The Days Lost in the Nightmare

di fiammah_grace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: inaspettati sopravvissuti ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: risvegliata e condannata ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: la fine del 'sogno' ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: il P-30 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: marchingegno diabolico 1 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: marchingegno diabolico 2 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: un banchetto crudele ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: odiato inevitabilmente, amato inesorabilmente ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: il prezzo della verità ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: ritorno nell'incubo ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: donna diabolica ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: l'ultimo residuo di umanità ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Kijuju ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: circuito nero ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: libertà effimera ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: epilogo - Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea - ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: prologo ***


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Salve!
Un grazie prima di tutto a chi leggerà questa fanfiction.
I protagonisti saranno Jill Valentine ed Albert Wesker, sullo sfondo delle vicende antecedenti a resident evil 5. Ovvero la prigionia di Jill.
Ho sempre amato la coppia WeskerxJill fin da quando ho conosciuto questa saga. In un'epoca in cui questi due personaggi non erano mai stati concepiti assieme.
Dunque, prima tramite qualche fanart, ora vorrei consacrare questo pairing in una fanfiction.
I presupposti lasciati in RE5 mi sono sembrati i più adatti per ambientare la storia.
Il primo capitolo ricapitolerà la scena del “sacrificio di Jill”, vista nel flashback.
La storia procederà lentamente, in quanto ci tengo a far avvicinare i personaggi con i tempi giusti.
Non sarà una love story, premetto questo.

Seppur a un certo punto la vicenda assumerà dei toni più romantici, vorrei cercare di rimanere più IC possibile con i personaggi, il cui rapporto rimane e sarà sempre impossibile, dark e angst.
Wesker e Jill mi piacciono per questo. Per la loro storia drammatica ed intrigante, ove da nemici, qualcosa potrebbe attirarli l’uno all’altra.
Buona lettura.









THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE




PROLOGO




Una bugia…
Una meravigliosa bugia…

Le sue parole, i suoi gesti, i suoi occhi. Tutte inutili e sporche bugie, da parte di una spietata macchina da guerra assetata di sangue, avvelenata da un folle e inspiegabile desiderio di dominio.

Una orribile e crudele bugia, alla quale io ho creduto.


Una giovane donna a terra, ferita, stanca e sfregiata, ansimava forte di fronte quell’uomo vestito completamente di nero.
I suoi occhi bruciavano dalla rabbia.
Colui che aveva dannato la sua vita, adesso era trionfante poco distante da lei, tenendo per il collo Chris Redfield, pronto a sferrare il suo colpo di grazia.
Mille pensieri scorrevano nella mente di Jill Valentine mentre, impotente, assisteva a quella tragica fine.
La sua battaglia contro l’Umbrella, la sua stessa vita oramai distrutta, il cui simbolo era quell’uomo vestito di nero…
…non sarebbe finita così.
Non era mai più stata padrona della sua vita da quel maledetto luglio del 1998.
Situazioni apocalittiche avevano deciso al suo posto e mai più era stata quella dolce Jill Valentine che tutti conoscevano.
Chi era lei ora? Cosa ne era stato di tutto ciò che caratterizzava la sua vita un tempo?
Nulla più da quel giorno. Nulla più sarebbe stato lo stesso, né lo sarebbe mai tornato.
Una vita distrutta sotto quel simbolo rosso e bianco che aveva cambiato le sorti non solo sue, ma di milioni di persone.
In tutto questo…l’avevano fatta franca.
La vendetta era l’unico sentimento che l’aveva condotta fin lì. Otto anni…otto lunghi anni…
Se era lì, non era per nessun altro motivo se non per Lui.
Per lui…che aveva cambiato le sorti della sua esistenza e aveva fatto crollare il suo mondo.
Aveva dovuto lottare, aveva dovuto resistere e stringere i denti e guardare sempre avanti.
Questo per poter incrociare un giorno gli occhi di Albert Wesker e fargli leggere la sua rabbia.
La rabbia di qualcuno che aveva giurato di non dimenticare, di non chiudere gli occhi finché non gli avrebbe fatto pagare fino all’ultima goccia il male inferto.
La sua casa, i suoi amici, la stars, i suoi colleghi, la vita di tanti innocenti, i “mostri” stessi, e lei…la sua libertà!
Lui…non le avrebbe privato anche di Chris. Non le avrebbe tolto anche il suo ultimo pilastro rimasto in vita in quel mondo funesto.

Se proprio doveva perdere tutto di nuovo, tanto valeva essere padrona del suo destino, almeno una volta!

Raccolse dunque le sue forze, alimentando l’adrenalina che le scorreva in corpo, e compì il suo gesto finale.
La donna si scagliò contro la possente figura di Albert Wesker, portandolo con sé negli abissi di quel castello, oltre la finestra alle sue spalle.
Il vetro si frantumò ricoprendo completamente il carnefice e la donna che aveva fatto della sua vita la lotta per la libertà da quegli incubi.
Furono accomunati, per una volta, nello stesso destino.
Il suo sacrificio non sarebbe stato vano, perché lui sarebbe venuto all’inferno con lei. Ma la bruna non aveva paura.
Grazie a lui…non temeva più l’inferno.

Nel frangente di un istante, intravide i suoi occhi attraverso le lenti scure.
Per una volta vide persino in lui la paura. Oppure era lo stupore.
Probabilmente non si aspettava che lei, proprio lei, una donna, probabilmente la meno temuta fra lei e Chris, avrebbe decretato la sua fine.

Un eco lontano le fece per un momento rimpiangere la vita.
L’eco dell’uomo che assieme a lei aveva combattuto quella guerra.

“Chris…grazie. E’ finita, questa volta è finita.”
Disse, stranamente felice, mentre era stretta all’uomo che aveva dannato la sua esistenza, stretta a colui che l’aveva ingannata, stretta a quella mente diabolica e crudele, ma che allo stesso tempo aveva rappresentato lo scopo della sua vita.

“Jiiiiiill….!!” Urlò un’ultima volta Chris Redfield, osservando sconvolto la sua amica sprofondare nel buio.


***


Le gocce d’acqua presero a battere sulle fronde fitte degli alberi, rendendo lentamente quel bosco umido ancora più cupo, bagnato dalla pioggia che nel giro di pochi istanti si fece sempre più fitta. Le rocce presero a scurirsi per effetto del bagnato, e vennero a crearsi diverse pozze, ove, su una di queste, erano adagiati due corpi. Uno di un uomo e uno di una donna.
Lui, disteso sulla schiena con le braccia allargate e la testa di lato, sembrava dormire se non fosse stato per il sangue che scendeva dal suo viso sporcandolo di rosso. Sul suo addome vi era stretta ancora la giovane donna dai capelli castani, completamente abbandonata su di lui, anch’ella sporca di sangue.
La pioggia s’infittì ancora di più, bagnando completamente i loro corpi già fradici. Il sangue si allargò e si macchiarono anche le rocce sulle quali erano caduti e che avevano decretato la loro morte. O quasi…

Le luci dell’alba trafissero l’oscurità della notte. Ai toni bui, si sostituì un leggero bagliore che illuminò appena il cielo, tinteggiandolo di un color indaco scuro. Nonostante fosse nuvoloso, già quella fioca luce bastò a dissipare l’inquietudine di quel bosco notturno.
La pioggia cadeva ancora. Non aveva cessato un attimo di scendere.
L’uomo, all’improvviso, si mosse. Fu un movimento appena percepibile che quasi sembrò non esserci stato davvero.
Poi si mosse di nuovo. Alzò appena l’indice, tremando, poi l’intera mano, roteandola per premere sul terreno bagnato.
Si sollevò con la testa che gli doleva incessantemente, e cominciò a scrutare l’ambiente, ancora stordito dopo quel lungo volo.
Fece per alzarsi, quando ritrovò sopra di se il corpo di Jill Valentine.
Ella schiacciava il suo busto sul suo bacino, e un braccio gli passava oltre impedendogli di alzarsi liberamente.
Le sollevò la visiera del cappello ancora infilato sulla sua testa e notò che era sporca di sangue.
In quel momento si rese conto anche lui di essere ferito. L’occhio destro non si apriva e, portando una mano su di esso, questa si sporcò di sangue.
Si guardò attorno e infatti vide che le rocce bagnante su cui i due erano adagiati erano tinteggiate di un color rosso annacquato dalla pioggia.
Tentò di rialzarsi nuovamente, sentì di star velocemente recuperando le forze.
Spesso persino lui non era in grado di comprendere i limiti del virus che aveva in corpo.
Aveva capacità di ripresa sorprendenti, e la sua forza era insconfiggibile.
Ripensò alle parole di Spencer. “Il potere di un Dio…” . Guardò verso di sé ripetendo quelle parole. Era questo ciò che era diventato?
Non gli importava certo di stupidaggini simili, tuttavia la rabbia gli scorreva ancora in corpo.
Lì per lì si rifiutò di pensarci, ignorando il turbamento che invece lo avrebbe presto condotto alla pazzia.
Si mise definitivamente in piedi, scostando il corpo inerme della donna, non curandosi di lei.
Rimase diversi minuti a guardare di fronte a sé la luce mattutina che lentamente stava facendo sparire il buio.
Cosa stesse pensando? Era impossibile definire cosa passasse per la mente di Albert Wesker, fatto sta che i suoi occhi erano spenti e in qualche modo tristi.
Tuttavia quel volto reso di marmo dall’esperienza militare e dal carattere glaciale, non fece trasparire altro se non una distanza infinita per chi lo osservava.
I suoi occhi andarono poi a posizionarsi distrattamente sulla bruna che, a quanto pareva, non aveva avuto la sua stessa forza di sopravvivenza.
Come avrebbe potuto d’altronde, lei che era un semplice essere umano.
Doveva odiarlo davvero molto per essere arrivata a sacrificare la sua vita per lui. Oppure chissà, magari amava Redfield più di quanto immaginava.
Fatto stava che le aveva dato le spalle, dimenticandosi quasi di lei.
In verità, dava molta poca importanza alle donne. Non aveva mai visto in lei una guerriera.
Certo, conosceva le sue capacità. L’aveva addestrata lui stesso ai tempi della S.T.A.R.S.. Tuttavia non avrebbe mai immaginato che una ragazzina simile si sarebbe scagliata contro di lui, fino a morire lei stessa lanciandosi da una finestra. Persino lui, nonostante conoscesse le sue doti sovraumane, aveva creduto di morire in quel momento.
Si accorse di non aver mai conosciuto Jill Valentine, e per la prima volta lei catturò la sua attenzione come mai era accaduto.
La guardò dall’alto mentre la pioggia continuava a battere sui loro corpi.
Inaspettatamente intravide il petto della donna gonfiarsi. Strinse gli occhi scettico e si piegò appena su di lei.
Era viva…
Dapprima sinceramente stupito, un sorriso si disegnò sulle sue labbra.
“Stavolta mi hai davvero stupito, Jill. Lo ammetto.” disse ammettendo ironicamente che ella lo aveva realmente impressionato.
Quasi come premiandola per la sua intraprendenza, decise di non lasciarla morire lì, su quelle rocce ai piedi di Villa Spencer.
Quello non fu affatto un atto di clemenza, anzi.
Se solo Jill avesse saputo di essere salvata da Albert Wesker, avrebbe provato tutt’altro che gratitudine, perfettamente conscia del fatto che da un incubo, sarebbe caduta in un incubo ancora peggiore.
Ma non potendosi opporre, in quanto ancora dormiente, dovette lasciare che Wesker la prendesse per le spalle girandola frontalmente.
Egli le portò una mano sotto le ascelle e una sotto le ginocchia e la sollevò incastrandola dunque fra braccia e petto.
Il rumore della pioggia era incessante.
L’uomo dai maligni occhi rossi alzò il viso lasciando che bagnasse il suo volto.
I capelli scomposti, ritornarono indietro appesantiti dall’acqua.
Il berretto della bruna cascò dalla testa scoprendo il suo viso addormentato.
Wesker, a quel punto, avanzò nella foresta, riprendendo del tutto le sue forze e sapendo perfettamente dove andare.
Ignara, la donna seguì il suo carnefice, trasportata nei meandri del suo peggior incubo.
Frastornata e agonizzante, era ancora in balia del sonno, non sapendo nemmeno di essere ancora in vita, mentre Albert Wesker già progettava come attuare la sua vendetta.


***


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Capitolo 2
*** Capitolo 2: inaspettati sopravvissuti ***


Ringrazio SonicoTheDragon98 per la sua recensione. La prima che ricevo! Grazie mille!
Piccola guida alla lettura: quando inserisco degli spazi vuoti nella fan fiction, a meno che non siano dei pensieri, significa che la scena cambia.
Al momento è tutto.
Spero che questa fan fiction vi incuriosisca! <3
 





THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
CAPITOLO 2
 
 
 
 
***
 
Ore 04:00 del mattino.
Una dozzina di uomini con dei lunghi camici bianchi erano in un laboratorio.
Sembravano immersi già nel lavoro, nonostante ci fossero a stento le prime luci dell’alba. D’improvviso la porta automatica si aprì e a solcarla fu l’uomo da loro rispettato e temuto allo stesso tempo.
Albert Wesker, ancora bagnato e sporco, entrò nel laboratorio, sostenendo fra le sue braccia una giovane donna dai lunghi capelli castani.
Il capo ricercatore di quel dipartimento si avvicinò, come a volersi assicurare delle condizioni del loro datore di lavoro, tuttavia Wesker lo ignorò palesemente, proseguendo nella stanza.
Come cani ben addestrati, subito questi si affrettarono per liberargli un lettino operatorio, in modo che potesse adagiarvi la ragazza esamine.
Wesker la posizionò lentamente sulla barella preparatogli, sotto gli occhi sempre più spaesati di quei dottori che mai lo avevano visto così trascurato.
“Signore?” parlò prudentemente uno. “E’ morta?”
“No, non lo è.” Rispose stranamente Wesker, non allontanandosi da lei, continuando a osservarla imperterrita. Mentre i suoi dipendenti non facevano che bisbigliare fra loro, egli stava già esaminando la situazione.
Nonostante il cuore fosse molto debole, Jill aveva dimostrato una notevole forza e capacità di sopravvivenza. Gli venne un dubbio e si chiese se non valesse la pena tentare…
Prese infatti una siringa e subito le fece un prelievo. Osservò il liquido rosso intrappolato nella capsula, poi lo affidò a uno dei dottori.
“Portatemi i risultati entro domani. Ora preparate la sala operatoria.” disse imperativo, con quella sua voce altisonante e temibile.
Sfilò il suo lungo cappotto nero di fibra di carbonio, e al suo postò indossò un camice, dei guanti e una mascherina.
Avrebbe effettuato lui stesso l’operazione in quell’istante, sapeva di essere l’unico in grado di garantire la sopravvivenza del soggetto.
La bruna intanto fu spogliata e portata in sala operatoria. Wesker le si avvicinò e subito si mise al lavoro.
 
“Albert!”
Il suono dei vertiginosi tacchi di una giovane donna dai lunghi e folti capelli corvini rimbombò per i corridoi del laboratorio.
Ella era vestita con un elegante abito corto che lasciava quasi del tutto scoperto il voluminoso seno, poco importandosi che quello non fosse l’abbigliamento ideale per una dirigente del global pharmaceutical consortium.
Excella Gionne era infatti laureata in ingegneria genetica.
Dotata di un intelletto acuto e un forte senso degli affari, era diventata l’amministratore delegato della casa farmaceutica Tricell all'età di soli diciotto anni.
Apparteneva ad una famiglia aristocratica ben nota e rispettata in tutta Europa.
Aveva ricevuto una rigida educazione, che tuttavia adesso l’aveva resa una donna preparata, fiera e sicura di sé.
Dunque, abituata a vedere chiunque dall’alto verso il basso, non badò a nessuno che incrociasse il suo sguardo. Si fermò soltanto quando non fu arrivata a destinazione.
“Perché non ho saputo che aveva fatto ritorno?” disse, osservando Wesker da oltre il vetro della sala operatoria, rivolgendosi a uno dei dottori.
“E’ venuto appena venti minuti fa. Non ne abbiamo avuto il tempo, signorina Gionne. Sono spiacente. Ha iniziato subito ad operare quella ragazza…”
Balbettò il dottore conoscendo bene quanto anche quella donna potesse essere terribile, nonostante la giovanissima età.
Dal canto suo, Excella sbarrò gli occhi.
“Una…ragazza? Chi?” chiese concentrando tutte le sue attenzioni sulla bruna sul lettino operatorio.
“Secondo i dati anagrafici fornitoci dal signor Wesker stesso, il suo nome è Jill Valentine. Come richiestoci, stiamo facendo degli esami sul suo sangue, e in effetti c’è qualcosa di strano in lei. Supponiamo…”
“Da qua!” disse Excella sgarbatamente, sfilandogli i moduli dalla mano.
Preferiva controllare lei stessa; aveva le competenze per farlo.
Quando terminò di leggere, il suo sguardo tornò alla ragazza. “Come è possibile..?” sussurrò appena. In seguito, senza dire altro, girò i tacchi e andò via.
Il suo ammirato Albert Wesker ne sapeva una più del diavolo.
Da quando l’aveva conosciuto, non faceva che girargli intorno, affascinata dalla sua competenza e dal suo modo di fare scaltro e diabolico. Esattamente come lei…
Per questo non vedeva l’ora di conoscere i suoi piani, e divenire così la sua partner. Lo desiderava ardentemente, nessuno avrebbe potuto esserlo più di lei.
Quel che la giovane donna non sapeva però, era che non si poteva pensare di giocare con il diavolo.
 
Più tardi, Wesker uscì dal laboratorio.
Stanco come lo era raramente, si ritirò nella sua stanza, situata in una zona residenziale nel laboratorio stesso.
Quel luogo era immenso. Centinaia di corridoi si intrecciavano fra loro, percorrendo più di una decina di piani, tutti impegnati nella ricerca.
Entrò nell’ascensore e con un pass speciale poté accedere alla zona dove erano situati gli alloggi.
Il suo, in particolar modo, non era accessibile a tutti.
Wesker era un uomo che aveva chiuso i contatti col resto del mondo, incapace oramai di ricercare la sua normalità. Se esistevano dei rari momenti un cui desiderava chiudere gli occhi, per riposare il suo cervello costantemente in funzione, voleva farlo solamente se fosse completamente solo.
Come lo era sempre stato. Come lui stesso aveva deciso di essere.
Questo perché non si fidava di nessuno al mondo, ed era proprio grazie alla sua mente fredda, scaltra e calcolatrice che egli era colui che era adesso.
Giunto a destinazione, l’ascensore si aprì ed egli percorse lentamente tutto il lungo corridoio. Arrivato di fronte una lucida porta automatica nera, fece per inserire il codice ed accedere nel suo appartamento, ma una presenza alle sue spalle lo fece desistere.
Raramente il suo intuito si sbagliava, e non era questo il caso.
Girò appena gli occhi e vide Excella Gionne, con le mani che abbracciavano i gomiti, appoggiata al muro mentre lo guardava ammiccante.
“Albert, sono stata in pensiero per te. Hai trovato quel che stavi cercando? Ti va di parlarne?” disse.
Wesker la ignorò del tutto.Le concesse a stento uno sguardo, poi tornò alla tastiera sulla porta, digitò una lunga serie di numeri, ed entrò.
Excella lo seguì fedelmente.
L’appartamento di Albert Wesker era spazioso e moderno, come si ci poteva aspettare da uno come lui. Solcando l’ingresso, vi era un ampio salotto arredato con dei mobili dall’aria costosa, un paio di divani posti l’uno di fronte l’altro, e una grande vetrata in fondo a tutto, ove poteva ammirarsi una fitta foresta in qualche parte dell’Europa.
Vi era poi un corridoio che conduceva alla zona notte. Wesker vi si inoltrò e si sedette sul letto, decisamente grande per essere solo di una persona.
Portò una mano sulla fronte, ancora turbato dall’intensa notte trascorsa.
L’incontro con Spencer l’aveva lasciato in uno stato mentale confuso e dentro sentiva il sangue ribollire. Era adirato.
Excella si sedette accanto a lui e gli portò una mano sulle spalle, per nulla intimorita di stabilire un contatto umano con lui.
Simbolo della sua ingenuità, sicurezza o imprudenza? Impossibile stabilirlo.
“Hai una palpebra ferita. Vuoi che ti medichi?” chiese, ma era inconcepibile l’idea di introdurre un dialogo normale con Wesker.
Egli infatti, al tocco delle dita di Excella sui suoi occhi, allontanò la mano di lei e la guardò gelido.
“Non necessito delle tue premure. Inoltre credo di averti già detto di non voler essere disturbato nella mia stanza.”.
Excella sbuffò come una bambina. Poi cambiò atteggiamento. Si alzò e prese a camminare per la stanza.
“Ho letto i documenti riguardanti…Valentine. Jill Valentine. Se non sbaglio è la partner del famoso Redfield di cui parli spesso. Dimmi…l’hai portata qui per un motivo? Era deceduta, o comunque sarebbe deceduta di lì  a poco, se non l’avessi operata d’urgenza tu stesso. Mi domando…perché? Sai bene cosa teniamo in laboratorio.”
Disse facendo molte pause, mentre Wesker era ancora assorto nei suoi pensieri, seduto sul letto, nel buio della stanza.
“Hai letto i referti. Mi sarà utile per il nostro progetto Uroboros. Tranquilla, so già cosa farne di lei.” Disse assecondando la donna, che si lasciò ingannare, credendo che lui fosse davvero interessato a renderla partecipe.
“Un altro esperimento?” chiese infatti lei, elettrizzata all’idea.
Wesker ricambiò il suo sguardo, considerando l’atteggiamento di quella giovane molto prevedibile.
“I dati hanno confermato i miei sospetti. Ella ha prodotto degli anticorpi molto forti in seguito alla battaglia contro il Nemesis, circa otto anni fa.” spiegò, alzandosi.
Excella spalancò gli occhi, incredula.
“Il virus Nemesis? Sul serio?”
“Questo ci aiuterà a testare meglio il virus. Un soggetto con una resistenza simile non è facile da trovare. In caso di fastidi, so cosa fare.” rispose Wesker tranquillo, facendo scendere la zip della sua maglia e avviandosi verso il bagno.
Mentre Wesker si spogliava, Excella osservò il suo fisico ben scolpito. Era una donna del tutto disinibita, così continuò la conversazione come se nulla fosse.
“Capisco…quindi hai trovato finalmente un soggetto per affinare le tue ricerche…”
Wesker infilò una vestaglia scura e la guardò dritto negli occhi.
“Non immischiarti troppo, Excella. Il mio lavoro ti riguarda fino a un certo punto.”
“Mi riguarda eccome. Sono una parente di Travis, ricordi?” rispose lei in modo saccente.
“D’accordo. Ma poi non piangerti addosso quando le cose non andranno come credi.” Concluse lui ironico, e chiuse la porta del bagno dietro di sé.
Excella rimase a guardare nella sua direzione. Sentì poi lo scroscio dell’acqua della doccia e comprese che la loro conversazione era finita. Abbassò il viso e sorrise.
“Certamente, Albert. Ma non potrai sempre lottare da solo. Anche tu hai bisogno di qualcuno che ti sostenga. Non ti deluderò.”
Poi abbandonò la stanza.
 
***
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: risvegliata e condannata ***


Come molti fan, anche io ipotizzo che Wesker non abbia subito sottomesso Jill alla sua volontà, ma vi sia stato un periodo in cui ella sia stata minimamente capace di agire.
Grossomodo, è questo il tema portante della fan fiction, con la quale volevo approfondire questo lasso di tempo che in re5 non è mostrato, interpretandolo in un’ottica personale WeskerxJill.
Buona lettura!
Un ringraziamento a Martamatta e Lucia1997 per le loro recensioni!^^







THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
CAPITOLO 3
 
 
 
 
 
…Una nuova razza umana superiore che vede la luce grazie al virus Progenitore.
Ai fratelli Wesker fu affidato un potenziale infinito.
Di loro, solo uno sopravvisse. Tu.
 
Vuoi dire che sono stato fabbricato?
 
Stavo per diventare un dio, creatore di un nuovo mondo per un’avanzata razza di esseri umani.
 
Eppure, tutto è andato perduto a Raccoon City.
Nonostante quella sconfitta, la tua creazione ha tutt’ora grande importanza.
 
La mia ora si avvicina inesorabilmente.
Destino beffardo per un uomo che ha il diritto di essere un dio!
 
Il diritto di essere un dio…
 
 
 
Wesker spalancò gli occhi, sconvolto.
Completamente sudato, tocco la fronte con la sensazione di avere ancora addosso il caldo sangue di Spencer quando l’aveva trafitto.
Nonostante fosse solo un ricordo riportato nella sua mente attraverso un incubo, sentì nitidamente sulla sua pelle il corpo di quell’uomo trapassato dalle sue stesse mani.
Una sensazione devastante lo pervase, ancora incapace di accettare che dopo quell’episodio qualcosa si fosse scosso nella sua mente.
Buttò via le coperte e si alzò, avanzando verso la finestra.
Era forse normale essere tormentato dagli incubi? Da quanto effettivamente non dormiva serenamente?
Una coscienza macchiata come la sua non gli avrebbe mai concesso beato riposo, questo da molto tempo oramai.
Tuttavia la sua mente era sempre stata fredda e distaccata dalle sue ansie, e mai si era sentito così…
Un brivido tremendo lo attraversò in tutto il corpo di nuovo. Sentì che non rispondeva al suo richiamo di tornare in sé, e prese a tremare, a sudare freddo.
Digrignò i denti e scagliò un pugno contro il muro, frantumandolo in quel punto.
Ansimava, arrabbiato col mondo intero, arrabbiato con se stesso, arrabbiato con Ozwell Spenser…!
Le parole di quell’uomo echeggiarono disturbanti nella sua testa con ossessione, ripetendosi a catena l’una dopo l’altra. Atroci, martellanti, come spade appuntite nel suo cranio.
Rivide quel vecchio nei suoi ricordi, il buio di quel castello, la sua indifferenza nel parlare a lui di quei suoi progetti, infischiandosene, e forse non notando nemmeno, di star devastando la mente di un uomo che aveva sacrificato tutto per rincorrerlo.
Lui…non era altro che un fabbricato? Un prodotto? La sua vita…era stata tutta una menzogna?
Tutta la sua esistenza era girata attorno ad un folle simile?
Sferrò un altro pugno, devastato da quelle parole che non stavano facendo altro che tormentarlo da giorni.
Il suo autocontrollo, la sua mente fredda e calcolatrice…stava tutto vacillando?
Stava…impazzendo?
Dopo anni di sacrificio…era questo ciò che lo stava facendo crollare? Perché?
Perché non riusciva a dimenticare quelle parole? Perché lo avevano scosso fino a questo punto?
Aprì i pugni e guardò le sue mani. I suoi pensieri si fecero sempre più struggenti.
Nove anni…erano passati nove anni da quando aveva sacrificato la sua umanità per seguire Spencer…
Invece ne aveva appena diciotto quando era iniziato tutto…quando da giovanissimo scienziato era entrato per la prima volta nel laboratorio sui monti Arklay e aveva cominciato a lavorare per conto di Spencer senza mai poterlo vedere. Senza mai sapere nulla. Senza conoscere lo scopo della sua ricerca, trattato poco più di una macchina.
Ventinove anni in totale, che aveva dedicato la sua vita interamente a tutto questo.
Ed ora…uno stupido vecchio veniva a dirgli di averlo prodotto e di aver fatto della sua vita un esperimento? E per cosa…? Per divenire…un Dio?!
Scaraventò all’aria la lampada poggiata sul comodino vicino al letto, facendola rompere in mille pezzi. Nascose poi il viso fra le mani.
Disperato ed adirato, stava cadendo in un baratro dal quale non riusciva davvero a uscire.
Il prezzo della verità tanto ambita…era stato questo? 
“Il potere di essere un Dio, dici? Che arrogante.. arrogante fino all’ultimo. Ahahah…ahahah!”
Wesker cominciò a ridere in modo malsano, sconvolto, in balia dell’oblio più nero e confuso.
 
 
***
 
 
Erano le due del pomeriggio all’incirca, e Wesker era ancora in giro per i laboratori.
Sempre immerso nel suo lavoro, ultimamente la sua ricerca sembrava essere giunta ad un livello ossessivo, quasi come fosse incapace di staccarsi da quei monitor.
Le sue attuali ricerche necessitavano la sua stessa presenza lì, in quanto si trattavano di esperimenti delicati e non poteva permettersi intoppi di alcun genere.
Eppure non si trattava solo di questo.
Di recente era partito anche per l’Africa con l’intento di testare alcuni campioni di virus presso la Tricell.
Era tornato appena la sera prima, dopo più di quattro mesi di assenza, ed ora era già al lavoro.
Albert Wesker era costantemente concentrato sul da farsi e non avrebbe mai ammesso ritardi sulla sua tabella di marcia.
Nessuno osava contraddirlo, proprio perché tutti sapevano che, se si aspettava dei risultati, non avrebbe accettato scuse.
Sulle lenti scure si riflettevano i dati che stava controllando.
Come facesse a sostenere un ritmo simile, era inconcepibile anche per lo scienziato più scrupoloso.
Tuttavia Wesker apparteneva ad una formazione diversa.
Egli era pur sempre stato uno scienziato dell’Umbrella, ove tutti erano sottoposti ad un regime molto severo.
In quel contesto, aveva conosciuto persone persino più ossessive di lui verso il lavoro…
William Birkin, ad esempio, era forse l’unico vero collega che avesse mai avuto.
Egli era l’unica persona al mondo alla quale aveva riconosciuto bravura e intelletto, nonché scaltrezza e crudeltà, che nel loro lavoro non erano un male.
Nonostante le loro tante divergenze, Birkin era l’unico uomo che gli fosse somigliato nella vita, alla fin fine.
Entrambi dotati e disposti a tutto, questo li aveva sempre resi diversi dagli altri.
Ripensando tuttavia alla sue sorte, preferì allontanare quel ricordo.
L’idea di rimanere soggiogato dalle ricerche come lui lo inquietava, anche perché comprendeva bene l’ardore che c’era stato in lui in quegli anni… perché quell’ardore scorreva anche in lui.
Sarebbe morto anche lui per le sue ricerche?
Questo lo sapeva da sempre.
Ad un certo punto si alzò. Raccolse dei moduli e si inoltrò nel corridoio.
Con lo sguardo severo puntato di fronte a sé, si fermò soltanto quando giunse davanti a lei…
 
Guardò apaticamente verso il liquido bio organico dove era immersa Jill Valentine, la sua “nemica”. Era passato all’incirca un anno da quando era accaduto l’incidente.
Poco dopo tre mesi di ricerca, sia lui che la donna erano stati dati per morti.
Pensava che Chris Redfield avrebbero demorso con più difficoltà. Tuttavia era meglio così, anche questo favoriva i suoi piani.
Poggiò una mano sul vetro.
Già prima della sua partenza per l’Africa aveva notato che i pigmenti dei capelli della ragazza stavano tendendo a schiarirsi.
Ora, con quei quattro mesi di distanza, erano di un color biondo pallido.
Con ogni certezza, la causa doveva essere il lungo sonno criogenico a cui l’aveva sottoposta. I bulbi piliferi del cranio dovevano aver subito un precoce processo di scolorimento, eziolamento in termine tecnico. Ma non era certo questa la sua preoccupazione.
Quel che gli importava era se era riuscito a sfruttare la notevole forza che la ragazza aveva in realtà dentro di se.
Se avesse avuto riscontri positivi, poteva essere un enorme vantaggio quello di averla ancora come cavia.
La ragazza infatti gli era già stata davvero utile in quel lungo anno per il suo progetto Uroboros.
Tenerla in vita era stata una decisione che si era rivelata davvero proficua per lui.
Stette in silenzio ad osservarla, mentre i capelli di lei ondeggiavano sul suo viso seguendo movimenti del tutto casuali, eppure delicati e armonici.
Improvvisamente ebbe l’impressione che ella avesse aperto gli occhi, seppur per un istante.
Si avvicinò al computer collegato con la capsula dentro la quale era immersa. Controllò il suo sistema nervoso e le funzioni celebrali. Dalla colorazione del monitor e dagli impulsi che raccoglieva dal suo cervello, ella sembrava infatti tutt’altro che dormiente. 
Decise dunque di riprodurre in modo velocizzato i suoi movimenti registrati durante gli ultimi giorni.
Constatò che la ragazza stava dando i primi segni di risveglio fin dalla mattinata del giorno prima.
I tempi erano decisamente prematuri, ma se così fosse stato, era meglio toglierla di lì.
Gli scienziati che stavano seguendo il caso con lui prepararono subito le apparecchiature, e fu Wesker a premere, senza esitazione, un pulsante che fece svuotare la vasca dal liquido.
L’acqua defluì velocemente, al che la donna si abbandonò completamente sul fondo, premendo la schiena sul vetro non avendo più alcun sostegno che la reggesse.
Le collegarono immediatamente tutti gli strumenti predisposti per garantirle la sopravvivenza, dopodiché fu coperta con un camice ospedaliero.
La ora bionda Jill Valentine aprì per un istante gli occhi, cominciando a tremare visibilmente, ma non sembrava aver ancora preso pienamente coscienza.
Ad un tratto si piegò su se stessa e, come in preda ad un attacco di panico, ebbe dei violenti spasmi. Cominciò a tossire convulsivamente con gli occhi spalancati, portando una mano alla gola nonostante avesse l’inalatore.
Cadde poi in avanti, completamente sfinita.
Wesker rimase impassibile, e la osservò attraverso le lenti completamente padrone di sé.
La reazione avuta era del tutto normale, non c’era da preoccuparsi.
Contando che aveva previsto persino una piccola percentuale di morte, poteva già dirsi ottimista sulla buona riuscita del suo esperimento.
Ora doveva solo aspettare che ella riprendesse coscienza.
Prese fra due dita il viso di nuovo addormentato della giovane, girandolo verso di sé.
Abbozzò appena un sorriso divertito e, prima di lasciare che fossero gli scienziati a occuparsi di lei, le sussurrò all’orecchio: “Bentornata, Jill Valentine.”
      
 
 
***
 
 
Jill lentamente riprese conoscenza.
Era buio e tutto sembrava galleggiare in aria. Anche il più piccolo rumore pareva rimbombare terribilmente, come un suono disturbante.
Una fortissima nausea la pervase in corpo, sentendosi prigioniera dell’oscurità più assoluta.
Nell’inconscio del sonno, temette persino di cadere nel vuoto.
A quella sensazione angosciante di non avere via di scampo, di essere in balia del nulla, sbarrò gli occhi, terrorizzata.
Emise un piccolo urlò che di scatto la fece raddrizzare col busto.
Ansimò fortemente in preda allo sgomento.
Confusa e spaventata, la testa cominciò a girare vorticosamente per quel brusco risveglio.
Portò una mano sulla testa, schiacciandola contro le ginocchia, incapace di scacciare quella martellante emicrania.
Strinse i denti sentendosi di morire, e per un istante perse nuovamente i sensi.
Riaprì gli occhi pochissimi minuti dopo.
Stavolta la testa non doleva, e nonostante tremasse sotto shock, cominciò ad analizzare la situazione.
Si guardò attorno.
Le immagini erano ancora molto offuscate e le fu difficile mettere a fuoco il luogo che aveva dinanzi a sé.
Se prima le sembrava buio, in quel momento si accorse che una luce al neon illuminava un piccolo angolo di quel posto.
Sobbalzò quando distinse un tavolo operatorio ancora sporco di sangue. 
Ancora tremante, strinse una barra della cella dove era tenuta prigioniera, e si affacciò oltre.
Dove era finita? Cos’era quel posto? Un ospedale..?
Ma se era un ospedale, perché era chiusa in gabbia? Era forse…una cavia, piuttosto…?
Buttò un occhio su se stessa e si accorse in quel momento di essere coperta unicamente da un camice ospedaliero.
Si strinse le spalle sentendosi nuda.
Cercò intanto di ricapitolare cosa le fosse accaduto, ma la sua mente non rispondeva, come fosse bloccata da qualcosa che non le permettesse di ricordare.
Era ancora assopita dal sonno, o forse era stata addirittura drogata, non lo sapeva.
Non poteva di certo sapere di aver dormito per un anno intero.
Posizionò le gambe in modo da alzarsi.
Premette dunque sui piedi, ma nel momento nel quale si sollevò da terra, ricascò subito. Si sentiva ancora molto debole e fiacca.
Tuttavia l’istinto era più forte. Esso le diceva che doveva andar via di lì…e alla svelta!
Come però?
Girò gli occhi sperando di cogliere anche la più piccola via di fuga.
Una piccola forcina a terra attirò la sua attenzione.
Era fuori dalla cella dove era tenuta prigioniera, ma forse con un piccolo sforzo avrebbe potuto raggiungerla.
Si mise in ginocchio, e con tutte le sue forze tese il braccio sperando di riuscire ad afferrare il piccolo oggetto.
Non fu particolarmente difficile, ma prima di essere compiaciuta della buona riuscita del piano, doveva ancora aprire la serratura.
Le sue mani tremavano all’impazzata. Dovette ispirare più volte per farsi forza e concentrare le sue energie in modo da essere ferma.
Giocò col meccanismo per diversi minuti, non perdendosi d’animo nonostante l’ansia continuasse a crescere. Chiunque avrebbe potuto entrare da un momento all’altro.
Poi…il meccanismo scattò.
Quasi incredula, spinse appena la porta della cella, la quale emise un cigolio assordante.
Nonostante il suo equilibrio fosse ancora precario, quasi si buttò oltre la cella, e si inoltrò accelerando il passò quanto più le gambe le consentissero.
Cascò a terra più volte, e se non avesse avuto il sostegno dei muri, difficilmente sarebbe riuscita a camminare in piedi.
Guardò attorno a sé, mentre il cuore le batteva all’impazzata.
Non sembrava un posto qualsiasi.
Strani oggetti, macchinari, nonché tessuti mollicci, erano esposti. Sembrava quasi un laboratorio.
Strinse una mano sul petto, indietreggiando spaesata.
Non faceva che domandarsi cosa le fosse successo, perché fosse lì…?!
Ma non c’era nulla che le permettesse di ricordare. Neppure un piccolo indizio. Solo la paura era la sua unica compagna in quel momento, e le diceva “scappa”.
Si avvicinò ad una piccola capsula, dentro cui c’era uno strano filamento nero.
Lo guardò cercando di capire cosa fosse, quando all’improvviso questo scattò in sua direzione.
“Ah!” urlò, cadendo all’indietro e portando poi subito una mano alla bocca, impaurita che qualcuno avesse potuto sentirla. Non vedendo nessuno, si rimise in piedi. 
Notò che quello strano filamento nero era ritornato adagiato nella capsula.
Si allontanò comunque, decidendo di ignorarlo, e fu allora che vide una lunga scalinata di fronte a sé.
Doveva salirla?
Non che avesse molta scelta…così avanzò.
Il corpo lentamente prese a rispondere meglio ai suoi comandi. Il cuore le batteva a mille. Poteva sentirlo sbattere nel suo petto.
Non sapeva cosa avrebbe trovato, ma voleva fuggire via da lì. Era la sua unica consapevolezza.
Una volta in cima, sbirciò cautamente e constatò di essere in un luogo molto moderno, composto per lo più da corridoi.
Continuò avanzando molto lentamente, come aspettandosi che qualsiasi cosa potesse aggredirla da un momento all’altro.
Non sapeva nemmeno lei perché avesse una tale paura in corpo, ma qualcosa le disse di stare allerta, di non abbassare mai la guardia. Loro sarebbero potuti arrivare da un momento all’altro.
Si fermò, confusa.
Loro” chi?
Portò una mano sulla fronte incapace di comprendere la sua stessa mente.
All’improvviso, diversi rumori metallici invasero il luogo. Alcuni più striduli, altri più gravi o acuti.
Erano degli strumenti di laboratorio?
Si affacciò verso un vetro coperto da delle sottili persiane e, sbirciando dentro, ebbe l’impressione di vedere un uomo.
Era coricato su un lettino, il suo corpo era livido…era…morto? E cosa stava facendo quel dottore di fianco a lui?
Scappò via, questa volta ancora più consapevole di dover uscire via di lì.
Quella era infatti tutt’altro che un’operazione…sembrava un vero e proprio test con una cavia umana!
Doveva approfittarne ora che non c’era nessuno, ora che nessuno si era ancora accorto di lei.
La prudenza che prima l’aveva quasi immobilizzata, ora era scomparsa.
Si ritrovò soltanto a correre per quei corridoi.
Trovò una porta, dunque si ci buttò contro, oltrepassandola.
Tuttavia le forze l’abbandonarono proprio in quel momento, così precipitò di nuovo a terra, rotolando per le scale.
Alzò la testa e, nel silenzio, sentì il rumore di dei passi.
Girò gli occhi a destra e a sinistra cercando di captarne la provenienza. Stavano salendo o scendendo? In quale direzione avrebbe dovuto fuggire?
Ad un tratto, percepì che provenissero dall’alto, così si rimise velocemente in piedi e scese gli scalini.
L’essere scalza l’aiutò a non fare rumore e continuare a correre.
Aprì un’altra porta e si ritrovò di nuovo nei corridoi. Dove diavolo era l’uscita?
Si girò indietro, ma i passi sentiti prima erano oramai quasi alle sue spalle.
Così analizzò la situazione.
Prese un porta flebo lasciato incustodito nel corridoio e lo impugnò saldamente.
Tornò indietro e lo puntò determinatamente contro i dottori che adesso erano proprio di fronte a lei. Questi, colti alla sprovvista, non poterono evitare il colpo ben assestato della bionda, così si ritrovarono a terra doloranti.
Intanto lei buttò a terra l’asta e corse con tutte le sue forze verso la porta che aveva di fronte a sé.
Corse a perdifiato ritrovando dentro di se un’energia inaspettata.
Scaraventò all’aria chiunque incontrasse e ad un tratto sentì persino gli allarmi suonare.
Intravide una finestra. Era il momento di andare via.
Così si ci buttò contro e subito fece per scavalcarla.
Nonostante i suoi movimenti, che furono davvero veloci, degni di un ex agente STARS, fu tuttavia bloccata alle sue spalle.
Urlò dimenandosi come una indemoniata.
Accorsero più persone, che la bloccarono in ogni parte del suo corpo, fino a sollevarla e riportarla nel corridoio.
Le misero velocemente una camicia di forza, dopodiché le fecero un’iniezione.
Nel giro di pochi istanti, le forze l’abbandonarono completamente e, nonostante riuscisse a rimanere sveglia, era come se fosse in uno stato catatonico.
A quel punto, coloro che l’avevano afferrata, furono liberi di metterla su una sedia a rotelle e riportarla in laboratorio.
La donna si sentì bruciare dalla rabbia mentre vedeva quella finestra allontanarsi dalla sua vista, senza avere la possibilità di far nulla.
“Cosa succede qui?” una voce femminile si avvicinò.
“Dottoressa Gionne, abbiamo avuto una piccola complicazione.”
Jill guardò quella donna. Chi era?
“Uhm…contattate Albert. Credo sarà felice del risveglio della sua biondina.” Disse visibilmente sarcastica, dopodiché andò via.
La ragazza intanto accasciò la testa, spaesata, non comprendendo quasi più le parole che uscivano dalla loro bocca.
Esse risultavano come un eco lontano e disturbato, e la cosa la stava mandando in bestia.
Che volevano da lei?
Vide il corridoio scorrere mentre un paio di dottori spingevano la sua carrozzina. Dove la stavano portando?
Girò gli occhi quando li vide aprire una porta, portandola in un luogo non ben definito.
Era un ascensore? Non fu in grado neanche di stabilire questo.
Il farmaco che le avevano somministrato doveva essere davvero potente.
Giunsero infine in un’ampia stanza, illuminata appena, che sembrava apparentemente vuota.
Si guardò intorno quando vide i due dottori allontanarsi, e al suo posto avanzare un uomo alto, dai capelli biondi portati all’indietro, con addosso un abbigliamento completamente nero.
Nonostante quel luogo fosse poco illuminato e al chiuso, indossava degli occhiali da sole.
Fu una visione abbastanza bizzarra, ma che suscitò in lei un ricordo indefinito.
Si chiese se conoscesse quell’uomo…
Lui si avvicinò piegandosi verso di lei, guardandola quasi in modo familiare.
La ragazza sentì i brividi scorrere lungo il corpo, trovando inspiegabilmente disturbante quella presenza.
“Felice di rivedermi..Jill?” disse lui quasi prendendosi gioco di lei, con quel suo viso duro e gelido, eppure con un sorriso provocatorio stampato.
La donna strinse gli occhi, riuscendo solo a ripetere parte della sua frase.
“ ‘Jill..?’ ”
L’uomo parve sorpreso da quella risposta. Si sollevò sconcertato.
“E’ il tuo nome. Non ricordi? Forse sei solo un po’ confusa. Dopotutto…è naturale. Hai dormito davvero a lungo, lo sai?”
Le disse in modo ovvio, atteggiandosi con fare irritante, cominciando a girare attorno a lei, come un predatore che amava torturare la sua preda prima di ucciderla.
La ragazza scosse la testa, sempre più confusa.
L’uomo stette a osservarla per qualche secondo, poi si chinò verso di lei poggiando le mani sui braccioli della sedia a rotelle su cui era seduta.
La vicinanza era tale che la bionda poté sentire il suo respiro.
“Ti ricordi di me? Sai chi sono?”
La sua voce altisonante rimbombò nella sua testa.
Nonostante le lenti scure, poté intravedere uno strano bagliore nei suoi occhi, ma non poté approfondire oltre che lui si allontanò già da lei.
Mentre la ragazza era ancora in balia di quel contatto visivo, che la stava facendo sprofondare nella pazzia, egli inaspettatamente si voltò di nuovo verso di lei. La sua mano afferrò il tessuto che la rivestiva con una velocità inumana, tanto che la ragazza non si accorse nemmeno quando effetivamente si fosse riavvicinato. Egli la sollevò dalla sedia a rotelle, che si cappottò rumorosamente di lato, tenendola violentemente per il camice. La mise dunque in piedi con forza, sollevandola appena da terra.
La bionda spalancò gli occhi, immobilizzandosi dalla paura.
Provò a farfugliare qualcosa, ma le mancò il respiro per il panico che stava avendo il sopravvento su di lei.
Intanto Wesker, con fare tranquillo, la esaminava, cercando di avere una reazione da lei.
Mentre la teneva sollevata, le slacciò la camicia di forza, così lei cadde a terra.
La giovane lo guardò sgomentata.
Percorse la sua figura con lo sguardo e si sentì indifesa di fronte quell’imponente figura, sicura che l’avrebbe uccisa.
“Co…sa….ho fatto? P…perché sono qui?” disse tremando, un po’ per l’ansia, un po’ per i farmaci che avevano addormentato i suoi muscoli.
Wesker l’osservo dai suoi vetri scuri. Vide Jill incastrare la testa nel collo, impaurita.
Era dunque vero? Non ricordava nulla?
Vederla ai suoi piedi così frastornata e sottomessa lo irritò tangibilmente, tuttavia non era il caso perdere il controllo. Forse il suo esperimento poteva comunque essere andato a buon fine.
“Riportatela in cella. Faremo qualche test.”
Annunciò all’improvviso, voltandosi e uscendo dalla stanza.
“Cos..?!” disse appena la ragazza, poi urlò disperata mentre la portarono via. “Nooooo..!!”
Wesker udì il suo eco infischiandosene altamente.
Non gli fece ne caldo ne freddo quella povera donna disperata che non sapeva neanche chi fosse.
 
 
***
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: la fine del 'sogno' ***


 
 
Piccole note introduttive:
Vorrei parlare del mio modo di concepire il pairing Albert Wesker x Jill Valentine.
 
Io adoro questi due personaggi.
In loro vedo una relazione drammatica, anst, irrazionale, che ha tuttavia un suo fascino. 
Una storia che io interpreto nel genere ‘villain x heroine’, cioè love story fra due antagonisti.
Un genere che io amo davvero!
Amo quel tipo di relazioni a metà fra l’odio e l’amore, fra ciò che il cuore vuole e la ragione vieta, un rapporto insensato, disturbante per i protagonisti, ma allo stesso tempo passionale e bramoso.
Non è facile descrivere questo tipo di coppie, credo sia un genere che solo chi ne è appassionato possa capire.
Ma è in questo contesto ‘dark’ e ‘angst’, che io vedo la WeskerxJill, che per me sono l’apoteosi del genere villainxheroine.
Li adoro proprio per questo rapporto angustiante ed intrigante, che sussiste nonostante ogni cosa attorno a loro dica “no”, persino il loro stesso cuore.
Wesker è un criminale che ha condannato milioni di persone ad un destino tremendo. Un uomo glaciale e privo di scrupoli, che ha condannato la vita della stessa Jill.
La mia ambizione è quindi quella di realizzare una WeskerxJill credibile, che tenga conto di questi presupposti, ma che, in tutto questo, mostri anche la contraddittorietà che l’amore può destare nell’animo di due personaggi come loro.
Ho pensato di spiegare meglio come vedo la coppia WeskerxJill.

Mi è sembrato giusto specificare meglio in che modo intendo affrontare la loro relazione, che io amo proprio per quel che è davvero.
Un rapporto di antagonismo, nel quale io vedo però anche una sorta di amore platonico versione dark.
Per ora, trasparirà solo il loro antagonismo, ma più avanti, con i tempi giusti, fuoriuscirà anche questo aspetto.
Vi lascio al quarto capitolo, ora!
Grazie mille a tutti coloro che mi seguono!!
Grazie ad Astarte90 per la sua recensione, che a proposito, è leggendola che mi ha invogliata a spendere due parole su come vedo questi due personaggi!^^
 
 



 

THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
CAPITOLO 4
 
 
 
 
“Dunque…non ricorda nulla?”
“Sì, è così, signore. In realtà si tratta di un’amnesia momentanea dovuta probabilmente alla criogenazione. Potrebbe riacquistare la memoria da sola nel giro di qualche giorno, oppure per via farmacologica, se preferisce.”
“No, attendiamo. Sono molto curioso di vedere cosa accadrà.”
Concluse Wesker mentre osservava Jill Valentine chiusa nella sua cella attraverso un monitor.
In seguito, raggiunse egli stesso il luogo dove era rinchiusa, con intenzioni stranamente amichevoli.
Con tutte le probabilità, l’idea che la donna non ricordasse nulla di lui, lo doveva divertire molto.
Si avvicinò alla cella e poggiò una mano sulla sbarra di ferro.
La bionda alzò gli occhi, seguendo quel movimento.
Wesker notò dei lividi sul suo corpo e sul viso.
Doveva esserseli procurati in seguito all’interrogatorio al quale l’aveva sottoposta per stabilire se stesse recitando la sua amnesia.
Strinse gli occhi, poi girò la chiave nella serratura ed entrò.
La donna si ritrasse, schiacciandosi contro la parete.
Vedendola così diffidente, Wesker si chinò alla sua altezza, non avvicinandosi troppo.
Era la sua recita dell’uomo ‘traditore’, messa già in atto con la stessa giovane a suo tempo.
“Jill Valentine, soldato della S.T.A.R.S. , abile scassinatrice. Io ero il tuo capitano.” affermò fingendosi rassicurante.
Lei lo guardò dubbiosa non sapendo se credere alle sue parole o meno.
Quell’uomo era pur sempre colui che l’aveva fatta rinchiudere lì dentro.
“Tieni. Ti ho portato qualcosa da mangiare. Fai pure con calma, tornerò più tardi.”
Disse intanto lui, allungandole un vassoio con del cibo, per poi allontanarsi.
Non appena egli richiuse la cella e andò via, lei si avvicinò alle sbarre e seguì la sua figura con lo sguardo mentre spariva.
Ancora dubbiosa, guardò il vassoio che le aveva posto.
Nonostante non si fidasse, non poteva negare di essere davvero affamata. Anche questo la rendeva veramente debole.
Si piegò e costatò che quella razione di cibo non sembrava manomessa, forse poteva davvero cibarsene. Tuttavia la fame era troppa e a un certo punto non ci pensò su due volte, così cominciò a mangiare.
 
 
***
 
 
“Quindi, Albert, quand’è che ripartiamo?” chiese la donna dai capelli neri sdraiata sul letto.
“A suo tempo. Ho ancora molto da fare.” rispose Wesker, seduto anch’egli sul letto, ignorando le avances di Excella, la quale non si faceva remore nel stargli vicino.
Ella si adagiò sul suo petto, desiderosa di stabilire un contatto con lui.
“Uhm…è per via della biondina, vero? Hai ottenuto qualche risultato interessante?”
“Non ti interessa.”
A quella fredda risposta, Excella si sollevò di colpo da lui e lo guardò ferita.
“Albert! Credo di essermi meritata la tua fiducia!”
“Non vorrai lamentarti come una ragazzina, spero.” dibatté lui, avvicinandosi il cellulare, per nulla scosso da quelle frivolezze.
Excella strinse le labbra trattenendo la rabbia che provò dentro, poi si alzò e abbandonò la stanza, indignata.
Wesker, dal canto suo, continuò indisturbato le sue faccende, commentando ad alta voce il comportamento della donna.
“Povera piccola Excella. Illudersi di essere mia amica sarà la tua condanna un giorno.”
Disse, poi portò il telefono al lobo dell’orecchio.
 
Excella intanto percorse il corridoio velocemente, intenta nel ritirarsi nella sua stanza.
“Tanto lo so che è per lei! Credi forse che non l’abbia capito?” sbuffò accecata dalla rabbia.
Wesker era sempre stato un uomo freddo e distante.
Questo sia con lei che con chiunque.
L’unica cosa che aveva in mente era il suo progetto Uroboros.
Anche lei lo seguiva con dedizione, e aveva trovato in lui il collega ideale. Tuttavia sperava che la cosa fosse ricambiata.
Invece il sentirsi nient’altro che una pedina per lui, l’addolorava molto.
Ma lei sapeva come gestire gli uomini. Molto presto l’avrebbe capito anche lui con chi aveva a che fare.
Nell’ultimo anno, l’uomo con gli occhiali scuri era diventato ancora più tetro e silenzioso.
Era sicura ciò dipendesse da un tale Spencer, ma non era riuscita ad approfondire la questione.
In più se aggiungeva quella Jill Valentine…
La presenza di quella donna la infastidiva moltissimo. Pur essendo solo una cavia, riceveva più attenzioni da Wesker di lei.
Con la scusa degli esperimenti, lui la vedeva ogni giorno già da una settimana, e cominciava a non essere più sicura che lo facesse per testarla.
Si avvicinò a una camera di sorveglianza e vide la bionda sul monitor seduta su una sedia.
Era sempre rinchiusa in una cella, tuttavia in un ambiente meno ostile.
Almeno non era buttata come uno straccio vecchio dietro delle sbarre, ma adesso era chiusa a chiave in una semplice stanza vuota.
Indossava un pigiama ed Excella sapeva stesse in attesa di Wesker.
Di lì a poco, infatti, vide l’uomo entrare nella stanza dalla telecamera.
Quel suo modo di fare garbato la mandò su tutte le furie.
Vide la donna alzarsi, questa volta per nulla intimorita dalla sua presenza.
Dopotutto era passata una settimana, e Wesker aveva saputo conquistarsi la sua fiducia.
In questo, lui era un abile manipolatore.
Sapeva far credere agli altri tutto ciò che lui voleva che loro credessero.
 
La bionda Jill si alzò quando vide entrare il signor Wesker.
Dopo quanto era accaduto, molte cose erano cambiate.
In un loro precedente incontro, egli le aveva detto che era stata rapita durante una spedizione e degli scienziati avevano fatto dei test su di lei.
Era per questo che adesso la tenevano nei loro laboratori, proprio per curarla e assicurarsi sulle sue condizioni.
Nonostante quella storia non la convincesse per nulla, aveva deciso di credergli.
Per qualche motivo quell’uomo la rassicurava.
Sentiva che, nonostante l’impressione iniziale, potesse fidarsi di lui.
Negli ultimi giorni, lui aveva mostrato molto rispetto per lei. Soprattutto da quando aveva appurato che aveva perso la memoria.
Le aveva detto di conoscerla, ma lei non ricordava né di lui, né di essere un soldato.
Tuttavia i conti tornavano, soprattutto sulle sue abilità fisiche, abbastanza tipiche di un soldato ben allenato.
Inoltre le aveva detto che lei era conosciuta fra i suoi colleghi come la “maestra dello scasso”, ed in effetti quella era un’abilità da lei stesso constatata.
Sentì quindi che poteva essere fiduciosa. Egli non mentiva.
Così, quando lui entrò, rispettando l’orario col quale era solito presentarsi, fu felice di vederlo.
Non aveva che lui in quel momento.
Se non ci fossero state le sue visite, avrebbe passato le sue giornate completamente sola.
L’unica cosa che la turbava, erano quelle sue lenti scure.
Si chiedeva ardentemente perché non volesse farle vedere i suoi occhi…
Lo salutò con un timido ‘buongiorno’, intanto Wesker le si rivolse con quel suo modo di fare galante, eppure ingannatore.
“Vieni con me, Jill.” disse inaspettatamente lui, invitandola a seguirlo.
La donna lo vide inoltrarsi oltre la stanza, e lì per lì si chiese se potesse davvero seguirlo fuori. Vedendolo però procedere senza voltarsi, si sbrigò a infilare le pantofole e ad essere subito dietro di lui.
Passarono per vari corridoi.
Jill sbirciò più volte verso di lui, mentre si destreggiava in quell’ambiente come conoscendolo palmo a palmo.
Egli era un uomo imponente ed autorevole. Un militare perfetto.
La sua postura, il suo corpo, i muscoli… doveva essere anche molto forte.
Quando lo vedeva, sentiva di ricordare più di qualcosa su di lui, ma la memoria le impediva di estrapolare quei frammenti, così quel sentimento la rendeva inquieta.
Il cuore le palpitava come consapevole di chi egli fosse, quasi come se le sussurrasse che lui non fosse un uomo qualsiasi per lei.
Il dubbio la lacerava e la stava rendendo così turbata e silenziosa che persino uno come Wesker, che per nulla dava peso ai sentimenti altrui, ci fece caso.
Tuttavia desistette nel farle delle domande.
Non era nel suo carattere interessarsi alla delicata psiche femminile.
Le buttò appena un occhio proprio per mettere in soggezione la ragazza e far cessare quei suoi fugaci sguardi furtivi.
Tuttavia la donna non abbassò lo sguardo, anzi. Si fermò e rimase a guardarlo.
Wesker si bloccò, sorpreso di quella reazione.
“Dunque?” chiese laconico.
“Wesker…è solo che il suo volto mi ricorda qualcosa.” disse lei pensierosa, ma decisa.
Le sue sopraciglia erano corrucciate, mentre cercava di focalizzare la sua figura e magari ricordare qualcosa di più.
L’uomo con gli occhiali abbozzò appena un sorriso divertito, poi le diede le spalle e continuò a proseguire nel corridoio.
“Siamo arrivati.” affermò mentre spalancava un portellone, al di la del quale si ritrovarono in un immenso giardino interno.
Jill sbarrò gli occhi, incredula.
Il cielo, l’aria, la vegetazione…gli occhi si inumidirono impercettibilmente alla visione di quel luogo all’aperto.
Era come se non respirasse aria fresca, e non vedesse il cielo, da mesi.
“Felice?” chiese Wesker.
“Grazie...” sussurrò lei, ammirando il paesaggio. “Quando guarirò? Presto potrò uscire di qui?” aggiunse, e il volto di Wesker si abbuiò.
“Purtroppo no.” Sentenziò all’istante, quasi innervosito. “La tua permanenza sarà ancora lunga. Conviene che cominci ad abituarti. Puoi tuttavia goderti questo posto per oggi.”
Nonostante la sua voce pacata, Jill percepì quelle parole come un ordine.
Tuttavia non seppe se darci peso o meno.
Era pur vero che quell’uomo aveva un timbro così autorevole che ogni cosa dicesse sembrava una sorta di comando.
Così si limitò ad avanzare di qualche passo e visitare quel luogo.
Wesker invece rimase indietro, incrociando le braccia e aspettando pazientemente che la ragazza finisse il suo ‘tour’.
Guardò l’orologio, erano le nove meno un quarto di mattina.
Rialzò gli occhi distrattamente, e fu in quel momento che si accorse che Jill era a terra.
Dapprima colto alla sprovvista, subito si avvicinò a lei.
Era svenuta.
La sollevò per le spalle, sorreggendola col braccio. Era visibilmente pallida.
Si chiese come mai, nonostante le cure, continuasse ad essere così debole.
Jill aprì gli occhi dopo pochissimi istanti e lo guardò frastornata.
“Ho…avuto solo un capogiro. Sto bene.” disse con gli occhi semi aperti. 
Wesker continuò ad esaminarla con lo sguardo e, mentre l’aiutò a mettersi in piedi, un grosso boato fece trasalire entrambi.
Jill, ancora sorretta per le spalle da Wesker, si voltò non comprendendo.
Lui invece già immaginava cosa stesse per succedere.
“Stai in guardia.” Le disse, ma la ragazza lì per lì non comprese le sue parole.
In meno di qualche secondo, diverse presenze invasero il luogo circostante.
Jill si mise allerta, consapevole che qualcosa di ostile si stesse avvicinando.
Wesker fece lo stesso, mettendosi di spalle a lei.
Poi ecco che qualcosa saltò da un cespuglio.
Superando la velocità dei suoi riflessi, Jill vide Wesker assestare un calcio senza che neanche si fosse accorta che qualcosa si era lanciato contro di loro.
Sobbalzò quando vide che la cosa a terra fosse un mostro.
Si ritrasse appena dietro Wesker, mentre lui le si rivolse abbastanza tranquillo.
“Sono degli ‘hunter’. Particolari mostri creati in laboratorio tramite il virus T. Non ricordi di loro? Eppure ne hai combattuti molti.”
“No!” rispose lei terrorizzata.
A quel punto altri hunter li attaccarono, sferrando i loro micidiali colpi dall’alto, capaci di sgozzare un uomo in un attimo con i loro grossi artigli affilati.
Wesker era perfettamente capace di combatterli a mani nude, mostrando una forza e delle capacità sorprendenti. Addirittura inumane.
Jill invece non sapeva davvero cosa fare. Pur sforzandosi di dare aiuto, era immobilizzata e spaventata da quelle creature mai viste prima.
Cercò almeno di agevolarlo nel localizzarle tutte, ma aveva l’impressione che Wesker sapesse già provvedere da solo.
Mentre analizzava il luogo, attenta ai movimenti dei nemici, un hunter dal colore violaceo la puntò da sopra un albero.
Lei era di spalle e non si accorse della sua presenza, ed infatti questi si lanciò verso di lei senza lasciarle via di scampo.
Wesker invece, accorgendosi della situazione, si voltò, ma prima che potesse spingerla per metterla in salvo, ella era già nel suo mirino.
L’hunter atterrò quasi sopra di Jill pronto a travolgerla. Tuttavia, prima che ognuno di loro potesse fare qualcosa, inaspettatamente questo volò via schiantandosi a terra a circa un metro di distanza.
Jill ansimò, non essendosi nemmeno accorta di essere riuscita a sferrare un calcio a quel mostro, senza aver neppure percepito la sua presenza.
Era come se il suo corpo fosse partito da solo e avesse reagito consapevole della sua forza.
Anche Wesker rimase a guardare la scena, realmente stupito di quella prontezza di riflessi, ma entrambi non ebbero il tempo di pensarci troppo, perché altri hunter intanto erano già pronti all’attacco.
Così questa volta anche Jill combatté, al momento non badando alle sue incredibili capacità fisiche, che le permisero di affrontare quegli hunter alla pari…anzi…lei era molto più forte di loro.
Riusciva in un frangente a memorizzare le loro mosse e a prevederle, non solo.
Aveva una capacità di combattimento così notevole che gli aggressori a un certo punto non sembravano più gli hunter, ma lei e Wesker.
Così per i mostri fu velocemente la fine.
Mentre respirava con affanno, soddisfatta di averli sconfitti, guardò verso Wesker, il quale anch’egli la guardava compiaciuto.
Sentì il viso caldo appena, mentre i due ricambiavano i loro sguardi, ma quell’attimo di distrazione costò caro.
Infatti, dal terreno fuoriuscì un serpente dalle dimensioni gigantesche, che puntò verso Wesker.
Jill corse verso di lui, sperando di aiutarlo.
Non sapeva ovviamente che tutti quei mostri fossero soltanto pesci piccoli per quell’uomo, quindi si lanciò contro di lui al fine di spostarlo da lì.
 
Fu in quell’attimo che qualcosa si mosse nella sua mente.
 
Tutto sembrò offuscarsi, e per un istante, un lunghissimo istante, ebbe l’impressione di non essere davvero lì.
Vide il buio, un castello illuminato dai tuoni, il corpo esamine di un anziano a terra, e poi…lui.
Quei scurissimi occhiali neri, e quei trafiggenti e crudeli occhi rossi.
“Nooooo..!”
“Jiiiiiill…!!”
Delle urla risuonarono nella sua mente.
Vide il volto di Chrids Redfield urlare il suo nome disperato, mentre lei cadeva nel buio, trascinando con se…Albert Wesker.
Jill spalancò gli occhi in seguito a quel flash appena mostratosi nella sua mente, mentre era stretta di nuovo all’uomo dagli occhiali scuri.
Il ripetersi di quella situazione, seppur in un contesto diverso, sconvolse la sua mente che non fu più capace di ragionare.
Milioni di schegge di ricordi riemersero dall’inconscio e fu come se stesse ripercorrendo la sua intera vita.
Chris, Barry, Rebecca, l’incidente di nove anni prima alla Villa, la S.T.A.R.S., Raccoon City, il Tyrant, il Nemesis, l’Umbrella, la B.S.A.A., Wesker…
Tutto questo in quell’istante in cui si era scaraventata verso di lui, e l’aveva tratto in salvo dall’attacco del nemico.
Atterrando, strisciarono il terreno sporcandosi entrambi di terra.
Fu allora che Wesker estrasse una pistola da dietro la schiena, rimasta nascosta fino a quel momento sotto il cappotto nero, e con un solo colpo uccise il serpente.
Questi cadde a terra, facendo risuonare il botto per tutto l’edificio per via dell’enorme stazza, alzando un’ingente quantità di terra.
Wesker si voltò verso Jill, soddisfatto della prestazione della ragazza, e in quel momento si accorse che qualcosa nei suoi occhi era cambiato.
Ella aveva lo sguardo fisso, perso nel vuoto.
I capelli le ricascavano tutti sul viso, mentre era distesa su di lui.
Lui le scostò appena una ciocca per vedere se stesse bene, ma lei lo bloccò alzando tempestivamente una mano, non permettendogli di toccarla.
L’odio cominciò a ribollirle dentro.
D’improvviso, tutti i sentimenti provati in precedenza avevano finalmente un nome.
Tutto fu più chiaro e purtroppo struggente.
Conoscerlo..? Certo che lo conosceva. Certo che sapeva chi fosse.
Questo perché Lui…
Mentre Wesker cercò di fare il punto della situazione, per una volta fu lui ad essere colto alla sprovvista.
La donna si mise a cavallo di lui bloccandolo a terra, e con un gesto fulmineo gli levò via gli occhiali da sole.
Mentre le lenti volarono via, frantumandosi a terra, ella guardò adirata quei temibili e crudeli occhi felini dai pigmenti rossi.
In quello stesso istante, fu costretta a portare le mani sulla testa, poiché un ronzio cominciò a lacerarla dall’interno.
Si dimenò distrutta e sgomentata, avendo ritrovato di nuovo davanti a se il volto dell’uomo da lei detestato e per il quale era stata disposta a sacrificare la sua stessa vita.
L’aver recuperato la memoria in un lasso di tempo così breve la mandò in tilt, così si ritrovò a non essere più padrona del suo corpo.
Riuscì soltanto ad urlare. A urlare disperata.
“Aaaaah!!”
Wesker la scaraventò via da lui, accorgendosi che qualcosa si fosse smosso in lei. Dopodiché l’afferrò per un braccio, intento a riportarla in cella.
“NO! Lasciami! Non mi userai di nuovo!” disse lei dimenandosi come una forsennata.
Wesker tuttavia non considerò minimamente la sua rivolta come un problema.
La caricò su una spalla con fare disinvolto e, nonostante lei si dimenasse, continuò a proseguire indisturbato.
“Lasciamiii!! Tu! Tu come puoi essere ancora vivo?!!”
Mentre lei continuava ad urlare, Wesker prese a riflettere sul da farsi.
Aveva finalmente testato le sue abilità.
Jill, grazie alla criogenazione a cui l’aveva sottoposta per testare Uroboros, aveva acquisito un potere e una forza eccezionale.
Quella mattina, lui l’aveva portata apposta in quel giardino, che altro non era che una zona di allenamento.
Questo proprio perché voleva assicurarsi, ora che aveva ripreso le forze, se il suo esperimento fosse riuscito.
Gli hunter, il serpente geneticamente modificato…sapeva benissimo sarebbero apparsi.
Aveva dato lui stesso l’ordine di liberarli.
Aveva solo dovuto recitare la sua parte…
Poteva dirsi molto soddisfatto, in conclusione.
Se non fosse stato che lei continuasse a calciare e picchiarlo sulla schiena con i pugni...
Wesker alzò gli occhi al cielo, invocando pazienza.
Una volta arrivato di fronte la stanza dove la teneva prigioniera, la fece scendere dalla sua spalla tenendola saldamente stretta.
Vedendola dimenarsi ancora, le tappò violentemente la bocca stringendole il muso fra pollice e indice, poi le si avvicinò, specchiando i suoi occhi rossi in quelli languidi e colmi di rabbia di lei.
“Bentornata, Jill. Felice di rivedermi?”
Ripeté la stessa frase che le aveva già rivolto all’inizio, quando si era risvegliata, e questa volta la ragazza comprese quelle parole nel loro più crudele significato prima nascosto alla sua mente.
L’uomo poi la buttò nella cella e chiuse tempestivamente la porta, lasciando la povera donna rinchiusa lì dentro, sconvolta e furente.
 
 
***
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: il P-30 ***







THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
CAPITOLO 5
 

 

 
Nonostante fossi persa nel buio più assoluto, l’oscurità stessa non sarebbe stata tenebrosa come il tuo spirito. Il quale è nero, putrido, logoro…
Anche addormentandomi, sapevo perfettamente che non avrei più visto la luce.
E tu, Wesker? Cos’è che sogni quando chiudi i tuoi crudeli occhi iniettati di sangue?
 
 
***
 
 
Jill Valentine sbatté incessantemente i pugni contro la porta della cella, per tutta la notte.
Non si fermò un attimo, nonostante le mani fossero oramai piene di lividi. Abbassò il viso, rimanendo poggiata su di esso dopo l’ennesimo colpo.
Ansimò distrutta, mentre lentamente scivolò a terra. I capelli caddero sul suo viso, coprendolo interamente.
Strinse gli occhi, non avendo neanche più le lacrime per piangere, già ampiamente versate a suo tempo.
Si allontanò dalla porta, sedendosi definitivamente sul pavimento. A quel punto strinse le gambe e sprofondò la testa tra le ginocchia.
Ricapitolò gli ultimi ricordi che erano ancora abbastanza nitidi nella sua mente.
Il buio di quel giorno di tempesta, il suo compagno Chris Redfield, e poi…Albert Wesker, l’ex capitano della S.T.A.R.S. che aveva tradito tutti, ed oggi era un terrorista che pianificava chissà cosa, tradendo persino l’Umbrella e lavorando per conto suo, sui suoi loschi scopi.  
Lo odiava….lo odiava profondamente.
Un odio che si propagava in ogni parte di se stessa, facendole contorcere le viscere.
Lei aveva creduto in lui.
Era stato un uomo molto importante nella sua vita in quanto, grazie alla stars, lei era riuscita ad uscire da un periodo della sua vita davvero brutto.
Questo, ovviamente, era stato molto tempo fa.
Gli incubi che aveva allora, non erano nulla comparati a quelli che aveva adesso, il cui volto di Wesker aveva segnato solo l’inizio.
Strinse le gambe più forte.
Quel ricordo la tormentava ancora profondamente.
Si riteneva stupida nel non essere mai riuscita a capire cosa in realtà si celasse dietro gli occhi di Albert Wesker.
Il suo volto oscuro era rimasto celato fino a quella maledetta notte del 1998, senza che nessuno avrebbe mai potuto sospettare chi egli fosse realmente e cosa stesse progettando.
Ricordava nitidamente quando, nei laboratori, trovò quella diapositiva in cui egli era ritratto vestito da dottore, e quel documento riguardo l’Umbrella Corporation ove era menzionato il suo nome.
Non ci aveva creduto, aveva sperato di non crederci fino all’ultimo, prima di solcare quella porta e dover costatare che invece era proprio così.
Lui…aveva fatto di tutta la STARS soltanto un esperimento. Nulla di più.
Quel capitano non era mai esistito. Lei, come tutti, era stata ingannata.
Si chiedeva ancora incessantemente perché ciò la tormentasse ancora.
Alzando gli occhi rivedeva il suo volto celato da quelle lenti scure…le stesse che indossava anche quando credeva ancora in lui.
Forse per questo Wesker aveva sempre portato gli occhiali da sole, anche di notte...
Egli era sempre stato una maschera, non si era mai rivelato a nessuno per quel che era davvero.
Probabilmente non guardava in faccia nemmeno se stesso.
Ritornò poi con la mente alla notte in cui si era defenestrata assieme a lui.
Aveva realizzato in un frangente di secondo che, se non voleva finire ancora una volta vittima di Wesker, lo avrebbe dovuto portare all’inferno con lei.
Perché anche Jill non si aspettava certo il paradiso.
Non dopo tutte le vite stroncate davanti ai suoi occhi. Vite di uomini innocenti, vittime di una catastrofe alla quale non avevano potuto opporsi ed, in modo erroneo, chiamati ‘zombie’.
Tanti erano i suoi rimpianti, troppi. Lei stessa aveva sacrificato la sua vita per inseguire una mente losca come Wesker.
Chi non avrebbe desiderato di risvegliarsi un giorno da quell’incubo, riprendere a godere delle piccole cose, gestire le proprie giornate in modo consueto, tornare…a vivere.
Tuttavia non sarebbe mai più stato così, neanche se l’incubo fosse finito un giorno.
Questo perché anche la sua anima era stata oltraggiata inevitabilmente.
Non sarebbe mai più tornata ad essere semplicemente Jill Valentine, già all’epoca non una ragazza come tutte.
Dunque, in quel momento, andava bene così. Sarebbe morta senza rimpianti gettandosi con lui da quella finestra.
Andava bene così perché Wesker sarebbe finalmente morto.
Alla fine, anche il diavolo sarebbe stato punito.
Invece…
Lui era vivo. Lei era viva. Perché?!
Dopo un volo del genere, sicuramente doveva aver perso i sensi, magari anche essere ferita. Ciò voleva dire che lui le aveva appositamente salvato la vita? O peggio…aveva voluto prolungare la sua sofferenza…
A lei non era importato di morire.
Aveva solo desiderato ammazzare con le sue mani quell’uomo che aveva devastato per sempre il suo cuore, e la sua vita.
Invece…eccolo lì, di nuovo di fronte a lei…ancora una volta.
Non aveva potuto crederci.
Ancora in quel momento non poteva credere che fosse davvero ancora vivo.
Portò le mani sulla testa, sconfortata.
Ricordò quando, stesa su di lui, ritrovò il suo viso a un palmo di distanza.
Il tempo era come se si fosse fermato. Sentì il suo cuore come fermarsi, mentre realizzava che quel corpo fosse caldo e palpitante. Mille frammenti di ricordi la fecero ritornare in se, così quella Jill smemorata sparì del tutto.
Provò ribrezzo nell’aver riprovato dentro di se quella fiducia che un tempo nutriva per lui.
Lo aveva guardato intensamente, volendosi svegliare da quell’incubo che continuava a tormentarla.
Per questo gli aveva sfilato di dosso gli occhiali, quando aveva ripreso conoscenza.
Aveva voluto guardarlo dritto negli occhi e fargli rispecchiare se stesso, in tutta la sua anima corrotta, attraverso le sue iridi azzurre colme di rabbia e risentimento verso di lui.
Avrebbe almeno una volta dovuto vedere per davvero chi egli fosse, cosa avesse distrutto in lei.
Jill chiuse gli occhi, stringendo ancora più forte le gambe fra le braccia.
No… lei non avrebbe fatto il suo gioco.
Non ancora una volta.
Lei era Jill Valentine, nessuno avrebbe gestito la sua vita al suo posto costringendola a quella prigionia, ignara di cosa egli avesse in serbo per lei.
Perché era questo ciò che le faceva paura in quel momento.
Perché era in vita? Cosa voleva farne di lei?
Prima che il suo mosaico iniziasse a prender forma, sarebbe stata lei stesso a distruggerglielo.
A quel punto, con tutte le sue forze, spalancò la bocca e fece per tranciarsi via la lingua.
Tuttavia, essendo controllata ventiquattro ore su ventiquattro, prontamente dei soldati entrarono nella sua cella, e la bloccarono.
La donna si dimenò, non sentendosi padrona nemmeno di porre fine alle sue sofferenze.
Prese a scalciare, mentre questi la distesero sul suo letto, legandola con delle grosse cinghie che le segavano i polsi.
Le serrarono la bocca con una corda di cuoio, legandogliela ben stretta dietro la nuca, così che lei non potesse far del male a se stessa in quel modo.
“Questa…è già la seconda volta che fermiamo un suo tentativo di suicidio. Prima l’abbiamo fermata mentre ha cercato di tagliarsi la carotide con un piccolo frammento di vetro. Ora invece ha cercato di morire dissanguata. E’ stata sveglia tutta la notte a battere sulla porta, e per di più non mangia da giorni, ed è anche molto disidratata. Non può continuare così! Cosa facciamo?” disse una voce, quella di uno scienziato.
“Avvisiamo il signor Wesker.”
Jill si dimenò ancora più forte nonostante fosse bloccata in ogni parte del suo corpo dalle cinghie. Non voleva vedere Wesker, non voleva vederlo per nessun motivo!
Mentre alcuni di quegli uomini si allontanavano, Jill li osservò con le lacrime agli occhi, quasi implorandoli silenziosamente di non farlo, di non portarla di nuovo di fronte il suo carnefice.
Tuttavia era impotente, non avrebbe potuto far nulla per salvarsi.
Persino la morte stessa, non l’aveva salvata.
 
Albert Wesker era nella sua stanza.
Erano circa le cinque del mattino, ed egli stava finendo di sistemarsi, pronto a cominciare la sua giornata in laboratorio.
Aveva assunto dei calmanti in modo da recuperare le sue mancate ore di sonno. Questo l’aveva aiutato a riprendere le energie, visto che, ultimamente, si era sentito davvero fiacco.
Quella dormita gli ci era voluta. ‘Lunga dormita’ per Wesker significava al massimo cinque ore, comunque.
Aggiustò i guanti sulle mani, poi indossò i suoi occhiali scuri. Si avvicinò a un armadietto in metallo, ove erano custoditi dei medicinali. Anzi, no…si trattava del PG67 A/W.
L’uomo prese una fila in mano e la osservò con una strana malinconia negli occhi.
Da quando Wesker aveva sacrificato la sua umanità, aveva acquisito una forza eccezionale tramite il virus elaborato da lui e William Birkin.
Tuttavia, aveva avuto i suoi effetti collaterali immediatamente.
Da allora il corpo di Wesker era instabile per questa sua natura controversa, e ogni giorno doveva lottare per non finire nel baratro della follia, per mantenere il più completo controllo della sua mente.
Era riuscito a non darlo mai a vedere essendo un uomo glaciale e sempre padrone di sé, ma la sua ragione andava sempre più vacillando, così era da anni che si iniettava quel farmaco.
Questo riequilibrava il suo corpo, non facendo più insorgere in lui il conflitto con il virus, che altrimenti avrebbe rischiato di ucciderlo.
Ma anche l’assunzione del farmaco aveva il suo costo. Doveva andarci cauto…perché un’overdose avrebbe potuto condurlo alla morte.
Così prese una siringa, e iniettò la sostanza nel suo braccio con un’insensibilità inaudita.
Oltre che un militare, era anche uno scienziato, per cui non si faceva molte remore per questo genere di cose.
Ad un tratto, un suono echeggiò nell’appartamento. Era lo squillare di un telefono.
Wesker si voltò nervosamente. Detestava essere disturbato mentre era ancora nella sua stanza.
Tuttavia, seppur molto seccato, mise via i suoi medicinali chiudendoli a chiave, e premette il pulsante di un telecomando che fece attivare un piccolo monitor sulla parete.
Sul display apparve un volto.
“Signor Wesker, mi scuso per averle telefonato a quest’ora, tuttavia abbiamo avuto delle complicazioni con il soggetto Valentine.”
Wesker inarcò un sopracciglio sentendo quel nome. La voce intanto continuò a renderlo partecipe degli ultimi accadimenti di quella notte.
“La donna ha cercato di togliersi la vita in più occasioni, siamo più che certi che stia persino rifiutando il cibo di proposito. Abbiamo dunque bisogno di sue direttive.”
“Preparate il P-30.” Lo interruppe con tono deciso Wesker, trovando insopportabile quel giro di parole. Preferiva avere a che fare con persone fattive e poco polemiche.
S’indisponeva molto facilmente di primo mattino, anche se alla fine era anche lui abbastanza curioso di testare il p-30 su quella donna.
Forse, una volta tanto, quella giornata sarebbe stata un po’ più interessante dalle altre, pensò.
L’idea di rivedere Jill lo divertì, essendo curioso di vedere come ella avesse reagito dopo aver recuperato i suoi ricordi.
Seppur avere a che fare con una Jill più mansueta era stato comodo, non aspettava che il momento in cui avrebbe parlato a tu per tu con lei.
In fondo…era da una vita che i due non si rivedevano da soli.
Doveva restituirle il favore…per aver cercato di ucciderlo.
“Signorsì.” Esclamò il suo sottoposto intanto, e a quel punto il monitor si spense, ed anche Wesker uscì dalla sua stanza.
 
 
***
 
 
Jill continuò ad agitarsi ininterrottamente, sperando di divincolarsi da quel tavolo operatorio dove gli scienziati l’avevano immobilizzata.
Sentì il cuore battere all’impazzata, ignara di cosa le avrebbero fatto.
Vide tanti monitor, medicinali, capsule, e strumentazioni che non le facevano presagire assolutamente nulla di buono.
In cosa volevano trasformarla? In un mostro esattamente come quei balordi avevano fatto con milioni di persone?! Era gente orribile, deplorevole!
Avrebbe strappato loro la faccia e maledetto le loro vite per quel che facevano a gente innocente che mai avrebbe dovuto far parte di quella terribile storia.
Gente che aveva dovuto arrendersi all’inesorabile destino al quale non avrebbero potuto sottrarsi in nessun modo, divenendo una sorta di macchina assassina inarrestabile.
Sentì gli occhi bruciare dalla rabbia, mentre continuava a sbattere i polsi e le gambe per rompere in qualche modo quelle cinghie.
Le attenzioni dei presenti erano tutte puntate sulla bionda, tuttavia, all’improvviso questi guardarono alle sue spalle.
Notando i loro volti rivolti tutti in un’unica direzione, anche Jill si girò e, a quel punto, sgranò gli occhi terrorizzata a quella vista.
Albert Wesker aveva appena fatto il suo ingresso.
Senza neanche accorgersene cominciò a tremare.
Era la paura verso quell’uomo privo di scrupoli? Oppure era la rabbia…?
Con tutte le probabilità, entrambe.
Fatto stava che, anche se non avesse avuto la bocca serrata da quella striscia di cuoio, non avrebbe trovato comunque la forza per parlare, tant’era paralizzata.
Egli le si avvicinò, facendo intravedere la sua espressione arrogante e beffarda, celata in quel viso inespressivo che sembrava fatto di marmo.
“Certo che sei più problematica di quanto pensassi, Jill.” disse e si fermò davanti a lei, scrutandola senza troppo garbo.
La donna dovette stare a guardarlo dal basso, costretta sul tavolo operatorio, col cuore in gola.
Lui si abbassò verso di lei, e i loro visi furono l’uno di fronte all’altro.
Quella vicinanza mise subito in allarme Jill, che si sentì sopraffare da quel respiro intenso sulla sua pelle. Vide le sue labbra muoversi, parlando con un tono placido capace di urtare pesantemente chi era il suo interlocutore.
“Per quanto tempo hai intenzione di continuare così?”
Le rivolse quell’assurda domanda come se lei fosse in grado di risponderlo. Ella era infatti legata e imbavagliata.
“Bastardo!!” pensò, mentre la rabbia usciva fuori dai suoi occhi.
“Non preoccuparti, presto le tue pene saranno finite. Ti renderai conto di trovare inspiegabilmente accettabile la tua permanenza qui.”
Aggiunse lui ridendo sotto i baffi velatamente, ma abbastanza per farlo notare.
Jill cadde nel panico più completo. Cosa voleva farle?
Wesker le accarezzò delicatamente il viso scostandole la frangia di lato, poiché, essendosi agitata, essa le aveva coperto completamente la fronte.
L’ex-agente STARS inorridì per quel contatto che, seppure leggero, era come se le facesse scorrere delle lame per tutto il corpo.
Poi lui si allontanò, e si diresse verso un mobile. I dottori si avvicinarono a lui aiutandolo a preparare qualcosa.
La donna smise quasi di respirare quando si rese conto che era oramai giunta l’ora.
Presto…avrebbe perso coscienza.
Molto presto, sarebbe diventata una loro cavia, uno dei tanti “mostri” da lei stessa sconfitti.
Tuttavia non chiuse gli occhi, ne abbassò lo sguardo, pronta a guardare in faccia il suo destino e maledire fino all’ultimo istante l’anima di quell’uomo, crudele e senza pietà.
Se la malvagità aveva un nome…quello era Albert Wesker.
L’uomo vestito di scuro infilò un ago nel suo braccio, mentre lei rimase a guardare impotente, costretta dalle cinghie che la ancoravano al tavolo operatorio.
Una lacrima scese dal suo viso, e fu allora che chiuse gli occhi, abbandonando anche lei la sua umanità.
Wesker estrasse l’ago. Aspettò per un certo lasso di tempo, poi prese inaspettatamente a slegare le cinghie che tenevano bloccata la ragazza.
Jill aprì debolmente gli occhi, accorgendosi subito che qualcosa non quadrava.
Cosa stava facendo? Perché la stava liberando?
Una volta tolta l’ultima cinghia, lui le si rivolse quasi come se stesse testando qualcosa.
“Resta seduta.” disse, tranquillo.
La donna non si mosse.
Jill cominciò a sentire una strana impotenza nel suo corpo.
Si chiese perché non riuscisse per nulla a muoversi, neanche ad avere il più piccolo impulso di alzarsi. Era quasi come se qualcosa agisse direttamente sul suo sistema nervoso.
Non ancora del tutto convinto, Wesker intanto provò a imporle altri piccoli ordini.
“Muovi la mano sinistra.”
A quelle parole, ella fece esattamente come richiestole, e sollevò delicatamente la sua mano sinistra.
Era in uno stato di incoscienza, per questo non si ribellava?
La bionda non fece che porsi mille domande, non trovando tuttavia dentro di se la volontà per fare qualsiasi cosa. Neppure i suoi pensieri lì per lì furono liberi di ribellarsi.
Wesker si piegò di nuovo verso di lei. Nonostante fosse libera di alzarsi in qualsiasi momento, nonché di attaccarlo, Jill non reagì in nessun modo.
Egli stesso sapeva quanto per lei fosse irritante la sua vicinanza, così insistette ad avvicinarsi verso di lei, volendo mettere a dura prova i nervi della donna.
Sapeva che solo in questo modo avrebbe testato se lei fosse sotto il suo pieno controllo.
“Adesso porta la tua mano sul mio viso.”
Senza potersi opporre in nessun modo, Jill accarezzò il volto di Wesker, sfiorandogli la guancia delicatamente come non avrebbe mai potuto fare nella realtà, come la ragione non le avrebbe mai ordinato di fare.
Quel delicato contatto con la sua pelle fece rabbrividire la ragazza che, persino nell’incoscienza provocatole del farmaco che le aveva iniettato, ebbe dell’esitazione.
I sentimenti che passarono per i suoi nervi fecero sì che tremasse con la mano, non potendo accettare di rivolgere a quell’uomo quel gesto affettuoso.
Quel tremolio fu lieve, eppure Wesker, da acuto osservatore, se ne accorse.
Per lui era fondamentale in quel momento rendersi già conto se il P-30 avrebbe potuto avere qualche effetto su di lei, e quell’esitazione non era certo un buon segno.
Fu in quel momento poi che, mentre scrutava ogni suo movimento, vide quella lacrima che prima aveva rigato il viso della giovane.
Egli gliela asciugò, scrutando la punta delle sue dita inumidite appena da quel liquido.
“Hai pianto, Jill Valentine?” chiese provocatorio, eppure in qualche modo pensieroso.
Jill in quel momento cominciò a sentire di nuovo il suo cuore scoppiare.
Avrebbe voluto urlargli contro, dirgli che egli le aveva già fatto consumare tutte le lacrime che aveva in corpo, e se si era concessa un attimo di abbandono, era solo perché anche stavolta era stata pronta ad abbandonare la vita.
Invece…di nuovo era lì, a ritrovare davanti a sé l’uomo che aveva fatto della sua vita una lotta eterna, maledicendo i suoi giorni, devastando la sua mente, rendendola a sua volta una macchina assassina che, per sopravvivere, aveva dovuto anch’ella uccidere.
Wesker poté quasi leggere quelle parole nei suoi occhi.
Infatti egli rimase a fissarla per diverso tempo, come potendo vedere la sua rabbia direttamente dalle sue splendide iridi azzurre.
All’improvviso lui distolse lo sguardo e ordinò ai suoi sottoposti di uscire e di lasciarli soli.
Con la coda dell’occhio, Jill osservò gli scienziati uscire ubbidientemente, sapendo che rimanere sola con Wesker non avrebbe presagito nulla di buono.
Una volta che questi chiusero la porta uscendo, l’uomo si sedette sul tavolo operatorio accanto a lei con nonchalance.
Prese a parlare tranquillo, colloquiando con una normalità inquietante, come se per lui non avesse alcuna importanza il contesto in cui si trovavano.
“Vuoi sapere cosa ti abbiamo fatto?” chiese consapevole che Jill non lo avrebbe risposto se lui non le avesse ordinato di farlo.
La ragazza rimase, infatti, immobile, osservandolo con gli occhi sgomentati, ancora sdraiata sul tavolo.
Wesker sorrise velatamente, con un che di nostalgico, poi ritornò a lei.
“Dopo che siamo caduti dalla finestra della tenuta di Spencer, ti ho portato qui per esaminarti. Ho costatato che, in seguito al tuo incontro con il Nemesis, avvenuto all’incirca nove anni fa, hai sviluppato dei potenti anticorpi per via del virus Ne-T che egli ti iniettò nel corpo. Da anni non avevo a mia disposizione un soggetto con una resistenza come la tua…”
Wesker si fermò un attimo per trafiggerla con il suo sguardo, poi continuò, non curandosi del volto di Jill che si faceva sempre più disorientato.
“Il fiore stairway to sun, una pianta mortale per l’uomo, che su di te non fa alcun effetto. E’ stata una scoperta molto importante, e il tuo aiuto, Jill, è stato davvero fondamentale in questi lunghi mesi…”
Notando finalmente il viso sconvolto della giovane, che non poteva assolutamente comprendere di cosa egli stesse parlando, Wesker assunse una finta ed insopportabile espressione compassionevole.
“Giusto…tu non lo sai.” Al che si piegò su di lei, sfiorando le sue labbra sul suo orecchio.
Jill sentì la sua bocca muoversi fastidiosamente sul suo viso, mentre le parole che egli pronunciò trafissero inesorabilmente la sua anima.
“…è già passato un anno, da quando sei qui.”
La donna sbiancò. Si sentì venir meno, sprofondando nel buio più assoluto, mentre Wesker prese a ridere, a ridere di gusto….
“Ah,ah,ah! Sei sconvolta, Jill? Forse faresti meglio a riposarti. La notizia deve averti scosso molto, immagino. Ma le sorprese non sono finite qui.”
Jill girò gli occhi di scatto verso di lui, non sapendo se voler davvero sentire cosa avesse ancora da dirle. Tuttavia comunque la sua attenzione era già completamente focalizzata su di lui.
Wesker si allontanò dal suo orecchio e le mise una mano sotto il mento, alzandoglielo appena prepotentemente.
“Ti sei chiesta perché non riesci a ribellarti?”
A quel punto anche la donna comprese. Egli le aveva fatto qualcosa di ancora più terribile dell’iniettarle un virus o cose simili.
Lui…aveva trovato il modo per sottomettere la sua volontà.
Se Jill avesse potuto, avrebbe voluto urlare a squarciagola, per cacciare via la collera e la disperazione che in quel momento la stava logorando, mentre era costretta a stare alla mercé di quell’uomo.
Wesker rise di nuovo, stavolta contenendosi, poi scostò la mano dal suo mento e tornò eretto col busto, rimanendo ancora seduto sul tavolo operatorio.
“Straordinario vero? Anche tu dopotutto hai competenze chimiche. Dovresti riuscire a comprendere, seppur lontanamente, l’importanza di un medicinale simile. Non sai ancora nulla…non sai la guerra che ho intenzione di scatenare.” disse sentendo vibrare dentro di se rabbia e frustrazione.
Jill lo vide stringere i pugni, cogliendo quello stato d’animo.
A quel punto lui si alzò e prese a girare per la stanza.
“Ora che ho completato le mie ricerche su Uroboros, sarà semplice mandare avanti il mio piano. Ci sarà da ridere…davvero da ridere...”
Jill percepì come se egli non stesse parlando a lei. Era qualcun altro il suo interlocutore, un qualcuno non presente in quella stanza e che aveva fatto andare letteralmente in escandescenza Wesker.
Era quasi come se anche uno come Wesker odiasse profondamente qualcosa…o quacuno…
In effetti, l’ex-agente STARS non sbagliava.
Gli occhi di Wesker erano rivolti unicamente a lui…Spencer.
In quel frangente, poi, qualcosa accadde.
Mentre l’uomo con gli occhiali scuri prese quasi a delirare, proferendo frasi per lei incomprensibili, la donna sentì improvvisamente un fortissimo fischio che le trafisse il cervello costringendola a digrignare i denti e portare le mani sulla testa.
Wesker se ne accorse, dunque le si avvicinò prontamente cercando di capire cosa le stesse succedendo.
Jill prese ad agitarsi, muovendosi a destra e a sinistra, sperando di scacciare dalla sua mente quello stridulo fastidioso.
L’uomo intanto esaminò i monitor del computer, costatando un eccessivo acceleramento della temperatura corporea.
Mentre fece per afferrarla e tenerla ferma, tuttavia, fu lei stessa a serrare violentemente il polso dell’uomo.
Wesker la guardò non comprendendo lì per lì, e fu quel piccolissimo momento di esitazione che consentì alla donna di colpirlo, buttandolo a terra con una forza sovraumana.
Wesker sentì tutto girare, ritrovandosi buttato in un angolo del laboratorio senza neanche accorgersene.
Alzò gli occhi e Jill si stava avvicinando a lui, con lo sguardo furente.
Ella, con i capelli biondi sciolti, e uno sporco camice ospedaliero, fece per colpire di nuovo Wesker, sentendo una misteriosa forza dentro di sé.
In balia delle emozioni, non vi badò però. Al momento, il suo unico pensiero era soltanto quello di colpire l’uomo che aveva osato usarla ancora una volta.
Tuttavia il secondo colpo non andò a buon fine, perché Wesker si rialzò in tempo e le afferrò il pugno col quale lei aveva cercato di centrarlo, girandolo dietro la schiena della ragazza e torcendole così il braccio dolorosamente.
“Ah! Ba…stardo!” urlò lei in preda alla rabbia, non riuscendo a divincolarsi dalla sua presa assurdamente forte.
Intanto Wesker prese a riflettere fra sé. Aveva visto giusto…
Nonostante lui rimanesse comunque molto più forte di lei, la ragazza aveva sicuramente sviluppato una forza fisica straordinaria.
Se fosse riuscito a sfruttarla insieme al P-30, il farmaco in grado di sottometterla alla sua volontà, chissà cosa ne sarebbe uscito fuori…
Dunque mollò la presa, colpendo violentemente la donna, gettandola a terra.
Jill si ritrovò a strisciare sul quell’orrido pavimento, sentendosi sempre più umiliata.
Fece per rialzarsi, non volendo rimanere a terra per nessun motivo, ma lui le schiacciò la schiena con il piede, non consentendole di farlo.
Jill sentì il respiro venir meno, costretta in quel modo.
“Mia piccola Jill Valentine. Ne passerà di tempo prima che tu possa farla a me. Ma ora basta giocare…per oggi abbiamo finito.”
Detto questo, la rimise in piedi prendendola per il lembo del camice. Le diede poi un colpo all’altezza del petto che la fece schiantare contro il muro.
Lei prese prima a tossire ininterrottamente, per poi perdere lentamente i sensi per via del forte colpo subito alla testa con l’impatto col muro.
Vide così tutto annebbiarsi e chiuse gli occhi, mentre l’uomo vestito di nero rimase a guardarla con un’espressione seria, perso nei suoi pensieri.
 
 
***
 


 
Okay, lo so, sembrerà strano dire una cosa del genere: ma quanto li adoro quando "scornano" (lottano, cioè xD)!
Parlo più seriamente.
Il rapporto tra Wesker e Jill mi piace proprio per il fuoco che vi è dietro di loro.
Una storia frustrante, dark, di antagonismo...e che mi intriga molto. Dunque scene così le avrei volute nel gioco stesso! Magari....
Chi è amante di questo genere di pairing, può capire.
Ci vediamo al prossimo capitolo! <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: marchingegno diabolico 1 ***








THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
CAPITOLO 6
 
 
 
 
 
Siamo entrambi vittime. Entrambi abbiamo inseguito qualcuno che alla fine ci ha deluso e tradito, sacrificando tutto, persino noi stessi.. Per questo mi chiedo perché, specchiandoti nei miei occhi, tu non capisca…
 
 
 
***
 
 
La sala allestita per le riunioni era buia, occupata unicamente da un lungo tavolo circolare, ove erano poggiati archivi voluminosi, documenti scientifici, e un proiettore.
Seduta, vi era l’intera equipe che aveva lavorato al caso Jill Valentine, seguendo l’evoluzione del suo status da quando era stata portata nei laboratori da Wesker circa un anno prima.
Albert Wesker sedeva a capotavola, su una poltrona in pelle nera, destando terrore già solo con il suo modo di apparire.
Egli era infatti vestito di nero, in una divisa in fibra di carbonio adatta al combattimento che esaltava il suo fisico allenato, plasmato dall’addestramento militare.
In più, le scurissime lenti dei suoi occhiali rendevano impossibile per i presenti interpretare in qualche modo i suoi pensieri.
Così, risoluti ma titubanti, essi dovevano esporre le proprie analisi sul soggetto non sapendo fino all’ultimo quale sarebbe stato il giudizio di Wesker.
Alla destra di lui, era seduta Excella Gionne, intervenuta nella riunione unicamente per stare a fianco a colui il quale lei credeva il suo partner.
Wesker prese ad esaminare i documenti raccolti su Jill durante gli ultimi giorni, analizzandoli accuratamente. Vide poi scorrere delle diapositive, che mostravano delle immagini e dei filmati, in cui la donna era stata testata in combattimento.
Erano passati circa dodici giorni dalla presa di coscienza della ragazza.
In questo frangente, avevano testato su di lei il P-30, misurando la sua forza, la sua velocità, la sua resistenza, nonché la sua suscettibilità al comando.  
Avevano preparato apposta per lei una battlesuit molto resistente, che le consentisse di proteggersi dagli attacchi nemici, nonché le agevolasse ogni movimento.
Stavano esaminando in quel momento una sequenza in cui lei, essendo stata lasciata sola con una cavia infettata dall’Uroboros in una cella circolare, aveva mostrato disobbedienza agli ordini che le erano stati imposti. Ovvero: eliminare qualsiasi soggetto le si sarebbe presentato.
Volevano analizzare le modalità di combattimento che ella avrebbe adoperato, guidata dal P-30, che le avrebbe fatto scegliere, in un frangente di secondo, le mosse più efficaci da utilizzare contro il nemico al fine di realizzare l’obbiettivo con successo.
Tuttavia Jill, dopo aver eliminato all’istante i primi sette soggetti, all’ottavo aveva cominciato a mostrare segni di ribellione.
I suoi movimenti non erano più fluidi, si percepiva chiaramente un senso di disubbidienza da parte sua. La sua espressione facciale per prima mostrava subito quando non fosse più sotto il controllo della sostanza chimica.
Avevano provato ad aumentare le dosi, ma al massimo così allungavano un po’ i tempi di sottomissione. Comunque il problema persisteva.
L’immagine fu fermata su un’inquadratura in cui di Jill digrignava i denti, cedendo visibilmente ai suoi sentimenti contrastanti.
“Quel che abbiamo valutato è che il soggetto potrebbe essere per sempre in grado di non sottostare completamente al P-30. Dunque l’unica soluzione possibile è sottoporla a delle iniezioni più frequenti.”
Spiegò il caporeparto rivolgendosi fermo a Wesker, il quale portò una mano sotto il mento, chiedendosi che reazioni avrebbe avuto il corpo della ragazza se fosse costantemente sotto gli effetti del P-30. Non voleva che si verificassero effetti collaterali che magari alterassero le sue prestazioni, sia combattive, che intellettive.
Un simile esperimento poteva risolvere il conflitto che aveva da sempre sperato di depennare: conciliare capacità combattive sia fisiche che cognitive.
Con i virus avuti fino a quel momento, tale bilanciamento non aveva mai potuto dare buoni riscontri in quanto sia il T-Virus, che il G-Virus, che la Plagas, e anche l’Uroboros, fino a quanto testato, aggredivano le cellule celebrali, danneggiandole inevitabilmente, fino a rendere i soggetti infettati soltanto degli involucri assetati di sangue.
Se Jill dunque, sotto l’effetto del P-30, sarebbe riuscita a combattere analizzando perfettamente il nemico, l’ambiente, e tutte quelle condizioni che le avrebbero consentito di scegliere la strategia di combattimento più favorevole alla realizzazione dello scopo, questo significava un grande passo per lui.
Perciò non voleva perdere un soggetto simile. Era un’opportunità unica.
“Ci sono probabilità che le sue capacità intellettive diminuiscano con un sovradosaggio del P-30?” chiese glaciale, con un timbro tetro e imperativo.
“Purtroppo questa donna è il primo soggetto che sottoponiamo a delle iniezioni così frequenti. Non abbiamo casi precedenti sui quali poter concludere eventuali ipotesi in merito. Di conseguenza il rischio non è da escludere. Nonostante ciò, abbiamo comunque buoni motivi per essere ottimisti sulla questione. Se notate…” mentre parlava, il dottore prese in mano il telecomando e mandò indietro l’immagine sul proiettore per riesaminare il combattimento registrato.
“…vedete? Visibilmente, una volta impartitole l’ordine di eliminare un determinato soggetto, ella riesce ad elaborare in un frangente le mosse da eseguire, non combatte con impulso o col mero istinto. Avendo la fortuna che il soggetto in esame sia un soldato, reputo che il P-30 aumenti persino le sue stesse capacità, rendendole addirittura sovraumane.”
 Wesker, nelle parole di quell’uomo, riconobbe il suo stesso ragionamento. Rifletté che poteva funzionare. Non aveva motivi per esitare. Inoltre Jill era la cavia perfetta sulla quale testare quella sostanza, non ne avrebbe mai ritrovata una così.
Pertanto, subito si pronunciò sui lati più tecnici della questione, andando al sodo senza esitazione.
“Come potremmo somministrarle il P-30 costantemente, dunque?”
“In verità…abbiamo già realizzato un progetto. Eccolo qui.”
Con un’altra diapositiva, apparve sul telo l’immagine di un marchingegno metallico a forma di ragno.
“E’ solo un prototipo realizzato a computer, ma questo robot è dotato di diverse articolazioni che, impiantate sottopelle attraverso un semplice intervento chirurgico, garantirebbe la sua stabilità sul corpo del soggetto. Il meccanismo al centro provvederebbe all’iniezione del P-30, funzionando ad intervalli regolari che noi potremo tranquillamente controllare tramite un telecomando, o qualcosa di simile.”
Wesker fu stranamente compiaciuto del lavoro svolto dai suoi sottoposti.
Infatti, si piegò in avanti osservando il marchingegno e gli scienziati stessi si accorsero di aver attirato la sua attenzione.
L’uomo sorrise appena, annuendo velatamente, poi si riadagiò sulla poltrona in pelle, incrociando le dita sull’addome.
“Bene. Quanto tempo ricorrerebbe per la sua realizzazione?”
Quel “bene” da lui pronunciato era più che sufficiente, per quei dottori, per sentirsi lieti di essere stati all’altezza delle sue aspettative. Nei limiti del modo di fare di Wesker, quella parola fu più che un complimento, i quali si consideravano già fortunati se lui non obbiettasse sul loro operato.
“Non più di una quindicina di giorni.” Dissero sapendo bene quanto egli ci tenesse a rientrare in tempi sempre molto brevi.
“Excella, affido a te il compito di seguire questi sviluppi.” annunciò Wesker voltandosi appena verso di lei.
La donna gli sorrise guardandolo ammiccante, con il viso poggiato sul dorso della mano.
“Puoi contare su di me, Albert.” Rispose, felice che lui le avesse assegnato quel ruolo, dopodiché lui si alzò, congedando così tutti.
Excella, vedendolo andare via velocemente, gli corse dietro.
“Albert!”
Wesker si voltò a stento, girando gli occhi verso di lei.
“Ci sarebbe un piccolo ricevimento in cui sono stata invitata. Sarebbe davvero meraviglioso se tu mi accompagnassi.” Gli disse sensuale, sorridendogli con gli occhi e poggiando una mano sul suo petto, sperando con tutto il cuore che lui accettasse l’invito.
L’uomo la guardò annoiato attraverso le lenti scure, poi le sorrise e parlò in modo provocatorio e accattivante allo stesso tempo.
“Vedrò.” disse, e sparì inoltrandosi nel corridoio.
Si diresse verso la cella dove era stata rinchiusa Jill, pronto a farle visita.
 
 
***
 
 
“Jill Valentine…vedo che sei ancora sveglia.”
La voce di Wesker risuonò per quasi tutta la stanza per effetto dell’eco.
Jill era ammanettata sul muro, costretta a stare in piedi poiché imprigionata in delle morse sulle caviglie, sui polsi e sotto il collo.
I suoi occhi erano bendati, così che lei non potesse sapere dove si trovasse.
Era lì da ore, in quella posizione scomoda che le affannava il respiro.
Sentiva il suo corpo sudato, mentre quelle morse le segavano le mani, nonché le sue articolazione a provare molto dolore. Inoltre l’odore metallico di quell’ambiente era angustiante e lentamente la stava portando alla pazzia.
Si sentì sempre più disgustata come, con normalità inaudita, chiunque in quel posto trattasse con disumanità le persone, come fossero dei semplici oggetti privi d’anima, da manipolare come preferissero.
Quella voce arrivò alle sue orecchie. Una voce che lei ben conosceva e che stava aspettando.
“Wesker…” disse stringendo le labbra.
“Mi hai riconosciuto…” rispose lui divertito, consapevole di essere irritante in quel momento per lei.
 “Tu…cosa pianifichi ancora una volta? Cos’altro vuoi fare?!” parlò lei con tono basso, lacerata da quell’incubo, oppressa da quell’agghiacciante prigionia che stava facendo ulteriormente impazzire il suo mondo.
Sentì pulsare ogni parte di sé, desiderosa di cancellare dalla faccia della terra quell’uomo crudele e spregevole.
Wesker l’osservò attentamente, rimanendo lui stesso scosso da quell’odio che poteva vedere ribollire nitidamente dentro di lei.
In fin dei conti però lo sapeva. Non esistevano altrimenti.
Lei avrebbe dovuto odiarlo per forza dopo ciò che le aveva fatto.
Sorrise nostalgico, facendo caso che quella fosse effettivamente la prima volta in cui si ritrovavano a parlare dopo tanti anni.
Così tanti, che l’ultima volta erano stati persino ‘amici’.
Lui stesso era ancora il Capitano Wesker allora, e la raccomandò su Barry Burton, depistando i sospetti che ella avrebbe potuto nutrire per lui.
All’epoca, lei fu molto felice di rivederlo, sicura che fosse morto in quella villa indemoniata.
Lesse una sincera contentezza nei suoi occhi e trovò meravigliosamente ingenuo quel suo modo di sorridergli felice di averlo ritrovato.
Guardò in seguito la Jill che adesso era davanti a lui, a circa dieci anni da quell’episodio.
Non era più la ragazzina di allora.
Era una donna che aveva imparato a crescere, a lottare per la sopravvivenza.
Una donna logorata, piena d’odio, che desiderava combattere per porre fine a quella sofferenza, e che mai più…sarebbe stata felice di rivederlo vivo.
Chiuse gli occhi, ridendo fra sé.
Jill, seppur bendata, si accorse che egli sogghignava divertito, così si alterò.
“Lo trovi anche divertente?!”
“No, Jill…pensavo.” rispose lui beato.
“Perché, tu pensi anche, adesso!? Le crudeltà che fai le ragioni?!!”
Wesker fece spallucce, non badando ai toni aggressivi della giovane.
“Pensavo che è passato davvero molto tempo dall’ultima volta…” spiegò, guardandola intensamente.
“Ah, sì? Ci fai caso ora?!” intervenne lei sempre più infastidita dalle sue parole, ma lui continuò il discorso, ancora nostalgico.
“Quanti anni avevi all’epoca? Venti…ventitre, forse. Sei cambiata da allora.”
“Ovvio che sia cambiata! Stai facendo un discorso insensato! Dimmi cosa vuoi farmi?! Rispondi!!”
Nonostante Jill non fosse per nulla interessata ad assecondare Wesker e cominciasse ad inveire contro di lui, egli alzò gli occhi al cielo, quasi non credendo di riuscire a riportare alla mente quei ricordi, oppure sì.
Semplicemente forse non lo aveva mai fatto e basta.
Riprese a guardarla.
Il contrasto che si figurò nella sua mente della giovane Jill, soldatessa della STARS, con i capelli bruni a caschetto, e quella di adesso, bionda, sciupata in viso, e inchiodata al muro in quel luogo tetro, gli fece una strana impressione.
Non fu pena, egli non provava pietà per nessuno.
Piuttosto lo fece riflettere su quanto anche la sua vita fosse cambiata da allora. Su quanto non sarebbe mai più potuto essere l’uomo di allora.
A quel punto si avvicinò a Jill e prese a scioglierla da quelle maniglie che la tenevano bloccata.
La donna, non potendolo vedere essendo bendata, e sentendolo così vicino, cominciò ad agitarsi, impaurita.
“No! Cosa vuoi farmi?! Vattene subito! Lasciami!!” urlò nel panico.
All’improvviso cascò a terra, libera da quella ferraglia.
Ansimò portando una mano alla gola, quasi non credendo di potersi finalmente sedere.
Wesker si piegò verso di lei e le sciolse anche la benda sugli occhi.
Vide gli splendidi occhi color acquamarina di Jill, e rimase a guardarli un po’, come incantato.
Non l’aveva semplicemente mai osservata così.
Jill, ancora ansimante, alzò anche lei gli occhi verso di lui ricambiando il suo sguardo.
Di scatto, poi sollevò velocemente la mano e gli mollo uno schiaffo in pieno viso, che fece girare la testa di Wesker verso sinistra, inclinandogli gli occhiali sul naso e arrossandogli la guancia.
Wesker lì per lì rimase sconvolto.
Seppur il suo volto rimanesse inscalfibile, egli fu sinceramente spiazzato da quel gesto. Questo perché non aveva mai ricevuto uno schiaffo sul viso come quello.
Aveva lottato e ricevuto colpi molto più devastanti nella sua vita, quindi non fu la sua guancia che pulsava a dargli fastidio.
Fu banalmente il fatto che, fra le tante cose che gli fossero accadute nella vita, quella gli mancava.
Il suo sguardo tornò severo. Si voltò verso la donna.
Intanto lei si stava preparando a colpirlo di nuovo, ma lui le fermò entrambi i polsi, costringendola a terra, protraendosi poi verso di lei.
La ragazza strinse i denti, sperando di riuscire a scrollarselo di dosso. Mentre lei si dimenava, lui rimase sopra di lei immobile, limitandosi a tenerla bloccata a terra.
A un certo punto Jill si fermò, rendendosi conto che i suoi sforzi fossero del tutto inutili.
In quanto a forza, Wesker era troppo più potente di lei. Così sbuffò, e lo guardò infastidita.
“Cos’è che vuoi?” disse guardandolo dritto negli occhi.
Wesker aveva le lenti leggermente abbassate sul naso, per cui si intravedevano nitidamente le sue iridi arancioni dalla forma felina.
“Non ti interessa.” rispose impassibile.
“Come sarebbe a dire?” Si alterò lei a quell’assurda risposta, alzando leggermente la testa verso di lui. Egli rimase a guardarla, a tratti ammirando la sua determinazione.
“Non potresti mai capire…” sussurrò, al che l’espressione di Jill cambiò.
I suoi occhi colmi di rabbia si spensero, come se quelle parole avessero rievocato qualcosa dentro di lei.
La vide allontanare gli occhi da lui, riadagiando la testa a terra.
Wesker fu incuriosito da quella reazione.
Jill intanto sentì gli occhi bruciare, mentre le parole uscirono dalla sua bocca senza che neanche lo volesse.
“Lo dicesti…anche quella volta…” mormorò trattenendo le lacrime a stento.
Wesker fece mente locale, cercando di capire a quando si riferisse. Poi comprese.
Era stato quando aveva liberato il Tyrant.
Anche in quell’occasione, ella provò a comprendere cosa lui volesse ottenere, così le aveva risposto semplicemente che lei non avrebbe mai potuto comprendere.
In fondo, era vero…
Cosa mai avrebbe potuto comprendere all’epoca?
Che cosa avrebbe mai potuto capire di una vita sacrificata in nome della ricerca, in nome di un destino che neanche lui aveva scelto, ma che lo aveva coinvolto a tal punto da sacrificare tutto.
Questo per poter un giorno chiarire con l’uomo che, invece, l’aveva usato a sua volta…
…Spencer.
I suoi occhi si fecero impercettibilmente tristi rievocando ancora una volta quell’episodio.
Quel lungo silenzio intanto attirò Jill, che si voltò di nuovo verso di lui, notando il suo sguardo assorto.
“Wesker…” disse a stento, non comprendendo perché egli fosse in quello stato.
Cosa gli era successo?
Era in qualche modo…diverso…
Strinse gli occhi non accettando di provare compassione per lui.
Così mosse di nuovo le braccia cercando di divincolarsi, non dimenticandosi egli chi fosse.
Wesker continuò a tenere salda la presa, mentre il suo sguardo rimase assorto ancora un po’.
In seguito inarcò il busto, e si sollevò velocemente da terra, portando in piedi anche Jill.
La ragazza si innervosì terribilmente nell’essere gestita con così tanta facilità da lui.
Tenendola ancora per i polsi, Wesker tornò a guardarla negli occhi, assumendo un tono calmo.
“Voglio che combatti contro di me.”
“C-cosa?” lì per lì, Jill rimase sorpresa da quelle parole dette all’improvviso.
L’uomo abbozzò un sorriso, tornando l’arrogante di sempre.
“Forza Jill, vediamo cosa sai fare. Dopo Chris Redfield, eri tu un’altra delle mie tante promesse.” Disse liberandola dalla sua presa, per poi mettersi in posa da combattimento.
Jill traballò dopo che lui le mollò i polsi e continuò a fissarlo poco convinta.
Wesker invece la guardò ammaliante.
“Se riesci a battermi, ti farò uscire di qui. E’ una promessa…” disse provocatorio, consapevole che lei non avrebbe mai potuto sconfiggerlo.
Tuttavia quella provocazione bastò a far scatenare la ragazza, che cominciò subito a cercare di colpirlo con una raffica di calci, che scagliò contro di lui uno dopo l’altro.
Wesker li scansò facilmente, dopodiché la colpì al petto facendola sbattere contro il muro.
Lo ‘shotei’, il suo colpo speciale.
Soddisfatto di vederla a terra, le si avvicinò.
“Già sfinita, Valentine?”
Jill, dapprima a terra ansimante, alzò gli occhi fulminea verso di lui. “Affatto!”
Detto questo, gli si scagliò contro, eseguendo perfettamente delle mosse di arti marziali che misero in difficoltà lo stesso Wesker, esperto tra l’altro in quel tipo di lotta.
La lasciò fare per un po’, e solo quando la vide demordere un po’ per la stanchezza, la sollevò per il collo e la sbatte sul pavimento.
“Spiacente, Jill, ma hai ancora tanta strada da fare…”
Jill digrignò i denti e afferrò Wesker per la gamba, facendolo cadere a terra con lei, dopodiché gli si sedette sopra prendendolo a pugni.
Wesker bloccò i suoi colpi e la scaraventò all’aria con un braccio, facendole sbattere violentemente la schiena.
Tuttavia Jill non si diede ancora per vinta, e con un’agilità straordinaria, riuscì a rimettersi in piedi e saltare verso di lui, assestandogli un calcio nei reni.
Wesker sentì il colpo e si piegò appena. Si girò verso di lei e fece per prenderle la gamba e torcergliela, ma non fece in tempo, poiché ella saltò di nuovo, montandogli sulle spalle.
Con le ginocchia, fece per stringergli la testa e rompergli l’osso del collo, ma la tattica non poté funzionare su Wesker, che si divincolò da lei.
“Niente male davvero. Sei migliorata. Mi chiedo se non sia grazie a qualche residuo del P-30 non ancora smaltito dal tuo corpo.”
“P-30, dici?! Ti sbagli! Questo…” disse correndo verso di lui. “…è solo il frutto…” comparve inaspettatamente dietro di lui. “…di anni di duro allenamento…” lo colpì facendo una scivolata, che mise in ginocchio Wesker. “…per poterti affrontare un giorno…e ucciderti!!” concluse, e gli scagliò un calciò in pieno viso.
Wesker, colpito in pieno, cadde.
Mentre era steso a terra, cominciò inaspettatamente a ridere…
Diversi frammenti di vetro, scuri, caddero dal suo viso, mentre la montatura degli occhiali rimase intatta solo per metà. Qualche ciocca di capelli gli cadde leggermente sul viso, scomponendo appena la sua figura che non aveva mai nulla fuori posto, neanche quando combatteva.
“Uccidermi? Ah, ah, ah.” Poi tornò serio. “Devi ancora crescere…per sperare di uccidermi!”
Si lanciò così contro di lei, bloccandola con tutto il corpo, alzandole a forza il mento.
Rise di nuovo di gusto, guardandola poi estasiato, facendo scorrere appena un dito sul suo collo.
“E’ stato molto divertente. Avremmo dovuto farlo più spesso, vero? Ma il tempo per giocare, è finito.”
Detto questo la spinse e la donna cadde nuovamente a terra.
Lui prese delle manette dalle sue tasche e le costrinse le mani dietro la schiena. La ragazza urlò appena per quella fortissima presa, che ferì i suoi polsi.
“Ora devo richiuderti in cella, il dovere mi chiama. Mi raccomando, riposa bene. Avrai una giornata molto lunga, domani…” disse trascinandola.
“Cos…noooo!! Lasciami!” gridò disperata mentre lui l’imbavagliò e la bendò su viso, chiudendola di nuovo in quella cella umida e buia dove era rimasta ancorata al muro precedentemente.
“No! Torna indietro! Weskeeer!!” strillò di nuovo, con la voce offuscata dalla corda che aveva sulla bocca.
Lui ben presto fu già lontano, lasciando la donna sola, nel buio più completo.
 
 
***
 


 

...e sono al sesto capitolo...! :)) Ho già cominciato a scrivere anche il settimo, per cui credo di aggiornare presto!
Nel capitolo ci sono dei riferimenti a Resident evil Rebirth (re1). La scena nella casa del custode, una delle mie preferite. Poi quella nel finale, quando Wesker libera il Tyrant.
Quel "You'll never understand" racchiude molti significati...personalmente mi ha colpita molto come frase, rappresentando il bel fardello che Wesker già allora si porta alle spalle come ricercatore dell'Umbrella, e non solo...
Entrambe queste scene con Wesker e Jill mi sono rimaste impresse, dunque un riferimento volevo metterlo fin dall'inizio.
Grazie mille a tutti coloro che mi stanno sostenendo attraverso la lettura della mia storia e le recensioni! Grazie davvero!

Alla prossima!!!


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Capitolo 7
*** Capitolo 7: marchingegno diabolico 2 ***










THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
CAPITOLO 7
 
 
 
Wesker ed Excella camminavano lungo un viale alberato illuminato dalla fioca luce pallida dei lampioni che lo contornavano.
Lei si strinse al suo braccio, avvolta da un cappotto di pelliccia candido come la neve.
Wesker invece rimase impassibile, continuando a guardare dritto dinanzi a se senza alcuna espressione sul suo volto, camminando ad agio.
Il lungo e rigido cappotto scuro di lana rendeva ancora più distinta la sua figura possente.
Excella lo osservò accattivante con i suoi occhi cristallini, non curandosi che lui non le desse la minima attenzione. Al contrario, si strinse di nuovo al suo robusto braccio.
“Grazie per essere venuto, Albert. La tua presenza ha reso questa serata molto più interessante.”
Wesker continuò a camminare, completamente indifferente all’avvenente donna dai capelli neri.
Aprì appena la bocca, per nulla condividendo le sue parole.
“Ti saresti divertita ugualmente.” disse laconico.
Lui, a differenza di lei, si era annoiato notevolmente a quella ‘festa’.
Non era per nulla attratto da quegli ambiento mondani, ove si parlava di tutto. Dalla politica, allo stupido chiacchiericcio quotidiano, utile solo per passare il tempo.
Ai suoi occhi, erano tutti solo degli insulsi damerini di buona famiglia, che sarebbero senz’altro stati più utili come sue cavie.
Aveva passato tutta la serata ad osservarli in un angolo vicino al buffet, analizzando distrattamente le loro movenze false e costruite.
Il suo viso di marmo non si faceva mai portavoce dei suoi pensieri, nascosto com’era dalle scure lenti degli occhiali da sole che era solito indossare. Grazie a questo non era trapelato nulla del suo stato di noia e disgusto.
Si era allungato alla bocca il bicchiere di vino bianco ed era rimasto a sorseggiare tutto il tempo, fingendo di assecondare Excella che gli aveva chiesto di venire lì.
Aveva bisogno che lei mantenesse certi contatti, i quali gli tornavano utili per finanziare le sue ricerche. Era solo per questo che era venuto.
Sapeva che la donna, pur di compiacerlo, avrebbe passato l’intera serata a dilettare gli ospiti che a lui interessavano.
In questo, Excella era una donna formidabile. Ospitale e gentile quanto lo si richiedeva, ma anche scaltra e ambiziosa. Qualità opposte che facevano tutte al suo caso.
Il prezzo da pagare era stato quello di sacrificare un’intera serata di lavoro per spiluccare qua e là cibo che neanche gli era piaciuto poi molto. Se quei bocconi insapori erano considerabili un pasto di sostentamento, questo poteva valere per loro, che non muovevano un dito dalla mattina alla sera.
Una volta fatta la mezzanotte, gli era venuta voglia di scendere alla rosticceria che aveva intravisto dalla balconata di quel lussuoso palazzo per mangiare qualcosa e poi risalire.
Non l’aveva fatto solo per Excella, che non faceva che cercare di coinvolgerlo.
Avevano lasciato il palazzo verso l’una e mezza.
Ora erano circa le due, e rimpiangeva amaramente di non averla piantata in asso per quella rosticceria.
In tutto questo, egli continuò a camminare non lasciando trapelare nulla dei suoi pensieri persino in quel momento.
Buttò appena un occhio verso Excella, che invece credeva di aver passato una serata davvero piacevole accanto a lui.
Lavorava davvero di fantasia quella donna. Era incredibile costatare quanto certe persone vedessero soltanto ciò che volessero vedere.
“Albert...” sussurrò lei rompendo quel silenzio.
Wesker rimase taciturno, al che lei fece uno di quei risolini femminili che lui tanto detestava.
“…mi piacerebbe se uscissimo più spesso. Anche tu dovresti staccare col lavoro di tanto in tanto. Rilassarti e divertirti, perché no. Ti ho visto molto bene questa sera. Eri il più affascinante.”
Wesker non badò a quelle lusinghe, anzi, si chiese a cosa alludesse di preciso quando aveva detto che si fosse divertito.
“Vedremo.” rispose senza convinzione, raggiungendo intanto l’automobile lucente nera.
Aprì lo sportello e fece accomodare la donna, che a quel punto fu costretta a lasciare finalmente il suo braccio.
Ella si accomodò sul comodo sedile in pelle e strinse la pelliccia attorno a se, mentre seguì con gli occhi il suo adorato Albert che andava a posizionarsi al posto di guida.
“Ero molto più al caldo prima…” disse suadente.
Wesker mise l’automobile in moto e, con manovre fluide e veloci, uscì dal parcheggio, facendo rotta verso il laboratorio.
Ci avrebbero impiegato circa un’ora e quaranta minuti per arrivare. Accese dunque l’aria condizionata impostandola su una temperatura più calda. Era una notte davvero fredda.
Excella guardò di nuovo Wesker, mentre guidava assorto nei suoi pensieri. Sorrise e si accostò appena verso di lui.
“E’ da prima che volevo farti una domanda.” disse ed esaminò il suo viso. “Che ti è successo alla faccia? Hai fatto a botte con qualcuno?”
A quel punto, Wesker guardò la sua immagine riflessa nello specchio retrovisore.
Sull’imboccatura del naso e all’altezza degli zigomi, aveva dei lividi piuttosto scuri, anche se non di dimensioni notevoli.
Sorrise ripensando a Jill Valentine, alla colluttazione che avevano avuto qualche giorno prima.
Era passata una settimana e lui aveva ancora quei segni.
Excella si accorse di quella strana espressione sul suo viso, ma preferì non indagare, insospettiva di vederlo abbozzare un sorriso proprio in quel momento.
 
 
03:48
 
Non appena giunsero di nuovo nell’edificio nascosto in mezzo al bosco, Wesker si recò subito nel laboratorio. Questo perché il robot da impiantare sul corpo di Jill era stato ultimato due giorni prima.
L’avevano testato e gli studi avevano riportato esiti più che positivi.
Ora rimaneva soltanto l’operazione chirurgica, la quale era iniziata all’incirca da venti minuti.
Wesker si avvicinò al vetro e parlò tramite un microfono con gli scienziati che erano stati predisposti per supervisionare l’intervento.
“Quali sono gli sviluppi?”
“Signor Wesker, l’operazione è cominciata da ventisette minuti. Non sono insorte grosse complicazioni. Tutto procede per il meglio. Presupponiamo di finire entro un’ora al massimo.”
“Bene.” Annuì lui, facendo poi per indossare camice, guanti, mascherina, e tutta l’attrezzatura necessaria per entrare nella sala operatoria.
Volle verificare lui stesso il procedere di quell’intervento.
Il suo sguardo andò a posizionarsi su Jill, addormentata per effetto dell’anestesia.
Sorrise aspramente, pensando a come ella avrebbe reagito una volta realizzato cosa le stavano impiantando sul corpo.
 
***
 
Passarono all’incirca tre giorni dall’operazione.
Jill dormì profondamente, completamente ignara di tutto.
Era stata rinchiusa nuovamente in una grossa gabbia lugubre e buia.
Ella cominciò ad agitarsi nel sonno. La sua mente stava rievocando i suoi incubi, rinterpretandoli attraverso immagini sconcertanti che le fecero gelare il sangue.
Vide se stessa, con i lunghi capelli scuri legati in un codino sotto un cappello, mentre camminava su un infinito corridoio.
Improvvisamente sentì Chris urlare, così cominciò a correre chiamando il suo nome, terrorizzata che lui fosse in pericolo.
Per quanto corresse, quel corridoio non aveva mai fine, così, impotente, la donna poté solo correre all’infinito, senza poterlo soccorrere in nessun modo.
Si accasciò a terra disperata, ma il male non era terminato. Vide le sue mani insanguinarsi, mentre sotto pelle prese a scorrere qualcosa di estraneo che mirava a intaccare il suo cervello.
Per quanto si sforzasse di evitarlo, quel microbo era già dentro di sé, e non poté impedirgli di infettare la sua mente.
Così ben presto ella fu nel baratro più completo. Sognò di fare a brandelli Chris Redfield, tagliandolo in mille pezzi con le sue mani.
Alla fine, lacrime rosse rigavano il suo viso, mentre sentì un’ultima volta l’eco della voce del ragazzo urlare disperato: “Jiiiill!!”
“Noooooooo…!!”
La donna si svegliò di soprassalto. Ansimò forte, spaventata dalla visione appena avuta. Nascose poi il viso fra le mani, tremante.
“E’ un incubo…solo un brutto, brutto incubo…” ripeté a se stessa sentendosi male. “Chris…” sussurrò, desiderando tanto di rivederlo.
Aveva paura e si chiedeva ardentemente dove fosse, se stesse bene, cosa gli fosse successo…
Jill si era fidata di pochissime persone nella sua vita.
Chris era stato uno dei pochi al mondo con il quale avesse mai fatto squadra.
All’epoca in cui erano entrambi membri S.T.A.R.S., mai avrebbe immaginato che egli, in futuro, sarebbe stato l’unico che le sarebbe rimasto accanto nella vita.
Già prima i due avevano riscoperto una certa affinità sul lavoro. Entrambi si consideravano due buoni colleghi, provando un certo affetto l’uno per l’altro e stimandosi a vicenda.
Dopo aver visto le loro vite sconvolgersi dopo quella missione sui monti Arklay, qualcosa cambiò profondamente.
Rimasti completamente soli, impotenti, di fronte quell’inferno che si stava prepotentemente e inesorabilmente sostituendo alla realtà che conoscevano, si unirono l’uno all’altro.
Jill si aggrappò a qualcuno come non le era mai successo con alcuno.
Chris e Jill diventarono un tutt’uno, due perfetti partner, pronti a combattere quella battaglia.
Così lui era diventato il suo pilastro, l’unico che le fosse rimasto vicino in un mondo che le aveva voltato le spalle. E lo stesso era stato per lui.
Chris Redfield rappresentava tutta quella parte buona del mondo che invece le aveva remato contro ed andava verso la distruzione.
Facendosi forza a vicenda, erano passati dieci anni da allora…
Tuttavia…ora…si sentiva nuovamente sola…
Ma doveva resistere, potendo solo pregare per lui.
Se avesse mostrato segni di debolezza, avrebbero potuto usarla contro di lui…ne era certa…
Oramai conosceva la crudeltà di Wesker, e lei non voleva che lui la usasse per ferire Chris.
Per questo aveva sempre desistito nel cercare di ottenere informazioni su di lui, reprimendo la sua angoscia e sperando così di proteggerlo.
Sospirò dunque profondamente per farsi forza.
Si alzò e fu in quel momento che si rese conto di essere rinchiusa in una gabbia.
“Cos…?” disse non comprendendo subito la situazione.
Era uno spazio abbastanza grande perché un uomo ci entrasse, ma si sentì trattata come un animale a essere rinchiusa lì dentro.
Guardò verso se stessa e notò di indossare di nuovo quella scura tuta integrale da battaglia.
Si spaventò, chiedendosi perché fosse vestita in quel modo.
In quel momento la porta si aprì, e una donna, seguita da alcuni uomini in divisa, entrò nella stanza.
Guardandola attentamente, Jill la riconobbe nella bruna che aveva intravisto quando tentò di fuggire la prima volta.
“Oh, sei sveglia. Bene, aprite la gabbia, forza!” ordinò la donna con nonchalance, parlando con fare presuntuoso.
I soldati fecero così uscire Jill, tenendola ferma saldamente.  La bionda li guardò con odio.
 “Il mio nome è Excella Gionne. Tu sei Jill Valentine, no? Membro della B.S.A.A.”
Jill non rispose, non pensando minimamente di dar corda a una sottoposta di Wesker.
L’osservò attentamente, notando l’acconciatura ben fatta, il trucco vistoso, il vestito scollato, nonché quel corpo esibito con una certa disinvoltura…certo che Wesker sapeva scegliersele le colleghe, pensò in malo modo disgustata.
“Ehi, stammi a sentire.” disse Excella accorgendosi di quell’atteggiamento schivo. “Non ho alcuna intenzione di perdere tempo con te, tuttavia Albert mi ha mandato per alcuni esami.”
Concluse e ordinò ai soldati di seguirla portando con loro la ragazza.
Questi dunque la sollevarono per le braccia e così Jill si ritrovò costretta a dover seguire Excella.
Entrarono in una stanza molto ampia, quasi completamente vuota, se non avesse avuto al centro un tavolo di metallo.
Rimasero in silenzio per diverso tempo, mentre la donna appuntava alcune cose su un foglio.
Jill rimase a scrutarla per tutto il tempo, allerta, pronta ad agire in qualsiasi momento.
 “Dunque, da quand’è che conosci Albert?” chiese all’improvviso Excella, esaminando distrattamente una cartella clinica.
La bionda sgranò gli occhi per nulla aspettandosi una domanda simile. In seguito abbassò lo sguardo e la malinconia la pervase.
“Conoscere…? Non si può credere di conoscere qualcuno basandosi sul tempo.” disse sotto voce, conoscendo il significato profondo delle sue stesse parole.
Era stato proprio con Wesker che aveva scoperto quanto una persona poteva essere diversa da come si ci aspettava…così tanto da non poter credere di avere davvero di fronte agli occhi la stessa persona di un tempo.
Ferita da quel pensiero, cambiò lei stessa discorso. “Piuttosto, perché non sono in grado di muovermi?”
Inaspettatamente, la donna dai capelli neri rispose, mentre sistemava in una valigetta il contenuto di una fiala.
“P-30, una particolare sostanza scoperta da Albert che rende le persone sensibili al controllo. Ti è stata somministrata poco prima che ti svegliassi. Ma, a quanto pare, i tuoi anticorpi sono talmente forti da non sottomettersi neanche a questo. Infatti, dovresti essere molto più mansueta.” si interruppe. “Per questo Albert sta lavorando su qualcosa di nuovo.”
Sentendola parlare in modo così confidenziale di Wesker, si chiese se quella donna non fosse la sua compagna.
La vide girarle intorno, scrutandola con fare intimidatorio, come se la stesse sfidando con lo sguardo. Cosa diavolo voleva anche lei?
La bruna fece un ghigno, poi si avvicinò verso l’uscita della stanza.
“Bene, ho finito. Albert, è tutta tua.”
In quell’istante, la porta automatica si aprì e a solcarla, fu proprio l’autorevole e distinta figura di Albert Wesker.
Jill indietreggiò, non aspettandosi di rivederlo tanto presto.
Excella si posizionò al suo fianco e sorrise beffardamente.
“Ho fatto preparare questa stanza apposta per te. Va bene?”
“Sì, va pure.” rispose lui soave, al che la donna annuì e andò via.
L’uomo prese poi a camminare verso la bionda, che indietreggiò ad ogni passo che lui avanzava.
“Cosa c’è? Hai paura, Jill?” disse con voce bassa e provocante, non scostando gli occhi da lei.
“Affatto…” rispose lei cominciando a sentire vacillare la sua determinazione.
Egli stava giocando come il gatto con il topo, e Jill cominciò ad avvertire il peso di quella struggente situazione.
“Dunque perchè stai scappando?” insistette Wesker, costringendo la donna a schiacciarsi contro la parete avendo raggiunto l’altro estremo della stanza.
Jill sentì, infatti, il muro dietro di se.
Si voltò per un istante sperando di trovare una scappatoia, ma dovette subito tornare a guardare in avanti poiché oramai Wesker era di fronte a lei.
La sua figura altezzosa e glaciale la terrorizzò completamente, ma cercò in tutti i modi di non darlo a vedere. Gli mostro così i suoi occhi fieri e colmi di rabbia.
Wesker allungò un braccio verso il muro, poggiandosi appena su di esso, accorciando così ulteriormente la distanza che vi era tra lui e Jill. Le portò una mano sotto il mento. Impotente, lei stette inerme a guardarlo, senza sapere cosa fare.
“Ti ho portato un regalo, vuoi sapere di cosa si tratta?”
“Vai al diavolo..!” disse lei a denti stretti, trattenendo la rabbia.
Egli tuttavia non si smosse, anzi. Si allontanò da lei e si avvicinò al tavolo in metallo posto al centro della stanza, ove dispose una pistola e un coltello.
“Hai una preferenza?”
Jill non rispose, non comprendendo il senso di una domanda simile.
Wesker, notando la sua ovvia titubanza, scelte al suo posto prendendo in mano la pistola. Gliela porse.
“Prendi.”
La ragazza, ancora confusa, rimase immobile a guardare l’arma. All’improvviso una grata si alzò, facendola sobbalzare.
Ella si voltò con tutto il corpo e un ‘crimson head’ le corse incontro, pronto ad ucciderla.
La sua pelle spaccata e rossa, le sue unghie affilate e il pesante alito che odorava di morte furono subito familiari a Jill, che si scansò velocemente dal suo primo attacco.
Era da molto che non ne affrontava uno, ma ricordava che la loro pericolosità era rappresentata per lo più dall’incredibile velocità.
Così cercò di prevedere le sue mosse. Ricercò Wesker con lo sguardo, poi si allungò verso di lui prendendo la pistola.
Con pochi colpi, il ‘mostro’ cadde a terra, inerme. La ragazza ansimò.
Alle sue spalle, Wesker cominciò a battere le mani.
“Complimenti, Jill. Test numero uno: superato eccellentemente.”
A quelle parole, Jill si voltò verso di lui, puntandogli l’arma contro. L’uomo stette a guardarla serio, aspettandosi quella mossa.
“Vuoi uccidermi?”
“Ti ho sotto tiro, Wesker…non scherzare!” disse lei, tenendo i nervi saldi e abbassando la sicura della pistola.
Era pronta a sparare. Egli aveva fatto un grosso errore ad armarla, carica d’odio com’era.
Decisa a far partire il colpo, Wesker inaspettatamente sorrise.
“Jill…tu combatterai per me.”
Prima di poter dire, o fare qualcosa, Jill sentì una morsa stringerle sul petto.
Si piegò su se stessa, non comprendendo.
Sentì il suo corpo non rispondere, come se non riuscisse più a trovare la determinazione per sparargli.
Sentiva solo qualcosa stringerle fastidiosamente sul busto.
“Ed ora…uccidili tutti.” pronunciò Wesker gelido, e a quel punto una forza misteriosa costrinse la ragazza a lottare contro le B.O.W. che erano appena apparse alle sue spalle.
Jill le affrontò senza batter ciglio, mentre Wesker osservava compiaciuto l’esito di quell’esperimento.
Controllò l’orario per controllare se ella sottostesse più a lungo del solito al P-30.
Al momento riceveva delle iniezioni a intervalli molto lenti e in piccole dosi, ma era pronto a modificare quelle impostazioni, nel caso avesse opposto resistenza.
Prese dunque in mano il piccolo telecomando custodito nella sua tasca e lo esaminò.
“E’ finita, Jill. Sei sotto il mio controllo.” disse quasi fra se, mentre Jill lacerava le carni dei suoi target.
Jill non riuscì in nessun modo a ribellarsi, non sapendo cosa le stesse accadendo effettivamente.
Riuscì a percepire che quegli impulsi erano legati probabilmente a qualcosa che le stava premendo terribilmente sul torace.
Digrignò i denti infastidita e inaspettatamente riuscì, lottando contro se stessa, a muovere le mani verso il petto, facendo per aprire la cerniera della sua battlesuit.
Wesker si accorse in tempo dell’istinto che aveva portato la ragazza ad accorgersi del dispositivo impiantato sul suo corpo. Così prima che lei riuscisse anche solo a toccarlo, lui aumentò istantaneamente le dosi del P-30.
A quell’iniezione, Jill si accasciò a terra.
Il dispositivo sul suo petto a quel punto fu visibile, essendo comunque riuscita ad aprire la tuta in quel punto. Tuttavia non poté far altro che stare a terra inerme.
“Tu non cercherai mai più di toglierti questo dispositivo.” affermò Wesker in modo imperativo, guardandola dall’alto verso il basso.
Come un impulso che agì direttamente sul suo cervello, Jill sentì che per lei sarebbe stato impossibile disfarsi di quel meccanismo, che sarebbe stato ancorato al suo corpo per sempre.
La sua mente sembrava scoppiare di fronte quelle sensazioni indescrivibili e inopponibili.
L’unica cosa che le fu possibile fare, fu rialzarsi e riprendere a combattere quel paio di nemici rimasti ancora in vita.
Una volta liberato il campo dalle B.O.W. , Wesker le si avvicinò di nuovo, ritenendo quella prova ben riuscita. Aveva vinto.
“Molto bene. Ora…provami la tua lealtà.”
Le mise così un coltello da combattimento in mano e poi allargò le braccia.
“Uccidimi.” disse inaspettatamente.
Jill, per una volta d’accordo con l’ordine impartitole, si lanciò verso di lui pronta a pugnalarlo, ma quando fu a nemmeno di venti centimetri da lui, Wesker impartì un nuovo comando.
“Fermati. Ora uccidi te stessa.”
In quell’istante, la sua mano partì da sola. La bionda puntò lo stesso coltello, che prima era rivolto verso Wesker, verso se stessa, pronta a lacerarsi la carotide senza esitazione.
“Ferma.”
A quell’ennesimo ordine, il coltello le cadde di mano.
Jill aveva gli occhi sbarrati, incapace di credere a quel che stava davvero per fare.
Wesker raccolse il coltello da terra e glielo mise nuovamente in mano.
“Combatti…combatti fino allo stremo delle tue forze.” disse provocatoriamente, dopodichè si mise in un angolo ad assistere al massacro che di lì a poco la donna fu costretta a compiere.
Wesker cominciò a ridere follemente, mentre Jill avrebbe solo voluto scappare dalla realtà che si stava figurando davanti ai suoi occhi.
“Non mi tradirai, non scapperai, resterai al mio fianco, non tenterai mai di toglierti il dispositivo di tua volontà, mi seguirai quando io ti ordinerò di farlo. Farai ogni cosa io ti chieda.”
Quella raffica di parole trafissero il cervello della ragazza, e da quel momento in poi fu sua convinzione che non avrebbe mai più potuto disobbedirgli.
Costui…era il suo padrone assoluto.
 
Passarono sei ore e Jill ancora strappava brandelli di carne dai corpi delle B.O.W., senza mai fermarsi o mostrare segni di cedimento.
“Basta così.” disse infine l’uomo dalle lenti scure, e lei si fermò finalmente.
Jill, completamente sfinita, desiderava soltanto potersi sedere.
L’uomo le si avvicinò e le alzò la cerniera della tuta fin sotto il collo, nascondendo così il dispositivo sul suo petto.
“Riposati. Hai combattuto davvero bene.”
A quel punto, Jill chiuse gli occhi, lasciata finalmente libera di riposare.
Ella si abbandonò cadendo all’indietro, ma lui la sorresse tempestivamente, lasciando che lei poggiasse la testa sul suo petto.
La guardò qualche istante, mentre era crollata per la stanchezza, sporca di sangue.
A quel punto, Wesker ridusse al minimo le iniezioni del P-30, così che Jill avrebbe ricevuto soltanto la dose necessaria per tenerla buona nella sua cella.
Riprese poi a osservarla.
Il suo viso, seppur sofferente, adesso era finalmente disteso e rilassato. Un allenamento simile doveva averla sfinita sul serio, sia fisicamente che psicologicamente, pensò.
Forse aveva preteso un po’ troppo da lei, facendola lottare per tutte quelle ore consecutive, ma era stato l’unico modo per testare definitivamente quel suo nuovo esperimento.
Ora poteva dirsi soddisfatto.
Jill era stata perfetta fin da subito, ed era stata una delle cavie migliori che gli fossero capitate.
 
***
 
 
Cosa…mi è successo…?
 
Non ne posso più...svegliatemi da quest’incubo!
Qualcuno mi aiuti!!
 
Wesker…
Cosa vuoi fami, ancora?!
 
 
 
***
 
 
01:15
 
Jill sentì più voci alternarsi fra di loro, ma fu incapace di comprendere bene le loro parole.
Le sentiva solo ridere e sussurrare fra loro, incapace di percepire altro.
Una sensazione disturbante la pervase in corpo. Mosse appena la testa facendo per aprire gli occhi, ma la sua vista era completamente appannata.
“Sicuri che Wesker è via?”
“Tranquillo, tanto è solo uno scherzo. Il P-30 è una veeera bomba!”
“Ah,ah,ah, quindi è tutto vero?”
La giovane dai capelli biondi non presagì nulla di buono da quelle battute, così si sforzò nuovamente di rialzarsi, anche se a stento.
Vide di fronte a se tre giovani dottori che, nel buio della stanza, stavano puntando delle torce contro di lei.
Ella socchiuse gli occhi accecata.
Uno di questi le si avvicinò e le tappò prontamente la bocca.
“Mmmff..!!”
Jill si ribellò, mentre gli altri due la bloccarono ancora di più, trascinandola fuori dalla gabbia.
“Non avevi detto che le avevi dato quella roba?” ringhiò in silenzio uno dei tre.
La bionda cominciò a dimenarsi, nonostante si sentisse terribilmente fiacca in corpo.
Uno di quei ragazzi cominciò a metterle le mani addosso, ma lei riuscì a scagliargli un calcio talmente forte da farlo cadere a terra.
“Brutta stronza!!” disse e la colpì violentemente alla nuca.
La donna si accasciò, stordita. Se solo non si fosse sentita così priva di energie…
Si sentì venir meno, ma possedeva ancora la forza e la volontà per schiacciare quei vermi! Tuttavia si rese ben presto conto che dovevano averla drogata. Tant’è che si ritrovò incapace di muoversi come avrebbe voluto.
Riuscì, infatti, solo ad agitarsi goffamente.
Digrignò i denti, mentre uno di questi prese a sfilarle la tuta di dosso, esaltato dalla vista del corpo allenato e formoso della ragazza.
“Però…su di lei farei ben altro tipo di esperimenti!” disse uno in modo perverso, avvicinandosi a lei.
Jill se lo scrollò di dosso, facendo di tutto per muoversi e creare scompiglio, così da attirare l’attenzione di eventuali passanti.
Tuttavia ci sarebbe mai stato qualcuno che sarebbe corso in suo aiuto in quel posto?
“Andate…all’inferno...luridi…vermi!!” ringhiò contro di loro, riuscendo a scandire le parole sotto l’effetto chissà di quale stupefacente.
Questi, spaventati dal fatto che lei avesse parlato ad alta voce a quell’ora della notte, si alterarono temendo di essere scoperti. Così uno di loro le mollo un calcio.
“Zitta puttana!”
Jill incassò il colpo, riuscendo a tenere duro, tuttavia la disperazione cominciò a prendere il sopravvento su di lei, non essendo nelle condizioni di difendersi.
Sentire quei porci abusare del suo corpo allargò la ferita che già di suo la stava lacerando dentro. Già si era sentita usata e violentata in quel maledetto posto, e come se non bastasse, quell’umiliazione e quella perversione aggiunsero ancora più odio e frustrazione nel suo cuore devastato.
Cominciò dunque a urlare con tutte le sue forze, facendo del suo meglio per divincolarsi dalle loro molestie.
“Lasciatemi! Aiuto! Aiuto!!”
Mentre si dimenava, la sua mente andò nel panico più completo.
“Qualcuno mi aiuti! Aiuto!”
Continuò imperterrita, non comprendendo più nulla.
Rabbia, disgusto, paura, devastazione, angoscia, sfinimento…tutto fu avvolto dal caos più assoluto. Sentì la testa girare, perdendosi nel baratro e nell’oscurità.
Nella disperazione più assoluta, qualcosa si mosse nella sua mente, ed urlò quel nome che mai avrebbe pensato di pronunciare. Eppure in quel momento uscì fuori dalla sua bocca con la piena consapevolezza di chi stava chiamando.
“Weskeeer…!!”
Una volta pronunciato quel nome con tutte le sue forze, ella spalancò gli occhi, sotto shock per ciò che aveva appena detto.
Aveva per davvero invocato l’aiuto di Wesker..?
Perché lo aveva fatto? Come aveva potuto la sua mente aggrapparsi a quella speranza? Cosa le era successo..?!
La sua mente andò in panne.
“Cosa hai appena detto?! Vuoi farci passare un guaio, brutta…!!”
A quel punto la porta si aprì, e tutti si voltarono verso l’ingresso della stanza, Jill compresa.
Sulla soglia della porta vi era Albert Wesker.
“S-signor Wesker…” sussurrò uno di loro, ma allo sguardo severo dell’uomo, tutti e tre si allontanarono facendosi da parte.
Jill rimase a terra, immobile, con la battlesuit oramai completamente aperta. Rimaneva a malapena ancora sui polsi.
Ella, coi capelli sciolti e scomposti, guardò Wesker con le lacrime agli occhi, quasi incapace di credere per davvero che, nel momento del panico più assoluto, aveva invocato il suo aiuto…e non solo. Lui era venuto davvero.
Quelle lacrime che inumidivano i suoi occhi colpirono profondamente Wesker, che avanzò nella stanza gelido, come pronto a fare una strage su chi aveva osato toccare il suo ‘esperimento’.
Si piegò verso Jill, mettendole una mano sotto le ginocchia e un’altra sulla sua schiena.
La donna, ancora sotto shock, cominciò a tremare, mentre vide il suo corpo essere sollevato con facilità da lui.
Wesker la guardò e la sentì molto fredda, nonché rigida e sotto shock. Strinse gli occhi, nascosti dalle lenti degli occhiali da sole, dopodichè girò i tacchi e fece per lasciare la stanza.
Uno di quei uomini farfugliò a stento delle parole.
“N-n-non è quel che…che sembra. N-noi…”
“Sparite.” sentenziò Wesker, fulminandoli con i suoi crudeli occhi rossi che risplendevano da sotto le lenti scure.
Un’altra parola, un altro gesto, e sarebbero morti davvero.
Il messaggio fu recepito chiaramente dai tre, che trasalirono, consapevoli che quella fosse la fine.
Disobbedire a Wesker ed inimicarselo, erano opzioni che non sarebbero mai convenute ad alcuno. Tanto valeva sparire per sempre.
Wesker intanto ritornò sui suoi passi, sorreggendo Jill fra le braccia, inoltrandosi fuori dal laboratorio, sparendo così nell’oscurità del corridoio.
 
Jill strinse le spalle, con gli occhi sgranati, fissi dinanzi a se, tremando ancora fortemente.
Wesker avanzava nel corridoio a passo deciso.
Cosa era accaduto? Come aveva fatto lui ad intervenire così tempestivamente? Ma soprattutto…perché Jill aveva urlato il suo nome?
Quelle domande non fecero che ripetersi all’infinito nella mentre della ragazza, sotto shock.
Concentrata interamente su quel che era appena accaduto, non fece caso nemmeno alla strada che Wesker stava percorrendo, vedendo così scorrere il corridoio sotto i suoi occhi passivamente.
Frastornata, non trovò dentro di se la forza per dire o fare concretamente qualsiasi cosa.. Riuscì solo a stringere i lembi della sua tuta da combattimento, continuando a fissare il vuoto, sorretta da quelle robuste braccia nemiche.
L’uomo dai capelli biondi intanto giunse di fronte l’ascensore, facendo per accedere al piano ‘speciale’ riservato agli alloggi.
Una volta giunto a destinazione, nel più completo silenzio, entrò nella sua stanza, e fu solo allora che fece scendere Jill dalle sue braccia.
La ragazza, quando lui si piegò facendole poggiare i piedi a terra, si mise in piedi, continuando a avvicinare a se quel che le rimaneva ancora addosso.
Alzò le spalle, cominciando a divagare con gli occhi, ancora spaventata e attonita.
Stava lentamente realizzando di essere di nuovo sola con Wesker, per di più nella sua stanza, presupponeva vedendo gli arredi tipici di un appartamento.
Si chiese se non stesse passando dalla padella alla brace.
Wesker comunque non si curò di lei. Chiuse la porta dietro di se, poi s’inoltrò dentro l’appartamento, sparendo dalla vista di Jill. La donna lo vide imboccare il corridoio ed entrare in una stanza. Sbandò poi di colpo udendo l’anta di un mobile chiudersi rumorosamente.
Era in uno stato di allerta completo.
L’ex-capitano della S.T.A.R.S. tornò verso di lei e, vedendola ancora immobile dove l’aveva lasciata, si riavvicinò.
Lei si irrigidì ulteriormente, non fidandosi di lui. Wesker sorrise velatamente, divertito da quella diffidenza.
Allungò una mano e aprì una porta nel corridoio, al di la della quale vi era un normalissimo bagno.
“Prego, Valentine.” disse fingendo una gentilezza che non gli apparteneva affatto.
Infatti Jill si voltò verso di lui, dubbiosa.
“Tranquilla, entra. Rinfrescati e cerca di buttarti alle spalle questa brutta faccenda.”
La incoraggiò lui soave, mostrandole la stanza. Jill dunque avanzò, seppur incerta.
Egli chiuse la porta quando la ragazza entrò dentro, e la cosa la sorprese non poco. Le lasciava piede libero sul serio?
Jill si guardò attorno. Era una stanza davvero grande.
Scrutò i piccoli accessori, i sanitari, le illuminazioni, e tutto sembrava arredato in modo perfetto.
Rivolse lo sguardo verso la vasca-doccia, e a quel punto decise di usufruire finalmente di quel bagno meraviglioso.
Da quanto tempo era che non aveva la possibilità di prendersi cura di se, in effetti..?
Fece scivolare via del tutto la tuta da combattimento, e lasciò che l’acqua scacciasse via ogni suo pensiero.
Chiuse gli occhi, facendo scorrere quel flusso fresco violentemente sul viso.
Sciacquò i capelli e poi li strizzò nei pugni, facendoli gocciolare, per poi ribagnarli di nuovo. Mentre accarezzava il suo corpo, godendo di quel momento tutto per se, rivolse lo sguardo distrattamente verso l’enorme specchio posto di fronte.
Osservò la sua figura riflessa.
Pallida, stanca, con quello strano apparecchio impiantato sul petto...
Lo tocco e provò uno strano brivido nel sentirlo così ancorato sul suo corpo.
Ripensò al comando impartitole da Wesker e che ancora adesso le rendeva impossibile anche solo pensare di strapparselo di dosso.
Cosa diavolo le avevano fatto...?
Mentre continuò a specchiarsi, provando un’infinita amarezza per se stessa, i suoi occhi andarono a puntarsi sul suo viso affranto.
Corrucciò le sopraciglia, chiedendosi se qualcuno l’avrebbe mai portata via da quel posto.
Chissà cosa le era saltato in mente quando aveva urlato il nome di Wesker…
Ripensò alle circostanze e la rabbia la pervase.
Puntò lo sguardo a terra, rievocando l’ultima volta che aveva chiesto il suo aiuto. In un momento in cui credeva ancora in lui.
Era stato sempre alla Villa, circa dieci anni prima, quando aveva rischiato di rimanere schiacciata dal soffitto di una stanza, che aveva preso a scendere verso di lei.
Ella, non riuscendo in nessun modo ad ovviare quella trappola mortale, si era lanciata contro la porta urlando prima il nome di Wesker, poi quello di Barry, sperando che qualcuno corresse in suo aiuto.
Strinse gli occhi, non potendo credere di aver potuto riprovare quel sentimento a dieci anni di distanza verso quell’uomo…che non era più quell’uomo.
Il Wesker di allora non era lo stesso Wesker che presto si sarebbe rivelato, passata appena quella notte del 24 luglio del 1998.
Il Wesker che invocò allora, era il suo capitano, verso il quale nutriva fiducia e rispetto, e…
Scosse la testa, disturbata da quei pensieri.
Aveva urlato il nome di Wesker sperando in lui, come una stupida. Cosa le era saltato in mente?
Quale assurda emozione sepolta nell’inconscio era riaffiorata in quell’istante, portandola a chiamarlo come allora?
Lei…lo odiava…lo detestava con tutta se stessa.
Era un criminale. Egli aveva devastato il suo mondo, rovinato la sua vita, tradito la sua fiducia, lacerato i suoi sentimenti…lui…
Lui…
Nonostante ciò…nutriva ancora fiducia verso di lui?
Strinse gli occhi, abbandonandosi al dolore. Al dolore di dover guardare in faccia la realtà, ovvero che quel Wesker che lei aveva tanto amato, non era mai esistito in realtà.
Quell’ingannevole ricordo era riaffiorato nella sua mente per caso, e lei era stata una stupida anche solo ad avere sperato in lui, seppur nella disperazione più completa.
Guardò di nuovo il suo riflesso nello specchio, vedendo i suoi occhi inumidirsi.
Perché continuava a soffrire?
Voleva soltanto poterlo detestare in pace.
Passo una mano tra i capelli che avevano intanto invaso il suo viso.
Li scostò dietro, e qualcos’altro all’improvviso attirò la sua attenzione. Si scrutò attentamente, quasi trovando impossibile di non essersene accorta prima.
Sollevò una ciocca di capelli e li guardò sconcertata dallo specchio.
“Sono…biondi?!”
 
Una volta uscita dalla doccia si avvolse con un asciugamano e lentamente aprì la porta.
L’intero appartamento era buio.
Faticò a muoversi, ma presto la vista si abituò all’oscurità e le fu più facile aggirarsi per l’appartamento.
Si ritrovò nel salotto ed osservò la grandissima vetrata che affacciava sul bosco.
Trasmetteva inquietudine e desolazione, come se persino l’ambiente circostante volesse farla sentire isolata dal resto del mondo.
Girò lo sguardo e vide una camicia poggiata sul divano.
La prese e l’indosso senza troppo indugio.
Una volta allacciati tutti i bottoni, si guardò attorno alla ricerca di Wesker, sperando di riuscire a parlare con lui in qualche modo.
Strinse i gomiti fra le mani e si affacciò in una stanza. Fu allora che lo vide sdraiato sul letto, col busto appoggiato sullo schienale e le gambe accavallate, completamente oscurato nel nero della notte. Indossava ancora gli occhiali da sole.
Ella deglutì, facendosi forza ed entrando.
Vedendola avanzare, Wesker si voltò verso di lei.
Jill rimase a fissarlo, stavolta con la sua solita determinazione negli occhi, e si mise di fronte al letto. L’uomo fu abbastanza contento di rivederla in forma. Era una donna molto forte, lo sapeva da sempre.
Così si sollevò col busto, facendo per scendere dal letto.
“Wesker, volevo…”
“Lascia stare.” la interruppe lui abbandonando la stanza.
Jill si irrigidì e lo guardò corrucciando il viso.
“Non volevo ringraziarti.” mentì gelida, contrariata dal suo atteggiamento, al che Wesker poggiò una mano sulla porta e si voltò appena verso di lei.
“Lo so.”
La guardò per qualche istante, poi sparì andando via.
Jill rimase impietrita. Non sapeva come dover interpretare certi suoi atteggiamenti.
Che lui la odiasse, non la considerasse semplicemente una persona, che fossero nemici…erano tutti elementi più che indiscussi. Poteva dire di pensare assolutamente lo stesso di lui, se non peggio.
Eppure…
Il cuore le cominciò a battere forte.
Nonostante cercasse di negarlo in tutti i modi, sforzandosi di cacciare quella sensazione, questa le vibrava in corpo più forte che mai, riaccendendo un sentimento che fino a quel momento Jill aveva sempre negato di provare verso di lui.
 
 
***
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: un banchetto crudele ***


  


 
 
 
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 8
 
 
 
 
 
Le prime luci dell’alba filtravano tra le fronde degli alberi che contornavano il laboratorio di ricerca. Abbaglianti e fulgenti, penetrarono nelle finestre.
L’appartamento privato di Wesker lentamente prese a illuminarsi; si delinearono così le sagome dei mobili che l’arredavano.
Un uomo alto, perfettamente sveglio, vestito di scuro, era immobile su una poltrona di pelle e stava osservando ogni fase di quel momento.
Egli non aveva chiuso occhio, come al solito. Così era rimasto lì, seduto tutto il tempo ad osservare il cielo, quasi come chiedendosi quante notti fossero passate sotto quello stesso manto celeste, osservatore silenzioso delle azioni degli uomini.
Anche la sua vita non era che un lieve passaggio rispetto ciò che aveva visto passare quello stesso cielo che era su di lui.
In fin dei conti, anche Albert Wesker sarebbe passato, esattamente come qualsiasi uomo.
Non importa quanto grande sia stata la sua esistenza, o quanto intensamente l’abbia vissuta.
Tutti prima o poi sarebbero andati incontro allo stesso destino.
Nel momento in cui si nasce, inesorabilmente l’unica certezza della vita è che, prima o poi, essa ti lascerà.
Come scienziato, certamente un pensiero così crudo non lo scalfì nemmeno.
Tuttavia non aveva mai pensato così intensamente alla morte.
Forse perché era già morto.
Egli aveva già vissuto sulla sua pelle quell’agghiacciante sensazione fredda del corpo che si spegne, trafitto dal colpo mortale del Tyrant nel 1998.
Albert Wesker era morto quel giorno, ed al suo posto era rinato un uomo diverso, sovrannaturale, che consacrò in se stesso tutta l’esperienza accumulata da quel Wesker morto.
Tuttavia la morte avrebbe colpito anche lui, quel Wesker “rinato”, nonostante il suo potere.
Da una parte quel pensiero lo inquietava, sentendosi così profondamente lontano da un discorso simile, essendo ancora tanti i progetti da mettere in atto nella sua mente. Così tanti che avrebbero potuto occuparlo anche altre decine di anni.
Egli era una macchina inarrestabile in questo. Wesker aveva una capacità organizzativa straordinaria, al limite dell’inumano, permessogli soprattutto dal suo temperamento controllato e freddo.
D’altra parte invece, persino uno come lui bramava la morte.
Spesso si chiedeva come sarebbe stata la sua fine.
Magari quel giorno sarebbe riuscito finalmente a dormire.
Si abbandonò sullo schienale della poltrona colpito appena dalla luce del sole che sorgeva, e solo quando chiuse gli occhi si accorse quanto gli bruciassero.
Nonostante in quel momento avesse trovato finalmente la serenità di riposare, l’abbagliare del sole invece segnava l’inizio di un nuovo giorno di lavoro.
Dunque si alzò, reprimendo quel bisogno, e guardò distrattamente verso il suo letto.
Jill Valentine era addormentata a pancia in giù, completamente abbandonata sul materasso e coperta appena dalle coperte. I suoi capelli erano sciolti. Indossava una sua camicia di color blu, quella che le aveva appositamente preparato la notte prima.
Wesker aveva ancora così tanti progetti per lei che non poteva permettersi un suo abbattimento psicologico. Così le aveva lasciato il suo appartamento quella notte proprio perchè voleva che lei si rimettesse in forze tranquilla.
Tuttavia non immaginava che si sarebbe addormentata così profondamente.
Una come lei credeva che, al contrario, non avrebbe abbassato tanto la guardia.
Si avvicinò dunque alla bionda e scrutò il suo viso rilassato sprofondato per metà sul cuscino.
Le scostò i capelli di lato, in un gesto che, nei limiti di uno come Wesker, aveva un che di dolce.
Jill, in qualche modo, smuoveva qualcosa nella sua coscienza. Ma più che altro, era che lei lo incuriosiva.
Rimase ad osservarla per diverso tempo, perdendosi nei suoi lineamenti. Tuttavia, all’improvviso, qualcosa lo turbò.
Egli stesso non desiderava per nulla stabilire un qualsiasi contatto con altri esseri umani, per questo velocemente si allontanò da lei, tornando a fissare la finestra.
Nonostante quel raro momento di abbandono, i suoi incubi personali presero di nuovo il sopravvento, e l’immagine di Spencer si sostituì prepotente su qualsiasi suo altro pensiero, mentre gli diceva ancora una volta di averlo creato.
Strinse i pugni, lacerato da quella rivelazione che aveva dannato le sue notti.
Spencer, credendosi quasi onnipotente, alla fine aveva condiviso il medesimo destino di tutti i comuni mortali, non comprendendo che chi si auto proclama un ‘Dio’, deve anche avere la forza di esserlo per davvero. Una forza ed una potenza in grado di superare il potere stesso.
Una forza che Spencer non avrebbe mai potuto neanche immaginare.
Una forza che presto sarebbe stata sua, invece, grazie ad Uroboros.
“Un Dio? Tu?” rise. “Presto lo vedrai chi ha davvero la potenza di essere un Dio…” sussurrò fra sé.
Si fermò un attimo, riflettendo; poi sorrise aspramente, ironico.
“Oh, giusto. Sei morto.”
In seguito, con passo pesante, abbandonò definitivamente la stanza.
 
Jill lentamente riaprì gli occhi.
Si alzò appena col busto, premendo le mani sul materasso, e si guardò attorno intontita.
La stanza era ben illuminata dal sole. Si chiese dunque che ore fossero e quanto avesse effettivamente dormito.
Buttò i capelli spettinati all’indietro e si mise seduta, aggiustando la camicia che aveva addosso.
Rimase seduta ancora qualche istante godendo di quella inaspettata pace, dopodiché allungò le gambe e scese dal letto, inoltrandosi nella stanza. Esaminò in giro.
Per lei era davvero strano trovarsi lì per davvero.
Era un’ordinaria camera da letto, tuttavia non vi era quasi nessun effetto personale dell’uomo che l’abitava. Non a caso quella doveva essere la stanza di Wesker, e probabilmente passava davvero poco tempo lì dentro. Si rifletté in uno specchio e si guardò intensamente, ponendosi mille domande. La prima fra tutte era sempre la stessa: Wesker…cosa voleva da lei?
Ricapitolando gli ultimi eventi, lei era riuscita a scaraventarlo giù da una finestra un anno prima. Tuttavia erano sopravvissuti, e lui, fuori da ogni logica…le aveva salvato la vita.
In seguito però l’aveva usata come cavia per i suoi esperimenti trattandola in modo disumano, tenendola prigioniera in quel luogo tremendo, costantemente sotto esame nei laboratori e costretta a combattere. In tutto questo, la sostanza somministratole, il P-30, inibiva i suoi sensi e così aveva perso persino il controllo su se stessa divenendo il suo burattino.
In fine…ora l’aveva salvata di nuovo.
Lei aveva urlato il suo nome, in un attimo irripetibile di disperazione, e lui era venuto per lei.
L’aveva presa fra le sue braccia ed in seguito l’aveva fatta accomodare nella sua stanza e, presupponeva, nel suo letto.
Strinse le braccia, non comprendendo tali e numerosi controsensi.
Poteva dire di aver conosciuto un suo aspetto ancora in qualche modo ‘umano’?
No, non era assolutamente così! Si ripeteva.
Questo in quanto Wesker era un manipolatore, un abile ingannatore che sapeva come gestire le sue vittime facendo loro credere ciò che lui volesse, fino a indurle all’oblio e alla disperazione.
Il fatto che l’avesse aiutata, e questa non era la prima volta, non significava nulla.
Quando erano caduti insieme giù da quel precipizio, lui l’aveva salvata per renderla una macchina da guerra e per sperimentare i suoi studi.
Ora che l’aveva salvata di nuovo, sicuramente aveva un suo tornaconto per volerla mantenere in vita.
Dunque ritornava ancora quella domanda: cosa voleva davvero da lei?
Continuando a camminare distrattamente in balia di quei pensieri, Jill uscì fuori dalla stanza.
Girò l’angolo e quando si affacciò nel corridoio, quasi sbandò quando vide Wesker, in piedi, a sorseggiare un caffé.
L’appartamento sembrava così vuoto e silenzioso che non aveva minimamente immaginato che lui potesse essere lì.
Tuttavia si ricompose velocemente, sperando di non aver lasciato intravedere quel suo attimo di smarrimento.
Wesker guardò verso di lei attraverso le lenti scure che indossava fin dalle primissime ore del mattino.
A modo suo le sorrise, anche se più che un atto gentile, sembrava si stesse burlando di lei.
“Buongiorno, miss Valentine. Credevo fossi più mattiniera.”
Jill strinse gli occhi titubante.
“Perché, che ore sono?” rispose meccanicamente, cercando comunque di mostrarsi fredda.
“Sono le sette del mattino. Preparati, dobbiamo partire.” disse lui tranquillo, avanzando poi oltre la stanza.
Jill lo bloccò presa alla sprovvista.
“Cosa? A-Aspetta! Dove andiamo!?” alzò appena la voce, infastidita da quei modi superficiali.  
Wesker le si rivolse invece completamente sereno e padrone di sé.
“Prenderemo un aereo privato. Non farmi aspettare troppo.”
Quel contrasto di caratteri tra poco avrebbe fatto saltare i nervi alla povera ragazza, nonostante si fosse appena svegliata.
Vederlo lì, placido e già ben vestito nonostante fosse così presto, la mandava su di giri.
Soprattutto per il fatto che, in tutto questo, le diceva con nonchalance che dovevano partire.
“Hai altro da chiedere?” asserì lui, interrompendo i suoi pensieri, vedendola ancora ferma a guardarlo.
Jill discostò gli occhi. Strinse le labbra, sapendo bene di non avere molta scelta. Così tornò nella camera da letto per vestirsi.
Se si fosse opposta, ci avrebbe pensato il P-30 a farla sottostare al suo volere.
Wesker sorrise divertito da quel visetto imbronciato e dall’aria così indifesa, ma che tuttavia sapeva il fatto suo.
“Ti ho fatto portare una nuova battlesuit, costruita su misura per te.” disse dal corridoio.
Jill si voltò da dietro la porta, mentre faceva per sfilare la camicia.
Voleva forse che lo ringraziasse?!
Dunque non rispose, limitandosi a prendere la tuta piegata sul letto. Prima non l’aveva per nulla notata.
Era molto stretta, per cui non fu semplice indossarla. Tuttavia quel tipo d’abbigliamento era molto funzionale ed adatto alla battaglia.
Si chiese quindi dove fossero diretti. Avrebbero combattuto? Cosa stava pianificando quell’uomo ancora una volta?
Una volta vestita, uscì frettolosamente dalla stanza per affiancarsi a Wesker.
Lui la guardò divertito, al che la bionda gli lanciò un’occhiataccia.
“Non sei molto abituata a prenderti cura di te stessa, non è vero?” disse vedendola così acqua e sapone, persino spettinata.
“Cosa vorresti dire? Che dovevo truccarmi e vestirmi come la tua amica?” rispose Jill pungente.
Wesker subito colse la provocazione nelle sue parole. Infatti la guardò incuriosito.
“Ti riferisci ad Excella?”
La bionda sbuffò, non volendo affatto parlare delle conoscenze di Wesker. L’aveva detto solo perché infastidita da quella constatazione.
L’uomo rise appena, trovando stranamente buffa quella conversazione. Poi si avvicinò a Jill e si mise alle sue spalle.
Lei seguì i suoi movimenti con gli occhi.
Quando lo vide postarsi dietro di lei, sentì inaspettatamente le sue dita scorrerle fra i capelli lisci, mentre li univa lentamente fra loro nelle sue mani.
Fu un gesto inconsueto da parte di uno come lui, per cui non seppe affatto come comportarsi.
Rimase all’erta, accarezzata da quelle mani robuste che muovevano delicatamente i suoi capelli.
“L’occhio vuole la sua parte, e tu sei una bella donna, Jill...” sussurrò lui lasciandola spiazzata.
Jill non seppe che dire, né come reagire.
Non riusciva a realizzare nemmeno se sentirsi imbarazzata o meno.
Il suo corpo si irrigidì sempre di più.
“…devi essere perfetta. Sempre.” Concluse e le legò inaspettatamente i capelli in un codino.
Jill portò una mano su di questo quando lui tolse le dita dal suo capo, poi lo guardò negli occhi.
Le aveva dunque solo sistemato l’acconciatura, si domandò dubbiosa.
Wesker fece spallucce.
“Andiamo?” disse roteando il braccio verso l’ingresso, imitando una sorta di gentleman diabolico.
Jill corruccio il viso, continuando a guardarlo con fare sempre più perplesso.
 
***
 
Wesker avanzò per il corridoio, seguito da Jill che riuscì a stare a suo passo senza sforzo.
La ragazza sentiva il P-30 inibirle i sensi, e nonostante riuscisse a scorgere sullo sfondo più scappatoie che avrebbero potuto condurla fuori da quel luogo, si ritrovò costretta a seguire l’uomo vestito di nero di sua volontà.
Era come se, a prescindere dai suoi pensieri o dai suoi impulsi, ella non potesse disobbedirgli.
Quella sensazione la lacerava in corpo, nonostante a quel punto fosse anche abbastanza curiosa di conoscere Wesker più da vicino. Di vedere con i suoi occhi chi si fosse sempre nascosto sotto quelle spoglie.
Egli era stato molte cose per lei.
Dal suo capitano della S.T.A.R.S., al vile traditore schiavo dell’Umbrella.
Da scienziato privo di scrupoli, ad abile combattente.
Da uomo che lei rispettava, a simbolo del male della sua vita.
Egli era stato sia colui che l’aveva salvata da un mondo incerto in cui lei, da giovane ragazza di strada, si trasformò in una capace poliziotta sotto la sua divisione.
Ed era stato anche colui che aveva sconvolto e distrutto tutto questo, costringendola ad una lotta continua contro il mondo stesso che persone come lui avevano condannato.
Chi era quindi Albert Wesker?
Delle sue mille facce, ce n’era una che lo rappresentasse davvero?
Non sperava di avere quella risposta, ma se il P-30 poteva rappresentare un vantaggio anche per lei, in un certo senso era proprio quello. Scoprire il suo punto debole.
Tuttavia ne sarebbe valsa la pena? Lui si sarebbe mai lasciato sfuggire qualcosa?
Ma soprattutto… lei sarebbe davvero riuscita a resistere?
Una volta giunti nell’aeroporto, Wesker si affacciò alla balconata mostrando a Jill il mezzo col quale avrebbero viaggiato.
Jill osservò quell’aereo privato per nulla entusiasta, tuttavia dovette seguire Wesker inerme.
Dei soldati si misero sull’attenti e una volta che i due salirono le scale per entrare nell’aereo, questi chiusero il passaggio, cominciando i preparativi per il decollo.
Jill osservò accuratamente l’ambiente, sorpresa che quello fosse un vero e proprio aereo di lusso.
Si girò attorno scrutando l’ambiente, poi seguì Wesker che si inoltrò verso dei divani di pelle chiara.
Egli si sedette e incrociò le gambe. Accese poi un computer portatile, ignorando quasi palesemente chi Jill fosse ancora in piedi di fronte a lui.
Dopo qualche attimo parlò, continuando a tenere gli occhi sullo schermo.
“C’è una camera da letto, riposa pure lì. Il viaggio durerà qualche ora. Ti farò chiamare più tardi.”
La ragazza non riuscì a comprendere se fosse una proposta o un ordine quello.
Fatto stava che un uomo dall’aria di un cameriere si avvicinò a lei, mostrandole la strada.
Jill si voltò infastidita, consapevole più che mai di come fosse falsa la gentilezza di Wesker.
Altro che premure…era stato il suo modo per dirle di lasciarlo in pace.
Tuttavia non era stata certo lei a decidere di seguirlo, e lui lo sapeva molto bene dato che quel maledetto telecomando che controllava le iniezioni del P-30 era nelle sue mani.
Seguì dunque il cameriere, che la condusse in una stanza non molto grande ma veramente ben arredata e luminosa.
Ella, una volta sola, si sedette sul letto, non sapendo cosa fare.
Nonostante non fosse rinchiusa in una cella, si sentiva ancora terribilmente prigioniera.
Adesso che non era più padrona nemmeno del suo corpo, era persino peggio.
Il contrasto tra quella stanza pulita, luminosa, e lei libera, ma tuttavia incapace di disobbedire all’ordine di non fuggirgli, fu straziante.
Chinò così il capo sulle ginocchia, non potendo far altro che compatirsi.
Verso l’una del pomeriggio, fu chiamata dal servizio in camera, che l’informarono che Wesker aveva chiesto di raggiungerlo. Prima che tuttavia potesse solcare la porta di quella stanza, l’uomo visto precedentemente entrò, porgendole un abito scuro rivestito in una busta di atelier.
Jill lo guardò incerta, poi questi le comunicò che ella doveva indossare quell’abito.
Dapprima la donna sgranò gli occhi, scettica, poi si morse le labbra e tirò sgarbatamente quegli indumenti dalle mani dell’uomo.
Certi atteggiamenti di Wesker la stavano seccando non poco. Ora doveva anche vestire quell’abito elegante per…per lui?
Quando il cameriere abbandonò la stanza, ella sfilò la divisa, buttandola sul letto. Poi indossò quel tubino scuro realizzato in taffetà e velluto.
Era più corto avanti e appena più lungo dietro. Fasciava il suo corpo in modo morbido, seguendo aderente le sue curve. Lo scollo lasciava appena intravedere il seno, in una linea sobria che valorizzava il suo fisico.
Una volta pronta, si guardandosi nello specchio, non più abituata ad essere così elegante da molto tempo oramai. Fu una consapevolezza che la ferì nell’inconscio, ma non era il momento per lasciarsi andare ai sentimentalismi.
Uscì quindi dalla stanza, chiedendosi a quel punto dove sarebbero atterrati.
Se Wesker l’aveva voluta vestita in quel modo, probabilmente sarebbero andati a qualche pranzo di lavoro, rinfresco, o chissà…
Ritornando nella stanza dove aveva visto Wesker precedentemente, si accorse che questa era stata allestita in modo diverso.
Era stato portato un tavolo, il quale era ben apparecchiato con preziose posate d’argento, vino…e Wesker era accomodato sulla sedia e la guardava attraverso gli occhiali scuri.
Fece cenno a Jill di accomodarsi.
La ragazza si sedette, non staccando il suo sguardo inquisitorio da lui.
Che intenzioni aveva? L’aveva fatta vestire così soltanto pranzare con lui? Era insensato!
Si sentì terribilmente a disagio.
L’uomo le riempì il bicchiere col vino bianco che era poggiato sulla tavola, per poi riempire anche il suo.
Prese poi il vetro fra le mani e l’avvicinò a Jill, la quale non rispose al suo brindisi. Anzi.
La donna afferrò il suo bicchiere fra le dita affusolate e lo bevve non guardandolo neppure in faccia.
Wesker sorrise appena, poi avvicinò il suo calice alle labbra sorseggiando anche lui.
“Immaginavo avresti gradito qualcosa da mangiare.”
“In tua compagnia?” disse lei con tono aspro, trovando ridicola quella situazione.
“Perché, no?” rispose lui, per nulla scosso invece.
Il silenzio regnò sovrano. Fu un’atmosfera molto imbarazzante per Jill, costretta ad essere di fronte a quell’uomo da lei tanto odiato.
Quando furono loro serviti i primi piatti, Wesker riprese parola. Egli mise inaspettatamente il telecomando che la controllava sul tavolo.
Jill sgranò gli occhi.
“Sai…con questo piccolo arnese potrei sottomettere la tua volontà in modo irreversibile. La dose di P-30 che al momento ti è somministrata è talmente debole da considerarsi persino nulla.” disse come assorto nei suoi pensieri.
Jill lo guardò cercando di capire dove volesse andare a parare.
“Sei deplorevole e un giorno pagherai, Wesker.”
Wesker strinse gli occhi infastidito, ma dopotutto sapeva che lei avrebbe reagito in quel modo.
“Voglio solo portare alla tua attenzione che posso farlo. Posso costringerti a compiere ciò che mai penseresti di fare. A combattere contro chi non vorresti. O ad amare…chi magari odieresti.”
La donna sbandò a quella provocazione, comprendendo la sua minaccia, conoscendo bene la sua scaltrezza e crudeltà.
Wesker intanto continuò a parlare, girando fastidiosamente il telecomando fra le dita.
“Vuoi sapere perché ti sto dicendo questo? Semplice. E’ solo un consiglio. Un consiglio per farti comprendere quanto poco mi basterebbe per controllare definitivamente la tua mente.”
A quel punto strinse il telecomando in un pugno e abbassò appena gli occhiali sul naso per mostrarle i suoi occhi felini rosso fuoco.
“Non costringermi a farlo.” disse infine, tagliente.
Jill rimase a fissare i suoi occhi, impietrita, come percependo chiaramente l’intenzione dietro le sue parole. Tuttavia distolse lo sguardo, malinconica.
Wesker notò quell’espressione e la osservò attentamente.
La donna mosse le labbra e le parole che uscirono furono più un sussurro.
“Perché…a te cosa importerebbe di me?”
L’uomo rimase immobile. Accavallò le gambe e puntò lo sguardo dritto dinanzi a sé.
“Non arriverò a tal punto. A te la scelta, comunque.”
Avvicinò poi a sé il calice di vino.
La donna, sempre più confusa, cercò di comprendere in qualche modo quella mente complessa, così diversa dalla sua.
Wesker era un uomo diabolico e non doveva fidarsi di lui. Voleva fare di lei la sua pedina, nonostante recitasse la parte di uomo benevole.
Tuttavia le sue erano solo minacce alle quali lei non doveva soccombere se voleva salva la vita.
Ma se le sue parole erano vere, allora avrebbe per davvero potuto aizzarla contro i suoi nemici?
Contro…Chris?
Quel pensiero cominciò a tormentarla.
Prese seriamente in considerazione le parole di Wesker. Doveva dunque fare il suo gioco?
Scosse la testa.
Pensare di ingannarlo, era un’ipotesi da evitare di prendere in considerazione quando si parlava di lui.
Si ritrovò così nel baratro, costretta ancora una volta a sottostare alla sua volontà, dovendosi considerare addirittura fortunata che conservasse dunque almeno un minimo di libertà di pensiero e di movimento.
Tutto ciò era struggente. Oramai le era passato l’appetito.
“Oh, quasi dimenticavo.” L’uomo vestito di scuro interruppe i suoi pensieri. “Voglio mostrarti qualcosa.”
Detto questo, accese il computer portatile e si collegò ad una telecamera.
L’immagine mostrava una stanza vuota, dentro cui erano rinchiusi tre uomini.
Jill cercò di comprendere chi fossero e cosa volesse mostrarle.
Wesker sorrise.
“Erano curiosi di comprendere gli effetti del P-30. Suppongo che provarlo sulla loro pelle sarà un’esperienza che non dimenticheranno mai più.”
A quel punto Jill comprese. Si trattavano degli scienziati che l’avevano aggredita!
Si avvicinò di più allo schermo, preoccupata.
“Wesker, cosa…?”
Improvvisamente, vide i tre soggetti cominciare a dimenarsi, quasi come se mancasse loro il respiro.
Non essendo soggetti idonei come Jill, il cui corpo era particolarmente forte e resistente, essi in breve tempo si accasciarono a terra, incapaci di muoversi.
Jill inorridì nel vedere quella scena e si scagliò contro Wesker, afferrandolo per la giacca.
“Sei...sei un mostro! Cosa hai fatto?!” urlò tremante.
“Come? Non sei contenta? Hanno soltanto pagato per averti fatto del male. Non è quello che vuoi anche tu? Anche tu brami vendetta…” disse lui impassibile, alludendo alla frase che la donna aveva pronunciato poco prima.
Jill strinse gli occhi e lo guardò con rabbia.
Era vero. Wesker prima o poi l’avrebbe pagata. L’aveva detto e sapeva che un giorno sarebbe successo. L’avrebbe fatto lei o qualcun altro, ma sarebbe successo.
Quel che dunque stava accadendo in quel momento in qualche parte dei laboratori, non era diverso da ciò che ella stessa covava contro Wesker.
Tuttavia vedere quei corpi esamini a terra attraverso la webcam, la straziò. Nonostante erano stati anche loro dei ‘mostri’.
Così strinse i denti e gli si rivolse con fermezza, a meno di un palmo dal suo viso, mentre teneva ancora la presa salda sul colletto della sua giacca.
“Sarà anche vero, ma tu li hai uccisi come fossero degli insetti! Ora ferma tutto!”
L’uomo cominciò a ridere e questo inquietò non poco la ragazza.
“Oh, Jill! Mi stai chiedendo di fermare tutto proprio ora che inizia il bello?”
Gli occhi di Jill si spalancarono.
Lentamente si girò, quasi come se in realtà non volesse scoprire cosa stesse accadendo per davvero in quel laboratorio. Osservò lo schermo del computer e in quel momento si accorse che i corpi apparentemente morti dei tre dottori presero a muoversi.
Erano movimenti innaturali, che fecero rabbrividire la ragazza.
Ma questo era nulla.
Questi infatti si aizzarono l’uno contro l’altro, completamente fuori controllo.
Armati di bisturi, lacerarono i loro corpi, riducendosi a brandelli l’uno con l’altro.
Jill portò le mani alla bocca, poi implorò Wesker di fermarli, mentre egli rideva, gustando quella scena.
“Credevano sarebbe finita così? Che sarebbe bastato dimettersi? Ahahaha!”
“Wesker!! Noo…!” strillò lei non potendo reggere quella visione. Chiuse gli occhi cominciando a picchiare sul suo petto. “Smettila!!”
Wesker intanto continuava a ridere.
Jill sentì i suoi occhi inumidirsi. Sperimentando su se stessa il P-30, sapeva che un briciolo di coscienza rimaneva attivo. Dunque quegli uomini si stavano sicuramente rendendo conto di starsi uccidendo a vicenda.
“Hanno sfidato il mio potere. Chi oserà farlo ancora, farà la stessa fine.”
Pronunciò Wesker con gli occhi persi nel vuoto. Il suo viso assunse un’espressione ambigua, molto…inquietante.
Egli accennò un sorriso soddisfatto, come rivolgendosi ad uno spettatore terzo, non presente in quella stanza.
“Ricorda. Ciò che può sconfiggere il potere, è ancora più potere. Ed il mio…” strinse i denti. “…il mio potere…il diritto di essere quel dio…è mio.”
Jill guardò Wesker sgomentata e angosciata.
“…il diritto di essere dio?” ripeté a stento, ancora sconvolta dalla carneficina alla quale stava assistendo.
Quelle parole però la turbarono non meno di quel terribile massacro.
Wesker a quel punto si alzò, puntando la sua attenzione visibilmente verso altro, non rendendo partecipe la donna dei suoi tormenti che tuttavia furono abbastanza visibili persino per lei.
Egli stava impazzendo e Jill si rese chiaramente conto che qualcosa non andasse.
“Tra poco arriveremo.”
Disse lui all’improvviso, poi abbandonò la stanza e lasciò la ragazza sola, confusa e persa ancora in quello sguardo diabolico oramai fuori controllo.
 
***
 
 





 
L’episodio dello scorso capitolo ha fatto sì che il rapporto di Wesker e Jill si impostasse in modo diverso, aggiungendo alla marea di sentimenti della ragazza ancora più dubbi.
Spero di aver reso il concetto, che comunque sarà integrato durante tutto il prosieguo della fanfiction. E’ quello il tema portante, assieme alla pazzia di Wesker che va lentamente sempre più delineandosi.
Nel prossimo capitolo i due arriveranno a destinazione, ove nuove consapevolezze renderanno ancora più confuso questo drammatico pairing.
Un saluto a tutti e… a presto!!
  <3
 
 
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9: odiato inevitabilmente, amato inesorabilmente ***


 





THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 


 

CAPITOLO 9
 
 
 



“Siamo arrivati, signore.”
“Bene. Andiamo.”
Pronunciò Wesker fermo, dando un’ultima occhiata al suo equipaggiamento e al paracadute ben allacciato sulle spalle e in vita.
Jill, vestita con la battlesuit viola scuro, fece lo stesso, prendendo poi in mano un borsone.
Stettero seduti qualche istante, quando poi Wesker aprì il portellone e diede segno alla bionda di lanciarsi. Ella lo fece senza troppo indugio, seguita qualche istante dopo dall’uomo vestito di nero.
Entrambi sprofondarono nel vuoto, abbagliati dal sole delle tre del pomeriggio.
Aprirono quasi all’unisono i paracadute.
Ai loro piedi si vedevano il mare profondo e un’isola non molto lontana.
Atterrarono sulla spiaggia, sganciando i loro paracadute. Jill seguì Wesker avendo il preciso ordine di essere sempre dietro di lui.
Solcarono la sabbia, sepolta sotto l’acqua che arrivava alle loro ginocchia, con passo pesante, fino a giungere finalmente sulla terra ferma.
Wesker prese un GPS e cominciò a consultare la mappa. Jill si guardò attorno, cercando di capire dove fossero.
Senza dire una parola, l’uomo prese a setacciare la zona per poi dirigersi verso un sentiero boscoso. Lei gli stette a passo, estraendo una sciabola per aiutarsi a proseguire in quella selva.
“Ferma.” Le disse lui all’improvviso, mettendo un braccio in orizzontale.
Lei guardò attorno, cercando di capire cosa avesse messo in allarme Wesker.
L’uomo prese dalla borsa delle pinze, e poi una piccola capsula. Si avvicinò ad un tronco e tirò una strana sostanza molliccia. Jill sgranò gli occhi, chiedendosi che accidenti fosse.
“Materiale organico…” disse Wesker analizzando quella mucosa. “C’è stata una schermaglia qui.”
Detto questo, continuò a camminare noncurante.
La bionda mantenne un atteggiamento schivo, non prevedendo nulla di buono da quel posto.
Scrutando meglio l’ambiente, talvolta erano ben visibili degli schizzi di sangue. Alcuni sui tronchi, altri sulle foglie, sul terreno… cosa era successo in quel bosco?
Era abituata a visioni simili. Investigazioni del genere erano all’ordine del giorno anche alla BSAA, il gruppo antiterroristico di cui faceva parte.
Era quindi inquietante per lei costatare di star facendo quella perlustrazione proprio in compagnia di colui il quale era una delle principali cause di tutto questo.
Provò una strana morsa al cuore.
Albert Wesker si muoveva con fare naturale, esattamente come a ‘quel’ tempo.
Seppur le circostanze avessero reso molto diversa quella persona, egli aveva conservato gli stessi atteggiamenti di quando investigava ai tempi della STARS.
Gli ricordava maledettamente il vecchio capitano di cui si fidava.
Wesker le trasmetteva ancora quel senso di forza e protezione che la rassicurava, sebbene, stringendo il suo cuore, sapeva bene che egli non fosse più nulla di tutto questo.
Anzi…non lo era mai stato davvero.
Trovava sciocco quanto ancora spesso le capitava di ripensare al vecchio Wesker.
Quell’uomo non era mai esistito. Doveva farsene una ragione.
Voltandosi, rivedeva se stessa, vestita con la divisa e i capelli corti, assieme al suo capitano, in quel rapporto di lavoro semplice, tuttavia umano, che mai più sarebbe tornato.
Jill Valentine…aveva amato quell’Albert Wesker.
Nonostante sapesse che non fosse mai davvero esistito, e fosse stato, anzi, il peggiore di tutti in quanto aveva tradito e ingannato tutti.
Tuttavia…da qualche parte nel suo cuore, lei lo aveva sempre ammirato.
Il suo carattere riservato le aveva impedito di mostrargli quanto lui fosse importante per lei.
Wesker, Chris, Barry, Rebecca, Enrico, Richard, Forest, Brad…
Erano stati un po’ come la sua famiglia.
Ma Wesker era stato colui al quale si era avvicinata più difficilmente, per via del suo carattere solitario.
Ora sapeva bene perché…egli intanto era indaffarato con l’Umbrella.
All’epoca, però, lei era incuriosita dal suo senso del dovere e il suo forte autocontrollo e intelligenza.
Adorava quel semplice rapporto di lavoro che era fra loro.
Lavorare con lui era bello poiché professionale e serio.
Raramente avevano parlato di loro, forse non era nemmeno capitato se non in rare occasioni.
Egli da sempre non si lasciava mai andare, per cui trovò struggente ricollegare questo al fatto che in realtà lui stesse recitando una parte, attento a non farsi sfuggire nulla. Per questo si mostrava così distaccato, forse.
Eppure lui era sempre stato così naturale.
Sapeva che a quel tempo lui l’avesse presa a cuore essendo uno dei membri più giovani, per di più una delle uniche donne S.T.A.R.S. .
Wesker l’aveva aiutata più volte, rendendola ciò che lei era adesso dal punto di vista professionale.
Per questo per lei fu lacerante ritrovarsi in quella situazione.
Rivederlo così simile al Wesker dei suoi ricordi la confondeva.
Quanto avrebbe voluto afferrarlo per la giacca e chiedergli dove fosse quel Wesker. Se per davvero fosse stato tutto una mera menzogna.
Una bugia, una meravigliosa bugia…
Ogni sua parola, ogni suo gesto, i suoi occhi. Tutte inutili e sporche bugie. Orribili e crudeli bugie, alle quali però lei aveva creduto…
Jill, affranta, abbassò il viso.
Provò pietà per se stessa, per come la sua ingenuità continuasse a torturarla.
Una parte di lei credeva ancora in quel vecchio Wesker…si illudeva che da qualche parte il capitano della STARS esistesse ancora.
Era stato per questo che, nel momento della disperazione, aveva urlato il suo nome in cerca di aiuto.
Che stupida, davvero…
… Avrebbe dovuto vivere una bugia per riuscire ad amare ciecamente Albert Wesker…
Intanto Wesker continuava a proseguire non curante.
Si fermò soltanto quando intravide qualcosa oltre un cespuglio.
Strinse gli occhi e fece per affacciarsi. Si voltò verso Jill, e fu allora che notò il suo viso serio, perso nel vuoto.
“Valentine, non è il momento di fare sogni ad occhi aperti.”
Jill non se ne curò, ne diede la minima attenzione a quel suo tentativo di provocarla.
Wesker si accorse che qualcosa non andava, ma non gliene importò, così esaminò da solo.
Intanto la donna prese a camminare intorno, ancora sconvolta dai suoi sentimenti contrastanti che lentamente stavano venendo a galla, facendole ammettere cose che mai avrebbe pensato di confessare persino a se stessa.
Ancora soprappensiero, sbandò quando vide un uomo completamente sporco di sangue, trafitto su un tronco.
Quel piccolo gemito attirò l’attenzione dell’ex capitano STARS, che subito si affiancò a Jill.
Investigando meglio, si accorsero entrambi che altri cinque corpi erano nascosti in quella selva. Erano sfigurati e avevano tinto il bosco di rosso con i loro brandelli sparsi ovunque.
“Cos’è successo qui?” chiese lei.
“Prendimi la borsa.”
La donna fece quanto chiesto e Wesker prese degli arnesi con i quali tagliò alcuni tessuti dai corpi di quelle vittime. Jill inorridì.
“Sono solo dei campioni. Analizzerò questi tessuti al nostro rientro.”
La bionda non si lasciò ingannare da quelle parole. Dentro di sé, sapeva bene che in qualche modo centrasse lui.
A un certo punto, si sentirono dei fruscii alle loro spalle.
Jill sbirciò con la coda dell’occhio, poi puntò con fermezza la pistola di fronte a sé.
Delle figure umanoidi si scagliarono contro di loro.
Wesker e Jill, armati di pistola, riuscirono a liberarsi di quegli uomini comparsi all’improvviso, che presero ad attaccarli senza motivo, in balia di un mero istinto omicida.
La donna si sentì stranamente molto più forte di come lo era in passato. Erano anche questi gli effetti del P-30?
A un certo punto, Wesker la tirò per un braccio, accorgendosi che alle loro calcagna c’erano dei doberman infettati col T-Virus. Egli stesso si chiese cosa ci facessero lì.
Mise Jill al riparo posizionandosi a scudo avanti a lei. Il cane si aprì a metà facendo per attaccarlo, ma prima che potesse farlo, Wesker gli sparò atterrandolo.
Ben presto si ritrovarono circondati, ma stavolta anche Jill fu pronta ed aiutò Wesker a sbarazzarsi di quei cani geneticamente modificati.
“Cos’è? Vuoi mettermi ancora alla prova?” disse Jill brandendo due pistole contemporaneamente, ricordando i test di combattimento a cui l’aveva sottoposta.
Wesker fece un ghigno.
“Potrebbe essere, Jill.” rispose tranquillo, dando un calcio ben assestato a quei ‘mostri’.
Jill alzò un sopraciglio, poi riprese a combattere, consapevole che Wesker non l’avrebbe mai degnata di una risposta.
All’improvviso un boato mise i due in allarme. Traballarono entrambi, perdendo quasi l’equilibrio, in seguito a una serie di scosse che si susseguirono all’improvviso l’una dopo l’altra.
Fu poi Wesker a prendere l’iniziativa. Si rivolse, infatti, verso la donna, alzando la voce.
“Corri!” disse.
Presa alla sprovvista, Jill cercò di comprendere cosa accadesse. Vide poi di fronte a se un essere enorme, deforme, che puntò verso di loro.
La sua pelle era grigia e spaccata, e scagliò a terra una clava chiodata sproporzionata per la sua grandezza.
La terra tremò, e Jill lì per lì rimase impietrita. Sentì poi la mano robusta di Wesker sulle sue spalle, e a quel punto ritrovò la lucidità e si mise a correre al suo fianco.
“Perché scappiamo? Non è meglio abbatterlo?!” urlò lei cercando di evitare i rami bassi che continuavano a graffiarla.
“Non conviene sprecare proiettili con quello. Non funzionerebbero.” spiegò lui.
“Quindi cosa facciamo?” chiese a quel punto lei, vedendo ancora dietro di loro quell’essere, mentre abbatteva gli alberi con la sua arma devastante.
“Lo seminiamo. I suoi sensi non sono sviluppati.”
“Vuoi dire che è un altro dei tuoi esperimenti?!” osservò accigliata lei.
“Non esattamente, ma non è il momento giusto per parlare.”
Un tuono attirò la loro attenzione.
Wesker puntò lo sguardo verso il cielo, che prese a ingrigirsi velocemente. I primi schizzi di pioggia picchiettarono sui loro visi.
“Dobbiamo andare via.” costatò, rendendosi conto che la pioggia avrebbe giocato a loro svantaggio in quel bosco fitto e fangoso.
Dopo un ennesimo boato, la pioggia si infittì di colpo, rendendo i loro movimenti più difficoltosi.
Jill cominciò a tossire, infastidita dall’acqua che scendeva copiosa sul suo viso.
L’uomo vestito di scuro le si avvicinò allargando il cappotto nero per ripararla, al che Jill si ritrasse.
Wesker comprese che ella ancora non si fidasse di lui, nonostante gli impulsi del P-30.
Così sfilò la giacca, continuando a correre, e gliela mise sul capo a forza, tenendola col braccio stretta a sé.
La donna sgranò gli occhi, presa alla sprovvista da quella premura.
Non potendo fare altro, ed essendo impegnata a correre, lasciò che lui la guidasse, protetta dalla sua lunga giacca scura.
Sbirciò verso di lui, notando il suo corpo bagnato, così come il viso e i capelli. Solitamente Wesker appariva perfetto in ogni momento. Invece, ora, era fradicio, sporco di terra, e qualche ciocca di capelli non era perfettamente tirata indietro come suo solito.
Fu una versione di Wesker del tutto nuova per lei.
Girarono verso una zona rocciosa, ove la vegetazione non potesse essere troppo di ostacolo, e l’uomo condusse la ragazza in una rientranza per ripararsi.
Era un cunicolo abbastanza stretto, per cui riuscirono a stento a starci dentro.
Jill si ritrovò stretta al busto di Wesker, che intanto scrutava fuori per assicurarsi di non essere seguiti.
“Perché una creatura del genere è fuori dal tuo controllo?” chiese lei.
“Quelle creature non sono sotto il mio controllo. Ad ogni modo, non le considererei un pericolo.”
Jill sbandò.
“Non sono un pericolo? Hai idea di cosa stai dicendo?”
Wesker si voltò di scatto verso di lei, fulminandola con lo sguardo, al che la donna si ammutolì di colpo e, all’espressione arrabbiata, si sostituì un viso sconvolto e intimorito. L’uomo le prese il viso fra due dita, tirandolo verso il suo con fermezza.
“Basta domande, Jill. Non sei qui per questo.”
Lo sguardo di Jill tremò. Sia per quel contatto visivo, che per la crudeltà che traspariva dai suoi occhi.
Wesker la lasciò andare subito dopo, infischiandosene dello stato d’animo della bionda, e riprese ad analizzare la situazione, mentre l’acqua gocciolava dalle rientranze della roccia.
“Proseguiamo.” disse costatando che fuori, diluvio a parte, fosse tutto tranquillo.
Uscì dunque, cominciando a scalare la parete rocciosa per arrivare in cima a quella montagna.
Sebbene fosse piuttosto scivoloso, Jill decise di non dibattere, ancora profondamente scossa da quel contatto visivo. Così si limitò a seguirlo.
Arrivarono fin quasi in cima, erano piuttosto in alto.
Vide Wesker consultare il GPS di nuovo, fissando poi lo sguardo sull’orizzonte per esaminare il bosco sottostante dall’alto.
Jill strinse a se il cappotto nero di lui, mentre la pioggia cascava su di loro sempre più copiosa.
Cominciò a sentire freddo, così strofinò le braccia sperando che anche lui si accorgesse che non potessero stare ancora tutto quel tempo sotto l’acqua.
L’uomo dagli occhiali scuri si girò verso di lei, poi noncurante rigò dritto proseguendo su quella montagna.
A quel punto Jill aprì bocca e, tremante dal freddo, cercò di parlargli con fermezza.
“W-Wesker! La pioggia è troppo forte, dobbiamo cercare un riparo!”
Egli si voltò appena, concedendole uno sguardo fugace.
“Non abbiamo problemi a proseguire.” pronunciò gelido, come se nulla lo potesse scalfire.
La bionda digrignò i denti e gli si parò davanti.
“Ho detto di no! Cerchiamo un riparo, cazzo!”
Wesker si alterò per quel tono e per quegli occhi severi che stavano sfidando la sua autorità. Così l’afferrò per un braccio e la strattonò con forza. Nonostante Jill tentasse di divincolarsi da quella presa, la forza di Wesker era troppa per riuscire ad opporsi.
Ad un certo punto la scaraventò a terra, dentro una rientranza abbastanza ampia, molto simile a una caverna.
Wesker la guardò diabolico, mentre un tuono alle sue spalle illuminò la sua figura, facendo intravedere gli occhi rossi da dietro le lenti.
“Resta pure al riparo, miss Valentine.” disse beffandosi di lei crudelmente, dopodichè la lasciò sola, inoltrandosi di nuovo sotto pioggia.
Jill si sollevò e guardò con ira quell’uomo duro che non faceva che trattarla in modo inumano. Sfilò il cappotto e lo butto a terra con violenza, rifiutando quel suo gesto di protezione che, dato il suo atteggiamento, non significava assolutamente nulla!
Poi si mise in un angolo, abbracciando le gambe e sprofondando la testa tra le ginocchia, tremando ancora più forte.
“Vai al diavolo!!” urlò, nonostante lui ora non potesse sentirlo, dovendo sfogare la sua rabbia e il suo dolore.
 
***
 
Passò all’incirca un’ora.
Wesker raggiunse di nuovo Jill, che intanto era rimasta seduta in quell’angolo, pallida e fredda.
Anch’egli era bagnato, ma aveva una forte resistenza, così la cosa non lo scalfì nemmeno.
Una volta dentro la caverna, vide il suo cappotto gettato a terra in malo modo e non gli fu difficile dedurre che Jill fosse in collera con lui.
Lo raccolse delicatamente, poi si avvicinò a lei, la quale non lo degnò di uno sguardo, rannicchiata su se stessa.
I suoi occhi erano rivolti altrove, persi nel vuoto, mentre dentro di sé la rabbia ribolliva ancora molto fortemente.
Wesker si piegò verso di lei e le allungò la giacca. La donna tese una mano allontanandolo, continuando a non guardarlo in faccia.
Lui, in tutta risposta, le tocco appena una guancia col dorso della mano, costatando che fosse gelida.
“Sei fredda e questo non è produttivo per me.”
La bionda scaraventò via la sua mano di nuovo.
Wesker strinse gli occhi, ma non disse nulla e si limitò ad allontanarsi da lei.
In verità Jill si sorprese che avesse davvero deciso di lasciarla in pace, tuttavia continuò a stare sulle sue, e strinse di nuovo le gambe.
Wesker intanto andò a sistemarsi poco distante da lei. Si sedette, e poggiò il braccio sul ginocchio teso. Con una mano tirò i capelli indietro, sfilando poi gli occhiali.
La bionda lo guardò con la coda dell’occhio, incuriosita di vedere il suo viso.
Senza occhiali, egli aveva uno sguardo diverso, sembrava molto stanco.
Lo vide mentre esaminava i suoi occhiali completamente bagnanti, poggiandoli poi a terra e abbandonando la testa sul muro alle sue spalle.
Divincolò lo sguardo soltanto quando anche lui la ricambiò.
Accorgendosene, Wesker sorrise appena. Jill prese a guardare il pavimento roccioso, non sapendo come riuscire a distrarsi dalla sua presenza.
 Lui invece sembrava rilassato. Infatti chiuse gli occhi, come abbandonandosi finalmente.
La ragazza ritornò ad osservarlo e dopo che passarono una manciata di secondi, si chiese se egli non stesse davvero dormendo.
“Wesker…” sussurrò, ma non ricevette risposta.
Corrucciò la faccia e ripeté a se stessa che era molto meglio così. Avrebbe finalmente trovato un po’ di pace senza sentirsi sempre controllata da lui. Si sorprese tuttavia che lui ancora non si fosse mosso.
Non riuscendo ad essere indifferente, si tolse dalla sua postazione e si avvicinò cautamente a lui.
Guardò il suo viso e sembrava per davvero addormentato.
Deglutì, e per la prima volta poté avvicinarsi a lui come mai aveva fatto prima. Poté analizzare il suo viso così da vicino che il cuore prese a palpitarle forte.
Si rese conto che mai più le sarebbe capitata un’occasione simile.
Si avvicinò ancora di più e fece per sfilargli il telecomando col quale la teneva sotto controllo.
Era così vicina che sentiva il suo respiro sul suo orecchio.
Riuscì infine a prendere l’oggetto fra le sue mani, non riuscendoci a credere davvero.
Premette il pulsante per far cessare le iniezioni del P-30 sul suo corpo, e quasi ebbe un colpo quando sentì dentro di sé la sua volontà tornare libera. Portò le mani sul petto, chiudendo gli occhi felice.
Doveva tuttavia stare attenta. Wesker non doveva accorgersi che lei fosse tornata libera di scappare da lui in qualsiasi momento. Era il momento di elaborare un piano che potesse aiutarla a giocarsi quella carta.
Poteva ingannare Wesker? Valeva la pena tentarci.
Se egli avesse creduto che fosse sotto il suo controllo, sarebbe magari riuscita persino ad ucciderlo. Così si guardò attorno e la sua attenzione andò alla pistola infilata nella cintura dell’uomo.
Allungò le braccia e afferrò il manico dell’arma con fermezza e delicatezza, tuttavia, prima che potesse estrarla, il pugno di Wesker la bloccò violentemente.
La ragazza sbandò, non essendosi per nulla accorta che lui si fosse svegliato.
“Ero curioso di vedere fin dove saresti arrivata, Jill. Sei proprio ottusa.” disse schernendola e prendendo a forza il telecomando dalla sua mano.
“Aah!” urlò mentre lui le contorceva la mano costringendola a terra.
Egli mosse il telecomando fra le dita, poi lo nascose nella sua tasca. Jill sgranò gli occhi.
Non si era accorto che aveva interrotto le iniezioni?
Sul volto di Wesker intanto si disegnò un ghigno. Sollevò la ragazza avvicinandola a sé, poi le tirò i capelli costringendola a tenere la testa all’indietro, mentre la scrutava con i suoi occhi rossi.
“Non saprei davvero se definirti ingenua oppure temeraria. Mi sembrava avessi capito, eppure poi ti ritrovo a fare scherzetti simili. Pensavo di essere stato chiaro: sei nelle mie mani.”
Jill respirò a fatica, costretta in quella posa. Fu poi Wesker a lasciare la presa, liberandola finalmente.
Ella ansimò fortemente, mentre lui si rilassò di nuovo sul muro.
“Povera Jill Valentine. Ce l’avevi quasi fatta, non è vero?”
La ragazza cominciò a tremare. Presto lui si sarebbe accorto che non era più sotto il suo controllo. Non si sarebbe mai fatto ingannare da lei. Il panico l’assalì, dunque.
“Se fossi stato qualcun altro, chissà…ora magari sarei esamine a terra. Tuttavia non puoi più nulla contro di me. Prima te ne convinci, meglio sarà.”
Mentre lui continuava la sua eloquenza, il cervello di Jill si mise in moto valutando ogni possibilità, ora che era temporaneamente ‘libera’.
Tuttavia non poteva nulla contro Wesker, era folle soltanto pensarci. Era sola, indifesa, sotto il suo potere…
La frustrazione la pervase, sentì gli occhi bruciare di rabbia.
Lui…non l’avrebbe avuta…mai.
All’improvviso si alzò di scatto, lasciando sorpreso persino Wesker che per nulla si accorse di quel suo movimento tanto che fu inaspettato e repentino.
La donna corse via fuori da quella grotta. Wesker le fu presto alle calcagna, comprendendo solo in quel momento che lei doveva aver manomesso il telecomando.
Mentre correva nel buio della notte oramai scesa, sotto la pioggia che ancora cadeva copiosa, Jill si fermò appena in tempo per non cadere giù da quella montagna. Il passaggio era interrotto.  
Sconvolta, rimase a guardare verso il basso, non scorgendo alcun posto dove saltare. Intanto Wesker arrivò alle sue spalle.
“Bella mossa. Sei stata ancora una volta capace di sorprendermi, ma adesso basta. Il gioco è finito.”
Jill si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi, mentre il vento scompigliava i suoi capelli, che volteggiavano alle sue spalle legati nel codino.
Wesker fece un ghigno, indossando di nuovo gli occhiali scuri.
“Dunque…è finita Jill. Non puoi più far nulla.”
Jill strinse gli occhi e quello sguardo non piacque per nulla a Wesker.
Ella lo trafisse coi suoi occhi celesti, fieri e senza paura. Poi sorrise, oramai non temendo più nulla.
“L’hai detto. E’ davvero finita.” disse con voce calma e profonda.
In seguito, sotto gli occhi di Wesker, si abbandonò all’indietro, gettandosi nel vuoto alle sue spalle.
Chiuse gli occhi, comprendendo che la libertà appena ritrovata aveva aperto a lei le porte per tornare a dove era rimasta. Al suo gesto fatale.
In fin dei conti, era già morta.
Aveva sacrificato la sua vita consapevolmente quel giorno. Non sarebbe cambiato poi di molto se fosse morta in quella circostanza, invece.
La sua unica consolazione stette nel fatto di essere tornata in sé, e di poter almeno decidere da sola cosa fare di se stessa. Esattamente come quella notte.
Dopotutto, era così che doveva finire…
Mentre cadeva all’indietro, qualcosa l’afferrò per il polso.
Spalancò gli occhi, e si accorse che Albert Wesker era riuscito ad afferrarla in tempo.
Tuttavia, per via della pioggia, la sua mano stava delicatamente scivolando via dalla sua.
Costatò anche che, per lanciarsi verso di lei, Wesker si era aggrappato a un ramo per avere un appiglio. Anche questo però stava cedendo, così presto anche Wesker sarebbe caduto nell’abisso se non l’avesse lasciata.
Il peso di entrambi avrebbe fatto sradicare il ramo, infatti.
Jill guardò dunque l’uomo dritto negli occhi e gli parlò con fermezza, mentre la pioggia contornava le loro figure.
“Wesker, lasciami andare!”
Wesker si rese ben conto della situazione. L’unica soluzione per rimanere illeso era lasciarla cadere in quel dirupo. Non c’era la possibilità di sollevarla senza che sarebbe crollato.
Intanto la mano di Jill stava scivolando dalla sua presa, dunque doveva decidere velocemente come agire.
Analizzò la situazione e, in un gesto del tutto inaspettato, Wesker si lanciò nel vuoto con lei.
Jill sentì il vuoto assoluto alle sue spalle, mentre vide sprofondare con sé, ancora una volta, l’uomo dai lei odiato ed amato.
Farfugliò qualcosa, ma le parole le si bloccarono in gola, sgomentata da quel che lui stava facendo.
L’uomo la strinse a sé, poi riuscì a muoversi in aria in modo tale da essere lui a schiantarsi sul terreno per primo. La protesse quindi col suo corpo, mentre caddero violentemente sul bosco, urtando rami e foglie.
Le fronde degli alberi attutirono la loro caduta, o fu piuttosto l’enorme capacità di sopravvivenza di Wesker a farli restare in vita, quando questi ebbero l’impatto col suolo.
Egli sbatté a terra, tenendo Jill sopra di lui in modo che l’urto non le facesse del male.
Quando furono finalmente sul suolo, Jill rimase attaccata al corpo di Wesker per qualche secondo prima di realizzare cosa fosse successo.
Alzò il viso e vide sotto di sé quell’uomo maledetto e diabolico, ma che tuttavia l’aveva salvata ancora una volta.
Egli era graffiato ovunque, sia addosso che sul viso.
Gli occhiali rotti erano caduti poco distanti da loro.
La donna si morse le labbra e gridò verso di lui, non comprendendo più quel che stava accadendo.
“Perché…dimmi perchè?!! Volevo morire, Wesker! Dovevi lasciarmi andare!!” disse cominciando a singhiozzare, mentre le lacrime si confondevano con la pioggia.
Wesker la guardò stordito, mentre lei continuava a sbraitare contro di lui.
Seppur per lui non fosse assolutamente mortale un volo simile, rimase comunque ferito e leggermente frastornato.
“Ti detesto!! Ti detesto, maledetto!!”
Mentre Jill prese a dimenarsi, contenendosi soltanto perché ferita anch’ella, Wesker allungò il collo verso di lei e, in gesto fulmineo, serrò le sue labbra su quelle della ragazza.
 
Il tempo sembrò come fermarsi per un istante.
 
La donna non riuscì neppure più a sentire il suo cuore, il suo respiro, o la pioggia che batteva sui loro corpi.
Percepì soltanto il suo corpo immobilizzarsi al tocco di quella bocca saldata sulla sua in modo prepotente e inaspettato.
I suoi occhi rimasero immobili, fissi a guardare il vuoto, incapace di comprendere cosa stesse accadendo.
L’uomo portò una mano sul suo collo, facendola salire lentamente sulla nuca, passando fra i capelli biondi di lei. Poi premette con forza in modo da non permetterle di divincolarsi da lui.
Esaminò la sua bocca, rendendo quel bacio più intenso.
Non era consapevole del perché lo stesse facendo. Voleva solo sentire quel suo corpo, esplorare all’interno delle labbra di quella donna che era diversa da tutte le altre.
Infantile, stupida e ingenua, eppure così determinata e fiera da essere riuscita ad arrivare a lui. Wesker non sarebbe mai stato capace di provare interesse per qualcuno, ma la forza di Jill Valentine l’aveva rapito fin dall’istante in cui lei aveva sacrificato la sua vita pur di ucciderlo, prendendolo del tutto impreparato.
Egli non conosceva la caparbietà e la rabbia che le ribolliva dentro, ma una volta assaporata la sua determinazione, ella aveva inevitabilmente attirato la sua attenzione.
Probabilmente fu il dolore alla testa, o forse quegli occhi meravigliosi, o magari perché egli era un uomo...fatto stava che volle baciare quella donna, infischiandosene di ciò che erano, di ciò che gli fosse più consono, o di cosa sarebbe accaduto dopo.
Jill, dal canto suo, sentì quelle labbra premere fortemente sulle sue, non dandole la possibilità di rifiutare quel bacio violento e passionale.
Si sentì completamente in balia di esse, e nonostante il P-30 non le fosse somministrato, ella non poté opporsi.
In quel lungo istante, risentì dentro di sé quelle frustrazioni che la legavano a quell’uomo celato dagli occhiali scuri.
Quell’amore sbagliato, perverso, impossibile e intrigante, che aveva da sempre contraddistinto il suo rapporto con Wesker. Soltanto che non l’aveva mai ammesso a se stessa.
L’idea di odiare ed amare lo stesso uomo la lacerava, tuttavia si ritrovò a desiderare ardentemente quel contatto, nonostante sapesse che fosse un errore.
 
Se le circostanze fossero state diverse, avrebbe potuto amare Albert Wesker?
Era una domanda a cui non sarebbe mai riuscita a dare risposta, in quanto lui era anche quel traditore, quell’uomo meschino e crudele che aveva stravolto la sua vita.
Seppur nell’odio, in tutti quegli anni Wesker era sempre stato la motivazione che l’aveva fatta andare avanti nel combattere quella guerra.
Nonostante l’intenzione di fargliela pagare, uccidere lui e tutto il suo sporco mondo, Jill aveva sempre inseguito Wesker.
Innamorata dell’uomo che lui era stato, aveva odiato quello che lui era diventato dopo, durante quei lunghi nove anni, per poi accorgersi adesso di amare inspiegabilmente anche quell’altra sua faccia, crudele e spietata.
Consapevole di detestarlo con tutta se stessa. Consapevole di amarlo inevitabilmente ancora. Consapevole di quel rapporto irrazionale, malato, insano. Consapevole che l’avrebbe ucciso con le sue mani.
Intanto la pioggia cadeva sui loro corpi, attutita appena dalle fronde degli alberi, in quella notte buia.
 
Poi…
…come un risveglio improvviso, Wesker allontanò lentamente le sue labbra da quelle della donna, guardandola vitreo, come fosse assorto.
Jill, in quello stesso istante, accorgendosi che l’intensità del bacio fosse stata interrotta, si divincolò da lui, rimanendo anch’ella a guardarlo.
Era come se i loro occhi si ponessero mille domande, ma nessuno dei due ebbe la forza per dire qualcosa.
La pioggia continuava a cadere.
Wesker fece per sollevarsi, togliendosi lentamente da sotto di lei. Jill scivolò via da lui, rimanendo ad osservarlo, non riuscendo ancora a realizzare concretamente ciò che era accaduto.
L’uomo sollevò il viso e rimase qualche istante a guardare il cielo, avendo dimenticato oramai l’umanità e l’affetto, quella normalità che mai gli era appartenuta.
Jill invece abbassò il viso, delusa da lui, delusa da se stessa, delusa da un mondo che non sarebbe mai stato come ella desiderava.
D’improvviso, Wesker sparì. Saltò oltre una siepe e velocemente fece perdere ogni sua traccia.
Jill rimase impietrita, ancora sconvolta per l’accaduto.
I suoi occhi tremavano, spaventata di aver accettato il tocco delle labbra di Wesker, di averlo voluto, e soprattutto di non aver fatto nulla per opporsi.
Così si rannicchiò a terra di nuovo, portando le mani sul capo, provando di nuovo i suoi logoranti sentimenti rimasti repressi per nove anni.
Emise poi un urlo di sfogo, in preda alla disperazione e al suo stato mentale confuso e sconvolto.
 

***
 
 

   
 
 
 
 
 
Non potevo non far evolvere l’aspetto “pairing” che comunque mi appassiona essendo fan di questa coppia, ma come ben sapete oramai, voglio rimanere congrua con i loro caratteri e la loro storia. Perché a me loro piacciono così. Coppia e non coppia. Odio e non odio…
Una villainxheroine!
Spero che questo capitolo sia uscito credibile. Probabilmente è quello a cui più tenevo, nonché e uno dei primi che si figurò nella mia mente quando decisi di scrivere questa fan fiction.
Grazie mille a tutti coloro che leggono e recensiscono la mia storia! Aggiornerò presto!
Un kiss <3
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10: il prezzo della verità ***


 
 
 
 
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 10
 
 
 

 
 
Struggenti e insopportabili, i sentimenti di Jill torturavano la sua mente ancora nel subbuglio più completo.
Era all’incirca l’una di notte.
La donna si era appartata in una zona del bosco abbastanza riparata dal freddo e dal vento.
Ella strinse il suo corpo.
Oramai aveva smesso di piovere, tuttavia le temperature si erano abbassate notevolmente, così si era molto infreddolita essendo ancora bagnata addosso in quella porzione umida di terreno.
Era infatti posizionata ancora in quell’angolo del bosco dove era caduta assieme alla sua nemesi dagli occhi rossi, questo perché il dispositivo sul suo petto era stato riattivato. Poteva sentirlo sul suo petto, mentre le irrigidiva il corpo costringendola a non scappare ancora una volta.
Logorata dal pensiero di cosa sarebbe accaduto in futuro, la cosa che la tormentava maggiormente era che quel che era accaduto, stavolta non potesse giustificarlo.
Quel che era accaduto, infatti, per un crudele scherzo del destino, era successo proprio quando era stata libera dal vincolo del P-30. Seppur per pochi istanti, era tornata ad essere libera…ad essere Jill Valentine.
Questa consapevolezza la feriva e la umiliava terribilmente, facendola sentire una marionetta nelle sue mani, al di la se fosse sottomessa o no a quel dispositivo.
Incapace di comprendere razionalmente ciò che invece il suo cuore aveva dichiarato apertamente accettando quelle labbra crudeli sulle sue, Jill chiuse gli occhi, completamente spossata e sfinita. Probabilmente si addormentò senza neanche accorgersene.
A un tratto, un rumore attirò la sua attenzione, ma sapeva benissimo di chi si trattasse.
Aveva imparato a riconoscere i suoi movimenti.
Alzò la testa e vide di nuovo, imponente di fronte a lei, la figura di Albert Wesker.
Strinse gli occhi, volendogli trasmettere l’odio che trapelava da ogni parte del suo corpo. Come per fargli intendere dell’errore che c’era in quell’attrazione sbagliata ed insensata.
Perché lei non avrebbe mai potuto amare quell’uomo.
Wesker intese qualcosa da quello sguardo, ma non gli importava poi molto. Non era mai stato attratto né dai sentimenti, né dalle donne. Il suo disprezzo non lo scalfiva quindi minimamente.
Finché aveva il P-30 con sé, la personalità della bionda non gli importava.
Si chinò appena verso di lei, deridendo quasi il fatto che lei non potesse reagire.
“Spiacente, Jill. Ti avevo concesso la tua libertà, seppur vigilata.”
L’uomo aveva infatti riattivato il dispositivo sul petto di Jill, stavolta modificandone gli impulsi, in modo che le iniezioni fossero ancora più frequenti.
In poche parole, ella non solo non era più padrona dei suoi movimenti ancora una volta, ma era ancora più oppressa di prima da quella sostanza maledetta.
 
Passò del tempo.
Rimasero l’uno di fronte all’altro in silenzio, riscaldati dal focolare accesso.
Wesker osservò la donna con la coda dell’occhio, indossando intanto il suo cambio di occhiali da sole, che immancabilmente aveva sempre con sé.
Nonostante il sonno stesse facendo crollare anche lui, non riuscì a chiudere gli occhi, lacerato dai ricordi che prepotentemente stavano iniziando a straziare di nuovo la sua mente.
Forse fu proprio la visione affranta di Jill davanti a se che riaccese quei pensieri. Così pallida e assorta, fragile ed insicura eppure fiera e combattiva. Ed era stato lui a rendere quella donna così.
Riportare alla mente i ricordi del suo passato era angustiante, nonostante, anche senza di lei, quei pensieri non l’avevano mai abbandonato, tormentandolo fino alla pazzia da quel giorno.
Quel giorno che aveva cambiato tutto…
Rivide se stesso, mentre era trafitto dal Tyrant quasi dieci anni prima, ed ancora non riusciva a dimenticare quella sensazione devastante nel suo corpo.
 
 “Tempo fa, sono morto. Non dimenticherò mai le fredde e oscure dita della morte che mi sfioravano.
Tuttavia anche il mio decesso faceva parte di un quadro più grande.
Sacrificai la mia umanità per quel fine, accogliendo la mia nuova potenza, consapevole che da quel momento in poi, non sarei mai più tornato indietro. Attesi pazientemente il giorno in cui mi sarei ritrovato faccia a faccia con Spencer.
La sua preziosa Umbrella si era ripiegata su se stessa e ora egli era un fuggitivo in quel mondo che un tempo cercava di dominare. Mi fu sempre ignoto cosa egli cercasse in realtà, tuttavia sapevo che presto ci saremmo incontrati, e allora l’avrei reso partecipe della storia…che avevo scritto per questo mondo.
 
Infine…ebbi le mie risposte:
 
-Una nuova razza umana superiore che vede la luce grazie al virus Progenitore.
Ai fratelli Wesker fu affidato un potenziale infinito. Di loro, solo uno sopravvisse.
Tu.
Stavo per diventare un dio!!-
 
Vuoi dire che sono stato ‘fabbricato’? Che sono soltanto una creazione? Una mera macchina elaborata per i tuoi scopi?
Non ho mai posseduto davvero la mia vita? Non sono mai stato umano? Vuoi dire che non ho sacrificato niente?!
Oh, no, Spencer… non sai cosa stai dicendo…
Non sai a quale uomo tu stai parlando, non sai di che potere io sono dotato.
Fabbricato? La mia creazione è stata utile, comunque? Ma non dire stupidaggini, vecchio.
Volevi usarmi per divenire un Dio, per testare una potenza che invece non saresti mai stato degno di possedere. Che arrogante…!
Sei uno stolto, Spencer.
 
Ho sacrificato la mia vita, quella di Albert Wesker, e nessuno banalizzerà mai la mia esistenza!!
Sono io che ho scritto la storia!”
 
Il sangue sporcò i vestiti di Ozwell Spencer, trafitto dalla mano di Wesker violentemente.
Il liquido rosso scese sul pavimento, sotto gli occhi attoniti di quell’uomo impazzito e che si vide spegnere sotto lo sguardo della sua stessa creazione, incapace fino all’ultimo di riuscire a credere che stesse per morire davvero.
Wesker gli donò la morte…la sua stessa morte.
Così come lui aveva sacrificato la sua umanità trafitto dal Tyrant, l’apice dei suoi studi perseguiti sotto l’ordine di Spencer, allo stesso modo Spencer era stato trafitto dal suo esperimento più grandioso, l’apice della sua ricerca. Il suo progetto A/W.
Destino ironico…
Davvero ironico….
 
Egli non sapeva cosa aveva fatto. Non sapeva chi avesse creato. Non sapeva chi avesse tradito. Non conosceva il peso delle sue stesse parole.
Egli…non sapeva niente.
 
Così Wesker tornò a fissare oltre la finestra di Villa Spencer, con la mano ancora imbrattata di sangue, mentre qualcosa dentro di lui stava morendo ancora una volta…
 
In seguito riaprì gli occhi, risvegliandosi da quel sogno ad occhi aperti, accorgendosi di essere sudato ed accaldato. Conscio di essere oramai vicino alla pazzia.
Di fronte, Jill era rimasta sveglia ad osservarlo mentre si agitava disturbato dal sonno.
Lo guardò intensamente, incuriosita ed angosciata nel vederlo in quello stato.
Aveva già avuto modo di costatare che qualcosa non andasse in lui, che fosse tormentato in qualche modo.
Tuttavia non potette fare altro che rimanere lì, inerme, a guardarlo attraverso le faville scarlatte del focolare che ondeggiavano verso l’alto.
Si rimproverò di preoccuparsi per lui in un momento simile, quando lui stesso aveva maledetto la sua vita e l’aveva umiliata in quella prigionia senza via di scampo.
Tuttavia la voglia di conoscere quel Wesker, capire chi fosse, cominciò a marciare nel suo inconscio.
Sperava di opprimere questo suo oscuro desiderio, così forte da metterla persino a disagio con se stessa, ma i suoi occhi tornavano sempre inevitabilmente a lui.
Sentì una morsa al cuore quando ebbe come l’impressione che egli fosse affranto, addolorato…triste.
Non c’erano lacrime sul suo viso, ma intravide le sue palpebre scure, i suoi occhi arrossati, e poteva essere abbastanza certa che egli dovesse essersi disperato violentemente quando prima era sparito, turbato da quel qualcosa che anche adesso stava angustiando il suo sonno.
Ebbe lì per lì l’istinto di avvicinarsi, ma desistette.
Wesker…i suoi peccati erano talmente tanti e brutali, che quei sentimenti disturbanti dovevano rappresentare soltanto il minimo dei rimorsi che uno come lui avrebbe dovuto provare, se gli era rimasto ancora un briciolo di umanità.
Un uomo crudele e spietato come lui sarebbe stato morto nell’anima, se non avesse mai provato quel tipo di turbamenti.
Vedendolo in quello stato, Jill comprese che, almeno in parte, egli fosse distrutto da se stesso. Allora forse, seppur in una parte remota, era possibile che ci fosse ancora qualcosa nel suo cuore oramai nero?
Era un pensiero che non l’aveva mai scalfita, in quanto guardare con sentimento umano Wesker era pura follia. Eppure qualcosa adesso si stava struggendo anche dentro di lei.
Persino in lei, che aveva tanto sofferto per causa sua.
Egli era stato in grado di intrappolare la sua mente a tal punto, ingabbiandola in quel vortice di emozioni che lottavano fra loro e convergevano, in una logica del tutto irrazionale. Malgrado ciò, era tutto reale, per quanto ancora non volesse credere alla realtà che era davanti ai suoi occhi.
Guardò di nuovo verso di lui. Notò improvvisamente che era sveglio, ma non si era accorto di lei.
I suoi occhi, celati dalle lenti nere, erano spenti ed assorti.
Jill corrucciò il viso impercettibilmente.
Se era stanco anche lui di tutto questo, di quella vita, cosa lo spingeva ancora ad andare avanti con quell’assurda lotta? Cosa perseguiva?
Quale verità gli impediva di fermarsi?
 
***
 
L’alba giunse in fretta.
Wesker e Jill, già in piedi, proseguirono nella fitta selva fino a raggiungere un edificio.
Era abbastanza fuori luogo in un posto del genere.
Dall’aspetto imponente e moderno, tuttavia era sporco e logoro. Le piante ostruivano il passaggio quasi totalmente, crescendo anche sul muro esterno.
Wesker s’incamminò fino a giungere di fronte un ipotetico ingresso. Prese una carta magnetica e la fece scorrere in una cavità apposita, ma non ebbe alcuna reazione.
Sorrise beffardo, ed estrasse la pistola.
“Chiedo permesso, signora.” disse parlando alla serratura, mentre partì il colpo che fece cadere il rivestimento del dispositivo elettronico.
Al di sotto dell’imbracatura di ferro, vi erano dei pulsanti che Wesker premette in un ordine evidentemente a lui ben conosciuto, o forse era semplicemente la sua memoria straordinaria.
Jill stette a guardare non potendo avere controllo sulle sue azioni, mentre riceveva conferma sui suoi pensieri precedenti: la presenza delle B.O.W. in quel posto erano senz’altro opera sua.
La porta elettronica comunque si aprì, così i due potettero entrare.
All’interno, quel luogo risultava molto migliore. Seppur buio, potevano ancora vedersi i sofisticati utensili che sicuramente facevano di quel luogo un laboratorio moderno e sofisticato.
Peccato per gli scopi per cui fosse predisposto. Non a caso era isolato in quella selva.
La donna seguì Wesker che intanto stava esaminando negli uffici.
Ad un certo punto le si rivolse.
“Dobbiamo raccogliere qualsiasi campione sia rimasto. Cominciamo ad investigare. Conto su di te.”
Jill socchiuse gli occhi, sentendo una forte morsa al cuore.
‘Conto su di te’ era una frase che lui le diceva spesso quando erano in missione, un tempo. Quell’intercalare gli era rimasto ancora...
Si voltò, reprimendo quella frustrazione che la lacerava ogni volta che guardava Wesker e rivedeva il suo vecchio capitano della STARS.
In seguito s’inoltrò nell’edificio, non dando a vedere nulla del suo stato d’animo.
Scrutò ogni singolo meandro, ma non vi era rimasto niente lì dentro. Nemmeno i ‘mostri’.
Rimase turbata tuttavia dal disordine che regnava in ogni stanza: sedie rovesciate, schermi rotti, carte fuori posto, schizzi di sangue oramai inscurito.
Lì dentro era successo qualcosa. Lì dentro, delle persone erano morte.
Qualunque cosa fosse accaduto, ora non c’era più nessuno, oppure adesso era condannato ad un destino ancora peggiore…quello di vivere in quel modo.
Ritornò alla sua missione, ma non avendo trovato niente, cercò Wesker.
Fu lui stesso a venirle incontro.
“Niente. Tu, Jill?”
“Niente.”
Jill si ritrovò obbligata a rispondergli senza indugio, costretta dal P-30.
Le diede così fastidio vederlo muoversi con nonchalance nonostante quel che c’era fra loro e che sembrava non smuoverlo minimamente a differenza di lei. Quel che era accaduto, quindi, non lo turbava minimamente?
Wesker s’incamminò di nuovo per il corridoio e aprì una porta con un’altra scheda, che questa volta funzionò. La porta che si aprì era un ascensore.
L’uomo aspettò, da bravo galantuomo, che fosse Jill ad entrare per prima.
Pur trovando ridicola tale accortezza da parte di un uomo spietato come lui, non potette disobbedirgli, così entrò. Lui la seguì subito dopo.
Egli premette il bottone con una freccia che segnava verso il basso. Tenette tuttavia premuto il pulsante prolungatamente, e infatti, sul display che segnava il numero piani, vennero a segnalarsi numeri non presenti sulla tastiera. Jill rifletté che infondo poteva immaginarlo che un posto come quello disponesse di zone segrete.
Ad ogni modo, erano diretti nel sotterraneo, e la sua esperienza la mise in guardia.
Osservò Wesker sperando di presagire dalla sua espressione cosa li avrebbe aspettati lì, ma lui era sistemato semplicemente a braccia conserte, e guardava fisso dinanzi a sé.
Non si sarebbe sorpresa se lì sotto ci fosse il pandemonio, comunque. Che Wesker fosse inumano, completamente esente da qualsiasi tipo di emozioni, oramai lo aveva capito da tempo.
Avrebbe voluto sapere cosa aveva reso quell’uomo talmente tanto inscalfibile.
Una volta che le porte dell’ascensore si aprirono, Wesker procedette con passo moderato. Era molto buio per cui muoversi fu difficoltoso. Egli prese una torcia e illuminò il luogo.
“Stai in guardia.” le disse rilassato. “Dovrebbe essere tutto regolare, ma non ci giurerei onestamente. In questo laboratorio sono stati condotti degli esperimenti sotto il controllo di Ozwell Spencer, il fondatore dell’Umbrella corporation. Suppongo tu abbia avuto modo di sentirlo nominare.”
La bionda lo guardò irritata da quel modo di interloquire. Lui intanto continuò.
“…conoscendo la natura dei suoi esperimenti, non mi direi tranquillo. Soprattutto alla luce del fatto che, me a parte, dietro di lui non c’erano scienziati brillanti. Mi chiedo cosa abbiano combinato qui.”
A quelle parole, la ragazza si adirò dentro di se.
Se lo chiedeva lui? Lui?!
Wesker era esattamente come loro, inutile che si atteggiasse in quel modo.
Uno schiavo dell’Umbrella, ecco cos’era. Si illudeva soltanto di essere diverso da loro. Tuttavia non si era accorta che qualcosa stava cambiando nel tono della voce dell’uomo, che stava inaspettatamente continuando quel discorso, che prese una piega inquietante.
“Una nuova razza superiore avrebbe dominato la terra. Curiosi esperimenti sulle vite umane per ottenere qualcosa di talmente potente da ergere un dio. Un dio che avrebbe segnato l’inizio di una nuova era, sotto il suo più completo controllo…”
Jill ascoltò attentamente quelle parole. Cosa stava farneticando? Perché tutto d’un tratto la rendeva partecipe di una cosa simile?
Lo vide digrignare i denti nell’oscurità, illuminato dalla luce abbagliante della torcia che aveva in mano con un forte gioco di chiaro-scuro. 
Sussurrò poi con rabbia.
“…che idiota.”
Dopodiché proseguì.
 
Wesker buttò giù una porta con un calcio e si ritrovarono così in un ampio e buio laboratorio, che disponeva di diverse postazioni da lavoro.
Vi erano dei tavoli operatori al di la di un vetro in mezzo alla stanza, e Jill ebbe l’impressione che vi fossero dei corpi carbonizzati all’interno.
Tuttavia la sua attenzione tornò a Wesker, che stava rumorosamente esaminando fra le carte poste sulle varie scrivanie.
Egli provò ad accendere un computer, ma questi non dava segni di vita. Arrabbiato, lo scaraventò a terra.
La bionda sbandò per quel rumore improvviso. Cosa stava cercando con tanta rabbia?
Seppur sotto controllo come suo solito, Wesker non sembrava del tutto padrone di sé. Qualcosa in quel laboratorio doveva averlo smosso parecchio un tempo, e probabilmente aveva a che fare con quel che stavano cercando. Avrebbe voluto possedere la chiave di lettura di quel comportamento enigmatico, ma sapeva a prescindere che se la cosa lo riguardava personalmente, lui non le avrebbe mai permesso di comprenderla.
Intanto qualcosa nell’ombra cominciò a muoversi.
Jill si voltò e ben presto si rese conto che i corpi, visti dietro il vetro posto al centro del laboratorio, si erano sollevati e ora battevano su di esso freneticamente, emettendo versi inquietanti e disperati.
La donna indietreggiò appena. Il vetro infatti stava cominciando a spaccarsi, ma fu un colpo improvviso d’arma da fuoco a farlo cadere in mille pezzi del tutto.
Wesker sorrise. La canna della sua pistola fumava ancora.
“Avanti…” disse, fece poi partire un colpo dietro l’altro che uccise tutte le armi biorganiche. “Povero Spencer! I tuoi esperimenti non sono mai stati un granché, non è vero?”
Disse beffandosi di quell’uomo mentre, premendo una leva, una fiammata partì al di la del vetro ora frantumato, carbonizzando i corpi dei mostri appena stesi a terra.
Intanto, attirati da quei rumori, altre B.O.W. sopraggiunsero.
Il biondo parve divertito.
Jill stette in allerta, aiutandolo a sbarazzarsi di tutti i morti viventi. Per loro non fu difficile, tuttavia fu inquietante vedere Wesker perdere il controllo a quel modo, disprezzando quegli uomini infettati dal virus, che tra l’altro lui stesso e gente come lui avevano condannato.
Li massacrò infatti senza pietà, distruggendo i loro arti, frantumando le loro teste, senza contegno.
Fu una visione insopportabile e struggente.
Jill, seppure in quegli occhi spenti, morti da tempo in quella carne oramai putrefatta, rivedeva uomini che non potevano sapere quel che stavano facendo, vittime di un massacro non voluto da loro.
Anche se dei mostri, provava pietà per loro. Nei suoi incubi rivedeva l’immagine di donne, bambini, uomini…uccisi anche per mano sua.
Aveva dovuto sparare loro perché non aveva scelta, perché oramai fuori controllo e guidati solo da una fame irrefrenabile.
Aveva dovuto ucciderli anche se vittime innocenti, trasformate in quei mostri per via di quegli esprimenti folli e inumani.
Per questo l’immagine di Wesker, che li uccideva senza considerare l’umanità di cui lui li aveva privati, la mandò in bestia.
L’adirò a tal punto che gli si parò davanti, sconfiggendo ancora una volta il P-30 nel suo corpo.
Lo trafisse con i suoi occhi azzurri.
Wesker stesso rimase perplesso, guardandola con disprezzo.
“Cosa c’è, Jill?” disse glaciale.
“Come puoi fare questo!? Sei tu che li hai condannati a vivere in questo modo!”
Urlò autorizzata da quella domanda a rispondere, mentre l’ultimo “zombie” stava morendo ai piedi di Wesker.
L’uomo in tutta risposta rise.
Jill inorridì e mollò un calcio in sua direzione, che lui evitò senza problemi.
“Cosa c’è? Vuoi uccidermi di nuovo?”
“Va all’inferno!”
Così prese ad attaccarlo, sparandogli contro, infischiandosene che lui riuscisse ad ovviare ogni pallottola con una maestria e una velocità inumana.
Una volta che gli fu vicino, ella smise di sparare e cercò di colpirlo usando la pistola stessa come arma.
Wesker però bloccò il suo colpo. Le fermò le braccia e la guardò, facendo poi un ghigno, beffandosi di lei.
“Niente. Riprova!” detto questo, la scaraventò all’aria.
Nonostante il colpo, Jill non demorse, e si rilanciò contro di lui.
L’uomo si divertì a beffeggiarsi di lei, tant’è che comparve e scomparve sotto i suoi occhi, tenendo sempre le braccia dietro la sua schiena, quasi a sottolineare come per lui fosse semplice combatterla.
Decise poi di passare al contrattacco e di mettere la donna al suo posto.
Così scattò verso di lei e le apparve di fronte in modo inaspettato.
Fulmineo, le afferrò il collo e la sollevò con violenza.
Jill portò le mani sulle sue, sperando di divincolarsi da quella presa. Il respiro cominciò a mancarle, mentre lui la stringeva sempre di più in quella morsa.
“Strano, eppure ho persino aumentato le dosi del P-30, ma nonostante ciò riesci ancora a ribellarti. Sei davvero in gamba, miss Valentine.”
Strinse poi ancora di più la presa, e la donna sbarrò gli occhi, oramai sul punto di perdere conoscenza. “Ma sai…non è ancora abbastanza per affrontarmi.”
Inaspettatamente, Jill riuscì a trovare la forza per sferrare un violento calcio sull’addome di Wesker, il quale traballò appena.
“Wesker…non mi sottovalutare!” disse senza fiato e usò un frammento di vetro, incastrato sulla sua tuta da combattimento, per ferire Wesker sul polso, il quale, non aspettandosi quella mossa, lasciò la presa, indolenzito.
Jill cadde a terra ma si rimise subito in piedi, recuperando la sua pistola.
Wesker la guardò con odio.
“Vuoi giocare…? Ebbene…giochiamo!”
Così l’uno si lanciò verso l’altro.
Jill sentì una fortissima potenza scorrere nelle sue vene e calcolò che poteva pesino riuscire a sconfiggere Wesker. Le sue doti combattive erano cresciute grazie al P-30, poteva farcela.
“Quella notte, ti ho rivisto dopo otto anni! Dopo che ci hai traditi, dopo che hai ingannato tutti, dopo che hai rovinato la mia vita!!”
Eseguì un colpo dietro l’altro, sparando ogni volta che lo avesse nel mirino, ma Wesker era un demonio. Spariva e riappariva con una velocità assurda, non permettendole di colpirlo nemmeno una volta.
Nonostante fosse stremata, non smise di dargli la caccia, guidata dall’odio e dalla frustrazione.
“Sono quasi dieci anni che ti inseguo. Dieci anni che non ho mai più avuto pace! Quando Chris mi disse che eri vivo, non potevo crederci. Ho vissuto e ho lottato per cancellare il tuo operato e per poterti vedere coi miei occhi! Questo…per farti leggere tutto il mio disprezzo!”
L’uomo rifletté appena su quelle parole.
In fin dei conti…era vero.
Aveva avuto modo di incontrare Chris di persona in quello stesso 1998 in cui era ‘morto’, ma non lei.
I due si erano finalmente rivisti, faccia a faccia, solo l’anno precedente, a Villa Spencer.
“Tu hai condannato la vita di tanti innocenti! Io ho giurato a me stessa di fartela pagare!” continuò lei in preda all’ira. Tuttavia le sue motivazioni valsero a poco.
L’uomo vestito di nero evitò i suoi innumerevoli e inutili colpi, scagliandola poi a terra all’improvviso, infierendole un colpo che la colpì in pieno sul petto.
Mentre la donna, ansimante e oramai sconfitta, fece per rialzarsi, Wesker usò il suo telecomando per aumentare le dosi del P-30 nel suo corpo.
La donna così si accasciò a terra di nuovo, in preda al dolore.
Sentì poi la fredda canna di una pistola puntata alla sua tempia. Alzò dunque gli occhi verso di lui, rabbiosa, incrociando le sue inquietanti lenti nere.
Wesker la guadava imponente col suo viso di marmo, nell’oscurità di quel laboratorio sotterraneo.
“Uccidere qualcuno è semplice, Jill.” disse all’improvviso, con tono fermo. Premette ancora di più la canna della pistola sulla sua fronte e la guardò diabolico.
“Basta che io prema questo grilletto e…pam.” aggiunse placido, eppure in modo sconcertante. “Giocare con le vite umane, saper destreggiarsi in questa trappola mortale che è la vita, riuscire a fare la mossa giusta, sapere dove andare, con chi avere a che fare, come condurre una partita… . Jill, è per questo che tu non puoi battermi. Non basta la forza. Non bastano spesso neanche gli anni o l’esperienza. No…quel che serve, è essere vincenti. Questo è il potere.”
L’espressione di Wesker mutò, e si fece più crucciata. Egli digrignò i denti e sparò, ma non colpì Jill.
Spostò la canna della pistola, e le sparò solo di striscio, non ferendola minimamente.
Tuttavia lei abbassò per un istante la testa nel collo, spaventata.
Quando si rese conto di non essere stata colpita, tornò a guardarlo fulminea, e qualcosa stava mutando in lui.
“…progetto Albert Wesker….ahahah…” rise lui inquietantemente, per nulla convinto dalle sue stesse parole.
“Una razza superiore, un dio…” cominciò a farneticare, tant’è che Jill iniziò seriamente a spaventarsi per quelle sue movenze davvero strane.
“Sono venuto fin qui per cercare delle prove, degli indizi! Ma non c’è nulla se non questi stupidi resti!!” spiegò lui mentre, in preda all’ira e alla delusione, tirò un calcio violento a una scrivania che la fece cappottare.
“Egli non possedeva questa potenza. Come può proclamare di essere un dio qualcuno che ha dedicato la sua vita a tali sciocchezze! Il potere che volevi… oh, Spencer, quanto sei stato sciocco! Il dio che cercavi… era di fronte a te!! Ah,ah,ah!”
“Smettila!”
Quell’urlo fece tornare Wesker alla realtà, che infatti si bloccò di colpo.
Rimasero in silenzio qualche istante.
L’uomo vide Jill tentennare appena, ancora sdraiata a terra, stanca e ferita. Ella poi parlò con fermezza, per nulla dubbiosa, per nulla intimorita.
“Sei pazzo, Wesker! Vuoi dire che hai sprecato quasi dieci anni della tua vita per divenire un dio?! Tu…non crederti diverso! Sei soltanto uno dei tanti schiavi dell’Umbrella!!”
Wesker la guardò sconcertato.
Piegò la testa e dalle lenti si intravide il bagliore dei suoi occhi rossi.
“Hai frainteso, Jill.”
Disse pacato, in contrapposizione con la collera mostrata in precedenza. I suoi sbalzi d’umore erano inquietanti.
Riprese poi a parlare.
“Non sono dieci anni. E’ da quando ho diciotto anni che dedico la mia vita a tutto questo.”
Jill sbandò a quella rivelazione. Wesker sorrise.
“Esattamente. Ti lamenti che sono trascorsi dieci anni quasi per te. Ed io…cosa dovrei dire io, che per me sono addirittura ventinove gli anni in cui vivo così.”
La donna si sentì tremare. Non era possibile tutto questo.
Wesker cominciò a ridere di gusto, in parte divertito dagli occhi smarriti di lei, in parte angustiato e tormentato dentro.
“Morii quel giorno. Non dimenticherò mai il terribile gelo della morte che rendeva freddo il mio corpo. Sacrificai persino la mia umanità per quel fine, accogliendo la mia nuova potenza, consapevole che, da quel momento in poi, non sarei mai più tornato indietro. Io ho ucciso Albert Wesker con le mie stesse mani, creando il Tyrant!!”
Quell’ inaspettata confessione di Wesker mise in panne la mente di Jill, che si ritrovò ad ascoltarlo, vedendolo sempre più fuori controllo.
I suoi toni si fecero più derisori e guardò Jill con biasimo.
“Chi sono, non spetta a te conoscerlo. Cosa è stata la mia vita, tu non ne puoi avere idea, cara Jill Valentine. Non sai cosa ho subito, non sai cosa mi è accaduto, non sai che significa questo potere!”
Disse e mollò un pugno verso il monitor di un computer, il quale si frantumò e Wesker ferì così la sua mano. La portò a se, dolorante.
“Ugh!” gemette appena, poi continuò a parlare non curante del dolore e del sangue che prese a fuoriuscire dalla ferita.
“Cosa significa perdere tutto in nome di qualcosa che non puoi conoscere, cosa significa abbandonare e sacrificare la tua esistenza pur di inseguire qualcuno… che alla fine cosa ti dice?! Nulla! Scopri che era solo un PAZZO!” sbraitò oramai fuori controllo.
I suoi occhi furenti trasmettevano tutta la sua frustrazione e il suo rancore verso ciò che aveva scoperto essere stata la sua ricerca.
Il prezzo della verità da lui tanto ambita, e in nome della quale aveva sacrificato tutto…
Un prezzo da pagare fin troppo alto persino per lui.
Portò le mani sulla testa, rievocando ancora una volta quella notte:
 
…Una nuova razza umana superiore che vede la luce grazie al virus Progenitore.
Ai fratelli Wesker fu affidato un potenziale infinito.
Di loro, solo uno sopravvisse. Tu.
 
Vuoi dire che sono stato fabbricato?
 
Stavo per diventare un dio, creatore di un nuovo mondo per un’avanzata razza di esseri umani.
 
Eppure, tutto è andato perduto a Raccoon City.
Nonostante quella sconfitta, la tua creazione ha tutt’ora grande importanza.
 
La mia ora si avvicina inesorabilmente.
Destino beffardo per un uomo che ha il diritto di essere un dio!
 
Il diritto di essere un dio…
 
 
 
Oh, no, Spencer… non sai cosa stai dicendo…
Non sai a quale uomo tu stai parlando, non sai di che potere io sono dotato.
Sono io che ho scritto la storia!
Fabbricato? La mia creazione è stata utile, comunque?
 
Egli non sapeva cosa aveva fatto. Non sapeva chi avesse creato. Non sapeva chi avesse tradito. Non conosceva il peso delle sue stesse parole.
Egli…non sapeva niente!!
 
Wesker digrignò i denti, preso dalla rabbia e dallo sconforto.
“Tu…non potrai mai capire, Jill. Non potrai mai capire…” disse infine, con voce rauca.
Mentre pronunciò quelle parole, logorato dalla sua vita trascorsa in funzione di Ozwel Spencer, il quale aveva maledetto la sua esistenza costringendolo a quell’abominio, vide delle piccole gocce cadere sul pavimento.
Guardò di fronte a sé e vide il viso di Jill inondato di lacrime, le quali scendevano dai suoi occhi fuori controllo.
Rimase a guardarla impietrito, incapace di comprendere perché ella stesse piangendo.
Non l’aveva mai vista in quello stato.
Seppur spesso avesse perso il controllo anche lei, non aveva mai pianto in quel modo.
Ella, tremante, mosse all’improvviso le labbra, e sussurrò delle parole che trafissero persino uno come Wesker.
“Invece…ti sbagli…” disse a stento. “io…posso capire…”
Si abbandonò poi a quel pianto silenzioso.
Jill tornò a sottostare agli impulsi del P-30 poiché non ebbe più la forza per opporsi, addolorata dal fatto che l’uomo che avesse dannato la sua vita, al tempo stesso era vittima del suo medesimo dramma.
Wesker rimase con gli occhi spalancati a fissarla, mentre realizzava per la prima volta nella sua mente quella terribile verità.
Jill Valentine…aveva perso tutto in quel giorno di luglio del 1998.
Aveva visto la sua vita sconvolgersi, ella stesso aveva dovuto cambiare, questo per inseguire l’uomo che aveva causato tutto questo, tradendoli.
Esattamente come lui…
Albert Wesker aveva sacrificato ogni cosa. La sua vita, la sua umanità stessa. Aveva sconvolto tutto pur di inseguire Spencer, dominare il suo mondo, e venire a capo dei suoi piani. Per poi comprenderli, un giorno, e scoprire di essere stato tradito… e che costui…era soltanto folle…
 
Abbassò gli occhi, scoprendosi per la prima volta così simile a Spencer.
 
Lui…non avrebbe mai perdonato quell’uomo per ciò che gli aveva fatto, per come aveva dannato la sua vita da quando aveva messo piede nell’Umbrella Corporation.
E se per quella donna di fronte a lui era minimamente lo stesso, comprese come non avrebbero mai potuto superare l’odio che verteva l’uno verso l’altro.
Perché Wesker…era per Jill come Spencer era stato per lui.
Così come, assurdamente, Jill era come Wesker. Come Wesker si era sentito quando era stato tradito da Spencer quella notte.
Quell’insolita comprensione lo lacerò.
Portò le mani sul viso e si abbandonò a terra, sconvolto, mentre il sangue della sua mano ferita lo macchiò di rosso.
Jill alzò il viso verso di lui, consapevole anche lei di quell’assurda verità che li univa e li rendeva distanti più che mai.
“Wesker…” sussurrò.
L’uomo alzò gli occhi verso di lei.
“Per…chè…?” disse Jill sotto sforzo.
Una parola, una domanda, ma mille i suoi significati.
Perché tutto questo? Perché questa guerra? Perché noi? Perché non finirla qui? Perché l’hai fatto? Perché ci hai traditi? Perché…Perché…
 
Wesker abbandonò la testa all’indietro, scostando gli occhiali dal viso.
 
“Già…perché?” ripeté, assorto.
 
***
 
 


 
 
 
 
In questo capitolo mi premeva esprime molti concetti concernenti Wesker.
La sua follia, il perché del suo comportamento in re5, cosa l’ha portato a tutto questo, come i suoi tormenti appresi dopo la conversazione con Spencer abbiano marciato nella sua mente fino a ridurlo così…come appare in re5. Quello che ho scritto nel capitolo è la mia interpretazione. Ho voluto spiegare come io intendo quel Wesker fuori controllo e che a mio modesto parere rende RE5, almeno da questo punto di vista, un buon resident evil.
Se solo tante cose fossero state approfondite nel gioco stesso…
In realtà, gli elementi per capire questi particolari ci sono nel gioco.
Ma non so quanti giocatori si metterebbero a riguardare quel flashback di re5 (e le altre scene) con l’intento di riuscire a comprenderne il reale peso e le forti motivazioni che spingeranno Wesker alla pazzia.
Personalmente mi sono sempre rifiutata di credere che re5 potesse davvero concludere un personaggio come lui in quel modo pietoso, buttandolo in un vulcano a urlare come un pazzo.
Alla fine ho trovato una chiave di lettura, che spero si sia evinta dalla lettura della mia fanfic, e da questo capitolo in particolar modo.
Un capitolo ove poi Wesker e Jill sono avvicinati e allontanati irrimediabilmente, in questo rapporto drammatico che rende la loro relazione così avvincente.
Ho evidenziato nel capitolo un personale paragone fra Wesker e Spencer proprio per premere anche sulla psiche di Wesker, che tramite questa associazione, è potuto anche lui entrare in empatia con la ragazza.
Questo gli fa comprendere il suo dolore ma anche il fatto che lei non sarà mai “sua”. Paradossalmente però…ciò li avvicina anche. Perché poter dire che c’è qualcuno che, anche se lontanamente, può comprendere Wesker…non è poco.
Per me questo ha di affascinate la WeskerxJill e non la WeskerxChissàqualepersonaggiodellaserie.
Perché, rimanendo nell’ambito dei pairing etero, lei è l’unica donna della serie che ha con lui questa “vicinanza”. La loro storia è più simile di quanto sembri.
Jill non è una donna qualsiasi, una delle tante vittime di questa storia…no. E’ molto di più.
Ed è per questo che fra le tante donne della serie, è proprio lei quella che io amo vedere assieme a Wesker.
Dunque questo capitolo era molto importante per me proprio perché racchiude una pluralità di concetti che riguardano la mia concezione della storia, di re5, di Wesker e di Jill.
Grazie per l’attenzione.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, al di la se la si pensa diversamente.
Alla prossima! ^^
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11: ritorno nell'incubo ***


 



THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 

 
CAPITOLO 11
 
 


Questa storia avversa e spietata si è ritorta contro di noi in maniera irreversibile, rendendoci qualcosa che non abbiamo potuto scegliere di essere.
Talvolta mi chiedo se questa stessa Jill Valentine non sia già morta.
Il mio cuore è serrato, il mio animo è oramai perduto. Non sento più nulla, un enorme vuoto mi pervade…
Osservo il mondo che mi circonda, e mi addolora costatare che io non sia l’unica a sentirmi così.
In tutto questo, ovunque mi volti, rivedo il tuo volto, causa del pandemonio di questa mia vita.  
Non potrò mai perdonarti…!
Se solo le cose fossero andate diversamente, avrei potuto amarti? Probabilmente no.
Perché io non sarei stata questa Jill, e tu non saresti stato questo Albert Wesker.
 

 
Jill e Wesker procedettero per delle rovine.
Avevano lasciato il laboratorio abbandonato da circa due ore, e da allora il silenzio era regnato fra loro. Nessuna parola, nessuno sguardo, nessun gesto. Cosa avrebbero dovuto dirsi, in fondo?
Wesker continuò con le sue ricerche, con l’intento di raccogliere dei campioni Uroboros dai corpi presenti su quell’isola.
All’insaputa della donna dai capelli biondi, erano stati condotti proprio lì alcuni esprimenti sul nuovo virus creato in collaborazione con la casa farmaceutica Tricell, di cui era amministratore Excella Gionne.
Tuttavia, a causa di un incidente, i soggetti infettati dal virus erano finiti fuori controllo, e così adesso quel laboratorio era stato abbandonato da un po’.
L’uomo vestito di nero voleva assicurasi quindi su ciò che era rimasto ancora incustodito, approfittando di quell’ispezione per sperare di trovare anche qualcosa su Spencer. Tuttavia tutto era andato realmente perduto a Raccoon City.
Per lui fu davvero frustrante accontentarsi solo di quei pochi frammenti a lui pervenuti sul reale operato di quell’uomo. Aveva sperato di scoprire qualcosa sul quel maledetto progetto di cui lui era l’unico esperimento sopravvissuto…
La sua ricerca avrebbe in ogni caso continuato.
Seppure la sua mente cominciasse a vacillare, egli rimaneva un uomo dal temperamento freddo e calcolatore. Era quindi in grado di mandare avanti il suo piano senza problemi, nonostante i suoi turbamenti.
Si voltò appena verso Jill, che lo seguiva scavalcando le macerie delle rovine sulle quali erano giunti.
Rimase a guardarla senza troppi convenevoli, nascosto dalle lenti degli occhiali.
Il suo viso era serio e spento per via del P30 che inibiva i suoi sensi. I capelli pallidi, così come la pelle, le conferivano un aspetto fragile e delicato, eppure ella era una donna forte, dalle strabilianti qualità combattive.
Quell’insieme di forza e femminilità erano rare da vedere, forse era proprio questo ciò che lo aveva colpito di lei.
Tuttavia non diede a vedere nulla di quei pensieri, ben più concentrato sul da farsi.
Avrebbe solo voluto poter parlarle un’ultima volta prima di tornare nel laboratorio della Tricell.
Jill intanto raggiunse Wesker, chiedendosi perché la stesse guardando così insistentemente.
Lo vide poi accennare un sorriso.
“Voglio mostrarti una cosa.” disse lui.
 
***
 
Un elicottero giunse a prelevarli.
Il volo durò poche ore, ma persino Wesker sembrava impaziente di giungere a destinazione, nonostante, a occhio esterno apparisse del tutto rilassato.
Che cosa volesse mostrare a Jill, non era ancora stato rivelato.
La donna quindi dovette pazientare tutto quel tempo, prima di accorgersi che stessero sorvolando un cimitero.
Con la coda dell’occhio sbirciò fuori, non aspettandosi per niente che lui la portasse in un luogo simile.
Il cuore cominciò a battere, spaventata da cosa volesse mostrarle portandola in un posto simile.
Scesero di quota e insieme, una volta scesi, s’inoltrarono in quel verde prato, appena offuscato dalla nebbia mattutina.
Le eliche dell’elicottero scomposero le loro figure, facendo ondeggiare i biondi capelli di Jill e il cappotto scuro di Wesker.
Si allontanarono, ma il vento soffiava comunque forte in quella fredda mattina nuvolosa, ove vigeva un’atmosfera spettrale nonostante fosse giorno.
I raggi del sole trafiggevano le nubi, illuminando così alcune tombe, il cui marmo bianco inscurito suscitava angoscia nei visitatori che le osservavano.
Era come se esse volessero rendere consapevole il momentaneo passante che la morte fosse un destino che tutti al mondo avrebbero condiviso. Per questo, scorrere gli occhi sugli epitaffi e su quei tanti nomi, non poteva non suscitare un senso di vicinanza e di oppressione.
La morte sgomenta chiunque, essendo un viaggio di non ritorno, ignoto a chi è in vita. Tuttavia Jill aveva conosciuto destini persino peggiori della morte stessa.
Ella camminò silenziosa, rispettosa dei corpi lì sepolti, seguendo Wesker che, marciando con passo sicuro, vestito di nero, con quell’aria glaciale e indifferente, sembrava un tenebroso tristo mietitore.
Lo vide girare la testa alla ricerca di qualcosa, così anche lei prese a scrutare attentamente i nomi incisi sulle lapidi, ma per fortuna nessuno le fu familiare.
A un certo punto, lui si fermò e attese che la sua ‘vittima’ lo raggiungesse.
Egli rimase immobile, alzando appena l’indice verso una pallida tomba dall’aria recente, ove erano poggiati dei fiori freschi.
Jill si avvicinò lentamente, come impaurita di scoprire cosa l’uomo vestito di nero le stesse per mostrare. Abbassò gli occhi e, mentre si affiancava a lui, scorse la scritta che era incisa su quella tomba bianchissima.
 

In Ever Loving Memory of Our Dear
BSAA
Jill Valentine
1974-2006
 
(…in Memoria della nostra cara Jill Valentine BSAA - 1974 – 2006)
 

La donna schiuse appena la bocca leggendo quelle parole.
Vedere il suo stesso nome su quel marmo bianco le fece gelare il sangue, e provare commozione allo stesso tempo.
“Chris…” pensò, potendo immaginare perfettamente il suo compagno aver eretto quella lapide.
I suoi occhi si inumidirono impercettibilmente, realizzando forse per la prima volta che egli, e tutta la BSAA, la credessero morta.
Lesse quella data…1974-2006.
Era già passato un anno dalla sua morte presunta, e quei fiori poggiati sulla sua tomba erano ancora freschi…e bellissimi.
Si sentì venir meno, il suo corpo stesso voleva cedere a quell’attimo di turbamento.
Wesker osservò con lei quella tomba, assorto nei suoi pensieri.
Estrasse poi dalla tasca il dispositivo che controllava il marchingegno impiantato sul petto di Jill, e inaspettatamente decise di far cessare gli impulsi del P-30.
La donna cadde quasi a terra, essendo completamente in balia dei suoi sentimenti e di quella sostanza.
Poggiò le mani sul prato umido, poi si voltò verso Wesker, quasi non potendo credere che lui l’avesse liberata da quel vincolo.
I suoi occhi azzurri, languidi, si specchiarono in quelle lenti scure, e per una volta fu Wesker a distogliere lo sguardo.
“Prenditi il tempo che ti serve. Non sprecarlo.” disse lui con tono basso, sedendosi sulla tomba alle sue spalle, adagiando i gomiti sulle ginocchia.
Jill tornò ad osservare la sua lapide, questa volta padrona dei suoi movimenti.
Toccò il freddo marmo con la punta delle dita, per poi poggiarvi tutta la mano.
Premette appena, potendo quasi sentire l’amore dei pochi amici rimasti al suo fianco il quel mondo devastato.
Socchiuse gli occhi, abbandonandosi a quel momento soave, silenziosa e assorta.
L’uomo rimase tutto il tempo a fissarla, non pensando a nulla, come se anche lui avesse desiderato quell’attimo di quiete assoluta.
Vide la bionda prendere in mano i fiori lasciatole da qualche amico che aveva voluto renderle omaggio, donandole un ricordo. Probabilmente erano di Chris Redfield.
Stette, dunque ben attento che Jill non vi nascondesse alcun indizio da far pervenire al suo odiato rivale.
Tuttavia lei si limitò unicamente a sfiorarli, annusandone il loro delicato profumo.
L’uomo vestito di nero sembrò turbato da quel delicato gesto.
Provò fastidio nel vederla così assorta e desiderosa di stabilire un contatto con l’uomo che invece la credeva morta.
Senza neanche accorgersene, strinse in un pugno un lembo di stoffa del pantalone, irritato.
La bionda d’improvviso si girò appena verso Wesker.
Lui la guardò vitreo, senza mostrarsi partecipe di quel momento che, in fondo, era soltanto suo.
Vide le sue carnose e pallide labbra schiudersi, facendo per sussurrargli qualcosa.
“Posso…prenderne uno?” disse con un filo di voce, quasi come se riuscisse a parlare a stento, mentre teneva tra le dita lo stelo di uno dei fiori.
Wesker, rapito da quell’immagine e dai suoi occhi puri e sinceri, s’intenerì stranamente.
Fece un ghigno e le rispose placido.
“Fa pure.” disse, e la ragazza sfilò quel fiore candido dal mazzo, portandolo a sé.
In seguito si alzò, poggiando il resto dei fiori di nuovo sulla tomba. Si voltò poi definitivamente verso Wesker.
Egli la guardò, seduto ancora sulla lapide, con il suo solito ghigno stampato in faccia, eppure più serio.
Jill stette in piedi di fronte a lui, accarezzando delicatamente il fiore bianco fra le sue dita.
“Siamo morti entrambi, Jill.” disse all’improvviso lui. La donna lo ascoltò attentamente. “Teoricamente, è nostra facoltà ricominciare da zero le nostre vite.”
La bionda lo guardò intensamente, come pochi osavano fare con lui, e stranamente gli sorrise.
Nonostante fosse più un sorriso malinconico.
“In teoria…” sussurrò, in risposta alla sua costatazione.
Wesker sfilò gli occhiali e decise di mostrarle i suoi occhi, macchiati irreversibilmente dalle sue colpe, ove era impresso il simbolo di ciò che aveva fatto e ciò che era diventato.
I due così si guardarono dritto nelle loro iridi per diversi secondi, mentre il vento mosse i capelli sottili di lei.
“…tuttavia dovrebbe essere un’altra vita, Wesker. Perché tornerei comunque a cercarti, per fartela pagare.”
Aggiunse infine, terminando la frase, mostrando la fierezza nei suoi occhi.
A quella risposta, Wesker sorrise, in qualche modo consapevole che avrebbe detto qualcosa di simile.
“Suppongo sarebbe lo stesso anche per me.”
Ammise, poi si alzò ed insieme abbandonarono il cimitero.
Mentre fecero per risalire sull’elicottero, Jill guardò dietro di sé.
Riosservò il fiore bianco fra le sue mani e decise di risparmiargli la vita in quell’inferno nel quale, presto, sarebbe tornata. Così si chinò e lo piantò nel terreno.
Magari non avrebbe messo radici, tuttavia, tornando alla sua amata terra, quel fiore avrebbe comunque ritrovato casa, assaporando la libertà.
In balia del vento, poi, risalì sull’elicottero ed aspettò che Wesker riattivasse il dispositivo sul suo petto.
Mentre ritornava sotto il controllo del P30, Jill chiuse gli occhi, accarezzata da quella fredda brezza mattutina.
Oramai lontano da loro, il fiore ondeggiò mosso dal vento, come traccia della donna a cui era stato donato, e che era in realtà viva.
 
Sull’elicottero, Wesker guardò al di là del vetro, soffermandosi sull’immagine del sole oramai alto.
Jill, di fronte a lui, stette immobile a osservarlo, mentre il suo sguardo diveniva sempre più vago ed indefinito.
Improvvisamente le labbra dell’uomo si mossero, e parve come recitare qualcosa, mentre era assorto solitario nei suoi pensieri cupi.
Domani, domani, domani,  si insinua a piccoli passi giorno per giorno,  fino all'ultima sillaba del tempo prescritto;  e tutti i nostri ieri hanno indicato ai folli la strada verso una morte polverosa. Consumati, consumati, corta candela! La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita, pavoneggia la sua ora sul palco,  e poi non se ne sa più niente. È un racconto, narrato da uno stupido chiassoso e furioso, che non significa niente.
Pronunciò lentamente, con tono grave, voltandosi soave verso la bionda. “Macbeth, atto quinto, scena quinta. ” aggiunse.
In mente sua, Jill si chiese se davvero quell’uomo ne sapesse di opera o poesia. Tuttavia non se ne curò molto e riprese a guardare al di fuori del finestrino, non sentendosi minimamente in vena di assecondare quel discorso. Inoltre, il P-30 nel suo corpo aveva bloccato ogni sua possibile reazione, dunque in ogni caso non avrebbe potuto far nulla.
Wesker sorrise.
Leggermente malinconico, tornò silenzioso, avendo sperimentato sulla sua pelle quanto il passato potesse maledire il presente ed il futuro di un essere umano. Quanto davvero la vita non fosse che un soffio, talvolta stupido e fugace, celato in un’ombra di cui, dopo la morte, non si sarebbe più saputo nulla.
La vita, infondo, altro non era che un cammino verso quella morte polverosa che inesorabilmente avrebbe intaccato anche lui.
Ogni giorno, passo dopo passo, essa si avvicinava.
Egli, come pochi uomini, aveva ricevuto il potere di scrivere la storia di questo pazzo mondo; poteva cambiare il suo destino e quello di chiunque, ma, tuttavia, non si sentì mai più vicino alla morte come allora.
‘Destino beffardo per colui che è un dio…’
Ripensò a quella frase, che adesso poteva comprendere nel suo significato più crudo e lacerante.
Già… perché era proprio quella la ‘beffa’ della vita...
Potenti, oppure fragili, tutti gli uomini condividevano lo stesso fato...anche lui. Anche Albert Wesker,
Guardò fugacemente verso Jill.
Mai più avrebbe rievocato quel destino infausto comune in qualche modo ai due.
Una volta rientrato nei laboratori della Tricell, avrebbe continuato a lavorare sui suoi piani senza indugio, esattamente come se nulla fosse accaduto.
Questo era il suo volere, e niente l’avrebbe intralciato.
Soltanto la morte stessa avrebbe potuto fermarlo, essendo probabilmente l’unico nemico che potesse guardarlo dritto negli occhi.
Eppure, anche in qual caso, il fatale mietitore avrebbe trovato pane per i suoi denti.
Chiuse dunque gli occhi, pronto a rivolgere la sua mente altrove, lontano da quei disturbi, lontano dalla follia che l’aveva irrimediabilmente maledetto.
 
***
 
Una volta arrivati all’eliporto, ad attendervi vi era Excella Gionne.
Ella stringeva una valigetta fra le mani e osservò Wesker arrivare impazientemente.
L’uomo, seguito dalla bionda Jill, si affiancò ad Excella, la quale esibì un sorriso molto spontaneo, felice di rivederlo.
“Bentornato, Albert. Hai fatto buon viaggio?” disse avvicinandosi a lui suadente.
“Come procedono le cose?” invece tagliò corto lui, rifiutando quei convenevoli e avviandosi dentro l’edificio.
Jill assistette a quella scena, notando come Wesker fosse gelido con quella donna che palesemente cercava di stabilire un contatto con lui. Lì per lì però ne fu fiera, dato che ella era fin troppo ammiccante con lui.
Non che gliene importasse…
Excella, dal canto suo, mise le mani sui fianchi, infastidita che lui non l’avesse neppure salutata. Dovette tuttavia reprimersi e tornare alla sua domanda.
“Sì, tutto bene. Ho convocato Irving, credo abbia concluso qualche buon affare. Lo vedo proprio adesso.”
Wesker si fermò.
“E’ qui?” chiese freddo.
Excella annuì. “Sì, l’ho fatto accomodare in ufficio. Vuoi vederlo?”
A quelle parole, l’uomo vestito di nero parve adirarsi, tant’è che guardò la donna molto severamente.
Ella sbandò di colpo, incrociando i suoi occhi impetuosi.
“Non devi far entrare nessuno qui dentro, meno che un rapace come lui. Ero stato molto chiaro.”
La donna dai capelli scuri si agitò, sentendosi in difficoltà.
“S-scusami. Pensavo che…”
“Pensare? Ti ho mai chiesto di pensare?” detto questo, proseguì dritto dinanzi a se, raggiungendo l’ascensore.
Jill, obbligata a seguire Wesker dagli impulsi del P-30, buttò velocemente un occhio verso Excella, che sembrava davvero ferita da quelle parole.
Provò pietà per lei, riflettendo sul fatto che probabilmente non aveva ancora capito che tipo di uomo fosse Albert Wesker.
Excella intanto strinse i pugni e corrucciò il viso, assumendo poi un’espressione arrogante.
“Lo vedrai, Albert. Non sono quella che credi. Non atteggiarti già da padrone del mondo.”
 
Raggiunsero gli uffici.
Jill trovò angosciante ritrovarsi di nuovo in quei laboratori.
Respirare aria fresca, essere stata in qualche modo lontana da quella realtà, le aveva giovato, nonostante le cose non fossero andate come sperava.
Dunque percorrere quei claustrofobici corridoi, fece palpitare il suo cuore, in preda all’ansia e al turbamento, sebbene ad occhio esterno ella appariva fredda e inespressiva.
Sempre per il volere del P-30, ovviamente.
Wesker aprì una porta e si ritrovò in un ufficio molto ampio, arredato con due divani di pelle posti l’uno di fronte all’altro.
Ad affacciarsi da dietro lo schienale di uno di questi, fu un uomo dall’aria rozza, con i capelli castani, e aveva addosso una vivace camicia colorata.
Appariva abbastanza eccentrico solo a guardarlo.
I suoi occhi tondi e provocatori squadrarono Wesker da testa a piedi, per nulla riguardoso.
Egli fece un sorriso a trentadue denti, alzando la mano in segno di saluto.
L’uomo dai capelli biondi non si scompose. Incrociò le braccia e, col volto serio e tenebroso, si postò di fronte a lui.
“Oh, Albert Wesker. Che impressione vedere il grande capo qui, ehehe..! La vedo in forma.” disse il moro con fare colloquiale, emettendo una risata cavallina.
Excella si avvicinò e si mise fra i due.
“Egli è Ricardo Irving. Sovrintendente della raffineria di petrolio di Kijuju della divisione sviluppo e risorse.” spiegò, prendendo poi posto di fronte a Irving.
Ricardo guardò appena verso Excella, passando la lingua fra i denti, poi tornò a Wesker, decisamente incuriosito da quell’uomo.
Allungò una mano in sua direzione per salutarlo, non essendosi ancora mai visti di persona, sebbene avessero già lavorato assieme da quando Wesker era nella Tricell.
Tuttavia l’uomo vestito di nero non ricambiò, costringendo così Irving a indietreggiare.
Da quel modo di fare superbo ed autoritario, Irving comprese velocemente che tipo di persona fosse, per cui si riadagiò sul divano senza insistere ulteriormente.
“So bene quanto costi mandare avanti queste ricerche. Sono un afferrato uomo d’affari, io.” disse decidendo di andare al sodo, accese poi una sigaretta.
“Dunque? Di cosa si tratta? Ve lo chiedo, ma la fanciullina lì dietro non vorrei origliasse troppo.” Aggiunse poi, girando con fare invadente gli occhi verso Jill.
“Non lo reputerei un problema. Proseguiamo. Abbiamo già ricevuto qualche proposta?”
Intervenne prontamente Wesker, non gradendo per nulla l’atteggiamento sfacciato dell’uomo di fronte a sé. Lui che, invece, seppur privo di scrupoli, era l’emblema dell’eleganza e della perfezione.
Irving accavallò le gambe sgraziatamente e cacciò il fumo, spegnendo poi nevrotico la cicca nel posacenere.
“Altroché. Ho reinvestito il denaro tramite i miei contatti. In questo settore posso muovermi abilmente. Ora possiamo dedicarci alla creazione di nuove armi biologiche senza ostacoli finanziari.” proclamò ridente e pieno di se, come fosse in preda all’estasi.
Excella lo guardò severa.
“ ‘Possiamo’ hai detto?” puntualizzò severa. “Questa questione non ti riguarda, Irving. Stai al tuo posto.” lo rimproverò senza indugio, al che l’uomo si risentì.
Egli odiava quell’atteggiamento dispotico da parte di Excella.
Sebbene fosse un suo sottoposto, era grazie a lui che lei aveva potuto garantirsi i soldi per la ricerca. Questo perché Ricardo Irving ufficialmente era il sovrintendente della raffineria di petrolio di Kijuju.
In realtà però egli era un terrorista pluri-ricercato che rivendeva al mercato nero le B.O.W., ricavandone un profitto enorme da reinvestire all’interno della Tricell Pharamceutical Company, in modo da finanziare le costose ricerche su Uroboros.
Dunque, se non fosse stato per lui, potevano considerarsi nella merda, quei due.
Per questo sbuffò e si sentì offeso da quel modo di fare sempre pronto a sottometterlo.
Odiava essere guardato dall’alto in basso. Potevano andare al diavolo!
Digrignò i denti e buttò la testa all’indietro, infierendosene del fatto che, al contrario di lui, Wesker ed Excella fossero molto seri e composti.
“Affido a te quest’aspetto del piano. La massima discrezione, Excella, mi raccomando.” disse all’improvviso Wesker.
“Conta pure su di me.” rispose lei, poggiando una mano sulla sua spalla, approfittando subito di quell’attimo per riavvicinarsi a lui.
Irving li guardò incuriosito, fantasticando nel vedere la donna così ammiccante. Tuttavia, prima che potesse azzardare qualche pettegolezzo, Wesker prese nuovamente parola.
“Ora va. Porta anche lei con te.” disse rivolgendosi alla bruna.
Excella si voltò di scatto, prima verso Jill, che era in fondo alla stanza, poi verso Wesker.
“Cos…?” obbiettò, ma Wesker la bloccò severo, osservandola dalle lenti nere.
“Ci sono problemi?”
La donna si ammutolì e dovette obbedirgli. Così si alzò e andò verso la bionda.
“Avanti, seguimi.” ordinò, visibilmente infastidita.
Jill dovette per forza abbandonare la stanza assieme a lei, mentre la sua testa era ancora rivolta a quella conversazione.
Ricardo Irving…lei sapeva perfettamente chi fosse. La BSAA lo ricercava da tempo!
Ed eccolo lì che, casualmente, patteggiava proprio con Wesker.
Quel quadretto fu disgustoso.
Dovette però seguire Excella, non potendo approfondire quella questione, temendo i progetti che menti come quelle avrebbero potuto elaborare.
Un uomo privo di scrupoli attaccato al denaro, ed un altro, folle e schiavo dell’Umbrella…
Qualunque cosa sarebbe potuta accadere.
Intanto Irving poggiò le braccia sulle ginocchia e guardò Wesker intrigante.
“Parliamo tra uomini, dunque.”
“Ebbene, voglio discutere sulle nostre vendite.” spiegò Wesker accendendo anch’egli una sigaretta, mentre la porta della stanza veniva chiusa, celando l’esistenza di quella discussione a chiunque, al di fuori di loro due.
 
***
 
La donna dai capelli neri mormorò qualcosa mentre si inoltrava fuori dalla stanza.
“Muoviti!” disse poi, volgendosi verso Jill.
Le due attraversarono tutto il corridoio, per poi dirigersi nei pressi dell’ascensore.
Una volta giunte al piano selezionato da Excella, ella la condusse in un laboratorio, ove le ordinò di prendere parte all’esperimento da loro condotto in quel momento.
Jill si guardò attorno, fungendole da assistente, e ben presto si rese conto di dove fosse per davvero.
Quell’ambiente buio, illuminato dalla luce artificiale fin dal primo mattino, pieno di macchinari dalla funzione sconosciuta, trasmetteva un senso di oppressione e la mise in allarme.
Approfittando del fatto che la maggior parte dei presenti in quella stanza fossero occupati nelle loro faccende, ella sbirciò verso dei documenti poggiati su una scrivania.
Fra tutti, un file con su scritto “Uroboros” attirò la sua attenzione, il progetto che aveva sentito nominare da Wesker.
Il documento sembrava raccogliere i risultai di qualche test, per cui, senza neanche accorgersene, prese a sfogliarlo.
Sbandò quando vide una sua stessa fotografia applicata sul fascicolo, che la rappresentava mentre era immersa in un liquido in una vasca di vetro.
Incapace di credere a quel che i suoi occhi stavano vedendo, le ci vollero una manciata di secondi per collegare il nome di quella cartella a se stessa.
Tuttavia dovette apparire più disinvolta possibile, perché Excella si stava avvicinando di nuovo. Così abbassò la mano, ma con la coda dell’occhio continuò a sbirciare il file lasciato aperto.
Piuttosto, un altro particolare attirò in seguito la sua attenzione.
Ella era riuscita a compiere quel movimento di sua volontà… aveva visto quel documento e le sue azioni avevano risposto ai suoi impulsi. Come era stato possibile?
Si fermò a riflettere, cercando di non dar a vedere il suo stato di inquietudine.
Il P-30…davvero non faceva effetto su di lei come aveva detto Excella a suo tempo? Questo… nonostante Wesker avesse aumentato ulteriormente la dose, dopo la sua ultima ribellione?
Ricapitolò dunque la situazione, cercando di far mente locale sulla sua soggezione a quella sostanza.
Non poteva trasgredire gli ordini di Wesker, ne scappare. Questo era ovvio.
Tuttavia comprese che, in fin dei conti, seppure fosse soggiogata completamente al P-30, manteneva ancora una minima autonomia di azione… seppur veramente esigua.
Bastava, dunque, che non si ribellasse a Wesker, e il P-30 non avrebbe fermato del tutto le sue azioni.
Dover stare molto attenta, però.
Doveva, infatti, capire come sfruttare questa carta.
Se nessuno si fosse accorto di nulla, avrebbe potuto essere molto fruttuoso per lei.
Si nascose così dietro uno sguardo vago, intanto che meditasse come comportarsi.
Nello stesso tempo, la donna dai capelli neri buttò un occhio sul dossier aperto di fronte a Jill.
Ridacchiò fastidiosamente, notando che la bionda l’avesse notato.
“Oh, che sbadata! Lasciare questi documenti alla tua portata.” disse canzonatoria.
A quel punto, Excella prese a scrutarla con fare intimidatorio, atteggiandosi da gran donna. Cominciò a muoversi attorno a lei, e il suo sguardo si fece diabolico.
Jill cominciò a credere che l’avesse scoperta. Per fortuna così non fu.
Vide la bruna parlarle in modo provocante, come vogliosa di metterla alla prova. Infatti, dopo averla scrutata in quel modo, la donna dai capelli neri si avvicinò ulteriormente mettendosi a faccia a faccia a lei. Si poggiò sulla scrivania premendo le mani su quei fogli.
“Suppongo che tu non sappia perché sei davvero qui, vero, Jill Valentine?”
Jill dovette sforzarsi di rimanere immobile. La sua recita doveva essere assolutamente credibile.
Non voleva essere tradita dalle sue emozioni.
D’altra parte quel discorso la incuriosì e si chiese se quella donna non potesse renderla partecipe di qualche particolare interessante. Tuttavia, ciò che avrebbero pronunciato quelle carnose e lucide labbra, avrebbe preferito non saperlo.
“Sei solo un soggetto particolarmente resistente. Tutto qui.” disse trafiggendola con i suoi occhi glaciali. “La Stairway to sun, una pianta mortale per l’uomo e necessaria per le nostre ricerche, stranamente non ha effetto su di te. Studiandosi, abbiamo scoperto che la causa sono i tuoi anticorpi, che si sono rinforzati grazie al Nemesis. Lo sapevi?” ridacchiò, inclinando la testa indietro.
Portò una mano sulla bocca, facendo finta di riuscire a trattenere a stento le risate. Quell’atteggiamento fu molto irritante.
Ella poi riprese a parlare.
“La tua importanza consiste in questo. Comprendi?” fece una pausa, necessaria per mandare nel subbuglio più completo la mente già devastata di Jill Valentine.
“Grazie ai tuoi anticorpi, abbiamo potuto testare il nostro prodotto ed adesso…oramai siamo vicini a far partire il nostro piano.”
Come se già non fosse stata chiara, Excella ribadì ancora il concetto, ben attenta a violentare ulteriormente la mente della bionda.
Grazie a te, questo è stato possibile, agente della Bioterrorism Security Assessment Alliance.” sogghignò crudelmente.
Jill si sentì quasi venir meno. Che cosa stava insinuando quella donna?
Il problema era che non stava affatto ‘insinuando’.
La stava rendendo partecipe di quella che era la realtà.
Jill Valentine aveva permesso il perfezionamento del virus che ben presto sarebbe stato lanciato sul mercato nero: Uroboros.
Lei che aveva dedicato tutta la sua vita a combattere il bioterrorismo… lei che aveva inseguito Wesker, uno dei maggiori artefici di tutto questo… adesso aveva fatto parte di quel crudele e folle progetto, destinato a condannare nuovi innocenti a quella tremenda sorte.
Gli occhi della bionda tremarono. Tremarono di paura.
Excella rise, compiaciuta di averla turbata, ma non era ancora soddisfatta. Infatti le sfiorò l’orecchio con le sue seducenti labbra e vi sussurrò lentamente.
“Esatto. Grazie a Jill Valentine abbiamo creato Uroboros. Ihihih..!” rise fastidiosamente sul suo collo.
A quel punto si allontanò da lei, continuando a sghignazzare per conto suo.
“Cosa credevi? Se Albert ti ha lasciato vivere, è solo per questo. Sei stata molto utile, mia cara.”
Jill strinse gli occhi, dovendo lottare contro se stessa per rimanere immobile.
Che in cuor suo sapesse che Wesker l’avesse salvata quella notte per un qualche interesse, questo era scontato. L’aveva sempre saputo.
Tuttavia i toni irritanti e provocatori di Excella l’avevano trafitta, rendendola arrabbiata e vulnerabile.
Ripensò a quanto era accaduto durante il viaggio che avevano affrontato nei precedenti due giorni, a se stessa, al capitano che un tempo ammirava, a quella prigionia in quel posto malato, ma anche a quando lui l’aveva protetta, a quando l’aveva baciata…
A quel ricordo, il suo cuore si straziò inevitabilmente.
Non aveva alcun senso ingannarsi ancora in quel modo.
Sapeva fin dall’inizio che non poteva sperare di credere a quegli occhi, a quelle labbra che inspiegabilmente avevano toccato le sue in un disperato desiderio di umanità…per questo aveva deciso di combattere contro i suoi sentimenti, per seguire la ragione, per seguire il suo istinto di sopravvivenza, cosciente del fatto che lui non fosse colui che lei credeva.
Ma ciò non era stato sufficiente per aiutarla a reggere quel colpo.
Era tutto insensato, tutto così privo di congruenza. Ogni cosa che accadesse fra lei e Wesker, li avvicinava e allo stesso tempo apriva una voragine sempre più profonda.
A quel punto, Jill si sentì soltanto una pedina…egli l’aveva usata, ed adesso si ritrovava a far parte di quel complotto senza neanche poter reagire.
Anzi…era stata proprio lei a permettere l’abominio che presto sarebbe stato scagliato contro l’umanità.
Wesker…possibile che un solo uomo, un solo nome, potesse essere l’emblema di un male incontrollabile, che aveva dannato e stregato non solo la sua mente, ma anche la sua interra esistenza?
Quell’incubo avrebbe mai avuto fine?
Si sentì distrutta dentro, lacerata da quegli ultimi minuti che, sommati ai mesi trascorsi lì dentro, oramai avevano straziato la sua mente.
Avrebbe voluto urlare, spaccare tutto, uccidere chiunque fosse lì presente e che collaborasse alla realizzazione di tale abominio.
Ma non poteva…non poteva far nulla.
Doveva quindi sforzarsi di rimanere calma e cosciente quanto più possibile, se voleva ancora combattere.
Non avrebbero fatto di lei un giocattolo, non doveva permetterlo.
In quell’istante comprese che tutto dipendeva da lei.
Aveva scoperto di avere relativamente ancora controllo di se, essendo riuscita a respingere in parte gli impulsi del P-30.  
Doveva dunque essere forte e giocarsi il tutto per tutto, anche a costo di assecondare quelle persone prive di scrupoli pur di venire a capo di quel piano.
Il suo obiettivo era uno: distruggere il progetto Uroboros; e aveva una sola possibilità per farcela:
La sua unica speranza…era riuscire a contattare Chris Redfield, in qualche modo, e smontare così quell’orrendo e diabolico piano, ove un nuovo virus era pronto per essere diffuso nel mondo.
Solo non sapeva che era oramai troppo tardi.
Intanto, Excella Gionne riprese ad osservarla. Appoggiò la penna che aveva in mano sulle labbra, riflettendo su qualcosa.
Poi, d’improvviso parlò.
“Vuoi vederlo? Il virus…Uroboros.” sorrise.
Jill, seguendo lo sguardo di Excella, si accorse del vetro posto infondo alla stanza.
Si voltò appena e, quel che vide, non erano che i suoi orrori tornati a perseguitarla ancora una volta.
 
***
 






 
Salve a tutti!^^
Lascio giusto qualche pensiero post capitolo!
Come avrete notato, il capitolo è diviso in due fasi: l’abbandono dell’isola e la visita al cimitero; poi il rientro nella Tricell, nella sede di mia invenzione.
Riguardo la prima parte, era importante per me chiudere la parentesi lasciata aperta nello scorso capitolo. Ovvero concetti concernenti la morte, la fragilità della vita, ma anche l’ambiguo e contrastante rapporto che vige fra i due “antagonisti”.
Le parole di Jill spero vi colpiscano, perché racchiudono quel che io penso su di loro:
“In teoria…tuttavia dovrebbe essere un’altra vita, Wesker. Perché tornerei comunque a cercarti, per fartela pagare.”
Entrambi sono intrappolati in un dramma senza via d’uscita. Da una parte il desiderio di buttarsi tutto alle spalle, ma anche l’impossibilità di farlo, intrappolati in un rapporto che esiste proprio per quel che è successo fra loro.
In un’altra vita si sarebbero amati? Probabilmente no…perché sarebbero state altre persone.
Se si lasciassero tutto alle spalle, potrebbero ricominciare le loro vite? No…perché entrambi tornerebbero sui propri passi, ormai impegnati anima e corpo nella loro lotta personale.
Un rapporto che, dunque, quando trova i suoi punti di unione?
Quando abbandonano per un istante loro stessi…prima di ricordare cosa sono davvero.
E’ questa la drammaticità del loro rapporto intrigante e crudele.
Desideravo inoltre riuscire ad inserire nella mia fanfiction la famosa tomba di Jill, che per mesi ha allarmato quasi tutti i fan di resident evil.
Gli spunti dello scorso capitolo mi hanno aperto le porte a questa scena, permettendomi di collegarmi ai pensieri di Wesker sulla morte stessa, anticipati nello scorso capitolo.
Voglio riportarvi una mia convinzione:
Io sono del parere che Wesker abbia pianificato la sua morte stessa in re5.
Quindi nella mia fanfiction egli spesso pensa a questo tema, rendendosi conto quanto questo destino sia vicino persino a uno come lui…
A tal proposito la citazione di Macbeth, opera teatrale di Shakespeare, è voluta proprio per sottolineare alcuni temi.
Un po’ come apprendiamo dallo studio del pessimismo cosmico di Leopardi, la vita non è altro che un cammino verso una tomba…verso quella morte polverosa recitata anche nei versi di Shakespeare.
Questa realtà comincia a colpire persino Wesker, colui che si è eretto a dio di questo mondo.
Egli sa, da scienziato, che non potrà sottrarsi a questo destino, dunque comincia ad elaborare la sua morte più di quanto un occhio esterno potrebbe comprendere…e questo sarà un tema che sarà ripreso nei capitoli a venire. Perciò non mi dilungo, preferisco farlo tramite la mia fanfiction.
Una piccola curiosità, ero davvero indecisa sulla scelta del brano da far recitare a Wesker. E’ stato molto faticoso scegliere!
Alla fine, l’indecisione era caduta su due brani: Macbeth (scenaV, attoV) di Shakespeare, e un pezzo tratto dall’Elegia di Thomas Gray. Questo:
“ ‘ Chi mai, in preda al silenzioso Oblio, ha rinunziato al proprio caro trepido essere, e ha lasciato i caldi confini ridenti della vita, senza  un lungo sguardo di brama e di rimpianto?
L’anima che se ne va, si affida a qualche petto affettuoso e gli occhi che si spengono chiedono qualche pia lacrima. Anche dalla tomba grida la voce della Natura. Anche dalle nostre ceneri vivono le consuete fiamme.’ ” (Thomas Gray- Elegia)
Erano entrambi brani che si adattavano al contesto e a ciò che volevo trasmettere, ma la musicalità dell’opera di Shakespeare, nonché la sua drammaticità, l’ho vista più adatta per essere recitata da Wesker, che tra l’altro vedo bene ad interessarsi di letteratura/poesia/opera.
Stranamente ho scelto questo pezzo di Macbeth (non ridete) per via di un episodio dei The Simpson. xD
Io conosco praticamente gli episodi a memoria, li adoro! xD Ne “La paura fa novanta”, c’è una scena in cui Homer recita esattamente questo pezzo, e  mi è rimasto dentro.
Me ne sono ricordata subito, quando ho deciso che volevo che Wesker recitasse qualcosa.
Torniamo alla fanfic, ora!^^
Nella seconda parte della fanfiction, Wesker e Jill tornano dopo due giorni nella Tricell, ma attenzione!
Vi è una differenza sostanziale nella storia:
Dapprima, Jill vi era come cavia, come semplice prigioniera ignara di ogni cosa, arrabbiata e frustrata.
Adesso lei, seppur sotto il controllo del P-30, ha un più ampio quadro della situazione. Seppur ancora prigioniera, è pronta a combattere e decisa a usare le sue carte in modo più ragionato. Nonché il suo coinvolgimento, che è ancora maggiore essendo venuta a conoscenza di cose su Wesker che mai avrebbe pensato di conoscere.
Adesso è più partecipe ai complotti di Wesker ed Excella, che la tengono soggiogata a loro.
Ci tengo a precisare che il marchingegno sul petto di Jill non è ancora quello che avrà in re5. Non è così potente come quello. E’ un particolare che ci tengo a precisare.
Eh…..*sospiro*
…Sembra strano a dirsi, eppure lentamente già da questo capitolo sto avviando la mia fanfiction al finale…ovvero l’inizio di resident evil 5…
Il punto di arrivo della mia fanfiction sarà infatti resident evil 5, quindi mi muoverò in quella direzione, mostrandovi come secondo me sono andate le cose. Ovviamente nella mia interpretazione personale WeskerxJill.
Ci sono ancora diversi capitoli che mi separano dall’ending, eppure già con questo capitolo mi sono voluta aprire alcuni spiragli che più avanti mi serviranno.
Questa fanfiction l’ho studiata molto, capitolo per capitolo, in quanto volevo realizzare al meglio il tema della prigionia di Jill che in re5 non è mostrata, in una chiave WeskerxJill ripeto.
Anticipo che il prossimo capitolo sarà un po’…ehm…diverso dagli altri xD
Vedrete!
Spero che le scene introspettive di questo capitolo vi piacciano e vi comunichino quel che io sento.
Grazie a chi mi segue e mi recensisce…un grazie infinito!! <3
 
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12: donna diabolica ***






THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE






CAPITOLO 12






Jill, assorta nei suoi pensieri, pianificava un modo per riuscire a smontare quel pandemonio che ben presto Wesker avrebbe scatenato.
Le carte a suo favore erano poche. L’autonomia che le restava era minima.
Poteva ancora muovere il suo corpo e formulare pensieri propri, tuttavia era ancora estremamente soggiogata dal P-30.
Quel che le rimaneva, era dunque riuscire a conservare il suo intelletto quanto più possibile, in modo che non potesse essere usata in quel piano malvagio.
Nessuno doveva accorgersi di quel briciolo di autonomia che le rimaneva.
Non avrebbe potuto far nulla, ma poteva almeno scoprire quanto più possibile su quel virus, così da ottenere utili informazioni da inoltrare alla B.S.A.A. e a Chris Redfield.
Doveva solo attendere pazientemente la sua occasione.
D’improvviso, la succinta donna vestita di bianco le si avvicinò, con quel suo atteggiamento intrigante e crudele. Le parlò con schiettezza, senza neanche considerare la bionda Jill come un possibile pericolo, ben conscia del suo potere.
“Vuoi vederlo? Il virus…Uroboros.”
Disse deformando le labbra in un sorriso provocante, piegando appena la testa all’indietro, come trattenendosi dal piacere di tormentarla.
Portò la penna stilografica sulla bocca e la mordicchiò appena, muovendosi come se stesse nel pieno di un servizio fotografico.
Quella situazione la stava divertendo. Ella godeva del fatto di poter torturare la bionda prediletta di Wesker, così continuò a trafiggerla con i suoi occhi color del ghiaccio.
Jill, dal canto suo, aggrottò le sopracciglia. Lì per lì non comprese la proposta della donna. D’improvviso si accorse che la bruna stava puntando il suo sguardo alle sue spalle, così la bionda si voltò e si accorse in quel momento di un vetro dalla forma circolare posto in fondo al laboratorio, ove era tenuto prigioniero un uomo dalla pelle bianchissima.
Jill strinse gli occhi.
Sembrava morto, eppure era seduto perfettamente in equilibrio su uno sgabello.
Era quello…l’Uroboros?
“Ora inizia il bello. Preparati.” Pronunciò Excella abbracciando i gomiti e osservando tranquilla la scena.
Infatti, dopo pochi istanti, qualcosa dal corpo di quell’uomo parve muoversi sotto pelle.
Era come se qualcosa gli scorresse dentro le vene, cominciando a farlo contorcere. L’ex agente STARS non riuscì a comprendere se quella cavia fosse viva o fosse morta, ma quel contorcimento, e il fatto che i suoi occhi si spalancassero, la mandò in panico.
Era davvero una cavia umana…viva?!
Indietreggiò appena, sconvolta, mentre l’uomo cadde a terra. Egli batté appena sul vetro e in quel momento un liquido nero fuoriuscì dai suoi occhi.
Le pupille di Jill si strinsero, mentre il suo sguardo diveniva sempre più sgomentato. Il P-30 fece in modo che non potesse muoversi, ne urlare, ne distogliere lo sguardo. Ma non poté impedirle di inorridire a quella visione.
Jill notò poi che quella materia che fuoriusciva dal suo corpo non era una semplice melma nera. Neppure lacrime. Quella strana roba scura era…dei vermi?
Disgustata, sentì il suo stomaco in subbuglio. Come faceva invece quella gente attorno a lei ad essere così impassibile?!
La cavia presto fu ricoperta quasi interamente da questi esseri striscianti e scuri. All’improvviso, questi cacciò un urlo, e dalla sua bocca apparve un fiore dalle enormi fattezze.
Si scaraventò contro il vetro, oramai fuori controllo. I suoi occhi erano girati al contrario, ed oramai era troppo tardi per lui.
Uroboros era entrato nel suo corpo e si era mischiato con il suo dna.
La scena fu straziante.
“Peccato tu abbia potuto assistere soltanto alla trasformazione di un ospite incompatibile. Tuttavia, Uroboros è fenomenale. Una vera potenza.”
Come…come poteva dire una cosa del genere?
Si rendeva conto, anche solo lontanamente, di quelle parole?
Era folle. Completamente folle.
Excella cominciò a ridere.
“Dovremmo ringraziarti sai? Senza di te, non avremmo avuto questo successo…”
Perché non la smetteva di torturarla in quel modo? Non ne poteva più!
Basta!!
Jill digrignò appena i denti, mentre Excella la costrinse ad assistere a quell’abominio senza darle alcuna possibilità di scelta.

“La pagherete…!!”

All’improvviso il telefono cellulare di Excella suonò. Ella lo estrasse velocemente dalla borsetta dorata e lo portò all’orecchio.
“Albert! Finalmente, volevo parlarti. L’esperimento qui ha…”
Wesker la interruppe. “Vediamoci qui fuori.” disse lui glaciale senza ascoltarla nemmeno.
“D’accordo.” sorrise invece lei radiosa, ma ben presto il suo entusiasmo fu smorzato dal seguito della frase dell’uomo dagli occhiali scuri.
“Porta anche Jill.” concluse infatti lui, riagganciando il telefono.
“Cosa?!” Excella digrignò i denti adirata. “Tsk! Non sei un uomo galante, Albert Wesker!!”
Gettò il cellulare nella borsetta e girò i tacchi, uscendo così dal laboratorio. Soltanto sull’ultimo, si voltò verso Jill.
“Ehi, vuole vedere anche te!” detto questo, girò energicamente la testa e uscì.

“Albert, dimmi.”
Chiese Excella raggiungendo Wesker fuori dal laboratorio. I due si erano dati appuntamento nei pressi del giardino interno dell’edificio.
Wesker, col suo aspetto imponente e fiero, era lì ad attenderla con le braccia incrociate. Si girò verso Jill, che era appena dietro la bruna, poi tornò alla domanda di Excella.
“Abbiamo concluso. Partiremo per Kujuju nel giro di quarantotto ore.”
“Davvero? Oh, ne sono felice! Nella mia sede sarà tutto più comodo.”
Esclamò lei entusiasta, avvicinandosi a lui e sfiorandogli appena il viso con la sua curata e candida mano. Tuttavia l’uomo la respinse, rifiutando quei gesti affettuosi che la donna rivolgeva senza inibizioni nei confronti di chiunque.
“Non è per questo che ti ho chiamato.” disse non scomponendosi.
“No?”
“Ho deciso che sarai tu ad occuparti del trasferimento dei dati raccolti in quest’ultimo mese. Compresa Jill Valentine.”
A quelle parole, Excella sbandò.
“Aspetta. Cosa vuoi dire, Albert?”
“Uh?” Wesker abbassò il viso verso di lei. “Non hai capito? Jill è tutta tua. L’affido a te.” disse con fare fastidiosamente ovvio.
La bruna sgranò gli occhi del tutto contrariata.
“Ma, Albert! Io speravo che…”
“Non posso dedicarti altro tempo, Excella, devo andare. Suppongo potremmo rivederci stasera dopo le ventidue. Mi raccomando.” pronunciò velocemente sbirciando l’orologio, non curandosi minimamente di lei.
Infilò intanto il lungo cappotto scuro che aveva poggiato sul braccio, e mentre fece per sollevare il colletto, osservò un’ultima volta Jill.
“Ciao, Jill.”
Aggiunse, con una strana e irriverente confidenza, sparendo poi dalla vista delle due donne inoltrandosi nel corridoio.
Jill rimase perplessa, sentendo la pelle d’oca di fronte a quel curioso modo di fare di Wesker.
Non poteva esserne sicura, ma ebbe l’impressione che l’avesse salutata per dispetto.
Non lo credeva così infantile.
Excella, dal canto suo, batté un piede a terra, irritata.
“Ed io di che me ne faccio?!” sbuffò.
La bionda la guardò come per dirle che la cosa fosse assolutamente reciproca. Era abbastanza irritante anche per lei avere a che fare con quella donna.
Ad un certo punto, Excella abbozzò un ghigno, che si fece sempre più maligno.
“Ih,ih,ih. D’accordo, Albert. L’affidi a me? Benissimo.” sogghignò. “Seguimi, Jill Valentine.”
Jill s’inquietò a quelle parole. Le donne potevano essere molto temibili.
Dove la stava portando?

Non fu in un laboratorio, né in una stanza delle torture, e neppure in una piccola e lurida gabbia.
Jill non si sarebbe mai aspettata che, invece, Excella l’avesse portata nel suo appartamento.
Perché?
Persino lei, che non era certo una mente diabolica come loro, aveva pensato che l’avrebbe torturata, umiliata in qualche esperimento…o qualcosa di simile.
Forse aveva passato troppo tempo con Albert Wesker…
Tuttavia, che Jill anche nella sua vita privata fosse una donna fuori da ogni canone, era risaputo.
Anche per lei, oramai era diventato normale pensare sempre in termini di guerra.
Vide la bruna aprire l’armadio e buttare all’aria alcuni vestiti.
“Forza, indossa questi. Non posso andare in giro con una persona vestita con una tuta integrale di pelle!” disse porgendole una camicia di raso e una gonna coordinata.
Jill prese gli indumenti e si chiese per quale motivo dovesse indossarli. Rimase ad osservarla non potendo dir nulla per via del P-30, così fu Excella a prender parola.
La bruna, infatti,vedendola in piedi vicino a lei, completamente immobile e spaesata, si esasperò.
“Cosa fai ancora lì?!” disse sgarbatamente, poi comprese. “Oh, giusto... il P-30.”
Riformulò dunque l’ordine da imporle.
“Puoi parlare, se vuoi. Ma ricorda che sono la tua padrona, dunque dovrai rimanere sottomessa.”
Jill fu dunque costretta a mostrarsi rispettosa di lei, tuttavia potette almeno finalmente parlare.
“Dove andiamo?” chiese.
“In centro. Ho voglia di fare due passi, e poi ho un appuntamento per una manicure. Già che ci sono, compreremo anche qualcosa.” spiegò e Jill quasi sbandò a quelle parole.
Poco prima avevano visto un uomo morire per via di Uroboros, ed adesso… uscivano per fare compere?
Rimase scioccata di quanto potessero essere insofferenti le persone legate a quel diabolico e crudele mondo. Potevano davvero reggere così facilmente i loro crimini?
Excella sembrava davvero tranquilla, intenta unicamente a scegliere cosa indossare.
Tutto ciò era davvero riluttante.
Non poteva credere a un’indifferenza simile, eppure lei era totalmente disinvolta in quel che faceva... ciò fu molto strano ed angosciante da assistere.

Una volta pronte, le due presero un elicottero, e in breve tempo arrivarono all’aeroporto di una città in pieno movimento.
Excella indossava un completo color glicine, corredato di cappello stile anni cinquanta.
Ella camminava ad agio, con i tacchi che slanciavano la sua figura. Appena dietro di lei, Jill reggeva la sua borsa. La guardò quasi nauseata di essere a fianco una donna tanto appariscente e crudele.
La bruna si prese tutti i comodi nell’occuparsi delle sue faccende.
Stettero, infatti, quasi un’ora dall’estetista, e dovette sorbirsi Excella mentre si faceva dipingere le sue preziose unghie.
Nonostante fosse una donna anche lei, Jill non poté che sentirsi veramente annoiata di sottostare a quel tipo di mercé davvero ridicola.
Excella passò tutto il tempo a pettegolare con le altre clienti che neanche conosceva, parlando con una nonchalance e con una cordialità tale che nessuno avrebbe mai potuto credere che ella fosse una delle menti che stavano lavorando al progetto che voleva lanciare sul mercato un nuovo e calamitoso virus.
Una volta fuori, si voltò verso Jill, che si teneva a distanza da lei. Il suo solito viso era vago e inespressivo per via della sostanza somministratole.
Excella sbuffò vedendola così, come se non sapesse perché lei non potesse esprimersi. Inaspettatamente, si affiancò a lei e passò un braccio attorno al suo, mettendosi a braccetto.
Jill la guardò attonita.
“Non siamo amiche, sia chiaro. Ma per chi ci guarda, sarebbe strano vederti come un Frankenstein dietro di me. Dunque sorridi e cerca di non farmi sfigurare.”
La bionda sgranò gli occhi, chiedendosi di cosa diavolo stesse parlando.
Fu abbastanza ridicola per lei quella situazione.
Sembravano le tipiche amiche in giro per i negozi, soltanto che, nel suo caso, era costretta a mostrarsi partecipe per via di una sostanza diabolica, creata per sottomettere la sua volontà.
Non certo ideata per quel tipo d’impiego.
Si chiese Wesker cosa avrebbe pensato se l’avesse saputo.
“Dunque, Jill…quanti anni hai?” chiese all’improvviso Excella, poi subito si spiegò. “E’ tanto per fare conversazione, cosa credi.” si giustificò, esibendo un sorriso finto da rivolgere a chi incrociasse per caso la sua figura.
Excella doveva tenerci molto a come appariva, sembrava quasi una di quelle dive che si mostravano sempre belle e sorridenti in pubblico.
Ma cos’era? Era un gioco per lei?
Nonostante assalita dall’irritazione, dovette comunque rispondere a quella domanda.
“Trentadue…ehm…trentatré.” si dovette correggere. Doveva ancora abituarsi all’idea di aver dormito per un anno intero.
Excella divagò con gli occhi, poi riprese a parlare con fare confidenziale. Fu forse in quel momento che Jill costatò che la bruna doveva essere molto più giovane di quanto sembrasse. Il suo atteggiamento, infatti, più che di una donna, sembrava essere quello di un’adolescente.
“Sei fidanzata, sposata…a parte la BSAA, cosa fai nella vita?” le chiese infatti, senza troppo riguardo.
Jill trovò assurda quella domanda. Cosa significava “a parte la BSAA”?
La BSAA rappresentava tutta la sua vita.
Quando avrebbe mai potuto dedicarsi ad altro?
Inoltre, perché avrebbe dovuto condividere con lei la sua vita privata!?
Anche se ne avesse avuta una, certo non si sarebbe lasciata andare in quel modo, magari per vedere lese le poche persone a lei care.
Certo, però… che quella domanda la indusse a riflettere.
Pensò a quante sue coetanee avevano una vita ben diversa dalla sua, magari con una famiglia, degli amici…
…ma per lei non era mai stato così.
Non era mai stata una ragazza troppo sentimentale e fin da giovanissima aveva scelto la carriera militare che era molto più vicina al suo modo di vivere.
Dunque, non conosceva le frivolezze tipiche di un’adolescente, né le era mai importato.
Tuttavia quella consapevolezza mosse qualcosa dentro di lei, facendole accorgere sempre di più di quel che aveva perduto e che mai più avrebbe ritrovato.
Infatti, a ferirla non era tanto il fatto di essere o no una ragazza spensierata, un soldato, una moglie, o chissà cosa… quel che la lacerò, in quel momento, fu che non aveva avuto la possibilità di scegliere.
Il destino aveva scelto per lei. Un destino nero, dagli scarlatti occhi crudeli…
Excella storse il naso a quel silenzio, ma in qualche modo comprese perché ella tacesse in quel modo. Quindi puntò la sua attenzione altrove, sbirciando le vetrine dei negozi.
All’improvviso quasi strattonò Jill, quando vide su un manichino un completo a lei molto gradito.
“E’ delizioso!” squittì eccitata.
Jill guardò subito il prezzo, più che il vestito.
Era una cifra veramente folle, e stava guardando soltanto quello della gonna. Se vi addizionava anche quello della giacca, maglia e scarpe, le venne quasi il voltastomaco.
Lei non si sarebbe mai neanche lontanamente avvicinata a un negozio come quello.
Excella invece sembrava entusiasta.
“Voglio provarlo.” annunciò, e trascinò dentro Jill.
La bionda assisté almeno a dieci cambi d’abito della donna, che sfilò per il negozio esibendosi senza remore.
“Non so proprio scegliere. Sono tutti stupendi! Certo che mi sta bene qualsiasi cosa. Vorrei sapere come fanno certi uomini a non desiderarmi.”
Quel ‘certi uomini’ attirò la sua attenzione. Stava parlando di Wesker?
“Tsk! Se ne pentirà un giorno.” farfugliò ancora, compiacendosi allo specchio. “Giuro che, secondo me, ci tiene più al gel o agli occhiali che a questo fiore di donna.”
A Jill scappò un sorriso.
Seppur l’avesse pensato, non aveva mai sentito parlare di Wesker in quel modo.
Stette ad ascoltare la bruna, che intanto cambiava un abito dopo l’altro, chiedendosi se davvero lo conoscesse.
In fin dei conti, da quel che lei sapeva, Wesker non aveva mai avuto degli ‘amici’ , o anche dei semplici conoscenti, neanche ai tempi della STARS. Dunque fu una situazione nuova per lei, che in qualche modo la divertì, facendola allontanare dai suoi pensieri cupi e devastanti, seppur per poco.
“Viaggia, si allena, studia, cura il suo prezioso lavoro, il suo savoir-faire…ma non se ne fa nulla della sua potenza e intelligenza se non sa come conquistare una donna!”
Continuò intanto, non tenendo per nulla a freno la lingua.
Si rivolse poi a Jill.
“Sai che ti dico? Io compro tutto. Alla faccia sua!” proclamò e tornò nel camerino per svestirsi.
“Uh, uh, uh… un piccolo dispetto che a lui non costerà nulla. Peggio per lui che mi crede così stupida.”
“Di cosa…sta parlando, Miss Excella?” chiese Jill, dovendo assumere un tono molto formale con lei per via del P-30.
Excella si affacciò dal camerino e consegnò alle sottili braccia della bionda gli ingombranti abiti che avrebbe acquistato.
“Semplice: questo è il regalo che mi ha fatto Albert per farsi perdonare.”
“C-cosa?” esclamò di getto.
Excella rise diabolicamente e, mentre si avvicinò alla cassa, estrasse una carta di credito dal portamonete in peluche, ricoperto di pailette.
“Questa è la sua carta di credito, tesoro.” specificò infine.
Mostrò la carta trionfante, lasciando Jill sempre più sgomentata.
La commessa la fece scorrere nell’apparecchio apposito, ed Excella tirò su un sospiro di piacere.
“Oh, sì…sento di averlo perdonato, ora.” disse, portando una mano al petto.
Jill scosse la testa non potendo credere a quel che stava vedendo.
Excella aveva trafugato la carta di credito di Wesker, e a sue spese aveva comprato tutti quegli abiti costosi?
Fu una scena molto divertente, seppur in cuor suo le dispiacesse un po’ per Wesker.
Poverino…non credeva avrebbe mai potuto pensare una cosa simile.
“Oh, aspetta!” disse all’improvviso Excella prima di uscire dal negozio.
Osservò un espositore di occhiali da sole, ove erano sistemate lenti dai colori e dalle forme più bizzarre.
Jill vide la bruna afferrarne un paio. A quel gesto, si voltò di scattò verso di lei e la guardò come per chiederle se li avrebbe acquistati sul serio.
Il modello che, infatti, la donna aveva fra le sue mani era blu, pieno di brillantini, e a forma di stella.
“Gli piacciono tanto gli occhiali, ed è giusto che, essendo soldi suoi, gli prenda almeno qualcosa.” Spiegò canzonatoria e si fece fare un bel pacchettino.
Inutile specificare che l’ex agente STARS rimase esterrefatta ancora una volta.
Era davvero un regalo quello…o era piuttosto un ennesimo dispetto?
Mentre uscirono dal negozio, questa volta definitivamente, Jill rifletté sul fatto che non avesse effettivamente mai fatto shopping in vita sua.
In effetti, era più solita fare altro tipo di acquisti.
L’unico shopping che conosceva era quello in compagnia di Chris nelle armerie, il che non era proprio la stessa cosa. Anche se era ugualmente divertente.
Comunque, poté dire, in conclusione, che fu piacevole essere uscita con Excella.
Forse, più che uscire con lei, era stato bello allontanarsi un’ultima volta da quel contesto malsano; quel credere per poche ore che esistesse ancora una vita normale per lei…
Tuttavia doveva tornare preso alla realtà, perché bastava riguardare se stessa per ricordare di essere prigioniera.
Per quanto potesse abbandonare tutto, non sarebbe mai riuscita a smettere di combattere.
Non poteva dimenticare chi fosse Excella, né che l’avesse portata unicamente per indispettire Wesker.
Rientrare nei laboratori sarebbe stato angosciante, adesso.
Probabilmente era stato ingenuo da parte sua sottovalutare la donna a tal punto. Ella le aveva mostrato come aveva potuto renderla la sua schiava senza alcun problema, costringendola persino a fingersi una sua ‘amica’. Il tutto con una semplicità e una disinvoltura che adesso la stava spaventando. Che fosse stata una messa in scena o meno, quel che fece battere il cuore angosciato di Jill fu quella sensazione di impotenza, ove solo la sua sanità mentale avrebbe potuto aiutarla a non soccombere del tutto.
Punita nuovamente dalla sua mente, rievocò quel che era accaduto in quella stessa giornata. Quella cavia morta in laboratorio, probabilmente così simile a lei…
Notare, infatti, come la bruna, fuori o dentro quei laboratori, fosse sempre la stessa, le trasmise un senso di disturbo che non riuscì a scacciare.
Jill cominciò a guardare la giovane Excella Gionne con occhi completamente diversi.
Lei stessa doveva essere impazzita a furia di vivere in quei laboratori… oppure il suo concetto di umanità non esisteva per nulla.


***


Erano passate le dieci di sera.
Albert Wesker era da poco rientrato nei laboratori Tricell.
Aveva un’aria stanca, ma nessuno sapeva dove fosse stato.
Portò una mano sui capelli biondi, sistemandoli indietro, poi sfilò la giacca scura, poggiandola sul divano.
Si sedette e rimase in silenzio, nel buio della sua stanza.
Sebbene desiderasse rilassarsi, questo termine era sconosciuto alla sua mente, che prese invece da sola a far mente locale sui preparativi per il suo imminente viaggio per l’Africa.
Gli rimanevano ancora un paio di faccende da sbrigare, vi avrebbe però provveduto l’indomani. Portò le dita sull’imboccatura del naso, massaggiandosi.
Egli si confuse nell’oscurità assoluta, illuminato appena dai raggi lunari che filtravano dalla grande vetrata al suo fianco.
Lo squillare del telefono tuttavia interruppe quel suo raro momento di pace.
Prese la cornetta svogliatamente e la poggiò all’orecchio.
“Sì?”
“Volevamo informarla che la dottoressa Gionne è appena rientrata nella sua stanza.”
Wesker chiuse il telefono, attendendo quella telefonata già da un quarto d’ora.
Osservò l’orologio e si sorprese che fossero già le undici. Dove diavolo era stata quella donna tutto quel tempo?
Seppur fosse visibilmente stanco, doveva tuttavia assicurarsi che Excella non avesse combinato nulla, e soprattutto che Jill fosse ancora con lei.
Così uscì dal suo appartamento e si diresse nella camera della bruna.
Il rintocco delle sue nocche risuonò inquietante nella stanza di Excella Gionne, la quale aveva appena messo a posto i vestiti comperati.
Ella sciolse i capelli, massaggiandoli e sistemandoli sulle spalle, poi ad agio aprì la porta.
“Buonasera, Albert.”
Disse serenamente, e gli fece segno di accomodarsi.
Wesker non si fece troppe remore e cercò subito Jill con lo sguardo.
Si sorprese di vederla truccata, con i capelli biondi sulle spalle, una camicia di seta rosa, una gonna e i tacchi.
Rimase a scrutarla appena dalle lenti scure, e persino Jill sembrò volergli dire che non era dipeso da lei quel suo modo di essere vestita.
Wesker inclinò la testa, poi si rivolse ad Excella.
“Mi hanno riferito che sei uscita portando Jill con te.”
“Sì, con ciò? Non l’avevi affidata a me?”
Wesker corrucciò appena la fronte, trovando inconcepibile quanto fosse ottusa quella donna.
“Ti ricordo che la credono morta, e finché posso, vorrei che passasse più inosservata possibile.” la rimproverò.
Excella mise le mani sui fianchi e divagò con gli occhi, infastidita, poi non curante se ne andò nella sua camera da letto.
“Sapevi che dovevo andare in città. Avevi detto che mi avresti accompagnata.” disse fermandosi sul ciglio della porta.
Wesker alzò le spalle.
“Ad ogni modo, elabora un abbigliamento che possa mascherarla. A Kijuju l’invieremo per alcune spedizioni e voglio evitare che qualcuno ci intralci, riconoscendola.”
Excella poggiò una mano sulla porta e lo guardò saccente.
“Oh, intendi che vuoi fare uno scherzetto al tuo caro amico, Chris Redfield?” disse pungente, consapevole di aver scagliato una freccia potente contro Wesker e la bionda.
Jill, infatti, sbandò a quella costatazione detta così d’improvviso.
Temeva il giorno in cui avrebbe sentito parlare di Chris. Sapeva che sarebbe successo…
Attese dunque cosa Wesker avrebbe risposto, spaventata.
Dal canto suo, l’uomo vestito di nero rimase impassibile. Portò poi una mano dietro le spalle di Jill, invitandola a seguirlo.
Fece così per abbandonare la stanza, ignorando completamente quella domanda.
Vedendolo andare via così velocemente, Excella sorrise velatamente.
Poco dopo, poi, gli corse incontro e gli allungò inaspettatamente un pacchetto e una carta di credito.
“Tieni e grazie.” disse.
Wesker guardò prima il pacchettino dalla forma rettangolare, poi la carta di credito, che riconobbe essere la sua.
Sembrava perplesso, sebbene la sua espressione fosse celata dagli occhiali.
“Non ricordavo di avertela data.” disse, ed Excella ridacchiò.
“Ah, no? Beh, spero che il mio regalino ti piaccia.”
Esclamò entusiasta, poi chiuse la porta, lasciando Wesker e Jill fuori dall’appartamento.
Wesker osservò di nuovo il pacchetto.
Se Jill non fosse stata sotto l’effetto del P-30, avrebbe già cominciato a ridere.
Si rimproverò di pensare una cosa simile in quel momento, quando avrebbe dovuto preoccuparsi ben di altro. Tuttavia quella scena fu irresistibile.
L’uomo scartò appena la carta, e in un primo momento non sembrò turbato. Forse l’idea di ricevere un ennesimo paio di occhiali da sole non lo disturbava affatto, anzi.
Tuttavia la sua espressione mutò di colpo quando aprì il cofanetto, e vi trovò dentro quelle lenti sgargianti a forma di stella.
Wesker non fu mai più serio come in quel momento.
Era un uomo glaciale di suo, per cui dire che fosse persino peggio, significava molto.
Egli guardò prima l’oggetto e poi Jill, per poi nasconderlo nella giacca e rigare dritto verso la sua stanza.
Jill non riuscì a trattenere il sorriso.
Costatò che Wesker non era un uomo capace di stare agli scherzi, dato come l’aveva presa seriamente.
Anche se quella reazione fu esilarante da vedere a occhio esterno.
Tuttavia dovette affrettarsi per stargli a passo, così lo raggiunse e presto fu di nuovo dietro di lui.

***





Okay, lo ammetto! xD
Con questo capitolo mi sono voluta lasciare un po’ andare a quell’aspetto un po’ più quotidiano, un po’ più comico, che nella mia mente spesso la fa da padrona quando amo una storia.
In verità, però, la sussistenza di questo capito, un po’ ‘fuori luogo’ a un primo sguardo, è invece ben ponderata.
Mi spiego.
Quel che volevo mostrare era un qualcosa di inquietante, a mio modo di vedere.
Ovvero come la crudeltà di quel che avviene nel contesto di resident evil, avviene con una freddezza tale che diviene quasi la “normalità”.
Excella in questo capitolo è stata la portavoce di questo concetto.
Approfittando del suo carattere scaltro, glaciale, affascinate, eppure infantile, ingenuo e civettuolo, ho potuto mostrare la riluttanza del mondo in cui vivono persone come lei.
La mattina uccide un uomo, una cavia, a sangue freddo, e poche ore dopo passeggia fra le vie di una cittadina, che potrebbe tra l’altro essere, un domani, un suo possibile target per diffondere Uroboros…
La contraddizione di contesti simili, eppure miscelati normalmente nella sua vita quotidiana, è un concetto inquietante e disturbante.
Il mio intento dunque era creare questa atmosfera agro-dolce, che divertisse, ma inquietasse allo stesso tempo. Spero di esserci riuscita.
Un ultimo appunto da fare.
In questo capitolo si è mosso un altro tassello verso RE5, ovvero Jill come “il pupazzo di Excella”, come dice Irving in una scena del gioco.
Per questo ho fatto affidare Jill ad Excella.
Volevo evidenziare questo passaggio, che per me è importante dato che, ripeto…mi sto avvicinando al finale, ovvero a resident evil 5, quindi queste sono sfumature che mi preme vengano colte.
Grazie mille a chi mi sta seguendo! Fatemi sapere cosa pensate di questa storia, ne sarei davvero felice.^^
Un grazie speciale ad Astarte90 soprattutto, per le sue recensioni così articolate e sentite, soddisfacenti e lusinghiere per chi come me scrive volendo comunicare vivamente quel che crede, e lo fa con passione, lavoro e dedizione. Thanks! <3

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Capitolo 13
*** Capitolo 13: l'ultimo residuo di umanità ***


 


THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE

 
 
 


 
CAPITOLO 13
 
 
 


Qualunque cosa tu stessi cercando, non l’avresti mai trovata. Questo perché avevi già distrutto tutto.
 


***
 
Jill passò tutta la notte a vigilare su un accampamento. L’oscurità era padrona di quella splendida notte stellata.
Il lungo mantello scuro che aveva addosso ondeggiò quando ella si girò per dirigersi altrove.
Esso la copriva interamente fino ai piedi, lasciando delineato appena il suo corpo femminile. Il cappuccio invece celava completamente il suo capo.
La ragazza portò una mano sul viso, sfiorando appena quella maschera a forma di becco, con due scintillanti occhi rossi, che oramai rappresentava la sua nuova identità.
Jill Valentine non c’era più.
Ella era divenuta l’arma biologica perfetta, dotata di forza, intelletto, obbedienza totale.
La sua mente, rivolta al tempo in cui era prigioniera in quelle celle del laboratorio, provò quasi rimpianto, ora che poteva essere libera di camminare in quel bosco, tuttavia sottomessa al volere del suo carnefice.
Osservò l’accampamento di fronte a se. I suoi occhi si focalizzarono sulle tende rovinate e stropicciate, il focolare oramai ridotto in cenere, e le ciotole di cibo disposte casualmente sul terreno. Tutto era sporco e distrutto.
Prese un frammento di ceramica fra le mani e lo roteo fra le dita.
Era il residuo di una vita oramai spenta, racchiusa in quel coccio, ancora sporco di cibo.
Perlustrò il luogo ancora per qualche minuto, ma ben presto si rese conto che non vi era rimasto più nulla. Così si affrettò a tornare nei laboratori.
Arrivò velocemente a destinazione. Camminò come conoscendo perfettamente quel posto, mentre, chi incrociava la sua figura, la lasciava passare col preciso ordine di non intralciarla.
Il Doctor Pleague era il nuovo esperimento di Albert Wesker ed Excella Gionne, dunque loro erano i soli che avrebbero disposto per lei.
Erano circa le tre del mattino, ed ella entrò silenziosa in una stanza dalla finestra. Era nell’appartamento dell’uomo biondo vestito di scuro.
Egli le aveva appositamente lasciato la grande vetrata in salotto aperta, questo perché attendeva il ritorno della ragazza.
Adesso che lui aveva ottenuto la sua ‘alleanza’, poteva approfittare della sua forza per sbrigare quelle faccende a lui più scomode e noiose, in modo da dedicarsi ai preparati per la sua imminente partenza.
Egli in quel momento era seduto sulla scrivania davanti a un computer, intento a perfezionare un documento a quell’ora tarda della notte.
Indossava i suoi soliti occhiali neri, nonostante il buio della notte, illuminato dalla sola luce dello schermo.
Sembrava non avere alcuna intenzione di dormire, essendo ancora vestito con la sua solita tenuta in fibra di carbonio.
Alzò lo sguardo soltanto quando vide la donna mascherata sul ciglio della porta che lo osservava.
Deformò appena le labbra, per poi avvicinarsi a lei, muovendosi nelle tenebre.
“Bentornata, Jill.” disse canzonatorio, superandola e dirigendosi nel salone principale.
La donna lo seguì, facendo intanto il rapporto della situazione.
La sua voce risultò più meccanica del solito, essendo modulata da un microfono presente nella maschera che indossava.
“L’ ispezione è conclusa. Non è rimasto più niente.”
L’uomo annuì e si fermò al centro della stanza. Alle sue spalle, la tenda ondeggiava, illuminata appena dalla bianca luce eterea della luna.
“Siamo in partenza, lo sai? Presto saremo in Africa.”
Jill abbassò il capo. Stavano dunque davvero per dirigersi nel covo ove aveva avuto origine il progetto Uroboros.
Il biondo le si avvicinò leggiadro, come una pantera in piena caccia di notte, ove i suoi occhi erano i soli a risplendere nel buio.
Una volta di fronte a lei, osservò la ragazza, che gli arrivava circa all’altezza del petto.
Le sollevò il viso sfiorandola sotto il mento con la punta delle dita, sfilandole poi delicatamente la maschera dai bulbi rossi.
Rimase a guardarla per qualche istante, come perso in quell’immagine piena di contrasti.
Il buio, la notte, e quel lungo mantello nero, ove sotto vi era nascosta quella donna dai lineamenti delicati, pallida, meravigliosa.
Ella aveva ancora il cappuccio sulla testa, e lo guardava in modo passivo, non potendo dare liberamente sfogo alle sue emozioni.
Nel suo animo, la ragazza era esausta ed infastidita.
Cercava con tutte e forze di non cedere, di mantenere il sangue freddo, ma il suo mondo stava oramai vacillando ancora una volta.
La sostanza che le scorreva in corpo la costringeva ad una lotta continua contro se stessa.
Sapeva di dover continuare a combattere per non venirne soggiogata del tutto, ma oramai era stanca.
Voleva solo che tutto questo finisse. In tutto questo, l’uomo che era di fronte a se, era stato capace di farla crollare ancora una volta.
Wesker portò la mano libera sul capo della bionda, facendole scendere il cappuccio, accorciando in seguito la distanza che vi era fra i due.
Jill si sentì leggermente a disagio per quel contatto così intimo con lui.
Egli si perse nuovamente nei lineamenti della giovane, della quale poteva finalmente ammirare il viso, contornato dai morbidi capelli biondi.
Le scostò una ciocca, continuando a fissarla col suo viso di marmo, del tutto privo di qualsiasi espressione.
Abbassò poi il capo verso di lei, sfiorandola e facendole sentire il suo respiro sulla sua candida pelle.
Ancora alterata per le rivelazioni apprese in quei giorni, la donna lì per lì non comprese cosa egli stesse facendo.
Sentì tuttavia il suo corpo irrigidirsi, esattamente come era successo l’ultima volta.
Temette immediatamente quella situazione. Temette di risentire dentro di se quei violenti impulsi che lo volevano inspiegabilmente vicino a se.
Ogni parte del suo corpo respingeva e desiderava la vicinanza di Wesker allo stesso tempo. Tuttavia non poteva accettare colui il quale la stava trasformando in una macchina diabolica, sottomessa al suo volere. Ogni speranza avrebbe solo rappresentato una falsa illusione, lo sapeva bene.
Eppure, seppur non l’avrebbe mai ammesso, Jill desiderava essere ingannata ancora una volta da lui. Probabilmente, era proprio il momento crudele e meschino della menzogna l’unico nel quale poteva chiudere gli occhi e lasciare che si avvicinasse il principe nero dei suoi incubi. Quel momento fatale che le rendeva possibile credere ancora in tutto.
Seppur inconcepibile, quel senso di odio e di repulsione verso di lui, la dannava e la rendeva desiderosa di lui in una trappola senza via d’uscita. Un rapporto proibito dalla sua mente, ma che rendeva meraviglioso il contatto del suo respiro sulla sua pelle.
Era il P-30 a farla sentire così? Era sottomessa a lui fino a questo punto? Oppure era proprio la presenza di Wesker?
Non riusciva a spiegarsi quei sentimenti.
Ogni parte del suo corpo lo odiava e lo desiderava allo stesso tempo.
Come era possibile una realtà simile, si chiese. Tuttavia era in quel modo struggente che si articolava la tormentata relazione di Albert Wesker e Jill Valentine.
Quel criminale crudele e spietato, in nome del quale aveva rinunciato alla sua vita, diventata una lotta perpetua e maledetta, era allo stesso tempo padrone del suo cuore, e non soltanto perché la possedeva. Era anche perché, in una parte remota dentro di sé, ella desiderava essere sua.
Allo stesso tempo, sarebbe fuggita immediatamente da lui, consapevole che non era altro che una macchina assassina.
Eppure in quel momento, anch’egli sembrava desiderare quel contatto umano che probabilmente aveva rinnegato per tutta la vita.
Egli si era dunque stancato della solitudine, di quella lotta amara che gli aveva causato più pene che vittorie?
Cosa cercava ancora nelle sue ricerche, allora?
Egli era solo, completamente solo.
Qualunque cosa lo circondasse, era perduto o distrutto.
Era per questo che il cuore di Jill si lacerava al contatto con la sua pelle.
Sentiva il bisogno di Wesker di lasciare tutto, ma di non essere oramai capace di farlo, ingabbiato forse più di lei in quella realtà.
L’uomo fece scorrere il suo viso su quello della sua ‘nemica’ e le sfiorò appena le labbra.
Tuttavia non la baciò, rendendo struggente per la giovane dai capelli biondi quella vicinanza.
Lui si allungò verso il suo orecchio e prese a parlarle a bassa voce.
Ella poté sentire il suo fiato tenue sul collo, mentre muoveva le labbra quasi attaccato a lei.
“Tutto ciò che si crea, può essere distrutto.” proferì inaspettatamente, come abbandonandosi alle parole.
Si allontanò appena da lei, e inaspettatamente le mostrò, a due dita di distanza, una capsula con su scritto una serie di lettere e cifre.
“La vedi, questa?” disse, muovendo l’oggetto tra le sue dita.
Jill corrucciò le sopraciglia cercando di leggere.
‘PG67A / W…’
cosa era custodito in quel vetro?
Vide Wesker sorridere appena, con un’espressione amara, come fosse straziato dentro.
Riconobbe in lui, ancora una volta, quel viso angosciato che rifletteva i suoi turbamenti personali.
“Dopo che sono morto, trafitto dal Tyrant nei laborati Arklay, questa mi ha permesso di mantenere inalterata la mia mente. Come tutti i nostri esperimenti, eseguiti in più parti del mondo, anche il virus che ho in corpo è instabile.”
Pronunciò con disillusione, osservando egli stesso quella fiala.
Sorrise di nuovo, per poi rivolgersi verso la bionda con un tono leggermente provocatorio.
“Una dose quotidiana di questa può salvarmi, ma una dose eccessiva, invece…mi avvelenerebbe.” Pronunciò con una fastidiosa calma, trafiggendo Jill con suoi occhi.
Jill sgranò gli occhi, comprendendo di avere a un centimetro di distanza la chiave per sconfiggere Albert Wesker, la chiave per sconfiggere i suoi incubi…
Seppur impercettibile, una goccia di sudore scorse sul corpo, facendola tremare.
Perché lo stava mostrando proprio a lei?
Voleva torturarla mentalmente, facendole vedere con i suoi occhi ciò che l’avrebbe potuto uccidere, proprio perché ella era impotente per via del P-30?
Egli si avvinò di nuovo, poggiandosi sulla sua fronte.
“Morirò. Non adesso, non domani. Ma presto.”
Jill non riuscì a comprendere quelle parole. Cosa stava cercando di dirle?
Perché la stava rendendo partecipe di un segreto simile?
“Quando ciò accadrà, sarai tu a dire, a tempo debito, di trovare questa fiala ed usarla contro di me.”
Wesker sembrava impazzito.
Era come se una parte di lui desiderasse la sua stessa morte, oppure…stava cercando di provocarla?
Nulla fu più chiaro nella sua mente, che si trovò nel subbuglio più completo.
“Chris Redfield…o tu. Chi dei due sarà?” chiese lui quasi a se stesso, deformando le labbra in un ghigno.
La donna sentì tutta la frustrazione che regnava nell’animo di Wesker.
In quel momento, in cui avrebbe soltanto voluto avere la forza per sfilargli quella fiala di mano e iniettargliela nel collo, sentì invece il suo cuore straziarsi.
Seppure fosse ingenuo e incosciente credere alle sue parole, credere a quel viso affranto celato da quell’espressione glaciale, il suo corpo si mosse senza che se ne rendesse neanche conto.
Tese le sue mani verso di lui, facendo sprofondare le dita sui suoi capelli biondi. Premette poi sul suo collo, avvicinando l’uomo vestito di nero a se.  
Sentì il viso di Wesker al di sopra della sua spalla, il quale si lasciò guidare da quelle braccia, non aspettandosi neanche lui di ricevere un gesto simile da parte di lei.
In cuor suo, Jill avrebbe voluto credere che sarebbe bastato questo a farlo desistere da ogni suo piano, a farlo marciare verso altro, magari per fuggire da quella realtà e sparire per sempre.
Ma sapeva che non sarebbe mai stato così.
Sapeva che non sarebbe stato da Albert Wesker, altrimenti.
Seppur bisognoso, in una parte ancora viva dentro di sé, del calore tipico dell’affetto umano, egli aveva da sempre allontanato da se quel tipo di sentimento.
Il suo corpo rigido e statuario, rimase freddo al contatto di Jill, che fu la sola a partecipare a quel tenue abbraccio.
Wesker era lontano da qualsiasi forma di amore. Quell’aspetto della vita di un uomo non gli era mai appartenuto.
Nonostante sentisse vibrare qualcosa di diverso nel suo corpo, non riuscì a provare nulla.
Smosso, tuttavia, da quel contatto, fu bramoso di scoprire cosa guidasse quei sentimenti che non poteva comprendere.
Si sollevò dalla spalla di Jill, per sfiorarle un’ultima volta la morbida bocca.
Ella pareva voler assecondarlo, e quel desiderio pulsò anche dentro di lui.
Si limitò però solo ad avvicinarsi appena, curioso di scoprire se potesse ancora sentire qualcosa verso un altro essere umano.
Erano sentimenti sconosciuti e rinnegati, che oramai poteva sentire soltanto nel buio assoluto dei suoi pensieri.
Per questo si allontanò.
Per questo indietreggiò e fece sì che la donna si staccasse dal suo corpo.
Ogni residuo della sua umanità lo torturava, tormentandolo interiormente fino a fargli male.
Un dolore al quale non poteva dare un nome.
Per questo scacciò via, ancora una volta, quel che di umano gli era inesorabilmente rimasto, non essendo ormai più capace di provare qualcosa per qualcuno.
Un’umanità assaporata quella notte, sotto la pioggia con la stessa donna che anche adesso aveva di fronte, e stava scacciando ancora una volta. Quell’umanità intesa, meravigliosa, ma stupida, evanescente, violenta e crudele.
 Jill rimase attonita, sentendo il peso di quella situazione devastante.
Socchiuse gli occhi, mentre l’ansia cominciò ad assalirla, facendola sentire stupida ancora una volta.
Era tutto inutile. Era troppo tardi. Nulla avrebbe mai più salvato né lei, né Wesker.
Si chiuse dunque nella desolazione che albergava nel suo cuore.
Osservò distrattamente Wesker.
Egli avanzò verso la lunga vetrata che rivestiva un’intera parete in fondo alla stanza.
Lo vide portare le mani dietro la schiena, perdendosi in pensieri che lei non avrebbe mai potuto conoscere.
Abbassò il viso, risentita verso se stessa, verso la sua ingenuità che inspiegabilmente desiderava ancora comprenderlo e cambiarlo, consapevole che tutto ciò non avesse alcun senso.
Vide di nuovo la fiala che Wesker aveva fra le sue mani e strinse gli occhi.
Wesker credeva forse che per lei sarebbe stato facile ucciderlo..? Credeva forse che lei desiderasse soltanto questo..?
Era così che lui aveva creduto di torturarla?
Sì, in effetti lui era riuscito a torturarla in quel modo, ma non per quel motivo, non perché desiderava ucciderlo…
Avrebbe potuto ingannare tutti, persino se stessa, ma non il suo cuore, che impazziva alla sola idea che anche lui scomparisse per sempre dalla sua vita.
Quel gioco crudele che lui aveva con lei la feriva per questo, perché lui non avrebbe mai compreso quel concetto ampio e contraddittorio dei “sentimenti”, continuando a credere solo a quella visione del mondo che lui stesso aveva creato, circondandosi di solitudine.
Jill…desiderava mettere fine ai suoi incubi, desiderava non rivedere mai più quel viso. Ma allo stesso tempo, temeva con tutta se stessa il giorno in cui sarebbe successo davvero.
Wesker si voltò d’improvviso, attirando l’attenzione della ragazza, che tuttavia lo vide solo dirigersi a passo veloce verso la sua camera da letto.
Seguì i suoi movimenti, finché egli non sparì oltre la porta.
Mentre si inoltrava oltre la soglia, lui si voltò appena, rivolgendole il suo sguardo attraverso gli occhiali neri, che in quel contesto notturno trasmettevano un che di inquietante.
“Dormi, ne avrai bisogno.” disse, poi chiuse la porta dietro di se, lasciando la ragazza sola  nel buio dell’appartamento.
 
Jill Valentine stette in piedi a fissare il vuoto, illuminata dal bagliore bluastro della luce notturna per diverso tempo. Non seppe quanto, con esattezza.
Sentiva solo qualcosa fremere dentro di se, e questo accadeva ogni qual volta incontrava Wesker.
Solitamente era per via della sua vicinanza, che nonostante gli anni, continuava a turbare il suo l’animo, che era assai combattuto, diviso tra ragione e sentimento.
Eppure andavano in contrasto anche loro.
Non vi era nulla di razionale in quel che sentiva per lui.
Se avesse voluto descrivere quel che sentiva, non avrebbe mai trovato le parole giuste che avessero potuto includere ogni pezzo del mosaico che costituiva nel suo insieme il rapporto che viveva con lui.
Avrebbe provato soddisfazione quando sarebbe morto, oppure avrebbe pianto?
Dentro di se, sapeva che quell’uomo non meritasse alcuna lacrima.
No, non avrebbe pianto.
Albert Wesker non meritava pietà, non meritava comprensione.
Nonostante ciò, la consapevolezza di aver visto fra le sue mani quello che poteva rendere vulnerabile quell’uomo sovraumano, la sconvolse.
Non poté fare a meno di pensare che sarebbe bastato trafugarla, e tutto sarebbe finito. Wesker sarebbe morto…
Quel pensiero tuttavia la straziò. Desiderava davvero che lui morisse?
Aveva sempre inseguito Wesker, ovvio che fosse così.
Eppure, una parte di lei, avrebbe voluto non conoscere l’esistenza di quella sostanza. Avrebbe voluto continuare a rincorrerlo per sempre.
Sapeva però anche che il suo scopo era punirlo per ciò che aveva fatto, per ciò che l’Umbrella aveva compiuto.
…E invece, adesso scopriva di non essere pronta…
Strinse gli occhi.
Non doveva cedere!
Era lo scopo della sua vita, era normale che fosse nervosa.
Cercò di spiegarsi razionalmente il perché di quei turbamenti, ma l’animo delle persone può essere spesso molto irrazionale.
In quel momento, quello di Jill Valentine, era nel subbuglio più completo.
Con la morte di Wesker, la sua storia non sarebbe finita.
La lotta contro il bioterrorismo sarebbe continuata, perché ciò che si era instaurato era un ciclo continuo di rivendita delle B.O.W. sul mercato nero.
Si sarebbe dunque chiuso soltanto quel capitolo, avrebbe tolto di mezzo solo colui che l’aveva coinvolta in quella storia, ma certo non avrebbe riavuto la sua vita indietro…
In tutto questo, si domandava…era davvero pronta a chiudere quel capitolo?
Lo era! Certo che lo era! Lo doveva essere!
Lo doveva essere non solo per se stessa, ma anche per Chris, per la B.S.A.A., per tutti i suoi amici, colleghi, per Raccon City, per tutti coloro che erano stati strumentalizzati per quella folle ricerca, per i milioni di morti, per coloro che erano andati incontro a quel destino nefasto…
…per questo non poteva cedere.
Suppur il P-30 le impediva di ribellarsi, poteva comunque essere libera di accumulare quante più informazioni possibili.
Doveva prepararsi per il giorno in cui sarebbe riuscita a mettersi in contatto con Chris Redfield. Avrebbe avuto la sua occasione prima o poi, e avrebbe dovuto essere pronta.
Così decise di sfruttare quella sua occasione.
Non poteva rubare quella fiala per via del P-30 che le impediva di ribellarsi a lui…ma…attingere notizie non significava ribellarsi.
Ricordò che, quando era entrata in quell’appartamento, Wesker stava scrivendo qualcosa nel buio della sua stanza.
Era passata all’incirca un’ora da quando lui era andato a letto…era possibile che dormisse?
Sapeva che quella fosse una possibilità su un milione, tuttavia poteva fingere di aver sentito qualcosa, semmai l’avesse trovato sveglio.
Dunque, camminò piano nel corridoio, e delicatamente girò il pomello per affacciarsi nella sua camera.
Essa era buia, e lui non si vedeva in piedi.
Sbirciò più attentamente, cominciando ad avanzare.
Vide la sagoma dell’uomo posizionata di spalle sotto delle lenzuola di seta.
Si avvicinò cautamente, ma in quel buio era impossibile stabilire se stesse dormendo o meno.
Deglutì quando, spostando appena la tenda per far entrare un po’ di luce lunare, si accorse del suo viso addormentato.
Seppur con la sua solita espressione seria, i suoi occhi chiusi e quel volto rilassato creavano un’immagine abbastanza insolita da vedere su di lui.
I suoi capelli biondi non erano perfettamente lisciati all’indietro, e cadevano morbidi, appena un po’ scomposti, sul viso.
Senza accorgersene, Jill rimase immobile, con le mani sulla tenda e il viso verso di lui, per una buona manciata di secondi.
Non si era mai chiesta se trovasse Wesker bello.
Certo, era un uomo attraente, con un carisma innegabile nonostante tutto il marcio e la crudeltà che vi fossero dietro. Tuttavia raramente l’aveva valutato come uomo.
All’epoca della S.T.A.R.S. era rapita dal suo fascino, dalla sua risolutezza e capacità intellettiva, ed in un certo senso, era così anche adesso. Questo l’aveva fatta incantare di lui. Ma non si era mai fermata a riflettè se lei lo trovasse bello.
Sentì il viso accaldarsi inspiegabilmente, ma non volle cadere in certe trappole adolescenziali.
Doveva affrettarsi e approfittare di quell’attimo.
Così scacciò via quei pensieri e si sedette sulla sedia di fronte la scrivania ove era stato lasciato il computer portatile personale di Wesker.
Lo accese, sperando che la luce emessa dallo schermo non lo disturbasse. Si voltò, sbirciando in sua direzione, ma egli era immobile.
Doveva tuttavia agire in fretta, così accedette alla memoria del computer per risalire agli ultimi documenti che lui aveva aperto.
Sbarrò gli occhi quando lesse il nome del file più recente. Vi era scritto:
-Wesker Albert report-
Il suo cuore prese a battere, ma non indugiò. Con la calma tipica del soldato che era stato, proseguì con la ricerca, aprendo il file.
Molte date scorsero sotto i suoi occhi, e risalivano a più di vent’anni prima. Ventinove, con esattezza.
1978 …1981…1983…1988…1995…1998…
Dalle parole usate da Wesker, comprese che quel documento fosse stato scritto molto prima. Probabilmente risaliva al tempo in cui lui li aveva traditi.
Fu incuriosita di leggere su un Wesker diciottenne, ma non lo ritrovò molto diverso da come lui era effettivamente oggi.
Avrebbe voluto avere il tempo per leggere con calma, ma doveva essere capace di comprendere al volo cosa potesse esserle utile da quell’insieme di notizie.
Sbirciò appena le immagini allegate nel documento e non poté fare a meno di rabbrividire. Non solo di quelle foto, ma anche della scioltezza e la freddezza con cui egli trattasse certi argomenti.
Il cuore le salì in gola quando, facendo mente locale, riconobbe il mostro che girovagava per la villa sui monti Arkay.
Lisa Trevor…allora…anche lei.
Portò una mano sulla fronte, abituata a leggere notizie simili, ma non ancora così insensibile da rimanere indifferente. Quella povera bambina…
Ricordava ancora quel corpo deformato, le catene che l’imprigionavano, ma soprattutto…le sue urla di dolore.
Ricollegarle ora a quella bambina tenuta prigioniera l’afflisse.
La cosa che la straziò maggiormente fu ricordare cosa ella aveva esclamato vicino una tomba, prima che si lanciasse nel vuoto, ponendo così fine alla sua esistenza: “…madre…”
Era ancora tutto così nitido nella sua mente. Ogni singolo episodio, ogni singolo particolare di ciò che aveva veduto in quella villa maledetta.
Era come se tutto fosse ancora davanti ai suoi occhi.
Non poteva tuttavia perdersi nel dolore proprio adesso.
Continuò a sbirciare, ma furono troppe le notizie che attirarono la sua attenzione.
Riconobbe il caso Ashford, raccontatole da Chris e da sua sorella Claire, e a quanto pareva Wesker aveva raccolto dei dati anche sul Nemesis da lei stessa affrontato prima di riuscire a fuggire da Raccon City…nonché ritrovò anche i dettagli sulla sua stessa missione sui monti Arklay.
Si chiese se Wesker non avesse parlato anche di lei, lì, da qualche parte.
Fece scorrere più lentamente quella pagina, non sperando di trovarvi scritto qualcosa, ma si fermò quando riconobbe il suo nome e quello dei suoi colleghi S.T.A.R.S. .
Lesse qualche riga, ma si fermò.
Era già straziante di suo quel che era successo. Voleva dunque davvero sapere cosa lui avesse scritto di lei?
No…probabilmente voleva preservare il suo cuore almeno da questo…
Quel che lui aveva fatto a lei…a Barry…usandolo come un Giuda…a Chris e agli altri…
Quel ricordo fu doloroso solo rievocarlo.
Leggere come fossero stati tutti, compresa lei, soltanto delle pedine, era una consapevolezza che aveva già dentro di se.
Dunque risalì alla prima pagina, cominciando a leggere gli albori della sua carriera nell’Umbrella Corporation. Magari lì avrebbe trovato indizi utili per risalire alla natura dei virus da lui creati, da sfruttare a suo vantaggiò e contrastare il contagio.
Quell’istante però non durò a lungo.
Questo perché, all’improvviso, una mano premette energicamente sullo schermo chiudendo violentemente il computer, senza darle possibilità di far nulla.
Jill si immobilizzò all’istante comprendendo che Wesker fosse dietro di lei.
“Hai letto già troppo, Jill.” disse glaciale.
La ragazza sentì dietro di sé il suo corpo, mentre l’avvolgeva con il suo braccio sinistro appoggiato sul coperchio del computer portatile.
Ella si girò appena verso di lui, con un viso serio e inquieto.
Lui invece era duro e tenebroso, infastidito di vederla lì.
Il suo petto era nudo, lasciando vedere così il suo corpo allenato e longilineo, che in quel contesto trasmise ancora più imponenza negli occhi smarriti della giovane Jill Valentine.
Lei lo guardò cercando di presagire una sua possibile mossa, ma lui fu più veloce di lei.
Di scattò, infatti, l’afferrò per il collo del lungo mantello scuro che l’avvolgeva, e la strattono via dalla sedia.
La ragazza, travolta dalla sua forza, si rimise a stento in piedi, non potendosi divincolare in nessun modo.
Lui la trascinò senza difficoltà, schiacciandola poi contro il muro con fare minaccioso.
Strinse di più la sua mano sul tessuto, premendole sul collo, e con l’altra le girò a forza il viso verso di lui, ponendosi a due dita di distanza.
Stavolta, però, quella vicinanza non fu per nulla intrigante e suadente come lo era stato precedentemente.
Jill sentì la paura prendere il sopravvento, non riuscendo nemmeno a guardare quegli occhi rossi furenti.
“Ci divertiamo, mia cara, a scherzare col fuoco. Oh, Jill, sei fastidiosamente ingenua quando ti comporti così.”
Rise lui crudelmente, soffocando la ragazza con la sua presa.
“Obbiettivamente mi hai preso di sorpresa stavolta. Eri stata fortunata a trovarmi addormentato. Ma la fortuna consiste in un attimo, e a te non sarebbe mai bastato. Una cosa posso dirtela, però: non avresti trovato nulla di tuo interesse. Tutto ciò che vuoi sapere, è soltanto qui…” disse picchiettando con l’indice sulla sua fronte.
A quel punto, la strattonò di nuovo e la buttò con violenza sul materasso.
Jill si ritrovò libera dalla sua presa, ma non potette fare nulla per spostarsi da lì.
Le iniezioni del P-30 erano fortissime.
Si ritrovò così soltanto spaesata sul letto, confusa per la veemenza con cui lui l’aveva strattonata.
Non fece in tempo a formulare qualsiasi pensiero di senso compiuto che potesse aiutarla a reagire in qualche modo, che lui si mise in ginocchio sul letto di fronte alla ragazza, per poi protrarsi sopra di lei, afferrandola per i polsi.
Il suo sguardo diabolico mise in allarme Jill, che si fece assalire dal panico più completo.
Wesker rise come un folle, divertito da quegli occhi spaventati.
Egli si piegò su di lei fino a esserle vicinissimo.
Jill strinse istintivamente gli occhi, mentre il suo cuore palpitò forte, terrorizzata di essere in balia di lui.
Avrebbe voluto scacciarlo con tutte le sue forze, ma ogni suo tentativo le si rivoltava contro, costringendola ancora di più al volere del P-30.
Sentì il robusto corpo scolpito di Wesker attaccato al suo, e provò sia paura che eccitazione al suo contatto, ma non voleva in nessun caso che lui si avvicinasse ulteriormente a lei.
D’improvviso, Wesker mosse le labbra e con voce calda e suadente le bisbigliò.
“Hai paura… Jill?”
Disse provocatoriamente, rimanendo a fissarla dall’alto.
Jill non rispose. Rimase immobile a guardarlo, con gli occhi sgranati, accaldata e sconvolta.
Wesker rise fra i denti, poi stette anch’egli in silenzio per qualche istante.
Accennò un sorriso beffardo.
“Preparati, Bird Lady. Siamo pronti per la partenza.”
Pronunciò con fare saccente, annunciando il suo intento di partire. Spostò poi le gambe e andò via da sopra di lei.
La bionda rimase sdraiata sul letto, incapace di muoversi, incapace di fare qualsiasi cosa.
L’uomo indossò i suoi immancabili occhiali scuri poggiati sul comodino di fianco al letto, e aprì la finestra.
Stava lentamente sorgendo il sole, anche se era ancora abbastanza buio fuori.
Egli rimase assorto ad ammirare il paesaggio boscoso un’ultima volta. Subito però s’inoltrò di nuovo nella stanza, avvicinandosi all’armadio e prendendo la sua maglia nera. La infilò e alzò la zip.
Passò poi una mano fra i capelli, aggiustandoli con un solo tocco, nonostante comunque stessero già al loro posto.
In seguito abbandonò la stanza, lasciando finalmente Jill sola e quindi libera di prendere respiro.
La ragazza ansimò fortemente prima di riprendersi, completamente sotto shock.
Tuttavia dovette alzarsi. Wesker la stava chiamando e lei non poteva disobbedire.
 
Nonostante l’aria pesante che vigeva fra i due, questi percorsero un lungo tratto di strada assieme.
Il sole ora sorto e illuminava i laboratori con le prime luci dell’alba, tinteggiando quel luogo di un arancione simile al giallo.
Era un gioco di luci meraviglioso da vedere, peccato per il luogo in cui questo si era manifestato..
Wesker e Jill raggiunsero l’aeroporto interno all’edificio. Jill fu quasi abbagliata da quell’improvvisa e forte luce mattutina, nonostante fosse protetta dalla maschera a forma di becco che di nuovo nascondeva il suo viso.
Presto furono raggiunti anche da Excella Gionne, che indossava degli appariscenti occhiali da sole, e sembrava imitare in qualche modo Wesker stesso.
La donna si affiancò a Wesker e insieme varcarono lo sportello per entrare dentro l’aereo privato.
Jill invece accedette da un altro ingresso, con l’ordine di vegliare sul materiale da loro trasportato. Così ella rimase sola tutto il tempo, nel più cupo silenzio, mentre attendeva di giungere a destinazione, sicura che stava per essere portata, ancora una volta, in un incubo ancora peggiore.
Si sedette a terra e piegò la testa fra ginocchia, potendo soltanto approfittare di quel momento di solitudine per essere sola con se stessa, nonostante non fosse esattamente piacevole.
Quando era sola, Jill non riusciva comunque ad allontanarsi dai suoi incubi. Mai.
La sua mente tornò a quel che era accaduto quella notte, in cui nuovi dubbi erano sorti, nuove complicazioni con le quali ben presto avrebbe fatto i conti.
Altrove, Excella e Wesker erano accomodati su dei divani e stavano facendo colazione insieme.
La bruna avvicinò a se una tazza di the, sorseggiandolo a piccoli sorsi. Si rivolse poi a Wesker guardandolo con fare accattivante.
 “Dunque presto saremo arrivati. Inizieremo subito?”
Wesker si rilassò sullo schienale del divano e accavallò elegantemente le gambe, incrociando poi le mani all’altezza dell’addome.
“Ovvio, salvo imprevisti. E’ tutto pronto lì?”
“Sì, stanno solo aspettando noi. Uroboros è pronto per essere testato. Chi sceglieremo per questo ‘onore’? La tua preziosa Jill Valentine?”
Chiese provocatoriamente lei, ma Wesker non batté ciglio.
Anzi, sorrise e si piegò appena verso di lei.
“Esatto, Excella.”
I due sorrisero diabolici, con la sola differenza che Excella non sapeva ancora di essere anche lei, a sua volta, solo una sua pedina nel suo piano.
Per questo Wesker sorrise, quasi deridendo quella sua ingenuità.
A un certo punto, vide anche Excella ridere velatamente, al che si incuriosì.
“Lo trovi divertente?” chiese.
“Ho sentito un bel po’ di baccano provenire dalla tua stanza, verso le quattro e mezzo del mattino…” dopodiché rise di nuovo. “Dormito bene, Albert?”
Wesker lì per lì la guardò perplesso.
Stesso lui rimase sorpreso da quella improvvisa battuta davvero maliziosa.
Si adagiò di nuovo sul divano e rispose tranquillo.
“Ho dormito benissimo.” disse quasi volendo sviare Excella, tanto per divertirsi, poi aggiunse “Piuttosto, non eri gelosa di Jill?”
Excella posò la tazzina di the puntando il suo sguardo sul tavolino posto fra di loro.
“Sì, lo so. Tanto però l’ho capito. A te lei piace, vero?” chiese ammaliante, come se anche lei volesse provocarlo, e lo fece con una disinvoltura inquietante.
“Cosa te lo fa pensare?” rispose lui ad agio, tuttavia interrogandosi egli stesso su cosa effettivamente stesse accadendo fra lui e Jill.
Vide la donna dai capelli neri abbozzare un sorriso, per poi alzarsi e sedersi accanto a lui.
Ella si appoggiò appena sul suo petto, portandovi una mano sopra.
Alzò il viso verso di lui, ma Wesker non ricambiò.
Egli era immobile, completamente impassibile al contatto di lei.
“Certe cose le donne le sentono. Ma non preoccuparti, ci penserò io a fartela dimenticare.”
Wesker alzò un sopraciglio, continuando a guardare dinanzi a se, assorto. Prese poi la mano di Excella, allontanandola da lui, e le si rivolse.
“Cerca di non fantasticare troppo. Il viaggio è abbastanza lungo, vedi dunque di non essere fastidiosa.”
Disse elegante, ma con una crudeltà inaudita.
Excella infatti si risentì e si staccò da lui, riprendendo poi in mano la tazza di the e finendo la sua colazione.
 
***
 
 
 


 
 
Aggiornamento repentino questa volta. In questo capitolo ho voluto riprendere altre argomentazioni su questa coppia, su questi due personaggi, che arricchiscono di significato questa vicenda, almeno spero che sia così.
Nel mio piccolo, voglio mostrare tutto quello che vedo in Wesker e Jill, e in questo capitolo ci sono dei tasselli importanti.
Jill, divenuta la “Bird Woman”, il “Doctor Plague”, la “Crow Lady”…divisa tra inganno e realtà, tra amore e odio, tra ragione e sentimento, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato…
Wesker, incapace di amare, incuriosito dall’amore, ma tuttavia titubante, riluttante verso la sua umanità, verso i sentimenti.
Perché essi sono così importanti?Perchè sono capaci di sconvolgere un uomo?
Egli si avvicina a Jill per questo…per riscoprire qualcosa che non gli appartiene più. Eppure fugge via, distaccandosi dal residuo della sua umanità. Fuggendo da quella parte della vita che ha sempre rifiutato. Che lo tortura e lo rende ancora umano, e che lui disdegna.
Poi, il PG67A / W.
Jill conosce questo prodotto e in re5 telefona Chris rivelandogli la chiave per sconfiggere Wesker.
Come lo ha saputo? Possibile che Wesker, in re5, l’abbia resa partecipe di un dettaglio simile?
Sono solo due le possibili risposte che mi sono data.
La prima è che non abbia mai considerato Jill una possibile minaccia, soggiogandola al suo potere.
La seconda è che l’ha resa lui stesso partecipe dell’esistenza di quella sostanza…per un motivo ben preciso….
La prima ipotesi non è molto “riflessiva”, non è alla Albert Wesker, colui che è pianifica ogni cosa.
Dunque, con questo capitolo, ho voluto esporre una mia ipotesi: Wesker ha pianificato anche questo in re5, anche la sua morte stessa. Per questo ha rivelato a Jill l’esistenza di quella sostanza.
Il concetto della morte, nella mente di Wesker, è evoluto pian piano nel corso della mia fanfiction, se ci avete fatto caso.
Dal capitolo 3, fino ad adesso…
Ed in questo frangente, Wesker elabora tutto quello che da qui ad un anno accadrà con re5, compresa la possibilità della sua morte.
Non è fin troppo sospetto, infatti, che in re5 Jill sa del PG67A / W? Non solo. Wesker la lascia sola con Chris, sapendo bene che lui avrebbe fatto di tutto per salvarla, dunque si sarebbe accorto del marchingegno sul suo petto?
Questo avvale ancora di più la mia teoria.
Inoltre, in questo capitolo, ho voluto fare riferimento anche ai bellissimi “Wesker Report”.
Per chi non li avesse mai letti, consiglio di farlo, soprattutto il II. Sono delle bellissime ed inquietanti finestre su tutto l’operato di Wesker, che arricchiscono ancora di più una figura affascinate come la sua.
Un altro tassello che ho voluto riprendere con questo capitolo è stato poi, soprattutto, il rapporto conflittuale di Wesker e Jill, ove le catene che prima bloccavano i loro sentimenti, sono state leggermente sciolte, e non potevo dunque ignorare quel che comunque è accaduto fra loro.
Vi ho proposto dunque questo capitolo un po’ “romantico”, un romantico dark, dato il loro tipo di rapporto, che ribadisse di nuovo quell’attrazione letale che danna e che rende intrigante il loro pairing.
Spero la lettura sia stata piacevole!!
A presto!
<3
 
 
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14: Kijuju ***


 


 

THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
 
 
 


 
CAPITOLO 14
 
 
 



Africa, regione Kujuju.
Circa le ore 12:00.
 
L’aria era molto calda e soffocante, un clima completamente diverso da quello tipico Europeo.
All’umido, si sostituiva un’atmosfera secca, che si ripercuoteva anche in quel paesaggio del tutto arido e privo di vegetazione.
L’aereo atterrò in una pista celata fra delle montagne, così che nessuno potesse accorgersi del suo arrivo.
I militari scortarono Wesker ed Excella, pronti a riprendere le loro ricerche nella sede africana della Tricell.
Jill Valentine li raggiunse, camuffata dal mantello scuro e dalla maschera che aveva sul viso.
La donna dai capelli neri le si avvicinò parlando in modo conciso, mentre prese ad alzarsi leggermente il vento.
“Voglio che ispezioni il villaggio qui dietro. Devo assicurarmi che il virus sia ancora circoscritto solo in questa zona.” spiegò. “Eccoti una mappa, un cellulare, e lì sono le tue armi. Ci metteremo in contatto in seguito. Oh, e mi raccomando. Porta questo.” aggiunse allungandole anche una fiala dal contenuto scuro.
Jill la osservò incuriosita. Vi era conservato il virus Uroboros in quella capsula. Perché doveva portare una cosa del genere con sé?
Cercò Wesker con lo sguardo, il quale invece si stava avviando verso delle vetture parcheggiate poco distante da loro.
Vedendo quella naturale indifferenza, la sua attenzione fu distorta da quella questione e infilò semplicemente la fiala nel suo mantello, in una tasca interna.
Tutti i presenti si incamminarono verso quelle jeep. Wesker ed Excella presero posto su una di queste, guidata da un loro sottoposto, il quale la mise in moto velocemente, seguito subito dopo dagli altri.
Così ben presto Jill li vide allontanarsi in quella distesa rocciosa, sotto il sole cocente, facendo per raggiungere la sede africana della Tricell Pharmaceutical Company.
La donna mascherata rimase qualche istante immobile ad osservarli fino a che non vide soltanto la polvere che in lontananza si alzava al loro passaggio.
Abbassò il viso.
Wesker non le aveva rivolto neppure uno sguardo…
Dentro di sé si sentì ferita, lacerata dalle contraddizioni di quell’uomo, ma anche del suo cuore.
Se da una parte provava repulsione per lui, in quel contesto continuava ad essere comunque l’unico volto a lei familiare. Tuttavia non faceva che ingannarla e deluderla.
Per questo doveva sempre ricordare a se stessa di essere solo un oggetto per lui.
Credere che vi fosse qualcosa ancora di umano in lui, avrebbe fatto di lei la vittima perfetta.
Non doveva cadere in quel tranello, nonostante nella sua mente si raffigurasse ancora la sua bocca che la sfiorava nella penombra della notte.
Ed era stato appena la sera prima…
Si chiedeva come avesse potuto accettare, ancora una volta, una vicinanza simile con lui; eppure il suo cuore si stringeva, pulsando inspiegabilmente nonostante l’odio che ribollisse forte verso quell’uomo vestito di scuro.
Si poteva odiare ed amare qualcuno allo stesso tempo…?
Il dispositivo sul suo petto la richiamò presto all’ordine, e per fortuna l’allontanò da quei pensieri che la disturbavano e la ferivano, eppure le davano anche un indefinito e insensato senso di piacere.
Era alla lunga…impazzita anche lei?
Scosse la testa e, con un salto atletico, avanzò oltre le rocce.
Trovò una moto, lasciata appositamente per lei in una rientranza.
Osservando la mappa costatò di avere, infatti, una lunga strada da percorrere per arrivare a destinazione.
Così vi montò su, girando le chiavi e dirigendosi nel villaggio.
Si guardò attorno, chiedendosi cosa avrebbe trovato.
Era ancora impossibile per lei comprendere di stare lì, a sfrecciare in quella distesa non potendo avere alcun potere sul suo corpo e sulle sue azioni.
Non poteva accettarlo, non l’avrebbe mai fatto, spaventata dal fatto che qualunque cosa sarebbe potuta accadere se solo le fosse stato ordinato.
Eppure, nonostante quel rifiuto, schizzava veloce sulla strada terrosa, pronta a compiere la sua missione.
Nel giro di quaranta minuti, scorse delle case in lontananza. Ben presto ve ne furono sempre di più all’orizzonte.
Raggiunse finalmente un centro abitato. Mise il piede a terra e scese dalla moto.
Era un villaggio piccolo, affollato e piuttosto malandato in verità.
Gli abitanti svolgevano le loro quotidiane attività, non curandosi di lei.
Essendo vestita in modo appariscente, di tanto in tanto qualcuno le lanciava uno sguardo, ma era come se quella gente non osasse avvicinarsi a lei. Era come se…sapessero di doversi tenere alla larga da gente come lei. Dunque non reagivano in nessun modo al suo passaggio, ignorando semplicemente la sua presenza.
Jill si avviò verso il mercato.
Sulla mappa datole da Excella era indicata una casa in una traversa lì vicino. Era lì che doveva andare, supponeva.
Il mercato era molto caotico.
Tuttavia, nonostante il disordine che, nella sua confusione, contrassegnava comunque la vita di un villaggio, nell’aria vi era l’inconfondibile odore fetido della morte. Un contrasto che mise in allarme Jill, che subito ebbe l’impressione che qualcosa non andasse in quel posto.
Gli occhi di quelle persone erano strani, finti, fin troppo vaghi.
Era come se non fossero disinvolti nelle loro movenze.
Sulle bancarelle vi era, inoltre, visibilmente solo merce impolverata, carne putrefatta, frutta e verdura andata a male…era come se, in effetti, nessuno acquistasse nulla da molto tempo.
Dovette portare una mano bocca quando, a un certo punto, quell’odore nauseabondo divenne insopportabile.
Attraversò tutto il vicolo, scorgendo poi finalmente la struttura che doveva raggiungere.
Anche questa volta si ritrovò in un luogo del tutto malandato.
Era una sorta di cantiere abbandonato, ove oramai non sembrava lavorare più nessuno.
La tanta indifferenza degli abitanti turbò la giovane.
Eppure Excella aveva detto che il contagio era al momento circoscritto solo in quel posto… dunque in cosa consisteva uroboros? Possibile che quelle persone fossero in realtà contagiate?
Wesker era davvero riuscito a creare un virus che non facesse presagire al nemico che colui che lo aveva contratto potesse ucciderlo da un momento all’altro, oramai privato del suo intelletto?
Se le cose stavano così, doveva tenersi in guardia.
Mentre prese a perlustrare il posto, trovò una cassa con su scritto “uroboros”. Si piegò. Era scritto persino in modo sbagliato e con una bomboletta di color bianco.
Osservò la documentazione lasciatole da Excella e notò la foto di quella cassa sul dossier.
Era lì che doveva lasciare la fiala a lei affidatole.
Non avendo scelta, lo fece dunque.
D’improvviso, un rumore alle sue spalle la attirò. Si voltò e vide una porta muoversi appena.
Qualcuno…l’aveva seguita.
Caricò la pistola, tenendola nascosta dalla lunga manica del mantello, poi si avvicinò cautamente, ma con passo deciso, mettendosi di schiena sulla porta.
Sbirciò oltre aprendola leggermente e vide qualcuno scappare.
Subito aumentò il passo, seguendo il soggetto non ancora identificato, che la guidò nei meandri di quello strano villaggio.
Passò per diversi vicoli, attenta a non perderlo di vista.
Quelle traverse strette, talvolta trafficate di gente, le impedirono di comprendere chi fosse. Solo in un secondo momento si accorse che fosse una bambina.
“A-aspetta! Non scappare…” urlò appena, sperando che la ragazza si fermasse, ma ovviamente ella non acconsentì a quella richiesta.
Si voltò, e anzi, prese a correre ancora più velocemente.
Così anche Jill, non volendola perdere di vista, corse dietro di lei, scansando i panni appesi, le tantissime cianfrusaglie in giro, inoltrandosi in zone sempre più buie.
Cominciò a sbirciare con la coda dell’occhio il paesaggio che scorreva sotto i suoi occhi.
Curiosi particolari catturarono la sua attenzione, come schizzi di sangue, parti organiche di ipotetici corpi umani o animali, finestre che si chiudevano tempestivamente, ombre celate nell’oscurità.
Quell’atmosfera lugubre la mise in allarme.
Doveva raggiungere quella bambina alla svelta se non voleva che le accadesse qualcosa.
C’era qualcosa che non andava assolutamente in quel posto.
All’improvviso, vide finalmente la ragazzina rallentare il passo.
Jill la imitò, continuando ad avanzare verso di lei.
“E’ pericoloso stare qui…vieni, ti riporto a casa.” disse con dolcezza, cercando di apparire più rassicurante possibile.
Indossando quella strana maschera, sapeva che una ragazzina così giovane avrebbe potuto spaventarsi. Allungò appena una mano, invitandola a seguirla.
“Dimmi, piccola, dove…” la sua voce si strozzò in gola. “…abiti…?” completò la frase a stento, accorgendosi di essere caduta in una trappola.  
Quando le fu a fianco, girò gli occhi e si accorse che la ragazzina l’aveva portata in una zona ben delimitata tra dei capannoni, ove adesso era completamente circondata dagli abitanti del luogo. Nonostante il loro aspetto comune, la loro espressione vuota mise subito in tensione Jill, che impugnò saldamente la pistola.
“Vieni vicino a me…” disse alla ragazzina, continuando a tenere la mano tesa verso di lei. “Stai tranquilla, non accadrà niente…”
Pur avendo la situazione sotto controllo, sapeva che doveva prima di tutto assicurare la vita di quella civile.
Tuttavia, vedendola immobile, fu lei stessa ad avanzare verso di lei, non dando mai le spalle agli abitanti dall’aria impazzita.
Quegli indigeni…erano senz’altro infettati dal virus. Ne era abbastanza certa.
C’era qualcosa di inumano nei loro occhi.
Ne ebbe la conferma quando, uno di loro, prese a schiumare improvvisamente con la bocca, dalla quale uscì quella materia nera che aveva già visto nei laboratori prima di partire per l’Africa.
“Attenta!” urlò, facendo per sparare e proteggere la ragazzina, ma successe l’impensabile.
La ragazzina dalla pelle scura si rivoltò contro Jill e dalla sua bocca emerse un gigantesco fiore che fece per risucchiarle la faccia.
Jill tenette ferme le braccia della bambina, non volendo arrivare a spararle.
Comprese in quel frangente che persino la bambina era stata usata per quell’imboscata.
Tuttavia, non poteva farlo. Mentre la teneva ferma, rivide comunque il volto di una ragazzina che non poteva sapere cosa stava facendo.
Strinse gli occhi, addolorata da quella visone raccapricciante.
La bambina, poi, ritirò il fiore dentro di se, e la guardò dritto negli occhi, famelica. Dopodiché le si scagliò di nuovo contro, e con lei anche il resto degli indigeni.
La bionda dovette combattere duramente, sfidando la sua volontà stessa.
Sperò con tutta se stessa che non vi fossero civili lì in mezzo, perché la strage fu inevitabile. Combatté abilmente non lasciando avvicinare nessuno a lei.
Erano davvero agili e forti, comprese di non doverli sottovalutare. Erano persino capaci di utilizzare arnesi a loro favore, così Jill non dovette solo scansarsi dai loro attacchi, ma anche dagli oggetti affilati che presero a lanciarle contro.
Come poteva Wesker credere che tutto questo fosse l’origine di una ‘razza superiore’?
Era solo un massacro…un abominio…
Quelle persone ora non conoscevano altro che la sete di sangue e la voglia di uccidere.
Non vi era nulla di magnifico e di straordinario in quegli occhi bianchi grondanti di sangue.
Digrignò i denti, sferrando un calcio che frantumò la testa di uno di loro.
Combatte con la rabbia in corpo, distrutta da ciò che quell’uomo l’aveva costretta a vivere da quel maledetto giorno!
Un urlo la fece voltare di scatto.
Si girò e vide un uomo strascinato per le braccia. Questi si dimenava disperato, e così la Crow Lady corse in suo soccorso.
“Lasciatelo!”
Intimò e sparò senza indugio. I due uomini che lo stavano trascinando caddero a terra, così l’altro fu libero di alzarsi.
“U…ugh!!”  un rimescolio allo stomaco lo costrinse a piegarsi su se stesso. Intanto Jill si mise subito in sua difesa.
“Tu…sei contagiato?” disse con la voce meccanica che fuoriusciva dalla sua maschera.
L’uomo la guardò spaesato.
“Che cosa…?!”
“E’ pur sempre una risposta abbastanza positiva…” disse fra se la bionda, ritenendo attendibile il viso perplesso di quell’uomo inconsapevole dell’esistenza di un virus che era causa di tutto quello.
L’uomo scuro di pelle intanto si rimise eretto col busto e fece del suo meglio per aiutare la donna, utilizzando oggetti di fortuna contri i nemici.
Infatti riuscì a prendere un tubo di ferro e lo utilizzò contro di loro.
Riuscirono insieme a sbarazzarsi della maggior parte dei ‘mostri’, ma presto altri avanzarono numerosi verso di loro.
L’intero villaggio sembrava aver perso il controllo ed erano in troppi. Optarono dunque per la fuga.
Jill si voltò veloce verso l’uomo appena salvato.
“Sai dove possiamo metterci al riparo?”
“Non siamo lontani dall’ingresso del villaggio…”
“Bene!”
Così i due cominciarono a correre.
Jill seguì l’uomo, continuando intanto a sparare sulla folla che li inseguiva, per favorire la loro fuga. La fortuna volle che, esattamente come la plagas, anche le persone infette da uroboros non fossero particolarmente intelligenti, così li seminarono prima ancora di uscire definitivamente dal villaggio. Una volta al sicuro, l’uomo si rivolse a Jill, ansimando per la lunghissima corsa.
“J-James…James Dume.” disse facendo per porgerle la mano. “Volevo ringra…”
“Cosa è successo in questo villaggio?” lo interruppe Jill, ancora in allarme, mentre scrutava il paesaggio dietro di loro.
L’uomo ritirò la mano. Rimase un attimo in silenzio, poi abbassò gli occhi.
“ ‘Majini’…è così che li hanno chiamati. Ero qui solo di passaggio, e mi hanno aggredito.” spiegò e si sedette a terra. “L’intera regione si sta lentamente popolando di questi cannibali, del tutto privi di senno.” aggiunse affranto.
“Cosa ci facevi qui?”
“Io? Sono un dottore, ma non avevo mai visto niente di simile. Mi aveva mandato una cliente, chiedendomi di un suo parente, ma a quanto pare…dovrò riportarle solo brutte notizie.” rispose e prese a bere da una borraccia.
“Ah…” sospirò una volta assetatosi.
Guardò la strana donna mascherata e le sorrise. “Lei è un soldato, vero? Grazie per avermi soccorso.”
Jill annuì, tuttavia non sopportando di essere considerata un soldato in quel contesto.
Se solo avesse potuto essere libera di tornare se stessa avrebbe potuto davvero aiutare quella povera gente.
Invece…adesso non era che la schiava di coloro che avevano causato tutto questo.
Non meritava dunque la sua riconoscenza.
L’uomo, tuttavia ignaro, le sorrise con riconoscenza.
“Posso domandarle il suo nome?”
A quella domanda, Jill girò il viso e gli diede le spalle.
“Non è importante che tu lo sappia…” rispose a malincuore, avendo il preciso ordine di non rendersi riconoscibile per nessuno.
Anziché mostrarsi perplesso o dispiaciuto, l’uomo le sorrise di nuovo.
“Non importa, mi hai salvato la vita. Non ho bisogno di sapere il tuo nome.” disse e si alzò, sistemando un po’ gli abiti sgualciti che aveva addosso.
La donna rimase sorpresa da quella reazione.
Lei, al suo posto, si sarebbe fidata di una donna mascherata?
No…assolutamente no.
Ne aveva passate fin troppe per fidarsi così di qualcuno.
Tuttavia le fece provare una strana sensazione vedere qualcuno ancora così fiducioso verso il prossimo.
Forse, quell’episodio, nella sua drammaticità, aveva alleviato il suo cuore, costretto a divenire duro in quegli anni.
Quelle parole, nella loro assoluta semplicità, la fece sentire ancora speranzosa verso il futuro. Vedere animi ancora così amichevoli, gentili, nonostante il caos che li circondava, era oramai cosa abbastanza rara.
Si sentì di essere di nuovo quel membro BSAA che voleva proteggere le persone, e che non fosse diventata a sua volta anche lei soltanto una macchina bellica, esattamente come i suoi nemici.
Ritrovò dentro di se gli ideali che la spinsero a suo tempo a continuare, a comprendere che valesse la pena combattere quella lotta.
Tutto questo…solo per quello sguardo riconoscente.
Sembrava poco, eppure riempì il cuore di Jill Valentine.
Lei…poteva ancora salvare molte vite.
Non doveva mollare.
 “Posso chiederle di scortarmi alla mia abitazione? Con tutta questa confusione…non vorrei fosse successo qualcosa.” chiese all’improvviso il signor James.
Jill ci rifletté un attimo, ma in fin dei conti non aveva motivo per rifiutare.
Se il P-30 non le faceva resistenza, avrebbe volentieri aiutato ancora quell’uomo. Così, da sotto la maschera a forma di becco, gli sorrise.
“Certo. Dove abiti?”
L’uomo si girò attorno per orientarsi, poi le indicò la via.
“Dobbiamo proseguire in questa direzione. Arriveremo presto, il tragitto non è lungo come sembra.”
Non parlarono molto durante il cammino, ma James era di buona compagnia.
Era un uomo molto semplice, spontaneo. Mostrò lei alcune foto della sua famiglia per spezzare il ghiaccio, e quel tipo di atteggiamento le ricordò molto Barry.
Barry Burton era stato più di un collega di lavoro per lei.
Devoto verso il lavoro e la famiglia, era un uomo buono e degno di stima, nonché un ottimo amico.
Era un vecchio conoscente di Chris, ed era stato lui a farglielo incontrare.
Lo vedeva ancora adesso molto spesso, nonostante il lavoro tenesse impegnati entrambi.
Si era sempre mostrato rassicurante con lei, e durante il periodo della STARS, era stato un po’ come un padre.
Probabilmente lo ammirava proprio perché lui, come nessun altro che avesse mai conosciuto, era capace di dedicare tutto se stesso sia al lavoro, ma anche alla famiglia, alla quale teneva più di ogni altra cosa.
Lei e il suo vero padre, invece, non avevano mai avuto un vero rapporto.
Quella riflessione riaccese in lei dei ricordi lontani, riguardo la sua vita prima di entrare nella STARS:
Viveva a Raccoon City, in una zona periferica piuttosto pericolosa. Jill tuttavia era sempre stata una ragazza forte e tenace, costretta a crescere prematuramente, per cui riusciva comunque sempre a cavarsela.
Suo padre, Dick Valentine,  era un uomo trasandato, distratto ed egoista, che non aveva mai badato a lei. Egli non era affatto una persona semplice da capire, ma gli aveva sempre riconosciuto una personalità piuttosto brillante. Le aveva insegnato a vivere concretamente nel mondo reale, rendendola una donna scaltra, pronta a lottare. Era a lui che doveva la sua prontezza di spirito.
In compenso, erano stati decisamente poco un padre e una figlia in termini di affetto.
Erano più una sorta di conviventi.
Lo ricordava sempre fuori casa, quando rincasava tardi e poi si assentava di nuovo per lunghi periodi stesso il giorno dopo.
Salvo pochi episodi della sua infanzia, ricordava poco di lui.
Aveva finito con l’odiarlo, col tempo, essendo stato tutto fuorché un punto di riferimento nella sua vita, per lei…
Era cresciuta badando da sola a se stessa, non sapeva neanche come lui facesse a guadagnare i soldi per sopravvivere.
Fino a quando la polizia lo arrestò un giorno, e allora scoprì che egli fosse uno scassinatore.
Quell’episodio allontanò fisicamente da lei l’unico genitore che avesse mai avuto… tuttavia, mai come allora, i due si sentirono più vicini.
Durante la sua prigionia, fu lui stesso a spingerla di abbandonare quella vita disonesta, nella quale lei era inevitabilmente cresciuta divenendo una ragazza ribelle ed intrattabile.
Non gli aveva mai visto quello sguardo sofferto, e quegli occhi tristi e sinceri.
Qualcosa cambiò nella sua vita da quel giorno e nacque una nuova Jill Valentine. Da ragazza di strada, trascurata e indisciplinata, seguì un sogno…quello di cambiare vita.
Purtroppo, però, l’idillio non durò.
Quando Dick fu libero di uscire dalla prigione, i due avrebbero voluto imparare a conoscersi meglio ora che lui era cambiato e lei era una donna adulta.
Tuttavia l’incidente alla villa cambiò definitivamente le loro vite.
La distruzione di Raccoon City li fece perdere di vista per un lungo periodo, senza che l’uno sapesse il destino dell’altro.
Quando si ritrovarono, entrambi avevano già intrapreso la lotta contro il bioterrorismo.
All’epoca Jill fu sorpresa di scoprire che suo padre avesse abbracciato la sua stessa causa.
Non erano mai stati particolarmente affettuosi l’uno con l’altro, ma sentì dentro di se una gioia mai provata nel ritrovarlo accanto a se in quella lotta disperata, anche se non lo dimostrò mai a parole.
Il suo vecchio era davvero cambiato.
Ora che si erano ricongiunti, aveva sperato che, finito tutto, avessero potuto ricominciare d’accapo, e tornare ad essere una famiglia un giorno.
Tuttavia il fato aveva crudelmente condannato Jill ancora una volta.
Un’indagine…una maledetta indagine.
Come mai era accaduto, lavorò assieme a lui per catturare una banda di trafficanti in nero delle BOW. Una missione che si rivelò fatale per il signor Valentine, che venne catturato.
Egli fu contagiato dal virus T sotto gli occhi impotenti di Jill, catturata anch’ella nel tentativo di salvarlo.
Il loro ultimo sguardo, i loro occhi colmi di lacrime che si incrociavano…
Essi si diedero addio, consapevoli che non avessero altra scelta.
Nel momento nel quale il virus avrebbe preso possesso della mente di lui, egli non sarebbe mai più stato se stesso. Lo sapeva bene. Lo sapevano entrambi.
-Ti voglio bene, Jill-
Le disse picchiettando il piede a terra e comunicando con lei tramite un codice inventato da loro, in modo che i terroristi non gli impedissero di poter salutare sua figlia un’ultima volta.
Poi…PAM!
Jill aveva dovuto ucciderlo con le sue stesse mani.
Il viso di quell’uomo, trasformato in un mostro famelico, si spense sotto i suoi occhi.
Era finita così…ancora una volta.
Ancora una volta…
Jill non si riprese per molto tempo dopo quell’episodio, non potendo accettare che fosse accaduto davvero.
I suoi abiti sporchi di sangue la macchiarono dentro ancora una volta.
Seppur sapesse che non fosse colpa sua, che non avesse scelta, che non avrebbe potuto salvarlo, che avrebbe ucciso due volte suo padre se si fosse lasciata morire per mano sua, condannandolo a  strappare la carne della sua stessa sua figlia…
Però… nonostante questo … lei non avrebbe mai voluto che le togliessero anche lui.
Ed alla fine…era stata comunque lei a sparargli.
Jill strinse gli occhi rievocando quel terribile ricordo.
James vide la Bird Lady assorta, così le si avvicinò appena.
“Credo siamo arrivato quasi…è tutto a posto?” chiese cortesemente.
La bionda tornò alla realtà, con gli occhi appena inumiditi.
“E’ tutto a posto.”
Prese poi la mappa e la consultò. Qualcosa la inquietò.
Quel villaggio dove adesso erano diretti…perché non era segnato sulla cartina?
Guardò dinanzi a se, e si accorse che effettivamente c’erano delle abitazioni.
L’uomo corse verso il centro e urlò nella sua lingua natia una serie di nomi per Jill difficili da decifrare.
Lo vide poi all’improvviso accasciarsi a terra, così corse verso di lui.
“James, stai bene?”
“Cough! Cough! Questa…maledettta tosse…cough!” disse piegandosi in ginocchio.
“Tosse?”
La ragazza lo osservò attentamente e le sue pupille si rimpicciolirono quando notò che qualcosa di scuro era caduto a terra.
“No…” bisbigliò sconvolta.
“Cosa c’è?” le chiese l’uomo vedendo la ragazza preoccupata. In seguito, altri filamenti neri caddero dal corpo dell’uomo che cominciò a dimenarsi spaventato.
“O…oddio! Cosa mi sta…COUGH! COUGH!! Aiu…! Cough!”
Jill cadde all’indietro, dovendo osservare quella scena impotente.
“Nooo!!” urlò in preda alla disperazione, mentre egli prese a trasformarsi sotto i suoi occhi.
L’uomo rivolse gli occhi al cielo ed in quel momento, delle lacrime di sangue rigarono il suo viso. Uroboros, impossessandosi del suo corpo, aveva oramai distrutto quell’organismo, ed era pronto a rianimarlo, più forte ed diabolico che mai.
L’uomo rimase immobile per qualche istante in quella scomoda posizione.
Jill impugnò la pistola stringendo le labbra, pronta a sparare ancora una volta contro qualcuno che non aveva colpa, pronta a sentire ancora il suo corpo gelarsi per il destino infausto che aveva ucciso quella persona, trasformandola in un mostro.
Quante volte aveva dovuto sopportare quella visione…?
Perché? Perché quell’abominio non aveva mai fine?
James riprese conoscenza, ma oramai, trasformato in un majini, si scagliò contro di lei travolgendola senza pietà.
Jill, mentre lo teneva a bada, osservò il suo volto mentre questi faceva per morderla ferocemente.
Il suo viso si sovrappose con l’uomo meraviglioso che aveva conosciuto precedentemente, anche se per pochissimi istanti.
Quel destino…era ingiusto, era crudele…era uno schifo.
Portò la pistola alla sua tempia, e sparò.
James cadde a terra.
La sua testa era completamente sporca di sangue, ed ora giaceva immobile accanto a Jill, anch’ella imbrattata di rosso.
Jill guardò il cielo, sentendosi distrutta dentro.
Il peso di quella vita era immenso.
“Wesker…PERCHE’!?” urlò.
Presa dallo sconforto, non si accorse che intanto, alle sue spalle, erano giunti dei militari.
Ella si alzò istintivamente notando le loro ombre, pronta a difendersi.
“Abbiamo dei campioni, ottimo.”
La bionda inorridì sentendo quella frase. Non solo James era morto in quel modo orrendo, ora l’avrebbero anche strumentalizzato?!
Tuttavia non poté opporsi, perché quello faceva parte degli ordini del P-30. Dovette tenere dentro tutta la rabbia e la frustrazione.
Affranta, fece per sedersi su una delle Jeep per tornare alla Tricell. Tuttavia un vetro rotto a terra attirò la sua attenzione.
Allungò il collo, e sbandò quando lo riconobbe.
Urlò in direzione dei soldati, riconoscendo quella fiala rotta in quella che conteneva il virus Uroboros.
Qualcuno di loro doveva averla fatta cadere per sbaglio, ma oramai era troppo tardi.
Il virus si stava velocemente già impossessando di loro, e ben presto li avvolse con la sua melma scura.
Jill rabbrividì, non essendo ancora psicologicamente pronta ad affrontare di nuovo una strage simile. Dopo un attimo di smarrimento, mise in moto la vettura, e con la retromarcia corse via da quel centro abitato.
Non guardò neanche il contachilometri, non le importava a che velocità stesse andando.
Scappò via per sopravvivere, per evitare di lottare, per fuggire da quel destino tremendo, da quell’abominio, dai suoi pensieri, da se stessa.
Quella fuga racchiudeva tutto il suo animo frustrato che non ne poteva oramai più di tutto questo.
Presto non ci fu più nessuno alle sue calcagna, era finalmente sola
Sola…
Sola…di nuovo.
Tirò il freno a mano e poggiò la fronte sul volante. Stette ferma, in silenzio, per un lungo tempo.
Alzò poi il viso e vide dinanzi a se la struttura imponente della Tricell Pharmaceutical Company.
 “Voi…maledetti…maledetti tutti..!”
 
 
Jill avanzò nell’edificio e non le fu difficile trovare Excella.
Le buttò sulla scrivania i frammenti di alcuni campioni che le aveva ordinato di raccogliere per continuare le ricerche su Uroboros. Tuttavia, pur avendo adempiuto al suo compito, poteva leggersi nel suo sguardo  tutto il disprezzo che covava in corpo verso lei e le sue ricerche.
Se la maschera non avesse coperto il suo volto, la donna dai capelli neri avrebbe potuto addirittura temere che lei potesse fuggire al controllo del P-30 da un momento all’altro.
Invece ella rimase tranquilla, adagiata sulla poltrona dietro la sua scrivania, intenta a curare le sue unghie laccate.
La guardò apatica, concedendole a stento uno sguardo.
“Sei arrabbiata, Jill Valentine?” chiese, consapevole che lei non potesse risponderle.
La Crow Lady strinse i pugni, non potendo più accettare quelle provocazioni. Il suo copro prese a tremare di rabbia.
Intanto Excella finalmente alzò il viso verso di lei, guardandola fissa negli occhi.
Incrociò le dita sotto il meno, rilassando la testa su di esse senza interrompere quel contatto visivo.
Le due si guardarono con sfida.
La bruna poi sorrise, beffarda.
“Dimmi, ti sei divertita?”
Rise fastidiosamente sotto gli occhi pieni di collera della bionda, che, infatti, sbatté inaspettatamente le mani sulla scrivania.
Excela fu sorpresa di quel gesto, accorgendosi solo in quel momento che Jill aveva reagito al suo istinto, sconfiggendo gli impulsi del dispositivo sul suo petto.
Si sentì dunque leggermente smarrita, temendo di vederla perdere il controllo.
“ Come…” bisbigliò Jill piano, poi si rese conto di riuscire a parlare, così alzò la voce e le mostrò la sua rabbia. “Come avete potuto fare questo, bastardi!!”
Urlò, sentendo quelle parole vibrare non solo dentro di se, ma persino in Excella stesso.
Ella infatti rimase impietrita e sembrava spaventata.
Tuttavia una voce alle sue spalle fece vacillare anche l’ex agente STARS a sua volta.
Quella voce, quel tono, quei passi…
Quel timbro duro, autorevole, profondo, glaciale, che le faceva gelare il sangue. Era Lui.
“Hai solo adempiuto al tuo compito, Jill.”
La bionda si voltò e vide Wesker entrare nella stanza.
Egli era elegante e perfettamente in ordine come il solito, con stampato sul viso quel crudele e diabolico ghigno che lo caratterizzava.
Jill si sentì atterrita di fronte a lui.
Egli era capace di immobilizzarla con un solo sguardo, come se avesse il controllo sulla sua stessa mente.
Lo vide roteare un braccio in modo teatrale, e rivolgersi a lei con fare galante, eppure malvagio.
Il suo solo modo di muoversi trasmetteva crudeltà assoluta.
“Ottimo lavoro.” disse ferendola più che con una pallottola. Jill sentì il suo corpo venir meno.
Intanto egli continuò ad avanzare verso di lei.
“E’ un buon risultato sapere che sei stata all’altezza del compito, plague doctor. Il nome è questo, giusto?”
Frastornata, Jill continuò a rivolgere il suo sguardo verso di lui, tremando.
Wesker sorrise e ciò non le piacque per nulla.
“Già. Sarai tu che contagerai Kijuju con Uroboros.” annunciò, girandole attorno, guardandola incessantemente con fare spietato.
“Prima o poi verrà anche la BSAA, che ovviamente sta già facendo i suoi compiti. Ma non sanno nulla di cosa ho in serbo. A proposito, sarai tu ad occuparti di loro.”
Spiegò e rise malvagiamente, sotto lo sguardo sempre più sconvolto della Crow Lady.
Lei…era quella che avrebbe contagiato quegli abitanti?
Lei…avrebbe combattuto contro la BSAA stessa?
Sentì venir meno. Tutto cominciò a girare vorticosamente e neanche gli impulsi del P-30 riuscirono più a sorreggerla. Il peso di quella giornata le piombò addosso, insieme all’infinita sofferenza che albergava nel suo cuore, facendole perdere i sensi.
Cadde, perdendo il controllo sul suo corpo.
Wesker la sorresse in tempo per non farla crollare sul pavimento.
La voltò verso di se, spostandole appena la maschera dal viso.
Sorrise dolcemente. Un sorriso che, in quel contesto, risultò macabro e crudele.
“Hai diritto a un po’ di riposo…” disse in un sussurrò, accarezzandola.
“Albert…?”
Excella gli si avvicinò seria, impensierita.
Tuttavia lui non la curò. Si limitò solo a poggiare Jill sul divano ed abbandonare la stanza.
“Presto una nuova razza selezionata da Uroboros sarà il nuovo popolo di questo mondo, di cui io sarò il suo dio. Quel potere…”
Disse assorto, sentendo ribollire dentro di se una forza incontrollata mai provata prima.
Guardò dritto dinanzi a se, con gli occhi occultati dagli occhiali da sole. Poi rise di nuovo, portando una mano fra i capelli.
“…quel potere…ah, ah, ah. Ho tutto il potere che mi serve.”
Jill aprì debolmente gli occhi, ancora frastornata per il capogiro appena avuto.
Abbassò di nuovo le palpebre, struggendosi intanto alla visione del vero e crudele Albert Wesker dei suoi incubi.
“Wesker…perché…?”
Fu il suo ultimo pensiero, prima di perdere definitivamente i sensi.
 
 
***
 
 



Poche note:
Il Dick Valentine padre di Jill di cui ho parlato in questo capitolo, è quello di cui si racconta sulla wikipedia. Un libro su resident evil ha trattato su di lui, e personalmente condivido l’interpretazione che sia stato il padre a insegnare a Jill a scassinare, una sua abilità che le appartiene dal primo re. Il fatto che il padre sia stato uno scassinatore giustifica molto quindi questa abilità con cui è conosciuta Jill, la “maestra dello scasso”.
Invece l’episodio della sua morte, è quello del cortometraggio Resident Evil Project S.E.R.A. , un cortometraggio meraviglioso interpretato dalla splendida Julia Voth, il volto di Jill Valentine in Resident Evil Rebirth (e altri), che qui interpreta appunto Jill.
Mi farebbe piacere se lo guardaste per immaginare al meglio il flashback presente nel capitolo, che ho descritto presupponendo che, chi leggeva, conoscesse già questo cortometraggio.
Spero leggiate questo capitolo con lo spirito di immergervi nel vortice drammatico della vita di Jill, persa negli incubi, condannata a combattere questa lotta che non ha mai fine.
Volevo inoltre spendere due parole sul Wesker finale, che è un Wesker che non tornerà indietro.
E’ un Wesker che ha abbandonato la sua umanità di sua volontà, e che adesso non può più essere fermato.
Detto questo, un ringraziamento a tutti quelli che mi stanno seguendo.
Alla prossima!
 

 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15: circuito nero ***







THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE





CAPITOLO 15




Chi sei per me, Albert Wesker?
Un nome…un volto…una nemesi…un ricordo…?
Hai cambiato il mio destino, hai sconvolto la mia vita.
Ti ho amato, e il mio cuore continua a struggersi in quel ricordo. Non riesco ad accettare che tu sia l’uomo che adesso ho davanti ai miei occhi.
Mi chiedo perchè…
…perché, nonostante tutto, io continui a non odiarti completamente.
E’ per via di quel ricordo che vaga ancora nella mia mente? Oppure è il tuo viso affranto, che ho scoperto nascosto dietro la tua freddezza?
Oramai non lo so più.
Ultimamente non so più neanche cosa sono.
Spesso vorrei non riaprire gli occhi, per sperare che tutto questo non sia accaduto davvero.
Vorrei non averti mai conosciuto, per non dover continuare a ripetermi di odiarti con tutta me stessa.



Jill aprì gli occhi e si ritrovò stesa su un divano di velluto rosso scuro.
Nonostante si fosse appena svegliata, presto i suoi pensieri tornarono all’incubo appena passato.
Il massacro che aveva dovuto assistere a Kijuju.
Se ripensava che quello non era che l’inizio, le veniva da vomitare. Ma non era solo questo…
Portò una mano alla bocca, turbata da quel destino, spaventata da quel posto.
Girò gli occhi e si accorse solo in quel momento della presenza di Albert Wesker in quella stanza.
La ragazza girò quindi il busto, adagiandosi sui gomiti e spostando il peso sulla spalla.
Vedendola fare per alzarsi, l’uomo dalle lenti scure le si avvicinò.
Le posò delicatamente la mano su una spalla, come per dirle di rimanere sdraiata, poi si sedette anch’egli sul divano, posizionandosi dove avrebbe dovuto normalmente adagiarsi il capo di Jill. Ella rimase con la testa sollevata, non sapendo cosa fare. Fu inaspettatamente lui a premere sul suo capo, facendola poggiare sulle sue gambe.
La ragazza rimase con gli occhi fissi a guardare nel vuoto, disorientata, mentre lui prese a sfiorare soavemente i suoi sottili capelli biondi.
Non comprendeva assolutamente l’atteggiamento di Wesker, né cosa gli passasse per la testa. Egli era un vortice di pensieri, di azioni, del tutto imprevedibili. Geniale, scaltro, intellettuale, forte, calcolatore, diabolico…ma dentro…cosa provava realmente?
Quella mano delicata sul suo capo le fece sentire una strana morsa al cuore. Le provocò piacere e fastidio allo stesso tempo. Cosa poteva mai significare per lui una carezza? Aveva un senso?
Rivolse i suoi occhi azzurri verso di lui e notò il suo viso assorto.
Possibile che dopotutto, anche Wesker avesse i suoi dubbi?
Tuttavia lei non avrebbe mai potuto essere la donna che l’avrebbe consolato. In lei non avrebbe mai trovato la complice disposta ad accoglierlo, se era questo quel che cercava. Razionalmente, Jill era consapevole di non averlo mai potuto fare. Nonostante nel suo cuore qualcosa si sciogliesse inspiegabilmente e irrazionalmente quando i due erano decontestualizzati da ciò che caratterizzava le loro vite, comunque non poteva rinnegare quel che c’era realmente fra loro.
Nonostante avrebbe voluto.
Nonostante avrebbe fatto qualsiasi cosa per cambiare Albert Wesker.
Solo che sapeva che non poteva.
Era fin troppo razionale per comprendere che lui non avrebbe mai potuto fuoriuscire dal baratro in cui era caduto, e nel quale vi era anche lei.
Strinse gli occhi, lacerata da quella consapevolezza.
Desiderava ardentemente lasciarsi alle spalle tutto, guardarlo negli occhi, e magari aiutarlo.
Ma Wesker non cercava aiuto, lui stesso voleva il destino che si era costruito con le sue mani. Un destino che aveva cercato e realizzato con tutto se stesso.
Egli non fuggiva, ma mirava verso un obiettivo.
Lei non avrebbe mai potuto interferire su questo.
Anche se…avrebbe voluto illudersi di poter essere capace di cambiarlo.
Ma non poteva.
Non poteva perché era irrazionale anche solo pensarlo.
Era un destino a senso unico. Quell’attrazione era un errore. Un errore che doveva dimenticare e abbandonare.
La sua razionalità non doveva vacillare.
Lei…aveva da tempo imparato a sorpassare sui suoi sentimenti. Aveva dimenticato cosa significasse lasciarsi andare ad essi.
Jill era divenuta una donna risoluta, dal sangue freddo, proprio perché quella guerra lo richiedeva.
Fare quel passo indietro significava sputare sopra l’apocalisse che voleva sconfiggere: il bioterrorismo.
Volente o nolente, il volto che rappresentava tutto questo era proprio quello di Wesker.
Guardò di nuovo verso di lui.
Indossava una camicia nera sbottonata appena sul collo, con le maniche tirate all’altezza dei gomiti.
Lui finalmente abbassò il viso verso di lei, ricambiando quello sguardo.
“Cosa hai sognato, Jill?” le chiese all’improvviso, tenendo un tono molto basso.
Ancora una volta l’aveva presa di sorpresa. Jill rifletté per qualche attimo, poi rispose.
“Non ricordo…”
Wesker sorrise fra se. Guardò di fronte, poggiando la testa sullo schienale del divano, poi tornò immerso nei suoi pensieri, come se nella sua mente stesse analizzando un flusso di parole e pensieri che avrebbe potuto condividere con la donna dai capelli biondi, ma non voleva.
Jill stessa percepì come se lui fosse in difficoltà, nonostante apparisse ad occhio esterno completamente padrone di se.
Egli poi parlò, sempre con la sua solita calma e posatezza.
“Le cose che ti ho detto, accadranno. Uroboros dominerà le menti delle persone selezionando una razza scelta, ed io sarò colui che dominerà questo mondo.”
La scioltezza di quel discorso straziò Jill, tuttora ancorata a quella folle speranza che lui tornasse un giorno ad essere quello di un tempo. Anzi…colui che non era mai esistito.
Wesker osservò il viso corrucciato della ragazza. Smise di accarezzarla ed adagiò la sua mano sulla sua schiena.
“Dimmi…tu mi odi?”
Jill non poteva dare una concreta risposta a quella domanda. La risposta era una ed erano tante allo stesso tempo.
Lo odiava? Sì…certo che sì.
Eppure…c’erano tante altre cose che albergavano dentro di lei. Cose ben distinte dall’odio, ben distinte da cosa fosse razionale. Cose vicine alla follia.
“Sono consapevole di tutto quello che provi.” disse inaspettatamente lui, rispondendo egli stesso a quella domanda.
Sfilò gli occhiali e alzò il viso, guidato dalla piena consapevolezza di quelle parole. Conoscendo ben cosa fosse ‘l’odio’…
“Posso…immaginarlo, sentirlo, vederlo…” continuò a parlare con tono profondo, perdendosi in quelle parole, potendo assaporare egli stesso il loro peso. Poi si rivolse fermamente a lei.
“Sì, Jill. Mi odi. Non potrebbe essere altrimenti.”
Concluse ironico, freddo, assorto.
Jill lo guardò intensamente, chiedendosi il perché di un discorso simile.
Il problema era che lei lo detestava con tutto il cuore, ed era così. Lui aveva ragione, non poteva essere altrimenti.
Non poteva essere diverso, razionalmente. Se sentiva qualcosa di discorde dentro di se, che combatteva contro quel sentimento, era insensato, era sbagliato.
Nonostante quella sua convinzione, però, invece quel sentimento contrastante c’era, e non poteva più ignorarlo.
Nonostante fosse solo una bugia, nonostante lui fosse Albert Wesker.
Wesker fece scivolare la sua mano sul suo viso pallido e si piegò appena su di lei, inarcando il busto.
Egli sapeva che, per quanto le cose avrebbero potuto andare diversamente, lui stesso non avrebbe mai perdonato chi aveva oltraggiato il suo destino.
Rivide davanti ai suoi occhi Spencer e la rabbia bruciò dentro di lui.
La mente andò a focalizzarsi su quel giorno in quel laboratorio abbandonato in mezzo alla selva, quel giorno in cui qualcosa era cambiato fra lui e Jill. Quel giorno in cui l’aveva guardata negli occhi e aveva scoperto, suo malgrado, di non essere stato diverso dall’uomo che aveva condannato la sua esistenza per sempre.
L’essere guardato da Jill con quegli stessi occhi che lui aveva rivolto a Spencer lo lacerava.
Era la prima volta che sentiva quel dolore.
Questo era accaduto perché lei aveva toccato una parte umana di Wesker cui mai nessuno era riuscito a giungere.
Era proprio per questo che conosce l’odio di Jill Valentine. Il suo stesso odio…un odio distruttivo, lacerante, maledetto…
“Nonostante ciò, però…” aggiunse in balia di quel sentimento a lui stesso estraneo, quell’umanità che non era morta dentro di lui e che l’aveva inaspettatamente ferito. “…cosa saremmo se abbandonassimo per un istante ciò che siamo fuori da questa stanza?”
Jill sentì dentro di se un istinto irrefrenabile udendo quelle parole.
Era come se la sua volontà avesse ricevuto il consenso di separarsi dalle sue convinzioni, abbandonare la sua razionalità, e credere per un momento che ciò che li circondasse non esistesse.
Era stato il P-30 che aveva ubbidito a quella domanda?
Non lo sapeva…non ci volle pensare nemmeno.
Nello stesso istante in cui Wesker terminò quella frase, allontanandosi da lei e tornando in silenzio, la ragazza invece si sollevò verso di lui e portò con decisione le braccia attorno al suo collo, posando le sue labbra sulle sue.
Premette la sua bocca sempre più forte, esplorando quel bacio, quelle labbra che non potevano essere irreali, quella bocca che era vera. Quell’Albert Wesker che non era e non poteva essere una bugia.
Voleva sprofondare in quell’irrazionale imbroglio della sua mente, che l’aveva oramai travolta in uno struggente rapporto in cui nulla aveva un senso, nulla avrebbe potuto essere veramente reale.
Poteva esistere se loro stessi non fossero esistiti.
Era un conflitto irrisolvibile, che dannava la sua esistenza, eppure adesso lui era suo, tra le sue braccia, sulle sue labbra.
Wesker, dapprima confuso, per una volta nella sua vita non aveva previsto la mossa del suo avversario. Non si era reso conto che, proferendo quella frase, aveva indotto la ragazza a reagire sotto l’impulso del P-30, che l’avrebbe lasciata libera di mostrargli quel mondo che a loro non sarebbe mai appartenuto.
Rispetto quella volta in cui lei l’aveva abbracciato nell’oscurità della notte, questa volta non potette rimanere inerme a quel contatto passionale ed irrequieto. Quella umanità da cui si teneva invece lontano.
Quel sentimento travolgente poteva sentirlo in ogni parte del corpo di Jill, e non riuscì ad esserne indifferente.
Sorrise del fatto che, nonostante tutto, lei lo agognasse e lo desiderasse in quel modo.
Era possibile razionalmente?
Ben presto però la derisione fece spazio ai suoi impulsi, che accettarono inspiegabilmente quel contatto. Così ricambiò quel bacio intenso.
Esattamente come era accaduto nella foresta, ove cadendo l’uno sull’altro, egli la baciò condividendo con lei quel momento di assoluta irrazionalità.
Non si era mai lasciato coinvolgere in futili sentimenti, ai suoi occhi simbolo della debolezza umana. Un pericolo per chi come lui aveva da portare avanti un piano che richiedeva ogni parte di se stesso. Eppure la forza di Jill fu tale da non fargli desiderare altro.
Si chiedeva come potesse spiegarsi ciò, poi ricordò: “…cosa saremmo se abbandonassimo per un istante ciò che siamo fuori da questa stanza?”
Era stata questa la domanda.
Tornò poi a baciarla intensamente, prendendole il viso fra le mani. Mentre sentiva il suo corpo premere sul suo, ebbe la tentazione di disattivarle il dispositivo sul suo petto proprio per costatare se tutto ciò fosse reale, tuttavia desistette.
Voleva quel raro momento di abbandono, era suo, non voleva spezzarlo.
La sollevò appena, mettendola sulle sue gambe, lasciando che la passione gestisse quel momento.
Ma l’inganno quanto sarebbe potuto durare?
Se lo desiderava, per sempre.
Jill era in suo potere. Tuttavia Wesker, il principe dell’inganno, odiava essere raggirato a sua volta.
Quella falsità, quei sentimenti ribollenti che però presupponevano l’annullamento di loro stessi per sussistere realmente, gli fecero respingere quelle labbra meravigliose, quel calore umano, quella sensazione di abbandono totale, irrazionale e piacevole…
Si allontanò dunque da lei, volendo cacciare via da lui quello che poteva ancora toccarlo, quello che poteva sfiorare ciò che era sempre rimasto sigillato e nascosto nell’animo di Wesker e che lui stesso aveva rinnegato.
Jill Valentine, una donna cui un tempo non avrebbe mai dato importanza, adesso rappresentava un pericolo…un pericolo che doveva mettere a tacere. Un pericolo che allarmò Albert Wesker.
Mosse le labbra, sfiorando il viso della donna, essendo ancora vicinissimo a lei. Le mostrò così i suoi occhi rossi dalla pupilla verticale.
Una certa volontà di ferirla trasparì da quello sguardo a cui Jill non potette fuggire.
Il viso della bionda si fece d’improvviso sgomentato, realizzando quel che era accaduto, realizzando di aver di fronte a se esattamente lo stesso uomo che odiava, eppure che aveva voluto condurre alle sue labbra.
Si sentì tremare…cosa aveva appena fatto?
Lui, esattamente qualche ora prima, aveva dichiarato di averla ‘eletta’ per creare con lui quel mondo di devastazione, che l’avrebbe aizzata contro la BSAA stessa, attirando Chris Redfield a Kijuju…
Lui…che era fra i maggiori esponenti dell’Umbrella corporation, che aveva causato la distruzione di Raccoon City, e non solo! Aveva gettato il mondo intero nell’inferno, e lei aveva giurato di fargliela pagare.
Lui…che l’aveva tradita…
Cosa…cosa era accaduto, dunque?!
Spaventata, si allontanò debolmente da lui, muovendosi a stento poiché paralizzata, confusa, spaventata da se stessa. Si sentiva di impazzire…
Come poteva essere reale la coesistenza di sentimenti simili?
Mentre i suoi occhi presero a tremare di fronte al viso sfrontato di Albert Wesker, lui si riavvicinò a lei, sfiorandole il naso, e sussurrò.
“Mi ami, Jill Valentine?”
Pronunciò crudelmente, facendo vacillare tutto. L’idillio che prima aveva dominato su di loro si dissipò, facendo tornare la razionalità di entrambi, che in un attimo spazzò via quei sentimenti malati e ingannevoli che laceravano la mente della donna dai capelli biondi.
Ella staccò le braccia dal suo collo lasciandole scivolare sulle sue spalle, scostandosi di scatto dal suo corpo. Schiuse le labbra, guardandolo con il terrore negli occhi, comprendendo che lui potesse per davvero fare di lei ciò che voleva. Poteva persino annullare il suo odio, le sue convinzioni, se voleva.
Lei non poteva permettere questo, non sapendo chi era, non conoscendo cosa egli pianificasse.
Tuttavia non esistevano altrimenti. Aveva mostrato a Wesker il suo punto più vulnerabile. Egli ora sapeva ciò che la lacerava dentro.
Sapeva che una parte di lei non l’aveva mai dimenticato. Un qualcosa che non avrebbe mai dovuto fuoriuscire.
L’uomo riposizionò gli occhiali sul naso premendo un dito sulla montatura, tornado a indossare la sua maschera di sempre.
Ricongiunse poi le sue mani dietro la schiena della ragazza, incrociando fra loro le dita.
Continuò a guardarla intensamente, consapevole che stavolta i suoi occhi su di lei fossero insostenibile e pungenti.
Un ghigno deformò le sue labbra, e quel che accadde, fu ciò che mai Jill avrebbe dovuto lasciare che accadesse.
“Esattamente, Jill…credo tu abbia capito.” disse portando una mano sotto il mento di lei, costringendola a vincolarsi a quel contatto visivo. “Tu mi adori, mi desideri, vuoi che io ti possegga.”
Le sue parole furono pronunciate con un tono caldo e suadente, eppure crudele ed atroce. Qualcosa nella coscienza di Jill mutò. Comprese che lui avrebbe fatto quel passo. Lo sentiva.
“Dimentica. Dimentica quindi chi sei. Adesso, esisti solo per me.”
Una scossa trafisse il cervello della ragazza, che fu costretta a portare le mani sulla testa tanto che quel dolore fu lancinante.
Nonostante il P-30 nel suo corpo, ella non poteva obbedire a quel comando. Proprio non poteva. Non erano gli impulsi della sostanza a non essere abbastanza forti per costringerla a quel volere. No…
Era proprio che quel comando non poteva proprio eseguirlo. Era un principio talmente fondante, che nessun lavaggio del cervello avrebbe mai potuto sottometterla.
Nonostante i suoi sforzi però, ella era oramai infetta dal P-30. Quella ribellione era inutile per quanto le fosse impossibile accettarlo.
Così cadde a terra sul pavimento, sconfitta da quella potenza, oramai completamente sottomessa al volere di Wesker.
Aveva perso.
Wesker guardò la scena con un’apparente non curanza.
Si accorse subito che non era stato il P-30 ad essersi indebolito dentro di lei, tanto da permetterle quella manifesta reazione di ribellione.
Era stato soltanto che lei non poteva davvero eseguire quell’ordine.
Provò un attimo di compassione per lei, rimanendo a fissarla dalle sue lenti scure. La ragazza aveva gli occhi persi nel vuoto, abbandonata sul pavimento.
Si chiese se una parte della sua coscienza rimanesse vigile dentro di lei, ma non gli importava.
Ben presto tornò a meditare sui suoi piani, non potendosi permettere di dare ancora spazio a sentimenti futili come quelli.
Dunque si alzò e uscì dalla stanza. Mentre avanzò silenzioso ed elegante verso la porta, si girò un’ultima volta verso Jill, sfinita e ancora a terra.
Inspiegabilmente il suo cuore pulsò.
Quel sentimento lo turbò, costringendolo a ispirare col busto per cacciare in qualche modo i nervi che si contorcevano dentro di lui.
Tuttavia rimase inscalfibile, anche se l’umanità che era ancora dentro di lui lo costrinse a quell’attimo di malessere. Perché dentro di se sapeva che stava solo fuggendo.
Wesker rifuggiva i sentimenti, rifuggiva dalle persone, rifuggiva dall’amore.
In questo caso, stava fuggendo persino da Jill Valentine.
Così si voltò di nuovo dandole definitivamente le spalle. Reimpostò la sua figura autorevole e distinta e andò via.


***


Quel che accadde in seguito, avrebbe preferito non ricordarlo.
Dimenticando il suo odio, non ci fu più nulla che potesse fermare Jill Valentine nell’eseguire gli ordini di Wesker.
In verità, il P-30 non cancellò la sua memoria.
Non aveva questo potere.
Tuttavia inibiva i suoi istinti e i suoi nervi a tal punto da renderle impossibile ribellarsi a ogni reazione che fosse contraria alla sua morale. Fu dunque spinta in quell’oblio in cui il suo unico scopo era essere la Crow Lady al servizio dell’uomo vestito di nero: Albert Wesker.
Niente di più.
Ella divenne il nefasto medico della peste, che infettava il mondo con l’Uroboros…
Avrebbe forse realmente desiderato dimenticare sul serio.Almeno non avrebbe assistito, in quella parte ancora cosciente della sua memoria, alle diavolerie, i marchingegni, gli abomini, che dovette compiere.
Celata dietro la maschera dai bulbi rossi, e avvolta in quel mantello nero, Jill Valentine scomparve del tutto, dovendo portare dentro di se la consapevolezza di esserci comunque lei dietro quella persona mascherata.
Vide davanti ai suoi occhi gente implorarla di non ucciderla, eppure lei meschinamente pose fine alla loro esistenza. A volte lacerando le loro carni, a volte condannandoli con l’Uroboros.
In tutto questo, rivedeva accanto a se Albert Wesker, che soddisfatto proseguiva con i suoi studi.
Non fu più solo la rabbia a straziare l’animo della donna, arrivata a quel punto.
Stavolta, era qualcosa di ben più personale che continuava a ferirla…


Un mese dopo…


Excella Gionne camminava con passo pesante per il corridoio. Dietro di lei, la Bird Lady la seguiva fedelmente.
Entrarono in una stanza, attraverso la quale poteva ammirarsi il laboratorio sottostante grazie al vetro che rivestiva tutta una parete.
La donna dai capelli bruni si affacciò, seguendo svogliatamente i lavori sul suo progetto.
Dal suo volto soddisfatto, sembrava che tutto procedesse per il meglio.
Osservando meglio, da quella panoramica Jill distinse anche la figura di Wesker che, con le braccia incrociate fra loro, seguiva quell’operazione delicata da un altro ufficio al piano inferiore.
Un umanoide era steso sul tavolo operatorio.
Per quanto oramai si fosse abituata a quella visione, Jill continuava a desiderare ardentemente di spostare i suoi occhi altrove. Ma gli impulsi del dispositivo sul suo corpo erano troppo forti, così che lei non potette neanche vagamente reagire alla sua coscienza morale che continuava intrinsecamente a dominarla.
Dal vetro, incrociò gli occhi dell’uomo vestito di nero, che la stava guardando a sua volta.
Lui attraverso le lenti scure, lei dai bulbi rossi della sua maschera.
Nonostante quel contatto visivo non fosse diretto, essi si trafissero negli occhi, comunicando fra loro pensieri che non necessitavano di parole per essere intesi.
Si trattavano di minacce reciproche? Oppure di semplice delusione…?
Nell’animo di entrambi più cose li struggevano, consapevoli di quel qualcosa di sbagliato che continuava a logorarli per il solo fatto che essi fossero vicini.
L’uno rievocava nell’altro una parte del proprio passato che nessuno dei due avrebbe mai potuto cancellare.
Da un lato vi era Jill, la persona tradita. Dall’altro Wesker, che continuava ad essere il tristo mietitore della sua esistenza.
Una mente corrotta come la sua possedeva ancora una coscienza che lo torturasse?
Probabilmente non più… eppure in cuor suo egli sentiva qualcosa di diverso battergli in petto.
Era un odio che lui attribuiva all’orrore del suo passato, alle sconvolgenti rivelazioni ottenute da Spencer. Per questo si era lasciato condurre dalla pazzia e il suo unico scopo ora era creare quel suo stesso mondo di cui non era degno, ma lui sì…lui sarebbe stato il vero dominatore.
Nessuno l’avrebbe ostacolato.
Wesker sorrise velatamente.
Qualsiasi altro pensiero andava in secondo piano rispetto i suoi obiettivi, non accorgendosi nemmeno che frattanto egli stava uccidendo se stesso.
Intanto l’esperimento continuava e lui tornò a fissare gli occhi su quella cavia.
Vide poi i dottori allontanarsi, finalmente. L’operazione era finita.
Wesker dunque girò i tacchi e abbandonò la stanza.
Dal piano di sopra, Excella si voltò verso Jill.
“Ottimo. Ora dobbiamo occuparci di un’altra faccenda. Seguimi.” disse e camminò disinvolta oltre la porta di quell’ufficio, facendo per imboccare le scale.
A metà strada, le due incontrarono Wesker.
“Albert, ti vedo stanco. Tutto procede per il meglio, dovresti quindi smetterla di preoccuparti tanto.” Esclamò suadente, vedendolo leggermente fiacco.
In effetti, l’uomo aveva una brutta cera.
Il suo viso era più sciupato del solito. Se non fosse stato per l’aspetto imponente che caratterizzava la sua figura, sembrava persino ammalato.
Wesker però ignorò del tutto le false premure di quella donna, proferendo giusto poche parole a riguardo.
“Questo mondo è una crudele gabbia ove sopravvive solo chi ha più potere, Excella. Se non siamo noi stessi a badare ai nostri interessi, non lo farà nessun altro.”
La donna dai capelli neri annuì, seguendo con lo sguardo Wesker che intanto saliva le scale, superandola di qualche gradino.
In seguito, vedendolo proseguire, anche lei continuò per la sua strada.
Jill dovette seguirla, nonostante avrebbe voluto poter interagire con Wesker in qualche modo.
L’aver ammesso i suoi sentimenti la metteva enormemente a disagio, tuttavia al col tempo aveva riaperto quella parte di se che desiderava poter ragionare con lui, anche se consapevole che fosse oramai troppo tardi.
Non aveva avuto tuttavia una sola possibilità per farlo, ingabbiata dal meccanismo sul suo petto, distante come non mai da lui...
Quel lungo mese li aveva allontanati nel modo più crudele, freddo e struggente.
Mentre avanzava giù per le scale con Excella, tuttavia, improvvisamente le luci si spensero, ed un allarme risuonò per l’ambiente.
Si accese un’illuminazione rossa, che conferì a quei laboratori un aspetto molto inquietante.
Le due donne si guardarono in giro, spaesate. Wesker, che non si era allontanato di molto, si affiancò a loro.
Egli stette immobile qualche istante, prima di correre per le scale e ritornare nel laboratorio dove era stato in precedenza.
Istintivamente, anche Jill ed Excella lo seguirono, scoprendo presto che i sospetti di Wesker erano fondati.


***





Volevo subito ringraziare infinitamente Astarte90 e Waanzin! Le vostre recensioni sono un sostegno che mi incoraggiano e che mi aiutano a capire come sta procedendo la fanfiction, soprattutto ora che siamo quasi alla fine ed io stessa mi sento un po’ tesa^^. Nonché comunicano quel calore di cui chi scrive ha bisogno!
Grazie per le vostre parole, grazie davvero!
Riguardo questo capitolo…che dire? Spero di aver reso i concetti che rimbombano un po’ per tutta la fanfiction, ma che qui ritrovano una consacrazione più esplicita. Spero che la scena susciti in chi legge quei burrascosi sentimenti che albergano in Wesker e Jill, una coppia dark, impossibile, eppure intrigante e accattivante.
Volevo anche mostrare come l’inganno e l’abbandono totale non sia la soluzione di questo pairing…quell’abbandono totale di cui si accenna nel capitolo 11.
Quella razionalità che teneva in piedi Jill e che l’aiutava a non soccombere e ricordare ogni giorno chi fosse Wesker, è vacillata per un solo istante…tant’è che è bastato però a far vacillare ancora di più di quel che già non era caduto.
Perché è questa la drammaticità di questa coppia. La drammaticità di due antagonisti attratti l’uno all’atra. La drammaticità di chi sa di amare un uomo oscuro, e che dal canto suo è rinchiuso in un baratro che nessuno può orami sperare di cambiare.
Perché per me sarebbe un colossale errore credere di vedere un Wesker pentito.
Wesker si ama e si odia, e nella mia visione che cerca di essere IC con lui, egli non rinunzierebbe a se stesso e ai suoi piani. Al contrario, disdegna i sentimenti, disdegna l’umanità, anche la più allettante e la più appagante…non è più nella sua natura abbandonare tutto.
Per questo Jill continua a ripetersi di odiarlo, perché lo sa perfettamente.
Eppure non è bastato a finire nella tela del ragno ancora una volta, nonostante anche lui in questo capitolo dimostra un istante di umanità, che infatti lo turba e lo ferisce di nuovo, non potendo accettare quella parte di se.
Per questo condanna Jill ancora una volta…

Al momento è tutto, ci sentiamo al prossimo aggiornamento!
A kiss <3

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Capitolo 16
*** Capitolo 16: libertà effimera ***







THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE






CAPITOLO 16






Gli allarmi risuonavano per i laboratori della TriCell.
Le luci d’emergenza di colore rosso illuminavano scarsamente l’ambiente, mentre Wesker, Excella e Jill scesero le scale per tornare nel laboratorio ove prima era stato condotto un esperimento di routine.
Qualcosa doveva essere accaduto.
Infatti, da sotto la porta di metallo del laboratorio, si vedeva fuoriuscire un’emissione di gas dalla natura sconosciuta.
Albert Wesker non indugiò, e mentre gli scienziati scappavano da quella stanza, egli vi si inoltrò destreggiandosi tra quelle nubi di vapore.
Cercò di analizzare la situazione approfittando della sua incredibile capacità di autocontrollo.
Si guardò in giro e, tra il fumo, distinse le apparecchiature che sembravano impazzite.
Accanto ad esse, notò con sgomento che vi erano accasciati i corpi dei dottori che precedentemente avevano operato.
Il sangue sporcava porzioni di parete, ed era schizzato anche sugli schermi e su quelle costose apparecchiature.
La visibilità era scarsa, ma nell’oscurità egli distinse una figura agitarsi visibilmente.
Portò dunque la mano sul fianco sollevando il lungo cappotto nero, ed estrasse dall’ascellare una pistola magnum.
Si avvicinò cautamente, pronto ad abbattere la B.O.W. che doveva essersi risvegliata in quel laboratorio.
All’improvviso vide qualcosa essergli lanciato in contro. Si spostò agilmente inclinando il busto di lato, e vide sbattere a terra, a qualche metro di distanza da lui, un ammasso di carne, che riconobbe essere…un braccio?
Tornò con lo sguardo dinanzi a se e questa volta vide nitidamente un umanoide deformato dall’Uroboros, che reggeva il corpo sfigurato di un medico conficcato nel suo braccio.
Wesker fece un ghigno puntando la sua arma contro.
“Dovresti tornare a dormire, dolcezza, ma è solo un consiglio.”
Dunque poi sparò.
Il mostro tuttavia doveva avere la pelle dura. Infatti, pur ferito da quel colpo d’arma da fuoco, si lanciò contro Wesker, facendo per tranciargli via la testa. L’attacco fu fermato dal tempestivo intervento di Jill, che si mise fra loro per ordine del P-30.
Wesker lì per lì rimase sorpreso, non volendo che Jill combattesse al suo posto. Il P-30 però le suggeriva quel tipo di ordine, vedendo comunque un nemico attaccare il suo ‘padrone’.
Così vide Jill combattere la bow, colpendola con violenti colpi di arti marziali.
Wesker le si affiancò velocemente, lottando assieme a lei.
“Valentine, non necessitavo del tuo intervento. Tuttavia combattere in coppia sarà divertente, non trovi?” disse ironico, trovando inspiegabilmente intrigante quando vedeva quella donna minuta, ma dalla grandiosa forza, combattere accanto a lui.
In fin dei conti, era proprio questo ciò che l’aveva colpito di lei.
Il mostro si voltò di scatto verso la bionda, e con il suo artiglio la colpì violentemente in viso.
Fu così veloce che ella non potette deviare il suo colpo in nessun modo.
Wesker girò gli occhi verso di lei, tuttavia la sua freddezza gli permise di riflettere che la maschera che ella indossava doveva essere abbastanza robusta da aver attutito il colpo.
La vide a terra, con la maschera spezzata, la quale lentamente cadeva a pezzi dal suo viso.
Appena ansimante, ella fece per rimettersi in piedi, ma il nemico, distinguendo il target più semplice da abbattere in quel momento, fece per colpirla di nuovo.
L’ex capitano STARS, prevedendo quella mossa, lo precedette e gli sparò di nuovo.
La BOW si voltò così verso Wesker, ignorando al momento la donna dai capelli biondi. Dunque, prese ad attaccarlo, attirato dai proiettili che l’avevano colpito alle spalle.
Wesker salì sopra una scrivania e con un salto riuscì ad arrivare all’altezza del nemico in modo da colpirlo alla testa con un calcio. Quel colpo fu incassato violentemente dal mostro, la cui testa si girò a trecentosessanta gradi.
Tuttavia questi restò in piedi, rimanendo in vita nonostante quell’assurda posizione del suo collo.
Pur con il capo girato al contrario, scagliò contro Wesker un attacco devastante, che egli riuscì a scansare senza troppa difficoltà grazie alla sua velocità sovraumana.
Il terremoto che però provocò nel laboratorio lo fece cadere in ginocchio. Wesker poggiò dunque una mano sul pavimento, e velocemente tornò a guardare il nemico, decidendo sul da farsi.
Inaspettatamente poi, qualcosa lo colpì alle spalle scaraventandolo definitivamente sul terreno.
L’uomo vestito di scuro rotolò sulla schiena per posizionarsi a pancia in su e ottenere una mira migliore. Si accorse però che altre cavie prima criogenate avevano inspiegabilmente ripreso conoscenza.
Imbracciò la magnum e agevolato dal fatto di essere disteso sulla schiena, sparò contro di loro, eliminandoli l’uno dopo l’altro.
Spostò lo sguardo verso Jill, non vedendola ancora al suo fianco.
“Occupati tu dei pesci piccoli.” le ordinò, ma ella non accorse.
Si voltò dunque di nuovo, costatando che lei fosse ancora stesa a terra, con i gomiti poggiati sul pavimento e lo sguardo vago.
Strinse gli occhi, adirato da quella disobbedienza.
Tuttavia il suo istinto si mise in allarme. Quello sguardo assorto di Jill non gli piacque per nulla.
Osservando il suo viso, si accorse che la sua espressione era diversa, era più umana, era…cosciente?
Gli occhi di lei avevano ripreso un bagliore intelligente, e sembravano afflitti, sconvolti, persi nel vuoto non perché incosciente, ma proprio perché paralizzati dai propri sentimenti.
Wesker setacciò con lo sguardo il laboratorio, e solo in quel momento si accorse che il telecomando con il quale controllava le dosi del P-30 nel corpo di Jill si era frantumato a terra poco distante da lui.
Allarmato, portò la mano sulla tasca dei pantaloni, ovviamente vuota. Dedusse che l’oggetto doveva essergli cascato a terra durante la colluttazione con la BOW.
Digrignò i denti e velocemente si rimise in piedi per intervenire prima che la ragazza prendesse consapevolezza di ciò che era accaduto.
Fu un attimo.
Uno sguardo fugace in cui Jill rivolse i suoi occhi sgomentati verso di lui…
Wesker rimase ammaliato da quegli occhi consapevoli… che in seguito sparirono, annebbiati da un’improvvisa coltre di fumo.
Infatti, la donna si era messa velocemente in piedi, e aveva frantumato un tubo accanto a lei, per avvantaggiarsi nella fuga.
Wesker si ritrasse portando un braccio sul viso, cercando comunque di non perderla di vista.
“Jill!!”
Urlò forsennato, per richiamarla all’ordine. Oramai, però, il P-30 non era più nel suo corpo.
La donna, infatti, scappò via, lasciandolo solo in balia delle BOW, che presto presero ad attaccarlo.
Intanto Jill Valentine corse via dal laboratorio con tutte le sue forze, mentre il suo cuore riprendeva a palpitare alle sue emozioni, mentre la sua mente si scioglieva dal vincolo di quella sostanza, mentre poteva tornare a correre, a muoversi, a pensare con la sua mente.
Nonostante il contesto catastrofico alle sue spalle, ella sentì delle trepidazioni bellissime pervadere il suo corpo.
Si destreggiò fra le sedie capovolte, i vetri frantumati, macchinari a terra e il vapore, sospirando affannosamente, non fermandosi un attimo di correre.
Tutto sembrava rallentarsi, mentre godeva di ogni passo che riuscì ad avanzare frettolosamente in quel putiferio.
Gli occhi si inumidirono impercettibilmente, mentre, ancora in corsa, sfilò via il mantello che nascondeva la sua figura, lasciandolo cadere a terra.
Aprì poi la tuta all’altezza del petto, continuando a procedere senza fermarsi. Buttò l’occhio sul solco fra i suoi seni e potette finalmente guardare dall’alto il dispositivo che l’aveva condannata a quell’inferno.
Strinse i denti con rabbia, poi afferrò con violenza il diabolico marchingegno rosso. Nonostante il dolore, ella non si fermò, e continuò a tiralo via strappandoselo dalla carne.
“Aaah!!” urlò, non fermandosi un attimo, tirando fino all’ultimo filamento ancora attaccato alla sua pelle.
Il sangue gocciolò appena sul suo petto, deturpato dai segni che le aveva causato il dispositivo. Quando ebbe quel ragno rosso fra le sue mani, sporco del suo sangue, la rabbia la pervase.
Così lo buttò violentemente sul pavimento, con una veemenza così forte che questo si spaccò a metà, mettendo fine a quell’agonia sofferta da Jill, finalmente libera di tornare se stessa.
Il congegno a terra, ormai rotto, riflettette sulla sua superficie lucida l’immagine di Jill che correva, raggiungendo finalmente l’uscita del laboratorio.
Ella scaraventò all’aria gli scienziati appostati sul pianerottolo vicino l’ingresso della porta, Excella Gionne compresa, non potendo oramai più essere fermata da nessuno tanta era la forza, la rabbia e l’adrenalina che le scorreva in corpo.
Salì frettolosamente le scale, consapevole che non sarebbe riuscita a sfuggire a Wesker per sempre, ma almeno poteva fare l’unica cosa ancora in suo potere.
La sua occasione, quella che aspettava da mesi, era giunta.
Excella la guardò percependo che qualcosa non quadrava, ma la sua attenzione tornò dentro il laboratorio, dove Wesker era ancora dentro.
Intanto, il cuore di Jill palpitava sempre più forte.
Nonostante non potesse permettersi quell’attimo di abbandono alle sue emozioni tornate vive e palpitanti dentro di lei, un sorriso si disegnò appena sulle sue labbra. Un sorriso soave, reale, meraviglioso…
Contemporaneamente, Wesker si scaraventò oltre la porta del laboratorio, ferito appena sulla fronte.
Si rivolse furente verso Excella, che gli si avvicinò tempestivamente contenta di rivederlo.
“Albert! Stai ben…”
“Dov’è?!” gridò lui furente.
La donna sbandò, ritraendosi subito. Arricciò le labbra e rispose spaventata dai suoi occhi rabbiosi che la trafissero violentemente.
“L-lei…intendi Jill Valentine…?” chiese tentennando, al che Wesker le si mise a un dito di distanza e l’afferrò stringendole il viso fra due dita con prepotenza.
“Excella, non mettere a dura prova la mia pazienza…!” disse a denti stretti trattenendosi a stento. Gli occhi della donna tremarono e per una volta fu disturbata dalla vicinanza dell’uomo da lei amato.
Mosse le labbra più per divincolarsi da lui, più che per la volontà di rispondergli.
“L’ho vista salire le scale, ma…”
L’uomo lasciò la presa, ignorando il continuo di quella frase, e si lanciò all’inseguimento di Jill, certo ormai che lei avesse ripreso coscienza.
Qualunque cosa sarebbe potuta accadere se la lasciava a piede libero in quel posto. Doveva riuscire a precederla a tutti costi.
Affacciandosi per le scale, la vide arrivata oramai quasi in cima.
Dal canto suo, Jill Valentine si girò appena, avvertendo come un sesto senso. Si sorprese di vedere, diversi piani al di sotto, Wesker che la trafiggeva con i suoi occhi.
Rimasero qualche istante a guardarsi l’uno negli occhi degli altro, come consapevoli di quella resa dei conti. Poi Jill si voltò e riprese la sua fuga con determinazione.
Aveva un discreto vantaggio rispetto a lui, doveva approfittarne. Non avrebbe mai più avuto quell’ occasione.
Arrivata sul pianerottolo, si chiuse dentro un ufficio, girando velocemente la chiave.
Questo non avrebbe certo fermato Wesker, ma non avendolo alle calcagna, era difficile che lui la scoprisse subito chiusa li dentro.
Aveva bisogno di almeno un minuto di tranquillità.
Si sedette dietro una scrivania e accese il computer che vi era poggiato. La fortuna girò per una volta a suo favore. Trovò un pendriver lasciato incustodito sul tavolo. Lo prese e lo utilizzo per appuntarvi sopra tutto il materiale che poteva trasmettere alla BSAA.
Cominciò a scrivere frettolosamente, battendo le dita sulla testiera, combattendo contro i suoi nervi e appellandosi alla sua mente fredda.
Tuttavia, mentre era a buon punto della stesura di quel rapporto, il computer si imballò.
“Cos..?!” esclamò, in seguito si adirò violentemente. “Merda!!”
Non aveva fatto in tempo.
Non era riuscita neanche a completare di scrivere quel maledetto documento per inviarlo, almeno in parte, al canale della BSAA.
Batte i pugni sulla scrivania, sconfortata, mentre la sua mente andò in panne, non potendo accettare di essere stata sconfitta anche questa volta.
Di colpo, un’idea si accese nella sua mente.
La radio…
Era una possibilità molto remota, ma poteva accedere al canale della BSAA da lì. Magari loro avrebbero captato il segnale e…
Era azzardato, ma al momento era l’unico piano che aveva. Doveva agire in fretta.
Fece mente locale per ricordare dove avesse visto in quel palazzo una stanza provvista delle strumentazioni adeguate per trasmettere il suo messaggio.
Ricordò che, oltre un’impalcatura, un giorno aveva intravisto un ufficio isolato dove Excella aveva trasmetto un rapporto a Ricardo Irving. Quello era proprio ciò di cui aveva bisogno! Un collegamento radio tecnologico!
Così si rimise in piedi.
Formattò il pendriver per cancellare la sua testimonianza, ma non potette seguire il processo di eliminazione in quando qualcuno cominciò a battere incessantemente sulla porta.
Dalla veemenza di quei colpi, comprese che l’avevano scoperta.
Dovette dunque correre via, e di fretta.
Ruppe il vetro della finestra, oltrepassandola. Utilizzò poi il cornicione per passare dall’altra parte degli uffici posti di fronte.
Si addentrò dunque nella palazzina di fronte, continuando la sua fuga disperata.
Intanto la porta della stanza dove era stata in precedenza si spalancò.
Entrarono dei soldati, seguiti dall’autorevole figura di Albert Wesker. Egli scrutò il luogo, accorgendosi subito che Jill doveva essere stata lì di recente.
Si affacciò dalla finestra rotta che lei aveva scavalcato. Al suo posto, anche lui avrebbe proseguito in quella direzione.
La sua attenzione fu poi attirata dalla luminosità dello schermo del computer.
Si avvicinò e interruppe il processo di formattazione.
Eseguendo un’indagine, per lui fu semplice risalire a cosa la donna aveva redatto sul pendriver. Sorrise, divertito dalla caparbietà della sua ex sottoposta.
“Hai fatto i tuoi compiti, mia cara Jill. Ma questa è stata una mossa incauta da parte tua. Rappresentando però che sei stata sotto il controllo del P-30 per tutto questo tempo, ammetto che hai conservato una certa razionalità per riuscire a fare tutto questo in meno di un quarto d’ora. Era stato un buon piano.”
Disse indispettito e compiaciuto allo stesso tempo.
Essere dato del filo da torcere da Jill Valentine era irritante ed interessante allo stesso tempo.
Era qualcosa che lo smuoveva in entrambi i sensi, stuzzicandolo visibilmente.
Sorrise, poi si staccò dal monitor.
“Ora posso immaginare dove sei diretta.”
Disse infine, poi sparì oltre la porta di quell’ufficio, come un cacciatore che si preparava a cogliere di sorpresa la sua preda in fuga.
Intanto l’agente della BSAA corse per le impalcature, atterrando dentro un secondo ufficio, collocato in disparte rispetto agli altri.
Per fortuna non vi era nessuno.
Era finalmente arrivata alla stazione radio della TriCell.
Tremante, cercò di accendere l’apparecchiatura. Per una come lei non fu difficile.
La sua attenzione fu tuttavia distorta da delle urla alle sue spalle.
Cosa diavolo stava succedendo nei laboratori? Le BOW dovevano star creando più inconvenienti di quel che credeva.
Non poteva tuttavia demordere. Nonostante il suo istinto la portasse prima di tutto a salvare gli altri, in quel momento doveva ignorare quelle disperate invocazioni di aiuto, e concentrasi invece sul mettersi in contatto con la radio della Bioterrorism Security Assessment Alliance.
Un brusio accese la sua speranza. Forse era riuscita davvero a mandare un segnale in qualche modo.
“BSAA? Mi ricevete? Passo! Rispondete!” disse con decisione scandendo bene le parole, sperando con tutta se stessa di non perdere il segnale.
Tant’era concentrata, però, che non si accorse di un’ombra alle sue spalle.
Anima e corpo erano fiduciosi in quella folle impresa, che era la sua unica speranza in quel momento.
Se i suoi compagni avessero anche solo registrato un piccolo segnale, avrebbero potuto comunque intendere qualcosa dall’eco disturbante che proveniva da quell’edificio.
Cominciò a giocare con l’apparecchiatura, sperando di sistemare la ricezione, quando all’improvviso una mano l’afferrò per i capelli raccolti nel codino, strattonandola via.
“Aah!” urlò lei, accecata dal dolore di quel gesto violento ed improvviso.
Aprì gli occhi e cadde nello sgomento più tortuoso quando vide davanti a lei il viso canzonatorio di Albert Wesker,
Wesker la lanciò via, facendola cadere a terra. La donna però si rimise in piedi, poggiandosi con le mani sull’apparecchiatura alle sue spalle.
“Wesker…” sussurrò digrignando i denti.
L’uomo intanto premette un pulsante, che chiuse definitivamente i contatti radio.
In seguito tornò a lei, rivolgendole quel suo crudele e maligno sorriso.
“Hai avuto un comportamento sconsiderato, mia cara Jill.”
La donna a quel punto si buttò contro la porta sperando di riuscire a scappare, ma aveva sottovalutato ancora una volta le capacità sovraumane di Wesker, che infatti premette con forza sulla porta ancora prima che lei la raggiungesse.
Jill si voltò verso di lui, sorpresa dalla sua velocità inconcepibile.
Lui le sorrise di nuovo, poi l’afferrò per il polso e la portò verso di se.
“Ancora non so dire se tu sia incredibilmente audace, oppure irrimediabilmente stupida.”
Disse inclinando il viso verso il suo, parlando a meno di due dita di distanza dalle sue labbra con fare intimidatorio.
La ragazza non si lasciò sopraffare e fece per divincolarsi dalla sua presa. Tuttavia Wesker non la lasciò fare. La buttò sul pavimento e la bloccò sedendosi sopra di lei.
“Figlio di puttana!! Tutto quel che mi hai fatto fare! Tutti i tuoi esperimenti e le tue macchinazioni..!” urlò cercando di colpirlo nonostante lui la tenesse ferma saldamente per i polsi.
L’uomo vestito di nero si piegò completamente su di lei.
“Sai, mi sono mancate queste tue sfuriate.”
Jill inorridì e lo trafisse con i suoi occhi azzurri finalmente tornati liberi di esprimere la sua rabbia e la sua disperazione.
Ella gli sputò sul viso, in risposta all’atteggiamento derisorio che lui continuava ad avere.
Wesker rimase immobile a quella reazione.
Si asciugò col dorso della mano, apparendo del tutto impassibile, mentre lei continuava a guardarlo fastidiosamente con la collera negli occhi.
Di improvviso poi, quasi in contraddizione con quella pacatezza che lo contraddistingueva, le mollò uno schiaffò, che finalmente cancello dal viso di Jill quello sguardo sprezzante.
“Impertinente come sempre.” disse, mettendole subito dopo una mano alla gola.
La ragazza si sentì soffocare e prese ad agitarsi muovendosi col corpo per scacciarlo.
“Non comprendi? Non puoi nulla contro di me. Non iniziare cose che non puoi finire, non generare situazioni che non puoi controllare. Sarebbe una mossa davvero incosciente da parte tua. Te lo garantisco.”
Seppur soffocata da quella presa, Jill corrucciò la bocca e gli rispose a denti stretti.
“Vai all’inferno!!”
Wesker le fece battere la testa violentemente sul pavimento, ma Jill non si diede ancora per vinta. Nonostante il dolore alla gola e alla nuca, trovò dentro di se la forza necessaria per capovolgere la situazione.
Roteò col busto e con una forza inaspettata riuscì a mettere Wesker di spalle sul pavimento, protraendosi adesso lei sopra di lui.
In verità, fu più Wesker che la lasciò fare, volendosi ancora divertire un po’ con lei.
Jill Valentine gli era davvero mancata, in tutti suoi aspetti. Forse soprattutto per il suo odio verso di lui.
Quei sentimenti ribollenti erano veri e lo ammaliavano pur nella loro negatività.
Una storia di antagonismo, intrigante e devastante, che confondeva i loro sensi e le loro convinzioni, attratti inevitabilmente l’uno all’altro in quel rapporto malato e proibito.
In tutto questo… ora lui sapeva che, da qualche parte, ella era ancora affezionata a lui, nonostante tutto.
“Non mi sembravi tanto contrariata quando invece ti sei concessa alle mie attenzioni.” disse con tono placido, infierendo su di lei.
La donna dai capelli biondi inorridì.
“Dimmi Jill, non ti è forse piaciuto?” aggiunse lui, e a quel punto fu lei a colpirlo in pieno viso, facendogli volare via gli occhiali da sole.
“Ti diverte giocare con le vite degli altri, non è vero?!” disse tremante, coinvolta nei sentimenti, lacerata dal suo cuore che si struggeva.
“Eppure…” bisbigliò, mentre affondava nei suoi tormenti, mentre dovette riconoscere suo malgrado l’uomo da lei odiato negli occhi di quello da lei amato. “Eppure…anche tu sei stato usato, Wesker!”
Wesker fu stranamente divertito da quella risposta.
“Oh…vedo che cominci anche tu a ragionare a modo mio.”
Jill sbandò a quella constatazione.
Anche lei aveva infatti cercato di ferirlo utilizzando informazioni che aveva appreso su di lui. Inorridì, ma cercò di non farsi ingannare da Wesker che amava torturare le menti delle persone conducendole alla pazzia.
Lui intanto si sollevò verso di lei, approfittando di quell’attimo di smarrimento.
“A me questa situazione sa di dejà vu. Non ricordi?” pronunciò soavemente, specchiandosi nei suoi occhi.
Jill ricordò perfettamente quell’immagine.
Il momento in cui erano caduti nella foresta e si erano dati quel primo bacio che l’aveva straziata e stregata.
Erano nella stessa posizione di allora, soltanto che stavolta non vi era quell’irrazionale desiderio nei loro occhi.
“Tu…” sussurrò Jill. “…tu hai saputo ingannarmi a tal punto da indurmi a credere in te ancora adesso.” disse con le lacrime agli occhi, le quali caddero sul viso di Wesker.
Egli la guardò perplesso, in silenzio, mentre quelle gocce bagnarono appena il suo viso.
Non si era accorto che i sentimenti di Jill bruciassero ancora così vivi dentro di lei.
Aveva voluto turbarla intenzionalmente con quella frase, eppure adesso era stata lei a sconvolgere lui, con quei suoi occhi colmi di lacrime.
Fu una visione che lo paralizzò completamente, nonostante il suo viso di marmo non fece trapelare nulla di quel curioso ed inspiegabile stato d’animo.
Jill Valentine accendeva quel qualcosa di umano che gli era rimasto. Quel soffocante senso di colpa che non lo aveva mai scalfito, e che irrazionalmente lo scombussolava quando si specchiava in quei bellissimi e tremendi occhi azzurri.
“Wesker…” continuò intanto lei in preda alle sue emozioni. “Lasciami…andare….”
Disse soffocata dal dolore, abbandonandosi poi sul suo petto.
“Non ce la faccio più…”
L’uomo rimase immobile, sdraiato sul pavimento, con la donna che lo odiava che piangeva sopra di lui, mentre i frastuoni provenienti dall’esterno facevano tremare quella stanza.
Tuttavia i due furono estranei a tutto questo, concentrati unicamente su quel qualcosa di oscuro che dilaniava l’animo di entrambi.
Wesker guardò verso di lei, osservando la sua testa abbandonata su di lui, sconfortata.
Distaccò lo sguardo, che divenne vago ed indefinito.
“Jill…” disse lui, con fare assorto.
A quel punto si sollevò e si mise in piedi, scostando Jill da se. Avanzò nella stanza guardando oltre il vetro della finestra, portando le mani dietro la schiena.
La ragazza seguì la sua figura, alzandosi anche lei da terra.
Lui sospirò, continuando a rivolgerle le spalle.
“Cosa vorresti dunque?” pronunciò serio. La donna lo osservò attentamente.
“Vorresti che mi fermassi, che ti chiedessi perdono…che tutto tornasse come un tempo?” chiese a tratti sarcastico, ma in parte anche malinconico.
Jill conosceva bene la risposta a quella domanda, e il suo animo si strusse ancora una volta.
Wesker si voltò, rimanendo placido e controllato, avanzando a passi lenti verso di lei.
“Non accadrà nulla di tutto questo. Lo sai bene. Suppongo continueremo a puntarci le armi contro in una battaglia senza fine, finché uno dei due avrà inalato l’ultimo respiro. Nessuno di noi due poserà l’arma per primo, vero, Jill?”
Disse, puntandole la pistola contro.
Nonostante l’atmosfera, quella scena trasmetteva un che di simbolico più che di terrore.
Quell’arma posta fra di loro era la metafora di tutto ciò cui entrambi non sarebbero mai potuti passare oltre. Erano su versanti opposti che non avrebbero mai potuto unirsi, nonostante entrambi ammettessero che qualcosa fosse cambiato fra loro.
Qualcosa di impercettibile, di irrazionale, ma che aveva profondamente toccato dentro di loro.
“Una scelta c’è sempre, Wesker.” disse lei inaspettatamente.
L’uomo sorrise, e questa volta la sua espressione non fu più celata dalle lenti scure. Jill potette finalmente parlare con lui, specchiandosi nei suoi occhi.
Non lo diede a vedere, ma fu felice di poter veder per la prima volta il reale Albert Wesker, spogliato dalla sua immagine irraggiungibile ed incomprensibile.
L’espressione sarcastica sul suo volto le fece intendere chiaramente che lui non aveva alcuna intenzione di fare un passo indietro.
Oramai il dado era tratto.
Abbassò il viso e dunque riprese parola.
“Ebbene…anche io non tornerò indietro.” disse ferma. “Uccidimi dunque qui, se vuoi. Non mi importa. Non tornerò in quell’inferno.”
Wesker avanzò ancora verso di lei, abbassando lentamente la sua arma. Quando le fu di fronte, poggiò la mano sul muro alle spalle della ragazza, e abbassò il capo verso di lei.
“Sei cocciuta, Jill.”
Jill sorrise.
“Mai quanto te.”
Quella risposta lo divertì.
I due si guardarono dritto negli occhi. Stavolta Jill non provò terrore nel cercare le iridi rosse dell’uomo che aveva dannato e, allo stesso tempo, dato un senso profondo alla sua vita.
In fin dei conti… era lui il motivo della sua sopravvivenza in quel mondo infernale.
Una visione piuttosto paradossale, ma che tuttavia era reale.
Quell’abominio l’aveva condotta fin li, di fronte al suo antagonista. Ma era ora di finirla.
“Puoi ancora fermarti, Wesker.” disse la donna, con tono serio e soave, sperando che lui potesse leggere la sincerità dei suoi occhi. “Finiamola qui.” aggiunse infine.
L’uomo vestito di nero rimase in silenzio, non potendo assecondare la volontà della ragazza di fronte a lui. Egli non poteva abbandonare ciò che da sempre aveva caratterizzato la sua vita.
Da tutta la vita pianificava quel momento, quello in cui sarebbe divenuto lo scrittore della storia del mondo. Non avrebbe abbandonato tutto.
Non era più in suo potere la possibilità di scelta. Il dado era tratto, e lui conosceva già bene la sua strada da intraprendere.
Nessuno avrebbe mai potuto comprendere cosa significava questo piano per lui.
Quel lungo momento di silenzio mise a nudo l’amarezza che si celava nel suo cuore.
Un’amarezza che non era attribuita ad una sola cosa, ma che nell’insieme aveva fatto vacillare quell’Albert Wesker ingabbiato nel suo stesso mondo.
Tuttavia, proprio nel momento nel quale i due avevano instaurato quella sorta di intesa, un’esplosione al di fuori di quella stanza distrusse inaspettatamente la parete sulla quale i due erano appoggiati.
La stanza ben presto si pervase di fumo, graffiando Wesker e Jill che ripararono il viso protraendo le braccia in avanti.
Wesker alzò lo sguardo dirigendolo oltre la parete esplosa, ricordando solo in quel momento delle BOW sfuggite al suo controllo. Quella distrazione non era da lui.
I suoi occhi tornarono su Jill, come risvegliatosi da quello stato di calma.
Infatti cercò il suo sguardo severamente, pronto suo malgrado a usare le maniere forti pur di rimetterla in riga.
Vide poi inaspettatamente le mani della ragazza allungarsi delicatamente sul suo viso, sfiorandogli appena le labbra, non riuscendo tuttavia ad arrivare a lui.
Wesker lì per lì non comprese.
Mentre il fumo alzatosi dopo l’esplosione si dissipava, vide la donna che l’aveva fatto vacillare graffiata e sporca di sangue.
Ella arricciò le labbra in una smorfia di dolore. Lentamente poi i suoi occhi si spensero sotto lo sguardo vigile di Wesker, mentre neanche lei comprendeva cosa fosse effettivamente successo.
Solo in quel momento l’uomo si accorse del sangue che scendeva dalla sua bocca sporcando il suo viso delicato.
Wesker sgranò gli occhi allibito, e notò che un pezzo di ferro aveva trafitto l’addome della ragazza.
Preso alla sprovvista, cercò di ristabilire la sua sanità mentale per concentrarsi sulla gravità della situazione.
Jill intanto riuscì a toccargli il viso, al che anche lui alzò gli occhi verso di lei.
“Wes…ker…” sussurrò, poi perse definitivamente conoscenza. Le sue mani scivolarono verso il basso e il suo corpo si abbandonò completamente, sorretto unicamente perché impinzata in quel ferro.
Wesker si pietrificò, dovendo vedere di fronte a se quella donna spegnersi, mentre il sangue sporcava il suo corpo.
A quel punto, con fermezza spezzò il tubo ancora attaccato alla parete, poi lo sfilò via da Jill, attento a non allargare la ferita.
Era impossibile denotare in Wesker gesti di disperazione, ma i suoi occhi in quel momento trasmettevano il sentimento che in gergo suo poteva più avvicinarsi.
Prese la ragazza fra le sue braccia, portandola velocemente in laboratorio.
Mentre camminava a passo deciso, diede l’ordine ai soldati di eliminare tutte le BOW fuori controllo.
Per fortuna la situazione era più sottocontrollo di quel che credeva. Doveva tuttavia risalire a cosa aveva scaturito quell’esplosione che aveva ferito Jill.
Anche lui era graffiato e sporco di polvere, ma non si curò di se stesso essendo le sue ferite per nulla dolorose. Doveva invece soccorrere Jill al più presto. Ella stava perdendo molto sangue, avrebbe potuto non farcela.
Mentre la appoggiò su un tavolo operatorio, vide i suoi stessi abiti oramai imbrattati di rosso.
Questo lo mandò in escandescenza, facendogli perdere il controllo.
Era in uno stato di agitazione che lo rese irrefrenabile, proprio perchè egli non accettava di essere sconfitto in quel modo.
Persino l’inaspettato, o la morte, non potevano avere la meglio su di lui che era il vero padrone del mondo. Il delirio di onnipotenza di Wesker l’aveva reso folle, tanto da non poter accettare che Jill stesse morendo non per opera sua.
“Sopravvivrai, Jill…” disse, e si mise subito ad operare.
Il contrasto di quel liquido rosso che macchiava la pallida figura della giovane dai capelli biondi lo turbò. Notò poi i segni lasciati dal dispositivo sul suo petto. La carne in quel punto era lacerata.
Aveva torturato Jill a tal punto…
Non stette a pensarci ulteriormente, comunque, e continuò l’operazione.


***


Passò circa una settimana dall’incidente nel laboratorio della TriCell.
Wesker camminava per il corridoio, con il suo consueto aspetto perfettamente ordinato. Aveva addosso un camice bianco e dei moduli in mano. Gli si avvicinò un dottore, che lo aggiornò sugli ultimi sviluppi dei loro esperimenti, poi si allontanò.
L’uomo con gli occhiali scuri continuò a leggere la cartella che aveva in mano, completamente assorto nelle sue ricerche.
Avanzò per quel corridoio illuminato e moderno, e si fermò soltanto quando giunse di fronte a lei.
Wesker guardò nella capsula ove era tenuta rinchiusa Jill Valentine, criogenata.
Era passata già una settimana…
Ripensò a quel giorno.
L’operazione era riuscita perfettamente, tuttavia per assicurarle la vita, aveva optato per sottoporla ad un trattamento speciale. L’aveva dunque criogenata, per permetterle di guarire e ristabilizzarsi completamente. Per tornare, anzi, più forte.
Wesker osservò attentamente i delicati lineamenti del viso della ragazza, perdendosi nei suoi tratti.
Il suo sguardo cadde poi sul dispositivo impiantato nuovamente sul suo petto.
Quell’immagine rievocò in lui qualche tempo prima.
I lavoratori della Tricell avevano ideato un nuovo macchinario per controllare il P-30, questa volta più forte, resistente, al quale il soggetto avrebbe potuto solo sottomettersi.
Ancorato perfettamente sulla sua carne, Jill non avrebbe più potuto ribellarsi.
Wesker abbassò il viso.
Alla fine, abbandonato a se stesso ancora una volta, avevano preso il sopravvento i suoi scopi, che venivano per lui sempre prima di ogni cosa. I suoi sentimenti semplicemente non esistevano per lui, abituato a ragionare come una macchina infallibile, e così l’aveva ridotta di nuovo a questo…
Presto la sua Crow Lady sarebbe rinata, cancellando per sempre la Jill Valentine che si celava sotto il suo mantello.
Un’insolita sensazione pervase l’animo di Wesker, tuttavia egli scacciò via quel sentimento, che però lo costrinse a guardare dentro di se, seppur per qualche secondo.
Alzò il viso verso di lei.
“Mi dispiace.” sussurrò infine. Distaccò poi gli occhi e si allontanò da lei.
Sul viso di Jill addormentato, si distinse una lacrima, che era rimasta casualmente criogenata assieme al suo corpo. Ignara che al suo risveglio, ella si sarebbe ritrovata ancora nell’inferno.





Africa, Kijuju, 2009






“Non sei affatto cambiato.”

“Wesker, allora sei vivo?”

“L’ultima volta ci siamo incontrati alla residenza degli Spencer, non è così?
Beh, questa è proprio una bella rimpatriata familiare. Mi aspettavo fossi più felice di rivederci.”





“Rivederci?”





“Jill…Jill! Sono io, Chris!”
“Jill, andiamo! Sono io, Chris. Reagisci!”
“Smettila, Jill! Ritorna in te! Svegliati! Jill Valentine!”



“Chr…Chris…”




“Chirs…mi dispiace così tanto.
Ascoltate.
Io mi riprenderò, ma voi due dovete fermarlo. Se il piano di Wesker avrà successo, Uroboros si diffonderà in tutto il mondo. Milioni di persone moriranno!
Dovete fermarlo! Chris, solo tu puoi riuscirci, prima che sia troppo tardi! Non ti fidi della tua compagna? Sei la nostra unica speranza di sopravvivenza.”







Un mese dopo…






[Epilogo…]

















L’epilogo è stato staccato dall’ultimo capitolo per una questione di ordine.
Ma preferirei lo leggeste assieme a questo capitolo per un fatto di completezza! *.*
Grazie per aver letto la mia fan fiction!!!!!!!
Andata a leggere l’epilogo, forza!

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Capitolo 17
*** Capitolo 17: epilogo - Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea - ***







THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE






EPILOGO



… Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea …
(chi toccherà la pece, ne rimarrà imbrattato)








Un mese dopo…


Un elicottero sorvolava il cratere del vulcano della regione Kijuju.
L’atmosfera nuvolosa e grigia comportava una scarsa visibilità, rendendo quasi impossibile ammirare il paesaggio sottostante.
Il mondo intero non sapeva nemmeno a quale catastrofe era scampato proprio qualche giorno prima, in quello stesso luogo ove un capitolo importante della storia dell’umanità si era chiuso.
Seduti sui sedili del velivolo, vi erano un uomo e una donna.
Il primo era Chris Redfield, agente della BSAA, in compagnia della donna che aveva creduto morta per tre lunghissimi anni, Jill Valentine.
Egli osservò la sua partner di sempre, la quale aveva il viso assorto e i suoi capelli biondissimi ondeggiavano per via del fortissimo vento.
Ella indossava una giacca azzurra in stile tuta, abbinata a dei pantaloni stretti color sabbia. Stringeva fra le sue mani un pezzo di carta, che accartocciava fra le dita nervosamente. L’uomo con i capelli scuri le si sedette accanto, premendo la sua robusta mano su quella pallida di lei.
La bionda, a quel contatto, alzò il viso verso di lui.
“Sei sicura di volerlo fare?”
Jill lo guardò intensamente, poi il suo viso si abbuiò di nuovo.
“E’ una cosa che devo fare. Devo chiudere questo capitolo, una volta per tutte.”
Chris comprese le motivazioni della sua compagna, così si limitò a stringere la sua mano, per starle vicino.
Dopo circa un quarto d’ora, il pilota dell’elicottero parlò ai due agenti BSAA.
“Non posso avvicinarmi più di così. Dovete proseguire a piedi da qui.”
Jill e Chris dunque calarono le scale di corda e scesero sulla terra ferma, in quella distesa polverosa cosparsa di cenere.
Avanzarono proseguendo a passo lento, ancora troppo provati per guardare senza esitazione quello che era stato il teatro di una delle battaglie più determinati della loro vita.
Perché lì, in quel lago di lava, era finalmente morto Albert Wesker.
Arrivati in prossimità del cratere, Chris fermò Jill.
“Fermiamoci qui.” disse non ritenendo saggio addentrarsi così in prossimità della lava.
La donna annuì. A quel punto si voltò verso di lui e gli parlò seria, ma con dolcezza.
“Vorrei stare un po’ sola, Chris. Ti prego.”
Il ragazzo non insistette, sapeva bene quanto quel momento fosse importante sia per lui che per lei.
In verità, non avevano parlato a lungo di ciò che le era successo quando era stata prigioniera di Wesker. Tuttavia gli abomini che egli l’aveva costretta a fare trasformandola in quella donna in nero, bastavano per fargli immaginare il quadro della situazione. Certamente non era facile per Jill sostenere quel peso, dopo quel che doveva aver passato. Dunque preferì rimanere in silenzio, lasciando che lei elaborasse quel dolore.
Si allontanò da lei, quindi.
Jill intanto si sedette su una roccia, dalla quale sporgendosi poteva vedere il cratere in lontananza.
Rimase assorta in silenzio, mentre il vento accarezzava la sua figura.
Quella quiete spezzata dal solo mormorio del vento era straziante. Essa contribuì ad ampliare quel senso di desolazione che già albergava nel suo cuore.
Quella storia…era davvero finita per sempre?
Avrebbe dovuto essere felice, eppure, non era così.
Era già solo difficile accettarlo.
Una lacrima scivolò sul foglio che Jill aveva ancora fra le mani, mentre si abbandonava ai ricordi di quella storia che non era ancora finita.
La guerra era ancora in corso, e lei avrebbe continuato a combattere.
Avrebbe cancellato dal mondo tutti coloro che avevano creato quell’Albert Wesker, vittima anch’egli di un atroce e crudele gioco del destino, che l’aveva fatto crollare inducendolo alla pazzia.
Wesker non poteva essere biasimato, ma non poteva negare di sentire nel suo cuore un’insolita comprensione, che irrazionalmente l’aveva indotta lì, su quel cratere, a pregare per lui.
Nel luogo in cui tutto aveva avuto fine, era lì che aveva deciso di dirgli addio, ed abbandonare per sempre quella parte di se.
Perché, perdendo per sempre anche lui, a sua volta Jill aveva perso anche una parte di se stessa. Wesker aveva fatto parte della sua vita in modo così tortuoso, da aver portato via con sé anche una parte di lei, con la sua morte.
La morte non era un termine che certo si addiceva ad uno come lui.
Strinse gli occhi, ricordando ancora una volta il volto di Wesker, in balia del fuoco, oramai perduto per sempre.
Lo odiava…lo odiava ancora terribilmente, eppure era lì a piangere la sua scomparsa. La scomparsa di quella mente diabolica, ma geniale, vittima delle conseguenze del destino scritto con le sue stesse mani.
Riflettette sulle sue parole, dettole qualche mese prima. Ricordò quella notte in cui lui le aveva mostrato il PG67A / W.
Le cose erano andate esattamente come le aveva detto.
Lui…lui aveva previsto tutto.
Aveva pianificato la sua morte stessa.
Jill chiuse gli occhi, gettando poi la lettera che aveva in mano nella lava, che ben presto l’incenerì, facendola sparire in quel fuoco dal colore vivo che ricordava gli occhi di Albert Wesker.
“Addio…” sussurrò, mettendosi in piedi e tornando verso l’elicottero.
Pronta a continuare la sua vita, pronta ad andare avanti in quella battaglia.
Pronta ancora a scontrarsi con Wesker, che per sempre sarebbe rimasto impresso nella sua mente e nel suo cuore. Ora, poteva ammetterlo.
Egli sarebbe sempre rimasto intrappolato nella sua mente, inevitabilmente prigioniera del signore delle tenebre che aveva trasformato i suoi giorni in incubi, che aveva stravolto la sua concezione di bene e male, ma che lei…
irrazionalmente
crudelmente
…aveva irrimediabilmente amato.




“Una bugia…
Una meravigliosa bugia…
Le sue parole, i suoi gesti, i suoi occhi.
Tutte inutili e sporche bugie, da parte di una spietata macchina da guerra assetata di sangue, avvelenata da un folle e inspiegabile desiderio di dominio.
Un’orribile e crudele bugia, alla quale io ho creduto.
Una storia devastante che mi ha coinvolta in un incubo senza fine, nel quale inesorabilmente si sarebbe articolata la mia nuova esistenza.
Albert Wesker…è questo il nome che la mia mente attribuisce a tutto questo.
Chi sei mai stato veramente?
Qualcuno mai ha potuto conoscere il tuo vero volto?
Tu stesso, ingabbiato nelle tue ricerche che ti hanno condannato ancora prima di questa storia, non hai mai più vissuto davvero, arrivando a sacrificare la tua umanità stessa, trasformandoti in un mostro.
Dopotutto, questo destino nefasto non ha risparmiato neanche a te, dannandoti l’anima, in quella realtà che lentamente ha forgiato la tua lapide.
Qualunque cosa tu stessi cercando, non l’avresti mai trovata.
Questo perché avevi già distrutto tutto.
Da dove proveniva la tua ossessione? Cosa aveva scaturito tutto questo?
Siamo entrambi vittime.
Entrambi abbiamo inseguito qualcuno che alla fine ci ha deluso e tradito, sacrificando tutto, persino noi stessi..
Per questo mi chiedo perché, specchiandoti nei miei occhi, tu non capisca…
Oppure era semplicemente che non eri più in grado di farlo, accecato da quella follia che aveva annebbiato la tua mente.
Nonostante io stessa fossi persa nel buio più assoluto, l’oscurità non sarebbe stata tenebrosa come il tuo spirito. Il quale è nero, putrido, logoro…
Anche addormentandomi, sapevo perfettamente che non avrei più visto la luce.
E tu, Wesker?
Cos’è che sogni quando chiudi i tuoi crudeli occhi iniettati di sangue?
Questa storia avversa e spietata si è ritorta contro di noi in maniera irreversibile, rendendoci qualcosa che non abbiamo potuto scegliere di essere.
Talvolta mi chiedo se questa stessa Jill Valentine non sia già morta.
Il mio cuore è serrato, il mio animo è oramai perduto. Non sento più nulla, un enorme vuoto mi pervade…
Osservo il mondo che mi circonda, e mi addolora costatare che io non sia l’unica a sentirmi così.
In tutto questo, ovunque mi volti, rivedo il tuo volto, causa del pandemonio di questa mia vita.
Non potrò mai perdonarti…!
Se solo le cose fossero andate diversamente, avrei potuto amarti?
Probabilmente no.
Perché io non sarei stata questa Jill, e tu non saresti stato questo Albert Wesker.
Eri una mente geniale, dotato di un’intelligenza inverosimile. Saresti stato capace di fare qualsiasi cosa.
Se solo avessi sfruttato tutto questo per scopi diversi…
Sei stato capace di compiere azioni terribili, senza provare un briciolo di rimorso.
Ed infine sei diventato davvero il mostro che sei sempre stato.
Quel mostro che non eri, ma che ti ha dilaniato dall’interno, distruggendo quel che eri.
Dunque…
Chi sei per me, Albert Wesker?
Un nome…un volto…una nemesi…un ricordo…
Hai cambiato il mio destino, hai sconvolto la mia vita.
Ti ho amato, e il mio cuore continua a struggersi in quel ricordo. Non riesco ad accettare che tu sia l’uomo che adesso ho davanti ai miei occhi.
Mi chiedo perchè…
…perché, nonostante tutto, io continui a non odiarti completamente.
E’ per via di quel ricordo che vaga ancora nella mia mente? Oppure è il tuo viso affranto, che ho scoperto nascosto dietro la tua freddezza?
Oramai non lo so più.
Ultimamente non so più neanche cosa sono.
Vorrei non averti mai conosciuto, per non dover continuare a ripetermi di odiarti con tutta me stessa.
Non meriti pietà, non meriti le mie lacrime…
Dovrei solo vivere una bugia per riuscire ad amarti ciecamente. Dovrei scegliere la via dell'illusione per credere nell'amore, un amore al quale in realtà vorrei abbandonarmi, ma non posso.
Vorrei poterlo dire, vorrei poter liberare il mio cuore, ma facendolo so che mi abbandonerei ancora una volta a una bugia.
Ironico…
Il tempo passato non ha cancellato ciò che hai manipolato nella mia mente.
Trovo ancora assurdo che tu sia quello stesso uomo.
Eppure, in una parte di quel diavolo crudele vestito di nero che hai creato, io ho rivisto quell’Albert Wesker.
Con te, ho perso ancora una volta ciò che mi era rimasto.
Sei sempre stato umano, alla fine ho capito.
Odiavi tutto e tutti, accecato da un’ira che non potevi sostenere.
Nel momento della morte hai avuto paura? Hai finalmente trovato ciò che cercavi?
Tutto ciò che posso darti, è questa lettera.
Ti auguro con tutto il cuore di riposare…finalmente…
Nonostante io non potrò riposare mai più, per colpa tua…
…Eppure…
io…ancora non riesco ad odiarti…

Wesker…
Addio…”




Jill andò incontro a Chris, il quale era già di fianco all’elicottero. Egli abbozzò un sorriso.
Intravide gli occhi lucidi della ragazza, la quale cercò di nascondere sorridendogli a sua volta. Un sorriso amaro che tuttavia il ragazzo fece finta di credere vero. Si limitò dunque a portare un braccio sulle spalle dell’amica, ed insieme fecero rotta verso casa.
Il vento si alzò, mentre lentamente l’elicottero sorvolava di nuovo il cratere un’ultima volta, sparendo poi fra le nubi.







Altrove, una fitta coltre di nebbia rivestiva un luogo solenne e silenzioso.
Sul prato ben tagliato erano collocate delle umili e pallide tombe.
Un uomo con passo deciso camminò fra esse, fermandosi davanti ad una ben precisa.
Il suo abbigliamento completamente nero nascondeva la sua figura, di cui era riconoscibile un solo particolare: un lungo cappotto scuro.
Egli sorrise. Nessuno aveva eretto alcuna tomba per lui, o comunque non era di suo interesse andarla a cercare da qualche parte. Perciò si avvicinò a quell’unico marmo bianco di sua conoscenza.
Si fermò e rimase un lungo istante a guardare.
Prese poi fra le mani un fiore bianco e lo piantò nel terreno.
Assorto, lo osservò attentamente, perdendosi nella contemplazione silente della delicatezza di quella vita, imitando un gesto che vide fare a sua volta un giorno.
Fece un ghigno, accarezzato dal vento, immerso in quel silenzio d’oltretomba.
Lentamente, poi, la coltre di nebbia si fece sempre più densa, nascondendo completamente la sua figura, e di quell’uomo vestito di nero non si seppe più nulla…






-Fine








It’s the end…
Siamo giunti alla conclusione di The Days Lost in The Nightmare, una fan fiction che aveva un enorme valore e un grande significato per me in quanto vede come protagonisti i due personaggi che più adoro nel mondo dei videogame, appartenenti a una saga che mi ha appassionata e che continuo ad amare.
Albert Wesker e Jill Valentine, due volti che mi hanno incantata, sia presi singolarmente, che insieme, nella loro intrigante e suggestiva storia, drammatica, dark, possibile ed impossibile…
L’intera fan fiction racchiude la mia immensa passione per loro, quindi la soddisfazione più grande per me sarà quella che chi legge…si sia sentito nella vicenda. Che abbia vissuto questa WeskerxJill con loro.
Vorrei che, alla conclusione di questo lungo “missing moment”, questi due personaggi siano visti con occhi diversi, anche al di la se siete fan di loro o no.
Ho voluto mostrarvi quel che io ho sempre visto in loro e che mi ha appassiona a questo pairing, cercando di riunire nella fanfic tutte le possibili sfumature.
Sarebbe inoltre un privilegio per me sapere che, dopo aver letto la fan fiction, giocando a resident evil 5, vediate in questo capitolo della saga quei particolari non spiegati, non approfonditi, ma che si intuiscono, e che nel mio piccolo ho cercato di spiegare tramite la mia The Days Lost in The Nightmare.
Una fic con la quale volevo riempire quel buco narrativo in cui Jill è prigioniera di Wesker, in una mia interpretazione personale WeskerxJill.
Penso abbiate notato la lettera finale di Jill, che racchiude tutti quei “pensieri” che spesso inserivo ad inizio capitolo.
Erano tutti messaggi che lanciavo per racchiudere quei concetti che poi avrebbero portato Jill a scrivere questa lettera.
Essi erano posti a inizio capitolo proprio per indicare come è nato ogni concetto espresso nella lettera, in modo che se ne comprendesse il più intenso e profondo significato dietro, una volta letta nell’insieme.
Parole che il lettore ha visto nascere e crescere con Jill nel corso di tutta la fan fiction.
Ed adesso c’è un “tutto ritorna”, spero, sul perché di quelle frasi introduttive! ^^

Volevo ringraziare tutti coloro che hanno condiviso con me questo percorso.
Il sostegno dimostratomi da voi che mi avete recensito mi ha trasmesso un calore immenso, e non ho abbastanza grazie per dirvi quanto mi sia sentita felice!
Ma uno special thanks va a due persone in particolar modo…Astarte90 e Waanzin!
Astarte90....
…non ho riscoperto in te solo una fan, amante di resident evil, della WeskerxJill quanto me…in te ho ritrovato un’amica, una persona profonda e sensibile!
Mi hai seguita fin dall’inizio, sei una delle prime che ha letto la mia ff, e per me è bellissimo essere qui insieme fino alla fine..!
Hai mostrato una passione e una vicinanza con me e con la mia storia che mi commuove e mi emoziona.
A questa ragazza va inoltre il grande tributo di avermi aiutata a correggere i capitoli, segnalatomi in privato.
Grazie per il tuo aiuto, un gesto a cui hai dedicato attenzione e che è stato fatto spontaneamente… e questo mi commuove davvero…!
Le tue gentilissime, lunghissime e bellissime recensioni… minuziose e attente a ogni particolare. Un’attenzione che mi ha lusingato e che mi ha fatto sentire la tua vicinanza!
Una vicinanza a livello emotivo che non credevo potesse essere possibile!

Sapere il livello di comprensione e di sintonia che abbiamo raggiunto mi emoziona enormemente!
Non ho parole, probabilmente ci siamo già dette tutto. Volevo ringraziarti ancora una volta di vero cuore.
Grazie per aver fatto questo percorso con me!
Grazie, grazie, grazie!!!

Sei stata un vero tesoro per me!!!
Poi...Waanzin, ho sempre adorato la tua poesia su Wesker, La Lapide, pubblicata qui su EFP.
Mi incantò all’epoca, e continua a farlo ancora, divenendo nella mia mente l’immagine finale di Wesker, avvolto nel mistero, vivo ma da nessuna parte…
La piccola cut-scene finale è quindi dedicata a te, alla tua storia, che mi è rimasta nel cuore. L’avevo deciso ancora prima che venissi a recensirmi! ^^
Sono felice che tu abbia letto la mia storia!  Grazie infinitamente!!
Tu che sei un fan di resident evil che come me ha cercato di spiegare (e ci sei riuscito alla grande!*.*) le sfaccettature di questa travagliata storia, su Wesker in particolar modo! Quindi a maggior ragione il tuo giudizio è stato importante.

Cosa posso aggiungere?
Un bacione a tutti!
Spero che questa WeskerxJill vi abbia coinvolti, vi sia piaciuta…e vi abbia anche un pochino emozionato.
Un bacione!!
…e alla prossima ;)

Grace


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