Anonymous - Biglietti da nessuno di Roxar (/viewuser.php?uid=31966)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Al peggio non c'è mai limite. A James Potter neppure. ***
Capitolo 2: *** Capitolo I: Idee discutibilmente geniali sulle quali Remus ha qualcosa da ridire. ***
Capitolo 3: *** Capitolo II: Corrispondenze anonime di dubbia trasparenza ***
Capitolo 4: *** Capitolo III: Le menzogne di Remus e l’ingenuità di Lily si sposano incredibilmente bene ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV: Quando lustrare le segrete di Hogwarts ti cambia la vita. O quasi ***
Capitolo 6: *** Capitolo V: Quando tocchi il fondo, non ti resta altro da fare che scavare ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI: Tutto finisce, anche le buffonate di James Potter ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII: Il clue del clue del clue. E quattro giovani non proprio contenti. ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII: (S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX: Qualcosa di diverso dall’ordinario: compleanni ignorati, ragazze-procione e gli errori di Remus. ***
Capitolo 11: *** Capitolo X: Sono solo parole. Ma anche pugni, graffi e ferite inattese ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI: Vacanze col botto ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII: Cose di difficile comprensione e le visite inopportune di James Potter. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII: Altrimenti ci arrabbiamo. E contribuiamo a tenere alto il morale di Hogwarts. ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV: Chi dice Sirius dice danno ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV: Equilibri paradossalmente in bilico e cose non dette che sarebbe davvero opportuno dire ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI: Gli imbrogli (smascherati) di Mary Macdonald e i suoi bruschi cambi di rotta. Che diavolo succede? ***
Capitolo 18: *** Epilogo: La fine è come l’inizio, solo un po’ migliore e forse diversa (Lily e Remus ci stanno ancora pensando su) ***
Capitolo 1 *** Prologo: Al peggio non c'è mai limite. A James Potter neppure. ***
Nuova pagina 1
1.
Prologo.
Al
peggio non c’è mai limite. A James Potter neppure.
Il settimo anno iniziò tra i più spiacevoli
auspici.
Quel primo settembre del ’77 – in un lasso di
tempo che i lettori stabiliranno a loro discrezione e piacimento –
accaddero contemporaneamente tre cose: James Potter diede
accidentalmente fuoco ad un vagone colmo di giovani Serpeverde, il
treno si presentò al capolinea con quaranta minuti netti di ritardo e
Lily Evans sottrasse – tra Grifondoro e Serpeverde – complessivamente
ben ottantacinque punti.
Vedete, il fatto è che James Potter non voleva
affatto dar fuoco al vagone.
Ingenuo ragazzo, quel Potter; credeva
fermamente che le lamiere d’acciaio si sarebbero solo lasciate carezzare
dalle fiamme.
Peccato avesse trascurato il mobilio
interno e la presenza della pelle marrone altamente infiammabile che, di
fatto, avvampò, emanando esalazioni scure come di gomma bruciata.
Il Ministero della Magia – intervenuto più che
celermente e incarnato da un giovane, pigro mago – non prestò la dovuta
attenzione all’incidente e lo declassò ad uno spiacevole
incidente di percorso.
Inteso in tutte le sue possibili accezioni,
probabilmente.
Sirius, d’altra parte, trascorse la metà del suo
tempo a cercare di convincere i suoi compagni di vagone della
possibilissima intromissione di Silente e di un suo Imperius ben
piazzato.
E se il Ministero se ne era lavato le mani in
quattro e quattr’otto – là fuori c’era una guerra, per le sottane di
Merlino!, non potevano certo dedicarsi alle malefatte di un burlone
qualsiasi – Lily Evans – Caposcuola tutta d’un pezzo – non era
minimante intenzionata a gettare la spugna.
Vestì perciò i panni di un improvvisato Sherlock
Holmes e si mise in testa di indagare per il tratto che rimaneva da
percorrere, ignorando le lamentele collettive.
Così, tra una confessione e l’altra – e i punti
che calavano vertiginosamente, saltò fuori il nome di Potter.
Chissà perché, Lily non ne fu assolutamente
sorpresa; tutt’al più si limitò al più sconfitto e desolato e abbattuto
– sì insomma, i lettori avranno colto succo – dei respiri e per tutto il
tempo rimuginò silenziosamente sull’ipotesi di consegnare o meno
Potter, ignorando le occhiate bieche e velenose degli studenti che
avevano fatto perdere punti alla propria Casa ancor prima di essere
nelle mura di Hogwarts.
Qualcuno disse che non era legale, altri
dissero che sì, purtroppo lo era, perché oramai erano entrati nelle
vaste proprietà di Hogwarts e le regole valevano tutte, una ad una.
Su due cose, però, si era unanimi.
Primo: non si era mai visto un Caposcuola
togliere punti ancor prima di varcare la soglia del grandioso castello
della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Secondo: non si era mai visto un Caposcuola
tanto stronzo.
Se Lily avesse fiutato il clima cupo e ostile,
avrebbe realizzato che molti guai erano in indesiderato arrivo.
° ° °
Come da copione, non appena gli studenti
intirizziti e dal viso sciupato dal freddo varcarono la soglia della
Sala d’Ingresso, la professoressa McGranitt, in tutta la sua ostentata
severità, ghermì i due Caposcuola di Grifondoro per scortarli
personalmente – con incedere tamburellante e quasi militare – in una
piccola camera adiacente alla Sala Grande.
Il fuoco di fila di domande previde ripetute
risposte negative da parte di lui e incerti tentennamenti da parte da
lei.
James Potter, dal canto suo, pensò a più riprese
che Minerva McGranitt fosse la donna più cazzuta su cui si
fossero mai posati i suoi occhi e i suoi occhiali.
Ciononostante, continuò ad allontanare da sé
qualsiasi responsabilità circa lo spiacevole incidente.
Lily Evans tacque, stringendo impercettibilmente
le labbra in una smorfia molto alla McGranitt.
«Professoressa», iniziò, «le prometto, in quanto
Caposcuola, che tali, spiacevoli episodi non si verificheranno mai più.
Glielo giuro sul mio amico Sirius Black».
Azzardò perfino una piccola pacca sul braccio
della donna e girò i tacchi, sfregandosi la pancia con aspettativa. Le
sue burlonerie mettevano sempre una certa fame.
«Potter, giusto perché lei lo sappia: io ero
assolutamente contraria alla sua nomina da Caposcuola; non mi dia validi
motivi per declassarla».
«Professoressa, onestamente, così mi offende».
«Ah, Potter, ci vuole ben altro per offenderti».
«Signora», mugolò con fare lamentoso, «sta
continuando ad offendermi!»
La docente strinse le palpebre, in un tacito
monito; c’erano confini che agli studenti era proibito oltrepassare,
fisici e metaforici.
«Signorina Evans», volse lo sguardo alla
ragazza, «lei è assolutamente certa che si sia trattato di un
incidente?»
«Certo», replicò lestamente, «d’altra parte,
anche il Ministero ha detto che—»
«Quel che dice il Ministero, in fatto di
Hogwarts, conta ben poco, signorina Evans».
Lily stava per attaccare con una sua
personalissima considerazione circa l’eterna diatriba tra Ministero e
Hogwarts, quando James si schiarì eloquentemente la gola e il gorgoglio
imbarazzante del suo stomaco fu provvidenziale.
«Professoressa, io avrei una certa fame».
La donna soppesò un vasto campionario di
richiami e rimproveri, salvo poi abbandonarlo subito.
Ruppe la sua rigida immobilità con un cenno vago
della mano.
«Andate a cena, ma sappiate che la questione non
termina qui. Questa sera ne parlerò al Preside; mi auguro, nel
frattempo, che potrete ragionare sulla pericolosità di questo
incidente, per dirla a modo vostro, che avrebbe potuto ferire
qualcuno. O peggio» aggiunse cupamente, voltando quindi le spalle.
Lily aprì la porta e fece cenno all’altro di
uscire.
Lo sguardo che passò tra i due fu tra i più
ostili mai visti da quelle antiche mura.
° ° °
«Che ti è preso? Dare fuoco al vagone, ma ti
rendi conto—»
James interruppe il predicozzo di rito di Remus
Lupin – zelante studente dai pelosi e lunari segreti – con un versetto
stridulo che voleva essere la sua maldestra imitazione.
«La situazione mi è un po’ sfuggita di mano,
Remus. Andiamo, non penserai davvero che volevo fare di quel
vagone la pira di numerosi, disgustosi Serpeverde?»
Remus Lupin boccheggiò incredulo, il maglioncino
nero che pendeva floscio intorno al collo.
«Tu hai dei problemi» dichiarò attonito,
continuando a spogliarsi rinchiuso in quel suo inespugnabile silenzio
ermetico.
«Tirerò ad indovinare», esordì un Sirius Black
piuttosto umido e piuttosto nudo, «Remus ti ha appena propinato il suo
tradizionale cazziatone da bravo ragazzo, al quale tu hai risposto con
una sua goffa imitazione e lui, tradito e offeso, si è chiuso in quel
suo infantile silenzio».
James gli indirizzò un largo sorriso divertito.
«Ottima mira, compare. Per favore, vuoi
dirglielo anche tu che volevo solo spaventarli e bruciare un po’
di quella loro insopportabile boria?»
«Ha ragione» convenne seriamente Sirius, col
tono di uno che si accingeva a pronunciare un Voto Infrangibile.
James diede le spalle a Remus solo per sorridere
scioccamente all’altro, i pollici alzati.
«Parlando di cose più importanti, dove sono
Peter e il buon vecchio Frank?»
Remus, dimentico del proprio voto di silenzio,
ruppe il guscio solo per esclamare che i loro comportamento aveva
sfiorato i massimi storici in fatto di idiozia, ignoranza e
irresponsabilità.
«Taci» lo liquidò spassionatamente Sirius, che
stava ascoltando il vago resoconto di James, secondo cui i due erano
ancora in Sala Grande, sotto il torchio della tenace professoressa
McGranitt.
«Sì, be’, finirai nuovamente in punizione,
allora e mi lascerai solo con questi tre idioti. Fanculo» si congedò
Sirius, mostrandosi debitamente – fintamente – offeso e recalcitrante ad
abbandonare il suo linguaggio molto poco forbito.
«Non è colpa mia se quei due non coltivano la
sottile arte della menzogna».
«Te lo meriti stavolta, sai? Non che le altre
volte non te lo meritassi, comunque» e con ciò, Remus tirò le tende e le
coperte frusciarono, facendosi quindi immobili.
«Remus, esattamente, perché sei così acidamente
stronzo, stasera? La luna gira particolarmente storta?» domandò Potter,
senza però ricevere risposta, salvo la soffocata risata complice di
Sirius.
Sirius, comunque, ci vide giusto.
L’indomani mattina Potter finì in punizione, a
sturare i cessi otturati dei bagni comuni.
NdA: Amen.
Lo so, spesso sono di un'incoerenza spaventosa,
già.
Ma questa idea mi ha solleticato così tanto che
ho dovuto scriverci qualcosa su.
E ne è venuta fuori una long, pensa un po'.
Il linguaggio è volutamente altisonante, in
certi tratti, perché marca meglio l'ironia e il sarcasmo di cui questa
storia è satura.
Vi avverto già da ora: gli aggiornamenti saranno
imprevedibili. Nel senso che i capitoli li scrivo volta per volta,
quindi non assicuro la costanza settimanale.
Bon, se questo prologo vi è piaciuto, non vi è
piaciuto, vi fa pena, vi ha fatto sorridere e quant'altro, sentitevi
pure liberi di farmelo sapere (non fatevi pregare e siate buoni, su, che
è Natale; prometto di rispondere in tempi brevissimi :3).
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo I: Idee discutibilmente geniali sulle quali Remus ha qualcosa da ridire. ***
Nuova pagina 1
2.
Capitolo I
Idee
discutibilmente geniali sulle quali Remus ha qualcosa da ridire.
Accadde mentre James Potter – riottoso e
sfacciato Caposcuola Grifondoro – sturava il tredicesimo water, quello
al secondo piano.
Accadde così, semplicemente, senza preambolo
alcuno: estrasse – con giusto disgusto – l’oggetto di tanta otturazione
e lo fissò inebetito, domandandosi come un foglio di pergamena
appallottolato potesse trattenere tanti, ehm, escrementi sul pelo
dell’acqua.
E quindi, dicevo, accadde: fissò quel pezzo di
carta rancido e macero e l’idea lo folgorò.
La sensazione fu familiare, fastidiosa anche; la
stessa, conosciuta vertigine che si provava nell’affondare nell’aria
vuota da almeno tre metri d’altezza, con lo stomaco che faceva l’hula
hoop intorno all’intestino retto.
Fantastica idea, pensò.
Solo dopo avrebbe scoperto che i suoi amici
l’avrebbero ritenuta un po’ meno fantastica.
°
° °
«Sei consapevole che infrangerai
un’importantissima legge scolastica, sì?»
Remus Lupin sollevò il pennino dalla pergamena e
si voltò, il gomito poggiato sullo schienale della sedia.
Ora, badino bene i lettori, non capitava
quasi mai che Remus interrompesse la sacra stesura di un tema per
dedicarsi con tanta passione all’idiozia last-minute del
compagno.
James lo prese come un pessimo segno.
«Tu non dovresti tipo essere il mio amico sempre
pronto ad appoggiarmi?»
«Stai parlando di Sirius, mi spiace».
«Chi parla di me?»
L’interpellato rientrò in camera giusto in quel
preciso momento, in perfetto tempismo per udire il proprio nome.
Remus ricapitolò velocemente la faccenda,
aggiungendo quel tocco di dramma e gravità tipico di lui.
Sirius si perse in un eccesso di risate e James
ebbe qualche difficoltà a capire se fosse concorde o meno.
«Che ne pensi?» domandò quindi e Sirius si
schiarì la gola, in un patetico tentativo di ritornare composto.
«Compare, tu stai cercando di dirmi che tenterai
di conquistare la Bertuccia con biglietti anonimi? Ti prego, ti
prego, lasciami qui a morire dal ridere fino a che non mi si torceranno
le budella in gola— va bene, va bene, smettila di guardarmi a quel modo;
penso che non ti ci vedo nei panni di uno scrivano, ecco».
«Ma non sarebbe propriamente così. Si
tratterebbe di brevi biglietti» spiegò appassionato, domandandosi
perché nessuno cogliesse la genialità e la potenzialità di quel
piano tanto semplice ed essenziale.
«Mi riesce ugualmente difficile, scusa».
«Comunque», s’intromise Remus, ragionevole,
«violeresti la legge numero 15: Uso improprio dei gufi».
«Sono pronto a correre il rischio» intervenne
rapidamente, mettendolo a tacere.
Sirius e Remus si scambiarono una veloce
occhiata da non-posso-credere-che-faccia-realmente-sul-serio, pur
animati da sentimenti assai differenti.
«Orsù, compari, dovrete convenire con me che gli
scrittori avevano un certo culo nelle faccende amorose» disse infine e
quando nessuno ebbe più nulla da ridire, James dichiarò il piano
ufficialmente approvato.
°
° °
Lily Evans odiava Erbologia.
Odiava la terra che s’incuneava sotto le unghie,
odiava l’impossibilità di rimuoverla subito del tutto – passavano giorni
prima che anche l’ultima traccia scomparisse – odiava l’olezzo
nauseabondo del letame che le impregnava i vestiti, odiava tutte quelle
raccapriccianti creature con istinti molto poco amichevoli.
La odiava perché spesso la Belkins – nerboruta
docente ultrasettantenne – la accoppiava a James Potter, giacché secondo
la donna i due possedevano l’affinità necessaria per quel tipo di
attività.
Lily non seppe mai cosa la Belkins intendesse
con affinità necessaria. Probabilmente – ed è solo una mera
supposizione – alludeva al doversi forzatamente e reciprocamente
salvarsi un arto di fondamentale importanza, come un braccio, o una
gamba o addirittura i testicoli di James (sì, che i lettori ci credano o
meno, Lily una volta dovette salvare anche quelli; solo un anno dopo se
ne sarebbe detta compiaciuta e sollevata).
Quel giorno, comunque, la creatura era più
raccapricciante del solito.
La Vergatumscorea era una pianta assai
particolare: mostrava un’aperta ed inequivocabile passione per gli
uomini e, al contrario, nutriva propositi omicida verso le sventurate
compagne di banco.
E dal momento che la Belkins mirava
all’integrazione tra ragazze e ragazzi, tutte le ragazze presenti furono
in potenziale pericolo per la durata di quella lezione e per le altre
tre successive.
«Oh, ma che piccolina gradevole. Ciao, tesoro,
ciao».
Che James Potter fosse un imbecille l’aveva
capito approssimativamente dai primi sette secondi dopo la sua
conoscenza, ma che fosse un così tale imbecille, ad onor del
vero, non lo aveva neppure sospettato.
Detto Potter, difatti, aveva proteso l’indice
arcuato sotto il collo dell’orrenda pianta e lì grattava
affettuosamente, come se fosse alle prese con un tenero cucciolo di
Terranova.
«Le ragazze sono pregate di interagire con la
pianta; nonostante le apparenze, la Vergatumscorea può perfino
sviluppare una sottile forma di tolleranza verso gli umani di sesso
femminile, per cui, studentesse, non abbiate timore» cantilenò la
docente con quel suo forte accento del Devonshire, la quale però badava
bene dal tenersi lontano dai vegetali.
«Potter» lo chiamò con insolito fare
cospiratorio.
«Mmh?»
«Occupati di questa robaccia e salterai le ronde
per tre giorni».
Potter ci rifletté. Tempo libero extra, tempo in
più per limare i dettagli della sua ultima buffoneria.
«Sei».
«Cinque».
«Quattro e non se ne parla più».
«Andata».
Lily Evans odiava Erbologia poiché pareva
l’unica cosa, in un universo tanto imprevedibile e disordinato, in grado
di metterla in accordo con Potter.
Forse, e dico forse, se avesse saputo
cosa il giovane Potter aveva in serbo per lei, non sarebbe certo stata
così collaborativa e disposta al compromesso.
°
° °
L’incipit era sempre stato un gran problema.
Capitava sempre: nei temi, nei compiti a
sorpresa, nelle interrogazioni e anche in quella corrispondenza anonima
cui stava per dare il via.
Anzitutto occorreva contraffare la calligrafia,
così che Lily Evans non arrivasse a lui.
Occorreva poi essere suadenti abbastanza da
invitarla a rispondere, ma non troppo, così da mon essere scoperto.
Infine, occorreva una firma, un nome falso
qualsiasi, così che la magia gettata sui gufi fosse elusa.
Fu solo dopo molti minuti e diverse occhiate
sospettose da parte di Vitious che James Potter creò il primo di – si
sperava – una lunga serie di biglietti.
«Fa’ vedere» ordinò Sirius Black, tendendo la
mano. James si guardò attorno prima di depositare il pezzo di carta sul
palmo del compagno.
Black fece finta di mostrarsi assai interessato
ad un paragrafo della pagina del libro.
«Sembrerebbe credibile» decretò infine.
«Sembrerebbe» convenne l’altro con un sorriso
soddisfatto poco prima che Vitious gli intimasse di far silenzio.
°
° °
La cena fu particolarmente sontuosa, quella
sera. O almeno, a Lily parve tale.
Scrutò distrattamente il tavolo dei Grifondoro e
solo allora si accorse della mancanza di Potter. Poi ricordò che era da
qualche parte al sesto piano, a sturare water otturati.
Sogghignò nel suo bicchiere di Succo di Zucca.
«Trovi che io sia ingrassata?» piagnucolò Mary
MacDonald, apparendo dal nulla.
Mary aveva le fattezze e gli atteggiamenti di un
folletto. Silenziosa come un felino, aveva la straordinaria capacità di
piombare ovunque senza recare alcun rumore. Di terrorizzare a morte
chiunque, anche.
I suoi occhioni azzurri da cane bastonato,
quella sera, erano lucidi.
Mary era di una sensibilità e di una vanità
scioccanti.
«Non direi» replicò Lily, addentando una fetta
della sua torta.
«Rebecca Undersee dice di sì».
«Rebecca Undersee ha un quoziente intellettivo
pari a meno diciotto ed è una Serpeverde; mi sorprenda che tu le dia
ancora retta, dal momento che sono anni che ti perseguita a quel
modo».
Mary sorrise un po’ – meglio, sollevò l’angolo
destro della bocca – e mangiucchiò un pezzo di toast al prosciutto.
Poi, dimenticato l’alterco con la Serpeverde, si
lanciò in una chiassosa discussione con alcune Grifondoro del terzo anno
circa le nuove tendenze in fatto di moda promosse da certe importanti,
esclusive boutique di Parigi.
Lily si sentì pervadere da un’intensa ondata di
indignazione e incredulità: la fuori c’era una guerra ma, ehi!, la moda
era sopra ogni cosa.
La grande pendola, comunque, batté nove
rintocchi e capì che era ora di andare.
Mosse un poco la mano per richiamare
l’attenzione di Remus – sostituto, come convenuto dal compromesso, di
Potter – e quando lui annuì s’alzò in piedi, congedandosi con un sorriso
stropicciato rivolto a nessuno.
°
° °
«Forse tu puoi dirmi perché James si è
auto-esonerato dalle prossime tre ronde» buttò Remus nel mezzo di una
scala che virava dolcemente verso destra.
Lily si umettò le labbra.
La sottile arte della menzogna – per dirla alla
Potter maniera – non era una sua prerogativa.
«Oh, ha un qualche problema».
«Tipo?» insisté, perché raramente James Potter
aveva un qualche problema che lo esonerasse dalle ronde,
specialmente se esse erano condotte assieme a Lily Evans detta “La
Bertuccia”, appellativo gentilmente forgiato da Sirius, che
abbracciava l’aspetto morale e fisico della ragazza; diffidente,
selvaggia e pragmatica nel suo modo di fare e rossa di capelli, come il
pelo di una bertuccia.
«Non lo so, Remus. Non ha voluto dirmelo» mentì
spudoratamente e goffamente, ma Remus, di buon animo, decise di non
pressare oltre la ragazza, prendendo comunque l’appunto mentale di
indagare su quell’ambiguo comportamento dell’amico.
Prima quell’assurda storia di voler improvvisare
una corrispondenza (non) anonima con Lily, poi l’evasione delle ronde;
insomma, James Potter era più strano del solito.
«Senti», iniziò lei, decisa a cambiare discorso,
«che ne dici di ispezionare il terzo piano? A quanto pare c’è sempre
qualche Serpeverde in giro e questo non mi piace».
Remus annì. Era un piacere poter trascorrere
delle ore con Lily, disintossicarsi da tutta la stupidità dei suoi amici
con una sana, buona dose di zelo e responsabilità.
°
° °
Il professor Silente percorreva placidamente il
perimetro del suo studio, carezzando distrattamente coi polpastrelli i
suoi gingilli d’argento.
Indeciso sul da farsi, esaminò nuovamente la
pergamena gettata sulla scrivania.
Il fatto era che, come tutti i professori,
Silente aveva delle preferenze e non era certo un mistero che James
Potter rientrasse nelle sue grazie.
Sin dalla prima malefatta del ragazzino aveva
imparato ad apprezzare lo spirito vivace e un po’ rivoluzionario, nonché
quell’intelligenza che lo elevava al di sopra dello standard di Hogwarts.
Eccellente nel settanta percento delle materie,
Potter era un’anima da plasmare per tempo, lentamente e costantemente,
così da fare di lui un pronto guerriero da arruolare una volta fuori da
Hogwarts.
Scoccò una nuova occhiata alla missiva
generatosi automaticamente – come sempre accadeva quando una magia
all’interno del castello veniva infranta o elusa. Il testo recitava:
“Violazione
di: Incantesimo Anti-Anonimato da parte di: Potter,
James Charlus - Grifondoro, anno VII°.
Infrazione
rilevata per mezzo di: firma in calce recante black-word (Anonymous).
Infrazione
avvenuta tramite gufo numero: 192”
Silente si pizzicò il mento, ancora una volta
sorpreso dell’efficacia di un incantesimo tanto elementare.
Aveva semplicemente creato una black-list
di black-words, ossia parole per mezzo delle quali il malfattore
incappava nell’incantesimo, e ne aveva trasmesso le informazioni
contenute ad ogni gufo di sua proprietà.
Astutamente, aveva fatto leva su una delle
straordinarie prerogative dei gufi: la somma conoscenza di ogni cosa,
anche e perfino del contenuto delle lettere.
Informazione che essi non comprendevano, sicuro,
ma che erano al contrario colte da chi li possedeva.
Da lì a metter su un tanto geniale stratagemma
il passo era stato breve, avvantaggiato dal fatto che nessuno,
professori esclusi, sapesse dell’esistenza di detta black-list.
Gli studenti, infatti, sapevano unicamente che
tale legge scolastica poteva essere infranta solo senza l’avvenuto
inserimento della firma in calce.
Vantare il proprio intelletto, comunque, non
aiutò il vecchio Silente a decidere circa il giovane Potter.
Decise perciò di fare ciò in cui era più
votato: temporeggiare e pazientare, studiare la situazione e capire
perché lo studente avesse avvertito il bisogno di infrangere la
legge.
Un leggero tocco di bacchetta e il gufo numero
centonovantadue varcò la finestra socchiusa e planò sinuosamente, in
tondo, sino ad accovacciarsi educatamente sul trespolo di Fanny, fenice
appena morta e prossima a risorgere.
Il gufo chiurlò sommessamente e i suoi ricordi
circa quella misteriosa lettera di Potter volteggiarono nel Pensatoio
per adagiarsi sul fondo.
Pochi secondi dopo, Silente, stranissimo a
dirsi, si diede del fesso paranoico.
NdA: E mentre cerco di ritrovare la
voglia di studiare perduta, vi propino il primo capitolo di questa long
di discutibile valore.
Giusto un paio di precisazioni.
Innanzitutto, poiché sono assolutamente incapace
di inventare nomi di cose/persone/luoghi di sana pianta, il nome della
pianta ninfomane è stato gentilmente coniato da nals, con
un provvidenziale riferimento, ehm, anatomico che le era addirittura
sfuggito. Se è sfuggito anche a voi, bene, rileggete attentamente il
nome della pianta.
Poi, Remus. Rileggendo il capitolo si ha
l'impressione che il buon vecchio Remus detesti la simpatica stupidità
dei suoi amici. In realtà la ama, solo che ha una dignità da mantenere
integra.
Silente. Ovviamente l'insulto che si
rivolge scade nell'OOC, ma ho supposto che l'unico che possa insultare
Silente (eccetto il Signore-Oscuro-senza-naso) è Silente stesso. E poi,
diciamocelo, Silente ha fatto così tanti errori nella sua vita che
sicuramente gli sarà capitato di insultarsi, maledirsi e quant'altro,
quindi passatemi per buona questa cosa e andiamo avanti.
La magia anti-Anonimato. Spieghiamo. Ho supposto
che Tom Riddle, ai suoi tempi immediatamente successivi a Hogwarts,
avesse lasciato dei fedeli all'interno della scuola, gente pronta ad
adempiere ad ogni sua richiesta. Gente che doveva comunicare con lui,
anche.
Suppongo che dopo il fattaccio di Mirtilla,
Voldemort non si sia affatto pentito e anzi, abbia tentato di rovinare
la vita di quanti più Mezzosangue possibile, tramite ordini ai suoi
servetti. Quindi una volta che Silente ha scoperto ciò ha preso
provvedimenti, quale la magia anti-anonimato.
Il funzionamento di questa magia l'ho messo in
piedi in due minuti, quindi se vi sembra poco credibile... avete
ragione, ovviamente.
...
Ragazzi, che cura dei dettagli! Che fantasia!
Potrei farmi addirittura i complimenti per la mia stessa imbecillità.
Tant'è.
Cosa stavo dicendo? Ah, sì, la magia. Vi prego,
accettate anche questa per buona.
Ultimissime cose: grazie a chi ha recensito, a
chi ha messo la storia tra preferiti/ricordate/seguite (siete tutti
invitati a recensire; io lo ripeto, non si sa mai), vi amo tutti.
Il prossimo aggiornamento sarà dopo le feste,
sempre che i libri di Psicologia mi lascino uno sprazzo di sanità
mentale.
Auguri a tutti e passate un Buon Natale. E
mangiate, mangiate, mangiate!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo II: Corrispondenze anonime di dubbia trasparenza ***
Nuova pagina 1
3.
Capitolo II
Corrispondenze anonime di
dubbia trasparenza.
Il gufo (numero centonovantadue) beccò tre volte
esatte alla finestra e quando non ricevette risposta, beccò nuovamente,
come vuole la tradizione del postino.
È da precisare che nessuno aprì all’animale
perché era piena notte e le ragazze dormivano sodo.
Comunque, il gufo sapeva il fatto suo: iniziò a
beccare ad oltranza, fino a quando un’assonnata Marlene McKinnon –
taciturna Grifondoro del settimo anno e dai capelli biondo rame
palesemente naturali, a dispetto delle molte voci di corridoio – non
spalancò la finestra.
Il rapace planò sul letto di Evans,
appollaiandosi quindi sul suo comodino.
Secondo le direttive del suo provvisorio padrone
doveva attendere fino a che la ragazza non avesse preso il biglietto.
«Lily, è per te» mugolò Marlene,
appallottolandosi sotto le coperte.
Ci vollero parecchi secondi prima che Lily
aprisse gli occhi e realizzasse che la figura sul suo comodino non fosse
un abatjour di dubbio gusto.
Quando finalmente vide il biglietto legato alla
zampa lo slegò e, a giusta ragione, il gufo la beccò, ripagandola della
maleducata attesa.
«Viziato» sussurrò di malumore, scoccando
un’occhiata bieca all’animale.
Di quella insolita consegna notturna due cose la
colpirono: la dimensione del pezzo di carta e la pochezza del suo
contenuto.
Aggrottando la fronte, sollevò il biglietto a
mezz’aria, ponendolo contro la luce della luna quasi piena.
Dovette rileggerlo tre volte, un po’ per il
buio, un po’ per la calligrafia da prima elementare.
“Credo
che a volte faccia bene mettersi nelle mani della casualità, anche solo
per vedere a chi questo gufo consegnerà questo biglietto.
Anche solo per vedere
se è possibile conoscersi senza conoscersi.
Rispondimi, te ne
prego.
Gufo Centonovantadue,
ricorda.
PS: Non ho idea di chi
tu sia e, per la tranquillità di entrambi, la cosa sarà reciproca.
Questo gufo ha consegnato il biglietto ad una persona scelta secondo i
suoi, misteriosi criteri.
Anonymous.”
Lily era incredula. Così talmente sgomenta che
corse in bagno e con il consono gesto della mano accese le candele.
L’atmosfera morbida e notturna infittiva
maggiormente il mistero.
Punto primo: quali erano i criteri del gufo?
Perché era stata scelta proprio lei tra oltre mille studenti?
Punto secondo: chi si burlava di lei a
quell’improponibile ora della notte?
Punto terzo: anonymous?! Ragazzi, che fantasia.
Seduta sulla tazza del water pensò al da farsi.
Valutò la possibilità di gettare il foglio giù
per lo scarico e liberarsi in fretta di questo imprevisto. Poi valutò
anche che probabilmente le tubature vecchie tre millenni non erano
sufficientemente larghe e il cesso si sarebbe inesorabilmente ingorgato
e Potter avrebbe avuto accesso al suo dormitorio.
Valutò quindi l’ipotesi di bruciare il foglio,
ma la verità è che moriva di curiosità.
Fece per alzarsi e il sospetto la inchiodò alla
tazza del water.
Potter.
Ovviamente c’entrava Potter. Chi altri
poteva dar vita ad una pagliacciata di tale entità?
Chi altri poteva agire di notte, come un
perfetto idiota in procinto di violare ogni regola (perché, si sapeva,
per Potter le regole erano solo per gli sfigati e gli stolti)?
Un sorriso furbo le increspò le labbra.
Tre minuti e ventuno secondi dopo, Lily Evans,
armata di candela d’occasione, carta, piuma e calamaio, era già alla
scrivania.
° ° °
Remus Lupin era prossimo ad una crisi isterica
ben dissimulata.
Le luci dell’alba spennellavano appena il
prospetto di Hogwarts e lui già girava in tondo per una limitata
porzione di dormitorio, mormorando velocemente a bassissima voce.
Il cuscino di Sirius lo colpì in piena faccia
quando Remus blaterava circa la Terza Rivolta Sanguinosa del Folletti.
Disse qualcosa circa la maleducazione e oh,
il mio naso sanguina, sanguina e oh, Merlino, devo vomitare prima di
correre in bagno e rimettere saliva e succhi gastrici.
Remus era affetto da emofobia, da quando da
bambino aveva scavato a sangue nel petto di sua madre, sfigurandola a
vita.
Quando si era risvegliato nel bosco, con le mani
e la bocca sporca di sangue, pianse disperatamente e in cuor suo – e nel
suo stomaco – nacque la profonda repulsione per esso.
I mugolii sofferenti e disgustati, comunque,
furono sufficienti a tirar giù dal letto gli altri ragazzi.
Sirius Black, avvertendo un vago sentore di
tempesta, si affrettò a vestirsi e mentre era prossimo a sgusciar via di
soppiatto, Remus aprì la porta.
«Sei un tale coglione che dovrebbero
eleggerti come il capobranco dei coglioni» esclamò irritato (giacché
Remus usava tali termini sboccati solo quando era arrabbiato,
molto, molto arrabbiato), tamponandosi un pezzo di carta bagnato sul
naso.
«Chi te le scrive le battute? La Bertuccia?»
James Potter rinvenne dal suo stato
post-risveglio-burrascoso.
«Sirius, potresti gentilmente evitare di
chiamare Evans in quel modo in mia presenza? Mi disgusta associare
l’oggetto delle mie migliori seghe ad una scimmia malevola».
«Ti fai le seghe? E da quando? E perché non sono
mai stato invitato? Voglio dire, siamo maschi e i maschi fanno
tantissime cose assieme, anche le seghe, soprattutto le seghe!»
Remus sbuffò e gettò il pezzo di carta nel
cestino. La piccola emorragia si era arrestato e lui era pronto ad
affrontare il tema di Storia della Magia sui Folletti.
Perciò, dopo essersi vestito e aver fatto un
nodo particolarmente preciso alla sua cravatta («Perché tanta
precisione, Remus? Non avrai mica un appuntamento con una ragazza?
Ragazzi, Remus si è fatto la fidanzata!») si congedò con un sorriso
torvo per Sirius e uno gentile per gli altri.
«Permaloso. James, sto ancora attendendo una
risposta».
«Cosa vuoi che ti dica? Un giorno o l’altro ci
organizzeremo tutti per un sega-party» replicò frettolosamente,
inserendo la cintura nei passanti dei calzoni.
Sirius stava per proporre una data, ma un gufo
picchiò sul vetro.
«È per me, fermi tutti!» urlò Potter ed a quel
punto anche Peter Minus, il più sonnolento tra tutti, fu ufficialmente
sveglio.
Corse alla finestra, lodò il gufo con eccessivi
complimenti e lo premiò con un Biscottino Gufico.
Perché James avesse dei Biscottini Gufici
nessuno lo sapeva.
L’animale chiurlò teneramente – Potter intuì
fosse una femmina – e volò via.
Il contenuto del biglietto, tuttavia, sgonfiò il
suo entusiasmo e fu tentato di sfogare la propria frustrazione sul gufo,
tempestandolo di Biscottini Gufici.
“Potter,
la tua imbecillità, con questo biglietto anonimo, ha sfiorato i massimi
storici.
Oltretutto, permettimi
di sentirmi offesa per la bassa considerazione che hai della mia
intelligenza e della mia perspicacia.
E vorrei ricordarti –
in quanto Caposcuola – che stai violando la legge sull’uso improprio dei
gufi e che per questo potrei denunciarti alla McGranitt e godere con
estremo piacere mentre vieni messo alla porta.
PS: La tua fantasia è
come te: imbarazzante.”
«Sirius, abbiamo un problema».
° ° °
La campanella suonò nell’esatto momento in cui
Lily segnò l’ultimo punto fermo a chiusura del suo tema.
È un gran tema, pensò tutta soddisfatta
mentre il vecchio professor-fantasma Ruf svolazzava pigramente tra i
banchi, raccogliendo i temi tramite l’uso di un incantesimo, l’uso degli
arti perso qualche secolo addietro.
Una notte era andato a dormire umano e la
mattina dopo s’era svegliato fantasma. Cose che capitano.
Lily ripose inchiostro e pennino nella cartella,
immobilizzandosi quando la figura smunta e ricurva di Severus Piton le
passò davanti, diretto alla porta.
La sua amicizia con Severus era finita due anni
addietro, quando lui l’aveva definita in maniera molto poco carina e
garbata.
Ma era finita veramente molto prima, quando lui
si era votato alle Arti Oscure, preferendo i suoi amici Serpeverde a
lei, amica di infanzia.
Sospirò turbata, come sempre accadeva ogni volta
che lo intravedeva e ne percepiva il gelo della lontananza. Poi, il
turbamento venne prontamente rimpiazzato da quella vaga sensazione di
fastidio ed esasperazione che associava unicamente ad una persona.
L’Imbecille era poco più in là, a vantarsi coi
suoi amici circa le dimensioni di qualcosa.
Lily non volle approfondire ulteriormente,
perché già una volta aveva avuto a che vedere con le parti intime di
Potter ed era decisamente una di quelle esperienze finite nel cassetto “da
non ripetere”.
Poi le venne in mente quel biglietto vergato al
chiarore della candela, qualche ora prima.
Scrutò di sottecchi il ragazzo, il quale non
pareva affatto rammaricato o deluso.
Al contrario, si mostrava odiosamente ilare come
al solito e Lily, per la prima volta, ebbe un tentennamento che la portò
a prendere un poco sul serio la faccenda della corrispondenza anonima.
Era pur vero, rifletté, che Potter era un ottimo
attore.
Si passò la lingua sui denti e decise di
archiviare la questione fino al prossimo messaggio.
° ° °
Era il sette settembre e la guerra era appena
strisciata di soppiatto all’interno delle mura del castello.
A cena, gli studenti parlottavano fitto fitto
circa l’ultimo sopruso dei Mangiamorte: un attacco subdolo e alle spalle
ad alcuni rispettabili Auror e famiglie.
Nell’attacco erano rimasti coinvolti i genitori
di James Potter – motivo delle molte occhiate penose nei suoi riguardi –
i quali presentavano solo qualche escoriazione e un grande spavento.
Potter, seduto al suo solito posto, pareva
assolutamente estraneo a ciò che si vociferava.
Come se quelli non fossero i suoi genitori,
James parlottava vivacemente – più del solito – circa il primo incontro
di Quidditch che si sarebbe tenuto tra un mese.
Lily – e di questo se ne sarebbe vergonata,
qualche mese dopo – non prestò attenzione al ragazzo: pareva felice e
tanto le bastava.
D’altra parte, se anche si fosse mostrato
abbattuto, si sarebbe limitata ad una mera pacca sulla spalla, giusto
per assecondare la sua inappuntabile educazione (solo dopo avrebbe
capito che l’avrebbe fatto perché lo sentiva fin nel cuore).
Pertanto, si dedicò alla cena, chiacchierando
con Alice – la più affine a lei per temperamento e pensieri – sul tema
di Storia della Magia, confrontando i vari argomenti e imprecando
laddove aveva avuto qualche dimenticanza.
Venti minuti dopo passò il tovagliolo sulla
bocca e si congedò prima che il banchetto fosse ufficialmente terminato,
adducendo ad un inesistente mal di testa.
Lo negava perfino a se stessa, ma era in
attesa.
° ° °
Con lo stomaco pieno era più facile ragionare.
E quel diversivo era il pretesto perfetto per
accantonare lo spavento che Potter aveva avuto quando Silente – nel
mezzo dell’ora di Pozioni – lo aveva mandato a chiamare per informalo
dell’agguato ai suoi.
L’unica cosa che era riuscito ad esclamare era
stato un “Oh. Cazzo.” e Silente si era mostrato indulgente al suo
linguaggio colorito, mentre Minerva McGranitt, dal suo angolo, aveva
stretto le labbra.
Tuttavia era stato a lungo rinfrancato e alla
fine era uscito da quello studio col cuore più leggero, sebbene il suo
pensiero non avesse mai abbandonato i morbidi visi dei suoi genitori.
Solo quando era rientrato nel dormitorio – dopo
cena – aveva fatto cenno alla sua preoccupazione e Remus, molto
delicatamente, gli aveva ricordato d’avere una questione anonima
a cui pensare.
James avrebbe voluto baciarlo sulla bocca.
«James», disse Sirius, «devi portare avanti la
cosa. Convincila che non sei tu, mostrati offeso, dille che è davvero
una bertuccia se crede che tu abbia tempo da perdere con questi
intrighi. Dille che sei un Corvonero. I Corvonero piacciono alle
ragazze».
James soppesò le idee e fiutò l’aria, in cerca
di ispirazione. Ma alle narici giunse solo il profumo del bagnoschiuma
di Frank Paciock che si faceva bello per Alice, la sua storica ragazza.
Sedette quindi alla scrivania, a gambe
incrociate sulla sedia, la sua posizione da guru-dello-studio.
Si solleticò più volte il naso con la piuma e
nessuna bella frase gli venne in mente fino a quando Remus non gli porse
un pezzo di pergamena ripiegata.
«Tieni», disse, «forse questo può aiutarti».
Ancora una volta, provo l’impulso di baciarlo
per gratitudine.
Cinque minuti dopo stava già copiando dalla
pergamena di Remus che, a quanto pareva, era passato al lato nemico.
° ° °
Il gufo beccò due ore dopo, mentre Mary e
Marlene discutevano di un articolo su Vanity Witch, secondo il
quale Benedict Blaine era il mago più sexy del momento.
Questa volta non beccò le dita di Lily, ma le
rivolse comunque un’occhiata bieca.
Lily lo schiaffeggiò.
«Gufo viziato, torna nella tua Guferia e impara
un po’ d’educazione!»
«Lily, sei consapevole di aver appena
maltrattato un animale, un essere diversamente intelligente, sì?»
tubò Mary mentre scrutava il proprio riflesso alla finestra dove,
improvvisamente, spiccava la vistosa scia biancastra di un escremento di
uccello.
«Sciocchezze; era solo una pacca di ammonimento»
ribatté, aprendo il foglio spiegazzato.
«Chi ti scrive a quest’ora tarda?» volle sapere
Alice, appena rientrata.
Alice aveva la sfortunata tendenza a perdersi
ogni cosa.
«Aehm» tentennò Lily, salvo poi vuotare il
sacco.
«Chi mai potrebbe mandarti questi telegrafici
post-it anonimi, Lily? Sicura che non sia una trovata di “Vanity Witch”?»
domandò Mary, stringendo le palpebre e calzando quella sua smorfia da
qualcosa-non-quadra-tutto-ciò-non-mi-convince.
«Non lo so» sospirò, tacendo opportunamente quel
suo pungolante sospetto circa Potter.
Marlene, Mary e Alice si strinsero
contemporaneamente nelle spalle (fu una scena parecchio carina) e
tornarono a parlottare tra loro.
A Lily piaceva pensare che le avessero donato un
po’ di meritata privacy; in realtà sapeva bene che alle tre la faccenda
non interessava, giacché non includeva succosi pettegolezzi o qualche
ragazzo particolarmente avvenente.
Quella sera, il biglietto recitava così.
“Potter?
Intendi James Potter, il Cacciatore di Grifondoro? Mi dispiace
deluderti, ma io vesto ben altri colori.
Però se questa mia
iniziativa ti infastidisce a tal punto, non hai che da dirlo e i nostri
contatti si esauriscono qui.
Fiduciosamente tuo,
Anonymous”
«Dannazione» imprecò, perché ben sapeva che
stavolta il tarlo del dubbio l’avrebbe accompagnata sin nel sonno.
Con
un sospiro flemmatico, ripiegò il biglietto e lo ripose assieme al
primo, nel suo cassetto della biancheria intima; poi, seppur con poca
voglia, si dedicò ad un ripasso generale di Pozioni in vista
dell’interrogazione, prevista per l’indomani mattina.
NdA: Come da me promesso, eccomi tornata
dopo Natale e Santo Stefano.
Dato il periodo, immagino che qui su EFP siano
rimasti solo quattro gatti, tant'è.
Questo capitolo, l'avete notato, presenta
qualche tratto di serietà - quando Lily pensa a Severus (bleah) per
esempio - perché, diciamocelo, ci sono cose su cui ironizzare sarebbe da
imbecilli e sarebbe totalmente fuori luogo, quindi preparatevi perché i
momenti di ironia si alterneranno a sporadici momenti di serietà.
Grazie a chi ha recensito e a chi segue questa
storia. *inchino*
Al prossimo aggiornamento!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo III: Le menzogne di Remus e l’ingenuità di Lily si sposano incredibilmente bene ***
Nuova pagina 1
4.
Capitolo III
Le
menzogne di Remus e l’ingenuità di Lily si sposano incredibilmente bene.
“Se
non sei James Potter (che è solito ad escamotage come questi),
allora chi sei? Qual è il tuo nome? A quale Casa appartieni?”
James Potter si fregò la mascella con fare
distratto, ignorando le occhiate bieche della professoressa McGranitt.
Era già stato redarguito due volte e ben sapeva
che quando la donna sarebbe arrivata alla terza non ci sarebbe stata
altro che l’ennesima punizione.
Poco importava, comunque: James Potter aveva
altri problemi a cui pensare, ben più importanti, come ad esempio
convincere Lily Evans della sua estraneità ala corrispondenza anonima.
Perciò, dopo essersi debitamente guardato
attorno e aver rivolto un sorriso serafico alla docente, scarabocchiò
qualche frase che ricontrollò almeno quindici volte (la calligrafia
contraffatta era difficile da riprodurre, di biglietto in biglietto).
«Signor Potter», esordì Minerva McGranitt, «le
spiacerebbe mettere da parte la corrispondenza amorosa e dedicarmi un
poco della sua attenzione?»
Lily Evans, a tre banchi di distanza, drizzò le
antenne.
«Ma, professoressa», intervenne prontamente,
«stavo solo prendendo appunti. Ecco, guardi» scartabellò diversi fogli –
diversivo necessario per arraffare non visto gli appunti di Remus – fino
a trovare ciò che cercava.
«Vedo, vedo», convenne, «ottimo lavoro come
sempre, signor Lupin».
La classe ridacchiò sotto i baffi, Potter
incluso.
«Signor Potter, non c’è bisogno che le dica che
dieci punti verranno sottratti a Grifondoro per la sua ripetuta,
costante distrazione, vero?»
Potter mise su una smorfia da
ahh-che-bella-cosa.
«Direi di no» convenne galantemente, armandosi
di pennino e foglio pulito, pronto a prendere appunti.
° ° °
Il gufo giunse all’ora di pranzo, svolazzando
sulle molte teste degli studenti affamati.
L’animale atterrò nel suo piatto di insalata,
incurante della lattuga su cui poggiava le zampe.
Lily non poté trattenersi dal riservargli
un’occhiata astiosa.
Slegò rapidamente il biglietto accuratamente
arrotolato e il rapace sbatté le ali, spruzzando olio e pomodorini nel
raggio di un metro.
I presenti si lamentarono e Lily dovette lasciar
andare di malavoglia il coltello che ancora stringeva tra le dita.
Odiava i gufi: era un dato di fatto che mai,
mai, sarebbe cambiato.
«Ancora il tuo spasimante senza nome?» bisbigliò
Mary distrattamente e abbozzò un sorriso da lo-immagivavo quando
l’altra scosse la testa di assenso.
Istintivamente, scoccò un’occhiata a Potter.
Potter che era stato con lei per l’intera
mattinata, che non si era mai allontanato. Che avesse ordinato a
qualcuno di spedire il biglietto per lui? Improbabile.
Potter si fidava solo dei suoi amici, i
Malandrini, e tutti loro non lo avevano mai abbandonato durante le ore
di lezioni.
Con la fronte aggrottata, srotolò il messaggio.
“Mi
chiedi qualcosa che va contro il nostro patto iniziale, tuttavia
risponderò (se questo servirà a rassicurarti circa la serietà delle mie
intenzioni), purché anche tu, infine, risponda ad una mia domanda.
Tutto quel che posso
dirti è che io sono Nicholas di Corvonero.
E tu, invece? Sei una
ragazza o un ragazzo?
Anonymous.”
Le sopracciglia di Lily erano talmente sollevate
da sfiorare l’attaccatura dei capelli.
Nicholas di Corvonero?
Scoccò una nuova occhiata a Potter, che la
ignorava come soleva fare dall’inizio di quell’anno, da prima che quella
corrispondenza prendesse il via.
Il mistero si infittiva.
° ° °
«Sei un coglione. Così, giusto perché tu lo
sappia».
«I coglioni sono sempre in coppia, sai? E
comunque, cosa ho fatto per meritarmi cotale complimento?»
«Nicholas di Corvonero. Nicholas. Perché
Nicholas?»
«Be’, è... è un nome carino».
«È un nome insolito!» e a quel punto Sirius lo
schiaffeggiò forte sui capelli.
«Eh?»
«Ma non poteva essere, che ne so, Mark, o Jack,
o John?» Hai una vaga idea di quanti John ci siano a Corvonero?!» gli
fece notare le potenzialità di un’occasione sprecata, come al suo
solito.
James fissò il vuoto (lo faceva sempre quando si
rendeva conto d’aver commesso un fallo) e si schiarì la gola.
«Forse potresti aver ragione. Quindi?»
«Quindi adesso spera solo che la Bertuccia
non vada a ficcanasare in giro e interrogare ogni Nicholas di Corvonero
che, ti assicuro, sono ben pochi».
«Che palle» fu la sua brillante conclusione e
prima che Sirius potesse fermarlo, gli restituì lo schiaffo sui capelli.
° ° °
Occorreva ragionare.
Occorreva riflettere accuratamente su tutti gli
elementi a sua disposizione e giungere ad una valida, ragionevole
conclusione.
Ma per riflettere accuratamente Lily aveva
bisogno di una persona con la sua stessa mente schematica, analitica,
precisa.
Trovò Remus Lupin chinò su un grosso tomo
prelevato dalla sezione proibita della Biblioteca, che borbottava
qualcosa come “roba da non crederci”.
«Remus, ho bisogno di te» esordì senza preamboli
e Lupin avvampò.
«Oh, io... io, ecco, Lily credo che dovremmo
parlarne e riflettere sui reciproci sentimenti e—»
«Remus», lo interruppe, «di cosa stai parlando?»
«Ahem...»
«Senti, mi stanno capitando delle cose strane e
sento la necessità di parlarne con qualcuno che non abbia l’intelligenza
di un budino».
Remus sospirò, rincuorato.
«Sono a disposizione» assicurò, invitandola poi
a seguirlo nella Sala dei Prefetti, la piccola stanza situa al terzo
piano usata esclusivamente da Prefetti e Caposcuola.
Invero, Remus fu parecchio titubante.
Sospettava che le preoccupazioni di Lily fossero
tutte per quei biglietti anonimi (e imbecilli) inviati clandestinamente
da Potter.
Giunsero in Sala qualche piano e scalinata dopo,
dove due Tassorosso (Jerry Parrish e Adrianne Kluntz) amoreggiavano in
maniera molto poco discreta. Lily ordinò bruscamente loro di abbandonare
la stanza e di mostrare un poco di pudore, prima che venti punti
venissero sottratti alla loro Casa.
Poi, sprofondata in una bella poltrona di
velluto blu, Lily vuotò il sacco.
Remus ascoltò attentamente, sforzandosi di
controllare la propria faccia e le emozioni che la piegavano.
A fine ragguaglio, avrebbe voluto inventare una
scusa del tipo “oh, che sbadato, ho dimenticato di dar da mangiare al
gatto” e scappare via.
Poi ricordò che non aveva un gatto dai tempi in
cui aveva sette anni e la magia inconscia lo aveva fatto avvampare per
diventare non più di una manciata di pelo.
Era un ricordo molto poco carino.
«Remus, dimmi la verità: c’è Potter dietro tutto
questo?»
Ecco, era giunto il momento di usufruire di
quella cosa riprovevole chiamata menzogna.
Si concesse un profondo respiro e gli occhi si
umettarono nel tentativo di non battere ciglio.
«Lily, ti posso assicurare che James è
totalmente estraneo alla faccenda. Lui ha altri pensieri adesso. Sai, i
suoi genitori...»
Remus prese mentalmente nota di far recapitare
ai due coniugi Potter dieci scatole del più pregevole cioccolato di
Mielandia, al prossimo Natale, per lenire il morso di una coscienza
troppo... coscienziosa.
«Oh. Mio. Dio» sillabò inorridita.
«Quindi c’è davvero qualcuno che è così
disperatamente asociale da voler stringere amicizia con un perfetto
sconosciuto? Oh, Remus, che cosa devo fare?»
«Forse questo qualcuno ha davvero bisogno di
parlare, di stabilire un legame con te. Continuate a scrivervi, lo farai
solo felice» e quella volta, per fortuna, Remus non ebbe bisogno di
mentire. Si tratto solo di un’omissione. La sua coscienza poteva
tollerarlo.
Lily annuì lentamente.
«Sì», scattò in piedi, «seguirò il tuo
consiglio. Come al solito, mi sei stato di grande aiuto, Remus. Sei un
amico prezioso» aggiunse, sfiorandogli distrattamente l’avambraccio.
Poi si congedò senza neppure salutarlo.
Remus si attardò ancora per qualche minuto,
indeciso se avviare una zuffa con James (pericoloso, pericoloso: James
lo superava di una spanna ed era più robusto di lui, esile fuscello) o
propinargli uno dei suoi soliti predicozzi.
Sorrise.
Nessuna delle due. James Potter era appena
entrato in debito con lui.
° ° °
Lily Evans, per la prima volta in tutta la sua
vita accademica, non prestò attenzione alla lezione di Aritmanzia.
Aritmanzia, infatti, era una delle due materie
cui partecipavano anche i Corvonero, il che era una tentazione
sufficientemente forte da distrarla dallo studio.
Si domandava se tra quei Corvonero del settimo
anno ci fosse un qualche Nicholas, dal momento che aveva avuto la
definitiva conferma che Potter, in quello scambio di biglietti, non
c’entrasse alcunché.
Si rese conto, improvvisamente, di non esserne
così contenta e sbuffò di frustrazione.
La sua mente funzionava in maniera ambigua,
talvolta.
La zazzera di capelli biondi di Emily Joyce
attirò la sua attenzione.
Emily era una ragazza assai ambiziosa e assai
intelligente ma molto poco propensa al dialogo e a qualsiasi scambio
interpersonale.
Cara ragazza, per carità, ma Lily pensava che
fosse eccessiva.
L’aveva conosciuta l’anno prima, a Rune Antiche,
e ci aveva parlato giusto un paio di volte, decidendo che era una brava
persona ma troppo poco propensa ad avere degli amici.
Ciò non la distolse, tuttavia, dall’aspettarla
sull’uscio della porta a fine lezione.
«Emily», la chiamò, «permetti una parola?»
Emily annuì di buon grado (o era particolarmente
di buon umore o aveva acquisito fiducia nel genere umano o era cambiata
nel corso di un anno).
«C’è un qualche Nicholas nel tuo anno?»
La domanda dovette sembrarle strana, perché le
sue sottilissime sopracciglia bionde si curvarono graziosamente in una
smorfia perplessa.
«Sì, certo. C’è Nicholas Bellamy, ad esempio» e
con il mento accennò ad un ragazzo basso e magro, dai capelli biondo
paglia tagliati lunghi sul collo.
Lily annuì (dopo aver avuto un eccitato
batticuore) ed Emily si congedò, continuando tuttavia a voltarsi più
volte mentre percorreva il corridoio.
Lily fissò il ragazzo. Non che fosse brutto,
anzi, era parecchio grazioso, ma era così ilare e circondato da amici
che non le pareva proprio il tipo.
Eppure ne dubitò fortemente quando Nicholas la
guardò interessato e con un vago sorriso di vaga consapevolezza.
Lily voltò le spalle al manipolo di Corvonero e
tornò al proprio dormitorio.
Aveva bisogno di ottenere altre informazioni.
° ° °
Sirius aveva l’aria di un cane che aveva appena
acchiappato il gatto.
Nel mentre, Remus e James litigavano su qualcosa
come un favore da ricambiare.
«Remus, smettila di fare la ragazza bizzosa e
fatti da parte, mi necessita l’attenzione di James».
«Uno di questi giorni io e te taglieremo ogni
ponte» lo avvertì Remus, sventolando l’indice.
«So che mi ami» replicò l’altro, senza notare
l’improvviso rossore dell’amico, che si affrettò a raggiungere il bagno,
sbattendosi opportunamente la porta alle spalle.
«Sai», iniziò James con fare da
vicina-di-casa-pettegola, «credo che Remus potrebbe avere una cotta
per te».
Sirius sorrise suadentemente.
«Chi non ha una cotta per me, Potter?» e sfoggiò
una posa da vecchio dandy. Inutile precisare che quel ribelle ragazzo
trasudasse nobiltà da ogni poro, quella stessa nobiltà che tanto
disprezzava e che tanto era inevitabilmente radicata in lui.
«Molte persone, te lo garantisco. Cosa volevi
dirmi, a proposito?»
Sirius si riscosse.
«Giusto. Marylin, di Corvonero, mi ha detto che
un amico di un amico del fratello del suo ragazzo le ha riferito che
Evans sta ficcanasando in giro, domandando se ci sia qualche Nicholas a
Corvonero».
James mise su il suo più ben fatto ghigno da
il-piano-fila-che-è-una-meraviglia.
«Mi piace questo fatto che tu porti sempre buone
notizie, Sirius».
° ° °
“Sono
una ragazza. Bene, Nicholas, ho sufficienti prove per decidere che,
effettivamente, tu non hai nulla a che vedere con Potter. E sai, questo
tuo bisogno di stringere amicizia mi dà da pensare, mi fa pensare a te
come ad un tipo introverso. Sbaglio?”
Nel dormitorio maschile dei Grifondoro del
settimo anno, James Potter esultò come se avesse appena vinto la Coppa
delle Case.
NdA: Anno nuovo, capitolo nuovo, già.
Dunque, non ho particolari note su questo
capitolo, se non che probabilmente apparirà più moscio degli altri.
Ma non preoccupatevi di ciò: saprò rifarmi nei
prossimi capitoli. Questo, ad onor del vero, è un capitolo
sostanzialmente inutile, che serve solo a dimostrare che sì, Lily alla
fine ci casca con tutte le sue scarpette da strega.
Poi, bene, sono assolutamente lusingata e
stupefatta nonché contentissima del seguito che sta avendo questa storia
(31 seguiti, wow, mi imbarazzate, così!). Vi amo tutti e vi ringrazio,
siete bellissimi. 8)
Come sempre, il mio invito a prendere parola è
sempre valido.
Infine, un saluto speciale a Frency, che
aspettava particolarmente l'aggiornamento di oggi. :3
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo IV: Quando lustrare le segrete di Hogwarts ti cambia la vita. O quasi ***
Nuova pagina 1
5.
Capitolo IV.
Quando lustrare le segrete di Hogwarts ti cambia la vita. O quasi.
I giorni si trascinarono nel tempo, tra compiti,
interrogazioni e una singolare corrispondenza.
Da quando Lily Evans aveva accettato di
intraprendere questa nuova, eccitante e misteriosa strada il numero dei
biglietti era progressivamente aumentato, così come si era rinsaldato
l’evanescente legame tra lei e Anonymous.
In quel paio di mesi – settembre e ottobre –
avevano discusso su tutto: guerra, politica, Ministero,
Colui-che-non-deve-essere-nominato, amicizie finite, amori improbabili e
addirittura di letteratura inglese – cosa che a Lily piacque moltissimo
e che la portò a stabilire che Anonymous era un bravo ragazzo.
Eppure, quando novembre fece il suo ingresso in
un martedì temporalesco, la bolla di ilarità e leggerezza scoppiò
all’improvviso e a Lily non restarono che sputi di gioia qua e là.
Strani fatti accaddero a Hogwarts. Studenti
Babbani vittime di inspiegabili incidenti, bestie magiche che
impazzivano, Hagrid che si era messo in ghingheri e che portava un fiore
all’occhiello.
Il mondo fuori, poi, era un vero casino.
Mangiamorte ovunque e ovunque morti, Anatemi,
traditori e truffatori, subdoli ladri che svaligiavano i piccoli negozi
di Diagon Alley nel cuore della notte, commercianti sull’orlo della
bancarotta, costretti a chiudere la bottega e ritirarsi in casa, delusi
e amareggiati.
Lily ne aveva parlato con Anonymous e dai
biglietti di lui era emersa una certa rabbia appena repressa. Si era
espresso a più riprese sulla salvaguardia dei Nati Babbani, di come i
Purosangue affiliati di Vold— ehm, lui, andassero appesi per la
gola ad un ramo e lì lasciati a morire, di come Silente dovesse
rinsaldare la severità delle punizioni.
Di come la McGranitt doveva piantarla di
indossare quei suoi orrendi guanti di pelle di drago azzurri (ma questo,
ad onor del vero, non c’entrava nulla).
Di biglietto in biglietto, l’ammirazione di Lily
per il ragazzo cresceva e pareva destinata a non esaurirsi più.
Quel ragazzo pareva fatto su misura per lei e
dalle sue parole traspariva una sincerità autentica.
A metà novembre le recapitò un biglietto che la
fece addirittura commuovere.
“Sei
una bella persona, il lato migliore di questo mondo coglione.
A.”
Occorre precisare ai lettori che, tuttavia, Lily
provò una strana sensazione.
Aveva la netta idea d’aver già sentito quelle
parole, d’averle colte da qualche parte, qualche tempo fa.
Piegò la mente e la costrinse a viaggiare
indietro, indietro, senza tuttavia portare nulla di utile.
Poco importava. Le aveva indubbiamente lette da
qualche parte o si trattava di quel fenomeno mentale chiamato deja-vù.
Chiuse la questione con un sorriso imbarazzato e
lusingato, ripromettendosi di rispondere al galante Corvonero non appena
fossero finite le lezioni quotidiane.
Eppure, se la giovane Lily avesse insistito,
avrebbe certamente ricordato che quelle stesse parole lei le aveva colte
di nascosto, quasi per caso, in una sera in cui James Potter e Remus
Lupin erano di ronda al pian terreno.
° ° °
La McGranitt fu particolarmente impietosa quel
giorno.
Sottopose i suoi studenti più anziani alla
trasfigurazione umana, estremamente pericolosa e instabile, soprattutto
se praticata da giovani streghe e giovani maghi.
«Forse qualcuno vuole offrirsi volontario?»
La domanda galleggiò tra i presenti e occorsero
parecchi secondi prima che essa facesse presa nei loro animi.
Tutti si ritrassero impercettibilmente dietro i
loro banchi e le bacchette, fino ad un attimo prima esposte in bella
vista sui banchi, scivolarono accidentalmente in grembo ai loro
proprietari.
«Signor...» i suoi occhialetti tondi
rifletterono il viso di molti ragazzi – improvvisamente molto
affaccendati – fino a posarsi senza più muoversi. «... Potter».
«Cosa?»
Molti risero, altri pensarono che Sirius, al suo
fianco, lo avesse appena colpito tra le gambe.
«Venga, venga. I suoi compagni necessitano di
una dimostrazione pratica».
In quel momento, la McGranitt probabilmente
ricordò tutte le volte in cui Potter le aveva apertamente disubbidito o
mancato di rispetto o messa in ridicolo con i direttori delle altre
Casa.
James, altrimenti, non avrebbe saputo spiegarsi
perché la donna invitò Lily Evans ad eseguire l’incantesimo su di lui.
Le spiegò con esattezza a cosa pensare e a come
formulare l’incantesimo, nonché il movimento oscillatorio del polso.
«In cosa devo trasformarlo, professoressa?»
Uhm, il tono della sua voce era troppo
gaio.
«Mi stupisca» replicò l’altra, facendo un passo
indietro.
Potter avrebbe voluto dirle che era una piccola
bertuccia stronza, che nei biglietti era tutt’altro che vendicativa o
sadica, che era un’ingenua e una credulona, che il suo piano era andato
talmente bene da superare ogni aspettativa (perfino le più catastrofiche
che, guarda caso, erano quelle di Remus).
Che... che... che era una piccola bertuccia
stronza, insomma.
E James avrebbe volentieri formulato altri
gentilissimi pensieri se non fosse stato per quel formicolio bruciante
che risalì dai piedi, attorcigliandosi intorno al fegato, che gli
strinse lo stomaco e gli avviluppò il cervello intero.
Fece appena tempo ad esalare un rancoroso “Stronza!”,
poi, là dove c’era stata la sua figura snella e longilinea, ci fu solo
il pelo rossiccio e vaporoso di un graziosissimo Volpino della
Pomerania.
° ° °
Ovviamente Potter finì in punizione.
Essendo il suo filtro bocca-cervello spesso
otturato di impulsività, dopo essere ritornato umano – qualche ciuffo di
pelo rossiccio ancora incastrato tra i capelli neri – diede inizio ad
un’invettiva contro Lily Evans che oh, quanto amore!, oh, quanta
civiltà!.
Ovviamente anche Lily finì in punizione,
giacché, per una femminista tenace come lei, era stato impossibile
accettare passivamente tali belle parole.
La McGranitt li cacciò (al fine della
collettiva comprensione, è bene specificare ai lettori che la docente li
cacciò personalmente, una volta artigliate le loro braccia)
dall’aula, intimando loro di non muoversi, di non parlare, di non
guardarsi e, se riusciva loro, di non fiatare.
Due ore dopo l’intero corpo studentesco di
Hogwarts aveva appreso del gesto della McGranitt che, ad onor del vero,
molti, da quel momento in poi, guardarono con cauta ammirazione (Potter
non era poi così benvoluto).
James e Lily, comunque, furono costretti a
scendere nelle segrete del castello – luoghi rimasti inesplorati da
almeno un secolo, dai tempi in cui Gazza soleva trascinare laggiù gli
studenti più indisciplinati – e, muniti solo di secchio e spazzolone, fu
ordinato loro di tirare a lucido le prigioni, i pavimenti, le sbarre
delle celle, i catini arrugginiti e perfino i candelabri incrostati di
polvere, terra e cose morte.
«Non ci posso credere, non ci posso credere!»
disse Lily per la cinquantottesima volta – o la sessantesima?, si
domandò distrattamente il ragazzo – sbalordita, sgomenta e indignata
come poche volte l’aveva vista.
«Credici» rispose per la cinquantasettesima
volta – o la cinquantanovesima? – e impugnò la scopa di legno
vecchio e marcio, iniziando a fregare con forza sul pavimento lercio.
Lily afferrò la sua, di scopa, e rimase
immobile.
Fissava insistentemente il ragazzo, provando la
medesima sensazione di come quando si dimentica qualcosa ma non si sa
cosa.
Notò che più volte si scansava i capelli dalla
fronte o che spingeva gli occhiali sul naso o che le sue guance si
gonfiavano subito prima di svuotarsi in uno sbuffo nervoso.
Lily non lo avrebbe mai ammesso, ma quello fu il
primo giorno in cui guardando Potter le si bloccò la saliva in gola e
avvertì l’esigenza di non guardarlo.
Fu un fenomeno strano, in fondo. Intrappolato
tra l’astio e il piacere, tra il dire e il fare, tra il divertimento e
il biasimo, tra tante altre cose senza troppo senso.
° ° °
Quella punizione durò ben tre settimane, giacché
fu categoricamente vietato loro di ricorrere anche alla più piccola
magia. Venivano scortati da un nostalgico Gazza (oh, quanto mi
mancava quest’odore di paura!) dopo le lezioni e riemergevano al
pian terreno prima di cena.
Non parlavano mai troppo. Lily si riempiva la
testa delle parole di Anonymous e immaginava i paesaggi italiani da lui
descritti con tanta cura (Dovresti proprio visitarla, l’Italia),
le catene montuose, i boschi rigogliosi spezzati dai ruscelli azzurri,
le campagne incolte del sud e le città moderne del nord.
James pensava ai prossimi biglietti da vergare (devo
farmi venire delle buone idee, cazzo) e ai luoghi di cui parlarle (mi
serve un atlante, cazzo), nonché alle giornate meravigliose degne di
un diligente Corvonero (per questo ho bisogno di Remus, cazzo).
Però, talvolta, la guardava di sottecchi.
I capelli rossi rilucevano alla luce delle
candele e l’elastico con li teneva insieme cadeva sempre.
La guardava con le palpebre immobili quando si
chinava a prendere l’elastico e la gonna si tirava un po’ su, scoprendo
una fetta di pelle pallida (ho bisogno di un bagno e un calzino,
cazzo).
Solo una volta Lily lo aveva colto in fallo e
l’attimo dopo James era zuppo d’acqua sporca.
Comunque, dopo le prime ore, iniziarono a
parlarsi. Dapprima furono solo insulti.
«Che imbecille. Che idiota».
«Sta’ zitta, bertuccia».
«Smettila di chiamarmi così!»
«Colpa di Sirius, mi ha contagiato».
«Bruciate all’inferno, tu e lui!»
«Sai che se continuerai a piegarti in quel modo
delizioso avrò il più meraviglioso orgasmo della mia vita?»
«Sei un maiale».
«No, sono un Volpino della Pomerania».
Lily a quel punto doveva girarsi altrove per
reprimere un sorriso.
Poi i dialoghi cambiarono e si tinsero di rosso,
con grande riprovazione di lei.
«L’hai mai fatto, Evans?»
«Questo non ti riguarda».
«Vuoi provare?»
«Non sono incline ad ottemperare alla tua
proposta».
«Sai che quella lingua potresti usarla
diversamente?»
«Per mandarti a fanculo, intendi?»
«Sono prontissimo. Sapevi che vaffanculo
letteralmente indica vai ad avere un rapporto sessuale anale?»
«Maiale».
«Volpino della Pomerania, prego».
E le labbra di Lily tremavano e quelle di James
ridevano.
Una settimana dopo avevano stipulato un’alleanza
contro il nemico comune.
«Dovremmo parlare con la Belkins, sai?»
«Hai ragione. Sono stanco di dover difendere in
continuazione i miei testicoli».
«Sono io a doverlo fare, mentre tu urli
come una ragazzina in calore».
«Sciocchezze. Quella donna dovrebbe essere
buttata fuori da Hogwarts».
«Già».
«Come, come?»
«Ho detto: già».
«Ehi, siamo d’accordo su qualcosa».
«Evidentemente».
Due settimane dopo James aveva sgraffignato
qualche dolce in esubero dalle cucine (Tutto quello che desidera,
signor Potter signore; possiamo prepararle tutto, ogni cosa!) e a
metà punizione gettarono le scope da parte e seduti sul pavimento lindo
e splendente, schiena contro schiena, mangiarono muffin, plumcake al
cacao e toast al prosciutto ancora tiepidi, complimentandosi con gli
elfi che, ehi, sapevano il fatto loro.
Quando la punizione terminò, però, tornarono a
comportarsi come di consuetudine.
E mentre l’esperienza con Potter scivolava
sempre più nel baratro delle cose inutili e perditempo, il legame con
Anonymous diventava più tangibile e concreto.
Di quando in quando, Lily ripensava a quella
punizione, alle segrete che ora luccicavano di rinnovata pulizia, ai
dolci e alla voce di Potter.
Ripensò a quei capelli che le avevano
solleticato la nuca scoperta e alla sua guancia che una volta aveva
sfregato contro la sua, quando Potter si era voltato per chiederle se le
banane al cioccolato fossero di suo gradimento (Lily lo aveva
schiaffeggiato sull’altra guancia senza aver notato la mano di Potter
che le offriva il citato dolce. Fu una brutta figura, in effetti).
Poi venne dicembre.
Prima delle vacanze, Anonymous le spedì un
pacco.
“Carissima,
permettimi di
augurarti un buon Natale. Spero che le divergenze con la tua famiglia
possano appianarsi e non badare troppo a tua sorella. Lei non capisce,
lei è solo spaventata dalla tua magia.
Io non ho fratelli né
sorelle, ma se ne avessi non potrei mai odiarli. È difficile odiare il
proprio sangue.
Sono sicurissimo – ci
metterei la bacchetta sul fuoco – che lei ti vuole ancora un gran bene.
Dalle tempo, falle un bel regalo.
E a proposito di
regali, io ti allego qui il mio. Ho appreso abbastanza sui tuoi gusti
per essere certo che questo ti piacerà. Spero li indosserai e che quando
lo farai, il tuo pensiero andrà al tuo amico di Corvonero.
Infine, fai
attenzione. Fuori c’è la guerra e se non tenessi così tanto alla mia
identità mi apposterei sotto casa tua solo per proteggerti e per far sì
che alla mia amica di piuma non accada nulla di male.
Perdona la lunghezza
del messaggio, ma non ho potuto tagliare nulla.
Buon Natale, dolce
ragazza.
Affettuosamente tuo,
Anonymous.”
Lily sorrise scioccamente al biglietto e scartò
la carta dorata del pacco.
La sciarpa, il berretto e i guanti erano di
morbidissima lana azzurra – il suo colore favorito – e, notò, al
berretto era rimasto attaccato il cartellino di un noto negozio di
Diagon Alley, con il prezzo e tutto quanto.
Non poté fare a meno di ridere. Che Corvonero
sbadato, quel Nicholas.
Tuttavia non poté non apprezzare il regalo.
Il giorno in cui i bagagli furono tutti
ammassati nella Sala d’Ingresso, Lily Evans indossava la sciarpa
azzurra, il cappello azzurro e i guanti azzurri.
James, qualche metro più indietro, sorrise
dolcemente senza neppure rendersene conto.
° ° °
Biglietto dopo biglietto, Lily si era aperta.
Come il fiore di cui portava il nome.
Aveva confessato al suo misterioso confidente
ogni piccola cosa, dal suo colore preferito, ai suoi cibi prediletti, i
problemi con sua sorella e la sua passione per i fiori, la sensazione di
sentirsi talvolta tagliata fuori dal suo stesso sangue (non aveva avuto
il coraggio di scrivergli apertamente del suo stato di sangue), di come
Potter l’avesse perseguitata e di come adesso si parlavano appena, della
punizione che avevano condiviso.
Gli raccontò perfino del suo sorriso, di quello
che tante volte aveva osservato di nascosto, dopo quella punizione.
Lily lo aveva notato solo dopo, ma dopo quella
confessione, Anonymous s’era fatto più cupo e telegrafico.
Gli aveva perfino domandato se avesse detto
qualcosa di male e lui aveva negato, sostenendo che era un periodo poco
felice e che aveva certi problemi personali di cui preferiva non
discorrere.
Lily allora aveva adottato la sua tattica del
fai-finta-di-niente-e-vai-avanti.
Pochi biglietti dopo, Anonymous era tornato
quello di sempre, solare e dolce.
Lily non aveva mai avuto un’affinità tanto
intensa con nessuno.
Ma la verità era un’altra: aprirsi con un
estraneo, qualcuno di cui non si conosce il viso o la voce, era molto
più facile.
L’estraneo non avrebbe potuto guardarla negli
occhi o ridere di lei e, forse ipocrita o forse no, l’avrebbe consolata
e sostenuta.
Per questo, mentre l’Espresso viaggiava a tutta
forza, covò per la prima volta il desiderio di incontrarlo, di conoscere
quell’amico di penna, di dargli un volto e una voce.
Lily sospirò contro il finestrino, notando che
solo allora lei non gli aveva regalato nulla.
Rimediò alla prima fermata del carrello.
° ° °
«Cazzo!» gridò e si prese le mani tra i capelli.
«Cos’hai?»
«Il prezzo. Ho scordato di staccare il
cartellino col prezzo dal regalo per Evans».
Remus e Peter risero, Sirius lo schiaffeggiò
sulla guancia.
«Sei un coglione. Sai cosa succede ad un Black
se dimentica di rimuovere il prezzo da un regalo?»
«Non lo voglio sapere» sospirò malinconico,
passandosi la mano sul viso arrossato.
Remus si schiarì la gola, con quella sua tipica
arietta da
sto-per-comunicarti-qualcosa-che-potrebbe-non-essere-di-tuo-gradimento.
«Non hai pensato al fatto che lei adesso
potrebbe andare in quel negozio e chiedere chi le ha recapitato quel
completo?»
James perse colore e Sirius tese le braccia,
pronto a sorreggerlo (non senza essersi accertato che il ragazzo non era
in procinto di vomitare).
«Cazzo» ribadì, come se prima non fosse stato
abbastanza chiaro.
«Spera solo che Lily ormai sia convinta che tu
sei estraneo a tutto ciò» replicò l’altro, tornando poi a mangiucchiare
la tavoletta di cioccolato che Sirius gli sottrasse abilmente e
ingurgitò tutto d’un fiato (fu uno spettacolo disgustoso).
«Io stavo pensando di troncare» annunciò d’un
tratto e il cielo, oltre il finestrino, si tinse di grigio.
«Cosa?» fece eco Peter. «Ma come, ora che il tuo
piano andava così bene?»
James spiegò con la padronanza di linguaggio di
un bambino di quattro anni che Lily stava sviluppando un sincero legame
con Anonymous e che non voleva darle una delusione quando lei gli
avrebbe domandato di vedersi.
«Perché accadrà, me lo sento».
Contrariamente alle sue aspettative, nessuno
parlò più.
E James rimase a crogiolarsi nell’incertezza.
NdA: Orbene, settimana nuova, capitolo
nuovo.
Non credo di avere particolari note a riguardo
del capitolo (probabilmente lievemente più demente dei precedenti), ma
se qualcosa non fosse chiaro non esitate a farmelo sapere, tramite, uhm,
un recensione o un MP.
Ciò detto, io mi sento in dovere di condividere
con il mondo i bellissimi quanto inattesi banner che le splendide
March Hare e June hanno creato appositamente per Anonymos.
Qui quello di March e
qui quello di June. Sono
bellerrimi, nevvero? :3
Grazie ragazze, vi amo.
E grazie anche a chi ha recensito lo scorso
capitolo (♥), a chi ha inserito la storia tra le seguite (siete davvero
taaanti!), preferite e ricordate. Vi amo tutti quanti.
Come al solito, se volete farmi sapere cosa
pensate della storia, sentitevi pure liberi di recensire. :3
Alla prossima!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo V: Quando tocchi il fondo, non ti resta altro da fare che scavare ***
Nuova pagina 1
6.
Capitolo V.
Quando tocchi il fondo, non ti resta altro da fare che scavare.
A gennaio, Hogwarts fu pervasa da un’atmosfera
tesa ed elettrica, nonché da molti nervosi neuroni in caduta libera.
Capitava spesso che le ragazzine scoppiassero un
pianto disperato dopo che tutti – ma proprio tutti – i professori
rammentassero loro l’imminenza degli esami e di quanto essi sarebbero
stati impegnativi.
Capitava ancora più spesso che il malumore degli
studenti più anziani contagiasse la magia all’interno del castello, la
quale provocava scoppi improvvisi ed improvvisi sputi di scintille.
Le sopracciglia di Marcus Hang ne sapevano
qualcosa.
James Potter si vantava in lungo in largo
d’avere dentro un sangue magico così potente da creare temibili tornado
che precipitavano sulla tavola imbandita, mandando all’aria ogni
pietanza.
Sirius Black, di questo, non era assolutamente
contento.
Quel giorno, James Potter era così di malumore
che fece esplodere la zuppiera del minestrone, la quale si riversò
addosso ad una dozzina di ragazzi, Sirius incluso.
«Oh, James, vaffanculo! Ma guarda qui, guarda
che schifo! Ho minestrone anche nel solco del—».
Minerva McGranitt si sentì in dovere di
schiarirsi dolorosamente la voce e troncare le parole blasfeme del suo
allievo non-proprio-preferito. Bravo, indubbiamente, ma scapestrato e
poco propenso alle norme della buona educazione.
«Signor Black, le pare forse un’osteria,
questa?» allargò le braccia, indicando la Sala Grande improvvisamente
ammutolita.
«Mi scusi, professoressa. È solo che al momento
sono pervaso da una disgustosa sensazione di... viscido. In luoghi molto
intimi» aggiunse, tirando la patta del pantaloni verso il basso.
La donna ebbe pietà di lui.
«Vada a cambiarsi. E lei, signor Potter,
contenga il malumore, per l’amor del Cielo» sbuffò, tornando impettita
al suo posto.
A James parve di scorgere un sorriso divertito
sulle labbra di Silente.
Nel frattempo, a pochi posti di distanza...
«Mio Merlino, quel Black è disgustoso» si
lamentò Marlene McKinnon, le labbra arricciate di riprovazione. Mary, al
suo fianco, scosse la testa.
«È colpa di Potter, come al solito» aggiunse
Lily, inchiodando il ragazzo con uno sguardo di raggelante biasimo.
«Se ne sta sempre lì, con quel suo stupido
broncio per qualche suo stupido problema con qualche stupida ragazza».
Mary fece per dire qualcosa, ma Marlene la
anticipò.
«Il problema sei tu, Lily».
«Cosa?! Starai scherzando».
«Quel povero ragazzo vuole solo godere della tua
compagnia. Se solo tu potessi dargli un’occasione...» sventolò la mano a
mezz’aria, lasciando cadere la frase.
«Ma è un tale idiota!»
«Sai», fece Mary, con fare petulante, «non la
pensavi così quando tornavi dalle punizioni nei sotterranei. Eri tutta
un sorriso, contenta, soddisf—».
SPLAT!
Mary non ebbe modo di dire altro; per qualche
oscuro artificio, il budino le esplose addosso, insozzandole la divisa.
° ° °
La vita di uno studente medio di Hogwarts era
dura.
La vita di uno studente modello di Hogwarts era
un inferno.
D’improvviso pareva che tutti i docenti si
aspettassero da Lily e da Remus un rendimento ancora maggiore, ancora
più elevato, ancora più tutto.
Lily fu la prima ad andare in crisi.
Venne prima il compito di Trasfigurazione (bene,
è gestibile, posso farcela), poi quello di Incantesimi (una
bazzecola, anche se la domanda numero due mi ha messa in crisi), e
ancora quello di Aritmanzia (cos’è questa roba? Quando è stata fatta?
Perché io non ne ho saputo nulla?!), nonché quello di Pozioni (oh,
che noia. Mancano ancora due ore alla conclusione. Potrei abbozzare un
biglietto per Anonymous, nel mentre).
Quello di Erbologia, invece, fu un disastro (Oh,
mio Dio, mio Dio! Che cosa disgustosa, che fetore insopportabile, che...
no, no, gli escrementi addosso no!). Lily si lasciò distrarre dalla
creatura vegetale particolarmente incline ai dispettucci e non prestò al
dovuta attenzione al compito, che provvedeva in un ritratto della pianta
e la descrizione delle sue funzionalità, in termini rigorosamente
tecnici, giusto per facilitare le cose agli studenti.
Il compito di Difesa contro le Arti Oscure fu
particolarmente ostico e Lily rischiò davvero una brutta crisi di nervi
(Ho sbagliato tutto! Tutto! Dannazione, mi bocceranno, non mi
ammetteranno ai MAGO, me lo sento! Maledetta me! Maledetto Merlino!
Maledetto Potter, è tutta colpa sua e della sua presenza!).
Remus invece tenne duro, salvo poi avere un
brutto svenimento quando, durante Erbologia, la pianta gli azzannò il
pollice, incidendo la pelle.
Non riuscì a sopportare il fiotto di sangue e
perse i sensi addosso a Sirius, gettandogli provvidenzialmente le
braccia al collo, il quale lo afferrò in vita per risparmiargli un
doloroso impatto contro il pavimento.
Da quel giorno, la sessualità di Sirius Black
venne ampiamente messa in discussione.
° ° °
I compiti in classe e le diverse interrogazioni
si esaurirono nel giro di due settimane e i professori, non potendo
torchiare gli allievi in altri modi, ricordarono loro l’imminenza dei
MAGO, la loro importanza, la loro complessità, la loro utilità, la loro
complessità. E tante altre cose, tra cui la complessità.
James Potter fu sordo agli avvertimenti dei
docenti e continuò tranquillamente a calzare i panni di Anonymous.
Sirius Black fu sordo agli avvertimenti dei
docenti e continuò ad affatturare chiunque osasse discutere della sua
sessualità.
Remus Lupin entrò in quella sua fase da studente
modello e iniziò la sua consueta spola dalla Biblioteca al Dormitorio e
viceversa.
Peter Minus se ne lavò le mani, ma questo non
gli impedì comunque di lamentarsi su quanto i MAGO fossero una perdita
di tempo.
Lily Evans seguì la scia di Remus,
scribacchiando nel frattempo biglietti da inviare al suo amico di piuma.
E così, gennaio trascorse inesorabile e nervoso.
° ° °
“Il
mio regalo ti sta molto bene addosso, sai? Sei molto graziosa. Come va
con lo studio? Ci dai dentro anche tu?
Anonymous”
“Altroché.
Non posso mica lavarmene le mani. Tu, d’altra parte, puoi capirmi. Come
vanno le tue lezioni?”
“Molto
bene, ti ringrazio. Tuttavia, sento già i primi sentori dei MAGO. Mi
innervosiscono un poco. Tu che ne pensi?
Anonymous”
“Penso
che siano necessari per un futuro soddisfacente, penso che valgano la
candela, insomma.”
“E
dimmi, sul fronte sentimentale come va?
Anonymous”
“Oh,
al solito. E tu?”
“Io?
Io sono innamorato da anni della stessa ragazza. La amo immensamente,
sarei pronto a mettere la mia vita tra lei e una bacchetta, ma purtroppo
non sono ricambiato. Io continuo a sperare che un giorno lei possa
vedermi come mi vedi tu.
Anonymous”
“Accadrà,
ne sono sicura. Posso giudicarti solo dalle tue parole scritte, ma posso
ugualmente dire che tu sia una bella persona. E quello che hai detto (“sarei
pronto a mettere la mia vita tra lei e una bacchetta) è meraviglioso.”
“Speriamo
che accada presto. Io penso davvero tutto quello che ho scritto. Tutto.
Anonymous”
° ° °
Febbraio venne e gli studenti misero un freno ai
loro neuroni nervosi con l’imminente arrivo del San Valentino.
Mary pareva emanare cuoricini e zucchero, se ne
andava in giro a mani giunte, decantando la bellezza di quella
festività.
Marlene aveva rimediato un ragazzo per
l’occasione; un tale di Tassorosso che conosceva da circa tre minuti, ma
questo era un dettaglio superfluo. L’importante, per lei, era non
trascorrere la festa da soli, come dei veri sfigati.
Lily si sentì un po’ pungolata.
Mise l’ultimo punto al tema di Astronomia (Gli
influssi di Giove su Venere: risvolti positivi e negativi) e fissò
vacuamente le sue amiche.
Poco più in là, Alice sbaciucchiava teneramente
Frank, ignorando i falsi conati di vomito di Sirius ogni volta che
passava loro accanto (il che accadeva praticamente sempre).
E fu così, mentre fissava Alice sbaciucchiare
Frank, che ebbe l’idea.
Avrebbe invitato Anonymous ai Tre Manici di
Scopa.
Perché no, d’altra parte? Lui era innamorato di
una stronzetta che faceva la preziosa, tanto valeva che dedicasse la sua
attenzione a lei, che lo aveva ascoltato per mesi interi e con tanto
piacere.
Provò ad immaginare la sua amata e non vide
altro che una sciacquetta tutta boccoli biondi, intenta a sollazzarsi
con ragazzi vanesi e frivoli.
Sorrise e pensò che probabilmente Anonymous era
un caso perso.
Avrebbe avuto bisogno di una ragazza seria,
diligente, umile e studiosa. Un po’ come lei, insomma.
Per questo non dubitava che il ragazzo avrebbe
prontamente accettato il suo invito, giacché aveva già manifestato una
certa empatia con lei.
Pensò molto attentamente a cosa scrivere nel suo
invito, scegliendo poi una forma semplice e diretta.
E mentre si dirigeva alla Guferia, incrociò
Potter che percorreva su e giù il corridoio del sesto piano, la mano
destra che si teneva il mento.
«Potter, sei definitivamente andato fuori di
testa?»
Lui sobbalzò.
«Evans, ogni volta che ti vedo il mio cuore
sfarfalla. In tutti i sensi».
«Carino, da parte tua. Hai finalmente realizzato
la portata della tua imbecillità e te ne disperi?» domandò, senza però
alcuna cattiveria.
James le rivolse un sorriso smagliante e fu il
suo cuore a sfarfallare. Stupido idiota.
«No. Sto pensando al modo migliore di convincere
la Blackwood ad aprire le gambe».
«Sei rivoltante».
«E tu gelosa, piccola, dolce Lily».
Senza alcun motivo, arrossì e lo mandò al
diavolo, diretta quindi alla Guferia con il cuore e il sangue in
fermento.
° ° °
James Potter continuò a percorrere imperterrito
quel corridoio per molto, molto tempo, fino a che non venne sera e Pix
il Poltergeist non iniziò a pungolarlo, scagliandogli addosso palloncini
colmi di polvere di gesso.
Stava ancora imprecando contro lui quando entrò
in Sala Comune, i capelli intrisi di polvere bianca.
«Che ti è successo?» domandò Remus preoccupato.
«Oh, il simpatico Pix. Dov’è Sirius? Stavo
pensando di organizzare quel sega-party a cui teneva tanto».
«Stai scherzando?»
«No, ovviamente. Useremo i calzini di Peter, va
bene? Va bene. Oh, mio buon amico, parlavo giusto di te».
Sirius Black s’accasciò su una poltrona, accanto
a James e ben lontano da Remus, il quale lo evitava deliberatamente.
Da quando si era diffusa la voce che il giovane
Remus fosse omosessuale, badava bene a stare alla larga da Sirius.
E non che all’altro dispiacesse particolarmente,
comunque.
«Di cosa parlavi?»
«Di quel sega-party».
Sirius Black torse il viso in una smorfia di
pura ira, scoccando un’occhiata rovente a Remus.
«Sì, ne ho proprio bisogno, dato che ogni
ragazza pronta ad aprire le gambe per me sembra averla improvvisamente
d’oro».
Continuò ostinatamente a fissare torvo Lupin e
sfoderò la bacchetta quando due ragazzini, passando accanto a loro,
arricciarono le labbra per riprodurre dei sonori baci.
«Dovete smetterla, voi due» disse James,
spostando l’indice dall’uno all’altro.
«Siamo amici da sette anni, per Morgana, non
potete lasciare che le malelingue mandino a puttane tutto».
«Ringrazia il tuo amico, di questo! Svenirmi
addosso come una femminuccia e aggrapparsi addirittura al mio collo!»
«Allora avresti dovuto lasciarmi cadere,
coglione d’un Black!»
La Sala Comune si zittì quando Remus si lasciò
andare ad un eccesso di nervosismo, tenuto a bada fin troppo a lungo.
Aprì la bocca un paio di volte, senza però
riuscire a dire null’altro. E poi, infine, impettito e irritato raccolse
i suoi libri e andò via, diretto probabilmente alla Biblioteca, dove
avrebbe potuto crogiolarsi nel senso di colpa e leccarsi le ferite in
solitaria.
«La tragica fine di un’amicizia» dichiarò Frank
Paciok, parecchio dispiaciuto.
E non appena finì di proferire la sua ardua
sentenza, si ritrovò appeso per aria, a testa in giù.
Sirius ripose la bacchetta e si congedò con
tutta l’eleganza di un Black rinnegato.
° ° °
Il gufo picchiò al vetro della Sala Comune dopo
qualche minuto.
James accettò il biglietto e ripagò l’animale di
una carezza sul becco.
Aveva atteso pazientemente quel biglietto e, in
quel momento, desiderò non averlo mai fatto.
Fu col cuore pesante che si vide costretto a
prendere quella drastica soluzione.
Era il quattro febbraio e James Potter aveva
definitivamente troncato la corrispondenza anonima.
NdA: Sapete, il seguito che sta avendo
questa stronz-- fanfiction mi lascia piacevolmente sorpresa!
No, sul serio, sono proprio contenta che
piaccia.
Dunque, non ho particolari note sul capitolo
che, nella sua brevità, parla da sé.
Però, ancora una volta, vorrei proporvi un
nuovo, meraviglioso banner fatto da March (qui),
che mi sta decisamente viziando troppo.
Ho solo una piccola comunicazione di servizio: a
partire dal 29, gli aggiornamenti potrebbero andare a rilento.
Sapete, ho tipo fantastimila pagine da studiare,
ergo il piccì giace inerme in un angolo, ergo il tempo stringe come un
cappio alla gola, ergo potrò scrivere solo il sabato - unico giorno di
pausa.
Ma, ripeto: potrebbero. Può anche darsi che,
invece, io riesca ad aggiornare con la solita frequenza.
Mettiamoci nelle mani del destino.
Concludo rinnovando il mio enorme grazie a chi
ha recensito (risponderò entro questa settimana a quelle recensioni
senza risposta), chi ha messo la storia tra i preferiti (nove volte
grazie), chi l'ha messa tra le ricordate (tre volte grazie) e chi tra le
seguite (quarantanove volte grazie!).
Vi amo tutti, lo sapete.
Come al solito, sentitevi pure liberi di
esprimere un parere - anche negativo se lo ritenete giusto, non mi
offendo mica.
Bon, vi saluto, vi rinnovo il mio amore e
arrivederci a martedì prossimo!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo VI: Tutto finisce, anche le buffonate di James Potter ***
Nuova pagina 1
7.
Capitolo VI.
Tutto finisce, anche le buffonate di James Potter.
“Sai,
San Valentino è vicino e io mi domandavo se ti andasse di stare insieme.
Ammetterai anche tu che è parecchio triste, per una ragazza, starsene
tutta sola, quel giorno.
Che ne dici di una Burrobirra ai
Tre Manici di Scopa, così da abbattere l’unico ostacolo che resta tra
noi – l’anonimato –?
Ti aspetto alle 11, nella Sala
d’Ingresso.
Lily Evans, Grifondoro,
Caposcuola.”
Non gli era sfuggito il fatto che avesse
deliberatamente deciso di firmarsi. Né che era venuto quell’infame
momento in cui la curiosità aveva soverchiato il patto.
Eppure, accartocciò il biglietto tra le dita e
lo gettò tra le lingue rosse del camino.
Quella buffonata si era protratta anche troppo a
lungo.
L’aveva conquistata, certo. Ma a che prezzo?
Aveva agito nell’ombra, come uno di quei
ladruncoli da quattro soldi, omettendo deliberatamente la sua identità.
Ironia della sorte, questa piccola omissione
aveva fruttato più di sette anni di continui inviti e spionaggi ad ogni
ora del pomeriggio.
Ironia della sorte, tutto era iniziato
nell’ombra e nell’ombra tutto sarebbe finito.
° ° °
«Dobbiamo parlare».
«Sto studiando».
«La nostra amicizia è sull’orlo di una
catastrofica conclusione e tu pensi a studiare?!»
«Onestamente», iniziò Remus, voltandosi,
«abbiamo sempre litigato e siamo ancora qui. Ragion per cui non vedo di
cosa dobbiamo preoccuparci. Presto ci sarà qualcos’altro di cui parlare
e ci lasceranno in pace. Non metterla sempre giù così pesante, Sirius».
Sirius inspirò profondamente.
«Quindi, insomma, è tutto okay, no?»
«Ovviamente» il gelido sorriso sulle labbra di
Remus gli fece intuire che nulla era okay.
Ma il buon vecchio Remus era per il quieto
vivere e mai, mai, avrebbe intrapreso un’aperta ostilità con un amico di
lunga data.
Nonostante questo avesse contribuito a metterlo
in ridicolo, certo.
Gli occhi grigi di Sirius si strinsero.
«Tu menti» borbottò, guardingo.
«Mettiti il cuore in pace. E lasciamo studiare,
cane».
Perfino Sirius notò il peso con cui la voce di
Remus aveva calcato la parola “cane”, rancore mascherato da simpatia.
Ma quale fosse il problema, il vero
problema, Sirius proprio non lo immaginava.
«Be’, ciao allora» si congedò, andando via.
E se solo si fosse voltato avrebbe potuto intravedere la maschera di
gelida cortesia di Remus andare in frantumi per lasciare posto al più
triste e rassegnato degli sguardi.
° ° °
Lily Evans era inquieta.
Camminava su e giù, si passava le mani tra i
capelli, sbuffava, scattava ad ogni più piccola domanda.
In generale, destò parecchi sospetti sulla sua
quiete mentale.
Ma questo nessuno glielo disse. Saggi ragazzi.
Ovviamente, Mary, di saggio, non aveva
nulla...
«Lily, dal modo in cui ti agiti, si direbbe che
un pene ti sia rimasto incastrato tra le natiche».
... ma il suo tatto era da apprezzare.
Indubbiamente.
«Non hai nessun fidanzato, oggi?» le domandò
acidamente, smettendo di girare in tondo per il dormitorio.
«Nah, è sabato. Il sabato sono a riposo. Domani,
magari».
Mary, oltre che di saggezza, mancava anche di
senso del decoro. Per lei era perfettamente normale cambiare un ragazzo
con una frequenza fissa di tre giorni, sette quando gli piaceva davvero,
un mese quando se ne innamorava.
Non si poteva certo dire che i suoi sentimenti
fossero durevoli.
«Comunque, Lily, parlamene» fece suadente,
battendo la mano sul letto per invogliarla a sederle accanto.
«Lasciamo perdere» tagliò corto. Afferrò il
proprio mantello e il proprio zaino, pronta a recarsi alla lezione di
Astronomia.
«Ahhh, l’amore. Che squisito dramma» squittì
Mary una volta che Lily fu ben lontana.
° ° °
Perché Potter le fosse accanto e perché
continuasse a scoccarle occhiate di sottecchi non seppe dirlo.
James si mostrava particolarmente taciturno,
quella notte, e, in generale, poco propenso ad attaccare bottone con
chiunque.
Pochi posti più in là, poi, notò anche di come
Sirius e Remus facessero di tutto per evitarsi, tradendosi poi con
continue occhiate furtive, non visti dall’altro.
«Potter?» lo chiamò all’improvviso, sollevando
la piuma dalla pergamena.
Il ragazzo grugnì qualcosa senza staccarsi dal
suo telescopio.
«Cos’hanno i tuoi amici?»
«Litigano perché non hanno il coraggio di dirsi
che si piacciono».
La piuma le cadde dalle dita e svolazzò giù,
giù, giù, giù, fino ad adagiarsi su una torretta molto più in basso.
«Sirius e Remus? Sirius
Black? Ma allora le voci...?»
James si sentì in dovere di guardarla.
«Loro ancora non lo sanno ed è importante
questo. È importante che lo status quo non cambi, capisci?»
Lily pensò che il ragazzo avesse seri problemi
con l’alcol.
«Status quo? Ma di che stai parlando?»
Le fece cenno di avvicinarsi.
«Si girano intorno da quando avevano dodici
anni, ma non hanno mai capito di piacersi. Ora, se qualcuno glielo
dicesse, tutto cambierebbe. Come con il passato, no? Se tu usi una Gira
Tempo non puoi mica cambiare gli eventi; cambieresti tutto una volta
tornata al presente, capisci?»
«Ti senti male?»
«No di certo, perché?»
«Parli come quando mio padre ha la febbre alta».
James mosse la mano.
«Cosa ne vuoi sapere, tu, ragazzina dal cuore
arido».
«Oh-oh-oh, ha parlato il prossimo capostipite
del romanticismo!»
James fece per rispondere a tono, ma solo in
quel momento notò come la luna gettasse riflessi opalescenti su suoi
capelli, ingrigiti dalla notte, e nei suoi occhi, che mai gli erano
parsi così chiari e così belli e così intensi e così profondi e... be’,
gli piacquero molto e si sentì in dovere di dirlo ad alta voce.
«Sei bellissima» soffiò senza pensarci,
allungando una mano per carezzarle i capelli, che Lily prontamente
cacciò via con fare stizzito.
«Piantala, Potter. I tuoi complimenti da due
soldi bucati non attaccano. Non con me» aggiunse precipitosamente e si
sentì ugualmente avvampare quando lui non rispose e, anzi, continuò a
fissarla dritto negli occhi, senza neppure vederla realmente, perso
nelle grandi praterie dei suoi pensieri.
«Signor Potter, non ho dubbi sulla bellezza
della signorina Evans e nonostante i suoi occhi brillino come stelle,
lei è pregato di fissare con cotanta passione la volta celeste».
James ripiombò bruscamente nella realtà e
sorrise suadente a Gibbs, il professore di Astronomia, assicurandogli
che avrebbe svolto un eccellente tema, il migliore che avesse mai visto.
Gibbs grugnì qualcosa e andò via, controllando
gli studenti più astuti e assicurandosi che questi non copiassero a
vicenda.
«Senti, Evans...» iniziò e non seppe più come
proseguire quando Lily, forse per la prima volta, lo fissò con intensa
curiosità e null’altro.
«Sì?»
«Ti andrebbe di trascorrere insieme San
Valentino?»
«Non posso, ho appuntamento con un altro
ragazzo».
James provò davvero a trattenersi, ma ovviamente
non ci riuscì.
«Lui non verrà» sputò con così tanta sicurezza
che Lily tentennò.
«Cosa?»
«Non verrà, ti dico. Professor Gibbs, il
compito» consegnò la pergamena e si congedò. Lily consegnò
immediatamente dopo di lui con il proposito di rincorrerlo, ma quando
giunse al corridoio del settimo piano, di James Potter non v’era la
minima traccia.
L’antico tarlo del dubbio tornò a pungolarla.
° ° °
Remus ovviamente ebbe parecchio da ridire.
Non gli era certo sfuggito lo scambio di battute
tra lui ed Evans, né il madornale errore che l’amico Potter aveva
commesso.
«Ti sei fatto scoprire, James» gli disse senza
troppi giri di parole.
L’altro lasciò cadere gli occhiali che teneva
tra l’indice e il pollice.
«Impossibile».
«Possibilissimo, ti dico. Quel tuo “non
verrà” era assolutamente inequivocabile. Inequivocabile» ripeté, per
conferire ulteriore drammaticità al dramma.
Sirius rise acidulo, per il puro gusto di
deriderlo.
«Oh, sì, certamente, Lunastorta. Dimmi, amico,
c’è mai stata una volta che sia stata una in cui James abbia remato a
favore di uno dei pretendenti di Lily?» lo schernì, incrociando le
braccia al petto e sollevando superbamente il mento.
«No, ma—»
«Ecco, appunto. Quindi non gettare panico sul
nostro amico, poiché è risaputo che poi a raccoglierne i pezzi sarei
io».
Remus balzò in piedi.
«E con ciò? A cosa stai alludendo, Sirius?»
«A nulla, ovviamente» fece marcia indietro,
ricacciando indietro il sorrisetto arrogante.
Remus Lupin era in procinto di esplodere.
«Tu stai insinuando di essere l’unico a tenere a
James» dichiarò altero.
«Be’», si scaldò Sirius, «non è che il tuo
gettargli continuamente merda addosso aiuti a sfatare le apparenze,
Remus».
«Ragazzi», si intromise James, «state litigando
per me? Guardate che non ce n’è proprio bisogno».
Ma Sirius e Remus continuarono a fissarsi torvi
come due cani che si contendono la stessa cagnetta, ignorando James.
«Sai cosa c’è, Sirius? Cresci. Cresci, okay? E
anche tu!», sbottò contro James, indicandolo come se fosse stato il
colpevole di un romanzo giallo, «Sono stanco della vostra stupidità.
Tu», indicò Sirius, «se hai qualcosa da dire, dilla, okay? Non
nasconderti dietro inutili frecciatine velenose, perché, te lo giuro,
sei ancora più odioso del solito».
«E tu», indicò James, «ti piace Lily? Provi
qualcosa per lei? Allora diglielo e falla finita! Basta con questi
sotterfugi, basta con questi giochetti, basta con tutto! Hai diciassette
anni, per Merlino, non sei più un marmocchio col pannolino. Io sono
stanco di fare da balia a tutti e due!»
E così concluse il suo drammatico monologo,
sbattendosi la porta alle spalle. O almeno, ci provò, ma quella impattò
con così tanta foga che tornò indietro e Remus, sul punto di esplodere
in lacrime nervose, ne afferrò il pomello e finalmente la chiuse.
James e Sirius si scambiarono uno sguardo
sbigottito, prima di scoppiare involontariamente a ridere.
Ma durò poco. Una volta che le parole di Remus
fecero presa, il loro riso venne rimpiazzato dalla più avvilite delle
smorfie.
° ° °
Lily continuò ad attendere una risposta da
Anonymous fino alla mattina di San Valentino.
Attesa vana; il ragazzo non diede più segni di
vita e Lily se ne preoccupò moltissimo, tanto che ogni giorno
controllava la Gazzetta del Profeta, sezione necrologi, sperando di non
incrociare nessun nome riconducile a qualcuno di Corvonero.
Insisté perfino che il gufo numero
centonovantadue consegnasse altri biglietti, ma quello si rifiutò
categoricamente, torcendo il becco altrove con fare offeso.
Lily ne fu così nervosa che appallottolò il
biglietto e glielo scaraventò contro. Quello chiurlò risentito.
La mattina di San Valentino si fece beffa di
Lily. Il cielo terso si rifletteva nelle acque placide del Lago e il
sole gettava riflessi dorati sugli alberi, sui manti d’erba e sulle
molte torrette del castello.
Si respirava aria di contentezza ed eccitazione
e ogni coppietta di amanti camminava con fare sognante, tenendosi per
mano.
Lily ebbe voglia di Schiantarli tutti.
Si crogiolò sulle sponde del lago, triste e
irritata, domandandosi perché mai il ragazzo fosse sparito senza alcun
cenno, perché avesse troncato il rapporto senza dare spiegazioni.
Che avesse detto qualcosa di male? Che avesse
interpretato male la natura del loro rapporto?
Scosse la testa, accaparrandosi l’occhiata
sospettosa di alcune primine Serpeverde.
Impossibile. Aveva riletto i biglietti quella
mattina stessa, non trovandovi nulla che lasciasse presagire
l’immotivata fine.
In verità, era ancora parecchio dispiaciuta da
quel che ne era seguito dopo.
In un eccesso di rabbia, aveva dato fuoco ad
ogni biglietto e solo uno se ne era salvato.
Il più toccante, a sua detta.
Lo aveva intascato e tenuto al sicuro tra le
pieghe del mantello, rimuginando su quelle parole vergate molto tempo
prima.
Perché tra tutti, il
biglietto-che-era-sopravvissuto, era quello che sin dalla prima
occhiata le aveva dato da pensare.
Quell’insolita sensazione di dejà-vu non l’aveva
mai veramente abbandonata.
E mentre rifletteva, le penne brune di un gufo
baluginarono ai raggi del sole. L’animale atterrò proprio accanto a lei,
consegnandole il tanto atteso biglietto.
Euforica, lo estrasse velocemente e la gioia si
sgonfiò così come era venuta.
“Cara
Lily,
mi scuso del mio odioso silenzio,
ma è bene che io ti dica la verità: quella ragazza che amo da sempre,
lei si è accorta di me e, finalmente, da una settimana è la mia ragazza.
Ho imparato che è un tipo assai
gelosa ed è per questo che, col cuore pesante, tronco questa nostra
corrispondenza.
Non avermene, dolce Lily, il tuo
supporto in questi mesi è quanto di più bello e positivo io abbia avuto
in questi ultimi tempi.
Spero che la vita possa
riservarti molte cose belle.
Anonymous.”
Lily fu così adirata con se stessa e con lui che
non si premurò neppure di rispondere.
Era una palese bugia. La ragazza che amava non
sapeva neppure della sua esistenza, figurarsi se nel giro di un mese se
ne fosse pazzamente innamorata!
Era un modo carino quanto squallido di troncare
quel rapporto che ormai, probabilmente, lo annoiava.
Così, avvilita, estrasse la bacchetta e lasciò
il pezzo di carta a bruciare sull’erba verde.
Poco più lontano, James Potter accarezzava un
gufo dalle penne brune e nessun sorriso piegava le sue labbra.
NdA: Chiedo scusa per il ritardo, ma
questo è un periodo talmente incasinato che, oh, non sto avendo tempo
neppure per scrivere una drabble.
E con questo intendo dire che non ho avuto tempo
nemmeno per Anonymous, sì.
Spero di rimettermi in pari quanto prima.
E chiedo scusa anche per la mancata risposta
alle recensioni, ma questo è un periodo tal-- oh, dalla regia mi dicono
che l'ho già detto.
Comunque risponderò quanto prima, non appena la
mia famiglia allenterà il guinzaglio. *smile*
Inoltre, colgo l'occasione per condividere con
l'intero mondo un altro banner
di March, che non solo mi vizia, ma riesce a cogliere l'angst anche in
una scena comica. Amatela. Ve lo ordino.
Infine, ringrazio mille e mille volte coloro che
seguono questa storia, che la commentano o anche solo che la
mipiaciano. Siete una favola, ragazzi.
Con l'augurio di risentirci martedì - salvo
imprevisti - io vi saluto e ricordate che l'inverno sta arrivando.
(?!)
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo VII: Il clue del clue del clue. E quattro giovani non proprio contenti. ***
Nuova pagina 1
8.
Capitolo VII.
Il clue del clue del clue.
E quattro giovani non proprio contenti.
Il San Valentino di Lily trascorse all’interno
delle mura del castello, con la sola compagnia di alcuni libri di testo.
Sebbene si fosse sforzata di arginare la
corrispondenza che tanto l’aveva coinvolta, il suo pensiero tornava
costantemente al misterioso interlocutore e al modo vergognoso in cui
s’era liberato di lei.
Uscì dalla Biblioteca che era quasi ora di cena.
Si respirava un’atmosfera placida e serena, in netto contrasto con il
suo pesante malumore.
Entrò in Sala Comune solo per lasciare i propri
libri in dormitorio, ma venne distratta da James e Remus che, seduti
davanti al camino, parlottavano di qualcosa.
BOOM!
Il ricordo le esplose in faccia, come una mina
troppo vicina.
Lasciò cadere i libri e il suo viso si fece
esangue.
° ° °
Era appena rientrata dalla lezione di
Incantesimi quando li vide.
James Potter, insopportabile sedicenne
scapestrato, e Remus Lupin, diligente studente che con l’amico non
c’azzeccava assolutamente nulla, parlottavano davanti al camino.
Mentre li ignorava deliberatamente, colse
involontariamente uno stralcio della loro conversazione.
Riguardava lei e non si premuravano di
abbassare il tono della voce, giacché la di lei presenza era chiaramente
passata inosservata.
«Lei è una bella persona, Remus. La parte
migliore di questo mondo coglione» disse James, con una serietà e
una dolcezza che mai gli avrebbe attribuito.
Remus aveva sorriso e Lily si era sentita
avvampare, perché mai le erano state rivolte parole tanto gentili,
soprattutto da un Purosangue, soprattutto da James Potter.
A passo felpato, se ne tornò in camera, senza
riuscire a reprimere un sorriso spontaneo.
° ° °
Prima venne il tremito. I denti battevano
talmente forte che alcune ragazze si guardarono attorno, domandandosi
chi stesse ripetutamente picchiando una matita sul tavolo.
Poi venne il batticuore. Sentì il ritmo
accelerare e accelerare e accelerare, fino a sentirsi le tempie pulsanti
e con esse la gola.
Poi venne il rossore. Il sangue le esplose sulle
guance e la sua pelle divenne paonazza tanto quanto i suoi capelli (una
bambina del primo anno le domandò se stesse per morire e Lily voltò la
testa lentamente e le scoccò un’occhiata così spiritata che la ragazzina
fuggì letteralmente via).
Infine, giunse la rabbia. Fredda, spietata,
infinita.
«Potter» esalò e si costrinse a calzare il suo
miglior sorriso suadente.
«Mh?»
«Puoi seguirmi, per favore?»
«Certo. Ma è giè ora di fare la ronda?» domandò,
guardando l’orologio che indossava. Lily si vide chiaramente mentre
glielo slacciava per cacciarglielo giù in gola mentre gli sussurrava: “No,
è l’ora della tua dipartita”.
James si alzò e salutò l’amico con un veloce
cenno del capo, seguendo Lily, ovunque lo stesse portando.
E non immaginava nemmeno lontanamente quello che
lo aspettava.
° ° °
Lo spintonò così forte da farlo finire a ridosso
del muro. Per un attimo gli ricordò una delle molte lucertole che
durante l’estate si spalmavano sulle mura di casa sua, crogiolandosi al
sole.
Poi ricordò anche che lei, quelle lucertole, le
odiava dal profondo.
«Ehi!» si difese lui e la mano volò
immediatamente alla cintura dove se ne stava la bacchetta. Eppure non la
estrasse, perché mai avrebbe fatto del male a lei.
«Pensavi che non ti avrei mai scoperto, eh?! Ci
avevo visto giusto sin dall’inizio!» gridò, non curandosi dell’eco che
rimbalzava sino all’estremità del corridoio.
«Ma di che stai parlando?»
«Di questo, sto parlando!» tirò fuori un
biglietto e lo dispiegò, tenendolo ben in vista.
Ebbe un tonfo al cuore quando James sbiancò.
Aveva sperato fino alla fine che lui non c’entrasse nulla.
Dall’altro lato del corridoio, nel frattempo,
apparve Sirius abbracciato a due ragazze. Studiò velocemente la
situazione e con un sorrido affascinante le congedò, promettendo chissà
cosa.
James non disse una singola parola e Lily ne
approfittò.
«La verità è che tu provi un sadico gusto ad
arrecare danno a tutti quelli che ti stanno accanto!» urlò, gettandogli
addosso il pezzo di pergamena.
«Io volevo solo che tu mi vedessi per come sono
davvero!» reagì, uscendo dal suo stato catatonico. Aveva un orgoglio da
difendere.
«Ma tu non sei così! Tu sei un idiota e lo sarai
fino a che non sarai morto, anche le tue ossa saranno delle idiote fino
a che non diventeranno polvere e anche quella polvere lo sarà, fino a
che non diventerà nulla!»
Sirius si sentì in dovere di intervenire.
«Posso dire una cosa?»
«No, non puoi!» lo fulminò con i suoi furenti
occhi verdi e Sirius, in risposta, le fece il verso.
«Bertuccia» mormorò, ma non abbastanza
debolmente da non farsi udire dai presenti che si erano radunati dopo le
prime urla, che sogghignarono.
«D’ora in poi evita di guardarmi, evita di
pensarmi, evita qualsiasi cosa che abbia a che fare con la mia persona»
disse, dopo aver tratto un lungo sospiro per calmarsi.
James poté solo mantenere il suo viso
perfettamente immobile, senza lasciar trapelare alcuna emozione.
«Anche le seghe? Perché, sai, lui si fa le seghe
pensando a te» si intromise Sirius.
Lily avanzò a passetti corti e veloci,
fermandosi ad una spanna dal suo viso.
«All’inferno c’è un posto anche per quelli come
te» mormorò velenosamente, voltandosi così platealmente da far mulinare
i suoi lunghi capelli rossi sul viso di Sirius, come una sferzata.
Non si guardò indietro, giacché l’orgoglio
ferito ancora pulsava dolorosamente.
Il silenzio che si lasciò alle spalle fu
interrotto solo dallo starnuto di Sirius.
° ° °
Quando Sirius rientrò in Dormitorio, Remus era
ancora adirato con lui.
Non si parlavano da un intero giorno e Sirius ne
aveva abbastanza.
«Senti, Remus... dai, amico, facciamo pace. Io
ti voglio bene, lo sai» disse ed ebbe il buon gusto di mostrarsi
contrito.
L’altro sospirò pesantemente.
«Sirius», iniziò, senza neppure voltarsi, «tu
mi piaci. Mi piaci da quando avevo dodici anni. Quello che le voci
dicono è vero: mi piacciono i ragazzi e mi piaci tu».
Oh, Remus era un amico fedele, anche e
soprattutto con se stesso. Poiché mai era accaduto che avesse predicato
bene e razzolato male.
In quelle ore aveva riflettuto parecchio sulle
parole dette a James e si era maledetto, perché la sua coscienza aveva
iniziato a pungolarlo e a blaterargli di quanto dovesse restare fedele e
onesto a se stesso, di quanto non dovesse mentire e tante altre cose
onorevoli.
Remus decise che da quel giorno ci avrebbe dato
meno dentro con il cioccolato, giacché l’eccesso di zuccheri non gli
giovavano affatto.
«Sì» fu la stupida risposta di Sirius,
visibilmente scioccato.
«Oh», farfugliò, «perdonami, ma improvvisamente
sento l’impellente bisogno di pisciare» e seguendo il copione della
perfetta verginella alla prima volta, Sirius balzellò – letteralmente;
accadeva spesso quando era fortemente turbato – in bagno.
Remus sbatté le palpebre, domandandosi se Sirius
sarebbe mai riemerso da quel bagno e se non fosse il caso di imparare
una buona volta la sottile arte della menzogna.
O quantomeno, quella dell’omissione.
° ° °
Lily Evans si rintanò in Biblioteca – sacro
luogo di pace e silenzio – e non si premurò neppure di fingere di
studiare. Il libro riccamente intarsiato era chiuso, come la bocca di
lei.
Ma non come la sua mente.
La sua mente era aperta e turbolenta come un
fiume in piena.
Si domandò più volte cosa avrebbe fatto da
domani, se avrebbe mai accantonato la pesante presa in giro, se il suo
orgoglio avrebbe mai cicatrizzato quella ferita.
Si domandò anche se non fosse il caso di
perdonare Potter. Al solo pensiero, si sentì le viscere torcere
dolorosamente.
Sbuffò, sbuffò e sbuffò molte altre volte
ancora, fino a che Madama Pince non le intimò di far silenzio.
Aveva ormai deciso di tornare in Sala Comune –
forse Mary le avrebbe elargito uno dei suoi rari consigli pieni di buon
senso – quando Remus Lupin le apparve al fianco, lasciandosi stancamente
cadere sulla sedia.
Lily serrò i denti così forte che l’altro li
sentì battere.
Non aveva certo dimenticato che lui le aveva
spudoratamente mentito.
«Sei un vile bugiardo, lo sai?»
Le scoccò una lunga occhiata rattristata,
annuendo lentamente.
«L’ho fatto per James. Lui è mio amico. Gli
voglio bene. È mio amico» ripeté con forza, fissandola negli occhi, come
a volerla convincere.
Mera impresa. Lily non era certo Sirius né
poteva immaginare i loro più recenti disguidi.
«E io non sono forse tua amica?» sibilò
velenosamente.
Remus sospirò.
«Tu ce l’hai con me perché ti ho mentito. Sirius
ce l’ha con me perché l’ho fatto passare per un omosessuale. James ce
l’ha con me perché dice che non saputo consigliarlo. Peter ce l’ha con
me perché non ho impedito a James e Sirius di usare i suoi calzini per
quel loro stupido sega-pa—» si arrestò improvvisamente, rosso in viso.
Anche Lily divenne parecchia rossa, più rossa
dei suoi capelli.
Poi ricordò quel che le disse Sirius e il suo
viso virò in una delicatissima sfumatura di violetto.
«Vuoi il mio perdono, Remus?» domandò infine,
schiarendosi la gola.
Pose la domanda come se fosse un ultimatum.
«Ahm, sì».
«Allora dimmi perché. Perché?»
Remus era tanto stanco.
Perciò non perse tempo a cercare una scusa
plausibile.
«Perché ti ama, Lily».
I suoi occhi verdi si sgranarono di
indignazione.
«Ciao, Remus» lo salutò gelidamente,
congedandosi.
Il ragazzo si passò le mani tra i capelli e
sbatté forte la testa sul tavolo.
Più volte.
° ° °
Sirius scostò di poco la porta, adocchiando
guardingo la stanza. Nessuna traccia del ragazzo-lupo, fortunatamente.
Così, armato della sua migliore indifferenza,
spalancò la porta e uscì baldanzoso.
«Perché ti nascondevi?»
Urlò come una bambinetta.
«No, perché tu ti nascondi?»
«Sono triste, Sirius» sospirò James, allungando
le gambe sul pavimento, nascosto tra un letto e l’altro, la schiena
premuta contro il comodino.
«E quindi ti nascondi?» era perplesso.
«Già. E tu? Perché ti nascondevi?»
«Remus. Ha detto che... che... gli piaccio»
esalò incredulo, a bassa voce, come se i muri avessero orecchie e
fossero pronti a tradirlo seduta stante.
«Ah, davvero? Era ora».
«Scusa? Tu... sapevi?»
«Senti Sirius, in tutta franchezza, ogni
Grifondoro del nostro anno sapeva».
Il viso di Sirius si fece bianco come il latte.
Poi, seguendo l’esempio di James, si lasciò
sprofondare tra il suo letto e quello di Remus.
«James?»
«Mmh».
«Remus potrebbe piacermi».
«Era ora che anche tu ci arrivassi. Ci sono
ragazze che ci scommettono su dal terzo anno».
«Cosa?!»
«Mettiti comodo, Sirius. Forse è ora che io ti
racconti cosa hai combinato al terzo anno, di quando eri ubriaco e
baciasti Remus sulla bocca davanti ad ogni studente di Hogwarts...»
° ° °
Quando Lily tornò in Sala Comune fece appena in
tempo a salutare alcune conoscenti che una sfocata macchia nera le si
mise davanti e senza troppi complimenti se la issò sulle spalle,
trascinandola via.
Molti risero, alcuni iniziarono a svuotare le
tasche e dare il via alle scommesse.
Si rese conto di chi fosse il suo rapitore
quando riconobbe il sensuale quanto nervoso oscillare dei suoi glutei. I
glutei più sodi e invidiabili di Hogwarts, secondo Mary, la quale se ne
intendeva parecchio. Esperienza personale.
«Black, di grazia, cosa stai facendo?»
La scaricò senza poca grazia in una piccola
nicchia buia. I suoi occhi grigi catturavano la luce di una torcia
vicina, brillando sinistramente nel buio.
«Oh, fottutissimo Merlino, tu sapevi di quello
che ho fatto al terzo anno? Lo sapevi?»
Si domandò se la memoria a breve termine di
Sirius funzionasse correttamente.
«Ma di che stai parlando?»
«Di me! Di Remus! Di quanto ero schifosamente
ubriaco! Di quel cazzo di bacio! Dammi un sacchetto, Lily Evans, dammi
un sacchetto, mi sento mancare».
Decisamente non stava bene.
«Black, tutta la scuola lo sapeva. Lieta
di sapere che anche tu ora ne sia a conoscenza, benvenuto nel club. Ma
questo cosa c'entra con me, perché mi hai portata qui?»
«Perché mi necessitava sapere e, sai, ne ho le
palle piene delle prese in giro. Senti, devo andare. Devo procurarmi una
qualche pozione di distruzione di memoria di massa, o qualcosa del
genere. Ti saluto. E perdona James, va bene? Ti ama, ti è affezionato e
tutto quanto, ma onestamente siamo un po’ stanchi di sentirlo sempre
mugolare in bagno» e scappò via, senza però accorgersi della sciarpa di
Lily impigliata in uno dei bottoni del suo mantello.
Così, preso dalla foga, non si rese conto del
rantolo sofferente alle sue spalle, né delle sottili e alquanto
fantasiose imprecazioni di Lily Evans.
Fortunatamente, uno strattone fu decisivo e il
mantello di Lily fu libero dal suo.
«Oh, Evans, scusa. Non mi ero accorto... be’,
stai bene, sì? Sì, okay, ciao splendore» le lisciò i capelli, il
maglione e fece per lisciarle anche le pieghe della gonna, salvo poi
ritrarsi per schivare prontamente il palmo aperto di lei.
Infine, in tutta la sua eleganza da purosangue
Black, si defilò.
«Dirò a tutti che Remus è il tuo fidanzato da
almeno cinque anni, è una promessa!» urlò lei, massaggiandosi il collo
arrossato.
Sirius, però, era troppo lontano per udire la
minaccia.
E la mattina dopo era troppo tardi per porvi
rimedio.
Quella, per Sirius Black, fu una lunghissima
giornata.
NdA: Ho fatto di Sirius uno zimbello e ho
il vago sospetto che presto mi verrà recapitata una denuncia da
parte dell'amata zia.
Comunque, sappiate che non l'ho mica fatto
apposta, eh. Io amo Sirius, ve lo giuro.
E Remus, ossignore, con Remus ho esagerato. Ho
fatto di lui una piccola, turbata ragazzina con complessi da Mary Sue.
Ma forse - e dico forse - a voi di tutto questo
mio ciarlare non importa nulla.
Perciò, ciancio alle bande e passiamo alle cose
serie.
Innanzitutto, permettetemi di esprimere la mia
somma gioia circa questo capitolo perché, invero, ero proprio sicura di
non riuscire a concluderlo entro oggi. E invece! Oh, unitevi al
mio gaio, su.
Poi, ebbene signori miei, io continuo ad essere
ad ogni capitolo sempre più stupefatta circa il seguito di questa
storia. Nello scorso capitolo avete recensito in dieci e i seguiti
aumentano a vista d'occhio.
Onestamente, per questa storia mi
aspettavo tutto tranne che questo successo! E questo contribuisce ad
incrementare nettamente il mio gaio, al quale, se desiderate, potete
nuovamente prendere parte. :3
Poi, bene, lo sapete che March mi vizia, no? E
allora, toh, beccatevi l'ennesima
meraviglia di questo
splendore di ragazza. Come sempre, amatela dal profondo. ♥
Ah, forse avrete notato l'inserimento del
pairing Remus/Sirius. Ebbene, a questo punto, era davvero necessario.
Così è deciso, l'udienza è tolta.
Ultima cosa: l'appellativo dato a Remus,
ragazzo-lupo, è stato gentilmente scippato a Robb Stark.
Bene, questo capitolo ritengo sia il clue del
clue del clue della stupidaggine, ma spero che vi abbia comunque
strappato un sorriso.
Un messaggio per March: tesoro bbbello, se
anche qui riesci a cogliere l'angst... ebbene, visita quanto prima uno
specialista. ♥♥♥
Vi saluto, bella gente, e vi prometto una
risposta in tempi - si spera - brevi alle vostre meraviglierrime
recensioni.
(Un saluto speciale a Frency perché lei è
agdusfigweifwe. ♥)
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo VIII: (S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi ***
Nuova pagina 1
9.
Capitolo VIII.
(S)Ragionamenti maschili: quando e perché è bene informarsi.
Nei giorni a venire, Lily Evans ebbe modo di
riflettere. Molto e molto accuratamente.
Nessuno avrebbe mai potuto dirle di aver
trascurato la questione o di non aver dato peso a tutte le prove
raccolte.
A conti fatti, la giovane Evans disponeva delle
parole – discutibili – dei migliori amici di Spostato (non osava
pensare a lui con il suo vero nome), che aveva attentamente passato al
setaccio, arrivando alla conclusione che esse – per forza di cose –
erano inequivocabilmente false.
Remus Lupin si era rivelato un improbabile
bugiardo; le aveva mentito proprio nella fase più delicata e decisiva di
quella assurda corrispondenza, rafforzando i suoi propositi, tentandola
e, infine, convincendola.
Sirius Black era Sirius Black e tanto
bastava a Lily per decretare le sue parole false, dettate probabilmente
da qualche sentimentalismo nei confronti del suo compare Spostato.
Eppure, Lily si sforzò di aggirare le apparenze,
calandosi in un’analisi più approfondita della personalità di entrambi.
Di prezioso aiuto fu il tomo gentilmente concessole da Mary, che,
invero, non disse nulla di nuovo ma, in compenso al tempo perso, servì a
cementificare i suoi precedenti ragionamenti.
Secondo il terzo capitolo del libro di Mary (“(S)Ragionamenti
maschili: quando e perché è bene informarsi”), la menzogna era una
componente basilare del DNA maschile almeno quanto lo era l’irritabilità
in quello femminile. Pertanto, se un uomo vi ha mentito una volta e
vi ha promesso che mai più accadrà, non innalzate favolosi castelli per
aria: sappiate che, a dispetto di ogni vostro sforzo, gesto o parola,
lui continuerà a mentire.
In fondo, ragazze, non potete mica arrestare
la frenetica corsa di una pallina su un piano inclinato, vero?.
Lily, nel mentre che leggeva quel passaggio,
annuì convinta, decidendo che quel libro le piaceva, perché,
inspiegabilmente, ogni fatto negativo che si menzionava circa gli uomini
era l’ennesimo sinonimo dello stesso nome: James Potter.
E quell’arringa sulla menzogna, poi, calzava
addosso a Sirius Black meglio di quei suoi pantaloni neri.
Quanto a Remus... Lily dovette rileggere a fondo
il paragrafo 2 del capitolo 3, ossia: “Quando gli ingenui mentono:
perché?”, nel quale si leggeva chiaramente che “non dovete
diffidare di un uomo sincero e leale che vi ha mentito una volta sola:
chi è propenso alla sincerità proverà una forte dissonanza davanti
all’esigenza di remar contro i propri principi e sulla base di questo,
donne, state per certo che lui, per la propria quiete mentale
(sicuramente non per la vostra), non vi mentirà più e cercherà,
al contrario, di rimediare al danno con un’improbabile quanto
rivelatrice verità e non una verità qualsiasi, bensì quella verità che
vi è stata tenuta accuratamente nascosta. Pertanto, approfittatene”.
Eppure, nonostante le belle parole di
rassicurazione, Lily non cedette e si limitò a voltare pagina.
Stava per intraprendere la scottante lettura del
capitolo 4 (“Uomini e lenzuola: come convincerli di essere stati
amanti sensazionali”) quando Mary e Marlene rientrarono in
Dormitorio.
«Lily», cinguettò Mary, schioccando la lingua,
«quel mio libro è illuminante, non è vero? Perché tu sei giunta
all’illuminazione, sì?»
Ora, contrariamente a quanto i lettori avranno
dedotto, Lily Evans non aveva avuto nessuna illuminazione, o
folgorazione, o intuizione, o ispirazione, o qualsiasi altra cosa che
terminasse per –zione.
«Macché. Questo libro è carino, sul serio, Mary,
ma io ho ancora dei dubbi».
«Sì sì, d’accordo, ma avrai pure un’idea, seppur
labile e ancora sfocata, no?»
«Credo che tutti mi abbiano mentito. Credo di
essere incappata in una sorta di tela fatta da ragni mentitori».
Mary scoccò una significativa occhiata a
Marlene.
«Adesso, mia cara Marlene, converrai con me che
Lily, effettivamente, necessita di una bella ripassata?»
° ° °
James Potter si trastullava con quel vecchio
Boccino rubato molto tempo prima.
Gli permetteva di allontanarsi di qualche
pollice prima che la sua mano, fulminea, scattasse in avanti,
acchiappandolo.
Ripeté quel gesto esattamente ottantotto volte
prima che, spazientito, lanciasse il Boccino, che sfrecciò impazzito
dall’altra parte della stanza...
... colpendo in pieno viso (o meglio, naso)
il malcapitato Remus Lupin, ragazzo-lupo innamorato del ragazzo-cane.
Emise un grugnito di dolore e le sue mani si
richiusero a coppa sulla zona lesa. Iniziò quindi una specie di balletto
ubriaco, piegandosi talvolta in avanti.
«Merlino, mi dispiace, Remus! Perché diavolo non
bussi, prima di entrare?»
«Tu bussi prima di entrare in casa tua?»
domandò furente e stava indubbiamente per lanciarsi in una delle sue
classiche invettive contro-James, salvo poi trattenersi alla
vista di una singola, impercettibile lacrima di sangue che gli carezzò
le labbra prima di adagiarsi sul dorso della mano.
«Puoi evitare di svenire? Ho bisogno di
conforto».
Sirius entrò in quello stesso momento.
Sirius era sempre incredibilmente
provvidenziale.
Sirius aveva braccia forti che, ancora una
volta, sorressero un incosciente Remus.
«Qualcuno mi spieghi perché questo deve
sempre accadere a me».
«Non so, chiedi a loro».
Loro erano alcuni ragazzini del primo
anno, curiosi e impalati nel mezzo del corridoio.
«Piccoli, dolci, ragazzini...»
E poi ci fu come una scarica di adrenalina
nell’aria, che immobilizzò il tempo per pochi attimi, paralizzando ogni
cellula dei loro corpi.
E quando la scarica evaporò, accadde tutto
troppo velocemente.
Remus venne lasciato a schiantarsi sul soffice
tappeto rosso. Sirius inseguì i ragazzini. I ragazzini urlarono
spaventati.
James balzò sul pavimento, chinandosi al
capezzale dell’amico svenuto.
Fortunatamente, James Potter aveva una magia per
ogni evenienza.
Anche per gli svenimenti di routine di Remus.
«Aguamenti».
° ° °
Remus si svegliò in una pozza d’acqua gelida.
Avrebbe indubbiamente insultato James e la sua
non-intelligenza se un esasperante eccesso di starnuti non l’avesse
intralciato.
«Ti senti meglio?» domandò James, riponendo con
indifferenza la bacchetta.
«Credevo tu avessi toccato il fondo con quella
ridicola idea dei biglietti. Ora so che mi sbagliavo».
«Mio caro amico, risparmiami le tue frecciatine
pungenti e aiutami a venire a capo di questa situazione. Lily non mi
parla più, neppure mi guarda. Pretendo una soluzione da parte
tua».
Remus acciuffò un asciugamano abbandonato sulla
testiera del letto, frizionando con forza i capelli. James dimenticò per
un attimo i suoi piccoli problemi di cuore per informarlo di quanto quel
look ribelle gli stesse dannatamente bene addosso.
«Tu pretendi l’impossibile. Io ti avevo
avvertito».
Io ti avevo avvertito era la frase
preferita di Remus, le uniche parole che contribuivano a gonfiare il suo
senso di responsabilità, nonché la sua più intima soddisfazione.
Io ti avevo avvertito erano le parole che
James e Sirius più odiavano, precedute solo da eccitazione non
soddisfatta.
«Andiamo, su. Lily ha visto quello che sono e
non si è certo lamentata. Devo solo convincerla che non era una
finzione» ribatté, prendendosi il mento tra le dita.
«Ma lo era! James, tu ti sei spacciato per un
altro. Per un Corvonero».
«Idea di Sirius, io non c’entro» buttò le mani
in avanti, scuotendole a mezz’aria, come se questo avesse potuto
aiutarlo a liberarsi delle sue colpe.
«Fermo resta che ti sei spacciato per un altro e
l’idea è stata unicamente tua. Avresti dovuto ascoltarmi, ma nessuno lo
fa mai e poi venite a piangermi addosso quando è troppo tardi. Tu, in
particolare, hai sempre dato ascolto a Sirius – quasi che il cane fossi
tu e non viceversa – quindi fatti aiutare da lui» lo redarguì,
controllando poi l’orologio.
«L’ora libera è terminata e io ho Rune Antiche»
afferrò la propria cartella, facendo un rapido inventario.
«Parlerai con lei?»
Remus imprecò mentalmente.
James Potter e i suoi uggiolii tristi.
James Potter e i suoi occhi da cane bastonato.
Sirius Black e la sua stramaledetta influenza.
° ° °
Le labbra di Mary erano morbide e, complici,
seguivano le sue.
Era remissiva e quasi tenera mentre la teneva
stretta, era bella con le guance arrossate e il respiro spezzato.
Era quella sbagliata.
Sirius si scostò delicatamente da lei,
allontanandola dolcemente.
«Devi andare a lezione?» gli domandò,
rassettandosi il mantello.
«Devo risolvere una faccenda. Devo... capire».
Mary annuì – in quel suo particolare modo, come
se avesse appena colto tutti i segreti del mondo – e si scostò
ulteriormente.
Sirius le baciò una guancia e il profumo intenso
di lei gli fece chiudere gli occhi per pochi secondi, immobile e
incerto. Confuso.
«Poteva funzionare, sai? Siamo uguali, io e te.
Provo invidia per Remus» disse, di punto in bianco.
«Cosa?»
«Oh, Sirius, io ti conosco. Ti piace sentire il
corpo di una ragazza, ti piace baciarne le labbra e carezzarne il viso,
ma nessuna ragazza è mai andata bene per te. Ti sei mai chiesto perché?»
No, naturalmente.
«Perché non ho mai trovato quella giusta»
replicò deciso, incrociando le braccia al petto.
Mary era una tipa interessante, incredibilmente
provvidenziale.
La sua testa era vuota per un quarto, certo, e i
restanti tre quarti erano occupati rispettivamente da studio, ragazzi e
moda. Ma c’era una parte di lei – piccola e radicata nel profondo – che
era capace di vedere.
«Mettila pure così, se ti fa piacere. E non
scoraggiarti se ti dico che tu, quella giusta, non la troverai mai. Il
tuo corpo non capisce, agisce sull’onda degli ormoni, è confuso e brama
la calda presenza di una donna. Ma il tuo cuore... oh, lui si fa beffa
di te, Sirius Black. Ti illude sulle ragazze, ti cela il vero sul tuo
amico Remus. Ma, per fortuna, pare che tu abbia aperto gli occhi».
Sirius annuì affascinato, giungendo alla
conclusione che Mary avrebbe proprio dovuto smettere di frequentare
Divinazione e quell’assurda professoressa Mallen.
E magari evitare la lettura di quelle riviste al
femminile.
Ovviamente, ritirò qualsiasi cosa buona
che aveva pensato di lei.
Quella parte piccola, radicata e intelligente
era fin troppo radicata. Perduta, probabilmente.
Eppure, anche quando prese posto nell’aula di
Incantesimi, le sue parole tornarono a rimbalzargli addosso, gettandolo
in una confusione ancora maggiore.
E stava giusto per appallottolare un foglio e
gettarlo contro la nuca di Roy di Serpeverde – giusto per sfogare la
frustrazione – quando Remus prese posto accanto a lui.
Ogni nervo affiorò sottopelle e la mano,
nervosa, corse a grattare spasmodicamente la nuca.
«Incanto Proteus. Dicono sia tra gli
incantesimi più difficili e l’anno scorso lo hanno richiesto durante i
M.A.G.O.» lo informò, aprendo il suo libro.
A Sirius, invero, dell’Incanto Proteus non
importava assolutamente un accidente.
«Tanto ci sarai tu ad aiutarci» buttò lì, giusto
per mostrarsi educato.
Sorrise.
«Mi domando cosa farete se io dovessi morire da
qui agli esami. È qualcosa che mi incuriosisce terribilmente».
A Sirius la prospettiva parve triste e
una mano volò alla bocca dello stomaco, saggiandone il vuoto improvviso.
Avrei dovuto mangiare di più a colazione.
Sapevo che i tre panini, le due fette di crostata, le sette focaccine e
le quattro salsicce non mi avrebbero riempito.
«Verremmo tutti bocciati, naturalmente e—»
Remus non seppe mai cosa sarebbe accaduto loro
oltre la bocciatura.
Roy e il suo compare, Muller, entrambi
Serpeverde fino al midollo, si voltarono verso loro.
I loro visi erano un paio di maschere di
pregiata cattiveria.
«State organizzando la vostra festa di
fidanzamento?» intervenne Roy.
«Ehi, Lupin, è vero che voi finocchi vi sbattete
solo a novanta gradi?» rincarò Muller.
«È vero che per il vostro cervello da Serpeverde
non esiste una cura e mai esisterà?»
Lily Evans, incredibilmente tranquilla nella sua
rabbia, si ergeva alle spalle di Sirius e Remus, le braccia ben
incrociate al petto e gli occhi verdi scintillanti di indignazione.
«Oh-oh-oh, la Mezzosangue che difende i
finocchi; ehi, Roy, queste cose non le vedi mica tutti i giorni!»
E adesso i lettori staranno pensando, a giusta
ragione, che il diverbio sarebbe sfociato in un appassionante duello di
magia, fatto di incanti prodigiosi e maledizioni terribili.
Eppure, come accade anche spesso nella vita da
Babbani, il professor Vitious si rivelò essere il deus ex machina
della situazione e, dall’altro dei suoi quattro piedi scarsi, mise fine
al litigio con un delizioso sventolio di bacchetta che riportò al
proprio posto i ragazzi, quasi fossero stati marionette nelle sue mani.
Occorre però precisare che l’udito dell’anziano
professore era di molto inversamente proporzionale alla sua altezza e
nulla poté risparmiare una sostanziosa perdita di punti per entrambe le
Case.
Sirius ebbe anche il piccolo bonus di una
punizione quando mise in dubbio la vista del professore, sostenendo che
era contro ogni criterio logico che la vittima pagasse per i soprusi dei
colpevoli.
Così come era contro ogni criterio logico che
Sirius Black dicesse qualcosa di così grave e la passasse liscia.
«Adesso, ragazzi, se voleste farmi la cortesia
di accantonare le vostre rivalità ed estrarre le bacchette... abbiamo un
Incanto Proteus da imparare».
Sirius dovette inghiottire il boccone amaro ed
obbedire, senza però riuscire a non rimuginare su quanto fosse appena
accaduto.
Due cose erano successe: primo, Lily Evans si
era posta in loro difesa, accantonando l’aperta disapprovazione
che provava per entrambi; secondo, Sirius aveva avuto una gran voglia di
risolvere la faccenda alla Babbana, scagliandosi con impeto su
quei due gonfi sacchi di demenza.
E tutto ciò solo perché quell’idiota aveva
insultato Remus.
Non ebbe il coraggio, però, di domandarsi come
avrebbe reagito se, per un assurdo volere del destino, avesse sorpreso
Remus accanto ad un'altra persona.
Ad un altro ragazzo.
° ° °
James Potter venne a conoscenza del piccolo
incidente di percorso con i Serpeverde solo nel tardo pomeriggio, quando
due ragazze Corvonero ne parlavano in corridoio, arrossendo come un paio
di stupide quando toccarono l’argomento
probabile-omosessualità-di-Sirius.
Sapeva che non avrebbe dovuto saltare
Incantesimi (giacché era universalmente noto che ogni qualvolta che
James era assente, qualcosa di interessante accadeva. Sempre), che non
si sarebbe mai più rimesso in pari con l’Incanto Proteus, che aveva
indubbiamente preso un sacco di freddo per nulla.
Ma doveva provarci.
Ancora una volta, aveva seguito sia il consiglio
di Remus (rivolgiti a Sirius), sia quello di Sirius (è
iniziato tutto da un foglio e tutto può essere sistemato con altro
foglio).
Perciò, appollaiato sull’ultimo gradino delle
scale e armato di penna, calamaio e pergamena, aveva scritto una lunga
lettera da indirizzare a Lily, vergando parole nelle quale faticava a
riconoscersi.
Aveva spezzato ogni freno e ogni briglia,
mettendo nero su bianco tutto quel che aveva taciuto in quei cinque,
interminabili anni.
Eppure, più rileggeva, più i suoi propositi
desistevano.
Lily non gli parlava da una settimana, non lo
guardava neppure. Se capitava di incrociarsi in un corridoio, lei si
voltava platealmente e marciava nella direzione opposta, scappando come
se alle calcagna avesse il Gramo.
E anche ogni tentativo di James, d’altra parte,
era andato a male.
La prima volta che l’aveva avvicinata ne aveva
ricavato un doloroso ceffone sulla guancia sinistra. E non aveva neppure
iniziato a parlare.
La seconda volta andò meglio. Lily lo lasciò
parlare e quando seguì un lungo silenzio – che James aveva sperato si
colmasse del perdono di lei – fatto di aspettative, lei sorrise con
cattiveria, scosse la testa e andò via.
La terza volta lo confondeva ancora. Un attimo
prima era nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, ad esercitarsi con
Frank Paciok sugli incantesimi di disarmo, e l’attimo dopo aveva
riaperto gli occhi in un letto dell’Infermeria, pallido e dolorante, con
il fianco sinistro che, di tanto in tanto, ancora pulsava di dolore.
Solo in seguito aveva scoperto che un
incantesimo di Lily lo aveva accidentalmente colpito.
E lui preferiva credere che fosse andata
davvero così.
° ° °
Attese due giorni prima di appallottolare il
foglio di pergamena e gettarlo nel cestino del bagno.
Lo vide confondersi in quel mucchio umido di
carta igienica, inumidirsi a sua volta, ritraendosi.
Parole inutili per un intento ancora più
inutile.
Era giusto che quel foglio marcisse in quel
secchio di plastica.
Era giusto che anche le sue aspettative, infine,
marcissero.
° ° °
Remus lo notò quasi per caso. Uno dei bottoni
del mantello era saltato via, ticchettando ritmicamente sul pavimento. E
solo quando si era chinato per raccoglierlo, l’aveva vista.
Una palla di carta grezza e gialla, macchiata di
parole intellegibili.
Senza pensare, lo raccolse e lo dispiegò.
Lesse il testo un paio di volte. E capì di non
aver mai capito niente.
° ° °
Lo affrontò quando James tornò dall’allenamento
di Quidditch. Un allenamento intenso e sfiancante, in vista
dell’imminente partita contro Tassorosso.
«Dovresti dargliela, sai?»
James si immobilizzò e, nel voltarsi, ciondolò
un poco. Era sbigottito.
«Remus, non starai subendo un po’ troppo
l’influsso di Sirius? Da quando sei così volgare?»
«Sto parlando di questa» e gli lanciò la
pergamena accartocciata. Il sorriso di scherno di James scivolò via,
virando verso il basso, sino ad estinguersi.
«Remus», iniziò, spogliandosi degli abiti
sporchi e sudati, «mamma e papà non ti hanno insegnato che non si fruga
nell’immondizia?»
Remus ebbe il buon gusto di arrossire.
«Perché l’hai buttata?»
«Ma soprattutto, mamma e papà non ti hanno
insegnato a non ficcanasare negli affari altrui?»
Si liberò dei pantaloni. La pioggia lo aveva
raggiunto ovunque, anche e perfino nelle mutande, che aderivano alle
cosce, flosce e pesanti.
Tenne l’indumento tra le mani, fissandolo con
insistenza. Poi, parlò. E quel suo sguardo...
«Remus, siamo amici. Io ti rispetto e ti voglio
bene, non esiterei a dare la mia vita per te, ma ci sono limiti che
ognuno di noi deve guardarsi bene dal non oltrepassare. Fa’ che non
accada più, d’accordo?»
C’era una dolcezza tagliente nella sua voce, una
vena di irritazione repressa, c’era una sottile minaccia nella sua mano
bagnata posata sulla spalla di Remus.
Gli diede qualche pacca sulla schiena,
dirigendosi al bagno.
«Ah», disse, voltandosi, «rimetti questa dove
l’hai trovata, dopo» e gli restituì la palla di carta, che, in una
parabola perfetta, attraversò la stanza, appollaiandosi dritta tra le
mani di Remus.
Lui annuì, ma quando la porta del bagno si
chiuse con un tonfo nervoso, Remus dispiegò il foglio, lo lisciò con
cura e lo ripiegò correttamente, riponendolo infine sotto lo spesso
strato nero dei suoi calzini.
NdA: Non me ne vogliano gli eventuali
lettori maschi in ascolto, né me ne vogliano le ragazze, ma dovrete
convenire con me che la menzogna è insita nella natura umana maschile. A
volte è più marcata, altre meno, ma c'è.
Liberissime/i di dissentire, comunque. Anzi,
sapete che vi dico? Sarei proprio curiosa di sapere cosa ne pensate,
possibilmente senza scatenare flame. ♥
Dunque, avrete senz'altro notato che questo
capitolo è lievemente più lungo dei precedenti e temo sia stata una
scelta necessaria: i precedenti capitoli, pur vantando sei pagine di
word, erano troppi brevi. Mi è parso giusto rincarare la dose.
Inoltre, per la gioia di Giuls, ho dovuto
introdurre momenti angstosi e alternarli a momenti più dementi. Vedi
Lily e compagnia.
E, invece, per la nostra gioia, io propongo
un altro banner di Giuls,
la quale mi sta decisamente viziando troppo. Guest star di oggi è il
nostro amatissimo, imbecilissimo Sirius. Amatelo. E amate March, è un
ordine. ♥
Ora, io avevo tantissime cose da dire, ma al
momento attuale non ne rammento neppure una, quindi concludo qui. Lungi
da me l'intenzione di annoiarvi.
(As usual, un saluto speciale alla Frency,
che attende sempre con ossessiva impazienza un nuovo capitolo di Anon. E
un saluto anche a Nals, perché la amo.)
PS: La mia distrazione, di questi tempi, è ai
massimi storici; se doveste notare errori di ogni sorta, non esitate a
comunicarmeli!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo IX: Qualcosa di diverso dall’ordinario: compleanni ignorati, ragazze-procione e gli errori di Remus. ***
Nuova pagina 1
10.
Capitolo IX.
Qualcosa di diverso
dall’ordinario: compleanni ignorati, ragazze-procione e gli errori di
Remus.
«Shh, fate silenzio o il mio brillante piano
salterà».
«Sei un imbecille, Sirius. Dimmi: hai studiato
per diventarlo o è un talento innato?»
«Fa’ silenzio, cucciolo. Oh, oh, è il
momento, tutti in posizione! Frank, accanto a Peter, dai dai, svelto!»
Gli occhi di James Potter sfarfallarono piano e
quando il giovane fu completamente scivolato dall’oblio, le sue palpebre
si spalancarono attonite.
Poi, urlò.
«AAAAH!»
«AAAAH!» urlarono in risposta gli altri.
«Ah» mugolò Remus, privo di entusiasmo.
James si inerpicò sul cuscino, mettendosi
faticosamente a sedere. Raccattò gli occhiali con movimenti impacciati e
scoordinati. Poi, con la voce arrochita dal sonno, parlò.
«Siete ubriachi. Fottuto Merlino, siete ubriachi
da fare schifo».
«Non ancora» ribatté Sirius, sedendo accanto a
lui e passandogli un braccio attorno alle spalle.
Remus indietreggiò.
«Benvenuto al mondo per la diciottesima volta,
compare».
Le parole apparentemente insensate di Sirius
fecero breccia nel cervello del giovane e alquanto intontito Potter solo
dopo che le lancette del suo orologio ebbero battuto diversi secondi.
«Ventisette marzo. Il mio compleanno» attestò
scioccamente, strofinandosi il naso.
«Baldoria, baldoria tutta la sera!» strepitò
Sirius, gettandosi poi in ginocchio sul pavimento per emulare un assolo
di chitarra, accompagnato da cantilentanti “wa, wa, wa” in falsetto, un
misero tentativo di riprodurre lo stridio di una chitarra elettrica.
Remus scosse la testa, amareggiato.
«Voglio che tu sappia», disse, posando una mano
sulla spalla di James, «che io non c’entro nulla con tutto ciò» e solo
quando gli ebbe donato qualche pacca comprensiva sulla schiena raccolse
la sua cartella, fece il solito, rapido inventario di libri e quaderni e
andò via, non prima d’aver controllato nel riflesso della finestra che
la cravatta fosse ancora accuratamente annodata.
«Fissato» mormorò Sirius, non senza aver prima
squadrato criticamente la figura sottile di Remus.
«Sentite, io apprezzo la vostra, uhm,
partecipazione, sul serio, ma non ho voglia di festeggiare».
I sorrisi carichi di aspettative si gelarono
sulle labbra dei presenti.
Sirius abbozzò una specie di latrato.
«Parli così perché sei ancora mezzo addormentato
e—»
«No» lo interruppe bruscamente, scalciando via
le coperte e ignorando volutamente la montagnola di regali ai piedi del
suo letto.
«Non apri i regali, James?» domandò Peter, un
poco intristito.
«Dopo» concesse vago, un sorriso di scuse sulla
bocca.
E senza dire altro, si preparò ad una nuova
giornata scolastica, sgonfiando l’entusiasmo dei compagni di camera.
° ° °
«Plebea», l’apostrofò Mary, «sai chi compie gli
anni, oggi?»
«Il tuo cervello? È riuscito ad arrivare a
compiere un anno?»
«Ah. Ah. Ah. No, ritenta» la incitò, incrociando
le braccia al petto.
«Qualche tuo ragazzo? Tuo fratello? Il tuo
gufo?»
«James Potter» soffiò languidamente, calda e
delicata come il bacio di un amante.
Le dita di Lily s’aggrovigliarono e il nodo alla
cravatta si disfò.
Sbuffò.
«Senti, Mary, sono dispiaciuta per il tuo
libro. Non è che l’ho volontariamente bruciato».
Negli occhi azzurri di Mary balenò un lampo
d’improvvisa ira.
Era accaduto qualche giorno prima e Lily era
realmente innocente.
Avendo molto apprezzato il volume sui
(s)ragionamenti maschili, Lily aveva domandato se la ragazza, per caso,
non possedesse anche il volume al femminile.
Mary glielo aveva procurato il giorno dopo,
scavando nel fondo del suo baule.
Ma, come spesso accade per chi possiede un animo
particolarmente suscettibile, il titolo l’aveva profondamente
infastidita (“Paturnie femminili: salvatevi o sarete condannati”),
giacché le era parso gratuitamente cattivo e superficiale.
Quel piccolo malessere, comunque, aveva
innescato un sottile meccanismo di rifiuto, tanto che a lettura ultimata
la bacchetta posata sul comodino aveva letteralmente sputacchiato
scintille d’un violetto intenso e l’attimo dopo – PUFF! – il
libro era diventato una moltitudine di lingue viola e gelide che,
assurdamente, ne bruciavano le pagine, propagando nell’aria un magro
lezzo di bruciato e scricchiolii simili a gemiti doloranti.
Mary non aveva apprezzato molto.
E da quel giorno, soprattutto, aveva iniziato a
chiamarla “plebea”. Un appellativo indubbiamente preso in prestito da
Black, il quale appellava praticamente tutti a quel modo, senza
tuttavia l’esile vena di cattiveria che ci imprimeva Mary.
«Non importa, mia amica plebea. Piuttosto, cosa
regalerai a Potter?»
«Cosa non gli regalerò, ossia tutto»
precisò, annodando la cravatta e riuscendo nel tentativo.
«Non essere cattiva, su. Perché non mandargli un
bel biglietto d’aug—»
FRRRRRRRRRRRRRRRRRRRRR!
La bacchetta di Lily sputacchiò nuove scintille
violette, che strisciarono sul pavimento come un’entità viva e liquida.
Mary indietreggiò molto aggraziatamente.
E Lily capì che c’erano certe parole che
non potevano essere ancora tollerate.
° ° °
«Signor Lupin, non ci siamo».
Il richiamo della McGranitt ammantò di silenzio
la classe ed ebbe il curioso potere di far spalancare gli occhi dei
presenti in una muta smorfia di stupore.
Remus annuì e posò la bacchetta sul tavolo,
tornando a sedere.
«Di grazia, cosa stai facendo?»
«La prego di scusarmi, professoressa, ma oggi
non riesco davvero a prestare l’attenzione necessaria» mugugnò
educatamente, fissando con intensità le unghie della mano destra.
Perfino la McGranitt tacque.
Cattivo, cattivissimo segno.
«Ti ordino di riprendere quella bacchetta
e ripetere l’esercizio, signor Lupin».
Remus, visibilmente amareggiato, s’alzò e
obbedì, domandandosi perché quel giorno la professoressa lo avesse
eletto a studente del giorno.
È giusto specificare ai lettori che Remus, quel
giorno, aveva la testa veramente altrove.
Al principio di tutto c’era quello strano sogno
fatto la notte prima.
Aveva visto se stesso da fuori, una
matassa di nervi, tendini e pelo, un muso allungato e fauci umide di
bava, puntate dritte alla gola di un immenso cane nero.
Aveva cercato di gettarsi tra i due, dividerli,
ma, all’improvviso, del lupo e del cane era rimasto solo l’odore; al
loro posto erano subentrati Remus e Sirius, nudi e sudati, intrappolati
in un groviglio di braccia e gambe.
Vedeva se stesso artigliare le spalle di Sirius,
stringere i denti sulla pelle morbida del suo collo. Vedeva Sirius
stringere i denti di dolore, che lottava, spingendo le dita tra i suoi
capelli.
Avrebbe voluto nuovamente frapporsi tra i due,
impedire di azzannarsi reciprocamente, ma poi capì.
Capì che non stavano lottando.
E si era destato così, sconvolto e in un bagno
di sudore, con una fastidiosa erezione tra le gambe.
Quel sogno l’aveva perseguitato per tutto il
tempo, o forse era stato lui a perseguitarlo.
Aveva cercato di rintracciare, sempre e
insistentemente, Sirius, ritagliando il sogno al suo corpo, escludendo
tutto il resto. E non gli aveva giovato affatto.
«Ancora una volta, signor Lupin».
E Remus obbedì. Agitò la bacchetta e il procione
s’agitò e mugolò, allungandosi e contorcendosi, fino a che, davanti a
lui, non apparve una graziosa ragazza dai capelli sale e pepe e grandi
occhi castani.
Un risultato ammirevole, se non fosse stato per
le orecchie appuntite che spuntavano dai capelli, la coda che sferzava
l’aria da sotto la gonna e le gambe interamente ricoperte di peli.
La classe si lasciò andare ad un eccesso di
risate, salvo poi zittirsi davanti allo sguardo glaciale della donna.
«Signor Potter», soffiò dolcemente, «noto che è
divertito dal tentativo del signor Lupin; venga qui e ci allieti con il
suo talento» ordinò, non dimenticando certo di dargli del lei.
E Minerva McGranitt dava del lei solo in due
circostanza: o quando gli studenti erano particolarmente dotati o quando
erano particolarmente fuori dalle sue grazie.
A quale categoria Potter appartenesse, era
ancora incerto. Ma le scommesse erano aperte come non mai.
«Bene. Dov’è il mio procione?»
La donna agitò la bacchetta e la graziosa
fanciulla tornò ad essere un piccolo gomitolo di pelo.
James si schiarì la gola, chiuse gli occhi e
richiamò a sé tutta la concentrazione possibile.
Poi, sollevò lentamente le palpebre e smosse il
polso, sinuoso e leggero.
L’animale si contorse e... tutti i ragazzi in
aula fischiarono ammirati.
Se la magia di Remus era stata accettabile ed
era sfociata in una fanciulla carina, quella di James Potter aveva fatto
faville.
La ragazza-procione sedeva sulla cattedra a
gambe accavallate, trastullandosi con i suoi boccoli sale e pepe. I
grandi occhi castani fissavano bramosi James e le sue belle labbra rosse
erano contratte in una piccola smorfia innocente.
Ma, sopra tutto questo, era nuda, senza
neppure un pelo a lambirle le gambe o le braccia.
«Sa, professoressa», iniziò James, passando un
braccio attorno alla vita esile della ragazza-procione, «potrei perfino
arrivare ad apprezzare la zoofilia».
La classe rise. Minerva McGranitt, invece, agitò
la bacchetta e James si ritrovò con l’animale tra le braccia, il piccolo
muso aguzzo che strusciava contro il suo petto.
Lo allontanò disgustato.
«... o forse no» si auto-rettificò,
allontanandosi.
«Adesso che avete visto come funziona, mettetevi
in fila, ordinatamente, e uno alla volta proverete».
James, dal canto suo, si sentì molto potente
quando la professoressa lo guardò di sottecchi, un piccolissimo sorriso
soddisfatto a piegarle le labbra.
° ° °
Lily Evans era scarmigliata e infuriata quando
la campanella squillò, decretando la fine della lezione di
Trasfigurazione.
Il suo miglior tentativo era sfociato in un
essere metà bambina e metà procione. Un essere abominevole, nulla a che
vedere con la ragazza mozzafiato tirata fuori da James.
La docente era stata chiara: sarete voi a
dare forma a quest’animale.
E Lily aveva immaginato una ragazza bella e
innocente, ottenendo nella realtà una bambina brutta come la fame e la
miseria.
La classe aveva riso di scherno ma, aveva
notato, un po’ rincuorata, James Potter si era limitato ad un sorriso
indulgente e vagamente incoraggiante, come a dirle: la prossima volta
andrà meglio, riprovaci, su.
Era arrossita come una bimbetta, distogliendo lo
sguardo.
E solo a quel punto James aveva riso
sguaiatamente.
Lily aveva puntato a passo di carica al suo
dormitorio, saltando il pranzo.
Aveva improvvisamente ricordato che era il
compleanno di quel demente e voleva trovare un modo, uno qualsiasi, per
rovinarglielo.
Girò in tondo nel dormitorio, cercando di farsi
venire una valida idea, quando lo sguardo cadde sul baule aperto di
Mary.
Sussultò. E poi sorrise malignamente.
° ° °
Aspettò James in Sala d’Ingresso, appena prima
che iniziasse l’ultima lezione del giorno, Erbologia.
S’acquattò accanto ad una colonna e attese, il
piccolo involto tra le mani.
James sbucò dieci minuti dopo, scortato da Remus,
Sirius e Peter, i suoi soliti, fidati compari.
«Potter» lo chiamò e il ragazzo sussultò,
voltandosi.
«Oh. Evans» cinguettò, mormorando poi qualcosa
all’orecchio dei compari, che prontamente andarono via.
A Lily dispiacque parecchio; la loro presenza
avrebbe raddoppiato l’effetto umiliazione.
«Hai deciso di parlarmi?»
«No».
«Oh. Allora hai deciso di perdonarmi?»
«Neppure».
«Vuoi complimentarti per la mia
ragazza-procione?»
Lily sorrise stizzita e gli cacciò l’involto tra
le mani.
«Volevo solo farti un regalo, per il tuo
compleanno» annunciò dolcemente.
James... lui fece una cosa strana.
Fissò l’involto come se lo avessero tramortito e
sollevò lo sguardo su Lily, sorridendo sinceramente stupito.
Doveva essere quello il viso del James bambino.
Lily si sentì male e fu tentata di strappargli
il pacco dalle mani. Ma fu troppo tardi.
James strappò la carta argentata e anche il suo
sorriso si strappò.
Vide il suo pomo d’Adamo salire e scendere
bruscamente, come se stesse inghiottendo un boccone pastoso e amaro.
Vide, per lo spazio di un baleno, la delusione
nei suoi occhi. E qualcosa d’altro, di più profondo, di più antico.
«Oh, che pensiero carino. Sai che ho come
l’impressione d’aver già visto questi guanti e questo berretto?»
«Oh, non ne dubito. Ma come ti dissi tanto tempo
fa, Potter, io non voglio niente da te. Niente, niente di
niente».
«Erano un regalo» ringhiò e non riuscì neppure a
racimolare una piccola parte della sua solita nonchalance.
«Io non voglio regali da te» ribatté piccata,
stringendo le labbra in modo molto McGranitt.
James parve sul punto di dire qualcosa di molto
brutto e molto maleducato, ma tacque e trasse un gran respiro.
«E va bene», esclamò, gaio, «li terrò io, se
proprio non li vuoi. Ciao ciao» scosse la mano, allontanandosi col suo
solito passo baldanzoso.
Lily non sentì neppure metà di quella
soddisfazione che s’era aspettata di provare.
° ° °
Remus la raggiunse qualche ora dopo.
Erano tutti ammassati nella Sala Comune, giacché v’era stata una brutta
esplosione al bagno comune del settimo piano e ogni corridoio grondava
d’acqua melmosa, alta sino alla caviglia.
Qualcuno aveva sospettato che ci fosse sotto la
bacchetta di James Potter, coperto di melma da capo a piedi, ma lui si
era giustificato con un: sono scivolato.
Nessuno ci credeva.
E Malcolm Brady, dall’altro capo della Sala,
teneva banco e incitava le scommesse sul perché Potter avesse fatto
esplodere le tubature.
«Puntate, puntate! Non siate spilorci, puntate!»
li incoraggiava, mentre due primine offrivano vassoi carichi di
biscotti.
E in quello c’era stato lo zampino di
Sirius. Sicuro.
Lily avrebbe dovuto intervenire, sottrarre a
Malcolm tanti punti quanto erano i suoi neuroni esanimi, ma poi rifletté
che sarebbe stata una punizione superficiale togliergli tanti punti
quanto erano le dita della sua mano. E Malcolm era famoso per il suo
mignolo amputato.
«Lily», la chiamò, «possiamo parlare?»
Remus appariva pallido e contrito, amareggiato
per qualcosa.
La ragazza annuì, seguendolo nell’angolo più
ombroso e appartato.
Remus estrasse un pezzo di carta stropicciato.
«Tieni, mettila via» le ordinò, spingendole la
pergamena tra le mani. Lily la nascose in una tasta interna del suo
mantello.
«Cos’è?»
«Qualcosa che devi leggere. Qualcosa che ti
aiuterà a capire. Ma, ti prego, non farne parola con nessuno, nessuno,
capito?»
«Va bene, ma... Remus, tutti questi intrighi non
mi appassionano. Cosa succede? Prima il bagno che esplode e ora tu con
questa pergamena...»
Lily era stata fin troppo veloce nel capire che
le due cose, probabilmente, erano collegate. La tempistica non mentiva.
«Leggila. Stanotte, mentre le tue compagne
dormono. E poi torna da me; dobbiamo davvero parlarne».
Lily annuì frastornata e osservò Remus
allontanarsi.
Il mistero s’infittiva.
° ° °
«James, dobbiamo parlare».
James Potter era nudo come il giorno in cui era
nato.
«E... magari dovresti coprirti, non credi?»
consigliò Remus, arrossendo.
«Non fare l’innocentino con me, Remmy-Remmy.
Stanotte sei andato al bagno e hai tardato parecchio; cosa hai fatto,
eh, malandrino?» lo stuzzicò e rise.
«Piantala» sbottò l’altro, la cui testa pareva
l’incarnazione dei colori di Grifondoro: viso rosso e capelli dorati.
«Cosa vuoi, comunque?» chiese mentre svuotava il
baule in maniera molto poco ordinata.
Presto, i suoi abiti furono sparpagliati sul
pavimento, sui letti e sulla scrivania comune.
«Parlare di Lily. Cosa farai, con lei?»
James si rialzò con un reggiseno tra le dita.
«E questo? Un souvenir di Sirius?» non attese
risposta; scrollò le spalle e lo gettò sul letto del legittimo
proprietario.
«James...»
«Oh, ma dai!» ed estrasse un paio di
sottilissimi slip.
«Come diavolo fanno le ragazze ad indossare
queste cose?! Eccitanti, per carità, ma talmente scomodi!» e anche
quelli raggiunsero il letto di Sirius.
«James, piantala e rispondimi!»
«Ma niente, Remus, cosa vuoi che faccia? Ormai
ho capito che non c’è più speranza e quindi pace e amore, cercherò
altrove».
Remus indietreggiò come se l’avesse
schiaffeggiato.
«Ma...»
«Remus», disse e qualsiasi ilarità sparì dal suo
viso, «Lily non mi vuole, okay? Non mi vorrà mai. Basta adesso,
non voglio più sentir parlare di lei. È finita, finita» e si chiuse in
bagno, soffocando ogni possibile protesta di Remus con lo scroscio
intenso della doccia.
Il tono di James, l’aveva capito bene, non
lasciava alcuna possibilità di confronto o, meglio, un’inversione di
marcia.
Ogni volta che il ragazzo aveva parlato con così
tanta serietà e così tanta determinazione, non aveva mai fallito in quel
che si era prefissato.
L’ultima volta che qualcuno lo aveva
contrariato, piazzandogli i bastoni tra le ruote, era stato due anni
prima e lui e Frank si erano presi a calci e pugni e non si erano
parlati per un anno. E nemmeno al momento attuale i loro rapporti erano
idilliaci.
Remus deglutì.
«Merlino, cosa ho fatto?!»
NdA: Miei dèi, non riesco a crederci! Ho
finito il capitolo, fuck yeah!
Pensavo di non farcela, invece eccomi qua. Molto di fretta, ma
sono qui.
Ho davvero pochissimo tempo - per adesso -
quindi vi ringrazio immensamente per aver letto e ringrazio soprattutto
chi ha recensito lo scorso capitolo: risponderò non appena mi sarà
possibile.
MA. Ma non posso congedarmi senza presentarvi la
guest-star di oggi, il nostro piccolo
Finn, che ha ispirato tutte le ragazze-procione. ♥
Amatelo e amate anche la sua padrona, Eleutera.
♥
Bon, vi saluto e spero di ritrovarvi martedì
prossimo, imprevisti permettendo.
PS: Se doveste notare errori di ogni sorta -
cosa possibilissima - segnalatemeli; ho solo dato una lettura
superficiale, che comunque approfondirò più tardi, ma nel mentre, se
notate qualcosa, fatevi avanti. :3
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo X: Sono solo parole. Ma anche pugni, graffi e ferite inattese ***
Nuova pagina 1
11.
Capitolo X.
Sono solo parole. Ma anche
pugni, graffi e ferite inattese.
Ci provò davvero.
Si distese supina, prona, su entrambi i lati, ma
il sonno non la sfiorò neppure per sbaglio e fugacemente.
Le parole di quella lettera bruciavano ancora
come acido corrosivo nelle vene, che le stringeva lo stomaco e le
accartocciava il cuore.
Pensò più volte che Remus avesse volutamente
attentato alla sua quiete mentale o che avesse contraffatto la
pergamena, saturandola con qualche assurda maledizione volta ad
ucciderla lentamente e brutalmente.
Lily Evans si agitò inquieta.
«Lily», la voce di Mary giunse tetra e opaca
come quella di uno spettro, «se non la smetti di rigirarti vengo lì, mi
Trasfiguro in ragazzo e... insomma, smettila, per le mutande luride di
Merlino, io voglio dormire!» bisbigliò inviperita.
«Perdonami» soffiò laconicamente, acciuffando il
pezzo di pergamena stropicciata e correndo in bagno.
Regolò l’intensità della lampada ad olio fino a
che la stanza non si animò di ombre grottesche e sinistre.
La fiamma tremò e la pergamena parve tremare ai
barbagli del fuoco.
La rilesse ancora una volta, incapace di
conciliare il contenuto con la mano che l’aveva vergato.
Eppure, inutile illudersi: la pergamena era
originale e quella era proprio la grafia di James.
James.
Le venne naturale chiamarlo così, senza
cattiveria, senza cattivi sentimenti, senza nulla.
Le venne altrettanto naturale tracciare una
linea di confine tra James e Potter, tra il ragazzo della lettera e
quello che era solita frequentare.
Accarezzò la lettera e le fu impossibile non
riconoscere Anonymous, tra quelle righe.
E per la prima volta, il dubbio la sfiorò: e se
James non avesse mai avuto intenzione di burlarsi di lei? E se James
fosse Anonymous e Potter solo una faccia dello stesso dado?
La lettera premuta tra l’indice e il palmo, Lily
infossò la testa tra le mani, sbuffando esasperata.
Per fortuna, avrebbe avuto una settimana per
riflettere, lontana da Potter, lontana da Hogwarts.
Pasqua era vicina e lei aveva davvero bisogno di
riposare.
° ° °
James Potter ultimò i bagagli e fece un rapido
inventario, avendo come la sensazione che qualcosa continuasse a
mancare.
Perciò si guardò attorno e i suoi occhi
incontrarono il cestino del bagno, incorniciato da uno spiraglio di
porta e lo stipite.
Più volte, nei giorni precedenti, aveva provato
il lancinante desiderio di recuperare quella lettera vergata in un
momento di sconforto, un momento di rabbia, in cui avrebbe voluto
picchiare selvaggiamente qualcuno e invece si era sfogato con la penna
per arma e i sentimenti conflittuali per nemici.
Nessuno, in quei tre giorni, aveva toccato il
cestino. Gli Elfi erano assai rigorosi in questo: nessun sacco veniva
portato via fino a che non fosse stato riempito interamente. Agivano
all’insegna del risparmio, loro.
Combattendo contro la parte più razionale di sé
– che gli urlava letteralmente di non affondare la mano nelle carni
aperte e sanguinanti – si inginocchiò lentamente accanto al cestino,
scuotendolo e smuovendo le cartacce al suo interno.
Ma quella palla gialla e pergamenata non
affiorò. Snervato, lo capovolse e si ritrovò circondato di rifiuti.
Scavò, cercò, senza trovare nulla.
Impossibile, si disse.
Allora sollevò il viso e fissò attentamente le
piastrelle decorate a motivi leonini, come se potessero dargli la
risposta.
Poi, la sua mente acuta si applicò e fece due
più due.
Trattenne il fiato e tremò.
Poi gridò un nome.
° ° °
Remus Lupin si sentì pervadere da un brivido
freddo e malvagio.
È solo il freddo, Remus, non vedere cose che
non esistono.
Si strinse la sciarpa attorno al collo,
coprendosi la bocca. Il parco, a quell’ora del mattino, era assolato e
pieno di studenti.
Peter aveva chiesto a Frank che aveva chiesto a
Remus di reperire Sirius e comunicargli che la madre di Peter avrebbe
avuto immenso piacere nell’averlo come loro ospite per le vacanze
pasquali.
Era risaputo che la madre di Peter fosse
un’accanita arrampicatrice sociale, che sfruttava le conoscenze del
figlio per puntare agli alti ranghi del mondo magico.
Peccato che l’ambiziosa mezzosangue non fosse al
corrente della scaramuccia tra Sirius e la sua famiglia.
Conoscendo Sirius, Remus ipotizzò che il ragazzo
avrebbe accettato ugualmente l’invito, anche solo per prendersi gioco di
quella donna; e lui, il giovane ragazzo-lupo, aveva intenzione di
impedire che questo accadesse, giacché non avrebbe affatto giovato al
già debole ego di Peter.
Aveva intenzione, infatti, di invitarlo a casa
sua, ma dubitava fortemente che il ragazzo avrebbe accettato: i loro
rapporti, negli ultimi tempi, si erano esauriti all’essenziale, nonché
alla fredda e formale cortesia.
Dovette perlustrare attentamente il parco almeno
due volte per rinvenire Sirius, comodamente sdraiato all’ombra di un
abete, che fischiettava qualcosa ad occhi chiusi.
Gli smilzi ciuffi d’erba gli lambivano le
guance, in delizioso contrasto con i capelli neri come carbone, lucidi,
impeccabilmente puliti.
A Sirius Black potevano toccare tutto, ma non i
capelli.
Si vociferava che impedisse alle sue ragazze di
inoltrare le loro dita in quella compatta e ondulata massa nera, anche e
soprattutto mentre amoreggiavano.
Remus si grattò il naso. Prudeva sempre quando
era imbarazzato o nervoso.
«Ehi, Sirius».
Il ragazzo aprì languidamente gli occhi e le
foglie stormirono; un raggio di sole colpì le iridi grigie per un attimo
soltanto, facendole brillare. Poi le foglie si ricompattarono e il sole
svanì dal suo viso.
«Cosa?»
«Ti va di venire da me, per Pasqua?»
«Così che tutti possano dirmi che abbiamo una
storia? Onestamente, Remus, hai già rovinato abbastanza la mia vita
hogwartsiana».
Remus arrossì.
«Ma io—»
«Taci, sii dignitoso».
Si squadrarono. Sirius sorrise condiscendente.
«Tua madre fa il pasticcio di carne?»
«Forse».
«Quello con la carne saltata nel vino bianco e
le verdurine rosolate ad hoc?»
«Probabilmente».
«E farà anche quelle deliziose patate al forno,
dorate, croccanti fuori e morbidissime dentro?»
«Mi hai preso per un maitre? Casa mia non è un
ristorante ed è molto poco educato che l’ospite decida il menù al posto
del padrone di casa» ribatté Remus, piccato.
Si voltò e s’allontanò a passo di marcia.
«Pretendo quel pasticcio!» urlò Sirius.
E Remus si sentì un po’ più leggero.
° ° °
Lily non aveva neppure iniziato a stipare le sue
cose nel baule.
Continuava a starsene con la testa tra le mani e
la lettera tra le dita.
E i palmi erano così sudati che l’inchiostro si
era disciolto sulla pelle e le parole erano diventate sbavature quasi
intellegibili. Ma che importanza aveva? Lei, quelle parole, le aveva
imparate a memoria, suo malgrado.
Non era una vera lettera. Erano pensieri buttati
là, vergati in fretta, cancellati, corretti.
La fissò nuovamente, domandandosi perché mai,
poi, fosse così turbata.
Sì, d’accordo, Potter aveva speso qualche
parolina gentile, ma chi le garantiva che fossero vere? E se fosse stata
tutta una messinscena?
«Ma certo!» sbottò, scattando in piedi.
E questo spiegava perché poi Remus voleva
vederla con urgenza. Per confessarle che era stata l’ennesima trovata di
Potter, naturalmente!
Si sentì così sciocca. Come aveva potuto
cascarci così? Si era quasi, quasi, lasciata convincere che
Potter in realtà fosse solo la maschera di se stesso.
Intascò la pergamena e decise di spezzare il
tacito accordo preso con Remus.
Avrebbe affrontato quell’idiota, per primo, e
poi, se fosse rimasto tempo, avrebbe pensato a Remus.
° ° °
«Allora proprio non vuoi capire, eh,
imbecille?!»
Lo spinse, aggredendolo alle spalle. James,
nonostante la grazia innata, inciampò nei suoi stessi piedi e ruzzolò
sul pavimento. Gli occhiali andarono in frantumi.
Non ne fu affatto entusiasta.
«Hai il ciclo, Evans? Avevo una ragazza, tempo
fa, che mi spaccò il labbro solo perché doveva sfogare il dolore alla
pancia; che cosa amorevole, vero?» parlò lentamente, rassettandosi i
pantaloni sgualciti e striati di polvere.
All’altezza delle ginocchia la stoffa era così
impregnata che anche dopo molte pacche continuò a sfoggiare un
opalescente ovale biancastro.
Gazza, caro vecchiaccio di merda, usi mai
quella scopa per pulire? O te la rigiri—
«Cosa pensavi di fare? Pensavi che sarebbe
bastata un’accozzaglia di cose scritte a casaccio per convincermi che
tu, in realtà, provieni dalla Candida Rosa1?»
«Candida Rosa? Ma io veramente sono nato a
Godric’s Hollow e ci vivo tuttora» ribatté ingenuamente, sorridendo
apertamente.
Tuttavia, una tempesta infuriava oltre il suo
sorriso da spaccone.
Di quale lettera stava parlando quella pazza
scatenata? Quella che...?
«Remus. Te l’ha consegnata lui» non si sforzò
neppure di imprimere alle parole il tono di una domanda.
«Ma certo che è stato lui! L’hai mandato
tu, no?»
No.
«Ovviamente. Io agisco sempre accompagnato dai
miei compari, non lo sai? Pensa che quando vado al bagno Sirius mi tiene
la porta e Remus mi passa la carta igienica».
Lily sollevò le sopracciglia e aggrottò la
fronte. Aveva un’espressione buffa, ma James era troppo furioso per
poterne ridere.
«Tieni, comunque, è roba tua». Estrasse il
foglio, lo appallottolò e glielo tirò addosso.
La pergamena lo colpì tra i capelli e balzò
sulla sua spalla prima di rotolare sul pavimento.
James rimase perfettamente immobile, con una
strana luce negli occhi.
La boria scivolò via dal viso di Lily.
«Ma—»
«Mi domando come ho potuto amarti. Sul serio, mi
domando come ho potuto sprecare così tanto tempo dietro a... una come
te».
Il viso di Lily avvampò.
«Una sanguesporco, è questo che vuoi
dire?»
«No», replicò con un sorriso indulgente, «una
stronza, questo voglio dire. Una piccola, saccente ragazzina, sempre
pronta a berciare su cosa puoi o non puoi fare, che agita il culo sul
suo prezioso piedistallo e ti fissa come se fossi l’ultimo dei vermi.
Ecco chi è Lily Evans».
Lily schiuse la bocca diverse volte e tentò di
parlare, ma non riuscì mai a trovare qualche cosa da dire.
Non fu facile ammetterlo, ma le parole di James
la ferirono in profondità, come mai avrebbe potuto pensare.
E realizzò qualcosa che la scosse. Quando era
lei ad insultare lui, provava uno strano senso di soddisfazione e
potere, come se lei fosse autorizzata a farlo.
Ma quando, per la prima volta, accadde il
contrario, si sentì ferita, si sentì come se qualcuno l’avesse picchiata
ingiustamente.
Aveva sempre dato per scontato che Potter la
desiderasse così intesamente da non essere capace di rivolgerle parole
dure e cattive; lo considerava un ragazzo spaccone, certo, ma anche di
indole molle, incapace di offendere o ferire.
Ma ora, Potter appariva come il più duro e
sprezzante degli esseri umani.
Sentì gli occhi bruciare e la gola inondarsi di
saliva.
È solo la stanchezza, solo i postumi della
notte insonne, tutto qui.
«Sirius me lo diceva spesso; diceva di lasciarti
in pace, che io ero troppo stupido per l’argutissima Lily Evans. Remus,
oh, Remus invece diceva che dovevo cercare la tua amicizia, che eri una
bella persona. E, sai, forse può sembrare strano, ma io ho sempre dato
molto più ascolto a Remus che a Sirius; Remus, tra noi, è quello
assennato, quello studioso, quello intelligente, quello saggio. Quello
che mi ha... tradito, anche. Va bene», esclamò d’un tratto e
tutta la cupezza defluì dal suo viso, lasciando posto ad un’espressione
ilare «io non ho più niente da dirti. Buona vita, Lily Evans».
Raccolse la palla di carta dal pavimento e andò
via, il sole che filtrava dalle arcate e gli danzava sui capelli neri
come carbone.
Lily girò i tacchi e puntò al dormitorio; aveva
dei bagagli da preparare e finalmente Potter aveva deciso di sparire
dalla sua vita. Finalmente aveva acconsentito alla sua richiesta, seppur
con anni di ritardo.
° ° °
Il piano era: aspettare Remus, prenderlo a male
parole e andarsene.
La realtà fu: balzare addosso a Remus,
atterrarlo con un placcaggio perfetto, picchiarlo con soltanto un paio
di montanti ben piazzati sul viso, urlargli di quanto fosse stato
stronzo, pezzo di sterco e molte altre cose poco carine – che i lettori
immagineranno senza difficoltà alcuna – e finalmente rialzarsi per
andare via, infuriato.
° ° °
«Stai fermo, per le mutande di Merlino!»
Sirius l’aveva redarguito almeno dieci volte e
per dieci volte Remus era sobbalzato bruscamente. L’alcol bruciava come
l’inferno sui tagli che i pugni di James gli avevano procurato.
Se ne stavano entrambi in bagno, Remus seduto
sulla tavoletta chiusa del water, con il gomito poggiato sul lavandino e
Sirius in piedi davanti a lui, le dita umide di alcol e qualche
filamento di ovatta appiccicato alla pelle.
«Allora», iniziò, picchettando delicatamente il
batuffolo sullo squarcio al sopracciglio, «mi dici o no perché James ti
ha conciato così?»
«Te l’ho detto, ho fatto una cosa stupida».
«Remus, tu sei stupido. Comunque, devo
stare tutto il tempo a riempire i tuoi puntini di sospensione? Cazzo,
parla e falla finita!»
Remus sbuffò ed esalò un lamentoso ahia!.
«Aveva scritto una lettera per Lily. Io l’ho
raccolta e l’ho data a lei».
Le dita di Sirius rimasero sospese nel vuoto.
«Questo non si fa, Remus, non-si-fa. Insomma, mi
stupisci; tu sei tante cose, ma non infame. Perché diavolo non ti sei
fatto gli affari tuoi?»
«Volevo aiutarlo. Pensavo che se Lily avesse
visto il vero James, il nostro James, avrebbe cambiato idea... Le
avevo detto di venire da me, dopo aver letto quel foglio, e
invece...»
«E invece la piccola idiota è corsa a difendere
il suo orgoglio a spada tratta, povera cucciola; si sarà sentita presa
in giro da James».
Seguì un momento di silenzio, poi Remus annuì
piano. Sirius, nel frattempo, passò a detergere il taglio al labbro –
una sanguinolenta linea obliqua, dalla quale fiottava ancora parecchio
sangue – ordinando all’amico di star fermo.
Remus, incredibilmente, obbedì senza ribattere.
«Fatto» esalò Sirius qualche minuto dopo,
mentre, con mano ferma, apponeva un cerotto al taglio al sopracciglio.
Remus sollevò la testa per ringraziarlo, ma ciò
che vide furono solamente gli occhi grigi e immobili di Sirius fissi su
di lui.
Il suo respiro batteva sulla sua bocca schiusa;
sapeva di arancia. Sirius aveva una vera ossessione per le caramelle
all’arancia.
E poi accadde tutto con una lentezza
esasperante.
Sirius si era chinato lentamente su di lui, le
sue mani premute contro le mattonelle, i muscoli appena accennati delle
spalle gonfi sotto la camicia abbottonata per metà.
Le sue labbra avevano toccato esitanti quelle di
Remus; un contatto fievole, della durata di un secondo. Sirius aveva
sondato il terreno e quando aveva capito d’essersi inoltrato in un
territorio a lui ostile e sconosciuto si era ritratto, veloce,
perplesso.
In tutto quello, aveva continuato a fissarlo
insistentemente negli occhi, come a carpire una risposta ad una domanda
che Remus non comprendeva.
E Remus, d’altra parte, era rosso in viso e
perfino i tagli scarlatti si confondevano.
«Scusa, Remus, ma odio non ricordare le cose, lo
sai2».
Remus non aveva la più pallida idea di quello
che Sirius stava dicendo, ma l’educazione fu istintiva e lo portò ad
annuire.
E come se non fosse accaduto nulla, Sirius gettò
i batuffoli di cotone nel cestino e andò via.
° ° °
Lily pressò i maglioncini e i pantaloni,
chiudendo quindi il coperchio con un tonfo secco.
Poi si tastò le guance. Le sporadiche lacrime di
rabbia si erano già asciugate sulla pelle, alcune erano precipitate sui
suoi vestiti.
Si impose di non pensare a quel... quel...
lui, insomma, e decise di ripassare le lezioni di Trasfigurazione,
desiderosa di non fare nuovamente una pessima figura o di risentire la
sua risata sguaiata...
«Lily, basta!» si redarguì ad alta voce proprio
mentre Mary e Marlene rientravano in camera.
«Sai che quando una persona inizia a parlare da
sola ci sono dei problemi, vero?»
«Oh, taci» sibilò, afferrando il mantello.
Camminare le avrebbe fatto bene. Le avrebbe snebbiato il cervello e la
patina di rabbia che lo rivestiva sarebbe evaporata sotto i raggi caldi
del sole d’aprile.
O almeno, così sperava.
° ° °
Vorrei non amarti, ma
non riesco a farne a meno.
Se tu potessi veder
Perché sei così cieca? Sono anni che mi piaci, anni che mi ignori.
Non ignorarmi.
Devi proprio farlo? Non riesci a capire quanto questo sia
insopportabile?
Ti sogno spesso. Ti
vogl Ti vorrei.
Vorrei che tu mi vedessi
per quello che sono. È così difficile? Perché non posso essere
semplicemente James?
Perché non usciamo
ins Dovresti almeno sperimentare la mia compagnia. Quando ero
Anonymous ti piacevo. Perché non posso continuare a piacerti?
Cercami L’estate
scorsa sono venuto a Spinner’s End. Sono rimasto sotto casa tua.
Nonostante la pioggia e il fr Ho fissato a lungo una finestra, credo
fosse la tua. C’era una tenda bianca con qualche disegno, non sono
riuscito a capire quale.
Quando ho sentito la
tua voce la pioggia non c’era più Ad un certo punto ti ho sentita
parlare, pensavo ti fossi accorta di me. Invece stavi solo parlando con
i tuoi.
Assomigli a tua madre.
Hai i suoi stessi capelli rossi.
Ho parlato con tuo
padre Tuo padre è un brav’uomo. Hai i suoi occhi.
Non riesco a stare con
nessuna. Penso a te Ogni volta mi distraggo, sono assente.
La verità è che le altre
non sono te.
Sirius dice di lasciarti
perdere. Ma come faccio? Forse dovrei ascoltarlo.
Remus dice che devo
continuare a provarci. Non sa quanto fa male A chi devo dare
ascolto? Dimmelo tu
L’altra notte ti ho
sognata. Eravamo felici e c’era un bambino con noi. Con occhi verdi
come i tuoi Era nostro. Era meraviglioso, tutto Che cosa
stupida.
Io getto la spugna.
Questo è un prezzo troppo alto per me.
Tanto si tratta solo di
avere pazienza, no? Qualche altro mese e poi non ci rivedremo mai più.
Cazzo Sarà meglio
per tutti, non credi? Tu avrai la tua vita, io la mia. Forse
Mi mancherai Non
ti penserò, neppure una volta. Troverò una brava ragazza e mi costruirò
una famiglia mia. I miei figli non avranno i tuoi occhi
Mi viene da piangere
Devo essere forte. I Potter sono forti. I Potter sono determinati.
I Potter soffrono
sempre
Mia madre sta male.
Morirà. Ho paura Mio padre non ce la fa. Nemmeno io
Il vaiolo di drago la
sta uccidendo. Presto saremo soli. Sarò solo
Quando la scuola finirà,
che fine faranno i miei amici?
Non voglio restare da
solo Forse Remus lavorerà qui, Sirius andrà via e Peter pure.
Frank si sposerà con
Alice. Mi dispiace. Ti chiedo scusa, Frank; non dovevo arrabbiarmi così.
Non siamo più stati
amici, dopo quella volta
E di te? Che ne sarà di
te?
Amerai un altro? Ami
già un altro?
Ti ho difesa, due anni
fa. Non ho potuto farne a meno. Voglio sempre difenderti. Quanto
tempo sprecato
Ti amo. TI AMO. TI
AMO. TI AMO.
L.E.
TI AMO. AMAMI
NdA: *arriva in scivolata sul
palcoscenico, sventolando una bandiera che riporta la scritta: VOGLIO
ESSERE UN CAPITAN OVVIO*
La parte conclusiva del capitolo è la famosa
(non)lettera di James.
*butta via la bandiera e torna a fare l'autrice
seria*
Dite la verità: non vi aspettavate un
aggiornamento anticipato, eh? Sono una fanwriter lunatica, lo so. Oggi
mi girava così. Il capitolo era bell'e pronto che mi pareva brutto
attendere sino a domani.
Ma non fateci l'abitudine, guys.
Oh, io ho delle note da dare (tanto per fare
qualcosa di diverso).
1. Espressione usata da March per descrivere James, che mi ha così fatto
ridere che ho proprio dovuto inserirla. Un omaggio alla stessa March,
per ringraziarla delle recensioni, dei banner e del fangirling
compulsivo che ogni tanto ci prende su FB.
2. Riferimento al bacio che Sirius, da ubriaco, diede a Remus al terzo
anno, accennato qualche capitolo addietro.
Bene, ora che ho fatto il mio dovere, passiamo
a ciarlare del capitolo.
Dopo tanta insistenza, come vedete, ho scritto
la benedetta lettera/accozzaglia di pensieri di James. Siatene contenti.
(Io non lo sono)
Poi, permettetemi di dirvi una cosa: avrete
sicuramente pensato che Lily è una paranoica senza speranza e avrete
sicuramente scosso la testa, sospirato, riso, qualsiasialtracosa...
ebbene, l'ho fatto pure io.
Non che mi diverta a ritrarre Lily come una
deficiente, sia chiaro, ma è per farvi capire quanto sia cocciuta e
determinata.
Ma era anche per dare a James l'occasione di
riscatto che gli ho negato nel capitolo precedente, dafuq.
E, ah, io sono perfettamente d'accordo con lui,
per inciso.
Ebbene, detto questo, io proporrei di chiudere
qui queste note, anche perché ho finito le cose da dirvi, quindi pace,
amore e amen.
AH! Quasi dimenticavo, che sciocca! Ringrazio di
cuore le persone che hanno recensito lo scorso capitolo (12 *^* Ma siete
la tenerezza!), ma anche chi ha recensito gli altri capitoli e a cui non
ho risposto (non lo faccio per cattiveria, davvero, ma questo è un
periodo DDD: ; universitarie, capitemi), sappiate che vi voglio bene.
Ultimissima cosa: se notate errori, imprecisioni
o roba così, non esitate a farmeli notare!
Bene, il mio dovere è compiuto, ci si ribecca
martedì prossimo!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Capitolo XI: Vacanze col botto ***
Nuova pagina 1
12.
Capitolo XI.
Vacanze col botto.
«James, figliolo, ho bisogno di altra legna. La
primavera gioca ancora a nascondino e l’inverno ne approfitta».
Charlus Potter era solito parlare con la tipica
saggezza di chi ha visto il mondo in tutte le sue parti ed è pronto a
morire anche all’indomani.
C’erano, in lui, quella mitezza e quella
remissività che a James ricordavano tanto Remus e più volte, in passato,
si era chiesto se non avesse dinnanzi la pallida profezia di quel che il
suo amico sarebbe diventato.
Se lo chiese anche quella volta, ma poi ricordò
che Remus l’aveva pugnalato alle spalle e strinse i denti, allontanando
il pensiero.
«Ci penso io» ribatté, scattando in piedi.
«Gettati qualcosa addosso, ragazzo, o finirai
per ammalarti; questo tuo padre è troppo vecchio per badare a due
malati».
«Stai tranquillo, mi scalderò e andrà tutto
bene; vai dalla mamma, piuttosto, ho sentito che prima ti stava
chiamando».
Charlus Potter esalò un sospiro tremulo.
«Lei chiama sempre, James, e ben poche
volte è conscia di farlo».
Suo padre aveva anche quel suo particolare modo
di schiaffarti davanti alla realtà così bruscamente che non potevi non
restarne stordito. Era come essere presi e lanciati in un ciclone.
Per lui, invece, era una buona cosa: niente
fronzoli, niente giri di parole e niente illusioni; meglio affrontare
tutto e subito il dolore che portarselo addosso per sempre e poco alla
volta.
Ma buona o cattiva che la sua abitudine fosse,
James si sentì comunque come se un Dissennatore l’avesse accarezzato
sulla schiena.
Si limitò a scuotere la testa e uscì in
giardino, dirigendosi al piccolo capanno diroccato, dove tra la legna
viveva la più longeva e numerosa famiglia di topi con cui avesse mai
avuto a che fare.
Si chiese se Rosemary e Titus – mamma e papà
topo – avessero messo al mondo altri cuccioli oltre a A, Bi, Ci, Di, E,
Effe e Gi.
Come di consuetudine, non appena James imbracciò
due pesanti ciocchi di legno, Rosmary squittì indignata. Il suo ventre,
vide, era rigonfio e quelli che aveva intorno decisamente non erano i
cuccioli che lui aveva conosciuto a Natale.
«Ti dai da fare, eh, vecchio topo?»
Sferzò la coda, annusò l’aria e squittì
nuovamente, scomparendo.
Topo permaloso, quella Rosemary.
Stava ancora pensando alla nidiata di topolini
quando lasciò cadere i pezzi di legno tra l’erba verde e un fruscio tra
le siepi oltre la recinzione attirò la sua attenzione.
Non aveva certo dimenticato gli avvertimenti di
Silente.
Mano alla bacchetta, aguzzò la vista, ma tutto
ciò che vide fu un gatto randagio che saltò fuori dal cespuglio,
soffiando e miagolando indignato.
Gli rivolse solo una rapidissima occhiata e
James sorrise quando si accorse che la forma del pelo, sul muso,
rievocava quella degli occhiali.
Strano gatto, pensò, spero che
Rosemary non esca a caccia.
Tornò a fissare il cespuglio, ma non c’era
niente da temere.
Afferrò l’ascia e iniziò a spaccare i ciocchi.
° ° °
Il cuore le sfarfallava ancora in petto e si
vide costretta a premersi una mano sulla bocca per attenuare il rumore
del suo respiro affannato.
Quel dannato gatto le aveva fatto perdere almeno
tre anni di vita.
Dieci minuti prima.
Potter era appena uscito dalla porta di casa sua
quando qualcosa frusciò contro la sua caviglia.
Si voltò spaventata, incontrando un paio d’occhi
gialli e ferini.
Un gatto, realizzò.
Ora è bene che i lettori sappiano che lei
nutriva profonda avversione verso quei piccoli felini; da piccola era
stata aggredita da un branco di gatti randagi, che, dopo averla
graffiata per le feste, ebbero pure l’impertinenza di portarle via
l’unico pesce che era riuscita a pescare.
Pertanto, memore del suo odio, assottigliò gli
occhi e restò perfettamente immobile; poi afferrò il gatto per la
collottola e lo gettò fuori dal cespuglio.
«Se torni qui ti strappo gli artigli e te li
faccio ingoiare uno ad uno» lo minacciò in un sibilo e il gatto, in
risposta, soffiò profondamente indignato, il pelo ritto e la schiena
arcuata.
«Minaccia pure quanto vuoi; da piccola ero sola
e indifesa, adesso sono grande e grossa e, soprattutto, ho una bacchetta
e non ho paura di usarla. Sciò, sciò, vattene» ordinò, agitando la mano.
Solo quando il gatto miagolò risentito, realizzò che aveva un’aria
vagamente familiare.
Le venne da chiedersi, per l’ennesima volta,
cosa l’avesse spinta sino a Godric’s Hollow.
Tre ore prima.
Il treno arrancò sui binari, sferragliando
piano. Denso fumo grigio scivolò dolcemente sui finestrini, smorzando i
vividi colori delle campagne selvagge che abbracciavano le rotaie.
Il controllore si presentò immediatamente; gli
occhietti tondi e porcini la fissavano con malignità, forse nella
speranza di coglierla senza biglietto.
Ma lei, padrona di sé e sorridente, espose il
pezzo di carta e l’uomo grugnì proprio come un maiale, prima di passare
oltre.
Tornò a fissare le campagne.
Perché sono su questo treno? Cosa ci vado a
fare? Sono proprio una stupida; potrei godermi queste vacanze come tutti
i miei coetanei e invece eccomi qui, su un fetido treno che mi condurrà
a Godric’s Hollow. E tutto questo solo per assolvere i miei sensi di
colpa e fugare i miei dubbi.
Sono proprio una stupida.
Due giorni prima.
Da quando era tornata a casa, la sua mente era
una meteora che sfrecciava tra brandelli di luminescenti ricordi, tutti
a marchio Potter.
Non riusciva ad essere in pace con se stessa,
non dopo il modo in cui si erano lasciati, non dopo il modo in cui lui
le aveva parlato.
Stronza, l’aveva chiamata. Saccente.
Ma era davvero così? Era così che veniva vista dai suoi compagni o
Potter aveva parlato sull’onda dell’umiliazione e della rabbia?
Era cambiato tutto quando aveva saputo di Remus.
Prima di incrociarlo nel corridoio
dell’Espresso, era rimasta delle sue idee, secondo le quali quell’idiota
aveva solo inscenato un’altra delle sue commedie.
Poi però aveva visto Remus. Il viso gonfio e
tumefatto, il labbro spaccato, il sopracciglio incerottato. Le si era
stretto lo stomaco e la sua coscienza non aveva tardato a presentarsi.
Era colpa sua, lo sapeva.
E la situazione, per la prima volta, le si era
rivelata in tutta la sua orrida chiarezza: se si fosse trattato di uno
stupido scherzo, Potter non avrebbe mai reagito a quel modo.
Doveva esserci stato qualcosa di reale, di
concreto, per spingerlo a tacciare il suo amico di tradimento e
picchiarlo a quel modo.
E da quando l’auto dei suoi genitori aveva
imboccato il vialetto della loro piccola casa, non aveva fatto altro che
pensare a lui, scorrendo i ricordi come pagine di un libro, sino a
soffermarsi su quello di una pergamena stropicciata dalle parole
sbiadite e deformi.
Quante cose non aveva capito, quante altre non
aveva colto e quante altre ancora aveva frainteso.
Così, spinta dal senso del dovere, aveva scritto
una lettera a Remus, in cui lo implorava di perdonarla e gli augurava di
rimettersi presto e di trascorrere delle buone vacanze.
Poi, afflitta, aveva deciso di parlare con suo
padre, l’uomo che aveva sempre una parola gentile e una carezza sul
viso.
Seduti sulla sponda del fiumiciattolo, le gambe
artigliate dai ciuffi d’erba ancora verde, aveva confessato ogni cosa e
il peso che sentiva sulle spalle si era in qualche modo alleggerito.
«Parlaci» le consigliò infine.
«Una lettera?»
«No, fiammetta, queste cose vanno risolte
guardandosi negli occhi. Vai da lui; dopodomani è sabato, approfittane».
Lily era rimasta in silenzio, a contare i pesci
che, di tanto in tanto, affioravano in superficie.
Perse il conto quasi subito.
«So che hai parlato con lui» sbottò infine.
L’uomo aveva sorriso placidamente.
«Vuoi sapere che impressione mi ha fatto?
Ottima. Un bravo ragazzo; era fradicio quando l’ho incontrato. Se ne
stava seduto sul nostro muretto e ricordo d’aver chiaramente avvertito
la sua amarezza. Sedetti accanto a lui e lo coprii con l’ombrello.
Abbiamo parlato poco, ma sempre di te. Mi sembrò disperato; adesso so
che lo era veramente».
Si sentì quasi mancare. Potter poteva anche
essere un mentitore della peggior specie, ma suo padre era stato sempre
la sincerità fatta persona.
«Allora, dovrei andare da lui?»
«Dovresti».
Le aveva baciato i capelli e l’aveva stretta a
sé.
° ° °
«Scaccomatto» borbottò Remus annoiato, mentre la
propria regina decapitava il re.
Sirius sbuffò e si passò le mani tra i capelli.
«Che palle. Tu bari».
«Sei tu che non sai giocare. Sei troppo audace,
giochi d’impulso e perdi. Ci vuole testa, Sirius, testa» lo redarguì e
si picchettò la tempia.
«Sì sì, fai pure il maestrino, ma che ne dici,
ora, di sfidarci a Quidditch? Io e te, tu ed io, tiri liberi in porta,
chi arriva prima a dieci vince» lo sfidò, balzando in piedi e
sfregandosi le mani.
Remus sospirò, scoccando un’occhiata titubante
al cielo.
«Dopodomani ci sarà il plenilunio» mormorò, con
quella tipica pesantezza con cui parlava del suo problema.
Sirius sminuì la cosa con uno sventolio della
mano.
«Il tuo fedele Felpato sarà al tuo fianco,
wof wof!» abbaiò – e l’imitazione fu sinistramente credibile – e
annusò Remus sul collo.
L’altro arrossì appena e lo spinse via.
«Piantala. Dai, vieni, è ora di pranzo; mamma ha
fatto quel pasticcio che ti piace tanto».
«Amo tua madre» dichiarò e, baldanzoso, passò un
braccio attorno alle spalle di Remus.
Remus sorrise e tuttavia non trovò il coraggio
di spingerlo via.
Il profumo di carne, verdure e spezie lo investì
in un refolo tiepido non appena rientrarono in casa; era una bella
giornata ingannevolmente primaverile – il freddo non aveva ancora
allentato la sua morsa – e avevano deciso di trascorrerla nel piccolo
giardino sul retro.
«Venite, venite» li invogliò la signora Lupin,
le mani sul grembo e un sorriso dolcissimo sulle labbra.
Aveva gli stessi occhi color miele di Remus e i
suoi stessi capelli castano chiaro.
Aveva perfino la stessa stanchezza nei tratti
del viso e nella postura delle spalle, afflosciate in avanti, chine come
per difendersi da un antico dolore.
Il signor Lupin sedeva già al suo posto di
capotavola e sorseggiava un brillante vino color borgogna.
Era un uomo tormentato; Sirius non avrebbe
potuto trovare un’altra parola per descriverlo.
Sorrideva, scherzava, ma i suoi occhi erano
spenti, consumati dal rimorso e dalla consapevolezza d’aver rovinato
irreparabilmente la vita del suo unico figlio.
Sirius sapeva che sulla sua coscienza pesava
anche l’aborto spontaneo che sua moglie aveva avuto nel medesimo periodo
in cui Remus perdeva metà della sua umanità per abbracciare
l’indesiderata, bruciante bestialità.
Sirius non aveva mai provato così tanta pena e
compassione per un essere umano.
«Vino, Sirius?»
«Sì, signor Lupin, grazie».
Il liquido fiottò nel bicchiere, gorgogliando
gioviale, mentre la signora serviva in tavola il suo famoso e gustoso
pasticcio di carne.
Il ragazzo non mancò di notare le penetranti
occhiate discrete che i due solevano lanciare al loro figlio. La
preoccupazione distorceva lievemente i loro lineamenti e irrigidiva la
voce.
Pranzarono a tratti in silenzio, a tratti
chiacchierando di cose frugali e superficiali, ma a nessuno sfuggì il
fatto che Remus fosse cupo e silenzioso, il cibo appena consumato.
All’ennesima pausa di silenzio, sua madre lo
fissò intensamente e quando Remus sollevò lo sguardo e le sorrise – di
un sorriso forzato, finto e abbattuto – la donna scattò in piedi e
scoppiò in un pianto disperato, correndo via.
«Con il vostro permesso, ragazzi» borbottò il
signor Lupin, ripulendosi la bocca e gettando il tovagliolo nel piatto.
Sirius non ricordò d’aver mai provato tanto
imbarazzo in vita sua.
Azzardò un’occhiata a Remus e vide che il suo
viso era rosso, come febbricitante.
Il labbro inferiore tremava furiosamente e
Sirius temette che anche lui si sarebbe messo a piangere; invece, trasse
un gran respiro, si alzò da tavola e disse: «Andiamo?»
Sirius lo seguì senza discutere.
° ° °
Lily restò a prender freddo in quel cespuglio
sino all’ora di cena.
E quando era pronta ad andar via, sentendosi una
sciocca per non aver avuto il coraggio di parlare con lui, ebbe appena
il tempo di avvertire lo schiocco secco di una Materializzazione prima
che qualcosa di molto grosso e molto pesante le piombasse sulla schiena.
Il fiato sgusciò via dai suoi polmoni e non
riuscì neppure a gridare.
«Ma che... cos’è questo? Sembra un... culo?»
«Alz... ati... to... ahh».
Sirius Black si scansò e Lily
tossì.
«Evans?»
Lo spinse via e il ragazzo addentò
accidentalmente qualche foglia, sputandogliela quindi addosso.
«Che ci fai tu qui?»
«Io vengo sempre qui, questo è il mio
cespuglio da Materializzazione, tu piuttosto, che ci fai acquattata
qui?»
«Non ti riguarda» rispose con tutta la dignità
possibile, ravviandosi i capelli rossi. Un paio di foglie volteggiarono
e si posarono sulle sue ginocchia.
«Va bene; continua pure a fare la bertuccia
nel fogliame, io vado da James».
Si alzò e si batté le mani sui pantaloni,
liberandoli dalla terra.
«Black?»
«Sì, rossa?»
«Osa anche solo nominare il mio nome, quando
sarai da lui, e ti caverò gli occhi con queste stesse unghie». La luna
quasi piena fece brillare lo smalto trasparente sulle unghie, mandandole
a scintillare come piccole lame.
Sirius sorrise stoicamente.
«E chi ti hai mai vista?!» rispose infine e
balzellò via, non senza guardarsi le spalle, di tanto in tanto, per
essere sicuro che Lily non lo seguisse e non lo colpisse alle spalle.
° ° °
In attesa sulla scomoda panchina di legno
consunto, Lily si mordicchiava l’unghia del pollice, sbuffando di tanto
in tanto.
Alla fine, aveva definitivamente ceduto e si era
avviata lentamente alla piccola stazione di Godric’s Hollow, osservando
ammirata la città che le sfilava al fianco; era una cittadina molto
piccola e molto graziosa, con una bella piazza circolare accompagnata,
nel mezzo, da un’alta fontana zampillante.
Al riverbero dorato del tramonto, la cittadina
si era ammantata di un velo di surrealismo; pareva uscita da un libro di
fiabe.
Poi, però, quando raggiunse la stazione il sole
aveva deciso di congedarsi, lasciando il posto alla sera e alle prime
stelle che, vivide, ammiccavano.
Aveva osservando Potter tagliare la legna,
rapportarsi con suo padre, sedersi su un ciocco di legna con la testa
china e infossata nelle mani sporche.
Era così diverso dal solito Potter e questa
volta avrebbe potuto accampare per aria tutte le scuse che desiderava,
ma non stava fingendo, assolutamente.
Appariva come un ragazzo mite, ammantato di una
tristezza così insolita eppure così radicata. Lo aveva visto scambiare
qualche parola con il suo vicino e regalare una grattata dietro le
orecchie al cane che accompagnava l’uomo.
Paradossalmente, quel Potter sconosciuto l’aveva
affascinata in un’ora scarsa più di quanto non avesse fatto il solito
Potter in sette anni.
In quei frangenti aveva provato l’impulso di
balzare fuori dal suo verde nascondiglio e parlare, chiarire e magari –
se il suo orgoglio l’avesse permesso – chiedere scusa, ma ogni volta il
timore di essere insultata nuovamente e respinta in malo modo l’aveva
tenuta inchiodata sui talloni doloranti.
Un fischio vibrò nell’aria e spezzò il filo dei
suoi pensieri.
Era ora di tornare a casa, portandosi addosso il
gusto acre del fallimento e della vergogna.
Tanta strada e tanti soldi per niente.
Provò a convincersi che magari non era quella
l’occasione, che il destino aveva in serbo altro per lei.
Poi però si irritò per la sua eccessiva mollezza
e si biasimò, convincendosi che non gliene importava niente, che aveva
una linea di condotta da mantenere e che con Potter era meglio non
averci a che fare.
Alla fine, tuttavia, non si convinse di niente.
Le porte si aprirono cigolando e Lily varcò la
soglia, scrutando i posti per sceglierne uno. Il treno ripartì con uno
strattone e per non cadere fu costretta a posare le palme sul
finestrino.
E poi lo vide.
Svoltò l’angolo correndo e quasi inciampò.
Ansimava e gli occhiali erano più storti che mai sul viso.
Disse qualcosa, ma Lily e il labiale non erano
mai andati particolarmente d’accordo.
Così, presa dal panico, lo fissò un secondo
ancora prima di voltare le spalle e accucciarsi contro il sedile.
E pur tra tanta confusione, di una cosa era
assolutamente certa: Sirius Black era un fetido infame.
° ° °
«Capisco che il letto degli ospiti è scomodo, te
lo concedo, ma devi proprio dormire qui? Possiamo fare a cambio».
«Casa tua è dannatamente gelida e la mia pelle è
troppo delicata e i miei nervi troppo sensibili.»
«Potresti almeno evitare di tirarmi ginocchiate
nelle parti intime?»
«Io mi scaldo solo se me ne resto
appallottolato, mi spiace».
«Allora potresti evitare di sollevarmi i
pantaloni per scaldarti i piedi».
«Ma ho i piedi gelidi e le mani gelide e il naso
gelido e le orecchie gelide e la coda gelida1».
«Adesso stai esagerando».
«Hai ragione, ho aggiunto una parte anatomica di
troppo».
«Mi riferivo al freddo glaciale, Sirius».
«Ah».
«Senti, ma devi proprio dormire qui?»
«Non mi vuoi?»
Silenzio.
«Remus, non voglio rigirare il coltello nella
piaga, ma il tuo rossore si percepisce da qui» e per confermare la sua
teoria, Sirius allungò le mani sul viso dell’amico, trovandolo bollente.
«Toglimi le mani dalla faccia».
«No. Tu sei bollente e le mie mani sono fredde».
Un ginocchio che si solleva, Sirius che geme di
dolore.
«Avevamo detto niente ginocchiate nelle parti
intime!»
«Lasciami dormire, Sirius; domani sarà una
giornata molto lunga».
Sirius si morse una guancia, aprendo gli occhi.
Il profilo del viso di Remus, che giaceva supino, era scarsamente
illuminato dalla luce del lampione che filtrava dalle imposte.
Provò nuovamente l’irrazionale, incoerente
stimolo di baciarlo.
Lo aveva provato anche la notte prima, quando
gli aveva stretto il polso mentre i suoi genitori, al piano inferiore,
litigavano.
Anche quella sera litigavano, ma entrambi fecero
finta di non sentirli.
Almeno, funzionò fino a quando non restarono in
silenzio, assorbendo passivamente le urla della signora Lupin che
accusava il marito d’aver distrutto la vita del suo bambino.
«Si azzannano alla gola, ma sembrano dimenticare
che ogni mese sono io a diventare una creatura mostruosa» mormorò
con una vaghissima traccia di risentimento.
Sirius aveva la mente sgombra, perfino tutta la
sua ironia l’aveva abbandonato.
«Non dovrei dirlo, lo so che non dovrei... ma a
volte penso che sarebbe stato meglio che Greyback mi avesse ucciso,
invece mi ha condannato a questa vita a metà».
«Smettila, Remus» lo avvertì. Non sopportava
ascoltare parole che non avevano la giusta replica. Non sopportava
essere a così ravvicinata distanza con il dolore che emanava da Remus.
Non sopportava doverci rivedere un po’ di se stesso, in quel tono
abbattuto e in quegli occhi lucidi.
«Tu non sai cosa si prova, non sai che vuol dire
essere consapevole che il tuo corpo si sta strappando e che presto non
ne possederai più il controllo».
«Finiscila».
«Non hai idea di quanto sia doloroso».
«Ti ho detto di piantarla, Remus. Ho sonno,
lasciami dormire».
«E la mattina è ancora peggio, quando mi sveglio
pregando Dio di non aver ucciso nessuno».
Il ginocchio di Sirius si sollevò con
l’intenzione di fare male, ma Remus assorbì bene il colpo ai reni.
Remus tacque e lui chiuse gli occhi. Era così
stanco e la giornata era stata così lunga...
«Hai paura che parlandone possa contagiarti? Non
darti pensiero, Sirius. Sono dannato, non malato» la voce di Remus
giunse stranamente lontana, come se fossero ai capi opposti di un
tunnel.
Sirius, tuttavia, aveva esaurito la tolleranza
alle sue parole.
Gli balzò addosso e per un momento si sentì
molto Felpato e molto poco Sirius.
Premette con l’avambraccio contro la sua gola, abbastanza forte da non
farlo parlare ma non da nuocergli.
«Quando ti ho detto finiscila, intendevo
esattamente finiscila».
Allontanò il braccio, tremando di freddo. Le
coperte si erano ammucchiate sulle ginocchia di Remus e il pigiama di
flanella non era sufficiente a respingere l’aria gelida e umida.
Sotto il palmo della mano, avvertì il cuore di
Remus battere forte, forte, forte.
E sebbene si aspettasse una risposta, Remus non
parlò più.
Si limitò ad aggrapparsi al suo braccio, fece
leva per tirarsi lui e lo abbracciò lentamente, goffamente.
Sirius si sentì male.
Le parole di Mary affiorarono e si tramutarono
in urla soffocanti nelle orecchie e migliaia di istinti diversi lo
assalirono, turbinanti in quel vortice luminoso che era quell’improvvisa
emicrania.
Respirò affannosamente, afferrò Remus per le
spalle per allontanarlo, ma ci fu un nuovo, luminoso flash accecante
dietro gli occhi e si immobilizzò.
Sentiva i propri dubbi, i propri impulsi e il
proprio animo diviso spingere contro il muro invisibile che era la sua
volontà.
La neonata – o risvegliata? – attrazione per
Remus, la confusione derivata da ciò, un’intera vita messa in
discussione, i volti delle molte ragazze che aveva avuto in quegli
anni... tutto cozzò contro tutto.
E quel muro si sbriciolò in un tremore diffuso
nel corpo, che si acquietò placidamente quando costrinse Remus a
spingere il viso contro il suo.
Fu proprio come baciare una ragazza, ma nessuna
ragazza aveva mai avuto un’erezione tra le gambe che spingeva contro la
sua pancia e nessuna ragazza l’aveva mai eccitato a quel modo; se le
ragazze erano state bollenti meteore, tanto calde quanto brevi, Remus
era lava fusa che colava lentamente e costantemente.
Poi il suo cervello iniziò a funzionare in
maniera strana; mancò di registrare certi pezzi, così non seppe
spiegarsi quando era finito sul materasso o quando Remus gli si fosse
disteso sopra, non si spiegò perché l’attimo prima i pantaloni gli
frusciavano sulle gambe e perché l’attimo dopo, invece, era
completamente nudo...
Poi riaprì gli occhi che era notte fonda e il
sogno si interruppe, sfumando nel buio.
Ansimò, guardandosi intontito intorno, mentre Remus, ben lontano da lui,
dormiva sonni tranquilli.
1. Battuta tratta dal film Disney “La carica
dei 101”, quando il povero cucciolo cammina nella neve e si lamenta con
papà Pongo.
♥
NdA: POPOLO!
...
Aehm, volevo dire... ragazzi!
No, ma in realtà volevo solo dirvi ciao,
ecco.
Ignoratemi, i miei neuroni stanno precipitando
nel girone infernale dei dementi.
BTW, un'altra settimana è giunta e con lei anche
un nuovo capitolo di questa fanfiction.
Come al solito, non è che poi abbia molto da
dirvi.
Giusto qualche considerazione random.
Il papà di James l'ho sempre immaginato così,
come un uomo molto mite e cortese; un po' un Remus alla Potter, va'.
Il sogno di Sirius... ebbene, tempo fa ci fu
qualcuno di voi (chiedo venia, non ricordo chi né oso caricare altre
pagine; i torrent mi limitano parecchio, dafuq) che mi disse che se
avessi deciso di scrivere un sogno di Sirius, avrei dovuto alzare il
rating a rosso.
Ebbene, come vedete non ce n'è stato bisogno. O
almeno, spero. Comunque, questo benedetto sogno, in realtà, era parte
integrante della trama... fino a che non ho realizzato che il mio animo
da fanghérl stava cavalcando a rotta di collo dopo aver fregato il
cavallo a Jaime Lannister; d'altra parte, però, mi dispiaceva anche
buttare già un quarto di capitolo (e non avevo voglia di
riscriverlo né avevo idee sostitutive) e quindi ho trovato il
compromesso perfetto: spacciare quel fatto per un sogno. Una frase mi ha
salvato la faccia, il tempo e l'onore di fanghérl.
Sono abbastanza soddisfatta di ciò, sì.
Mi accontento di poco, l'avrete capito.
Poi... ah, sì: la battuta sulla Carica dei 101 è
stata f-o-n-d-a-m-e-n-t-a-l-e: voi non potete immaginare quanto io ami
quel film. Cioè, roba che da piccola lo riguardavo ogni giorno, due o
tre volte di fila e... questo a voi, ovviamente, non interessa, c'avete
ragione.
BTW, essendo Sirius un mezzo cane, mi è sembrato
che cascasse proprio a fagiUolo, ecco.
Lily... ha seri problemi, ormai lo sapete. Però
suo padre è evidentemente più intelligente di lei e lei è abbastanza
affezionata a lui da seguire i suoi consigli. Che poi tutto vada
a puttane e lei se ne torni a casa senza aver combinato niente, è
un'altra cosa.
A tal proposito, sentitevi pure liberi di dirmi
cosa ne pensate: Lily ha fatto bene? Vi è sembrato un fatto stonante con
la trama? È stata una scelta azzardata? Parlate pure.
Infine, due cose: a) risponderò alle recensioni
dello scorso capitolo tra oggi e domani e b) voi che mi contattate su
Ask.fm per sapere quando aggiorno, MA SIETE L'AMORE! Oh, mi sento come
quelle importanti, ho i fans, yaaaaai! (Ma anche no, insomma.)
Bene, vi saluto; ho un torrent contro cui
inveire.
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo XII: Cose di difficile comprensione e le visite inopportune di James Potter. ***
Nuova pagina 1
13.
Capitolo XII.
Cose di difficile comprensione
e le visite inopportune di James Potter.
A: Lily Evans,
numero 8 di Creek Outfall,
Spinner’s End
Da: James Potter,
numero 70 di Godric’s Path, Godric’s Hollow
Lily si rigirò più volte la busta tra le dita,
senza decidersi ad aprirla.
Non ne aveva il coraggio, il che era buffo se si
teneva conto che solo il giorno prima aveva percorso molti chilometri
per vederlo. Che poi non ci fosse riuscita, questo era qualcosa che Lily
voleva accantonare.
Alla fine decise. Aprì il primo cassetto della
scrivania e vi gettò dentro la lettera.
Non l’avrebbe aperta.
Tuttavia, nel tardo pomeriggio, un altro gufo
picchiò al suo vetro per consegnarle un’altra lettera, dalla medesima
intestazione.
Prontamente, la mise a far compagnia alla
sorella.
Aveva sperato che la cose fosse terminata là, ma
all’indomani, ad un’ora indecente del mattino, James Potter si presentò
sotto casa sua, gettando sassolini contro la sua finestra.
Assonnata e infreddolita, si calò nella sua
vestaglia e spalancò l’imposta, tardando a mettere a fuoco la figura di
James.
«Scendi» mormorò, agitando freneticamente il
braccio.
«Tu sei un demente. Sono le sei del mattino, è
buio, fa freddo e io sonno. Vattene!»
Non fece in tempo a dirlo che James sparì in un
pop per riapparire poi nel vano della finestra, ad un palmo dal
viso di lei.
Se ne stava abbarbicato all’anta chiusa.
«Mi fai entrare? La caduta sarà dolorosa, temo».
«Se devi cadere, bada almeno di spezzarti
qualche osso importante» sbottò inviperita, tuttavia si fece da parte e
lo aiutò perfino ad entrare in casa.
James parve dimenticare perché si trovava lì. Si
immerse in uno studio accurato e approfondito della sua camera, toccando
con lo sguardo tutto ciò che poteva essere osservato.
«Che cosa vuoi?» bisbigliò, afferrandolo per il
mento così che potesse guardarla in faccia.
«Non hai ricevuto le mie lettere?»
«No» mentì, mordendosi la guancia.
«Ma la mia Lady è tornata con le zampe vuote»
ribatté.
«Avrà perso le missive per strada. Cosa vuoi?»
ripeté, lasciandolo andare.
«Se non avessi buttato le mie lettere in qualche
cassetto», iniziò e quando Lily fece per interromperlo le posò due dita
sulle labbra, «lo sapresti. Volevo solo sapere cosa diamine ci facevi a
Godric’s Hollow».
Le sue dita, realizzò Lily, erano bollenti
contro la sua bocca. E profumavano di sapone.
Lo scansò in malo modo prima che il suo cervello
potesse elaborare altri stupidi pensieri.
«Pare che tu sia circondato da amici infami» lo
informò, dandogli le spalle e passandosi le braccia intorno al corpo.
Era primavera inoltrata, ma le notti erano ancora fredde come in
inverno.
«Cosa?»
Il suo tono era talmente sorpreso e confuso che
a) Lily si costrinse a rivalutare Sirius e b) si dispiacque per il
ragazzo e per la lite che ne sarebbe derivata con Potter.
Ma c) non erano affari suoi.
«Chi ti ha detto che ero lì?»
«Ti ho vista accanto alla fontana in piazza, ma
prima che potessi raggiungerti sei andata via e ti ho persa di vista.
Godric’s Hollow è un dedalo di vicoli stretti e tortuosi, tutti curve,
salite e discese; impossibile seguire qualcuno senza perderlo» spiegò,
trastullandosi con un pezzo di stoffa.
Solo dopo si rese conto di avere tra le mani un
paio di mutande di Lily.
Le gettò nel cumulo di panni freschi e profumati
prima che lei decidesse di staccargli una mano a morsi.
«Capisco» il suo tono era così onesto che era
impossibile dubitarne.
Potter e la sua sincerità: che strana coppia.
«Allora? Perché eri lì?»
«Io?» chiese scioccamente e poi scosse la testa.
James sorrise divertito.
«Io ero lì perché ci abito, tu invece?»
«Mio padre aveva degli affari da sbrigare a
Godric’s Hollow e io l’ho accompagnato».
«Affari di sabato?»
Lily spinse indietro i capelli.
«È vietato da qualche legge, forse?»
«Non saprei; non conosco il tuo mondo bene come
vorrei».
Si voltò irritata.
«Il mio mondo? Parli esattamente come tutti gli
altri Purosangue, come se noi fossimo—»
James interruppe la sua invettiva tappandole la
bocca con una mano.
«Intendevo il mondo dei Babbani, Evans,
intendevo i vostri usi e i vostri costumi. Non era un’offesa e tu lo
sai» rimarcò, alludendo chiaramente a quell’episodio spiacevole che li
aveva visti protagonisti al quinto anno.
Lily mostrò il buongusto di arrossire.
A quanto pareva, c’erano cose, tra lei e lui,
che non sarebbero mai cambiate.
«Comunque», mormorò, «volevo solo sapere perché
eri lì. Mi accontenterò della tua bugia e farò finta di crederci»
concluse, estraendo la bacchetta.
Nello stesso istante, le campane del primo
mattino suonarono di un suono prolungato, gioioso.
Lily si domandò dove fossero finite le due ore
che erano trascorse dall’arrivo di Potter a quel momento.
«Pasqua» disse, fissando la finestra.
«Cazzo», soffiò lui, facendosi vicino; per una
volta, pareva indifferente a tanta vicinanza, «devo andarmene, subito».
Ma James Potter, da quella casa, non se ne andò
più.
Entrambi ascoltarono l’incedere calmo e misurato
della signora Evans solo quando questa era a pochi passi dalla porta.
«Devi andartene, ora!» Lily gli strinse il
braccio e lui, di riflesso, le posò la mano sul gomito.
Fu così che la signora Evans li colse, quando bussò e spalancò la
porta.
° ° °
Remus non capiva.
Il giorno prima Sirius gli era sempre stato
appiccicato addosso, non lo aveva mollato un attimo.
Poteva capirlo; il giorno immediatamente prima
del plenilunio, Remus era solito a cali di pressione e malessere
diffuso.
Ma all’indomani tutto era cambiato. Svegliandosi
non aveva trovato Sirius né accanto a lui né nella branda che tenevano
da parte per gli ospiti.
L’aveva ritrovato seduto al bancone della
cucina, che masticava svogliatamente i suoi cereali.
I suoi occhi erano lividi e gonfi, strascichi di
una notte insonne. Remus ne sapeva qualcosa.
Perfino i suoi capelli, tenuti sempre
perfettamente in ordine almeno quanto quelli di James— no, meglio non
pensarci, erano scompigliati, ritti sulla nuca.
Ma ciò che lo colpì maggiormente furono le
spalle cascanti e flosce, così insolite, così stonanti con la solita
immagine di Sirius.
Gli aveva domandato se stesse bene,
stringendogli una spalla. Sirius si era scansato come se l’avesse
fulminato.
«Bene. Benissimo. Ottimamente bene».
Schizzato, pensò istintivamente Remus.
«Okay. Però... ti vedo un po’ sbattuto, Sirius;
non hai dormito bene?»
«Ho dormito benissimo, però, Remus non... non
starmi così addosso, col fiato sul collo, mi togli aria, mi soffochi»
gesticolò freneticamente, scansando il ragazzo.
Remus continuò a pensare che Sirius avesse
evidentemente qualche problema. Ma dato che pareva così restio a
parlarne, concluse la conversazione con una scrollata di spalle; Remus
ci sarebbe stato, se Sirius avesse deciso di parlare.
Fino a quel momento, gli sarebbe stato lontano.
Perciò mescolò il latte coi cereali, gettò il cucchiaino nel lavabo e
andò via, prendendo posto nel patio dietro la casa.
Si avvolse bene nella sua coperta di patchwork,
così consunta che ormai non riusciva a trattenere che una piccola parte
del calore del suo corpo.
Dei suoi genitori non v’era traccia. Babbani di
nascita entrambi, solevano rivolgere il loro dolore a Dio, confidando
nelle preghiere e nella sua misericordia. Non che avesse mai funzionato
particolarmente bene, comunque.
Probabilmente erano a presenziare alla prima
messa della giornata, affondati in una di quelle scomode panche di legno
opaco.
Ma a Remus non importava; figlio unico, aveva
imparato ben presto ad accettare la solitudine. Ci si trovava a suo
agio: non doveva fingere di essere felice, non doveva tenere testa alla
stupida impulsività dei suoi amici, poteva lasciare che le emozioni si
inseguissero sul suo viso. Era perfino libero di piangere, laddove ne
sentisse il bisogno.
Né, al contrario, aveva mai provato l’esigenza
di avere un fratello o una sorella; l’unico che avesse mai potuto avere
era morto nel grembo di sua madre quando lui era diventato un macabro
scherzo della natura.
Era così immerso nei suoi pensieri che non si
accorse neppure di Sirius, in piedi alle sue spalle.
«Senti, devo dirti una cosa».
Remus sobbalzò, rovesciandosi addosso la tazza
di cereali.
Imprecò.
«Spero che sia una buona cosa; ero
particolarmente affezionato a questa coperta e temo non sopravvivrà ad
un altro lavaggio».
«Ieri sono stato da James. Gli ho detto chiaro e
tondo che doveva venire qui a domandarti scusa».
Remus diventò paonazzo. E i tagli sul viso, in
via di guarigione, pulsarono.
«Hai sprecato tempo, fiato ed energie: non lo
farà. Per lui ho commesso il peggiore dei tradimenti. E ha ragione» si
alzò in piedi e appallottolò la coperta sotto il braccio.
Andò via senza dire altro.
° ° °
«Non so come sia potuto accadere; sono
rammaricata, Albus».
Minerva McGranitt si grattò piano la guancia:
unico segno che lasciasse trasparire il suo profondo nervosismo.
Ancora non riusciva a capire. L’attimo prima
Potter era nel giardino di casa sua e l’attimo dopo non c’era più.
D’accordo, si era allontanata, ma solo per
acquattarsi tra il fogliame e rispondere ad un richiamo della natura.
Era stata una cosa veloce e lei aveva tenuto
d’occhio il ragazzo dalle crepe tra il muro di foglie, eppure, quando
era emersa, lui non c’era più.
Come se non bastasse, il ragazzo non era nemmeno
più a Godric’s Hollow. Suo padre l’aveva chiamato a gran voce e il suo
viso grondava preoccupazione.
Minerva aveva percepito il panico risalire dal
piccolo stomaco di gatto e l’irritazione per l’insolente signorina Evans
era presto scomparsa, la quale l’aveva afferrata per la collottola e
gettata lontano come un sacchetto dell’immondizia.
Non le era rimasto altro da fare che inoltrarsi
presso un vicolo ombroso e lì Smaterializzarsi alle porte di Hogsmeade,
incamminandosi poi a passo spedito verso il castello.
Lei e il vecchio Silente avevano quindi
trascorso la notte a cercare di rintracciare Potter, servendosi dei
discreti canali del Ministero e dei membri dell’Ordine della Fenice.
Era stato tutto inutile.
James Potter era sparito, evaporato,
Smaterializzato chissà dove.
L’alba li aveva sorpresi stanchi e accasciati
sulle poltrone, una mano premuta contro la tempia.
«Cosa facciamo, Albus? Potter è una delle nostre
migliori speranze; cosa faremmo se...?» Minerva sospirò pesantemente.
«Troveremo il ragazzo, Minerva. Sospetto che il
nostro piccolo amico abbia anteposto le ragioni del cuore» disse,
alzandosi per accostarsi alla finestra.
Le sue labbra sorridevano appena, di un sorriso
quasi enigmatico, come se fosse al corrente di qualcosa che gli altri
non potevano sapere o neppure immaginare.
«Ragioni del cuore?»
«Ragioni del cuore» confermò, battendo poi le
mani.
«La colazione sta per iniziare; lo stomaco ben
pieno ci aiuterà ad organizzarci per il da farsi».
° ° °
«Signora Evans, per quanto mi piacerebbe restare
qui e far finta di essere un invitato gradito alla sua splendida
figliola, temo che adesso io debba proprio andarmene» si scusò e indossò
la migliore maschera da ragazzo umile e contrito, alzandosi da tavola.
Quasi se ne dispiaceva; la signora Evans aveva
preparato una colazione degna di un principe e si era rivelata un’ottima
cuoca.
A pranzo avrebbe sicuramente rimpianto il
declino dell’invito, quando sarebbe stato costretto a nutrirsi della
cucina scadente di suo padre.
Lily, al suo fianco, pareva ben contenta che lui
stesse per levare le tende e non mancava di gettare occhiate ammonitrici
alla madre.
«Sicuro di non voler rimanere? Puoi telefonare
ai tuoi genitori e dire loro che sei stato invitato dalla tua
fidanzata» propose allegramente. Lily sbuffò.
«Mamma, non sono la sua fidanzata e non lo sarò
mai. Potter sicuramente desidera restare con i suoi genitori oggi,
vero?»
Il tono con cui lo domandò non lasciava spazio
ad una risposta negativa.
«Certo. Mi dispiace davvero, signora, ma è
proprio il caso che io ritorni; sa, mia madre sta poco bene e io sono il
suo unico figlio...»
La signora Evans parve realmente angosciata.
«Oh, povero caro. Ma certo, capisco, capisco.
Allora vai, ma torna quando vuoi, va bene?»
La signora Evans non era certo carente in
attenzioni fisiche: lo abbracciò e lo baciò sulle guance, rivolgendogli
un sorriso carico di aspettative.
Su cosa, James non ne aveva la più pallida idea.
«Lily, accompagna James alla porta».
«Be’, ci si vede» lo congedò, sorridendo
forzatamente.
Ma James aveva ancora qualcosa da chiedere prima
di andarsene.
«Quella lettera... l’hai letta?»
Il sorriso di Lily si spense poco a poco. Poi
annuì.
«Ovviamente. Avevo sperato, fino alla fine, che
non l’avessi fatto. Be’, ciao, allora».
Quando raggiunse il cancelletto, Lily non seppe
trattenersi.
«Che cosa è successo con Frank?»
Non si voltò, James, ma Lily poté chiaramente
percepire un sorriso nella sua voce.
«Magari un giorno te lo dirò».
° ° °
Albus Silente lo attendeva in cucina, seduto
accanto a suo padre.
Entrambi erano scuri in volto, preoccupati.
Suo padre scattò in piedi non appena lo vide.
«James!»
«Papà... professore» sollevò il mento in cenno
di saluto.
«Ragazzo, ma dove sei finito? È da ieri sera che
ti cerchiamo!»
Avrebbe potuto dire di come aveva vagabondato
per Godric’s Hollow nell’inutile tentativo di ritrovare Lily. O di come
avesse accolto l’invito di Sirius a fare pace con Remus, salvo poi
restare sotto casa dei Lupin a fissare la finestra dell’amico. O di
come, con le prime luci dell’alba, si fosse trasportato a Spinner’s End,
logorato dalla curiosità. E dalla speranza, anche.
Avrebbe potuto dire tutto oppure niente, ma si
limitò ad una mera bugia.
«Scusa, hai ragione; ma non riuscivo a dormire e
lo sai che quando non riesco a dormire me ne vado in giro per la città.
Pensavo di tornare prima dell’alba, ma poi mi è venuta fame e sono
andato da Ginger a mangiare qualcosa».
«Ah. Va... va bene. Ma non farlo più, intesi? Di
questi tempi... no, meglio che tu non lo faccia più» mormorò e
improvvisamente Charlus Potter pareva tanto fragile e tanto vecchio.
Improvvisamente, James si sentì nuovamente
bambino.
Stava per scusarsi ancora una volta, ma l’uomo
chiese loro di scusarlo e arrancò sugli scalini.
James notò che la gamba claudicante era più
rigida del solito.
E desiderò non averlo notato.
«James».
Sobbalzò. Aveva completamente scordato Silente.
«Ahm, professore».
«La tua bugia è stata onorevole e capisco quanto
per un figlio sia importante risparmiare anche il più piccolo dolore al
proprio padre», fece una leggera pausa e sebbene le sue labbra
sorridessero, i suoi occhi azzurri erano intrisi di rimprovero, «ma è
quanto mai inopportuno, di questi tempi, Smaterializzarsi lontano da
qui. Spero che tu possa ricordartelo, in futuro» concluse, alzandosi e
posandogli una mano sulla spalla.
«È bene che tu ti prenda cura di te stesso,
ragazzo; tempi difficili bussano alle nostre porte e quando verrà la
fine di quest’anno scolastico, io avrò bisogno di te. Un forte
bisogno di te».
«Professore?»
«Oh, capirai, ragazzo mio. A tempo debito,
capirai».
Albus Silente si Smaterializzò in una calda
vampata di fuoco.
° ° °
«Noi andiamo, allora. Ci vediamo domattina».
La signora Lupin strinse forte i denti, ma non
pianse, nonostante i suoi occhi fossero lucidi e rossi.
«Va bene. Sta’ attento». Lo baciò su una
guancia, stringendolo poi in un doloroso abbraccio.
Sirius si teneva un po’ in disparte, fissando il
bosco appollaiato sulla collina.
Era un bosco di ridotte dimensioni e già sapeva
quanto avrebbe faticato per tenere Remus entro quei confini, lontano dal
paese.
L’agglomerato verde si abbarbicava su una cupola
morbida ed altrettanto verde, un pendio lieve che si srotolava sino alle
porte della piccola città.
Si domandò quanto tempo avrebbe avuto per
acciuffare Remus nel caso in cui fosse riuscito ad eluderlo, ma non fece
in tempo ad approssimare una cifra; Remus lo sfiorò con la mano e lo
spronò a camminare.
Poté solo lanciare un’occhiata incoraggiante ai
genitori del ragazzo.
Quella, sarebbe stata una lunghissima notte.
NdA: Credo di capire come il povero Lupin
si senta ad ogni luna piena.
Suppergiù, mi sento allo stesso modo e i miei
occhi fanno GiacomoGiacomo giacché non è cosa buona e
giusta studiare AL pc, ma proprio no.
Quindi, è probabile che il capitolo sia
infarcito di errori. Amen.
Ciò detto, questo capitolo è di scarsa
importanza ai fini della trama; serviva solo a chiarire le cose rimaste
in sospeso nello scorso capitolo.
E, ancora una volta, voglio condividere
un altro lavoro grafico di
March che è stata assolutamente dishfioshfof. ♥
Poi, non per mettervi in allarme o agitazione,
ma è probabile - data la quantità di cose che ho da studiare/preparare
per gli esami - che dal capitolo successivo, gli aggiornamenti
potrebbero tardare giorni, se non addirittura settimane.
Purtroppo seguo ritmi che mi sfiancano e quando,
dopo aver trascorso l'intero pomeriggio tra libri e ricerche in
internet, finisco ho solo voglia di collassare sul divano e fissare il
vuoto. È interessante e appagante fissare il vuoto, dopotutto.
Infine, ringrazio vivamente tutti coloro che
hanno recensito lo scorso capitolo e che recensiranno anche questo: temo
che le risposte tarderanno parecchio, stavolta. Chiedo comprensione. ç_ç
E adesso me ne vado appunto a fissare il vuoto.
(Voi, poi, se non avete niente da fare, passate
da
Meko-chan e Koala, storia di due cani che agognavano la libertà :D)
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Capitolo XIII: Altrimenti ci arrabbiamo. E contribuiamo a tenere alto il morale di Hogwarts. ***
Nuova pagina 1
14.
Capitolo XIII.
Altrimenti ci arrabbiamo. E
contribuiamo a tenere alto il morale di Hogwarts.
Fu Sirius a sobbarcarsi il peso del corpo
esanime e nudo di Remus.
Esausto e graffiato in ogni dove, poteva sentire
la spalla di Remus contrarsi in spasmi di dolore e poteva sentire il
sangue bagnargli la maglietta.
Aveva davvero esagerato.
Remus aveva iniziato a correre verso valle e lui
aveva spiccato un ampio balzo, stringendogli la spalla tra le fauci
aguzze. Il sangue gli era schizzato sul muso e sui denti; il suo sapore
e la sua consistenza erano raccapriccianti.
Sperava che, con l’avvento del mattino, lo
squarcio sarebbe guarito o che, quanto meno, la ferita avrebbe smesso di
lacrimare.
L’unica magra consolazione che aveva ricevuto,
invece, era stato un rallentamento dell’emorragia, che si era ridotta ad
un sottile rigagnolo cremisi.
«Remus... svegliati... siamo quasi... a casa»
ansimò pesantemente e i crampi alle braccia si fecero insopportabili.
Depose Remus contro una panchina e quando si fu scaricato del suo peso,
il dolore ai muscoli già stanchi gli fece lacrimare gli occhi.
Lo scosse piano, ma il corpo inerte di Remus
scivolò, impattando contro il marciapiede.
«Oh, caz... Remus, stai bene? Svegliati, dai.
Sveglia!» lo schiaffò fu così forte che Remus rinvenne con un sobbalzo
violento.
«Che... che...» farfugliò prima di tossire.
«Colpa mia. Dai, rimettiti in piedi; siamo quasi
arrivati».
Faticosamente, Remus ritrovò un proprio,
precario equilibrio, appoggiandosi alla spalla di Sirius.
«Ho... ho...?»
Sirius scosse la testa.
«Ti ho tenuto lontano dal paese, ma ti ho quasi
strappato via il braccio».
Solo allora Remus parve consapevole del sordo
pulsare appena sotto il collo, appena sopra al braccio sinistro.
«Ahi. Fa male».
«Dai denti di un cane non puoi pretendere
carezze e solletico. Muovi il culo, dai... ecco, solo questi gradini...
oh, bene, ce l’abbiamo fatta».
Aprirono piano la porta di casa. Suo padre era
già andato via e sua madre dormiva ancora mentre l’alba si arrampicava
sui tetti delle case e sulle guglie delle chiese.
Arrancarono sino alla sua camera. Fecero appena
in tempo a chiudere la porta che entrambi caddero addormentati e feriti
sul pavimento.
° ° °
«Quando tornerà a trovarti, il tuo ragazzo?»
«Mamma», sbottò, alzandosi in piedi con tanta
foga che la sedia si capovolse sul pavimento, «non è il mio ragazzo,
fattene una ragione. Io e lui ci detestiamo; anzi, io detesto
lui» aggiunse.
«Ma mi è sembrato un così educato ragazzo».
«Ti è sembrato male, allora» ma chissà perché,
Lily suono falsa perfino alle proprie stesse orecchie.
Difatti, sua madre le scoccò un’occhiata
sbilenca e sospettosa.
«Inizia a preparare le tue cose, piuttosto;
dopodomani dovrai tornare ad Hogwarts».
Sua madre non si preoccupava neppure più di
celare l’amarezza.
Amava Lily e odiava saperla così lontana da casa
per così tanto tempo. Lily ne fu talmente intenerita che l’abbracciò
velocemente.
«Sarà l’ultima volta, mamma; poi ti prometto che
staremo insieme sempre, quando avrò un lavoro».
«Speriamo che quel giorno arrivi preso, allora»
mormorò la donna, baciando quindi la guancia della figlia.
«Vado a comperare il giornale per papà,
d’accordo? Ci vediamo dopo».
La primavera aveva deciso di sferrare l’attacco
all’inverno nel buio della notte. E aveva vinto. L’aria era dolce,
profumata quasi e il sole picchiava sull’asfalto, tiepido e piacevole.
Perfino gli alberi sembravano avere più foglie
del giorno precedente.
Camminare la metteva di buon umore e l’aiutava a
lasciare i pensieri per strada.
Ma Potter era più tenace di tutto. Lui le restò
così saldamente ancorato addosso che Lily rischiò di essere investita da
un ciclista e azzannata da un grosso cane sfuggito al padrone.
La verità era che da quando le aveva recato
visita, Lily non riusciva a non pensare a lui.
Non ci pensava in termini romantici, sia ben
chiaro.
Stava, invece, procedendo con una lenta e
obiettiva rivalutazione, avanzando con opportuna cautela.
Così, poco per volta, imparava a scartare un
difetto e rimpiazzarlo con un pregio.
Ma Potter, peccato per lui, non aveva molti
pregi.
Pertanto, i difetti scartati furono nettamente
inferiori a quelli non scartati.
Stava ancora spulciando qualcosa da rimpiazzare
con un pregio quando li vide, acquattati in un vicolo fetido e umido.
Riconobbe Severus dalla postura lievemente curva
e dalla movenza delle sue braccia ancora prima che lui parlasse.
Un giovane, ammantato di nero, mosse la testa e
Severus si voltò. Biascicò qualcosa alla sua ghenga, sollevando un
braccio per indurli alla calma.
Tentò quindi un sorriso, ma Lily lo stroncò sul
nascere: riprese a camminare, il giornale ben stretto al petto.
Quando imboccò il viale di casa fu conscia del
cuore che batteva precipitosamente. La paura fluì in ritardo,
lasciandola stordita e tremante.
Si ripeté che non c’era nulla da temere, che
ormai era a casa.
Poi, casualmente, lo sguardo cadde sulla prima
pagina del quotidiano.
Nuova, inspiegabile morte
Settantenne rinvenuta esanime nella sua abitazione. I familiari: “Era in
perfetta salute, non riusciamo a capire”
E gli occhi di Lily traboccarono di paura.
° ° °
Remus sussultò e indietreggiò, rischiando di
inciampare nel vecchio tappeto.
Boccheggiò per qualche secondo, indeciso se
fissare le sue scarpe, la porta o chi aveva davanti.
«Posso entrare?»
Per riempirmi nuovamente di botte?
«Sì... ehm, sì, certo» si scansò, appiattendosi
contro il muro per lasciarlo passare.
Una distanza esagerata, una reazione stupida.
Remus non aveva mai avuto paura di lui; lo aveva
conosciuto come un ragazzo sì impulsivo e caparbio, facile al diverbio,
ma mai violento.
Con i suoi occhiali tondi posati sul naso, i
capelli scompigliati e il viso da ragazzino, non era mai riuscito ad
incutergli timore, neppure quelle rarissime volte in cui si erano
punzecchiati, alzando i toni. Ma perfino allora, c’era sempre un fondo
di divertimento nelle loro voci.
Seguendo le norme della buona educazione, lo
invitò a sedere al tavolo, domandando poi se gradisse qualcosa da bere o
da mangiare.
L’ospite declinò.
Quando Remus prese posto, attese che fosse
l’altro ad avviare il discorso. Ma James Potter se ne stava con le mani
sul tavolo, intrecciate, e gli occhi puntati su esse.
Remus era incapace di reggere tanta tensione.
Perciò trasse un gran respiro e fece per parlare, ma James s’alzò in
piedi e attese, probabilmente, che anche lui lo facesse.
Eccoci. Spero non faccia male quanto il morso
di Sirius.
Riluttante, strisciò letteralmente sullo
schienale della sedia per potersi alzare.
«Senti, James, io volevo parlartene, sul serio;
solo che—»
Lo vide avanzare a passo spedito e in due lunghe
falcate lo raggiunse.
A Remus non sfuggirono le dita arcuate, come in
procinto di acciuffarlo, o il viso impassibile, un po’ pallido.
Oh, questo farà un sacco male.
Ma fece male solo quando James lo abbracciò e la
sua mano premette contro la spalla ferita.
Lo strinse così forte, come se fosse già con un
piede nella fossa, come se gli stesse dicendo addio.
Ma forse, tutto quel che James stava facendo era
chiedergli perdono.
Remus strinse i denti, augurandosi che la ferita
non si squarciasse nuovamente.
E molto goffamente, ricambiò la stretta, una
mano sulla spalla di James e l’altra sulla sua schiena.
«Mi dispiace, James».
«Mi dispiace, Remus».
E, come se fosse stato una ragazzina in preda al
ciclo mestruale, Remus sbottò improvvisamente a piangere.
° ° °
Sirius rimase letteralmente paralizzato sulla
soglia, il bicchiere di latte ben stretto in pugno.
Stretto così intensamente che avvertì il vetro
comprimersi, prossimo a schiantarsi.
Ora, è bene avvertire i lettori che Sirius
non era un tipo geloso, ma è bene anche che sappiate che a tutto c’è
una prima volta.
In quel preciso, esatto momento, Sirius percepì
un qualcosa rovente esplodergli nello stomaco e desiderò
strattonare James lontano da Remus.
O forse il contrario, non era certo.
«Cos’è, una specie di reciproco coming out?»
Sobbalzarono entrambi e si scostarono
velocemente, evitando di guardarsi.
Il viso di Remus era impiastricciato di lacrime
e gli occhi erano rossi e lucidi; James invece era rosso in viso e non
la smetteva di storcere le labbra. Era visibilmente imbarazzato.
«Sono venuto a scusarmi con Remus, come da te
suggerito».
«Ah, però! Ce ne hai messo di tempo!»
«Prima ho dovuto risolvere un’altra questione;
voi siete i miei unici, migliori amici e, insomma, ci sono cose che un
uomo non può affrontare da solo e tutta quella roba là» tagliò corto con
un cenno della mano.
Sirius si aprì in un sorriso raggiante.
«Oh, questo mi emoziona. Forza, abbracciamoci
tutti insieme» esclamò, gettandosi il bicchiere pieno di latte alle
spalle, che impattò contro lo stipite della porta, esplodendo.
Remus fece per dire qualcosa, ma Sirius gli fu
addosso e strinse entrambi in un caloroso, inopportuno abbraccio.
«Ehi, Remus».
«Vuoi chiedermi anche tu scusa? Per il bicchiere
del servizio buono, magari?»
«No, volevo dirti che ti sei bagnato».
James esplose in una solare risata e Remus fece
per scostarsi, indignato.
«Sul serio, amico, non fissarmi cosi; la tua
maglietta gronda sangue».
Remus volse la testa e il lezzo metallico del
sangue lo aggredì. Il suo naso fu pieno di quel terribile odore e i suoi
occhi rispecchiarono la macchia vermiglia sulla maglietta.
«Tre, due, uno...»
Remus inciampò nei propri piedi e perse i sensi.
Sirius aveva teso le braccia ancor prima che l’amico svenisse.
James, quel buffone, era accasciato sul tavolo e
rideva, quasi ansimando, quasi soffocando.
° ° °
Il binario 9 e ¾ era il solito, soffocante
connubio di genitori commossi e ragazzini iperattivi, ammantati in un
miscuglio mal amalgamato di profumo da donna scadente, vapore e shampoo
dall’aroma fruttato.
Lily Evans sgomitò per farsi largo, con i
signori Evans che arrancavano nella sua scia.
Raggiunse una delle porte aperte della
locomotiva rosso scarlatto e si inoltrò verso la coda del treno,
fermandosi solo quando trovò lo scompartimento occupato da Marlene e
Mary, le quali salutarono educatamente i suoi genitori.
Suo padre issò il baule nell’apposito alloggio e
la strinse velocemente in un abbraccio amorevole: il capostazione aveva
fischiato, segnalando la partenza ormai prossima.
«Ci rivediamo a giugno, papà. Ciao mamma.
Salutatemi...», fece una pausa titubante, scoccando una rapida occhiata
oltre il vetro lindo, dove, oltre la lastra di vetro, James Potter
litigava con un ragazzino Serpeverde, «Petunia» concluse, rianimandosi.
Circa quattro minuti dopo – ma forse erano sette
– il treno sussultò e sferragliò sui binari, raggiungendo poi una
velocità costante e sostenuta.
«Allora», squittì Mary, adottando il classico
tono da mi-aspetto-che-ti-sia-accaduto-qualcosa-di-interessante,
«come hai trascorso le vacanze, Lily?»
In rapida sequenza, diversi sprazzi di ricordi
si successero, tutti collegati dal filo conduttore James Potter.
«Bene, grazie. E tu?»
«Oh, deliziosamente! Ho conosciuto un ragazzo,
siamo stati insieme una settimana e poi...»
Marlene e Lily si sporsero in avanti.
«E poi?»
«Be’, poi le vacanze sono finite e sai com’è,
lontano dagli occhi, lontano dal cuore».
«Mary, il tuo comportamento in campo
sentimentale è un tantino deprecabile, ne sei conscia?»
Mary rise sprezzante.
«Mi godo la vita. E mi sarei goduta anche Sirius
Black se lui... che spreco, che spreco».
Marlene increspò il viso in una smorfia
perplessa.
«Se lui cosa?»
«Se lui non fosse innamorato di...», fece una
pausa strategica, di quelle che irritavano Lily almeno quanto la rottura
della punta di una piuma nel mezzo di un esame, «Remus Lupin».
Marlene boccheggiò stupidamente, poi sorrise
maliziosamente.
«Mary, tu ripaghi anni e anni di prese in giro
da parte di quel buffone» le batté una pacca sulla gamba e scappò via.
«Hai messo Black in un bel casino, sai?» rilevò
Lily; non che fosse particolarmente dispiaciuta, comunque. Era ancora
certa che lui avesse spifferato a Potter che lei era a Godric’s Hollow.
«Oh, sarà interessante» mormorò lei,
accasciandosi contro lo schienale e sorridendo soddisfatta.
° ° °
Peter Minus entrò nello scompartimento.
Era terreo in viso e tremava appena. Ma
soprattutto, teneva ostinatamente gli occhi fissi su James (che stava
sciorinando parole molto poco lusinghiere sul piccolo Serpeverde che lo
aveva deriso circa la sua prestazione da Cacciatore) volendo a tutti i
costi evitare Remus e Sirius.
E siccome non era un tipo particolarmente vivace
o loquace, sedette accanto a James, estraniandosi dalla conversazione.
«Ehi, Peter» lo chiamò Remus e balzò in piedi
così bruscamente che la testa impattò contro il tettuccio.
«Peter? Stai bene?»
«Io... sì... certo... come no» emise una risata
roca, forzata e penosa.
«Peter», iniziò Sirius, sporgendosi in avanti,
«io so riconoscere l’amore. E i tuoi occhietti annacquati mi dicono che
tu sei innamorato. No, no, non guardarmi a quel modo! Davvero, noi siamo
tuoi amici. Allora, chi è lei?»
Peter Minus arrossì sino alla punta dei suoi
capelli biondicci.
«No, Sirius, non è... non sono innamorato. È
che... senti», esplose ed indicò lui e Remus, «sta girando una voce sul
treno, su voi due. Ne parlano tutti» calcò sulla parola tutti
con una certa drasticità che allarmò Sirius, il cui viso virò in una
delicata sfumatura di giallognolo.
«Quale voce?» domandò Remus, perfettamente
padrone di sé e con il naso ancora affondato nel romanzo che stava
leggendo; sorrideva appena, rilassato.
Peter, nel mentre, tendeva in maniera
preoccupante al violaceo. James lo squadrò, ipotizzando che stesse per
avere un colpo aploplittico o come diavolo si diceva.
«Ecco... bene... dicono che voi due, insomma,
che state insieme e che Sirius», e qui lo guardò di sottecchi,
accartocciandosi un po’, «abbia rifiutato Mary Macdonald perché è
innamorato di te, dicono che lui stesso lo abbia... confessato».
Remus sorrideva ancora quando il libro precipitò
sul linoleum. Fissava un punto imprecisato del vuoto e i suoi tratti
facciali parevano come congelati.
Il viso di Sirus invece aveva dato il colorito
giallognolo in permuta, acquistandone uno grigiastro e decisamente meno
gradevole.
«Ah, be’», iniziò James, giulivo, «guardate il
lato positivo: adesso la verità è di dominio pubblico e non dovrete più
nascondervi».
Sirius e Remus gli furono addosso in un amen.
° ° °
La cena fu particolarmente squisita quella sera.
Ovviamente, la squisitezza culinaria era
inversamente (molto, molto inversamente) proporzionale alla squisitezza
d’animo che si respirava in un preciso punto di un preciso tavolo.
Anzi, in due punti.
Lily non aveva dubbi sulla natura di quella
scelta. Sirius Black sedeva al capo sud e Remus Lupin a quello nord.
Peccato che nel mezzo sostasse una notevole
quantità di studenti che fissavano ora l’uno, ora l’altro, proprio come
se stessero guardando una partita di tennis di rilevante importanza.
I più arditi addirittura commentavano, correndo
il rischio di ritrovarsi coperti di zuppa o con un bicchiere
misteriosamente incastrato tra i denti.
E se Remus si sforzava di mangiare e assumere un
atteggiamento tranquillo, Sirius Black era così furioso che il campo
magico sopra la sua testa era alterato; così, mentre su tutta la sala
splendeva un cielo trapunto di stelle, su di lui giacevano grossi cumuli
di nubi, attraversate da frequenti scariche elettriche. Una di queste
colpì James, per inciso.
Poi, la già precaria situazione degenerò quando
Joseph Edison ricordò ai suoi vicini di quell’incidente avvenuto al
terzo anno, sostenendo che erano destinati sin da allora.
Sirius fu dominato da un istinto animalesco che
lo spinse a balzare sul tavolo, percorrerlo a carponi – travolgendo
tutto ciò che intralciava il suo passaggio – e gettarsi infine sul
malcapitato Edison.
La colluttazione ebbe vita breve.
Silente intervenne prontamente e i risultati
furono: una sgridata collettiva a tutti i presenti in sala; cinquanta
punti sottratti al signor Black; una punizione a tempo indeterminato
al signor Black motivata dalla recidività dei suoi attacchi fisici e
verbali; dieci punti sottratti ad ogni Casa per aver incoraggiato così
spudoratamente la colluttazione (qualcuno, mentre i due scalciavano e si
agitavano, aveva preso a ripetere: “Botte, botte, botte! Ragazzi,
apriamo le scommesse!”); una punizione di giorni tre al signor Lupin
per aver afferrato un pugno di pudding e spalmato sul viso di uno dei
compari di Edison; una punizione al signor Potter di giorni cinque per
aver colpito anch’egli Edison (le cose in realtà erano andate così:
James si era alzato con l’intenzione di dividere i due, ma Edison gli
aveva sferrato un calcio nello stinco così doloroso che, dopo averlo
apostrofato in maniera piuttosto pesante, James aveva reagito d’istinto
e allontanato a calci il piede del ragazzo); una punizione di giorni
quindici al signor Edison per aver provocato la rissa (e qui gli
studenti si divisero; alcuni sostenevano che era stato Sirius ad
iniziare, altri Edison; altri ancora tirarono fuori il nome di Potter
perché, qualunque cosa accadesse, Potter c’entrava sempre); una
punizione di giorni tre alla signorina Evans per non aver adempiuto al
suo compito di Caposcuola (alla domanda: “Signorina Evans, lei sapeva
dell’atmosfera al suo tavolo e dei pettegolezzi che stavano circolando?”
aveva ingenuamente risposto di sì e questo le era costato una punizione;
in realtà Lily non ci aveva capito assolutamente nulla ed era rimasta
immobile e sgomenta mentre tutti gridavano e incoraggiavano Sirius e
Edison a picchiarsi).
Tutto sommato, comunque, non fu una serata
affatto noiosa.
° ° °
Silente decise che James, Lily e Remus avrebbero
scontato la punizione assieme, accomunati dal fatto che i loro ruoli
all’interno della gerarchia di Hogwarts non erano stati soddisfatti.
Nessuno dei tre si premurò di ribattere o
mettere sul tavolo le presunte prove a discolpa.
È bene specificare che, nello studio ovale di
Silente, l’atmosfera era molto, molto tesa. A renderla tale contribuiva
maggiormente la presenza della McGranitt, più arcigna e severa del
solito.
James e Lily, in momenti diversi, l’avevano
sorpresa a fissarli con astio, come se stesse rimuginando su qualche
loro ingiuriosa malefatta. Ma né l’una né l’altro arrivarono alla
soluzione del mistero.
«Tornate nei vostri dormitori, adesso; confido
che la notte vi porti consiglio e magari un po’ di saggezza» buttò
Silente, agitando blandamente la mano.
I tre sfilarono via in processione, le spalle
curve e gli occhi piantati sul pavimento (quelli di James erano piantati
un po’ più su, a dire il vero, su un punto ben preciso della gonna di
Lily).
«Sentite», li affrontò di petto Lily, quando
furono fuori dalla portata dei professori, «Black è fuori controllo;
fate in modo di tenerlo al guinzaglio, avete capito?»
James e Remus si scambiarono uno sguardo che
sottintendeva tante cose, riassumibili in: piccola, ingenua, Lily;
cosa pensi abbiamo fatto negli ultimi sette anni?
«Sirius ha un forte problema di rabbia repressa;
è una creatura incompresa, scaraventata in un mondo che non lo vuole,
che ha sofferto da qua-»
«Stai per caso facendo di Sirius un martire?»
domandò Lily, la cui domanda in realtà voleva dire: Sirius ha un
forte problema di rabbia repressa e tu un forte problema di imbecillità
patologica.
«Senti, Evans, io e Remus abbiamo una vita!»
«Senti, Potter, a me la questione non interessa,
se proprio ci tieni; ma vorrei tanto evitare altre punizioni».
«Eh, già; povero il tuo curriculum scolastico»
la provocò.
«Ti saluto».
La velocità con cui Lily abboccava alle
provocazioni era sinceramente deliziosa.
La vide ancheggiare via, quasi a passo di
marcia, stizzita.
«Non sarebbe, non so, il caso di smetterla?»
intervenne finalmente Remus, dopo aver a lungo taciuto.
«Dovremmo tutti smetterla, in effetti».
Si incamminarono al dormitorio.
«Cosa intendi?»
«Ma sì; tu, Sirius, la vostra tensione
sessuale...»
«Non c’è nessuna tensione sessuale!»
«... il vostro girarvi intorno dal terzo
anno...»
«Nessuno gira intorno a nessuno!»
«... la facilità con cui reprimete i vostri
sentimenti...»
«Non reprimiamo un bel niente, James!»
«... la pessima abitudine di interrompere
qualcuno mentre parla...»
«Ma... oh» tacque, un po’ imbarazzato dallo
sguardo severo di James.
«Senti», si risolse infine, afferrandolo per le
spalle, i loro visi vicini, «è ora che tu e Sirius chiariate questa
cosa. E gli altri vogliono parlare? Che lo facciano!»
CLICK!
Si voltarono immediatamente, nello stesso
momento, ma fu troppo tardi: Adam First aveva già scattato la fotografia
e stava scappando a gambe levate, seguito dalla sua ghenga.
«Credo», iniziò James, raddrizzandosi, «che
questo a Sirius non piacerà».
NdA: Incredibile, ma ce l'ho fatta!
Sul filo del rasoio, ma ce l'ho fatta, ooooooh
yeah!
Detto ciò, come vedete, stavolta ho deciso di
buttarmi su un capitolo old-style, nel senso che presenta forte ironia
e, si spera, momenti divertenti.
Ah, mi pare giusto avvertirvi che questa storia,
giunti a questo punto, avrà vita breve perché: a) sarebbe già dovuta
finire secoli fa; b) Lily&Co sono in Aprile e la scuola finisce a
Giugno; c) il tempo per scrivere è sempre di meno. Quindi, tra tre, al
massimo quattro capitoli, la storia finirà.
Ve lo dico così siete preparati, insomma.
E niente, mi congedo dato che al momento non ho
altro da dire, il mal di testa mi sta pungolando impietosamente e la mia
canA deve mangiare.
Alla prossima!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Capitolo XIV: Chi dice Sirius dice danno ***
Nuova pagina 1
15. Capitolo XIV.
Chi dice Sirius dice danno.
“Ai signori:
James Charlus
Potter
Lily Evans
Remus Lupin
Si comunica agli studenti
destinatari che, in data odierna (14.04.1978), in seguito ad una
riunione straordinaria dei docenti, è stato preso atto delle loro
mancanze comportamentali e in tale sede è stata stabilito il relativo
ammonimento disciplinare.
Gli interessati, pertanto,
sono pregati di presentarsi presso l’ufficio di Mastro Argus Gazza alle ore
16.00 per scontare la loro
punizione, quantificabile rispettivamente in cinque,
tre e tre giorni (tre
ore cadauno) (si veda l’ordine degli studenti destinatari) di lavoro
manuale esenza alcun ausilio di supporti e/o incantesimi magici,
durante i quali gli studenti si premureranno di catalogare secondo
criterio alfabetico i testi presenti nel primo settore della Biblioteca
scolastica (riceveranno maggiori indicazioni dalla bibliotecaria, Madama
Pince).
Si ricorda altresì che Argus
Gazza presiederà e monitorerà il loro comportamento, esibendo quindi
rapporto alla Direttrice della Casa del Grifondoro, la professoressa
Minerva McGranitt.
Cordialmente,
Albus Percival Wulfric Brian
Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Minerva McGranitt,
Direttrice della Casa Grifondoro”
“Alla cortese attenzione dei
signori
Walburga Black e Orion
Black
La Scuola di Magia e
Stregoneria di Hogwarts è rammaricata nel dover comunicare alla S.V. che
Vostro figlio Sirius
Orion Black, settimo anno, Casa
Grifondoro, dopo ripetute infrazioni del regolamento scolastico,
perpetrate per danni a terzi, è
oggetto di indagine disciplinare.
La commissione scolastica si
assume, quindi, l’impegno di giudicare Vostro figlio sulla base dei suoi
scorretti comportamenti regressi, protratti nel corso degli anni di
studio, e delle sanzioni disciplinari accumulate in precedentemente
detto arco di tempo, onde approvare o respingere un’eventuale espulsione.
Nel frattempo, informiamo
altresì la S.V. che Vostro figlio è oggetto dipunizione a tempo
indeterminato e da decidere in tempi, ci auguriamo, brevi.
Laddove i signori Black
fossero interessati a contattarci, ricordiamo che il Preside, Albus
Percival Wulfric Brian Silente, è disponibile nelle giornate di martedì e sabato, dalle
ore 18.00 alle ore 20.00 dietro appuntamento.
Cordialmente,
Minerva McGranitt,
Direttrice della Casa Grifondoro”
Walburga Black appallottolò il
foglio, tremante e rossa in viso, e urlò al suo elfo di recarsi
all’arazzo di famiglia e inserire la palla di carta laddove un tempo
spiccava, bellissimo e raffinato, il viso del suo figlio maggiore.
“Al signor
Sirius Orion Black
Si comunica al signor Sirius
Orion Black che la commissione
disciplinare scolastica – composita dall’intero corpo docenti – terrà in
data 16.04.1978una
riunione straordinaria per discutere circa l’inadeguato e ripetuto
comportamento perpetrato a danni di terzi, talvolta dagli esiti osceni
ed inaccettabili.
Al signor Black perviene
dunque l’ingiunzione di presentarsi a
detta riunione, alle ore 17.00 in
data precedentemente specificata, presso
la Sala Professori; si ricorda
altresì che allo studente in oggetto è consentito presentare le sue
presunte giustificazioni e che tutto ciò che dirà e di cui si renderà
responsabile potrà essere usato a suo favore o sfavore onde approvare o
respingere un’eventuale espulsione.
Si comunica inoltre che, in
seguito al deprecabile quanto violento comportamento tenuto in Sala
Grande in data 13.4.1978
ore 20.14, il signor Black è
oggetto di punizione a tempo
indeterminato,
la quale verrà concordata sull’esito della riunione straordinaria del
corpo docente e ivi discussa nei suoi termini.
Infine, ricordiamo al signor
Black la formalità dell’evento e indichiamo pertanto un abbigliamento
appropriato.
Albus Percival Wulfric Brian
Silente, Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts
Minerva McGranitt,
Direttrice della Casa Grifondoro.”
° ° °
Sirius Black stava ancora
cercando disperatamente di capire che tipo di abbigliamento si
aspettassero da lui.
Dapprima era stato così
infuriato con la McGranitt, con Silente, con la lettera, con la zuppa di
piselli che faceva veramente, ma veramente schifo che aveva deciso di
presentarsi in jeans (che avrebbe provveduto a strappare nei punti più
osceni) e la sua maglietta con la scritta Shut
up, you idiot1,
ma poi aveva pensato che il messaggio era troppo esplicito e che potevaeffettivamente costargli
l’espulsione (a prescindere dai suoi precedenti torbidi, era inteso);
eppure, aveva voglia di fare qualcosa di clamoroso. Così,
successivamente, aveva pensato di presentarsi in mutande, ammantato
nella bandiera rosso-gialla del Grifondoro, ma Remus (e qui le labbra di
Sirius si assottigliarono e la vena sul collo pulsò nervosamente) gli
aveva garantito che, in quel modo, si sarebbe fatto espellere di
sicuro e
l’arringa che aveva scritto con tanta passione (Nessuno gliel’ha
chiesto. Che imbecille. È colpa sua se adesso sto sguazzando nella merda
come un fottuto maiale!) sarebbe stata utile per costruirci un
aeroplano di carta.
Detta arringa era stata
scritta perché Remus era fermamente convinto che ciò l’avrebbe tratto
d’impaccio.
(“Hanno
detto che puoi presentare le prove a tua discolpa, no? Bene. Mettiamole
per iscritto, allora. Spieghiamo nel dettaglio cosa ti ha portato ad
agire così. Quando capiranno che hai dei forti problemi emozionali...“
“Mi sbatteranno fuori dalla
scuola. Fottiti, Remus.”
“... non potranno non
rendersi conto che sei un umano e in quanto tale oggetto di impulsività.
Se la giochiamo in questo modo, ti assolveranno.”
“Bada che non mi hanno
convocato al Ministero, eh?”
“Ma il principio è lo
stesso! Adesso butto subito giù qualcosa e—“
“Scarica i tuoi sensi di
colpa altrove, hai capito? Stammi lontano, in nome di Merlino, o darò
loro un vero, buon motivo per buttarmi fuori!”)
Sirius ne era meno convinto.
In verità, era matematicamente certo che
l’avrebbero espulso.
Insomma, i numeri non
mentivano, la matematica non era un opinione e la McGranitt nutriva per
lui una sorta di rancoroso amore.
Non che fosse un gran
problema, per lui; avrebbe chiesto asilo presso i Potter e una volta che
James avesse terminato gli studi, avrebbero improvvisato qualcosa.
E poi sapeva fare un quantità
di cose sufficiente a garantirli un lavoro come gelataio. Be’, aiuto-gelataio.
Gli dispiaceva però dover
abbandonare la comoda routine di Hogwarts, i suoi amici e soprattutto i
suoi nemici, che non avrebbe più potuto punzecchiare e affatturare.
Ma, sopra ogni cosa, gli
dispiaceva perché l’avrebbe data vinta ai suoi genitori; sarebbe stato
come presentarsi a casa loro, entrare con aria prostrata e piegarsi
contro il muro.
Prospettiva che gli procurava
repulsione e orrore in egual misura.
E in quel momento seppe cosa
avrebbe detto.
° ° °
(14.04.1978)
Avevano deciso di ripartire il
lavoro in tre parti, si sperava, uguali.
Così, James avrebbe ordinato
dalla A alla H, Lily dalla I alla P e Remus dalla Q alla Z.
Inutile dire che, però, il
lavoro precedeva assai a rilento, interrotto continuamente sulle
continue paure di Remus e James circa le sorti del comune amico.
Lily capiva che se Remus era
intimorito e preoccupato, James era terrorizzato e in panico all’idea di
perdere scolasticamente Sirius.
Se Remus poteva ordinare libri
e parlare contemporaneamente, James ci si buttava sopra, disperandosi
per poi riaversi pochissimo dopo e chiudersi in un depresso silenzio.
Lily aveva già sistemato i
suoi libri fino alla N, Remus era alla T e James doveva ancora iniziare
la C.
Erano circa le diciotto quando
James iniziò la sua invettiva contro Silente.
«Ma cosa c’entra quel
poveruomo?» sbottò Lily, sbattendo sul tavolo esageratamente grande un
libro esageratamente pesante e dall’aria esageratamente noiosa.
«Come sarebbe a dire?! Lily,
la sua firma è su tutte quelle dannate lettere! Va bene, sorvoliamo su
noi, sorvoliamo sui Black, ma Sirius! Insomma, lui adora Sirius, tutti adorano
Sirius. Remus perfino lo ama!» disse, indicando l’amico che sembrava
molto preso dal suo compito di riordino.
«I fatti parlano chiaro e,
soprattutto, non parlano a favore di Black. Doveva pensarci prima; o
pensava forse che l’indulgenza dei professori fosse illimitata? James,
ha frantumato il setto nasale di Edison e gli ha rotto tre denti!»
ragguagliò, indignata.
Lily Evans ripugnava la
violenza fisica e quella psicologica.
Uno del molti motivi, pensava,
per i quali decisamente non adorava
Black.
«Ma tu da che parte stai,
scusa?» squittì James, adottando una tonalità molto femminile e molto
poco maschia.
«Da quella giusta» disse
enigmatica, continuando a riordinare i libri.
Remus, fino ad allora rimasto
in silenzio, azzardò a prendere parola.
«Secondo te lo cacceranno?»
«No».
«Sì».
James e Lily si fissarono
torvo per qualche secondo.
«Insomma», specificò Lily,
«Edison è ridotto davvero male».
«Ma ha iniziato lui! Se avesse
tenuto a freno la lingua—»
«Potter, sforzati di guardare
la cosa da un punto di vista obiettivo, per una volta. Black ha subito
così tanti richiami che Silente è stato davvero fin troppo indulgente;
non c’è l’ho con Sirius, davvero, ma non dovresti giustificarlo».
«Quindi secondo te fanno bene
a buttarlo fuori? È stato provocato! Tu cosa avresti fatto, sentiamo?
Avresti sorriso e lasciato correre?»
«Non stiamo parlando di me!»
«Zitti! Arriva Madama Pince»
sussurrò Remus aspramente, chinando la testa quando l’incedere della
donna si fece più nitido e vicino.
«Le vostre tre ore sono
finite» annunciò severamente, ben contenta di poterseli togliere dai
piedi.
E loro, d’altra parte, furono
ben contenti di defilarsi e continuare la discussione altrove.
In Sala Comune, i ragazzi
erano riuniti – accalcati, meglio – davanti alla bacheca, dove
campeggiava la foto di James e Remus in atteggiamenti, all’apparenza,
molto intimi.
Sirius, nonostante fosse stato
il primo a vederla, non abboccò. Aveva visto i ragazzi abbracciarsi a
casa di Remus e aveva capito chiaramente che la loro era solo una forte,
stabile amicizia (l’interesse di James per Evans, poi, uccideva ogni
dubbio).
Non abboccò neppure ai
commenti maliziosi dei suoi compagni, che continuavano a domandargli
come ci si sentisse ad avere il cuore spezzato dai propri amici.
Sirius li congedò con un
sorriso sereno e un gesto della mano abbastanza eloquente.
James e Remus, invece, li
ignorarono stoicamente, concentrati a cercare una soluzione per
l’eventuale espulsione di Hogwarts.
James si arrese a metà
conversazione, accasciandosi contro la poltrona mentre Remus e Sirius
iniziavano nuovamente a battibeccare.
«Sentite», si intromise
infine, «piantatela, va bene? Siamo tutti tesi per questa cosa, ma
manteniamo la calma; Remus, smettila di provocarlo. Sirius, smettila di
perdere la testa».
«Non lo sto provocando!» si
difese Remus, sollevando le mani e adottando un’aria molto contrariata e
molto indignata.
«E io non sto perdendo la
testa; anche se dovresti cercare di capirmi, dannazione» fece presente,
perdendosi poi a scrutare le fiamme del camino.
«Andrà tutto bene» disse
James, senza rivolgersi a nessuno e senza attendersi una risposta.
° ° °
(16.04.1978)
Sirius Black arrivò davanti
alla Sala Professori con largo anticipo.
Alla fine aveva deciso di
adempiere al sottile ordine circa l’abbigliamento e indossare la divisa
fresca di bucato e impeccabilmente stirata.
Mancavano quindici minuti alle
diciassette, ma per qualche strana ragione, ogni volta che scoccava
un’occhiata al suo orologio, le lancette si spostavano più in fretta del
necessario, seguendo un ritmo temporale assolutamente insolito,
accelerato.
E così le diciassette giunsero
di soppiatto e la porta cigolò sui cardini, rivelando la figura austera
della McGranitt.
«Entra» ordinò bruscamente,
scansandosi di lato. Sirius si permise un cenno della testa e varcò la
soglia; ebbe una strana vertigine quando notò tutti i docenti seduti al
tavolo lungo e scuro, lucido, punteggiato dal riflesso delle candele.
Poi lo assalì la sensazione di
essere vittima di un’ingiustizia: perché gli altri docenti avevano il
diritto di giudicarlo? Cosa ne sapevano i direttori di Corvonero,
Serpeverde e Tassorosso di lui? Come potevano avere potere decisionale
in qualcosa a loro sconosciuto?
Silente si schiarì la gola e
gli indirizzò uno sguardo gentile, come al solito, che lasciava
intendere tuttavia un sottile avvertimento, come quello, ad esempio, di
non fare domande inopportune, che non gli competevano.
Aveva sempre sospettato che
Silente fosse abile nella Legilimanzia e in quel momento, per mezzo di
un istinto ferino e primordiale, ne ebbe l’assoluta certezza.
Chiuse la mente, evocò la
figura di Hogwarts e vi rinchiuse all’interno ogni suo pensiero; gli
sembrò di cogliere uno scintillio divertito negli occhi del vecchio, ma
probabilmente l’aveva solo immaginato.
«Siediti, Sirius» si risolse,
infine, invitandolo a prendere posto lungo il lato del tavolo che
ospitava una sola sedia.
Era un po’ come dover
affrontare un esame prima del tempo, da cui dipendeva la sua espulsione.
Rigido e nervoso, obbedì.
«Immagino tu sia preoccupato e
dispiaciuto per il signor Edison» iniziò Silente, modulando il tono
della sua voce così da non consentire o tollerare repliche; Sirius poté
solo annuire.
«Ti farà piacere sapere allora
che il signor Edison, nonostante qualche momentanea ammaccatura, starà
bene».
«Molto piacere» rimarcò,
stringendo poi i denti così forte da credere che tra breve si sarebbero
schiantati e caduti a pezzi sulla lingua.
Silente si rilassò e sorrise.
«Ma è pur vero», disse,
scivolando con i polpastrelli lungo la superficie del tavolo, «che,
nonostante le conseguenze siano state contenute e attutite, è stato
oggetto di un’aggressione. Vorresti chiarirci il motivo per cui ti sei
scagliato su di lui, Sirius?»
Il suo tono era così
indulgente e moderato che Sirius si sentì nervoso il doppio.
Iniziò a raccontare con
insolita lentezza, pensando adeguatamente a quello da dire; aveva
previsto quella domanda e aveva immaginato quel dialogo centinaia di
volte, fino a perderci il sonno. Ma in quel preciso momento la sua mente
era appannata, riottosa e la lingua ruvida e stopposa.
Più volte fu sul punto di
accennare al reale motivo, ma ogni volta indietreggiava, scappava.
«Signor Black», lo interruppe
la professoressa McGranitt, «ha parlato ripetutamente di provocazione,
senza mai specificarne la natura. Dunque?»
Inspirò bruscamente,
passandosi entrambe le mani tra i capelli.
Se ne restò così, le dita
sulla nuca e i palmi sulle orecchie, la testa china in avanti e il naso
che sfiorava appena le ginocchia.
Umiliazione, vergogna, il
morso della bile nello stomaco.
Erano state costanti
immancabili nella sua vita a Grimmauld Place, qualcosa con cui aveva
imparato a convivere, ad accettare, perfino, giacché era ben noto il
divario caratteriale e mentale tra lui e il resto della sua famiglia.
Pensò che quel mondo, alla
fine, l’aveva raggiunto anche a Hogwarts e gli venne voglia di piangere.
Credeva, nel corso degli anni,
di aver esorcizzato i demoni peggiori; cazzate. Le ferite apertosi
nell’infanzia non si erano mai rimarginate, quelle protagoniste della
sua adolescenza marcivano per effetto dell’odio e della rabbia e del
rancore.
Non pose freni ai suoi
pensieri, non eresse mura; desiderava che Silente vedesse, che si
sentisse colpevole degli spettri che aveva rievocato.
Una scarica d’odio bruciante
gli tolse il respiro e gli fece drizzare la schiena.
L’occhiata che scoccò alla
donna la portò a battere le palpebre, confusa e forse un po’ intimorita.
Silente provvide a sfiorarle
la spalla e Sirius seppe che aveva visto.
«Sirius, noi ovviamente sappiamo
cosa poggia alla base delle provocazioni, ma questa è una riunione
ufficiale e necessitiamo di sentirlo pronunciato dalla tua bocca, così
che tu possa avere modo di difenderti e addurre le tue giustificazioni
in merito» spiegò Silente, conciliatorio e mite.
«Senta», sbottò infine; al
diavolo le buone maniere, al diavolo tutti i buoni propositi che si era
promesso di perseguire, «parliamoci chiaro: a nessuno farebbe piacere
vedere la propria vita privata alla mercé di tutti e la propria
sessualità discussa con tanta passione. A nessuno.
Professore, a lei farebbe piacere che gli studenti parlassero dei suoi
affari privati? E sapendo che questo va avanti e avanti e avanti, ogni
giorno, non le girerebbero le palle?»
«Black!» gridò Minerva,
schiaffeggiando il tavolo.
«Sì», replicò l’uomo
placidamente, «mi infastidirebbe. Mi infastidirebbe molto».
«Bene, allora ecco come stanno
le cose: un branco di imbecilli che voi chiamate “miei compagni”
continua a ficcanasare nella mia vita, mette in giro voci false per
fomentare il gossip e mi rende la vita scolastica davvero difficile. Sul
treno qualcuno ha detto che io ho rifiutato Mary MacDonald perché
innamorato di Remus. Questa. È. Una. Falsità. Voi mi avete convocato qui
perché giustizia sia fatta, ma avete un’idea di giustizia alquanto
discutibile: perseguite me,
la cui unica colpa che mi riguarda è quella d’aver dato corda ad un tale
coglione come Edison, ma non muovete un dito contro chi mette queste
stronzate in giro. Voi prescindete questa forma di violenza psicologica
e punite quella fisica. Ditemi dov’è la giustizia, in tutto questo».
Si alzò, giacché lo stomaco
aveva iniziato a contrarsi e rilassarsi proprio come uno di quei curiosi
animaletti delle profondità marine. Era sul punto di vomitare, ne era
assolutamente certo.
Non che la sua presenza
l’avrebbe salvato dall’espulsione, comunque. Sapeva di essersi appena
guadagnato l’espulsione.
Oh, era certo di parecchie
cose, rilevò. Curioso, quando la sua vita aveva raggiunto l’impasse e
s’era arrestata nel bel mezzo dell’incertezza.
«Siediti, Sirius» lo invitò
Silente, allungando una mano.
«Non vorrei peccare di
villania, ma credo di stare per vomitare».
«Sei nervoso, Sirius?»
Ma cosa...?!
«Bah, guardi, no; siamo qui
riuniti per assistere ad una spettacolare espulsione. Sono in
fibrillazione, a dire il vero, eccitato. Non sto più nella pelle».
«Signor Black, l’avverto: lei
sta oltrepassando il limite; badi bene di tacere o avrà davvero una
spettacolare espulsione, per citarla» lo ammonì bruscamente Minerva
McGranitt.
«Abbiamo elementi a
sufficienza» disse Silente e le proteste non tardarono a levarsi.
L’uomo le zittì con un cenno
della mano.
«Ti invito ad attendere in
Sala Grande».
Sirius capì che era tutto
finito. Andando via, ebbe la terribile sensazione che un pezzo di carne
si fosse staccato e ancorato disperatamente a quella stanza.
° ° °
Sebbene si sforzasse di
concentrarsi sulla catalogazione dei libri – era il suo penultimo giorno
di punizione – Lily risentiva della pesante tensione che emanava da
Remus e James.
Entrambi taciturni e
mortalmente seri, impilavano i libri a velocità raddoppiata e Lily fu
certa che a Potter sarebbe toccato un altro compito per completare i
cinque giorni, giacché sulle punizioni non vigevano sconti di condotta o
merito.
«Non lo espelleranno» sospirò
infine, posando delicatamente un grosso e vecchio tomo su una bassa
colonna di libri.
Entrambi sollevarono la testa
nello stesso istante.
«Sirius ha troppi buoni voti
in troppe materie; questo dovrà pur contare qualcosa, no? Insomma,
diciamocelo: tu» (indicò Potter con un cenno del mento) «e lui siete i
migliori in Trasfigurazione e la McGranitt lo sa. E Sirius è perfino più
eccellente in Incantesimi. E da quanto ho visto, non se la cava male
neppure in Difesa e Astronomia. Sì, d’accordo, ha qualche problema con
Pozioni ed Erbologia, ma nulla di irrisolvibile. E soprattutto, ho visto
la velocità e la scioltezza con cui pratica l’Aritmanzia».
Fu stranissimo ritrovarsi a
tessere le lodi di Black, soprattutto perché la portò a considerarlo
sotto una luce diversa, come un rivale; come se solo allora si fosse
accorta di quanto e quale fosse il potenziale di Black.
A giudicare dall’espressione
sul viso di James, anche lui era giunto alle medesime conclusioni,
seppur animato da sentimenti differenti.
«Evans, hai una cotta per
Sirius?» domandò dolcemente. Troppo dolcemente. Pericolosamente dolce.
«Possibile che tu debba
considerare ogni dannatissima cosa da un punto di vista soggettivo?!»
Eppure il sangue sbocciò sotto
le guance, arrossandole.
La verità era che Lily, come
molte ragazzine prima e dopo di lei, nella sua fanciullezza aveva avuto
una bella cotta per Sirius Black.
E chi non l’aveva, d’altra
parte? Sirius era bello e sapeva di esserlo.
A undici anni era persa di
lui; lo seguiva discretamente con lo sguardo, si sorprendeva a fissarlo
insistentemente e ogni scusa era buona per attaccare bottone.
A dodici anni aveva scambiato
la sua cotta con l’amore vero ed era stata sul punto di dichiararsi,
salvo poi trattenersi quando Sirius aveva iniziato a stringere amicizia
con Mary – all’epoca non erano granché amiche – e aveva sentito il suo
cuore spezzarsi.
A tredici anni il suo
risveglio ormonale le aveva reso la vita un inferno; così, se il momento
prima avrebbe voluto disperatamente stringere Black e baciarlo, l’attimo
dopo lo odiava furiosamente.
Infine, a quattordici anni
aveva scoperto che era un grandissimo stronzo, quando lo aveva colto a
parlare di lei in termini molto poco carini. E tutto era finito là. La
magia di Sirius Black, come accadeva a tutte, si era interrotta.
A volte, però, le capitava di
chiedersi cosa sarebbe successo se Sirius si fosse accorto di lei, se
lui avesse ricambiato l’interesse...
«Comunque non è questo il
punto. Il punto vero è che hai ragione, oggettivamente parlando,
e che probabilmente Sirius non verrà espulso».
«Sì, ma resta il fatto che è
stato duramente punito. Credi che questo non influirà sul giudizio
ultimo dei M.A.G.O.?»
James assunse una posa in
qualche modo professionale,
gli occhi nocciola fissi sul viso di Lily senza tuttavia vederla davvero
e una mano tra i capelli scuri.
Lily rabbrividì e,
irrazionalmente, arrossì.
Cosa c’era che non andava in
lei, adesso?
«Influirà relativamente»,
iniziò, rianimandosi, «dopotutto, i M.A.G.O. sono il metro di misura
delle nostre abilità magiche; ritengo altamente improbabile che le
punizioni influiranno, o almeno, non in maniera decisiva. Non sei
d’accordo?»
C’era qualcosa nella sua voce,
nella sua postura e nella sua mano che tracciava segni astratti nel
vuoto che la portò a rabbrividire nuovamente.
Forse ho la febbre; qui
dentro c’è così tanta umidità...
«Certo, sì» concesse infine,
stanca di arrovellarsi il cervello per un tale idiota come Sirius Black.
«Ehi, Lily, usciamo insieme,
sabato?»
Fu come svegliarsi da un
sogno. In maniera molto brusca.
«Noi siamo qui a discutere
dell’espulsione del tuo migliore amico e tu mi chiedi di uscire?! Ce
l’hai una decenza?!»
«Ovviamente. Ma per un attimo
mi sei sembrata così accondiscendente che ho dovuto provarci» scrollò le
spalle, spingendo indietro i capelli.
Eppure restarono a guardarsi
per un tempo infinito. Poi Lily parlò.
«Sai che ti dico, Potter?
Perché n—»
La porta della biblioteca
sbatté e il cupo rimbombo rimbalzò sulle scaffalature.
Pochi passi lunghi e
frettolosi, il rumore di un respiro affaticato e, infine, la figura
disordinata di Sirius.
La camicia gli svolazzava sui
fianchi, la cravatta pendeva dalla spalla destra e aveva un’aria
insopportabilmente compiaciuta e soddisfatta.
Sollevò entrambi i pollici e
Remus e James scattarono in piedi; poi si scambiarono il pugno, un
rapido abbraccio e qualche risata sollevata (accompagnata dai “oh, ma
noi lo sapevamo” di circostanza).
Lily spinse da parte i libri e
si defilò, sentendosi improvvisamente di troppo.
Con un sorriso, realizzò che
Sirius Black l’aveva interrotta nel momento in cui stava per dire a
Potter che aveva cambiato idea.
Si domandò distrattamente come
avrebbe reagito il ragazzo, se l’avesse saputo.
Ma la verità era che il suo
cervello pescava ricordi apparentemente casuali, collegati in realtà dal
fatto che lì, in quelle memorie fotografiche, lui fosse James e non
Potter.
E non era fatto sconosciuto
che James le
piacesse. Non in senso romantico, no; le piaceva allo stesso modo di
Remus, se proprio doveva trovare un metro di confronto.
Durante le vacanze pasquali e
tutto quello che avevano comportato, si era chiesta spesso cosa sarebbe
successo se avesse deciso di coltivare la sua amicizia con James,
sforzandosi di ignorare Potter.
Le tornarono in mente la
miriade di biglietti scambiati con Anonymous –
ripensarci dopo così tanto tempo la portò a sorridere e quasi le mancò
il respiro quando appurò che non provava più rabbia, risentimento o
vergogna per quella faccenda, ma solo un sottile divertimento – e decise
volontariamente di rivedere un preciso biglietto.
“Sei
una bella persona”.
Allora ebbe un’idea. Se aveva
funzionato una volta, perché non poteva accadere nuovamente?
Fece una rapida visita alla
Guferia, cercando tra i molti uccelli quello di cui necessitava.
Era l’unico che dormiva,
appollaiato sul trespolo. Lily lo svegliò premendo l’indice nel
piumaggio e quello chiurlò stizzito, beccandole il dito.
«Svegliati, stupido; mi servi»
ordinò bruscamente.
L’animale gettò un grido
stridulo, spingendo la testa in avanti, ma restò fermo e in attesa.
Lily strappò a metà un foglio
di pergamena, stappò velocemente la boccetta d’inchiostro e vi intinse
la piuma, usando il davanzale come piano d’appoggio.
Quando ebbe finito, lo legò
alla zampa del gufo.
«A Potter, mi raccomando».
° ° °
“A quanto pare, il tuo amico
ha l’abitudine di rovinare tutto, che lo riguardi o meno. Stavo per
dirti che avevo cambiato idea, ma adesso l’ho cambiata nuovamente; che
vuoi farci, sono fatta così. Gli attimi vanno colti e Black ha sprecato
la tua occasione.
Ma non disperare, Potter;
forse, se mi darai prova di essere una persona anche solo un po’
intelligente, potrei cambiare idea ancora.
PS: A quanto pare, mi
sbagliavo: ero convinta che l’avrebbero espulso. Ho detto il contrario
solo per sollevarvi l’umore. Be’, sono contenta per voi.”
James sorrise, ma quando
Sirius si avvicinò per ficcanasare, non mancò di schiaffeggiarlo forte
sulla guancia.
1 – Tributo e omaggio
all’ironia pungente di Gregory House – il dottore più famoso di sempre –
in riferimento alla puntata 8x22 (Everybody Dies)
NdA:
Prima che qualcuno lo domandi: no, non sto affrontando un brutto
periodo. E sì, sto perfettamente bene.
Solo che, che devo dirvi?, le
lettere mi sembravano così brutte che, per abbellirle, ho deciso di
donare loro un gradevole riempimento simil-pergamena.
Va bene, la verità? Mi sono
divertita a pasticciare col Word, ecco, l'ho detto.
Lasciando da parte le mie
stupidissime confessioni, credo che stavolta dovrò davvero dare qualche
spiegazione.
Sirius. Io ho il forte timore
di essere precipitata in un mare di OOC, ma devo proprio spezzare una
lancia a mio favore: ho letto molte fanfiction sul young-Sirius e sapete
cosa? Non ho mai visto un riferimento che sia stato uno alla sua vita a
Grimmauld Place.
Insomma, per dirlo in parole
spicciole: 'sto povero ragazzo è stato vittima della malignità della
madre da quand'era praticamente bambino. Vogliamo davvero credere che
questo per lui non abbia significato nulla? Che non abbia le sue
cicatrici? No, ovviamente no.
Quindi mi è sembrato coerente
riallacciarmi a quel periodo della sua vita quando è stato affrontato
l'argomento Remus, che, ricordiamolo, lo mette in profondo imbarazzo sia
con se stesso sia con gli altri.
Ho pensato che le emozioni
negative di quel momento avessero risvegliati determinati demoni e
scatenato le relative reazioni.
Tutto qui. Ma, come dico
sempre, non abbiate timore e ditemi senza preoccupazioni se questo punto
per voi è OOC o IC.
Silente. Silente è un gran
ficcanaso. Ma è anche tanto carino e anche lui ha avuto un'infanzia di
m... ahm, molto brutta (ah, la cosa va per la maggiore, nel mondo di HP;
ci sto facendo caso solo ora, sapete?) e questo gli ha permesso di
capire Sirius e convincere gli altri.
Ah! Non mi sono dimenticata
della punizione di Sirius, no. Sto solo pensando in
cosa consisterà.
Lily. Lily deve darsi una
bella svegliata, ragà; la fanfic sta finendo e lei è ancora una
dannatissima indecisa. No, non va bene.
Perciò ho deciso di darle un
bel ca... ehm, una bella spinta per portarla a ripensare a James, a quel
James che le piace.
Ovviamente, mi sono
arrovellata parecchio il cervello per cercare di introdurre la cosa in
maniera organica e, anche qui, spero di esserci riuscita gradualmente,
senza cambi bruschi di direzione.
Ancora una volta, l'ardua
sentenza ai lettori.
Infine, permettetemi di
ringraziare sentitamente e profondamente e umilmente e tuttomente
chi ha recensito lo scorso capitolo. Ho letto le vostre recensioni, mi
hanno lusingata e un po' commossa, come ogni volta, e nulla, mi sento
veramente una brutta persona per le risposte mancate (risposte che ho
sempre cercato di dare, in ogni storia) ma la mia situazione al momento
è molto complicata, giacché ho solo un paio d'ore libere la mattina e un
paio al pomeriggio. Perciò, vi prego di accettare un grazie collettivo e
niente, vi amo tutti.
E direi che basta così, oggi;
vi ho annoiati sin troppo e il pranzo mi attende.
Ci becchiamo martedì prossimo
- problemi e cazzi vari permettendo.
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo XV: Equilibri paradossalmente in bilico e cose non dette che sarebbe davvero opportuno dire ***
Nuova pagina 1
16.
Capitolo XV.
Equilibri paradossalmente in
bilico e cose non dette che sarebbe davvero opportuno dire.
“Abbiamo fatto a
botte. Per colpa tua. No, non è vero: non abbiamo proprio fatto a
botte.
Però c’è stata una
piccola colluttazione in seguito a quello che tu hai detto.
Comunque, colpi a
parte, ci esci o no con me?”
“Non volevo certamente
che voi finiste alle mani; ripugno qualsiasi forma di violenza.
Ma... per me è no,
Potter. Te l’ho detto: la tua occasione è volata via, proprio come
questo gufo idiota. Che ne dici di cambiarlo?”
“Che ha
Centonovantadue che non va? È un gufo molto zelante, sai? E vorrei farti
notare che la mia occasione è volata per colpa di Sirius. Non è giusto
che io paghi per colpa di qualcun altro. Dai, usciamo insieme?”
“Non mi piace; ci
detestiamo reciprocamente.
Hai notato?”
“Cosa? Che vi
detestate? No, non l’avevo notato. Non svicolare, per favore. Ti ho
fatto una domanda, Evans, sii buona e rispondi.”
“Non mi riferivo al
gufo. Mi riferivo al fatto che io e te, quando non siamo faccia a
faccia, riusciamo a parlare come due persone normali.”
“Non che normale
sia un aggettivo che ci appartiene, comunque. Siamo le persone più
incasinate che io abbia mai conosciuto. E STAI CONTINUANDO A
S-V-I-C-O-L-A-R-E.”
“Non urlare, Potter;
non distruggere il delicato equilibrio di questa conversazione.
E se tu leggessi bene
quello che ti scrivo, noteresti che io ho già risposto.
Incasinate, dici? Mah,
non che io abbia troppi casini, Potter.”
“No, forse non così
tanti, lo ammetto. Adesso però sei tu che manchi di notare qualcosa di
importante.”
“Sarebbe?”
“Stiamo discutendo da
tre ore almeno (Centonovantadue sta iniziando ad essere restio, a
proposito), siamo entrambi assonnati e stanchi, ma eccoci qui. E,
ammettilo, stiamo bene insieme. Quindi perché non uscire insieme? Che
differenza può mai fare?”
“Tanta, più di quanto
tu possa immaginare. Forse sarebbe il caso di discutere dei nostri conti
in sospeso, prima.”
“Ci sto, perfetto!
Sabato alle undici? Io, te e un paio di Burrobirre?”
“Buonanotte, Potter.”
“No, no, aspetta! Va
bene: prima si parla, poi si esce. Domani dovresti avere due ore libere,
so che la professoressa di Rune Antiche non c’è. Allora?”
“Mi spii? Come diavolo
fai a sapere dei miei orari?”
“Rilassati. So di Rune
Antiche perché la frequenta anche Remus. Allora, andata?”
“... andata.”
“Grande. Buonanotte,
Lily (che ne dici di passare al nome di battesimo?)”
“Buonanotte, Potter
(dico di no).”.
° ° °
Lily si svegliò incredibilmente di buon umore. E
l’attimo dopo realizzò la sgradevole presenza del nervosismo, acquattato
in un angolo della sua pancia.
Sul suo comodino, accuratamente piegati,
giacevano i biglietti che la sera prima si era scambiata con Potter.
Stentava ancora a credere quanto le fosse
piaciuto parlare con lui.
Ma la verità era chiara agli occhi di entrambi:
quando non erano l’uno dirimpetto all’altra, non erano nervosi né le
loro espressioni facciali potevano irritarli. La scrittura celava ciò
che guastava le loro conversazioni a-tu-per-tu e, al contempo, rivelava
ciò che le conversazione a-tu-per-tu non lasciavano uscire.
Da quei biglietti emanava un’autenticità
piacevole, dove lui smetteva di essere Potter per essere semplicemente
James, perfino divertente nella sua schiettezza e nel suo modo di
rapportarsi.
Ma Lily era abbastanza sveglia da sapere che la
cosa non si reggeva in piedi: non poteva evitare per sempre un confronto
diretto con Potter e dialogare con lui solo tramite gufo.
Ma se avesse trovato il modo di unire le due
cose...
«Oh, mio Merlino. Sono le sette del mattino e tu
sei già immersa nelle tue paranoie» biascicò Mary, lasciandole una
carezza sulla testa.
Lily la scacciò bruscamente.
«Non è vero, non sono immersa nella paranoia.
Stavo solo riflettendo. Dovresti farlo anche tu, di tanto in tanto».
Mary gettò indietro la testa per lasciarsi
andare ad una risata sprezzante e civettuola.
«Io mi dedico alla morbida, sensuale carne
maschile. Dovresti farlo anche tu, di tanto in tanto» rimbeccò nello
stesso momento in cui Marlene esordì con un fiacco: “’Giorno”.
«Marlene, tieniti libera questa sera: dobbiamo
parlare».
«Di cosa?» domandò preoccupata, una piccola ruga
a incresparle lo spazio tra le sopracciglia.
«Della stronzata che hai fatto. Ma ne
riparleremo stasera».
Corse in bagno, spingendo di lato Mary, la quale
imprecò. Mary era così dannatamente lenta che Lily, il più delle volte,
era in ritardo per colpa sua.
° ° °
«Sei di buon umore, oggi; qualche sega
particolarmente appagante?»
«Che palle, Sirius; inizi ad essere snervante e
ripetitivo».
«Anche tu; specialmente quando trascorri tanto
tempo in bagno».
«Ma piantala! Piuttosto», posò il gomito sulla
spalla del ragazzo, così da potergli parlare nell’orecchio, «cerca di
chiarire le cose con Remus. Se hai proprio deciso che lui non ti piace,
diglielo; il dubbio lo sta divorando».
Gli piantò una manata tra le scapole, come
incoraggiamento, e annodò frettolosamente la cravatta; raccolse la
tunica (che si gettò in spalla) e la borsa e andò via, lo stomaco vuoto
e brontolante.
Remus uscì dal bagno in quel momento esatto.
Sirius ponderò per qualche istante, soppesando i pro e i contro
implicati nel consiglio di James; ma, siccome da tempo immemore tendeva
a fidarsi di lui senza mai pentirsene, decise di affrontare il problema
di petto, via il dito, via il dolore, come dicevano i Babbani. O
qualcosa del genere.
«Ahm, Remus...» iniziò, chiamando a raccolta le
parole necessarie. Non era facile parlare di qualcosa di così delicato
senza ferire Remus, che eccedeva in sensibilità.
Gli consigliò allora di sedersi, mentre lui
preferì restare in piedi, sentendo il bisogno di tenersi a debita
distanza.
«Senti... io apprezzo quello che tu, uhm, provi
per me... mi fa sentire, ecco, benvoluto, però... Cazzo» imprecò,
passandosi le mani tra i capelli ancora umidi di doccia.
Remus sollevò una mano, sorridendo amabilmente.
«Non c’è bisogno che tu prosegua, Sirius. Ho
capito. In verità, credo di averlo sempre saputo. Tu eri sempre così
circondato dalle ragazze, così attento a loro... come poteva essere
diversamente? Come potevo sperare che fosse diverso? Tu hai
interpretato male la mia, ahm, dichiarazione; non volevo farti sentire
in dovere di replicare o, addirittura, ricambiare. Ho voluto dirtelo
perché era diventato un fardello troppo pesante e sentivo il bisogno di
parlartene. Non voglio che questo cambi le cose tra di noi, davvero. Non
darti pensiero, non entrare in paranoia, non cambiare. Va bene così,
Sirius, dico sul serio».
Sirius ascoltò con estrema attenzione,
ritrovandosi ad annuire lentamente.
Avrebbe dovuto essere contento: le cose si erano
risolte e senza neppure che lui spendesse mezza parola in più. Allora
perché si sentiva come se Remus lo stesse salutando per sempre?
Perché si sentiva come quando le ragazze lo
mollavano?
In quel momento ebbe la certezza che la loro
amicizia era finita.
«Adesso devo andare; voglio ripetere Rune
Antiche» gli lasciò una pacca leggera sulla spalla, calzando il mantello
e andando via.
Ma oggi non hai Rune Antiche, Remus.
Era davvero finita, dunque.
° ° °
James si sentiva euforico ed elettrizzato, come
prima di una partita di Quidditch.
Era assolutamente convinto che era giunta la
svolta che aspettava, con Lily.
Era certo che avessero stabilito una forma
giusta di contatto. Adesso restava solo da traslare la forma scritta in
quella parlata.
Decise di provarci sin da subito, prendendo
posto accanto a lei.
Remus lo osservò perplesso e lui si limitò a
rispondere con un’intensa occhiata del genere ti spiegherò tutto dopo.
«Buongiorno».
«Oh, ciao» rispose lei, perplessa tanto quanto
Remus. Era cosa rara che James non sedesse con i suoi amici e tutto il
tavolo parve accorgersene.
«Vuoi?» domandò, la brocca di succo d’arancia in
mano.
«Sì, grazie».
Le versò da bere, servendosi poi una generosa
dose di ogni piatto.
«Mangi sempre così tanto?» si lasciò sfuggire
mentre il ragazzo si ingozzava.
«Spesso. Soprattutto nei giorni in cui ho
l’allenamento di Quidditch» spiegò, iniziando a masticare un panino
dolce farcito di confettura all’arancia.
Lily annuì. Stava per domandargli – per pura
educazione, non perché le interessasse, eh – se gli allenamenti lo
affaticassero molto, quando la sua attenzione venne attirata da Sirius.
Si vedeva chiaramente che evitava Remus come la
peste.
Prese posto accanto a James e quest’ultimo
abbozzò una smorfia di fastidio.
«Ho assoluto bisogno che tu salti Babbanologia,
oggi; devo parlarti».
James si sentì strappare in due metà uguali;
aveva già deciso di saltare le due ore di Babbanologia per vedersi con
Lily.
Certo, avrebbe potuto dedicare un’ora ad ognuno
e con ognuno lasciare le cose a metà, oppure scegliere tra il migliore
amico e la ragazza che amava.
Una scelta difficile e irritante.
«Ma tu non hai già un mucchio di assenze, in
Divinazione?» tentò disperatamente, sperando che questo invogliasse
Sirius a fare retromarcia.
«Non importa. È per una causa di forza
maggiore».
Scoccò una veloce occhiata a Lily, intenta a
parlare con Mary.
«Amico, le cose con» (scosse ripetutamente la
testa verso destra, in direzione di Lily) «stanno decollando. Non
possiamo parlare stasera? Ho davvero bisogno di parlare con lei»
mormorò, la voce attutita dal toast premuto contro le labbra.
«Ah» soffiò, chiaramente deluso e contrariato.
«Dài» lo incoraggiò con una pacca sulla schiena.
«Dài il cazzo, James» sbottò e si alzò e andò,
non prima di aver afferrato qualche biscotto.
James sospirò, scuotendo la testa.
«Ehi, Lily» la chiamò.
Lily si girò immediatamente e James ebbe la
spiacevole sensazione che la ragazza avesse ascoltato tutto.
«Senti, ti dispiace se di quella cosa ne
parliamo domani?»
A giudicare dalla sua aria perplessa, però, Lily
non doveva aver ascoltato nulla.
Nei suoi occhi verdi brillò un lampo di
sollievo; James sperò vivamente di esserselo immaginato.
«Ah. Be’, io domani ho la mattina piena e dovrò
studiare nel pomeriggio per recuperare il tempo perso per la punizione».
«E io finisco dopodomani e venerdì ho
l’allenamento. Resta solo il sabato, ma, sì sì, non fare quella faccia,
so come la pensi. Domenica?»
«Niente da fare; lunedì c’è il compito di
Trasfigurazione, ricordi?»
«Lily, vienimi incontro, però» sbottò,
innervosito. Ovviamente non bisognava essere un genio per capire
che Lily stava deliberatamente cercando di non ottenere un incontro.
In risposta, si strinse nelle spalle e tornò a
parlare con Mary, che le stava strattonando il braccio con insistenza.
Non gli rimase altro da fare che prendere la
borsa e andarsene.
«E se ne parlassimo durante la rond—? Potter?»
si guardò attorno, ma James era come scomparso.
«Ehi», disse in direzione di Eric Blowe,
Grifondoro del quarto anno, «dov’è finito Potter?»
«Se n’è andato. Parecchio incazzato, direi».
«Ah».
Si sentì oltremodo delusa, senza neppure
riuscire a trovare una spiegazione razionale.
° ° °
Sirius si distese su una delle panche, le
braccia saldamente incrociate sotto la testa.
Quando sentiva il bisogno di schiarirsi le idee,
prendere una decisione importante o quando doveva dedicarsi ad una
ragazza, il campo da Quidditch soddisfaceva tutte le sue esigenze.
Curiosamente, quel giorno ognuno di loro aveva
due ore libere a disposizione. E ognuno di loro era rintanato in un
angolo diverso del castello ad occuparsi dei propri problemi.
James calpestò l’erba morbida del campo, si
arrampicò agilmente sugli spalti e raggiunse Sirius, prendendo posto
alla panca immediatamente sotto a quella dell’amico.
«Ebbene?»
Sirius aprì un occhio.
«Non dovevi parlare con quell’imbecille di
Evans?»
James lo fissò malissimo.
«Uhm, spari a zero sulla gente e questo vuol
dire che sei fortemente turbato o fortemente incazzato. Che succede?»
«Succede che mi dài sempre dei pessimi consigli.
“Cerca di chiarire le cose con Remus”», lo scimmiottò in uno
sgradevole falsetto, «Abbiamo chiarito tutto, infatti; non mi parla più
e da quanto ho capito, ha tagliato ogni ponte con me».
«Avrai sicuramente tergiversato, come da prassi»
sminuì James.
«Tergiversato? Sai quale cazzata ha messo in
piedi per potersene andare? “Voglio ripetere Rune Antiche”. Mi
sta evitando, è chiarissimo. Quindi, tu hai combinato questo casino, tu
lo risolvi».
I ragionamenti di Sirius erano sempre
impeccabilmente discutibili.
«Ma magari voleva davvero ripetere Rune
Antiche».
«Oggi la professoressa è assente!»
«E uno non può avere voglia di ripetere
qualcosa, a prescindere che la docente sia presente o meno?!»
Sirius ci pensò un attimo.
«No!»
«Sirius», iniziò, indulgente e conciliante, come
se stesse parlando ad un bambino, «tu hai la deprecabile abitudine di
pensare sempre al peggio, di pensare che le persone passino il loro
tempo a ordire congiure ai tuoi danni».
L’altro si mosse a disagio, schiarendosi la
voce.
«Non so di cosa tu stia parlando, James. Io mi
limito solo a giudicare i fatti. Remus se ne è andato accampando una
scusa – precaria, tra l’altro, e questo la dice lunga. Questo non è
quello che penso sia successo, questo è quello che so».
«È inutile», disse, alzandosi in piedi, «io
continuerò a vederla a modo mio e tu a modo tuo; non ci capiremo mai.
Perciò, fa’ quello che ti pare, Sirius. Ti tratterrai qui ancora molto?»
chiese improvvisamente, come se fosse stato folgorato da un’idea.
«Non lo so».
«Okay. Be’, ci vediamo a pranzo».
Scavalcò i tubi di metalli che separavano gli
spalti dal campo e rivolse un’ultima occhiata a Sirius, apparentemente
tranquillo nella sua posa abbandonata e rilassata.
Scosse la testa e andò via.
° ° °
«Ehi, Remus» lo salutò Lily, prendendo posto
accanto a lui.
La Sala Studio era poco affollata, come al
solito; non molti studenti approfittavano delle ore buca per ripassare.
Quasi nessuno, a dire il vero.
«Ciao, Lily. Siediti, siediti» la invitò,
spostando la sua cartella. Lo ringraziò e prese posto con un sospiro.
«Tutto bene? Ti vedo un po’ giù di tono».
Lily mosse la testa a destra e sinistra, un
delicato movimento oscillatorio per dire che non andava bene ma neppure
male.
«Si tratta di James, Remus» confessò, estraendo
i libri di Pozioni; solo allora fu consapevole che tutti i presenti
avevano aperto sul tavolo lo stesso libro, che tutti ripetevano per
l’esercitazione con Lumacorno.
«Cosa ha combinato, stavolta?»
«Nulla, a dire il vero», spiegò, aggrottando la
fronte, «credo che siamo giunti ad una sorta di equilibrio, Remus.
Dovevamo vederci oggi, per parlarne, ma ha disdetto all’ultimo momento.
Tu sai perché?»
A dire il vero, Lily era stata tormentata dal
tarlo del dubbio in quel breve lasso di tempo che era trascorso dalla
colazione ad ora.
Aveva infatti notato che Stephanie Morgan, di
Corvonero, parlava freneticamente di quanto James fosse bello, atletico,
spiritoso, affascinante, eccetera, eccetera, eccetera.
Infastidita, Lily aveva storto il naso ed era
tornata ai suoi libri. Solo qualche minuto dopo aveva realizzato che
anche Stephenie frequentava Rune Antiche e che anche lei, quindi,
disponeva di due ore libere.
Non che fosse gelosa di Potter, assolutamente.
Ma le prese in giro non le erano mai piaciute.
«A dire il vero non sapevo neppure di questa
novità tra voi. Non ho idea di dove sia... ma l’ho appena scoperto»
sollevò la piuma e indicò James.
Lily si sentì cadere in braccio all’agitazione.
«Vai al campo di Quidditch» ordinò seccamente,
prendendo posto di fronte a loro.
«Perché?»
«Perché sono stanco di sopportare le paranoie di
Sirius. Quindi, fai il bravo e va’ a dirgli che tra voi è tutto okay».
Remus abbassò la testa, stringendo i denti.
James ebbe un brutto presentimento.
«Perché tra voi è tutto okay, vero?»
domandò, allarmato.
Lily seguì lo scambio con interesse.
«Non sei l’unico ad essere stanco di lui, James»
mormorò rabbuiato, ma si alzò comunque e ripose le sue cose.
James lo fissò andare via, sperando ardentemente
che si stesse davvero dirigendo da Sirius.
«Che succede tra quei due?»
James sobbalzò e solo in quel momento si accorse
di lei.
«Ah, sei qui. Vorrei saperlo anch’io, credimi»
si passò le mani tra i capelli, esasperato.
«Sei stato da Sirius, allora?» chiese, con
eccessiva apprensione.
Lui sollevò la testa lentamente, fissandola
stranito. Poi annuì con ovvietà.
Rimasero in silenzio, scrutandosi.
«Credo che Sirius stia tirando la corda con i
suoi fraintendimenti e credo anche che Remus inizi ad essere stanco di
questo. Si corrono dietro come due mocciosi e non fanno niente per
venirsi incontro. Remus la butta sulla diplomazia e Sirius pensa che
questo significhi inevitabilmente che Remus vuole allontanarsi da lui.
Non si capiscono; Sirius non capisce che Remus reagisce sempre così a
tutto e Remus non capisce lo stesso di Sirius. È tutto un gran casino»
concluse, stringendosi nelle spalle.
Lily ascoltò attentamente, pizzicando la punta
della penna.
«Be’», iniziò, schiarendosi la voce, «quello che
Remus prova ormai è fatto risaputo. Io credo che il problema sia quello
che prova Sirius».
James fece un sorriso ammirato.
«Esatto» convenne, agitando l’indice per aria.
«Probabilmente devono solo chiarirsi su questo.
Tu cosa ne pensi?»
«Penso che Sirius perde di vista tutto, ogni
volta che incontra qualche ostacolo; adesso l’ostacolo è Remus e questo
lo confonde il doppio. Ma non saprei proprio dire cosa Sirius prova
veramente per lui» si strinse nelle spalle, tirando fuori il suo manuale
di Pozioni.
Poi le indirizzò un sorriso gentile – sì,
proprio gentile – e Lily capì che la conversazione era finita.
Tornò allora a dedicarsi al capitolo che stava
leggendo, sentendosi incredibilmente più leggera.
Aveva avuto la prova che James era capace di
comportarsi come una persona adulta, attento ai suoi amici e a ciò che
stravolgeva i loro equilibri; aveva perfino lasciato intendere che anche
lui, il magnifico, esuberante Potter, avesse bisogno di aiuto, qualche
volta, di parlare con qualcuno dei suoi problemi con i suoi amici.
«Ehi» lo chiamò, senza però staccare gli occhi
dal libro.
«Mh?»
«Usciamo insieme, sabato?»
James restò zitto per qualche secondo.
«Okay» esalò infine, tranquillo e immensamente
soddisfatto.
° ° °
«Volevi parlare con me?» chiese Marlene,
frizionandosi i capelli bagnati.
Lily annuì e le domandò di sedere accanto a lei.
«Marlene, quello che hai detto su Black non è
stato carino. Ricordo come e quanto ti ha preso in giro, in questi anni,
ma questo non ti dava il diritto di cacciarlo in questa situazione
assurda. E anche tu, Mary» disse, rivolgendosi alla ragazza, impegnata a
laccare le unghie di verde mare, «smettila di parlare di cose che non
sai. Mi aspetto che tutte e due, domattina, vi scusiate con Black. È uno
stronzo, lo sappiamo tutti, ma questo non lo meritava. Avete giocato
sporco, tutte e due» le additò rispettivamente, alzandosi.
Marlene ebbe la decenza di arrossire e
distogliere lo sguardo; Mary replicò con un sorrisetto stizzito.
«E così, io dovrei scusarmi con lui?»
«Dovresti» convenne Lily, nella voce una leggera
sfumatura d’avvertimento.
«Uhm, non credo lo farò, sai? Non perdono chi mi
prende in giro. E poi scusa, da quando ti interessi a Black?»
A Lily il tono allusivo della sua domanda non
piacque affatto.
«Da quando voi avete iniziato a minacciare la
sua amicizia con Remus; a me non piacerebbe che qualcuno diffondesse
voci false che ci porterebbero a litigare».
Al di là dei motivi che la spingevano ad
interessarsi ai Malandrini, Lily perseguiva la giustizia, sempre e
comunque, e quello che avevano fatto Marlene e Mary non era giusto;
soprattutto se si teneva conto che Black e compagnia, in quell’anno, non
avevano infastidito nessuno.
Se ne erano rimasti buoni al loro posto, a farsi
gli affari loro; c’era stato qualche battibecco con alcuni ragazzi,
d’accordo, ma nulla a che vedere con i metodi brutali e scorretti cui
erano ricorsi negli anni precedenti.
Erano cresciuti anche loro e si erano stancati:
semplice, e andava bene a tutti.
«O forse, da quando hai iniziato a interessarti
a Potter. Questa sì, che è una novità».
Si sentì impallidire.
«Hai letto la mia corrispondenza» sussurrò, la
rabbia che risaliva dallo stomaco.
«Be’, era lì, sul comodino, in bella vista. È
carinissimo, sai? Sì sì, proprio carino, almeno quanto tu sei cieca,
ingenua e stupida».
Lily indietreggiò come se l’avesse
schiaffeggiata.
Cosa stava succedendo? Perché adesso si parlava
di lei?
Calma, calma, Lily. Risolvi la questione
diplomaticamente e poi vai a dormire.
«Sei particolarmente irritante oggi, Mary. C’è
una ragione specifica?»
Mary si rifugiò dietro un sorriso innocente e
una scrollata di spalle.
«Voi due domani vi scuserete con Black» ordinò
perentoria.
«Altrimenti?» la sfidò Mary.
«Altrimenti vi denuncio alla McGranitt; sono tua
amica, ma sono anche Caposcuola; non commettere l’errore di
dimenticarlo, Mary».
Si infilò sotto le coperte e serrò le tende
attorno al baldacchino, fremendo di rabbia.
Si prospettava una nottata in bianco.
NdA: Buonasera, ragazzi.
Puntuale come un orologio svizzero; il che è
relativamente facile esserlo quando il capitolo è stato scritto una
settimana prima, tra una pausa-studio e l'altra. Confido di poter fare
lo stesso con il sedicesimo.
L'unico intoppo di oggi era appunto lo studio:
dovendo passare al setaccio quarantatre pagine, non avevo idea di quando
sarei riuscita ad aggiornare - prevedevo un aggiornamento in tarda
serata, addirittura. Ma la natura è stata particolarmente brutale, oggi,
e mi ha costretta ad un pit-stop forzato. Capita.
Chiusa questa breve parentesi sulla mia
noiosissima vita, veniamo brevemente al capitolo.
È ufficiale: James e Lily sono stati i
precursori degli SMS. Jily: 1 - Martin Cooper (o chi per lui): 0.
E proprio a proposito di questi due scemi (so
che passo metà del mio tempo a dipingerli come imbecilli e l'altra metà
ad insultarli, ma in realtà li amo visceralmente), mi auguro fortemente
che il cambio di direzione non sia avvenuto in maniera troppo brusco; mi
sono sforzata di preparare il terreno già diversi capitoli fa e spero
che questo, insomma, si sia notato e che quindi il cambio di intenzioni
non risulti troppo estraneo.
Sirius e Remus. Non li sopporto più, ve lo
giuro. Ogni volta che vorrei dare loro una svolta, c'è la parte più
angst, cattiva e fanghérl di me che mi sussurra all'orecchio: "Cosa
diciamo alla Wolfstar, Sara? Non oggi, non oggi". E quindi sì, c'è
sempre questa logorante battaglia interiore che mi sta sfibrando. (Sono
perfettamente sana di mente, se ve lo stesse domandando.)
Ma state tranki, arriverà: quell'oggi, prima o
poi, arriverà. Se sarà dentro o fuori questa fanfiction, ahimé, non so
dirvelo; devo ancora decidere, a riguardo.
Voi, nel mentre, fate un piccolo sforzo, come
me, e sopportateli. Ogni volta che li sopportate vi allungo un Ape
Frizzola, se volete.
(Sto iniziando a chiedermi se per caso non abbia
esagerato con le Moment, oggi...)
Ultimo avvertimento, che poi è quasi uno
spoiler: occhio a Mary. Solo questo.
Bene, vi ho rotto le palle fin troppo e quindi
mi eclisso, non senza aver prima ringraziato le otto, meravigliose
persone che hanno commentato lo scorso capitolo, nonostante la mia più
totale assenza di risposte (e di questo me ne dolgo, ma proprio tanto).
A tal proposito: credo che abbozzerò una risposta collettiva - magari
rispondendo a qualche pensiero particolare che avete espresso - che
inoltrerò ad ognuno di voi: so che è poca cosa, ma ci tengo davvero.
Be', allora arrivederci a martedì prossimo!
PS: Per chi si stesse interrogando circa la
salute di Centonovantadue... ha un diavolo per piuma, ma sta benone. Be
tranki, girls.
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Capitolo XVI: Gli imbrogli (smascherati) di Mary Macdonald e i suoi bruschi cambi di rotta. Che diavolo succede? ***
Nuova pagina 1
17.
Capitolo XVI.
Gli imbrogli (smascherati) di
Mary Macdonald e i suoi bruschi cambi di rotta. Che diavolo succede?
Le segrete sotto le segrete erano ripugnanti,
umide e buie.
Lì per lì, Sirius aveva pensato ad uno scherzo.
Insomma, aveva anche commesso una cazzata o due, ma non poteva
credere di essere stato destinato ad una sorte simile.
Quando però Gazza l’aveva sospinto oltre la
porta di ferro scuro e ammantata di ragnatele, l’orrore l’aveva invaso.
«Stai scherzando?!» aveva sbottato contro Gazza,
il quale gli aveva scoccato un’occhiata di puro veleno.
«Ordini dall’alto, Black» aveva replicato,
mellifluo e maligno, estremamente compiaciuto di trovarsi laggiù; Gazza
era un vecchio pipistrello, era naturale che si trovasse a suo agio nel
suo habitat naturale.
«E cosa dovrei fare?»
«Pulire, tirarle a lucido. Tieni» gli sbatté sul
petto secchio e scopa, comunicandogli poi che sarebbe tornato a
riprenderlo tra un paio d’ore.
Arrancò sulle gambe malferme e si chiuse dietro
la porta, che stridette orribilmente, come se un gatto fosse incappato
tra i cardini e lì morto.
«Oh, porca...» Sirius fece per prendere la
bacchetta, salvo poi ricordare che la McGranitt gliel’aveva confiscata
la mattina prima, sostenendo che gli sarebbe stata restituita solo
durante le lezioni che ne necessitavano l’uso.
Una candela splendeva, lontana e debole. Sirius
arrancò nel buio e si immobilizzò quando un qualcosa passò sui
suoi piedi, scappando via.
Si passò il polso sulla fronte, imponendosi la
calma.
Era stupido aver paura di quel luogo; non c’era
assolutamente nulla laggiù, a parte lui.
Afferrò la candela, dopo averla finalmente
raggiunta, e tramite quella riuscì ad accendere le altre.
Il luogo era ancora più spaventoso di come era
apparso nella fioca penombra.
Grossi Gargoyle di pietra spuntavano dal
soffitto, come pipistrelli ancorati ai mattoni.
I loro musi erano terrificanti e gli occhi
ammiccavano, rossi e cupi.
Pietre. Sono solo pietre. Rubini o roba del
genere.
Poi, qualcosa lo travolse, scaraventandolo sul
pavimento. Una risata stridula echeggiò.
«Pix!» strillò, infuriato, rialzandosi in piedi
solo per venire nuovamente abbattuto.
Uno dei canini inferiori squarciò il labbro e il
naso scricchiolò dolorosamente prima di rompersi e inondargli la faccia
di sangue.
Pix rise ancora. Era risaputo che il poltergeist
odiasse Sirius. Era stato odio a prima vista, sin da quando un Sirius
allora bambino aveva varcato la soglia della Sala d’Ingresso.
Ma l’entità non si era mai spinta a tanto, non
quando c’erano stati tanti occhi a guardarlo e professori in agguato
ovunque.
Sirius quasi rimpianse Kreacher, l’elfo
domestico di casa Black. Quasi.
Pix lo caricò nuovamente e Sirius allungò
istintivamente le mani in avanti, solo per sentire i palmi bruciare
quando la pietra scabra li graffiò.
Si sentiva sporco di polvere e terra ovunque e
la sua camicia, fino a poco fa bianca, era chiazzata di terra e sangue.
«Siriuccio Blackuccio non è più così bello e
profumato» lo schernì, sghignazzando.
Poi decise di essersi divertito abbastanza;
sfilò contro il muro e lì sparì.
Raccolse la scopa e il secchio – ormai vuoto – e
iniziò a spazzare, costringendosi di tanto in tanto a fermarsi quando le
mani bruciavano insopportabilmente.
Strinse i denti e continuò; prima avrebbe
rimesso in ordine quella latrina, prima gli sarebbe toccato un altro
compito, sperava, migliore.
° ° °
L’occhio di James era visibilmente gonfio e
visibilmente nero quando rientrò in Sala Comune.
Remus e Peter gli corsero incontro, allarmati.
«Non è niente, smettetela; Monique mi ha colpito
accidentalmente con la mazza, passerà» spiegò, liquidandoli entrambi.
Si guardò attorno, intenzionato a parlare con
Lily (e assicurarsi che non avesse cambiato idea), quando qualcuno gli
andò incontro, domandogli di seguirlo fuori.
«Ho bisogno di parlarti» disse l’interlocutore,
incamminandosi verso il buco del ritratto. Perplesso, James seguì la
persona che gli camminava davanti, superò il buco e rimase in attesa.
«So che domani uscirai con Lily».
«Sì, e allora?»
«Ti sta solo prendendo in giro, Potter. Davvero,
io non avrei mai voluto dirtelo, ma... lo fa per mettersi a posto la
coscienza, così da non avere rimorsi quando uscirete di qui. L’ho
sentita che ne parlava con Marlene ed Alice. Non ha alcuna intenzione di
frequentarti o diventare la tua ragazza; a dire il vero, non è certo
nemmeno che voglia esserti amica. Insomma, tu la conosci, no? Ti ha
sempre disprezzato, perché mai dovrebbe essere diverso, ora?»
James indietreggiò come se fosse stato preso a
pugni.
«Cosa stai dicendo? Lei non farebbe mai una cosa
del genere; è troppo... onesta».
L’interlocutore rise.
«Ah, come la conosci poco!»
Gli batté una pacca sul petto e tornò in Sala
Comune.
° ° °
«Possiamo parlare?»
Lily alzò gli occhi dal tema che stava
scrivendo. Era l’ultima persona con cui desiderava parlare.
«Cosa vuoi?»
«Potter ti sta prendendo in giro. Sabato uscirà
con te, ma prima era negli spogliatoi a baciare una di Corvonero. Non ho
idea di chi fosse, ma era molto preso».
Fu come se le avessero gettato addosso una
secchiata di acqua gelida, seguita da una bollente.
Il pensiero volò a Stephanie. Che era di
Corvonero. Possibile?
«Non mi importa. Non lo devo mica sposare»
replicò sulla difensiva, tornando al suo tema.
Quando sollevò gli occhi, la persona era già
scomparsa.
° ° °
Era troppo stanco e troppo affamato per andare
in Dormitorio, lavarsi e scendere a cena.
Il naso aveva smesso di sanguinare – dopo che vi
aveva premuto sopra un lembo di camicia – ma doleva oltre l’umana
sopportazione; il labbro inferiore era gonfio e livido; le mani erano
solcate da graffi frastagliati e rossi.
Non era uno spettacolo gradevole, ma non era
dell’umore adatto per curarsi degli altri.
Quando entrò in Sala Grande, però, tutti si
zittirono.
Ignorandoli, prese posto accanto a James, la cui
forchetta cadde e tintinnò nel piatto.
Lo fissava a bocca aperta; poi, quando rinvenne,
ispirò bruscamente.
«Chi?» ringhiò, alzandosi e lanciando occhiate
di fuoco per tutta la sala.
Sirius lo tirò giù.
«Pix. Si è divertito per bene. È tutto sangue,
non stare lì a preoccuparti, sto benone» disse, servendosi una generosa
porzione di pasta al sugo, un piatto insolito ma che adorava.
«Devi andare in Infermeria» consigliò Peter,
timidamente.
«Dopo», lo liquidò, «adesso ho fame e voglio
mangiare».
Lentamente, gli studenti ripresero a
chiacchierare quando i professori comparvero in Sala, sedendo ai loro
posti.
Sirius si nascose dietro a James, ingobbendosi.
Non desiderava la loro attenzione e neppure le loro domande.
«Senti», iniziò James, scoccando una rapida
occhiata a Remus, che, pallido, era sul punto di vomitare, «non ho avuto
modo di chiedertelo, ieri: Remus è venuto da te, al campo?»
Sirius lo fissò perplesso, quindi negò.
James fissò nuovamente Remus, con aperta
ostilità, borbottando un “idiota”.
«Allora, le segrete sono pulite come le avevo
lasciate?» domandò, ricordando la punizione scontata con Lily.
Lo stomaco si contrasse. “Ti sta prendendo in
giro. Ah, come la conosci poco!”.
Non pensarci adesso. Domani, rimandalo a
domani.
«Non sono quelle segrete; sono quelle
sotto» farfugliò, la bocca piena di pasta.
«Uhm. Ti sono vicino, amico».
«Disse quello che ha scontato la pena in
Biblioteca» lo redarguì, scrollandosi di dosso la sua mano. James rise.
«Hai finito?» domandò.
«Sì, adesso sì» rispose, posando la forchetta
nel piatto.
James batté le mani e si alzò. Poi ordinò a
Remus di fare lo stesso, ignorando il fatto che il ragazzo avesse ancora
il piatto mezzo pieno e la forchetta in mano.
«Ti accompagniamo in Infermeria» spiegò.
«Sei la mia dannata balia?»
«Muovi il culo» replicò, trascinandolo in piedi.
° ° °
«Chi ti ha conciato così?» domandò aspramente
Madama Chips, le mani sui fianchi.
«Pix. Mi ha attaccato nelle segrete».
«Perché non ti sei difeso?»
«E come avrei potuto? Non ho più la bacchetta»
spiegò, stringendosi nelle spalle.
La donna espirò rumorosamente, spingendolo sulla
branda.
Iniziò ad armeggiare con pozioni e intrugli,
borbottando tra sé.
Era indignata dal fatto che Silente avesse
riservato ad un ragazzo una punizione così squallida.
«Mandarti laggiù, in quel luogo infestato di
topi e Merlino solo sa cos’altro. E senza bacchetta, per giunta! Io non
lo capisco, non lo capisco» ripeteva in continuazione, mentre imbeveva
un fazzoletto di cotone di una strana cosa blu e maleodorante,
passandola quindi sul labbro di Sirius... che balzò in piedi e gridò
come una ragazzina, gli occhi pieni di lacrime.
«Torna qui, Black; una volta il Vaiolo di Drago
si contraeva così, sai? E i draghi non c’entrano nulla, credimi» lo
spinse nuovamente sul letto e gli disse di stare fermo.
Bruciava come se la donna avesse acceso un fuoco sulla sua pelle. Era
insopportabile; contrasse ogni muscolo a lui noto e trattenne lì il
dolore, senza riuscirci granché.
Poi la porta si aprì e Remus lo distrasse per
due meravigliosi, dolcissimi secondi.
Avrebbe potuto amarlo, in quel momento. Poi però
il dolore tornò e si sentì di odiarlo.
«James è dovuto tornare indietro a fare non so
cosa» spiegò tranquillo, sedendosi accanto a lui.
Sirius ne approfittò per stringergli il braccio
e sfogare il dolore. Remus sopportò stoicamente, sorridendo a nessuno in
particolare.
«Come sta, Madama Chips?»
Il malumore della donna affiorò nuovamente.
«Bene; finora nessun taglio ha schiumato, questo
è un buon segno. Ma Silente... non si rende conto... bah».
Tamponò il fazzoletto su ogni singolo graffio
alla mano sinistra e Sirius si sentì sul punto di svenire.
Quella immotivata tortura si protrasse per altri
dieci, estenuanti, brucianti minuti, poi Sirius non fu più capace di
tollerare alcun tocco.
Spinse via Remus, si distese sul letto e
premette un braccio sugli occhi.
Stava ascoltando Remus e Madama Chips discutere;
seguì un breve silenzio e quando tolse il braccio incontrò l’espressione
turbata e accigliata della McGranitt.
Allora capì che doveva essersi addormentato,
giacché non ricordava affatto l’ingresso della donna.
«Non andrai più laggiù» esordì lei, spingendo
sul naso gli occhialetti tondi.
Sirius annuì pensosamente, domandandosi quindi cosa avrebbe fatto, dal
giorno seguente sino alla fine dell’anno.
«E quindi?»
«Trascorrerai il tempo nelle cucine; ti
occuperai di lavare i piatti e spazzare il pavimento. E, ah, non provare
neppure a chiedere aiuto agli elfi» snocciolò velocemente, dirigendosi
alla porta.
Non gli concesse neppure il tempo di replicare;
non che ce ne fosse ragione, comunque. Cucine erano sinonimo di cibo a
scrocco, gustoso, delizioso cibo a scrocco. Andava più che bene, in
effetti, e per la prima volta in sette anni si ritrovò ad essere grato a
Pix.
«Dov’è Remus? E James?»
«I tuoi compagni sono in Dormitorio».
«Bene, me ne vado anch’io, allora». Fece per
alzarsi, ma Madama Chips lo spinse nuovamente giù, sostenendo che
avrebbe trascorrere la notte lì: non si fidava a non averlo sott’occhio
ed era risaputo che la notte era sempre il momento più critico dopo un
incidente.
Sirius protestò tanto e a lungo e alla fine
gettò la spugna.
Si spogliò, tirò via le coperte e affondò la
faccia nel cuscino.
° ° °
James Potter si attardò in Sala Comune, quella
notte.
Aveva provato a dormire, ma era finito con il
rigirarsi continuamente da una parte all’altra, fino a che Peter e Frank
non l’avevano preso e gettato fuori di peso. Letteralmente.
Era stato molto sgarbato e insensibile, da parte
loro.
Così, offeso e irritato, si sdraiò sulla
poltroncina (per quanto può sembrare strano ai lettori, è proprio quello
che fece) e, le gambe penzoloni, osservò annoiato il fuoco consumarsi e
assottigliarsi, riducendosi ad una manciata di braci ardenti.
La pendola si animò con inopportuna vivacità,
battendo dodici, squillanti colpi. Mezzanotte. Sabato.
Un fremito di agitazione lo attraversò,
trascinando con sé il ricordo delle parole dell’inaspettato
interlocutore. E così, Lily stava solo pulendosi la coscienza così da
non avere rimorsi una volta fuori da Hogwarts. Poco credibile. Conosceva
Lily – be’, la intuiva – abbastanza da sapere che no, lei non
avrebbe mai giocato a quel modo con una persona; l’ipocrisia era una
componente estranea al suo essere, al suo carattere, alla sua persona,
lo sapeva bene. Non una volta Lily aveva taciuto per sfogarsi poi alle
spalle del diretto interessato; aveva sempre dato voce ai suoi pensieri,
incurante dell’altrui pensiero o della possibilità di arrecare offesa.
Lei era fatta così e in molti la detestavano, per questo. Perfino lui ci
era cascato, nei primi tempi, associandosi ai più, considerando Lily non
molto più di una ragazzina petulante e permalosa, sempre pronta a far
polemica, sempre pronta a colpire di lingua ad ogni buona occasione.
Solo in seguito si era ritrovato a desiderare che Lily lo colpisse di
lingua, ma non nella maniera convenzionale. Pensiero poco carino, ma
vero.
Ma sarebbe opportuno precisare che solo dopo si
era ritrovato a desiderare Lily, punto. Anche questo,
effettivamente, era un pensiero ancora meno carino.
Ma quali che fossero i suoi pensieri, di una
cosa era assolutamente certo: Lily gli aveva proposto (Mio Merlino,
non riesco ancora a crederci. Lei, lei mi ha chiesto di uscire!
Ragazzi, facciamo un quantità di progressi!) di uscire insieme per
il piacere di farlo, non per rimettersi in pari con la coscienza.
Stop. Tutto il resto, tutto quel che veniva
detto, era nullo.
° ° °
Capelli: in ordine.
Maglioncino rosso porpora: in ordine.
Colletto perfettamente stirato della camicia: in
ordine.
Pantaloni neri risalenti ai tempi del quarto
anno (Non ho più messo su un centimetro da quando avevo quattordici
anni. Questo è male. Questo è preoccupante): in ordine.
Scarpe da ginnastica basse, comode e un po’
logore: in ordine.
Filo impercettibile di eyeliner: in ordine.
Lily ruotò di novanta gradi, osservando con aria
critica il proprio profilo. Non aveva messo tutta quella cura per
Potter, ma per se stessa, ovviamente. Ci teneva ad essere
presentabile e in ordine, come sempre. Il fatto che l’attendesse il
primo (e probabilmente ultimo) appuntamento con Potter non cambiava
niente, non decideva niente, non contava niente. E il tenue senso di
nervosismo che provava, come un peso fastidioso sullo stomaco, era
dovuto solo ai suoi momentanei dissapori con Mary e Marlene, niente di
più, niente di meno.
Logico e coerente. Andava tutto
meravigliosamente bene.
«Ti fai bella per Potter?»
Sussultò quando intravide il riflesso di Mary
nello specchio, comodamente abbandonata contro lo stipite della porta
del bagno. Il suo viso era una maschera di finta innocenza. Di
cattiveria mal celata.
Aveva un problema. Quale fosse o con chi, Lily
non ne aveva idea.
«Ovviamente no. Sono sempre io, quella
puntigliosa e polemica, ricordi?»
«Ti interessa Potter?» Il tono della sua voce
lasciava sottintendere qualcos’altro, come una vaga minaccia o un vago
risentimento.
Lily aggrottò la fronte.
«Ci sarebbe qualcosa di male, in tal caso?»
domandò.
Il sorriso scivolò via dal viso di Mary mentre
si faceva vicina, afferrandola per le spalle. La sua presa era
insolitamente forte, come un tacito monito.
«Non fa per te. E tu non fai per lui. Lily, per
Merlino, stiamo parlando di Potter, quello stesso Potter che ha
rovinato i tuoi anni qui, quello che ha distrutto la tua amicizia con
Pi—»
«Basta» sibilò Lily, scansandola bruscamente,
«basta. Non sai di cosa stai parlando».
«Non ti riconosco più Lily. Sei un’altra
persona» disse Mary, scuotendo la testa. Il dispiacere nei suoi occhi
era quasi vero. Quasi.
«Allora siamo in due, Mary» ribatté,
cantilenando quasi il suo nome, come per rievocare l’amica di sempre,
invitarla a tornare. Ma la nuova Mary pareva insensibile alle sue
frecciate e molto più sfacciata di quanto fosse stata la vecchia.
E tutto ciò, per Lily, avrebbe avuto anche
coerenza se avesse colto l’anello mancante della catena di
trasformazione. Cosa aveva scatenato la metamorfosi? E perché?
«Qual è il problema?» L’affrontò di petto,
incrociando le braccia. Ma l’altra non aveva chiaramente voglia di
affrontare l’argomento – quale che fosse – in quel momento, in quel
giorno. Forse non l’avrebbe mai affrontato.
«Vai a divertirti, Lily; ma non ti ci
appassionare molto, o toccherà a noi raccogliere i pezzi. Ricordati cosa
ti aspetta e, soprattutto, chi». Osò perfino lasciarle un bacio
sulla guancia, come per cancellare l’asprezza del suo tono. Quando Lily
si voltò, di Mary non v’era più traccia.
Non le restò altro da fare che scoccare
un’ultima occhiata al proprio riflesso – che adesso non la convinceva
più – e raggiungere Potter in Sala d’Ingresso.
° ° °
Stava ancora rimuginando sull’inspiegabile
comportamento di Mary, ripromettendosi di parlarle quanto prima, quando
scese l’ultimo gradino e vide James seduto su una panca, in attesa, con
la testa rivolta al soffitto. Le palpebre erano immobili, il respiro
lento, come se stesse dormendo. O pensando. James assorto era uno
spettacolo affascinante.
Non c’era malizia sul suo viso e neppure la più
piccola traccia della tristemente nota arroganza; era un volto serio di
un diciassettenne serio che stava rimuginando su qualcosa di serio.
Lily si accorse del sorriso sulle sue labbra
solo quando notò che lui si era alzato in piedi. Lo cancellò in un
secondo scarso.
«Ciao» la salutò, dondolandosi sui talloni.
«Stai bene?»
James strinse il viso in un’espressione
genuinamente perplessa, come perplesso era il suo sorriso.
«Certamente. Perché me lo domandi?»
«Ti ho visto pensieroso» replicò semplicemente,
stringendosi nelle spalle, pentita d’averglielo domandato. Cosa le
importava dei turbamenti di Potter? Erano affari suoi, dopotutto. E per
lei era solo un conoscente, quasi un amico. Quasi.
«Ma dai? Lily Evans che mi fissa per capire
cos’ho» gongolò, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. La
malizia nei suoi occhi castano-verdi brillava inequivocabile.
Lily batté in ritirata, indossando la sua
migliore maschera infastidita e guardinga.
«Non mettermi in bocca parole che non ho detto,
Potter» lo avvertì, piegando un po’ la testa.
James sembrò sul punto di ribattere con qualcosa
di molto arguto e molto malizioso, ma pareva proprio che il buon senso
avesse prevalso, indirizzandolo al silenzio, limitandolo ad un sorriso
compiaciuto.
«Rinfodera gli artigli, è una giornata troppo
bella per litigare. Dai, andiamo» la esortò, offrendole il braccio. Lily
fissò lui, quindi il suo braccio e, ignorando entrambi, si incamminò
verso il portone, scoccando un cenno di saluto – per mera educazione,
nient’altro – a Gazza, che fissava ogni studente con l’aria di uno che
ha avuto una brutta, bruttissima giornata.
James la seguì – senza però profondersi nella
stessa educazione – affiancandola, quasi ad ostentare che sì, finalmente
James Potter e Lily Evans uscivano insieme.
Riuscì nell’intento, comunque: molte teste si
voltarono per guardarli, parlottando fitto.
Lily finse di non notare alcun cambiamento e
decise di instaurare una blanda forma di dialogo.
«Allora, che programmi abbiamo?» domandò,
stringendosi nel cappotto. Ad occhi bassi poté notare le scarpe di
Potter – quelle della divisa – impeccabilmente lucide ed
inequivocabilmente nuove. Improvvisamente, provò imbarazzo per i propri
vestiti e desiderò aver indossato qualcosa di più nuovo, di meno
consunto.
A rafforzare le sue paranoie, un alone sbiadito
all’altezza della coscia destra, manifestazione chiara di una stoffa
lisa e prossima a lacerarsi.
Potter doveva aver detto qualcosa perché la
stava chiamando insistentemente per avere una risposta.
«Evans? Evans, ehi?»
«Cosa?»
«Ti stavo dicendo che potremmo andare ai Tre
Manici e da Mielandia, se ne hai voglia. Oppure possiamo fare
quello che vuoi tu, per me non fa differenza» ripeté, stringendosi nelle
spalle e rabbuiandosi all’improvviso. Lily aveva forse intenzione di
ignorarlo per tutto il resto della giornata?
“Davvero, io non avrei mai voluto dirtelo,
ma... lo fa per mettersi a posto la coscienza, così da non avere rimorsi
quando uscirete di qui.”
No, no. Era una menzogna, non doveva lanciarsi
in congetture peraltro errate. Lily gli aveva domandato di uscire perché
aveva piacere a trascorrere qualche ora con lui, non per lenire i morsi
della coscienza.
«Oh, per me fa lo stesso; Hogsmeade mi annoia
sempre allo stesso modo, a prescindere dai posti che scelgo di visitare»
replicò distrattamente, stringendosi nelle spalle.
«Bene... bene» acconsentì scioccamente, con la
sensazione che un grosso macigno gli fosse rotolato nello stomaco,
appesantendolo, guastando i delicati meccanismi del corpo umano.
Nulla sarebbe andato come aveva incentivato:
adesso ne era pienamente certo.
° ° °
Cose terribili stavano per accadere, cataclismi
spaventosi stavano per abbattersi su Hogwarts, oscuri eventi erano
acquattati nelle tenebre, pronti a ghermirli tutti.
E tutto questo perché James Potter era
pentito. Pentito d’aver accettato l’invito. E non un invito
qualsiasi, ma l’Invito, quello con la I maiuscola.
Insomma, come poteva essere altrimenti? Lily non
aveva detto una parola che fosse stata una; si era limitata a
trangugiare la sua Burrobirra, rigirandosi il boccale scintillante tra
le dita con aria assente. Aveva tentato diversi approcci (quello serio,
quello simpatico, quello malizioso, perfino quello sfrontato e
provocante) ma Lily aveva retto il gioco per venticinque secondi o poco
più, tuffandosi poi nel suo cauto silenzio.
James aveva dapprima finto che la cosa andasse
bene, si era sforzato di mostrarsi a suo agio, ma poi aveva iniziato ad
avvertire l’irritazione risalire dallo stomaco, accompagnata dal sempre
più forte senso di imbarazzo e disagio. Da lì il passo era stato
sorprendentemente breve per desiderare di trovarsi altrove, con chiunque
altro, tranne che con quella versione slavata di Lily Evans.
Inutile precisare che avrebbe preferito
litigarci – una sana litigata alla vecchia maniera – piuttosto che
osservarla stare in religioso silenzio.
Sì, Lily era carina da fissare, ma per un tempo
necessariamente breve; dopo, oltre a diventare inaspettata noiosa,
tendeva a creare inconsapevolmente tensione e malessere.
E siccome James Potter non aveva mai vantato
troppa pazienza – era piuttosto famoso per il contrario, invero – non si
sorprese affatto quando sbuffò platealmente, passandosi le mani nei
capelli.
«Senti, Evans, onestamente: se non volevi uscire
con me, perché me l’hai chiesto? Per farmi contento?»
Lily si riscosse ed mostrò la decenza di
arrossire imbarazzata.
«No, ovviamente no».
«Allora perché non avevi nient’altro da fare?»
«No!»
«Per compassione? Per pietà? Per togliermi
finalmente dai piedi?»
«No! Ma per chi mi hai presa?!» squittì
indignata, urtando involontariamente il suo boccale che schizzò liquido
dappertutto.
«Sai, non mi è mai piaciuto litigare con te,
mai. Ma adesso lo preferirei a questo silenzio annoiato e francamente
imbarazzante» sbottò, frustrato e oltremodo deluso.
Questo era l’appuntamento dei suoi sogni...
tramutato in incubo.
«Hai ragione. Hai veramente ragione,
accidenti... Non sono affatto di compagnia, me ne rendo conto» disse,
fissandolo dritto negli occhi, tanto intensamente che James si vide
costretto a guardare altrove.
«È che...» sbuffò, scuotendo la testa.
«Che...? Parlamene».
Ci pensò su, mordicchiandosi la guancia. Poi
ricordò come e quanto James si era fidato di lei, qualche giorno prima e
si sentì in dovere di ricambiare la fiducia.
«Si tratta di Mary. È strana» aggiunse
titubante, aggrottando la fronte.
«Mary? Macdonald?»
«Già».
James si rilassò contro lo schienale,
concentrandosi attentamente su qualcosa.
«Cosa succede?»
«Non lo so, è questo il problema! Ci sto
pensando e pensando e ripensando, ma non riesco a capire. È scostante,
quasi arrogante, ha perfino tentato di convincermi a non uscire con te»
buttò soprappensiero.
James sorrise come se avesse trovato la
soluzione a qualche dilemma.
«Curioso, sai? Ha fatto lo stesso con me».
«Di cosa stai parlando?»
«Mi ha detto che avevi accettato di uscire con
me solo per pulirti la coscienza, così da non avere rimorsi quando
saremmo usciti da Hogwarts».
Lily doveva aver assunto un’espressione
totalmente sgomenta e totalmente smarrita perché James si ritrovò
improvvisamente a sorriderle di un sorriso rinfrancante.
«Ma tu non le hai creduto, vero?» domandò
ansiosamente, incosciente d’averglielo chiesto ad alta voce. Quando lui
le rispose, si sentì terribilmente in imbarazzo.
«No che non le ho creduto», sbuffò, «non posso
certo dire di conoscerti bene, ma ti conosco abbastanza da sapere
che questi giochetti non ti appassionano. Posso sapere cosa ti ha detto
di me, invece?»
«Mah, niente... che in realtà ti interessavi ad
altre, uhm, persone, che il tuo improvviso cambio di atteggiamento era
solo finzione, cose così» tagliò corto, irritata e nervosa.
James, inaspettatamente, rise.
«È piuttosto evidente che mi conosce fin troppo
poco» garantì, ritrovandosi a posare la mano su quella di lei.
NdA: 'giorno.
Come da me promesso, ecco il consueto
aggiornamento settimanale.
È bene affrontare subito una questione un po'
spinosa: questo è il penultimo aggiornamento. Il prossimo capitolo -
che, prospetto, sarà piuttosto corposo e lungo - sarà l'ultimo.
Questo per una serie di motivi e impedimenti che non sto qui ad
elencarvi.
Dopotutto, questa storia doveva pur finire,
prima o poi e io ho altri progetti su cui voglio focalizzarmi - per quel
che mi è permesso, certo.
Comunque, non credo che questa volta mi lancerò
nella classica introspezione di fine capitolo; facciamo un gioco: traete
voi le vostre conclusioni, interpretate voi i dialoghi, i gesti e i
fatti. Dopotutto, avete a che fare con questi personaggi da sedici
capitoli, avete una certa competenza, ormai :)
Una cosa però devo dirla: Pix. Io ho sempre
avuto questa bizzarra idea secondo cui lui e i Malandrini (Sirius in
particolare) non andassero granché d'accordo. E poi, suvvia, non potevo
lasciare quel povero ragazzo a marcire in quel luogo buio e infestato.
L'espediente di Pix era per animare un po' la situazione, comunque, e
per concedervi uno degli ultimi momenti Wolfstar. E poi, be', perché ne
avevo voglia. XD
E il comportamento di Mary... è un piccolo
mistero (che sarà svelato nel prossimo capitolo), ma sentitevi pure
libere di rimuginarci su. :)
Non credo d'avere più niente da dire, quindi vi
lascio alla mia risposta collettiva alle recensioni dello scorso
capitolo, ringraziandovi tutte ancora una volta. :)
Risposta alle recensioni del quindicesimo
capitolo:
Buongiorno, ragazze :)
Come avevo anticipato nell'ultimo capitolo, questa che state leggendo è
una risposta collettiva; al momento è l'unico compromesso che sono
riuscita a trovare con questa mancanza di tempo materiale che mi sta
alquanto sul...lo stomaco.
Ciò detto, noto con piacere che per la maggiore avete preso le parti di
Potter: ovviamente non c'è alcun bisogno di precisare che anche io mi
unisco a voi.
Alcune di voi hanno espresso una forma di assolutamente giustificato
malcontento verso Lily che, ahimé, è sempre la solita babbuina (o
bertuccia, se preferite), altre hanno gridato all'alleluja: ebbene,
sappiate che mi scindo, in questo caso, per parteggiare sia per un team
che per l'altro.
Inoltre, avete anche espresso preoccupazione/ammirazione/indignazione
(sì, Eleutera, qui mi rivolgo proprio a te) per Centonovantadue:
permettetemi di rassicurarvi ancora una volta. E prometto solennemente
di non abusare più di lui in questo modo, giurin giurello. *incrocia le
dita dietro la schiena*
Vedo inoltre che tutte siete unanimi nella vostra solidarietà a Remus
che, poretto, più cerca di risolvere le cose diplomaticamente più Sirius
fraintende tutto. Un classico di questa fanfic.
E vedo anche che siete abbastanza concordi sul fatto che Sirius sia
estremamente paranoico e che alcune di voi (Lucky, ad esempio, o
Betabi) vorrebbero prenderlo sonoramente a sprangate: ebbene,
sono solidale anche con voi.
Poi, per chi ha chiesto di Peter (Ginny e Elle), ebbene
non è sparito (con mio sommo dispiacere) ma essendo un personaggio che
mi sta tanto, ma proprio tanto sulle pokèballs tendo incosciamente (ma
non poi tanto) a relegarlo ai margini e trattarlo quanto meno possibile.
A torto, ne sono cosciente: prometto di ricordarmi di questo sprazzo di
coerenza in futuro. :)
Invece, per quanto riguarda le giuste osservazioni esposte da March,
io rispondo: hai ragione. Eccome se ne hai. Chi mi conosce sa che le
long-fiction sono il mio punto debole, sa che io, oltre alle raccolte
eterogenee, proprio non riesco ad andare. E sai perché, March? Perché
perdo il controllo dei personaggi, dopo un certo numero di capitoli. Le
osservazioni da te espresse circa Lily&Wolfstar mi erano balzate
all'occhio ancor prima di stendere il quindicesimo capitolo. Ma, sapendo
per esperienza che spesso rattoppare = pasticciare = distruggere, ho
deciso di seguire la linea guida originale, apportando modifiche piccole
ma non sostanziali. Come hai detto tu, la WS è tutta concentrata nel
loro rapporto, nel loro vorrei-non vorrei-ma se vuoi; questa
incompresione è probabilmente colpa mia, in quanto con "Wolfstar" ho
sempre inteso Remus e Sirius come coppia ufficiale e dichiarata. Mea
culpa. :)
Per la questione di Lily... è la stessa cosa della mia impossibilità
nello gestire una LF. Nelle one-shot, io e lei andiamo meravigliosamente
d'accordo, ma in questa... mi ci è voluto del tempo per riportarla in
linea con le mie personalissime considerazioni sul personaggio e questo
perché, in teoria, questa ff doveva terminare secoli fa, ma una cosa ha
tirato l'altra e si è protratta sino ad oggi e, capiscimi, non potevo
far mutare Lily da un capitolo all'altro, sarebbe stato poco...
credibile? Probabilmente. Comunque, mi dispiace che Lily non ti sia
sembrata Lily fino a questo momento; d'altra parte, però, ti sono
vicina. Dopotutto, anche io ho faticato a gestire quella Lily, quella
avanti-quindicesimo-capitolo. BTW, ti ringrazio per le osservazioni
(vorrei riceverne più spesso, a dire il vero; nessuno è perfetto, io men
che meno) che hanno confermato i dubbi che mi portavo dietro e che sono
un ottimo spunto per lavorarci su. :3
Ultimo ma non meno importante, un caloroso benvenuto a Carolina e
Giusy :)
Ne approfitto, inoltre, per ricordare ancora una volta che
l'aggiornamento avverrà settimanalmente, ogni martedì, tempo e cose
varie permettendo.
Vi saluto ragazze e perdonatemi ancora una volta, nella speranza che
questa misera risposta collettiva possa andare comunque bene. :)
Alla prossima!
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Epilogo: La fine è come l’inizio, solo un po’ migliore e forse diversa (Lily e Remus ci stanno ancora pensando su) ***
Nuova pagina 1
17.
Epilogo.
La
fine è come l’inizio, solo un po’ migliore e forse diversa (Lily e Remus
ci stanno ancora pensando su).
Tutto sommato, pensò, non è andata
così male.
Doveva convenirne con se stessa, volente o
nolente: dopo il primo momento di imbarazzo – causato tutto dai suoi
pensieri irritanti – l’appuntamento non era stato così male.
Potter – anzi, James; la distinzione era
obbligatoria – l’aveva accompagnata di buon grado in quasi tutti i
negozi, insistendo poi per visitare la Stamberga Strillante.
«Sei fuori di testa?», aveva chiesto, inorridita
e scioccata, «Io non ci entro, là dentro».
«Cosa c’è, Evans? Paura di qualche spiritello
dispettoso?» l’aveva presa in giro e quando lei aveva minacciato di
andarsene e piantarlo lì, lui aveva dovuto rivedere la sua posizione e,
un po’ seccato, aveva ceduto, incamminandosi al suo fianco verso il
centro di Hogsmeade, soffocato da una quantità di studenti.
Non avevano mancato di notare le costanti
occhiate scettiche degli altri (Ma davvero? Evans e Potter? E da
quando?) e se Lily aveva fatto un incredibile sforzo di volontà per
non sfoderare la bacchetta in un gesto plateale e affatturare tutti,
James non si era mostrato altrettanto diplomatico e aveva invitato i
curiosi, a più riprese, a continuare a godersi il loro week-end, dal
momento che una volta rientrati nel castello l’avrebbero aspramente
rimpianto.
«Non dovresti tirare la corda, sai, Potter?
Seriamente, quante punizioni hai collezionato in questi anni? Cinquanta?
Settanta?»
«Novantasei ed è un gran bel record, non
sciuparmelo. E poi, che importa? La scuola sta per finire, rilassati».
«Io sono rilassata, Potter».
In realtà, non era vero. Provava una strana
sensazione: agitazione ed eccitazione, paura e una punta di serenità.
Non ci capiva nulla. Ed era tutto parecchio
bizzarro. E si sentiva sul punto di vomitare (Oh, mio Dio, vomiterò
sulle scarpe di Potter e sarà la figura peggiore della mia vita).
Non avrebbe dovuto mangiare tutte quelle Api
Frizzole.
«Evans, aspetta un momento» chiese, stringendole
un braccio e costringendola, senza troppo tatto, a seguirlo in un angolo
appartato, ma comunque bene in vista.
Tutto, in lei, si tese e la nausea rotolò
nuovamente in gola.
Oh, Signore, sta per baciarmi. Sta per
baciarmi e io sto per vomitare. Non voglio che mi baci, non sono
psicologicamente pronta e forse non lo sarò mai! Insomma, Potter può
essere anche un po’ gradevole, ma da qui a fare questo passo...
E mentre era impegnata a discutere con se
stessa, James disse qualcosa.
«Evans!»
«Eh? Cosa?»
«Ti ho chiesto se parlerai con Macdonald»
ripeté, guardandosi continuamente le spalle, come se temesse un assalto.
Da parte di chi, Lily non ne aveva idea.
«Uhm... be’, sì, credo lo farò» replicò,
scoccando continue occhiate alle spalle di James, contagiata
momentaneamente dalla paranoia del ragazzo. In realtà temeva che qualche
imbecille potesse scattare loro qualche foto e costruirci su una storia
fatta di rose, arcobaleni e cuori. Niente di più lontano dal vero,
peraltro.
«Bene, bene. Senti, mi domandavo...» guardò il
soffitto – per trovare ispirazione? Perché c’era qualche fantasma in
ascolto? Per studiare l’architettura del castello? Lily non lo sapeva –
e poi si pizzicò il naso, proprio là dove poggiavano gli occhiali.
Quando Lily si accorse di stare osservando ogni suo movimento, si
concentrò ardentemente sulle sue unghie – ormai erano lunghe abbastanza
da poterle dipingere e sbizzarrirsi con svariati smalti – passando
quindi l’indice sulle nocche.
«... io adesso ho gli allenamenti di Quidditch;
se non hai altro da fare, potresti, uhm, venire a vedermi?»
Sarebbe stato troppo indelicato se gli avesse
confessato di detestare il Quidditch e che non guardava una partita da
almeno sei anni? E sarebbe stato ancora meno carino se si fosse portato
un libro per ingannare la noia?
Probabilmente sì. Perciò optò per un rifiuto,
sperando che questo potesse offenderlo di meno.
Poi si domandò perché le importasse tanto
di non ferire Potter. Preferì non cercare la risposta: troppi
ragionamenti complicati e dispendiosi.
Restava il fatto che avrebbe rifiutato,
preferendo ripetere certi argomenti di studio che sfuggivano alla
memoria.
«Certo» si sentì invece rispondere.
Cosacosacosa?!
E superato lo shock del momento, giunse la
preoccupazione.
Era normale che un essere umano desiderasse
rispondere A e poi, nel momento della detta risposta, optasse per
l’opzione B, odiata e scartata a priori?
Le venne in mente il termine bipolarismo.
Le venne perfino il dubbio che il suo corpo
fosse posseduto da una qualche entità invisibile o qualcosa del genere.
«Fantastico! Allora ti aspetto fuori dalla Sala
Comune, tra dieci minuti?»
«Ahm... va bene».
Forse era davvero il caso di concedersi a certi
ragionamenti complicati e dispendiosi.
° ° °
«Batti la fiacca?»
Sirius si voltò così bruscamente che impattò
contro l’anta spalancata di un mobile inchiodato al muro.
Mugolò qualcosa, chiudendola quindi con la mano
fasciata.
«Non direi. Che vuoi?»
«Sei di cattivo umore?»
«Cosa te lo fa pensare? Il fatto che debba
ancora lavare circa tre miliardi di piatti, piatto più, piatto meno?
Oppure il fatto che gli Elfi si rifiutano di darmi da mangiare perché
signor Black, signore, Larkin non può dare da mangiare al signor Black,
signore; il signor Black deve lavorare, il signor Black non deve
mangiare» rispose, imitando la voce stridula di Larkin, Elfo addetto
alla supervisione dei suoi simili.
«Non ha tutti i torti».
«Cos’è, sei una specie di paladino giustiziere
degli Elfi Domestici?»
«Qualcuno dovrà pur difenderli da te.
Credo siano al corrente delle tue incomprensioni con Kreacher,
sai?»
«Kreacher era un piccolo imbecille malato, ma
questo non vuol dire che tutti gli Elfi siano dei piccoli imbecilli
malati e che meritino lo stesso trattamento».
Remus sorrise indulgente, stringendosi nelle
spalle. Era andato lì con il proposito di poter parlare a Sirius circa
la loro imbarazzante situazione, non per discorrere circa il trattamento
degli Elfi.
«Non sono qui per questo, se può interessarti»
ribatté Remus, poggiandosi a ridosso di un lavello, mentre Sirius
prendeva a insaponare i piatti sporchi, impilati in cinque, altissime
colonne.
«Allora perché sei qui?»
«Perché devi smetterla di fraintendere qualsiasi
cosa io dica o faccia» sospirò stancamente, voltando la testa per
guardarlo.
Sirius si interruppe, indirizzandogli quindi
un’occhiata perplessa. O almeno, ci provò. In realtà sapeva
perfettamente a cosa si stesse riferendo l’altro, ma non voleva
rendergli le cose facili.
Era fatto così, ahilui.
«Quando ti ho detto che andavo a studiare
Antiche Rune, l’ho detto perché volevo davvero farlo e non perché
volevo fuggire da te o ignorarti o, peggio ancora, chiudere la nostra
amicizia. Sei troppo drastico, Sirius, i tuoi cambi di umore mi fanno
girare la testa – e non in senso positivo, sappilo. L’attimo prima penso
di aver messo in chiaro le cose e l’attimo dopo tu non mi parli più. Ti
dico vado a studiare Antiche Rune e tu lo traduci in non
voglio più avere niente a che fare con te. Cerco di chiederti
cosa non va, perché non mi parli da giorni e tu scappi via.
Letteralmente».
(Di fatto, solo il giorno prima, Remus si era
appostato davanti alla porta del bagno, per essere sicuro che Sirius non
gli sfuggisse ancora una volta, che gli spiegasse finalmente perché
aveva smesso di parlargli. I lettori sappiano, tra parentesi nella
parentesi, che nemmeno nel fior fiore dei loro dodici anni si erano
comportati in maniera così infantile.
Ma quando Sirius era uscito si era guardato
intorno e aveva additato freneticamente la finestra, urlando: “Cos’è
quello? Cos’è? Ci sta guardando! Guarda!”; Remus, ingenuamente, era
rimasto ad osservare il panorama oltre il vetro, cercando di capire cosa
avesse scatenato tanto panico in Sirius e quando si era voltato per
dirgli che non c’era assolutamente niente, l’altro era scappato via.)
«Così hai pensato bene di venire qui, certo che
non avrei potuto svignarmela, eh? Bravo Remus, hai fatto tesoro dei miei
insegnamenti» si complimentò, fischiando ammirato.
Un disperato tentativo di mostrarsi disinvolto,
celando l’ansia e la vergogna.
(Si era pentito di quella fuga nell’attimo
esatto in cui aveva mosso il primo passo. Dopo, al sicuro dietro il
pesante tendaggio della Sala Comune, se ne era vergognato come un ladro.
Lui era Sirius Black, quello che non scappava, ma correva
incontro al nemico, gettandosi a capofitto su di lui. Aveva tentato
di lenire la vergogna ripetendosi che era in ritardo e che la strada per
le cucine era lunga. Non aveva funzionato granché, però.)
«Non mi hai lasciato molta scelta, Sirius»
attestò velenosamente. La cattiveria era un sentimento insolito per
Remus, buono e compassionevole per natura.
Non era a proprio agio; gli sembrava di calzare
un vestito scomodo e della taglia sbagliata, che più cercava di
liberarsene, più quello gli s’appiccicava addosso.
«Uhm...» borbottò, sciacquando un piatto con
insolita lentezza.
«Io devo chiedertelo, Sirius: cosa provi per me?
Perché, sai, alla luce di tutti questi tuoi assurdi comportamenti, ho
qualche dubbio».
Il piatto scivolò dalle sue mani e s’infranse
nel lavello; piccoli frammenti di porcellana dorata galleggiarono sulla
superficie schiumosa. Sirius li fissò come se, da un momento all’altro,
potessero suggerirgli le parole esatte per replicare alla domanda di
Remus.
Ma la verità era che quelle parole, lui, le
aveva cercate per giorni, senza mai riuscire a rintracciarle.
E ogni volta che ci pensava, a quella domanda,
provava l’incontenibile bisogno di svuotarsi la vescica.
Qualcuno reagisce così al panico, capita.
«Non devi studiare, oggi? O sprecare il tuo
tempo in biblioteca? Devi proprio stare qui?»
«Sirius... per favore. Per favore,
aiutami a chiarire questa cosa una volta per tutte».
Il clima iniziò a cambiare e la presenza di
Remus divenne ingombrante. Lo sentiva nei borbottii indecisi degli Elfi,
che, alle sue spalle, si domandavano se fosse il caso o meno di chiedere
a Remus di andare via. Erano creature pacifiche e amavano prodigarsi per
gli altri, ma non amavano che qualcuno intralciasse il loro lavoro o un
ingranaggio di esso.
E Sirius, al momento, rappresentava un
ingranaggio lento e ostacolato dalle chiacchiere dell’amico.
«Iniziano ad agitarsi; vai via, Remus. Ne
riparliamo questa sera» consigliò a bassa voce, spingendolo verso
l’uscita.
Remus si divincolò pacatamente.
E poi scosse la testa, indirizzandogli il più
deluso degli sguardi.
Oh, fottiti anche tu, Remus. Non è colpa mia.
° ° °
Lily stava ancora cercando di venire a capo di
due enigmi contemporaneamente (“Perché mai ho detto di sì,
ritrovandomi qui a perdere tempo?” e “Perché mai mi preoccupo di
Potter mentre fa le sue stupide acrobazie?”), quando scoppiò il
litigio.
Non stava seguendo le dinamiche della squadra –
stava pensando ad incantesimo da usare nel caso in cui James, James!,
fosse precipitato da un’altezza media di quattro o cinque metri – ma, da
quanto aveva capito, Mandy Vane – Cacciatrice, sostituta di Sirius –
aveva avuto un battibecco aereo con James, ripresa dal ragazzo per
chissà quali motivazioni, e, in un momento di rabbia, aveva scagliato la
Pluffa contro lui – mirando al suo naso, per inciso – sbalzandolo dalla
scopa.
Fortunatamente, era caduto da un metro e mezzo
d’altitudine, i danni furono irrilevanti.
Lily si sporse oltre la balaustra di metallo.
«Potter! Potter, stai bene?» domandò il Capitano
della squadra.
«Sì, benissimo. Vane, sei una maledetta
stronza!» imprecò, rialzandosi per affrontare di petto la ragazza che,
compiaciuta, incrociò le braccia al petto, sorridendo altezzosa.
«Adesso ho abbastanza mira, Potter?»
«Tu reagisci sempre così alle critiche
altrui?»
«Solo a quelle infondate» si compiacque,
dondolando sui talloni e ravviandosi i capelli lunghi capelli d’un forte
rosso acceso.
«Infondate? Infondate? Non hai messo a
segno una Pluffa, una!» si infervorò, facendosi più vicino. Il
Capitano dovette correre a trattenerlo; Potter era famoso per il suo
senso civico da maschio – secondo cui era da vigliacchi colpire una
donna, nonché un gesto ripugnante – ma il ragazzo, in quel momento, non
era certo che Potter ricordasse d’averlo, il senso civico.
«Calmati, tesoro; non è colpa mia,
dopotutto, se il tuo amichetto del cuore ha pensato bene di finire in
punizione a tempo indeterminato, né se il Capitano ha fatto e concluso
le audizioni in due giorni scarsi. Non gioco a Quidditch da anni, dammi
un attimo» spiegò, gesticolando blandamente, come se la conversazione la
tediasse profondamente.
«Hai avuto una settimana per allenarti»
ribatté lui prontamente.
«Ho una vita, oltre il Quidditch.
Studiare, fare i compiti, prepararsi agli esami, hai presente? Sai,
siamo in una scuola, se non te ne fossi accorto».
James strattonò il ragazzo che lo tratteneva,
sbuffando.
Si rassettò la maglia, passandosi le dita tra i
capelli.
«Non ho voglia di discutere con te.
Riprendiamo, dai» disse, rivolto agli altri. Montò sulla sua scopa e,
con un piccolo slancio, si librò in aria, compiendo due ampi giri di
campo, forse per rientrare in modalità Cacciatore.
Lily tornò a sedere, scrutando impassibile la
ragazza, Mandy Vane. Era una Grifondoro del sesto anno, non così
studiosa come aveva voluto far credere. Forse era proprio per questo che
James aveva preferito ignorare la questione.
Forse non voleva impelagarsi in una discussione che si preannunciava
lunga e logorante.
Ma ciò che la sorprese di più fu, appunto, il
suo inatteso self-control; non molto tempo prima, Potter si
sarebbe scagliato contro la ragazza – verbalmente, è inteso – perché il
suo senso civico da maschio esulava dagli insulti.
Prese anche in considerazione la sua presenza,
il fatto di saperla lì, a pochi metri da lui, ma le parve inverosimile.
Potter non era uno che le mandava a dire né si era mai preoccupato di
lei.
Lo sapeva fin troppo bene.
E, sebbene si sforzasse di darsi torto, in Mandy
rivedeva qualcosa di lei.
Riviveva la stessa arroganza con cui era solita
rapportarsi con lui, lo stesso sorriso impertinente che le piegava le
labbra, la stessa forte ironia delle sue parole.
Il paragone, vero o falso che fosse, la turbò e
la infastidì.
Distolse gli occhi dalla ragazza solo per
puntarli su James – una figuretta sbiadita e lontana – che gridava
qualcosa ai suoi compagni di squadra.
«Ciao».
Sobbalzò.
«Remus! Cosa fai qui?»
«Ogni tanto vengo a vedere James» spiegò
semplicemente, stringendosi nelle spalle e sedendo accanto a lei.
«E tu? Perché sei qui?»
Perché la mia testa ha qualcosa di guasto,
quindi anziché rifiutare, eccomi qui. È un po’ come gli incidenti
stradali, la carta igienica che manca e te ne accorgi solo quando sei
sul water, le pessime figure: cose che capitano, insomma.
«Non avevo niente da fare...» rispose invece,
sforzandosi di sorridere disinvolta.
«Come va con Black? James mi ha detto che avete
dei problemi, ultimamente».
Doveva ammetterlo: la tattica del mi faccio
gli affari tuoi prima che tu possa farti i miei e costringermi a
fare conti troppo complicati non era molto leale.
Ma Remus non ne sembrò infastidito. Anzi,
sorrise. Sorrise come se avesse assistito ad una piacevole sorpresa.
O forse era solo la sua mente a interpretare
male; probabile, dal momento che ne aveva già appurato un guasto
dire-fare.
«Va. Spero di risolvere tutto, stasera» spiegò,
piegando un po’ la testa per fissarla con curiosità.
«Cosa c’è?» chiese allarmata, rassettandosi i
capelli. Aveva qualcosa tra i denti? Un insetto sulla faccia? (Dovette
controllarsi per contenere la repulsione)
«Non te ne sei accorta, vero?»
«Di cosa?»
Lo vide stringere gli occhi per intercettare un
giocatore. Poi mosse il braccio, sollevandolo in un saluto. Potter,
ovviamente.
«L’hai chiamato per nome. Mi è piaciuta la
leggerezza con cui l’hai fatto, del tutto spontaneo... forse le cose
stanno davvero cambiando». L’improvviso tono rammaricato avrebbe dovuto
accendere in lei una scintilla di sospetto, nonché farle notare che
forse non si riferiva affatto a lei e Potter, ma era troppo preoccupata
per la prima parte della sua affermazione per badarvi.
«Lui è... diverso» disse, anche se
quell’aggettivo non era del tutto corretto. Avrebbe voluto dire nuovo,
ma non avrebbe avuto poi così senso.
«No, Lily; lui è così, lo è sempre stato;
solo, eravate troppo impegnati a urlarvi addosso per guardarvi».
Ancora una volta, gli occhi di Lily cercarono
Mandy, per trovarla e quindi abbandonarla immediatamente.
«Eravamo pessimi, vero?»
«Non direi. Eravate solo... immaturi.
Adesso che siete cresciuti non avete più così tanta voglia di strillarvi
addosso. Volete... no: avete bisogno di essere adulti e quindi,
vi venite incontro. In un certo senso, è come se vi stesse conoscendo
adesso» spiegò, sorridendo e salutando nuovamente James quando
questo sfrecciò davanti a loro, sollevando un turbine d’aria.
«Già, forse è come dici tu».
Realizzò che era come diceva lui. Remus
era una manna dal cielo per le povere indecise e mentalmente guaste
come lei.
Avrebbe potuto amarlo, in un altro universo.
E dire che al sesto anno si era quasi
convinta di provare qualcosa per lui, prima di realizzare che era
semplice affetto, che Remus era quel fratello che non aveva mai avuto.
«Spero che tu possa risolvere le tue
incomprensioni con Black, Remus, te lo auguro davvero».
Sorrise, lasciandole una carezza distratta sulla
mano.
«Lo speriamo un po’ tutti, Lily».
° ° °
«Grazie per oggi».
Il sole accendeva d’arancio il campo da
Quidditch, incendiandone l’erba che sapeva essere verde e brillante.
James, ancora umido di doccia, inforcò gli
occhiali, incamminandosi verso il castello. Lily lo affiancava e,
talvolta, il dorso delle loro mani sfregava, ma entrambi facevano finta
di niente: l’imbarazzo era palpabile.
«Prego» replicò scioccamente.
«Potremmo rifarlo...» buttò vagamente, infilando
le mani nelle tasche dei pantaloni.
Lily rallentò impercettibilmente, soppesando
l’affermazione.
Aveva tutta l’aria di essere una domanda
indiretta.
«Aehm... uhm...» biascicò, nel mentre che
cercava di risolversi a rispondere coerentemente. Sì o no. Non era poi
così difficile.
Ma in quel momento le sembrò la cosa più
complessa del mondo.
«Sabato prossimo, magari?»
Be’, quella era una domanda. Per niente
indiretta. Poco carino da parte sua; adesso doveva necessariamente
risolversi.
«Vacci piano, Potter; insomma, non saprei,
forse, o forse no».
«Non ti sei divertita, oggi?»
«Ma non è questione di divertimento...»
«Allora ti sei annoiata?»
«Ma non è una questione di noia...»
«Ti sto ancora antipatico, allora».
«Ma non è una questione di antipatia...»
«Pene» disse, voltandosi a guardarla. Lily
fissava un punto inesistente e rispondeva meccanicamente. E se la sua
teoria era corretta, avrebbe dovuto rispondere...
«Ma non è una questione di pene... Idiota!»
sbottò irritata, riavendosi.
«Mi piace come lo dici, sai? Lo ripeteresti
un’altra volta?» la provocò, azzardandosi perfino a tirarle una ciocca
di capelli.
E distrusse tutto nel giro di due secondi scarsi. Gli schiaffeggiò la
mano, allontanandosi come se si fosse scottata.
«Sei un maiale e non toccarmi i capelli! E
comunque è no, non uscirò con te, sabato».
«Dai, Evans... aspetta, rallenta... Evans, si
chiama “provocazione”, fatta in buona fede, per altro. Su, non fare la
permalosa...»
E, seppur nuova, diversa e stravolta da tutti i
cambiamenti, la routine ricominciò.
° ° °
Sirius si sentiva un’entità estranea al suo
corpo.
Non era più certo di essere lui ad ordinare alle gambe di muoversi.
Forse era l’inerzia, o la stanchezza, o la Divina Provvidenza. Chissà.
Quando entrò in Dormitorio, alle ventidue in
punto, si gettò a peso morto sul letto, prono e interamente vestito.
Che sensazione paradisiaca! Sarebbe scivolato nel sonno da lì a quattro
secondi, godendosi un lungo, ininterrotto, meritato riposo...
Poi però entrò Remus.
«Sei qui» constatò, uscendo dal bagno, infilato
nel suo pigiama nero a righe grigie.
(Era di Sirius, quel pigiama. Gliel’aveva
prestato molto tempo prima, quando Frank, in seguito ad un violento
litigio – era volato addirittura qualche spintone, aveva fatto sparire
ogni suo capo intimo, senza mai restituirli. Era inverno e Remus tremava
di freddo, seppur avvolto dalle spesse coperte di lana. Ricordava
d’essere sgusciato fuori dal suo, di letto, per rovistare nel baule e
porgergli quel pigiama.
Non ne era certo, ma gli era sembrato di vedere
gli occhi di Remus luccicare, come se fossero stati colmi di lacrime. Ma
era buio e non lo dava per scontato. A tutt’oggi, sapeva solo che James
e Frank, in seguito a quell’episodio, si parlavano a stento e con una
certa freddezza.)
«Sono qui solo fisicamente; in realtà non sono
davvero qui» lo informò, la faccia affondata nel cuscino. Remus
dovette chinarsi per decifrare il suo mugolio indistinto.
«Sei stanco?»
«Sono molto più che stanco».
«Allora ti chiedo una risposta sintetica e
veloce. Ne ho bisogno» aggiunse, sedendo accanto a lui. Tanto bastò per
far voltare Sirius. Aprire gli occhi fu uno sforzo insolitamente
dispendioso.
E tra tanta stanchezza, brillò un barlume di
lucidità; improvvisamente, seppe cosa dire. Parola per parola, nel modo
più conciso e preciso possibile.
Era fiero della sua mente: aveva lavorato come e
meglio di quella di Remus.
«So che sei uno dei miei migliori amici, Remus,
ma non provo altro che affetto, per te. E ti prometto che d’ora in poi
mi comporterò come al solito e se avrò dubbi circa il tuo comportamento,
te lo dirò. Posso dormire, ora?»
Remus sorrise, come se fosse finalmente in pace.
O piombato all’inferno, dipendeva dai punti di vista.
«Sì, adesso puoi dormire».
E come se gli avesse gettato addosso un
incantesimo, Sirius chiuse gli occhi e s’addormentò. Il suo respiro
divenne lento e placido, regolare e misurato.
Remus non riuscì a trattenersi e, accertatosi
che fossero effettivamente soli – a proposito, dov’erano tutti? – liberò
la fronte dai capelli scuri, spingendoli indietro. Trattenne lì le sue
dita anche molto dopo che le ciocche furono ben lontane dal viso,
saggiandone la consistenza, come a volerla imprimere tra uno strato
d’epidermide e l’altro.
Avrebbe voluto avvicinarsi, respirare il suo
profumo, forse baciarlo, ma non sarebbe stato corretto.
Un bacio in cui Sirius era incosciente bastava e
avanzava.
Così, gli indirizzò un sorriso parimenti triste
e amorevole; poi, si alzò e s’infilò nel suo letto.
E anche per lui, da domani, sarebbe iniziata una
nuova routine.
° ° °
Lily aveva deciso di scrivere a James.
Non un telegrafico biglietto, ma una lettera.
Una di quelle vere, di quelle con le cancellature e con le emozioni
inespresse infilate tra una riga e l’altra.
Era già a buon punto quando Mary sedette sulla
scrivania, fissando Lily e iniziando a giocare una ciocca dei suoi
capelli rossi.
Il gesto, tanto affettuoso e tanto amichevole,
nonché appartenente alla vecchia Mary, quella che amava profondamente,
le fece venire le lacrime agli occhi.
Sciocchezze; è solo un po’ di polline.
(Le venne quasi da ridere: il suo tentativo di
ingannarsi fu così goffo che si domandò dove diavolo mai avrebbe potuto
esserci del polline, là dentro)
«Sono stata una vera stronza, in questi giorni»
disse tranquillamente, iniziando ad intrecciare la ciocca che stringeva
tra le dita.
«E come darti torto?» sbuffò l’altra, mettendola
poi al corrente dei recenti sviluppi: l’uscita con James – Potter,
Lily, Potter, non James! ... oh, al diavolo, io lo posso chiamare come
mi pare, nella mia testa – il suo tentativo di sabotare
l’appuntamento, tutto.
Mary non si prese neppure la briga di negare.
Non era da lei, dopotutto.
Aveva un contratto con la verità, o qualcosa del
genere.
«Ti ricordi quando mi dicesti di trovare un
ragazzo che potessi amare?»
Annuì, intuendo con orrore dove volesse andare a
parare.
«Be’, ho sempre avuto questa... cosa, per
James. Non mi sono mai preoccupata di te, non ti ho mai vista come una
rivale. Ti volevo bene, eri mia amica e, soprattutto, vedevo come
trattavi James e come lui ti guardava. Poi, però...» fece una pausa e il
suo viso si accartocciò in una smorfia di disappunto. Sbuffò.
«Poi però ho iniziato a vedere i cambiamenti. La
tua antipatia era svanita e lui ti guardava... ti guardava come se tutto
il resto fosse solo un’ombra. Ho iniziato a considerarti una rivale, ma
a quel punto era già tardi. E poi, oggi vi ho visti al campo... il modo
in cui interagivate... forse un giorno, molto vicino, ti sveglierai e
capirai di esserti innamorata di lui – è così palese! – e fino ad allora
io mi sarò messa l’anima in pace. Quel tentativo di sabotaggio è stato
una stronzata, lo so; di fatto, non ha funzionato neppure un po’, anzi!»
rise, scuotendo la testa.
Lily si sentì paralizzata.
Era ancora più orribile di quanto avesse
immaginato.
La sua migliore amica incredibilmente innamorata
di James. Certo, ebbe la premura di non dirle che l’ultima parte del suo
discorso faceva acqua da tutte le parti.
Sentiva fosse vero: non era innamorata. Non in
quel momento, almeno. Tra lei e Potter si era solo instaurata una nuova
complicità, una forma di tolleranza.
Erano cresciuti, come aveva detto Remus.
Avrebbe potuto dirle di non preoccuparsi, di
gettarsi, ma non volle.
Per una ragione confusa e che le sfuggiva, non
volle farlo.
«Mi dispiace» disse invece, chiudendo il suo
quaderno. Nascondendo quelle parole che, adesso, sembravano tanto
inopportune, private del loro originario valore.
«Non farlo; hai una grossa fortuna per le mani,
non lasciartela scappare. James non guarda nessuna come guarda te. Forse
un giorno o l’altro te ne accorgerai. E io... ah, io non starò certo qui
a struggermi per lui!» squittì, saltando giù dalla scrivania, tornando
ad essere la Mary vanesia e spensierata di sempre.
«Ne sei sicura?»
«Sono rassegnata, Lily. E poi, forse me la
prendo tanto perché lui è l’unico che non mi ha mai guardata, che non si
è mai interessato a me, chissà... So solo che adesso andò a farmi una
doccia, lo shopping mi sfianca e mi fa sudare» disse, chinandosi per
baciarle la guancia.
Poi, a balzelli, sparì nel bagno.
Lily restò a fissare il muro, intontita.
Avrebbe voluto analizzare la cosa, sviscerarla
fino alla morte, ma non adesso.
Domani. Domani sarebbe stata domenica, avrebbe
avuto un sacco di tempo libero per spenderlo su quei pensieri.
Aveva bisogno di dormirci su, sì. Dormire,
riposare, dare alle cose la giusta collocazione nella scala
dell’importanza. Staccarsi da quell’assurdo mondo che era il suo per
essere scaraventata in quello onirico, altrettanto assurdo ma
momentaneo, parallelo, scollegato dalla realtà.
Si gettò le coperte addosso e, mossa da chissà
quale volontà, aprì il cassetto per tirarne fuori i biglietti che James
le aveva inviato non molto tempo prima.
Li lesse fino ad impararli a memoria, li lesse
fino a consumare le energie e scivolare in un sonno profondo e compatto,
buio.
Ci fu una sola certezza che l’accompagnò nel
riposo: da domani, sicuramente, tutto sarebbe cambiato.
E non vedeva l’ora di scoprire come.
NdA: Infine, giunsi.
No, non è una poesia né il mio epitaffio
(sarebbe carino però; quasi quasi me lo segno).
È la fine di questa fanfiction *so sad*.
Ma eravamo tutti belli e preparati, quindi
ricacciamo indietro le lacrime e mettiamo da parte i sentimentalismi.
E quindi sì, è finita.
Così, in maniera molto leggera (be', mica
tanto). In verità, non si è giunti a nessuna conclusione; le coppie sono
rimaste in sospeso, ma non era questo che mi importava. Mi importava far
emergere i cambiamenti e tutto il resto. L'importante era il viaggio,
non la meta.
E spero vivamente che questo si sia notato, che
tra il prologo e l'epilogo - e tutto quel che c'è in mezzo - si noti la
differenza e che tale differenza non sia troppo netta, ma graduale.
Non ho altro da aggiungere, credo; per qualsiasi
problema, critica o dubbio, però, non esitate a contattarmi.
E passiamo adesso ai ringraziamenti, che sono
d'obbligo in ogni capitolo, ma ancor di più a fine storia.
Perciò, un sentito, immenso, sincero
GRAZIE a
March, che mi segue dall'inizio e non si è mai persa un capitolo,
che mi ha allietata con le sue frecciatine ironiche;
lietome, che si è aggiunta negli ultimi
capitoli e ne sono davvero contenta, di questo; a
betabi, che mi ha sempre fatto sorridere con il suo entusiasmo; a
Libra, che è un po' una delle mie
official supporters e che mi segue ovunque e io, di questo, non
posso che esserle grata; a Nipotina, cara,
simpatica ragazza che ho avuto il piacere di conoscere a tre quarti
della storia e che non manca mai di commentare quando la taggo nei miei
stati Facebook; a Silver_River, che mi
segue da parecchio, in questa storia e altrove, e che è stata sempre
puntuale nell'esprimere il suo parere; a Lucky,
che mi segue davvero ovunque, che mi dedica tanto del suo tempo,
recensendo sempre fin nei minimi dettagli e che sì, le sono affezionata,
dopo tutto questo tempo; a Jè, la mia fan
numero uno, lei che mi segue davvero ovunque, in qualsiasi fandom e che
è la spalla migliore che una fanwriter possa desiderare; a
Nali, mia sorella, mia mogliA e mio
respiro, che segue questa storia sin da quando neppure esisteva (!) e
che mi ha sempre, sempre spronata a fare del mio meglio, anche quando
volevo prendere e mollare tutto; a Frency,
che mi contatta su FB per chiedermi spoiler su spoiler, che era
disperata perché si perdeva questo capitolo, che ama questa storia; a
Puccetta (Silvia), che ha seguito questa
storia e che le è piaciuta nonostante fosse una Jily; a
Dan, che non si è mai persa un tag.
Grazie a voi, che mi avete lusingata con i
vostri complimenti che, nonostante gli sforzi, sento di non meritare;
non perché vi consideri dei bugiardi - figurarsi! - ma perché ho dei
seri problemi di autostima, ragazzi.
A voi, che mi siete rimasti accanto fino alla
fine.
(La sto tirando troppo per le lunghe, vero?)
Grazie a voi, che avete fatto raggiungere cifre
vertiginose a questa fanfiction: 47 preferiti, 16
ricordate, 120 seguite e 162, meravigliose recensioni.
E grazie anche a voi, che avete
letto in silenzio: spero almeno che abbiate
apprezzato. :)
E adesso è davvero il caso di tagliare. Ci
ribecchiamo presto in giro, con qualche altra Jily (non long, però!).
Con affetto,
Sara aka Roxar aka La Rana.
Passo e chiudo.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1468061
|