EPIPHANY
I due ragazzi entrarono nella loro camera d'albergo stremati dalla fatica.
L'ennesima giornata dedicata alle “pubbliche relazioni”, in altre parole alla
stampa, ai servizi fotografici, alle interviste televisive e alle conferenze
stampa. Il loro nuovo album, il primo in inglese, stava per uscire e c'era da
fare pubblicità. Per questo le loro giornate erano dedicate al novanta per
cento alle pubbliche relazioni, mentre solo una parte alle prove. Anche se
parlare continuamente non era così faticoso come stare tutto il giorno a
suonare, i due erano abbastanza stanchi.
Appena entrati si buttarono a peso morto sul letto di Bill, a faccia in giù,
immobili, con le braccia aperte. Ognuno dei due aveva il proprio letto, a due
piazze, per stare belli e comodi, ma oramai erano abituati così: in ogni
albergo in cui dormivano pretendevano di avere una stanza unica, con due grandi
letti separati e, siccome questa era una delle poche pretese che avevano,
riuscivano sempre ad essere accontentati. Il letto di Bill era quello più
vicino alla porta ed era quello in cui i due passavano tutto il loro tempo,
quando si trovavano lì dentro. Tranne quando dormivano: a suon di battaglie
Bill cercava di scacciare suo fratello dal suo letto, ma il più delle volte era
lui ad essere scacciato dal letto di suo fratello.
Tom farfugliò qualcosa, non era facile parlare con la bocca impastata dalla
coperta del letto.
“Cosa hai detto?”, gli chiese il fratello, voltando la testa verso di lui.
“Sono sfatto... ma è mai possibile ripetere sempre le stesse identiche cose,
ogni giorno? Non basta fare un'intervista unica e farla passare a tutti i
media?”, protestò l'altro, girando la testa a sua volta.
“Un copia e incolla... interessante, ma non viviamo dentro Office...”, disse
Bill.
“Peccato, un giorno comprerò una casa produttrice di software e sfrutterò i
geni che ci lavorano per creare un programma per fare le interviste uniche...
Ordiniamo la cena in camera?”
“Certo che si!”
“Chiamali tu...”, disse Tom, che non si era mosso di un centimetro dalla sua
posizione.
“E dai! Fallo tu almeno una volta!”, ribattè suo fratello subito.
“No, sta a te, sei tu quello diplomatico del gruppo...”
“Si....”, disse l'altro spazientito.
Con la velocità di un bradipo assonnato, Bill si mise a sedere sul letto e
prese il telefono della stanza, premette lo zero e fece la classica
ordinazione, due hamburger, una valanga di patatine e fiumi di coca cola. Dopo
una decina di minuti bussarono alla porta e, dopo il classico battibecco su chi
dei due doveva andare ad aprire, per l'ennesima volta toccò a Bill alzarsi e
ricevere il vassoio con la loro cena dal cameriere. Entrambi seduti sul letto,
a gambe incrociate, mangiarono la loro cena senza dare molta importanza alle
briciole che cadevano sulla coperta, e guardando distrattamente la tv. Una
volta spazzolata via l’ultima patatina e bevuto l’ultimo sorso di coca,
entrambi si accomodarono al loro meglio sul letto per rilassarsi. Tom, padrone
del telecomando, iniziò a fare zapping come era suo solito.
“Forse sul primo canale trasmettono qualcosa di interessante.”, disse Bill,
prendendo il telecomando, essendosi stancato del fratello che non si decideva a
fermarsi su alcun programma.
“Beh, non so, ma sarà meglio che trasmettano il film 'Come Tom si fece la
doccia prima di suo fratello se non voleva addormentarsi con i vestiti addosso
perchè l’altro occupa abusivamente il bagno' “, disse l'altro, alzandosi dal
letto. Sapeva quanto tempo ci impiegava Bill a farsi la doccia e a sistemarsi,
anche per andare a letto, quindi non voleva svegliarsi il giorno seguente con i
vestiti ancora indosso perchè l’altro non si decideva a schiodarsi dal bagno.
“Fai bene perchè stasera avrei proprio bisogno di un bel bagno nella vasca...”,
disse Bill, tirandogli il suo cuscino e mancandolo per un pelo. Tom lo
ricambiò, salutandolo molto sportivamente con il suo dito medio, un attimo
prima di chiudere la porta del bagno.
Libero su quel letto king-size, Bill appoggiò la schiena contro la testata del
letto e decise che avrebbe guardato uno dei tanti film che trasmettevano sulla
pay per view, sperando di non addormentarsi prima della fine. Sarebbe stata
dura, ma non era del tutto impossibile. Schiacciò i pulsanti del telecomando
come c'era scritto sulle istruzioni in sovra impressione sullo schermo e,
mentre attendeva che il film cominciasse, iniziò a togliersi gli abiti. Per
essere stato giugno, aveva sudato come se fosse agosto sul deserto del Sahara e
la maglietta che indossava era ancora un po’ umida. Aveva proprio bisogno
di una doccia prima di andare a letto, ecco un altro buon motivo per non
addormentarsi. In mutande, libero da ogni impedimento di stoffa, riprese la
comoda posizione che aveva trovato prima e iniziò a guardare il film.
“Tomi! Che film vuoi vedere?”, gli domandò. Non era molto interessato alla sua
risposta, già sapeva quale sarebbe stata.
“Uno con pochi dialoghi!”, disse l’altro, riferendosi ad una particolare
categoria di film, dove i protagonisti avevano da maneggiare tutt’altro che
copioni impegnativi da Oscar.
Qualche minuto dopo, proprio nel bel mezzo di una scena di sesso tra i due
protagonisti, sentì dalla stanza della musica: qualcuno si era messo a suonare
una chitarra e a cantare qualcosa, disturbando la sua visione e la sua
eccitazione.
“Tomi!”, chiamò suo fratello, che era in bagno, sotto l'acqua della doccia. Il
tono della voce un po’ troppo alto che aveva utilizzato pareva essere stato
sentito da tutti, cioè dal vicino rumoroso, tranne che dal fratello, perchè
improvvisamente la musica si interruppe. Non riuscì quindi a capire se la
musica provenisse dalla camera con cui condivideva il muro alle sue spalle,
oppure l’altra, di fronte a lui, anche se era più propenso per la prima
opzione.
“Che rompi?”, borbottò l'altro, che invece lo aveva sentito benissimo,
chiudendo temporaneamente il getto della doccia.
“Da quando Georg e Gustav hanno iniziato a suonare la chitarra e a cantare?”,
chiese Bill, che non poteva ricondurre non ricondurre quella musica ai suoi due
amici.
“Ma che domanda è?”, ribattè l'altro.
“Stanno suonando nella camera accanto a noi, questa dietro al letto.”
“Idiota! Gustav e Georg non sono in quella camera, stanno in quell’altra! Quella
di fronte alla nostra!”, fece Tom, riaprendo l'acqua e continuando a farsi la
doccia, chiedendosi quanto fosse stupido suo fratello.
Era vero, Gustav e Georg avevano due camere separate di fronte a loro. Bill
lasciò perdere la questione, già poco interessante di per sé, e riprese la
visione.
Poi di nuovo la chitarra tornò a suonare. Non gli dava tanto fastidio, ma non
era il caso di suonare una chitarra alle dieci della sera, in un albergo:
presto gli altri vicini avrebbero chiamato la reception e il portiere avrebbe
mostrato il cartellino giallo... Gli parve che suonasse qualcosa che lui
conosceva. Lasciò perdere la visione del film, tanto ripetitiva quanto troppo
interessante per un ragazzo della sua età, e si concentrò.
Come as you are, as you were, as I want
you to be, cantava una voce.
Doveva
essere una ragazza, perchè il timbro era molto dolce e vellutato, si poteva
anche capire attraverso una parete.
Beh, questa era facile, pensò Bill, come se avesse avviato una gara a premi con
colei che si dilettava con la sua chitarra.
So you think you could tell, heaven from hell...
C'era quasi, Bill aveva la canzone sulla punta della lingua. Si sforzò un
attimo poi il titolo gli balenò nella mente: era 'Wish you were here' dei Pink
Floyd. Invece di interrompersi alla prima strofa, come aveva fatto
precedentemente con 'Come as tou are' dei Nirvana, la ragazza continuò a
cantare quella stupenda canzone. A Bill non piacevano molto i Pink Floyd, aveva
qualche cd, ma non gli erano mai entrata in testa, a parte qualche capolavoro
come 'Shine on you crazy diamond' o 'High hopes'.
La voce che sentiva era melodiosa, anche se capì che la ragazza non ne aveva
piena padronanza. Cantava bene, ma poteva fare di meglio, era questo il voto
che le avrebbe dato.
Poi, ad un tratto, sentì che la voce si ruppe, diventò quasi roca. I Pink Floyd
finirono in singhiozzi, la ragazza stava piangendo. Bill si chiese il perchè di
quel pianto: tese l'orecchio e aspettò l'inizio di una nuova canzone, ma non
accadde.
“Che stai facendo con l'orecchio al muro? Mica ti sarai messo a spiare i vicini
che stanno scopando!”, lo rimproverò Tom, facendogli arrivare dritto in faccia
il cuscino che era riuscito ad evitare qualche minuto prima. Aveva finito di
farsi la doccia ed era rientrato nella camera abbastanza in tempo da trovare
suo fratello con l'orecchio attaccato al muro.
“Quello lo puoi fare solo tu!”, disse Bill, ricomponendosi.
“Certamente, sono io quello che pensa solo al sesso!”, rispose l'altro, “Hey…
ma guarda che film danno in tv… cos’è? ‘La lampo di Dino’? O il più classico
‘La principessa sui piselli’?”
“Se Dio vuole tocca a me! Quanto ci hai messo!”, fece Bill, ignorando
totalmente il fratello e le sue battutine stupide. Andò dritto in bagno,
scavalcandolo.
Non ci avrebbe messo molto a lavarsi, era troppo stanco e voleva solo dormire.
Uscì che suo fratello dormiva già profondamente, con la tv accesa, con i
protagonisti che ancora ci stavano dando dentro come matti. Doveva essere
proprio stanco morto per non goderselo fino alla fine, pensò Bill.
Anche stavolta gli toccava spostarsi sul suo letto: gli sfilò delicatamente il
telecomando e spense la televisione. Avrebbe anche potuto strapparglielo via,
ci voleva ben altro per svegliare quel sasso dormiente, ma una buona dose di
gentilezza non faceva mai male.
Il caldo era soffocante, le lenzuola gli si appiccicavano alle gambe e il sonno
se n'era andato. Suo fratello sembrava non sentire quanto l'aria fosse pesante
e afosa. Aprì la porta scorrevole del suo terrazzino e si mise a sedere su una
delle sedie, in cerca di refrigerio.
Con in mano un taccuino, Bill iniziò a scrivere i suoi pensieri e, nelle notti
insonni, gli riusciva bene. Con i piedi contro le sbarre che delimitavano il
terrazzino, rilesse quello che era riuscito ad esprimere in parole. Non male,
pensò, potevano essere giuste per una canzone, ma mancava la melodia. A quella
ci avrebbe pensato Tomi. Se si fosse sforzato un po' di più sarebbe venuta
anche quella ma non si sentiva particolarmente ispirato per la musica e non
aveva voglia di canticchiare e, magari, svegliare qualcuno.
La notte era terribilmente luminosa: luna era piena, alta in cielo, e le stelle
erano quasi invisibili. Si riusciva a vedere senza dover ricorrere ad una luce
artificiale. Anche le luci della città erano troppo vivide, per i suoi gusti,
avrebbe preferito il buio più totale per godersi la vista della luna. Il flusso
di pensieri fu interrotto.
Una musica, lieve. Era di nuovo quella chitarra. Come si poteva suonare all'una
di notte?
Proveniva sempre dal medesimo posto: si alzò e si avvicinò al balcone della
camera adiacente, identico a quello dove si trovava lui. La porta finestra era
oscurata dalle tende ma vide comunque la luce che, dall’interno, filtrava dallo
spiraglio, creatosi tra la stoffa ed il pavimento: ogni tanto veniva interrotta
dal passaggio di qualcuno, forse era la ragazza della sera prima.
Nel mentre che si sporgeva, sentì che lei aveva iniziato ad armeggiare con la
maniglia della finestra e che stava per uscire: lui, in mutande, avrebbe fatto meglio
a tornare dentro se non voleva farsi vedere in quello stato. Rapidamente e
silenziosamente, entrò nella sua camera, richiudendo la porta a vetro.
Colto da un fremito di curiosità, tese l'orecchio per cogliere i rumori: sentì
un colpo di tosse, poi lo scricchiolio rapido di un accendino. La sua curiosità
voleva spingerlo ad uscire e vedere chi fosse quella ragazza che suonava alle
ore più impensate della notte, ma poi ci rinunciò: doveva rivestirsi per
uscire, se non voleva essere preso per un maniaco in mutande, ed aveva troppo
caldo per farlo. Quella ragazza si sedette sulla sedia, la sentì prendere la
sua chitarra, poi rientrare improvvisamente nella sua stanza, sbattendo la
porta finestra. Bill guardò suo fratello per vedere se quel rumore improvviso
lo aveva svegliato, ma niente, quello dormiva come sempre, un masso su un
letto, immobile. Furtivamente, aprì la porta a vetro quel poco che bastava per
far uscire la sua testa sul balcone: si voltò verso l’altro terrazzo e vide che
l'altra aveva lasciato il suo strumento fuori. Ora le luci della stanza erano
spente. Mah, si disse ritirando la testa dentro alla camera come una tartaruga
faceva dentro al suo guscio, che tipa strana.
Poi la curiosità vinse: si infilò una maglietta, la prima che trovò, i
pantaloni ed uscì. Si sedette, in attesa che la ragazza uscisse di nuovo per
riprendersi la chitarra ma, quando posò gli occhi sull'altro balcone, vide che
quella non c'era più. Che strano, disse, forse l'aveva ripresa ed lui non
l'aveva sentita. Stava per rientrare in camera, quando vide di nuovo la luce
accendersi e filtrare dalle tende. Sentì suonare un accordo; si mise a sedere
sulla sedia, da lì l'avrebbe sentita meglio. Chiuse anche la porta a vetro,
come per assicurarsi che Tomi non sentisse niente e continuasse a dormire
beatamente.
La ragazza cantò e Bill, anche se non conosceva molto bene l'inglese, comprese
che quelle parole erano dense di significato.
Your words to me just a whisper
Your face is so unclear
I try to pay attention
Your words just disappear
Era come se, insieme alla musica, forse da lei stessa composta, trasmettesse
anche un flusso carico di emozioni, sentimenti, stati d'animo, che entrarono
dentro di lui vorticosamente. La ragazza suonava la sua chitarra quasi con
rabbia, lo sentiva, faceva vibrare le corde con odio. La sua voce non era
insicura come quella che aveva sentito qualche tempo prima, ma era decisa,
ferma, anche se non cantava ad un tono molto alto.
'Cause its always raining in my head
Forget all the things I should have said
Bill pensò che fosse una bella frase, che descrivesse veramente lo stato
d'animo che anche lui provava in quel momento. Quella canzone stava scavando
come un buco nel suo petto, lo stava svuotando di tutte le emozioni positive,
lo stava risucchiando in un vortice di malinconia. Avrebbe voluto uscirne, ma
era come incantato da quegli accordi. Sentì il suo cuore appesantirsi, il suo
stomaco chiudersi.
So I speak to you in
riddles
cause my words get in my way.
I smoke the whole thing to my head
And feel it wash away
cause I cant take anymore of this,
I want to come apart,
I'll dig myself a little hole
Inside your precious heart
Non riuscì a comprendere perfettamente il significato di quei versi, ma sapeva
solo che il buco dentro al suo cuore di era allargato: gli venne, quasi in
automatico, da pensare a cosa avrebbe provato se suo fratello non fosse più al
suo fianco. Ci aveva pensato tante volte, ma era stato solo un pensiero
sfiorato e accompagnato subito da un ordine imperativo di pensare a qualcos'altro.
Ora invece non poteva distogliere la sua mente: si voltò verso la camera e,
quando vide che non c'era nessuno sul suo letto, che Tomi non c’era più, i suoi
occhi si riempirono di lacrime. Appoggiò le mani e la testa al vetro della
porta, il suo respiro caldo iniziò ad appannarlo…
Le lacrime scesero copiosamente, in silenzio, sulle sue guance. Non cercò
nemmeno di fermarle o di asciugarsi la faccia, non ci sarebbe riuscito, erano
troppe. Una parte di sé se n'era andata, per sempre. Una consapevolezza amare e
dura: avrebbe affrontato ogni momento della sua vita senza di lui. Lui era suo
fratello, il suo migliore amico, era lui. In un attimo i ricordi di una vita
sembrarono sparire, diventare solo delle memorie irraggiungibili e dolorose.
Come una lama affilata tagliava la carne in tante parti, la canzone gli era
entrata dentro e lo aveva diviso in due. Una parte di lui avrebbe voluto morire
in quello stesso istante, gettarsi dal balcone per non provare più quei
terribili sentimenti. Si affacciò e guardò giù: tutto sembrava così piccolo...
in quel momento l'altra parte di sè volle rimanere aggrappata alla vita, lucida
ma in lacrime, terribilmente consapevole della realtà: Tomi non c'era più.
Tornò al vetro, voleva romperlo, voleva frantumarlo, così come voleva liberarsi
di quella potenza autodistruttiva che si era addentrata prepotentemente della
sua anima, al suono dolce di quella maledetta chitarra.
Poi lo vide uscire dal bagno, stropicciarsi gli occhi e buttarsi sul letto,
coprirsi con un lenzuolo e dormire di nuovo. Eccolo, allora lui c'era, era
lì! Si dette dello stupido: come aveva potuto pensare che suo fratello
non ci fosse più, era semplicemente andato in bagno e non si era accorto che
lui era nella terrazza, che piangeva perchè per un attimo, per un solo istante
della sua vita, aveva creduto di essere solo, soltanto lui al mondo.
Quel buco nel suo cuore si era richiuso in un attimo, arginato da quello che i
suoi occhi avevano visto, e tutte quelle orrende sensazioni si dissolsero,
portate via in un attimo come il vento che spazzava la polvere sui marciapiedi:
entrò nella stanza, si stese accanto a lui e gli dette la buonanotte, mentre le
note della canzone continuavano.
I am nothing more
than
A little boy inside
That cries out for attention,
Yet I always try to hide
cause I talk to you like children,
Though I don’t know how I feel
But I know I'll do the right thing
If the right thing is revealed
La canzone si concluse così, la ragazza della stanza accanto la finì. Bill,
prima di addormentarsi, la sentì piangere. In quel momento realizzò cosa
significava quella canzone per lei: forse aveva perso qualcuno di importante,
si era trovata sperduta in questo pazzo mondo. Oppure questo qualcuno era lì,
vicino a lei, ma non riusciva a comprendere cosa le stesse succedendo… come
diceva la canzone, lei sicuramente stava cercando di attirare la sua
attenzione, come i bambini piccoli quando si sentono ignorati dalle loro stesse
madri. Oppure lei era semplicemente sola, sola al mondo, mentre tutto intorno a
lei si stava sfaldando, per lasciare posto ad un vuoto totale che l’avrebbe
mangiata, fagocitata e rigettata, come un corpo estraneo.
Adesso cantava dolcemente la sua malinconia. Lui si era trovato sulla sua
stessa lunghezza d'onda e aveva percepito tutti i suoi sentimenti.
Povera ragazza, pensò, la vita era tremenda se non aveva nessuno accanto...
Era una canzone profonda, una di quelle che venivano scritte una volta ogni
mille anni, che prendevano il cuore e te lo strappavano in mille pezzi. Poi te
lo ridavano intero, ma con un profondo segno, e un ricordo indelebile
riaffiorava ogni volta che venivano riascoltate. Per un attimo, Bill si ricordò
alcune parole: I'll dig myself a little hole inside your precious heart,
dicevano. Ecco, quella canzone aveva scavano un piccolo buco nel suo cuore.
L'avrebbe ricordata per sempre come la canzone più triste del mondo.
****
La mattina seguente Tom fu svegliato dal trillo del telefono: era la sveglia
che l'albergo offriva gentilmente ai suoi clienti, ma che lui trovava
tutt'altro che gentile, era solo un gran rompimento di scatole. Si voltò e vide
suo fratello, nel suo stesso letto. Chissà cosa lo aveva spinto ad appiccicarsi
a lui, con tutto il caldo che faceva. Gli dette un colpetto con la mano e lo svegliò.
“Ehi, che ci fai qui?”, gli chiese.
“Tranquillo, non ti fare brutte idee. Volevo solo dormire nel mio letto.”,
disse Bill. Si stropicciò gli occhi, ancora stanchi, si mise supino a guardare
il soffitto. Appena la sua testa si mise in moto, riaffiorarono tutte le
sensazioni che aveva provato qualche ora prima. L'unica differenza era che si
sentiva sollevato e tranquillo, come se fossero sentimenti lontani e quasi
sconosciuti. Erano diventati come quei ricordi spiacevoli a cui non si poteva
fare a meno di pensare, una volta ogni tanto, che facevano riaffiorare un po’
di malinconia.
“E vatti a lavare, puzzi come un maiale! Non ti sei lavato ieri sera, eh?”,
protestò Tom, dandogli un calcio.
Dopo un'ora erano entrambi furono pronti e scesero nella reception, dove
trovarono Georg e Gustav, che già li aspettavano da almeno una decina di
minuti.
“Scusatemi un attimo,”, disse Bill dopo aver dato il buongiorno a tutti, “devo
chiedere una cosa al bancone.”
“Ma siamo già in ritardo!”, protestò Gustav.
“Appunto, dato che siamo in ritardo un minuto in più cosa ci costa?”, fece
l'altro, mentre si avvicinava alla reception.
“Desidera?”, gli domandò sorridente l'uomo dietro al bancone.
“Senta, vorrei solo un'informazione. Io sto nella camera 756 e volevo sapere se
c'era qualcuno in quella accanto, la 754.”
“Nella 754?”, ripetè l'uomo.
“Si, proprio quella.”, disse Bill, aspettandosi che l'uomo si mettesse a
premere qualche pulsante nel suo compunter.
“Non c'è nessuno signore.”
“Beh... come fa ad esserne sicuro senza aver controllato?”, gli chiese.
“E' una delle migliori camere dell'albero, la diamo solo a clienti speciali…”,
disse lui, con un piccolo sorriso malizioso, quasi accennato.
“Capisco... quindi è vuota adesso...”
“Si, c'è qualche problema?”, gli chiese il portiere, “Avrebbe voluto cambiarla
con la sua stanza?”
“No, non si preoccupi. Grazie lo stesso.”, disse Bill, ricongiungendosi ai
suoi.
“Che avevi da chiedergli?”, gli domandò Tom, incuriosito.
“Niente, solo un'informazione.”, fece l'altro, sorridendogli.
Entrarono nello studio della sala prove, oggi avrebbero dovuto esercitarsi, nel
pomeriggio dovevano esibirsi in uno show televisivo ed erano ancora un po'
indietro con le prove. Un paio di volte, mentre cantava, Bill riuscì a stento a
fermare le lacrime, anche gli altri se ne accorsero.
Quell'esperienza lo aveva davvero segnato: poteva una canzone mai sentita
prima colpirlo così nel profondo? Sì, era possibile, c’erano canzoni che gli
facevano quell’effetto, ma mai avrebbe pensato che, dal nulla, una sconosciuta
ed una chitarra potessero travolgerlo con quella valanga di emozioni, quella
piena di sentimenti che gli straripava nel cuore. Si era svegliato sereno, ma
erano bastate un paio di canzoni, soprattutto ‘Rette Mich’, a farlo ripiombare
nella tristezza.
Eppure quell'uomo aveva detto che la camera era vuota, che non c'era nessuno,
che la tenevano per gli ospiti speciali. Un pensiero improvviso e assurdo gli
balenò in mente, ma era improponibile.
La giornata proseguì senza che la sua mente ritornasse su quell'idea prima di
quando non fu entrato in camera. Se lo era imposto dopo che gli altri avevano
iniziato a fargli domande, a chiedergli se si sentiva bene. Lui non voleva
rispondere, non voleva parlarne o sarebbe scoppiato, sicuramente, a piangere e
non gli andava di fare la figura del sentimentale, anche se milioni di altre
volte l’aveva fatta senza porsi tanti problemi.
Una volta in camera si sedette sul letto e accese il suo computer portatile. Il
collegamento internet fu attivato presto. Non sapeva quale suo neurone avesse
ordinato al suo corpo di farlo. Ignorava se fosse stato il cervelletto o il
lobo temporale a creare un determinato pensiero, che lo aveva spinto a pensare
a delle assurdità, come alla possibilità che nella stanza accanto ci fosse un fantasma.
Che stupido! I fantasmi non esistevano, non c’erano dubbi!
Comunque, che esistessero oppure no, digitò il nome dell’hotel sulla barra del
motore di ricerca ed attese che gli venissero mostrati i risultati.
Tom, fino a quel momento, non aveva fatto domande sullo strano comportamento
che aveva avuto Bill per tutta la giornata: gli era parso molto triste, non a
pieno delle sue energie e deconcentrato. Era normale che suo fratello
accendesse il pc appena rientrato in camera: di solito controllava la posta
elettronica, cosa dicevano le fans nei forum, quindi non si avvicinò per
curiosare… ma quando vide la sua faccia sbiancarsi pensò che doveva aver letto
qualcosa di molto spiacevole.
“Bill, cos'hai?”, gli domandò, sedendosi accanto a lui.
“Leggi qua: in questo albergo, qualche anno fa, una ragazza si gettò dal
balcone di una delle stanze. Era in depressione, aveva lasciato un foglio sul
letto e... si è suicidata una notte, gettandosi insieme alla sua chitarra.”
“Wow... insomma, mi dispiace per lei.”, disse Tom. Aggrottò la fronte, si
chiese il perchè suo fratello fosse interessato a quella storia, poi comprese.
D’altronde, la telepatia, anche se non perfettamente dimostrata dalla scienza,
era tipica dei fratelli come loro. “Per caso ha qualcosa a che fare con il
fatto che sei stato strano tutto il giorno?”
“Beh... non lo so...”
Bill raccontò con un grande sforzo quello che aveva sentito la notte passata,
cercò di utilizzare le parole più realistiche possibili per non vedere suo
fratello scoppiargli a ridere in faccia. Alla fine Tom rimase un attimo in
silenzio.
“Dici sul serio? Hai sentito una ragazza che suonava la chitarra nella stanza
accanto?”
“Si...”
“Mmmh... E... pensi che sia la stessa del... suicidio?”
“Non lo so...”
“E' assurdo. Ci sono un milione di spiegazioni alternative.”
“Questo lo so, grazie. I fantasmi non esistono, eppure quando stamani ho
chiesto al portiere se la camera accanto alla nostra fosse occupata, lui mi ha
risposto di no. Quindi era vuota, ma c'era qualcuno dentro che suonava la chitarra
e che cantava. Come te lo spieghi.”, disse Bill.
“Qualcuno ci è entrato abusivamente! Ed è comunque assurdo, non è facile
passare inosservati in hotel come questi.”, fece Tom.
“Lo so che è assurdo tutto questo… Non so come fartelo capire, ma stavo quasi
per buttarmi dal balcone lo sai? Non ti dico quali pensieri mi sono piombati in
testa!”
“Ma la cosa più assurda di tutte che ieri sera manco ti sei andato a fare la
doccia! Quando sono uscito dal bagno ti ho trovato a letto che russavi come un
cavallo e mi è toccato strapparti di mano il telecomando per spegnere la tv.
Hai dormito tutto il tempo Bill e tutto questo di cui stai parlando è solo un
sogno, per di più illogico, come tutti i sogni che puoi fare solo tu! Ma non
puoi limitarti a sognare di scopare con tre o quattro ragazze alla volta come
faccio io?Non è che ti sei fumato qualcosa di illegale?”
Bill non credeva alle parole del fratello.
“Tomi, io non stavo dormendo, non era un sogno, era tutto vero!”, ribadì
l’altro.
“Certo, è anche vero che stanotte sei stato più sonnambulo del solito. Prima mi
tocca dormire nel mio letto perchè sul tuo ci sei tu, che ti sei addormentato
nel bel mezzo di un porno fatto con i fiocchi, poi vieni ad appiccicarti a me.
Io finalmente riesco a spostarmi sul tuo letto e tu, di nuovo, vieni a rompermi
le palle. Non eri tu quello insonne, stanotte, ero io!”
“Ma...era tutto così reale.... Non ci credo, io stanotte ho sentito quella
canzone perchè ero sveglio, non perchè stavo dormendo… E poi devi imparare a
dormire nel tuo letto! Possibile che vuoi sempre farlo nel mio?”, disse Bill.
Era stato tutto un sogno, era incredibile: poteva un sogno, un incubo, essere
così vero, così reale? Evidentemente sì. Bill tirò come un respiro di sollievo,
non credeva assolutamente ai fantasmi… ma non si voleva mai trovare, un giorno,
a raccontare di averne incontrato uno. Preparò la sua valigia, il giorno dopo
avrebbero dovuto lasciare l'albergo e partire per la Francia per un piccolo
tour promozionale. Altre città, altre persone, altri alberghi... altri
fantasmi?
“Ti immagini se fosse stato tutto vero?”, chiese Tom a suo fratello, mentre
guardavano la tv. Erano appena rientrati dalla camera di Georg, dove Bill aveva
raccontato quello che gli era successo. Gustav dovette ammettere che gli era
salito un brivido freddo lungo la schiena e che era una bella storia da
campeggio, di quelle raccontato intorno al fuoco con la pila sotto al mento.
“Secondo me saresti morto dalla paura.”, continuò
“C'è mancato poco!”, disse Bill, ridendo. Una volta raccontata anche agli
altri, la storia aveva assunto tutti altri colori, tutti altri toni, e non gli
sembrava più così vera. Sì, se n’era convinto, aveva solo sognato.
“Gia... davvero stavi sognando che ti saresti suicidato, se io non ci fossi
più?”
“Si...”, rispose Bill.
“Certo che sei un bastardo! Perchè devo essere sempre io a morire?”, disse Tom,
tirando un cuscino sulla faccia del fratello.
“Dai, smettila! Fammi guardare la tv!”, protestò Bill, che ricevette un'altra
cuscinata.
In poco tempo, i due presero a darsi cuscinate e continuarono finchè non
caddero stremati sul letto.
Fantasmi... non esistevano, ne erano sicuri!
Il vento sulla faccia, le braccia levate al cielo, la mano che stringe forte la
sua migliore amica. Una chitarra.
Vola, si sente leggera.
E suona solo per quelli come lei.
Solo da loro si fa sentire, nei loro sogni... l'angelo torna dal cielo solo per
loro. Solo per Bill.
I Tokio Hotel non mi appartengono, nè intendo dare una rappresentazione reale
della loro vita con questa storia!
Ripubblico questa storia perchè l'ho riletta, per caso, e ho trovato alcuni
errori... ho modificato dei discorsi... niente di più!
La canzone è 'Epiphany' degli Staind. Le altre canzoni citate, compresa questa,
non sono state utilizzate con scopo di lucro!
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