Reborn for you

di Lady A
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Uno scherzo del Destino ***
Capitolo 2: *** Lui è Son Goku! ***
Capitolo 3: *** Incubo o realtà? ***



Capitolo 1
*** Prologo: Uno scherzo del Destino ***


Reborn 
for you.


Prologo: "Uno scherzo del destino."


 
I giorni, le settimane, i mesi e gli anni erano volati quasi con un’inverosimile rapidità sul pianeta Terra: era trascorso per l’esattezza un intero secolo da quando il celebre eroe aveva seguito il Drago Shernon, sottostando alla condizione stipulata da questi dopo aver esaudito l’ultimo desiderio, svanendo repentinamente, quasi fosse un sogno alle primi luci dell’alba, tra le nitide nubi del ceruleo firmamento, sotto gli sguardi colmi di incredulità e confusione di coloro per la quale si era perennemente battuto affinché su quell’amato Pianeta che in principio avrebbe dovuto distruggere, ritornasse a regnare la tanto bramata  pace. Con lui, anche le sette sfere scomparvero, ma ciò in realtà fu solo una sorta di prova che Shernon stesso serbò ai terrestri; difatti se autonomamente avessero mantenuto la pace, esse sarebbero ritornate assieme a Son Goku.
I primi sporadici e dorati raggi solari di inizio mattino, quasi cercassero in un tacito e subliminale gesto di elargire il loro amorevole saluto al saiyan finalmente ritornato sul suo amato monte, irradiarono con la propria sfolgorante luminosità la sua aitante e prestante figura, mentre le aride e policrome foglie autunnali cosparse omogeneamente al suolo quasi ad incorniciare elegantemente la ramificazione degli annosi alberi, coinvolte esplicitamente da una gelida brezza lusinghiera, diedero vita ad una vorticosa danza spirale. Con quella peculiare indole briosa e puerile rimasta totalmente invariata nonostante il fluire dei lunghi anni trascorsi in un’altra dimensione  ad allenarsi costantemente al solo scopo di superare i suoi limiti e un mite sorriso ammantato di tripudio ad increspargli le labbra, avanzò adagio, inebriandosi ad inspirare a pieni polmoni lo stuzzichevole e soave aroma autunnale variegato a quello spumeggiante silvestre, rimirando con sguardo verace e nostalgico quelle sinuose alture, giungendo infine proprio dinanzi l’umile e decrepita capanna appartenuta al suo caro nonnino, colui che fra tutti fu il primo ad amarlo e a proteggerlo, mentre il vorticoso tremito del suo cuore quasi cercasse di emulare una dolce e serafica melodia ultraterrena, prese a risuonare per l’emozione in quel placido silenzio imposto da  Madre Natura. Un silenzio che tuttavia con il suo muto ma suggestivo agire, sembrava volergli esprimere la propria riconoscenza, perché era esclusivamente grazie a lui, alla sua gran lena di non desistere mai di fronte agli ostacoli, a quel limpido cuore che sapeva insegnare ad amare e proteggere chiunque incondizionatamente, a quella peculiare e forse sconsiderata temerarietà con cui affrontava gli ostinati nemici di turno e a quel carezzevole sorriso ingenuo e disarmante con la quale aveva sempre cavalcato l’onda della vita, se tutto alla fine, dopo illimitati conflitti aveva riacquistato nuovamente un proprio equilibro naturale. Un equilibrio che lui stesso purtroppo, aveva continuamente messo in pericolo, ma che prontamente aveva difeso a spada tratta, mettendo a repentaglio la proprio incolumità pur di salvaguardare la salvezza comune.
Ponendo con un gesto spontaneo le mani sui fianchi senza smettere di scrutare lo straordinario scenario di fronte a lui, si ritrovò a sorridere calorosamente e grattandosi ingenuamente la nuca con la mano, dapprima palesemente esitante, fletté il capo nella direzione della dimora dove visse la sua adorata famiglia, avvertendo repentinamente una dolce euforia infervorargli amabilmente l’animo nel rimuginare che come stipulato precedentemente con il Drago, una volta ritornato sulla Terra per conoscere il suo promettente pronipote e appurarsi che non vi fossero incombenti pericoli, vi sarebbe rimasto  per soli quattro mesi, ove se ne avesse avuto la possibilità, li avrebbe utilizzati per forgiare – seppur in poco tempo – un nuovo combattente, dopodiché  anche per lui sarebbe giunto il fatidico momento di congedarsi definitivamente dalla vita terrena per riabbracciare finalmente i suoi cari e vivere per sempre uniti nell’eterna armonia dell’aldilà.
Niente più lotte e nemici avrebbero intralciato la sua esistenza.
Niente più pericoli e morti avrebbero stagliato il suo cammino.
Niente più abbandoni o separazioni alla perenne ricerca di superare se stesso lo avrebbero diviso da loro… il suo nucleo, quel punto concreto di inizio e di ritorno che lui e la sua dolce metà avevano originato dal nulla, pura e semplice magia nata dall’unione di due giovani cuori all’apparenza diversi tra loro, lui un alieno e lei una terrestre, che in realtà si erano cercati, inseguiti e attratti solo e soltanto per unirsi e completarsi a vicenda, alimentando con uno dei fuochi più roventi quel loro pudico e indissolubile amore che aveva saputo insegnare ad entrambi ad essere un solo ed unico cuore in due corpi anche se distanti.
Distanti… soppesando sulla loro storia vi si poteva  notare che erano stati più distanti che vicini…
Troppo distanti forse, provocando in quella gran donna all’apparenza caparbia e austera, solo e soltanto sofferenza, un’ingiusta sofferenza.
Inevitabilmente, nel rimuginare ciò la sua mente venne inesorabilmente pervasa da meticolosi e nitidi frammenti di vita condivisi con lei, gettando il suo cuore da ingenuo ma al contempo  innamorato in un vorticoso turbinio di oscillazioni. Inutile negare quante volte avesse avvertito la sua mancanza, quante volte si fosse ravveduto per averla abbandonata per l’ennesima volta senza neppure aver avuto il coraggio di salutarla.
Lui, lo stoico ed impavido eroe che si batteva per la giustizia del Mondo, aveva finito per mancare di coraggio proprio nei suoi confronti, infrangendo ancora una volta quell’impegno che aveva giurato forse inconsciamente, non potendo evidentemente allora comprenderne il reale significato, nelle vesti di marito, di restarle sempre accanto.
 Lo sguardo eloquente del guerriero vagò quasi distrattamente per i sinuosi colli, mentre la brezza adulatrice ne rasentò le fattezze; repentinamente, sbattendo le palpebre a più riprese e scrollando le spalle per ridestarsi dallo stato di torpore, volse ingenuamente gli occhi verso il cielo, sperando quasi che esso  da buon saggio qual era comprendesse quell’impellente e forse anche egoistico desiderio di ricevere ancora una volta  l’ennesimo perdono di sua moglie. Un perdono che nonostante tutto  in passato non era mai tardato ad arrivare, conferendo un’unica certezza nella sua vita: il devoto sentimento che la sua donna per sempre avrebbe serbato  solo e soltanto per lui… il suo grande e immenso amore per la quale suo malgrado, si era ritrovata infinite volte in assoluta solitudine a versare lacrime che mai nessuno avrebbe potuto asciugare. Il ricordo della sua voce armoniosa,  le sue perenni e celebri strigliate, i suoi sporadici nonché pericolosi  attacchi di stizza, i suoi caldi abbracci, il suo arrossire come una  timida bambina, il sapore dei suoi dolci baci e il sublime gusto dei suoi prelibati manicaretti,  inebriarono giovialmente il suo animo, tant’è che a quest’ultima golosa riflessione, un rinomato senso di languore serpeggiò spudoratamente in lui, arenando in una parte remota del suo spirito tutte le relative preoccupazioni a riguardo. Con un moto di fervore ed uno sguardo netto e pimpante come quello di un bambino, sfregò famelicamente le mani e permeato da un senso di pura curiosità, incrociando le braccia dietro il capo si avvicinò pacatamente verso la propria abitazione tondeggiante, ove lasciando giocosamente che le sferzanti raffiche del dispotico vento gli scompigliassero la peculiare capigliatura a palma, con un’azione risoluta aprì l’uscio di casa e senza particolari indugi si accinse ad entrarvi. La smunta luce diurna trapelante dai deteriorati e intorbiditi vetri di una finestra, osteggiò la predominante oscurità, ravvivando  seppur  fiaccamente la stanza e mettendo in rilievo quel fatiscente arredamento che nelle vesti di spettatore aveva assistito allo sbocciare del loro sentimento. Goku da buon sprovveduto qual era, massaggiandosi goffamente lo stomaco  e rischiando più volte di incespicare sulla pavimentazione, dato il disordine vigente, aprì con una palese gaiezza quella che anni or sono fu la dispensa, scoprendola logicamente vuota e vacillante! Dopo aver infantilmente bofonchiato, vagò con sguardo per l’ambiente circostante, finché un indumento dalla sagoma altamente familiare, di una sgargiante tonalità arancione posto con un’ inconcepibile cura su una sedia, attirò la sua attenzione.  
«Urca! Ma è la mia vecchia tuta!». Si ritrovò ad esclamare con voce squillante, sorridendo raggiante come una pasqua, afferrandola maldestramente e soffermandosi a scrutarla per indefiniti istanti con occhi lievemente sgranati, saturi di genuina incredulità. Facendo un futile giro su se stesso, non poté non notare con dovuto stupore come essa, sebbene fossero trascorsi più di cento anni dall’ultimo utilizzo, sembrava la sola tra tutto ciò che lo circondava, a non aver minimamente risentito dello scorrere del tempo, risultando inspiegabilmente ancora  ben pulita e intatta, con un inconfondibile e fresco aroma di lavanda ad esaltare gradevolmente le narici. Chichi difatti, seppur conscia di sperare in qualcosa dall’acre e mesto sapore di utopico come in un suo ritorno, l’aveva custodita con premura fino alla fine  dei suoi giorni, usufruendo disperatamente di essa quasi come diversivo per colmare quella logorante perdita, nel vano tentativo di rimarginare quella lancinante ferita che mai nessuno sarebbe riuscito a disinfettare.
Con fare ballonzolante e un sorriso stampato sulle labbra, si liberò con un gesto fulmineo dei vecchi indumenti,  rindossando gioiosamente l’amato capo arancione con lo stagliante stemma della Kame House.
Prima di varcare la soglia d’uscita, con una mano poggiata sul pomello della porta, ascoltando inerme il battito sordo del cuore echeggiargli prepotentemente nella mente quasi cercasse di comunicargli qualcosa, scrutò con uno sguardo guardingo e gaudio una fotografia posta su un mobile contiguo all’ingresso, che ritraeva la sua famiglia al completo in periodo di immensa pace, poco dopo la sconfitta del terribile Majin Bu .
«Chichi, Gohan, Goten… tra quattro mesi saremo di nuovo insieme!». Proruppe risoluto, precipitandosi subito all’esterno e ritrovandosi repentinamente a rabbrividire nel percepire sulla propria pelle il graduale accrescimento del gelo dovuto all’approssimarsi della stagione invernale. Dopo aver starnutito goffamente rischiando di originare un sisma e varie crepe, volendo approfittare del tempo rimanente per visitare nuove zone dell’amato Sol levante, si innalzò leggiadro  svanendo adagio tra quell’infinita massa celeste che da sempre, testimoniando tacitamente l’incessante susseguirsi di promesse, amori, gioie e dolori della vita umana, sovrastava benevolmente l’intero creato.
Dopo aver girovagato per svariati minuti, sorvolando su varie metropoli, quali la Città dell’Ovest e quella in onore del “campione del Mondo” Mr. Satan, planò  zampillante d’entusiasmo nonché di  fame, nella remota e pacifica Oskar City
L’avvolgente e ninnante tempore natalizio della solerte cittadina che si apprestava freneticamente nei preparativi dell’esimia festività, coinvolse ulteriormente il saiyan, che con occhi di un verace bambino dinanzi una nuova scoperta, osservò come incantato per vaghi secondi, con i piedi puntellati alla scivolosa superficie ghiacciata e il volto inclinato di un lato, gli sgargianti e dilettevoli giochi di luci provenienti dalle molteplici vetrine dei lussuosi negozi, mentre gli abeti che incorniciavano elegantemente le vie del centro quasi come per un prodigio ad opera di Madre Natura, si rivestirono in breve di una candida coltre innevata.
Quasi a presagire un qualcosa di sconvolgente e imprevedibile che sarebbe avvenuto nell’arco di quella giornata, una scarica elettrica  valicò fulmineamente la sua spina dorsale, ridestandolo bruscamente da quell’eloquente e spontanea contemplazione.  Successivamente, sbattendo inebetito le palpebre a più riprese e scrollando le spalle, totalmente inconsapevole di ciò che lo attendeva, si diresse con un mite sorriso ilare e famelico in un bar propenso a consumare una gustosa e considerevole colazione.
 Nessuno avrebbe mai potuto realmente immaginare in quali circostanze lo schernente Destino avrebbe unito nuovamente due anime e due cuori da troppo tempo divisi.
Nessuno avrebbe mai potuto realmente immaginare che esso avrebbe riscritto una nuova storia d’amore per i nostri due protagonisti.
Nessuno avrebbe mai potuto realmente immagina che colei che costituiva il tassello mancante al puzzle della sua vita, per un astruso ed incomprensibile processo naturale fosse rinata con la stesso aspetto,  la stessa indole e perfino lo stesso nome, ma con una reminiscenza della vita passata interamente rimossa dalla sua mente, ma forse, non del tutto dal suo mero cuore.
Rinata per vivere una vita spensierata, priva di abbandoni, angosce, supplizi e delusioni, per essere circondata ed amata da una famiglia unita e presente, una famiglia piena d’amore e di ideali, una famiglia che cercava di proteggerla da tutto e da tutti, barricandola sotto una campana di puro e forbito cristallo che Son Goku avrebbe fatalmente frantumato.
 In contemporanea con i loro cuori che mai avevano smesso di palpitare all’unisono, come una piccola ma inculcante freccia, come un fulmine a ciel sereno, una scarica elettrica seppur tenue da risultare quasi impercettibile, attraversò anche l’esile corpo della giovane studentessa che munita di una borsa a tracolla si accingeva ad una nuova giornata scolastica. Canticchiando sommessamente un’armoniosa melodia e facendo ondeggiare il setoso manto corvino che come una serica cascata le ricadeva lungo le spalle, uscì frettolosamente dalla sua camera e scendendo le scalinate, raggiunse la sua famiglia riunita per la colazione nella cucina.
«Ciao mamma, ciao papà !». Salutò con un sorriso stampato sulle labbra coralline, scroccando ad entrambi come soleva fare da che era una piccola e gracile bambina, un affettuoso bacio sulle guance. «Ciao Satomi!». Si rivolse amichevolmente a suo fratello, un loquace e affasciante ventenne dai riccioli d’oro e grandi occhi acquamarina, giovane promessa della arti marziali, sua grande passione dopo lo studio, mentre questi, distogliendo festosamente lo sguardo dal giornale gli scompigliò con un gesto affettuoso i capelli, facendo risuonare per la stanza la loro spensierata risata sormontata poi repentinamente, dal suono acuto del campanello.
Dopo aver diligentemente ascoltato come di consueto le mille raccomandazioni di suo padre, un uomo amorevole quanto iperprotettivo, nonché l’illustre sindaco della cittadina, lo congedò affrettandosi con impellenza ad uscire dalla sontuosa villa ove ad attenderla vi era la sua migliore amica.
«Ciao, Miki!». Le sorrise felicissima, raggiungendola e abbracciandola calorosamente,  salvo  sbadigliare flebilmente, riponendo con un gesto sfibrato una ciocca dei capelli dietro l’orecchio.
«Hei dormigliona, non dirmi che anche ieri sera hai letto fino a tardi quel libro? ». Le chiese con fare sbarazzino la ragazza dai capelli fulvi, specchiando i suoi lucenti occhi ametista nelle abbaglianti iridi scure della bruna, che rise sonoramente facendole un lieve cenno affermativo con il capo.
«Sì, è una storia così affascinante e avvincente!». Sussurrò eccitata, rivolgendo il suo limpido sguardo verso l’alto, mentre per un’inesplicabile ragione il suo giovane cuore prese a scalpitarle furiosamente in petto, quasi fosse tacitamente richiamato da qualcosa o da qualcuno non molto discosto da lei, un qualcuno di speciale, incomparabile, che inconsapevolmente nella vita passata aveva bramato e amato con tutta se stessa, un qualcuno che come un’impetuosa tempesta che inesorabile si abbatteva con tutta la sua forza sulla natura, sradicando le radice dell’albero maestro, sarebbe riemerso nuovamente nella sua vita, sconvolgendogliela.
«La solita romantica!». La schernì la compagna, scuotendo fiera la gremita chioma scarlatta. «Ah, dimenticavo. Kari-chan mi ha inviato un sms, ritarderà di qualche minuto… aspettiamola al bar di fronte, che qui fa freddissimo!». Aggiunse, destandola quasi bruscamente da un singolare stato di torpore.
«D’accordo! Ma speriamo di non far tardi nemmeno noi!». Bofonchiò Chichi, sbattendo le palpebre a più riprese quasi a voler ritornare alla realtà, scaturendo un’espressione enfaticamente esacerbata all’amica, che le scoccò un’occhiata accigliata.
« Sei sempre la solita! Di che ti lamenti?! E poi questa mattina il tuo oroscopo dice che farai un grande incontro!». L’ammonì sogghignando maliziosa, portandola per l’imbarazzo ad arrossire ostentatamente.
«Cosa? Sai benissimo, che non credo in queste cose!». Precisò infatti, piccata  e altamente imbarazzata, ponendo le mani sui fianchi e incurvando le labbra in un sorriso beffardo.
«Con tutti quei fusti che vengono qui la mattina almeno uno che ti piace ci sarà!». La rimbeccò la rossa poggiandole una mano sulla spalla, mentre la mora rise remissivamente divertita, dirigendosi con lei nel locale.
Non appena vi giunsero, gli occhi di Chichi come attratti da una delle più dominanti calamite naturali, come se nel buio più cieco un carezzevole raggio solare avesse puntato tutta la sua luminosità su un qualcuno di specifico… un qualcuno che il suo cuore stava freneticamente inseguendo tra miriadi di persone che assiepavano quel luogo, si posarono sull’aitante figura e sull’inconsueta capigliatura a palma di uomo che le era di spalle.
«Urca! Allora, mi dia sedici cappuccini, trenta cornetti al cioccolato e… ventisette brioches! Sto morendo di fame!». 
Come la deflagrazione di un’assordante bomba atomica, quella voce gioviale e spensierata, sferzò inesorabilmente il suo cuore che con una perseveranza assillante prese a risuonarle nelle mente ottenebrandola, mozzandole quasi il respiro, le labbra istintivamente si schiusero quasi nel vano tentativo di inalare aria, mentre il sangue nelle vene sembrò cessar di scorrerle.
«Chichi… Cosa c’è? ». La richiamò Miki con un palese tono concitato, prendendole prontamente le mani e ricercandone lo sguardo assente, quasi si fosse catapultata in un universo tutto suo, in un universo nella quale non faceva più parte.
«Yuuuuuuu! Scusate ragazze, ma questa mattina le mie lenti azzurro- fluorescenti non volevano attaccarsi all’iride! Allora, andiamo ?!». Il cinguettio stridulo e squillante della loro amica Kari, un’adorabile quanto eccentrica ragazzina dai corti capelli corallo, non sembrò ridestare minimamente  la corvina da quell’oblio nella quale sembrava essersi inoltrata.
«Chichi? Chichi diamine rispondi! Tra tre minuti esatti suonerà la campanella! ». Berciarono allarmante le due all’unisono, scrollandole le spalle e schiaffeggiandole lievemente il volto.
«Cosa… ?». Biasciò Chichi rubiconda, scendendo dalle nuvole, avvertendo tuttavia un’attanagliante morsa allo stomaco opprimerla, bloccarla .«Scusatemi… ». Si giustificò timidamente, ridendo imbarazzata e chinando il capo mentre con occhi scintillanti di una luce propria, lasciò il bar.
Son Goku, seduto goffamente su uno sgabello dinanzi al bancone  in attesa di placare il suo appetito,  si voltò distrattamente indietro venendo come catturato dalla straordinaria fisionomia di una fanciulla così simile alla sua Chichi, tanto che assumendo la sua consueta espressione ingenua, la seguì con lo sguardo finché gli fu possibile, avvertendo prontamente il proprio cuore oscillargli quasi a rallentatore, quasi esso gli rammentasse di raggiungerla.
«Ecco a lei, signore…». Il fragrante aroma delle leccornie da lui ordinate, inebriarono i suoi sensi, portandolo a ridacchiare infantilmente, per accingersi ad ingurgitarle avidamente, ignorando completamente il beffardo scherzo che il Destino gli avrebbe giocato.
 



 
    {To be continued…}
 
 

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Capitolo 2
*** Lui è Son Goku! ***


Reborn 
for you.


Capitolo 1: "Lui è Son Goku."
 
1.



 
Le prime ore di quel gelido ed innevato mattino di inizio dicembre fluirono via rapidamente quasi il minuzioso orologio della vita che marca l’inesorabile scorrere del tempo di ognuno di noi, fremesse nell’indicare l’approssimarsi dell’ora prestabilita dal Destino che avrebbe ricongiunto nuovamente ed inaspettatamente i nostri amati protagonisti.
Ormai satollo, con ancora un’incomprensibile ed angustiante fibrillazione dovuta alla visione di quella “strana” ragazza che aveva visto solo di spalle, a propagarsi nel suo animo e a irrompere insistentemente nei suoi netti pensieri, si allontanò dal locale, accingendosi ballonzolante a passeggiare pacatamente per le sdrucciolevoli e gremite vie di Oskar. Lo scrosciante tintinnio delle veemente pioggia invernale che si preluse quasi come colonna sonora della giornata assieme ad un filiforme velo di bruma, ottenebrarono  la visuale urbana, inducendo il guerriero a cercar un riparo al di sotto di una delle ormai rare ed annose sequoie che ergevano erette, incorniciando in precise quanto minuziose spire l’antica piazzola cittadina. Poggiandosi con la schiena ad un tronco e incrociando le braccia dietro il capo, gonfiò sporadicamente ed infantilmente le guance, vagando distrattamente in rassegna nell’offuscato e asettico scenario che lo circondava fin quando le sue limpidi iridi scure, vennero attratte da un inspiegabile bagliore dorato, originato a pochi metri da lui e da esso con una palese nota d’ingenuo e mero stupore a stagliargli il viso solcato da qualche piccola ruga, vi scorse di profilo le nitidi figure di una coppia di anziani che camminando adagio lungo il piovigginoso sentiero, sostenendosi amorevolmente e saldamente per mano, si voltarono sorridenti sbarazzini nella sua direzione e sotto il suo puerile sguardo palesemente imbarazzato, stagliato da un’inconfondibile e vezzoso colorito delle gote che si accostava al carminio e dal persistente  quanto goffo  sfregamento della singolare capigliatura a palma, si scambiarono un romantico bacio.
Il lapalissiano disagio del simpatico saiyan, che assistette quasi incredulo, con le labbra dischiuse e gli occhi lievemente sgranati, alla dolce scena, rischiando più volte di incespicare tra i ceppi del maestoso sempreverde, si tramutò  successivamente in tenerezza, sennonché anche in una remota e al contempo  atipica invidia. 
Innalzando rubicondo gli occhi al firmamento e soppesando con la parte più razionale di sé, concretizzò suo malgrado con una palese espressione virtuosamente abbacchiata e costernata, di non essere mai stato un buon marito, sicché era stato lui stesso con le sue dannate ma anche fiere origini e le sue maledettissime passioni a sottrarre inconsciamente ed egocentricamente tempo che mai nessuno avrebbe più potuto loro rendere al loro sincero sentimento. 
Al contrario di quella romantica coppia di terza età, lui e Chichi mai avevano potuto ostentare in quel fervente modo il loro candido e né invecchiare all’unisono.
Perché infondo era  proprio quello stare uniti, sostenersi a vicenda e maturare insieme, tenendosi sempre e comunque per mano senza mai lasciarsi, per affrontare e sbaragliare tutte le avversità del lungo e perpetuo cammino della vita, a costituire gli effluvi della vera essenza dell’amore.
Sorridendo sommessamente tra sé, avvertendo il battito sordo del proprio cuore propagarsi acutamente nelle membra, rammentò quasi con un alone nostalgico, quando sua moglie pochi giorni prima del rinomato Cell Game strabiliandolo non poco durante un famelico pic-nic, ove vi partecipò anche il caro e vecchio buon Crilin, lo definì con voce pacata e sognante e sguardo puramente  innamorato "Un marito meraviglioso".
Rimuginando come mai in vita sua su ciò, prendendo ad incrociare le braccia dietro il capo e sbuffando sonoramente con un che di bambinesco in preda alla perdizione, eluse lo sguardo dalla fosca volta del cielo, serrando i pugni e giurando risoluto tra sé che una volta abbondata definitivamente la vita terrena e ricongiuntosi nuovamente con lei, avrebbe fatto di tutto per farsi perdonare, volendo più di ogni altra cosa rimediare ai suoi errori del passato.  E fu in quel momento, forse, solo in quell’irrilevante e fluente frazione di marginali secondi, nel bel mezzo del cammino della sua vita, che l’ingenuo e impavido Son Goku comprese il vero ed inestimabile valore dell’amore. Ritornare in quella tondeggiante e stinta dimora e non ritrovarla dinanzi a lui, non poterne respirare a pieni polmoni il suo inconfondibile e stuzzicante aroma di vaniglia, non poterne ascoltare il suono argenteo e cristallino della sua armoniosa e a volte biliosa voce sempre pronta a dispensare ramanzine, non potersi specchiarsi più in quelle fulgenti e vispe iridi d’ebano che da sempre, si avvide, celare un mero e proprio bagliore pieno di un folle e illimitato amore, lo avevano in qualche modo rabbuiato. Quell’accogliente e ampia casa tondeggiante senza l’abituale e inamovibile presenza della sua Chichi, appariva quasi vuota, senza vita, come incolore, proprio come la più tacita, recondita e matura parte del suo animo, un animo da saiyan, ma anche da comune terrestre, conscio di poter saggiare sulla propria pelle palpabili ed eterei sentimenti. Ma ciò troppo spesso, sembrava chiaramente sfuggire all’infida opinione altrui, che scorgevano erroneamente in lui solo un eroe… uno stupido, sciocco, idiota e stolto eroe, eccessivamente ingenuo e infantile; un tontolone troppo ghermito dalle sue ambizioni per poter minimamente comprendere il significato dell’amore, che per genuino ed elitario altruismo aveva stoltamente deciso di sposare un’isterica, una petulante, opprimente e facinorosa ragazzina, la quale egoisticamente da bambina gli aveva strappato la fortuita promessa di un insulso e instabile matrimonio. Ma la realtà, quella che indubbiamente sfuggiva all’accusatoria e disdicevole linea di massa – che francamente non poteva saperne un emerito niente della loro vera vita privata! – era che, vano negarlo… l’impavido guerriero aveva sì, una propria personalità collimabile alla sua indole strettamente bambinesca, ma tuttavia, è anche vero che l’ingenuo amore dei bambini è senza ombra di dubbio maggiore a quello degli adulti, il loro è nettamente e straordinariamente puro, serafico e soprattutto totalmente incontaminato dal quell’ipocrisia e dalla malizia che ormai, regna sovrana nell’odierna e soggiogante umanità! L’irreprensibile eterno ragazzone, malgrado tutto, aveva avuto il serafico onore di pregustare col proprio cuore quel nobile sentimento che sapeva essere amabile come una cascata di puro e finissimo cioccolato al latte ma al contempo aspro come un acerbo limone. Un’ acidità che tuttavia, era stato il sardonico Destino ad auspicare, preludendo sulla sua strada, circostanze e frangenti fin troppo eccitanti ed allettanti per tirarsi indietro, troppo succulenti e stimolanti per rimanere al suo posto e fare da padre e marito, prediligendo senza dubbi, incalzare come uno spiro libero ed indomato le sue passioni, perché in fin dei conti una vita prive di esse non merita di essere vissuta,  ma neanche una vita senza amore, inducendo i propri cari a perenne ed estremamente inique afflizioni! Prefiggendosi per l’ennesima volta che avrebbe saputo riscattarsi, eseguì con un’adorabile espressione benevole e pacata, una goffa rotazione su se stesso e retrocedendo flebilmente di qualche passo, quasi a voler costare la compattezza del vegetale alle sue spalle, portò guardingo una mano all’altezza del mento, avvertendo in quel momento una gelida e tracotante carezze del vento rasentargli paradossalmente il soldo corpo, mentre nell’anomalo e lugubre silenzio cittadino, il sibilo ampolloso della brezza, risuonò quasi come una sarcastica e sferzante risata, che inconsciamente, costatò somigliare a quella boriosa e sdegnosa di Vegeta. Fulmineamente al suo nostalgico ricordo, un sorriso pimpante si delineò sulle sue labbra lievemente dischiuse. Chissà come se la passava quell’orgoglioso nell’eterna armonia dell’aldilà? Ponderò spensierato, mentre repentinamente in lui si snodò quella blanda curiosità di recarsi nella Città Dell’Ovest, per scorgere l’evolversi della Capsule Corporation, ma un celato presagio interiore sotto forma di una tacita ed eloquente preghiera colta forse dal suo cuore, sembrò imporgli esplicitamente di restare.
Restare in quella remota e pacifica cittadina che gli avrebbe stravolto gli ultimi mesi di vita terrena.
Restare in quella remota e pacifica cittadina che tra poche ore, avrebbe finalmente riannodato la sua esistenza con quella di una diciottenne dai fluenti e setosi capelli d’ebano e dalle morbide e involate labbra coralline.
Restare in quella remota e pacifica cittadina dove il Destino aveva voluto radunarli per far vivere agli ignari Goku e Chichi una nuova e coinvolgente avventura, forse l’ultima, forse quella definitiva… che avrebbe saputo con remissività svelarci se anche per loro, come nelle favole vi ci sarebbe stato il tanto agognato lieto fine.  
Sorridendo giocoso, avvertendo un etereo tepore solleticargli piacevolmente il cuore, scaturendo in lui una serie di acuite sensazioni sottopelle, sbatté le palpebre a più riprese, avvedendosi solo in quel mite e benevole istante dell’ormai cadenzato dissolversi della caligine mattutina. Stiracchiando le dita delle mani, si incamminò per le adornate vie del moderno centro urbano, scrutandosi sporadicamente intorno forse nell’ingenua e irrazionale ricerca di quella deliziosa figura che istantaneamente aveva scaturito in lui vere e inesorabili emozioni, salvo poi, bloccarsi con le fauci completamente spalancate a contemplare con estrema e devota venerazione delle svariate e lusinghiere leccornie che scorse famelico dalla lustra vetrina di un’elegante e raffinata pasticceria, venendo successivamente bruscamente destato da striduli e sferzanti strepiti, alla sue spalle. Voltandosi  seppur di malavoglia con un’aria interdetta e goffamente confusa, ponendo esacerbato le mani sui fianchi e flettendo incuriosito la testa di un lato, intravide scantonare furtivamente da una gioielleria due loschi figuri con i visi totalmente coperti da cupi passamontagna, che abbrancando serratamente delle pistole, si accinsero goffamente a trattenere in ostaggio una corpulenta signora di età assai avanzata. Corrugando la fronte in un cipiglio infantilmente bonario e indulgente, osservò pervenire apparentemente dal nulla con la stessa razionale celerità di un fulmine a ciel sereno, un aitante ragazzo dai ricci capelli delle medesime tonalità dell’oro che guarnito di una rara maestria , con abili scatti felini e colpi volitivi, sistemò a dovere ambedue i malviventi sotto lo sguardo collettivo della massa di curiosi che vi si era assiepata pocanzi. Il saiyan non eludendo lo sguardo nettamente interessato dal giovane, prese risoluto il mento tra le mani, ponderando tra sé sulle gloriose doti dell’avvenente giovane. Sì, innegabilmente se avesse ricevuto un’ulteriore e vigoroso allenamento, sarebbe divenuto senz’altro un ottimo guerriero! Con questa congettura e un mite e affabile sorriso contagioso, si affrettò a raggiungerlo. 
«Urca ! Complimenti figliolo, ti ho visto appena combattere, sei stato grandioso, lo sai?!». Lo decantò con la sua peculiare e squillante voce, poggiandogli amichevolmente una mano sulla spalla, salvo poi, porre ingenuamente l’altra al capo, ridacchiando imbarazzato. «Ah, dimenticavo eh, eh, he, piacere, io mio chiamo Goku. Son Goku!». Si presentò, stagliando il tutto con un coinciso timbro vocale pregno di fervore all’elettrizzante idea che parve quasi rinvigorirlo di vent’anni,  di poter trascorrere quegli ultimi crogiolati mesi di vita terrena forgiandolo a dovere,  sicché, se un remoto giorno il pianeta avrebbe corso un qualche pericolo, vi ci sarebbe stato lui a preservarlo.   
«Sono lusingato dalla tue parole… Goku ! Il piacere è tutto mio, sono Satomi Satoshi!». Il biondo fece la sua fatidica conoscenza, porgendogli e stringendogli cortesemente la mano.
 
 

 

~


Gli ormai sfibrati studenti della facoltosa Konan High School, allo scoccare delle tredici e trenta di quel piovigginoso e plumbeo pomeriggio di dicembre, si accinsero con tanto di grida enfaticamente euforiche e lanci orbitali di bigliettini e cassini, ad abbandonare il tanto aborrito ed austero istituto, che tuttavia li avrebbe mestamente e fedelmente accolti anche il giorno susseguente.
Dei timidi e repentini barlumi  solari come per un assenso divino, rischiaravano benevolmente le dolci fattezze di un’irascibile e combattiva diciottenne. Procedendo assieme alle due amiche a passi flebili, con un colorito delle gote rosato a osteggiare ancora l'infantile e candido viso, assorta eloquentemente nel meditare e fantasticare  sull’incantevole figura di colui che le aveva spudoratamente cagionato un violento ma al contempo intenso balzo al cuore e alle viscere, si accinse a demolire lo statico silenzio che ormai regnante da diversi minuti.
«… sai Miki, credo che il tuo oroscopo questa mattina ci abbia visto giusto!». Proruppe risoluta, riavviandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ornato da un prezioso orecchino con recante l’iniziale del suo nome, istigando le due compagne ad assumere delle espressioni enfaticamente sbalordite.
«Cosa?!». Vociarono difatti la fulva e la rosa all’unisono. «Stai… stai davvero dicendo sul serio? Oh Kami-sama! Ma è meraviglioso! Quindi… quindi accetterai la corte di Yuri?! Oh, è un ragazzo adorabile e hai visto che occhi e che… fisico?!». Aggiunse la prima, zampillando gioiosa, mentre sul suo volto si delineò un sorriso malizioso.
Chichi che le volse un’occhiata accigliata e imbarazzata, scosse fermamente il capo in un imbarazzato segno di diniego. 
«Non mi riferivo al nostro compagno di classe… ». Puntualizzò con aria sbarazzina, volgendo il limpido sguardo verso l’alto a simulare una finta esasperazione.
«Ah, no? ». Si ritrovò a reclamare incredula Miki, flettendo il capo per specchiare i suoi dolci occhi in quelli della sua migliore amica. «Però credimi… durante l’ora di educazione fisica non ti ha staccato gli occhi di dosso e poi non mi sembra che ti sia così indifferente… insomma vi sorridete spesso… guardati, solo a parlarne sei diventata tutta rossa e non provare a negarlo, perché lui ti piace e anche molto!». Aggiunse ridacchiando saccentemente in compagnia di Kari, che era intenta a fumare pacatamente una sigaretta e quasi non soffocò per via del fumo non espirato.
Di tutta risposta, la moretta avvampò violentemente, coprendosi il volto con le mani come per celare il lapalissiano e irriverente rossore. 
«Miki, ti odio, anzi vi odio quando fate così!». Ringhiò a denti serrati e sguardo lampeggiante di profonda stizza e disagio, aumentando vigorosamente di passo, dando piccata loro le spalle.
«E dai non fare così… non sarà mica qualcuno che hai visto al bar stamani? ». Cercò cautamente di rabbonirla la rossa, affrettandosi amichevolmente a raggiungerla, cingendole affettuosamente la spalla con il braccio. Nell’udire quella domanda e rievocando ad occhi leggermente socchiusi come a voler riassaporare sulla propria pelle il sublime aroma di quelle etere emozioni, Chichi avvertendo un indistinto calore propagarsi per tutto il gracile corpo, si ritrovò ad annuire sommessamente. 
«Sì… ». Replicò risoluto, sospirando impercettibile. «… ma ad essere sincera non so neppure che faccia abbia, dato che l’ho visto solo di spalle… ». Aggiunse con lo stesso timbro, sorridendo amaramente e razionalmente tra sé, salvo aggiungere «Ma sono rimasta subito colpita da lui… non so spiegarmelo nemmeno io… è come se lo conoscessi da sempre…  la sua voce è come se mi avesse gettata in un altro mondo …  ». E detto ciò, lasciando le amiche ancora palesemente sconcertate e perplesse, le congedò con un elegante inchino, per indirizzarsi pensosa ed ignara verso casa.
 
Una volta giunta dinanzi la coriacea porta d’ingresso della villa Satoshi tinteggiata di un amabile tonalità pastello esaltata dalle minuziose rifiniture in oro massiccio, posò la mano sulla maniglia e sospirando per l’ennesima volta tra sé, tergiversando nell’imporsi esplicitamente di ricomporsi tant’è che era invano e anche sconclusionato scervellarsi su di un qualcuno che per giunta non aveva neanche visto in volto, vi fece capolinea.  
«Oh, ciao sorellina… bentornata!». Standogli di spalle, propensa a sistemare il soprabito di lana colorata, udì la voce strombazzante e piuttosto euforica del fratello e un pungente aroma silvestre mai percepito prima d’allora che le scaturì una seria di fremiti impazziti lungo la spina dorsale e un attanagliante tremolio alle gambe. Sbattendo interdetta le palpebre a più riprese, si voltò incuriosita, ricercando apertamente lo sguardo di Satomi, rilevando successivamente dietro di lui, l’avanzare cadenzato di un’altra imponente figura.
«… Lui è Son Goku!». Nonostante il timbro altisonante, Chichi captò a malapena la voce del fratello, un dispotico guizzo al cuore parve ottenebrarle nuovamente la mente e i sensi, il respiro le si mozzò bruscamente il gola quanto i suoi occhi incrociarono lo sguardo palesemente spaesato e confuso di colui che forse, ancora una volta sarebbe stato il suo grande amore.
 




 
{To be continued... }


 
Voglio ringraziare di cuore Nede, Mizuno, Soly Dea, Gogetess4 C-18 & Chichi, sophiakaulitz, Super Mimi_, frisifia e chichina98 per aver letto e recensito il mio prologo, davvero mi avete rincuorata e dato un’incredibile slancio per avventarmi in questa “nuova avventura”. Ringrazio anche chi l’ha già aggiunta tra le preferite/seguite e ricordate, ma anche a chi la segue in silenzio! Spero di non aver deluso con questo primo capitolo e soprattutto di non essere caduta nell’OOC con Goku… dato che beh, essendo passati cento anni dalla sua partenza, ho voluto renderlo un po’ più maturo e consapevole, ma comunque nei prossimi capitoli darà pur sempre saggio – soprattutto alla famiglia Satoshi - della sua ingenuità ! ;D.
 

 
 

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Capitolo 3
*** Incubo o realtà? ***


Reborn 
for you.


Capitolo 2: "Incubo o realtà?."
 
2.



 
Siamo gocce di un passato
Che non può più tornare
Questo tempo ci ha tradito, è inafferrabile
Racconterò di te
Inventerò per te quello che non abbiamo
Le promesse sono infrante
Come pioggia su di noi
Le parole sono stanche, ma so che tu mi ascolterai
Aspettiamo un altro viaggio, un destino, una verità
E dimmi come posso fare per raggiungerti adesso
Per raggiungerti adesso
Per raggiungere te 

[Gocce di memoria ~ Giorgia.]



«…Lei invece è Chichi, la mia adorata sorellina!». Ancora una volta la limpida e argentea voce del giovane e avvenente Satomi, venne percepita dai nostri due protagonisti solo come un fievole e tenue sussurro, una leggiadra e agognata carezza materna, un soffio filiforme di un indulgente vento estivo che tuttavia, come il mesto dissolversi di una fragile bolla di sapone, si tramutò in uno sferzante e schernente schiaffo non appena l’ingenuo e ignaro Goku, avvertendo quel nome così nettamente mite e familiare che gli titillò piacevolmente gli anfratti reconditi del cuore, con un’espressione confusa e bonaria, adagiò lo sguardo su di lei… la sua lei. Repentinamente, in sintonia con il fulgore di un adirato fulmine che squassò in due la nefasta volta del cielo, focalizzando quasi con sarcasmo la figura della bruna immobile dinanzi a lui, un facinoroso sussulto variegato ad un torvo intorpidimento contrassero e attanagliante le viscere e l’animo dell’insormontabile eroe. Celermente, le sue iridi divennero vitree, mentre le labbra si dischiusero adagio quasi a tradire lo sconcerto che in quell’onirico frangente, doveva spudoratamente aver preso ad albergare nel suo essere. Un’acuta e inesplicabile stilettata al petto parve recidergli tacitamente il respiro, stille incolori di sudore valicarono quasi dolorosamente la sua fronte e lo sguardo a tale visione, divenne totalmente stralunato.
«…Chi-Chichi?». Si reperì a mimare sommessamente interdetto tra sé, avvertendo una morsa allo stomaco non appena i suoi affabili occhi smarriti come invocati da un’esoterica e celata simbiosi, si rispecchiarono intimamente in quelli imbarazzati e turbati di lei, ritrovandosi quasi inconsapevolmente a contemplarne il delicato e ancora infantile viso d’alabastro, messo deliziosamente in risalto da un vezzoso e distinto colorito cremisi, scorgendovi con sgomento, la sconcertante e spudorata familiarità con la sua amata consorte che fino a pochi effimeri istanti antecedenti, era briosamente certo che l’attendesse nella serafica armonia dell’aldilà. Sfregandosi con profonda goffaggine la singolare capigliatura a palma e ostentando con un’enfatica espressione ingenua un accentuato sorriso tuttavia sornione, scosse infantilmente il capo come in allusivo segno di diniego al pullulare di quelli che innegabilmente dovevano essere i suoi silenti pensieri, accingendosi irrazionalmente, forse incitato dal suo consueto e rinomato ottimismo, a ridacchiare confortato, come a voler utopicamente accantonare l’ostinato preludersi di quello che indubbiamente ed erroneamente per lui, doveva trattarsi solo di un astruso incubo dalla quale ben presto si sarebbe ridestato. 
«Allora sorellina, non mi dici niente?! Goku, è stato gentilissimo! Pensa, si è offerto di allenarmi per potenziare al massimo le mie capacità combattive!». L’amorevole pressione delle calde mani fraterne, che delicate come gocce di rugiada si posarono sulle sue esili spalle e il consueto timbro amichevole e sbarazzino con la quale le si rivolse, riscossero flebilmente la giovane moretta da quell’atipico e imbarazzante stato di torpore da che i suoi sfavillanti e puri diamanti notturni si erano nebulosamente posati sull’aitante figura di quell’emerito sconosciuto che senza remore, quasi come d’istinto, identificò subìto come colui che in quel perlaceo e piovigginoso mattino le aveva misticamente carpito l’animo e la ragione. Sbattendo attonita per innumerevoli secondi le palpebre a più riprese e omettendo quasi con un inesplicabile timore, la tenue ma paradossale sensazione d’intima conoscenza che si annidò in lei con la medesima prontezza delle saette di quell’algido pomeriggio, si ritrovò inconsapevolmente a boccheggiare per vaghi e perseveranti istanti quasi senza fiato, ascoltando inerme, come una destabilizzante nenia, il convulso vibrare del proprio muscolo cardiaco che mai come in quel etereo attimo, quell’esiguo frammento di vita, le diede l’impressione di volerle deliberatamente librare dal petto, tante le palpabili e cristalline emozione che parevano aver ripreso affabilmente ad aleggiare su di esso. Per un estenuante secondo, ebbe come l’inquietudine che ciò fosse solo frutto della sua mente, solo un fugace e paradisiaco abbaglio, sembrava quasi inverosimile che lui, l’uomo dalla stravagante chioma a palma, lo stesso che il suo spirito e il suo cuore avevano cercato e individuato (tuttavia solo di spalle) tra nugoli di gente comune al bar, e che per tutte le perseveranti ore scolastiche aveva affollato inesorabilmente i suoi pensieri, si trovasse proprio lì, in casa sua, di fronte a lei, occhi negli occhi, incatenandola a sé, alla sua serafica purezza, alla sua essenza fino alle sue più recondite incertezze, velate dall’onirico sorriso di un adulto rimasto ancora bambino. Fu il lieve ma facondo tossire dell’amato fratello a ricondurre Chichi nuovamente alla realtà, al che rilasciando un i sospiro, si accinse concitatamente a proferir la prima frase di senso compiuto che le zampillò per la mente, cercando con disagio di riacquistare una certa compostezza e placidità.
«Ahem… ecco io… sono davvero molto contenta per te, fratellone…». Snocciolò rubiconda, facendo sgorgare dalle sue labbra un suono esplicitamente ovattato che per contrasto, come un’ulteriore coltellata infitta abiettamente alle spalle, si dilettò silenziosamente a flagellare le pareti cardiache di quel saiyan ancora troppo innocente e bonario per concretizzare quel barlume di realtà stipulato unicamente da quel destino che efferato, si era crogiolato nel colpirlo nel suo punto più debole.«…Sì, insomma, l’importante ovviamente è che non ti distolga troppo dall’università…». Soggiunse, simulando una serenità che mai come in quel fervente momento pregno di vulnerabilità da parte di entrambi pareva essersi ignobilmente astenuta dal suo carismatico spirito, istigandola quasi con impeto, a chinare il capo nella fosca paura di leggere la stessa medesima esitazione anche negli occhi di colui che all’apparenza emergeva solo come un estraneo.
«Oh… ma certo, sta tranquilla! Giuro che riuscirò a laurearmi prima o poi…». 
Non prestando la benché minima attenzione alle parole di Satomi, Chichi in balia di un moto di trepidazione acutizzato ulteriormente da un pensiero che repentino doveva aver valicato la sua mente, si ritrovò dapprima a guardare in direzione di entrambi, soffermandosi poi, con un’espressione alquanto meditabonda sul fratello. 
«Ma papà lo sa, vero?!». Domandò con le sopracciglia lievemente arcuate, avvertendo un supplementare colorito scarlatto salirle indecorosamente alle gote già deliziosamente avvampate nel percepire il perseverante quanto enigmatico sguardo del Son posato sempre e solo su di lei, al che il suo gaio interlocutore ostentando un angelico sorriso da cucciolo in cerca di quella tenera complicità che con la sorella di certo non mancava e rammentando tra sé con una nota d’ansia che sarebbe stata un’impresa a dir poco ardua persuadere realmente quel conservatore, austero e iperprotettivo di suo padre nell’accogliere un uomo “di quel calibro” in casa, le rispose: 
«Hem… veramente non ancora, ma… la mamma ha detto che lo avvertirà stasera, e… sai meglio di me che lei riesce quasi sempre a convincerlo! Sono più che sicuro che acconsentirà di farlo restare con noi…». 

“Restare con noi…”

Come un mite bacio a fior di labbra, quelle ultime tre semplici parole con il proprio calore sprigionato da quel sentimento pregno di un amore leale e devoto che né il destino e né il fluire degli anni era riuscito a cancellare in maniera definitiva dall’intimo del suo essere di fervente innamorata, ebbero come il potere di far vibrare ancora più vorticosamente il cuore di quell’innocente diciottenne dai serici capelli delle stesse tonalità delle tenebre. I suoi fulgenti occhi da cerbiatta, specchio della nitida anima di una bambina che crede ancora nel vero amore, nelle favole e in quell’utopico lieto fine che il fato ha la prodigalità di dispensare purtroppo a pochissimi, sfavillarono di un tripudiante desiderio che seppur effimero, sovrastò baluginante il timore e la confusione all’idea di averlo concretamente con lei e per lei. 
«Sarebbe meraviglioso!». Con un’amabile quanto slanciante spontaneità e una risoluzione che mai avrebbe confidato di poter ostentare in un frangente come quello, ove l’intelletto e le viscere parevano essere in subbuglio, ove brividi di natura indefinita la scuotevano imperterriti fin nelle concavità della sua personalità; si ritrovò repentinamente a subissare il silenzio di quello statico istante con un timbro vocale che forse, per la prima volta da che inquieta aveva individuato la sublime figura di quel Son Goku, si rivelò altisonante, scandito e impeccabilmente terso, e non un mormorio incerto e biascicante come quando aveva esordito. Tuttavia, non appena si accorse dell’impulsivo modo con cui aveva declamato la suddetta nonché esplicita frase impallidì di colpo, eludendo imbarazzata come mai, lo sguardo curioso e fin troppo sbarazzino di Satomi e quello sempre più frastornato eppure ancora così dannatamente familiare, del guerriero innanzi a lei, deglutendo stizzosamente più e più volte a vuoto, nell’inane intendo di auto-correggersi.
«C-cioè… i-intendevo p-per te…». Farfugliò frettolosamente, con voce tenue e tremula, quasi afona, ravviando con un gesto palesemente incerto, una ciocca scurissima di capelli dietro un orecchio, mentre ancora una volta un irritante e ben noto rossore fece il suo rientro, estendendosi ad ogni millimetro della sua diafana pelle, aggravando ulteriormente il suo stato di disagio emotivo. 

Una sardonica silenziosità si prodigò lestamente tra le ambrate pareti di quell’accogliente e pomposa stanza, ammantando come una coltre opalescente i presenti. 
Immobile, come atrofizzato dall’incoerenza di quel contesto, come intrappolato in un incubo, in un tetro dedalo senza via d’uscita e di salvezza, senza batter ciglio, lasciò scorrere ancora una volta, il suo dolcissimo ma atterrito sguardo ancora così genuinamente fanciullesco e puro, su quella ragazzina. E nell’udire… o meglio discernere un qualcosa di terribilmente noto, famigliare, amato e bramato in quella voce, il cuore sembrò smarrire i suoi incessanti battiti regolari. 
Per indefiniti istanti si ritrovò a socchiudere flebilmente gli occhi e stringere spasmodicamente i pugni come a darsi slancio… sicurezza… speranza, espedienti che tuttavia vacillarono, assieme al quel sornione sorriso che suo malgrado si era ritrovato a dover sfoggiare per camuffare le sue perplessità e i suoi timori, non appena riconobbe della familiarità anche nella sua aura, che sì, percepì indubbiamente più debole ma tuttavia, con un’inesplicabile e dolente consapevolezza, concretizzò che essa in sé racchiudeva quella forza e quel bagliore che sapeva non potevano appartenere che a Chichi, la sua Chichi.

Ma… com’era possibile?

A demolire quella logorante silenziosità e a ridestarlo dal mobile flusso di quelle che dovevano essere le sue domande in quel fatidico e dilaniante momento dagli orpelli ancora così dannatamente illogici e inammissibili, ove l’annaspante muscolo cardiaco pareva oscillasse a rilento assieme ai minuti di quell’asettica giornata, furono i passi dell’amorevole padrona di casa: Nagisa Satoshi.
La simpatica e pasciuta donna dagli immensi occhi color avana e dai flessuosi capelli cobalto raccolti in un accurato chignon, con addosso uno sgargiante grembiule da cucina, venne loro incontro per accogliere con quel suo consueto sorriso conciliante e benevole la sua “bambina”.
«Piccola mia, ti stavamo aspettando! Sono lieta che tu abbia fatto conoscenza del simpatico signor Son. Venite, il pranzo è pronto!». Porgendole una lieve e materna carezza sulla gota perseverantemente scarlatta e voltandosi verso i presenti, face loro cenno di seguirla nella cucina ove a giudicare dalle delicate e ghiotte fragranze che maliziose, stuzzicarono non poco il mastodontico appetito di Goku e di Satomi, ad attenderli doveva esserci senza dubbi alcuni, un prelibato simposio. Tuttavia, non appena si accorse dell’anomala postura rigida e dello sguardo assorto della figlia, che per qualche strana motivazione pareva fosse imbarazzata da qualcuno o qualcosa, le volse un’occhiata dolcemente inquisitoria e apprensiva. 
«Chichi, tesoro… c’è qualcosa che non va? Sei tutta rossa e accaldata non avrai mica la febbre, spero?!». Costatò premurosa, poggiandole una mano sulla fronte, al che la giovane, sbattendo per la confusione le palpebre a più riprese, si riscosse piuttosto bruscamente, anelando mai come in quell’attimo di scomparire per la vergogna e di eludere per almeno una decina d’ore lo sguardo diretto dei familiari e del saiyan. 
«Oh, beh e-effettivamente è d- da questa mattina che non mi sento molto bene… non ho fame e ho anche moltissimi compiti da fare! Vado in camera mia… buon appetito!». E detto ciò, eseguendo un regale inchino sotto gli assidui e confusi sguardi dei tre, si accinse accalorata a percorrere la bronzea tesa di scalinate che la condussero nella propria camera che per la prima volta forse in tutta la sua giovane vita, avvertì come l’esigenza di chiudere a chiave, desiderando di restar sola con se stessa per fronteggiare interrogativi che presto, con lo scorrere dei mesi avrebbero avuto precise risposte sia per lei e sia per lui.


 

~
 

«E mi dica signor Son, lei è sposato?».

Propenso a trangugiare con la sua abituale “finezza” un sostanzioso arrosto e ripercorrendo con ancora troppa ingenuità quegli ultimi e ineluttabili quindici minuti, ove le candide mura della sua stessa e spensierata esistenza parevano fossero state ermeticamente colpite alle basi da un avvenimento fin troppo ampio per la sua portata interiore, si ritrovò a captare quasi distrattamente la domanda che con somma gentilezza gli volse la padrona di casa, intenta ad osservare con un che di compiaciuto, come sia lui e sia Satomi apprezzassero la sua buona cucina.
Istintivamente il suo volto da eterno e ghiotto bambinone si contrasse dapprima in un’espressione inebetita per tramutare subito dopo, in una anomala e indecifrabile che pochissime volte prima di allora aveva delineato i lineamenti del suo bel viso, sempre solare e gioioso. Ma ciò tuttavia si rivelò almeno all’apparenza, un turbamento effimero, suggerito molto probabilmente da quell’indulgente indole che ancora convinta che ciò non riflettesse appieno la realtà, lasciò che quell’imbarazzante situazione gli scivolasse addosso come pioggia, istigandolo ad ignorare lo scalpitare sempre più frenetico del proprio cuore e la snervante morsa allo stomaco che mai come in quel velato frangente, rese Son Goku non l’eroe della Terra, non l’insormontabile guerriero saiyan… ma solo un uomo in grado di assaporare sulla propria pelle sentimenti contrastanti e umani come l’insicurezza e il dubbio.
Pertanto, prendendo goffamente a grattarsi la nuca e riacquistando il suo rasserenante quanto contagioso sorriso spensierato e giocoso, illudendosi tra sé che presto l’avrebbe raggiunta nell’eterea pace dell’aldilà, non indugiò oltre, facendosi pronto a replicare alla sua interlocutrice. 
«Ecco… mia moglie purtroppo non c’è più». Proferì pacatamente, avvertendo lui stesso nel formulare quelle parole e nell’autoconvincersi che ciò fosse realmente così, un senso di serenità, mentre internamente il suo cuore, quasi fosse l’unico ad aver realmente compreso la caustica ammenda con la quale il destino aveva voluto punirlo, smarrì segretamente un battito.
«Oh, mi dispiace moltissimo… non immaginavo…».
Prendendo ad ingurgitare con una grottesca golosità dei deliziosi dorayaki, avvertì la mano del suo giovane allievo posarsi calorosamente sulla sua poderosa spalla e la voce ulteriormente addolcita e lealmente costernata della signora Nagisa solleticargli repentinamente i timpani come una mite e materna ninna nanna, al che portandosi goffamente una mano dietro il capo e facendo spallucce come a voler scacciare definitivamente e ipocritamente ogni tarlo, si accinse a ringraziarli accennando quel suo peculiare sorriso bonario e puramente fanciullesco che nonostante l’esigua maturazione avvenuta nel corso dei secoli, mai aveva smesso di illuminare quel suo candido animo che presto, avrebbe abbracciato nuove sfumature.


~



I tenui sprazzi di un’argentea luna perseverantemente ottenebrata da meste nubi grondanti di lacrime di Madre Natura, contrastarono seppur fugacemente l’oscurità dell’illimitata volta del cielo d’oriente, porgendo un timidissimo saluto agli eterogenei abitanti del pianeta Terra e allietando con la loro benevolenza gli animi desolati di coloro che atterriti, temevano di aver smarrito la via del ritorno. 
Incuranti della temperatura quasi artica e delle stille incolori d’acqua piovana che mai avevano smesso di ricadere su i loro corpi, Goku e Satomi trascorsero l’intero pomeriggio effettuando i primi allenamenti, che si palesarono un vero e proprio toccasana nei confronti del bellicoso saiyan che totalmente assorto nello spronare al massimo il suo nuovo e promettente pupillo, sembrava aver nuovamente accantonato in un angolo remoto della sua mente tutte le domande e i dubbi inerenti ad una certa brunetta che la vita stessa pareva essersi crogiolata nel sottrargli, delineando con maestria i contorni di una nuova vicenda ove forse, ne avrebbe tratto interessati insegnamenti, imparando a coglierne nuovi aspetti e significati alla quale in passato non aveva saputo darne il giusto valore. 

«Urca! Sai, sei davvero in gamba, figliolo! Per oggi abbiamo finito, e non so tu… ma io sto già morendo di FAME!». L’inevitabile quanto infantile tono confidenziale che il Son non mancò di accompagnare con quel suo puerile gesto di massaggiarsi famelicamente lo stomaco, scaturì un sincero sorriso da parte del suo giovane allievo che asciugandosi con un candido asciugamano la fronte madida di sudore e recuperando fiato, annuì divertito.
«Eh già, a chi lo dici! Anch’io non vedo l’ora di cenare!». Sibilò infatti, in un finto sospiro melodrammatico, scoccando una lesta occhiata al suo modernissimo orologio da polso griffato Capsule Corp., e nel constatare con rammarico che mancavano ancora due ore al tanto agognato pasto serale, s’impose con fermezza di non sgusciare prima del tempo in cucina per sgraffignare la prima cosa commestibile che gli capitasse a tiro, optando palesemente rassegnato di rintanarsi nella propria camera in compagnia dei voluminosi tomi di medicina, che avrebbe dovuto accuratamente studiare in vista degli imminenti esami universitari.«…Sarà meglio se nel frattempo mi dedico un po’ allo studio… credo di essere un po’ indietro con il programma. Intanto se vuoi, puoi andare a rinfrescarti nel nostro bagno… vieni, te lo mostro!». E detto ciò, dandogli una fraterna pacca sulla spalla e ostentando nuovamente quel suo amichevole e caloroso sorriso a trentadue carati, si avviò in sua compagnia verso l’entrata della sontuosa abitazione.

Avvolti dalla quiete più totale e da un amabile tepore, percorsero le varie stanze, giungendo ad un esteso corridoio arredato con massima eleganza e cura da raffinate statue, maestosi dipinti e innumerevoli fotografie. Una di queste in particolare, attirò la completa attenzione di Goku, istigandolo a fermarsi sotto lo sguardo palesemente incuriosito del suo allievo. I suoi genuini ed eloquenti occhi di carbone vennero difatti, istantaneamente catturati dalla suggestiva immagine di una vezzosa bambina quietamente adagiata sul verde prato di una radura a lui fin troppo nota, mentre inesorabilmente qualcosa in lui parve incrinarsi, serrandogli ulteriormente il cuore in una struggente morsa. 
E ancora una volta, in quell’algido giorno di fine autunno ove il destino aveva voluto sarcasticamente adunare le strade di due anime vicine ma ancora lontane, le sue ingenue e candide difese crollarono miseramente come fragili castelli di carta… demolite dall’alito del vento di una realtà alla quale non riusciva ancora a credere, forse troppo innocente per farlo… prediligendo crogiolarsi in un’illusione che lui stesso sapeva essere effimera come la vita di una farfalla, come neve al sole, come l’ardere impetuoso della fiamma di una candela.
«Oh, eh… questa è la nostra Chichi. Doveva avere pressoché dodici anni. Mi sembra si trovasse in gita assieme alla sua classe dall’altra parte del paese, nelle prossimità dell’aria est 439 del Monte Paoz… dove vivevi tu… bella coincideva, eh?!». Come un assordante boato preludente una tempesta, la voce cristallina del giovane Satoshi infranse l’egemonico silenzio della sua mente. Nugoli di criptici brividi sottopelle pervasero tacitamente il suo corpo, infrangendosi come fulmini all’interno del suo petto. Per brevi ma intensi decimi di secondo che in quel frangete parvero diramarsi vero l’infinito, si perse ancora una volta inconsciamente, nello scrutare con una faconda intensità quella fotografia nella sprovveduta ricerca di un seppur blando segnale che smentisse il tutto, ma si scoprì nettamente deluso e sempre più smarrito finché il flusso dei suoi ipotetici pensieri non venne nuovamente infranto dal sorridente Satomi alla quale, non era di certo passata inosservata l’espressività e la profondità dei perseverati sguardi che aveva ricambiato e lanciato nei confronti di sua sorella. Dai loro volti palesemente sbigottiti e sgomentati, il bel biondo avrebbe giurato che i due si fossero già incontrati, ma forse era solo una sua impressione… forse, avrebbe dovuto semplicemente smetterla di carpire clandestinamente gli appassionati romanzi d’amore che sua madre e la moretta solevano ormai leggere ogni notte, riservandosi nel tempo libero ad opere meno melense e suggestive, per non parlare poi, del perenne rischio di essere colto in flagrante da una di loro o peggio ancora, da suo padre!
A quest’ultima “terribile” ponderazione, un brivido freddo permeò il suo aitante corpo, incentivandolo a dileguarsi il più rapidamente possibile per occultare le eventuali “prove del crimine”. 
«Hem… questo è il bagno. Fa come se fossi a casa tua, eh! Io… devo andare ». E dopo avergli gentilmente additato e spalancato la soglia giusta, lo congedò, avviandosi con un’aria alquanto guardinga verso la sua camera. 

Il lieve frastuono provocato dall’uscio che si chiuse, parve ridestarlo definitivamente da quell’esoterica spirale di fremiti ed emozioni che lo avevano visto protagonista.
Sbattendo con fare puerile e pensieroso le palpebre a più riprese, si voltò lentamente… e fu così che i suoi intensi e gentili occhi bruni si posarono inesorabilmente su quell’amato nome affisso ad una delle tante porte di quel silente corridoio. Non appena le sue morbide labbra mimarono interiormente quelle due dolcissime sillabe identiche, uno spasmo ben diverso dalla fame di quel momento, gli sconvolse nuovamente lo stomaco e l’intero torace. Mai in tutta la sua prolissa esistenza, avrebbe immaginato di poter saggiare in cotanta quantità, simili e destabilizzanti sensazioni in grado di scaturirgli fenditure sempre più intime e dolorose anche all’intera anima, intensificando ulteriormente, quella latente morsa all’altezza del petto. 
Istintivamente, come invocato da un tacito ma subliminale eco originato forse dall’evanescenza del suo stesso subconscio, mosse inconsapevolmente qualche passo, fermandosi proprio innanzi la camera della giovanissima corvina. Del tutto involontariamente, le palpebre gli si chiusero per qualche istante, quando poi le riaprì, il suo meraviglioso ed innocente sguardo fu in grado di riflettere solo palpabili barlumi di incertezza e trepidazione che nuovamente, lo colsero impreparato. 
Senza nemmeno rendersene conto, non udendo alcun suono se non quello di un ingenuo cuore che trafelato, scandiva le ore di un esistenza terrena che sembrava essersi repentinamente fermata, sottraendogli ciò che di più prezioso gli aveva donato, allungò una mano verso la maniglia della porta. 
Indugiò inerme, quasi senza fiato, per diversi ed estenuanti secondi, salvo poi prendere un profondo respiro, ignorando quel sordo grido risuonante in pieno petto. 
Doveva aprirla. 
Doveva vederla. 
Avere un’ulteriore e atroce conferma a ciò che in cuor suo, già sapeva. 
Sapeva ma non voleva… non poteva accettare! 
Rilasciando un altro prolungato sospiro, fece per esercitare la dovuta pressione, ma le sue intenzioni furono improvvisamente infrante dal rumore progressivo e altisonante di alcuni passi provenienti dalle scale situate alle sue spalle. 
Prima che potesse scorgere a chi appartenessero, fu con una lieve e repentina rotazione del capo e un’innocente espressione di puro sollievo che i suoi profondi occhi alfine, individuarono la luminosa soglia del bagno, ove senza far rumore, si inoltrò, accompagnato da una flagellante scia di ricordi di una vita che forse, mai più avrebbe condiviso con lei. 





Insolita malinconia
Di te che sei andata via (sei andata via)
Il dolore è troppo forte e non sai
Quanto ti vorrei
Per dirti che

Se si potesse giuro venderei l’anima
Per riavere te così splendida ma io so
Che non ci sei


~



La sua mente era ancora un incessante agglomerarsi di pensieri e trepidazioni quando uscì dalla doccia, rabbrividendo lievemente per un’ondata di gelo che repentina, lo investì. 
Con fare palesemente inquieto e una luce spenta ad adombrare quel carezzevole sguardo da eterno bambinone, afferrò un candido asciugamano, sfregandolo energicamente dapprima tra la chioma scurissima e poi sul viso, per asciugarsi accuratamente. 
Respirò più volte a fondo, osservando con un’aria straordinariamente seria il riflesso della propria immagine all’elegante specchiera del bagno, non riuscendo a non pensare ininterrottamente a quella dannata giornata che in un effimero refolo aveva saputo infrangere ogni sua singola certezza, tarpando crudelmente le ali alle sue più recondite speranze, quando qualcuno improvvisamente, con una forza e un impeto alquanto considerevole, spalancò inavvertitamente la porta, colpendolo in pieno volto, facendolo goffamente impattare contro l’algida parete della stanza.
«Auch! Ahia!». Si ritrovò a gemere infantilmente, preso chiaramente di sorpresa.
«Un uomo nudo! Nel mio bagno?!». Esordì con un tono puramente interdetto una voce maschile che fulminea, si prodigò tra le mura del lussuoso ambiente. 
Sbattendo le palpebre confusamente, Son Goku volse lo sguardo dinanzi a sé, assumendo un’espressione teneramente interdetta quando non riuscì a scorgere nessuno, finché chinando leggermente il capo, si trovò dinanzi ad un buffo ometto alquanto panciuto che lo scrutava con un’espressione tra il sorpreso e il risentito.
«Deduco che lei sia Son Coso… Son Goku!». Disse questi con fare accigliato, scoccandogli un’occhiata scettica che partì dall’alto verso… il basso, al che il povero saiyan, ancora un po’ stordito, si riscosse, aprendosi in un affabile sorriso. 
«Urca! Ma lei allora deve essere il papà di Satomi, che piacere conoscerla!». Esclamò bonariamente, porgendogli la mano destra, salvo guardarlo sinceramente perplesso nel notare le occhiate torve e sconcertate con la quale l’illustre sindaco lo stava deliberatamente fulminando. 
«Humpf! Abbia almeno la decenza di coprirsi avanti, razza di sporcaccione vanesio!». Sbottò con un timbro che risuonò grottescamente scandalizzato, inasprendosi ulteriormente quando il mite guerriero anziché celare altre parti del proprio prestante corpo, coprì ingenuamente il viso con l’asciugamano.
«Non intendevo la faccia! Ma lì sotto, svergognato!». Si affrettò infatti a precisare irritato come non mai, suscitando un evidente imbarazzo nell’altro che arrossì lievemente, sorridendogli a mo’ di scuse. 
«Ahhh! Eh, eh, eh, mi scusi… sa, non me ne ero proprio accorto… credevo di aver già indossato i boxer!». Ridacchiò amabilmente, grattandosi impacciato la nuca con la mano, stizzendo tuttavia ancora di più Orenji che impallidì al solo pensiero. 
«Ma lei allora è un pervertito!». Lo additò basito, alzando un sopracciglio e fissandolo con sguardo truce. «Si sbrighi a vestirsi (come si deve!) che devo fare un bel discorsetto a lei e a quel teppista di mio figlio! Kami-sama! Ci mancava solo un maniaco dalla faccia da ebete in questa casa!». Aggiunse infine, guardandolo biecamente un’ultima volta prima di voltarsi e valicare con agili passi la porta che con un tonfo richiuse accuratamente alle spalle, lasciando dietro di sé un gelido silenzio che solo l’eloquenza naturale di Madre Natura di quel giorno avrebbe saputo affievolire… ma mai infrangere. 

~

I suoi passi si perdevano nella statica silenziosità di quell’ombroso corridoio che - albeggiato sporadicamente dalle imperiose saette, il cui effimero bagliore filtrava attraverso le ampie vetrate delle finestre come un tenue raggio di speranza-, si ritrovò a percorre per la quarta volta consecutiva, nell’astratta ricerca della sala da pranzo che non era ancora riuscito ad individuare. I suoi pensieri, erano incessantemente volti a rivivere quei paradossali ed estenuanti istanti, quei frammenti di una realtà dalla quale non avrebbe più potuto fuggire… celandosi dietro quelle nivee coltri di ingenuità e spensieratezza che avevano saputo forgiare la sua intera esistenza, illudendolo di essere arrivato ad un passo dal ricongiungersi a quell’amore senza il quale, nulla avrebbe più avuto un vero senso per lui. 
Con un profondo ed amaro sospiro, continuò ad inoltrarsi nella semioscurità regnante, protraendo la ricerca di qualcosa che forse nemmeno lui sapeva, quando il labile suono del campanello lo riscosse, inducendolo a fermarsi e voltarsi mentre una luce nel soggiorno venne inaspettatamente accesa, ferendo lievemente i suoi occhi avvezzi ormai alla penombra.

«Vado io!».

Fu con un tremito al cuore, gli occhi sgranati, le labbra leggermente dischiuse e una sequela di brividi scivolagli lungo la sua spina dorsale, che in lontananza, distinse il candido risuonare di una giovane voce familiarmente dolce e risoluta e l’approssimarsi di un noto profilo che inevitabilmente, ebbero il potere di pietrificare e irrigidire il suo prestante corpo, rendendolo incapace in alcun modo di reagire e opporsi a ciò che mai come in quel momento, si palesò come l’inconfutabile verdetto di una silenziosa ma crudele condanna.
Fu con il respiro trattenuto e le pupille dilatate, che vide la sua delicata figura farsi sempre più vicina, al che, scoprendosi incredibilmente timoroso e incapace di specchiarsi ancora una volta in quel caldo sguardo, non scorgendo altre vie di fuga, indietreggiò impulsivamente di qualche passo, nascondersi repentinamente dietro un’imponente colonna in marmo che sorgendo a pochi metri di distanza dalla porta d’ingresso, gli permise di seguire attentamente con lo sguardo, ogni singolo movimento della bella brunetta.

Scostandosi velocemente alcune ciocche dal viso e domandandosi distrattamente chi potesse essere, la giovane aprì la porta, trovandosi dinanzi uno splendido e raffinato moro dai meravigliosi occhi color indaco. 
«Yuri-kun?!». Esclamò sorpresa, avvertendo nell’immediato un distinto calore salirle alle gote.
«Chichi-chan!». Il ragazzo fermo sull’uscio, si aprì istantaneamente in un dolce sorriso, facendosi un poco più vicino e inebriandola con l’invitante aroma della sua colonia marina. «Scusa l’ora… ma ieri pomeriggio tuo fratello ha dimenticato la sua felpa agli allenamenti di calcetto e io questa mattina ho dimenticato di dartela in classe». Le sorrise amichevolmente, porgendole l’indumento, non smettendo un solo istante di fissarla con quel suo sguardo intenso e sbarazzino che sapeva mettere la ragazza ogni volta straordinariamente a disagio. 
«Oh, ti ringrazio… Satomi è sempre il solito distratto…». Mormorò infatti con voce lievemente esitante, brandendo la felpa e chinando il capo imbarazzata salvo arrossire e sussultare confusamente, quando il giovane avanzando leggermente di qualche passo, le circondò inaspettatamente la vita, facendo aderire il suo esile corpicino al proprio.
«Figurati, è stato un vero piacere vederti… Quasi quasi ti rapisco e ti porto via con me!». Le sussurrò briosamente, con finta aria baldanzosa, stringendola a sé e facendo scivolare le sue labbra sulla sua guancia vellutata, carezzandole i setosi capelli d’ossidiana e ravviandole alcuni ciuffi dietro le orecchie. «Ci vediamo domani in classe!». Le disse infine, guardandola con un ennesimo sorriso, mentre scostandosi e salutandola con un lieve cenno della mano, si voltò, incamminandosi nella vasta oscurità di quell’algida notte senza di stelle. 

Ancora incredula e stralunata, sbattendo le palpebre a più riprese, Chichi restò a guardarlo immobile sul ciglio della porta per diversi ed indefiniti istanti finché non scomparve completamente dalla sua visuale.
Socchiuse gli occhi, respirando e inspirando più volte a fondo l’aria artica di quella fosca atmosfera dallo sfondo invernale quando repentinamente alle narici, le salì uno stuzzicante e intenso aroma silvestre che sembrò ridestare in lei l’eco remoto di un palpitante sentimento assopito, eppure ancora vivo e soggiogante, suadente e strepitante. Quando li riaprì, avvertì brividi scivolargli lungo la schiena, le gambe tremare e il cuore oscillare violento e impetuoso. Richiuse la porta, abbassando lo sguardo sulla felpa che stringeva contro di sé e sospirando pesantemente. Istintivamente, portò una mano al petto come nel vano tentativo di lenire quegli inspiegabili battiti cardiaci che inesorabilmente sembravano ottenebrargli la mente, irrorando la sua anima di nuove vecchie emozioni e sfumature. 
«Goku-san…». Si ritrovò a bisbigliare flebilmente, trattenendo il respiro e socchiudendo per un solo attimo gli occhi nell’avvertire il sussurro sempre più intenso e agitato del suo muscolo cardiaco. Scosse fermamente la testa, imponendosi seppur con non poca difficoltà di ritornare lucida. Rilasciò un altro profondo sospiro prima di voltarsi, e fu con un sussulto di somma sorpresa e di paura e il respiro mozzato bruscamente in gola, che si ritrovò proprio dinanzi il fulcro dei suoi pensieri. Un battito di ciglia e i suoi sfolgorati occhi d’ebano sfavillanti di più e più trepidazioni incontrarono quelli confusi e interdetti dell’affascinante guerriero. 
«C-Chichi…». Come una muta preghiera, come una tacita supplica, quel timbro profondo e carezzevole, mesto e quasi ovattato, perforò il suo giovane cuore. In breve, le gote le si imporporarono, mentre si ritrovò a deglutire a fatica, continuando a guardarlo inerme e senza fiato, tanto che nell’ingenuo tentativo di eludere il suo eloquente ma meraviglioso sguardo, lasciò la felpa che cadde silenziosamente sul freddo e cereo pavimento in marmo. Quando entrambi si chinarono a coglierla, le loro calde mani si incontrarono e a quell’effimero ma intenso contatto, un brivido percorse i loro corpi. Da quel frangente in poi, lo scorrere del tempo sembrò fermarsi. I loro occhi si ricercarono nuovamente, finché il lieve ma volitivo rintocco del pendolo non ridestò entrambi da quella reciproca e nostalgica contemplazione.
«Ahem… oh… g- grazie signor Son…». Riuscì a stento a pronunciare la ragazza, sfuggendo imbarazzata a quello sguardo che sapeva, non l’aveva lasciata un attimo da che i loro occhi si erano magicamente concatenati tra loro. «Buonanotte…». Sussurrò con voce lieve, stringendo l’indumento del fratello contro di sé e ritornando a guardarlo per un lungo istante prima di volarsi e avviarsi lentamente verso la sua camera. 
«Buonanotte… anche a te… Chichi…». Fu con uno spasmo al cuore e una dolorosa morsa allo stomaco che in lontananza, discerse un distinto quanto attanagliante tremolio in quella voce tanto mite e conosciuta, che la istigò a voltarsi nuovamente per incrociare un’ultima volta i loro sguardi in un muto ma eloquente scambio di tremori, incertezze, dubbi e palpitazioni. 

Fu con le pupille dilatate, un cuore flagellato che sembrò decelerare significativamente i battiti e un tremito delle spalle, che impotente, restò a guardarla allontanarsi sempre di più da lui.
Sempre di più…
Quando l’unica cosa che avrebbe davvero voluto fare era accoglierla tra le sue braccia, rassicurarla con la propria presenza, stringerla forte, quasi con possesso, dirle che l’amava e che mai più l’avrebbe lasciata sola. 
Nessuno al mondo li avrebbe più divisi.
 




Se si potesse ruberei un nostro attimo
Per riaverti qui e riviverlo
Ma io so, so che non ci sei vicino a me

 


Ancora immobile, con i pugni serrati lungo i fianchi, lo sguardo vacuo e il respiro corto, si guardò attorno e nello scorgere un ampio terrazzo, spedito, vi uscì fuori.
Sospirò esasperato, avvertendo un sapore incredibilmente amaro sul palato e rabbrividendo per una gelida brezza che mordace, lo schiaffeggiò in viso. 
Le sue iridi di carbone solitamente serene, luccicarono pericolosamente, mentre cercando di concentrarsi e contraendo i lineamenti del viso in un’atipica espressione dura, si apprestò a portare due dita alla fonte con l’intenzione di recarsi da Re Kaioh in persona, quando nella sua mente, risuonò proprio la peculiare voce della divinità. 
«Sono contento che tu sia ritornato, figliolo…».
«Urca! Ma… è proprio lei, Re Kaioh?! Da quanto tempo!... Stavo giusto venendo da le-». Esclamò incredulo, ma prima che potesse terminare, il dio lo precedette, raggelandolo sul posto. «… sono al corrente di tutto… e so bene quali sono le tue domande in questo momento…».
Il cuore del saiyan arrancò a fatica, mentre un nodo in gola sembrò bloccargli il respiro.
«Eh? S-si riferisci a C-Chichi?». Ebbe la forza di pronunciare, stingendo con più forza del dovuto i pugni lungo fianchi, deglutendo e respirando a fatica. 
«Già! Lasciami dire che sono davvero desolato, io stesso quando ho capito che si trattava di tua moglie, stentavo a crederci… ho avuto modo di parlare con Re Enma in persona per avere ulteriori conferme… pare infatti, che è una volta defunta, le abbiano concesso l’opportunità di rinascere, di vivere una nuova esistenza…». La voce della divinità, risuonò dannatamente grave e costernata, mentre riprendendo a parlare dopo pochi ma fatali istanti con lo stesso tono, aggiunse: «La tua Chichi adesso conduce una nuova vita… le vostre strade non si sarebbe mai dovute incrociare, ma a quanto vedo però così non è stato… comunque, per quanto mi dispiaccia davvero figliolo, non c’è assolutamente nulla che tu posso fare, lei ormai non ti appartiene più, una volta scaduti i tuoi quattro mesi di permanenza su questo pianeta, potrai comunque ricongiungerti ai tuoi amici e ai tuoi figli…».
Tutto d’un tratto, il terreno sembrò sgretolarsi sotto i suoi piedi. Da quel momento in poi, la divinità smise di parlare o semplicemente, fu lui a non udir più alcun suono esterno. 
Un fremito scosse il suo presentante corpo, un dolore sordo e incredibilmente lancinante scoppiò nel suo petto, smembrando il suo cuore e la sua anima. 
Un verso strozzato fuoruscì dalle sue labbra, gli occhi dinanzi a quella triste verità  si riempirono di dolore, rabbia, frustrazione, sgomento, amarezza e terrore.
Inerme, cadde sulle proprie ginocchia, chinando con aria sconfitta il capo e battendo con impeto i pugni su di essi finché la vista non divenne sfocata e irrefrenabili rivoli di rugiada rigarono le sue gote, scivolando sul collo e morendo a contatto con la stoffa della sua tuta. 

«NO, CHICHI!!». Gridarono le sue labbra e il suo cuore.
 


Immaginarti vorrei qui vicino a me
Non rifarò più errori con te
Ti prego torna da me
Ho bisogno di te


[Non ci sei ~ Studio 3 ]

  

 
{To be continued...}

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