Storia di un drogato

di Beliel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Valeria ***
Capitolo 3: *** Sensazioni ***
Capitolo 4: *** Crisi ***
Capitolo 5: *** Primo Dialogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Storia di un drogato

Storia di un drogato

 

1:Prologo

 

 

È dolce il vento che questa sera mi accarezza il viso e mi smuove i capelli.

Da solo seduto su una panchina semi-distrutta, a sentire il rumore del mare, perché il buio non ne permette più la vista.

Ricordo di quando lì mi baciai con lei e mi tremava la pelle.

Ricordo che le dissi di amarla, e che lei rispose con le stesse parole quasi in lacrime, penso per la felicità.

Ricordo fino all’ultimo giorno in cui lei era la ragazza più importante per me, ma poi svanì tutto.

Un tempo sapevo il perché, ma ora l’alcol mi ha fatto dimenticare come si trovano le informazioni dentro il cervello, ormai atrofizzato e danneggiato dalla droga.

E ora sto qui seduto, su questa panchina di ferro arrugginita, con una bottiglia di vodka in mano, e un’altra qui per terra ormai vuota.

Ho il viso arrossato e non riesco a pensare a niente.

Il mio unico desiderio è svuotare questa bottiglia, per poi trovarne un’altra.

Mi sembra che un tempo avevo degli amici e che la sera uscivo con loro.

Ricordo risate, scherzi, liti, delusioni.

Ora non fanno più parte di me.

Tre sono le cose che m’importano in questo momento, un momento lungo diversi mesi ormai: l’alcol, la droga, il suicidio.

Le prime due si spiegano da sole.

L’alcol e la droga mi fanno schifo, mi hanno rovinato la vita, eppure non posso farne a meno.

E ora voglio finirla, devo conservare ancora un po’ di dignità e farla finita, prima di finire sotto un ponte o in un centro di ricovero per tossico-dipendenti.

I miei genitori, ignari di tutto, non potrebbero sopportarlo,e io meno di loro.

Barcollando mi alzo, i capelli scompigliati dal vento, la maglietta odorante di vodka, non capisco più nemmeno se è vodka alla fragola o alla pesca.

Provo a guardare l’etichetta, ma mi gira la testa e devo risedermi.

E ora sto malissimo, sento che sto per morire, sento che questo è l’ultimo giorno della mia vita, ormai priva di significato e di speranza.

Mi metto a gridare, invoco aiuto, bestemmio tutti i santi che conosco, e in preda a quel delirio nemmeno mi accorgo che una persona si è avvicinata a me.

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Capitolo 2
*** Valeria ***


2: Valeria

2: Valeria

 

E lei mi mise una mano sulla fronte, sussurrandomi parole che m’indirizzavano verso la tranquillità e la quiete.

Seppur in delirio totale, sentii il calore della sua mano e mi girai supino, per poterla guardare in viso.

Malgrado tutto il mondo a me attorno fosse irrimediabilmente sfocato, miracolosamente il suo viso era limpido e netto.

Era una ragazza che sembrava emanare una luce dal suo viso, i suoi capelli scuri erano ondulati al vento e le ricadevano soffici sulle spalle.

Improvvisamente mi calmai, ma subito dopo fu solo il buio che vidi.

 

Un castello di colore rosa, un drago verde che vola verso di me, il re che grida contro il drago, il re che muore e cade dalla torre più alta, il suo corpo mutilato dalle rocce.

Il castello di cinque lati, e il drago s’infrange contro uno di questi che viene distrutto.

Fuoco e fiamme, il drago è morto, e io sono morto con il drago.

 

Mi risvegliai bruscamente dal mio sonno.

Un sogno stranissimo, di quelli che mi capitavano da un mese a questa parte.

Non ricordando niente del giorno precedente, trovandomi al buio, pensai di essere nella mia stanza.

Indirizzai la mano verso il comodino per accendere la luce, ma il mio arto incontro solo il vuoto, un vuoto dove l’aria era più densa, e la mano, non riconoscendo ciò che da una vita era al suo posto, mi si fece più pesante.

Quando i miei occhi si abituarono al buio, mi accorsi di non essere nella mia stanza.

Ero ancora intontito dall’alcol e dalla droga e non ricordavo niente del giorno precedente, per cui solo in un secondo momento capii dove fossi finito.

Mi alzai dal letto e lentamente mi diressi verso la porta.

Aprii la porta di scatto e una luce accecante m’invase il corpo e chiusi gli occhi di scatto.

Dopo pochi attimi riaprii gli occhi e mi accorsi di essere in una casa, ma non era la mia.

M’inoltrai lungo il corridoio, vuoto a parte uno scaffale pieno di cianfrusaglie sulla destra.

Una porta si aprì dall’altro lato del corridoio, restai immobilizzato.

-Ah eccoti, ti sei svegliato vedo!- era una voce di una ragazza, così dolce che mi fece rizzare i peli del corpo.

Una volta che misi a fuoco la ragazza, mi accorsi che era la stessa della sera precedente e capii: era stata lei ad aiutarmi in quel momento di crisi, ma abituato a frequentare spacciatori e gente interessata solo al guadagno, non sapendo più cos’era la bontà, mi chiesi il perché quella ragazza mi avesse aiutato, senza guadagno apparente.

Con in mente questi pensieri sospettosi, non potei fare a meno di squadrare la ragazza da cima a fondo: era alta circa 1,75m, poco meno di me, un fisico sinuoso e agile, capelli scuri, ben proporzionata e un viso dolcissimo, che rapì il mio cuore immediatamente.

Indossava solo una leggere camicia da notte che metteva in risalto tutte le sue forme.

Tutti i muscoli del corpo tremarono, uno più degli altri.

Solo allora mi accorsi di essere in mutande.

Tutti questo accadde in un paio di secondi, sufficienti a far si che la ragazza si avvicinò e mi prese per un braccio.

Io non proferii parola, ero troppo stanco per farlo, ma la ragazza dovette intuirlo, dato che non se la prese e mantenne il suo sorriso sincero mentre mi riportava in quella stanza dove poco prima mi risvegliai.

-Il mio nome è Valeria- mi disse dopo avermi adagiato sul letto.

Il sonno e la stanchezza mi colsero nuovamente, più di prima, ma ebbi la lucidità per capire gran parte delle parole o almeno il senso della frase che mi disse prima di andarsene:- Per ora riposa, poi parleremo quando non sarai più stanco. Ho già parlato con i tuoi genitori, non ti preoccupare-.

E sprofondai nelle tenebre di un nuovo sogno, più strano di quello precedente, di cui però non ricordo né il significato né gli avvenimenti.

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Capitolo 3
*** Sensazioni ***


3: Sensazioni

3: Sensazioni

 

 

Al mio risveglio, non so quante ore dopo, la finestra era aperta e la stanza illuminata.

Mi accorsi di essere in un appartamento, mi affacciai alla finestra e guardai giù: circa il quinto piano.

Non riconoscevo gli edifici accanto, quindi mi sporsi un po’ di più per guardare in laterale.

Tutto ad un tratto delle mani mi presero e mi scaraventarono nella stanza.

-Ma co..!-

-Ma sei scemo, che volevi fare?- mi gridò Valeria, a pochi centimetri dal mio volto.

Riuscii a sentire il suo respiro affannato.

Una lacrima le colò da lungo il viso.

-Stavo solo guardando- risposi io un po’ in imbarazzato, avendo capito che Valeria credeva mi volessi gettare.

Non riuscivo a credere che gl’importava tanto di me.

Doveva avere di sicuro qualche secondo fine.

Dovevo scoprire quale: forse voleva la droga.

Nella confusione del momento non mi ero accorto che eravamo entrambi a terra e Valeria aveva le mani strette attorno ai miei fianchi.

Appena se ne accorse, le ritirò subito.

Si scusò e dopo essersi alzata, scappò velocemente dalla stanza.

Mi sembrò di vedere il suo viso rigato dalle lacrime mentre fuggiva.

Ora non capivo proprio perché si era messa a piangere: di me non gliene poteva importare niente, dato che non ci conoscevamo, io non l’avevo mai vista prima.

Ritenei saggio non avventurarmi per la casa con Valeria in quello stato e perciò mi distesi nuovamente sul letto.

Solo allora notai di essere in pigiama: Valeria mi aveva cambiato quando ero svenuto.

Non so se questo pensiero era di conforto o di sgomento.

Per fortuna, mi accorsi di avere ancora le mutande.

Osservai meglio la stanza: per essere di un appartamento, era una stanza abbastanza grande, con un armadio pieno di libri e scartoffie varie, un letto singolo dove io ero disteso e un altro armadio per i vestiti, che decisi era meglio non aprire.

Sul comodino accanto al letto, vi era una lampadina, un bicchiere d’acqua e un pacco di fazzoletti.

Mi sentivo ancora rintontito, il che era strano, dato che gli effetti della droga dovevano già essere passati da un pezzo.

Non vi erano orologi nella stanza, quindi non sapevo da quanto tempo ero in quella casa.

Doveva essere parecchio tempo, perché avevo molta fame.

A giudicare dal sole, doveva essere mattino inoltrato.

Solo allora mi accorsi di un fatto stranissimo: non avevo bisogno di droga, era come se non avessi più dipendenza.

Da un lato era un fatto positivo, dall’altro mi inquietava un poco.

Era successo qualcosa da quando Valeria mi aveva aiutato, dovevo scoprire cosa.

Però in fondo lei mi stava aiutando, lo stava facendo senza apparente vantaggio, ed era pure molto carina.

Ma allora perché il desiderio di droga era svanito? Non riuscivo a spiegarmelo.

Ormai avevo riposato molto e non ero stanco, perciò ritenei opportuno non dormire nuovamente, anche perché non avevo completamente sonno.

La mia curiosità fu attratta da un oggetto che non avevo notato prima: poggiava sull’armadio dei libri.

Mi avvicinai e capii di che oggetto si trattasse: era un ciondolo, con raffigurate due asce intersecate tra di loro.

Era al tempo stesso un oggetto affascinante, ma che sembrava molto antico e toccandolo fu come se fosse carico di tantissimi ricordi.

Doveva trattarsi di un oggetto molto importante per Valeria, ma alla perché lasciarlo lì, alla mia portata?

Riposai l’oggetto dove l’avevo trovato e preso un libro, Il nome della Rosa, mi coricai sul letto e incominciai a leggerlo, trasportato dal mistero delle pagine, che narravano un abbazia maledette e di un investigatore che doveva scoprire i suoi misteri.

 

 

 

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Capitolo 4
*** Crisi ***


4:Crisi

4:Crisi

 

 

Non me ne accorsi, ma preso dalla lettura il tempo passò velocemente e di Valeria nessuna traccia.

Mi stavo incominciando a preoccupare per lei, che fosse arrabbiata con me?

E poi,seppur in ritardo, il desiderio della droga incominciò a farsi sentire.

Avevo ancora un po’ di cocaina nel giubbotto, per cui mi guardai intorno per cercarlo, ma non lo trovai.

Cominciai a sudare freddo e a essere in ansia, desideroso della sostanza.

Cercai di concentrarmi sulla lettura, ma quando si è arrivati a questo punto, non si può più fare a meno della droga, a meno che si voglia impazzire.

Inutilmente tentai di addormentarmi.

Decisi che, anche se costretto a frugare per tutta la casa, avrei trovato il giubbotto con dentro il mio tesoro.

E in quel momento tornai a essere ossessionato, convinto di essere spiato, perseguitato.

L’effetto della cocaina, in tutta la sua forza.

Solo allora mi accorsi che la porta della stanza era chiusa a chiave.

Ero imprigionato, mi sentivo morire lì dentro.

Mi coricai sul letto, in lacrime, con la testa sotto il cuscino.

Volevo la droga, potevo uccidere per la droga, cercai qualcosa per sfondare la porta, ma inutilmente.

Mi misi a gridare più forte che potevo, ma il mio era solo un debole lamento che non raggiungeva l’orecchio di nessuno.

Stavo per impazzire, quando finalmente, in preda al mio delirio, sentii la serratura della chiave che si muoveva e in seguito la porta aprirsi.

Entrò Valeria, con qualcosa in mano, ma appena mi vide in quello stato, lasciò cadere per terra tutto con uno schianto e mi fu vicino.

Si sdraiò velocemente accanto a me e mi abbracciò forte, tenendomi fermo, dato che ero in preda a forti convulsioni, simili a crisi epilettiche.

E restammo così per non so quanto tempo: io chiedevo la droga, ma lei non mi rispondeva e mi teneva fermo, e io non avevo la forza di reagire.

Appoggiò la sua testa sul mio petto, come se fosse la mia ragazza e restammo così in silenzio.

Non mi guardava negli occhi, ma mi accorsi che, di nuovo, stava piangendo.

Poi so soltanto che svenni.

 

Valeria era per terra, in una pozza di sangue, l’avevo uccisa io.

Ancora con il coltello in mano, con il sangue che gocciolava, mi disperai.

L’avevo uccisa perché mi aveva impedito di assumere la droga, ma ora che l’avevo fatto mi sentivo in colpa.

Sentii delle sirene: era la polizia.

Una pattuglia sola: scesero di macchina con le pistole puntate contro di me, mormorandomi qualcosa che non riuscivo a capire.

Mi mossi e sentii un colpo.

 

Mi svegliai di soprassalto, ancora intontito, ma stranamente non più bisognoso di droga.

Mi accorsi guardando verso la finestra, che era notte fonda.

Di Valeria nessuna traccia.

Era da tanto che non mangiavo e mi sentivo debole.

Accesi la luce e mi guardai intorno: Valeria sul comodino mi aveva lasciato un recipiente pieno di cibo.

Mangiai con gusto ogni cosa e mi sentii soddisfatto come mai era successo: il cibo era stranissimo, ma mai avevo mangiato qualcosa di così buono.

Non volendo disturbare Valeria che sicuramente dormiva( e lì mi sbagliavo, come in futuro vi dirò) e non avendo sonno, presi il libro del giorno prima, Il nome della Rosa, e continuai a leggerlo.

Ero arrivato al punto in cui uno dei monaci era stato trovato morto in una bacinella colma di sangue di maiali.

Cercai di immaginarmi la scena e mi venne da ridere: era proprio vero che la droga mi aveva danneggiato il cervello(e ancora oggi lo noto) permanentemente.

 

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Capitolo 5
*** Primo Dialogo ***


5:Primo Dialogo

5:Primo Dialogo

 

 

Mi addormentai e passai una notte, stranamente, dopo mesi, senza sogni.

Mi risvegliai che già la luce dei raggi del sole filtrava dalla finestra e illuminava la stanza.

Mi alzai e mi stirai, dopo di che andai in bagno, una stanzetta contigua alla camera da letto.

Mi lavai e, come di consuetudine a casa mia, uscii nudo dalla doccia.

Entrai nudo nella camera da letto, ma appena aprii la porta i miei occhi incontrarono quelli di Valeria, che subito imbarazzata e rossa in viso girò lo sguardo.

-Ehm, scusa- mormorò con un filo di voce.

-No! Scusami tu, di solito a casa mia sono abituato così!- gli risposi, dopo aver infilato boxer e pantaloni.

-Ti puoi girare ora…- gli dissi.

Valeria lentamente si voltò e mi guardò preoccupata.

-Come stai?- mi chiese.

-Ora abbastanza bene. Ma non riesco a capire perché tu mi abbia aiutato…- risposi io.

A quella risposta Valeria diventò rossa e volto di scatto lo sguardo altrove, fissando un punto indefinito dell’armadio lì di fronte.

Richiamata alla realtà dal rumore della sedia che avevo spostato, mi rispose:- L’ho fatto perché sento giusto aiutare i ragazzi in difficoltà- rispose con un sorriso.

Io, ovviamente non gli credei.

-Grazie mille! Scusa per il disturbo. Ora mi sa che è meglio che vada- gli dissi.

Valeria a quel mio proposito di lasciare casa sua si scosse e, quasi gridò- NO!-; poi, accortasi che le sue parole che potevano far capire le sue intenzioni, rispose più lentamente e con un tono di voce più calmo- Ho chiamato i tuoi e mi hanno detto che è meglio se resti qui ancora per qualche giorno, con io che ti faccio compagnia- aggiunse.

Io alla fine, innocentemente, credei alla sua versione dei fatti, non sapevo, povero me, che i miei non sapevano niente di niente, e nemmeno conoscevo i propositi di quella ragazza, all’apparenza così dolce.

-Ma dove siamo esattamente?- chiesi a Valeria, riferendomi alla nostra collocazione in città.

-Non siamo più a Palermo, ma a Cefalù. Ti ho portato l’altra sera fin qui in auto.- rispose Valeria.

Io conoscevo questo paese, dato che in passato, da bambino, ci ero stato e mi era anche piaciuto.

Vedendo che ero immerso nei miei pensieri e che non parlavo più, Valeria si avvicinò a me, che ero seduto sul letto e si sedette vicino a me.

Notai che la sua mano sottile e delicata si avvicinava lentamente alla mia, e non feci niente per impedirlo.

Muovendo la mano un po’ più rapidamente, afferrò la mia e me la strinse forte.

Finalmente sbuffò, dato che per tutto il tempo necessario alla sua “operazione” aveva trattenuto il respiro.

Restammo così, senza guardarci negli occhi, finché suonò il telefono che ci riscosse dai nostri pensieri.

-Scusa…- disse Valeria, alzandosi.

-Tra un po’ ti porto la colazione- aggiunse con un sorriso e sparì dalla mia vista.

Io, non volendola disturbare, mi sdraiai sul letto a rimuginare su ciò che era successo in questi giorni.

Questa ragazza mi aveva aiutato, non conoscendomi, e mi aveva portato a casa sua, ospitandomi e badando a me, senza volere niente in cambio.

Poi aveva chiamato i miei, che non so come, avevano accettato a farmi rimanere da Valeria, senza nemmeno venire a trovarmi.

Probabilmente Valeria doveva avergli detto i miei problemi con la droga, di cui loro ero all’oscuro, e allora perché non stavano facendo niente?

Decisi che avrei approfondito il discorso non appena Valeria fosse tornata.

E poi rimaneva da analizzare il comportamento di Valeria nei miei confronti: come interpretare il suo comportamento, come quello di poco prima, quando mi aveva afferrato la mano o quando mi aveva abbracciato quando ero in delirio.

Era soltanto un comportamento di protezione o forse c’era qualcosa di più?

La seconda possibilità, dovetti ammetterlo, non mi sarebbe dispiaciuta, ma decisi di non volare troppo con i pensieri.

Probabilmente Valeria si era comportata così solo per aiutarmi e per farmi sentire sicuro, non mi dovevo illudere: una ragazza carina come lei poteva avere tutti i ragazzi che voleva, figuriamoci se gli interessava un drogato come me….

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