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È dolce il vento che questa sera mi accarezza il viso e mi
smuove i capelli.
Da solo seduto su una panchina semi-distrutta, a sentire il
rumore del mare, perché il buio non ne permette più la vista.
Ricordo di quando lì mi baciai con lei e mi tremava la
pelle.
Ricordo che le dissi di amarla, e che lei rispose con le
stesse parole quasi in lacrime, penso per la felicità.
Ricordo fino all’ultimo giorno in cui lei era la ragazza più
importante per me, ma poi svanì tutto.
Un tempo sapevo il perché, ma ora
l’alcol mi ha fatto dimenticare come si trovano le informazioni dentro il
cervello, ormai atrofizzato e danneggiato dalla droga.
E ora sto qui seduto, su questa
panchina di ferro arrugginita, con una bottiglia di vodka in mano, e un’altra
qui per terra ormai vuota.
Ho il viso arrossato e non riesco a pensare a niente.
Il mio unico desiderio è svuotare questa bottiglia, per poi
trovarne un’altra.
Mi sembra che un tempo avevo degli
amici e che la sera uscivo con loro.
Ricordo risate, scherzi, liti, delusioni.
Ora non fanno più parte di me.
Tre sono le cose che m’importano in questo momento, un momento lungo diversi mesi ormai: l’alcol, la droga, il
suicidio.
Le prime due si spiegano da sole.
L’alcol e la droga mi fanno schifo, mi hanno rovinato la
vita, eppure non posso farne a meno.
E ora voglio finirla, devo
conservare ancora un po’ di dignità e farla finita, prima di finire sotto un
ponte o in un centro di ricovero per tossico-dipendenti.
I miei genitori, ignari di tutto, non potrebbero sopportarlo,e io meno di loro.
Barcollando mi alzo, i capelli scompigliati dal vento, la
maglietta odorante di vodka, non capisco più nemmeno se è vodka alla fragola o
alla pesca.
Provo a guardare l’etichetta, ma mi gira la testa e devo
risedermi.
E ora sto malissimo, sento che sto
per morire, sento che questo è l’ultimo giorno della mia vita, ormai priva di
significato e di speranza.
Mi metto a gridare, invoco aiuto, bestemmio tutti i santi
che conosco, e in preda a quel delirio nemmeno mi accorgo che una persona si è
avvicinata a me.
E lei mi mise una mano sulla
fronte, sussurrandomi parole che m’indirizzavano verso la tranquillità e la
quiete.
Seppur in delirio totale, sentii il
calore della sua mano e mi girai supino, per poterla guardare in viso.
Malgrado tutto il mondo a me
attorno fosse irrimediabilmente sfocato, miracolosamente il suo viso era
limpido e netto.
Era una ragazza che sembrava emanare una luce dal suo viso,
i suoi capelli scuri erano ondulati al vento e le
ricadevano soffici sulle spalle.
Improvvisamente mi calmai, ma subito dopo fu solo il buio
che vidi.
Un castello di colore
rosa, un drago verde che vola verso di me, il re che grida contro il drago, il
re che muore e cade dalla torre più alta, il suo corpo mutilato dalle rocce.
Il castello di cinque
lati, e il drago s’infrange contro uno di questi che
viene distrutto.
Fuoco e fiamme, il
drago è morto, e io sono morto con il drago.
Mi risvegliai bruscamente dal mio sonno.
Un sogno stranissimo, di quelli che mi capitavano da un mese
a questa parte.
Non ricordando niente del giorno precedente, trovandomi al
buio, pensai di essere nella mia stanza.
Indirizzai la mano verso il comodino per accendere la luce,
ma il mio arto incontro solo il vuoto, un vuoto dove
l’aria era più densa, e la mano, non riconoscendo ciò che da una vita era al
suo posto, mi si fece più pesante.
Quando i miei occhi si abituarono
al buio, mi accorsi di non essere nella mia stanza.
Ero ancora intontito dall’alcol e dalla droga e non
ricordavo niente del giorno precedente, per cui solo
in un secondo momento capii dove fossi finito.
Mi alzai dal letto e lentamente mi diressi verso la porta.
Aprii la porta di scatto e una luce accecante m’invase il
corpo e chiusi gli occhi di scatto.
Dopo pochi attimi riaprii gli occhi e mi accorsi di essere
in una casa, ma non era la mia.
M’inoltrai lungo il corridoio, vuoto a parte uno scaffale
pieno di cianfrusaglie sulla destra.
Una porta si aprì dall’altro lato del
corridoio, restai immobilizzato.
-Ah eccoti, ti sei svegliato vedo!- era una voce di una
ragazza, così dolce che mi fece rizzare i peli del
corpo.
Una volta che misi a fuoco la ragazza, mi accorsi che era la
stessa della sera precedente e capii: era stata lei ad aiutarmi in quel momento
di crisi, ma abituato a frequentare spacciatori e gente
interessata solo al guadagno, non sapendo più cos’era la bontà, mi
chiesi il perché quella ragazza mi avesse aiutato, senza guadagno apparente.
Con in mente questi pensieri
sospettosi, non potei fare a meno di squadrare la ragazza da cima a fondo: era
alta circa 1,75m, poco meno di me, un fisico sinuoso e agile, capelli scuri,
ben proporzionata e un viso dolcissimo, che rapì il mio cuore immediatamente.
Indossava solo una leggere camicia da notte che metteva in risalto tutte le sue forme.
Tutti i muscoli del corpo tremarono, uno più degli altri.
Solo allora mi accorsi di essere in mutande.
Tutti questo accadde in un paio di secondi, sufficienti a
far si che la ragazza si avvicinò e mi prese per un
braccio.
Io non proferii parola, ero troppo stanco per farlo, ma la
ragazza dovette intuirlo, dato che non se la prese e mantenne il suo sorriso sincero mentre mi riportava in quella stanza dove poco prima
mi risvegliai.
-Il mio nome è Valeria- mi disse
dopo avermi adagiato sul letto.
Il sonno e la stanchezza mi colsero nuovamente, più di
prima, ma ebbi la lucidità per capire gran parte delle parole o almeno il senso
della frase che mi disse prima di andarsene:- Per ora
riposa, poi parleremo quando non sarai più stanco. Ho già parlato con i tuoi
genitori, non ti preoccupare-.
E sprofondai nelle tenebre di un
nuovo sogno, più strano di quello precedente, di cui però non ricordo né il
significato né gli avvenimenti.
Al mio risveglio, non so quante ore dopo, la finestra era
aperta e la stanza illuminata.
Mi accorsi di essere in un appartamento, mi affacciai alla
finestra e guardai giù: circa il quinto piano.
Non riconoscevo gli edifici accanto,
quindi mi sporsi un po’ di più per guardare in laterale.
Tutto ad un tratto delle mani mi presero
e mi scaraventarono nella stanza.
-Ma co..!-
-Ma sei scemo, che volevi fare?- mi
gridò Valeria, a pochi centimetri dal mio volto.
Riuscii a sentire il suo respiro affannato.
Una lacrima le colò da lungo il viso.
-Stavo solo guardando- risposi io un po’ in imbarazzato,
avendo capito che Valeria credeva mi volessi gettare.
Non riuscivo a credere che gl’importava
tanto di me.
Doveva avere di sicuro qualche secondo fine.
Dovevo scoprire quale: forse voleva la droga.
Nella confusione del momento non mi ero accorto che eravamo
entrambi a terra e Valeria aveva le mani strette attorno ai miei fianchi.
Appena se ne accorse, le ritirò
subito.
Si scusò e dopo essersi alzata, scappò velocemente dalla
stanza.
Mi sembrò di vedere il suo viso rigato dalle lacrime mentre fuggiva.
Ora non capivo proprio perché si era messa a piangere: di me
non gliene poteva importare niente, dato che non ci conoscevamo,
io non l’avevo mai vista prima.
Ritenei saggio non avventurarmi per la casa con Valeria in
quello stato e perciò mi distesi nuovamente sul letto.
Solo allora notai di essere in pigiama: Valeria mi aveva cambiato quando ero svenuto.
Non so se questo pensiero era di conforto o di sgomento.
Per fortuna, mi accorsi di avere ancora le mutande.
Osservai meglio la stanza: per essere di un appartamento,
era una stanza abbastanza grande, con un armadio pieno di libri e scartoffie
varie, un letto singolo dove io ero disteso e un altro armadio per i vestiti,
che decisi era meglio non aprire.
Sul comodino accanto al letto, vi era una lampadina, un
bicchiere d’acqua e un pacco di fazzoletti.
Mi sentivo ancora rintontito, il che era strano, dato che
gli effetti della droga dovevano già essere passati da un pezzo.
Non vi erano orologi nella stanza, quindi non sapevo da
quanto tempo ero in quella casa.
Doveva essere parecchio tempo, perché avevo molta fame.
A giudicare dal sole, doveva essere mattino inoltrato.
Solo allora mi accorsi di un fatto stranissimo: non avevo
bisogno di droga, era come se non avessi più dipendenza.
Da un lato era un fatto positivo,
dall’altro mi inquietava un poco.
Era successo qualcosa da quando
Valeria mi aveva aiutato, dovevo scoprire cosa.
Però in fondo lei mi stava
aiutando, lo stava facendo senza apparente vantaggio, ed era pure molto carina.
Ma allora perché il desiderio di
droga era svanito? Non riuscivo a spiegarmelo.
Ormai avevo riposato molto e non ero stanco, perciò ritenei
opportuno non dormire nuovamente, anche perché non avevo completamente sonno.
La mia curiosità fu attratta da un oggetto che non avevo
notato prima: poggiava sull’armadio dei libri.
Mi avvicinai e capii di che oggetto si trattasse:
era un ciondolo, con raffigurate due asce intersecate tra di loro.
Era al tempo stesso un oggetto affascinante, ma che sembrava
molto antico e toccandolo fu come se fosse carico di tantissimi ricordi.
Doveva trattarsi di un oggetto molto importante per Valeria,
ma alla perché lasciarlo lì, alla mia portata?
Riposai l’oggetto dove l’avevo trovato e preso un libro, Il
nome della Rosa, mi coricai sul letto e incominciai a leggerlo, trasportato dal
mistero delle pagine, che narravano un abbazia maledette
e di un investigatore che doveva scoprire i suoi misteri.
Non me ne accorsi, ma preso dalla
lettura il tempo passò velocemente e di Valeria nessuna traccia.
Mi stavo incominciando a preoccupare per lei, che fosse arrabbiata
con me?
E poi,seppur in ritardo, il
desiderio della droga incominciò a farsi sentire.
Avevo ancora un po’ di cocaina nel giubbotto, per cui mi guardai intorno per cercarlo, ma non lo trovai.
Cominciai a sudare freddo e a
essere in ansia, desideroso della sostanza.
Cercai di concentrarmi sulla lettura, ma quando si è
arrivati a questo punto, non si può più fare a meno della droga, a meno che si voglia impazzire.
Inutilmente tentai di addormentarmi.
Decisi che, anche se costretto a frugare per tutta la casa,
avrei trovato il giubbotto con dentro il mio tesoro.
E in quel momento tornai a essere
ossessionato, convinto di essere spiato, perseguitato.
L’effetto della cocaina, in tutta la sua forza.
Solo allora mi accorsi che la porta della stanza era chiusa
a chiave.
Ero imprigionato, mi sentivo morire
lì dentro.
Mi coricai sul letto, in lacrime, con la testa sotto il
cuscino.
Volevo la droga, potevo uccidere per la droga,
cercai qualcosa per sfondare la porta, ma inutilmente.
Mi misi a gridare più forte che potevo,
ma il mio era solo un debole lamento che non raggiungeva l’orecchio di nessuno.
Stavo per impazzire, quando finalmente, in preda al mio
delirio, sentii la serratura della chiave che si muoveva e in seguito la porta
aprirsi.
Entrò Valeria, con qualcosa in mano, ma appena mi vide in
quello stato, lasciò cadere per terra tutto con uno schianto e mi fu vicino.
Si sdraiò velocemente accanto a me e mi
abbracciò forte, tenendomi fermo, dato che ero in preda a forti
convulsioni, simili a crisi epilettiche.
E restammo così per non so quanto
tempo: io chiedevo la droga, ma lei non mi rispondeva e mi teneva fermo, e io
non avevo la forza di reagire.
Appoggiò la sua testa sul mio petto, come se fosse la mia ragazza e restammo così in silenzio.
Non mi guardava negli occhi, ma mi accorsi che, di nuovo,
stava piangendo.
Poi so soltanto che svenni.
Valeria era per terra, in una pozza di sangue, l’avevo uccisa io.
Ancora con il coltello
in mano, con il sangue che gocciolava, mi disperai.
L’avevo uccisa perché mi
aveva impedito di assumere la droga, ma ora che l’avevo fatto mi sentivo in
colpa.
Sentii delle sirene:
era la polizia.
Una pattuglia sola:
scesero di macchina con le pistole puntate contro di me, mormorandomi qualcosa
che non riuscivo a capire.
Mi mossi e sentii un
colpo.
Mi svegliai di soprassalto, ancora intontito, ma stranamente
non più bisognoso di droga.
Mi accorsi guardando verso la finestra, che era notte fonda.
Di Valeria nessuna traccia.
Era da tanto che non mangiavo e mi sentivo debole.
Accesi la luce e mi guardai
intorno: Valeria sul comodino mi aveva lasciato un recipiente pieno di cibo.
Mangiai con gusto ogni cosa e mi sentii
soddisfatto come mai era successo: il cibo era stranissimo, ma mai avevo
mangiato qualcosa di così buono.
Non volendo disturbare Valeria che sicuramente dormiva( e lì
mi sbagliavo, come in futuro vi dirò) e non avendo sonno,
presi il libro del giorno prima, Il nome della Rosa, e continuai a
leggerlo.
Ero arrivato al punto in cui uno dei monaci era stato trovato
morto in una bacinella colma di sangue di maiali.
Cercai di immaginarmi la scena e mi venne da ridere: era
proprio vero che la droga mi aveva danneggiato il cervello(e ancora oggi lo
noto) permanentemente.
Mi addormentai e passai una notte, stranamente, dopo mesi,
senza sogni.
Mi risvegliai che già la luce dei raggi del sole filtrava
dalla finestra e illuminava la stanza.
Mi alzai e mi stirai, dopo di che andai in bagno, una
stanzetta contigua alla camera da letto.
Mi lavai e, come di consuetudine a casa mia, uscii nudo
dalla doccia.
Entrai nudo nella camera da letto, ma appena aprii la porta
i miei occhi incontrarono quelli di Valeria, che subito imbarazzata e rossa in
viso girò lo sguardo.
-Ehm, scusa- mormorò con un filo di voce.
-No! Scusami tu, di solito a casa mia sono
abituato così!- gli risposi, dopo aver infilato boxer e pantaloni.
-Ti puoi girare ora…- gli dissi.
Valeria lentamente si voltò e mi guardò preoccupata.
-Come stai?- mi chiese.
-Ora abbastanza bene. Ma non riesco
a capire perché tu mi abbia aiutato…- risposi io.
A quella risposta Valeria diventò rossa e volto di scatto lo
sguardo altrove, fissando un punto indefinito dell’armadio lì di fronte.
Richiamata alla realtà dal rumore della sedia che avevo
spostato, mi rispose:- L’ho fatto perché sento giusto
aiutare i ragazzi in difficoltà- rispose con un sorriso.
Io, ovviamente non gli credei.
-Grazie mille! Scusa per il disturbo. Ora mi sa che è meglio
che vada- gli dissi.
Valeria a quel mio proposito di lasciare casa sua si scosse
e, quasi gridò- NO!-; poi, accortasi che le sue parole che potevano far capire
le sue intenzioni, rispose più lentamente e con un
tono di voce più calmo- Ho chiamato i tuoi e mi hanno detto che è meglio se
resti qui ancora per qualche giorno, con io che ti faccio compagnia- aggiunse.
Io alla fine, innocentemente, credei alla sua versione dei
fatti, non sapevo, povero me, che i miei non sapevano niente di niente, e
nemmeno conoscevo i propositi di quella ragazza, all’apparenza così dolce.
-Ma dove siamo esattamente?- chiesi a Valeria, riferendomi
alla nostra collocazione in città.
-Non siamo più a Palermo, ma a Cefalù.
Ti ho portato l’altra sera fin qui in auto.- rispose
Valeria.
Io conoscevo questo paese, dato che in passato, da bambino, ci ero stato e mi era anche piaciuto.
Vedendo che ero immerso nei miei pensieri e che non parlavo
più, Valeria si avvicinò a me, che ero seduto sul
letto e si sedette vicino a me.
Notai che la sua mano sottile e delicata si avvicinava lentamente
alla mia, e non feci niente per impedirlo.
Muovendo la mano un po’ più rapidamente, afferrò
la mia e me la strinse forte.
Finalmente sbuffò, dato che per tutto il tempo necessario
alla sua “operazione” aveva trattenuto il respiro.
Restammo così, senza guardarci negli occhi, finché suonò il
telefono che ci riscosse dai nostri pensieri.
-Scusa…- disse Valeria, alzandosi.
-Tra un po’ ti porto la colazione- aggiunse
con un sorriso e sparì dalla mia vista.
Io, non volendola disturbare, mi sdraiai sul letto a
rimuginare su ciò che era successo in questi giorni.
Questa ragazza mi aveva aiutato, non conoscendomi, e mi
aveva portato a casa sua, ospitandomi e badando a me, senza volere niente in
cambio.
Poi aveva chiamato i miei, che non so come, avevano
accettato a farmi rimanere da Valeria, senza nemmeno venire a trovarmi.
Probabilmente Valeria doveva avergli detto i miei problemi
con la droga, di cui loro ero all’oscuro, e allora perché
non stavano facendo niente?
Decisi che avrei approfondito il discorso non appena Valeria
fosse tornata.
E poi rimaneva da analizzare il
comportamento di Valeria nei miei confronti: come interpretare il suo
comportamento, come quello di poco prima, quando mi aveva afferrato la mano o
quando mi aveva abbracciato quando ero in delirio.
Era soltanto un comportamento di protezione o forse c’era
qualcosa di più?
La seconda possibilità, dovetti ammetterlo, non mi sarebbe
dispiaciuta, ma decisi di non volare troppo con i
pensieri.
Probabilmente Valeria si era comportata così solo per
aiutarmi e per farmi sentire sicuro, non mi dovevo illudere: una ragazza carina
come lei poteva avere tutti i ragazzi che voleva, figuriamoci
se gli interessava un drogato come me….