The Days Lost in the Nightmare di fiammah_grace (/viewuser.php?uid=76061)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: inaspettati sopravvissuti ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: risvegliata e condannata ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: la fine del 'sogno' ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: il P-30 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: marchingegno diabolico 1 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: marchingegno diabolico 2 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: un banchetto crudele ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9: odiato inevitabilmente, amato inesorabilmente ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10: il prezzo della verità ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11: ritorno nell'incubo ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12: donna diabolica ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13: l'ultimo residuo di umanità ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14: Kijuju ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15: circuito nero ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16: libertà effimera ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17: epilogo - Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea - ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: prologo ***
Salve!
Un
grazie prima di tutto a chi leggerà questa fanfiction.
I
protagonisti saranno Jill Valentine ed Albert Wesker, sullo sfondo
delle vicende antecedenti a resident evil 5. Ovvero la prigionia di
Jill.
Ho
sempre amato la coppia WeskerxJill fin da quando ho conosciuto questa
saga. In un'epoca in cui questi due personaggi non erano mai stati
concepiti assieme.
Dunque,
prima tramite qualche fanart, ora vorrei consacrare questo pairing in
una fanfiction.
I
presupposti lasciati in RE5 mi sono sembrati i più adatti
per
ambientare la storia.
Il
primo capitolo ricapitolerà la scena del
“sacrificio di Jill”, vista
nel flashback.
La
storia procederà lentamente, in quanto ci tengo a far
avvicinare i
personaggi con i tempi giusti.
Non
sarà una love story, premetto questo.
Seppur
a un certo punto la vicenda assumerà
dei toni più romantici, vorrei
cercare di rimanere più IC possibile con i personaggi, il
cui rapporto rimane e
sarà sempre impossibile, dark e angst.
Wesker
e Jill mi piacciono per questo. Per la loro storia drammatica ed
intrigante, ove da nemici, qualcosa potrebbe attirarli l’uno
all’altra.
Buona
lettura.
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
PROLOGO
Una bugia…
Una meravigliosa
bugia…
Le sue parole, i suoi gesti, i
suoi occhi. Tutte
inutili e sporche bugie, da parte di una spietata macchina da guerra
assetata
di sangue, avvelenata da un folle e inspiegabile desiderio di dominio.
Una orribile e
crudele
bugia, alla quale io ho creduto.
Una giovane
donna a terra, ferita, stanca e sfregiata,
ansimava forte di fronte quell’uomo vestito completamente di
nero.
I suoi occhi
bruciavano dalla rabbia.
Colui che
aveva dannato la sua vita, adesso
era trionfante poco distante da lei, tenendo per il collo Chris
Redfield,
pronto a sferrare il suo colpo di grazia.
Mille pensieri
scorrevano nella mente di Jill Valentine
mentre, impotente, assisteva a quella tragica fine.
La sua
battaglia contro l’Umbrella, la sua stessa vita
oramai distrutta, il cui simbolo era quell’uomo vestito di
nero…
…non
sarebbe finita così.
Non era mai
più stata padrona della sua vita da quel
maledetto luglio del 1998.
Situazioni
apocalittiche avevano deciso al suo posto e mai
più era stata quella dolce Jill Valentine che tutti
conoscevano.
Chi era lei
ora? Cosa ne era stato di tutto ciò che
caratterizzava la sua vita un tempo?
Nulla
più da quel giorno. Nulla più sarebbe stato lo
stesso,
né lo sarebbe mai tornato.
Una vita
distrutta sotto quel simbolo rosso e bianco
che aveva cambiato le sorti non solo sue, ma di milioni di persone.
In tutto
questo…l’avevano fatta franca.
La vendetta
era l’unico sentimento che l’aveva condotta fin
lì. Otto anni…otto lunghi anni…
Se era
lì, non era per nessun altro motivo se non per Lui.
Per
lui…che aveva cambiato le sorti della sua esistenza e aveva
fatto crollare il
suo mondo.
Aveva dovuto
lottare, aveva dovuto resistere e stringere i
denti e guardare sempre avanti.
Questo per
poter incrociare un giorno gli occhi di Albert
Wesker e fargli leggere la sua rabbia.
La rabbia di
qualcuno che aveva giurato
di non dimenticare, di non chiudere gli occhi finché non gli
avrebbe fatto
pagare fino all’ultima goccia il male inferto.
La sua casa, i
suoi amici, la stars, i suoi colleghi, la
vita di tanti innocenti, i “mostri” stessi, e
lei…la sua libertà!
Lui…non
le avrebbe privato anche di Chris. Non le avrebbe
tolto anche il suo ultimo pilastro rimasto in vita in quel mondo
funesto.
Se proprio
doveva perdere tutto di nuovo, tanto valeva
essere padrona del suo destino, almeno una volta!
Raccolse
dunque le sue forze, alimentando l’adrenalina che
le scorreva in corpo, e compì il suo gesto finale.
La donna si
scagliò contro
la possente figura di Albert Wesker, portandolo con
sé negli abissi di quel castello, oltre
la finestra alle sue spalle.
Il vetro si
frantumò ricoprendo completamente il carnefice e
la donna che aveva fatto della sua vita la lotta per la
libertà da quegli
incubi.
Furono
accomunati, per una volta, nello stesso destino.
Il suo
sacrificio non sarebbe stato vano, perché lui sarebbe
venuto all’inferno con lei. Ma la bruna non aveva paura.
Grazie a
lui…non
temeva più l’inferno.
Nel frangente
di un istante, intravide i suoi occhi
attraverso le lenti scure.
Per una volta
vide persino in lui la paura. Oppure
era lo stupore.
Probabilmente
non si aspettava che lei, proprio lei, una donna,
probabilmente la meno temuta fra lei e Chris, avrebbe decretato la sua
fine.
Un eco lontano
le fece per un momento rimpiangere la vita.
L’eco
dell’uomo che assieme a lei aveva combattuto quella
guerra.
“Chris…grazie.
E’ finita, questa volta è finita.”
Disse,
stranamente felice, mentre era stretta all’uomo che aveva
dannato la sua
esistenza, stretta a colui che l’aveva ingannata, stretta a
quella mente
diabolica e crudele, ma che allo stesso tempo aveva rappresentato lo
scopo
della sua vita.
“Jiiiiiill….!!”
Urlò un’ultima volta Chris Redfield,
osservando sconvolto la sua amica sprofondare nel buio.
***
Le gocce
d’acqua presero a battere sulle fronde fitte degli
alberi, rendendo lentamente quel bosco umido ancora più
cupo, bagnato dalla pioggia che nel giro di pochi istanti si
fece sempre più
fitta. Le rocce presero a scurirsi per effetto del bagnato, e vennero a
crearsi
diverse pozze, ove, su una di queste, erano adagiati due corpi. Uno di
un uomo
e uno di una donna.
Lui, disteso
sulla schiena con le braccia allargate e la
testa di lato, sembrava dormire se non fosse stato per il sangue che
scendeva
dal suo viso sporcandolo di rosso. Sul suo addome vi era stretta ancora
la
giovane donna dai capelli castani, completamente abbandonata su di lui,
anch’ella sporca di sangue.
La pioggia
s’infittì ancora di più, bagnando
completamente i
loro corpi già fradici. Il sangue si allargò e si
macchiarono anche le rocce
sulle quali erano caduti e che avevano decretato la loro morte. O
quasi…
Le luci
dell’alba trafissero l’oscurità della
notte. Ai toni
bui, si sostituì un leggero bagliore che illuminò
appena il cielo,
tinteggiandolo di un color indaco scuro. Nonostante fosse nuvoloso,
già quella
fioca luce bastò a dissipare l’inquietudine di
quel bosco notturno.
La pioggia
cadeva ancora. Non aveva cessato un attimo di scendere.
L’uomo,
all’improvviso, si mosse. Fu un movimento appena
percepibile che quasi sembrò non esserci stato davvero.
Poi si mosse
di nuovo. Alzò appena l’indice, tremando, poi
l’intera mano, roteandola per premere sul terreno bagnato.
Si
sollevò con la
testa che gli doleva incessantemente, e cominciò a scrutare
l’ambiente, ancora
stordito dopo quel lungo volo.
Fece per
alzarsi, quando ritrovò sopra di se il corpo di
Jill Valentine.
Ella
schiacciava il suo busto sul suo bacino, e un braccio
gli passava oltre impedendogli di alzarsi liberamente.
Le
sollevò la visiera
del cappello ancora infilato sulla sua testa e notò che era
sporca di sangue.
In quel
momento si rese conto anche lui di essere ferito.
L’occhio destro non si apriva e, portando una mano su di
esso, questa si sporcò
di sangue.
Si
guardò attorno e infatti vide che le rocce bagnante su
cui i due erano adagiati erano tinteggiate di un color rosso annacquato
dalla
pioggia.
Tentò
di rialzarsi nuovamente, sentì di star velocemente
recuperando le forze.
Spesso persino
lui non era in grado di comprendere i limiti
del virus che aveva in corpo.
Aveva
capacità di ripresa sorprendenti, e la sua
forza era insconfiggibile.
Ripensò
alle parole di Spencer. “Il potere di un
Dio…”
. Guardò verso di sé ripetendo quelle parole.
Era questo ciò che era diventato?
Non gli
importava certo di stupidaggini simili, tuttavia la
rabbia gli scorreva ancora in corpo.
Lì
per lì si rifiutò di pensarci, ignorando il
turbamento
che invece lo avrebbe presto condotto alla pazzia.
Si mise
definitivamente in piedi, scostando il corpo inerme
della donna, non curandosi di lei.
Rimase diversi
minuti a guardare di fronte a
sé la luce mattutina che lentamente stava facendo sparire il
buio.
Cosa stesse
pensando? Era impossibile definire cosa passasse
per la mente di Albert Wesker, fatto sta che i suoi occhi erano spenti
e in
qualche modo tristi.
Tuttavia quel
volto reso di marmo dall’esperienza militare e dal
carattere glaciale, non fece trasparire altro se non una distanza
infinita per
chi lo osservava.
I suoi occhi
andarono poi a posizionarsi distrattamente sulla
bruna che, a quanto pareva, non aveva avuto la sua stessa forza di
sopravvivenza.
Come avrebbe
potuto d’altronde, lei che era un semplice essere
umano.
Doveva odiarlo
davvero molto per essere arrivata a
sacrificare la sua vita per lui. Oppure chissà, magari amava
Redfield più di
quanto immaginava.
Fatto stava
che le aveva dato le spalle, dimenticandosi
quasi di lei.
In
verità, dava molta poca importanza alle donne. Non aveva
mai visto in lei una guerriera.
Certo,
conosceva le sue capacità. L’aveva
addestrata lui stesso ai tempi della S.T.A.R.S.. Tuttavia non avrebbe
mai
immaginato che una ragazzina simile si sarebbe scagliata contro di lui,
fino a
morire lei stessa lanciandosi da una finestra. Persino lui, nonostante
conoscesse le sue doti sovraumane, aveva creduto di morire in quel
momento.
Si accorse di
non aver mai conosciuto Jill Valentine, e per
la prima volta lei catturò la sua attenzione come mai era
accaduto.
La
guardò dall’alto mentre la pioggia continuava a
battere
sui loro corpi.
Inaspettatamente
intravide il petto della donna gonfiarsi.
Strinse gli occhi scettico e si piegò appena su di lei.
Era
viva…
Dapprima
sinceramente stupito, un sorriso si disegnò sulle
sue labbra.
“Stavolta
mi hai davvero stupito, Jill. Lo ammetto.” disse
ammettendo ironicamente che ella lo aveva realmente impressionato.
Quasi come
premiandola per la sua intraprendenza, decise di
non lasciarla morire lì, su quelle rocce ai piedi di Villa
Spencer.
Quello non fu
affatto un atto di clemenza, anzi.
Se solo Jill
avesse saputo di essere salvata da Albert Wesker, avrebbe provato
tutt’altro
che gratitudine, perfettamente conscia del fatto che da un incubo,
sarebbe
caduta in un incubo ancora peggiore.
Ma non
potendosi opporre, in quanto ancora dormiente, dovette
lasciare che Wesker la prendesse per le spalle girandola frontalmente.
Egli le
portò una mano sotto le ascelle e una sotto le ginocchia e
la sollevò
incastrandola dunque fra braccia e petto.
Il rumore
della pioggia era incessante.
L’uomo
dai maligni occhi rossi alzò il viso lasciando che
bagnasse il suo volto.
I capelli
scomposti, ritornarono indietro appesantiti
dall’acqua.
Il berretto
della bruna cascò dalla testa scoprendo il suo
viso addormentato.
Wesker, a quel
punto, avanzò nella foresta, riprendendo del
tutto le sue forze e sapendo perfettamente dove andare.
Ignara, la
donna seguì il suo carnefice, trasportata nei
meandri del suo peggior incubo.
Frastornata e
agonizzante, era ancora in balia
del sonno, non sapendo nemmeno di essere ancora in vita, mentre Albert
Wesker
già progettava come attuare la sua vendetta.
***
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: inaspettati sopravvissuti ***
Ringrazio
SonicoTheDragon98 per la sua recensione. La prima che ricevo! Grazie
mille!
Piccola guida alla
lettura: quando inserisco degli spazi vuoti nella fan fiction, a meno
che non
siano dei pensieri, significa che la scena cambia.
Al momento
è tutto.
Spero che questa
fan
fiction vi incuriosisca! <3
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 2
***
Ore 04:00 del
mattino.
Una dozzina di
uomini con dei lunghi camici bianchi erano in
un laboratorio.
Sembravano
immersi già nel lavoro, nonostante ci fossero a
stento le prime luci dell’alba. D’improvviso la
porta automatica si aprì e a
solcarla fu l’uomo da loro rispettato e temuto allo stesso
tempo.
Albert Wesker,
ancora bagnato e sporco, entrò nel
laboratorio, sostenendo fra le sue braccia una giovane donna dai lunghi
capelli
castani.
Il capo
ricercatore di quel dipartimento si avvicinò, come a
volersi assicurare delle condizioni del loro datore di lavoro, tuttavia
Wesker
lo ignorò palesemente, proseguendo nella stanza.
Come cani ben
addestrati, subito questi si affrettarono per
liberargli un lettino operatorio, in modo che potesse adagiarvi la
ragazza
esamine.
Wesker la
posizionò lentamente sulla barella preparatogli,
sotto gli occhi sempre più spaesati di quei dottori che mai
lo avevano visto
così trascurato.
“Signore?”
parlò prudentemente uno. “E’
morta?”
“No,
non lo è.” Rispose stranamente Wesker, non
allontanandosi
da lei, continuando a osservarla imperterrita. Mentre i suoi dipendenti
non
facevano che bisbigliare fra loro, egli stava già esaminando
la situazione.
Nonostante il
cuore fosse molto debole, Jill aveva
dimostrato una notevole forza e capacità di sopravvivenza.
Gli venne un dubbio
e si chiese se non valesse la pena tentare…
Prese infatti
una siringa e subito le fece un prelievo.
Osservò il liquido rosso intrappolato nella capsula, poi lo
affidò a uno dei
dottori.
“Portatemi
i risultati entro domani. Ora preparate la sala
operatoria.” disse imperativo, con quella sua voce
altisonante e temibile.
Sfilò
il suo lungo cappotto nero di fibra di carbonio, e al
suo postò indossò un camice, dei guanti e una
mascherina.
Avrebbe
effettuato lui stesso l’operazione in
quell’istante,
sapeva di essere l’unico in grado di garantire la
sopravvivenza del soggetto.
La bruna
intanto fu spogliata e portata in sala operatoria.
Wesker le si avvicinò e subito si mise al lavoro.
“Albert!”
Il suono dei
vertiginosi tacchi di una giovane donna dai
lunghi e folti capelli corvini rimbombò per i corridoi del
laboratorio.
Ella era
vestita con un elegante abito corto che lasciava
quasi del tutto scoperto il voluminoso seno, poco importandosi che
quello non
fosse l’abbigliamento ideale per una dirigente del global
pharmaceutical
consortium.
Excella Gionne
era infatti laureata in ingegneria genetica.
Dotata di un
intelletto acuto e un forte senso degli affari,
era diventata l’amministratore delegato della casa
farmaceutica Tricell all'età
di soli diciotto anni.
Apparteneva ad
una famiglia aristocratica ben nota e
rispettata in tutta Europa.
Aveva ricevuto
una rigida educazione, che tuttavia adesso
l’aveva resa una donna preparata, fiera e sicura di
sé.
Dunque,
abituata a vedere chiunque dall’alto verso il basso,
non badò a nessuno che incrociasse il suo sguardo. Si
fermò soltanto quando non
fu arrivata a destinazione.
“Perché
non ho saputo che aveva fatto ritorno?” disse,
osservando Wesker da oltre il vetro della sala operatoria, rivolgendosi
a uno
dei dottori.
“E’
venuto appena venti minuti fa. Non ne abbiamo avuto il
tempo, signorina Gionne. Sono spiacente. Ha iniziato subito ad operare
quella
ragazza…”
Balbettò
il dottore conoscendo bene quanto anche quella
donna potesse essere terribile, nonostante la giovanissima
età.
Dal canto suo,
Excella sbarrò gli occhi.
“Una…ragazza?
Chi?” chiese concentrando tutte le sue
attenzioni sulla bruna sul lettino operatorio.
“Secondo
i dati anagrafici fornitoci dal signor Wesker
stesso, il suo nome è Jill Valentine. Come richiestoci,
stiamo facendo degli
esami sul suo sangue, e in effetti c’è qualcosa di
strano in lei. Supponiamo…”
“Da
qua!” disse Excella sgarbatamente, sfilandogli i moduli
dalla mano.
Preferiva
controllare lei stessa; aveva le competenze per
farlo.
Quando
terminò di leggere, il suo sguardo tornò alla
ragazza. “Come è possibile..?”
sussurrò appena. In seguito, senza dire altro,
girò i tacchi e andò via.
Il suo
ammirato Albert Wesker ne sapeva una più del diavolo.
Da quando
l’aveva conosciuto, non faceva che girargli
intorno, affascinata dalla sua competenza e dal suo modo di fare
scaltro e
diabolico. Esattamente come lei…
Per questo non
vedeva l’ora di conoscere i suoi piani, e
divenire così la sua partner. Lo desiderava ardentemente,
nessuno avrebbe
potuto esserlo più di lei.
Quel che la
giovane donna non sapeva però, era che non si
poteva pensare di giocare con il diavolo.
Più
tardi, Wesker uscì dal laboratorio.
Stanco come lo
era raramente, si ritirò nella sua stanza,
situata in una zona residenziale nel laboratorio stesso.
Quel luogo era
immenso. Centinaia di corridoi si
intrecciavano fra loro, percorrendo più di una decina di
piani, tutti impegnati
nella ricerca.
Entrò
nell’ascensore e con un pass speciale poté
accedere
alla zona dove erano situati gli alloggi.
Il suo, in
particolar modo, non era accessibile a tutti.
Wesker era un
uomo che aveva chiuso i contatti col resto del
mondo, incapace oramai di ricercare la sua normalità. Se
esistevano dei rari
momenti un cui desiderava chiudere gli occhi, per riposare il suo
cervello
costantemente in funzione, voleva farlo solamente se fosse
completamente solo.
Come lo era
sempre stato. Come lui stesso aveva deciso di
essere.
Questo
perché non si fidava di nessuno al mondo, ed era
proprio grazie alla sua mente fredda, scaltra e calcolatrice che egli
era colui
che era adesso.
Giunto a
destinazione, l’ascensore si aprì ed egli percorse
lentamente tutto il lungo corridoio. Arrivato di fronte una lucida
porta
automatica nera, fece per inserire il codice ed accedere nel suo
appartamento,
ma una presenza alle sue spalle lo fece desistere.
Raramente il
suo intuito si sbagliava, e non era questo il
caso.
Girò
appena gli occhi e vide Excella Gionne, con le mani che
abbracciavano i gomiti, appoggiata al muro mentre lo guardava
ammiccante.
“Albert,
sono stata in pensiero per te. Hai trovato quel che
stavi cercando? Ti va di parlarne?” disse.
Wesker la
ignorò del tutto.Le concesse a stento uno sguardo,
poi tornò alla tastiera sulla porta, digitò una
lunga serie di numeri, ed
entrò.
Excella lo
seguì fedelmente.
L’appartamento
di Albert Wesker era spazioso e moderno, come
si ci poteva aspettare da uno come lui. Solcando l’ingresso,
vi era un ampio
salotto arredato con dei mobili dall’aria costosa, un paio di
divani posti
l’uno di fronte l’altro, e una grande vetrata in
fondo a tutto, ove poteva
ammirarsi una fitta foresta in qualche parte dell’Europa.
Vi era poi un
corridoio che conduceva alla zona notte.
Wesker vi si inoltrò e si sedette sul letto, decisamente
grande per essere solo
di una persona.
Portò
una mano sulla fronte, ancora turbato dall’intensa
notte trascorsa.
L’incontro
con Spencer l’aveva lasciato in uno stato mentale
confuso e dentro sentiva il sangue ribollire. Era adirato.
Excella si
sedette accanto a lui e gli portò una mano sulle
spalle, per nulla intimorita di stabilire un contatto umano con lui.
Simbolo della
sua ingenuità, sicurezza o imprudenza?
Impossibile stabilirlo.
“Hai
una palpebra ferita. Vuoi che ti medichi?” chiese, ma
era inconcepibile l’idea di introdurre un dialogo normale con
Wesker.
Egli infatti,
al tocco delle dita di Excella sui suoi occhi,
allontanò la mano di lei e la guardò gelido.
“Non
necessito delle tue premure. Inoltre credo di averti già
detto di non voler essere disturbato nella mia stanza.”.
Excella
sbuffò come una bambina. Poi cambiò
atteggiamento.
Si alzò e prese a camminare per la stanza.
“Ho
letto i documenti riguardanti…Valentine. Jill Valentine.
Se non sbaglio è la partner del famoso Redfield di cui parli
spesso.
Dimmi…l’hai portata qui per un motivo? Era
deceduta, o comunque sarebbe
deceduta di lì a poco, se non l’avessi
operata d’urgenza tu stesso. Mi
domando…perché? Sai bene cosa teniamo in
laboratorio.”
Disse facendo
molte pause, mentre Wesker era ancora assorto
nei suoi pensieri, seduto sul letto, nel buio della stanza.
“Hai
letto i referti. Mi sarà utile per il nostro progetto
Uroboros. Tranquilla, so già cosa farne di lei.”
Disse assecondando la donna,
che si lasciò ingannare, credendo che lui fosse davvero
interessato a renderla
partecipe.
“Un
altro esperimento?” chiese infatti lei, elettrizzata
all’idea.
Wesker
ricambiò il suo sguardo, considerando
l’atteggiamento
di quella giovane molto prevedibile.
“I
dati hanno confermato i miei sospetti. Ella ha prodotto
degli anticorpi molto forti in seguito alla battaglia contro il
Nemesis, circa
otto anni fa.” spiegò, alzandosi.
Excella
spalancò gli occhi, incredula.
“Il
virus Nemesis? Sul serio?”
“Questo
ci aiuterà a testare meglio il virus. Un soggetto
con una resistenza simile non è facile da trovare. In caso
di fastidi, so cosa
fare.” rispose Wesker tranquillo, facendo scendere la zip
della sua maglia e
avviandosi verso il bagno.
Mentre Wesker
si spogliava, Excella osservò il suo fisico
ben scolpito. Era una donna del tutto disinibita, così
continuò la
conversazione come se nulla fosse.
“Capisco…quindi
hai trovato finalmente un soggetto per
affinare le tue ricerche…”
Wesker
infilò una vestaglia scura e la guardò dritto
negli
occhi.
“Non
immischiarti troppo, Excella. Il mio lavoro ti riguarda
fino a un certo punto.”
“Mi
riguarda eccome. Sono una parente di Travis, ricordi?”
rispose lei in modo saccente.
“D’accordo.
Ma poi non piangerti addosso quando le cose non
andranno come credi.” Concluse lui ironico, e chiuse la porta
del bagno dietro
di sé.
Excella rimase
a guardare nella sua direzione. Sentì poi lo
scroscio dell’acqua della doccia e comprese che la loro
conversazione era
finita. Abbassò il viso e sorrise.
“Certamente,
Albert. Ma non potrai sempre lottare da solo.
Anche tu hai bisogno di qualcuno che ti sostenga. Non ti
deluderò.”
Poi
abbandonò la stanza.
***
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: risvegliata e condannata ***
Come
molti fan, anche
io ipotizzo che Wesker non abbia subito sottomesso Jill alla sua
volontà, ma vi
sia stato un periodo in cui ella sia stata minimamente capace di agire.
Grossomodo,
è questo
il tema portante della fan fiction, con la quale volevo approfondire
questo
lasso di tempo che in re5 non è mostrato, interpretandolo in
un’ottica
personale WeskerxJill.
Buona lettura!
Un
ringraziamento a Martamatta e Lucia1997 per le loro recensioni!^^
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 3
…Una
nuova razza umana superiore che vede la
luce grazie al virus Progenitore.
Ai
fratelli Wesker fu affidato un potenziale infinito.
Di loro, solo uno
sopravvisse. Tu.
Vuoi dire che sono stato
fabbricato?
Stavo
per diventare un dio, creatore di un
nuovo mondo per un’avanzata razza di esseri umani.
Eppure,
tutto è andato perduto a Raccoon
City.
Nonostante quella
sconfitta, la tua creazione ha tutt’ora
grande importanza.
La
mia ora si avvicina inesorabilmente.
Destino
beffardo per un uomo che ha il
diritto di essere un dio!
Il diritto di essere un
dio…
Wesker
spalancò gli occhi, sconvolto.
Completamente
sudato, tocco la fronte con la sensazione di
avere ancora addosso il caldo sangue di Spencer quando
l’aveva trafitto.
Nonostante
fosse solo un ricordo riportato nella sua mente
attraverso un incubo, sentì nitidamente sulla sua pelle il
corpo di quell’uomo
trapassato dalle sue stesse mani.
Una sensazione
devastante lo pervase, ancora incapace di
accettare che dopo quell’episodio qualcosa si fosse scosso
nella sua mente.
Buttò
via le coperte e si alzò, avanzando verso la finestra.
Era forse
normale essere tormentato dagli incubi? Da quanto
effettivamente non dormiva serenamente?
Una coscienza
macchiata come la sua non gli avrebbe mai
concesso beato riposo, questo da molto tempo oramai.
Tuttavia la
sua mente era sempre stata fredda e distaccata
dalle sue ansie, e mai si era sentito così…
Un brivido
tremendo lo attraversò in tutto il corpo di nuovo.
Sentì che non rispondeva al suo richiamo di tornare in
sé, e prese a tremare, a
sudare freddo.
Digrignò
i denti e scagliò un pugno contro il muro,
frantumandolo in quel punto.
Ansimava,
arrabbiato col mondo intero, arrabbiato con se
stesso, arrabbiato con Ozwell Spenser…!
Le parole di
quell’uomo echeggiarono disturbanti nella sua
testa con ossessione, ripetendosi a catena l’una dopo
l’altra. Atroci,
martellanti, come spade appuntite nel suo cranio.
Rivide quel
vecchio nei suoi ricordi, il buio di quel
castello, la sua indifferenza nel parlare a lui di quei suoi progetti,
infischiandosene, e forse non notando nemmeno, di star devastando la
mente di
un uomo che aveva sacrificato tutto per rincorrerlo.
Lui…non
era altro che un fabbricato? Un prodotto? La sua
vita…era stata tutta una menzogna?
Tutta la sua
esistenza era girata attorno ad un folle
simile?
Sferrò
un altro pugno, devastato da quelle parole che non
stavano facendo altro che tormentarlo da giorni.
Il suo
autocontrollo, la sua mente fredda e
calcolatrice…stava tutto vacillando?
Stava…impazzendo?
Dopo anni di
sacrificio…era questo ciò che lo stava facendo
crollare? Perché?
Perché
non riusciva a dimenticare quelle parole? Perché lo
avevano scosso fino a questo punto?
Aprì
i pugni e guardò le sue mani. I suoi pensieri si fecero
sempre più struggenti.
Nove
anni…erano passati nove anni da quando aveva
sacrificato la sua umanità per seguire Spencer…
Invece ne
aveva appena diciotto quando era iniziato
tutto…quando da giovanissimo scienziato era entrato per la
prima volta nel
laboratorio sui monti Arklay e aveva cominciato a lavorare per conto di
Spencer
senza mai poterlo vedere. Senza mai sapere nulla. Senza conoscere lo
scopo
della sua ricerca, trattato poco più di una macchina.
Ventinove anni
in totale, che aveva dedicato la sua vita interamente
a tutto questo.
Ed
ora…uno stupido vecchio veniva a dirgli di averlo prodotto
e di aver fatto della sua vita un esperimento? E per cosa…?
Per divenire…un
Dio?!
Scaraventò
all’aria la lampada poggiata sul comodino vicino
al letto, facendola rompere in mille pezzi. Nascose poi il viso fra le
mani.
Disperato ed
adirato, stava cadendo in un baratro dal quale
non riusciva davvero a uscire.
Il prezzo
della verità tanto ambita…era stato questo?
“Il
potere di essere un Dio, dici? Che arrogante.. arrogante
fino all’ultimo. Ahahah…ahahah!”
Wesker
cominciò a ridere in modo malsano, sconvolto, in
balia dell’oblio più nero e confuso.
***
Erano le due
del pomeriggio all’incirca, e Wesker era ancora
in giro per i laboratori.
Sempre immerso
nel suo lavoro, ultimamente la sua ricerca
sembrava essere giunta ad un livello ossessivo, quasi come fosse
incapace di
staccarsi da quei monitor.
Le sue attuali
ricerche necessitavano la sua stessa presenza
lì, in quanto si trattavano di esperimenti delicati e non
poteva permettersi
intoppi di alcun genere.
Eppure non si
trattava solo di questo.
Di recente era
partito anche per l’Africa con l’intento di
testare alcuni campioni di virus presso la Tricell.
Era tornato
appena la sera prima, dopo più di quattro mesi
di assenza, ed ora era già al lavoro.
Albert Wesker
era costantemente concentrato sul da farsi e non
avrebbe mai ammesso ritardi sulla sua tabella di marcia.
Nessuno osava
contraddirlo, proprio perché tutti sapevano che,
se si aspettava dei risultati, non avrebbe accettato scuse.
Sulle lenti
scure si riflettevano i dati che stava
controllando.
Come facesse a
sostenere un ritmo simile, era inconcepibile
anche per lo scienziato più scrupoloso.
Tuttavia
Wesker apparteneva ad una formazione diversa.
Egli era pur
sempre stato uno scienziato dell’Umbrella, ove
tutti erano sottoposti ad un regime molto severo.
In quel
contesto, aveva conosciuto persone persino più
ossessive di lui verso il lavoro…
William
Birkin, ad esempio, era forse l’unico vero collega
che avesse mai avuto.
Egli era
l’unica persona al mondo alla quale aveva
riconosciuto bravura e intelletto, nonché scaltrezza e
crudeltà, che nel loro
lavoro non erano un male.
Nonostante le
loro tante divergenze, Birkin era l’unico uomo
che gli fosse somigliato nella vita, alla fin fine.
Entrambi
dotati e disposti a tutto, questo li aveva sempre
resi diversi dagli altri.
Ripensando
tuttavia alla sue sorte, preferì allontanare quel
ricordo.
L’idea
di rimanere soggiogato dalle ricerche come lui lo
inquietava, anche perché comprendeva bene l’ardore
che c’era stato in lui in
quegli anni… perché quell’ardore
scorreva anche in lui.
Sarebbe morto
anche lui per le sue ricerche?
Questo lo
sapeva da sempre.
Ad un certo
punto si alzò. Raccolse dei moduli e si inoltrò
nel corridoio.
Con lo sguardo
severo puntato di fronte a sé, si fermò soltanto
quando giunse davanti a lei…
Guardò
apaticamente verso il liquido bio organico dove era
immersa Jill Valentine, la sua “nemica”. Era
passato all’incirca un anno da
quando era accaduto l’incidente.
Poco dopo tre
mesi di ricerca, sia lui che la donna erano
stati dati per morti.
Pensava che
Chris Redfield avrebbero demorso con più
difficoltà. Tuttavia era meglio così, anche
questo favoriva i suoi piani.
Poggiò
una mano sul vetro.
Già
prima della sua partenza per l’Africa aveva notato che i
pigmenti dei capelli della ragazza stavano tendendo a schiarirsi.
Ora, con quei
quattro mesi di distanza, erano di un color
biondo pallido.
Con ogni
certezza, la causa doveva essere il lungo sonno
criogenico a cui l’aveva sottoposta. I bulbi piliferi del
cranio dovevano aver
subito un precoce processo di scolorimento, eziolamento in termine
tecnico. Ma
non era certo questa la sua preoccupazione.
Quel che gli
importava era se era riuscito a sfruttare la
notevole forza che la ragazza aveva in realtà dentro di se.
Se avesse
avuto riscontri positivi, poteva essere un enorme
vantaggio quello di averla ancora come cavia.
La ragazza
infatti gli era già stata davvero utile in quel
lungo anno per il suo progetto Uroboros.
Tenerla in
vita era stata una decisione che si era rivelata
davvero proficua per lui.
Stette in
silenzio ad osservarla, mentre i capelli di lei
ondeggiavano sul suo viso seguendo movimenti del tutto casuali, eppure
delicati
e armonici.
Improvvisamente
ebbe l’impressione che ella avesse aperto
gli occhi, seppur per un istante.
Si
avvicinò al computer collegato con la capsula dentro la
quale era immersa. Controllò il suo sistema nervoso e le
funzioni celebrali.
Dalla colorazione del monitor e dagli impulsi che raccoglieva dal suo
cervello,
ella sembrava infatti tutt’altro che dormiente.
Decise dunque
di riprodurre in modo velocizzato i suoi
movimenti registrati durante gli ultimi giorni.
Constatò
che la ragazza stava dando i primi segni di
risveglio fin dalla mattinata del giorno prima.
I tempi erano
decisamente prematuri, ma se così fosse stato,
era meglio toglierla di lì.
Gli scienziati
che stavano seguendo il caso con lui
prepararono subito le apparecchiature, e fu Wesker a premere, senza
esitazione,
un pulsante che fece svuotare la vasca dal liquido.
L’acqua
defluì velocemente, al che la donna si abbandonò
completamente sul fondo, premendo la schiena sul vetro non avendo
più alcun
sostegno che la reggesse.
Le collegarono
immediatamente tutti gli strumenti
predisposti per garantirle la sopravvivenza, dopodiché fu
coperta con un camice
ospedaliero.
La ora bionda
Jill Valentine aprì per un istante gli occhi, cominciando
a tremare visibilmente, ma non sembrava aver ancora preso pienamente
coscienza.
Ad un tratto
si piegò su se stessa e, come in preda ad un
attacco di panico, ebbe dei violenti spasmi. Cominciò a
tossire convulsivamente
con gli occhi spalancati, portando una mano alla gola nonostante avesse
l’inalatore.
Cadde poi in
avanti, completamente sfinita.
Wesker rimase
impassibile, e la osservò attraverso le lenti
completamente padrone di sé.
La reazione
avuta era del tutto normale, non c’era da
preoccuparsi.
Contando che
aveva previsto persino una piccola percentuale
di morte, poteva già dirsi ottimista sulla buona riuscita
del suo esperimento.
Ora doveva
solo aspettare che ella riprendesse coscienza.
Prese fra due
dita il viso di nuovo addormentato della
giovane, girandolo verso di sé.
Abbozzò
appena un sorriso divertito e, prima di lasciare che
fossero gli scienziati a occuparsi di lei, le sussurrò
all’orecchio: “Bentornata,
Jill Valentine.”
***
Jill
lentamente riprese conoscenza.
Era buio e
tutto sembrava galleggiare in aria. Anche il più
piccolo rumore pareva rimbombare terribilmente, come un suono
disturbante.
Una fortissima
nausea la pervase in corpo, sentendosi
prigioniera dell’oscurità più assoluta.
Nell’inconscio
del sonno, temette persino di cadere nel
vuoto.
A quella
sensazione angosciante di non avere via di scampo,
di essere in balia del nulla, sbarrò gli occhi,
terrorizzata.
Emise un
piccolo urlò che di scatto la fece raddrizzare col
busto.
Ansimò
fortemente in preda allo sgomento.
Confusa e
spaventata, la testa cominciò a girare vorticosamente
per quel brusco risveglio.
Portò
una mano sulla testa, schiacciandola contro le ginocchia,
incapace di scacciare quella martellante emicrania.
Strinse i
denti sentendosi di morire, e per un istante perse
nuovamente i sensi.
Riaprì
gli occhi pochissimi minuti dopo.
Stavolta la
testa non doleva, e nonostante tremasse sotto
shock, cominciò ad analizzare la situazione.
Si
guardò attorno.
Le immagini
erano ancora molto offuscate e le fu difficile
mettere a fuoco il luogo che aveva dinanzi a sé.
Se prima le
sembrava buio, in quel momento si accorse che
una luce al neon illuminava un piccolo angolo di quel posto.
Sobbalzò
quando distinse un tavolo operatorio ancora sporco
di sangue.
Ancora
tremante, strinse una barra della cella dove era
tenuta prigioniera, e si affacciò oltre.
Dove era
finita? Cos’era quel posto? Un ospedale..?
Ma se era un
ospedale, perché era chiusa in gabbia? Era
forse…una cavia, piuttosto…?
Buttò
un occhio su se stessa e si accorse in quel momento di
essere coperta unicamente da un camice ospedaliero.
Si strinse le
spalle sentendosi nuda.
Cercò
intanto di ricapitolare cosa le fosse accaduto, ma la
sua mente non rispondeva, come fosse bloccata da qualcosa che non le
permettesse di ricordare.
Era ancora
assopita dal sonno, o forse era stata addirittura
drogata, non lo sapeva.
Non poteva di
certo sapere di aver dormito per un anno
intero.
Posizionò
le gambe in modo da alzarsi.
Premette
dunque sui piedi, ma nel momento nel quale si
sollevò da terra, ricascò subito. Si sentiva
ancora molto debole e fiacca.
Tuttavia
l’istinto era più forte. Esso le diceva che doveva
andar via di lì…e alla svelta!
Come
però?
Girò
gli occhi sperando di cogliere anche la più piccola via
di fuga.
Una piccola
forcina a terra attirò la sua attenzione.
Era fuori
dalla cella dove era tenuta prigioniera, ma forse
con un piccolo sforzo avrebbe potuto raggiungerla.
Si mise in
ginocchio, e con tutte le sue forze tese il
braccio sperando di riuscire ad afferrare il piccolo oggetto.
Non fu
particolarmente difficile, ma prima di essere
compiaciuta della buona riuscita del piano, doveva ancora aprire la
serratura.
Le sue mani
tremavano all’impazzata. Dovette ispirare più
volte per farsi forza e concentrare le sue energie in modo da essere
ferma.
Giocò
col meccanismo per diversi minuti, non perdendosi
d’animo nonostante l’ansia continuasse a crescere.
Chiunque avrebbe potuto
entrare da un momento all’altro.
Poi…il
meccanismo scattò.
Quasi
incredula, spinse appena la porta della cella, la
quale emise un cigolio assordante.
Nonostante il
suo equilibrio fosse ancora precario, quasi si
buttò oltre la cella, e si inoltrò accelerando il
passò quanto più le gambe le
consentissero.
Cascò
a terra più volte, e se non avesse avuto il sostegno
dei muri, difficilmente sarebbe riuscita a camminare in piedi.
Guardò
attorno a sé, mentre il cuore le batteva
all’impazzata.
Non sembrava
un posto qualsiasi.
Strani
oggetti, macchinari, nonché tessuti mollicci, erano
esposti. Sembrava quasi un laboratorio.
Strinse una
mano sul petto, indietreggiando spaesata.
Non faceva che
domandarsi cosa le fosse successo, perché
fosse lì…?!
Ma non
c’era nulla che le permettesse di ricordare. Neppure
un piccolo indizio. Solo la paura era la sua unica compagna in quel
momento, e
le diceva “scappa”.
Si
avvicinò ad una piccola capsula, dentro cui c’era
uno
strano filamento nero.
Lo
guardò cercando di capire cosa fosse, quando
all’improvviso questo scattò in sua direzione.
“Ah!”
urlò, cadendo all’indietro e portando poi subito
una
mano alla bocca, impaurita che qualcuno avesse potuto sentirla. Non
vedendo
nessuno, si rimise in piedi.
Notò
che quello strano filamento nero era ritornato adagiato
nella capsula.
Si
allontanò comunque, decidendo di ignorarlo, e fu allora
che vide una lunga scalinata di fronte a sé.
Doveva
salirla?
Non che avesse
molta scelta…così avanzò.
Il corpo
lentamente prese a rispondere meglio ai suoi
comandi. Il cuore le batteva a mille. Poteva sentirlo sbattere nel suo
petto.
Non sapeva
cosa avrebbe trovato, ma voleva fuggire via da
lì. Era la sua unica consapevolezza.
Una volta in
cima, sbirciò cautamente e constatò di essere
in un luogo molto moderno, composto per lo più da corridoi.
Continuò
avanzando molto lentamente, come aspettandosi che
qualsiasi cosa potesse aggredirla da un momento all’altro.
Non sapeva
nemmeno lei perché avesse una tale paura in corpo,
ma qualcosa le disse di stare allerta, di non abbassare mai la guardia.
Loro
sarebbero potuti arrivare da un momento all’altro.
Si
fermò, confusa.
“Loro” chi?
Portò
una mano sulla fronte incapace di comprendere la sua
stessa mente.
All’improvviso,
diversi rumori metallici invasero il luogo.
Alcuni più striduli, altri più gravi o acuti.
Erano degli
strumenti di laboratorio?
Si
affacciò verso un vetro coperto da delle sottili persiane
e, sbirciando dentro, ebbe l’impressione di vedere un uomo.
Era coricato
su un lettino, il suo corpo era
livido…era…morto? E cosa stava facendo quel
dottore di fianco a lui?
Scappò
via, questa volta ancora più consapevole di dover
uscire via di lì.
Quella era
infatti tutt’altro che
un’operazione…sembrava un
vero e proprio test con una cavia umana!
Doveva
approfittarne ora che non c’era nessuno, ora che
nessuno si era ancora accorto di lei.
La prudenza
che prima l’aveva quasi immobilizzata, ora era
scomparsa.
Si
ritrovò soltanto a correre per quei corridoi.
Trovò
una porta, dunque si ci buttò contro, oltrepassandola.
Tuttavia le
forze l’abbandonarono proprio in quel momento,
così precipitò di nuovo a terra, rotolando per le
scale.
Alzò
la testa e, nel silenzio, sentì il rumore di dei passi.
Girò
gli occhi a destra e a sinistra cercando di captarne la
provenienza. Stavano salendo o scendendo? In quale direzione avrebbe
dovuto
fuggire?
Ad un tratto,
percepì che provenissero dall’alto,
così si
rimise velocemente in piedi e scese gli scalini.
L’essere
scalza l’aiutò a non fare rumore e continuare a
correre.
Aprì
un’altra porta e si ritrovò di nuovo nei corridoi.
Dove
diavolo era l’uscita?
Si
girò indietro, ma i passi sentiti prima erano oramai
quasi alle sue spalle.
Così
analizzò la situazione.
Prese un porta
flebo lasciato incustodito nel corridoio e lo
impugnò saldamente.
Tornò
indietro e lo puntò determinatamente contro i dottori
che adesso erano proprio di fronte a lei. Questi, colti alla
sprovvista, non
poterono evitare il colpo ben assestato della bionda, così
si ritrovarono a
terra doloranti.
Intanto lei
buttò a terra l’asta e corse con tutte le sue
forze verso la porta che aveva di fronte a sé.
Corse a
perdifiato ritrovando dentro di se un’energia
inaspettata.
Scaraventò
all’aria chiunque incontrasse e ad un tratto
sentì persino gli allarmi suonare.
Intravide una
finestra. Era il momento di andare via.
Così
si ci buttò contro e subito fece per scavalcarla.
Nonostante i
suoi movimenti, che furono davvero veloci,
degni di un ex agente STARS, fu tuttavia bloccata alle sue spalle.
Urlò
dimenandosi come una indemoniata.
Accorsero
più persone, che la bloccarono in ogni parte del
suo corpo, fino a sollevarla e riportarla nel corridoio.
Le misero
velocemente una camicia di forza, dopodiché le
fecero un’iniezione.
Nel giro di
pochi istanti, le forze l’abbandonarono
completamente e, nonostante riuscisse a rimanere sveglia, era come se
fosse in
uno stato catatonico.
A quel punto,
coloro che l’avevano afferrata, furono liberi
di metterla su una sedia a rotelle e riportarla in laboratorio.
La donna si
sentì bruciare dalla rabbia mentre vedeva quella
finestra allontanarsi dalla sua vista, senza avere la
possibilità di far nulla.
“Cosa
succede qui?” una voce femminile si avvicinò.
“Dottoressa
Gionne, abbiamo avuto una piccola complicazione.”
Jill
guardò quella donna. Chi era?
“Uhm…contattate
Albert. Credo sarà felice del risveglio
della sua biondina.” Disse visibilmente sarcastica,
dopodiché andò via.
La ragazza
intanto accasciò la testa, spaesata, non
comprendendo quasi più le parole che uscivano dalla loro
bocca.
Esse
risultavano come un eco lontano e disturbato, e la cosa
la stava mandando in bestia.
Che volevano
da lei?
Vide il
corridoio scorrere mentre un paio di dottori spingevano
la sua carrozzina. Dove la stavano portando?
Girò
gli occhi quando li vide aprire una porta, portandola
in un luogo non ben definito.
Era un
ascensore? Non fu in grado neanche di stabilire
questo.
Il farmaco che
le avevano somministrato doveva essere
davvero potente.
Giunsero
infine in un’ampia stanza, illuminata appena, che
sembrava apparentemente vuota.
Si
guardò intorno quando vide i due dottori allontanarsi, e
al suo posto avanzare un uomo alto, dai capelli biondi portati
all’indietro,
con addosso un abbigliamento completamente nero.
Nonostante
quel luogo fosse poco illuminato e al chiuso, indossava
degli occhiali da sole.
Fu una visione
abbastanza bizzarra, ma che suscitò in lei un
ricordo indefinito.
Si chiese se
conoscesse quell’uomo…
Lui si
avvicinò piegandosi verso di lei, guardandola quasi
in modo familiare.
La ragazza
sentì i brividi scorrere lungo il corpo, trovando
inspiegabilmente disturbante quella presenza.
“Felice
di rivedermi..Jill?” disse lui quasi prendendosi
gioco di lei, con quel suo viso duro e gelido, eppure con un sorriso
provocatorio stampato.
La donna
strinse gli occhi, riuscendo solo a ripetere parte
della sua frase.
“
‘Jill..?’ ”
L’uomo
parve sorpreso da quella risposta. Si sollevò
sconcertato.
“E’
il tuo nome. Non ricordi? Forse sei solo un po’ confusa.
Dopotutto…è naturale. Hai dormito davvero a
lungo, lo sai?”
Le disse in
modo ovvio, atteggiandosi con fare irritante, cominciando
a girare attorno a lei, come un predatore che amava torturare la sua
preda
prima di ucciderla.
La ragazza
scosse la testa, sempre più confusa.
L’uomo
stette a osservarla per qualche secondo, poi si chinò
verso di lei poggiando le mani sui braccioli della sedia a rotelle su
cui era
seduta.
La vicinanza
era tale che la bionda poté sentire il suo
respiro.
“Ti
ricordi di me? Sai chi sono?”
La sua voce
altisonante rimbombò nella sua testa.
Nonostante le
lenti scure, poté intravedere uno strano
bagliore nei suoi occhi, ma non poté approfondire oltre che
lui si allontanò
già da lei.
Mentre la
ragazza era ancora in balia di quel contatto
visivo, che la stava facendo sprofondare nella pazzia, egli inaspettatamente si voltò di nuovo verso di lei. La sua mano afferrò il tessuto che la rivestiva con una velocità inumana, tanto che la ragazza non si accorse nemmeno quando effetivamente si fosse riavvicinato. Egli la
sollevò dalla
sedia a rotelle, che si cappottò rumorosamente di lato, tenendola violentemente per il camice. La mise dunque in piedi con forza,
sollevandola
appena da terra.
La bionda
spalancò gli occhi, immobilizzandosi dalla paura.
Provò
a farfugliare qualcosa, ma le mancò il respiro per il
panico che stava avendo il sopravvento su di lei.
Intanto
Wesker, con fare tranquillo, la esaminava, cercando
di avere una reazione da lei.
Mentre la
teneva sollevata, le slacciò la camicia di forza,
così lei cadde a terra.
La giovane lo
guardò sgomentata.
Percorse la
sua figura con lo sguardo e si sentì indifesa di
fronte quell’imponente figura, sicura che l’avrebbe
uccisa.
“Co…sa….ho
fatto? P…perché sono qui?” disse
tremando, un po’
per l’ansia, un po’ per i farmaci che avevano
addormentato i suoi muscoli.
Wesker
l’osservo dai suoi vetri scuri. Vide Jill incastrare
la testa nel collo, impaurita.
Era dunque
vero? Non ricordava nulla?
Vederla ai
suoi piedi così frastornata e sottomessa lo
irritò tangibilmente, tuttavia non era il caso perdere il
controllo. Forse il
suo esperimento poteva comunque essere andato a buon fine.
“Riportatela
in cella. Faremo qualche test.”
Annunciò
all’improvviso, voltandosi e uscendo dalla stanza.
“Cos..?!”
disse appena la ragazza, poi urlò disperata mentre
la portarono via. “Nooooo..!!”
Wesker
udì il suo eco infischiandosene altamente.
Non gli fece
ne caldo ne freddo quella povera donna
disperata che non sapeva neanche chi fosse.
***
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Capitolo 4 *** Capitolo 4: la fine del 'sogno' ***
Piccole note
introduttive:
Vorrei parlare
del mio modo di concepire il pairing Albert Wesker x Jill
Valentine.
Io adoro questi due personaggi.
In loro vedo una relazione drammatica,
anst,
irrazionale, che ha tuttavia un suo fascino.
Una storia che io interpreto nel
genere ‘villain x
heroine’, cioè love story fra due antagonisti.
Un genere che io amo davvero!
Amo quel tipo di relazioni a
metà fra l’odio e
l’amore, fra ciò che il cuore vuole e la ragione
vieta, un rapporto insensato, disturbante
per i protagonisti, ma allo stesso tempo passionale e bramoso.
Non è facile descrivere
questo tipo di coppie,
credo sia un genere che solo chi ne è appassionato possa
capire.
Ma è in questo contesto
‘dark’ e ‘angst’, che io
vedo la WeskerxJill, che per me sono l’apoteosi del genere
villainxheroine.
Li adoro proprio per questo rapporto
angustiante
ed intrigante, che sussiste nonostante ogni cosa attorno a loro dica
“no”,
persino il loro stesso cuore.
Wesker è un criminale che
ha condannato milioni di
persone ad un destino tremendo. Un uomo glaciale e privo di scrupoli,
che ha
condannato la vita della stessa Jill.
La mia ambizione è quindi
quella di realizzare una
WeskerxJill credibile, che tenga conto di questi presupposti, ma che,
in tutto
questo, mostri anche la contraddittorietà che
l’amore può destare nell’animo di
due personaggi come loro.
Ho pensato di spiegare meglio come vedo la coppia WeskerxJill.
Mi è sembrato giusto
specificare meglio in che
modo intendo affrontare la loro relazione, che io amo proprio per quel
che è
davvero.
Un rapporto di antagonismo, nel quale
io vedo però
anche una sorta di amore platonico versione dark.
Per ora, trasparirà solo il
loro antagonismo, ma
più avanti, con i tempi giusti, fuoriuscirà anche
questo aspetto.
Vi lascio al quarto capitolo, ora!
Grazie mille a tutti coloro che mi
seguono!!
Grazie ad Astarte90 per la sua
recensione, che a
proposito, è leggendola che mi ha invogliata a spendere due
parole su come vedo
questi due personaggi!^^
THE DAYS
LOST IN
THE NIGHTMARE
CAPITOLO 4
“Dunque…non
ricorda nulla?”
“Sì,
è così, signore. In realtà si tratta
di un’amnesia
momentanea dovuta probabilmente alla criogenazione. Potrebbe
riacquistare la
memoria da sola nel giro di qualche giorno, oppure per via
farmacologica, se
preferisce.”
“No,
attendiamo. Sono molto curioso di vedere cosa
accadrà.”
Concluse
Wesker mentre osservava Jill Valentine chiusa nella
sua cella attraverso un monitor.
In seguito,
raggiunse egli stesso il luogo dove era
rinchiusa, con intenzioni stranamente amichevoli.
Con tutte le
probabilità, l’idea che la donna non ricordasse
nulla di lui, lo doveva divertire molto.
Si
avvicinò alla cella e poggiò una mano sulla
sbarra di
ferro.
La bionda
alzò gli occhi, seguendo quel movimento.
Wesker
notò dei lividi sul suo corpo e sul viso.
Doveva
esserseli procurati in seguito all’interrogatorio al
quale l’aveva sottoposta per stabilire se stesse recitando la
sua amnesia.
Strinse gli
occhi, poi girò la chiave nella serratura ed
entrò.
La donna si
ritrasse, schiacciandosi contro la parete.
Vedendola
così diffidente, Wesker si chinò alla sua
altezza,
non avvicinandosi troppo.
Era la sua
recita dell’uomo ‘traditore’, messa
già in atto
con la stessa giovane a suo tempo.
“Jill
Valentine, soldato della S.T.A.R.S. , abile
scassinatrice. Io ero il tuo capitano.” affermò
fingendosi rassicurante.
Lei lo
guardò dubbiosa non sapendo se credere alle sue
parole o meno.
Quell’uomo
era pur sempre colui che l’aveva fatta
rinchiudere lì dentro.
“Tieni.
Ti ho portato qualcosa da mangiare. Fai pure con
calma, tornerò più tardi.”
Disse intanto
lui, allungandole un vassoio con del cibo, per
poi allontanarsi.
Non appena
egli richiuse la cella e andò via, lei si
avvicinò alle sbarre e seguì la sua figura con lo
sguardo mentre spariva.
Ancora
dubbiosa, guardò il vassoio che le aveva posto.
Nonostante non
si fidasse, non poteva negare di essere
davvero affamata. Anche questo la rendeva veramente debole.
Si
piegò e costatò che quella razione di cibo non
sembrava
manomessa, forse poteva davvero cibarsene. Tuttavia la fame era troppa
e a un
certo punto non ci pensò su due volte, così
cominciò a mangiare.
***
“Quindi,
Albert, quand’è che ripartiamo?” chiese
la donna
dai capelli neri sdraiata sul letto.
“A
suo tempo. Ho ancora molto da fare.” rispose Wesker,
seduto anch’egli sul letto, ignorando le avances di Excella,
la quale non si
faceva remore nel stargli vicino.
Ella si
adagiò sul suo petto, desiderosa di stabilire un
contatto con lui.
“Uhm…è
per via della biondina, vero? Hai ottenuto qualche
risultato interessante?”
“Non
ti interessa.”
A quella
fredda risposta, Excella si sollevò di colpo da lui
e lo guardò ferita.
“Albert!
Credo di essermi meritata la tua fiducia!”
“Non
vorrai lamentarti come una ragazzina, spero.”
dibatté
lui, avvicinandosi il cellulare, per nulla scosso da quelle frivolezze.
Excella
strinse le labbra trattenendo la rabbia che provò
dentro, poi si alzò e abbandonò la stanza,
indignata.
Wesker, dal
canto suo, continuò indisturbato le sue
faccende, commentando ad alta voce il comportamento della donna.
“Povera
piccola Excella. Illudersi di essere mia amica sarà
la tua condanna un giorno.”
Disse, poi
portò il telefono al lobo dell’orecchio.
Excella
intanto percorse il corridoio velocemente, intenta
nel ritirarsi nella sua stanza.
“Tanto
lo so che è per lei! Credi forse che non l’abbia
capito?”
sbuffò accecata dalla rabbia.
Wesker era
sempre stato un uomo freddo e distante.
Questo sia con
lei che con chiunque.
L’unica
cosa che aveva in mente era il suo progetto
Uroboros.
Anche lei lo
seguiva con dedizione, e aveva trovato in lui
il collega ideale. Tuttavia sperava che la cosa fosse ricambiata.
Invece il
sentirsi nient’altro che una pedina per lui,
l’addolorava molto.
Ma lei sapeva
come gestire gli uomini. Molto presto
l’avrebbe capito anche lui con chi aveva a che fare.
Nell’ultimo
anno, l’uomo con gli occhiali scuri era
diventato ancora più tetro e silenzioso.
Era sicura
ciò dipendesse da un tale Spencer, ma non era
riuscita ad approfondire la questione.
In
più se aggiungeva quella Jill Valentine…
La presenza di
quella donna la infastidiva moltissimo. Pur
essendo solo una cavia, riceveva più attenzioni da Wesker di
lei.
Con la scusa
degli esperimenti, lui la vedeva ogni giorno
già da una settimana, e cominciava a non essere
più sicura che lo facesse per
testarla.
Si
avvicinò a una camera di sorveglianza e vide la bionda
sul monitor seduta su una sedia.
Era sempre
rinchiusa in una cella, tuttavia in un ambiente
meno ostile.
Almeno non era
buttata come uno straccio vecchio dietro
delle sbarre, ma adesso era chiusa a chiave in una semplice stanza
vuota.
Indossava un
pigiama ed Excella sapeva stesse in attesa di
Wesker.
Di
lì a poco, infatti, vide l’uomo entrare nella
stanza
dalla telecamera.
Quel suo modo
di fare garbato la mandò su tutte le furie.
Vide la donna
alzarsi, questa volta per nulla intimorita
dalla sua presenza.
Dopotutto era
passata una settimana, e Wesker aveva saputo
conquistarsi la sua fiducia.
In questo, lui
era un abile manipolatore.
Sapeva far
credere agli altri tutto ciò che lui voleva che
loro credessero.
La bionda Jill
si alzò quando vide entrare il signor Wesker.
Dopo quanto
era accaduto, molte cose erano cambiate.
In un loro
precedente incontro, egli le aveva detto che era
stata rapita durante una spedizione e degli scienziati avevano fatto
dei test
su di lei.
Era per questo
che adesso la tenevano nei loro laboratori,
proprio per curarla e assicurarsi sulle sue condizioni.
Nonostante
quella storia non la convincesse per nulla, aveva
deciso di credergli.
Per qualche
motivo quell’uomo la rassicurava.
Sentiva che,
nonostante l’impressione iniziale, potesse
fidarsi di lui.
Negli ultimi
giorni, lui aveva mostrato molto rispetto per
lei. Soprattutto da quando aveva appurato che aveva perso la memoria.
Le aveva detto
di conoscerla, ma lei non ricordava né di
lui, né di essere un soldato.
Tuttavia i
conti tornavano, soprattutto sulle sue abilità
fisiche, abbastanza tipiche di un soldato ben allenato.
Inoltre le
aveva detto che lei era conosciuta fra i suoi
colleghi come la “maestra dello scasso”, ed in
effetti quella era un’abilità da
lei stesso constatata.
Sentì
quindi che poteva essere fiduciosa. Egli non mentiva.
Così,
quando lui entrò, rispettando l’orario col quale
era
solito presentarsi, fu felice di vederlo.
Non aveva che
lui in quel momento.
Se non ci
fossero state le sue visite, avrebbe passato le
sue giornate completamente sola.
L’unica
cosa che la turbava, erano quelle sue lenti scure.
Si chiedeva
ardentemente perché non volesse farle vedere i
suoi occhi…
Lo
salutò con un timido ‘buongiorno’,
intanto Wesker le si
rivolse con quel suo modo di fare galante, eppure ingannatore.
“Vieni
con me, Jill.” disse inaspettatamente lui,
invitandola a seguirlo.
La donna lo
vide inoltrarsi oltre la stanza, e lì per lì si
chiese se potesse davvero seguirlo fuori. Vedendolo però
procedere senza
voltarsi, si sbrigò a infilare le pantofole e ad essere
subito dietro di lui.
Passarono per
vari corridoi.
Jill
sbirciò più volte verso di lui, mentre si
destreggiava
in quell’ambiente come conoscendolo palmo a palmo.
Egli era un
uomo imponente ed autorevole. Un militare
perfetto.
La sua
postura, il suo corpo, i muscoli… doveva essere anche
molto forte.
Quando lo
vedeva, sentiva di ricordare più di qualcosa su di
lui, ma la memoria le impediva di estrapolare quei frammenti,
così quel
sentimento la rendeva inquieta.
Il cuore le
palpitava come consapevole di chi egli fosse,
quasi come se le sussurrasse che lui non fosse un uomo qualsiasi per
lei.
Il dubbio la
lacerava e la stava rendendo così turbata e
silenziosa che persino uno come Wesker, che per nulla dava peso ai
sentimenti
altrui, ci fece caso.
Tuttavia
desistette nel farle delle domande.
Non era nel
suo carattere interessarsi alla delicata psiche
femminile.
Le
buttò appena un occhio proprio per mettere in soggezione
la ragazza e far cessare quei suoi fugaci sguardi furtivi.
Tuttavia la
donna non abbassò lo sguardo, anzi. Si fermò e
rimase a guardarlo.
Wesker si
bloccò, sorpreso di quella reazione.
“Dunque?”
chiese laconico.
“Wesker…è
solo che il suo volto mi ricorda qualcosa.” disse
lei pensierosa, ma decisa.
Le sue
sopraciglia erano corrucciate, mentre cercava di
focalizzare la sua figura e magari ricordare qualcosa di più.
L’uomo
con gli occhiali abbozzò appena un sorriso divertito,
poi le diede le spalle e continuò a proseguire nel corridoio.
“Siamo
arrivati.” affermò mentre spalancava un
portellone,
al di la del quale si ritrovarono in un immenso giardino interno.
Jill
sbarrò gli occhi, incredula.
Il cielo,
l’aria, la vegetazione…gli occhi si inumidirono
impercettibilmente alla visione di quel luogo all’aperto.
Era come se
non respirasse aria fresca, e non vedesse il
cielo, da mesi.
“Felice?”
chiese Wesker.
“Grazie...”
sussurrò lei, ammirando il paesaggio. “Quando
guarirò? Presto potrò uscire di qui?”
aggiunse, e il volto di Wesker si abbuiò.
“Purtroppo
no.” Sentenziò all’istante, quasi
innervosito.
“La tua permanenza sarà ancora lunga. Conviene che
cominci ad abituarti. Puoi
tuttavia goderti questo posto per oggi.”
Nonostante la
sua voce pacata, Jill percepì quelle parole
come un ordine.
Tuttavia non
seppe se darci peso o meno.
Era pur vero
che quell’uomo aveva un timbro così autorevole
che ogni cosa dicesse sembrava una sorta di comando.
Così
si limitò ad avanzare di qualche passo e visitare quel
luogo.
Wesker invece
rimase indietro, incrociando le braccia e
aspettando pazientemente che la ragazza finisse il suo
‘tour’.
Guardò
l’orologio, erano le nove meno un quarto di mattina.
Rialzò
gli occhi distrattamente, e fu in quel momento che si
accorse che Jill era a terra.
Dapprima colto
alla sprovvista, subito si avvicinò a lei.
Era svenuta.
La
sollevò per le spalle, sorreggendola col braccio. Era
visibilmente pallida.
Si chiese come
mai, nonostante le cure, continuasse ad
essere così debole.
Jill
aprì gli occhi dopo pochissimi istanti e lo
guardò
frastornata.
“Ho…avuto
solo un capogiro. Sto bene.” disse con gli occhi
semi aperti.
Wesker
continuò ad esaminarla con lo sguardo e, mentre
l’aiutò a mettersi in piedi, un grosso boato fece
trasalire entrambi.
Jill, ancora
sorretta per le spalle da Wesker, si voltò non
comprendendo.
Lui invece
già immaginava cosa stesse per succedere.
“Stai
in guardia.” Le disse, ma la ragazza lì per
lì non
comprese le sue parole.
In meno di
qualche secondo, diverse presenze invasero il
luogo circostante.
Jill si mise
allerta, consapevole che qualcosa di ostile si
stesse avvicinando.
Wesker fece lo
stesso, mettendosi di spalle a lei.
Poi ecco che
qualcosa saltò da un cespuglio.
Superando la
velocità dei suoi riflessi, Jill vide Wesker
assestare un calcio senza che neanche si fosse accorta che qualcosa si
era
lanciato contro di loro.
Sobbalzò
quando vide che la cosa a terra fosse un mostro.
Si ritrasse
appena dietro Wesker, mentre lui le si rivolse
abbastanza tranquillo.
“Sono
degli ‘hunter’. Particolari mostri creati in
laboratorio tramite il virus T. Non ricordi di loro? Eppure ne hai
combattuti
molti.”
“No!”
rispose lei terrorizzata.
A quel punto
altri hunter li attaccarono, sferrando i loro
micidiali colpi dall’alto, capaci di sgozzare un uomo in un
attimo con i loro
grossi artigli affilati.
Wesker era
perfettamente capace di combatterli a mani nude,
mostrando una forza e delle capacità sorprendenti.
Addirittura inumane.
Jill invece
non sapeva davvero cosa fare. Pur sforzandosi di
dare aiuto, era immobilizzata e spaventata da quelle creature mai viste
prima.
Cercò
almeno di agevolarlo nel localizzarle tutte, ma aveva
l’impressione che Wesker sapesse già provvedere da
solo.
Mentre
analizzava il luogo, attenta ai movimenti dei nemici,
un hunter dal colore violaceo la puntò da sopra un albero.
Lei era di
spalle e non si accorse della sua presenza, ed
infatti questi si lanciò verso di lei senza lasciarle via di
scampo.
Wesker invece,
accorgendosi della situazione, si voltò, ma
prima che potesse spingerla per metterla in salvo, ella era
già nel suo mirino.
L’hunter
atterrò quasi sopra di Jill pronto a travolgerla.
Tuttavia, prima che ognuno di loro potesse fare qualcosa,
inaspettatamente
questo volò via schiantandosi a terra a circa un metro di
distanza.
Jill
ansimò, non essendosi nemmeno accorta di essere
riuscita a sferrare un calcio a quel mostro, senza aver neppure
percepito la
sua presenza.
Era come se il
suo corpo fosse partito da solo e avesse
reagito consapevole della sua forza.
Anche Wesker
rimase a guardare la scena, realmente stupito
di quella prontezza di riflessi, ma entrambi non ebbero il tempo di
pensarci
troppo, perché altri hunter intanto erano già
pronti all’attacco.
Così
questa volta anche Jill combatté, al momento non
badando alle sue incredibili capacità fisiche, che le
permisero di affrontare
quegli hunter alla pari…anzi…lei era molto
più forte di loro.
Riusciva in un
frangente a memorizzare le loro mosse e a
prevederle, non solo.
Aveva una
capacità di combattimento così notevole che gli
aggressori a un certo punto non sembravano più gli hunter,
ma lei e Wesker.
Così
per i mostri fu velocemente la fine.
Mentre
respirava con affanno, soddisfatta di averli
sconfitti, guardò verso Wesker, il quale anch’egli
la guardava compiaciuto.
Sentì
il viso caldo appena, mentre i due ricambiavano i loro
sguardi, ma quell’attimo di distrazione costò
caro.
Infatti, dal
terreno fuoriuscì un serpente dalle dimensioni
gigantesche, che puntò verso Wesker.
Jill corse
verso di lui, sperando di aiutarlo.
Non sapeva
ovviamente che tutti quei mostri fossero soltanto
pesci piccoli per quell’uomo, quindi si lanciò
contro di lui al fine di
spostarlo da lì.
Fu in
quell’attimo che qualcosa si mosse nella sua mente.
Tutto
sembrò offuscarsi, e per un istante, un lunghissimo
istante, ebbe l’impressione di non essere davvero
lì.
Vide il buio,
un castello illuminato dai tuoni, il corpo
esamine di un anziano a terra, e poi…lui.
Quei
scurissimi occhiali neri, e quei trafiggenti e crudeli
occhi rossi.
“Nooooo..!”
“Jiiiiiill…!!”
Delle
urla risuonarono nella sua mente.
Vide il volto
di Chrids Redfield urlare il suo nome
disperato, mentre lei cadeva nel buio, trascinando con
se…Albert Wesker.
Jill
spalancò gli occhi in seguito a quel flash appena mostratosi
nella sua mente, mentre era stretta di nuovo all’uomo dagli
occhiali scuri.
Il ripetersi
di quella situazione, seppur in un contesto
diverso, sconvolse la sua mente che non fu più capace di
ragionare.
Milioni di
schegge di ricordi riemersero dall’inconscio e fu
come se stesse ripercorrendo la sua intera vita.
Chris, Barry,
Rebecca, l’incidente di nove anni prima alla Villa,
la S.T.A.R.S., Raccoon City, il Tyrant, il Nemesis,
l’Umbrella, la B.S.A.A.,
Wesker…
Tutto questo
in quell’istante in cui si era scaraventata
verso di lui, e l’aveva tratto in salvo
dall’attacco del nemico.
Atterrando,
strisciarono il terreno sporcandosi entrambi di
terra.
Fu allora che
Wesker estrasse una pistola da dietro la
schiena, rimasta nascosta fino a quel momento sotto il cappotto nero, e
con un
solo colpo uccise il serpente.
Questi cadde a
terra, facendo risuonare il botto per tutto
l’edificio per via dell’enorme stazza, alzando
un’ingente quantità di terra.
Wesker si
voltò verso Jill, soddisfatto della prestazione
della ragazza, e in quel momento si accorse che qualcosa nei suoi occhi
era
cambiato.
Ella aveva lo
sguardo fisso, perso nel vuoto.
I capelli le
ricascavano tutti sul viso, mentre era distesa
su di lui.
Lui le
scostò appena una ciocca per vedere se stesse bene,
ma lei lo bloccò alzando tempestivamente una mano, non
permettendogli di
toccarla.
L’odio
cominciò a ribollirle dentro.
D’improvviso,
tutti i sentimenti provati in precedenza
avevano finalmente un nome.
Tutto fu
più chiaro e purtroppo struggente.
Conoscerlo..?
Certo che lo conosceva. Certo che sapeva chi
fosse.
Questo
perché Lui…
Mentre Wesker
cercò di fare il punto della situazione, per
una volta fu lui ad essere colto alla sprovvista.
La donna si
mise a cavallo di lui bloccandolo a terra, e con
un gesto fulmineo gli levò via gli occhiali da sole.
Mentre le
lenti volarono via, frantumandosi a terra, ella
guardò adirata quei temibili e crudeli occhi felini dai
pigmenti rossi.
In quello
stesso istante, fu costretta a portare le mani
sulla testa, poiché un ronzio cominciò a
lacerarla dall’interno.
Si
dimenò distrutta e sgomentata, avendo ritrovato di nuovo
davanti a se il volto dell’uomo da lei detestato e per il
quale era stata
disposta a sacrificare la sua stessa vita.
L’aver
recuperato la memoria in un lasso di tempo così breve
la mandò in tilt, così si ritrovò a
non essere più padrona del suo corpo.
Riuscì
soltanto ad urlare. A urlare disperata.
“Aaaaah!!”
Wesker la
scaraventò via da lui, accorgendosi che qualcosa
si fosse smosso in lei. Dopodiché
l’afferrò per un braccio, intento a
riportarla in cella.
“NO!
Lasciami! Non mi userai di nuovo!” disse lei
dimenandosi come una forsennata.
Wesker
tuttavia non considerò minimamente la sua rivolta
come un problema.
La
caricò su una spalla con fare disinvolto e, nonostante
lei si dimenasse, continuò a proseguire indisturbato.
“Lasciamiii!!
Tu! Tu come puoi essere ancora vivo?!!”
Mentre lei
continuava ad urlare, Wesker prese a riflettere
sul da farsi.
Aveva
finalmente testato le sue abilità.
Jill, grazie
alla criogenazione a cui l’aveva sottoposta per
testare Uroboros, aveva acquisito un potere e una forza eccezionale.
Quella
mattina, lui l’aveva portata apposta in quel
giardino, che altro non era che una zona di allenamento.
Questo proprio
perché voleva assicurarsi, ora che aveva
ripreso le forze, se il suo esperimento fosse riuscito.
Gli hunter, il
serpente geneticamente modificato…sapeva
benissimo sarebbero apparsi.
Aveva dato lui
stesso l’ordine di liberarli.
Aveva solo
dovuto recitare la sua parte…
Poteva dirsi
molto soddisfatto, in conclusione.
Se non fosse
stato che lei continuasse a calciare e
picchiarlo sulla schiena con i pugni...
Wesker
alzò gli occhi al cielo, invocando pazienza.
Una volta
arrivato di fronte la stanza dove la teneva prigioniera,
la fece scendere dalla sua spalla tenendola saldamente stretta.
Vedendola
dimenarsi ancora, le tappò violentemente la bocca
stringendole il muso fra pollice e indice, poi le si
avvicinò, specchiando i
suoi occhi rossi in quelli languidi e colmi di rabbia di lei.
“Bentornata,
Jill. Felice di rivedermi?”
Ripeté
la stessa frase che le aveva già rivolto
all’inizio, quando
si era risvegliata, e questa volta la ragazza comprese quelle parole
nel loro
più crudele significato prima nascosto alla sua mente.
L’uomo
poi la buttò nella cella e chiuse tempestivamente la
porta, lasciando la povera donna rinchiusa lì dentro,
sconvolta e furente.
***
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Capitolo 5 *** Capitolo 5: il P-30 ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO
5
Nonostante fossi
persa
nel buio più assoluto, l’oscurità
stessa non sarebbe stata tenebrosa come il
tuo spirito. Il quale è nero, putrido, logoro…
Anche
addormentandomi,
sapevo perfettamente che non avrei più visto la luce.
E tu, Wesker?
Cos’è
che sogni quando chiudi i tuoi crudeli occhi iniettati di sangue?
***
Jill Valentine
sbatté incessantemente i pugni contro la
porta della cella, per tutta la notte.
Non si
fermò un attimo, nonostante le mani fossero oramai
piene di lividi. Abbassò il viso, rimanendo poggiata su di
esso dopo l’ennesimo
colpo.
Ansimò
distrutta, mentre lentamente scivolò a terra. I
capelli caddero sul suo viso, coprendolo interamente.
Strinse gli
occhi, non avendo neanche più le lacrime per
piangere, già ampiamente versate a suo tempo.
Si
allontanò dalla porta, sedendosi definitivamente sul
pavimento. A quel punto strinse le gambe e sprofondò la
testa tra le ginocchia.
Ricapitolò
gli ultimi ricordi che erano ancora abbastanza
nitidi nella sua mente.
Il buio di
quel giorno di tempesta, il suo compagno Chris
Redfield, e poi…Albert Wesker, l’ex capitano della
S.T.A.R.S. che aveva tradito
tutti, ed oggi era un terrorista che pianificava chissà
cosa, tradendo persino
l’Umbrella e lavorando per conto suo, sui suoi loschi scopi.
Lo
odiava….lo odiava profondamente.
Un odio che si
propagava in ogni parte di se stessa,
facendole contorcere le viscere.
Lei aveva
creduto in lui.
Era stato un
uomo molto importante nella sua vita in quanto,
grazie alla stars, lei era riuscita ad uscire da un periodo della sua
vita
davvero brutto.
Questo,
ovviamente, era stato molto tempo fa.
Gli incubi che
aveva allora, non erano nulla comparati a
quelli che aveva adesso, il cui volto di Wesker aveva segnato solo
l’inizio.
Strinse le
gambe più forte.
Quel ricordo
la tormentava ancora profondamente.
Si riteneva
stupida nel non essere mai riuscita a capire
cosa in realtà si celasse dietro gli occhi di Albert Wesker.
Il suo volto
oscuro era rimasto celato fino a quella
maledetta notte del 1998, senza che nessuno avrebbe mai potuto
sospettare chi
egli fosse realmente e cosa stesse progettando.
Ricordava
nitidamente quando, nei laboratori, trovò quella
diapositiva in cui egli era ritratto vestito da dottore, e quel
documento
riguardo l’Umbrella Corporation ove era menzionato il suo
nome.
Non ci aveva
creduto, aveva sperato di non crederci fino
all’ultimo, prima di solcare quella porta e dover costatare
che invece era
proprio così.
Lui…aveva
fatto di tutta la STARS soltanto un
esperimento. Nulla di più.
Quel capitano
non era mai esistito. Lei, come tutti, era
stata ingannata.
Si chiedeva
ancora incessantemente perché ciò la tormentasse
ancora.
Alzando gli
occhi rivedeva il suo volto celato da quelle
lenti scure…le stesse che indossava anche quando credeva
ancora in lui.
Forse per
questo Wesker aveva sempre portato gli occhiali da
sole, anche di notte...
Egli era
sempre stato una maschera, non si era mai rivelato
a nessuno per quel che era davvero.
Probabilmente
non guardava in faccia nemmeno se stesso.
Ritornò
poi con la mente alla notte in cui si era
defenestrata assieme a lui.
Aveva
realizzato in un frangente di secondo che, se non
voleva finire ancora una volta vittima di Wesker, lo avrebbe dovuto
portare
all’inferno con lei.
Perché
anche Jill non si aspettava certo il paradiso.
Non dopo tutte
le vite stroncate davanti ai suoi occhi. Vite
di uomini innocenti, vittime di una catastrofe alla quale non avevano
potuto
opporsi ed, in modo erroneo, chiamati ‘zombie’.
Tanti erano i
suoi rimpianti, troppi. Lei stessa aveva
sacrificato la sua vita per inseguire una mente losca come Wesker.
Chi non
avrebbe desiderato di risvegliarsi un giorno da
quell’incubo, riprendere a godere delle piccole cose, gestire
le proprie giornate
in modo consueto, tornare…a vivere.
Tuttavia non
sarebbe mai più stato così, neanche se
l’incubo
fosse finito un giorno.
Questo
perché anche la sua anima era stata oltraggiata
inevitabilmente.
Non sarebbe
mai più tornata ad essere semplicemente Jill Valentine,
già all’epoca non una ragazza come tutte.
Dunque, in
quel momento, andava bene così. Sarebbe morta
senza rimpianti gettandosi con lui da quella finestra.
Andava bene
così perché Wesker sarebbe finalmente morto.
Alla fine,
anche il diavolo sarebbe stato punito.
Invece…
Lui era vivo.
Lei era viva. Perché?!
Dopo un volo
del genere, sicuramente doveva aver perso i
sensi, magari anche essere ferita. Ciò voleva dire che lui
le aveva
appositamente salvato la vita? O peggio…aveva voluto
prolungare la sua
sofferenza…
A lei non era
importato di morire.
Aveva solo
desiderato ammazzare con le sue mani quell’uomo
che aveva devastato per sempre il suo cuore, e la sua vita.
Invece…eccolo
lì, di nuovo di fronte a lei…ancora una volta.
Non aveva
potuto crederci.
Ancora in quel
momento non poteva credere che fosse davvero
ancora vivo.
Portò
le mani sulla testa, sconfortata.
Ricordò
quando, stesa su di lui, ritrovò il suo viso a un
palmo di distanza.
Il tempo era
come se si fosse fermato. Sentì il suo cuore
come fermarsi, mentre realizzava che quel corpo fosse caldo e
palpitante. Mille
frammenti di ricordi la fecero ritornare in se, così quella
Jill smemorata
sparì del tutto.
Provò
ribrezzo nell’aver riprovato dentro di se quella
fiducia che un tempo nutriva per lui.
Lo aveva
guardato intensamente, volendosi svegliare da
quell’incubo che continuava a tormentarla.
Per questo gli
aveva sfilato di dosso gli occhiali, quando
aveva ripreso conoscenza.
Aveva voluto
guardarlo dritto negli occhi e fargli rispecchiare
se stesso, in tutta la sua anima corrotta, attraverso le sue iridi
azzurre colme
di rabbia e risentimento verso di lui.
Avrebbe almeno
una volta dovuto vedere per davvero chi egli
fosse, cosa avesse distrutto in lei.
Jill chiuse
gli occhi, stringendo ancora più forte le gambe
fra le braccia.
No…
lei non avrebbe fatto il suo gioco.
Non ancora una
volta.
Lei era Jill
Valentine, nessuno avrebbe gestito la sua vita
al suo posto costringendola a quella prigionia, ignara di cosa egli
avesse in
serbo per lei.
Perché
era questo ciò che le faceva paura in quel momento.
Perché
era in vita? Cosa voleva farne di lei?
Prima che il
suo mosaico iniziasse a prender forma,
sarebbe stata lei stesso a distruggerglielo.
A quel punto,
con tutte le sue forze, spalancò la bocca e fece
per tranciarsi via la lingua.
Tuttavia,
essendo controllata ventiquattro ore su
ventiquattro, prontamente dei soldati entrarono nella sua cella, e la
bloccarono.
La donna si
dimenò, non sentendosi padrona nemmeno di porre
fine alle sue sofferenze.
Prese a
scalciare, mentre questi la distesero sul suo letto,
legandola con delle grosse cinghie che le segavano i polsi.
Le serrarono
la bocca con una corda di cuoio, legandogliela
ben stretta dietro la nuca, così che lei non potesse far del
male a se stessa
in quel modo.
“Questa…è
già la seconda volta che fermiamo un suo tentativo
di suicidio. Prima l’abbiamo fermata mentre ha cercato di
tagliarsi la carotide
con un piccolo frammento di vetro. Ora invece ha cercato di morire
dissanguata.
E’ stata sveglia tutta la notte a battere sulla porta, e per
di più non mangia
da giorni, ed è anche molto disidratata. Non può
continuare così! Cosa
facciamo?” disse una voce, quella di uno scienziato.
“Avvisiamo
il signor Wesker.”
Jill si
dimenò ancora più forte nonostante fosse bloccata
in
ogni parte del suo corpo dalle cinghie. Non voleva vedere Wesker, non
voleva
vederlo per nessun motivo!
Mentre alcuni
di quegli uomini si allontanavano, Jill li osservò
con le lacrime agli occhi, quasi implorandoli silenziosamente di non
farlo, di
non portarla di nuovo di fronte il suo carnefice.
Tuttavia era
impotente, non avrebbe potuto far nulla per
salvarsi.
Persino la
morte stessa, non l’aveva salvata.
Albert Wesker
era nella sua stanza.
Erano circa le
cinque del mattino, ed egli stava finendo di
sistemarsi, pronto a cominciare la sua giornata in laboratorio.
Aveva assunto
dei calmanti in modo da recuperare le sue
mancate ore di sonno. Questo l’aveva aiutato a riprendere le
energie, visto che,
ultimamente, si era sentito davvero fiacco.
Quella dormita
gli ci era voluta. ‘Lunga dormita’ per Wesker
significava al massimo cinque ore, comunque.
Aggiustò
i guanti sulle mani, poi indossò i suoi occhiali
scuri. Si avvicinò a un armadietto in metallo, ove erano
custoditi dei
medicinali. Anzi, no…si trattava del PG67 A/W.
L’uomo
prese una fila in mano e la osservò con una strana
malinconia negli occhi.
Da quando
Wesker aveva sacrificato la sua umanità, aveva
acquisito una forza eccezionale tramite il virus elaborato da lui e
William
Birkin.
Tuttavia,
aveva avuto i suoi effetti collaterali
immediatamente.
Da allora il
corpo di Wesker era instabile per questa sua
natura controversa, e ogni giorno doveva lottare per non finire nel
baratro
della follia, per mantenere il più completo controllo della
sua mente.
Era riuscito a
non darlo mai a vedere essendo un uomo
glaciale e sempre padrone di sé, ma la sua ragione andava
sempre più
vacillando, così era da anni che si iniettava quel farmaco.
Questo
riequilibrava il suo corpo, non facendo più insorgere
in lui il conflitto con il virus, che altrimenti avrebbe rischiato di
ucciderlo.
Ma anche
l’assunzione del farmaco aveva il suo costo. Doveva
andarci cauto…perché un’overdose
avrebbe potuto condurlo alla morte.
Così
prese una siringa, e iniettò la sostanza nel suo
braccio con un’insensibilità inaudita.
Oltre che un
militare, era anche uno scienziato, per cui non
si faceva molte remore per questo genere di cose.
Ad un tratto,
un suono echeggiò nell’appartamento. Era lo
squillare di un telefono.
Wesker si
voltò nervosamente. Detestava essere disturbato
mentre era ancora nella sua stanza.
Tuttavia,
seppur molto seccato, mise via i suoi medicinali
chiudendoli a chiave, e premette il pulsante di un telecomando che fece
attivare un piccolo monitor sulla parete.
Sul display
apparve un volto.
“Signor
Wesker, mi scuso per averle telefonato a quest’ora,
tuttavia abbiamo avuto delle complicazioni con il soggetto
Valentine.”
Wesker
inarcò un sopracciglio sentendo quel nome. La voce
intanto continuò a renderlo partecipe degli ultimi
accadimenti di quella notte.
“La
donna ha cercato di togliersi la vita in più occasioni,
siamo più che certi che stia persino rifiutando il cibo di
proposito. Abbiamo
dunque bisogno di sue direttive.”
“Preparate
il P-30.”
Lo interruppe con tono deciso Wesker, trovando insopportabile quel giro
di
parole. Preferiva avere a che fare con persone fattive e poco
polemiche.
S’indisponeva
molto facilmente di primo mattino, anche se
alla fine era anche lui abbastanza curioso di testare il p-30 su quella
donna.
Forse, una
volta tanto, quella giornata sarebbe stata un po’
più interessante dalle altre, pensò.
L’idea
di rivedere Jill lo divertì, essendo curioso di
vedere come ella avesse reagito dopo aver recuperato i suoi ricordi.
Seppur avere a
che fare con una Jill più mansueta era stato
comodo, non aspettava che il momento in cui avrebbe parlato a tu per tu
con
lei.
In
fondo…era da una vita che i due non si rivedevano da
soli.
Doveva
restituirle il favore…per aver cercato di ucciderlo.
“Signorsì.”
Esclamò il suo sottoposto intanto, e a quel
punto il monitor si spense, ed anche Wesker uscì dalla sua
stanza.
***
Jill
continuò ad agitarsi ininterrottamente, sperando di
divincolarsi da quel tavolo operatorio dove gli scienziati
l’avevano immobilizzata.
Sentì
il cuore battere all’impazzata, ignara di cosa le
avrebbero fatto.
Vide tanti
monitor, medicinali, capsule, e strumentazioni
che non le facevano presagire assolutamente nulla di buono.
In cosa
volevano trasformarla? In un mostro esattamente come
quei balordi avevano fatto con milioni di persone?! Era gente orribile,
deplorevole!
Avrebbe
strappato loro la faccia e maledetto le loro vite
per quel che facevano a gente innocente che mai avrebbe dovuto far
parte di
quella terribile storia.
Gente che
aveva dovuto arrendersi all’inesorabile destino al
quale non avrebbero potuto sottrarsi in nessun modo, divenendo una
sorta di macchina
assassina inarrestabile.
Sentì
gli occhi bruciare dalla rabbia, mentre continuava a
sbattere i polsi e le gambe per rompere in qualche modo quelle cinghie.
Le attenzioni
dei presenti erano tutte puntate sulla bionda,
tuttavia, all’improvviso questi guardarono alle sue spalle.
Notando i loro
volti rivolti tutti in un’unica direzione, anche
Jill si girò e, a quel punto, sgranò gli occhi
terrorizzata a quella vista.
Albert Wesker
aveva appena fatto il suo ingresso.
Senza neanche
accorgersene cominciò a tremare.
Era la paura
verso quell’uomo privo di scrupoli? Oppure era
la rabbia…?
Con tutte le
probabilità, entrambe.
Fatto stava
che, anche se non avesse avuto la bocca serrata
da quella striscia di cuoio, non avrebbe trovato comunque la forza per
parlare,
tant’era paralizzata.
Egli le si
avvicinò, facendo intravedere la sua espressione
arrogante e beffarda, celata in quel viso inespressivo che sembrava
fatto di
marmo.
“Certo
che sei più problematica di quanto pensassi,
Jill.” disse
e si fermò davanti a lei, scrutandola senza troppo garbo.
La donna
dovette stare a guardarlo dal basso, costretta sul
tavolo operatorio, col cuore in gola.
Lui si
abbassò verso di lei, e i loro visi furono l’uno
di
fronte all’altro.
Quella
vicinanza mise subito in allarme Jill, che si sentì
sopraffare da quel respiro intenso sulla sua pelle. Vide le sue labbra
muoversi, parlando con un tono placido capace di urtare pesantemente
chi era il
suo interlocutore.
“Per
quanto tempo hai intenzione di continuare così?”
Le rivolse
quell’assurda domanda come se lei fosse in grado
di risponderlo. Ella era infatti legata e imbavagliata.
“Bastardo!!”
pensò, mentre la rabbia usciva fuori dai suoi
occhi.
“Non
preoccuparti, presto le tue pene saranno finite. Ti
renderai conto di trovare inspiegabilmente accettabile la tua
permanenza qui.”
Aggiunse lui
ridendo sotto i baffi velatamente, ma
abbastanza per farlo notare.
Jill cadde nel
panico più completo. Cosa voleva farle?
Wesker le
accarezzò delicatamente il viso scostandole la
frangia di lato, poiché, essendosi agitata, essa le aveva
coperto completamente
la fronte.
L’ex-agente
STARS inorridì per quel contatto che, seppure
leggero, era come se le facesse scorrere delle lame per tutto il corpo.
Poi lui si
allontanò, e si diresse verso un mobile. I
dottori si avvicinarono a lui aiutandolo a preparare qualcosa.
La donna smise
quasi di respirare quando si rese conto che
era oramai giunta l’ora.
Presto…avrebbe
perso coscienza.
Molto presto,
sarebbe diventata una loro cavia, uno dei
tanti “mostri” da lei stessa sconfitti.
Tuttavia non
chiuse gli occhi, ne abbassò lo sguardo, pronta
a guardare in faccia il suo destino e maledire fino
all’ultimo istante l’anima
di quell’uomo, crudele e senza pietà.
Se la
malvagità aveva un nome…quello era Albert Wesker.
L’uomo
vestito di scuro infilò un ago nel suo braccio,
mentre lei rimase a guardare impotente, costretta dalle cinghie che la
ancoravano al tavolo operatorio.
Una lacrima
scese dal suo viso, e fu allora che chiuse gli
occhi, abbandonando anche lei la sua umanità.
Wesker
estrasse l’ago. Aspettò per un certo lasso di
tempo, poi
prese inaspettatamente a slegare le cinghie che tenevano bloccata la
ragazza.
Jill
aprì debolmente gli occhi, accorgendosi subito che
qualcosa non quadrava.
Cosa stava
facendo? Perché la stava liberando?
Una volta
tolta l’ultima cinghia, lui le si rivolse quasi
come se stesse testando qualcosa.
“Resta
seduta.” disse, tranquillo.
La donna non
si mosse.
Jill
cominciò a sentire una strana impotenza nel suo corpo.
Si chiese
perché non riuscisse per nulla a muoversi, neanche
ad avere il più piccolo impulso di alzarsi. Era quasi come
se qualcosa agisse
direttamente sul suo sistema nervoso.
Non ancora del
tutto convinto, Wesker intanto provò a
imporle altri piccoli ordini.
“Muovi
la mano sinistra.”
A quelle
parole, ella fece esattamente come richiestole, e sollevò
delicatamente la sua mano sinistra.
Era in uno
stato di incoscienza, per questo non si
ribellava?
La bionda non
fece che porsi mille domande, non trovando
tuttavia dentro di se la volontà per fare qualsiasi cosa.
Neppure i suoi
pensieri lì per lì furono liberi di ribellarsi.
Wesker si
piegò di nuovo verso di lei. Nonostante fosse
libera di alzarsi in qualsiasi momento, nonché di
attaccarlo, Jill non reagì in
nessun modo.
Egli stesso
sapeva quanto per lei fosse irritante la sua
vicinanza, così insistette ad avvicinarsi verso di lei,
volendo mettere a dura
prova i nervi della donna.
Sapeva che
solo in questo modo avrebbe testato se lei fosse
sotto il suo pieno controllo.
“Adesso
porta la tua mano sul mio viso.”
Senza potersi
opporre in nessun modo, Jill accarezzò il
volto di Wesker, sfiorandogli la guancia delicatamente come non avrebbe
mai
potuto fare nella realtà, come la ragione non le avrebbe mai
ordinato di fare.
Quel delicato
contatto con la sua pelle fece rabbrividire la
ragazza che, persino nell’incoscienza provocatole del farmaco
che le aveva
iniettato, ebbe dell’esitazione.
I sentimenti
che passarono per i suoi nervi fecero sì che
tremasse con la mano, non potendo accettare di rivolgere a
quell’uomo quel
gesto affettuoso.
Quel tremolio
fu lieve, eppure Wesker, da acuto osservatore,
se ne accorse.
Per lui era
fondamentale in quel momento rendersi già conto
se il P-30 avrebbe potuto avere qualche effetto su di lei, e
quell’esitazione
non era certo un buon segno.
Fu in quel
momento poi che, mentre scrutava ogni suo
movimento, vide quella lacrima che prima aveva rigato il viso della
giovane.
Egli gliela
asciugò, scrutando la punta delle sue dita inumidite
appena da quel liquido.
“Hai
pianto, Jill Valentine?” chiese provocatorio, eppure in
qualche modo pensieroso.
Jill in quel
momento cominciò a sentire di nuovo il suo
cuore scoppiare.
Avrebbe voluto
urlargli contro, dirgli che egli le aveva già
fatto consumare tutte le lacrime che aveva in corpo, e se si era
concessa un
attimo di abbandono, era solo perché anche stavolta era
stata pronta ad
abbandonare la vita.
Invece…di
nuovo era lì, a ritrovare davanti a sé
l’uomo che
aveva fatto della sua vita una lotta eterna, maledicendo i suoi giorni,
devastando la sua mente, rendendola a sua volta una macchina assassina
che, per
sopravvivere, aveva dovuto anch’ella uccidere.
Wesker
poté quasi leggere quelle parole nei suoi occhi.
Infatti egli
rimase a fissarla per diverso tempo, come
potendo vedere la sua rabbia direttamente dalle sue splendide iridi
azzurre.
All’improvviso
lui distolse lo sguardo e ordinò ai suoi
sottoposti di uscire e di lasciarli soli.
Con la coda
dell’occhio, Jill osservò gli scienziati uscire
ubbidientemente, sapendo che rimanere sola con Wesker non avrebbe
presagito
nulla di buono.
Una volta che
questi chiusero la porta uscendo, l’uomo si
sedette sul tavolo operatorio accanto a lei con nonchalance.
Prese a
parlare tranquillo, colloquiando con una normalità
inquietante, come se per lui non avesse alcuna importanza il contesto
in cui si
trovavano.
“Vuoi
sapere cosa ti abbiamo fatto?” chiese consapevole che
Jill non lo avrebbe risposto se lui non le avesse ordinato di farlo.
La ragazza
rimase, infatti, immobile, osservandolo con gli
occhi sgomentati, ancora sdraiata sul tavolo.
Wesker sorrise
velatamente, con un che di nostalgico, poi ritornò
a lei.
“Dopo
che siamo caduti dalla finestra della tenuta di
Spencer, ti ho portato qui per esaminarti. Ho costatato che, in seguito
al tuo
incontro con il Nemesis, avvenuto all’incirca nove anni fa,
hai sviluppato dei
potenti anticorpi per via del virus Ne-T che egli ti iniettò
nel corpo. Da anni
non avevo a mia disposizione un soggetto con una resistenza come la
tua…”
Wesker si
fermò un attimo per trafiggerla con il suo sguardo,
poi continuò, non curandosi del volto di Jill che si faceva
sempre più
disorientato.
“Il
fiore stairway to sun, una pianta mortale per l’uomo,
che su di te non fa alcun effetto. E’ stata una scoperta
molto importante, e il
tuo aiuto, Jill, è stato davvero fondamentale in questi
lunghi mesi…”
Notando
finalmente il viso sconvolto della giovane, che non
poteva assolutamente comprendere di cosa egli stesse parlando, Wesker
assunse
una finta ed insopportabile espressione compassionevole.
“Giusto…tu
non lo sai.” Al che si piegò su di lei, sfiorando
le sue labbra sul suo orecchio.
Jill
sentì la sua bocca muoversi fastidiosamente sul suo
viso, mentre le parole che egli pronunciò trafissero
inesorabilmente la sua
anima.
“…è
già passato un anno, da quando sei qui.”
La donna
sbiancò. Si sentì venir meno, sprofondando nel
buio
più assoluto, mentre Wesker prese a ridere, a ridere di
gusto….
“Ah,ah,ah!
Sei sconvolta, Jill? Forse faresti meglio a
riposarti. La notizia deve averti scosso molto, immagino. Ma le
sorprese non
sono finite qui.”
Jill
girò gli occhi di scatto verso di lui, non sapendo se
voler davvero sentire cosa avesse ancora da dirle. Tuttavia comunque la
sua attenzione
era già completamente focalizzata su di lui.
Wesker si
allontanò dal suo orecchio e le mise una mano
sotto il mento, alzandoglielo appena prepotentemente.
“Ti
sei chiesta perché non riesci a ribellarti?”
A quel punto
anche la donna comprese. Egli le aveva fatto
qualcosa di ancora più terribile dell’iniettarle
un virus o cose simili.
Lui…aveva
trovato il modo per sottomettere la sua volontà.
Se Jill avesse
potuto, avrebbe voluto urlare a squarciagola,
per cacciare via la collera e la disperazione che in quel momento la
stava
logorando, mentre era costretta a stare alla mercé di
quell’uomo.
Wesker rise di
nuovo, stavolta contenendosi, poi scostò la
mano dal suo mento e tornò eretto col busto, rimanendo
ancora seduto sul tavolo
operatorio.
“Straordinario
vero? Anche tu dopotutto hai competenze
chimiche. Dovresti riuscire a comprendere, seppur lontanamente,
l’importanza di
un medicinale simile. Non sai ancora nulla…non sai la guerra
che ho intenzione
di scatenare.” disse sentendo vibrare dentro di se rabbia e
frustrazione.
Jill lo vide
stringere i pugni, cogliendo quello stato
d’animo.
A quel punto
lui si alzò e prese a girare per la stanza.
“Ora
che ho completato le mie ricerche su Uroboros, sarà
semplice mandare avanti il mio piano. Ci sarà da
ridere…davvero da ridere...”
Jill
percepì come se egli non stesse parlando a lei. Era
qualcun altro il suo interlocutore, un qualcuno non presente in quella
stanza e
che aveva fatto andare letteralmente in escandescenza Wesker.
Era quasi come
se anche uno come Wesker odiasse
profondamente qualcosa…o quacuno…
In effetti,
l’ex-agente STARS non sbagliava.
Gli occhi di
Wesker erano rivolti unicamente a lui…Spencer.
In quel
frangente, poi, qualcosa accadde.
Mentre
l’uomo con gli occhiali scuri prese quasi a delirare,
proferendo frasi per lei incomprensibili, la donna sentì
improvvisamente un
fortissimo fischio che le trafisse il cervello costringendola a
digrignare i
denti e portare le mani sulla testa.
Wesker se ne
accorse, dunque le si avvicinò prontamente
cercando di capire cosa le stesse succedendo.
Jill prese ad
agitarsi, muovendosi a destra e a sinistra,
sperando di scacciare dalla sua mente quello stridulo fastidioso.
L’uomo
intanto esaminò i monitor del computer, costatando un
eccessivo acceleramento della temperatura corporea.
Mentre fece
per afferrarla e tenerla ferma, tuttavia, fu lei
stessa a serrare violentemente il polso dell’uomo.
Wesker la
guardò non comprendendo lì per lì, e
fu quel
piccolissimo momento di esitazione che consentì alla donna
di colpirlo,
buttandolo a terra con una forza sovraumana.
Wesker
sentì tutto girare, ritrovandosi buttato in un angolo
del laboratorio senza neanche accorgersene.
Alzò
gli occhi e Jill si stava avvicinando a lui, con lo
sguardo furente.
Ella, con i
capelli biondi sciolti, e uno sporco camice
ospedaliero, fece per colpire di nuovo Wesker, sentendo una misteriosa
forza
dentro di sé.
In balia delle
emozioni, non vi badò però. Al momento, il
suo unico pensiero era soltanto quello di colpire l’uomo che
aveva osato usarla
ancora una volta.
Tuttavia il
secondo colpo non andò a buon fine, perché
Wesker si rialzò in tempo e le afferrò il pugno
col quale lei aveva cercato di
centrarlo, girandolo dietro la schiena della ragazza e torcendole
così il
braccio dolorosamente.
“Ah!
Ba…stardo!” urlò lei in preda alla
rabbia, non riuscendo
a divincolarsi dalla sua presa assurdamente forte.
Intanto Wesker
prese a riflettere fra sé. Aveva visto
giusto…
Nonostante lui
rimanesse comunque molto più forte di lei, la
ragazza aveva sicuramente sviluppato una forza fisica straordinaria.
Se fosse
riuscito a sfruttarla insieme al P-30, il farmaco
in grado di sottometterla alla sua volontà,
chissà cosa ne sarebbe uscito
fuori…
Dunque
mollò la presa, colpendo violentemente la donna, gettandola
a terra.
Jill si
ritrovò a strisciare sul quell’orrido pavimento,
sentendosi
sempre più umiliata.
Fece per
rialzarsi, non volendo rimanere a terra per nessun
motivo, ma lui le schiacciò la schiena con il piede, non
consentendole di
farlo.
Jill
sentì il respiro venir meno, costretta in quel modo.
“Mia
piccola Jill Valentine. Ne passerà di tempo prima che
tu possa farla a me. Ma ora basta giocare…per oggi abbiamo
finito.”
Detto questo,
la rimise in piedi prendendola per il lembo
del camice. Le diede poi un colpo all’altezza del petto che
la fece schiantare
contro il muro.
Lei prese
prima a tossire ininterrottamente, per poi perdere
lentamente i sensi per via del forte colpo subito alla testa con
l’impatto col
muro.
Vide
così tutto annebbiarsi e chiuse gli occhi, mentre
l’uomo vestito di nero rimase a guardarla con
un’espressione seria, perso nei
suoi pensieri.
***
Okay,
lo so, sembrerà strano dire una cosa del genere: ma quanto
li adoro quando "scornano" (lottano, cioè xD)!
Parlo
più seriamente.
Il
rapporto tra Wesker e Jill mi piace proprio per il fuoco che vi
è dietro di loro.
Una
storia frustrante, dark, di antagonismo...e che mi intriga
molto. Dunque scene così le avrei volute nel gioco stesso!
Magari....
Chi
è amante di questo genere di pairing, può capire.
Ci
vediamo al prossimo capitolo! <3
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6: marchingegno diabolico 1 ***
THE
DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO
6
Siamo entrambi
vittime. Entrambi abbiamo inseguito qualcuno che alla fine ci ha deluso
e
tradito, sacrificando tutto, persino noi stessi.. Per questo mi chiedo
perché,
specchiandoti nei miei occhi, tu non capisca…
***
La sala allestita per le riunioni era buia, occupata
unicamente da un lungo tavolo circolare, ove erano poggiati archivi
voluminosi,
documenti scientifici, e un proiettore.
Seduta, vi era l’intera equipe che aveva lavorato al caso
Jill Valentine, seguendo l’evoluzione del suo status da
quando era stata
portata nei laboratori da Wesker circa un anno prima.
Albert Wesker sedeva a capotavola, su una poltrona in pelle
nera, destando terrore già solo con il suo modo di apparire.
Egli era infatti vestito di nero, in una divisa in fibra di
carbonio adatta al combattimento che esaltava il suo fisico allenato,
plasmato
dall’addestramento militare.
In più, le scurissime lenti dei suoi occhiali rendevano
impossibile per i presenti interpretare in qualche modo i suoi
pensieri.
Così, risoluti ma titubanti, essi dovevano esporre le
proprie analisi sul soggetto non sapendo fino all’ultimo
quale sarebbe stato il
giudizio di Wesker.
Alla destra di lui, era seduta Excella Gionne, intervenuta
nella riunione unicamente per stare a fianco a colui il quale lei
credeva il
suo partner.
Wesker prese ad esaminare i documenti raccolti su Jill durante
gli ultimi giorni, analizzandoli accuratamente. Vide poi scorrere delle
diapositive, che mostravano delle immagini e dei filmati, in cui la
donna era
stata testata in combattimento.
Erano passati circa dodici giorni dalla presa di coscienza
della ragazza.
In questo frangente, avevano testato su di lei il P-30, misurando
la sua forza, la sua velocità, la sua resistenza,
nonché la sua suscettibilità
al comando.
Avevano preparato apposta per lei una battlesuit molto
resistente, che le consentisse di proteggersi dagli attacchi nemici,
nonché le
agevolasse ogni movimento.
Stavano esaminando in quel momento una sequenza in cui lei,
essendo stata lasciata sola con una cavia infettata
dall’Uroboros in una cella
circolare, aveva mostrato disobbedienza agli ordini che le erano stati
imposti.
Ovvero: eliminare qualsiasi soggetto le si sarebbe presentato.
Volevano analizzare le modalità di combattimento che ella
avrebbe adoperato, guidata dal P-30, che le avrebbe fatto scegliere, in
un frangente
di secondo, le mosse più efficaci da utilizzare contro il
nemico al fine di
realizzare l’obbiettivo con successo.
Tuttavia Jill, dopo aver eliminato all’istante i primi sette
soggetti, all’ottavo aveva cominciato a mostrare segni di
ribellione.
I suoi movimenti non erano più fluidi, si percepiva
chiaramente un senso di disubbidienza da parte sua. La sua espressione
facciale
per prima mostrava subito quando non fosse più sotto il
controllo della
sostanza chimica.
Avevano provato ad aumentare le dosi, ma al massimo così
allungavano
un po’ i tempi di sottomissione. Comunque il problema
persisteva.
L’immagine fu fermata su un’inquadratura in cui di
Jill digrignava
i denti, cedendo visibilmente ai suoi sentimenti contrastanti.
“Quel che abbiamo valutato è che il soggetto
potrebbe essere
per sempre in grado di non sottostare completamente al P-30. Dunque
l’unica
soluzione possibile è sottoporla a delle iniezioni
più frequenti.”
Spiegò il caporeparto rivolgendosi fermo a Wesker, il quale
portò una mano sotto il mento, chiedendosi che reazioni
avrebbe avuto il corpo della
ragazza se fosse costantemente sotto gli effetti del P-30. Non voleva
che si verificassero
effetti collaterali che magari alterassero le sue prestazioni, sia
combattive,
che intellettive.
Un simile esperimento poteva risolvere il conflitto che
aveva da sempre sperato di depennare: conciliare capacità
combattive sia
fisiche che cognitive.
Con i virus avuti fino a quel momento, tale bilanciamento
non aveva mai potuto dare buoni riscontri in quanto sia il T-Virus, che
il
G-Virus, che la
Plagas,
e anche l’Uroboros, fino a quanto testato, aggredivano le
cellule celebrali,
danneggiandole inevitabilmente, fino a rendere i soggetti infettati
soltanto
degli involucri assetati di sangue.
Se Jill dunque, sotto l’effetto del P-30, sarebbe riuscita a
combattere analizzando perfettamente il nemico, l’ambiente, e
tutte quelle
condizioni che le avrebbero consentito di scegliere la strategia di
combattimento più favorevole alla realizzazione dello scopo,
questo significava
un grande passo per lui.
Perciò non voleva perdere un soggetto simile. Era
un’opportunità unica.
“Ci sono probabilità che le sue
capacità intellettive
diminuiscano con un sovradosaggio del P-30?” chiese glaciale,
con un timbro
tetro e imperativo.
“Purtroppo questa donna è il primo soggetto che
sottoponiamo
a delle iniezioni così frequenti. Non abbiamo casi
precedenti sui quali poter
concludere eventuali ipotesi in merito. Di conseguenza il rischio non
è da
escludere. Nonostante ciò, abbiamo comunque buoni motivi per
essere ottimisti
sulla questione. Se notate…” mentre parlava, il
dottore prese in mano il
telecomando e mandò indietro l’immagine sul
proiettore per riesaminare il
combattimento registrato.
“…vedete? Visibilmente, una volta impartitole
l’ordine di
eliminare un determinato soggetto, ella riesce ad elaborare in un
frangente le
mosse da eseguire, non combatte con impulso o col mero istinto. Avendo
la
fortuna che il soggetto in esame sia un soldato, reputo che il P-30
aumenti persino
le sue stesse capacità, rendendole addirittura
sovraumane.”
Wesker, nelle parole
di quell’uomo, riconobbe il suo stesso ragionamento.
Rifletté che poteva funzionare.
Non aveva motivi per esitare. Inoltre Jill era la cavia perfetta sulla
quale
testare quella sostanza, non ne avrebbe mai ritrovata una
così.
Pertanto, subito si pronunciò sui lati più
tecnici della
questione, andando al sodo senza esitazione.
“Come potremmo somministrarle il P-30 costantemente,
dunque?”
“In verità…abbiamo già
realizzato un progetto. Eccolo qui.”
Con un’altra diapositiva, apparve sul telo
l’immagine di un
marchingegno metallico a forma di ragno.
“E’ solo un prototipo realizzato a computer, ma
questo robot
è dotato di diverse articolazioni che, impiantate sottopelle
attraverso un
semplice intervento chirurgico, garantirebbe la sua
stabilità sul corpo del
soggetto. Il meccanismo al centro provvederebbe all’iniezione
del P-30, funzionando
ad intervalli regolari che noi potremo tranquillamente controllare
tramite un
telecomando, o qualcosa di simile.”
Wesker fu stranamente compiaciuto del lavoro svolto dai suoi
sottoposti.
Infatti, si piegò in avanti osservando il marchingegno e gli
scienziati stessi si accorsero di aver attirato la sua attenzione.
L’uomo sorrise appena, annuendo velatamente, poi si
riadagiò
sulla poltrona in pelle, incrociando le dita sull’addome.
“Bene. Quanto tempo ricorrerebbe per la sua
realizzazione?”
Quel “bene” da lui pronunciato era più
che sufficiente, per
quei dottori, per sentirsi lieti di essere stati all’altezza
delle sue
aspettative. Nei limiti del modo di fare di Wesker, quella parola fu
più che un
complimento, i quali si consideravano già fortunati se lui
non obbiettasse sul
loro operato.
“Non più di una quindicina di giorni.”
Dissero sapendo bene
quanto egli ci tenesse a rientrare in tempi sempre molto brevi.
“Excella, affido a te il compito di seguire questi
sviluppi.” annunciò Wesker voltandosi appena verso
di lei.
La donna gli sorrise guardandolo ammiccante, con il viso
poggiato sul dorso della mano.
“Puoi contare su di me, Albert.” Rispose, felice
che lui le
avesse assegnato quel ruolo, dopodiché lui si
alzò, congedando così tutti.
Excella, vedendolo andare via velocemente, gli corse dietro.
“Albert!”
Wesker si voltò a stento, girando gli occhi verso di lei.
“Ci sarebbe un piccolo ricevimento in cui sono stata
invitata. Sarebbe davvero meraviglioso se tu mi
accompagnassi.” Gli disse
sensuale, sorridendogli con gli occhi e poggiando una mano sul suo
petto,
sperando con tutto il cuore che lui accettasse l’invito.
L’uomo la guardò annoiato attraverso le lenti
scure, poi le sorrise
e parlò in modo provocatorio e accattivante allo stesso
tempo.
“Vedrò.” disse, e sparì
inoltrandosi nel corridoio.
Si diresse verso la cella dove era stata rinchiusa Jill,
pronto a farle visita.
***
“Jill Valentine…vedo che sei ancora
sveglia.”
La voce di Wesker risuonò per quasi tutta la stanza per
effetto dell’eco.
Jill era ammanettata sul muro, costretta a stare in piedi
poiché imprigionata in delle morse sulle caviglie, sui polsi
e sotto il collo.
I suoi occhi erano bendati, così che lei non potesse sapere
dove si trovasse.
Era lì da ore, in quella posizione scomoda che le affannava
il respiro.
Sentiva il suo corpo sudato, mentre quelle morse le segavano
le mani, nonché le sue articolazione a provare molto dolore.
Inoltre l’odore
metallico di quell’ambiente era angustiante e lentamente la
stava portando alla
pazzia.
Si sentì sempre più disgustata come, con
normalità inaudita,
chiunque in quel posto trattasse con disumanità le persone,
come fossero dei
semplici oggetti privi d’anima, da manipolare come
preferissero.
Quella voce arrivò alle sue orecchie. Una voce che lei ben
conosceva e che stava aspettando.
“Wesker…” disse stringendo le labbra.
“Mi hai riconosciuto…” rispose lui
divertito, consapevole di
essere irritante in quel momento per lei.
“Tu…cosa pianifichi
ancora una volta? Cos’altro vuoi fare?!”
parlò lei con tono basso, lacerata da
quell’incubo, oppressa da quell’agghiacciante
prigionia che stava facendo
ulteriormente impazzire il suo mondo.
Sentì pulsare ogni parte di sé, desiderosa di
cancellare
dalla faccia della terra quell’uomo crudele e spregevole.
Wesker l’osservò attentamente, rimanendo lui
stesso scosso
da quell’odio che poteva vedere ribollire nitidamente dentro
di lei.
In fin dei conti però lo sapeva. Non esistevano altrimenti.
Lei avrebbe dovuto odiarlo per forza dopo ciò che le aveva
fatto.
Sorrise nostalgico, facendo caso che quella fosse
effettivamente la prima volta in cui si ritrovavano a parlare dopo
tanti anni.
Così tanti, che l’ultima volta erano stati persino
‘amici’.
Lui stesso era ancora il Capitano Wesker allora, e la
raccomandò su Barry Burton, depistando i sospetti che ella
avrebbe potuto
nutrire per lui.
All’epoca, lei fu molto felice di rivederlo, sicura che
fosse morto in quella villa indemoniata.
Lesse una sincera contentezza nei suoi occhi e trovò
meravigliosamente ingenuo quel suo modo di sorridergli felice di averlo
ritrovato.
Guardò in seguito la Jill che adesso era
davanti a lui, a circa dieci anni da
quell’episodio.
Non era più la ragazzina di allora.
Era una donna che aveva imparato a crescere, a lottare per
la sopravvivenza.
Una donna logorata, piena d’odio, che desiderava combattere
per porre fine a quella sofferenza, e che mai
più…sarebbe stata felice di
rivederlo vivo.
Chiuse gli occhi, ridendo fra sé.
Jill, seppur bendata, si accorse che egli sogghignava
divertito, così si alterò.
“Lo trovi anche divertente?!”
“No, Jill…pensavo.” rispose lui beato.
“Perché, tu pensi anche, adesso!? Le
crudeltà che fai le
ragioni?!!”
Wesker fece spallucce, non badando ai toni aggressivi della
giovane.
“Pensavo che è passato davvero molto tempo
dall’ultima
volta…” spiegò, guardandola
intensamente.
“Ah, sì? Ci fai caso ora?!” intervenne
lei sempre più
infastidita dalle sue parole, ma lui continuò il discorso,
ancora nostalgico.
“Quanti anni avevi all’epoca?
Venti…ventitre, forse. Sei
cambiata da allora.”
“Ovvio che sia cambiata! Stai facendo un discorso insensato!
Dimmi cosa vuoi farmi?! Rispondi!!”
Nonostante Jill non fosse per nulla interessata ad assecondare
Wesker e cominciasse ad inveire contro di lui, egli alzò gli
occhi al cielo, quasi
non credendo di riuscire a riportare alla mente quei ricordi, oppure
sì.
Semplicemente forse non lo aveva mai fatto e basta.
Riprese a guardarla.
Il contrasto che si figurò nella sua mente della giovane
Jill, soldatessa della STARS, con i capelli bruni a caschetto, e quella
di adesso,
bionda, sciupata in viso, e inchiodata al muro in quel luogo tetro, gli
fece
una strana impressione.
Non fu pena, egli non provava pietà per nessuno.
Piuttosto lo fece riflettere su quanto anche la sua vita
fosse cambiata da allora. Su quanto non sarebbe mai più
potuto essere l’uomo di
allora.
A quel punto si avvicinò a Jill e prese a scioglierla da
quelle maniglie che la tenevano bloccata.
La donna, non potendolo vedere essendo bendata, e sentendolo
così vicino, cominciò ad agitarsi, impaurita.
“No! Cosa vuoi farmi?! Vattene subito! Lasciami!!”
urlò nel
panico.
All’improvviso cascò a terra, libera da quella
ferraglia.
Ansimò portando una mano alla gola, quasi non credendo di
potersi finalmente sedere.
Wesker si piegò verso di lei e le sciolse anche la benda
sugli occhi.
Vide gli splendidi occhi color acquamarina di Jill, e rimase
a guardarli un po’, come incantato.
Non l’aveva semplicemente mai osservata così.
Jill, ancora ansimante, alzò anche lei gli occhi verso di
lui ricambiando il suo sguardo.
Di scatto, poi sollevò velocemente la mano e gli mollo uno
schiaffo in pieno viso, che fece girare la testa di Wesker verso
sinistra,
inclinandogli gli occhiali sul naso e arrossandogli la guancia.
Wesker lì per lì rimase sconvolto.
Seppur il suo volto rimanesse inscalfibile, egli fu
sinceramente spiazzato da quel gesto. Questo perché non
aveva mai ricevuto uno
schiaffo sul viso come quello.
Aveva lottato e ricevuto colpi molto più devastanti nella
sua vita, quindi non fu la sua guancia che pulsava a dargli fastidio.
Fu banalmente il fatto che, fra le tante cose che gli
fossero accadute nella vita, quella gli mancava.
Il suo sguardo tornò severo. Si voltò verso la
donna.
Intanto lei si stava preparando a colpirlo di nuovo, ma lui
le fermò entrambi i polsi, costringendola a terra,
protraendosi poi verso di
lei.
La ragazza strinse i denti, sperando di riuscire a scrollarselo
di dosso. Mentre lei si dimenava, lui rimase sopra di lei immobile,
limitandosi
a tenerla bloccata a terra.
A un certo punto Jill si fermò, rendendosi conto che i suoi
sforzi fossero del tutto inutili.
In quanto a forza, Wesker era troppo più potente di lei.
Così sbuffò, e lo guardò infastidita.
“Cos’è che vuoi?” disse
guardandolo dritto negli occhi.
Wesker aveva le lenti leggermente abbassate sul naso, per
cui si intravedevano nitidamente le sue iridi arancioni dalla forma
felina.
“Non ti interessa.” rispose impassibile.
“Come sarebbe a dire?” Si alterò lei a
quell’assurda
risposta, alzando leggermente la testa verso di lui. Egli rimase a
guardarla, a
tratti ammirando la sua determinazione.
“Non potresti mai capire…”
sussurrò, al che l’espressione di
Jill cambiò.
I suoi occhi colmi di rabbia si spensero, come se quelle
parole avessero rievocato qualcosa dentro di lei.
La vide allontanare gli occhi da lui, riadagiando la testa a
terra.
Wesker fu incuriosito da quella reazione.
Jill intanto sentì gli occhi bruciare, mentre le parole
uscirono dalla sua bocca senza che neanche lo volesse.
“Lo dicesti…anche quella
volta…” mormorò trattenendo le
lacrime a stento.
Wesker fece mente locale, cercando di capire a quando si
riferisse. Poi comprese.
Era stato quando aveva liberato il Tyrant.
Anche in quell’occasione, ella provò a comprendere
cosa lui volesse
ottenere, così le aveva risposto semplicemente che lei non
avrebbe mai potuto
comprendere.
In fondo, era vero…
Cosa mai avrebbe potuto comprendere all’epoca?
Che cosa avrebbe mai potuto capire di una vita sacrificata
in nome della ricerca, in nome di un destino che neanche lui aveva
scelto, ma
che lo aveva coinvolto a tal punto da sacrificare tutto.
Questo per poter un giorno chiarire con l’uomo che, invece,
l’aveva usato a sua volta…
…Spencer.
I suoi occhi si fecero impercettibilmente tristi rievocando
ancora una volta quell’episodio.
Quel lungo silenzio intanto attirò Jill, che si
voltò di
nuovo verso di lui, notando il suo sguardo assorto.
“Wesker…” disse a stento, non
comprendendo perché egli fosse
in quello stato.
Cosa gli era successo?
Era in qualche modo…diverso…
Strinse gli occhi non accettando di provare compassione per
lui.
Così mosse di nuovo le braccia cercando di divincolarsi, non
dimenticandosi egli chi fosse.
Wesker continuò a tenere salda la presa, mentre il suo
sguardo rimase assorto ancora un po’.
In seguito inarcò il busto, e si sollevò
velocemente da
terra, portando in piedi anche Jill.
La ragazza si innervosì terribilmente nell’essere
gestita
con così tanta facilità da lui.
Tenendola ancora per i polsi, Wesker tornò a guardarla negli
occhi, assumendo un tono calmo.
“Voglio che combatti contro di me.”
“C-cosa?” lì per lì, Jill
rimase sorpresa da quelle parole
dette all’improvviso.
L’uomo abbozzò un sorriso, tornando
l’arrogante di sempre.
“Forza Jill, vediamo cosa sai fare. Dopo Chris Redfield, eri
tu un’altra delle mie tante promesse.” Disse
liberandola dalla sua presa, per
poi mettersi in posa da combattimento.
Jill traballò dopo che lui le mollò i polsi e
continuò a fissarlo
poco convinta.
Wesker invece la guardò ammaliante.
“Se riesci a battermi, ti farò uscire di qui.
E’ una
promessa…” disse provocatorio, consapevole che lei
non avrebbe mai potuto
sconfiggerlo.
Tuttavia quella provocazione bastò a far scatenare la
ragazza, che cominciò subito a cercare di colpirlo con una
raffica di calci,
che scagliò contro di lui uno dopo l’altro.
Wesker li scansò facilmente, dopodiché la
colpì al petto facendola sbattere
contro il muro.
Lo ‘shotei’, il
suo colpo speciale.
Soddisfatto di vederla a terra, le si avvicinò.
“Già sfinita, Valentine?”
Jill, dapprima a terra ansimante, alzò gli occhi fulminea
verso di lui. “Affatto!”
Detto questo, gli si scagliò contro, eseguendo perfettamente
delle mosse di arti marziali che misero in difficoltà lo
stesso Wesker, esperto
tra l’altro in quel tipo di lotta.
La lasciò fare per un po’, e solo quando la vide
demordere
un po’ per la stanchezza, la sollevò per il collo
e la sbatte sul pavimento.
“Spiacente, Jill, ma hai ancora tanta strada da
fare…”
Jill digrignò i denti e afferrò Wesker per la
gamba, facendolo
cadere a terra con lei, dopodiché gli si sedette sopra
prendendolo a pugni.
Wesker bloccò i suoi colpi e la scaraventò
all’aria con un braccio,
facendole sbattere violentemente la schiena.
Tuttavia Jill non si diede ancora per vinta, e con
un’agilità
straordinaria, riuscì a rimettersi in piedi e saltare verso
di lui, assestandogli
un calcio nei reni.
Wesker sentì il colpo e si piegò appena. Si
girò verso di
lei e fece per prenderle la gamba e torcergliela, ma non fece in tempo,
poiché
ella saltò di nuovo, montandogli sulle spalle.
Con le ginocchia, fece per stringergli la testa e rompergli
l’osso del collo, ma la tattica non poté
funzionare su Wesker, che si divincolò
da lei.
“Niente male davvero. Sei migliorata. Mi chiedo se non sia
grazie a qualche residuo del P-30 non ancora smaltito dal tuo
corpo.”
“P-30, dici?! Ti sbagli! Questo…” disse
correndo verso di
lui. “…è solo il
frutto…” comparve inaspettatamente dietro di lui.
“…di anni di
duro allenamento…” lo colpì facendo una
scivolata, che mise in ginocchio
Wesker. “…per poterti affrontare un
giorno…e ucciderti!!” concluse, e gli
scagliò un calciò in pieno viso.
Wesker, colpito in pieno, cadde.
Mentre era steso a terra, cominciò inaspettatamente a
ridere…
Diversi frammenti di vetro, scuri, caddero dal suo viso,
mentre la montatura degli occhiali rimase intatta solo per
metà. Qualche ciocca
di capelli gli cadde leggermente sul viso, scomponendo appena la sua
figura che
non aveva mai nulla fuori posto, neanche quando combatteva.
“Uccidermi? Ah, ah, ah.” Poi tornò
serio. “Devi ancora
crescere…per sperare di uccidermi!”
Si lanciò così contro di lei, bloccandola con
tutto il
corpo, alzandole a forza il mento.
Rise di nuovo di gusto, guardandola poi estasiato, facendo
scorrere appena un dito sul suo collo.
“E’ stato molto divertente. Avremmo dovuto farlo
più spesso,
vero? Ma il tempo per giocare, è finito.”
Detto questo la spinse e la donna cadde nuovamente a terra.
Lui prese delle manette dalle sue tasche e le costrinse le
mani dietro la schiena. La ragazza urlò appena per quella
fortissima presa, che
ferì i suoi polsi.
“Ora devo richiuderti in cella, il dovere mi chiama. Mi
raccomando, riposa bene. Avrai una giornata molto lunga,
domani…” disse
trascinandola.
“Cos…noooo!! Lasciami!” gridò
disperata mentre lui
l’imbavagliò e la bendò su viso,
chiudendola di nuovo in quella cella umida e
buia dove era rimasta ancorata al muro precedentemente.
“No! Torna indietro! Weskeeer!!” strillò
di nuovo, con la
voce offuscata dalla corda che aveva sulla bocca.
Lui ben presto fu già lontano, lasciando la donna sola, nel
buio più completo.
***
...e sono al sesto
capitolo...! :)) Ho già cominciato a scrivere anche il
settimo, per cui credo di aggiornare presto!
Nel capitolo ci sono dei riferimenti a Resident evil Rebirth (re1).
La scena nella casa del custode, una delle mie preferite. Poi quella nel finale, quando Wesker libera il Tyrant.
Quel "You'll never understand" racchiude molti significati...personalmente mi ha colpita molto come frase, rappresentando il bel fardello che Wesker già allora si porta alle spalle come ricercatore dell'Umbrella, e non solo...
Entrambe queste scene con Wesker e Jill mi sono rimaste impresse, dunque un riferimento volevo metterlo fin dall'inizio.
Grazie mille a tutti coloro che mi stanno sostenendo attraverso la lettura della mia storia e le recensioni! Grazie davvero!
Alla prossima!!!
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Capitolo 7 *** Capitolo 7: marchingegno diabolico 2 ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 7
Wesker ed
Excella camminavano lungo un viale alberato
illuminato dalla fioca luce pallida dei lampioni che lo contornavano.
Lei si strinse
al suo braccio, avvolta da un cappotto di
pelliccia candido come la neve.
Wesker invece
rimase impassibile, continuando a guardare
dritto dinanzi a se senza alcuna espressione sul suo volto, camminando
ad agio.
Il lungo e
rigido cappotto scuro di lana rendeva ancora più
distinta la sua figura possente.
Excella lo
osservò accattivante con i suoi occhi
cristallini, non curandosi che lui non le desse la minima attenzione.
Al
contrario, si strinse di nuovo al suo robusto braccio.
“Grazie
per essere venuto, Albert. La tua presenza ha reso
questa serata molto più interessante.”
Wesker
continuò a camminare, completamente indifferente
all’avvenente donna dai capelli neri.
Aprì
appena la bocca, per nulla condividendo le sue parole.
“Ti
saresti divertita ugualmente.” disse laconico.
Lui, a
differenza di lei, si era annoiato notevolmente a
quella ‘festa’.
Non era per
nulla attratto da quegli ambiento mondani, ove
si parlava di tutto. Dalla politica, allo stupido chiacchiericcio
quotidiano, utile
solo per passare il tempo.
Ai suoi occhi,
erano tutti solo degli insulsi damerini di
buona famiglia, che sarebbero senz’altro stati più
utili come sue cavie.
Aveva passato
tutta la serata ad osservarli in un angolo
vicino al buffet, analizzando distrattamente le loro movenze false e
costruite.
Il suo viso di
marmo non si faceva mai portavoce dei suoi
pensieri, nascosto com’era dalle scure lenti degli occhiali
da sole che era
solito indossare. Grazie a questo non era trapelato nulla del suo stato
di noia
e disgusto.
Si era
allungato alla bocca il bicchiere di vino bianco ed
era rimasto a sorseggiare tutto il tempo, fingendo di assecondare
Excella che
gli aveva chiesto di venire lì.
Aveva bisogno
che lei mantenesse certi contatti, i quali gli
tornavano utili per finanziare le sue ricerche. Era solo per questo che
era
venuto.
Sapeva che la
donna, pur di compiacerlo, avrebbe passato
l’intera serata a dilettare gli ospiti che a lui
interessavano.
In questo,
Excella era una donna formidabile. Ospitale e
gentile quanto lo si richiedeva, ma anche scaltra e ambiziosa.
Qualità opposte
che facevano tutte al suo caso.
Il prezzo da
pagare era stato quello di sacrificare
un’intera serata di lavoro per spiluccare qua e là
cibo che neanche gli era
piaciuto poi molto. Se quei bocconi insapori erano considerabili un
pasto di
sostentamento, questo poteva valere per loro, che non muovevano un dito
dalla
mattina alla sera.
Una volta
fatta la mezzanotte, gli era venuta voglia di
scendere alla rosticceria che aveva intravisto dalla balconata di quel
lussuoso
palazzo per mangiare qualcosa e poi risalire.
Non
l’aveva fatto solo per Excella, che non faceva che
cercare di coinvolgerlo.
Avevano
lasciato il palazzo verso l’una e mezza.
Ora erano
circa le due, e rimpiangeva amaramente di non
averla piantata in asso per quella rosticceria.
In tutto
questo, egli continuò a camminare non lasciando
trapelare nulla dei suoi pensieri persino in quel momento.
Buttò
appena un occhio verso Excella, che invece credeva di
aver passato una serata davvero piacevole accanto a lui.
Lavorava
davvero di fantasia quella donna. Era incredibile
costatare quanto certe persone vedessero soltanto ciò che
volessero vedere.
“Albert...”
sussurrò lei rompendo quel silenzio.
Wesker rimase
taciturno, al che lei fece uno di quei
risolini femminili che lui tanto detestava.
“…mi
piacerebbe se uscissimo più spesso. Anche tu dovresti
staccare col lavoro di tanto in tanto. Rilassarti e divertirti,
perché no. Ti
ho visto molto bene questa sera. Eri il più
affascinante.”
Wesker non
badò a quelle lusinghe, anzi, si chiese a cosa
alludesse di preciso quando aveva detto che si fosse divertito.
“Vedremo.”
rispose senza convinzione, raggiungendo intanto
l’automobile lucente nera.
Aprì
lo sportello e fece accomodare la donna, che a quel
punto fu costretta a lasciare finalmente il suo braccio.
Ella si
accomodò sul comodo sedile in pelle e strinse la
pelliccia attorno a se, mentre seguì con gli occhi il suo
adorato Albert che
andava a posizionarsi al posto di guida.
“Ero
molto più al caldo prima…” disse
suadente.
Wesker mise
l’automobile in moto e, con manovre fluide e
veloci, uscì dal parcheggio, facendo rotta verso il
laboratorio.
Ci avrebbero
impiegato circa un’ora e quaranta minuti per
arrivare. Accese dunque l’aria condizionata impostandola su
una temperatura più
calda. Era una notte davvero fredda.
Excella
guardò di nuovo Wesker, mentre guidava assorto nei
suoi pensieri. Sorrise e si accostò appena verso di lui.
“E’
da prima che volevo farti una domanda.” disse ed
esaminò
il suo viso. “Che ti è successo alla faccia? Hai
fatto a botte con qualcuno?”
A quel punto,
Wesker guardò la sua immagine riflessa nello
specchio retrovisore.
Sull’imboccatura
del naso e all’altezza degli zigomi, aveva
dei lividi piuttosto scuri, anche se non di dimensioni notevoli.
Sorrise
ripensando a Jill Valentine, alla colluttazione che
avevano avuto qualche giorno prima.
Era passata
una settimana e lui aveva ancora quei segni.
Excella si
accorse di quella strana espressione sul suo
viso, ma preferì non indagare, insospettiva di vederlo
abbozzare un sorriso
proprio in quel momento.
03:48
Non appena
giunsero di nuovo nell’edificio nascosto in mezzo
al bosco, Wesker si recò subito nel laboratorio. Questo
perché il robot da
impiantare sul corpo di Jill era stato ultimato due giorni prima.
L’avevano
testato e gli studi avevano riportato esiti più
che positivi.
Ora rimaneva
soltanto l’operazione chirurgica, la quale era
iniziata all’incirca da venti minuti.
Wesker si
avvicinò al vetro e parlò tramite un microfono
con
gli scienziati che erano stati predisposti per supervisionare
l’intervento.
“Quali
sono gli sviluppi?”
“Signor
Wesker, l’operazione è cominciata da ventisette
minuti. Non sono insorte grosse complicazioni. Tutto procede per il
meglio.
Presupponiamo di finire entro un’ora al massimo.”
“Bene.”
Annuì lui, facendo poi per indossare camice, guanti,
mascherina, e tutta l’attrezzatura necessaria per entrare
nella sala operatoria.
Volle
verificare lui stesso il procedere di
quell’intervento.
Il suo sguardo
andò a posizionarsi su Jill, addormentata per
effetto dell’anestesia.
Sorrise
aspramente, pensando a come ella avrebbe reagito una
volta realizzato cosa le stavano impiantando sul corpo.
***
Passarono
all’incirca tre giorni dall’operazione.
Jill
dormì profondamente, completamente ignara di tutto.
Era stata
rinchiusa nuovamente in una grossa gabbia lugubre
e buia.
Ella
cominciò ad agitarsi nel sonno. La sua mente stava
rievocando i suoi incubi, rinterpretandoli attraverso immagini
sconcertanti che
le fecero gelare il sangue.
Vide se
stessa, con i lunghi capelli scuri legati in un
codino sotto un cappello, mentre camminava su un infinito corridoio.
Improvvisamente
sentì Chris urlare, così cominciò a
correre
chiamando il suo nome, terrorizzata che lui fosse in pericolo.
Per quanto
corresse, quel corridoio non aveva mai fine,
così, impotente, la donna poté solo correre
all’infinito, senza poterlo
soccorrere in nessun modo.
Si
accasciò a terra disperata, ma il male non era terminato.
Vide le sue mani insanguinarsi, mentre sotto pelle prese a scorrere
qualcosa di
estraneo che mirava a intaccare il suo cervello.
Per quanto si
sforzasse di evitarlo, quel microbo era già
dentro di sé, e non poté impedirgli di infettare
la sua mente.
Così
ben presto ella fu nel baratro più completo.
Sognò di
fare a brandelli Chris Redfield, tagliandolo in mille pezzi con le sue
mani.
Alla fine,
lacrime rosse rigavano il suo viso, mentre sentì
un’ultima volta l’eco della voce del ragazzo urlare
disperato: “Jiiiill!!”
“Noooooooo…!!”
La donna si
svegliò di soprassalto. Ansimò forte, spaventata
dalla visione appena avuta. Nascose poi il viso fra le mani, tremante.
“E’
un incubo…solo un brutto, brutto
incubo…” ripeté a se
stessa sentendosi male. “Chris…”
sussurrò, desiderando tanto di rivederlo.
Aveva paura e
si chiedeva ardentemente dove fosse, se stesse
bene, cosa gli fosse successo…
Jill si era
fidata di pochissime persone nella sua vita.
Chris era
stato uno dei pochi al mondo con il quale avesse
mai fatto squadra.
All’epoca
in cui erano entrambi membri S.T.A.R.S., mai
avrebbe immaginato che egli, in futuro, sarebbe stato l’unico
che le sarebbe
rimasto accanto nella vita.
Già
prima i due avevano riscoperto una certa affinità sul
lavoro. Entrambi si consideravano due buoni colleghi, provando un certo
affetto
l’uno per l’altro e stimandosi a vicenda.
Dopo aver
visto le loro vite sconvolgersi dopo quella
missione sui monti Arklay, qualcosa cambiò profondamente.
Rimasti
completamente soli, impotenti, di fronte
quell’inferno che si stava prepotentemente e inesorabilmente
sostituendo alla
realtà che conoscevano, si unirono l’uno
all’altro.
Jill si
aggrappò a qualcuno come non le era mai successo con
alcuno.
Chris e Jill
diventarono un tutt’uno, due perfetti partner,
pronti a combattere quella battaglia.
Così
lui era diventato il suo pilastro, l’unico che le fosse
rimasto vicino in un mondo che le aveva voltato le spalle. E lo stesso
era
stato per lui.
Chris Redfield
rappresentava tutta quella parte buona del
mondo che invece le aveva remato contro ed andava verso la distruzione.
Facendosi
forza a vicenda, erano passati dieci anni da
allora…
Tuttavia…ora…si
sentiva nuovamente sola…
Ma doveva
resistere, potendo solo pregare per lui.
Se avesse
mostrato segni di debolezza, avrebbero potuto
usarla contro di lui…ne era certa…
Oramai
conosceva la crudeltà di Wesker, e lei non voleva che
lui la usasse per ferire Chris.
Per questo
aveva sempre desistito nel cercare di ottenere
informazioni su di lui, reprimendo la sua angoscia e sperando
così di
proteggerlo.
Sospirò
dunque profondamente per farsi forza.
Si
alzò e fu in quel momento che si rese conto di essere
rinchiusa in una gabbia.
“Cos…?”
disse non comprendendo subito la situazione.
Era uno spazio
abbastanza grande perché un uomo ci entrasse,
ma si sentì trattata come un animale a essere rinchiusa
lì dentro.
Guardò
verso se stessa e notò di indossare di nuovo quella
scura tuta integrale da battaglia.
Si
spaventò, chiedendosi perché fosse vestita in
quel modo.
In quel
momento la porta si aprì, e una donna, seguita da
alcuni uomini in divisa, entrò nella stanza.
Guardandola
attentamente, Jill la riconobbe nella bruna che
aveva intravisto quando tentò di fuggire la prima volta.
“Oh,
sei sveglia. Bene, aprite la gabbia, forza!”
ordinò la
donna con nonchalance, parlando con fare presuntuoso.
I soldati
fecero così uscire Jill, tenendola ferma
saldamente. La bionda li guardò con
odio.
“Il
mio nome è
Excella Gionne. Tu sei Jill Valentine, no? Membro della
B.S.A.A.”
Jill non
rispose, non pensando minimamente di dar corda a
una sottoposta di Wesker.
L’osservò
attentamente, notando l’acconciatura ben fatta, il
trucco vistoso, il vestito scollato, nonché quel corpo
esibito con una certa
disinvoltura…certo che Wesker sapeva scegliersele le
colleghe, pensò in malo
modo disgustata.
“Ehi,
stammi a sentire.” disse Excella accorgendosi di
quell’atteggiamento schivo. “Non ho alcuna
intenzione di perdere tempo con te,
tuttavia Albert mi ha mandato per alcuni esami.”
Concluse e
ordinò ai soldati di seguirla portando con loro
la ragazza.
Questi dunque
la sollevarono per le braccia e così Jill si
ritrovò costretta a dover seguire Excella.
Entrarono in
una stanza molto ampia, quasi completamente
vuota, se non avesse avuto al centro un tavolo di metallo.
Rimasero in
silenzio per diverso tempo, mentre la donna appuntava
alcune cose su un foglio.
Jill rimase a
scrutarla per tutto il tempo, allerta, pronta
ad agire in qualsiasi momento.
“Dunque,
da quand’è
che conosci Albert?” chiese all’improvviso Excella,
esaminando distrattamente
una cartella clinica.
La bionda
sgranò gli occhi per nulla aspettandosi una
domanda simile. In seguito abbassò lo sguardo e la
malinconia la pervase.
“Conoscere…?
Non si può credere di conoscere qualcuno basandosi
sul tempo.” disse sotto voce, conoscendo il significato
profondo delle sue
stesse parole.
Era stato
proprio con Wesker che aveva scoperto quanto una
persona poteva essere diversa da come si ci
aspettava…così tanto da non poter
credere di avere davvero di fronte agli occhi la stessa persona di un
tempo.
Ferita da quel
pensiero, cambiò lei stessa discorso.
“Piuttosto, perché non sono in grado di
muovermi?”
Inaspettatamente,
la donna dai capelli neri rispose, mentre
sistemava in una valigetta il contenuto di una fiala.
“P-30,
una particolare sostanza scoperta da Albert che rende
le persone sensibili al controllo. Ti è stata somministrata
poco prima che ti
svegliassi. Ma, a quanto pare, i tuoi anticorpi sono talmente forti da
non
sottomettersi neanche a questo. Infatti, dovresti essere molto
più mansueta.”
si interruppe. “Per questo Albert sta lavorando su qualcosa
di nuovo.”
Sentendola
parlare in modo così confidenziale di Wesker, si
chiese se quella donna non fosse la sua compagna.
La vide
girarle intorno, scrutandola con fare intimidatorio,
come se la stesse sfidando con lo sguardo. Cosa diavolo voleva anche
lei?
La bruna fece
un ghigno, poi si avvicinò verso l’uscita
della stanza.
“Bene,
ho finito. Albert, è tutta tua.”
In
quell’istante, la porta automatica si aprì e a
solcarla,
fu proprio l’autorevole e distinta figura di Albert Wesker.
Jill
indietreggiò, non aspettandosi di rivederlo tanto presto.
Excella si
posizionò al suo fianco e sorrise beffardamente.
“Ho
fatto preparare questa stanza apposta per te. Va bene?”
“Sì,
va pure.” rispose lui soave, al che la donna annuì
e
andò via.
L’uomo
prese poi a camminare verso la bionda, che indietreggiò
ad ogni passo che lui avanzava.
“Cosa
c’è? Hai paura, Jill?” disse con voce
bassa e
provocante, non scostando gli occhi da lei.
“Affatto…”
rispose lei cominciando a sentire vacillare la
sua determinazione.
Egli stava
giocando come il gatto con il topo, e Jill cominciò
ad avvertire il peso di quella struggente situazione.
“Dunque
perchè stai scappando?” insistette Wesker,
costringendo la donna a schiacciarsi contro la parete avendo raggiunto
l’altro
estremo della stanza.
Jill
sentì, infatti, il muro dietro di se.
Si
voltò per un istante sperando di trovare una scappatoia,
ma dovette subito tornare a guardare in avanti poiché oramai
Wesker era di
fronte a lei.
La sua figura
altezzosa e glaciale la terrorizzò
completamente, ma cercò in tutti i modi di non darlo a
vedere. Gli mostro così
i suoi occhi fieri e colmi di rabbia.
Wesker
allungò un braccio verso il muro, poggiandosi appena
su di esso, accorciando così ulteriormente la distanza che
vi era tra lui e
Jill. Le portò una mano sotto il mento. Impotente, lei
stette inerme a
guardarlo, senza sapere cosa fare.
“Ti
ho portato un regalo, vuoi sapere di cosa si tratta?”
“Vai
al diavolo..!” disse lei a denti stretti, trattenendo
la rabbia.
Egli tuttavia
non si smosse, anzi. Si allontanò da lei e si
avvicinò al tavolo in metallo posto al centro della stanza,
ove dispose una
pistola e un coltello.
“Hai
una preferenza?”
Jill non
rispose, non comprendendo il senso di una domanda
simile.
Wesker,
notando la sua ovvia titubanza, scelte al suo posto
prendendo in mano la pistola. Gliela porse.
“Prendi.”
La ragazza,
ancora confusa, rimase immobile a guardare
l’arma. All’improvviso una grata si
alzò, facendola sobbalzare.
Ella si
voltò con tutto il corpo e un ‘crimson head’ le corse
incontro, pronto ad ucciderla.
La sua pelle
spaccata e rossa, le sue unghie affilate e il
pesante alito che odorava di morte furono subito familiari a Jill, che
si
scansò velocemente dal suo primo attacco.
Era da molto
che non ne affrontava uno, ma ricordava che la
loro pericolosità era rappresentata per lo più
dall’incredibile velocità.
Così
cercò di prevedere le sue mosse. Ricercò Wesker
con lo
sguardo, poi si allungò verso di lui prendendo la pistola.
Con pochi
colpi, il ‘mostro’ cadde a terra, inerme. La
ragazza ansimò.
Alle sue
spalle, Wesker cominciò a battere le mani.
“Complimenti,
Jill. Test numero uno: superato eccellentemente.”
A quelle
parole, Jill si voltò verso di lui, puntandogli
l’arma contro. L’uomo stette a guardarla serio,
aspettandosi quella mossa.
“Vuoi
uccidermi?”
“Ti
ho sotto tiro, Wesker…non scherzare!” disse lei,
tenendo
i nervi saldi e abbassando la sicura della pistola.
Era pronta a
sparare. Egli aveva fatto un grosso errore ad
armarla, carica d’odio com’era.
Decisa a far
partire il colpo, Wesker inaspettatamente sorrise.
“Jill…tu
combatterai per me.”
Prima di poter
dire, o fare qualcosa, Jill sentì una morsa
stringerle sul petto.
Si
piegò su se stessa, non comprendendo.
Sentì
il suo corpo non rispondere, come se non riuscisse più
a trovare la determinazione per sparargli.
Sentiva solo
qualcosa stringerle fastidiosamente sul busto.
“Ed
ora…uccidili tutti.” pronunciò Wesker
gelido, e a quel
punto una forza misteriosa costrinse la ragazza a lottare contro le
B.O.W. che
erano appena apparse alle sue spalle.
Jill le
affrontò senza batter ciglio, mentre Wesker
osservava compiaciuto l’esito di quell’esperimento.
Controllò
l’orario per controllare se ella sottostesse più a
lungo del solito al P-30.
Al momento
riceveva delle iniezioni a intervalli molto lenti
e in piccole dosi, ma era pronto a modificare quelle impostazioni, nel
caso
avesse opposto resistenza.
Prese dunque
in mano il piccolo telecomando custodito nella
sua tasca e lo esaminò.
“E’
finita, Jill. Sei sotto il mio controllo.” disse quasi
fra se, mentre Jill lacerava le carni dei suoi target.
Jill non
riuscì in nessun modo a ribellarsi, non sapendo
cosa le stesse accadendo effettivamente.
Riuscì
a percepire che quegli impulsi erano legati
probabilmente a qualcosa che le stava premendo terribilmente sul
torace.
Digrignò
i denti infastidita e inaspettatamente riuscì,
lottando contro se stessa, a muovere le mani verso il petto, facendo
per aprire
la cerniera della sua battlesuit.
Wesker si
accorse in tempo dell’istinto che aveva portato la
ragazza ad accorgersi del dispositivo impiantato sul suo corpo.
Così prima che
lei riuscisse anche solo a toccarlo, lui aumentò
istantaneamente le dosi del
P-30.
A
quell’iniezione, Jill si accasciò a terra.
Il dispositivo
sul suo petto a quel punto fu visibile, essendo comunque riuscita
ad aprire la tuta in quel punto. Tuttavia non poté far altro
che stare a terra
inerme.
“Tu
non cercherai mai più di toglierti questo
dispositivo.”
affermò Wesker in modo imperativo, guardandola
dall’alto verso il basso.
Come un
impulso che agì direttamente sul suo cervello, Jill
sentì che per lei sarebbe stato impossibile disfarsi di quel
meccanismo, che
sarebbe stato ancorato al suo corpo per sempre.
La sua mente
sembrava scoppiare di fronte quelle sensazioni
indescrivibili e inopponibili.
L’unica
cosa che le fu possibile fare, fu rialzarsi e
riprendere a combattere quel paio di nemici rimasti ancora in vita.
Una volta
liberato il campo dalle B.O.W. , Wesker le si
avvicinò di nuovo, ritenendo quella prova ben riuscita.
Aveva vinto.
“Molto
bene. Ora…provami la tua lealtà.”
Le mise
così un coltello da combattimento in mano e poi
allargò le braccia.
“Uccidimi.”
disse inaspettatamente.
Jill, per una
volta d’accordo con l’ordine impartitole, si
lanciò verso di lui pronta a pugnalarlo, ma quando fu a
nemmeno di venti
centimetri da lui, Wesker impartì un nuovo comando.
“Fermati.
Ora uccidi te stessa.”
In
quell’istante, la sua mano partì da sola. La
bionda puntò
lo stesso coltello, che prima era rivolto verso Wesker, verso se
stessa, pronta
a lacerarsi la carotide senza esitazione.
“Ferma.”
A
quell’ennesimo ordine, il coltello le cadde di mano.
Jill aveva gli
occhi sbarrati, incapace di credere a quel
che stava davvero per fare.
Wesker
raccolse il coltello da terra e glielo mise
nuovamente in mano.
“Combatti…combatti
fino allo stremo delle tue forze.” disse
provocatoriamente, dopodichè si mise in un angolo ad
assistere al massacro che
di lì a poco la donna fu costretta a compiere.
Wesker
cominciò a ridere follemente, mentre Jill avrebbe
solo voluto scappare dalla realtà che si stava figurando
davanti ai suoi occhi.
“Non
mi tradirai, non scapperai, resterai al mio fianco, non
tenterai mai di toglierti il dispositivo di tua volontà, mi
seguirai quando io
ti ordinerò di farlo. Farai ogni cosa io ti
chieda.”
Quella raffica
di parole trafissero il cervello della
ragazza, e da quel momento in poi fu sua convinzione che non avrebbe
mai più potuto
disobbedirgli.
Costui…era
il suo padrone assoluto.
Passarono sei
ore e Jill ancora strappava brandelli di carne
dai corpi delle B.O.W., senza mai fermarsi o mostrare segni di
cedimento.
“Basta
così.” disse infine l’uomo dalle lenti
scure, e lei
si fermò finalmente.
Jill,
completamente sfinita, desiderava soltanto potersi
sedere.
L’uomo
le si avvicinò e le alzò la cerniera della tuta
fin
sotto il collo, nascondendo così il dispositivo sul suo
petto.
“Riposati.
Hai combattuto davvero bene.”
A quel punto,
Jill chiuse gli occhi, lasciata finalmente
libera di riposare.
Ella si
abbandonò cadendo all’indietro, ma lui la sorresse
tempestivamente, lasciando che lei poggiasse la testa sul suo petto.
La
guardò qualche istante, mentre era crollata per la
stanchezza, sporca di sangue.
A quel punto,
Wesker ridusse al minimo le iniezioni del
P-30, così che Jill avrebbe ricevuto soltanto la dose
necessaria per tenerla
buona nella sua cella.
Riprese poi a
osservarla.
Il suo viso,
seppur sofferente, adesso era finalmente
disteso e rilassato. Un allenamento simile doveva averla sfinita sul
serio, sia
fisicamente che psicologicamente, pensò.
Forse aveva
preteso un po’ troppo da lei, facendola lottare
per tutte quelle ore consecutive, ma era stato l’unico modo
per testare
definitivamente quel suo nuovo esperimento.
Ora poteva
dirsi soddisfatto.
Jill era stata
perfetta fin da subito, ed era stata una
delle cavie migliori che gli fossero capitate.
***
Cosa…mi
è successo…?
Non ne posso
più...svegliatemi da quest’incubo!
Qualcuno mi
aiuti!!
Wesker…
Cosa vuoi fami,
ancora?!
***
01:15
Jill
sentì più voci alternarsi fra di loro, ma fu
incapace
di comprendere bene le loro parole.
Le sentiva
solo ridere e sussurrare fra loro, incapace di
percepire altro.
Una sensazione
disturbante la pervase in corpo. Mosse appena
la testa facendo per aprire gli occhi, ma la sua vista era
completamente
appannata.
“Sicuri
che Wesker è via?”
“Tranquillo,
tanto è solo uno scherzo. Il P-30 è una veeera
bomba!”
“Ah,ah,ah,
quindi è tutto vero?”
La giovane dai
capelli biondi non presagì nulla di buono da
quelle battute, così si sforzò nuovamente di
rialzarsi, anche se a stento.
Vide di fronte
a se tre giovani dottori che, nel buio della
stanza, stavano puntando delle torce contro di lei.
Ella socchiuse
gli occhi accecata.
Uno di questi
le si avvicinò e le tappò prontamente la
bocca.
“Mmmff..!!”
Jill si
ribellò, mentre gli altri due la bloccarono ancora
di più, trascinandola fuori dalla gabbia.
“Non
avevi detto che le avevi dato quella roba?”
ringhiò in
silenzio uno dei tre.
La bionda
cominciò a dimenarsi, nonostante si sentisse
terribilmente fiacca in corpo.
Uno di quei
ragazzi cominciò a metterle le mani addosso, ma lei
riuscì a scagliargli un calcio talmente forte da farlo
cadere a terra.
“Brutta
stronza!!” disse e la colpì violentemente alla
nuca.
La donna si
accasciò, stordita. Se solo non si fosse sentita
così priva di energie…
Si
sentì venir meno, ma possedeva ancora la forza e la
volontà per schiacciare quei vermi! Tuttavia si rese ben
presto conto che
dovevano averla drogata. Tant’è che si
ritrovò incapace di muoversi come
avrebbe voluto.
Riuscì,
infatti, solo ad agitarsi goffamente.
Digrignò
i denti, mentre uno di questi prese a sfilarle la
tuta di dosso, esaltato dalla vista del corpo allenato e formoso della
ragazza.
“Però…su
di lei farei ben altro tipo di esperimenti!” disse
uno in modo perverso, avvicinandosi a lei.
Jill se lo
scrollò di dosso, facendo di tutto per muoversi e
creare scompiglio, così da attirare l’attenzione
di eventuali passanti.
Tuttavia ci
sarebbe mai stato qualcuno che sarebbe corso in
suo aiuto in quel posto?
“Andate…all’inferno...luridi…vermi!!”
ringhiò contro di
loro, riuscendo a scandire le parole sotto l’effetto
chissà di quale
stupefacente.
Questi,
spaventati dal fatto che lei avesse parlato ad alta
voce a quell’ora della notte, si alterarono temendo di essere
scoperti. Così uno
di loro le mollo un calcio.
“Zitta
puttana!”
Jill
incassò il colpo, riuscendo a tenere duro, tuttavia la
disperazione cominciò a prendere il sopravvento su di lei,
non essendo nelle
condizioni di difendersi.
Sentire quei
porci abusare del suo corpo allargò la ferita
che già di suo la stava lacerando dentro. Già si
era sentita usata e violentata
in quel maledetto posto, e come se non bastasse,
quell’umiliazione e quella
perversione aggiunsero ancora più odio e frustrazione nel
suo cuore devastato.
Cominciò
dunque a urlare con tutte le sue forze, facendo del
suo meglio per divincolarsi dalle loro molestie.
“Lasciatemi!
Aiuto! Aiuto!!”
Mentre si
dimenava, la sua mente andò nel panico più
completo.
“Qualcuno
mi aiuti! Aiuto!”
Continuò
imperterrita, non comprendendo più nulla.
Rabbia,
disgusto, paura, devastazione, angoscia, sfinimento…tutto
fu avvolto dal caos più assoluto. Sentì la testa
girare, perdendosi nel baratro
e nell’oscurità.
Nella
disperazione più assoluta, qualcosa si mosse nella sua
mente, ed urlò quel nome che mai avrebbe pensato di
pronunciare. Eppure in quel
momento uscì fuori dalla sua bocca con la piena
consapevolezza di chi stava
chiamando.
“Weskeeer…!!”
Una volta
pronunciato quel nome con tutte le sue forze, ella
spalancò gli occhi, sotto shock per ciò che aveva
appena detto.
Aveva per
davvero invocato l’aiuto di Wesker..?
Perché
lo aveva fatto? Come aveva potuto la sua mente
aggrapparsi a quella speranza? Cosa le era successo..?!
La sua mente
andò in panne.
“Cosa
hai appena detto?! Vuoi farci passare un guaio,
brutta…!!”
A quel punto
la porta si aprì, e tutti si voltarono verso
l’ingresso della stanza, Jill compresa.
Sulla soglia
della porta vi era Albert Wesker.
“S-signor
Wesker…” sussurrò uno di loro, ma allo
sguardo
severo dell’uomo, tutti e tre si allontanarono facendosi da
parte.
Jill rimase a
terra, immobile, con la battlesuit oramai
completamente aperta. Rimaneva a malapena ancora sui polsi.
Ella, coi
capelli sciolti e scomposti, guardò Wesker con le
lacrime agli occhi, quasi incapace di credere per davvero che, nel
momento del
panico più assoluto, aveva invocato il suo
aiuto…e non solo. Lui era venuto
davvero.
Quelle lacrime
che inumidivano i suoi occhi colpirono
profondamente Wesker, che avanzò nella stanza gelido, come
pronto a fare una
strage su chi aveva osato toccare il suo
‘esperimento’.
Si
piegò verso Jill, mettendole una mano sotto le ginocchia
e un’altra sulla sua schiena.
La donna,
ancora sotto shock, cominciò a tremare, mentre
vide il suo corpo essere sollevato con facilità da lui.
Wesker la
guardò e la sentì molto fredda, nonché
rigida e
sotto shock. Strinse gli occhi, nascosti dalle lenti degli occhiali da
sole,
dopodichè girò i tacchi e fece per lasciare la
stanza.
Uno di quei
uomini farfugliò a stento delle parole.
“N-n-non
è quel che…che sembra.
N-noi…”
“Sparite.”
sentenziò Wesker, fulminandoli con i suoi crudeli
occhi rossi che risplendevano da sotto le lenti scure.
Un’altra
parola, un altro gesto, e sarebbero morti davvero.
Il messaggio
fu recepito chiaramente dai tre, che
trasalirono, consapevoli che quella fosse la fine.
Disobbedire a
Wesker ed inimicarselo, erano opzioni che non
sarebbero mai convenute ad alcuno. Tanto valeva sparire per sempre.
Wesker intanto
ritornò sui suoi passi, sorreggendo Jill fra
le braccia, inoltrandosi fuori dal laboratorio, sparendo
così nell’oscurità del
corridoio.
Jill strinse
le spalle, con gli occhi sgranati, fissi
dinanzi a se, tremando ancora fortemente.
Wesker
avanzava nel corridoio a passo deciso.
Cosa era
accaduto? Come aveva fatto lui ad intervenire così
tempestivamente? Ma soprattutto…perché Jill aveva
urlato il suo nome?
Quelle domande
non fecero che ripetersi all’infinito nella
mentre della ragazza, sotto shock.
Concentrata
interamente su quel che era appena accaduto, non
fece caso nemmeno alla strada che Wesker stava percorrendo, vedendo
così
scorrere il corridoio sotto i suoi occhi passivamente.
Frastornata,
non trovò dentro di se la forza per dire o fare
concretamente qualsiasi cosa.. Riuscì solo a stringere i
lembi della sua tuta
da combattimento, continuando a fissare il vuoto, sorretta da quelle
robuste
braccia nemiche.
L’uomo
dai capelli biondi intanto giunse di fronte
l’ascensore, facendo per accedere al piano
‘speciale’ riservato agli alloggi.
Una volta
giunto a destinazione, nel più completo silenzio,
entrò nella sua stanza, e fu solo allora che fece scendere
Jill dalle sue
braccia.
La ragazza,
quando lui si piegò facendole poggiare i piedi a
terra, si mise in piedi, continuando a avvicinare a se quel che le
rimaneva
ancora addosso.
Alzò
le spalle, cominciando a divagare con gli occhi, ancora
spaventata e attonita.
Stava
lentamente realizzando di essere di nuovo sola con
Wesker, per di più nella sua stanza, presupponeva vedendo
gli arredi tipici di
un appartamento.
Si chiese se
non stesse passando dalla padella alla brace.
Wesker
comunque non si curò di lei. Chiuse la porta dietro
di se, poi s’inoltrò dentro
l’appartamento, sparendo dalla vista di Jill. La
donna lo vide imboccare il corridoio ed entrare in una stanza.
Sbandò poi di
colpo udendo l’anta di un mobile chiudersi rumorosamente.
Era in uno
stato di allerta completo.
L’ex-capitano
della S.T.A.R.S. tornò verso di lei e,
vedendola ancora immobile dove l’aveva lasciata, si
riavvicinò.
Lei si
irrigidì ulteriormente, non fidandosi di lui. Wesker
sorrise velatamente, divertito da quella diffidenza.
Allungò
una mano e aprì una porta nel corridoio, al di la
della quale vi era un normalissimo bagno.
“Prego,
Valentine.” disse fingendo una gentilezza che non
gli apparteneva affatto.
Infatti Jill
si voltò verso di lui, dubbiosa.
“Tranquilla,
entra. Rinfrescati e cerca di buttarti alle
spalle questa brutta faccenda.”
La
incoraggiò lui soave, mostrandole la stanza. Jill dunque
avanzò, seppur incerta.
Egli chiuse la
porta quando la ragazza entrò dentro, e la
cosa la sorprese non poco. Le lasciava piede libero sul serio?
Jill si
guardò attorno. Era una stanza davvero grande.
Scrutò
i piccoli accessori, i sanitari, le illuminazioni, e
tutto sembrava arredato in modo perfetto.
Rivolse lo
sguardo verso la vasca-doccia, e a quel punto
decise di usufruire finalmente di quel bagno meraviglioso.
Da quanto
tempo era che non aveva la possibilità di
prendersi cura di se, in effetti..?
Fece scivolare
via del tutto la tuta da combattimento, e
lasciò che l’acqua scacciasse via ogni suo
pensiero.
Chiuse gli
occhi, facendo scorrere quel flusso fresco violentemente
sul viso.
Sciacquò
i capelli e poi li strizzò nei pugni, facendoli
gocciolare, per poi ribagnarli di nuovo. Mentre accarezzava il suo
corpo,
godendo di quel momento tutto per se, rivolse lo sguardo distrattamente
verso
l’enorme specchio posto di fronte.
Osservò
la sua figura riflessa.
Pallida,
stanca, con quello strano apparecchio impiantato
sul petto...
Lo tocco e
provò uno strano brivido nel sentirlo così
ancorato sul suo corpo.
Ripensò
al comando impartitole da Wesker e che ancora adesso
le rendeva impossibile anche solo pensare di strapparselo di dosso.
Cosa diavolo
le avevano fatto...?
Mentre
continuò a specchiarsi, provando un’infinita
amarezza
per se stessa, i suoi occhi andarono a puntarsi sul suo viso affranto.
Corrucciò
le sopraciglia, chiedendosi se qualcuno l’avrebbe
mai portata via da quel posto.
Chissà
cosa le era saltato in mente quando aveva urlato il
nome di Wesker…
Ripensò
alle circostanze e la rabbia la pervase.
Puntò
lo sguardo a terra, rievocando l’ultima volta che
aveva chiesto il suo aiuto. In un momento in cui credeva ancora in lui.
Era stato
sempre alla Villa, circa dieci anni prima, quando
aveva rischiato di rimanere schiacciata dal soffitto di una stanza, che
aveva
preso a scendere verso di lei.
Ella, non
riuscendo in nessun modo ad ovviare quella
trappola mortale, si era lanciata contro la porta urlando prima il nome
di
Wesker, poi quello di Barry, sperando che qualcuno corresse in suo
aiuto.
Strinse gli
occhi, non potendo credere di aver potuto
riprovare quel sentimento a dieci anni di distanza verso
quell’uomo…che non era
più quell’uomo.
Il Wesker di
allora non era lo stesso Wesker che presto si
sarebbe rivelato, passata appena quella notte del 24 luglio del 1998.
Il Wesker che
invocò allora, era il suo capitano, verso il
quale nutriva fiducia e rispetto, e…
Scosse la
testa, disturbata da quei pensieri.
Aveva urlato
il nome di Wesker sperando in lui, come una
stupida. Cosa le era saltato in mente?
Quale assurda
emozione sepolta nell’inconscio era
riaffiorata in quell’istante, portandola a chiamarlo come
allora?
Lei…lo
odiava…lo detestava con tutta se stessa.
Era un
criminale. Egli aveva devastato il suo mondo,
rovinato la sua vita, tradito la sua fiducia, lacerato i suoi
sentimenti…lui…
Lui…
Nonostante
ciò…nutriva ancora fiducia verso di lui?
Strinse gli
occhi, abbandonandosi al dolore. Al dolore di
dover guardare in faccia la realtà, ovvero che quel Wesker
che lei aveva tanto
amato, non era mai esistito in realtà.
Quell’ingannevole
ricordo era riaffiorato nella sua mente
per caso, e lei era stata una stupida anche solo ad avere sperato in
lui,
seppur nella disperazione più completa.
Guardò
di nuovo il suo riflesso nello specchio, vedendo i
suoi occhi inumidirsi.
Perché
continuava a soffrire?
Voleva
soltanto poterlo detestare in pace.
Passo una mano
tra i capelli che avevano intanto invaso il
suo viso.
Li
scostò dietro, e qualcos’altro
all’improvviso attirò la
sua attenzione. Si scrutò attentamente, quasi trovando
impossibile di non
essersene accorta prima.
Sollevò
una ciocca di capelli e li guardò sconcertata dallo
specchio.
“Sono…biondi?!”
Una volta
uscita dalla doccia si avvolse con un asciugamano
e lentamente aprì la porta.
L’intero
appartamento era buio.
Faticò
a muoversi, ma presto la vista si abituò
all’oscurità
e le fu più facile aggirarsi per l’appartamento.
Si
ritrovò nel salotto ed osservò la grandissima
vetrata che
affacciava sul bosco.
Trasmetteva
inquietudine e desolazione, come se persino
l’ambiente circostante volesse farla sentire isolata dal
resto del mondo.
Girò
lo sguardo e vide una camicia poggiata sul divano.
La prese e
l’indosso senza troppo indugio.
Una volta
allacciati tutti i bottoni, si guardò attorno alla
ricerca di Wesker, sperando di riuscire a parlare con lui in qualche
modo.
Strinse i
gomiti fra le mani e si affacciò in una stanza. Fu
allora che lo vide sdraiato sul letto, col busto appoggiato sullo
schienale e
le gambe accavallate, completamente oscurato nel nero della notte.
Indossava
ancora gli occhiali da sole.
Ella
deglutì, facendosi forza ed entrando.
Vedendola
avanzare, Wesker si voltò verso di lei.
Jill rimase a
fissarlo, stavolta con la sua solita
determinazione negli occhi, e si mise di fronte al letto.
L’uomo fu abbastanza
contento di rivederla in forma. Era una donna molto forte, lo sapeva da
sempre.
Così
si sollevò col busto, facendo per scendere dal letto.
“Wesker,
volevo…”
“Lascia
stare.” la interruppe lui abbandonando la stanza.
Jill si
irrigidì e lo guardò corrucciando il viso.
“Non
volevo ringraziarti.” mentì gelida, contrariata
dal suo
atteggiamento, al che Wesker poggiò una mano sulla porta e
si voltò appena
verso di lei.
“Lo
so.”
La
guardò per qualche istante, poi sparì andando via.
Jill rimase
impietrita. Non sapeva come dover interpretare
certi suoi atteggiamenti.
Che lui la
odiasse, non la considerasse semplicemente una
persona, che fossero nemici…erano tutti elementi
più che indiscussi. Poteva
dire di pensare assolutamente lo stesso di lui, se non peggio.
Eppure…
Il cuore le
cominciò a battere forte.
Nonostante
cercasse di negarlo in tutti i modi, sforzandosi
di cacciare quella sensazione, questa le vibrava in corpo
più forte che mai,
riaccendendo un sentimento che fino a quel momento Jill aveva sempre
negato di
provare verso di lui.
***
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Capitolo 8 *** Capitolo 8: un banchetto crudele ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 8
Le prime luci
dell’alba filtravano tra le fronde degli
alberi che contornavano il laboratorio di ricerca. Abbaglianti e
fulgenti,
penetrarono nelle finestre.
L’appartamento
privato di Wesker lentamente prese a
illuminarsi; si delinearono così le sagome dei mobili che
l’arredavano.
Un uomo alto,
perfettamente sveglio, vestito di scuro, era
immobile su una poltrona di pelle e stava osservando ogni fase di quel
momento.
Egli non aveva
chiuso occhio, come al solito. Così era rimasto
lì, seduto tutto il tempo ad osservare il cielo, quasi come
chiedendosi quante
notti fossero passate sotto quello stesso manto celeste, osservatore
silenzioso
delle azioni degli uomini.
Anche la sua
vita non era che un lieve passaggio rispetto
ciò che aveva visto passare quello stesso cielo che era su
di lui.
In fin dei
conti, anche Albert Wesker sarebbe passato,
esattamente come qualsiasi uomo.
Non importa
quanto grande sia stata la sua esistenza, o
quanto intensamente l’abbia vissuta.
Tutti prima o
poi sarebbero andati incontro allo stesso
destino.
Nel momento in
cui si nasce, inesorabilmente l’unica
certezza della vita è che, prima o poi, essa ti
lascerà.
Come
scienziato, certamente un pensiero così crudo non lo
scalfì nemmeno.
Tuttavia non
aveva mai pensato così intensamente alla morte.
Forse
perché era già morto.
Egli aveva
già vissuto sulla sua pelle quell’agghiacciante
sensazione fredda del corpo che si spegne, trafitto dal colpo mortale
del
Tyrant nel 1998.
Albert Wesker
era morto quel giorno, ed al suo posto era
rinato un uomo diverso, sovrannaturale, che consacrò in se
stesso tutta
l’esperienza accumulata da quel Wesker morto.
Tuttavia la morte
avrebbe colpito anche lui, quel Wesker
“rinato”,
nonostante il suo potere.
Da una parte
quel pensiero lo inquietava, sentendosi così profondamente
lontano da un discorso simile, essendo ancora tanti i progetti da
mettere in
atto nella sua mente. Così tanti che avrebbero potuto
occuparlo anche altre
decine di anni.
Egli era una
macchina inarrestabile in questo. Wesker aveva
una capacità organizzativa straordinaria, al limite
dell’inumano, permessogli
soprattutto dal suo temperamento controllato e freddo.
D’altra
parte invece, persino uno come lui bramava la morte.
Spesso si
chiedeva come sarebbe stata la sua fine.
Magari quel
giorno sarebbe riuscito finalmente a dormire.
Si
abbandonò sullo schienale della poltrona colpito appena
dalla luce del sole che sorgeva, e solo quando chiuse gli occhi si
accorse
quanto gli bruciassero.
Nonostante in
quel momento avesse trovato finalmente la
serenità di riposare, l’abbagliare del sole invece
segnava l’inizio di un nuovo
giorno di lavoro.
Dunque si
alzò, reprimendo quel bisogno, e guardò
distrattamente
verso il suo letto.
Jill Valentine
era addormentata a pancia in giù, completamente
abbandonata sul materasso e coperta appena dalle coperte. I suoi
capelli erano
sciolti. Indossava una sua camicia di color blu, quella che le aveva
appositamente preparato la notte prima.
Wesker aveva
ancora così tanti progetti per lei che non
poteva permettersi un suo abbattimento psicologico. Così le
aveva lasciato il
suo appartamento quella notte proprio perchè voleva che lei
si rimettesse in
forze tranquilla.
Tuttavia non
immaginava che si sarebbe addormentata così
profondamente.
Una come lei
credeva che, al contrario, non avrebbe
abbassato tanto la guardia.
Si
avvicinò dunque alla bionda e scrutò il suo viso
rilassato sprofondato per metà sul cuscino.
Le
scostò i capelli di lato, in un gesto che, nei limiti di
uno come Wesker, aveva un che di dolce.
Jill, in
qualche modo, smuoveva qualcosa nella sua
coscienza. Ma più che altro, era che lei lo incuriosiva.
Rimase ad
osservarla per diverso tempo, perdendosi nei suoi
lineamenti. Tuttavia, all’improvviso, qualcosa lo
turbò.
Egli stesso
non desiderava per nulla stabilire un qualsiasi
contatto con altri esseri umani, per questo velocemente si
allontanò da lei,
tornando a fissare la finestra.
Nonostante
quel raro momento di abbandono, i suoi incubi
personali presero di nuovo il sopravvento, e l’immagine di
Spencer si sostituì
prepotente su qualsiasi suo altro pensiero, mentre gli diceva ancora
una volta
di averlo creato.
Strinse i
pugni, lacerato da quella rivelazione che aveva
dannato le sue notti.
Spencer,
credendosi quasi onnipotente, alla fine aveva
condiviso il medesimo destino di tutti i comuni mortali, non
comprendendo che
chi si auto proclama un ‘Dio’, deve anche avere la
forza di esserlo per
davvero. Una forza ed una potenza in grado di superare il potere
stesso.
Una forza che
Spencer non avrebbe mai potuto neanche
immaginare.
Una forza che
presto sarebbe stata sua, invece, grazie ad Uroboros.
“Un
Dio? Tu?” rise. “Presto lo vedrai chi ha davvero la
potenza di essere un Dio…” sussurrò fra
sé.
Si
fermò un attimo, riflettendo; poi sorrise aspramente,
ironico.
“Oh,
giusto. Sei morto.”
In seguito,
con passo pesante, abbandonò definitivamente la
stanza.
Jill
lentamente riaprì gli occhi.
Si
alzò appena col busto, premendo le mani sul materasso, e
si guardò attorno intontita.
La stanza era
ben illuminata dal sole. Si chiese dunque che
ore fossero e quanto avesse effettivamente dormito.
Buttò
i capelli spettinati all’indietro e si mise seduta,
aggiustando la camicia che aveva addosso.
Rimase seduta
ancora qualche istante godendo di quella
inaspettata pace, dopodiché allungò le gambe e
scese dal letto, inoltrandosi
nella stanza. Esaminò in giro.
Per lei era
davvero strano trovarsi lì per davvero.
Era
un’ordinaria camera da letto, tuttavia non vi era quasi
nessun effetto personale dell’uomo che l’abitava.
Non a caso quella doveva
essere la stanza di Wesker, e probabilmente passava davvero poco tempo
lì
dentro. Si rifletté in uno specchio e si guardò
intensamente, ponendosi mille
domande. La prima fra tutte era sempre la stessa:
Wesker…cosa voleva da lei?
Ricapitolando
gli ultimi eventi, lei era riuscita a scaraventarlo
giù da una finestra un anno prima. Tuttavia erano
sopravvissuti, e lui, fuori
da ogni logica…le aveva salvato la vita.
In seguito
però l’aveva usata come cavia per i suoi
esperimenti trattandola in modo disumano, tenendola prigioniera in quel
luogo
tremendo, costantemente sotto esame nei laboratori e costretta a
combattere. In
tutto questo, la sostanza somministratole, il P-30, inibiva i suoi
sensi e così
aveva perso persino il controllo su se stessa divenendo il suo
burattino.
In
fine…ora l’aveva salvata di nuovo.
Lei aveva
urlato il suo nome, in un attimo irripetibile di
disperazione, e lui era venuto per lei.
L’aveva
presa fra le sue braccia ed in seguito l’aveva fatta
accomodare nella sua stanza e, presupponeva, nel suo letto.
Strinse le
braccia, non comprendendo tali e numerosi
controsensi.
Poteva dire di
aver conosciuto un suo aspetto ancora in
qualche modo ‘umano’?
No, non era
assolutamente così! Si ripeteva.
Questo in
quanto Wesker era un manipolatore, un abile
ingannatore che sapeva come gestire le sue vittime facendo loro credere
ciò che
lui volesse, fino a indurle all’oblio e alla disperazione.
Il fatto che
l’avesse aiutata, e questa non era la prima
volta, non significava nulla.
Quando erano
caduti insieme giù da quel precipizio, lui
l’aveva salvata per renderla una macchina da guerra e per
sperimentare i suoi
studi.
Ora che
l’aveva salvata di nuovo, sicuramente aveva un suo
tornaconto per volerla mantenere in vita.
Dunque
ritornava ancora quella domanda: cosa voleva davvero
da lei?
Continuando a
camminare distrattamente in balia di quei
pensieri, Jill uscì fuori dalla stanza.
Girò
l’angolo e quando si affacciò nel corridoio, quasi
sbandò
quando vide Wesker, in piedi, a sorseggiare un caffé.
L’appartamento
sembrava così vuoto e silenzioso che non
aveva minimamente immaginato che lui potesse essere lì.
Tuttavia si
ricompose velocemente, sperando di non aver
lasciato intravedere quel suo attimo di smarrimento.
Wesker
guardò verso di lei attraverso le lenti scure che
indossava fin dalle primissime ore del mattino.
A modo suo le
sorrise, anche se più che un atto gentile,
sembrava si stesse burlando di lei.
“Buongiorno,
miss Valentine. Credevo fossi più mattiniera.”
Jill strinse
gli occhi titubante.
“Perché,
che ore sono?” rispose meccanicamente, cercando
comunque di mostrarsi fredda.
“Sono
le sette del mattino. Preparati, dobbiamo partire.” disse
lui tranquillo, avanzando poi oltre la stanza.
Jill lo
bloccò presa alla sprovvista.
“Cosa?
A-Aspetta! Dove andiamo!?” alzò appena la voce,
infastidita da quei modi superficiali.
Wesker le si
rivolse invece completamente sereno e padrone
di sé.
“Prenderemo
un aereo privato. Non farmi aspettare troppo.”
Quel contrasto
di caratteri tra poco avrebbe fatto saltare i
nervi alla povera ragazza, nonostante si fosse appena svegliata.
Vederlo
lì, placido e già ben vestito nonostante fosse
così
presto, la mandava su di giri.
Soprattutto
per il fatto che, in tutto questo, le diceva con
nonchalance che dovevano partire.
“Hai
altro da chiedere?” asserì lui, interrompendo i
suoi
pensieri, vedendola ancora ferma a guardarlo.
Jill
discostò gli occhi. Strinse le labbra, sapendo bene di
non avere molta scelta. Così tornò nella camera
da letto per vestirsi.
Se si fosse
opposta, ci avrebbe pensato il P-30 a farla sottostare al
suo volere.
Wesker sorrise
divertito da quel visetto imbronciato e
dall’aria così indifesa, ma che tuttavia sapeva il
fatto suo.
“Ti
ho fatto portare una nuova battlesuit, costruita su
misura per te.” disse dal corridoio.
Jill si
voltò da dietro la porta, mentre faceva per sfilare
la camicia.
Voleva forse
che lo ringraziasse?!
Dunque non
rispose, limitandosi a prendere la tuta piegata
sul letto. Prima non l’aveva per nulla notata.
Era molto
stretta, per cui non fu semplice indossarla.
Tuttavia quel tipo d’abbigliamento era molto funzionale ed
adatto alla
battaglia.
Si chiese
quindi dove fossero diretti. Avrebbero combattuto?
Cosa stava pianificando quell’uomo ancora una volta?
Una volta
vestita, uscì frettolosamente dalla stanza per
affiancarsi a Wesker.
Lui la
guardò divertito, al che la bionda gli lanciò
un’occhiataccia.
“Non
sei molto abituata a prenderti cura di te stessa, non è
vero?” disse vedendola così acqua e sapone,
persino spettinata.
“Cosa
vorresti dire? Che dovevo truccarmi e vestirmi come la
tua amica?” rispose Jill pungente.
Wesker subito
colse la provocazione nelle sue parole. Infatti
la guardò incuriosito.
“Ti
riferisci ad Excella?”
La bionda
sbuffò, non volendo affatto parlare delle
conoscenze di Wesker. L’aveva detto solo perché
infastidita da quella
constatazione.
L’uomo
rise appena, trovando stranamente buffa quella
conversazione. Poi si avvicinò a Jill e si mise alle sue
spalle.
Lei
seguì i suoi movimenti con gli occhi.
Quando lo vide
postarsi dietro di lei, sentì inaspettatamente
le sue dita scorrerle fra i capelli lisci, mentre li univa lentamente
fra loro
nelle sue mani.
Fu un gesto
inconsueto da parte di uno come lui, per cui non
seppe affatto come comportarsi.
Rimase
all’erta, accarezzata da quelle mani robuste che
muovevano delicatamente i suoi capelli.
“L’occhio
vuole la sua parte, e tu sei una bella donna, Jill...”
sussurrò lui lasciandola spiazzata.
Jill non seppe
che dire, né come reagire.
Non riusciva a
realizzare nemmeno se sentirsi imbarazzata o
meno.
Il suo corpo
si irrigidì sempre di più.
“…devi
essere perfetta. Sempre.” Concluse e le legò
inaspettatamente
i capelli in un codino.
Jill
portò una mano su di questo quando lui tolse le dita
dal suo capo, poi lo guardò negli occhi.
Le aveva
dunque solo sistemato l’acconciatura, si domandò
dubbiosa.
Wesker fece
spallucce.
“Andiamo?”
disse roteando il braccio verso l’ingresso,
imitando una sorta di gentleman diabolico.
Jill corruccio
il viso, continuando a guardarlo con fare sempre
più perplesso.
***
Wesker
avanzò per il corridoio, seguito da Jill che
riuscì a
stare a suo passo senza sforzo.
La ragazza
sentiva il P-30 inibirle i sensi, e nonostante
riuscisse a scorgere sullo sfondo più scappatoie che
avrebbero potuto condurla
fuori da quel luogo, si ritrovò costretta a seguire
l’uomo vestito di nero di
sua volontà.
Era come se, a
prescindere dai suoi pensieri o dai suoi
impulsi, ella non potesse disobbedirgli.
Quella
sensazione la lacerava in corpo, nonostante a quel
punto fosse anche abbastanza curiosa di conoscere Wesker più
da vicino. Di
vedere con i suoi occhi chi si fosse sempre nascosto sotto quelle
spoglie.
Egli era stato
molte cose per lei.
Dal suo
capitano della S.T.A.R.S., al vile traditore schiavo
dell’Umbrella.
Da scienziato
privo di scrupoli, ad abile combattente.
Da uomo che
lei rispettava, a simbolo del male della sua
vita.
Egli era stato
sia colui che l’aveva salvata da un mondo
incerto in cui lei, da giovane ragazza di strada, si
trasformò in una capace
poliziotta sotto la sua divisione.
Ed era stato
anche colui che aveva sconvolto e distrutto
tutto questo, costringendola ad una lotta continua contro il mondo
stesso che
persone come lui avevano condannato.
Chi era quindi
Albert Wesker?
Delle sue
mille facce, ce n’era una che lo rappresentasse
davvero?
Non sperava di
avere quella risposta, ma se il P-30 poteva
rappresentare un vantaggio anche per lei, in un certo senso era proprio
quello.
Scoprire il suo punto debole.
Tuttavia ne
sarebbe valsa la pena? Lui si sarebbe mai
lasciato sfuggire qualcosa?
Ma
soprattutto… lei sarebbe davvero riuscita a resistere?
Una volta
giunti nell’aeroporto, Wesker si affacciò alla
balconata mostrando a Jill il mezzo col quale avrebbero viaggiato.
Jill
osservò quell’aereo privato per nulla entusiasta,
tuttavia dovette seguire Wesker inerme.
Dei soldati si
misero sull’attenti e una volta che i due
salirono le scale per entrare nell’aereo, questi chiusero il
passaggio,
cominciando i preparativi per il decollo.
Jill
osservò accuratamente l’ambiente, sorpresa che
quello fosse
un vero e proprio aereo di lusso.
Si
girò attorno scrutando l’ambiente, poi
seguì Wesker che si
inoltrò verso dei divani di pelle chiara.
Egli si
sedette e incrociò le gambe. Accese poi un computer
portatile, ignorando quasi palesemente chi Jill fosse ancora in piedi
di fronte
a lui.
Dopo qualche
attimo parlò, continuando a tenere gli occhi
sullo schermo.
“C’è
una camera da letto, riposa pure lì. Il viaggio
durerà
qualche ora. Ti farò chiamare più
tardi.”
La ragazza non
riuscì a comprendere se fosse una proposta o
un ordine quello.
Fatto stava
che un uomo dall’aria di un cameriere si
avvicinò a lei, mostrandole la strada.
Jill si
voltò infastidita, consapevole più che mai di
come
fosse falsa la gentilezza di Wesker.
Altro che
premure…era stato il suo modo per dirle di
lasciarlo in pace.
Tuttavia non
era stata certo lei a decidere di seguirlo, e
lui lo sapeva molto bene dato che quel maledetto telecomando che
controllava le
iniezioni del P-30 era nelle sue mani.
Seguì
dunque il cameriere, che la condusse in una stanza non
molto grande ma veramente ben arredata e luminosa.
Ella, una
volta sola, si sedette sul letto, non sapendo cosa
fare.
Nonostante non
fosse rinchiusa in una cella, si sentiva
ancora terribilmente prigioniera.
Adesso che non
era più padrona nemmeno del suo corpo, era
persino peggio.
Il contrasto
tra quella stanza pulita, luminosa, e lei
libera, ma tuttavia incapace di disobbedire all’ordine di non
fuggirgli, fu
straziante.
Chinò
così il capo sulle ginocchia, non potendo far altro
che compatirsi.
Verso
l’una del pomeriggio, fu chiamata dal servizio in
camera, che l’informarono che Wesker aveva chiesto di
raggiungerlo. Prima che
tuttavia potesse solcare la porta di quella stanza, l’uomo
visto
precedentemente entrò, porgendole un abito scuro rivestito
in una busta di
atelier.
Jill lo
guardò incerta, poi questi le comunicò che ella
doveva indossare quell’abito.
Dapprima la
donna sgranò gli occhi, scettica, poi si morse
le labbra e tirò sgarbatamente quegli indumenti dalle mani
dell’uomo.
Certi
atteggiamenti di Wesker la stavano seccando non poco. Ora
doveva anche vestire quell’abito elegante per…per
lui?
Quando il
cameriere abbandonò la stanza, ella sfilò la
divisa, buttandola sul letto. Poi indossò quel tubino scuro
realizzato in taffetà
e velluto.
Era
più corto avanti e appena più lungo dietro.
Fasciava il
suo corpo in modo morbido, seguendo aderente le sue curve. Lo scollo
lasciava
appena intravedere il seno, in una linea sobria che valorizzava il suo
fisico.
Una volta
pronta, si guardandosi nello specchio, non più
abituata ad essere così elegante da molto tempo oramai. Fu
una consapevolezza
che la ferì nell’inconscio, ma non era il momento
per lasciarsi andare ai
sentimentalismi.
Uscì
quindi dalla stanza, chiedendosi a quel punto dove
sarebbero atterrati.
Se Wesker
l’aveva voluta vestita in quel modo, probabilmente
sarebbero andati a qualche pranzo di lavoro, rinfresco, o
chissà…
Ritornando
nella stanza dove aveva visto Wesker
precedentemente, si accorse che questa era stata allestita in modo
diverso.
Era stato
portato un tavolo, il quale era ben apparecchiato
con preziose posate d’argento, vino…e Wesker era
accomodato sulla sedia e la
guardava attraverso gli occhiali scuri.
Fece cenno a
Jill di accomodarsi.
La ragazza si
sedette, non staccando il suo sguardo
inquisitorio da lui.
Che intenzioni
aveva? L’aveva fatta vestire così soltanto
pranzare con lui? Era insensato!
Si
sentì terribilmente a disagio.
L’uomo
le riempì il bicchiere col vino bianco che era
poggiato sulla tavola, per poi riempire anche il suo.
Prese poi il
vetro fra le mani e l’avvicinò a Jill, la quale
non rispose al suo brindisi. Anzi.
La donna
afferrò il suo bicchiere fra le dita affusolate e
lo bevve non guardandolo neppure in faccia.
Wesker sorrise
appena, poi avvicinò il suo calice alle
labbra sorseggiando anche lui.
“Immaginavo
avresti gradito qualcosa da mangiare.”
“In
tua compagnia?” disse lei con tono aspro, trovando
ridicola quella situazione.
“Perché,
no?” rispose lui, per nulla scosso invece.
Il silenzio
regnò sovrano. Fu un’atmosfera molto
imbarazzante per Jill, costretta ad essere di fronte a
quell’uomo da lei tanto
odiato.
Quando furono
loro serviti i primi piatti, Wesker riprese
parola. Egli mise inaspettatamente il telecomando che la controllava
sul
tavolo.
Jill
sgranò gli occhi.
“Sai…con
questo piccolo arnese potrei sottomettere la tua
volontà in modo irreversibile. La dose di P-30 che al
momento ti è
somministrata è talmente debole da considerarsi persino
nulla.” disse come
assorto nei suoi pensieri.
Jill lo
guardò cercando di capire dove volesse andare a
parare.
“Sei
deplorevole e un giorno pagherai, Wesker.”
Wesker strinse
gli occhi infastidito, ma dopotutto sapeva
che lei avrebbe reagito in quel modo.
“Voglio
solo portare alla tua attenzione che posso farlo.
Posso costringerti a compiere ciò che mai penseresti di
fare. A combattere
contro chi non vorresti. O ad amare…chi magari
odieresti.”
La donna
sbandò a quella provocazione, comprendendo la sua
minaccia, conoscendo bene la sua scaltrezza e crudeltà.
Wesker intanto
continuò a parlare, girando fastidiosamente
il telecomando fra le dita.
“Vuoi
sapere perché ti sto dicendo questo? Semplice. E’
solo
un consiglio. Un consiglio per farti comprendere quanto poco mi
basterebbe per
controllare definitivamente la tua mente.”
A quel punto
strinse il telecomando in un pugno e abbassò appena
gli occhiali sul naso per mostrarle i suoi occhi felini rosso fuoco.
“Non
costringermi a farlo.” disse infine, tagliente.
Jill rimase a
fissare i suoi occhi, impietrita, come
percependo chiaramente l’intenzione dietro le sue parole.
Tuttavia distolse lo
sguardo, malinconica.
Wesker
notò quell’espressione e la osservò
attentamente.
La donna mosse
le labbra e le parole che uscirono furono più
un sussurro.
“Perché…a
te cosa importerebbe di me?”
L’uomo
rimase immobile. Accavallò le gambe e puntò lo
sguardo dritto dinanzi a sé.
“Non
arriverò a tal punto. A te la scelta, comunque.”
Avvicinò
poi a sé il calice di vino.
La donna,
sempre più confusa, cercò di comprendere in
qualche modo quella mente complessa, così diversa dalla sua.
Wesker era un
uomo diabolico e non doveva fidarsi di lui.
Voleva fare di lei la sua pedina, nonostante recitasse la parte di uomo
benevole.
Tuttavia le
sue erano solo minacce alle quali lei non doveva
soccombere se voleva salva la vita.
Ma se le sue
parole erano vere, allora avrebbe per davvero
potuto aizzarla contro i suoi nemici?
Contro…Chris?
Quel pensiero
cominciò a tormentarla.
Prese
seriamente in considerazione le parole di Wesker. Doveva
dunque fare il suo gioco?
Scosse la
testa.
Pensare di
ingannarlo, era un’ipotesi da evitare di prendere
in considerazione quando si parlava di lui.
Si
ritrovò così nel baratro, costretta ancora una
volta a
sottostare alla sua volontà, dovendosi considerare
addirittura fortunata che
conservasse dunque almeno un minimo di libertà di pensiero e
di movimento.
Tutto
ciò era struggente. Oramai le era passato
l’appetito.
“Oh,
quasi dimenticavo.” L’uomo vestito di scuro
interruppe
i suoi pensieri. “Voglio mostrarti qualcosa.”
Detto questo,
accese il computer portatile e si collegò ad
una telecamera.
L’immagine
mostrava una stanza vuota, dentro cui erano
rinchiusi tre uomini.
Jill
cercò di comprendere chi fossero e cosa volesse
mostrarle.
Wesker sorrise.
“Erano
curiosi di comprendere gli effetti del P-30. Suppongo
che provarlo sulla loro pelle sarà un’esperienza
che non dimenticheranno mai
più.”
A quel punto
Jill comprese. Si trattavano degli scienziati
che l’avevano aggredita!
Si
avvicinò di più allo schermo, preoccupata.
“Wesker,
cosa…?”
Improvvisamente,
vide i tre soggetti cominciare a dimenarsi,
quasi come se mancasse loro il respiro.
Non essendo
soggetti idonei come Jill, il cui corpo era
particolarmente forte e resistente, essi in breve tempo si accasciarono
a
terra, incapaci di muoversi.
Jill
inorridì nel vedere quella scena e si scagliò
contro
Wesker, afferrandolo per la giacca.
“Sei...sei
un mostro! Cosa hai fatto?!” urlò tremante.
“Come?
Non sei contenta? Hanno soltanto pagato per averti
fatto del male. Non è quello che vuoi anche tu? Anche tu
brami vendetta…” disse
lui impassibile, alludendo alla frase che la donna aveva pronunciato
poco prima.
Jill strinse
gli occhi e lo guardò con rabbia.
Era vero.
Wesker prima o poi l’avrebbe pagata. L’aveva detto
e sapeva che un giorno sarebbe successo. L’avrebbe fatto lei
o qualcun altro,
ma sarebbe successo.
Quel che
dunque stava accadendo in quel momento in qualche
parte dei laboratori, non era diverso da ciò che ella stessa
covava contro
Wesker.
Tuttavia
vedere quei corpi esamini a terra attraverso la
webcam, la straziò. Nonostante erano stati anche loro dei
‘mostri’.
Così
strinse i denti e gli si rivolse con fermezza, a meno
di un palmo dal suo viso, mentre teneva ancora la presa salda sul
colletto
della sua giacca.
“Sarà
anche vero, ma tu li hai uccisi come fossero degli
insetti! Ora ferma tutto!”
L’uomo
cominciò a ridere e questo inquietò non poco la
ragazza.
“Oh,
Jill! Mi stai chiedendo di fermare tutto proprio ora
che inizia il bello?”
Gli occhi di
Jill si spalancarono.
Lentamente si
girò, quasi come se in realtà non volesse
scoprire cosa stesse accadendo per davvero in quel laboratorio.
Osservò lo
schermo del computer e in quel momento si accorse che i corpi
apparentemente
morti dei tre dottori presero a muoversi.
Erano
movimenti innaturali, che fecero rabbrividire la
ragazza.
Ma questo era
nulla.
Questi infatti
si aizzarono l’uno contro l’altro, completamente
fuori controllo.
Armati di
bisturi, lacerarono i loro corpi, riducendosi a brandelli
l’uno con l’altro.
Jill
portò le mani alla bocca, poi implorò Wesker di
fermarli,
mentre egli rideva, gustando quella scena.
“Credevano
sarebbe finita così? Che sarebbe bastato
dimettersi? Ahahaha!”
“Wesker!!
Noo…!” strillò lei non potendo reggere
quella
visione. Chiuse gli occhi cominciando a picchiare sul suo petto.
“Smettila!!”
Wesker intanto
continuava a ridere.
Jill
sentì i suoi occhi inumidirsi. Sperimentando su se
stessa il P-30, sapeva che un briciolo di coscienza rimaneva attivo.
Dunque
quegli uomini si stavano sicuramente rendendo conto di starsi uccidendo
a
vicenda.
“Hanno
sfidato il mio potere. Chi oserà farlo ancora,
farà
la stessa fine.”
Pronunciò
Wesker con gli occhi persi nel vuoto. Il suo viso
assunse un’espressione ambigua, molto…inquietante.
Egli
accennò un sorriso soddisfatto, come rivolgendosi ad
uno spettatore terzo, non presente in quella stanza.
“Ricorda.
Ciò che può sconfiggere il potere, è
ancora più
potere. Ed il mio…” strinse i denti.
“…il mio potere…il diritto di essere
quel dio…è
mio.”
Jill
guardò Wesker sgomentata e angosciata.
“…il
diritto di essere dio?” ripeté a stento, ancora
sconvolta dalla carneficina alla quale stava assistendo.
Quelle parole
però la turbarono non meno di quel terribile
massacro.
Wesker a quel
punto si alzò, puntando la sua attenzione
visibilmente verso altro, non rendendo partecipe la donna dei suoi
tormenti che
tuttavia furono abbastanza visibili persino per lei.
Egli stava
impazzendo e Jill si rese chiaramente conto che
qualcosa non andasse.
“Tra
poco arriveremo.”
Disse lui
all’improvviso, poi abbandonò la stanza e
lasciò
la ragazza sola, confusa e persa ancora in quello sguardo diabolico
oramai fuori
controllo.
***
L’episodio
dello
scorso capitolo ha fatto sì che il rapporto di Wesker e Jill
si impostasse in
modo diverso, aggiungendo alla marea di sentimenti della ragazza ancora
più
dubbi.
Spero di aver
reso il
concetto, che comunque sarà integrato durante tutto il
prosieguo della
fanfiction. E’ quello il tema portante, assieme alla pazzia
di Wesker che va
lentamente sempre più delineandosi.
Nel prossimo
capitolo
i due arriveranno a destinazione, ove nuove consapevolezze renderanno
ancora
più confuso questo drammatico pairing.
Un saluto a tutti
e… a
presto!!
<3
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Capitolo 9 *** Capitolo 9: odiato inevitabilmente, amato inesorabilmente ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO
9
“Siamo arrivati, signore.”
“Bene. Andiamo.”
Pronunciò Wesker fermo, dando un’ultima occhiata
al suo equipaggiamento e al
paracadute ben allacciato sulle spalle e in vita.
Jill, vestita con la battlesuit viola scuro, fece lo stesso, prendendo
poi in
mano un borsone.
Stettero seduti qualche istante, quando poi Wesker aprì il
portellone e diede
segno alla bionda di lanciarsi. Ella lo fece senza troppo indugio,
seguita
qualche istante dopo dall’uomo vestito di nero.
Entrambi sprofondarono nel vuoto, abbagliati dal sole delle tre del
pomeriggio.
Aprirono quasi all’unisono i paracadute.
Ai loro piedi si vedevano il mare profondo e un’isola non
molto lontana.
Atterrarono sulla spiaggia, sganciando i loro paracadute. Jill
seguì Wesker
avendo il preciso ordine di essere sempre dietro di lui.
Solcarono la sabbia, sepolta sotto l’acqua che arrivava alle
loro ginocchia,
con passo pesante, fino a giungere finalmente sulla terra ferma.
Wesker prese un GPS e cominciò a consultare la mappa. Jill
si guardò attorno,
cercando di capire dove fossero.
Senza dire una parola, l’uomo prese a setacciare la zona per
poi dirigersi
verso un sentiero boscoso. Lei gli stette a passo, estraendo una
sciabola per
aiutarsi a proseguire in quella selva.
“Ferma.” Le disse lui all’improvviso,
mettendo un braccio in orizzontale.
Lei guardò attorno, cercando di capire cosa avesse messo in
allarme Wesker.
L’uomo prese dalla borsa delle pinze, e poi una piccola
capsula. Si avvicinò ad
un tronco e tirò una strana sostanza molliccia. Jill
sgranò gli occhi,
chiedendosi che accidenti fosse.
“Materiale organico…” disse Wesker
analizzando quella mucosa. “C’è stata
una
schermaglia qui.”
Detto questo, continuò a camminare noncurante.
La bionda mantenne un atteggiamento schivo, non prevedendo nulla di
buono da
quel posto.
Scrutando meglio l’ambiente, talvolta erano ben visibili
degli schizzi di
sangue. Alcuni sui tronchi, altri sulle foglie, sul terreno…
cosa era successo
in quel bosco?
Era abituata a visioni simili. Investigazioni del genere erano
all’ordine del
giorno anche alla BSAA, il gruppo antiterroristico di cui faceva parte.
Era quindi inquietante per lei costatare di star facendo quella
perlustrazione
proprio in compagnia di colui il quale era una delle principali cause
di tutto
questo.
Provò una strana morsa al cuore.
Albert Wesker si muoveva con fare naturale, esattamente come a
‘quel’
tempo.
Seppur le circostanze avessero reso molto diversa quella persona, egli
aveva
conservato gli stessi atteggiamenti di quando investigava ai tempi
della STARS.
Gli ricordava maledettamente il vecchio capitano di cui si fidava.
Wesker le trasmetteva ancora quel senso di forza e protezione che la
rassicurava, sebbene, stringendo il suo cuore, sapeva bene che egli non
fosse
più nulla di tutto questo.
Anzi…non lo era mai stato davvero.
Trovava sciocco quanto ancora spesso le capitava di ripensare al
vecchio
Wesker.
Quell’uomo non era mai esistito. Doveva farsene una ragione.
Voltandosi, rivedeva se stessa, vestita con la divisa e i capelli
corti,
assieme al suo capitano, in quel rapporto di lavoro semplice, tuttavia
umano,
che mai più sarebbe tornato.
Jill Valentine…aveva amato quell’Albert Wesker.
Nonostante sapesse che non fosse mai davvero esistito, e fosse stato,
anzi, il
peggiore di tutti in quanto aveva tradito e ingannato tutti.
Tuttavia…da qualche parte nel suo cuore, lei lo aveva sempre
ammirato.
Il suo carattere riservato le aveva impedito di mostrargli quanto lui
fosse
importante per lei.
Wesker, Chris, Barry, Rebecca, Enrico, Richard, Forest,
Brad…
Erano stati un po’ come la sua famiglia.
Ma Wesker era stato colui al quale si era avvicinata più
difficilmente, per via
del suo carattere solitario.
Ora sapeva bene perché…egli intanto era
indaffarato con l’Umbrella.
All’epoca, però, lei era incuriosita dal suo senso
del dovere e il suo forte
autocontrollo e intelligenza.
Adorava quel semplice rapporto di lavoro che era fra loro.
Lavorare con lui era bello poiché professionale e serio.
Raramente avevano parlato di loro, forse non era nemmeno capitato se
non in
rare occasioni.
Egli da sempre non si lasciava mai andare, per cui trovò
struggente ricollegare
questo al fatto che in realtà lui stesse recitando una
parte, attento a non
farsi sfuggire nulla. Per questo si mostrava così
distaccato, forse.
Eppure lui era sempre stato così naturale.
Sapeva che a quel tempo lui l’avesse presa a cuore essendo
uno dei membri più
giovani, per di più una delle uniche donne S.T.A.R.S. .
Wesker l’aveva aiutata più volte, rendendola
ciò che lei era adesso dal punto
di vista professionale.
Per questo per lei fu lacerante ritrovarsi in quella situazione.
Rivederlo così simile al Wesker dei suoi ricordi la
confondeva.
Quanto avrebbe voluto afferrarlo per la giacca e chiedergli dove fosse
quel
Wesker. Se per davvero fosse stato tutto una mera menzogna.
Una bugia, una meravigliosa bugia…
Ogni sua parola, ogni suo gesto, i suoi occhi. Tutte inutili e sporche
bugie.
Orribili e crudeli bugie, alle quali però lei aveva
creduto…
Jill, affranta, abbassò il viso.
Provò pietà per se stessa, per come la sua
ingenuità continuasse a torturarla.
Una parte di lei credeva ancora in quel vecchio Wesker…si
illudeva che da
qualche parte il capitano della STARS esistesse ancora.
Era stato per questo che, nel momento della disperazione, aveva urlato
il suo
nome in cerca di aiuto.
Che stupida, davvero…
… Avrebbe dovuto vivere una bugia
per riuscire ad amare ciecamente
Albert Wesker…
Intanto Wesker continuava a proseguire non curante.
Si fermò soltanto quando intravide qualcosa oltre un
cespuglio.
Strinse gli occhi e fece per affacciarsi. Si voltò verso
Jill, e fu allora che
notò il suo viso serio, perso nel vuoto.
“Valentine, non è il momento di fare sogni ad
occhi aperti.”
Jill non se ne curò, ne diede la minima attenzione a quel
suo tentativo di
provocarla.
Wesker si accorse che qualcosa non andava, ma non gliene
importò, così esaminò
da solo.
Intanto la donna prese a camminare intorno, ancora sconvolta dai suoi
sentimenti contrastanti che lentamente stavano venendo a galla,
facendole
ammettere cose che mai avrebbe pensato di confessare persino a se
stessa.
Ancora soprappensiero, sbandò quando vide un uomo
completamente sporco di sangue,
trafitto su un tronco.
Quel piccolo gemito attirò l’attenzione
dell’ex capitano STARS, che subito si
affiancò a Jill.
Investigando meglio, si accorsero entrambi che altri cinque corpi erano
nascosti in quella selva. Erano sfigurati e avevano tinto il bosco di
rosso con
i loro brandelli sparsi ovunque.
“Cos’è successo qui?” chiese
lei.
“Prendimi la borsa.”
La donna fece quanto chiesto e Wesker prese degli arnesi con i quali
tagliò
alcuni tessuti dai corpi di quelle vittime. Jill inorridì.
“Sono solo dei campioni. Analizzerò questi tessuti
al nostro rientro.”
La bionda non si lasciò ingannare da quelle parole. Dentro
di sé, sapeva bene
che in qualche modo centrasse lui.
A un certo punto, si sentirono dei fruscii alle loro spalle.
Jill sbirciò con la coda dell’occhio, poi
puntò con fermezza la pistola di
fronte a sé.
Delle figure umanoidi si scagliarono contro di loro.
Wesker e Jill, armati di pistola, riuscirono a liberarsi di quegli
uomini
comparsi all’improvviso, che presero ad attaccarli senza
motivo, in balia di un
mero istinto omicida.
La donna si sentì stranamente molto più forte di
come lo era in passato. Erano
anche questi gli effetti del P-30?
A un certo punto, Wesker la tirò per un braccio,
accorgendosi che alle loro
calcagna c’erano dei doberman infettati col T-Virus. Egli
stesso si chiese cosa
ci facessero lì.
Mise Jill al riparo posizionandosi a scudo avanti a lei. Il cane si
aprì a metà
facendo per attaccarlo, ma prima che potesse farlo, Wesker gli
sparò
atterrandolo.
Ben presto si ritrovarono circondati, ma stavolta anche Jill fu pronta
ed aiutò
Wesker a sbarazzarsi di quei cani geneticamente modificati.
“Cos’è? Vuoi mettermi ancora alla
prova?” disse Jill brandendo due pistole
contemporaneamente, ricordando i test di combattimento a cui
l’aveva
sottoposta.
Wesker fece un ghigno.
“Potrebbe essere, Jill.” rispose tranquillo, dando
un calcio ben assestato a
quei ‘mostri’.
Jill alzò un sopraciglio, poi riprese a combattere,
consapevole che Wesker non
l’avrebbe mai degnata di una risposta.
All’improvviso un boato mise i due in allarme. Traballarono
entrambi, perdendo
quasi l’equilibrio, in seguito a una serie di scosse che si
susseguirono
all’improvviso l’una dopo l’altra.
Fu poi Wesker a prendere l’iniziativa. Si rivolse, infatti,
verso la donna,
alzando la voce.
“Corri!” disse.
Presa alla sprovvista, Jill cercò di comprendere cosa
accadesse. Vide poi di
fronte a se un essere enorme, deforme, che puntò verso di
loro.
La sua pelle era grigia e spaccata, e scagliò a terra una
clava chiodata
sproporzionata per la sua grandezza.
La terra tremò, e Jill lì per lì
rimase impietrita. Sentì poi la mano robusta
di Wesker sulle sue spalle, e a quel punto ritrovò la
lucidità e si mise a
correre al suo fianco.
“Perché scappiamo? Non è meglio
abbatterlo?!” urlò lei cercando di evitare i
rami bassi che continuavano a graffiarla.
“Non conviene sprecare proiettili con quello. Non
funzionerebbero.” spiegò lui.
“Quindi cosa facciamo?” chiese a quel punto lei,
vedendo ancora dietro di loro
quell’essere, mentre abbatteva gli alberi con la sua arma
devastante.
“Lo seminiamo. I suoi sensi non sono sviluppati.”
“Vuoi dire che è un altro dei tuoi
esperimenti?!” osservò accigliata lei.
“Non esattamente, ma non è il momento giusto per
parlare.”
Un tuono attirò la loro attenzione.
Wesker puntò lo sguardo verso il cielo, che prese a
ingrigirsi velocemente. I
primi schizzi di pioggia picchiettarono sui loro visi.
“Dobbiamo andare via.” costatò,
rendendosi conto che la pioggia avrebbe giocato
a loro svantaggio in quel bosco fitto e fangoso.
Dopo un ennesimo boato, la pioggia si infittì di colpo,
rendendo i loro
movimenti più difficoltosi.
Jill cominciò a tossire, infastidita dall’acqua
che scendeva copiosa sul suo
viso.
L’uomo vestito di scuro le si avvicinò allargando
il cappotto nero per
ripararla, al che Jill si ritrasse.
Wesker comprese che ella ancora non si fidasse di lui, nonostante gli
impulsi
del P-30.
Così sfilò la giacca, continuando a correre, e
gliela mise sul capo a forza,
tenendola col braccio stretta a sé.
La donna sgranò gli occhi, presa alla sprovvista da quella
premura.
Non potendo fare altro, ed essendo impegnata a correre,
lasciò che lui la
guidasse, protetta dalla sua lunga giacca scura.
Sbirciò verso di lui, notando il suo corpo bagnato,
così come il viso e i
capelli. Solitamente Wesker appariva perfetto in ogni momento. Invece,
ora, era
fradicio, sporco di terra, e qualche ciocca di capelli non era
perfettamente
tirata indietro come suo solito.
Fu una versione di Wesker del tutto nuova per lei.
Girarono verso una zona rocciosa, ove la vegetazione non potesse essere
troppo
di ostacolo, e l’uomo condusse la ragazza in una rientranza
per ripararsi.
Era un cunicolo abbastanza stretto, per cui riuscirono a stento a
starci dentro.
Jill si ritrovò stretta al busto di Wesker, che intanto
scrutava fuori per
assicurarsi di non essere seguiti.
“Perché una creatura del genere è fuori
dal tuo controllo?” chiese lei.
“Quelle creature non sono sotto il mio controllo. Ad ogni
modo, non le
considererei un pericolo.”
Jill sbandò.
“Non sono un pericolo? Hai idea di cosa stai
dicendo?”
Wesker si voltò di scatto verso di lei, fulminandola con lo
sguardo, al che la
donna si ammutolì di colpo e, all’espressione
arrabbiata, si sostituì un viso
sconvolto e intimorito. L’uomo le prese il viso fra due dita,
tirandolo verso
il suo con fermezza.
“Basta domande, Jill. Non sei qui per questo.”
Lo sguardo di Jill tremò. Sia per quel contatto visivo, che
per la crudeltà che
traspariva dai suoi occhi.
Wesker la lasciò andare subito dopo, infischiandosene dello
stato d’animo della
bionda, e riprese ad analizzare la situazione, mentre l’acqua
gocciolava dalle
rientranze della roccia.
“Proseguiamo.” disse costatando che fuori, diluvio
a parte, fosse tutto
tranquillo.
Uscì dunque, cominciando a scalare la parete rocciosa per
arrivare in cima a
quella montagna.
Sebbene fosse piuttosto scivoloso, Jill decise di non dibattere, ancora
profondamente scossa da quel contatto visivo. Così si
limitò a seguirlo.
Arrivarono fin quasi in cima, erano piuttosto in alto.
Vide Wesker consultare il GPS di nuovo, fissando poi lo sguardo
sull’orizzonte
per esaminare il bosco sottostante dall’alto.
Jill strinse a se il cappotto nero di lui, mentre la pioggia cascava su
di loro
sempre più copiosa.
Cominciò a sentire freddo, così
strofinò le braccia sperando che anche lui si
accorgesse che non potessero stare ancora tutto quel tempo sotto
l’acqua.
L’uomo dagli occhiali scuri si girò verso di lei,
poi noncurante rigò dritto
proseguendo su quella montagna.
A quel punto Jill aprì bocca e, tremante dal freddo,
cercò di parlargli con
fermezza.
“W-Wesker! La pioggia è troppo forte, dobbiamo
cercare un riparo!”
Egli si voltò appena, concedendole uno sguardo fugace.
“Non abbiamo problemi a proseguire.”
pronunciò gelido, come se nulla lo potesse
scalfire.
La bionda digrignò i denti e gli si parò davanti.
“Ho detto di no! Cerchiamo un riparo, cazzo!”
Wesker si alterò per quel tono e per quegli occhi severi che
stavano sfidando
la sua autorità. Così
l’afferrò per un braccio e la strattonò
con forza.
Nonostante Jill tentasse di divincolarsi da quella presa, la forza di
Wesker
era troppa per riuscire ad opporsi.
Ad un certo punto la scaraventò a terra, dentro una
rientranza abbastanza
ampia, molto simile a una caverna.
Wesker la guardò diabolico, mentre un tuono alle sue spalle
illuminò la sua
figura, facendo intravedere gli occhi rossi da dietro le lenti.
“Resta pure al riparo, miss Valentine.” disse
beffandosi di lei crudelmente, dopodichè
la lasciò sola, inoltrandosi di nuovo sotto pioggia.
Jill si sollevò e guardò con ira
quell’uomo duro che non faceva che trattarla
in modo inumano. Sfilò il cappotto e lo butto a terra con
violenza, rifiutando
quel suo gesto di protezione che, dato il suo atteggiamento, non
significava
assolutamente nulla!
Poi si mise in un angolo, abbracciando le gambe e sprofondando la testa
tra le
ginocchia, tremando ancora più forte.
“Vai al diavolo!!” urlò, nonostante lui
ora non potesse sentirlo, dovendo
sfogare la sua rabbia e il suo dolore.
***
Passò all’incirca un’ora.
Wesker raggiunse di nuovo Jill, che intanto era rimasta seduta in
quell’angolo,
pallida e fredda.
Anch’egli era bagnato, ma aveva una forte resistenza,
così la cosa non lo
scalfì nemmeno.
Una volta dentro la caverna, vide il suo cappotto gettato a terra in
malo modo
e non gli fu difficile dedurre che Jill fosse in collera con lui.
Lo raccolse delicatamente, poi si avvicinò a lei, la quale
non lo degnò di uno
sguardo, rannicchiata su se stessa.
I suoi occhi erano rivolti altrove, persi nel vuoto, mentre dentro di
sé la
rabbia ribolliva ancora molto fortemente.
Wesker si piegò verso di lei e le allungò la
giacca. La donna tese una mano
allontanandolo, continuando a non guardarlo in faccia.
Lui, in tutta risposta, le tocco appena una guancia col dorso della
mano,
costatando che fosse gelida.
“Sei fredda e questo non è produttivo per
me.”
La bionda scaraventò via la sua mano di nuovo.
Wesker strinse gli occhi, ma non disse nulla e si limitò ad
allontanarsi da
lei.
In verità Jill si sorprese che avesse davvero deciso di
lasciarla in pace,
tuttavia continuò a stare sulle sue, e strinse di nuovo le
gambe.
Wesker intanto andò a sistemarsi poco distante da lei. Si
sedette, e poggiò il
braccio sul ginocchio teso. Con una mano tirò i capelli
indietro, sfilando poi
gli occhiali.
La bionda lo guardò con la coda dell’occhio,
incuriosita di vedere il suo viso.
Senza occhiali, egli aveva uno sguardo diverso, sembrava molto stanco.
Lo vide mentre esaminava i suoi occhiali completamente bagnanti,
poggiandoli
poi a terra e abbandonando la testa sul muro alle sue spalle.
Divincolò lo sguardo soltanto quando anche lui la
ricambiò.
Accorgendosene, Wesker sorrise appena. Jill prese a guardare il
pavimento
roccioso, non sapendo come riuscire a distrarsi dalla sua presenza.
Lui invece sembrava rilassato. Infatti chiuse gli occhi, come
abbandonandosi finalmente.
La ragazza ritornò ad osservarlo e dopo che passarono una
manciata di secondi,
si chiese se egli non stesse davvero dormendo.
“Wesker…” sussurrò, ma non
ricevette risposta.
Corrucciò la faccia e ripeté a se stessa che era
molto meglio così. Avrebbe
finalmente trovato un po’ di pace senza sentirsi sempre
controllata da lui. Si
sorprese tuttavia che lui ancora non si fosse mosso.
Non riuscendo ad essere indifferente, si tolse dalla sua postazione e
si
avvicinò cautamente a lui.
Guardò il suo viso e sembrava per davvero addormentato.
Deglutì, e per la prima volta poté avvicinarsi a
lui come mai aveva fatto
prima. Poté analizzare il suo viso così da vicino
che il cuore prese a
palpitarle forte.
Si rese conto che mai più le sarebbe capitata
un’occasione simile.
Si avvicinò ancora di più e fece per sfilargli il
telecomando col quale la
teneva sotto controllo.
Era così vicina che sentiva il suo respiro sul suo orecchio.
Riuscì infine a prendere l’oggetto fra le sue
mani, non riuscendoci a credere
davvero.
Premette il pulsante per far cessare le iniezioni del P-30 sul suo
corpo, e quasi
ebbe un colpo quando sentì dentro di sé la sua
volontà tornare libera. Portò le
mani sul petto, chiudendo gli occhi felice.
Doveva tuttavia stare attenta. Wesker non doveva accorgersi che lei
fosse
tornata libera di scappare da lui in qualsiasi momento. Era il momento
di
elaborare un piano che potesse aiutarla a giocarsi quella carta.
Poteva ingannare Wesker? Valeva la pena tentarci.
Se egli avesse creduto che fosse sotto il suo controllo, sarebbe magari
riuscita persino ad ucciderlo. Così si guardò
attorno e la sua attenzione andò
alla pistola infilata nella cintura dell’uomo.
Allungò le braccia e afferrò il manico
dell’arma con fermezza e delicatezza,
tuttavia, prima che potesse estrarla, il pugno di Wesker la
bloccò
violentemente.
La ragazza sbandò, non essendosi per nulla accorta che lui
si fosse svegliato.
“Ero curioso di vedere fin dove saresti arrivata, Jill. Sei
proprio ottusa.”
disse schernendola e prendendo a forza il telecomando dalla sua mano.
“Aah!” urlò mentre lui le contorceva la
mano costringendola a terra.
Egli mosse il telecomando fra le dita, poi lo nascose nella sua tasca.
Jill
sgranò gli occhi.
Non si era accorto che aveva interrotto le iniezioni?
Sul volto di Wesker intanto si disegnò un ghigno.
Sollevò la ragazza avvicinandola
a sé, poi le tirò i capelli costringendola a
tenere la testa all’indietro,
mentre la scrutava con i suoi occhi rossi.
“Non saprei davvero se definirti ingenua oppure temeraria. Mi
sembrava avessi
capito, eppure poi ti ritrovo a fare scherzetti simili. Pensavo di
essere stato
chiaro: sei nelle mie mani.”
Jill respirò a fatica, costretta in quella posa. Fu poi
Wesker a lasciare la
presa, liberandola finalmente.
Ella ansimò fortemente, mentre lui si rilassò di
nuovo sul muro.
“Povera Jill Valentine. Ce l’avevi quasi fatta, non
è vero?”
La ragazza cominciò a tremare. Presto lui si sarebbe accorto
che non era più
sotto il suo controllo. Non si sarebbe mai fatto ingannare da lei. Il
panico
l’assalì, dunque.
“Se fossi stato qualcun altro,
chissà…ora magari sarei esamine a terra.
Tuttavia non puoi più nulla contro di me. Prima te ne
convinci, meglio sarà.”
Mentre lui continuava la sua eloquenza, il cervello di Jill si mise in
moto
valutando ogni possibilità, ora che era temporaneamente
‘libera’.
Tuttavia non poteva nulla contro Wesker, era folle soltanto pensarci.
Era sola,
indifesa, sotto il suo potere…
La frustrazione la pervase, sentì gli occhi bruciare di
rabbia.
Lui…non l’avrebbe avuta…mai.
All’improvviso si alzò di scatto, lasciando
sorpreso persino Wesker che per
nulla si accorse di quel suo movimento tanto che fu inaspettato e
repentino.
La donna corse via fuori da quella grotta. Wesker le fu presto alle
calcagna,
comprendendo solo in quel momento che lei doveva aver manomesso il
telecomando.
Mentre correva nel buio della notte oramai scesa, sotto la pioggia che
ancora
cadeva copiosa, Jill si fermò appena in tempo per non cadere
giù da quella
montagna. Il passaggio era interrotto.
Sconvolta, rimase a guardare verso il basso, non scorgendo alcun posto
dove
saltare. Intanto Wesker arrivò alle sue spalle.
“Bella mossa. Sei stata ancora una volta capace di
sorprendermi, ma adesso
basta. Il gioco è finito.”
Jill si voltò verso di lui e lo guardò dritto
negli occhi, mentre il vento
scompigliava i suoi capelli, che volteggiavano alle sue spalle legati
nel
codino.
Wesker fece un ghigno, indossando di nuovo gli occhiali scuri.
“Dunque…è finita Jill. Non puoi
più far nulla.”
Jill strinse gli occhi e quello sguardo non piacque per nulla a Wesker.
Ella lo trafisse coi suoi occhi celesti, fieri e senza paura. Poi
sorrise,
oramai non temendo più nulla.
“L’hai detto. E’ davvero
finita.” disse con voce calma e profonda.
In seguito, sotto gli occhi di Wesker, si abbandonò
all’indietro, gettandosi
nel vuoto alle sue spalle.
Chiuse gli occhi, comprendendo che la libertà appena
ritrovata aveva aperto a
lei le porte per tornare a dove era rimasta. Al suo gesto fatale.
In fin dei conti, era già morta.
Aveva sacrificato la sua vita consapevolmente quel giorno. Non sarebbe
cambiato
poi di molto se fosse morta in quella circostanza, invece.
La sua unica consolazione stette nel fatto di essere tornata in
sé, e di poter
almeno decidere da sola cosa fare di se stessa. Esattamente come quella
notte.
Dopotutto, era così che doveva finire…
Mentre cadeva all’indietro, qualcosa
l’afferrò per il polso.
Spalancò gli occhi, e si accorse che Albert Wesker era
riuscito ad afferrarla
in tempo.
Tuttavia, per via della pioggia, la sua mano stava delicatamente
scivolando via
dalla sua.
Costatò anche che, per lanciarsi verso di lei, Wesker si era
aggrappato a un
ramo per avere un appiglio. Anche questo però stava cedendo,
così presto anche
Wesker sarebbe caduto nell’abisso se non l’avesse
lasciata.
Il peso di entrambi avrebbe fatto sradicare il ramo, infatti.
Jill guardò dunque l’uomo dritto negli occhi e gli
parlò con fermezza, mentre
la pioggia contornava le loro figure.
“Wesker, lasciami andare!”
Wesker si rese ben conto della situazione. L’unica soluzione
per rimanere
illeso era lasciarla cadere in quel dirupo. Non c’era la
possibilità di
sollevarla senza che sarebbe crollato.
Intanto la mano di Jill stava scivolando dalla sua presa, dunque doveva
decidere velocemente come agire.
Analizzò la situazione e, in un gesto del tutto inaspettato,
Wesker si lanciò
nel vuoto con lei.
Jill sentì il vuoto assoluto alle sue spalle, mentre vide
sprofondare con sé,
ancora una volta, l’uomo dai lei odiato ed amato.
Farfugliò qualcosa, ma le parole le si bloccarono in gola,
sgomentata da quel
che lui stava facendo.
L’uomo la strinse a sé, poi riuscì a
muoversi in aria in modo tale da essere
lui a schiantarsi sul terreno per primo. La protesse quindi col suo
corpo,
mentre caddero violentemente sul bosco, urtando rami e foglie.
Le fronde degli alberi attutirono la loro caduta, o fu piuttosto
l’enorme
capacità di sopravvivenza di Wesker a farli restare in vita,
quando questi
ebbero l’impatto col suolo.
Egli sbatté a terra, tenendo Jill sopra di lui in modo che
l’urto non le
facesse del male.
Quando furono finalmente sul suolo, Jill rimase attaccata al corpo di
Wesker
per qualche secondo prima di realizzare cosa fosse successo.
Alzò il viso e vide sotto di sé
quell’uomo maledetto e diabolico, ma che
tuttavia l’aveva salvata ancora una volta.
Egli era graffiato ovunque, sia addosso che sul viso.
Gli occhiali rotti erano caduti poco distanti da loro.
La donna si morse le labbra e gridò verso di lui, non
comprendendo più quel che
stava accadendo.
“Perché…dimmi perchè?!!
Volevo morire, Wesker! Dovevi lasciarmi andare!!” disse
cominciando a singhiozzare, mentre le lacrime si confondevano con la
pioggia.
Wesker la guardò stordito, mentre lei continuava a sbraitare
contro di lui.
Seppur per lui non fosse assolutamente mortale un volo simile, rimase
comunque
ferito e leggermente frastornato.
“Ti detesto!! Ti detesto, maledetto!!”
Mentre Jill prese a dimenarsi, contenendosi soltanto perché
ferita anch’ella,
Wesker allungò il collo verso di lei e, in gesto fulmineo,
serrò le sue labbra su
quelle della ragazza.
Il tempo sembrò come fermarsi per un istante.
La donna non riuscì neppure più a sentire il suo
cuore, il suo respiro, o la
pioggia che batteva sui loro corpi.
Percepì soltanto il suo corpo immobilizzarsi al tocco di
quella bocca saldata
sulla sua in modo prepotente e inaspettato.
I suoi occhi rimasero immobili, fissi a guardare il vuoto, incapace di
comprendere cosa stesse accadendo.
L’uomo portò una mano sul suo collo, facendola
salire lentamente sulla nuca,
passando fra i capelli biondi di lei. Poi premette con forza in modo da
non
permetterle di divincolarsi da lui.
Esaminò la sua bocca, rendendo quel bacio più
intenso.
Non era consapevole del perché lo stesse facendo. Voleva
solo sentire quel suo
corpo, esplorare all’interno delle labbra di quella donna che
era diversa da
tutte le altre.
Infantile, stupida e ingenua, eppure così determinata e
fiera da essere
riuscita ad arrivare a lui. Wesker non sarebbe mai stato capace di
provare
interesse per qualcuno, ma la forza di Jill Valentine l’aveva
rapito fin
dall’istante in cui lei aveva sacrificato la sua vita pur di
ucciderlo,
prendendolo del tutto impreparato.
Egli non conosceva la caparbietà e la rabbia che le
ribolliva dentro, ma una
volta assaporata la sua determinazione, ella aveva inevitabilmente
attirato la
sua attenzione.
Probabilmente fu il dolore alla testa, o forse quegli occhi
meravigliosi, o
magari perché egli era un uomo...fatto stava che volle
baciare quella donna,
infischiandosene di ciò che erano, di ciò che gli
fosse più consono, o di cosa
sarebbe accaduto dopo.
Jill, dal canto suo, sentì quelle labbra premere fortemente
sulle sue, non
dandole la possibilità di rifiutare quel bacio violento e
passionale.
Si sentì completamente in balia di esse, e nonostante il
P-30 non le fosse
somministrato, ella non poté opporsi.
In quel lungo istante, risentì dentro di sé
quelle frustrazioni che la legavano
a quell’uomo celato dagli occhiali scuri.
Quell’amore sbagliato, perverso, impossibile e intrigante,
che aveva da sempre
contraddistinto il suo rapporto con Wesker. Soltanto che non
l’aveva mai
ammesso a se stessa.
L’idea di odiare ed amare lo stesso uomo la lacerava,
tuttavia si ritrovò a
desiderare ardentemente quel contatto, nonostante sapesse che fosse un
errore.
Se le circostanze fossero state diverse, avrebbe potuto amare Albert
Wesker?
Era una domanda a cui non sarebbe mai riuscita a dare risposta, in
quanto lui
era anche quel traditore, quell’uomo meschino e crudele che
aveva stravolto la
sua vita.
Seppur nell’odio, in tutti quegli anni Wesker era sempre
stato la motivazione
che l’aveva fatta andare avanti nel combattere quella guerra.
Nonostante l’intenzione di fargliela pagare, uccidere lui e
tutto il suo sporco
mondo, Jill aveva sempre inseguito Wesker.
Innamorata dell’uomo che lui era stato, aveva odiato quello
che lui era
diventato dopo, durante quei lunghi nove anni, per poi accorgersi
adesso di
amare inspiegabilmente anche quell’altra sua faccia, crudele
e spietata.
Consapevole di detestarlo con tutta se stessa. Consapevole di amarlo
inevitabilmente ancora. Consapevole di quel rapporto irrazionale,
malato,
insano. Consapevole che l’avrebbe ucciso con le sue mani.
Intanto la pioggia cadeva sui loro corpi, attutita appena dalle fronde
degli alberi,
in quella notte buia.
Poi…
…come un risveglio improvviso, Wesker allontanò
lentamente le sue labbra da
quelle della donna, guardandola vitreo, come fosse assorto.
Jill, in quello stesso istante, accorgendosi che
l’intensità del bacio fosse
stata interrotta, si divincolò da lui, rimanendo
anch’ella a guardarlo.
Era come se i loro occhi si ponessero mille domande, ma nessuno dei due
ebbe la
forza per dire qualcosa.
La pioggia continuava a cadere.
Wesker fece per sollevarsi, togliendosi lentamente da sotto di lei.
Jill
scivolò via da lui, rimanendo ad osservarlo, non riuscendo
ancora a realizzare
concretamente ciò che era accaduto.
L’uomo sollevò il viso e rimase qualche istante a
guardare il cielo, avendo
dimenticato oramai l’umanità e
l’affetto, quella normalità che mai gli era
appartenuta.
Jill invece abbassò il viso, delusa da lui, delusa da se
stessa, delusa da un
mondo che non sarebbe mai stato come ella desiderava.
D’improvviso, Wesker sparì. Saltò oltre
una siepe e velocemente fece perdere
ogni sua traccia.
Jill rimase impietrita, ancora sconvolta per l’accaduto.
I suoi occhi tremavano, spaventata di aver accettato il tocco delle
labbra di
Wesker, di averlo voluto, e soprattutto di non aver fatto nulla per
opporsi.
Così si rannicchiò a terra di nuovo, portando le
mani sul capo, provando di
nuovo i suoi logoranti sentimenti rimasti repressi per nove anni.
Emise poi un urlo di sfogo, in preda alla disperazione e al suo stato
mentale
confuso e sconvolto.
***
Non potevo non far evolvere l’aspetto
“pairing” che comunque mi appassiona
essendo fan di questa coppia, ma come ben sapete oramai, voglio
rimanere
congrua con i loro caratteri e la loro storia. Perché a me
loro piacciono così.
Coppia e non coppia. Odio e non odio…
Una villainxheroine!
Spero che questo capitolo sia uscito credibile. Probabilmente
è quello a cui
più tenevo, nonché e uno dei primi che si
figurò nella mia mente quando decisi
di scrivere questa fan fiction.
Grazie mille a tutti coloro che leggono e recensiscono la mia
storia!
Aggiornerò presto!
Un kiss <3
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Capitolo 10 *** Capitolo 10: il prezzo della verità ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO
10
Struggenti e
insopportabili, i sentimenti di Jill
torturavano la sua mente ancora nel subbuglio più completo.
Era
all’incirca l’una di notte.
La donna si
era appartata in una zona del bosco abbastanza
riparata dal freddo e dal vento.
Ella strinse
il suo corpo.
Oramai aveva
smesso di piovere, tuttavia le temperature si
erano abbassate notevolmente, così si era molto infreddolita
essendo ancora
bagnata addosso in quella porzione umida di terreno.
Era infatti
posizionata ancora in quell’angolo del bosco
dove era caduta assieme alla sua nemesi dagli occhi rossi, questo
perché il
dispositivo sul suo petto era stato riattivato. Poteva sentirlo sul suo
petto,
mentre le irrigidiva il corpo costringendola a non scappare ancora una
volta.
Logorata dal
pensiero di cosa sarebbe accaduto in futuro, la
cosa che la tormentava maggiormente era che quel
che era accaduto,
stavolta non potesse giustificarlo.
Quel che era
accaduto,
infatti, per un crudele scherzo del destino, era successo proprio
quando era
stata libera dal vincolo del P-30. Seppur per pochi istanti, era
tornata ad
essere libera…ad essere Jill Valentine.
Questa
consapevolezza la feriva e la umiliava terribilmente,
facendola sentire una marionetta nelle sue mani, al di la se fosse
sottomessa o
no a quel dispositivo.
Incapace di
comprendere razionalmente ciò che invece il suo
cuore aveva dichiarato apertamente accettando quelle labbra crudeli sulle
sue,
Jill chiuse gli occhi, completamente spossata e sfinita. Probabilmente
si
addormentò senza neanche accorgersene.
A un tratto,
un rumore attirò la sua attenzione, ma sapeva
benissimo di chi si trattasse.
Aveva imparato
a riconoscere i suoi movimenti.
Alzò
la testa e vide di nuovo, imponente di fronte a lei, la
figura di Albert Wesker.
Strinse gli
occhi, volendogli trasmettere l’odio che
trapelava da ogni parte del suo corpo. Come per fargli intendere
dell’errore
che c’era in quell’attrazione sbagliata ed
insensata.
Perché
lei non avrebbe mai potuto amare quell’uomo.
Wesker intese
qualcosa da quello sguardo, ma non gli
importava poi molto. Non era mai stato attratto né dai
sentimenti, né dalle
donne. Il suo disprezzo non lo scalfiva quindi minimamente.
Finché
aveva il P-30 con sé, la personalità della bionda
non
gli importava.
Si
chinò appena verso di lei, deridendo quasi il fatto che
lei non potesse reagire.
“Spiacente,
Jill. Ti avevo concesso la tua libertà, seppur
vigilata.”
L’uomo
aveva infatti riattivato il dispositivo sul petto di
Jill, stavolta modificandone gli impulsi, in modo che le iniezioni
fossero
ancora più frequenti.
In poche
parole, ella non solo non era più padrona dei suoi
movimenti ancora una volta, ma era ancora più oppressa di
prima da quella
sostanza maledetta.
Passò
del tempo.
Rimasero
l’uno di fronte all’altro in silenzio, riscaldati
dal focolare accesso.
Wesker
osservò la donna con la coda dell’occhio,
indossando
intanto il suo cambio di occhiali da sole, che immancabilmente aveva
sempre con
sé.
Nonostante il
sonno stesse facendo crollare anche lui, non
riuscì a chiudere gli occhi, lacerato dai ricordi che
prepotentemente stavano
iniziando a straziare di nuovo la sua mente.
Forse fu
proprio la visione affranta di Jill davanti a se
che riaccese quei pensieri. Così pallida e assorta, fragile
ed insicura eppure
fiera e combattiva. Ed era stato lui a rendere quella donna
così.
Riportare alla
mente i ricordi del suo passato era
angustiante, nonostante, anche senza di lei, quei pensieri non
l’avevano mai
abbandonato, tormentandolo fino alla pazzia da quel giorno.
Quel giorno che
aveva cambiato tutto…
Rivide se
stesso, mentre era trafitto dal Tyrant quasi dieci anni prima, ed ancora non
riusciva
a dimenticare quella sensazione devastante nel suo corpo.
“Tempo
fa, sono morto. Non dimenticherò mai le
fredde e oscure dita della morte che mi sfioravano.
Tuttavia anche il
mio
decesso faceva parte di un quadro più grande.
Sacrificai la mia
umanità per quel fine, accogliendo la mia nuova potenza,
consapevole che da
quel momento in poi, non sarei mai più tornato indietro.
Attesi pazientemente
il giorno in cui mi sarei ritrovato faccia a faccia con Spencer.
La sua preziosa
Umbrella si era ripiegata su se stessa e ora egli era un fuggitivo in
quel
mondo che un tempo cercava di dominare. Mi fu sempre ignoto cosa egli
cercasse
in realtà, tuttavia sapevo che presto ci saremmo incontrati,
e allora l’avrei
reso partecipe della storia…che avevo scritto per questo
mondo.
Infine…ebbi
le mie
risposte:
-Una nuova razza umana
superiore che vede la luce grazie al virus
Progenitore.
Ai fratelli
Wesker fu affidato un potenziale infinito. Di loro, solo
uno sopravvisse.
Tu.
Stavo per
diventare un dio!!-
Vuoi dire che
sono
stato ‘fabbricato’? Che sono soltanto una
creazione? Una mera macchina
elaborata per i tuoi scopi?
Non ho mai
posseduto
davvero la mia vita? Non sono mai stato umano? Vuoi dire che non ho
sacrificato
niente?!
Oh, no,
Spencer… non
sai cosa stai dicendo…
Non sai a quale
uomo
tu stai parlando, non sai di che potere io sono dotato.
Fabbricato? La
mia
creazione è stata utile, comunque? Ma non dire stupidaggini,
vecchio.
Volevi usarmi per
divenire un Dio, per testare una potenza che invece non saresti mai
stato degno
di possedere. Che arrogante…!
Sei uno stolto,
Spencer.
Ho sacrificato la mia
vita, quella di Albert Wesker, e nessuno
banalizzerà mai la mia esistenza!!
Sono io che ho
scritto la storia!”
Il sangue
sporcò i vestiti di Ozwell Spencer, trafitto dalla
mano di Wesker violentemente.
Il liquido
rosso scese sul pavimento, sotto gli occhi
attoniti di quell’uomo impazzito e che si vide spegnere sotto
lo sguardo della
sua stessa creazione, incapace fino all’ultimo di riuscire a
credere che stesse
per morire davvero.
Wesker gli
donò la morte…la sua stessa morte.
Così
come lui aveva sacrificato la sua umanità trafitto dal
Tyrant, l’apice dei suoi studi perseguiti sotto
l’ordine di Spencer, allo
stesso modo Spencer era stato trafitto dal suo esperimento
più grandioso,
l’apice della sua ricerca. Il suo progetto A/W.
Destino
ironico…
Davvero
ironico….
Egli non
sapeva cosa aveva fatto. Non sapeva chi avesse
creato. Non sapeva chi avesse tradito. Non conosceva il peso delle sue
stesse
parole.
Egli…non
sapeva niente.
Così
Wesker tornò a fissare oltre la finestra di Villa
Spencer, con la mano ancora imbrattata di sangue, mentre qualcosa
dentro di lui
stava morendo ancora una volta…
In seguito
riaprì gli occhi, risvegliandosi da quel sogno ad
occhi aperti, accorgendosi di essere sudato ed accaldato. Conscio di
essere
oramai vicino alla pazzia.
Di fronte,
Jill era rimasta sveglia ad osservarlo mentre si
agitava disturbato dal sonno.
Lo
guardò intensamente, incuriosita ed angosciata nel
vederlo in quello stato.
Aveva
già avuto modo di costatare che qualcosa non andasse
in lui, che fosse tormentato in qualche modo.
Tuttavia non
potette fare altro che rimanere lì, inerme, a
guardarlo attraverso le faville scarlatte del focolare che ondeggiavano
verso
l’alto.
Si
rimproverò di preoccuparsi per lui in un momento simile,
quando lui stesso aveva maledetto la sua vita e l’aveva
umiliata in quella
prigionia senza via di scampo.
Tuttavia la
voglia di conoscere quel Wesker, capire chi
fosse, cominciò a marciare nel suo inconscio.
Sperava di
opprimere questo suo oscuro desiderio, così forte
da metterla persino a disagio con se stessa, ma i suoi occhi tornavano
sempre
inevitabilmente a lui.
Sentì
una morsa al cuore quando ebbe come l’impressione che
egli fosse affranto, addolorato…triste.
Non
c’erano lacrime sul suo viso, ma intravide le sue
palpebre scure, i suoi occhi arrossati, e poteva essere abbastanza
certa che
egli dovesse essersi disperato violentemente quando prima era sparito,
turbato
da quel qualcosa che anche adesso stava angustiando il suo sonno.
Ebbe
lì per lì l’istinto di avvicinarsi, ma
desistette.
Wesker…i
suoi peccati erano talmente tanti e brutali, che
quei sentimenti disturbanti dovevano rappresentare soltanto il minimo
dei
rimorsi che uno come lui avrebbe dovuto provare, se gli era rimasto
ancora un
briciolo di umanità.
Un uomo
crudele e spietato come lui sarebbe stato morto
nell’anima, se non avesse mai provato quel tipo di
turbamenti.
Vedendolo in
quello stato, Jill comprese che, almeno in
parte, egli fosse distrutto da se stesso. Allora forse, seppur in una
parte
remota, era possibile che ci fosse ancora qualcosa nel suo cuore oramai
nero?
Era un
pensiero che non l’aveva mai scalfita, in quanto
guardare con sentimento umano Wesker era pura follia. Eppure qualcosa
adesso si
stava struggendo anche dentro di lei.
Persino in
lei, che aveva tanto sofferto per causa sua.
Egli era stato
in grado di intrappolare la sua mente a tal
punto, ingabbiandola in quel vortice di emozioni che lottavano fra loro
e
convergevano, in una logica del tutto irrazionale. Malgrado
ciò, era tutto
reale, per quanto ancora non volesse credere alla realtà che
era davanti ai
suoi occhi.
Guardò
di nuovo verso di lui. Notò improvvisamente che era
sveglio, ma non si era accorto di lei.
I suoi occhi,
celati dalle lenti nere, erano spenti ed
assorti.
Jill
corrucciò il viso impercettibilmente.
Se era stanco
anche lui di tutto questo, di quella vita,
cosa lo spingeva ancora ad andare avanti con quell’assurda
lotta? Cosa
perseguiva?
Quale
verità gli impediva di fermarsi?
***
L’alba
giunse in fretta.
Wesker e Jill,
già in piedi, proseguirono nella fitta selva
fino a raggiungere un edificio.
Era abbastanza
fuori luogo in un posto del genere.
Dall’aspetto
imponente e moderno, tuttavia era sporco e
logoro. Le piante ostruivano il passaggio quasi totalmente, crescendo
anche sul
muro esterno.
Wesker
s’incamminò fino a giungere di fronte un ipotetico
ingresso. Prese una carta magnetica e la fece scorrere in una
cavità apposita,
ma non ebbe alcuna reazione.
Sorrise
beffardo, ed estrasse la pistola.
“Chiedo
permesso, signora.” disse parlando alla serratura,
mentre partì il colpo che fece cadere il rivestimento del
dispositivo
elettronico.
Al di sotto
dell’imbracatura di ferro, vi erano dei pulsanti
che Wesker premette in un ordine evidentemente a lui ben conosciuto, o
forse
era semplicemente la sua memoria straordinaria.
Jill stette a
guardare non potendo avere controllo sulle sue
azioni, mentre riceveva conferma sui suoi pensieri precedenti: la
presenza
delle B.O.W. in quel posto erano senz’altro opera sua.
La porta
elettronica comunque si aprì, così i due
potettero
entrare.
All’interno,
quel luogo risultava molto migliore. Seppur
buio, potevano ancora vedersi i sofisticati utensili che sicuramente
facevano
di quel luogo un laboratorio moderno e sofisticato.
Peccato per
gli scopi per cui fosse predisposto. Non a caso
era isolato in quella selva.
La donna
seguì Wesker che intanto stava esaminando negli
uffici.
Ad un certo
punto le si rivolse.
“Dobbiamo
raccogliere qualsiasi campione sia rimasto.
Cominciamo ad investigare. Conto su di te.”
Jill socchiuse
gli occhi, sentendo una forte morsa al cuore.
‘Conto
su di te’ era
una frase che lui le diceva spesso quando erano in missione, un tempo.
Quell’intercalare gli era rimasto ancora...
Si
voltò, reprimendo quella frustrazione che la lacerava
ogni volta che guardava Wesker e rivedeva il suo vecchio capitano della
STARS.
In seguito
s’inoltrò nell’edificio, non dando a
vedere nulla
del suo stato d’animo.
Scrutò
ogni singolo meandro, ma non vi era rimasto niente lì
dentro. Nemmeno i ‘mostri’.
Rimase turbata
tuttavia dal disordine che regnava in ogni
stanza: sedie rovesciate, schermi rotti, carte fuori posto, schizzi di
sangue
oramai inscurito.
Lì
dentro era successo qualcosa. Lì dentro, delle persone
erano morte.
Qualunque cosa
fosse accaduto, ora non c’era più nessuno,
oppure adesso era condannato ad un destino ancora
peggiore…quello di vivere in quel modo.
Ritornò
alla sua missione, ma non avendo trovato niente,
cercò Wesker.
Fu lui stesso
a venirle incontro.
“Niente.
Tu, Jill?”
“Niente.”
Jill si
ritrovò obbligata a rispondergli senza indugio,
costretta dal P-30.
Le diede
così fastidio vederlo muoversi con nonchalance
nonostante quel che c’era fra loro e che sembrava non
smuoverlo minimamente a
differenza di lei. Quel che era accaduto, quindi, non lo turbava
minimamente?
Wesker
s’incamminò di nuovo per il corridoio e
aprì una
porta con un’altra scheda, che questa volta
funzionò. La porta che si aprì era
un ascensore.
L’uomo
aspettò, da bravo galantuomo, che fosse Jill ad
entrare per prima.
Pur trovando
ridicola tale accortezza da parte di un uomo
spietato come lui, non potette disobbedirgli, così
entrò. Lui la seguì subito
dopo.
Egli premette
il bottone con una freccia che segnava verso
il basso. Tenette tuttavia premuto il pulsante prolungatamente, e
infatti, sul
display che segnava il numero piani, vennero a segnalarsi numeri non
presenti
sulla tastiera. Jill rifletté che infondo poteva immaginarlo
che un posto come
quello disponesse di zone segrete.
Ad ogni modo,
erano diretti nel sotterraneo, e la sua
esperienza la mise in guardia.
Osservò
Wesker sperando di presagire dalla sua espressione
cosa li avrebbe aspettati lì, ma lui era sistemato
semplicemente a braccia
conserte, e guardava fisso dinanzi a sé.
Non si sarebbe
sorpresa se lì sotto ci fosse il pandemonio,
comunque. Che Wesker fosse inumano, completamente esente da qualsiasi
tipo di
emozioni, oramai lo aveva capito da tempo.
Avrebbe voluto
sapere cosa aveva reso quell’uomo talmente
tanto inscalfibile.
Una volta che
le porte dell’ascensore si aprirono, Wesker
procedette con passo moderato. Era molto buio per cui muoversi fu
difficoltoso.
Egli prese una torcia e illuminò il luogo.
“Stai
in guardia.” le disse rilassato. “Dovrebbe essere
tutto regolare, ma non ci giurerei onestamente. In questo laboratorio
sono
stati condotti degli esperimenti sotto il controllo di Ozwell Spencer,
il
fondatore dell’Umbrella corporation. Suppongo tu abbia avuto
modo di sentirlo
nominare.”
La bionda lo
guardò irritata da quel modo di interloquire.
Lui intanto continuò.
“…conoscendo
la natura dei suoi esperimenti, non mi direi
tranquillo. Soprattutto alla luce del fatto che, me a parte, dietro di
lui non
c’erano scienziati brillanti. Mi chiedo cosa abbiano
combinato qui.”
A quelle
parole, la ragazza si adirò dentro di se.
Se lo chiedeva
lui? Lui?!
Wesker era
esattamente come loro, inutile che si atteggiasse
in quel modo.
Uno schiavo
dell’Umbrella, ecco cos’era. Si illudeva
soltanto di essere diverso da loro. Tuttavia non si era accorta che
qualcosa
stava cambiando nel tono della voce dell’uomo, che stava
inaspettatamente
continuando quel discorso, che prese una piega inquietante.
“Una
nuova razza superiore avrebbe dominato la terra.
Curiosi esperimenti sulle vite umane per ottenere qualcosa di talmente
potente
da ergere un dio. Un dio che avrebbe segnato l’inizio di una
nuova era, sotto
il suo più completo controllo…”
Jill
ascoltò attentamente quelle parole. Cosa stava
farneticando? Perché tutto d’un tratto la rendeva
partecipe di una cosa simile?
Lo vide
digrignare i denti nell’oscurità, illuminato dalla
luce abbagliante della torcia che aveva in mano con un forte gioco di
chiaro-scuro.
Sussurrò
poi con rabbia.
“…che
idiota.”
Dopodiché
proseguì.
Wesker
buttò giù una porta con un calcio e si
ritrovarono
così in un ampio e buio laboratorio, che disponeva di
diverse postazioni da
lavoro.
Vi erano dei
tavoli operatori al di la di un vetro in mezzo
alla stanza, e Jill ebbe l’impressione che vi fossero dei
corpi carbonizzati
all’interno.
Tuttavia la
sua attenzione tornò a Wesker, che stava
rumorosamente esaminando fra le carte poste sulle varie scrivanie.
Egli
provò ad accendere un computer, ma questi non dava
segni di vita. Arrabbiato, lo scaraventò a terra.
La bionda
sbandò per quel rumore improvviso. Cosa stava
cercando con tanta rabbia?
Seppur sotto
controllo come suo solito, Wesker non sembrava
del tutto padrone di sé. Qualcosa in quel laboratorio doveva
averlo smosso
parecchio un tempo, e probabilmente aveva a che fare con quel che
stavano
cercando. Avrebbe voluto possedere la chiave di lettura di quel
comportamento
enigmatico, ma sapeva a prescindere che se la cosa lo riguardava
personalmente,
lui non le avrebbe mai permesso di comprenderla.
Intanto
qualcosa nell’ombra cominciò a muoversi.
Jill si
voltò e ben presto si rese conto che i corpi, visti
dietro il vetro posto al centro del laboratorio, si erano sollevati e
ora
battevano su di esso freneticamente, emettendo versi inquietanti e
disperati.
La donna
indietreggiò appena. Il vetro infatti stava cominciando
a spaccarsi, ma fu un colpo improvviso d’arma da fuoco a
farlo cadere in mille
pezzi del tutto.
Wesker
sorrise. La canna della sua pistola fumava ancora.
“Avanti…”
disse, fece poi partire un colpo dietro l’altro
che uccise tutte le armi biorganiche. “Povero Spencer! I tuoi
esperimenti non
sono mai stati un granché, non è vero?”
Disse
beffandosi di quell’uomo mentre, premendo una leva,
una fiammata partì al di la del vetro ora frantumato,
carbonizzando i corpi dei
mostri appena stesi a terra.
Intanto,
attirati da quei rumori, altre B.O.W.
sopraggiunsero.
Il biondo
parve divertito.
Jill stette in
allerta, aiutandolo a sbarazzarsi di tutti i
morti viventi. Per loro non fu difficile, tuttavia fu inquietante
vedere Wesker
perdere il controllo a quel modo, disprezzando quegli uomini infettati
dal
virus, che tra l’altro lui stesso e gente come lui avevano
condannato.
Li
massacrò infatti senza pietà, distruggendo i loro
arti,
frantumando le loro teste, senza contegno.
Fu una visione
insopportabile e struggente.
Jill, seppure
in quegli occhi spenti, morti da tempo in
quella carne oramai putrefatta, rivedeva uomini che non potevano sapere
quel
che stavano facendo, vittime di un massacro non voluto da loro.
Anche se dei mostri,
provava pietà per loro. Nei suoi incubi rivedeva
l’immagine di donne, bambini,
uomini…uccisi anche per mano sua.
Aveva dovuto
sparare loro perché non aveva scelta, perché
oramai fuori controllo e guidati solo da una fame irrefrenabile.
Aveva dovuto
ucciderli anche se vittime innocenti, trasformate
in quei mostri per via di quegli esprimenti folli e inumani.
Per questo
l’immagine di Wesker, che li uccideva senza
considerare l’umanità di cui lui li aveva privati,
la mandò in bestia.
L’adirò
a tal punto che gli si parò davanti, sconfiggendo
ancora una volta il P-30 nel suo corpo.
Lo trafisse
con i suoi occhi azzurri.
Wesker stesso
rimase perplesso, guardandola con disprezzo.
“Cosa
c’è, Jill?” disse glaciale.
“Come
puoi fare questo!? Sei tu che li hai condannati a
vivere in questo modo!”
Urlò
autorizzata da quella domanda a rispondere, mentre
l’ultimo “zombie” stava morendo ai piedi
di Wesker.
L’uomo
in tutta risposta rise.
Jill
inorridì e mollò un calcio in sua direzione, che
lui
evitò senza problemi.
“Cosa
c’è? Vuoi uccidermi di nuovo?”
“Va
all’inferno!”
Così
prese ad attaccarlo, sparandogli contro,
infischiandosene che lui riuscisse ad ovviare ogni pallottola con una
maestria
e una velocità inumana.
Una volta che
gli fu vicino, ella smise di sparare e cercò
di colpirlo usando la pistola stessa come arma.
Wesker
però bloccò il suo colpo. Le fermò le
braccia e la
guardò, facendo poi un ghigno, beffandosi di lei.
“Niente.
Riprova!” detto questo, la scaraventò
all’aria.
Nonostante il
colpo, Jill non demorse, e si rilanciò contro
di lui.
L’uomo
si divertì a beffeggiarsi di lei,
tant’è che comparve
e scomparve sotto i suoi occhi, tenendo sempre le braccia dietro la sua
schiena, quasi a sottolineare come per lui fosse semplice combatterla.
Decise poi di
passare al contrattacco e di mettere la donna
al suo posto.
Così
scattò verso di lei e le apparve di fronte in modo
inaspettato.
Fulmineo, le
afferrò il collo e la sollevò con violenza.
Jill
portò le mani sulle sue, sperando di divincolarsi da
quella presa. Il respiro cominciò a mancarle, mentre lui la
stringeva sempre di
più in quella morsa.
“Strano,
eppure ho persino aumentato le dosi del P-30, ma
nonostante ciò riesci ancora a ribellarti. Sei davvero in
gamba, miss
Valentine.”
Strinse poi
ancora di più la presa, e la donna sbarrò gli
occhi, oramai sul punto di perdere conoscenza. “Ma
sai…non è ancora abbastanza
per affrontarmi.”
Inaspettatamente,
Jill riuscì a trovare la forza per
sferrare un violento calcio sull’addome di Wesker, il quale
traballò appena.
“Wesker…non
mi sottovalutare!” disse senza fiato e usò un
frammento di vetro, incastrato sulla sua tuta da combattimento, per
ferire
Wesker sul polso, il quale, non aspettandosi quella mossa,
lasciò la presa,
indolenzito.
Jill cadde a
terra ma si rimise subito in piedi, recuperando
la sua pistola.
Wesker la
guardò con odio.
“Vuoi
giocare…? Ebbene…giochiamo!”
Così
l’uno si lanciò verso l’altro.
Jill
sentì una fortissima potenza scorrere nelle sue vene e
calcolò che poteva pesino riuscire a sconfiggere Wesker. Le
sue doti combattive
erano cresciute grazie al P-30, poteva farcela.
“Quella
notte, ti ho rivisto dopo otto anni! Dopo che ci hai
traditi, dopo che hai ingannato tutti, dopo che hai rovinato la mia
vita!!”
Eseguì
un colpo dietro l’altro, sparando ogni volta che lo
avesse nel mirino, ma Wesker era un demonio. Spariva e riappariva con
una
velocità assurda, non permettendole di colpirlo nemmeno una
volta.
Nonostante
fosse stremata, non smise di dargli la caccia,
guidata dall’odio e dalla frustrazione.
“Sono
quasi dieci anni che ti inseguo. Dieci anni che non ho
mai più avuto pace! Quando Chris mi disse che eri vivo, non
potevo crederci. Ho
vissuto e ho lottato per cancellare il tuo operato e per poterti vedere
coi
miei occhi! Questo…per farti leggere tutto il mio
disprezzo!”
L’uomo
rifletté appena su quelle parole.
In fin dei
conti…era vero.
Aveva avuto
modo di incontrare Chris di persona in quello
stesso 1998 in
cui era ‘morto’, ma non lei.
I due si erano
finalmente rivisti, faccia a faccia, solo
l’anno precedente, a Villa Spencer.
“Tu
hai condannato la vita di tanti innocenti! Io ho giurato
a me stessa di fartela pagare!” continuò lei in
preda all’ira. Tuttavia le sue
motivazioni valsero a poco.
L’uomo
vestito di nero evitò i suoi innumerevoli e inutili
colpi, scagliandola poi a terra all’improvviso, infierendole
un colpo che la
colpì in pieno sul petto.
Mentre la
donna, ansimante e oramai sconfitta, fece per
rialzarsi, Wesker usò il suo telecomando per aumentare le
dosi del P-30 nel suo
corpo.
La donna
così si accasciò a terra di nuovo, in preda al
dolore.
Sentì
poi la fredda canna di una pistola puntata alla sua
tempia. Alzò dunque gli occhi verso di lui, rabbiosa,
incrociando le sue
inquietanti lenti nere.
Wesker la
guadava imponente col suo viso di marmo,
nell’oscurità di quel laboratorio sotterraneo.
“Uccidere
qualcuno è semplice, Jill.” disse
all’improvviso,
con tono fermo. Premette ancora di più la canna della
pistola sulla sua fronte
e la guardò diabolico.
“Basta
che io prema questo grilletto e…pam.” aggiunse
placido, eppure in modo sconcertante. “Giocare con le vite
umane, saper
destreggiarsi in questa trappola mortale che è la vita,
riuscire a fare la
mossa giusta, sapere dove andare, con chi avere a che fare, come
condurre una
partita… . Jill, è per questo che tu non puoi
battermi. Non basta la forza. Non
bastano spesso neanche gli anni o l’esperienza.
No…quel che serve, è essere
vincenti. Questo è il potere.”
L’espressione
di Wesker mutò, e si fece più crucciata. Egli
digrignò i denti e sparò, ma non colpì
Jill.
Spostò
la canna della pistola, e le sparò solo di striscio,
non ferendola minimamente.
Tuttavia lei
abbassò per un istante la testa nel collo,
spaventata.
Quando si rese
conto di non essere stata colpita, tornò a
guardarlo fulminea, e qualcosa stava mutando in lui.
“…progetto
Albert Wesker….ahahah…” rise lui
inquietantemente, per nulla convinto dalle sue stesse parole.
“Una
razza superiore, un dio…” cominciò a
farneticare,
tant’è che Jill iniziò seriamente a
spaventarsi per quelle sue movenze davvero
strane.
“Sono
venuto fin qui per cercare delle prove, degli indizi!
Ma non c’è nulla se non questi stupidi
resti!!” spiegò lui mentre, in preda
all’ira e alla delusione, tirò un calcio violento
a una scrivania che la fece
cappottare.
“Egli
non possedeva questa potenza. Come può proclamare di
essere un dio qualcuno che ha dedicato la sua vita a tali sciocchezze!
Il
potere che volevi… oh, Spencer, quanto sei stato sciocco! Il
dio che cercavi…
era di fronte a te!! Ah,ah,ah!”
“Smettila!”
Quell’urlo
fece tornare Wesker alla realtà, che infatti si
bloccò di colpo.
Rimasero in
silenzio qualche istante.
L’uomo
vide Jill tentennare appena, ancora sdraiata a terra,
stanca e ferita. Ella poi parlò con fermezza, per nulla
dubbiosa, per nulla
intimorita.
“Sei
pazzo, Wesker! Vuoi dire che hai sprecato quasi dieci
anni della tua vita per divenire un dio?! Tu…non crederti
diverso! Sei soltanto
uno dei tanti schiavi dell’Umbrella!!”
Wesker la
guardò sconcertato.
Piegò
la testa e dalle lenti si intravide il bagliore dei
suoi occhi rossi.
“Hai
frainteso, Jill.”
Disse pacato,
in contrapposizione con la collera mostrata in
precedenza. I suoi sbalzi d’umore erano inquietanti.
Riprese poi a
parlare.
“Non
sono dieci anni. E’ da quando ho diciotto anni che
dedico la mia vita a tutto questo.”
Jill
sbandò a quella rivelazione. Wesker sorrise.
“Esattamente.
Ti lamenti che sono trascorsi dieci anni quasi
per te. Ed io…cosa dovrei dire io, che per me sono
addirittura ventinove gli
anni in cui vivo così.”
La donna si
sentì tremare. Non era possibile tutto questo.
Wesker
cominciò a ridere di gusto, in parte divertito dagli
occhi smarriti di lei, in parte angustiato e tormentato dentro.
“Morii
quel giorno. Non dimenticherò mai il terribile gelo
della morte che rendeva freddo il mio corpo. Sacrificai persino la mia
umanità
per quel fine, accogliendo la mia nuova potenza, consapevole che, da
quel
momento in poi, non sarei mai più tornato indietro. Io ho ucciso Albert
Wesker con le mie stesse mani, creando il
Tyrant!!”
Quell’
inaspettata confessione di Wesker mise in panne la
mente di Jill, che si ritrovò ad ascoltarlo, vedendolo
sempre più fuori
controllo.
I suoi toni si
fecero più derisori e guardò Jill con
biasimo.
“Chi
sono, non spetta a te conoscerlo. Cosa è stata la mia
vita, tu non ne puoi avere idea, cara Jill Valentine. Non sai cosa ho
subito,
non sai cosa mi è accaduto, non sai che significa questo
potere!”
Disse e
mollò un pugno verso il monitor di un computer, il
quale si frantumò e Wesker ferì così
la sua mano. La portò a se, dolorante.
“Ugh!”
gemette appena, poi continuò a parlare non curante
del dolore e del sangue che prese a fuoriuscire dalla ferita.
“Cosa
significa perdere tutto in nome di qualcosa che non
puoi conoscere, cosa significa abbandonare e sacrificare la tua
esistenza pur
di inseguire qualcuno… che alla fine cosa ti dice?! Nulla!
Scopri che era solo
un PAZZO!” sbraitò oramai fuori controllo.
I suoi occhi
furenti trasmettevano tutta la sua frustrazione
e il suo rancore verso ciò che aveva scoperto essere stata
la sua ricerca.
Il prezzo della
verità
da lui tanto ambita, e in nome della quale aveva sacrificato
tutto…
Un prezzo da
pagare fin troppo alto persino per lui.
Portò
le mani sulla testa, rievocando ancora una volta
quella notte:
…Una nuova
razza umana superiore che vede la
luce grazie al virus Progenitore.
Ai fratelli Wesker fu
affidato un potenziale infinito.
Di loro, solo uno
sopravvisse. Tu.
Vuoi
dire che sono stato
fabbricato?
Stavo per diventare un
dio, creatore di un
nuovo mondo per un’avanzata razza di esseri umani.
Eppure, tutto
è andato perduto a Raccoon
City.
Nonostante quella
sconfitta, la tua creazione ha tutt’ora
grande importanza.
La mia ora si avvicina
inesorabilmente.
Destino beffardo per un
uomo che ha il
diritto di essere un dio!
Il
diritto di essere un dio…
Oh, no,
Spencer… non
sai cosa stai dicendo…
Non sai a quale
uomo
tu stai parlando, non sai di che potere io sono dotato.
Sono io che ho
scritto
la storia!
Fabbricato? La mia
creazione è stata utile, comunque?
Egli non sapeva
cosa
aveva fatto. Non sapeva chi avesse creato. Non sapeva chi avesse
tradito. Non
conosceva il peso delle sue stesse parole.
Egli…non
sapeva
niente!!
Wesker
digrignò i denti, preso dalla rabbia e dallo
sconforto.
“Tu…non
potrai mai capire, Jill. Non potrai mai capire…”
disse infine, con voce rauca.
Mentre
pronunciò quelle parole, logorato dalla sua vita
trascorsa in funzione di Ozwel Spencer, il quale aveva maledetto la sua
esistenza costringendolo a quell’abominio, vide delle piccole
gocce cadere sul
pavimento.
Guardò
di fronte a sé e vide il viso di Jill inondato di
lacrime, le quali scendevano dai suoi occhi fuori controllo.
Rimase a
guardarla impietrito, incapace di comprendere
perché ella stesse piangendo.
Non
l’aveva mai vista in quello stato.
Seppur spesso
avesse perso il controllo anche lei, non aveva
mai pianto in quel modo.
Ella,
tremante, mosse all’improvviso le labbra, e
sussurrò
delle parole che trafissero persino uno come Wesker.
“Invece…ti
sbagli…” disse a stento.
“io…posso capire…”
Si
abbandonò poi a quel pianto silenzioso.
Jill
tornò a sottostare agli impulsi del P-30 poiché
non
ebbe più la forza per opporsi, addolorata dal fatto che
l’uomo che avesse
dannato la sua vita, al tempo stesso era vittima del suo medesimo
dramma.
Wesker rimase
con gli occhi spalancati a fissarla, mentre
realizzava per la prima volta nella sua mente quella terribile
verità.
Jill
Valentine…aveva perso tutto in quel giorno di luglio
del 1998.
Aveva visto la
sua vita sconvolgersi, ella stesso aveva
dovuto cambiare, questo per inseguire l’uomo che aveva
causato tutto questo,
tradendoli.
Esattamente
come lui…
Albert Wesker
aveva sacrificato ogni cosa. La sua vita, la
sua umanità stessa. Aveva sconvolto tutto pur di inseguire
Spencer, dominare il
suo mondo, e venire a capo dei suoi piani. Per poi comprenderli, un
giorno, e
scoprire di essere stato tradito… e che
costui…era soltanto folle…
Abbassò
gli occhi, scoprendosi per la prima volta così
simile a Spencer.
Lui…non
avrebbe mai perdonato quell’uomo per ciò che gli
aveva fatto, per come aveva dannato la sua vita da quando aveva messo
piede
nell’Umbrella Corporation.
E se per
quella donna di fronte a lui era minimamente lo
stesso, comprese come non avrebbero mai potuto superare
l’odio che verteva
l’uno verso l’altro.
Perché
Wesker…era per Jill come Spencer era stato per lui.
Così
come, assurdamente, Jill era come Wesker. Come Wesker
si era sentito quando era stato tradito da Spencer quella notte.
Quell’insolita
comprensione lo lacerò.
Portò
le mani sul viso e si abbandonò a terra, sconvolto,
mentre il sangue della sua mano ferita lo macchiò di rosso.
Jill
alzò il viso verso di lui, consapevole anche lei di
quell’assurda verità che li univa e li rendeva
distanti più che mai.
“Wesker…”
sussurrò.
L’uomo
alzò gli occhi verso di lei.
“Per…chè…?”
disse Jill sotto sforzo.
Una parola,
una domanda, ma mille i suoi significati.
Perché
tutto questo? Perché questa guerra? Perché noi?
Perché non finirla qui? Perché l’hai
fatto? Perché ci hai traditi?
Perché…Perché…
Wesker
abbandonò la testa all’indietro, scostando gli
occhiali dal viso.
“Già…perché?”
ripeté, assorto.
***
In questo
capitolo mi
premeva esprime molti concetti concernenti Wesker.
La sua follia, il
perché del suo comportamento in re5, cosa l’ha
portato a tutto questo, come i
suoi tormenti appresi dopo la conversazione con Spencer abbiano
marciato nella
sua mente fino a ridurlo così…come appare in re5.
Quello che ho scritto nel
capitolo è la mia interpretazione. Ho voluto spiegare come
io intendo quel
Wesker fuori controllo e che a mio modesto parere rende RE5, almeno da
questo
punto di vista, un buon resident evil.
Se solo tante
cose
fossero state approfondite nel gioco stesso…
In
realtà, gli
elementi per capire questi particolari ci sono nel gioco.
Ma non so quanti
giocatori si metterebbero a riguardare quel flashback di re5 (e le
altre scene)
con l’intento di riuscire a comprenderne il reale peso e le
forti motivazioni
che spingeranno Wesker alla pazzia.
Personalmente mi
sono
sempre rifiutata di credere che re5 potesse davvero concludere un
personaggio
come lui in quel modo pietoso, buttandolo in un vulcano a urlare come
un pazzo.
Alla fine ho
trovato
una chiave di lettura, che spero si sia evinta dalla lettura della mia
fanfic,
e da questo capitolo in particolar modo.
Un capitolo ove
poi Wesker
e Jill sono avvicinati e allontanati irrimediabilmente, in questo
rapporto
drammatico che rende la loro relazione così avvincente.
Ho evidenziato
nel
capitolo un personale paragone fra Wesker e Spencer proprio per premere
anche
sulla psiche di Wesker, che tramite questa associazione, è
potuto anche lui
entrare in empatia con la ragazza.
Questo gli fa
comprendere il suo dolore ma anche il fatto che lei non sarà
mai “sua”.
Paradossalmente però…ciò li avvicina
anche. Perché poter dire che c’è
qualcuno
che, anche se lontanamente, può comprendere
Wesker…non è poco.
Per me questo ha
di
affascinate la WeskerxJill e non la
WeskerxChissàqualepersonaggiodellaserie.
Perché,
rimanendo
nell’ambito dei pairing etero, lei è
l’unica donna della serie che ha con lui
questa “vicinanza”. La loro storia è
più simile di quanto sembri.
Jill non
è una donna
qualsiasi, una delle tante vittime di questa storia…no.
E’ molto di più.
Ed è
per questo che fra
le tante donne della serie, è proprio lei quella che io amo
vedere assieme a Wesker.
Dunque questo
capitolo
era molto importante per me proprio perché racchiude una
pluralità di concetti
che riguardano la mia concezione della storia, di re5, di Wesker e di
Jill.
Grazie per
l’attenzione.
Spero che il
capitolo
vi sia piaciuto, al di la se la si pensa diversamente.
Alla prossima! ^^
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Capitolo 11 *** Capitolo 11: ritorno nell'incubo ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 11
Questa
storia avversa
e spietata si è ritorta contro di noi in maniera
irreversibile, rendendoci
qualcosa che non abbiamo potuto scegliere di essere.
Talvolta mi
chiedo se
questa stessa Jill Valentine non sia già morta.
Il mio cuore
è
serrato, il mio animo è oramai perduto. Non sento
più nulla, un enorme vuoto mi
pervade…
Osservo il mondo
che
mi circonda, e mi addolora costatare che io non sia l’unica a
sentirmi così.
In tutto questo,
ovunque
mi volti, rivedo il tuo volto, causa del pandemonio di questa mia vita.
Non
potrò mai
perdonarti…!
Se solo le cose
fossero andate diversamente, avrei potuto amarti? Probabilmente no.
Perché
io non sarei
stata questa Jill, e tu non saresti stato questo Albert Wesker.
Jill e Wesker
procedettero per delle rovine.
Avevano
lasciato il laboratorio abbandonato da circa due
ore, e da allora il silenzio era regnato fra loro. Nessuna parola,
nessuno sguardo,
nessun gesto. Cosa avrebbero dovuto dirsi, in fondo?
Wesker
continuò con le sue ricerche, con l’intento di
raccogliere dei campioni Uroboros dai corpi presenti su
quell’isola.
All’insaputa
della donna dai capelli biondi, erano stati
condotti proprio lì alcuni esprimenti sul nuovo virus creato
in collaborazione
con la casa farmaceutica Tricell, di cui era amministratore Excella
Gionne.
Tuttavia, a
causa di un incidente, i soggetti infettati dal
virus erano finiti fuori controllo, e così adesso quel
laboratorio era stato
abbandonato da un po’.
L’uomo
vestito di nero voleva assicurasi quindi su ciò che
era rimasto ancora incustodito, approfittando di
quell’ispezione per sperare di
trovare anche qualcosa su Spencer. Tuttavia tutto era andato realmente
perduto
a Raccoon City.
Per lui fu
davvero frustrante accontentarsi solo di quei
pochi frammenti a lui pervenuti sul reale operato di
quell’uomo. Aveva sperato
di scoprire qualcosa sul quel maledetto progetto di cui lui era
l’unico
esperimento sopravvissuto…
La sua ricerca
avrebbe in ogni caso continuato.
Seppure la sua
mente cominciasse a vacillare, egli rimaneva
un uomo dal temperamento freddo e calcolatore. Era quindi in grado di
mandare
avanti il suo piano senza problemi, nonostante i suoi turbamenti.
Si
voltò appena verso Jill, che lo seguiva scavalcando le
macerie delle rovine sulle quali erano giunti.
Rimase a
guardarla senza troppi convenevoli, nascosto dalle
lenti degli occhiali.
Il suo viso
era serio e spento per via del P30 che inibiva i
suoi sensi. I capelli pallidi, così come la pelle, le
conferivano un aspetto
fragile e delicato, eppure ella era una donna forte, dalle strabilianti
qualità
combattive.
Quell’insieme
di forza e femminilità erano rare da vedere,
forse era proprio questo ciò che lo aveva colpito di lei.
Tuttavia non
diede a vedere nulla di quei pensieri, ben più
concentrato sul da farsi.
Avrebbe solo
voluto poter parlarle un’ultima volta prima di
tornare nel laboratorio della Tricell.
Jill intanto
raggiunse Wesker, chiedendosi perché la stesse
guardando così insistentemente.
Lo vide poi
accennare un sorriso.
“Voglio
mostrarti una cosa.” disse lui.
***
Un elicottero
giunse a prelevarli.
Il volo
durò poche ore, ma persino Wesker sembrava
impaziente di giungere a destinazione, nonostante, a occhio esterno
apparisse
del tutto rilassato.
Che cosa
volesse mostrare a Jill, non era ancora stato
rivelato.
La donna
quindi dovette pazientare tutto quel tempo, prima
di accorgersi che stessero sorvolando un cimitero.
Con la coda
dell’occhio sbirciò fuori, non aspettandosi per
niente che lui la portasse in un luogo simile.
Il cuore
cominciò a battere, spaventata da cosa volesse
mostrarle portandola in un posto simile.
Scesero di
quota e insieme, una volta scesi, s’inoltrarono in
quel verde prato, appena offuscato dalla nebbia mattutina.
Le eliche
dell’elicottero scomposero le loro figure, facendo
ondeggiare i biondi capelli di Jill e il cappotto scuro di Wesker.
Si
allontanarono, ma il vento soffiava comunque forte in
quella fredda mattina nuvolosa, ove vigeva un’atmosfera
spettrale nonostante
fosse giorno.
I raggi del
sole trafiggevano le nubi, illuminando così
alcune tombe, il cui marmo bianco inscurito suscitava angoscia nei
visitatori
che le osservavano.
Era come se
esse volessero rendere consapevole il momentaneo
passante che la morte fosse un destino che tutti al mondo avrebbero
condiviso.
Per questo, scorrere gli occhi sugli epitaffi e su quei tanti nomi, non
poteva
non suscitare un senso di vicinanza e di oppressione.
La morte
sgomenta chiunque, essendo un viaggio di non
ritorno, ignoto a chi è in vita. Tuttavia Jill aveva
conosciuto destini persino
peggiori della morte stessa.
Ella
camminò silenziosa, rispettosa dei corpi lì
sepolti, seguendo
Wesker che, marciando con passo sicuro, vestito di nero, con
quell’aria
glaciale e indifferente, sembrava un tenebroso tristo mietitore.
Lo vide girare
la testa alla ricerca di qualcosa, così anche
lei prese a scrutare attentamente i nomi incisi sulle lapidi, ma per
fortuna
nessuno le fu familiare.
A un certo
punto, lui si fermò e attese che la sua ‘vittima’ lo raggiungesse.
Egli rimase
immobile, alzando appena l’indice verso una
pallida tomba dall’aria recente, ove erano poggiati dei fiori
freschi.
Jill si
avvicinò lentamente, come impaurita di scoprire cosa
l’uomo vestito di nero le stesse per mostrare.
Abbassò gli occhi e, mentre si affiancava
a lui, scorse la scritta che era incisa su quella tomba bianchissima.
In Ever Loving Memory
of Our Dear
BSAA
Jill Valentine
1974-2006
(…in
Memoria della
nostra cara Jill Valentine BSAA - 1974 – 2006)
La
donna schiuse
appena la bocca leggendo quelle parole.
Vedere il suo
stesso nome su quel marmo bianco le fece gelare il sangue, e provare
commozione
allo stesso tempo.
“Chris…”
pensò,
potendo immaginare perfettamente il suo compagno aver eretto quella
lapide.
I suoi occhi
si inumidirono
impercettibilmente, realizzando forse per la prima volta che egli, e
tutta la
BSAA, la credessero morta.
Lesse quella
data…1974-2006.
Era
già passato un
anno dalla sua morte presunta, e quei fiori poggiati sulla sua tomba
erano
ancora freschi…e bellissimi.
Si
sentì venir
meno, il suo corpo stesso voleva cedere a quell’attimo di
turbamento.
Wesker
osservò con
lei quella tomba, assorto nei suoi pensieri.
Estrasse poi
dalla
tasca il dispositivo che controllava il marchingegno impiantato sul
petto di
Jill, e inaspettatamente decise di far cessare gli impulsi del P-30.
La donna cadde
quasi a terra, essendo completamente in balia dei suoi sentimenti e di
quella
sostanza.
Poggiò
le mani sul
prato umido, poi si voltò verso Wesker, quasi non potendo
credere che lui
l’avesse liberata da quel vincolo.
I suoi occhi
azzurri, languidi, si specchiarono in quelle lenti scure, e per una
volta fu
Wesker a distogliere lo sguardo.
“Prenditi
il tempo che ti serve. Non sprecarlo.” disse lui con
tono basso, sedendosi sulla tomba alle sue spalle, adagiando i gomiti
sulle
ginocchia.
Jill
tornò ad osservare la sua lapide, questa volta padrona
dei suoi movimenti.
Toccò
il freddo marmo con la punta delle dita, per poi
poggiarvi tutta la mano.
Premette
appena, potendo quasi sentire l’amore dei pochi
amici rimasti al suo fianco il quel mondo devastato.
Socchiuse gli
occhi, abbandonandosi a quel momento soave,
silenziosa e assorta.
L’uomo
rimase tutto il tempo a fissarla, non pensando a
nulla, come se anche lui avesse desiderato quell’attimo di
quiete assoluta.
Vide la bionda
prendere in mano i fiori lasciatole da
qualche amico che aveva voluto renderle omaggio, donandole un ricordo.
Probabilmente
erano di Chris Redfield.
Stette, dunque
ben attento che Jill non vi nascondesse alcun
indizio da far pervenire al suo odiato rivale.
Tuttavia lei
si limitò unicamente a sfiorarli, annusandone
il loro delicato profumo.
L’uomo
vestito di nero sembrò turbato da quel delicato
gesto.
Provò
fastidio nel vederla così assorta e desiderosa di
stabilire un contatto con l’uomo che invece la credeva morta.
Senza neanche
accorgersene, strinse in un pugno un lembo di
stoffa del pantalone, irritato.
La bionda
d’improvviso si girò appena verso Wesker.
Lui la
guardò vitreo, senza mostrarsi partecipe di quel
momento che, in fondo, era soltanto suo.
Vide le sue
carnose e pallide labbra schiudersi, facendo per
sussurrargli qualcosa.
“Posso…prenderne
uno?” disse con un filo di voce, quasi come
se riuscisse a parlare a stento, mentre teneva tra le dita lo stelo di
uno dei
fiori.
Wesker, rapito
da quell’immagine e dai suoi occhi puri e
sinceri, s’intenerì stranamente.
Fece un ghigno
e le rispose placido.
“Fa
pure.” disse, e la ragazza sfilò quel fiore
candido dal
mazzo, portandolo a sé.
In seguito si
alzò, poggiando il resto dei fiori di nuovo
sulla tomba. Si voltò poi definitivamente verso Wesker.
Egli la
guardò, seduto ancora sulla lapide, con il suo solito
ghigno stampato in faccia, eppure più serio.
Jill stette in
piedi di fronte a lui, accarezzando
delicatamente il fiore bianco fra le sue dita.
“Siamo
morti entrambi, Jill.” disse all’improvviso lui. La
donna lo ascoltò attentamente. “Teoricamente,
è nostra facoltà ricominciare da
zero le nostre vite.”
La bionda lo
guardò intensamente, come pochi osavano fare
con lui, e stranamente gli sorrise.
Nonostante
fosse più un sorriso malinconico.
“In
teoria…” sussurrò, in risposta alla sua
costatazione.
Wesker
sfilò gli occhiali e decise di mostrarle i suoi
occhi, macchiati irreversibilmente dalle sue colpe, ove era impresso il
simbolo
di ciò che aveva fatto e ciò che era diventato.
I due
così si guardarono dritto nelle loro iridi per diversi
secondi, mentre il vento mosse i capelli sottili di lei.
“…tuttavia
dovrebbe essere un’altra vita, Wesker. Perché
tornerei comunque a cercarti, per fartela pagare.”
Aggiunse
infine, terminando la frase, mostrando la fierezza
nei suoi occhi.
A quella
risposta, Wesker sorrise, in qualche modo
consapevole che avrebbe detto qualcosa di simile.
“Suppongo
sarebbe lo stesso anche per me.”
Ammise, poi si
alzò ed insieme abbandonarono il cimitero.
Mentre fecero
per risalire sull’elicottero, Jill guardò
dietro di sé.
Riosservò
il fiore bianco fra le sue mani e decise di
risparmiargli la vita in quell’inferno nel quale, presto,
sarebbe tornata. Così
si chinò e lo piantò nel terreno.
Magari non
avrebbe messo radici, tuttavia, tornando alla sua
amata terra, quel fiore avrebbe comunque ritrovato casa, assaporando la
libertà.
In balia del
vento, poi, risalì sull’elicottero ed
aspettò che
Wesker riattivasse il dispositivo sul suo petto.
Mentre
ritornava sotto il controllo del P30, Jill chiuse gli
occhi, accarezzata da quella fredda brezza mattutina.
Oramai lontano
da loro, il fiore ondeggiò mosso dal vento,
come traccia della donna a cui era stato donato, e che era in
realtà viva.
Sull’elicottero,
Wesker guardò al di là del vetro,
soffermandosi sull’immagine del sole oramai alto.
Jill, di
fronte a lui, stette immobile a osservarlo, mentre
il suo sguardo diveniva sempre più vago ed indefinito.
Improvvisamente
le labbra dell’uomo si mossero, e parve come
recitare qualcosa, mentre era assorto solitario nei suoi pensieri cupi.
“Domani,
domani,
domani, si insinua
a piccoli passi
giorno per giorno, fino
all'ultima
sillaba del tempo prescritto; e
tutti i
nostri ieri hanno indicato ai folli la strada verso una morte
polverosa.
Consumati, consumati, corta candela! La vita
è un'ombra che
cammina, un povero attore che si agita, pavoneggia la sua ora sul palco, e poi non se ne sa
più niente. È un racconto,
narrato da uno stupido chiassoso e furioso, che non significa niente.”
Pronunciò
lentamente, con tono
grave, voltandosi soave verso la bionda. “Macbeth, atto
quinto, scena quinta. ”
aggiunse.
In
mente sua, Jill si chiese se
davvero quell’uomo ne sapesse di opera o poesia. Tuttavia non
se ne curò molto
e riprese a guardare al di fuori del finestrino, non sentendosi
minimamente in
vena di assecondare quel discorso. Inoltre, il P-30 nel suo corpo aveva
bloccato ogni sua possibile reazione, dunque in ogni caso non avrebbe
potuto
far nulla.
Wesker
sorrise.
Leggermente
malinconico, tornò
silenzioso, avendo sperimentato sulla sua pelle quanto il passato
potesse
maledire il presente ed il futuro di un essere umano. Quanto davvero la
vita
non fosse che un soffio, talvolta stupido e fugace, celato in
un’ombra di cui,
dopo la morte, non si sarebbe più saputo nulla.
La
vita, infondo, altro non era
che un cammino verso quella morte polverosa che inesorabilmente avrebbe
intaccato anche lui.
Ogni
giorno, passo dopo passo,
essa si avvicinava.
Egli,
come pochi uomini, aveva
ricevuto il potere di scrivere la storia di questo pazzo mondo; poteva
cambiare
il suo destino e quello di chiunque, ma, tuttavia, non si
sentì mai più vicino
alla morte come allora.
‘Destino beffardo per colui
che è un dio…’
Ripensò
a quella frase, che adesso
poteva comprendere nel suo significato più crudo e lacerante.
Già…
perché era proprio quella la
‘beffa’ della vita...
Potenti,
oppure fragili, tutti gli
uomini condividevano lo stesso fato...anche lui. Anche Albert Wesker,
Guardò
fugacemente verso Jill.
Mai
più avrebbe rievocato quel
destino infausto comune in qualche modo ai due.
Una
volta rientrato nei laboratori
della Tricell, avrebbe continuato a lavorare sui suoi piani senza
indugio,
esattamente come se nulla fosse accaduto.
Questo
era il suo volere, e niente
l’avrebbe intralciato.
Soltanto
la morte stessa avrebbe
potuto fermarlo, essendo probabilmente l’unico nemico che
potesse guardarlo dritto
negli occhi.
Eppure,
anche in qual caso, il
fatale mietitore avrebbe trovato pane per i suoi denti.
Chiuse
dunque gli occhi, pronto a
rivolgere la sua mente altrove, lontano da quei disturbi, lontano dalla
follia
che l’aveva irrimediabilmente maledetto.
***
Una
volta arrivati all’eliporto,
ad attendervi vi era Excella Gionne.
Ella
stringeva una valigetta fra
le mani e osservò Wesker arrivare impazientemente.
L’uomo,
seguito dalla bionda Jill,
si affiancò ad Excella, la quale esibì un sorriso
molto spontaneo, felice di
rivederlo.
“Bentornato,
Albert. Hai fatto
buon viaggio?” disse avvicinandosi a lui suadente.
“Come
procedono le cose?” invece
tagliò corto lui, rifiutando quei convenevoli e avviandosi
dentro l’edificio.
Jill
assistette a quella scena,
notando come Wesker fosse gelido con quella donna che palesemente
cercava di
stabilire un contatto con lui. Lì per lì
però ne fu fiera, dato che ella era
fin troppo ammiccante con lui.
Non
che gliene importasse…
Excella,
dal canto suo, mise le
mani sui fianchi, infastidita che lui non l’avesse neppure
salutata. Dovette
tuttavia reprimersi e tornare alla sua domanda.
“Sì,
tutto bene. Ho convocato
Irving, credo abbia concluso qualche buon affare. Lo vedo proprio
adesso.”
Wesker
si fermò.
“E’
qui?” chiese freddo.
Excella
annuì. “Sì, l’ho fatto
accomodare in ufficio. Vuoi vederlo?”
A
quelle parole, l’uomo vestito di
nero parve adirarsi, tant’è che guardò
la donna molto severamente.
Ella
sbandò di colpo, incrociando
i suoi occhi impetuosi.
“Non
devi far entrare nessuno qui
dentro, meno che un rapace come lui. Ero stato molto chiaro.”
La
donna dai capelli scuri si
agitò, sentendosi in difficoltà.
“S-scusami.
Pensavo che…”
“Pensare?
Ti ho mai chiesto di
pensare?” detto questo, proseguì dritto dinanzi a
se, raggiungendo l’ascensore.
Jill,
obbligata a seguire Wesker
dagli impulsi del P-30, buttò velocemente un occhio verso
Excella, che sembrava
davvero ferita da quelle parole.
Provò
pietà per lei, riflettendo
sul fatto che probabilmente non aveva ancora capito che tipo di uomo
fosse
Albert Wesker.
Excella
intanto strinse i pugni e
corrucciò il viso, assumendo poi un’espressione
arrogante.
“Lo
vedrai, Albert. Non sono
quella che credi. Non atteggiarti già da padrone del
mondo.”
Raggiunsero
gli uffici.
Jill
trovò angosciante ritrovarsi
di nuovo in quei laboratori.
Respirare
aria fresca, essere
stata in qualche modo lontana da quella realtà, le aveva
giovato, nonostante le
cose non fossero andate come sperava.
Dunque
percorrere quei
claustrofobici corridoi, fece palpitare il suo cuore, in preda
all’ansia e al
turbamento, sebbene ad occhio esterno ella appariva fredda e
inespressiva.
Sempre
per il volere del P-30,
ovviamente.
Wesker
aprì una porta e si ritrovò
in un ufficio molto ampio, arredato con due divani di pelle posti
l’uno di
fronte all’altro.
Ad
affacciarsi da dietro lo schienale
di uno di questi, fu un uomo dall’aria rozza, con i capelli
castani, e aveva
addosso una vivace camicia colorata.
Appariva
abbastanza eccentrico
solo a guardarlo.
I
suoi occhi tondi e provocatori squadrarono
Wesker da testa a piedi, per nulla riguardoso.
Egli
fece un sorriso a trentadue
denti, alzando la mano in segno di saluto.
L’uomo
dai capelli biondi non si scompose.
Incrociò le braccia e, col volto serio e tenebroso, si
postò di fronte a lui.
“Oh,
Albert Wesker. Che
impressione vedere il grande capo qui, ehehe..! La vedo in
forma.” disse il
moro con fare colloquiale, emettendo una risata cavallina.
Excella
si avvicinò e si mise fra
i due.
“Egli
è Ricardo Irving.
Sovrintendente della raffineria di petrolio di Kijuju della divisione
sviluppo e
risorse.” spiegò, prendendo poi posto di fronte a
Irving.
Ricardo
guardò appena verso Excella, passando la lingua fra
i denti, poi tornò a Wesker, decisamente incuriosito da
quell’uomo.
Allungò
una mano in sua direzione per salutarlo, non
essendosi ancora mai visti di persona, sebbene avessero già
lavorato assieme da
quando Wesker era nella Tricell.
Tuttavia
l’uomo vestito di nero non ricambiò, costringendo
così Irving a indietreggiare.
Da quel modo
di fare superbo ed autoritario, Irving comprese
velocemente che tipo di persona fosse, per cui si riadagiò
sul divano senza insistere
ulteriormente.
“So
bene quanto costi mandare
avanti queste ricerche. Sono un afferrato uomo
d’affari, io.” disse decidendo
di andare al sodo, accese poi una sigaretta.
“Dunque?
Di cosa si tratta? Ve lo chiedo, ma la fanciullina
lì dietro non vorrei origliasse troppo.” Aggiunse
poi, girando con fare
invadente gli occhi verso Jill.
“Non
lo reputerei un problema. Proseguiamo. Abbiamo già
ricevuto qualche proposta?”
Intervenne
prontamente Wesker, non gradendo per nulla l’atteggiamento
sfacciato dell’uomo di fronte a sé. Lui che,
invece, seppur privo di scrupoli,
era l’emblema dell’eleganza e della perfezione.
Irving
accavallò le gambe sgraziatamente e cacciò il
fumo,
spegnendo poi nevrotico la cicca nel posacenere.
“Altroché.
Ho reinvestito il denaro tramite i miei contatti.
In questo settore posso muovermi abilmente. Ora possiamo dedicarci alla
creazione
di nuove armi biologiche senza ostacoli finanziari.”
proclamò ridente e pieno
di se, come fosse in preda all’estasi.
Excella lo
guardò severa.
“
‘Possiamo’ hai detto?”
puntualizzò severa. “Questa
questione non ti riguarda, Irving. Stai al tuo posto.” lo
rimproverò senza
indugio, al che l’uomo si risentì.
Egli odiava
quell’atteggiamento dispotico da parte di
Excella.
Sebbene fosse
un suo sottoposto, era grazie a lui che lei aveva
potuto garantirsi i soldi per la ricerca. Questo perché
Ricardo Irving ufficialmente
era il sovrintendente della raffineria di petrolio di Kijuju.
In
realtà però egli era un terrorista
pluri-ricercato che
rivendeva al mercato nero le B.O.W., ricavandone un profitto enorme da
reinvestire all’interno della Tricell Pharamceutical Company,
in modo da
finanziare le costose ricerche su Uroboros.
Dunque, se non
fosse stato per lui, potevano considerarsi
nella merda, quei due.
Per questo
sbuffò e si sentì offeso da quel modo di fare
sempre
pronto a sottometterlo.
Odiava essere
guardato dall’alto in basso. Potevano andare
al diavolo!
Digrignò
i denti e buttò la testa all’indietro,
infierendosene
del fatto che, al contrario di lui, Wesker ed Excella fossero molto
seri e
composti.
“Affido
a te quest’aspetto del piano. La massima discrezione,
Excella, mi raccomando.” disse all’improvviso
Wesker.
“Conta
pure su di me.” rispose lei, poggiando una mano sulla
sua spalla, approfittando subito di quell’attimo per
riavvicinarsi a lui.
Irving li
guardò incuriosito, fantasticando nel vedere la donna
così ammiccante. Tuttavia, prima che potesse azzardare
qualche pettegolezzo,
Wesker prese nuovamente parola.
“Ora
va. Porta anche lei con te.” disse rivolgendosi alla
bruna.
Excella si
voltò di scatto, prima verso Jill, che era in
fondo alla stanza, poi verso Wesker.
“Cos…?”
obbiettò, ma Wesker la bloccò severo,
osservandola
dalle lenti nere.
“Ci
sono problemi?”
La donna si
ammutolì e dovette obbedirgli. Così si
alzò e
andò verso la bionda.
“Avanti,
seguimi.” ordinò, visibilmente infastidita.
Jill dovette
per forza abbandonare la stanza assieme a lei,
mentre la sua testa era ancora rivolta a quella conversazione.
Ricardo
Irving…lei sapeva perfettamente chi fosse. La BSAA lo ricercava da
tempo!
Ed eccolo
lì che, casualmente, patteggiava proprio con Wesker.
Quel quadretto
fu disgustoso.
Dovette
però seguire Excella, non potendo approfondire
quella questione, temendo i progetti che menti come quelle avrebbero
potuto
elaborare.
Un uomo privo
di scrupoli attaccato al denaro, ed un altro, folle
e schiavo dell’Umbrella…
Qualunque cosa
sarebbe potuta accadere.
Intanto Irving
poggiò le braccia sulle ginocchia e guardò
Wesker intrigante.
“Parliamo
tra uomini, dunque.”
“Ebbene,
voglio discutere sulle nostre vendite.” spiegò
Wesker accendendo anch’egli una sigaretta, mentre la porta
della stanza veniva
chiusa, celando l’esistenza di quella discussione a chiunque,
al di fuori di
loro due.
***
La donna dai
capelli neri mormorò qualcosa mentre si
inoltrava fuori dalla stanza.
“Muoviti!”
disse poi, volgendosi verso Jill.
Le due
attraversarono tutto il corridoio, per poi dirigersi
nei pressi dell’ascensore.
Una volta
giunte al piano selezionato da Excella, ella la
condusse in un laboratorio, ove le ordinò di prendere parte
all’esperimento da
loro condotto in quel momento.
Jill si
guardò attorno, fungendole da assistente, e ben
presto si rese conto di dove fosse per davvero.
Quell’ambiente
buio, illuminato dalla luce artificiale fin
dal primo mattino, pieno di macchinari dalla funzione sconosciuta,
trasmetteva
un senso di oppressione e la mise in allarme.
Approfittando
del fatto che la maggior parte dei presenti in
quella stanza fossero occupati nelle loro faccende, ella
sbirciò verso dei
documenti poggiati su una scrivania.
Fra tutti, un
file con su scritto “Uroboros”
attirò la sua attenzione, il progetto che aveva sentito
nominare da Wesker.
Il documento
sembrava raccogliere i risultai di qualche
test, per cui, senza neanche accorgersene, prese a sfogliarlo.
Sbandò
quando vide una sua stessa fotografia applicata sul fascicolo,
che la rappresentava mentre era immersa in un liquido in una vasca di
vetro.
Incapace di
credere a quel che i suoi occhi stavano vedendo,
le ci vollero una manciata di secondi per collegare il nome di quella
cartella
a se stessa.
Tuttavia
dovette apparire più disinvolta possibile, perché
Excella si stava avvicinando di nuovo. Così
abbassò la mano, ma con la coda
dell’occhio continuò a sbirciare il file lasciato
aperto.
Piuttosto, un
altro particolare attirò in seguito la sua
attenzione.
Ella era
riuscita a compiere quel movimento di sua
volontà… aveva
visto quel documento e le sue azioni avevano risposto ai suoi impulsi.
Come era
stato possibile?
Si
fermò a riflettere, cercando di non dar a vedere il suo
stato di inquietudine.
Il
P-30…davvero non faceva effetto su di lei come aveva
detto Excella a suo tempo? Questo… nonostante Wesker avesse
aumentato
ulteriormente la dose, dopo la sua ultima ribellione?
Ricapitolò
dunque la situazione, cercando di far mente
locale sulla sua soggezione a quella sostanza.
Non poteva
trasgredire gli ordini di Wesker, ne scappare.
Questo era ovvio.
Tuttavia
comprese che, in fin dei conti, seppure fosse
soggiogata completamente al P-30, manteneva ancora una minima autonomia
di
azione… seppur veramente esigua.
Bastava,
dunque, che non si ribellasse a Wesker, e il P-30
non avrebbe fermato del tutto le sue azioni.
Dover stare
molto attenta, però.
Doveva,
infatti, capire come sfruttare questa carta.
Se nessuno si
fosse accorto di nulla, avrebbe potuto essere
molto fruttuoso per lei.
Si nascose
così dietro uno sguardo vago, intanto che
meditasse come comportarsi.
Nello stesso
tempo, la donna dai capelli neri buttò un
occhio sul dossier aperto di fronte a Jill.
Ridacchiò
fastidiosamente, notando che la bionda l’avesse
notato.
“Oh,
che sbadata! Lasciare questi documenti alla tua
portata.” disse canzonatoria.
A quel punto,
Excella prese a scrutarla con fare
intimidatorio, atteggiandosi da gran donna. Cominciò a
muoversi attorno a lei,
e il suo sguardo si fece diabolico.
Jill
cominciò a credere che l’avesse scoperta. Per
fortuna
così non fu.
Vide la bruna
parlarle in modo provocante, come vogliosa di
metterla alla prova. Infatti, dopo averla scrutata in quel modo, la
donna dai
capelli neri si avvicinò ulteriormente mettendosi a faccia a
faccia a lei. Si
poggiò sulla scrivania premendo le mani su quei fogli.
“Suppongo
che tu non sappia perché sei davvero qui, vero,
Jill Valentine?”
Jill dovette
sforzarsi di rimanere immobile. La sua recita
doveva essere assolutamente credibile.
Non voleva
essere tradita dalle sue emozioni.
D’altra
parte quel discorso la incuriosì e si chiese se
quella donna non potesse renderla partecipe di qualche particolare
interessante. Tuttavia, ciò che avrebbero pronunciato quelle
carnose e lucide labbra,
avrebbe preferito non saperlo.
“Sei
solo un soggetto particolarmente resistente. Tutto
qui.” disse trafiggendola con i suoi occhi glaciali.
“La Stairway
to sun, una
pianta mortale per l’uomo e necessaria per le nostre
ricerche, stranamente non
ha effetto su di te. Studiandosi, abbiamo scoperto che la causa sono i
tuoi
anticorpi, che si sono rinforzati grazie al Nemesis. Lo
sapevi?” ridacchiò,
inclinando la testa indietro.
Portò
una mano sulla bocca, facendo finta di riuscire
a trattenere a stento le risate. Quell’atteggiamento fu molto
irritante.
Ella poi
riprese a parlare.
“La
tua importanza consiste in questo.
Comprendi?” fece una pausa,
necessaria per mandare nel subbuglio più completo la mente
già devastata di
Jill Valentine.
“Grazie
ai tuoi anticorpi, abbiamo potuto testare il nostro
prodotto ed adesso…oramai siamo vicini a far partire il
nostro piano.”
Come se
già non fosse stata chiara, Excella ribadì ancora
il
concetto, ben attenta a violentare ulteriormente la mente della bionda.
“ Grazie a te,
questo è stato possibile, agente della Bioterrorism Security
Assessment
Alliance.” sogghignò crudelmente.
Jill si
sentì quasi venir meno. Che cosa stava insinuando
quella donna?
Il problema
era che non stava affatto ‘insinuando’.
La stava
rendendo partecipe di quella che era la realtà.
Jill Valentine
aveva permesso il perfezionamento del virus
che ben presto sarebbe stato lanciato sul mercato nero: Uroboros.
Lei che aveva
dedicato tutta la sua vita a combattere il
bioterrorismo… lei che aveva inseguito Wesker, uno dei
maggiori artefici di
tutto questo… adesso aveva fatto parte di quel crudele e
folle progetto, destinato
a condannare nuovi innocenti a quella tremenda sorte.
Gli occhi
della bionda tremarono. Tremarono di paura.
Excella rise,
compiaciuta di averla turbata, ma non era
ancora soddisfatta. Infatti le sfiorò l’orecchio
con le sue seducenti labbra e
vi sussurrò lentamente.
“Esatto.
Grazie a Jill Valentine abbiamo creato Uroboros. Ihihih..!”
rise
fastidiosamente sul suo collo.
A quel punto
si allontanò da lei, continuando a sghignazzare
per conto suo.
“Cosa
credevi? Se Albert ti ha lasciato vivere, è solo per questo. Sei stata
molto utile, mia cara.”
Jill strinse
gli occhi, dovendo lottare contro se stessa per
rimanere immobile.
Che in cuor
suo sapesse che Wesker l’avesse salvata quella
notte per un qualche interesse, questo era scontato. L’aveva
sempre saputo.
Tuttavia i
toni irritanti e provocatori di Excella l’avevano
trafitta, rendendola arrabbiata e vulnerabile.
Ripensò
a quanto era accaduto durante il viaggio che avevano
affrontato nei precedenti due giorni, a se stessa, al capitano che un
tempo
ammirava, a quella prigionia in quel posto malato, ma anche a quando
lui
l’aveva protetta, a quando l’aveva
baciata…
A quel
ricordo, il suo cuore si straziò inevitabilmente.
Non aveva
alcun senso ingannarsi ancora in quel modo.
Sapeva fin
dall’inizio che non poteva sperare di credere a
quegli occhi, a quelle labbra che inspiegabilmente avevano toccato le
sue in un
disperato desiderio di umanità…per questo aveva
deciso di combattere contro i
suoi sentimenti, per seguire la ragione, per seguire il suo istinto di
sopravvivenza, cosciente del fatto che lui non fosse colui che lei
credeva.
Ma
ciò non era stato sufficiente per aiutarla a reggere quel
colpo.
Era tutto
insensato, tutto così privo di congruenza. Ogni
cosa che accadesse fra lei e Wesker, li avvicinava e allo stesso tempo
apriva
una voragine sempre più profonda.
A quel punto,
Jill si sentì soltanto una pedina…egli
l’aveva
usata, ed adesso si ritrovava a far parte di quel complotto senza
neanche poter
reagire.
Anzi…era
stata proprio lei a permettere l’abominio che presto
sarebbe stato scagliato contro l’umanità.
Wesker…possibile
che un solo uomo, un solo nome, potesse
essere l’emblema di un male incontrollabile, che aveva
dannato e stregato non
solo la sua mente, ma anche la sua interra esistenza?
Quell’incubo
avrebbe mai avuto fine?
Si
sentì distrutta dentro, lacerata da quegli ultimi minuti
che, sommati ai mesi trascorsi lì dentro, oramai avevano
straziato la sua
mente.
Avrebbe voluto
urlare, spaccare tutto, uccidere chiunque
fosse lì presente e che collaborasse alla realizzazione di
tale abominio.
Ma non
poteva…non poteva far nulla.
Doveva quindi
sforzarsi di rimanere calma e cosciente quanto
più possibile, se voleva ancora combattere.
Non avrebbero
fatto di lei un giocattolo, non doveva
permetterlo.
In
quell’istante comprese che tutto dipendeva da lei.
Aveva scoperto
di avere relativamente ancora controllo di
se, essendo riuscita a respingere in parte gli impulsi del P-30.
Doveva dunque
essere forte e giocarsi il tutto per tutto, anche
a costo di assecondare quelle persone prive di scrupoli pur di venire a
capo di
quel piano.
Il suo
obiettivo era uno: distruggere il progetto Uroboros;
e aveva una sola possibilità per farcela:
La sua unica
speranza…era riuscire a contattare Chris
Redfield, in qualche modo, e smontare così
quell’orrendo e diabolico piano, ove
un nuovo virus era pronto per essere diffuso nel mondo.
Solo non
sapeva che era oramai troppo tardi.
Intanto,
Excella Gionne riprese ad osservarla. Appoggiò la
penna che aveva in mano sulle labbra, riflettendo su qualcosa.
Poi,
d’improvviso parlò.
“Vuoi
vederlo? Il virus…Uroboros.” sorrise.
Jill, seguendo
lo sguardo di Excella, si accorse del vetro
posto infondo alla stanza.
Si
voltò appena e, quel che vide, non erano che i suoi
orrori tornati a perseguitarla ancora una volta.
***
Salve a tutti!^^
Lascio giusto
qualche
pensiero post capitolo!
Come avrete
notato, il
capitolo è diviso in due
fasi: l’abbandono dell’isola e la visita
al
cimitero; poi il rientro nella Tricell, nella sede di mia invenzione.
Riguardo la prima
parte, era importante per me chiudere la parentesi lasciata aperta
nello scorso
capitolo. Ovvero concetti concernenti la morte, la fragilità
della vita, ma
anche l’ambiguo e contrastante rapporto che vige fra i due
“antagonisti”.
Le parole di Jill
spero vi colpiscano, perché racchiudono quel che io penso su
di loro:
“In
teoria…tuttavia
dovrebbe essere un’altra vita, Wesker. Perché
tornerei comunque a cercarti, per
fartela pagare.”
Entrambi sono
intrappolati in un dramma senza via d’uscita. Da una parte il
desiderio di
buttarsi tutto alle spalle, ma anche
l’impossibilità di farlo, intrappolati in
un rapporto che esiste proprio per quel che è successo fra
loro.
In
un’altra vita si
sarebbero amati? Probabilmente no…perché
sarebbero state altre persone.
Se si lasciassero
tutto alle spalle, potrebbero ricominciare le loro vite?
No…perché entrambi
tornerebbero sui propri passi, ormai impegnati anima e corpo nella loro
lotta
personale.
Un rapporto che,
dunque,
quando trova i suoi punti di unione?
Quando
abbandonano per
un istante loro stessi…prima di ricordare cosa sono davvero.
E’
questa la
drammaticità del loro rapporto intrigante e crudele.
Desideravo
inoltre riuscire
ad inserire nella mia fanfiction la famosa tomba di Jill, che per mesi
ha
allarmato quasi tutti i fan di resident evil.
Gli spunti dello
scorso capitolo mi hanno aperto le porte a questa scena, permettendomi
di
collegarmi ai pensieri di Wesker sulla morte stessa, anticipati nello
scorso
capitolo.
Voglio riportarvi
una
mia convinzione:
Io sono del
parere che
Wesker abbia pianificato la sua morte stessa in re5.
Quindi nella mia
fanfiction egli spesso pensa a questo tema, rendendosi conto quanto
questo
destino sia vicino persino a uno come lui…
A tal proposito
la
citazione di Macbeth, opera teatrale di Shakespeare, è
voluta proprio per
sottolineare alcuni temi.
Un po’
come
apprendiamo dallo studio del pessimismo cosmico di Leopardi, la vita
non è
altro che un cammino verso una tomba…verso quella morte
polverosa recitata anche nei
versi di Shakespeare.
Questa
realtà comincia
a colpire persino Wesker, colui che si è eretto a dio di
questo mondo.
Egli sa, da
scienziato, che non potrà sottrarsi a questo destino, dunque
comincia ad
elaborare la sua morte più di quanto un occhio esterno
potrebbe comprendere…e
questo sarà un tema che sarà ripreso nei capitoli
a venire. Perciò non mi
dilungo, preferisco farlo tramite la mia fanfiction.
Una piccola
curiosità,
ero davvero indecisa sulla scelta del brano da far recitare a Wesker.
E’
stato molto faticoso scegliere!
Alla fine,
l’indecisione era caduta su due brani: Macbeth (scenaV,
attoV) di Shakespeare, e un pezzo tratto
dall’Elegia di Thomas Gray. Questo:
“ ‘ Chi mai, in
preda al silenzioso Oblio, ha rinunziato al
proprio caro trepido essere, e ha lasciato i caldi confini ridenti
della vita,
senza un lungo
sguardo di brama e di
rimpianto?
L’anima che se ne va, si
affida a qualche petto affettuoso
e gli occhi che si spengono chiedono qualche pia lacrima. Anche dalla
tomba
grida la voce della Natura. Anche dalle nostre ceneri vivono le
consuete
fiamme.’ ” (Thomas Gray- Elegia)
Erano entrambi
brani
che si adattavano al contesto e a ciò che volevo
trasmettere, ma la musicalità
dell’opera di Shakespeare, nonché la sua
drammaticità, l’ho vista più adatta
per essere recitata da Wesker, che tra l’altro vedo bene ad
interessarsi di
letteratura/poesia/opera.
Stranamente ho
scelto
questo pezzo di Macbeth (non ridete) per via di un episodio dei The
Simpson. xD
Io conosco
praticamente gli episodi a memoria, li adoro! xD Ne “La paura
fa novanta”, c’è
una scena in cui Homer recita esattamente questo pezzo, e mi è rimasto
dentro.
Me ne sono
ricordata
subito, quando ho deciso che volevo che Wesker recitasse qualcosa.
Torniamo alla
fanfic,
ora!^^
Nella seconda
parte
della fanfiction, Wesker e Jill tornano dopo due giorni nella Tricell,
ma
attenzione!
Vi è
una differenza
sostanziale nella storia:
Dapprima, Jill vi
era
come cavia, come semplice prigioniera ignara di ogni cosa, arrabbiata e
frustrata.
Adesso lei,
seppur
sotto il controllo del P-30, ha un
più ampio quadro della situazione. Seppur ancora
prigioniera, è pronta a combattere e decisa a usare le sue
carte in modo più
ragionato. Nonché il suo coinvolgimento, che è
ancora maggiore essendo venuta a
conoscenza di cose su Wesker che mai avrebbe pensato di conoscere.
Adesso
è più partecipe
ai complotti di Wesker ed Excella, che la tengono soggiogata a loro.
Ci tengo a
precisare
che il marchingegno sul petto di Jill non è ancora quello
che avrà in re5. Non
è così potente come quello. E’ un
particolare che ci tengo a precisare.
Eh…..*sospiro*
…Sembra
strano a
dirsi, eppure lentamente già da questo capitolo sto avviando
la mia fanfiction
al finale…ovvero l’inizio di resident evil
5…
Il punto di
arrivo
della mia fanfiction sarà infatti resident evil 5, quindi mi
muoverò in quella
direzione, mostrandovi come secondo me sono andate le cose. Ovviamente
nella
mia interpretazione personale WeskerxJill.
Ci sono ancora
diversi
capitoli che mi separano dall’ending, eppure già
con questo capitolo mi sono voluta aprire
alcuni spiragli che più avanti mi serviranno.
Questa fanfiction
l’ho
studiata molto, capitolo per capitolo, in quanto volevo realizzare al
meglio il
tema della prigionia di Jill che in re5 non è mostrata, in
una chiave
WeskerxJill ripeto.
Anticipo che il
prossimo capitolo sarà un
po’…ehm…diverso dagli altri xD
Vedrete!
Spero che le
scene
introspettive di questo capitolo vi piacciano e vi comunichino quel che
io
sento.
Grazie a chi mi
segue
e mi recensisce…un grazie infinito!! <3
|
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Capitolo 12 *** Capitolo 12: donna diabolica ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 12
Jill, assorta
nei suoi pensieri, pianificava un modo per
riuscire a smontare quel pandemonio che ben presto Wesker avrebbe
scatenato.
Le carte a suo
favore erano poche. L’autonomia che le
restava era minima.
Poteva ancora
muovere il suo corpo e formulare pensieri propri,
tuttavia era ancora estremamente soggiogata dal P-30.
Quel che le
rimaneva, era dunque riuscire a conservare il
suo intelletto quanto più possibile, in modo che non potesse
essere usata in
quel piano malvagio.
Nessuno doveva
accorgersi di quel briciolo di autonomia che
le rimaneva.
Non avrebbe
potuto far nulla, ma poteva almeno scoprire
quanto più possibile su quel virus, così da
ottenere utili informazioni da
inoltrare alla B.S.A.A. e a Chris Redfield.
Doveva solo
attendere pazientemente la sua occasione.
D’improvviso,
la succinta donna vestita di bianco le si
avvicinò, con quel suo atteggiamento intrigante e crudele.
Le parlò con
schiettezza, senza neanche considerare la bionda Jill come un possibile
pericolo, ben conscia del suo potere.
“Vuoi
vederlo? Il virus…Uroboros.”
Disse
deformando le labbra in un sorriso provocante,
piegando appena la testa all’indietro, come trattenendosi dal
piacere di
tormentarla.
Portò
la penna stilografica sulla bocca e la mordicchiò
appena, muovendosi come se stesse nel pieno di un servizio fotografico.
Quella
situazione la stava divertendo. Ella godeva del fatto
di poter torturare la bionda prediletta di Wesker, così
continuò a trafiggerla
con i suoi occhi color del ghiaccio.
Jill, dal
canto suo, aggrottò le sopracciglia. Lì per
lì non
comprese la proposta della donna. D’improvviso si accorse che
la bruna stava
puntando il suo sguardo alle sue spalle, così la bionda si
voltò e si accorse
in quel momento di un vetro dalla forma circolare posto in fondo al
laboratorio, ove era tenuto prigioniero un uomo dalla pelle
bianchissima.
Jill strinse
gli occhi.
Sembrava
morto, eppure era seduto perfettamente in
equilibrio su uno sgabello.
Era
quello…l’Uroboros?
“Ora
inizia il bello. Preparati.” Pronunciò Excella
abbracciando i gomiti e osservando tranquilla la scena.
Infatti, dopo
pochi istanti, qualcosa dal corpo di
quell’uomo parve muoversi sotto pelle.
Era come se
qualcosa gli scorresse dentro le vene,
cominciando a farlo contorcere. L’ex agente STARS non
riuscì a comprendere se
quella cavia fosse viva o fosse morta, ma quel contorcimento, e il
fatto che i
suoi occhi si spalancassero, la mandò in panico.
Era davvero
una cavia umana…viva?!
Indietreggiò
appena, sconvolta, mentre l’uomo cadde a terra.
Egli batté appena sul vetro e in quel momento un liquido
nero fuoriuscì dai
suoi occhi.
Le pupille di
Jill si strinsero, mentre il suo sguardo
diveniva sempre più sgomentato. Il P-30 fece in modo che non
potesse muoversi, ne
urlare, ne distogliere lo sguardo. Ma non poté impedirle di
inorridire a quella
visione.
Jill
notò poi che quella materia che fuoriusciva dal suo
corpo non era una semplice melma nera. Neppure lacrime. Quella strana
roba
scura era…dei vermi?
Disgustata,
sentì il suo stomaco in subbuglio. Come faceva
invece quella gente attorno a lei ad essere così
impassibile?!
La cavia
presto fu ricoperta quasi interamente da questi
esseri striscianti e scuri. All’improvviso, questi
cacciò un urlo, e dalla sua
bocca apparve un fiore dalle enormi fattezze.
Si
scaraventò contro il vetro, oramai fuori controllo. I
suoi occhi erano girati al contrario, ed oramai era troppo tardi per
lui.
Uroboros era
entrato nel suo corpo e si era mischiato con il
suo dna.
La scena fu
straziante.
“Peccato
tu abbia potuto assistere soltanto alla
trasformazione di un ospite incompatibile. Tuttavia, Uroboros
è fenomenale. Una
vera potenza.”
Come…come
poteva dire una cosa del genere?
Si rendeva
conto, anche solo lontanamente, di quelle parole?
Era folle.
Completamente folle.
Excella
cominciò a ridere.
“Dovremmo
ringraziarti sai? Senza di te, non avremmo avuto
questo successo…”
Perché
non la smetteva di torturarla in quel modo? Non ne
poteva più!
Basta!!
Jill
digrignò appena i denti, mentre Excella la costrinse ad
assistere a quell’abominio senza darle alcuna
possibilità di scelta.
“La
pagherete…!!”
All’improvviso
il telefono cellulare di Excella suonò. Ella
lo estrasse velocemente dalla borsetta dorata e lo portò
all’orecchio.
“Albert!
Finalmente, volevo parlarti. L’esperimento qui
ha…”
Wesker la
interruppe. “Vediamoci qui fuori.” disse lui
glaciale senza ascoltarla nemmeno.
“D’accordo.”
sorrise invece lei radiosa, ma ben presto il
suo entusiasmo fu smorzato dal seguito della frase dell’uomo
dagli occhiali
scuri.
“Porta
anche Jill.” concluse infatti lui, riagganciando il
telefono.
“Cosa?!”
Excella digrignò i denti adirata. “Tsk! Non sei un
uomo galante, Albert Wesker!!”
Gettò
il cellulare nella borsetta e girò i tacchi, uscendo
così dal laboratorio. Soltanto sull’ultimo, si
voltò verso Jill.
“Ehi,
vuole vedere anche te!” detto questo, girò
energicamente
la testa e uscì.
“Albert,
dimmi.”
Chiese Excella
raggiungendo Wesker fuori dal laboratorio. I
due si erano dati appuntamento nei
pressi del giardino interno dell’edificio.
Wesker, col
suo aspetto imponente e fiero, era lì ad
attenderla con le braccia incrociate. Si girò verso Jill,
che era appena dietro
la bruna, poi tornò alla domanda di Excella.
“Abbiamo
concluso. Partiremo per Kujuju nel giro di quarantotto
ore.”
“Davvero?
Oh, ne sono felice! Nella mia sede sarà tutto più
comodo.”
Esclamò
lei entusiasta, avvicinandosi a lui e sfiorandogli
appena il viso con la sua curata e candida mano. Tuttavia
l’uomo la respinse,
rifiutando quei gesti affettuosi che la donna rivolgeva senza
inibizioni nei
confronti di chiunque.
“Non
è per questo che ti ho chiamato.” disse non
scomponendosi.
“No?”
“Ho
deciso che sarai tu ad occuparti del trasferimento dei
dati raccolti in quest’ultimo mese. Compresa Jill
Valentine.”
A quelle
parole, Excella sbandò.
“Aspetta.
Cosa vuoi dire, Albert?”
“Uh?”
Wesker abbassò il viso verso di lei. “Non hai
capito?
Jill è tutta tua. L’affido a te.” disse
con fare fastidiosamente ovvio.
La bruna
sgranò gli occhi del tutto contrariata.
“Ma,
Albert! Io speravo che…”
“Non
posso dedicarti altro tempo, Excella, devo andare.
Suppongo potremmo rivederci stasera dopo le ventidue. Mi
raccomando.” pronunciò
velocemente sbirciando l’orologio, non curandosi minimamente
di lei.
Infilò
intanto il lungo cappotto scuro che aveva poggiato
sul braccio, e mentre fece per sollevare il colletto,
osservò un’ultima volta
Jill.
“Ciao,
Jill.”
Aggiunse, con
una strana e irriverente confidenza, sparendo
poi dalla vista delle due donne inoltrandosi nel corridoio.
Jill rimase
perplessa, sentendo la pelle d’oca di fronte
a quel curioso modo di fare di Wesker.
Non poteva
esserne sicura, ma ebbe l’impressione che l’avesse
salutata per dispetto.
Non lo credeva
così infantile.
Excella, dal
canto suo, batté un piede a terra, irritata.
“Ed
io di che me ne faccio?!” sbuffò.
La bionda la
guardò come per dirle che la cosa fosse assolutamente
reciproca. Era abbastanza irritante anche per lei avere a che fare con
quella
donna.
Ad un certo
punto, Excella abbozzò un ghigno, che si fece sempre
più maligno.
“Ih,ih,ih.
D’accordo, Albert. L’affidi a me?
Benissimo.” sogghignò.
“Seguimi, Jill Valentine.”
Jill
s’inquietò a quelle parole. Le donne potevano
essere
molto temibili.
Dove la stava
portando?
Non fu in un
laboratorio, né in una stanza delle torture, e
neppure in una piccola e lurida gabbia.
Jill non si
sarebbe mai aspettata che, invece, Excella
l’avesse portata nel suo appartamento.
Perché?
Persino lei,
che non era certo una mente diabolica come
loro, aveva pensato che l’avrebbe torturata, umiliata in
qualche esperimento…o
qualcosa di simile.
Forse aveva
passato troppo tempo con Albert Wesker…
Tuttavia, che
Jill anche nella sua vita privata fosse una
donna fuori da ogni canone, era risaputo.
Anche per lei,
oramai era diventato normale pensare sempre
in termini di guerra.
Vide la bruna
aprire l’armadio e buttare all’aria alcuni vestiti.
“Forza,
indossa questi. Non posso andare in giro con una
persona vestita con una tuta integrale di pelle!” disse
porgendole una camicia
di raso e una gonna coordinata.
Jill prese gli
indumenti e si chiese per quale motivo
dovesse indossarli. Rimase ad osservarla non potendo dir nulla per via
del
P-30, così fu Excella a prender parola.
La bruna,
infatti,vedendola in piedi vicino a lei,
completamente immobile e spaesata, si esasperò.
“Cosa
fai ancora lì?!” disse sgarbatamente, poi
comprese.
“Oh, giusto... il P-30.”
Riformulò
dunque l’ordine da imporle.
“Puoi
parlare, se vuoi. Ma ricorda che sono la tua padrona,
dunque dovrai rimanere sottomessa.”
Jill fu dunque
costretta a mostrarsi rispettosa di lei,
tuttavia potette almeno finalmente parlare.
“Dove
andiamo?” chiese.
“In
centro. Ho voglia di fare due passi, e poi ho un
appuntamento per una manicure. Già che ci sono, compreremo
anche qualcosa.” spiegò
e Jill quasi sbandò a quelle parole.
Poco prima
avevano visto un uomo morire per via di Uroboros,
ed adesso… uscivano per fare compere?
Rimase
scioccata di quanto potessero essere insofferenti le
persone legate a quel diabolico e crudele mondo. Potevano davvero
reggere così
facilmente i loro crimini?
Excella
sembrava davvero tranquilla, intenta unicamente a
scegliere cosa indossare.
Tutto
ciò era davvero riluttante.
Non poteva
credere a un’indifferenza simile, eppure lei era
totalmente disinvolta in quel che faceva... ciò fu molto
strano ed angosciante
da assistere.
Una volta
pronte, le due presero un elicottero, e in breve
tempo arrivarono all’aeroporto di una città in
pieno movimento.
Excella
indossava un completo color glicine, corredato di
cappello stile anni cinquanta.
Ella camminava
ad agio, con i tacchi che slanciavano la sua
figura. Appena dietro di lei, Jill reggeva la sua borsa. La
guardò quasi
nauseata di essere a fianco una donna tanto appariscente e crudele.
La bruna si
prese tutti i comodi nell’occuparsi delle sue
faccende.
Stettero,
infatti, quasi un’ora dall’estetista, e dovette
sorbirsi Excella mentre si faceva dipingere le sue preziose unghie.
Nonostante
fosse una donna anche lei, Jill non poté che
sentirsi veramente annoiata di sottostare a quel tipo di
mercé davvero ridicola.
Excella
passò tutto il tempo a pettegolare con le altre
clienti che neanche conosceva, parlando con una nonchalance e con una
cordialità tale che nessuno avrebbe mai potuto credere che
ella fosse una delle
menti che stavano lavorando al progetto che voleva lanciare sul mercato
un
nuovo e calamitoso virus.
Una volta
fuori, si voltò verso Jill, che si teneva a
distanza da lei. Il suo solito viso era vago e inespressivo per via
della
sostanza somministratole.
Excella
sbuffò vedendola così, come se non sapesse
perché lei
non potesse esprimersi. Inaspettatamente, si affiancò a lei
e passò un braccio
attorno al suo, mettendosi a braccetto.
Jill la
guardò attonita.
“Non
siamo amiche, sia chiaro. Ma per chi ci guarda, sarebbe
strano vederti come un Frankenstein dietro di me. Dunque sorridi e
cerca di non
farmi sfigurare.”
La bionda
sgranò gli occhi, chiedendosi di cosa diavolo
stesse parlando.
Fu abbastanza
ridicola per lei quella situazione.
Sembravano le
tipiche amiche in giro per i negozi, soltanto
che, nel suo caso, era costretta a mostrarsi partecipe per via di una
sostanza
diabolica, creata per sottomettere la sua volontà.
Non certo
ideata per quel tipo d’impiego.
Si chiese
Wesker cosa avrebbe pensato se l’avesse saputo.
“Dunque,
Jill…quanti anni hai?” chiese
all’improvviso
Excella, poi subito si spiegò. “E’ tanto
per fare conversazione, cosa credi.” si
giustificò, esibendo un sorriso finto da rivolgere a chi
incrociasse per caso
la sua figura.
Excella doveva
tenerci molto a come appariva, sembrava quasi
una di quelle dive che si mostravano sempre belle e sorridenti in
pubblico.
Ma
cos’era? Era un gioco per lei?
Nonostante
assalita dall’irritazione, dovette comunque rispondere
a quella domanda.
“Trentadue…ehm…trentatré.”
si dovette correggere. Doveva ancora
abituarsi all’idea di aver dormito per un anno intero.
Excella
divagò con gli occhi, poi riprese a parlare con fare
confidenziale. Fu forse in quel momento che Jill costatò che
la bruna doveva
essere molto più giovane di quanto sembrasse. Il suo
atteggiamento, infatti,
più che di una donna, sembrava essere quello di
un’adolescente.
“Sei
fidanzata, sposata…a parte la BSAA, cosa fai nella
vita?” le chiese infatti, senza troppo riguardo.
Jill
trovò assurda quella domanda. Cosa significava “a
parte
la BSAA”?
La BSAA
rappresentava tutta la sua vita.
Quando avrebbe
mai potuto dedicarsi ad altro?
Inoltre,
perché avrebbe dovuto condividere con lei la sua
vita privata!?
Anche se ne
avesse avuta una, certo non si sarebbe lasciata
andare in quel modo, magari per vedere lese le poche persone a lei
care.
Certo,
però… che quella domanda la indusse a riflettere.
Pensò
a quante sue coetanee avevano una vita ben diversa
dalla sua, magari con una famiglia, degli amici…
…ma
per lei non era mai stato così.
Non era mai
stata una ragazza troppo sentimentale e fin da
giovanissima aveva scelto la carriera militare che era molto
più vicina al suo
modo di vivere.
Dunque, non
conosceva le frivolezze tipiche di
un’adolescente, né le era mai importato.
Tuttavia
quella consapevolezza mosse qualcosa dentro di lei,
facendole accorgere sempre di più di quel che aveva perduto
e che mai più
avrebbe ritrovato.
Infatti, a
ferirla non era tanto il fatto di essere o no una
ragazza spensierata, un soldato, una moglie, o chissà
cosa… quel che la lacerò,
in quel momento, fu che non aveva avuto la possibilità di
scegliere.
Il destino
aveva scelto per lei. Un destino nero, dagli
scarlatti occhi crudeli…
Excella storse
il naso a quel silenzio, ma in qualche modo
comprese perché ella tacesse in quel modo. Quindi
puntò la sua attenzione
altrove, sbirciando le vetrine dei negozi.
All’improvviso
quasi strattonò Jill, quando vide su un
manichino un completo a lei molto gradito.
“E’
delizioso!” squittì eccitata.
Jill
guardò subito il prezzo, più che il vestito.
Era una cifra
veramente folle, e stava guardando soltanto quello
della gonna. Se vi addizionava anche quello della giacca, maglia e
scarpe, le
venne quasi il voltastomaco.
Lei non si
sarebbe mai neanche lontanamente avvicinata a un
negozio come quello.
Excella invece
sembrava entusiasta.
“Voglio
provarlo.” annunciò, e trascinò dentro
Jill.
La bionda
assisté almeno a dieci cambi d’abito della donna,
che sfilò per il negozio esibendosi senza remore.
“Non
so proprio scegliere. Sono tutti stupendi! Certo che mi
sta bene qualsiasi cosa. Vorrei sapere come fanno certi uomini a non
desiderarmi.”
Quel ‘certi
uomini’
attirò la sua attenzione. Stava parlando di Wesker?
“Tsk!
Se ne pentirà un giorno.” farfugliò
ancora,
compiacendosi allo specchio. “Giuro che, secondo me, ci tiene
più al gel o agli
occhiali che a questo fiore di donna.”
A Jill
scappò un sorriso.
Seppur
l’avesse pensato, non aveva mai sentito parlare di
Wesker in quel modo.
Stette ad
ascoltare la bruna, che intanto cambiava un abito
dopo l’altro, chiedendosi se davvero lo conoscesse.
In fin dei
conti, da quel che lei sapeva, Wesker non aveva
mai avuto degli ‘amici’ , o anche dei semplici
conoscenti, neanche ai tempi
della STARS. Dunque fu una situazione nuova per lei, che in qualche
modo la
divertì, facendola allontanare dai suoi pensieri cupi e
devastanti, seppur per
poco.
“Viaggia,
si allena, studia, cura il suo prezioso lavoro, il
suo savoir-faire…ma
non se ne fa nulla della sua potenza e
intelligenza se non sa come conquistare una donna!”
Continuò
intanto, non tenendo per nulla a freno la
lingua.
Si
rivolse poi a Jill.
“Sai
che ti dico? Io compro tutto. Alla faccia sua!”
proclamò e tornò nel camerino per svestirsi.
“Uh,
uh, uh… un piccolo dispetto che a lui non costerà
nulla. Peggio per lui che mi crede così stupida.”
“Di
cosa…sta parlando, Miss Excella?” chiese Jill,
dovendo assumere
un tono molto formale con lei per via del P-30.
Excella si
affacciò dal camerino e consegnò alle sottili
braccia della bionda gli ingombranti abiti che avrebbe acquistato.
“Semplice:
questo è il regalo che mi ha fatto Albert per
farsi perdonare.”
“C-cosa?”
esclamò di getto.
Excella rise
diabolicamente e, mentre si avvicinò alla
cassa, estrasse una carta di credito dal portamonete in peluche,
ricoperto di
pailette.
“Questa
è la sua carta di credito, tesoro.”
specificò
infine.
Mostrò
la carta trionfante, lasciando Jill sempre più
sgomentata.
La commessa la
fece scorrere nell’apparecchio apposito, ed
Excella tirò su un sospiro di piacere.
“Oh,
sì…sento di averlo perdonato, ora.”
disse, portando una
mano al petto.
Jill scosse la
testa non potendo credere a quel che stava
vedendo.
Excella aveva
trafugato la carta di credito di Wesker, e a
sue spese aveva comprato tutti quegli abiti costosi?
Fu una scena
molto divertente, seppur in cuor suo le
dispiacesse un po’ per Wesker.
Poverino…non
credeva avrebbe mai potuto pensare una cosa
simile.
“Oh,
aspetta!” disse all’improvviso Excella prima di
uscire
dal negozio.
Osservò
un espositore di occhiali da sole, ove erano
sistemate lenti dai colori e dalle forme più bizzarre.
Jill vide la
bruna afferrarne un paio. A quel gesto, si
voltò di scattò verso di lei e la
guardò come per chiederle se li avrebbe
acquistati sul serio.
Il modello
che, infatti, la donna aveva fra le sue mani era
blu, pieno di brillantini, e a forma di stella.
“Gli
piacciono tanto gli occhiali, ed è giusto che, essendo soldi
suoi, gli prenda almeno qualcosa.” Spiegò
canzonatoria e si fece fare un bel
pacchettino.
Inutile
specificare che l’ex agente STARS rimase esterrefatta
ancora una volta.
Era davvero un
regalo quello…o era piuttosto un ennesimo
dispetto?
Mentre
uscirono dal negozio, questa volta definitivamente, Jill
rifletté sul fatto che non avesse effettivamente mai fatto
shopping in vita
sua.
In effetti,
era più solita fare altro tipo di acquisti.
L’unico
shopping che conosceva era quello in compagnia di
Chris nelle armerie, il che non era proprio la stessa cosa. Anche se
era
ugualmente divertente.
Comunque,
poté dire, in conclusione, che fu piacevole essere
uscita con Excella.
Forse,
più che uscire con lei, era stato bello allontanarsi
un’ultima volta da quel contesto malsano; quel credere per
poche ore che
esistesse ancora una vita normale per lei…
Tuttavia
doveva tornare preso alla realtà, perché bastava
riguardare se stessa per ricordare di essere prigioniera.
Per quanto
potesse abbandonare tutto, non sarebbe mai
riuscita a smettere di combattere.
Non poteva
dimenticare chi fosse Excella, né che l’avesse
portata unicamente per indispettire Wesker.
Rientrare nei
laboratori sarebbe stato angosciante, adesso.
Probabilmente
era stato ingenuo da parte sua sottovalutare
la donna a tal punto. Ella le aveva mostrato come aveva potuto renderla
la sua
schiava senza alcun problema, costringendola persino a fingersi una sua
‘amica’.
Il tutto con una semplicità e una disinvoltura che adesso la
stava spaventando.
Che fosse stata una messa in scena o meno, quel che fece battere il
cuore
angosciato di Jill fu quella sensazione di impotenza, ove solo la sua
sanità
mentale avrebbe potuto aiutarla a non soccombere del tutto.
Punita
nuovamente dalla sua mente, rievocò quel che era
accaduto in quella stessa giornata. Quella cavia morta in laboratorio,
probabilmente
così simile a lei…
Notare,
infatti, come la bruna, fuori o dentro quei
laboratori, fosse sempre la stessa, le trasmise un senso di disturbo
che non riuscì
a scacciare.
Jill
cominciò a guardare la giovane Excella Gionne con occhi
completamente diversi.
Lei stessa
doveva essere impazzita a furia di vivere in quei
laboratori… oppure il suo concetto di umanità non
esisteva per nulla.
***
Erano passate
le dieci di sera.
Albert Wesker
era da poco rientrato nei laboratori Tricell.
Aveva
un’aria stanca, ma nessuno sapeva dove fosse stato.
Portò
una mano sui capelli biondi, sistemandoli indietro,
poi sfilò la giacca scura, poggiandola sul divano.
Si sedette e
rimase in silenzio, nel buio della sua stanza.
Sebbene
desiderasse rilassarsi, questo termine era
sconosciuto alla sua mente, che prese invece da sola a far mente locale
sui
preparativi per il suo imminente viaggio per l’Africa.
Gli rimanevano
ancora un paio di faccende da sbrigare, vi avrebbe
però provveduto l’indomani. Portò le
dita sull’imboccatura del naso,
massaggiandosi.
Egli si
confuse nell’oscurità assoluta, illuminato appena
dai raggi lunari che filtravano dalla grande vetrata al suo fianco.
Lo squillare
del telefono tuttavia interruppe quel suo raro
momento di pace.
Prese la
cornetta svogliatamente e la poggiò all’orecchio.
“Sì?”
“Volevamo
informarla che la dottoressa Gionne è appena
rientrata nella sua stanza.”
Wesker chiuse
il telefono, attendendo quella telefonata già
da un quarto d’ora.
Osservò
l’orologio e si sorprese che fossero già le
undici.
Dove diavolo era stata quella donna tutto quel tempo?
Seppur fosse
visibilmente stanco, doveva tuttavia
assicurarsi che Excella non avesse combinato nulla, e soprattutto che
Jill
fosse ancora con lei.
Così
uscì dal suo appartamento e si diresse nella camera
della bruna.
Il rintocco
delle sue nocche risuonò inquietante nella
stanza di Excella Gionne, la quale aveva appena messo a posto i vestiti
comperati.
Ella sciolse i
capelli, massaggiandoli e sistemandoli sulle
spalle, poi ad agio aprì la porta.
“Buonasera,
Albert.”
Disse
serenamente, e gli fece segno di accomodarsi.
Wesker non si
fece troppe remore e cercò subito Jill con lo
sguardo.
Si sorprese di
vederla truccata, con i capelli biondi sulle
spalle, una camicia di seta rosa, una gonna e i tacchi.
Rimase a
scrutarla appena dalle lenti scure, e persino Jill
sembrò volergli dire che non era dipeso da lei quel suo modo
di essere vestita.
Wesker
inclinò la testa, poi si rivolse ad Excella.
“Mi
hanno riferito che sei uscita portando Jill con te.”
“Sì,
con ciò? Non l’avevi affidata a me?”
Wesker
corrucciò appena la fronte, trovando inconcepibile
quanto fosse ottusa quella donna.
“Ti
ricordo che la credono morta, e finché posso, vorrei che
passasse più inosservata possibile.” la
rimproverò.
Excella mise
le mani sui fianchi e divagò con gli occhi,
infastidita, poi non curante se ne andò nella sua camera da
letto.
“Sapevi
che dovevo andare in città. Avevi detto che mi
avresti accompagnata.” disse fermandosi sul ciglio della
porta.
Wesker
alzò le spalle.
“Ad
ogni modo, elabora un abbigliamento che possa
mascherarla. A Kijuju l’invieremo per alcune spedizioni e
voglio evitare che
qualcuno ci intralci, riconoscendola.”
Excella
poggiò una mano sulla porta e lo guardò saccente.
“Oh,
intendi che vuoi fare uno scherzetto al tuo caro amico,
Chris Redfield?” disse pungente, consapevole di aver
scagliato una freccia
potente contro Wesker e la bionda.
Jill, infatti,
sbandò a quella costatazione detta così
d’improvviso.
Temeva il
giorno in cui avrebbe sentito parlare di Chris. Sapeva
che sarebbe successo…
Attese dunque
cosa Wesker avrebbe risposto, spaventata.
Dal canto suo,
l’uomo vestito di nero rimase impassibile. Portò
poi una mano dietro le spalle di Jill, invitandola a seguirlo.
Fece
così per abbandonare la stanza, ignorando completamente
quella domanda.
Vedendolo
andare via così velocemente, Excella sorrise
velatamente.
Poco dopo,
poi, gli corse incontro e gli allungò inaspettatamente
un pacchetto e una carta di credito.
“Tieni
e grazie.” disse.
Wesker
guardò prima il pacchettino dalla forma rettangolare,
poi la carta di credito, che riconobbe essere la sua.
Sembrava
perplesso, sebbene la sua espressione fosse celata
dagli occhiali.
“Non
ricordavo di avertela data.” disse, ed Excella
ridacchiò.
“Ah,
no? Beh, spero che il mio regalino ti piaccia.”
Esclamò
entusiasta, poi chiuse la porta, lasciando Wesker e
Jill fuori dall’appartamento.
Wesker
osservò di nuovo il pacchetto.
Se Jill non
fosse stata sotto l’effetto del P-30, avrebbe
già cominciato a ridere.
Si
rimproverò di pensare una cosa simile in quel momento,
quando avrebbe dovuto preoccuparsi ben di altro. Tuttavia quella scena
fu
irresistibile.
L’uomo
scartò appena la carta, e in un primo momento non
sembrò turbato. Forse l’idea di ricevere un
ennesimo paio di occhiali da sole non
lo disturbava affatto, anzi.
Tuttavia la
sua espressione mutò di colpo quando aprì il
cofanetto, e vi trovò dentro quelle lenti sgargianti a forma
di stella.
Wesker non fu
mai più serio come in quel momento.
Era un uomo
glaciale di suo, per cui dire che fosse persino
peggio, significava molto.
Egli
guardò prima l’oggetto e poi Jill, per poi
nasconderlo
nella giacca e rigare dritto verso la sua stanza.
Jill non
riuscì a trattenere il sorriso.
Costatò
che Wesker non era un uomo capace di stare agli
scherzi, dato come l’aveva presa seriamente.
Anche se
quella reazione fu esilarante da vedere a occhio
esterno.
Tuttavia
dovette affrettarsi per stargli a passo, così lo
raggiunse e presto fu di nuovo dietro di lui.
***
Okay, lo ammetto!
xD
Con questo
capitolo mi
sono voluta lasciare un po’ andare a quell’aspetto
un po’ più quotidiano, un
po’ più comico, che nella mia mente spesso la fa
da padrona quando amo una
storia.
In
verità, però, la
sussistenza di questo capito, un po’ ‘fuori
luogo’ a un primo sguardo, è invece
ben ponderata.
Mi spiego.
Quel che volevo
mostrare era un qualcosa di inquietante, a mio modo di vedere.
Ovvero come la
crudeltà di quel che avviene nel contesto di resident evil,
avviene con una freddezza
tale che diviene quasi la “normalità”.
Excella in questo
capitolo è stata la portavoce di questo concetto.
Approfittando del
suo
carattere scaltro, glaciale, affascinate, eppure infantile, ingenuo e
civettuolo, ho potuto mostrare la riluttanza del mondo in cui vivono
persone
come lei.
La mattina uccide
un
uomo, una cavia, a sangue freddo, e poche ore dopo passeggia fra le vie
di una
cittadina, che potrebbe tra l’altro essere, un domani, un suo
possibile target
per diffondere Uroboros…
La contraddizione
di
contesti simili, eppure miscelati normalmente nella sua vita
quotidiana, è un
concetto inquietante e disturbante.
Il mio intento
dunque
era creare questa atmosfera agro-dolce, che divertisse, ma inquietasse
allo
stesso tempo. Spero di esserci riuscita.
Un ultimo appunto
da
fare.
In questo
capitolo si
è mosso un altro tassello verso RE5, ovvero Jill come
“il pupazzo di Excella”,
come dice Irving in una scena del gioco.
Per questo ho
fatto
affidare Jill ad Excella.
Volevo
evidenziare
questo passaggio, che per me è importante dato che,
ripeto…mi sto avvicinando
al finale, ovvero a resident evil 5, quindi queste sono sfumature che
mi preme
vengano colte.
Grazie mille a
chi mi
sta seguendo! Fatemi sapere cosa pensate di questa storia, ne sarei
davvero felice.^^
Un grazie
speciale ad
Astarte90 soprattutto, per le sue recensioni così articolate
e sentite,
soddisfacenti e lusinghiere per chi come me scrive volendo comunicare
vivamente
quel che crede, e lo fa con passione, lavoro e dedizione. Thanks!
<3
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Capitolo 13 *** Capitolo 13: l'ultimo residuo di umanità ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 13
Qualunque
cosa tu
stessi cercando, non l’avresti mai trovata. Questo
perché avevi già distrutto
tutto.
***
Jill
passò tutta la notte a vigilare su un accampamento.
L’oscurità
era padrona di quella splendida notte stellata.
Il lungo
mantello scuro che aveva addosso ondeggiò quando
ella si girò per dirigersi altrove.
Esso la
copriva interamente fino ai piedi, lasciando
delineato appena il suo corpo femminile. Il cappuccio invece celava
completamente
il suo capo.
La ragazza
portò una mano sul viso, sfiorando appena quella
maschera a forma di becco, con due scintillanti occhi rossi, che oramai
rappresentava la sua nuova identità.
Jill Valentine
non c’era più.
Ella era
divenuta l’arma biologica perfetta, dotata di
forza, intelletto, obbedienza totale.
La sua mente,
rivolta al tempo in cui era prigioniera in
quelle celle del laboratorio, provò quasi rimpianto, ora che
poteva essere
libera di camminare in quel bosco, tuttavia sottomessa al volere del
suo carnefice.
Osservò
l’accampamento di fronte a se. I suoi occhi si
focalizzarono sulle tende rovinate e stropicciate, il focolare oramai
ridotto
in cenere, e le ciotole di cibo disposte casualmente sul terreno. Tutto
era
sporco e distrutto.
Prese un
frammento di ceramica fra le mani e lo roteo fra le
dita.
Era il residuo
di una vita oramai spenta, racchiusa in quel
coccio, ancora sporco di cibo.
Perlustrò
il luogo ancora per qualche minuto, ma ben presto
si rese conto che non vi era rimasto più nulla.
Così si affrettò a tornare nei
laboratori.
Arrivò
velocemente a destinazione. Camminò come conoscendo
perfettamente quel posto, mentre, chi incrociava la sua figura, la
lasciava
passare col preciso ordine di non intralciarla.
Il Doctor
Pleague era il nuovo esperimento di Albert Wesker
ed Excella Gionne, dunque loro erano i soli che avrebbero disposto per
lei.
Erano circa le
tre del mattino, ed ella entrò silenziosa in
una stanza dalla finestra. Era nell’appartamento
dell’uomo biondo vestito di
scuro.
Egli le aveva
appositamente lasciato la grande vetrata in
salotto aperta, questo perché attendeva il ritorno della
ragazza.
Adesso che lui
aveva ottenuto la sua ‘alleanza’, poteva
approfittare della sua forza per sbrigare quelle faccende a lui
più scomode e
noiose, in modo da dedicarsi ai preparati per la sua imminente partenza.
Egli in quel
momento era seduto sulla scrivania davanti a un
computer, intento a perfezionare un documento a quell’ora
tarda della notte.
Indossava i
suoi soliti occhiali neri, nonostante il buio della
notte, illuminato dalla sola luce dello schermo.
Sembrava non
avere alcuna intenzione di dormire, essendo
ancora vestito con la sua solita tenuta in fibra di carbonio.
Alzò
lo sguardo soltanto quando vide la donna mascherata sul
ciglio della porta che lo osservava.
Deformò
appena le labbra, per poi avvicinarsi a lei,
muovendosi nelle tenebre.
“Bentornata,
Jill.” disse canzonatorio, superandola e dirigendosi
nel salone principale.
La donna lo
seguì, facendo intanto il rapporto della
situazione.
La sua voce
risultò più meccanica del solito, essendo
modulata da un microfono presente nella maschera che indossava.
“L’
ispezione è conclusa. Non è rimasto
più niente.”
L’uomo
annuì e si fermò al centro della stanza. Alle sue
spalle, la tenda ondeggiava, illuminata appena dalla bianca luce eterea
della
luna.
“Siamo
in partenza, lo sai? Presto saremo in Africa.”
Jill
abbassò il capo. Stavano dunque davvero per dirigersi
nel covo ove aveva avuto origine il progetto Uroboros.
Il biondo le
si avvicinò leggiadro, come una pantera in
piena caccia di notte, ove i suoi occhi erano i soli a risplendere nel
buio.
Una volta di
fronte a lei, osservò la ragazza, che gli
arrivava circa all’altezza del petto.
Le
sollevò il viso sfiorandola sotto il mento con la punta
delle dita, sfilandole poi delicatamente la maschera dai bulbi rossi.
Rimase a
guardarla per qualche istante, come perso in
quell’immagine piena di contrasti.
Il buio, la
notte, e quel lungo mantello nero, ove sotto vi
era nascosta quella donna dai lineamenti delicati, pallida,
meravigliosa.
Ella aveva
ancora il cappuccio sulla testa, e lo guardava in
modo passivo, non potendo dare liberamente sfogo alle sue emozioni.
Nel suo animo,
la ragazza era esausta ed infastidita.
Cercava con
tutte e forze di non cedere, di mantenere il
sangue freddo, ma il suo mondo stava oramai vacillando ancora una volta.
La sostanza
che le scorreva in corpo la costringeva ad una
lotta continua contro se stessa.
Sapeva di
dover continuare a combattere per non venirne
soggiogata del tutto, ma oramai era stanca.
Voleva solo
che tutto questo finisse. In tutto questo,
l’uomo che era di fronte a se, era stato capace di farla
crollare ancora una
volta.
Wesker
portò la mano libera sul capo della bionda, facendole
scendere il cappuccio, accorciando in seguito la distanza che vi era
fra i due.
Jill si
sentì leggermente a disagio per quel contatto
così
intimo con lui.
Egli si perse
nuovamente nei lineamenti della giovane, della
quale poteva finalmente ammirare il viso, contornato dai morbidi
capelli biondi.
Le
scostò una ciocca, continuando a fissarla col suo viso di
marmo, del tutto privo di qualsiasi espressione.
Abbassò
poi il capo verso di lei, sfiorandola e facendole
sentire il suo respiro sulla sua candida pelle.
Ancora
alterata per le rivelazioni apprese in quei giorni, la
donna lì per lì non comprese cosa egli stesse
facendo.
Sentì
tuttavia il suo corpo irrigidirsi, esattamente come
era successo l’ultima volta.
Temette
immediatamente quella situazione. Temette di
risentire dentro di se quei violenti impulsi che lo volevano
inspiegabilmente
vicino a se.
Ogni parte del
suo corpo respingeva e desiderava la
vicinanza di Wesker allo stesso tempo. Tuttavia non poteva accettare
colui il
quale la stava trasformando in una macchina diabolica, sottomessa al
suo
volere. Ogni speranza avrebbe solo rappresentato una falsa illusione,
lo sapeva
bene.
Eppure, seppur
non l’avrebbe mai ammesso, Jill desiderava
essere ingannata ancora una volta da lui. Probabilmente, era proprio il
momento
crudele e meschino della menzogna l’unico nel quale poteva
chiudere gli occhi e
lasciare che si avvicinasse il principe nero dei suoi incubi. Quel
momento
fatale che le rendeva possibile credere ancora in tutto.
Seppur
inconcepibile, quel senso di odio e di repulsione
verso di lui, la dannava e la rendeva desiderosa di lui in una trappola
senza
via d’uscita. Un rapporto proibito dalla sua mente, ma che
rendeva meraviglioso
il contatto del suo respiro sulla sua pelle.
Era il P-30 a farla sentire
così? Era sottomessa a lui fino a questo
punto? Oppure era proprio la presenza di Wesker?
Non riusciva a
spiegarsi quei sentimenti.
Ogni parte del
suo corpo lo odiava e lo desiderava allo
stesso tempo.
Come era
possibile una realtà simile, si chiese. Tuttavia
era in quel modo struggente che si articolava la tormentata relazione
di Albert
Wesker e Jill Valentine.
Quel criminale
crudele e spietato, in nome del quale aveva
rinunciato alla sua vita, diventata una lotta perpetua e maledetta, era
allo
stesso tempo padrone del suo cuore, e non soltanto perché la
possedeva. Era anche
perché, in una parte remota dentro di sé, ella
desiderava essere sua.
Allo stesso
tempo, sarebbe fuggita immediatamente da lui,
consapevole che non era altro che una macchina assassina.
Eppure in quel
momento, anch’egli sembrava desiderare quel
contatto umano che probabilmente aveva rinnegato per tutta la vita.
Egli si era
dunque stancato della solitudine, di quella
lotta amara che gli aveva causato più pene che vittorie?
Cosa cercava
ancora nelle sue ricerche, allora?
Egli era solo,
completamente solo.
Qualunque cosa
lo circondasse, era perduto o distrutto.
Era per questo
che il cuore di Jill si lacerava al contatto
con la sua pelle.
Sentiva il
bisogno di Wesker di lasciare tutto, ma di non
essere oramai capace di farlo, ingabbiato forse più di lei
in quella realtà.
L’uomo
fece scorrere il suo viso su quello della sua
‘nemica’ e le sfiorò appena le labbra.
Tuttavia non
la baciò, rendendo struggente per la giovane
dai capelli biondi quella vicinanza.
Lui si
allungò verso il suo orecchio e prese a parlarle a
bassa voce.
Ella
poté sentire il suo fiato tenue sul collo, mentre muoveva
le labbra quasi attaccato a lei.
“Tutto
ciò che si crea, può essere distrutto.”
proferì
inaspettatamente, come abbandonandosi alle parole.
Si
allontanò appena da lei, e inaspettatamente le
mostrò, a
due dita di distanza, una capsula con su scritto una serie di lettere e
cifre.
“La
vedi, questa?” disse, muovendo l’oggetto tra le sue
dita.
Jill
corrucciò le sopraciglia cercando di leggere.
‘PG67A /
W…’
…cosa era
custodito in quel vetro?
Vide Wesker
sorridere appena, con un’espressione amara, come
fosse straziato dentro.
Riconobbe in
lui, ancora una volta, quel viso angosciato che
rifletteva i suoi turbamenti personali.
“Dopo
che sono morto, trafitto dal Tyrant nei laborati
Arklay, questa mi ha permesso di mantenere inalterata la mia mente.
Come tutti
i nostri esperimenti, eseguiti in più parti del mondo, anche
il virus che ho in
corpo è instabile.”
Pronunciò
con disillusione, osservando egli stesso quella
fiala.
Sorrise di
nuovo, per poi rivolgersi verso la bionda con un
tono leggermente provocatorio.
“Una
dose quotidiana di questa può salvarmi, ma una dose
eccessiva, invece…mi avvelenerebbe.”
Pronunciò con una fastidiosa calma,
trafiggendo Jill con suoi occhi.
Jill
sgranò gli occhi, comprendendo di avere a un centimetro
di distanza la chiave per sconfiggere Albert Wesker, la chiave per
sconfiggere
i suoi incubi…
Seppur
impercettibile, una goccia di sudore scorse sul
corpo, facendola tremare.
Perché
lo stava mostrando proprio a lei?
Voleva
torturarla mentalmente, facendole vedere con i suoi
occhi ciò che l’avrebbe potuto uccidere, proprio
perché ella era impotente per
via del P-30?
Egli si
avvinò di nuovo, poggiandosi sulla sua fronte.
“Morirò.
Non adesso, non domani. Ma presto.”
Jill non
riuscì a comprendere quelle parole. Cosa stava
cercando di dirle?
Perché
la stava rendendo partecipe di un segreto simile?
“Quando
ciò accadrà, sarai tu a dire, a tempo debito, di
trovare questa fiala ed usarla contro di me.”
Wesker
sembrava impazzito.
Era come se
una parte di lui desiderasse la sua stessa
morte, oppure…stava cercando di provocarla?
Nulla fu
più chiaro nella sua mente, che si trovò nel
subbuglio più completo.
“Chris
Redfield…o tu. Chi dei due sarà?”
chiese lui quasi a
se stesso, deformando le labbra in un ghigno.
La donna
sentì tutta la frustrazione che regnava nell’animo
di Wesker.
In quel
momento, in cui avrebbe soltanto voluto avere la
forza per sfilargli quella fiala di mano e iniettargliela nel collo,
sentì
invece il suo cuore straziarsi.
Seppure fosse
ingenuo e incosciente credere alle sue parole,
credere a quel viso affranto celato da quell’espressione
glaciale, il suo corpo
si mosse senza che se ne rendesse neanche conto.
Tese le sue
mani verso di lui, facendo sprofondare le dita
sui suoi capelli biondi. Premette poi sul suo collo, avvicinando
l’uomo vestito
di nero a se.
Sentì
il viso di Wesker al di sopra della sua spalla, il
quale si lasciò guidare da quelle braccia, non aspettandosi
neanche lui di
ricevere un gesto simile da parte di lei.
In cuor suo,
Jill avrebbe voluto credere che sarebbe bastato
questo a farlo desistere da ogni suo piano, a farlo marciare verso
altro,
magari per fuggire da quella realtà e sparire per sempre.
Ma sapeva che
non sarebbe mai stato così.
Sapeva che non
sarebbe stato da Albert Wesker, altrimenti.
Seppur
bisognoso, in una parte ancora viva dentro di sé, del
calore tipico dell’affetto umano, egli aveva da sempre
allontanato da se quel
tipo di sentimento.
Il suo corpo
rigido e statuario, rimase freddo al contatto
di Jill, che fu la sola a partecipare a quel tenue abbraccio.
Wesker era
lontano da qualsiasi forma di amore. Quell’aspetto
della vita di un uomo non gli era mai appartenuto.
Nonostante
sentisse vibrare qualcosa di diverso nel suo corpo,
non riuscì a provare nulla.
Smosso,
tuttavia, da quel contatto, fu bramoso di scoprire
cosa guidasse quei sentimenti che non poteva comprendere.
Si
sollevò dalla spalla di Jill, per sfiorarle
un’ultima
volta la morbida bocca.
Ella pareva
voler assecondarlo, e quel desiderio pulsò anche
dentro di lui.
Si
limitò però solo ad avvicinarsi appena, curioso
di
scoprire se potesse ancora sentire qualcosa verso un altro essere umano.
Erano
sentimenti sconosciuti e rinnegati, che oramai poteva
sentire soltanto nel buio assoluto dei suoi pensieri.
Per questo si
allontanò.
Per questo
indietreggiò e fece sì che la donna si staccasse
dal suo corpo.
Ogni residuo
della sua umanità lo torturava, tormentandolo
interiormente fino a fargli male.
Un dolore al
quale non poteva dare un nome.
Per questo
scacciò via, ancora una volta, quel che di umano
gli era inesorabilmente rimasto, non essendo ormai più
capace di provare
qualcosa per qualcuno.
Un’umanità
assaporata quella notte, sotto la pioggia con la
stessa donna che anche adesso aveva di fronte, e stava scacciando
ancora una
volta. Quell’umanità intesa, meravigliosa, ma
stupida, evanescente, violenta e
crudele.
Jill
rimase attonita,
sentendo il peso di quella situazione devastante.
Socchiuse gli
occhi, mentre l’ansia cominciò ad assalirla,
facendola sentire stupida ancora una volta.
Era tutto
inutile. Era troppo tardi. Nulla avrebbe mai più
salvato né lei, né Wesker.
Si chiuse
dunque nella desolazione che albergava nel suo
cuore.
Osservò
distrattamente Wesker.
Egli
avanzò verso la lunga vetrata che rivestiva
un’intera
parete in fondo alla stanza.
Lo vide
portare le mani dietro la schiena, perdendosi in
pensieri che lei non avrebbe mai potuto conoscere.
Abbassò
il viso, risentita verso se stessa, verso la sua
ingenuità che inspiegabilmente desiderava ancora
comprenderlo e cambiarlo,
consapevole che tutto ciò non avesse alcun senso.
Vide di nuovo
la fiala che Wesker aveva fra le sue mani e strinse
gli occhi.
Wesker credeva
forse che per lei sarebbe stato facile
ucciderlo..? Credeva forse che lei desiderasse soltanto questo..?
Era
così che lui aveva creduto di torturarla?
Sì,
in effetti lui era riuscito a torturarla in quel modo,
ma non per quel motivo, non perché desiderava
ucciderlo…
Avrebbe potuto
ingannare tutti, persino se stessa, ma non il
suo cuore, che impazziva alla sola idea che anche lui scomparisse per
sempre
dalla sua vita.
Quel gioco
crudele che lui aveva con lei la feriva per
questo, perché lui non avrebbe mai compreso quel concetto
ampio e
contraddittorio dei “sentimenti”, continuando a
credere solo a quella visione
del mondo che lui stesso aveva creato, circondandosi di solitudine.
Jill…desiderava
mettere fine ai suoi incubi, desiderava non
rivedere mai più quel viso. Ma allo stesso tempo, temeva con
tutta se stessa il
giorno in cui sarebbe successo davvero.
Wesker si
voltò d’improvviso, attirando
l’attenzione della
ragazza, che tuttavia lo vide solo dirigersi a passo veloce verso la
sua camera
da letto.
Seguì
i suoi movimenti, finché egli non sparì oltre la
porta.
Mentre si
inoltrava oltre la soglia, lui si voltò appena,
rivolgendole il suo sguardo attraverso gli occhiali neri, che in quel
contesto
notturno trasmettevano un che di inquietante.
“Dormi,
ne avrai bisogno.” disse, poi chiuse la porta dietro
di se, lasciando la ragazza sola nel
buio dell’appartamento.
Jill Valentine
stette in piedi a fissare il vuoto,
illuminata dal bagliore bluastro della luce notturna per diverso tempo.
Non seppe
quanto, con esattezza.
Sentiva solo
qualcosa fremere dentro di se, e questo
accadeva ogni qual volta incontrava Wesker.
Solitamente
era per via della sua vicinanza, che nonostante
gli anni, continuava a turbare il suo l’animo, che era assai
combattuto, diviso
tra ragione e sentimento.
Eppure
andavano in contrasto anche loro.
Non vi era
nulla di razionale in quel che sentiva per lui.
Se avesse
voluto descrivere quel che sentiva, non avrebbe
mai trovato le parole giuste che avessero potuto includere ogni pezzo
del
mosaico che costituiva nel suo insieme il rapporto che viveva con lui.
Avrebbe
provato soddisfazione quando sarebbe morto, oppure
avrebbe pianto?
Dentro di se,
sapeva che quell’uomo non meritasse alcuna
lacrima.
No, non
avrebbe pianto.
Albert Wesker
non meritava pietà, non meritava comprensione.
Nonostante
ciò, la consapevolezza di aver visto fra le sue
mani quello che poteva rendere vulnerabile quell’uomo
sovraumano, la sconvolse.
Non
poté fare a meno di pensare che sarebbe bastato
trafugarla, e tutto sarebbe finito. Wesker sarebbe morto…
Quel pensiero
tuttavia la straziò. Desiderava davvero che
lui morisse?
Aveva sempre
inseguito Wesker, ovvio che fosse così.
Eppure, una
parte di lei, avrebbe voluto non conoscere
l’esistenza di quella sostanza. Avrebbe voluto continuare a
rincorrerlo per
sempre.
Sapeva
però anche che il suo scopo era punirlo per ciò
che
aveva fatto, per ciò che l’Umbrella aveva compiuto.
…E
invece, adesso scopriva di non essere pronta…
Strinse gli
occhi.
Non doveva
cedere!
Era lo scopo
della sua vita, era normale che fosse nervosa.
Cercò
di spiegarsi razionalmente il perché di quei
turbamenti, ma l’animo delle persone può essere
spesso molto irrazionale.
In quel
momento, quello di Jill Valentine, era nel subbuglio
più completo.
Con la morte
di Wesker, la sua storia non sarebbe finita.
La lotta
contro il bioterrorismo sarebbe continuata, perché
ciò che si era instaurato era un ciclo continuo di rivendita
delle B.O.W. sul
mercato nero.
Si sarebbe
dunque chiuso soltanto quel capitolo, avrebbe
tolto di mezzo solo colui che l’aveva coinvolta in quella
storia, ma certo non
avrebbe riavuto la sua vita indietro…
In tutto
questo, si domandava…era davvero pronta a chiudere
quel capitolo?
Lo era! Certo
che lo era! Lo doveva essere!
Lo doveva
essere non solo per se stessa, ma anche per Chris,
per la B.S.A.A.,
per tutti i suoi amici, colleghi, per Raccon City, per tutti coloro che
erano
stati strumentalizzati per quella folle ricerca, per i milioni di
morti, per
coloro che erano andati incontro a quel destino nefasto…
…per
questo non poteva cedere.
Suppur il P-30
le impediva di ribellarsi, poteva comunque essere
libera di accumulare quante più informazioni possibili.
Doveva
prepararsi per il giorno in cui sarebbe riuscita a
mettersi in contatto con Chris Redfield. Avrebbe avuto la sua occasione
prima o
poi, e avrebbe dovuto essere pronta.
Così
decise di sfruttare quella sua occasione.
Non poteva
rubare quella fiala per via del P-30 che le
impediva di ribellarsi a lui…ma…attingere notizie
non significava ribellarsi.
Ricordò
che, quando era entrata in quell’appartamento,
Wesker stava scrivendo qualcosa nel buio della sua stanza.
Era passata
all’incirca un’ora da quando lui era andato a
letto…era possibile che dormisse?
Sapeva che
quella fosse una possibilità su un milione,
tuttavia poteva fingere di aver sentito qualcosa, semmai
l’avesse trovato
sveglio.
Dunque,
camminò piano nel corridoio, e delicatamente girò
il
pomello per affacciarsi nella sua camera.
Essa era buia,
e lui non si vedeva in piedi.
Sbirciò
più attentamente, cominciando ad avanzare.
Vide la sagoma
dell’uomo posizionata di spalle sotto delle
lenzuola di seta.
Si
avvicinò cautamente, ma in quel buio era impossibile
stabilire se stesse dormendo o meno.
Deglutì
quando, spostando appena la tenda per far entrare un
po’ di luce lunare, si accorse del suo viso addormentato.
Seppur con la
sua solita espressione seria, i suoi occhi
chiusi e quel volto rilassato creavano un’immagine abbastanza
insolita da
vedere su di lui.
I suoi capelli
biondi non erano perfettamente lisciati all’indietro,
e cadevano morbidi, appena un po’ scomposti, sul viso.
Senza
accorgersene, Jill rimase immobile, con le mani sulla
tenda e il viso verso di lui, per una buona manciata di secondi.
Non si era mai
chiesta se trovasse Wesker bello.
Certo, era un
uomo attraente, con un carisma innegabile
nonostante tutto il marcio e la crudeltà che vi fossero
dietro. Tuttavia
raramente l’aveva valutato come uomo.
All’epoca
della S.T.A.R.S. era rapita dal suo fascino, dalla
sua risolutezza e capacità intellettiva, ed in un certo
senso, era così anche
adesso. Questo l’aveva fatta incantare di lui. Ma non si era
mai fermata a riflettè
se lei lo trovasse bello.
Sentì
il viso accaldarsi inspiegabilmente, ma non volle
cadere in certe trappole adolescenziali.
Doveva
affrettarsi e approfittare di quell’attimo.
Così
scacciò via quei pensieri e si sedette sulla sedia di
fronte la scrivania ove era stato lasciato il computer portatile
personale di
Wesker.
Lo accese,
sperando che la luce emessa dallo schermo non lo
disturbasse. Si voltò, sbirciando in sua direzione, ma egli
era immobile.
Doveva
tuttavia agire in fretta, così accedette alla memoria
del computer per risalire agli ultimi documenti che lui aveva aperto.
Sbarrò
gli occhi quando lesse il nome del file più recente.
Vi era scritto:
-Wesker Albert report-
Il
suo cuore prese a battere, ma non indugiò. Con la calma
tipica del soldato che era stato, proseguì con la ricerca,
aprendo il file.
Molte date
scorsero sotto i suoi occhi, e risalivano a più
di vent’anni prima. Ventinove, con esattezza.
1978
…1981…1983…1988…1995…1998…
Dalle parole
usate da Wesker, comprese che quel documento
fosse stato scritto molto prima. Probabilmente risaliva al tempo in cui
lui li
aveva traditi.
Fu incuriosita
di leggere su un Wesker diciottenne, ma non
lo ritrovò molto diverso da come lui era effettivamente
oggi.
Avrebbe voluto
avere il tempo per leggere con calma, ma
doveva essere capace di comprendere al volo cosa potesse esserle utile
da
quell’insieme di notizie.
Sbirciò
appena le immagini allegate nel documento e non poté
fare a meno di rabbrividire. Non solo di quelle foto, ma anche della
scioltezza
e la freddezza con cui egli trattasse certi argomenti.
Il cuore le
salì in gola quando, facendo mente locale,
riconobbe il mostro che girovagava per la villa sui monti Arkay.
Lisa
Trevor…allora…anche lei.
Portò
una mano sulla fronte, abituata a leggere notizie
simili, ma non ancora così insensibile da rimanere
indifferente. Quella povera
bambina…
Ricordava
ancora quel corpo deformato, le catene che
l’imprigionavano, ma soprattutto…le sue urla di
dolore.
Ricollegarle
ora a quella bambina tenuta prigioniera l’afflisse.
La cosa che la
straziò maggiormente fu ricordare cosa ella
aveva esclamato vicino una tomba, prima che si lanciasse nel vuoto,
ponendo
così fine alla sua esistenza: “…madre…”
Era ancora
tutto così nitido nella sua mente. Ogni singolo
episodio, ogni singolo particolare di ciò che aveva veduto
in quella villa
maledetta.
Era come se
tutto fosse ancora davanti ai suoi occhi.
Non poteva
tuttavia perdersi nel dolore proprio adesso.
Continuò
a sbirciare, ma furono troppe le notizie che attirarono
la sua attenzione.
Riconobbe il
caso Ashford, raccontatole da Chris e da sua
sorella Claire, e a quanto pareva Wesker aveva raccolto dei dati anche
sul
Nemesis da lei stessa affrontato prima di riuscire a fuggire da Raccon
City…nonché
ritrovò anche i dettagli sulla sua stessa missione sui monti
Arklay.
Si chiese se
Wesker non avesse parlato anche di lei, lì, da
qualche parte.
Fece scorrere
più lentamente quella pagina, non sperando di
trovarvi scritto qualcosa, ma si fermò quando riconobbe il
suo nome e quello dei
suoi colleghi S.T.A.R.S. .
Lesse qualche
riga, ma si fermò.
Era
già straziante di suo quel che era successo. Voleva dunque
davvero sapere cosa lui avesse scritto di lei?
No…probabilmente
voleva preservare il suo cuore almeno da
questo…
Quel che lui
aveva fatto a lei…a Barry…usandolo come un
Giuda…a Chris e agli altri…
Quel ricordo
fu doloroso solo rievocarlo.
Leggere come
fossero stati tutti, compresa lei, soltanto
delle pedine, era una consapevolezza che aveva già dentro di
se.
Dunque
risalì alla prima pagina, cominciando a leggere gli
albori della sua carriera nell’Umbrella Corporation. Magari
lì avrebbe trovato
indizi utili per risalire alla natura dei virus da lui creati, da
sfruttare a
suo vantaggiò e contrastare il contagio.
Quell’istante
però non durò a lungo.
Questo
perché, all’improvviso, una mano premette
energicamente sullo schermo chiudendo violentemente il computer, senza
darle
possibilità di far nulla.
Jill si
immobilizzò all’istante comprendendo che Wesker
fosse dietro di lei.
“Hai
letto già troppo, Jill.” disse glaciale.
La ragazza
sentì dietro di sé il suo corpo, mentre
l’avvolgeva con il suo braccio sinistro appoggiato sul
coperchio del computer
portatile.
Ella si
girò appena verso di lui, con un viso serio e
inquieto.
Lui invece era
duro e tenebroso, infastidito di vederla lì.
Il suo petto
era nudo, lasciando vedere così il suo corpo
allenato e longilineo, che in quel contesto trasmise ancora
più imponenza negli
occhi smarriti della giovane Jill Valentine.
Lei lo
guardò cercando di presagire una sua possibile mossa,
ma lui fu più veloce di lei.
Di
scattò, infatti, l’afferrò per il collo
del lungo
mantello scuro che l’avvolgeva, e la strattono via dalla
sedia.
La ragazza,
travolta dalla sua forza, si rimise a stento in
piedi, non potendosi divincolare in nessun modo.
Lui la
trascinò senza difficoltà, schiacciandola poi
contro
il muro con fare minaccioso.
Strinse di
più la sua mano sul tessuto, premendole sul
collo, e con l’altra le girò a forza il viso verso
di lui, ponendosi a due dita
di distanza.
Stavolta,
però, quella vicinanza non fu per nulla intrigante
e suadente come lo era stato precedentemente.
Jill
sentì la paura prendere il sopravvento, non riuscendo
nemmeno a guardare quegli occhi rossi furenti.
“Ci
divertiamo, mia cara, a scherzare col fuoco. Oh, Jill,
sei fastidiosamente ingenua quando ti comporti
così.”
Rise lui
crudelmente, soffocando la ragazza con la sua
presa.
“Obbiettivamente
mi hai preso di sorpresa stavolta. Eri
stata fortunata a trovarmi addormentato. Ma la fortuna consiste in un
attimo, e
a te non sarebbe mai bastato. Una cosa posso dirtela, però:
non avresti trovato
nulla di tuo interesse. Tutto ciò che vuoi sapere,
è soltanto qui…” disse
picchiettando con l’indice sulla sua fronte.
A quel punto,
la strattonò di nuovo e la buttò con violenza
sul materasso.
Jill si
ritrovò libera dalla sua presa, ma non potette fare
nulla per spostarsi da lì.
Le iniezioni
del P-30 erano fortissime.
Si
ritrovò così soltanto spaesata sul letto, confusa
per la
veemenza con cui lui l’aveva strattonata.
Non fece in
tempo a formulare qualsiasi pensiero di senso
compiuto che potesse aiutarla a reagire in qualche modo, che lui si
mise in ginocchio
sul letto di fronte alla ragazza, per poi protrarsi sopra di lei,
afferrandola
per i polsi.
Il suo sguardo
diabolico mise in allarme Jill, che si fece
assalire dal panico più completo.
Wesker rise
come un folle, divertito da quegli occhi
spaventati.
Egli si
piegò su di lei fino a esserle vicinissimo.
Jill strinse
istintivamente gli occhi, mentre il suo cuore
palpitò forte, terrorizzata di essere in balia di lui.
Avrebbe voluto
scacciarlo con tutte le sue forze, ma ogni
suo tentativo le si rivoltava contro, costringendola ancora di
più al volere
del P-30.
Sentì
il robusto corpo scolpito di Wesker attaccato al suo,
e provò sia paura che eccitazione al suo contatto, ma non
voleva in nessun caso
che lui si avvicinasse ulteriormente a lei.
D’improvviso,
Wesker mosse le labbra e con voce calda e
suadente le bisbigliò.
“Hai
paura… Jill?”
Disse
provocatoriamente, rimanendo a fissarla dall’alto.
Jill non
rispose. Rimase immobile a guardarlo, con gli occhi
sgranati, accaldata e sconvolta.
Wesker rise
fra i denti, poi stette anch’egli in silenzio
per qualche istante.
Accennò
un sorriso beffardo.
“Preparati,
Bird Lady. Siamo pronti per la partenza.”
Pronunciò
con fare saccente, annunciando il suo intento di
partire. Spostò poi le gambe e andò via da sopra
di lei.
La bionda
rimase sdraiata sul letto, incapace di muoversi,
incapace di fare qualsiasi cosa.
L’uomo
indossò i suoi immancabili occhiali scuri poggiati
sul comodino di fianco al letto, e aprì la finestra.
Stava
lentamente sorgendo il sole, anche se era ancora abbastanza
buio fuori.
Egli rimase
assorto ad ammirare il paesaggio boscoso
un’ultima volta. Subito però
s’inoltrò di nuovo nella stanza, avvicinandosi
all’armadio e prendendo la sua maglia nera. La
infilò e alzò la zip.
Passò
poi una mano fra i capelli, aggiustandoli con un solo
tocco, nonostante comunque stessero già al loro posto.
In seguito
abbandonò la stanza, lasciando finalmente Jill
sola e quindi libera di prendere respiro.
La ragazza
ansimò fortemente prima di riprendersi,
completamente sotto shock.
Tuttavia
dovette alzarsi. Wesker la stava chiamando e lei
non poteva disobbedire.
Nonostante
l’aria pesante che vigeva fra i due, questi
percorsero un lungo tratto di strada assieme.
Il sole ora
sorto e illuminava i laboratori con le prime
luci dell’alba, tinteggiando quel luogo di un arancione
simile al giallo.
Era un gioco
di luci meraviglioso da vedere, peccato per il
luogo in cui questo si era manifestato..
Wesker e Jill
raggiunsero l’aeroporto interno all’edificio. Jill
fu quasi abbagliata da quell’improvvisa e forte luce
mattutina, nonostante
fosse protetta dalla maschera a forma di becco che di nuovo nascondeva
il suo
viso.
Presto furono
raggiunti anche da Excella Gionne, che
indossava degli appariscenti occhiali da sole, e sembrava imitare in
qualche
modo Wesker stesso.
La donna si
affiancò a Wesker e insieme varcarono lo
sportello per entrare dentro l’aereo privato.
Jill invece
accedette da un altro ingresso, con l’ordine di
vegliare sul materiale da loro trasportato. Così ella rimase
sola tutto il
tempo, nel più cupo silenzio, mentre attendeva di giungere a
destinazione,
sicura che stava per essere portata, ancora una volta, in un incubo
ancora
peggiore.
Si sedette a
terra e piegò la testa fra ginocchia, potendo
soltanto approfittare di quel momento di solitudine per essere sola con
se
stessa, nonostante non fosse esattamente piacevole.
Quando era
sola, Jill non riusciva comunque ad allontanarsi
dai suoi incubi. Mai.
La sua mente
tornò a quel che era accaduto quella notte, in
cui nuovi dubbi erano sorti, nuove complicazioni con le quali ben
presto
avrebbe fatto i conti.
Altrove,
Excella e Wesker erano accomodati su dei divani e
stavano facendo colazione insieme.
La bruna
avvicinò a se una tazza di the, sorseggiandolo a
piccoli sorsi. Si rivolse poi a Wesker guardandolo con fare
accattivante.
“Dunque
presto saremo
arrivati. Inizieremo subito?”
Wesker si
rilassò sullo schienale del divano e accavallò
elegantemente le gambe, incrociando poi le mani all’altezza
dell’addome.
“Ovvio,
salvo imprevisti. E’ tutto pronto lì?”
“Sì,
stanno solo aspettando noi. Uroboros è pronto per
essere testato. Chi sceglieremo per questo ‘onore’?
La tua preziosa Jill
Valentine?”
Chiese
provocatoriamente lei, ma Wesker non batté ciglio.
Anzi, sorrise
e si piegò appena verso di lei.
“Esatto,
Excella.”
I due
sorrisero diabolici, con la sola differenza che
Excella non sapeva ancora di essere anche lei, a sua volta, solo una
sua pedina
nel suo piano.
Per questo
Wesker sorrise, quasi deridendo quella sua
ingenuità.
A un certo
punto, vide anche Excella ridere velatamente, al
che si incuriosì.
“Lo
trovi divertente?” chiese.
“Ho
sentito un bel po’ di baccano provenire dalla tua
stanza, verso le quattro e mezzo del mattino…”
dopodiché rise di nuovo. “Dormito
bene, Albert?”
Wesker
lì per lì la guardò perplesso.
Stesso lui
rimase sorpreso da quella improvvisa battuta
davvero maliziosa.
Si
adagiò di nuovo sul divano e rispose tranquillo.
“Ho
dormito benissimo.” disse quasi volendo sviare Excella,
tanto per divertirsi, poi aggiunse “Piuttosto, non eri gelosa
di Jill?”
Excella
posò la tazzina di the puntando il suo sguardo sul
tavolino posto fra di loro.
“Sì,
lo so. Tanto però l’ho capito. A te lei piace,
vero?”
chiese ammaliante, come se anche lei volesse provocarlo, e lo fece con
una
disinvoltura inquietante.
“Cosa
te lo fa pensare?” rispose lui ad agio, tuttavia
interrogandosi egli stesso su cosa effettivamente stesse accadendo fra
lui e
Jill.
Vide la donna
dai capelli neri abbozzare un sorriso, per poi
alzarsi e sedersi accanto a lui.
Ella si
appoggiò appena sul suo petto, portandovi una mano
sopra.
Alzò
il viso verso di lui, ma Wesker non ricambiò.
Egli era
immobile, completamente impassibile al contatto di
lei.
“Certe
cose le donne le sentono. Ma non preoccuparti, ci
penserò io a fartela dimenticare.”
Wesker
alzò un sopraciglio, continuando a guardare dinanzi a
se, assorto. Prese poi la mano di Excella, allontanandola da lui, e le
si
rivolse.
“Cerca
di non fantasticare troppo. Il viaggio è abbastanza
lungo, vedi dunque di non essere fastidiosa.”
Disse
elegante, ma con una crudeltà inaudita.
Excella
infatti si risentì e si staccò da lui,
riprendendo
poi in mano la tazza di the e finendo la sua colazione.
***
Aggiornamento
repentino questa volta. In questo capitolo ho voluto riprendere altre
argomentazioni su questa coppia, su questi due personaggi, che
arricchiscono di
significato questa vicenda, almeno spero che sia così.
Nel mio piccolo,
voglio mostrare tutto quello che vedo in Wesker e Jill, e in questo
capitolo ci
sono dei tasselli importanti.
Jill, divenuta la
“Bird Woman”, il “Doctor
Plague”, la “Crow Lady”…divisa
tra inganno e realtà,
tra amore e odio, tra ragione e sentimento, tra ciò che
è giusto e ciò che è
sbagliato…
Wesker, incapace
di
amare, incuriosito dall’amore, ma tuttavia titubante,
riluttante verso la sua
umanità, verso i sentimenti.
Perché
essi sono così
importanti?Perchè sono capaci di sconvolgere un uomo?
Egli si avvicina
a
Jill per questo…per riscoprire qualcosa che non gli
appartiene più. Eppure
fugge via, distaccandosi dal residuo della sua umanità.
Fuggendo da quella
parte della vita che ha sempre rifiutato. Che lo tortura e lo rende
ancora
umano, e che lui disdegna.
Poi, il PG67A /
W.
Jill conosce
questo
prodotto e in re5 telefona Chris rivelandogli la chiave per sconfiggere
Wesker.
Come lo ha
saputo?
Possibile che Wesker, in re5, l’abbia resa partecipe di un
dettaglio simile?
Sono solo due le
possibili risposte che mi sono data.
La prima
è che non
abbia mai considerato Jill una possibile minaccia, soggiogandola al suo
potere.
La seconda
è che l’ha
resa lui stesso partecipe dell’esistenza di quella
sostanza…per un motivo ben
preciso….
La prima ipotesi
non è
molto “riflessiva”, non è alla Albert
Wesker, colui che è pianifica ogni cosa.
Dunque, con
questo
capitolo, ho voluto esporre una mia ipotesi: Wesker ha pianificato
anche questo
in re5, anche la sua morte stessa. Per questo ha rivelato a Jill
l’esistenza di
quella sostanza.
Il concetto della
morte, nella mente di Wesker, è evoluto pian piano nel corso
della mia fanfiction,
se ci avete fatto caso.
Dal capitolo 3,
fino
ad adesso…
Ed in questo
frangente, Wesker elabora tutto quello che da qui ad un anno
accadrà con re5,
compresa la possibilità della sua morte.
Non è
fin troppo
sospetto, infatti, che in re5 Jill sa del PG67A / W? Non solo. Wesker
la lascia
sola con Chris, sapendo bene che lui avrebbe fatto di tutto per
salvarla,
dunque si sarebbe accorto del marchingegno sul suo petto?
Questo avvale
ancora
di più la mia teoria.
Inoltre, in
questo
capitolo, ho voluto fare riferimento anche ai bellissimi
“Wesker Report”.
Per chi non li
avesse
mai letti, consiglio di farlo, soprattutto il II. Sono delle bellissime
ed
inquietanti finestre su tutto l’operato di Wesker, che
arricchiscono ancora di
più una figura affascinate come la sua.
Un altro tassello
che
ho voluto riprendere con questo capitolo è stato poi,
soprattutto, il rapporto
conflittuale di Wesker e Jill, ove le catene che prima bloccavano i
loro
sentimenti, sono state leggermente sciolte, e non potevo dunque
ignorare quel
che comunque è accaduto fra loro.
Vi ho proposto
dunque
questo capitolo un po’ “romantico”, un
romantico dark, dato il loro tipo di
rapporto, che ribadisse di nuovo quell’attrazione letale che
danna e che rende
intrigante il loro pairing.
Spero la lettura
sia
stata piacevole!!
A presto!
<3
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Capitolo 14 *** Capitolo 14: Kijuju ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 14
Africa,
regione Kujuju.
Circa le ore
12:00.
L’aria
era molto calda e soffocante, un clima completamente
diverso da quello tipico Europeo.
All’umido,
si sostituiva un’atmosfera secca, che si
ripercuoteva anche in quel paesaggio del tutto arido e privo di
vegetazione.
L’aereo
atterrò in una pista celata fra delle montagne,
così
che nessuno potesse accorgersi del suo arrivo.
I militari
scortarono Wesker ed Excella, pronti a riprendere
le loro ricerche nella sede africana della Tricell.
Jill Valentine
li raggiunse, camuffata dal mantello scuro e
dalla maschera che aveva sul viso.
La donna dai
capelli neri le si avvicinò parlando in modo conciso,
mentre prese ad alzarsi leggermente il vento.
“Voglio
che ispezioni il villaggio qui dietro. Devo
assicurarmi che il virus sia ancora circoscritto solo in questa
zona.” spiegò.
“Eccoti una mappa, un cellulare, e lì sono le tue
armi. Ci metteremo in
contatto in seguito. Oh, e mi raccomando. Porta questo.”
aggiunse allungandole
anche una fiala dal contenuto scuro.
Jill la
osservò incuriosita. Vi era conservato il virus Uroboros
in quella capsula. Perché doveva portare una cosa del genere
con sé?
Cercò
Wesker con lo sguardo, il quale invece si stava
avviando verso delle vetture parcheggiate poco distante da loro.
Vedendo quella
naturale indifferenza, la sua attenzione fu
distorta da quella questione e infilò semplicemente la fiala
nel suo mantello,
in una tasca interna.
Tutti i
presenti si incamminarono verso quelle jeep. Wesker
ed Excella presero posto su una di queste, guidata da un loro
sottoposto, il
quale la mise in moto velocemente, seguito subito dopo dagli altri.
Così
ben presto Jill li vide allontanarsi in quella distesa
rocciosa, sotto il sole cocente, facendo per raggiungere la sede
africana della
Tricell Pharmaceutical Company.
La donna
mascherata rimase qualche istante immobile ad
osservarli fino a che non vide soltanto la polvere che in lontananza si
alzava
al loro passaggio.
Abbassò
il viso.
Wesker non le
aveva rivolto neppure uno sguardo…
Dentro di
sé si sentì ferita, lacerata dalle contraddizioni
di quell’uomo, ma anche del suo cuore.
Se da una
parte provava repulsione per lui, in quel contesto
continuava ad essere comunque l’unico volto a lei familiare.
Tuttavia non
faceva che ingannarla e deluderla.
Per questo
doveva sempre ricordare a se stessa di essere
solo un oggetto per lui.
Credere che vi
fosse qualcosa ancora di umano in lui, avrebbe
fatto di lei la vittima perfetta.
Non doveva
cadere in quel tranello, nonostante nella sua
mente si raffigurasse ancora la sua bocca che la sfiorava nella
penombra della
notte.
Ed era stato
appena la sera prima…
Si chiedeva
come avesse potuto accettare, ancora una volta,
una vicinanza simile con lui; eppure il suo cuore si stringeva,
pulsando
inspiegabilmente nonostante l’odio che ribollisse forte verso
quell’uomo
vestito di scuro.
Si poteva
odiare ed amare qualcuno allo stesso tempo…?
Il dispositivo
sul suo petto la richiamò presto all’ordine,
e per fortuna l’allontanò da quei pensieri che la
disturbavano e la ferivano, eppure
le davano anche un indefinito e insensato senso di piacere.
Era alla
lunga…impazzita anche lei?
Scosse la
testa e, con un salto atletico, avanzò oltre le
rocce.
Trovò
una moto, lasciata appositamente per lei in una
rientranza.
Osservando la
mappa costatò di avere, infatti, una lunga
strada da percorrere per arrivare a destinazione.
Così
vi montò su, girando le chiavi e dirigendosi nel
villaggio.
Si
guardò attorno, chiedendosi cosa avrebbe trovato.
Era ancora
impossibile per lei comprendere di stare lì, a
sfrecciare in quella distesa non potendo avere alcun potere sul suo
corpo e
sulle sue azioni.
Non poteva
accettarlo, non l’avrebbe mai fatto, spaventata
dal fatto che qualunque cosa sarebbe potuta accadere se solo le fosse
stato
ordinato.
Eppure,
nonostante quel rifiuto, schizzava veloce sulla
strada terrosa, pronta a compiere la sua missione.
Nel giro di
quaranta minuti, scorse delle case in
lontananza. Ben presto ve ne furono sempre di più
all’orizzonte.
Raggiunse
finalmente un centro abitato. Mise il piede a
terra e scese dalla moto.
Era un
villaggio piccolo, affollato e piuttosto malandato in
verità.
Gli abitanti
svolgevano le loro quotidiane attività, non
curandosi di lei.
Essendo
vestita in modo appariscente, di tanto in tanto qualcuno
le lanciava uno sguardo, ma era come se quella gente non osasse
avvicinarsi a
lei. Era come se…sapessero di doversi tenere alla larga da
gente come lei. Dunque
non reagivano in nessun modo al suo passaggio, ignorando semplicemente
la sua
presenza.
Jill si
avviò verso il mercato.
Sulla mappa
datole da Excella era indicata una casa in una
traversa lì vicino. Era lì che doveva andare,
supponeva.
Il mercato era
molto caotico.
Tuttavia,
nonostante il disordine che, nella sua confusione,
contrassegnava comunque la vita di un villaggio, nell’aria vi
era l’inconfondibile
odore fetido della morte. Un contrasto che mise in allarme Jill, che
subito ebbe
l’impressione che qualcosa non andasse in quel posto.
Gli occhi di
quelle persone erano strani, finti, fin troppo
vaghi.
Era come se
non fossero disinvolti nelle loro movenze.
Sulle
bancarelle vi era, inoltre, visibilmente solo merce
impolverata, carne putrefatta, frutta e verdura andata a
male…era come se, in
effetti, nessuno acquistasse nulla da molto tempo.
Dovette
portare una mano bocca quando, a un certo punto,
quell’odore nauseabondo divenne insopportabile.
Attraversò
tutto il vicolo, scorgendo poi finalmente la
struttura che doveva raggiungere.
Anche questa
volta si ritrovò in un luogo del tutto
malandato.
Era una sorta
di cantiere abbandonato, ove oramai non sembrava
lavorare più nessuno.
La tanta
indifferenza degli abitanti turbò la giovane.
Eppure Excella
aveva detto che il contagio era al momento
circoscritto solo in quel posto… dunque in cosa consisteva
uroboros? Possibile
che quelle persone fossero in realtà contagiate?
Wesker era
davvero riuscito a creare un virus che non
facesse presagire al nemico che colui che lo aveva contratto potesse
ucciderlo
da un momento all’altro, oramai privato del suo intelletto?
Se le cose
stavano così, doveva tenersi in guardia.
Mentre prese a
perlustrare il posto, trovò una cassa con su
scritto “uroboros”. Si piegò. Era
scritto persino in modo sbagliato e con una
bomboletta di color bianco.
Osservò
la documentazione lasciatole da Excella e notò la
foto di quella cassa sul dossier.
Era
lì che doveva lasciare la fiala a lei affidatole.
Non avendo
scelta, lo fece dunque.
D’improvviso,
un rumore alle sue spalle la attirò. Si voltò
e vide una porta muoversi appena.
Qualcuno…l’aveva
seguita.
Caricò
la pistola, tenendola nascosta dalla lunga manica del
mantello, poi si avvicinò cautamente, ma con passo deciso,
mettendosi di
schiena sulla porta.
Sbirciò
oltre aprendola leggermente e vide qualcuno
scappare.
Subito
aumentò il passo, seguendo il soggetto non ancora
identificato, che la guidò nei meandri di quello strano
villaggio.
Passò
per diversi vicoli, attenta a non perderlo di vista.
Quelle
traverse strette, talvolta trafficate di gente, le
impedirono di comprendere chi fosse. Solo in un secondo momento si
accorse che
fosse una bambina.
“A-aspetta!
Non scappare…” urlò appena, sperando
che la ragazza
si fermasse, ma ovviamente ella non acconsentì a quella
richiesta.
Si
voltò, e anzi, prese a correre ancora più
velocemente.
Così
anche Jill, non volendola perdere di vista, corse dietro
di lei, scansando i panni appesi, le tantissime cianfrusaglie in giro,
inoltrandosi
in zone sempre più buie.
Cominciò
a sbirciare con la coda dell’occhio il paesaggio che
scorreva sotto i suoi occhi.
Curiosi
particolari catturarono la sua attenzione, come
schizzi di sangue, parti organiche di ipotetici corpi umani o animali,
finestre
che si chiudevano tempestivamente, ombre celate
nell’oscurità.
Quell’atmosfera
lugubre la mise in allarme.
Doveva
raggiungere quella bambina alla svelta se non voleva
che le accadesse qualcosa.
C’era
qualcosa che non andava assolutamente in quel posto.
All’improvviso,
vide finalmente la ragazzina rallentare il
passo.
Jill la
imitò, continuando ad avanzare verso di lei.
“E’
pericoloso stare qui…vieni, ti riporto a casa.”
disse
con dolcezza, cercando di apparire più rassicurante
possibile.
Indossando
quella strana maschera, sapeva che una ragazzina
così giovane avrebbe potuto spaventarsi. Allungò
appena una mano, invitandola a
seguirla.
“Dimmi,
piccola, dove…” la sua voce si strozzò
in gola.
“…abiti…?”
completò la frase a stento, accorgendosi di essere caduta in
una
trappola.
Quando le fu a
fianco, girò gli occhi e si accorse che la
ragazzina l’aveva portata in una zona ben delimitata tra dei
capannoni, ove adesso
era completamente circondata dagli abitanti del luogo. Nonostante il
loro
aspetto comune, la loro espressione vuota mise subito in tensione Jill,
che
impugnò saldamente la pistola.
“Vieni
vicino a me…” disse alla ragazzina, continuando a
tenere
la mano tesa verso di lei. “Stai tranquilla, non
accadrà niente…”
Pur avendo la
situazione sotto controllo, sapeva che doveva
prima di tutto assicurare la vita di quella civile.
Tuttavia,
vedendola immobile, fu lei stessa ad avanzare verso
di lei, non dando mai le spalle agli abitanti dall’aria
impazzita.
Quegli
indigeni…erano senz’altro infettati dal virus. Ne
era
abbastanza certa.
C’era
qualcosa di inumano nei loro occhi.
Ne ebbe la
conferma quando, uno di loro, prese a schiumare improvvisamente
con la bocca, dalla quale uscì quella materia nera che aveva
già visto nei
laboratori prima di partire per l’Africa.
“Attenta!”
urlò, facendo per sparare e proteggere la
ragazzina, ma successe l’impensabile.
La ragazzina
dalla pelle scura si rivoltò contro Jill e
dalla sua bocca emerse un gigantesco fiore che fece per risucchiarle la
faccia.
Jill tenette
ferme le braccia della bambina, non volendo
arrivare a spararle.
Comprese in
quel frangente che persino la bambina era stata
usata per quell’imboscata.
Tuttavia, non
poteva farlo. Mentre la teneva ferma, rivide
comunque il volto di una ragazzina che non poteva sapere cosa stava
facendo.
Strinse gli
occhi, addolorata da quella visone
raccapricciante.
La bambina,
poi, ritirò il fiore dentro di se, e la guardò
dritto negli occhi, famelica. Dopodiché le si
scagliò di nuovo contro, e con
lei anche il resto degli indigeni.
La bionda
dovette combattere duramente, sfidando la sua
volontà stessa.
Sperò
con tutta se stessa che non vi fossero civili lì in
mezzo, perché la strage fu inevitabile. Combatté
abilmente non lasciando
avvicinare nessuno a lei.
Erano davvero
agili e forti, comprese di non doverli
sottovalutare. Erano persino capaci di utilizzare arnesi a loro favore,
così
Jill non dovette solo scansarsi dai loro attacchi, ma anche dagli
oggetti
affilati che presero a lanciarle contro.
Come poteva
Wesker credere che tutto questo fosse l’origine
di una ‘razza superiore’?
Era solo un
massacro…un abominio…
Quelle persone
ora non conoscevano altro che la sete di
sangue e la voglia di uccidere.
Non vi era
nulla di magnifico e di straordinario in quegli
occhi bianchi grondanti di sangue.
Digrignò
i denti, sferrando un calcio che frantumò la testa
di uno di loro.
Combatte con
la rabbia in corpo, distrutta da ciò che
quell’uomo l’aveva costretta a vivere da quel
maledetto giorno!
Un urlo la
fece voltare di scatto.
Si
girò e vide un uomo strascinato per le braccia. Questi si
dimenava disperato, e così la Crow Lady corse in suo
soccorso.
“Lasciatelo!”
Intimò
e sparò senza indugio. I due uomini che lo stavano
trascinando caddero a terra, così l’altro fu
libero di alzarsi.
“U…ugh!!”
un
rimescolio allo stomaco lo costrinse a piegarsi su se stesso. Intanto
Jill si
mise subito in sua difesa.
“Tu…sei
contagiato?” disse con la voce meccanica che
fuoriusciva dalla sua maschera.
L’uomo
la guardò spaesato.
“Che
cosa…?!”
“E’
pur sempre una risposta abbastanza positiva…”
disse fra
se la bionda, ritenendo attendibile il viso perplesso di
quell’uomo inconsapevole
dell’esistenza di un virus che era causa di tutto quello.
L’uomo
scuro di pelle intanto si rimise eretto col busto e
fece del suo meglio per aiutare la donna, utilizzando oggetti di
fortuna contri
i nemici.
Infatti
riuscì a prendere un tubo di ferro e lo utilizzò
contro di loro.
Riuscirono
insieme a sbarazzarsi della maggior parte dei
‘mostri’, ma presto altri avanzarono numerosi verso
di loro.
L’intero
villaggio sembrava aver perso il controllo ed erano
in troppi. Optarono dunque per la fuga.
Jill si
voltò veloce verso l’uomo appena salvato.
“Sai
dove possiamo metterci al riparo?”
“Non
siamo lontani dall’ingresso del
villaggio…”
“Bene!”
Così
i due cominciarono a correre.
Jill
seguì l’uomo, continuando intanto a sparare sulla
folla
che li inseguiva, per favorire la loro fuga. La fortuna volle che,
esattamente
come la plagas, anche le persone
infette da uroboros non fossero particolarmente intelligenti,
così li
seminarono prima ancora di uscire definitivamente dal villaggio. Una
volta al
sicuro, l’uomo si rivolse a Jill, ansimando per la
lunghissima corsa.
“J-James…James
Dume.” disse facendo per porgerle la mano. “Volevo
ringra…”
“Cosa
è successo in questo villaggio?” lo interruppe
Jill,
ancora in allarme, mentre scrutava il paesaggio dietro di loro.
L’uomo
ritirò la mano. Rimase un attimo in silenzio, poi
abbassò gli occhi.
“
‘Majini’…è
così
che li hanno chiamati. Ero qui solo di passaggio, e mi hanno
aggredito.” spiegò
e si sedette a terra. “L’intera regione si sta
lentamente popolando di questi cannibali,
del tutto privi di senno.” aggiunse affranto.
“Cosa
ci facevi qui?”
“Io?
Sono un dottore, ma non avevo mai visto niente di
simile. Mi aveva mandato una cliente, chiedendomi di un suo parente, ma
a
quanto pare…dovrò riportarle solo brutte
notizie.” rispose e prese a bere da
una borraccia.
“Ah…”
sospirò una volta assetatosi.
Guardò
la strana donna mascherata e le sorrise. “Lei è un
soldato, vero? Grazie per avermi soccorso.”
Jill
annuì, tuttavia non sopportando di essere considerata
un soldato in quel contesto.
Se solo avesse
potuto essere libera di tornare se stessa avrebbe
potuto davvero aiutare quella povera gente.
Invece…adesso
non era che la schiava di coloro che avevano
causato tutto questo.
Non meritava
dunque la sua riconoscenza.
L’uomo,
tuttavia ignaro, le sorrise con riconoscenza.
“Posso
domandarle il suo nome?”
A quella
domanda, Jill girò il viso e gli diede le spalle.
“Non
è importante che tu lo sappia…” rispose
a malincuore,
avendo il preciso ordine di non rendersi riconoscibile per nessuno.
Anziché
mostrarsi perplesso o dispiaciuto, l’uomo le sorrise
di nuovo.
“Non
importa, mi hai salvato la vita. Non ho bisogno di
sapere il tuo nome.” disse e si alzò, sistemando
un po’ gli abiti sgualciti che
aveva addosso.
La donna
rimase sorpresa da quella reazione.
Lei, al suo
posto, si sarebbe fidata di una donna
mascherata?
No…assolutamente
no.
Ne aveva
passate fin troppe per fidarsi così di qualcuno.
Tuttavia le
fece provare una strana sensazione vedere
qualcuno ancora così fiducioso verso il prossimo.
Forse,
quell’episodio, nella sua drammaticità, aveva
alleviato il suo cuore, costretto a divenire duro in quegli anni.
Quelle parole,
nella loro assoluta semplicità, la fece sentire
ancora speranzosa verso il futuro. Vedere animi ancora così
amichevoli,
gentili, nonostante il caos che li circondava, era oramai cosa
abbastanza rara.
Si
sentì di essere di nuovo quel membro BSAA che voleva
proteggere le persone, e che non fosse diventata a sua volta anche lei
soltanto
una macchina bellica, esattamente come i suoi nemici.
Ritrovò
dentro di se gli ideali che la spinsero a suo tempo
a continuare, a comprendere che valesse la pena combattere quella lotta.
Tutto
questo…solo per quello sguardo riconoscente.
Sembrava poco,
eppure riempì il cuore di Jill Valentine.
Lei…poteva
ancora salvare molte vite.
Non doveva
mollare.
“Posso
chiederle di
scortarmi alla mia abitazione? Con tutta questa
confusione…non vorrei fosse
successo qualcosa.” chiese all’improvviso il signor
James.
Jill ci
rifletté un attimo, ma in fin dei conti non aveva
motivo per rifiutare.
Se il P-30 non
le faceva resistenza, avrebbe volentieri
aiutato ancora quell’uomo. Così, da sotto la
maschera a forma di becco, gli
sorrise.
“Certo.
Dove abiti?”
L’uomo
si girò attorno per orientarsi, poi le indicò la
via.
“Dobbiamo
proseguire in questa direzione. Arriveremo presto,
il tragitto non è lungo come sembra.”
Non parlarono
molto durante il cammino, ma James era di
buona compagnia.
Era un uomo
molto semplice, spontaneo. Mostrò lei alcune
foto della sua famiglia per spezzare il ghiaccio, e quel tipo di
atteggiamento
le ricordò molto Barry.
Barry Burton
era stato più di un collega di lavoro per lei.
Devoto verso
il lavoro e la famiglia, era un uomo buono e
degno di stima, nonché un ottimo amico.
Era un vecchio
conoscente di Chris, ed era stato lui a
farglielo incontrare.
Lo vedeva
ancora adesso molto spesso, nonostante il lavoro
tenesse impegnati entrambi.
Si era sempre
mostrato rassicurante con lei, e durante il
periodo della STARS, era stato un po’ come un padre.
Probabilmente
lo ammirava proprio perché lui, come nessun
altro che avesse mai conosciuto, era capace di dedicare tutto se stesso
sia al
lavoro, ma anche alla famiglia, alla quale teneva più di
ogni altra cosa.
Lei e il suo
vero padre, invece, non avevano mai avuto un
vero rapporto.
Quella
riflessione riaccese in lei dei ricordi lontani,
riguardo la sua vita prima di entrare nella STARS:
Viveva a
Raccoon City, in una zona periferica piuttosto
pericolosa. Jill tuttavia era sempre stata una ragazza forte e tenace,
costretta
a crescere prematuramente, per cui riusciva comunque sempre a cavarsela.
Suo padre,
Dick Valentine, era un uomo trasandato, distratto ed egoista,
che non aveva mai badato a lei. Egli non era affatto una persona
semplice da
capire, ma gli aveva sempre riconosciuto una personalità
piuttosto brillante. Le
aveva insegnato a vivere concretamente nel mondo reale, rendendola una
donna
scaltra, pronta a lottare. Era a lui che doveva la sua prontezza di
spirito.
In compenso,
erano stati decisamente poco un padre e una
figlia in termini di affetto.
Erano
più una sorta di conviventi.
Lo ricordava
sempre fuori casa, quando rincasava tardi e poi
si assentava di nuovo per lunghi periodi stesso il giorno dopo.
Salvo pochi
episodi della sua infanzia, ricordava poco di
lui.
Aveva finito
con l’odiarlo, col tempo, essendo stato tutto
fuorché un punto di riferimento nella sua vita, per
lei…
Era cresciuta
badando da sola a se stessa, non sapeva
neanche come lui facesse a guadagnare i soldi per sopravvivere.
Fino a quando
la polizia lo arrestò un giorno, e allora
scoprì che egli fosse uno scassinatore.
Quell’episodio
allontanò fisicamente da lei l’unico genitore
che avesse mai avuto… tuttavia, mai come allora, i due si
sentirono più vicini.
Durante la sua
prigionia, fu lui stesso a spingerla di
abbandonare quella vita disonesta, nella quale lei era inevitabilmente
cresciuta
divenendo una ragazza ribelle ed intrattabile.
Non gli aveva
mai visto quello sguardo sofferto, e quegli
occhi tristi e sinceri.
Qualcosa
cambiò nella sua vita da quel giorno e nacque una
nuova Jill Valentine. Da ragazza di strada, trascurata e
indisciplinata, seguì
un sogno…quello di cambiare vita.
Purtroppo,
però, l’idillio non durò.
Quando Dick fu
libero di uscire dalla prigione, i due
avrebbero voluto imparare a conoscersi meglio ora che lui era cambiato
e lei
era una donna adulta.
Tuttavia
l’incidente alla villa cambiò definitivamente le
loro vite.
La distruzione
di Raccoon City li fece perdere di vista per
un lungo periodo, senza che l’uno sapesse il destino
dell’altro.
Quando si
ritrovarono, entrambi avevano già intrapreso la
lotta contro il bioterrorismo.
All’epoca
Jill fu sorpresa di scoprire che suo padre avesse
abbracciato la sua stessa causa.
Non erano mai
stati particolarmente affettuosi l’uno con
l’altro, ma sentì dentro di se una gioia mai
provata nel ritrovarlo accanto a
se in quella lotta disperata, anche se non lo dimostrò mai a
parole.
Il suo vecchio
era davvero cambiato.
Ora che si
erano ricongiunti, aveva sperato che, finito
tutto, avessero potuto ricominciare d’accapo, e tornare ad
essere una famiglia
un giorno.
Tuttavia il
fato aveva crudelmente condannato Jill ancora
una volta.
Un’indagine…una
maledetta
indagine.
Come mai era
accaduto, lavorò assieme a lui per catturare
una banda di trafficanti in nero delle BOW. Una missione che si
rivelò fatale
per il signor Valentine, che venne catturato.
Egli fu
contagiato dal virus T sotto gli occhi impotenti di
Jill, catturata anch’ella nel tentativo di salvarlo.
Il loro ultimo
sguardo, i loro occhi colmi di lacrime che si
incrociavano…
Essi si
diedero addio, consapevoli che non avessero altra
scelta.
Nel momento
nel quale il virus avrebbe preso possesso della
mente di lui, egli non sarebbe mai più stato se stesso. Lo
sapeva bene. Lo
sapevano entrambi.
-Ti voglio bene,
Jill-
Le disse
picchiettando il piede a terra e comunicando con
lei tramite un codice inventato da loro, in modo che i terroristi non
gli
impedissero di poter salutare sua figlia un’ultima volta.
Poi…PAM!
Jill aveva
dovuto ucciderlo con le sue stesse mani.
Il viso di
quell’uomo, trasformato in un mostro famelico, si
spense sotto i suoi occhi.
Era finita
così…ancora una volta.
Ancora una
volta…
Jill non si
riprese per molto tempo dopo quell’episodio, non
potendo accettare che fosse accaduto davvero.
I suoi abiti
sporchi di sangue la macchiarono dentro ancora
una volta.
Seppur sapesse
che non fosse colpa sua, che non avesse
scelta, che non avrebbe potuto salvarlo, che avrebbe ucciso due volte
suo padre
se si fosse lasciata morire per mano sua, condannandolo a
strappare la carne della sua stessa sua
figlia…
Però…
nonostante questo … lei non avrebbe mai voluto che le
togliessero anche lui.
Ed alla
fine…era stata comunque lei a sparargli.
Jill strinse
gli occhi rievocando quel terribile ricordo.
James vide la
Bird Lady assorta, così le si avvicinò appena.
“Credo
siamo arrivato quasi…è tutto a posto?”
chiese
cortesemente.
La bionda
tornò alla realtà, con gli occhi appena inumiditi.
“E’
tutto a posto.”
Prese poi la
mappa e la consultò. Qualcosa la inquietò.
Quel villaggio
dove adesso erano diretti…perché non era segnato
sulla cartina?
Guardò
dinanzi a se, e si accorse che effettivamente c’erano
delle abitazioni.
L’uomo
corse verso il centro e urlò nella sua lingua natia
una serie di nomi per Jill difficili da decifrare.
Lo vide poi
all’improvviso accasciarsi a terra, così corse
verso
di lui.
“James,
stai bene?”
“Cough!
Cough!
Questa…maledettta tosse…cough!” disse
piegandosi in ginocchio.
“Tosse?”
La ragazza lo
osservò attentamente e le sue pupille si
rimpicciolirono quando notò che qualcosa di scuro era caduto
a terra.
“No…”
bisbigliò sconvolta.
“Cosa
c’è?” le chiese l’uomo vedendo
la ragazza preoccupata.
In seguito, altri filamenti neri caddero dal corpo dell’uomo
che cominciò a
dimenarsi spaventato.
“O…oddio!
Cosa mi sta…COUGH! COUGH!! Aiu…! Cough!”
Jill cadde
all’indietro, dovendo osservare quella scena
impotente.
“Nooo!!”
urlò in preda alla disperazione, mentre egli prese
a trasformarsi sotto i suoi occhi.
L’uomo
rivolse gli occhi al cielo ed in quel momento, delle
lacrime di sangue rigarono il suo viso. Uroboros, impossessandosi del
suo
corpo, aveva oramai distrutto quell’organismo, ed era pronto
a rianimarlo, più
forte ed diabolico che mai.
L’uomo
rimase immobile per qualche istante in quella scomoda
posizione.
Jill
impugnò la pistola stringendo le labbra, pronta a
sparare ancora una volta contro qualcuno che non aveva colpa, pronta a
sentire
ancora il suo corpo gelarsi per il destino infausto che aveva ucciso
quella
persona, trasformandola in un mostro.
Quante volte
aveva dovuto sopportare quella visione…?
Perché?
Perché quell’abominio non aveva mai fine?
James riprese
conoscenza, ma oramai, trasformato in un majini,
si scagliò contro di lei travolgendola senza
pietà.
Jill, mentre
lo teneva a bada, osservò il suo volto mentre
questi faceva per morderla ferocemente.
Il suo viso si
sovrappose con l’uomo meraviglioso che aveva
conosciuto precedentemente, anche se per pochissimi istanti.
Quel
destino…era ingiusto, era crudele…era uno schifo.
Portò
la pistola alla sua tempia, e sparò.
James cadde a
terra.
La sua testa
era completamente sporca di sangue, ed ora
giaceva immobile accanto a Jill, anch’ella imbrattata di
rosso.
Jill
guardò il cielo, sentendosi distrutta dentro.
Il peso di
quella vita era immenso.
“Wesker…PERCHE’!?”
urlò.
Presa dallo
sconforto, non si accorse che intanto, alle sue
spalle, erano giunti dei militari.
Ella si
alzò istintivamente notando le loro ombre, pronta a
difendersi.
“Abbiamo
dei campioni, ottimo.”
La bionda
inorridì sentendo quella frase. Non solo James era
morto in quel modo orrendo, ora l’avrebbero anche
strumentalizzato?!
Tuttavia non
poté opporsi, perché quello faceva parte degli
ordini del P-30. Dovette tenere dentro tutta la rabbia e la
frustrazione.
Affranta, fece
per sedersi su una delle Jeep per tornare
alla Tricell. Tuttavia un vetro rotto a terra attirò la sua
attenzione.
Allungò
il collo, e sbandò quando lo riconobbe.
Urlò
in direzione dei soldati, riconoscendo quella fiala
rotta in quella che conteneva il virus Uroboros.
Qualcuno di
loro doveva averla fatta cadere per sbaglio, ma
oramai era troppo tardi.
Il virus si
stava velocemente già impossessando di loro, e
ben presto li avvolse con la sua melma scura.
Jill
rabbrividì, non essendo ancora psicologicamente pronta
ad affrontare di nuovo una strage simile. Dopo un attimo di
smarrimento, mise
in moto la vettura, e con la retromarcia corse via da quel centro
abitato.
Non
guardò neanche il contachilometri, non le importava a
che velocità stesse andando.
Scappò
via per sopravvivere, per evitare di lottare, per
fuggire da quel destino tremendo, da quell’abominio, dai suoi
pensieri, da se
stessa.
Quella fuga
racchiudeva tutto il suo animo frustrato che non
ne poteva oramai più di tutto questo.
Presto non ci
fu più nessuno alle sue calcagna, era finalmente
sola…
Sola…
Sola…di
nuovo.
Tirò
il freno a mano e poggiò la fronte sul volante. Stette
ferma, in silenzio, per un lungo tempo.
Alzò
poi il viso e vide dinanzi a se la struttura imponente
della Tricell Pharmaceutical Company.
“Voi…maledetti…maledetti
tutti..!”
Jill
avanzò nell’edificio e non le fu difficile trovare
Excella.
Le
buttò sulla scrivania i frammenti di alcuni campioni che le
aveva ordinato di raccogliere per continuare le ricerche su Uroboros.
Tuttavia,
pur avendo adempiuto al suo compito, poteva leggersi nel suo sguardo
tutto il disprezzo che covava in corpo verso
lei e le sue ricerche.
Se la maschera
non avesse coperto il suo volto, la donna dai
capelli neri avrebbe potuto addirittura temere che lei potesse fuggire
al
controllo del P-30 da un momento all’altro.
Invece ella
rimase tranquilla, adagiata sulla poltrona
dietro la sua scrivania, intenta a curare le sue unghie laccate.
La
guardò apatica, concedendole a stento uno sguardo.
“Sei
arrabbiata, Jill Valentine?” chiese, consapevole che
lei non potesse risponderle.
La Crow Lady
strinse i pugni, non potendo più accettare
quelle provocazioni. Il suo copro prese a tremare di rabbia.
Intanto
Excella finalmente alzò il viso verso di lei,
guardandola fissa negli occhi.
Incrociò
le dita sotto il meno, rilassando la testa su di esse
senza interrompere quel contatto visivo.
Le due si
guardarono con sfida.
La bruna poi
sorrise, beffarda.
“Dimmi,
ti sei divertita?”
Rise
fastidiosamente sotto gli occhi pieni di collera della
bionda, che, infatti, sbatté inaspettatamente le mani sulla
scrivania.
Excela fu
sorpresa di quel gesto, accorgendosi solo in quel
momento che Jill aveva reagito al suo istinto, sconfiggendo gli impulsi
del
dispositivo sul suo petto.
Si
sentì dunque leggermente smarrita, temendo di vederla
perdere il controllo.
“
Come…” bisbigliò Jill piano, poi si
rese conto di riuscire
a parlare, così alzò la voce e le
mostrò la sua rabbia. “Come avete potuto fare
questo, bastardi!!”
Urlò,
sentendo quelle parole vibrare non solo dentro di se,
ma persino in Excella stesso.
Ella infatti
rimase impietrita e sembrava spaventata.
Tuttavia una
voce alle sue spalle fece vacillare anche l’ex
agente STARS a sua volta.
Quella voce,
quel tono, quei passi…
Quel timbro
duro, autorevole, profondo, glaciale, che le
faceva gelare il sangue. Era Lui.
“Hai
solo adempiuto al tuo compito, Jill.”
La bionda si
voltò e vide Wesker entrare nella stanza.
Egli era
elegante e perfettamente in ordine come il solito, con
stampato sul viso quel crudele e diabolico ghigno che lo caratterizzava.
Jill si
sentì atterrita di fronte a lui.
Egli era
capace di immobilizzarla con un solo sguardo, come
se avesse il controllo sulla sua stessa mente.
Lo vide
roteare un braccio in modo teatrale, e rivolgersi a
lei con fare galante, eppure malvagio.
Il suo solo
modo di muoversi trasmetteva crudeltà assoluta.
“Ottimo
lavoro.” disse ferendola più che con una
pallottola.
Jill sentì il suo corpo venir meno.
Intanto egli
continuò ad avanzare verso di lei.
“E’
un buon risultato sapere che sei stata all’altezza del
compito, plague doctor. Il nome è questo, giusto?”
Frastornata,
Jill continuò a rivolgere il suo sguardo verso
di lui, tremando.
Wesker sorrise
e ciò non le piacque per nulla.
“Già.
Sarai tu che contagerai Kijuju con Uroboros.”
annunciò,
girandole attorno, guardandola incessantemente con fare spietato.
“Prima
o poi verrà anche la BSAA, che ovviamente sta già
facendo i suoi compiti. Ma non sanno nulla di cosa ho in serbo. A
proposito, sarai
tu ad occuparti di loro.”
Spiegò
e rise malvagiamente, sotto lo sguardo sempre più
sconvolto della Crow Lady.
Lei…era
quella che avrebbe contagiato quegli abitanti?
Lei…avrebbe
combattuto contro la BSAA stessa?
Sentì
venir meno. Tutto cominciò a girare vorticosamente e
neanche gli impulsi del P-30 riuscirono più a sorreggerla.
Il peso di quella
giornata le piombò addosso, insieme all’infinita
sofferenza che albergava nel
suo cuore, facendole perdere i sensi.
Cadde,
perdendo il controllo sul suo corpo.
Wesker la
sorresse in tempo per non farla crollare sul
pavimento.
La
voltò verso di se, spostandole appena la maschera dal
viso.
Sorrise
dolcemente. Un sorriso che, in quel contesto,
risultò macabro e crudele.
“Hai
diritto a un po’ di riposo…” disse in un
sussurrò,
accarezzandola.
“Albert…?”
Excella gli si
avvicinò seria, impensierita.
Tuttavia lui
non la curò. Si limitò solo a poggiare Jill sul
divano ed abbandonare la stanza.
“Presto
una nuova razza selezionata da Uroboros sarà il
nuovo popolo di questo mondo, di cui io sarò il suo dio.
Quel potere…”
Disse assorto,
sentendo ribollire dentro di se una forza
incontrollata mai provata prima.
Guardò
dritto dinanzi a se, con gli occhi occultati dagli occhiali
da sole. Poi rise di nuovo, portando una mano fra i capelli.
“…quel
potere…ah, ah, ah. Ho tutto il potere che mi
serve.”
Jill
aprì debolmente gli occhi, ancora frastornata per il
capogiro appena avuto.
Abbassò
di nuovo le palpebre, struggendosi intanto alla
visione del vero e crudele Albert Wesker dei
suoi incubi.
“Wesker…perché…?”
Fu il suo
ultimo pensiero, prima di perdere definitivamente
i sensi.
***
Poche
note:
Il Dick Valentine
padre di Jill di cui ho parlato in questo capitolo, è quello
di cui si racconta
sulla wikipedia. Un libro su resident evil ha trattato su di lui, e
personalmente condivido l’interpretazione che sia stato il
padre a insegnare a
Jill a scassinare, una sua abilità che le appartiene dal
primo re. Il fatto che
il padre sia stato uno scassinatore giustifica molto quindi questa
abilità con
cui è conosciuta Jill, la “maestra dello
scasso”.
Invece
l’episodio della
sua morte, è quello del cortometraggio Resident Evil Project
S.E.R.A. , un
cortometraggio meraviglioso interpretato dalla splendida Julia Voth, il
volto
di Jill Valentine in Resident Evil Rebirth (e altri), che qui
interpreta
appunto Jill.
Mi farebbe
piacere se
lo guardaste per immaginare al meglio il flashback presente nel
capitolo, che
ho descritto presupponendo che, chi leggeva, conoscesse già
questo
cortometraggio.
Spero leggiate
questo
capitolo con lo spirito di immergervi nel vortice drammatico della vita
di
Jill, persa negli incubi, condannata a combattere questa lotta che non
ha mai
fine.
Volevo inoltre
spendere due parole sul Wesker finale, che è un Wesker che
non tornerà
indietro.
E’ un
Wesker che ha
abbandonato la sua umanità di sua volontà, e che
adesso non può più essere
fermato.
Detto questo, un
ringraziamento a tutti quelli che mi stanno seguendo.
Alla prossima!
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Capitolo 15 *** Capitolo 15: circuito nero ***
THE
DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO 15
Chi sei per me, Albert
Wesker?
Un nome…un volto…una
nemesi…un ricordo…?
Hai cambiato il mio
destino, hai sconvolto la mia vita.
Ti ho amato, e il mio
cuore continua a struggersi in quel ricordo. Non riesco ad accettare
che tu sia
l’uomo che adesso ho davanti ai miei occhi.
Mi chiedo perchè…
…perché, nonostante
tutto, io continui a non odiarti completamente.
E’ per via di quel
ricordo che vaga ancora nella mia mente? Oppure è il tuo
viso affranto, che ho
scoperto nascosto dietro la tua freddezza?
Oramai non lo so più.
Ultimamente non so più
neanche cosa sono.
Spesso vorrei non
riaprire gli occhi, per sperare che tutto questo non sia accaduto
davvero.
Vorrei non averti mai
conosciuto, per non dover continuare a ripetermi di odiarti con tutta
me
stessa.
Jill aprì gli occhi e si ritrovò stesa su un
divano di
velluto rosso scuro.
Nonostante si fosse appena svegliata, presto i suoi pensieri
tornarono all’incubo appena passato.
Il massacro che aveva dovuto assistere a Kijuju.
Se ripensava che quello non era che l’inizio, le veniva da
vomitare. Ma non era solo questo…
Portò una mano alla bocca, turbata da quel destino,
spaventata da quel posto.
Girò gli occhi e si accorse solo in quel momento della
presenza di Albert Wesker in quella stanza.
La ragazza girò quindi il busto, adagiandosi sui gomiti e
spostando il peso sulla spalla.
Vedendola fare per alzarsi, l’uomo dalle lenti scure le si
avvicinò.
Le posò delicatamente la mano su una spalla, come per dirle
di rimanere sdraiata, poi si sedette anch’egli sul divano,
posizionandosi dove
avrebbe dovuto normalmente adagiarsi il capo di Jill. Ella rimase con
la testa
sollevata, non sapendo cosa fare. Fu inaspettatamente lui a premere sul
suo
capo, facendola poggiare sulle sue gambe.
La ragazza rimase con gli occhi fissi a guardare nel vuoto,
disorientata,
mentre lui prese a sfiorare soavemente i suoi sottili capelli biondi.
Non comprendeva assolutamente l’atteggiamento di Wesker,
né
cosa gli passasse per la testa. Egli era un vortice di pensieri, di
azioni, del
tutto imprevedibili. Geniale, scaltro, intellettuale, forte,
calcolatore,
diabolico…ma dentro…cosa provava realmente?
Quella mano delicata sul suo capo le fece sentire una strana
morsa al cuore. Le provocò piacere e fastidio allo stesso
tempo. Cosa poteva
mai significare per lui una carezza? Aveva un senso?
Rivolse i suoi occhi azzurri verso di lui e notò il suo viso
assorto.
Possibile che dopotutto, anche Wesker avesse i suoi dubbi?
Tuttavia lei non avrebbe mai potuto essere la donna che
l’avrebbe
consolato. In lei non avrebbe mai trovato la complice disposta ad
accoglierlo,
se era questo quel che cercava. Razionalmente, Jill era consapevole di
non
averlo mai potuto fare. Nonostante nel suo cuore qualcosa si
sciogliesse
inspiegabilmente e irrazionalmente quando i due erano
decontestualizzati da ciò
che caratterizzava le loro vite, comunque non poteva rinnegare quel che
c’era
realmente fra loro.
Nonostante avrebbe voluto.
Nonostante avrebbe fatto qualsiasi cosa per cambiare Albert
Wesker.
Solo che sapeva che non poteva.
Era fin troppo razionale per comprendere che lui non avrebbe
mai potuto fuoriuscire dal baratro in cui era caduto, e nel quale vi
era anche
lei.
Strinse gli occhi, lacerata da quella consapevolezza.
Desiderava ardentemente lasciarsi alle spalle tutto,
guardarlo negli occhi, e magari aiutarlo.
Ma Wesker non cercava aiuto, lui stesso voleva il destino
che si era costruito con le sue mani. Un destino che aveva cercato e
realizzato
con tutto se stesso.
Egli non fuggiva, ma mirava verso un obiettivo.
Lei non avrebbe mai potuto interferire su questo.
Anche se…avrebbe voluto illudersi di poter essere capace di
cambiarlo.
Ma non poteva.
Non poteva perché era irrazionale anche solo pensarlo.
Era un destino a senso unico. Quell’attrazione era un
errore. Un errore che doveva dimenticare e abbandonare.
La sua razionalità non doveva vacillare.
Lei…aveva da tempo imparato a sorpassare sui suoi
sentimenti. Aveva dimenticato cosa significasse lasciarsi andare ad
essi.
Jill era divenuta una donna risoluta, dal sangue freddo,
proprio perché quella guerra lo richiedeva.
Fare quel passo indietro significava sputare sopra
l’apocalisse che voleva sconfiggere: il bioterrorismo.
Volente o nolente, il volto che rappresentava tutto questo
era proprio quello di Wesker.
Guardò di nuovo verso di lui.
Indossava una camicia nera sbottonata appena sul collo, con
le maniche tirate all’altezza dei gomiti.
Lui finalmente abbassò il viso verso di lei, ricambiando
quello sguardo.
“Cosa hai sognato, Jill?” le chiese
all’improvviso, tenendo
un tono molto basso.
Ancora una volta l’aveva presa di sorpresa. Jill
rifletté
per qualche attimo, poi rispose.
“Non ricordo…”
Wesker sorrise fra se. Guardò di fronte, poggiando la testa
sullo schienale del divano, poi tornò immerso nei suoi
pensieri, come se nella
sua mente stesse analizzando un flusso di parole e pensieri che avrebbe
potuto
condividere con la donna dai capelli biondi, ma non voleva.
Jill stessa percepì come se lui fosse in
difficoltà, nonostante
apparisse ad occhio esterno completamente padrone di se.
Egli poi parlò, sempre con la sua solita calma e posatezza.
“Le cose che ti ho detto, accadranno. Uroboros
dominerà le
menti delle persone selezionando una razza scelta, ed io
sarò colui che dominerà
questo mondo.”
La scioltezza di quel discorso straziò Jill, tuttora
ancorata a quella folle speranza che lui tornasse un giorno ad essere
quello di
un tempo. Anzi…colui che non era mai esistito.
Wesker osservò il viso corrucciato della ragazza. Smise di
accarezzarla ed adagiò la sua mano sulla sua schiena.
“Dimmi…tu mi odi?”
Jill non poteva dare una concreta risposta a quella domanda.
La risposta era una ed erano tante allo stesso tempo.
Lo odiava? Sì…certo che sì.
Eppure…c’erano tante altre cose che albergavano
dentro di
lei. Cose ben distinte dall’odio, ben distinte da cosa fosse
razionale. Cose
vicine alla follia.
“Sono consapevole di tutto quello che provi.” disse
inaspettatamente lui, rispondendo egli stesso a quella domanda.
Sfilò gli occhiali e alzò il viso, guidato dalla
piena
consapevolezza di quelle parole. Conoscendo ben cosa fosse
‘l’odio’…
“Posso…immaginarlo, sentirlo,
vederlo…” continuò a parlare
con tono profondo, perdendosi in quelle parole, potendo assaporare egli
stesso
il loro peso. Poi si rivolse fermamente a lei.
“Sì, Jill. Mi odi. Non potrebbe essere
altrimenti.”
Concluse ironico, freddo, assorto.
Jill lo guardò intensamente, chiedendosi il
perché di un
discorso simile.
Il problema era che lei lo detestava con tutto il cuore, ed era
così. Lui aveva ragione, non poteva essere altrimenti.
Non poteva essere diverso, razionalmente. Se sentiva
qualcosa di discorde dentro di se, che combatteva contro quel
sentimento, era
insensato, era sbagliato.
Nonostante quella sua convinzione, però, invece quel
sentimento contrastante c’era, e non poteva più
ignorarlo.
Nonostante fosse solo una bugia, nonostante lui fosse Albert
Wesker.
Wesker fece scivolare la sua mano sul suo viso pallido e si
piegò appena su di lei, inarcando il busto.
Egli sapeva che, per quanto le cose avrebbero potuto andare
diversamente, lui stesso non avrebbe mai perdonato chi aveva
oltraggiato il suo
destino.
Rivide davanti ai suoi occhi Spencer e la rabbia bruciò
dentro di lui.
La mente andò a focalizzarsi su quel giorno in quel
laboratorio abbandonato in mezzo alla selva, quel giorno in cui
qualcosa era
cambiato fra lui e Jill. Quel giorno in cui l’aveva guardata
negli occhi e aveva
scoperto, suo malgrado, di non essere stato diverso dall’uomo
che aveva
condannato la sua esistenza per sempre.
L’essere guardato da Jill con quegli stessi occhi che lui
aveva rivolto a Spencer lo lacerava.
Era la prima volta che sentiva quel dolore.
Questo era accaduto perché lei aveva toccato una parte umana
di Wesker cui mai nessuno era riuscito a giungere.
Era proprio per questo che conosce l’odio di Jill Valentine.
Il suo stesso odio…un odio distruttivo, lacerante,
maledetto…
“Nonostante ciò,
però…” aggiunse in balia di quel
sentimento
a lui stesso estraneo, quell’umanità che non era
morta dentro di lui e che l’aveva
inaspettatamente ferito. “…cosa saremmo se
abbandonassimo per un istante ciò
che siamo fuori da questa stanza?”
Jill sentì dentro di se un istinto irrefrenabile udendo
quelle parole.
Era come se la sua volontà avesse ricevuto il consenso di
separarsi dalle sue convinzioni, abbandonare la sua
razionalità, e credere per
un momento che ciò che li circondasse non esistesse.
Era stato il P-30 che aveva ubbidito a quella domanda?
Non lo sapeva…non ci volle pensare nemmeno.
Nello stesso istante in cui Wesker terminò quella frase,
allontanandosi da lei e tornando in silenzio, la ragazza invece si
sollevò
verso di lui e portò con decisione le braccia attorno al suo
collo, posando le
sue labbra sulle sue.
Premette la sua bocca sempre più forte, esplorando quel
bacio, quelle labbra che non potevano essere irreali, quella bocca che
era vera.
Quell’Albert Wesker che non era e non poteva essere una
bugia.
Voleva sprofondare in quell’irrazionale imbroglio della sua
mente, che l’aveva oramai travolta in uno struggente rapporto
in cui nulla
aveva un senso, nulla avrebbe potuto essere veramente reale.
Poteva esistere se loro stessi non fossero esistiti.
Era un conflitto irrisolvibile, che dannava la sua
esistenza, eppure adesso lui era suo, tra le sue braccia, sulle sue
labbra.
Wesker, dapprima confuso, per una volta nella sua vita non
aveva previsto la mossa del suo avversario. Non si era reso conto che,
proferendo quella frase, aveva indotto la ragazza a reagire sotto
l’impulso del
P-30, che l’avrebbe lasciata libera di mostrargli quel mondo
che a loro non
sarebbe mai appartenuto.
Rispetto quella volta in cui lei l’aveva abbracciato
nell’oscurità della notte, questa volta non
potette rimanere inerme a quel
contatto passionale ed irrequieto. Quella umanità da cui si
teneva invece
lontano.
Quel sentimento travolgente poteva sentirlo in ogni parte
del corpo di Jill, e non riuscì ad esserne indifferente.
Sorrise del fatto che, nonostante tutto, lei lo agognasse e lo
desiderasse in quel modo.
Era possibile razionalmente?
Ben presto però la derisione fece spazio ai suoi impulsi,
che accettarono inspiegabilmente quel contatto. Così
ricambiò quel bacio
intenso.
Esattamente come era accaduto nella foresta, ove cadendo
l’uno sull’altro, egli la baciò
condividendo con lei quel momento di assoluta
irrazionalità.
Non si era mai lasciato coinvolgere in futili sentimenti, ai
suoi occhi simbolo della debolezza umana. Un pericolo per chi come lui
aveva da
portare avanti un piano che richiedeva ogni parte di se stesso. Eppure
la forza
di Jill fu tale da non fargli desiderare altro.
Si chiedeva come potesse spiegarsi ciò, poi
ricordò: “…cosa
saremmo se abbandonassimo per un
istante ciò che siamo fuori da questa stanza?”
Era stata questa la domanda.
Tornò poi a baciarla intensamente, prendendole il viso fra
le mani. Mentre sentiva il suo corpo premere sul suo, ebbe la
tentazione di
disattivarle il dispositivo sul suo petto proprio per costatare se
tutto ciò
fosse reale, tuttavia desistette.
Voleva quel raro momento di abbandono, era suo, non voleva
spezzarlo.
La sollevò appena, mettendola sulle sue gambe, lasciando che
la passione gestisse quel momento.
Ma l’inganno
quanto sarebbe potuto durare?
Se lo desiderava, per sempre.
Jill era in suo potere. Tuttavia Wesker, il principe
dell’inganno, odiava essere raggirato a sua volta.
Quella falsità, quei sentimenti ribollenti che
però
presupponevano l’annullamento di loro stessi per sussistere
realmente, gli
fecero respingere quelle labbra meravigliose, quel calore umano, quella
sensazione di abbandono totale, irrazionale e piacevole…
Si allontanò dunque da lei, volendo cacciare via da lui
quello che poteva ancora toccarlo, quello che poteva sfiorare
ciò che era
sempre rimasto sigillato e nascosto nell’animo di Wesker e
che lui stesso aveva
rinnegato.
Jill Valentine, una donna cui un tempo non avrebbe mai dato
importanza, adesso rappresentava un pericolo…un pericolo che
doveva mettere a
tacere. Un pericolo che allarmò Albert Wesker.
Mosse le labbra, sfiorando il viso della donna, essendo
ancora vicinissimo a lei. Le mostrò così i suoi
occhi rossi dalla pupilla
verticale.
Una certa volontà di ferirla trasparì da quello
sguardo a
cui Jill non potette fuggire.
Il viso della bionda si fece d’improvviso sgomentato,
realizzando quel che era accaduto, realizzando di aver di fronte a se
esattamente lo stesso uomo che odiava, eppure che aveva voluto condurre
alle
sue labbra.
Si sentì tremare…cosa aveva appena fatto?
Lui, esattamente qualche ora prima, aveva dichiarato di averla
‘eletta’ per creare con lui quel mondo di
devastazione, che l’avrebbe aizzata
contro la BSAA stessa, attirando Chris Redfield a Kijuju…
Lui…che era fra i maggiori esponenti dell’Umbrella
corporation, che aveva causato la distruzione di Raccoon City, e non
solo! Aveva
gettato il mondo intero nell’inferno, e lei aveva giurato di
fargliela pagare.
Lui…che l’aveva tradita…
Cosa…cosa era accaduto, dunque?!
Spaventata, si allontanò debolmente da lui, muovendosi a
stento poiché paralizzata, confusa, spaventata da se stessa.
Si sentiva di
impazzire…
Come poteva essere reale la coesistenza di sentimenti
simili?
Mentre i suoi occhi presero a tremare di fronte al viso
sfrontato di Albert Wesker, lui si riavvicinò a lei,
sfiorandole il naso, e
sussurrò.
“Mi ami, Jill Valentine?”
Pronunciò crudelmente, facendo vacillare tutto.
L’idillio
che prima aveva dominato su di loro si dissipò, facendo
tornare la razionalità
di entrambi, che in un attimo spazzò via quei sentimenti
malati e ingannevoli
che laceravano la mente della donna dai capelli biondi.
Ella staccò le braccia dal suo collo lasciandole scivolare
sulle
sue spalle, scostandosi di scatto dal suo corpo. Schiuse le labbra,
guardandolo
con il terrore negli occhi, comprendendo che lui potesse per davvero
fare di
lei ciò che voleva. Poteva persino annullare il suo odio, le
sue convinzioni,
se voleva.
Lei non poteva permettere questo, non sapendo chi era, non
conoscendo cosa egli pianificasse.
Tuttavia non esistevano altrimenti. Aveva mostrato a Wesker
il suo punto più vulnerabile. Egli ora sapeva ciò
che la lacerava dentro.
Sapeva che una parte di lei non l’aveva mai dimenticato. Un
qualcosa che non avrebbe mai dovuto fuoriuscire.
L’uomo riposizionò gli occhiali sul naso premendo
un dito sulla
montatura, tornado a indossare la sua maschera di sempre.
Ricongiunse poi le sue mani dietro la schiena della ragazza,
incrociando fra loro le dita.
Continuò a guardarla intensamente, consapevole che stavolta
i suoi occhi su di lei fossero insostenibile e pungenti.
Un ghigno deformò le sue labbra, e quel che accadde, fu
ciò
che mai Jill avrebbe dovuto lasciare che accadesse.
“Esattamente, Jill…credo tu abbia
capito.” disse portando
una mano sotto il mento di lei, costringendola a vincolarsi a quel
contatto
visivo. “Tu mi adori, mi desideri, vuoi che io ti
possegga.”
Le sue parole furono pronunciate con un tono caldo e
suadente, eppure crudele ed atroce. Qualcosa nella coscienza di Jill
mutò.
Comprese che lui avrebbe fatto quel passo. Lo sentiva.
“Dimentica. Dimentica quindi chi sei. Adesso, esisti solo
per me.”
Una scossa trafisse il cervello della ragazza, che fu
costretta a portare le mani sulla testa tanto che quel dolore fu
lancinante.
Nonostante il P-30 nel suo corpo, ella non poteva obbedire a
quel comando. Proprio non poteva. Non erano gli impulsi della sostanza
a non
essere abbastanza forti per costringerla a quel volere. No…
Era proprio che quel comando non poteva proprio eseguirlo.
Era un principio talmente fondante, che nessun lavaggio del cervello
avrebbe
mai potuto sottometterla.
Nonostante i suoi sforzi però, ella era oramai infetta dal
P-30. Quella ribellione era inutile per quanto le fosse impossibile
accettarlo.
Così cadde a terra sul pavimento, sconfitta da quella
potenza, oramai completamente sottomessa al volere di Wesker.
Aveva perso.
Wesker guardò la scena con un’apparente non
curanza.
Si accorse subito che non era stato il P-30 ad essersi
indebolito dentro di lei, tanto da permetterle quella manifesta
reazione di
ribellione.
Era stato soltanto che lei non poteva davvero eseguire
quell’ordine.
Provò un attimo di compassione per lei, rimanendo a fissarla
dalle sue lenti scure. La ragazza aveva gli occhi persi nel vuoto,
abbandonata
sul pavimento.
Si chiese se una parte della sua coscienza rimanesse vigile
dentro di lei, ma non gli importava.
Ben presto tornò a meditare sui suoi piani, non potendosi
permettere di dare ancora spazio a sentimenti futili come quelli.
Dunque si alzò e uscì dalla stanza. Mentre
avanzò silenzioso
ed elegante verso la porta, si girò un’ultima
volta verso Jill, sfinita e
ancora a terra.
Inspiegabilmente il suo cuore pulsò.
Quel sentimento lo turbò, costringendolo a ispirare col
busto per cacciare in qualche modo i nervi che si contorcevano dentro
di lui.
Tuttavia rimase inscalfibile, anche se l’umanità
che era
ancora dentro di lui lo costrinse a quell’attimo di
malessere. Perché dentro di
se sapeva che stava solo fuggendo.
Wesker rifuggiva i sentimenti, rifuggiva dalle persone,
rifuggiva dall’amore.
In questo caso, stava fuggendo persino da Jill Valentine.
Così si voltò di nuovo dandole definitivamente le
spalle. Reimpostò
la sua figura autorevole e distinta e andò via.
***
Quel che accadde in seguito, avrebbe preferito non
ricordarlo.
Dimenticando il suo odio, non ci fu più nulla che potesse
fermare Jill Valentine nell’eseguire gli ordini di Wesker.
In verità, il P-30 non cancellò la sua memoria.
Non aveva questo potere.
Tuttavia inibiva i suoi istinti e i suoi nervi a tal punto
da renderle impossibile ribellarsi a ogni reazione che fosse contraria
alla sua
morale. Fu dunque spinta in quell’oblio in cui il suo unico
scopo era essere la
Crow Lady al servizio
dell’uomo
vestito di nero: Albert Wesker.
Niente di più.
Ella divenne il nefasto medico della peste, che infettava il
mondo con l’Uroboros…
Avrebbe forse realmente desiderato dimenticare sul serio.Almeno
non avrebbe assistito, in quella parte ancora cosciente della sua
memoria, alle
diavolerie, i marchingegni, gli abomini, che dovette compiere.
Celata dietro la maschera dai bulbi rossi, e avvolta in quel
mantello nero, Jill Valentine scomparve del tutto, dovendo portare
dentro di se
la consapevolezza di esserci comunque lei dietro quella persona
mascherata.
Vide davanti ai suoi occhi gente implorarla di non ucciderla,
eppure lei meschinamente pose fine alla loro esistenza. A volte
lacerando le
loro carni, a volte condannandoli con l’Uroboros.
In tutto questo, rivedeva accanto a se Albert Wesker, che
soddisfatto proseguiva con i suoi studi.
Non fu più solo la rabbia a straziare l’animo
della donna,
arrivata a quel punto.
Stavolta, era qualcosa di ben più personale che continuava a
ferirla…
Un mese dopo…
Excella Gionne camminava con passo pesante per il corridoio.
Dietro di lei, la Bird Lady la seguiva fedelmente.
Entrarono in una stanza, attraverso la quale poteva
ammirarsi il laboratorio sottostante grazie al vetro che rivestiva
tutta una
parete.
La donna dai capelli bruni si affacciò, seguendo
svogliatamente i lavori sul suo progetto.
Dal suo volto soddisfatto, sembrava che tutto procedesse per
il meglio.
Osservando meglio, da quella panoramica Jill distinse anche
la figura di Wesker che, con le braccia incrociate fra loro, seguiva
quell’operazione delicata da un altro ufficio al piano
inferiore.
Un umanoide era steso sul tavolo operatorio.
Per quanto oramai si fosse abituata a quella visione, Jill
continuava a desiderare ardentemente di spostare i suoi occhi altrove.
Ma gli
impulsi del dispositivo sul suo corpo erano troppo forti,
così che lei non
potette neanche vagamente reagire alla sua coscienza morale che
continuava
intrinsecamente a dominarla.
Dal vetro, incrociò gli occhi dell’uomo vestito di
nero, che
la stava guardando a sua volta.
Lui attraverso le lenti scure, lei dai bulbi rossi della sua
maschera.
Nonostante quel contatto visivo non fosse diretto, essi si
trafissero negli occhi, comunicando fra loro pensieri che non
necessitavano di
parole per essere intesi.
Si trattavano di minacce reciproche? Oppure di semplice
delusione…?
Nell’animo di entrambi più cose li struggevano,
consapevoli
di quel qualcosa di sbagliato che continuava a logorarli per il solo
fatto che essi
fossero vicini.
L’uno rievocava nell’altro una parte del proprio
passato che
nessuno dei due avrebbe mai potuto cancellare.
Da un lato vi era Jill, la persona tradita. Dall’altro
Wesker, che continuava ad essere il tristo mietitore della sua
esistenza.
Una mente corrotta come la sua possedeva ancora una
coscienza che lo torturasse?
Probabilmente non più… eppure in cuor suo egli
sentiva
qualcosa di diverso battergli in petto.
Era un odio che lui attribuiva all’orrore del suo passato,
alle sconvolgenti rivelazioni ottenute da Spencer. Per questo si era
lasciato
condurre dalla pazzia e il suo unico scopo ora era creare quel suo
stesso mondo
di cui non era degno, ma lui sì…lui sarebbe stato
il vero dominatore.
Nessuno l’avrebbe ostacolato.
Wesker sorrise velatamente.
Qualsiasi altro pensiero andava in secondo piano rispetto i
suoi obiettivi, non accorgendosi nemmeno che frattanto egli stava
uccidendo se
stesso.
Intanto l’esperimento continuava e lui tornò a
fissare gli
occhi su quella cavia.
Vide poi i dottori allontanarsi, finalmente. L’operazione
era finita.
Wesker dunque girò i tacchi e abbandonò la
stanza.
Dal piano di sopra, Excella si voltò verso Jill.
“Ottimo. Ora dobbiamo occuparci di un’altra
faccenda.
Seguimi.” disse e camminò disinvolta oltre la
porta di quell’ufficio, facendo
per imboccare le scale.
A metà strada, le due incontrarono Wesker.
“Albert, ti vedo stanco. Tutto procede per il meglio,
dovresti
quindi smetterla di preoccuparti tanto.” Esclamò
suadente, vedendolo
leggermente fiacco.
In effetti, l’uomo aveva una brutta cera.
Il suo viso era più sciupato del solito. Se non fosse stato
per l’aspetto imponente che caratterizzava la sua figura,
sembrava persino ammalato.
Wesker però ignorò del tutto le false premure di
quella
donna, proferendo giusto poche parole a riguardo.
“Questo mondo è una crudele gabbia ove sopravvive
solo chi
ha più potere, Excella. Se non siamo noi stessi a badare ai
nostri interessi,
non lo farà nessun altro.”
La donna dai capelli neri annuì, seguendo con lo sguardo
Wesker che intanto saliva le scale, superandola di qualche gradino.
In seguito, vedendolo proseguire, anche lei continuò per la
sua strada.
Jill dovette seguirla, nonostante avrebbe voluto poter
interagire con Wesker in qualche modo.
L’aver ammesso i suoi sentimenti la metteva enormemente a
disagio, tuttavia al col tempo aveva riaperto quella parte di se che
desiderava poter
ragionare con lui, anche se consapevole che fosse oramai troppo tardi.
Non aveva avuto tuttavia una sola possibilità per farlo,
ingabbiata dal meccanismo sul suo petto, distante come non mai da lui...
Quel lungo mese li aveva allontanati nel modo più crudele,
freddo e struggente.
Mentre avanzava giù per le scale con Excella, tuttavia,
improvvisamente le luci si spensero, ed un allarme risuonò
per l’ambiente.
Si accese un’illuminazione rossa, che conferì a
quei
laboratori un aspetto molto inquietante.
Le due donne si guardarono in giro, spaesate. Wesker, che
non si era allontanato di molto, si affiancò a loro.
Egli stette immobile qualche istante, prima di correre per
le scale e ritornare nel laboratorio dove era stato in precedenza.
Istintivamente, anche Jill ed Excella lo seguirono,
scoprendo presto che i sospetti di Wesker erano fondati.
***
Volevo subito
ringraziare infinitamente Astarte90 e Waanzin! Le vostre recensioni
sono un
sostegno che mi incoraggiano e che mi aiutano a capire come sta
procedendo la
fanfiction, soprattutto ora che siamo quasi alla fine ed io stessa mi
sento un
po’ tesa^^. Nonché comunicano quel calore di cui
chi scrive ha bisogno!
Grazie per le vostre
parole, grazie davvero!
Riguardo questo
capitolo…che dire? Spero di aver reso i concetti che
rimbombano un po’ per
tutta la fanfiction, ma che qui ritrovano una consacrazione
più esplicita.
Spero che la scena susciti in chi legge quei burrascosi sentimenti che
albergano in Wesker e Jill, una coppia dark, impossibile, eppure
intrigante e
accattivante.
Volevo anche mostrare
come l’inganno e l’abbandono totale non sia la
soluzione di questo pairing…quell’abbandono
totale di cui si accenna nel capitolo 11.
Quella razionalità che
teneva in piedi Jill e che l’aiutava a non soccombere e
ricordare ogni giorno
chi fosse Wesker, è vacillata per un solo
istante…tant’è che è bastato
però a
far vacillare ancora di più di quel che già non
era caduto.
Perché è questa la
drammaticità di questa coppia. La drammaticità di
due antagonisti attratti
l’uno all’atra. La drammaticità di chi
sa di amare un uomo oscuro, e che dal
canto suo è rinchiuso in un baratro che nessuno
può orami sperare di cambiare.
Perché per me sarebbe
un colossale errore credere di vedere un Wesker pentito.
Wesker si ama e si
odia, e nella mia visione che cerca di essere IC con lui, egli non
rinunzierebbe a se stesso e ai suoi piani. Al contrario, disdegna i
sentimenti,
disdegna l’umanità, anche la più
allettante e la più appagante…non è
più nella
sua natura abbandonare tutto.
Per questo Jill
continua a ripetersi di odiarlo, perché lo sa perfettamente.
Eppure non è bastato a
finire nella tela del ragno ancora una volta, nonostante anche lui in
questo
capitolo dimostra un istante di umanità, che infatti lo
turba e lo ferisce di
nuovo, non potendo accettare quella parte di se.
Per questo condanna
Jill ancora una volta…
Al momento è tutto, ci
sentiamo al prossimo aggiornamento!
A kiss <3
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Capitolo 16 *** Capitolo 16: libertà effimera ***
THE
DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
CAPITOLO
16
Gli allarmi risuonavano per i laboratori della TriCell.
Le luci d’emergenza di colore rosso illuminavano scarsamente
l’ambiente, mentre Wesker, Excella e Jill scesero le scale
per tornare nel laboratorio
ove prima era stato condotto un esperimento di routine.
Qualcosa doveva essere accaduto.
Infatti, da sotto la porta di metallo del laboratorio, si
vedeva fuoriuscire un’emissione di gas dalla natura
sconosciuta.
Albert Wesker non indugiò, e mentre gli scienziati
scappavano da quella stanza, egli vi si inoltrò
destreggiandosi tra
quelle nubi di vapore.
Cercò di analizzare la situazione approfittando della sua
incredibile capacità di autocontrollo.
Si guardò in giro e, tra il fumo, distinse le
apparecchiature
che sembravano impazzite.
Accanto ad esse, notò con sgomento che vi erano accasciati
i
corpi dei dottori che precedentemente avevano operato.
Il sangue sporcava porzioni di parete, ed era schizzato
anche sugli schermi e su quelle costose apparecchiature.
La visibilità era scarsa, ma
nell’oscurità egli distinse una
figura agitarsi visibilmente.
Portò dunque la mano sul fianco sollevando il lungo cappotto
nero, ed estrasse dall’ascellare una pistola magnum.
Si avvicinò cautamente, pronto ad abbattere la B.O.W.
che doveva essersi
risvegliata in quel laboratorio.
All’improvviso vide qualcosa essergli lanciato in contro. Si
spostò agilmente inclinando il busto di lato, e vide
sbattere a terra, a
qualche metro di distanza da lui, un ammasso di carne, che riconobbe
essere…un
braccio?
Tornò con lo sguardo dinanzi a se e questa volta vide
nitidamente un umanoide deformato dall’Uroboros, che reggeva
il corpo sfigurato
di un medico conficcato nel suo braccio.
Wesker fece un ghigno puntando la sua arma contro.
“Dovresti tornare a dormire, dolcezza, ma è solo
un
consiglio.”
Dunque poi sparò.
Il mostro tuttavia doveva avere la pelle dura. Infatti, pur
ferito da quel colpo d’arma da fuoco, si lanciò
contro Wesker, facendo per
tranciargli via la testa. L’attacco fu fermato dal tempestivo
intervento di
Jill, che si mise fra loro per ordine del P-30.
Wesker lì per lì rimase sorpreso, non volendo che
Jill
combattesse al suo posto. Il P-30 però le suggeriva quel
tipo di ordine,
vedendo comunque un nemico attaccare il suo
‘padrone’.
Così vide Jill combattere la bow, colpendola con violenti
colpi di arti marziali.
Wesker le si affiancò velocemente, lottando assieme a lei.
“Valentine, non necessitavo del tuo intervento. Tuttavia
combattere in coppia sarà divertente, non trovi?”
disse ironico, trovando
inspiegabilmente intrigante quando vedeva quella donna minuta, ma dalla
grandiosa
forza, combattere accanto a lui.
In fin dei conti, era proprio questo ciò che
l’aveva colpito
di lei.
Il mostro si voltò di scatto verso la bionda, e con il suo
artiglio la colpì violentemente in viso.
Fu così veloce che ella non potette deviare il suo colpo in
nessun modo.
Wesker girò gli occhi verso di lei, tuttavia la sua
freddezza gli permise di riflettere che la maschera che ella indossava
doveva
essere abbastanza robusta da aver attutito il colpo.
La vide a terra, con la maschera spezzata, la quale
lentamente cadeva a pezzi dal suo viso.
Appena ansimante, ella fece per rimettersi in piedi, ma il
nemico, distinguendo il target più semplice da abbattere in
quel momento, fece
per colpirla di nuovo.
L’ex capitano STARS, prevedendo quella mossa, lo precedette
e gli sparò di nuovo.
La BOW
si voltò così verso Wesker, ignorando al momento
la donna dai capelli biondi.
Dunque, prese ad attaccarlo, attirato dai proiettili che
l’avevano colpito alle
spalle.
Wesker salì sopra una scrivania e con un salto
riuscì ad
arrivare all’altezza del nemico in modo da colpirlo alla
testa con un calcio. Quel
colpo fu incassato violentemente dal mostro, la cui testa si
girò a
trecentosessanta gradi.
Tuttavia questi restò in piedi, rimanendo in vita nonostante
quell’assurda posizione del suo collo.
Pur con il capo girato al contrario, scagliò contro Wesker
un attacco devastante, che egli riuscì a scansare senza
troppa difficoltà
grazie alla sua velocità sovraumana.
Il terremoto che però provocò nel laboratorio lo
fece cadere
in ginocchio. Wesker poggiò dunque una mano sul pavimento, e
velocemente tornò
a guardare il nemico, decidendo sul da farsi.
Inaspettatamente poi, qualcosa lo colpì alle spalle
scaraventandolo
definitivamente sul terreno.
L’uomo vestito di scuro rotolò sulla schiena per
posizionarsi a pancia in su e ottenere una mira migliore. Si accorse
però che
altre cavie prima criogenate avevano inspiegabilmente ripreso
conoscenza.
Imbracciò la magnum e agevolato dal fatto di essere disteso
sulla schiena, sparò contro di loro, eliminandoli
l’uno dopo l’altro.
Spostò lo sguardo verso Jill, non vedendola ancora al suo
fianco.
“Occupati tu dei pesci piccoli.” le
ordinò, ma ella non
accorse.
Si voltò dunque di nuovo, costatando che lei fosse ancora
stesa a terra, con i gomiti poggiati sul pavimento e lo sguardo vago.
Strinse gli occhi, adirato da quella disobbedienza.
Tuttavia il suo istinto si mise in allarme. Quello sguardo
assorto di Jill non gli piacque per nulla.
Osservando il suo viso, si accorse che la sua espressione
era diversa, era più umana, era…cosciente?
Gli occhi di lei avevano ripreso un bagliore intelligente, e
sembravano afflitti, sconvolti, persi nel vuoto non perché
incosciente, ma
proprio perché paralizzati dai propri sentimenti.
Wesker setacciò con lo sguardo il laboratorio, e solo in
quel momento si accorse che il telecomando con il quale controllava le
dosi del
P-30 nel corpo di Jill si era frantumato a terra poco distante da lui.
Allarmato, portò la mano sulla tasca dei pantaloni,
ovviamente vuota. Dedusse che l’oggetto doveva essergli
cascato a terra durante
la colluttazione con la BOW.
Digrignò i denti e velocemente si rimise in piedi per
intervenire prima che la ragazza prendesse consapevolezza di
ciò che era
accaduto.
Fu un attimo.
Uno sguardo fugace in cui Jill rivolse i suoi occhi
sgomentati verso di lui…
Wesker rimase ammaliato da quegli occhi consapevoli… che in
seguito sparirono, annebbiati da un’improvvisa coltre di
fumo.
Infatti, la donna si era messa velocemente in piedi, e aveva
frantumato un tubo accanto a lei, per avvantaggiarsi nella fuga.
Wesker si ritrasse portando un braccio sul viso, cercando comunque
di non perderla di vista.
“Jill!!”
Urlò forsennato, per richiamarla all’ordine.
Oramai, però,
il P-30 non era più nel suo corpo.
La donna, infatti, scappò via, lasciandolo solo in balia
delle BOW, che presto presero ad attaccarlo.
Intanto Jill Valentine corse via dal laboratorio con tutte
le sue forze, mentre il suo cuore riprendeva a palpitare alle sue
emozioni,
mentre la sua mente si scioglieva dal vincolo di quella sostanza,
mentre poteva
tornare a correre, a muoversi, a pensare con la sua mente.
Nonostante il contesto catastrofico alle sue spalle, ella
sentì delle trepidazioni bellissime pervadere il suo corpo.
Si destreggiò fra le sedie capovolte, i vetri frantumati,
macchinari
a terra e il vapore, sospirando affannosamente, non fermandosi un
attimo di
correre.
Tutto sembrava rallentarsi, mentre godeva di ogni passo che
riuscì ad avanzare frettolosamente in quel putiferio.
Gli occhi si inumidirono impercettibilmente, mentre, ancora
in corsa, sfilò via il mantello che nascondeva la sua
figura, lasciandolo
cadere a terra.
Aprì poi la tuta all’altezza del petto,
continuando a
procedere senza fermarsi. Buttò l’occhio sul solco
fra i suoi seni e potette
finalmente guardare dall’alto il dispositivo che
l’aveva condannata a
quell’inferno.
Strinse i denti con rabbia, poi afferrò con violenza il
diabolico marchingegno rosso. Nonostante il dolore, ella non si
fermò, e
continuò a tiralo via strappandoselo dalla carne.
“Aaah!!” urlò, non fermandosi un attimo,
tirando fino all’ultimo
filamento ancora attaccato alla sua pelle.
Il sangue gocciolò appena sul suo petto, deturpato dai segni
che le aveva causato il dispositivo. Quando ebbe quel ragno rosso fra
le sue
mani, sporco del suo sangue, la rabbia la pervase.
Così lo buttò violentemente sul pavimento, con
una veemenza
così forte che questo si spaccò a
metà, mettendo fine a quell’agonia sofferta
da Jill, finalmente libera di tornare se stessa.
Il congegno a terra, ormai rotto, riflettette sulla sua
superficie lucida l’immagine di Jill che correva,
raggiungendo finalmente l’uscita
del laboratorio.
Ella scaraventò all’aria gli scienziati appostati
sul
pianerottolo vicino l’ingresso della porta, Excella Gionne
compresa, non
potendo oramai più essere fermata da nessuno tanta era la
forza, la rabbia e l’adrenalina
che le scorreva in corpo.
Salì frettolosamente le scale, consapevole che non sarebbe
riuscita a sfuggire a Wesker per sempre, ma almeno poteva fare
l’unica cosa
ancora in suo potere.
La sua occasione, quella che aspettava da mesi, era giunta.
Excella la guardò percependo che qualcosa non quadrava, ma
la sua attenzione tornò dentro il laboratorio, dove Wesker
era ancora dentro.
Intanto, il cuore di Jill palpitava sempre più forte.
Nonostante non potesse permettersi quell’attimo di abbandono
alle sue emozioni tornate vive e palpitanti dentro di lei, un sorriso
si disegnò
appena sulle sue labbra. Un sorriso soave, reale,
meraviglioso…
Contemporaneamente, Wesker si scaraventò oltre la porta del
laboratorio, ferito appena sulla fronte.
Si rivolse furente verso Excella, che gli si avvicinò
tempestivamente contenta di rivederlo.
“Albert! Stai ben…”
“Dov’è?!” gridò lui
furente.
La donna sbandò, ritraendosi subito. Arricciò le
labbra e
rispose spaventata dai suoi occhi rabbiosi che la trafissero
violentemente.
“L-lei…intendi Jill
Valentine…?” chiese tentennando, al che Wesker
le si mise a un dito di distanza e l’afferrò
stringendole il viso fra due dita
con prepotenza.
“Excella, non mettere a dura prova la mia
pazienza…!” disse
a denti stretti trattenendosi a stento. Gli occhi della donna tremarono
e per
una volta fu disturbata dalla vicinanza dell’uomo da lei
amato.
Mosse le labbra più per divincolarsi da lui, più
che per la
volontà di rispondergli.
“L’ho vista salire le scale,
ma…”
L’uomo lasciò la presa, ignorando il continuo di
quella
frase, e si lanciò all’inseguimento di Jill, certo
ormai che lei avesse ripreso
coscienza.
Qualunque cosa sarebbe potuta accadere se la lasciava a piede
libero in quel posto. Doveva riuscire a precederla a tutti costi.
Affacciandosi per le scale, la vide arrivata oramai quasi in
cima.
Dal canto suo, Jill Valentine si girò appena, avvertendo
come
un sesto senso. Si sorprese di vedere, diversi piani al di sotto,
Wesker che la
trafiggeva con i suoi occhi.
Rimasero qualche istante a guardarsi l’uno negli occhi degli
altro, come consapevoli di quella resa dei conti. Poi Jill si
voltò e riprese
la sua fuga con determinazione.
Aveva un discreto vantaggio rispetto a lui, doveva
approfittarne. Non avrebbe mai più avuto quell’
occasione.
Arrivata sul pianerottolo, si chiuse dentro un ufficio,
girando velocemente la chiave.
Questo non avrebbe certo fermato Wesker, ma non avendolo
alle calcagna, era difficile che lui la scoprisse subito chiusa li
dentro.
Aveva bisogno di almeno un minuto di tranquillità.
Si sedette dietro una scrivania e accese il computer che vi
era poggiato. La fortuna girò per una volta a suo favore.
Trovò un pendriver
lasciato incustodito sul tavolo. Lo prese e lo utilizzo per appuntarvi
sopra
tutto il materiale che poteva trasmettere alla BSAA.
Cominciò a scrivere frettolosamente, battendo le dita sulla
testiera, combattendo contro i suoi nervi e appellandosi alla sua mente
fredda.
Tuttavia, mentre era a buon punto della stesura di quel
rapporto, il computer si imballò.
“Cos..?!” esclamò, in seguito si
adirò violentemente.
“Merda!!”
Non aveva fatto in tempo.
Non era riuscita neanche a completare di scrivere quel
maledetto documento per inviarlo, almeno in parte, al canale della
BSAA.
Batte i pugni sulla scrivania, sconfortata, mentre la sua mente
andò in panne, non potendo accettare di essere stata
sconfitta anche questa
volta.
Di colpo, un’idea si accese nella sua mente.
La radio…
Era una possibilità molto remota, ma poteva accedere al
canale della BSAA da lì. Magari loro avrebbero captato il
segnale e…
Era azzardato, ma al momento era l’unico piano che aveva.
Doveva agire in fretta.
Fece mente locale per ricordare dove avesse visto in quel
palazzo una stanza provvista delle strumentazioni adeguate per
trasmettere il
suo messaggio.
Ricordò che, oltre un’impalcatura, un giorno aveva
intravisto
un ufficio isolato dove Excella aveva trasmetto un rapporto a Ricardo
Irving.
Quello era proprio ciò di cui aveva bisogno! Un collegamento
radio tecnologico!
Così si rimise in piedi.
Formattò il pendriver per cancellare la sua testimonianza,
ma non potette seguire il processo di eliminazione in quando qualcuno
cominciò
a battere incessantemente sulla porta.
Dalla veemenza di quei colpi, comprese che l’avevano
scoperta.
Dovette dunque correre via, e di fretta.
Ruppe il vetro della finestra, oltrepassandola. Utilizzò poi
il cornicione per passare dall’altra parte degli uffici posti
di fronte.
Si addentrò dunque nella palazzina di fronte, continuando la
sua fuga disperata.
Intanto la porta della stanza dove era stata in precedenza
si spalancò.
Entrarono dei soldati, seguiti dall’autorevole figura di
Albert Wesker. Egli scrutò il luogo, accorgendosi subito che
Jill doveva essere
stata lì di recente.
Si affacciò dalla finestra rotta che lei aveva scavalcato.
Al suo posto, anche lui avrebbe proseguito in quella direzione.
La sua attenzione fu poi attirata dalla luminosità dello
schermo del computer.
Si avvicinò e interruppe il processo di formattazione.
Eseguendo un’indagine, per lui fu semplice risalire a cosa
la donna aveva redatto sul pendriver. Sorrise, divertito dalla
caparbietà della
sua ex sottoposta.
“Hai fatto i tuoi compiti, mia cara Jill. Ma questa
è stata
una mossa incauta da parte tua. Rappresentando però che sei
stata sotto il
controllo del P-30 per tutto questo tempo, ammetto che hai conservato
una certa
razionalità per riuscire a fare tutto questo in meno di un
quarto d’ora. Era
stato un buon piano.”
Disse indispettito e compiaciuto allo stesso tempo.
Essere dato del filo da torcere da Jill Valentine era
irritante ed interessante allo stesso tempo.
Era qualcosa che lo smuoveva in entrambi i sensi,
stuzzicandolo visibilmente.
Sorrise, poi si staccò dal monitor.
“Ora posso immaginare dove sei diretta.”
Disse infine, poi sparì oltre la porta di
quell’ufficio,
come un cacciatore che si preparava a cogliere di sorpresa la sua preda
in
fuga.
Intanto l’agente della BSAA corse per le impalcature,
atterrando dentro un secondo ufficio, collocato in disparte rispetto
agli
altri.
Per fortuna non vi era nessuno.
Era finalmente arrivata alla stazione radio della TriCell.
Tremante, cercò di accendere l’apparecchiatura.
Per una come
lei non fu difficile.
La sua attenzione fu tuttavia distorta da delle urla alle
sue spalle.
Cosa diavolo stava succedendo nei laboratori? Le BOW
dovevano star creando più inconvenienti di quel che credeva.
Non poteva tuttavia demordere. Nonostante il suo istinto la
portasse prima di tutto a salvare gli altri, in quel momento doveva
ignorare
quelle disperate invocazioni di aiuto, e concentrasi invece sul
mettersi in
contatto con la radio della Bioterrorism Security Assessment Alliance.
Un brusio accese la sua speranza. Forse era riuscita davvero
a mandare un segnale in qualche modo.
“BSAA? Mi ricevete? Passo! Rispondete!” disse con
decisione
scandendo bene le parole, sperando con tutta se stessa di non perdere
il
segnale.
Tant’era concentrata, però, che non si accorse di
un’ombra
alle sue spalle.
Anima e corpo erano fiduciosi in quella folle impresa, che
era la sua unica speranza in quel momento.
Se i suoi compagni avessero anche solo registrato un piccolo
segnale, avrebbero potuto comunque intendere qualcosa
dall’eco disturbante che
proveniva da quell’edificio.
Cominciò a giocare con l’apparecchiatura, sperando
di
sistemare la ricezione, quando all’improvviso una mano
l’afferrò per i capelli
raccolti nel codino, strattonandola via.
“Aah!” urlò lei, accecata dal dolore di
quel gesto violento
ed improvviso.
Aprì gli occhi e cadde nello sgomento più
tortuoso quando
vide davanti a lei il viso canzonatorio di Albert Wesker,
Wesker la lanciò via, facendola cadere a terra. La donna
però si rimise in piedi, poggiandosi con le mani
sull’apparecchiatura alle sue
spalle.
“Wesker…” sussurrò
digrignando i denti.
L’uomo intanto premette un pulsante, che chiuse
definitivamente i contatti radio.
In seguito tornò a lei, rivolgendole quel suo crudele e
maligno sorriso.
“Hai avuto un comportamento sconsiderato, mia cara
Jill.”
La donna a quel punto si buttò contro la porta sperando di
riuscire a scappare, ma aveva sottovalutato ancora una volta le
capacità
sovraumane di Wesker, che infatti premette con forza sulla porta ancora
prima
che lei la raggiungesse.
Jill si voltò verso di lui, sorpresa dalla sua
velocità
inconcepibile.
Lui le sorrise di nuovo, poi l’afferrò per il
polso e la
portò verso di se.
“Ancora non so dire se tu sia incredibilmente audace, oppure
irrimediabilmente stupida.”
Disse inclinando il viso verso il suo, parlando a meno di
due dita di distanza dalle sue labbra con fare intimidatorio.
La ragazza non si lasciò sopraffare e fece per divincolarsi
dalla sua presa. Tuttavia Wesker non la lasciò fare. La
buttò sul pavimento e
la bloccò sedendosi sopra di lei.
“Figlio di puttana!! Tutto quel che mi hai fatto fare! Tutti
i tuoi esperimenti e le tue macchinazioni..!” urlò
cercando di colpirlo nonostante
lui la tenesse ferma saldamente per i polsi.
L’uomo vestito di nero si piegò completamente su
di lei.
“Sai, mi sono mancate queste tue sfuriate.”
Jill inorridì e lo trafisse con i suoi occhi azzurri
finalmente tornati liberi di esprimere la sua rabbia e la sua
disperazione.
Ella gli sputò sul viso, in risposta
all’atteggiamento
derisorio che lui continuava ad avere.
Wesker rimase immobile a quella reazione.
Si asciugò col dorso della mano, apparendo del tutto
impassibile, mentre lei continuava a guardarlo fastidiosamente con la
collera
negli occhi.
Di improvviso poi, quasi in contraddizione con quella
pacatezza che lo contraddistingueva, le mollò uno
schiaffò, che finalmente
cancello dal viso di Jill quello sguardo sprezzante.
“Impertinente come sempre.” disse, mettendole
subito dopo una
mano alla gola.
La ragazza si sentì soffocare e prese ad agitarsi muovendosi
col corpo per scacciarlo.
“Non comprendi? Non puoi nulla contro di me. Non iniziare
cose che non puoi finire, non generare situazioni che non puoi
controllare. Sarebbe
una mossa davvero incosciente da parte tua. Te lo
garantisco.”
Seppur soffocata da quella presa, Jill corrucciò la bocca e
gli rispose a denti stretti.
“Vai all’inferno!!”
Wesker le fece battere la testa violentemente sul pavimento,
ma Jill non si diede ancora per vinta. Nonostante il dolore alla gola e
alla nuca,
trovò dentro di se la forza necessaria per capovolgere la
situazione.
Roteò col busto e con una forza inaspettata
riuscì a mettere
Wesker di spalle sul pavimento, protraendosi adesso lei sopra di lui.
In verità, fu più Wesker che la lasciò
fare, volendosi
ancora divertire un po’ con lei.
Jill Valentine gli era davvero mancata, in tutti suoi
aspetti. Forse soprattutto per il suo odio verso di lui.
Quei sentimenti ribollenti erano veri e lo ammaliavano pur
nella loro negatività.
Una storia di antagonismo, intrigante e devastante, che
confondeva i loro sensi e le loro convinzioni, attratti inevitabilmente
l’uno all’altro
in quel rapporto malato e proibito.
In tutto questo… ora lui sapeva che, da qualche parte, ella
era ancora affezionata a lui, nonostante tutto.
“Non mi sembravi tanto contrariata quando invece ti sei
concessa
alle mie attenzioni.” disse con tono placido, infierendo su
di lei.
La donna dai capelli biondi inorridì.
“Dimmi Jill, non ti è forse piaciuto?”
aggiunse lui, e a
quel punto fu lei a colpirlo in pieno viso, facendogli volare via gli
occhiali
da sole.
“Ti diverte giocare con le vite degli altri, non è
vero?!”
disse tremante, coinvolta nei sentimenti, lacerata dal suo cuore che si
struggeva.
“Eppure…” bisbigliò, mentre
affondava nei suoi tormenti,
mentre dovette riconoscere suo malgrado l’uomo da lei odiato
negli occhi di quello
da lei amato. “Eppure…anche tu sei stato usato,
Wesker!”
Wesker fu stranamente divertito da quella risposta.
“Oh…vedo che cominci anche tu a ragionare a modo
mio.”
Jill sbandò a quella constatazione.
Anche lei aveva infatti cercato di ferirlo utilizzando
informazioni che aveva appreso su di lui. Inorridì, ma
cercò di non farsi ingannare
da Wesker che amava torturare le menti delle persone conducendole alla
pazzia.
Lui intanto si sollevò verso di lei, approfittando di
quell’attimo di smarrimento.
“A me questa situazione sa di dejà vu. Non
ricordi?”
pronunciò soavemente, specchiandosi nei suoi occhi.
Jill ricordò perfettamente quell’immagine.
Il momento in cui erano caduti nella foresta e si erano dati
quel primo bacio che l’aveva straziata e stregata.
Erano nella stessa posizione di allora, soltanto che
stavolta non vi era quell’irrazionale desiderio nei loro
occhi.
“Tu…” sussurrò Jill.
“…tu hai saputo ingannarmi a tal punto
da indurmi a credere in te ancora adesso.” disse con le
lacrime agli occhi, le quali
caddero sul viso di Wesker.
Egli la guardò perplesso, in silenzio, mentre quelle gocce
bagnarono appena il suo viso.
Non si era accorto che i sentimenti di Jill bruciassero
ancora così vivi dentro di lei.
Aveva voluto turbarla intenzionalmente con quella frase,
eppure adesso era stata lei a sconvolgere lui, con quei suoi occhi
colmi di
lacrime.
Fu una visione che lo paralizzò completamente, nonostante il
suo viso di marmo non fece trapelare nulla di quel curioso ed
inspiegabile
stato d’animo.
Jill Valentine accendeva quel qualcosa di umano che gli era
rimasto. Quel soffocante senso di colpa che non lo aveva mai scalfito,
e che
irrazionalmente lo scombussolava quando si specchiava in quei
bellissimi e
tremendi occhi azzurri.
“Wesker…” continuò intanto
lei in preda alle sue emozioni.
“Lasciami…andare….”
Disse soffocata dal dolore, abbandonandosi poi sul suo
petto.
“Non ce la faccio più…”
L’uomo rimase immobile, sdraiato sul pavimento, con la donna
che lo odiava che piangeva sopra di lui, mentre i frastuoni provenienti
dall’esterno
facevano tremare quella stanza.
Tuttavia i due furono estranei a tutto questo, concentrati
unicamente su quel qualcosa di oscuro che dilaniava l’animo
di entrambi.
Wesker guardò verso di lei, osservando la sua testa
abbandonata su di lui, sconfortata.
Distaccò lo sguardo, che divenne vago ed indefinito.
“Jill…”
disse lui,
con fare assorto.
A quel punto si sollevò e si mise in piedi, scostando Jill
da se. Avanzò nella stanza guardando oltre il vetro della
finestra, portando le
mani dietro la schiena.
La ragazza seguì la sua figura, alzandosi anche lei da
terra.
Lui sospirò, continuando a rivolgerle le spalle.
“Cosa
vorresti
dunque?” pronunciò serio. La donna lo
osservò attentamente.
“Vorresti che mi fermassi, che ti chiedessi
perdono…che
tutto tornasse come un tempo?” chiese a tratti sarcastico, ma
in parte anche
malinconico.
Jill conosceva bene la risposta a quella domanda, e il suo
animo si strusse ancora una volta.
Wesker si voltò, rimanendo placido e controllato, avanzando
a passi lenti verso di lei.
“Non accadrà nulla di tutto questo. Lo sai bene.
Suppongo
continueremo a puntarci le armi contro in una battaglia senza fine,
finché uno
dei due avrà inalato l’ultimo respiro. Nessuno di
noi due poserà l’arma per
primo, vero, Jill?”
Disse, puntandole la pistola contro.
Nonostante l’atmosfera, quella scena trasmetteva un che di
simbolico più che di terrore.
Quell’arma posta fra di loro era la metafora di tutto
ciò
cui entrambi non sarebbero mai potuti passare oltre. Erano su versanti
opposti
che non avrebbero mai potuto unirsi, nonostante entrambi ammettessero
che
qualcosa fosse cambiato fra loro.
Qualcosa di impercettibile, di irrazionale, ma che aveva
profondamente toccato dentro di loro.
“Una scelta c’è sempre,
Wesker.” disse lei inaspettatamente.
L’uomo sorrise, e questa volta la sua espressione non fu
più
celata dalle lenti scure. Jill potette finalmente parlare con lui,
specchiandosi nei suoi occhi.
Non lo diede a vedere, ma fu felice di poter veder per la
prima volta il reale Albert Wesker, spogliato dalla sua immagine
irraggiungibile ed incomprensibile.
L’espressione sarcastica sul suo volto le fece intendere
chiaramente che lui non aveva alcuna intenzione di fare un passo
indietro.
Oramai il dado era tratto.
Abbassò il viso e dunque riprese parola.
“Ebbene…anche io non tornerò
indietro.” disse ferma.
“Uccidimi dunque qui, se vuoi. Non mi importa. Non
tornerò in quell’inferno.”
Wesker avanzò ancora verso di lei, abbassando lentamente la
sua arma. Quando le fu di fronte, poggiò la mano sul muro
alle spalle della
ragazza, e abbassò il capo verso di lei.
“Sei cocciuta, Jill.”
Jill sorrise.
“Mai quanto te.”
Quella risposta lo divertì.
I due si guardarono dritto negli occhi. Stavolta Jill non
provò terrore nel cercare le iridi rosse dell’uomo
che aveva dannato e, allo
stesso tempo, dato un senso profondo alla sua vita.
In fin dei conti… era lui il motivo della sua sopravvivenza
in quel mondo infernale.
Una visione piuttosto paradossale, ma che tuttavia era
reale.
Quell’abominio l’aveva condotta fin li, di fronte
al suo
antagonista. Ma era ora di finirla.
“Puoi ancora fermarti, Wesker.” disse la donna, con
tono
serio e soave, sperando che lui potesse leggere la sincerità
dei suoi occhi. “Finiamola
qui.” aggiunse infine.
L’uomo vestito di nero rimase in silenzio, non potendo
assecondare la volontà della ragazza di fronte a lui. Egli
non poteva
abbandonare ciò che da sempre aveva caratterizzato la sua
vita.
Da tutta la vita pianificava quel momento, quello in cui
sarebbe divenuto lo scrittore della storia del mondo. Non avrebbe
abbandonato
tutto.
Non era più in suo potere la possibilità di
scelta. Il dado
era tratto, e lui conosceva già bene la sua strada da
intraprendere.
Nessuno avrebbe mai potuto comprendere cosa significava questo
piano per lui.
Quel lungo momento di silenzio mise a nudo l’amarezza che si
celava nel suo cuore.
Un’amarezza che non era attribuita ad una sola cosa, ma che
nell’insieme aveva fatto vacillare quell’Albert
Wesker ingabbiato nel suo
stesso mondo.
Tuttavia, proprio nel momento nel quale i due avevano
instaurato quella sorta di intesa, un’esplosione al di fuori
di quella stanza
distrusse inaspettatamente la parete sulla quale i due erano
appoggiati.
La stanza ben presto si pervase di fumo, graffiando Wesker e
Jill che ripararono il viso protraendo le braccia in avanti.
Wesker alzò lo sguardo dirigendolo oltre la parete esplosa,
ricordando solo in quel momento delle BOW sfuggite al suo controllo.
Quella
distrazione non era da lui.
I suoi occhi tornarono su Jill, come risvegliatosi da quello
stato di calma.
Infatti cercò il suo sguardo severamente, pronto suo
malgrado
a usare le maniere forti pur di rimetterla in riga.
Vide poi inaspettatamente le mani della ragazza allungarsi
delicatamente sul suo viso, sfiorandogli appena le labbra, non
riuscendo tuttavia
ad arrivare a lui.
Wesker lì per lì non comprese.
Mentre il fumo alzatosi dopo l’esplosione si dissipava, vide
la donna che l’aveva fatto vacillare graffiata e sporca di
sangue.
Ella arricciò le labbra in una smorfia di dolore. Lentamente
poi i suoi occhi si spensero sotto lo sguardo vigile di Wesker, mentre
neanche
lei comprendeva cosa fosse effettivamente successo.
Solo in quel momento l’uomo si accorse del sangue che
scendeva dalla sua bocca sporcando il suo viso delicato.
Wesker sgranò gli occhi allibito, e notò che un
pezzo di
ferro aveva trafitto l’addome della ragazza.
Preso alla sprovvista, cercò di ristabilire la sua
sanità
mentale per concentrarsi sulla gravità della situazione.
Jill intanto riuscì a toccargli il viso, al che anche lui
alzò gli occhi verso di lei.
“Wes…ker…”
sussurrò, poi perse definitivamente conoscenza. Le
sue mani scivolarono verso il basso e il suo corpo si
abbandonò completamente, sorretto
unicamente perché impinzata in quel ferro.
Wesker si pietrificò, dovendo vedere di fronte a se quella
donna spegnersi, mentre il sangue sporcava il suo corpo.
A quel punto, con fermezza spezzò il tubo ancora attaccato
alla parete, poi lo sfilò via da Jill, attento a non
allargare la ferita.
Era impossibile denotare in Wesker gesti di disperazione, ma
i suoi occhi in quel momento trasmettevano il sentimento che in gergo
suo
poteva più avvicinarsi.
Prese la ragazza fra le sue braccia, portandola velocemente
in laboratorio.
Mentre camminava a passo deciso, diede l’ordine ai soldati
di eliminare tutte le BOW fuori controllo.
Per fortuna la situazione era più sottocontrollo di quel che
credeva. Doveva tuttavia risalire a cosa aveva scaturito
quell’esplosione che
aveva ferito Jill.
Anche lui era graffiato e sporco di polvere, ma non si curò
di se stesso essendo le sue ferite per nulla dolorose. Doveva invece
soccorrere
Jill al più presto. Ella stava perdendo molto sangue,
avrebbe potuto non
farcela.
Mentre la appoggiò su un tavolo operatorio, vide i suoi
stessi abiti oramai imbrattati di rosso.
Questo lo mandò in escandescenza, facendogli perdere il
controllo.
Era in uno stato di agitazione che lo rese irrefrenabile,
proprio perchè egli non accettava di essere sconfitto in
quel modo.
Persino l’inaspettato, o la morte, non potevano avere la
meglio su di lui che era il vero padrone del mondo. Il delirio di
onnipotenza
di Wesker l’aveva reso folle, tanto da non poter accettare
che Jill stesse
morendo non per opera sua.
“Sopravvivrai, Jill…” disse, e si mise
subito ad operare.
Il contrasto di quel liquido rosso che macchiava la pallida
figura della giovane dai capelli biondi lo turbò.
Notò poi i segni lasciati dal
dispositivo sul suo petto. La carne in quel punto era lacerata.
Aveva torturato Jill a tal punto…
Non stette a pensarci ulteriormente, comunque, e continuò
l’operazione.
***
Passò circa una settimana dall’incidente nel
laboratorio
della TriCell.
Wesker camminava per il corridoio, con il suo consueto aspetto
perfettamente ordinato. Aveva addosso un camice bianco e dei moduli in
mano.
Gli si avvicinò un dottore, che lo aggiornò sugli
ultimi sviluppi dei loro
esperimenti, poi si allontanò.
L’uomo con gli occhiali scuri continuò a leggere
la cartella
che aveva in mano, completamente assorto nelle sue ricerche.
Avanzò per quel corridoio illuminato e moderno, e si
fermò
soltanto quando giunse di fronte a lei.
Wesker guardò nella capsula ove era tenuta rinchiusa Jill
Valentine, criogenata.
Era passata già una settimana…
Ripensò a quel giorno.
L’operazione era riuscita perfettamente, tuttavia per
assicurarle la vita, aveva optato per sottoporla ad un trattamento
speciale.
L’aveva dunque criogenata, per permetterle di guarire e
ristabilizzarsi completamente.
Per tornare, anzi, più forte.
Wesker osservò attentamente i delicati lineamenti del viso
della ragazza, perdendosi nei suoi tratti.
Il suo sguardo cadde poi sul dispositivo impiantato
nuovamente sul suo petto.
Quell’immagine rievocò in lui qualche tempo prima.
I lavoratori della Tricell avevano ideato un nuovo
macchinario per controllare il P-30, questa volta più forte,
resistente, al
quale il soggetto avrebbe potuto solo sottomettersi.
Ancorato perfettamente sulla sua carne, Jill non avrebbe più
potuto ribellarsi.
Wesker abbassò il viso.
Alla fine, abbandonato a se stesso ancora una volta, avevano
preso il sopravvento i suoi scopi, che venivano per lui sempre prima di
ogni
cosa. I suoi
sentimenti semplicemente
non esistevano per lui, abituato a ragionare come una macchina
infallibile, e
così l’aveva ridotta di nuovo a questo…
Presto la sua Crow Lady sarebbe rinata, cancellando per sempre
la Jill
Valentine
che si celava sotto il suo mantello.
Un’insolita sensazione pervase l’animo di Wesker,
tuttavia
egli scacciò via quel sentimento, che però lo
costrinse a guardare dentro di
se, seppur per qualche secondo.
Alzò il viso verso di lei.
“Mi dispiace.” sussurrò infine.
Distaccò poi gli occhi e si
allontanò da lei.
Sul viso di Jill addormentato, si distinse una lacrima, che
era rimasta casualmente criogenata assieme al suo corpo. Ignara che al
suo
risveglio, ella si sarebbe ritrovata ancora nell’inferno.
Africa, Kijuju, 2009
“Non
sei affatto cambiato.”
“Wesker,
allora sei vivo?”
“L’ultima
volta ci siamo incontrati alla
residenza degli Spencer, non è così?
Beh,
questa è proprio una bella rimpatriata
familiare. Mi aspettavo fossi più felice di
rivederci.”
“Rivederci?”
“Jill…Jill!
Sono io, Chris!”
“Jill,
andiamo! Sono io, Chris. Reagisci!”
“Smettila,
Jill! Ritorna in te! Svegliati! Jill Valentine!”
“Chr…Chris…”
“Chirs…mi
dispiace così tanto.
Ascoltate.
Io
mi riprenderò, ma voi due dovete
fermarlo. Se il piano di Wesker avrà successo, Uroboros si
diffonderà in tutto
il mondo. Milioni di persone moriranno!
Dovete
fermarlo! Chris, solo tu puoi
riuscirci, prima che sia troppo tardi! Non ti fidi della tua compagna?
Sei la
nostra unica speranza di sopravvivenza.”
Un mese dopo…
[Epilogo…]
L’epilogo è stato
staccato dall’ultimo capitolo per una questione di ordine.
Ma preferirei lo
leggeste assieme a questo capitolo per un fatto di completezza! *.*
Grazie per aver letto
la mia fan fiction!!!!!!!
Andata a leggere l’epilogo,
forza!
|
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Capitolo 17 *** Capitolo 17: epilogo - Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea - ***
THE DAYS LOST IN THE NIGHTMARE
EPILOGO
…
Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea …
(chi toccherà
la
pece, ne rimarrà imbrattato)
Un
mese dopo…
Un elicottero
sorvolava il cratere del vulcano della regione
Kijuju.
L’atmosfera
nuvolosa e grigia comportava una scarsa
visibilità, rendendo quasi impossibile ammirare il paesaggio
sottostante.
Il mondo
intero non sapeva nemmeno a quale catastrofe era
scampato proprio qualche giorno prima, in quello stesso luogo ove un
capitolo
importante della storia dell’umanità si era
chiuso.
Seduti sui
sedili del velivolo, vi erano un uomo e una
donna.
Il primo era
Chris Redfield, agente della BSAA, in compagnia
della donna che aveva creduto morta per tre lunghissimi anni, Jill
Valentine.
Egli
osservò la sua partner di sempre, la quale aveva il
viso assorto e i suoi capelli biondissimi ondeggiavano per via del
fortissimo
vento.
Ella indossava
una giacca azzurra in stile tuta, abbinata a
dei pantaloni stretti color sabbia. Stringeva fra le sue mani un pezzo
di
carta, che accartocciava fra le dita nervosamente. L’uomo con
i capelli scuri
le si sedette accanto, premendo la sua robusta mano su quella pallida
di lei.
La bionda, a
quel contatto, alzò il viso verso di lui.
“Sei
sicura di volerlo fare?”
Jill lo
guardò intensamente, poi il suo viso si abbuiò di
nuovo.
“E’
una cosa che devo fare. Devo chiudere questo capitolo,
una volta per tutte.”
Chris comprese
le motivazioni della sua compagna, così si
limitò a stringere la sua mano, per starle vicino.
Dopo circa un
quarto d’ora, il pilota dell’elicottero
parlò
ai due agenti BSAA.
“Non
posso avvicinarmi più di così. Dovete proseguire
a
piedi da qui.”
Jill e Chris
dunque calarono le scale di corda e scesero
sulla terra ferma, in quella distesa polverosa cosparsa di cenere.
Avanzarono
proseguendo a passo lento, ancora troppo provati
per guardare senza esitazione quello che era stato il teatro di una
delle
battaglie più determinati della loro vita.
Perché
lì, in quel lago di lava, era finalmente morto Albert
Wesker.
Arrivati in
prossimità del cratere, Chris fermò Jill.
“Fermiamoci
qui.” disse non ritenendo saggio addentrarsi
così in prossimità della lava.
La donna
annuì. A quel punto si voltò verso di lui e gli
parlò seria, ma con dolcezza.
“Vorrei
stare un po’ sola, Chris. Ti prego.”
Il ragazzo non
insistette, sapeva bene quanto quel momento
fosse importante sia per lui che per lei.
In
verità, non avevano parlato a lungo di ciò che le
era
successo quando era stata prigioniera di Wesker. Tuttavia gli abomini
che egli
l’aveva costretta a fare trasformandola in quella donna in
nero, bastavano per
fargli immaginare il quadro della situazione. Certamente non era facile
per
Jill sostenere quel peso, dopo quel che doveva aver passato. Dunque
preferì
rimanere in silenzio, lasciando che lei elaborasse quel dolore.
Si
allontanò da lei, quindi.
Jill intanto
si sedette su una roccia, dalla quale
sporgendosi poteva vedere il cratere in lontananza.
Rimase assorta
in silenzio, mentre il vento accarezzava la
sua figura.
Quella quiete
spezzata dal solo mormorio del vento era
straziante. Essa contribuì ad ampliare quel senso di
desolazione che già
albergava nel suo cuore.
Quella
storia…era davvero finita per sempre?
Avrebbe dovuto
essere felice, eppure, non era così.
Era
già solo difficile accettarlo.
Una lacrima
scivolò sul foglio che Jill aveva ancora fra le
mani, mentre si abbandonava ai ricordi di quella storia che non era
ancora
finita.
La guerra era
ancora in corso, e lei avrebbe continuato a
combattere.
Avrebbe
cancellato dal mondo tutti coloro che avevano creato
quell’Albert Wesker, vittima anch’egli di un atroce
e crudele gioco del destino,
che l’aveva fatto crollare inducendolo alla pazzia.
Wesker non
poteva essere biasimato, ma non poteva negare di
sentire nel suo cuore un’insolita comprensione, che
irrazionalmente l’aveva
indotta lì, su quel cratere, a pregare per lui.
Nel luogo in
cui tutto aveva avuto fine, era lì che aveva
deciso di dirgli addio, ed abbandonare per sempre quella parte di se.
Perché,
perdendo per sempre anche lui, a sua volta Jill
aveva perso anche una parte di se stessa. Wesker aveva fatto parte
della sua
vita in modo così tortuoso, da aver portato via con
sé anche una parte di lei,
con la sua morte.
La morte non
era un termine che certo si addiceva ad uno
come lui.
Strinse gli
occhi, ricordando ancora una volta il volto di
Wesker, in balia del fuoco, oramai perduto per sempre.
Lo
odiava…lo odiava ancora terribilmente, eppure era
lì a
piangere la sua scomparsa. La scomparsa di quella mente diabolica, ma
geniale, vittima
delle conseguenze del destino scritto con le sue stesse mani.
Riflettette
sulle sue parole, dettole qualche mese prima. Ricordò
quella notte in cui lui le aveva mostrato il PG67A / W.
Le cose erano
andate esattamente come le aveva detto.
Lui…lui
aveva previsto tutto.
Aveva
pianificato la sua morte stessa.
Jill chiuse
gli occhi, gettando poi la lettera che aveva in
mano nella lava, che ben presto l’incenerì,
facendola sparire in quel fuoco dal
colore vivo che ricordava gli occhi di Albert Wesker.
“Addio…”
sussurrò, mettendosi in piedi e tornando verso
l’elicottero.
Pronta a
continuare la sua vita, pronta ad andare avanti in quella
battaglia.
Pronta ancora
a scontrarsi con Wesker, che per sempre
sarebbe rimasto impresso nella sua mente e nel suo cuore. Ora, poteva
ammetterlo.
Egli sarebbe
sempre rimasto intrappolato nella sua mente,
inevitabilmente prigioniera del signore delle tenebre che aveva
trasformato i
suoi giorni in incubi, che aveva stravolto la sua concezione di bene e
male, ma
che lei…
…irrazionalmente…
…crudelmente…
…aveva
irrimediabilmente
amato.
“Una bugia…
Una meravigliosa bugia…
Le sue parole, i suoi gesti, i suoi
occhi.
Tutte inutili e
sporche bugie, da parte di una spietata
macchina da guerra assetata di sangue, avvelenata da un folle e
inspiegabile
desiderio di dominio.
Un’orribile e crudele bugia, alla
quale io ho creduto.
Una
storia devastante che mi ha coinvolta in
un incubo senza fine, nel quale inesorabilmente si sarebbe articolata
la mia
nuova esistenza.
Albert
Wesker…è questo il nome che la mia
mente attribuisce a tutto questo.
Chi
sei mai stato veramente?
Qualcuno
mai ha potuto conoscere il tuo vero
volto?
Tu
stesso, ingabbiato nelle tue ricerche che
ti hanno condannato ancora prima di questa storia, non hai mai
più vissuto
davvero, arrivando a sacrificare la tua umanità stessa,
trasformandoti in un
mostro.
Dopotutto,
questo destino nefasto non ha
risparmiato neanche a te, dannandoti l’anima, in quella
realtà che lentamente
ha forgiato la tua lapide.
Qualunque cosa tu stessi cercando, non
l’avresti mai trovata.
Questo perché avevi già
distrutto tutto.
Da
dove proveniva la tua ossessione? Cosa aveva
scaturito tutto questo?
Siamo entrambi vittime.
Entrambi abbiamo inseguito qualcuno che alla
fine ci ha deluso e tradito,
sacrificando tutto, persino noi stessi..
Per questo mi chiedo perché,
specchiandoti nei miei occhi, tu non
capisca…
Oppure era semplicemente che non eri
più in grado di farlo, accecato da
quella follia che aveva annebbiato la tua mente.
Nonostante io stessa fossi persa nel buio
più assoluto, l’oscurità non
sarebbe stata tenebrosa come il tuo spirito. Il quale è
nero, putrido, logoro…
Anche addormentandomi, sapevo perfettamente
che non avrei più visto la
luce.
E tu, Wesker?
Cos’è che sogni quando
chiudi i tuoi crudeli occhi iniettati di sangue?
Questa storia avversa e spietata si
è ritorta contro di noi in maniera
irreversibile, rendendoci qualcosa che non abbiamo potuto scegliere di
essere.
Talvolta mi chiedo se questa stessa Jill
Valentine non sia già morta.
Il mio cuore è serrato, il mio
animo è oramai perduto. Non sento più
nulla, un enorme vuoto mi pervade…
Osservo il mondo che mi circonda, e mi
addolora costatare che io non
sia l’unica a sentirmi così.
In tutto questo, ovunque mi volti, rivedo il
tuo volto, causa del
pandemonio di questa mia vita.
Non potrò mai
perdonarti…!
Se solo le cose fossero andate diversamente,
avrei potuto amarti?
Probabilmente no.
Perché io non sarei stata questa
Jill, e tu non saresti stato questo
Albert Wesker.
Eri una mente geniale, dotato di
un’intelligenza inverosimile. Saresti
stato capace di fare qualsiasi cosa.
Se solo avessi sfruttato tutto questo per
scopi diversi…
Sei stato capace di compiere azioni terribili,
senza provare un
briciolo di rimorso.
Ed infine sei diventato davvero il mostro che
sei sempre stato.
Quel mostro che non eri, ma che ti ha
dilaniato dall’interno,
distruggendo quel che eri.
Dunque…
Chi sei per me, Albert Wesker?
Un nome…un volto…una
nemesi…un ricordo…
Hai cambiato il mio destino, hai sconvolto la
mia vita.
Ti ho amato, e il mio cuore continua a
struggersi in quel ricordo. Non
riesco ad accettare che tu sia l’uomo che adesso ho davanti
ai miei occhi.
Mi chiedo perchè…
…perché, nonostante
tutto, io continui a non odiarti completamente.
E’ per via di quel ricordo che vaga
ancora nella mia mente? Oppure è il
tuo viso affranto, che ho scoperto nascosto dietro la tua freddezza?
Oramai non lo so più.
Ultimamente non so più neanche cosa
sono.
Vorrei non averti mai conosciuto, per non
dover continuare a ripetermi
di odiarti con tutta me stessa.
Non meriti pietà, non meriti le mie
lacrime…
Dovrei solo vivere una bugia per riuscire ad
amarti ciecamente. Dovrei
scegliere la via dell'illusione per credere nell'amore, un amore al
quale in
realtà vorrei abbandonarmi, ma non posso.
Vorrei poterlo dire, vorrei poter liberare il
mio cuore, ma facendolo
so che mi abbandonerei ancora una volta a una bugia.
Ironico…
Il tempo passato non ha cancellato
ciò che hai manipolato nella mia
mente.
Trovo ancora assurdo che tu sia quello stesso
uomo.
Eppure, in una parte di quel diavolo crudele
vestito di nero che hai
creato, io ho rivisto quell’Albert Wesker.
Con te, ho perso ancora una volta
ciò che mi era rimasto.
Sei sempre stato umano, alla fine ho capito.
Odiavi tutto e tutti, accecato da
un’ira che non potevi sostenere.
Nel momento della morte hai avuto paura? Hai
finalmente trovato ciò che
cercavi?
Tutto ciò che posso darti,
è questa lettera.
Ti auguro con tutto il cuore di
riposare…finalmente…
Nonostante io non potrò riposare
mai più, per colpa tua…
…Eppure…
io…ancora non riesco ad
odiarti…
Wesker…
Addio…”
Jill
andò incontro a Chris, il quale era già di fianco
all’elicottero. Egli abbozzò un sorriso.
Intravide gli
occhi lucidi della ragazza, la quale cercò di
nascondere sorridendogli a sua volta. Un sorriso amaro che tuttavia il
ragazzo
fece finta di credere vero. Si limitò dunque a portare un
braccio sulle spalle
dell’amica, ed insieme fecero rotta verso casa.
Il vento si
alzò, mentre lentamente l’elicottero sorvolava
di nuovo il cratere un’ultima volta, sparendo poi fra le
nubi.
Altrove,
una fitta
coltre di nebbia rivestiva un luogo solenne e silenzioso.
Sul prato ben tagliato
erano collocate delle umili e pallide tombe.
Un uomo con passo
deciso camminò fra esse, fermandosi davanti ad una ben
precisa.
Il suo abbigliamento
completamente nero nascondeva la sua figura, di cui era riconoscibile
un solo
particolare: un lungo cappotto scuro.
Egli sorrise. Nessuno
aveva eretto alcuna tomba per lui, o comunque non era di suo interesse
andarla
a cercare da qualche parte. Perciò si avvicinò a
quell’unico marmo bianco di
sua conoscenza.
Si fermò e rimase un
lungo istante a guardare.
Prese poi fra le mani
un fiore bianco e lo piantò nel terreno.
Assorto, lo osservò
attentamente, perdendosi nella contemplazione silente della delicatezza
di
quella vita, imitando un gesto che vide fare a sua volta un giorno.
Fece un ghigno,
accarezzato dal vento, immerso in quel silenzio d’oltretomba.
Lentamente, poi, la
coltre di nebbia si fece sempre più densa, nascondendo
completamente la sua
figura, e di quell’uomo vestito di nero non si seppe
più nulla…
-Fine
It’s
the end…
Siamo giunti alla
conclusione di The Days Lost in The Nightmare, una fan fiction che
aveva un
enorme valore e un grande significato per me in quanto vede come
protagonisti i
due personaggi che più adoro nel mondo dei videogame,
appartenenti a una saga
che mi ha appassionata e che continuo ad amare.
Albert Wesker e
Jill
Valentine, due volti che mi hanno incantata, sia presi singolarmente,
che
insieme, nella loro intrigante e suggestiva storia, drammatica, dark,
possibile
ed impossibile…
L’intera
fan fiction
racchiude la mia immensa passione per loro, quindi la soddisfazione
più grande
per me sarà quella che chi legge…si sia sentito
nella vicenda. Che abbia
vissuto questa WeskerxJill con loro.
Vorrei che, alla
conclusione di questo lungo “missing moment”,
questi due personaggi siano visti
con occhi diversi, anche al di la se siete fan di loro o no.
Ho voluto
mostrarvi
quel che io ho sempre visto in loro e che mi ha appassiona a questo
pairing,
cercando di riunire nella fanfic tutte le possibili sfumature.
Sarebbe inoltre
un
privilegio per me sapere che, dopo aver letto la fan fiction, giocando
a
resident evil 5, vediate in questo capitolo della saga quei particolari
non
spiegati, non approfonditi, ma che si intuiscono, e che nel mio piccolo
ho
cercato di spiegare tramite la mia The Days Lost in The Nightmare.
Una fic con la
quale
volevo riempire quel buco narrativo in cui Jill è
prigioniera di Wesker, in una
mia interpretazione personale WeskerxJill.
Penso abbiate
notato
la lettera finale di Jill, che racchiude tutti quei
“pensieri” che spesso
inserivo ad inizio capitolo.
Erano tutti
messaggi
che lanciavo per racchiudere quei concetti che poi avrebbero portato
Jill a scrivere
questa lettera.
Essi erano posti
a
inizio capitolo proprio per indicare come è nato ogni
concetto espresso nella
lettera, in modo che se ne comprendesse il più intenso e
profondo significato
dietro, una volta letta nell’insieme.
Parole che il
lettore
ha visto nascere e crescere con Jill nel corso di tutta la fan fiction.
Ed adesso
c’è un
“tutto ritorna”, spero, sul perché di
quelle frasi introduttive! ^^
Volevo
ringraziare
tutti coloro che hanno condiviso con me questo percorso.
Il sostegno
dimostratomi da voi che mi avete recensito mi ha trasmesso un calore
immenso, e
non ho abbastanza grazie per dirvi quanto mi sia sentita felice!
Ma uno special
thanks
va a due persone in particolar modo…Astarte90 e Waanzin!
Astarte90....
…non
ho riscoperto in
te solo una fan, amante di resident evil, della WeskerxJill quanto
me…in te ho
ritrovato un’amica, una persona profonda e sensibile!
Mi hai seguita
fin
dall’inizio, sei una delle prime che ha letto la mia ff, e
per me è bellissimo
essere qui insieme fino alla fine..!
Hai mostrato una
passione e una vicinanza con me e con la mia storia che mi commuove e
mi
emoziona.
A questa
ragazza va
inoltre il grande tributo di avermi aiutata a correggere i capitoli,
segnalatomi in privato.
Grazie per il tuo
aiuto, un gesto a cui hai dedicato attenzione e che è stato
fatto
spontaneamente… e questo mi commuove davvero…!
Le tue
gentilissime,
lunghissime e bellissime recensioni… minuziose e attente a
ogni particolare.
Un’attenzione che mi ha lusingato e che mi ha fatto sentire
la tua vicinanza!
Una vicinanza a livello emotivo che non credevo potesse essere
possibile!
Sapere il livello
di
comprensione e di sintonia che abbiamo raggiunto mi emoziona
enormemente!
Non ho parole,
probabilmente ci siamo già dette tutto. Volevo ringraziarti
ancora una volta di
vero cuore.
Grazie per aver fatto questo percorso con me!
Grazie, grazie, grazie!!!
Sei stata un vero tesoro per me!!!
Poi...Waanzin, ho
sempre
adorato la tua poesia su Wesker, La Lapide, pubblicata qui su EFP.
Mi
incantò all’epoca,
e continua a farlo ancora, divenendo nella mia mente
l’immagine finale di
Wesker, avvolto nel mistero, vivo ma da nessuna parte…
La piccola
cut-scene
finale è quindi dedicata a te, alla tua storia, che mi
è rimasta nel cuore. L’avevo
deciso ancora
prima che venissi a recensirmi! ^^
Sono felice che
tu abbia
letto la mia storia! Grazie infinitamente!!
Tu che sei un fan
di
resident evil che come me ha cercato di spiegare (e ci sei riuscito
alla
grande!*.*) le sfaccettature di questa travagliata storia, su Wesker in
particolar modo!
Quindi
a maggior
ragione il tuo giudizio è stato importante.
Cosa posso
aggiungere?
Un bacione a
tutti!
Spero che questa
WeskerxJill vi abbia coinvolti, vi sia piaciuta…e vi abbia
anche un pochino emozionato.
Un bacione!!
…e
alla prossima ;)
Grace
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