Revenge

di KuromiAkira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Note iniziali: niente tabella iniziale, questa volta. XD la uso solo per one shot o raccolte XD
Comunque, salve! Eccomi con una long che spero di riuscire a concludere. Non riuscivo a iniziarla e quando ce l'ho fatta sono partita in quarta e ora sto scrivendo il terzo capitolo, la trama ce l'ho bene in mente a parte forse le scene d'azione che sono un po' il mio punto debole, ma suvvia, proviamoci comunque!
Naturalmente non anticipo nulla, troverete poi spiegazioni a fine capitolo. Dico solo che i protagonisti saranno, preparatevi a rimanere a bocca aperta dalla sorpresa, i ragazzi del Sun Garden/Aliea Academy. Eh sì, sono molto originale, eh XD
Ci saranno, però, due miei OC. Spero che li apprezzerete, sto scrivendo cercando di caratterizzarli per bene. Per chi deciderà di leggere: spero vi piaccia l'inizio.
I capitoli non hanno titoli, perché non ho fantasia XD






Il suono dei passi era regolare, nonostante uno dei due, impaziente, camminasse più veloce dell'altro.
Gli stretti corridoi erano freddi e bui, illuminati da piccoli faretti posti in mezzo alle due pareti.
Non ci badarono. Sapevano dove andare.
Abitavano lì da quasi due anni, da quando quello strano uomo, il loro salvatore, si era presentato davanti alla porta della loro casa. Gli aveva portati lì, aveva dato loro una ragione per vivere.
Il più calmo dei due, un ragazzo dai capelli lisci e scuri, lunghi appena sotto le spalle e legati in una coda bassa, si fermò solo per fissare la ragazzina davanti a sé. I lunghi capelli ricci, dello stesso colore di quelli del ragazzo, le coprivano la schiena e ondeggiavano, indomabili, a ogni movimento di lei. Quando anche la ragazza si fermò, lui tornò a camminare per raggiungerla ed entrambi si voltarono verso una porta, che si aprì automaticamente appena si avvicinarono.
La stanza in cui entrarono era ancora più scura dei corridoi, illuminata da una lieve luce viola proveniente dal centro della camera.
L'ombra di qualcuno seduto davanti a un grande tavolo si confondeva col resto di quell'oscurità ma quella persona aveva una pelle così chiara da renderlo ben visibile. I due nuovi arrivati sorrisero.
- Avete fatto in fretta - mormorò l'uomo.
- Sì, eccoci! - esclamò con voce allegra e infantile la ragazza, saltellando sul posto e sollevando il braccio verso l'alto, probabilmente in segno di saluto.
- È tutto pronto? - chiese invece l'altro, dalla voce chiaramente mascolina, benché suonasse ambigua.
L'adulto si alzò dalla sedia. - Vi ho fatto aspettare tanto, me ne rammarico. Ma ora è tutto pronto. -
L'uomo afferrò la valigetta che aveva lasciato sul pavimento e la poggiò sul tavolo. La aprì.
Il ragazzo annuì mentre la ragazzina si avvicinava, ammirata. - È ciò che hanno usato anche quelle persone? - chiese, sottolineando le ultime due parole con un tono disgustato.
L'uomo rise. - È molto di più, Kyoka. È molto di più. Con questo potrete fare quello che volete. Ma saremo soli, ve la sentite lo stesso? -
- Ma certo! - rispose lei, sorridendo. - Non abbiamo nessun dubbio, vero fratellino? - domandò poi, rivolgendosi all'altro.
- Nessuno - confermò il fratello, avvicinandosi a sua volta e chinandosi appena verso il contenuto della valigia.
- Ora, finalmente, potremo avere la nostra vendetta - mormorò.
Entrambi i ragazzini sogghignarono e il buio della stanza rendeva le loro espressioni estremamente sinistre.


- Non ce la farò mai. No, seriamente, io questo cavolo di esame non riuscirò a superarlo! - si lamentava da almeno un quarto d'ora Haruya, seduto sul tavolino del salotto, prendendosi la testa con entrambe le mani.
Suzuno, accanto a lui, sospirò seccato. - Se invece di blaterare provassi a studiare forse, e sottolineo forse, qualcosa ti entrerebbe in quella testa bacata che ti ritrovi! - sbottò.
Hiroto, seduto dall'altra parte del tavolo, rise, mentre Midorikawa si avvicinava tenendo per le mani un vassoio con tre tazze di tea per i suoi fratelli adottivi.
- Allora, Nagumo, questo vuol dire che sarai bocciato e che l'anno prossimo studieremo io e te, per l'esame d'ammissione - infierì il ragazzino con i capelli verdi.
Haruya lo guardò male. Fuusuke, invece, annuì. - Ti ci vedo bene, come ripetente. Non capisco come tu non sia mai stato bocciato fino ad ora, considerato che non hai mai studiato in vita tua - commentò.
- Taci! E poi tu, Midorikawa, che ci fai qui, dato che non devi fare l'esame? Perché non vai a farti un giro approfittando del tempo libero? Vuoi farcela pesare? Eh? - sbraitò, puntando il dito verso Ryuuji.
- Non prendertela con Midorikawa, non è colpa sua se ha un anno in meno di noi, senza contare che ha tutto il diritto di rimanere in casa, dato che ci abita - lo difese Kiyama, accettando volentieri la bevanda. Il diretto interessato, invece, non sprecò nemmeno fiato a rispondergli. Sapeva bene che l'ex-capitano della Prominence diventava estremamente irritabile se messo sotto pressione.
Haruya poggiò la testa sul tavolo. - Ho voglia di andare a giocare a calcio... - borbottò.
- Allora vai e non disturbarci più - gli rispose Suzuno, sempre pronto a ribattere. Hiroto rise ancora.
In quel momento qualcuno bussò e Kurione Yuki, conosciuta come Rhionne ai tempi della Aliea Academy, fece capolino nella stanza.
- Midorikawa, invece di farti urlare addosso da quell'idiota di Nagumo potresti venire in attimo in camera mia? Ci serve aiuto per matematica - chiese, per nulla infastidita di dover chiedere a un suo fratello più giovane. Oltre ai tre ex-capitani della Genesis, Prominence e Diamond Dust, infatti, altri dovevano sostenere, quell'anno, gli esami d'ammissione per le scuole superiori. Loro tre studiavano assieme perché intendevano iscriversi nello stesso istituto ma in quel periodo gran parte degli orfani del Sun Garden era chino sui libri.
Ryuuji annui, augurò buona fortuna ai tre ragazzi e uscì dalla stanza.
Haruya sbuffò. - Con me sono sempre molto gentili, gli ex-membri della Diamond Dust, eh? -
- Sanno che sei un deficiente - spiegò impassibile Fuusuke. Poi si voltò verso la porta, ormai chiusa. - L'anno prossimo Midorikawa non dovrà faticare molto, per gli esami. Se continua ad aiutare gli altri sarà già preparato - commentò bevendo un sorso di tea. - Dovresti chiedergli aiuto anche tu, Haruya, invece di sfogare lo stress su di lui - consigliò con tono qusi serio, benché Hiroto sapesse che lo stava ancora prendendo in giro.
Nagumo lanciò il libro dietro di sé e si stese sul pavimento. - Che lo faccia lui il mio esame, allora! -
- Magari, così faremmo subito la stessa scuola - mormorò Hiroto, seriamente dispiaciuto di dover, anche solo per un anno, frequentare una scuola diversa da quella del suo migliore amico. Per fortuna l'ex-capitano della Gemini Storm era intenzionato, l'anno venturo, a sostenere l'esame per la loro stessa scuola superiore.
- E ci libereremmo di Haruya per un anno. Una pacchia. Dovremmo proporglielo davvero - continuò a provocare Suzuno.
- Andate al diavolo, voi due! - sbottò il ragazzo dagli occhi dorati, sbuffando. Poi si allungò per prendere il libro senza dover cambiare posizione e provò a studiare, rassegnato.


Kira Hitomiko si stava dirigendo, abbastanza svogliatamente, verso l'orfanotrofio. I periodi degli esami erano duri e, dato che gli ex-membri della Aliea Academy erano tanti e di diverse età, lei ci era passata parecchie volte.
Era veramente difficile, per la donna, mantenere la calma quando qualcuno dei 'fratelli minori' perdeva la testa a causa dello stress e dato che quell'anno toccava anche a Gazel e Burn, famosi per riuscire a litigare ventiquattro ore su ventiquattro ininterrottamente, si poteva benissimo immaginare quale fosse la situazione a casa in quel periodo.
Sospirando, fu solo per caso che alzò gli occhi al cielo e vide precipitare un qualcosa che trovava inspiegabilmente familiare. Si fermò per un' attimo a chiedersi cosa le ricordasse, poi si rese conto che era diretto, a una velocità incredibile, proprio sull'orfanotrofio.
La donna iniziò a correre e a gridare, sperando di farsi sentire dagli inquilini del Sun Garden.
Nel sentire la sorella maggiore urlare loro di uscire fuori, con un tono di gran lunga diverso da quello freddo e impassibile che usava di solito, gran parte degli orfani si ritrovò in giardino quando l'oggetto proveniente dal cielo di schiantò sul tetto del orfanotrofio, distruggendolo.
Hitomiko arrivò all'entrata del giardino in quel momento e insieme ai fratellini fissò il fumo che usciva dal tetto, ormai scoperchiato, dell'edificio.
- Cosa diavolo è... - iniziò Segata Ryuuichirou, una volta conosciuto come Zell, senza però trovare la forza di finire la frase, sconvolto com'era.
Per qualche secondo nessuno riuscì a muoversi, poi alzarono tutti la testa verso l'alto, nel sentire una voce femminile.
- Trenta, trentuno, trentadue... qualcuno sarà rimasto dentro la casa, fratellino? Quanti erano, gli alieni? - chiese una ragazzina, spostando con un movimento della mano una ciocca di capelli ricci finitale davanti agli occhi a causa del vento.
Lei e il fratello erano in piedi su quella che sembrava una lastra luminosa in mezzo al nulla, a qualche metro da terra. Entrambi indossavano una tuta nera attillata, che copriva loro la maggior parte del corpo e il ragazzo teneva sottobraccio un pallone completamente nero, che ogni tanto sembrava illuminarsi di una leggera luce viola, viola come gli occhi di entrambi.
Lui sospirò. - Almeno cinquantacinque. Erano cinque squadre di calcio, se ci pensavi potevi arrivarci, Kyoka - rispose lievemente scocciato. Poi ghignò. - Questo vuol dire che non tutti sono qui fuori... -
Kyoka esultò, saltellando sul posto. - Allora qualcuno è rimasto sotto! Evviva! – gridò con voce infantile.
Sconcertati, sopratutto per quell'incontro che aveva un qualcosa di familiare, i ragazzi sembrarono rendersi conto in quel momento che sì, non tutti erano usciti dalla casa.
Naturalmente non erano tutti e cinquantacinque nell’edificio, quel giorno. Saginuma, ad esempio, era uscito quella mattina, così come qualcun'altro. Ma all'appello, in quel momento, c'era chi mancava comunque.
- Clara! - esclamò Ai, ricordandosi di non averla vista uscire, benché fossero state insieme fino a pochi minuti prima. L'ex-giocatrice della Diamond Dust ebbe l'istinto di rientrare in casa, ma suo fratello Shuuji la trattenne. - Vado io - mormorò, superandola e avvicinandosi all'edificio con cautela, seguito da altri ragazzi. Altre persone non presenti nel giardino vennero nominati, aiutando i volontari a capire quali dei loro fratelli e sorelle dovevano cercare.
Hitomiko si voltò verso i due nuovi arrivati.
- Chi siete? - chiese duramente.
Lo sconosciuto la guardò con odio. - Naturalmente non ci conoscete, anche se dovreste. Dannati alieni, noi siamo qui per vendicarci! - esclamò con rabbia.
- Alieni? Siete arrivati tardi di due anni! - esclamò Haruya facendo un passo in avanti. Ma Suzuno lo bloccò afferrandogli la spalla. - Fermati! - intimò. - Non capisci la situazione? - gli chiese.
L'amico-rivale si voltò verso di lui. - Come sarebbe a dire 'non capisci'? Mi prendi in giro? Quelli ci stanno attaccando! -
- Appunto! E usano la stessa tecnologia che usavamo noi nella Aliea! - spiegò, apparentemente tranquillo.
Midorikawa li fissò con preoccupazione. - E hanno fatto ciò che faceva la Gemini Storm...- mormorò, inquieto. Non gli piaceva ricordare certe cose.
- Vendicarvi? - domandò Hiroto, sinceramente stupito. Non avrebbe mai immaginato che qualcuno avrebbe voluto vendicarsi di loro, non dopo due anni di vita normale e pacifica. - E per cosa? - continuò, dubitando si trattasse della distruzione di un edificio scolastico.
- Non lo immaginate? Vi dico solo un nome: Kirishima Hiroki - sibilò nuovamente il ragazzo, assottigliando gli occhi. Di fianco a lei, anche la sorella assunse la stessa espressione, stringendo i pugni e tremando, probabilmente di rabbia.
Nel sentire quel nome, solo Hitomiko sussultò. - Non ditemi che... - mormorò. Hiroto non fu l'unico a voltarsi verso di lei. - Sorella, tu ne sai qualcosa? - chiese.
- Sarebbe a dire che voialtri non ne sapete nulla? - gridò allora lo sconosciuto, puntando il dito contro di loro. - Noi siamo Kirishima Minoru e Kirishima Kyoka, fratelli minori di Kirishima Hiroki, il ragazzo che voi alieni avete ucciso! - urlò e in quel momento un gelo scese improvvisamente sul posto.




Note finali: Io in questo momento spero davvero di scrivere questa fiction in modo quantomeno decente XD Diciamo che sono più da one-shot che da long.
Spero comunque di avervi incuriositi. Ora passiamo alle note importanti. Prima di tutto: com'è nata questa fiction?
Guardando Inazuma Eleven e notando come chi fa cattive azioni venga perdonato praticamente sin da subito, mi sono chiesta 'cosa accadrebbe se succedesse qualcosa veramente difficile da perdonare?' Poi anche il fatto che gli 'ex-alieni' tornino alla vita normale così, come se nulla fosse, mi perplime un po'.
Così ho deciso di creare due OC che ce l'avessero a morte con i nostri poveri orfanelli. Spero di rendere bene i sentimenti di Minoru e Kyoka e quelli dei ragazzi del Sun Garden.
In questo capitolo ho specificato come fossero le voci dei miei due OC. Questo perché quando invento OC mi immagino anche le voci che devono avere, e assegno loro un seiyuu, un doppiatore giapponese.
Kyoka la immagino con la voce di Aya Hirano mentre Minoru con quella di Akira Ishida.
Per quel che riguarda i nomi: Minoru l'ho preso dal manga 'Chobits' delle Clamp mentre Kyoka da 'The Gentlemen's Alliance Cross' di Arina Tanemura.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Note iniziali: Volevo attendere un po' di più ma va beh, il capitolo era già pronto da un po'...
Ho tanta, tanta fifa XD Vi prego, se trovate qualcosa che non va non solo nella grammatica, ma anche nel mio stile, fatemelo sapere! Che io e le long-fic in realtà non andiamo d'accordissimo...




- U-ucciso? - mormorò Hagakure Koutarou, ovvero Berkley, ex-membro della Prominence.
- Aspettate un attimo! Noi non abbiamo ucciso nessuno! - gridò Kanime Iderou, un tempo conosciuto come Ganimede della Gemini Storm.
Kirishima Minoru li guardò disgustato, poi si soffermò su Hitomiko. - Chiedete a quella donna; dal modo in cui ha reagito direi che sa la verità -
I presenti nel giardino si voltarono verso la sorella maggiore, che abbassò lo sguardo e si strinse il braccio sinistro con la mano destra.
- Mi dispiace... non ho detto nulla per non turbarvi - bisbigliò triste. - Durante uno degli attacchi della Aliea Academy, un ragazzo rimase bloccato sotto le macerie di una delle scuole distrutte. Tutti gli altri studenti e insegnanti erano già fuori e si accorsero della sua mancanza solo quando l'attacco era finito. -
- E... e quel ragazzo è... - balbettò Midorikawa.
Hitomiko annuì. - Kirishima Hiroki fu trovato morto la sera stessa, dai vigili. A segnalare la sua scomparsa furono i suoi fratelli minori, due gemelli appena dodicenni - concluse, volgendo lo sguardo verso Minoru e Kyoka.
A quella spiegazione seguì un lungo silenzio. Sembravano tutti paralizzati davanti a quella rivelazione. Nessuno sapeva cosa pensare, sembrava impossibile.
I due fratelli della vittima rimasero in silenzio, osservando indifferenti i volti sconvolti di quelli che consideravano i loro nemici, poi Minoru si voltò. - Andiamo, Kyoka - ordinò.
La voce fredda del ragazzo riscosse la maggior parte degli orfani del Sun Garden, che tornarono a guardare in alto.
- Cosa? Ma fratellino, hai la tua palla, possiamo colpirli ancora una volta! - si oppose Kyoka.
Il fratello si voltò appena verso di lei, guardandola freddamente. - Andiamo, ho detto - ripeté. La ragazzina sussultò, poi sospirò e si voltò anche lei, non prima di aver lanciato un'ultima occhiata d'odio verso quelli che, per lei, rimanevano alieni invasori. Sparirono in un fascio di luce, in modo simile a come si congedavano quelli della Aliea.

- Minoru! - gridava la ragazzina dai capelli ricci, camminando dietro al fratello lungo i corridoi di quella che, in quei due anni, era diventata la loro casa. - Perché ce ne siamo andati? Dobbiamo vendicare nostro fratello, ne avevamo l'occasione! - chiese per l'ennesima volta.
Il ragazzo si fermò. - Stupida, non essere impaziente! Ora sono sconvolti, voglio che si rendano conto della situazione. -
- Io li voglio morti ORA! - urlò lei, rabbiosa. - Hanno ucciso Hiroki, ci hanno portato via l'unico parente che avevamo! Devono pagare, avrebbero dovuto pagare due anni fa! -
- Attaccheremo ancora e, a poco a poco, li distruggeremo. Non voglio che finisca subito, capisci? Inoltre, se ricordo bene, a distruggere la scuola era stato uno in particolare. E voglio sapere chi è. -
I due fratelli rimasero a fissarsi poi, improvvisamente, lo sguardo di Minoru, che era sempre stato freddo, si addolcì. Carezzò la testa alla sorella e le sorrise appena.
- Più del dolore fisico, Kyoka, è quello psicologico che distrugge la gente. Ognuno di loro proverà tanto male da supplicarci di finirli, vedrai -
Kyoka fissò il fratello, ragionando sulle parole appena sentite. Poi annuì, anche se per lei era difficile essere paziente. - Sì, hai ragione. Spero solo che quelli rimasti dentro l'edificio siano morti! - dichiarò, superando il fratello ed entrando nella sua camera.
Rimasto solo, Minoru si diresse a sua volta nella sua stanza. "Non preoccuparti, sorellina. Pagheranno per quello che hanno fatto a Hiroki" pensò, stendendosi sul letto senza nemmeno togliersi la tuta.

Hitomiko si lasciò cadere sulla poltrona, esausta.
Aveva aiutato Shuuji e gli altri a salvare i ragazzi bloccati al Sun Garden, costatando fortunatamente che nessuno di loro era ferito gravemente, poi aveva richiamato Saginuma e gli altri e, tutti insieme, erano andati alla polizia per segnalare l'accaduto.
Lo stile e la tecnologia usata era indubbiamente simile a quelli usati dalla Aliea ed era certa che, dietro le azioni di quei due gemelli, ci fosse qualcun'altro. Distruggere l'orfanotrofio con un pallone da calcio era stata sicuramente una provocazione ma temeva che quei due si sarebbero spinti oltre.
Ma, in quel momento, doveva pensare ad altri problemi. Fortunatamente la struttura distrutta non era l'unica a disposizione della famiglia Kira e, in quel momento, lei e i ragazzi stavano soggiornando da un'altra parte, in un altra città. Era un po' piccolo rispetto all'orfanotrofio, benché fosse comunque più grande di molte altre case, ma per il momento dovevano accontentarsi.
Ora doveva pensare ai suoi fratellini, sconvolti com'era naturale che fossero per la recente rivelazione. Appena finì di pensarlo sentì qualcuno bussare alla porta.
Senza aspettare il permesso, Hiroto fece il suo ingresso nella stanza, seguito dagli altri ex-capitani delle squadre della Aliea, ad esclusione di Midorikawa. Proprio la loro precedente posizione li aveva indotti ad andare a parlare con la sorella, in quanto sentivano che le loro responsabilità erano maggiori.
Hitomiko li guardò a lungo, riflettendo sull'assenza dell'ex-capitano della Gemini Storm. Midorikawa era naturalmente il più scosso: era sbiancato appena sentita la verità e da allora non aveva ripreso colorito. Immaginava, quindi, che gli altri avevano voluto lasciarlo riposare invece di trascinarlo a chiedere delucidazioni. D'altronde, era lui quello che distruggeva le scuole. Hitomiko si era sempre chiesta perché il loro padre aveva imposto solo a lui quest'onere. E ricordava le molte crisi del ragazzino, nel periodo in cui stava cercando di ritrovare se stesso e di lasciarsi alle spalle il personaggio di Reize, causate dal senso di colpa.
- Sorella... - esordì Hiroto, facendo un passo avanti. Hitomiko sapeva benissimo quale sarebbe stata la domanda. - Perché nessuno ci ha detto nulla? Una cosa così grave... -
La donna scosse la testa. - A cosa sarebbe servito? Quando siete tornati tutti normali i telegiornali avevano già smesso di ricordare quel ragazzo. E poi non volevo rimaneste traumatizzati. Avete già sofferto abbastanza. So bene che non era nelle intenzioni di nostro padre causare la morte di qualcuno, quello è stato un incidente ed è ciò che hanno detto anche i giudici. Voi non meritate alcun tipo di punizione. -
- Credo, invece, che avremmo dovuto saperlo lo stesso - obbiettò Suzuno.
Hitomiko li fissò. - Forse pensate sarebbe stato giusto soffrire per questa cosa, ma a giudicare dall'assenza di Midorikawa immagino siate consapevoli che sarebbe stato lui a soffrire di più. Pensate ancora sia giusto? -
- Sempre meglio che saperlo così! - esclamò Haruya, spalleggiando l'amico. - Capisco che tu abbia voluto proteggerci, ma ora cosa dovremo fare? -
La sorella rimase qualche secondo in meditazione, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate al petto. Poi, lentamente, risollevò le palpebre. - Esattamente quello che fece la Raimon con voi: lotteremo - dichiarò.

L'edificio gemellato con quello in cui avevano sempre abitato era sì piccolo, ma non per questo era impossibile rimanere soli.
Midorikawa era riuscito a sfuggire ai suoi compagni di squadra, tutti riuniti in una stanza a riflettere sull'accaduto, per chiudersi in bagno. Lì prese il cellulare e si collegò a internet. Scrisse il nome 'Kirishima Hiroki' sul web e trovò moltissime notizie sull'argomento.
Fino a quel momento a nessuno era mai venuto in mente di cercare qualcosa. Erano tutti consapevoli che la notizia dell'invasione degli alieni aveva fatto il giro del mondo, giornali e tv commentavano quotidianamente le loro orribili gesta. Ma, una volta tornati 'umani', nessuno dei ragazzi volle affrontare l'opinione pubblica, quindi evitarono il più possibile di sentire i telegiornali. Poterono vivere una vita tranquilla anche grazie al fatto che, senza l'influenza del meteorite, anche il loro aspetto era abbastanza diverso.
Naturalmente c'erano delle eccezioni ma la maggior parte della popolazione non conosceva l'aspetto degli alieni. A pensarci bene, solo la Gemini Storm si era fatta notare talmente tanto da far parlare di sé, e proprio a causa delle scuole distrutte. Nessuno, quindi, aveva mai riconosciuto in loro i terribili alieni e avevano tutti potuto vivere una vita normale.
Questo era il motivo per cui Midorikawa, prima di quel giorno, non sapeva nemmeno dell'esistenza di Kirishima Hiroki. Ingenuamente, aveva sempre pensato che, quando distruggeva le scuole, gli edifici erano già vuoti. Ricordava bene gli sguardi attoniti e spaventati di studenti e insegnati, tutti spettatori del crollo della struttura scolastica.
Beh, non tutti, a quanto pareva.
Ryuuji si lasciò scivolare lungo il muro del bagno. Sospirò. Era scosso, ma sentiva di non esserlo abbastanza. Erano passati due anni, ormai l'avventura alla Aliea era un qualcosa di così lontano da dare addirittura l'impressione che non fosse successa davvero. Probabilmente non si rendeva ancora bene conto di ciò che comportava quella notizia: aveva ucciso un ragazzo innocente. Era un assassino. Ma come avrebbe dovuto reagire? Cosa avrebbe dovuto provare, in quel momento?
Sentiva solo una gran confusione. Non sapeva cosa pensare.
E poi c'erano quei due ragazzi, i due fratellini di Kirishima Hiroki. Ora capiva il perché di quegli sguardi pieni d'odio. Sicuramente sarebbero tornati. Cosa avrebbe dovuto fare?

- E così avete deciso di procedere per gradi, eh? - chiese l'uomo, fissando intensamente i due gemelli Kirishima.
Minoru annuì. - Loro ora si aspettano un nostro attacco, nel frattempo saranno terrorizzati. Non c'è fretta, ormai - spiegò.
L'uomo sorrise. - Approvo il vostro modo di fare. Anche se, immagino, sia stata una tua idea, Minoru. Kyoka sembra nervosa - disse, volgendo lo sguardo sulla ragazzina.
Lei si imbronciò. - Fosse per me, sarebbero già tutti morti. -
L'adulto rise. - La vendetta è un piatto che va servito freddo. Avete carta bianca su tutto. -
- In ogni caso -, intervenne nuovamente il ragazzino, - per prima cosa voglio scoprire chi esattamente ha distrutto la scuola di nostro fratello. -
- Hai già un piano, Minoru? -
L'adolescente ghignò. - Naturalmente. -





Note finali: Ecco il secondo capitolo, dove si spiega perché i due gemelli ce l'hanno tanto con i nostri sfigati ehm...orfanelli preferiti.
Devo dire che mio sto divertendo a scrivere questa fiction: in realtà sto scrivendo il sesto capitolo perché quando pubblico preferisco essere avanti col lavoro, onde evitare interruzioni lunghe.
A breve pubblicherò anche una fiction a parte in qualche modo legata a questo capitolo o, più precisamente, legata a una cosa che si dice in questo capitolo e che ho voluto approfondire. Ho riflettuto se inserirla come capitolo di questa fiction o lasciarla a parte; ma, come avrete ormai notato, io qui alterno le scene mentre nell'altra non succede, quindi ho preferito inserirla a parte così che possa essere letta anche da chi non è interessato a questa fiction. XD Beh, naturalmente spero che chi sta leggendo queste mie parole voglia poi leggere anche l'altra fiction.
Credo di non aver nulla da aggiungere. Spero non ci siano errori e spero di aver reso interessante questo capitolo. Non sono tanto abituata alle long-fic quindi sono molto insicura.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La seconda casa di proprietà della famiglia Kira non ospitava tutti gli orfani del Sun Garden. Alcuni erano rimasti feriti durante l'attacco di quei due fratelli e, per ragioni di sicurezza, Hitomiko li aveva mandati altrove, in un ospedale speciale di proprietà di alcuni suoi conoscenti.
Chiese, naturalmente, di essere contattata qualora si verificassero avvenimenti sospetti e segnalò l'aspetto fisico dei due gemelli. Ma dopo due giorni ancora non era successo niente.
Hitomiko lesse i documenti che il detective Onigawara le aveva spedito sulla famiglia Kirishima. Dopo la morte del fratello maggiore, i due gemelli allora dodicenni erano rimasti dai loro tutori, marito e moglie senza figli, amici dei genitori morti diversi anni prima.
"Se non ci fossero stati quei coniugi", ragionò Kira, "forse quei tre ragazzi sarebbero stati orfani del Sun Garden."
Continuò a leggere. Kirishima Minoru e Kirishima Kyoka scomparvero quattro mesi dopo la morte del fratello. A nulla servirono le ricerche: nessuno li trovò.
Hitomiko trovava la cosa sospetta. Qualcuno doveva aver aiutato quei ragazzi a far perdere le tracce e doveva essere coinvolto con la Aliea Academy. Onigawara aveva confermato che al monte Fuji la base era ormai inutilizzabile. I poliziotti avevano sequestrato tutto e spostato le macerie dell'edificio. I frammenti del meteorite, anche se ormai privi del loro potere, erano sotto custodia dello Stato.
Ma allora da dove veniva la potenza del lancio che aveva distrutto il Sun Garden? E chi era interessato a usare quei due ragazzini per fare del male agli ex-giocatori della Aliea Academy? Perché, Hitomiko immaginava, dovevano essere loro l'obbiettivo. Non solo di Minoru e Kyoka, ma anche di chi manovrava tutto dietro le quinte.
- Mi sfugge qualcosa... - mormorò tra sé la donna.
In quel momento sentì dei passi provenire dalle scale e si voltò verso la porta. Pochi istanti dopo Saginuma entrò nel salotto, dove la donna si era messa a leggere.
- Come stanno? - chiese lei.
- Nessun miglioramento - rispose il ragazzo, sedendosi dall'altra parte del tavolo. - Tu credi che ci siano altri ragazzi oltre quei due fratelli? -
Hitomiko scosse la testa. - A dire la verità, non so proprio cosa pensare. Per quanto sia strano dirlo, se i nostri nuovi nemici fossero una squadra di calcio, per noi le cose sarebbero più semplici - spiegò, cercando di mantenere il suo solito atteggiamento composto. - Ma, a essere sincera, non mi hanno dato quest 'impressione. Non basterà sconfiggerli. -
- Che vorresti dire? -
La donna sospirò. - Loro combattono per un motivo di natura differente, rispetto a voi. È più personale. -
- Credi possano arrivare a farci davvero del male? -
- Credo vogliano uccidervi - disse schietta Hitomiko, fissando il fratello minore.
Osamu spalancò gli occhi dalla sorpresa. - Pensi possano arrivare a tanto? -
- Nel migliore dei casi il loro obbiettivo sarà solo la Gemini Storm. Ma, naturalmente, non ho intenzione di lasciare quei ragazzi in pericolo. -
L'ex-capitano della Epsilon annuì.
- Dobbiamo scoprire chi c'è dietro questa storia. È l'unico modo per risolvere la faccenda - dichiarò Hitomiko.

Durante quei due giorni nessuno era uscito da quella casa. Alcuni provarono persino a studiare, altri rimasero semplicemente in qualche stanza a riflettere. A parte rare eccezioni, smisero di parlare tra loro. Non volevano parlare di quella storia ma, allo stesso tempo, non riuscivano a parlare di nient'altro.
Haruya sospirò. - Beh, ora gli esami saranno gli ultimi dei problemi - provò a scherzare, mentre si sedeva sul pavimento e poggiava la schiena contro il materasso del letto.
- Idiota! - commentò Fuusuke, guardando nervosamente fuori dalla finestra. Era come se si aspettasse di vedere quei due da un momento all'altro.
- Calmati, non ho detto che preferisco questa situazione. È solo che Hitomiko ha fatto lo splendido 'faremo come la Raimon, lotteremo!' e poi non ci ha più detto nulla. Non dovremmo, non so, allenarci? - si lamentò il ragazzo dai capelli rossi.
- Non sappiamo ancora nulla di loro, è normale che nostra sorella faccia qualche ricerca, prima - rispose Netsuha Natsuhiko, seduto dall'altro lato della stanza rispetto al proprio ex-capitano.
- E non sappiamo quando torneranno - mormorò Suzuno, stringendosi le braccia al petto.
- Sapremo affrontarli? -domandò colui che un tempo veniva chiamato Nepper.
- Che intendi dire? Che senza il meteorite siamo delle schiappe? - si risentì Haruya, guardando male l'amico.
Natsuhiko scosse la testa. - Beh, quei due qualcosa usano di certo. -
- Credi che sia il meteorite? - intervenne allora Maki, seduta sul letto.
- Non aveva esaurito il suo potere? - obbiettò l'ex-capitano della Prominence, voltando appena la testa verso la ragazzina.
- Non è l'unico modo per potenziare il proprio corpo - fece presente Nepper.
- Va bene, ma non possiamo rimanere a guardare, no? - insistette nuovamente Nagumo. Non riusciva a rimanere lì, non quando si sentiva in pericolo.
- Non possiamo nemmeno agire impulsivamente, piantala di lagnarti! - gli rispose Fuusuke, evidentemente agitato.
Nagumo si alzò, fronteggiando l'amico-rivale. - Guarda che lo so che anche tu sei impaziente! Sei sempre lì a fare l'indifferente, io almeno mi sfogo! -
- Allora potrei prenderti a calci per sfogo, così sei soddisfatto - ribatté l'ex-capitano della Diamond Dust.
- Sì, sì, ora calmatevi - si mise in mezzo Netsuha, alzandosi a sua volta e allontanando i due ex-capitani della Chaos l'uno dall'altro. - Non serve che anche voi discutiate, ora. Abbiamo cose più importanti a cui pensare. -
A quelle parole Maki si mise a fissare il soffitto, sospirando. - Se fosse capitato a noi, che avremmo fatto? - chiese.
Gli altri tre ragazzi si voltarono verso di lei, confusi. Poi Suzuno parve capire il senso della domanda.
- È naturale che vogliano vendetta, Sumeragi. Ma un sentimento del genere non porta a nulla. Anche se... sì, forse un tempo avrei agito come loro - confessò, lisciandosi un ciuffo di capelli con le dita della mano. Naturalmente si riferiva a Gazel e non al sé stesso del presente, ben più maturo e meno violento.
Nella stanza calò il silenzio. Era difficile non voler vendicarsi, quando un tuo caro perde la vita a causa di qualcuno. Obbiettivamente, chiunque lì dentro capiva i sentimenti di quei due.
- Però non possiamo certo permettere loro di farci del male, vi pare? - commentò Nepper.
- Naturalmente - assentì Fuusuke.
Sumeragi scese dal letto - Maki pensa sarebbe più giusto essere puniti in un altro modo. In fondo, ci aspettavamo un po' tutti di finire in prigione, dopo il crollo della Aliea -
- Bella forza a pensarlo, lo sappiamo tutti che non saremmo noi, a finire in galera! - obbiettò Nagumo.
- Già, qualcuno ha parlato con quelli della Gemini Storm, in questi due giorni? - chiese Natsuhiko.
Haruya scrollò le spalle. - Midorikawa non ha mai aperto bocca. Quel ragazzo, quando c'è qualcosa che non va, diventa più silenzioso di Miura. E gli altri lo seguono a ruota, lo imitano come se ciò che fa fosse un ordine. -
- Non è una cosa positiva, lui è il più coinvolto di tutti - affermò Fuusuke.
- Maki, pensi sarebbe giusto far finire Midorikawa in prigione pur di salvarci tutti quanti? - chiese Netsuha.
La ragazzina si rattristò, poi scosse la testa. - No. Non se lo merita - mormorò. - Perché se nostro padre, due anni fa, avesse chiesto alla Epsilon di distruggere le scuole, Maki avrebbe ubbidito senza esitare - spiegò, col suo solito modo di parlare, in terza persona.
- In parole povere: la responsabilità è di tutti, eh? - le sorrise Nepper.
- Bene, ecco il piano: quando ci attaccano, ci difenderemo il più possibile! - propose l'ex-capitano della Prominence.
- Ingegnoso, veramente - ironizzò Suzuno. Ma, nonostante tutto, era davvero l'unica cosa che, al momento, avrebbero potuto fare.

Poche stanze più avanti, con la porta chiusa a chiave, Ryuuji osservava fuori dalla finestra con sguardo vacuo. Non riusciva a togliersi dalla mente il pensiero di star soffrendo troppo poco e, allo stesso tempo, non riusciva a tranquillizzarsi. Rifletteva in continuazione sul fatto che una sua azione, due anni prima, aveva portato alla morte una persona eppure non riusciva a rendersene davvero conto al cento per cento.
Sentiva la mente confusa, come se quella improvvisa notizia, arrivata con due anni di ritardo, fosse ormai troppo obsoleta per essere presa davvero in considerazione. Ma una cosa del genere non diventa mai obsoleta. È una realtà che ferisce sempre.
Steso su uno dei letti della camera, Hiromu non gli toglieva gli occhi di dosso. Il ragazzino con i capelli castani, come al solito, non aveva detto nulla ma il suo sguardo palesava la sua preoccupazione per l'ex-capitano.
Miura riusciva a percepire ogni minimo movimento, capiva quando il respiro dell'amico accelerava quando ripensava alle parole che aveva sentito due giorni prima, udiva perfettamente i suoi impercettibili sospiri. E, probabilmente, stava riuscendo anche a intuire i suoi pensieri.
Midorikawa sembrava abbastanza tranquillo, se visto dall'esterno. Non aveva pianto, non aveva gridato. Ed era esattamente quello, il problema: quando l'ex-capitano della Gemini Storm si chiudeva in se stesso significava che stava veramente male.
L'attaccante della Gemini Storm si alzò dal letto e, senza fare rumore, si avvicinò all'amico.
Mormorò il suo nome, lo fissò quando questi si voltò verso di lui, e lo abbracciò. Hiromu era un ragazzo che non riusciva mai a trovare le parole giuste, in nessuna situazione. Fin da quando erano piccoli era sempre stato Midorikawa a parlare per lui, a tradurre i suoi silenzi alla perfezione, quasi come gli leggesse nel pensiero.
Miura poteva solo usare la sua presenza, per aiutare Ryuuji. Però, per lui, poteva anche provare a cercarle, le parole.
- Dovresti sfogarti - sussurrò.
Midorikawa ricambiò l'abbraccio, ispirò ed espirò profondamente, come se prima di quel momento gli fosse mancata l'aria.
- Sì... quando capirò quali sentimenti esternare, allora lo farò. -
Ma il ragazzo che un tempo si faceva chiamare Diam sapeva che, probabilmente, non l'avrebbe mai fatto.

Chi non riusciva a stare nella sua camera, invece, era Hiroto. Il ragazzo aveva effettivamente passato due giorni a fare avanti-indietro per stanze e corridoi, come se in quel modo cercasse di concentrarsi per trovare una soluzione a quella difficile situazione.
Ogni tanto controllava le stanze degli altri, per accertarsi delle loro condizioni. L'unica persona che vedeva a stento era Midorikawa.
L'amico era sempre chiuso in camera e, in un primo momento, Kiyama aveva deciso di rispettare il suo silenzio. Ma dopo due giorni avrebbe voluto fare qualcosa.
L'unico motivo per cui esitava a bussare alla porta della camera che il ragazzo con i capelli verdi divideva con altri era che non avrebbe saputo cosa dirgli. Quella situazione era troppo complessa e grande per lui. Non poteva fare come al solito, non poteva dirgli che sarebbe andato tutto bene, sapeva che non sarebbe andata bene per niente. E, anche nel caso in cui i due gemelli Kirishima non rappresentassero più una minaccia, il cuore di Midorikawa era ormai sconvolto e ferito.
Hiroto aggrottò le sopracciglia a quel pensiero. Pur consapevole che fosse un pensiero egoista, l'ex-capitano della Gaia pensava fosse ingiusto rinfacciare loro la morte di Kirishima Hiroki. Era una cosa grave, questo era innegabile, ma perché ora, perché dopo due anni? Perché qualcuno doveva per forza punirli?
Gli occhi del ragazzo si velarono di amarezza a causa di un pensiero che, improvvisamente, gli balenò alla mente: probabilmente, se due anni prima avessero detto a Gran che un ragazzo era morto, lui non ci avrebbe dato importanza. Era pronto letteralmente a tutto pur di realizzare i desideri di suo padre. Per quello, pur non avendo mai fatto crollare edifici, Kiyama si sentiva coinvolto allo stesso modo di Midorikawa. Si chiese se anche per Reize fosse stata la stessa cosa. Ma scosse la testa. Gran e Reize non esistevano più, non era a loro che doveva pensare.
Camminò velocemente verso la camera dell'ex-capitano della Gemini Storm. Non sapeva cosa avrebbe potuto dirgli, ma doveva pur fare qualcosa! Sapeva che con lui c'era Miura. Il ragazzo, appena arrivati in quella casa, l'aveva guardato e aveva annuito, come per dirgli di non preoccuparsi, che avrebbe badato lui a Ryuuji. Si fidava di lui, sapeva che l’avrebbe tenuto d’occhio, esattamente come Diam aveva vegliato su Reize ai tempi della Aliea, ai tempi in cui a Gran non interessava nulla, del collega.
Arrivato davanti alla porta alzò un braccio per bussare ma una scossa lo bloccò. La terra aveva tremato appena per un paio di secondi poi, dopo un tempo altrettanto lungo di calma ci fu un'altra scossa, questa volta più violenta e duratura.
Hiroto si poggiò al muro con le mani per tenersi in equilibrio, guardò fuori dalla finestra con preoccupazione. - Sono arrivati - esalò.





Vabbè, questo capitolo è corto e tranquillo. Diciamo che serve più a mostrare la reazione degli altri, nell'attesa. Ho pensato a lungo se farli agitare o no, ma ho pensato che sono ragazzini sfortunatamente abituati alle difficoltà quindi credo sia possibile che riescano almeno a fingersi calmi.
Comunque, l'azione è rimandata al prossimo capitolo, spero lo leggerete perché i gemelli Kirishima faranno sul serio, questa volta!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


A causare quelle scosse fu la misteriosa lastra luminosa che aveva portato a terra i due gemelli.
Kyoka ci saltò giù e fece qualche passo in avanti, ammirando la casa. Poi rise.
- C'è nessuno? Avete ospiti! – cantilenò, allegra.
Il fratello le si affiancò senza dire una parola.
Hitomiko e Saginuma furono i primi a uscire dall'edificio: non era sicuro rimanere dentro.
Altri ragazzi li imitarono, alcuni uscirono direttamente dalle finestre, se si trovavano in stanze al piano terra. Hiroto rimase dentro, notando che la porta della camera di Midorikawa era rimasta chiusa. Si affacciò alla finestra.
Hitomiko fissò per lunghi secondi i due ragazzi, che a loro volta la guardarono con aria di sfida. Kyoka allargò il sorriso, divertita.
- Siete davvero fortunati ad avere altre case, peccato che conosciamo tutti gli indirizzi - avvertì.
La donna cercò di non mostrare il proprio stupore: come facevano a saperlo?
Si fece coraggio, non sopportando quella situazione. - Chi c'è dietro? Chi vi sta controllando? - domandò.
La ragazzina strinse le labbra, quasi volesse trattenersi dal scoppiare a ridere.
- Non siamo controllati da nessuno. Non vorrai forse iniziare a dire che gli alieni erano controllati da qualcosa, spero - rispose Minoru con tono monotono.
Kyoka fece scorrere lo sguardo su tutti quelli che si erano loro mostrati. - È morto qualcuno, l'altro giorno? - chiese, come se fosse la domanda più normale del mondo.
Haruya ringhiò, e strinse i pugni. Suzuno lo tenne d'occhio, per evitare che dicesse la verità e mettesse in pericolo i feriti che, in quel momento, si trovavano altrove.
- Non potete agire da soli, e quella forza non è umana - affermò Hitomiko. - Siete solo voi? -
Kyoka si fece seria di colpo, squadrò la donna, poi piegò la testa. - Non mi piacciono tutte queste domande - commentò, tranquilla. Fece cadere la palla, che teneva sottobraccio, al suolo, e questa provocò, nell'urto, un buco sul giardino.
Reina sussultò. Quanto pesava, quella palla? Sembrava ancor più pesante di quella usata da loro, alla Aliea.
- Avete anche voi intenzione di agire tramite il calcio? - non si arrese Kira. Purtroppo quello era l'unico modo per cercare di ottenere delle informazioni benché non sperasse molto della riuscita del suo piano.
Con sua sorpresa, Minoru fece una smorfia e scosse con un gesto elegante, ma di evidente disgusto, la mano per aria. - Noi odiamo il calcio. Non abbiamo alcuna intenzione di avvicinarci a quello sport maledetto! - esclamò.
- Quello è il vostro stile, codardi - continuò la sorella. - Ma vogliamo farvi sapere cosa si prova a farsi colpire da un pallone - e, detto questo, posò un piede sul pallone nero. Questo brillò qualche istante di una luce viola, poi la ragazzina lo calciò in alto.
- Spostatevi! - urlò Hitomiko. - Allontanatevi dalla casa! -
Nel sentire la sorella Hiroto si allontanò dalla finestra per uscire a sua volta, fermandosi solo quando sentì la voce di Miura e la porta aprirsi.
Hiroto e Midorikawa si incrociarono, quest'ultimo sembrò stupito nel vederlo ancora lì. Ma non c'era tempo per pensarci e scesero tutti e tre al piano inferiore.
Mentre gli orfani del Sun Garden correvano in varie direzioni, Kyoka saltò fino ad arrivare all'altezza della palla, poi la calciò. Ma non colpì l'edificio: la palla finì sull'erba del giardino ma, a differenza della prima volta, invece di danneggiare il suolo, rimbalzò su esso, brillando di luce sempre più intensa.
- Cosa...? - mormorò Hitomiko, coprendosi gli occhi. Kyoka ghignò. - Attenti. Questa volta il bersaglio siete voi! - avvertì.
Il pallone iniziò a rimbalzare a una velocità incredibile da ogni angolo. Molti dei ragazzi lo vedevano a malapena, altri si muovevano quando pensavano di star per essere colpiti. Eppure nessuno si fece male. Pochi istanti dopo videro chiaramente la palla rimbalzare su un albero e poi sul muro della casa, senza però danneggiare nulla. Improvvisamente, quel pallone sembrava fatto di gommapiuma.
Kyoka rideva dei movimenti degli 'ex-alieni'. Fuusuke la fissava torvo, infastidito da quella voce. Sembrava innocente e divertita. Se poteva essere comprensibile il loro desiderio di vendetta, non era certamente perdonabile il trattarli come dei giocattolini. Mentre la sorellina si divertiva Minoru, come sempre ben più composto, faceva scorrere lo sguardo su tutti i presenti. Sembrava cercasse qualcuno in particolare. Poi si rivolse alla sorella. - Kyoka, non abbiamo molto tempo, smettila di giocare e scegline uno o due, a questo punto. -
La ragazzina non sembrava entusiasta di quelle parole, ma annuì. Guardò il pallone che, risplendendo ancora una volta di quella strana luce viola, rallentò fino a galleggiare per aria. Sembrava lo stesse controllando col pensiero. Poi fissò lo sguardo davanti a sé. Incontrò il volto ormai insofferente dell'ex-capitano della Diamond Dust.
La colpì lo sguardo d'odio del ragazzo. Il colore era bellissimo, l'azzurro le piaceva. Ma non le piacque il sentimento che c'era in quegli occhi. Disprezzo? Erano lei e il fratello gemello ad odiare loro e ne avevano tutti i motivi. Ora stavano dando a quei ragazzi ciò che si meritavano, con che coraggio quel ragazzo dai capelli bianchi la guardava in quel modo?
Ghignò. - Ecco il primo - mormorò, sadica. Saltò nuovamente e tiro verso il basso. La palla rimbalzò di nuovo poi volò in direzione di Suzuno. Il ragazzo fissò gli occhi sul pallone, temendo che sparisse alla sua vista da un momento all'altro e che lo colpisse, o colpisse altri, senza che nessuno lo vedesse.
Ma la sua visuale venne coperta da una testa rossa. Senza pensare alle conseguenze, Nagumo si era messo in mezzo, alzò la gamba e intercettò con un calcio il pallone. L'oggetto rimase qualche istante accostato alla gamba del ragazzo poi, senza esserci onde d'urto, il pallone cadde a terra e con lui l'ex-capitano della Promincence.
Sembrava esser riuscito nel suo intento se non fosse che iniziò a gemere di dolore, rimanendo rannicchiato a terra.
-N-Nagumo? - esclamò Midorikawa, facendo un paio di passi avanti.
Gli ex-membri della Aliea rimasero immobili, ammutoliti. Cos'era, quella palla? Aveva distrutto il Sun Garden, aveva fatto un buco sul suolo, ma poi aveva iniziato a rimbalzare sulle superfici senza danneggiarle. E ora aveva ferito un loro fratello senza, apparentemente, possederne la forza. Era simile ai palloni usati due anni prima dalla Aliea ma, allo stesso tempo, sembrava usare una tecnologia diversa.
- Haruya! - gridò Fuusuke, inginocchiandosi al fianco dell'amico-rivale. - Idiota, cosa pensavi di fare? -
- Non... rinunci a insultarmi nemmeno in questo momento, eh? - scherzò l'altro, seppur parlando a fatica. Poi però la sua attenzione tornò ai due fratelli. Kyoka aveva iniziato a battere le mani, fingendosi ammirata. Iniziò a condividere i pensieri di Fuusuke: ormai quei due erano imperdonabili!
- Bellissimo, commovente! - esclamò la ragazzina, finendo di applaudire. La sua voce suonava allegra e divertita come quella di una bambina ma aveva una sfumatura di malignità. - Vi proteggete l'un l'altro, come veri fratelli - disse. Ma era seccata per aver mancato il bersaglio. Anche se, ora che lo notava, lo sguardo del rosso non era poi tanto diverso da quello del suo obbiettivo originale.
Improvvisamente gli occhi di Kyoka si oscurarono e lei divenne seria. Abbassò appena la testa. - Anche io avrei voluto proteggere mio fratello... - bisbigliò, cupa.
Nessuno osò fiatare e Midorikawa sussultò, nel vedere la ragazzina in quello stato. Il senso di colpa tornò prepotentemente a farsi sentire. Si portò una mano al petto, stringendo la stoffa della maglia, come per cercare di calmare quella morsa al cuore che, improvvisamente, lo stava torturando.
Minoru, intanto, si avvicinò alla gemella e poggiò una mano sulla spalla di lei. Era rimasto serio e impassibile per tutto il tempo ma ora anche nei suoi occhi si poteva vedere del dolore.
Come riscossa dai suoi pensieri da quel gesto, Kyoka risollevò lo sguardo. Sorrise. - Fratellino, ho scelto - dichiarò.
Il pallone nero rimasto abbandonato poco distante da Haruya e Fuusuke iniziò a brillare, questa volta di luce grigia. Si sollevò spontaneamente da terra, ruotando davanti ai due ex-capitani della Chaos.
"Quello è..."
Appena Haruya riuscì a formulare il pensiero agì nuovamente d' istinto: si mise seduto, incapace però di muoversi dal posto ma trovando comunque la forza di afferrare Suzuno e lanciarlo, con poca delicatezza, lontano da lì.
La luce divenne sempre più intensa ma l'ex-capitano della Diamond Dust non venne colpito, grazie al gesto del ragazzo con gli occhi dorati. Solo in quel momento l'albino comprese cos'era quella luce: la usavano anche loro per tornare alla base velocemente, oppure per 'esiliare' i compagni sconfitti.
Quando la luce si dissolse e i ragazzi furono in grado di mettere a fuoco, i due gemelli e Haruya erano spariti.
Tutti rimasero immobili, a osservare il punto dove, fino a qualche istante prima, c'era il loro fratello adottivo, quasi si aspettassero di vederlo riapparire da un momento all'altro. Ma sapevano che non poteva succedere.
Suzuno rimase letteralmente a bocca aperta, cadde a terra in ginocchio. Poi iniziò a tremare.
- No... - sussurrò, con terrore. - Haruya! - gridò infine, con tutto il fiato che aveva in corpo, come se, in quel modo, ovunque fosse stato portato il ragazzo avesse potuto sentirlo.







Note finali: capitolo corto -.- Per il momento, il più corto tra quelli che ho scritto.
Comunque, finalmente ho aggiornato XD Non riuscivo a finire il capitolo 10, ma ora sto completando l'11 quindi va beh XD
Anche qui non succede moltissimo. Mi scuso per la scena della 'palla rimbalzante' XD È scritta da schifo. Certe scene non mi riescono bene.
Però ricordo di aver scritto questo capitolo con impazienza: non vedevo l'ora di far del male a Haruya XD *sadica*

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Nessuno si mosse per lunghi secondi, poi Ai e Netsuha corsero vicino a Fuusuke.
L’ex-giocatrice della Diamond Dust posò la mano sopra la spalla dell’ex-capitano mentre il ragazzo con la bandana sulla fronte si limitò a guardare ancora il punto dove, fino a pochi minuti prima, si trovava Haruya.
Erano tutti così sconvolti da non saper nemmeno come reagire. Iniziarono a sentirsi i primi singhiozzi ed esclamazioni spaventate, sopratutto da parte degli ex-membri della Prominence.
Suzuno abbassò la testa e serrò gli occhi, per impedirsi di piangere.
La prima a reagire in quella situazione fu Hitomiko: con un gesto stizzito si voltò, prese il cellulare dalla tasca e chiamò il detective Onigawara. Non avevano ancora informazioni, ma ormai non poteva più stare ferma. Ora qualcuno era davvero in pericolo. Hiroto la chiamò prima che facesse partire la chiamata. Lei si voltò. Il fratello minore sembrava calmo come al suo solito, benché avesse i pugni stretti ai fianchi e le sopraciglia inarcate in un'espressione cupa.
- Sorella, a questo punto credo sia chiaro che, dietro a questa storia, c'è qualcuno che conosce molto bene la Aliea Academy - commentò, serio. Hitomiko annuì. Kiyama continuò: - È impossibile replicare un progetto del genere in soli due anni, senza contare che ne mancherebbero i mezzi. Credo ci sia un'unica persona a cui chiedere, ora. L'unica che sa ogni cosa riguardante il progetto Aliea... -
Kira fissò il fratello minore, senza inizialmente capire di chi stesse parlando. Poi spalancò impercettibilmente gli occhi. - Hai ragione - rispose piatta, benché dentro avesse mille emozioni inespresse. Fece scorrere lo sguardo su tutti i fratelli minori, quasi indecisa se lasciarli soli o meno. Ma rimanere lì non sarebbe servito. Anche se quei due fossero tornati ad attaccare, lei non avrebbe potuto proteggerli.
- Andrò solo io. Purtroppo non vi è ancora permesso incontrarlo. Se succede qualcosa avvertitemi immediatamente. -
Hiroto annuì e non si mosse finché la macchina della sorella fu visibile. Poi si voltò verso i suoi fratelli. - Torniamo dentro... per quanto sia difficile, ora non ci resta che attendere. -
- Attendere? E che cosa? - strillò istericamente Fuusuke, guardando Kiyama con rabbia. Ma, più che altro, era arrabbiato con Haruya, per averlo protetto, e con sé stesso, per essersi fatto proteggere.
- Come hai detto tu prima, Suzuno, non possiamo agire impulsivamente. Non sappiamo dove cercarlo, prima di tutto - gli fece presente Natsuhiko, con un sussurro.
Fuusuke strinse i denti, consapevole, suo malgrado, che i due fratelli adottivi avessero ragione.

Quando Haruya riaprì gli occhi, la prima cosa che comprese fu di non poter muovere le braccia. Immediatamente dopo il dolore alla gamba tornò prepotentemente a farsi sentire. Abbassò la testa, fissando l'arto probabilmente rotto. - Merda... - borbottò.
Chiuse gli occhi per un secondo, nel tentativo di mantenere la calma, cosa, per lui, già abbastanza complicata in condizioni normali. Si guardò attorno.
La stanza era piccola, non più di tre metri per tre, poco illuminata dalla fioca luce di una lampadina. I muri, di un grigio scuro e tetro, erano prive di finestre e la porta era dello stesso colore delle pareti, confondendosi con esse. Tutto era inquietantemente familiare, per lui.
"Non è possibile" pensò, sconcertato. "Non posso essere alla Aliea Academy."
Non voleva ammetterlo, ma cominciava ad avere paura. Avrebbe dovuto provarne comunque, dato che non sapeva cosa avessero in mente quei due.
Voltò appena la testa osservandosi le braccia. Attaccate alle pareti c'erano due manette, poste poco più sopra all'altezza della nuca. Non poteva muoversi di un millimetro. Anche se avesse avuto gli arti liberi, dubitava di potersi alzare in piedi, date le condizioni della gamba. Poteva solo fissare la porta, aspettandosi, prima o poi, di vederla aprirsi.
- Merda... - ripeté, incapace di dire altro.
Non sapeva dire da quanto tempo era lì. Il dolore alla gamba era a malapena sopportabile e aveva l'impressione che la situazione sarebbe solo peggiorata.
"Maledizione, spero almeno di essere riuscito nel mio intento, o mi sarò sacrificato per nulla!" affermò tra sé, pensando a Fuusuke. Non che ne avesse avuto l’intenzione, in quel momento. Aveva voluto proteggerlo, certo, ma non aveva nemmeno considerato l’eventualità di essere catturato. Semplicemente aveva agito d'istinto, senza riflettere. Cosa che lo stesso Fuusuke lo accusava spesso di fare. "Non mi va di dargli ragione in un momento simile!"
A distrarlo dalle proprie riflessioni fu il rumore di una serratura che scattava. Haruya tornò a concentrarsi sulla porta davanti a sé, aspettandosi di vedere i due gemelli entrare.
Ma non fu così. A mostrarsi fu un uomo adulto, a lui familiare. Nagumo spalancò gli occhi e aprì la bocca dallo stupore, quando lo riconobbe. Ripensò alle parole della sorella maggiore.
'Chi c'è dietro? Chi vi sta controllando?'
- Sei tu! Controlli tutto tu! Che diavolo... ci fai qui? - sibilò, a fatica.
L'uomo ghignò.

Midorikawa era rannicchiato in un angolo della stanza, dov'era entrato insieme ad altri, con le braccia che stringevano le gambe e la testa appena abbassata. Naturalmente non erano tutti lì. Chi non era presente nella camera era, insieme ad altri, nelle stanze accanto. Ogni tanto si sentivano dei rumori o delle voci; tra cui le inconfondibili urla di Gigu, che, si poteva facilmente immaginare, era, in quel momento, più adirato che mai.
Ryuuji si mise ad osservare gli altri.
Dalla parte opposta della parete la maggior parte delle ragazze era seduta l'una vicina all'altra, stringendosi tra loro come per cercare conforto. In mezzo c'erano Reina e Fumiko che cercavano di tranquillizzare le altre.
Le uniche eccezioni erano Ai, che aveva preferito andare in un'altra camera assieme al fratello, Rean che, colta da un'attacco di nausea dovuta alla paura e all'ansia era stata accompagnata in bagno da Fuuko, e Maki, che rimaneva in piedi affianco a Saginuma e Satoshi, conosciuto un tempo come 'Metron della Epsilon', stringendo la mano a quest'ultimo. L'ex-attaccante della Epsilon era in evidente stato di agitazione, aveva gli occhi lucidi e continuava a chiedere cosa avrebbero dovuto fare da quel momento in poi. Sembrava, inoltre, che si stesse sforzando di rimanere ferma.
Vicino a loro, Hiroto era appoggiato alla parete, anche lui in piedi, con le braccia incrociate sul petto e scuro in volto. Non aveva più detto nulla e sembrava perso nei propri pensieri.
Natsuhiko era seduto da un altro lato della stanza, quella a sinistra rispetto a dove era Ryuuji, e, con un'espressione molto seria, fissava una persona in particolare davanti a sé: Suzuno.
L'ex-capitano della Diamond Dust era seduto in modo simile a Midorikawa, ma aveva la fronte poggiata sulle ginocchia. Era abbattuto, arrabbiato e spaventato. Non sembrava nemmeno lui ma nessuno se ne stupì. Lui e Haruya continuavano a litigare, ma sin da piccoli erano sempre stati insieme, a sostenersi l’un l’altro tra una discussione e l’altra; erano legatissimi e si volevano bene e, ora che il ragazzo con i capelli rossi era in serio pericolo, Midorikawa poteva solo immaginare come si sentisse Fuusuke in quel momento.
In quanto a lui, ora sembrava finalmente riuscire a soffrire per quella situazione come doveva.
Non aveva saputo bene cosa provare, quando aveva saputo della morte di Kirishima Hiroki a due anni di distanza dall'accaduto ma, ora che un suo fratello adottivo era stato preso, comprendeva quando grave fosse quella situazione. Aveva paura e si sentiva tremendamente in colpa. Era stato lui, a uccidere Hiroki. Quella sofferenza se la meritava, ma non a discapito di Haruya, o degli altri. Avrebbe dovuto soffrire in quel modo prima. Continuava a chiedersi perché, invece, non ci era riuscito, non come avrebbe dovuto. Perché l'aveva percepita come una cosa lontana quando ne era il responsabile?
Ryuuji si lasciò sfuggire un leggero sospiro e Hiromu, sempre rimasto accanto a lui, poggiò la testa sulla sua spalla, guardandolo preoccupato.

- Cos'hai intenzione di fare? Qual'è il tuo obbiettivo? - esclamò Haruya, cercando di muoversi verso l'uomo. Ma naturalmente fu inutile e, inoltre, si trovò a gemere dal dolore.
L'uomo rise. - Fossi in te rimarrei fermo, Burn - disse calmo.
- Non chiamarmi in quel modo! - si oppose il ragazzo, stringendo i denti. - Stai usando quei due gemelli, non è così? -
L'adulto si lasciò fuggire un sorrisetto. - Anche loro usano me. Abbiamo lo stesso obbiettivo. -
- E quale sarebbe? -
- Vendetta - tuonò l'uomo, ghignando subito dopo.
La porta si aprì di nuovo, questa volta entrarono Minoru e Kyoka. La ragazzina sorrise e salutò Haruya con finta innocenza con l'unica mano libera, quella sinistra. L'altra stringeva una valigetta.
Il ragazzo dagli occhi dorati ebbe voglia di prenderla a calci, anche se era una ragazza e per giunta più piccola di lui.
- Siete già pronti? - domandò l'uomo, senza però mostrare stupore.
- Lo siamo sempre stati - rispose Minoru.
L'uomo sorrise, ambiguo. - Bene, fate ciò che volete - disse e si allontanò di qualche passo, poggiando la schiena contro la fredda parete di metallo.
Kyoka posò a terra la valigetta e la aprì, canticchiando. Da dove era seduto, Haruya non poteva vederne il contenuto.
La ragazzina osservò per un po' qualcosa, come se stesse meditando sul da farsi. Poi prese quello che sembrava un paletto, di circa venti centimetri di lunghezza. Era di un grigio molto scuro, quasi nero, e aveva una forma irregolare. Dava l'impressione di essere un sasso. Era molto appuntito e Nagumo si ritrovò a deglutire rumorosamente.
Minoru scosse la testa. - Proprio quello? Sei sempre la solita rozza - commentò. Lei si voltò verso il fratello e fece la linguaccia poi si rigirò il paletto tra le mani.
Haruya ringhiò quando i due gemelli posarono lo sguardo su di lui. Cercò di non mostrare la propria paura, né il dolore.
Minoru si avvicinò e si accucciò davanti a Nagumo. - Lo sai che stiamo per torturarti, vero? - chiese, con soddisfazione.
Il ragazzo non rispose, si limitò a guardarlo malissimo. Minoru sorrise, sadico. - Ma mi sento buono, oggi. Voglio darti una possibilità - dichiarò, con voce bassa e calma.
Haruya sembrò confuso ma non si fidava di quei due. Rimase ancora in silenzio.
La ragazzina guardò il fratello, impaziente. Sembrava vagamente scocciata, Nagumo ebbe l'impressione che non vedesse l'ora di fargli del male. "Questi sono pazzi" si ritrovò a pensare.
Minoru attirò nuovamente la sua attenzione. - Non sei tu ad aver distrutto la scuola, due anni fa - dichiarò. Non ricordava bene la persona che si era macchiata di quel reato ma era certo che non avesse i capelli rossi. - Chi è? - chiese, freddo.
L'ex-capitano della Prominence lo fissò, senza parole. Come immaginava, il loro vero obbiettivo era Reize. Spostò lo sguardo verso Kyoka, che aveva ancora in mano il paletto. Poi tornò a guardare Minoru. Ghignò, provocatorio. - Figurati se te lo dico, idiota! - esclamò.
- Commovente - commentò il ragazzo senza alcun sentimento nella voce. - Ma ti faremo del male e questo tu lo sai. Pensi davvero ne valga la pena? -
- Non parlerò, non importa quello che farete! - ribadì Haruya. Certo, era un ragazzo impulsivo e con quelli della Gemini Storm non era mai andato particolarmente d'accordo. Ma quel giorno Maki e Netsuha avevano detto delle parole che, per loro, erano sacre: Midorikawa non meritava alcuna punizione, non solo lui almeno. Erano tutti responsabili perché, esattamente come il ragazzo dai capelli verdi, avevano sempre seguito gli ordini del loro padre.
Inoltre, anche solo per orgoglio, Nagumo non tollerava l’idea di salvarsi a discapito di qualcun'altro. A discapito di un membro di quella famiglia che l'aveva accolto quando era rimasto solo al mondo. Loro erano tutti fratelli. C'era chi gli stava sull'anima, certo, esattamente come c'erano invece persone per cui avrebbe sacrificato la sua stessa vita (come, in effetti, aveva praticamente fatto quel giorno) ma non avrebbe mai tradito nessuno di loro.
Ne sarebbe valsa la pena? Certo che sì, di questo Haruya non aveva alcun dubbio.
- Non cederò per un po' di dolore – affermò.
Minoru sospirò e scosse la testa. "Stupido" fu la parola che Haruya gli lesse negli occhi. Il ragazzo si alzò. – Kyoka. -
- Sì! - esclamò lei, allegra. Si avvicinò a sua volta, saltellando in un modo che l’ex-capitano della Prominence trovava fastidioso, e allargò il sorriso più che poté, fino a deformare quel visino tutto sommato grazioso. Poggiò la punta del paletto sulla sua spalla. Lo teneva semplicemente con le mani e ciò sembrò strano ad Haruya, prima di ricordarsi che quei due possedevano una forza inumana.
- Sarà un piacere farti del male - cantilenò la ragazzina, facendogli l’occhiolino.
Nagumo non avrebbe voluto dare loro quella soddisfazione ma, quando il paletto affondò nella sua carne, trapassandola da parte a parte, non poté fare a meno di gridare.








Note finali: Per prima cosa, mi scuso del ritardo. Dal capitolo 10, infatti, ho iniziato ad avere difficoltà a scrivere =_= So cosa far succedere ma non riesco a descrivere le scene. E leggo e cerco sinonimi o parole che non mi vengono e che ho sulla punta della lingua, mi incavolo, sclero e alla fine decido di lasciar perdere e riprovare successivamente. è_é
Comunque ora sto iniziando il capitolo 13.
Questo capitolo fu divertente da scrivere. Finalmente, infatti, sono arrivata al punto in cui Nagumo viene torturato. XD Non vedevo l'ora di pubblicarlo<3 Nemmeno qui, comunque, i miei due OC vengono approfonditi, attendete ancora un po', per quello. Prima, infatti, ho voluto concentrarmi sugli orfani del Sun Garden, ora più che mai traumatizzati!
Bene, vado di fretta ma quando mi riconnetterò risponderò anche alle recensioni di 'Hurt' a cui ancora non ho risposto. Colgo l'occasione per ringraziare chi segue le mie fiction (in generale, intendo, non solo questa o la one-shot sopracitata.) Quando pubblico spero sempre che ci sia qualcuno che apprezzi ciò che scrivo, nonostante le pecche che hanno le mie fanfiction.
A presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Hitomiko camminava nervosamente per i corridoi del carcere, con passo svelto.
Era preoccupata per tutti i suoi fratelli e sorelle e non aveva idea di cosa fare. Sperò che quel colloquio potesse sbloccare la situazione.
Si fermò davanti a una porta scura e fece un profondo respiro, prima di aprirla.
Non era certo la prima volta che ci parlava ma, per ragioni di comodità e sicurezza, quel giorno il detective Onigawara le aveva messo a disposizione la camera per gli interrogatori. Entrò con apparente calma, chiudendosi lentamente la porta alle spalle.
Le persone che si trovò davanti si voltarono a guardarla, in silenzio, attendendo che fosse lei la prima a prendere parola. La donna, nonostante il difficile momento, non riuscì a impedirsi di sorridere appena.
- Ciao, papà - mormorò.

- Sembri uno zombie vivente, Ryuuji-kun. -
Midorikawa si bloccò in mezzo al corridoio e si voltò verso la proprietaria di quella stranamente allegra, ma stanca, voce.
Kinki Nozomi lo raggiunse velocemente. Il suo volto era segnato dalla stanchezza: da quando era cominciata tutta quella storia nemmeno lei riusciva più a dormire. Ciononostante gli sorrise - Abbiamo tutti un pessimo aspetto, eh? -
Lui non si stupì del comportamento della ragazza: Nozomi era fatta così.
Sin da quando era arrivata all'orfanotrofio, abbandonata dai suoi genitori a cinque anni per chissà quali motivi, la ragazza dai capelli viola aveva l'abitudine di ironizzare o ridere, nei momenti difficili.
Ryuuji ricordava molto bene il primo giorno della ragazza all'orfanotrofio: aveva esclamato, ridendo, che ora che aveva tanti fratelli e sorelle maggiori sperava di essere coccolata e viziata. Col tempo tutti capirono che quell'atteggiamento era il suo modo di reagire al dolore; e, se all'inizio era un comportamento palesemente forzato, in quei quasi dieci anni era ormai divenuto parte del suo carattere. Naturalmente questo la portava, il più delle volte, a dire e fare cose fuori luogo, e risultava quindi un grosso difetto. Ma, in generale, all'ex-capitano della Gemini Storm piaceva questo lato della sorella adottiva. Durante i difficili tempi della Aliea, sopratutto quando stavano ancora cercando di creare i loro alter ego alieni, Pandora era l'unica capace di ridere e scherzare con Reize senza venir ripresa per questo.
Midorikawa sospirò, camminando al suo fianco verso qualunque altra stanza: non sopportava più di rimanere fermo.
La ragazza sbuffò. - Dobbiamo tenerci pronti. Probabilmente, quando nostra sorella tornerà, dovremo agire. A meno che Nagumo non torni a casa da solo dopo aver dato fuoco a quei due - scherzò.
Midorikawa abbassò lo sguardo. Anche se la maggior parte di loro non riusciva più a resistere chiuso in casa con le mani in mano, in balia del terrore e della preoccupazione, non era sicuro che fossero nelle condizioni di reagire contro i gemelli Kirishima. Scosse la testa.
- Non ci sperare troppo, Nozomi - mormorò amaramente.
- La speranza, in questo momento, è l'unica cosa che può farci forza. E non dico altro perché l'esperto dei detti sei tu -
Ryuuji la guardò con la coda dell'occhio. - 'La speranza è l'ultima a morire', eh? -
Kinki sorrise. - Nagumo non accetterebbe mai di perdere contro quei tipi. Sicuramente starà bene. Vedrai che nostro padre tirerà fuori un'informazione utile e potremo andare a salvarlo! - dichiarò.
Midorikawa si chiese come faceva a sembrare tanto convinta, ma si sforzò di annuire, anche se aveva una bruttissima sensazione.

Appena sentì la voce della figlia, Kira Seijirou si alzò per andarle incontro. Benché, solitamente, ai prigionieri non fosse permesso fare movimenti così bruschi o improvvisi senza far scattare immediatamente gli agenti, nessuno fermò l'uomo. Sapevano che non aveva cattive intenzioni.
- Hitomiko! - esclamò lui, afferrando delicatamente le braccia alla figlia. - Mi hanno detto tutto, come stai? Come stanno i bambini? - chiese, agitato.
Onigawara non poté fare a meno di sorridere sentendo il prigioniero chiamare i figli in quel modo. Anche per il signor Kira valeva ciò che si diceva di ogni genitore: avrebbe sempre visto quei ragazzi come dei bimbi indifesi, nonostante due anni prima li avesse usati per scopi illeciti
La donna scosse la testa. - Sono spaventati e traumatizzati. Non sappiamo se rivedremo Nagumo vivo. Papà, ci serve il tuo aiuto - sussurrò. Vedere il padre faceva tornare anche lei, in un certo senso, un po' bambina. Improvvisamente non riuscì più a nascondere la spossatezza e Seijirou le rimase accanto quando si diresse verso il centro della stanza, per sedersi.
Appena lei si fu accomodata, lui tornò al proprio posto e si rivolse al detective. - Non avrei mai immaginato che i fratelli di Kirishima Hiroki potessero cercar vendetta. Da quello che mi hanno riferito, i due gemelli potrebbero star usando un potere simile a quello dell'Aliea. -
Onigawara annuì. - Ma il meteorite non è più disponibile in alcun luogo; inoltre i frammenti rinvenuti sono ormai privi di energia. Ma non è questa la cosa che più ci preoccupa. Qualcuno sta usando il risentimento dei due fratelli per i propri scopi ma non abbiamo idea di chi possa essere. Tutte le persone coinvolte col progetto Aliea sono sotto la nostra custodia, ad eccezione, naturalmente, degli orfani del Sun Garden. -
Seijirou annuì. - Dubito che i miei ex-collaboratori possano organizzare una cosa tanto grande... o tanto malvagia. Io stesso tenevo nascosto ai più il mio vero obbiettivo, l'unico completamente a conoscenza dei miei piani era Kenzaki, ma so che è morto da tempo, ormai -
- È morto? Davvero? - domandò Hitomiko, stupita.
Onigawara annuì. - Dopo un breve periodo di reclusione iniziò a comportarsi in modo strano. Il suo corpo senza vita venne rinvenuto nella sua cella circa sei mesi dopo il suo arresto - spiegò. Poi tornò a concentrarsi sulla questione più urgente. - Non le viene in mente nessun altro? - chiese al detenuto.
L'altro scosse la testa. - No. Ma credo sia giunta l'ora di svelare un piccolo segreto - mormorò, abbassando la testa. Non aveva mai detto nulla perché pensava non ce ne fosse bisogno ma, a quel punto, potrebbe essere importante farlo sapere al detective e alla figlia.
- Papà! - esclamò Hitomiko, con tono di rimprovero. C'era allora qualcosa tenuta ancora nascosta?
Seijirou volse lo sguardo verso la figlia. - Lo so, mi dispiace. A quei tempi non era nulla di importante, davvero. -
- Parli - intimò Onigawara.
Il signor Kira fece un respiro profondo. - Quella al monte Fuji non era l'unica struttura a disposizione per il progetto Aliea. Ce ne sono altre due, in Giappone - confessò.
- Altre due? - esclamò Hitomiko, alzandosi dalla sedia per lo stupore.
- Chiunque ci sia dietro questa storia potrebbe nascondersi lì. E ritengo siano anche dei buoni posti per nascondere due ragazzini come i gemelli Kirishima - spiegò Seijirou. - Ma non c'era niente, in quegli edifici. Erano usati solo come magazzini. Non ci ho mai portato nemmeno i bambini. -
- Ma ora Nagumo potrebbe essere lì! Papà, dicci subito dove si trovano queste basi! -

Minoru osservava l'acqua, resa rosa dal sangue, che scendeva giù per lo scarico della doccia. Si sfregò le dita di una mano, senza alcuna fretta. Era difficile lavarlo via sotto le unghie. Ma non era quello il problema.
Il ragazzo chiuse gli occhi, cercò di godersi il getto caldo sul volto.
Aveva torturato uno degli alieni, uno dei responsabili della morte del fratello. Pensava che già quello sarebbe stato sufficiente, eppure, ora che aveva finito, non si sentiva per niente soddisfatto. Era stato divertente, quello era innegabile. Aveva provato una sorta di eccitazione nel sentire le grida di quel ragazzo così orgoglioso e nel percepire così chiaramente quanto dolore e paura stesse provando.
"È ciò che vi meritate", aveva continuato a pensare mentre, insieme alla sorella, feriva ripetutamente il corpo del prigioniero. "Farete tutti questa fine."
Il volto si contorse di rabbia, nel ricordarlo, e con la mano si sfiorò il petto.
Avevano dovuto smettere prima del previsto e, disgustato dall'idea di avere addosso il sangue di quel tipo, era corso a lavarsi. Man mano che l'adrenalina diminuiva, però, Minoru cominciava a sentire sensazioni meno piacevoli. Delusione? Insoddisfazione? Ricordare adesso quello che avevano fatto non era più così divertente.
"Forse", tornò a riflettere il ragazzo, "è perché non è lui, quello che cerchiamo. Pensavo sarebbe stato indifferente ma, evidentemente, non sarò soddisfatto finché non avrò punito il vero e solo responsabile."
Sospirò e, una volta appurato di essere perfettamente pulito, chiuse l'acqua e uscì dalla doccia.
Passò oltre la tuta lasciata abbandonata sul pavimento, afferrò un asciugamano e si strofinò i capelli. Mentre si asciugava e si vestiva, questa volta con semplici jeans e camicia bianca, si chiese se Kyoka avesse finito ciò che doveva fare. Proprio in quel momento la porta automatica si aprì e apparve la sorella.
Minoru, voltandosi verso di lei, fece una smorfia. Il liquido rosso le copriva le guance, il collo e tutta la parte anteriore della tuta, benché in quest'ultima, essendo nera, non poteva notarsi molto. Vederla coperta a sua volta di sangue gli fece tornare il disgusto. Inoltre sentiva su di lei un odore ferroso molto più intenso di quello che aveva percepito sul proprio corpo.
Senza badarci, Kyoka lo salutò allegramente, si avvicinò e afferrò la tuta del fratello. - Non lasciarla qui, che schifo! - si lamentò.
- Quando hai finito mettile entrambe a lavare. Allora, com'è andata? - chiese lui, senza alcun tono particolare nella voce.
La sorella arricciò le labbra. - Ho fatto quello che mi hai detto, anche se mi sono dovuta trattenere parecchio - commentò.
- Sei sicura che andrà proprio come voglio? - chiese allora lui, guardando intensamente la ragazzina dai capelli ricci.
Kyoka scosse la testa. - Tranquillo, ho seguito le tue istruzioni. Ho anche già mandato l'avviso. Puoi andare a goderti lo spettacolo, se ti va. Io, se permetti, mi faccio una bella doccia! -
Kyoka abbassò la cerniera della tuta mentre Minoru ebbe il pudore di girarsi dall'altra parte e, finito di asciugarsi i capelli, uscì dal bagno.
Mentre percorreva i corridoi bui si chiedeva se anche Kyoka provasse le sue stesse emozioni. Certo, la sorella era sempre insoddisfatta per qualcosa e, se fosse stato per lei, quei ragazzi sarebbero già tutti morti dal loro primo attacco. Sperò che, almeno a lei, torturare quel tipo dai capelli rossi avesse lasciato sensazioni più piacevoli.

Hitomiko sospirò, per l'ennesima volta da quando era uscita dal carcere.
Le informazioni del padre potevano essere utili ma, per il momento, non poteva esserne certa.
Le due basi segrete della Aliea erano troppo lontane e ci sarebbero voluti giorni, per arrivarci. Il detective Onigawara le aveva assicurato che avrebbe mandato immediatamente i suoi agenti a controllare ma, nel frattempo, poteva accadere di tutto. Nagumo poteva già essere morto. Hitomiko rallentò, quando cominciò a chiedersi perché quei due agissero così lentamente. Due anni prima ‘gli alieni’ davano avvertimenti per organizzare partite di calcio, ma i due Kirishima non avevano questo problema. Quindi perché non finirli subito? Ne avevano i mezzi, la forza e le occasioni non erano mai mancate. Forse volevano semplicemente farli impazzire?
Nuovamente, la donna sospirò. "Qualunque motivo sia, spero sarà la nostra salvezza" pensò.
Era ormai entrata nel giardino di casa quando qualcosa le cadde davanti e la costrinse a fermarsi. Rimase per un istante interdetta, poi abbassò lo sguardo. A pochi millimetri dai suoi piedi la palla nera dei Kirishima era conficcata nel terreno. Hitomiko rimase a bocca aperta, pietrificata: per poco non l'avrebbe colpita in testa!
Il pallone iniziò a brillare della solita luce viola. La donna fece qualche passo indietro. Dalla sfera provenne la risata di Kirishima Kyoka, dal volume talmente elevato che Hitomiko non ebbe dubbi che tutti i suoi fratelli e sorelle potessero sentirla anche da dentro l'edificio.
- Giovani alieni, qui è Kyoka che vi parla. Siete in ascolto? - cantilenò la ragazzina, con tono chiaramente divertito. Molti degli orfani si affacciarono alle finestre del lato della casa che dava al giardino, Midorikawa e Nozomi invece uscirono direttamente fuori, trovandosi già al piano terra. Poco dopo vennero raggiunti da Suzuno e Netsuha. - La voce è registrata, nel caso vi siate messi a fare domande idiote al pallone - informò la ragazzina, o meglio la sua voce, con indifferenza. Fuusuke strinse i pugni, dalla rabbia. - Comunque vi consiglio di dare un'occhiata al bosco a est della città. Vi ho lasciato un regalino - concluse poi, e il tono non prometteva nulla di buono.
L'ex-capitano della Diamond Dust iniziò, immediatamente dopo, ad avviarsi ma Hitomiko lo fermò. - Aspetta, potrebbe essere una trappola! -
Il ragazzo dai capelli bianchi si voltò verso di lei, guardandola malissimo. - Haruya potrebbe essere lì! -
- Pensaci, ti sembra possibile? Se fosse davvero così allora significherebbe... - ma non concluse la frase. L'espressione piena di dolore di Fuusuke non glielo permise. Senza dire altro, il ragazzino tornò a correre, seguito poi dai suoi fratelli e sorelle.
Hitomiko prese il cellulare e chiamò un'ambulanza. "Spero sia utile, almeno" pensò, non del tutto persuasa.

Suzuno si accorse che tutti gli altri orfani del Sun Garden erano andati con lui solo nel momento in cui, arrivato al bosco, si fermò a riprendere fiato.
Sentì Shirai, l'ex-portiere della Diamond Dust, urlare di dividersi e cercare Nagumo, quasi fossero tutti certi che il fratello fosse davvero lì.
Fuusuke fece un respiro profondo, poi riprese a correre. "Sarà meglio per te che ti ritrovi vivo, Haruya. O non ti perdonerò mai!" pensò, cercando di nascondere a se stesso la propria paura.

- Accidenti a quella tipa, poteva essere un pelino più specifica!- esclamò Nozomi. Il bosco non era esattamente 'piccolo' tanto che, pur essendo quasi in cinquanta lì, in quel momento, in pochi minuti si erano già quasi tutti persi di vista.
- L'avranno fatto apposta. Potrebbe anche non esserci nessuno, qui - commentò Satori, ex-difensore della Gemini Storm.
- Oppure sì, ma come ha detto nostra sorella... - gli rispose Nemuro, conosciuto in passato come Nero della Genesis. Nemmeno lui concluse la frase, non c'era bisogno di specificare che, nel peggiore dei casi, il 'regalino' di cui parlava Kyoka era il cadavere del loro fratello adottivo.
A pochi metri da lui, Maki diede un calcio a un albero. - Maki odia questa situazione! Tra poco non risponderà più delle sue azioni! - strillò, nervosa.
Saginuma le lanciò un' occhiata, ma non le disse nulla.
Midorikawa si era inoltrato ancora di più nel bosco, seguito da Hiromu e Fumiko. Il silenzio in quell'area era quasi innaturale e decisamente inquietante. E nessuno di loro aveva una bella sensazione, al riguardo.
Qualche istante dopo si imbatterono in Hiroto e Reina.
- Nessuno ha trovato nulla? - chiese la ragazza dai capelli bianchi e azzurri.
Midorikawa scosse la testa.
- Non so voi, ma io mi aspetto che appaiano quei due, tra un po'... - commentò Fumiko, guardandosi attorno. Teneva le mani davanti al petto, come per proteggersi.
- Potrebbe non essere l'ipotesi peggiore - mormorò sottovoce Ryuuji, guardandola sottecchi con espressione cupa e, in qualche modo, rassegnata. - Non so perché ma ho l'impressione che farci trovare un fratello morto possa essere nel loro stile... - specificò, rabbuiandosi.
A quelle parole, tutti i presenti nelle vicinanze abbassarono lo sguardo.
"Purtroppo ho la stessa sensazione" pensò Kiyama.
Poi sentirono un grido femminile, che attirò l'attenzione di tutti. L'eco riecheggiò per qualche secondo.
- Ragazzi! Aiutateci, vi prego! - urlò la ragazza che aveva urlato, in breve tutti riconobbero Ai. Piangeva. - L'abbiamo trovato! Aiutateci! -
Il primo ad accorrere fu Suzuno. Più andava avanti, però, più temeva quello che avrebbe visto. Continuava a pregare di non vedere Haruya morto.
Fu costretto a fermarsi quando andò quasi a sbattere contro Izuno. Poi, dopo appena qualche passo, finalmente, cominciò a intravedere una testa rossa. Il sollievo che ne derivò svanì quasi subito, vedendo che di rosso non c'era solo la testa di Nagumo.
- Santo cielo... - mormorò il ragazzo conosciuto come Wheeze ai tempi della Aliea Academy, guardando il suolo, sconcertato.
Haruya giaceva a terra in una pozza di sangue. Le braccia e le gambe erano piene di ferite profonde e i vestiti erano così pregni del liquido rosso che non si capiva se era ferito altrove. Era pallido. Troppo.
Ai singhiozzò e venne abbracciata da Shuuji. - È ancora vivo - informò il ragazzo, cercando di mantenersi calmo e freddo.
- C-cosa dobbiamo fare, ora? – mormorò, invece, la ragazzina, coprendosi gli occhi con le mani.
Fuusuke corse al suo fianco. - Haruya! - gridò, quasi buttandocisi addosso. Non badava più a nulla, nemmeno al proprio comportamento. Voleva solo che lui si svegliasse, perché non era possibile, non poteva essere in quelle condizioni.
Ma Saginuma, arrivato insieme agli altri, lo bloccò.
- Non muoverlo! Potremmo peggiorare la situazione... - mormorò.
Tutto quel sangue sui vestiti lo convinse che c'erano altre ferite, probabilmente più gravi. Gli abiti sembravano intatti, ma più ci rifletteva più arrivava a quella conclusione.
Dovevano portarlo subito in ospedale ma, probabilmente, spostarlo sarebbe stato pericoloso.
Suzuno sussultò ma riuscì a ritrovare la lucidità e a capire che Saginuma aveva ragione, ringraziandolo mentalmente per essere intervenuto. Annuì con un cenno della testa, per mostrargli di essersi calmato, e Osamu lasciò la presa, permettendogli di avvicinarsi all'amico.
Tremando, l'ex-capitano della Diamond Dust sfiorò delicatamente una guancia a Nagumo. Soffocò un singhiozzo nel sentire l'odore ferroso del sangue, tanto intenso da dargli la nausea. Non poté impedirsi di pensare cosa avesse dovuto subire, cosa gli avessero fatto quei due.
Rean, appena arrivata, urlò e si lasciò cadere in ginocchio, piangendo e tossendo. Si mise una mano davanti alla bocca, sembrava fosse sul punto di vomitare.
Natsuhiko non riusciva a guardare l'ex-capitano. Tremava, con i pugni chiusi lungo i fianchi, e digrignava i denti. "Quei maledetti..." mormorò.
Reina si allontanò di qualche passo per poter chiedere qualche aiuto col cellulare e notò che Midorikawa era rimasto in disparte, con la schiena appoggiata a un albero, con un'espressione sconvolta. Probabilmente non aveva il coraggio di avvicinarsi a Nagumo. La ragazza sospirò e in quel momento si sentirono le sirene dell'ambulanza. Quasi nessuno era nelle condizioni di riflettere sul fatto che, probabilmente, qualcuno l'aveva già avvertita, così si limitarono a ringraziare gli dei per quel miracolo.







Note finali: well, forse qualcuno sarà deluso dal fatto che non ho mostrato la vera e propria tortura.
Il rating della fiction è giallo, e lo è proprio per quell'accenno non approfondito. Scoprirete nel prossimo capitolo cosa hanno fatto :)
Parlando d'altro: come chi mi segue avrà già intuito, io cerco di aggiornare almeno una volta ogni una-due settimane. Spero comunque di stabilizzarmi su un capitolo ogni due settimane. 'Revenge' non la sto continuando, in questi giorni, a causa di 'Il figlio dei demoni' che, comunque, ho già scritto a metà. Insomma, entro questa settimana dovrei perlomeno finire la prima stesura (che poi, come sempre, correggerò e modificherò. L'importante è avere la 'prima stesura' o, se preferite 'la brutta copia' nero su bianco, dato che è la parte che mi prende più tempo. Nell'aggiungere e correggere le cose sono veloce) e, se tutto va come previsto, comincerò ad alternare gli aggiornamenti delle due long, tornando a continuare questa, di cui avevo iniziato il tredicesimo capitolo.
Credo sia tutto, per il momento.
See ya!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Quando Nagumo fu portato dentro l'ambulanza, solo Hitomiko entrò con lui. I dottori stavano già controllando il ragazzo e lei non voleva che i suoi fratelli vedessero e sentissero, in quel momento. Naturalmente, però, aveva chiamato qualcuno per condurli poi in ospedale.
La donna ascoltò i medici: Haruya aveva gravi ferite agli arti ma non erano quelle a mettere a rischio la sua vita, quanto una ferita che aveva all'addome. Sembrava essere stata fatta con un'arma grezza, non era regolare, e partiva da un fianco all'altro. Mentre ascoltava, Hitomiko rifletté su cosa potesse significare l'averlo lasciato lì in quelle condizioni, ancora in vita.
Abbassò la testa e si posò una mano sulla fronte. "Non ditemi che il loro obbiettivo non era farci trovare Nagumo morto, ma farci assistere alla sua morte..." si ritrovò a pensare, con orrore. Potevano davvero essere così crudeli? La loro sete di vendetta si spingeva così lontano? "Sono ragazzini, che diamine!" continuò a riflettere, riferendosi sia ai suoi fratelli che ai due gemelli Kirishima, mordendosi il labbro inferiore per cercare di mantenere la calma.
La donna non dovette attendere molto da sola, fuori dalla sala operatoria. In pochi minuti, infatti, gran parte dei suoi fratellini erano lì. Gli altri, probabilmente, non se l'erano sentita oppure erano andati ad avvertire chi era già lì nella struttura, ferito durante il primissimo attacco.
- Come sta? - chiese Hiroto.
- Stanno cercando di chiudere le ferite. Quelle alle braccia e alle gambe sono gravi, ma non mortali; quella che preoccupa di più è sull'addome... - spiegò la sorella maggiore, sforzandosi di sembrare il più calma possibile.
- Se la caverà? - domandò allora Netsuha, con voce leggermente più acuta e impaziente del solito. Gli occhi dell'ex-attaccante della Prominence, semi-nascosti dalla bandana tenuta sulla fronte, si spalancavano e tornavano normali in continuazione, quasi pulsassero: un tic nervoso del ragazzo che, per quanto fosse stato irascibile ai tempi della Aliea, da 'umano' si sforzava di mantenere sempre la calma. – Se la caverà? – ripeté, nervoso.
Hitomiko scosse la testa. Non lo sapeva nemmeno lei.
Fuusuke si appoggiò sul muro della sala d'attesa e lì si lasciò scivolare, sedendosi a terra. Stava facendo un grande sforzo per impedirsi di piangere, ripetendosi che non sarebbe servito a nulla. Haruya era ancora vivo, doveva fidarsi di lui: ce l'avrebbe fatta.
Nonostante questo, non riusciva a non avere paura. Tutti ne avevano, lì. Nessuno parlava e, proprio come lui, nessuno piangeva, o comunque non si stava facendo sentire.
Solo Ai, ogni tanto, si lasciava sfuggire qualche singhiozzo ma stava chiaramente cercando di smettere di piangere.
Poi c'era Haisuke An, Rean della Prominence che continuava a tossire, come sempre quando era in ansia per qualcosa.
Suzuno si rannicchiò, poggiando la fronte sulle ginocchia, tornando quindi alla posizione che aveva mantenuto praticamente per tutto il giorno. Benché cercasse di non farlo, non poteva non provare a immaginare cosa avesse dovuto subire l'amico-rivale né dimenticare che, originariamente, era lui l'obbiettivo di Kirishima Kyoka, non Haruya.
"Non osare morire dopo avermi protetto" pensò Fuusuke. Iniziò a fissare il muro bianco davanti a lui. Qualsiasi cosa avesse pensato o sperato non sarebbe cambiato nulla eppure, nel rendersi conto solo in quel momento di non ricordarsi di esser mai stato senza Haruya, sperò di non dover cominciare proprio quel giorno.
Fuusuke arrivò al Sun Garden quando era molto piccolo, perciò non ricordava bene i primi anni. In tutti i suoi ricordi, Nagumo c'era già. C'era sempre stato, era sempre stato accanto a lui nonostante, all'apparenza, non andassero d'accordo. In realtà era la persona con cui aveva più affinità. Avevano spesso le stesse opinioni, semplicemente le esternavano in modo diverso. La loro diversità si era trasformata in seria rivalità solo ai tempi della Aliea ma, anche in quel periodo, avevano saputo unire le forze. E anche dopo avevano avuto l'opportunità di collaborare in Corea finché, di comune accordo, non avevano deciso di tornare nell'unico luogo che consideravano 'casa'.
Suzuno strizzò gli occhi. Era così stupido, pensava, rendersi conto di averlo avuto sempre accanto proprio nel momento in cui, forse, l'avrebbe perso per sempre. Sembrava uno di quei clichè da film che aveva sempre odiato perché aveva sempre sostenuto che certe cose uno le sa sempre, non se ne accorge solo quando è troppo tardi.
Se Midorikawa avesse avuto la forza di parlare con qualcuno, se la situazione non fosse stata così tragica, gli avrebbe sicuramente detto che certe cose sono considerate così scontate che ti rendi conto di quanto sono importanti solo quando le perdi. Ma non era così per Fuusuke: era sempre stato consapevole che, per lui, Haruya era una persona importante. Quindi non voleva perderlo, non voleva sapere cosa si prova a stare senza di lui. Fuusuke si sentiva più forte, accanto a Haruya. Persino il glaciale alieno Gazel aveva avuto questa sensazione, una volta formata la Chaos. Suzuno poteva sembrare indipendente e freddo ma anche lui, dentro il cuore, nascondeva la propria fragilità. Anche lui amava, anche lui aveva delle persone senza le quali si sarebbe sentito perso. Senza Nagumo non avrebbe mai potuto essere sereno; forse persino il suo carattere sarebbe stato diverso, se l'ex-capitano della Prominence non gli fosse stato accanto in tutti quegli anni. Erano cresciuti completandosi a vicenda, d'altronde. Non era pronto per perderlo per sempre. Non lo sarebbe mai stato, ma era ingiusto perderlo ora: non se lo meritavano né lui né loro, non in quel modo, non in quella circostanza.
Un preoccupante tremito lo scosse. "Non devo piangere, non devo piangere" pensava disperatamente. "Devo smetterla di pensare a certe cose, cazzo!" continuò, stringendo i pugni, arrabbiandosi con se stesso dato che, in quel momento, era l'unica persona con cui poteva prendersela.
Sentì qualcosa toccargli la spalla e, di scatto, alzò la testa. Hitomiko si era seduta accanto a lui e lo guardava tristemente. Il volto del ragazzino si contorse in una involontaria smorfia, nel tentativo di rimanere calmo, nonostante la vista fosse già offuscata dalle lacrime. La donna, senza dire nulla, lo abbracciò.

Minoru aprì gli occhi quando sentì il rumore della porta automatica aprirsi. Alzò appena la testa e osservò la sorella saltellare allegramente nella stanza.
- Ce ne hai messo di tempo... - mormorò, osservando il vestito giallo a fiori che si era messa. Era così colorato che quasi stonava col buio delle stanze della loro casa.
Lei sorrise. - Allora? - chiese.
Il fratello intuì che non stesse rispondendo alla sua osservazione e si mise seduto. - 'Allora' cosa? -
- L'alieno. È morto tra le braccia di qualche suo fratello? Magari del ragazzo dagli occhi di ghiaccio? - domandò lei.
Probabilmente, pensò il ragazzo, lei si stava già immaginando la scena, a giudicare dallo sguardo sognante e divertito che aveva assunto. Ma lui scosse la testa. - Non lo so, come vedi mi stavo riposando - le rispose.
- Ma come? - sbottò lei, mettendosi una mano sul fianco. - Non eri curioso di vedere come avrebbero reagito? Anzi, avresti dovuto andare per controllare che non crepasse prima che lo trovassero. Se l'hanno trovato. -
- No - le rispose Minoru. - Se ci tenevi tanto potevi rimanere tu lì e goderti la scena. -
Kyoka sbuffò. - Ci avevo pensato ma ero tutta sporca. Non hai idea di quanto sangue mi è arrivato addosso quando l'ho ferito alla pancia! Eppure pensavo ne avesse già perso abbastanza, era persino troppo debole per urlare decentemente - si lamentò, sedendosi accanto al fratello. - Comunque, ormai dovrebbe già essere morto - affermò, guardando l'orologio poggiato sopra il comodino.
Minoru abbassò lo sguardo. - Kyoka... -
- Mh? - mugugnò lei, guardando il fratello. Si accorse che aveva qualcosa che non andava. - Che hai? -
Lui scosse la testa. - Ora come stai? -
La ragazzina sbatté un paio di volte le palpebre, non capendo il senso della domanda. - Cioè? Sto bene, no? Mica sono ferita. -
- Lo so, intendo... come ti senti ora che abbiamo finalmente iniziato ad agire? Ti senti soddisfatta almeno un po’? - domandò, guardandola sottecchi.
Lei ricambiò lo sguardo, perplessa. - Sì... - rispose dopo qualche istante, poco convinta. Poi si mise a fissare il pavimento, riflettendo sulla propria risposta. - Perché me lo chiedi? - domandò poi.
Il fratello la fissò qualche istante, prima di risponderle. - Pensavo sarebbe stato più appagante. Invece mi rendo conto di non saper cosa provare - spiegò Minoru, non meno confuso della sorella. - Non mi sento... felice. E non so il motivo. -
Kyoka lo guardò sospettosa. - Non dirmi che ti stai pentendo di quello che hai fatto? -
- Certo che no! - urlò lui, quasi si fosse arrabbiato per l'insinuazione della sorella. - Se ripenso a tutto quello che è successo... ho ancora voglia di ammazzarli tutti quanti! - continuò, guardandosi le mani. Tremava di rabbia e di dolore. - Per questo... dovrei essere felice, no? Dovremmo essere appagati pensando che uno di loro è morto. Invece... è come se sentissi una specie di vuoto dentro. -
La sorella lo guardò in silenzio. Fece una smorfia, si mise a riflettere. Fino a quel momento non si era sentita particolarmente diversa da prima, segno che certamente soddisfatta non era. Ma non aveva idea di cosa fosse quel 'vuoto' di cui parlava il fratello. Ciononostante, si sentì stranamente triste.
Si sedette inginocchiata sul materasso e si sporse appena verso il fratello, sorridendogli. - Senti, senti, fratellino! La prossima volta dovremmo direttamente cercare quello che ha ucciso Hiroki, ok? - affermò con voce infantile.
Minoru la guardò.
- Probabilmente degli altri, in realtà, non ce ne frega nulla. Per questo non ci sentiamo soddisfatti! Dev'essere certamente per quello! - esclamò, parlando sempre più velocemente. - Non dobbiamo per forza ucciderli tutti. Ci serve solo quell'alieno, no? Se muore... allora Hiroki sarà vendicato! Nostro fratello potrà riposare in pace! - continuò lei, con entusiasmo. Un entusiasmo un po' forzato, se ne rendevano conto entrambi. Ciononostante, lui annuì.
- Sì, è meglio non andare troppo per le lunghe. Modificherò il piano. -
Kyoka gli sorrise, poi si stese sul letto. Il gemello la fissò, sospirò e si stese al suo fianco, abbracciandola. La ragazza aveva una sua camera e un suo letto ma, a quanto pareva, quel giorno aveva voglia di riposarsi con lui.
Rimasero in silenzio, con aria concentrata. Senza che l'altro lo notasse, lo sguardo di entrambi si fece vagamente triste.
Fuori dalla loro camera, poggiato sul muro metallico del corridoio, qualcuno ghignò soddisfatto.

Atsuishi Shigeto, Heat della Aliea Academy, era seduto sulle scale dell'ospedale. Entrambe le braccia, poggiate sulle ginocchia, erano fasciate ma a parte un po' di dolore stava bene. Teoricamente avrebbe potuto essere dimesso subito, ma Hitomiko aveva insistito a far rimanere lì tutti i fratelli e sorelle anche solo leggermente feriti durante il primo attacco.
Il ragazzino dai capelli bianchi, però, in quel momento stava pensando a tutto meno che a se stesso. Quando Izuno era andato a trovarlo e l'aveva informato di quello che era successo ad Haruya, Atsuishi smise per qualche istante di respirare, prima di tempestare di mille domande l'ex-attaccante della Genesis. Non potendo però ottenere risposte, era uscito dalla camera intenzionato ad andare dagli altri ma, alla fine, non ne aveva avuto il coraggio, fermandosi sulla scalinata che portava ai piani superiori dell'ospedale.
Continuava a riflettere su ciò che Wheeze gli aveva detto, ma non riusciva a credere che Haruya, il suo amico di sempre, fosse in pericolo di vita.
Shigeto aveva sempre visto Nagumo come la rappresentazione della vera forza. Obbiettivamente sapeva di star esagerando ma, per lui, l'ex-capitano era un esempio da seguire, un idolo. Loro due non erano solo amici di infanzia, erano sempre stati fratelli oltre che essere in qualche modo parenti: suo padre naturale e quello di Haruya erano cugini e, quando i coniugi Nagumo persero la vita, furono gli Shigeto ad adottare il loro figlio. A quei tempi Atsuishi era nato da pochissimo e Haruya aveva poco più di un anno.
L'ex-centrocampista della Prominence, quindi, era cresciuto considerandolo un fratello maggiore. Quando poi anche i suoi genitori morirono, quattro anni dopo, e lui non riusciva a smettere di piangere dalla disperazione, fu Haruya a fargli forza, giurando di stargli sempre accanto e di proteggerlo, perché sarebbero sempre stati fratelli. Quell'episodio lo colpì molto. Haruya aveva già perso il padre e la madre una volta e, benché fosse troppo piccolo per ricordarli, sapeva comunque che quella non era la prima volta che perdeva i genitori. Eppure si stava forzando di essere forte e non cedere, per non farsi vedere debole davanti al fratellino.
Shigeto era sempre stato bambino debole. Lo era fisicamente ma anche caratterialmente: si era sempre affidato a Haruya per qualsiasi cosa e ne prese consapevolezza proprio in quell'occasione. Da quel giorno Atsuishi sviluppò una sorta di adorazione per lui. Certo, una volta arrivati in orfanotrofio fece amicizia anche con gli altri fratelli adottivi e notò come lo stesso Nagumo iniziò a legare con gli altri, sopratutto con Suzuno. Tuttavia non ne fu mai geloso: Haruya rimaneva il fratello maggiore sempre pronto a proteggerlo.
Una volta entrati alla Aliea, una volta presa consapevolezza di ciò che stavano per fare, lui, o meglio Heat, aveva deciso di diventare forte per poter sostenere il capitano a sua volta. Promise a se stesso di proteggerlo, se necessario; ma, in qualche modo, sentiva che Burn si stava prendendo ancora cura di lui.
A distanza di molti anni, finalmente, Shigeto sentiva di esser diventato indipendente e forte abbastanza.
Eppure... eppure ora Haruya era in pericolo e lui non poteva fare nulla per aiutarlo. Era stato rapito e torturato a sua insaputa. A cosa erano serviti, allora, tutti quegli allenamenti? Cosa se ne faceva, ora, di quella forza, se alla fine non era riuscito a proteggere l'unica persona che gli rimaneva della sua vera famiglia?
In quel momento si sentiva di nuovo il bambino debole e malaticcio di un tempo. Piegò la testa verso il basso, fino a toccarsi il collo col mento. Singhiozzò.
- Ti prego, non morire. Non abbandonarmi anche tu... - sussurrò.
Poco dopo sentì dei passi veloci dietro di se e, quando si voltò, vide Natsuhiko ansimare per la corsa fatta e guardarlo quasi sconvolto. Attese che l'amico e fratello adottivo riprendesse fiato, temendo ciò che avrebbe potuto sentire.






Note finali: sì, non mi sono dimenticata di questa fiction. XD Solo che volevo finire prima la Au che, credevo, sarebbe stata corta.
Non è andata esattamente così. Comunque, a poco a poco sto continuando a scrivere anche questa.
Considerazioni su questo capitolo... mmh... beh ho cercato di spiegare cosa provasse Fuusuke in quel momento. XD Non credo sia un ghiacciolo sempre indifferente, è umano anche lui in fondo. Ne Haruya morisse, ne uscirebbe distrutto.
È stata difficile la parte sui gemelli. Che agissero sempre freddamente mi sembrava poco credibile, così ho fatto sorgere dubbi. Sono ragazzini, in fondo, nonostante abbiano sofferto molto e parlino di vendetta.
Ho voluto anche descrivere un po' Heat. Leggendo che lui e Haruya sono amici di infanzia mi sono chiesta come due orfani possano essere considerti tali dato che, in teoria, son tutti cresciuti assieme. Quindi mi è venuta in mente questa storia della parentela.
Poi, certo, possibilissimo che si conoscessero da sempre, come semplici amici, e poi entrambi hanno perso i genitori. Il che accresce la mia convinzione che tutti quelli del Sun Garden siano sfigati dalla nascita XD Poverini, se l'attirano, l'angst. Ci scrivo su per questo, tra l'altro.
Credo di non aver nulla da aggiungere. Grazie della pazienza, spero di riuscire ad aggiornare più velocemente.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quando la sorella si fu addormentata, Minoru si alzò dal letto e uscì dalla camera. Percorse con impazienza i corridoi della casa, per la prima volta veramente infastidito dalla poca luce che c'era. Né le stanze né i corridoi avevano finestre quindi, appena arrivato lì due anni prima, si era chiesto perché l'edificio non poteva essere un po' più illuminato. Era strano ripensarci proprio in quel momento. "Sto pensando a un po' troppe cose, ultimamente" rifletté.
In pochi minuti, comunque, arrivò a destinazione ed entrò in quella che veniva considerata la 'sala riunioni'. Fortunatamente vi trovò la persona che stava cercando, in piedi davanti a un grande schermo che, tuttavia, non stava trasmettendo nulla.
- Pensavo ti stessi riposando - disse quella persona, con voce melliflua.
- C'è qualcosa di cui vorrei parlare - spiegò il ragazzino.
L'uomo si voltò verso di lui e gli sorrise. - Dimmi pure. -
- Io e Kyoka abbiamo deciso di concentrarci solo sull'alieno che, due anni fa, ha distrutto la scuola di Hiroki - dichiarò.
- Come mai questa decisione? - si finse stupito l'adulto, mettendosi a sedere. Minoru non sapeva che aveva già ascoltato la conversazione tra lui e la gemella.
Kirishima si sentì stranamente teso, in quel momento. Non gli capitava da molto tempo. - Non ci interessano gli altri, per loro sarà già una punizione perdere un paio dei loro fratelli. Anzi, in questo modo proveranno ciò che io e Kyoka patiremo per sempre - spiegò, chiudendo gli occhi e cercando di rimanere calmo.
- Mh - mugugnò l'altro, portandosi una mano all'altezza del mento, dando l'impressione di star riflettendo su quelle parole. - Non dovrebbe essere il contrario, Minoru? È quell'alieno a dover provare quel dolore. -
Il ragazzino non rispose subito, fissò il proprio interlocutore con aria grave. Aveva ragione, però...
Chiuse nuovamente gli occhi, e piegò appena la testa verso il basso. - Non vogliamo tirarla per le lunghe. È meglio anche per me e Kyoka, lo sa bene. -
L'uomo rimase in silenzio. - Cosa c'è che non va? - chiese poi, in tono indagatore.
- Non lo so. L'esperienza con quell'altro alieno mi ha lasciato un po'... deluso. Non voglio ripeterla, se non è necessario - Kirishima non riuscì a guardarlo, mentre rispondeva. L'uomo aprì la bocca per ribattere ma Minoru continuò: - Inoltre voglio occuparmene solo io. Kyoka non deve essere più coinvolta. -
- Questo mi stupisce molto - dichiarò l'altro. - Ma tua sorella non accetterà mai di essere tagliata fuori. Comunque... ho capito bene cosa qual è il problema, Minoru - bisbigliò poi. Sorrideva e questo a Minoru non piacque affatto. Si irrigidì quando l'uomo si rialzò e si avvicinò a lui. - Nonostante il dolore che avete provato, tra il desiderare la vendetta e attuarla davvero c'è molta differenza. Hai paura di fare del male a qualcuno? Hai paura di uccidere? Non sopporti l'idea che tua sorella si macchi di queste orribili azioni?- sibilò con fare un po' teatrale, divertito.
Minoru sussultò. Si rese conto solo in quel momento che sì, era esattamente ciò che provava. Sentì la sua sicurezza vacillare, per la prima volta in due anni.. - Eppure... io voglio davvero vendicarmi. Ancora adesso... io... -
L'adulto gli carezzò la testa, con fare affettuoso.- Questo è normale, piccolo Minoru. In ogni caso ormai non potete tirarvi indietro. Senza contare che, probabilmente, tua sorella è già un' assassina -
Minoru alzò lo sguardo di scatto. L'ultima parola era così orribile e così dannatamente reale che il ragazzino si sentì sul punto di vomitare, alla consapevolezza che fosse semplicemente la verità.
L'uomo sorrise. - È stata lei a procurare a quel ragazzo la ferita più grave e, se è morto, lo è a causa di quello che ha fatto - continuò lui, poi si piegò appena per guardare il ragazzino negli occhi. - Non c'è ritorno, Minoru, dalla strada che avete scelto. Ormai non potete sottrarvi al potere che vi ho dato - concluse, toccandogli il petto col dito indice della mano sinistra.
Kirishima trattenne il respiro, conscio che il proprio benefattore aveva ragione.
- Allora diventerò un assassino anche io - dichiarò, appena riuscì a ricomporsi. - Ma ucciderò solo quell'alieno. -
L'uomo sorrise, ambiguo. Minoru ritenne opportuno tornare in camera dalla sorella, vagamente inquieto dall'aria che si respirava in quella sala. Odiò il buio che vi regnava più di quanto avesse fatto durante i due anni passati lì. Fece qualche passo indietro, si inchinò leggermente e, senza dire nulla, lasciò la stanza.
Rimasto solo, l'altro rise. - Con quanta leggerezza dite certe cose. Siete solo dei bambini, dopotutto... - commentò, divertito.

Atsuishi trovava quella breve attesa insopportabile. Netsuha ci mise infatti vari secondi prima di riuscire a stabilizzare il proprio respiro. Più che per la corsa in sé, era l'ansia e la paura ad averlo sfiancato in quel modo.
Heat si alzò e iniziò a fissare, impaziente, l'amico. L'ex-attaccante della Prominence fece infine un lungo respiro, poi finalmente aprì bocca.
- Hanno finito. Hanno detto che ci sono buone probabilità di ripresa - annunciò, ancora un po' affannato.
Shigeto rimase immobile, in silenzio. Quando, infine, il cervello riuscì ad assimilare e comprendere quelle parole iniziò a piangere in silenzio, sollevato. Natsuhiko sorrise e gli si avvicinò.
- Ce la farà. I medici hanno avvertito che potrebbe avere crisi, ma sono certo che si riprenderà. Stiamo parlando di Haruya, dopotutto - disse, sincero. Ne era assolutamente convinto e questo anche Atsuishi lo sapeva.
Il ragazzino dai capelli bianchi annuì, senza però trovare la forza di dire nulla. Si lasciò sfuggire dei leggeri singhiozzi. L'amico gli posò una mano sulla spalla. - È ancora un po' presto per le visite quindi torna in camera tua. A quest'ora saranno stati tutti avvertiti. -
- S-sì... - bisbigliò l'ex-centrocampista della Prominence, cercando inutilmente di fermare le lacrime.
Ciononostante Atsuishi insistette poi per vedere gli altri, invece di tornare in camera sua, così Natsuhiko lo accompagnò nella sala d'attesa dove, come notarono, Hitomiko e Suzuno stavano discutendo col medico.
Haruya non poteva ancora ricevere visite ma, data la gravità della situazione, almeno Hitomiko poteva rimanere lì. Fuusuke, però, era deciso a sua volta a passare la notte all'ospedale a vegliare sull'amico-rivale e nessuno riusciva a fargli cambiare idea.
Shigeto sorrise appena. Un po' gli faceva piacere vedere colui che fu l'indifferente alieno Gazel così agitato. Forse avrebbe fatto piacere persino a Nagumo stesso.
Tutti gli altri orfani del Sun Garden rimasero in silenzio, per nulla infastiditi dalla pretesa di Suzuno. Era lui, più di tutti, ad aver diritto a rimanere lì.
Hitomiko sospirò. - Va bene se rimaniamo solo io e lui? Non credo faccia differenza far rimanere una o due persone. -
- Con Suzuno non cambierebbe sicuramente molto, silenzioso com'è - commentò sottovoce, ma con un volume udibile a tutti, Nozomi. Nessuno le disse nulla e anche l'ex-capitano della Diamond Dust non la degnò di attenzione, continuando a fissare il dottore con aria di sfida. - Io resto con Haruya! -
Il medico lanciò un'occhiata a Hitomiko. Di solito era un adulto a rimanere con il paziente ma sapeva che quella era una situazione particolare. Sospirò. - Solo voi due. -
La donna gli sorrise riconoscente e si voltò verso Fuusuke che, naturalmente, non aveva la forza di mostrare la propria felicità: teneva lo sguardo fisso sulla porta, impaziente di aprirla. Attese però che gli altri si avviassero verso casa prima di precipitarsi dentro la stanza. Poi, nonostante tutto, si bloccò appena oltrepassata la porta. Aveva pensato che sarebbe stato rassicurante vedere Haruya. Si era illuso di poter ritrovare la serenità nel vederlo respirare tranquillo, ormai fuori pericolo. Ma non fu così: mentre osservava il volto pallido dell'amico, in qualche modo nascosto dal respiratore, e il corpo coperto di bende, Suzuno provò un misto tra sollievo e angoscia talmente intenso da fargli finalmente sfogare quelle lacrime che era riuscito a trattenere fino a quel momento. Vedere Haruya così insolitamente debole lo sconvolse più di quanto avesse potuto immaginare.
Hitomiko, entrata pochi istanti dopo, gli cinse subito le spalle con le braccia. - Andrà tutto bene - sussurrò. L'ex-capitano della Diamond Dust annuì, coprendosi gli occhi col braccio sinistro. "Lo so", avrebbe voluto dirle. Ma la paura, non ancora del tutto scomparsa, e il turbamento, che per qualche strano motivo l'aveva assalito in quel momento, l'avevano privato persino della forza di parlare.

Nagumo non si svegliò quel giorno, e nemmeno quello successivo. Era stabile, e ormai fuori pericolo; ma, come ripetevano i medici, era normale che avesse bisogno di molto riposo. Per questo si mostravano abbastanza preoccupati, vedendo quante visite riceveva. A turno, e in diversi momenti della giornata, i ragazzi del Sun Garden visitavano il ragazzo. Inoltre c'erano quelli già ricoverati lì: alcuni rimanevano a vegliare sul fratello per gran parte della giornata.
In quel momento, due giorni dopo l'intervento, nella camera c'erano Suzuno, che non aveva mai lasciato l'ospedale e Atsuishi. Hitomiko era andata a casa a riposare e a controllare gli altri suoi fratelli minori.
I due ragazzini dai capelli bianchi non parlarono per tutto il tempo. Shigeto si sentiva un po' a disagio: con Suzuno non andava particolarmente d'accordo o, per meglio dire, non si erano mai presi in considerazione. Ma quella era la prima volta che rimanevano soli tanto a lungo. L'ex-centrocampista della Prominence sedeva su una sedia, a destra del proprio ex-capitano ma, passata in parte l'ansia per le condizioni di salute dell'amico d'infanzia, ora osservava quasi con interesse Suzuno.
Fuusuke, seduto dalla parte opposta rispetto a Atsuishi, era tornato a mostrarsi serio o composto come al suo solito. I suoi occhi erano sempre un po' velati di preoccupazione, ma nel complesso sembrava abbastanza tranquillo. Non parlava praticamente con nessuno e il suo indecifrabile sguardo rimaneva fisso su Haruya. Atsuishi aveva quasi l'impressione che lo stesse tenendo d'occhio, come per captare il minimo movimento del ragazzo. Ogni tanto Fuusuke abbassava la testa, perso in riflessioni sicuramente non piacevoli. Ma dopo pochi istanti tornava a guardare il volto dell'amico-rivale.
Shigeto sospirò e si alzò, incapace di sopportare ulteriormente quell' aria pesante. - Vuoi qualcosa da bere? - chiese all'altro.
- No - rispose lui, senza voltarsi a guardarlo. Colui che un tempo si faceva chiamare Heat gli rivolse un'occhiata preoccupata. Suzuno mangiava e beveva poco, anche perché non era mai tornato a casa nemmeno una volta. Hitomiko quel giorno aveva insistito, col suo famoso tono fermo e severo, per farlo andare a casa con lei ma l'ex-capitano della Diamond Dust si era rivelato più testardo del previsto. "Finché Haruya non si sveglia le cose non cambieranno, temo" pensò Atsuishi, esitando ad uscire dalla stanza. "Ma Suzuno rischia di ammalarsi, se continua così. E non sappiamo nemmeno quando quei due gemelli attaccheranno di nuovo."
Shigeto si avviò verso la porta. - Prendo comunque qualcosa anche per te - lo informò. - Haruya non sarà contento, quando saprà che non ti curi di te stesso. Io ho fiducia in lui: so che si sveglierà, quindi sono tranquillo. Vorrei lo fossi anche tu - disse, guardandolo con la coda dell'occhio. Infine uscì.
Fuusuke si accigliò appena. - Non sarà mai arrabbiato con me quanto io lo sono con lui - mormorò. Ancora non aveva dimenticato che doveva finirci lui, sul letto dell'ospedale, non Haruya.
Quel pensiero lo fece rabbrividire di rabbia e strinse i pugni. Ora era lui a voler vendetta. - Non me ne frega nulla se per colpa nostra è morto il loro fratello. Non li perdonerò mai - sibilò, abbassando lo sguardo.
- Fuu...suke... -
A Suzuno servirono un paio di secondi, prima di rendersi conto di essere stato chiamato. Alzò la testa di scatto e i suoi occhi incontrarono quelli dorati di Nagumo. Non erano decisi e arroganti come al solito ma stanchi e circondati da occhiaie. Però erano aperti, finalmente. Si era svegliato.
- Haruya! - esclamò alzandosi dalla sedia, senza riuscire a trattenersi. Temette persino di scoppiare a piangere. Ma l'amico-rivale gli afferrò la manica della maglia, gemendo poi dal dolore per il movimento. Certo, gli avevano dato degli antidolorifici, ma gesti così improvvisi non potevano che fare male.
- Idiota, non muoverti! Vado a chiamare un dottore - lo riprese l'ex-capitano della Diamond Dust chiedendosi, successivamente, come diavolo facesse il fratello adottivo a poter anche solo muovere gli arti, malconci com'erano.
Nagumo lo guardò dolorante, ma strinse i denti. - Chiama nostra sorella - bisbigliò a fatica, la voce ovattata a causa del respiratore. - Io ho visto... quel bastardo... quel bastardo di Kenzaki Ryuuichi! C'è lui dietro tutto questo! -







Note finali: non sapete come sono felice di poter aggiornare 'Revenge' XD
Era infatti da un bel po' che il capitolo 13, dove sono arrivata con la stesura, attendeva di essere concluso. Lo ammetto: da quando ho iniziato a scrivere 'Il figlio dei demoni' (di cui presto risponderò alle nuove recensioni, scusate se non lo faccio ora) non ero andata molto avanti con questa.
Ma ultimamente ho un piccolo blocco con la AU, anche se so cosa far accadere. Quindi ho provato ad andare avanti qui, e ho fatto bene.
Ecco, quindi, l'ottavo capitolo!
Ora ditemi: quanti di voi avevano capito chi era il nemico? Temo tutti XD Non penso di essere stata molto originale, con la scelta dell'antagonista. Beh, non era mia intenzione esserlo, non fraintendetemi. Pochi altri avrebbero avuto modo di organizzare tutto questo: praticamente o lui o Garshield. Ciononostante ho comunque voluto nascondere per un po' la sua identità perché... perché la storia l'ho 'immaginata così'. Tutto qui.
E Haruya è, per ora, vivo. Malconcio, ma vivo. Non che non volessi ucciderlo, ma mi serve ancora u_u
Per il momento è tutto, a presto!

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Quando Hitomiko arrivò, insieme ad alcuni orfani del Sun Garden, Shigeto e Suzuno erano fuori dalla camera, quest'ultimo appoggiato al muro con sguardo basso e braccia incrociate sul petto.
Dato che Nagumo si era svegliato i medici avevano voluto controllarlo, quindi li avevano fatti uscire. Vedendo però in entrambi i ragazzini dai capelli bianchi un'espressione funerea, la donna temette che fosse successo qualcosa e li raggiunse.
- È tutto a posto? - chiese Hiroto.
Atsuishi alzò lo sguardo verso il fratello adottivo, aveva gli occhi ancora lucidi. Era palese che avesse pianto, sperarono tutti per la felicità. L'ex-centrocampista della Prominence annuì. - Sì, lo stanno visitando per sicurezza - rispose con un filo di voce.
- Dovresti andare a riposare - gli disse allora Hitomiko, vedendolo un po' agitato. Ma l'altro sorrise, scosse la testa. - Sono talmente felice che si sia svegliato che non ho trattenuto le lacrime - spiegò.
- Allora perché quelle espressioni? - chiese ancora Hiroto, notando come Fuusuke sembrasse addirittura arrabbiato. E, come se gli avesse letto nel pensiero, l'ex-capitano della Diamond Dust alzò finalmente lo sguardo. - Ha detto di aver visto Kenzaki Ryuuichi - rivelò.
La sorella maggiore sussultò, sconvolta. - Come hai detto? -
La sua reazione stupì un po' tutti, e Suzuno la fissò qualche istante, prima di risponderle. - Haruya ha detto di essere stato portato in una stanza che ricordava quelle della Aliea Academy e di aver parlato con Kenzaki. -
Hitomiko meditò su quelle parole, mentre gli altri la guardavano. Scosse la testa e sospirò ma, quando le chiesero a cosa stesse pensando, lei non rispose.
Appena i medici uscirono dalla stanza, la donna ci si precipitò. Suzuno e Hiroto si lanciarono un'occhiata sconcertata prima di seguirla.
- Nagumo! - esclamò Hitomiko.
Il ragazzo, a cui era stato tolto il respiratore, guardò i suoi fratelli. Sembrava tranquillo e rimase in silenzio.
- È vero quello che hai detto a Suzuno? Hai davvero visto Kenzaki Ryuuichi? -
L'espressione di Haruya si fece improvvisamente grave e annuì. Avrebbe voluto parlare, ma quando l'aveva fatto con Fuusuke aveva scoperto che gli costava troppa fatica. Trovava quella situazione insopportabile e la cosa peggiore era che doveva comunque mostrarsi calmo, consapevole che un suo turbamento avrebbe generato reazioni sbagliate. Sopratutto da parte di Suzuno.
- Sorella... - mormorò invece Hiroto, trovando strano il comportamento della donna.
Hitomiko tenne fisso lo sguardo su Nagumo. - Non è possibile - rivelò.
L'ex-capitano della Prominence aprì bocca per ribattere, poi decise di non sprecare energie.
Gli altri pensarono che la sorella si riferisse al fatto che fosse in prigione e, in effetti, nessuno aveva mai sentito dire che fosse evaso.
Ma lei annunciò una versione dei fatti ancora più scioccante: - Quell'uomo è morto più di un anno fa! -
A quel punto Haruya non poté più stare zitto. - Come sarebbe a dire? - esclamò, a fatica. - L'ho visto, era lì! Era vivo! -
L'espressione di dolore e fatica del ragazzo indusse Fuusuke a tornare al suo fianco e cercare di tenerlo fermo. - Lo vuoi capire che devi stare tranquillo? - sbottò.
Nozomi, intimamente nel panico ma apparentemente tranquilla, sorrise. - Non è che stavi delirando per le torture? - chiese.
Haruya distolse lo sguardo, stizzito e intenzionato a non mostrarsi turbato al ricordo, benché esserlo fosse una cosa comprensibile; Suzuno guardò male la ragazza. - Chiudi il becco, Kinki! - la sgridò.
Nagumo fissò l'amico-rivale. - Era lì, vi dico! - ribadì. Lo sguardo del ragazzo dagli occhi dorati stava quasi pregando Suzuno di credergli. Fuusuke annuì con un cenno con la testa e l'altro sembrò calmarsi. Poi guardò Hitomiko.
La donna era immersa nelle proprie riflessioni. Certo, se la mente di tutto fosse Kenzaki la cosa avrebbe acquistato un senso. Ma come spiegare la morte di quell'uomo? A meno che la stessa morte fosse solo una messinscena...
Si voltò e si diresse verso la porta. - Avverto Onigawara - annunciò.
- Hitomiko! - la chiamò però Haruya, sporgendosi appena in avanti, ricevendo un'occhiataccia da Suzuno, che in quel momento stava insultando mentalmente l'altro per la sua incapacità di non agitarsi.
La donna si voltò appena verso di loro. Nagumo dovette riprendere però fiato qualche istante prima di poter continuare. - Quei due gemelli vogliono Midorikawa. Mi hanno fatto questo perché volevano sapere chi fosse stato a distruggere le scuole. Quel bastardo di Kenzaki ci conosce, sa la vera identità di Reize, ma evidentemente non ha detto nulla a quei due! - avvertì.
Immediatamente dopo si sentirono dei rumori all'esterno della stanza. Quando Hitomiko aprì la porta riuscirono solo a scorgere Miura prima che questi corresse via. E tutti capirono cos'era appena successo.
- Cazzo! - imprecò Nagumo, chiudendo le mani a pugno e sbattendole sul materasso. Ormai nemmeno il dolore fisico poteva impedirgli di sfogare in qualche modo la sua rabbia. Aveva detto quella cosa proprio perché Ryuuji non era presente, perché sapeva che ci avrebbe sofferto. Non pensava di riceve altre visite, in quel momento. E, a sua insaputa, nemmeno gli altri se l'aspettavano. Midorikawa non aveva mai avuto il coraggio di andare a far visita ad Haruya, si sentiva responsabile per ciò che gli era successo. E aveva scelto il momento sbagliato per incontrarlo.
Hiroto uscì dalla stanza e si mise a correre sua volta, senza dire nulla. L'ex-capitano della Gemini Storm si sentiva già abbastanza in colpa prima, era l'ultima persona che avrebbe dovuto venire a conoscenza quel particolare.
Hitomiko si accigliò. - Quell'uomo... cosa diavolo ha intenzione di fare? - mormorò.
- Ha detto che vuole vendetta - si ricordò Haruya.
- Anche se l'obbiettivo dei Kirishima è solo Midorikawa, e se quello che dice Nagumo è vero, allora il vero scopo di Kenzaki è quello usare il risentimento di quei ragazzi per fare del male a tutti noi - ipotizzò Saginuma.
Hitomiko annuì. - Dobbiamo agire. Ormai non possiamo più aspettare - decise la donna. Poi tornò a guardare i due ex-capitani della Chaos. - Suzuno... -
- Rimango qui - disse il diretto interessato, intuendo le intenzioni della sorella maggiore.
- Noialtri andiamocene. Ne parleremo tutti insieme. Shigeto, anche tu. Probabilmente i Kirishima sanno anche di questo ospedale, non siete più al sicuro. Avverti tutti gli altri: vi riporto a casa. -
Atsuishi annuì e si incamminò.
- Ah! Adoro le riunioni di famiglia! - ironizzò Nozomi, uscendo dalla stanza.
In pochi secondi Nagumo e Suzuno si ritrovarono soli. L'ex-capitano della Diamond Dust sbuffò e si avvicinò alla finestra. La situazione non era cambiata: sapere chi ci fosse dietro non rendeva più semplice risolvere la questione. Sapeva solo che, se quei due avessero osato farsi vedere lì, li avrebbe uccisi in qualche modo.
- Fuusuke - lo chiamò Haruya, con una calma che l'altro non sopportava sull'amico-rivale.
Il ragazzo dai capelli bianchi si voltò verso di lui, scoprendo che l'altro stava fissando le coperte con un'espressione tremendamente seria.
Solo dopo qualche secondo lo fissò con la coda dell'occhio. - Quelli vogliono ucciderci - mormorò. Conosceva l'amico troppo bene per non sapere che ora ribolliva di rabbia e che, in quello stato, sarebbe stato più imprudente di lui.
- Lo so! - sbottò Suzuno. - Ma non li perdonerò! -
- Non eri tu quello che diceva che la vendetta non porta a nulla? - esclamò l'altro, benché non con la stessa forza nella voce che aveva di solito.
- Taci, anche tu sei incazzato! - ribatté colui che era famoso per essere freddo e impassibile e che, in quel momento, sembrava essere il più impulsivo, in quella stanza. Decisamente, quando Suzuno si arrabbiava, si mostrava fin troppo simile a Nagumo, se non peggio.
Improvvisamente Haruya parve calmarsi. Guardò l'amico.
- Questa conversazione l'abbiamo già fatta, vero? - chiese.
- Ci stiamo mettendo a dire quello che di solito dice l'altro - sbuffò esasperato Fuusuke, distogliendo lo sguardo. - Tutto questo è ridicolo. -
Anche il ragazzo dai capelli rossi si girò dall'altra parte, ma entrambi si voltarono nella stessa direzione quando la porta si aprì.
- Vi si sente fino al piano di sotto - commentò, con tono dolce e comprensivo, Clara entrando nella stanza.
- Kurakake - esclamò Haruya. Era la prima volta che la vedeva da quando era cominciato tutto.
La ragazzina dai capelli blu gli sorrise e si sedette sulla sedia. Aveva dei graffi sulla fronte e sulla guancia destra ma per il resto sembrava essere in salute. - Se avete la forza di bisticciare come al solito significa che state bene, nonostante tutto. Mi fa piacere. Ma, siccome siamo in un ospedale, dovreste almeno abbassare la voce - fece notare.
Nagumo si ritrovò a pensare che quella ragazza non si smentiva mai. L'ex-difensore della Diamond Dust era una ragazza strana, a suo parere. Era sempre circondata da una specie di aura di tranquillità, qualunque cosa accadesse. Ti sorrideva gentile e non perdeva mai la calma. A prima vista sembrava timida e insicura ma era l'esatto opposto: Clara era una ragazza decisa e schietta, in grado di dirti le peggior cose, a patto che le pensasse seriamente, con educazione e pacatezza tanto che era praticamente impossibile arrabbiarsi con lei.
L'ex-capitano della Prominence ricordava ancora quando, arrivata da poco all'orfanotrofio, gli aveva detto chiaro e tondo di non sopportarlo, elencandogli poi i motivi. Con chiunque altro se la sarebbe presa ma con lei, che era stata così garbata, si era limitato a fissarla e stare in silenzio.
Inoltre era stata celebre la sua dichiarazione d'amore, ai tempi della Aliea Academy, al proprio capitano. Teoricamente erano soli nello spogliatoio della Diamond Dust se non fosse stato per Ai che era fuori dalla porta e aveva sentito tutto, era corsa a informare il fratello senza accorgersi che nei paraggi c'erano i membri di altre squadre che sentirono tutto e da lì ne venne a conoscenza l'intera Aliea.
Sia Gazel che Clara non diedero importanza alla cosa: lui la respinse gentilmente e lei accettò l'evidenza senza farne troppi drammi, benché qualcuno l'avesse poi vista piangere.
Insomma, Haruya la trovava particolare. Sicuramente era, tra gli orfani del Sun Garden, una delle persone dal carattere più forte.
- Non dovresti tornare a casa? - le chiese Suzuno.
La ragazzina annuì. - Ero passata a salutarvi, non ero ancora venuta a trovare Nagumo-kun - spiegò.
- Vabbhé, capirai - si lasciò sfuggire Haruya.
Clara ridacchiò. - Non dire così. Shigeto-kun, poco fa, ci ha spiegato cosa ti sei fatto fare per proteggere Midorikawa-kun. Lo trovo ammirevole - confessò con voce calma, chiudendo gli occhi. - Ho sentito il bisogno di dirtelo. -
Suzuno fissò stupito il volto imbarazzato dell'amico-rivale. Mai l'aveva visto con quell'espressione; ma, trattandosi di Clara, non era poi così strano che riuscisse a fare quell'effetto persino a uno come Nagumo.
- Però sono preoccupata, perché finché rimanete qui e finché tu non puoi muoverti, sarete a rischio -
- Eh. Portati via questo scemo! - sbottò allora l'ex-capitano della Prominence, facendo un cenno con la testa verso Fuusuke.
- Scordatelo! - rispose immediatamente il diretto interessato, risentito.
Clara ridacchiò. - Nessuno riuscirà a fargli cambiare idea. È troppo preoccupato per te. -
- Kurakake! - la riprese l'ex-capitano della Diamond Dust.
La ragazza si limitò a sorridere, quasi intenerita. Si chiedeva perché Suzuno non ammetteva semplicemente il proprio affetto per Nagumo. A che scopo essere così orgogliosi, dal momento che aveva rischiato di non vederlo più e di perdere la possibilità di confessarglielo?
Infine si alzò. - Credo abbiano finito di avvertire tutti, quindi vado. Fate attenzione. -
- Anche voi - si raccomandò Fuusuke.
Quando furono di nuovo soli, Haruya iniziò a fissare Suzuno. Quest'ultimo si sentì in imbarazzo e tornò a guardare fuori dalla finestra. - Cosa vuoi? - sbottò.
- Sei preoccupato per me, eh? - disse il ragazzo dai capelli rossi, ghignando.
- Stai zitto o sarò io a ucciderti! - esclamò l'altro.
Nagumo sorrise, ben consapevole che l’amico-rivale non avrebbe mai fatto un cosa del genere. In ogni caso, intimamente lo tranquillizzava sapere che sarebbe rimasto lì con lui, nonostante il pericolo che correvano.
- Hai intenzione di startene vicino alla finestra tutto il tempo? - domandò, con quella arroganza che lo contraddistingueva.
Il ragazzo con gli occhi azzurri si concesse di fare un profondo respiro, forse per impedirsi di agire come al solito e nascondersi dietro la solita risposta sarcastica.
- Io faccio quello che voglio! - rispose, ostinandosi a tenere lo sguardo al cielo.
Dopo qualche minuto, però, si avvicinò senza dire nulla e si sedette sul bordo del letto, stringendogli la mano. Sentì Nagumo rilassarsi.
- Se attaccano fuggi - mormorò poi Haruya, chiudendo gli occhi. Sapeva già cosa avrebbe risposta l'altro.
- Te lo puoi anche scordare, idiota - ribatté Suzuno, con assoluta calma.








Note finali: era quasi un mese che non aggiornavo e, benché io non sia andata molto avanti con la stesura di questa fiction, ho deciso di pubblicare un nuovo capitolo. In fondo mi porto avanti proprio per questo motivo, così anche se mi blocco posso comunque pubblicare qualcosa.
Appena finisco 'Il figlio dei demoni' (ho quasi finito, sto ultimando il capitolo 11 e credo ne manchino pochi altri) torno a concentrarmi su questa.
Capitolo dedicato ancora a Nagumo e Suzuno, ma è l'ultimo. È ora di concentrarsi su altro! :)
Ho quasi voglia di fare i capitoli più lunghi...

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Si sentì urlare dietro, per l'ennesima volta, di non correre in un ospedale; ma Hiroto ignorò nuovamente quelle parole
Quando riuscì a scendere tutte le scale per dirigersi all'esterno, il ragazzo scorse Miura all'ingresso. Ansimava appena, ma non dava l’impressione di essere stanco. Tuttavia non sembrava voler andarsene da lì, così Hiroto si avvicinò.
- Dov'è? - gli chiese, attirando l'attenzione dell'ex-attaccante della Gemini Storm.
Hiromu uscì e guardò in direzione del parco vicino all'ospedale. Kiyama comprese.
- Perché non l'hai seguito? - domandò allora. La cosa lo stupiva, perché pensava volesse stare vicino a Midorikawa. E, sopratutto, Ryuuji non doveva esser lasciato solo, in quel momento.
Ma Miura scosse la testa, lo sguardo si fece improvvisamente triste. - Vai tu - mormorò.
Hiroto fissò il fratello adottivo per qualche istante, ma decise di non aggiungere nulla. Parlare con quel ragazzo, solitamente, era impossibile e in quel momento non aveva tempo da perdere.
Così si avviò verso il parco.
Hiromu fissò l'ex-capitano della Genesis allontanarsi, senza mutare espressione.
Naturalmente anche lui voleva andare da Ryuuji. Era per quello che l’aveva inseguirlo, quando l’amico era scappato dopo aver sentito le parole di Nagumo. Poi aveva capito che, probabilmente, non sarebbe servito a nulla.
Lui era rimasto accanto a Midorikawa per tutti quei giorni e ogni tanto provava a parlargli, senza ottenere grandi risultati. A quel punto sapeva che non avrebbe potuto fare nulla, per lui.
Ormai non era più questione di cosa dire, ma di chi avrebbe pronunciato quelle parole.
E c'era una sola persona in grado di calmare Ryuuji, qualsiasi cosa avesse detto.
Per questo si era fermato e aveva atteso che Hiroto lo raggiungesse, consapevole che il ragazzo con i capelli rossi avrebbe immediatamente cercato di parlare a Ryuuji. Quel ragazzo aveva una strana capacità di persuasione e un carattere talmente gentile e dolce che chiunque di loro si tranquillizzava, parlandoci. E ciò valeva sopratutto per Midorikawa, che era affezionato a Kiyama ma che, sopratutto, l’aveva ammirato sin dall'infanzia proprio per quelle sue caratteristiche.
A sua volta, invece, Miura ammirava Ryuuji. Quindi comprendeva bene di chi avesse bisogno, in quel momento, l'ex-capitano.

Hiroto si guardò attorno, sperando di scorgere l'amico tra i passanti. Ma, riflettendoci, era impensabile che Midorikawa volesse stare tra la gente. Nel volgere lo sguardo verso gli alberi ipotizzò che, magari, si fosse nascosto lì, quindi si diresse in quella direzione.
Gli alberi del parco erano riuniti in pochi e specifici punti; in ogni caso raramente le famiglie o le coppiette vi andavano, per paura di trovarci insetti fastidiosi o bisce.
Kiyama tirò un sospiro di sollievo nel vedere effettivamente Ryuuji rannicchiato ai piedi di un albero, con la fronte appoggiata sulle ginocchia. Si chiese se stesse piangendo.
Era raro vedere Midorikawa piangere. Come molti avevano notato anche in quei giorni, infatti, il ragazzo dai capelli verdi preferiva tenersi tutto dentro invece di sfogarsi. Doveva proprio essere al limite quando lo faceva.
L'ex-capitano della Genesis si accigliò appena, a quel pensiero. A Midorikawa non faceva affatto bene, quell'atteggiamento. Avrebbe dovuto parlare con qualcuno, con chiunque! La situazione era delicata e pericolosa, non poteva reggere a lungo.
E, sicuramente, in quel momento stava malissimo per quello che era successo a Nagumo. Quel 'limite' doveva già averlo oltrepassato...
Avanzò lentamente verso il fratello adottivo. Lo vide sussultare appena, segno che l'aveva sentito arrivare. Ma, chissà, forse pensava fosse Miura.
- Midorikawa... - lo chiamò, piano. Ryuuji non dette segno di essere sorpreso, nel sentire la voce del migliore amico.
Hiroto si sedette di fianco a lui, piegandosi appena nel tentativo di sbirciare il volto dell'altro.
- Stai bene? -
Era una domanda retorica, fatta solo per iniziare il discorso, ed entrambi ne erano consapevoli.
Midorikawa alzò appena la testa, Hiroto vide che aveva gli occhi perfettamente asciutti, benché tristi.
Il ragazzo più giovane scosse la testa. - No, per niente - sussurrò, debolmente.
"E allora cosa diavolo aspetti a sfogarti?" pensò il ragazzo dai capelli rossi, guardandolo con preoccupazione.
- Non pensare sia colpa tua - gli disse.
- Ma lo è! - esclamò Ryuuji, quasi con rabbia, voltandosi a guardarlo. - Sono stato io a uccidere quel ragazzo! - continuò, senza preoccuparsi della gente a pochi metri da loro.
- Non potevi sapere che fosse rimasto in quella scuola, non avevi queste intenzioni - insistette Kiyama. Sapeva che non avrebbe convinto l'amico, ma cos'altro poteva dirgli?
- Non cambia i fatti! - urlò Midorikawa, mettendosi in ginocchio e girando il busto verso l'amico. - Non è giusto che Nagumo abbia dovuto soffrire quando il loro obbiettivo sono io, prima di tutto. Che lo volessi o meno quel ragazzo è morto, è morto per qualcosa che ho fatto io. Quindi è solo mia, la colpa. -
A quel punto lo sguardo di Hiroto si fece addolorato e abbracciò il fratello adottivo. - No, non è vero - sussurrò. Ryuuji percepì l'improvvisa tristezza nella voce dell'amico. - Non è solo colpa tua. Siamo tutti responsabili di quello che è successo, abbiamo sbagliato tutti quanti. -
L'ex-capitano della Gemini Storm comprese bene il significato di quelle parole. Chiuse gli occhi, per impedirsi di piangere, e afferrò con le mani la maglia dell'altro.
- Siamo stati così stupidi... anche se lo stavamo facendo per nostro padre... - continuò Kiyama.
- No, io non lo facevo per lui - confessò il ragazzo dai capelli verdi, abbassando la testa.
Hiroto rimase in silenzio, limitandosi a stringere a sé l'altro ragazzo quando iniziò a sentirlo tremare.
- Fingersi un alieno... sembrava quasi un gioco. Forse inizialmente lo era anche. Poi nostro padre mi ha ordinato di distruggere quelle scuole e... ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. -
- Lo so - sussurrò. La parola del padre era legge, per loro.
- Però io... l'ho fatto anche per me stesso. Io... - singhiozzò. Sembrava non riuscire a pronunciare quelle parole.
- Era così per tutti, Midorikawa - cercò di tranquillizzarlo Kiyama.
Ma Ryuuji scosse la testa, la fronte sfregò contro la stoffa della maglia di Hiroto. - Io non sono come te o Reina... - affermò.
- Abbiamo avuto tutti paura che ci abbandonasse - disse chiaro e tondo, seppur col solito tono dolce, Kiyama.
Il più giovane dei due alzò la testa di scatto, stupito. Il ragazzo dai capelli rossi gli carezzò una guancia, sorridendo triste.
- Nessuno di noi pensava di fare una cosa giusta. Ma abbiamo ubbidito a nostro padre non solo per farlo felice, ma anche per continuare a esserlo noi stessi, per continuare a essere suoi figli. -
In quel momento Hiroto si trovò a pensare che, alla fine, la maggior parte di loro era effettivamente stata abbandonata dal padre. Escludendo la Genesis, le altre quattro squadre furono esiliate, su ordine di un deluso Kira Seijirou. Non era quindi da escludere che, se si fossero rifiutati di partecipare a quel progetto, il padre li avrebbe cacciati sin dall’inizio senza alcuna esitazione.
Le loro paure si erano, quindi, poi avverate; e, benché provasse ancora un grande affetto per l'uomo, non poteva che ammettere che fosse stato il padre a sbagliare.
Kiyama strinse nuovamente a sé l'amico, poggiando il mento sulla sua spalla. - Non è solo colpa tua - gli ripeté.
Ryuuji ricambiò l'abbraccio solo in quel momento, e scoppiò a piangere.
Sentire quelle parole, avere la conferma che tutti, come lui, avevano avuto quel timore, lo riportò per un attimo al giorno in cui, sconfitto dalla Raimon, affrontò il padre e venne cacciato dalla Aliea. Ricordava bene quelle sensazioni: non voleva deludere quella persona, non voleva essere considerato debole e inutile e, sopratutto, non voleva che Seijirou lo disprezzasse. Anche lui, come Hiroto o Reina, lo considerava un padre, e lo amava come tale. Gli doveva tutto, poiché con la morte dei genitori era rimasto solo al mondo. Ma quando quel meteorite fece la sua comparsa sulla Terra, l'uomo cambiò.
Sì, riflettendoci, sicuramente tutti loro si erano preoccupati per il padre. Erano tutti consapevoli che l'uomo li stesse usando. Non era strano, quindi, che avessero pensato la stessa cosa: che dovevano realizzare i suoi desideri per evitare che la situazione peggiorasse.
Col senno di poi, era stata una fortuna che qualcuno li avesse fermati. Ma il dolore provato il giorno in cui Reize guardò il padre negli occhi e ci vide solo una profonda delusione e biasimo, Midorikawa non l'aveva mai scordato.
Si era sentito rifiutato, e aveva pensato di non aver più un posto dove andare e dove poter essere accettato.
Tuttavia, qualunque motivo ci fosse stato dietro, quello che avevano fatto era sbagliato. Che Kira Seijirou fosse stato arrestato era giusto; ma che dire di loro? Che dire di lui?
- Quel ragazzo è morto... - tornò a dire Ryuuji, non riuscendo a darsi pace. - Se non è colpa mia, allora di chi è? L'ho distrutta io la scuola, senza nemmeno pensare a quanto dolore stessi causando! Mi sentivo così forte... mi sentivo superiore a tutti e... volevo dimostrarlo - esclamò il più piccolo dei due, tornando a guardare l'altro senza nascondere le lacrime. Poi, però, riabbassò la testa. - Non ho mai nemmeno immaginato... potesse succedere una cosa simile. Io ho ucciso qualcuno. -
Dovette interrompersi a causa dei singhiozzi.
Forse non sarebbe cambiato nulla, tuttavia l'ex-capitano della Genesis sperò che, sfogandosi, l'amico si sarebbe poi sentito un po' meglio. Hiroto chiuse gli occhi, aveva voglia di piangere anche lui ma si trattenne per non mettere in agitazione Midorikawa. Era una cosa giusta, che si sfogasse, ma non rendeva meno doloroso, per Hiroto, vedere un caro amico stare così male. Sentirlo dire di aver ucciso una persona...
"Eppure continuo a pensare che non ci meritiamo tutto questo, anche se due anni fa abbiamo fatto dei gravissimi errori" pensò, con amarezza. "Perché, alla fine, per noi non è stato meno doloroso. E la Aliea Academy non ce la scorderemo mai."
- Chissà se anche loro si sentivano così... - mormorò dopo un po' Ryuuji. - Vedendo le scuole distrutte e la gente ferita... chissà se chi assisteva si sentiva così oppressa… -
Hiroto non rispose. Probabilmente la risposta la sapevano entrambi.
Due anni prima qualcuno riuscì a fermarli. Chissà cosa potevano fare loro, per evitare che quei due gemelli uccidessero davvero qualcuno.
Il ragazzo dal capelli rossi rimase vicino al fratello adottivo finché questi non si fu, almeno in parte, calmato.
Subito dopo sentirono entrambi un forte rumore. Istintivamente si alzarono e osservarono in direzione dell'ospedale. In lontananza, qualcuno urlava.
- N-non dirmi che... - iniziò Midorikawa.
-...sono già tornati - concluse Kiyama, rabbuiandosi.

Quando tornarono indietro scoprirono che i loro dubbi erano fondati.
Hitomiko e i loro fratelli erano immobili di fronte all'edificio, mentre altre persone, estranee alla faccenda, guardavano con sorpresa il ragazzo vestito di nero immobile sulla lastra di luce che lo teneva a mezz'aria.
Minoru, questa volta da solo, fissava con decisione gli orfani, tenendo la solita palla nera sottobraccio.
Hiroto e Midorikawa raggiunsero gli altri, accostandosi a Hiromu. Il ragazzino diede un'occhiata all'ex-capitano.
Ryuuji aveva gli occhi ancora pieni di lacrime e Hiroto gli stringeva forte la mano, come per cercare di calmarlo. Miura trovò un po' di conforto all'idea che, comunque, il ragazzo dai capelli verdi era riuscito in qualche modo a sfogarsi; così tornò a fissare Kirishima.
- Che cavolo succede? - esclamò un ragazzo, immobile sul marciapiede.
Il ragazzo dai capelli scuri si voltò appena verso di lui e lo fulminò con lo sguardo.
Questi si irritò. - Beh, che guardi moccioso? -
Hitomiko fece qualche passo in avanti, cercando un modo per non coinvolgere chi non sapeva nulla.
Fortunatamente Minoru decise di ignorare lo sconosciuto e tornò a guardare l'ospedale.
Riuscì a scorgere Suzuno alla finestra prima che quest'ultimo si allontanasse. Assottigliò gli occhi.

- Maledizione - borbottò Fuusuke, avvicinandosi al letto su cui Haruya era steso.
- Sono qui? - chiese stancamente l'ex-capitano della Prominence.
- Solo lui. Ma non è detto che la sorella non sia nei paraggi - rispose il ragazzo con i capelli bianchi, pensando all'eventualità che Kyoka fosse addirittura dentro l'ospedale.
- Vattene - intimò Nagumo.
- Te l'ho già detto, io non mi muovo da qui! - si oppose con veemenza Suzuno.
- Se sono qui sanno che sono vivo, se rimani uccideranno anche te! - ribatté il ragazzo con gli occhi dorati, gemendo poi da dolore. Si piegò appena in avanti ed ebbe l'impressione che la ferita all'addome si fosse riaperta.
Fuusuke gli si avvicinò, chinandosi verso di lui. - Sei un idiota! Come posso lasciarti solo? -
- Vattene e basta! - gemette l'altro, stringendo i denti e chiudendo gli occhi per resistere al dolore.
- Non dirmi cosa devo fare. E rimani fermo - mormorò stranamente calmo l'ex-capitano della Diamond Dust, afferrando delicatamente Haruya per le spalle e facendolo stendere ancora, piegandosi ulteriormente verso di lui.
Quel movimenti gli salvò la vita: la palla nera infranse infatti il vetro della finestra, sfiorò l'albino di striscio e distrusse parte della parete opposta, che dava al corridoio.
Con una lentezza dovuta allo shock, Suzuno si voltò.
Minoru era sollevato dalla lastra, all'altezza della camera dell'ospedale. I suoi occhi fissavano con indifferenza i due ex-capitani della Chaos e, con molta calma, avanzò verso di loro. Pazienti, medici e visitatori, dentro e fuori l'edificio, gridavano e fuggivano, ma nessuno dei tre ci diede importanza.
Fuusuke si voltò girò completamente di lui, allargando appena le braccia come per proteggere Haruya.
- Cazzo, vattene via Fuusuke! - esclamò nuovamente Nagumo, ignorando ancora le fitte che provenivano da tutto il corpo.
Ma l'altro non rispose, guardava Kirishima con disprezzo. Quest'ultimo ghignò, la palla tornò automaticamente tra le sue mani.
- Siete molto resistenti, voi alieni. Ma, devo ammetterlo, sono grato che tu sia sopravvissuto: così posso essere io a ucciderti - mormorò, atono, il ragazzino dai capelli scuri.
Suzuno ringhiò. Sapeva benissimo che non avrebbe potuto fare nulla, ma non era intenzionato a scappare e lasciare solo l'amico-rivale.
Minoru fece girare la palla nelle proprie mani, senza togliere gli occhi da loro. Erano terrorizzati e si vedeva. Provavano emozioni umani, perché in realtà lo erano.
Però doveva ucciderli. Doveva essere lui a farlo e a pagarne le conseguenze dopo.
L'ex-capitano della Prominence si agitò, nel vedere in che modo quel pazzo li stava scrutando - Vai via, lo capisci che ucciderà anche te o no? - gridò, guardando il fratello adottivo
Fuusuke si girò verso di lui, in fondo era inutile fissare il nemico: non sarebbe cambiato nulla. - Vuol dire che moriremo insieme, allora! - esclamò, irritato.
Non nascose le lacrime ai bordi degli occhi e il ragazzo dai capelli rossi sussultò appena, nel vederlo con quell'espressione sofferente.
Improvvisamente, l'albino si piegò per abbracciarlo. - Non voglio più sentire lamentele, cretino! - sbottò contro la stoffa della camicia.
Haruya roteò gli occhi. Comprendeva i sentimenti di Fuusuke ma, allo stesso tempo, non poteva accettare l'idea che l'amico-rivale venisse ucciso per essere rimasto al suo fianco.
Avrebbe voluto ricambiare la stretta, ma le ferite alle braccia erano troppo gravi per permettergli di muoversi.
Imprecò mentalmente. Se dovevano morire assieme avrebbe voluto almeno stringerlo a sé...
Quando la palla nera iniziò a brillare, ruotando su se stessa a mezz'aria, Nagumo chiuse gli occhi.
Forse, questa volta, era davvero la fine.
- Fermati! - gridò qualcuno.
Minoru era già in posizione di calciare, quando sentì quella voce e si bloccò.
Haruya e Fuusuke videro Midorikawa scavalcare le macerie del muro e correre di fronte a loro.
- Che cavolo...? - mormorò Nagumo, che si era quasi dimenticato degli altri.
Subito dopo altri loro fratelli si avvicinarono.
Kirishima fissò con curiosità il ragazzo dai capelli verdi: Ryuuji lo guardava serio senza, apparentemente, essere spaventato. Anche se ansimava dal nervosismo e dalla paura.
Fuusuke sciolse l'abbraccio, incapace però di reagire. Eppure, volendo, avrebbe potuto tirare indietro Midorikawa.
- Midorikawa, aspetta! - urlò Hitomiko, improvvisamente consapevole di quello che stava per accadere.
Ma l'ex capitano della Gemini Storm strinse i pugni, deglutì.
- Ero io - affermò, con la voce che tremava.
Hiromu smise per un attimo di respirare mentre lo sguardo spaventato era fisso sull'amico. - Ti prego, non lo fare - sussurrò, addolorato.
Hiroto e Reina avanzarono a loro volta, sperando di riuscire a fermare il fratello adottivo in tempo.
- Ryuuji, non fare sciocchezze! - gridò la ragazza dai capelli azzurri e bianchi.
Ma negli occhi dell'ex-capitano della Gemini Storm brillò un lampo di decisione.
- Ero io a distruggere le scuole - confessò. - Io sono Reize. -
Minoru lo guardò, stranamente sorpreso, lì per lì non seppe cosa fare.







Note finali: Oh ma... oh!
Secoli che non aggiornavo, tipo.
Sono veramente in crisi. Forse sono stata troppo a lungo 'lontana' da questa fiction, ma fatico davvero a continuarla, anche se tecnicamente so cosa scrivere. Magari è solo un periodo no, in ogni caso sono diventata davvero molto lenta.
Ma, siccome era tanto che non pubblicavo qui, ora che ho quasi finito il capitolo 14, posto il decimo. (dico 'quasi' perché la scena finale è descritta da schifo e dovrò sicuramente riscriverla, ma mi serviva avere una 'brutta copia' su cui lavorare, per poterla poi correggere e continuare)
Non so, forse ho sbagliato a concentrarmi, a un certo punto, solo sulla AU. Da quando ho iniziato ‘Il figlio dei demoni’ ho scritto solo il capitolo 13 di ‘Revenge’. Poi, quando ho concluso la AU, non sono riuscita a riprendere subito questa long.
Insomma, aspettatevi aggiornamenti lenti, ecco.
Ma parliamo di questo capitolo: finalmente Midorikawa fa la sua mossa, forse qualcuno se l'aspettava anche. Ma credo che Ryuuji, a questo punto, preferisca sacrificarsi, piuttosto che vedere qualche suo fratello soffrire. Per lui è un'ingiustizia che Nagumo sia stato ferito, inoltre si sente davvero molto in colpa e, in qualche modo, pensa di meritarsi un qualche tipo di punizione per aver ucciso Kirishima Hiroki.
Non credo ci sia altro da dire, mi impegnerò per riuscire a continuare questa fiction senza troppi intoppi.
See ya!

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Kenzaki ghignò quando, dal monitor che trasmetteva gli avvenimenti all'ospedale, sentì Midorikawa confessare di essere Reize.
Era esattamente ciò che si era aspettato: sapeva, infatti, che l'ex-capitano della Gemini Storm non avrebbe mai permesso che gli altri venissero feriti o uccisi a causa sua.
Ryuuichi fu nuovamente lieto del fatto che la lastra che trasportava i due gemelli Kishishima fosse dotata di telecamere interne.
Controllandole dai macchinari della 'sala riunioni', l'uomo inquadrò il ragazzo dai capelli verdi.
Rise. Era sicuramente terrorizzato, ma Midorikawa Ryuuji era notoriamente bravo a nascondere i propri sentimenti: ai tempi della Aliea Academy lo faceva costantemente, fingendo di essere una persona completamente diversa da quello che era.
La porta automatica si aprì. Kenzaki non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che Kyoka era entrata nella stanza e sapeva benissimo che avrebbe subito sentito la sua voce.
- Che cosa sta succedendo? - esclamò infatti la ragazzina, palesemente irritata.
Ryuuichi non le rispose e Kyoka si avvicinò al grande schermo.
- Minoru...? - mormorò appena si rese conto di ciò che stava vedendo.
- Quell'alieno non è morto e tuo fratello ha deciso di andare a risolvere da solo la questione - spiegò l'uomo.
La ragazzina, incredula, si voltò verso di lui. Ciocche di capelli ricci le ricaddero sulla spalla a causa del movimento improvviso.
- Come sarebbe a dire? Non può essere sopravvissuto! E perché mio fratello è andato da solo? -
Kenzaki la guardò, sorridendole. - Perché non voleva coinvolgerti, semplicemente - rispose, divertito.
La giovane sembrò quasi scandalizzata. - Non è possibile! Cosa gli è saltato in mente? - si lamentò, offesa. Tornò sui suoi passi, dirigendosi verso la porta. - Vado da lui! - annunciò.
Ma l'adulto la fermò, raggiungendola e cingendole il collo con le braccia, piegandosi quindi per essere alla sua altezza.
- Piccola mia, non ti sei resa ancora conto della situazione, al contrario di Minoru - le bisbigliò all'orecchio.
Kyoka si irrigidì, inquieta. Una goccia di sudore le attraversò la tempia e scese fino alla guancia.
Kenzaki non si avvicinava mai troppo a loro, quella era la prima volta che se lo trovava così vicino. La cosa la spaventò, per qualche strano motivo.
Ma l'uomo, ridendo, si rimise dritto e, allontanandosi, tornò a guardare lo schermo.
- Per questa volta lascia fare al tuo fratellino. Rimani, e guardalo mentre porta qui l'assassino di vostro fratello. -
- Cosa? - esclamò lei, con un sussulto. Mentre si voltava anche lei verso lo schermo, Kenzaki fece in modo di far inquadrare dalle telecamere il viso di Midorikawa.
Kyoka rimase a fissare quel volto in silenzio, senza sapere cosa dover provare in quel momento.

Minoru osservò per lunghi secondi il ragazzo dai capelli verdi.
Non si aspettava quella confessione e cercò di capire se fosse o meno una bugia.
Cercò di ricordare quello che, a dodici anni, aveva visto degli attacchi degli alieni ma, sfortunatamente, a quei tempi era troppo sconvolto per ricordare i particolari.
Ryuuji sapeva di essere molto diverso da Reize. Nemmeno quelli della Raimon riuscirono a riconoscerlo subito, la prima volta che si era mostrato in forma 'umana'.
Prese un respiro profondo e, con un movimento lento, si portò le mani sulla fronte, alzandosi la frangia. Le braccia tremavano e gli sembrava di avere difficoltà a muoversi, da quanto era agitato. Ma aveva preso la sua decisione, quindi assottigliò gli occhi, come faceva quando era Reize.
L'espressione mutò da esitante a seria e fredda e di una crudeltà talmente improvvisa da spiazzare il ragazzo di davanti a lui.
Minoru sussultò e, per la prima volta, mostrò un'espressione sconvolta. Lo stupore per quel cambiamento venne dimenticato quando immagini confuse gli attraversarono la mente e, finalmente, rammentò il volto del responsabile della morte di Hiroki.
Scattò verso Midorikawa e lo afferrò per i capelli, tirandolo appena verso di sé con rabbia. Ringhiò.
- Sei tu! - urlò, strattonandolo.
- Midorikawa! - gridò Hiroto, correndo verso i due ragazzi.
Ma Kirishima mosse un braccio e la palla, ancora a mezz'aria, si mosse e sfrecciò davanti agli altri orfani, atterrando violentemente proprio a pochi millimetri da Kiyama.
Il ragazzo dai capelli rossi fissò sconvolto la sfera scura.
- Hiroto, no! - esclamò Ryuuji, voltandosi, a fatica, verso l'amico.
Dato che era trattenuto per i capelli, girarsi non era un’azione indolore.
L'ex-capitano della Genesis lo guardò. Era palesemente spaventato per la sorte del migliore amico.
Ma Midorikawa si sforzò di accennare un sorriso. - Rimani lì, ti prego - mormorò.
Kiyama fece una smorfia di disappunto. Purtroppo era consapevole che non avrebbe avuto possibilità, contro quel ragazzo. Per quanto fosse dura, non poteva che fare ciò che l'ex-capitano della Gemini Storm gli aveva detto.
Minoru sollevò Ryuuji a pochi centimetri da terra e il ragazzo dai capelli verdi gemette di dolore. Si sforzò comunque di guardarlo.
- Potrai uccidermi nel modo più doloroso che conosci, ma lascia stare i miei fratelli - sibilò, a fatica.
L'altro ragazzo lo guardò con odio, la presa sulle ciocche verdi si fece più forte. - Meriteresti di vederli morire tutti, per ciò che ci hai fatto! - urlò con rabbia.
Lo sguardo di Midorikawa si fece preoccupato, dato che era logico che Minoru la pensasse in quel modo. Sperò di riuscire a convincerlo, in qualche modo.
- Lo so... non potrò mai rimediare. Ma loro non hanno fatto nulla, anche se erano alla Aliea con me. Sono stato io a calciare quel pallone. Sono stato io ad uccidere tuo fratello - spiegò, piano.
Ciò che fece più male agli altri orfani del Sun Garden, nel sentire quelle parole, fu il tono calmo e rassegnato con cui erano state pronunciate.
Per quello stesso motivo, invece, Minoru si innervosì ulteriormente.
- Chi ti dice che, una volta che ti avrò ucciso, non ammazzi anche gli altri? - domandò, lo sguardo sembrava quello di un pazzo.
- Ti prego... - mormorò semplicemente Ryuuji, facendolo però arrabbiare ancora di più..
Midorikawa venne sbattuto a terra e lanciò un leggero urlo di dolore.
Hiroto ebbe l'istinto di raggiungere l'amico ma qualcuno lo superò: Rimu corse verso Minoru col pungo alzato, in un gesto talmente inaspettato che il ragazzo dagli occhi viola non riuscì a schivarlo e venne colpito sullo zigomo sinistro. Tuttavia non vacillò nemmeno.
La ragazza dai capelli rosa lo fulminò con lo sguardo. - Brutto stronzo - sibilò. - Mi avete stancata! -
- Rimu! - esclamò Reo, suo compagno di squadra alla Gemini Storm. Quanto tempo era che non vedeva la ragazza agire in quel modo?
Nanakaze Rimu era, in effetti, la teppista del Sun Garden. Conosceva solo un modo per risolvere i problemi: le risse. Questo perché lei era cresciuta con dei genitori estremamente violenti. Solo quando la madre morì per le percosse, i servizi sociali scoprirono tutto, arrestarono il padre per maltrattamenti e omicidio e portarono via Rimu, allora piccola ma, evidentemente, non abbastanza per non avere l'istinto, a sua volta, di fare a pugni con gli altri.
Certo, crescendo si era calmata: l'affetto di Kira Seijirou e dei fratelli adottivi l'avevano resa più gentile, benché i primissimi giorni in cui era rimasta all'orfanotrofio si fosse azzuffata con metà dei bambini che abitavano al Sun Garden; ma quella situazione aveva riacceso in lei vecchie abitudini.
- Oh - commentò solamente Kirishima, indifferente, massaggiandosi il volto.
L'ex-giocatrice della Aliea tremò, nervosa. - Blaterate tanto su quanto siamo stati cattivi noi, ma siete degli ipocriti se vi mettete a fare le stesse cose. Credete di essere giustificati perché volete vendetta? - gridò lei allora, abbassandosi e cercando di far perdere l'equilibrio a Minoru colpendolo alle gambe. Lei era brava a trovare i punti deboli delle persone, le serviva solo un po' di tempo.
- Rimu, no! - intimò Midorikawa.
La ragazza dai capelli rosa sussultò appena. Ryuuji era una delle pochissime persone a cui, normalmente, avrebbe dato ascolto. Non era sempre stato così ma, da quando il ragazzo era stato scelto come suo capitano alla Aliea, Rimu iniziò a portargli rispetto e, con gran sorpresa di tutti, continuò anche dopo l'esilio.
Ma lo stress la faceva diventare impulsiva, non riuscì a frenare la voglia di scagliarsi nuovamente contro il nemico.
Purtroppo per lei, questa volta Minoru reagì: ridacchiò e scosse la testa. L'istante dopo scomparve, per riapparire poco più avanti rispetto all'ex-giocatrice della Gemini Storm. Quest'ultima si ritrovò immediatamente inginocchiata a terra, tossendo. L'aveva colpita allo stomaco anche se era stato così veloce che nessuno era riuscito a vedere l'azione.
Poi il ragazzo l'afferrò per la mandibola, l'ex-attaccante della Gemini Storm si lamentò e gli strinse il braccio con le mani ma, ignorandola, Kirishima la lanciò verso i suoi fratelli adottivi.
- Rimu! - gridò Kyouma, l'ex-centrocampista della Genesis, afferrandola.
Minoru rise. - Patetico. Credete davvero che mi abbassi a fare a pugni con voi? Potrei ammazzarvi tutti subito, sapete? - minacciò.
La palla si mosse leggermente, quasi stesse cercando di prendere bene la mira sui ragazzi.
- No, non farlo! - lo pregò Ryuuji, rialzandosi da terra.
Ma Kirishima ghignò, sadico. - Potrei finirla qui una volta per tutte - bisbigliò.
Certo, sarebbe stato un grande peso, dopo. Non riusciva nemmeno a immaginare cosa volesse dire vivere per il resto della vita col pensiero di aver ucciso cinquantacinque ragazzi. Ma, in quel momento, non era in grado di preoccuparsene come avrebbe dovuto: aveva tutti li alieni lì, una l'aveva accusato di ipocrisia e di fianco, a sua disposizione, aveva l'assassino di suo fratello.
Poteva finalmente dare un senso a quei due anni di sacrifici. Due anni passati a nascondersi e ad abituarsi al potere, col pensiero fisso di Hiroki, il suo amato fratello maggiore, morto per colpa di quegli esseri schifosi. E dare un senso al dolore e alle lacrime.
Hiroki avrebbe potuto riposare in pace e, forse, anche Kyoka si sarebbe sentita meglio. Sarebbe finito tutto.
La colpa di essere un assassino non era nulla, in confronto.
A quel punto, però, Miura gli si parò davanti e, consapevole che probabilmente sarebbe rimasto ferito, cercò di anticipare Minoru.
- Hiromu! - gridò Midorikawa.
- Ryuuji scappa! - intimò l'ex-attaccante della Gemini Storm, preparandosi a calciare il pallone. Dall'energia che scaturiva dalla gamba sinistra del ragazzo era evidente che si stava preparando a fare una tecnica speciale.
Minoru ghignò. Non gli servì fare nulla: la palla, obbedendo al solo suo pensiero, si sollevò improvvisamente da terra colpendo, immediatamente dopo, il ragazzo dai capelli castani.
L'ex-attaccante della Gemini Storm venne sbattuto a terra e lì rimase, tossendo e gemendo dal dolore.
- Hiromu! - lo chiamò nuovamente Ryuuji, alzandosi per andare da lui. Ma Kirishima lo afferrò ancora per la coda e lo costrinse a stare lì, tenendolo anche per un braccio.
La forza del ragazzo era incredibile: anche se cercava di divincolarsi, infatti, l'ex-capitano della Gemini Storm non riuscì a fare nemmeno un passo. Poté solo osservare Hiroto, Nozomi e Hitomiko andare a soccorrere uno dei suoi migliori amici.
Midorikawa temette il peggio. Quella palla aveva rotto la gamba a Nagumo, e Miura era stato colpito al petto, da quel poco che era riuscito a vedere. Abbassò lo sguardo, sul punto di piangere. - Ti prego... - sussurrò. - Loro non c'entrano. È solo colpa mia. -
Minoru lo ignorò. Rise istericamente, perdendo quel poco di lucidità che gli era rimasta.
Era infastidito dai tentativi di quei ragazzi di salvarsi a vicenda. Erano consapevoli delle loro colpe, avrebbero dovuto semplicemente rassegnarsi come, poco prima, sembravano voler fare l’alieno con i capelli rossi e l’amichetto albino. Li odiava e si convinse che dovevano essere assolutamente puniti tutti. Decise di ucciderli senza perdere altro tempo.
La palla tornò a brillare.
- Scappate! - gridò Haruya, sperando che almeno gli altri gli dessero retta.
Kirishima ghignò, strattonando Midorikawa più vicino a sé e sollevandogli la testa, per costringerlo a guardare.
- Non osare distogliere lo sguardo! – esclamò, ghignando soddisfatto. - Adesso capirai cosa significa perdere dei fratelli. Osserva bene, così da ricordare ogni minimo particolare, da sognarlo e riviverlo ogni notte; e renditene conto: tutto questo sta succedendo per colpa tua! - infierì e Ryuuji tremò, ferito da quelle parole.
Subito dopo, però, Minoru sussultò. Una smorfia di dolore increspò le sue labbra.
- Tsk, di già? - borbottò, deluso.
Il pallone tornò improvvisamente ai piedi di Minoru e iniziò a risplendere di luce grigia. L'istante successivo lui e Midorikawa sparirono nella luce.

Quando gli occhi di Ryuuji riuscirono a mettere a fuoco l'ambiente, scoprì di trovarsi in un corridoio buio. Non riuscì a impedirsi di guardarsi attorno: le pareti sembravano sul modello di quelle della Aliea Accademy, ma i muri dell'edificio in cui aveva vissuto fino a due anni prima erano decisamente più luminosi, con grandi finestre che davano all'estero.
Minoru, accanto a lui, cadde in ginocchio, ansimando. Il ragazzo dai capelli scuri sembrava affaticato e dolorante; la mano rimaneva poggiata al petto e le dita stringevano convulsamente la stoffa della tuta; il volto era pallido, emaciato e sudato. Benché fosse ancora in lieve confusione a causa degli avvenimenti di poco prima, Ryuuji lo fissava, indeciso se aiutarlo o meno.
Certo, era un ‘nemico’, ma Midorikawa non riusciva ad rimanere indifferente, quando vedeva qualcuno stare male.
Dei passi rimbombarono per tutto il corridoio e la voce di Kyoka tuonò nell'aria. - Fratellino, io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere! - esclamò irritata, prima di comparire oltre l'angolo del corridoio, accigliata.
Ma, vedendo il fratello stare male, l'espressione cambiò e corse verso di lui, ignorando totalmente Midorikawa.
- Minoru! - lo chiamò, inginocchiandosi e facendolo poggiare al muro. - Stupido, hai usato troppa energia! - lo sgridò.
Gli abbassò la cerniera e quello che il ragazzo dai capelli verdi vide lo lasciò senza parole: il frammento viola del meteorite era incastonato sul petto di Minoru, direttamente sulla pelle. Le vene attorno alla pietre erano ben visibili e la stessa pelle tutt'intorno era arrossata. La gemma brillò intensamente ancor per qualche secondo prima di perdere la sua luce. A quel punto il gemello della ragazzina sembrò calmarsi e sospirò.
- Rimanete a contatto diretto col meteorite? - non poté evitare di esclamare Midorikawa. Conosceva fin troppo bene gli effetti della pietra aliena sul corpo umano, e improvvisamente comprese perché Minoru sembrasse stare tanto male.
Kyoka si voltò appena verso di lui, fulminandolo con lo sguardo. - Taci, a te penso dopo! - ringhiò, tremando. Ryuuji ebbe l'impressione che si stesse trattenendo dall'aggredirlo, preoccupata più per il fratello che della vendetta.
Una risata proruppe dietro l'ex-capitano della Gemini Storm, che sussultò, improvvisamente inquieto.
Non riuscì ad avere il tempo di voltarsi che si sentì afferrare per le spalle.
- Fai riposare tuo fratello, Kyoka. A lui penso io - disse Kenzaki.
Midorikawa si irrigidì, riconoscendo l'uomo.
- Tu... - sussurrò, voltandosi appena a guardarlo.
Minoru, sorretto dalla sorella, si rimise in piedi e guardò Ryuuichi.
- Cosa vuole fare? -
L'adulto ridacchiò. - Tranquillo, lo rinchiudo in un posto sicuro. Immagino vorrete essere al massimo della forma, quando vi vendicherete su di lui, no? - rispose.
Ryuuji ebbe l'impressione che stesse mentendo e fu attraversato da un brivido di terrore.
I due gemelli fissarono l'uomo per qualche istante, poi il ragazzino annuì. - Va bene. -
- Posso pensarci io da sola - intervenne la ragazzina dai capelli ricci.
- No! - la protesta del fratello echeggiò per il corridoio.
Kyoka lo fissò, sorpresa. Minoru la guardò sottecchi. - Abbi pazienza e portami in camera. Come hai detto tu, dobbiamo parlare -spiegò.
La ragazzina sembrò non capire cosa passasse per la mente del gemello ma annuì e, con attenzione, iniziò ad allontanarsi con lui.
Kenzaki ghignò e si abbassò appena. - Bene, ora vieni con me, Reize - sussurrò con le labbra a pochi centimetri dall'orecchio di Midorikawa.
Il ragazzo trattene un tremito di disgusto nel sentire quella voce. - Non sono più Reize - replicò, guardandolo male anche se non riusciva a nascondere la propria paura.
- Davvero? Non sei stato tu a dire a Minoru di esserlo, poco fa? - chiese l'altro, ridendo.
Ryuuji deglutì. Quell'uomo stava in qualche modo guardando o ascoltando?
- In ogni caso ti assicuro che ti conviene seguirmi: quei due ti tortureranno a morte. Io, invece, non ho intenzione di ucciderti - confessò.
Midorikawa si irrigidì, guardandolo con diffidenza. Naturalmente non si fidava di quell’uomo. Ma, volente o nolente, fu costretto ad andare con lui: alcune persone, vestite con un camice bianco sporco e dai visi coperti da occhialini e mascherina, lo trascinarono quasi di peso.
Venne condotto in una stanza, dotata, come ogni altra locale di quel posto, di porta automatica.
Era abbastanza spoglia, illuminata solo dalla luce verde della lastra in mezzo una grande lastra simile a quella che usavano Minoru e Kyoka, seppur quella che aveva di fronte Ryuuji fosse larga almeno il doppio. A destra c'erano dei macchinari.
Kenzaki salì sulla pedana e Midorikawa, insieme ad alcuni uomini che ancora lo tenevano, fu costretto ad accostarsi all'uomo.
Sentì uno di loro trafficare con i tasti dei macchinari poi vennero circondati dalla luce.
Il ragazzo chiuse gli occhi d’istinto, percepì chiaramente di essere teletrasportato altrove; ma, affievolitosi il raggio luminoso, non ebbe il tempo di aprire gli occhi e capire dove esattamente fosse stato portato che sentì un forte dolore alla nuca e perse i sensi, accasciandosi tra le braccia di Kenzaki che sorrise, con espressione di pura crudeltà.
- E ora, finalmente, inizia la mia vendetta - mormorò.








Note finali: Ormai, ogni volta che riesco a finire un capitolo, tiro un sospiro di sollievo. Naturalmente, il capitolo in questione, in questo caso, non è questo, ma il capitolo 16, che è comunque da sistemare ancora.
Ultimamente sto quasi odiando questa fiction. Mi sono resa conto che il problema non è cosa far succedere, perché lo so già, ma è il comportamento dei protagonisti. A ogni pezzo che scrivo, mi chiedo se Minoru e Kyoka, o gli orfani del Sun Garden, hanno reazioni plausibili o meno. Inoltre vorrei dare spazio a tutti gli orfani ma non riesco, sono troppi. Però, per il momento, a poco a poco sto andando avanti, quindi spero di riuscire a scrivere tutto ciò che voglio scrivere, e riuscire a farlo bene, in modo da esserne soddisfatta. Ma ultimamente non lo sono. Scene che ho avuto in mente per mesi, scritte risultano molto diverse da come le immaginavo.
Spero di non aver lasciato qualche errore, che sono un po' fusa in questo periodo... motivo per cui non ho ancora risposto alle ultime recensioni, comunque ringrazio chi lascia il suo parere su ciò che scrivo, vi assicuro che quando posso leggo e che prima o poi risponderò!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


All'ospedale era scoppiato il finimondo.
La gente, spaventata e confusa, aveva voluto sapere cosa fosse successo, e solo l'arrivo della polizia calmò gli animi. Almeno quelli delle persone estranee alla faccenda.
Hitomiko uscì dall'edificio in cui Haruya e gli altri orfani erano stati condotti: era un ospedale militare, segreto ai più, che aveva accettato di ospitare i feriti su richiesta di Onigawara.
Anche Miura avrebbe dovuto rimanere lì: fortunatamente, l'ex-attaccante della Gemini Storm non era in pericolo di vita. La palla l'aveva, in realtà, colpito alla spalla, fratturandogliela.
Ma le condizioni fisiche non erano nulla. Hiromu, appena Kirishima Minoru era scomparso insieme a Midorikawa, era scoppiato in lacrime e non aveva più smesso di piangere. Per Hitomiko fu come tornare al passato: da piccolo, infatti, Miura piangeva sempre, quando Midorikawa non era nei paraggi.
Hiroto, allo stesso modo, si era chiuso nel mutismo dopo aver passato inizialmente il tempo a prendere a pugni il muro e imprecare, probabilmente condividendo gli stessi sentimenti del fratello adottivo. In quei giorni Hitomiko aveva avuto l'impressione che quei due ragazzi avessero fatto un tacito accordo per tenere d'occhio e proteggere Midorikawa.
Forse per questo Kiyama non riusciva nascondere bene la paura e il nervosismo, a differenza di quando a essere preso fu Nagumo. E poi era risaputo quanto fosse legato a Ryuuji.
I suoi fratelli minori erano spaventati. Erano tutti consapevoli che Midorikawa non avrebbe avuto la stessa fortuna di Haruya: non l'avrebbero mai lasciato in vita, nemmeno per sbaglio.
Hitomiko, nell’uscire fuori dall’edificio, aveva lasciato una stanza muta. Ormai sicuri di aver perso un fratello, si erano tutti seduti a terra e rannicchiati in silenzio. Pandora piangeva, per una volta senza cercare di sdrammatizzare. Molti altri si abbracciavano e si rannicchiavano, tenendo gli occhi fissi al pavimento. L'unico in piedi era Gigu: faceva avanti-indietro per quel pezzo di pavimento ancora libero, accanto al letto di Miura, e borbottava in continuazione che Midorikawa non si sarebbe mai fatto uccidere facilmente anche se, era evidente, non ci credeva nemmeno lui. Cercava ragioni per convincere, e convincersi, che avrebbero potuto salvarlo in qualche modo, nel disperato tentativo di tenere alto il morale a Hiromu: per qualche motivo che nessuno aveva mai capito, infatti, Shousuke era in qualche modo diventato amico dell'ex-attaccante della Gemini Storm ed era l'unico che sopportava. Era infatti risaputo che Kikuma Shousuke ce l'aveva sempre con tutti per ragioni sconosciute ai più. Era sempre arrabbiato o comunque nervoso e litigava con chiunque per qualsiasi minima cosa. Tranne che con Diam, forse perché quest'ultimo, non parlando quasi mai, non dava occasioni per litigare.
La donna sospirò. In quel momento più che mai dovevano agire, per questo prese il cellulare e chiamò per l'ennesima volta il detective. Gli aveva già spiegato cos'era successo, ma aveva bisogno di parlargli ancora.
Attese che l'uomo rispondesse, guardandosi attorno nel frattempo e, appena sentì la voce del detective, si irrigidì in un gesto istintivo. - Onigawara? Sono Kira Hitomiko - esordì piano, benché il nervosismo e l'impazienza fossero palesi. - Ho intenzione di andare alle due basi della Aliea. Pensa di potermi procurare due aerei? - chiese. Quando Onigawara le rispose lei accigliò. - Lo so, ma ci metteremmo troppo tempo. Quel ragazzo rischia di essere ucciso da un momento all'altro. Solo... dovremmo dividerci in due gruppi e non posso accompagnarli entrambi - mormorò poi, rattristandosi. Ascoltò nuovamente la risposta poi spalancò gli occhi, sussultando. - Davvero possiamo? - chiese, stupita. Cercò di mantenere la propria compostezza. - Bene - esalò poi. - La ringrazio molto - concluse chiudendo la chiamata.
Appena ri-entrata nell'edificio sentì alcune voci indistinte. Si bloccò qualche istante per ascoltare prima di capire cosa stesse succedendo e, avanzando poi velocemente, si rese conto di non essere stupita. Anzi, era strano che non fosse successo prima, conoscendoli.

- Ripetilo, se ne hai il coraggio! - esclamò Rimu, spalleggiata da Gigu e Sora, afferrando Kurando per il colletto della maglia.
Colui che fu conosciuto come Grent della Prominence sembrò aver l'istinto di indietreggiare, prima di accigliarsi e decidere di affrontare la ragazza.
- È inutile illudersi, guarda in faccia la realtà: Midorikawa sarà già stato ucciso, ormai! - disse lui, ignorando le occhiatacce dei fratelli adottivi, sopratutto quelle degli ex-membri della Gemini Storm riuniti attorno al letto di Miura.
Ooiwa doveva ammettere che i membri della squadra più debole della Aliea Academy erano sicuramente i più legati fra tutti e che Midorikawa era ancora molto stimato, benché non avesse mai avuto il carisma degli altri capitani.
Eppure il ragazzo dalla lunga treccia azzurra era stufo del continuo borbottare di Gigu e gli altri. Odiava illudersi e le persone che cercavano di illudere gli altri e, secondo lui, era esattamente ciò che stava facendo l'ex-giocatore della Gemini Storm.
Riimu ringhiò, stringendo la presa.
- Smettila di dire certe cose - commentò Reina alzandosi da terra e avvicinandosi. Fece allontanare i due ragazzi e poggiò una mano sopra la spalla di Rimu per cercare di calmarla, ma guardò l'ex-giocatore della Prominence con lo stessa rabbia della sorella adottiva.
- Sono realista - spiegò Kurando con una smorfia di fastidio. - Pensateci: se voleste vendicarvi di qualcuno e riusciste a catturarlo, attendereste a lungo prima di ucciderlo? Che senso ha parlare di andare a riprendercelo, avete idea di quanto ci metteremmo? -
- Piantala di usare quel tono freddo! - urlò immediatamente dopo Nanakaze, allontanandosi da Yagami e alzando il pungo, con rinnovata irritazione. Reina la trattenne, ma la ragazza iniziò dimenarsi talmente tanto che persino l’ ex-centrocampista della Genesis faticava a tenerla ferma. - Sembra che non te ne freghi nulla! È per noi che lui si è fatto avanti, è anche per salvare il culo a te! Dovremmo andare a liberarlo anche se avessimo la certezza assoluta di essere uccisi tutti quanti! - gridò, con le lacrime agli occhi. Si calmò improvvisamente appena non riuscì più a trattenersi dal piangere e Reina la strinse a sé.
L'ex-portiere della Prominence distolse lo sguardo, fissando tristemente il pavimento e mostrando, nonostante tutto, di non essere così menefreghista.
Fuusuke abbassò lo sguardo, osservando il corpo ferito dell’amico-rivale ora profondamente addormentato, e assunse un'espressione pensierosa, ragionando sul fatto che forse l'essere già morto, per Midorikawa, sarebbe solo l'opzione migliore. “Ma, come dice Ooiwa, non credo perderanno troppo tempo, prima di ucciderlo. Con Haruya ci sono andati piano solo perché volevano che facesse la spia” pensò.
In quel momento la porta si aprì con così tanta veemenza che tutti gli orfani del Sun Garden si voltarono di scatto. Hitomiko si mise una mano sul fianco e li guardò decisa. - Piantatela di litigare. Dobbiamo andare! - esclamò, con una certa fretta.
I ragazzi la guardarono senza capire. Saginuma si alzò da terra. - Dove? -
- Alle basi segrete della Aliea. Sicuramente Midorikawa si trova in uno di quei due edifici - spiegò. - Ci divideremo in due gruppi e Onigawara ci metterà a disposizione due aerei, per portarci tutti. Chi è ferito rimarrà qui insieme a Nagumo e Miura. –
Seguì qualche istante di silenziò. Cosa avrebbero potuto fare in quel momento, in una situazione come quella? Poi Hiruma Kenichi, ex-Kenvil nella Epsilon, prese parola. - E se quei due tornassero? -
- Ne dubito: non credo conoscano persino questo posto e, nel peggiore dei casi, verrà qui solo la ragazzina - disse.
Vedendo l'espressione confusa dei ragazzi la donna riprese a spiegare. - Kirishima Minoru stava male, quando se n’è andato: o meglio, quando è stato costretto ad andarsene. Questo significa che la forza che usano è troppo grande per loro e non possono gestirla che per pochi minuti. Inoltre, solitamente, attendono almeno due giorni prima di tornare all'attacco, forse per ricaricarsi. -
Fece scorrere lo sguardo su tutti i fratelli minori, che stavano riflettendo su quelle parole. - In ogni caso penso che per un po’ non baderanno a noi, dato che hanno catturato la persona che cercavano. Proprio per questo dobbiamo sbrigarci. Non possiamo più esitare: non ce lo possiamo permettere - chiarì. Poi fece un respiro profondo. - Sarò sincera: non so se arriveremo in tempo per salvare Midorikawa. Ma dobbiamo assolutamente fermare quei due e chiunque li stia usando. -
Hiroto, rannicchiato fino a quel momento in un angolo, si alzò e raggiunse la sorella, evitando lo sguardo di tutti. Era scuro in volto e l'espressione contrita. La donna lo vide stringere i pugni convulsamente e tremare. Fu seguito da Saginuma e, subito dopo, Reina si avvicinò a sua volta, tenendo per mano una Rimu ancora in lacrime. Pian piano, anche dagli altri, Kurando compreso, si fecero avanti.
Hiromu volle alzarsi dal letto ma Gigu lo bloccò.
Sango Yoshirou, ovvero Coral, intervenne in aiuto di Shousuke. - Ora sei sotto antidolorifici, hai idea di quanto farà male dopo? Non puoi venire anche tu. -
Miura aprì la bocca per ribattere ma Kikuma lo spinse steso, afferrandogli la spalla sana. - Non rompere e rimani buono qui! - lo riprese l'ex-difensore della Gemini Storm, guardandolo con decisione. - Torneremo insieme a Ryuuji anche se dovessimo riportarlo indietro dall'altro mondo! -
- Hanno ragione, ci saresti solo d'impiccio - informò, schietta, Hitomiko. - Proibisco a chi è anche solo leggermente ferito di venire con noi - annunciò, col tono di chi non ammetteva repliche.
Miura abbassò lo sguardo e si arrese. La donna volse poi lo sguardo verso Suzuno. Quest'ultimo rifletté qualche istante, combattuto sul andare per farla pagare a quei due gemelli o rimanere al fianco di Haruya come aveva più volte ripetuto che avrebbe fatto. Infine guardò Hitomiko. - Io rimango qui con loro - annunciò.
Atsuishi si fece avanti e venne subito fissato non solo da Hitomiko, ma anche da Fuusuke.
Ma il ragazzino dai capelli bianchi si tolse le bende. - Vengo anche io. Ormai sto bene. Ci penserò io a vendicare Haruya - annunciò, guardando prima Suzuno e poi Nagumo, con decisione.
- Vedi di tornare, o non posso assicurati che questo scemo non si metta in testa di alzarsi e raggiungerti - gli disse l’ex-capitano della Diamond Dust, facendo un cenno verso l’amico-rivale..
Atsuishi ridacchiò e convenne con lui. Per quanto ferito, Haruya non avrebbe esitato un momento a sforzarsi oltre i limiti per poterlo aiutare. Per questo non doveva più farlo preoccupare. - Certo - mormorò semplicemente.
Anche Hitomiko si convinse e si voltò, per dirigersi verso la porta.
- Bene, andiamo da Onigawara prima di tutto. Ci saranno dei palloni da calcio, negli aerei. Sono certa che vi basteranno per riuscire a crearvi un passaggio ed entrare. -
Hitomiko uscì seguita dai fratelli senza che nessuno avesse la forza di salutare o di augurare buona fortuna.
Miura rimase con lo sguardo basso e Suzuno capì che doveva tenere d’occhio anche lui.

Minoru, circondato dal tepore delle coperte, riuscì a rilassare i muscoli e sospirò.
Il dolore causato dalla pietra gli aveva fatto riprendere lucidità e, man mano che si calmava, si rendeva conto di aver agito impulsivamente.
Rimasta fino a quel momento seduta sul bordo del letto, Kyoka si alzò, sbuffando. Ora che il fratello sembrava stare meglio era giunta l'ora di parlare.
- Si può sapere cosa ti sei messo in testa, Minoru? - lo riprese, incrociando le braccia al petto.
Il ragazzo voltò appena la testa, guardandola. Lei si accigliò. - Perché sei andato da solo? Hai idea del rischio che hai corso? Se avessi perso i senti saresti stato in balia degli alieni! - lo sgridò.
Lui tornò a guardare il soffitto, piegò la bocca in una smorfia infastidita. - Quelli non mi avrebbero fatto nulla - ammise. Potevano anche averli considerati spietati alieni, durante quei due anni, ma era chiaro che, in realtà, fossero solo dei ragazzi come tutti gli altri.
- Scherzi? Potevano, non so... strapparti via la pietra dal petto e usarla per uccidere anche noi! Ora probabilmente sanno che non riusciamo a sostenere la forza del meteorite per molto tempo. -
- Ho sbagliato a perdere il controllo in quel modo, è vero. Ho sprecato forza per ‘giocare’ con alcuni di loro quando, invece, dovevo colpirli tutti subito. Ma mi chiedo perché non riusciamo a resistere più a lungo... - ragionò.
Era da poco che lui e la sorella si erano fatti impiantare il frammento e Kenzaki li aveva avvertiti che, i primi tempi, si sarebbero affaticati facilmente. L’uomo aveva detto loro che, col tempo, sarebbero riusciti a convivere con la pietra attiva ventiquattro ore su ventiquattro, esattamente come avevano fatto gli alieni ai tempi della Aliea. Nel frattempo, nei due anni precedenti, erano rimasti a stretto contatto con altri frammenti, incompleti e dotati di poca energia, per abituarsi.
Eppure, al contrario delle aspettative, Minoru aveva l’impressione che, col passare dei giorni, i loro corpi reggevamo meno a quel potere, indebolendosi in pochi minuti.
- Ho sprecato un'ottima occasione - concluse poi, cercando di accantonare quel pensiero.
Kyoka lasciò cadere la braccia lungo i fianchi, stringendo i pugni. Batté un piede a terra.
- Sarebbe andata diversamente se mi avessi portata con te! - si lamentò nuovamente. - In due risparmiamo energia! Davvero, io non ti capisco più. Avevamo deciso di fare le cose insieme, ricordi? -
Minoru tornò a guardarla. Certamente la gemella, in quel momento, si sentiva tradita. Non poteva darle torto.
D'altronde era vero: si erano giurati di stare sempre insieme. Anzi, l'avevano permesso Hiroki, tanto tempo prima.
"Quando io non ci sono, voi due dovete stare insieme e aiutarvi a vicenda" diceva il loro fratello maggiore, con quel tono pacato e conciliatorio a cui era impossibile dire di no.
E ora non ci sarebbe più stato. Mai più.
La vide sbuffare. - Basta, vado a sfogarmi sull'alieno! - sbottò, dando le spalle al fratello. Questi si alzò a sedere di scatto e afferrò il polso alla sorella.
- No! - si oppose.
Lei si voltò di scatto. - Dato che hai preso da solo l'iniziativa, ora sarò io ad agire da sola! Vendicherò io nostro fratello! – sbottò, arrabbiata.
- Non devi ucciderlo! - esclamò con forza Minoru, stringendo la presa della mano.
Lei sobbalzò, stupita. - Ma che diavolo ti prende? Tutto ciò che abbiamo fatto fino ad ora l’abbiamo fatto per poter ammazzare quel bastardo - gli ricordò.
- Non devi. Ci penserò io, dopo - disse. Ma la sorella scosse la testa.
- Scordatelo! Perché dovresti farlo tu? -
- Possibile che tu non capisca? Hai idea di cosa voglia dire uccidere una persona? - urlò lui.
- Perché, tu pensi di capirlo meglio di me? - gridò la gemella, di rimando, non meno irritata del fratello. - So bene che è una cosa grave! Sono pronta a sopportare il senso di colpa per tutta la vita, se necessario! - affermò.
Minoru lasciò improvvisamente la presa e Kyoka fece qualche passo indietro, squadrando il ragazzo. - Io ucciderò quel tipo! Hiroki era l'unica persona della nostra famiglia che ci rimaneva e lui ce l'ha portato via! L’alieno merita di morire per mano nostra! - insistette. - Sei tu, Minoru... sei tu che non capisci la situazione. Non lascerò impunita la morte di nostro fratello! Se non te la senti allora lascia perdere! - concluse, uscendo velocemente dalla stanza del fratello.
Corse senza però riflettere su dove stesse andando e, quando se ne rese conto, si fermò in mezzo ai corridoi. Strinse i pugni, fissò il pavimento.
- Stupido Minoru. Vuoi vanificare tutto il dolore che abbiamo provato in tutto questo tempo? - mormorò, amareggiata.
Sapevano fin dall’inizio che quella era la strada sbagliata. Ma, a quel punto, dopo tutto quello che avevano passato, Kyoka pensava che rinunciare sarebbe stato peggio.
Avrebbero vissuto per tutta la vita nella consapevolezza di aver fatto degli errori, senza nemmeno aver portato a termine ciò che si erano prefissati.
Ormai non potevano più tornare alla vita normale: tanto valeva andare fino in fondo.
- Hiroki… se tu fossi qui riusciresti a farci fare pace come al solito? – sussurrò, singhiozzando. - Se tu fossi qui… se solo fossi ancora qui… -
Faceva così male che, nonostante tutto, era disposta a macchiarsi di qualsiasi colpa. Pur di cancellare quel dolore si sarebbe fatta consumare da un altro tipo di tormento: quello di aver ucciso qualcuno.
Le conseguenze che avrebbe dovuto affrontare per quel gesto non sarebbero mai state peggiori del dover sopportare ogni giorno il dolore della morte ingiusta del fratello.

Minoru, intanto, rimase immobile qualche istante, fissando la porta dalla quale la gemella era uscita. Poi abbassò appena lo sguardo. Aveva creduto che Kyoka non avesse pensato alle conseguenze e in questo aveva dimostrato di non averla capita.
Era stato lui, piuttosto, ad aver compreso la situazione in ritardo, quando ormai era troppo tardi.
Ma questo non cambiava le cose. Voleva proteggere la sorella.
Si alzò, ebbe un leggero capogiro ma si tenne in piedi. - Kyoka... se pensi che resti a guardare mentre diventi un'assassina, ti sbagli di grosso. Non voglio vederti in preda ai sensi di colpa per tutta la vita - mormorò, raccogliendo le forze e uscendo, dirigendosi verso le stanze sotterranee.

Midorikawa riprese i sensi rabbrividendo dal freddo.
La bassa temperatura fu la prima cosa che percepì ma, appena riuscì a ricordare cos'era successo, spalancò gli occhi.
Osservando un soffitto scuro, provò ad alzarsi, senza riuscirci. Era disteso con le braccia lungo i fianchi, ma qualcosa lo bloccava ai polsi e alle caviglie.
- C-cosa...? - balbettò. Era ancora piuttosto confuso, ma l'essere in un posto sconosciuto, apparentemente da solo, senza aver la possibilità di muoversi lo spaventava più dell'eventualità di essere in balia dei due gemelli e della loro sete di vendetta.
- Ti sei svegliato, finalmente - constatò Kenzaki.
Ryuuji voltò la testa verso la voce. L'uomo era in piedi vicino a dei grossi macchinari che ricordavano i vecchi computer che vedeva spesso in vecchi film e telefilm, con le braccia incrociate al petto e un sorriso soddisfatto sul volto. La stanza era buia come tutte quelle dell'edificio e il ragazzo dai capelli verdi non riusciva bene a mettere a fuoco l'ambiente. Aveva male alla testa e si sentiva affaticato, per qualche strano motivo.
- Allora, come ti senti? - chiese, con finto interesse, Ryuuichi.
Midorikawa lo guardò male. - Dove siamo? - chiese, cercando ancora di muoversi. Rammentava di essere stato costretto ad entrare in una stanza con quell'uomo, ma i suoi ricordi si interrompevano lì.
Kenzaki si voltò leggermente verso i macchinari e pigiò un tasto. - Siamo nella seconda base della Aliea. Minoru e Kyoka sono ancora nell'altra, quindi stai tranquillo: non verranno a torturati - spiegò e Midorikawa percepì una certa ironia.
Il rigido e freddo asse su cui era steso l'ex-capitano della Gemini Storm iniziò a girarsi lentamente in verticale, sollevandosi poi fino a che Ryuuji non fu all'altezza dell'uomo, sempre legato alla superficie di metallo dalle cinghie.
Tenuto solo agli arti, il ragazzino si ritrovò piegato leggermente sul busto a causa del movimento e del peso del proprio corpo. Si sentiva debole e la cosa lo preoccupava molto.
Solo in quel momento si accorse non solo di essere a petto nudo, ma di avere qualcosa all'altezza dello sterno.
Qualcosa di viola e terribilmente familiare...
- Cosa diavolo mi hai fatto? - esclamò, alzando di scatto la testa, agitandosi appena si rese conto di cosa fosse.
Kenzaki rise.
- Dovresti essermi grato per averti impiantato la pietra sotto sedativo. Fa piuttosto male, sai? Minoru e Kyoka ne sanno qualcosa - commentò solamente.
Il ragazzino fissò con sconcerto e paura l'uomo. Non aveva voluto immaginare cosa avrebbero potuto fargli i gemelli Kirishima una volta arrivato lì ma, certamente, non gli era passata nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea di essere nuovamente esposto al meteorite. Oltretutto sapeva che il contatto diretto col corpo era estremamente pericoloso: alla Aliea la legavano al collo o la tenevano dentro la sfera della divisa, ma mai ventiquattro ore su ventiquattro: di notte, ad esempio, se la toglievano.
Dubitava, comunque, avesse a che fare con la vendetta di Minoru e Kyoka. Sicuramente c'era un altro motivo.
- Perchè? - chiese allora, non riuscendo a mettere insieme più di una parola.
Kenzaki si avvicinò a Ryuuji, il ragazzino notò una specie di telecomando nella mano sinistra dell'uomo.
- Ciò che voglio è la vendetta. Ma non è di te o dei tuoi fratelli che voglio vendicarmi - mormorò, fermandosi a pochi centimetri da lui. Gli sfiorò la guancia con la mano gelata e Midorikawa, rabbrividendo, girò di scatto la testa, per interrompere quel contatto. - E tu, Reize, mi aiuterai - concluse, ghignando.
- Non chiamarmi in quel modo! Non ho intenzione di obbedirti, meteorite o meno! - si oppose Midorikawa, con fermezza. Non avrebbe più venduto se stesso al potere, non era la stessa persona di due anni prima.
Ma Kenzaki rise di gusto. - Se pensi che quella pietra sia la stessa della Aliea ti sbagli di grosso - disse. - È qualcosa di molto, molto più forte. Così tanto, - sussurrò, chinandosi appena verso il ragazzino, - che è impossibile resistergli - concluse, sorridendo. Poi si allontanò nuovamente. - Quando avrò finito non sarai in grado nemmeno di pensare. Distruggerai qualunque cosa ti capiti a tiro; e, quando i tuoi cari fratelli verranno per salvarti, e so che lo faranno, sarai tu stesso a ucciderli - spiegò.
Midorikawa tremò, ma, stringendo i denti, cercò di tenere lo sguardo fisso sull'uomo.
- Hai sempre avuto queste intenzioni? Quei due avrebbero già potuto uccidermi sin dall'inizio - fece notare.
Ma l'uomo scosse la testa, sogghignando.
- Sono bravi solo a parole. Il solo torturare Burn ha fatto sorgere in Minoru dei dubbi. Inoltre non hanno la forza necessaria per uccidervi tutti. Sapevo che, prima o poi, ti saresti fatto avanti. Avrei trovato comunque il modo di condurti qui - spiegò.
- Quindi Minoru e Kyoka erano solo un'esca per me? Perché proprio io? Di chi vuoi vendicarti, esattamente? - chiese, anche se temeva la risposta. Ma tutto quello che era successo era così orribile e quasi assurdo che, come minimo, doveva conoscere la verità.
- Non lo capisci? - domandò con irritazione, tornando a guardarlo. - Cancellerò ciò che Kira Seijirou ha costruito! Voi mocciosi siete il motivo per cui quell'uomo ha rinunciato al progetto Aliea, facendosi arrestare e facendo arrestare me! - Rise istericamente, gli avvenimenti del passato gli bruciavano ancora. - Ha rovinato tutto, vanificando tutti quegli anni di ricerche e stroncando le mie ambizioni. Distruggerò la ‘famiglia’ a cui tiene tanto e lo farò usando proprio uno dei suoi figli. -
- Tu sei folle - bisbigliò Midorikawa, tremando. - Non farò mai ciò che vuoi! - ribatté, seppur preoccupato per la potenza della pietra.
- Ah, non mi sembri molto convinto - lo canzonò l'adulto, poggiando la mano sopra l'asse su cui era tenuto Ryuuji. - Tu sei sempre stato il più debole di tutti. E non intendo solo fisicamente - disse.
Midorikawa cercò di evitare lo sguardo dell'uomo. L'altro ridacchiò. - Sai bene anche tu che, quando attiverò la pietra, cederai subito al suo potere. E se cerchi di resistergli finirai col morire in pochi minuti. In quel caso mi basterà spingere Minoru e Kyoka a uccidere gli altri; ma ritengo che il piano principale sia più divertente, tu non credi? -
- Sei un bastardo - sibilò il ragazzo dai capelli verdi in risposta, agitandosi nell'istintivo tentativo di liberarsi e guardandolo con disprezzo.
Ma l'uomo rise. - Con quello sguardo sei già sulla strada giusta. Chissà, forse sotto sotto la personalità che ti sei creato per la Aliea non era del tutto finta - disse, sollevando con la mano la frangia al ragazzo. - Ora vediamo di sistemare anche il resto... - mormorò infine, facendo diversi passi indietro. Non distolse lo sguardo dal ragazzo e, sorridendo sinistro, premette un bottone dal telecomando. Se due anni prima, alla Aliea, avevano un grosso macchinario per controllare la potenza del meteorite, quel telecomando serviva a controllare i diversi frammenti, anche ad uno ad uno se necessario.
Infatti la pietra si illuminò all'istante e Ryuuji percepì immediatamente un'intensa fitta al petto che lo fece gemere di dolore.
Poi sussultò, irrigidendosi. Spalancò la bocca, inizialmente senza riuscire ad emettere alcun suono.
Il dolore si stava estendendo a tutto il corpo, sentiva i muscoli intorpidirsi, ma dopo qualche secondo il punto in cui era stata inserita la pietra iniziò a far sempre più male, tanto da farlo gridare disperatamente.
L'unico pensiero che riuscì a formulare fu che avrebbe preferito essere torturato e ucciso dai gemelli piuttosto che provare quella sensazione così familiare: il potere che, come innumerevoli braccia oscure, ti afferra per tutto il corpo e ti trascina inesorabilmente in un oblio fatto di odio e distruzione, e così tanta paura da cancellare tutto ciò che esiste dentro di te, lasciando solo il vuoto.
Dopodichè, oltre al dolore, non riuscì a percepire nient'altro che lo sguardo senza emozioni di una persona che conosceva molto bene, un'entità sempre rimasta in fondo al suo cuore: Reize si stava dimenando, impaziente di tornare e di mostrare la sua forza al mondo, anche a costo di distruggere tutto ciò che Midorikawa Ryuuji possedeva. Anche a costo di distruggere Midorikawa Ryuuji stesso.





Note finali: ormai aggiorno col contagocce e temo che la situazione andrà avanti per un bel po'.
Questo fu l'ultimo capitolo scritto prima di decidere di concentrarmi sulla AU, qualche mese fa. Da allora ho scritto fino al capitolo 17, ma nessuno dei nuovi capitoli mi convince del tutto. E non so il perché. Non riesco a concentrarmi sulla scrittura, ultimamente. Comunque, sto cercando di andare avanti lo stesso, per vedere poi come sarà il lavoro finito. Invece di scrivere un paragrafo alla volta e valutarlo, preferisco scrivere tutto, rileggere tutti i capitoli uno dopo l'altro, e vedere se la storia si regge in piedi nonostante le mie condizioni. Per questo aggiorno con meno frequenza, nonostante un po' di capitoli siano pronti da mesi. Spero di riuscire a scrivere la storia in modo decente. Premetto sempre che non si tratta degli avvenimenti, quelli li ho già chiari e sono già segnati in una tabella. È il modo in cui li scrivo che non mi convince più. Sento come se stessi peggiorando a scrivere, invece di migliorare. Cosa che ancora (spero) nessuno può confermarmi, perché appunto tutto ciò che ho pubblicato finora mi soddisfa. Non so quanto ci metterò a pubblicare il capitolo 13, comunque la fiction, rispetto a dove sono arrivata a scriverla, si sta avviando alla conclusione, quindi spero di finire e di riuscire a sistemare in modo soddisfacente il tutto. Però è frustrante, e spero sia solo un periodo no. Ogni volta che succedeva, facevo lunghi periodi senza scrivere (parlo di mesi, il mio massimo è stato sei mesi senza scrivere!) ma, siccome ho appunto delle long in corso e mi dispiacerebbe interromperle, prima di decidere di prendere una pausa cercherò di concludere tutto ciò che ho in corso e spero davvero di riuscirci.
Se dovessi interrompere (e, nel caso, spero solo temporaneamente) la fiction, comunque, vi avvertirò. Rimango comunque in attesa di altre illuminazioni.
Per il resto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Hitomiko guidava senza tener conto dei limiti di velocità. Benché mantenesse un atteggiamento calmo e razionale era palese che avesse fretta e fosse agitata.
Dietro di lei i fratelli erano stipati sui sedili del furgone che, benché grande, non era certo in grado di ospitare quasi quaranta ragazzi. Di tutti gli orfani, oltre naturalmente a Midorikawa, Hiromu, Suzuno e Nagumo, anche Clara e Shuntarou mancavano all'appello.
Nessuno parlava, qualcuno fissava fuori dai finestrini, volgendo distrattamente lo guardo sulle case, gli albero o semplicemente al cielo.
Di fianco al posto del guidatore sedeva Hiroto che, esattamente come gli altri, era ansioso di arrivare a una delle due basi e sapere cosa fosse successo a Midorikawa.
Hitomiko gli lanciò un'occhiata, notò come il fratello minore continuasse a torturare la stoffa della maglia con le dita delle mani. Non era un atteggiamento da lui, ma non poteva biasimarlo.
Provò il desiderio di dirgli qualcosa nel tentativo di tranquillizzarlo, ma non lo fece. Non riusciva a capire quale fosse la cosa migliore da dirgli e, sopratutto, nulla di ciò che le veniva in mente sarebbe servito.
Andò direttamente all'aeroporto e, quando scesero dal furgone, anche Onigawara aprì la portiera dell' auto e si fece vedere.
La donna si fermò a qualche passo dalla macchina della polizia e fissò il detective, che annuì e fece un cenno a un poliziotto accostato alla parte posteriore dell'auto.
Nessuno degli orfani capì bene cosa stessero attendendo e Hiroto si voltò verso la sorella. La donna sembrava tesa; aveva le labbra serrate in modo innaturale e fissava davanti a sé come se temesse ciò che stava per accadere.
L'agente aprì la portiera. - Esca pure - mormorò.
I ragazzini del Sun Garden, già confusi e nervosi, osservarono stupiti la persona che, evidentemente, li avrebbe accompagnati in quella disperata missione di salvataggio.
Kiyama boccheggiò qualche istante prima di riprendersi e, incredulo, fece qualche passo in avanti.
- P-padre? - mormorò.
Rimasto vicino ai poliziotti, Kira Seijirou sorrise appena, in parte felice di rivedere alcuni dei suoi figli, in parte addolorato per quello che stava accadendo loro.
L'uomo non aveva più visto i bambini dell'orfanotrofio, dopo l'arresto. Accusato di averli influenzati negativamente e averli spinti a fare delle cose immorali, era naturale che le autorità volessero evitare di sconvolgere ancora gli orfani facendo incontrare loro la persona responsabile di quella dolorosa avventura.
Pur essendo sempre stato un tipo pacato e tranquillo, Seijirou si sentì estremamente nervoso nel far scorrere il proprio sguardo verso ognuno di loro, notando quanto fossero cresciuti, come fossero provati a causa di quella situazione e come lo guardassero increduli.
Era indubbiamente sua, tutta la colpa. In quei due anni si era chiesto se qualcuno dei suoi bambini lo odiasse e se ciò che aveva fatto stava avendo conseguenze su di loro. Hitomiko, quando andava a trovarlo, cercava di tranquillizzarlo, dicendogli che i ragazzi lo amavano ancora come un padre e che nemmeno una volta gli avevano dato la colpa di quello che era successo. Ma sapeva che nemmeno lei ne era così certa, come dimostrava anche in quel momento, ansiosa com'era palese che fosse di vedere come avrebbero reagito i suoi fratellini a quell'inaspettato incontro. Sicuramente, pensò l'uomo, in fondo al loro cuore qualcuno di loro continuava ad accusarlo ancora.
Tuttavia, pochi istanti dopo, si ritrovò circondato dai ragazzi. Alcuni, primi tra tutti Reina e Ruru, erano corsi da lui e l'avevano abbracciato, in lacrime. Altri, come Hiroto, rimasero immobili, interdetti. Ciononostante, per Seijirou fu come rivivere i vecchi tempi, quando tornava da lavoro e veniva assalito da bimbi di pochi anni.
I poliziotti lì vicino dovettero allontanarsi, per non essere travolti. Hitomiko finalmente si rilassò e sorrise nel constatare che nulla era cambiato. Di fronte al padre, tutti loro si scioglievano.
L'uomo abbracciò chi era lì accanto, non riuscì ad impedirsi di piangere dalla commozione.
- Bambini miei, - sussurrò mentre pensava a quanto gli era mancato quel calore, il calore di una famiglia, - mi dispiace tanto. A quanto pare, l'incubo della Aliea è tornato a perseguitarvi... -
Hiroto non fu l'unico a scuotere la testa, segno che forse la figlia naturale aveva ragione, nessuno di loro ce l'aveva con lui.
- Però... Ryuuji-kun... - mormorò Fuuko, aggrappandosi al soprabito del genitore.
Kira annuì. - Certo, coraggio. Ora andiamo salvarli. Sia Ryuuji... che i due gemelli - affermò con sicurezza.
A quelle parole Riimu sussultò e fissò l'uomo. Salvare quei due... certo, razionalmente era giustissimo: dovevano far capire loro che si stavano sbagliando, dovevano impedirgli di fare i loro stessi errori. Tuttavia era certa che, se fosse successo qualcosa a Ryuuji o a qualcun'altro, non sarebbe riuscita a trattenersi dal picchiarli.
Di fianco a lei, Nozomi le poggiò una mano sulla spalla e le sorrise. - Tranquilla, Riimu-chan. Un paio di pugni ti saranno concessi! - affermò, facendole l'occhiolino.
Nanakaze le lanciò un'occhiata, ma Kira sorrise. - Non esagerate, voi due. Esiste sicuramente un modo per farli tornare in sé - disse, alzando lo sguardo al cielo. - Proprio come è successo a me... -
I ragazzini si rilassarono appena; era incredibile come, nonostante tutto, trovassero la voce del padre ancora così rassicurante. Ora che aveva pronunciato quelle parole, tutti sentivano nuovamente la speranza dentro i loro cuori.
Hitomiko si avvicinò. - Abbiamo già formato i gruppi. Io accompagnerò chi ha deciso di andare con Osamu. Hiroto e gli altri andranno con nostro padre - dichiarò. - Fate molta attenzione e... buona fortuna - esalò poi.
Seijirou si raddrizzò e annuì, e i figli si allontanarono da lui, pronti a passare, finalmente, all'azione.

Minoru camminava velocemente lungo i corridoi. La sua mente era impegnata a fare congetture e il suo animo allarmato, ma ormai sapeva come orientarsi nell'edificio nonostante le distrazioni e i dubbi che lo attanagliavano. Salì ai piani superiori, dove normalmente si trovava Kenzaki; ma, come scoprì, la sala principale era vuota.
- Cosa diavolo significa? - mormorò, stringendo i pugni.
- Fratellino! - esclamò Kyoka, arrivando dalla parte opposta del corridoio, anche lei confusa e inquieta. Lo raggiunse velocemente. - Dov'è Kenzaki? - domandò. - Nei sotterranei non c'è nessuno! -
Ma Minoru scosse la testa. - Volevo raggiungerti e ci sono andato anche io, ma sembra non ci sia nessuno, qui. Nemmeno i suoi collaboratori - spiegò.
I due gemelli si fissarono, la ragazzina sbatté le palpebre un paio di volte. Quell'uomo era sempre stato ambiguo e non parlava molto di sé, con loro, ma era sempre era sempre stato al loro fianco, fino a quel momento. Inoltre, li aveva sempre lasciati fare come volevano, sin dal principio. Invece, a quanto pareva, questa volta aveva deciso di agire di testa sua, senza nemmeno avvertirli.
Era strano, e in qualche modo li spaventava. Proprio ora che avevano finalmente modo di compiere la loro vendetta... cosa significava?
- Andiamo nell'altro edificio! Sono sicuramente lì - propose il ragazzo, cercando di non pensare in negativo.
Annuirono simultaneamente e corsero verso la stanza in cui si trovava la lastra principale, quella che portava direttamente all'altra base.
Tuttavia, quando vi arrivarono, scoprirono che i macchinari erano stati disattivati. Minoru si inginocchiò per controllare i cavi, che erano tutti al loro posto. Sembrava proprio non esserci energia, in quell'ambiente.
- Perché? - sbottò Minoru, risollevandosi. Era stato sicuramente fatto apposta, ormai non poteva più dubitarne.
- Minoru, ci sono quelle che usiamo quando attacchiamo, sbrighiamoci! - gridò la sorella, impaziente. Il ragazzo si voltò verso Kyoka e la seguì. - Sta tramando qualcosa... - commentò, mentre correva.
- Ma perché? È vero che anche a lui la Aliea ha rovinato la vita, ma eravamo d'accordo che saremmo stati noi due a dare il colpo di grazia all'alieno! -
Minoru non rispose. Forse voleva evitare proprio quello? Kenzaki aveva deciso di risparmiare loro quel dolore e quella colpa e aveva deciso di ucciderlo lui? Eppure, per quanto quel pensiero potesse essere rassicurante, non era del tutto persuaso che fosse quella, la vera ragione. "Ho una strana sensazione..." pensò.

Kenzaki si appoggiò ad uno dei macchinari, sospirando. Benché le urla di quel ragazzo fossero musica per le sue orecchie, non aveva previsto che Midorikawa Ryuuji resistesse così tanto.
Il ragazzo dai capelli verdi, infatti, stava gridando da molti minuti, ormai. Sempre più forte, sempre più disperato. Il frammento del meteorite si illuminava sempre di più e il giovane si era agitato così tanto da ferirsi i polsi e le caviglie con le manette. Piangeva e urlava, eppure non accennava a desistere.
L'uomo piegò la bocca verso il basso, preoccupato. Se avesse continuato così, sarebbe morto.
"La testardaggine non ti è mai mancata, Reize" pensò, sbuffando, tenendo lo sguardo fisso sul volto, ormai grondante di sudore e lacrime, di Ryuuji. "Ma ormai dovresti essere al limite delle forze. O ti lasci sopraffare o perderai la vita."
Nonostante il forte rumore delle urla, Ryuuichi riuscì a sentire la porta aprirsi.
Si voltò, intimamente seccato, osservando con noia i gemelli.
Entrambi i ragazzini erano entrati di corsa ma, appena la voce di Midorikawa arrivò loro alle orecchie, si bloccarono così improvvisamente da perdere, per un istante, l'equilibrio.
I due Kirishima erano ora immobili, e fissavano sconvolti il loro nemico. Le loro bocche rimasero spalancate e i corpi iniziarono a tremare, per la paura.
Ryuuji continuava a tremare, e a implorare 'qualcuno' di non tornare. La voce era così sofferente e disperata da far quasi percepire quel dolore ai due ragazzini.
- C-cosa sta...? - balbettò Minoru, indietreggiando. Ma non riuscì a formulare la frase, le grida gli entravano nel cervello e rimbombavano nella stanza e nella sua mente.
Kenzaki, per nulla preoccupato per essere stato scoperto, ridacchiò e si avvicinò.
- C-cosa diavolo sta facendo, Kenzaki? - domandò Minoru, spaventato e arrabbiato. - P-perché ha la pietra? - aggiunse poi, tendendo il braccio e puntando Midorikawa col dito.
L'uomo ghignò. - Non ci arrivi? Voglio che sia lui a uccidere i suoi fratelli. Come ti ho già detto, è la giusta punizione per l'assassino di Hiroki, no? -
Il ragazzo tremò più forte, sempre più terrorizzato, benché non riuscisse a spiegarsi il motivo di quella paura. L'adulto si fermò davanti a lui e si abbassò, afferrandogli delicatamente il mento con la mano sinistra e costringendolo a fissarlo negli occhi. - E poi voi due non sareste mai riusciti ad ucciderlo - affermò.
Nonostante i sentimenti che gli stavano sconvolgendo l'animo, a quelle parole Minoru si accigliò. - Come ha detto? -
Ryuuichi sogghignò ancora. - Siete così immaturi. Pensate davvero di poter fare una cosa del genere a cuor leggero? - domandò, rimettendosi dritto con la schiena. - Ormai i vostri cuori sono turbati. Accecati dalla vendetta e dalla vostra ingenuità siete riusciti a ferirne alcuni ma, quando siete arrivati persino a torturarne uno, avete cominciato a comprendere che non è una cosa alla vostra portata. Credimi, piccolo Minoru: se ora quel ragazzo fosse semplicemente legato, e se vi avessi detto di ucciderlo, voi avreste esitato. -
Lo disse con così tanta convinzione che Minoru quasi si convinse che sarebbe sicuramente andata in quel modo. Era cose se Kenzaki avesse sempre saputo tutto, fin dal principio.
Ma allora perché far fare a lui e alla sorella certe cose? Perché coinvolgerli, se aveva già previsto tutto? Se era tutto inutile, allora...
- P-perché? - chiese.
Kenzaki sorrise. - Non è il momento di discuterne - sentenziò. - Vorrei potervi dire di attendere qui insieme a me, ma... voi, ora, non siete nelle condizioni di ragionare. Avete paura. -
- Certo che ne abbiamo! - esclamò il ragazzino, barcollando subito dopo. Gli tremavano le gambe, e temette di cadere a terra.
Paura? Come si poteva non provare, ascoltando quelle grida? Da quanto tempo quel ragazzo era in quello stato? E quanto ancora sarebbe durata? Non era abituato a sentire rumori simili tanto a lungo?
Nel pensarlo, sussultò, pur senza capirne il motivo.
L'unico adulto nella stanza rise. - Beh, considerati fortunato. A quanto pare, almeno tu non sei ancora del tutto consapevole - disse, voltandosi poi verso Kyoka.
A quel punto, Minoru sembrò ricordarsi della gemella.
Ma, quando si girò a sua volta, si allarmò ancora di più.
La ragazzina era sempre rimasta immobile, tremando come una foglia. Entrambe le mani stringevano tra i capelli, all'altezza delle tempie, e continuava a fissare Midorikawa con sguardo pieno di terrore. Le pupille si erano rimpicciolite dallo shock.
- Kyoka! - la chiamò il fratello, avvicinandosi a lei. Ma la gemella non sembrò sentirlo. Ansimava pesantemente, l'intero corpo era scosso da sussulti. Non sentiva la voce di Minoru, ma solo quelle urla strazianti. Non vedeva nulla di quella stanza se non la luce viola del meteorite.
Le grida. La luce. Perché le era tutto così familiare?
Quando Minoru le afferrò le spalle e provò a scuoterla, il volto della ragazzina si contorse in una smorfia.
Improvvisamente fu come se quelle urla fossero di un'altra persona. Improvvisamente avvertì una forte fitta al petto.
Le grida. La luce. Il dolore.
Kyoka spalancò la bocca, da cui inizialmente non uscì alcun suono. Il fratello, ormai indifferente a ogni altra cosa, la fissava e chiamava preoccupato.
Lei gemette, in un suono sofferente e spaventato. Sembrava non riuscire a pronunciare altro.
Kenzaki, rimasto immobile e indifferente dietro Minoru, improvvisamente ghignò, proprio un istante prima che le grida di Kyoka si unissero a quelle di Ryuuji, ugualmente disperate come queste ultime.
Minoru trasalì, si allontanò di qualche passo dalla sorella, fissandola sconvolto. Poi si voltò di scatto verso Midorikawa che ancora non aveva smesso di lottare contro il potere della pietra.
E, in quel momento, ricordò.
Quelle urla, lui, le aveva già udite una volta.






Note finali: allora, dunque...
Questo fu il primo capitolo che scrissi dopo aver iniziato 'Il figlio dei demoni'. Lo scrissi davvero lentamente, tanto che poi decisi, come già detto, di concentrarmi su una fiction alla volta.
Dato che mi si è rotto il pc (informazione che a nessuno interessa, lo so) e prima di trovare qualcuno disposto a prestarmene uno vecchio sono andata in astinenza da fiction (giusto il giorno prima che il pc morisse avevo ricominciato a scrivere qualcosina, capitemi!), ho cercato, ora che posso nuovamente scrivere, di sistemare almeno questo capitolo per pubblicarlo.
Come già dissi nel capitolo precedente, da questo ho iniziato a non essere più sicura di come scrivo. Ah, per la cronaca, sì ho perso il pc, ma fortunatamente sono previdente e salvo sempre i capitoli, anche quelli incompleti, altrove, quindi non ho perso nulla. Questo capitolo è proprio come l'ho scritto mesi fa, solo corretto.
Ma non so, forse questo è ancora accettabile, è dal prossimo che dovrò correggere tutto pesantemente. Vedrò. Questo caldo non aiuta. XD
See ya!

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Minoru era riuscito a trascinare la sorella fuori dalla stanza, benché la ragazzina fosse sempre rimasta agitata.
Ora si trovavano nei corridoi, da lì le grida dell'ex-alieno non potevano arrivare a loro; tuttavia la gemella continuava a urlare, incontrollata.
La ragazzina teneva la testa tra le mani, e continuava a scuoterla come per scacciare pensieri che si erano insinuati a forza nella sua mente.
- Kyoka! - la chiamò, afferrandole le braccia e scuotendola dolcemente
Lei singhiozzò, strinse la presa delle dita sui capelli.
- No, no! - mormorò, ansimando. - Non voglio più sentirlo. Non voglio più sentirlo! - esclamò.
Minoru sapeva a cosa si stava riferendo e, in quel momento, si chiese come aveva fatto a dimenticare una cosa del genere.
Le grida di quel ragazzo, e il suo dolore, erano cose che avevano provato anche loro poco tempo prima, quando si erano fatti impiantare il frammento di meteorite nel corpo.
Ricordava bene le fitte, tanto forti da offuscare ogni pensiero; e le grida, le sue grida che si univano a quelle della sorella lì accanto a lui, ma sola ad affrontare le conseguenze di quell'operazione.
Quando ripresero i sensi, quando tutto fu finito, nessuno dei due ricordava nulla; ma, nel vedere Midorikawa Ryuuji in quella stessa situazione, la memoria era tornata.
Minoru fece un profondo respiro, nel tentativo di mantenere la calma. Abbracciò la gemella.
- È finito. È tutto finito - sussurrò, anche se sapeva che non era così. Certo, da lì non potevano sentire più nulla, ma dentro di loro non si era concluso nulla.
Kyoka si aggrappò alla tuta del fratello, scosse la testa. Dentro sentiva ancora le il dolore e le grida, non avrebbe saputo nemmeno dire a chi appartenessero.
- Voglio andare via - lo pregò lei, lasciando che le lacrime bagnassero la stoffa scura del vestito del fratello. - Non voglio rimanere qui. -
- Certo. Torniamo a casa, adesso - sussurrò dolcemente il ragazzo, e sentì che la parola 'casa' stonava in qualche modo. Potevano davvero chiamare la base 'casa'?
Sciolse l'abbraccio e la prese per mano, quasi trascinandola verso la stanza in cui avevano lasciato le lastre.
Ebbe una sensazione di déjà vu, rievocò tutte le volte che aveva fatto qualcosa del genere. Da piccola Kyoka era molto viziata e piangeva sempre. Faceva di testa sua e si cacciava sistematicamente nei guai. E lui con lei, dato che erano sempre insieme; siccome la gemella non ascoltava nessuno, lui la seguiva per proteggerla. Ma quando capivano di aver sbagliato, Kyoka scoppiava sempre a piangere e invocava il nome di Hiroki. E Minoru, che in ugual misura non sapeva come togliersi dall'impiccio, la prendeva per mano e la trascinava quasi a forza a cercare il loro fratello maggiore, la loro unica ancora di salvezza.
Pensandoci, nulla era cambiato, rispetto al passato: Kyoka era sempre quella decisa, la bambina impulsiva che agiva senza pensare alle conseguenze; lui era il fratello che, anche quando capiva che stavano sbagliando, seguiva comunque la sorella per proteggerla. Quindi era quello, il problema? Lui sapeva che stavano facendo un terribile errore, ma non aveva il coraggio di lasciare Kyoka da sola.
Minoru non era mai riuscito a farla ragionare e a impedirle fare come voleva, così come non era mai riuscito a calmarla nei momenti di crisi. Era sempre Hiroki quello che li calmava entrambi. Dopo la morte di Hiroki, Kyoka era inconsolabile; ma, dopo l'arrivo di Kenzaki e il loro trasferimento in quella base, la ragazzina non aveva mai più versato lacrime.
Quella situazione aveva una qualcosa di nostalgico, ma Minoru si sentiva inquieto. Lui aveva mille dubbi, la sorella stava di nuovo piangendo come in passato e temeva che, proprio come allora, lui non sarebbe riuscito a fare nulla.
Cercò di ragionare, di trovare una soluzione. Per due anni avevano desiderato di arrivare fin lì, di avere l'assassino del fratello tra le mani per avere la loro vendetta. E quando finalmente stavano per raggiungere il loro obbiettivo, tutto aveva preso una piega imprevista. E lui non riusciva più a capire cos'era meglio fare, quale fosse la priorità. Ciò che era successo li aveva sconvolti, era sicuramente meglio tornare nell'altro edificio e calmarsi, riordinare le idee.
In fondo Kenzaki aveva ragione. Qualunque cosa sarebbe successa, loro avrebbero avuto la loro vendetta e, sicuramente, era molto meglio che loro non si sporcassero le mani. Ne sarebbero usciti relativamente puliti, anche Kyoka.
Ma era giusto? Certo, Kenzaki aveva le sue ragioni, anche se con loro non era mai sceso nei particolari; ma, dato che anche anche la loro battaglia, avrebbero dovuto andare fino in fondo, no? Anche se, obbiettivamente, era più sicuro lasciare tutto nelle mani dell'adulto. Ormai aveva capito che togliere la vita a una persona, chiunque sia, era un peso molto grande, insopportabile. E lui aveva voluto evitare che Kyoka lo facesse. Ma lui stesso era un ragazzino. E poi, Kenzaki non aveva tutti i torti: sarebbero riusciti a ucciderlo veramente? Erano quasi riusciti a ucciderne uno, ma quella era stata la loro prima volta. Non avevano ancora idea di ciò che una cosa del genere lasciava dentro. Ma ora che ne erano consapevoli, forse non sarebbero più riusciti ad arrivare a quel punto.
Minoru poggiò le dita della mano sinistra sulla fronte, in piena confusione. Anche se ci provava, in quel momento non era in grado di ragionare perfettamente. Si sentiva stanco, spaventato, frastornato. Aveva decisamente bisogno di riposo. Dovevano tornare all'altra base, stendersi a letto e calmarsi, entrambi!
Con la coda dell'occhio lanciò un'occhiata alla gemella.
Kyoka singhiozzava ancora e tremava visibilmente, ma sembrava essere riuscita a calmarsi. Il tempo e il dolore l'avevamo cambiata, forse la ragazza non aveva bisogno di lui e di Hiroki per recuperare la lucidità.
Si fermarono davanti alla porta automatica di una delle stanze, che subito si aprì. Minoru strinse leggermente la presa della mano. - Coraggio, andiamo - sussurrò con dolcezza, sebbene lo sguardo fosse come sempre serio.
Kyoka non gli rispose, si limitò ad avanzare con lui.

Hitomiko fu la prima a fermarsi e a guardare verso il basso, quando uno degli agenti di polizia spostò una zolla di prato che celava l'entrata di un sotterraneo. Si trovava nella prefettura di Toyama, più precisamente nella città di Imizu. La base segreta era ubicata vicino al centro abitato e la donna si ritrovò a chiedersi come avessero fatto a tenerla nascosta per tanti anni ai cittadini.
- Non abbiamo mai visto uscire nessuno da qui - commentò improvvisamente un poliziotto, e Kira trovò la risposta che cercava: evidentemente i due gemelli avevano sempre usato le lastre, per muoversi.
- Quindi non sappiamo nemmeno come entrare, giusto? - intuì, volgendo lo sguardo verso l'uomo.
Lui annuì. - Suo padre ci a fornito tutte le informazioni che poteva darci, ma Kenzaki ha modificato le password. Essendo un sotterraneo, non possiamo nemmeno usare la dinamite - spiegò.
- Perché no? - sbottò Homba Geki, ex-membro della Prominence.
- Rischierebbe di collassare tutto, idiota! - rispose Maki.
- Non c'è problema. Avete i palloni a disposizione proprio per certe evenienze - commentò Hitomiko, facendosi da parte. - I vostri tiri sono abbastanza potenti da distruggere l'entrata senza far crollare l'intera base. -
- D'accordo, lasciate fare a me - affermò Kyouma, ex-membro della Genesis, sogghignando. - Ho proprio la tecnica adatta. -
Prese il pallone e palleggiò qualche istante, dando il tempo agli altri di allontanarsi abbastanza per non essere coinvolti, poi calciò con forza. La palla si illuminò e, con grande velocità, si schiantò contro l'entrata di metallo, lasciando una scia di luce gialla al movimento. Il rumore fu forte ma, come il ragazzino aveva assicurato, non fece molti danni: creò un buco nell'accesso, senza però distruggerlo completamente.
Sorrise. - Fatto: veloce, elegante e preciso, come sempre - si vantò, con tanto di testa appena sollevata e mano piegata verso il petto.
Ruru, conosciuta in passato come Quill, gli saltò sulle spalle e gli abbracciò la testa con le braccine. - Bravo, Kyou-chan! - esclamò sorridendo.
Il ragazzo, pur odiando quel soprannome, non disse nulla.
- Entriamo - mormorò Hitomiko.
Il tiro di Komazawa aveva distrutto anche parte della scala che portava verso l'interno, lungo un condotto non illuminato, e alcuni ragazzi ebbero bisogno di aiuto ma, dopo qualche metro, intravidero le prime fioche luci.
Si dovette aprire un'altra botola, questa volta manualmente, per poter raggiungere finalmente i corridoi orizzontali.
Gli orfani si guardarono attorno. Lo stile dell'edifico ricordava effettivamente quello della Aliea, seppur più tetro.
Le pareti erano di metallo scuro, piccoli faretti al centro delle mura illuminavano a malapena l'ambiente.
Fumiko deglutì, irrequieta.
- Che silenzio - sussurrò Ai.
- Non credo ci sia molta gente, qui. Probabilmente solo Kenzaki, i due gemelli e pochi altri - commentò Hitomiko. - Non sappiamo dove possano essere, dividiamoci - disse poi, voltandosi per guardare i fratelli minori.
- Non è peggio, in questo modo? Se qualcuno si ritrovasse davanti quei due? - domandò Ryuuichirou, ex-Zell della Epsilon.
La donna lo guardò grave. - Anche se fossimo tutti nello stesso posto, che differenza farebbe? Quei ragazzini sono troppo forti in ogni caso, l'obbiettivo non è combattere contro di loro. Ricordatevi che, anche se potete usare i vostri tiri, probabilmente contro di loro non servirebbero a nulla. Dividiamoci in piccoli gruppetti, così non daremo troppo nell'occhio. Muovetevi con cautela, se vedete qualcuno nascondetevi. L'importante è capire se Midorikawa si trova qui. -
I ragazzini annuirono, poi si divisero in gruppi, ognuno dei quali accompagnati da un poliziotto:
Hitomiko andò con Saginuma, Maki, Kiyoshi (Ark della Genesis) e Ruri (Moll della Epsilon); poi si unirono in gruppo Fuuko (Crypto della Epsilon), Rimu, Geki (Bomber della Prominence) e Keisuke (Keison della Epsilon);
An (Rean della Prominence), Reo (Gureo della Gemini Storm), Segata e Hanzou (Zohan della Genesis) formarono il terzo gruppo;
Ai, Shuuji, Sango (Coral della Gemini Storm), Fumiko e Gouta (Houser della Genesis); Hana (Barra della Prominence), Satori (Karou della Gemini Storm), Iderou (Ganimede della Gemini Storm), Ikkaku (Beluga della Diamond Dust) il quarto;
infine Kyouma, Ruru, Koutarou (Berkley della Prominence) e Touji (Blow della Diamond Dust).
Nel corridoio, i primi due gruppi si diressero verso destra, gli altri tre verso sinistra e, infine, man mano che controllavano altri corridoi e stanze, si divisero ulteriormente.

Sembrava non esserci nessuno. Nell'edificio aleggiava il silenzio più totale e i ragazzini si inquietarono al solo sentire i propri stessi passi echeggiare cupamente per i corridoi.
Hitomiko aprì una stanza, che in apparenza sembrava uno studio molto disordinato. I documenti e le carte erano sottosopra, disposti malamente sugli scaffali e sulla scrivania, dava l'impressione che qualcuno avesse cercato lì qualcosa di preciso, senza dare importanza al resto. C'era un pc accesso, in stand by, ma quando Kiyoshi mosse il mouse vide solo la schermata della password.
Kira afferrò alcuni documenti, diede una lettura veloce. Erano dati e, benché non capisse granché del linguaggio usato, intuì bene cosa riguardassero. Si guardò attorno, senza dire nulla.
- Questa stanza non è stata utilizzata oggi - constatò Ark, passando un dito sulla superficie chiara della scrivania e osservando il leggero strato di polvere rimasto attaccato sulla pelle. - Direi che nessuno entra qui da un po' -
- Che schifo! - si lamentò Maki, allontanandosi dagli scaffali anch'essi impolverati. Nel movimento rovesciò una pila di carte disposti l'uno sopra l'altro; Ruri si chinò per raccoglierne un paio e li lesse. - Questi documenti parlano di noi? - domandò incerta.
- Direi di sì. Ai tempi della Aliea saranno pur serviti dei dati - disse Hitomiko, voltandosi verso l'uscita e buttando a terra il foglio che aveva in mano. - Continuiamo a cercare, è inutile rimanere qui - concluse, uscendo. Gli altri la seguirono.
Quella non era l’unica stanza a sembrare uno studio e ad essere estremamente caotico. Altre, invece, erano completamente vuote, oppure piene di scatole contenenti palloni da calcio o divise, ma tutti risalenti ai tempi della Aliea Academy.
Il quarto gruppo, intanto, scoprì le camere da letto e il quinto arrivò alla sala riunioni. Ogni stanza era buia ma ai ragazzini fu chiaro che quella era una camera importante e che quel grande schermo era servito a qualcosa. Hana propose di distruggerlo e, senza attendere pareri, Iderou calciò il pallone, senza usare alcuna tecnica speciale, per distruggere il vetro.
Il sesto gruppo trovò invece un ulteriore piano inferiore, tramite una porta a cui poteva essere messo un codice di sicurezza, ma completamente accessibile -era evidente che Kenzaki non si aspettava che loro riuscissero ad arrivare alle basi, e non si era premurato di mettere passwors all'interno- che portava a stanze più interessanti, ma altrettanto solitarie. Una di esse era, con molta probabilità, la stanza dove avevano torturato Haruya, poiché erano rimaste tracce di sangue e le manette penzolavano dalla parete su cui erano attaccate.
Quel nuovo piano era ancora più simile all'ufo della Aliea Academy, ma in nessuna parte della base c'erano laboratori: non era possibile condurre studi ed esperimenti lì. E, dato che molto probabilmente i due gemelli usavano un qualche potere sconosciuto, era logico pensare che fossero stati sottoposti ad esperimenti simili a quelli subiti da loro molti anni prima.

- Non c'è proprio nessuno - disse Ikkaku, con un sospiro, quando tre dei sei gruppetti si furono riuniti.
- Mi sa che abbiamo preso un bel granchio - commentò Ai. - Quelli saranno sicuramente nell'altra base. -
- Sono d'accordo - concordò il fratello Shuuji. - Hanno Midorikawa, probabilmente non hanno perso tempo e gli staranno facendo qualcosa altrove. A questo punto dobbiamo confidare in nostro padre e negli altri. Per fortuna il detective Onigawara è giusto andato con loro. -
- Raggiungiamo gli altri e vediamo se qualcuno ha trovato qualcosa in questo luogo - propose Satori, facendo un cenno con la testa verso la direzione da cui erano arrivati. - In caso contrario, possiamo provare a raggiungere nostro padre. -
Tutti annuirono e tornarono sui propri passi, e avevano appena avvistato Hitomiko e gli altri, quando un forte rumore li fece sobbalzare tutti.
Si guardarono attorno, rifletterono sul rombo sentito e sulla provenienza del suono, infine si resero conto che probabilmente il gruppo mancante era rimasto coinvolto in qualche cosa.
Corsero quindi verso l'unica ala della base che nessuno di loro aveva controllato e, ancora prima di raggiungere i loro fratelli e sorelle, la voce di Rimu tuonò per i corridoi.

- Dannati bastardi, dove avete portato Midorikawa? - esclamò con rabbia, trattenuta a malapena da Geki e dal poliziotto che era andato con loro dall'aggredire fisicamente le persone davanti a lei.
Minoru e Kyoka erano appena tornati e usciti dalla stanza dove si trovava il dispositivo di teletrasporto e si erano ritrovati, con molta sorpresa, quattro degli orfani del Sun Garden davanti.
Il ragazzo dagli occhi viola stava ancora tenendo per mano la sorella, ma non ebbe il tempo di controllare se quest'ultima stava ancora piangendo o meno: lo stupore fu più grande di ogni altra cosa.
Non erano nelle condizioni di affrontare quei ragazzi; anche se, volendo, potevano sconfiggerli in qualunque momento. Ma la sola idea lo scocciava, voleva solo tornare in camera con Kyoka per riprendersi dallo shock precedente.
Tuttavia, una cosa simile era impossibile. Ora che avevano davanti quelle persone, non potevano non combattere. Non avevano i palloni con loro, ma non era un problema, dato che potevano usare la forza fisica.
E Nanakaze sembrava ben disposta a fare loro da avversaria, tanto che si liberò dalla presa e si avvicinò di qualche passo ai due gemelli.
Era così arrabbiata che non fece caso alle loro condizioni: strinse i pugni e guardò male sopratutto Minoru.
- Vi ho trovati, maledetti! - gridò. - Adesso vi faccio il culo! -
Aveva già calciato il proprio pallone, che aveva clamorosamente mancato gli obbiettivi, ma non esitò a scagliarsi contro Minoru, come aveva fatto poco tempo prima in ospedale.
Anche questa volta il ragazzo schivò facilmente, ma non rispose al gesto, limitandosi a guardarla con noia.
- Vi consiglio di sparire, ora - sibilò, seccato.
Rimu ringhiò. - Cosa c'è? Non mi pare che ti faccia troppi scrupoli a picchiarmi - lo provocò, senza alcuna paura apparente nella voce.
- Rimu, ferma! - provò a chiamarla Fuuko, senza però avere il coraggio di fermarla.
La ragazza dai capelli rosa, senza alcuna esitazione, afferrò Minoru per il colletto della tuta.
- Dov'è? - disse solamente lei.
Minoru non le rispose, l'afferrò per il polso e strinse forte. La ragazza fece una smorfia di dolore.
- Cosa credete di fare, esattamente? Siete nella base del nemico, e non importa quanti siete: posso uccidervi tutti quanti, da solo - mormorò atono.
Rimase stupito persino lui dal proprio tono di voce. Nonostante tutto, riuscì a non vacillare. Non voleva combattere proprio in quel momento, ma non poteva tirarsi indietro e, nonostante tutto, il risentimento che covava dentro era rimasto immutato e, anzi, lo stress non faceva altro che renderlo nervoso.
Inoltre arrendersi significava affrontare tutte le conseguenze, e non voleva che Kyoka subisse certe cose.
Nessuno poteva giudicarli, nessuno poteva capirli.
Strinse con ancora più forza la presa al braccio di Nanakaze, poi la spinse lontano, facendola quasi volare via.
La ragazza cadde a terra, a circa un metro dal ragazzo.
In quel momento Minoru vide anche gli altri orfani avvicinarsi. Hitomiko sussultò appena posò lo sguardo sui Kirishima, accorgendosi immediatamente che qualcosa non andava.
Rimu, raggiunta da Geki e Keisuke, si rialzò.
- Rimu! - la chiamò Hitomiko. La ragazza non si voltò verso la sorella, tuttavia rimase al proprio posto, senza staccare gli occhi da Minoru.
Anche Kira si voltò verso il ragazzo e avanzò di qualche passo. - Kirishima Minoru, ti pregherei di non muoverti.
Voglio parlare con te e tua sorella - avvertì, cercando di essere il più calma e conciliatoria possibile.
- Ma sorella...! - si oppose Gouta.
La donna lo ignorò e non distolse lo sguardo da Minoru.
Passarono pochi secondi, poi lui, senza alcuna espressione particolare, decise di rispondere: - Parlare? Volete forse cercare di convincervi a risparmiarvi? -
- So che sarà difficile. Ma vogliamo salvarvi - affermò lei, pronunciando con cautela le ultime parole.
Minoru sollevò un sopracciglio, stupito. Non vista, anche Kyoka sollevò appena la testa.
- Capisco che il sentimento che vi guida è forte, e so che non potrete mai perdonare Midorikawa. Ma cosa sperate di ottenere uccidendolo? Non cambierà niente, e voi lo sapete. Se siete ancora in tempo... fermatevi. -
Minoru fece una smorfia, infastidito da quelle parole, che palesavano l'ovvio.
- Sappiamo che c'è Kenzaki Ryuuichi dietro tutto questo. Sono certa che vi ha mentito su qualcosa, o che non vi ha detto tutta la verità. Sapete, almeno, quello che ha fatto due anni fa? - esclamò Kira.
- Kenzaki è l'uomo che ci ha salvati dalla disperazione e aiutati a diventare forti. Mi basta questo. -
- È un pazzo, è un uomo malvagio! - si intromise Gouta, facendo un passo avanti. - Ha cercato di ucciderci tutti, due anni fa, e non esiterà a far fuori anche voi, appena non gli servirete più! -
Minoru fece una smorfia, dimostrando di non credere a quelle parole, o almeno di esserne infastidito. Tuttavia non ribatté nulla.
Hitomiko, vedendo che quell'argomento non aveva effetto, decise di tornare su di loro. - Cosa vi rimarrà dopo?
Avete intenzione di fuggire per sempre o, soddisfatti per aver consumato la vostra vendetta, vi costituirete? Siete dei ragazzini, volete davvero rovinarvi la vita in questo modo? Ne vale davvero la pena? Ti prego, pensaci bene. -
Minoru fece un passo avanti, lasciando la mano alla sorella e fissando con astio i ragazzini davanti a lui. Era strano come, seppur consapevole dello sbaglio che stavano facendo, non riuscisse a trattenersi dall'odiarli e desiderare la morte di tutti loro. Forse non si trattava nemmeno più di vendicare Hiroki, quanto di punirli per la sofferenza che avevano arrecato a lui e Kyoka.
E più li guardava, più li aveva davanti, più quel dolore tornava e generava altro odio, altro desiderio di vendetta. Sembrava essere destinato a non finire mai.
- Non sono dell'umore giusto per parlare. Andatevene da qui, adesso! - gridò, agitando la mano.
- Prima rispondimi - insistette Hitomiko, senza cedere. - Cosa ti aspetti da tutto questo, Kirishima Minoru? Cosa pensi che ne sarà di voi, dopo? -
- Questi sono solo affari nostri! - urlò lui, digrignando i denti. - Voi meritate di essere puniti per quello che avete fatto, che sia giusto o meno! Se non ve ne andate, allora vi ucciderò tutti, qui e adesso! -
- Noi non ce ne andiamo senza nostro fratello! - gridò Reo. - Lo salveremo, anche a costo di combattere contro di voi! -
Kyoka alzò la testa di scatto in quel momento, sobbalzando talmente forte che alcune lacrime rimaste ai bordi degli occhi scesero velocemente e caddero sul pavimento. Aveva reagito istintivamente alla parola 'fratello'. Gli venne in mente Hiroki.
Non fece caso ai poliziotti, che erano comunque poco dietro gli altri, increduli di fronte a quella assurda situazione e incapaci di fare altro che tenere strette le pistole, quasi percepissero anche loro il pericolo rappresentato da quei due gemelli.
La ragazzina dai capelli ricci fece invece scorrere lo sguardo su tutti gli altri ragazzini. Fu come se, man mano che li guardava, li riconoscesse.
Le pupille si strinsero improvvisamente. Il volto si contrasse in una smorfia di puro odio.
Iniziò a tremare. Le grida di quel ragazzo riecheggiavano ancora nella sua mente, ma si confondevano con le sue e con quelle del fratello. I volti degli altri orfani riaccendevano in lei altri sentimenti.
"Basta!" urlò internamente. Non riusciva più a sopportare quel dolore. Era confusa. L'unico pensiero che riuscì a formulare in quell'istante fu che quei ragazzini erano nemici e che, se li avesse uccisi, tutto quello che stava passando sarebbe finalmente finito.
- Dovete sparire - mormorò.
Minoru la sentì e si voltò verso di lei, quasi stupito dal fatto che la sorella avesse parlato in quel momento.
Senza però degnarlo di attenzione, lei lo superò, iniziò a tremare ancora più forte.
- È tutta colpa vostra! - continuò a urlare, mentre le lacrime continuavano a scorrere sul suo volto.
Nessuno parlò, qualcuno indietreggiò a ogni parola della ragazzina. Nel suo sguardo si percepiva chiaramente tutta la rabbia e il dolore che aveva dentro e ciò spaventò gli orfani, che si sentirono veramente in pericolo.
C'era qualcosa di diverso. Persino Minoru sembrava essersi pietrificato sul posto. Nell'aria c'era qualcosa di strano e, immediatamente dopo, fu chiaro che non si trattava solo di una sensazione: l'ambiente attorno alla ragazzina iniziò a caricarsi di energia statica, una luce si illuminò nel suo petto, con tale intensità da vedersi oltre la stoffa nera della tuta. Le pareti tremarono leggermente.
- Sparite - sibilò Kyoka, ancor più irata, come se precedentemente avesse pensato dovessero davvero volatilizzarsi in un secondo. Abbassò appena la testa. - Dovete morire tutti, voi e quel bastardo che ha ucciso Hiroki! - gridò, disperatamente.
Ormai non era più in sé. Riusciva solo a pensare che doveva far sparire quel dolore, che quella storia dovesse finire in quel momento. Non le importava di nient'altro. Era pronta a tutto.
Un'aura viola la circondò, l'aria divenne più pesante; poi, improvvisamente, questa parve allargarsi in un leggero vento, m generando una forza talmente potente che gli orfani e i poliziotti vennero violentemente scaraventati all'indietro. Persino Minoru venne colpito.
- Vi odio! È tutta colpa vostra! Vi ucciderò. Vi ucciderò! - disse ancora Kyoka, mentre il frammento nel suo petto si illuminava sempre più intensamente.
Si sentirono forti rumori, altrove alcune pareti scoppiarono letteralmente a causa della pressione dell'aria. Alcuni ragazzi, ancora a terra, si toccarono la fronte, colti da improvvisi dolori.
- Kyoka, smettila! Stai usando troppa energia! - gridò Minoru, cercando di avanzare verso di lei.
Ma l'aria attorno alla sorella era troppo pesante e cadde ancora a terra, seduto. La testa iniziò a dolere anche a lui.
La ragazzina dai capelli ricci tornò a singhiozzare, pur senza distogliere lo sguardo dai suoi obbiettivi. - Sono stufa... - bisbigliò, quasi impercettibilmente. - Sono stufa di provare questo dolore. Deve... deve finire tutto. Farò finire tutto - continuò, un ghigno tirato comparve sul suo volto. Fece un passo avanti.
I palloni che i ragazzi del Sun Garden avevano portato con loro si sollevarono da terra. Iniziarono a volteggiare in aria, lentamente. Poi, incredibile velocità, schizzarono verso coloro che Kyoka considerava i suoi nemici, colpirono con forza alcuni dei ragazzi.
Hitomiko, prima di rendersene conto, si ritrovò spinta verso il muro da Saginuma, proprio un istante prima che una delle palle colpisse di striscio il ragazzo alla schiena.
Quando la donna riuscì a guardarsi attorno, vide gli altri a terra: riuscì a notare Segata rannicchiato a terra, con le mani sul volto. Il naso sanguinava. Anche un poliziotto fu colpito e rimase a terra, svenuto.
La pressione nella stanza si era nuovamente alzata, per poi abbassarsi di colpo.
Kyoka perse i sensi subito dopo, immediatamente afferrata da Minoru. Quest'ultimo, sconvolto tanto quanto gli altri, rimase immobile con la gemella tra le braccia per qualche secondo. Osservò i palloni e alcuni degli orfani.
Cos'era successo? Era stata Kyoka?
Minoru non sapeva che il frammento potesse permettere loro di fare una cosa simile. I palloni viola potevano essere controllati col pensiero, era vero,ma non sapeva che potessero controllare anche i palloni normali. Inoltre cos'era stata quell'energia?
La ragazzina dai capelli ricci non sembrava essere stata in sé, quando l'aveva fatto, e Minoru non riusciva davvero a comprendere. Abbassò la testa, osservò la gemella: era sudata e ancora piangeva, tremava e aveva il volto arrossato. Non sembrava stare bene.
Ignorando le grida degli altri ragazzi, alcuni dei quali erano andati a soccorrere i loro fratelli colpiti o feriti, Kirishima si alzò e corse dentro la stanza da dov'erano arrivati e usò nuovamente la lastra per trasportarsi altrove.
Hitomiko si riprese, si guardò velocemente attorno. Oltre a Segata e al poliziotto, a terra si trovavano anche Shuuji, Ikkaku, Ruri e Geki. Alcuni palloni, fortunatamente, non avevano colpito nessuno.
Senza attendere di riprendersi, la donna si rivolse ai poliziotti: dovevano uscire immediatamente da quel posto e portare i ragazzini all'ospedale. Alcune ambulanze erano già fuori dalla base, poiché avevano tenuto conto di un epilogo simile.
Poliziotti e infermieri presero in braccio chi non era in grado di muoversi, colpito troppo violentemente, e, nonostante lo shock generale, i più robusti tra gli orfani li aiutarono. In pochi minuti erano in procinto di lasciare quella base.
Hitomiko rimase indietro, guardò la porta da cui i gemelli Kirishima erano usciti. Forse erano andati nell'altra base, dove probabilmente si trovavano anche Midorikawa e Kenzaki.
- Lascio tutto nelle tue mani, papà - mormorò, prima di seguire gli altri.





Note finali: io odio questo capitolo. L'ho scritto due mesi fa e ho passato due mesi a riscriverlo, modificarlo e correggerlo. Da questo capitolo è iniziato il mio 'periodo buio' e fino al capitolo 17 ciò che scrivevo non mi convinceva. Solo il 18 e il 19 mi stanno convincendo, per il momento.
E non lo so. Ho deciso di pubblicarlo lo stesso, dopo l'ennesima modifica, perché temo che se continua così non andrò mai avanti. Non so nemmeno cosa non mi convince di questo capitolo, ormai. però non mi piace per niente.
Mi affido al giudizio dei lettori, se vorranno farmelo sapere. The show must go on, e anche se non sono ancor del tutto soddisfatta ho deciso di andare avanti lo stesso. Ciò che accade è ciò che avevo deciso, quindi nonostante tutto la fiction continua ad avere il suo senso, e per il momento ho deciso di accontentarmi, fino a quando non capirò perché questi capitoli non mi piacciono.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


La seconda base segreta della Aliea si trovava ad Aisai, nella prefettura di Aichi.
Era piuttosto lontana dal centro abitato, poiché era un vero e proprio edificio, dalle mura solide e scure. Sembrava un'immensa scatola nera, non aveva alcuna decorazione e persino i vetri delle finestre erano scuri.
C'era una sola via da percorrere per raggiungerla, circondata da alberi, ed era in salita.
Quando arrivarono a destinazione, Seijirou, a capo del gruppetto, sollevò lo sguardo.
Era molto tempo che non andava in quel posto: lì furono condotti i primi esperimenti, nonostante il meteorite fosse sempre rimasto al Monte Fuji.
- Kira-san... - mormorò Onigawara.
L'uomo si voltò leggermente verso il detective, annuì.
- Dobbiamo abbattere la porta? - chiese Kikuma, avanzando di qualche passo e prontissimo a calciare il pallone.
Tuttavia la porta si aprì da sé, scorrendo lenta e stridendo rumorosamente. Seijrou si girò verso la parte destra della parete, notò una piccola telecamera. Strinse le labbra. "Sai che siamo qui, vero Kenzaki?" pensò.
Subito dopo si sentì un fischio.
- Benvenuti - riecheggiò la voce di Kenzaki, proveniente da qualche microfono. - Vi stavo aspettando. Sopratutto tu, Kira Seijirou, mio ospite speciale. Coraggio, entrate - disse solo, prima di chiudere la conversazione.
- Padre... - mormorò Reina, con preoccupazione.
- Andiamo - disse l'adulto, avviandosi subito dopo.

Il gruppo avanzò lentamente, nonostante l'impazienza della maggior parte dei ragazzini di ritrovare il loro fratello adottivo.
L'edificio era molto grande e leggermente più illuminato dell’altra base, ma gli orfani si limitarono a seguire in silenzio la persona che consideravano ancora il loro padre, senza nemmeno guardarsi attorno, senza chiedersi nulla. Tenevano lo sguardo fisso sulla grande, ma appena ricurva, schiena dell'uomo, che avanzava con decisione tra i corridoi.
Percorsero un lungo tratto di corridoio. C'erano degli ascensori; tuttavia, per sicurezza, per salire al piano superiore presero le scale.
Seijirou si fermò poco dopo.
- Kenzaki sta tramando qualcosa. Credo di sapere dove si trovi, ma temo che quello che vedremo non ci piacerà - affermò, voltandosi verso i propri figli.
Aveva un'espressione seria, triste, arrabbiata. Fu quasi tentato di andare da solo, non voleva coinvolgere i suoi bambini. Ciò che lo aspettava, era sicuramente un grande dolore: pensava, infatti, che Kenzaki gli avesse aperto la porta perché aveva già fatto del male a Ryuuji.
Ma era certo che nessuno dei presenti si sarebbe tirato indietro. Nei loro sguardi ardeva la rabbia e la decisione ma, sopratutto, la speranza. Avevano fiducia nella possibilità di salvare Midorikawa, nei loro occhi brillava la stessa luce che, due anni prima, vide in Endou Mamoru e nei membri della Raimon.
Si concesse di sorridere leggermente, constatando che i suoi bambini erano cambiati, erano diventati delle persone migliori e non si erano fatti corrompere dagli errori che aveva costretto loro a fare.
- Andiamo al laboratorio. Dove fu condotto il primo esperimento sulla pietra Aliea - disse, poi guardò Onigawara. - Posso concedere ai ragazzi di colpire quell'uomo, se necessario? - chiese, serissimo.
L'uomo parve rifletterci qualche secondo, stupito da quella richiesta di autorizzazione. Annuì, d'altronde quei ragazzi avevano solo dei palloni ed era certo che non li avrebbero mai più usati per fare del male, ma solo per difendersi, o per proteggere il loro fratello.
- Noi non esiteremo - affermò Satoshi, ex-Metron della Epsilon.
- Siamo pronti a tutto, padre. Non preoccuparti per noi - dichiarò Nero, sorridendo.
Nozomi si leccò le labbra, come aveva l'abitudine di fare prima di un'azione importante. - Se necessario, sarò io a picchiare i due gemelli per conto di Rimu-chan - mormorò, quasi entusiasta.
Seijirou annuì e tornò a camminare.
Subito dietro di lui, Hiroto strinse i pugni, nervoso.
- Stiamo arrivando, Midorikawa - sussurrò, cercando di pensare che stesse bene.

Kenzaki non si mosse di un millimetro quando, dando le spalle alla persona che ancora si ostinava a chiamare 'Reize', vide la porta aprirsi.
Teneva le braccia incrociate sul petto, ormai abituato alle grida che ancora rimbombavano per la stnza. Fu una grossa soddisfazione vedere Kira Seijirou entrare a passo svelto e fermarsi subito dopo con espressione sconvolta.
Midorikawa non aveva ancora smesso di urlare, benché il suono che usciva dalla sua gola fosse ormai strozzato e roco. Si era agitato così tanto che ormai lunghi rivoli di sangue gli coprivano le braccia e le scarpe.
Non era andata come aveva pianificato, ma il frammento di pietra che il ragazzino aveva al petto aveva ormai raggiunto un livello a cui nemmeno quelli dei due gemelli Kirishima erano arrivati. Ne concluse che presto o tardi il ragazzo dai capelli verdi sarebbe morto, o che avrebbe riportato danni gravi al corpo, se non alla mente.
Dietro Kira, anche gli orfani del Sun Garden si bloccarono e sussultarono.
- Midorikawa! - gridò Sango, avanzando.
Reina fece una smorfia, non sopportando quelle urla. Ne aveva già sentire tante, in passato.
Non voleva che qualcuno della sua famiglia soffrisse ancora.
Il primo a riuscire a parlare con relativa calma fu Onigawara, che avanzò di qualche passo e scrutò con attenzione Kenzaki.
- Allora era vero: sei ancora vivo - mormorò.
- Sorpresi? - li canzonò l'uomo, ghignando. - Cosa c'è, non siete venuti qui per salvare vostro fratello? Come mai state tutti lì, immobili? - continuò, trattenendosi dal ridere.
Seijirou strinse entrambi i pugni. - Kenzaki Ryuuichi! - tuonò, fulminandolo con lo sguardo. I lineamenti del viso, solitamente benevoli, si contorsero in puro disprezzo. - Cosa diavolo hai intenzione di fare? Cosa stai facendo a Ryuuji? -
L'ex-collaboratore rise. - Sono proprio contento di rivederti. Ma immagino non sia lo stesso per te. Ti sei sentito sollevato quando hai saputo della mia morte, non è vero? - disse, avanzando di qualche passo.
- Come diavolo hai fatto? - chiese invece Onigawara, guardingo.
- Oh, è stato facile: i poliziotti non sono incorruttibili. La mia permanenza in prigione non è durata che poche settimane. L'uomo trovato morto, semplicemente, non ero io - spiegò, sorridendo con soddisfazione.
Il detective strinse gli occhi. - Allora immagino tu sia riuscito a portare dalla tua parte anche i medici che si sono occupati dell'esame del dna... - intuì. E comprese perché il presunto Kenzaki, in cella, si comportasse in modo strano; era, infatti, nervoso e depresso. - Chi era quell'uomo? - domandò.
Ryuuichi capì a chi si riferisse, rise nuovamente. - Un mio sottoposto, a cui era stata fatta la plastica facciale. Credo che ad un certo punto abbia capito che non l'avremmo mai fatto uscire, e ha tentato di parlare con qualcuno. Così l'ho fatto uccidere - ragionò, divertito.
Onigawara si sforzò di mantenere la calma. Quanto poteva essere malvagia una persona?
- Ma immagino tu voglia sapere cosa sta succedendo, vero? Bene, la vedi questa? - domandò, spostandosi leggermente per permettere all'ex-capo di osservare il figlio adottivo. La pietra continuava a brillare intensamente.
- Il meteorite! - mormorò Shigeto, facendo un passo indietro.
Kenzaki rise. - Si, esatto. Sono i frammenti che furono sequestrati dalla polizia. Li ho recuperati e, per due anni, ho continuato a fare ricerche per ridar loro il potere. Non è stato difficile: ogni anno, sulla Terra, precipitano migliaia di meteoriti. Non hanno lo stesso potere della pietra Aliea, ma la loro influenza ha ridato forza ai frammenti. Dopodiché mi è bastato condurre qualche esperimento, per accrescerne la potenza e modificarne gli effetti sul corpo umano - spiegò. Il tono era più basso e, a causa delle grida ininterrotte di Midorikawa, si sentiva a malapena.
- Quindi anche i gemelli Kirishima... - affermò il detective.
- Sì, ho impiantato anche a loro due dei frammenti. Hanno accettato senza preoccuparsi degli effetti collaterali - affermò, sogghignando orgoglioso. - Ma il tasso di compatibilità è piuttosto basso, non resistono a lungo, purtroppo. -
- Tasso di compatibilità? - domandò Hiroto, confuso.
Seijirou sospirò. - Determina la percentuale di tollerabilità tra il corpo e il meteorite. Più e alto, più il soggetto diventa forte e meglio resiste al potere - spiegò. Poi si voltò appena verso i figli. - Ho scelto le vostre squadre e i gradi in base a questa percentuale: i membri delle squadre senza rango master avevano un basso tasso di compatibilità, quelli della Prominence e della Diamond Dust medio-alto. Infine, la Genesis aveva un tasso alto, ma come ben sapete con voi non ho usato il meteorite - confessò.
Quel ragionamento gli portò alla mente una cosa importante e preoccupante. Fissò Ryuuji. Lui non era mai riuscito ad assorbire molto potere dal meteorite, ai tempi della Aliea, e per questo non poteva diventare forte come gli altri. Oltretutto l’influenza del potere inibiva molti aspetti del suo carattere, motivo per cui, due anni prima, riusciva a fare azioni orribili con tanta leggerezza. A prescindere da questo, comunque, l'esposizione diretta era pericolosissima. Nessuno degli ex-membri della Aliea lo toccava direttamente. Midorikawa aveva una bassa compatibilità, ma questo significava solo che non poteva sostenere a lungo quella forza.
"Lo sta distruggendo!" pensò. "Dobbiamo liberarlo subito."
Anche Kenzaki si voltò verso il ragazzino, si chiese per quanto tempo ancora avrebbe continuato ad opporre resistenza.
“Sarebbe divertente,” pensò Ryuuichi, “ se morisse proprio in questo momento, davanti a tutti.”
Ghignò e tornò a guardare gli altri.
- Era mia intenzione mettervi contro Reize e distruggere la famiglia a cui tieni così tanto, ma le cose non sono andate come speravo - confessò, sollevando la mano che reggeva il telecomando. - Non importa, avrò la mia vendetta su di te in ogni caso, Kira Seijirou - mormorò. Rise sguaiatamente. - Hai distrutto il nostro sogno di dominare il mondo, e questo non te lo perdonerò mai. Mi hai tolto tutto; ora sarò io a togliere tutto a te, a cominciare da questo ragazzo - dichiarò, prendendo un tasto.
La pietra nel petto di Ryuuji brillò ancora più intensamente, e le grida disperate del ragazzino si fecero nuovamente acute.
- No! - gridò Seijirou, sporgendosi appena col busto, senza però aver la forza di fare alcun passo.
Midorikawa inarcò la schiena, nell'istintivo tentativo di liberarsi da quell'orribile fardello e dal dolore.
La luce del frammento illuminò gran parte della stanza per parecchi secondi; infine, improvvisamente, si affievolì e la pietra di incrinò, producendo un rumore talmente forte e secco da sentirsi nonostante le grida del ragazzo dai capelli verdi. L'istante dopo calò il silenzio, improvvisamente: Ryuuji si bloccò con la testa sollevata e gli occhi granati; la bocca era spalancata, nel tentativo di riprendere fiato. Ansimò un paio di volte prima di chinare la testa di colpo.
Gli altri nella stanza fissarono il ragazzo per un po', il tempo necessario per rendersi conto che, seppur lentamente, respirava ancora.
Tutti, nella stanza, avrebbero voluto intervenire. Ma erano pietrificati dal terrore, tremavano.
Ryuuichi scoppiò a ridere, quasi divertito dall'ostinata forza di Reize e dalle reazioni di Seijirou e gli orfani.
Infine qualcuno calciò un pallone, con così tanta forza che, colpendo il braccio di Kenzaki, quest’ultimo lasciò la presa al dispositivo, che cadde a terra.
Quando l’uomo sollevò lo sguardo vide Reina, ancora con la gamba alzata, guardarlo con puro odio.
Quando i loro sguardi si incrociarono, la ragazza quasi ringhiò. Avrebbe voluto insultarlo, ma l’irritazione glielo impedì.
- Dei palloni, naturalmente… - mormorò, divertito. - Degno di voi, ma non serviranno a molto - affermò, indietreggiando di qualche passo.
In quel momento, dal lato destro della stanza, vicino ai grandi computer, apparve una luce intensa, che costrinse tutti a coprirsi gli occhi. Il secondo dopo Minoru, con in braccio la sorella ancora priva di sensi, apparve sopra la lastra.
Il ragazzo vide per prima cosa Seijirou. Si soffermò qualche istante su di lui, confuso. Prima che qualcuno potesse intervenire, Kenzaki si accostò a lui, salendo a sua volta sull’apparecchio.
- Al momento giusto. Andiamo - disse, e schiacciò col piede il tasto d’avvio, posto sulla lastra stessa. Nuovamente, la luce avvolse l’intera stanza, senza che nessuno riuscisse a muovere un muscolo.
Onigawara fu il primo a riprendersi, e strinse con forza i pugni. - È riuscito a scappare! -
Seijirou corse da Midorikawa, cercò di slegare le cinghie, aiutato subito dopo da Hiroto, Gigu e Saiden.
Una volta sciolti i lacci, il ragazzino cadde a peso morto in braccio al padre adottivo. Aveva gli occhi semi-aperti, ansimava pesantemente e sembrava guardare l'uomo, ma l'adulto non era certo che fosse in grado di riconoscerlo, in quel momento. Probabilmente non era completamente lucido, ma gli sembrava quasi un miracolo che fosse ancora vivo dopo tutto quello che era successo.
Lasciando momentaneamente da parte quei ragionamenti, Kira frugò in una delle proprie tasche e ne estrasse un ciondolo. C'era una pietra simile ai frammenti del meteorite, ma era bianca.
- Padre, cos'è? - domandò Hiroto, preoccupato. Non aveva mai visto quell’oggetto, ma la parvenza simile al meteorite lo impensieriva.
Seijirou mise la collana al collo di Ryuuji, prima di rispondere.
- È una pietra creata appositamente per annullare gli effetti del meteorite - spiegò, fissando l’oggetto. - Dentro tutti i frammenti che avete usato alla Aliea c'era una piccola scaglia di questa pietra, per limitare ancora di più l'influenza sui vostri corpi - disse, a voce bassa. Sembrava provato dalla consapevolezza che i suoi figli stavano ancora pagando per colpa delle sue azioni e dall’ansia per la loro incolumità.
La pietra del ciondolo si illuminò di luce bianca, dapprima intensamente. Poi si affievolì e iniziò a cambiare colore, in un grigio tendente al viola, come se il meteorite lo stesse sporcando in qualche modo.
Midorikawa si calmò pochi secondi dopo e chiuse gli occhi, rilassandosi tra le braccia del padre.
Seijirou si alzò tenendo in braccio il ragazzino, sbrigandosi a portarlo fuori dall’edificio.
Le ambulanze, chiamate precedentemente per ogni evenienza, li attendevano oltre il sentiero da cui erano arrivati. Ci sarebbero voluti alcuni minuti e dovevano fare in fretta. Benché non brillasse più, infatti, il frammento nel corpo di Ryuuji era ancora pericoloso.
Appena uscirono dalla base, l'entrata crollò improvvisamente, con gran stupore di tutti.
Nessuno seppe per quale motivo ma Seijirou e i figli, più preoccupati per la salute di Midorikawa, decisero di non pensarci in quel momento.

A salire in ambulanza insieme a Midorikawa furono solamente Seijirou e Hiroto.
Gli altri ragazzini furono accompagnati dalla polizia, diretti, naturalmente, all'ospedale della città.
Kira era seduto accanto alla barella dov'era stato adagiato il figlio adottivo, Hiroto era accanto al padre. Durante tutto il tragitto l'uomo non distolse mai lo sguardo da Ryuuji.
Era contento che fosse ancora vivo, ma consapevole che non era ancora finita: non sapeva che conseguenze avrebbe avuto il contatto diretto col meteorite, se aveva fatto danni al corpo del ragazzino o meno.
Certamente Ryuuji non stava bene, e questo si vedeva anche solo guardandolo.
Continuava a grondare di sudore, era estremamente pallido e sembrava non riuscire a respirare bene. I medici lo stavano controllando, ma poco si poteva fare, finché quel frammento fosse rimasto tra le sue carni.
Ancora una volta, Seijirou pensò che fosse solo colpa sua. A pensarci dopo due anni, lui stesso si chiedeva cosa gli fosse venuto in mente a quei tempi, e come aveva potuto pensare di utilizzare i suoi adorati bambini come strumenti.
Li aveva fatti soffrire tutti, aveva causato loro ferite difficili da rimarginare, aveva dato inizio ad una catena di vendette, un circolo vizioso che avrebbe portato solamente altro dolore.
Midorikawa non meritava alcuna ritorsione: la colpa della morte di Kirishima Hiroki non era del ragazzino, era sua. Solo sua. Era stato lui a dare quegli ordini, senza pensare a quali conseguenze avrebbe avuto sul figlio adottivo fare un'azione del genere.
E sapeva che se lui, se tutti loro, avevano obbedito ai suoi folli ordini era solo ed esclusivamente per lui, perché gli volevano bene. E gliene volevano ancora. E lui non meritava il loro affetto, non meritava alcun perdono.
”Mi dispiace così tanto, Ryuuji” pensò afferrandogli la mano e stringendola forte, accorgendosi che non aveva mai avuto l'occasione di scusarsi con lui e con molti altri dei suoi bambini.
Come se avesse percepito la stretta all'arto, Midorikawa aprì lentamente gli occhi.
Ancora debilitato, osservò qualche secondo davanti a sé. Poi roteò gli occhi verso la propria sinistra, dove si trovava Kira. Si voltò appena verso di lui con la testa, lo guardò stupito.
- P-padre? - sussurrò, debolmente.
L'adulto sorrise appena, pensando che, se aveva la forza di aprire gli occhi, allora avrebbe potuto resistere fino all'ospedale.
Midorikawa continuò a fissarlo, quasi pensasse si trattasse di un'illusione. Non ricordava bene cos'era successo. Rammentava di essere stato nelle due basi, di aver avuto il frammento di meteorite sul petto, e il dolore lancinante in tutto il corpo. Ma i suoi ricordi finivano lì.
Non sapeva dove si trovava in quel momento, e perché stava vedendo il padre. Forse stava sognando? Cercò di stringere la stretta alla mano, senza riuscirci, ma quel contatto fisico non sembrava irreale.
Si sentiva debole, la testa gli girava e respirava a fatica, aveva male ovunque, gli veniva da vomitare. Non avrebbe voluto farsi vedere da lui in quelle condizioni. Non aveva mai voluto nemmeno immaginare come sarebbe stato un loro incontro, dopo tanto tempo. Sapeva che sarebbe stato inevitabile, che quel giorno sarebbe arrivato, ma credeva anche che ci sarebbero voluti molti anni.
Non avrebbe mai pensato di rivederlo in una situazione del genere. Non l'avrebbe voluto, non in quelle condizioni. Avrebbe voluto saperlo perdonare, potergli sorridere e dirgli che ormai stava bene, che aveva ripreso in mano la sua vita insieme a tutti gli altri, che erano ancora una famiglia nonostante tutto. Che andava tutto bene.
Tutto il contrario della situazione attuale. Perché doveva sempre andare tutto storto? - Padre... - ripeté, senza aver la forza di alzare la voce. Gli occhi si inumidirono, le lacrime scorsero silenziose. Midorikawa percepì la frustrazione e la tristezza crescere dentro di lui. Non riusciva nemmeno a parlargli, perché doveva fare sempre queste figure? Non era cambiato nulla dai tempi della Aliea.
- Sono ancora così debole... - mormorò, addolorato. - Mi dispiace di averti deluso. Mi dispiace tanto - disse, con voce rotta.
Seijirou sobbalzò impercettibilmente, sorpreso. Di fianco a lui, Hiroto abbassò appena lo sguardo, triste. Per quanto, ai tempi del Football Frontier International, l’avesse incoraggiato ad aver fiducia in se stesso, dentro di sé Midorikawa aveva continuato soffrire per aver deluso il padre, in passato. Non poteva non capirlo, tuttavia gli dispiaceva che l'amico e fratello adottivo continuasse a torturarsi in quel modo.
Ma il padre si chinò appena verso l'ex-capitano della Gemini Storm.
- Oh, Ryuuji, pensi ancora questo? - domandò. Questo era uno dei traumi che lui e la Aliea avevano lasciato nei suoi figli, ed era triste che Midorikawa fosse ancora condizionato da certe convinzioni. Doveva aiutarli, ora che ne aveva finalmente l'occasione. Sorrise dolcemente. - Tu non sei affatto debole. Sei riuscito a resistere al potere del meteorite, senza arrenderti nemmeno per un istante, senza perdere te stesso. Hai dimostrato una grandissima forza di volontà, piccolo mio - affermò, scostandogli alcune ciocche appiccicate al viso dal sudore. - Sono fiero di te. -
Midorikawa cambiò subito espressione, sembrò esterrefatto. Rimase a bocca leggermente aperta qualche secondo, poi, infine, sorrise. Negli occhi apparve quel sollievo cercato per due anni. Ora, finalmente, poteva credere a quelle parole, che aveva ascoltato sulla bocca di molti, ma che avevano davvero significato solo da parte del padre. Richiuse gli occhi, mantenendo il sorriso sereno sul volto.
Anche Hiroto si sentì più tranquillo, sentiva che un brutto capitolo della vita di Ryuuji si fosse finalmente concluso, nonostante la situazione in cui ancora si trovavano.
Subito dopo, però, Seijirou si alzò, stringendo più forte la mano al ragazzino.
- Ryuuji! - esclamò, allarmato.
Hiroto lo fissò, stupito, senza capire. Istintivamente balzò in piedi a sua volta, quasi senza rendersene conto.
Uno degli infermieri si voltò, parlò al suo collega.
- Il pallone di ambu, presto! - gridò, mentre l'altro si voltava per obbedire. - Questo ragazzo ha smesso di respirare! -
Nel sentire quelle parole, improvvisamente Hiroto si sentì mancare la terra sotto i piedi.






Note finali: secondo capitolo così così.
Però la parte finale mi soddisfa abbastanza, e il livello di schifo non raggiunge quello del capitolo precedente, che rimane prima in classifica nella lista dei capitoli che mi sono usciti male.
Per chi non lo sapesse, il pallone di ambu è codesta cosa.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Hiroto non mosse un muscolo per tutto il resto del tragitto.
Fissava Midorikawa, fissava i medici chinati su di lui; questi ultimi parlavano, gridavano qualcosa, Kiyama non riusciva a sentirli.
Nella sua mente, le stesse parole continuavano a riecheggiare, crudeli e dolorose.
"Ha smesso di respirare."
Non riusciva a pensare nient'altro, gli sembrava di dover cadere in ginocchio da un momento all'altro.
Non poteva finire così. Ryuuji aveva resistito fino a quel momento, era riuscito a non cader vittima del potere del meteorite contro ogni previsione, mostrando di possedere una forza che, chissà, magari lui e gli altri non avevano nemmeno. Non poteva finire in quel modo. Non poteva star succedendo davvero.
E intanto continuava a tenere lo sguardo sull'amico, lo vedeva immobile, rigido; i dottori cercavano di rianimarlo, invano.
Era reale. Midorikawa non respirava. Non respirava più.
Le pupille color acquamarina si strinsero improvvisamente, le palpebre tremarono impercettibilmente, mentre la consapevolezza si faceva strada nel petto e nella mente.
Avrebbe voluto chiamarlo, dirgli di non arrendersi, nella speranza che riaprisse gli occhi. Si era ripromesso di esserci sempre, quando Ryuuji avesse avuto bisogno di aiuto, o semplicemente di conforto. Doveva fare qualcosa, era il suo migliore amico dopotutto.
Ma non ci riuscì, e continuò a fissarlo, sotto shock, immobile e inerme.
Seijirou dovette tirarlo delicatamente verso di sé per permettere ai medici, una volta che l'ambulanza si fu fermata, di spingere la barella verso l'edificio.
Entrambi rimasero inizialmente dentro il mezzo, seguendoli con lo sguardo, senza trovare il coraggio di entrare e affrontare una straziante attesa.
Kira abbracciò il figlio adottivo e si chinò leggermente verso di lui. - Coraggio - sussurrò. - Ryuuji è forte, ce la farà. Vedrai che ce la farà - disse, stringendolo a sé.
Kiyama non rispose, uscirono dall'ambulanza ed entrarono nell'ospedale, dove si sedettero in sala d'attesa.
Hiroto rimase immobile per molti secondi. Fissava il pavimento con sguardo assorto, senza badare nemmeno alle carezze del padre.
Si sforzava di pensare che l'uomo avesse ragione. Lui era il primo ad aver fiducia nella forza di Midorikawa, dopo l'esperienza alla Aliea non aveva mai dubitato di lui.
Ryuuji era testardo, odiava perdere e si impegnava al massimo in tutto quello che faceva.
Ma conosceva bene la potenza dei frammenti. Erano in grado di uccidere. E se l'amico aveva smesso di respirare, quante possibilità aveva di riprendersi?
Ogni secondo che passava le sue speranze si affievolivano, nonostante si impegnasse a combattere quei nefasti pensieri. Man mano che continuava a rifletterci, si convinceva che fosse tutto perduto.
Improvvisamente si coprì il volto con le mani, tremando. Era sempre riuscito a trattenere le lacrime, a non lasciarsi guidare dalla paura, da quando tutto era iniziato. Aveva già rischiato di perdere i suoi fratelli, quel dolore non gli era nuovo, purtroppo. Nonostante il terrore, non aveva mai perso la lucidità. Ma, in quel momento, era dannatamente difficile, se non impossibile, non disperarsi. Midorikawa gli era particolarmente caro ed era la persona più coinvolta in quella situazione. Da quando quei due gemelli avevano fatto la loro comparsa Ryuuji aveva sofferto continuamente e non meritava quello che stava accadendo.
Non poteva morire e darla vinta a Kenzaki e a quei gemelli. Non poteva finire in quel modo.
Seijirou lo abbracciò, senza nemmeno provare a dire nulla. Sapeva che era inutile parlargli. Ma lui voleva crederci. Lo doveva a Ryuuji, doveva credere nella sua forza questa volta.

Quando il resto del gruppetto di ragazzini, accompagnati da Onigawara, arrivò in ospedale, Kira si alzò per andare loro incontro. Hiroto era rimasto nella stessa posizione di prima, sforzandosi di non scoppiare in lacrime.
Ma, vedendolo in quello stato, i suoi fratello adottivi intuirono che le cose non stavano affatto andando bene.
- Cos'è successo? - domandò Yuki, Rhionne alla Diamond Dust, con ansia.
Il padre scosse la testa. Non avrebbe voluto dare spiegazioni in quel momento, consapevole della sofferenza che avrebbe arrecato la notizia, ma si rendeva conto che il silenzio sarebbe stato molto peggio.
- Si era svegliato. Mi ha anche parlato - iniziò, nel tentativo di mantenere viva la speranza. - Ma, subito dopo, ha smesso di respirare... - mormorò, abbassando la testa.
I ragazzini sussultarono, Nozomi non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in lacrime e si voltò verso Saiden, che la strinse immediatamente a sé; Honoka si limitò a mettersi la mano davanti alla bocca e a distogliere lo sguardo e a fissare cupa il pavimento chiaro della sala. Shousuke fece digrignare i denti e strinse i pugni.
- A-allora... è... - balbettò Iderou, indietreggiando come per fuggire da quella realtà.
- No - affermò l'uomo, con decisione. I presenti nella sala lo fissarono con stupore; persino Hiroto sollevò la testa e si voltò verso di lui. Seijirou, dopo un profondo respiro, decise di spiegarsi meglio. - Ritengo ci sia una possibilità, seppur minima, che le sue funzioni vitali si riattivino spontaneamente quando il frammento del meteorite verrà estratto. Il meteorite l'ha danneggiato, ma gli ha anche donato una forza superiore a quella umana: se sarà abbastanza forte, sopravviverà. -
- È davvero possibile? - chiese Reina, con diffidenza. Il padre lo stava dicendo solo per non farli disperare o ci credeva davvero?
Seijirou rimase qualche istante in silenzio, poi si voltò lentamente verso la porta della sala operatoria.
- Abbiate fiducia in lui - mormorò.
Nessuno parlò più, Reina e Sora si sedettero vicino a Hiroto, che dopo le parole del padre stava nuovamente provando a persuadersi.
Onigawara, che inizialmente era rimasto fuori dall'ospedale per avvertire Hitomiko col cellulare, si avvicinò a Kira.
- Signor Kira - lo chiamò piano, facendo poi cenno di avvicinarsi.
Seijirou lanciò un'occhiata veloce ai figli, stretti gli uni contro gli altri per farsi coraggio tra loro, per qualche strana ragione notò in quel momento come le pareti e il pavimento della sala d’attesa sembrassero cupe e angoscianti. Fece un profondo respiro, poi seguì il detective fuori dalla stanza.
- Ho chiamato sua figlia, le ho spiegato tutto - esordì. - Anche loro hanno avuto dei problemi, sono stati aggrediti da Kirishima Kyoka - rivelò cauto.
- Stanno bene? - domandò l'altro uomo, intuendo nel tono dell'investigatore che era successo qualcosa.
- Ci sono dei feriti, sua figlia ancora non sa quanto gravemente. Ma sembrava abbastanza tranquilla, non credo siano in pericolo di vita - lo rassicurò. - I miei uomini setacceranno e controlleranno entrambe le basi, prima o poi troveranno quei ragazzini e Kenzaki Ryuuichi. Per il momento è meglio pensare ai ragazzi. -
Seijirou annuì. Era certo che, se la situazione fosse stata disperata, la donna l'avrebbe fatto avvertire. Si voltò a fissare il muro del corridoio, pensieroso.
- Spero vada tutto per il meglio - mormorò Onigawara, e a Seijirou non rimase altro che augurarsi la stessa cosa.

- No, non andare! Non andare! - gridò una ragazzina dai lunghi capelli ricci, mentre stringeva saldamente il braccio ad un ragazzo molto più alto di lei davanti all'ingresso della loro casa. Un altro ragazzino stava cercando, senza molta convinzione, di tirarla indietro. - È pericoloso! -
L'adolescente più grande, dai capelli scuri e molto corti, sorrise, socchiudendo i grandi occhi marroni, e scosse la testa, quasi divertito. - Non posso saltare la scuola - rispose pazientemente. - Non preoccuparti. -
- Ma tu fai le medie! E ultimamente gli alieni stanno distruggendo le scuole medie! E se attaccassero anche la tua scuola? -
- È vero, e l'ultima era poco distante dalla nostra città - aggiunse il ragazzino, con evidente preoccupazione.
- Non succederà nulla. La nostra scuola non ha un club di calcio molto forte, non credo ci prenderanno di mira. Quindi state tranquilli, va bene? -
Lei sbuffò, imbronciandosi e gonfiando le guance.
- Mentre torno vi prendo qualche dolce dalla pasticceria, d'accordo? -
- No, lo devi fare tu, altrimenti non lo mangio! - pretese la ragazzina, già sulla buona strada per tornare di buon umore e scordare il presunto pericolo.
- Kyoka! - la richiamò il ragazzino, come ogni volta che la sorella faceva i capricci.
- Cosa c'è questa volta? Il fratellone fa i dolci più buoni di quelli della pasticceria! -
Il più grande dei tre rise. Era difficile che si arrabbiasse con loro, nonostante i numerosi litigi che era costretto a sedare. - Dato che vi preoccupate tanto per me, vi meritate qualcosa di speciale. Ok, quando torno vi preparo dei tortini al cioccolato, ma ora vestitevi e andate a scuola anche voi. Passo a prendervi io, oggi. -
Lei sorrise e lo abbracciò. - Evviva! Allora è una promessa, eh! Buona giornata! - esclamò, dandogli un bacio sulla guancia e correndo al piano superiore per cambiarsi, non prima di aver fatto un cenno di saluto con la mano. - Datti una mossa, Minoru! -
Il fratello sbuffò, mettendosi le mani sui fianchi e guardandola. - Come fai a cambiare umore così velocemente? - commentò, scuotendo la testa e accingendosi a seguirla. - Vabbhé, è inutile discutere con lei. Buona giornata, Hiroki, e fai attenzione! - salutò, ancora un po' preoccupato, prima di allontanarsi dal fratello.
Hiroki ridacchiò. - Buona giornata anche a voi - mormorò, chinandosi per mettersi le scarpe e aprendo la porta.
In quell'istante tutto si fece bianco e Kyoka ebbe la strana ma familiare sensazione che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe visto.
"Non andare, Hiroki!"


- Hiro...ki.... -
Minoru assunse un'espressione dolorante, quando vide le lacrime della sorella scorrere lungo le tempie, proprio subito dopo aver mormorato il nome del fratello.
Si chiese se lo stesse sognando o meno.
Era probabile che lei sentisse la mancanza di Hiroki soprattutto in quel momento, e il ragazzo si sentì in colpa, perché lui non poteva sostituire il loro fratello maggiore, per quanto ci avesse provato in quei due anni. Kyoka si era sempre affidata a Hiroki e, dopo la sua scomparsa, si erano entrambi ritrovati a cavarsela da soli e ad affrontare le conseguenze delle loro sconsiderate decisioni.
Fece un respiro profondo, sollevato che ci fosse solo silenzio lì, nella stanzetta che fungeva da infermeria della base di Aisai. Aveva adagiato la sorella nel lettino e vi si era seduto sul bordo, vegliando sulla ragazzina.
Fuori dall'edificio c'erano alcuni poliziotti che, dopo il crollo dell'entrata principale, stavano cercando di aprirsi un varco per entrare. Probabilmente l'altra base era già sotto sequestro.
La situazione non era delle migliori, e Minoru ebbe la sensazione che da lì quel momento sarebbe solo peggiorata. Non era ancora riuscito a riflettere come si era ripromesso di fare sulla situazione, che stava cambiando troppo velocemente. Forse non ci sarebbe riuscito nemmeno se avesse avuto tutto il tempo del mondo, confuso com'era.
“Cosa ci rimane da fare, adesso?” pensò, sconsolato. “Cosa ci succederà?”
La porta si aprì in quel momento, e il ragazzino si voltò verso Kenzaki, che stava entrando a passo lento e calmo. Lo fissò con sguardo accusatorio e deluso.
- Cosa c'è? - domandò l'adulto, per nulla turbato.
- Dov'è stato? Tutto questo è successo per colpa sua, se ne rende conto? - gridò, irato.
- Sì, sì, ho capito. Le cose non sono andate come avevo previsto, lo ammetto - affermò l'adulto con noncuranza, alzando entrambe la mani quasi in segno di resa. - Non credevo potessero scoprire l'ubicazione delle basi, di entrambe addirittura, e portare via quel ragazzo - mentì. - Ma non ti preoccupare, non è tutto finito - affermò poi, ghignando.
- Come sarebbe a dire? - domandò, alzandosi in piedi. - Ho bloccato l'entrata distruggendo parte dell'edificio, come mi aveva detto, ma non cambia la situazione: siamo come topi in trappola, e non ci vorrà molto prima che ci raggiungano. Se continua così verremo tutti arrestati! - esclamò, nervoso.
- Non agitarti. Se entrano possiamo pur sempre fermarli - cercò di tranquillizzarlo, senza successo.
- E come? -
Kenzaki ghignò. - Chissà, magari uccidendoli - affermò. Rise alla reazione immediata di Minoru, che trasalì e inorridì. - Tranquillo, ci penseranno i miei uomini. È proprio una fortuna che siano rimasti qui per tutto il tempo. -
Il ragazzino non riuscì a calmarsi e Kenzaki lo notò. Ridacchiò. - Adesso finalmente ti comporti per quello che sei: un ragazzino che ha sottovalutato la situazione - lo canzonò, avvicinandosi ancora. - Sapevo che non sareste riusciti ad andare fino in fondo, scommetto che adesso provi addirittura pietà per Reize. Sei assillato da dubbi e rimorsi, ma sai anche che è troppo tardi per tornare indietro. -
Minoru strinse i pugni, sentì tutti i muscoli del corpo tendersi dal nervosismo. - Se sapeva già tutto, perché ci ha portati qui, due anni fa? Perché farci fare tutto questo? -
Ryuuichi lo fissò, divertito. - Volevate vendetta, e io vi ho aiutati. Immaginavo che non avreste ucciso nessuno, alla fine, e ho cercato di risolvere a modo mio per accontentare voi e me - spiegò, facendo spallucce. Poi fissò eloquentemente il ragazzino. - Mi sono sporcato le mani al posto vostro, dovresti essermi grato - mormorò mellifluo. - Ma, dato che ci troviamo in una brutta situazione, spero che continuerete ad aiutarmi fino alla fine. Me lo dovete, no? - concluse con un sorriso quasi conciliatorio ma perfido allo stesso tempo.
Kirishima deglutì. - Se quel ragazzo è morto, io e Kyoka non abbiamo più nulla da fare - dichiarò, nervoso. - Non voglio che mia sorella sia ancora coinvolta. Sta male. Voglio che le venga rimosso il frammento! -
- Non abbiamo la certezza che sia morto davvero, prima di tutto - lo avvertì, guardando altrove con fare annoiato. Iniziò a camminare avanti-indietro per la stanzetta. - È molto più resistente di quel che pensavo, quelli sono davvero come scarafaggi - sussurrò, distrattamente e con disgusto.
Poi tornò a guardare Minoru. - Controllerete. Per il momento sono ancora nell'ospedale della città, ma non ci rimarranno a lungo. Li seguirete - ragionò. - Vi muoverete appena risolverò il problema dei poliziotti - disse e, senza attendere risposta, si voltò per uscire dalla stanza. Prima di andarsene definitivamente, però, si girò appena all’indietro - Io ho aiutato voi, quindi mi auguro che, a prescindere da tutto, anche voi vogliate aiutare me fino alla fine. Se volete liberarvi del frammento, ve lo toglierò appena avrò anche la mia vendetta - mormorò con voce bassa, prima di uscire.
Minoru rimase a fissare la porta ormai chiusa, immobile. Quelle parole suonavano come una minaccia ed ebbe la sensazione che i veri guai, per loro, sarebbero iniziati presto.
Per la prima volta dopo due anni pensò che davvero che avevano fatto male, due anni prima, a fidarsi di lui. Forse era giunta l'ora di sapere che ruolo avesse avuto quell'uomo nella Aliea Academy due anni prima.






Note finali: ci ho messo un po’ a pubblicare perché prima volevo finire il capitolo 20.
In questo capitolo, tramite sogno, ho voluto presentare finalmente Hiroki. Credo sia un personaggio importante, perché con la sua morte ha dato il via a tutto questo. Un po’ come Kira Hiroto per la Aliea.
Spero di avere occasione di caratterizzarlo un po’, magari facendolo descrivere da Minoru e Kyoka…

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Midorikawa era in sala operatoria da almeno un'ora, e ancora non si erano avute sue notizie.
I ragazzi del Sun Garden erano rimasti seduti in silenzio - chi sulle sedie, chi per terra - per tutto il tempo. Solo Yuki si era alzata ed era uscita per chiamare Suzuno: era rimasta fuori dall'ospedale per almeno un quarto d'ora, ed era rientrata con gli occhi lucidi. Nessuno avvertì Hitomiko, perché il padre aveva detto loro che la donna era già stata messa al corrente di tutto. Ora rimaneva solo da attendere ed era la cosa più complicata da fare in quel momento.
Hiroto sospirò; piegò all'indietro la testa, facendola sbattere leggermente contro il muro, e fissò il soffitto. Continuava a torcersi le mani, nervoso, ansioso di sapere qualcosa, di sapere come stava il suo migliore amico. L'ansia e la pesantezza sembravano riempire quei pochi metri quadrati, rendendo l'aria quasi irrespirabile.
Nessuno palesava i propri sentimenti, un po’ per orgoglio, un po’ per evitare di far agitare gli altri, un po’ per rispetto, essendo in un ospedale.
I loro stessi respiri, o il lieve rumore dei loro piccoli e inevitabili movimenti, accrescevano l’irritazione e l'impazienza. Ognuno di loro avrebbe voluto sfogarsi, piangere e urlare, o anche solo scappare da lì e convincersi che tutto ciò che era successo in quegli ultimi giorni era stato solo un brutto sogno.
Tuttavia, allo stesso tempo, volevano assolutamente sapere qualcosa, senza scappare dalla realtà.
Il rumore della porta che si apriva interruppe bruscamente quell'atmosfera di desolazione che si era creata, e fu inizialmente tanto improvviso quanto atteso.
Seijirou si alzò immediatamente, andando incontro al medico.
- Ci è voluto più del previsto - esordì l'uomo, con calma. Lanciò un'occhiata ai ragazzini, dubbioso, poi tornò a guardare l'adulto, che annuì. - Seguendo le sue disposizioni, abbiamo effettuato l'intervento tenendo quella pietra bianca al collo del paziente e siamo riusciti ad estrarre il frammento senza complicazioni. Qualunque cosa fosse, sta ancora influenzando il corpo del paziente: non abbiamo, infatti, avuto bisogno di chiudere la ferita lasciata dall'intervento, dato che ha iniziato quasi subito a cicatrizzarsi - mormorò, grave. Non aveva mai visto una cosa del genere, un avvenimento che non sembrava nemmeno umano. Ma i poliziotti l'avevano già avvertito di aspettarsi di tutto e lui si era tenuto le domande per dopo. - Abbiamo poi insistito a lungo con la respirazione artificiale, benché sembrasse inutile - continuò.
Dovette bloccarsi a causa della tensione che percepiva in quella sala. Gli sembrava di essere squadrato da migliaia di paia di occhi inizialmente speranzosi, poi irrequieti e quasi ostili. Così sospirò e accennò ad un sorriso forzato. - Aveva ragione: dopo qualche minuto il ragazzo ha ripreso a respirare da solo, e attualmente è stabile - si affrettò a rassicurare.
A quella frase seguì un lungo silenzio, durante il quale l'atmosfera non cambiò. Poi qualcuno sospirò, lentamente tutti presero coscienza del significato di quella frase e i ragazzini iniziarono a rasserenarsi e a rilassarsi.
Il medico osservò le loro reazioni per qualche secondo, poi tornò a rivolgersi a Seijirou, tornando serio.
- Ma non è ancora fuori pericolo - continuò, cauto. Come immaginava, l'entusiasmo dei ragazzini si placò. - Non so cosa sia successo a quel ragazzo, ma sembra abbia recuperato a malapena la forza per respirare. In queste condizioni preferirei tenerlo sotto osservazione. -
Kira scosse la testa, desolato. - Non possiamo rimanere qui - mormorò, con rassegnazione, dovendo tornare a pensare alla situazione generale e al pericolo. - La ringrazio per aver salvato la vita a mio figlio nonostante le circostanze, davvero - disse poi, inchinandosi. - Ma se rimanesse qui, tutti coloro che si trovano in questo ospedale sarebbero a rischio. -
L'uomo incrociò le braccia al petto, pensieroso. Pur non facendo domande sembrò intuire quanto la situazione fosse disperata. Infine gli arti tornarono lungo i fianchi e fissò l'adulto. - Al momento non è in grado di sopportare un trasferimento. Preferirei attendere almeno fino a domani - consigliò. - Presto lo porteremo nella stanza e lo terremo d'occhio. Potrete entrare anche voi, ma se si sveglia chiamateci immediatamente e non fate troppo rumore -
- Per chi ci ha preso? - sbottò Gigu, che dal sollievo tornò ad avercela col mondo.
- Non cominciare, tu! - lo sgridò Izuno, mentre cercava di evitare di essere travolto dall’abbraccio tra Shigeto e Satoshi. Yuki corse nuovamente fuori col cellulare in mano, per chiamare il proprio ex-capitano e aggiornarlo.
- Grazie, dottore - mormorò invece Reina, sorridendo commossa al medico. Dopodiché si voltò verso Hiroto, che annuì.
- Dopo questa esperienza, Midorikawa, - sussurrò, senza farsi sentire da nessuno, alzando lo sguardo - non hai più alcun diritto di pensare di essere debole. -

Pochi minuti dopo, Ryuuji venne portato in una stanza singola. La camera era troppo piccola per permettere a tutti di entrare, ma a poco a poco ognuno di loro riuscì almeno ad accertarsi sulle condizioni del fratello adottivo.
Midorikawa giaceva a letto privo di energie, molto pallido in volto. Il suo respiro era calmo e regolare, le ferite ormai del tutto cicatrizzate e, se non fosse stato per il viso emaciato, poteva dar l'impressione che stesse solo dormendo tranquillamente. Il primo ad avvicinarsi fu Seijirou che, sorridendo appena, gli carezzò una guancia. Era caldo, ma la febbre era una normale conseguenza dopo tutto ciò che aveva passato.
Si sforzò di non preoccuparsene troppo. Era convinto che sarebbe andato tutto bene, che il figlio sarebbe riuscito a superare qualunque cosa, ormai.
Era forte, erano tutti forti e tutti stavano cercando di reagire e di risolvere quella situazione troppo grande per loro.
Alzò la testa e guardò dall'altra parte della stanza, fuori dalla finestra. Da lì il cielo sembrava scuro e ostile.
"Dobbiamo trovare quei ragazzi" pensò, serio. "E allontanarli da Kenzaki, prima che quell'uomo li usi fino a distruggerli, proprio come voleva fare con Ryuuji..."

Era notte fonda, quando Hiroto uscì per la prima volta dall'ospedale per poter chiamare Hitomiko. Nonostante lo spavento, che ancora lo faceva sentire stordito, era riuscito a ritrovare un po' di tranquillità e, dopo essere rimasto almeno un paio d'ore in camera a fissare ininterrottamente Midorikawa, si era offerto di avvertire la sorella maggiore sulle novità. Appena messo piedi fieri dall'edificio si accorse che aveva proprio bisogno di una boccata d'aria. Respirò profondamente e rimase immobile qualche istante.
Poi prese il cellulare, pronto a tornare alla realtà, a tornare a pensare a quella brutta situazione.
Pigiò pochi tasti e alzò lo sguardo al cielo, attendendo che la donna rispondesse. Guardando le stelle si rattristò appena, ricordandosi della Aliea, del motivo per cui erano rimasti coinvolti in quella situazione, della causa delle loro sofferenze.
- Hiroto? - rispose infine Hitomiko, con una leggera ansia nella voce.
- Sorella - esalò pacatamente il ragazzo dai capelli rossi, sorridendo appena nel sentire la voce della donna. - Scusa se mi faccio sentire solo adesso... - mormorò, mortificato. In effetti avrebbero dovuto avvertirla subito dopo aver avuto notizie di Midorikawa, ma erano tutti troppo ansiosi di vedere con i loro occhi che il fratello stava bene, per pensarci.
- Non importa. Come sta Midorikawa? -
- Bene, credo - mormorò, con una punta d’insicurezza. - È senza forze, ma sono certo che si riprenderà. -
Sentì la sorella sospirare di sollievo. - Questa volta è andata bene... - disse lei, cercando di non scordare che il pericolo non era ancora passato.
- A voi com'è andata? -
Hitomiko rimase qualche secondo in silenzio, prima di rispondere: - Nessuno è in pericolo di vita. Ma ci sono diversi feriti che hanno bisogno di assoluto riposo - mormorò stancamente. Ripensando a ciò che era successo, le tornava il mal di testa. - Credo dovremo rimanere qui, per ora. -
- Non è pericoloso? -
- La base locale è sotto sequestro, e quei gemelli dovrebbero risentire del potere del meteorite adesso, sopratutto la ragazzina. Credo ci metteranno un po', prima di fare la prossima mossa. -
- Può darsi, ma anche a noi servirà del tempo, prima di poter tornare all'ospedale militare. Midorikawa non è ancora nelle condizioni di sopportare un trasferimento del genere: il dottore ha detto che ne riparleranno domani, ma temo che Midorikawa dovrà rimanere qui per qualche giorno. Se attaccassero non sapremmo proprio come difenderci. -
- Non potreste - gli rispose Hitomiko, schietta. - E persone estranee alla faccenda sarebbero in pericolo. -
Hiroto abbassò lo sguardo, rendendosi conto che avevano ben poche opzioni.
- Cosa dobbiamo fare? - bisbigliò, affranto. Dopo tutto quello che era successo, non potevano sperare di cavarsela ancora.
La sorella sospirò, la sentì muoversi appena. - Vorrei poterti rispondere, Hiroto. Per il momento assistiamo i feriti e speriamo che non succeda nulla nei prossimi giorni. Non è molto, e prima o poi dovremo affrontarli ancora, ma non abbiamo altra scelta. -
Kiyama tornò a guardare il cielo, fonte di sollievo e sconforto allo stesso tempo.

La luce della lampada appesa al soffitto fu quasi dolorosa da vedere, una volta aperti gli occhi.
Li socchiuse quasi immediatamente, aprendo la bocca in un lamento a cui non riuscì a dar voce.
Si accorse di provare molto caldo e di non riuscire a respirare bene. Sentiva il corpo paralizzato, pesante, come trattenuto a forza sul materasso. E non si era mai sentito così stanco in tutta la sua vita.
Midorikawa mosse la testa, scuotendola lentamente, per poi soffermarsi verso la propria destra.
Sollevò ancora le palpebre, cercando di mettere a fuoco la stanza, notando solo la grande finestra. Era buio fuori, e questo in parte lo rallegrò, perché quell'oscurità non era così fastidiosa per i suoi occhi.
L'oscurità...
Improvvisamente, Ryuuji ricordò cos'era successo. Ricordò i gemelli, Kenzaki, la pietra sul suo petto, la luce viola e il buio che l'aveva circondato. Il dolore. Un dolore che non sentiva più, almeno non fisicamente, ma ancora impresso nella sua mente. E poi il padre, con cui ricordava di aver parlato, pur non rammentando le parole che gli aveva rivolto, né esattamente quando l’aveva fatto. Era stato salvato?
Quei pensieri lo indussero a sollevarsi, a provare a muoversi e cercare di capire dove fosse e che fine avessero fatto il padre e gli altri, ma il corpo rimase immobile. Provò nuovamente a guardarsi attorno, ma scoprì di non essere più in grado di farlo: era come se il lieve movimento di prima l'avesse privato delle poche forze che era riuscito a riacquistare.
Iniziò ad ansimare rumorosamente, allarmato e spaventato. Dov'era? Cos'era successo?
Provò un'altra volta a muoversi, anche solo a stringere le dita della mano, inutilmente. La stanza era illuminata, ma si sentiva perso e disperato, come quando l'oscurità l'aveva inghiottito. Che fine aveva fatto? Perché non riusciva a muoversi? Reize aveva preso il sopravvento?
- No... - sussurrò, mentre gli occhi si inumidivano.
Voleva assolutamente alzarsi e andarsene, cercare qualcosa o qualcuno che gli desse la conferma che quel dolore era svanito per sempre, che lui era lì e non era solo un frammento intrappolato in un corpo che non gli apparteneva più.
Udì un lieve fruscio, poi una leggera carezza sulla testa. Ma come, pensò Midorikawa, in quella stanza c'era qualcuno?
- Stai tranquillo. Va tutto bene, adesso - gli disse una voce familiare, calda e rassicurante. - Riposati e non pensare a nulla. Ti proteggerò io. -
Ryuuji si rilassò subito, pur non riuscendo a riconoscerla. Riuscì solo a pensare di aver trovato la conferma che cercava. Poteva calmarsi.
Socchiuse nuovamente gli occhi e voltò la testa verso la parte opposta, da dove proveniva quella voce e, pur riuscendoci, non fece in tempo a vedere il volto di quella persona che si riaddormentò, esausto.
La mano tra le ciocche verdi si fermò e, dopo qualche istante di indugio, scese verso la tempia prima di allontanarsi. Hiroto, seduto su una sedia poco distante dal letto, sorrise appena, sollevato.
Gli altri erano se n’erano andati, tante persone in un ospedale erano decisamente troppe per vegliare su un solo paziente, ma lui aveva insistito nel rimanere lì, accanto all’amico. Sapeva che non sarebbe riuscito a darsi pace, lontano da lui. Ryuuji avrebbe potuto avere una crisi, o stare ancora male fisicamente; poteva succedergli di tutto, in una notte.
Era rimasto in quella stanza per ore, senza nemmeno dormire. D'altronde, l'ansia gli impediva persino di sentire il sonno.
Si sentiva decisamente meglio, ora che l’aveva visto sveglio, seppur per pochi istanti.
Le parole che gli aveva appena rivolto erano una bugia, perché nulla era cambiato ed erano ancora in pericolo; e, certamente, da solo non sarebbe mai riuscito a proteggerlo, ma Midorikawa si era calmato e si era riaddormentato, e questa era la cosa più importante.
La porta della stanza si aprì, e Seijirou entrò con calma nella stanza. Aveva accompagnato gli altri ragazzi all'ospedale militare, approfittandosene anche per rivedere chi era rimasto a Tokyo, precedentemente ferito.
- Va tutto bene? - domandò l'uomo avvicinandosi, notando una luce diversa negli occhi del ragazzo dai capelli rossi.
Il figlio annuì. - Ha aperto gli occhi, proprio poco fa - mormorò, con una punta di commozione ad incrinargli la voce. Tornò a guardare Ryuuji. – Purtroppo è ancora troppo debole per rimanere sveglio a lungo... -
Kira sorrise e gli posò una mano sulla spalla. - Ci vorrà tempo. -
- Lo so. - Kiyama abbassò lo sguardo, improvvisamente triste.
- Vuoi tornare con gli altri? - domandò Seijirou, pur riuscendo a intuire la risposta.
Hiroto scosse la testa. - Voglio rimanere con lui, anche se è ingiusto nei confronti di tutti gli altri, preoccupato per Midorikawa allo stesso modo - mormorò. - È passato un giorno, e per fortuna non è successo ancora nulla. Ma non sappiamo quando loro attaccheranno ancora... Midorikawa è ancora in pericolo. -
L'adulto non disse nulla. Distolse lo sguardo, posandolo su Midorikawa. Aprì gli occhi, come raramente faceva. Doveva proteggerli, in qualche modo. Doveva impedire che fosse fatto ancora loro del male.

Calmi passi rimbombavano per i corridoi, generando un suono lento e costante.
Si interruppero quando l’uomo arrivò di fronte una porta, automatica come tutte quelle dell’edificio, e dovette attendere solo pochi istanti prima che questa si aprì, permettendogli di entrare nella stanza. All’interno, Kyoka era in piedi e gli dava le spalle. Aveva la testa china e le mani si muovevano appena. Poco dopo si sentì il rumore della zip della tuta.
- Non avverti tuo fratello? - mormorò Kenzaki.
La ragazzina si voltò lentamente e, per un primo momento, osservò l’uomo con indifferenza. Si girò completamente verso di lui, senza dire nulla. Una strana luce brillava nei suoi grandi occhi viola.
- Ti sei appena ripresa, sei certa di potercela fare da sola? - domandò ancora l’uomo, mettendosi una mano in tasca. Nonostante la domanda, nella sua voce non si percepiva alcuna preoccupazione.
- Lui è ancora vivo - mormorò lei, superandolo e avviandosi.
- Minoru ti scoprirà e verrà a cercarti - esalò Ryuuichi.
- Non me ne importa nulla! - gridò lei, battendo un piede a terra e voltandosi a guardare Kenzaki. - Minoru è strano, e non mi vuole dire cos'è successo quel giorno. Io non ricordo nulla e lui fa il misterioso. Sono arrabbiata con lui! Probabilmente non vuole più andare fino in fondo, ma io non ho intenzione di rinunciare! - aggiunse, sempre più irata. Sentiva una strana rabbia dentro, ancor più forte di quella che l'aveva torturata durante quei due anni. E non la sopportava più. - Può anche cercarmi e raggiungermi: quando lo farà, io avrò già finito! - concluse, uscendo dalla stanza.
La porta si richiuse e, rimasto solo, Kenzaki ghignò.





Note finali: No, non mi ero dimenticata di questa fiction (né di tutte le altre, dato che non ho aggiornato nulla in questo mese). Ho solo avuto il solito blocco, soprattutto con la nuova long di cui ho avuto l’avventatezza di pubblicare il primo capitolo. L’avevo fatto perché avevo scritto un tot di capitoli, sicura di riuscire a continuarla entro breve, salvo poi rileggere quei capitoli il giorno dopo e accorgermi che facevano veramente schifo. Da quel momento non so cosa mi sia preso ma, salvo alcune one-shot su un altro fandom, non sono più riuscita a scrivere nulla.
In ogni caso, di ‘Revenge’ ho almeno quattro capitoli già scritti, e mi porto sempre avanti proprio per evitare interruzioni lunghe, quindi ho deciso di aggiornare anche se non sono ancora riuscita ad andare avanti col capitolo 21. Solo che non sono più certa di essere soddisfatta di questa storia. Forse è troppo scontata e scritta male… ma anche provandoci non so come scriverla altrimenti.
Comunque, cosa dire di questo capitolo… finalmente si sa che fine fa Midorikawa! XD Anche se nella parte finale si prevedono nuovi guai. I problemi tra Minoru e Kyoka si rifletteranno anche nel loro modo di agire, soprattutto ora che hanno deciso di farlo ‘separatamente’.
Spero che qualcuno segua ancora questa fiction, nonostante il ritardo sugli aggiornamenti.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Quando Midorikawa riaprì gli occhi, la stanza era illuminata solo dalla luce del sole al tramonto.
L'aria era fresca e piacevole, tipico della primavera inoltrata.
Il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre, lentamente, cercando di distogliere l'attenzione su certi particolari poco importanti e provando a fare mente locale, nel tentativo di capire dove fosse.
- Ah, si è svegliato! Si è svegliato! - esclamò qualcuno, che si chinò poi verso di lui.
Lunghi capelli viola gli sfiorarono il collo e la guancia, mentre gli occhi castani di Ai lo squadravano con sollievo e commozione. - Come ti senti, Midorikawa-kun? - gli domandò.
- Ai, abbassa la voce - la redarguì Shuuji, raggiungendola.
La ragazzina si raddrizzò, pur senza distogliere lo sguardo dal fratello adottivo. Quest'ultimo voltò appena la testa, seguendo con gli occhi il suo movimento. Questo fatto la fece sorridere. - Sì è svegliato! - ripeté per la terza volta, con voce più bassa.
Quando percepì alcuni fruscii nella stanza, Ryuuji provò a guardarsi attorno, riuscendoci senza problemi. Alcuni dei suoi fratelli dell'orfanotrofio si stavano avvicinando al letto, felici, increduli e curiosi, come se il vederlo sveglio fosse un fatto eccezionale.
Si sentiva confuso; pur ricordando abbastanza bene quello che era successo, il forte dolore alla testa non gli permetteva di rendersi del tutto conto della situazione attuale. Nonostante fosse consapevole di essersi salvato e di essere di nuovo con gli altri, fu colto da una strana apatia che lo spinse a rimanere steso e in silenzio per qualche secondo, mentre gli altri si accertavano che fosse veramente sveglio e provavano a parlargli.
- Ehi, stai fermo! - disse improvvisamente Shousuke, coperto alla vista di Ryuuji dai suoi fratelli, ma indubbiamente a pochi passi dal suo letto.
Gli altri si voltarono verso di lui, e Midorikawa fu in grado di scorgere Miura, con la spalla e il braccio destro fasciati, dimenarsi da Gigu e Kenichi per potersi alzare dal proprio letto e raggiungere l'ex-capitano.
Solo allora Midorikawa si riscosse.
- Hiromu! - esclamò Ryuuji, mettendosi seduto. L'ultima volta che l'aveva visto aveva temuto per la sua vita, poiché era stato colpito in pieno dallo strano pallone viola di Kirishima Minoru. Aveva seriamente avuto paura per la sorte di uno dei suoi più cari amici, arrivando persino a pensare che fosse ormai morto, e fu sollevato di vedere che, braccio a parte, stava bene.
Diam aprì la bocca per dire qualcosa, ma Kikuma lo precedette.
- Come te lo dobbiamo dire che devi startene a riposo anche tu? Hai una spalla letteralmente a pezzi! Ryuuji sta bene, te l'abbiamo detto tutti - lo sgridò, tirandolo per la maglia.
Miura, sbilanciandosi, ricadde delicatamente seduto sul materasso e si imbronciò, voltando la testa dalla parte opposta rispetto all'ex-compagno di squadra.
- Si è offeso - rise Hiruma, incrociando le braccia al petto.
- Ma guarda, dopo tre giorni a piagnucolare come un cretino... sei veramente un moccioso, Hiromu! - sbottò Gigu, facendo una delle sue solite smorfie infastidite.
Ai ridacchiò a quella scena tutto sommato familiare, e altri orfani insieme a lei; questo contribuì a far sentire un po' meglio Midorikawa, che pian piano iniziò a rendersi conto di essere seriamente tornato con loro.
- Cos'è successo? - domandò stancamente, muovendo il braccio verso il volto, per coprirsi gli occhi affaticati.
Si accorse di qualcosa che gli sfiorava il petto e, in parte allarmato, piegò la testa per controllare cosa fosse. Estrasse da sotto la maglia bianca -molto larga e certamente di proprietà di una persona molto robusta, forse di qualche suo fratello adottivo- il ciondolo chiaro, vedendolo per la prima volta.
- Ricordi la base della Aliea? - domandò sottovoce Rei, ex-Frost alla Diamond Dust, sorridendogli.
Ryuuji annuì. - Avevo... - iniziò, prima di sussultare per il ricordo. - …il meteorite! Spero di non aver fatto del male a nessuno! - esclamò, allarmato.
- Macché! - lo rassicurò Mureta Hachirou, ex-centrocampista alla Epsilon, col suo solito grandissimo sorriso allegro. - Non hai ceduto nemmeno per un istante! - disse, alzando il pollice verso l'alto.
- Ci siamo divisi in due gruppi e siamo venuti a salvarti - riprese Rei. - Purtroppo qualcuno è rimasto ferito a causa dei gemelli, ma siamo ancora tutti vivi. -
- Vado ad avvertire nostro padre e nostra sorella - disse Ai prima di correre fuori, troppo emozionata e felice per stare tranquilla.
- Nostro... padre... - mormorò Ryuuji, ricordandosi anche dell'uomo. Una parte di lui ancora credeva che quella in ambulanza fosse stata solo un'allucinazione.
- Ci ha aiutati. È stato lui a darti questa pietra, ha detto che devi tenerla per un po'. Ha avuto il permesso di rimanere qui fino a quando non avremo risolto tutta questa storia - lo informò Fuuko.
Pian piano la stanza si riempì di mormorii, gli orfani presenti vollero tutti dire qualcosa e mostrare il loro sollievo.
Dopo qualche minuto la porta si aprì violentemente.
Nessuno fiatò o mosse un muscolo mentre, a grandi e rumorosi passi, Rimu si avvicinava al letto dell'ex-capitano, con cipiglio infastidito sul volto.
Si fermò a pochi millimetri dal materasso, stringendo i pugni sui fianchi.
Ryuuji le rivolse un sorriso incerto, consapevole che, con grande probabilità, sarebbe stato gridato per aver fatto preoccupare tutti.
Qualche secondo dopo gli arrivò uno schiaffo in pieno viso. Il rumore delle dita che sbattevano sulla guancia del ragazzo fece sobbalzare i presenti.
- Rimu! - gridò An, allarmata.
Midorikawa si limitò a guardarla sorpreso, sopratutto vedendo che l'ex-compagna della Gemini Storm aveva gli occhi lucidi.
- Idiota! - scoppiò improvvisamente la ragazza dai capelli rosa, con voce acuta. - Cosa ti è saltato in mente? -
- Rimu... - mormorò lui, dispiaciuto. Sapeva di aver fatto una sciocchezza, ma non riusciva a pentirsi della sua decisione: se non si fosse fatto avanti, quel giorno, Minoru avrebbe sicuramente fatto del male a persone che non avevano alcuna colpa.
- Hai idea di quanto ci siamo preoccupati per te? Perché non pensi mai, prima di agire? -
- Mi fa un effetto strano sentirlo dire da lei... - commentò Reo, conoscendo bene l'impulsività di Nanakaze. La ragazza si voltò verso di lui e gli scoccò un'occhiataccia veloce, prima di tornare a guardare Midorikawa.
Dentro la stanza c'era un silenzio quasi insopportabile e, dopo parecchi secondi, Rimu aprì nuovamente la bocca per sfogarsi ancora.
- Lo so - rispose però Ryuuji, anticipandola. La fissò con serietà e con un'espressione che non lasciava dubbi su ciò che il ragazzo provava in quel momento. - Ma non potevo fare altro. Non voglio che voi ci rimettiate, è me che cercavano fin dall'inizio - affermò.
L'atmosfera cambiò in quello stesso istante. Ognuno dei presenti era d'accordo con Rimu e, allo stesso tempo, comprendevano il ragionamento di Midorikawa.
Ma l'ex-attaccante della Gemini Storm tremò nuovamente. - Cretino! - sbottò. Senza che nessuno lo notasse, Seijirou, Hitomiko e gli altri orfani che mancava all'appello entrarono nella stanza e le urla di Nanakaze attirarono anche la loro attenzione. - Ti prendi sempre tutte le responsabilità! - continuò Rimu, imperterrita. - Perché mai dovremmo essere innocenti, noialtri? Solo perché a calciare quel pallone sei stato tu? Io ero accanto a te, quel giorno, ricordi? Sono sempre stata accanto a te, ho visto con i miei occhi ogni edificio crollare, ogni persona fuggire spaventata lontano dalle macerie. E, sai, non avevo alcun senso di colpa. Per lungo tempo, anche dopo la Aliea Academy, non ho avuto rimorsi. E tu credi di essere l'unico colpevole, e di essere l'unico a meritare di essere ammazzato da quei bastardi? -
Midorikawa abbassò lo sguardo, riflettendo bene sulla risposta da dare. Dopo qualche secondo tornò a fissarla. - Mi dispiace. Ma non potevo sopportare che qualcun'altro venisse ferito. In qualunque modo si guardi questa situazione, rimango la persona che ha ucciso quel ragazzo. Dovevo prendermi le mie responsabilità - disse, pacatamente.
- Se c'è un responsabile, qui, quello sono io - si intromise Seijirou, avanzando verso i letti.
Gli orfani si voltarono verso il padre, che era entrato insieme a Hitomiko, Hiroto, Reina, Saginuma, Fumiko, Ai, Clara e Nozomi.
Quest'ultima, quando lo sguardo di Midorikawa si posò su di lei, scoppiò a piangere e corse ad abbracciarlo.
- Padre... - bisbigliò Ruru.
L'uomo si fermò a pochi centimetri dal materasso e sorrise a Ryuuji.
- Come ti senti? - domandò. - Grazie a quella pietra non dovresti provare alcun dolore. Mi raccomando, tienila sempre con te ancora per un po': il tuo corpo è ancora condizionato dal frammento di meteorite, purtroppo. -
Il ragazzo annuì senza rispondere, allontanò con delicatezza l'ex-compagna di squadra ancora vicina a lui e abbassò nuovamente la testa in un gesto di istintiva timidezza nei confronti del padre.
Seijirou afferrò una seggiola e, senza dire nulla, la avvicinò al letto e si sedette. Rimase in silenzio qualche istante, circondato da quell'aura di tranquillità che i ragazzi avevano sempre percepito attorno a lui. In quel momento sembrava che le cose andassero bene, che non ci fosse alcun pericolo là fuori... Seijirou aveva questa straordinaria capacità di farli sentire al sicuro, anche quando il resto del mondo sembrava ostile. Era stato proprio quello ad averli spinti ad obbedirgli ciecamente, nonostante il comportamento dell'uomo a quei tempi.
- Ascoltatemi bene, - esalò infine Kira, aprendo gli occhi e guardando ad uno ad uno i suoi figli, - nessuno di voi deve essere punito per qualcosa. L'unico colpevole sono io. È ciò che hanno deciso i giudici, ed è così che deve andare -
- Davvero? - replicò amaramente Midorikawa, senza tuttavia guardare il padre adottivo. - Mi sono sempre chiesto perché noi non abbiamo ricevuto alcuna punizione. Potevamo anche non eseguire i tuoi ordini, quello l'abbiamo fatto di nostra spontanea volontà - affermò, decidendosi finalmente ad alzare la testa. - Perché non siamo stati arrestati anche noi? -
- Ryuuji... - mormorò l'adulto, assumendo uno sguardo triste. Tutti i suoi figli la pensavano come lui. Eppure sapeva che, a quei tempi, era stato lui a spingerli ad obbedirgli, plagiandoli e inculcando loro idee sbagliate, approfittandosi del loro dolore, il dolore di essere rimasti soli al mondo, e del loro affetto e riconoscenza verso di lui.
- Sarebbe stato controproducente - gli rispose il detective Onigawara, entrando nella stanza in quel momento. Si ritrovò innumerevoli paia di occhi addosso ma, con noncuranza, si avvicinò accostandosi a Seijirou. - Eravate poco più che bambini, e siete stati condizionati da colui che ritenevate l'unica persona di cui potervi fidare. Punirvi avrebbe complicato le cose, avreste potuto mettervi in testa di non meritare una vita normale, avreste potuto crescere nel modo sbagliato. Considerate, ragazzi, che a quei tempi eravate estremamente emotivi e fragili. Dovevate tornare come prima, riabituarvi alla normalità. Avete fatto quelle cose, è vero, ma non si condannano così facilmente dei minorenni. Non credete: vi abbiamo tenuto d'occhio per qualche tempo, dopo il vostro ritorno all'orfanotrofio, e vostra sorella ci aggiornava quotidianamente delle vostre condizioni. -
I ragazzini si voltarono verso Hitomiko, che rimase immobile e impassibile.
Ci fu altro silenzio, Ryuuji riabbassò nuovamente la testa.
- Non avete intenzione di prendere provvedimenti nei miei confronti? - domandò quasi tristemente.
Onigawara lo fissò per qualche istante con la medesima serietà. - Esatto - replicò. - Non ti avrebbe giovato ai tempi e farlo adesso non cambierebbe le cose, anche se pensi di meritartelo - spiegò.
Midorikawa non rispose e nessun'altro apri bocca per qualche secondo.
- Detective Onigawara, perché è qui? - domandò infine Hitomiko, cambiando discorso.
L’uomo rimase qualche istante in silenzio, quasi esitasse a rispondere.
- L'ospedale di Aisai è stato attaccato da Kirishima Kyoka - li informò infine, generando lo stupore e l'allarme generale. - Non è successo niente di grave: si è accorta presto che non c'era nessuno di voi, lì - si affrettò a tranquillizzarli.
- Sono tornati alla carica! - affermò Yuki, stizzita.
- Credete che troveranno questo posto? - domandò Satoshi, preoccupato.
- Non lo sappiamo, ma mantenete la calma: questo edificio è ben protetto - disse il detective. - Naturalmente non possiamo rimanere fermi a guardare. Gli agenti mandati alla base di Aichi non sono più tornati, supponiamo che Kenzaki e i gemelli siano ancora lì. Per poter incastrare Kenzaki dobbiamo anzitutto allontanare quei due ragazzini da lui. Per questo, se te la senti, vorrei chiederti se hai visto o saputo qualcosa di utile, Midorikawa. -
Il ragazzo dai capelli verdi annuì, grave. Iniziò a raccontare ciò che sapeva e ricordava, quello che aveva sentito dallo stesso Kenzaki.
- A questo punto, dato che non è riuscito a portarmi dalla sua parte, spingerà quei due a ucciderci tutti - mormorò infine il ragazzino.
- I gemelli, inoltre, corrono un grave pericolo - aggiunse Seijirou. - Come aveva già detto Hitomiko, passano almeno tre giorni prima che attacchino, questi significa che risentono molto della potenza del meteorite. Se continua così, presto o tardi ne cadranno definitivamente vittima. -
Onigawara annuì. - A parte l'attacco di oggi, non abbiamo effettivamente avuto altre notizie di Kirishima Minoru e Kirishima Kyoka, in questi giorni. E l'avvenimento di tre giorni prima conferma anche che il potere li sta influenzando troppo. -
- Se riuscissero a capire... - disse Midorikawa, tristemente. - Se solo comprendessero anche loro... -
- Vorresti aiutarli, Ryuuji? - domandò Seijirou, comprensivo.
L'ex-capitano della Gemini Storm annuì. - Chiunque sia il responsabile, che io abbia tolto la vita al loro fratello maggiore non cambia. Inizialmente non sapevo cosa pensare, ma più passava il tempo più mi rendevo conto che sono stato io a causare il loro dolore, e da parte mia so bene cosa si prova, quando perdi un membro della tua famiglia. Non posso cambiare il passato, non ho diritto di chiedere perdono, ma vorrei evitare che si macchino della mia stessa colpa e che provino quello che sto provando io. Vorrei che capissero che la vendetta non serve a niente - spiegò piano.
L'uomo annuì. - È un fardello pesante, vero? - bisbigliò, mortificato. Se Ryuuji doveva convivere con quella terribile sensazione, era solo colpa sua.

Onigawara se ne andò e Seijirou ne approfittò per parlare ancora con i suoi figli. Si era già scusato con loro innumerevoli volte, durante quei tre giorni, ma gli sembrava che non fosse abbastanza.
Tuttavia era impossibile evitare di parlare della situazione attuale, così il discorso tornò su ciò che era successo alle due basi. Hitomiko parlò dello scontro con Kyoka, Seijirou dell'incontro con Kenzaki.
- Non oso immaginare cosa sarebbe successo se ci fossimo trovati di nuovo Reize davanti! - esclamò infine Nozomi, sforzandosi di scherzare.
Midorikawa abbassò lo sguardo. Seijirou, nel tentativo di tenere il morale alto, sorrise. - Non succederà mai. Reize non tornerà - affermò, fiducioso. Era ancora stupito della forza mostrata da Ryuuji. E dire che, accecato dalla sua, di vendetta, due anni prima lo accusava di essere solo un debole e l'aveva considerato, e trattato, come una nullità.
- Però... - disse all'improvviso Midorikawa, rattristandosi. - Però l'ho percepito. Reize, intendo - confessò. Alzò la testa per guardare il padre, come se cercasse in lui le risposte. - Reize era un personaggio inventato per la Aliea, com'è possibile che il solo contatto col meteorite possa farlo riapparire? L'ho sentito come una persona a sé, ho temuto di non riuscire a controllarlo - disse.
Era un discorso difficile e nessuno comprese bene cosa volesse intendere Midorikawa.
- Non capisco... cosa ci fa Reize dentro di me? - domandò quasi tra sé e sé, con amarezza, posandosi una mano all'altezza del cuore.
- Ma tu sei ancora convinto che la personalità di Reize fosse solo frutto di una consapevole recitazione? - chiese infine Hitomiko, fissando l'ex-capitano della Gemini Storm.
- Cosa intendi dire? - chiese lui, confuso.
- Non hai mai pensato che fosse una personalità creata inconsciamente per sopportare il tuo ruolo alla Aliea Academy? - specificò, guadagnandosi un'occhiata sconcertata dal diretto interessato, una di quelle colpevoli, come se, in fondo, lui stesso fosse consapevole che la donna avesse ragione. - Non era facile, per te, a quei tempi, giusto? Era tutto diverso dal Sun Garden; eri il più debole di tutti e trattato di conseguenza - ragionò, non facendo caso agli sguardi colpevoli di alcuni degli altri orfani. - Inoltre dovevi fare azioni incompatibili con la tua indole - riprese. - Fin dall'inizio, fin da quando ti ho visto nei panni di Reize per la prima volta, ho pensato che quello non potessi essere tu. Non era da te, non avresti mai potuto fare certe cose con quella freddezza, nemmeno su ordine di nostro padre. 'Recitazione'... credi sia così facile? Gli attori recitano, ma anche le loro azioni sono una finzione. Tu quelle cose le hai dovute fare davvero. Non è qualcosa che si liquida con 'stavo recitando una parte'. Non ti sei mai reso conto che tu, per poter obbedire al volere nostro padre, ti sei imposto una nuova personalità? -
Midorikawa, durante il discorso, distolse lo sguardo. Rimase poi in riflessione qualche istante, rendendosi conto che forse la sorella aveva ragione. Ma ripensare adesso a quei tempi era difficile: percepiva tutto come confuso, non riusciva a ricordare perfettamente i propri pensieri alla Aliea, benché i sentimenti provati fossero ancora nitidi.
Il dolore dell'aver perduto il padre amorevole e i fratelli, l'umiliazione e la rabbia per la propria posizione, il desiderio di voler essere all'altezza della situazione e la paura di essere abbandonato di nuovo... a poco a poco tutti i suoi fratelli cambiarono atteggiamento e anche lui si sforzò di fare lo stesso. Così nacque il personaggio di Reize: perché lui, Midorikawa Ryuuji, non sarebbe mai riuscito a stare lì.
Ben presto, senza rendersene nemmeno conto, sparirono i sensi di colpa o i dubbi: la tipica moralità umana perse importanza, i giorni al Sun Garden divennero solo un ricordo troppo labile per poter essere ricordati.
La sua vita era la Aliea, era il meteorite, era distruggere e conquistare per il bene del padre. Non c'era bisogno di chiedersi per quale motivo dovevano farlo, non sentivano la necessità di chiedersi se era davvero ciò che volevano fare. Era diventata una cosa normale e scontata, era semplicemente così che doveva essere.
La fine della Aliea fu quasi un risveglio da un incubo, un sogno tanto lungo da far sembrare la vita normale un'illusione, quasi si aspettasse di risvegliarsi una mattina e ritrovarsi nuovamente alieno, nuovamente dentro l'UFO.
E lui, per un certo periodo, non fu nemmeno certo di chi fosse realmente, non ricordava più che persona fosse Midorikawa Ryuuji.
- Può essere - confermò dopo queste riflessioni, sebbene la voce suonasse ancora incerta. - Ma ora è diverso! Reize non dovrebbe più esistere! È passato tanto tempo, io ho già accettato me stesso e le mie debolezze, i miei limiti. Non avrei dovuto sentirlo, quel giorno! - esclamò, agitato.
- Questo perché tu non l'hai mai affrontato - disse lei, sedendosi sul bordo del letto, in fondo al materasso. - Ricordo che una volta mi dissi che sia tu che Reize eravate deboli, che avevate entrambi fallito. Inconsciamente, hai sempre distinto il vero te stesso e la personalità aliena, proprio come se foste due persone diverse. Non fraintendermi: non sto dicendo che sei bipolare o qualcosa de genere. Ma, come ha detto Onigawara, tutti voi eravate emotivi e instabili, a quei tempi; crearti un personaggio non ti ha affatto aiutato, in questo senso. Per liberarti di Reize devi prima renderti conto che lui esiste davvero, dentro di te, capire perché l’hai creato e renderti conto che non ne avrai mai più bisogno. -
Il silenzio calò nella stanza per l'ennesima volta.
- Ma sei diventata una psicologa? - domandò Nagumo improvvisamente, parlando per la prima volta quel giorno.
Tutti si voltarono verso di lui, e Midorikawa si accorse solo in quel momento della presenza del ragazzo e di Suzuno, sempre rimasto immobile accanto al letto dell'amico-rivale, che fino a quel momento erano nascosti dagli altri.
- Buongiorno - lo salutò Natsuhiko, sorridendogli. - O meglio, buonasera - si corresse immediatamente dopo, lanciando un'occhiata alla finestra, al di fuori della quale il cielo si stava ormai oscurando. - Finalmente ti sei svegliato anche tu! -
- Nagumo... - mormorò Midorikawa. Ancora gli faceva male vederlo immobilizzato a letto e, nuovamente, il senso di colpa tornò a torturarlo. Abbassò lo sguardo, incapace di reggere il contatto visivo.
Ma Haruya, serio ma relativamente calmo, si rivolse ancora alla sorella. - Sei inquietante, scommetto che saresti in grado di psicanalizzarci tutti. Hai fatto qualche corso, in questi anni? -
La donna incrociò le braccia al petto. - Non ne ho avuto bisogno: sono vostra sorella maggiore - gli rispose tranquillamente.
L'ex-capitano della Prominence roteò gli occhi, percependo l'ironia. Poi osservò Midorikawa. - Quando riuscirò a muovermi, ricordami che devo picchiarti - lo provocò, con un ghigno.
- Nagumo... - lo chiamò Shuuji, in parte preoccupato.
Ma la frase del ragazzo dagli occhi dorati ebbe l'effetto sperato, perché Ryuuji tornò a guardarlo.
- Sacrificarti in questo modo ti ha fatto sentire meglio, Midorikawa? Come credi che ci siamo sentiti noi, invece, eh? - continuò Haruya, irritato.
- Io? E tu, allora? - ribatté l'altro ragazzo, agitato. - Non sei forse tu che ti sei fatto ridurre in questo modo per proteggere me? Come pensi che mi sia sentito io, dopo aver saputo che sei stato torturato a causa mia? Perché l'hai fatto? Perché arrivare a tanto per me? - esclamò, con gli occhi lucidi.
- Stai scherzando, vero? Adesso sì che ti meriti dei pugni! - sbottò Haruya, scandalizzato. Se avesse potuto, si sarebbe alzato dal letto e gli avrebbe sbraitato contro. - Siamo cresciuti nello stesso orfanotrofio, sei mio fratello anche tu! È ovvio che ti abbia voluto proteggere, anche se non abbiamo mai avuto uno stretto rapporto! Ma io non avevo la certezza assoluta di essere ucciso da loro, proprio perché tanto sapevo che non ero il loro vero obbiettivo. Tu hai rischiato tantissimo, te ne rendi conto? -
- Cosa diavolo ti aspettavi, che ti lasciassero tornare indietro come se nulla fosse? - esclamò Ryuuji, quasi sul punto di scoppiare a piangere.
- E non alzare la voce con me! Sono tuo fratello maggiore! Basta! Fuusuke, picchialo da parte mia! -
- Perché dovrei farlo io? - ribatté Suzuno con assoluta tranquillità, voltandosi appena verso il rivale.
- Calmatevi - intervenne Seijirou, alzandosi. - Siete tutti vivi, questo è l'importante. Adesso dobbiamo pensare ad un modo per salvare i gemelli e risolvere la situazione. -
Ryuuji sospirò. Era agitato e, benché litigare con Nagumo avesse avuto l'effetto di farlo sfogare, cominciava a non sostenere più quella pressione. Iniziò a sentirsi davvero stanco, benché il rimanere con i suoi fratelli, con la sua famiglia, da una parte lo tranquillizzasse.
- Si sta facendo tardi. Coraggio: chi è di turno aiuti gli infermieri del posto a preparare la cena. Gli altri tornino in stanza: qui ci sono dei feriti che hanno bisogno di riposare - ordinò Hitomiko, alzandosi.
Nessuno se la sentì di disobbedire, nonostante fosse per tutti piacevole essere ancora tutti insieme.
Nagumo, Midorikawa e Miura rimasero soli, poiché anche Fuusuke aveva lasciato la stanza.
Haruya in pochi minuti si riaddormentò, e anche Midorikawa fu sul punto di appisolarsi.
- Ryuuji - lo chiamò dolcemente Miura, steso a sua volta sotto le coperte.
Midorikawa si voltò verso di lui. Ora che poteva osservarlo tranquillamente, e assicurarsi che fosse davvero ancora vivo, non poté fare a meno di sorridergli.
- Sono contento che tu sia qui - gli disse l'ex-attaccante della Gemini Storm.
L'altro gli rivolse uno sguardo di gratitudine e di colpevolezza. Tuttavia continuò a sorridergli. - Sì... anche io - sussurrò, prima di chiudere gli occhi e cercare di dormire.

Era ormai notte fonda quando Ryuuji si alzò dal letto e si diresse silenziosamente vicino alla finestra. Nagumo e Miura dormivano profondamente e lui ne approfittò per stare un po' in piedi e osservare il cielo.
Si sentiva esausto ma non riusciva a prendere sonno.
Erano successe troppe cose e, nonostante tutto, il silenzio non faceva che riempirgli la testa di troppi pensieri ed innumerevoli emozioni.
Dopo qualche minuto passato in quella posizione, sospirò.
"Kirishima Hiroki, " pensò, osservando intensamente le stelle. "Non so se mi stai maledicendo da lassù, o se sei semplicemente preoccupato per i tuoi fratellini. Ma ti assicuro che farò di tutto per impedire loro di fare il mio stesso errore. È tutto ciò che posso fare per riscattarmi, in qualche modo."
Dei rumori all'esterno lo distolsero dai propri pensieri e il ragazzino aprì la finestra, per controllare.
Ci furono dei leggeri tonfi, quasi ovattati, e poi dei fruscii.
Midorikawa osservò attentamente i dintorni; gli avevano detto che quell'edificio era costantemente sorvegliato, ma quei rumori lo insospettirono e fu colto da una strana sensazione.
Istintivamente indietreggiò, proprio un istante prima che Kirishima Kyoka apparisse da dietro un albero e lo guardasse con una strana espressione.
I due si fissarono qualche secondo poi la lastra che teletrasportava i due gemelli si sollevò e arrivò davanti alla finestra.
- Sali - ordinò la ragazza, con un sibilo freddo.





Note finali: Ecco. È un mese che non aggiorno. Scrissi nel capitolo precedente che non avevo ancora scritto nulla e fino ad oggi non avevo continuato alcuna fiction.
Ho il blocco, inoltre lavoro e torno a casa tardi e stanca, credo che gli aggiornamenti saranno meno frequenti, ormai.
Non sono nemmeno sicura di riuscire a scrivere delle one-shot, forse ho finito le idee per questo fandom, per il momento. Ma almeno le long vorrei finirle, o, almeno, questa e i capitoli speciali della AU.
Mi scuso dell’immenso ritardo, oggi ho scritto un po’, nonostante sia rientrata ancor più tardi, questa sera (data l’ora, meglio dire ‘ieri sera’ XD). Come dire, sentivo che sarei riuscita a continuare… purtroppo, però, si tratta di pochi paragrafi, ma almeno ho concluso il capitolo 21. A poco a poco spero di farcela, ormai sono quasi alla fine!
Spero continuerete a seguire questa fiction nonostante tutto.
A presto!

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


- Come ha detto? - gridò Minoru, voltandosi inorridito verso Kenzaki, in piedi in mezzo ai corridoi.
L'uomo, con le mani nelle tasche, sogghignò.
- Kyoka è andata da Reize - ripeté lui, in tono soddisfatto. - Ha capito che è ancora vivo ed è andata a cercarlo. -
- Perché non l'ha fermata? - urlò il ragazzino, facendo larghi passi verso l'adulto. - Anzi, non perda tempo a rispondermi. L'ho già capito: voleva fin dall'inizio che ci andasse lei! -
Kenzaki ghignò, e non disse nulla per negare quelle affermazioni.
- Cosa si è messo in testa? Kyoka è ancora convalescente, non può usare ancora il potere del meteorite! -
- Oh, ma era così determinata! - asserì Ryuuichi, piegando appena il volto di lato, chiudendo gli occhi e alzando entrambe le mani all'altezza della testa. - Era già indispettita perché tu hai iniziato a fare il misterioso. Ho temuto che si arrabbiasse e impazzisse - disse. - Forse sei ancora in tempo a fermarla. Ti sto avvisando apposta. -
Minoru aggrottò le sopracciglia, sentendo di non doversi fidare di quelle parole. Negli ultimi giorni aveva iniziato a nutrire sempre più sospetti sull'uomo, eppure non aveva avuto il coraggio di andarsene e abbandonare l'unico posto che ancora poteva ospitare lui e Kyoka.
Ma, allo stesso tempo, in quei giorni non aveva voluto agire in alcun modo contro 'gli alieni', consapevole che avrebbe dovuto fare del male a qualcuno.
- Tanto non riuscirai mai ad ucciderli - sentenziò l'adulto, come se gli avesse letto nel pensiero. Si chinò appena, arrivando all'altezza del viso del ragazzino. - Ma se non ci pensi tu, sarà Kyoka a farlo - sussurrò, con finta voce dispiaciuta. - E allora sarà troppo tardi. A te la scelta. Tanto non potete scappare: anche se ve ne andaste, dove potreste andare? Tornare dai vostri tutori, e magari ammettere ciò che avete fatto, deludendoli e facendovi disprezzare? - lo provocò, sogghignando.
Minoru vacillò, sentendosi sempre più oppresso.
- Se vuoi, - esalò l'adulto, - posso darti più potere. Forse così riuscirai ad impedire ai dubbi di prendere il sopravvento su di te. -
- E lasciare che sia il meteorite a controllarmi? Mai! - dichiarò con sicurezza il Kirishima. - Ce la farò da solo! - decise. Pur di evitare di coinvolgere ulteriormente Kyoka, avrebbe ucciso quel ragazzo. Non aveva più altra scelta, a quel punto.
Minoru fece un paio di passi indietro, senza distogliere lo sguardo da Ryuuichi, poi avanzò e lo superò.
- Va bene, piccolo Minoru. Spero non mi deluderai - disse Kenzaki, avanzando a sua volta dalla parte opposta del corridoio.
Il ragazzino percepì nuovamente quelle parole come una minaccia. Strinse i pugni e i denti, già iniziando a pentirsi di ciò che avrebbe dovuto fare.
- Maledizione! - imprecò, ormai solo in mezzo ai bui corridoi della base.

Midorikawa scese con un balzo dalla lastra che l'aveva portato a terra, e subito alzò lo sguardo per osservare la ragazzina ormai davanti a sé.
Quella era la prima volta che si trovavano letteralmente faccia a faccia, da soli, e, grazie alla strana calma di lei, poté notare tutti quei particolari a cui, prima di quel momento, non aveva fatto caso, né aveva voluto: gli occhi viola erano grandi, quasi infantili, ma seri e pieni di risentimento e dolore. La bocca era leggermente piegata verso il basso e delle piccole rughe le increspavano il mento a causa dell'espressione.
Era passato almeno un minuto, ma Kyoka non aveva mai distolto lo sguardo da lui: era come se lo stesse in qualche modo studiando, cercando di carpirne i pensieri e le intenzioni.
Era bizzarro che lei non avesse ancora fatto nulla, pensò. Gli era sempre sembrata una persona istintiva, che non esitava a fare ciò che le pareva. E, certamente, il suo odio verso di loro non era svanito. Forse, continuò a ragionare Midorikawa, il suo risentimento si era concentrato solo su di lui.
Doveva quindi avere paura di essere ucciso da un momento all'altro?
Ryuuji deglutì, cercando di nascondere il nervosismo. Non sapeva cosa dire, temeva che una sola parola potesse scatenare una reazione violenta nella ragazzina. Ma doveva fare lui la prima mossa, poiché aveva deciso di cercare di aiutare lei e Minoru, in qualche modo.
Così prese coraggio e strinse i pugni. - Posso parlarli? - le chiese, cercando di non vacillare.
Kirishima sussultò impercettibilmente, come se non si fosse aspettata di sentire la sua voce.
Tuttavia ghignò. - Tu? Con me? - domandò ironica, cercando di tener basso il volume della voce solitamente acuta. - Sono venuta a ucciderti, lo sai? -
Ryuuji respirò profondamente. - Lo so - mormorò, cupo. - Ma vorrei prima parlarti, se possibile - aggiunse. Non che avesse intenzione di farsi uccidere dopo, ma era consapevole di non poter fare nulla, eventualmente, contro la furia e la forza della ragazzina.
Ma non aveva potuto evitare di fare quella proposta, o comunque di metterla in questo modo. Voleva fare qualcosa per loro, ben consapevole del rischio che stava correndo: Kyoka avrebbe potuto attaccarlo con facilità e in qualsiasi momento e, per impedire che gli altri fossero coinvolti, si sarebbe fatto piuttosto uccidere per poter impedire alla ragazzina di fare del male alla sua famiglia. Sperava solo di convincerla ad ascoltarlo, almeno. L'unico modo in cui poteva cercare di raggiungere il suo cuore era con le parole. Provare a spiegarle ciò che aveva vissuto lui e cosa provava, nel tentativo di convincerla a fermare le sue azioni e quelle del fratello sarebbe stato molto difficile, ma doveva comunque provarci.
Kyoka parve rifletterci qualche istante, poi si voltò all'indietro e, a passo lento, si incamminò altrove.
- Seguimi - ordinò con tono freddo, lanciandogli un'occhiataccia. Midorikawa obbedì in silenzio, lanciando prima una veloce occhiata alla finestra dalla quale era uscito.
Camminarono nel buio della notte per parecchi minuti, percorrendo viette lontane dalle strade principali. L'ex-capitano della Gemini Storm si sentiva sempre più in pericolo, sempre più esposto al pericolo, in balia dell'oscurità, da solo e senza via d'uscita. Era molto tardi, ma Ryuuji poteva udire alcune macchine attraversare la città, così cercò di concentrarsi su quei sempre più lontani rumori di civiltà. Chissà cosa aveva in mente quella ragazzina...
Ogni tanto Kyoka rallentava il passo e ascoltava quelli del nemico, come per assicurarsi che fosse ancora dietro di lei; ma evitava di voltarsi e guardarlo.
Midorikawa non conosceva affatto quella ragazzina, ma ebbe la sensazione che quella pacatezza non fosse da lei. Era più simile a Minoru, in quel momento, e si chiese se fosse accaduto qualcosa.
L'avevano avvertito di ciò che aveva fatto alla base, ma naturalmente nessuno sapeva cosa le fosse successo quel giorno. Nemmeno Ryuuji stesso poteva ricordare che ad Aisai lei aveva ascoltato le sue grida.
Il suo silenzio, in quel momento, sembrava la calma prima della tempesta.
"Forse questa volta non ne uscirò vivo" non poteva impedirsi di pensare ogni tanto. "Farò nuovamente preoccupare gli altri..."
Kirishima deviò improvvisamente, entrando in quello che aveva tutta l'aria di essere un cimitero.
Il ragazzo dai capelli verdi fece una smorfia di disagio, intuendo le intenzioni della ragazza. Si fermò, seguendola con lo sguardo fino a quando lei non si fermò davanti a una lapide, a molti metri di distanza da lui. La fissò per lunghi secondi, ignorando Midorikawa.
Ryuuji chiuse gli occhi, respirò profondamente e avanzò, pensando che fosse suo dovete farlo.
Una volta raggiunta la ragazza non si stupì del nome scritto sulla lapide.
Tenne lo sguardo su quelle fredde lettere incise nella pietra, una morsa iniziò quasi immediatamente a torturargli lo stomaco. Lo colse un senso di nausea mentre, abbassando di poco lo sguardo, decifrò le due date e scoprì che Kirishima Hiroki aveva quindici anni, quando morì. Era all'ultimo anno delle medie. Ancora pochi mesi e non avrebbe più frequentato quella scuola che, crollando, l'aveva ucciso.
Midorikawa chiuse ancora gli occhi. No. Era stato lui a distruggere quell'edificio. Era stato lui a mettere fine alla sua vita.
- Questo, - bisbigliò Kyoka, fissando il suolo, -è ciò che tu ci hai tolto - disse, sollevando appena lo sguardo.
Ryuuji si voltò verso di lei e, qualche istante dopo, la ragazza ricambiò lo sguardo. Non seppe cosa dirle, non sapeva nemmeno come reagire.
Kirishima rimase immobile qualche altro secondo, poi gli occhi improvvisamente si spalancarono in modo innaturale. Ghignò.
- E qui, adesso, io metterò fine a tutto questo e ti ucciderò! - gridò, improvvisamente circondata da una strana energia. - Qui, davanti a lui - concluse, afferrandogli il collo improvvisamente. Il frammento di meteorite sul petto della ragazzina iniziò immediatamente a brillare con intensità, e l'elettricità statica iniziò a farsi sentire nei dintorni; persino Ryuuji riuscì a percepirla su di sé. Lo sguardo di Kyoka tornò pieno d'odio e un'espressione soddisfatta increspò le sue labbra.
Midorikawa volle gridarle di aspettare, di farlo parlare, ma non ci riuscì. La presa della mano era forte e decisa.
Ryuuji afferrò il braccio della ragazza con entrambe le mani, senza riuscire però a liberarsene; si sentiva soffocare ed fu come se le forze lo abbandonassero velocemente.
- Finalmente vendicherò Hiroki! - gridò la fanciulla. - Finalmente darò un senso a tutto! Ora non c'è nessuno: né i tuoi fratelli, né Minoru né Kanzaki. Nessuno ci disturberà. Muori con comodo, Midorikawa Ryuuji. O Reize, come preferisci. Muori lentamente e soffri, soffoca e pentiti! - gridò, tendendo anche l'altro braccio, afferrando il collo della sua vittima anche con la mano sinistra. Se ci fosse riuscito, Ryuuji avrebbe urlato, ma poté solo spalancare la bocca, alla disperata ricerca di ossigeno. - Io ti odio! - esclamò Kyoka, in lacrime. - Per quanto dolore tu possa provare, non sarà mai abbastanza! Nulla potrà ridarmi mio fratello! Lui non c'entrava nulla e tu l'hai ucciso! -
Midorikawa si sforzò di guardarla: riuscì ad aprire l'occhio destro. Aprì la bocca, nel tentativo di parlarle.
"Non farlo" pensò con disperazione. "Non diventare come me."
Ma Kyoka rise, scosse leggermente corpo del ragazzo. - Dimmi, hai paura? - cantilenò, divertita. - Vorresti implorare pietà? Sarebbe un bello spettacolo, anche se inutile - sibilò, ormai senza controllo.
Lasciò improvvisamente la presa, osservando con soddisfazione Ryuuji cadere a terra e ansimare. Quando il ragazzo tentò lentamente di risollevarsi, lei sbatté un piede a terra, quasi fosse un avvertimento a non muoversi.
Si accucciò davanti a lui, lo afferrò per la maglia e lo fece sbattere contro una delle lapidi, talmente forte che la pietra si ruppe. Midorikawa gemette, sentendo un forte dolore alla testa e percependo distintamente il sangue scorrergli dalla nuca.
- Kyoka - ansimò. - Ascoltami - provò a dirle, ma lei lo guardò male.
- Avanti, implorami! - gridò, con voce acuta. Il meteorite intensificò la propria luce. - Tu, assassino, non vuoi morire, vero? Inginocchiati e implora pietà - rise nuovamente, divertita.
- Voglio solo dirti una cosa, ti prego! - ritentò lui, con disperazione, ignorando il dolore che provava nel sentirsi chiamare in quel modo. Doveva parlarle, doveva almeno dirle ciò che le voleva dire, anche se dopo lei avrebbe ucciso. - Voglio raccontarti di due anni fa, e voglio parlarti di Kenzaki Ryuuichi! -
Kyoka si bloccò per pochi istanti. Dapprima assunse uno sguardo sorpreso, che subito mutò in indifferenza e, infine, in follia. Gli diede un calcio al volto, senza pietà.
- Non è ciò che ti ho ordinato di dirmi. Speravo che tu mi facessi divertire di più... Non importa - soffiò, afferrandolo per i capelli e sollevandolo. - Non mi interessa ciò che hai da dire - affermò con un ghigno, lanciandolo a qualche metro di distanza da lei. Lo raggiunse con passi lenti e brevi, osservando con sadica soddisfazione il corpo dolorante del ragazzo. - Per tanto tempo... per tanto tempo mi sono chiesta perché. Perché avete fatto una cosa del genere, perché avete attaccato quelle scuole. Perché mio fratello è morto? - mormorò, quasi con tranquillità, benché negli occhi brillasse un lampo di pazzia. Le lacrime scendevano copiose e senza controllo. Kyoka abbassò leggermente le palpebre. - Perché devo provare tutto questo dolore? - sussurrò. Ma, immediatamente dopo, il vento tornò a soffiare innaturalmente attorno a lei - Potresti avere tutte le scuse del mondo, non cambierebbe nulla! - alzò nuovamente la voce, battendo un piede a terra e generando un piccolo buco nel terreno. - Ti ucciderò! - esclamò sempre più forte. Afferrò una delle lapidi lì accanto e, incurante del significato simbolico che aveva, la staccò da terra e la lanciò su Midorikawa.
L'ex-capitano della Gemini Storm riuscì a proteggersi la testa con le braccia, pur strizzando gli occhi per il dolore agli arti. Il colpo fu così forte che la lastra di pietra si ruppe in mille pezzi.
Ma Ryuuji non fece però in tempo ad accorgersene che Kyoka gli diede un calcio sullo stomaco e, prima che egli si ri-accasciasse a terra, lei gli riafferrò il collo, risollevandolo da terra.
Rise sguaiatamente, divertita.
Ormai Midorikawa era inerme: non riusciva più a respirare; sentiva il sapore del sangue sulla bocca ma non riusciva nemmeno a tossire come avrebbe fatto dopo un colpo del genere; la vista era diventata sfocata e non riusciva a tenere gli occhi aperti.
Kyoka lo osservava con sadica soddisfazione, sogghignando con crudeltà.
Il suo dolore leniva quello della ragazzina. O meglio, quella era sicuramente l'impressione, l'illusione che lei stessa percepiva in quel momento.
Sarebbe morto? Stranamente, in quel momento, Midorikawa non provava paura. Ciò che sentiva, il sentimento che lo colse e gli diede forza non era né il terrore né speranza. Era solo tristezza. Una profonda, insopportabile tristezza verso i suoi fratelli e suo padre, che si erano preoccupati per lui ed erano corsi a salvarlo, e anche verso Minoru e Kyoka, quest'ultima a un passo dal diventare come lui.
Se si fosse fatto uccidere, presto o tardi Kyoka ne avrebbe pagato le conseguenze.
- Kyo... ka - ansimò, nonostante la difficoltà a parlare. Tossì sputando sangue e fece una smorfia a causa del dolore che quelle convulsioni gli provocarono.
Non avrebbe potuto far nulla, per loro? Sarebbe finita così?
La ragazzina non lo ascoltava, il viso era deformato da un largo e innaturale sorriso, il vento le scompigliava i capelli, facendole finire alcune ciocche sul volto e rendendola ancora più inquietante.
I grossi frammenti della lapide si sollevarono da terra, fluttuando per aria qualche secondo, prima di scagliarsi contro gli arti del ragazzo dai capelli verdi.
Lui gemette nel sentirli penetrare tra le proprie carni, lenti e impietosi.
Kyoka rise ancora, sempre più divertita.
Ryuuji non sapeva cosa fare, la mancanza di ossigeno non gli permetteva più nemmeno di pensare, avvertiva dolori dappertutto.
"È la fine" pensò. Stava perdendo conoscenza e quello fu l'ultimo pensiero coerente che riuscì a formulare.
Ma lei improvvisamente sussultò e la presa si fece più debole.
- Cosa...? - mormorò, sorpresa, toccandosi il petto con la mano libera. Sussultò ancora e gemette, lasciando finalmente la presa sul Midorikawa, che cadde a terra in un sordo tonfo che coprì il suo lamento rauco. - Di già? - mormorò intanto Kirishima, arrabbiata, tremando.
Sentiva delle forti fitte al petto, come mai ne aveva provate. Sapeva che né lei né il fratello reggevano a lungo la potenza del meteorite; ma, pensò, l'aveva usata solo per controllare i pezzi di pietra. Non si rendeva conto che, ormai, il potere del meteorite lo utilizzava anche solo per camminare.
- Perché proprio adesso? - si chiese, inginocchiandosi a terra. - Mancava poco... era a un passo da... - provò a esclamare, a fatica.
Midorikawa tossì, cercò di respirare profondamente. Gli ci vollero parecchi secondi per riprendersi abbastanza da rendersi conto di ciò che stava accadendo; sollevò la testa e vide Kyoka contorcersi a terra, in preda al dolore e alla confusione.
- Kyoka! - gridò. Cercò di muoversi, ma le fitte agli arti glielo impedirono. Abbassò lo sguardo per osservare i pezzi di pietra ancora tra le sue membra e, ignorando il dolore, li estrasse con un movimento secco.
Poi gattonò, pur barcollando, verso di lei, non riuscendo ancora ad alzarsi in piedi. Lo stomaco, le braccia, la testa e il volto gli dolevano e il respiro era ancora pesante. Eppure, incurante del fatto che quella ragazzina aveva provato ad ucciderlo, Midorikawa si sfilò la pietra bianca e la posò sul petto di Kirishima, tenendogliela con la mano per evitare che le scivolasse a terra.
Il meteorite iniziò a perdere lucentezza, la ragazza dai capelli ricci si calmò quando si rese conto che il dolore era completamente sparito. Allora iniziò ad ansimare, distesa a terra, e per qualche secondo rimase immobile, con gli occhi al cielo.
Poi, lentamente, si voltò verso Midorikawa. Anche lui aveva il fiato corto, molto più di prima ma, sorridendole appena, le mise la pietra al collo.
- Tienila - le disse, con difficoltà ma con gentilezza. - È stata creata apposta per placare il dolore causato dal meteorite - riuscì a spiegare, prima di essere colto lui stesso da forti fitte al petto. "Nonostante l'abbia avuta nel mio corpo per poche ore e sia stata tolta giorni fa, l'influenza del meteorite sta già tornando a farsi sentire" rifletté lui, sorridendo tristemente.
Kyoka non ebbe il tempo di chiedergli perché la stesse aiutando che si rese conto che quel ragazzo stava soffrendo esattamente come lei poco prima. Quando udì i gemiti dell'altro, ricordò vagamente ciò che aveva visto ad Aisai.
Si mise seduta, inizialmente senza fare nulla, apparentemente spaesata come chi non sa nemmeno dove si trovi in quel momento.
Midorikawa era a terra, tremava e si stringeva la stoffa della maglia al altezza del petto, cercando però di non mostrare troppo dolore.
- P-perché? - esclamò Kyoka, con voce incerta. - Perché mi hai aiutata? -
Ryuuji sollevò la testa, le sorrise appena.
- A-adesso mi ascolterai? - sussurrò debolmente. Si sentiva ancora stordito per la mancanza di ossigeno di poco prima e per i colpi ricevuti, e quelle fitte al petto non lo aiutavano, ma doveva cogliere l'occasione: ora anche Kyoka era debole e forse il suo gesto altruista l'avrebbe convinta a dargli almeno un'opportunità per parlare.
Kirishima non disse nulla, rimase dov'era e continuò a fissarlo sconcertata. Ci teneva così tanto a parlarle? Voleva forse chiederle perdono?
Parecchi minuti dopo Midorikawa riuscì a mettersi seduto, nonostante respirasse a fatica. Poggiò la schiena contro la dura pietra di un'altra lapide e sospirò. Infine tornò a guardarla, serio.
- Hai detto... di esserti chiesta perché l'abbiamo fatto... - disse flebilmente. - Immagino che tu, a quei tempi, non abbia seguito gli avvenimenti alla tv come il resto del Giappone - constatò. Ed era normale, a quei tempi Kyoka era una dodicenne che aveva appena perso il fratello, l'ultima cosa che avrebbe dovuto fare era seguire le altre orribili gesta degli assassini di Hiroki.
Il ragazzo prese ancora fiato, cercando di raccogliere le forze. Aveva male ovunque, anche se non quanto tre giorni prima, e dubitava di riuscire a fare un lungo discorso.
- L'abbiamo fatto... per nostro padre - confessò, una nota triste gli incrinava la voce.
Kyoka rifletté qualche istante su quelle parole, poi corrucciò la fronte.
- E perché? - gridò, sentendo nuovamente il risentimento divorarle il cuore.
Midorikawa chiuse gli occhi e abbassò la testa.
- Perché... lui voleva vendetta. -
La ragazza sussultò ancora, incredula.
- Nostro padre, il proprietario dell'orfanotrofio, aveva perso il figlio a causa di un incidente. Ma il responsabile era figlio di un politico e rimase impunito. Lui voleva vendetta. Per questo ho distrutto quelle scuole - disse, tristemente.
Respirò ancora profondamente per calmarsi, mentre sentiva le lacrime offuscargli la vista. Non gli faceva piacere ricordare certe cose, sopratutto non in quel momento, in quel luogo e davanti a quella persona. Tuttavia si fece coraggio.
- Lo capisci, adesso? La vendetta non porta che dolore. Tu e tuo fratello state facendo quello che mio padre ha fatto due anni fa, coinvolgendo persone innocenti. Vuoi davvero che vada in questo modo? - gridò, per quel che poteva alzare la voce, tornando a guardarla senza nascondere il proprio dolore. - Tuo fratello non tornerà. Anche se mi uccidi non cambierà nulla - ansimò, affrontando lo sguardo sofferente di Kyoka. - Che tu ci creda o no, mi dispiace. Sono stato io ad ucciderlo, l'ho fatto senza nemmeno rendermi conto della gravità delle mie azioni, senza pensare alle conseguenze, e mi dispiace! Ho fatto una cosa orribile e non sai quanto mi senta male. Per questo ho deciso di provare ad aprirvi gli occhi, e ad impedirvi di fare il mio stesso errore! - esclamò, con voce strozzata. Dovette fare profondi respiri per riprendere fiato e, anche se non ci riuscì completamente, decise di continuare. Gli occhi neri divennero lucidi, ma non cadde alcuna lacrima. - È qualcosa che ti strazia dentro. Anche se pensi di fare la cosa giusta, anche se sei decisa, arriverà il giorno in cui ti renderai conto che è stato tutto inutile, non avrai risolto nulla; e non potrai più tornare indietro, non potrai più rimediare. Il senso di colpa rimarrà per sempre e ti consumerà. Lo so che stai soffrendo anche tu, anche i miei genitori sono morti in un incidente, e non so nemmeno chi sia stato a causarlo. Ma se tu mi uccidi proverai anche il rimorso. Possiamo andare alla polizia, posso farmi incarcerare come merito; ma, ti prego, non diventare come me. Non diventare un'assassina. -
Kyoka fissò per tutto il tempo il proprio nemico negli occhi. Ne vide lo sguardo pieno di tristezza e di dolore e le sembrò di essere travolta da quei sentimenti, sensazioni che ben conosceva. Non mentiva. Non poteva negarlo, lo sentiva che era sincero, percepiva in lui gli stessi sentimenti che sentiva lei stessa.
In quel momento lo vide non come un alieno, ma come un ragazzo, una persona come lei, costretto ad affrontare le conseguenze di gesti il cui vero significato, almeno in parte, era ignoto anche a lui.
Quelle erano più o meno le stesse cose che le disse anche Minoru tempo prima, e che mai le erano arrivate al cuore. Anche suo fratello voleva evitare che facesse una cosa del genere, ma era ignorante tanto quanto lei, su certe cose. Il ragazzo con i capelli verdi, invece, sapeva fin troppo bene di cosa stava parlando, e per questo risultò forse più convincente.
Ryuuji sostenne lo sguardo ancora qualche secondo, sperò che avesse capito; poi, con un gemito, si accasciò di nuovo a terra.
Portò nuovamente la mano al petto, il dolore era insopportabile e si estendeva a tutto il suo corpo, irrigidendogli persino le braccia.
- Ah! - si lasciò sfuggire Kirishima, avvicinandosi al ragazzo istintivamente. Cercò di sorreggerlo, benché lei stessa non avesse molte energie. - Tu stai male perché mi hai dato questa pietra! - esclamò. Si portò le mani al collo, afferrando il filo scuro del ciondolo per toglierselo, ma Midorikawa la fermò.
- Se lo fai il dolore tornerà - la avvertì, con un filo di voce. - Il meteorite vi sta consumando. Più usate il suo potere, più il vostro corpo si indebolisce, e ne pagherete le conseguenze solo dopo esservene liberati. Io ormai sono libero dal suo controllo, nonostante il dolore non correrò rischi - la tranquillizzò.
- Ma tu... insomma, io stavo cercando di ucciderti! Perché mi hai aiutata? - chiese, piangendo a causa del panico. Non ci capiva più nulla, non riusciva a ragionare sulle parole che le rivolgeva. Era assurdo che il suo nemico, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, l'avesse salvata pur sapendo che avrebbe sofferto. Non riusciva a capacitarsene.
- Perché non voglio che qualcun'altro soffra per questa storia - spiegò, guardandola di nuovo, tristemente. - Voglio salvare almeno voi, perché sono stato io a causare questo dolore. Voglio aiutare te e tuo fratello e salvarvi da Kenzaki. -
- Di nuovo Kenzaki? Cosa c'entra lui? -
- Lui era alla Aliea, due anni fa, aiutò mio padre. Non so cosa vi ha detto, ma- - si bloccò improvvisamente, gemendo nuovamente. Venne scosso da forti convulsioni e, seppur cercasse di farsi forza, non poté evitare di accasciarsi nuovamente a terra. Il male era sempre più forte e a quel punto non era certo di essere davvero fuori pericolo.
"Poche ore di contatto diretto con quella maledetta pietra e guarda cosa mi succede..." pensò, con rabbia.
Kyoka gridò, spaventata. Si accorse di temere che quella persona morisse davvero. Si rese conto di essere terrorizzata all'idea che perdesse indirettamente la vita a causa sua.
"Era questo che voleva evitare. Era questo che voleva evitare Minoru" pensò.
Distolse lo sguardo, dirigendolo verso la tomba del fratello maggiore. "Hiroki... cosa devo fare ora?"
- Kyoka! - tuonò qualcuno e la ragazzina riconobbe immediatamente la voce del gemello.
Sia lei che Midorikawa, nonostante tutto ancora cosciente, si voltarono verso destra. Minoru arrivò dalla stessa direzione da cui erano entrati anche loro due, ovvero dall'entrata del cimitero. Avanzava lento, teneva il pallone viola sottobraccio e fissava gli altri due con espressione seria.
- Kyoka, allontanati da quella persona! - esclamò, perentorio. Lasciò cadere a terra la palla e sembrò pronto a calciarla.
- Fratellino! - gridò lei, cercando di alzarsi in piedi. Ma ricadde a terra subito dopo, con una smorfia di dolore.
Minoru spalancò gli occhi, comprese che la gemella stava già risentendo degli effetti collaterali del meteorite. Si voltò verso il proprio obbiettivo, poggiando il piede sul pallone. Doveva fare in fretta e finire quella storia.
Ryuuji non riuscì a trovare la forza di muoversi, pur sapendo che quella sfera sarebbe stata rivolta a lui.
- Kyoka, torna qui! - intimò il ragazzo dagli occhi viola, irritato. - Allontanati da lui. Ti avevo detto che ci avrei pensato io! -
- Aspetta, Minoru! - provò a calmarlo lei. - Non farlo! -
Il fratello rimase stupito da quelle parole. Sembrava che finalmente lei avesse capito e questo pensiero, in parte, lo sollevò. Ma il suo sguardo si fece più deciso. Non aveva altra scelta...
- Kyoka, non devi preoccuparti di nulla. Farò tutto io e, se necessario, affronterò le meritate conseguenze. Fatti da parte. -
- No, non devi- ! - provò ad insistere la ragazzina, prima che la sua frase venisse interrotta dall'ennesima fitta causata dal meteorite.
Minoru corse verso di lei, allarmato. Ma quando fu vicino il suo sguardo e il suo risentimento andò subito su Midorikawa. Provò subito ad allontanarlo dalla gemella.
- Aspetta! - esclamò qualcuno.
Un pallone da calciò volò verso Minoru, che con un balzò lo evitò, trovandosi così distante dal suo obbiettivo.
Il ragazzino, stupito, si voltò verso destra e con lui anche Kyoka e Ryuuji.
Inizialmente fu visibile solo Nemuro Miyuki, ex-portiere della Genesis, ma presto venne raggiunto anche da qualcun'altro: Kira Seijirou avanzò con passo lento e apparentemente calmo, seguito da alcuni degli orfani del Sun Garden e da Hitomiko.
- Chi diavolo sei tu? - domandò Kirishima, ricordando di aver già visto l'uomo una volta, ostentando freddezza ma con un leggero tremito di irritazione nella voce.
L'uomo si fermò accanto a colui un tempo conosciuto come Nero, e sollevò la testa per osservare prima Minoru, poi gli altri due.
- Il mio nome è Kira Seijirou - si presentò - Sono il fondatore del Sun Garden e il proprietario della Kira Company. -
Dietro di lui, alcuni ragazzi si guardarono attorno inquieti, altri tenevano lo sguardo fisso su Midorikawa e Kyoka, il primo riverso a terra e la seconda inginocchiata accanto a lui.
Kyoka stessa osservava con confusa curiosità il robusto adulto, ma ne intuì quasi subito l'identità.
L'uomo riprese a camminare e raggiunse agli altri due ragazzi.
- Cosa vuoi fare? -
Kira lo ignorò e, consapevole che il ragazzo non poteva fare seri danni per non coinvolgere la sorella, si inginocchiò davanti a lei. Frugò della tasca e ne estrasse il ciondolo dalla pietra bianca, identica a quella ora al collo della ragazza dai capelli ricci.
- Queste pietre furono create apposta per annullare la forza distruttiva del meteorite. Ho immaginato che Kenzaki non si fosse preoccupato delle conseguenze che avrebbe avuto su di voi la lunga esposizione alla pietra, così ho chiesto al Detective Onigawara di recuperarne tre dalle prove attualmente in custodia dallo Stato - spiegò a voce alta, in modo da far ascoltare anche Minoru.
Sfilò a Kyoka quello che le aveva dato Midorikawa e le mise subito quello nuovo. La ragazzina non oppose alcuna resistenza, limitandosi a fissarlo. Lei sapeva che quell'uomo era 'il padre' di cui aveva parlato Ryuuji e pensò che, allora, era anch'egli colpevole della morte di Hiroki. Eppure, nonostante il pensiero straziente, non riuscì a provare odio.
- Tra poco il dolore passerà del tutto - le disse intanto l'adulto con dolcezza, sorridendole. - L'altro ciondolo si è ormai abituato al corpo di Ryuuji, per questo il suo effetto su di te è limitato - spiegò, ridando l'altra pietra al figlio adottivo.
Infine si alzò e tornò a guardare Minoru.
- Questo vale anche per te - gli disse, mostrandogli una terza pietra. - Il meteorite che avete in corpo è pericoloso e vi ucciderà. -
- E come fai, tu, a dire una cosa del genere? -
- Perché fui il creatore del progetto Aliea - riprese allora l'uomo. - Sono colui che ordinò a questo ragazzo di distruggere la scuola di vostro fratello col solo ignobile scopo di seminare ancor più terrore nella gente comune - dichiarò, a voce leggermente più bassa.
Il volto di Minoru si contorse immediatamente, si irrigidì visibilmente.
- In parole povere, Kirishima Minoru, io sono il solo e unico responsabile della morte di vostro fratello - confessò, in tono triste.
- P-padre! - esclamò Midorikawa, provando ad alzarsi.
Venne sostenuto da Saginuma che, con gli altri ragazzi, l'aveva raggiunto.
Ryuuji si voltò verso l'amico, che annuì in silenzio.
Kyoka rimase in silenzio, la bocca era leggermente aperta. Strinse la pietra bianca, separata dal meteorite alieno solo dalla stoffa della tuta.
- Tu... - ripeté il ragazzo dagli occhi viola, digrignando i denti. - Tu sei solo un altro colpevole, un altro assassino! - esclamò, provocando smorfie e istintivo risentimento nei figli adottivi di Seijirou.
- Ti correggo, ragazzo. Sono il solo assassino, qui - ribatté con apparente calma l'uomo. - Ryuuji fu costretto ad obbedire al mio ordine, non merita alcuna punizione. -
Midorikawa tremò, spaventato. Era consapevole che le cose non erano così semplici: voluto o meno, fu lui a calciare il pallone e distruggere l'edificio scolastico. Senza contare che avrebbe potuto rifiutare, benché avesse potuto correre il serio rischio di essere cacciato o severamente punito dal padre adottivo.
Minoru ringhiò e richiamò vicino la palla scura.
- Minoru! - gridò Kyoka, rialzandosi, finalmente libera dal dolore. - Fermati e ascoltali. Non penso stiano mentendo su Kenzaki! -
- Zitta! So benissimo che di Kenzaki non ci si può fidare! Siamo stati degli sciocchi a seguirlo, due anni fa - ammise, gridando agitato. - Per questo devo concludere questa faccenda il prima possibile, e posso farlo solo vendicandoci! -
In lui, il desiderio di far finire tutto, di liberarsi di Kenzaki e di riavere la sorella al proprio fianco fu più grande di qualsiasi altra cosa.
- Non importa cosa dovrò fare, i responsabili pagheranno per quello che ci hanno fatto! - gridò e sollevò la gamba, pronto a calciare.
- No! Minoru, non farlo!- gridò Kyoka, alzandosi e mettendosi davanti a Seijirou e Ryuuji, allargando le braccia per proteggerlo. - Adesso basta, non voglio più che qualcuno soffra! -
Ma il gemello, incapace di trattenersi ancora, colpì con forza il pallone viola, che si illuminò intensamente.
Solo l'istante dopo, quando fu troppo tardi, comprese l'errore fatto: Kyoka era sulla traiettoria e il pallone l'avrebbe colpita in pieno!
La ragazzina rimase immobile, lo sguardo fisso sulla sfera viola, incredula.
Minoru, suo adorato gemello, aveva calciato quel pallone nonostante ci fosse lei davanti. Si era fatta avanti certa che il fratello si sarebbe fermato, ma evidentemente il desiderio di vendetta era più intenso dell'amore verso di lei.
- Kyo- - cercò di chiamarla Minoru, ma venne interrotto da un grido di Midorikawa: - Attenta! - esclamò infatti, alzandosi a fatica e afferrando la ragazzina per le braccia, portandola dietro a Seijirou, che a sua volta cercava di fare scudo ai due ragazzi col suo corpo e con lui anche gli altri orfani.
Kyoka gridò e Midorikawa chiuse gli occhi.
- Jikuu no Kabe! - esclamò solennemente Nemuro, avanzando e tendendo una mano in avanti.
Lo spazio si distorse, immagini illusorie di orologi circondarono l'aria e il pallone, perdendo un po' di velocità e scontrandosi violentemente contro la mano tesa dell'ex-portiere della Genesis.
Il basso ragazzino fece una smorfia di dolore, si sentirono distintamente le ossa delle dita scricchiolare; tuttavia il ragazzino non vacillò e resistette fino a quando non riuscì a scagliare il pallone lontano. Poi si inginocchiò, dolorante. Come minimo tutte le ossa della mano ora erano in briciole!
- Miyuki, stai bene? - chiese Fumiko, preoccupata.
Minoru ignorò tutto e tutti e continuò fissare la sorella. La ragazza si rialzò e lo guardo spaventata e infelice, in lacrime. Sotto quello sguardo Kirishima sussultò e fece qualche passo indietro, richiamando col pensiero la lastra e salendoci.
La sorella si rialzò e cercò di andargli incontro ma, prima di riuscire a chiamarlo, il ragazzo sparì nel nulla.
Kyoka rimase ferma, osservando il punto dove il fratello se n'era andato.
Poi si inginocchiò e iniziò a tremare. Sentiva il meteorite incastonato nella sua pelle farsi sempre più pensate, un fardello insostenibile. Iniziò a singhiozzare rumorosamente pensando che, se fosse andata avanti con la vendetta, quella sensazione sarebbe stata ancora più intensa.
Seijirou si avvicinò cauto, guardandola con tristezza, ma lei non ci fece caso; piegò la testa verso il basso e si aprì la tuta. Le lacrime scendevano copiose e cadevano sulla stoffa nera, venendo assorbite.
Afferrò la pietra viola con le dita e provò a strapparsela via.
Hitomiko fu la prima a raggiungerla e fermarla, afferrandole entrambe i polsi.
- Ferma, è pericoloso! - esclamò.
- Toglietemelo - mormorò Kyoka, con voce tremante e supplicante. - Toglietemi questa roba! - gridò ancora, scuotendo freneticamente la testa.
Hitomiko la strinse a sé e la ragazzina si sfogò per lunghi minuti tra le sue braccia, piangendo e gridando.






Note finali: toccata e fuga, è tardi e dovrei andare a dormire o domani non mi alzo più. Va beh, pubblico e vado. XD
In realtà non dovrei nemmeno pubblicare, perché mi ero ripromessa di farlo solo dopo aver concluso il capitolo 22, ma nemmeno questa sera ci sono riuscita. Ri-va beh.
Oggi ho finalmente preso Inazuma Eleven 3 ed ero in vena di fare qualcosa su Inazuma... ma temo dovrò continuare domani.
Questo capitolo mi piace. Io sono sadica e torturare i miei personaggi preferiti è il mio passatempo preferito, quindi potete immaginare quanto io mi sia divertita a scrivere la parte dove Kyoka picchia Midorikawa. XD
Non so, forse che Kyoka sia stata la prima a tornare in sé è una sorpresa per voi, e un po' lo spero. Fin dall'inizio era Minoru il più riflessivo, ma forse proprio per questo Kyoka si è ricreduta alla prima occasione.
In ogni caso sono davvero soddisfatta questa volta. Data l'ora, non ho riletto tutto il capitolo prima di pubblicare, ma dato che sono mesi che lo rileggo e modifico, spero non ci siano troppi errori.
Poi, sapete, adesso sono un po' in lutto per il mio headcanon secondo cui Midorikawa è più piccolo di Hiroto, Suzuno e Nagumo. Stando a questa traduzione, infatti, sono coetanei. Cosa che in parte avevo già intuito dal fatto che Midorikaw, in originale, chiama Saginuma con l'onorifico, mentre Hiroto lo chiama tranquillamente per nome. Ma non ho voglia di modificare il primo capitolo di questa fiction né tutte le altre in cui ho scritto di Midorikawa più piccolo, quindi lascerò tutto così. XD
Spero di riuscire a concludere presto altri capitoli e di aggiornare più rapidamente.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Minoru sbatté con violenza la mano sulla spessa parete di metallo della stanza della base, con così tanta veemenza che l'arto tremò dal dolore e dal bruciore per qualche secondo. Ansimava e fissava il pavimento, sconvolto e spaventato.
- Cosa ho fatto? - mormorò, rievocando ciò che era successo e lo sguardo che le aveva rivolto sua sorella. - Come ho potuto? -
Una risata proruppe per tutta la stanza, chiara e spietata.
Il ragazzino si voltò di scatto, accorgendosi solo in quel momento di Kenzaki che, appoggiato vicino alla porta, lo osservava sorridendo divertito.
- Devo ammettere che questa volta mi hai davvero stupito, Minoru - affermò, allontanandosi dalla parete. - Non credevo che in te ci fosse così tanta rabbia da spingerti ad attaccare persino tua sorella - disse, con soddisfazione. - Sono ammirato. -
Minoru tremò, pallido in volto. Più il tempo passava più si accorgeva della crudeltà dell'uomo che aveva di fronte. Strinse i pugni e le labbra, guardò l'adulto con puro odio e si avvicinò a lui a grandi passi.
- Tu! È tutta colpa tua! Ci hai manovrati fin dall'inizio! - gridò, scagliandocisi contro pronto a dargli un pugno.
Gli assistenti dell'uomo, anche loro dentro la stanza fin dall'inizio, lo bloccarono e lo tennero fermo per le braccia, allontanandolo dal loro capo.
Inutili furono i tentativi di Kirishima di liberarsi.
- Sei un bastardo! - urlò ancora. - Ci stai portando alla rovina, non obbedirò più ad uno come te! -
Kenzaki ghignò. - Oh, ti sbagli. Tu farai quello che voglio, volente o nolente - lo informò canzonatorio, piegandosi appena.
Minoru non fece in tempo nemmeno a capire quelle parole che venne colpito dietro il collo da uno degli uomini e perse i sensi.
Kenzaki rise ancora. - Davvero, questa volta hanno agito in modo imprevedibile. Non avrei mai pensato che Reize sarebbe riuscito a portare Kyoka dalla loro parte, e che Minoru agisse così di impulso. Ma ora basta giocare, è ora di passare all'atto finale. E, dato che ho fallito con quella nullità di Reize, userò lui - mormorò osservando Kirishima inerme tra le braccia di un suo assistente, pregustandosi già i futuri avvenimenti.

Piccole manine giocavano con un fiore fatto con il foglio di un quaderno, rigirandolo tra le dita con attenzione, per evitare di rovinarlo.
Kyoka, allora una bambina delle elementari, lo tenne poi sul palmo della mano e lo fece girare lentamente facendo una leggera pressione con l’indice, per poterlo ammirare nella sua interezza.
Sorrise, felice e soddisfatta, sedendosi meglio sul prato che dava al fiume, e ridacchiò; poi si voltò verso sinistra, dove i grandi occhi scuri incontrarono quelli del fratello, in piedi di fianco a lei.
- Hai visto che bell'origami mi ha regalato Tatsuya-kun? - domandò per l'ennesima volta, con orgoglio.
Minoru sbuffò, tenendo le braccia incrociate al petto. - E da quando quell'incapace sa fare gli origami? - sbottò, infastidito.
La gemella aggrottò le sopracciglia, alzandosi in piedi per essere alla sua stessa altezza. - L'ha fatto oggi in classe, l'ho visto io! E poi me l'ha regalato! - affermò, piccata. - Perché ti arrabbi, invece di essere felice per me? -
- E perché dovrei essere felice per te? Cosa vuoi che me ne importi di Tatsuya e del suo stupido origami?! -
- Sei invidioso perché tu non li sai fare, ecco! - lo canzonò la bambina, sventolandogli sotto il naso il fiore di carta.
Minoru si irrigidì e digrignò i denti. - Questo non è vero! - sbottò, scostando malamente l'origami con un cenno della mano. Il fiore cadde dalla mano di Kyoka e, trasportato dal vento, volò e si posò nel fiume, assorbendo l'acqua e rovinandosi irreparabilmente.
La piccola Kirishima osservò il tutto senza dire una parola e, accorgendosi dell'errore fatto, Minoru si voltò verso di lei per scusarsi. Ma la gemella già aveva le lacrime agli occhi.
- I-il fiore di Tatsuya-kun... - mormorò, singhiozzando.
- K-Kyoka... -
Lei si voltò di scatto verso il fratello, stringendo i pugni sui fianchi. - Sei cattivo, Minoru! Ti odio! - esclamò, correndo via.
- Aspetta, Kyoka! Non devi andare in giro da sola! - la chiamò il bambino, provando inutilmente a seguirla.
Kyoka corse senza nemmeno riuscire a vedere dove stesse andando, in testa aveva solo in mente il bel fiore che si disfaceva e veniva trasportato lontano dalla corrente.
Perché Minoru si era comportato così? Perché era arrabbiato?
Non le importava in quel momento, sapeva solo che era stato antipatico e che non lo voleva vedere mai più.
Si fermò solo quando rischiò lo scontro con una persona. Non si scusò per la disattenzione ma, guardandosi attorno, si rese conto di non sapere dove si trovava.
Scrutò i dintorni, tirando su col naso, poi lentamente provò a tornare indietro, pur non conoscendo la strada. Quasi subito si arrese e ammise a se stessa di essersi persa. I suoi pensieri andarono a Hiroki e Minoru. Si disse che forse, a causa del litigio, Minoru non l'avrebbe cercata né avrebbe avvertito Hiroki, e che nessuno l'avrebbe più trovata.
Scoppiò a piangere, attirando l'attenzione dei passanti.
Un quarto d'ora dopo le lacrime non si erano ancora fermate, nonostante il poliziotto, da cui alcune persone l'avevano portata ad attendere i suoi fratelli, le avesse fatto il tea per calmarla.
La stazione della polizia era, fortunatamente, poco distante dal luogo in cui era corsa, ma ancora non riusciva a togliersi dalla testa la convinzione che il gemello non l'avrebbe cercata.
L'agente davanti a lei la osservava sorridendo. Kyoka gli aveva raccontato l'accaduto almeno quattro volte, in perenne ricerca di consigli e consensi, ma tutto ciò che l'uomo le disse fu che presto i suoi fratelli sarebbero arrivati e avrebbero fatto pace.
I due Kirishima non tardarono ad arrivare. Hiroki era uscito da scuola pochi minuti dopo il litigio, e Minoru, agitatissimo, gli raccontò l’accaduto. Erano andati a cercarla nei paraggi finché, tornati a scuola, il più anziano dei due non fu informato che la sorella era sotto custodia di un agente e attendeva solo di essere andata a prendere.
Minoru fu il primo a mettere piede nell'edificio, chiamando a gran voce la sorella.
Appena lo vide, Kyoka scoppiò nuovamente a piangere e corse ad abbracciarlo.
- Stupida! - la sgridò il bambino, guardandola con severità ma continuando a stringerla tra le braccia. - Lo sai che se te ne vai in giro da sola poi ti perdi! -
- M-ma tu mi hai rovinato il fiore! - esclamò lei, nascondendo il visino nella stoffa della maglietta del gemello. - Io ora sono arrabbiata con te! -
- Anche io sono arrabbiato con te, perché mi hai fatto preoccupare! - ribatté a sua volta lui, allontanandosi appena da lei.
Hiroki, a quel punto, si avvicinò e si chinò verso i fratellini.
- Basta così, state disturbando il signor agente - li riprese, pur senza alcuna nota irata nella voce. - Minoru, dovresti semplicemente chiedere scusa a Kyoka per aver reagito così male e per aver rovinato il suo origami - disse, guardando il bambino.
Minoru si imbronciò, notando con imbarazzo come la sorella lo guardasse ora in trepidante attesa di scuse. Evitò di guardarla. - Va bene, scusa. Domani chiedo a Tatsuya se te ne fa un altro... - borbottò, pur lievemente seccato.
- E me ne fai uno tu - pretese lei.
- Cosa? Perché dovrei? Non metterti a fare i capricci anche adesso, Hiroki ha detto che è anche colpa tua! - sbottò il bambino.
- Colpa mia? Perché? - domandò lei, volgendo lo sguardo verso il fratello maggiore.
Lui sorrise e accarezzò ad entrambi la testa. - Perché non dovevi dirgli quelle cose e scappare via, Kyoka - spiegò lui, sempre mantenendo un atteggiamento calmo. - Ve l'ho detto tante volte: quando non ci sono voi due dovete rimanere insieme e aiutarvi a vicenda. Non dovete litigare, e se nascono incomprensioni dovete parlarne e chiarire. Ora scusati anche tu con lui e fate pace, d'accordo? -
La bambina rimuginò qualche istante su quelle parole, poi annuì. - Va bene, scusami Minoru - sussurrò. Minoru annuì soddisfatto e, ormai di buon umore, le prese la mano, pronto per tornare a casa.
Hiroki si scusò e ringraziò il poliziotto prima di andarsene.
- Adesso che sono alle medie e voi ancora alle elementari sarò più spesso lontano da voi. Quindi promettetemi di fare i bravi - disse sulla via di casa, mentre camminava dietro ai due fratellini per tenerli d'occhio. Sorrise. - Altrimenti mi preoccupo. -
Minoru e Kyoka, pur senza fermarsi, si voltarono leggermente per guardarlo.
- Sì, lo promettiamo - acconsentì il bambino.
- Cosa dovete fare, quando non ci sono? - volle chiedere il fratello maggiore, con un sorriso.
Questa volta fu Kyoka a rispondere: - Io e Minoru ci aiuteremo e andremo d'accordo e staremo sempre insieme! - ripeté, stringendo la presa all'arto del gemello.


Kyoka aprì gli occhi, bagnati dalle lacrime, e si alzò a sedere lentamente, mentre quelle ultime parole ormai pronunciate molti anni addietro le riecheggiavano ancora in testa.
Non si agitò, avendo riconosciuto subito la camera dell'ospedale dove era stata condotta da Kira Seijirou e gli altri ragazzi dell'orfanotrofio. Abbassò lo sguardo, osservando il ciondolo bianco che le avevano dato, poi e si toccò il petto.
Il meteorite era stato rimosso da poco, tuttavia la ferita si era rimarginata all'istante e, controllando, scoprì che non era rimasta nemmeno la cicatrice.
Volse lo sguardo verso la finestra, oltre la quale il cielo stava ormai schiarendo, asciugandosi le lacrime che le rigavano il volto subito sostituite, tuttavia, da altre lacrime.
Ripensò al sogno appena fatto ed ebbe la sensazione di aver già sognato il passato, negli ultimi tempi.
Singhiozzò, immobile e rassegnata, stringendo la pietra bianca con la mano.
- Non abbiamo mantenuto la promessa, Hiroki - sussurrò, con voce rotta. - Io e Minoru non siamo insieme, adesso. -
Si rannicchiò abbracciandosi le gambe con le braccia e tornò a piangere, sentendosi in quel momento più che mai lontana dal gemello.

Pochi minuti dopo sentì qualcuno bussare alla porta. Si voltò verso l'uscio e, pur senza aver ricevuto risposta, una persona la aprì ed entrò nella stanza.
Kira Seijirou le sorrise subito, calmo e comprensivo.
- Ben svegliata, Kyoka - la salutò con gentilezza. - Considerando quanto tempo il tuo corpo è stato esposto al meteorite, ho immaginato che ti saresti svegliata subito. Posso parlarti un momento? - domandò, fermo davanti alla porta.
Kyoka lo squadrò con attenzione e annuì in silenzio. Seguì con lo sguardo l'uomo che si avvicinava lentamente, con una pacatezza quasi irreale. Quella persona era, per sua stessa ammissione, il responsabile della morte di Hiroki e della loro sofferenza. Non solo, aveva causato anche dolore ai suoi figli adottivi, a quanto aveva capito.
Eppure, in quel momento, la ragazza si sentiva incapace di provare odio. Era stufa di quel sentimento, che le aveva portato solo altro dolore.
Si sentiva stanca di tutto e le sembrava che la vendetta, ormai, non avesse più importanza.
Comprendere i propri sbagli era stato come svegliarsi da un sogno, o meglio un incubo, che era sembrato senza fine; un incubo dentro cui aveva, però, lasciato suo fratello solo.

- Te l'hanno già detto che sei uno stupido? Potevi dirlo prima che eri ferito alla testa! - sbottò Reina, appoggiata al muro della porta con le braccia conserte, osservando con severità Midorikawa seduto in una sedia in mezzo alla stanza, mentre Fumiko gli tamponava una ferita alla nuca.
Nonostante si reggesse in piedi senza problemi e non provasse molto dolore, il corpo del ragazzo dai capelli verdi era ridotto piuttosto male e solo grazie all'influenza del meteorite riusciva a non risentire troppo delle botte prese.
Ryuuji sospirò appena, cercando di non muovere la testa. Non l'aveva certo fatto apposta, a non dire nulla a nessuno: dopo tutto quello che era successo, si era ricordato di essere ferito alla nuca solo quando si era coricato a letto e aveva macchiato il cuscino di sangue.
Reina se n'era accorta immediatamente e l'aveva trascinato in quella stanza ma, dato che la ragazza dai capelli blu e bianchi era assolutamente incapace di medicare le ferite, aveva fatto chiamare l'ex-compagna di squadra alla Genesis, che certamente era più delicata di lei.
- Sì, e Rimu ha minacciato di picchiarmi ancora - mormorò intanto lui, sconsolato.
- Tanto sembra che tu ci abbia preso gusto a farti malmenare! - esclamò Yagami, con una punta di nervosismo ed esasperazione. - Ma evita di farti fare ancora del male, o rischi di morire sul serio - si raccomandò avvicinandosi e sollevandogli di scatto la maglia bianca, scoprendo un grosso livido all'altezza dello stomaco. - In condizioni normali ti avrebbe danneggiato gli organi interni - ragionò a mezza voce, quasi stesse parlando tra sé.
- Mi dispiace, Reina - si scusò lui, consapevole di quanto fosse preoccupata la sorella adottiva.
- Evita, tanto so che stai mentendo! - ribatté lei, lasciando la stoffa e raddrizzandosi davanti a lui. Lo fissò assottigliando gli occhi e non riuscì a nascondere una smorfia irata; somigliando, in quel momento, molto più a Ulvida, che alla amorevole sorella maggiore che Midorikawa aveva ritrovato dopo la Aliea. - Lo sai che ci fai spaventare, ma sei sempre pronto a sacrificarti senza esitazioni. -
- Reina, non essere troppo dura - la riproverò Kii senza distogliere lo sguardo dalla ferita del ragazzo, pur capendo i sentimenti dell'amica.
- Ti assicuro che non avevo intenzione di farmi uccidere - mormorò Ryuuji, distogliendo lo sguardo dalla sorella adottiva. - Naturalmente ho voluto evitare di coinvolgervi ancora, ma volevo solo parlare con Kyoka e farle capire il mio punto di vista. E mi dispiace veramente, so che vi siete preoccupati per me. -
La ragazza sbuffò e si sedette sul lettino a fianco alla sedia, incrociando le braccia al petto.
Fumiko iniziò a fasciare la testa di Midorikawa con una naturalezza che sembrava possedere sin da bambina, infine si raddrizzò e iniziò a riordinare le garze non utilizzate e il disinfettante.
- Probabilmente non aveva altra scelta che seguirla, in quel caso, - disse, con apparente serenità, - ma hai rischiato veramente tanto, Ryuuji-kun. Avrebbe potuto ucciderti senza alcuna esitazione, te ne rendi conto? -
- È quello che intendevo! - convenne Reina. - Sei stato fortunato questa volta, ma se fosse andata male ora saresti morto. Non penserai di fare la stessa cosa col fratello, adesso? -
Midorikawa ci rifletté qualche istante, poi scosse la testa. - Temo non servirebbe a nulla. Ho come la sensazione che sia già consapevole degli sbagli che rischia di fare, ma che voglia comunque andare avanti. Sinceramente non so come comportarmi, con lui. -
- Allora questa volta ragioniamoci tutti insieme e non prendere iniziative personali - propose Yagami, mentre Fumiko si sedeva accanto a lei.
Midorikawa abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire un leggero sorriso di rassegnazione. Potevano anche ragionarci sopra, ma se avessero agito insieme Minoru non avrebbe esitato a colpire gli altri.
Intuendo i suoi pensieri, Reina si alzò e gli andò accanto e si chinò appena, poggiandogli le mani sulle spalle.
- Capiamo i tuoi sentimenti, Ryuuji - disse, comprensiva. Persino il cipiglio infastidito mantenuto per tutta la sera scomparve improvvisamente. - Ma devi smettere di pensare di essere l'unico colpevole. Sappiamo che vuoi che tutto vada per il meglio, ma noi abbiamo la sensazione che, se ti lasciamo fare di testa tua, tu prima o poi finirai per farti uccidere davvero. In quel caso, Kirishima rischierebbe di attirarsi quella vendetta che sta guidando lui ora, e che guidò nostro padre due anni fa. -
- Lo so. Credimi, lo so - mormorò lui con voce tremante, stringendosi un avambraccio con la mano, per placare l'agitazione. - So che devo evitare che quel ragazzo arrivi ad uccidermi, tutt'al più che è proprio quello che Kenzaki vuole. Ma cosa succederà dopo? - domandò poi, alzando lo sguardo, senza nascondere gli occhi lucidi. - Chi verrà punito per tutto questo? Reina, ho ucciso Kirishima Hiroki, lo capisci? Non importa in quali circostanze, o quanti anni avevo ai tempi, o quali erano le mie intenzioni. Sono un assassino e questa è una realtà innegabile. Tutti cercate di proteggermi e Onigawara dice che non merito nemmeno il carcere, mentre io sono convinto che sia ingiusto rimanere impunito dopo quello che ho fatto. So che morire non è la soluzione, e forse sarebbe anche una fuga dal senso di colpa, ma non posso fare a meno di pensare che è ciò che merito. Ma voglio proteggere voi, non voglio vedervi morire né voglio che qualcuno si faccia ancora male a causa mia! - disse d'un fiato, respirando poi profondamente una volta concluso, tremando. Era agitato e si stava solo sfogando, ma più andava avanti più aveva paura di ciò che quell'esperienza gli avrebbe lasciato, nonostante pensasse di meritare almeno di stare male, dopo tutto quello che aveva fatto.
Sia Reina che Fumiko lo guardarono dispiaciute, incapaci di rispondergli.
Riabbassò ancora lo sguardo. - Scusate - bisbigliò. - Anche io comprendo i vostri sentimenti, è naturale che siate preoccupati. Ma Nagumo è costretto a letto, Hiromu ha una spalla rotta, Miyuki non potrà più giocare a calcio dopo le lesioni alla mano, e molti di voi sono rimasti feriti. -
Si voltò verso la finestra, fissandola senza vederla sul serio. Scosse la testa, sospirando. - Da quando è cominciata tutta questa storia mi sento come stordito. Mi sento così in colpa e vorrei risolvere tutto da solo. E so che non ci riuscirò, voi verrete coinvolti di nuovo - confessò, tornando a guardarla. - E ho paura, perché è stato proprio Minoru a dire che merito di vedervi morire tutti - concluse.
L'ex-centrocampista della Genesis lo fissò qualche istante, poi si piegò ancora di più per abbracciare il fratello adottivo.
Pensò che sarebbe potuto accadere a tutti loro. A quei tempi tutti i membri della Aliea sarebbero stati capaci di uccidere, per il loro padre. Lei non avrebbe esitato, convinta com'era che tutti gli altri fossero degli insetti inferiori da schiacciare. Aveva fatto presto, in quel periodo, ad abituarsi ai gradi della Aliea e a pensare a se stessa come a una guerriera perfetta agli ordini del padre. Non guardava in faccia a nessuno. Se fosse stata lei a macchiarsi di un azione del genere, come avrebbe reagito?
Invece era capitato proprio a Midorikawa, colui che al tempo considerava solo una debole nullità.
Cosa poteva fare per farlo stare meglio?
Cominciò a cercare qualcosa da dire quando lo sentì ricambiare la stretta. Nonostante gli occhi lucidi e il tremore, l'ex-capitano della Gemini Storm non pianse e questo non la stupì affatto.
- È normale avere paura. Ma nessuno ti abbandonerà, anche tu faresti lo stesso per noi, se ci fossimo ritrovati nella tua stessa situazione. E tutti noi avremmo avuto paura per gli altri, naturalmente. E, sai, questa è l'unica cosa positiva di tutta questa storia - affermò. Midorikawa alzò lo sguardo, sorpreso. Lei sorrise. - In due anni, questa è la prima volta che sento che siamo davvero una famiglia. Amarci incondizionatamente e fare qualunque cosa per gli altri... anche senza nostro padre siamo riusciti a rimanere uniti, nonostante tutto quello che ci siamo fatti vicendevolmente alla Aliea. Sapere di avere qualcuno accanto in qualunque situazione dovrebbe essere rassicurante. -
Seguì qualche secondo di silenzio. Sia Ryuuji che Fumiko fissarono Reina quasi con stupore. Poi la ragazza dai capelli viola sorrise con tenerezza, completamente d'accordo con la sorella adottiva.
- Se fossi stato solo sarei impazzito subito - ragionò il ragazzo, a cui sfuggì una risatina amara. - Ho decisamente bisogno di qualcuno vicino, in questo momento - disse in segno di resa. La paura non era scomparsa, ma in qualche modo Reina era riuscita a calmarlo, almeno.
Soddisfatta, Yagami annuì e gli diede un piccolo pugno sulla spalla. - Allora tira fuori il coraggio, non è da te questo pessimismo! Ricorda che siamo stati noi a salvarti, ce la caveremo. Ma solo se siamo tutti insieme. -
- Hai ragione. Non siamo certo gente che si arrende in questo modo, né ci lasceremo uccidere facilmente - convenne Kii, rialzandosi. - Qualsiasi cosa accadrà, la affronteremo insieme - affermò, sorridendo.
Ryuuji osservò in silenzio entrambe, registrando per bene quelle parole. Pur conservando una certa inquietudine, cercò di convincersi che loro avevano ragione. Si sforzò di sorridere.
- Grazie - sussurrò, stanco.
Ora che si era in parte tranquillizzato, Midorikawa desiderò solo sdraiarsi e riposare.
Quando la porta si spalancò con un tonfo e Gigu entrò nella stanza però, capì che il riposo era fuori discussione.
- Stupido! - gracchiò immediatamente
Ryuuji sospirò. - Già detto. Sii più originale - ironizzò.
- Cretino? Deficiente? Idiota masochista? Di sinonimi ne ho quanti ne vuoi, la sostanza non cambia! - gridò il ragazzino, dal volto più arrossato del solito a causa della rabbia. - Sembra che tu te le vada a cercare? Cosa ti è saltato in mente di seguire quella tipa? Renditi conto che persino Hiromu, appena ha saputo cos'era successo, ha imprecato contro di te. -
L'ex-capitano sorrise tristemente, pensando di averla fatta proprio grossa per spingere Miura a tanto, dato che il ragazzo non era assolutamente tipo da insulti, sopratutto se rivolti a lui.
- Poi in un cimitero! Che gusti ha, quella pazza? Il messaggio era chiaro! Insomma, deve avere una mente… - partì in quarta il ragazzo dal ciuffo rosso, per sfogare il proprio turbamento.
- Cosa vuoi, Shousuke? - lo interruppe però Reina, spazientita. Era meglio fermarlo subito, o avrebbe continuato per ore. - Ryuuji ha bisogno di stare calmo, adesso. -
L'ex-difensore della Gemini Storm sbuffò, poi col pollice indicò oltre la sua spalla destra. - La pazza si è svegliata, ora sta parlando con nostro padre. Tra poco arriverà Onigawara per interrogarla, ma Hitomiko voleva sapere se Ryuuji voleva incontrarla, prima - spiegò, seccato.
Reina si voltò verso il ragazzo dai capelli verdi, e insieme a Gigu e Fumiko lo osservò per qualche istante, durante i quali Midorikawa rifletté sul da farsi. Infine scosse la testa. - No, non adesso. E credo che sia presto anche per interrogarla. Non potrebbe lasciarla in pace almeno oggi? -
- Io credo sia meglio estorcerle le informazioni prima che cambi idea e torni dal fratello - consigliò l'altro, piegando la bocca in una smorfia.
- Non lo farà - commentò Yagami, seccata dal comportamento del fratello adottivo. - Era davvero disperata, quando l'abbiamo portata qui. -
- Kenzaki la punirebbe, se tornasse - aggiunse Ryuuji, alzandosi. - Appena arriverà il detective, gli dirò di lasciarla stare per un po'. Anche lei ha bisogno di tranquillità - spiegò, uscendo dalla stanza. Gli altri lo seguirono subito.

Seijirou si sedette su una sedia accanto al letto di Kyoka. La ragazza teneva lo sguardo basso, in parte intimidita dall'uomo.
Lui era stato cattivo, un tempo. Ma anche lei non aveva agito bene, in quelle settimane.
Erano entrambi colpevoli e ormai lei non se la sentiva di giudicare lui, o Midorikawa Ryuuji, senza pensare che anche lei avesse fatto degli sbagli.
Non sapeva cosa volesse quell'uomo, temeva il confronto con lui e con gli altri.
Sicuramente la odiavano. Era naturale, anche lei odiava loro, almeno fino a qualche ora prima.
Incapace di muovere un muscolo, rimase semplicemente immobile per parecchi minuti.
Anche Kira non disse nulla, per un primo momento.
Non provava risentimento verso la ragazzina; si sentiva, anzi, in colpa anche verso di lei. Ma doveva ponderare bene le parole per non spaventarla o farla soffrire ancora.
- Non sono qui per aggredirti - esordì infine, osservandola. La vide sussultare appena. - Sono qui per scusarmi con te, Kyoka. Mi rendo conto di aver fatto delle cose orribili, per due anni ho continuato a pensare al dolore che ho causato. Sapevo di tuo fratello e non ho mai chiesto scusa alla tua famiglia - mormorò, desolato.
Kyoka lo ascoltò in silenzio, non meno triste di lui.
- Ti chiedo solo di non avercela con Ryuuji. Lui e tutti gli altri ragazzi sono solo stati vittime della mia follia. Sono i miei figli e li ho usati come strumenti, trattandoli male, facendoli soffrire e costringendoli a fare delle cose orribili. Erano solo dei piccoli bambini soli al mondo e spaventati. Si fidavano di me e io mi sono approfittato della loro solitudine e della loro affetto verso di me. E questo, per me, è la più grande punizione. Passare tutta la vita in prigione non basterà a estinguere il mio peccato. Non ti biasimo se mi odi. Ma quei ragazzi sono vittime tanto quanto te. Ora dovresti capire cosa provano. Anche tu sei stata usata da Kenzaki. Spero che tu te ne renda conto, anche se avevi motivi personali per fare quello che hai fatto. -
Kirishima non rispose subito. Meditò sopratutto sulle ultime parole, infine convenne che sì, Seijirou aveva ragione.
- Kenzaki Ryuuichi - mormorò, rabbuiandosi. - Lui era un tuo collaboratore? - domandò. Non aveva ancora avuto l'occasione di sapere tutta la verità su quell'uomo ed era giunto il momento di capire chi esattamente fosse.
Kira annuì. - Era il mio braccio destro. Mi fidavo di lui. Ma quell'uomo non esitò, alla fine, a cercare di uccidere me e i miei figli. Il suo obbiettivo era conquistare il mondo e non si fece scrupoli, anche dopo la fine della Aliea, a coinvolgere altri ragazzini e usarli per i propri scopi. È malvagio, Kyoka. Non ho diritto di dirlo, ma purtroppo so che è la verità. Io volevo vendetta e ho perso la ragione, lo ammetto. Ma lui è diverso. Ha usato il potere della pietra su te e tuo fratello, consapevole che vi avrebbe danneggiati. E vi ha mentito, perché conosceva l'identità di Ryuuji fin dall'inizio. Il suo scopo è uccidere i miei figli per ferire me e farà qualsiasi cosa per raggiungere il suo obbiettivo - disse. Rimase in silenzio qualche secondo, poi posò la mano su quella della ragazzina.
- Kyoka - la chiamò. Lei voltò la testa istintivamente, guardandolo negli occhi. Erano scuri e tristi quanto quelli di Midorikawa. - Tu non lo percepisci grazie al ciondolo che ti ho dato, ma il tuo corpo è ridotto molto male. Il dolore fisico che provavi prima non è niente in confronto a ciò che proveresti se non avessi quella pietra - spiegò, schiettamente. - Tuo fratello è in grave pericolo. Ora è rimasto solo lui e, se conosco bene Kenzaki, adesso cercherà un modo veloce per consumare la sua vendetta. Il prossimo scontro sarà quello decisivo. -
- Credi... che farà del male a Minoru? - chiede Kyoka, agitata. - Ma mio fratello... lui... - balbettò, incapace di trovare subito le parole. - Lui... non si farebbe mai usare da quell'uomo. -
- Per questo dico che è in pericolo - insistette Seijirou, stringendo appena la presa alla mano della ragazzina. - Se Minoru non ti ha raggiunta subito significa che Kenzaki ha trovato il modo di trattenerlo. -
Spaventata da quelle parole, la ragazzina dai capelli ricci tentò di alzarsi dal letto. - Devo andare da lui! Devo portarlo via da lì! - esclamò, in lacrime.
Ma l'adulto la trattenne, afferrandole le braccia. - È troppo pericoloso! Non sei nelle condizioni di andare da sola in quel posto, e se ti catturano sarà la fine. Non reggerai a un'altra operazione. -
- M-ma non posso abbandonarlo! - gridò lei, dimenandosi. - Minoru si sentirà solo! Io non posso... -
- Calmati! - intimò con forza l'uomo, stringendo appena la presa alle braccia.
Kyoka si bloccò e lo guardò, spaventata e supplicante.
- Lascia che ci pensi io - le disse allora lui. - Voglio aiutarvi. Devo rimediare almeno in parte a ciò che vi ho fatto. So che suona strano, dopo tutto quello che è successo, ma ti chiedo di fidarti di me. -
- Io... io dovevo rimanere con lui e parlargli - mormorò. - È l'unica persona che ho al mondo, ci siamo sempre stati solo io e lui. E ora l'ho lasciato solo. -
- Solo voi? Non avevate i vostri tutori, degli amici? - domandò Kira, allentando la presa.
Kyoka lo fissò sorpresa, e l'uomo le sorrise. - So che siete orfani anche voi, e avete anche perso vostro fratello. Ma non siete mai stati soli. Lo sai che i tuoi tutori sperano ancora nel vostro ritorno? Vi hanno cercati a lungo... -
La ragazzina distolse lo sguardo, fissando assorta il pavimento. Le tornarono alla mente i volti di tutte le persone che le erano state vicine in passato. Le lacrime, copiose, tornarono a scorrere veloci e incontrollate. Singhiozzando, si coprì il viso con un braccio.
- Io e Minoru abbiamo sempre pensato al nostro dolore - ricordò. - Non abbiamo mai pensato agli altri - si accorse, capendo l'errore solo in quel momento.
Se invece di seguire uno sconosciuto fossero rimasti con i loro tutori, forse l'affetto delle persone che li amavano avrebbe lenito in parte il loro dolore, esattamente com'era accaduto dopo la morte dei loro genitori.
Ma, proprio perché avevano già perso parte della loro famiglia, lui e il gemello non erano riusciti a sopportare la scomparsa del fratello maggiore, della loro guida.
Kyoka non si trattenne dal piangere e Seijirou la abbracciò. Gli ricordava davvero i suoi figli, era simile a loro.
- So cosa si prova. Anche io non sono stato capace di dimenticare mio figlio, a discapito degli altri bambini che avevano bisogno di me. Non ve ne faccio una colpa, eravate così piccoli... - mormorò, carezzandole la nuca, con un affetto istintivo.
Appena se ne accorse, appena quelle coccole iniziarono a farle effetto, Kyoka allontanò l'uomo.
- D-devo stare da sola, adesso - sussurrò, tenendo lo sguardo basso, trattenendo la voglia di farsi cullare e rassicurare.
- Non dire così - replicò Seijirou.
Ma la ragazzina scosse la testa. - Ogni volta che piangevo c'erano i miei genitori, o Hiroki, o Minoru, o i miei tutori... o gli insegnati e gli amici. Sono sempre stata viziata - disse, alzando appena lo sguardo. - Per questo Minoru voleva sempre proteggermi... per questo voleva impedirmi di uccidere qualcuno, anche a costo di essere lui a farlo. Io... adesso devo imparare a reagire da sola. Devo piangere da sola, per una volta. -
Kira la osservò, comprendendo il ragionamento. Fu pronto a uscire dalla stanza e ad assecondare il suo desiderio. Tuttavia Kyoka fraintese quello sguardo e arrossì. - N-non voglio scappare! - si difese.
- Non penso che tu voglia scappare - affermò, confuso.
Lei si sentì improvvisamente in imbarazzo. - Sarebbe da me farlo - sussurrò. - Perché agisco sempre senza pensare, me lo dicono sempre... -
Seijirou rise, divertito. Le carezzò ancora la testa. - Sei una ragazzina innocente - disse. Questa volta fu Kyoka a rimanere sorpresa. Lei innocente? Dopo essersi comportata come una pazza e aver quasi ucciso delle persone? Ma l'uomo le sorrise, intenerito. - Mi ricordi Ryuuji. Anche lui cerca di porre immediatamente rimedio dopo aver compreso di aver fatto uno sbaglio, spesso con la prima cosa che gli viene in mente - spiegò. - Hai subito deciso di affrontare le tue debolezze, proprio come lui. Ma, ricorda, non devi stare per forza da sola. Ti lascerò riflettere, se vuoi, ma non pensare di non meritare alcun aiuto. -
Kyoka rimase letteralmente a bocca aperta. Quelle parole le sembrarono un complimento, nonostante fosse ironico essere stata paragonata proprio a quel ragazzo.
Seijirou si alzò. - Presto arriverà il detective Onigawara, abbiamo bisogno del tuo aiuto per poter ostacolare Kenzaki e salvare tuo fratello. Te la senti? -
Kyoka annuì immediatamente, ma in quel momento desiderò davvero potersi stendere e rimettere a posto le idee.
- M-mi dispiace - sussurrò, abbassando lo sguardo.
Kira sorrise di nuovo, riconoscente, e con la stessa calma di prima lasciò la stanza.








Note finali: aggiorno a un orario indecente, ma volevo pubblicare oggi per augurare a tutti buon 2014, dato che non ho postato nulla per Natale! Spero sarà un anno sereno.
A poco a poco sto continuando questa fiction, che ormai sta andando avanti da un anno, e penso proprio di essere agli ultimissimi capitoli ormai! Il capitolo 23 è finito, intanto, e spero manchino un paio di capitoli o poco più.
Questo capitolo e quelli immediatamente successivi sono stati difficili, perché Kyoka sta cambiando radicalmente, ma non volevo renderla OOC. Fa ridere pensarlo, dato che è un Original Character e, essendo io la sua creatrice, anche se le cambiassi carattere da un capitolo all'altro non sarebbe esattamente OOC, perché posso decidere quello che voglio.
Ma non voglio che risulti innaturale. Kyoka è sempre stata viziata, capricciosa; una volta che si è convinta di dover vendicare il fratello è diventata incontrollabile. Mentre adesso ha capito gli errori, quindi cercherà di non comportarsi più come faceva prima. Poi adesso è anche molto triste e sola.
Spero risulti convincente qui e negli altri capitoli.
Il confronto con Seijirou era d'obbligo: l'uomo qui dice che Kyoka è simile a Midorikawa, ma credo che lei somigli più proprio a Kira, come si capisce anche alla fine del capitolo. Kyoka ora dovrà crescere, e per me è una sfida descrivere la sua maturazione, che dovrà in parte avvenire subito.
Ricordo dai commenti che Kyoka era molto odiata, all'inizio. Chissà se ora comincerà a riscattarsi ai vostri occhi :)
A presto e ancora buon anno.

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Onigawara arrivò all'orario concordato, ma accettò di posticipare di un giorno l'interrogatorio di Kyoka.
Tuttavia si appartò con Seijirou e Hitomiko per parlare della situazione.
Avevano registrato delle attività nei pressi della ormai unica base a disposizione di Kenzaki, ed era ormai chiaro che avevano perso gli uomini che erano rimasti lì per cercare di aprire un varco.
Le probabilità che Kenzaki fosse disposto a coinvolgere altre persone innocenti o addirittura ad ucciderle erano molto alte, per questo dovevano fare molta attenzione, da lì in avanti. Onigawara affermò che, per quel motivo, per il momento non avrebbe mandato altri uomini, preferendo attendere il momento giusto.
Kirishima Minoru era da portare via da quel posto il prima possibile, ma a Kenzaki serviva vivo, per cui era improbabile che fosse in imminente pericolo di vita.
Durante tutto il discorso, Seijirou provò una strana sensazione. Onigawara parlava come se, da quel momento in poi, ci avrebbero pensato la polizia a risolvere tutto, attendendo solo il momento adatto.
Ma Kira era convinto che i ragazzi del Sun Garden sarebbero stati coinvolti fino alla fine. D'altronde Kenzaki voleva vendicarsi di lui facendo del male ai suoi figli. Di certo li avrebbe attaccati ancora.
Senza contare che non era certo che Kyoka sarebbe rimasta tranquilla a lungo.

Durante le ore successive nessuno andò a trovare Kyoka.
Gli orfani del Sun Garden si sentivano parecchio a disagio sapendo che lei era dentro l'edificio, a pochi metri da loro e, nonostante fossero consapevoli che dovevano cercare di comprenderla, il terrore e il dolore provati nell'ultimo periodo erano ancora troppo forti per riuscire ad affrontare con tranquillità quella ragazzina.
Anche Midorikawa, uno dei pochi ad avere già totale fiducia in Kyoka, si astenne dall'avvicinarsi a lei, ma solo perché riteneva che entrambi avessero bisogno di riflettere con calma sulla situazione.
Il giorno dopo, insieme a Seijirou, Onigawara entrò nella camera della ragazzina, trovandola vuota.
L'agitazione fu immediata, per un momento Seijirou temette che fosse andata dal fratello, nel tentativo di salvarlo da sola.
Tuttavia, prima che entrambi riuscissero a dare voce alle loro preoccupazioni, Hitomiko entrò nella stanza e attirò la loro attenzione.
- È andata a scusarsi con Nagumo - li avvertì, grave in volto.
L'aveva vista con i suoi occhi entrare nella stanza del ragazzo dai capelli rossi e, nonostante fosse convinta che fosse troppo presto per certe cose, non l'aveva fermata.
Nagumo e Suzuno non avrebbero reagito bene, ma queste erano conseguenze che quella ragazzina doveva affrontare.

Era rimasta immobile davanti a quella porta per parecchi minuti, prima di decidersi ad entrare.
Prima di allora, svegliatasi prima del sorgere del sole e incapace di riprendere sonno, si era aggirata silenziosamente per i corridoi, consapevole di poter essere fraintesa, se vista da qualcuno.
Il ragazzo con i capelli rossi che lei e Minoru avevano torturato l'aveva visto solo di sfuggita, dentro quella stanza, quando fu portata in quell'edificio il giorno precedente, e pensò fosse una fortuna sapere già dove andare.
Eppure, una volta raggiunta la stanza, non era riuscita a trovare il coraggio di entrare subito.
Ricordava bene cosa aveva fatto a quel ragazzo. Il sangue, le urla, gli insulti che aveva rivolto loro...
Nel rievocare quei momenti provò un senso di disgusto talmente intenso che la consapevolezza di aver provato, quella volta, un insano divertimento e soddisfazione la stupiva.
A quel pensiero gli occhi s’inumidirono ancora, Kyoka abbassò lo sguardo.
"Sono una persona orribile" pensò. Probabilmente anche il motivo per cui si trovava lì, in fondo, era riconducibile a puro egoismo.
Voleva sentirsi perdonata.
Ma una cosa del genere era del tutto improbabile. Tuttavia, sentiva di dover chiedere a scusa a quel ragazzo.
Lentamente si avvicinò e posò la mano sulla maniglia della porta.
Le venne in mente di dover prima bussare solo dopo aver aperto l'uscio.
Troppo tardi. Il ragazzo con i capelli bianchi, che ella ricordava essere stato il suo 'primo obbiettivo' il giorno in cui rapì l'altro ragazzo, era seduto vicino al letto, ritto sulla schiena e sveglio.
Nel sentire la porta cigolare appena, sollevò lo sguardo e la vide. Il volto semi-assopito mutò all'istante in un'espressione sconcertata.
Suzuno sapeva che Kyoka era stata portata lì, e che si era pentita. Ma rivederla improvvisamente lì, quando l'ultimo ricordo che aveva di lei era quello della ragazzina che rideva divertita della loro paura e che aveva fatto del male a Haruya, fu uno shock.
Nagumo si voltò subito dopo, reagendo allo stesso modo.
Kyoka capì che anche lui era sveglio e si era voltato dopo aver notato il cambiamento nello sguardo dell'amico.
La ragazzina si pentì immediatamente di essere andata da loro, tuttavia aprì ancora la porta, ed entrò nella camera con insicurezza.
I due orfani del Sun Garden non dissero nulla, si limitarono ad osservarla. I loro sguardi erano un misto paura, diffidenza e disprezzo.
Kyoka portò entrambe le mani sul petto, stringendole tra loro e iniziò a mordersi il labbro inferiore.
Dopo qualche altro istante di silenzio, decise di parlare.
- So che non volevate vedermi - esordì con un filo di voce, abbassando lo sguardo. Quel gesto non le permise di notare il leggero cambiamento dello sguardo di Fuusuke, come se solo in quel momento si fosse accorto che la ragazzina davanti a lui si era davvero pentita di quello che aveva fatto.
- Io... volevo solo chiedere scusa - confessò con voce tremante. In quel momento la situazione sembrava essersi capovolta, rispetto qualche tempo prima. Ora era Kyoka ad essere spaventata, ad aver paura di eventuali vendette che, forse, sapeva di meritare. Sembrava piccola, fragile e inerme, davanti a loro, davanti a due ragazzi poco più grandi di lei, di cui uno gravemente ferito, e che teoricamente non rappresentavano davvero una minaccia.
Temeva il loro giudizio, temeva la loro risposta, temeva di non meritare alcun perdono, mai più.
Tuttavia, Nagumo non rispose. Si limitò a fissarla, grave in volto, senza nemmeno sforzarsi di trovare le parole adatte, anche solo per sfogare tutto ciò che aveva passato a causa sua. Era ancora stanco e dolorante, e non aveva voglia di fare qualcosa. Ma la presenza di quella persona lo disturbava.
Tornò ad osservare il soffitto, cercando di ignorare la presenza di quella ragazzina.
Suzuno non parlò a sua volta, pur continuando a tenere lo sguardo fisso su di lei, come per controllarla.
Capiva e condivideva i sentimenti dell'amico.
Perdonare e dimenticare era difficile, forse impossibile. Almeno per il momento.
Kyoka attese per un paio di minuti. Non sapeva cosa fare o cos'altro dire, benché forse fosse suo dovere aggiungere qualcosa. Forse, pensò, quelle scuse non erano abbastanza.
- Ehm... - mugugnò, azzardandosi a sollevare lo sguardo.
Suzuno ancora la fissava.
- Esci - le intimò, capendo che quella ragazzina aveva intenzione di rimanere lì e parlare, con una durezza tale da farla sussultare.
Gli occhi glaciali di Fuusuke le fecero comprendere con chiarezza che non l'avrebbero ancora perdonata. Tremando, riabbassò lo sguardo e si affrettò ad ubbidire, lasciando la stanza e chiudendo la porta. Una volta ritrovatasi nel corridoio, scoppiò a piangere e si coprì la bocca con la mano, nel tentativo di soffocare i singhiozzi.
Si sentiva peggio di prima. Come aveva temuto, sapere di non poter ricevere alcun perdono la rendeva ancor più consapevole di quello che aveva fatto. D'altronde, perdono o meno, lei doveva chiedere scusa.
E, sebbene sapesse di meritarselo, non sopportava quel dolore.
- Stai bene? - domandò Hitomiko, avvicinandosi a lei.
Kyoka sussultò. Non si era accorta della presenza della donna. Non ebbe la forza di guardarla, o di risponderle.
Kira la raggiunse.
- Che tu abbia voluto affrontare Nagumo e chiedere scusa ti fa onore - le disse, benché sembrasse consapevole di ciò che la ragazzina si portava dentro in quel momento. - Ma è troppo presto, adesso. Loro non sono pronti a dimenticare, così facendo farai riaprire ferite non ancora chiuse - spiegò.
Avrebbe potuto fermarla e dirle quelle cose prima, ma Hitomiko aveva ritenuto comunque giusto lasciarla fare.
Suzuno e Nagumo erano abbastanza forti di non lasciarsi turbare da quel breve incontro e Kyoka, per maturare, doveva confrontarsi con quella realtà, doveva rendersi conto del dolore che aveva lasciato dentro di loro. Non per punizione, ma per diventare più forte e affrontare nel modo giusto le proprie colpe.
Rimasero lì, immobili, per almeno un quarto d'ora. Hitomiko lasciò che la ragazzina piangesse e si calmasse, prima rivolgerle ancora la parola.
- Il detective Onigawara è qui per farti delle domande. Te la senti? - domandò con dolcezza.
Kyoka fissò il pavimento in silenzio, riflettendo. Infine annuì, pur senza alzare lo sguardo.
La donna le porse la mano senza più aggiungere nulla e la accompagnò senza alcuna fretta nella sua stanza, dove Onigawara e Seijirou la attendevano.

Kyoka, nonostante tutto, fu molto disponibile a parlare.
Onigawara non iniziò subito, attendendo che si sedesse nel letto e riordinasse prima le idee ma, una volta iniziato l'interrogatorio, la ragazzina raccontò senza esitazione tutto ciò che sapeva e ricordava. Descrisse spesso i sentimenti provati durante quei due anni, le impressioni che aveva avuto su Kenzaki e la base dentro cui aveva abitato in quel periodo, riuscì persino a rievocare i momenti dell'intervento, pur scoppiando in lacrime.
Ogni tanto sembrava sul punto di crollare, dovette interrompersi per lunghi minuti, ma disse tutto quello che era necessario e Onigawara, infine, fu molto soddisfatto e persino sorpreso dal modo in cui Kyoka aveva affrontato quella situazione.
Se non fosse stato per lo sguardo pieno di dolore, l'uomo avrebbe pensato che stesse raccontando la storia di qualcun altro, assorta e meccanica com'era stata nel rivelare i dettagli.
Pensò che fosse semplicemente il suo modo di reagire e non disse nulla. Si alzò e richiuse l'agenda usata per prendere appunti, ma si sentì afferrare per la lunga giacca marrone e abbassò lo sguardo verso Kyoka.
La ragazzina teneva gli occhi fissi sulle coperte, quasi intontita dopo aver dovuto affrontare quei ricordi.
- Salverete Minoru? - sussurrò.
Il detective assottigliò gli occhi, trattenendo un sospiro, comprendendo bene che quello fosse l'unico pensiero di quella ragazzina.
- Faremo il possibile - replicò con voce calma. - Non ti nascondo che sarà difficile, Kenzaki sa essere imprevedibile; ma immagino che tu, questo, lo sappia bene. -
Kyoka piegò la bocca verso il basso, in un'espressione consapevole.
- Piuttosto, ora dobbiamo pensare ad avvertire i tuoi tutori - affermò
Kyoka sussultò, sorpresa da quella domanda, e quando sollevò la testa la sua espressione era impaurita.
Non aveva ancora ponderato l'idea di tornare a casa, ed era molto spaventata da quell'eventualità.
Erano passati due anni, né lei né Minoru si erano preoccupati di avvertire e, anzi, si erano quasi totalmente scordati delle persone che avevano avuto vicino nella loro infanzia.
Si vergognava a chiamarli, o al solo pensiero di rivederli. Sicuramente si erano preoccupati a morte, e forse si sarebbero anche arrabbiati o peggio.
Non voleva incontrarli, non dopo quello che aveva fatto.
A quel punto Hitomiko, sempre rimasta vicina alla parete ad ascoltare in silenzio, fece qualche passo avanti.
- Kyoka - la chiamò, con la sua solita voce sicura e composta. - Se anche riuscissimo a salvare tuo fratello, dopo dovrete comunque affrontare i vostri genitori adottivi. Siete scomparsi per due anni, il vostro ritorno avrà un grosso impatto sia su di loro che su di voi. Capisco che ora tu sia spaventata, ma ricorda che prima o poi dovremo avvertirli - spiegò.
- L-Lo so - rispose lei, sottovoce, non trovando nemmeno il coraggio di guardare la donna negli occhi. - M-ma vorrei... che ci fosse anche Minoru. Vorrei che ci vedessero insieme, vorrei che fosse tutto finito, per allora... - bisbigliò timidamente. Le lacrime tornarono a scorrerle sul suo volto e lei maledì il proprio carattere debole.
La donna la fissò qualche istante, con la solita espressione apparentemente severa.
- Dovrai comunque rimanere qui, per il momento. La loro presenza potrebbe rendere più facili le cose, per te - ipotizzò.
Ma Kyoka scosse energicamente la testa, rimanendo ostinatamente nella sua posizione.
Hitomiko sospirò e lanciò uno sguardo ai due uomini nella stanza, ma non aggiunse nulla e in breve lasciarono la camera, permettendo alla ragazzina di riposare.

Nelle ore successive Kyoka comprese cosa voleva dire quella donna.
Il detective se n'era andato, Kira Seijirou e Kira Hitomiko badavano e controllavano gli altri orfani e lei non aveva il coraggio di uscire dalla propria stanza.
Si sentiva molto sola.
Da anni, ormai, non si trovava con molta gente attorno, ma era anche vero che aveva sempre avuto Minoru al suo fianco.
In quel momento era sola e probabilmente lo sarebbe rimasta per molto tempo.
Quella situazione contribuiva a farle ripensare al passato, ai propri sbaglia. Pensava a Minoru, a Hiroki, ai suoi tutori e a tutto quello che aveva fatto, e ogni volta sentiva di essere ancor più pentita.
Senza riuscire a controllare i propri pensieri, continuava a chiedersi come avevano potuto, lei e il gemello, finire in quel modo.
Pur ricordando bene il dolore provato alla morte del fratello maggiore, in quel momento non comprendeva più come avevano potuto lasciarsi convincere da Kenzaki a fuggire di casa e ad immischiarsi in quell’assurdità.
Sembrava irreale, eppure fino a due giorni prima il suo cuore era pieno di rabbia, di odio, di desiderio di vendetta e privo di dubbi.
E non poté fare a meno di ripensare ai ragazzi a cui aveva fatto del male, e al loro sbigottimento dopo aver saputo di Hiroki. Cominciò a comprenderli ancora di più, a sentirsi sempre più simile a loro, e a capire che i crudeli alieni verso cui aveva riversato il suo odio non erano mai esistiti davvero, ma erano sempre stati dei ragazzini, anche due anni prima, forse immaturi e spaventati, come lo era lei ora.

Quando fu ora di pranzare furono delle infermiere a portargli qualcosa da mangiare; tuttavia Seijirou andò a trovarla subito dopo.
La naturalezza con la quale lui le parlava la tranquillizzò pian piano e iniziò a conversare con lui con strabiliante facilità.
Seijirou non volle più parlare della situazione attuale; piuttosto le domandò di raccontarle la sua infanzia, ascoltò anche gli argomenti più stupidi.
Pur confusa, la ragazzina comprese che Kira era lì solo per lei, in quel momento. Che le stava parlando per farla stare a suo agio per quello che era possibile.
Così, in un momento di silenzio, nel trovare il coraggio di osservare con attenzione il largo volto dell'uomo, Kyoka si ritrovò a sorridere leggermente, e si ritrovò a desiderare di incontrare e parlare con altre persone, tutti i conoscenti, gli amici e gli affetti che si era negata in quei due anni per una fatale scelta sbagliata. E infine il suo pensiero tornò a Minoru. Il sorriso si spense, la ragazzina abbassò lo sguardo. Voleva far provare quelle sensazioni anche a lui. Era con Minoru, che doveva ricominciare.
Lei e Seijirou non avevano ancora trovato occasione di riprendere a parlare che la porta si aprì.
Voltandosi verso l'entrata, entrambi intravidero per pochi istanti Hitomiko e Onigawara, che tuttavia si spostarono subito e lasciarono il passaggio a una donna e a un uomo, entrambi di mezza età.
La donna era alta, aveva i capelli castani e corti. Vestiva con un tailleur bordeaux, ma ciò che si notava di più in lei era il colore rosso intenso del rossetto, che quasi strideva in mezzo alla pelle chiara.
L'uomo aveva i capelli scuri e la mascella molto pronunciata, occhi severi e il vestito elegante, tipico degli impiegati.
Appena entrati, entrambi si bloccarono per fissare Kyoka che, stupefatta, ricambiava l'occhiata con la bocca spalancata.
- Asako? Saburo? - balbettò la ragazzina, con voce tremante.
La donna si coprì subito la bocca con le mani e scoppiò in lacrime, correndo vicino al letto per abbracciarla. Gli occhi dell’uomo si addolcirono in modo quasi irreale.
- Kyoka! - esclamò, stringendola a sé. - Lo sapevo che eri viva! Non ho mai smesso di sperarci! - La ragazzina rimase immobile qualche istante, ascoltando i singhiozzi della madre adottiva e osservando il volto commosso del padre adottivo, che raramente mostrava apertamente i suoi sentimenti. Infine ricambiò la stretta e scoppiò a piangere a sua volta.
Non aveva la forza di parlare in quel momento, pur volendo dire tante cose. Avrebbe voluto scusarsi, avrebbe voluto ringraziarli. Ma poté solo stringersi al corpo della donna ed espirare il suo profumo, che era lo stesso di due anni prima e che le rievocava innumerevoli ricordi.
Aveva detto di non voler rivedere i suoi tutori, almeno per il momento, ma averli lì, adesso, era fonte di enorme conforto. Se si fosse lasciata andare a quell'affetto due anni prima, forse lui e Minoru non avrebbero mai commesso quegli errori.
Quando Asako riuscì a calmarsi si allontanò appena, per poter osservare ancora il viso della ragazzina. A quel punto anche Saburo si avvicinò e si sedette sul bordo del letto, posando con delicatezza la mano sulla schiena della figlia.
- Piccola mia - mormorò lei, carezzandole i capelli e la guancia. - Il detective Onigawara ci ha spiegato tutto. Devi aver passato momenti orribili. -
Kyoka si irrigidì e mutò lo sguardo in un'espressione di puro terrore. Le lacrime tornarono a scorrere. - M-mi dispiace - balbettò. - Non odiatemi! - li pregò, pur consapevole di non averne il diritto.
- No, no! Noi non ti odiamo affatto! - si affrettò a chiarire la donna. - Non potremmo mai. Non siamo i tuoi veri genitori, e non potremo mai sostituire Nobu e Madoka, ma per noi sei la nostra preziosa figlia - spiegò, riabbracciandola. - Eravamo così preoccupati per te e Minoru... -
- M-mi dispiace. Minoru non è con me. Lui è ancora lì! Minoru è ancora lì, Asako! Abbiamo fatto delle cose orribili, siamo stati così stupidi! - esclamò disperata. aggrappandosi alla stoffa scusa della giacca della donna.
- Tranquilla. Si sistemerà tutto. Io non ho mai smesso di sperare e continuerò a credere in voi. -
- D-davvero non mi odiate? - domandò, guardandola negli occhi chiari. - Ho fatto del male a tante gente! Stavo per… uccidere - pigolò abbassando lo sguardo, sentendo tutto l’orrore delle sue azioni nelle proprie parole.
Asako le sorrise dolcemente e annuì senza alcuna esitazione. Certo, era un argomento difficile e le azioni commesse da Kyoka erano gravi; ma Onigawara e Kira Seijirou avevano spiegato a lei e al marito tutta la complicata situazione e, seppur sconcertati, né lei né il consorte si erano sentiti di odiare la ragazzina dopo aver l’occasione, finalmente, di riabbracciarla.
Per anni si erano chiesti cosa fosse successo e, quando finalmente avevano saputo la situazione, si erano domandati se non fosse anche loro, la colpa, per non averli capiti. Avevano cercato di stare più vicino possibile ai due bambini, pur addolorati per la morte del loro figlio adottivo.
Forse avevano sbagliato qualcosa; ma, come Kyoka era stata capace di capire i propri errori e tornare indietro, ora loro avrebbero cercato di rimediare.
- Sei pentita? - domandò invece Saburo, un uomo di per sé di poche parole.
Kyoka conosceva bene l'uomo e, anche solo con quella domanda, capì perfettamente cosa provava. Così annuì e si coprì gli occhi con il braccio, nel tentativo di fermare le lacrime.
- Sì - affermò.
L'uomo sorrise e abbracciò la moglie e la figlia adottiva.
- Minoru tornerà da te. Se tu hai scelto di stare da questa parte, lui ti seguirà - mormorò.
Ma Kyoka non riuscì credere alle parole del padre adottivo. Da qualche parte, nel suo cuore, sapeva che questa volta doveva essere lei ad andare da Minoru, prenderlo per mano e portarlo in salvo.





Note finali: Mi scuso per il tremendo ritardo.
Ho avuto difficoltà col capitolo 23. L'avevo scritto, ma mi sono resa conto che non mi piaceva per niente e ho provato a rifarlo tutto. Ci ho messo due mesi a concluderlo. Spero, questa volta, sia la volta buona XD
Questo è un altro capitolo dedicato a Kyoka. Abbiate pazienza, non posso liquidare facilmente la sua conversione. E poi ho voluto introdurre anche i suoi genitori adottivi.
Comunque, alla fine mi spiace come sto impostando questa fiction, perché sto caratterizzando poco gli orfani del Sun Garden. Per quanto il protagonista assoluto sia Midorikawa, avrei voluto dare più spazio a tutti. Solo che... sono troppi e assolutamente non caratterizzati dalla Level 5! Io ci ho provato ma...
Non so. Credo di aver sbagliato qualcosa. Forse è per questo che vado avanti arrancando. Mi dispiace molto.
Spero di riuscire a concludere con facilità questa fiction.

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Era buio. Era quel tipo di buio assoluto, che neppure la più accecante luce poteva infrangere.
Sollevò le palpebre ma i suoi occhi non riuscirono ad abituarsi, non percepirono nulla.
C'era silenzio, lì. Non riusciva a udire nemmeno i propri respiri.
Non sentiva calore, non sentiva freddo. Sembrava non esserci aria, eppure non si sentiva soffocare.
Avrebbe dovuto essere spaventato, o come minimo preoccupato. Ma non riusciva ad agitarsi.
Una strana apatia l'aveva colto appena sveglio. Il corpo era interamente intorpidito, non riusciva a muovere un muscolo.
"Dove sono?" avrebbe voluto dire. Mosse la bocca ma non uscì alcun suono.
Improvvisamente sentì una fitta al petto. Era forte, insopportabile.
Minoru strinse i denti, serrò gli occhi, nel tentativo di resistere. Nulla cambiò e il dolore si fece persino più acuto, gli arrivò quasi al cervello, rimbambendolo ulteriormente.
Sentì qualcuno piangere, in lontananza. Era un suono flebile, quasi impercettibile, ma reale.
Chi era? "Kyoka?" si chiese.
Ma non era lei, ne era certo. Eppure quei singhiozzi gli erano familiari.
Cercò di mettere a fuoco qualcosa, davanti a sé sembrò apparire un’immagine poco nitida.
C'era qualcuno.
"Chi sei?" domandò, inutilmente.
Lo colpì d'improvviso una profonda tristezza dentro di sé. Sembrava entrargli dentro ed espandersi in tutto il corpo.
"Smettila!" avrebbe voluto gridare. Non ce la fece. Sentiva dolore, sentiva rabbia, odio. Non sapeva il perché. Eppure conosceva bene quelle sensazioni.
Cercò di muoversi, di opporsi. Ma quei singhiozzi si fecero sempre più acuti.
"Sono triste" gli sembrò di sentire.
"Chi sei?" chiese ancora Minoru.
"Sono solo e sono triste" udì ancora. Eppure non sembrava una vera e propria voce. Non c'era ancora alcun rumore.
Non seppe dire quanto tempo passò, ma infine tutto tornò silente.
Ma la tristezza, il dolore e la rabbia rimasero lì.
Da quel momento Minoru non riuscì più a pensare a nulla.
Era ancora tutto buio. Non riusciva a muoversi. Ma era come se qualcosa lo stesse trasportando, una forza sconosciuta. Si lasciò trascinare, incapace di opporsi.

I colori del tramonto erano bellissimi, si ritrovò a pensare Kyoka. Aveva aperto la finestra appena aveva notato che il sole stava svanendo all'orizzonte e si era affacciata ad ammirare quel bel panorama.
Era il preferito di Hiroki, se lo ricordava bene. Diceva che era molto romantico.
Lei non aveva mai amato il tramonto, quindi non ne aveva mai osservato a lungo i colori. Quel momento segnava la fine del giorno, la fine dei giochi all'aperto. Non le piaceva.
Minoru scuoteva sempre la testa, quando la sentiva lamentarsi per un motivo del genere. Per lui andava bene giocare anche in casa, con i videogiochi. Sfidava sempre Hiroki, ma finiva sempre per perdere e richiedere la rivincita fino a quando si faceva tardi e Hiroki spegneva la console, dicendo loro che era ora di dormire.
Kyoka continuò a fissare il cielo dalle nuvole rosate e si concesse un leggero sorriso, a quei ricordi. Ma ben presto tornò triste.
- Minoru... - mormorò, congiungendo le mani all'altezza del petto, quasi stesse pregando.
Aveva deciso di aiutarlo, ma non sapeva come. Da sola non poteva fare nulla, e aveva paura di Kenzaki. Cercava di fidarsi delle parole del detective e di Kira Seijirou: a quell'uomo Minoru serviva vivo, quindi suo fratello stava bene.
Stava sicuramente bene.
Quando sentì bussare alla porta, Kyoka sussultò. Il rumore era veloce e impaziente e, quando lei si girò di scatto, la porta era già aperta.
Midorikawa si affacciò osservando la stanza con preoccupazione ma, vedendola vicino alla finestra, i lineamenti del volto si rilassarono in un'espressione più serena.
- Scusa, ho bussato più volte ma non hai mai risposto - si giustifico, notando il cipiglio allarmato della ragazzina.
La sua espressione non mutò. Dopo soli due giorni, Kirishima non si aspettava una visita proprio da quel ragazzo. Esattamente come per Kira Seijirou all'inizio, anche con Midorikawa lei si sentiva terribilmente a disagio.
Intuendolo, Ryuuji si limitò ad appoggiarsi allo stipite della porta. - Posso entrare? - domandò con cautela.
Kyoka abbassò appena lo sguardo, come per rifletterci su. Continuava a colpirla la gentilezza di quel ragazzo che, alla fine, in qualche modo, l'aveva salvata. Ma nella sua mente, in parte almeno, continuava a vederlo come un assassino, pur essendosi ormai resa conto di quanto simili fossero.
Lentamente lei si voltò e si sedette sul materasso del letto, poi annuì, dandogli il permesso di avvicinarsi.
Midorikawa chiuse la porta e si avvicinò, sedendosi sulla stessa sedia sopra cui si adagiava anche Kira Seijirou. La guardava. Le braccia erano tese e i polsi arrivavano a toccare le ginocchia.
Non sembrava spaventato o a disagio e questo Kyoka lo trovò strano.
- Ci tenevo a parlarti - disse improvvisamente lui. - Ma ho preferito attendere un po' - disse, abbassando appena lo sguardo. - Mi serviva del tempo per riordinare le idee, e anche a te, immagino - confessò.
- Sì - mormorò sottovoce Kyoka, comprendendo il suo ragionamento.
Ci furono altri istanti di silenzio e nessuno dei due guardava l'altro. Poi Midorikawa ridacchiò, nervosamente, e alzò la testa per guardarla, grattandosi la nuca con la mano sinistra, imbarazzato. - In verità non so nemmeno da dove iniziare - disse.
Lo sguardo della ragazzina rimase puntato al pavimento, senza cambiare.
- Come dire... - riprese allora l'ex-capitano della Gemini Storm - Sono successe tante cose, e che ci sia tensione tra noi è il minimo. Vorrei riuscire a scusarmi come si deve, perché penso che quello che ho fatto l'altro giorno non basti, ma non riesco a trovare le parole adatte - cercò di spiegare.
- Non mi odi? - domandò improvvisamente Kyoka, alzando timidamente lo sguardo. Nel fissare gli occhi neri del ragazzo, che in quel momento erano confusi per la domanda appena fatta, sentì di star per scoppiare a piangere.
Midorikawa piegò appena la testa di lato, poi sorrise tristemente.
- No - disse solo, dolcemente.
- Dovresti! - esclamò lei, distogliendo di nuovo lo sguardo, quasi con rabbia. Non riusciva a comprendere la ragione di tutta quella gentilezza. Non poteva non odiarla, no? Nonostante le circostanze, il risentimento doveva essere un sentimento logico, no?
Ma lui non si scompose e, anzi, il suo sguardo si riempì di tenerezza. - Conosco l'importanza del perdono. Ci sono persone che, pur sapendo cosa ho fatto, pur avendo provato dolore a causa mia, mi sono state amiche quando fu tutto finito - le rivelò, ricordando la Inazuma Japan. - E poi non ho diritto di odiare te, non quando sono stato io il primo a ferirti. Ma non pretendo che tu mi perdoni, Kyoka. -
Kyoka voltò ancora di più la testa per evitare anche solo il più casuale contatto visivo con Midorikawa. Comprendeva il suo ragionamento, ma era vero che lei, pur avendo capito i propri errori, provava ancora risentimento verso chi gli aveva tolto il fratello.
- Mi piacerebbe poterlo fare - sussurrò tuttavia. - Mi sforzerò. -
- Non sei costretta. Ciò che ho fatto a te e tuo fratello è irreparabile, non credo di meritare anche il vostro perdono. Proprio per questo, però, ho voluto fermarti. -
Kirishima tornò ad osservare la persona davanti a sé. Adesso percepiva un po' di ansia anche da parte sua, com'era logico che fosse, e questo ebbe paradossalmente l'effetto di calmare lei, tanto da riuscire a studiarne per bene il volto. Aveva uno sguardo limpido. Gli occhi grandi, scurissimi, dentro cui si potevano leggere tante emozioni. Non sembrava la persona che ricordava, la persona che due anni prima aveva seminato terrore in Giappone.
Lo sguardo di Reize era tagliente, gelido. Se c'era una cosa che aveva tenuto bene in mente durante quei due anni di rabbia e disperazione, era l'espressione dell'alieno che distrusse la scuola di suo fratello.
Quando ti guardava con quella crudele freddezza capivi che non ti considerava un essere umano, ma solo un ostacolo da eliminare senza pietà. Non c'erano altri sentimenti, dentro di lui.
- La persona che ho visto anni fa era così diversa da te... - non si trattenne dal dichiarare, pronunciando quelle parole quasi assorta.
Ryuuji si fece rapidamente triste. Abbasso la testa, pieno di vergogna.
- Sì, forse lo era... in un certo senso - confessò. - Ma ero comunque io. Sono stato io a permettere che ciò accadesse. -
Kyoka lo fissò ancora qualche secondo.
- Non credo di odiarti - confessò poi, seppur con una certa insicurezza. - Tu mi hai salvata, rischiando la vita. Sei una brava persona - disse.
Midorikawa sorrise, felice di sentirlo dire da lei. Non riuscì a provare orgoglio, poiché stava solo rimediando alle cose orribili che aveva fatto. Non era certo di essere davvero una brava persona. Forse sì, ma era anche un codardo che aveva preferito nascondersi dietro la maschera dell'alieno spietato invece di affrontare quella situazione apertamente. Si era venduto al potere, corrompendo la propria anima. Per il bene di suo padre, ma sopratutto per proteggere se stesso.
Poi era bastato incontrare alcuni dei ragazzi che erano riusciti a fermarlo, e ad ottenere il loro perdono, per sentirsi a posto con se stesso e smettere di pensare al passato.
E proprio quel passato era tornato da lui, a rinfacciargli quello che aveva fatto, a fargli rendere conto della gravità delle sue azioni. A fargli capire che non doveva dimenticare.
Forse era anche giusto così. Se lo meritava. Se solo non fossero stati coinvolti anche i suoi fratelli...
Ora il minimo che poteva fare era salvare le persone che aveva ferito e fermare Kenzaki.
Non per ottenere perdono, o per sentirsi sereno. Ma perché era la cosa giusta da fare.
Quando Ryuuji rialzò la testa il viso era deciso e serio. A Kyoka doveva anche parlare di questo, anche di Minoru.
Kyoka non lo stava guardando più, il suo volto fu nuovamente rivolto verso l'esterno, dove il cielo si stava ormai oscurando.
- Hiroki diceva sempre che la riconoscenza è importante - mormorò lei. Cercò di immaginarselo, di pensare a cosa avrebbe detto lui in quel frangente.
Ma, nel sentire il nome della persona che aveva ucciso, Midorikawa distolse lo sguardo.
Come se lo avesse percepito, la ragazzina sussultò e si voltò di scatto verso di lui.
- Ah, non intendevo... - esclamò, mortificata. - Cioè... - cercò di trovare le parole adatte, grattandosi la testa in segno di imbarazzo.
- Mi sono spesso chiesto cosa avrebbe provato lui. Se... ci stesse guardando dal Paradiso, o ovunque finisca chi muore, intendo - confessò l'ex-capitano della Gemini Storm.
Kyoka rimase in silenzio altri istanti, in riflessione. Suo fratello maggiore era una persona talmente gentile che, chissà, magari non avrebbe provato odio nemmeno per la persona che l'ha ucciso, anche se quell'eventualità sembrava pura utopia.
Infine sorrise appena e scosse leggermente la testa, optando per un'altra risposta. - Ti sarebbe grato per avermi salvata - gli disse, sinceramente. Sì, era davvero convinta che, se li stesse vedendo, ora come ora avrebbe solo provato gratitudine.
Midorikawa sorrise, commosso per quelle parole. Che quella ragazzina dicesse certe cose era molto, per lui.
- Che tipo di persona era? - domandò improvvisamente Ryuuji.
- Come? -
- Hiroki. Vorrei... che mi parlassi un po' di lui, se ti va - spiegò, con insicurezza.
Kyoka sbatté le palpebre, stupita. Sentir parlare di Hiroki avrebbe dovuto fargli male.
E a lei? A lei avrebbe fatto male?
Durante quei due anni, raramente aveva parlato di Hiroki. Con Kenzaki non ne avevano mai fatto parola, né l'uomo si era mai mostrato interessato all'argomento. E con Minoru... era inutile parlarne.
Ma Kyoka sentiva un forte bisogno di parlarne, in quel momento. Forse avrebbe fatto bene a lei e al ragazzo che aveva di fronte.
- Era... gentile - esordì quindi, pur esitando. - Era maturo e responsabile, non si arrabbiava mai e trovava sempre una soluzione per tutto. Però, pensandoci adesso, forse si sforzava solamente. Perché doveva badare a me e Minoru. -
- Significa che vi voleva molto bene - commentò il ragazzo dai capelli verdi, in parte sempre più mortificato. Doveva essere stata una persona magnifica, e lui gli aveva tolto la vita.
- Sì... - sussurrò Kyoka, in risposta, con la vista offuscata dalle lacrime. Non aveva mai realmente pensato cosa avesse provato Hiroki dopo la morte dei loro genitori, e quella era l’ennesima prova della sua immaturità. - Ci voleva davvero molto bene. -
Da quel momento, nessuno dei due parlò più.
Midorikawa avrebbe voluto parlargli anche di Minoru, ma esitava. Kyoka sembrava essere già abbastanza affranta, quella sua tranquillità era sicuramente un brutto segno su di lei, e non voleva peggiorare la situazione. Si alzò, decidendo di tornare dagli altri e lasciarla sola, quando l'edificio iniziò a tremare leggermente.
Kyoka sollevò la testa di scatto, allarmata. Le scosse si fecero più forti e una strana, brutta sensazione si impadronì di entrambi.
C'era un'aria pesante, per quanto labile.
Subito dopo, dall'esterno, provenne un forte frastuono. Dalla finestra, i cui vetri avevano tremato qualche secondo, si poteva scorgere del fumo.
Ryuuji deglutì, mentre una goccia di sudore gli attraversava la tempia. Quel rumore lo conosceva bene, molto bene, e gli riportava alla mente quel passato che stava cercando di affrontare.
Edifici che crollavano. Era l'inconfondibile suono di muri che collassavano su se stessi, infrangendosi al suolo.
Kyoka corse alla finestra, provando nel cuore una terribile consapevolezza. Non le serviva conoscere la situazione, per sapere cosa stava succedendo.
- Minoru! - esclamò, spaventata.

Nelle strade regnava il caos; le macchine, fermate dai conducenti per motivi di sicurezza, sembravano tanti confusi spettatori di quell'inferno arrivato, all'improvviso, con una scia viola dal cielo.
Non c'era persona, nei paraggi, che non urlasse e cercasse riparo altrove, creando ancora più confusione e aumentando il panico.
Un pallone nero sfrecciò ad incredibile velocità, riducendo in polvere, con una violenza impensabile, qualunque ostacolo incontrasse sulla traiettoria.
Minoru, dall'alto di un muro ormai danneggiato, osservava con indifferenza quelle persone.
La pietra sul suo petto brillava senza sosta, e l'energia che emanava bastava per incrinare vetri e altri materiali meno resistenti presenti nei paraggi.
- Coraggio, fatevi vedere - mormorò, assottigliando gli occhi e volgendo lo sguardo davanti a sé: in lontananza si scorgeva l'ospedale militare.

- Minoru! - ripeté Kyoka, allontanandosi dalla finestra. - È Minoru! Lui... - continuò, correndo verso la porta della camera.
Midorikawa si frappose davanti a lei, bloccandole il passaggio.
- Fermati! - esclamò. - Lascia che ci pensi io! -
- No! Io devo andare da lui! Devo salvarlo! - gridò la ragazzina, in lacrime. Si sentiva tremendamente in colpa per averlo lasciato solo, in balia del meteorite e di Kenzaki, durante quei pochi giorni. Ora doveva andare a salvarlo.
Ryuuji sospirò e, nel tentativo di calmarla, le poggiò entrambe le mani sulle spalle.
- Non sei nelle condizioni di andargli incontro - spiegò, con voce relativamente calma. - Aspetta qui e fai andare me. Sono io che devo risolvere questa situazione. Ti prometto che ti riporterò tuo fratello, così che possiate tornare a vivere la vostra vita serenamente - dichiarò, guardandola con decisione.
- Ma io... -
- Ti prego - riprovò lui, stringendo appena la presa delle mani. - Se ti accadesse qualcosa sarà stato tutto inutile. Rimani qui al sicuro e attendi. -
- Midorikawa! - gridò Kadomichi Tooru, spalancando la porta della stanza di Kyoka con così tanta violenza che la ragazzina sussultò.
L'ex-capitano della Gemini Storm si voltò appena all'indietro, verso il fratello adottivo, e annuì in silenzio, poi si voltò e si diresse verso l'uscita.
- Rimani qui, Kyoka - ripeté. - È compito mio risolvere questa situazione - disse prima di uscire definitivamente.
Kyoka rimase immobile,incapace in quel momento di opporsi a quella preghiera.

Midorikawa seguì il fratello adottivo verso l'uscita, camminando velocemente tra i corridoi.
- È Kirishima? - domandò colui un tempo chiamato Droll, volgendo lo sguardo sull'altro, pur senza fermarsi.
- Chi potrebbe essere altrimenti? - rispose frettolosamente il ragazzino, scendendo le scale che portavano al piano terra.
- E lei? - chiese ancora l'ex-centrocampista della Diamond Dust, guardandolo con preoccupazione.
- Spero mi dia retta - si limitò a dire Ryuuji, senza troppa convinzione.
In giardino si erano riuniti Seijirou, Hitomiko e gli altri orfani, apparentemente tutti decisi ad intervenire in qualche modo, pronti ad agire, benché, nonostante l'apparenza, non avessero idea di cosa fare esattamente.
- Hai intenzione di venire anche tu? - domandò Fuuko a Ryuuji, guardandolo stupita. La frase della ragazza attirò gli sguardi degli altri.
Il ragazzo dai capelli verdi annuì grave, e avanzò ancora superando gran parte dei suoi fratelli adottivi.
- Scherzi? Tu non devi andare! Hai intenzione di farti uccidere davvero, questa volta? - esclamò con irritazione Gigu, intimamente spaventato da ciò che sarebbe potuto succedere.
- No! - si affrettò a tranquillizzarlo l'ex-capitano della Gemini Storm, fermandosi e guardando i presenti, spazientito. - È me che cerca, e intanto sta seminando il panico tra la gente, o peggio - disse, senza riuscire a nascondere l'agitazione. - Non voglio... - tentò di continuare, bloccandosi a causa di un improvviso groppo in gola. Distolse lo sguardo. - Non voglio che faccia del male a qualcun altro - riuscì infine a concludere, voltandosi definitivamente e avanzando verso il cancello.
Gli altri lo seguirono, senza più dire una parola.






Note finali: il capitolo doveva essere più lungo, doveva infatti contenere anche la battaglia decisiva contro Minoru. Ma era troppo lungo, quindi ho deciso di tagliarlo a metà e lasciare il resto al prossimo capitolo.
Fondamentalmente parla ancora di Kyoka, che in un certo senso fa ‘definitivamente pace’ con Midorikawa. Più rileggo, più mi sembra di starli scippando, quei due. XD Ma non la vedo in questo modo; è che sono in una situazione particolare e ormai si comprendono a vicenda, quindi inevitabilmente si sta creando un certo feeling. È complicato, perché Midorikawa rimane la persona che ha ucciso suo fratello, ma dato che ormai anche lei ha coscienza sporca, ed è consapevole che sarebbe stata pure peggio se Ryuuji non l’avesse fermata, ormai lo vede sotto un’altra luce e gli è grata.
Mi spiace, comunque, che il capitolo sia corto, perché l’intenzione era di dedicare più spazio a Minoru.
Posticipo tutto nel capitolo 23, il dannatissimo capitolo 23, che ho scritto, cancellato e riscritto da capo tre volte! Un incubo! Ed è ancora da correggere per bene!
A parte questo, ormai manca pochissimo, e spero di riuscire a concludere la fiction nei prossimi giorni.
Dovrebbero mancare uno o due capitoli! E poi, finalmente, spero di riuscire a riprendere i capitoli speciali della AU. XD Che ho vergognosamente ignorato in questi mesi.
*Piange ricordandosi di tutte le fiction in sospeso*
Mi devo dare una mossa, sì.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Il centro della città era ormai ridotto ad un grande e unico cumulo di macerie. La zona era già in parte stata sgomberata dai civili, con l'eccezione dei malcapitati rimasti intrappolati o feriti. I poliziotti stavano cercando di soccorrerli e, allo stesso tempo, di gestire quella strana situazione.
Minoru camminava indisturbato, poiché nessun agente sapeva come comportarsi. Minacce, parole e successivamente fatti, non erano serviti a nulla.
Come ultima alternativa, gli avevano anche sparato, inutilmente. Kirishima sembrava protetto da una specie di barriera invisibile.
Onigawara non osava affacciarsi e osservare la situazione, preferendo al momento nascondersi dietro ciò che rimaneva di un muro di un abitazione, reggendo con entrambe le mani la pistola.
Non era mai stato un codardo, e non aveva paura di perdere la vita. Ma era consapevole che affrontare quel ragazzo avrebbe comportato perdite inutili. Era disposto a morire, se necessario, ma rifiutava di farlo inutilmente.
Inoltre, non era certo che aggredire Minoru fosse l'opzione migliore.
Per quanto pericoloso, era pur sempre un ragazzino, che tra l'altro non sembrava più nemmeno in sé.
Non voleva dargli modo di pensare che tutti gli fossero ostili; avrebbe preferito, piuttosto, parlargli e cercare di farlo ragionare.
Minoru sembrava essere completamente disinteressato agli altri. Non sembrava godere del dolore che stava causando. Onigawara si chiedeva, quindi, cosa lo spingesse a comportarsi in quel modo.
Pur perso tra questi pensieri, l'uomo percepì qualcuno avvicinarsi e, con cautela, si spostò verso la propria destra per controllare.
Kira Seijirou, seguito alcuni dei suoi figli, cercò di raggiungerlo senza fare troppo rumore.
Kirishima era a molti metri da loro, e si avvicinava lentamente ma inesorabilmente; ben presto si sarebbe accorto della loro presenza, ma per il momento voleva parlare col detective.
- Mpf, sapevo sareste venuti - esalò l'agente.
Seijirou si accostò a lui, apparentemente calmo come al suo solito.
- Gli edifici sono stati evacuati? - chiese solamente, e la voce suonò cupa.
Onigawara tornò a volgere lo sguardo verso la strada, dove a breve si sarebbe trovato a passare Minoru.
- Sì. Il ragazzo sta puntando l'ospedale, ma immagino lo fermerete prima. Avete qualche piano? -
Il proprietario del Sun Garden scosse la testa. - Nulla di certo. Non ci resta che rischiare, come Ryuuji ha fatto con Kyoka - dichiarò, preoccupato.
Sapeva che Midorikawa, da cui si era separato poco prima, avrebbe affrontato quel ragazzo, col rischio che questo reagisse senza dargli ascolto.
Ma lui si era avvicinato per potersi mettere in mezzo in caso di pericolo, per poter proteggere i suoi figli.
Onigawara stava ancora attendendo, quando la palla viola che Minoru portava con sé sfrecciò per l'ennesima volta verso un edificio, distruggendolo.
Seijirou osservò in silenzio le macerie crollare, chiedendosi il senso di quelle azioni.
Fino a quel momento né Kyoka né Minoru si erano lasciati andare ad una così cieca rabbia indiscriminata, preferendo concentrarsi sui suoi figli che seminare distruzione.
Non avevano motivo, in ogni caso, di colpire persone innocenti alla faccenda.
Perché, quel giorno, improvvisamente, il giovane Kirishima si era messo a seminare terrore in città?
L'ipotesi che non fosse definitivamente più in sé, e che Kenzaki avesse fatto qualcosa, si insinuò nella sua mente.

Relativamente poco distante, anche Midorikawa, seguito da alcuni dei suoi fratelli, si stava nascondendo, riflettendo sulla situazione attuale.
Minoru, pur con la solita calma, si stava comportando in modo strano, secondo lui.
Dietro di lui, Kurando commentò che era ormai impazzito come sua sorella, ma a Ryuuji non sembrava fosse così.
Azzardò ad affacciarsi, osservando le strade deserte ormai circondate dalla polvere.
"È vero, sta distruggendo tutto, ma se avesse perso la ragione sarebbe venuto direttamente all'ospedale e avrebbe puntato me senza esitazione, no?" pensò, scrutando i dintorni. "O è davvero impazzito tanto da scordarsi il vero motivo della sua vendetta? Non mi piace questa storia. Tutto questo," riprese tra sé, voltando la testa e fissando le macerie, "tutto questo mi è fin troppo familiare. È come se..."
- Avete finito di giocare a nascondino? - proruppe Minoru, interrompendo la riflessione di Midorikawa.
Lui e gli altri sollevarono la testa, ritrovandosi il ragazzo in piedi, sopra un edificio ormai privo di tetto, con la solita palla viola sottobraccio.
L'avversario fece scorrere lo sguardo su di loro, con fredda calma e senza apparentemente alcuna traccia della rabbia, ma anzi, addirittura con disinteresse.
L'espressione di sufficienza con cui li osservava innervosì molti di loro, ma Midorikawa fu attraversato da uno strano brivido.
Minoru non aggiunse altro e, con un movimento tanto veloce da risultare invisibile, calciò nuovamente la palla, che sfrecciò sopra le loro teste e frantumò la parete di una casa dall'altra parte della strada, a pochi metri da loro.
Gli orfani del Sun Garden capirono cos'era successo solo quando sentirono il rumore delle macerie e si voltarono per avere una conferma visiva dell'accaduto.
Sotto i loro occhi, il pallone si sollevò da terra, brillando, e sprigionò un visibile campo di energia, che sollevò un vento tanto forte da spingere all'indietro tutti loro, e abbattendo quello che rimaneva degli edifici immediatamente vicini.
Minoru saltò proprio un istante prima che il muro sotto di lui crollasse, e scelse di atterrare proprio accanto a Midorikawa.
Lo fissò per tutta la durata del salto e solo per un secondo apparve indecisione nel suo sguardo.
"No! Devi ucciderli!" gridò però una vocina dentro la sua testa; una voce infantile simile a quella aveva sentito dentro l'oscurità, ma più fredda. Il volto del ragazzino tornò neutro.
- Vi distruggerò, proprio come questa città - sussurrò, provocando a Midorikawa un secondo brivido. Ma quando si voltò verso di lui, Minoru si era già allontanato di qualche metro e aveva recuperato il pallone.
- Che diavolo hai intenzione di fare? - gridò Saginuma, avanzando di qualche passo, con evidente ira.
Kirishima non gli rispose, ma le labbra si piegarono in un ghigno crudele.
Ci fu una folata di vento, questa volta più leggera, seppur fosse bastata per sollevare per qualche istante la lunga coda di Midorikawa. Quest'ultimo rimase immobile, con gli occhi fissi su Minoru, quasi attendendo che egli rispondesse al quesito di Osamu, e solo quando sentì dei gemiti dietro di sé si accorse che la palla era sparita dai piedi del ragazzo.
- Ti ricordi? - domandò Minoru, prima che l'altro facesse in tempo a voltarsi, con tono lievemente divertito. - Ti dissi che meritavi di vedere i tuoi fratelli morire - gli rammentò.
Ryuuji, allarmato, si voltò all'indietro e ciò che vide gli raggelò il sangue nelle vene: il pallone viola giaceva placidamente in mezzo ai suoi fratelli a terra, tremanti e doloranti.
- È ora di punirti come meriti, Midorikawa Ryuuji - soffiò.
L'aria attorno era pesante, insostenibile e opprimente. Era come se gli penetrasse dentro il corpo e si depositasse sul petto, impedendogli di respirare.
Ryuuji osservò la scena con orrore e non riuscì ad impedirsi di aprire la bocca per ispirare aria, azione che gli risultò complicata, mentre una goccia di sudore gli attraversava la tempia e scendeva verso la guancia.
Studiò i suoi fratelli, senza riuscire a capire quanto gravemente fossero feriti, o se fossero in pericolo di vita.
Tornò a guardare Minoru, sentendosi inerme, totalmente incapace di opporsi. Lo fissò per lunghi istanti, cercando di mantenere la calma e ragionare, ma nessun pensiero gli attraversò la mente offuscata dal terrore.
Minoru rimase quasi in attesa, godendo dell'aspetto miserabile che sembrava avere l'assassino del fratello. Nessuna traccia d’indecisione o pietà attraversava più il suo sguardo ora freddo, quasi vuoto. Nonostante il ghigno che gli increspava le labbra, gli occhi sembravano totalmente indifferenti.
"Conosco quello sguardo" pensò dolorosamente Midorikawa.
Nonostante la paura, nonostante la consapevolezza che gli altri stavano rischiando davvero la vita, ciò che gli attraversò la mente in quel momento gli procurò una fitta al petto, e sentì ancor più crudele quella punizione.
- Perché? - domandò improvvisamente Ryuuji, indietreggiando di un passo. - Perché ti comporti così? -
Kirishima sembrò stupito da quelle parole.
"Il suo comportamento, lo sguardo vuoto come se in fondo non gli importasse nulla di quello che sta accadendo, l'aura che lo circonda... io conosco tutto questo. L'ho vissuto due anni fa!" si disse, stringendo i pugni.
- Ti stai comportando proprio come Reize, te ne rendi conto? - gridò, arrabbiato.
Sin da quando aveva visto tutte quelle macerie, Midorikawa aveva pensato che ciò che stava facendo Minoru, alla fine, era esattamente quello che aveva fatto lui due anni prima.
Sembrava come se quel ragazzo stesse cercando di vendicarsi comportandosi come lui, come per fargli capire cosa, esattamente, avevano provato gli studenti delle scuole che lui distrusse ai tempi della Aliea Academy.
E, per quanto avesse pensato, e in parte ancora pensasse, di meritare qualche tipo di vendetta, sapere che quel ragazzo aveva assunto il suo stesso atteggiamento lo ferì.
A quell'accusa, però, d'un tratto il volto di Minoru si contorse in una smorfia di disgusto.
- Come osi?! - esclamò, offeso.
- Che senso ha cercare vendetta diventando esattamente come me? Hai cercato di fermare Kyoka, tu comprendi la gravità di un'azione del genere, tu non volevi davvero uccidere! Allora perché ti stai comportando in questo modo? - domandò, tra la disperazione e la sincera confusione.
A sentire il nome della gemella, Minoru fece una smorfia.
- Taci! - tuonò. La pietra nel petto del ragazzo iniziò a brillare intensamente, tanto da essere ben visibile sotto la stoffa scura della tuta. Ormai aveva perso l'apparenza distaccata.
- Farai il gioco di Kenzaki, in questo modo! - provò a dirgli Ryuuji, sperando di convincerlo in qualche modo.
- Ho detto di tacere! - urlò nuovamente Kirishima, con tutta la voce che poté mettere in quelle parole.
Il secondo dopo Midorikawa si ritrovò a terra, sentì la sua guancia bruciare.
Non riuscì nemmeno a capire di aver ricevuto un pugno che Minoru gli si buttò addosso.
- Io non sono come te! - gridò quest'ultimo, colpendolo allo stomaco, provocandogli un sofferto attacco di tosse.
Lo sguardo del ragazzino somigliava, in quel momento, a quello che aveva Kyoka la notte del loro scontro diretto al cimitero: folle, orribilmente contorto dalla rabbia e privo della più minima lucidità. - Tu hai ucciso mio fratello, una persona innocente che non ti aveva fatto niente! Io ho tutto il diritto di comportarmi così! Io ho sofferto per due anni, mentre tu sei tornato a vivere spensierato come se nulla fosse. Sei un assassino! Sei un bastardo e devi morire! - urlava, continuando a colpirlo, ora sul volto, ora sullo stomaco.
Il ragazzo dai capelli verdi non riusciva nemmeno a muoversi. Non a causa del dolore, che percepiva praticamente dimezzato grazie all'influenza del meteorite, ma per la velocità e la violenza con la quale i colpi venivano inferti. Non riusciva a gemere o a gridare, perché i colpi gli mozzavano il fiato, quasi impedendogli persino di respirare.
- Uno come te non dovrebbe girare impunito nel Paese! - riprese Minoru. - Perché dovrei sentirmi colpevole e temere una punizione, se sto solo facendo ciò che tu hai fatto a me? -
Si bloccò improvvisamente, osservando il volto ormai livido e dolorante del nemico voltato verso sinistra a causa dell'ennesimo pugno e della spossatezza. I colpi erano stati così numerosi e forti che avevano finito per spaccargli la pelle all'altezza dello zigomo, delle guance, della fronte; sottili rivoli di sangue macchiavano la pelle originariamente ambrata.
Non ne provò pietà, ma lo infastidì non riuscire comunque a provare soddisfazione.
La vocina infantile tornò a riecheggiare nella sua testa. "Uccidi" ripeteva.
Una nuova determinazione attraversò lo sguardo del ragazzo dagli occhi viola, che riacquistò la compostezza di prima.
Lo afferrò per la mandibola, costringendolo a guardarlo. - Hai paura? - sibilò, tremando per la rabbia. - Hai paura, non è vero? - ripeté, col tono di chi desidera disperatamente una risposta affermativa. - Tu non puoi fare nulla contro di me. Ti stai chiedendo come stanno i tuoi adorati fratelli? - lo sfotté poi, lanciando una veloce occhiata ai corpi riversi a terra, ancora immobili. - Hai idea di quanto pesi quel pallone? - gli disse, ghignando.
A quelle parole gli occhi neri di Ryuuji si spalancarono leggermente, come se solo in quel momento si fosse effettivamente ricordato degli altri e tornasse a temere seriamente per le loro vite.
Minoru rise. Si alzò, ma sollevò Midorikawa trattenendolo ancora per la mascella.
- Sai di non poter fare nulla per salvarli. Tu eri pronto a sacrificarti, ma non pensi che questa sia una punizione più giusta? Non devo accanirmi su di te. Non è questo il mio scopo. Ammazzarti non avrebbe senso. Tu devi soffrire. Devi sentirti in colpa. Devi provare ciò che ho provato io per due lunghi anni - continuò.
Midorikawa non riuscì a ribattere nulla, poté solo osservarlo, spaventato. Nonostante la sua resistenza fosse ancora sopra la media, il dolore per i colpi subiti era ora troppo forte e si sentiva come paralizzato. Non poteva fare nulla. Il ragionamento di Minoru era corretto. Il ragazzino non solo voleva vendicare la morte del fratello, ma anche se stesso. Morire sarebbe stato troppo semplice, per Midorikawa.
"Occhio per occhio, dente per dente" pensò cupamente l'ex-capitano della Gemini Storm. "Alle mie accuse sembrava aver perso il controllo e, come avevo ipotizzato, si è accanito contro di me. Ma ora quella sua strana calma è tornata" ragionò, rassegnato a dover vivere quell'orrore.
Da qualche parte nella sua mente percepiva una sorta di stonatura, nelle parole di Minoru, ma non era nelle condizioni di dare importanza a questa sensazione.
"Quindi è la fine?" pensò solamente.
- Ryuuji! - gridò Seijirou in quel momento, arrivando di corsa insieme agli altri suoi figli e ad Onigawara.
Si bloccò, di fronte alla scena straziante che gli si presentò.
Quasi la metà dei suoi adorati bambini era a terra, chissà in quali condizioni. Midorikawa era in balia della furia di Kirishima, ormai senza forze.
Per un po' nessuno ebbe il coraggio di parlare, inorriditi dalle conclusioni che poteva portare una scena del genere.
Minoru spezzò quel silenzio opprimente. - Mi avete risparmiato la fatica di venirvi a cercare! - affermò, mentre la palla, ancora in mezzo agli orfani rimasti vittime del suo primo attacco, si sollevò pericolosamente a terra. - Ora farete la stessa fine! -
Il pallone brillò e schizzò verso Seijirou.
L'uomo sapeva che era inutile cercare di scappare e, proprio come il figlio adottivo, sembrò perdere ogni speranza. Ma allargò le braccia come per proteggere i ragazzini dietro di lui. Che lo colpisse e lo uccidesse, a Kira non importava. Ma desiderava che i suoi figli venissero risparmiati.
"Ci serve un miracolo" pensò, senza distogliere lo sguardo. "E qualcuno che lo compia, come la Raimon due anni fa."
- Smettila, fratellino! - gridò in quel momento Kyoka, correndo velocemente verso di loro e afferrando senza alcuna difficoltà il pallone proprio quando stava per colpire il gruppo di orfani.
Seguì un silenzio interrotto solo dai lontani brusii di una città ormai disastrata. Innumerevoli paia di occhi erano fissi sulla ragazzina dai capelli ricci, osservandola con meraviglia.
- K-Kyoka... - sussurrò il gemello, interdetto dal suo intervento.
Midorikawa volse con difficoltà il volto e la guardò. - Kyoka...?! - mormorò. Era stupito di vederla, anche se, andando incontro a Minoru, aveva pensato che la ragazzina non gli avrebbe dato retta. D'altronde non sembrava affatto una persona che dava ascolto agli altri. Ma le era grato per averli aiutati, segno che, ormai, era definitivamente dalla loro parte.
Kyoka osservò con orrore i ragazzini che giacevano a terra e Midorikawa ancora sollevato a terra da Minoru. La scena le ricordò ciò che lei aveva fatto proprio a Ryuuji. Tremò al pensiero e temette che il gemello, al contrario di lei, non potesse fermarsi.
Doveva fare assolutamente qualcosa. Se fosse intervenuta, se gli avesse fatto capire che ormai non voleva più cercare vendetta, forse il gemello si sarebbe convinto.
- Minoru, adesso basta! - esclamò quindi con forza, e con una sicurezza che non credeva nemmeno più di possedere.
Il gemello la fissò per lunghi secondi. Sembrò ponderare quelle parole, ma infine il suo volto tornò serio.
- Come osi mostrarti davanti a me? - disse con freddezza, lasciando andare la presa su Midorikawa, che si accasciò a terra con un sordo tonfo.
Kyoka s’irrigidì, vacillando.
- Minoru... -
- Traditrice! - gridò lui, perdendo per la seconda volta quella strana calma. - Tu sei mia sorella, saresti dovuta rimanere dalla mia parte! -
Kyoka sentì subito le lacrime offuscarle la vista, ma si fece forza. Questa volta era lei a dover sostenere il fratello.
Lasciò la presa alla palla e lasciò che le rotolasse ai piedi. - Minoru, ti prego! Non devi più fare del male a queste persone - provò a convincerlo lei, pur timorosa. Quelle parole continuavano a suonarle ipocrite, dette da lei. Ma era convinta di star facendo la cosa giusta, per una volta. - Loro non meritano di morire, anche se hanno fatto degli errori. Anche noi abbiamo sbagliato, non ha senso fare i loro stessi sbagli. Diventeremmo come loro e, se loro meritano davvero la morte, allora la meriteremmo anche noi! Nostro fratello non avrebbe mai voluto tutto questo! -
Ma più Kyoka parlava, più l'ira cresceva in Minoru. E, quando sentì il nome del fratello maggiore, percepì un improvviso risentimento verso la gemella.
- Non nominare Hiroki! - urlò, tendendo il braccio destro e puntandola con l'indice. La pietra incastonata nel suo petto tornò a brillare intensamente. - Alleandoti con i suoi assassini stai tradendo lui e la sua memoria! -
- Q-questo non è vero! - esclamò lei, offesa per le insinuazioni. Era strano che Minoru ragionasse in quel modo. Fu lui il primo ad avere dubbi, dopotutto. Non capiva se quelli erano i suoi pensieri più intimi o se Kenzaki gli avesse fatto qualcosa.
- Sei stato tu il primo a capire che uccidere non porterà a nulla, hai tentato di farmi cambiare idea. Ora ho capito anche io, quindi, ti prego, ora basta! -
- E tu eri quella che desiderava la vendetta a tutti costi. Non mi hai mai ascoltato, e improvvisamente hai cambiato idea! E ora, dopo avermi abbandonato, pretendi che io ti segua e lasci le cose come stanno? -
Kyoka sussultò, venne scossa da leggeri tremiti. Le loro posizioni si erano invertite completamente rispetto a qualche tempo prima.
- M-mi dispiace... - sussurrò, sentendosi colpevole. In una cosa Minoru aveva ragione: se lo avesse ascoltato subito, forse tutto questo non sarebbe mai accaduto. - Avevi ragione tu. Ero accecata dall'odio e non sentivo altro che il mio dolore - ammise. Si fece triste e abbassò lo sguardo. - E ignoravo anche te - aggiunse, con un tono di voce più basso, quasi non volesse sentire nemmeno lei quella frase. - Però, - continuò, con rinnovata decisione, rialzando lo sguardo, - adesso sei tu quello che non riesce a vedere nulla oltre la vendetta! Se sai che stavamo sbagliando, se ricordi di aver tentato di fermarmi, perché adesso ti stai comportando in questo modo? -
Ma il ragazzo non sembrò nemmeno ascoltarla. Nella sua mente riecheggiarono ancora le parole che udì quando si ritrovò dentro l'oscurità.
"Sono triste. Sono solo e sono triste."
- Ho sempre fatto tutto per te, che sei così egoista da non vedere oltre il tuo naso. Hai sempre fatto quello che volevi ignorando i sentimenti degli altri! Pur capendo i nostri errori, ti sono rimasto accanto per evitare che affrontassi le conseguenze da sola, perché sei mia sorella. Tu, invece, non hai esitato a lasciarmi solo! -
- Minoru... - sussurrò la ragazzina, ormai in lacrime. Quelle parole le facevano male, ma probabilmente erano solo la verità. Lui aveva ragione, era stata stupida ed egoista. Non c'era da stupirsi se, nel suo animo, lui le serbasse rancore.
- Kyoka non ti ha abbandonato! Lei voleva tornare da te - gridò improvvisamente Seijirou, dispiaciuto per la ragazzina. - Dovevamo toglierle il frammento di meteorite e se fosse tornata da te, Kenzaki l'avrebbe costretta a rimanere! -
- Non intrometterti! - gridò Kirishima, voltandosi di scatto verso l'uomo. - È anche colpa tua, ucciderò anche te, adesso! - affermò.
- No, Minoru! - gridò ancora Kyoka, consapevole che quello era stato il pensiero che l'aveva guidata, pochi giorni prima, da Midorikawa. - Ho rivisto Asako e Saburo, loro vogliono solo che torniamo da loro. Insieme possiamo superare il dolore. Non è ancora troppo tardi! - lo informò, sperando che il pensiero dei genitori adottivi lo facesse tornare in sé.
- Ma quando te l'ho detto io, non mi hai dato ascolto - mormorò lui, pieno di risentimento. - Nonostante i miei sforzi per sostituire Hiroki, non sono mai stato abbastanza per te! Ora che hai superato tutto, non ti servo più, no? Per questo mi hai abbandonato! - la accusò. - Vuoi riportarmi indietro solo per pulirti la coscienza! -
- N-non è vero! - gridò lei, ferita da quelle accuse. Era stata stupida, pazza ed egoista; ma mai avrebbe abbandonato suo fratello. Voleva che lui fosse felice, voleva che stesse bene. - Io... - provò a spiegarsi, ma lui la interruppe con una risata.
- Va bene così, Kyoka - disse lui, in un tono improvvisamente più calmo e rassegnato. - Nel momento in cui sono rimasto solo, ho fatto finalmente chiarezza nel mio cuore. Per far cessare il mio dolore non mi rimane altro che far finire tutto questo e uccidervi tutti quanti! - disse di nuovo, con un ghigno di puro sadismo. - E, se ti ostinerai ad aiutarli, Kyoka, allora considererò anche te una mia nemica, e non avrò riguardi - affermò, con decisione e rinnovata indifferenza.
La ragazzina sussultò nuovamente, incredula. Non avrebbe mai pensato che Minoru sarebbe arrivato a tanto. Si era illusa che, col suo intervento, il gemello si sarebbe calmato.
Midorikawa levò gli occhi sul ragazzino e, finalmente, comprese cosa tanto l'aveva insospettivo della sfuriata di prima: Minoru, nei suoi discorsi, aveva continuato a parlare della propria sofferenza, senza mai nominare Kyoka, come se ora fosse solo lui a soffrire.
- Come osi dirle certe cose? È tua sorella! - gridò Reina, dietro al padre.
Kirishima non rispose e continuò a fissare Kyoka.
La ragazzina piangeva, ma continuava a fissarlo tristemente, ferita dalle sue parole. E questo a lui, anche se non voleva ammetterlo, faceva male.
- Io ti voglio bene, Minoru! - gridò, in tono disperato. - E mi fido di te, so che non vuoi davvero farmi del male! -
Kyoka, con decisione, iniziò ad avanzare lentamente verso di lui, superando con attenzione i ragazzi che giacevano a terra.
Alcuni di loro, proprio in quel momento, ripresero conoscenza e aprirono gli occhi.
La ragazzina dai capelli ricci camminava in silenzio; piangeva, ma non distoglieva lo sguardo dal gemello.
"Quella volta mi sono messa in mezzo io" pensò lei, ricordando la sera al cimitero. "Ma adesso non mi colpirà. Ne sono certa."
Minoru la osservava, dapprima indifferente; ma, ad ogni passo di lei, il suo sguardo prendeva una sfumatura preoccupata.
- Kyoka... - sussurrò.
Dentro di lui il dolore aumentava, e quel dolore accresceva l'ira, accresceva la solitudine.
La vocina riecheggiò nuovamente nella sua testa.
"È lei a farti soffrire. È una nemica! Uccidila."
- No! - gridò Kirishima, chiudendo gli occhi e scuotendo la testa come per scacciare quel pensiero. Ma il suo corpo si era già mosso e il pallone colpì la ragazzina. Quando Minoru se ne rese conto il suo volto si contorse in un'espressione di terrore.
Il pallone era condizionato dai suoi desideri più profondi, e sembrava obbedire a quella vocina, che aveva iniziato a sentire in quel posto buio.
Kyoka cadde a terra, a un paio di metri di distanza, e lì rimase, sotto gli sguardi sconcertati dei presenti.
Seijirou la fissò. Il corpo della ragazzina doveva essere ancora influenzato dal meteorite alieno, eppure Kyoka rimase lì, riversa a terra.
E, in effetti, la ragazzina non aveva risentito del colpo, non fisicamente almeno.
"Allora mi odia davvero" pensò lei, tornando a piangere silenziosamente, senza aver la forza di rialzarsi. "Non posso fare nulla per lui, né per gli altri. Se ci provo, ucciderà anche me."
Minoru la fissò con sconcerto. Ma velocemente il suo sguardo mutò e divenne pieno di terrore.
- Kyoka - sussurrò, come se non avesse il coraggio di chiamarla.
Sollevò il braccio, come se stesse per correre da lei, ma non si mosse. Iniziò a tremare. Poi gridò, inarcando la schiena all'indietro e mettendosi le mani tra i capelli.
Era un grido lungo, pieno di disperazione. Il meteorite nel suo petto continuava a brillare e la vocina lo intimava ancora di finirli tutti e mettere fine al suo dolore.
Sia Kyoka che Midorikawa cercarono di sollevarsi con le braccia, storditi tanto quanto gli altri.
- Midorikawa! - lo chiamò Rei, ex-Frost della Diamond Dust, a terra a pochi metri da lui.
Il ragazzo dai capelli verdi si voltò incredulo verso di fratello adottivo, quasi dubitando che almeno lui stesse bene. Ma, approfittando della scarsa attenzione che Minoru, dopo la comparsa della gemella, stava prestando a loro, gli orfani illesi erano andati silenziosamente a soccorrere i loro fratelli e nessuno di loro aveva più l'espressione allarmata di poco prima.
- Noi siamo vivi! - continuò intanto Mikoori. Altri orfani cercarono di alzarsi, o almeno di dare segni di vita. - Siamo solo stati sbalzati via, il pallone non era pesante! -
Ryuuji lo osservò qualche istante, poi fece scorrere lo sguardo su tutti i suoi amici, come per controllare che Frost stesse dicendo il vero.
- Ma allora perché...? - mormorò, ancora scosso.
Tornò a guardare Minoru.
Il ragazzo urlava, le sue mani si erano spostate all'altezza del petto, dove la pietra brillava ancora intensamente. "Sembrava davvero deciso a ucciderli. Lui mi ha chiesto se avessi idea di quanto pensasse il pallone; ma ricordo che, il giorno in cui Nagumo fu rapito, non aveva distrutto l'edificio. Forse Minoru può cambiare il peso della palla a piacimento? Ma anche così... perché ora li ha lasciati vivi?" ragionò, cercando anche di trovare una ragione.
Ma, sapendo che anche questa volta non era successo nulla di irreparabile, cercò di riprendersi e di mantenere la promessa che aveva fatto a sé stesso e a Kyoka. Cercò di alzarsi. "Conoscendo quel bastardo di Kenzaki, è molto probabile che l'abbia ricattato. Forse ha minacciato di fare qualcosa a Kyoka. Ma prima sembrava davvero avercela con lei" continuò, mentre si voltava verso la ragazza, che fissava il gemello senza aver il coraggio di rimettersi in piedi.
Tornò a guardare Minoru. Lui si stringeva il petto, proprio come se volesse stapparsi via il frammento dal corpo ormai scosso da spasmi.
"Io non voglio questo!" pensava intanto Kirishima, disperatamente.
"Io voglio questo" ripeté però la vocina infantile dentro la sua testa. "Io la odio"
- Sono arrabbiato con lei, ma non potrei mai odiarla. Smettila! - gridò, non accorgendosi nemmeno di aver espresso quel pensiero a voce.
Ryuuji sussultò, e lo stesso fecero gli altri.
"Con chi sta parlando?" fu il pensiero comune.
"È come se ci fossero due persone, dentro di lui" intuì. "Come un'altra personalità."
E, nel pensarlo, sussultò. Poi si fece triste e abbassò lo sguardo.
"Allora non lo faceva per punirmi. Non si comportava come Reize per rendermi le cose più dolorose. Lui, esattamente come me, si stava solo sforzando e, sentendosi costretto a fare del male, si è creato un'altra personalità" si disse, tornando a guardarlo. "Forse, inconsciamente, si è davvero ispirato a Reize, perchè è l'unico 'malvagio' che riesce a concepire. Ma, certamente, non l'ha fatto apposta. Ora capisco..."
In quel momento Midorikawa provava compassione per Minoru. Avendo intuito in che condizioni versava quel ragazzo, prese nuovamente la decisione di salvarlo.
Sì alzò e, camminando con lentezza, cercò di avvicinarsi al padre.
- Ryuuji! - esclamò l'uomo, poggiandogli le mani sulle braccia, guardandolo con attenzione come per accertarsi che stesse bene.
- Padre, - ansimò il ragazzino dai capelli verdi, affaticato, - ti prego, dammi la pietra bianca per Minoru. -
L'uomo gli rivolse un'occhiata stupita, ma Midorikawa sembrava sapere cosa fare. Così annuì e frugò nella tasca, porgendogli poi il ciondolo.
Senza dire nulla, ma ringraziandolo con lo sguardo, il centrocampista barcollò fino a Kyoka, e si inginocchiò vicino a lei.
- Kyoka, vieni con me. Dobbiamo fare qualcosa per aiutarlo - sussurrò dolcemente.
La ragazzina non rispose, ma roteò gli occhi per osservare Ryuuji con espressione disillusa. Nonostante l'aspetto malmesso, lo sguardo del ragazzo non era cambiato dai giorni scorsi. Lui era ancora convinto che si potesse fare qualcosa.
"Lui vuole uccidervi, te ne rendi conto?" pensò, senza avere il coraggio di dare voce alle sue riflessioni. "Ce l'ha con te tanto quanto ce l'ha con me."
- E se ci colpisse? - bisbigliò debolmente.
- Dato che siamo ancora condizionati dal meteorite, non ci ucciderà. Proprio per questo dobbiamo essere noi due a fare qualcosa. Ora Minoru sta combattendo contro l'oscurità del proprio cuore. È molto simile a me due anni fa. E solo tu puoi salvarlo - la informò, pacatamente. - Lasciami fare da esca, tu limitati ad avvicinarti senza far rumore. -
Colpita dal tono di voce del ragazzo, Kyoka lo fissò interrogativamente. Ryuuji annuì e le porse il ciondolo.
- Andiamo, Kyoka. Non arrenderti per così poco! Non può ucciderti, non vuole farlo. Forse farà male, ma non devi fermarti - le intimò.
La ragazzina lo guardò in silenzio, con gli occhi lucidi. Si mise a piangere, ma cercò subito di asciugarsi le lacrime col dorso della mano.
Afferrò il ciondolo e si alzò, barcollando solo leggermente.
Seppur in lacrime, seppur disperata, Kyoka tentò di fare come le era stato detto: iniziò a camminare verso Minoru, concentrandosi sulla sua figura piegata dal peso che portava dentro, forse qualcosa che a lei era persino sconosciuto.
Dopo qualche passo Minoru alzò la testa verso di lei; le mani andarono alla testa e scivolarono lentamente verso le guance, tirandole leggermente verso il basso e deformando ulteriormente il volto fino a quel momento elegante.
La fissò come se non la riconoscesse, come se ne avesse paura.
Kyoka gli sorrise dolcemente, per rassicurarlo.
- No! - gridò lui. - Vai via! - aggiunse, mentre il pallone, illuminandosi, iniziò a colpirla velocemente ignorando Midorikawa; rimbalzava a terra e la colpiva di nuovo.
"Fa male. Ma non è nulla in confronto al dolore che abbiamo dentro. Non è vero che finirà solo se loro muoiono. A me basta che Minoru torni da me. E insieme torneremo a casa" pensò, seppur iniziasse a risentire delle botte, e non si fermò e continuò ad avanzare. Il volto era ormai arrossato, essendo stato colpito varie volte, ma lei, lentamente, avanzava, un passo dopo l'altro e continuava a sorridergli.
"Devono morire tutti! Tutti!" continuava la vocina dentro Minoru, incessantemente, e il pallone deviò e colpì Karon al braccio.
Poi, ormai incontrollato, iniziò a rimbalzare in direzioni casuali.
- No! No! - gridò lui, prendendosi di nuovo la testa tra le mani e scuotendola - Sta zitto! Chi sei? Stai zitto! - gridava, sotto lo sguardo sconcertato dei presenti, che non capivano cosa stesse succedendo.
"Io sono solo. Sono solo e sono triste. Tutto per colpa loro. Meritano di morire. Uccidili."
Minoru iniziò a piangere.
- Non voglio tutto questo. - disse infine, singhiozzando. - Non voglio tutto questo! - gridò con tutto il fiato che aveva in corpo, sollevando di scatto la testa.
Kyoka gli arrivò finalmente vicino e, vedendolo in lacrime, corse verso di lui.
- Minoru! - lo chiamò, buttandogli le braccia al collo.
Lui, a quel contatto, si lasciò cadere in ginocchio, esausto.
La ragazzina si affrettò a mettergli il ciondolo al collo. La pietra bianca brillò, e più intensa si faceva la sua candida luce, più quella del meteorite si affievoliva.
Quando la pietra aliena si spense del tutto Minoru riaprì gli occhi.
- K-Kyo... ka? - bisbigliò debolmente, sentendo le braccia della sorella stringerlo a sé.
La vocina continuava ad incitarlo, sopratutto contro la sorella, ma lui si sentiva troppo debole per muoversi.
Kyoka singhiozzò.
- Fratellino - disse lei, in lacrime. - Mi dispiace. Mi dispiace tanto. -
Lui rimase in silenzio qualche istante; poi, lentamente, ricambiò l'abbraccio e, finalmente, si rilassò.
- Sono sempre stata viziata e immatura. Ma ti prometto che cambierò e ti proteggerò. Così, se vorrai piangere, potrò sostenerti come tu hai sempre sostenuto me. -
- Piangere? - sussurrò lui. Era normale voler piangere, pensò in quel momento. Avevano sofferto molto, loro due.
Eppure, lui a un certo punto aveva smesso di versare lacrime. L'aveva fatto per essere forte e proteggere sua sorella.
Improvvisamente, fu come se la visione che aveva avuto quando era immerso nell'oscurità, durante gli ultimi esperimenti di Kenzaki su di lui, si fosse fatta più nitida.
Era lui che piangeva. Era il se stesso bambino che voleva sfogarsi, voleva piangere, aveva disperatamente bisogno di qualcuno. Se ce l'aveva tanto con Kyoka, era perché infantilmente la incolpava di averlo spinto a tenersi tutto dentro. Ma la colpa non era della sorella. Era lui che aveva preso da sé quella decisione. Se Kyoka era cresciuta viziata era anche colpa sua, che si addossava le responsabilità anche per lei.
In quel momento, prendendone atto, la vocina smise improvvisamente di farsi sentire, e Minoru provò uno strano sollievo all'altezza del cuore.
Ora Kyoka, nonostante stesse di nuovo piangendo come in passato, era pronta a sostenerlo, finalmente. Non aveva più bisogno di fingersi forte.
La strinse a sé e affondo il viso sulla sua spalla, coperta dai lunghi ricci scuri, sciogliendosi finalmente in lacrime.
- Sorellina - bisbigliò stancamente contro la stoffa del vestito. - Che stupido sono stato. Mi dispiace. -
Ma Kyoka si allontanò quel tanto che bastava per guardarlo in faccia, e sorrise, nonostante le lacrime che continuavano a rigargli il volto ormai livido. Nel guardarla, Minoru si sentì tremendamente in colpa per quello che era successo.
- Cosa ho fatto... - mormorò, accarezzandogli la guancia. - Sono impazzito del tutto - ammise.
Seijirou, con cautela, si avvicinò a loro. - È stato Kenzaki? - domandò. sapeva che fare domande in quel momento poteva sembrare maleducato, ma non avevano molto tempo.
Minoru si irrigidì, sentendosi a disagio, ma comprese di non poter evitare di dare spiegazioni. Annuì e si staccò dalla sorella.
- Ha accresciuto il potere del meteorite - spiegò, abbassando lo sguardo e posandosi la mano sul petto. - Non riuscivo a contenere il potere. Dovevo... distruggere. Dovevo sfogarmi in qualche modo. E poi quella voce... -
- Quale voce? - domandò Kyoka.
Il fratello la fissò, ponderando bene se confessarglielo o meno. Poi si disse che ormai lei era abbastanza forte.
- La mia. Il me stesso stufo di tenersi tutto dentro e badare a tutto senza mostrare debolezze - rispose, notando come l'espressione della sorella si fosse rapidamente fatta colpevole. - Non ho diritto di lamentarmi, io per primo cercavo di tenerti dentro una campana di vetro. Sapevo di sbagliare, ma ho sempre pensato che fosse Hiroki l'unico a saper fare sempre la cosa giusta. Riusciva a calmarci entrambi. Non sapevo più cosa fare e mi sentivo inferiore - si sfogò.
Ma Kyoka scosse la testa, sorrise amaramente. - Per me era così naturale che non mi sono mai resa conto di quanto fosse difficile per te. Grazie per avermi protetta per tutto questo tempo, ma ora cercherò di diventare più forte - assicurò. - Hiroki non c'è più, ma andremo avanti lo stesso. Andrà tutto bene, fratellino! Te lo prometto - sussurrò lei.
- Davvero, piccola Kyoka? E su che basi affermi una cosa del genere? - chiese qualcuno, la cui voce, per i presenti, era facilmente riconoscibile.
Kyoka sollevò la testa di scatto; Kenzaki Ryuuichi stava avanzando verso di loro lentamente, come se si stesse godendo il panorama quasi apocalittico che li circondava. Il lascivo ghigno palesava tutta la sua malvagità e mancanza di rimorsi per ciò che aveva fatto e, anzi, guardava i propri oppositori con meschina pietà.
- Kenzaki! - gridò Seijirou, furibondo.
Ma l'uomo lo ignorò e, guardandosi attorno, rise.
- Davvero un bel lavoro. Peccato sia tutto fumo e niente arrosto - sentenziò, posando poi lo sguardo su Minoru. - Peccato. Questa volta ero certo che avresti ubbidito. Evidentemente sei troppo pusillanime. -
- Come ti permetti? - gridò Kyoka, piena di rabbia, attirandosi lo sguardo spaventato di Minoru. - Sei un bastardo! È tutta colpa tua! -
- K-Kyoka, basta! - disse il fratello, seppur senza forze.
Midorikawa si alzò finalmente e si avvicinò ai gemelli, affiancandosi a Kyoka.
- Hai perso anche l'ultimo dei tuoi complici. Hai perso - affermò.
- Davvero? Prima di affermare questo, Reize, - iniziò, con una tranquillità che rendeva gli altri furiosi, - ti consiglio di guardarti attorno. -
A quelle parole sia lui che gli altri orfani iniziarono a voltare la testa a destra e a sinistra. Intorno a loro, degli uomini si stavano avvicinando, dirigendosi come zombie verso di loro.
Tutti, nello stesso momento, puntarono la pistola verso di loro, osservandoli con occhi vitrei.
- Sono gli agenti che avevamo mandato alla base! - esclamò Onigawara, capendo che erano stati usati come cavie da Kenzaki.
Ryuuichi sogghignò. - Sarete voi a morire, bambini - dichiarò, mentre gli agenti, ormai ridotti a corpi senza volontà, premevano il grilletto.






Note finali: Oh! T_T Il solo pubblicare questo capitolo mi commuove! È il capitolo maledetto! Non capite quanti problemi mi ha dato! Non riuscivo a scriverlo come volevo, l'ho cancellato e riscritto tre volte!
So quel'è il motivo: la verità è che, considerando la storia e i personaggi, Minoru e Kyoka avrebbero già ucciso tutti quanti! Ma non volevo che lo facessero, e siccome qui il calcio non c'entra e le cose non si risolvono con una partita, dovevo fare in modo che sopravvivessero tutti. Cosa non facile: volendo, i due gemelli avrebbero potuto uccidere tutti col pallone, bastava colpirli in testa XD
Per questo, cercando di trovare modi per non uccidere nessuno, cercavo di pensare a cosa stava succedendo, ma non ero mai soddisfatta. Nella mia testa ci sono sempre state delle scene, e volevo inserirle. Alla fine ce l'ho fatta! Non voglio leggere mai più questa capitolo! çOç
Nel prossimo ci sarà la lotta contro Kenzaki, e il 25 sarà l'ultimo capitolo. Yep, ho finito di scrivere Revenge!
Ho cercato fino all'ultimo di non farlo, ma temo che modificherà il rating, alzandolo.
Non so quanto decente sia questa capitolo, spero piaccia...
Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Il rumore degli spari fu talmente assordante che Kyoka, gridando, premette le mani sulle orecchie; piegò le gambe per rannicchiarsi e serrò gli occhi, cercando di proteggersi istintivamente.
Tremò per un istante che giudicò troppo lungo, così aprì lentamente gli occhi, prendendosi pochi secondi per mettere a fuoco il terreno.
I lunghi capelli ricci aleggiavano leggermente in aria, e la stoffa chiara del vestito intero che le aveva comprato Asako si muoveva appena, come se sospinto da un leggero venticello.
Confusa, sollevò la testa e si alzò. I poliziotti erano immobili, ben ritti con la schiena e con le braccia tese in avanti, puntandoli senza pietà e indifferenti alla stranezza appena avvenuta: le pallottole erano infatti sospese in aria, circondando il gruppo e vibrando appena, come se stessero cercando di opporsi a quella costrizione e di andare avanti.
La ragazzina si chiese cosa stesse succedendo ma, prima di poter dire qualcosa, un gemito la riscosse dai propri pensieri.
Vicino a lei, Minoru ansimava affaticato, grondando di sudore. Le braccia, tese ai lati, erano circondate da un'aura viola.
A poco a poco tutti si resero conto di essere ancora tutti vivi e che il ragazzino stava tenendo a bada le pallottole, fermandole con l'energia che il meteorite gli aveva donato, e lo fissarono stupiti.
- Minoru - esalò Kenzaki, vagamente infastidito. - Pensavo fossi abbastanza intelligente da evitare di metterti in mezzo e farmi arrabbiare. -
Kirishima digrignò i denti, lanciando all'uomo uno sguardo pieno di risentimento.
- Sai cosa me ne importa, di farti arrabbiare! - gridò. Avrebbe voluto muoversi, ma la consapevolezza di dover rimanere immobile per tenere ferme le pallottole bloccò sul nascere l'azione, causando solo una specie di sussulto.
Ryuuichi sogghignò, assottigliando gli occhi e fissandolo.
- Peccato. Ormai il tuo destino è segnato, ma se avessi completato la missione avrei risparmiato la tua sorellina - affermò, in tono minaccioso.
Sentendosi nominare, Kyoka sussultò e ringhiò leggermente, stringendo forte i pugni.
- Sei spregevole! - affermò, avanzando. - Minoru non è come te, noi non siamo come te! Non pensare di poterci controllare ancora! -
L'uomo scoppiò a ridere, con un atteggiamento tanto rilassato da far innervosire i presenti.
- Perché, pensi forse che abbia ancora bisogno di voi? - domandò poi, placando l'ilarità. - Ti senti tanto sicura in mezzo a loro, Kyoka? - domandò. - Credi che riusciranno a proteggervi da me? -
La ragazzina non gli rispose, né aveva intenzione di farlo: si limitò a serrare la mascella in un'espressione di fastidio.
- Ah, non importa - disse con spensieratezza Kenzaki, scrollando le spalle. - Tanto stai per scoprirlo. Vi ucciderò io stesso, tutti quanti - sibilò.
- Credi che te lo permetterò, bastardo? - urlò Minoru, alzando il braccio destro. Obbedendo al suo movimento, anche le pallottole si mossero, librandosi verso l'alto e, quando il ragazzino dagli occhi viola abbassò di scatto l'arto, i proiettili si diressero con velocità verso Kenzaki.
L'uomo osservò annoiato gli oggetti sfrecciare nella sua direzione, infine ghignò.
Quando le pallottole furono a pochi centimetri dal suo corpo, rimbalzarono all'indietro con così tanta forza da raggiungere alcune persone, fortunatamente non con così tanta velocità per trafiggerli.
I presenti sussultarono. Per un attimo, fu come se Kenzaki fosse stato circondato da una barriera invisibile.
- Che diavolo è successo? - mormorò Coral, mentre una goccia di sudore gli attraversava la guancia.
Ma, al contrario di lui, alcuni suoi fratelli, e non solo, compresero subito la situazione.
- N-non è possibile... - balbettò Minoru, indietreggiando.
Di nuovo, Ryuuichi si mise a ridere.
- Sì, è proprio così - confermò, esibendosi in un grande e malvagio ghigno, scostandosi la cravatta e sbottonandosi un paio di bottoni all’altezza del petto, facendo intravedere la pietra aliena.
I presenti rimasero interdetti. Per qualche strana ragione, che Kenzaki si impiantasse il meteorite sembrava un'ipotesi impensabile.
- Mi stupisce, - disse infatti Seijirou, - che tu sia arrivato a tanto, pur conoscendo i suoi effetti collaterali - spiegò, ben lungi dall'essere in pena per la salute del suo ex-collaboratore. - Sei dunque disposto a rischiare in prima persona, pur di ottenere vendetta? -
- Sei gentile a preoccuparti per me, Kira Seijirou - rispose l'altro uomo, ironicamente. - Ma stai pure tranquillo: non sono certo come i tuoi inutili figli, né come questi ragazzini - affermò con sicurezza.
Gli orfani del Sun Garden, risentiti da quelle parole, si irrigidirono tutti. Ma il proprietario dell'orfanotrofio si limitò a corrucciare la fronte.
- Ho sempre avuto intenzione di utilizzare i poteri della pietra, sin da quando ho scoperto di avere un alto tasso di compatibilità col meteorite. D'altronde, il piano originario prevedeva di utilizzare Reize, - spiegò, lanciando un'occhiata a Midorikawa che lo fissava con astio, - ma ci sarebbe stato bisogno di sbarazzarsi di lui dopo - dichiarò, osservando gli interlocutori con uno sguardo malevolo. - Ho atteso di concludere i miei esperimenti, per poter utilizzare appieno le potenzialità della pietra. Con questa forza, nessuno potrà più opporsi a me! Non finirà come l'altra volta! Ho fatto male ad affidarmi a te due anni fa, Kira Seijirou. Pensavo fossimo sulla stessa lunghezza d'onda, e di poterti sfruttare fino alla fine. Invece ti sei lasciato irretire da un gruppetto di inutili, illusi ragazzini che avresti potuto scatenare contro il mondo in modi più efficaci. Non sei che un perdente. Ormai ho capito che posso fidarmi solo di me stesso. -
- E pensi davvero di poter evitare le conseguenze, Kenzaki Ryuuichi? - domandò con freddo disprezzo Seijirou. - Sai benissimo che, col tempo, le radiazioni aliene del meteorite, quelle che donano una forza non umana, consumano il corpo. -
L'altro uomo rise, divertito. - Certo che sì. Ma vedi, il mio meteorite è connesso direttamente ai vasi sanguigni - dichiarò con sicurezza, facendo un passo avanti e mostrando all'uomo le vene ingrossate e colorate di un’innaturale tonalità viola scuro. Minoru percepì la sua barriera d’energia, che gli aveva permesso di fermare le pallottole, vibrare come se stesse risentendo della vicinanza dell'uomo. Fece una smorfia di fatica.
Seijirou sobbalzò, sconcertato.
Kenzaki continuò: - Non avrò alcun problema, il mio corpo si è totalmente adattato al potere. -
- Una cosa del genere... - non si trattenne dal ragionare ad alta voce Kira. - Potresti non essere più capace di vivere senza quel frammento! E nemmeno essere considerato un essere umano! -
Ma Ryuuichi, senza mostrare alcun rimorso, rise. - Che importanza vuoi che abbia? Gli esseri umani sono stupidi e deboli. Limitati, assolutamente limitati! Io ora ho le capacità di diventare il signore del mondo. Che dico, il dio del mondo! - esclamò, infervorandosi. Rise, come se già si pregustasse un futuro roseo.
- Questo è pazzo - bisbigliò Nozomi, in preda all'inquietudine.
- E noi gli portavamo pure rispetto, due anni fa! - ribatté Gale, vergognandosi ancora di più del proprio passato alla Aliea.
Seijirou corrucciò la fronte. "Sì, decisamente un tempo eravamo sulla stessa lunghezza d'onda. Fortunatamente qualcuno mi ha fatto comprendere che stavo sbagliando. Ora riesco a vedere quanto folli e contorti siano questi pensieri, questi desideri" pensò. "Io odiavo il mondo, convinto che chi lo abitasse fosse solo gente corrotta, tu lo disprezzi perché ti senti superiore. Ma cosa ti renderebbe migliore di questi ragazzini, Kenzaki?"
- Bene, è ora di finirla con questa storia - affermò improvvisamente Ryuuichi, con improvvisa impazienza. - Sono stato anche troppo gentile con voi. È ora di ottenere la tanto agognata vendetta, e di prendermi ciò che mi spetta: la supremazia! -
Un'aura invisibile, sotto forma di vento, iniziò a circondarlo, i vestiti e i capelli ondeggiarono leggermente.
A poco a poco l'energia aumentò, e l'onda d'urto scaraventò lontano gli agenti soggiogati a causa degli esperimenti. Onigawara si preoccupò di osservarli una volta atterrati e capì che non c'era nulla da fare dalla posizione innaturale degli arti.
Fu solo grazie a Minoru che il gruppetto di orfani rimase al suo posto, solo infastiditi dal vento.
Kenzaki rise. - È inutile, Minoru - disse a voce alta, poiché il sibilo delle correnti generate che sfregavano tra loro era piuttosto forte. - Quanto tempo credi di resistere? Hai già consumato gran parte dell'energia, ed è impossibile che tu riesca a competere con la mia forza! -
Minoru non poté rispondere, troppo impegnato a fronteggiare l'uomo, ma quest'ultimo ghignò. - Il tuo corpo è ormai distrutto. Se continui così morirai! - dichiarò.
Kyoka sussultò e si voltò verso il fratello. - Minoru! - lo chiamò, allarmata. Era ormai consapevole delle distruttive conseguenze che il meteorite aveva sul corpo umano e, per quanto fosse possibile attutirli con il ciondolo bianco, in caso di danni fisici gravi non si sarebbe potuto fare niente.
Non voleva che il fratello si ferisse o, peggio, morisse. Non avrebbe potuto sopportare di perdere anche lui.
Kirishima sentiva su di sé gli sguardi degli altri, sopratutto quello disperato della gemella, ma non si distrasse. Cercò tuttavia di fare uno sforzo e parlare.
- Se mi arrendessi, tu ci uccideresti tutti. Non te lo permetterò mai. Ho sbagliato, e se necessario pagherò con la vita i miei errori - ribatté tranquillamente, poggiando la mano sulla pietra bianca, pronto a strapparsela via per attingere al 100% della potenza del frammento alieno.
- No, cosa stai dicendo? - esclamò Midorikawa, che seppure avesse fatto quello stesso ragionamento ne capiva l'ingiustizia.
- Minoru, non farlo! - gridò Kyoka, afferrandolo per il braccio destro. - Non adesso che stava per finire tutto! - disse, singhiozzando. - Io voglio tornare a casa con te, e riprendere la nostra vita! Non posso perderti! -
Ma il gemello le sorrise. - Sono certo che riuscirai a cavartela. Ormai sei forte abbastanza. -
Ma Kyoka scosse la testa, lasciando che le lacrime zampillassero lente dagli occhi e galleggiassero per aria per qualche secondo a causa dell'energia che le stava attorno, prima di cadere a terra. - Perché solo tu? Perché non possiamo farlo insieme? - gridò, desiderando in quel momento di riavere i propri poteri, stavolta per usarli a fin di bene. - Non è giusto! Non è giusto! -
Minoru non le rispose, ma lanciò un'occhiata a Midorikawa. Il sorriso si spense. - La affido a voi - disse, rivolto a Ryuuji, in tono duro. Ancora non riusciva a rivolgersi a lui come se nulla fosse, ma ammetteva che, in quei giorni, si fosse dimostrato meritevole, se non del perdono, almeno della fiducia.
L'ex-capitano della Gemini Storm lo fissò qualche istante, come se fosse indeciso sul da farsi. Per quanto ingiusto fosse, Minoru era effettivamente l'unico a poter competere con Kenzaki.
Non ebbe la forza di annuire e dargli ragione, ma Minoru notò il cambiamento nello sguardo dell'altro e, rassicurato, si strappò il ciondolo con forza. La pietra bianca volò via, sospinta dalla forza dei due campi di energia che di scontravano l'uno contro l'altro.
Seijirou e gli altri dovettero coprirsi gli occhi per proteggersi dall'immenso bagliore dei due frammenti di meteorite.
Quando riuscì ad abituarsi alla luce, l’uomo riuscì a intravedere Kenzaki e Minoru sospesi in aria, a qualche metro d'altezza, impegnati in uno scontro non solo di potenza, ma sopratutto di resistenza.
Minoru gridò per lo sforzo e per il dolore che percepiva su tutto il corpo, per la prima volta gli sembrò di sentire chiaramente l'energia della pietra danneggiargli le carni.
Kenzaki espandeva il campo di forza senza apparentemente risentirne, e questa forza si abbatteva su di lui, schiacciandolo e causandogli altre forti fitte.
Sentiva chiaramente i muscoli tirarsi fino quasi a lacerarsi. Ma doveva resistere. Non poteva credere che Kenzaki riuscisse a non risentire del potere della pietra. Non era affatto speciale o diverso. Prima o poi avrebbe finito l'energia e sua sorella sarebbe stata salva.
Incurante di trattenersi, strizzava gli occhi e gridava, sentendo a malapena le grida preoccupate della sorella, cercando solamente di stare al passo con la forza del nemico. Non si rendeva conto che non solo la sua energia aveva smesso di aumentare, ma si stava affievolendo e che a danneggiarlo era solo la forza dell'avversario.
Ryuuichi, a quel punto annoiato, decise di porre termine allo scontro. Gli bastò un movimento del braccio per distruggere la barriera che aveva creato Minoru. In quel momento anche la pietra sul petto del ragazzino si frantumò in pezzi piccoli che si dispersero nell'aria.
Minoru sentì come se la tensione del suo corpo di fosse spezzata all'improvviso, provocandogli quasi uno shock. A tensione allentata, si sentì quasi mancare.
L'onda d'urto scaraventò tutti a molta distanza, fino a farli scontrare contro un grosso cumulo di macerie che si sparpagliarono sul terreno.
Ancora a mezz'aria, Kenzaki li osservò con soddisfazione. La vista dei loro corpi accasciati a terra gli sembrava la rappresentazione della propria superiorità, la prova di essere degno di dominare il mondo.
Rise.
- Vi rendete conto di quanto siete patetici? Credete ancora che la forza della volontà e dell'amicizia vi possa salvare, o siete davvero così folli da credere di potercela fisicamente fare contro di me? -
Gli orfani, a poco a poco, si rialzarono a fatica, condividendo il medesimo sentimento di collera verso l'uomo.
Solo Minoru rimase riverso a pancia in giù, immobile.
- Minoru! - esclamò la sorella, alzandosi e correndo da lui. Aiutata da alcuni degli orfani, lo capovolse, scoprendo con sollievo che era ancora cosciente.
Kirishima ansimava ad occhi socchiusi, impossibilitato a muoversi. Non percepiva più il corpo, come se fosse paralizzato.
- Mi dispiace, Kyoka! - mormorò a fatica. - Non ce l'ho fatta. -
La sorella singhiozzò e si piegò per abbracciarlo, provando uno strano sentimento di indifferenza verso la drammatica situazione in cui, oramai, versava il mondo intero.
- Non è colpa tua. Non è mai stata colpa tua. Kenzaki è un pazzo - sussurrò.
Kenzaki si mise a ridere, sentendosi vincitore.
- Bene, spero che ora la situazione vi sia chiara - disse. - E adesso osservate attentamente, così che possiate morire con la consapevolezza di essere inferiori a me! -
L'uomo alzò la testa, sollevando appena le braccia piegate ai lati, come per concentrarsi su qualcosa.Percepì i muscoli pulsare, sensazione causata dalla forza del meteorite dentro di lui, segno che ormai il proprio corpo era tutt'uno con la pietra.
Man mano che la potenza aliena scorreva dentro di sé, i vasi sanguigni si gonfiavano e lentamente diventavano ben visibili lungo il collo e il viso, sotto la sua pelle pallida.
La terra iniziò a tremare leggermente. Seijirou, Onigawara e i ragazzini si guardarono istintivamente attorno, allarmati.
Il cielo iniziò velocemente a scurirsi, fino a diventare di un innaturale colore viola acceso. Le nubi erano scure e minacciose.
- Sembra davvero la fine del mondo - osservò cupamente Fumiko, rimanendo inginocchiata a terra, come attendendo la morte.
Kyoka si strinse di più a Minoru. C'era chi imprecò, chi scoppiò a piangere, abbracciando chi aveva vicino senza più sperare di potercela fare.
Nessuno ebbe il coraggio di opporsi, ormai consapevoli che nulla si potesse fare.
Poco distante dal luogo dello scontro, anche chi era rimasto in ospedale si mise a osservare il cielo in muta rassegnazione e gli ignari abitanti della città ormai mezza distrutta, ancora in attesa di capire cosa stesse succedendo, assistettero a quell'inquietante spettacolo con sconcerto, pregando le divinità a cui credevano di avere pietà.
Seijirou fissava con ostinazione Kenzaki. Era serio, come per cercare ancora una via d'uscita, come se non si fosse ancora arreso.
Ryuuichi rideva soddisfatto, gli occhi brillavano di una pura e contorta felicità; sembrava un bambino che vedeva il proprio sogno nel cassetto avverarsi.
"Non solo avrò la mia vendetta, ma potrò avere il dominio del mondo. Ucciderò chiunque osi mettersi contro di me!" pensò.
Ma improvvisamente l'uomo si zitti e si irrigidì, e Kira si alzò di scatto.
Lo sguardo di Kenzaki mutò improvvisamente: spalancò gli occhi, la bocca si contorse in una smorfia di dolore.
Le vene si ingrossarono sempre più, ormai visibili in tutto il volto. Gli occhi erano talmente aperti che sembrava dovessero balzargli via dalle orbite.
- Ma cosa...? - riuscì a gridare, con voce acuta e irritata. - Che cosa sta succedendo? - urlò ancora.
La terra tremò più forte e i ragazzini cercarono di proteggersi, lasciando che l'istinto di sopravvivenza avesse la meglio sulla rassegnazione.
Il vento iniziò a soffiare forte, generato dalla forza incontrollata del meteorite.
Kenzaki gemette in un suono soffocato, senza riuscire a dire nulla. Percepiva ancora la forza dentro di sé, ma non riusciva più a manovrarla a suo piacimento. Proprio come Minoru, adesso quella forza la percepiva ostile e pericolosa. Dal dolore che si era espanso per tutto il corpo, comprese che lo stava distruggendo ma, con uno sguardo allibito, decise di negare quella verità.
Ben presto tutti si accorsero che l'aria era cambiata: la terra smise di tremare e l'energia si espandeva velocemente ma, seppur tanto potente da danneggiare quel poco che rimaneva nei paraggi, non risultava più così concentrata da essere una vera e propria minaccia, almeno per le persone.
- Ha perso il controllo - mormorò tra sé Kira, aggrottando la fronte.
Kenzaki tossì, piegandosi col busto. Un copioso rivolo di sangue uscì dalla sua bocca.
Gli orfani del Sun Garden si alzarono, osservando il nemico contorcersi.
Così pieno di vene, che gli donavano un colorito verde-azzurrino, con gli occhi innaturalmente sporgenti, l'uomo sembrava veramente un alieno.
- Cosa succede? - domandò Hiroto, sconcertato.
Nel sentire una voce, Kenzaki si voltò verso di loro con sguardo spiritato. Dalla sua bocca uscì un verso simile a un sibilo.
Alcuni ragazzini indietreggiarono, disgustati.
- No! No, io ho il potere! - urlò Kenzaki a fatica, quasi risentito dalla propria condizione. Si guardò le mani ormai quasi deformate dai muscoli troppo tesi e dai vasi sanguigni. - Non c'è dubbio che io possa resistere al potere del meteorite! -
Ma, come se il suo stesso corpo volesse obbiettare a quella affermazione, Kenzaki sentì le vene ingrossarsi ancora di più, e provò una sensazione di soffocamento.
Tutto il corpo si gonfiò velocemente e in modo innaturale, diventando completamente di un acceso colore viola simile a quello del meteorite. Qualcuno distolse lo sguardo, scioccato da quella vista.
Il grande potere che l'uomo credeva non potesse nuocergli gli si stava invece rivolgendo contro; ormai pregno della forza aliena, i muscoli si stavano gonfiando fino a stringergli gli organi interni, dolendogli e soffocandolo. Ryuuichi, per quanto stesse cercando di bloccare l'energia per poter tornare normale, non riuscì a fermare questo processo.
Kyoka, ancora inginocchiata e abbracciata al fratello, osservava con orrore la scena. Avrebbe voluto distogliere lo sguardo ma, quasi per punirsi, si fece forza e non si voltò.
"Forse anche io e Minoru avremmo fatto questa fine" pensò.
Per quanto l'aria circostante fosse ancora innaturale, era ormai chiaro che Kenzaki non fosse più in grado di fare nulla.
Onigawara, indifferente solo in apparenza, sospirò, prendendo una decisione. Fece qualche passo avanti e afferrò la pistola.
- Allontanatevi - esalò solamente, senza smettere di osservare Kenzaki.
Gli altri guardarono l'uomo, senza osare dire nulla. Solo quando sentirono il detective pronunciare un impaziente 'veloci' sembrarono ridestarsi dallo shock e alzarsi con fatica.
Seijirou li guidò qualche metro lontano e disse loro di chiudere gli occhi e le orecchie.
Ma, per quello che lo riguardava, lui preferì assistere all'epilogo definitivo.
Onigawara, mantenendo stoicamente il sangue freddo, sollevò la pistola con entrambe le mani.
Kenzaki lo fissò scandalizzato, quasi stupito di star permettendo all'uomo davanti a sé di muoversi come gli pareva, ma il suo corpo ormai non rispondeva più al suo volere, totalmente paralizzato da una forza superiore.
- Ti farò lasciare questo mondo con un aspetto il più possibile dignitoso, Kenzaki Ryuuichi - l'uomo pronunciò quelle parole con calma. - Considerando quanto odi il genere umano, e quanto superiore di senti a noi, forse non lo considererai un favore, ma ritengo che nessuno, per quanto deprecabile, meriti il destino che ti aspetterebbe altrimenti - concluse, prima di premere il grilletto.
La pallottola colpì l'uomo in mezzo gli occhi, la sua testa si piegò appena all'indietro per poi tornare subito tornò alla posizione originaria.
Ora la pelle gonfia della faccia era rovinata da un buco, da cui non riusciva nemmeno più a uscire sangue a causa dell’aura dell’uomo.
L'intensa luce della pietra si affievolì gradualmente, fino a spegnersi del tutto.
L'espressione di Kenzaki non era cambiata, e gli occhi erano ancora spalancati, ma Onigawara sapeva che era già morto.
Negli istanti successivi il vento si placò, il cielo si rischiarò velocemente.
Kenzaki crollò a terra con un sordo tonfo, e lì rimase, ormai esanime, mentre finalmente una pozza dal colore vermiglio si espandeva ormai libero da costrizione nel terreno..
Sia il detective che Kira Seijirou sospirarono, in parte sollevati e in parte turbati.
- È finita - mormorarono contemporaneamente i due uomini.
Il silenzio che seguì fu quasi innaturale. Torahiko, ex-Fadora della Epsilon fu il primo a sollevarsi e, guardando oltre un muretto, controllò la situazione.
- L'ha ucciso? - domandò sconcertata Honoka, come se, nonostante tutto, la trovasse un'ingiustizia.
- Non rimaneva altro da fare - le rispose Seijirou, con ancora lo sguardo fisso sull'ex-collaboratore. Anche lui sembrava non essere rimasto indifferente ad una simile conclusione, più che altro gli dispiaceva il fatto stesso che Kenzaki fosse quasi arrivato a distruggersi per pura follia. - Credeva di poter resistere al meteorite, ma un essere umano non può entrare a contatto con un potere alieno e rimanere illeso. Avete visto anche voi, il suo corpo stava mutando. Non era più in grado di fare nulla, avrebbe solo sofferto lentamente - spiegò, grato di non essere mai arrivato a quei livelli in passato, nonostante si dichiarasse, al tempo, pronto a tutto per ottenere la sua vendetta.
Il pensiero che fosse finalmente finita, e meglio di quel che un po' tutti avevano temuto, sembrava ancora una lontana fantasia, tanto il ricordo dell'energia, del dolore, e del terremoto erano ancora vividi nelle loro menti.
Nessuno ebbe il coraggio di fiatare per lunghi secondi.
Poi, lentamente, qualcuno cominciò a sospirare.
Kyoka, stringendo ancora a sé il gemello, alzò lo sguardo e osservò il cielo, trovandolo di un color celeste così intenso e piacevole che sembrava farsi beffe della vicenda che si era appena conclusa. Socchiuse appena la bocca, ispirando l'aria, e mentalmente ripercorse quelle ultime settimane.
Nonostante la spossatezza, trovò la forza di sorridere.
- Fratellino, hai visto? Kenzaki non c'è più! Ha avuto quello che si meritava! Te l'avevo detto che non era troppo tardi! - esclamò, ridestando, con la sua voce squillante e, dopo tanto tempo, ancora energica, gli orfani.
Nel pronunciare quelle parole abbassò lo sguardo, e subito notò qualcosa che non andava.
Minoru non le rispose. Giaceva privo di conoscenza tra le sue braccia, con gli occhi serrati e la bocca semi aperta.
La sue pelle aveva assunto una tonalità troppo chiara, che strideva completamente con la tuta nera.
- Fratellino? - lo chiamò ancora lei, con più insicurezza, mentre gli altri si avvicinavano con cautela. Gli poggiò una mano sulla guancia sinistra, sentendola gelida. Temette che il suo corpo, ormai privo di forza, avesse ceduto, e si fece prendere dal panico. Iniziò a scuoterlo. - Fratellino! Minoru, apri gli occhi! - gridò, in lacrime.
Seijirou la raggiunse e cercò di fermarla, temendo che potesse peggiore la situazione.
Osservò qualche secondo Minoru e riuscì a notare il leggero movimento del suo petto.
"Respira ancora!" pensò. Attirò l'attenzione di Onigawara che prontamente chiamò l'ambulanza.
Il numeroso gruppetto si strinse attorno a loro.
- Minoru! - lo chiamò ancora Kyoka, piangendo. Benché non potesse conoscere le reali condizioni del fratello, ormai sapeva che il meteorite poteva portarlo alla morte.
Minoru aveva cercato di proteggerli, e già precedentemente aveva usato l'energia della pietra. Il suo corpo poteva essere ridotto troppo male.
Seijirou le posò una mano sulla spalla.
- Non è ancora tutto perduto - cercò di tranquillizzarla, credendoci veramente.
Minoru era sicuramente in pericolo, ma se respirava ancora forse poteva avere la forza di resistere, proprio come Midorikawa.
Medici e polizia arrivarono qualche minuto dopo, portando via loro e i corpi senza vita di Kenzaki e degli agenti che erano stati mandati alla base di Aisai.
Il luogo che fino a poche ore prima era stata una vivace città rimase deserto e silente, lasciando come prova dei terribili avvenimenti solo le macerie.








Note finali: mi scuso per il ritardo. Considerando che questo capitolo è pronto da tempo, sono veramente imperdonabile XD Dovevo aggiornare a metà mese, così da pubblicare l'ultimo capitolo a inizio maggio, poi non ho avuto tempo.
Come avevo annunciato, ho alzato il rating, a causa della condizione e della morte di Kenzaki. Nulla di troppo cruento, però per sicurezza ho messo l'arancione. A immaginarmi la scena, almeno, non l'ho ritenuta per tutti, ecco. E mi spiace, perché volevo tenere un rating basso per questa fiction, ma scrivere solo che Onigawara gli spara mi sembrava troppo poco.
La storia è finita, manca solo l'epilogo. Spero sia una fiction decente dall'inizio alla fine. Certo che mi ha fatto penare XD Sembra quasi irreale, è davvero passato più di un anno da quando ho iniziato questa storia? Ho finito con l’affezionarmi a Minoru e Kyoka, e mi ritengo soddisfatta di essere riuscita a caratterizzarli come volevo. Inserire OC è rischioso, si rischia di non renderli bene. Spero di essere scampata a questo pericolo.

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Kyoka era rimasta immobile, con lo sguardo puntato sulle proprie scarpe, quando i medici uscirono dalla sala operatoria pronti a dare un responso.
Aveva atteso per un tempo che le era sembrato infinito, stretta tra braccia dei suoi tutori, che si trovavano già all'ospedale militare quando lei era tornata insieme agli altri.
Essendo troppo in pena per il fratello, non aveva ascoltato i discorsi degli altri, che oltre alla preoccupazione generale per Minoru si erano interessati anche alle condizioni della città e degli abitanti, alla fine che avrebbe fatto il corpo di Kenzaki, degli agenti e di ciò che sarebbe accaduto alle basi della Aliea, come per essere sicuri che non ci fosse più nulla che potesse minacciarli in futuro.
Ma quando la porta della sala operatoria si aprì, il silenzio calò improvvisamente nella stanza.
Uno dei medici si avvicinò subito ai tutori legali del paziente, e Saburo avanzò di qualche passo, come se avesse fretta di raggiungere l'uomo.
Il frammento di meteorite era stato estratto con prudenza e, com’era accaduto con Midorikawa, ora sembrava che il ragazzo avesse bisogno di un lungo periodo di riposo per riprendere abbastanza forze da essere in grado anche solo di aprire gli occhi.
Tranquillizzata in parte da quello che aveva sentito, Kyoka sollevò lo sguardo posandolo, speranzosa, sul dottore.
Anche Midorikawa e gli altri orfani, che già avevano vissuto una cosa simile, sospirarono.
Il medico, tuttavia, mantenne un'espressione cupa in volto.
- Molti muscoli del corpo sono danneggiati - lo sentì continuare. - E anche molti organi interni, seppur in misura minore, hanno risentito del lungo stress. Non posso dire quando si sveglierà, ma dubito riuscirà mai a riacquistare completamente le capacità motorie - dovette specificare.
Kyoka rabbrividì, non riuscendo ad impedirsi di ragionare su ciò che quella frase avrebbe potuto dire. Minoru sarebbe rimasto paralizzato? O avrebbe potuto muoversi, anche se a fatica?
Immersa in quei pensieri, quasi non si accorse che Asako l'aveva stretta più forte a sé.
- Non sembra aver riportato lesioni al cervello, almeno - volle poi aggiungere il medico, abbozzando un sorriso.
Saburo rimase in silenzio qualche istante, poi annuì.
- La ringrazio per quello che ha fatto - mormorò, accennando un inchino.
- Possiamo vederlo? - domandò con impazienza Kyoka, staccandosi dalla madre adottiva e facendo un passo verso l'uomo. Non ebbe il coraggio di chiedere altro sulle condizioni di Minoru, voleva solo andare da lui e stargli vicino.
Al cenno affermativo del dottore Kyoka si diresse subito verso la stanza, prontamente bloccata dal padre adottivo.
- Aspetta che venga trasferito in una stanza, Kyoka - le disse col solito tono severo, a cui lei non era quasi più abituata.
La ragazzina fremette, ma il padre aveva ragione, così cercò di stare calma e avere pazienza. Abbassò lo sguardo, rassegnata, e solo allora Saburo le lasciò il braccio, e la avvicinò a sé accarezzandole la testa.
Quando il dottore salutò e se ne andò, Kyoka si concesse di piangere.
- Cosa succederà a Minoru? - domandò ai suoi tutori, ma i due adulti non seppero cosa risponderle.

Dalla morte di Kenzaki erano passate due settimane.
Il corpo dell'uomo era stato prelevato dalla polizia, e il frammento era stato tolto, seppur a fatica e con invasivi interventi, dal cadavere che, non più influenzato dal potere alieno, era tornato alla forma normale.
Né Seijirou né gli orfani avevano voluto sapere altro, preferendo rimanere vicino a Kyoka e ai suoi tutori.
Minoru non si era ancora svegliato e, seppur i medici continuassero a ricordare loro che le condizioni del ragazzino erano stabili, l'angoscia era quasi palpabile.
Asako e Saburo trovavano un leggero conforto nel discorrere con i ragazzini dell'orfanotrofio, sebbene fossero in parte i responsabili del loro dolore.
Midorikawa si era scusato più volte, ma era proprio lui, essendo sopravvissuto a condizioni simili a quelle del giovane Kirishima, a rappresentare la speranza maggiore.
Sia loro che Kyoka erano pronti a lasciarsi alle spalle quella brutta avventura e a concentrarsi solo su Minoru, senza più pensare a chi fosse colpevole o chi meritasse punizioni o meno.
Ma per il fondatore del Sun Garden era giunta l'ora di tornare in prigione e, sebbene Onigawara avesse messo in chiaro fin dall'inizio che, una volta risolta quella strana e complicata situazione, l'uomo sarebbe dovuto tornare in carcere, Kira non poteva che essere dispiaciuto per la nuova separazione con i suoi figli.
- Dovete davvero riportarlo dentro? - pigolò Ruru, sfoderando con sfacciataggine la sua più dolce espressione, con tanto di occhi lucidi e mani strette l'una sull'altra quasi in segno di preghiera.
Il detective, che era venuto per scortare Seijirou, li fissò con la solita indifferenza.
- Mi dispiace, ma devo farlo - rispose.
Ruru decise allora di cambiare completamente strategia, assumendo immediatamente dopo un'espressione malevola, ma un'occhiataccia di Reina, che conosceva fin troppo bene la ragazzina di buffi codini viola, bloccò sul nascere qualsiasi sua altra intenzione.
- Non potreste rilasciarlo per buona condotta? O almeno dargli i domiciliari? - insistette Rumi, ex-Moll alla Epsilon.
All'ennesimo rifiuto dell'agente, gli orfani iniziarono a parlare tutti insieme, per quanto alcuni, come Hiroto o Saginuma, cercassero di placare gli animi.
Nel caos generale si poterono distinguere esclamazioni come un "Ma ormai si è pentito" detto da Maki, e Gigu sbottò un secco "Ormai non ci condizionerà più" con tanto di sfogo prendendo a pugni il braccio di Netsuha. Il malcapitato si massaggiò l'arto colpito e diede una leggera spinta al fratello per vendetta.
L'ordine venne ristabilito solo quando Hitomiko gridò loro di fare silenzio, ricordando che si trovavano comunque in un ospedale, e che nella stanza in cui si trovavano in quel momento c'erano ancora i loro fratelli feriti.
E, in effetti, Nagumo, Diam, Nemuro, Karon, a cui Minoru aveva rotto il braccio durante l'ultimo scontro, e chi era rimasto ferito in precedenza, stavano assistendo alla scena chi steso sul rispettivo letto chi in disparte, questi ultimi come se si sentissero impotenti di fronte all'allontanamento forzato del padre.
Seijirou accorse in aiuto di Onigawara frapponendosi tra loro.
- Calmatevi, per favore - esordì col solito tono conciliatorio. - Mi piacerebbe stare con voi, ma ho ancora parecchi anni di galera da scontare. È giusto così. -
- È vero che aveva detto che nostro padre sarebbe dovuto tornare in carcere quando sarebbe finito tutto - disse allora Hiroto, più calmo ma non per questo meno addolorato degli altri, - ma con tutto quello che è successo, ormai dovrebbe aver capito che non è più malvagio. -
Accanto a lui, in molti annuirono.
Onigawara sospirò. - Questo lo so anch'io, ma ho potuto far uscire il signor Kira solo con la promessa di riportarlo in prigione - spiegò. - Non sono io a decidere, in ogni caso. -
- Se noi, o i Kirishima, non l'abbiamo meritato, perché nostro padre sì? - s’intromise Midorikawa, il cui pensiero di meritare a sua volta il carcere stava ancora torturando la coscienza.
Il detective rifletté qualche istante sulla risposta da dargli, ma Seijirou prese nuovamente parola: - Io non ho solo spinto voi a fare quello che avete fatto. Per poter avviare il progetto Aliea ho commesso innumerevoli altri reati, ed è giusto che paghi per ognuno di essi. Non mi sento buono, benché io ora abbia capito che aver fatto troppi errori. Ho certamente la coscienza più sporca della vostra. -
"Non che io ce l'abbia più pulita, comunque" pensò Ryuuji, abbassando lo sguardo al ricordo di aver ucciso una persona.
Lui non l'aveva fatto con quell'intenzione, mentre Seijirou aveva sempre agito con consapevolezza, per questo i giudici avevano ritenuto giusto punirlo. Midorikawa aveva infine capito che era solo quella, la differenza tra loro e il padre. Ma non era ancora facile, sopratutto per lui, accettare quella situazione.
L'uomo aveva intenzione di continuare, ma venne interrotto da Touji.
- Ma tu sei buono, padre! - esclamò, afferrandogli il soprabito blu. - Certamente, non sei paragonabile a Kenzaki, o noi non saremmo vivi! -
- Hai sbagliato a quell'epoca, ma avevi le stesse ragioni dei Kirishima! - fece notare Kazuo, ex-Satosu della Prominence, in tono quasi offeso.
- E poi noi abbiamo bisogno di te - affermò invece Ai. - Vogliamo ritornare ad essere tutti uniti! -
Ma, a quelle ultime parole, Seijirou sorrise e scosse la testa.
- Oh no, non avete affatto bisogno di me per esserlo. Siete molto forti, e l'avete dimostrato. Sono davvero fiero di voi. Non credo di avere il diritto di sentirmi un padre orgoglioso dei propri figli, e ancora adesso stento a credere che voi mi vogliate ancora bene dopo tutto quello che vi ho fatto, ma non posso fare a meno di essere contento per come avete affrontato i pericoli, preoccupandovi sempre gli uni per gli altri e aiutandovi a vicenda - disse, osservando i volti quasi increduli dei suoi figli. - Ricordate di aver sempre fiducia in voi stessi, ma anche negli altri. Nessuno è perfetto, ma si può sempre chiedere aiuto. Rimanete sempre legati, come una famiglia. -
Molti degli orfani abbassarono lo sguardo, non riuscendo a trovare le parole adatte per ribattere. Alcuni erano sul punto di piangere.
Hitomiko sorrise, come sempre quando vedeva certe scene. Anche a lei dispiaceva vedere ancora il padre andare via, per quanto cercasse di nasconderlo.
Infine Hiroto annuì con convinzione.
- Sì. Noi siamo una famiglia grazie a te, padre. Anche se adesso tornerai in prigione, non è detto che prima o poi non ti concedano di uscire. La promessa che ti feci due anni fa è ancora valida. Io... noi ti aspetteremo sempre. -
Seijirou li guardò un'ultima volta, osservò i loro visi tristi e commossi, e allargò la bocca in un sorriso di sincera felicità.
"Sono davvero così fortunato..." pensò, mentre si voltava e usciva dall'ospedale scortato da Onigawara e un paio di agenti di polizia. "Forse è solo grazie al loro affetto che ho potuto redimermi, al contrario di Kenzaki."

Una volta che il padre se ne fu andato, si percepì una certa mancanza tra gli orfani.
Era strano, pensava Midorikawa, durante quei due anni si erano abituati a vivere senza quell'uomo, ma pochi giorni erano bastati per convincersi, ancora una volta, di poter dipendere solo da lui.
Persino i più indipendenti tra loro avevano gli occhi velati di nostalgia, per non parlare poi di Reina che aveva lo stesso sguardo che le aveva visto durante i primissimi giorni al Sun Garden dopo la fine della Aliea.
Il silenzio venne interrotto solo da Hitomiko, che annunciò ai fratelli minori l'imminente trasferimento a un ospedale comune.
Ormai non correvano più pericoli, ed era meglio tornare alla normalità il prima possibile.
Chi non era ferito poteva tranquillamente tornare nella seconda casa di sua proprietà, attendendo che l'orfanotrofio venisse ricostruito.
Ciò indusse Midorikawa ad andare ancora una volta a trovare Minoru; non lo faceva tutti i giorni, ogni volta desiderava ma temeva il suo risveglio, ma sentiva fosse suo dovere interessarsi fino alla fine delle sue condizioni, e affrontarlo quando questi se la sarebbe sentita.
Mentre percorreva con calma i corridoi dell'ospedale militare, seguendo un percorso che ormai conosceva memoria, Ryuuji udì dei passi dietro di sé.
Sì voltò, e notò Suzuno ad un paio di metri da lui. Il ragazzo dai capelli bianchi osservava il pavimento con aria assorta ma, dato che stava distrattamente ascoltando il rumore dei passi di Midorikawa, appena il fratello adottivo si fu fermato sollevò la testa e lo fissò. Si irrigidì appena, come se non avesse voluto farsi scoprire, ma subito riprese a camminare. Midorikawa lo attese fino a che non fu al suo fianco, poi tornò ad avanzare insieme a lui.
Non gli disse niente, benché lo stupisse che fosse lì.
Né Suzuno né Nagumo si erano mai mostrati interessati a Minoru e Kyoka. L'ex-capitano della Diamond Dust era sempre stato accanto all'amico-rivale, che sarebbe dovuto rimanere su un letto dell'ospedale ancora per parecchio tempo, battibeccando quando potevano ma più che altro vegliando su di lui come un angelo custode.
Persino quando fu raccontato loro dell'ultimo scontro contro Kenzaki quei due non avevano avuto particolari reazioni.
Le conseguenze delle torture a cui era stato sottoposto Haruya l'avrebbero condizionato per tutta la vita, e questo non valeva solo per lui. Anche molti dei suoi fratelli serbavano ancora rancore verso i due gemelli. Ryuuji li aveva perdonati subito perché si sentiva in colpa verso di loro, ma i brutti ricordi di quell’ultimo periodo lo perseguitavano giorno e notte.
Per questo Midorikawa non se la sentiva di biasimarli, e questo riguardava sopratutto gli ex-capitani della Chaos.
Non sapeva con quale stato d'animo Suzuno stava ora per incontrare quei due, ma il solo fatto che avesse deciso di andare a trovare Minoru lo tranquillizzava.
Arrivati davanti alla porta della stanza del ragazzo, Midorikawa bussò. L'ultimo colpo fu però interrotto dal movimento improvviso dell'uscio che si apriva.
Ryuuji si voltò stranito verso Suzuno, che aveva aperto la porta senza attendere alcuna risposta.
La medesima espressione poté scorgerla nel volto di Kyoka, ancora seduta sulla sedia accanto al letto dove giaceva il fratello. A quanto pareva era sola a vegliare su Minoru, e non aveva fatto nemmeno in tempo ad alzarsi una volta udito bussare.
Ma, appena notò la presenza di Suzuno, i grandi occhi di lei comunicarono solo terrore.
Rimase immobile e, quando Fuusuke si fu avvicinato di pochi passi, scostò lo sguardo in segno di timidezza.
L'ex-capitano della Diamond Dust la fissò qualche istante, poi si volse verso Minoru.
Midorikawa non sapeva davvero come comportarsi, e nemmeno riuscì a salutare Kyoka come al solito. Rimase persino sulla soglia della porta, come se temesse qualcosa.
Ma Suzuno si avvicinò, pur rimanendo a qualche passo distante da Kyoka.
La ragazzina iniziò a giocherellare nervosamente con l'orlo della maglia color lilla, pensando di dover essere lei la prima a dire qualcosa. Ma non riuscì a trovare le parole.
Infine fu proprio il ragazzo dai capelli bianchi a parlare: - Sono qui anche su richiesta di Haruya - precisò, con voce monocorde.
La notizia stupì sia lei che Ryuuji, che avanzò silenziosamente e si fermò solo poco dietro Kyoka, in modo da osservare il fratello adottivo.
Vide nel suo volto la solita espressione neutra, vagamente fredda, e pensò che in fondo quello era solo il suo modo di porsi agli altri.
Sorrise e abbassò lo sguardo verso la giovane Kirishima, che ancora evitava il contatto visivo con entrambi.
Kyoka era in parte sollevata da ciò che quel ragazzo aveva detto, ma ricordava bene cosa aveva fatto al suo amico, e ripensandoci, stentava quasi a credere di essere stata capace di azioni così violente.
- Come sta tuo fratello? - le domandò allora il ragazzo con i capelli verdi.
Kyoka sussultò e sembrò riscuotersi solo in quel momento.
- Ah, b-bene - rispose frettolosamente. Ma si accorse di aver fatto una gaffe. - Cioè, come al solito... - si corresse.
Naturalmente Minoru non stava bene; non si era mai svegliato da quando era stato ricoverato, ma le avevano ripetuto innumerevoli volte che era una normale conseguenza alla fatica, e che presto si sarebbe ridestato.
Midorikawa si sedette di fianco a lei, e Suzuno avanzò fino ad arrivare all'altro lato del letto, poggiò la schiena contro il muro e osservò a debita distanza il volto emaciato del ragazzo che fino a pochi giorni prima era un loro nemico.
- Gli organi interni sono a posto, pare, - continuò Kyoka, studiando a sua volta il viso del gemello. - Ma i muscoli non sono affatto migliorati. Sembra che su lui gli effetti della pietra non facciano effetto... -
- Mi sembra strano, in effetti, - convenne Ryuuji. - Perché io mi sono ripreso subito, e ancora adesso guarisco dalle ferite più velocemente del normale - spiegò.
Kyoka annuì, ma il suo volto si fece triste.
- Ma fai conto che quello era un pezzo di meteorite alieno, ed emetteva radiazioni. Proprio per questo, a differenza della stragrande maggioranza degli altri meteoriti che cadono sulla Terra, donava poteri non umani. E per smaltire delle radiazioni ci voglio anni, a seconda di quanto vi si rimane a contatto. E io ancora ne sono condizionato, nonostante ci sia rimasto solo poche ore. Tu e Minoru, invece, siete rimasti a stretto contatto con le pietre per anni. Sinceramente, è un miracolo che sia tu a non avere problemi di salute. -
- Anche la cicatrice che mi ha lasciato il frammento è svanita dopo poche ore, - lo informò Kyoka. - Ma perché anche le ferite di mio fratello non guariscono subito? - domandò con veemenza, voltandosi di scatto verso Midorikawa, come se volesse sfogare su di lui l'irritazione.
Ryuuji rimase in riflessione qualche istante, poi scosse la testa e disse l'unica ipotesi che gli veniva in mente: - Forse perché le sue ferite sono state causate proprio dalla pietra. Sono state le troppe radiazioni a danneggiare così il suo corpo. Hai visto che fine ha fatto Kenzaki dopo aver abusato eccessivamente del potere del meteorite. Temo che Minoru sia andato molto vicino a fare la sua stessa fine. Forse migliorerà solo quando smaltirà queste radiazioni ma, come ho già detto, ci vorranno molti anni. Anzi, nel vostro caso, forse non svaniranno mai - disse schiettamente.
- Ma non è giusto! - gracchiò lei, stringendo i pugni sopra le ginocchia. - E poi anche voi, in passato... - ricominciò, ma si bloccò subito, pensando che quello che stava per dire avrebbe potuto farli soffrire.
Ma Midorikawa sospirò.
- Noi portavamo la pietra con noi, ma mai a contatto diretto con la pelle. Inoltre, recentemente mio padre mi ha detto che la pietra bianca che ora teniamo al collo veniva usata per ridurre ulteriormente l'effetto del meteorite - raccontò desolato, poiché non poteva confortare la ragazza in alcun modo.
"E questo dimostra che, nonostante ci trattasse alla stregua di meri strumenti, in realtà voleva proteggerci da ogni conseguenza" si ritrovò a pensare. "Mi sono sempre chiesto cosa gli passasse per la testa in quel periodo, ma anche quando ce l'ho avuto accanto non ho avuto il coraggio di porgergli questa domanda. Anche perché è tornato il padre affettuoso di un tempo. E poi non era proprio il caso."
Pur perso tra questi pensieri, sentì subito i singhiozzi di Kyoka. Benché cercasse di farsi forza, infatti, spesso la ragazzina cedeva alle lacrime.
- Perché lui sì e io no? - chiese, dando voce a ciò che più di tutto, in quei giorni, la stava torturando. - Siamo rimasti entrambi a contatto con quella roba, e alla fine lui ha solo voluto salvarci tutti. Non si merita tutto questo. Sono io, piuttosto... - un altro singhiozzo interruppe il suo discorso, e la ragazzina premette la mano destra sulla bocca.
Midorikawa non rispose, si limitò a distogliere lo sguardo. Lui si chiedeva la stessa cosa. Alla fine, proprio grazie alla pietra che aveva avuto per poco tempo, il suo corpo era rimasto illeso. Ma numerosi suoi fratelli erano a letto, gravemente feriti. Eppure era lui l'assassino, e se c'era qualcuno che avrebbe dovuto rimetterci era proprio lui.

- Minoru. -
Sentì una flebile voce chiamarlo, un suono basso e ovattato che, seppur lo disturbasse, non lo convinse a ridestarsi dal torpore del sonno.
Si sentiva stanco, e il corpo pesante non sembrava essere disposto ad ascoltare gli ordini del suo cervello.
- Minoru - ripeté la voce, questa volta con più forza.
Minoru mugugnò assonnato, cercò di aprire gli occhi. Non ci riuscì del tutto. Intorno a lui apparve uno spazio bianco e una sagoma sfocata.
- Coraggio, svegliati - disse la voce, con una punta di tenerezza e divertimento.
In quel momento il ragazzino riconobbe il tono particolare, e spalancò gli occhi.
Lo sfondo non cambiò, ma ora era in grado di osservare chiaramente la figura del fratello, seduto sul materasso, anch'esso bianco, pareva, e leggermente chinato su di lui.
- Hiroki! - esclamò, stupito. Poi si chiese perché doveva esserlo. Era solo suo fratello maggiore, in fondo.
Eppure provò una strana tristezza e, dimenticando completamente la debolezza, non riuscì ad impedirsi di stringere forte la vita del fratello. Improvvisamente si ritrovò in piedi, sembrava che il letto non fosse mai nemmeno esistito. Ma Minoru non ci fece caso.
Hiroki rise dolcemente e gli accarezzò la testa. La persona davanti a lui era un bambino, e gli arrivava all'altezza del petto - Cosa c'è? Non è da te essere così affettuoso. -
Minoru affondò il viso nella stoffa della maglia del fratello, e chiuse gli occhi.
- Solo perché di solito Kyoka ti
monolizza - rispose, sorridendo.
- Monopolizza, intenti? - lo corresse ridendo il fratello maggiore.
"Ah sì. Monopolizza. Da piccolo non riuscivo mai a pronunciare quella parola" ricordò distrattamente il più piccolo dei due. "Chissà come mai anche adesso ho sbagliato..."
Minoru strinse più forte a sé il fratello, beandosi del calore rassicurante del corpo di lui.
Era piacevole farsi coccolare, percepiva una sorta di strana nostalgia, come se lo stesse abbracciando per la prima volta dopo tanto tempo. Si disse che avrebbe dovuto abbracciarlo più spesso, anche a costo di litigare con la capricciosa sorella.
- E Kyoka dov'è, adesso? - sentì la voce del fratello nominarla, calma come sempre ma senza più quella nota divertita.
" 'Dov'è?' Non lo so" volle rispondere l'altro, ma per qualche motivo si limitò a pensarlo.
- Non lo sai, Minoru? -
Minoru mugugnò, poco interessato. Ma Hiroki lo allontanò da sé prendendolo per le spalle. Si chinò ancora e gli sorrise. - Kyoka è proprio qui, accanto a te - gli disse.
Il fratello minore lo fissò stranito, poi si guardò attorno. Ma appena distoglieva lo sguardo dal fratello non vedeva più nulla, solo del bianco così immenso da stordirlo.
Il disagio lo convinse ad abbassare la testa per sfuggire a quella visione.
- Non la vedo - rispose imbronciandosi, benché in fondo al suo cuore sentì di doversi preoccupare.
Nella sua mente riecheggiò la propria voce "Sono solo. Sono solo e sono triste."
Spaventato da quel pensiero improvviso, la sua testa tornò ritta, e nuovamente la vista del fratello sorridente lo tranquillizzò.
- Hiroki - esalò allora con esitazione. Ma lo sguardo di Hiroki si addolcì ancora di più. - Io... non sono solo, vero? - domandò.
- No, non lo sei. Non lo sei mai stato. -
- Davvero? -
- C'è sempre stata Kyoka, no? E poi anche io. -
Minoru, tranquillizzato da quella risposta, sorrise sereno e provò ad abbracciare ancora il fratello. Ma lui lo respinse.
- Però, Minoru, ora devi tornare da Kyoka. Lei è accanto a te, e sta aspettando che tu torni da lei. -
Il più piccolo piegò la testa, confuso. Il discorso di Hiroki non aveva senso. Se Kyoka era lì, come poteva attendere che lui tornasse? Erano già insieme, no?
- E tu? - domandò Minoru, angosciato. Fu come se qualcosa gli stesse tornando in mente, sebbene cercasse inconsciamente di scacciare quella consapevolezza.
- Io sono sempre con voi. E anche papà e mamma - gli rivelò, allontanandosi di un passo da lui.
- No! - gridò Minoru, allungando il braccio. Improvvisamente si rese conto che l'arto che più lungo di prima, e più robusto. Ora aveva l'aspetto di un adolescente.
Ma quando la sua concentrazione tornò sul fratello, questi era già parecchio lontano. Ma lo guardava, nella stessa posizione di prima, come se in realtà non si fosse mai mosso.
- Hiroki! Non andartene! - lo chiamò Minoru, disperato.
- Tu devi tornare da Kyoka. Insieme potrete andare avanti, senza più dipendere da me. Sarà difficile, e soffrirete ancora. Discuterete, e un giorno prenderete strade diverse. Ma siete fratelli, e so che in caso di necessità vi aiuterete. Cercate di essere felici, va bene? - disse.
Ma, seppur fosse immobile, Minoru lo vedeva allontanarsi sempre di più. Voleva rincorrerlo, ma il suo corpo si fece improvvisamente pesante. Dovette persino abbassare il braccio, non più in grado di sostenerne il peso.
Vide Hiroki in procinto di voltarsi e, poco dietro di lui, altre due figure sembravano guardarlo, sorridendo. Un uomo e una donna.
- Papà? Mamma? - credeva di aver gridato, ma non ne era sicuro.
- Ora dobbiamo andare. Ma veglieremo sempre su di voi. Questa è una promessa che io faccio a voi - la voce di Hiroki riecheggiò in quello spazio, o forse, si disse Minoru, era solo nella sua testa.

Con fatica, riaprì gli occhi. Ancora bianco, solo bianco, nel suo campo visivo. Ma era diverso.
Provò a muoversi, ma non ci riuscì. Udì la voce di Kyoka, i suoi singhiozzi.
"Stai ancora piangendo, sorellina? Non avevi detto che saresti cambiata?" pensò. Non riusci a dirlo a voce, e nemmeno a voltarsi per osservarla.
“Il mio corpo…” rifletté, allarmato. Sentiva come se non ce l’avesse nemmeno più un corpo. Non lo percepiva.
Ma qualcun'altro sembrò cogliere un impercettibile movimento.
- Ehi! - esclamò improvvisamente Suzuno, staccandosi finalmente dal muro, per attirare l'attenzione di Kyoka e Midorikawa.
Entrambi si voltarono stupiti, negli occhi di Kyoka persisteva una leggera paura verso quel ragazzo, ma Fuusuke non ci fece caso. Si avvicinò al letto, lo sguardo fisso su Minoru.
- Ha gli occhi aperti! - affermò.
Kyoka seguì lo sguardo del ragazzo e appena notò quel particolare si alzò di scatto dalla sedia, facendola capovolgere all'indietro.
- Minoru! - gridò, muovendosi talmente forte che le lacrime caddero sulla stoffa del lenzuolo.
Il ragazzo roteò gli occhi verso di lei, unico movimento che, a quanto pare, gli era concesso.
Provò a chiamarla, ma gli riuscì solo di muovere appena le labbra.
- Vado a chiamare i medici! - annunciò Midorikawa, ma Fuusuke lo precedette.
- Lascia, faccio io - gli disse con voce calma, uscendo subito dalla stanza.
- Minoru! Come stai? Parlami, ti prego! - continuava a dire la ragazzina.
Ryuuji immaginò che in quel momento Minoru non fosse in grado di muoversi, per cui posò una mano sulla spalla di Kyoka.
La ragazzina annuì; ma non smise di piangere, questa volta di gioia.

Kyoka continuò a porgergli una domanda dopo l'altra, benché consapevole che il fratello non potesse risponderle, e si zittì solo quando Suzuno tornò con un medico e degli infermieri.
Mentre Minoru veniva visitato, i tre ragazzi attesero in corridoio. Kyoka, visibilmente agitata, chiamò i tutori, camminando velocemente avanti-indietro per il corridoio. I lunghi capelli ricci volteggiavano in aria ad ogni suo passo, spesso coprendole le spalle, e la facevano sembrare un leone dalla criniera scura.
Midorikawa rimase poggiato al muro e la seguiva con lo sguardo, ascoltandola in silenzio, mentre Suzuno, in disparte, guardava fuori dalla finestra.
- Adesso che si è svegliato non c'è più pericolo, no? - domandò la ragazzina una volta conclusa la telefonata, fermandosi e osservando gli altri due con l'evidente aspettativa di essere rassicurata.
Midorikawa volle placare il suo entusiasmo: - Sicuramente sarà ancora molto stanco. Non stupirti se dormirà ancora per giorni interi - la informò, sorridendole.
Kyoka sospirò delusa e iniziò a fissare con insistenza la porta della stanza, attendendo che si aprisse.
Dovette attendere diversi minuti, prima di poter rientrare nella stanza.
Minoru aveva ancora gli occhi aperti, ma era nella stessa posizione di prima.
I medici la avvertirono che, per il momento, il fratello non riusciva né a muoversi né a parlare; ma, voltandosi in direzione di Midorikawa, aggiunsero che, a quanto pareva, era una normale conseguenza, e che sarebbe stata una cosa temporanea.
Kyoka, a sua volta, si voltò verso Ryuuji, che annuì.
La ragazzina si avvicinò con prudenza al letto del fratello, e si chinò appena su di lui. Minoru roteò gli occhi viola e la fissò. Mosse appena le labbra, da cui non uscì alcun suono.
Kyoka gli sorrise. - Non preoccuparti, fratellino. Presto ti riprenderai - lo rassicurò, anche se era consapevole di quanto il corpo del ragazzo fosse messo male.
Ma l'espressione del gemello si fece più serena a quelle parole.
- Ho chiamato Saburo e Asako, - lo informò la sorella, - presto saranno qui. -
Dovette zittirsi qualche istante, poiché la commozione non le permetteva di parlare bene.
- Ora è tutto finito. Kenzaki è morto, e noi siamo liberi dal potere di quella pietra - ci tenne a dirgli.
Seguì qualche istante di silenzio, poi Kyoka si voltò verso gli altri due ragazzi che erano nella stanza.
- Volete parlargli? - domandò, certa che volessero dirgli qualcosa. Magari scusarsi con lui.
Suzuno non disse nulla; una volta rientrato nella stanza si era accostato alla porta e lì era rimasto, e non diede segno di volersi avvicinare. Ma Midorikawa si strinse le labbra, quasi fosse indeciso. Poi annuì e avanzò verso al materasso, per potersi far vedere da Minoru.
Ma, appena lo vide, il ragazzo dai capelli neri scostò lo sguardo, dirigendolo dalla parte opposta. Ryuuji, di conseguenza, fece un passo indietro per uscire dal suo campo visivo.
- Fratellino! - lo rimproverò allora Kyoka. Non capiva perché volesse evitarlo; sapeva che sarebbe stato difficile, per Midorikawa, ottenere il suo perdono, ma anche durante lo scontro con Kenzaki Minoru gli aveva parlato. Perché, quindi, non affrontarlo?
Dal canto suo Minoru sapeva di dover ascoltare quel ragazzo. Sapeva che si sarebbe scusato, che sarebbe stato gentile e che si sarebbe preoccupato per lui. Ma non era nelle condizioni di sentire cosa aveva da dire. Non si sentiva ancora bene, lo infastidiva non potersi muovere né avere l'opportunità di ribattere a ciò che gli avrebbe detto, doveva anche riflettere bene su cosa rispondere alle sue parole. E, in ogni caso, rimaneva pur sempre l'assassino del fratello che aveva appena sognato.
"Fratello..." pensò, quasi volesse nuovamente ricevere una sua visita.
Sperava che Kyoka capisse e lo lasciasse stare per il momento.
Fortunatamente per lui, fu Midorikawa a comprendere. - Non fa nulla - si rivolse a Kyoka. - Forse è meglio lasciarvi soli. Presto noi lasceremo l'ospedale, ma tornerò a farvi visita. -
- Ah. V-va bene - gli rispose la ragazzina, dispiaciuta.
Midorikawa e Suzuno lasciarono la stanza, e nel corridoio si imbatterono in Saburo e Asako, che in tutta fretta stavano raggiungendo i due figli adottivi.

Midorikawa attese qualche giorno, prima di tornare in ospedale.
Nei giorni immediatamente successivi al risveglio del ragazzo, infatti, era tornato insieme agli altri nella seconda casa dei Kira, e lì aveva cercato di godersi la ritrovata tranquillità.
Ma nessuno poteva dimenticare ciò che era successo in quei giorni, né i sentimenti che quella brutta esperienza aveva lasciato in loro, senza contare che mezza città era stata distrutta e molti degli orfani avevano voluto aiutare, per quanto possibile, almeno a sistemare le macerie, e fu quindi difficile comportarsi in modo relativamente normale.
Fu quando Hitomiko lo informò che Minoru si era un po' ripreso che l'ex-numero 13 della Inazuma Japan decise di fargli visita.
Quando arrivò, nella stanza c'erano anche i genitori e Kyoka, ma, intuendo cosa stava per accadere, preferirono uscire per lasciar loro un po' di privacy.
Midorikawa rimase un po' in disparte, ma notò che, questa volta, Minoru lo stava osservando apertamente.
- Avvicinati - mormorò il ragazzino, in tono affaticato ma duro.
Ryuuji ubbidì, ma iniziò a sentirsi a disagio. In un certo senso, avrebbe preferito che almeno Kyoka fosse rimasta.
"No" si disse subito dopo. "È giusto che lo affronti a quattrocchi. Da solo."
Minoru non poteva ancora muoversi, ma i medici avevano predisposto dei cuscini per farlo perlomeno rimanere seduto quando mangiava.
Era già stato informato delle condizioni del proprio corpo, ma non si era disperato, pensando semplicemente di meritare un destino del genere. In un certo senso, pensava che non si sarebbe davvero più ripreso proprio per quello che aveva fatto.
Quando Midorikawa gli fu accanto, Kirishima tornò a guardare davanti a sé, come per evitare ancora di vederlo.
- Apprezzo che tu voglia scusarti - esordì, parlando quasi con indifferenza. - Perché è di questo che si tratta, vero? -
Ryuuji annuì, il suo volto si fece triste.
- Mi dispiace per quello che è successo - iniziò, con un sospiro. - Non avevo intenzione di fare del male a qualcuno, per quanto possa suonare strano e ipocrita dirlo dopo due anni. So che l'impressione che ho dato a quei tempi suggeriva tutt'altro. E non basterà scusarsi, per cancellare il vostro dolore. Mi ritengo soddisfatto di essere riuscito ad evitare che diventaste come me. Ma avrei voluto che... finisse meglio. -
Minoru capì che quel ragazzo sapesse delle sue reali condizioni. Sentiva nella voce mortificata dell'altro la consapevolezza che, con tutta probabilità, lui non sarebbe più riuscito a recuperare del tutto le capacità motorie.
- Non voglio la tua pietà - gli disse bruscamente, benché non riuscisse a modulare la voce come avrebbe voluto. - Questo è ciò che merito. -
- No, ti sbagli - contestò l'ex-capitano della Gemini Storm. Chinò la testa, non riuscendo a non pensare che, se Minoru meritava un destino del genere, allora lui avrebbe dovuto subire altrettanto. - Non dovresti parlare in questo modo. -
- Detto da uno che ha accettato di farsi uccidere... - commentò Kirishima, sarcasticamente.
Ma Midorikawa scosse la testa, come per scacciare via il ricordo di ciò che aveva fatto quel giorno, quando si era sacrificato per gli altri. - Forse nessuno di noi merita alcuna punizione. Non credo di essere malvagio, e so che né tu né Kyoka lo siete. Non lo era nemmeno mio padre, o i miei fratelli. È solo che la vita è ingiusta, e il dolore a volte ci spinge a fare degli sbagli. Io a quei tempi pensavo davvero fosse giusto cambiare il mondo, per mio padre e le persone che consideravo la mia famiglia. Non ero del tutto convinto di quello che facevo, ma non volevo deludere la persona che si era presa cura di me quando sono rimasto solo. Voi, così come mio padre, pensavate fosse giusto punire chi vi ha tolto una persona cara. La vedetta è una cosa terribile, ma non penso che chi la voglia attuare spinto dalla disperazione sia davvero malvagio. Forse... solo debole. -
Rimase pochi istante in silenzio, poi trovò il coraggio di rialzare lo sguardo, puntandolo su Minoru. - Per questo penso che persone come noi meritino una seconda possibilità. Per poter diventare più forti. -
Il ragazzino ascoltò con attenzione quelle parole, e si rese conto di concordare su tutto. Midorikawa Ryuuji aveva capito di non meritare alcuna vendetta e sapeva di non dover odiare lui o sua sorella.
C'era differenza tra una persona malvagia e qualcuno che, come loro, aveva agito in nome del dolore.
La stessa differenza tra Kenzaki e tutti loro.
Sospirò e tornò nuovamente a sostenere lo sguardo dell'altro.
- Riconosco i miei errori e quelli di mia sorella; abbiamo fatto esattamente ciò che avete fatto voi, e ora riesco a comprendere ciò che provi. Ciò che voglio dirti è che ora non penso che tu e i tuoi fratelli meritaste tutto questo, e ti ringrazio per aver cercato, nonostante tutto, di salvarci - si bloccò, necessitando di una pausa a causa della gola secca. Ma subito dopo riprese a parlare: - Hai evitato che provassimo un dolore di cui tu non potrai mai disfarti. Sarebbe stato semplice vendicarti a tua volta lasciandoti uccidere, mettendo fine alle tue pene e lasciando noi con i sensi di colpa. Invece, quando hai compreso che saremmo stati noi a rimetterci, hai abbandonato il proposito di farti uccidere per risolvere le cose - continuò, mostrando di aver compreso perfettamente il modo di pensare del ragazzo che aveva di fronte. - Ma non posso scordare che tu hai ucciso mio fratello e, per questo, non riuscirò mai a perdonarti del tutto. Semplicemente, finiamola qui. Io e Kyoka convivremo per sempre col ricordo e la consapevolezza delle nostre azioni, e so che anche per voi sarà lo stesso. Quindi non ho più motivo di cercare una qualsiasi rivalsa. Così è più che sufficiente. Non abbiamo più nulla a che fare con voi - concluse freddamente e frettolosamente.
- Non ho mai cercato il vostro perdono. So di non meritarlo - mise in chiaro Midorikawa, serio. - Ho solo fatto quello che pensavo di dover fare. Mi spiace solo che per te non sia finita bene come per Kyoka. Anche tu hai salvato noi, in fondo. Avresti potuto proteggere solo Kyoka, invece hai esteso la barriera anche a noi. Forse, se non l'avessi fatto, non avresti utilizzato così tante energie da danneggiare il tuo corpo. -
- Proteggervi non è stato un gesto di altruismo. Sapevo che Kenzaki voleva la vostra morte, così gli ho solo messo i bastoni tra le ruote. E ora noi siamo vivi, lui no. Meglio di così non poteva finire. -
Midorikawa annuì in silenzio, e distolse lo sguardo.
Minoru fissò il muro davanti a sé e rifletté ancora su cosa dire, poi decise semplicemente di essere sincero.
- Non voglio più avere a che fare con voi - confessò. Ryuuji lo guardò ancora. - Non è detto che non possa, un giorno, recuperare almeno in parte le capacità motorie. Voglio tornare a casa mia, impegnarmi nella riabilitazione e dimenticare per quanto possibile tutto questo. Per cui non voglio vederti mai più. -
Midorikawa abbassò appena le palpebre, comprendendo il discorso. Annuì. - Lo capisco. Forse è meglio per tutti - disse, voltandosi per uscire.
Si bloccò in mezzo alla stanza e si voltò appena. - Ti auguro di essere felice - gli disse.
L'altro ragazzo non ribatté e Ryuuji, semplicemente, uscì dalla stanza.

Come aveva detto Minoru, nel giro di poche settimane fu organizzato il viaggio di ritorno nella città natale dei Kirishima e dei loro tutori.
Furono proprio Saburo e Asako, accompagnati da Kyoka, ad avvertire gli orfani del Sun Garden andandoli a trovare direttamente a casa loro.
Ma non fu solo quello il motivo della loro visita. Saburo e Asako chiesero a Hitomiko di ringraziare il padre per il finanziamento per la riabilitazione di Minoru.
Kira Seijirou aveva informato Onigawara delle proprie intenzioni, e fu il detective a prendersi la responsabilità di sistemare tutto e di recapitare l'assegno alla famiglia dei due gemelli.
A giorni, quindi, i quattro avrebbero lasciato la città.
- Minoru ora può uscire, anche se con la sedia a rotelle - disse Kyoka, ancora un po' triste. - Ma dice che è sicuro di riuscire a migliorare, e io voglio credergli! -
Midorikawa, nel salotto insieme a Hitomiko e alcuni dei suoi fratelli, sorrise.
Sembrava che la famiglia avesse conservato l'allegria, ed era ottimista.
- Midorikawa-kun - lo chiamò poi Kyoka, quando fu ora di andarsene. Gli rivolse uno sguardo mortificato. - Minoru mi ha detto di quella vostra discussione. Volevo solo dirti che io ho perdonato te, tuo padre e tutti gli altri - ci tenne a dirgli. Era strano ma, forse perché era stata salvata direttamente da lui, o perché aveva trascorso più tempo con loro, o ancora a causa della consapevolezza di non essersi comportata meglio di loro, sentiva che, nonostante il dolore fosse rimasto, il risentimento verso quei ragazzi era svanito. - Mio fratello è più orgoglioso, o forse, come sempre, pensa semplicemente di più alle cose rispetto a me - aggiunse ridacchiando. - Comunque, spero che anche tu possa lasciarti alle spalle questa storia. Qualunque cosa tu abbia fatto, hai rimediato salvandoci e te ne saremo entrambi grati per sempre. -
Ryuuji le sorrise senza rispondere, non del tutto convinto di poter riuscire a dimenticare. La salutò cordialmente, sapendo che non si sarebbero più incontrati, se non per puro caso.

Si era ormai fatta sera.
Midorikawa, non riuscendo a rimanere dentro casa, si era fatto una passeggiata nei paraggi, per poi fare una pausa in un parco vicino la seconda casa dei Kira.
Fino a pochi giorni prima non poteva permettersi di girare da solo per la città, a causa del pericolo che lui e gli altri, ma soprattutto lui, correvano.
Il cielo era sereno e costellato di stelle, e l'ex-capitano della Gemini Storm, seduto su una panchina, le scrutava assorto.
Nella mente riecheggiavano così tanti pensieri che ormai non sapeva più a quale dare la precedenza, e non poteva impedirsi di ripensare a tutto quello che era successo in quei giorni.
Sembrava irreale che ora, finalmente, fosse tutto finito.
- Va tutto bene? - si sentì chiedere all'improvviso.
Midorikawa sussultò e si voltò. Hiroto, dietro di lui, gli sorrise e si avvicinò con calma alla panchina per sedersi accanto a lui.
Subito si mise a fissarlo. Nonostante fosse buio, la luce dei lampioni gli permisero di intravedere dei piccoli segni rossi sul labbro inferiore di Ryuuji, prova che il ragazzo dai capelli verdi se lo stava torturando con i denti.
Di fronte allo sguardo interrogativo dell'amico, Kiyama sentì il bisogno di giustificare la sua presenza: - Sono preoccupato. Sembra che tu non stia ancora bene. -
Ryuuji voltò la testa e si mise a fissare il terreno. - Mi dispiace. Tutto questo mi ha scosso molto, e ancora stento a credere che sia tutto finito. -
L'ex-capitano della Genesis gli sorrise e gli diede una piccola pacca sulla schiena.
- È così per tutti. A poco a poco tornerà tutto alla normalità. Ma non hai un bell'aspetto, e temo che tu ci stia ancora male. -
Midorikawa sospirò, quasi rassegnato. - Mi devo ancora abituare a convivere con tutto questo - gli rispose, piegandosi col busto e massaggiandosi la fronte con la punta delle dita. Hiroto lo guardò con apprensione, consapevole che l'amico avrebbe conservato per sempre il senso di colpa dentro il cuore.
- E ancora non riesco a dormire una notte intera senza sognare Minoru e Kyoka - riprese il più piccolo dei due, con la voce che gli tremava. Anche se per loro era una questione chiusa, non riusciva a non ripensare a quanto erano stati disposti a fare quei due gemelli per ottenere la loro vendetta, e quanto era stato odiato i primi tempi.
- Pensavo ci fossi diventato amico - gli disse qualcuno.
Ancora una volta, Midorikawa si voltò all'indietro.
Suzuno e Saginuma si stavano dirigendo verso di loro.
Hiroto sorrise, capendo di non essere l'unico a preoccuparsi per le condizioni di Ryuuji.
Quando furono entrambi arrivati vicino alla panchina, Suzuno si voltò, dando le spalle ai due ex-giocatori della Inazuma Japan, e poggiò la schiena sulla spalliera della panca.
Anche Fuusuke era tornato a vivere con gli altri, trovando finalmente il coraggio di allontanarsi da Nagumo.
L'ex-capitano della Diamond Dust afferrò con entrambe le mani il bordo della spalliera, e alzò lo sguardo verso il cielo.
- Non ha senso avere incubi su di loro - lo rimbeccò, pur sapendo che i sogni erano frutto dell'inconscio, e che era inutile sgridarlo. - Non vedo perché debbano avercela ancora con te. Anche se ci vorrà un po' per dimenticare. -
Midorikawa gli sorrise, e tornò dritto con la schiena, abbassando lo sguardo senza cambiare espressione. - È difficile perdonare gli altri, ma lo è ancor di più perdonare se stessi. Credo sia questo. -
Saginuma, di qualche passo distante da loro, fissò la schiena dell'amico e prese parola: - Non hai più nulla da rimproverarti. Tu li hai salvati, affrontando Kyoka. Se non l'avessi fatto, non solo noi ma anche quei due non sarebbero più qui - gli ricordò, pronunciando quelle parole col tono più comprensivo che riusciva a fare.
Midorikawa si rattristò e iniziò a sfregarsi le dita delle mani le une sulle altre. - Non è solo questo. Mi sento in colpa anche verso di voi. Nagumo, Nemuro, Hiromu... per molti dei nostri fratelli le cose non torneranno più come prima - affermò. Se Minoru avrebbe avuto bisogno di una riabilitazione a causa del potere della pietra, era anche vero che chi era stato ferito da loro o da quel maledetto pallone viola, aveva riportato ferite tali da compromettere per sempre, se non la loro mobilità, la loro carriera da calciatori.
Hiroto comprese cosa l'amico voleva dire e gli posò la mano sulla spalla. - Nemmeno per te. Non hai lesioni fisiche, ma dovrai sopportare ben altro tipo di dolore, e non svanirà mai - gli fece notare. - E hai rischiato veramente la vita, in più di un'occasione. In un certo senso, chi tra di noi è rimasto maggiormente ferito sei proprio tu. Non credi sia abbastanza? -
Ryuuji aprì la bocca, ma inizialmente ciò che uscì fu solo un lungo sospirò.
- Lo so - trovò la forza di rispondere poi.
- Noi siamo qui, ok? Troviamo la forza di andare avanti, tutti insieme - provò rassicurarlo Kiyama.
Midorikawa sospirò ancora, non del tutto convinto.
A quel punto anche Saginuma si avvicinò, a si sedette vicino a lui, dalla parte opposta rispetto Hiroto. Suzuno rimase dov'era, in silenzio.
Ryuuji sapeva di non essere solo e, come aveva detto una volta Reina, quell'esperienza aveva unito tutti loro come famiglia.
Lui aveva ucciso una persona, e questa era una consapevolezza pesante, che mai avrebbe potuto dimenticare. Ma accanto aveva persone che lo comprendevano e lo sostenevano, e questo gli dava perlomeno la speranza di riuscire, un giorno, a convivere con quella colpa e riuscire a vivere quasi serenamente il resto della propria vita.
Chiuse gli occhi. - Grazie - mormorò, con voce stanca.
- È quasi ora di cena - sussurrò dopo qualche minuto Hiroto. - Torniamo a casa. -
Midorikawa annuì e, con lentezza, si alzò. Immediatamente dopo Osamu e Hiroto lo imitarono e tutti e quattro si riavviarono verso casa.
Percorsero un breve tratto, poi Ryuuji si bloccò e osservò ancora il cielo. Strinse le labbra e gli occhi si fecero tristi. - Mi dispiace - sussurrò, come rivolto alle stelle, prima di raggiungere gli altri in silenzio.








Note finali: Oooooh! Finalmente è finita! *__* Non ci credo ancora, mi mancherà questa fiction XD
Come dire... ci ho messo un po', e non so bene se questo capitolo va bene così. Mi sembra troppo lungo, però era necessario concludere tutte le questioni.
È un finale dolce-amaro, ma più dolce che altro. Tra gli innocenti non è morto nessuno, ma volevo sottolineare l’ingiustizia della vita mettendo Minoru in una condizione negativa, proprio lui che alla fine aveva cercato di risolvere tutto.
In realtà volevo fare un 'dieci anni dopo' dove Midorikawa vedeva per caso Minoru e Kyoka, con Minoru ancora sulla sedia a rotelle e notava che almeno le braccia le muoveva, ma per come ho impostato questo capitolo non ci stava per niente bene.
Probabilmente, quindi, davvero non si rincontreranno mai più, ma credo che Minoru e Kyoka riusciranno ad essere felici, e anche Midorikawa, con l'aiuto della sua famiglia.
Il 'mi dispiace' finale, invece, era rivolto a Hiroki. Ho pensato fosse carino finirla così, anche perché non mi veniva in mente nient'altro.
A proposito di Hiroki, non ero certa di inserirlo nel capitolo. Però ho voluto dare spazio anche a lui, alla fine. Volevo anche inserire i genitori biologici dei fratelli, poi ho rinunciato.
E, non so... questo è proprio l'ultimo capitolo, e non so come concludere come si deve le note. XD
Spero sia una long passabilmente decente, ecco.
Fondamentalmente volevo torturare Midorikawa, perché non mi piaceva come si era scusato con gli altri nella terza serie. Ha rischiato davvero, nel canon, di ammazzare qualcuno, cavolo! Però gli voglio bene, quindi non voglio pensare che soffrirà per sempre XD
Ringrazio chi ha letto questa fiction, chi l'ha commentata e chi no. Spero di non aver deluso nessuno, e che vi abbia lasciato qualcosa. Ho avuto momenti no, durante la stesura, e le recensioni mi davano la forza per continuare, quindi grazie davvero.
Odio lasciare le fiction incompiute, e in questo senso ho ancora molto da fare XD Ma almeno questa è andata.
Forse, ad un certo punto, non è più uscita come immaginavo, però ho dato il massimo.
Dunque, quindi ora che fa Kuromi? Continua le fiction incompiute? L’ho detto prima, no?
No.
Ho iniziato un’altra long nel frattempo XD In realtà sono in crisi da mesi su questa nuova storia, ma comunque ci sto lavorando, sfogandomi sclerandoci sopra su Twitter XD
È sempre su Inazuma, è una what if, ci sono ancora i ragazzi del Sun Garden ma dovrebbero apparire anche i ragazzi della Inazuma Japan. E degli OC.
Spero di rivedervi lì :)
Grazie davvero a tutti se sono riuscita a concludere questa long è anche grazie al vostro sostegno.

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