A blend of fear and passion

di Ipossia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 ***
Capitolo 2: *** 2.2 ***



Capitolo 1
*** 1.1 ***


A Bea e alla sua immensa pazienza, Buon Natale. <3


Un corridoio, nero, lungo. Non si vede nulla, ma sai che è un corridoio. Come? Bella domanda.
Continui a correre; stavi correndo? A quanto pare sì. I passi si susseguono, non li senti nemmeno, come non senti la fatica
alle gambe il respiro corto in gola il pulsare del sangue nelle vene. Non senti nulla, corri e basta.

Torni a vedere qualcosa. A percepire, più che vedere. Non sai più se stai davvero vedendo qualcosa o se no.
Vedere. Com’è che si vede? Non lo ricordi più. Freddo, fa freddo. Più della neve, più del ghiaccio, più del nero del corridoio senza fine.
C’è luce ora, ma è luce più fredda di quanto ti aspetti. Ti sei fermato. Quando, non lo sai.
Ti guardi intorno, non c’è nulla. Non si vede nulla. No. C’è qualcosa qualcuno. Non sei più nel nulla ora.
Tu e il qualcosa qualcuno siete da qualche parte. Dove non lo sai, ma da qualche parte. Una città?
Forse. Gente che cammina intorno a voi. Ora non siete più soli. Il qualcuno qualcosa è davanti a te, poi scompare, tra la folla.
C’è qualcos’altro ora, qualcun altro. Lo riconosci. La folla si fa più frenetica.
Lo guardi. Siete in una stanza, vuota, fredda. Ansia. E’ una di quelle stanze che portano ansia.
Alza il braccio verso di te, lo vedi chiaramente, anche se non sai se stai vedendo davvero. Vuoi avvicinarti, vuoi cedere all’invito di quel braccio conosciuto.
Allunghi il tuo braccio. Non fai in tempo. La parete diventa nera, un buco un foro uno squarcio che ingoia anche la luce.
Ingoia la stanza la polvere i mattoni. Ingoia lui. Non fai in tempo a dire nulla,
a fare nulla. Ansia. Paura. Rimani solo tu, ora.

 
Nero. Profondo, avviluppante nero. Muovo gli occhi, cercando di capire dove mi trovo. Qualche secondo, e capisco. Sono nel letto. In camera, la mia camera, e quello che ho fatto era solo un sogno. Un fottutissimo sogno. Respiro, una due tre volte, cercando di riportare alla calma quel battito che malgrado tutto è aumentato un po’ troppo. Passo una mano sulla fronte, scostando di malavoglia qualche ciuffo, mentre la luce della luna si fa strada tra le nuvole infiltrandosi nelle finestre della stanza; illuminando l’arredamento essenziale, gli armadi, le tende, le lenzuola.
 Nyal.
 Il mio sguardo è vagato fino a posarsi su di lui, di fianco a me. Sta dormendo, è ancora notte dopotutto.
Socchiudo gli occhi, facendo avventurare una mano fuori dalle lenzuola per sfiorare la sua guancia, tiepida. La luce soffice della luna illumina quello che sul mio volto dovrebbe essere un accenno di sorriso, seppur con un velo di sonno.
Riporto la mano sotto le coperte, al caldo, tirandole fino a coprirci per bene. Malgrado il riscaldamento, la stanza è comunque fresca, anzi fredda, e il calduccio sotto la coltre di lenzuola e coperte è innegabilmente invitante. Non mi riaddormento però, non ancora. I fumi del sogno sono ancora troppo vicini per avere il coraggio di riprendere sonno. Di notte è più facile abbandonare l’orgoglio, è più facile quando non c’è la luce accecante ad illuminare ogni anfratto.
Muovo la testa sul cuscino, mentre ancora fisso il ragazzo che dorme tranquillo nel mio letto. Ancora mi viene difficile credere che sia venuto con me in Russia. E’ così strano, sapendolo dall’altro capo del mondo rispetto a casa sua. Il sorriso scompare dal mio volto. Chissà se gli manca, casa sua. Socchiudo gli occhi, gli manca sicuramente, soprattutto suo fratello. Ricordo quel periodo passato in America come fosse ieri, quel viaggio di lavoro che mi ha portato a conoscere il ragazzo che ora dorme al mio fianco. Non posso dire di sapere cosa sia la nostalgia, ma posso immaginarlo. Di certo casa mia non è mai stato un posto a cui essere legato, e allo stesso modo per i miei fratelli, ma per lui è diverso.
Gli mancano di sicuro, penso, con un sorriso triste.
Chiudo gli occhi, cercando di riaddormentarmi. Nulla, non c’è verso ormai, sono sveglio.
 
***
 
Chiudo lo sportello della credenza, mentre la stanza comincia a scaldarsi. Il sole è appena sorto e io sono in piedi da un po’. L’edificio è quasi vuoto, anche se il nostro lavoro non è dei migliori pure i mercenari hanno diritto ad un paio di giorni di riposo sotto Natale. Almeno quelli sotto il mio controllo, anche se sarebbe meglio dire sotto il controllo di mio fratello; è lui che comanda questa divisione, almeno ufficialmente. Non credo che gli assassini a servizio di mio padre se la passino meglio, lui non festeggia il Natale. Noi tre, i fratelli Kreziskij, lo avevamo sempre festeggiato di nascosto, almeno fino al giorno del tradimento di Coz. Dopo, silenziosamente, tutto è andato perdendosi nel freddo dei corridoi svuotati, nella polvere delle stanze, nelle giornate private del rosso fuoco della capigliatura del nostro fratello più piccolo.
Sbatto l’altra anta con forza, cercando di non pensare. Non queste cose, almeno.
Oggi è il 23 dicembre. Mancano due giorni, a Natale.
Ho acceso il caminetto del salotto, prima, visto che il riscaldamento non basta a scacciare il freddo portato dalla neve. Due giorni fa ha cominciato a nevicare, imbiancando i territori già abituati al gelo. Quello stesso giorno abbiamo discusso, io e Nyal. Anche se più che discussioni le nostre sono un camminare in bilico su una corda, come due equilibristi. Solo che non c’è una rete di sicurezza, qui. Non c’è un pubblico che ti applaude lo stesso se cadi, non c’è suspence o attesa. C’è solo paura. Paura di perdere qualcuno ormai diventato troppo importante.
Aaaah, passo una mano sul viso, poi sulla fronte alzando le ciocche bianche che mi scivolano sugli occhi. Cose positive, devo pensare a cose positive. Certo, il sogno di stanotte non aiuta.
Apro di nuovo l’anta della credenza, prendendo il pacchetto di biscotti con gocce di cioccolato. Ecco, l’ultimo tocco al vassoio della colazione, con latte, succo, e tè bollente. A scelta ovviamente, insieme alle fette di torta e i biscotti. Perfetto, è tutto pronto.
Porto il vassoio al tavolo, quello alto, lì vicino. Mi siedo, mentre tutto è avvolto dal silenzio. E’ così strano, quando al piano di sotto non c’è nessuno che fa rumore, che fa cadere qualcosa, che sbraita contro gli inefficienti, che si allena per un qualche motivo. Nemmeno Kaunas c’è. Se ne andato pure lui, o almeno è quello che penso. E’ un sacco di tempo, troppo, che non torna. Dovrebbe essere oltreoceano, ma nessuno ha avuto più sue notizie da quando è partito. Sono rimasto solo io, dei tre fratelli di Noril’sk. Prendo un biscotto, dandogli un morso, distratto.
Un fruscio leggero, alla porta. Mi volto accennando un sorriso, mentre Nyal si avvicina, sbadigliando, il pigiama ancora addosso, che cade in modo perfettamente largo sul suo corpo esile. Fragile. Stringo gli occhi, mentre mi torna in mente il sogno, di nuovo. Lui si è avvicinato, seguendo l’odore della colazione. “’Giorno Ser..”
“Ti sei alzato presto stamattina.” Dico, poggiando il gomito sul tavolo. Lo osservo, mentre con uno sbadiglio annuisce e si siede nello sgabello di fianco.
Spalmato sul tavolo, si allunga per prendere un biscotto, annuendo ancora assonnato alle mie parole. Allungo il braccio, precedendolo e rubandogli il cibo ad un soffio dalle sue dita, beccandomi uno sguardo assassino. Sorrido, divertito, mangiandomi il biscotto davanti a lui. Sembra tutto così normale. Era solo un sogno, devo smetterla di preoccuparmi. Un sogno così reale.. alla fine, per quanto possiamo amare qualcuno finiremo sempre per distruggerlo, in un modo o nell’altro.
“Lo avevo puntato io..” mi dice, imbronciato, mentre io nel frattempo mi alzo portando la tazza di tè alle labbra. La mia colazione è finita: anche se siamo in vacanza, sono esentato solo dalla parte prettamente fisica del nostro lavoro..rimane ancora molto da fare, scartoffie da firmare, gente da controllare. A Tomsk non si va mai in vacanza, soprattutto se si è a capo di un’associazione mercenaria. Beh, non a capo. Diciamo appena sotto. La sedia struscia sul pavimento in marmo, mentre non posso fare a meno di notare lo sguardo deluso di Nyal. Lo so, lui vorrebbe più tempo per noi. E lo vorrei anch’io. Solo che non si può, non senza correre qualche rischio. Sorrido, triste, avvicinandomi e prendendogli il mento tra due dita, facendogli alzare il viso. Gli stampo un veloce bacio sulle labbra morbide, solleticandogli le guance con qualche ciuffo dei miei che sfugge alla coda bassa.
“Devo andare ora, se ti serve sai dove sono.” Assottiglio gli occhi, allontanandomi quel tanto che basta per osservare i suoi occhi per bene, come faccio ogni mattina. Azzurri, con la loro solita sfumatura gialla vicino la pupilla che li rende tanto affascinanti. Ci guardiamo per un po’, nessuno dice nulla. Poi, velocemente, mi allontano, con un ultimo sorriso sulle labbra mentre esco dalla cucina, verso quello che dovrebbe essere l’ufficio di Kaunas, ma che in realtà è una specie di salotto in stile antico, con alcolici in ogni angolo, ogni credenza. A Kaunas piacevano, sì. Anche troppo, a volte. Stringo le labbra al pensiero, brutti ricordi.
Ora che mi ricordo, oggi devo anche fare una chiamata al mio informatore di fiducia. Cominciamo bene.
 
***
 
Mi passo una mano sulle tempie, stanco. Mi serve qualcosa di fresco, mi serve una pausa. Anzi, per oggi posso finire prima. Guardo l’orologio appeso al muro, quello indietro di due minuti. E’ quasi ora di cena.
Fuori è buio ormai, e la neve ha cominciato a cadere, fitta. Se continua così prima o poi mi toccherà pure mettermi a spalare per liberare l’ingresso. Non che mi serva, ora come ora. La casa è abbastanza grande da sopravvivere anche senza uscire, dopotutto. E poi non c’è nessuno.
Decido di lasciar perdere la neve, per il momento. Lo schienale della poltrona è così comodo..ma mi devo alzare, su. Le carte sono ancora tutte sulla scrivania, dove ho intenzione di lasciarle per un bel pezzo. Oggi ho impiegato più di metà giornata al telefono, ascoltando lamentele, richieste, voci fastidiose. Tutte cose che non mi hanno procurato altro che un mal di testa fastidioso. Tuttavia ora ho quello che mi serve.
Sorrido al nulla, affabile, mentre penso che dovrò aspettare ancora poco. Poco davvero.
Le mani sui braccioli, faccio leva e mi alzo, andando verso la porta ed uscendo senza guardarmi indietro.
Avrà già mangiato, Nyal? Probabilmente mi ha aspettato anche oggi, fin quasi ad intiepidire il bollente.
Ormai sa che è inutile chiamarmi finché non ho finito ciò che sto facendo. E’ brutto, sì, ma non ci si può fare nulla.
La porta dell’ufficio sbatte quando esco, infastidendomi più del solito. I corridoi sono freddi e silenziosi, e i passi rimbombano quasi mentre vado verso la cucina. Ad ogni passo sento aumentare un profumino davvero invitante, quindi sorrido, mentre apro la porta della stanza. E’ pronto.
Un paio di piatti, posate, e varie portate leggere, tutto su un angolo del grande tavolo del salotto, davanti al caminetto dove bruciano gli ultimi pezzi di legno. Nyal è lì, seduto in quell’angolo, che fissa il fuoco quasi morto. Rimango a guardarlo, senza farmi sentire, un sorriso accennato sulle labbra. Sembra tutto così tranquillo. I ciocchi inceneriti collassano tra loro, si muovono, sbuffano mentre il fuoco si illumina un poco.
Entro, mi avvicino. Mi sente, lui, e si volta, mentre nel suo volto si dipinge un sorriso, di quelli che sai non potrai mai imitare. Troppo sinceri, pensi. Troppo veri, forse. Il mio  sorriso si allarga un poco, mentre con la mano corro a spettinargli i capelli, come faccio sempre. Scosto la sedia in mogano, vecchia, e mi ci siedo, guardando quindi il tavolo. Il profumo prometteva bene, sembra tutto buonissimo. Di certo se cucinassi io non ne uscirebbe qualcosa di commestibile. Nyal batte le mani tra loro, e io lo imito con un accenno di sorriso. Era un’abitudine troppo divertente per lasciarla solo a lui.
“Itadakimasu!” Dice, annuendo e prendendo la forchetta. Ora che guardo bene c’è anche il Kulebjaka tra i piatti. “Prijatnava apetita.” Dico io, in russo. Certo, d’accordo le mani, ma il giapponese no. Che poi Nyal non lo è nemmeno. Prendo anch’io le posate e comincio a mangiare, osservando il fuoco pensieroso, mentre la testa comincia a pulsare meno. Come sospettavo, bastava un po’ di relax. E un po’ di Nyal. Sorrido, il cibo mi aspetta.

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Capitolo 2
*** 2.2 ***


Nero, anche questa volta. Questa? Significa che c’è stato un precedente? Non lo sai, non sai
nemmeno perché l’hai pensato. Cos’è, il nero? Solo la tonalità più scura di tutto il resto, rosso, blu, verde, bianco. Grigio.
Tutto si fonde, conosci solo il grigio ora. Non c’è più nessun altro colore, solo sfumature grigie. Tra nero e bianco, senza mai toccarli.
Come tutta una vita, giusto? Vita passata troppo vicino ai pensieri che poi hai dovuto abbandonare.
Sempre troppi, troppo presto. Ormai conosci la routine, capisci, sai
che non è la prima volta che sogni cose del genere. Come al solito cominci ad andare da qualche parte,
senza sapere bene dove.
Anzi, lo sai. Solo che non vuoi saperlo. Questa volta è una distesa di neve.
Tutto è bianco, in Siberia, tutto è gelo. La neve è bassa, ancora non è inverno, e
una chiazza rossa si fa strada sul bianco compatto. Rosso che sembra ancora più squillante, vivace, simbolo della vita che abbandona.
Il rosso brucia scalda colora, il rosso sporca soffoca distrugge. Il rosso uccide.
Il rosso imbratta il nero di quei capelli tanto scuri, infetta la pelle ormai congelata, bluastra.
Il freddo non perdona, in Siberia. Basta poco, e sei morto. Ora c’è fuoco, tradimento.
Una stanza che brucia, tende in fiamme, cocci, frammenti di vetro ovunque.
Questo è quello che senti, come se fosse la tua pelle a vedere, non tu. Perché tu non vedi,
non hai mai visto nulla. E nulla è quello che resta. Nero di nuovo, silenzio. Un silenzio assordante.

Senti ancora il fuoco, anche se non lo vedi. Sta
bruciando tutto, tutto tutto tutto.

 
Sono sveglio. Ci metto qualche secondo a rendermene conto, ma sono sveglio. Non mi muovo, resto a fissare il soffitto, nella stessa posizione di quando ho aperto gli occhi. Mi muovo, posandomi stancamente un braccio sul viso, a coprire gli occhi. Questi sogni..sono fastidiosi. Scosto le coperte con un movimento veloce, alzandomi per andare in bagno a rinfrescarmi, è troppo tardi per mettersi a dormire di nuovo questa volta. Pochi passi e sono nella stanza di fianco, larga abbastanza da essere degna della camera. Allo specchio faccio schifo, i capelli sembrano avere una fottuta vita propria da quanto sono scompigliati e gli occhi non sono messi meglio. Sospiro rassegnato, aprendo il rubinetto per lavarmi la faccia. L’acqua fresca è perfetta per far scivolare via qualsiasi cosa. Penso a ieri sera, mentre cerco l’asciugamano a tentoni. E’ stata una cena come tante, alla fine ho sparecchiato e infilato tutto nel lavastoviglie alla rinfusa. Il resto del tempo lo abbiamo passato nel divano. Sorrido al pensiero, mentre riposo l’asciugamano dopo essermi rimesso in sesto. Ecco, ora sono già più affascinante. Come dovrei essere ad ogni ora del giorno. Fisso l’asciugamano, quasi quasi mi faccio una doccia. Tanto, non ho nulla da fare.
 
***
Friziono i capelli, lentamente, mentre uscendo gocciolo un po’ dappertutto nel  pavimento. Per fortuna c’è il tappetino, che asciuga tutto. Circondo la vita con l’ennesimo asciugamano, mentre mi vengono stranamente in mente Kaunas e Cozart. Perché poi? Forse per quando eravamo piccoli, tutti i bagni insieme. Vecchi ricordi senza più alcuna importanza. Quasi mi uccido per colpa di un paio di pantaloni rimasti a terra ancora da ieri che hanno preso di mira i miei piedi. Eh no, non finirò sul pavimento di prima mattina. Un rumore mi distrae da questi pensieri ostili, e vedo Nyal entrare assonnato in bagno, forse cercando la fonte di tutto quel rumore. Sorrido, socchiudendo gli occhi, mentre sul suo viso si fa strada il rosso. Gli dona particolarmente, arrossire. Sembra fatto apposta per lui, certe volte.
Mi fissa, mentre io raccolgo  da terra i pantaloni e li getto nella cesta delle cose da lavare.
“Buongiorno, Nyal..” dico, guardandolo mentre lui ancora è in silenzio. Mi avvicino, lasciando scivolare sulle spalle l’asciugamano con il quale mi stavo strofinando i capelli. Lui è ancora sulla porta, non ha fatto un passo. Si riscuote quando mi avvicino, distogliendo lo sguardo mentre le guance diventano se possibile ancora più rosse.
“Buo-buongiorno..” torna ad alzare gli occhi, guardandomi. Sono ad un passo da lui, ed è costretto a piegare un poco il capo per potermi guardare negli occhi. “Dormito..dormito bene?” mi chiede, cercando di nascondere l’imbarazzo. La doccia mi ha fatto bene, ora il sogno di stanotte è solo un ricordo sfumato. Inclino il capo, sorridendo a quella sua espressione che sembra quasi imbronciata.
“Benissimo.” Sorrido, allungando il braccio dietro di lui per chiudere la porta, rimasta socchiusa. Nyal fa un passo indietro, vedendo che la distanza continua a diminuire, finendo così contro il legno. Torna ad osservarmi, senza più vie d’uscita.
“Dovresti asciugarti..” mi dice, mentre qualche goccia d’acqua scivola dai miei capelli sul suo viso. Gli prendo il mento tra le dita, facendogli alzare il viso, per poi avvicinarmi, fino a portare le mie labbra ad un soffio dalle sue. “Asciugami tu..” mormoro divertito, mentre il sorriso si allarga a vedere l’espressione che ha appena fatto. Un misto tra l’imbarazzo e qualcos’altro, difficile da capire. Mi avvicino ancora, impedendogli di dire qualsiasi cosa quando finalmente poggio le mie labbra su quelle morbide di lui, in un bacio fresco che sa di acqua. Lo spingo contro la porta, non concedendogli vie di fuga, anche se non ce ne sarebbe bisogno. Il suo respiro sulla pelle. Qualche goccia lascia la sua scia anche sul suo pigiama, mentre mordo il suo labbro inferiore, leggermente, per poi leccarlo chiedendo l’accesso alla sua bocca. Schiude le labbra lui, poco, ad occhi socchiusi, mentre porta le braccia in alto, circondandomi il collo, prima quasi titubante, poi con decisione. La mia mano va sul suo fianco, infilandosi sotto l’angolo della maglietta, sfioro con le dita la sua pelle, facendolo rabbrividire. Le nostre lingue si intrecciano, giocano, i respiri si fanno corti e i battiti veloci. Ci separiamo, lo spazio di un soffio tra le nostre labbra, per riprendere un minimo di fiato, tornando poi ognuno alla propria dannazione. Le mie labbra sono di nuovo sulle sue quando sento un suono venire dalla camera, insistente. Non ci faccio caso all’inizio, non lo sento quasi. Poi mi rendo conto che dovrei prestarci attenzione. E’ la vibrazione del cellulare, rimasto sopra il comodino. Il cellulare di lavoro. Mi stacco di malavoglia, vedo Nyal che mi guarda confuso. “Merda..” dico, poggiando la fronte su quella del più piccolo, inumidendogli i capelli. Mi sono appena ricordato che ho una cosa importante da fare, quella per cui ieri sono stato tutto il giorno al telefono. Incrocio il mio sguardo con il suo, che ora ha una sfumatura delusa. “Non devi andare per forza..” mi dice, quasi mormorando, il respiro che ancora cerca di stabilizzarsi, mentre io mi stacco e scuoto la testa. “Oggi sì. Anzi, sarà meglio rispondere.” Gli prendo il viso tra le mani, dandogli un ultimo bacio leggero sulle labbra, per poi allontanarmi in modo da poter aprire la porta. Mi segue nella camera, senza dir nulla, risistemandosi il pigiama. Raccolgo il cellulare,  tornando in bagno per asciugarmi per bene e rispondere. Oggi è la vigilia.
 
***
 
E’ tardi. Dannatamente tardi.
Sbatto i piedi all’ingresso, liberando gli stivali dalla neve. Non avrei voluto dover restare fuori così a lungo, merda. Ormai il sole è tramontato da ore, forse più di un paio, e la neve questa volta mi ha rallentato. Per fortuna ha smesso di nevicare almeno. Oggi è il 24, sera, e io sono in ritardo.
Il cappotto l’ho appeso, gli stivali sporcheranno l’atrio, ma per una volta può andare. Sarei arrivato prima, se non avessi ricevuto una chiamata inaspettata da mia madre Emma. Anzi, dal “segretario” di quella puttana. Voleva sapere dei progressi di ricerca su Cozart. Nemmeno me l’ha chiesto di persona, quella. Si è fatta passare il telefono solamente per sapere di Kaunas, invece. Batto i piedi salendo le scale, cercando di scaricare la rabbia che mi ha fatto venire quella telefonata. Se solo ci lasciasse in pace.
Eccomi, sono in salotto, e mi aspetto così tanto di non trovare Nyal che rimango stupito nel vedere il caminetto acceso e in tavola tutto apparecchiato e fumante. Lui è lì, in piedi davanti il caminetto, sorridente. Bello come non mai. Sorrido di rimando, felice che non sia andato a letto, stanco di aspettarmi. Tutto quello che ho pensato in quel momento viene accantonato, almeno per qualche ora non voglio pensarci.
“Hai cucinato tutto tu?” chiedo, avvicinandomi al tavolo, dove se ne stanno varie portate degne della vigilia di Natale. Hanno un profumino così invitante che il mio stomaco si mette a brontolare.
“Beh, ho dovuto fare vari tentativi, ma sì.” Sorride, compiaciuto della sua opera culinaria. Nel caminetto il fuoco scoppietta e tutto sembra così perfetto.
Sfrego le mani, scaldandole, mentre lui mi si avvicina. Ci sediamo, pronti a rendere giustizia ai piatti. Nulla, non posso fare a meno di pensare alla telefonata.
Comincio a riempire il piatto. Posso imbrogliare me stesso quanto voglio, ma alla fine un po’ preoccupato lo sono.
Riempio il bicchiere. Sto lentamente perdendo il controllo di tutto.
Comincio a tagliare la carne. Ogni ora che passa sembra sempre che la shlyukha si avvicini un po’ di più alla verità. E questo non lo posso permettere. La odio. La odio odio odio odio.
“Nenavidet’” dico, sovrappensiero, attirando lo sguardo di Nyal.
 “Sergej?” Mi chiede, cercando di capire cos’ho detto. Fortunatamente non conosce il russo, non ancora per lo meno. Scuoto la testa, lasciando cadere l’argomento.
“Nulla, nulla..” mi porto un pezzo di carne alla bocca, accennando un sorriso. So che dovrei parlarne, dovrei accennare almeno il fatto, solo che proprio non ci riesco. Non voglio far preoccupare Nyal di cose in cui non c’entra. Mi sembra troppo caricare le spalle di qualcuno che ha già di per sé molto peso da portare. Sospiro, quasi rassegnato, mentre mi accorgo che per tutto questo tempo non ho staccato gli occhi di dosso al mio ragazzo. Tanto che ora pure lui mi fissa, probabilmente chiedendosi il motivo di tutta questa attenzione. Poso il bicchiere dal quale stavo bevendo, sorridendo. Ci aspetta la vigilia di Natale, voglio divertirmi.

***
 
Siamo qui, sul divano, il caminetto acceso, ad aspettare. Non avevo pensato al fatto che aspettare potesse essere così noioso, effettivamente. Alla mezzanotte mancano ancora un paio d’ore o almeno questa è la mia impressione , e noi abbiamo finito l’inventiva. C’era stata l’ipotesi di addobbare un albero, subito scartata per via del fatto che qui, alberi da addobbare non ce ne sono. Il risultato è stato un misero alberello in plastica trovato nello scantinato, vecchio secoli, di quelli che se batti le mani si mettono a cantare. Ovviamente, il nostro ormai non canta più. Troppo vecchio, batterie scariche. Almeno ora è tutto luccicante di lucine e palline colorate, sopra un tavolino.
Osservo l’orologio a muro e sorrido. Mi ero sbagliato per fortuna, mancano solo una ventina di minuti.
Mi volto a guardare Nyal, con il cappellino rosso di babbo natale calato sul capo, anche lui che alza lo sguardo ogni due minuti per guardare l’orologio. Sembra impaziente. Sorrido, avvicinandomi e tirandolo a me con un braccio. “Guardare l’orologio di continuo non velocizza il tempo, sai?” Dico, divertito dall’espressione imbronciata che fa alle mie parole. “Manca poco, ormai.”
“Lo so ma..” lascia cadere la frase, incrociando le braccia, mentre io gli passo una mano tra i capelli, spettinandolo. Mi avvicino, lentamente, dandogli un bacio nel collo, allo stacco dell’orecchio. Socchiudo gli occhi. Rabbrividisce un poco, e non per il freddo, quando io scendo un po’, lasciando sulla pelle una scia di baci e morsi leggeri. Ci spostiamo meglio sul divano, movimenti piccoli, leggeri, quasi istintivi, per assaporare al meglio la situazione. Nyal volta il capo, cercando le mie labbra, e lo accontento, lo bacio, lecco il labbro, lo mordo, ci gioco. Le mie mani ora sono sui suoi fianchi, io sempre più vicino. Mi stacco dal bacio, delineando il contorno del suo mento con le labbra, poi di nuovo su, lo zigomo, gli occhi, il naso.
Con una spinta lo faccio distendere sui cuscini scuri del divano. Sento il calore del fuoco del caminetto, e vedo la sua luce riflessa negli occhi del ragazzo, insieme a qualcos’altro. Mi circonda il collo con le braccia, tirandomi verso di lui, verso le sue labbra morbide. E io seguo il movimento, facendo aderire i nostri corpi e le nostre labbra, l’unico rumore il silenzio di ciò che siamo, di ciò che proviamo. Chi ha detto che un amore silenzioso non è perfetto? Siamo un’isola di silenzio ora, un posto dove non c’è mai perché, non c’è mai altro che noi stessi. Anche se resta. Resta la paura. Questa è la nostra isola silenziosa, misto di paura e passione. E non può essere altrimenti.
 
***
 
Accenno un sorriso. Nyal sorride a sua volta, accoccolandosi su di me. Siamo distesi sul divano, davanti al fuoco, dove stanno bruciando gli ultimi cocci. Siamo sotto una coperta presa dalla tasca sul retro del divano, i nostri vestiti sparsi un po’ dovunque. Non c’è bisogno di dire nulla. Siamo qui, e basta. Gli occhi di Nyal si fanno stanchi, e io mi allungo a baciargli le palpebre, con un accenno di sorriso.
“Nyal, guarda che ore sono..” dico, con un accenno divertito nella voce, e lui mi guarda, per poi voltare il capo cercando l’orologio appeso al muro.
La mezzanotte è passata. Lo vedo spalancare gli occhi, e mi viene da ridere solo per questo. Lo guardo mentre si volta, con un sorriso immenso stampato in faccia.
“Buon Natale Ser!” mi abbraccia, se non fosse che è il mio ragazzo penserei che abbia intenzione di soffocarmi. Rido anche per questo, passandogli un braccio attorno alla schiena. Si stacca, lasciandomi respirare e io gli pizzico il naso, così tanto per fare.
“Ho una cosa per te.” Dico. Finalmente tutte le chiamate che ho fatto in questi giorni raggiungono il loro scopo. Mi allungo sopra Nyal, raccogliendo da terra la felpa che portavo prima, e consegnandogliela. Mi rimetto comodo, sostenendomi con un gomito mentre lui mi fissa senza capire.
“La tua felpa?” Chiede, con un accenno di risata. Io scuoto la testa. “Guarda nelle tasche.” Non riesco a nascondere un tono di trepidazione, dopotutto è praticamente il primo regalo di Natale che faccio a qualcuno. Lui fruga nelle tasche, prima a destra, poi a sinistra. Sembra aver trovato qualcosa. Mi guarda, senza capire, per poi estrarre la mano. Tra le dita, due fogli. Due biglietti aerei. Lo sento trattenere il respiro, mentre fissa il mio regalo. Li avvicina, per leggere la destinazione.
“New York..” Dice, e si volta a guardarmi felice. Sorrido, avvicinandomi e dandogli un sonoro bacio a stampo sulle labbra. Sono stranamente riuscito ad ottenere un permesso di due mesi per assentarmi da Tomsk, un occasione fantastica per passare il capodanno. Socchiudo gli occhi, mentre inclinando il capo alcune ciocche di capelli mi scivolano via dagli occhi.
“Buon Natale, Nyal.”
 

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