Epiphany

di RubyChubb
(/viewuser.php?uid=11150)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Epiphany ***
Capitolo 2: *** Epiphany - La conclusione ***



Capitolo 1
*** Epiphany ***


EPIPHANY



I due ragazzi entrarono nella loro camera d'albergo stremati dalla fatica. L'ennesima giornata dedicata alle “pubbliche relazioni”, in altre parole alla stampa, ai servizi fotografici, alle interviste televisive e alle conferenze stampa. Il loro nuovo album, il primo in inglese, stava per uscire e c'era da fare pubblicità. Per questo le loro giornate erano dedicate al novanta per cento alle pubbliche relazioni, mentre solo una parte alle prove. Anche se parlare continuamente non era così faticoso come stare tutto il giorno a suonare, i due erano abbastanza stanchi.
Appena entrati si buttarono a peso morto sul letto di Bill, a faccia in giù, immobili, con le braccia aperte. Ognuno dei due aveva il proprio letto, a due piazze, per stare belli e comodi, ma oramai erano abituati così: in ogni albergo in cui dormivano pretendevano di avere una stanza unica, con due grandi letti separati e, siccome questa era una delle poche pretese che avevano, riuscivano sempre ad essere accontentati. Il letto di Bill era quello più vicino alla porta ed era quello in cui i due passavano tutto il loro tempo, quando si trovavano lì dentro. Tranne quando dormivano: a suon di battaglie Bill cercava di scacciare suo fratello dal suo letto, ma il più delle volte era lui ad essere scacciato dal letto di suo fratello.
Tom farfugliò qualcosa, non era facile parlare con la bocca impastata dalla coperta del letto.
“Cosa hai detto?”, gli chiese il fratello, voltando la testa verso di lui.
“Sono sfatto... ma è mai possibile ripetere sempre le stesse identiche cose, ogni giorno? Non basta fare un'intervista unica e farla passare a tutti i media?”, protestò l'altro, girando la testa a sua volta.
“Un copia e incolla... interessante, ma non viviamo dentro Office...”, disse Bill.
“Peccato, un giorno comprerò una casa produttrice di software e sfrutterò i geni che ci lavorano per creare un programma per fare le interviste uniche... Ordiniamo la cena in camera?”
“Certo che si!”
“Chiamali tu...”, disse Tom, che non si era mosso di un centimetro dalla sua posizione.
“E dai! Fallo tu almeno una volta!”, ribattè suo fratello subito.
“No, sta a te, sei tu quello diplomatico del gruppo...”
“Si....”, disse l'altro spazientito.
Con la velocità di un bradipo assonnato, Bill si mise a sedere sul letto e prese il telefono della stanza, premette lo zero e fece la classica ordinazione, due hamburger, una valanga di patatine e fiumi di coca cola. Dopo una decina di minuti bussarono alla porta e, dopo il classico battibecco su chi dei due doveva andare ad aprire, per l'ennesima volta toccò a Bill alzarsi e ricevere il vassoio con la loro cena dal cameriere. Entrambi seduti sul letto, a gambe incrociate, mangiarono la loro cena senza dare molta importanza alle briciole che cadevano sulla coperta, e guardando distrattamente la tv. Una volta spazzolata via l’ultima patatina e bevuto l’ultimo sorso di coca, entrambi si accomodarono al loro meglio sul letto per rilassarsi. Tom, padrone del telecomando, iniziò a fare zapping come era suo solito.
“Forse sul primo canale trasmettono qualcosa di interessante.”, disse Bill, prendendo il telecomando, essendosi stancato del fratello che non si decideva a fermarsi su alcun programma.
“Beh, non so, ma sarà meglio che trasmettano il film 'Come Tom si fece la doccia prima di suo fratello se non voleva addormentarsi con i vestiti addosso perchè l’altro occupa abusivamente il bagno' “, disse l'altro, alzandosi dal letto. Sapeva quanto tempo ci impiegava Bill a farsi la doccia e a sistemarsi, anche per andare a letto, quindi non voleva svegliarsi il giorno seguente con i vestiti ancora indosso perchè l’altro non si decideva a schiodarsi dal bagno.
“Fai bene perchè stasera avrei proprio bisogno di un bel bagno nella vasca...”, disse Bill, tirandogli il suo cuscino e mancandolo per un pelo. Tom lo ricambiò, salutandolo molto sportivamente con il suo dito medio, un attimo prima di chiudere la porta del bagno.
Libero su quel letto king-size, Bill appoggiò la schiena contro la testata del letto e decise che avrebbe guardato uno dei tanti film che trasmettevano sulla pay per view, sperando di non addormentarsi prima della fine. Sarebbe stata dura, ma non era del tutto impossibile. Schiacciò i pulsanti del telecomando come c'era scritto sulle istruzioni in sovra impressione sullo schermo e, mentre attendeva che il film cominciasse, iniziò a togliersi gli abiti. Per essere stato giugno, aveva sudato come se fosse agosto sul deserto del Sahara e la maglietta che indossava era ancora un po’ umida. Aveva proprio bisogno di  una doccia prima di andare a letto, ecco un altro buon motivo per non addormentarsi. In mutande, libero da ogni impedimento di stoffa, riprese la comoda posizione che aveva trovato prima e iniziò a guardare il film.
“Tomi! Che film vuoi vedere?”, gli domandò. Non era molto interessato alla sua risposta, già sapeva quale sarebbe stata.
“Uno con pochi dialoghi!”, disse l’altro, riferendosi ad una particolare categoria di film, dove i protagonisti avevano da maneggiare tutt’altro che copioni impegnativi da Oscar.
Qualche minuto dopo, proprio nel bel mezzo di una scena di sesso tra i due protagonisti, sentì dalla stanza della musica: qualcuno si era messo a suonare una chitarra e a cantare qualcosa, disturbando la sua visione e la sua eccitazione.
“Tomi!”, chiamò suo fratello, che era in bagno, sotto l'acqua della doccia. Il tono della voce un po’ troppo alto che aveva utilizzato pareva essere stato sentito da tutti, cioè dal vicino rumoroso, tranne che dal fratello, perchè improvvisamente la musica si interruppe. Non riuscì quindi a capire se la musica provenisse dalla camera con cui condivideva il muro alle sue spalle, oppure l’altra, di fronte a lui, anche se era più propenso per la prima opzione.
“Che rompi?”, borbottò l'altro, che invece lo aveva sentito benissimo, chiudendo temporaneamente il getto della doccia.
“Da quando Georg e Gustav hanno iniziato a suonare la chitarra e a cantare?”, chiese Bill, che non poteva ricondurre non ricondurre quella musica ai suoi due amici.
“Ma che domanda è?”, ribattè l'altro.
“Stanno suonando nella camera accanto a noi, questa dietro al letto.”
“Idiota! Gustav e Georg non sono in quella camera, stanno in quell’altra! Quella di fronte alla nostra!”, fece Tom, riaprendo l'acqua e continuando a farsi la doccia, chiedendosi quanto fosse stupido suo fratello.
Era vero, Gustav e Georg avevano due camere separate di fronte a loro. Bill lasciò perdere la questione, già poco interessante di per sé, e riprese la visione.

Poi di nuovo la chitarra tornò a suonare. Non gli dava tanto fastidio, ma non era il caso di suonare una chitarra alle dieci della sera, in un albergo: presto gli altri vicini avrebbero chiamato la reception e il portiere avrebbe mostrato il cartellino giallo... Gli parve che suonasse qualcosa che lui conosceva. Lasciò perdere la visione del film, tanto ripetitiva quanto troppo interessante per un ragazzo della sua età, e si concentrò.
Come as you are, as you were, as I want you to be, cantava una voce.
Doveva essere una ragazza, perchè il timbro era molto dolce e vellutato, si poteva anche capire attraverso una parete.
Beh, questa era facile, pensò Bill, come se avesse avviato una gara a premi con colei che si dilettava con la sua chitarra.
So you think you could tell, heaven from hell...
C'era quasi, Bill aveva la canzone sulla punta della lingua. Si sforzò un attimo poi il titolo gli balenò nella mente: era 'Wish you were here' dei Pink Floyd.  Invece di interrompersi alla prima strofa, come aveva fatto precedentemente con 'Come as tou are' dei Nirvana, la ragazza continuò a cantare quella stupenda canzone. A Bill non piacevano molto i Pink Floyd, aveva qualche cd, ma non gli erano mai entrata in testa, a parte qualche capolavoro come 'Shine on you crazy diamond' o 'High hopes'.
La voce che sentiva era melodiosa, anche se capì che la ragazza non ne aveva piena padronanza. Cantava bene, ma poteva fare di meglio, era questo il voto che le avrebbe dato.
Poi, ad un tratto, sentì che la voce si ruppe, diventò quasi roca. I Pink Floyd finirono in singhiozzi, la ragazza stava piangendo. Bill si chiese il perchè di quel pianto: tese l'orecchio e aspettò l'inizio di una nuova canzone, ma non accadde.
“Che stai facendo con l'orecchio al muro? Mica ti sarai messo a spiare i vicini che stanno scopando!”, lo rimproverò Tom, facendogli arrivare dritto in faccia il cuscino che era riuscito ad evitare qualche minuto prima. Aveva finito di farsi la doccia ed era rientrato nella camera abbastanza in tempo da trovare suo fratello con l'orecchio attaccato al muro.
“Quello lo puoi fare solo tu!”, disse Bill, ricomponendosi.
“Certamente, sono io quello che pensa solo al sesso!”, rispose l'altro, “Hey… ma guarda che film danno in tv… cos’è? ‘La lampo di Dino’? O il più classico ‘La principessa sui piselli’?”
“Se Dio vuole tocca a me! Quanto ci hai messo!”, fece Bill, ignorando totalmente il fratello e le sue battutine stupide. Andò dritto in bagno, scavalcandolo.
Non ci avrebbe messo molto a lavarsi, era troppo stanco e voleva solo dormire. Uscì che suo fratello dormiva già profondamente, con la tv accesa, con i protagonisti che ancora ci stavano dando dentro come matti. Doveva essere proprio stanco morto per non goderselo fino alla fine, pensò Bill.
Anche stavolta gli toccava spostarsi sul suo letto: gli sfilò delicatamente il telecomando e spense la televisione. Avrebbe anche potuto strapparglielo via, ci voleva ben altro per svegliare quel sasso dormiente, ma una buona dose di gentilezza non faceva mai male.

Il caldo era soffocante, le lenzuola gli si appiccicavano alle gambe e il sonno se n'era andato. Suo fratello sembrava non sentire quanto l'aria fosse pesante e afosa. Aprì la porta scorrevole del suo terrazzino e si mise a sedere su una delle sedie, in cerca di refrigerio.
Con in mano un taccuino, Bill iniziò a scrivere i suoi pensieri e, nelle notti insonni, gli riusciva bene. Con i piedi contro le sbarre che delimitavano il terrazzino, rilesse quello che era riuscito ad esprimere in parole. Non male, pensò, potevano essere giuste per una canzone, ma mancava la melodia. A quella ci avrebbe pensato Tomi. Se si fosse sforzato un po' di più sarebbe venuta anche quella ma non si sentiva particolarmente ispirato per la musica e non aveva voglia di canticchiare e, magari, svegliare qualcuno.
La notte era terribilmente luminosa: luna era piena, alta in cielo, e le stelle erano quasi invisibili. Si riusciva a vedere senza dover ricorrere ad una luce artificiale. Anche le luci della città erano troppo vivide, per i suoi gusti, avrebbe preferito il buio più totale per godersi la vista della luna. Il flusso di pensieri fu interrotto.
Una musica, lieve. Era di nuovo quella chitarra. Come si poteva suonare all'una di notte?
Proveniva sempre dal medesimo posto: si alzò e si avvicinò al balcone della camera adiacente, identico a quello dove si trovava lui. La porta finestra era oscurata dalle tende ma vide comunque la luce che, dall’interno, filtrava dallo spiraglio, creatosi tra la stoffa ed il pavimento: ogni tanto veniva interrotta dal passaggio di qualcuno, forse era la ragazza della sera prima.
Nel mentre che si sporgeva, sentì che lei aveva iniziato ad armeggiare con la maniglia della finestra e che stava per uscire: lui, in mutande, avrebbe fatto meglio a tornare dentro se non voleva farsi vedere in quello stato. Rapidamente e silenziosamente, entrò nella sua camera, richiudendo la porta a vetro.  
Colto da un fremito di curiosità, tese l'orecchio per cogliere i rumori: sentì un colpo di tosse, poi lo scricchiolio rapido di un accendino. La sua curiosità voleva spingerlo ad uscire e vedere chi fosse quella ragazza che suonava alle ore più impensate della notte, ma poi ci rinunciò: doveva rivestirsi per uscire, se non voleva essere preso per un maniaco in mutande, ed aveva troppo caldo per farlo. Quella ragazza si sedette sulla sedia, la sentì prendere la sua chitarra, poi rientrare improvvisamente nella sua stanza, sbattendo la porta finestra. Bill guardò suo fratello per vedere se quel rumore improvviso lo aveva svegliato, ma niente, quello dormiva come sempre, un masso su un letto, immobile. Furtivamente, aprì la porta a vetro quel poco che bastava per far uscire la sua testa sul balcone: si voltò verso l’altro terrazzo e vide che l'altra aveva lasciato il suo strumento fuori. Ora le luci della stanza erano spente. Mah, si disse ritirando la testa dentro alla camera come una tartaruga faceva dentro al suo guscio, che tipa strana.

Poi la curiosità vinse: si infilò una maglietta, la prima che trovò, i pantaloni ed uscì. Si sedette, in attesa che la ragazza uscisse di nuovo per riprendersi la chitarra ma, quando posò gli occhi sull'altro balcone, vide che quella non c'era più. Che strano, disse, forse l'aveva ripresa ed lui non l'aveva sentita. Stava per rientrare in camera, quando vide di nuovo la luce accendersi e filtrare dalle tende. Sentì suonare un accordo; si mise a sedere sulla sedia, da lì l'avrebbe sentita meglio. Chiuse anche la porta a vetro, come per assicurarsi che Tomi non sentisse niente e continuasse a dormire beatamente.
La ragazza cantò e Bill, anche se non conosceva molto bene l'inglese, comprese che quelle parole erano dense di significato.

Your words to me just a whisper
Your face is so unclear
I try to pay attention
Your words just disappear


Era come se, insieme alla musica, forse da lei stessa composta, trasmettesse anche un flusso carico di emozioni, sentimenti, stati d'animo, che entrarono dentro di lui vorticosamente. La ragazza suonava la sua chitarra quasi con rabbia, lo sentiva, faceva vibrare le corde con odio. La sua voce non era insicura come quella che aveva sentito qualche tempo prima, ma era decisa, ferma, anche se non cantava ad un tono molto alto.

'Cause its always raining in my head
Forget all the things I should have said


Bill pensò che fosse una bella frase, che descrivesse veramente lo stato d'animo che anche lui provava in quel momento. Quella canzone stava scavando come un buco nel suo petto, lo stava svuotando di tutte le emozioni positive, lo stava risucchiando in un vortice di malinconia. Avrebbe voluto uscirne, ma era come incantato da quegli accordi. Sentì il suo cuore appesantirsi, il suo stomaco chiudersi.

So I speak to you in riddles
cause my words get in my way.
I smoke the whole thing to my head
And feel it wash away
cause I cant take anymore of this,
I want to come apart,
I'll dig myself a little hole
Inside your precious heart


Non riuscì a comprendere perfettamente il significato di quei versi, ma sapeva solo che il buco dentro al suo cuore di era allargato: gli venne, quasi in automatico, da pensare a cosa avrebbe provato se suo fratello non fosse più al suo fianco. Ci aveva pensato tante volte, ma era stato solo un pensiero sfiorato e accompagnato subito da un ordine  imperativo di pensare a qualcos'altro. Ora invece non poteva distogliere la sua mente: si voltò verso la camera e, quando vide che non c'era nessuno sul suo letto, che Tomi non c’era più, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Appoggiò le mani e la testa al vetro della porta, il suo respiro caldo iniziò ad appannarlo…
Le lacrime scesero copiosamente, in silenzio, sulle sue guance. Non cercò nemmeno di fermarle o di asciugarsi la faccia, non ci sarebbe riuscito, erano troppe. Una parte di sé se n'era andata, per sempre. Una consapevolezza amare e dura: avrebbe affrontato ogni momento della sua vita senza di lui. Lui era suo fratello, il suo migliore amico, era lui. In un attimo i ricordi di una vita sembrarono sparire, diventare solo delle memorie irraggiungibili e dolorose. Come una lama affilata tagliava la carne in tante parti, la canzone gli era entrata dentro e lo aveva diviso in due. Una parte di lui avrebbe voluto morire in quello stesso istante, gettarsi dal balcone per non provare più quei terribili sentimenti. Si affacciò e guardò giù: tutto sembrava così piccolo... in quel momento l'altra parte di sè volle rimanere aggrappata alla vita, lucida ma in lacrime, terribilmente consapevole della realtà: Tomi non c'era più. Tornò al vetro, voleva romperlo, voleva frantumarlo, così come voleva liberarsi di quella potenza autodistruttiva che si era addentrata prepotentemente della sua anima, al suono dolce di quella maledetta chitarra.

Poi lo vide uscire dal bagno, stropicciarsi gli occhi e buttarsi sul letto, coprirsi con un lenzuolo e dormire di nuovo. Eccolo, allora lui c'era, era lì!  Si dette dello stupido: come aveva potuto pensare che suo fratello non ci fosse più, era semplicemente andato in bagno e non si era accorto che lui era nella terrazza, che piangeva perchè per un attimo, per un solo istante della sua vita, aveva creduto di essere solo, soltanto lui al mondo.
Quel buco nel suo cuore si era richiuso in un attimo, arginato da quello che i suoi occhi avevano visto, e tutte quelle orrende sensazioni si dissolsero, portate via in un attimo come il vento che spazzava la polvere sui marciapiedi: entrò nella stanza, si stese accanto a lui e gli dette la buonanotte, mentre le note della canzone continuavano.

I am nothing more than
A little boy inside
That cries out for attention,
Yet I always try to hide
cause I talk to you like children,
Though I don’t know how I feel
But I know I'll do the right thing
If the right thing is revealed


La canzone si concluse così, la ragazza della stanza accanto la finì. Bill, prima di addormentarsi, la sentì piangere. In quel momento realizzò cosa significava quella canzone per lei: forse aveva perso qualcuno di importante, si era trovata sperduta in questo pazzo mondo. Oppure questo qualcuno era lì, vicino a lei, ma non riusciva a comprendere cosa le stesse succedendo… come diceva la canzone, lei sicuramente stava cercando di attirare la sua attenzione, come i bambini piccoli quando si sentono ignorati dalle loro stesse madri. Oppure lei era semplicemente sola, sola al mondo, mentre tutto intorno a lei si stava sfaldando, per lasciare posto ad un vuoto totale che l’avrebbe mangiata, fagocitata e rigettata, come un corpo estraneo.
Adesso cantava dolcemente la sua malinconia. Lui si era trovato sulla sua stessa lunghezza d'onda e aveva percepito tutti i suoi sentimenti.
Povera ragazza, pensò, la vita era tremenda se non aveva nessuno accanto...


Era una canzone profonda, una di quelle che venivano scritte una volta ogni mille anni, che prendevano il cuore e te lo strappavano in mille pezzi. Poi te lo ridavano intero, ma con un profondo segno, e un ricordo indelebile riaffiorava ogni volta che venivano riascoltate. Per un attimo, Bill si ricordò alcune parole: I'll dig myself a little hole inside your precious heart, dicevano. Ecco, quella canzone aveva scavano un piccolo buco nel suo cuore. L'avrebbe ricordata per sempre come la canzone più triste del mondo.


****


La mattina seguente Tom fu svegliato dal trillo del telefono: era la sveglia che l'albergo offriva gentilmente ai suoi clienti, ma che lui trovava tutt'altro che gentile, era solo un gran rompimento di scatole. Si voltò e vide suo fratello, nel suo stesso letto. Chissà cosa lo aveva spinto ad appiccicarsi a lui, con tutto il caldo che faceva. Gli dette un colpetto con la mano e lo svegliò.
“Ehi, che ci fai qui?”, gli chiese.
“Tranquillo, non ti fare brutte idee. Volevo solo dormire nel mio letto.”, disse Bill. Si stropicciò gli occhi, ancora stanchi, si mise supino a guardare il soffitto. Appena la sua testa si mise in moto, riaffiorarono tutte le sensazioni che aveva provato qualche ora prima. L'unica differenza era che si sentiva sollevato e tranquillo, come se fossero sentimenti lontani e quasi sconosciuti. Erano diventati come quei ricordi spiacevoli a cui non si poteva fare a meno di pensare, una volta ogni tanto, che facevano riaffiorare un po’ di malinconia.
“E vatti a lavare, puzzi come un maiale! Non ti sei lavato ieri sera, eh?”, protestò Tom, dandogli un calcio.

Dopo un'ora erano entrambi furono pronti e scesero nella reception, dove trovarono Georg e Gustav, che già li aspettavano da almeno una decina di minuti.
“Scusatemi un attimo,”, disse Bill dopo aver dato il buongiorno a tutti, “devo chiedere una cosa al bancone.”
“Ma siamo già in ritardo!”, protestò Gustav.
“Appunto, dato che siamo in ritardo un minuto in più cosa ci costa?”, fece l'altro, mentre si avvicinava alla reception.
“Desidera?”, gli domandò sorridente l'uomo dietro al bancone.
“Senta, vorrei solo un'informazione. Io sto nella camera 756 e volevo sapere se c'era qualcuno in quella accanto, la 754.”
“Nella 754?”, ripetè l'uomo.
“Si, proprio quella.”, disse Bill, aspettandosi che l'uomo si mettesse a premere qualche pulsante nel suo compunter.
“Non c'è nessuno signore.”
“Beh... come fa ad esserne sicuro senza aver controllato?”, gli chiese.
“E' una delle migliori camere dell'albero, la diamo solo a clienti speciali…”, disse lui, con un piccolo sorriso malizioso, quasi accennato.
“Capisco... quindi è vuota adesso...”
“Si, c'è qualche problema?”, gli chiese il portiere, “Avrebbe voluto cambiarla con la sua stanza?”
“No, non si preoccupi. Grazie lo stesso.”, disse Bill, ricongiungendosi ai suoi.
“Che avevi da chiedergli?”, gli domandò Tom, incuriosito.
“Niente, solo un'informazione.”, fece l'altro, sorridendogli.


Entrarono nello studio della sala prove, oggi avrebbero dovuto esercitarsi, nel pomeriggio dovevano esibirsi in uno show televisivo ed erano ancora un po' indietro con le prove. Un paio di volte, mentre cantava, Bill riuscì a stento a fermare le lacrime, anche gli altri se ne accorsero.
 Quell'esperienza lo aveva davvero segnato: poteva una canzone mai sentita prima colpirlo così nel profondo? Sì, era possibile, c’erano canzoni che gli facevano quell’effetto, ma mai avrebbe pensato che, dal nulla, una sconosciuta ed una chitarra potessero travolgerlo con quella valanga di emozioni, quella piena di sentimenti che gli straripava nel cuore. Si era svegliato sereno, ma erano bastate un paio di canzoni, soprattutto ‘Rette Mich’, a farlo ripiombare nella tristezza.
Eppure quell'uomo aveva detto che la camera era vuota, che non c'era nessuno, che la tenevano per gli ospiti speciali. Un pensiero improvviso e assurdo gli balenò in mente, ma era improponibile.
La giornata proseguì senza che la sua mente ritornasse su quell'idea prima di quando non fu entrato in camera. Se lo era imposto dopo che gli altri avevano iniziato a fargli domande, a chiedergli se si sentiva bene. Lui non voleva rispondere, non voleva parlarne o sarebbe scoppiato, sicuramente, a piangere e non gli andava di fare la figura del sentimentale, anche se milioni di altre volte l’aveva fatta senza porsi tanti problemi.
Una volta in camera si sedette sul letto e accese il suo computer portatile. Il collegamento internet fu attivato presto. Non sapeva quale suo neurone avesse ordinato al suo corpo di farlo. Ignorava se fosse stato il cervelletto o il lobo temporale a creare un determinato pensiero, che lo aveva spinto a pensare a delle assurdità, come alla possibilità che nella stanza accanto ci fosse un fantasma. Che stupido! I fantasmi non esistevano, non c’erano dubbi!
Comunque, che esistessero oppure no, digitò il nome dell’hotel sulla barra del motore di ricerca ed attese che gli venissero mostrati i risultati.

Tom, fino a quel momento, non aveva fatto domande sullo strano comportamento che aveva avuto Bill per tutta la giornata: gli era parso molto triste, non a pieno delle sue energie e deconcentrato. Era normale che suo fratello accendesse il pc appena rientrato in camera: di solito controllava la posta elettronica, cosa dicevano le fans nei forum, quindi non si avvicinò per curiosare… ma quando vide la sua faccia sbiancarsi pensò che doveva aver letto qualcosa di molto spiacevole.
“Bill, cos'hai?”, gli domandò, sedendosi accanto a lui.
“Leggi qua: in questo albergo, qualche anno fa, una ragazza si gettò dal balcone di una delle stanze. Era in depressione, aveva lasciato un foglio sul letto e... si è suicidata una notte, gettandosi insieme alla sua chitarra.”
“Wow... insomma, mi dispiace per lei.”, disse Tom. Aggrottò la fronte, si chiese il perchè suo fratello fosse interessato a quella storia, poi comprese. D’altronde, la telepatia, anche se non perfettamente dimostrata dalla scienza, era tipica dei fratelli come loro. “Per caso ha qualcosa a che fare con il fatto che sei stato strano tutto il giorno?”
“Beh... non lo so...”
Bill raccontò con un grande sforzo quello che aveva sentito la notte passata, cercò di utilizzare le parole più realistiche possibili per non vedere suo fratello scoppiargli a ridere in faccia. Alla fine Tom rimase un attimo in silenzio.
“Dici sul serio? Hai sentito una ragazza che suonava la chitarra nella stanza accanto?”
“Si...”
“Mmmh... E... pensi che sia la stessa del... suicidio?”
“Non lo so...”
“E' assurdo. Ci sono un milione di spiegazioni alternative.”
“Questo lo so, grazie. I fantasmi non esistono, eppure quando stamani ho chiesto al portiere se la camera accanto alla nostra fosse occupata, lui mi ha risposto di no. Quindi era vuota, ma c'era qualcuno dentro che suonava la chitarra e che cantava. Come te lo spieghi.”, disse Bill.
“Qualcuno ci è entrato abusivamente! Ed è comunque assurdo, non è facile passare inosservati in hotel come questi.”, fece Tom.
“Lo so che è assurdo tutto questo… Non so come fartelo capire, ma stavo quasi per buttarmi dal balcone lo sai? Non ti dico quali pensieri mi sono piombati in testa!”
“Ma la cosa più assurda di tutte che ieri sera manco ti sei andato a fare la doccia! Quando sono uscito dal bagno ti ho trovato a letto che russavi come un cavallo e mi è toccato strapparti di mano il telecomando per spegnere la tv. Hai dormito tutto il tempo Bill e tutto questo di cui stai parlando è solo un sogno, per di più illogico, come tutti i sogni che puoi fare solo tu! Ma non puoi limitarti a sognare di scopare con tre o quattro ragazze alla volta come faccio io?Non è che ti sei fumato qualcosa di illegale?”
Bill non credeva alle parole del fratello.
“Tomi, io non stavo dormendo, non era un sogno, era tutto vero!”, ribadì l’altro.
“Certo, è anche vero che stanotte sei stato più sonnambulo del solito. Prima mi tocca dormire nel mio letto perchè sul tuo ci sei tu, che ti sei addormentato nel bel mezzo di un porno fatto con i fiocchi, poi vieni ad appiccicarti a me. Io finalmente riesco a spostarmi sul tuo letto e tu, di nuovo, vieni a rompermi le palle. Non eri tu quello insonne, stanotte, ero io!”
“Ma...era tutto così reale.... Non ci credo, io stanotte ho sentito quella canzone perchè ero sveglio, non perchè stavo dormendo… E poi devi imparare a dormire nel tuo letto! Possibile che vuoi sempre farlo nel mio?”, disse Bill.

Era stato tutto un sogno, era incredibile: poteva un sogno, un incubo, essere così vero, così reale? Evidentemente sì. Bill tirò come un respiro di sollievo, non credeva assolutamente ai fantasmi… ma non si voleva mai trovare, un giorno, a raccontare di averne incontrato uno. Preparò la sua valigia, il giorno dopo avrebbero dovuto lasciare l'albergo e partire per la Francia per un piccolo tour promozionale. Altre città, altre persone, altri alberghi... altri fantasmi?
“Ti immagini se fosse stato tutto vero?”, chiese Tom a suo fratello, mentre guardavano la tv. Erano appena rientrati dalla camera di Georg, dove Bill aveva raccontato quello che gli era successo. Gustav dovette ammettere che gli era salito un brivido freddo lungo la schiena e che era una bella storia da campeggio, di quelle raccontato intorno al fuoco con la pila sotto al mento.
“Secondo me saresti morto dalla paura.”, continuò
“C'è mancato poco!”, disse Bill, ridendo. Una volta raccontata anche agli altri, la storia aveva assunto tutti altri colori, tutti altri toni, e non gli sembrava più così vera. Sì, se n’era convinto, aveva solo sognato.
“Gia... davvero stavi sognando che ti saresti suicidato, se io non ci fossi più?”
“Si...”, rispose Bill.
“Certo che sei un bastardo! Perchè devo essere sempre io a morire?”, disse Tom, tirando un cuscino sulla faccia del fratello.
“Dai, smettila! Fammi guardare la tv!”, protestò Bill, che ricevette un'altra cuscinata.
In poco tempo, i due presero a darsi cuscinate e continuarono finchè non caddero stremati sul letto.
Fantasmi... non esistevano, ne erano sicuri!


Il vento sulla faccia, le braccia levate al cielo, la mano che stringe forte la sua migliore amica. Una chitarra.
Vola, si sente leggera.
E suona solo per quelli come lei.
Solo da loro si fa sentire, nei loro sogni... l'angelo torna dal cielo solo per loro. Solo per Bill.



I Tokio Hotel non mi appartengono, nè intendo dare una rappresentazione reale della loro vita con questa storia!

Ripubblico questa storia perchè l'ho riletta, per caso, e ho trovato alcuni errori... ho modificato dei discorsi... niente di più!

La canzone è 'Epiphany' degli Staind. Le altre canzoni citate, compresa questa, non sono state utilizzate con scopo di lucro!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Epiphany - La conclusione ***


EPYPHANY - LA CONCLUSIONE



Il vento sulla faccia, le braccia levate al cielo, la mano che stringe forte la sua migliore amica. Una chitarra.
Le luci della città sotto di lei.
Vola, si sente leggera. Com'era bello volare, aveva sempre sognato di farlo, soprattutto con gli occhi chiusi.
Li aprì solo per un attimo, e fu la fine.


Bill si alzò sul letto di scatto, gridando.
“Che cazzo fai?”, protestò il fratello, svegliato improvvisamente da quell'urlo.
Bill ansimava, era sudato da capo a piedi e tremava dalla paura. Aveva volato, aveva aperto gli occhi e aveva visto l'asfalto avvicinarsi. Aveva sognato di morire, di gettarsi dal balcone. Ma non era lui... era un'altra persona.
“Ma stai bene?”, gli chiese allora Tom, vedendolo sconvolto.
Bill se ne stava, con la faccia tra le mani e suo fratello saltò nel suo letto.
“Gesù... ho sognato di buttarmi dal terrazzo...”, disse, “E' stato terrificante...”
“Secondo me ti sei impressionato troppo con quella storia... dovresti calmarti e non pensarci più.”, disse Tom, che non trovava altre parole più appropriate di quelle.
“Hai ragione, mi sta fottendo il cervello. Non lo so perchè ma mi ha fatto un certo effetto leggere quella cosa su internet… Io non ci credo nemmeno ai fantasmi.”, fece Bill, alzandosi dal letto e dirigendosi verso il bagno per sciacquarsi la faccia.
Il contatto con l'acqua fredda del rubinetto gli fece venire i brividi su tutto il corpo ma riuscì a calmarlo abbastanza. Tornato sul letto, si mise a guardare il soffitto con le mani dietro la testa.
“Secondo me rimarrò tutta la notte così.”, disse poi.
“Beh, se devi fare certi sogni forse è meglio.... notte...”, disse Tom, voltandosi sul letto e addormentandosi poco dopo.
Come aveva pensato, Bill volle rimanere tutta la notte sveglio e, se per qualche minuto perdeva il controllo, si dava uno scossone per riprendere il controllo. Non voleva fare di nuovo quel brutto sogno.
Cercò di analizzarlo: si ricordava di essere salito sulle sbarre del balcone e di essere rimasto qualche attimo lì, in equilibrio, a sentire il vento tra i suoi capelli. Poi si era buttato, ad occhi chiusi, braccia aperte come in volo,  e si era sentito in paradiso... solo che non si sentiva se stesso, ma un'altra persona... ed era profondamente triste, abbandonato, disilluso, depresso, distrutto dentro, usato, gettato via, calpestato. Questo tornado di emozioni si alternava nel suo animo e si volatilizzò nel momento in cui aveva aperto gli occhi ed aveva visto la morte.
In quel momento si era svegliato, un attimo prima di distruggersi sull'asfalto. Si era lanciato nel vuoto insieme ad una chitarra, come aveva fatto quella ragazza suicidatasi qualche anno prima, in quell'hotel dove si trovava con il suo gruppo… Aveva rivissuto la sua morte al suo posto. Quella storia gli stava veramente spappolando il cervello…
Ma domani sarebbe tutto finito: partivano per la Francia, tutto sarebbe diventato davvero un ricordo da campeggio, da boy scout…

Riflettè molto quella notte, il suo cervello sembrava una catena di montaggio di pensieri, che continuava a sfornare idee, supposizioni, frasi, poesie, conversazioni finte. Macchinava parole nelle peggiori maniere, ne metteva insieme di opposte, ne inventava di nuove, creava figure metaforiche che sicuramente sarebbero finite dritte dritte in una nuova canzone.
Quando vide il primo raggio di sole entrare nella sua stanza, si voltò e guardò il sole nascere tra le antenne paraboliche che costellavano i tetti della città. Non era molto romantico vedere un'alba cittadina ma era comunque bello vedere il sole nascere, una volta ogni tanto. Meno male che stava per passare metà della giornata a spostarsi su auto, bus e automezzi vari, almeno avrebbe trovato un po' di tempo per dormire e riposarsi.
Il telefono squillò, era la sveglia dell'hotel: alzò ed abbassò subito la cornetta.
“Svegliati...”, disse a Tom, scuotendolo leggermente.
Suo fratello farfugliò qualcosa che doveva suonare come 'lasciami in pace' oppure 'vattene a fanculo', ma non seppe dirlo con certezza.
“Andiamo, dobbiamo partire.”
“Ma... ho sonno....”
“Dormiremo sull'auto... forza alzati.”
Nel frattempo che suo fratello cercava di svegliarsi inutilmente, Bill andò a farsi una doccia, doveva lavarsi via tutto quella sensazione appiccicosa che aveva addosso. Si preparò lentamente, era abituato ad essere svegliato almeno un'ora prima degli altri. Oramai li conoscevano, lui e suo fratello, sempre in ritardo per un motivo od un altro e il loro manager preveniva i ritardi mattutini in questo modo.
“Alzati!”, gridò a suo fratello, che sembrava essersi riaddormentato. Erano passati quaranta minuti da quando lui si era alzato e ancora quell'altro se ne stava sul letto beato. Prese il bicchiere che c'era sul lavandino e lo riempì d'acqua ghiaccia, era l'unico metodo efficace per farlo schiodare da lì.
“Svegliati.”, gli disse, con il bicchiere in mano.
“Succhiamelo…”, rispose l’altro.
Al che Bill gli versò tutta l’acqua sulla faccia, facendolo saltare sul letto per lo spavento…e per il freddo. Dopo una lunga lista di imprecazioni e bestemmie varie, il ragazzo si alzò, maledicendo il fratello.
Arrivarono giù nella reception e, ovviamente, trovarono il loro manager ad aspettarli; li informò che gli altri due erano già a fare colazione. Erano riusciti a ritardare anche se svegliati un’ora prima degli altri.
“Buongiorno ragazzi...”, disse Bill, con molto sforzo, ai suoi amici.
“Che c'è, non hai dormito bene neanche stanotte? Quale fantasma ti ha fatto visita?”, scherzò Georg, vedendolo apparire con un grande paio di occhiali da sole sulla faccia.
“Peggio, ho fatto un incubo tremendo, ma ora non mi ricordo più niente.”, disse Bill, che non voleva di proposito farsi tornare in mente quelle sensazioni.
“Mi ha anche svegliato in piena notte, urlando.”, disse Tom.
“Allora era davvero un incubo con i controfiocchi.”, disse Gustav, mentre si mangiava la sua brioche ripiena.
“Avanti, andiamo a prendere qualcosa da mangiare.”, disse Bill, che aveva abbastanza fame.
Si avvicinarono al bancone della colazione, dove una distesa di croissant, dolci, marmellate, cioccolata e altro aspettava solo di essere presa. Con gli occhi avrebbero mangiato di tutto ma si limitarono a prendere qualche pasta e un po' di cioccolata. Il cameriere, nel frattempo, aveva versato nei loro bicchieri latte caldo, caffè e succo d'arancia. Si sedettero e si gustarono la colazione con calma, avevano abbastanza tempo non sprecato in ritardi vari da poterselo permettere.
Mentre Gustav e Georg aspettavano che i due finissero le loro colazioni e chiacchieravano di cosa avrebbero dovuto fare in Francia, l'attenzione di Bill fu catturata da un oggetto che nelle ultime ore lo aveva perseguitato fin troppo. Qualche tavolo più in là del loro, c'era una chitarra appoggiata ad una sedia. Rimase immobile, fissando quello strumento. Di nuovo un brivido freddo gli percorse la schiena. Poi un paio di piedi, la chitarra veniva spostata, qualcuno si sedette sulla sedia su cui era appoggiata. Alzò lo sguardo...
Non vide nè teste tagliate, nè lenzuoli fruscianti, nè catene pendenti. Nessun fantasma standard.
Vide solo una ragazza intenta a tagliare in due una brioche. La scrutò bene, voleva capire. Sembrava normale, forse un po' più grande di lui, dell'età di Georg. La vedeva solo lui? Era la ragazza che lo stava tormentando con le sue canzoni?
Stava diventando pazzo?
Il cameriere che lo aveva appena servito si avvicinò a lei.
Bill tirò un sospiro di sollievo, non stava impazzendo.  
“Signorina Műller, le serve altro?”, le chiese il cameriere. Bill aveva teso l'orecchio il più possibile per sentirlo.
“No, grazie sono a posto. Quando arriva mio padre?”, disse lei.
“Di solito è in ufficio dalle otto e mezza in poi.”
“Bene, gli dica che sono qua e che lo aspetto da due giorni.”, fece lei.
Bill fu scosso da una gomitata del fratello.
“Ma sei scemo a fissare una così? Non si beccano le ragazze in questo modo!”, gli disse Tom. Era da un po' che lui e gli altri due lo scrutavano con aria interrogativa, chiedendosi perchè si era immobilizzato a guardare quella ragazza, che poi non era nemmeno tanto carina.
“Stai zitto deficiente, guarda per bene cosa c'è accanto a lei...”
Tom realizzò il motivo per il quale suo fratello si era bloccato quando vide la chitarra.
“Pensi che sia lei?”, gli chiese Tom.
“Lo spero o divento matto!”
“Beh, non c'è altro modo per saperlo che chiederglielo. Secondo me non è guardabile, si veste come te ma almeno ha la decenza di non spararsi i capelli in aria...”
“Spiritoso...”, gli disse Bill.
O andava o spaccava, o si alzava e glielo chiedeva o sarebbe rimasto col dubbio per sempre.
Si alzò.
“Scusami...”, esordì, “posso farti una domanda?”
La ragazza si voltò e gli sorrise. Era una persona vera.
“Prego, siediti, mi sembri abbastanza assonnato.”, gli disse, indicandogli la sedia.
“Ah, grazie... senti, non so come spiegartelo...”
“Tu sei quello dei Tokio Hotel, Bill il cantante, vero?”, lo interruppe lei.
Bill rimase abbastanza spiazzato, c'era abituato ad essere riconosciuto ma non pensava affatto che lei glielo chiedesse.
“Si... sono io...”
“Non dovresti parlare con gli sconosciuti…”, fece lei, scrutandolo, “Quindi molto piacere, io mi chiamo Ingrid!”, e gli porse la mano, sorridendogli.
“Piacere....”, disse Bill. Era abbastanza imbarazzato per quello che stava per chiederle, anche se poi non era una domanda difficile da fare.
“Avanti, cosa vuoi chiedermi? Mica vorrai un autografo da me!”, disse lei, scherzando.
“No, ci mancherebbe.... senti, qual è la tua camera?”
Lei lo guardò di nuovo, con occhi maliziosi, poi tornò alla sua brioche.
“Ehy bello, mica te lo dico! Non sono mica una di quelle ragazzine che ti corrono dietro sbavando! Manco mi piace la vostra musica...”
Bill rimase un po' stordito: se fosse stato un manga, gli avrebbero disegnato una goccia pendente a lato della faccia e gli avrebbero fatto delle linette orizzontali sulla testa.
“No, non è come pensi... è che l'altra notte ho sentito qualcuno che suonava la chitarra e che cantava una canzone bellissima nella stanza accanto alla mia e... volevo solo congratularmi. Ho visto la chitarra e ho pensato che fossi stata tu. Io sto alla 756.”
“Allora accetto volentieri i tuoi complimenti. Ero io, quando sono un po' incazzata mi metto a suonare, mi dispiace averti disturbato.”
“No, affatto, anzi è stato bellissimo, la canzone che suonavi era fantastica. L'hai scritta tu?”
“Non è mia, è di un gruppo americano. Si intitola 'Epiphany' ed è degli Staind, un gruppo nu-metal americano.”
“Era comunque bellissima, davvero. Suoni e canti molto bene.”
“Grazie ancora... ma non aspettarti un complimento del genere da me...”
“Beh, grazie lo stesso...”, disse alzandosi e stringendole di nuovo la mano.
Fece due passi ma tornò presto indietro, gli era venuta in mente una nuova domanda.
“Senti, ho un'ultima domanda da farti. Ieri chiesi al portiere se la camera 754 fosse stata occupata e lui mi disse di no, che la riservavano solo a clienti speciali... e tu sei....”
“Diciamo che quella camera è sempre prenotata per me. Sono la figlia del direttore dell'hotel ed ho l'accesso gratuito a quella stanza. Posso dire che quasi ci vivo, se non sono da mia madre sto lì. Magari Wolfgang, il portiere, non sapeva che ero arrivata, non ho l'obbligo di fare check in, e ti ha detto che era libera.”
Bill si sentì quasi al settimo cielo. Non c'erano più fantasmi a perseguitarlo, nè brutti sogni a farlo svegliare di soprassalto durante la notte.
“Grazie mille per quello che mi hai detto, pensavo di avere un fantasma che abitava accanto a noi!”, disse Bill, salutandola.
La ragazza contraccambiò il saluto con un sorriso e tornò alla sua brioche. Che tipi strani, questi Tokio Hotel.


“Allora che ti ha detto?”, gli domandò Tom appena si fu seduto.
“E' la figlia del direttore e abita nella stanza accanto alla nostra. Era lei a suonare...”, disse Bill sfoggiando un sorriso a cinquanta denti. Si sentiva sollevato.
“Meno male, mi dava i brividi sapere che c'era un fantasma che si aggirava nell'hotel a cantare canzoni dei Pink Floyd...”, disse Gustav.
“E' ora di andare.”, disse il loro manager dall'entrata della sala in cui si trovavano i ragazzi.
Bill, prima di uscire, si girò di nuovo verso la ragazza e la salutò con un cenno della mano. Lei lo contraccambiò subito, dicendo che era stato un piacere conoscerlo.


Ingrid guardò la sua chitarra.
Si allontanò un po' dal tavolo, la imbracciò e la accordò. Suonò qualche nota e iniziò a cantare per i camerieri che si affrettavano a preparare la sala per la colazione degli altri ospiti. Suo padre glielo aveva proibito, ma lei gli disobbediva sempre e comunque.
Visto che aveva appena conosciuto i Tokio Hotel, ne approfittò per cantare una loro canzone, l'unica che conosceva e che le piaceva. L’aveva scaricata illegalmente da internet, si intitolava ‘Spring nicht’ e, in qualche modo, per lei era una canzone speciale, particolare…
Quando ebbe finito, gli altri la applaudirono e chiesero una nuova canzone, ma Ingrid doveva andare.
Guardò ancora la sua chitarra.
Non era proprio sua.
Era di sua sorella Maggie.

E l'altra notte non era stata lei a cantare 'Epiphany'.
Era stata sua sorella Maggie.
Era la sua canzone preferita.

Era.

Maggie era morta suicida, si era buttata dalla camera 754, quella dove Ingrid abitava in quelle notti.
Si era tolta la vita insieme alla sua chitarra preferita.
Quella che aveva Ingrid era una delle tante che Maggie aveva posseduto.
Veniva a trovarla spesso, nella notte, e le cantava.
Aveva una voce celestiale



Scusate se ripropongo questa mia vecchia fic, ma quando l'ho riletta ho dovuto per forza fare delle correzioni! Perfezionista come sempre! Spero vi piacerà di nuovo!

Un bacio a tutte! RubyChubb

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=147874