pianta gli azzannò il pollice, incidendo la pelle.

Non riuscì a sopportare il fiotto di sangue e perse i sensi addosso a Sirius, gettandogli provvidenzialmente le braccia al collo, il quale lo afferrò in vita per risparmiargli un doloroso impatto contro il pavimento.

 

Da quel giorno, la sessualità di Sirius Black venne ampiamente messa in discussione.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

I compiti in classe e le diverse interrogazioni si esaurirono nel giro di due settimane e i professori, non potendo torchiare gli allievi in altri modi, ricordarono loro l’imminenza dei MAGO, la loro importanza, la loro complessità, la loro utilità, la loro complessità. E tante altre cose, tra  cui la complessità.

 

James Potter fu sordo agli avvertimenti dei docenti e continuò tranquillamente a calzare i panni di Anonymous.

 

Sirius Black fu sordo agli avvertimenti dei docenti e continuò ad affatturare chiunque osasse discutere della sua sessualità.

 

Remus Lupin entrò in quella sua fase da studente modello e iniziò la sua consueta spola dalla Biblioteca al Dormitorio e viceversa.

 

Peter Minus se ne lavò le mani, ma questo non gli impedì comunque di lamentarsi su quanto i MAGO fossero una perdita di tempo.

 

Lily Evans seguì la scia di Remus, scribacchiando nel frattempo biglietti da inviare al suo amico di piuma.

 

E così, gennaio trascorse inesorabile e nervoso.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Il mio regalo ti sta molto bene addosso, sai? Sei molto graziosa. Come va con lo studio? Ci dai dentro anche tu?

 

Anonymous

 

Altroché. Non posso mica lavarmene le mani. Tu, d’altra parte, puoi capirmi. Come vanno le tue lezioni?

 

Molto bene, ti ringrazio. Tuttavia, sento già i primi sentori dei MAGO. Mi innervosiscono un poco. Tu che ne pensi?

 

Anonymous

 

Penso che siano necessari per un futuro soddisfacente, penso che valgano la candela, insomma.”

 

E dimmi, sul fronte sentimentale come va?

 

Anonymous

 

Oh, al solito. E tu?

 

Io? Io sono innamorato da anni della stessa ragazza. La amo immensamente, sarei pronto a mettere la mia vita tra lei e una bacchetta, ma purtroppo non sono ricambiato. Io continuo a sperare che un giorno lei possa vedermi come mi vedi tu.

 

Anonymous

 

Accadrà, ne sono sicura. Posso giudicarti solo dalle tue parole scritte, ma posso ugualmente dire che tu sia una bella persona. E quello che hai detto (“sarei pronto a mettere la mia vita tra lei e una bacchetta) è meraviglioso.”

 

Speriamo che accada presto. Io penso davvero tutto quello che ho scritto. Tutto.

 

Anonymous

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Febbraio venne e gli studenti misero un freno ai loro neuroni nervosi con l’imminente arrivo del San Valentino.

Mary pareva emanare cuoricini e zucchero, se ne andava in giro a mani giunte, decantando la bellezza di quella festività.

Marlene aveva rimediato un ragazzo per l’occasione; un tale di Tassorosso che conosceva da circa tre minuti, ma questo era un dettaglio superfluo. L’importante, per lei, era non trascorrere la festa da soli, come dei veri sfigati.

 

Lily si sentì un po’ pungolata.

 

Mise l’ultimo punto al tema di Astronomia (Gli influssi di Giove su Venere: risvolti positivi e negativi) e fissò vacuamente le sue amiche.

 

Poco più in là, Alice sbaciucchiava teneramente Frank, ignorando i falsi conati di vomito di Sirius ogni volta che passava loro accanto (il che accadeva praticamente sempre).

 

E fu così, mentre fissava Alice sbaciucchiare Frank, che ebbe l’idea.

 

Avrebbe invitato Anonymous ai Tre Manici di Scopa.

Perché no, d’altra parte? Lui era innamorato di una stronzetta che faceva la preziosa, tanto valeva che dedicasse la sua attenzione a lei, che lo aveva ascoltato per mesi interi e con tanto piacere.

Provò ad immaginare la sua amata e non vide altro che una sciacquetta tutta boccoli biondi, intenta a sollazzarsi con ragazzi vanesi e frivoli.

Sorrise e pensò che probabilmente Anonymous era un caso perso.

Avrebbe avuto bisogno di una ragazza seria, diligente, umile e studiosa. Un po’ come lei, insomma.

Per questo non dubitava che il ragazzo avrebbe prontamente accettato il suo invito, giacché aveva già manifestato una certa empatia con lei.

 

Pensò molto attentamente a cosa scrivere nel suo invito, scegliendo poi una forma semplice e diretta.

 

E mentre si dirigeva alla Guferia, incrociò Potter che percorreva su e giù il corridoio del sesto piano, la mano destra che si teneva il mento.

 

«Potter, sei definitivamente andato fuori di testa?»

 

Lui sobbalzò.

 

«Evans, ogni volta che ti vedo il mio cuore sfarfalla. In tutti i sensi».

 

«Carino, da parte tua. Hai finalmente realizzato la portata della tua imbecillità e te ne disperi?» domandò, senza però alcuna cattiveria.

James le rivolse un sorriso smagliante e fu il suo cuore a sfarfallare. Stupido idiota.

 

«No. Sto pensando al modo migliore di convincere la Blackwood ad aprire le gambe».

 

«Sei rivoltante».

 

«E tu gelosa, piccola, dolce Lily».

 

Senza alcun motivo, arrossì e lo mandò al diavolo, diretta quindi alla Guferia con il cuore e il sangue in fermento.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

James Potter continuò a percorrere imperterrito quel corridoio per molto, molto tempo, fino a che non venne sera e Pix il Poltergeist non iniziò a pungolarlo, scagliandogli addosso palloncini colmi di polvere di gesso.

 

Stava ancora imprecando contro lui quando entrò in Sala Comune, i capelli intrisi di polvere bianca.

 

«Che ti è successo?» domandò Remus preoccupato.

 

«Oh, il simpatico Pix. Dov’è Sirius? Stavo pensando di organizzare quel sega-party a cui teneva tanto».

 

«Stai scherzando?»

 

«No, ovviamente. Useremo i calzini di Peter, va bene? Va bene. Oh, mio buon amico, parlavo giusto di te».

 

Sirius Black s’accasciò su una poltrona, accanto a James e ben lontano da Remus, il quale lo evitava deliberatamente.

Da quando si era diffusa la voce che il giovane Remus fosse omosessuale, badava bene a stare alla larga da Sirius.

E non che all’altro dispiacesse particolarmente, comunque.

 

«Di cosa parlavi?»

 

«Di quel sega-party».

 

Sirius Black torse il viso in una smorfia di pura ira, scoccando un’occhiata rovente a Remus.

 

«Sì, ne ho proprio bisogno, dato che ogni ragazza pronta ad aprire le gambe per me sembra averla improvvisamente d’oro».

 

Continuò ostinatamente a fissare torvo Lupin e sfoderò la bacchetta quando due ragazzini, passando accanto a loro, arricciarono le labbra per riprodurre dei sonori baci.

 

«Dovete smetterla, voi due» disse James, spostando l’indice dall’uno all’altro.

«Siamo amici da sette anni, per Morgana, non potete lasciare che le malelingue mandino a puttane tutto».

 

«Ringrazia il tuo amico, di questo! Svenirmi addosso come una femminuccia e aggrapparsi addirittura al mio collo!»

 

«Allora avresti dovuto lasciarmi cadere, coglione d’un Black!»

 

La Sala Comune si zittì quando Remus si lasciò andare ad un eccesso di nervosismo, tenuto a bada fin troppo a lungo.

 

Aprì la bocca un paio di volte, senza però riuscire a dire null’altro. E poi, infine, impettito e irritato raccolse i suoi libri e andò via, diretto probabilmente alla Biblioteca, dove avrebbe potuto crogiolarsi nel senso di colpa e leccarsi le ferite in solitaria.

 

«La tragica fine di un’amicizia» dichiarò Frank Paciok, parecchio dispiaciuto.

 

E non appena finì di proferire la sua ardua sentenza, si ritrovò appeso per aria, a testa in giù.

Sirius ripose la bacchetta e si congedò con tutta l’eleganza di un Black rinnegato.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Il gufo picchiò al vetro della Sala Comune dopo qualche minuto.

James accettò il biglietto e ripagò l’animale di una carezza sul becco.

 

Aveva atteso pazientemente quel biglietto e, in quel momento, desiderò non averlo mai fatto.

 

Fu col cuore pesante che si vide costretto a prendere quella drastica soluzione.

 

Era il quattro febbraio e James Potter aveva definitivamente troncato la corrispondenza anonima.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Sapete, il seguito che sta avendo questa stronz-- fanfiction mi lascia piacevolmente sorpresa!

No, sul serio, sono proprio contenta che piaccia.

Dunque, non ho particolari note sul capitolo che, nella sua brevità, parla da sé.

Però, ancora una volta, vorrei proporvi un nuovo, meraviglioso banner fatto da March (qui), che mi sta decisamente viziando troppo.

Ho solo una piccola comunicazione di servizio: a partire dal 29, gli aggiornamenti potrebbero andare a rilento.

Sapete, ho tipo fantastimila pagine da studiare, ergo il piccì giace inerme in un angolo, ergo il tempo stringe come un cappio alla gola, ergo potrò scrivere solo il sabato - unico giorno di pausa.

Ma, ripeto: potrebbero. Può anche darsi che, invece, io riesca ad aggiornare con la solita frequenza.

Mettiamoci nelle mani del destino.

Concludo rinnovando il mio enorme grazie a chi ha recensito (risponderò entro questa settimana a quelle recensioni senza risposta), chi ha messo la storia tra i preferiti (nove volte grazie), chi l'ha messa tra le ricordate (tre volte grazie) e chi tra le seguite (quarantanove volte grazie!).

Vi amo tutti, lo sapete.

Come al solito, sentitevi pure liberi di esprimere un parere - anche negativo se lo ritenete giusto, non mi offendo mica.

Bon, vi saluto, vi rinnovo il mio amore e arrivederci a martedì prossimo!

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 7
*** Capitolo VI: Tutto finisce, anche le buffonate di James Potter ***


Nuova pagina 1

 

7. Capitolo VI.

Tutto finisce, anche le buffonate di James Potter.

 

 

 

 

Sai, San Valentino è vicino e io mi domandavo se ti andasse di stare insieme. Ammetterai anche tu che è parecchio triste, per una ragazza, starsene tutta sola, quel giorno.

Che ne dici di una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa, così da abbattere l’unico ostacolo che resta tra noi – l’anonimato –?

Ti aspetto alle 11, nella Sala d’Ingresso.

 

Lily Evans, Grifondoro, Caposcuola.

 

 

 

Non gli era sfuggito il fatto che avesse deliberatamente deciso di firmarsi. Né che era venuto quell’infame momento in cui la curiosità aveva soverchiato il patto.

Eppure, accartocciò il biglietto tra le dita e lo gettò tra le lingue rosse del camino.

 

Quella buffonata si era protratta anche troppo a lungo.

L’aveva conquistata, certo. Ma a che prezzo?

Aveva agito nell’ombra, come uno di quei ladruncoli da quattro soldi, omettendo deliberatamente la sua identità.

Ironia della sorte, questa piccola omissione aveva fruttato più di sette anni di continui inviti e spionaggi ad ogni ora del pomeriggio.

Ironia della sorte, tutto era iniziato nell’ombra e nell’ombra tutto sarebbe finito.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Dobbiamo parlare».

 

«Sto studiando».

 

«La nostra amicizia è sull’orlo di una catastrofica conclusione e tu pensi a studiare?!»

 

«Onestamente», iniziò Remus, voltandosi, «abbiamo sempre litigato e siamo ancora qui. Ragion per cui non vedo di cosa dobbiamo preoccuparci. Presto ci sarà qualcos’altro di cui parlare e ci lasceranno in pace. Non metterla sempre giù così pesante, Sirius».

 

Sirius inspirò profondamente.

 

«Quindi, insomma, è tutto okay, no?»

 

«Ovviamente» il gelido sorriso sulle labbra di Remus gli fece intuire che nulla era okay.

Ma il buon vecchio Remus era per il quieto vivere e mai, mai, avrebbe intrapreso un’aperta ostilità con un amico di lunga data.

 

Nonostante questo avesse contribuito a metterlo in ridicolo, certo.

 

Gli occhi grigi di Sirius si strinsero.

 

«Tu menti» borbottò, guardingo.

 

«Mettiti il cuore in pace. E lasciamo studiare, cane».

Perfino Sirius notò il peso con cui la voce di Remus aveva calcato la parola “cane”, rancore mascherato da simpatia.

 

Ma quale fosse il problema, il vero problema, Sirius proprio non lo immaginava.

 

«Be’, ciao allora» si congedò, andando via.


E se solo si fosse voltato avrebbe potuto intravedere la maschera di gelida cortesia di Remus andare in frantumi per lasciare posto al più  triste e rassegnato degli sguardi.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily Evans era inquieta.

Camminava su e giù, si passava le mani tra i capelli, sbuffava, scattava ad ogni più piccola domanda.

In generale, destò parecchi sospetti sulla sua quiete mentale.

Ma questo nessuno glielo disse. Saggi ragazzi.

 

Ovviamente, Mary, di saggio, non aveva nulla...

 

«Lily, dal modo in cui ti agiti, si direbbe che un pene ti sia rimasto incastrato tra le natiche».

 

... ma il suo tatto era da apprezzare. Indubbiamente.

 

«Non hai nessun fidanzato, oggi?» le domandò acidamente, smettendo di girare in tondo per il dormitorio.

 

«Nah, è sabato. Il sabato sono a riposo. Domani, magari».

 

Mary, oltre che di saggezza, mancava anche di senso del decoro. Per lei era perfettamente normale cambiare un ragazzo con una frequenza fissa di tre giorni, sette quando gli piaceva davvero, un mese quando se ne innamorava.

Non si poteva certo dire che i suoi sentimenti fossero durevoli.

 

«Comunque, Lily, parlamene» fece suadente, battendo la mano sul letto per invogliarla a sederle accanto.

 

«Lasciamo perdere» tagliò corto. Afferrò il proprio mantello e il proprio zaino, pronta a recarsi alla lezione di Astronomia.

 

«Ahhh, l’amore. Che squisito dramma» squittì Mary una volta che Lily fu ben lontana.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Perché Potter le fosse accanto e perché continuasse a scoccarle occhiate di sottecchi non seppe dirlo.

James si mostrava particolarmente taciturno, quella notte, e, in generale, poco propenso ad attaccare bottone con chiunque.

 

Pochi posti più in là, poi, notò anche di come Sirius e Remus facessero di tutto per evitarsi, tradendosi poi con continue occhiate furtive, non visti dall’altro.

 

«Potter?» lo chiamò all’improvviso, sollevando la piuma dalla pergamena.

Il ragazzo grugnì qualcosa senza staccarsi dal suo  telescopio.

 

«Cos’hanno i tuoi amici?»

 

«Litigano perché non hanno il coraggio di dirsi che si piacciono».

 

La piuma le cadde dalle dita e svolazzò giù, giù, giù, giù, fino ad adagiarsi su una torretta molto più in basso.

«Sirius e Remus? Sirius Black? Ma allora le voci...?»

 

James si sentì in dovere di guardarla.

«Loro ancora non lo sanno ed è importante questo. È importante che lo status quo non cambi, capisci?»

 

Lily pensò che il ragazzo avesse seri problemi con l’alcol.

 

«Status quo? Ma di che stai parlando?»

 

Le fece cenno di avvicinarsi.

 

«Si girano intorno da quando avevano dodici anni, ma non hanno mai capito di piacersi. Ora, se qualcuno glielo dicesse, tutto cambierebbe. Come con il passato, no? Se tu usi una Gira Tempo non puoi mica cambiare gli eventi; cambieresti tutto una volta tornata al presente, capisci?»

 

«Ti senti male?»

 

«No di certo, perché?»

 

«Parli come quando mio padre ha la febbre alta».

 

James mosse la mano.

 

«Cosa ne vuoi sapere, tu, ragazzina dal cuore arido».

 

«Oh-oh-oh, ha parlato il prossimo capostipite del romanticismo!»

 

James fece per rispondere a tono, ma solo in quel momento notò come la luna gettasse riflessi opalescenti su suoi capelli, ingrigiti dalla notte, e nei suoi occhi, che mai gli erano parsi così chiari e così belli e così intensi e così profondi e... be’, gli piacquero molto e si sentì in dovere di dirlo ad alta voce.

 

«Sei bellissima» soffiò senza pensarci, allungando una mano per carezzarle i capelli, che Lily prontamente cacciò via con fare stizzito.

 

«Piantala, Potter. I tuoi complimenti da due soldi bucati non attaccano. Non con me» aggiunse precipitosamente e si sentì ugualmente avvampare quando lui non rispose e, anzi, continuò a fissarla dritto negli occhi, senza neppure vederla realmente, perso nelle grandi praterie dei suoi pensieri.

 

«Signor Potter, non ho dubbi sulla bellezza della signorina Evans e nonostante i suoi occhi brillino come stelle, lei è pregato di fissare con cotanta passione la volta celeste».

 

James ripiombò bruscamente nella realtà e sorrise suadente a  Gibbs, il professore di Astronomia, assicurandogli che avrebbe svolto un eccellente tema, il migliore che avesse mai visto.

 

Gibbs grugnì qualcosa e andò via, controllando gli studenti più astuti e assicurandosi che questi non copiassero a vicenda.

 

«Senti, Evans...» iniziò e non seppe più come proseguire quando Lily, forse per la prima volta, lo fissò con intensa curiosità e null’altro.

 

«Sì?»

 

«Ti andrebbe di trascorrere insieme San Valentino?»

 

«Non posso, ho appuntamento con un altro ragazzo».

 

James provò davvero a trattenersi, ma ovviamente non ci riuscì.

 

«Lui non verrà» sputò con così tanta sicurezza che Lily tentennò.

 

«Cosa?»

 

«Non verrà, ti dico. Professor Gibbs, il compito» consegnò la pergamena e si congedò. Lily consegnò immediatamente dopo di lui con il proposito di rincorrerlo, ma quando giunse al corridoio del settimo piano, di James Potter non v’era la minima traccia.

 

L’antico tarlo del dubbio tornò a pungolarla.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus ovviamente ebbe parecchio da ridire.

Non gli era certo sfuggito lo scambio di battute tra lui ed Evans, né il madornale errore che l’amico Potter aveva commesso.

 

«Ti sei fatto scoprire, James» gli disse senza troppi giri di parole.

L’altro lasciò cadere gli occhiali che teneva tra l’indice e il pollice.

 

«Impossibile».

 

«Possibilissimo, ti dico. Quel tuo “non verrà” era assolutamente inequivocabile. Inequivocabile» ripeté, per conferire ulteriore drammaticità al dramma.

Sirius rise acidulo, per il puro gusto di deriderlo.

 

«Oh, sì, certamente, Lunastorta. Dimmi, amico, c’è mai stata una volta che sia stata una in cui James abbia remato a favore di uno dei pretendenti di Lily?» lo schernì, incrociando le braccia al petto e sollevando superbamente il mento.

 

«No, ma—»

 

«Ecco, appunto. Quindi non gettare panico sul nostro amico, poiché è risaputo che poi a raccoglierne i pezzi sarei io».

 

Remus balzò in piedi.

 

«E con ciò? A cosa stai alludendo, Sirius?»

 

«A nulla, ovviamente» fece marcia indietro, ricacciando indietro il sorrisetto arrogante.

Remus Lupin era in procinto di esplodere.

 

«Tu stai insinuando di essere l’unico a tenere a James» dichiarò altero.

 

«Be’», si scaldò Sirius, «non è che il tuo gettargli continuamente merda addosso aiuti a sfatare le apparenze, Remus».

 

«Ragazzi», si intromise James, «state litigando per me? Guardate che non ce n’è proprio bisogno».

 

Ma Sirius e Remus continuarono a fissarsi torvi come due cani che si contendono la stessa cagnetta, ignorando James.

 

«Sai cosa c’è, Sirius? Cresci. Cresci, okay? E anche tu!», sbottò contro James, indicandolo come se fosse stato il colpevole di un romanzo giallo, «Sono stanco della vostra stupidità. Tu», indicò Sirius, «se hai qualcosa da dire, dilla, okay? Non nasconderti dietro inutili frecciatine velenose, perché, te lo giuro, sei ancora più odioso del solito».

«E tu», indicò James, «ti piace Lily? Provi qualcosa per lei? Allora diglielo e falla finita! Basta con questi sotterfugi, basta con questi giochetti, basta con tutto! Hai diciassette anni, per Merlino, non sei più un marmocchio col pannolino. Io sono stanco di fare da balia a tutti e due!»

 

E così concluse il suo drammatico monologo, sbattendosi la porta alle spalle. O almeno, ci provò, ma quella impattò con così tanta foga che tornò indietro e Remus, sul punto di esplodere in lacrime nervose, ne afferrò il pomello e finalmente la chiuse.

 

James e Sirius si scambiarono uno sguardo sbigottito, prima di scoppiare involontariamente a ridere.

Ma durò poco. Una volta che le parole di Remus fecero presa, il loro riso venne rimpiazzato dalla più avvilite delle smorfie.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily continuò ad attendere una risposta da Anonymous fino alla mattina di San Valentino.

Attesa vana; il ragazzo non diede più segni di vita e Lily se ne preoccupò moltissimo, tanto che ogni giorno controllava la Gazzetta del Profeta, sezione necrologi, sperando di non incrociare nessun nome riconducile a qualcuno di Corvonero.

Insisté perfino che il gufo numero centonovantadue consegnasse altri biglietti, ma quello si rifiutò categoricamente, torcendo il becco altrove con fare offeso.

 

Lily ne fu così nervosa che appallottolò il biglietto e glielo scaraventò contro. Quello chiurlò risentito.

 

La mattina di San Valentino si fece beffa di Lily. Il cielo terso si rifletteva nelle acque placide del Lago e il sole gettava riflessi dorati sugli alberi, sui manti d’erba e sulle molte torrette del castello.

 

Si respirava aria di contentezza ed eccitazione e ogni coppietta di amanti camminava con fare sognante, tenendosi per mano.

Lily ebbe voglia di Schiantarli tutti.

 

Si crogiolò sulle sponde del lago, triste e irritata, domandandosi perché mai il ragazzo fosse sparito senza alcun cenno, perché avesse troncato il rapporto senza dare spiegazioni.

Che avesse detto qualcosa di male? Che avesse interpretato male la natura del loro rapporto?

 

Scosse la testa, accaparrandosi l’occhiata sospettosa di alcune primine Serpeverde.

 

Impossibile. Aveva riletto i biglietti quella mattina stessa, non trovandovi nulla che lasciasse presagire l’immotivata fine.

In verità, era ancora parecchio dispiaciuta da quel che ne era seguito dopo.

In un eccesso di rabbia, aveva dato fuoco ad ogni biglietto e solo uno se ne era salvato.

Il più toccante, a sua detta.

Lo aveva intascato e tenuto al sicuro tra le pieghe del mantello, rimuginando su quelle parole vergate molto tempo prima.

 

Perché tra tutti, il biglietto-che-era-sopravvissuto, era quello che sin dalla prima occhiata le aveva dato da pensare.

Quell’insolita sensazione di dejà-vu non l’aveva mai veramente abbandonata.

 

E mentre rifletteva, le penne brune di un gufo baluginarono ai raggi del sole. L’animale atterrò proprio accanto a lei, consegnandole il tanto atteso biglietto.

Euforica, lo estrasse velocemente e la gioia si sgonfiò così come era venuta.

 

 

 

Cara Lily,

mi scuso del mio odioso silenzio, ma è bene che io ti dica la verità: quella ragazza che amo da sempre, lei si è accorta di me e, finalmente, da una settimana è la mia ragazza.

Ho imparato che è un tipo assai gelosa ed è per questo che, col cuore pesante, tronco questa nostra corrispondenza.

Non avermene, dolce Lily, il tuo supporto in questi mesi è quanto di più bello e positivo io abbia avuto in questi ultimi tempi.

Spero che la vita possa riservarti molte cose belle.

 

Anonymous.

 

 

 

Lily fu così adirata con se stessa e con lui che non si premurò neppure di rispondere.

Era una palese bugia. La ragazza che amava non sapeva neppure della sua esistenza, figurarsi se nel giro di un mese se ne fosse pazzamente innamorata!

Era un modo carino quanto squallido di troncare quel rapporto che ormai, probabilmente, lo annoiava.

Così, avvilita, estrasse la bacchetta e lasciò il pezzo di carta a bruciare sull’erba verde.

 

Poco più lontano, James Potter accarezzava un gufo dalle penne brune e nessun sorriso piegava le sue labbra.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Chiedo scusa per il ritardo, ma questo è un periodo talmente incasinato che, oh, non sto avendo tempo neppure per scrivere una drabble.

E con questo intendo dire che non ho avuto tempo nemmeno per Anonymous, sì.

Spero di rimettermi in pari quanto prima.

E chiedo scusa anche per la mancata risposta alle recensioni, ma questo è un periodo tal-- oh, dalla regia mi dicono che l'ho già detto.

Comunque risponderò quanto prima, non appena la mia famiglia allenterà il guinzaglio. *smile*

Inoltre, colgo l'occasione per condividere con l'intero mondo un altro banner di March, che non solo mi vizia, ma riesce a cogliere l'angst anche in una scena comica. Amatela. Ve lo ordino.

Infine, ringrazio mille e mille volte coloro che seguono questa storia, che la commentano o anche solo che la mipiaciano. Siete una favola, ragazzi.

Con l'augurio di risentirci martedì - salvo imprevisti - io vi saluto e ricordate che l'inverno sta arrivando. (?!)

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 8
*** Capitolo VII: Il clue del clue del clue. E quattro giovani non proprio contenti. ***


Nuova pagina 1

 

8. Capitolo VII.

Il clue del clue del clue. E quattro giovani non proprio contenti.

 

 

 

 

Il San Valentino di Lily trascorse all’interno delle mura del castello, con la sola compagnia di alcuni libri di testo.

Sebbene si fosse sforzata di arginare la corrispondenza che tanto l’aveva coinvolta, il suo pensiero tornava costantemente al misterioso interlocutore e al modo vergognoso in cui s’era liberato di lei.

 

Uscì dalla Biblioteca che era quasi ora di cena. Si respirava un’atmosfera placida e serena, in netto contrasto con il suo pesante malumore.

 

Entrò in Sala Comune solo per lasciare i propri libri in dormitorio, ma venne distratta da James e Remus che, seduti davanti al camino, parlottavano di qualcosa.

 

BOOM!

 

Il ricordo le esplose in faccia, come una mina troppo vicina.

Lasciò cadere i libri e il suo viso si fece esangue.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Era appena rientrata dalla lezione di Incantesimi quando li vide.

James Potter, insopportabile sedicenne scapestrato, e Remus Lupin, diligente studente che con l’amico non c’azzeccava assolutamente nulla, parlottavano davanti al camino.

 

Mentre li ignorava deliberatamente, colse involontariamente uno stralcio della loro conversazione.

Riguardava lei e non si premuravano di abbassare il tono della voce, giacché la di lei presenza era chiaramente passata inosservata.

 

«Lei è una bella persona, Remus. La parte migliore di questo mondo coglione» disse James, con una serietà e una dolcezza che mai gli avrebbe attribuito.

Remus aveva sorriso e Lily si era sentita avvampare, perché mai le erano state rivolte parole tanto gentili, soprattutto da un Purosangue, soprattutto da James Potter.

 

A passo felpato, se ne tornò in camera, senza riuscire a reprimere un sorriso spontaneo.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Prima venne il tremito. I denti battevano talmente forte che alcune ragazze si guardarono attorno, domandandosi chi stesse ripetutamente picchiando una matita sul tavolo.

Poi venne il batticuore. Sentì il ritmo accelerare e accelerare e accelerare, fino a sentirsi le tempie pulsanti e con esse la gola.

Poi venne il rossore. Il sangue le esplose sulle guance e la sua pelle divenne paonazza tanto quanto i suoi capelli (una bambina del primo anno le domandò se stesse per morire e Lily voltò la testa lentamente e le scoccò un’occhiata così spiritata che la ragazzina fuggì letteralmente via).

Infine, giunse la rabbia. Fredda, spietata, infinita.

 

«Potter» esalò e si costrinse a calzare il suo miglior sorriso suadente.

 

«Mh?»

 

«Puoi seguirmi, per favore?»

 

«Certo. Ma è giè ora di fare la ronda?» domandò, guardando l’orologio che indossava. Lily si vide chiaramente mentre glielo slacciava per cacciarglielo giù in gola mentre gli sussurrava: “No, è l’ora della tua dipartita”.

 

James si alzò e salutò l’amico con un veloce cenno del capo, seguendo Lily, ovunque lo stesse portando.

 

E non immaginava nemmeno lontanamente quello che lo aspettava.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lo spintonò così forte da farlo finire a ridosso del muro. Per un attimo gli ricordò una delle molte lucertole che durante l’estate si spalmavano sulle mura di casa sua, crogiolandosi al sole.

Poi ricordò anche che lei, quelle lucertole, le odiava dal profondo.

 

«Ehi!» si difese lui e la mano volò immediatamente alla cintura dove se ne stava la bacchetta. Eppure non la estrasse, perché mai avrebbe fatto del male a lei.

 

«Pensavi che non ti avrei mai scoperto, eh?! Ci avevo visto giusto sin dall’inizio!» gridò, non curandosi dell’eco che rimbalzava sino all’estremità del corridoio.

 

«Ma di che stai parlando?»

 

«Di questo, sto parlando!» tirò fuori un biglietto e lo dispiegò, tenendolo ben in vista.

Ebbe un tonfo al cuore quando James sbiancò. Aveva sperato fino alla fine che lui non c’entrasse nulla.

Dall’altro lato del corridoio, nel frattempo, apparve Sirius abbracciato a due ragazze. Studiò velocemente la situazione e con un sorrido affascinante le congedò, promettendo chissà cosa.

 

James non disse una singola parola e Lily ne approfittò.

 

«La verità è che tu provi un sadico gusto ad arrecare danno a tutti quelli che ti stanno accanto!» urlò, gettandogli addosso il pezzo di pergamena.

 

«Io volevo solo che tu mi vedessi per come sono davvero!» reagì, uscendo dal suo stato catatonico. Aveva un orgoglio da difendere.

 

«Ma tu non sei così! Tu sei un idiota e lo sarai fino a che non sarai morto, anche le tue ossa saranno delle idiote fino a che non diventeranno polvere e anche quella polvere lo sarà, fino a che non diventerà nulla!»

 

Sirius si sentì in dovere di intervenire.

 

«Posso dire una cosa?»

 

«No, non puoi!» lo fulminò con i suoi furenti occhi verdi e Sirius, in risposta, le fece il verso.

 

«Bertuccia» mormorò, ma non abbastanza debolmente da non farsi udire dai presenti che si erano radunati dopo le prime urla, che sogghignarono.

 

«D’ora in poi evita di guardarmi, evita di pensarmi, evita qualsiasi cosa che abbia a che fare con la mia persona» disse, dopo aver tratto un lungo sospiro per calmarsi.

James poté solo mantenere il suo viso perfettamente immobile, senza lasciar trapelare alcuna emozione.

 

«Anche le seghe? Perché, sai, lui si fa le seghe pensando a te» si intromise Sirius.

 

Lily avanzò a passetti corti e veloci, fermandosi ad una spanna dal suo viso.

 

«All’inferno c’è un posto anche per quelli come te» mormorò  velenosamente, voltandosi così platealmente da far mulinare i suoi lunghi capelli rossi sul viso di Sirius, come una sferzata.

Non si guardò indietro, giacché l’orgoglio ferito ancora pulsava dolorosamente.

 

Il silenzio che si lasciò alle spalle fu interrotto solo dallo starnuto di Sirius.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Quando Sirius rientrò in Dormitorio, Remus era ancora adirato con lui.

Non si parlavano da un intero giorno e Sirius ne aveva abbastanza.

 

«Senti, Remus... dai, amico, facciamo pace. Io ti voglio bene, lo sai» disse ed ebbe il buon gusto di mostrarsi contrito.

L’altro sospirò pesantemente.

 

«Sirius», iniziò, senza neppure voltarsi, «tu mi piaci. Mi piaci da quando avevo dodici anni. Quello che le voci dicono è vero: mi piacciono i ragazzi e mi piaci tu».

Oh, Remus era un amico fedele, anche e soprattutto con se stesso. Poiché mai era accaduto che avesse predicato bene e razzolato male.

In quelle ore aveva riflettuto parecchio sulle parole dette a James e si era maledetto, perché la sua coscienza aveva iniziato a pungolarlo e a blaterargli di quanto dovesse restare fedele e onesto a se stesso, di quanto non dovesse mentire e tante altre cose onorevoli.

Remus decise che da quel giorno ci avrebbe dato meno dentro con il cioccolato, giacché l’eccesso di zuccheri non gli giovavano affatto.

 

«Sì» fu la stupida risposta di Sirius, visibilmente scioccato.

«Oh», farfugliò, «perdonami, ma improvvisamente sento l’impellente bisogno di pisciare» e seguendo il copione della perfetta verginella alla prima volta, Sirius balzellò – letteralmente; accadeva spesso quando era fortemente turbato – in bagno.

 

Remus sbatté le palpebre, domandandosi se Sirius sarebbe mai riemerso da quel bagno e se non fosse il caso di imparare una buona volta la sottile arte della menzogna.

O quantomeno, quella dell’omissione.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Lily Evans si rintanò in Biblioteca – sacro luogo di pace e silenzio – e non si premurò neppure di fingere di studiare. Il libro riccamente intarsiato era chiuso, come la bocca di lei.

Ma non come la sua mente.

La sua mente era aperta e turbolenta come un fiume in piena.

Si domandò più volte cosa avrebbe fatto da domani, se avrebbe mai accantonato la pesante presa in giro, se il suo orgoglio avrebbe mai cicatrizzato quella ferita.

Si domandò anche se non fosse il caso di perdonare Potter. Al solo pensiero, si sentì le viscere torcere dolorosamente.

Sbuffò, sbuffò e sbuffò molte altre volte ancora, fino a che Madama Pince non le intimò di far silenzio.

 

Aveva ormai deciso di tornare in Sala Comune – forse Mary le avrebbe elargito uno dei suoi rari consigli pieni di buon senso – quando Remus Lupin le apparve al fianco, lasciandosi stancamente cadere sulla sedia.

Lily serrò i denti così forte che l’altro li sentì battere.

Non aveva certo dimenticato che lui le aveva spudoratamente mentito.

 

«Sei un vile bugiardo, lo sai?»

 

Le scoccò una lunga occhiata rattristata, annuendo lentamente.

 

«L’ho fatto per James. Lui è mio amico. Gli voglio bene. È mio amico» ripeté con forza, fissandola negli occhi, come a volerla convincere.

Mera impresa. Lily non era certo Sirius né poteva immaginare i loro più recenti disguidi.

 

«E io non sono forse tua amica?» sibilò velenosamente.

 

Remus sospirò.

 

«Tu ce l’hai con me perché ti ho mentito. Sirius ce l’ha con me perché l’ho fatto passare per un omosessuale. James ce l’ha con me perché dice che non saputo consigliarlo. Peter ce l’ha con me perché non ho impedito a James e Sirius di usare i suoi calzini per quel loro stupido sega-pa—» si arrestò improvvisamente, rosso in viso.

 

Anche Lily divenne parecchia rossa, più rossa dei suoi capelli.

Poi ricordò quel che le disse Sirius e il suo viso virò in una delicatissima sfumatura di violetto.

 

«Vuoi il mio perdono, Remus?» domandò infine, schiarendosi la gola.

Pose la domanda come se fosse un ultimatum.

 

«Ahm, sì».

 

«Allora dimmi perché. Perché?»

 

Remus era tanto stanco.

Perciò non perse tempo a cercare una scusa plausibile.

 

«Perché ti ama, Lily».

 

I suoi occhi verdi si sgranarono di indignazione.

 

«Ciao, Remus» lo salutò gelidamente, congedandosi.

 

Il ragazzo si passò le mani tra i capelli e sbatté forte la testa sul tavolo.

Più volte.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Sirius scostò di poco la porta, adocchiando guardingo la stanza. Nessuna traccia del ragazzo-lupo, fortunatamente.

Così, armato della sua migliore indifferenza, spalancò la porta e uscì baldanzoso.

 

«Perché ti nascondevi?»

 

Urlò come una bambinetta.

 

«No, perché tu ti nascondi?»

 

«Sono triste, Sirius» sospirò James, allungando le gambe sul pavimento, nascosto tra un letto e l’altro, la schiena premuta contro il comodino.

 

«E quindi ti nascondi?» era perplesso.

 

«Già. E tu? Perché ti nascondevi?»

 

«Remus. Ha detto che... che... gli piaccio» esalò incredulo, a bassa voce, come se i muri avessero orecchie e fossero pronti a tradirlo seduta stante.

 

«Ah, davvero? Era ora».

 

«Scusa? Tu... sapevi?»

 

«Senti Sirius, in tutta franchezza, ogni Grifondoro del nostro anno sapeva».

 

Il viso di Sirius si fece bianco come il latte.

Poi, seguendo l’esempio di James, si lasciò sprofondare tra il suo letto e quello di Remus.

 

«James?»

 

«Mmh».

 

«Remus potrebbe piacermi».

 

«Era ora che anche tu ci arrivassi. Ci sono ragazze che ci scommettono su dal terzo anno».

 

«Cosa?!»

 

«Mettiti comodo, Sirius. Forse è ora che io ti racconti cosa hai combinato al terzo anno, di quando eri ubriaco e baciasti Remus sulla bocca davanti ad ogni studente di Hogwarts...»

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Quando Lily tornò in Sala Comune fece appena in tempo a salutare alcune conoscenti che una sfocata macchia nera le si mise davanti e senza troppi complimenti se la issò sulle spalle, trascinandola via.

Molti risero, alcuni iniziarono a svuotare le tasche e dare il via alle scommesse.

 

Si rese conto di chi fosse il suo rapitore quando riconobbe il sensuale quanto nervoso oscillare dei suoi glutei. I glutei più sodi e invidiabili di Hogwarts, secondo Mary, la quale se ne intendeva parecchio. Esperienza personale.

 

«Black, di grazia, cosa stai facendo?»

La scaricò senza poca grazia in una piccola nicchia buia. I suoi occhi grigi catturavano la luce di una torcia vicina, brillando sinistramente nel buio.

 

«Oh, fottutissimo Merlino, tu sapevi di quello che ho fatto al terzo anno? Lo sapevi?»

 

Si domandò se la memoria a breve termine di Sirius funzionasse correttamente.

 

«Ma di che stai parlando?»

 

«Di me! Di Remus! Di quanto ero schifosamente ubriaco! Di quel cazzo di bacio! Dammi un sacchetto, Lily Evans, dammi un sacchetto, mi sento mancare».

 

Decisamente non stava bene.

 

«Black, tutta la scuola lo sapeva. Lieta di sapere che anche tu ora ne sia a conoscenza, benvenuto nel club. Ma questo cosa c'entra con me, perché mi hai portata qui?»

 

«Perché mi necessitava sapere e, sai, ne ho le palle piene delle prese in giro. Senti, devo andare. Devo procurarmi una qualche pozione di distruzione di memoria di massa, o qualcosa del genere. Ti saluto. E perdona James, va bene? Ti ama, ti è affezionato e tutto quanto, ma onestamente siamo un po’ stanchi di sentirlo sempre mugolare in bagno» e scappò via, senza però accorgersi della sciarpa di Lily impigliata in uno dei bottoni del suo mantello.

Così, preso dalla foga, non si rese conto del rantolo sofferente alle sue spalle, né delle sottili e alquanto fantasiose imprecazioni di Lily Evans.

Fortunatamente, uno strattone fu decisivo e il mantello di Lily fu libero dal suo.

 

«Oh, Evans, scusa. Non mi ero accorto... be’, stai bene, sì? Sì, okay, ciao splendore» le lisciò i capelli, il maglione e fece per lisciarle anche le pieghe della gonna, salvo poi ritrarsi per schivare prontamente il palmo aperto di lei.

Infine, in tutta la sua eleganza da purosangue Black, si defilò.

 

«Dirò a tutti che Remus è il tuo fidanzato da almeno cinque anni, è una promessa!» urlò lei, massaggiandosi il collo arrossato.

Sirius, però, era troppo lontano per udire la minaccia.

 

E la mattina dopo era troppo tardi per porvi rimedio.

Quella, per Sirius Black, fu una lunghissima giornata.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Ho fatto di Sirius uno zimbello e ho il vago sospetto che presto mi verrà recapitata una denuncia da parte dell'amata zia.

Comunque, sappiate che non l'ho mica fatto apposta, eh. Io amo Sirius, ve lo giuro.

E Remus, ossignore, con Remus ho esagerato. Ho fatto di lui una piccola, turbata ragazzina con complessi da Mary Sue.

Ma forse - e dico forse - a voi di tutto questo mio ciarlare non importa nulla.

Perciò, ciancio alle bande e passiamo alle cose serie.

Innanzitutto, permettetemi di esprimere la mia somma gioia circa questo capitolo perché, invero, ero proprio sicura di non riuscire a concluderlo entro oggi. E invece! Oh, unitevi al mio gaio, su.

Poi, ebbene signori miei, io continuo ad essere ad ogni capitolo sempre più stupefatta circa il seguito di questa storia. Nello scorso capitolo avete recensito in dieci e i seguiti aumentano a vista d'occhio.

Onestamente, per questa storia mi aspettavo tutto tranne che questo successo! E questo contribuisce ad incrementare nettamente il mio gaio, al quale, se desiderate, potete nuovamente prendere parte. :3

Poi, bene, lo sapete che March mi vizia, no? E allora, toh, beccatevi l'ennesima meraviglia di questo splendore di ragazza. Come sempre, amatela dal profondo. ♥

Ah, forse avrete notato l'inserimento del pairing Remus/Sirius. Ebbene, a questo punto, era davvero necessario. Così è deciso, l'udienza è tolta.

Ultima cosa: l'appellativo dato a Remus, ragazzo-lupo, è stato gentilmente scippato a Robb Stark.

Bene, questo capitolo ritengo sia il clue del clue del clue della stupidaggine, ma spero che vi abbia comunque strappato un sorriso.

Un messaggio per March: tesoro bbbello, se anche qui riesci a cogliere l'angst... ebbene, visita quanto prima uno specialista. ♥♥♥

Vi saluto, bella gente, e vi prometto una risposta in tempi - si spera - brevi alle vostre meraviglierrime recensioni.

(Un saluto speciale a Frency perché lei è agdusfigweifwe. ♥)

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII: (S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi ***


Nuova pagina 1

 

9. Capitolo VIII.

(S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi.

 

 

 

 

Nei giorni a venire, Lily Evans ebbe modo di riflettere. Molto e molto accuratamente.

Nessuno avrebbe mai potuto dirle di aver trascurato la questione o di non aver dato peso a tutte le prove raccolte.

A conti fatti, la giovane Evans disponeva delle parole – discutibili – dei migliori amici di Spostato (non osava pensare a lui con il suo vero nome), che aveva attentamente passato al setaccio, arrivando alla conclusione che esse – per forza di cose – erano inequivocabilmente false.

Remus Lupin si era rivelato un improbabile bugiardo; le aveva mentito proprio nella fase più delicata e decisiva di quella assurda corrispondenza, rafforzando i suoi propositi, tentandola e, infine, convincendola.

Sirius Black era Sirius Black e tanto bastava a Lily per decretare le sue parole false, dettate probabilmente da qualche sentimentalismo nei confronti del suo compare Spostato.

 

Eppure, Lily si sforzò di aggirare le apparenze, calandosi in un’analisi più approfondita della personalità di entrambi. Di prezioso aiuto fu il tomo gentilmente concessole da Mary, che, invero, non disse nulla di nuovo ma, in compenso al tempo perso, servì a cementificare i suoi precedenti ragionamenti.

 

Secondo il terzo capitolo del libro di Mary (“(S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi”), la menzogna era una componente basilare del DNA maschile almeno quanto lo era l’irritabilità in quello femminile. Pertanto, se un uomo vi ha mentito una volta e vi ha promesso che mai più accadrà, non innalzate favolosi castelli per aria: sappiate che, a dispetto di ogni vostro sforzo, gesto o parola, lui continuerà a mentire.

In fondo, ragazze, non potete mica arrestare la frenetica corsa di una pallina su un piano inclinato, vero?.

Lily, nel mentre che leggeva quel passaggio, annuì convinta, decidendo che quel libro le piaceva, perché, inspiegabilmente, ogni fatto negativo che si menzionava circa gli uomini era l’ennesimo sinonimo dello stesso nome: James Potter.

 

E quell’arringa sulla menzogna, poi, calzava addosso a Sirius Black meglio di quei suoi pantaloni neri.

 

Quanto a Remus... Lily dovette rileggere a fondo il paragrafo 2 del capitolo 3, ossia: “Quando gli ingenui mentono: perché?”, nel quale si leggeva chiaramente che “non dovete diffidare di un uomo sincero e leale che vi ha mentito una volta sola: chi è propenso alla sincerità proverà una forte dissonanza davanti all’esigenza di remar contro i propri principi e sulla base di questo, donne, state per certo che lui, per la propria quiete mentale (sicuramente non per la vostra), non vi mentirà più e cercherà, al contrario, di rimediare al danno con un’improbabile quanto rivelatrice verità e non una verità qualsiasi, bensì quella verità che vi è stata tenuta accuratamente nascosta. Pertanto, approfittatene”.

Eppure, nonostante le belle parole di rassicurazione, Lily non cedette e si limitò a voltare pagina.

Stava per intraprendere la scottante lettura del capitolo 4 (“Uomini e lenzuola: come convincerli di essere stati amanti sensazionali”) quando Mary e Marlene rientrarono in Dormitorio.

 

«Lily», cinguettò Mary, schioccando la lingua, «quel mio libro è illuminante, non è vero? Perché tu sei giunta all’illuminazione, sì?»

 

Ora, contrariamente a quanto i lettori avranno dedotto, Lily Evans non aveva avuto nessuna illuminazione, o folgorazione, o intuizione, o ispirazione, o qualsiasi altra cosa che terminasse per –zione.

 

«Macché. Questo libro è carino, sul serio, Mary, ma io ho ancora dei dubbi».

 

«Sì sì, d’accordo, ma avrai pure un’idea, seppur labile e ancora sfocata, no?»

 

«Credo che tutti mi abbiano mentito. Credo di essere incappata in una sorta di tela fatta da ragni mentitori».

 

Mary scoccò una significativa occhiata a Marlene.

 

«Adesso, mia cara Marlene, converrai con me che Lily, effettivamente, necessita di una bella ripassata?»

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

James Potter si trastullava con quel vecchio Boccino rubato molto tempo prima.

Gli permetteva di allontanarsi di qualche pollice prima che la sua mano, fulminea, scattasse in avanti, acchiappandolo.

Ripeté quel gesto esattamente ottantotto volte prima che, spazientito, lanciasse il Boccino, che sfrecciò impazzito dall’altra parte della stanza...

 

... colpendo in pieno viso (o meglio, naso) il malcapitato Remus Lupin, ragazzo-lupo innamorato del ragazzo-cane.

Emise un grugnito di dolore e le sue mani si richiusero a coppa sulla zona lesa. Iniziò quindi una specie di balletto ubriaco, piegandosi talvolta in avanti.

 

«Merlino, mi dispiace, Remus! Perché diavolo non bussi, prima di entrare?»

 

«Tu bussi prima di entrare in casa tua?» domandò furente e stava indubbiamente per lanciarsi in una delle sue classiche invettive contro-James, salvo poi trattenersi alla vista di una singola, impercettibile lacrima di sangue che gli carezzò le labbra prima di adagiarsi sul dorso della mano.

 

«Puoi evitare di svenire? Ho bisogno di conforto».

 

Sirius entrò in quello stesso momento.

Sirius era sempre incredibilmente provvidenziale.

Sirius aveva braccia forti che, ancora una volta, sorressero un incosciente Remus.

 

«Qualcuno mi spieghi perché questo deve sempre accadere a me».

 

«Non so, chiedi a loro».

 

Loro erano alcuni ragazzini del primo anno, curiosi e impalati nel mezzo del corridoio.

 

«Piccoli, dolci, ragazzini...»

 

E poi ci fu come una scarica di adrenalina nell’aria, che immobilizzò il tempo per pochi attimi, paralizzando ogni cellula dei loro corpi.

E quando la scarica evaporò, accadde tutto troppo velocemente.

Remus venne lasciato a schiantarsi sul soffice tappeto rosso. Sirius inseguì i ragazzini. I ragazzini urlarono spaventati.

James balzò sul pavimento, chinandosi al capezzale dell’amico svenuto.

 

Fortunatamente, James Potter aveva una magia per ogni evenienza.

Anche per gli svenimenti di routine di Remus.

 

«Aguamenti».

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus si svegliò in una pozza d’acqua gelida.

Avrebbe indubbiamente insultato James e la sua non-intelligenza se un esasperante eccesso di starnuti non l’avesse intralciato.

 

«Ti senti meglio?» domandò James, riponendo con indifferenza la bacchetta.

 

«Credevo tu avessi toccato il fondo con quella ridicola idea dei biglietti. Ora so che mi sbagliavo».

 

«Mio caro amico, risparmiami le tue frecciatine pungenti e aiutami a venire a capo di questa situazione. Lily non mi parla più, neppure mi guarda. Pretendo una soluzione da parte tua».

 

Remus acciuffò un asciugamano abbandonato sulla testiera del letto, frizionando con forza i capelli. James dimenticò per un attimo i suoi piccoli problemi di cuore per informarlo di quanto quel look ribelle gli stesse dannatamente bene addosso.

 

«Tu pretendi l’impossibile. Io ti avevo avvertito».

 

Io ti avevo avvertito era la frase preferita di Remus, le uniche parole che contribuivano a gonfiare il suo senso di responsabilità, nonché la sua più intima soddisfazione.

Io ti avevo avvertito erano le parole che James e Sirius più odiavano, precedute solo da eccitazione non soddisfatta.

 

«Andiamo, su. Lily ha visto quello che sono e non si è certo lamentata. Devo solo convincerla che non era una finzione» ribatté, prendendosi il mento tra le dita.

 

«Ma lo era! James, tu ti sei spacciato per un altro. Per un Corvonero».

 

«Idea di Sirius, io non c’entro» buttò le mani in avanti, scuotendole a mezz’aria, come se questo avesse potuto aiutarlo a liberarsi delle sue colpe.

 

«Fermo resta che ti sei spacciato per un altro e l’idea è stata unicamente tua. Avresti dovuto ascoltarmi, ma nessuno lo fa mai e poi venite a piangermi addosso quando è troppo tardi. Tu, in particolare, hai sempre dato ascolto a Sirius – quasi che il cane fossi tu e non viceversa – quindi fatti aiutare da lui» lo redarguì, controllando poi l’orologio.

 

«L’ora libera è terminata e io ho Rune Antiche» afferrò la propria cartella, facendo un rapido inventario.

 

«Parlerai con lei?»

 

Remus imprecò mentalmente.

James Potter e i suoi uggiolii tristi.

James Potter e i suoi occhi da cane bastonato.

 

Sirius Black e la sua stramaledetta influenza.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Le labbra di Mary erano morbide e, complici, seguivano le sue.

Era remissiva e quasi tenera mentre la teneva stretta, era bella con le guance arrossate e il respiro spezzato.

Era quella sbagliata.

Sirius si scostò delicatamente da lei, allontanandola dolcemente.

 

«Devi andare a lezione?» gli domandò, rassettandosi il mantello.

 

«Devo risolvere una faccenda. Devo... capire».

 

Mary annuì – in quel suo particolare modo, come se avesse appena colto tutti i segreti del mondo – e si scostò ulteriormente.

Sirius le baciò una guancia e il profumo intenso di lei gli fece chiudere gli occhi per pochi secondi, immobile e incerto. Confuso.

 

«Poteva funzionare, sai? Siamo uguali, io e te. Provo invidia per Remus» disse, di punto in bianco.

 

«Cosa?»

 

«Oh, Sirius, io ti conosco. Ti piace sentire il corpo di una ragazza, ti piace baciarne le labbra e carezzarne il viso, ma nessuna ragazza è mai andata bene per te. Ti sei mai chiesto perché?»

 

No, naturalmente.

 

«Perché non ho mai trovato quella giusta» replicò deciso, incrociando le braccia al petto.

Mary era una tipa interessante, incredibilmente provvidenziale.

La sua testa era vuota per un quarto, certo, e i restanti tre quarti erano occupati rispettivamente da studio, ragazzi e moda. Ma c’era una parte di lei – piccola e radicata nel profondo – che era capace di vedere.

 

«Mettila pure così, se ti fa piacere. E non scoraggiarti se ti dico che tu, quella giusta, non la troverai mai. Il tuo corpo non capisce, agisce sull’onda degli ormoni, è confuso e brama la calda presenza di una donna. Ma il tuo cuore... oh, lui si fa beffa di te, Sirius Black. Ti illude sulle ragazze, ti cela il vero sul tuo amico Remus. Ma, per fortuna, pare che tu abbia aperto gli occhi».

 

Sirius annuì affascinato, giungendo alla conclusione che Mary avrebbe proprio dovuto smettere di frequentare Divinazione e quell’assurda professoressa Mallen.

E magari evitare la lettura di quelle riviste al femminile.

 

Ovviamente, ritirò qualsiasi cosa buona che aveva pensato di lei.

Quella parte piccola, radicata e intelligente era fin troppo radicata. Perduta, probabilmente.

 

Eppure, anche quando prese posto nell’aula di Incantesimi, le sue parole tornarono a rimbalzargli addosso, gettandolo in una confusione ancora maggiore.

E stava giusto per appallottolare un foglio e gettarlo contro la nuca di Roy di Serpeverde – giusto per sfogare la frustrazione – quando Remus prese posto accanto a lui.

Ogni nervo affiorò sottopelle e la mano, nervosa, corse a grattare spasmodicamente la nuca.

 

«Incanto Proteus. Dicono sia tra gli incantesimi più difficili e l’anno scorso lo hanno richiesto durante i M.A.G.O.» lo informò, aprendo il suo libro.

A Sirius, invero, dell’Incanto Proteus non importava assolutamente un accidente.

 

«Tanto ci sarai tu ad aiutarci» buttò lì, giusto per mostrarsi educato.

 

Sorrise.

«Mi domando cosa farete se io dovessi morire da qui agli esami. È qualcosa che mi incuriosisce terribilmente».

 

A Sirius la prospettiva parve triste e una mano volò alla bocca dello stomaco, saggiandone il vuoto improvviso.

Avrei dovuto mangiare di più a colazione. Sapevo che i tre panini, le due fette di crostata, le sette focaccine e le quattro salsicce non mi avrebbero riempito.

 

«Verremmo tutti bocciati, naturalmente e—»

Remus non seppe mai cosa sarebbe accaduto loro oltre la bocciatura.

Roy e il suo compare, Muller, entrambi Serpeverde fino al midollo, si voltarono verso loro.

I loro visi erano un paio di maschere di pregiata cattiveria.

 

«State organizzando la vostra festa di fidanzamento?» intervenne Roy.

«Ehi, Lupin, è vero che voi finocchi vi sbattete solo a novanta gradi?» rincarò Muller.

 

«È vero che per il vostro cervello da Serpeverde non esiste una cura e mai esisterà?»

 

Lily Evans, incredibilmente tranquilla nella sua rabbia, si ergeva alle spalle di Sirius e Remus, le braccia ben incrociate al petto e gli occhi verdi scintillanti di indignazione.

 

«Oh-oh-oh, la Mezzosangue che difende i finocchi; ehi, Roy, queste cose non le vedi mica tutti i giorni!»

 

E adesso i lettori staranno pensando, a giusta ragione, che il diverbio sarebbe sfociato in un appassionante duello di magia, fatto di incanti prodigiosi e maledizioni terribili.

Eppure, come accade anche spesso nella vita da Babbani, il professor Vitious si rivelò essere il deus ex machina della situazione e, dall’altro dei suoi quattro piedi scarsi, mise fine al litigio con un delizioso sventolio di bacchetta che riportò al proprio posto i ragazzi, quasi fossero stati marionette nelle sue mani.

Occorre però precisare che l’udito dell’anziano professore era di molto inversamente proporzionale alla sua altezza e nulla poté risparmiare una sostanziosa perdita di punti per entrambe le Case.

Sirius ebbe anche il piccolo bonus di una punizione quando mise in dubbio la vista del professore, sostenendo che era contro ogni criterio logico che la vittima pagasse per i soprusi dei colpevoli.

Così come era contro ogni criterio logico che Sirius Black dicesse qualcosa di così grave e la passasse liscia.

 

«Adesso, ragazzi, se voleste farmi la cortesia di accantonare le vostre rivalità ed estrarre le bacchette... abbiamo un Incanto Proteus da imparare».

 

Sirius dovette inghiottire il boccone amaro ed obbedire, senza però riuscire a non rimuginare su quanto fosse appena accaduto.

Due cose erano successe: primo, Lily Evans si era posta in loro difesa, accantonando l’aperta disapprovazione che provava per entrambi; secondo, Sirius aveva avuto una gran voglia di risolvere la faccenda alla Babbana, scagliandosi con impeto su quei due gonfi sacchi di demenza.

E tutto ciò solo perché quell’idiota aveva insultato Remus.

 

Non ebbe il coraggio, però, di domandarsi come avrebbe reagito se, per un assurdo volere del destino, avesse sorpreso Remus accanto ad un'altra persona.

Ad un altro ragazzo.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

James Potter venne a conoscenza del piccolo incidente di percorso con i Serpeverde solo nel tardo pomeriggio, quando due ragazze Corvonero ne parlavano in corridoio, arrossendo come un paio di stupide quando toccarono l’argomento probabile-omosessualità-di-Sirius.

 

Sapeva che non avrebbe dovuto saltare Incantesimi (giacché era universalmente noto che ogni qualvolta che James era assente, qualcosa di interessante accadeva. Sempre), che non si sarebbe mai più rimesso in pari con l’Incanto Proteus, che aveva indubbiamente preso un sacco di freddo per nulla.

Ma doveva provarci.

 

Ancora una volta, aveva seguito sia il consiglio di Remus (rivolgiti a Sirius), sia quello di Sirius (è iniziato tutto da un foglio e tutto può essere sistemato con altro foglio).

Perciò, appollaiato sull’ultimo gradino delle scale e armato di penna, calamaio e pergamena, aveva scritto una lunga lettera da indirizzare a Lily, vergando parole nelle quale faticava a riconoscersi.

Aveva spezzato ogni freno e ogni briglia, mettendo nero su bianco tutto quel che aveva taciuto in quei cinque, interminabili anni.

 

Eppure, più rileggeva, più i suoi propositi desistevano.

Lily non gli parlava da una settimana, non lo guardava neppure. Se capitava di incrociarsi in un corridoio, lei si voltava platealmente e marciava nella direzione opposta, scappando come se alle calcagna avesse il Gramo.

E anche ogni tentativo di James, d’altra parte, era andato a male.

La prima volta che l’aveva avvicinata ne aveva ricavato un doloroso ceffone sulla guancia sinistra. E non aveva neppure iniziato a parlare.

La seconda volta andò meglio. Lily lo lasciò parlare e quando seguì un lungo silenzio – che James aveva sperato si colmasse del perdono di lei – fatto di aspettative, lei sorrise con cattiveria, scosse la testa e andò via.

La terza volta lo confondeva ancora. Un attimo prima era nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, ad esercitarsi con Frank Paciok sugli incantesimi di disarmo, e l’attimo dopo aveva riaperto gli occhi in un letto dell’Infermeria, pallido e dolorante, con il fianco sinistro che, di tanto in tanto, ancora pulsava di dolore.

Solo in seguito aveva scoperto che un incantesimo di Lily lo aveva accidentalmente colpito.

E lui preferiva credere che fosse andata davvero così.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Attese due giorni prima di appallottolare il foglio di pergamena e gettarlo nel cestino del bagno.

Lo vide confondersi in quel mucchio umido di carta igienica, inumidirsi a sua volta, ritraendosi.

Parole inutili per un intento ancora più inutile.

Era giusto che quel foglio marcisse in quel secchio di plastica.

Era giusto che anche le sue aspettative, infine, marcissero.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus lo notò quasi per caso. Uno dei bottoni del mantello era saltato via, ticchettando ritmicamente sul pavimento. E solo quando si era chinato per raccoglierlo, l’aveva vista.

Una palla di carta grezza e gialla, macchiata di parole intellegibili.

Senza pensare, lo raccolse e lo dispiegò.

Lesse il testo un paio di volte. E capì di non aver mai capito niente.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lo affrontò quando James tornò dall’allenamento di Quidditch. Un allenamento intenso e sfiancante, in vista dell’imminente partita contro Tassorosso.

 

«Dovresti dargliela, sai?»

 

James si immobilizzò e, nel voltarsi, ciondolò un poco. Era sbigottito.

 

«Remus, non starai subendo un po’ troppo l’influsso di Sirius? Da quando sei così volgare?»

 

«Sto parlando di questa» e gli lanciò la pergamena accartocciata. Il sorriso di scherno di James scivolò via, virando verso il basso, sino ad estinguersi.

 

«Remus», iniziò, spogliandosi degli abiti sporchi e sudati, «mamma e papà non ti hanno insegnato che non si fruga nell’immondizia?»

 

Remus ebbe il buon gusto di arrossire.

 

«Perché l’hai buttata?»

 

«Ma soprattutto, mamma e papà non ti hanno insegnato a non ficcanasare negli affari altrui?»

Si liberò dei pantaloni. La pioggia lo aveva raggiunto ovunque, anche e perfino nelle mutande, che aderivano alle cosce, flosce e pesanti.

Tenne l’indumento tra le mani, fissandolo con insistenza. Poi, parlò. E quel suo sguardo...

 

«Remus, siamo amici. Io ti rispetto e ti voglio bene, non esiterei a dare la mia vita per te, ma ci sono limiti che ognuno di noi deve guardarsi bene dal non oltrepassare. Fa’ che non accada più, d’accordo?»

C’era una dolcezza tagliente nella sua voce, una vena di irritazione repressa, c’era una sottile minaccia nella sua mano bagnata posata sulla spalla di Remus.

Gli diede qualche pacca sulla schiena, dirigendosi al bagno.

 

«Ah», disse, voltandosi, «rimetti questa dove l’hai trovata, dopo» e gli restituì la palla di carta, che, in una parabola perfetta, attraversò la stanza, appollaiandosi dritta tra le mani di Remus.

Lui annuì, ma quando la porta del bagno si chiuse con un tonfo nervoso, Remus dispiegò il foglio, lo lisciò con cura e lo ripiegò correttamente, riponendolo infine sotto lo spesso strato nero dei suoi calzini.

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Non me ne vogliano gli eventuali lettori maschi in ascolto, né me ne vogliano le ragazze, ma dovrete convenire con me che la menzogna è insita nella natura umana maschile. A volte è più marcata, altre meno, ma c'è.

Liberissime/i di dissentire, comunque. Anzi, sapete che vi dico? Sarei proprio curiosa di sapere cosa ne pensate, possibilmente senza scatenare flame. ♥

Dunque, avrete senz'altro notato che questo capitolo è lievemente più lungo dei precedenti e temo sia stata una scelta necessaria: i precedenti capitoli, pur vantando sei pagine di word, erano troppi brevi. Mi è parso giusto rincarare la dose.

Inoltre, per la gioia di Giuls, ho dovuto introdurre momenti angstosi e alternarli a momenti più dementi. Vedi Lily e compagnia.

E, invece, per la nostra gioia, io propongo un altro banner di Giuls, la quale mi sta decisamente viziando troppo. Guest star di oggi è il nostro amatissimo, imbecilissimo Sirius. Amatelo. E amate March, è un ordine. ♥

Ora, io avevo tantissime cose da dire, ma al momento attuale non ne rammento neppure una, quindi concludo qui. Lungi da me l'intenzione di annoiarvi.

(As usual, un saluto speciale alla Frency, che attende sempre con ossessiva impazienza un nuovo capitolo di Anon. E un saluto anche a Nals, perché la amo.)

 

PS: La mia distrazione, di questi tempi, è ai massimi storici; se doveste notare errori di ogni sorta, non esitate a comunicarmeli!

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 10
*** Capitolo IX: Qualcosa di diverso dall’ordinario: compleanni ignorati, ragazze-procione e gli errori di Remus. ***


Nuova pagina 1

 

10. Capitolo IX.

Qualcosa di diverso dall’ordinario: compleanni ignorati, ragazze-procione e gli errori di Remus.

 

 

 

 

«Shh, fate silenzio o il mio brillante piano salterà».

 

«Sei un imbecille, Sirius. Dimmi: hai studiato per diventarlo o è un talento innato?»

 

«Fa’ silenzio, cucciolo. Oh, oh, è il momento, tutti in posizione! Frank, accanto a Peter, dai dai, svelto!»

 

Gli occhi di James Potter sfarfallarono piano e quando il giovane fu completamente scivolato dall’oblio, le sue palpebre si spalancarono attonite.

Poi, urlò.

 

«AAAAH!»

 

«AAAAH!» urlarono in risposta gli altri.

 

«Ah» mugolò Remus, privo di entusiasmo.

 

James si inerpicò sul cuscino, mettendosi faticosamente a sedere. Raccattò gli occhiali con movimenti impacciati e scoordinati. Poi, con la voce arrochita dal sonno, parlò.

«Siete ubriachi. Fottuto Merlino, siete ubriachi da fare schifo».

 

«Non ancora» ribatté Sirius, sedendo accanto a lui e passandogli un braccio attorno alle spalle.

Remus indietreggiò.

 

«Benvenuto al mondo per la diciottesima volta, compare».

 

Le parole apparentemente insensate di Sirius fecero breccia nel cervello del giovane e alquanto intontito Potter solo dopo che le lancette del suo orologio ebbero battuto diversi secondi.

 

«Ventisette marzo. Il mio compleanno» attestò scioccamente, strofinandosi il naso.

 

«Baldoria, baldoria tutta la sera!» strepitò Sirius, gettandosi poi in ginocchio sul pavimento per emulare un assolo di chitarra, accompagnato da cantilentanti “wa, wa, wa” in falsetto, un misero tentativo di riprodurre lo stridio di una chitarra elettrica.

 

Remus scosse la testa, amareggiato.

 

«Voglio che tu sappia», disse, posando una mano sulla spalla di James, «che io non c’entro nulla con tutto ciò» e solo quando gli ebbe donato qualche pacca comprensiva sulla schiena raccolse la sua cartella, fece il solito, rapido inventario di libri e quaderni e andò via, non prima d’aver controllato nel riflesso della finestra che la cravatta fosse ancora accuratamente annodata.

 

«Fissato» mormorò Sirius, non senza aver prima squadrato criticamente la figura sottile di Remus.

 

«Sentite, io apprezzo la vostra, uhm, partecipazione, sul serio, ma non ho voglia di festeggiare».

I sorrisi carichi di aspettative si gelarono sulle labbra dei presenti.

Sirius abbozzò una specie di latrato.

 

«Parli così perché sei ancora mezzo addormentato e—»

 

«No» lo interruppe bruscamente, scalciando via le coperte e ignorando volutamente la montagnola di regali ai piedi del suo letto.

 

«Non apri i regali, James?» domandò Peter, un poco intristito.

 

«Dopo» concesse vago, un sorriso di scuse sulla bocca.

E senza dire altro, si preparò ad una nuova giornata scolastica, sgonfiando l’entusiasmo dei compagni di camera.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

«Plebea», l’apostrofò Mary, «sai chi compie gli anni, oggi?»

 

«Il tuo cervello? È riuscito ad arrivare a compiere un anno?»

 

«Ah. Ah. Ah. No, ritenta» la incitò, incrociando le braccia al petto.

 

«Qualche tuo ragazzo? Tuo fratello? Il tuo gufo?»

 

«James Potter» soffiò languidamente, calda e delicata come il bacio di un amante.

Le dita di Lily s’aggrovigliarono e il nodo alla cravatta si disfò.

Sbuffò.

 

«Senti, Mary, sono dispiaciuta per il tuo libro. Non è che l’ho volontariamente bruciato».

 

Negli occhi azzurri di Mary balenò un lampo d’improvvisa ira.

Era accaduto qualche giorno prima e Lily era realmente innocente.

Avendo molto apprezzato il volume sui (s)ragionamenti maschili, Lily aveva domandato se la ragazza, per caso, non possedesse anche il volume al femminile.

Mary glielo aveva procurato il giorno dopo, scavando nel fondo del suo baule.

Ma, come spesso accade per chi possiede un animo particolarmente suscettibile, il titolo l’aveva profondamente infastidita (“Paturnie femminili: salvatevi o sarete condannati”), giacché le era parso gratuitamente cattivo e superficiale.

Quel piccolo malessere, comunque, aveva innescato un sottile meccanismo di rifiuto, tanto che a lettura ultimata la bacchetta posata sul comodino aveva letteralmente sputacchiato scintille d’un violetto intenso e l’attimo dopo – PUFF! – il libro era diventato una moltitudine di lingue viola e gelide che, assurdamente, ne bruciavano le pagine, propagando nell’aria un magro lezzo di bruciato e scricchiolii simili a gemiti doloranti.

Mary non aveva apprezzato molto.

E da quel giorno, soprattutto, aveva iniziato a chiamarla “plebea”. Un appellativo indubbiamente preso in prestito da Black, il quale appellava praticamente tutti a quel modo, senza tuttavia l’esile vena di cattiveria che ci imprimeva Mary.

 

«Non importa, mia amica plebea. Piuttosto, cosa regalerai a Potter?»

 

«Cosa non gli regalerò, ossia tutto» precisò, annodando la cravatta e riuscendo nel tentativo.

 

«Non essere cattiva, su. Perché non mandargli un bel biglietto d’aug—»

 

FRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR!

 

La bacchetta di Lily sputacchiò nuove scintille violette, che strisciarono sul pavimento come un’entità viva e liquida.
Mary indietreggiò molto aggraziatamente.

E Lily capì che c’erano certe parole che non potevano essere ancora tollerate.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

«Signor Lupin, non ci siamo».

Il richiamo della McGranitt ammantò di silenzio la classe ed ebbe il curioso potere di far spalancare gli occhi dei presenti in una muta smorfia di stupore.

 

Remus annuì e posò la bacchetta sul tavolo, tornando a sedere.

 

«Di grazia, cosa stai facendo?»

 

«La prego di scusarmi, professoressa, ma oggi non riesco davvero a prestare l’attenzione necessaria» mugugnò educatamente, fissando con intensità le unghie della mano destra.

 

Perfino la McGranitt tacque.

Cattivo, cattivissimo segno.

 

«Ti ordino di riprendere quella bacchetta e ripetere l’esercizio, signor Lupin».

 

Remus, visibilmente amareggiato, s’alzò e obbedì, domandandosi perché quel giorno la professoressa lo avesse eletto a studente del giorno.

È giusto specificare ai lettori che Remus, quel giorno, aveva la testa veramente altrove.

Al principio di tutto c’era quello strano sogno fatto la notte prima.

Aveva visto se stesso da fuori, una matassa di nervi, tendini e pelo, un muso allungato e fauci umide di bava, puntate dritte alla gola di un immenso cane nero.

Aveva cercato di gettarsi tra i due, dividerli, ma, all’improvviso, del lupo e del cane era rimasto solo l’odore; al loro posto erano subentrati Remus e Sirius, nudi e sudati, intrappolati in un groviglio di braccia e gambe.

Vedeva se stesso artigliare le spalle di Sirius, stringere i denti sulla pelle morbida del suo collo. Vedeva Sirius stringere i denti di dolore, che lottava, spingendo le dita tra i suoi capelli.

Avrebbe voluto nuovamente frapporsi tra i due, impedire di azzannarsi reciprocamente, ma poi capì.

Capì che non stavano lottando.

E si era destato così, sconvolto e in un bagno di sudore, con una fastidiosa erezione tra le gambe.

Quel sogno l’aveva perseguitato per tutto il tempo, o forse era stato lui a perseguitarlo.

Aveva cercato di rintracciare, sempre e insistentemente, Sirius, ritagliando il sogno al suo corpo, escludendo tutto il resto. E non gli aveva giovato affatto.

 

«Ancora una volta, signor Lupin».

E Remus obbedì. Agitò la bacchetta e il procione s’agitò e mugolò, allungandosi e contorcendosi, fino a che, davanti a lui, non apparve una graziosa ragazza dai capelli sale e pepe e grandi occhi castani.

Un risultato ammirevole, se non fosse stato per le orecchie appuntite che spuntavano dai capelli, la coda che sferzava l’aria da sotto la gonna e le gambe interamente ricoperte di peli.

 

La classe si lasciò andare ad un eccesso di risate, salvo poi zittirsi davanti allo sguardo glaciale della donna.

 

«Signor Potter», soffiò dolcemente, «noto che è divertito dal tentativo del signor Lupin; venga qui e ci allieti con il suo talento» ordinò, non dimenticando certo di dargli del lei.

E Minerva McGranitt dava del lei solo in due circostanza: o quando gli studenti erano particolarmente dotati o quando erano particolarmente fuori dalle sue grazie.

A quale categoria Potter appartenesse, era ancora incerto. Ma le scommesse erano aperte come non mai.

 

«Bene. Dov’è il mio procione?»

La donna agitò la bacchetta e la graziosa fanciulla tornò ad essere un piccolo gomitolo di pelo.

James si schiarì la gola, chiuse gli occhi e richiamò a sé tutta la concentrazione possibile.

Poi, sollevò lentamente le palpebre e smosse il polso, sinuoso e leggero.

L’animale si contorse e... tutti i ragazzi in aula fischiarono ammirati.

 

Se la magia di Remus era stata accettabile ed era sfociata in una fanciulla carina, quella di James Potter aveva fatto faville.

La ragazza-procione sedeva sulla cattedra a gambe accavallate, trastullandosi con i suoi boccoli sale e pepe. I grandi occhi castani fissavano bramosi James e le sue belle labbra rosse erano contratte in una piccola smorfia innocente.

Ma, sopra tutto questo, era nuda, senza neppure un pelo a lambirle le gambe o le braccia.

 

«Sa, professoressa», iniziò James, passando un braccio attorno alla vita esile della ragazza-procione, «potrei perfino arrivare ad apprezzare la zoofilia».

La classe rise. Minerva McGranitt, invece, agitò la bacchetta e James si ritrovò con l’animale tra le braccia, il piccolo muso aguzzo che strusciava contro il suo petto.

Lo allontanò disgustato.

 

«... o forse no» si auto-rettificò, allontanandosi.

 

«Adesso che avete visto come funziona, mettetevi in fila, ordinatamente, e uno alla volta proverete».

 

James, dal canto suo, si sentì molto potente quando la professoressa lo guardò di sottecchi, un piccolissimo sorriso soddisfatto a piegarle le labbra.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily Evans era scarmigliata e infuriata quando la campanella squillò, decretando la fine della lezione di Trasfigurazione.

Il suo miglior tentativo era sfociato in un essere metà bambina e metà procione. Un essere abominevole, nulla a che vedere con la ragazza mozzafiato tirata fuori da James.

 

La docente era stata chiara: sarete voi a dare forma a quest’animale.

E Lily aveva immaginato una ragazza bella e innocente, ottenendo nella realtà una bambina brutta come la fame e la miseria.

La classe aveva riso di scherno ma, aveva notato, un po’ rincuorata, James Potter si era limitato ad un sorriso indulgente e vagamente incoraggiante, come a dirle: la prossima volta andrà meglio, riprovaci, su.

Era arrossita come una bimbetta, distogliendo lo sguardo.

E solo a quel punto James aveva riso sguaiatamente.

 

Lily aveva puntato a passo di carica al suo dormitorio, saltando il pranzo.

Aveva improvvisamente ricordato che era il compleanno di quel demente e voleva trovare un modo, uno qualsiasi, per rovinarglielo.

Girò in tondo nel dormitorio, cercando di farsi venire una valida idea, quando lo sguardo cadde sul baule aperto di Mary.

 

Sussultò. E poi sorrise malignamente.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Aspettò James in Sala d’Ingresso, appena prima che iniziasse l’ultima lezione del giorno, Erbologia.

S’acquattò accanto ad una colonna e attese, il piccolo involto tra le mani.

James sbucò dieci minuti dopo, scortato da Remus, Sirius e Peter, i suoi soliti, fidati compari.

 

«Potter» lo chiamò e il ragazzo sussultò, voltandosi.

 

«Oh. Evans» cinguettò, mormorando poi qualcosa all’orecchio dei compari, che prontamente andarono via.

A Lily dispiacque parecchio; la loro presenza avrebbe raddoppiato l’effetto umiliazione.

 

«Hai deciso di parlarmi?»

 

«No».

 

«Oh. Allora hai deciso di perdonarmi?»

 

«Neppure».

 

«Vuoi complimentarti per la mia ragazza-procione?»

 

Lily sorrise stizzita e gli cacciò l’involto tra le mani.

 

«Volevo solo farti un regalo, per il tuo compleanno» annunciò dolcemente.

 

James... lui fece una cosa strana.

Fissò l’involto come se lo avessero tramortito e sollevò lo sguardo su Lily, sorridendo sinceramente stupito.

Doveva essere quello il viso del James bambino.

Lily si sentì male e fu tentata di strappargli il pacco dalle mani. Ma fu troppo tardi.

James strappò la carta argentata e anche il suo sorriso si strappò.

Vide il suo pomo d’Adamo salire e scendere bruscamente, come se stesse inghiottendo un boccone pastoso e amaro.

Vide, per lo spazio di un baleno, la delusione nei suoi occhi. E qualcosa d’altro, di più profondo, di più antico.

 

«Oh, che pensiero carino. Sai che ho come l’impressione d’aver già visto questi guanti e questo berretto?»

 

«Oh, non ne dubito. Ma come ti dissi tanto tempo fa, Potter, io non voglio niente da te. Niente, niente di niente».

 

«Erano un regalo» ringhiò e non riuscì neppure a racimolare una piccola parte della sua solita nonchalance.

 

«Io non voglio regali da te» ribatté piccata, stringendo le labbra in modo molto McGranitt.

 

James parve sul punto di dire qualcosa di molto brutto e molto maleducato, ma tacque e trasse un gran respiro.

 

«E va bene», esclamò, gaio, «li terrò io, se proprio non li vuoi. Ciao ciao» scosse la mano, allontanandosi col suo solito passo baldanzoso.

Lily non sentì neppure metà di quella soddisfazione che s’era aspettata di provare.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus la raggiunse qualche ora dopo.
Erano tutti ammassati nella Sala Comune, giacché v’era stata una brutta esplosione al bagno comune del settimo piano e ogni corridoio grondava d’acqua melmosa, alta sino alla caviglia.

Qualcuno aveva sospettato che ci fosse sotto la bacchetta di James Potter, coperto di melma da capo a piedi, ma lui si era giustificato con un: sono scivolato.

Nessuno ci credeva.

 

E Malcolm Brady, dall’altro capo della Sala, teneva banco e incitava le scommesse sul perché Potter avesse fatto esplodere le tubature.

«Puntate, puntate! Non siate spilorci, puntate!» li incoraggiava, mentre due primine offrivano vassoi carichi di biscotti.

E in quello c’era stato lo zampino di Sirius. Sicuro.

 

Lily avrebbe dovuto intervenire, sottrarre a Malcolm tanti punti quanto erano i suoi neuroni esanimi, ma poi rifletté che sarebbe stata una punizione superficiale togliergli tanti punti quanto erano le dita della sua mano. E Malcolm era famoso per il suo mignolo amputato.

 

«Lily», la chiamò, «possiamo parlare?»

 

Remus appariva pallido e contrito, amareggiato per qualcosa.

La ragazza annuì, seguendolo nell’angolo più ombroso e appartato.

Remus estrasse un pezzo di carta stropicciato.

 

«Tieni, mettila via» le ordinò, spingendole la pergamena tra le mani. Lily la nascose in una tasta interna del suo mantello.

 

«Cos’è?»

 

«Qualcosa che devi leggere. Qualcosa che ti aiuterà a capire. Ma, ti prego, non farne parola con nessuno, nessuno, capito?»

 

«Va bene, ma... Remus, tutti questi intrighi non mi appassionano. Cosa succede? Prima il bagno che esplode e ora tu con questa pergamena...»

Lily era stata fin troppo veloce nel capire che le due cose, probabilmente, erano collegate. La tempistica non mentiva.

 

«Leggila. Stanotte, mentre le tue compagne dormono. E poi torna da me; dobbiamo davvero parlarne».

 

Lily annuì frastornata e osservò Remus allontanarsi.

Il mistero s’infittiva.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«James, dobbiamo parlare».

 

James Potter era nudo come il giorno in cui era nato.

 

«E... magari dovresti coprirti, non credi?» consigliò Remus, arrossendo.

 

«Non fare l’innocentino con me, Remmy-Remmy. Stanotte sei andato al bagno e hai tardato parecchio; cosa hai fatto, eh, malandrino?» lo stuzzicò e rise.

 

«Piantala» sbottò l’altro, la cui testa pareva l’incarnazione dei colori di Grifondoro: viso rosso e capelli dorati.

 

«Cosa vuoi, comunque?» chiese mentre svuotava il baule in maniera molto poco ordinata.

Presto, i suoi abiti furono sparpagliati sul pavimento, sui letti e sulla scrivania comune.

 

«Parlare di Lily. Cosa farai, con lei?»

 

James si rialzò con un reggiseno tra le dita.

 

«E questo? Un souvenir di Sirius?» non attese risposta; scrollò le spalle e lo gettò sul letto del legittimo proprietario.

 

«James...»

 

«Oh, ma dai!» ed estrasse un paio di sottilissimi slip.

«Come diavolo fanno le ragazze ad indossare queste cose?! Eccitanti, per carità, ma talmente scomodi!» e anche quelli raggiunsero il letto di Sirius.

 

«James, piantala e rispondimi!»

 

«Ma niente, Remus, cosa vuoi che faccia? Ormai ho capito che non c’è più speranza e quindi pace e amore, cercherò altrove».

 

Remus indietreggiò come se l’avesse schiaffeggiato.

 

«Ma...»

 

«Remus», disse e qualsiasi ilarità sparì dal suo viso, «Lily non mi vuole, okay? Non mi vorrà mai. Basta adesso, non voglio più sentir parlare di lei. È finita, finita» e si chiuse in bagno, soffocando ogni possibile protesta di Remus con lo scroscio intenso della doccia.

Il tono di James, l’aveva capito bene, non lasciava alcuna possibilità di confronto o, meglio, un’inversione di marcia.

Ogni volta che il ragazzo aveva parlato con così tanta serietà e così tanta determinazione, non aveva mai fallito in quel che si era prefissato.

L’ultima volta che qualcuno lo aveva contrariato, piazzandogli i bastoni tra le ruote, era stato due anni prima e lui e Frank si erano presi a calci e pugni e non si erano parlati per un anno. E nemmeno al momento attuale i loro rapporti erano idilliaci.

 

Remus deglutì.

 

«Merlino, cosa ho fatto?!»

 

 

 

 

 


 

 

NdA: Miei dèi, non riesco a crederci! Ho finito il capitolo, fuck yeah!
Pensavo di  non farcela, invece eccomi qua. Molto di fretta, ma sono qui.

Ho davvero pochissimo tempo - per adesso - quindi vi ringrazio immensamente per aver letto e ringrazio soprattutto chi ha recensito lo scorso capitolo: risponderò non appena mi sarà possibile.

MA. Ma non posso congedarmi senza presentarvi la guest-star di oggi, il nostro piccolo Finn, che ha ispirato tutte le ragazze-procione. ♥

Amatelo e amate anche la sua padrona, Eleutera. ♥

Bon, vi saluto e spero di ritrovarvi martedì prossimo, imprevisti permettendo.

 

PS: Se doveste notare errori di ogni sorta - cosa possibilissima - segnalatemeli; ho solo dato una lettura superficiale, che comunque approfondirò più tardi, ma nel mentre, se notate qualcosa, fatevi avanti. :3

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 11
*** Capitolo X: Sono solo parole. Ma anche pugni, graffi e ferite inattese ***


Nuova pagina 1

 

11. Capitolo X.

Sono solo parole. Ma anche pugni, graffi e ferite inattese.

 

 

 

 

Ci provò davvero.

Si distese supina, prona, su entrambi i lati, ma il sonno non la sfiorò neppure per sbaglio e fugacemente.

Le parole di quella lettera bruciavano ancora come acido corrosivo nelle vene, che le stringeva lo stomaco e le accartocciava il cuore.

Pensò più volte che Remus avesse volutamente attentato alla sua quiete mentale o che avesse contraffatto la pergamena, saturandola con qualche assurda maledizione volta ad ucciderla lentamente e brutalmente.

 

Lily Evans si agitò inquieta.

 

«Lily», la voce di Mary giunse tetra e opaca come quella di uno spettro, «se non la smetti di rigirarti vengo lì, mi Trasfiguro in ragazzo e... insomma, smettila, per le mutande luride di Merlino, io voglio dormire!» bisbigliò inviperita.

 

«Perdonami» soffiò laconicamente, acciuffando il pezzo di pergamena stropicciata e correndo in bagno.

Regolò l’intensità della lampada ad olio fino a che la stanza non si animò di ombre grottesche e sinistre.

La fiamma tremò e la pergamena parve tremare ai barbagli del fuoco.

 

La rilesse ancora una volta, incapace di conciliare il contenuto con la mano che l’aveva vergato.

Eppure, inutile illudersi: la pergamena era originale e quella era proprio la grafia di James.

James.

Le venne naturale chiamarlo così, senza cattiveria, senza cattivi sentimenti, senza nulla.

Le venne altrettanto naturale tracciare una linea di confine tra James e Potter, tra il ragazzo della lettera e quello che era solita frequentare.

Accarezzò la lettera e le fu impossibile non riconoscere Anonymous, tra quelle righe.

 

E per la prima volta, il dubbio la sfiorò: e se James non avesse mai avuto intenzione di burlarsi di lei? E se James fosse Anonymous e Potter solo una faccia dello stesso dado?

La lettera premuta tra l’indice e il palmo, Lily infossò la testa tra le mani, sbuffando esasperata.

Per fortuna, avrebbe avuto una settimana per riflettere, lontana da Potter, lontana da Hogwarts.

 

Pasqua era vicina e lei aveva davvero bisogno di riposare.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

James Potter ultimò i bagagli e fece un rapido inventario, avendo come la sensazione che qualcosa continuasse a mancare.

Perciò si guardò attorno e i suoi occhi incontrarono il cestino del bagno, incorniciato da uno spiraglio di porta e lo stipite.

Più volte, nei giorni precedenti, aveva provato il lancinante desiderio di recuperare quella lettera vergata in un momento di sconforto, un momento di rabbia, in cui avrebbe voluto picchiare selvaggiamente qualcuno e invece si era sfogato con la penna per arma e i sentimenti conflittuali per nemici.

Nessuno, in quei tre giorni, aveva toccato il cestino. Gli Elfi erano assai rigorosi in questo: nessun sacco veniva portato via fino a che non fosse stato riempito interamente. Agivano all’insegna del risparmio, loro.

Combattendo contro la parte più razionale di sé – che gli urlava letteralmente di non affondare la mano nelle carni aperte e sanguinanti – si inginocchiò lentamente accanto al cestino, scuotendolo e smuovendo le cartacce al suo interno.

Ma quella palla gialla e pergamenata non affiorò. Snervato, lo capovolse e si ritrovò circondato di rifiuti.

Scavò, cercò, senza trovare nulla.

Impossibile, si disse.

Allora sollevò il viso e fissò attentamente le piastrelle decorate a motivi leonini, come se potessero dargli la risposta.

Poi, la sua mente acuta si applicò e fece due più due.

Trattenne il fiato e tremò.

Poi gridò un nome.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus Lupin si sentì pervadere da un brivido freddo e malvagio.

È solo il freddo, Remus, non vedere cose che non esistono.

Si strinse la sciarpa attorno al collo, coprendosi la bocca. Il parco, a quell’ora del mattino, era assolato e pieno di studenti.

Peter aveva chiesto a Frank che aveva chiesto a Remus di reperire Sirius e comunicargli che la madre di Peter avrebbe avuto immenso piacere nell’averlo come loro ospite per le vacanze pasquali.

Era risaputo che la madre di Peter fosse un’accanita arrampicatrice sociale, che sfruttava le conoscenze del figlio per puntare agli alti ranghi del mondo magico.

Peccato che l’ambiziosa mezzosangue non fosse al corrente della scaramuccia tra Sirius e la sua famiglia.

Conoscendo Sirius, Remus ipotizzò che il ragazzo avrebbe accettato ugualmente l’invito, anche solo per prendersi gioco di quella donna; e lui, il giovane ragazzo-lupo, aveva intenzione di impedire che questo accadesse, giacché non avrebbe affatto giovato al già debole ego di Peter.

Aveva intenzione, infatti, di invitarlo a casa sua, ma dubitava fortemente che il ragazzo avrebbe accettato: i loro rapporti, negli ultimi tempi, si erano esauriti all’essenziale, nonché alla fredda e formale cortesia.

 

Dovette perlustrare attentamente il parco almeno due volte per rinvenire Sirius, comodamente sdraiato all’ombra di un abete, che fischiettava qualcosa ad occhi chiusi.

Gli smilzi ciuffi d’erba gli lambivano le guance, in delizioso contrasto con i capelli neri come carbone, lucidi, impeccabilmente puliti.

 

A Sirius Black potevano toccare tutto, ma non i capelli.

Si vociferava che impedisse alle sue ragazze di inoltrare le loro dita in quella compatta e ondulata massa nera, anche e soprattutto mentre amoreggiavano.

 

Remus si grattò il naso. Prudeva sempre quando era imbarazzato o nervoso.

 

«Ehi, Sirius».

 

Il ragazzo aprì languidamente gli occhi e le foglie stormirono; un raggio di sole colpì le iridi grigie per un attimo soltanto, facendole brillare. Poi le foglie si ricompattarono e il sole svanì dal suo viso.

 

«Cosa?»

 

«Ti va di venire da me, per Pasqua?»

 

«Così che tutti possano dirmi che abbiamo una storia? Onestamente, Remus, hai già rovinato abbastanza la mia vita hogwartsiana».

 

Remus arrossì.

 

«Ma io—»

 

«Taci, sii dignitoso».

 

Si squadrarono. Sirius sorrise condiscendente.

 

«Tua madre fa il pasticcio di carne?»

 

«Forse».

 

«Quello con la carne saltata nel vino bianco e le verdurine rosolate ad hoc

 

«Probabilmente».

 

«E farà anche quelle deliziose patate al forno, dorate, croccanti fuori e morbidissime dentro?»

 

«Mi hai preso per un maitre? Casa mia non è un ristorante ed è molto poco educato che l’ospite decida il menù al posto del padrone di casa» ribatté Remus, piccato.

Si voltò e s’allontanò a passo di marcia.

 

«Pretendo quel pasticcio!» urlò Sirius.

 

E Remus si sentì un po’ più leggero.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily non aveva neppure iniziato a stipare le sue cose nel baule.

Continuava a starsene con la testa tra le mani e la lettera tra le dita.

E i palmi erano così sudati che l’inchiostro si era disciolto sulla pelle e le parole erano diventate sbavature quasi intellegibili. Ma che importanza aveva? Lei, quelle parole, le aveva imparate a memoria, suo malgrado.

 

Non era una vera lettera. Erano pensieri buttati là, vergati in fretta, cancellati, corretti.

La fissò nuovamente, domandandosi perché mai, poi, fosse così turbata.

Sì, d’accordo, Potter aveva speso qualche parolina gentile, ma chi le garantiva che fossero vere? E se fosse stata tutta una messinscena?

 

«Ma certo!» sbottò, scattando in piedi.

 

E questo spiegava perché poi Remus voleva vederla con urgenza. Per confessarle che era stata l’ennesima trovata di Potter, naturalmente!

Si sentì così sciocca. Come aveva potuto cascarci così? Si era quasi, quasi, lasciata convincere che Potter in realtà fosse solo la maschera di se stesso.

 

Intascò la pergamena e decise di spezzare il tacito accordo preso con Remus.

Avrebbe affrontato quell’idiota, per primo, e poi, se fosse rimasto tempo, avrebbe pensato a Remus.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Allora proprio non vuoi capire, eh, imbecille?!»

 

Lo spinse, aggredendolo alle spalle. James, nonostante la grazia innata, inciampò nei suoi stessi piedi e ruzzolò sul pavimento. Gli occhiali andarono in frantumi.

Non ne fu affatto entusiasta.

 

«Hai il ciclo, Evans? Avevo una ragazza, tempo fa, che mi spaccò il labbro solo perché doveva sfogare il dolore alla pancia; che cosa amorevole, vero?» parlò lentamente, rassettandosi i pantaloni sgualciti e striati di polvere.

All’altezza delle ginocchia la stoffa era così impregnata che anche dopo molte pacche continuò a sfoggiare un opalescente ovale biancastro.

Gazza, caro vecchiaccio di merda, usi mai quella scopa per pulire? O te la rigiri—

 

«Cosa pensavi di fare? Pensavi che sarebbe bastata un’accozzaglia di cose scritte a casaccio per convincermi che tu, in realtà, provieni dalla Candida Rosa1

 

«Candida Rosa? Ma io veramente sono nato a Godric’s Hollow e ci vivo tuttora» ribatté ingenuamente, sorridendo apertamente.

Tuttavia, una tempesta infuriava oltre il suo sorriso da spaccone.

Di quale lettera stava parlando quella pazza scatenata? Quella che...?

 

«Remus. Te l’ha consegnata lui» non si sforzò neppure di imprimere alle parole il tono di una domanda.

 

«Ma certo che è stato lui! L’hai mandato tu, no?»

 

No.

 

«Ovviamente. Io agisco sempre accompagnato dai miei compari, non lo sai? Pensa che quando vado al bagno Sirius mi tiene la porta e Remus mi passa la carta igienica».

 

Lily sollevò le sopracciglia e aggrottò la fronte. Aveva un’espressione buffa, ma James era troppo furioso per poterne ridere.

 

«Tieni, comunque, è roba tua». Estrasse il foglio, lo appallottolò e glielo tirò addosso.

La pergamena lo colpì tra i capelli e balzò sulla sua spalla prima di rotolare sul pavimento.

James rimase perfettamente immobile, con una strana luce negli occhi.

La boria scivolò via dal viso di Lily.

 

«Ma—»

 

«Mi domando come ho potuto amarti. Sul serio, mi domando come ho potuto sprecare così tanto tempo dietro a... una come te».

 

Il viso di Lily avvampò.

«Una sanguesporco, è questo che vuoi dire?»

 

«No», replicò con un sorriso indulgente, «una stronza, questo voglio dire. Una piccola, saccente ragazzina, sempre pronta a berciare su cosa puoi o non puoi fare, che agita il culo sul suo prezioso piedistallo e ti fissa come se fossi l’ultimo dei vermi. Ecco chi è Lily Evans».

 

Lily schiuse la bocca diverse volte e tentò di parlare, ma non riuscì mai a trovare qualche cosa da dire.

Non fu facile ammetterlo, ma le parole di James la ferirono in profondità, come mai avrebbe potuto pensare.

E realizzò qualcosa che la scosse. Quando era lei ad insultare lui, provava uno strano senso di soddisfazione e potere, come se lei fosse autorizzata a farlo.

Ma quando, per la prima volta, accadde il contrario, si sentì ferita, si sentì come se qualcuno l’avesse picchiata ingiustamente.

Aveva sempre dato per scontato che Potter la desiderasse così intesamente da non essere capace di rivolgerle parole dure e cattive; lo considerava un ragazzo spaccone, certo, ma anche di indole molle, incapace di offendere o ferire.

Ma ora, Potter appariva come il più duro e sprezzante degli esseri umani.

Sentì gli occhi bruciare e la gola inondarsi di saliva.

È solo la stanchezza, solo i postumi della notte insonne, tutto qui.

 

«Sirius me lo diceva spesso; diceva di lasciarti in pace, che io ero troppo stupido per l’argutissima Lily Evans. Remus, oh, Remus invece diceva che dovevo cercare la tua amicizia, che eri una bella persona. E, sai, forse può sembrare strano, ma io ho sempre dato molto più ascolto a Remus che a Sirius; Remus, tra noi, è quello assennato, quello studioso, quello intelligente, quello saggio. Quello che mi ha... tradito, anche. Va bene», esclamò d’un tratto e tutta la cupezza defluì dal suo viso, lasciando posto ad un’espressione ilare «io non ho più niente da dirti. Buona vita, Lily Evans».

 

Raccolse la palla di carta dal pavimento e andò via, il sole che filtrava dalle arcate e gli danzava sui capelli neri come carbone.

Lily girò i tacchi e puntò al dormitorio; aveva dei bagagli da preparare e finalmente Potter aveva deciso di sparire dalla sua vita. Finalmente aveva acconsentito alla sua richiesta, seppur con anni di ritardo.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Il piano era: aspettare Remus, prenderlo a male parole e andarsene.

La realtà fu: balzare addosso a Remus, atterrarlo con un placcaggio perfetto, picchiarlo con soltanto un paio di montanti ben piazzati sul viso, urlargli di quanto fosse stato stronzo, pezzo di sterco e molte altre cose poco carine – che i lettori immagineranno senza difficoltà alcuna – e finalmente rialzarsi per andare via, infuriato.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Stai fermo, per le mutande di Merlino!»

 

Sirius l’aveva redarguito almeno dieci volte e per dieci volte Remus era sobbalzato bruscamente. L’alcol bruciava come l’inferno sui tagli che i pugni di James gli avevano procurato.

Se ne stavano entrambi in bagno, Remus seduto sulla tavoletta chiusa del water, con il gomito poggiato sul lavandino e Sirius in piedi davanti a lui, le dita umide di alcol e qualche filamento di ovatta appiccicato alla pelle.

 

«Allora», iniziò, picchettando delicatamente il batuffolo sullo squarcio al sopracciglio, «mi dici o no perché James ti ha conciato così?»

 

«Te l’ho detto, ho fatto una cosa stupida».

 

«Remus, tu sei stupido. Comunque, devo stare tutto il tempo a riempire i tuoi puntini di sospensione? Cazzo, parla e falla finita!»

 

Remus sbuffò ed esalò un lamentoso ahia!.

 

«Aveva scritto una lettera per Lily. Io l’ho raccolta e l’ho data a lei».

 

Le dita di Sirius rimasero sospese nel vuoto.

 

«Questo non si fa, Remus, non-si-fa. Insomma, mi stupisci; tu sei tante cose, ma non infame. Perché diavolo non ti sei fatto gli affari tuoi?»

 

«Volevo aiutarlo. Pensavo che se Lily avesse visto il vero James, il nostro James, avrebbe cambiato idea... Le avevo detto di venire da me, dopo aver letto quel foglio, e invece...»

 

«E invece la piccola idiota è corsa a difendere il suo orgoglio a spada tratta, povera cucciola; si sarà sentita presa in giro da James».

 

Seguì un momento di silenzio, poi Remus annuì piano. Sirius, nel frattempo, passò a detergere il taglio al labbro – una sanguinolenta linea obliqua, dalla quale fiottava ancora parecchio sangue – ordinando  all’amico di star fermo.

Remus, incredibilmente, obbedì senza ribattere.

 

«Fatto» esalò Sirius qualche minuto dopo, mentre, con mano ferma, apponeva un cerotto al taglio al sopracciglio.

Remus sollevò la testa per ringraziarlo, ma ciò che vide furono solamente gli occhi grigi e immobili di Sirius fissi su di lui.

Il suo respiro batteva sulla sua bocca schiusa; sapeva di arancia. Sirius aveva una vera ossessione per le caramelle all’arancia.

E poi accadde tutto con una lentezza esasperante.

Sirius si era chinato lentamente su di lui, le sue mani premute contro le mattonelle, i muscoli appena accennati delle spalle gonfi sotto la camicia abbottonata per metà.

Le sue labbra avevano toccato esitanti quelle di Remus; un contatto fievole, della durata di un secondo. Sirius aveva sondato il terreno e quando aveva capito d’essersi inoltrato in un territorio a lui ostile e sconosciuto si era ritratto, veloce, perplesso.

In tutto quello, aveva continuato a fissarlo insistentemente negli occhi, come a carpire una risposta ad una domanda che Remus non comprendeva.

E Remus, d’altra parte, era rosso in viso e perfino i tagli scarlatti si confondevano.

 

«Scusa, Remus, ma odio non ricordare le cose, lo sai2».

 

Remus non aveva la più pallida idea di quello che Sirius stava dicendo, ma l’educazione fu istintiva e lo portò ad annuire.

 

E come se non fosse accaduto nulla, Sirius gettò i batuffoli di cotone nel cestino e andò via.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily pressò i maglioncini e i pantaloni, chiudendo quindi il coperchio con un tonfo secco.

Poi si tastò le guance. Le sporadiche lacrime di rabbia si erano già asciugate sulla pelle, alcune erano precipitate sui suoi vestiti.

 

Si impose di non pensare a quel... quel... lui, insomma, e decise di ripassare le lezioni di Trasfigurazione, desiderosa di non fare nuovamente una pessima figura o di risentire la sua risata sguaiata...

 

«Lily, basta!» si redarguì ad alta voce proprio mentre Mary e Marlene rientravano in camera.

 

«Sai che quando una persona inizia a parlare da sola ci sono dei problemi, vero?»

 

«Oh, taci» sibilò, afferrando il mantello. Camminare le avrebbe fatto bene. Le avrebbe snebbiato il cervello e la patina di rabbia che lo rivestiva sarebbe evaporata sotto i raggi caldi del sole d’aprile.

O almeno, così sperava.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Vorrei non amarti, ma non riesco a farne a meno.

 

Se tu potessi veder Perché sei così cieca? Sono anni che mi piaci, anni che mi ignori.

 

Non ignorarmi. Devi proprio farlo? Non riesci a capire quanto questo sia insopportabile?

 

Ti sogno spesso. Ti vogl Ti vorrei.

Vorrei che tu mi vedessi per quello che sono. È così difficile? Perché non posso essere semplicemente James?

 

Perché non usciamo ins Dovresti almeno sperimentare la mia compagnia. Quando ero Anonymous ti piacevo. Perché non posso continuare a piacerti?

 

Cercami L’estate scorsa sono venuto a Spinner’s End. Sono rimasto sotto casa tua. Nonostante la pioggia e il fr Ho fissato a lungo una finestra, credo fosse la tua. C’era una tenda bianca con qualche disegno, non sono riuscito a capire quale.

Quando ho sentito la tua voce la pioggia non c’era più Ad un certo punto ti ho sentita parlare, pensavo ti fossi accorta di me. Invece stavi solo parlando con i tuoi.

Assomigli a tua madre. Hai i suoi stessi capelli rossi.

Ho parlato con tuo padre Tuo padre è un brav’uomo. Hai i suoi occhi.

 

Non riesco a stare con nessuna. Penso a te Ogni volta mi distraggo, sono assente.

La verità è che le altre non sono te.

 

Sirius dice di lasciarti perdere. Ma come faccio? Forse dovrei ascoltarlo.

Remus dice che devo continuare a provarci. Non sa quanto fa male A chi devo dare ascolto? Dimmelo tu

 

L’altra notte ti ho sognata. Eravamo felici e c’era un bambino con noi. Con occhi verdi come i tuoi Era nostro. Era meraviglioso, tutto Che cosa stupida.

 

Io getto la spugna. Questo è un prezzo troppo alto per me.

Tanto si tratta solo di avere pazienza, no? Qualche altro mese e poi non ci rivedremo mai più.

Cazzo Sarà meglio per tutti, non credi? Tu avrai la tua vita, io la mia. Forse

Mi mancherai Non ti penserò, neppure una volta. Troverò una brava ragazza e mi costruirò una famiglia mia. I miei figli non avranno i tuoi occhi

 

Mi viene da piangere Devo essere forte. I Potter sono forti. I Potter sono determinati.

I Potter soffrono sempre

 

Mia madre sta male. Morirà. Ho paura Mio padre non ce la fa. Nemmeno io

Il vaiolo di drago la sta uccidendo. Presto saremo soli. Sarò solo

 

Quando la scuola finirà, che fine faranno i miei amici?

Non voglio restare da solo Forse Remus lavorerà qui, Sirius andrà via e Peter pure.

Frank si sposerà con Alice. Mi dispiace. Ti chiedo scusa, Frank; non dovevo arrabbiarmi così.

Non siamo più stati amici, dopo quella volta

 

E di te? Che ne sarà di te?

Amerai un altro? Ami già un altro?

Ti ho difesa, due anni fa. Non ho potuto farne a meno. Voglio sempre difenderti. Quanto tempo sprecato

 

Ti amo. TI AMO. TI AMO. TI AMO.

L.E.

TI AMO. AMAMI

 

 

 

 

 


 

 

NdA: *arriva in scivolata sul palcoscenico, sventolando una bandiera che riporta la scritta: VOGLIO ESSERE UN CAPITAN OVVIO*

La parte conclusiva del capitolo è la famosa (non)lettera di James.

*butta via la bandiera e torna a fare l'autrice seria*

Dite la verità: non vi aspettavate un aggiornamento anticipato, eh? Sono una fanwriter lunatica, lo so. Oggi mi girava così. Il capitolo era bell'e pronto che mi pareva brutto attendere sino a domani.

Ma non fateci l'abitudine, guys.

Oh, io ho delle note da dare (tanto per fare qualcosa di diverso).

            1. Espressione usata da March per descrivere James, che mi ha così fatto ridere che ho proprio dovuto inserirla. Un omaggio alla stessa March, per ringraziarla delle recensioni, dei banner e del fangirling compulsivo che ogni tanto ci prende su FB.

            2. Riferimento al bacio che Sirius, da ubriaco, diede a Remus al terzo anno, accennato qualche capitolo addietro.

 Bene, ora che ho fatto il mio dovere, passiamo a ciarlare del capitolo.

Dopo tanta insistenza, come vedete, ho scritto la benedetta lettera/accozzaglia di pensieri di James. Siatene contenti. (Io non lo sono)

Poi, permettetemi di dirvi una cosa: avrete sicuramente pensato che Lily è una paranoica senza speranza e avrete sicuramente scosso la testa, sospirato, riso, qualsiasialtracosa... ebbene, l'ho fatto pure io.

Non che mi diverta a ritrarre Lily come una deficiente, sia chiaro, ma è per farvi capire quanto sia cocciuta e determinata.

Ma era anche per dare a James l'occasione di riscatto che gli ho negato nel capitolo precedente, dafuq.

E, ah, io sono perfettamente d'accordo con lui, per inciso.

Ebbene, detto questo, io proporrei di chiudere qui queste note, anche perché ho finito le cose da dirvi, quindi pace, amore e amen.

AH! Quasi dimenticavo, che sciocca! Ringrazio di cuore le persone che hanno recensito lo scorso capitolo (12 *^* Ma siete la tenerezza!), ma anche chi ha recensito gli altri capitoli e a cui non ho risposto (non lo faccio per cattiveria, davvero, ma questo è un periodo DDD: ; universitarie, capitemi), sappiate che vi voglio bene.

Ultimissima cosa: se notate errori, imprecisioni o roba così, non esitate a farmeli notare!

Bene, il mio dovere è compiuto, ci si ribecca martedì prossimo!

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 12
*** Capitolo XI: Vacanze col botto ***


Nuova pagina 1

 

12. Capitolo XI.

Vacanze col botto.

 

 

 

 

«James, figliolo, ho bisogno di altra legna. La primavera gioca ancora a nascondino e l’inverno ne approfitta».

Charlus Potter era solito parlare con la tipica saggezza di chi ha visto il mondo in tutte le sue parti ed è pronto a morire anche all’indomani.

C’erano, in lui, quella mitezza e quella remissività che a James ricordavano tanto Remus e più volte, in passato, si era chiesto se non avesse dinnanzi la pallida profezia di quel che il suo amico sarebbe diventato.

Se lo chiese anche quella volta, ma poi ricordò che Remus l’aveva pugnalato alle spalle e strinse i denti, allontanando il pensiero.

 

«Ci penso io» ribatté, scattando in piedi.

 

«Gettati qualcosa addosso, ragazzo, o finirai per ammalarti; questo tuo padre è troppo vecchio per badare a due malati».

 

«Stai tranquillo, mi scalderò e andrà tutto bene; vai dalla mamma, piuttosto, ho sentito che prima ti stava chiamando».

Charlus Potter esalò un sospiro tremulo.

 

«Lei chiama sempre, James, e ben poche volte è conscia di farlo».

 

Suo padre aveva anche quel suo particolare modo di schiaffarti davanti alla realtà così bruscamente che non potevi non restarne stordito. Era come essere presi e lanciati in un ciclone.

Per lui, invece, era una buona cosa: niente fronzoli, niente giri di parole e niente illusioni; meglio affrontare tutto e subito il dolore che portarselo addosso per sempre e poco alla volta.

Ma buona o cattiva che la sua abitudine fosse, James si sentì comunque come se un Dissennatore l’avesse accarezzato sulla schiena.

 

Si limitò a scuotere la testa e uscì in giardino, dirigendosi al piccolo capanno diroccato, dove tra la legna viveva la più longeva e numerosa famiglia di topi con cui avesse mai avuto a che fare.

Si chiese se Rosemary e Titus – mamma e papà topo – avessero messo al mondo altri cuccioli oltre a A, Bi, Ci, Di, E, Effe e Gi.

 

Come di consuetudine, non appena James imbracciò due pesanti ciocchi di legno, Rosmary squittì indignata. Il suo ventre, vide, era rigonfio e quelli che aveva intorno decisamente non erano i cuccioli che lui aveva conosciuto a Natale.

 

«Ti dai da fare, eh, vecchio topo?»

Sferzò la coda, annusò l’aria e squittì nuovamente, scomparendo.

Topo permaloso, quella Rosemary.

 

Stava ancora pensando alla nidiata di topolini quando lasciò cadere i pezzi di legno tra l’erba verde e un fruscio tra le siepi oltre la recinzione attirò la sua attenzione.

Non aveva certo dimenticato gli avvertimenti di Silente.

Mano alla bacchetta, aguzzò la vista, ma tutto ciò che vide fu un gatto randagio che saltò fuori dal cespuglio, soffiando e miagolando indignato.

Gli rivolse solo una rapidissima occhiata e James sorrise quando si accorse che la forma del pelo, sul muso, rievocava quella degli occhiali.

 

Strano gatto, pensò, spero che Rosemary non esca a caccia.

 

Tornò a fissare il cespuglio, ma non c’era niente da temere.

Afferrò l’ascia e iniziò a spaccare i ciocchi.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Il cuore le sfarfallava ancora in petto e si vide costretta a premersi una mano sulla bocca per attenuare il rumore del suo respiro affannato.

Quel dannato gatto le aveva fatto perdere almeno tre anni di vita.

 

 

Dieci minuti prima.

 

 

Potter era appena uscito dalla porta di casa sua quando qualcosa frusciò contro la sua caviglia.

Si voltò spaventata, incontrando un paio d’occhi gialli e ferini.

Un gatto, realizzò.

Ora è bene che i lettori sappiano che lei nutriva profonda avversione verso quei piccoli felini; da piccola era stata aggredita da un branco di gatti randagi, che, dopo averla graffiata per le feste, ebbero pure l’impertinenza di portarle via l’unico pesce che era riuscita a pescare.

Pertanto, memore del suo odio, assottigliò gli occhi e restò perfettamente immobile; poi afferrò il gatto per la collottola e lo gettò fuori dal cespuglio.

«Se torni qui ti strappo gli artigli e te li faccio ingoiare uno ad uno» lo minacciò in un sibilo e il gatto, in risposta, soffiò profondamente indignato, il pelo ritto e la schiena arcuata.

«Minaccia pure quanto vuoi; da piccola ero sola e indifesa, adesso sono grande e grossa e, soprattutto, ho una bacchetta e non ho paura di usarla. Sciò, sciò, vattene» ordinò, agitando la mano. Solo quando il gatto miagolò risentito, realizzò che aveva un’aria vagamente familiare.

Le venne da chiedersi, per l’ennesima volta, cosa l’avesse spinta sino a Godric’s Hollow.

 

 

Tre ore prima.

 

Il treno arrancò sui binari, sferragliando piano. Denso fumo grigio scivolò dolcemente sui finestrini, smorzando i vividi colori delle campagne selvagge che abbracciavano le rotaie.

Il controllore si presentò immediatamente; gli occhietti tondi e porcini la fissavano con malignità, forse nella speranza di coglierla senza biglietto.

Ma lei, padrona di sé e sorridente, espose il pezzo di carta e l’uomo grugnì proprio come un maiale, prima di passare oltre.

Tornò a fissare le campagne.

Perché sono su questo treno? Cosa ci vado a fare? Sono proprio una stupida; potrei godermi queste vacanze come tutti i miei coetanei e invece eccomi qui, su un fetido treno che mi condurrà a Godric’s Hollow. E tutto questo solo per assolvere i miei sensi di colpa e fugare i miei dubbi.

Sono proprio una stupida.

 

 

Due giorni prima.

 

Da quando era tornata a casa, la sua mente era una meteora che sfrecciava tra brandelli di luminescenti ricordi, tutti a marchio Potter.

Non riusciva ad essere in pace con se stessa, non dopo il modo in cui si erano lasciati, non dopo il modo in cui lui le aveva parlato.

Stronza, l’aveva chiamata. Saccente. Ma era davvero così? Era così che veniva vista dai suoi compagni o Potter aveva parlato sull’onda dell’umiliazione e della rabbia?

Era cambiato tutto quando aveva saputo di Remus.

Prima di incrociarlo nel corridoio dell’Espresso, era rimasta delle sue idee, secondo le quali quell’idiota aveva solo inscenato un’altra delle sue commedie.

Poi però aveva visto Remus. Il viso gonfio e tumefatto, il labbro spaccato, il sopracciglio incerottato. Le si era stretto lo stomaco e la sua coscienza non aveva tardato a presentarsi.

Era colpa sua, lo sapeva.

E la situazione, per la prima volta, le si era rivelata in tutta la sua orrida chiarezza: se si fosse trattato di uno stupido scherzo, Potter non avrebbe mai reagito a quel modo.

Doveva esserci stato qualcosa di reale, di concreto, per spingerlo a tacciare il suo amico di tradimento e picchiarlo a quel modo.

E da quando l’auto dei suoi genitori aveva imboccato il vialetto della loro piccola casa, non aveva fatto altro che pensare  a lui, scorrendo i ricordi come pagine di un libro, sino a soffermarsi su quello di una pergamena stropicciata dalle parole sbiadite e deformi.

Quante cose non aveva capito, quante altre non aveva colto e quante altre ancora aveva frainteso.

Così, spinta dal senso del dovere, aveva scritto una lettera a Remus, in cui lo implorava di perdonarla e gli augurava di rimettersi presto e di trascorrere delle buone vacanze.

Poi, afflitta, aveva deciso di parlare con suo padre, l’uomo che aveva sempre una parola gentile e una carezza sul viso.

Seduti sulla sponda del fiumiciattolo, le gambe artigliate dai ciuffi d’erba ancora verde, aveva confessato ogni cosa e il peso che sentiva sulle spalle si era in qualche modo alleggerito.

«Parlaci» le consigliò infine.

«Una lettera?»

«No, fiammetta, queste cose vanno risolte guardandosi negli occhi. Vai da lui; dopodomani è sabato, approfittane».

Lily era rimasta in silenzio, a contare i pesci che, di tanto in tanto, affioravano in superficie.

Perse il conto quasi subito.

«So che hai parlato con lui» sbottò infine.

L’uomo aveva sorriso placidamente.

«Vuoi sapere che impressione mi ha fatto? Ottima. Un bravo ragazzo; era fradicio quando l’ho incontrato. Se ne stava seduto sul nostro muretto e ricordo d’aver chiaramente avvertito la sua amarezza. Sedetti accanto a lui e lo coprii con l’ombrello. Abbiamo parlato poco, ma sempre di te. Mi sembrò disperato; adesso so che lo era veramente».

Si sentì quasi mancare. Potter poteva anche essere un mentitore della peggior specie, ma suo padre era stato sempre la sincerità fatta persona.

«Allora, dovrei andare da lui?»

«Dovresti».

Le aveva baciato i capelli e l’aveva stretta a sé.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Scaccomatto» borbottò Remus annoiato, mentre la propria regina decapitava il re.

Sirius sbuffò e si passò le mani tra i capelli.

 

«Che palle. Tu bari».

 

«Sei tu che non sai giocare. Sei troppo audace, giochi d’impulso e perdi. Ci vuole testa, Sirius, testa» lo redarguì e si picchettò la tempia.

 

«Sì sì, fai pure il maestrino, ma che ne dici, ora, di sfidarci a Quidditch? Io e te, tu ed io, tiri liberi in porta, chi arriva prima a dieci vince» lo sfidò, balzando in piedi e sfregandosi le mani.

Remus sospirò, scoccando un’occhiata titubante al cielo.

 

«Dopodomani ci sarà il plenilunio» mormorò, con quella tipica pesantezza con cui parlava del suo problema.

 

Sirius sminuì la cosa con uno sventolio della mano.

 

«Il tuo fedele Felpato sarà al tuo fianco, wof wof!» abbaiò – e l’imitazione fu sinistramente credibile – e annusò Remus sul collo.

L’altro arrossì appena e lo spinse via.

 

«Piantala. Dai, vieni, è ora di pranzo; mamma ha fatto quel pasticcio che ti piace tanto».

 

«Amo tua madre» dichiarò e, baldanzoso, passò un braccio attorno alle spalle di Remus.

Remus sorrise e tuttavia non trovò il coraggio di spingerlo via.

 

Il profumo di carne, verdure e spezie lo investì in un refolo tiepido non appena rientrarono in casa; era una bella giornata ingannevolmente primaverile – il freddo non aveva ancora allentato la sua morsa – e avevano deciso di trascorrerla nel piccolo giardino sul retro.

 

«Venite, venite» li invogliò la signora Lupin, le mani sul grembo e un sorriso dolcissimo sulle labbra.

Aveva gli stessi occhi color miele di Remus e i suoi stessi capelli castano chiaro.

Aveva perfino la stessa stanchezza nei tratti del viso e nella postura delle spalle, afflosciate in avanti, chine come per difendersi da un antico dolore.

 

Il signor Lupin sedeva già al suo posto di capotavola e sorseggiava un brillante vino color borgogna.

Era un uomo tormentato; Sirius non avrebbe potuto trovare un’altra parola per descriverlo.

Sorrideva, scherzava, ma i suoi occhi erano spenti, consumati dal rimorso e dalla consapevolezza d’aver rovinato irreparabilmente la vita del suo unico figlio.

Sirius sapeva che sulla sua coscienza pesava anche l’aborto spontaneo che sua moglie aveva avuto nel medesimo periodo in cui Remus perdeva metà della sua umanità per abbracciare l’indesiderata, bruciante bestialità.

Sirius non aveva mai provato così tanta pena e compassione per un essere umano.

 

«Vino, Sirius?»

 

«Sì, signor Lupin, grazie».

 

Il liquido fiottò nel bicchiere, gorgogliando gioviale, mentre la signora serviva in tavola il suo famoso e gustoso pasticcio di carne.

Il ragazzo non mancò di notare le penetranti occhiate discrete che i due solevano lanciare al loro figlio. La preoccupazione distorceva lievemente i loro lineamenti e irrigidiva la voce.

 

Pranzarono a tratti in silenzio, a tratti chiacchierando di cose frugali e superficiali, ma a nessuno sfuggì il fatto che Remus fosse cupo e silenzioso, il cibo appena consumato.

All’ennesima pausa di silenzio, sua madre lo fissò intensamente e quando Remus sollevò lo sguardo e le sorrise – di un sorriso forzato, finto e abbattuto – la donna scattò in piedi e scoppiò in un pianto disperato, correndo via.

 

«Con il vostro permesso, ragazzi» borbottò il signor Lupin, ripulendosi la bocca e gettando il tovagliolo nel piatto.

 

Sirius non ricordò d’aver mai provato tanto imbarazzo in vita sua.

Azzardò un’occhiata a Remus e vide che il suo viso era rosso, come febbricitante.

Il labbro inferiore tremava furiosamente e Sirius temette che anche lui si sarebbe messo a piangere; invece, trasse un gran respiro, si alzò da tavola e disse: «Andiamo?»

 

Sirius lo seguì senza discutere.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily restò a prender freddo in quel cespuglio sino all’ora di cena.

E quando era pronta ad andar via, sentendosi una sciocca per non aver avuto il coraggio di parlare con lui, ebbe appena il tempo di avvertire lo schiocco secco di una Materializzazione prima che qualcosa di molto grosso e molto pesante le piombasse sulla schiena.

Il fiato sgusciò via dai suoi polmoni e non riuscì neppure a gridare.

«Ma che... cos’è questo? Sembra un... culo?»

«Alz... ati... to... ahh».

Sirius Black si scansò e Lily tossì.

«Evans?»

Lo spinse via e il ragazzo addentò accidentalmente qualche foglia, sputandogliela quindi addosso.

«Che ci fai tu qui?»

«Io vengo sempre qui, questo è il mio cespuglio da Materializzazione, tu piuttosto, che ci fai acquattata qui?»

«Non ti riguarda» rispose con tutta la dignità possibile, ravviandosi i capelli rossi. Un paio di foglie volteggiarono e si posarono sulle sue ginocchia.

«Va bene; continua pure a fare la bertuccia nel fogliame, io vado da James».

Si alzò e si batté le mani sui pantaloni, liberandoli dalla terra.

«Black?»

«Sì, rossa?»

«Osa anche solo nominare il mio nome, quando sarai da lui, e ti caverò gli occhi con queste stesse unghie». La luna quasi piena fece brillare lo smalto trasparente sulle unghie, mandandole a scintillare come piccole lame.

Sirius sorrise stoicamente.

«E chi ti hai mai vista?!» rispose infine e balzellò via, non senza guardarsi le spalle, di tanto in tanto, per essere sicuro che Lily non lo seguisse e non lo colpisse alle spalle.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

In attesa sulla scomoda panchina di legno consunto, Lily si mordicchiava l’unghia del pollice, sbuffando di tanto in tanto.

Alla fine, aveva definitivamente ceduto e si era avviata lentamente alla piccola stazione di Godric’s Hollow, osservando ammirata la città che le sfilava al fianco; era una cittadina molto piccola e molto graziosa, con una bella piazza circolare accompagnata, nel mezzo, da un’alta fontana zampillante.

Al riverbero dorato del tramonto, la cittadina si era ammantata di un velo di surrealismo; pareva uscita da un libro di fiabe.

Poi, però, quando raggiunse la stazione il sole aveva deciso di congedarsi, lasciando il posto alla sera e alle prime stelle che, vivide, ammiccavano.

Aveva osservando Potter tagliare la legna, rapportarsi con suo padre, sedersi su un ciocco di legna con la testa china e infossata nelle mani sporche.

Era così diverso dal solito Potter e questa volta avrebbe potuto accampare per aria tutte le scuse che desiderava, ma non stava fingendo, assolutamente.

Appariva come un ragazzo mite, ammantato di una tristezza così insolita eppure così radicata. Lo aveva visto scambiare qualche parola con il suo vicino e regalare una grattata dietro le orecchie al cane che accompagnava l’uomo.

Paradossalmente, quel Potter sconosciuto l’aveva affascinata in un’ora scarsa più di quanto non avesse fatto il solito Potter in sette anni.

In quei frangenti aveva provato l’impulso di balzare fuori dal suo verde nascondiglio e parlare, chiarire e magari – se il suo orgoglio l’avesse permesso – chiedere scusa, ma ogni volta il timore di essere insultata nuovamente e respinta in malo modo l’aveva tenuta inchiodata sui talloni doloranti.

Un fischio vibrò nell’aria e spezzò il filo dei suoi pensieri.

Era ora di tornare a casa, portandosi addosso il gusto acre del fallimento e della vergogna.

Tanta strada e tanti soldi per niente.

Provò a convincersi che magari non era quella l’occasione, che il destino aveva in serbo altro per lei.

Poi però si irritò per la sua eccessiva mollezza e si biasimò, convincendosi che non gliene importava niente, che aveva una linea di condotta da mantenere e che con Potter era meglio non averci a che fare.

Alla fine, tuttavia, non si convinse di niente.

Le porte si aprirono cigolando e Lily varcò la soglia, scrutando i posti per sceglierne uno. Il treno ripartì con uno strattone e per non cadere fu costretta a posare le palme sul finestrino.

E poi lo vide.

Svoltò l’angolo correndo e quasi inciampò. Ansimava e gli occhiali erano più storti che mai sul viso.

Disse qualcosa, ma Lily e il labiale non erano mai andati particolarmente d’accordo.

Così, presa dal panico, lo fissò un secondo ancora prima di voltare le spalle e accucciarsi contro il sedile.

E pur tra tanta confusione, di una cosa era assolutamente certa: Sirius Black era un fetido infame.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

«Capisco che il letto degli ospiti è scomodo, te lo concedo, ma devi proprio dormire qui? Possiamo fare a cambio».

 

«Casa tua è dannatamente gelida e la mia pelle è troppo delicata e i miei nervi troppo sensibili.»

 

«Potresti almeno evitare di tirarmi ginocchiate nelle parti intime?»

 

«Io mi scaldo solo se me ne resto appallottolato, mi spiace».

 

«Allora potresti evitare di sollevarmi i pantaloni per scaldarti i piedi».

 

«Ma ho i piedi gelidi e le mani gelide e il naso gelido e le orecchie gelide e la coda gelida1».

 

«Adesso stai esagerando».

 

«Hai ragione, ho aggiunto una parte anatomica di troppo».

 

«Mi riferivo al freddo glaciale, Sirius».

 

«Ah».

 

«Senti, ma devi proprio dormire qui?»

 

«Non mi vuoi?»

Silenzio.

 

«Remus, non voglio rigirare il coltello nella piaga, ma il tuo rossore si percepisce da qui» e per confermare la sua teoria, Sirius allungò le mani sul viso dell’amico, trovandolo bollente.

 

«Toglimi le mani dalla faccia».

 

«No. Tu sei bollente e le mie mani sono fredde».

 

Un ginocchio che si solleva, Sirius che geme di dolore.

 

«Avevamo detto niente ginocchiate nelle parti intime!»

 

«Lasciami dormire, Sirius; domani sarà una giornata molto lunga».

 

Sirius si morse una guancia, aprendo gli occhi. Il profilo del viso di Remus, che giaceva supino, era scarsamente illuminato dalla luce del lampione che filtrava dalle imposte.

Provò nuovamente l’irrazionale, incoerente stimolo di baciarlo.

Lo aveva provato anche la notte prima, quando gli aveva stretto il polso mentre i suoi genitori, al piano inferiore, litigavano.

Anche quella sera litigavano, ma entrambi fecero finta di non sentirli.

Almeno, funzionò fino a quando non restarono in silenzio, assorbendo passivamente le urla della signora Lupin che accusava il marito d’aver distrutto la vita del suo bambino.

 

«Si azzannano alla gola, ma sembrano dimenticare che ogni mese sono io a diventare una creatura mostruosa» mormorò con una vaghissima traccia di risentimento.

Sirius aveva la mente sgombra, perfino tutta la sua ironia l’aveva abbandonato.

 

«Non dovrei dirlo, lo so che non dovrei... ma a volte penso che sarebbe stato meglio che Greyback mi avesse ucciso, invece mi ha condannato a questa vita a metà».

 

«Smettila, Remus» lo avvertì. Non sopportava ascoltare parole che non avevano la giusta replica. Non sopportava essere a così ravvicinata distanza con il dolore che emanava da Remus. Non sopportava doverci rivedere un po’ di se stesso, in quel tono abbattuto e in quegli occhi lucidi.

 

«Tu non sai cosa si prova, non sai che vuol dire essere consapevole che il tuo corpo si sta strappando e che presto non ne possederai più il controllo».

 

«Finiscila».

 

«Non hai idea di quanto sia doloroso».

 

«Ti ho detto di piantarla, Remus. Ho sonno, lasciami dormire».

 

«E la mattina è ancora peggio, quando mi sveglio pregando Dio di non aver ucciso nessuno».

 

Il ginocchio di Sirius si sollevò con l’intenzione di fare male, ma Remus assorbì bene il colpo ai reni.

Remus tacque e lui chiuse gli occhi. Era così stanco e la giornata era stata così lunga...

 

«Hai paura che parlandone possa contagiarti? Non darti pensiero, Sirius. Sono dannato, non malato» la voce di Remus giunse stranamente lontana, come se fossero ai capi opposti di un tunnel.

 

Sirius, tuttavia, aveva esaurito la tolleranza alle sue parole.

Gli balzò addosso e per un momento si sentì molto Felpato e molto poco Sirius.
Premette con l’avambraccio contro la sua gola, abbastanza forte da non farlo parlare ma non da nuocergli.

«Quando ti ho detto finiscila, intendevo esattamente finiscila».

Allontanò il braccio, tremando di freddo. Le coperte si erano ammucchiate sulle ginocchia di Remus e il pigiama di flanella non era sufficiente a respingere l’aria gelida e umida.

 

Sotto il palmo della mano, avvertì il cuore di Remus battere forte, forte, forte.

E sebbene si aspettasse una risposta, Remus non parlò più.

Si limitò ad aggrapparsi al suo braccio, fece leva per tirarsi lui e lo abbracciò lentamente, goffamente.

Sirius si sentì male.

Le parole di Mary affiorarono e si tramutarono in urla soffocanti nelle orecchie e migliaia di istinti diversi lo assalirono, turbinanti in quel vortice luminoso che era quell’improvvisa emicrania.

Respirò affannosamente, afferrò Remus per le spalle per allontanarlo, ma ci fu un nuovo, luminoso flash accecante dietro gli occhi e si immobilizzò.

Sentiva i propri dubbi, i propri impulsi e il proprio animo diviso spingere contro il muro invisibile che era la sua volontà.

La neonata – o risvegliata? – attrazione per Remus, la confusione derivata da ciò, un’intera vita messa in discussione, i volti delle molte ragazze che aveva avuto in quegli anni... tutto cozzò contro tutto.

E quel muro si sbriciolò in un tremore diffuso nel corpo, che si acquietò placidamente quando costrinse Remus a spingere il viso contro il suo.

Fu proprio come baciare una ragazza, ma nessuna ragazza aveva mai avuto un’erezione tra le gambe che spingeva contro la sua pancia e nessuna ragazza l’aveva mai eccitato a quel modo; se le ragazze erano state bollenti meteore, tanto calde quanto brevi, Remus era lava fusa che colava lentamente e costantemente.

Poi il suo cervello iniziò a funzionare in maniera strana; mancò di registrare certi pezzi, così non seppe spiegarsi quando era finito sul materasso o quando Remus gli si fosse disteso sopra, non si spiegò perché l’attimo prima i pantaloni gli frusciavano sulle gambe e perché l’attimo dopo, invece, era completamente nudo...

 

Poi riaprì gli occhi che era notte fonda e il sogno si interruppe, sfumando nel buio.

Ansimò, guardandosi intontito intorno, mentre Remus, ben lontano da lui, dormiva sonni tranquilli.

 

 

 

 

 


 

1. Battuta tratta dal film Disney “La carica dei 101”, quando il povero cucciolo cammina nella neve e si lamenta con papà Pongo.

 

 

NdA: POPOLO!

...

Aehm, volevo dire... ragazzi!

No, ma in realtà volevo solo dirvi ciao, ecco.

Ignoratemi, i miei neuroni stanno precipitando nel girone infernale dei dementi.

BTW, un'altra settimana è giunta e con lei anche un nuovo capitolo di questa fanfiction.

Come al solito, non è che poi abbia molto da dirvi.

Giusto qualche considerazione random.

Il papà di James l'ho sempre immaginato così, come un uomo molto mite e cortese; un po' un Remus alla Potter, va'.

Il sogno di Sirius... ebbene, tempo fa ci fu qualcuno di voi (chiedo venia, non ricordo chi né oso caricare altre pagine; i torrent mi limitano parecchio, dafuq) che mi disse che se avessi deciso di scrivere un sogno di Sirius, avrei dovuto alzare il rating a rosso.

Ebbene, come vedete non ce n'è stato bisogno. O almeno, spero. Comunque, questo benedetto sogno, in realtà, era parte integrante della trama... fino a che non ho realizzato che il mio animo da fanghérl stava cavalcando a rotta di collo dopo aver fregato il cavallo a Jaime Lannister; d'altra parte, però, mi dispiaceva anche buttare già un quarto di capitolo (e non avevo voglia di riscriverlo né avevo idee sostitutive) e quindi ho trovato il compromesso perfetto: spacciare quel fatto per un sogno. Una frase mi ha salvato la faccia, il tempo e l'onore di fanghérl.

Sono abbastanza soddisfatta di ciò, sì. Mi accontento di poco, l'avrete capito.

Poi... ah, sì: la battuta sulla Carica dei 101 è stata f-o-n-d-a-m-e-n-t-a-l-e: voi non potete immaginare quanto io ami quel film. Cioè, roba che da piccola lo riguardavo ogni giorno, due o tre volte di fila e... questo a voi, ovviamente, non interessa, c'avete ragione.

BTW, essendo Sirius un mezzo cane, mi è sembrato che cascasse proprio a fagiUolo, ecco.

Lily... ha seri problemi, ormai lo sapete. Però suo padre è evidentemente più intelligente di lei e lei è abbastanza affezionata a lui da seguire i suoi consigli. Che poi tutto vada a puttane e lei se ne torni a casa senza aver combinato niente, è un'altra cosa.

A tal proposito, sentitevi pure liberi di dirmi cosa ne pensate: Lily ha fatto bene? Vi è sembrato un fatto stonante con la trama? È stata una scelta azzardata? Parlate pure.

Infine, due cose: a) risponderò alle recensioni dello scorso capitolo tra oggi e domani e b) voi che mi contattate su Ask.fm per sapere quando aggiorno, MA SIETE L'AMORE! Oh, mi sento come quelle importanti, ho i fans, yaaaaai! (Ma anche no, insomma.)

Bene, vi saluto; ho un torrent contro cui inveire.

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 13
*** Capitolo XII: Cose di difficile comprensione e le visite inopportune di James Potter. ***


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13. Capitolo XII.

Cose di difficile comprensione e le visite inopportune di James Potter.

 

 

 

 

A: Lily Evans,

numero 8 di Creek Outfall, Spinner’s End

Da: James Potter,

numero 70 di Godric’s Path, Godric’s Hollow

 

Lily si rigirò più volte la busta tra le dita, senza decidersi ad aprirla.

Non ne aveva il coraggio, il che era buffo se si teneva conto che solo il giorno prima aveva percorso molti chilometri per vederlo. Che poi non ci fosse riuscita, questo era qualcosa che Lily voleva accantonare.

 

Alla fine decise. Aprì il primo cassetto della scrivania e vi gettò dentro la lettera.

Non l’avrebbe aperta.

 

Tuttavia, nel tardo pomeriggio, un altro gufo picchiò al suo vetro per consegnarle un’altra lettera, dalla medesima intestazione.

Prontamente, la mise a far compagnia alla sorella.

 

Aveva sperato che la cose fosse terminata là, ma all’indomani, ad un’ora indecente del mattino, James Potter si presentò sotto casa sua, gettando sassolini contro la sua finestra.

Assonnata e infreddolita, si calò nella sua vestaglia e spalancò l’imposta, tardando a mettere a fuoco la figura di James.

 

«Scendi» mormorò, agitando freneticamente il braccio.

 

«Tu sei un demente. Sono le sei del mattino, è buio, fa freddo e io sonno. Vattene!»

Non fece in tempo a dirlo che James sparì in un pop per riapparire poi nel vano della finestra, ad un palmo dal viso di lei.

Se ne stava abbarbicato all’anta chiusa.

 

«Mi fai entrare? La caduta sarà dolorosa, temo».

 

«Se devi cadere, bada almeno di spezzarti qualche osso importante» sbottò inviperita, tuttavia si fece da parte e lo aiutò perfino ad entrare in casa.

James parve dimenticare perché si trovava lì. Si immerse in uno studio accurato e approfondito della sua camera, toccando con lo sguardo tutto ciò che poteva essere osservato.

 

«Che cosa vuoi?» bisbigliò, afferrandolo per il mento così che potesse guardarla in faccia.

 

«Non hai ricevuto le mie lettere?»

 

«No» mentì, mordendosi la guancia.

 

«Ma la mia Lady è tornata con le zampe vuote» ribatté.

 

«Avrà perso le missive per strada. Cosa vuoi?» ripeté, lasciandolo andare.

 

«Se non avessi buttato le mie lettere in qualche cassetto», iniziò e quando Lily fece per interromperlo le posò due dita sulle labbra, «lo sapresti. Volevo solo sapere cosa diamine ci facevi a Godric’s Hollow».

 

Le sue dita, realizzò Lily, erano bollenti contro la sua bocca. E profumavano di sapone.

Lo scansò in malo modo prima che il suo cervello potesse elaborare altri stupidi pensieri.

 

«Pare che tu sia circondato da amici infami» lo informò, dandogli le spalle e passandosi le braccia intorno al corpo. Era primavera inoltrata, ma le notti erano ancora fredde come in inverno.

 

«Cosa?»

 

Il suo tono era talmente sorpreso e confuso che a) Lily si costrinse a rivalutare Sirius e b) si dispiacque per il ragazzo e per la lite che ne sarebbe derivata con Potter.

Ma c) non erano affari suoi.

 

«Chi ti ha detto che ero lì?»

 

«Ti ho vista accanto alla fontana in piazza, ma prima che potessi raggiungerti sei andata via e ti ho persa di vista. Godric’s Hollow è un dedalo di vicoli stretti e tortuosi, tutti curve, salite e discese; impossibile seguire qualcuno senza perderlo» spiegò, trastullandosi con un pezzo di stoffa.

Solo dopo si rese conto di avere tra le mani un paio di mutande di Lily.

Le gettò nel cumulo di panni freschi e profumati prima che lei decidesse di staccargli una mano a morsi.

 

«Capisco» il suo tono era così onesto che era impossibile dubitarne.

Potter e la sua sincerità: che strana coppia.

 

«Allora? Perché eri lì?»

 

«Io?» chiese scioccamente e poi scosse la testa. James sorrise divertito.

 

«Io ero lì perché ci abito, tu invece?»

 

«Mio padre aveva degli affari da sbrigare a Godric’s Hollow e io l’ho accompagnato».

 

«Affari di sabato?»

 

Lily spinse indietro i capelli.

 

«È vietato da qualche legge, forse?»

 

«Non saprei; non conosco il tuo mondo bene come vorrei».

 

Si voltò irritata.

 

«Il mio mondo? Parli esattamente come tutti gli altri  Purosangue, come se noi fossimo—»

James interruppe la sua invettiva tappandole la bocca con una mano.

 

«Intendevo il mondo dei Babbani, Evans, intendevo i vostri usi e i vostri costumi. Non era un’offesa e tu lo sai» rimarcò, alludendo chiaramente a quell’episodio spiacevole che li aveva visti protagonisti al quinto anno.

 

Lily mostrò il buongusto di arrossire.

A quanto pareva, c’erano cose, tra lei e lui, che non sarebbero mai cambiate.

 

«Comunque», mormorò, «volevo solo sapere perché eri lì. Mi accontenterò della tua bugia e farò finta di crederci» concluse, estraendo la bacchetta.

Nello stesso istante, le campane del primo mattino suonarono di un suono prolungato, gioioso.

Lily si domandò dove fossero finite le due ore che erano trascorse dall’arrivo di Potter a quel momento.

 

«Pasqua» disse, fissando la finestra.

 

«Cazzo», soffiò lui, facendosi vicino; per una volta, pareva indifferente a tanta vicinanza, «devo andarmene, subito».

 

Ma James Potter, da quella casa, non se ne andò più.

Entrambi ascoltarono l’incedere calmo e misurato della signora Evans solo quando questa era a pochi passi dalla porta.

 

«Devi andartene, ora!» Lily gli strinse il braccio e lui, di riflesso, le posò la mano sul gomito.


Fu così che la signora Evans li colse, quando bussò e spalancò la porta.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus non capiva.

Il giorno prima Sirius gli era sempre stato appiccicato addosso, non lo aveva mollato un attimo.

Poteva capirlo; il giorno immediatamente prima del plenilunio, Remus era solito a cali di pressione e malessere diffuso.

Ma all’indomani tutto era cambiato. Svegliandosi non aveva trovato Sirius né accanto a lui né nella branda che tenevano da parte per gli ospiti.

L’aveva ritrovato seduto al bancone della cucina, che masticava svogliatamente i suoi cereali.

I suoi occhi erano lividi e gonfi, strascichi di una notte insonne. Remus ne sapeva qualcosa.

Perfino  i suoi capelli, tenuti sempre perfettamente in ordine almeno quanto quelli di James— no, meglio non pensarci, erano scompigliati, ritti sulla nuca.

Ma ciò che lo colpì maggiormente furono le spalle cascanti e flosce, così insolite, così stonanti con la solita immagine di Sirius.

 

Gli aveva domandato se stesse bene, stringendogli una spalla. Sirius si era scansato come se l’avesse fulminato.

 

«Bene. Benissimo. Ottimamente bene».

 

Schizzato, pensò istintivamente Remus.

 

«Okay. Però... ti vedo un po’ sbattuto, Sirius; non hai dormito bene?»

 

«Ho dormito benissimo, però, Remus non... non starmi così addosso, col fiato sul collo, mi togli aria, mi soffochi» gesticolò freneticamente, scansando il ragazzo.

 

Remus continuò a pensare che Sirius avesse evidentemente qualche problema. Ma dato che pareva così restio a parlarne, concluse la conversazione con una scrollata di spalle; Remus ci sarebbe stato, se Sirius avesse deciso di parlare.

Fino a quel momento, gli sarebbe stato lontano. Perciò mescolò il latte coi cereali, gettò il cucchiaino nel lavabo e andò via, prendendo posto nel patio dietro la casa.

Si avvolse bene nella sua coperta di patchwork, così consunta che ormai non riusciva a trattenere che una piccola parte del calore del suo corpo.

 

Dei suoi genitori non v’era traccia. Babbani di nascita entrambi, solevano rivolgere il loro dolore a Dio, confidando nelle preghiere e nella sua misericordia. Non che avesse mai funzionato particolarmente bene, comunque.

Probabilmente erano a presenziare alla prima messa della giornata, affondati in una di quelle scomode panche di legno opaco.

 

Ma a Remus non importava; figlio unico, aveva imparato ben presto ad accettare la solitudine. Ci si trovava a suo agio: non doveva fingere di essere felice, non doveva tenere testa alla stupida impulsività dei suoi amici, poteva lasciare che le emozioni si inseguissero sul suo viso. Era perfino libero di piangere, laddove ne sentisse il bisogno.

Né, al contrario, aveva mai provato l’esigenza di avere un fratello o una sorella; l’unico che avesse mai potuto avere era morto nel grembo di sua madre quando lui era diventato un macabro scherzo della natura.

 

Era così immerso nei suoi pensieri che non si accorse neppure di Sirius, in piedi alle sue spalle.

 

«Senti, devo dirti una cosa».

 

Remus sobbalzò, rovesciandosi addosso la tazza di cereali.

Imprecò.

 

«Spero che sia una buona cosa; ero particolarmente affezionato a questa coperta e temo non sopravvivrà ad un altro lavaggio».

 

«Ieri sono stato da James. Gli ho detto chiaro e tondo che doveva venire qui a domandarti scusa».

 

Remus diventò paonazzo. E i tagli sul viso, in via di guarigione, pulsarono.

 

«Hai sprecato tempo, fiato ed energie: non lo farà. Per lui ho commesso il peggiore dei tradimenti. E ha ragione» si alzò in piedi e appallottolò la coperta sotto il braccio.

Andò via senza dire altro.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Non so come sia potuto accadere; sono rammaricata, Albus».

 

Minerva McGranitt si grattò piano la guancia: unico segno che lasciasse trasparire il suo profondo nervosismo.

Ancora non riusciva a capire. L’attimo prima Potter era nel giardino di casa sua e l’attimo dopo non c’era più.

D’accordo, si era allontanata, ma solo per acquattarsi tra il fogliame e rispondere ad un richiamo della natura.

Era stata una cosa veloce e lei aveva tenuto d’occhio il ragazzo dalle crepe tra il muro di foglie, eppure, quando era emersa, lui non c’era più.

Come se non bastasse, il ragazzo non era nemmeno più a Godric’s Hollow. Suo padre l’aveva chiamato a gran voce e il suo viso grondava preoccupazione.

Minerva aveva percepito il panico risalire dal piccolo stomaco di gatto e l’irritazione per l’insolente signorina Evans era presto scomparsa, la quale l’aveva afferrata per la collottola e gettata lontano come un sacchetto dell’immondizia.

Non le era rimasto altro da fare che inoltrarsi presso un vicolo ombroso e lì Smaterializzarsi alle porte di Hogsmeade, incamminandosi poi a passo spedito verso il castello.

 

Lei e il vecchio Silente avevano quindi trascorso la notte a cercare di rintracciare Potter, servendosi dei discreti canali del Ministero e dei membri dell’Ordine della Fenice.

Era stato tutto inutile.

James Potter era sparito, evaporato, Smaterializzato chissà dove.

L’alba li aveva sorpresi stanchi e accasciati sulle poltrone, una mano premuta contro la tempia.

 

«Cosa facciamo, Albus? Potter è una delle nostre migliori speranze; cosa faremmo se...?» Minerva sospirò pesantemente.

 

«Troveremo il ragazzo, Minerva. Sospetto che il nostro piccolo amico abbia anteposto le ragioni del cuore» disse, alzandosi per accostarsi alla finestra.

Le sue labbra sorridevano appena, di un sorriso quasi enigmatico, come se fosse al corrente di qualcosa che gli altri non potevano sapere o neppure immaginare.

 

«Ragioni del cuore?»

 

«Ragioni del cuore» confermò, battendo poi le mani.

«La colazione sta per iniziare; lo stomaco ben pieno ci aiuterà ad organizzarci per il da farsi».

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Signora Evans, per quanto mi piacerebbe restare qui e far finta di essere un invitato gradito alla sua splendida figliola, temo che adesso io debba proprio andarmene» si scusò e indossò la migliore maschera da ragazzo umile e contrito, alzandosi da tavola.

Quasi se ne dispiaceva; la signora Evans aveva preparato una colazione degna di un principe e si era rivelata un’ottima cuoca.

A pranzo avrebbe sicuramente rimpianto il declino dell’invito, quando sarebbe stato costretto a nutrirsi della cucina scadente di suo padre.

 

Lily, al suo fianco, pareva ben contenta che lui stesse per levare le tende e non mancava di gettare occhiate ammonitrici alla madre.

 

«Sicuro di non voler rimanere? Puoi telefonare ai tuoi genitori e dire loro che sei stato invitato dalla tua fidanzata» propose allegramente. Lily sbuffò.

 

«Mamma, non sono la sua fidanzata e non lo sarò mai. Potter sicuramente desidera restare con i suoi genitori oggi, vero?»

Il tono con cui lo domandò non lasciava spazio ad una risposta negativa.

 

«Certo. Mi dispiace davvero, signora, ma è proprio il caso che io ritorni; sa, mia madre sta poco bene e io sono il suo unico figlio...»

 

La signora Evans parve realmente angosciata.

 

«Oh, povero caro. Ma certo, capisco, capisco. Allora vai, ma torna quando vuoi, va bene?»

La signora Evans non era certo carente in attenzioni fisiche: lo abbracciò e lo baciò sulle guance, rivolgendogli un sorriso carico di aspettative.

Su cosa, James non ne aveva la più pallida idea.

 

«Lily, accompagna James alla porta».

 

«Be’, ci si vede» lo congedò, sorridendo forzatamente.

Ma James aveva ancora qualcosa da chiedere prima di andarsene.

 

«Quella lettera... l’hai letta?»

 

Il sorriso di Lily si spense poco a poco. Poi annuì.

 

«Ovviamente. Avevo sperato, fino alla fine, che non l’avessi fatto. Be’, ciao, allora».

Quando raggiunse il cancelletto, Lily non seppe trattenersi.

 

«Che cosa è successo con Frank?»

 

Non si voltò, James, ma Lily poté chiaramente percepire un sorriso nella sua voce.

 

«Magari un giorno te lo dirò».

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Albus Silente lo attendeva in cucina, seduto accanto a suo padre.

Entrambi erano scuri in volto, preoccupati.

Suo padre scattò in piedi non appena lo vide.

 

«James!»

 

«Papà... professore» sollevò il mento in cenno di saluto.

 

«Ragazzo, ma dove sei finito? È da ieri sera che ti cerchiamo!»

 

Avrebbe potuto dire di come aveva vagabondato per Godric’s Hollow nell’inutile tentativo di ritrovare Lily. O di come avesse accolto l’invito di Sirius a fare pace con Remus, salvo poi restare sotto casa dei Lupin a fissare la finestra dell’amico. O di come, con le prime luci dell’alba, si fosse trasportato a Spinner’s End, logorato dalla curiosità. E dalla speranza, anche.

 

Avrebbe potuto dire tutto oppure niente, ma si limitò ad una mera bugia.

 

«Scusa, hai ragione; ma non riuscivo a dormire e lo sai che quando non riesco a dormire me ne vado in giro per la città. Pensavo di tornare prima dell’alba, ma poi mi è venuta fame e sono andato da Ginger a mangiare qualcosa».

 

«Ah. Va... va bene. Ma non farlo più, intesi? Di questi tempi... no, meglio che tu non lo faccia più» mormorò e improvvisamente Charlus Potter pareva tanto fragile e tanto vecchio.

Improvvisamente, James si sentì nuovamente bambino.

Stava per scusarsi ancora una volta, ma l’uomo chiese loro di scusarlo e arrancò sugli scalini.

James notò che la gamba claudicante era più rigida del solito.

E desiderò non averlo notato.

 

«James».

 

Sobbalzò. Aveva completamente scordato Silente.

 

«Ahm, professore».

 

«La tua bugia è stata onorevole e capisco quanto per un figlio sia importante risparmiare anche il più piccolo dolore al proprio padre», fece una leggera pausa e sebbene le sue labbra sorridessero, i suoi occhi azzurri erano intrisi di rimprovero, «ma è quanto mai inopportuno, di questi tempi, Smaterializzarsi lontano da qui. Spero che tu possa ricordartelo, in futuro» concluse, alzandosi e posandogli una mano sulla spalla.

 

«È bene che tu ti prenda cura di te stesso, ragazzo; tempi difficili bussano alle nostre porte e quando verrà la fine di quest’anno scolastico, io avrò bisogno di te. Un forte bisogno di te».

 

«Professore?»

 

«Oh, capirai, ragazzo mio. A tempo debito, capirai».

 

Albus Silente si Smaterializzò in una calda vampata di fuoco.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Noi andiamo, allora. Ci vediamo domattina».

La signora Lupin strinse forte i denti, ma non pianse, nonostante i suoi occhi fossero lucidi e rossi.

 

«Va bene. Sta’ attento». Lo baciò su una guancia, stringendolo poi in un doloroso abbraccio.

 

Sirius si teneva un po’ in disparte, fissando il bosco appollaiato sulla collina.

Era un bosco di ridotte dimensioni e già sapeva quanto avrebbe faticato per tenere Remus entro quei confini, lontano dal paese.

L’agglomerato verde si abbarbicava su una cupola morbida ed altrettanto verde, un pendio lieve che si srotolava sino alle porte della piccola città.

Si domandò quanto tempo avrebbe avuto per acciuffare Remus nel caso in cui fosse riuscito ad eluderlo, ma non fece in tempo ad approssimare una cifra; Remus lo sfiorò con la mano e lo spronò a camminare.

Poté solo lanciare un’occhiata incoraggiante ai genitori del ragazzo.

Quella, sarebbe stata una lunghissima notte.

 

 

 

 

 


  

 

NdA: Credo di capire come il povero Lupin si senta ad ogni luna piena.

Suppergiù, mi sento allo stesso modo e i miei occhi fanno GiacomoGiacomo giacché non è cosa buona e giusta studiare AL pc, ma proprio no.

Quindi, è probabile che il capitolo sia infarcito di errori. Amen.

Ciò detto, questo capitolo è di scarsa importanza ai fini della trama; serviva solo a chiarire le cose rimaste in sospeso nello scorso capitolo.

E, ancora una volta, voglio condividere un altro lavoro grafico di March che è stata assolutamente dishfioshfof. ♥

Poi, non per mettervi in allarme o agitazione, ma è probabile - data la quantità di cose che ho da studiare/preparare per gli esami - che dal capitolo successivo, gli aggiornamenti potrebbero tardare giorni, se non addirittura settimane.

Purtroppo seguo ritmi che mi sfiancano e quando, dopo aver trascorso l'intero pomeriggio tra libri e ricerche in internet, finisco ho solo voglia di collassare sul divano e fissare il vuoto. È interessante e appagante fissare il vuoto, dopotutto.

Infine, ringrazio vivamente tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo e che recensiranno anche questo: temo che le risposte tarderanno parecchio, stavolta. Chiedo comprensione. ç_ç

E adesso me ne vado appunto a fissare il vuoto.

(Voi, poi, se non avete niente da fare, passate da Meko-chan e Koala, storia di due cani che agognavano la libertà :D)

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 14
*** Capitolo XIII: Altrimenti ci arrabbiamo. E contribuiamo a tenere alto il morale di Hogwarts. ***


Nuova pagina 1

 

14. Capitolo XIII.

Altrimenti ci arrabbiamo. E contribuiamo a tenere alto il morale di Hogwarts.

 

 

 

 

Fu Sirius a sobbarcarsi il peso del corpo esanime e nudo di Remus.

Esausto e graffiato in ogni dove, poteva sentire la spalla di Remus contrarsi in spasmi di dolore e poteva sentire il sangue bagnargli la maglietta.

Aveva davvero esagerato.

Remus aveva iniziato a correre verso valle e lui aveva spiccato un ampio balzo, stringendogli la spalla tra le fauci aguzze. Il sangue gli era schizzato sul muso e sui denti; il suo sapore e la sua consistenza erano raccapriccianti.

Sperava che, con l’avvento del mattino, lo squarcio sarebbe guarito o che, quanto meno, la ferita avrebbe smesso di lacrimare.

L’unica magra consolazione che aveva ricevuto, invece, era stato un rallentamento dell’emorragia, che si era ridotta ad un sottile rigagnolo cremisi.

 

«Remus... svegliati... siamo quasi... a casa» ansimò pesantemente e i crampi alle braccia si fecero insopportabili. Depose Remus contro una panchina e quando si fu scaricato del suo peso, il dolore ai muscoli già stanchi gli fece lacrimare gli occhi.

Lo scosse piano, ma il corpo inerte di Remus scivolò, impattando contro il marciapiede.

 

«Oh, caz... Remus, stai bene? Svegliati, dai. Sveglia!» lo schiaffò fu così forte che Remus rinvenne con un sobbalzo violento.

 

«Che... che...» farfugliò prima di tossire.

 

«Colpa mia. Dai, rimettiti in piedi; siamo quasi arrivati».

 

Faticosamente, Remus ritrovò un proprio, precario equilibrio, appoggiandosi alla spalla di Sirius.

 

«Ho... ho...?»

 

Sirius scosse la testa.

 

«Ti ho tenuto lontano dal paese, ma ti ho quasi strappato via il braccio».

Solo allora Remus parve consapevole del sordo pulsare appena sotto il collo, appena sopra al braccio sinistro.

 

«Ahi. Fa male».

 

«Dai denti di un cane non puoi pretendere carezze e solletico. Muovi il culo, dai... ecco, solo questi gradini... oh, bene, ce l’abbiamo fatta».

 

Aprirono piano la porta di casa. Suo padre era già andato via e sua madre dormiva ancora mentre l’alba si arrampicava sui tetti delle case e sulle guglie delle chiese.

Arrancarono sino alla sua camera. Fecero appena in tempo a chiudere la porta che entrambi caddero addormentati e feriti sul pavimento.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Quando tornerà a trovarti, il tuo ragazzo?»

 

«Mamma», sbottò, alzandosi in piedi con tanta foga che la sedia si capovolse sul pavimento, «non è il mio ragazzo, fattene una ragione. Io e lui ci detestiamo; anzi, io detesto lui» aggiunse.

 

«Ma mi è sembrato un così educato ragazzo».

 

«Ti è sembrato male, allora» ma chissà perché, Lily suono falsa perfino alle proprie stesse orecchie.

Difatti, sua madre le scoccò un’occhiata sbilenca e sospettosa.

 

«Inizia a preparare le tue cose, piuttosto; dopodomani dovrai tornare ad Hogwarts».

Sua madre non si preoccupava neppure più di celare l’amarezza.

Amava Lily e odiava saperla così lontana da casa per così tanto tempo. Lily ne fu talmente intenerita che l’abbracciò velocemente.

 

«Sarà l’ultima volta, mamma; poi ti prometto che staremo insieme sempre, quando avrò un lavoro».

 

«Speriamo che quel giorno arrivi preso, allora» mormorò la donna, baciando quindi la guancia della figlia.

 

«Vado a comperare il giornale per papà, d’accordo? Ci vediamo dopo».

 

La primavera aveva deciso di sferrare l’attacco all’inverno nel buio della notte. E aveva vinto. L’aria era dolce, profumata quasi e il sole picchiava sull’asfalto, tiepido e piacevole.

Perfino gli alberi sembravano avere più foglie del giorno precedente.

Camminare la metteva di buon umore e l’aiutava a lasciare i pensieri per strada.

Ma Potter era più tenace di tutto. Lui le restò così saldamente ancorato addosso che Lily rischiò di essere investita da un ciclista e azzannata da un grosso cane sfuggito al padrone.

La verità era che da quando le aveva recato visita, Lily non riusciva a non pensare  a lui.

Non ci pensava in termini romantici, sia ben chiaro.

Stava, invece, procedendo con una lenta e obiettiva rivalutazione, avanzando con opportuna cautela.

Così, poco per volta, imparava a scartare un difetto e rimpiazzarlo con un pregio.

Ma Potter, peccato per lui, non aveva molti pregi.

Pertanto, i difetti scartati furono nettamente inferiori a quelli non scartati.

Stava ancora spulciando qualcosa da rimpiazzare con un pregio quando li vide, acquattati in un vicolo fetido e umido.

 

Riconobbe Severus dalla postura lievemente curva e dalla movenza delle sue braccia ancora prima che lui parlasse.

Un giovane, ammantato di nero, mosse la testa e Severus si voltò. Biascicò qualcosa alla sua ghenga, sollevando un braccio per indurli alla calma.

Tentò quindi un sorriso, ma Lily lo stroncò sul nascere: riprese a camminare, il giornale ben stretto al petto.

 

Quando imboccò il viale di casa fu conscia del cuore che batteva precipitosamente. La paura fluì in ritardo, lasciandola stordita e tremante.

Si ripeté che non c’era nulla da temere, che ormai era a casa.

Poi, casualmente, lo sguardo cadde sulla prima pagina del quotidiano.

 

 

Nuova, inspiegabile morte

Settantenne rinvenuta esanime nella sua abitazione. I familiari: “Era in perfetta salute, non riusciamo  a capire”

 

 

E gli occhi di Lily traboccarono di paura.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Remus sussultò e indietreggiò, rischiando di inciampare nel vecchio tappeto.

Boccheggiò per qualche secondo, indeciso se fissare le sue scarpe, la porta o chi aveva davanti.

 

«Posso entrare?»

 

Per riempirmi nuovamente di botte?

 

«Sì... ehm, sì, certo» si scansò, appiattendosi contro il muro per lasciarlo passare.

Una distanza esagerata, una reazione stupida.

Remus non aveva mai avuto paura di lui; lo aveva conosciuto come un ragazzo sì impulsivo e caparbio, facile al diverbio, ma mai violento.

Con i suoi occhiali tondi posati sul naso, i capelli scompigliati e il viso da ragazzino, non era mai riuscito ad incutergli timore, neppure quelle rarissime volte in cui si erano punzecchiati, alzando i toni. Ma perfino allora, c’era sempre un fondo di divertimento nelle loro voci.

 

Seguendo le norme della buona educazione, lo invitò a sedere al tavolo, domandando poi se gradisse qualcosa da bere o da mangiare.

L’ospite declinò.

 

Quando Remus prese posto, attese che fosse l’altro ad avviare il discorso. Ma James Potter se ne stava con le mani sul tavolo, intrecciate, e gli occhi puntati su esse.

Remus era incapace di reggere tanta tensione. Perciò trasse un gran respiro e fece per parlare, ma James s’alzò in piedi e attese, probabilmente, che anche lui lo facesse.

Eccoci. Spero non faccia male quanto il morso di Sirius.

Riluttante, strisciò letteralmente sullo schienale della sedia per potersi alzare.

 

«Senti, James, io volevo parlartene, sul serio; solo che—»

 

Lo vide avanzare a passo spedito e in due lunghe falcate lo raggiunse.

A Remus non sfuggirono le dita arcuate, come in procinto di acciuffarlo, o il viso impassibile, un po’ pallido.

Oh, questo farà un sacco male.

 

Ma fece male solo quando James lo abbracciò e la sua mano premette contro la spalla ferita.

Lo strinse così forte, come se fosse già con un piede nella fossa, come se gli stesse dicendo addio.

Ma forse, tutto quel che James stava facendo era chiedergli perdono.

 

Remus strinse i denti, augurandosi che la ferita non si squarciasse nuovamente.

E molto goffamente, ricambiò la stretta, una mano sulla spalla di James e l’altra sulla sua schiena.

 

«Mi dispiace, James».

 

«Mi dispiace, Remus».

 

E, come se fosse stato una ragazzina in preda al ciclo mestruale, Remus sbottò improvvisamente a piangere.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Sirius rimase letteralmente paralizzato sulla soglia, il bicchiere di latte ben stretto in pugno.

Stretto così intensamente che avvertì il vetro comprimersi, prossimo a schiantarsi.

Ora, è bene avvertire i lettori che Sirius non era un tipo geloso, ma è bene anche che sappiate che a tutto c’è una prima volta.

 

In quel preciso, esatto momento, Sirius percepì un qualcosa rovente esplodergli nello stomaco e desiderò strattonare James lontano da Remus.

O forse il contrario, non era certo.

 

«Cos’è, una specie di reciproco coming out

 

Sobbalzarono entrambi e si scostarono velocemente, evitando di guardarsi.

Il viso di Remus era impiastricciato di lacrime e gli occhi erano rossi e lucidi; James invece era rosso in viso e non la smetteva di storcere le labbra. Era visibilmente imbarazzato.

 

«Sono venuto a scusarmi con Remus, come da te suggerito».

 

«Ah, però! Ce ne hai messo di tempo!»

 

«Prima ho dovuto risolvere un’altra questione; voi siete i miei unici, migliori amici e, insomma, ci sono cose che un uomo non può affrontare da solo e tutta quella roba là» tagliò corto con un cenno della mano.

 

Sirius si aprì in un sorriso raggiante.

 

«Oh, questo mi emoziona. Forza, abbracciamoci tutti insieme» esclamò, gettandosi il bicchiere pieno di latte alle spalle, che impattò contro lo stipite della porta, esplodendo.

Remus fece per dire qualcosa, ma Sirius gli fu addosso e strinse entrambi in un caloroso, inopportuno abbraccio.

 

«Ehi, Remus».

 

«Vuoi chiedermi anche tu scusa? Per il bicchiere del servizio buono, magari?»

 

«No, volevo dirti che ti sei bagnato».

 

James esplose in una solare risata e Remus fece per scostarsi, indignato.

 

«Sul serio, amico, non fissarmi cosi; la tua maglietta gronda sangue».

 

Remus volse la testa e il lezzo metallico del sangue lo aggredì. Il suo naso fu pieno di quel terribile odore e i suoi occhi rispecchiarono la macchia vermiglia sulla maglietta.

 

«Tre, due, uno...»

 

Remus inciampò nei propri piedi e perse i sensi. Sirius aveva teso le braccia ancor prima che l’amico svenisse.

James, quel buffone, era accasciato sul tavolo e rideva, quasi ansimando, quasi soffocando.

 

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Il binario 9 e ¾ era il solito, soffocante connubio di genitori commossi e ragazzini iperattivi, ammantati in un miscuglio mal amalgamato di profumo da donna scadente, vapore e shampoo dall’aroma fruttato.

Lily Evans sgomitò per farsi largo, con i signori Evans che arrancavano nella sua scia.

Raggiunse una delle porte aperte della locomotiva rosso scarlatto e si inoltrò verso la coda del treno, fermandosi solo quando trovò lo scompartimento occupato da Marlene e Mary, le quali salutarono educatamente i suoi genitori.

Suo padre issò il baule nell’apposito alloggio e la strinse velocemente in un abbraccio amorevole: il capostazione aveva fischiato, segnalando la partenza ormai prossima.

«Ci rivediamo a giugno, papà. Ciao mamma. Salutatemi...», fece una pausa titubante, scoccando una rapida occhiata oltre il vetro lindo, dove, oltre la lastra di vetro, James Potter litigava con un ragazzino Serpeverde, «Petunia» concluse, rianimandosi.

Circa quattro minuti dopo – ma forse erano sette – il treno sussultò e sferragliò sui binari, raggiungendo poi una velocità costante e sostenuta.

«Allora», squittì Mary, adottando il classico tono da mi-aspetto-che-ti-sia-accaduto-qualcosa-di-interessante, «come hai trascorso le vacanze, Lily?»

In rapida sequenza, diversi sprazzi di ricordi si successero, tutti collegati dal filo conduttore James Potter.

«Bene, grazie. E tu?»

«Oh, deliziosamente! Ho conosciuto un ragazzo, siamo stati insieme una settimana e poi...»

Marlene e Lily si sporsero in avanti.

«E poi?»

«Be’, poi le vacanze sono finite e sai com’è, lontano dagli occhi, lontano dal cuore».

«Mary, il tuo comportamento in campo sentimentale è un tantino deprecabile, ne sei conscia?»

Mary rise sprezzante.

«Mi godo la vita. E mi sarei goduta anche Sirius Black se lui... che spreco, che spreco».

Marlene increspò il viso in una smorfia perplessa.

«Se lui cosa?»

«Se lui non fosse innamorato di...», fece una pausa strategica, di quelle che irritavano Lily almeno quanto la rottura della punta di una piuma nel mezzo di un esame, «Remus Lupin».

Marlene boccheggiò stupidamente, poi sorrise maliziosamente.

«Mary, tu ripaghi anni e anni di prese in giro da parte di quel buffone» le batté una pacca sulla gamba e scappò via.

«Hai messo Black in un bel casino, sai?» rilevò Lily; non che fosse particolarmente dispiaciuta, comunque. Era ancora certa che lui avesse spifferato a Potter che lei era a Godric’s Hollow.

«Oh, sarà interessante» mormorò lei, accasciandosi contro lo schienale e sorridendo soddisfatta.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Peter Minus entrò nello scompartimento.

Era terreo in viso e tremava appena. Ma soprattutto, teneva ostinatamente gli occhi fissi su James (che stava sciorinando parole molto poco lusinghiere sul piccolo Serpeverde che lo aveva deriso circa la sua prestazione da Cacciatore) volendo a tutti i costi evitare Remus e Sirius.

E siccome non era un tipo particolarmente vivace o loquace, sedette accanto a James, estraniandosi dalla conversazione.

«Ehi, Peter» lo chiamò Remus e balzò in piedi così bruscamente che la testa impattò contro il tettuccio.

«Peter? Stai bene?»

«Io... sì... certo... come no» emise una risata roca, forzata e penosa.

«Peter», iniziò Sirius, sporgendosi in avanti, «io so riconoscere l’amore. E i tuoi occhietti annacquati mi dicono che tu sei innamorato. No, no, non guardarmi a quel modo! Davvero, noi siamo tuoi amici. Allora, chi è lei?»

Peter Minus arrossì sino alla punta dei suoi capelli biondicci.

«No, Sirius, non è... non sono innamorato. È che... senti», esplose ed indicò lui e Remus, «sta girando una voce sul treno, su voi due. Ne parlano tutti» calcò sulla parola tutti con una certa drasticità che allarmò Sirius, il cui viso virò in una delicata sfumatura di giallognolo.

«Quale voce?» domandò Remus, perfettamente padrone di sé e con il naso ancora affondato nel romanzo che stava leggendo; sorrideva appena, rilassato.

Peter, nel mentre, tendeva in maniera preoccupante al violaceo. James lo squadrò, ipotizzando che stesse per avere un colpo aploplittico o come diavolo si diceva.

«Ecco... bene... dicono che voi due, insomma, che state insieme e che Sirius», e qui lo guardò di sottecchi, accartocciandosi un po’, «abbia rifiutato Mary Macdonald perché è innamorato di te, dicono che lui stesso lo abbia... confessato».

Remus sorrideva ancora quando il libro precipitò sul linoleum. Fissava un punto imprecisato del vuoto e i suoi tratti facciali parevano come congelati.

Il viso di Sirus invece aveva dato il colorito giallognolo in permuta, acquistandone uno grigiastro e decisamente meno gradevole.

«Ah, be’», iniziò James, giulivo, «guardate il lato positivo: adesso la verità è di dominio pubblico e non dovrete più nascondervi».

Sirius e Remus gli furono addosso in un amen.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

La cena fu particolarmente squisita quella sera.

Ovviamente, la squisitezza culinaria era inversamente (molto, molto inversamente) proporzionale alla squisitezza d’animo che si respirava in un preciso punto di un preciso tavolo.

Anzi, in due punti.

Lily non aveva dubbi sulla natura di quella scelta. Sirius Black sedeva al capo sud e Remus Lupin a quello nord.

Peccato che nel mezzo sostasse una notevole quantità di studenti che fissavano ora l’uno, ora l’altro, proprio come se stessero guardando una partita di tennis di rilevante importanza.

I più arditi addirittura commentavano, correndo il rischio di ritrovarsi coperti di zuppa o con un bicchiere misteriosamente incastrato tra i denti.

E se Remus si sforzava di mangiare e assumere un atteggiamento tranquillo, Sirius Black era così furioso che il campo magico sopra la sua testa era alterato; così, mentre su tutta la sala splendeva un cielo trapunto di stelle, su di lui giacevano grossi cumuli di nubi, attraversate da frequenti scariche elettriche. Una di queste colpì James, per inciso.

Poi, la già precaria situazione degenerò quando Joseph Edison ricordò ai suoi vicini di quell’incidente avvenuto al terzo anno, sostenendo che erano destinati sin da allora.

Sirius fu dominato da un istinto animalesco che lo spinse a balzare sul tavolo, percorrerlo a carponi – travolgendo tutto ciò che intralciava il suo passaggio – e gettarsi infine sul malcapitato Edison.

La colluttazione ebbe vita breve.

Silente intervenne prontamente e i risultati furono: una sgridata collettiva a tutti i presenti in sala; cinquanta punti sottratti al signor Black; una punizione a tempo indeterminato al signor Black motivata dalla recidività dei suoi attacchi fisici e verbali; dieci punti sottratti ad ogni Casa per aver incoraggiato così spudoratamente la colluttazione (qualcuno, mentre i due scalciavano e si agitavano, aveva preso a ripetere: “Botte, botte, botte! Ragazzi, apriamo le scommesse!”); una punizione di giorni tre al signor Lupin per aver afferrato un pugno di pudding e spalmato sul viso di uno dei compari di Edison; una punizione al signor Potter di giorni cinque per aver colpito anch’egli Edison (le cose in realtà erano andate così: James si era alzato con l’intenzione di dividere i due, ma Edison gli aveva sferrato un calcio nello stinco così doloroso che, dopo averlo apostrofato in maniera piuttosto pesante, James aveva reagito d’istinto e allontanato a calci il piede del ragazzo); una punizione di giorni quindici al signor Edison per aver provocato la rissa (e qui gli studenti si divisero; alcuni sostenevano che era stato Sirius ad iniziare, altri Edison; altri ancora tirarono fuori il nome di Potter perché, qualunque cosa accadesse, Potter c’entrava sempre); una punizione di giorni tre alla signorina Evans per non aver adempiuto al suo compito di Caposcuola (alla domanda: “Signorina Evans, lei sapeva dell’atmosfera al suo tavolo e dei pettegolezzi che stavano circolando?” aveva ingenuamente risposto di sì e questo le era costato una punizione; in realtà Lily non ci aveva capito assolutamente nulla ed era rimasta immobile e sgomenta mentre tutti gridavano e incoraggiavano Sirius e Edison a picchiarsi).

 

Tutto sommato, comunque, non fu una serata affatto noiosa.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Silente decise che James, Lily e Remus avrebbero scontato la punizione assieme, accomunati dal fatto che i loro ruoli all’interno della gerarchia di Hogwarts non erano stati soddisfatti.

Nessuno dei tre si premurò di ribattere o mettere sul tavolo le presunte prove a discolpa.

È bene specificare che, nello studio ovale di Silente, l’atmosfera era molto, molto tesa. A renderla tale contribuiva maggiormente la presenza della McGranitt, più arcigna e severa del solito.

James e Lily, in momenti diversi, l’avevano sorpresa a fissarli con astio, come se stesse rimuginando su qualche loro ingiuriosa malefatta. Ma né l’una né l’altro arrivarono alla soluzione del mistero.

«Tornate nei vostri dormitori, adesso; confido che la notte vi porti consiglio e magari un po’ di saggezza» buttò Silente, agitando blandamente la mano.

I tre sfilarono via in processione, le spalle curve e gli occhi piantati sul pavimento (quelli di James erano piantati un po’ più su, a dire il vero, su un punto ben preciso della gonna di Lily).

«Sentite», li affrontò di petto Lily, quando furono fuori dalla portata dei professori, «Black è fuori controllo; fate in modo di tenerlo al guinzaglio, avete capito?»

James e Remus si scambiarono uno sguardo che sottintendeva tante cose, riassumibili in: piccola, ingenua, Lily; cosa pensi abbiamo fatto negli ultimi sette anni?

«Sirius ha un forte problema di rabbia repressa; è una creatura incompresa, scaraventata in un mondo che non lo vuole, che ha sofferto da qua-»

«Stai per caso facendo di Sirius un martire?» domandò Lily, la cui domanda in realtà voleva dire: Sirius ha un forte problema di rabbia repressa e tu un forte problema di imbecillità patologica.

«Senti, Evans, io e Remus abbiamo una vita

«Senti, Potter, a me la questione non interessa, se proprio ci tieni; ma vorrei tanto evitare altre punizioni».

«Eh, già; povero il tuo curriculum scolastico» la provocò.

«Ti saluto».

La velocità con cui Lily abboccava alle provocazioni era sinceramente deliziosa.

La vide ancheggiare via, quasi a passo di marcia, stizzita.

«Non sarebbe, non so, il caso di smetterla?» intervenne finalmente Remus, dopo aver a lungo taciuto.

«Dovremmo tutti smetterla, in effetti».

Si incamminarono al dormitorio.

«Cosa intendi?»

«Ma sì; tu, Sirius, la vostra tensione sessuale...»

«Non c’è nessuna tensione sessuale!»

«... il vostro girarvi intorno dal terzo anno...»

«Nessuno gira intorno a nessuno!»

«... la facilità con cui reprimete i vostri sentimenti...»

«Non reprimiamo un bel niente, James!»

«... la pessima abitudine di interrompere qualcuno mentre parla...»

«Ma... oh» tacque, un po’ imbarazzato dallo sguardo severo di James.

«Senti», si risolse infine, afferrandolo per le spalle, i loro visi vicini, «è ora che tu e Sirius chiariate questa cosa. E gli altri vogliono parlare? Che lo facciano!»

CLICK!

Si voltarono immediatamente, nello stesso momento, ma fu troppo tardi: Adam First aveva già scattato la fotografia e stava scappando a gambe levate, seguito dalla sua ghenga.

«Credo», iniziò James, raddrizzandosi, «che questo a Sirius non piacerà».

 

 

 

 

 


  

 

NdA: Incredibile, ma ce l'ho fatta!

Sul filo del rasoio, ma ce l'ho fatta, ooooooh yeah!

Detto ciò, come vedete, stavolta ho deciso di buttarmi su un capitolo old-style, nel senso che presenta forte ironia e, si spera, momenti divertenti.

Ah, mi pare giusto avvertirvi che questa storia, giunti a questo punto, avrà vita breve perché: a) sarebbe già dovuta finire secoli fa; b) Lily&Co sono in Aprile e la scuola finisce a Giugno; c) il tempo per scrivere è sempre di meno. Quindi, tra tre, al massimo quattro capitoli, la storia finirà.

Ve lo dico così siete preparati, insomma.

E niente, mi congedo dato che al momento non ho altro da dire, il mal di testa mi sta pungolando impietosamente e la mia canA deve mangiare.

Alla prossima!

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 15
*** Capitolo XIV: Chi dice Sirius dice danno ***


Nuova pagina 1

 

15. Capitolo XIV.

Chi dice Sirius dice danno.

 

 

 

 

“Ai signori:

James Charlus Potter

Lily Evans

Remus Lupin

 

 

 

 

Si comunica agli studenti destinatari che, in data odierna (14.04.1978), in seguito ad una riunione straordinaria dei docenti, è stato preso atto delle loro mancanze comportamentali e in tale sede è stata stabilito il relativo ammonimento disciplinare.

Gli interessati, pertanto, sono pregati di presentarsi presso l’ufficio di Mastro Argus Gazza alle ore 16.00 per scontare la loro punizione, quantificabile rispettivamente in cinque, tre e tre giorni (tre ore cadauno) (si veda l’ordine degli studenti destinatari) di lavoro manuale esenza alcun ausilio di supporti e/o incantesimi magici, durante i quali gli studenti si premureranno di catalogare secondo criterio alfabetico i testi presenti nel primo settore della Biblioteca scolastica (riceveranno maggiori indicazioni dalla bibliotecaria, Madama Pince).

Si ricorda altresì che Argus Gazza presiederà e monitorerà il loro comportamento, esibendo quindi rapporto alla Direttrice della Casa del Grifondoro, la professoressa Minerva McGranitt.

 

Cordialmente,

 

Albus Percival Wulfric Brian Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Minerva McGranitt, Direttrice della Casa Grifondoro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Alla cortese attenzione dei signori

Walburga Black e Orion Black

 

 

 

 

La Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts è rammaricata nel dover comunicare alla S.V. che Vostro figlio Sirius Orion Black, settimo anno, Casa Grifondoro, dopo ripetute infrazioni del regolamento scolastico, perpetrate per danni a terzi, è oggetto di indagine disciplinare.

La commissione scolastica si assume, quindi, l’impegno di giudicare Vostro figlio sulla base dei suoi scorretti comportamenti regressi, protratti nel corso degli anni di studio, e delle sanzioni disciplinari accumulate in precedentemente detto arco di tempo, onde approvare o respingere un’eventuale espulsione.

Nel frattempo, informiamo altresì la S.V. che Vostro figlio è oggetto dipunizione a tempo indeterminato e da decidere in tempi, ci auguriamo, brevi.

Laddove i signori Black fossero interessati a contattarci, ricordiamo che il Preside, Albus Percival Wulfric Brian Silente, è disponibile nelle giornate di martedì e sabatodalle ore 18.00 alle ore 20.00 dietro appuntamento.

 

Cordialmente,

 

Minerva McGranitt, Direttrice della Casa Grifondoro

 

Walburga Black appallottolò il foglio, tremante e rossa in viso, e urlò al suo elfo di recarsi all’arazzo di famiglia e inserire la palla di carta laddove un tempo spiccava, bellissimo e raffinato, il viso del suo figlio maggiore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Al signor

Sirius Orion Black

 

 

 

 

Si comunica al signor Sirius Orion Black che la commissione disciplinare scolastica – composita dall’intero corpo docenti – terrà in data 16.04.1978una riunione straordinaria per discutere circa l’inadeguato e ripetuto comportamento perpetrato a danni di terzi, talvolta dagli esiti osceni ed inaccettabili.

Al signor Black perviene dunque l’ingiunzione di presentarsi a detta riunione, alle ore 17.00 in data precedentemente specificata, presso la Sala Professori; si ricorda altresì che allo studente in oggetto è consentito presentare le sue presunte giustificazioni e che tutto ciò che dirà e di cui si renderà responsabile potrà essere usato a suo favore o sfavore onde approvare o respingere un’eventuale espulsione.

Si comunica inoltre che, in seguito al deprecabile quanto violento comportamento tenuto in Sala Grande in data 13.4.1978 ore 20.14, il signor Black è oggetto di punizione a tempo indeterminato, la quale verrà concordata sull’esito della riunione straordinaria del corpo docente e ivi discussa nei suoi termini.

Infine, ricordiamo al signor Black la formalità dell’evento e indichiamo pertanto un abbigliamento appropriato.

 

 

 

Albus Percival Wulfric Brian Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts

Minerva McGranitt, Direttrice della Casa Grifondoro.”

 

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Sirius Black stava ancora cercando disperatamente di capire che tipo di abbigliamento si aspettassero da lui.

Dapprima era stato così infuriato con la McGranitt, con Silente, con la lettera, con la zuppa di piselli che faceva veramente, ma veramente schifo che aveva deciso di presentarsi in jeans (che avrebbe provveduto a strappare nei punti più osceni) e la sua maglietta con la scritta Shut up, you idiot1, ma poi aveva pensato che il messaggio era troppo esplicito e che potevaeffettivamente costargli l’espulsione (a prescindere dai suoi precedenti torbidi, era inteso); eppure, aveva voglia di fare qualcosa di clamoroso. Così, successivamente, aveva pensato di presentarsi in mutande, ammantato nella bandiera rosso-gialla del Grifondoro, ma Remus (e qui le labbra di Sirius si assottigliarono e la vena sul collo pulsò nervosamente) gli aveva garantito che, in quel modo, si sarebbe fatto espellere di sicuro e l’arringa che aveva scritto con tanta passione (Nessuno gliel’ha chiesto. Che imbecille. È colpa sua se adesso sto sguazzando nella merda come un fottuto maiale!) sarebbe stata utile per costruirci un aeroplano di carta.

Detta arringa era stata scritta perché Remus era fermamente convinto che ciò l’avrebbe tratto d’impaccio.

(“Hanno detto che puoi presentare le prove a tua discolpa, no? Bene. Mettiamole per iscritto, allora. Spieghiamo nel dettaglio cosa ti ha portato ad agire così. Quando capiranno che hai dei forti problemi emozionali...“

“Mi sbatteranno fuori dalla scuola. Fottiti, Remus.”

“... non potranno non rendersi conto che sei un umano e in quanto tale oggetto di impulsività. Se la giochiamo in questo modo, ti assolveranno.”

“Bada che non mi hanno convocato al Ministero, eh?”

“Ma il principio è lo stesso! Adesso butto subito giù qualcosa e—“

“Scarica i tuoi sensi di colpa altrove, hai capito? Stammi lontano, in nome di Merlino, o darò loro un vero, buon motivo per buttarmi fuori!”)

Sirius ne era meno convinto. In verità, era matematicamente certo che l’avrebbero espulso.

Insomma, i numeri non mentivano, la matematica non era un opinione e la McGranitt nutriva per lui una sorta di rancoroso amore.

Non che fosse un gran problema, per lui; avrebbe chiesto asilo presso i Potter e una volta che James avesse terminato gli studi, avrebbero improvvisato qualcosa.

E poi sapeva fare un quantità di cose sufficiente a garantirli un lavoro come gelataio. Be’, aiuto-gelataio.

Gli dispiaceva però dover abbandonare la comoda routine di Hogwarts, i suoi amici e soprattutto i suoi nemici, che non avrebbe più potuto punzecchiare e affatturare.

Ma, sopra ogni cosa, gli dispiaceva perché l’avrebbe data vinta ai suoi genitori; sarebbe stato come presentarsi a casa loro, entrare con aria prostrata e piegarsi contro il muro.

Prospettiva che gli procurava repulsione e orrore in egual misura.

E in quel momento seppe cosa avrebbe detto.

 

 

 

 

°        °        °

(14.04.1978)

 

 

 

Avevano deciso di ripartire il lavoro in tre parti, si sperava, uguali.

Così, James avrebbe ordinato dalla A alla H, Lily dalla I alla P e Remus dalla Q alla Z.

Inutile dire che, però, il lavoro precedeva assai a rilento, interrotto continuamente sulle continue paure di Remus e James circa le sorti del comune amico.

Lily capiva che se Remus era intimorito e preoccupato, James era terrorizzato e in panico all’idea di perdere scolasticamente Sirius.

Se Remus poteva ordinare libri e parlare contemporaneamente, James ci si buttava sopra, disperandosi per poi riaversi pochissimo dopo e chiudersi in un depresso silenzio.

Lily aveva già sistemato i suoi libri fino alla N, Remus era alla T e James doveva ancora iniziare la C.

Erano circa le diciotto quando James iniziò la sua invettiva contro Silente.

 

«Ma cosa c’entra quel poveruomo?» sbottò Lily, sbattendo sul tavolo esageratamente grande un libro esageratamente pesante e dall’aria esageratamente noiosa.

 

«Come sarebbe a dire?! Lily, la sua firma è su tutte quelle dannate lettere! Va bene, sorvoliamo su noi, sorvoliamo sui Black, ma Sirius! Insomma, lui adora Sirius, tutti adorano Sirius. Remus perfino lo ama!» disse, indicando l’amico che sembrava molto preso dal suo compito di riordino.

 

«I fatti parlano chiaro e, soprattutto, non parlano a favore di Black. Doveva pensarci prima; o pensava forse che l’indulgenza dei professori fosse illimitata? James, ha frantumato il setto nasale di Edison e gli ha rotto tre denti!» ragguagliò, indignata.

Lily Evans ripugnava la violenza fisica e quella psicologica.

Uno del molti motivi, pensava, per i quali decisamente non adorava Black.

 

«Ma tu da che parte stai, scusa?» squittì James, adottando una tonalità molto femminile e molto poco maschia.

 

«Da quella giusta» disse enigmatica, continuando a riordinare i libri.

Remus, fino ad allora rimasto in silenzio, azzardò a prendere parola.

 

«Secondo te lo cacceranno?»

 

«No».

 

«Sì».

 

James e Lily si fissarono torvo per qualche secondo.

 

«Insomma», specificò Lily, «Edison è ridotto davvero male».

 

«Ma ha iniziato lui! Se avesse tenuto a freno la lingua—»

 

«Potter, sforzati di guardare la cosa da un punto di vista obiettivo, per una volta. Black ha subito così tanti richiami che Silente è stato davvero fin troppo indulgente; non c’è l’ho con Sirius, davvero, ma non dovresti giustificarlo».

 

«Quindi secondo te fanno bene a buttarlo fuori? È stato provocato! Tu cosa avresti fatto, sentiamo? Avresti sorriso e lasciato correre?»

 

«Non stiamo parlando di me!»

 

«Zitti! Arriva Madama Pince» sussurrò Remus aspramente, chinando la testa quando l’incedere della donna si fece più nitido e vicino.

 

«Le vostre tre ore sono finite» annunciò severamente, ben contenta di poterseli togliere dai piedi.

E loro, d’altra parte, furono ben contenti di defilarsi e continuare la discussione altrove.

 

 

In Sala Comune, i ragazzi erano riuniti – accalcati, meglio – davanti alla bacheca, dove campeggiava la foto di James e Remus in atteggiamenti, all’apparenza, molto intimi.

Sirius, nonostante fosse stato il primo a vederla, non abboccò. Aveva visto i ragazzi abbracciarsi a casa di Remus e aveva capito chiaramente che la loro era solo una forte, stabile amicizia (l’interesse di James per Evans, poi, uccideva ogni dubbio).

Non abboccò neppure ai commenti maliziosi dei suoi compagni, che continuavano a domandargli come ci si sentisse ad avere il cuore spezzato dai propri amici.

Sirius li congedò con un sorriso sereno e un gesto della mano abbastanza eloquente.

James e Remus, invece, li ignorarono stoicamente, concentrati a cercare una soluzione per l’eventuale espulsione di Hogwarts.

James si arrese a metà conversazione, accasciandosi contro la poltrona mentre Remus e Sirius iniziavano nuovamente a battibeccare.

 

«Sentite», si intromise infine, «piantatela, va bene? Siamo tutti tesi per questa cosa, ma manteniamo la calma; Remus, smettila di provocarlo. Sirius, smettila di perdere la testa».

 

«Non lo sto provocando!» si difese Remus, sollevando le mani e adottando un’aria molto contrariata e molto indignata.

 

«E io non sto perdendo la testa; anche se dovresti cercare di capirmi, dannazione» fece presente, perdendosi poi a scrutare le fiamme del camino.

 

«Andrà tutto bene» disse James, senza rivolgersi a nessuno e senza attendersi una risposta.

 

 

 

 

°        °        °

(16.04.1978) 

 

 

 

Sirius Black arrivò davanti alla Sala Professori con largo anticipo.

Alla fine aveva deciso di adempiere al sottile ordine circa l’abbigliamento e indossare la divisa fresca di bucato e impeccabilmente stirata.

Mancavano quindici minuti alle diciassette, ma per qualche strana ragione, ogni volta che scoccava un’occhiata al suo orologio, le lancette si spostavano più in fretta del necessario, seguendo un ritmo temporale assolutamente insolito, accelerato.

E così le diciassette giunsero di soppiatto e la porta cigolò sui cardini, rivelando la figura austera della McGranitt.

 

«Entra» ordinò bruscamente, scansandosi di lato. Sirius si permise un cenno della testa e varcò la soglia; ebbe una strana vertigine quando notò tutti i docenti seduti al tavolo lungo e scuro, lucido, punteggiato dal riflesso delle candele.

Poi lo assalì la sensazione di essere vittima di un’ingiustizia: perché gli altri docenti avevano il diritto di giudicarlo? Cosa ne sapevano i direttori di Corvonero, Serpeverde e Tassorosso di lui? Come potevano avere potere decisionale in qualcosa a loro sconosciuto?

Silente si schiarì la gola e gli indirizzò uno sguardo gentile, come al solito, che lasciava intendere tuttavia un sottile avvertimento, come quello, ad esempio, di non fare domande inopportune, che non gli competevano.

Aveva sempre sospettato che Silente fosse abile nella Legilimanzia e in quel momento, per mezzo di un istinto ferino e primordiale, ne ebbe l’assoluta certezza.

Chiuse la mente, evocò la figura di Hogwarts e vi rinchiuse all’interno ogni suo pensiero; gli sembrò di cogliere uno scintillio divertito negli occhi del vecchio, ma probabilmente l’aveva solo immaginato.

 

«Siediti, Sirius» si risolse, infine, invitandolo a prendere posto lungo il lato del tavolo che ospitava una sola sedia.

Era un po’ come dover affrontare un esame prima del tempo, da cui dipendeva la sua espulsione.

Rigido e nervoso, obbedì.

 

«Immagino tu sia preoccupato e dispiaciuto per il signor Edison» iniziò Silente, modulando il tono della sua voce così da non consentire o tollerare repliche; Sirius poté solo annuire.

 

«Ti farà piacere sapere allora che il signor Edison, nonostante qualche momentanea ammaccatura, starà bene».

 

«Molto piacere» rimarcò, stringendo poi i denti così forte da credere che tra breve si sarebbero schiantati e caduti a pezzi sulla lingua.

Silente si rilassò e sorrise.

 

«Ma è pur vero», disse, scivolando con i polpastrelli lungo la superficie del tavolo, «che, nonostante le conseguenze siano state contenute e attutite, è stato oggetto di un’aggressione. Vorresti chiarirci il motivo per cui ti sei scagliato su di lui, Sirius?»

Il suo tono era così indulgente e moderato che Sirius si sentì nervoso il doppio.

Iniziò a raccontare con insolita lentezza, pensando adeguatamente a quello da dire; aveva previsto quella domanda e aveva immaginato quel dialogo centinaia di volte, fino a perderci il sonno. Ma in quel preciso momento la sua mente era appannata, riottosa e la lingua ruvida e stopposa.

Più volte fu sul punto di accennare al reale motivo, ma ogni volta indietreggiava, scappava.

 

«Signor Black», lo interruppe la professoressa McGranitt, «ha parlato ripetutamente di provocazione, senza mai specificarne la natura. Dunque?»

Inspirò bruscamente, passandosi entrambe le mani tra i capelli.

Se ne restò così, le dita sulla nuca e i palmi sulle orecchie, la testa china in avanti e il naso che sfiorava appena le ginocchia.

Umiliazione, vergogna, il morso della bile nello stomaco.

Erano state costanti immancabili nella sua vita a Grimmauld Place, qualcosa con cui aveva imparato a convivere, ad accettare, perfino, giacché era ben noto il divario caratteriale e mentale tra lui e il resto della sua famiglia.

Pensò che quel mondo, alla fine, l’aveva raggiunto anche a Hogwarts e gli venne voglia di piangere.

Credeva, nel corso degli anni, di aver esorcizzato i demoni peggiori; cazzate. Le ferite apertosi nell’infanzia non si erano mai rimarginate, quelle protagoniste della sua adolescenza marcivano per effetto dell’odio e della rabbia e del rancore.

Non pose freni ai suoi pensieri, non eresse mura; desiderava che Silente vedesse, che si sentisse colpevole degli spettri che aveva rievocato.

Una scarica d’odio bruciante gli tolse il respiro e gli fece drizzare la schiena.

L’occhiata che scoccò alla donna la portò a battere le palpebre, confusa e forse un po’ intimorita.

Silente provvide a sfiorarle la spalla e Sirius seppe che aveva visto.

 

«Sirius, noi ovviamente sappiamo cosa poggia alla base delle provocazioni, ma questa è una riunione ufficiale e necessitiamo di sentirlo pronunciato dalla tua bocca, così che tu possa avere modo di difenderti e addurre le tue giustificazioni in merito» spiegò Silente, conciliatorio e mite.

 

«Senta», sbottò infine; al diavolo le buone maniere, al diavolo tutti i buoni propositi che si era promesso di perseguire, «parliamoci chiaro: a nessuno farebbe piacere vedere la propria vita privata alla mercé di tutti e la propria sessualità discussa con tanta passione. A nessuno. Professore, a lei farebbe piacere che gli studenti parlassero dei suoi affari privati? E sapendo che questo va avanti e avanti e avanti, ogni giorno, non le girerebbero le palle?»

 

«Black!» gridò Minerva, schiaffeggiando il tavolo.

 

«Sì», replicò l’uomo placidamente, «mi infastidirebbe. Mi infastidirebbe molto».

 

«Bene, allora ecco come stanno le cose: un branco di imbecilli che voi chiamate “miei compagni” continua a ficcanasare nella mia vita, mette in giro voci false per fomentare il gossip e mi rende la vita scolastica davvero difficile. Sul treno qualcuno ha detto che io ho rifiutato Mary MacDonald perché innamorato di Remus. Questa. È. Una. Falsità. Voi mi avete convocato qui perché giustizia sia fatta, ma avete un’idea di giustizia alquanto discutibile: perseguite me, la cui unica colpa che mi riguarda è quella d’aver dato corda ad un tale coglione come Edison, ma non muovete un dito contro chi mette queste stronzate in giro. Voi prescindete questa forma di violenza psicologica e punite quella fisica. Ditemi dov’è la giustizia, in tutto questo».

Si alzò, giacché lo stomaco aveva iniziato a contrarsi e rilassarsi proprio come uno di quei curiosi animaletti delle profondità marine. Era sul punto di vomitare, ne era assolutamente certo.

Non che la sua presenza l’avrebbe salvato dall’espulsione, comunque. Sapeva di essersi appena guadagnato l’espulsione.

Oh, era certo di parecchie cose, rilevò. Curioso, quando la sua vita aveva raggiunto l’impasse e s’era arrestata nel bel mezzo dell’incertezza.

 

«Siediti, Sirius» lo invitò Silente, allungando una mano.

 

«Non vorrei peccare di villania, ma credo di stare per vomitare».

 

«Sei nervoso, Sirius?»

 

Ma cosa...?!

 

«Bah, guardi, no; siamo qui riuniti per assistere ad una spettacolare espulsione. Sono in fibrillazione, a dire il vero, eccitato. Non sto più nella pelle».

 

«Signor Black, l’avverto: lei sta oltrepassando il limite; badi bene di tacere o avrà davvero una spettacolare espulsione, per citarla» lo ammonì bruscamente Minerva McGranitt.

 

«Abbiamo elementi a sufficienza» disse Silente e le proteste non tardarono a levarsi.

L’uomo le zittì con un cenno della mano.

 

«Ti invito ad attendere in Sala Grande».

Sirius capì che era tutto finito. Andando via, ebbe la terribile sensazione che un pezzo di carne si fosse staccato e ancorato disperatamente a quella stanza.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Sebbene si sforzasse di concentrarsi sulla catalogazione dei libri – era il suo penultimo giorno di punizione – Lily risentiva della pesante tensione che emanava da Remus e James.

Entrambi taciturni e mortalmente seri, impilavano i libri a velocità raddoppiata e Lily fu certa che a Potter sarebbe toccato un altro compito per completare i cinque giorni, giacché sulle punizioni non vigevano sconti di condotta o merito.

 

«Non lo espelleranno» sospirò infine, posando delicatamente un grosso e vecchio tomo su una bassa colonna di libri.

Entrambi sollevarono la testa nello stesso istante.

 

«Sirius ha troppi buoni voti in troppe materie; questo dovrà pur contare qualcosa, no? Insomma, diciamocelo: tu» (indicò Potter con un cenno del mento) «e lui siete i migliori in Trasfigurazione e la McGranitt lo sa. E Sirius è perfino più eccellente in Incantesimi. E da quanto ho visto, non se la cava male neppure in Difesa e Astronomia. Sì, d’accordo, ha qualche problema con Pozioni ed Erbologia, ma nulla di irrisolvibile. E soprattutto, ho visto la velocità e la scioltezza con cui pratica l’Aritmanzia».

Fu stranissimo ritrovarsi a tessere le lodi di Black, soprattutto perché la portò a considerarlo sotto una luce diversa, come un rivale; come se solo allora si fosse accorta di quanto e quale fosse il potenziale di Black.

 

A giudicare dall’espressione sul viso di James, anche lui era giunto alle medesime conclusioni, seppur animato da sentimenti differenti.

 

«Evans, hai una cotta per Sirius?» domandò dolcemente. Troppo dolcemente. Pericolosamente dolce.

 

«Possibile che tu debba considerare ogni dannatissima cosa da un punto di vista soggettivo?!»

Eppure il sangue sbocciò sotto le guance, arrossandole.

 

La verità era che Lily, come molte ragazzine prima e dopo di lei, nella sua fanciullezza aveva avuto una bella cotta per Sirius Black.

E chi non l’aveva, d’altra parte? Sirius era bello e sapeva di esserlo.

A undici anni era persa di lui; lo seguiva discretamente con lo sguardo, si sorprendeva a fissarlo insistentemente e ogni scusa era buona per attaccare bottone.

A dodici anni aveva scambiato la sua cotta con l’amore vero ed era stata sul punto di dichiararsi, salvo poi trattenersi quando Sirius aveva iniziato a stringere amicizia con Mary – all’epoca non erano granché amiche – e aveva sentito il suo cuore spezzarsi.

A tredici anni il suo risveglio ormonale le aveva reso la vita un inferno; così, se il momento prima avrebbe voluto disperatamente stringere Black e baciarlo, l’attimo dopo lo odiava furiosamente.

Infine, a quattordici anni aveva scoperto che era un grandissimo stronzo, quando lo aveva colto a parlare di lei in termini molto poco carini. E tutto era finito là. La magia di Sirius Black, come accadeva a tutte, si era interrotta.

A volte, però, le capitava di chiedersi cosa sarebbe successo se Sirius si fosse accorto di lei, se lui avesse ricambiato l’interesse...

 

«Comunque non è questo il punto. Il punto vero è che hai ragione, oggettivamente parlando, e che probabilmente Sirius non verrà espulso».

 

«Sì, ma resta il fatto che è stato duramente punito. Credi che questo non influirà sul giudizio ultimo dei M.A.G.O.?»

 

James assunse una posa in qualche modo professionale, gli occhi nocciola fissi sul viso di Lily senza tuttavia vederla davvero e una mano tra i capelli scuri.

Lily rabbrividì e, irrazionalmente, arrossì.

Cosa c’era che non andava in lei, adesso?

 

«Influirà relativamente», iniziò, rianimandosi, «dopotutto, i M.A.G.O. sono il metro di misura delle nostre abilità magiche; ritengo altamente improbabile che le punizioni influiranno, o almeno, non in maniera decisiva. Non sei d’accordo?»

 

C’era qualcosa nella sua voce, nella sua postura e nella sua mano che tracciava segni astratti nel vuoto che la portò a rabbrividire nuovamente.

Forse ho la febbre; qui dentro c’è così tanta umidità...

 

«Certo, sì» concesse infine, stanca di arrovellarsi il cervello per un tale idiota come Sirius Black.

 

«Ehi, Lily, usciamo insieme, sabato?»

 

Fu come svegliarsi da un sogno. In maniera molto brusca.

 

«Noi siamo qui a discutere dell’espulsione del tuo migliore amico e tu mi chiedi di uscire?! Ce l’hai una decenza?!»

 

«Ovviamente. Ma per un attimo mi sei sembrata così accondiscendente che ho dovuto provarci» scrollò le spalle, spingendo indietro i capelli.

 

Eppure restarono a guardarsi per un tempo infinito. Poi Lily parlò.

 

«Sai che ti dico, Potter? Perché n—»

 

La porta della biblioteca sbatté e il cupo rimbombo rimbalzò sulle scaffalature.

Pochi passi lunghi e frettolosi, il rumore di un respiro affaticato e, infine, la figura disordinata di Sirius.

La camicia gli svolazzava sui fianchi, la cravatta pendeva dalla spalla destra e aveva un’aria insopportabilmente compiaciuta e soddisfatta.

Sollevò entrambi i pollici e Remus e James scattarono in piedi; poi si scambiarono il pugno, un rapido abbraccio e qualche risata sollevata (accompagnata dai “oh, ma noi lo sapevamo” di circostanza).

 

Lily spinse da parte i libri e si defilò, sentendosi improvvisamente di troppo.

Con un sorriso, realizzò che Sirius Black l’aveva interrotta nel momento in cui stava per dire a Potter che aveva cambiato idea.

Si domandò distrattamente come avrebbe reagito il ragazzo, se l’avesse saputo.

Ma la verità era che il suo cervello pescava ricordi apparentemente casuali, collegati in realtà dal fatto che lì, in quelle memorie fotografiche, lui fosse James e non Potter.

E non era fatto sconosciuto che James le piacesse. Non in senso romantico, no; le piaceva allo stesso modo di Remus, se proprio doveva trovare un metro di confronto.

Durante le vacanze pasquali e tutto quello che avevano comportato, si era chiesta spesso cosa sarebbe successo se avesse deciso di coltivare la sua amicizia con James, sforzandosi di ignorare Potter.

Le tornarono in mente la miriade di biglietti scambiati con Anonymous – ripensarci dopo così tanto tempo la portò a sorridere e quasi le mancò il respiro quando appurò che non provava più rabbia, risentimento o vergogna per quella faccenda, ma solo un sottile divertimento – e decise volontariamente di rivedere un preciso biglietto.

Sei una bella persona”.

Allora ebbe un’idea. Se aveva funzionato una volta, perché non poteva accadere nuovamente?

Fece una rapida visita alla Guferia, cercando tra i molti uccelli quello di cui necessitava.

Era l’unico che dormiva, appollaiato sul trespolo. Lily lo svegliò premendo l’indice nel piumaggio e quello chiurlò stizzito, beccandole il dito.

 

«Svegliati, stupido; mi servi» ordinò bruscamente.

L’animale gettò un grido stridulo, spingendo la testa in avanti, ma restò fermo e in attesa.

 

Lily strappò a metà un foglio di pergamena, stappò velocemente la boccetta d’inchiostro e vi intinse la piuma, usando il davanzale come piano d’appoggio.

Quando ebbe finito, lo legò alla zampa del gufo.

 

«A Potter, mi raccomando».

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

“A quanto pare, il tuo amico ha l’abitudine di rovinare tutto, che lo riguardi o meno. Stavo per dirti che avevo cambiato idea, ma adesso l’ho cambiata nuovamente; che vuoi farci, sono fatta così. Gli attimi vanno colti e Black ha sprecato la tua occasione.

Ma non disperare, Potter; forse, se mi darai prova di essere una persona anche solo un po’ intelligente, potrei cambiare idea ancora.

 

PS: A quanto pare, mi sbagliavo: ero convinta che l’avrebbero espulso. Ho detto il contrario solo per sollevarvi l’umore. Be’, sono contenta per voi.”

 

 

James sorrise, ma quando Sirius si avvicinò per ficcanasare, non mancò di schiaffeggiarlo forte sulla guancia.

 

 

 

 

 


  

 

1 – Tributo e omaggio all’ironia pungente di Gregory House – il dottore più famoso di sempre – in riferimento alla puntata 8x22 (Everybody Dies)

 

 

NdA: Prima che qualcuno lo domandi: no, non sto affrontando un brutto periodo. E sì, sto perfettamente bene.

Solo che, che devo dirvi?, le lettere mi sembravano così brutte che, per abbellirle, ho deciso di donare loro un gradevole riempimento simil-pergamena.

Va bene, la verità? Mi sono divertita a pasticciare col Word, ecco, l'ho detto.

Lasciando da parte le mie stupidissime confessioni, credo che stavolta dovrò davvero dare qualche spiegazione.

Sirius. Io ho il forte timore di essere precipitata in un mare di OOC, ma devo proprio spezzare una lancia a mio favore: ho letto molte fanfiction sul young-Sirius e sapete cosa? Non ho mai visto un riferimento che sia stato uno alla sua vita a Grimmauld Place.

Insomma, per dirlo in parole spicciole: 'sto povero ragazzo è stato vittima della malignità della madre da quand'era praticamente bambino. Vogliamo davvero credere che questo per lui non abbia significato nulla? Che non abbia le sue cicatrici? No, ovviamente no.

Quindi mi è sembrato coerente riallacciarmi a quel periodo della sua vita quando è stato affrontato l'argomento Remus, che, ricordiamolo, lo mette in profondo imbarazzo sia con se stesso sia con gli altri.

Ho pensato che le emozioni negative di quel momento avessero risvegliati determinati demoni e scatenato le relative reazioni.

Tutto qui. Ma, come dico sempre, non abbiate timore e ditemi senza preoccupazioni se questo punto per voi è OOC o IC.

Silente. Silente è un gran ficcanaso. Ma è anche tanto carino e anche lui ha avuto un'infanzia di m... ahm, molto brutta (ah, la cosa va per la maggiore, nel mondo di HP; ci sto facendo caso solo ora, sapete?) e questo gli ha permesso di capire Sirius e convincere gli altri.

Ah! Non mi sono dimenticata della punizione di Sirius, no. Sto solo pensando in cosa consisterà.

Lily. Lily deve darsi una bella svegliata, ragà; la fanfic sta finendo e lei è ancora una dannatissima indecisa. No, non va bene.

Perciò ho deciso di darle un bel ca... ehm, una bella spinta per portarla a ripensare a James, a quel James che le piace.

Ovviamente, mi sono arrovellata parecchio il cervello per cercare di introdurre la cosa in maniera organica e, anche qui, spero di esserci riuscita gradualmente, senza cambi bruschi di direzione.

Ancora una volta, l'ardua sentenza ai lettori.

Infine, permettetemi di ringraziare sentitamente e profondamente e umilmente e tuttomente chi ha recensito lo scorso capitolo. Ho letto le vostre recensioni, mi hanno lusingata e un po' commossa, come ogni volta, e nulla, mi sento veramente una brutta persona per le risposte mancate (risposte che ho sempre cercato di dare, in ogni storia) ma la mia situazione al momento è molto complicata, giacché ho solo un paio d'ore libere la mattina e un paio al pomeriggio. Perciò, vi prego di accettare un grazie collettivo e niente, vi amo tutti.

E direi che basta così, oggi; vi ho annoiati sin troppo e il pranzo mi attende.

Ci becchiamo martedì prossimo - problemi e cazzi vari permettendo.

 

 

 

 

Passo e chiudo.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo XV: Equilibri paradossalmente in bilico e cose non dette che sarebbe davvero opportuno dire ***


Nuova pagina 1

 

16. Capitolo XV.

Equilibri paradossalmente in bilico e cose non dette che sarebbe davvero opportuno dire.

 

 

 

 

“Abbiamo fatto a botte. Per colpa tua. No, non è vero: non abbiamo proprio fatto a botte.

Però c’è stata una piccola colluttazione in seguito a quello che tu hai detto.

Comunque, colpi a parte, ci esci o no con me?”

 

 

“Non volevo certamente che voi finiste alle mani; ripugno qualsiasi forma di violenza.

Ma... per me è no, Potter. Te l’ho detto: la tua occasione è volata via, proprio come questo gufo idiota. Che ne dici di cambiarlo?”

 

 

“Che ha Centonovantadue che non va? È un gufo molto zelante, sai? E vorrei farti notare che la mia occasione è volata per colpa di Sirius. Non è giusto che io paghi per colpa di qualcun altro. Dai, usciamo insieme?”

 

 

“Non mi piace; ci detestiamo reciprocamente.

Hai notato?”

 

 

“Cosa? Che vi detestate? No, non l’avevo notato. Non svicolare, per favore. Ti ho fatto una domanda, Evans, sii buona e rispondi.”

 

 

“Non mi riferivo al gufo. Mi riferivo al fatto che io e te, quando non siamo faccia a faccia, riusciamo a parlare come due persone normali.”

 

 

“Non che normale sia un aggettivo che ci appartiene, comunque. Siamo le persone più incasinate che io abbia mai conosciuto. E STAI CONTINUANDO A S-V-I-C-O-L-A-R-E.”

 

 

“Non urlare, Potter; non distruggere il delicato equilibrio di questa conversazione.

E se tu leggessi bene quello che ti scrivo, noteresti che io ho già risposto.

Incasinate, dici? Mah, non che io abbia troppi casini, Potter.”

 

 

“No, forse non così tanti, lo ammetto. Adesso però sei tu che manchi di notare qualcosa di importante.”

 

 

“Sarebbe?”

 

 

“Stiamo discutendo da tre ore almeno (Centonovantadue sta iniziando ad essere restio, a proposito), siamo entrambi assonnati e stanchi, ma eccoci qui. E, ammettilo, stiamo bene insieme. Quindi perché non uscire insieme? Che differenza può mai fare?”

 

 

“Tanta, più di quanto tu possa immaginare. Forse sarebbe il caso di discutere dei nostri conti in sospeso, prima.”

 

 

“Ci sto, perfetto! Sabato alle undici? Io, te e un paio di Burrobirre?”

 

 

“Buonanotte, Potter.”

 

 

“No, no, aspetta! Va bene: prima si parla, poi si esce. Domani dovresti avere due ore libere, so che la professoressa di Rune Antiche non c’è. Allora?”

 

 

“Mi spii? Come diavolo fai a sapere dei miei orari?”

 

 

“Rilassati. So di Rune Antiche perché la frequenta anche Remus. Allora, andata?”

 

 

“... andata.”

 

 

“Grande. Buonanotte, Lily (che ne dici di passare al nome di battesimo?)”

 

 

“Buonanotte, Potter (dico di no).”.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily si svegliò incredibilmente di buon umore. E l’attimo dopo realizzò la sgradevole presenza del nervosismo, acquattato in un angolo della sua pancia.

Sul suo comodino, accuratamente piegati, giacevano i biglietti che la sera prima si era scambiata con Potter.

Stentava ancora a credere quanto le fosse piaciuto parlare con lui.

Ma la verità era chiara agli occhi di entrambi: quando non erano l’uno dirimpetto all’altra, non erano nervosi né le loro espressioni facciali potevano irritarli. La scrittura celava ciò che guastava le loro conversazioni a-tu-per-tu e, al contempo, rivelava ciò che le conversazione a-tu-per-tu non lasciavano uscire.

Da quei biglietti emanava un’autenticità piacevole, dove lui smetteva di essere Potter per essere semplicemente James, perfino divertente nella sua schiettezza e nel suo modo di rapportarsi.

Ma Lily era abbastanza sveglia da sapere che la cosa non si reggeva in piedi: non poteva evitare per sempre un confronto diretto con Potter e dialogare con lui solo tramite gufo.

Ma se avesse trovato il modo di unire le due cose...

 

«Oh, mio Merlino. Sono le sette del mattino e tu sei già immersa nelle tue paranoie» biascicò Mary, lasciandole una carezza sulla testa.

Lily la scacciò bruscamente.

 

«Non è vero, non sono immersa nella paranoia. Stavo solo riflettendo. Dovresti farlo anche tu, di tanto in tanto».

 

Mary gettò indietro la testa per lasciarsi andare ad una risata sprezzante e civettuola.

 

«Io mi dedico alla morbida, sensuale carne maschile. Dovresti farlo anche tu, di tanto in tanto» rimbeccò nello stesso momento in cui Marlene esordì con un fiacco: “’Giorno”.

 

«Marlene, tieniti libera questa sera: dobbiamo parlare».

 

«Di cosa?» domandò preoccupata, una piccola ruga a incresparle lo spazio tra le sopracciglia.

 

«Della stronzata che hai fatto. Ma ne riparleremo stasera».

Corse in bagno, spingendo di lato Mary, la quale imprecò. Mary era così dannatamente lenta che Lily, il più delle volte, era in ritardo per colpa sua.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Sei di buon umore, oggi; qualche sega particolarmente appagante?»

 

«Che palle, Sirius; inizi ad essere snervante e ripetitivo».

 

«Anche tu; specialmente quando trascorri tanto tempo in bagno».

 

«Ma piantala! Piuttosto», posò il gomito sulla spalla del ragazzo, così da potergli parlare nell’orecchio, «cerca di chiarire le cose con Remus. Se hai proprio deciso che lui non ti piace, diglielo; il dubbio lo sta divorando».

 

Gli piantò una manata tra le scapole, come incoraggiamento, e annodò frettolosamente la cravatta; raccolse la tunica (che si gettò in spalla) e la borsa e andò via, lo stomaco vuoto e brontolante.

 

Remus uscì dal bagno in quel momento esatto. Sirius ponderò per qualche istante, soppesando i pro e i contro implicati nel consiglio di James; ma, siccome da tempo immemore tendeva a fidarsi di lui senza mai pentirsene, decise di affrontare il problema di petto, via il dito, via il dolore, come dicevano i Babbani. O qualcosa del genere.

 

«Ahm, Remus...» iniziò, chiamando a raccolta le parole necessarie. Non era facile parlare di qualcosa di così delicato senza ferire Remus, che eccedeva in sensibilità.

Gli consigliò allora di sedersi, mentre lui preferì restare in piedi, sentendo il bisogno di tenersi a debita distanza.

 

«Senti... io apprezzo quello che tu, uhm, provi per me... mi fa sentire, ecco, benvoluto, però... Cazzo» imprecò, passandosi le mani tra i capelli ancora umidi di doccia.

Remus sollevò una mano, sorridendo amabilmente.

 

«Non c’è bisogno che tu prosegua, Sirius. Ho capito. In verità, credo di averlo sempre saputo. Tu eri sempre così circondato dalle ragazze, così attento a loro... come poteva essere diversamente? Come potevo sperare che fosse diverso? Tu hai interpretato male la mia, ahm, dichiarazione; non volevo farti sentire in dovere di replicare o, addirittura, ricambiare. Ho voluto dirtelo perché era diventato un fardello troppo pesante e sentivo il bisogno di parlartene. Non voglio che questo cambi le cose tra di noi, davvero. Non darti pensiero, non entrare in paranoia, non cambiare. Va bene così, Sirius, dico sul serio».

 

Sirius ascoltò con estrema attenzione, ritrovandosi ad annuire lentamente.

Avrebbe dovuto essere contento: le cose si erano risolte e senza neppure che lui spendesse mezza parola in più. Allora perché si sentiva come se Remus lo stesse salutando per sempre?

Perché si sentiva come quando le ragazze lo mollavano?

In quel momento ebbe la certezza che la loro amicizia era finita.

 

«Adesso devo andare; voglio ripetere Rune Antiche» gli lasciò una pacca leggera sulla spalla, calzando il mantello e andando via.

 

Ma oggi non hai Rune Antiche, Remus.


Era davvero finita, dunque.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

James si sentiva euforico ed elettrizzato, come prima di una partita di Quidditch.

Era assolutamente convinto che era giunta la svolta che aspettava, con Lily.

Era certo che avessero stabilito una forma giusta di contatto. Adesso restava solo da traslare la forma scritta in quella parlata.

Decise di provarci sin da subito, prendendo posto accanto a lei.

Remus lo osservò perplesso e lui si limitò a rispondere con un’intensa occhiata del genere ti spiegherò tutto dopo.

 

«Buongiorno».

 

«Oh, ciao» rispose lei, perplessa tanto quanto Remus. Era cosa rara che James non sedesse con i suoi amici e tutto il tavolo parve accorgersene.

 

«Vuoi?» domandò, la brocca di succo d’arancia in mano.

 

«Sì, grazie».

 

Le versò da bere, servendosi poi una generosa dose di ogni piatto.

 

«Mangi sempre così tanto?» si lasciò sfuggire mentre il ragazzo si ingozzava.

 

«Spesso. Soprattutto nei giorni in cui ho l’allenamento di Quidditch» spiegò, iniziando a masticare un panino dolce farcito di confettura all’arancia.

 

Lily annuì. Stava per domandargli – per pura educazione, non perché le interessasse, eh – se gli allenamenti lo affaticassero molto, quando la sua attenzione venne attirata da Sirius.

Si vedeva chiaramente che evitava Remus come la peste.

Prese posto accanto a James e quest’ultimo abbozzò una smorfia di fastidio.

 

«Ho assoluto bisogno che tu salti Babbanologia, oggi; devo parlarti».

 

James si sentì strappare in due metà uguali; aveva già deciso di saltare le due ore di Babbanologia per vedersi con Lily.

Certo, avrebbe potuto dedicare un’ora ad ognuno e con ognuno lasciare le cose a metà, oppure scegliere tra il migliore amico e la ragazza che amava.

 

Una scelta difficile e irritante.

 

«Ma tu non hai già un mucchio di assenze, in Divinazione?» tentò disperatamente, sperando che questo invogliasse Sirius a fare retromarcia.

 

«Non importa. È per una causa di forza maggiore».

 

Scoccò una veloce occhiata a Lily, intenta a parlare con Mary.

 

«Amico, le cose con» (scosse ripetutamente la testa verso destra, in direzione di Lily) «stanno decollando. Non possiamo parlare stasera? Ho davvero bisogno di parlare con lei» mormorò, la voce attutita dal toast premuto contro le labbra.

 

«Ah» soffiò, chiaramente deluso e contrariato.

 

«Dài» lo incoraggiò con una pacca sulla schiena.

 

«Dài il cazzo, James» sbottò e si alzò e andò, non prima di aver afferrato qualche biscotto.

 

James sospirò, scuotendo la testa.

 

«Ehi, Lily» la chiamò.

 

Lily si girò immediatamente e James ebbe la spiacevole sensazione che la ragazza avesse ascoltato tutto.

 

«Senti, ti dispiace se di quella cosa ne parliamo domani?»

 

A giudicare dalla sua aria perplessa, però, Lily non doveva aver ascoltato nulla.

Nei suoi occhi verdi brillò un lampo di sollievo; James sperò vivamente di esserselo immaginato.

 

«Ah. Be’, io domani ho la mattina piena e dovrò studiare nel pomeriggio per recuperare il tempo perso per la punizione».

 

«E io finisco dopodomani e venerdì ho l’allenamento. Resta solo il sabato, ma, sì sì, non fare quella faccia, so come la pensi. Domenica?»

 

«Niente da fare; lunedì c’è il compito di Trasfigurazione, ricordi?»

 

«Lily, vienimi incontro, però» sbottò, innervosito. Ovviamente non bisognava essere un genio per capire che Lily stava deliberatamente cercando di non ottenere un incontro.

 

In risposta, si strinse nelle spalle e tornò a parlare con Mary, che le stava strattonando il braccio con insistenza.

 

Non gli rimase altro da fare che prendere la borsa e andarsene.

 

«E se ne parlassimo durante la rond—? Potter?» si guardò attorno, ma James era come scomparso.

 

«Ehi», disse in direzione di Eric Blowe, Grifondoro del quarto anno, «dov’è finito Potter?»

 

«Se n’è andato. Parecchio incazzato, direi».

 

«Ah».

Si sentì oltremodo delusa, senza neppure riuscire a trovare una spiegazione razionale.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Sirius si distese su una delle panche, le braccia saldamente incrociate sotto la testa.

Quando sentiva il bisogno di schiarirsi le idee, prendere una decisione importante o quando doveva dedicarsi ad una ragazza, il campo da Quidditch soddisfaceva tutte le sue esigenze.

 

Curiosamente, quel giorno ognuno di loro aveva due ore libere a disposizione. E ognuno di loro era rintanato in un angolo diverso del castello ad occuparsi dei propri problemi.

 

James calpestò l’erba morbida del campo, si arrampicò agilmente sugli spalti e raggiunse Sirius, prendendo posto alla panca immediatamente sotto a quella dell’amico.

«Ebbene?»

 

Sirius aprì un occhio.

 

«Non dovevi parlare con quell’imbecille di Evans?»

 

James lo fissò malissimo.

 

«Uhm, spari a zero sulla gente e questo vuol dire che sei fortemente turbato o fortemente incazzato. Che succede?»

 

«Succede che mi dài sempre dei pessimi consigli. “Cerca di chiarire le cose con Remus”», lo scimmiottò in uno sgradevole falsetto, «Abbiamo chiarito tutto, infatti; non mi parla più e da quanto ho capito, ha tagliato ogni ponte con me».

 

«Avrai sicuramente tergiversato, come da prassi» sminuì James.

 

«Tergiversato? Sai quale cazzata ha messo in piedi per potersene andare? “Voglio ripetere Rune Antiche”. Mi sta evitando, è chiarissimo. Quindi, tu hai combinato questo casino, tu lo risolvi».

 

I ragionamenti di Sirius erano sempre impeccabilmente discutibili.

 

«Ma magari voleva davvero ripetere Rune Antiche».

 

«Oggi la professoressa è assente!»

 

«E uno non può avere voglia di ripetere qualcosa, a prescindere che la docente sia presente o meno?!»

 

Sirius ci pensò un attimo.

 

«No!»

 

«Sirius», iniziò, indulgente e conciliante, come se stesse parlando ad un bambino, «tu hai la deprecabile abitudine di pensare sempre al peggio, di pensare che le persone passino il loro tempo a ordire congiure ai tuoi danni».

 

L’altro si mosse a disagio, schiarendosi la voce.

 

«Non so di cosa tu stia parlando, James. Io mi limito solo a giudicare i fatti. Remus se ne è andato accampando una scusa – precaria, tra l’altro, e questo la dice lunga. Questo non è quello che penso sia successo, questo è quello che so».

 

«È inutile», disse, alzandosi in piedi, «io continuerò a vederla a modo mio e tu a modo tuo; non ci capiremo mai. Perciò, fa’ quello che ti pare, Sirius. Ti tratterrai qui ancora molto?» chiese improvvisamente, come se fosse stato folgorato da un’idea.

 

«Non lo so».

 

«Okay. Be’, ci vediamo a pranzo».

 

Scavalcò i tubi di metalli che separavano gli spalti dal campo e rivolse un’ultima occhiata a Sirius, apparentemente tranquillo nella sua posa abbandonata e rilassata.

Scosse la testa e andò via.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Ehi, Remus» lo salutò Lily, prendendo posto accanto a lui.

La Sala Studio era poco affollata, come al solito; non molti studenti approfittavano delle ore buca per ripassare. Quasi nessuno, a dire il vero.

 

«Ciao, Lily. Siediti, siediti» la invitò, spostando la sua cartella. Lo ringraziò e prese posto con un sospiro.

 

«Tutto bene? Ti vedo un po’ giù di tono».

 

Lily mosse la testa a destra e sinistra, un delicato movimento oscillatorio per dire che non andava bene ma neppure male.

 

«Si tratta di James, Remus» confessò, estraendo i libri di Pozioni; solo allora fu consapevole che tutti i presenti avevano aperto sul tavolo lo stesso libro, che tutti ripetevano per l’esercitazione con Lumacorno.

 

«Cosa ha combinato, stavolta?»

 

«Nulla, a dire il vero», spiegò, aggrottando la fronte, «credo che siamo giunti ad una sorta di equilibrio, Remus. Dovevamo vederci oggi, per parlarne, ma ha disdetto all’ultimo momento. Tu sai perché?»

 

A dire il vero, Lily era stata tormentata dal tarlo del dubbio in quel breve lasso di tempo che era trascorso dalla colazione ad ora.

Aveva infatti notato che Stephanie Morgan, di Corvonero, parlava freneticamente di quanto James fosse bello, atletico, spiritoso, affascinante, eccetera, eccetera, eccetera.

Infastidita, Lily aveva storto il naso ed era tornata ai suoi libri. Solo qualche minuto dopo aveva realizzato che anche Stephenie frequentava Rune Antiche e che anche lei, quindi, disponeva di due ore libere.

Non che fosse gelosa di Potter, assolutamente. Ma le prese in giro non le erano mai piaciute.

 

«A dire il vero non sapevo neppure di questa novità tra voi. Non ho idea di dove sia... ma l’ho appena scoperto» sollevò la piuma e indicò James.

Lily si sentì cadere in braccio all’agitazione.

 

«Vai al campo di Quidditch» ordinò seccamente, prendendo posto di fronte a loro.

 

«Perché?»

 

«Perché sono stanco di sopportare le paranoie di Sirius. Quindi, fai il bravo e va’ a dirgli che tra voi è tutto okay».

 

Remus abbassò la testa, stringendo i denti.

James ebbe un brutto presentimento.

 

«Perché tra voi è tutto okay, vero?» domandò, allarmato.

 

Lily seguì lo scambio con interesse.

 

«Non sei l’unico ad essere stanco di lui, James» mormorò rabbuiato, ma si alzò comunque e ripose le sue cose.

James lo fissò andare via, sperando ardentemente che si stesse davvero dirigendo da Sirius.

 

«Che succede tra quei due?»

 

James sobbalzò e solo in quel momento si accorse di lei.

«Ah, sei qui. Vorrei saperlo anch’io, credimi» si passò le mani tra i capelli, esasperato.

 

«Sei stato da Sirius, allora?» chiese, con eccessiva apprensione.

Lui sollevò la testa lentamente, fissandola stranito. Poi annuì con ovvietà.

Rimasero in silenzio, scrutandosi.

 

«Credo che Sirius stia tirando la corda con i suoi fraintendimenti e credo anche che Remus inizi ad essere stanco di questo. Si corrono dietro come due mocciosi e non fanno niente per venirsi incontro. Remus la butta sulla diplomazia e Sirius pensa che questo significhi inevitabilmente che Remus vuole allontanarsi da lui. Non si capiscono; Sirius non capisce che Remus reagisce sempre così a tutto e Remus non capisce lo stesso di Sirius. È tutto un gran casino» concluse, stringendosi nelle spalle.

Lily ascoltò attentamente, pizzicando la punta della penna.

 

«Be’», iniziò, schiarendosi la voce, «quello che Remus prova ormai è fatto risaputo. Io credo che il problema sia quello che prova Sirius».

James fece un sorriso ammirato.

 

«Esatto» convenne, agitando l’indice per aria.

 

«Probabilmente devono solo chiarirsi su questo. Tu cosa ne pensi?»

 

«Penso che Sirius perde di vista tutto, ogni volta che incontra qualche ostacolo; adesso l’ostacolo è Remus e questo lo confonde il doppio. Ma non saprei proprio dire cosa Sirius prova veramente per lui» si strinse nelle spalle, tirando fuori il suo manuale di Pozioni.

Poi le indirizzò un sorriso gentile – sì, proprio gentile – e Lily capì che la conversazione era finita.

 

Tornò allora a dedicarsi al capitolo che stava leggendo, sentendosi incredibilmente più leggera.

Aveva avuto la prova che James era capace di comportarsi come una persona adulta, attento ai suoi amici e a ciò che stravolgeva i loro equilibri; aveva perfino lasciato intendere che anche lui, il magnifico, esuberante Potter, avesse bisogno di aiuto, qualche volta, di parlare con qualcuno dei suoi problemi con i suoi amici.

 

«Ehi» lo chiamò, senza però staccare gli occhi dal libro.

 

«Mh?»

 

«Usciamo insieme, sabato?»

 

James restò zitto per qualche secondo.

 

«Okay» esalò infine, tranquillo e immensamente soddisfatto.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Volevi parlare con me?» chiese Marlene, frizionandosi i capelli bagnati.

Lily annuì e le domandò di sedere accanto a lei.

 

«Marlene, quello che hai detto su Black non è stato carino. Ricordo come e quanto ti ha preso in giro, in questi anni, ma questo non ti dava il diritto di cacciarlo in questa situazione assurda. E anche tu, Mary» disse, rivolgendosi alla ragazza, impegnata a laccare le unghie di verde mare, «smettila di parlare di cose che non sai. Mi aspetto che tutte e due, domattina, vi scusiate con Black. È uno stronzo, lo sappiamo tutti, ma questo non lo meritava. Avete giocato sporco, tutte e due» le additò rispettivamente, alzandosi.

 

Marlene ebbe la decenza di arrossire e distogliere lo sguardo; Mary replicò con un sorrisetto stizzito.

 

«E così, io dovrei scusarmi con lui?»

 

«Dovresti» convenne Lily, nella voce una leggera sfumatura d’avvertimento.

 

«Uhm, non credo lo farò, sai? Non perdono chi mi prende in giro. E poi scusa, da quando ti interessi a Black?»

 

A Lily il tono allusivo della sua domanda non piacque affatto.

 

«Da quando voi avete iniziato a minacciare la sua amicizia con Remus; a me non piacerebbe che qualcuno diffondesse voci false che ci porterebbero a litigare».

 

Al di là dei motivi che la spingevano ad interessarsi ai Malandrini, Lily perseguiva la giustizia, sempre  e comunque, e quello che avevano fatto Marlene e Mary non era giusto; soprattutto se si teneva conto che Black e compagnia, in quell’anno, non avevano infastidito nessuno.

Se ne erano rimasti buoni al loro posto, a farsi gli affari loro; c’era stato qualche battibecco con alcuni ragazzi, d’accordo, ma nulla a che vedere con i metodi brutali e scorretti cui erano ricorsi negli anni precedenti.

Erano cresciuti anche loro e si erano stancati: semplice, e andava bene a tutti.

 

«O forse, da quando hai iniziato a interessarti a Potter. Questa sì, che è una novità».

 

Si sentì impallidire.

 

«Hai letto la mia corrispondenza» sussurrò, la rabbia che risaliva dallo stomaco.

 

«Be’, era lì, sul comodino, in bella vista. È carinissimo, sai? Sì sì, proprio carino, almeno quanto tu sei cieca, ingenua e stupida».

 

Lily indietreggiò come se l’avesse schiaffeggiata.

Cosa stava succedendo? Perché adesso si parlava di lei?

Calma, calma, Lily. Risolvi la questione diplomaticamente e poi vai a dormire.

 

«Sei particolarmente irritante oggi, Mary. C’è una ragione specifica?»

 

Mary si rifugiò dietro un sorriso innocente e una scrollata di spalle.

 

«Voi due domani vi scuserete con Black» ordinò perentoria.

 

«Altrimenti?» la sfidò Mary.

 

«Altrimenti vi denuncio alla McGranitt; sono tua amica, ma sono anche Caposcuola; non commettere l’errore di dimenticarlo, Mary».

 

Si infilò sotto le coperte e serrò le tende attorno al baldacchino, fremendo di rabbia.

 

Si prospettava una nottata in bianco.

 

 

 

 

 


  

  

 

NdA: Buonasera, ragazzi.

Puntuale come un orologio svizzero; il che è relativamente facile esserlo quando il capitolo è stato scritto una settimana prima, tra una pausa-studio e l'altra. Confido di poter fare lo stesso con il sedicesimo.

L'unico intoppo di oggi era appunto lo studio: dovendo passare al setaccio quarantatre pagine, non avevo idea di quando sarei riuscita ad aggiornare - prevedevo un aggiornamento in tarda serata, addirittura. Ma la natura è stata particolarmente brutale, oggi, e mi ha costretta ad un pit-stop forzato. Capita.

Chiusa questa breve parentesi sulla mia noiosissima vita, veniamo brevemente al capitolo.

È ufficiale: James e Lily sono stati i precursori degli SMS. Jily: 1 - Martin Cooper (o chi per lui): 0.

E proprio a proposito di questi due scemi (so che passo metà del mio tempo a dipingerli come imbecilli e l'altra metà ad insultarli, ma in realtà li amo visceralmente), mi auguro fortemente che il cambio di direzione non sia avvenuto in maniera troppo brusco; mi sono sforzata di preparare il terreno già diversi capitoli fa e spero che questo, insomma, si sia notato e che quindi il cambio di intenzioni non risulti troppo estraneo.

Sirius e Remus. Non li sopporto più, ve lo giuro. Ogni volta che vorrei dare loro una svolta, c'è la parte più angst, cattiva e fanghérl di me che mi sussurra all'orecchio: "Cosa diciamo alla Wolfstar, Sara? Non oggi, non oggi". E quindi sì, c'è sempre questa logorante battaglia interiore che mi sta sfibrando. (Sono perfettamente sana di mente, se ve lo stesse domandando.)

Ma state tranki, arriverà: quell'oggi, prima o poi, arriverà. Se sarà dentro o fuori questa fanfiction, ahimé, non so dirvelo; devo ancora decidere, a riguardo.

Voi, nel mentre, fate un piccolo sforzo, come me, e sopportateli. Ogni volta che li sopportate vi allungo un Ape Frizzola, se volete.

(Sto iniziando a chiedermi se per caso non abbia esagerato con le Moment, oggi...)

Ultimo avvertimento, che poi è quasi uno spoiler: occhio a Mary. Solo questo.

Bene, vi ho rotto le palle fin troppo e quindi mi eclisso, non senza aver prima ringraziato le otto, meravigliose persone che hanno commentato lo scorso capitolo, nonostante la mia più totale assenza di risposte (e di questo me ne dolgo, ma proprio tanto). A tal proposito: credo che abbozzerò una risposta collettiva - magari rispondendo a qualche pensiero particolare che avete espresso - che inoltrerò ad ognuno di voi: so che è poca cosa, ma ci tengo davvero.

Be', allora arrivederci a martedì prossimo!

 

 

PS: Per chi si stesse interrogando circa la salute di Centonovantadue... ha un diavolo per piuma, ma sta benone. Be tranki, girls.

 

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVI: Gli imbrogli (smascherati) di Mary Macdonald e i suoi bruschi cambi di rotta. Che diavolo succede? ***


Nuova pagina 1

 

17. Capitolo XVI.

Gli imbrogli (smascherati) di Mary Macdonald e i suoi bruschi cambi di rotta. Che diavolo succede?

 

 

 

 

Le segrete sotto le segrete erano ripugnanti, umide e buie.

Lì per lì, Sirius aveva pensato ad uno scherzo. Insomma, aveva anche commesso una cazzata o due, ma non poteva credere di essere stato destinato ad una sorte simile.

Quando però Gazza l’aveva sospinto oltre la porta di ferro scuro e ammantata di ragnatele, l’orrore l’aveva invaso.

 

«Stai scherzando?!» aveva sbottato contro Gazza, il quale gli aveva scoccato un’occhiata di puro veleno.

 

«Ordini dall’alto, Black» aveva replicato, mellifluo e maligno, estremamente compiaciuto di trovarsi laggiù; Gazza era un vecchio pipistrello, era naturale che si trovasse a suo agio nel suo habitat naturale.

 

«E cosa dovrei fare?»

 

«Pulire, tirarle a lucido. Tieni» gli sbatté sul petto secchio e scopa, comunicandogli poi che sarebbe tornato a riprenderlo tra un paio d’ore.

Arrancò sulle gambe malferme e si chiuse dietro la porta, che stridette orribilmente, come se un gatto fosse incappato tra i cardini e lì morto.

 

«Oh, porca...» Sirius fece per prendere la bacchetta, salvo poi ricordare che la McGranitt gliel’aveva confiscata la mattina prima, sostenendo che gli sarebbe stata restituita solo durante le lezioni che ne necessitavano l’uso.

 

Una candela splendeva, lontana e debole. Sirius arrancò nel buio e si immobilizzò quando un qualcosa passò sui suoi piedi, scappando via.

Si passò il polso sulla fronte, imponendosi la calma.

Era stupido aver paura di quel luogo; non c’era assolutamente nulla laggiù, a parte lui.

Afferrò la candela, dopo averla finalmente raggiunta, e tramite quella riuscì ad accendere le altre.

 

Il luogo era ancora più spaventoso di come era apparso nella fioca penombra.

Grossi Gargoyle di pietra spuntavano dal soffitto, come pipistrelli ancorati ai mattoni.

I loro musi erano terrificanti e gli occhi ammiccavano, rossi e cupi.

 

Pietre. Sono solo pietre. Rubini o roba del genere.

 

Poi, qualcosa lo travolse, scaraventandolo sul pavimento. Una risata stridula echeggiò.

 

«Pix!» strillò, infuriato, rialzandosi in piedi solo per venire nuovamente abbattuto.

Uno dei canini inferiori squarciò il labbro e il naso scricchiolò dolorosamente prima di rompersi e inondargli la faccia di sangue.

 

Pix rise ancora. Era risaputo che il poltergeist odiasse Sirius. Era stato odio a prima vista, sin da quando un Sirius allora bambino aveva varcato la soglia della Sala d’Ingresso.

Ma l’entità non si era mai spinta a tanto, non quando c’erano stati tanti occhi a guardarlo e professori in agguato ovunque.

Sirius quasi rimpianse Kreacher, l’elfo domestico di casa Black. Quasi.

 

Pix lo caricò nuovamente e Sirius allungò istintivamente le mani in avanti, solo per sentire i palmi bruciare quando la pietra scabra li graffiò.

Si sentiva sporco di polvere e terra ovunque e la sua camicia, fino a poco fa bianca, era chiazzata di terra e sangue.

 

«Siriuccio Blackuccio non è più così bello e profumato» lo schernì, sghignazzando.

Poi decise di essersi divertito abbastanza; sfilò contro il muro e lì sparì.

 

Raccolse la scopa e il secchio – ormai vuoto – e iniziò a spazzare, costringendosi di tanto in tanto a fermarsi quando le mani bruciavano insopportabilmente.

Strinse i denti e continuò; prima avrebbe rimesso in ordine quella latrina, prima gli sarebbe toccato un altro compito, sperava, migliore.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

L’occhio di James era visibilmente gonfio e visibilmente nero quando rientrò in Sala Comune.

Remus e Peter gli corsero incontro, allarmati.

 

«Non è niente, smettetela; Monique mi ha colpito accidentalmente con la mazza, passerà» spiegò, liquidandoli entrambi.

Si guardò attorno, intenzionato a parlare con Lily (e assicurarsi che non avesse cambiato idea), quando qualcuno gli andò incontro, domandogli di seguirlo fuori.

 

«Ho bisogno di parlarti» disse l’interlocutore, incamminandosi verso il buco del ritratto. Perplesso, James seguì la persona che gli camminava davanti, superò il buco e rimase in attesa.

 

«So che domani uscirai con Lily».

 

«Sì, e allora?»

 

«Ti sta solo prendendo in giro, Potter. Davvero, io non avrei mai voluto dirtelo, ma... lo fa per mettersi a posto la coscienza, così da non avere rimorsi quando uscirete di qui. L’ho sentita che ne parlava con Marlene ed Alice. Non ha alcuna intenzione di frequentarti o diventare la tua ragazza; a dire il vero, non è certo nemmeno che voglia esserti amica. Insomma, tu la conosci, no? Ti ha sempre disprezzato, perché mai dovrebbe essere diverso, ora?»

 

James indietreggiò come se fosse stato preso a pugni.

 

«Cosa stai dicendo? Lei non farebbe mai una cosa del genere; è troppo... onesta».

 

L’interlocutore rise.

 

«Ah, come la conosci poco!»

Gli batté una pacca sul petto e tornò in Sala Comune.

 

 

 


°        °        °

 

 

 

 

«Possiamo parlare?»

 

Lily alzò gli occhi dal tema che stava scrivendo. Era l’ultima persona con cui desiderava parlare.

 

«Cosa vuoi?»

 

«Potter ti sta prendendo in giro. Sabato uscirà con te, ma prima era negli spogliatoi a baciare una di Corvonero. Non ho idea di chi fosse, ma era molto preso».

 

Fu come se le avessero gettato addosso una secchiata di acqua gelida, seguita da una bollente.

Il pensiero volò a Stephanie. Che era di Corvonero. Possibile?

 

«Non mi importa. Non lo devo mica sposare» replicò sulla difensiva, tornando al suo tema.

Quando sollevò gli occhi, la persona era già scomparsa.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Era troppo stanco e troppo affamato per andare in Dormitorio, lavarsi e scendere a cena.

Il naso aveva smesso di sanguinare – dopo che vi aveva premuto sopra un lembo di camicia – ma doleva oltre l’umana sopportazione; il labbro inferiore era gonfio e livido; le mani erano solcate da graffi frastagliati e rossi.

Non era uno spettacolo gradevole, ma non era dell’umore adatto per curarsi degli altri.

 

Quando entrò in Sala Grande, però, tutti si zittirono.

Ignorandoli, prese posto accanto a James, la cui forchetta cadde e tintinnò nel piatto.

Lo fissava a bocca aperta; poi, quando rinvenne, ispirò bruscamente.

 

«Chi?» ringhiò, alzandosi e lanciando occhiate di fuoco per tutta la sala.

Sirius lo tirò giù.

 

«Pix. Si è divertito per bene. È tutto sangue, non stare lì a preoccuparti, sto benone» disse, servendosi una generosa porzione di pasta al sugo, un piatto insolito ma che adorava.

 

«Devi andare in Infermeria» consigliò Peter, timidamente.

 

«Dopo», lo liquidò, «adesso ho fame e voglio mangiare».

 

Lentamente, gli studenti ripresero a chiacchierare quando i professori comparvero in Sala, sedendo ai loro posti.

Sirius si nascose dietro a James, ingobbendosi. Non desiderava la loro attenzione e neppure le loro domande.

 

«Senti», iniziò James, scoccando una rapida occhiata a Remus, che, pallido, era sul punto di vomitare, «non ho avuto modo di chiedertelo, ieri: Remus è venuto da te, al campo?»

 

Sirius lo fissò perplesso, quindi negò.

James fissò nuovamente Remus, con aperta ostilità, borbottando un “idiota”.

 

«Allora, le segrete sono pulite come le avevo lasciate?» domandò, ricordando la punizione scontata con Lily.

Lo stomaco si contrasse. “Ti sta prendendo in giro. Ah, come la conosci poco!”.

Non pensarci adesso. Domani, rimandalo a domani.

 

«Non sono quelle segrete; sono quelle sotto» farfugliò, la bocca piena di pasta.

 

«Uhm. Ti sono vicino, amico».

 

«Disse quello che ha scontato la pena in Biblioteca» lo redarguì, scrollandosi di dosso la sua mano. James rise.

 

«Hai finito?» domandò.

 

«Sì, adesso sì» rispose, posando la forchetta nel piatto.

James batté le mani e si alzò. Poi ordinò a Remus di fare lo stesso, ignorando il fatto che il ragazzo avesse ancora il piatto mezzo pieno e la forchetta in mano.

 

«Ti accompagniamo in Infermeria» spiegò.

 

«Sei la mia dannata balia?»

 

«Muovi il culo» replicò, trascinandolo in piedi.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

«Chi ti ha conciato così?» domandò aspramente Madama Chips, le mani sui fianchi.

 

«Pix. Mi ha attaccato nelle segrete».

 

«Perché non ti sei difeso?»

 

«E come avrei potuto? Non ho più la bacchetta» spiegò, stringendosi nelle spalle.

La donna espirò rumorosamente, spingendolo sulla branda.

Iniziò ad armeggiare con pozioni e intrugli, borbottando tra sé.

Era indignata dal fatto che Silente avesse riservato ad un ragazzo una punizione così squallida.

 

«Mandarti laggiù, in quel luogo infestato di topi e Merlino solo sa cos’altro. E senza bacchetta, per giunta! Io non lo capisco, non lo capisco» ripeteva in continuazione, mentre imbeveva un fazzoletto di cotone di una strana cosa blu e maleodorante, passandola quindi sul labbro di Sirius... che balzò in piedi e gridò come una ragazzina, gli occhi pieni di lacrime.

 

«Torna qui, Black; una volta il Vaiolo di Drago si contraeva così, sai? E i draghi non c’entrano nulla, credimi» lo spinse nuovamente sul letto e gli disse di stare fermo.


Bruciava come se la donna avesse acceso un fuoco sulla sua pelle. Era insopportabile; contrasse ogni muscolo a lui noto e trattenne lì il dolore, senza riuscirci granché.

Poi la porta si aprì e Remus lo distrasse per due meravigliosi, dolcissimi secondi.

Avrebbe potuto amarlo, in quel momento. Poi però il dolore tornò e si sentì di odiarlo.

 

«James è dovuto tornare indietro a fare non so cosa» spiegò tranquillo, sedendosi accanto a lui.

Sirius ne approfittò per stringergli il braccio e sfogare il dolore. Remus sopportò stoicamente, sorridendo a nessuno in particolare.

 

«Come sta, Madama Chips?»

 

Il malumore della donna affiorò nuovamente.

 

«Bene; finora nessun taglio ha schiumato, questo è un buon segno. Ma Silente... non si rende conto... bah».

Tamponò il fazzoletto su ogni singolo graffio alla mano sinistra e Sirius si sentì sul punto di svenire.

Quella immotivata tortura si protrasse per altri dieci, estenuanti, brucianti minuti, poi Sirius non fu più capace di tollerare alcun tocco.

Spinse via Remus, si distese sul letto e premette un braccio sugli occhi.

Stava ascoltando Remus e Madama Chips discutere; seguì un breve silenzio e quando tolse il braccio incontrò l’espressione turbata e accigliata della McGranitt.

Allora capì che  doveva essersi addormentato, giacché non ricordava affatto l’ingresso della donna.

 

«Non andrai più laggiù» esordì lei, spingendo sul naso gli occhialetti tondi.


Sirius annuì pensosamente, domandandosi quindi cosa avrebbe fatto, dal giorno seguente sino alla fine dell’anno.

 

«E quindi?»

 

«Trascorrerai il tempo nelle cucine; ti occuperai di lavare i piatti e spazzare il pavimento. E, ah, non provare neppure  a chiedere aiuto agli elfi» snocciolò velocemente, dirigendosi alla porta.

Non gli concesse neppure il tempo di replicare; non che ce ne fosse ragione, comunque. Cucine erano sinonimo di cibo a scrocco, gustoso, delizioso cibo a scrocco. Andava più che bene, in effetti, e per la prima volta in sette anni si ritrovò ad essere grato a Pix.

 

«Dov’è Remus? E James?»

 

«I tuoi compagni sono in Dormitorio».

 

«Bene, me ne vado anch’io, allora». Fece per alzarsi, ma Madama Chips lo spinse nuovamente giù, sostenendo che avrebbe trascorrere la notte lì: non si fidava a non averlo sott’occhio ed era risaputo che la notte era sempre il momento più critico dopo un incidente.

Sirius protestò tanto e a lungo e alla fine gettò la spugna.

Si spogliò, tirò via le coperte e affondò la faccia nel cuscino.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

James Potter si attardò in Sala Comune, quella notte.

Aveva provato a dormire, ma era finito con il rigirarsi continuamente da una parte all’altra, fino a che Peter e Frank non l’avevano preso e gettato fuori di peso. Letteralmente.

Era stato molto sgarbato e insensibile, da parte loro.

Così, offeso e irritato, si sdraiò sulla poltroncina (per quanto può sembrare strano ai lettori, è proprio quello che fece) e, le gambe penzoloni, osservò annoiato il fuoco consumarsi e assottigliarsi, riducendosi ad una manciata di braci ardenti.

La pendola si animò con inopportuna vivacità, battendo dodici, squillanti colpi. Mezzanotte. Sabato.

Un fremito di agitazione lo attraversò, trascinando con sé il ricordo delle parole dell’inaspettato interlocutore. E così, Lily stava solo pulendosi la coscienza così da non avere rimorsi una volta fuori da Hogwarts. Poco credibile. Conosceva Lily – be’, la intuiva – abbastanza da sapere che no, lei non avrebbe mai giocato a quel modo con una persona; l’ipocrisia era una componente estranea al suo essere, al suo carattere, alla sua persona, lo sapeva bene. Non una volta Lily aveva taciuto per sfogarsi poi alle spalle del diretto interessato; aveva sempre dato voce ai suoi pensieri, incurante dell’altrui pensiero o della possibilità di arrecare offesa. Lei era fatta così e in molti la detestavano, per questo. Perfino lui ci era cascato, nei primi tempi, associandosi ai più, considerando Lily non molto più di una ragazzina petulante e permalosa, sempre pronta a far polemica, sempre pronta a colpire di lingua ad ogni buona occasione. Solo in seguito si era ritrovato a desiderare che Lily lo colpisse di lingua, ma non nella maniera convenzionale. Pensiero poco carino, ma vero.

Ma sarebbe opportuno precisare che solo dopo si era ritrovato a desiderare Lily, punto. Anche questo, effettivamente, era un pensiero ancora meno carino.

Ma quali che fossero i suoi pensieri, di una cosa era assolutamente certo: Lily gli aveva proposto (Mio Merlino, non riesco ancora a crederci. Lei, lei mi ha chiesto di uscire! Ragazzi, facciamo un quantità di progressi!) di uscire insieme per il piacere di farlo, non per rimettersi in pari con la coscienza.

Stop. Tutto il resto, tutto quel che veniva detto, era nullo.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Capelli: in ordine.

Maglioncino rosso porpora: in ordine.

Colletto perfettamente stirato della camicia: in ordine.

Pantaloni neri risalenti ai tempi del quarto anno (Non ho più messo su un centimetro da quando avevo quattordici anni. Questo è male. Questo è preoccupante): in ordine.

Scarpe da ginnastica basse, comode e un po’ logore: in ordine.

Filo impercettibile di eyeliner: in ordine.

Lily ruotò di novanta gradi, osservando con aria critica il proprio profilo. Non aveva messo tutta quella cura per Potter, ma per se stessa, ovviamente. Ci teneva ad essere presentabile e in ordine, come sempre. Il fatto che l’attendesse il primo (e probabilmente ultimo) appuntamento con Potter non cambiava niente, non decideva niente, non contava niente. E il tenue senso di nervosismo che provava, come un peso fastidioso sullo stomaco, era dovuto solo ai suoi momentanei dissapori con Mary e Marlene, niente di più, niente di meno.

Logico e coerente. Andava tutto meravigliosamente bene.

 

«Ti fai bella per Potter?»

Sussultò quando intravide il riflesso di Mary nello specchio, comodamente abbandonata contro lo stipite della porta del bagno. Il suo viso era una maschera di finta innocenza. Di cattiveria mal celata.

Aveva un problema. Quale fosse o con chi, Lily non ne aveva idea.

 

«Ovviamente no. Sono sempre io, quella puntigliosa e polemica, ricordi?»

 

«Ti interessa Potter?» Il tono della sua voce lasciava sottintendere qualcos’altro, come una vaga minaccia o un vago risentimento.

Lily aggrottò la fronte.

 

«Ci sarebbe qualcosa di male, in tal caso?» domandò.

Il sorriso scivolò via dal viso di Mary mentre si faceva vicina, afferrandola per le spalle. La sua presa era insolitamente forte, come un tacito monito.

 

«Non fa per te. E tu non fai per lui. Lily, per Merlino, stiamo parlando di Potter, quello stesso Potter che ha rovinato i tuoi anni qui, quello che ha distrutto la tua amicizia con Pi—»

 

«Basta» sibilò Lily, scansandola bruscamente, «basta. Non sai di cosa stai parlando».

 

«Non ti riconosco più Lily. Sei un’altra persona» disse Mary, scuotendo la testa. Il dispiacere nei suoi occhi era quasi vero. Quasi.

 

«Allora siamo in due, Mary» ribatté, cantilenando quasi il suo nome, come per rievocare l’amica di sempre, invitarla a tornare. Ma la nuova Mary pareva insensibile alle sue frecciate e molto più sfacciata di quanto fosse stata la vecchia.

E tutto ciò, per Lily, avrebbe avuto anche coerenza se avesse colto l’anello mancante della catena di trasformazione. Cosa aveva scatenato la metamorfosi? E perché?

 

«Qual è il problema?» L’affrontò di petto, incrociando le braccia. Ma l’altra non aveva chiaramente voglia di affrontare l’argomento – quale che fosse – in quel momento, in quel giorno. Forse non l’avrebbe mai affrontato.

 

«Vai a divertirti, Lily; ma non ti ci appassionare molto, o toccherà a noi raccogliere i pezzi. Ricordati cosa ti aspetta e, soprattutto, chi». Osò perfino lasciarle un bacio sulla guancia, come per cancellare l’asprezza del suo tono. Quando Lily si voltò, di Mary non v’era più traccia.

Non le restò altro da fare che scoccare un’ultima occhiata al proprio riflesso – che adesso non la convinceva più – e raggiungere Potter in Sala d’Ingresso.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Stava ancora rimuginando sull’inspiegabile comportamento di Mary, ripromettendosi di parlarle quanto prima, quando scese l’ultimo gradino e vide James seduto su una panca, in attesa, con la testa rivolta al soffitto. Le palpebre erano immobili, il respiro lento, come se stesse dormendo. O pensando. James assorto era uno spettacolo affascinante.

Non c’era malizia sul suo viso e neppure la più piccola traccia della tristemente nota arroganza; era un volto serio di un diciassettenne serio che stava rimuginando su qualcosa di serio.

Lily si accorse del sorriso sulle sue labbra solo quando notò che lui si era alzato in piedi. Lo cancellò in un secondo scarso.

 

«Ciao» la salutò, dondolandosi sui talloni.

 

«Stai bene?»

 

James strinse il viso in un’espressione genuinamente perplessa, come perplesso era il suo sorriso.

«Certamente. Perché me lo domandi?»

 

«Ti ho visto pensieroso» replicò semplicemente, stringendosi nelle spalle, pentita d’averglielo domandato. Cosa le importava dei turbamenti di Potter? Erano affari suoi, dopotutto. E per lei era solo un conoscente, quasi un amico. Quasi.

 

«Ma dai? Lily Evans che mi fissa per capire cos’ho» gongolò, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. La malizia nei suoi occhi castano-verdi brillava inequivocabile.

Lily batté in ritirata, indossando la sua migliore maschera infastidita e guardinga.

 

«Non mettermi in bocca parole che non ho detto, Potter» lo avvertì, piegando un po’ la testa.

James sembrò sul punto di ribattere con qualcosa di molto arguto e molto malizioso, ma pareva proprio che il buon senso avesse prevalso, indirizzandolo al silenzio, limitandolo ad un sorriso compiaciuto.

 

«Rinfodera gli artigli, è una giornata troppo bella per litigare. Dai, andiamo» la esortò, offrendole il braccio. Lily fissò lui, quindi il suo braccio e, ignorando entrambi, si incamminò verso il portone, scoccando un cenno di saluto – per mera educazione, nient’altro – a Gazza, che fissava ogni studente con l’aria di uno che ha avuto una brutta, bruttissima giornata.

James la seguì – senza però profondersi nella stessa educazione – affiancandola, quasi ad ostentare che sì, finalmente James Potter e Lily Evans uscivano insieme.

Riuscì nell’intento, comunque: molte teste si voltarono per guardarli, parlottando fitto.

Lily finse di non notare alcun cambiamento e decise di instaurare una blanda forma di dialogo.

 

«Allora, che programmi abbiamo?» domandò, stringendosi nel cappotto. Ad occhi bassi poté notare le scarpe di Potter – quelle della divisa – impeccabilmente lucide ed inequivocabilmente nuove. Improvvisamente, provò imbarazzo per i propri vestiti e desiderò aver indossato qualcosa di più nuovo, di meno consunto.

A rafforzare le sue paranoie, un alone sbiadito all’altezza della coscia destra, manifestazione chiara di una stoffa lisa e prossima a lacerarsi.

Potter doveva aver detto qualcosa perché la stava chiamando insistentemente per avere una risposta.

 

«Evans? Evans, ehi?»

 

«Cosa?»

 

«Ti stavo dicendo che potremmo andare ai Tre Manici e da Mielandia, se ne hai voglia. Oppure possiamo fare quello che vuoi tu, per me non fa differenza» ripeté, stringendosi nelle spalle e rabbuiandosi all’improvviso. Lily aveva forse intenzione di ignorarlo per tutto il resto della giornata?

Davvero, io non avrei mai voluto dirtelo, ma... lo fa per mettersi a posto la coscienza, così da non avere rimorsi quando uscirete di qui.”

No, no. Era una menzogna, non doveva lanciarsi in congetture peraltro errate. Lily gli aveva domandato di uscire perché aveva piacere a trascorrere qualche ora con lui, non per lenire i morsi della coscienza.

 

«Oh, per me fa lo stesso; Hogsmeade mi annoia sempre allo stesso modo, a prescindere dai posti che scelgo di visitare» replicò distrattamente, stringendosi nelle spalle.

 

«Bene... bene» acconsentì scioccamente, con la sensazione che un grosso macigno gli fosse rotolato nello stomaco, appesantendolo, guastando i delicati meccanismi del corpo umano.

 

Nulla sarebbe andato come aveva incentivato: adesso ne era pienamente certo.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Cose terribili stavano per accadere, cataclismi spaventosi stavano per abbattersi su Hogwarts, oscuri eventi erano acquattati nelle tenebre, pronti a ghermirli tutti.

E tutto questo perché James Potter era pentito. Pentito d’aver accettato l’invito. E non un invito qualsiasi, ma l’Invito, quello con la I maiuscola.

Insomma, come poteva essere altrimenti? Lily non aveva detto una parola che fosse stata una; si era limitata a trangugiare la sua Burrobirra, rigirandosi il boccale scintillante tra le dita con aria assente. Aveva tentato diversi approcci (quello serio, quello simpatico, quello malizioso, perfino quello sfrontato e provocante) ma Lily aveva retto il gioco per venticinque secondi o poco più, tuffandosi poi nel suo cauto silenzio.

James aveva dapprima finto che la cosa andasse bene, si era sforzato di mostrarsi a suo agio, ma poi aveva iniziato ad avvertire l’irritazione risalire dallo stomaco, accompagnata dal sempre più forte senso di imbarazzo e disagio. Da lì il passo era stato sorprendentemente breve per desiderare di trovarsi altrove, con chiunque altro, tranne che con quella versione slavata di Lily Evans.

Inutile precisare che avrebbe preferito litigarci – una sana litigata alla vecchia maniera – piuttosto che osservarla stare in religioso silenzio.

Sì, Lily era carina da fissare, ma per un tempo necessariamente breve; dopo, oltre a diventare inaspettata noiosa, tendeva a creare inconsapevolmente tensione e malessere.

E siccome James Potter non aveva mai vantato troppa pazienza – era piuttosto famoso per il contrario, invero – non si sorprese affatto quando sbuffò platealmente, passandosi le mani nei capelli.

 

«Senti, Evans, onestamente: se non volevi uscire con me, perché me l’hai chiesto? Per farmi contento?»

Lily si riscosse ed mostrò la decenza di arrossire imbarazzata.

 

«No, ovviamente no».

 

«Allora perché non avevi nient’altro da fare?»

 

«No!»

 

«Per compassione? Per pietà? Per togliermi finalmente dai piedi?»

 

«No! Ma per chi mi hai presa?!» squittì indignata, urtando involontariamente il suo boccale che schizzò liquido dappertutto.

 

«Sai, non mi è mai piaciuto litigare con te, mai. Ma adesso lo preferirei a questo silenzio annoiato e francamente imbarazzante» sbottò, frustrato e oltremodo deluso.

Questo era l’appuntamento dei suoi sogni... tramutato in incubo.

 

«Hai ragione. Hai veramente ragione, accidenti... Non sono affatto di compagnia, me ne rendo conto» disse, fissandolo dritto negli occhi, tanto intensamente che James si vide costretto a guardare altrove.

 

«È che...» sbuffò, scuotendo la testa.

 

«Che...? Parlamene».

Ci pensò su, mordicchiandosi la guancia. Poi ricordò come e quanto James si era fidato di lei, qualche giorno prima e si sentì in dovere di ricambiare la fiducia.

 

«Si tratta di Mary. È strana» aggiunse titubante, aggrottando la fronte.

 

«Mary? Macdonald?»

 

«Già».

James si rilassò contro lo schienale, concentrandosi attentamente su qualcosa.

 

«Cosa succede?»

 

«Non lo so, è questo il problema! Ci sto pensando e pensando e ripensando, ma non riesco a capire. È scostante, quasi arrogante, ha perfino tentato di convincermi a non uscire con te» buttò soprappensiero.

James sorrise come se avesse trovato la soluzione a qualche dilemma.

 

«Curioso, sai? Ha fatto lo stesso con me».

 

«Di cosa stai parlando?»

 

«Mi ha detto che avevi accettato di uscire con me solo per pulirti la coscienza, così da non avere rimorsi quando saremmo usciti da Hogwarts».

Lily doveva aver assunto un’espressione totalmente sgomenta e totalmente smarrita perché James si ritrovò improvvisamente a sorriderle di un sorriso rinfrancante.

 

«Ma tu non le hai creduto, vero?» domandò ansiosamente, incosciente d’averglielo chiesto ad alta voce. Quando lui le rispose, si sentì terribilmente in imbarazzo.

 

«No che non le ho creduto», sbuffò, «non posso certo dire di conoscerti bene, ma ti conosco abbastanza da sapere che questi giochetti non ti appassionano. Posso sapere cosa ti ha detto di me, invece?»

 

«Mah, niente... che in realtà ti interessavi ad altre, uhm, persone, che il tuo improvviso cambio di atteggiamento era solo finzione, cose così» tagliò corto, irritata e nervosa.

James, inaspettatamente, rise.

 

«È piuttosto evidente che mi conosce fin troppo poco» garantì, ritrovandosi a posare la mano su quella di lei.

 

 

 

 

 


  

  

 

NdA: 'giorno.

Come da me promesso, ecco il consueto aggiornamento settimanale.

È bene affrontare subito una questione un po' spinosa: questo è il penultimo aggiornamento. Il prossimo capitolo - che, prospetto, sarà piuttosto corposo e lungo - sarà l'ultimo. Questo per una serie di motivi e impedimenti che non sto qui ad elencarvi.

Dopotutto, questa storia doveva pur finire, prima o poi e io ho altri progetti su cui voglio focalizzarmi - per quel che mi è permesso, certo.

Comunque, non credo che questa volta mi lancerò nella classica introspezione di fine capitolo; facciamo un gioco: traete voi le vostre conclusioni, interpretate voi i dialoghi, i gesti e i fatti. Dopotutto, avete a che fare con questi personaggi da sedici capitoli, avete una certa competenza, ormai :)

Una cosa però devo dirla: Pix. Io ho sempre avuto questa bizzarra idea secondo cui lui e i Malandrini (Sirius in particolare) non andassero granché d'accordo. E poi, suvvia, non potevo lasciare quel povero ragazzo a marcire in quel luogo buio e infestato. L'espediente di Pix era per animare un po' la situazione, comunque, e per concedervi uno degli ultimi momenti Wolfstar. E poi, be', perché ne avevo voglia. XD

E il comportamento di Mary... è un piccolo mistero (che sarà svelato nel prossimo capitolo), ma sentitevi pure libere di rimuginarci su. :)

Non credo d'avere più niente da dire, quindi vi lascio alla mia risposta collettiva alle recensioni dello scorso capitolo, ringraziandovi tutte ancora una volta. :)

 

Risposta alle recensioni del quindicesimo capitolo:

Buongiorno, ragazze :)
Come avevo anticipato nell'ultimo capitolo, questa che state leggendo è una risposta collettiva; al momento è l'unico compromesso che sono riuscita a trovare con questa mancanza di tempo materiale che mi sta alquanto sul...lo stomaco.
Ciò detto, noto con piacere che per la maggiore avete preso le parti di Potter: ovviamente non c'è alcun bisogno di precisare che anche io mi unisco a voi.
Alcune di voi hanno espresso una forma di assolutamente giustificato malcontento verso Lily che, ahimé, è sempre la solita babbuina (o bertuccia, se preferite), altre hanno gridato all'alleluja: ebbene, sappiate che mi scindo, in questo caso, per parteggiare sia per un team che per l'altro.
Inoltre, avete anche espresso preoccupazione/ammirazione/indignazione (sì, Eleutera, qui mi rivolgo proprio a te) per Centonovantadue: permettetemi di rassicurarvi ancora una volta. E prometto solennemente di non abusare più di lui in questo modo, giurin giurello. *incrocia le dita dietro la schiena*
Vedo inoltre che tutte siete unanimi nella vostra solidarietà a Remus che, poretto, più cerca di risolvere le cose diplomaticamente più Sirius fraintende tutto. Un classico di questa fanfic.
E vedo anche che siete abbastanza concordi sul fatto che Sirius sia estremamente paranoico e che alcune di voi (Lucky, ad esempio, o Betabi) vorrebbero prenderlo sonoramente a sprangate: ebbene, sono solidale anche con voi.
Poi, per chi ha chiesto di Peter (Ginny e Elle), ebbene non è sparito (con mio sommo dispiacere) ma essendo un personaggio che mi sta tanto, ma proprio tanto sulle pokèballs tendo incosciamente (ma non poi tanto) a relegarlo ai margini e trattarlo quanto meno possibile. A torto, ne sono cosciente: prometto di ricordarmi di questo sprazzo di coerenza in futuro. :)
Invece, per quanto riguarda le giuste osservazioni esposte da March, io rispondo: hai ragione. Eccome se ne hai. Chi mi conosce sa che le long-fiction sono il mio punto debole, sa che io, oltre alle raccolte eterogenee, proprio non riesco ad andare. E sai perché, March? Perché perdo il controllo dei personaggi, dopo un certo numero di capitoli. Le osservazioni da te espresse circa Lily&Wolfstar mi erano balzate all'occhio ancor prima di stendere il quindicesimo capitolo. Ma, sapendo per esperienza che spesso rattoppare = pasticciare = distruggere, ho deciso di seguire la linea guida originale, apportando modifiche piccole ma non sostanziali. Come hai detto tu, la WS è tutta concentrata nel loro rapporto, nel loro vorrei-non vorrei-ma se vuoi; questa incompresione è probabilmente colpa mia, in quanto con "Wolfstar" ho sempre inteso Remus e Sirius come coppia ufficiale e dichiarata. Mea culpa. :)
Per la questione di Lily... è la stessa cosa della mia impossibilità nello gestire una LF. Nelle one-shot, io e lei andiamo meravigliosamente d'accordo, ma in questa... mi ci è voluto del tempo per riportarla in linea con le mie personalissime considerazioni sul personaggio e questo perché, in teoria, questa ff doveva terminare secoli fa, ma una cosa ha tirato l'altra e si è protratta sino ad oggi e, capiscimi, non potevo far mutare Lily da un capitolo all'altro, sarebbe stato poco... credibile? Probabilmente. Comunque, mi dispiace che Lily non ti sia sembrata Lily fino a questo momento; d'altra parte, però, ti sono vicina. Dopotutto, anche io ho faticato a gestire quella Lily, quella avanti-quindicesimo-capitolo. BTW, ti ringrazio per le osservazioni (vorrei riceverne più spesso, a dire il vero; nessuno è perfetto, io men che meno) che hanno confermato i dubbi che mi portavo dietro e che sono un ottimo spunto per lavorarci su. :3
Ultimo ma non meno importante, un caloroso benvenuto a Carolina e Giusy :)
Ne approfitto, inoltre, per ricordare ancora una volta che l'aggiornamento avverrà settimanalmente, ogni martedì, tempo e cose varie permettendo.
Vi saluto ragazze e perdonatemi ancora una volta, nella speranza che questa misera risposta collettiva possa andare comunque bene. :)
Alla prossima!
 

 

 

 

Passo e chiudo.

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Capitolo 18
*** Epilogo: La fine è come l’inizio, solo un po’ migliore e forse diversa (Lily e Remus ci stanno ancora pensando su) ***


Nuova pagina 1

 

17. Epilogo.

La fine è come l’inizio, solo un po’ migliore e forse diversa (Lily e Remus ci stanno ancora pensando su).

 

 

 

 

Tutto sommato, pensò, non è andata così male.

Doveva convenirne con se stessa, volente o nolente: dopo il primo momento di imbarazzo – causato tutto dai suoi pensieri irritanti – l’appuntamento non era stato così male.

Potter – anzi, James; la distinzione era obbligatoria – l’aveva accompagnata di buon grado in quasi tutti i negozi, insistendo poi per visitare la Stamberga Strillante.

 

«Sei fuori di testa?», aveva chiesto, inorridita e scioccata, «Io non ci entro, là dentro».

 

«Cosa c’è, Evans? Paura di qualche spiritello dispettoso?» l’aveva presa in giro e quando lei aveva minacciato di andarsene e piantarlo lì, lui aveva dovuto rivedere la sua posizione e, un po’ seccato, aveva ceduto, incamminandosi al suo fianco verso il centro di Hogsmeade, soffocato da una quantità di studenti.

Non avevano mancato di notare le costanti occhiate scettiche degli altri (Ma davvero? Evans e Potter? E da quando?) e se Lily aveva fatto un incredibile sforzo di volontà per non sfoderare la bacchetta in un gesto plateale e affatturare tutti, James non si era mostrato altrettanto diplomatico e aveva invitato i curiosi, a più riprese, a continuare a godersi il loro week-end, dal momento che una volta rientrati nel castello l’avrebbero aspramente rimpianto.

 

«Non dovresti tirare la corda, sai, Potter? Seriamente, quante punizioni hai collezionato in questi anni? Cinquanta? Settanta?»

 

«Novantasei ed è un gran bel record, non sciuparmelo. E poi, che importa? La scuola sta per finire, rilassati».

 

«Io sono rilassata, Potter».

 

In realtà, non era vero. Provava una strana sensazione: agitazione ed eccitazione, paura e una punta di serenità.

Non ci capiva nulla. Ed era tutto parecchio bizzarro.  E si sentiva sul punto di vomitare (Oh, mio Dio, vomiterò sulle scarpe di Potter e sarà la figura peggiore della mia vita).

 

Non avrebbe dovuto mangiare tutte quelle Api Frizzole.

 

«Evans, aspetta un momento» chiese, stringendole un braccio e costringendola, senza troppo tatto, a seguirlo in un angolo appartato, ma comunque bene in vista.

Tutto, in lei, si tese e la nausea rotolò nuovamente in gola.

Oh, Signore, sta per baciarmi. Sta per baciarmi e io sto per vomitare. Non voglio che mi baci, non sono psicologicamente pronta e forse non lo sarò mai! Insomma, Potter può essere anche un po’ gradevole, ma da qui a fare questo passo...

E mentre era impegnata a discutere con se stessa, James disse qualcosa.

 

«Evans!»

 

«Eh? Cosa?»

 

«Ti ho chiesto se parlerai con Macdonald» ripeté, guardandosi continuamente le spalle, come se temesse un assalto. Da parte di chi, Lily non ne aveva idea.

 

«Uhm... be’, sì, credo lo farò» replicò, scoccando continue occhiate alle spalle di James, contagiata momentaneamente dalla paranoia del ragazzo. In realtà temeva che qualche imbecille potesse scattare loro qualche foto e costruirci su una storia fatta di rose, arcobaleni e cuori. Niente di più lontano dal vero, peraltro.

 

«Bene, bene. Senti, mi domandavo...» guardò il soffitto – per trovare ispirazione? Perché c’era qualche fantasma in ascolto? Per studiare l’architettura del castello? Lily non lo sapeva – e poi si pizzicò il naso, proprio là dove poggiavano gli occhiali. Quando Lily si accorse di stare osservando ogni suo movimento, si concentrò ardentemente sulle sue unghie – ormai erano lunghe abbastanza da poterle dipingere e sbizzarrirsi con svariati smalti – passando quindi l’indice sulle nocche.

 

«... io adesso ho gli allenamenti di Quidditch; se non hai altro da fare, potresti, uhm, venire a vedermi?»

 

Sarebbe stato troppo indelicato se gli avesse confessato di detestare il Quidditch e che non guardava una partita da almeno sei anni? E sarebbe stato ancora meno carino se si fosse portato un libro per ingannare la noia?

Probabilmente sì. Perciò optò per un rifiuto, sperando che questo potesse offenderlo di meno.

Poi si domandò perché le importasse tanto di non ferire Potter. Preferì non cercare la risposta: troppi ragionamenti complicati e dispendiosi.

Restava il fatto che avrebbe rifiutato, preferendo ripetere certi argomenti di studio che sfuggivano alla memoria.

 

«Certo» si sentì invece rispondere.

 

Cosacosacosa?!

 

E superato lo shock del momento, giunse la preoccupazione.

Era normale che un essere umano desiderasse rispondere A e poi, nel momento della detta risposta, optasse per l’opzione B, odiata e scartata a priori?

Le venne in mente il termine bipolarismo.

Le venne perfino il dubbio che il suo corpo fosse posseduto da una qualche entità invisibile o qualcosa del genere.

 

«Fantastico! Allora ti aspetto fuori dalla Sala Comune, tra dieci minuti?»

 

«Ahm... va bene».

 

Forse era davvero il caso di concedersi a certi ragionamenti complicati e dispendiosi.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

«Batti la fiacca?»

 

Sirius si voltò così bruscamente che impattò contro l’anta spalancata di un mobile inchiodato al muro.

Mugolò qualcosa, chiudendola quindi con la mano fasciata.

 

«Non direi. Che vuoi?»

 

«Sei di cattivo umore?»

 

«Cosa te lo fa pensare? Il fatto che debba ancora lavare circa tre miliardi di piatti, piatto più, piatto meno? Oppure il fatto che gli Elfi si rifiutano di darmi da mangiare perché signor Black, signore, Larkin non può dare da mangiare al signor Black, signore; il signor Black deve lavorare, il signor Black non deve mangiare» rispose, imitando la voce stridula di Larkin, Elfo addetto alla supervisione dei suoi simili.

 

«Non ha tutti i torti».

 

«Cos’è, sei una specie di paladino giustiziere degli Elfi Domestici?»

 

«Qualcuno dovrà pur difenderli da te. Credo siano al corrente delle tue incomprensioni con Kreacher, sai?»

 

«Kreacher era un piccolo imbecille malato, ma questo non vuol dire che tutti gli Elfi siano dei piccoli imbecilli malati e che meritino lo stesso trattamento».

 

Remus sorrise indulgente, stringendosi nelle spalle. Era andato lì con il proposito di poter parlare a Sirius circa la loro imbarazzante situazione, non per discorrere circa il trattamento degli Elfi.

 

«Non sono qui per questo, se può interessarti» ribatté Remus, poggiandosi a ridosso di un lavello, mentre Sirius prendeva a insaponare i piatti sporchi, impilati in cinque, altissime colonne.

 

«Allora perché sei qui?»

 

«Perché devi smetterla di fraintendere qualsiasi cosa io dica o faccia» sospirò stancamente, voltando la testa per guardarlo.

Sirius si interruppe, indirizzandogli quindi un’occhiata perplessa. O almeno, ci provò. In realtà sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo l’altro, ma non voleva rendergli le cose facili.

Era fatto così, ahilui.

 

«Quando ti ho detto che andavo a studiare Antiche Rune, l’ho detto perché volevo davvero farlo e non perché volevo fuggire da te o ignorarti o, peggio ancora, chiudere la nostra amicizia. Sei troppo drastico, Sirius, i tuoi cambi di umore mi fanno girare la testa – e non in senso positivo, sappilo. L’attimo prima penso di aver messo in chiaro le cose e l’attimo dopo tu non mi parli più. Ti dico vado a studiare Antiche Rune e tu lo traduci in non voglio più avere niente a che fare con te. Cerco di chiederti cosa non va, perché non mi parli da giorni e tu scappi via. Letteralmente».

 

(Di fatto, solo il giorno prima, Remus si era appostato davanti alla porta del bagno, per essere sicuro che Sirius non gli sfuggisse ancora una volta, che gli spiegasse finalmente perché aveva smesso di parlargli. I lettori sappiano, tra parentesi nella parentesi, che nemmeno nel fior fiore dei loro dodici anni si erano comportati in maniera così infantile.

Ma quando Sirius era uscito si era guardato intorno e aveva additato freneticamente la finestra, urlando: “Cos’è quello? Cos’è? Ci sta guardando! Guarda!”; Remus, ingenuamente, era rimasto ad osservare il panorama oltre il vetro, cercando di capire cosa avesse scatenato tanto panico in Sirius e quando si era voltato per dirgli che non c’era assolutamente niente, l’altro era scappato via.)

 

«Così hai pensato bene di venire qui, certo che non avrei potuto svignarmela, eh? Bravo Remus, hai fatto tesoro dei miei insegnamenti» si complimentò, fischiando ammirato.

Un disperato tentativo di mostrarsi disinvolto, celando l’ansia e la vergogna.

 

(Si era pentito di quella fuga nell’attimo esatto in cui aveva mosso il primo passo. Dopo, al sicuro dietro il pesante tendaggio della Sala Comune, se ne era vergognato come un ladro. Lui era Sirius Black, quello che non scappava, ma correva incontro al nemico, gettandosi a capofitto su di lui. Aveva tentato di lenire la vergogna ripetendosi che era in ritardo e che la strada per le cucine era lunga. Non aveva funzionato granché, però.)

 

«Non mi hai lasciato molta scelta, Sirius» attestò velenosamente. La cattiveria era un sentimento insolito per Remus, buono e compassionevole per natura.

Non era a proprio agio; gli sembrava di calzare un vestito scomodo e della taglia sbagliata, che più cercava di liberarsene, più quello gli s’appiccicava addosso.

 

«Uhm...» borbottò, sciacquando un piatto con insolita lentezza.

 

«Io devo chiedertelo, Sirius: cosa provi per me? Perché, sai, alla luce di tutti questi tuoi assurdi comportamenti, ho qualche dubbio».

 

Il piatto scivolò dalle sue mani e s’infranse nel lavello; piccoli frammenti di porcellana dorata galleggiarono sulla superficie schiumosa. Sirius li fissò come se, da un momento all’altro, potessero suggerirgli le parole esatte per replicare alla domanda di Remus.

Ma la verità era che quelle parole, lui, le aveva cercate per giorni, senza mai riuscire a rintracciarle.

E ogni volta che ci pensava, a quella domanda, provava l’incontenibile bisogno di svuotarsi la vescica.

Qualcuno reagisce così al panico, capita.

 

«Non devi studiare, oggi? O sprecare il tuo tempo in biblioteca? Devi proprio stare qui?»

 

«Sirius... per favore. Per favore, aiutami a chiarire questa cosa una volta per tutte».

 

Il clima iniziò a cambiare e la presenza di Remus divenne ingombrante. Lo sentiva nei borbottii indecisi degli Elfi, che, alle sue spalle, si domandavano se fosse il caso o meno di chiedere a Remus di andare via. Erano creature pacifiche e amavano prodigarsi per gli altri, ma non amavano che qualcuno intralciasse il loro lavoro o un ingranaggio di esso.

E Sirius, al momento, rappresentava un ingranaggio lento e ostacolato dalle chiacchiere dell’amico.

 

«Iniziano ad agitarsi; vai via, Remus. Ne riparliamo questa sera» consigliò a bassa voce, spingendolo verso l’uscita.

Remus si divincolò pacatamente.

E poi scosse la testa, indirizzandogli il più deluso degli sguardi.

 

Oh, fottiti anche tu, Remus. Non è colpa mia.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

 

Lily stava ancora cercando di venire a capo di due enigmi contemporaneamente (“Perché mai ho detto di sì, ritrovandomi qui a perdere tempo?” e “Perché mai mi preoccupo di Potter mentre fa le sue stupide acrobazie?”), quando scoppiò il litigio.

Non stava seguendo le dinamiche della squadra – stava pensando ad incantesimo da usare nel caso in cui James, James!, fosse precipitato da un’altezza media di quattro o cinque metri – ma, da quanto aveva capito, Mandy Vane – Cacciatrice, sostituta di Sirius – aveva avuto un battibecco aereo con James, ripresa dal ragazzo per chissà quali motivazioni, e, in un momento di rabbia, aveva scagliato la Pluffa contro lui – mirando al suo naso, per inciso – sbalzandolo dalla scopa.

Fortunatamente, era caduto da un metro e mezzo d’altitudine, i danni furono irrilevanti.

 

Lily si sporse oltre la balaustra di metallo.

 

«Potter! Potter, stai bene?» domandò il Capitano della squadra.

 

«Sì, benissimo. Vane, sei una maledetta stronza!» imprecò, rialzandosi per affrontare di petto la ragazza che, compiaciuta, incrociò le braccia al petto, sorridendo altezzosa.

 

«Adesso ho abbastanza mira, Potter?»

 

«Tu reagisci sempre così alle critiche altrui?»

 

«Solo a quelle infondate» si compiacque, dondolando sui talloni e ravviandosi i capelli lunghi capelli d’un forte rosso acceso.

 

«Infondate? Infondate? Non hai messo a segno una Pluffa, una!» si infervorò, facendosi più vicino. Il Capitano dovette correre a trattenerlo; Potter era famoso per il suo senso civico da maschio – secondo cui era da vigliacchi colpire una donna, nonché un gesto ripugnante – ma il ragazzo, in quel momento, non era certo che Potter ricordasse d’averlo, il senso civico.

 

«Calmati, tesoro; non è colpa mia, dopotutto, se il tuo amichetto del cuore ha pensato bene di finire in punizione a tempo indeterminato, né se il Capitano ha fatto e concluso le audizioni in due giorni scarsi. Non gioco a Quidditch da anni, dammi un attimo» spiegò, gesticolando blandamente, come se la conversazione la tediasse profondamente.

 

«Hai avuto una settimana per allenarti» ribatté  lui prontamente.

 

«Ho una vita, oltre il Quidditch. Studiare, fare i compiti, prepararsi agli esami, hai presente? Sai, siamo in una scuola, se non te ne fossi accorto».

 

James strattonò il ragazzo che lo tratteneva, sbuffando.

Si rassettò la maglia, passandosi le dita tra i capelli.

 

«Non ho voglia di discutere con te. Riprendiamo, dai» disse, rivolto agli altri. Montò sulla sua scopa e, con un piccolo slancio, si librò in aria, compiendo due ampi giri di campo, forse per rientrare in modalità Cacciatore.

 

Lily tornò a sedere, scrutando impassibile la ragazza, Mandy Vane. Era una Grifondoro del sesto anno, non così studiosa come aveva voluto far credere. Forse era proprio per questo che James aveva preferito ignorare la questione.
Forse non voleva impelagarsi in una discussione che si preannunciava lunga e logorante.

Ma ciò che la sorprese di più fu, appunto, il suo inatteso self-control; non molto tempo prima, Potter si sarebbe scagliato contro la ragazza – verbalmente, è inteso – perché il suo senso civico da maschio esulava dagli insulti.

Prese anche in considerazione la sua presenza, il fatto di saperla lì, a pochi metri da lui, ma le parve inverosimile. Potter non era uno che le mandava a dire né si era mai preoccupato di lei.

Lo sapeva fin troppo bene.

 

E, sebbene si sforzasse di darsi torto, in Mandy rivedeva qualcosa di lei.

Riviveva la stessa arroganza con cui era solita rapportarsi con lui, lo stesso sorriso impertinente che le piegava le labbra, la stessa forte ironia delle sue parole.

Il paragone, vero o falso che fosse, la turbò e la infastidì.

 

Distolse gli occhi dalla ragazza solo per puntarli su James – una figuretta sbiadita e lontana – che gridava qualcosa ai suoi compagni di squadra.

 

«Ciao».

 

Sobbalzò.

 

«Remus! Cosa fai qui?»

 

«Ogni tanto vengo a vedere James» spiegò semplicemente, stringendosi nelle spalle e sedendo accanto a lei.

 

«E tu? Perché sei qui?»

 

Perché la mia testa ha qualcosa di guasto, quindi anziché rifiutare, eccomi qui. È un po’ come gli incidenti stradali, la carta igienica che manca e te ne accorgi solo quando sei sul water, le pessime figure: cose che capitano, insomma.

 

«Non avevo niente da fare...» rispose invece, sforzandosi di sorridere disinvolta.

 

«Come va con Black? James mi ha detto che avete dei problemi, ultimamente».

 

Doveva ammetterlo: la tattica del mi faccio gli affari tuoi prima che tu possa farti i miei  e costringermi a fare conti troppo complicati non era molto leale.

Ma Remus non ne sembrò infastidito. Anzi, sorrise. Sorrise come se avesse assistito ad una piacevole sorpresa.

 

O forse era solo la sua mente a interpretare male; probabile, dal momento che ne aveva già appurato un guasto dire-fare.

 

«Va. Spero di risolvere tutto, stasera» spiegò, piegando un po’ la testa per fissarla con curiosità.

 

«Cosa c’è?» chiese allarmata, rassettandosi i capelli. Aveva qualcosa tra i denti? Un insetto sulla faccia? (Dovette controllarsi per contenere la repulsione)

 

«Non te ne sei accorta, vero?»

 

«Di cosa?»

Lo vide stringere gli occhi per intercettare un giocatore. Poi mosse il braccio, sollevandolo in un saluto. Potter, ovviamente.

 

«L’hai chiamato per nome. Mi è piaciuta la leggerezza con cui l’hai fatto, del tutto spontaneo... forse le cose stanno davvero cambiando». L’improvviso tono rammaricato avrebbe dovuto accendere in lei una scintilla di sospetto, nonché farle notare che forse non si riferiva affatto a lei e Potter, ma era troppo preoccupata per la prima parte della sua affermazione per badarvi.

 

«Lui è... diverso» disse, anche se quell’aggettivo non era del tutto corretto. Avrebbe voluto dire nuovo, ma non avrebbe avuto poi così senso.

 

«No, Lily; lui è così, lo è sempre stato; solo, eravate troppo impegnati a urlarvi addosso per guardarvi».

 

Ancora una volta, gli occhi di Lily cercarono Mandy, per trovarla e quindi abbandonarla immediatamente.

 

«Eravamo pessimi, vero?»

 

«Non direi. Eravate solo... immaturi. Adesso che siete cresciuti non avete più così tanta voglia di strillarvi addosso. Volete... no: avete bisogno di essere adulti e quindi, vi venite incontro. In un certo senso, è come se vi stesse conoscendo adesso» spiegò, sorridendo e salutando nuovamente James quando questo sfrecciò davanti a loro, sollevando un turbine d’aria.

 

«Già, forse è come dici tu».

Realizzò che era come diceva lui. Remus era una manna dal cielo per le povere indecise e mentalmente guaste  come lei.

Avrebbe potuto amarlo, in un altro universo.

E dire che al sesto anno si era quasi convinta di provare qualcosa per lui, prima di realizzare che era semplice affetto, che Remus era quel fratello che non aveva mai avuto.

 

«Spero che tu possa risolvere le tue incomprensioni con Black, Remus, te lo auguro davvero».

 

Sorrise, lasciandole una carezza distratta sulla mano.

 

«Lo speriamo un po’ tutti, Lily».

 

 

 

°        °        °

 

 

 

«Grazie per oggi».

 

Il sole accendeva d’arancio il campo da Quidditch, incendiandone l’erba che sapeva essere verde e brillante.

James, ancora umido di doccia, inforcò gli occhiali, incamminandosi verso il castello. Lily lo affiancava e, talvolta, il dorso delle loro mani sfregava, ma entrambi facevano finta di niente: l’imbarazzo era palpabile.

 

«Prego» replicò scioccamente.

 

«Potremmo rifarlo...» buttò vagamente, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.

Lily rallentò impercettibilmente, soppesando l’affermazione.

Aveva tutta l’aria di essere una domanda indiretta.

 

«Aehm... uhm...» biascicò, nel mentre che cercava di risolversi a rispondere coerentemente. Sì o no. Non era poi così difficile.

Ma in quel momento le sembrò la cosa più complessa del mondo.

 

«Sabato prossimo, magari?»

 

Be’, quella era una domanda. Per niente indiretta. Poco carino da parte sua; adesso doveva necessariamente risolversi.

 

«Vacci piano, Potter; insomma, non saprei, forse, o forse no».

 

«Non ti sei divertita, oggi?»

 

«Ma non è questione di divertimento...»

 

«Allora ti sei annoiata?»

 

«Ma non è una questione di noia...»

 

«Ti sto ancora antipatico, allora».

 

«Ma non è una questione di antipatia...»

 

«Pene» disse, voltandosi a guardarla. Lily fissava un punto inesistente e rispondeva meccanicamente. E se la sua teoria era corretta, avrebbe dovuto rispondere...

 

«Ma non è una questione di pene... Idiota!» sbottò irritata, riavendosi.

 

«Mi piace come lo dici, sai? Lo ripeteresti un’altra volta?» la provocò, azzardandosi perfino a tirarle una ciocca di capelli.


E distrusse tutto nel giro di due secondi scarsi. Gli schiaffeggiò la mano, allontanandosi come se si fosse scottata.

 

«Sei un maiale e non toccarmi i capelli! E comunque è no, non uscirò con te, sabato».

 

«Dai, Evans... aspetta, rallenta... Evans, si chiama “provocazione”, fatta in buona fede, per altro. Su, non fare la permalosa...»

 

E, seppur nuova, diversa e stravolta da tutti i cambiamenti, la routine ricominciò.

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Sirius si sentiva un’entità estranea al suo corpo.
Non era più certo di essere lui ad ordinare alle gambe di muoversi. Forse era l’inerzia, o la stanchezza, o la Divina Provvidenza. Chissà.

 

Quando entrò in Dormitorio, alle ventidue in punto, si gettò a peso morto sul letto, prono e interamente vestito.
Che sensazione paradisiaca! Sarebbe scivolato nel sonno da lì a quattro secondi, godendosi un lungo, ininterrotto, meritato riposo...

 

Poi però entrò Remus.

 

«Sei qui» constatò, uscendo dal bagno, infilato nel suo pigiama nero a righe grigie.

 

(Era di Sirius, quel pigiama. Gliel’aveva prestato molto tempo prima, quando Frank, in seguito ad un violento litigio – era volato addirittura qualche spintone, aveva fatto sparire ogni suo capo intimo, senza mai restituirli. Era inverno e Remus tremava di freddo, seppur avvolto dalle spesse coperte di lana. Ricordava d’essere sgusciato fuori dal suo, di letto, per rovistare nel baule e porgergli quel pigiama.

Non ne era certo, ma gli era sembrato di vedere gli occhi di Remus luccicare, come se fossero stati colmi di lacrime. Ma era buio e non lo dava per scontato. A tutt’oggi, sapeva solo che James e Frank, in seguito a quell’episodio, si parlavano a stento e con una certa freddezza.)

 

«Sono qui solo fisicamente; in realtà non sono davvero qui» lo informò, la faccia affondata nel cuscino. Remus dovette chinarsi per decifrare il suo mugolio indistinto.

 

«Sei stanco?»

 

«Sono molto più che stanco».

 

«Allora ti chiedo una risposta sintetica e veloce. Ne ho bisogno» aggiunse, sedendo accanto a lui. Tanto bastò per far voltare Sirius. Aprire gli occhi fu uno sforzo insolitamente dispendioso.

E tra tanta stanchezza, brillò un barlume di lucidità; improvvisamente, seppe cosa dire. Parola per parola, nel modo più conciso e preciso possibile.

Era fiero della sua mente: aveva lavorato come e meglio di quella di Remus.

 

«So che sei uno dei miei migliori amici, Remus, ma non provo altro che affetto, per te. E ti prometto che d’ora in poi mi comporterò come al solito e se avrò dubbi circa il tuo comportamento, te lo dirò. Posso dormire, ora?»

 

Remus sorrise, come se fosse finalmente in pace. O piombato all’inferno, dipendeva dai punti di vista.

 

«Sì, adesso puoi dormire».

E come se gli avesse gettato addosso un incantesimo, Sirius chiuse gli occhi e s’addormentò. Il suo respiro divenne lento e placido, regolare e misurato.

Remus non riuscì a trattenersi e, accertatosi che fossero effettivamente soli – a proposito, dov’erano tutti? – liberò la fronte dai capelli scuri, spingendoli indietro. Trattenne lì le sue dita anche molto dopo che le ciocche furono ben lontane dal viso, saggiandone la consistenza, come a volerla imprimere tra uno strato d’epidermide e l’altro.

 

Avrebbe voluto avvicinarsi, respirare il suo profumo, forse baciarlo, ma non sarebbe stato corretto.

Un bacio in cui Sirius era incosciente bastava e avanzava.

Così, gli indirizzò un sorriso parimenti triste e amorevole; poi, si alzò e s’infilò nel suo letto.

 

E anche per lui, da domani, sarebbe iniziata una nuova routine.

 

 

 

 

°        °        °

 

 

 

Lily aveva deciso di scrivere a James.

Non un telegrafico biglietto, ma una lettera. Una di quelle vere, di quelle con le cancellature e con le emozioni inespresse infilate tra una riga e l’altra.

Era già a buon punto quando Mary sedette sulla scrivania, fissando Lily e iniziando a giocare una ciocca dei suoi capelli rossi.

 

Il gesto, tanto affettuoso e tanto amichevole, nonché appartenente alla vecchia Mary, quella che amava profondamente, le fece venire le lacrime agli occhi.

 

Sciocchezze; è solo un po’ di polline.

(Le venne quasi da ridere: il suo tentativo di ingannarsi fu così goffo che si domandò dove diavolo mai avrebbe potuto esserci del polline, là dentro)

 

«Sono stata una vera stronza, in questi giorni» disse tranquillamente, iniziando ad intrecciare la ciocca che stringeva tra le dita.

 

«E come darti torto?» sbuffò l’altra, mettendola poi al corrente dei recenti sviluppi: l’uscita con James – Potter, Lily, Potter, non James! ... oh, al diavolo, io lo posso chiamare come mi pare, nella mia testa – il suo tentativo di sabotare l’appuntamento, tutto.

Mary non si prese neppure la briga di negare. Non era da lei, dopotutto.

Aveva un contratto con la verità, o qualcosa del genere.

 

«Ti ricordi quando mi dicesti di trovare un ragazzo che potessi amare

 

Annuì, intuendo con orrore dove volesse andare a parare.

 

«Be’, ho sempre avuto questa... cosa, per James. Non mi sono mai preoccupata di te, non ti ho mai vista come una rivale. Ti volevo bene, eri mia amica e, soprattutto, vedevo come trattavi James e come lui ti guardava. Poi, però...» fece una pausa e il suo viso si accartocciò in una smorfia di disappunto. Sbuffò.

 

«Poi però ho iniziato a vedere i cambiamenti. La tua antipatia era svanita e lui ti guardava... ti guardava come se tutto il resto fosse solo un’ombra. Ho iniziato a considerarti una rivale, ma a quel punto era già tardi. E poi, oggi vi ho visti al campo... il modo in cui interagivate... forse un giorno, molto vicino, ti sveglierai e capirai di esserti innamorata di lui – è così palese! – e fino ad allora io mi sarò messa l’anima in pace. Quel tentativo di sabotaggio è stato una stronzata, lo so; di fatto, non ha funzionato neppure un po’, anzi!» rise, scuotendo la testa.

 

Lily si sentì paralizzata.

Era ancora più orribile di quanto avesse immaginato.

La sua migliore amica incredibilmente innamorata di James. Certo, ebbe la premura di non dirle che l’ultima parte del suo discorso faceva acqua da tutte le parti.

Sentiva fosse vero: non era innamorata. Non in quel momento, almeno. Tra lei e Potter si era solo instaurata una nuova complicità, una forma di tolleranza.

Erano cresciuti, come aveva detto Remus.

Avrebbe potuto dirle di non preoccuparsi, di gettarsi, ma non volle.

Per una ragione confusa e che le sfuggiva, non volle farlo.

 

«Mi dispiace» disse invece, chiudendo il suo quaderno. Nascondendo quelle parole che, adesso, sembravano tanto inopportune, private del loro originario valore.

 

«Non farlo; hai una grossa fortuna per le mani, non lasciartela scappare. James non guarda nessuna come guarda te. Forse un giorno o l’altro te ne accorgerai. E io... ah, io non starò certo qui a struggermi per lui!» squittì, saltando giù dalla scrivania, tornando ad essere la Mary vanesia e spensierata di sempre.

 

«Ne sei sicura?»

 

«Sono rassegnata, Lily. E poi, forse me la prendo tanto perché lui è l’unico che non mi ha mai guardata, che non si è mai interessato a me, chissà... So solo che adesso andò a farmi una doccia, lo shopping mi sfianca e mi fa sudare» disse, chinandosi per baciarle la guancia.

 

Poi, a balzelli, sparì nel bagno.

 

Lily restò a fissare il muro, intontita.

Avrebbe voluto analizzare la cosa, sviscerarla fino alla morte, ma non adesso.

Domani. Domani sarebbe stata domenica, avrebbe avuto un sacco di tempo libero per spenderlo su quei pensieri.

 

Aveva bisogno di dormirci su, sì. Dormire, riposare, dare alle cose la giusta collocazione nella scala dell’importanza. Staccarsi da quell’assurdo mondo che era il suo per essere scaraventata in quello onirico, altrettanto assurdo ma momentaneo, parallelo, scollegato dalla realtà.

 

Si gettò le coperte addosso e, mossa da chissà quale volontà, aprì il cassetto per tirarne fuori i biglietti che James le aveva inviato non molto tempo prima.

Li lesse fino ad impararli a memoria, li lesse fino a consumare le energie e scivolare in un sonno profondo e compatto, buio.

 

Ci fu una sola certezza che l’accompagnò nel riposo: da domani, sicuramente, tutto sarebbe cambiato.

E non vedeva l’ora di scoprire come.

 

 

 

 

 


  

  

 

NdA: Infine, giunsi.

No, non è una poesia né il mio epitaffio (sarebbe carino però; quasi quasi me lo segno).

È la fine di questa fanfiction *so sad*.

Ma eravamo tutti belli e preparati, quindi ricacciamo indietro le lacrime e mettiamo da parte i sentimentalismi.

E quindi sì, è finita.

Così, in maniera molto leggera (be', mica tanto). In verità, non si è giunti a nessuna conclusione; le coppie sono rimaste in sospeso, ma non era questo che mi importava. Mi importava far emergere i cambiamenti e tutto il resto. L'importante era il viaggio, non la meta.

E spero vivamente che questo si sia notato, che tra il prologo e l'epilogo - e tutto quel che c'è in mezzo - si noti la differenza e che tale differenza non sia troppo netta, ma graduale.

Non ho altro da aggiungere, credo; per qualsiasi problema, critica o dubbio, però, non esitate a contattarmi.

E passiamo adesso ai ringraziamenti, che sono d'obbligo in ogni capitolo, ma ancor di più a fine storia.

 

Perciò, un sentito, immenso, sincero GRAZIE a March, che mi segue dall'inizio e non si è mai persa un capitolo, che mi ha allietata con le sue frecciatine ironiche; lietome, che si è aggiunta negli ultimi capitoli e ne sono davvero contenta, di questo; a betabi, che mi ha sempre fatto sorridere con il suo entusiasmo; a Libra, che è un po' una delle mie official supporters e che mi segue ovunque e io, di questo, non posso che esserle grata; a Nipotina, cara, simpatica ragazza che ho avuto il piacere di conoscere a tre quarti della storia e che non manca mai di commentare quando la taggo nei miei stati Facebook; a Silver_River, che mi segue da parecchio, in questa storia e altrove, e che è stata sempre puntuale nell'esprimere il suo parere; a Lucky, che mi segue davvero ovunque, che mi dedica tanto del suo tempo, recensendo sempre fin nei minimi dettagli e che sì, le sono affezionata, dopo tutto questo tempo; a , la mia fan numero uno, lei che mi segue davvero ovunque, in qualsiasi fandom e che è la spalla migliore che una fanwriter possa desiderare; a Nali, mia sorella, mia mogliA e mio respiro, che segue questa storia sin da quando neppure esisteva (!) e che mi ha sempre, sempre spronata a fare del mio meglio, anche quando volevo prendere e mollare tutto; a Frency, che mi contatta su FB per chiedermi spoiler su spoiler, che era disperata perché si perdeva questo capitolo, che ama questa storia; a Puccetta (Silvia), che ha seguito questa storia e che le è piaciuta nonostante fosse una Jily; a Dan, che non si è mai persa un tag.

Grazie a voi, che mi avete lusingata con i vostri complimenti che, nonostante gli sforzi, sento di non meritare; non perché vi consideri dei bugiardi - figurarsi! - ma perché ho dei seri problemi di autostima, ragazzi.

A voi, che mi siete rimasti accanto fino alla fine.

(La sto tirando troppo per le lunghe, vero?)

Grazie a voi, che avete fatto raggiungere cifre vertiginose a questa fanfiction: 47 preferiti, 16 ricordate, 120 seguite e 162, meravigliose recensioni.

E grazie anche a voi, che avete letto in silenzio: spero almeno che abbiate apprezzato. :)

 

E adesso è davvero il caso di tagliare. Ci ribecchiamo presto in giro, con qualche altra Jily (non long, però!).

Con affetto,

 

Sara aka Roxar aka La Rana.
 

 

 

 

Passo e chiudo.

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