Elementia: The War

di Melanto
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Guerra! ***
Capitolo 2: *** 1 - La scomparsa del Principe Tsubasa ***
Capitolo 3: *** 2 - I quattro Elementi - parte I ***
Capitolo 4: *** 2 - I quattro Elementi - parte II ***
Capitolo 5: *** 2 - I quattro Elementi - parte III ***
Capitolo 6: *** 3 - L'inizio del viaggio ***
Capitolo 7: *** 4 - Avventura nel deserto ***
Capitolo 8: *** 5 - Quarantena - parte I ***
Capitolo 9: *** 5 - Quarantena - parte II ***
Capitolo 10: *** 5 - Quarantena - parte III ***
Capitolo 11: *** 6 - Il Circo Acquatico - parte I ***
Capitolo 12: *** 6 - Il Circo Acquatico - parte II ***
Capitolo 13: *** 6 - Il Circo Acquatico - parte III ***
Capitolo 14: *** 6 - Il Circo Acquatico - parte IV ***
Capitolo 15: *** 6 - Il Circo Acquatico - parte V ***
Capitolo 16: *** 7 - Il villaggio di Yoshiko - parte I ***
Capitolo 17: *** 7 - Il villaggio di Yoshiko - parte II ***
Capitolo 18: *** 7 - Il villaggio di Yoshiko - parte III ***
Capitolo 19: *** 8 - Il potere del Vento ***
Capitolo 20: *** 9 - Ritrovare la fede - parte I ***
Capitolo 21: *** 9 - Ritrovare la fede - parte II ***
Capitolo 22: *** 9 - Ritrovare la fede - parte III ***
Capitolo 23: *** 10 - Il compleanno di Teppei - parte I ***
Capitolo 24: *** 10 - Il compleanno di Teppei - parte II ***
Capitolo 25: *** 10 - Il compleanno di Teppei - parte III ***
Capitolo 26: *** 11 - I segreti di Mamoru - parte I ***
Capitolo 27: *** 11 - I segreti di Mamoru - parte II ***
Capitolo 28: *** 11 - I segreti di Mamoru - parte III ***
Capitolo 29: *** 11 - I segreti di Mamoru - parte IV ***
Capitolo 30: *** 11 - I segreti di Mamoru - parte V ***
Capitolo 31: *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte I ***
Capitolo 32: *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte II ***
Capitolo 33: *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte III ***
Capitolo 34: *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte IV ***
Capitolo 35: *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte V ***
Capitolo 36: *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte VI ***
Capitolo 37: *** 13 - Febbre bassa ***
Capitolo 38: *** 14 - All'ultimo respiro - parte I ***
Capitolo 39: *** 14 - All'ultimo respiro - parte II ***
Capitolo 40: *** 14 - All'ultimo respiro - parte III ***
Capitolo 41: *** 14 - All'ultimo respiro - parte IV ***
Capitolo 42: *** 14 - All'ultimo respiro - parte V ***
Capitolo 43: *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte I ***
Capitolo 44: *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte II ***
Capitolo 45: *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte III ***
Capitolo 46: *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte IV ***
Capitolo 47: *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte V ***
Capitolo 48: *** 16 - This is War - parte I ***
Capitolo 49: *** 16 - This is War - parte II ***
Capitolo 50: *** 16 - This is War - parte III ***
Capitolo 51: *** 16 - This is War - parte IV ***
Capitolo 52: *** 16 - This is War - parte V ***
Capitolo 53: *** 16 - This is War - parte VI ***
Capitolo 54: *** 16 - This is War - parte VII ***
Capitolo 55: *** 17 - Nuovo sole sulle Terre del Nord ***
Capitolo 56: *** Epilogo: La Fiamma nel Vento ***



Capitolo 1
*** Prologo: Guerra! ***


ELEMENTIA
- The War -

Siedi qui, a me vicino,
ed ascolta la mia storia
dove le trame del Destino
son di Tenebra e di Gloria.

Elementia, terra verde,
ha natura assai speciale,
chi la brama in lei si perde,
perché non è votata al male.

Sono quattro i poteri
a regolare l’armonia:
Aria e Acqua i più severi,
Fuoco e Terra l’allegria.

Poi c’è Lei, la Magia Nera,
la Signora della Morte,
degli Stregoni condottiera,
portatrice di cattiva sorte.

Questo è quanto hai da sapere
come breve introduzione:
fu dalle Tenebre più nere
che ebbe inizio l'invasione.

Così, c’era una volta
e c’era lontano
un regno in rivolta
contro il bravo sovrano…

 

PROLOGO: Guerra!

La stanza era immersa nella tremolante luce di alcune candele dalla gelida fiamma azzurrognola.
I bagliori incerti disegnavano un’ombra minacciosa sul pavimento, entro il loro limitato raggio d’azione, che poi veniva assorbita dall’oscurità circostante.
La figura imponente di un uomo restava immobile a scrutare l’esterno avvolto dalle tenebre notturne. Nessuna stella a rischiarare il cielo, nessun astro rassicurante occhieggiava sulle Terre dei Gamo. Il Regno del Nord era maledetto e da questo traeva la sua più terrificante potenza.
Minato distese le labbra in un sottile sorriso, mentre nel suo sguardo guizzavano lampi di cupidigia e potere, quello che presto avrebbe ottenuto e che gli era sempre spettato.
Si ritrovò a ripensare agli anni passati a strisciare ai piedi degli Ozora, idolatrando quello che era poco più di un moccioso e che presto sarebbe salito al trono come nuovo sovrano di Elementia, mentre nell’ombra accresceva l’esercito che avrebbe marciato alla volta delle Terre Centrali e che avrebbe posto lui sul trono. Il tempo della sottomissione volgeva al termine, era il momento di sottomettere.
Un rumore deciso di passi si arrestò a poca distanza da lui. La luce delle candele non riusciva a lambirne la figura.
“Mio signore…” cominciò una voce giovane, ma priva di qualsivoglia indecisione “…lo Stregone dell’AlfaOmega ha terminato l’incanto sul cadavere del messaggero. Siete atteso all’ingresso del castello, aspettano il vostro comando per ordinarne la sua liberazione.”
Minato non si mosse, mentre il sorriso si accentuava facendogli snudare i denti in una smorfia terrificante.
“Mio fedele Generale, avvicinati e rispondi al mio quesito.” disse con calma.
Un rumore di armatura rivelò i movimenti del giovane, facendolo entrare nel raggio d’azione della luce delle candele. I capelli scuri erano ricci e lo sguardo non lasciava trapelare la minima esitazione. Anzi. Nei suoi occhi non c'era alcuna emozione, peculiarità che gli era valsa l’appellativo di Golem[1].
Il Generale si fece di fianco al suo signore, rimanendo in attesa.
“Cosa vedi?” domandò il Lord, passandosi una mano sulla barba leggermente incolta.
Il giovane osservò l’oscurità esterna nella quale si muovevano rapidamente le legioni che terminavano l’armamento. Uno stuolo di soldati che si perdeva a vista d’occhio nella notte inoltrata.
Uomini sellavano i cavalli con gesti meccanici e precisi, altri controllavano le armi e le armature che venivano indossate velocemente; gli Stregoni facevano brillare qualche incanto nell’attesa dell’ordine.
“Vedo la potenza, mio signore, e la vittoria. Vedo voi sul trono di Elementia.”
Questa volta Minato Gamo si volse ad incrociare il profilo del Generale. “Sei il mio uomo migliore, Carlos, e conto su di te affinché ciò che vedi diventi realtà.”
“Sarà fatto, mio signore. Io non perderò e voi non perderete.”
L’altro annuì allontanandosi dalla finestra. “Così sarà. Ora andiamo a dichiarare guerra.”
Lasciarono la stanza l’uno a breve distanza dall’altro, mentre i loro passi risuonavano cupi per i corridoi freddi e silenziosi del castello. Rade torce, dalla fiamma tremula, illuminavano a stento il loro cammino, quasi con timore. Guardie bardate di nero venivano incrociate alle porte: salutavano con un inchino e ritornavano a guardare immobili gli occhi di chi stava loro di fronte. Era come osservare in uno specchio, tanto si somigliavano tra di loro; ogni guardia uguale all’altra nell’espressione assolutamente ferma e gelida.
Uscirono nel cortile, che fino a qualche minuto prima avevano osservato dall’alto di una delle stanze, con cipiglio severo.
Nel veder comparire il Lord Gamo ed il Generale Santana, i presenti scattarono sull’attenti in attesa di ordini.
Minato si avvicinò allo Stregone che restava immobile innanzi al cadavere dinoccolato di quello che era stato un messaggero degli Ozora: il quarto in sei mesi, ma, almeno, questo sarebbe tornato, stavolta; che fosse morto era solo una particolarità irrilevante, l’importante era che portasse il suo messaggio.
“Allora?” domandò rivolgendosi all’uomo coperto da un lungo mantello nero sul quale era ricamato, in oro, una Alfa all’interno di una Omega.
“Il corpo di quest’uomo è sotto il mio stretto controllo, ora. Possiamo fare di lui ciò che più ci aggrada…” asserì l’interpellato, con una smorfia di soddisfazione sul viso.
Gamo gli lanciò una rapida occhiata di approvazione. Una buffa cicatrice, a forma di ‘X’, era ben visibile al centro della fronte del mago incappucciato.
“L’importante è che arrivi al castello tutto intero, mi seccherebbe maledettamente se dovesse fallire nel suo ultimo compito.”
“Non fallirà.” rimarcò l’altro.
“Meglio per te, non vorrei che il Nero si trovasse uno Stregone di meno.”.
Hanji Urabe sorrise bieco, incassando la poco velata minaccia del Signore del Nord. Quel genere di cose non gli facevano il minimo effetto: cosa avrebbe mai potuto fare? Era un solo un pallone gonfiato con le manie di grandezza, mentre lui aveva dalla sua l’immensa forza malefica della Magia Nera. Osservò il cadavere dalla pelle livida e gli occhi vuoti. Solo grazie ai suoi incantesimi si reggeva in piedi. La bocca era semiaperta in un’espressione afflitta; dalle ferite aperte, ed ormai completamente esangui, scivolava qualche larva di inizio decomposizione.
“Ora, mio schiavo…” disse in tono solenne e la creatura mosse lentamente la testa verso di lui “…tornerai a Raskal, al castello reale, e porterai il messaggio di Minato Gamo come ti è stato impartito.”
Il morto annuì. Trascinando il suo stesso peso, si volse in direzione dell’enorme portone che permetteva di oltrepassare la cinta muraria e si incamminò verso il suo ultimo viaggio, quello del ritorno.
Gamo, lo Stregone ed il Generale Santana lo osservarono allontanarsi, mentre gli altri riprendevano gli imponenti preparativi per la partenza.
“Sei mesi e cominceremo a muoverci in direzione delle Terre Centrali.” esclamò il Lord al Golem “Di’ alle legioni di essere pronte per questa scadenza, chi non lo sarà: uccidilo. Non voglio incompetenti tra i miei uomini.” e rientrò nel maniero imponente dalle aguzze torri nere. I Gagoyles in pietra montavano la guardia sotto i doccioni, gli occhi grigi e morti di statue vigilavano severi su tutto ciò che si muoveva e non.
“Sarà fatto, mio signore."


[1]GOLEM: lo so che il nomignolo di Carlos Santana è Cyborg, ma utilizzarlo sarebbe stato parecchio anacronistico in questo contesto, essendo che non esistono forme ‘teconologiche’ su questo pianeta! XD per tale motivo ho preferito ricorrere ad una traduzione più ‘accettabile’ per il mondo di Elementia (Un doveroso ringraziamento va a Maki-chan che mi ha aiutato a trovarlo!*_*Y).


 

...Il Giardino Elementale…


Credo che questa sia la mia prima storia di stampo ‘fantasy’, con tutti i suoi crismi e clichè: il pianeta suddiviso in regni, il Re in guerra contro il cattivo di turno, la Magia e tutto ciò che ne deriva.
Non so voi, ma io adoro creare AU!*_* è divertente! Come piacevole è stato mettere in piedi Elementia, con i suoi regni, città, gerarchie e ordini magici e non. Spero che, ciò che leggerete nei prossimi capitoli, possa essere di vostro gradimento!

Avevo pensato di mettere un elenco con tutti i personaggi che compariranno in questa fanfiction (e sono tanti, ve lo posso garantire!XD), ma preferisco farveli scoprire poco alla volta, in modo da lasciarvi la sorpresa di vedere sotto quale ‘veste’ li vedrete in azione. Vi ricordo che i nomi che utilizzerò saranno quelli del manga, ad ogni modo, i meno conosciuti con il loro nome originale saranno segnati da una notina che esplicherò a fondo pagina, in modo da farvi capire di chi sto parlando.
Passo ora ai ringraziamenti (alcuni anticipati sono doverosi) ed i Credit.

Ringraziamenti:

- Al Diofà! XD che viene sempre prima di tutti *_* e al quale dedico interamente il Ciclo di Elementia. So per certo che è la sua storia preferita e mi è stato di grandissimo aiuto, dandomi ogni sorta di suggerimento ed accortezza. A lui devo l’inserimento degli Zaikotti XD che io, personalmente, adoro! Cosa sono? XD lo scoprirete solo leggendooooo!XD Ti amo Diofà!*_* la tua Madonnafà!

-
Alla mia Beta, Sakura-chan: che si sbobberà i miei lunghissimi capitoli! XD

- Alle Madame di MSN: grazie per i pomeriggi di sclero! XD un po’ di sana follia fa sempre bene!*_* (: preparati, il SUO momento si avvicina! XD).



Credit:

- I personaggi di Captain Tsubasa appartengono al suo autore, Yoichi Takahashi, che ne detiene ogni diritto e non vengono da me utilizzati a scopo di lucro.

- I personaggi che esulano dal fumetto Captain Tsubasa, sono stati creati da me medesima e, come tali, mi appartengono.

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Capitolo 2
*** 1 - La scomparsa del Principe Tsubasa ***


ELEMENTIA
- The War -


CAPITOLO 1: La scomparsa del principe Tsubasa

Sembrava una tranquilla giornata quella che stava vivendo Raskal, la capitale del Regno degli Ozora. L’astro d’oro si era levato ad abbracciare, con i suoi raggi caldi e forti, le Terre Centrali di Elementia ed ora le osservava benevolo dal cielo terso in cui campeggiava.
In quel clima pacifico e primaverile, la capitale viveva con allegra frenesia i mesi che la separavano dalla tanto attesa incoronazione. Si prospettava l’arrivo di migliaia di persone provenienti da tutto il pianeta per rendere omaggio al nuovo sovrano, ed i cittadini di Raskal lavoravano senza sosta per accoglierli al meglio.
Al castello si lavorava anche di più: uomini e merci si susseguivano con un via vai che cominciava alle prime luci dell’alba e finiva a notte inoltrata.
Ai Master delle Scuole Elementali sarebbe toccato il compito più difficile: istruire il futuro Re, il giovane Principe Tsubasa, primo figlio degli Ozora. Quel giorno erano arrivati al palazzo reale: Jun Misugi Master dell’Aria, Hikaru Matsuyama Master dell’Acqua, Kojiro Hyuga Master del Fuoco e Genzo Wakabayashi Master della Terra, che ora restavano in attesa di essere convocati nella sala del trono…

“No, non ci siamo Master Hyuga!” La mano di Misugi si mosse con un gesto elegante, mentre faceva scivolare la regina in cristallo di rocca lungo la scacchiera per mangiare il re avversario di nera ossidiana. “Scacco Matto.”
“Che cosa?!” sbottò lo sconfitto in tono incredulo.
“Accidenti Kojiro, questa è la quarta volta consecutiva!” sottolineò Matsuyama con ironia, comodamente seduto nel divanetto poco lontano dai due contendenti. “L’Airone di Cristallo non viene meno alla sua fama di imbattibile giocatore.” In segno di approvazione levò il calice.
“Gli scacchi sono un’arte troppo cerebrale per uno come te.” Lo schernì una quarta persona, con un mezzo sorriso, che si manteneva eretta ed imponente presso la grande vetrata che illuminava la stanza.
“Chiudi il becco Wakabayashi, parli proprio tu che ti sei fatto sconfiggere sei volte prima di chinare il capo.” Lo rimbeccò in tono aspro Kojiro “Almeno io ho la decenza di non farmi umiliare ad oltranza!” e abbandonò la sua postazione con un movimento deciso, mentre Jun Misugi sistemava le pedine nella loro posizione originaria, sorridendo dei battibecchi pungenti per i quali, i due Master, erano notoriamente risaputi in tutto il Regno.
“Non avrete intenzione di cominciare come al solito, vero?”
“Suvvia, Master Matsuyama, lasciali divertire.”
L’interpellato scosse il capo, mentre Misugi lo raggiugeva, versandosi una coppa di vino rosso.
“Bah, spero non crediate davvero che mi diverta il suo ciarlare” polemizzò Kojiro, accomodandosi in una poltrona, accanto a loro, con ben poca grazia e facendo tintinnare i bardamenti leggeri.
“Non ti do nemmeno la soddisfazione di una risposta.”
“Perché questa non lo era, forse?”
D’un tratto la porta della stanza si aprì, facendo comparire uno dei vassalli.
“Siete attesi nella sala del trono, giovani Master” esordì l'uomo in tono solenne, profondendosi in una riverenza.
“Alla buon’ora!”
“Genzo!” lo riprese Jun, contrariato. L'altro fece spallucce.
“Il Marmo Nero ha una pessima educazione.” Lo stuzzicò Hyuga.
“E la Tigre Ardente ha una dannata lingua lunga” rispose a tono l'interpellato, uscendo fianco a fianco con il Master del Fuoco sotto lo sguardo confuso del servitore.
Hikaru gli diede un'affettuosa pacca sulla spalla seguendo i suoi colleghi in compagnia di Misugi. “Li ignori, buon uomo, fanno sempre così.”
Le guide delle Scuole Elementali procedevano spedite, e con passo sicuro, attraverso l’ampio corridoio decorato con marmi, altissime colonne candide e preziosi drappeggi alle pareti. Il vassallo li precedeva, lanciando qualche occhiata dubbiosa alle proprie spalle dove Genzo e Kojiro continuavano spudoratamente a rimbeccarsi.
Quando furono innanzi alle porte della sala del trono, l’uomo emise alcuni colpetti di tosse, per zittirli, prima di varcare la pesante soglia sulla quale era inciso lo stemma reale.
“I Master Elementali” annunciò solenne.
Il lungo tappeto di velluto rosso guidò i passi degli introdotti, terminando alla base della scalinata su cui era collocato il trono.
Il Re Ozora restava in piedi, tamburellando nervosamente un dito sulla spalliera dello scranno.
“Ha un’espressione che non mi piace” mormorò Hikaru all’orecchio di Kojiro, il quale si sporse verso di lui, dicendo: “Prevedi guai?”
“Grossi come un fannùsh![1]"
Genzo si intromise. “Io non vedo il Principe.”
I Master avanzarono affiancati e si inginocchiarono ai piedi della scalinata.
“Siamo giunti a rendere i nostri omaggi al futuro Re di Elementia e a istruirlo, come di dovere, secondo le Leggi e le Tradizioni Elementali.”
“E bravo l’Airone che ha fatto i compiti a casa” bisbigliò Wakabayashi, facendo sorridere gli altri due che tentavano invano di mantenere una certa serietà.
Il Re non si mosse, né disse nulla, attirandosi le occhiate interrogative dei Master. Sembrava pensieroso e distratto.
Il Comandante della Guardia Reale, Roberto Hongo, fermo poco distante dal trono, intervenne richiamando il sovrano. “Vostra Maestà?” disse una volta, senza risultati. “Vostra Maestà?!”
L’interpellato sembrò riemergere dalla sua catatonia, volgendo lo sguardo ad incrociare quello dei quattro maghi-guerrieri, piuttosto interdetti.
“Oh, Master, siete qui.”
“Va tutto bene, Vostra Maestà?” domandò Jun, mentre si alzava in piedi imitato dai compagni. Il sospiro pesante, rilasciato dal sovrano, non fece presagire nulla di buono.
“Temo che abbiamo un problema…” disse, confermando le loro aspettative “…si tratta di Tsubasa.”
Il Marmo Nero alzò gli occhi al cielo. “Che ha combinato stavolta?” si lasciò sfuggire in tono rassegnato.
“E’ scomparso.”
“Come sarebbe: ‘scomparso’?!” fece eco Kojiro.
“Era in visita nelle Terre del Sud, ma ha già una settimana di ritardo sul suo programmato rientro…” spiegò il Re, visibilmente preoccupato per la sorte del giovane figlio.
“Nessuna notizia dai soldati che lo scortavano?”
Il sovrano scosse il capo. “No, Master Misugi. Sembrano come spariti nel nulla. Inizio a temere il peggio…”
Hikaru, l’Aquila di Mare, intervenne con un pacato tono di rimprovero. “Vostra Maestà, ne avevamo parlato già prima della partenza: dovevate permettere ad alcuni Magister Elementali di andare con lui…” poi, rivolto al comandante Hongo, “…senza nulla togliere alla competenza dei soldati della Guardia Reale, s’intende.”
Re Koudai si lasciò cadere stancamente sul possente scranno in marmo, oro e morbidi velluti. “Voi avete ragione, Master Matsuyama, e forse ho sbagliato a non dare ascolto ai vostri suggerimenti, ma volevo che mio figlio prendesse una maggiore confidenza con le sue future responsabilità, senza che facesse troppo affidamento sulla magia.”
“Mio signore, se mi permettete di essere franco…” intervenne Kojiro Hyuga “…vostro figlio è un disastro! Una vera calamita per i guai, li attira come api col miele. E questa non è la prima volta.” Incrociò le braccia al petto. “Forse il Principe non ha ancora la maturità necessaria per prendere tra le mani le sorti di questo pianeta.”
“Non sono d’accordo, Kojiro.” L’Airone avanzò di un passo, per guardarlo negli occhi. “Tsubasa ha dimostrato di avere una naturale predisposizione al comando, nonché una grande generosità e forza d’animo. Se si caccia nei guai è solo perché ha un cuore puro ed ingenuo. Inoltre, ti ricordo che ha controllato il potere della Chiave Elementale: è il pianeta che lo ha scelto.”
Il Master del Fuoco era dubbioso. “Magari sarebbe più prudente posticipare l’incoronazione di qualche anno…”
“Questi discorsi rimandiamoli a quando avremo di nuovo un Principe da incoronare.”
Ed i presenti convennero, tacitamente, con l’affermazione del Master della Terra.
Fu Hikaru a prendere nuovamente la parola “Credo che la cosa migliore da fare, se Jun è d’accordo, sia quella di mandare dei Magister dell’Aria alla sua ricerca. Impiegherebbero meno tempo volando.”
Misugi annuì. “Convengo. Partirò immediatamente alla volta di Alastra per organizzare le ricerche. Vostra Maestà?”
“Molto bene, lascio tutto nelle vostre mani, Master Misugi…”
La riunione parve ormai conclusa, ma inquietanti rumori provennero dall’esterno della sala; una strana agitazione, parole concitate che attirarono l’attenzione dei presenti.

“Fermo. Non puoi entrare!”
“Ma… cos’è?”
“Oh mia Dea!”

“Pericolo” fu il solo commento di Genzo che mise in allerta i suoi compagni. Il comandante Hongo sguainò la spada, posizionandosi davanti al sovrano.
Le porte si spalancarono di colpo, facendo filtrare un terribile vento gelido. Sull’uscio comparve una figura incurvata, dall’aspetto malconcio ed i vestiti consunti e strappati. Lo sconosciuto si trascinava con passo lento ed incerto.
“Per le Sacre Fiamme di Maki! Che odore nauseante!” esclamò Kojiro con un’espressione disgustata.
Il pesante portone si richiuse da solo, alle spalle dell’intruso, con uno schianto.
“Ma quello è Akai!” sentenziò Roberto allarmato. “E’ l’ultimo messaggero ad essere stato inviato nelle terre dei Gamo!”
E l’ammasso informe di carne, dal colore troppo pallido per essere vivo, continuò ad avanzare, farfugliando parole incomprensibili. Fu allora che un fascio d’aria, controllato dall’Airone di Cristallo, si levò creando come una barriera invalicabile attorno al cadavere, costringendolo a fermarsi.
“Magia Nera” disse severo il Master di Alstra. “Quest’uomo è già morto ed è solo per merito di qualche oscuro incantesimo che si tiene in piedi, rallentandone la decomposizione.”
“V-vostra… M-maestà…” biascicò il messaggero.
Il Re scese qualche gradino, avvicinandosi con espressione sconvolta.
“Mia Dea… chi ha mai potuto fare una cosa simile…”
A queste parole, qualcosa parve accadere ad Akai. Il suo corpo dinoccolato venne percorso da un tremito che gli fece reclinare la testa all’indietro. Poi sembrò irrigidirsi, recuperando una stabilità quasi umana. Il capo si mosse, tornando a puntare lo sguardo sulla figura reale. Gli occhi, iride e bianco, erano completamente neri ed un ghigno terrificante distese le labbra violacee, piene di spaccature, esibendo un sorriso giallastro e sdentato. Una larva strisciò fuori dalla bocca.
Parlò e la voce non era la sua.
“Ozora.”
Lo sconcerto del Re si tramutò prima in sorpresa, a quel suono familiare, e poi in rabbia.
“Gamo!” esclamò irato. “Dovevo immaginarlo!”
“Vedo che sei in compagnia…” ed osservò sommariamente i Guerrieri Elementali “…Master.”
“Miserabile!” sibilò Matsuyama. “Quello che avete fatto a questo giovane è ignobile!”
“Suvvia non elogiatemi. Sono sensibile alle lusinghe” rise, con un suono gorgogliato e gutturale.
“Smettila!” tuonò il sovrano, avanzando di qualche altro passo prima che il braccio di Master Wakabayashi lo fermasse, per impedirgli di procedere oltre.
“Non avvicinatevi troppo, potrebbe essere pericoloso.”
“Cosa volete?” Fu Hongo a parlare. “A che pro perpetrare questa lugubre farsa?”
“Io voglio il trono, soldatino di latta” asserì il Signore del Nord. “E se non mi verrà dato con le buone… me lo verrò a prendere con le cattive.”
“Con quale arroganza arrivate a minacciare il Re al quale avete prestato solenne giuramento?!” inveì il Comandante delle Guardie.
“Ah! I giuramenti! La cavalleria, la lealtà… mere idiozie per uomini senza spina dorsale.” Il cadavere si avvicinò al limite della barriera all’interno del quale era stato bloccato. Con asprezza si rivolse al Sovrano. “Tu non sei mai stato il mio Re e mai lo sarai. Elementia è mio! Io dovevo sedere su quello scranno di pietra e metallo! Era me che Natsuko doveva sposare, ma tu ti sei intromesso, strappandomi il potere che mi spettava e relegandomi in quelle terre infauste ed oscure. Sei tu l’usurpatore!”
Pazzo!” gridò Koudai Ozora. “Non osare nominare Natsuko nei tuoi vaneggiamenti! Dovresti ringraziarla, invece, per la sorte che hai subito: io ero fermamente intenzionato a toglierti ogni privilegio, ma lei mi convinse a darti una possibilità di redenzione affidandoti il Nord. Dovevo sospettare che avresti tramato nell’ombra! Sei un bastardo assassino! Guarda quello che hai fatto a questo messaggero; era solo un ragazzo. Solo per questo meriteresti di marcire all’Inferno ed osi addirittura rivendicare il trono? Il pianeta sarebbe andato distrutto nelle tue mani!”
Il morto sorrise. “Ed è questa la fine che farà chiunque si azzarderà a contrastarmi. Ora sta a te scegliere: obbedire o perire.”
“Piuttosto la morte!”
“E sia” accordò “hai firmato la tua condanna. Preparati, Koudai, stiamo arrivando... io e il Nero.” Detto questo, la magia dello Stregone abbandonò il cadavere di Akai, trasformandosi in uno spirito di nera nebbia dallo straziante lamento. Fulmineo, volò in direzione del Re, oltrepassando la barriera dell’Airone Misugi.
Roberto Hongo si gettò sul sovrano, allontanando entrambi dalla traiettoria dell'ombra che lasciò la sala, fuggendo da una delle finestre aperte.
“Volete che lo insegua, Vostra Maestà?” domandò il Master dell’Aria, ma l’altro scosse lentamente la testa, rialzandosi.
“No, Misugi, lasciate che torni al suo folle padrone.”
“State bene, mio signore?” Si sincerò il Comandante delle Guardie, mentre questi annuiva. Poi si volse ad incrociare il corpo del messaggero, stramazzato al suolo, che era percorso da convulsi tremiti.
“Aiu… tate… mi…” biascicava.
“Mia Dea, è ancora vivo…”
“No, Vostra Altezza” lo disilluse il Marmo Nero “E’ solo un effetto residuo.”
“Non c’è più nulla che possiamo fare per lui, se non porre fine alle sue sofferenze…” Hyuga alzò la mano sinistra nel cui palmo aveva originato una piccola sfera infuocata. Da questa si staccò una lingua fiammante, che avvolse il corpo martoriato del povero Akai, bruciandolo, e dandogli così l’eterno riposo.
Le porte della sala vennero aperte con uno schianto, sotto i colpi della spada del Primo Ufficiale, Ryoma Hino, che entrò con un gruppo di soldati.
“Vostra Maestà state-” ma si fermò di colpo, con espressione confusa, mentre vedeva qualcosa ardere a qualche metro da lui. “Ma cosa…”
“Va tutto bene, Ryoma” intervenne Hongo, con un pesante sospiro. “Ora va tutto bene.”
“Tutto bene?!” fece eco il primo in carica, con ironia, indicando l’ammasso carbonizzato. “Potrei dissentire!” ed un mormorio si levò tra i soldati alle sue spalle, mentre tutti attendevano un ordine da parte del Re, che non tardò ad arrivare.
“Comandante, restituite il corpo del povero Akai alla famiglia, spiegando loro ciò che è successo…”
“Cosa?! Quello è un cadavere? E chi l’ha ridotto così?” intervenne Hino, poi trovò da solo la risposta, guardando il Master del Fuoco con espressione torva. “Non me lo dite: opera vostra, immagino. Tsk! Non avete pensato al dolore dei suoi cari quando si troveranno tra le mani un cumulo di cenere? Niente che vagamente ricordi l’estinto.”
“Ryoma!” lo ammonì severamente il suo superiore, ma Kojiro fece cenno di lasciar perdere e scrutò il giovane con altrettanta fermezza.
“E tu dov’eri mentre noi avevamo a che fare con un posseduto? A scassinare la serratura?”
Il Primo Ufficiale si sentì punto sul vivo ed arrossì violentemente.
“Io non devo giustificarmi con nessuno” continuò il Master “Hai ancora molto da imparare, giovane guerriero, ma non azzardarti di nuovo a criticarmi o carbonizzo anche te.”
“Mi minacciate, forse?” rise Ryoma con sfida.
“E chi lo sa” sorrise Kojiro.
“Per favore” intervenne il Re “non credo sia il momento adatto per simili discussioni, abbiamo altro a cui pensare.”
“Sì, Vostra Maestà. Chiedo scusa” L'ufficiale fece un inchino, guardando di sottecchi un sogghignante Hyuga.
Il sovrano sospirò. “Hongo, dopo aver consegnato il corpo, vi aspetterò per una riunione di urgenza insieme al Primo Ufficiale.”
Roberto annuì, dando ordine a due suoi uomini di avvolgere i resti bruciati in un telo e portarli via, poi fece una riverenza e si congedò, seguito dagli altri soldati della Guardia Reale in modo da lasciare da soli il Re ed i Master.
“Questo cambia totalmente le carte in tavola.” Genzo si portò nei pressi della finestra aperta dalla quale lo spirito era fuggito. Filtrava una piacevole aria primaverile.
“Già” convenne Hyuga, ma in quel clima di tensione nessuno si accorse che fossero d’accordo su qualcosa.
“Quanto pensate che possa impiegarci per arrivare qui?” domandò Jun, incrociando le braccia.
“Ad occhio e croce meno di un anno, ma dipende da quanto ammonta il suo contingente” rispose Genzo “e, dalla sua spavalderia, non credo siano in pochi.”
“Senza contare l’appoggio magico dell’AlfaOmega” puntualizzò Kojiro “Ma che diamine può avergli promesso, Gamo, per aver convinto il Nero a dargli manforte?!”
“Non ci arrivi, Master?” Ed il Marmo Nero si girò ad osservare Hyuga ad alcuni passi da lui. “C’è solo una cosa che possa interessare uno come lui: la Chiave Elementale.”
Kojiro si massaggiò una tempia, preda di una forte emicrania. “Bene, benissimo. Proprio quello che temevo.”
“Avremo quindi lo stesso tempo per organizzare gli eserciti e portarci ai confini delle terre del Nord. Cerchiamo di tenere la battaglia il più lontano possibile da Raskal e gli altri centri abitati” sentenziò l’Airone, osservando anche le espressioni del sovrano.
“Maledizione!” Matsuyama prese a camminare nervosamente per la sala. “Proprio adesso che il Principe è scomparso!”
“A questo punto, credo sia impensabile un allontanamento dei Magister” puntualizzò la Tigre Ardente. “Sono indispensabili sia al fronte che alle Scuole Elementali. Sarebbe un errore disperderli sul territorio."
“Ma altrettanto importante è ritrovare il Principe” continuò Hikaru “e dovremo anche muoverci con discrezione: se il Nero dovesse scoprire che Tsubasa, e quindi la Chiave, sono scomparsi, sguinzaglierebbe tutti gli Stregoni sparsi nelle Terre del Sud pur di ritrovarli!”
Koudai sospirò grave. “E allora cosa proponete?”
Il silenzio aleggiò tra i presenti per qualche istante, durante i quali i quattro Master si scambiarono intense occhiate. Fu nuovamente l’Aquila di Mare a parlare. “Dovremo mandare degli Elementi.”
Genzo sbottò incredulo. “Degli Elementi?! Ma non hanno ancora terminato il ciclo di studi, non sono completi…”
“Preferiresti un gruppo della Guardia Reale? Servono al fronte e se si dovessero scontrare con degli Stregoni non avrebbero possibilità di scampo.”
"Dei Minister?" tentò di nuovo il Marmo Nero.
"No, le città resterebbero sguarnite."
“Quanti?” domandò Misugi.
“Massimo quattro: meno saranno, meno daranno nell’occhio.”
“Uno per ogni Scuola, quindi” e Hyuga si ritrovò ad annuire “Potrebbe funzionare, ma dovremo mandarci i migliori.”
“Ovviamente.”
I Master parvero d’accordo, ma l’ultima parola spettava al sovrano che continuava a fissare il pavimento, con le braccia conserte, chiuso in un pensieroso mutismo.
“E sia” disse infine, alzando gli occhi su di loro. “Mi rimetto ai vostri allievi. Mandateli a Raskal il prima possibile. Fornirò loro i mezzi e le istruzioni necessarie. Andate.”
Le guide si profusero in un inchino di saluto, per poi abbandonare la sala con passo rapido e deciso, così com’erano venuti.

I pedoni son mossi sul grande scacchiere,
per ribadire all'altro il proprio potere.
E il Principe resta, nel regno, perduto,
la cui sorte è ignara, in attesa di aiuto.


 [1]FANNUSH: una specie di enorme manta ricoperta di scaglie coriacee. Vive nelle fredde acque polari, ad una media profondità. Ne esistono pochissimi esemplari poiché si possono riprodurre una sola volta nella vita, ma sono estremamente longevi, addirittura millenari. Sono le creature più antiche del pianeta. Animali sacri alla Divina Yoshiko, compaiono in numerose pitture ed altorilievi: l’immagine più comune vede la Dea alla guida di una biga, fatta di conchiglie, trainata da un fannùsh.


  …Il Giardino Elementale…

 

E questo è il primo capitolo! XD
Le cose cominciano a farsi decisamente più complicate, ma questo non è che l'inizio! Ammetto che il prologhino era davvero breve, ma saprò farmi decisamente perdonare per il futuro!XDDDDDDDDD
Molti capitoli sparsi sono già pronti, devo solo finire di scrivere quelli mancanti!XD


E dopo Santana, Gamo e Urabe, fanno la loro comparsa alcuni dei personaggi protagonisti di Captain Tsubasa: Genzo, Kojiro, Hikaru e Jun. Per non parlare di Ryoma, Hongo e il padre di Tsubasa.
*_* mi son divertita tantissimo a trovare i 'nomignoli' per ognuno, cercando di mantenerli il più vicino possibile a quelli originali. Tranne che per il SGGK XD
XD e poi mi è un po' dispiaciuto per Akai: che finaccia! XDDDDD
Ma non so se avete notato il ruolo della compagine 'femminile'.
Visto che Elementia è soprattutto una fic 'maschile', non sapevo proprio dove diavolo piazzare le ragazze! O__O Stonavano ovunque le mettessi! Così... ho optato per la soluzione che le avrebbe tenute sempre sulla bocca di tutti, senza farle mai comparire: le ho fatte diventare delle Dee! XDDDDDDDDD E sinceramente le trovo perfette! *_* 


Angolino del "Grazie, lettori, grazie!XD":

- Solarial: XDDDDDDDDDDDDDDDDDDDD Buahahahahahaha! Il SUO momento sarà atroce!XD *_* però ti avevo avvisato, eh! Lo sapevi, eh! Ti ho pure fatto leggere 'la parte'!*__________*Y Ma lo shock deve avertela fatta rimuovere!XD Ti ringrazio tantissimo per tutti i tuoi complimenti!*___* Spero di non deludere le tue aspettative!*_*Y

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Capitolo 3
*** 2 - I quattro Elementi - parte I ***


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ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 2: I quattro Elementi (parte I)

Raskal, Capitale del Regno degli Ozora - Terre Centrali

“Che Yukari li sprofondi all’Inferno!” sbottò Genzo, mentre si dirigeva a passo svelto verso il cortile. Aveva l'espressione alterata come Hyuga e Matsuyama, mentre Misugi era più che altro preoccupato e cercava di organizzare la disposizione dell’offensiva elementale sul futuro campo di battaglia.
“Tranquillo, riceveranno quel che meritano” accordò il Master del Fuoco.
“Puoi giurarci!”
“Cerchiamo di non sottovalutarli” intervenne Hikaru. “Gamo non è uno sprovveduto: per esporsi in questo modo deve avere un sostanzioso contingente di cui disporre.”
Genzo emise un basso ringhio di disprezzo. “Tsk! In tutti questi anni non ha fatto altro che fingere per poter liberamente tramare alle spalle del Re… lurida carogna.”
“Calma Master, avremo tutto il tempo per poterlo maledire, ora dobbiamo occuparci della ricerca del Principe” disse Kojiro, fermandosi sotto i colonnati del cortile centrale del castello. Il sole lo investì con i suoi raggi caldi, mentre dominava il cielo di quel mezzogiorno limpido e per nulla afoso. “La scelta degli Elementi deve essere il nostro primo pensiero” concluse osservando la sfera infuocata, schermandosi gli occhi con una mano.
“Dovremo agire con tempestività e, soprattutto, con molta discrezione.” Misugi incrociò le braccia al petto. “Se stiamo attenti, potremo tenere l’AlfaOmega all’oscuro di tutto fino a che il nostro vantaggio non sarà incolmabile. Non oso pensare a quello che potrebbe succedere se il Principe e la Chiave dovessero cadere nelle loro mani… soprattutto in quelle del Nero.”
“Tu credi che possano venirne a conoscenza?” domandò l’Aquila con espressione grave e l’altro annuì.
“La parola vola veloce come il vento, basta che qualche piccola indiscrezione arrivi all’orecchio sbagliato, e solo Yayoi sa quante ne staranno circolando in questo momento, tese ed attente a qualsiasi notizia, anche la più stupida.”
“Jun ha ragione, l’AlfaOmega ha seguaci sparsi su tutto il territorio e, con la guerra alle porte, saranno più attivi del solito...”
“…e molti si staranno spostando dal Sud al Nord, per dare manforte ai confratelli” concluse Genzo.
“Dovremo mettere in guardia gli Elementi su questi spiacevoli incontri” scherzò Hikaru con poca convinzione. “Diamoci un limite di tempo: prima partiranno, maggiori saranno le possibilità che trovino il Principe.”
“E prima lo metteranno in salvo” asserì Kojiro.
“Tra non più di venti giorni dovranno essere al castello e partire alla volta delle Terre del Sud” decretò Misugi e gli altri annuirono, in accordo con lui.
Un ruggito rabbioso li raggiunse che erano ancora fermi sotto le colonne, attirando la loro attenzione.

“Dannazione tenetelo fermo!”
“E come faccio? Sta scalciando!”
“Afferrate le redini!”
“Per tutte le Dee di Elementia! Questo ha deciso di fare colazione con i nostri cadaveri!”

“E adesso che c’è?” domandò rassegnato Master Hyuga, passandosi una mano tra i capelli. “Qualche altro posseduto in attesa dell’eterno riposo?”
Ma quando vide Master Wakabayashi correre all’interno del cortile, i suoi interrogativi non fecero che aumentare, mentre anche gli altri due Master erano rimasti alquanto perplessi.
“Idioti rincitrulliti!” lo sentirono sbraitare a tutto spiano e si mossero per raggiungerlo. Quando arrivarono nei pressi delle stalle, capirono il motivo di tanta agitazione, fermandosi poco lontano e pronti a godersi la comica scena.
Quattro stallieri stavano cercando di sellare il poco-pacifico golkorhas(1) del Marmo Nero, con pessimi risultati. Il bellissimo animale, dalla chioma arlecchina, non sembrava gradire particolarmente la loro presenza, ruggendo inferocito e mollando pericolose zampate ad artigli sfoderati nel tentativo di allontanare quei fastidiosi moscerini che gli ronzavano intorno.
“Astrid(2)!” chiamò Genzo allarmato “Stai calma, piccola, adesso li caccio via!” Rosso di rabbia e con gli occhi iniettati di sangue, si girò ad osservare i poveri stallieri. “Decerebrati babbei!” inveì con foga “Mi ero fermamente raccomandato di stare alla larga dalla mia leonessa! Ed invece? Voi la fate irritare! Ma che avete al posto delle orecchie? Dei tappi di cera?!”
“Ci scusi signore, siamo mortificati.” Si scusarono i servitori, profondendosi in mille inchini. “Non succederà mai più.”
Il Master scosse il capo con un sospiro rassegnato. “Sì, sì. Ora sparite, me la vedo io” disse congedandoli con una mano. I quattro non se lo fecero ripetere e si dileguarono alla velocità della luce.
L’enorme golkorhas soffiò stizzita sui loro passi, per poi accucciarsi al fianco di un Genzo amorevolmente preoccupato. “Oh, ecco la piccola del suo Master. Su non essere offesa, vedrai che nessuno ti darà più fastidio. Lo so che non sopporti che gli altri ti tocchino, lo so… vedi? Li ho mandati via.” Affondò la mano nell’ampia massa pelosa della criniera.
“Santo Cielo, sei stucchevole da vomitare” scherzò Kojiro a braccia conserte ed un mezzo sorriso sulle labbra. “Dovrò chiamarti Argilla Molle invece di Marmo Nero!” Ma venne fulminato da una doppia occhiataccia: quella del Master e quella dell’animale che snudò i denti. “Ehi! Tieni buono il tuo sacco di pulci, mi sta guardando male!”
“Si è accorta anche lei del tuo pessimo umorismo!” rispose Genzo piccato, mentre arrossiva imbarazzato e sellava la sua cavalcatura. “Ora andiamo, abbiamo perso già troppo tempo!”
“Certo… cucciolone” disse Hikaru, allontanandosi. “E non dimenticare la data di scadenza!”
Seee seee.” L'altro salì in groppa al golkorhas. “Forza Astrid, si torna a Tyran.” E la spronò in direzione del portone che veniva lentamente aperto. Poco dopo, venne inghiottito dalle strade cittadine.
“Non lo facevo così affettuoso, allora ha un cuore anche lui” sottolineò l’Aquila di Mare.
“Gran bell’esemplare quel Leone di Montagna: fedele alla natura umorale di questi animali” osservò invece Jun.
“Già… hai visto come mi ha guardato storto? Se fosse stata una donna, sarebbe stata il tipo ideale per Genzo!” rise Kojiro ed insieme agli altri tornò in direzione dei colonnati dove le loro strade si sarebbero divise.
“E tu? Non sei giunto fino a Raskal in groppa ad un màlayan(3) fiammeggiante e dal pessimo carattere?” domandò Hikaru all’indirizzo del Master del Fuoco, il quale scosse il capo.
“No, sono arrivato a bordo di una paskat(4): me l’ero presa comoda. A saperlo che sarebbe successo tutto questo ben di Dea!” Poi si rivolse a Misugi. “A proposito Jun, non è che mi gonfieresti le vele? Ci metterei meno tempo.”
“Vedrò quello che potrò fare” accordò l'interpellato con un sorriso.
“Generosissimo uomo! Buon ritorno a tutti” concluse, imboccando uno dei portoni sotto il colonnato, che lo avrebbe condotto al molo dove era ormeggiato il suo mezzo di trasporto.
“Anche a te” augurarono i due Master e si allontanarono verso altre destinazioni.

“Hai già in mente una strategia d’attacco?” domandò Hikaru, quando furono alle porte della Stanza dell’Acqua dalla quale, l’Aquila di Mare, avrebbe lasciato il castello alla volta di Agadir.
L’altro sospirò pesante. “Sì, un’idea ce l’avrei e mentre sarò in viaggio definirò i particolari.”
“Non mi sembri sereno” affermò nel varcare l’entrata che recava incisa lo stemma della Scuola Elementale dell’Acqua in preziosi lapislazzuli. All'interno della sala dalla foggia circolare non c’erano finestre, se non due feritoie poste nella parte sommitale delle pareti.
Due guardie reali si profusero in un rigido saluto, tornando poi immobili.
Al centro vi era una vasca, anch’essa circolare, piena di acqua fino ai bordi: quello era il passaggio, l’entrata ad un fiume sotterraneo che sfociava direttamente nel lago Agadir. Due Elementi della scuola acquatica erano fermi sul bordo, in attesa del loro Master.
“Infatti non lo sono” confermò Misugi “Non è Gamo o il suo esercito a spaventarmi… quanto il Nero ed i suoi poteri.”
L’altro sospirò. “Ti capisco. T’immagini cosa potrebbe succedere se dovesse impossessarsi della Chiave?”
“Non voglio nemmeno pensarci.”
“Neanche io, per questo dobbiamo sperare che i nostri ragazzi la trovino per primi.”
Jun annuì, mentre Hikaru provvedeva a liberarsi dei calzari e a sciogliere i lembi del kiro – il tradizionale abito di Agadir – che, dalla forma di pantalone, ritornò a quella di lunga gonna per facilitare i suoi movimenti una volta in acqua. I calzari vennero presi dai suoi accompagnatori.
“Ora come ora, non ci resta che scegliere i nostri Elementi ed affidarci a loro” disse il Master, prima di tuffarsi nelle acque gelide del fiume, seguito dalla sua delegazione. Dopo un attimo riemerse e le branchie erano già ben visibili ai lati del collo. “Mi raccomando, cerca di favorire il viaggio di Kojiro con i tuoi venti: altrimenti sbraiterà per tutto il tempo, per la disperazione dei poveri marinai che lo scorteranno.”
Misugi rise. “Sì, lo farò: nessuno merita tale tortura.”
Hikaru smosse l’acqua con un colpo di pinna. “Io gli darò una mano con le correnti…”
“Cerca di non strapazzare troppo quella nave: altrimenti Kojiro si lamenterà perché gli hai fatto venire il mal di mare.”
“D’accordo, d’accordo. A presto.” Si immerse e scomparve alla vista del Master dell’Aria, che abbandonò la stanza per dirigersi su uno dei torrioni dal quale avrebbe spiccato il volo diretto ad Alastra.

*

Tyran, Città Elementale - Terre Centrali Nord-orientali.

Il Chakram Tyran era un particolare sistema montuoso a forma circolare dal quale la Scuola degli Elementi di Terra prendeva il nome. Genzo poteva già vederlo ergersi in tutta la sua maestosità, proprio davanti ai suoi occhi.
Il viaggio era stato più faticoso del solito, ma non aveva avuto il tempo di lamentarsi vista la situazione in cui versava il pianeta. Affondò il viso nella folta criniera di Astrid, cercando riparo ai venti impervi che spiravano all’esterno della catena montuosa.
In teoria doveva essere estate. In teoria. Ma la loro situazione climatica era decisamente differente dalle altre su Elementia, anzi, solitamente non facevano distinzione tra le stagioni. L’unica differenza era che in inverno nevicava, e tanto anche; d’estate no, ma faceva ugualmente freddo. Il passaggio tra le due avveniva alla Festa della Mietitura, il giorno sacro alla Divina Yukari, in cui si benedicevano i raccolti e si dava fondo alle scorte di vino avanzate dall’anno prima. La primavera e l’autunno non venivano nemmeno contemplate.
Il mantello che aveva sulle spalle prese ad oscillare, preda delle violente raffiche.
Ora poteva già vedere il Portone Meridionale della Lama Esterna, che permetteva di accedere all’interno del sistema montuoso, per poi uscire al corrispettivo portone della Lama Interna ed arrivare, quindi, al cuore del Chakram Tyran dove la Scuola era incassata ai piedi del Trono di Yukari, un monte solitario che sorgeva nella valle racchiusa dal complesso.
Il Portone Meridionale era completamente scolpito nella pietra e recava il simbolo di Tyran e sotto una S, per la sua locazione geografica. I portoni erano quattro, ma quello a Nord non veniva aperto da anni, tanto non arrivava mai nessuno dalle terre controllate dai Gamo. Si ritrovò a pensare che sarebbe toccato a lui varcarlo dopo tutto quel tempo.
Due loculi di guardia erano stati scavati nella roccia marmorea del massiccio e degli Elementi in armatura facevano il loro dovere, tenendo d’occhio il paesaggio circostante. Quando lo videro arrivare, uno di loro scomparve all’interno, gridando: “Aprite il portone! Il Master è tornato!”
“Di già?” bisbigliò l’altro, piuttosto sorpreso: sarebbe dovuto star via circa sei mesi, e non ne erano passati nemmeno due. L’Elemento, che aveva dato ordine di aprire, fece un’alzata di spalle piuttosto eloquente sulla sorpresa che aveva colto anche lui. Poi, i pesanti ingranaggi si mossero e, lentamente, l’ingresso cominciò ad aprirsi, facendo filtrare il vento tagliente come la lama di una spada.
Genzo Wakabayashi venne inghiottito dal risucchio della corrente e si lasciò trascinare, insieme al golkorhas, pronto ad attraversare l’ultimo pezzo di strada che lo separava dalla Scuola. Almeno il vento aveva finito di prenderlo a sberle.

Quello fu il suo ultimo giorno di viaggio. Il Chakram Tyran era dannatamente spesso, una vera manna contro i nemici provenienti dall’esterno, anche se ormai non ne esistevano più da circa venticinque-trent'anni anni. Dannazione, ma le disgrazie dovevano capitare proprio quando c’era lui a reggere la Scuola Elementale? Gli sovvennero le parole del suo predecessore, e mentore, il giorno della nomina a Master:

“Sei fortunato, Genzo, la tua sarà una reggenza facile e piacevole.”

Ecco, sembravano le ultime parole famose! Assunse una smorfia piuttosto seccata a riguardo e si disse che glielo avrebbe rinfacciato alla prossima riunione del Consiglio Anziani a quel menagramo di Mikami.
L’ultimo portone venne aperto, facendolo finalmente entrare nel vasto cortile della Scuola di Tyran. Quest’ultima era praticamente stata scavata alle pendici della vetta più alta di Elementia: il Trono di Yukari.
Prese ad attraversare i vari campi di addestramento, dove i Magister erano impegnati nelle loro lezioni giornaliere. Con un lieve colpetto di redini, indirizzò Astrid verso uno dei campi; doveva recuperare uno dei tre membri del Consiglio Scolastico, con il quale si sarebbe consultato sulla scelta dell’Elemento da inviare.

“Allora, quest’oggi impareremo la manipolazione dei metalli. Siete gentilmente pregati di non far scomparire le barre di oro, grazie.”
Qualche risatina si levò dalle ultime file.
“Dopodichè passeremo alle leghe, che sono più complesse” disse spostando lo stecchino da un lato all’altro della bocca. “Partiamo col rame, il più semplice.” L'insegnante prese alcuni fogli del metallo da sopra il bancone davanti a lui. “Il trucco sta nel sentire gli atomi sotto le dita” disse con enfasi. “Rompete i legami, createne di nuovi…” - riprodusse una miniatura della Scuola di Tyran, con tanto di finestrelle, porte e piccole guardie in divisa - “…ed il gioco è fatto! Facile, no?”
Gli Elementi di Livello Senior Higher, tra i dodici ed i tredici anni, rimasero per un momento perplessi e con gli occhi sgranati, mentre il Magister annuiva soddisfatto.
“Ma la smetti di gonfiarti come un pavone?” lo schernì una voce alle sue spalle, facendolo voltare.
Hermann Kaltz assunse un’espressione piuttosto seccata, sputando lo stecchino. “Non ammonirmi. Alla loro età sapevo fare questo ed altro.”
“Bella scoperta, non per niente sei un Magister” rispose Genzo, scendendo dal dorso del suo golkorhas; il compagno gli si avvicinò, affondando una mano nella criniera di Astrid che non sembrò infastidita dalla sua presenza.
“Ehi, bellezza!” l’appellò il giovane con confidenza “E’ stata di tuo gradimento la capitale?”
“Bah, lasciamo stare.” Si intromise il Master. “Quegli idioti degli stallieri reali me l’hanno fatta innervosire.”
“Davvero? Ma non li avevi avvisati di tenersi alla larga?”
“Capirai! È stato come aver parlato al muro.”
Kaltz abbozzò un sorriso, solleticando il mento della fiera che, intanto, si era accucciata accanto ai due interlocutori. Poi aggiunse: “A proposito, che ci fai qui? Non dovresti essere a Raskal a fare da balia al Principe?”
L’altro assunse un’aria grave. “Non ne parliamo, sono sorti dei problemi decisamente inaspettati.”
“Ehi, non dirlo con quel tono o finisco col preoccuparmi.”
“Fallo, ne hai motivo” e detto questo montò in groppa ad Astrid, concludendo: “Pianta in asso i tuoi allievi e seguimi, abbiamo un altro paio di Magister da recuperare prima di iniziare una riunione di emergenza.”
Hermann fece un’alzata di spalle con un sospiro; era in casi come questi che si pentiva di non aver rifiutato la nomina a Magister quando ne aveva avuto la possibilità.
“Magister…” si sentì chiamare da uno dei ragazzi, con voce flebile ed incerta “…dobbiamo davvero riprodurre il palazzo scolastico, signore?”
Kaltz lo osservò: aveva la faccia terrorizzata e, data un’occhiata agli altri, sospirò ancora più sonoramente nel vederli legarsi mani e piedi con il metallo.
“Cominciate con l’unire tre fogli in uno” decise infine prima di congedarsi, seguendo il Marmo Nero ed il suo golkorhas.

L’Arena era il luogo nel quale, gli Elementi di Terra, si allenavano nel combattimento corpo a corpo. Spesso, al suo interno, venivano disputati anche dei tornei che vedevano scontrarsi gli allievi, dal Livello Junior Lower in poi; i più spettacolari erano quelli tra i Magister che, solitamente, chiudevano le gare.
Anche in quel momento l’Arena era fremente. Gli allievi incitavano, dagli spalti, i combattenti che si stavano sfidando sul terreno battuto senza esclusione di colpi.
“Andiamo, Deuter!” iincalzò uno dei due, mentre sollevava enormi ammassi di pietra con la forza del pensiero e li lanciava contro il suo avversario. “Fai vedere ai ragazzi come balli bene!”
“Ma certo, Shunko(5)” rispose l’altro, mandandoli in frantumi semplicemente a mani nude. “Ti farò un bel balletto, io sono bravo sai? Puoi chiederlo a quella gran donna di tua sorella, te lo confermerà!”
“Anche la tua non è da meno!”
E lasciati da parte massi e quant’altro, decisero di affrontarsi a suon di pugni, correndo l’uno contro l’altro come due enormi bufali. Il botto fu sonoro, ma nessuno sembrava essersi fatto alcunché e restavano, ora, in una fase di stallo, tenendo le mani incrociate le une nelle altre. Nessuno dei due era deciso a cedere o indietreggiare sotto le pressioni dell’altro, le loro forze si equivalevano ed intanto, dagli spalti, le voci degli Elementi si facevano sempre più concitate ed incalzanti.
Genzo si fermò nel punto più alto dell’Arena, osservando la scena con espressione rassegnata.
“Ti prego, Kaltz, ti spiacerebbe ricordarmi che sono Magister e non poppanti del Livello Asylum? Sai, a volte capita di dimenticarlo.”
L’altro sghignazzò, masticando un nuovo stecchino. “Che dirti, Genzo, lo sai il detto: quando il gatto non c’è…”
“Oh, per carità” concluse alzando gli occhi al cielo “Metti fine allo spettacolo.”
Il Magister non se lo fece ripetere. Diede un lieve colpetto al terreno, con il piede, generando una leggera scossa sismica che arrivò fino ai due contendenti e ne attirò l'attenzione, compresa quella del pubblico intorno.
“Toh!” esclamò Deuter Muller, senza mollare la presa, ma rivolgendo loro un candido sorriso. “Salve Master, già di ritorno?”
“Hai fatto presto!” sottolineò Shunko Sho, anche lui per nulla deciso a cedere il passo contro l'avversario.
“Già” borbottò con ironia Wakabayashi, osservando come continuassero a pseudo-lottare nonostante la sua presenza. Tossicchiò stizzito. “Se non la smettete immediatamente, giuro che vi faccio pulire l’intera Scuola da cima a fondo. Alloggi compresi.”
I due Magister si separarono di colpo, nient'affatto desiderosi di armarsi di ramazza e paletta.
“Bene. Ritroviamoci in sala riunioni, vi devo parlare.” Ciò detto il Master si allontanò in direzione dell’edificio scolastico, seguito da Kaltz, mentre gli altri due congedavano gli Elementi.
“Visto, ragazzi?” disse Muller, portandosi le mani ai fianchi “E’ buona norma capire quando è il momento di arrendersi…”
“…soprattutto se il Master minaccia di far di voi delle massaie!” concluse Sho.

 


[1]GOLKORHAS: leoni della stazza di un elefante. Hanno una folta criniera che può essere di un solo colore o, più raramente, arlecchina. Sono addestrabili, anche se testardi ed estremamente sensibili a simpatie ed antipatie. Vivono soprattutto nelle zone di montagna, ma non è raro trovarne all’interno di folte foreste. Sono considerati gli animali sacri alla Divina Yukari e festeggiati nel mese di Settembre durante la Festa della Mietitura e della Vendemmia. (dove si fa bisboccia tutta la notte!XD).

[2]ASTRID: questo è un piccolo ‘omaggio’ ad Akane, autrice moooolto prolifica ed attiva in svariate sezioni. Anche in Captain Tsubasa, ovviamente! :D

[3]MALAYAN: i cavalli sacri della Divina Maki. Creature bellissime con criniera e coda infuocate. Hanno ali che, però, non permettono loro di levarsi oltre i 10 metri dal suolo. Vivono esclusivamente sull’isola vulcanica di Fyar Major e vengono utilizzati, dagli Elementi di Fuoco, come mezzi di trasporto oltre alle Paskat. Nei testi sacri si narra che Maki, durante la lotta alla malvagia Kumi, cavalcasse il mitologico delka màlayan (o purple màlayan): l’unico màlayan dal corpo nero e la criniera e la coda di intense fiamme purpuree.

[4]PASKAT: sono le navi-traghetto che mettono in comunicazione le isole dell’Arcipelago delle Fyarandas con la terra ferma. Non molto grandi, assomigliano molto alle caravelle utilizzate da Cristoforo Colombo.

[5]SHUNKO SHO: per chi non ha letto il manga di Captain Tsubasa, Shunko Sho è uno dei giocatori della Nazionale Cinese durante il World Youth Hen (conosciuto in Italia con il nome di Tsubasa J, che però si ferma alla partita con la Nazionale Tailandese). Shunko è un omone grande e grosso, ma che io ho sempre trovato simpatico! XD per quanto sia un tantinello micidiale in campo!


 

…Il Giardino Elementale…

Ben ritrovati nel rigoglioso Giardino Elementale. Orbene, cominciano ad allargarsi gli orizzonti di questa avventura
La prima tappa è la Città Elementale che si trova più a Nord delle Terre Centrali, ovvero Tyran.
L'idea per la descrizione di questa scuola e dell'ambiente circostante mi è venuta pensando a Xena! XDDD Il "Chakram" è, appunto, quella specie di lama a cerchio che la Principessa Guerriera si porta a spasso! XD a dire il vero, non ricordo come diavolo sia nata quest'unione terrificante, però mi era piaciuta!*_*

Andando più avanti con la storia, metterò a fine di ogni capitolo dei piccoli memorandum, in modo che possiate destreggiarvi meglio tra le città, le loro locazioni e caratteristiche, l'organizzazione delle scuole e molto, molto altro ancora!

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Capitolo 4
*** 2 - I quattro Elementi - parte II ***


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CAPITOLO 2: I quattro Elementi (parte II)

Fyar Major, Città Elementale - Arcipelago delle Fyarandas ad Ovest delle Terre Centrali.

Bleeeeeuch!” fu quello che disse appena scese dalla paskat. Appoggiato alla chiglia rimise anche l’anima nell’acqua del molo.
“Me la pagheranno…” borbottò Master Hyuga tra un conato e l’altro, mentre cercava di far riprendere il suo stomaco sottosopra a causa della forte mareggiata che, sì, gli aveva permesso di arrivare a Fyar Major prima del previsto, ma gli aveva provocato anche il più terribile mal di mare della sua vita. “…oh, se me la pagheranno!” disse ancora, poi si piegò per svuotarsi nuovamente.
Fyar Major era la maggiore delle tre isole che formavano l’arcipelago delle Fyarandas, insieme a Fyar Minor e, la più lontana, Vestalys. Solo la prima e l’ultima erano abitate, l’altra aveva un’attività vulcanica troppo intensa ed instabile per poter essere colonizzata.
L’unico porto di Fyar Major ospitava numerose paskat mercantili che venivano a rifornire la Scuola del Fuoco essendo, questa, la sola costruzione abitata dell’isola. Dal molo si potevano scorgere le vette del Raiju[1] Mountain, vulcano attivo, avvolte dalla spessa e caratteristica coltre di nubi composta dalle polveri eruttive. Al suo interno era animata da tempeste di fulmini, visibili anche dal porto. Più in basso c’erano altre bocche nate successivamente alla formazione del Raiju, ma comunque in un tempo decisamente lontano da quello attuale: centinaia di migliaia di anni.
Ad ovest del molo erano presenti anche dei campi vulcanici, che ribollivano e gorgogliavano. L’odore di zolfo era la norma.
Sì, a occhi esterni, Fyar Major non era certo definibile come paradisiaca.
Master Hyuga cercò di assumere una stazione semi-eretta, reggendosi lo stomaco rivoltato come un calzino, e fece per muoversi in direzione della Scuola: col cavolo che avrebbe preso un màlayan per arrivarci! Piuttosto se la sarebbe fatta a piedi! Aveva bisogno di sentire la nuda e, soprattutto, ferma terra sotto le suole, senza essere ulteriormente sballottato nell’aria da uno di quegli equini volanti.
“Hai fatto presto” lo chiamò una voce a pochi passi da lui: Magister Wakashimazu lo osservava sorridente ma vedendolo pallido come un cencio, si ritrovò ad inarcare un sopracciglio, piuttosto pensieroso. “Kojiro, ma…”
“Non una parola, Ken, non una parola.”
“Beh, immagino che domandarti se tu abbia fatto buon viaggio sia superfluo” notò con un sorriso e incrociando le braccia.
“Ah ah, spiritoso, davvero” si mosse il Master puntando il sentiero sterrato che portava alla Scuola Elementale. “Perché sei venuto al molo?”
“Volevo venirti incontro e sapere che diavolo sta succedendo. Il marinaio che ci hai mandato non è stato molto chiaro a riguardo…”
“Doveva solamente dirvi di aspettarmi nella Sala Riunioni, il resto ve lo avrei detto io.”
Ken lo osservò con sospetto. “Problemi? Sei in anticipo di quattro mesi sul tuo programmato rientro, deve essere successo qualcosa di veramente grave a meno che…” e si avvicinò con espressione ironica “…tu non te la sia data a gambe, lasciando gli altri Master a fare da balie al Principe Tsubasa.”
Seee magari…” borbottò Kojiro, abbozzando il primo sorriso dopo giorni di pallore ed espressioni torve.
Magister Wakashimazu prese quella smorfia a fior di labbra per un buon segno e sorrise a sua volta, poi si guardò attorno interrogativo. “Ma… non prendiamo un màlayan? Ci metteremo un’ora buona andando a piedi!”
“Assolutamente no! Ho bisogno di camminare: che aspettino pure gli altri, che differenza fa? Ora più, ora meno… tanto stiamo arrivando!”
L’altro si limitò a fare un’alzata di spalle seguendo il Master che camminava con la sua solita andatura fiera; sarebbe stata una bella passeggiata, in fondo.

*

Alastra, Città Elementale - Pianure di Bryzla, Terre Centrali Orientali.

I torrioni, sospesi su letti di nuvole nivee, erano collegati da lunghissimi ponti arcuati e di un tenue colore avorio, che riprendeva i toni dell’intera struttura della Scuola Elementale.
Non c’erano cinte murarie o guardie al portone di ingresso. Alastra non aveva nemici dai quali difendersi ed ogni visitatore, anche se erano rari soprattutto a causa della sua astrusa locazione, era il benvenuto. Ennesima dimostrazione della pacifica condotta degli Elementi d’Aria.
Jun camminava lentamente e con le mani congiunte dietro la schiena osservando, dall’alto del ponte che stava traversando, il tranquillo svolgersi della vita all’interno del cortile centrale. Gli allievi erano sparpagliati per tutto lo spiazzo. A lui arrivavano i suoni gioiosi delle loro risa ingenue ed erano come musica per le sue orecchie, tanto da riuscire a distrarlo – anche se solo per qualche istante – dalle incombenti preoccupazioni che gli erano piovute tra capo e collo.
Era arrivato alla Scuola la sera precedente e, senza nemmeno riposare, aveva indetto una riunione di emergenza, lasciando i membri del Consiglio Scolastico piuttosto interdetti. Ancora ricordava di come le loro espressioni fossero virate dallo sgomento iniziale, nell’apprendere della dichiarazione di guerra da parte di Gamo e gli uomini del Nord, alla preoccupazione per la misteriosa sorte incorsa al Principe Ereditario. Per non parlare della decisione che, alla fine, aveva preso quasi arbitrariamente.
Sospirò, abbozzando un sorriso.
Era stato certo che non avrebbero approvato la sua scelta ed infatti non era stato smentito, tanto che Magister Pierre si era alzato, battendo le mani sul tavolo.
“Jun, ma stai scherzando?” aveva detto incredulo “Per quanto sia di Sesto Livello, ricorda che non ha alcuna esperienza fuori dalle mura della Scuola!”
Magister Diaz era intervenuto, strizzandogli l'occhio. “Però credo sia ora che l’uccellino lasci il nido, non trovi anche tu?”
“Non voglio la vostra approvazione” aveva concluso lui, in qualità di Master “La mia decisione l’ho già presa e non cambierà.” Si era rilassato contro lo schienale della poltrona. “Sono sicuro che sarà all’altezza della situazione.”
Quelle erano state le sue ultime parole a riguardo, prima di congedarli e concedersi così il giusto riposo. Eppure era convinto che nessuno di loro fosse riuscito a dormire davvero, un po’ come era successo a lui.
Avanzò ancora, mentre uno stormo di Elementi volava alto, sopra la sua testa, oscurando per qualche secondo il sole. Li osservò volteggiare in formazioni pittoresche, guidati dalla figura del Magister Diaz che insegnava loro Volo Acrobatico, poi scomparvero dietro un torrione e lui tornò ad osservare la via innanzi a sé.
Il ponte era ormai finito e stava per entrare in una delle torri dove avrebbe raggiunto la meta: in una delle classi c’era l’Elemento che avrebbe inviato a Raskal.
Lo scalpiccio dei sandali riecheggiava ovattato nel corridoio dal soffitto altissimo, ma illuminato dalla luce che proveniva dalle vetrate alla sua sommità. Si irradiavano raggi che fendevano il pulviscolo sottile, creando come un reticolato intangibile che intrappolava, metaforicamente, le paraste sottostanti dai busti angelici che emergevano dal muro di marmo in cui erano incassate.
Il suo sguardo si soffermò sulle aule che superava con benevolenza verso gli allievi che facevano lezione seguendo attentamente le spiegazioni dei Magister, fino ad arrivare nei pressi di quella che stava cercando. Si attestò sotto l’arco d’entrata, scrutando l’interno.
La stanza era di foggia circolare ed in pendenza. Lunghe fila di banchi si susseguivano divisi da una scalinata che portava al centro dove vi era la cattedra. La luce entrava dalle ampie vetrate che costeggiavano una delle pareti.
Individuò l’insegnante proprio accanto alla porta, a qualche passo da lui: osservava silenzioso gli allievi in profonda meditazione.
“Ti stavo aspettando” gli disse il Magister ancor prima che Jun si avvicinasse.
“Me la sono presa con calma” rispose con un sorriso che venne ricambiato dall’istruttore, e membro del Consiglio Scolastico, Taro Misaki. L’unico che, la sera prima, era rimasto in rigoroso silenzio per tutta la durata della riunione.
“Sono molto concentrati” disse l’insegnante in merito ai giovani seduti ed immobili come statue di sale.
Il Master mosse lo sguardo cercando l’Elemento che aveva scelto tra quelli presenti. Lo individuò qualche banco più avanti, scorgendone la testa, dai corti capelli scuri, e la schiena dritta. Le gambe erano incrociate e stava lievitando di qualche centimetro da terra, come tutti i suoi compagni. In quel momento, si domandò se stesse commettendo un errore ad affidare quella missione delicata proprio a lui, ma già sapeva la risposta. Era la stessa che lo aveva fatto decidere. Sorrise, rivolgendosi a Taro. “Anche se ieri non hai proferito parola, vorrei avere la tua opinione in merito.”
L’altro sospirò, annuendo. “Che vuoi che ti dica, Jun? Le mie perplessità sono le stesse degli, ma non sono le sue capacità a preoccuparmi… quanto il suo carattere.”
“Lo so. Trovi che sia troppo ingenuo, non è così? Ho avuto anche io questo dubbio, eppure è stato proprio pensando al suo modo di essere che ho fatto la mia scelta. Questa missione non solo richiede coraggio, che lui ha nonostante tenda a tenersi sempre in disparte, ma anche una grande sensibilità. E quella non gli manca.”
Taro annuì. “Per questo non mi sono opposto quando hai fatto il suo nome” disse sorridendo “Ero combattuto, ma ho deciso di appoggiarti… tanto sarebbe stato lo stesso anche se fossi stato contrario.”
Il Master tossicchiò imbarazzato, mentre il Magister si muoveva dirigendosi verso la cattedra e passando accanto ai giovani che non si erano minimamente accorti dell’arrivo di Jun tra loro.
Taro alzò le mani, frapponendo i palmi. Una intensa scarica elettrica si generò tra essi, producendo un cupo suono crepitante che strappò gli Elementi dal loro stato di meditazione.
“Avete fatto un buon lavoro, ragazzi. State raggiungendo livelli di concentrazione notevoli. La prossima volta vedremo come ve la caverete sotto minaccia di attacco. Potete andare.”
I giovani annuirono e si alzarono in piedi, profondendosi in un inchino. “Grazie per questa lezione, Magister Misaki” dissero in coro, poi lentamente cominciarono ad avviarsi verso l’uscita dell’aula, composti ed ordinati. Solo allora notarono la presenza del Master ancora fermo presso la porta e, mentre varcavano l’ingresso in direzione dei corridoi, lo salutarono educatamente per poi fantasticare sui motivi che avevano spinto il Caposcuola ad assistere alla loro lezione.
Il giovane rispose, accennando col capo nella loro direzione, poi si mosse, avvicinandosi all’Elemento che aveva scelto.
“Buongiorno, Master…” salutò quest’ultimo con un inchino ed i libri sotto il braccio. Di certo non si aspettava di venir fermato.
“Aspetta, avrei bisogno di parlarti, Yuzo.”

*

Agadir, Città Elementale - Lago Agadir, Terre Centrali Sud-Occidentali.

Le acque del lago Agadir erano fredde, ma piene di vita, e limpide.
Una vita che andava ben oltre la normale fauna che si poteva ritrovare in un qualsiasi specchio lacustre. I pesci non la facevano da padroni, ma si spartivano pacificamente il territorio con gli Elementi di Acqua che popolavano la Scuola sommersa la quale prendeva il nome dal lago stesso. E si vedevano nuotare, intorno all’edificio ricavato nella roccia granitica che delimitava il bacino, con le loro elegantissime code di pesce dal flessuoso movimento. Una caratteristica che era valsa loro l’appellativo di Tritoni, ma che non era assolutamente facile da ottenere. Per questo la Scuola Elementale era suddivisa in due edifici, anche se – in realtà – la struttura era solo una. La parte più alta emergeva di molti metri sopra la superficie del lago, ed era raggiungibile a piedi – dalla riva – tramite un ponte che era come ‘adagiato’ sul pelo dell'acqua.
Nella sommità emersa si svolgevano i primi nove anni di studi che segnavano, quindi, il passaggio dall’infanzia all’età adulta. I Livelli Asylum, Junior e Senior si sottoponevano fin da subito a rigorosi allenamenti che avrebbero permesso loro di poter restare anche a vita immersi nell’acqua. Il resto degli studi continuava nella parte sommersa, fino al diploma che li avrebbe promossi Minister. Da lì in poi ogni Elemento avrebbe scelto il proprio destino.
Master Matsuyama era sbucato nel lago Agadir attraverso il suo immissario sotterraneo che lo collegava direttamente a Raskal. Si muoveva velocissimamente e con movenze naturalmente sinuose, mentre fendeva l’acqua con la pinna caudale. La sua delegazione cercava di tenere lo stesso ritmo, ma l’Aquila di Mare sembrava avere una fretta del diavolo e finì col distanziarli di parecchi metri.
Attraversò a tutta velocità un banco di pesci facendoli disperdere, poi deviò in direzione di uno degli ingressi alla Scuola. Ormai l’edificio era nitido davanti ai suoi occhi e lo osservò con soddisfazione.
La parete granitica era stata finemente intagliate in migliaia di scanalature e lavorata con intarsi di corallo rosso proveniente dalle profondità dei mari al largo delle Terre Centrali. La forma bombata della superficie esterna e la sua lavorazione conferiva alla Scuola l’aspetto di un'enorme conchiglia dalle venature rossastre, che si colorava di ombre grazie ai raggi che riuscivano ad attraversare la superficie del lago ed arrivare fino a lì.
Rapidamente si intrufolò attraverso uno dei colonnati, scivolando lungo i corridoi e superando increduli Elementi che erano a dir poco perplessi di vederlo già di ritorno e, soprattutto, di vederlo nuotare a quella velocità.
L’Aquila di Mare ignorò tutti gli sguardi incuriositi, puntando direttamente uno dei tunnel di risalita. Si diresse nella parte emersa della Scuola di Agadir. Con movimenti decisi si aggrappò al bordo della vasca, che circondava l’imbocco del tunnel, e si issò rapidamente, mentre le branchie cominciavano a richiudersi ai lati del collo. La pinna riprese la forma di un paio di gambe e l’acqua scivolava dalla sua figura fradicia. Il Master non attese nemmeno la delegazione al suo seguito, ma si diresse spedito verso i corridoi dotati di un reale pavimento su cui camminare.
I giovani Elementi di Livello Senior, Junior ed Asylum lo guardarono avanzare, con espressioni cariche di ammirazione, e lui rivolse loro un sorriso che i piccoli ricambiarono con profondi inchini.
Magister Owairan(2) fu il primo che incontrò sui suoi passi.
Durante la sua assenza, Hikaru l’aveva incaricato di occuparsi della parte emersa della Scuola. Appena lo vide, Mark sorrise. “Il Principe doveva essere un vero portento se sei già qui!” scherzò, sistemando la lunga bandana che gli copriva il capo, ma l’altro lo prese per un braccio trascinandoselo dietro nonostante le sue proteste. “Ehi! Che diamine ti prende?!”
“Abbiamo un problema. Dove sono Schuster e Levin(3)?”
Il Magister continuò a guardarlo con espressione confusa, scuotendo il capo. “Non saprei… a lezione, forse…”
“Bene. Andiamo a prenderli”
Continuò a trascinarlo lungo il colonnato aperto e da lì il panorama era davvero pittoresco. Le acque del lago erano placide e limpide, ferme come una tavola azzurra nella quale si riflettevano i colori boschivi delle foreste circostanti. Si sentivano voci e schiamazzi provenienti dall’intorno dove i giovani allievi stavano facendo addestramento, sguazzando felici nell’acqua gelida.
“Mi spieghi che sta succedendo?” sbottò Owairan, continuando ad essere piuttosto interdetto. “Punto primo: cos’è tutta questa fretta? Punto secondo: devo dedurre che c’è un altro motivo per il quale sei tornato prima del tempo?”
“Aspetta, voglio che ci siate prima tutti e tre, così spiegherò una sola volta” lo liquidò in maniera sbrigativa il Master, guardandosi attorno e cercando di individuare Magister Schuster lungo una delle piattaforme che si diramavano dalla struttura come tentacoli adagiati sull’acqua.
Per sua fortuna lo individuò quasi subito e, sempre per un altro colpo di fortuna, c’era anche Levin con lui, che restava comodamente seduto lungo il bordo della piattaforma a suonare una cetra.
Franz stava insegnando Danza Acquatica Applicata a un gruppo di Elementi di Sesto Livello, e le note dello strumento pizzicato dalle dita lunghe di Stephan cominciarono ad arrivare alle loro orecchie quando li raggiunsero sulla piattaforma.
“Forza con quelle pinne! Datevi più slancio con i reni!” ordinava con decisione Magister Schuster. “E le braccia! Anche le braccia si devono muovere nella danza! Ecco! Meglio così!”
“Franz, interrompi tutto” si sentì comandare ad un tratto da una voce che riconobbe all’istante e lo fece voltare. Anche Magister Levin smise di suonare, regalando all’Aquila di Mare e al povero Owairan solo la coda dell’occhio non coperto dai capelli.
“Hikaru?!” domandò Schuster con incredulità “Cosa fai qui, così presto?!”
Il Master finalmente fermò la sua avanzata, lasciando andare anche Mark che si sistemò la bandana sbuffando indispettito.
“Statemi a sentire con attenzione” cominciò saltando tutti i convenevoli, mentre gli Elementi continuavano i loro esercizi non senza osservare con curiosità la riunione improvvisata. “Siamo in guerra contro Gamo.”
Stephan si girò completamente, sgranando gli occhi azzurri, mentre gli altri rimanevano per un momento con la bocca semiaperta.
“E il Principe e la Chiave sono scomparsi…”
Le braccia di Schuster vennero disincrociate lentamente e lasciate a penzolare lungo i fianchi, mentre Magister Levin si alzava addirittura in piedi.
Il Master rimase a guardare le facce dei membri del Consiglio Scolastico, che erano pallide come cenci, e pensò di essere stato forse troppo brutale.
Si passò una mano dietro la testa, abbozzando un sorriso decisamente poco efficace, tentando di stemperare la tensione “…quindi abbiamo un problema!”


[1]RAIJU: coloro che hanno letto il manga riusciranno a fare sicuramente il collegamento! Si tratta di un riferimento al tiro di Hyuga, il Raiju Shot ovvero il: Tiro della Bestia del Fulmine! (Tiro del Dragone nell’anime)

[2]MARK OWAIRAN: è un personaggio che compare nel manga, precisamente dal World Youth Hen in poi. E’ il capitano dell’Arabia Saudita. Un bel personaggio, lo ammetto. Intelligente e stratega, un po’ come Jun.

[3]STEPHAN LEVIN: è un personaggio che compare nel manga, precisamente dal World Youth Hen in poi. È il temibile capitano della Svezia. I suoi tiri, insieme a quelli di Cruyfort, hanno spezzato i polsi di Wakabayashi! XD potente, no?!


 

…Il Giardino Elementale…


Come vi avevo promesso nel precedente capitolo, inauguro una sezione ‘memorandum’ in cui potrete venire a spulciare ogni volta che non ricorderete qualcosa, e si chiamerà “Enciclopedia Elementale”.
Buona lettura a voi.

Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

- Capitolo 1: La Scuola di Tyran
- Capitolo 2: La Scuola di Alastra
- Capitolo 3: La Scuola di Fyar
- Capitolo 4: La Scuola di Agadir
- Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega

Angolino del “Grazie, lettori, grazie!XD”:

- Solarial: in primis, tessssora, grazie mille per i tuoi complimenti!XD *_* me contenta di sapere che continui a seguire questa storia… nonostante… il destino segnato di LUI! XD
E comunque, sì: Yukari è la Divinità Terrestre! XDDDDD
Uno spasso vedere Genzo che prega una statua con la faccia di Yukari! XDDDDD
Ma… Ma… MA! Come hai potuto confondere Karlz-stecchino con Schneider?! XDDDDD *_* lo so ciccina che era l’orario per via del lavoro!! *hihihihi* scherzooooo! *_*
Grazie mille per i tuoi complimenti!*_*Y

 

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Capitolo 5
*** 2 - I quattro Elementi - parte III ***


Documento senza titolo

ELEMENTIA
- The War -





CAPITOLO 2: I quattro Elementi (parte III)

Fyar Major, Città Elementale- Arcipelago delle Fyarandas ad Ovest delle Terre Centrali.

Le nubi del Raiju Mountain erano, come al solito, attraversate da intense scariche elettriche il cui bagliore e l’eco gorgogliata dei tuoni riuscivano ad essere visibili e udibili fino alla Scuola Elementale.
Percorrere a piedi il tratto che conduceva alla struttura fu un toccasana per il Master Hyuga, nonostante il suo stomaco continuasse a risentire dei postumi del mal di mare. Con passo sicuro ed un colorito meno pallido di quando era arrivato, varcò il grande ingresso della cinta muraria della scuola affiancato dal Magister Wakashimazu che lo aveva rapidamente aggiornato su quello che era accaduto in sua assenza.
Avanzarono nel cortile, nel cui centro era stata eretta una statua raffigurante la Divina Maki in groppa al suo delka màlayan, diretti ad una delle due immense pagode dalla base rettangolare. Più distante era visibile la costruzione che ospitava gli alloggi degli Elementi e, ancora più in fondo, gli sterminati campi di addestramento.
“Ehi, tu!” chiamò Kojiro ad un tratto, fermando uno degli allievi che lo raggiunse subito.
“Sì, Master?”
“Vai dall’Alchimista Kira e digli che ho assoluto bisogno di un qualcosa che mi rimetta a posto lo stomaco, intesi?”
Il ragazzo annuì, allontanandosi rapidamente.
“Portamelo in Sala Riunioni il più presto possibile!” concluse il Master riprendendo a camminare.
Assieme al Magister Wakashimazu entrò nella pagoda di sinistra e salì rapidamente le scale che li condusse alla sommità. Nella ascesa erano accompagnati da immensi affreschi raffiguranti scene di guerra dove le quattro Dee Elementali affrontavano l’armata demoniaca della malvagia reietta.
La luce entrava a sprazzi dalle rade finestre di modeste dimensioni, rendendo l’interno pieno di ombre che disegnavano inquietanti figure sulle pareti e il pavimento.
Arrivati all’ultimo piano, percorsero con passi decisi lo stretto corridoio che terminava con una porta rossa intarsiata in nera ossidiana che riproduceva lo stemma della Scuola del Fuoco.
Il Master spalancò l’ingresso, interrompendo il sommesso brusio proveniente dall’interno. La luce vivida, che illuminava a giorno la stanza circondata da finestre, lo investì in pieno, ma il cambiamento improvviso di luminosità sembrò non provocargli alcun fastidio. Entrambi i maghi guerrieri entrarono con passo deciso.
“Ce ne avete messo di tempo!” sbottò uno dei due presenti, seduto su un morbido cuscino attorno al basso tavolino rettangolare che era posto al centro della stanza.
Ken si strinse nelle spalle, alzando gli occhi al cielo. “Non guardare me, Louis, Kojiro ha voluto a tutti i costi farsela a piedi.”
“Chiudete il becco voi due!” disse il Master, agitando una mano e buttandosi a sedere con poca grazia su un altro cuscino. Si liberò del mezzo pettorale in metallo e allentò i bottoni dell’abito che indossava da sotto. “Ho passato gli ultimi giorni a bestemmiare i Master dell’Aria e dell’Acqua, perché c’è anche lo zampino di Hikaru, ne sono certo! Grazie a loro ho sofferto il mal di mare in una maniera atroce: avrò riversato litri e litri di vomito nelle acque del Mare Raskano!”
“Che schifo.” sorrise Magister Schneider con una smorfia.
“Non dirlo a me, Karl!” e attese che anche Ken si sedesse prima di continuare. “Perfetto, ora che ci siamo tutti vi comunicherò le notizie per cui ho indetto questa riunione.”
“Ah, sono più di una?” intervenne Napoleon.
“Sì, una peggio dell’altra: quale volete per prima? La brutta o la bruttissima?!”
Schneider sospirò. “Comincia da quella che temiamo di conoscere già.”
“Siamo in guerra contro Gamo.”
“Appunto” annuì il Magister, mentre Kojiro inarcava un sopracciglio.
“L’Airone aveva ragione nel dire che le notizie volano veloci come il vento.”
Wakashimazu si passò una mano tra i capelli, tirandoli indietro. “E’ da un paio di settimane che non si parla d’altro, le informazioni ci sono arrivate dai vari mercantili che scendevano lungo le coste Nord, ma aspettavamo qualche conferma dalla capitale.”
“Ebbene, ecco la conferma: ero presente quando un posseduto ha portato il messaggio di Minato” rivelò Kojiro e Karl inarcò un biondo sopracciglio con preoccupazione.
“Un posseduto?!”
“Già… Gamo ha l’appoggio del Nero.”
“Oh, Dee…” scosse il capo Wakashimazu “…questa non ci voleva!”
“E questa era la brutta notizia o la bruttissima?” domandò Napoleon.
“La brutta” rispose Kojiro.
“Vuoi dire che c’è di peggio?!” sbottò l'altro incredulo.
“Sì, il Principe Tsubasa e la Chiave Elementale sono scomparsi.”
Karl si portò una mano alla fronte. “Stai scherzando, vero?”
“E io mi sarei quasi ucciso a patire il mal di mare per farvi uno scherzo?!”
“La situazione è peggiore del previsto” constatò Napoleon "Certo che il Principe ha scelto il momento migliore per darsi alla macchia!”
“Lasciamo perdere, per carità!”
“Quindi? Come ci muoviamo?” intervenne Magister Schneider, piuttosto pensieroso.
“Noi non ci muoviamo” scosse il capo Hyuga “I preparativi per la guerra ci porteranno via tutto il tempo a disposizione. Saranno degli Elementi a muoversi, uno per ogni Scuola. Andranno a Raskal dove riceveranno tutte le istruzioni e poi partiranno alla volta del Sud.” Lentamente si portò una mano alla tempia. “Ed ora, vi prego, fatemi un nome, ho l’emicrania!”
I tre interpellati si ammutolirono all’improvviso, cercando di scandagliare tra tutti i loro allievi quello con le caratteristiche più adatte per la missione.
Louis sbuffò, intrecciando le mani dietro la testa. “Accidenti ci sono parecchi nomi interessanti…”
“A me ne serve uno solo.”
Karl Heinz schioccò le dita in direzione di Wakashimazu. “Mamoru Izawa. Che ne dici Ken?”
L’altro annuì lentamente con espressione meditabonda. “Sì, secondo me andrebbe bene.”
“Eh no, un momento!” si intromise Napoleon “Mamoru ha firmato per essere messo come Elemento d’avanguardia in caso di guerra, non credo la prenderebbe bene se sapesse che, invece, dovrà correre dietro ad un Principe sperduto nella parte diametralmente opposta al fronte!”
“Non mi aspetterei un comportamento diverso da uno dei nostri” accordò Schneider facendo spallucce “Tuttavia, dovrà fare buon viso a cattivo gioco, non abbiamo molto tempo da perdere in chiacchiere.”
“Fermate la giostra” Kojiro si animò, agitando le mani “Chi è Izawa?!”
“Un Sesto Livello” spiegò Ken “Davvero notevole per la sua età, testardo, ma affidabile.”
Il Master ci pensò un po’. “Fatemelo vedere.” Si alzò con un gesto deciso che, però, gli strappò una smorfia sofferente. Reggendosi lo stomaco ancora in subbuglio, che lo torturava con i crampi, si diresse alla finestra che dava sui campi di addestramento, seguito da Magister Schneider che si fermò di fianco a lui.
“Lo vedi il gruppo allenato da Magister Gentile?” disse indicando un punto della distesa arida. Hyuga acuì la vista, individuando l’insegnante che stava spiegando come trapassare un corpo con il fuoco senza distruggerlo. Il Master lo vide richiamare uno degli allievi che si posizionò al centro dello spiazzo. Aveva i capelli neri e lunghi legati con una coda. Si mise in posizione e caricò il colpo nella mano destra all’interno della quale si formò una sfera infuocata. L’allievo la lanciò contro un enorme masso, lasciandolo perfettamente intatto tranne nel punto dove l’aveva colpito e che lo aveva trapassato da parte a parte con un foro circolare e preciso.
“Ecco, quello è Izawa.”
Kojiro annuì. “Ditegli di raggiungermi nel mio studio.” D'un tratto qualcuno bussò, interrompendo la riunione.
“Avanti” intimò Magister Napoleon ed il giovane Elemento che il Master aveva fermato nel cortile scolastico fece capolino con un bicchiere disperdente uno strano fumo grigiastro, freddo come nebbia.
“Oh, eccoti! Era ora!” esclamò Hyuga, andandogli incontro e strappandogli l’oggetto dalle mani.
“Ha detto l’Alchimista Kira di berlo tutto d’un fiato” spiegò il giovane, mentre Schneider assumeva un’espressione schifata.
“Dico… ma ti fidi a bere quell’intruglio?”
“Senti, sto soffrendo, peggio di così non può andare, inoltre, nonostante sia un tipo strano, Kozo Kira è un ottimo Alchimista” e bevve la strana pozione fino all’ultima goccia senza nemmeno respirare. La sua espressione la disse parecchio lunga sul sapore. “Ma che roba è?!” esclamò, assumendo un colorito verdognolo.
“L’Alchimista l’ha chiamato ‘resuscita-morti’…” annuì l’Elemento “…dice che è l’intruglio che usa per farsi passare la sbornia!”

*

Alastra, Città Elementale - Pianure di Bryzla, Terre Centrali Orientali.

“Volete parlare con me, Master?” L’Elemento Yuzo Shiroyama(1) parve piuttosto sorpreso e non si premurò di nascondere tale sensazione.
Jun sorrise, annuendo lentamente. “Vieni, andiamo alla voliera” disse iniziando a camminare lungo il corridoio per il quale era giunto.
“Sì, signore.” Il giovane dietro di lui lo seguì, non prima di aver rivolto un inchino di saluto nei riguardi del Magister Misaki.

La voliera si trovava sulla cima del più alto torrione di Alastra, ed era enorme.
Le phaluat(2), le fenici dell’aria, animali sacri alla Divina Yayoi, ormai nidificavano solo in quel luogo.
Le grandi gabbie in ferro lavorato erano aperte e gli uccelli potevano liberamente entrare ed uscire, volteggiare nell’intorno e appollaiarsi sulla sommità per osservare, dal punto più alto, l’immenso panorama sottostante che si stendeva fin dove la vista poteva scorgere, e oltre.
Jun e Yuzo giunsero rapidamente in quel luogo, dove le phaluat cantavano e si riposavano beatamente. Il Master atterrò senza il minimo rumore, mentre le tuniche candide oscillavano ai suoi movimenti nell’avanzare sul marmo candido, con le mani intrecciate davanti a sé.
Yuzo atterrò un attimo dopo.
“La voliera è in perfetto ordine.” Lo raggiunse la voce del Master che osservava l'ingresso alle gabbie.“Te ne occupi sempre tu?”
L’Elemento sorrise, poggiando i libri su di una panchina. “Sì, signore. Il Magister non si è ancora ripreso dalla caduta…”
“A proposito, come sta Jinnosuke(3)?”
L’altro sospirò. “Si lamenta” disse con ironia e Jun rise.
“Allora vuol dire che sta benissimo.”
Yuzo lo superò, avanzando all’interno della voliera. “Ah, Master, si è schiuso l’uovo di Taleja!” disse tornando all'esterno con il cucciolo di phaluat tra le braccia. “Abbiamo deciso di chiamarlo Meluha.” L’uccellino, grande quanto un gatto ben pasciuto, stava cambiando già il piumaggio. Dalla candida lanugine stavano spuntando delle meravigliose piume cangianti di migliaia di riverberi dorati. Gracchiò un paio di note stonate, ma sembrava essere a proprio agio in braccio all’Elemento e socchiusi gli occhi, neri e tondi come bottoni, si appisolò beato.
“Un bel nome.” Jun gli passò un dito sulla testolina.
“Master, se posso…” cominciò Yuzo “…siete tornato prima del previsto. È successo qualcosa?”
L’altro sospirò profondamente dopodiché indicò la panchina sulla quale Yuzo aveva poggiato i libri.
“Vieni, sediamoci. E’ proprio di questo che vorrei parlarti.” Entrambi presero posto, rilassandosi contro la spalliera in marmo e ferro.
“Qualcosa di grave?” domandò l’Elemento.
“Di molto grave” fu la risposta che ottenne e gli fece dipingere un’espressione preoccupata, mentre continuava a carezzare lentamente Meluha.
“Si tratta di Minato Gamo.”
“Gamo del Nord?”
Jun annuì. “Ha mosso guerra agli Ozora.”
“Cosa?!” fece eco con totale sgomento. “Ma… ma perché?!”
“Yuzo, dietro certe azioni non c’è mai una spiegazione logica. La sete di potere può accecare la ragione.” Lasciò che metabolizzasse la notizia prima di aggiungere la parte peggiore della faccenda: “Il Nero sarà dalla sua parte.” Come aveva immaginato - e a ben ragione - ciò sembrò sconvolgere l’Elemento ancora di più, infatti i suoi occhi scuri si allargarono sconcertati.
“Anche lui?!”
“Sì, purtroppo.”
Yuzo inspirò, tornando a guardare la phaluat tra le sue braccia. “Quindi dobbiamo prepararci alla guerra?” ma l’idea sembrava non piacergli affatto.
“Proprio così. Ogni Scuola darà il suo contributo a supporto dell’Esercito Reale, ovviamente. Le nubi sono nere all’orizzonte.”
“Sì, capisco.”
Jun rimase a studiare le sue reazioni per qualche momento prima di sorridere. “Tu sarai impegnato altrove.”
“Altrove?!” fece eco l’Elemento non riuscendo a capire. “In che senso?”
Il Master mosse lo sguardo al cielo limpido che sovrastava Alastra, inspirando a pieni polmoni l’aria più pura di Elementia. “Vedi, poco prima che giungesse la notizia del tradimento di Gamo, un altro evento ha contribuito a minare la tranquillità delle Terre Centrali.” I suoi occhi scuri tornarono a spostarsi verso l’allievo di Sesto Livello conferendo al viso un'espressione seria. “Il Principe Tsubasa è scomparso insieme alla Chiave Elementale, mentre era in viaggio nelle Terre del Sud.”
“Scomparso?”
“Sì” annuì “Aveva un ritardo di una settimana sul suo rientro… ed ora è più di un mese. Noi Master temiamo che possa malauguratamente finire nelle mani degli Stregoni e sai quale catastrofe sarebbe se il Nero riuscisse a mettere le mani sulla Chiave, vero?”
“Sì, signore” confermò l’Elemento con espressione pensierosa prima di sorridere. “Beh, ma dei Magister d’Aria potrebbero partire subito per il Sud! Ci metterebbero poco tempo a-”
A Jun dispiacque spegnere il suo entusiasmo.
“Ci avevamo pensato anche noi, poi è arrivata la notizia della guerra e le cose sono improvvisamente cambiate. I Magister servono qui e al fronte, per organizzare la difesa.”
“Oh…”
“Per questo la nostra scelta è caduta su dei semplici Elementi.”
Quelle parole lo fecero irrigidire all'improvviso, mentre l’Airone continuava a spiegare.
“Quattro Elementi, uno per ogni Scuola, potrebbero muoversi facilmente sul territorio senza attirare attenzioni… indesiderate.” Il giovane cambiò posizione, sporgendosi di più verso il suo interlocutore. “Mi spiego: se l’AlfaOmega non è al corrente della sparizione del Principe e della Chiave, ebbene, noi faremo in modo che continuino ad ignorare la faccenda per quanto più tempo possibile.”
Yuzo deglutì a fatica, aggrottando le sopracciglia e sentendosi improvvisamente a disagio. “E… e perché tutto questo lo state dicendo me, Master?”
“Oh, bella! Perché tu sarai l’Elemento d’Aria in questa spedizione!”
Il giovane impallidì di colpo e balzò in piedi, continuando a stringere la povera Meluha. “No! Assolutamente no! E’… è fuori discussione!” esclamò con vigore mentre la phaluat gracchiava contrariata per essere sballottata in quel modo. L’Elemento le carezzò la testa, cercando di acquietarla nuovamente e continuando a parlare a raffica. “I-io non ho mai lasciato Alastra da quando sono arrivato qui quindici anni fa! I-io non sono pronto per una missione così delicata, n-non ne sarei all’altezza! I-io-”
“Siedi e stai calmo” gli impose Jun, continuando a sorridere. L’altro rilasciò un pesante sospiro rassegnato e fece come gli era stato ordinato. Lo sguardo che rivolse al Master era terrorizzato.
“Sapevo che avresti reagito così” cominciò il Caposcuola “Ti conosco da anni e per me sei come un libro aperto, ma, mi spieghi perché devi essere sempre tanto insicuro? Se ho scelto te è perché so che sarai all’altezza della situazione, conosco le tue capacità e puoi farcela. Io mi fido di te.”
Il giovane abbassò lo sguardo senza rispondere. “Yuzo, tu vorresti diventare Magister, non è così?”
“Sì, signore” rispose mesto “Ognuno di noi lo vorrebbe…”
“Ebbene, restando ad Alastra non lo diventerai mai. L’esperienza è fondamentale. Elementia non è formata solo da questa città, ma tante e tante altre ce ne sono da vedere. Di cosa hai paura?”
“Io…” alzò lo sguardo tentando di dire qualcosa, ma lo riabbassò sospirando “…combinerò qualche disastro. Lo so.”
Jun rise, poggiandogli una mano sulla spalla. “E chi non ne ha fatti nella sua vita? L’importante è trarne sempre qualche insegnamento.”
“Sì, signore.”
“E comunque, il mio è un ordine” concluse l’Airone alzandosi in piedi. L'ultima parola era sempre la sua. “Partirai domattina, preparati.”
A Yuzo non rimase che annuire ed osservare la sua figura allontanarsi dopo aver spiccato il volo.
Rimasto solo, l’Elemento si concesse un ennesimo sospiro pesante, rivolgendosi poi alla phaluat che aveva alzato il becco nella sua direzione e lo osservava con curiosità.
“Eh, Meluha, sarà una catastrofe, me lo sento.”

*

Tyran, Città Elementale – Chakram Tyran, Terre Centrali Nord-orientali

“Per Santa Yukari Vergine! Alla faccia delle ‘cattive nuove’!” sbottò Magister Muller, incrociando le braccia al petto e rilassandosi contro lo schienale del pesante, quanto scomodo, scranno in pietra. Quest'ultimo era scolpito direttamente da uno spuntone di roccia emergente dal pavimento e per questo ancorato al suolo, così come il tavolo rotondo dove c’erano altre tre sedie intagliate ed inamovibili.
“E’ la peggiore notizia che potevi portarci, Genzo” convenne Sho con il viso poggiato in una mano e l’espressione scura.
Il Master sbuffò seccato, rigirando il bicchiere ricolmo di un liquore scuro e forte, perfetto a scaldare le ossa nelle fredde notti all'interno del Chakram Tyran. “Andatevela a prendere con Minato Gamo, va bene? Come se questa cosa non mi seccasse già abbastanza. Ora vediamo di trattare un problema alla volta: allora? Avete un nome da farmi per quanto riguarda l’Elemento da mandare a Raskal?”
Deuter Muller ci pensò un po’ prima di dire: “Shingo Takasugi, di Sesto Livello. In telecinesi è uno dei migliori.”
“Io propongo Inchon Cha(4). Settimo Livello, ha più esperienza e forza bruta” disse invece Shunko Sho ed il Marmo Nero inarcò un sopracciglio “Siete in disaccordo, quindi.” Infine osservò il terzo membro del Consiglio Scolastico “E tu, Herman? Che dici?”
Il giovane masticò lo stecchino, spostandolo da un lato all’altro della bocca. “Teppei Kisugi. Ha un’ottima tecnica, astuzia e a forza non se la cava male, in più: è minuto e veloce. Propongo lui.”
Genzo si grattò un sopracciglio. “Tre Magister, tre nomi diversi. Per le Dee! Non mi siete di molto aiuto lo sapete?!” Picchiettò le dita sulla superficie rugosa del tavolo con indecisione. “Va bene! Saranno le loro abilità a decidere: si sfideranno in un duello tutti-contro-tutti. Mandateli nell'Arena.” Lasciò la sala piccola e intima, mentre un filo di aria gelida faceva tremolare le candele, rischiando di spegnerle.

*

Fyar Major, Città Elementale – Arcipelago delle Fyarandas ad Ovest delle Terre Centrali.

Kojiro Hyuga era seduto dietro l’ampia scrivania del suo ufficio quando tre colpi secchi alla porta annunciarono l’arrivo dell’Elemento che era stato scelto per essere mandato a Raskal.
“Entra” ordinò in tono fermo ed il giovane varcò la soglia con passo deciso, richiudendo l’uscio dietro di sé.
“Volevate vedermi, Master?” domandò, fermandosi in una postura di riposo a pochi passi dal tavolo. Le mani dietro la schiena ed il viso imperlato di sudore per il duro allenamento che aveva portato avanti fino a qualche minuto prima.
“Sì, devo parlarti di una cosa molto importante…”
“Si tratta della guerra, signore? In quel caso ho già fatto richiesta per essere messo nelle forze d’assalto” ed un sorriso soddisfatto gli incurvò le labbra.
La Tigre Ardente rimase ad osservarlo in silenzio per qualche momento con le mani intrecciate sotto al naso.
“Ne sono al corrente, ma non è per quello che sei qui.”
Il giovane inarcò un sopracciglio con perplessità, senza però interromperlo.
“Il Principe Tsubasa Ozora è misteriosamente scomparso e tu dovrai metterti sulle sue tracce per ritrovarlo il prima possibile.”
“C-come… signore?” biascicò convinto di aver capito male.
“Partirai per Raskal dove troverai altri tre Elementi ad attenderti, insieme vi dirigerete a Sud. È molto importante che-”
“Con tutto il rispetto, signore” lo interruppe Mamoru bruscamente, mentre una smorfia irata deformava i tratti del suo viso “Non ho la minima intenzione di correre dietro a chissà quale reale viziato, mentre sta per scatenarsi l’Inferno al confine Nord delle Terre! Io sono un guerriero ed il mio compito è combattere non fare la balia di chissà chi!” disse d’un fiato con gli occhi nero pece che ribollivano di astio.
La Tigre ascoltò in silenzio la sua arringa, annuendo. “Queste parole ti fanno onore come Elemento di Fuoco, tuttavia…” e ridusse gli occhi a due fessure sottili e fiammeggianti “…tu farai esattamente ciò che io ti ho ordinato, mi hai capito bene?”
Il giovane abbassò lo sguardo, inghiottendo il rospo. “Sì, Master…”
Poi, Kojiro ammorbidì il tono. “Ascoltami, Mamoru: so che preferiresti essere nel vivo dell’azione quando sarà il momento, ma ritrovare il Principe e soprattutto la Chiave Elementale prima che possano cadere nelle mani del Nero è fondamentale ai fini della stessa guerra. Se lo Stregone a capo dell’AlfaOmega dovesse catturare il potere della Chiave non ci sarebbe più partita per la nostra fazione… e per lo stesso pianeta.”
L’Elemento annuì. “Capisco, signore.”
“Ne ero sicuro. Va’ a prepararti, partirai immediatamente” concluse, appoggiandosi allo schienale della sua poltrona e osservando l’altro che gli fece un rapido inchino. Kojiro lo fermò che aveva già aperto la porta. “Ah! Se vuoi un consiglio…” gli disse, facendolo voltare “…prenderei un màlayan per andare a Raskal… sai… le acque sono piuttosto agitate in questo periodo.”

*

Agadir, Città Elementale – Lago Agadir, Terre Centrali Sud-Occidentali.

“Ma... ti sembra il modo di dire certe cose?!” sbottò Mark, portandosi le mani ai fianchi ed avanzando di qualche passo sulla banchina.
Master Matsuyama sospirò, scuotendo il capo. “Scusa, hai perfettamente ragione, ma abbiamo poco tempo ed un mucchio di cose da fare.”
Dopo lo sconcerto iniziale, anche gli altri due Magister cercarono di recuperare il sangue freddo necessario per affrontare il pericolo incombente.
“Hai già un’idea di come agiremo?” parlò Levin, arrivando subito al nocciolo della questione.
L’Aquila di Mare annuì. “Ho bisogno che i Magister restino alla Scuola per preparare il contingente che partirà per il fronte e per badare ai più piccoli...”
“E con il Principe?” intervenne Schuster “Hanno già cominciato le ricerche? Da quanto tempo è scomparso?”
Hikaru sospirò. “E’ più di un mese, ormai, che non si hanno sue notizie, né sappiamo se fosse sulla via del ritorno.” Superò i membri del Consiglio, portandosi sul limitare della banchina. Nelle acque fredde del Lago Agadir, gli Elementi continuavano in solitario la loro lezione di danza, lanciando, di tanto in tanto, occhiate preoccupate ai loro insegnanti.
“Temiamo sia stato attaccato durante il suo viaggio nelle Terre del Sud, ma preghiamo che non abbia incontrato degli Stregoni.” Si volse a guardare nuovamente i suoi sottoposti con espressione seria. “Dobbiamo tenere il Nero lontano dal Principe il più possibile e per farlo, noi Master abbiamo deciso di mandare un gruppo di quattro Elementi.”
“Elementi?” fece eco il Magister Owairan “Ma sono solo dei ragazzi! Non sarà un’imprudenza?”
Hikaru si strinse nelle spalle. “Me ne rendo conto, ma è l’unica soluzione possibile: noi e la Guardia Reale abbiamo già Gamo, il Nero ed i loro rispettivi eserciti da fronteggiare, non possiamo sparpagliare gli uomini migliori al Sud, rischiando addirittura di attirare attenzioni sgradite da parte degli Stregoni.”
Owairan sospirò. “Sì, capisco.”
“Ebbene?” disse ancora il Master “Avete qualche nome da farmi per questa missione?”
I tre Magister si scambiarono delle rapide occhiate di intesa, prima di puntare i loro sguardi oltre la spalla dell’Aquila di Mare e fermarli su un Elemento in particolare, tra quelli impegnati nella lezione di Danza Acquatica.
In quel mentre, Hajime Taki, di Sesto Livello, si volgeva in direzione della banchina sentendosi stranamente osservato.

*

Tyran, Città Elementale – Chakram Tyran, Terre Centrali Nord-orientali

Nell’arena c’erano solo loro sette.
Il Master, affiancato dal Consiglio Scolastico, restava accomodato nel posto d’onore solitamente occupato dal Sovrano quando si recava a Tyran per assistere alle manifestazioni. Un braccio a sorreggere il mento e l’altro adagiato sul bracciolo in pietra.
Sull’attenti, i tre Elementi convocati restavano fermi nell’area sottostante. Le espressioni serie, che cercavano di celare la forte curiosità per quell’improvvisa convocazione.
Cha e Takasugi erano uno a destra ed uno a sinistra, Kisugi li separava e sembrava davvero una pulce in confronto a quei bestioni, eppure, pareva ben sicuro del fatto suo, come se i colossi che gli facevano da contorno non lo impensierissero minimamente.
Il Marmo Nero si decise a parlare dopo averli scrutati attentamente.
“Ho bisogno di un eroe” disse lentamente “Ed uno di voi tre potrebbe diventarlo, ma deve dimostrare di essere il più forte.” Si sporse, intrecciando le mani sotto al mento. “Il vincitore di questo combattimento ‘tutti-contro-tutti’ partirà per Raskal dove svolgerà una missione molto, molto importante per l’intero pianeta.”
Quella notizia gli fece avere la totale attenzione dei suoi allievi che lo osservavano con espressione concentrata.
Genzo sorrise, rilassandosi nuovamente contro il duro schienale dello scranno. “Ebbene… rompetevi le ossa.”
Un sorriso di pura sfida attraversò fugacemente i visi dei tre contendenti che spiccarono un balzo, allontanandosi dai rispettivi avversari e mettendosi in posizioni di difesa.
Si scambiarono sguardi rapidi ed attenti, volti a capire chi avrebbe attaccato per primo e, per contro, chi attaccare.
Spiazzando i suoi avversari con un mossa volta a danneggiare entrambi, Teppei colpì il terreno dell’arena con un pugno, generando una violenta scossa sismica che sbilanciò Cha e Takasugi, permettendogli di portare un secondo attacco, di tipo diretto. Correndo nella scia delle onde tettoniche, si lanciò prima su Shingo, che venne mandato al tappeto da un affondo allo stomaco, e poi su Inchon con un calcio alla base del collo. In seguito fece un paio di rapide capriole e si portò ad una discreta distanza, pronto ad attaccare di nuovo.
Shingo si rialzò, facendo perno sulle braccia, e sollevò una ingente quantità di rena con la telecinesi, ne varò la compattezza e la rese una specie di macigno che lanciò nella direzione del suo piccolo avversario. Intanto, Cha aveva deciso di utilizzare la forza, correndo verso di lui e caricando il pugno.
Kisugi attese che fossero abbastanza vicini prima di lasciarsi avvolgere da uno scudo di roccia contro il quale il masso di Shingo si frantumò ed il colpo di Inchon affondò fino ad un certo punto, senza però colpire colui che stava all’interno.
Utilizzando lo scudo anche per l’offesa, Teppei ne variò la consistenza in modo tale che ogni volta che lui tirava un calcio o pugno la roccia imitasse i suoi movimenti, colpendo l’esterno.
Inchon Cha riuscì ad evitare i suoi attacchi, allontanandosi e battendo il suolo con il piede. All’improvviso, l’involucro all’interno del quale era rinchiuso Teppei esplose, facendo emergere un enorme spuntone che trascinò Kisugi verso l’alto, mentre Shingo creava un nuovo masso da lanciargli contro.
L’Elemento di Sesto Livello rimase aggrappato al monolite fino a che non smise di crescere, poi ne spezzò la punta e la usò come mazza per colpire l’attacco di Takasugi in modo da allontanare da sé il macigno, dopodiché lanciò quello stesso spuntone in direzione di Cha che lo frantumò a mani nude e caricò nuovamente di forza.
Anche Shingo corse verso Teppei, deciso ad affrontarlo in un corpo a corpo.
Ed era proprio quello che il giovane stava aspettando.
Appena furono alla distanza ottimale, Kisugi utilizzò la stessa base del monolite creato precedentemente da Inchon: modificandolo a livello molecolare, originò due reti di arenaria che gli permisero di inchiodare i suoi avversari alla parete dell’arena.
Lo scontro poteva dirsi concluso.
Genzo sorrise soddisfatto. “Sembra che abbiamo il nostro eroe.”

Compiuta è la scelta dei quattro Elementi
che affronteranno il Destino, volenti o nolenti,
di gioia e di gloria, dolori e lamenti,
paure nascoste e profondi tormenti.


[1]SHIROYAMA: no, non ho sbagliato il cognome! XD Ma se poi vi spiego le cose… addio sorpresa! *_* Quindi, pazientate ancora un po’! *hihi*

[2]PHALUAT: meravigliose fenici dalle bellissime piume cangianti a seconda della luce. Viste dal basso si mimetizzano facilmente con i colori del cielo e quindi difficilmente visibili, ma quando volano in stormi – dalla formazione allineata – si esibiscono in meravigliose acrobazie che le rendono simili ad arcobaleni in movimento. Sono asessuate e, alla loro morte, si dissolvono in un incantevole turbine di vento al cui interno lasciano un uovo: questo perché (anche nella morte) l’Aria è sempre una fonte di vita. Per questa loro capacità sono considerati gli animali sacri alla Divina Yayoi. Hanno anche un bellissimo canto con il quale allietano la vita degli Elementi di Aria ad Alastra, sulle cui torri le Phaluat hanno i loro nidi.

[3]JINNOSUKE: è il simpatico vecchietto che allenava l’Uruguay nel World Youth Hen! XD

[4]INCHON CHA: era l’asso della squadra coreana nel World Youth Hen, peccato fosse costretto a restare in panchina dopo che Sho gli ha ammazzato una gamba! XD (Sho è molto puccioso! *sisì*)


...Il Giardino Elementale...

Riprendono le avventure dei nostri Quattro Elementi pronti a recarsi a Raskal dove avranno modo di incontrarsi e di ricevere le direttive necessarie per intraprendere il loro lungo viaggio.
Quali saranno le reazioni di ognuno? E, soprattutto, andranno d’accordo?
Ve lo racconterò la prossima volta, nell’attesa potrete consultare il Secondo Volume dell’Enciclopedia Elementale e rinfrescarvi la memoria sfogliando il Primo Volume.
Oppure, se preferite, visionare la neonata galleria di Fanart.
A presto!

Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia
  • Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega
  • Fanart:

  • Elementia - Fanart
  •  

    Angolino del “Grazie, lettori, grazie!XD”:

    - Melisanna: *__* grazie mille, Meli, per i tuoi complimenti! Sono contenta che la storia di incuriosisca e ti diverta a scoprire i vari ruoli! *hihi*

    - Solarial: sì, povero Kojiro, sono stata un po’ cattiva, ma ora è finalmente al sicuro sulla terra ferma! XD Io mi iscriverei alla Scuola dell’Aria!*_* oltre ad essere l’Elemento del mio segno zodiacale è anche il mio Elemento preferito in generale! XD non per niente, all’Università ho fatto anche esami di Meteorologia! XD

    - Akuma: *.* oddio, grazie! Mi hai ricoperta di tantissimi complimenti che... che... ç_ç commossa! Davvero, sei stata gentilissima e sono contenta che tu abbia scelto come prima AU proprio Elementia! *__* è un grande onore per me!
    Io sono sempre stata dell’idea che nel fantasy classico il background sia importante almeno di un buon 50%. Il Pianeta, la sua organizzazione sociale, le città ed anche gli animali sono stati creati quando la storia era solo un abbozzo generale di idee che, per poter essere sviluppate bene, avevano bisogno di alcuni punti fermi. Così, ho cominciato a creare dei promemoria che poi sono divenuti l’Enciclopedia Elementale, utile per rinfrescarsi la memoria (a volte ne ho bisogno anche io! XD).
    La parte più bella è stata ricercare degli spunti nel mondo reale, ad esempio: per la città di Tyran ho pensato all’arma di Xena (il Chakram), mentre per la Scuola vera e propria mi sono ispirata a Petra, in Giordania. Per Fyar ho scelto un tempio giapponese, lo Yakushiji, mentre per Alastra ho pensato ai Giardini pensili di Babilonia. Forse solo per Agadir ho creato ex-novo, ma il suo nome richiama quello di una città turistica del Marocco e quindi il ‘mare’ e ‘l’acqua’.
    Sì, sono esaurita! XD.
    Per quanto riguarda l’utilizzo di personaggi poco quotati come Sho e Owairan, beh, c’è da dire che io ADORO i personaggi secondari, quindi, se ho modo di inserirli lo faccio più che volentieri! XD
    (Magister Wakashimazu è tutto tuo! XD).

     

     

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    Capitolo 6
    *** 3 - L'inizio del viaggio ***


    Documento senza titolo

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 3: L’inizio del viaggio

    Raskal, Capitale del Regno degli Ozora – Terre Centrali

    Ryoma Hino non perdeva di vista un solo movimento dei soldati che si stavano preparando per la partenza verso le Terre del Nord.
    Dall’alto di una delle mura di cinta, continuava a restare con lo sguardo fisso ai cortili sottostanti con le mani dietro la schiena.
    Differentemente da chiunque altro, lui ardeva dalla voglia di partire e di arrivare al confine. Soprattutto, ardeva dalla voglia di spaccare il muso di Gamo: quel maledetto avrebbe pagato caro il suo affronto.
    Un bieco sorrisetto gli tese le labbra, mentre sentiva prudergli le mani al sol pensiero di dover scontrarsi con il Golem: quello sì che era un avversario di tutto rispetto.
    A dir la verità, gli bruciava ancora la sonora sconfitta che Santana gli aveva inferto all’ultima giostra e non vedeva l’ora di rifarsi, ma il loro prossimo scontro sarebbe stato molto più duro e il perdente avrebbe pagato con la vita.
    D’altra parte, però, non c’era solo Gamo di cui preoccuparsi e la sua espressione cambiò, trasformandosi in una smorfia.
    Lui aveva una particolare avversione per la magia e l’idea di scontrarsi con il capo degli Stregoni non lo allettava minimamente, come non lo allettava il pensiero di esser affiancato da quel presuntuoso di Master Hyuga. Se solo rievocava l’immagine carbonizzata del povero Akai, gli saliva l’aspro sapore di bile alla bocca.
    Per quanto avesse un profondo rispetto per le Dee Elementali, non riusciva a non guardare con diffidenza tutti coloro che facevano uso delle arti magiche; lo innervosivano o, molto probabilmente, intimorivano. Questo perché, differentemente da un combattimento corpo a corpo, in cui c’era sempre una possibilità di difesa e contrattacco, contro la magia non si poteva adoperare nient’altro che la magia stessa, quindi, per affrontare un mago, si doveva essere maghi a propria volta o non si avrebbe avuto scampo.
    E lui non era un mago.
    Rilasciò un aspro sospiro, ripensando a quando il Re aveva comunicato a lui e al Comandante Hongo che sarebbero partiti degli Elementi alla ricerca del Principe, spiegando come dei semplici soldati avrebbero potuto trovarsi in difficoltà se avessero incontrato degli Stregoni. Lui aveva provato ad obiettare, sentendosi pervadere dalla collera per essere trattato quasi come un incapace, ma Hongo lo aveva fermato, appoggiando pienamente l’idea dei Master e dicendogli che loro sarebbero stati più utili organizzando l’offensiva contro le Legioni di Gamo, ma senza nascondere la reale preoccupazione per la sorte del Principe cui era profondamente affezionato.
    Vistosi in minoranza, Ryoma non aveva potuto fare altro che chinare il capo ed accettare le volontà dei suoi superiori, ostinandosi a non ammettere che avevano ragione.
    Il primo Elemento era arrivato dopo circa un mese da quella riunione e, per suo sommo dispiacere, era stato proprio uno di Fyar.
    Tsk! Erano inconfondibili! Tutti con gli stessi presuntuosi modi di fare!
    Era giunto al castello in groppa ad un màlayan e, doveva ammetterlo, era rimasto veramente colpito da quel meraviglioso animale alato, per quanto non fosse la prima volta che ne vedeva uno. Il primo màlayan che aveva visto aveva in sella quel maledetto di Kojiro Hyuga, ed il Master del Fuoco, per quanto lo irritasse rendergliene atto, aveva il suo dannato perché in groppa all’animale sacro alla Divina Maki.
    L’Elemento che era giunto, invece, aveva l’espressione seccata di chi voleva trovarsi altrove.
    Poi ne erano arrivati altri due, ad un paio di giorni l’uno dall’altro, mentre del quarto non si avevano ancora notizie ed erano passati più di cinque giorni.
    “I preparativi procedono davvero velocemente” affermò una voce, distraendolo dai suoi pensieri. “Di questo passo, presto potremo cominciare a muoverci.”
    Ryoma annuì. “Già, sembrerebbe di sì.”
    Ramon Victorino, uno dei suoi ufficiali, si fermò accanto a lui appoggiandosi di spalle al muro interno più basso ed incrociando le braccia. “Non sembri convinto.”
    “Sì che lo sono” confermò con stizza, mentre l’altro sorrideva.
    “Ancora arrabbiato per la storia del Principe, vero?”
    Ryoma cambiò posizione, portandosi una mano al fianco e l’altra sull’elsa della spada. “Dammi tempo…” cercò di giustificarsi.
    “Tempo?! E’ passato un mese! Non ti sembra di esagerare?”
    “Affatto! Non tollero che mi si dia dell’incapace!”
    Victorino scosse il capo. “Nessuno si è permesso di farlo. È stata solo una scelta tattica ed io l’appoggio completamente.” Sorrise. “E sono sicuro che anche tu pensi che sia la mossa migliore, ma non lo vuoi ammettere.”
    Il Primo Ufficiale roteò gli occhi, facendo una smorfia e cambiando discorso. “Ancora niente riguardo il quarto Elemento? Quanto diavolo ci mette ad arrivare?”
    Ramon sospirò. “Sì, è in ritardo. Anche il Re è preoccupato, dice che non è da loro, che sono sempre puntuali…”
    Ryoma fece schioccare la lingua con disprezzo. “Tsk! Sono solo dei fenomeni da circo.”
    In quel mentre, si levarono delle grida allarmate che attirarono la loro attenzione. Alcuni soldati nel cortile indicarono il cielo, facendo alzare anche i loro sguardi per individuare la fonte di tale schiamazzo. Una macchia scura piombò nel centro dello spiazzo, accompagnata da una violenta raffica di vento che sollevò la terra, costringendo sia Hino che Victorino a schermarsi gli occhi.
    L’intruso venne immediatamente accerchiato dalle guardie armate di lance.
    “Siamo sotto attacco!”
    “Gli Stregoni sono già arrivati?!”
    “Non ci troveranno impreparati!”
    Gridavano gli uomini, mentre il Primo Ufficiale ed il suo sottoposto scendevano a rotta di collo dalla cinta muraria, sguainando le spade e pronti a fronteggiare il loro primo nemico.
    Ryoma si fece spazio, scuro in volto, cominciando a sbraitare. “Ma bene! Chi abbiamo… qui?…” ma il tono minaccioso andò lentamente scemando, quando si ritrovò davanti all’ ‘invasore’.
    Era un ragazzo pressappoco della sua età, con l’espressione che era un misto di spavento e preoccupazione; le mani all’altezza della gola, frapposte alle punte di picca che gli pungolavano i palmi e il collo.
    Il giovane lo guardò, cominciando a balbettare. “I-io… mi dispiace per l’atterraggio poco ortodosso…”
    Hino inarcò un sopracciglio, osservando un altrettanto interdetto Ramon. “Ma… e questo sarebbe uno Stregone?!”
    L’altro si strinse nelle spalle, scuotendo il capo, ma subito l’intruso si affrettò a negare.
    “Stregone?! Oh, no no no! I-io non sono uno Stregone!” e fece per avvicinarsi, ma i soldati strinsero le loro lance strappandogli un gridolino di spavento. In quel momento, Victorino ebbe come un’illuminazione.
    “Voi dovete essere il quarto Elemento!” esclamò, attirandosi anche l’attenzione di Ryoma.
    “I-il… il quarto? Significa che gli altri sono già arrivati?” Tirò un profondo sospiro affranto, scuotendo il capo. “I-io…” e spostò leggermente la punta di una picca. “Vi dispiacerebbe? Sono un pacifista.”
    “Abbassate le lance!” ordinò Ramon perentorio, e i soldati obbedirono immediatamente, facendo tirare all’Elemento un respiro sollevato.
    “Sono davvero mortificato. Il mio ritardo è imperdonabile, ma mi sono perso…” spiegò il giovane profondendosi in una miriade di inchini, mentre Ryoma scoppiava a ridere.
    “Vi siete perso?! E sareste un Elemento d’Aria per giunta?!” e giù un’altra risata “Oh Dea! Nelle mani di chi siamo capitati!”
    Yuzo arrossì, non sapendo più dove guardare per l’imbarazzo, mentre Ramon dava una gomitata al Primo Ufficiale, lanciandogli un’occhiataccia.
    “Venite con me.” Si rivolse poi al giovane con un sorriso. “Vi accompagnerò da Sua Maestà.” Ed incominciò ad avviarsi in direzione del castello, seguito immediatamente da Yuzo, mentre Ryoma, continuando a ridere senza ritegno, esclamava: “Beh, soldati: se questi sono gli Elementi, allora siamo proprio a cavallo!”
    Le risate della guarnigione risuonarono in tutto il cortile.

    I loro passi riecheggiavano negli altissimi corridoi.
    Ramon aveva una mano sull’elsa della spada e l’altra abbandonata lungo il fianco e ad ogni suo movimento faceva tintinnare l’armatura che stava indossando.
    Yuzo era al suo fianco con le mani intrecciate davanti a sé e il passo talmente leggero da non fare quasi rumore. I suoi occhi scrutavano i raffinati marmi e gli arazzi oscillanti sulla testa. Poi volse una rapida occhiata al suo accompagnatore. “Sono atteso da molto?”
    L’altro sorrise. “Circa cinque giorni dall’ultimo arrivato, ma non preoccupatevi. È la prima volta che venite a Raskal?”
    Veramente era la prima volta che metteva il naso fuori dalla scuola, ma questo preferì tenerlo per sé.
    “Ehm… sì. E sapendo di essere in ritardo ho aumentato la velocità. Mi rendo conto di essere piombato dal nulla, ma non volevo allarmarvi.”
    “Sì, capisco” annuì Victorino “a tal proposito, vorrei non teneste conto delle parole del Primo Ufficiale Hino: lui… non apprezza molto i maghi.” Tentò di scusarsi per il comportamento poco cordiale del suo superiore.
    Arrivati che furono davanti alla sala del trono, i due soldati di guardia alle porte si misero immediatamente sull’attenti appena videro Ramon. Quest’ultimo fece loro un cenno di saluto, varcando le porte e precedendo Yuzo sul lungo tappeto rosso.
    Ma l’Elemento aveva ben altri pensieri per la testa.
    Lui ne era stato sicuro; lo aveva detto anche al Master che avrebbe combinato dei disastri e non era stato smentito. Il suo pessimo arrivo a Raskal ne era una prova, l’essersi perso come un principiante un’altra prova. La sua prima missione stava cominciando nella maniera peggiore possibile.
    Cercando di trattenere un sospiro di sconforto e di celare il preponderante desiderio di tornare ad Alastra, Yuzo inquadrò il trono e il Re seduto sopra di esso. Accanto a lui c’era quello che ipotizzò essere il comandante dell’Armata Reale.
    Appena giunse alla base della scalinata si inginocchiò in segno di saluto, imitato dal soldato che lo annunciò. “L’Elemento d’Aria è qui, mio signore.”
    “Ah, ragazzo mio, finalmente!” esclamò il Sovrano con un sorriso. “Ti stavamo aspettando.”
    “I miei omaggi, Vostra Altezza. Sono Yuzo Shiroyama da Alastra e vorrei che perdonaste il mio increscioso ritardo-”
    “Oh, non darti pena per questo, l’importante è che ora anche tu sia qui, pronto per unirti ai tuoi nuovi compagni. Alzati pure.”
    Yuzo fece come gli era stato ordinato.
    “Visto che siete arrivati tutti” continuò Koudai Ozora “darò le ultime disposizioni per la vostra partenza, nel frattempo il Capitano Ramon Victorino ti accompagnerà alla stanza che ho fatto preparare per te, riposati se vuoi. Questa sera a cena vi comunicherò tutte le informazioni necessarie e all’alba di domani potrete finalmente mettervi in viaggio.”
    L’interpellato annuì, facendo un breve inchino. “Grazie, Vostra Altezza.” Seguì il soldato che lo scortò nuovamente attraverso altri corridoi e lunghe scalinate prima di fermarsi innanzi a una porta in legno scuro.
    “Siamo arrivati” disse Ramon aprendo l’uscio. “Questa è la vostra camera. Come detto dal Re, anche io vi consiglio di riposare il più possibile, non vi farà che bene.”
    L’Elemento d’Aria sorrise. “Grazie, Capitano Victorino, credo che seguirò il vostro suggerimento.”
    “Nel caso non dovessi incrociarvi: buona fortuna.”
    “Anche a voi, ne avrete molto più bisogno di me.” Fece un inchino che l’altro ricambiò con un saluto militare, prima di allontanarsi, pronto ad occuparsi nuovamente dei preparativi per la guerra.
    Yuzo entrò nella stanza, richiudendo la porta alle sue spalle e rimanendo finalmente solo.
    Sospirò profondamente, godendosi quel momento di silenzio. La capitale era troppo rumorosa per lui che era abituato alla calma di Alastra, al canto delle phaluat o a quello degli Elementi a lezione di Musicologia. Lì c’erano solo schiamazzi e grida concitate. Tutti indaffarati, tutti frenetici e la fretta gli metteva ansia e quando diveniva ansioso… combinava guai. Doveva cercare di recuperare una certa tranquillità e l’idea di riposarsi non era affatto malvagia, ma…
    Si avvicinò all’ampio terrazzo dai vetri aperti. Dall’alto poteva vedere gli uomini che si muovevano rapidamente come tante formichine portando cavalli, spostando merci e parlavano tutti assieme. Il loro chiacchiericcio lo raggiunse come un brusio, ma qualche voce riusciva a sovrastare le altre. Di lontano poteva scorgere le miniature delle case degli abitanti di Raskal.
    Scosse il capo, sospirando di nuovo: dov’erano i torrioni di Alastra?
    Quel paesaggio era sconosciuto e lui si sentiva un estraneo.
    Tutto ciò non lo aiutava affatto a rilassarsi.
    Osservò il cielo e solo quella immensa tavolozza carica dei colori del tramonto riuscì a strappargli un sorriso. Grazie a Yayoi, quello non era cambiato; almeno di giorno si sarebbe preservato identico a quello della sua Città Elementale, poi, alla sera, nuove stelle, diverse da quelle cui era abituato, avrebbero brillato sulla sua testa, rendendolo nuovamente uno straniero in terra straniera.
    Cercando di non lasciarsi sfuggire l’unico appiglio di tranquillità, si librò in volo raggiungendo la punta più alta della torre maggiore del castello degli Ozora, da lì si sarebbe goduto il suo ultimo attimo di pace.
    Con delicatezza si appollaiò sulle tegole del tetto spiovente dalla conica forma. Dal vertice partiva l’asta che reggeva la sventolante bandiera della famiglia reale.
    Rimase per un lungo istante con il naso all’insù a studiare le sfumature che, dall’arancio carico, scurivano all’indaco, poi mosse lo sguardo al panorama circostante. Vista da lassù, Raskal sembrava un gigantesco mosaico i cui tasselli erano le case. Riconobbe la Via Crociata, che univa la capitale con le terre del Nord e quelle del Sud e dalla quale partivano le biforcazioni che portavano alle città principali rette dai Doge(1). Se avesse guardato alle sue spalle, avrebbe visto anche il Mare, dato che il castello era collegato al porto. A dir la verità, lo aveva già osservato mentre era in volo e si era ripromesso che, al ritorno, si sarebbe fermato a guardarlo più da vicino, magari passeggiando sulla spiaggia, perché lo incuriosiva e gli piaceva come catturasse il riflesso del cielo.
    Era la prima volta che lo vedeva dal vivo. Alastra era troppo lontana dal mare e non c’erano nemmeno laghi nelle vicinanze, solo paesaggi sconfinati, montagne e pianure.
    Senza rendersene conto si sentì più tranquillo di quanto non fosse prima e sorrise pensando a quanto fosse taumaturgica la sola idea della sua scuola.
    Lentamente si portò una mano all’orecchio destro, giocherellando con il filo d’oro bianco del lungo orecchino alla cui estremità oscillava una piuma dello stesso materiale.
    “Ehi, tu! Lassù in cima!”
    D’un tratto, una voce che gridava a squarciagola si attirò la sua attenzione, facendolo sporgere per vedere chi lo stesse cercando.
    Yuzo acuì la vista, notando un giovane con i capelli ricci che si sbracciava come un ossesso per farsi vedere. “Sei l’Elemento d’Aria, vero?!” domandò ancora, continuando ad urlare, e lui rispose un: “Sì”, tentando di essere il meno rumoroso possibile.
    L’altro armeggiò con il terreno per qualche secondo e un attimo dopo Yuzo vide un enorme spuntone di roccia salire fino a lui, con il giovane seduto sopra.
    “Ah! Ero sicuro che fossi quello di Alastra!” esclamò lo sconosciuto con un sorriso. “Io sono Teppei Kisugi, l’Elemento di Terra, è un piacere conoscerti!”
    Lui ricambiò il suo sorriso. “Il piacere è mio, mi chiamo Yuzo Shiroyama.”
    “Ti stavamo aspettando! Che ne dici di scendere? così ti presento anche l’Elemento d’Acqua.”
    Perché no?
    Tanto avrebbe dovuto conoscerli comunque, anticipare i tempi non era una cattiva idea e si ritrovò ad annuire, alzandosi in piedi e cominciando a lievitare. “Mi farebbe molto piacere, fammi strada.”
    Lentamente il monolite su cui era seduto Teppei cominciò a ridursi, tornando nuovamente a far parte del terreno del cortile. Yuzo toccò il suolo poco dopo di lui che prese a camminare, tenendo le mani intrecciate dietro la testa e cominciando a raccontargli vita, morte e miracoli del suo viaggio per giungere alla capitale e di come il clima, lì, fosse totalmente diverso da quello di Tyran.
    Lui sorrise della sua parlantina sciolta e del suo entusiasmo, prendendolo immediatamente in simpatia.
    “Meno male che sei arrivato!” disse ad un tratto “Temevamo ti fossi perso!”
    Yuzo arrossì piuttosto in imbarazzo. “Veramente è così…” masticò, attirando l’occhiata sorpresa del suo interlocutore che sorrise e gli diede una pacca sulla spalla.
    “Prima volta alla capitale, eh? Invece per me è già la terza, ma ogni volta mi stupisco dei suoi paesaggi sempre in fiore. Ah! La loro ‘primavera perenne’! E’ pittoresca non trovi? E voi? Avete fiori ad Alastra? Me lo sono sempre chiesto, sai com’è… state in aria!”
    “Sì, ci sono” rispose Yuzo, trovando buffa la sfilza di parole che il suo interlocutore sapeva inanellare in tempi brevissimi. “Per lo più sono rampicanti come le edere o di fusto sottile come i glicini. Ma qui ce ne sono molti e molti di più.”
    Teppei annuì e poi si strinse nelle spalle. “Anche a Tyran ne abbiamo pochi, il clima non permette. Però è un peccato: un tocco di colore non guasterebbe ogni tanto.” Sorrise, aumentando il passo. “Ah! Ecco il Tritone!” esclamò, cominciando a gridare con il suo estroso modo di fare. “Ehi! Hajime!”
    Yuzo notò un giovane seduto sul muretto basso di un portico che, appena si sentì chiamare, si volse nella loro direzione e trasse un profondo sospiro. “Ssst! Teppei, dannazione! Vuoi smetterla di gridare?! Cerca di essere meno rumoroso, siamo al castello degli Ozora!”
    Il tyrano si sedette accanto a lui, grattandosi una tempia. “Oh, scusa. Hai ragione!” convenne, abbassando il tono. “Volevo presentarti l’Elemento d’Aria.”
    Il giovane, con dei buffi denti a coniglio, focalizzò la sua attenzione su Yuzo; si alzò ed esibì un sorriso. “Allora sei arrivato anche tu. Molto bene, io sono Hajime Taki da Agadir.”
    Lui rispose con un leggero inchino. “Piacere di conoscerti, mi chiamo Yuzo Shiroyama.”
    Tsk! Alla buon’ora!” esclamò un’altra voce in tono sprezzante, facendo sospirare il Tritone e alzare lo sguardo del giovane d’Aria fino ad incrociare una figura di spalle, che restava poggiata al parapetto della camminata sovrastante il portico. “Ce ne hai messo di tempo.”
    “Mamoru, cerca di essere meno scortese.” Lo rimproverò Hajime, ma l’altro si limitò a stringersi nelle spalle con indifferenza.
    Fu Teppei a prendere la parola. “Ah, Mamoru, lui è-”
    “Lo so benissimo” tagliò corto con asprezza, dandosi una spinta al muro ed effettuando un balzo che lo portò alle spalle di Yuzo. Quest’ultimo si volse, ritrovandosi due tizzoni color carbone a distanza ravvicinata, che lo guardavano con sufficienza.
    “E’ il volante” concluse Mamoru, con una smorfia.
    “Ah… pia-piacere…”
    “E’ tutto tuo.” Lo azzittì quello che Yuzo comprese essere l’Elemento di Fuoco, visto il temperamento. “Per caso ho assistito alla tua entrata in scena nel cortile degli armamenti. I miei complimenti, per poco i soldati dell’Armata non ti infilzavano come uno spiedo.” Il modo in cui sghignazzava non gli fece presagire nulla di buono.
    Yuzo arrossì, trovandosi in difficoltà. “Ah… ecco io… non volevo… è che…” ma la soggezione che gli mettevano gli occhi scuri del suo interlocutore, che erano neri come la pece e allo stesso modo ribollenti, non riuscì a fargli articolare una frase di senso compiuto.
    Tsk! Patetico” borbottò Mamoru, superandolo di alcuni passi. “Allora, grand’uomo, sentiamo: te la sei presa con comodo? I soldati si sono ammazzati dalle risate quando sei arrivato: forza, fa’ ridere anche noi.”
    “Mamoru vedi di smetterla” intervenne nuovamente Hajime “Lo stai mettendo in difficoltà.”
    Yuzo cercò di rispondere. “Mi dispiace, davvero… è che mi sono perso tra le correnti…”
    L’Elemento di Fuoco incrociò le braccia al petto, sgranando gli occhi. “Che cosa?! Oh, questa sì che è bella! Se sei il meglio che Alastra ha da offrire, non voglio nemmeno immaginare il resto!”
    “Beh, è la prima volta che viene qui! Cerca di non essere così duro con lui” furono le parole di Teppei, ma l’altro sembrava averla presa sul personale.
    “Sono solo scuse, e le scuse non ci faranno portare a termine la missione.”
    Non che avesse tutti i torti e Yuzo lo sapeva, per colpa del suo ritardo non si erano ancora messi in viaggio, ma tutto voleva tranne che ne nascesse una discussione.
    “Hai ragione” cominciò “ne sono davvero mortificato…”
    “E smettila di scusarti, sei irritante.” Lo zittì nuovamente con tono annoiato. “Ad ogni modo, io sono Mamoru Izawa da Fyar.” Lentamente prese a girargli attorno. “E tu… Shiroyama, dico bene? Parente di quel Shiroyama?”
    “E’ mio padre…”
    Mamoru emise un fischio. “Ma tu pensa! Niente po-po di meno che il figlio del Console dell’Aria! Occhio! Abbiamo un pezzo da novanta!” Poi gli si fermò davanti. “E dimmi un po’: paparino ti ha dato il permesso di lasciare il tuo angolo di Paradiso?”
    “Anche io, come tutti, devo sottostare agli ordini del Master, mio padre non c’entra…” rispose Yuzo, cercando di sostenere lo sguardo del suo interlocutore.
    “Ma non mi dire.”
    Per la terza volta, Hajime si sentì in dovere di intervenire. “Adesso basta, Mamoru. Il nostro viaggiò sarà decisamente lungo e gradirei che cominciassimo con il piede giusto, va bene?”
    “Massì, massì. Voglio solo chiarire un’ultima cosa…” Si strinse nelle spalle l'interpellato, facendo un altro passo verso l’Elemento d’Aria, che automaticamente indietreggiò. “…cerca di non crearmi problemi, volante, o ti rispedisco ad Alastra in un’urna cineraria. Hai capito?” E dal tono che aveva usato, Yuzo si convinse che avrebbe potuto farlo davvero.
    Con uno sforzo deglutì, annuendo piano, mentre l’altro esibiva un sorriso soddisfatto, volgendogli le spalle e allontanandosi di qualche passo. “Molto bene.”
    In quel momento, uno dei servitori reali comparve sotto ai colonnati, attirandosi la loro attenzione.
    “Giovani Elementi” salutò, con un inchino. “La cena è servita, se volete seguirmi.”
    Mamoru fu il primo a muoversi, mantenendo sempre un’espressione poco accomodante e seguito da un Hajime che sospirò pesantemente per il pessimo inizio con cui si preannunciava quella missione.
    “Elementi di Fuoco” mormorò invece Teppei all’indirizzo di uno Yuzo alquanto preoccupato. “Notoriamente dotati di un pessimo carattere, ma è anche vero che sono ‘tutto fumo e niente arrosto’. Non prendere troppo sul serio le sue parole, intesi?”
    Il volante annuì, ricambiando il sorriso con gratitudine e avviandosi insieme alla sala allestita per la cena.

    I candelabri che illuminavano la stanza erano sei.
    Quattro grandi, a otto braccia e posti agli angoli, erano i principali ed illuminavano l’intero ambiente, mentre gli altri due più piccoli, a cinque braccia, erano sistemati lungo la tavolata per rendere più nitidi i contorni e le minuzie.
    Il Re occupava una delle estremità del tavolo rettangolare, il Comandante Hongo sedeva alla sua destra e, di fronte a lui, c’era il Primo Ufficiale Hino.
    I quattro Elementi erano accanto ai membri dell’Armata, uno di fronte all’altro.
    “La Regina si scusa di non essere presente” cominciò il Re, indicando il posto vuoto accanto a sé “ma da quando è pervenuta la notizia della scomparsa di Tsubasa non si sente molto bene…”
    “Capiamo perfettamente, Sire” rispose Mamoru “E non dovete affatto scusarvi. Vostra Altezza fa bene a riposarsi.”
    Il Sovrano annuì con una certa mestizia. Si vedeva che era preoccupato per la sorte del figlio, e l’improvvisa quanto inevitabile guerra con Gamo non faceva che alimentare le sue ansie verso il futuro.
    “Nella notte termineremo gli ultimi preparativi per la vostra partenza” affermò, intrecciando le mani all’altezza del mento, mentre un uomo serviva la cena dal profumo invitante. Purtroppo, nessuno dei presenti, eccetto Teppei, riuscì a godere di quella delizia. Troppo presi dalle proprie responsabilità e dalle incognite che la guerra e il viaggio imminente avrebbero riservato loro, per poter prestare attenzione al cibo.
    Gli Elementi restarono per la maggior parte del tempo in silenzio, mentre Hongo metteva al corrente il Sovrano degli spostamenti delle guarnigioni che dal Sud cominciavano a muoversi verso la capitale, per marciare insieme alla volta del Nord. Il momento dello scontro era ancora lontano, ma ogni secondo era prezioso e non andava sprecato. Il Comandante gli parlò degli armamenti e, di tanto in tanto, Hino interveniva aggiungendo nuove informazioni.
    Mamoru ascoltava attentamente ogni loro singola parola, soprattutto quando venivano nominate le forze Elementali e come avrebbero dovuto disporsi sul campo di battaglia, quando intervenire, come.
    Non riuscì a non pensare a Fyar. Sicuramente i guerrieri dell’avanguardia stavano effettuando l’addestramento speciale, prima della partenza, diretti da Magister Schneider e, quando sarebbe giunto il momento di muoversi, si sarebbero levati in volo a cavallo di centinaia di màlayan: uno spettacolo che avrebbe tolto le parole di bocca a chiunque per la sua imponenza.
    Sospirò seccato, inarcando un sopracciglio e disinteressandosi alla conversazione. Avrebbe dovuto essere anche lui a prepararsi, invece era alla tavola del Re a fare salotto con uno stupido volante, un rozzo tyrano e un Tritone saputello. Certo, il suo desiderio più recondito, come no! Alzò lo sguardo su chi gli stava di fronte, storcendo il naso.
    Tsk!
    L’odioso.
    L’insulso.
    Lo stupido.
    Colui che, ne era sicuro, gli avrebbe creato solo problemi.
    Il maledetto volante era proprio lì, diametralmente opposto a lui, compostamente seduto e le mani sulle gambe. Manteneva lo sguardo basso sul piatto che aveva davanti senza realmente vederlo. Ascoltava anche lui i discorsi del Comandante e del Re e sentirli parlare di guerra, battaglie e strategie sembrava non piacergli affatto, vista l’espressione dispiaciuta.
    Mamoru scosse leggermente il capo con sufficienza. - Tsk! Mammoletta! - pensò. Ma perché quel cocco di mamma non ritornava ad Alastra a ricamar centrini, invece che giocare a fare l’eroe?
    Mosse lo sguardo a colui che stava accanto a Yuzo, sgranando gli occhi. Teppei si stava ingozzando senza ritegno, spazzolando tutto ciò che gli veniva messo davanti.
    “Ce n’è ancora?!” Lo sentì domandare all’indirizzo del servitore, che fece un rapido inchino annuendo e tagliando una porzione abbondante di arrosto.
    “Sei una fogna” mormorò Hajime, bevendo un sorso di vino e Mamoru non poté non pensare: - Parole sante! -.
    Infine, l’Elemento di Fuoco inquadrò il Tritone, accanto a lui.
    “Hai finito di scrutarci tutti?” Gli domandò Hajime a sorpresa, osservandolo a sua volta.
    Mamoru sorrise con ironia. “Sì, mi ritengo soddisfatto. Tanto, volente o nolente, vi avrò costantemente davanti, no?”
    L’altro ricambiò il sorrisetto risaputo. “Vero” accordò, continuando a bere il suo vino. “Mi raccomando, però, cerca di essere… tollerante.” E sottolineò quell’ultima parola con una verve particolare, come se avesse un riferimento ben preciso e non ci volle molto perché Mamoru ne capisse il senso.
    “Vedremo” disse infatti, spostando lo sguardo sul volante.
    In quel momento, il Re attirò la loro attenzione. “Molto bene, Elementi, veniamo a voi” cominciò, cambiando posizione sullo scranno e disegnando un sorriso quantomeno stanco. “Scusate se non vi ho dedicato la massima attenzione, ma ci sono così tante cose da preparare e rivedere, che è difficile star dietro a tutte.”
    “Il ruolo del Sovrano è sempre fonte di innumerevoli impegni, quindi, non datevi pena anche per noi” affermò Hajime con cortesia prima di aggiungere in tono più serio. “Piuttosto… non ci sono state altre novità dopo la partenza dei Master da Raskal?”
    Koudai Ozora sospirò. “A dire il vero, abbiamo ricevuto una missiva dal Doge di Nankatsu, alcune settimane fa. La città guidata dai Nakazawa era l’ultima tappa del viaggio di Tsubasa. Al suo ritorno, avrebbe dovuto portare con sé la giovane figlia del Doge, Sanae, per sposarla nel giorno dell’incoronazione…” si passò una mano sugli occhi, massaggiandoli “…ma, stando a quello che c’è scritto nella missiva, Tsubasa non è mai giunto a destinazione.” Sospirò “E c’è di peggio: sembra che molte altre città non siano state raggiunte.”
    “Quindi il Principe è stato fermato molto prima…” disse Hajime con aria meditabonda.
    “Sì, ma perché? E dove?” sbottò il Re, perdendo per un momento il suo nobile autocontrollo in favore dello spirito paterno. “E, soprattutto, ad opera di chi?” Scosse il capo con rassegnazione. “Sono giorni che me lo domando, formulando le ipotesi più assurde, ma è tutto inutile. E l’assenza di una richiesta di riscatto mi preoccupa ancora di più, se possibile…”
    “Restare qui a fare congetture non ci servirà a trovare il Principe” intervenne bruscamente Mamoru. “Ed abbiamo già perso fin troppo tempo.” Lanciò un’occhiata traversa a Yuzo che distolse lo sguardo, cogliendo il poco velato riferimento. “Non possiamo far altro che partire e verificare direttamente ciò che i fatti lasciano supporre…”
    “Ovvero?” Teppei inarcò un sopracciglio.
    “Stregoni” affermò cupamente, facendo scattare Hajime.
    “Stregoni?! Ma non abbiamo nessuna prova che-”
    “Questo è vero, ma la scomparsa del Principe proprio ora che siamo in guerra… è una coincidenza che non mi convince affatto. Dal Nero ci si potrebbe aspettare di tutto.”
    Yuzo non poté non annuire alle sue parole, convenendo con lui.
    “Anche questo è vero” sospirò il Re “ma fino a che non si avrà la certezza di ciò che è successo, vorrei che foste il più discreti possibile e che riduceste al minimo l’utilizzo dei vostri poteri: meno darete nell’occhio, meglio sarà. Il responsabile di questa missione sarà Izawa del Fuoco. Taki dell’Acqua farà da Navigatore, Shiroyama dell’Aria sarà il Diplomatico e Kisugi della Terra il vostro Braccio Armato. Vi fornirò una mappa in cui sono segnate tutte le tappe del viaggio di Tsubasa: non dovrete fare altro che ripercorrere il suo stesso tragitto… sperando di trovarlo.”
    “Lo troveremo” confermò Mamoru “Statene certo.”
    “Mi fido di voi” concluse il Re con un sorriso stentato, alzandosi in piedi e venendo imitato da tutti gli altri. “Spero perdonerete se mi ritiro: ho ancora molte cose da fare e i minuti contati per tutto.”
    Gli altri annuirono con un inchino, lasciando anche loro la sala e dirigendosi alle proprie stanze; per quanto fosse relativamente presto, risparmiare tutte le energie possibili in vista del giorno dopo era la cosa più sensata da fare.
    Yuzo richiuse la porta della sua camera, avviandosi quasi meccanicamente alla terrazza che dava sui cortili.
    I servitori e i soldati erano ancora in movimento e quel via vai sarebbe durato sicuramente fino al momento cruciale in cui l’Armata sarebbe partita per il Nord.
    I discorsi sulla guerra gli avevano praticamente stroncato il già poco appetito, e a tavola aveva mangiato quasi nulla. Inoltre, il solo pensiero che anche ad Alastra si stavano preparando a combattere gli faceva venire la nausea. Sperava solo che il conflitto non si estendesse fino alla Piana di Bryzla, ma si vergognò del suo egoistico pensiero, tirando un profondo respiro.
    In teoria, la guerra non avrebbe dovuto essere la sua principale preoccupazione visto che lui si sarebbe mosso nella direzione opposta, ma non poteva non sperare che lo scontro rimanesse entro i confini del Nord: se fossero arrivati fin nei centri abitati, sarebbe stata una strage.
    Lentamente si accomodò sulla ringhiera del terrazzo, inspirando la piacevole brezza serale raskana che veniva dal mare, portando con sé l’odore di salsedine. Era un profumo nuovo per lui, ma non gli dispiaceva affatto e rimase a goderne ancora un po’, con i piedi ciondolanti nel vuoto e pensando ai suoi compagni di missione.
    Doveva ammettere che erano davvero simpatici. Almeno… lo erano Hajime e Teppei. In quanto a Mamoru… beh… si sarebbe potuto dire qualsiasi cosa di lui, tranne che fosse simpatico.
    Sospirò con preoccupazione. Quel tipo gli avrebbe reso tutto più difficile e non era che fosse chissà quanto entusiasta di passare i prossimi mesi in compagnia di una persona che lo rimproverava anche per il semplice fatto che stesse respirando. Poteva capire che si fosse alterato per il suo ritardo, ma, accidenti!, si era scusato per quello! Che altro avrebbe dovuto fare?
    Scosse il capo convinto del fatto che, se anche lui fosse giunto a Raskal nei tempi prestabiliti, Mamoru avrebbe avuto qualche altro motivo per dargli contro. Doveva proprio essere nel suo carattere l’asprezza.
    Un refolo di vento sospinse un petalo davanti a lui, che lo afferrò prima che potesse allontanarsi. Era piccolo all’interno del suo palmo. Yuzo lo osservò con un sorriso. Chissà a che pianta apparteneva. Certo che Teppei aveva ragione: lì nella capitale c’erano tantissimi fiori, molti dei quali lui aveva visto solo sui libri. Un altro petalo, simile al precendente, svolazzò sospinto dalla brezza, attirandosi la sua attenzione. Si domandò da dove provenissero e notò con sorpresa come nell’aria se ne tracciasse quasi una scia. Sembravano coriandoli, ed erano uno spettacolo piacevole a vedersi.
    Il volante si diede una leggera spinta, cominciando a lievitare e ricercando la fonte di quella pioggia leggera, seguendo a ritroso il loro percorso.
    Quello che vide gli disegnò un largo sorriso sull’espressione di pura meraviglia.
    Dietro ad una delle torri, c’era una grandissima terrazza piena di alberi in fiore. Non ne aveva mai visti tanti tutti insieme: ad Alastra c’erano per lo più glicini dai fiori a grappolo, ma quello scenario sapeva togliere il fiato.
    Lentamente toccò terra, poggiando i piedi su quel tappeto di migliaia di petali sparsi e altrettanti presero a volteggiare intorno alla sua figura con delicatezza.
    “Mai visto niente di simile” mormorò a sé stesso, guardandosi intorno. “Chissà che alberi sono…”
    “Ciliegi” rispose lapidaria una voce. Yuzo non capì immediatamente da dove provenisse, fino a che non inquadrò una sagoma comodamente seduta sul ramo di uno degli alberi in questione.
    E forse avrebbe dovuto capirlo dal tono che era lui, ma fu solo quando il giovane saltò giù dalla sua posizione che Yuzo lo riconobbe. “Ah! Mamoru…”
    “Mai visto ciliegi in vita tua?” domandò la Fiamma con asprezza e le braccia incrociate. L’interloquito si limitò a scuotere il capo, strappandogli un verso di disappunto. “Ma dove vivi?!”
    “Ad Alastra non ci sono ciliegi…”
    “Non esiste solo Alastra, lo sai?”
    Lo stava prendendo bellamente in giro senza nemmeno premurarsi di nasconderlo.
    Yuzo abbassò lo sguardo, mentre l’altro lo superava, sedendosi sul davanzale di quella terrazza dalla quale era visibile un meraviglioso scorcio della capitale illuminata dalle luci provenienti dalle case e dalle strade.
    “Mi dispiace” esordì il volante dopo un momento di silenzio “magari ti ho disturbato, non pensavo fossi qui.” Si librò in volo pronto a darsi alla fuga, quando Mamoru lo bloccò che era a mezz’aria.
    “Aspetta” disse in tono quasi rassegnato “Non c’è bisogno che te ne vada. Siedi.” Indicò lo spazio sulla ringhiera accanto a lui con un cenno del capo, e Yuzo non seppe se sentirsi più perplesso perché gli aveva detto di non andarsene o perché lo aveva addirittura invitato a fargli compagnia. Ma, indipendentemente da tutto, preferì non contraddirlo e fece come gli aveva chiesto, accomodandosi sulla lastra di marmo.
    Per quanto non potesse vederlo in viso, perché non aveva il coraggio di voltarsi e fingeva di godersi il panorama, l’Elemento d’Aria avvertì su di sé lo sguardo di quello del Fuoco che rimase a fissarlo per alcuni minuti, senza dire una parola.
    Poi, Yuzo gli sentì sbuffare un sorriso. “Va bene, volante. Ammetto che Hajime non ha tutti i torti nel dire che il viaggio sarà lungo, e io e te non abbiamo cominciato nel migliore dei modi, ma siamo ancora in tempo per rimediare, che ne dici?”
    L’Elemento d’Aria non rispose subito, come se stesse valutando le sue parole, poi si volse per incrociare il suo sguardo. “Io non ti sono simpatico, vero?”. L'altro si passò una mano nei lunghi capelli scuri, cambiando posizione.
    “Ma non è che non mi sei simpatico tu in quanto… tu! Ma in quanto volante!” Assunse un’espressione disgustata “Detesto quelli come te! Mi irritano: sempre così pacifici, sorridenti, imperturbabili. Mi date l’orticaria! Avete quella perenne aria di arrogante ingenuità verso ciò che vi circonda…”
    Yuzo lo interruppe, scuotendo il capo. “Non criticare ciò che siamo senza conoscere ciò che si cela dietro di noi” spiegò con calma “Il nostro autocontrollo è frutto di rigore e disciplina; meditazione portata avanti fin dal Livello Asylum Lower.” E sospirò profondamente, mentre l’altro continuava ad ascoltarlo. “L’Aria è un Elemento fin troppo mutevole che non deve essere utilizzato da persone interiormente instabili: potrebbe avere effetti devastanti. Quindi, il nostro essere irreprensibili non è dovuto ad un atteggiamento di superiorità nei confronti degli altri, solo… non possiamo permetterci di perdere la lucidità delle nostre azioni.”
    Mamoru si strinse nelle spalle, apparendo alquanto scettico alle sue parole, infatti disse: “Sarà come dici tu, ma mi date sui nervi.” Poi abbozzò un sorriso sghembo. “Vedremo se saprai farmi cambiare idea, ne abbiamo di tempo” Gli tese la mano. “Tregua?”
    Yuzo rispose al suo sorriso. In fondo, Mamoru non era poi così male come sembrava, certo il suo carattere non brillava per la cortesia, però… chissà che sotto la scorza ruvida non fosse così aspro come dava a vedere.
    “Tregua” confermò stringendo le sue dita.

    Alta la Luna sulla capitale
    sono ancora lontane le forze del Male.
    E ognuno ricerca dell’altro il pregio,
    tra soffi di vento e fior di ciliegio.


    [1]DOGE: la figura del Doge mi è stata ispirata dalla storia nostrana! XD Ma, in accezione obsoleta, sta anche a significare ‘comandante’, ‘capo’ (cfr De Mauro on-line). Il nome mi piaceva e visto che mi serviva una ‘carica pubblica’, per coloro che ricoprivano i ruoli di comando delle varie città appartenenti al regno degli Ozora, ho voluto ‘prenderlo in prestito’ dalla storia italiana dell’VIII / XVIII secolo. Come si vedrà nel proseguimento della storia, i Doge sono funzionari che tramandano la loro carica in maniera ereditaria e si occupano di far rispettare le leggi del Re nelle città a loro affidate. Hanno al loro servizio tre o quattro sottofunzionari (burocraziiiiiia! Anche su Elementia c’è la burocraziiiiiia!) e una guarnigione dell’Armata Reale che prende il nome di Guardia Cittadina.


    …Il Giardino Elementale…

    Finalmente i nostri eroi hanno avuto modo di conoscersi, per quanto non per tutti siano stati rosa e fiori.
    Cosa riserverà loro questo viaggio dall’esito incerto?
    E gli Elementi di Aria e Fuoco riusciranno ad appianare le loro innumerevoli divergenze, mantenendo fede alla ‘tregua’ stabilita?
    Ma, soprattutto, gli Elementi di Terra ed Acqua sapranno tenerli a bada?
    L’avventura comincia da qui…

    Galleria di Fanart (una nuova fanart)

    - L’Elemento di Fuoco Mamoru Izawa

    L'Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

    2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

    Akuma: T___T ogni tua recensione mi commuove perché sei sempre fin troppo gentile con me e la cosa non può che farmi un piacere immenso.
    Testaccia com’è, Napoleon non poteva non essere un Magister del Fuoco. XD e giusto per sottolineare la loro opposizione di condotta: Pierre è Magister dell’Aria! XD
    E Kira ce lo vedevo benissimo circondato da alambicchi e cianfrusaglie varie, sempre con la sua barbetta incolta ed i capelli spettinati a mo’ di scienziato pazzo! XD
    Il capitolo appena terminato possiamo dire che è un po’ di ‘transizione’: ‘sti poveri figli devono avere un momento di calma, prima che incomincino i guai seri, o no?! XDDDDD
    (R&R, ovviamente, sono affiancati! XDDDDD)

    Solarial: Ammurina!*_* grazie mille per i tuoi complimenti! Se c'è una cosa che adoro in questo genere di fic è proprio creare l'ambientazione! XDDDD E, soprattutto, sono contenta quando il lavoro fatto viene apprezzato! T___T grazie anche a te, cara! Sono contenta di riuscire a strapparti anche qualche sorrisino *______*

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    Capitolo 7
    *** 4 - Avventura nel deserto ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 4: Avventura nel deserto

    Via Crociata – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    “E così vi conoscevate già?" Yuzo era entusiasta della rivelazione di Hajime.
    Quest’ultimo annuì, cavalcando accanto a lui e Teppei. “Sì, veniamo entrambi da Ilar, una città dell’Est non molto lontana dalla Piana di Bryzla.”
    “E ti dirò di più!” intervenne l’Elemento di Terra “Eravamo vicini di casa e le nostre madri erano amiche da tempo! Praticamente, i primi quattro anni di vita li abbiamo trascorsi sempre insieme!”
    “Poi siamo stati mandati alle Città Elementali” concluse il Tritone.
    “Come mai scuole diverse?” si incuriosì il volante e Hajime si strinse nelle spalle.
    “Tradizioni di famiglia. I nostri padri sono Minister ad Ilar, rispettivamente di Acqua e di Terra, e con due figli maschi, beh, era ovvio che scegliessero per loro la via Elementale.”
    “Questo è vero, ma quando mi dissero che sarei dovuto partire per Tyran e che non ci saremmo rivisti per tanto tempo, piansi come un disperato!” raccontò Teppei con un sorriso. “Ero più triste del fatto di lasciare il mio migliore amico che i miei genitori!”
    “Me lo ricordo! Strepitavi ogni santo giorno, tua madre non sapeva più come fare per calmarti!”
    Teppei si grattò la nuca, ridacchiando, leggermente imbarazzato. “Sì, ero tremendo!” poi si rivolse al volante “Per te, invece, sarà stato più semplice: avevi comunque tuo padre alla Scuola, all’epoca era il Master di Alastra, no?”
    Yuzo sospirò, distendendo le labbra in un sorriso. “Sì, eppure, nonostante tutto, lo vedevo relativamente poco. In qualità di Master era sempre molto impegnato” scrollò le spalle “riunioni, viaggi. Quando era libero cenavamo insieme, ma capitava molto di rado.”
    “Oh, capisco…” annuì l’Elemento di Terra, visibilmente dispiaciuto. Aveva sempre creduto che essere figli del capo della scuola rendesse le cose molto più facili, invece il volante gli aveva appena detto che non cambiava quasi nulla, anzi, forse Yuzo vedeva il padre ancor meno dei suoi compagni. "Immagino che ora che è diventato Console, le cose siano peggiorate.”
    “Già: se riusciamo a vederci due/tre volte all’anno è un gran traguardo” Ma riuscì ugualmente a sorridere con serenità. “Mi consolo sapendo che anche questo incarico terminerà, un giorno.” Poi alzò volutamente la voce. “Quindi, non ho chissà che privilegi.”
    E Mamoru, che cavalcava un paio di metri più avanti, mugugnò, cogliendo la sottile frecciata. Il volante ridacchiò.
    L’ottimismo di quest’ultimo si trasmise con entusiasmo anche a Teppei, che annuì con decisione al suo positivistico pensiero, rivolgendosi poi proprio all’Elemento di Fyar. “E tu, Mamoru? Sei diventato Elemento per seguire le orme di tuo padre?”
    L’interpellato sbuffò con noia. “Spettegolare dei fatti miei non rientra nella missione.”
    Quella risposta gli fece ottenere una linguaccia di rimando da parte del tyrano che masticò un: “Antipatico!”, tornando a far chiacchiere con Yuzo.
    Hajime, invece, spronò leggermente la sua cavalcatura, raggiungendo il compagno e cominciando a marciare accanto a lui.
    “Vedo che stai seguendo il mio consiglio” esordì con un mezzo sorriso. “Non gli hai dato contro nemmeno una volta da che siamo partiti.”
    “Non ha fatto alcun danno, almeno per il momento.” Spiegò la Fiamma senza nemmeno voltarsi. “Quindi non c’era motivo che intervenissi.”
    “Meglio così” sospirò il Tritone, rilassandosi, ma l’altro si affrettò ad aggiungere.
    “Ciò non toglie che, se dovesse fare un passo falso, non avrò la mano leggera.”
    “Non ne avevo dubbi.” Si sforzò di trattenere una risata e Mamoru arricciò il naso con stizza.
    Avevano lasciato Raskal da circa tre settimane e a lui non sembrava vero che stesse filando tutto liscio. Sapendo chi erano i suoi compagni di viaggio, gli sembrò un miracolo. Soprattutto, il volante si stava comportando bene, per quando sapesse che fosse solo una mera questione di tempo: prima o poi, avrebbe provato l’istinto omicida nei suoi confronti.
    Ad ogni modo, doveva ammettere che come diplomatico ci sapeva dannatamente fare. I Doge con i quali avevano parlato si erano mostrati subito disponibili nei confronti di Yuzo, e avevano risposto a tutte le sue domande. Solo una volta, Mamoru aveva tentato di dire la sua e il Doge lo aveva squadrato con aspra diffidenza. Va beh, forse era stato troppo perentorio nelle sue richieste… o era meglio dire arrogante e presuntuoso?
    Sbuffò. Ciò non toglieva che con il volante tutti fossero delle affabili pecorelle. Forse per via del suo viso pulito e i modi cortesi. Tutta roba che, con quelli come lui, non attaccava in nessuna maniera, anzi, lo facevano irritare. E Mamoru, sotto sotto, non aspettava altro il famoso passo falso per poter tornare a odiarlo liberamente alla faccia di Hajime che non avrebbe potuto rinfacciargli di non aver almeno tentato di andarci d’accordo.
    Le labbra si tesero in una smorfia sorridente, mentre continuava a tenere sotto controllo la via davanti a sé.
    “Tu non sei normale.” Lo stuzzicò il Tritone, attirandosi la coda del suo occhio. “Prima sbuffi, poi ridacchi senza alcun apparente motivo. Si può sapere che stai pensando?”
    “Devo rendere atto anche dei miei pensieri, adesso?”
    “Beh, se non sono rivolti a ‘come rompere le scatole a Yuzo’, allora no.”
    L’Elemento di Fyar ringhiò qualcosa di incomprensibile, girandogli la faccia, e stavolta fu Hajime a ridacchiare.
    Le voci del volante e di Teppei li raggiunsero nuovamente.
    “E’ stata una vera sorpresa per entrambi ritrovarsi alla capitale e scoprire di dover prendere parte alla medesima missione.” spiegò l’Elemento di Terra.
    “Un’incredibile coincidenza. Siete stati davvero molto fortunati.”
    “Già! Pensa che, per essere scelto, ho dovuto battermi con due dei migliori guerrieri di Tyran!”
    “Davvero?!”
    “Ci siamo affrontati nell’Arena principale e, modestamente, ho vinto!” concluse Teppei gongolandosi della sua impresa, ma subito Mamoru intervenne sghignazzando.
    “Meno male che erano i migliori…”
    “Qualcosa da ridire, Izawa da Fyar?” rimbrottò il compagno in tono velatamente minaccioso. “Tu che parli tanto, come sei stato selezionato?”
    L’interpellato si strinse nelle spalle. “E chi lo sa? Magari hanno lanciato la monetina. Per quel che mi riguarda, potevano anche mandarci qualcun altro. Io avrei di sicuro preferito non essere qui.”
    Teppei si infervorò a quella risposta, asserendo con severità. “Quello che dici è un oltraggio verso la Famiglia Reale! Trovi che la vita del Principe non sia abbastanza importante per scomodarti?”
    “Pensala un po’ come ti pare” rispose asettico. “Se non me ne fregasse nulla di Elementia, non avrei firmato per essere uno dei soldati dell’avanguardia di Fyar. Però, su una cosa siamo d’accordo: del Principe non me ne importa un accidente. È solo un uomo come tanti, e gli uomini vanno e vengono.”
    Yuzo inarcò un sopracciglio a quella risposta: Mamoru era terribilmente cinico certe volte.
    “E qui ti sbagli!” sbottò Teppei “Io non credo affatto che il Principe sia una persona qualunque: ricorda che è stata la Chiave stessa a sceglierlo e non era mai accaduto niente di simile! Credi ancora che sia uno come gli altri?!”
    L’Elemento di Fyar sbuffò. “La Chiave! La Chiave! Tutti che parlano della Chiave Elementale! Ma tu sai cos’è? L’hai mai vista? Io no e francamente comincio a credere che non esista!”
    “La Chiave è ciò che le Dee ci hanno lasciato insieme alla Magia! Solo i Consoli e il Re sanno cosa sia di preciso. Vorresti metterti contro la parola del Consiglio Anziani?!” Adesso il tyrano si stava letteralmente alterando. Si girò a guardare Yuzo. “Tuo padre è uno dei quattro, non ti ha mai parlato della Chiave?! Non gli hai mai chiesto nulla?!”
    Il volante sospirò, scavando nei ricordi. “Una volta entrammo in argomento, ma lui mi disse solo che nel momento in cui la Chiave Elementale avesse scelto il giusto possessore a cui donare i suoi poteri, si sarebbe mostrata al mondo nel suo vero aspetto. Niente di più, si era già sbottonato abbastanza.”
    E per Teppei fu più che sufficiente, perché si volse nuovamente ad inquadrare la schiena di Mamoru. “Sentito?! Troviamo il Principe e troveremo la Chiave, così la smetterai di fare lo scettico!”
    Mamoru si limitò a stringersi nelle spalle. “Mah, staremo a vedere.”
    “Non toccare a Teppei i suoi saldi principi o rischi di fartelo nemico!” mormorò Hajime all’Elemento di Fuoco, che abbozzò un sorriso sghembo.
    “Me ne sono accorto.”
    Entrambi si voltarono a guardare il giovane di Tyran che continuava a rimbrottare con Yuzo, contro Mamoru: “Quanto è antipatico quando fa così!”

    Huria, Città-fortezza dell’AlfaOmegaRegno degli Ozora, Valle della Meteora, Terre del Nord

    Sul pavimento si sentiva solo il lento strisciare del lungo mantello nero che aveva appuntato sulle spalle: aveva il cappuccio, tirato sulla testa a celarne lo sguardo, e la ‘α’ e la ‘Ω’ ricamate in filo dorato. Dei suoi passi, non si avvertiva nemmeno il più sottile scalpiccio e questo suo essere silenzioso lo faceva paragonare a un fantasma, certe volte, e aumentava l’aura di timore reverenziale che si portava dietro.
    Si fermò davanti la grande vetrata della sala in cui si trovavano alcuni dei suoi adepti più potenti; aspettavano, seduti attorno al tavolo rettangolare, che lui commentasse le ultime novità che la rete di spie aveva carpito scivolando nei vicoli bui di Raskal e ammaliando guardie e servitù con neri incanti.
    All’esterno, le tempeste di polvere meteoritica continuavano a imperversare come sempre accadeva in quel periodo dell’anno.
    Degli Stregoni che si muovevano dabbasso era possibile scorgerne solo gli aloni di luce purpurea della magia che stavano utilizzando per camminare nella tormenta.
    “Quattro Elementi, giusto?” fece eco senza voltarsi e tenendo le mani nascoste nelle ampie maniche della tunica.
    Uno dei convitati rispose. “Esattamente, potente Nero. Le nostre spie hanno detto che i giovani provenienti dalle scuole hanno lasciato Raskal circa tre settimane fa, muovendosi in direzione Sud.”
    “Proprio dalla parte opposta al fronte” ci tenne a sottolineare un altro dei partecipanti.
    Il Nero non rispose subito, continuando a guardare l’esterno e lasciando che il silenzio tornasse a dominare la stanza per qualche momento.
    “E così, il Re si è finalmente deciso a cercare Tsubasa.” Poi sorrise. “Se l’è presa comoda! Credevo che lo lasciassero marcire al Sud.”
    Una terza figura emerse dall’ombra che le candele sparse per la stanza non riuscivano a lambire. Tintinnare di collane ai suoi movimenti e un tono confidenziale nei riguardi dello Stregone più potente di Elementia, l’unico che si permetteva di farlo senza essere ucciso all’istante.
    “Beh, converrai con me che Koudai Ozora sia stato molto impegnato a causa dello scontro con Gamo e che gli Elementi non usufruiscono dei nostri comodi Aprivarco, ergo, i loro tempi di viaggio sono molto più lunghi.”
    L’altro scrollò le spalle. “Anche questo è vero.”
    “Li hanno abbigliati con indumenti normali e non stanno usando i loro poteri, per il momento” precisò il secondo che aveva parlato. La sua capigliatura, di un biondo dorato, risaltava sugli abiti scuri e nella penombra, come i vividi occhi azzurri.
    “Cercano di non dare nell’occhio, Fredericks(1)” dedusse il Nero “per non attirare attenzioni sgradite come le nostre. Apprezzabile.” E parlava come se il problema non lo riguardasse minimamente.
    “E allora?!” sbottò aspramente una quarta persona seduta al tavolo. “Noi cosa dovremmo fare?!”
    La guida dell’AlfaOmega spostò leggermente il capo nella sua direzione. “Niente. Perché? Dovremmo fare qualcosa?” Il tono tranquillo e affabile. Si faceva scivolare tutto addosso con una calma invidiabile, forse perché era perfettamente conscio di essere quasi imbattibile. Magari solo i Master messi assieme avrebbero potuto tenerlo vivacemente impegnato, mentre i Consoli non erano che vecchietti incartapecoriti paragonati a lui. “Mi spiegate perché dovete preoccuparvi così tanto per quattro ragazzi che non sono nemmeno Minister?” Scosse il capo, tornando ad interessarsi dell’esterno. “Il viaggio per il Sud è molto più lungo di quanto voi e loro possiate immaginare. Chi vi dice che arriveranno vivi alla meta?”
    “Sì, ma se si dovessero avvicinare troppo, cosa…”
    “Se si dovessero avvicinare troppo” lo interruppe il Nero “allora vedremo se eliminarli o no.” Poi si rivolse nuovamente al suo uomo più fidato, che continuava a restare in piedi. “Alla base Sud non ci sono i fratelli Konsawat?”
    “Sì, sono loro i responsabili.”
    “Allora non c’è di che preoccuparsi” annuì con serenità, ma il quarto non sembrò essere particolarmente d’accordo.
    “Mio Signore, voi la state prendendo troppo alla leggera!” disse quasi con rimprovero “Dovremmo eliminarli subito invece di-”
    “Stolto.” Il Nero lo zittì con uno sbuffo. “Se li eliminassimo ora, il Re finirebbe con l’insospettirsi e ne manderebbe altri. Non potremmo più lavorare con tranquillità. Ci vorranno mesi prima che raggiungano la base a Sud, abbiamo tutto il tempo. Gradirei che pensaste, prima di farvi prendere dalla foga.” Lo ammonì, venando di sottile asprezza le parole, poi sollevò una mano senza nemmeno voltarsi. “Inoltre, detesto che si usi quel tono con me. Ni he nat.”Un’ombra scura scivolò dalle sue dita, avvinghiandosi con forza attorno alla gola dell'incauto Stregone. Lo sollevò senza sforzo e lo fece contorcere nel tentativo di liberarsi.
    “Bada a te, Igawa(2)” sibilò, lanciandolo lontano sino a farlo impattare con la parete e cadere al suolo. La mano di tenebra scomparve, permettendo ai polmoni del malcapitato di tornare a incamerare aria. “La prossima volta non sarò così clemente.”
    “S-sì… Nero…” biascicò l'altro tra i violenti colpi di tosse.
    Il Signore degli Stregoni sospirò, riacquistando la sua serafica calma. “Ad ogni modo, visto che vi fanno tanta paura, continueremo a tenerli d’occhio. Va bene?” Sembrava quasi una madre stanca che cedeva briciole ai propri figli per farli stare buoni. Lo stesso tono accondiscendente.
    “Sì, Signore” risposero in coro Fredericks e l’altro di nome Dick(3) che, come lui, era rimasto seduto al tavolo; mentre Igawa si alzava lentamente massaggiandosi il collo.
    “Potete andare ora. E che la malefica Kumi sia dalla vostra.”
    I tre Stregoni fecero una breve riverenza, abbandonando finalmente la stanza.
    Con un leggero gesto della mano, la maggior parte delle candele si spense sotto l’azione di un refolo di vento nato all’improvviso e solo quelle che illuminavano la sua sedia al tavolo rettangolare rimasero accese.
    Una volta soli, l’uomo con le collane lo raggiunse presso la finestra. Il Nero ne percepì i movimenti dall’acuto tintinnio dei preziosi. Appena lo ebbe accanto, parlò.
    “Tsubasa non ha ancora rivelato dove ha nascosto la Chiave Elementale, vero?”
    L’altro scosse lentamente il capo. “No, continua a tacere.” Poi abbozzò un sorriso quasi affettuoso nei confronti del loro prigioniero. “E’ davvero un ragazzo ostinato, sai? Tenace, leale… non mi sorprende che la Chiave abbia scelto lui come suo possessore.”
    “Sono d’accordo, ma anche io sono un osso duro, dovresti saperlo, e ho tanta, tanta, tanta pazienza. L’attesa non mi spaventa, Tsubasa cederà.”
    Una volta che avrebbe avuto quell’oggetto sacro, nessuno avrebbe mai più potuto seriamente impensierire la sua posizione di comando. Ma se il Principe fosse in qualche modo riuscito a usare la Chiave contro di lui… forse non ne sarebbe uscito vincitore, per questo doveva trovarla e sfruttare lo stupido pretesto della guerra per poter togliersi dai piedi i reali e i Master. Le Scuole Elementali sarebbero finalmente cadute e lui avrebbe dimostrato che la Magia Nera era la più potente di tutte.
    “Con Gamo come la mettiamo?” riprese l’altro “Quando hai intenzione di dirgli che il Principe è gradito ospite della nostra base al Sud?”
    Il Nero sorrise divertito. “Massì, massì. Glielo dirò, prima o poi… quando non avrò più bisogno di lui, magari.” E scosse il capo con ironia. “Minato è davvero convinto che prenderà il posto di Koudai Ozora alla guida di Elementia e io sostituirò le quattro Scuole con l’AlfaOmega. Ed è anche convinto che lo servirò!” ridacchiò ancora “Ma tu lo facevi grande, grosso e così ingenuo?”
    “Beh, gli hai fatto credere che farai esattamente ciò che hai appena detto.”
    “Allora è doppiamente stupido. Fossi stato al suo posto, non mi sarei mai fidato di uno Stregone che si fa chiamare il Nero!”
    L’altro scrollò le spalle. “E allora mi spieghi perché hai deciso di unirti a lui? Ti confesso che ancora non l’ho capito: il Principe è nelle nostre mani da molto prima che Minato venisse a proporti di appoggiarlo. Se glielo avessimo consegnato, Gamo avrebbe avuto la vittoria su di un piatto d’argento.”
    Il Nero si tolse la buffa, passandosi una mano tra gli intricati e scuri capelli rasta; gli occhi, altrettanto scuri, ma attenti e curiosi, continuavano a scrutare l’esterno “Oh, ma così è più divertente!” esordì ridacchiando e tradendo la sua vera età che lo vedeva poco più che diciottenne. “E poi, vuoi mettere la comodità? Visto che loro potrebbero essere dei prigionieri pericolosi in futuro, lascia che si sterminino da soli. Ricorda che le forze Elementali sono maggiori rispetto alle nostre, uomini in più non possono che farci comodo.”
    Il giovane al suo fianco sospirò rassegnato. “A volte ti comporti proprio come un ragazzino, lo sai, Natureza(4)?”
    Il Nero lo guardò sorridente. “Questa è buona, fratello! Io sono un ragazzino!”

    Poli-Poli Desert Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Hajime afferrò il lungo fazzoletto che aveva nella tasca e lo strinse saldamente tra le mani; si concentrò, mentre una sottile goccia di sudore scivolava lungo la tempia. Quando rilasciò la stoffa, essa era pregna d’acqua. Sospirò, avvolgendosela attorno alla testa a mo’ di turbante, per ricercare un po’ di refrigerio nella calura del Sole che picchiava violentemente su di loro. Ma, come Elemento d’Acqua, solo lui sembrava soffrirne particolarmente: per Mamoru era una tiepida temperatura, mentre Teppei e Yuzo non sudavano nemmeno. Lui si sarebbe disidratato prima o poi e quando vide la sottile striscia di deserto comparire davanti ai suoi occhi, sospirò affranto.
    “Questo dovrebbe essere il Poli-Poli, vero?” esordì il giovane di Fyar e il Tritone annuì.
    “Grazie alle Dee si estende soprattutto in lunghezza, mentre lo spessore è di circa cento chilometri. Lo supereremo presto.” Sospirò ancora, più come un tentativo di incamerare aria che altro.
    “Non ti senti bene, Hajime?” domandò Yuzo, affiancandolo, mentre Mamoru e Teppei si stavano già inoltrando nella sottile distesa sabbiosa, seguendo sempre la Via Crociata che appariva e scompariva sotto i granelli silicei smossi dal vento.
    Il Tritone sorrise. “Fa caldo” disse con sincerità “Ma, fortunatamente, le terre oltre il deserto sono più boschive e le temperature accettabili anche per quelli come me.”
    “Vuoi che sollevi un po’ di tramontana per rinfrescarti?” propose il volante, ma lui rifiutò.
    “Meglio di no, si alzerebbe troppa sabbia e poi chi vuole sentirlo Mamoru che si lamenta perché ha la terra dappertutto?”
    Yuzo ridacchiò, mentre proprio la voce dell’Elemento di Fyar li raggiungeva. “Siete ancora lì?” borbottò con tono annoiato “Datevi una mossa che non voglio passarci la vita in questo deserto! La sabbia comincia ad entrarmi nei vestiti e mi irrita!”
    “Come volevasi dimostrare” sospirò il Tritone, spronando il cavallo ed avanzando all’interno del Poli-Poli seguito dal volante.
    “Non ti facevo così petulante, Mamoru, lo sai?”
    L’altro sbuffò. “Pensa a te, Teppei! Tu sei un Elemento di Terra, un po’ di sabbia nelle mutande non ti crea problemi, ma a me sì, va bene?”
    “Che acido.” Il tyrano gli fece il verso, girandosi subito in direzione di Yuzo e Hajime per mimare una risata di divertimento che fece ridere anche gli altri due.
    “Piantatela di sfottere!” rimbeccò Mamoru, dando uno scappellotto a Teppei prima di aumentare l’andatura del suo cavallo, ben deciso a lasciare quel maledetto deserto quanto prima.
    Quando arrivarono a metà della distesa, il sole stava già cominciando a tramontare e forse sarebbero riusciti ad uscirne per l’ora di cena, giusto il tempo per fermarsi nella prima città che avrebbero trovato e passarvi la notte.
    Fu allora che l’Elemento di Terra si fermò, arrestando di colpo il suo cavallo. Con sguardo serio osservò lentamente l’intorno, sezionandolo con attenzione.
    “Che ti prende, ora?” esclamò Mamoru col suo solito tono brusco.
    L’interpellato scosse il capo, scendendo dalla cavalcatura. “Non lo so, ma avverto delle strane vibrazioni dal terreno.” Si inginocchiò, afferrando una manciata di sabbia.
    Anche il giovane di Fyar scese, raggiungendolo in rapidi passi. “Che vibrazioni?” domandò mettendosi sull’allerta. “Da quanto tempo le senti?”
    “Da un’oretta circa, non vorrei sbagliarmi… ma siamo pedinati.”
    Mamoru si guardò intorno: a parte loro e le dune, non c’era nient’altro in quel deserto, nessuna figura in lontananza, non volava nemmeno un uccello.
    “Che sta succedendo?” chiese Yuzo avvicinandosi ad Hajime, ma quest’ultimo si strinse nelle spalle. “Non saprei” Scese dal cavallo, affidandogli le redini “Vado ad accertarmene.” Gli disse, raggiungendo gli altri.
    “Teppei, ma qui ci siamo solo noi!” sentì esclamare Mamoru appena fu abbastanza vicino.
    “Dovrebbe esserci qualcun altro?” esordì il Tritone e il ragazzo di Fuoco scosse il capo, passandosi una mano nei lunghi capelli scuri.
    “Teppei dice che siamo pedinati, ma io non vedo nessuno.”
    Ad alcuni metri da loro, Yuzo continuava a restare in sella alla sua cavalcatura osservando, senza capire, il gruppetto che continuava a parlare fitto fitto. Li vedeva scrutare l’intorno e, forse in un gesto condizionato, lo fece anche lui. Alla sua destra poteva scorgere una striscia verde che segnava la fine del deserto, mentre per il resto c’era solo sabbia e…
    Qualcosa si mosse.
    Yuzo sbatté velocemente le palpebre.
    Niente.
    Forse doveva essersi sbagliato.
    Un leggero fruscio provenne dalla sua sinistra, facendolo volgere di scatto.
    Ancora niente. Solo sabbia rapidamente smossa.
    “Mamoru…” chiamò, continuando a guardarsi intorno.
    Un altro fruscio alle sue spalle e ancora sabbia che scorreva come se qualcosa ne avesse variato l’equilibrio.
    “Mamoru…” chiamò di nuovo, ma l’altro era troppo impegnato a discutere con Hajime per dargli retta, però quando vide quella che sembrava essere la coda di un qualcosa sgattaiolare nel sottosuolo, la sua voce si fece più decisa e allarmata.
    “Mamoru!”
    “Che diamine c’è, rompiscatole di un volante?!” sbottò l’altro con stizza, alzando gli occhi al cielo. “Non vedi che stiamo parlando?!”
    “I-io…” tentò di dire, continuando a scrutare la sabbia che era tornata immobile.
    “Tu cosa?!” incalzò Mamoru con uno sbuffo. “Santadea! Finiscila una frase, quando la cominci! Sei snervante, te l’hanno mai detto?!”
    “Io… io credo di aver visto qualcosa…” Ma ora non c’era più niente lì attorno o almeno così credeva.
    “E cosa avresti visto? Sentiamo.” Picchiettando nervosamente un piede al suolo ed incrociando le braccia al petto con fastidio, Mamoru lo guardò con condiscendenza.
    “I-io… non lo so” ripose Yuzo in tutta sincerità: quell’affare era stato troppo veloce e forse si stava preoccupando per niente, magari era solo una lucertola.
    “Non lo sai, eh?” gli fece il verso il compagno. “La prossima volta che non devi dire qualcosa di intelligente, mi faresti il sacrosanto favore di tacere?”
    Intanto, anche Teppei si era alzato, continuando ad avvertire quelle strane vibrazioni: si allontanavano, si avvicinavano, ma in superficie non c’era nulla tranne loro, quindi, non potevano che provenire dal…
    Abbassò lo sguardo e qualcosa sbuffò sabbia, prima di cominciare a muoversi velocissimamente tra i piedi di Hajime e Mamoru, diretto proprio al volante.
    Attento!” gridò all’improvviso, attirandosi l’attenzione di Fuoco e Acqua, che finalmente si accorsero della ‘cosa’ imprecisata, e del volante, che la vide quando ormai era troppo tardi.
    Una chiazza scura, avvolta dalla rena, emerse dal sottosuolo, spaventando il cavallo che si impennò, disarcionando il cavaliere. Yuzo ruzzolò per tutto il declivio della duna fino a fermarsi qualche metro più in basso, in una conca. Intanto, la strana creatura che non erano stati capaci nemmeno di vedere, tanto si era mossa velocemente, era già scomparsa sotto la sabbia, non dando ulteriore traccia della sua presenza.
    “Ehi, volante!” chiamò Mamoru dall’alto della cresta. “Sei tutto intero?!”
    L’Elemento di Alastra annuì, alzandosi in piedi e togliendosi la rena dagli abiti. “Sì, tutto bene…”
    “Accidenti!” sibilò Teppei, attirandosi lo sguardo del Tritone. “Stai a vedere che abbiamo a che fare con uno di loro!” Ma non specificò a chi o cosa si stesse riferendo; si affacciò accanto a Mamoru, cominciando a sbraitare: “Yuzo! Vola via! Sei caduto nella tana di un formicaleone(5) gigante! Fai presto!”
    “Di un… cosa?!” fu il coro unanime di tutti e tre.
    “Te lo spiegherò più tardi cos’è! Ora fai come-”
    Ma la trappola del grosso coleottero era già scattata ed il volante cominciò lentamente a sprofondare. Solo allora il ‘padrone di casa’ fece la sua comparsa: un enorme scarafaggio, armato di tenaglie, emerse da un foro scavato nella duna e sembrava essere particolarmente affamato.
    “Presto! Vola!” ripeté Teppei e Yuzo non attese che lo dicesse una terza volta. Si liberò della sabbia che lo risucchiava verso il basso. Il formicaleone, però, non gli diede il tempo di prendere quota perché balzò contro di lui, afferrandogli un piede nelle tenaglie e trascinandoselo nel sottosuolo da cui era emerso.
    Il tutto durò qualche minuto dopodiché, volante e coleottero, non furono più visibili ai loro occhi.
    “Dove sono finiti?” mormorò Hajime con lo sguardo ancora fisso sulla tana ormai vuota e la sabbia immota.
    “L’ha portato con sé, accidenti!” rispose l’interpellato, mentre le labbra di Mamoru si incurvavano minacciosamente verso il basso e gli occhi prendevano quasi ad ardere come tizzoni.
    “Teppei, usa i tuoi poteri. Rovisteremo questo deserto come un calzino pur di tirarlo fuori.”
    “Io credo che abbiate ben altri problemi di cui preoccuparvi” esordì una voce alle loro spalle, mettendoli immediatamente sulla difensiva.
    Un omone, grande quanto una montagna e con un buffo codino, restava bellamente accomodato su un volante tappeto fatto di sabbia e fumava lentamente una sottile pipa.
    “E tu chi diavolo saresti?” domandò l’Elemento di Fyar con ben poca grazia.
    L’energumeno esalò una densa nuvoletta di fumo, sorridendo. “Il mio nome è Vulkan(6), messeri, e voi siete intrusi non graditi sul mio territorio.”
    “Come sospettavo!” ringhiò Teppei. “Avevo sentito parlare di loro, ma non credevo che ne dimorasse uno nel Poli-Poli. Solitamente infestano le regioni fuori dal Regno degli Ozora.”
    “Sai chi è?” fece eco il Tritone, inarcando un sopracciglio, e lui annuì gravemente.
    “E' un Demone dei Deserti.”
    Tsk! Qualunque cosa sia, poco mi importa” intervenne Mamoru, stringendo lo sguardo in due ribollenti fessure di pece. “Ma se non ci restituirà il volante vivo… gli farò rimpiangere di essersi messo sulla nostra strada.”
    Il colosso rise sguaiatamente, battendosi una manata sulla pancia prominente. “Avreste intenzione di scontrarvi con me?”
    “Restituiscici il nostro compagno e fatti da parte, se non vuoi che una delle Fiamme di Fyar sfoghi la sua ira su di te!” Le labbra di Mamoru erano tese e sottili come spilli, ma le sue parole riuscirono solo a farlo ridere più forte. La rabbia stava per raggiungere il culmine.
    “Mi spiace deluderti, mio fervente amico, ma sono refrattario al fuoco, quanto al vostro compare, potrò sempre chiedere alla mia amatissima Yadira di restituirvi le sue ossa… dopo che le avrà spolpate.”
    Scintilla, e la fiamma divampò come un incendio.
    Mamoru caricò l’avversario, lanciandosi su di lui con furia. Sfere infuocate avvamparono nei palmi delle mani che si mossero a colpire il Demone. Vulkan scosse il capo, innalzando una barriera di sabbia.
    “Principianti” decretò, aspirando una lunga boccata dalla pipa, mentre l’attacco di Mamoru andava praticamente a vuoto e la fiamma si estingueva.
    “Maledizione!” sibilò il giovane tra i denti, atterrando con un paio di balzi.
    “Teppei, la Terra è il tuo Elemento, non puoi fare qualcosa?” propose Hajime, ma l’altro serrò i pugni.
    “Credi sia semplice? La sabbia è un materiale troppo incoerente, la sismica è inutile e la telecinesi richiede uno sforzo estremo per sollevare abbastanza granelli da sferrare un’offensiva! Per quanto riguarda la manipolazione, il tempo richiesto è troppo rispetto quello che abbiamo!” spiegò con rabbia.
    Il Tritone decise allora di tentare qualcosa, attaccando il Demone con un getto d’acqua e l’idea sembrò funzionare perché la sabbia si impregnò, sgretolandosi al suolo, dissolvendo anche il colosso. Ma questo ricomparve perfettamente sano alle loro spalle.
    “Tutto qui?” li schernì, accendendosi una nuova pipa. Hajime fece per caricare un secondo colpo, ma una vertigine lo fece accasciare sulle proprie gambe, mentre l’acqua si spargeva intorno a lui. Teppei lo soccorse immediatamente.
    “Un calo di energie, colpa del caldo intenso di questa giornata” sentenziò il Tritone.
    Con un grido rabbioso, Mamoru tentò un secondo assalto, ma questa volta cercava lo scontro corpo a corpo.
    Vulkan esalò un’altra nuvoletta di fumo. “Bah, basta così” decretò con noia e una corda di sabbia avvolse l’Elemento di Fyar che si ritrovò immobilizzato. 
    Per quanto riguardava Hajime e Teppei gli ci volle ancora meno. Bastò solo una breve scossa al terreno sotto i loro piedi, già parzialmente pregni d’acqua, affinché si tramutasse in sabbie mobili: troppa acqua perché il tyrano potesse intervenire e troppa terra perché potesse farlo il Tritone.
    Una disfatta.
    Il loro primo, vero scontro e venivano messi fuori combattimento in pochissimo tempo e da un solo avversario, per giunta. Una battaglia senza un briciolo di onore.
    “Bene, bene. Vediamo un po’, Elementi dei miei stivali, sono indeciso: vi ammazzo adesso o gioco ancora un po’ con voi?”
    “Liberami!” gli ordinò Mamoru, contorcendosi come un’anguilla. “E ti faccio passare io la voglia di giocare!”
    La risata sguaiata di Vulkan lo fece irritare ancora di più tanto che gli ringhiò qualche insulto in fyarish.
    “Visto che sembri tenerci così tanto a morire per primo, allora ti accontento subito.”
    Al suo comando, la rena che lo avvolgeva iniziò a stringersi, strappandogli versi di dolore che lui cercava di trattenere per non dargli alcuna soddisfazione.
    Ma un’improvvisa esplosione, proveniente dalla tana del formicaleone, interruppe la lenta esecuzione, incuriosendo il Demone. Appena la polvere cominciò a disperdersi, e poté finalmente vedere cosa stesse succedendo, emise uno stridulo urletto allarmato, mollando la pipa.
    Il coleottero restava sospeso a mezz’aria, pancia in su, agitando convulsamente le zampe.
    Yadira!” strillò ancora “Oh, no! Ti prego! Mettila giù! Lei soffre di vertigini! Non strapazzarla così! È una bestiola innocua!”
    “Innocua?” fece eco Yuzo, i cui abiti erano strappati in più punti. “Avrei qualcosa da ridire in proposito.” Nel mentre, seguitava a tenere il formicaleone lontano dal suolo con il potere del vento.
    “Ti prego! Sono disposto a fare qualsiasi cosa, ma mettila giù!”
    Il volante sorrise. “Allora ti propongo uno scambio: i miei amici ed il permesso di attraversare il deserto, per il tuo animaletto da compagnia. Mi sembra equo.”
    “Va bene! Va bene! Tutto quello che vuoi!”
    Yuzo annuì, adagiando lentamente la bestia al suolo, che si ribaltò e corse a nascondersi dietro il nerboruto Demone.
    “Ho rispettato i miei patti, Vulkan. Ora sta a te” disse l’Elemento d’Aria e l’altro sospirò.
    “Così sia.” In pochi attimi, la sabbia che avvolgeva Mamoru e le sabbie mobili si ritirarono, lasciando liberi i loro prigionieri.
    La prima che cosa che il giovane di Fyar fece, una volta in grado di muoversi, fu di puntare, furente, il volante.
    “Perché diavolo non lo hai ucciso?! Avresti potuto eliminare quella specie di scarafaggio iper-nutrito e non l’hai fatto! Sei impazzito?!”
    “E perché avrei dovuto?” rispose l’altro con calma. “Era l’unico modo per avervi sani e salvi. Mai sentito parlare di ‘contrattazione’?”
    “Me ne sbatto della contrattazione! I Demoni sono creature pericolose e vanno eliminate sempre e comunque!”
    “Nel nostro caso, Vulkan è stato molto disponibile, non vedo perché avrei dovuto ricorrere alla violenza.”
    “Siamo stati solo fortunati! Ma la prossima volta che io ti ordinerò di eliminare qualcuno, tu lo farai! Mi hai capito bene?!”
    “Io non uccido proprio nessuno!” cominciò a stizzirsi il volante, incrociando le braccia al petto e guardandolo con astio. “L’Aria è fonte di vita! E non sarai certo tu a farmi andare contro le leggi di Alastra!”
    “Io sono il responsabile di questa missione e l’unica legge che dovrai seguire, fintantoché sarò io a comandare, sarà la mia!”
    “Affatto! E sai che ti dico?! Se vuoi ammazzare qualcuno, fallo da te!” Yuzo gli girò la faccia con uno sbuffò infastidito, mentre Mamoru ringhiava, alzando minacciosamente le mani e pronto a balzargli alla gola.
    L’aveva detto, lui, che presto gli istinti omicidi avrebbero prevalso e se non fosse stato così furente avrebbe saltato dalla gioia nel rompere la loro tregua.
    Di lontano, Hajime e Teppei sospiravano rassegnati, affiancati da un perplesso Vulkan che si grattava un sopracciglio.
    “Ecco che incominciano” disse il tyrano, alzando lo sguardo al cielo.
    “Mi sembrava strano che fossero durati così a lungo senza scannarsi” replicò il Tritone, scuotendo il capo.
    “Ma fanno sempre così?” domandò il Demone.
    “Oddea! Spero di no! Il viaggio è appena cominciato!” si allarmò Teppei.
    “Dove siete diretti?”
    “Al Sud” spiegò Hajime “Siamo sulle tracce del Principe di Elementia, Tsubasa Ozora.”
    Il colosso inarcò un sopracciglio. “Il Principe hai detto? È passato di qui, molti mesi fa. Disse che ci saremmo rivisti al suo ritorno, ma così non è stato. Né io, né Yadira lo abbiamo più visto da allora.” Ed i due Elementi si lanciarono una rapida occhiata. L’Erede aveva attraversato il Poli-Poli, quindi, il suo cammino doveva essere stato interrotto molto più a Sud della loro posizione attuale.
    “Hai per caso notato se fossero seguiti da qualcuno? Spie oppure Stregoni?” chiese ancora il Tritone, ma l’altro scosse il capo.
    “Me ne sarei accorto. So quello che avviene contemporaneamente in ogni parte di questo deserto e quel giorno la delegazione reale non aveva occhi indiscreti nella scia. Di questo ne sono sicuro.”
    Hajime rimase a pensarci per un po’. Se qualcuno avesse tenuto davvero d’occhio il Principe, probabilmente era a conoscenza della presenza di Vulkan nel Poli-Poli e aveva quindi lasciato che il giovane attraversasse tranquillamente il deserto per poi tornare a seguirlo una volta fuori. Ma questa eventualità comportava svariate conclusioni: la prima era che il Principe aveva più persone alle calcagna; qualcuno che lo aveva seguito fino a che non era entrato nel Poli-Poli e qualcun altro che lo aveva aspettato all’uscita del deserto. La seconda era che se qualcuno lo aveva seguito prima che entrasse nel Poli, significava che lo avevano tenuto d’occhio da quando avevano lasciato il castello e che, quindi, faceva tutto parte di un piano premeditato.
    Ovviamente, non era detto che fosse davvero tutta opera degli Stregoni, però sembrava quasi assurdo che i membri dell’Armata Reale fossero stati sconfitti da dei semplici banditi: erano i migliori guerrieri di Raskal. Inoltre, dei comuni ladri avrebbero chiesto già da molto tempo un eventuale riscatto.
    Soldati di Minato Gamo?
    Improbabile. Avevano una guerra da preparare e il Signore del Nord non avrebbe certo mandato alcuni dei guerrieri al Sud, sottraendoli ai suoi contingenti.
    Hajime scosse il capo, mentre i suoi ragionamenti sembravano non portarlo da nessuna parte. Con la coda dell’occhio, diede un rapido sguardo al Demone, abbozzando un sorriso. “Mi spieghi perché non hai fermato il Principe come hai fatto con noi?”
    Vulkan si strinse nelle spalle. “Non sono così pazzo da mettermi contro il detentore della Chiave Elementale.”
    Teppei si interessò subito alla conversazione. “A-ah! Quindi anche tu credi che esista?!”
    “Certo che esiste, ma non devo mica dirvelo io. Voi Elementi dovreste essere i primi a crederlo.”
    “Non guardare me, è Mamoru da Fyar il miscredente!” Il ragazzo di Terra lanciò un’occhiataccia in direzione del giovane che continuava a litigare con Yuzo.

    “La nostra tregua può considerarsi conclusa!”
    “La cosa non mi tange.”
    “Se io ti do un ordine, tu lo devi eseguire!”
    “Se va contro la mia morale, scordatelo!”
    “Invece lo farai!”
    “Invece no!”
    “Ho detto sì!”
    “E io ho detto no!”

    “Ma… ma… non hanno ancora finito?!” sbottò il tyrano con incredulità, mentre Hajime agitava una mano, sedendosi a terra ed incrociando le gambe.
    “Mettiti comodo, Teppei, questo è solo l’inizio.”

    Sotto il Sole del Deserto
    ci si affronta a viso aperto,
    mentre il Nero in disparte
    scopre piano le sue carte
    .


    [1]FREDERICKS: uno dei ‘Cavalieri delle notti bianche’, compare nel World Youth Hen e milita nella Svezia (ha un taglio di capelli orrido ed è GAY!!! E’ SPUDORATAMENTE GAYYYYYYY!!! XD)

    [2]IGAWA: capitano della squadra degli Urawa Reds della J-League in cui milita anche Takeshi Sawada (Danny Mellow). Compare nel Road to 2002.

    [3]DICK: fa una breve comparsata nel World Youth Hen e milita nell’Olanda di Kruyfort. Compare in maniera più approfondita in uno degli speciali: “Holland Youth”.

    [4]NATUREZA: è il nemico naturale di Tsubasa (e, personalmente, lo preferisco a Ozora!!XD). Compare per la prima volta nel World Youth Hen come asso nella manica della Nazionale Brasiliana. Adoro il suo serafico modo di fare! ** (Ho chiaramente detto che ha già 19 anni compiuti, ma non è detto che sia corretto. Purtroppo non si conosce la data di nascita precisa di Natureza.)

    [5]FORMICALEONE: è un insetto del deserto e se l’ho nominato assieme a Vulkan non è stato un caso. La ‘Trappola del Formicaleone’ è una tecnica che la Arabia Saudita di Owairan usa nel World Youth Hen.

    [6]VULKAN: compagno di squadra di Owairan nell’Arabia Saudita, compare per la prima (e se non erro, unica) volta nel World Youth Hen. Se lo vedete, assomiglia al ‘Genio della Lampada’! XD per questo gli ho fatto fare il Demone sul tappeto volante! *hihi*


    …Il Giardino Elementale…

    Dopo una lunga attesa, miei cari viandanti, bentornati nel giardino ad ascoltare le mie storie.
    Gli Elementi hanno effettuato la loro prima tappa importante che li ha messi di fronte a un terribile avversario, con scarsi risultati.
    Hanno ancora molto da imparare, come il ‘gioco di squadra’.
    Aria e Fuoco, invece, non riescono ancora a trovare uno stabile punto di incontro tra i loro opposti modi di vedere le cose. Anche la tregua che si erano concessi è stata facilmente infranta: cosa riserverà loro il futuro?
    E, soprattutto, quale sarà la prossima avventura?

    Galleria di Fanart (aggiunta una nuova fanart):

    - L'Elemento di Aria Yuzo Shiroyama

    Enciclopedia Elementale (aggiunto il volume 3):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

    3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli Angolino del “Grazie, lettori, grazie! XD”:

    Solarial: Sei stata un vero fulmine a recensire, accidenti!!!
    XDDDDDDDDDDD sì, Yuzo è un povero disgraziato! E ti dirò: scrivere la parte del suo arrivo ha divertito anche me! XDDD come sono perfida con lui!
    *_* Ovviamente ti ringrazio per tutti i tuoi complimenti e per quanto riguarda Yuzo e Mamoru… *fischietta* muta sono. XDDD

    Akuma: R&R, manco a dirlo, sono un omaggino a tuààààà *_* perché so che li adori come coppia (e li stai facendo adorare anche a me! XDD), quindi, sono felicissima che ti sia piaciuto ritrovarli qui! *_*
    Per quanto riguarda Yuzo, ti ringrazio per tutte le parole che hai detto! T__T Credo che in questa fic sia molto vicino all’immagine che il Taka dà di lui: buono e ingenuo (e per questo taaaaanto puccioso!*.*).
    Mamoru è un infame! XDDD E mi ha divertito caratterizzarlo in questo modo, ma, visto che non è tutto oro quello che luccica… *blink*… staremo a vedere! E’ un personaggio che ha decisamente molto da dire!
    Per il resto, come detto per Sol: muuuuuta sono! XDDDDD

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    Capitolo 8
    *** 5 - Quarantena - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 5: Quarantena (parte I)

    Via Crociata – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Le settimane successive le trascorsero in un reciproco ignorarsi.
    Mamoru si rivolgeva a Yuzo solo per stretta necessità, sotto gli sguardi rassegnati di Hajime e Teppei che, per quanto gioissero all’idea di non vederli scannarsi per un nonnulla, non poterono non trovare pesante il clima che si era venuto a creare.
    Da parte sua, il volante era ben disposto a mettere una pietra sopra all’accaduto, ma Mamoru era un dannato permaloso e non si era smosso dalla sua posizione.
    “Dovresti scusarti con lui” esordì a un tratto Hajime, fortemente intenzionato a risolvere quella questione, mentre cavalcavano in direzione dell’ennesima città.
    L’Elemento di Fyar inarcò un sopracciglio, dipingendo una smorfia di puro disgusto sulle labbra. “Io… cosa?! Puoi scordartelo! Perché dovrei? Al massimo dovrebbe essere il signorino a scusarsi con me. Come responsabile, esigo il massimo rispetto e, soprattutto, non tollero che vengano discussi i miei ordini.”
    Il Tritone roteò gli occhi. “Ma ti rendi conto di cosa gli hai chiesto di fare? Anche i sassi sanno che gli Elementi di Aria non userebbero mai i loro poteri per uccidere qualsivoglia creatura. Lo stesso motto di Alastra esclude tale eventualità…”
    “Me ne frego!” ed il tono era fermo e deciso, a dir poco irritato. “Io ho bisogno di gente su cui poter contare, sempre, e Yuzo non è affidabile.” Sbuffò, tornando a guardare la strada davanti a sé. “Sarebbe capace di lasciarci morire, pur di non uccidere l’avversario. Tsk! Maledetti volanti!”
    “Ah! Questo non puoi dirlo!”
    “Ah, no? Non rammenti più ciò che è successo nel deserto?”
    Hajime sorrise, inarcando un sopracciglio. “Certo che lo ricordo: ti ha salvato la vita.”
    L’altro sbuffò di nuovo. “Bah! Al diavolo! Parlare con te è inutile, cerchi sempre di difenderlo.”
    “Ma io non lo sto difendendo, è solo un dato di fatto.” Il Tritone tentò di trattenersi dal ridere, nonostante fosse conscio di averlo messo con le spalle al muro, ma Mamoru sapeva sempre come negare l’evidenza, infatti, sbottò: “E allora ascolta anche quest’altro dato di fatto: io non mi scuserò in alcun modo con lui, perché non mi fido. E fino a che non mi dimostrerà il contrario, continuerò a non fidarmi. È la mia ultima parola a riguardo.”

    Il volante emise un profondo sospiro, attirandosi l’occhiata interrogativa di Teppei.
    “Qualcosa non va?” domandò il tyrano e lui si strinse nelle spalle.
    “Hajime spreca il suo tempo, Mamoru mi odia.”
    L’Elemento di Terra spostò rapidamente lo sguardo da Yuzo agli altri due che erano molti passi più avanti.
    “Ehi! Ma come hai fatto a sentirli da qui?”
    “Non c’è bisogno che io senta” spiegò, indicando la schiena del giovane di Fyar “Mamoru si agita così solo quando parla di me e non è mai in accezione positiva.”
    Ed infatti, i gesti dell’Elemento erano quantomeno collerici.
    Teppei sghignazzò. “Oddea, hai ragione.” Poi sorrise e gli diede una amichevole pacca sulla spalla. “Tranquillo, vedrai che gli passerà.”
    “Non gli è passata in tutto questo tempo” sospirò l'altro scuotendo il capo “non credo avverrà in futuro.”
    “Nemmeno se gli chiedi scusa?”
    “Ma scusa per cosa?” sbottò il volante con rassegnazione. “Per non voler ammazzare la gente? E devo scusarmi per quello?” Scosse il capo. “Io e lui siamo molto diversi, ma non capisco perché non debba accettare il mio modo di essere.”
    Il tyrano si grattò la folta massa ricciuta. “Non hai tutti i torti, ma se provassi a spiegarglielo con calma?”
    “Lo farei, credimi! Lo farei davvero; ammetto di essere stato quantomeno intransigente nel Poli-Poli e devo essermi posto in maniera irritante ai suoi occhi, ma Mamoru…” Sospirò profondamente. “Non credo mi permetterà mai di farlo. Non resterà ad ascoltarmi.” Poi si volse ad osservare il suo interlocutore. “Mi spiace davvero di aver messo te e Hajime in questa situazione spiacevole.”
    Il giovane scosse il capo, continuando a sorridere. “Oh, non preoccuparti per noi, non è un problema, e sono sicuro che Hajime cercherà di far ragionare quel testardo a ogni costo, ma anche tu non devi arrenderti.” E gli poggiò la mano sulla spalla. “Prova a parlargli e se non vorrà sentirti, costringilo. A Tyran mi hanno insegnato che l’esser schietti è un pregio di cui far tesoro: le parole non dette creano solo confusione. E la confusione genera inutili fraintendimenti che non fanno che inasprire situazioni già conflittuali.” Mosse lo sguardo alla schiena di Mamoru che aveva smesso di discutere con Hajime. “Anche lui finirà con l’apprezzarti se sarai sincero nei suoi confronti.”
    Yuzo rimase ad osservare i capelli corvini dell’Elemento di Fuoco, che oscillavano a ogni movimento del cavallo.
    Esser chiaro.
    Forse Teppei aveva ragione, ma ciò non toglieva che Mamoru non l’avrebbe mai ascoltato di buon grado e lui non aveva il temperamento adatto per costringere la Fiamma di Fyar a farlo. Soprattutto se leggeva astio in quei tizzoni carbone che aveva al posto degli occhi.
    Era incredibile come gli bastasse solo lo sguardo per metterlo in soggezione, sprigionava una forza schiacciante che, probabilmente, non sarebbe mai riuscito a contrastare, però… almeno un tentativo doveva farlo.
    Solo uno.
    Se fosse andato a buon fine, tanto di guadagnato, ma se fosse andato male… allora avrebbe aspettato che all’altro passasse il risentimento, per quanto fosse cosciente che sarebbe stata una lunga attesa.
    “Ehi, voi due.” Li richiamò proprio Mamoru, mostrando loro la coda dell’occhio. “Datevi una mossa, ormai siamo arrivati.”
    “Potresti anche dirlo in maniera meno ostica!” ironizzò Teppei, spronando la sua cavalcatura, mentre a Yuzo gelava il sangue nell’avvertire astio puro da quella scheggia di ossidiana che si era focalizzata su di lui per un attimo. Fu sufficiente a metterlo a disagio e fargli spostare, all’acciottolato di quella spina della Via Crociata, i suoi occhi nocciola.
    Mamoru non l’avrebbe mai ascoltato.

    Sundhara era la settima città toccata nel lungo percorso che il Principe Tsubasa aveva compiuto nel suo viaggio verso Sud, senza contare i piccoli villaggi che aveva solo attraversato e in cui loro avevano ugualmente indagato per ricostruire, passo dopo passo, quelli che erano stati i suoi spostamenti. La fortuna non li aveva assistiti, visto che non avevano scoperto niente di rilevante che potesse in qualche modo indirizzarli verso il ritrovamento del giovane erede.
    Fino a quel momento, la traversata era stata tranquilla e senza incidenti e il Principe aveva rispettato tutti gli impegni che aveva programmato, senza il minimo ritardo.
    Mamoru sperò ardentemente che a Sundhara gli raccontassero qualcosa di diverso dal: “Giovane Altezza è arrivato a tale orario. Ha pranzato/cenato con tali pietanze. Ha discusso amabilmente di tali argomenti. Ha visitato tale tempio Elementale. Ha salutato i cittadini. Se n’è andato.”
    Voleva un indizio. Uno solo, anche misero, ma almeno un maledetto punto di partenza dal quale cominciare a formulare congetture. Le informazioni date da Vulkan e le ipotesi di Hajime erano state interessanti, ma ancora troppo poche. E poi più il tempo passava, più la guerra si faceva terribilmente vicina e lui terribilmente lontano dal fronte dove avrebbe dovuto essere.
    “Agiamo come al solito” affermò senza nemmeno voltarsi. “Cerchiamo una locanda, ceniamo, poi, all’indomani, mentre io ed il volante andiamo dal Doge, voi fate qualche domanda in giro.”
    “Va bene” accordò Hajime, osservando l’ingresso alla città ed inarcando un sopracciglio. “Da quando Sundhara ha una cinta muraria?” Era perfettamente visibile sotto l’attenta illuminazione serale.
    Anche Mamoru assunse un’espressione più seriosa. “E’ molto strano. Non è un tipo classico di fortificazione…”
    Teppei convenne, alzando lo sguardo fino alla sommità delle mura; da esperto carpentiere, quali erano gli Elementi di Terra, notò subito la differenza.
    “Sembra quasi che abbiano voluto… ingabbiare la città.”
    La cinta sembrava molto spessa, a occhio e croce, e chiusa.
    Non c’erano le solite torrette dove la Guardia Cittadina, dall’alto, rimaneva appostata ad osservare l’arrivo di eventuali ospiti o pericoli. Non c’era nemmeno il camminamento sommitale o portoni laterali. Era solo uno spesso e compatto muro color ocra dove svettavano la bandiera degli Ozora ed il vessillo della casata cui il Doge apparteneva.
    E a Mamoru la cosa cominciò a non piacere.
    Poi, ad alcune centinaia di metri dall’unico portone di ingresso, accanto al quale restava solo un soldato, apparve l’ultimo cartello che si sarebbero mai sognati di vedere.

    ATTENZIONE!
    Città in Quarantena.

    “Quarantena?!” fece eco Teppei, sgranando gli occhi per la sorpresa.
    “Ci mancava solo questa” sbuffò invece Mamoru, imprecando poi in fyarish, mentre Hajime appariva quantomeno perplesso.
    “Ma che diavolo è successo?”
    “Sembrerebbe un’epidemia. Sarà per quello che hanno eretto un muro.”
    “Beh, deve essere qualcosa di decisamente violento, Mamoru, per aver fatto prendere loro una simile decisione” suggerì Teppei “e deve durare da parecchio: per tirare su una muraglia come quella ci vogliono mesi!”
    Rimasero fermi presso il cartello per qualche minuto, mentre l’Elemento di Fyar prendeva una decisione sul da farsi. Attraversare una città in quarantena era comunque una mossa pericolosa, visto e considerato che vi avrebbero dovuto addirittura pernottare, e il fatto che fossero Elementi, e quindi dalle elevate capacità immunitarie, non li rendeva comunque immortali.
    Par contro, aggirare Sundhara era fuori discussione: avevano bisogno di ogni possibile informazione e non potevano permettersi di fare a meno di quelle che il Doge avrebbe potuto fornire loro, a costo di doversi sorbire la solita tiritera.
    Dovevano rischiare.
    “Andiamo ad accertarci di persona della situazione” decise, dando un leggero colpetto di speroni al cavallo che oltrepassò l'avviso sotto gli sguardi non del tutto convinti di Hajime e Teppei. Yuzo li seguì, ma continuava a guardarsi intorno e scrutare il cielo notturno sopra le loro teste.
    Inspirò a pieni polmoni.
    “L’aria è pesante in questa zona.”
    “Pesante?” fece eco Mamoru con sufficienza. “Ti stai facendo suggestionare, volante. L’aria non ha niente che non vada.”
    Nonostante Yuzo pensasse il contrario, preferì accordare in tono rassegnato, onde evitare inutili polemiche. “Sì, forse hai ragione."
    Appena furono abbastanza vicini, la Guardia, che malferma si reggeva su di un bastone usato per appoggio, sollevò a fatica una mano, intimando loro di fermarsi. “Alt!” disse e ne seguì un convulso colpo di tosse. Poi sputò uno strano grumo nerastro, pulendosi le labbra secche col dorso della mano inguantata. “Chi siete? Non avete letto il cartello? La città è in quarantena, andate via…” e tossì ancora, con più forza.
    “Siamo messaggeri del Re, provenienti da Raskal” rispose severamente Mamoru, estraendo il loro lasciapassare avvolto dal sigillo reale. “Dobbiamo parlare con il Doge.”
    L’uomo vi diede una rapida occhiata, scuotendo il capo. “Se vi lasciassi entrare, poi non potreste più uscire…”
    “Stammi a sentire.” Mamoru si sporse dalla sella con fare minaccioso. “Non ho tempo da perdere con te, quindi, ora ci aprirai quel portone e, dopo che avremmo svolto i nostri compiti, ce ne andremo allo stesso modo in cui siamo venuti.” Il suo tono non ammetteva repliche.
    Il soldato tossì ancora, sputando un ennesimo grumo. “Fate come volete, la vita è la vostra, io vi ho avvertiti.” E smosse una leva con estrema fatica. Le porte si aprirono con un pesante cigolio, permettendo ai loro occhi di cogliere le prime, e per nulla rassicuranti, immagini della città.
    Sundhara, la Città del Sole, ma di solare le era rimasto solo il nome.
    Lamenti e pianti furono i primi suoni che giunsero alle loro orecchie, gelando il sangue nelle vene. Le strade erano attraversate da uomini e donne che si coprivano il viso con scialli e fazzoletti, mentre morti o morenti restavano accasciati lungo gli acciottolati. I corpi erano pallidi e sudati, scossi da rantoli, e sembravano sforzare in ogni modo l’aria a entrare nei polmoni.
    Un uomo cominciò a tossire con violenza inaudita e i colpi lo scossero talmente forte che sembrò quasi che gli occhi sfuggissero dalle orbite, poi, muco nero colò dalle narici, mentre si scorticava la gola nel disperato tentativo di aprire un varco all’aria. Le unghie scavarono la carne e altro liquido nerastro schiumò al lato della bocca.
    “Divina Yoshiko, aiutaci…” mormorò Hajime, distogliendo lo sguardo, mentre Yuzo rimaneva pietrificato dalla scena. Le labbra serrate e gli occhi spalancati per il terrore.
    “Non guardate e proseguiamo.” La voce di Mamoru era gelido distacco, come se la cosa non lo riguardasse.
    “Come puoi essere così indifferente?” Lo rimproverò Teppei con un sibilo. “Quell’uomo sta morendo…”
    “E noi non possiamo farci assolutamente nulla. Restandolo a guardare non allevieremo le sue pene. Recitate una preghiera e andiamo avanti.”
    Lo sconosciuto si era accasciato al suolo, gli occhi vitrei, sbarrati, immobile. Un carretto passò accanto a lui e due uomini ne scesero, caricandolo sul piccolo rimorchio dove altre sei salme restavano raccolte.
    Anche i cavalli proseguirono controvoglia, addentrandosi per le vie cittadine illuminate dalle torce.
    I Naturalisti e i loro assistenti giravano, prestando il miglior soccorso possibile, ma per molti non ci fu nulla da fare, e i cadaveri aumentarono su quel carro trascinato da uno stanco bue.
    “Fermiamoci qui.” Mamoru indicò una locanda dall’insegna sbiadita, mentre il tanfo marcio di morte era divenuto soffocante, quasi irrespirabile.
    Yuzo si coprì la bocca per ricacciare un conato di vomito, avvertendo lo stomaco sottosopra, non solo per il lezzo pestilenziale.
    Non aveva mai visto nulla del genere. Mai. Né aveva mai ipotizzato che potesse esistere un simile orrore.
    “Ti senti bene?” Il volante si girò, avvertendo la mano di Hajime sulla sua spalla. “Sei pallido.”
    Deglutì con uno sforzo sovrumano, annuendo. “Sì…”. Oddea, quell’odore era insopportabile. E l’aria pizzicava la sua gola, facendolo tossicchiare per il fastidio. Doveva essere per quello che gli era sembrata pesante: era satura di morte.
    Il Tritone inarcò un sopracciglio. “Yuzo… quante volte hai lasciato Alastra?”
    L’Elemento d’Aria aggrottò le sopracciglia con espressione visibilmente sorpresa: era così evidente che non avesse mai messo il naso fuori del suo nido volante?
    “Io… ecco…”
    “E’ la prima, vero?” Il tono era amichevole, ma lui sospirò gravemente, spostando altrove lo sguardo.
    “Si vede molto?”
    “Un po’. Mi sei sembrato quello più spaesato in questa missione. Avrei voluto chiedertelo prima, ma poi siamo arrivati nel Poli e abbiamo avuto altre… distrazioni. E ora che ho visto le tue reazioni a questa città, me ne sono ricordato.”
    Il volante scosse il capo, smontando lentamente dal cavallo. “Io non immaginavo che… potessero esserci luoghi così…” gli occhi vagarono nell’intorno che sarebbe rimasto impresso come un marchio a fuoco nella sua mente. “…non avevo… mai…”
    “Visto morire qualcuno?” concluse Hajime per lui, scendendo anch’egli dalla cavalcatura.
    “Sì…”
    Lo sguardo del Tritone si addolcì, mentre afferrava la sacca da viaggio, caricandosela sulla spalla. Gli diede un colpetto di conforto al braccio, avviandosi all'ingresso della locanda. “Si tratterrà solo di una notte e domani a quest’ora Sundhara sarà già alle nostre spalle.”
    Lui rimase all’esterno con Teppei e i cavalli, aspettando che un garzone li prendesse per portarli alle stalle. Tossicchiò ancora una volta, mentre il pizzicore alla gola non accennava a passare.
    - Sì, solo una notte. - cercò di farsi coraggio - Solo una notte… -.
    Un giovane malconcio, con pesanti occhiaie violacee e l’aria ammalata, uscì all’esterno della locanda. “Le briglie, miei signori” mormorò tra i denti, nel tentativo di non sforzarsi. Lui e l’Elemento di Terra gliele porsero con un cenno del capo, prima di entrare anche loro nell’edificio dall’aspetto trasandato.
    La città era lasciata a sé stessa.
    “Una sola notte…” disse ancora in un bisbiglio e gli sembrò lunga un’eternità.

    “Hanno solo due doppie” esordì Mamoru appena Yuzo e Teppei lo raggiunsero. “Gli ospedali sono pieni e molti malati stazionano nelle locande, tanto i visitatori sono fin troppo rari. Ci accontenteremo.” Concluse, cominciando ad avviarsi ai piani superiori. “Tu con me, volante: così sarò sicuro che non combinerai danni” ordinò con il suo tono di comando e l’interpellato si limitò ad annuire. Poteva essere l’occasione giusta per tentare di parlargli.
    Intanto, altri lamenti provenivano dalle stanze occupate dai malati.
    “Ma si può sapere che diamine sta succedendo?” bisbigliò Teppei. Hajime scosse il capo.
    “L’ostessa non ha voluto dire nulla, intimandoci solo di lasciare questo Inferno il prima possibile.”
    “E noi così faremo, appena avremo parlato col Doge.” Mamoru aprì la porta della sua camera. “Voi avete fame? Non sapendo da dove arrivi il batterio, suggerirei di cenare con ciò che abbiamo preso dall’ultimo villaggio.”
    “Sono d’accordo” appoggiò il Tritone, trovando l’assenso anche di Aria e Terra.
    “Allora andiamo a dormire, l’ora è comunque tarda. Eviteremo anche di stare nella sala comune e ridurre, così, il rischio di contagio, se si tratta di un’epidemia, almeno fino a che non ne sapremo di più.”
    Gli altri annuirono nuovamente, dividendosi come si erano organizzati.
    La camera doveva esser stata bella e accogliente, una volta, prima che la malattia cominciasse a infestare Sundhara. Magari l’ostessa l’abbelliva con fiori freschi ogni giorno per far sentire a proprio agio i clienti, ma ora… l’ambiente era piuttosto trasandato e le finestre sbarrate avevano ristagnato l’aria, rendendola viziata.
    Mamoru arricciò il naso, aprendo una delle imposte per far uscire quell’odore di chiuso, ma il tanfo esterno di medicinali e disinfettanti lo costrinse a richiudere con un gesto seccato.
    “Maledizione” ringhiò, augurandosi che il Doge avesse tempo per riceverli il giorno seguente, in modo da lasciare di corsa quella città.
    In più, c’era quel maledetto volante che continuava a tossicchiare e lo irritava.
    “Non ti starai ammalando anche tu, vero?!” sbottò, fulminandolo con un’occhiata traversa mentre si cambiava. “Ci mancherebbe solo questa, con tutti i fastidi che hai già creato a causa del tuo ritardo!”
    Yuzo si affrettò a negare, arrossendo per l’imbarazzo. “No, no! Sto bene! È solo un lieve pizzicore, forse a causa dell’aria viziata che si respira in questa città…”
    “Lo spero per te.” Inarcò minacciosamente un sopracciglio. “O ti lascio a marcire in questo luogo dimenticato dalle Dee.” A Mamoru non sfuggì il modo repentino in cui il volante impallidì, mentre un guizzo terrorizzato ne attraversava le iridi scure. Abbozzò un sorrisetto ironico. “Era solo una battuta. Voi di Alastra non avete un gran senso dell’umorismo.”
    Che fifone.
    Altro che ‘morale’ ed ‘etica’: i volanti non uccidevano nessuno perché erano semplicemente dei vigliacch. La Fiamma ridacchiò, scuotendo il capo.
    Alle sue spalle, Yuzo non sembrò particolarmente sereno nemmeno nell’apprendere che l’affermazione di Mamoru fosse solo uno scherzo. La sola idea gli aveva gelato il sangue nelle vene e contorto le viscere, provocandogli dolorose fitte. Si era limitato a ignorarle con uno sforzo, cambiandosi d’abito e infilandosi sotto le coperte di cotone pesante, ma fresche.
    A Sundhara faceva piuttosto caldo e forse era anche per questo che l’aria era così pestilenziale.
    Tossicchiò ancora un paio di volte, bevendo l’acqua della borraccia in piccoli sorsi per cercare di sedare il prurito alla gola, ma con scarsi risultati.
    Intanto, Mamoru aveva cavato dalla sacca della carne secca e fibrosa con del pane; giusto qualcosa per riprendere le energie. Avrebbero dovuto arrangiarsi fino alla prossima città e quello era il massimo che potevano permettersi.
    “Non mangi nulla?” domandò in direzione di Yuzo che scosse il capo: gli veniva la nausea solo all’idea di portare roba solida alla bocca.
    “No… non avevo mai visto nulla di simile… e mi si è chiuso lo stomaco.” Si giustificò, aspettandosi una battuta sarcastica a riguardo che non tardò ad arrivare.
    “Oh, che animo delicato.”
    Yuzo deglutì con uno sforzo: e avrebbe dovuto intavolare un discorso con lui che lo avrebbe preso in giro una parola sì e l’altra pure, se non lo avesse mandato a quel paese prima?
    Facendosi coraggio, tentò di superare i timori. “Mamoru… senti…” ma fu la sua stessa gola a tradirlo. Il pizzicore aumentò all’improvviso, facendolo tossire più forte e troncandogli le parole.
    “Non parlare e dormi.” Lo liquidò l’altro senza mezzi termini. “Se ti sforzi a blaterare non fai che peggiorare la situazione.”
    Al volante non restò che annuire, bevendo un altro goccio d’acqua. Il chiarimento rimandato alla prossima occasione.
    Yuzo si rintanò sotto le coperte, rigirandosi su un fianco e cercando di chiudere occhio. Mamoru lo osservò dargli le spalle, con sguardo indagatore. Ogni tanto lo sentiva tossicchiare leggermente e poi acquietarsi e la cosa non gli piacque per nulla. Forse aveva sottovalutato la pericolosità di quella città in quarantena. Non sapeva nemmeno che diavolo di malattia l’appestasse, ma i sintomi li aveva capiti in quei pochissimi metri che avevano fatto nell’arrivare alla locanda e Yuzo li stava mostrando.

    Durante la notte, le cose non migliorarono.
    Nonostante bevesse in continuazione, la gola persisteva a non dargli pace e ogni colpo di tosse diveniva più forte, mentre uno strano bruciore cominciava a diramarsi nel petto.
    Si girò e rigirò nelle lenzuola, sforzandosi di non tossire per non svegliare anche Mamoru e, alla fine, fu costretto ad alzarsi.
    Non riusciva più a restare oltremodo sdraiato.
    Velocemente scivolò oltre la porta, venendo colto da un attacco improvviso che gli mandò a fuoco il petto per il bruciore intenso. Ma poté tossire liberamente; i suoi versi coperti da quelli degli altri ospiti obbligati della locanda.
    Piano, si mosse in direzione delle scale, accasciandosi sul primo gradino e appoggiando la schiena alla parete.
    L’aria diveniva difficile da respirare ogni momento che passava o forse era lui che non riusciva a farla entrare nei polmoni nonostante gli sforzi?
    Cercò di effettuare dei respiri profondi, che gli provocarono violenti colpi di tosse, così optò per altri più brevi e veloci, ma anche in questo modo gli sembrò sempre che l’aria mancasse.
    Forse si stava davvero facendo suggestionare troppo, come gli aveva detto Mamoru, ma una semplice suggestione poteva provocargli simili dolori al torace?
    Sentì gli alti degenti tossire in maniera convulsa e l’immagine dell’uomo, morto soffocato lungo la strada, comparve per un attimo davanti ai suoi occhi, facendolo rabbrividire per il terrore improvviso che si insinuò dentro di lui. Le frasi di Mamoru a peggiorare la situazione.

    “Non ti starai ammalando anche tu, vero?... ti lascio a marcire in questo luogo dimenticato dalle Dee…”

    “No!” Si disse energico. “Non sono malato! Sto bene! È solo un po’ di-” Un attacco lo fece tossire. Si portò subito il fazzoletto alla bocca, mentre ebbe l’impressione che il petto esplodesse per lo sforzo. Quando la crisi passò, i suoi occhi si abbassarono sul pezzo di stoffa che stringeva nella mano e un pallore tombale stinse il suo viso. Le labbra serrate, mentre scuoteva lentamente il capo.
    “Non è possibile…” mormorò con un filo di voce “…mia Dea…”

    Mamoru smise di contare i secondi scanditi dal rumoroso ‘tac’ dell’orologio appeso alla parete della stanza dopo circa tre ore.
    E il volante non era ancora rientrato in camera.
    Spalancò gli occhi nel buio, rigirandosi verso il suo letto e trovandolo vuoto.
    Lo aveva sentito per tutto il tempo che cercava di fare il minor rumore possibile, trattenendo i colpi di tosse, ma aveva finto di dormire. Similmente si era comportato quando l’aveva sentito uscire dalla camera e nel restante silenzio aveva misurato il tempo della sua assenza.
    Dopo tre ore aveva smesso e dovevano esserne trascorse almeno altre due.
    Con un gesto secco scansò le coperte, alzandosi e dirigendosi alla porta: si era assentato da troppo ormai. Lentamente ne aprì uno spiraglio: non voleva certo che quello stupido si accorgesse che era andato a cercarlo perché era preoccupato! Non lo era affatto!
    Doveva solo andare a vedere dove si fosse cacciato: era comunque suo compito, come responsabile della missione. L’incolumità dei compagni rientrava tra i suoi doveri, ma tutti sembravano quasi dimenticarsi di quel piccolo particolare e poi gli toccava fare da balia.
    Ma perché non gli avevano affidato una missione in solitario?
    Avrebbe potuto agire molto più liberamente.
    “Pivelli” ringhiò, dando un’occhiata all’esterno.
    Il pianerottolo sembrava deserto, mentre le candele alle pareti ricreavano una penombra che a stento riusciva ad arrivare negli angoli più remoti dell’ambiente. La sofferenza dei malati presenti nella locanda arrivò più forte alle sue orecchie. L’aveva sentita anche da dentro la camera, ma sapeva essere sordo a quei lamenti senza particolare difficoltà. Lui non era uno che si lasciava intenerire facilmente, differentemente da un certo volante fin troppo impressionabile. E dire che l’Airone di Cristallo gli era sempre sembrato una persona totalmente distaccata e inamovibile, come se nulla avesse mai potuto fare effetto su di lui, stupirlo o spaventarlo. Le emozioni sempre perfettamente controllate dietro l’espressione calma e signorile. E anche tutti gli altri Elementi d’Aria che aveva conosciuto mantenevano un simile temperamento.
    Invece, Yuzo aveva una trasparenza disarmante, certe volte, cert’altre si trincerava dietro il distaccato autocontrollo di cui i volanti si facevano fautori. Ma da quando erano entrati a Sundhara, lo aveva visto per tutto il tempo sul ‘chi vive’, spaventato a morte, e forse la battuta che gli aveva detto prima avrebbe potuto evitarsela.
    Sorrise con una punta di ironica perfidia, ricordando la sua espressione, mentre avanzava sul pianerottolo e si avvicinava alle scale. Si fermò quando lo trovò seduto sul primo scalino. La testa appoggiata sulle ginocchia che cingeva con un braccio; raggomitolato su sé stesso. Ogni tanto, qualche breve colpo di tosse lo faceva sussultare, ma non cambiò posizione e non sembrò essersi accorto della presenza dell’Elemento di Fyar.
    Quest’ultimo si sedette lentamente di fronte a lui, con la schiena appoggiata alla ringhiera, e vide che aveva gli occhi chiusi e il respiro affaticato.
    - Che stupido - sbuffò senza però essere realmente arrabbiato; come se non l’avesse capito che aveva lasciato la stanza per non dargli fastidio. Inutilmente, tanto era rimasto comunque sveglio.
    Scosse il capo lentamente. “Sei proprio un disastro” bisbigliò prima di muoversi per sollevarlo e portarlo nuovamente in camera, quando l’altra mano, che teneva abbandonata al suolo, attirò la sua attenzione: stringeva convulsamente un fazzoletto. La prese piano, per non svegliarlo, e girò il palmo verso l’alto.
    L’espressione mutò repentinamente da seccata a preoccupata e, questa volta, per davvero.
    Un grumo nerastro lordava la stoffa candida.
    “Maledizione…”

    Il frutto lasciato a terra.
    Il fiore sfiorito, disseminante petali.
    La carcassa abbandonata.
    Tutto marciva.
    I vermi decomponevano la sostanza, tramutandola in poltiglia maleodorante.
    E anche lui stava marcendo.
    Dall’interno.
    Si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi e tirandosi a sedere con foga. Il respiro ancora più difficoltoso della sera prima e la tachicardia si sommarono ai colpi di tosse che seguirono il risveglio.
    “Hai avuto un sonno piuttosto agitato.”
    La voce di Mamoru si attirò subito la sua attenzione, facendogli volgere lo sguardo a individuare la figura seduta sull’altro letto. I gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani intrecciate davanti alle labbra.
    In quel momento, si accorse di essere nuovamente in camera, ma lui non ricordava di esserci tornato.
    “Ti ho portato io qui” affermò Mamoru come a leggergli nel pensiero. “Visto che non rientravi, ero venuto a vedere se ti fossi perso. Ti ho trovato addormentato sulle scale.”
    “Oh… io…” Tossicchiò nuovamente, arrossendo. “…scusa…”
    “Come ti senti?” Era neutralmente serio, nessuno ironia o sarcasmo, ma si stava sinceramente informando sulle sue condizioni.
    Il volante abbozzò un sorriso. “B-bene…”
    “Ti ho chiesto: ‘Come ti senti?’” ripeté imperturbabile, segno che non gli credeva e Yuzo non poteva dargli torto. “Ho visto il fazzoletto.” Mamoru confermò i suoi timori, lasciando che il silenzio aleggiasse per qualche secondo. “Te la senti di accompagnarmi dal Doge? Altrimenti chiederò ad Hajime-”
    “No, no!” si affrettò a rifiutare, non voleva dimostrare di essere un debole. “Posso farlo! Verrò io, è il mio compito.”
    “Dopo passeremo da un Naturalista, intanto Teppei ed Hajime si informeranno su questa epidemia.” Mamoru lo vide annuire, poi gli indicò il comodino che separava i due letti. “Ti ho fatto preparare del latte con miele: bevilo, finché è caldo. Non servirà a molto, ma allevierà un minimo il pizzicore alla gola.”
    Yuzo osservò la tazza per poi guardarlo con reale sorpresa. “Grazie…”
    La Fiamma di Fyar inarcò un sopracciglio, mettendosi sulla difensiva. “Beh?! Cos’è quella faccia?!”
    “No, è che… è così raro che tu sia gentile con me…” ma il tentativo di giustificarsi fece irritare l'altro ancora di più.
    “E con questo?! Significa che non posso esserlo una volta tanto?!” Sbuffò, alzandosi in piedi. “Vai a far del bene ad un volante!” Con passo spedito si diresse alla porta. “Vedi di darti una mossa, ti aspetto giù e siamo già in ritardo!”
    Yuzo non riuscì a trattenere una risatina, anche se gli provocò un ennesimo eccesso di tosse.
    “E ride pure!” borbottò l’altro, lasciando la stanza con un moto di stizza, ma quando richiuse la porta alle sue spalle non trattenne un sospiro pesante, riacquistando subito il piglio severo.
    Appena arrivò nella sala da pranzo, accanto al banco dell’ostessa, Hajime e Teppei lo raggiunsero.
    “Come sta?” domandò il primo con preoccupazione e lui si strinse nelle spalle.
    “Il peggioramento è lento, ma continuo, e mi domando perché diavolo abbia attecchito solo su di lui tra noi quattro, e in maniera così fulminea, poi!”
    “Interrogheremo i Naturalisti, cercheremo di scoprire il più possibile di questa epidemia. Soprattutto la causa.”
    Mamoru annuì alle parole del Tritone. “Appena Yuzo scenderà, andremo dal Doge. Chi farà prima ritornerà alla locanda e aspetterà gli altri, in modo da mettere insieme i pezzi.”
    Acqua e Terra accordarono, lasciando subito la taverna, decisi a cominciare le ricerche quanto prima.
    Poco dopo, l’Elemento di Fyar venne raggiunto dal volante che non aveva affatto una bella cera. Il sonno poco ristoratore e la tosse continua gli conferivano un’aria stanca, nonostante si ostinasse a minimizzare la sua condizione. Ecco, in questi casi si comportava come un irritante Elemento d’Aria.
    “Pronto?” gli domandò, inarcando un sopracciglio e l’altro annuì, nascondendo un breve colpo di tosse nella mano. Insieme lasciarono la taverna e l’afa di Sundhara rendeva ancora più difficile la respirazione, per non parlare del pessimo odore che era costantemente presente nell’aria.
    I due si avviarono a piedi al palazzo del Doge che era perfettamente visibile dalla loro posizione, quindi, non dovettero fare altro che seguire il torrione svettante nel centro della città. Durante la camminata, incontrarono un paio di quei carretti che avevano visto la sera prima e avevano contato circa otto salme complessive. Era una vera ecatombe e a Mamoru sembrò impossibile che non avessero ancora trovato una soluzione.
    Lanciò una rapida occhiata al volante accanto a lui: continuava a camminare con lo sguardo fisso alla strada, alzandolo solo di tanto in tanto per vedere dove stesse andando. Doveva essere terrorizzato all’idea di poter fare anche lui quella fine e Mamoru continuava a non capire come avesse fatto ad ammalarsi.
    Gli Elementi, per merito dei lunghi addestramenti in luoghi decisamente ostili, sviluppavano un potente sistema immunitario: virus e batteri non erano avversari che potessero impensierirli, invece con Yuzo era successo l’esatto contrario.
    Ad ogni modo, lui non avrebbe mai permesso che potesse accadere qualcosa ai suoi compagni, che fossero stati di Acqua, Aria o Terra. Questo era uno degli insegnamenti fondamentali di Fyar: la lealtà.
    “Eccoci arrivati” decretò a un tratto, fermandosi davanti all’ingresso della piccola rocca.
    Due soldati della Guardia Cittadina restavano fermi, armati di lunghe lance, ma dai visi scavati che avevano, Mamoru capì che anche loro erano stati contagiati.
    Uno dei due si mosse, sbarrando l’entrata con la picca appena loro tentarono di varcare il portone. “Nessuno può entrare. Ordini del Doge.”
    “Non ho fatto settimane di viaggio per essere cacciato” rispose a tono l’Elemento di Fuoco, estraendo il rotolo con il permesso reale. L’altra guardia lo prese, accertandosi che il sigillo fosse autentico e aggrottò le sopracciglia.
    “Questo… cambia le cose.” Alzò nuovamente lo sguardo su di loro. “Attendete qui, avviso il Doge del vostro arrivo.”
    Nonostante tutto, Mamoru non poté biasimarli per i modi poco cortesi, anche se il codardo comportamento del funzionario, di trincerarsi nella sua magione, non gli faceva affatto onore.
    Poco dopo, il soldato ritornò. “Prego, passate pure.”
    I due Elementi fecero un breve cenno di assenso, varcando le pesanti porte del piccolo castello. Un maggiordomo li guidò fino allo studio del Doge, per poi fare un rapido inchino e andare via.
    Qualcuno tossì all’interno della stanza e, ancor prima di vederlo, Mamoru capì che, nonostante tutte le sue accortezze, anche l’alto funzionario aveva contratto la malattia.
    Infine, diede un’ultima occhiata al volante che, da quando erano arrivati davanti al castello, non aveva più tossito, nemmeno per un attimo, quando era stato un continuo per tutto il tragitto.
    Il giovane di Fyar bussò con un paio di colpi secchi, ricevendo uno sforzato incitamento a entrare.
    Individuarono il Doge seduto dietro la pesante scrivania e l’espressione provata sul viso.
    “Spero portiate una cura da Raskal” disse ostentando un sorriso e, prima che Mamoru dicesse alcunché, fu Yuzo a parlare.
    “Purtroppo, Doge Aoi, nemmeno sapevamo della disgrazia gravante su Sundhara. Alla capitale non è giunta alcuna notizia a riguardo.” Aveva parlato con voce ferma e limpida, sorprendendo lo stesso Izawa.
    Il sorriso dell’uomo scomparve, facendogli emettere un pesante sospiro. “Allora il nostro destino è segnato…” e tossì brevemente, coprendosi la bocca con un fazzoletto. “Nemmeno l’isolarsi in questo castello è stato sufficiente. Il morbo è dappertutto, ma resta confinato solo sulla nostra città. I villaggi vicini non hanno subito nulla del genere.” Scosse il capo. “Se non siete venuti fin qui per salvarci, allora cosa vi spinge in questo Inferno?”
    “Doge Aoi, stiamo cercando informazioni riguardo il Principe Tsubasa. Potreste dirci cosa è successo, quando è venuto qui?” domandò ancora il volante e l’uomo sospirò.
    “Anche il Principe ci ha abbandonato” esordì. “Mesi fa, giunse alle porte della città che l’epidemia era agli inizi, ma già molto diffusa. Suggerimmo al suo corteo di non entrare e io stesso lo raggiunsi, per metterlo al corrente della nostra situazione. Lui ascoltò attentamente sia me che il mio giovane figlio e promise che avrebbe fatto in modo di far arrivare la notizia della nostra sofferenza al suo regale padre… ma, a quanto dite, ciò non è avvenuto…” tossì convulsamente, mentre Yuzo e Mamoru si scambiavano una rapida occhiata.
    “Purtroppo sono mesi che non si hanno notizie del Principe. Sembrerebbe misteriosamente scomparso.” A quelle parole, lo sguardo del Doge si spalancò stupefatto.
    “Dite davvero?!”
    Yuzo annuì. “Per questo motivo stiamo viaggiando nella speranza di ritrovarlo quanto prima.” Sorrise con il suo modo affabile. “Sono convinto che non abbia voluto abbandonarvi, Doge Aoi. Il Principe non l’avrebbe mai fatto.”
    L’uomo affondò sconsolato il viso nelle mani. “Purtroppo questo è tutto ciò che so. Dopo che gli ho parlato è andato via e non l’abbiamo più rivisto.” Sorrise. “Mio figlio era convinto che gli fosse accaduto qualcosa… avrei dovuto dargli retta.”
    “Si spieghi meglio.” Intervenne Mamoru con interesse.
    “Oh, non c’è molto da dire… ho un figlio che ha più o meno la vostra età, sapete? E lui parlò con fervore al Principe. Quest’ultimo gli regalò quattro scudi(1) elementali promettendo, in nome delle Dee, che non avrebbe lasciato Sundhara a sé stessa. Poi ripartì e il resto lo sapete. Però, nonostante tutto, Shingo ha sempre difeso il giovane erede. Ultimamente era convinto che qualcosa di importante doveva essergli accaduto, visti i mancati soccorsi.”
    “Shingo è vostro figlio?” si informò Yuzo.
    L’uomo annuì.
    “Vorremo poter scambiare qualche parola anche con lui, se non avete nulla in contrario. Dove possiamo trovarlo?”
    Il Doge sospirò, prima di tossire di nuovo. “Sicuramente sarà con uno dei Naturalisti di Sundhara di nome Calimero. Cerca di aiutarlo come può.”
    I due Elementi fecero un inchino. “Vi ringraziamo della vostra disponibilità. Faremo il possibile perché a Raskal sappiano e mandino l’aiuto di cui avete bisogno, purtroppo, dovete mettere in conto anche i ritardi dovuti alla guerra imminente…”
    L’uomo annuì gravemente alle parole del giovane d’Aria. “Sì, ne sono al corrente: è una vera disgrazia. Troverà mai pace questo pianeta?”
    “Ci auguriamo di sì.” Un nuovo inchino e si congedarono dal funzionario, lasciando il suo ufficio.
    Mamoru incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio. “Credi che possa esserci utile questo Shingo?” ma come si volse in direzione del volante, lo vide impallidire e portarsi una mano alla bocca. La tosse lo scosse con tutta la sua violenza, facendolo accasciare al suolo.
    Immediati furono i soccorsi dell’Elemento di Fuoco, che si inginocchiò accanto a lui. “Yuzo, che succede?!” Ma l’altro non riusciva nemmeno a parlare, mentre il respiro diveniva sempre più pesante. Era di sicuro la crisi più forte e Mamoru si convinse che la situazione sarebbe solo andata a peggiorare con il tempo.
    Lentamente la tosse perse intensità e il volante fece un paio di ampi respiri prima di annuire per fargli capire che, per il momento, stesse passando.
    “Maledizione! Ma così?! All’improvviso?!” sbottò il compagno, aiutandolo a rialzarsi. “Fino a un attimo prima stavi bene!”
    “E’… una tecnica di Alastra…” cercò di dire, attirandosi lo sguardo di Mamoru. “...le discipline mentali sono la nostra specialità… ho cercato di focalizzare la mia attenzione su altro, circoscrivendo e ignorando il dolore e l’istinto a tossire…” Il petto bruciava come un tizzone. “…solo che non avevo abbastanza forza per ritornare gradualmente alla condizione iniziale…” Si sforzò di sorridere, mentre la Fiamma lo insultava tra i denti.
    “Imbecille! Ma come ti è venuto in mente?! Fallo di nuovo e ti uccido!”
    Yuzo ridacchiò. “Non c’è bisogno che ti sporchi le mani. Ancora un po’ e ti libererai di me… non è il tuo più grande desiderio?”
    Il giovane di Fyar lo afferrò per un braccio con forza, costringendolo a guardarlo negli occhi. “Non azzardarti a ripeterlo.” Le iridi che ribollivano come pece. “E non azzardarti a morire.”


    [1]SCUDI: sono antiche monete usate in Italia. Ho voluto fare un parallelismo con la storia nel manga di Shingo e Tsubasa (dove quest’ultimo gli dà le monetine all’aeroporto.). Altro parallelismo è la presenza di Calimero, ovvero l’omino che ripara gli scarpini per la squadra in cui milita Aoi, e per il quale Shingo ha fatto da assistente prima di essere ammesso in squadra.


    …Il Giardino Elementale…

    Un’avventura piuttosto cupa quella a Sundhara e dall'esito incerto.
    Quale sarà stata la causa di questa mortale epidemia?
    E perché l’Elemento d’Aria sembra essere l’unico dei quattro a subirne gli effetti atroci?
    Inoltre, sembrerebbe che l’Elemento di Fuoco sia realmente preoccupato per le sorti del suo odiato compagno di viaggio: che si stia finalmente decidendo a mettere da parte l’astio che prova nei suoi confronti?


    Enciclopedia Elementale (aggiunto il volume 4):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega

  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia

  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli

  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo

  • Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Nota Finale: ammetto che questo capitolo mi è venuto più cruento (e più lungo!!XD) di quanto non avessi preventivato. O__O''' dovrei forse aggiungere l'avviso: "Non per stomaci delicati"? *mmh*. Sì, forse è il caso.
    Chiedo venia per non averlo fatto prima. ^_^
    Ad ogni modo, la seconda parte è quasi conclusa. Poi la dovrò solamente ricopiare e mandare alla Bettina!*_*

     

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    Capitolo 9
    *** 5 - Quarantena - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 5: Quarantena (parte II)

    Sundhara – Città del Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Teppei continuava a scuotere il capo ad ogni passo, scivolando tra la gente ancora viva che camminava velocemente, coprendosi il viso con scialli e fazzoletti, ma nessuno sembrava essere in grado di sfuggire a quella terribile epidemia.
    Quanti uomini e donne, morti o morenti, restavano accasciati lungo i bordi della strada che stavano percorrendo lui ed Hajime? Aveva perso il conto e Sundhara non era piccola.
    Svoltarono per un ennesimo vicolo alla ricerca di un qualsiasi Naturalista disposto a dar loro delle spiegazioni, ma tutte le dimore che avevano visitato erano vuote: i medici facevano le perlustrazioni delle strade per prestare soccorso a chi non riusciva più nemmeno a muoversi e, davanti agli ospedali, c’erano file infinite di malati. L’unica speranza era di trovarne qualcuno in giro, ma fino a quel momento non erano stati particolarmente fortunati.
    “Dea, Hajime, è veramente terribile…” disse ad un tratto il tyrano. “Ed immagina cosa potrebbe accadere se la guerra dovesse spingersi fin nell’entroterra delle Regioni Centrali e poi al Sud. Ci sarebbero altre dieci, cento Sundhara cui far fronte.”
    “Preferisco non pensarci, almeno per il momento” rispose grave il Tritone. “O passerei le mie nottate a fare incubi. Cerchiamo di trovare un dannato Naturalista: questa epidemia è così maledettamente strana. Dobbiamo sapere il più possibile prima che per Yuzo sia troppo tardi.” E scosse il capo, infilandosi in un’altra strada seguito a ruota dal compagno. “Mamoru ha ragione: come è stato possibile che lui si ammalasse così velocemente, mentre noi siamo ancora perfettamente sani?” Ma anche l’Elemento di Terra fu costretto a scuotere il capo con perplessità a quella domanda. Come gli altri, non ne conosceva la risposta, ma avrebbero dovuto trovarne una al più presto.
    D’un tratto, un giovane attirò la loro attenzione, facendoli fermare.
    Sul ciglio della strada, un ragazzo dai capelli scuri stava soccorrendo alcuni malati, somministrando loro dei farmaci.
    Hajime e Teppei si scambiarono un rapido sguardo di intesa, avvicinandosi allo sconosciuto, con passo sicuro.
    “Perdona la nostra interruzione…” Fu il Tritone a parlare, attirandosi l’attenzione del ragazzo che restava inginocchiato accanto a un malato. “…potremo rubare qualche minuto del tuo tempo?”
    L’altro lo osservò attentamente, con curiosità. “Voi non siete di queste parti…” avanzò con titubanza e Hajime annuì.
    “Esatto, veniamo da Raskal.”
    A quelle parole, lo sguardo dello sconosciuto si illuminò all’improvviso, facendolo balzare in piedi. Aveva una statura più bassa della loro e i capelli spettinati. “Siete stati mandati dal Principe, vero?!” esclamò entusiasta. “Lo sapevo che avrebbe mantenuto la promessa!”
    I due Elementi si scambiarono una rapida occhiata perplessa. “Il… il Principe?” fece eco quello di Acqua.
    “Proprio lui! Voi siete i Naturalisti della capitale, no?” Poi si passò due dita sul mento “A dire il vero, non pensavo ne mandasse di così giovani.”
    “Mi dispiace, ma deve esserci uno sbaglio” negò Hajime “Noi non siamo medici.”
    L’espressione del ragazzo cambiò improvvisamente, perdendo tutto l’entusiasmo. “Ma… ma avete detto di venire da Raskal…”
    “Questo è vero, ma non siamo Naturalisti.”
    “Oh…” Abbassò lo sguardo al suolo, abbozzando un sorriso. “Allora gli altri saranno ancora in viaggio…” Sollevò nuovamente lo sguardo su di loro, mantenendo comunque l'iniziale cordialità. “Cosa posso fare per voi?”
    “Sei tu un Naturalista?”
    L'altro negò. “Sono l’assistente di Calimero, il medico è lui.”
    “E sai dove possiamo trovarlo?”
    “Certo, se volete vi ci posso accompagnare, tanto devo andare a rifornirmi di medicinali: purtroppo, finiscono fin troppo in fretta nell’ultimo periodo.” Iniziò ad avviarsi lungo la strada non senza prima aver rivolto un sorriso agli altri malati. “Ancora un po’ di pazienza, tornerò presto” disse loro, cercando di infondere un minimo della speranza di salvezza che lui ancora nutriva a quelle anime che l’avevano già perduta da tempo. Poi si rivolse ai due stranieri. “Venite, vi faccio strada.”
    “Qual è il tuo nome?” domandò il tyrano.
    “Shingo, sono il figlio del Doge.”
    “Io sono Teppei e lui è Hajime. È ammirevole da parte tua l’aiuto che offri a queste persone.”
    Il ragazzo sorrise, tossendo un paio di volte. “Scusate” si giustificò. “Come tutti, anche io ho contratto il morbo. Invece voi da quanto tempo siete arrivati? Non l’avete visto il cartello fuori le mura della città?”
    “Sì, lo abbiamo visto” confermò il Tritone “Ma cause di forza maggiore ci hanno costretto a varcare comunque le vostre mura. Ad ogni modo, siamo arrivati solo ieri sera.”
    “E cosa vi ha spinto sino qui, se posso chiederlo?”
    A mano a mano che si addentravano nel cuore di Sundhara, la situazione non sembrava migliorare, mentre le case avevano porte e finestre completamente sbarrate.
    “Hai parlato del Principe, prima.”
    “Sì!” Shingo sorrise, caricandosi nuovamente di genuino entusiasmo. “E’ venuto qui, mesi fa, sapete? E io ci ho parlato!” Afferrò lo strano sacchettino che portava al collo. Rapidamente se lo vuotò in una mano, mostrando loro i quattro scudi con i simboli Elementali. “Questi me li ha dati lui, in persona!” Poi sospirò “Aveva promesso che avrebbe mandato altri medici e cure… ma non abbiamo più avuto sue notizie.” Scosse il capo con decisione. “Io non posso credere che mi abbia mentito! Ha giurato sulle Dee! Deve essergli sicuramente successo qualcosa, ne sono certo… ma qui nessuno sembra essere d’accordo con me.”
    La mano del Tritone si poggiò sulla spalla di Shingo, attirandosi il suo guardo sfiduciato. “Il Principe non ha infranto il suo giuramento, di questo puoi esserne convinto.”
    “Purtroppo i tuoi timori potrebbero essere fondati” sospirò Teppei “Noi siamo partiti da Raskal per questo motivo: sembra che il Principe sia scomparso nel nulla e ci hanno affidato il compito di ritrovarlo.”
    Hajime continuò. “E questo spiega perché abbiamo varcato le mura di Sundhara, nonostante il divieto. Due nostri compagni sono andati a parlare con tuo padre per avere informazioni riguardo la visita di Sua Altezza.”
    Shingo si batté la mano con un pugno, assumendo un’espressione contrita. “Allora avevo ragione! Gli è capitato qualcosa! Speriamo non sia nulla di grave! Voi lo troverete, vero?! Vi dirò tutto quello che so, se può esservi d’aiuto!”
    “Certo che lo è!” Lo rassicurò l’Elemento di Terra. “Comincia col raccontarci del male che sta uccidendo Sundhara, parlaci del morbo.”

    Yuzo rimase tra il perplesso e lo sconcertato per ciò che Mamoru aveva detto e il tono che aveva usato. Da lui si sarebbe aspettato più una battuta del tipo: “Meno male! Anzi, se vuoi una mano a morire prima, non hai che da chiederlo!” e invece…
    Per un attimo, gli balenò l’idea che si stesse davvero preoccupando per lui, ma…
    Naaa! Che andava a pensare!
    Sbatté un paio di volte le palpebre, tossicchiando leggermente. “Non credevo… di esserti diventato così simpatico.”
    Mamoru inarcò immediatamente un sopracciglio. “Non farti illusioni! Se ti ordino di non crepare è solo perché voglio che l’onore di torcerti il collo sia solo mio!” Abbozzò un sorrisetto malefico che Yuzo rimase, per la seconda volta, a guardare con perplessità.
    Poi, scoppiò improvvisamente a ridere, tra i colpi di tosse, mentre l’Elemento di Fyar arrossiva, incrociando le braccia al petto e girandogli la faccia.
    Con un moto stizzito riprese a camminare, seguito con difficoltà dal compagno.
    “Che diavolo hai da ridere adesso?! Tsk! Ma tu guarda! Io lo minaccio e lui ride! Voi volanti non avete tutte le rotelle a posto, sappilo!”
    Ma l’altro continuava a ridacchiare divertito. “Almeno non mi ignori, anche se vuoi uccidermi!”. Mamoru gli fece un paio di smorfie senza voltarsi.
    “Non credere che abbia digerito quello che è avvenuto nel deserto!” La Fiamma si fermò di colpo, portandosi minacciosamente le mani ai fianchi e rivolgendogli il suo solito sguardo astioso. “Sappi che io non ho la minima fiducia in te!” Si aspettò di leggere, sul viso di Yuzo, almeno un minimo di risentimento per quelle parole, invece l’Elemento d’Aria mantenne il suo pacifico sorriso, stringendosi nelle spalle.
    “E dove starebbe la notizia sconvolgente? Non credere che io non l’avessi già capito, non sono stupido fino a questo punto.” Lo superò, senza dargli un briciolo di soddisfazione. “Niente di nuovo sotto il Sole.”
    Mamoru ringhiò un insulto nella lingua comune, prima di sbuffare e riprendere a camminare. “Anche da malato sei irritante, complimenti! Che abilità!”
    Percorsero a ritroso i corridoi del palazzo, fino a uscire dal portone principale dove le guardie rivolsero loro un rapido inchino.
    “Come stavo dicendo prima che ti venisse quella crisi, credi che parlare con il figlio del Doge possa esserci di qualche utilità?”
    Il volante scosse il capo, alternando parole e tosse. “Non ne ho idea, ma è pur sempre un tentativo. Magari Shingo si è accorto di qualcosa che al padre è sfuggito.”
    L’altro sbuffò. “Lo spero. Sono stanco di girare a vuoto e il Principe non può essersi volatilizzato nel nulla…”
    “Conta che sono passati dei mesi: chiunque sia stato, aveva tutto il tempo necessario per far scomparire le tracce.”
    “Non sei di conforto.” ironizzò Mamoru, inarcando un sopracciglio con stizza, poi alzò lo sguardo al cielo che si presentava azzurro, ma opaco sotto i raggi del Sole. “Spero solo che, ovunque egli sia, si trovi in un posto migliore di questo e che sia vivo.”
    Yuzo sorrise. “Sono convinto che non abbia ancora lasciato questo mondo. Se così fosse stato, la Chiave Elementale avrebbe-” ma si interruppe, attirandosi l’attenzione del compagno. “Oh, scusa. Dimenticavo che non credi nell’esistenza della Chiave.”
    “Non ho detto di non crederci!” si irritò Mamoru “Sono solo un po’ scettico a riguardo. È forse un delitto avere dei dubbi per un qualcosa che non si sa nemmeno che forma abbia?”
    L’Elemento d’Aria si affrettò a scuotere la testa e alzare le mani. “Oh, io non intendevo criticarti o rimproverarti, davvero! Non prendere sempre per un attacco tutto ciò che ti si dice, non lo è!”
    “Ora però mi stai rimproverando!”
    Yuzo fece per replicare, ma ci rinunciò: Mamoru era davvero una persona impossibile, certe volte. Tossì ancora, mentre si avviavano lungo i vicoli della città saturi dei lamenti di dolore dei malati.
    “Dobbiamo trovare questo Calimero, molto probabilmente il figlio del Doge sarà con lui.” Il volante si limitò ad annuire, mentre l’avanzare della malattia continuava a non dargli pace.
    Il bruciore al petto era divenuto continuo e si faceva sempre più forte a ogni colpo di tosse. “Va… va bene…” tentò di dire, ma la vista gli si appannò, mentre avvertiva il sopraggiungere di una nuova crisi. Non fece nemmeno in tempo a chiamare Mamoru, che si ritrovò in ginocchio senza sapere come; la mano che stringeva il petto con forza e l’altra appoggiata al suolo. La tosse era più intensa e violenta.
    L’Elemento di Fuoco si volse subito nel sentirlo tossire con forza e, per un attimo, gli sembrò che la sua ora fosse arrivata nel vedergli tenere il torace con quella stretta spasmodica e la mano affossata nell’acciottolato sotto i loro piedi; l’espressione contrita per il dolore.
    E quell’immagine… non gli piacque per niente. Non seppe spiegarsi il motivo, ma fu così.
    Rapidamente gli afferrò un braccio, facendolo passare attorno al suo collo per cercare di sostenerlo. Yuzo aveva bisogno di un medico, il più presto possibile; le loro ricerche passavano in secondo piano.
    “Forza volante, ti porto da un Naturalista… vedrai che troverà una soluzione.”
     
    “Non ricordo con precisione da quanto tempo versiamo in questo stato, ma di sicuro sarà passato un anno abbondante” sospirò Shingo, guardandosi intorno con espressione rassegnata. “Ormai sembra un’eternità. La città è solo lo spettro di ciò che era un tempo. Sundhara, la luminosa Città del Sole, dal clima meraviglioso in ogni stagione, i tetti dorati e splendenti sotto i raggi e la gente sempre allegra e cordiale… poi ci siamo ritrovati al tramonto senza nemmeno accorgercene.” Indicò le case con un cenno del capo. “Guardate ora. L’oro si è spento e il Sole ci illumina senza farci brillare, come se ci facesse un favore.” Abbozzò un sorriso quasi ironico, osservando Hajime. “Lo chiamiamo il ‘morbo’ perché non sappiamo esattamente cosa sia. I Naturalisti, gli Erboristi e gli Alchimisti hanno lavorato incessantemente, analizzando i terreni, le piante e le acque alla ricerca dell’agente infetto. Hanno preparato i composti più impensabili, antidoti, medicine; i risultati, potete ben vederli da soli, sono stati alquanto scarsi.” I suoi occhi si mossero agli altri malati che restavano sofferenti lungo le strade. “Il morbo colpisce l’apparato respiratorio. I primi sintomi si manifestano dopo un paio di settimane, massimo un mese; dapprima è un semplice prurito alla gola, poi la tosse si fa più intensa e violenta. All’inizio si pensò a una semplice bronchite, poi a una polmonite particolarmente resistente, ma le classiche cure non riuscirono a sconfiggerle; le rallentavano, ma nulla di più… in un certo senso, non fanno che aumentare l’agonia.” Scosse il capo. “Poi cominciarono ad arrivare le prime vittime. Anziani, da principio, e bambini: i soggetti più deboli. Uomini e donne, senza distinzione di età. E la città venne messa in quarantena ed erette le mura per impedire che si espandesse anche alle zone vicine. Fortunatamente, a oggi, il morbo sembra aver colpito solo Sundhara. Almeno non abbiamo contagiato nessuno al di fuori da qui.”
    Teppei non riusciva a farsi capace. “Come è possibile che, dopo un anno, nessuno sia riuscito ancora a capire il motivo di questa epidemia?”
    Shingo si strinse nelle spalle. “Sembra assurdo, lo so, eppure è così. Tanti ricercatori e luminari ci hanno lavorato, ma non c’è stato nulla da fare. Nessuno è riuscito a trovarne almeno la causa.”
    Hajime, dal canto suo, sembrava pensieroso. “Sicuro che ci voglia tutto questo tempo per manifestare i sintomi?” domandò infatti e l’altro annuì.
    Accidenti! Tutto ciò continuava a non avere senso: Yuzo li aveva manifestati solo in un giorno! Com’era possibile? Invece che avere delle risposte, non ottennero che nuovi quesiti.
    “Quando… quando tornerete a Raskal…” domandò Shingo con titubanza “…parlerete della nostra situazione al Re? Lo so che c’è la guerra ai confini del Nord, ma… non posso restare a guardare mentre la mia gente muore!” e strinse i pugni con forza. “Vi prego… ricordate al Principe della sua promessa!”
    Hajime sorrise. “Credo che lui non l’abbia dimenticata, ovunque sia in questo momento. Ad ogni modo, è ovvio che non vi abbandoneremo al vostro destino, ma esporremo la situazione a Sua Altezza.”
    Gli occhi del giovane si fecero lucidi. Afferrò le mani dei due Elementi e fece loro un inchino. “Grazie, grazie mille!” disse allargando uno speranzoso sorriso per poi indicare un punto imprecisato alle sue spalle. “Oltre la piazza c’è la casa di Calimero. Venite, ormai siamo quasi arrivati.”
    Ripresero a camminare, sbucando in un modesto foro di forma poligonale, perfettamente simmetrica, cui si dipartivano varie direzioni che riportavano all’interno dei vicoli e altre strade.
    Al centro sorgeva un basso pozzo in pietra.
    Teppei arricciò il naso, mentre un fastidioso tanfo gli pizzicava le narici. “Anche questo lezzo è colpa della malattia?” domandò, coprendosi con una mano e Hajime inarcò un sopracciglio, borbottando.
    “Ottimo tatto.”
    “E’ probabile, sai?” sospirò Shingo, stringendosi nelle spalle. “Prima, Sundhara aveva un meraviglioso odore di fiori, di pane appena sfornato… di buono, di sano. Ma anche questo sembra averci abbandonato.”
    Il Tritone indicò col capo il pozzo. “E’ quello che usate per abbeverare la città?”
    “Un tempo, ora non più. Da quando è stato costruito il nuovo e più moderno acquedotto, tutti i pozzi della città sono caduti in disuso, ma abbiamo deciso di non abbatterli e lasciarli come ricordo; ogni piazza ne ha uno.” Poi sorrise. “La gente vi getta ancora monete, esprimendo desideri.” Scomparvero all’interno di un’altra strada laterale, ma lo scenario non sembrò cambiare: cadaveri o morenti affollavano i bordi delle vie; alcuni si dirigevano lentamente, seguendo la loro stessa direzione: anche loro, probabilmente, stavano andando dal Naturalista Calimero.
    Alle loro spalle, intanto, svettava il modesto torrione del palazzo del Doge.
    “Eccoci, siamo arrivati” esordì Shingo, aumentando il passo ed entrando in una casa dalla porta socchiusa. L’insegna in alto era piuttosto rivelatrice: ‘Studio Naturalistico’.
    I due Elementi vi fecero capolino, scoprendolo già pieno di degenti: chi sui lettini, chi sulle sedie, chi a terra. Non c’era un solo spazio libero in tutto l’ambiente saturo dei loro lamenti e dell'aria viziata. Tra loro, scorsero un uomo dalla corporatura tozza e robusta e i corti capelli bianchi, che si aggirava controllando la salute dei pazienti.
    “Sono tornato, Calimero!” lo richiamò il giovane, liberandosi della sacca e l’uomo si volse, aggrottando le sopracciglia.
    “Oh, Shingo. Sei già di ritorno?”
    “Sì, purtroppo. Ho finito le medicine…”
    L’altro rilasciò un sospiro pesante. “Di questo passo le scorte finiranno come niente…” poi si accorse della presenza dei due sconosciuti al seguito del figlio del Doge. “Vedo che hai portato qualcuno. Altri malati?”
    Subito il ragazzo scosse il capo, sorridendo. “Vengono direttamente da Raskal!”
    “Ma non siamo i Naturalisti che tanto stavate aspettando.” Si affrettò a spiegare Hajime, alzando le mani. Il medico aggrottò le sopracciglia con ironia, sbuffando un sorriso, prima di tossire un paio di volte.
    “Per un attimo ci avevo sperato, sapete? Mai come ora questa città avrebbe bisogno dell’aiuto da parte della capitale.”
    Shingo lo prese per un braccio, avvicinandosi e abbassando volutamente il tono. “Sono stati mandati per cercare il Principe: sembra sia scomparso. Come vedi, avevo ragione!”
    L’uomo sgranò gli occhi, puntandoli repentinamente su Hajime e Teppei. “Misericordia!” Si lasciò sfuggire “E’ vero quello che dite?!”
    “Purtroppo, sì.” Annuì il Tritone “Ma se ci siamo fatti condurre fino a voi è perché abbiamo bisogno del vostro aiuto.”
    “Se posso, sono a vostra completa disposizione” accordò Calimero con severità e un filo di preoccupazione.
    “Dovete sapere che siamo giunti in quattro a Sundhara” cominciò Hajime “Ma uno dei nostri compagni che quest’oggi è andato a parlare con il Doge, sta manifestando i sintomi del morbo.” Poi sospirò, inarcando un sopracciglio. “E sono anche ad uno stadio piuttosto avanzato.”
    Il medico si passò una mano sul mento. “Da quanto tempo siete in città?”
    “Questo è il peggio: da ieri sera.”
    Calimero sgranò gli occhi, non riuscendo a trattenersi. “Che la Divina Yayoi mi fulmini! È impossibile! Quello che state dicendo è un’assurdità! Il morbo compare dopo due/tre settimane, non in meno di ventiquattro ore! Dovete esservi sbagliati!”
    Il Tritone scosse il capo con lentezza estrema. “Nessun errore. I sintomi sono inequivocabili: pizzicore alla gola, tosse via via più persistente e grumi nerastri.”
    “I grumi?! Di già?!” continuò a sorprendersi, mentre anche Shingo era perplesso.
    “Calimero, com’è possibile? Se fosse una mutazione del morbo… sarebbe la fine per tutti! In pochi giorni Sundhara diverrebbe una città fantasma!”
    L’uomo non rispose subito, continuando a mantenere un piglio grave. Poi alzò di nuovo lo sguardo su di loro. “Portatelo da me il prima possibile. Devo accertarmi delle vostre parole.”
    “Certo.” annuirono i due Elementi, pronti a tornare alla locanda, quando qualcuno irruppe con foga all’interno del già gremito studio.
    “Ho bisogno di aiuto!” gridò una voce che, sia il Tritone che il tyrano, riconobbero all’istante.
    “Mamoru?!” constatò Hajime con sorpresa. Erano già lì e gli sembrò un colpo di fortuna, poi vide che il giovane di Fuoco stava sorreggendo uno Yuzo scosso da una tosse violenta, che non sembrava accennare a fermarsi, e subito si precipitò verso di loro.
    “Oddea!”
    “Hajime? Teppei? Siete qui anche voi?!” domandò l’altro, mentre il Tritone lo aiutava a sostenere il compagno d’Aria.
    “Ma che è successo?”
    “Non lo so! La malattia peggiora a vista d’occhio!” ringhiò tra i denti con rabbia.
    “E’ lui il giovane di cui mi parlavate?”
    Quella voce sconosciuta si attirò lo sguardo di Mamoru, stretto in fessure. “Siete il Naturalista? Se così non è, non azzardatevi a toccarlo!”
    “Calma, Mamoru. È la persona giusta!” confermò Teppei, mentre l’uomo alzava il viso del volante. Quella tosse la conosceva fin troppo bene per non riconoscerla.
    “Sì, è lui.” annuì Hajime alla domanda che prima gli aveva posto.
    “Portiamolo nell’altra stanza.” ordinò il medico precedendo tutti e passandosi una mano tra i capelli. “Tutto questo non ha senso!”
    “Fate in modo che l’abbia al più presto” sibilò il giovane di Fyar “prima che sia troppo tardi.”

    Calimero abitava al piano superiore di quella piccola palazzina, mentre lo studio si trovava al piano terra. Eppure, probabilmente a causa della troppa vicinanza tra i due, anche gli alloggi del medico avevano quel fastidioso odore di ospedale che Mamoru detestava, misto al tanfo di marciume che era divenuto caratteristico a Sundhara.
    Nel piccolo salotto, arredato con un paio di divani, l’Elemento di Fuoco restava appoggiato con una spalla al vetro della finestra in attesa che il Naturalista terminasse di visitare il volante; l’udito in allerta ad avvertire qualsiasi rumore.
    Vista la situazione, Calimero aveva preferito tenerlo lontano dagli altri malati: se fosse stata davvero una mutazione del morbo, avrebbe potuto contagiarli e sarebbe stato un disastro.
    Su uno dei divani, anche Hajime e Teppei restavano in attesa, mentre Shingo camminava nervosamente per tutta la stanza, irritando Mamoru ancora di più.
    “Vuoi stare un po’ fermo, ragazzino?!” sbottò quest'ultimo all’improvviso, fulminandolo con la coda dell’occhio. “Mi stai facendo venire il mal di testa!”
    “Oh, scusatemi.” Si mortificò, grattandosi la spettinata massa di capelli. “E’ che tutta questa situazione mi fa stare in ansia…”
    “Non sei il solo.” sospirò Teppei, rilassandosi contro il morbido tessuto del divano.
    “Come è andata dal Doge?” domandò invece Hajime, sperando di ricevere buone notizie almeno su quel fronte, ma vedere l’Elemento di Fyar girargli la faccia per tornare a scrutare l’esterno dalla finestra, non gli fece presagire nulla di buono.
    “Come al solito.” cominciò infatti “Anzi, il Principe non è nemmeno entrato in città, ma è stato il Doge a uscire fuori dalle mura per accoglierlo. Si sono scambiati poche parole e poi è ripartito.”
    “Tutto qua?” Hajime era demoralizzato. Quanti mesi erano passati ormai che viaggiavano a vuoto di città in città senza venire a capo di nulla? Due, tre? Troppi.
    “Sì, purtroppo. Yuzo aveva proposto di scambiare due parole anche con suo figlio…”
    “Sono io!” esclamò il ragazzo, battendosi animatamente il petto e raggiungendolo in rapide falcate. “Sono io il figlio di Seiki Aoi!”
    Mamoru inarcò un sopracciglio. “Sei Shingo?” E l’altro annuì nuovamente, mentre lui scambiava una rapida occhiata con il Tritone che annuì in maniera impercettibile.
    “Cosa posso fare per voi? Come posso esservi d’aiuto?” si prodigò l'interpellato.
    Mamoru cambiò posizione per averlo completamente di fronte.“Tuo padre mi ha detto che tu sei stato il primo a sospettare che fosse successo qualcosa al Principe: che cosa te lo ha fatto supporre?”
    “Beh, era ovvio! Vostra Altezza mi aveva fatto una promessa” Shingo afferrò saldamente il sacchetto con gli scudi. “Ma sono troppi mesi che non abbiamo più sue notizie o dei Naturalisti che aveva promesso di inviare e io… io sono sicuro che non mi abbia mentito, per questo ho pensato che gli fosse accaduto qualcosa.”
    L’Elemento ci pensò per qualche secondo prima di domandare ancora: “Non hai notato nulla di strano? Nessuna persona sospetta nei paraggi o particolare che abbia attirato la tua attenzione?” Ma l’altro scosse il capo, facendogli tirare uno sbuffo carico di nervosismo. Non che ci avesse sperato, dopo aver parlato col Doge, ma sentirsi rispondere l’ennesimo ‘no’ ebbe comunque l’effetto di irritarlo. Però accantonò immediatamente l’interesse per la missione, quando il Naturalista entrò nel salottino e l’espressione tesa che aveva gli fece capire che le notizie non erano affatto buone. Rapidamente si allontanò dal davanzale cui era rimasto poggiato, avanzando di qualche passo, mentre l’uomo si portava nei pressi dei divani dove anche gli altri attendevano il responso.
    “Avevate ragione…” cominciò, guardando Hajime “ha contratto il morbo e… e io non so come sia possibile, ma è già nella fase terminale della malattia. Non avevo visto niente del genere in tutti questi mesi.”
    “E non potete fare qualcosa?!” sbottò Mamoru con irritazione “Curarlo, magari?!”
    “Purtroppo, non esiste una cura contro il morbo.” Il Naturalista scosse il capo. “Non sappiamo nemmeno da dove arrivi e le medicine che somministriamo per tentare di rallentarlo sarebbero totalmente inutili con il vostro amico. Mi dispiace.”
    Quell’ultima frase, detta con tale rassegnazione, gli incendiò il sangue.
    Vi dispiace?!” fece eco con ira repressa. “Cosa volete dirmi con questo?! Che è destinato a morire senza che nessuno di noi possa far nulla?!”
    Hajime tentò di rabbonirlo, poggiandogli una mano sulla spalla. La Fiamma la scacciò in malo modo, lasciandolo sorpreso.
    “Mamoru…” tentò di dire il Tritone, ma l’altro lo inquadrò con la coda dell’occhio. Il nero delle iridi brillante e ardente.
    “Yuzo è sotto la mia responsabilità come te e Teppei. E finché continuerete a esserlo, non posso permettere che le vostre vite siano in pericolo, chiaro?!”
    “Non sono in grado di fare miracoli, se è questo che mi state implicitamente chiedendo, giovanotto” borbottò il Naturalista, cercando di non prendersela per l’irruenza dell’Elemento di Fyar. “Perché solo questo potrebbe salvarlo nella condizione attuale.” Calimero lo vide rivolgergli uno sguardo carico d’astio, prima che deglutisse un paio di volte e l’ira arretrasse come un oceano in bassa marea. “Se avete qualcosa da dirgli, fatelo ora. Non credo che arriverà al tramonto.”
    Meccanicamente, Mamoru volse lo sguardo alla finestra, dove il Sole restava pallido al centro del cielo a metà strada dalla linea dell’orizzonte. Aveva solo una manciata di ore per trovare una soluzione e venire a capo di quello che stava uccidendo il volante.
    Senza dire una parola a Hajime e Teppei, lasciò il salotto per dirigersi nella camera dove avevano portato Yuzo. I colpi continui della tosse si fecero a mano a mano più vicini.
    Entrò piano senza nemmeno bussare, appoggiandosi allo stipite della porta che socchiuse alle sue spalle.
    Il volante fece un ultimo colpo di tosse, prima di rilassarsi contro i cuscini dietro di lui. Il respiro era un rantolo sibilante.
    “Sono ridotto piuttosto male, vero?” si sforzò di dire con un sorriso che Mamoru ricambiò, sempre ironico.
    “Perché sei il solito impiastro” rispose, afferrando uno sgabellino e sedendosi accanto al letto.
    “Hai ragione…” ammise, il giovane d'Aria annuendo leggermente. “Bel modo di concludere la mia prima missione…” Sorrise della sorpresa che lesse sul viso della Fiamma. “Già: mai lasciato Alastra finora” spiegò, respirando a fondo, mentre l’aria raschiava la gola, stridendo acuta. “Per questo non avevo mai visto dei ciliegi.” Gli sembrò un po' tardi e inutile giustificarsi per una cosa tanto stupida, eppure non aveva dimenticato la conversazione che avevano avuto prima della partenza. “Avevi ragione tutte le volte che mi hai dato dell’incapace o mi hai detto che sono un disastro. Mi dispiace di esserti stato di intralcio.”
    “Piantala di scusarti, lo sai che è una cosa che odio.” Gli disse Mamoru senza essere davvero irritato.
    Yuzo si strinse nelle spalle, tossendo un paio di volte. “E tu sai che io continuerò a farlo perché sono fatto così. Non cercare di cambiarmi…”
    Continuava a sorridere nonostante fosse a un passo dalla morte.
    L’autocontrollo di Alastra.
    Una tecnica perfetta per nascondersi.
    E Mamoru sapeva riconoscerla alla perfezione, ormai: il volante stava bloccando la sensazione di paura con ottimi risultati, nonostante la tosse lo avesse debilitato. L’Elemento di Fuoco, però, ascoltò attentamente la sua ultima frase, pensando che sì, forse aveva cercato di cambiarlo, di mutare la sua irritante natura di volante.
    “…lo so che forse sono stato troppo indisponente nel Poli… ma… nonostante tu sia il responsabile di questa missione, e io debba prendere ordini da te… non potrò mai uccidere nessuno; va contro la mia natura, ciò che sono… e non voglio. E se… se questa mia scelta non ti farà mai avere un briciolo di fiducia in me… mi spiace, ma non cambierò idea, né pretenderò che tu cambi la tua.” Yuzo disse quella frase tutta d’un fiato, cercando di non tossire, ma arrivato alla fine i colpi lo fecero piegare, mentre il petto si infiammava a ogni sussulto. Come gli aveva suggerito Teppei, aveva voluto mettere le cose in chiaro con l’Elemento di Fuoco, anche se era certo che quest'ultimo non avrebbe mai approvato la sua linea di pensiero, ma almeno lo aveva ascoltato senza lanciargli frecciate.
    “Non sforzarti di parlare.” Lo ammonì Mamoru in tono calmo, versandogli dell’acqua e aiutandolo a stendersi nuovamente. Yuzo afferrò il bicchiere, bevendo un paio di sorsi del liquido fresco. Il respiro sempre più sibilante.
    “E lascia perdere questi discorsi” continuò il giovane di Fuoco. “Li riprenderemo quando sarai guarito.” Ma il volante sorrise e stavolta fu lui a essere ironico.
    “Guarito? Guarda che il Naturalista mi ha detto in che condizioni sono e che molto probabilmente non arriverò a vedere nemmeno il mio ultimo tramonto…”
    “Ti ho già detto di non sprecare energie parlando a vanvera!” Stavolta, anche il volante colse un filo di fastidio a velare le sue parole. “Soprattutto, ti ho detto che non puoi permetterti di morire!”
    Yuzo emise un verso acuto che doveva essere il gorgoglio di una risata. “Già, è vero. Perché devi essere tu a uccidermi.” Volse il capo altrove con stanchezza e lasciò che il silenzio li separasse per alcuni secondi nei quali Mamoru rimase a osservarne il profilo con espressione indecifrabile. Era terribilmente serio, mentre la mente continuava a elaborare una possibile soluzione; anche ira si celava nelle pozze nere delle sue iridi e forse… forse preoccupazione, ma non rassegnazione. Quella mai. Era solo per i deboli e lui non lo era, né lo sarebbe mai stato. Era convinto che avrebbe trovato la soluzione, sicuro al cento per cento.
    “Sai qual è la cosa che più mi mancherà?” disse ad un tratto il volante senza voltarsi. “Il canto delle phaluat.”
    “I pennuti?”
    “Proprio quelli. Mi ricordano quando ero bambino…”
    “Lo sei ancora.” La Fiamma abbozzò un sorriso, cui lui rispose con una sottile risatina, tossendo un paio di volte, poi il suo sguardo sembrò perdersi in un punto imprecisato.
    “Tutto ebbe inizio da una piuma di phaluat…” disse in un soffio, come se stesse ricordando a voce alta e la mano andò meccanicamente a giocherellare con il filo d’oro pendente all'orecchio.
    “Che vuoi dire?” domandò Mamoru, ma non ottenne risposta. E dire che lui era convinto che di Alastra gli sarebbe mancata l’-…
    La sua espressione mutò di colpo a quel pensiero: - L’aria pura! -
    Fu un attimo.
    Una scintilla improvvisa fece finalmente luce sulle risposte che stava cercando, e tutto gli sembrò talmente ovvio che era impossibile che nessuno ci fosse mai arrivato prima.
    La soluzione era… così semplice!
    E si ricordò che Yuzo glielo aveva fatto notare appena avevano messo piede a Sundhara, ma lui non vi aveva dato peso.

    “L’aria è pesante…”

    Maledizione!
    Si detestava quando era così imbecille!
    D’un tratto, la tosse improvvisa del volante attirò la sua attenzione, ma era un attacco diverso. Gli vide stringere dapprima le coperte del letto, convulsamente, e poi gettare il capo all’indietro, mentre gli occhi restavano spalancati al soffitto. Il respiro era un fischio che andava a vuoto.
    “Yuzo!” Balzò dallo sgabello, mentre lo vedeva portarsi le mani alla gola nel vano tentativo di respirare. “Maledizione!” sbottò, afferrandogli i polsi prima che potesse farsi del male.
    Stava soffocando.
    Come l’uomo che era morto sotto ai loro occhi quando erano entrati in città.
    Adesso doveva agire, non c’era più molto tempo.
    Hajime!” gridò Mamoru, cercando di trattenere il volante che continuava a contorcersi, sofferente. “Hajime, ho bisogno di aiuto!”
    Il Tritone comparve sulla porta in un attimo. Alle sue spalle anche Teppei, Calimero e Shingo fecero capolino, allarmati.
    “Che succede?!”
    “Presto! Bagna quel pezzo di stoffa!” ordinò la Fiamma, accennando col capo a un fazzoletto sul comodino accanto al letto. Il giovane lo guardò senza capire.
    “Ma cosa…”
    “Fa’ come ti dico, muoviti!”
    Hajime non se lo fece ripetere e strinse il tessuto candido tra le mani. Pochi istanti dopo era zuppo di acqua.
    Mamoru lo afferrò, premendolo sul viso di Yuzo. “Avanti, volante! Respira!” borbottò, mentre l’altro gli stringeva il polso con una forza disperata, che non aveva minimamente sospettato in lui; gli occhi sbarrati fissi nei suoi, spaventati, mentre non era più in grado di gestire le sue emozioni.
    “Avanti! Ce la puoi fare!” continuò a masticare a mezza-voce l’Elemento di Fuoco alle cui spalle gli altri restavano con il fiato sospeso. Pochi attimi dopo, il volante cominciò a rilassarsi, allentando la presa attorno al polso di Mamoru; gli occhi che lentamente si socchiudevano, mentre il respiro si faceva più regolare.
    “Perfetto, continua a respirare” gli accennò un sorriso prima di girandosi di scatto verso il medico. “Sellatemi un cavallo e fate in fretta!”
    “Ma… cosa volete fare? Non posso permettervi di portare un malato fuori da Sundhara!”
    Ma Mamoru stava già sollevando Yuzo per farlo alzare, subito aiutato da Teppei che, nonostante la statura più minuta, era quello dotato di maggiore forza bruta, essendo un Elemento di Terra.
    “Non è malato!” ringhiò Mamoru, sbattendogli in faccia quello che per mesi non erano riusciti a capire. “E non lo siete nemmeno voi! Il problema di questa città è l’aria: siete intossicati!” Senza tanti complimenti spostò il medico di lato, uscendo rapidamente dalla stanza.
    “Ma cosa state dicendo?!” sbottò il Naturalista “Non è possibile! Ce ne saremmo accorti…”
    “Sellatemi un sfottuto cavallo e ve lo dimostrerò! Ma dovete farlo ora, maledizione! Non c’è più tempo!”
    L’uomo però rimase immobile, indeciso.
    “Ve lo sello io!” esclamò Shingo, muovendosi in direzione delle scale, quando il Naturalista lo afferrò per un braccio, guardandolo con rimprovero.
    “Non essere imprudente! Sono degli stranieri e-”
    “Sono uomini del Re!” rispose con altrettanta fermezza. “Cosa ci costa lasciarli tentare? Non abbiamo più niente da perdere e se avessero ragione… allora Sundhara avrebbe una possibilità di salvezza.” Si divincolò dalla sua stretta e si precipitò al piano inferiore, seguito dai quattro Elementi. In pochi minuti sellò il miglior cavallo che avevano nella piccola stalla, uno dei pochi sopravvissuti, portandolo all’ingresso dello studio medico.
    Mamoru affidò il volante a Teppei, salendo rapidamente in sella, dopodichè, aiutato dal tyrano, fece montare anche Yuzo, che continuava a tenere debolmente il fazzoletto bagnato sul viso.
    “Voi seguitemi” disse il Fuoco “sfonderò il portone ad Est!” Dopodiché il cavallo al galoppo per le strette vie cittadine, scansando agilmente viandanti ancora in piedi, cadaveri e morenti.
    “Resisti, volante. A breve starai bene.” gli disse, mentre l’aria venefica sferzava velocemente il suo viso e sconvolgeva i capelli alle sue spalle.
    Sbucarono all’interno di una piazza; gli zoccoli rimbombarono sulla pavimentazione, attirandosi gli sguardi spaventati e incuriositi dei presenti.
    Mamoru impennò il cavallo, facendolo ruotare su sé stesso e guardandosi intorno alla spasmodica ricerca della giusta via da prendere. Il perimetro delle mura era tutto maledettamente identico sulla sommità, che era impossibile individuare la direzione in quel labirinto di vicoli. Poi si regolò fulmineamente con la posizione del castello del Doge, lanciando di nuovo al galoppo il corsiero mezzo intossicato.
    Fu fortunato.
    Adocchiò il portone di entrata e spronò ancora la bestia fino al limite cui poteva spingersi l’animale debilitato.
    Quando lo vide arrivare di gran carriera, il soldato della Guardia Cittadina balzò in piedi, brandendo la lancia nella sua direzione. “Fermati! Non ti è permesso avanzare oltre!”
    Ma Mamoru era di tutt’altro avviso. Con gli occhi ridotti a due ribollenti fessure, generò una palla di fuoco nel palmo della mano. “Vuoi forse fermarmi?!” gridò caricando il colpo in direzione del portone.
    “Per tutte le Dee!” L’uomo lasciò cadere la lancia, correndo a cercare un riparo, mentre vedeva la sfera ardente dirigersi nella sua direzione. In un’orchestra di schegge, il portone esplose verso l’esterno, lasciando libero il passaggio che Mamoru varcò senza voltarsi indietro e proteggendo entrambi con uno scudo di fiamme che si dissolse appena furono oltre le mura.
    Il cavallo corse lungo il sentiero attraversato per arrivare in quella città, superò il cartello e solo quando fu nei pressi della Via Crociata venne arrestato. Mamoru scese al volo e aiutò il volante a fare altrettanto, accasciandosi insieme al suolo.
    Gli tolse il fazzoletto.
    “Sei fuori, Yuzo. Ora va tutto bene. Respira, respira…”
    L’altro tossì ancora un paio di volte, prima di prendere un profondo respiro, aprendo lentamente gli occhi. Il sibilo strozzato andava lentamente scemando.
    Poi, un sorriso gli tese le labbra secche.
    “Sei uno che non demorde, vero?”
    Mamoru rispose al suo sorriso con la solita ironia.
    “Da che cosa lo hai capito?”


     

    ...Il Giardino Elementale...


    Il mistero sulla terribile epidemia che affligge Sundhara sta per essere finalmente svelato, mentre tenacemente l'Elemento di Fuoco ha imposto il suo rinomato furore per salvare il volante da morte certa.
    Ma quale sarà la causa dell'intossicazione? E quale stratagemma useranno, i nostri quattro eroi, per salvare la città e la sua già provata gente?
    Tutto avrà una risposta nel prossimo capitolo in cui si preannunciano situazioni... particolari!

    Angolino del "Grazie, lettori, grazie! XD":
    Solarial: tessora, non temere. Lo so che mi segui sempre!*_* e ti ringrazio per il tuo essere lettrice assidua di questa storia. XDDDD sì, sono bastarda: lo sai che adoro farli soffrire fino all'inverosimile, ma, a volte, anche loro si prendono la rivincita. Devi sapere che, mentre scrivevo questi capitoli, stavo facendo i lavori di setacciatura per la tesi e mi strozzavo con la polvere dei miei campioni di terreno! XDDD Al che ho pensato: "Questo è Yuzo che si vendica!" XDDDD. Sì, è decisamente spaesato. Dopo aver vissuto una vita intera nel suo nido, al sicuro, credo che chiunque si sentirebbe in difficoltà.
    :* sorry se sono andata un po' sul macabrino e... a pensarci... qualche capitolo più in là non sarà da meno!O__O Scusa, mi faccio prendere la mano. T_T.
    *ghgh* vedrai nel prossimo capitolo COSA succederà! *ghgh*
    Grazie ancora per la fiducia in questa fic!*___*


    Enciclopedia Elementale (aggiunto il volume 5):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

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    Capitolo 10
    *** 5 - Quarantena - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 5: Quarantena (parte III)

    Sundhara – Città del Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Vi rendete conto di quello che il vostro amico sta rischiando?” gridò il medico, cercando di seguire il passo sostenuto degli altri cavalli con il proprio. “Se si fosse sbagliato, potrebbe diffondere il morbo anche alle città vicine!
    “Mamoru non ha un carattere piacevole, ma sa quello che fa.” Lo difese Hajime, cavalcando alla testa del gruppo. Poco più dietro, c’erano Teppei e Shingo, mentre il Naturalista chiudeva la fila.
    Arrivarono in prossimità del portone giusto in tempo per vedere la Fiamma lanciare una sfera infuocata sotto gli occhi esterrefatti di Calimero e il figlio del Doge.
    “Ma non dovevamo essere discreti?” domandò Teppei, inarcando un sopracciglio.
    “E’ una situazione di emergenza.” cercò di giustificarlo il Tritone.
    “Oddea, ma allora…” il medico si attirò la loro attenzione, fermando lo stremato cavallo già debilitato dalla malattia “…siete Elementi! Perché non l’avete detto subito?”
    “E’ una storia lunga” tagliò corto Hajime, ma le parole del figlio del Doge lasciarono i tre piuttosto interdetti.
    “Il Principe… lo sapeva” Shingo mormorò quella frase a mezza-voce e gli occhi fissi sulle schegge e la polvere che il portone in frantumi stava disseminando nell’intorno. “I quattro scudi, con i simboli Elementali…” disse ancora e un sorriso andò distendendo le sue labbra. Cavò rapidamente le monete, facendole tintinnare nel palmo. “’Nel momento di maggiore necessità, le Dee e i loro servitori saranno con voi’, mi disse, ‘Verranno da Raskal nel nome del Re e porteranno la cura al vostro male. Non temere, arriveranno presto.’ E noi abbiamo erroneamente pensato che fossero Naturalisti…” continuò, mentre lacrime di commozione prendevano a rigargli le guance “…ed invece parlava di Elementi. Il Principe ha mantenuto la sua promessa. Sundhara è salva.”
    “Shingo… ma cosa stai dicendo, ragazzo mio?” borbottò il medico senza riuscire a capire, ma il giovane lo ignorò, passandosi il dorso della mano sugli occhi e spronando il cavallo in direzione del portone sfondato.
    “Presto! Raggiungiamo i vostri compagni!” Sul viso gli si poteva leggere una genuina espressione piena di entusiasmo.
    Il legionario della Guardia Cittadina li osservò andar via, senza dire una parola.
    “Il Principe sapeva che saremmo arrivati qui?” domandò Teppei, piuttosto perplesso a riguardo, in direzione di Hajime, con un tono più basso.
    “Sembrerebbe di sì, ma non chiedermi come sia possibile.”
    “Forse opera della Chiave?” azzardò il tyrano, che già pregustava di raccontarlo allo scettico Mamoru. “In fondo, non sappiamo con precisione di quali poteri sia dotata…”
    “E’ probabile” accordò “ma ce ne occuperemo dopo. Prima pensiamo a risolvere un problema alla volta.”
    Quando raggiunsero Aria e Fuoco, al Naturalista per poco non venne un colpo nel trovare il volante vivo, prima di tutto, e in salute discreta. Doveva ancora disintossicarsi completamente e aveva qualche fastidioso colpo di tosse, ma, nel complesso, al medico sembrò di aver appena assistito a un miracolo.
    Lentamente, scese dal cavallo, avanzando nella sua direzione. “Non è possibile” borbottò con sconcerto.
    “Yuzo come ti senti?!” si accertò Hajime, raggiungendolo e il volante annuì con un sorriso.
    “Molto meglio. Entro domani sarò perfettamente guarito.”
    “E’ incredibile!” esplose Shingo, inginocchiandosi accanto a lui e guardandolo con occhi sgranati prima di rivolgersi a Mamoru. “Ma come avete fatto a capire che il problema non era dato da una malattia?”
    “Perché è un Elemento d’Aria” rispose l’interpellato, stringendosi nelle spalle “Novellino, per giunta. Abituato all’aria pura di Alastra, quella inquinata di Sundhara era veleno letale nei suoi confronti. Per questo ne ha risentito molto più velocemente degli altri.”
    Il medico scosse lentamente il capo. “Ma come abbiamo fatto a non pensarci anche noi?” si interrogò “E dire che la prima vittima accertata fu proprio il Minister dell’Aria, solo che… era molto anziano e noi… non… non credevamo…”
    “Ma cosa può aver reso la nostra aria così tossica?” domandò Shingo con perplessità “Non abbiamo miniere…”
    “Forse posso rispondere io.” Teppei si sedette su di un masso, attirandosi gli sguardi incuriositi dei presenti. “Da quanto tempo avete il nuovo acquedotto?”
    Il figlio del Doge ci pensò su. “Tre anni, circa.”
    “E quando si è manifestato il morbo?”
    “Forse due anni fa, più o meno. Ma questo cosa c’entra?”
    “E’ molto probabile che, durante gli scavi, voi abbiate fessurato un giacimento di gas.” Incrociò le braccia al petto. “Se non sbaglio vi sono molte sorgenti termali qui intorno.”
    “Sì, si dislocano fino a Dhèver. La zona è altamente vulcanica.”
    Mamoru batté il pugno in una mano. “Ma come ho fatto non riconoscerlo subito l’odore di marcio?!”
    Teppei sorrise. “Vedo che hai capito anche tu.”
    “Certo: è zolfo!”
    “Zolfo?” fece eco Shingo “E da dove è uscito? Gli scavi sono stati tutti attentamente richiusi…”
    “Gli scavi sì.” Teppei annuì. “Ma la vecchia rete idrica non è stata toccata e i pozzi sono ancora lì.”
    Il figlio del Doge si passò lentamente una mano negli spettinati capelli. “Ma certo! Sono sparsi in maniera omogenea su tutto il territorio di Sundhara!”
    “Proprio così. Questo ha permesso alle esalazioni di fuoriuscire lentamente e in piccole quantità, in modo che non vi rendeste conto del cambiamento” continuò a spiegare il tyrano. “Ma poi avete innalzato le mura e la polvere che avete creato ha fatto da cappa, intrappolando il diossido di zolfo sopra la città.”
    “E l’ecatombe è stata inevitabile” concluse il medico “che stupidi siamo stati, ci siamo uccisi con le nostre mani.”
    Hajime lo raggiunse, poggiandogli una mano sulla spalla. “Non fatevene una colpa” cercò di rassicurarlo “Avete agito nel bene delle città vicine. È un grande merito. Inoltre, i gas sono molto subdoli e difficili da individuare, soprattutto se esalati in quantità così piccole.”
    Ma l’uomo non sembrò convincersene del tutto, continuando a scuotere il capo, quando intervenne Shingo. “E cosa possiamo fare per salvare Sundhara e coloro che sono ancora vivi?”
    Teppei si massaggiò il mento con fare meditativo. “Con i miei poteri, potrei sigillare i pozzi in modo da bloccare le emissioni tossiche.” Ma alzò le mani per frenare eventuali entusiasmi. “Ovviamente si tratterebbe solo di una soluzione provvisoria: per sigillarli in maniera definitiva ci vorrebbe molto più tempo di quello a nostra disposizione.”
    Il figlio del Doge sorrise, non perdendosi d’animo. “Sarebbe già un ottimo inizio e ti saremo grati per il tuo aiuto, in attesa dei Minister di Terra dalla città più vicina.”
    Il tyrano annuì, ricambiando il suo sorriso.
    Hajime si intromise. “E con la cappa di aria sospesa su Sundhara? Come la mettiamo?”
    “Purtroppo quella non sono in grado di farla sparire.” Si scusò Teppei, scuotendo il capo.
    “Ma io sì” affermò Yuzo con decisione e subito Mamoru gli si rivolse con malagrazia.
    “Levatelo dalla testa, volante: se ti accosti di nuovo a quella città ci rimetti le penne.”
    “Non è vero!” negò con foga, attirandosi l’occhiata ironica della Fiamma di Fyar e lui corresse il tiro. “Non subito, almeno.”
    “Vuoi tendere fino all’ultimo la corda delle tua fortuna?” continuò l’altro imperterrito “Tanto vale che ti ammazzi io, adesso.”
    “Davvero potresti eliminarla?” Shingo osservò Yuzo con sguardo speranzoso e lui sorrise.
    “Non è molto difficile, ci vuole solo un po’ di tempo.” Ma l’Elemento di Fuoco non era affatto d’accordo.
    “Ti ricordo che sei sotto la mia responsabilità e farai esattamente quello che io ti dirò di fare e la mia risposta è ‘NO’. Ci penseranno i Minister dell’Aria.”
    “Ma Mamoru, non puoi chiedermi di voltare loro le spalle come se niente fosse!” si impuntò il volante per nulla intenzionato a cedere. “Passeranno giorni prima che il messaggero raggiunga la città più vicina e giorni perché faccia ritorno. Altra gente morirà in questo lasso di tempo e tutto perché tu non mi permetti di aiutarli ora!”
    “Ma capirai! Ne è morta così tanta! Uno in più uno in meno… che differenza vuoi che faccia?!” Lo disse con il suo solito tono e irritante cinismo che fece alzare il volante affinché fissasse i suoi occhi nella maniera indisponente che Mamoru tanto detestava.
    “Fa che io lo so cosa hanno sofferto a causa di quel maledetto gas e non me ne laverò le mani fingendo che il problema non mi riguardi più!”
    I carboni ardenti di Izawa si ridussero a due fessure sottili come crune di aghi; il volante era deciso ad andare fino in fondo al discorso, questa volta.
    “Come ti stavo dicendo quando eravamo dal Naturalista: io ho rispetto della tua autorità e seguirò i tuoi ordini, ma se questi lederanno quella che è la mia morale, allora non presterò loro ascolto, mi dispiace.”
    “Seppur tu dovessi riuscire a purificare l’aria di Sundhara, ci sarà sempre chi morirà perché è troppo tardi” sibilò Mamoru con ira repressa.
    “Ma ci sarà anche chi sopravviverà perché non lo è ancora” ribatté il suo interlocutore con altrettanta fermezza “Il bicchiere è sempre mezzo pieno.” Ed in quelle battute finali venne fuori tutto l’ottimistico pensiero degli Elementi d’Aria, fonte dell’odio più profondo di Mamoru. Infatti, non aggiunse null’altro, preferendo incenerire il compagno con il solo sguardo.
    “Di quanto tempo avresti bisogno?” si informò Hajime.
    “Trenta minuti circa.”
    Tsk” ironizzò la Fiamma “Non reggeresti nemmeno la metà.”
    Yuzo cercò di trovare a tutti i costi una soluzione. “Potrei… potrei creare una bolla d’aria attorno a me ma non durerebbe più di dieci minuti.”
    “E se io” propose il Tritone “ispessissi le pareti della bolla, rivestendole di un sottilissimo strado di acqua?” Troppa non avrebbe permesso al volante di sollevarsi da terra.
    Yuzo ci pensò su. “Durerei altri dieci minuti.”
    “Arriveremmo a venti” tenne il conto Teppei "Quanto potresti resistere nell’aria di Sundhara?”
    Il volante scosse il capo con un sospiro. “Non lo so…”
    “Te lo dico io” Mamoru si attirò nuovamente la sua attenzione, mentre gli si faceva contro con passo lento e autoritario “Nemmeno cinque minuti. Il tuo apparato respiratorio è già abbondantemente compromesso: respira nuovamente quell’aria tossica e scatenerai una crisi letale.” Poi inquadrò Calimero con la coda dell’occhio. “Dico giusto, Naturalista?”
    L’uomo si ritrovò ad annuire gravemente. “Sì, è esatto.”
    L’Elemento di Fuoco accennò un sorriso trionfante. “Sentito? A te la scelta.”
    Teppei azzardò a trovare qualche scappatoia. “Ma non c’è un altro modo?”
    L’interpellato scosse mestamente il capo: dall’esterno non era possibile purificare l’aria perché non visibile ai suoi occhi, avrebbe prima dovuto racchiuderla in una barriera e poi, dall’interno, avrebbe agito sugli inquinanti, manomettendo il loro chimismo. Inoltre, non avrebbe potuto interrompere il processo fino alla sua conclusione, altrimenti le molecole si sarebbero nuovamente aggregate com’erano al principio, e avrebbe dovuto ricominciare da capo. Ma cercò di non perdersi d’animo. “Mi inventerò qualcosa…”
    “Scordatelo” tagliò corto la Fiamma di Fyar con indifferenza.
    “Mamoru, ti prego! Devi lasciarmi fare un tentativo! Uno solo! Non chiedo altro.” Lo stava supplicando, cosa che Izawa non avrebbe mai fatto nemmeno in punto di morte, ma sentire quel tono nel volante era un piacere sottile per le sue orecchie tanto che inarcò un sopracciglio, osservando le sue iridi nocciola. “Per favore” continuò Yuzo “Anche se lo farei comunque, ci tengo alla tua approvazione proprio perché ho rispetto della tua autorità.” L'altro sbuffò, assumendo un’espressione seccata.
    “Non c’è bisogno che mi indori la pillola. D’accordo, fai come ti pare, ma che sia chiaro” e gli puntò l’indice sotto al naso “una sola possibilità, ma appena finisci l’aria nella bolla lasci Sundhara. E questa è la mia ultima parola.”
    Il volante annuì con entusiasmo, mentre Shingo esibiva un sorriso a trentadue denti, profondendosi in una marea di inchini.
    “Grazie, grazie mille a tutti voi! Grazie!”
    “E piantala!” Mamoru incrociò le braccia al petto, girando altrove la faccia con noia.
    “Allora, mentre crei la tua bolla” disse il tyrano “io tornerò in città con Shingo, il dottore e Hajime e chiuderò i pozzi con i miei poteri.”
    Yuzo annuì e tutti si misero finalmente in movimento per salvare Sundhara.

    Il Doge aveva lasciato di corsa il suo palazzo quando aveva saputo dell’azione di forza portata avanti dagli stranieri provenienti da Raskal e che, secondo la spaventatissima guardia, erano degli Elementi – almeno quello che aveva mandato in pezzi il portone! -. Inoltre, gli avevano riferito che con loro c’erano quel testardo di suo figlio e il Naturalista Calimero.
    Immediatamente aveva radunato una malconcia legione pronta per lanciarsi al loro inseguimento, sperando che non fossero già troppo lontani.
    Pazzi!
    Correvano il rischio di diffondere il morbo ovunque! Ah! Ma le avrebbe cantate per bene a Shingo appena lo-
    Non fece in tempo a formulare il pensiero, che proprio quest’ultimo varcò l’enorme buco che c’era ora al posto del portone, seguito dal Naturalista e due degli stranieri, ma che non erano quelli con cui aveva parlato lui.
    Tossendo un paio di volte nel fazzoletto, lo raggiunse con rapide e irate falcate mentre tutt’attorno si era creata una notevole folla incuriosita.
    “Padre!” esclamò il ragazzo con entusiasmo appena lo vide. “Padre, cercavo proprio te!”
    ’Cercavo te’ un accidenti!” sbottò l’uomo senza dargli il tempo di finire la frase. “Ti rendi conto di quello che avete combinato, Shingo? Adesso l’intero Elementia verrà infettato!”
    “No padre! Ti sbagli!” negò l’altro, scendendo dal cavallo e afferrandolo per le spalle. “Abbiamo invece trovato la cura! Gli Elementi del Re ce l’hanno portata, proprio come aveva detto il Principe! Non morirà più nessuno!”
    “Sei forse impazzito, figliolo?! Di quale cura stai parlando? Vaneggi!” Lo allontanò il padre in malo modo. “Questa mattina sono venuti per chiedermi informazioni e nemmeno sapevano cosa fosse il morbo!”
    “No, padre. Ascoltali…” cercò di convincerlo Shingo quando fu Hajime a intervenire.
    “Voi avete ragione a essere guardingo, Doge Aoi, ma vorrei che prestasse fede alle nostre parole, perché bisogna agire in fretta.” Poi fece un inchino “Io sono Hajime Taki, da Agadir, e lui è Teppei Kisugi, da Tyran.” Lo sguardo dell’uomo vagò tra i due giovani sconosciuti. “Quello che voi chiamate ‘morbo’ è un avvelenamento da diossido di zolfo fuoriuscito attraverso i vecchi pozzi del sistema idrico della città.”
    “Io posso provvedere a chiuderli, per il momento” spiegò Teppei “ma voi dovete immediatamente mandare dei messaggeri alle città più vicine, in modo che inviino gli aiuti necessari per risolvere il problema in maniera definitiva.”
    “Chi mi assicura che non stiate mentendo? Non ho nessuna certezza che voi siate chi dite di essere, né che il morbo sia ciò che affermate.” Il Doge non sembrava intenzionato a cedere, ma fu proprio il Naturalista a confermare le loro parole.
    “Doge Aoi, signore” cominciò attirandosi la sua attenzione “lo so che vi può sembrare quasi paradossale che, ciò che ha causato tante vittime, sia solo un avvelenamento, ma è così. Dovete credere a questi ragazzi perché dicono il vero.” Scosse il capo. “Anche io ero scettico, ma ho visto con i miei occhi un giovane, al quale non restavano che poche ore, tornare perfettamente sano fuori di qui. Date loro una possibilità, signore. Troppa gente è morta perché possiamo prenderci il lusso di rifiutare una speranza di salvezza.”
    Il Doge inarcò un sopracciglio, assumendo un’espressione pensierosa. Gli occhi vagarono all’intorno dove gli sguardi della sua gente, provata dalla malattia, restava in attesa che qualcosa succedesse, senza sapere bene cosa. Borbottavano spaventati, temendo l’arrivo di qualche nuova disgrazia, e un bambino cominciò a piangere, mentre la madre cercava di consolarlo in qualche modo.
    Sundhara poteva davvero a tornare la Città del Sole che era stata un tempo?
    “Padre, ti prego…” lo richiamò Shingo e suo figlio, per quanto testardo, aveva sempre avuto l’intuizione giusta e un giorno sarebbe divenuto un ottimo Doge.
    Sospirò, annuendo piano. “E sia” Disse, alzando le mani “Fate quello che ritenete più opportuno. Se mio figlio ha fiducia in voi, non ho motivo di essere da meno.” Accennò un breve inchino, cercando di distendere un sorriso sul viso stanco. “Grazie per l’aiuto che ci state offrendo.”
    “Non dovete ringraziarci, è un nostro dovere.” Hajime ricambiò il sorriso, osservando poi Teppei. “Sei pronto?”
    “Pronto.”
    Con passo deciso, il tyrano raggiunse il pozzo che si trovava poco lontano. Si affacciò, annusando un paio di volte, ma non si sentiva nulla a primo impatto, visto che l’intera aria di Sundhara ne era ormai satura. Tastò con le mani la terra attorno la struttura bassa e circolare, osservando, di tanto in tanto, le diramazioni delle strade cittadine.
    La gente, intorno a loro, restava silenziosa, studiando gli eventi con preoccupazione e una tensione che divenne palpabile. Poi, l’attesa sembrò rompersi e Teppei scelse il punto più favorevole dove il terreno e la roccia sottostante erano maggiormente fragili. Si allontanò di alcuni passi, giungendo le mani e chiudendo gli occhi per concentrarsi di più. Una strana luminescenza bronzea avvolse la sua figura, dall’espressione ferma. Lentamente, caricò il pugno destro, mentre la sinistra tracciava la direzione che il colpo avrebbe dovuto seguire. Il bagliore confluì tutto nel pugno chiuso che brillava in maniera vivida. Poi, Teppei spalancò gli occhi, sferrando il colpo al suolo a tutta velocità e l’impatto generò un suono cupo.
    I presenti ebbero un sussulto spaventato, senza rompere il silenzio, mentre l’intorno restava perfettamente immobile com’era prima che il tyrano lanciasse il suo strano incantesimo.
    L’Elemento distese la sua espressione seria, portandosi una mano al fianco e osservando il solco che il pugno aveva lasciato, poi cominciò a mormorare quello che sembrava essere un conto alla rovescia.
    “Meno tre, due, uno…”
    Il rombo arrivò come un’eco in avvicinamento, e una lunghissima frattura si diramò dal punto colpito da Teppei.
    “Zero” disse con un sorriso, mentre il terreno prendeva a tremare sotto i loro piedi e gridolini allarmati si levavano tutt'attorno; la gente non fuggì, troppo terrorizzata, ma si strinse cercando di proteggersi l’un l’altra.
    “Guardate!” sbottò qualcuno, indicando la frattura che raggiunse il pozzo. Quest’ultimo crollò su sé stesso, richiudendosi, mentre tutta un’altra serie di fratture partì dal lato opposto alla sua base, distribuendosi a raggiera e correndo in tutte le direzioni della città. Non ci volle molto perché gli altri pozzi, tra lo stupore e la paura, facessero la stessa fine del primo, bloccando, quindi, la fuoriuscita dei gas sulfurei.
    Shingo fendette l’aria con un paio di pugni entusiasti. “Fantastico!” esclamò e il tyrano si strinse nelle spalle.
    “Niente di estremamente difficile.”
    Hajime lo riprese, inarcando un sopracciglio e sorridendo. “Ma sentitelo.”
    Teppei si grattò la folta massa ricciuta, sorridendo a sua volta e arrossendo leggermente, per poi osservare il cielo sopra di sé e sospirare. “Ora deve pensarci Yuzo.”

    Le vibrazioni giunsero fino a loro, che si erano avvicinati alle mura della città, ma fermandosi a una distanza tale che la tossicità dell’aria non fosse letale per il volante.
    Quest’ultimo rimase in sospensione a un cinquantina di centimetri dal suolo, mentre Mamoru smontava dal cavallo, mantenendo un piglio irritato.
    “Qual è la prossima mossa?” domandò, inquadrando Yuzo con la coda dell’occhio.
    “Devo creare come una cupola su Sundhara e intrappolare l’aria venefica” spiegò, prendendo leggermente quota e portandosi di qualche passo davanti al cavallo del compagno.
    L’Elemento di Fuoco ne mantenne la schiena sotto stretto controllo, seguendo attentamente tutti i suoi movimenti e non aggiungendo altro, ma non ci sarebbe voluto un indovino per capire che non era d’accordo con il suo intervento, eppure, nonostante tutto, lo lasciò fare.
    Il volante aveva le alte e spesse mura a occupare interamente il suo raggio visivo. Tossicchiò un paio di volte, sollevando lentamente le mani all’altezza delle spalle e i palmi rivolti alla città. Si concentrò, guardando un punto indefinito dell’immagine davanti a sé e l’aria cominciò ad agitarsi attorno a loro, sollevando i lembi della sua casacca, smuovendo i crini del cavallo e quelli di Mamoru che vi restava in groppa.
    A una certa distanza dalle sue mani, cominciò a formarsi come un vortice dal quale l’aria si diramò in centinaia di dita, sottili come corde, che andarono a intrecciarsi sul cielo di Sundhara per formare una rete, fino a che non vi fu nemmeno uno spiraglio libero tra le sue maglie.
    Attorno a loro, invece, tutto tornò calmo e il volante abbassò le mani, volgendosi alla Fiamma. “Ora possiamo avvicinarci” disse, mantenendosi sempre in sospensione.
    “Vedi di non dimenticarti quello che ti ho detto” rimarcò Mamoru, spronando il cavallo “se non riuscirai a finire prima che la bolla attorno a te sia svanita, ti arrenderai e tanti saluti.”
    “Sì, va bene.”
    Tsk” sbuffò con ironia l’Elemento di Fyar “Non ne avevo dubbi.” Scosse il capo, mentre un sorriso distese le labbra di Yuzo che continuò a dargli le spalle, creando attorno a sé la famosa bolla che avrebbe dovuto fargli da scudo contro l’aria tossica. Era uno strato sottile, appena visibile a occhio nudo, e biancastro, quasi lattiginoso.
    Quando varcarono il portone distrutto della città, la gente che si era raccolta era ancora spaventata per le scosse di Teppei e poi avevano visto il cielo farsi più scuro per l’addensarsi dell’aria sulle loro teste, racchiusa dalla cupola creata da Yuzo, e tutti questi eventi, che per loro non avevano la minima spiegazione, non avevano fatto altro che terrorizzarli.
    Il volante li vide parlottare animatamente prima che un nuovo silenzio calasse al loro ingresso nella piazza. Erano diffidenti e spaventati a morte e lui poteva capirli: avevano affrontato momenti davvero terribili, ma si consolò sapendo che, presto, la normalità sarebbe tornata anche a Sundhara.
    Si avvicinarono ai loro compagni e Shingo li raggiunse entusiasta. “E’ opera vostra, vero?”
    Yuzo annuì, rivolgendosi poi al Doge che li osservava con apprensione.
    “Doge Aoi, vorrei che perdonaste i nostri modi bruschi.”
    “Non dovete preoccuparvi, ma vorrei che mi confermaste quanto detto dai vostri amici: potete salvare la città?”
    “Teppei di Tyran ha già fatto un primo passo. Ora, io provvederò a purificare l’aria inquinata che ancora asfissia Sundhara” illustrò con calma “ma vi pregherei di spiegare la situazione anche alla vostra gente. Sono confusi e spaventati. Hanno il diritto di sapere.”
    Il Doge annuì ancora, abbozzando un leggero sorriso. “Avete ragione. Lo farò subito.” E superò il giovane per portarsi al centro della piazza e attirare l’attenzione dei suoi concittadini.
    Mentre l’uomo cominciava a esporre con calma quello che stava avvenendo, Mamoru smontò da cavallo, avvicinandosi a Yuzo con piglio stizzito. “Mi spieghi che bisogno c’era di scusarsi?! Stiamo salvando loro il culo!” bisbigliò, incrociando le braccia al petto.
    “Me ne rendo conto, ma ti ricordo che abbiamo distrutto un portone e seminato il panico: le scuse erano il minimo sindacale.”
    Mphf!” sbuffò, ruotando gli occhi e poi rivolgendosi al Tritone. “Vedi di fare il tuo incantesimo prima che questo ‘buon samaritano’ finisca l’aria e ci tiri le cuoia.”
    “Agli ordini!” ridacchiò l’interpellato, non riuscendo a trattenersi e Mamoru preferì allontanarsi, masticando qualche incomprensibile insulto e cercando di reprimere l’istinto a strozzarli tutti e due.
    Il Tritone lo osservò sedersi sul cumulo di macerie del pozzo accanto a Teppei, continuando a ridere, per poi scuotere il capo e dedicare tutte le sue attenzioni al volante che restava sollevato dal suolo; la bolla, dalla superficie sottile, delimitava lo spazio in cui era racchiuso. Con delicatezza appoggiò le mani sulle pareti del suo scudo protettivo, avvertendo il leggero formicolio dell’aria in movimento.
    “Hai meno di venti minuti di protezione, sei davvero sicuro di farcela?” gli domandò, mentre sottili rivoli azzurri scivolavano dalle sue dita, intrecciandosi con i flussi areali della bolla per ispessirne leggermente la superficie.
    “No” disse il volante con un sorriso “Proverò a inventare qualcosa.”
    “Lo avevo immaginato" confermò Hajime “Mamoru sbraiterà.”
    “Mamoru lo ha già capito.”
    E il Tritone sorrise a quell’affermazione. “E non ha dato di matto?”
    “No. Abbaia, ma non morde.”
    Hajime lanciò un’occhiata fugace alla Fiamma che borbottava con Teppei, per poi rivolgersi nuovamente all’amico. “Vedo che l’abbiamo capito tutti com’è fatto.” Ridacchiarono entrambi senza ritegno. Poi, con la stessa delicatezza, allontanò le mani dalla bolla che ora aveva assunto delle acquose sfumature bluastre che, nel pallido Sole, le conferivano un cangiante riverbero, simile a quello di una bolla di sapone.
    “Ho fatto” asserì, facendo un passo indietro “Puoi procedere e fa’ attenzione.”
    Yuzo annuì, cominciando a librarsi in volo fino a che non si trovò immerso nella nube tossica che appestava Sundhara.
    Dabbasso, il Doge aveva terminato di illustrare la situazione ai suoi storditi cittadini che, ancora increduli di poter davvero liberarsi del morbo, avevano osservato uno degli stranieri allontanarsi nel cielo della loro città, salendo ben oltre le mura e per i loro occhi non divenne che una figura indistinta avvolta da quella strana sfera opalescente. Con i nasi rivolti all’insù e le speranze ancora deboli, attesero quell’impossibile miracolo.
    Hajime raggiunse Mamoru e Teppei alle macerie del pozzo, fermandosi accanto a loro con le braccia conserte. La Fiamma di Fyar aveva un sopracciglio inarcato e l’aria indispettita. Attese che il tyrano si allontanasse prima di dire: “Mi ha mentito.”
    “Non è vero” sorrise bonariamente il Tritone.
    “Invece sì. Ha accettato la mia condizione, ma non rispetterà i patti. Ci metterei una mano sul fuoco” continuò imperterrito, afferrando un sassolino del muro crollato su cui era seduto.
    “Beh, non ti ha promesso che l’avrebbe fatto.”
    “Non siamo Livelli Asylum! Dovrebbe portarmi rispetto, maledizione!” Con un gesto stizzito lanciò il sasso poco lontano. “Ma quei dannati volanti non rispettano nient’altro che loro stessi! Idioti!”
    “Non è che tu sia stato chissà quanto gentile nei suoi confronti.” Lo ammonì Hajime. “Partendo prevenuto solo perché era un Elemento d’Aria.”
    Tsk! E avevo ragione! Sono tutti degli stupidi cocciuti!”
    “Però devi ammettere che, sì, Yuzo non ucciderebbe mai un avversario, però sarebbe disposto a qualsiasi cosa pur di salvare degli innocenti, anche se perfetti sconosciuti. Non credi che questo meriti un po’ della tua fiducia?”
    Mamoru girò lo sguardo altrove, masticando un: “Seee… seee…” e agitando una mano con noia. Il Tritone sorrise, sapendo che il giovane di Fyar la pensava esattamente come lui, ma non voleva dargli la soddisfazione di ammetterlo.
    “E sai cosa penso, anche?” azzardò, attirandosi nuovamente le iridi nero carbone di Mamoru “Penso che, nonostante tu fossi pienamente cosciente che non ci sarebbe riuscito, glielo hai lasciato fare perché sai già come intervenire una volta che avrà finito l’aria. Mi sbaglio forse?”
    “Hajime” esordì Mamoru dopo aver scambiato una lunga occhiata col compagno “tu pensi troppo.”
    “Allora, non vuoi illuminarmi in proposito?”
    “Riguardo cosa?” si strinse nelle spalle la Fiamma.
    “Deve essere qualcosa di piuttosto imbarazzante se non vuoi dirmelo” insistette l’altro quando gli vide generare una minacciosa fiammella che prese a danzare sulla punta del suo indice.
    “Non una parola di più, Hajime. Hai osato già abbastanza” minacciò l'Elemento di Fyar poco velatamente e il giovane d’Acqua alzò le mani in segno di resa.
    “Uh! Che permaloso!”
    “Ehi! Che state borbottando voi due?” intervenne Teppei, che era tornato indietro, inarcando un sopracciglio “E perché hai una fiammella sul dito?”
    Mamoru se la portò lentamente alle labbra, spegnendola con un soffio. “Passavamo il tempo” mentì al confuso tyrano per poi alzarsi in piedi e aggiungere: “Creami una scalinata di pietra per raggiungere il volante.”
    “Cosa? E perché?”
    “Perché devo fargli portare a casa la pelle per la seconda volta.”

    Visti da lassù, gli abitanti di Sundhara sembravano formichine e restavano tutte a scrutare le trame grigiastre della nube in cui si era immerso.
    Lentamente, Yuzo lasciò che le sue mani attraversassero la parete acquosa della bolla per toccare l’aria venefica.
    In quel momento, intervenne la grande concentrazione di cui erano fautori gli Elementi d’Alastra e i suoi occhi furono in grado di vedere ben oltre ciò che poteva scorgere la vista di una persona normale. Scrutò l’aria a livello molecolare e, con i suoi poteri, cominciò a scindere i vari legami per formarne di nuovi, rendendo innocui i composti fino a un attimo prima letali; i sottili flussi d’aria, che si diramavano dalle sue mani come tentacoli, si muovevano come precisi bisturi, divenendo sempre più numerosi mentre si ramificavano anche dalle braccia. Si facevano sempre più lunghi nel purificare l’aria, serpeggiando nel cielo di Sundhara e Yuzo riusciva a controllarli tutti, a vedere contemporaneamente ciò che loro toccavano, tutte le molecole inquinanti da scindere. Ma, immerso in quel profondo stato di concentrazione, non riusciva a rendersi conto del tempo che passava e dell’assottigliarsi delle pareti della bolla che, a poco a poco, si ritirava e, più parti del suo corpo si liberavano dello scudo protettivo, più tentacoli si diramavano, divenendo migliaia di fili bianchi, sottili come capelli oscillanti nel vento.
    Al primo colpo di tosse cominciò a perdere il controllo su alcuni di loro che sembrarono come impazzire prima di dissolversi. Al secondo colpo sbatté le palpebre mentre la contrazione veniva meno e non riuscì a vedere più nulla se non una massa grigia che cominciava nuovamente a espandersi. I legami scissi si riformavano come fossero calamitati e Yuzo tentò di sforzarsi in tutti i modi per riprendere il controllo di sé, ma la tosse gli fece portare le mani alla bocca; il petto avvampò con un bruciore intenso, costringendolo a piegarsi per il dolore.
    Maledizione! Possibile che i venti minuti fossero trascorsi così velocemente?
    Doveva trovare una soluzione alternativa, ma gli attacchi si susseguivano a raffica, impedendogli di pensare e si accorse che stava perdendo quota.
    Con rammarico, ammise a sé stesso che Mamoru aveva avuto ragione, mentre lui aveva voluto rischiare ugualmente, convinto di riuscire a inventarsi qualcosa, ma non aveva tenuto conto di quanto i suoi polmoni fossero già provati per poter sopportare una nuova invasione da parte dell’aria tossica. E anche da questo, Mamoru lo aveva messo in guardia.
    Continuò a tossire, pensando che non avrebbe potuto aiutare Sundhara e i suoi abitanti, in quelle condizioni, e assunse un’espressione contrita non solo per il dolore fisico che stava provando, ma anche per il dispiacere di aver fallito.
    Con quei pensieri, atterrò su di una superficie solida, cadendo in ginocchio, ma non poteva già essere il suolo: doveva trovarsi ancora piuttosto in alto.
    Poi un’ombra oscurò il tiepido Sole che riusciva, nonostante tutto, a fendere la nube grigiastra.
    Con uno sforzo, Yuzo mosse lo sguardo per inquadrare la figura che torreggiava accanto a lui con le braccia conserte.
    “La prossima volta mi presterai ascolto, immagino.”
    Mamoru gli si rivolse con un tono di freddo rimprovero, guardandolo con un sopracciglio inarcato e le labbra tese.
    Il volante rimase sorpreso di trovarlo lì, anche se non era molto sicuro di dove fossero esattamente, e osservò l’intorno e ciò su cui era inginocchiato: c’era come una lunghissima scala che collegava il suolo alla loro posizione, ancora notevolmente in alto come aveva immaginato.
    “Ovviamente è opera di Teppei” spiegò Mamoru, mentre lui continuava a tossire “e ovviamente tu hai voluto fare di testa tua. Sappi che, ovviamente, me l’aspettavo.” L’altro era incapace di rispondere a tutte le critiche, con una punta di soddisfazione dell’Elemento di Fuoco che avrebbe potuto bearsi di avere l’ultima parola. Quest’ultimo lo osservò ancora per qualche secondo, dall’alto, trionfante. “Potrei lasciarti crepare godendomi lo spettacolo, lo sai? Te lo meriteresti, in fondo te lo sei cercato.” Poi sospirò pesantemente, mettendo fine alla ramanzina. “Ma non lo farò.” Si inginocchiò per guardarlo negli occhi. “E sappi che mi sarai in debito per un bel po’ di tempo…” poi gli puntò l’indice sotto al naso, riducendo lo sguardo in due fessure. “…soprattutto: se ti azzarderai a farne parola con chicchessia, giuro che ti farò flambé! Hai capito bene?!”
    Yuzo si ritrovò ad annuire tra i colpi di tosse, nonostante non avesse la minima idea di quello il suo compagno aveva in mente. Poi gli vide prendere un paio di ampie boccate, prima di inspirare profondamente e trattenere il fiato.
    Mamoru si poggiò una mano all’altezza del petto, avvolta da un alone rosso fuoco, per qualche secondo, in seguito afferrò la nuca del volante, lo attirò a sé e lo baciò.
    Yuzo rimase immobile come una statua, avvertendo solo il calore intenso dell’aria che la Fiamma di Fyar gli stava passando con quel contatto e che sembrò alleviare le sofferenze. Quando si separarono ebbe come l’impressione di essere arrossito parecchio perché era l’unica cosa che non si sarebbe mai aspettato da Mamoru.
    Quest’ultimo non perse il suo piglio stizzito. “Non farti strane idee, siamo in una situazione di emergenza” si affrettò a chiarire “Ti passerò io l’aria purificata attraverso il calore e, prima che mi domandi perché non abbia usato questa tecnica per salvare Sundhara, ti dico solo che a grande scala non ha lo stesso effetto.”
    Yuzo annuì ancora un po’ sorpreso, tossicchiando senza rispondere.
    Mamoru gli passò dell’altra aria attraverso questa respirazione artificiale, aiutandolo ad alzarsi. “E adesso vedi di muoverti a fare la tua ‘opera buona’.”
    Il volante si limitò a sorridere, avendo la conferma definitiva del fatto che Mamoru non fosse così male come dava a vedere, e tornò a concentrarsi su ciò che andava fatto; il dolore scemò e gli occhi ripresero a scrutare fin dentro i legami. Migliaia di fili d’aria si formarono nuovamente, tornando a scindere i composti chimici. Ogni tanto, Yuzo avvertiva le dita della Fiamma toccare il suo collo, allora lentamente si girava nella sua direzione, mantenendo però lo sguardo fisso a ciò che stava facendo. Poi le labbra dell’altro, la sua aria bollente, ma nient’affatto dannosa. E seppur senza perdere la ferrea concentrazione, si ritrovò ad ammettere con un sorriso che il suo primo bacio lo aveva dato a un uomo, per di più Elemento di Fuoco permaloso.
    Dal canto suo, Mamoru osservava l’operato del volante realmente stupito. Le loro abilità mentali erano stupefacenti. Tempo addietro, era rimasto colpito dalla telecinesi dei tyrani, ma gli abitanti di Alastra erano a livelli molto più avanzati.
    Osservava il viso impassibile e gli occhi che restavano aperti e vigili muoversi rapidamente a osservare chissà cosa, mentre le migliaia di fili d’aria danzavano tutt’intorno a loro, ma riuscivano a non toccarlo. Nemmeno a sfiorarlo, niente. E a Mamoru sembravano qualcosa di vivo, di indipendente dal volante che li stava manovrando.
    Come ipnotizzato dal loro oscillare disarmonico, allungò una mano per volerne toccare uno. Era incuriosito da quella loro consistenza sottile, ma tuttavia visibile… e chissà se era anche tangibile.
    “Fermo.” L’ordine arrivò deciso, ma nient’affatto perentorio. “Se li tocchi rischi di interrompere il contatto” spiegò Yuzo e il suo sguardo era indirizzato nella parte diametralmente opposta a quella dove si trovava Mamoru, tanto che lo stesso Elemento di Fuoco si stupì del fatto che lui l’avesse visto. Un tentacolo si mosse, attirandosi la sua attenzione. Gli si avvicinò, cominciando a oscillare da una parte all’altra come se stesse dicendo: ‘No, no. Non si fa’ prima di allontanarsi.
    Mamoru incrociò le braccia al petto, arrossendo leggermente. “Che indisponente!” borbottò, mentre Yuzo si concedeva un sorriso senza interrompere l’incantesimo. “E vedi di non distrarti troppo, tu.” Lo ammonì, inspirando a fondo. La mano sul petto purificò l’aria nei suoi polmoni con il calore, poi le stesse dita scivolarono attorno al collo del volante, attirandolo piano. Mamoru vedeva il suo sguardo che continuava a controllare i tentacoli e il loro lavoro, mentre si voltava. Gli donò il suo respirò.
    Quell’incantesimo era la versione non letale del cosiddetto ‘Bacio di Maki’, il cui scopo non era affatto quello di ‘purificare l’aria’, quanto di ardere gli organi interni del nemico, uccidendolo tra atroci sofferenze. Il giovane di Fuoco non ci aveva pensato subito, poi se n’era ricordato, ma l’umiliazione di dover baciare Yuzo lo aveva fermato.
    Il Bacio di Maki, per essere effettuato correttamente, richiedeva un contatto diretto tra le labbra della vittima e quelle del carnefice, ma un conto era farlo con una donna, un altro con un uomo, soprattutto: che quell’uomo fosse il dannato volante non aiutava di certo.
    Che poi quell’incantesimo non venisse insegnato agli Elementi, ma fosse un’arma delle Sacerdotesse Elementali, era un’altra storia.
    Però, quello che Yuzo gli aveva detto e la decisione nei suoi occhi lo avevano convinto a dargli una possibilità e, a lui, a ricorrere al ‘Bacio’. Aveva fatto la scelta giusta, si disse ancora, mentre lo vedeva concentrato a salvare la città.
    Inspirò nuovamente per poi appropriarsi ancora delle sue labbra e un pensiero vagante, veloce come l’attimo, attraversò le sue mille preoccupazioni da leader del gruppo, mentre gli cedeva il suo calore.
    - Sono morbide. -
    Forse, nemmeno lui si accorse di averlo pensato dopo che si furono separati e il volante si adoperava a portare a termine l’incantesimo.

    I suoi bisturi d’aria scissero l’ultimo legame e, ai suoi occhi, ogni molecola inquinante fu finalmente dissolta. L’aria di Sundhara era nuovamente pura.
    Con un profondo senso di sollievo, Yuzo si concesse un sorriso, mentre poteva avvertire il Sole brillare con tutta la sua forza sulla città. Lentamente cominciò ad abbassare le mani, quando si sentì afferrare piano per la nuca, ma non fece in tempo ad avvisare Mamoru che si ritrovò nuovamente le labbra sulle sue. Questa volta, il suo sguardo fu libero di puntarsi sul viso della Fiamma di Fyar, dagli occhi socchiusi per mantenere la concentrazione dell’incantesimo.
    Lasciò che gli passasse l’aria calda, inspirandola a pieni polmoni e continuando a guardarlo, mentre scioglieva quel contatto molto particolare, più intimo e che gli aveva trasmesso una sensazione piacevole, mentre per Mamoru doveva essere stato un gran sacrificio arrivare a baciarlo.
    Però, chissà, magari quell’improvvisa vicinanza avrebbe potuto essere un buon punto di partenza per cominciare ad appianare le loro divergenze.
    Quando Mamoru aprì gli occhi, si ritrovò il suo sguardo puntato addosso.
    Il volante esalò lentamente tutta l’aria. “Non ne ho più bisogno, l’incantesimo è finito.”
    L’altro arrossì, girando il viso altrove e sbuffando. “Perché non me lo hai detto subito?!”
    “Ma… ma non me ne hai dato il tempo!” tentò di difendersi Yuzo.
    Tsk! Come no! L’hai fatto di proposito per umiliarmi!”
    Il volante sospirò rassegnato: appianare, eh? Non riuscì a non sorridere. Ormai l’aveva capito che al suo compagno di missione non piaceva mostrarsi gentile o incline al dialogo, ma sapeva che lo era dentro di sé e magari, un giorno, non avrebbe avuto paura di mostrarsi un po’ più umano: in fondo, il viaggio era ancora lungo.
    Senza aggiungere altro lo afferrò per la vita, librandosi in volo. “Va bene, va bene, andiamo” ma la reazione della Fiamma non fu esattamente quella che aveva ipotizzato.
    A Yuzo bastò semplicemente sollevarsi da quella scala di pietra per ritrovarselo aggrappato addosso come una piovra. Le braccia strette al collo per poco non lo soffocarono.
    “Oddea! Oddeaoddeaoddea! Che diavolo fai?! Mettimi giù! Non farmi cadere!” lo sentì sbraitare in preda la panico.
    “Ma… ma non ti faccio cadere…”
    “Non è vero! Non ci credo! Al momento buono mi mollerai nel vuoto!” continuò imperterrito con il viso nascosto nel suo collo e gli occhi serrati “Che ne so io che non vuoi vendicarti di tutte le volte che sono stato scortese?! Eh?! Fammi scendere!”
    Yuzo inarcò un sopracciglio, mantenendo un’espressione sorpresa. “Se non ti conoscessi, mi verrebbe da pensare che… soffri di vertigini!”
    Un attimo di silenzio seguì quella affermazione, poi l’altro sbottò con tono semi-isterico. “E allora?! Qualcosa in contrario?!” Lo guardò con un misto di rabbia ed imbarazzo. “Io non so volare! Cammino! E… e… e… non mi fido di te! Mettimi giù, maledizione!”
    L’Elemento d’Aria fece uno sforzo sovrumano per non ridere: e così, anche Mamoru aveva un punto debole. Non l'avrebbe mai detto.
    “Smetti subito di sghignazzare!” strillò ancora la Fiamma, tenendosi sempre saldamente arpionato al compagno e serrando di nuovo gli occhi per non vedere a quali altezze esorbitanti fossero.
    “Mamoru, ti giuro sulla Divina Yayoi che non ti lascerò mai cadere” Yuzo proclamò quel giuramento con un’inflessione rassicurante nella voce, come se avesse voluto tranquillizzarlo, e il peggio, secondo il giovane di Fuoco, era che ci stesse riuscendo benissimo. Lentamente, quest’ultimo alzò lo sguardo per incrociare quello del volante, con malcelata titubanza: gli stava sorridendo.
    “Lo so che non ti fidi di me” disse il giovane “ma provaci, almeno per una volta.”
    Mamoru lesse sincerità in quegli occhi che non aveva mai visto così da vicino.
    Piano, cominciò ad allentare la stretta spasmodica con cui gli cingeva, rilassando i muscoli tesi. Era il suo modo per dire: ‘Sì, mi fiderò’.
    “Grazie” annuì leggermente il giovane d’Aria, volgendo poi lo sguardo all’intorno. “Guarda. Sundhara è tornata la Città del Sole.”
    Mamoru ruotò il capo con movimenti calibrati, per preparare la sua fobia delle altezze a ciò che avrebbe visto, ma, quando i suoi occhi si posarono sul panorama sottostante, le vertigini furono l’ultimo dei suoi pensieri.
    Era bellissimo.
    I tetti delle case brillavano come oro zecchino sotto i raggi dell’astro allo zenit e gli sembrò di trovarsi in un posto totalmente diverso da quello dove erano giunti la sera prima. I colori delle abitazioni, i contorni, il cielo stesso erano come tornati alla vita, riemersi dalla malattia che li aveva ingrigiti, spenti. Risorta delle ceneri come una fenice, Sundhara era rinata.
    Poi, il suo sguardo si allargò a catturare tutto il panorama visibile dalla loro posizione, anche quello oltre la città e i boschi circostanti, fino all’orizzonte. Fino a dove i suoi occhi erano in grado di vedere. Individuò la Via Crociata dalla quale erano giunti, scie di fumo sollevarsi tra gli alberi dove qualche contadino bruciava le erbacce; scorse le vette di alcuni monti a Ovest e la strada che portava alla prossima meta di quell’imprevedibile viaggio che stavano compiendo.
    Si rese conto che gli Elementi d’Aria potevano godere di una visuale spettacolare grazie alla loro capacità di volare e non gli dispiacque poter vedere il mondo da lassù, riuscire a catturare scorci sempre più lontani che assumevano particolari sfumature di colore.
    Forse… forse le alte quote non erano così male…
    E lui non si sentiva come un peso morto attirato inesorabilmente verso il basso dalla gravità, ma gli sembrava di essere sospeso, mentre Yuzo lo reggeva tenendolo solo per la vita, senza nessuno sforzo. A dirla tutta, non sapeva come funzionasse la capacità di volare dei volanti e fece quasi per chiederglielo, quando l’altro lo anticipò.
    “Farò il possibile per non esserti di ulteriore intralcio. E se dovessi trovarmi ancora in disaccordo con le tue decisioni, te ne parlerò in separata sede” isse, continuando a guardare la città. Poi si volse nella sua direzione. “Mi rendo conto che siamo molto diversi e che il mio comportamento possa risultarti irritante, quindi, cercherò di venirti incontro in ogni modo per non pesare sulle tue preoccupazioni.” Respirò a fondo. “Vorrei riprendere la famosa tregua che ci eravamo dati prima di lasciare Raskal, ma questa volta, vorrei che durasse.”
    Mamoru lo aveva ascoltato senza guardarlo direttamente, ma carpendo i suoi tratti con la coda dell’occhio. Quando l’altro ebbe finito, fece vagare lo sguardo al panorama circostante, senza soffermarsi realmente su alcun particolare.
    “Sì, è vero” si decise a parlare “siamo molto diversi, e hai ragione: ho provato a cambiarti.” Finalmente incontrò il suo sguardo. “Il tuo modo di fare, da volante, mi indispone, ma ammetto di essere anche io poco digeribile, quindi, siamo pari.” E Yuzo si sentì quasi sollevato da quelle parole e lo spiraglio di dialogo che lasciavano intravedere, ma Mamoru riuscì a sorprenderlo più di quanto avesse immaginato. “Non avrei dovuto importi di uccidere il Demone e il suo scarafaggio, quando eravamo nel Poli. L’omicidio non si ordina come se si chiedesse un bicchiere d’acqua e io ho ignorato quelle che avrebbero potuto essere le tue difficoltà a riguardo. Avrei dovuto pensarci, come responsabile del gruppo.” Si stava realmente scusando e Yuzo ne rimase quasi spiazzato, come quando, nel Giardino dei Ciliegi, gli aveva proposto la tregua. “In quel momento avevo bisogno di sapere che potevo fidarmi di te, che mi avresti guardato le spalle se fossi stato in pericolo e ho preteso di importi una dimostrazione, ordinandoti di uccidere Vulkan e il suo animale. Ma ci sono tanti modi per conquistarsi la fiducia altrui e oggi me ne hai dato prova: hai fatto di tutto per salvare dei perfetti sconosciuti, so che farai altrettanto con i tuoi compagni.” Il labbro si tese in una smorfia sorridente, mentre restava a osservare l’espressione incredula del volante. Lentamente gli tese la mano libera, mentre l’altro braccio restava avvolto attorno al collo dell’Elemento d’Aria. “Facciamola durare questa tregua.”
    Yuzo osservò prima il suo sorriso e poi la sua mano. Sorrise a sua volta, con entusiasmo, e la strinse: sì, quella era la volta buona. Sapeva che non sarebbero andati d’accordo su nulla, ma l’importante era il sapersi accettare con i pregi e i difetti e magari, alla fine di quell’avventura, avrebbero potuto definirsi ‘amici’, a loro modo.
    “Ora però fammi scendere!” sbottò la Fiamma di Fyar, recuperando il suo piglio irritato cui lui rispose con una risatina, cominciando a planare.
    “Piano, piano!”
    “Sì, va bene. Più piano di così!”
    “E non provare a farne parola con qualcuno!”
    “Capirai: da come urlavi, credo ti abbiano sentito tutti!”
    Mphf! Non ti sopporto!”

    “Non sappiamo davvero come ringraziarvi per quello che avete fatto per noi” affermò il Doge, facendo un profondo inchino ai quattro Elementi.
    Tutt’intorno, la gente si muoveva con frenetico entusiasmo per ricostruire i vecchi equilibri che avevano perduto a causa del morbo. Non solo i lamenti di chi ancora portava su di sé i postumi dell’avvelenamento avrebbero fatto da sottofondo a quella città, ma anche incitamenti e parole di conforto, per nuove risate dopo giorni di pianto, avrebbero riempito l’aria di Sundhara, e questo, più di qualsiasi altra cosa, avrebbe saputo ricompensare gli Elementi il cui compito principale, che fossero d’Aria, Acqua, Fuoco o Terra, si riassumeva in una sola parola: proteggere. Che fosse il sovrano o l’ultimo dei sudditi non aveva importanza, ogni uomo era uguale innanzi alle quattro Dee.
    “Ci basta esservi stati d’aiuto, Doge Aoi” affermò Mamoru, stringendo le redini del suo cavallo e rispondendo al suo inchino con un breve cenno del capo. Rapidamente montò sul corsiero, mentre l’uomo aggiungeva.
    “Ci spiace non poter ricambiare riguardo alla visita di Vostra Altezza: è stata davvero molto breve e vi abbiamo detto tutto ciò che sapevamo.”
    “Non importa, proseguiremo fino alla prossima città, continuando le nostre ricerche.”
    Shingo avanzò di qualche passo in direzione di Mamoru, stringendo il sacchetto con le monete che si portava al collo. “Quando troverete il Principe”, perché era fermamente convinto che ci sarebbero riusciti, “ditegli che Sundhara è salva, proprio come aveva predetto, e che verremo ad acclamarlo all’incoronazione.”
    L’Elemento di Fuoco annuì, con un sopracciglio inarcato e l’espressione leggermente perplessa.
    “Che farete ora?” domandò invece Hajime e il Doge sorrise.
    “Attenderemo gli aiuti per sigillare al meglio i pozzi e per cominciare a smantellare la cinta muraria: ormai non ne abbiamo più bisogno.”
    Gli Elementi rivolsero un ultimo saluto all’uomo, a suo figlio e al Naturalista prima di spronare i cavalli e inforcare l’uscita della città. Mentre varcavano il buco che c’era al posto del portone, i soldati della Guardia Cittadina si misero sull’attenti, rivolgendo loro un formale saluto fino a che non furono oltre le mura cittadine, diretti nuovamente alla Via Crociata.
    “Che cosa voleva dire il moccioso con ‘come aveva predetto’?” borbottò Mamoru non riuscendo a capire.
    Hajime cominciò a tossicchiare con fare disinvolto, mentre Teppei esibiva un sorriso furbo, affiancandosi alla Fiamma- “Oh, ma te lo spiego io!” disse con eccessiva verve “Devi sapere che…”
    Il Tritone ruotò gli occhi con rassegnazione. “Deve stuzzicarlo per forza.”
    “Che cosa succede?” Yuzo si avvicinò al giovane d’Acqua, abbassando il tono.
    “Sembrerebbe che il Principe sapesse del nostro arrivo a Sundhara e che l’avremmo salvata. Almeno così ha detto il figlio del Doge.”
    Il volante parve sorpreso. “Ah, sì? E come avrebbe fatto a-”
    “Ancora con questa Chiave?!” sbottò Mamoru a voce alta, mentre Hajime si stringeva nelle spalle.
    “Appunto.” sospirò; Yuzo al suo fianco cercava di non ridere.
    “Sei il solito miscredente!” ammonì Teppei “E’ ovvio che sia merito della Chiave Elementale, altrimenti come faceva a saperlo?!”
    “E che ne so?! Magari aveva mangiato pesante e avuto una visione!”
    Il tyrano sbuffò con sufficienza. “Tsk! Non vuoi ammettere l’evidenza.”
    “Ma quale evidenza?! È un Principe e, quando lo troveremo, diventerà Re e la prima cosa che gli hanno insegnato è la dialettica.” Si impuntò Mamoru “Infatti, non ha detto chiaramente che sarebbero stati degli Elementi, ma ha fatto un discorso dall’interpretazione libera. Non avrebbe certo potuto dire: ‘Buona morte, vi porterò dei fiori!’!”
    E quella discussione avrebbe potuto continuare per tempi infiniti, vedendo opposti la fede ferrea e lo scetticismo. Purtroppo per Yuzo e Hajime, la strada verso la prossima città era ancora molto, molto lunga.

    Il bacio del Fuoco ha il dolce sapore
    che fonde insieme morte e amore.
    Eppure presenta un sottile difetto:
    che anche il carnefice ne subisce l’effetto.


    …Il Giardino Elementale…

    E’ stata una difficile avventura ma, per fortuna, i nostri eroi sono riusciti a salvare Sundhara, mentre Fuoco ed Aria, dopo la falsa partenza iniziale, sembrano aver gettato le basi per una tregua destinata a durare, nonostante le evidenti divergenze.
    Ad ogni modo, il viaggio è ancora lungo e nuovi quesiti si fanno spazio tra gli altri già esistenti: il Principe può davvero vedere il futuro? O è stata una coincidenza?

    Angolino del ‘Grazie, lettori, grazie! XD’:

    Solarial: XDDDD Sono contenta che non avrai alcun problema con scene macabre e cruente, più in là ne ritroverai! *blink*
    E ti ringrazio sempre tantissimo per tutti i tuoi complimenti, cara! *_* ne sono felicissima! Un po' meno del fatto che Yuzo si vendichi su di me! XDDDD poverina io! Sono solo una fanwriter! *LOL*
    XDDDD Se le altre volte ti sembravo un'annunciatrice dei programmi tv... a fine di questo capitolo che ti sembro?!?!?!?!? AHAHAHAHAH!
    Per quanto riguarda Yu-chan e Mamo-chan... c'è ancora molto da scoprire su loro due. *__* Moooolto, mooooolto!
    Grazie ancora per le tue puntualissime reccyne, cara! *luv*
    (PS: nel prossimo capitolino ci sarà il famoso 'omaggino' a te, Betta e Tammy! *.*)

    Koji-chan: Kojina!*_* che piacevole sorpresa trovare una tua recensione! In primis, ti ringrazio per i complimenti alla storia.
    In secundis, è incredibile come, invece, io abbia pensato subito all’Acqua quando ho dovuto assegnare un ruolo ad Hikaru! XD sarà che, per la mentalità che ho pensato per questo tipo di Elementi e per il senso di unità e compattezza che l’acqua in sé mi ispira, mi è venuto subito da pensare alla Furano e al loro spirito di squadra. Ed il collegamento ‘Aquila dell’Hokkaido’ -> ‘Aquila di Mare’ è stato quasi spontaneo.
    Però sono contenta di leggere opinioni diverse!*__*
    Grazie ancora! *__*

    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • Uff! E finalmente sono riuscita a finire anche la terza parte di questo capitolo 5! È incredibile come, nella mia testa, sembri mancare pochissimo alla conclusione e poi, una volta su carta, questa diventi lontanissima! O__O
    Spero di riuscire a sbolognare il prossimo capitolo in una sola parte, ma con ‘sta logorrea meglio non sperarci troppo! XD

    Vi do appuntamento al Capitolo 6, dal titolo: “Il Circo Acquatico”.
    A presto!

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    Capitolo 11
    *** 6 - Il Circo Acquatico - parte I ***


    Documento senza titolo

    Dove eravamo rimasti:
    «Il tranquillo scorrere della vita nel Regno degli Ozora viene spezzato dall'improvvisa dichiarazione di guerra da parte di Minato Gamo, nobile esiliato nelle infauste terre del Nord dopo che il colpo di stato da parte del padre fallì miseramente.
    A peggiorare la situazione si aggiunge la notizia della scomparsa del futuro erede al trono, il Principe Tsubasa, in viaggio nelle Terre del Sud per cercare di conoscere più da vicino le realtà dell'intero reame. Con lui, sembra sia scomparsa anche la Chiave Elementale, un preziosissimo manufatto che fu lasciato, migliaia di anni prima, dalle quattro Dee Elementali.
    Mentre fervono i preparativi per un viaggio che porterà l'Armata Reale e gli eserciti delle Scuole Elementali al confine con il Nord, quattro giovani Elementi vengono mandati alla ricerca del Principe e della Chiave affinché questa non cada nelle mani del Nero, lo Stregone più potente di Elementia alla guida dell'AlfaOmega, congrega di Stregoni praticanti la Magia Nera e votati alla malefica Dea Kumi, la Reietta.
    Ma le cose si presentano da subito più difficili del previsto: la partenza ritardata, uno scontro difficile con un Demone dei Deserti, la rischiosa quarantena nella città di Sundhara.
    Tra i battibecchi continui di Aria e Fuoco e la pazienza infinita di Terra e Acqua, ognuno di loro imparerà a conoscere di più sé stesso e i propri compagni.
    Il viaggio è ancora lungo...»




    ElementiaTheWarLocandina



    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 6: Il Circo Acquatico (parte I)

    Dhèver – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Dhèver sorgeva alla fine dell’esteso campo vulcanico chiamato Sekàr. Lo stesso che, con le sue esalazioni sotterranee, stava per uccidere Sundhara.
    Ma a Dhèver la situazione era completamente diversa.
    Quando i quattro Elementi avevano varcato le soglie della città, si erano trovati davanti un luogo brulicante di vita, schiamazzi, mercati e visitatori provenienti da ogni dove perché Dhèver, proprio grazie al Sekàr, aveva le più belle sorgenti calde di tutto il Regno.
    “Principe o non Principe, non voglio sentire ragioni” esordì Teppei mentre passeggiavano per le vie del centro alla ricerca di una locanda in cui alloggiare. Erano giunti sul far della sera, troppo tardi perché il Doge potesse riceverli, e avevano deciso di trovarsi una sistemazione per la notte, ma l’impresa si stava rivelando molto più ardua del previsto. “Prima di lasciare Dhèver, voglio assolutamente provare le loro terme. Chissà quando mi ricapiterà di passarci!”
    Mamoru sbuffò, continuando a guardarsi intorno. “Invece di pensare a mettere a mollo le chiappe, io mi preoccuperei di trovare un letto per dormire! Se continua così ci toccherà accamparci all’esterno della città.” Incrociò le braccia senza lasciare le redini del cavallo. “Accidenti! E’ possibile che non ci sia nemmeno una stanza libera?! Tutte occupate!”
    “Beh, Dhèver è un luogo di villeggiatura molto rinomato e in questo periodo dell’anno è ancora più difficile del solito trovare qualche posto: ci sono svariate feste e fiere importanti anche nelle città vicine e i visitatori scelgono questa come punto di appoggio” spiegò Hajime con calma, ma l’Elemento di Fyar non era affatto d’accordo.
    “Villeggiatura?! Tsk! Non mi sembra il periodo più adatto per andare in vacanza: sai, si avvicina una guerra” ironizzò.
    Yuzo sorrise. “Sei il solito cinico. L’intero Regno degli Ozora non può bloccarsi del tutto in attesa del grande scontro, e poi non credo che gli abitanti prendano sottogamba la situazione, solo, cercano di vivere normalmente la loro vita. È un modo come un altro per esorcizzare la paura. Credo sia comprensibile…”
    “Risparmiami la morale, volante!” lo zittì Mamoru con una smorfia “E facci la grazia di non intossicarti stavolta, va bene?”
    L’altro sorrise, alzando un rassegnato sguardo al cielo. “Va bene, va bene.”
    Lentamente continuarono a camminare, cercando di destreggiarsi tra la fiumana di gente che, nonostante fosse già ora di cena, affollava la strada impedendo loro di camminare affiancati.
    “Cerchiamo di non perderci” esclamò la Fiamma di Fyar, afferrando Yuzo per un polso e trascinandolo avanti “Tu con me perché non si sa mai.”
    “Ma… non dovevamo essere in tregua?!” domandò il giovane con perplessità.
    “Certo che lo siamo, ma questo non significa che non possa punzecchiarti!”
    “Ah, capisco: tregua ‘a-modo-tuo’ insomma.”
    “Ovvio!” rispose Mamoru, sorridendo con una soddisfazione quasi infantile. “Sei sicuro che l’intossicazione sia passata del tutto?”
    “Sì, sì, non preoccuparti. Mi sono bastati un paio di giorni.”
    L’Elemento di Fuoco girò la faccia, arrossendo leggermente. “E chi si preoccupa! Era solo a titolo informativo!” Gli sarebbe costato troppo ammettere l’esatto contrario. Si era già esposto abbastanza quando si trovavano a Sundhara, ricorrendo addirittura al ‘Bacio di Maki’. Non poteva certo continuare a fare la chioccia protettiva nei suoi confronti, altrimenti chissà che si sarebbe messo in testa quello stupido volante.
    Intanto, dietro di loro, un po’ più distante, Hajime cercava di non perderli di vista, nonostante Teppei lo richiamasse ogni momento.
    “Ehi! Hai visto quante bancarelle? Però dicono che il mercato migliore sia quello di Dhyla, sembra ci sia tutto l’anno. Visto che è una delle nostre tappe, chissà se quel musone di Mamoru ci permetterà di dargli un’occhiata!” affermò il tyrano.
    “Teppei, ricordati che non siamo in viaggio di piacere.”
    “Sì, sì. Lo so. Ma almeno una sbirciatina!” insistette l’altro imperterrito, facendo alzare ad Hajime gli occhi al cielo con rassegnazione. Quando li riabbassò non riuscì più a scorgere né Mamoru, né Yuzo che erano stati come inghiottiti dalla folla all’interno della quale cercavano di destreggiarsi.
    “Accidenti!” sibilò con disappunto, scrutando tra i passanti nel tentativo di individuarli in qualche modo, ma con scarsi risultati. Rapidamente afferrò il compagno per un braccio, cominciando a trascinarlo. “Muoviti Teppei, abbiamo perso gli altri!”
    Nella foga non riuscì a evitare la giovane che gli era improvvisamente passata davanti, urtandola con forza e facendola sbilanciare. Per poco non cadde, ma la sconosciuta riuscì a non rovinare al suolo.
    “Oddee! Perdonami! Sono terribilmente mortificato, non l’ho fatto di proposito…” si scusò subito il Tritone mentre Teppei, accanto a lui, scuoteva il capo con rimprovero.
    “Lo vedi che non si fanno le cose di fretta?” gli disse, e per un momento all’Elemento d’Acqua venne voglia di strozzarlo: se non l’avesse fatto distrarre, di certo non avrebbe perso di vista i compagni!
    “Non preoccupatevi.” La sconosciuta diede una rapida sistemata all’ampia gonna che tintinnò a ogni suo movimento; numerosi ciondoli ne decoravano le rifiniture. “Con la confusione che c’è a Dhèver può capitare, non fatevene cruccio.”
    Lentamente si tolse lo scialle sotto cui nascondeva una corta capigliatura castano chiara. Due occhi azzurri si focalizzarono su di lui e Hajime la riconobbe all’istante.
    “Rika?!” domandò con incredulità, temendo di essersi sbagliato, ma la ragazza dapprima inclinò leggermente il capo di lato e poi distese uno smagliante sorriso.
    “Hajime di Ilar?!” esclamò entusiasta “E ci sei anche tu, Teppei!”
    “Rika Ozawa(1)?!” Il tyrano l’abbracciò subito con affetto “Sei proprio tu!”
    “Oddea, ragazzi, da quanto tempo non ci vediamo?”
    “Anni, ovviamente” sorrise Hajime prima di inarcare un sopracciglio con perplessità mista a preoccupazione. “Aspetta un momento… cosa ci fai a Dhèver? No, meglio: cosa fai fuori dal tempio di Rhanora?!”
    La ragazza fece schioccare la lingua tra i denti, esibendo un sorriso un po’ imbarazzato “Veramente… io non sono più una Sacerdotessa Elementale.”
    “Cosa?!” e il Tritone sgranò gli occhi per la sorpresa mentre lei si limitava a scrollare le spalle con una certa filosofia.
    “A volte le cose cambiano” disse con un sincero sorriso.
    “Ma… cosa è successo? Per quale motivo hai-” ma Hajime non riuscì a terminare la frase che una vocettina stridula interruppe la loro conversazione.
    “Mam-ma! Mam-ma!” strepitò una bambina, agitandosi tra le nerborute braccia di una signora di mezza età che cercava di tenerla, ma la piccola non sembrava intenzionata a stare ferma e continuava a tendere le manine verso la giovane.
    “Rika, perdonami, ma non vuole saperne di stare con me!” si giustificò la donna, lasciandole la bambina e asciugandosi il sudore con il fazzoletto.
    Hajime e Teppei rimasero a osservare l’amorevole scenetta con tanto d’occhi e senza dire una parola fino a che fu Teppei a trovare il coraggio per domandare un titubante: “Tu-tua figlia?”
    Rika sospirò senza smettere di sorridere. “Vi presento Mayleen.”
    “Che amore!” si illuminò il tyrano, facendo amicizia con la piccola dai folti capelli ricci e gli occhi vispi.
    Un passo più indietro, il Tritone cercò di sorridere senza nascondere un certo disagio.
    “Non approvi, non è così?” gli domandò l’ex-Sacerdotessa.
    “Non sei un po’ troppo giovane? Hai solo diciotto anni, in fondo…”
    “Lo so, ma valutavo l’idea di lasciare Rhanora già da molto tempo: essere innamorati di qualcuno che non sia la Dea non è permesso a noi Sacerdotesse, e io avevo trovato qualcuno che per me contasse più della Divina Yoshiko.”
    “Non hai bisogno di giustificarti con me. Non sono nessuno per poterti giudicare” scosse il capo Hajime, “ma da amico, se la tua scelta ti ha reso felice, allora sarà anche la mia felicità.” Concluse con un sincero sorriso, prima che intervenisse Teppei.
    “Secondo me, hai fatto bene. Non ho mai compreso la clausura delle Sacerdotesse Elementali” disse con severità “E se vi hai rinunciato per il desiderio di costruire una famiglia, beh, hai il mio pieno appoggio.”
    “Teppei!” lo riprese Hajime, mentre Rika ridacchiava della sua espressione severa. “Sai benissimo quale sia il sacro compito delle Sacerdotesse: devono proteggere gli Elementi Eterni e la clausura è una condizione necessaria.”
    “Beh, vorrei vedere te costretto a stare chiuso nel tempio di Rhanora senza la possibilità di interagire con l’esterno” insistette il tyrano.
    “Oh, andiamo! Nessuno costringe le Sacerdotesse a divenire tali!”
    “Ma la volete finire?!” continuò a ridere Rika “Non vi metterete a parlare dell’Etica Elementale spero! Piuttosto… ancora non mi avete detto cosa fate a Dhèver: è lontana sia da Tyran che da Agadir.”
    Hajime mosse nuovamente lo sguardo a scrutare la folla. “Veramente eravamo in quattro, ma sai anche tu come è fatto Teppei, mi ha distratto e abbiamo perso di vista i nostri compagni.”
    “Vuoi dare tutta la colpa a me adesso?!” l’Elemento di Terra incrociò le braccia con stizza. “Ti ricordo che sei stato tu a sbattere contro Rika e a distrarti!” poi sospirò “Chissà se Mamoru ha trovato una locanda…”
    “Cercate alloggio?” domandò la ragazza.
    “Sì, da quando siamo arrivati in città ci siamo fermati a ogni locanda, ma senza successo…” spiegò Teppei.
    “Non troverete mai un posto. La città è piena in questo periodo dell’anno” e l’affermazione di Rika mandò alla deriva tutte le loro speranze. Avrebbero dovuto accamparsi all’esterno di Dhèver e potevano già immaginare l’imperituro borbottare di Mamoru, quando…
    “Ma se volete, posso ospitarvi a casa mia.” La proposta della ragazza si attirò immediatamente la loro attenzione. “Dove vivo non abbiamo sicuramente problemi di spazio.”
    “Dici sul serio? Sicuro che non disturbiamo?”
    “Oh, Teppei. Gli amici non disturbano mai, anzi, sarà un piacere avervi ancora un po’ con me come quando eravamo piccoli.”
    Il tyrano scambiò una rapida occhiata con Hajime che annuì. “Allora temo che approfitteremo della tua ospitalità.”
    Teppei batté una mano sulla spalla del compagno.
    “Perfetto! Aspettatemi qui, vado a recuperare Yuzo e Mamoru, farò in un attimo, non devono essere arrivati lontano.”

    “Ecco, lo sapevo io, e meno male che mi ero raccomandato. ‘Tutti uniti’ avevo detto, ma si vede che quando parlo io nessuno mi ascolta!”. Mamoru stava sbraitando da una serie interminabile di minuti, con buona pace del volante che lo ascoltava rassegnato.
    “Mamoru, non essere sempre così intransigente, lo vedi anche tu quanta gente c’è per le vie di questa città. Cerca di capirli…”
    “Ma io l’avevo detto o no che dovevamo restare uniti?” si impuntò l’altro.
    “Sì, l’avevi detto, ma-”
    “E allora lo vedi che nessuno mi ascolta e fa come dico?”
    Yuzo lo osservò per qualche secondo, inarcando un sopracciglio. “Non è che soffri un po’ di complessi di inferiorità?”
    L’Elemento di Fyar avvampò per la collera, cominciando a sbraitare ancora più forte. “Io non soffro di nessun complesso, volante!”
    “Sì, sì, come non detto. Scherzavo!” si difese sforzandosi di non ridere e alzando le mani in segno di resa.
    “Inferiore… io?! Tsk!” masticò ancora Mamoru, scuotendo il capo con decisione prima di riprendere con le sue invettive. “E comunque adesso dovremo perdere altro tempo per andare a cercare quei due: comincia a dire addio alla possibilità di dormire in un bel letto comodo, non troveremo mai delle stanze.”
    Ma proprio quando ormai Yuzo si stava rassegnando all’idea di sentire per tutta la serata gli improperi della Fiamma, scorse tra la folla la figura di Teppei che cercava di farsi largo, guardandosi attorno con frenesia.
    “Grazie alle Dee!” sospirò con un largo sorriso, cominciando a sbracciarsi per farsi individuare. “Teppei! Teppei siamo qui!”
    Anche Mamoru lo adocchiò e incrociò le braccia al petto. “Era ora!”
    Sentendosi chiamare, il tyrano si alzò sulle punte per riuscire ad avere una maggiore visibilità e scorse, finalmente, i compagni che stava cercando.
    Ehi!” gridò, agitando entrambe le braccia.
    “Adesso mi sente. E dov’è Hajime? Mi verrà un’emicrania!” Mamoru si portò stizzosamente le mani ai fianchi, esibendo una dura espressione di rimprovero e gonfiando il petto, incamerando la giusta quantità di aria per sciorinargli l’intera ramanzina d’un fiato.
    “Mamoru, ti prego…”
    “Tu, taci.” ringhiò appena, per poi concentrarsi completamente verso l’Elemento di Terra, ma come fece per parlare l’altro lo batté sul tempo.
    “Abbiamo trovato un alloggio!” esordì entusiasta, rimanendo in attesa di una risposta da Mamoru. A quest’ultimo si strozzarono in gola tutti gli improperi. Inarcò un sopracciglio mentre inclinava la testa di lato. Un sorriso smagliante distese le sue labbra.
    “Davvero?!” esclamò con lo sguardo illuminato da fiamme di gioia.
    “Sì, esatto! Seguitemi, Hajime ci sta aspettando!” rapidamente fece dietro front seguito a ruota dai suoi compagni che, nuovamente, vennero inghiottiti dalla folla.

    Dopo che Teppei fu scomparso nel via vai di cittadini e turisti, Hajime tornò a concentrarsi su quell’amorevole quadretto familiare, abbozzando un sincero sorriso. “E’ davvero una bella bambina, Rika.”
    La ragazza rispose al suo sorriso, stringendo a sé la piccola. “Lo so, è il mio piccolo tesoro” e mentre parlava, Mayleen le rivolgeva solari sorrisi e deliziose smorfiette.
    Assumendo un’espressione più seriosa, il Tritone aggiunse: “Come è stato l’allontanamento da Rhanora?”
    La ex-Sacerdotessa sospirò con forza e, già in quello, Hajime poté comprendere come non fosse stato per nulla facile.
    “Come hai detto tu, nessuno ci obbliga a essere delle Sacerdotesse Elementali, ma quando smettiamo di esserlo, soprattutto se per nostra scelta, quello che riceviamo è solo una maschera di indegna freddezza. Diciamo che nessuno è venuto ad augurarmi buona fortuna.”
    “Forse Teppei ha ragione: il sistema è regolato da una condotta troppo rigida.”
    “O forse quello ad aver ragione sei tu: il nostro compito non si svolge alla luce del Sole, ma le nostre responsabilità sono dieci volte superiori alle vostre” si strinse nelle spalle “Doveva pur esserci un prezzo da pagare per essere le più vicine alle Dee.” E nonostante tutto riuscì a sorridere con una certa ironia per quanto dalle azzurrissime iridi trapelasse, nitido, un senso di vergogna e di colpa.
    Per stemperare l’improvvisa tensione, Hajime batté le mani, cambiando discorso. “Ma ancora non mi hai detto chi è il fortunato vincitore del ‘terremoto di Ilar’!”
    Rika arrossì, agitando minacciosamente un pugno. “Ehi! Non sono più una bambina, ho smesso di fare disastri! Ma guarda che antipatico!”
    “Vai sempre su tutte le furie quando ti prendono in giro” rise il Tritone.
    “Non è vero!” poi abbozzò un sorriso un po’ titubante. “Per quanto riguarda mio marito… ecco lui…” ma non riuscì a terminare la frase che la bambina prese ad agitarsi tra le sue braccia, tendendo nel vuoto le manine.
    “Pa-pà! Pa-pà!” chiamò entusiasta in direzione della folla attorno a loro.
    “Rika! Eccovi finalmente, ma dove vi eravate cacciate?”
    Hajime riconobbe subito quella voce dall’inflessione burbera e spavalda, dipingendosi immediatamente un’espressione tra l’incredulo e il contrariato.
    “Dimmi che non è come penso” mormorò, senza nemmeno voltarsi, ma scuotendo il capo “dimmi che non hai sposato proprio lui…”
    “Hajime non arrabbiarti e non partire prevenuto…”
    Ma il Tritone continuava a scuotere il capo come il pupazzo di un carillon. “Con tutte le persone che ci sono sulla faccia di Elementia, non dirmi che ti sei innamorata proprio di…”
    “E tu che diavolo ci fai qui, squamato di Agadir?!” gli si rivolse l’ultimo arrivato con il suo irritante tono carico di disprezzo. Hajime si trovò a sospirare, girandosi finalmente a osservare quello che, un tempo, era stato un suo compagno d’Acqua.
    “…Koshi Kanda(2).”
    L’altro sbuffò, incrociando le braccia al petto. “Elementia è davvero piccolo se ci siamo riusciti ad incontrare in mezzo a questa moltitudine di persone. E sappi che non è affatto un piacere rivedere il brutto muso di voi mezzi pesci, Taki.”
    “Sentimento reciproco, traditore, che sei scappato da Agadir nel cuore della notte e con la coda tra le gambe come il vigliacco che sei” rispose a tono il Tritone. Lo sguardo di Kanda si fece più tagliente, mentre snudava i denti e prendeva una posizione d’attacco.
    “Bada a come parli, DentiSplendenti, o ti limo le zappe a suon di pugni!”
    Tsk! Non credo che cambierai: rozzo eri e rozzo sei rimasto” sbuffò con stizza, rivolgendosi nuovamente alla giovane. “Mi dispiace, Rika, ma dopo le ultime scoperte, temo che dovremo rifiutare la tua ospitalità, lo dico per il bene della salute mentale di entrambi.”
    A quella frase, Kanda scattò su come una molla. “Ospi-che?! Non dirmi che avevi invitato mezzo pesce a casa mia?!”
    “Adesso finitela!” la ex-Sacerdotessa ridusse gli occhi a due fessure sottili come spilli, azzittendo entrambi i contendenti. “Hajime: piantala di giudicare per partito preso, soprattutto quando i moventi di certe azioni non li conosci” lo ammonì, facendolo arrossire per la vergogna. “E tu, Koshi, ricorda che quella è casa nostra. E come io tollero i tuoi amici spacca-mobilio, tu dovrai tollerare i miei, quindi, Hajime e i suoi compagni resteranno da noi per tutto il tempo che sarà loro necessario, sono stata chiara? E se la cosa non ti sta bene, ti sbatto nel tendone dei rettili senza pensarci due volte!”
    Anche il non più Elemento d’Acqua si azzittì di colpo, cessando le ostilità. Solo allora la giovane tornò a sorridere annuendo con soddisfazione. “Bene così!”
    La bambina cominciò a battere le mani entusiasta. “Mam-ma! Mam-ma!”
    “Ha il solito caratterino…” mormorò Hajime.
    “Già” convenne Kanda “e questo è niente.”
    “Credo sia la tua punizione divina.”
    “Non nego che certe volte… l’ho pensato anch’io!”

    Mamoru trotterellava, seguendo il tyrano, con espressione sorridente e soddisfatta.
    “Ma non eri furente fino ad un attimo fa?” Yuzo, accanto a lui, sorrideva del suo repentino mutamento, pensando che l’Aria e il Fuoco non fossero così diversi, tranne che per l’aggressività.
    “Pensa ai fatti tuoi, volante” rispose l’interpellato con la sua solita malagrazia, ma mantenendo l’espressione gioiosa. “La sola idea di non dover passare la notte in un sacco a pelo è sufficiente a scacciare tutti i mali.” Si rivolse al compagno di Terra. “Dove si trova la locanda? In qualche vicolo? Nel tratto che io e il volante abbiamo percorso, non ne abbiamo viste…”
    “No, veramente non alloggeremo in una locanda.” Teppei si volse appena, cogliendo la sorpresa nei loro occhi.
    “Ah, no?”
    “Io e Hajime abbiamo incontrato una nostra amica di Ilar, ha detto che ci ospiterà a casa sua.”
    Gli occhi di Mamoru si illuminarono di nuovo, mentre stringeva il pugno con entusiasmo. “Pernotteremo gratis?! Che colpo di fortuna per le nostre finanze!”
    “Mamoru!” lo rimproverò Yuzo “Non ti facevo così venale!”
    L’altro si strinse nelle spalle. “Non sono venale, sono solo molto pratico e risparmiare male non ci farà.”
    Teppei si attirò la loro attenzione e aumentò il passo. “Ecco gli altri! Hajime!”
    “Ah, li hai trovati subito, meglio così” annuì il Tritone con un sorriso “Rika, ti presento i nostri due compagni di viaggio: Yuzo Shiroyama e Mamoru Izawa.”
    La ragazza esibì un cordiale sorriso, accennando un inchino. “Piacere di conoscervi.”
    “Il piacere è nostro e ti ringraziamo di cuore per la tua ospitalità” rispose il volante, mentre la Fiamma gli faceva il verso, ruotando gli occhi.
    “Ti devo chiamare ‘cortesino’, altroché.”
    “Eh? Ma… ma che ho fatto, adesso?!”
    “Niente, niente. Lascia stare.” Mamoru agitò una mano e accennò un saluto col capo in direzione di Rika. “E’ fatto così, sopportalo per questo giorno che saremo tuoi ospiti.”
    Kanda osservò tutti e tre i nuovi venuti con attenzione. “Siete tutti Elementi. E di scuole diverse, per giunta. Che diavolo c’è dietro?”
    Il Tritone lanciò fugaci sguardi all’intorno. “Non qui, Kanda, sarebbe meglio riparlarne lontano da orecchie indiscrete…”
    “Come hai fatto a capirlo così velocemente?” Teppei lo osservava con tanto d’occhi, mentre Mamoru assumeva un piglio più severo.
    “Solo chi ha a che fare con la magia avrebbe potuto avvertirlo quasi d’istinto…”
    Hajime sospirò. “Lui è il marito di Rika, Koshi Kanda…”
    “…un tempo mezzo pesce come DentiSplendenti qui presente.”
    “Davvero?!” sbottò il tyrano.
    “Sì” confermò l’Elemento d’Acqua “Lui era un Tritone di Agadir.”

    Riuscirono a lasciare il perpetuo via vai di gente grazie alle indicazioni di Rika che conosceva quella città molto meglio di loro. Affiancata dal marito, li guidò per stradine secondarie meno affollate e più tranquille.
    “Accidenti! Non avevo mai visto una città così popolata. Da diventare matti!” Teppei si portò le mani dietro la testa, osservando il cielo stellato che appena si intravvedeva tra i tetti delle case.
    “Dhèver è una meta turistica per quasi tutto l’anno grazie alle sue sorgenti calde.” spiegò Rika “In questo periodo, poi, in cui si concentrano le maggiori fiere del Sud, diventa davvero invivibile, ma si tratta solo di farci l’abitudine.”
    Al solo nominare le terme, il tyrano si galvanizzò rivolgendo una supplichevole occhiata alla Fiamma di Fyar. “Mamoru, ti prego, prima di lasciare Dhèver dobbiamo assolutamente provarle le sorgenti!”
    “Teppei, non siamo in vacanza.”
    “Eddai, solo una nuotatina! Ti prego, ti prego, ti prego!”
    Mamoru ruotò gli occhi in un misto di noia e rassegnazione. “D’accordo, vedremo…”
    “Sì! Farò il bagno nelle terme!” esultò l’Elemento di Terra, raggiungendo rapidamente la testa del gruppo dove c’erano Hajime e Yuzo. Quest’ultimo teneva in braccio la piccola Mayleen che non voleva saperne di lasciarlo andare: appena lo aveva visto, aveva cominciato ad agitarsi, sporgendosi con insistenza nella sua direzione tanto da rischiare quasi di sfuggire alla presa di Rika.
    “Ehi! Ho detto ‘vedremo’!” gli urlò dietro Mamoru, ma il tyrano non lo ascoltava già più, lasciandolo sospirante. “Ho a che fare con degli Asylum travestiti da Elementi.”
    Tsk! Elemento di Fuoco, non c’è che dire” ridacchiò Kanda accanto a lui.
    “Si nota?”
    “Non era un complimento.”
    Mamoru gli rivolse un mezzo sorriso sbilenco dei suoi. “Tu mi sei simpatico, dico sul serio.”
    “Certo che siete un gruppo davvero variegato: una Fiamma di Fyar, un Tritone di Agadir, un tyrano…” indicando Teppei “…e mi gioco la testa se quello non è un piccione di Alastra: perfettino ed educato con l’aria poco sveglia.”
    Mamoru sbottò a ridere più forte. “Confermo: mi sei dannatamente simpatico!”
    “Koshi!” lo ammonì Rika,  portandosi le mani ai fianchi “Non trattare male i nostro ospiti!” ma Mamoru assunse le difese dell’ex-Tritone.
    “Non è scortesia, ma la pura verità: il volante è effettivamente stupido” disse con candore e la ragazza non trattenne una risatina, tornando ad osservare proprio l’Elemento di Aria con espressione estatica.
    “A me, invece, sembra molto gentile e poi… Mayleen lo adora, non l’avevo mai vista così a sua agio con uno sconosciuto. Trovo che Yuzo abbia un innato senso paterno.”
    “Senso… paterno…” ripeté lentamente Mamoru, osservando come il volante coccolasse affettuosamente la bambina e questa gli rivolgesse risolini deliziati. Una strana immagine di allegra famigliola cominciò pericolosamente a focalizzarsi nella sua testa, facendolo avvampare fino alla punta delle orecchie e scuotere il capo con forza affinché quello stuolo di pargoletti identici al volante scomparisse il più presto possibile, e non volle nemmeno lontanamente chiedersi perché la figura femminile, accerchiata da quei mocciosi, gli fosse così terribilmente familiare.
    Koshi Kanda si strinse nelle spalle, incrociando le braccia al petto. “Mah, se lo dici tu, tesoro…”
    Lei gli lanciò un’occhiata traversa e un sorrisetto perfido. “Sei solo geloso perché è più bravo di te!”
    Quelle parole lo punsero sul vivo. “Che cosa?! Vuoi forse dire che non sono un buon padre?!”
    “Oh, ma certo che lo sei” miagolò lei in uno sbatter di ciglia “Tranne quella volta che ti avevo mandato a prendere un abitino per la piccola e ne hai portato uno di tre taglie più grandi…”
    “I bambini crescono in fretta!”
    “…o quella volta che ti avevo chiesto di prepararle la pappa e  tu hai bruciato tutto…”
    “Lo sai che non sono mai stato bravo a cucinare!”
    “…per non parlare di quella volta in cui hai dovuto cambiarle il pannolino. Quanto ci hai messo? Ah! Mezz’ora! E il bagno era divenuto un porcile!”
    “Sì, ma sono riuscito a cambiarglielo! Nessuno è perfetto!” concluse, girando il viso di lato.
    Rika affilò ancora di più il suo ghignetto di puro divertimento. “Davvero?” insinuò, per poi attirarsi l’attenzione dell’Elemento d’Aria con un cinguettante: “Yuuuzooo!”
    Il giovane rallentò il passo, lasciando che i tre lo raggiungessero; Mayleen continuava a giocherellare con il lungo orecchino del volante.
    “Sì?”
    “Sai cucinare?”
    “Sì, certo. Ad Alastra ce lo insegnano” annuì con un sorriso mentre Rika sbatteva velocemente le ciglia.
    “Ma che bravi!” disse, lanciando poi un’occhiata ironica al marito.
    “Veramente” intervenne Hajime “lo insegnano anche ad Agadir, ma io non sono particolarmente ferrato, anche se Koshi lo era ancor meno di me.”
    La ex-Sacerdotessa si illuminò, avvertendo aria di pettegolezzo con cui poi avrebbe preso in giro il suo consorte. “Ah, sì?” trillò, aumentando il passo per raggiungere il Tritone e Teppei “Racconta!”
    Kanda arrossì leggermente, sbuffando. “Grazie tante, DentiSplendenti. Non sprecarti a mettere una buona parola sul mio conto, eh, mi raccomando!” con stizza tenne dietro alla moglie, lasciando Fuoco e Aria arretrati e non risparmiò un’occhiata torva al volante che rimase perplesso.
    “Ma… perché mi ha guardato così male?” domandò Yuzo, ma Mamoru era ancora in loop sulla stranissima e inquietantissima immagine di poco prima, tanto che il rossore al viso si accentuò non appena lui gli ebbe rivolto la parola.
    “Ma che vuoi che ne sappia?!” rispose piccato per dissimulare l’imbarazzo.
    Yuzo alzò gli occhi al cielo con ironia. “E io che lo vengo addirittura a chiedere a te” sospirò.
    Ia-ia!” sillabò Mayleen, attirandosi la sua attenzione e Yuzo le rispose con un solare sorriso, sollevandola in alto. Lei agitò felicemente le manine nel vuoto, ridendo divertita.
    “Sì. Ia-ia!”
    La Fiamma di Fyar aveva le sopracciglia aggrottate fino al limite e l’espressione più schifata che avesse mai potuto fare.
    “Oddee, sto per vomitare” decretò a quel quadretto terribilmente zuccheroso per il suo fegato.
    “Ma sai almeno cosa ha detto?”
    Mamoru lo guardò con ironia. “Sì, perché adesso mi verrai a dire che la lallazione di una poppante ha un significato, vero? Ma per favore.”
    “Beh, se ci pensi non è così difficile da capire.”
    “Io invece mi domando perché sto ancora qui a sentire le tue idiozie, volante.”
    Yuzo osservò il suo profilo tipicamente imbronciato per qualche secondo, prima di sbuffare un sorriso. “Non ti piacciono proprio i bambini, vero?”
    “Che perspicacia” ironizzò la Fiamma.
    “Ma sei stato bambino anche tu.”
    “E questo che c’entra?” disse agitando una mano con noia.
    “I bambini sono molto più svegli di quello che si possa pensare” insistette Yuzo “Vero, Mayleen? ‘Ia-ia’?” la bambina prese ad agitarsi tra le sue braccia, aggrappandosi con forza al suo vestito e ripetendo la sillabazione.
    Mamoru la osservò con un sorrisetto scettico prima inarcare un sopracciglio con una certa curiosità. La piccola non smetteva di guardare il volante, mentre diceva la sua cantilena. Poi scosse il capo.
    Nah! Non vorrai farmi credere che sta dicendo ‘Aria’, spero!”
    E invece il giovane di Alastra la pensava esattamente in quel modo.
    “Sì, Aria” ripeté, solleticando la bambina “Giusto, piccolina?”
    Ia-ia!”
    “Oh, per favore. Come sei fantasioso” e pensò che i volanti non avessero proprio tutte le rotelle a posto, quando si sentì afferrare per un lembo della casacca che stava indossando. Mamoru si ritrovò due occhi azzurro intenso che lo fissavano con acceso interesse.
    “E… e adesso che c’è?” borbottò, sentendosi in difficoltà sotto quello sguardo indagatore.
    Oco!” esclamò la bambina con decisione “Oco!”
    La Fiamma osservò prima la figlia di Rika, con evidente incredulità, e poi il volante. “No! Non provarci! Non è possibile che una bambina così piccola possa avvertire la nostra magia riuscendo addirittura a distinguerci!”
    “E perché no, scusa? Potrebbe essere una questione puramente istintiva, in fondo, Mayleen è figlia di un Tritone e una Sacerdotessa Elementale, quin-”
    “Cosa hai detto?” Mamoru lo interruppe con foga, arpionandogli un braccio all’improvviso. Il volante arrestò il suo incedere con sorpresa e leggermente intimorito dallo strano sguardo inquieto che gli stava rivolgendo.
    “Me-me lo ha detto Hajime: Rika era una Sacerdotessa dell’Acqua, poi ha deciso di abbandonare il tempio per stare con suo marito. Una scelta molto romantica.”
    La Fiamma lasciò lentamente la presa, spostando altrove lo sguardo, ma senza dire nulla.
    Oco?” lo chiamò Mayleen e anche lei sembrava perplessa, mentre lo osservava con i suoi occhioni azzurri.
    “Sì…” Mamoru allungò una mano che la bambina afferrò subito, entusiasta “sei proprio una bambina sveglia.” Uno strano sorriso aleggiò per un momento sulle sue labbra, prima di dissolversi come un’ombra. La pece dei suoi occhi acquietò l’improvviso ribollire.
    Yuzo lo aveva osservato senza capire il repentino mutamento, ma quando tentò di domandare qualcosa, Rika si attirò la loro attenzione.
    “Ragazzi, May vi sta forse dando il tormento?” domandò, notando come fossero rimasti più arretrati.
    “Oh no, figurati!” negò il volante mentre raggiungevano il gruppetto.
    “Mi dispiace di averla mollata a te” rise la giovane, mentre Kanda allungava le mani per riprenderla.
    “Forza, monella. Vieni da papà.”
    “Pa-pà!” ripeté la piccola, sporgendosi in direzione del genitore.
    “A quest’ora avresti già dovuto essere a letto, lo sai?” l’uomo prese la figlia dalle braccia di Yuzo, lanciandogli l’ennesima occhiataccia cui lui tentò di far fronte con un sorriso tirato, prima di mormorare in direzione di Mamoru.
    “Ma… gli ho forse fatto qualcosa?”
    L’interpellato rise, scuotendo il capo. “No, è solo che vede minata la sua posizione di ‘maschio alfa’.”
    “La sua… cosa?” fece eco Yuzo senza capire. Il compagno gli batté una pacca di consolazione sulla spalla, ridacchiando senza ritegno.
    “Niente, volante, niente.”

    “Manca ancora molto, Rika?”
    I suoni del centro cittadino erano andati lentamente scemando senza però scomparire del tutto e anche le case andavano diradandosi a mano a mano che avanzavano per stradine secondarie.
    “No, Teppei, ormai siamo quasi arrivati, alla fine di questa strada potremo già vederla.”
    Hajime intervenne. “A proposito” disse “Non mi hai ancora detto come siete arrivati a Dhèver: è lontana sia da Rhanora che da Agadir, per non parlare di Ilar…”
    “E’ per via del nostro lavoro” spiegò la giovane “Vedi, in questa città avevano bisogno di guardiani molto… particolari” tentennò per trovare le parole più adatte, ma il Tritone inarcò un sopracciglio con perplessità.
    “Guardiani? Guardiani di cosa?”
    La ragazza gli strizzò l’occhio, mantenendo uno strano alone di mistero. “Abbi un po’ di pazienza, tra poco lo vedrai e se è per quello ci abiterai anche, in fondo, il nostro posto di lavoro è anche la nostra casa.”
    Hajime parve sempre più confuso, mentre Teppei era terribilmente curioso.
    “Non dirmi che siete i guardiani delle terme?!” domandò, su di giri “Sarebbe un vero colpo di fortuna!”
    “Teppei, ma sei tremendo!” sbottò Mamoru.
    “Era solo un modo per unire l’utile al dilettevole!” tentò di giustificarsi il tyrano, ma Rika infranse i suoi sogni sul nascere, ridendo.
    “No, non siamo i guardiani delle terme, ma di qualcosa di molto più spettacolare e unico” si divertì nel vederlo rodersi dalla curiosità. Ma la risposta, ormai, era veramente a pochi passi.
    In lontananza, si poteva già scorgere un intenso bagliore che diveniva sempre più forte a mano a mano che si avvicinavano, e anche il vociare delle persone era tornato molto più vivo e concitato alle loro orecchie.
    Suoni di risate, schiamazzi e gridolini carichi di eccitazione e meraviglia sembravano preannunciare la presenza di qualcosa di straordinario alla fine della strada alla quale erano giunti.
    “Dovete sapere che Dhèver non ha solo le terme come principale attrazione…” affermò Rika, fermandosi sul limitare di quello che si rivelò essere il bordo di un antico cratere al cui interno sorgeva, maestoso, un tendone dalle mille sfumature blu e dei tendoni più piccoli attorno al principale. Le luci delle grandi torce e candele lo illuminavano a giorno, mentre la quantità di persone che vagava per quell’enorme parco era davvero impressionante. Sulla sommità del tendone principale vi era la sagoma in ferro e smalto di una bellissima carpa che saltava fuori dall’acqua.
    “…ma  ha anche l’unico Circo Acquatico esistente su Elementia!”




    [1]RIKA OZAWA: chi se la ricorda? Vediamo, vediamo le mani alzate… ehhhh, ma siete pochini! Allora, per chi non sa bene chi sia questa giovane, basti dire che non è un personaggio del manga, ma esclusivamente dell’anime. In uno dei vari film/special/oav di CT (“La grande sfida europea”), i nostri eroi vanno a Parigi per giocare contro varie nazionali, alcune raggruppate tra loro, tipo quella europea. La manager della nazionale europea era una certa Rosemary Holden, ovvero, la nostra Rika Ozawa. X3 Salutatela!
    La cosa più difficile con la gestione di questo personaggio è stata decidere di che minchia di colore avesse i capelli. XD No, non sono rossi/rossicci/quelchel’è, anche se io ricordavo di sì. Alla fine, valutando anche l’anime, è uscito che erano un castanochiaro-biondocenere-insomma. Ho optato per castano chiaro. (Rika Ozawa: *clicca*)

    [2]KOSHI KANDA: il signorino, qui, non avrebbe bisogno nemmeno di presentazioni, ma visto che non tutti hanno letto il manga, è meglio rinfrescare la memoria. Koshi è il figo che Sanae avrebbe dovuto scegliere per provare il brivido della passione e del sano sesso sfrenato. Ahimé, Sanae ha scelto Tsubasa e adesso nel lettone dormono in tre: lei, lui e il pallone. *sbatte ciglia e sghignazza*
    Ma tralasciando le minchiate, Koshi Kanda era un losco figuro, membro del club di boxe, che aveva una cotta per Sanae. Al terzo anno di liceo, il pirlotto ha sfidato Tsubasa in singolar tenzone per il cuore della pulzella. Ovviamente, ha perso (eh, ha sfidato il protagonista del manga! Per questo è un pirla). (Pirlotto Kanda: *clicca*)




    …Il Giardino Elementale…



    Non mi sembra quasi vero di scrivere in questo piccolo angolino dopo tutto questo tempo.
    Tre anni.
    L'ultimo aggiornamento risale al 2008. Dio, che vergogna. *facepalm*
    Mi cospargo immensamente il capo di cenere; non si dovrebbe mai fare aspettare così tanto i propri lettori. Sono veramente mortificata, non succederà più, ve lo prometto.
    In questi tre anni ho scritto moltissimo, ma non ho mai dimenticato Elementia né tutto ciò che le ruota intorno. Questa storia è sempre rimasta con me e ho sempre continuato a pensare a lei, a scrivere altri capitoli sparsi, a modificarla e arricchirla. Mi spiace di non essere stata costante, ma da questo momento in poi potete stare certi che non sarà più abbandonata. "Elementia: The War" primo e più lungo capitolo della Pentalogia (tre storie e due raccolte) avrà di sicuro una fine, su questo non dovrete mai dubitare.

    Vi spiego subito come intenderò procedere da ora in poi: la storia verrà aggiornata SETTIMANALMENTE dandomi così modo di poter lavorare ai capitoli mancanti (che non sono molti, in verità, ma poiché sono molto lunghi e laboriosi richiedono molto tempo).
    Per quanto riguarda la raccolta "Elementia: Fragments" che narra momenti della vita dei quattro Elementi precedenti agli eventi di "Elementia: The War", l'idea è quella di pubblicare a mano a mano i Fragments quando ciò che narreranno non sarà più spoiler della storia principale. Inoltre, ho deciso di ordinarli cronologicamente, cosa che, al momento, non è stata ancora fatta (a mano a mano che aggiornerò la raccolta, la sistemerò).

    Ma adesso... gioiamo!
    Elementia è tornata con una nuova città e, quindi, una nuova avventura per questi quattro giovanotti sempre sulle tracce del Principe Tsubasa.
    XD spero che la locandina sia stata di vostro gradimento! Mi sono divertita a cercare eventuali attori che potessero impersonare Mamoru, Teppei, Hajime e Yuzo. E sappiate che non è stato affatto facile!
    I prescelti sono due coreani e due giapponesi: Juri Aikawa nei panni di Mamoru Izawa (ho apprezzato questo attore nel dorama "Tokyo Ghost Trip" e interpretava un personaggio che era esattamente come ho immaginato il Mamoru di Elementia! ** Il dorama, poi, è carinissimo! XD); Lee Min Ho nei panni di Teppei Kisugi (sfido chiunque a trovare un asiatico con i capelli ricci °_°. E' stato difficilissimo! E, per dire, Lee Min Ho non è affatto riccio naturale! Meno male che ha dovuto interpretare un personaggio di Hanayori Dango e si è dovuto fare riccio per il ruolo! Altrimenti sarebbe stato ancora più faticoso! XD); Kenichi Matsuyama nei panni di Hajime Taki (** trovo sia molto affascinante e con l'espressione giusta per Hajime. Anche qui, trovare uno che avesse i denti a coniglio si è rivelato impossibile XD e poi penso che Hajime sia molto più carino di come appare - Takahashi non è mai stato un granché come designer XD); infine Won Bin nei panni di Yuzo Shiroyama (è ancora presto per scoprire perché gli ho messo questo cognome invece di Morisaki XD ma ci arriveremo! A ogni modo, io ADORO Won Bin *_* è strabravo! Ho visto un paio di film con lui, ed è veramente, ma veramente un ottimo attore! Ha l'espressione molto puccina e un bel sorriso: perfetto per Yu-chan! X3).

    Chiudo con un enorme ringraziamento a chi recensì, all'epoca, l'ultimo capitolo, ovvero Solarial: SOLLYNAMIAAAAAA!!! *piange disperata* Mi dispiace da morire per aver tardato così tanto con questo aggiornamento!!! T_______T scusaaaaaa!!!

    Di seguito potrete trovare i vari volumi dell'Enciclopedia Elementale e la Galleria di Fanart! :D
    Vi ringrazio ancora scusandomi per l'ennesima volta e vi rimando alla seconda parte del capitolo!


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 12
    *** 6 - Il Circo Acquatico - parte II ***


    Documento senza titolo

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 6: Il Circo Acquatico (parte II)

    Dhèver – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    “Un… un circo?!”
    Hajime era rimasto senza parole, mentre Teppei ne era così entusiasta da sembrare un bambino mentre osserva, con occhi sgranati, l’immenso spettacolo che si estendeva sotto di loro.
    “Accidenti! Che meraviglia!” continuava a esultare, in preda all’eccitazione.
    “Davvero notevole” accordò Mamoru
    Anche Yuzo ne rimase colpito. “Non avevo mai visto un circo prima d’ora.”
    “Veramente, sono un sacco le cose che ancora non hai visto, uccellino principiante” ci tenne a sottolineare il giovane di Fuoco con una sghignazzata che si attirò l’occhiataccia del volante. “Non guardarmi così, suvvia. E’ che me le offri su di un piatto d’argento, non posso ignorarle, sarebbe un delitto.”
    Intanto Teppei era già arrivato a metà della discesa che conduceva al circo e costeggiava il cratere. Il cavallo lo seguiva con passo meno sicuro, ma obbediente. “Ehi! Ma siete ancora lì? Forza, venite!”
    Mamoru sospirò rassegnato, muovendosi per raggiungerlo seguito da Yuzo.
    Hajime era rimasto fermo a osservare l’ampia distesa con espressione incerta.
    “Allora, non dici nulla?” Rika lo aveva affiancato, mani dietro la schiena. “Che ne pensi?”
    “Beh…” tentennò. “Non saprei. Non conoscevo l’esistenza di un circo dedicato alle sole creature acquatiche… e solitamente… i circhi non mi piacciono molto.”
    La giovane sorrise, prendendolo sottobraccio e cominciando la discesa. “Gli animali che ospitiamo sono creature strappate alle grinfie di mercanti senza scrupoli e cresciute in cattività. Non sopravviverebbero a lungo nel loro habitat naturale per questo io e Koshi abbiamo accettato il lavoro: un ex-Tritone e una ex-Sacerdotessa Elementale dell’Acqua, chi meglio di noi avrebbe potuto prendersi cura di loro? Inoltre, le persone che lavorano al circo sono tutte gentili e gli animali vengono trattati con i dovuti riguardi.”
    Hajime osservò la vecchia amica di infanzia, distendendo un sorriso fiducioso. “Allora sono sicuro che sono in buone mani.”
    “Grazie tante della benedizione, DentiSplendenti, anche se non te l’avevamo chiesta” sbuffò Kanda mentre Mayleen ripeteva battendo le manine.
    Accà! Accà!”
    Teppei si fermò a osservare l’ingresso del circo con espressione estasiata. Il tendone principale e quelli satelliti erano recintati da un alto e spesso cancello in ferro lavorato tra le cui sbarre vi erano figure di pesci, conchiglie, stelle marine e onde, che si rincorrevano in un elaborato disegno. Delle lunghe torce erano disposte in posizioni strategiche per permettere una completa illuminazione esterna della zona.
    La fiumana di gente aveva creato una lunghissima fila alla biglietteria dove madri, padri, intere famiglie e turisti restavano diligentemente in coda.
    “E’… è fantastico!” esclamò per l’ennesima volta. “Non ne avevo mai visto uno così grande! L’ultima volta che sono andato al circo ero con Hajime e mio padre ed è stato poco prima della partenza per Tyran. All’improvviso uno dei golkorhas del domatore si è imbizzarrito, rischiando di far venire giù il tendone!”
    “Davvero? E che successe?” domandò Yuzo, interessato al racconto.
    “Dovette intervenire mio padre, dopotutto è un Minister della Terra.”
    Mamoru sbuffò con ironia. “Tsk! Davvero un genio quel domatore. Lo sanno anche i sassi che i golkorhas non sono animali facili da trattare.”
    “Già” accordò il tyrano, ridendo. “Mio padre gliene disse talmente tante che credo abbia cambiato mestiere.”
    “Ragazzi!” La voce di Rika li richiamò animatamente. Agitava la mano per farsi vedere. “Venite da questa parte!” disse, conducendoli presso un ingresso secondario a esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori. “Così non dovremo fare la fila!”
    “Ma poi ce lo farete visitare, eh? Vero?”
    La Sacerdotessa rise nel vedere il tyrano tanto entusiasta.
    “Sì, certo, ma prima vi preparerò una bella cenetta, così potremo parlare in pace.”
    Rapidamente passarono alle spalle di alcuni tendoni più piccoli che circondavano quello principale, arrivando nella zona dove c’erano le abitazioni del personale e le strutture dove gli animali riposavano. Essendo una struttura fissa, le vecchie roulotte degli artisti erano state modificate per divenire delle vere e proprie case dalle forme e dai colori più strani.
    “Koshi, Rika! Bentornati!” salutarono alcuni addetti intenti a spostare l’enorme vasta della murena più grande che gli Elementi avessero mai visto.
    “Ma quella è una Murena Gigante delle Isole Kuru e non sono proprio dietro l’angolo!” affermò Hajime con sorpresa. “Dove l’avete trovata?!”
    “E’ rimasta impigliata nella rete di alcuni pescatori lungo la costa Ovest” spiegò Kanda. “Ed era anche ferita, per fortuna avevano sentito parlare del circo e così ce l’hanno portata. L’abbiamo curata noi.”
    “Datemi pure le briglie dei vostri cavalli” disse Rika fermando un giovane inserviente. “Jules, potresti portarli alle stalle e dar loro da mangiare?”
    Il ragazzo annuì prontamente e si allontanò con gli animali mentre loro entravano in casa.
    L’abitazione si presentò da subito accogliente e piena dei giochi sparsi della piccola Mayleen.
    “Non fate caso al disordine!” Si scusò l’ex-Sacerdotessa con un sorriso imbarazzato, prima di invitarli ad accomodarsi in salotto. Lei si diresse in cucina per mettersi ai fornelli. “Vedrete, vi farò assaggiare la migliore cucina di Dhèver!”
    E non venne meno alla sua promessa.
    Rika preparò, in breve, la più buona cena tradizionale che i quattro Elementi avrebbero mai potuto desiderare. I canestrelli di verdure e l’invitante arrosto di manzo allo zenzero riempirono l’aria con il loro profumo intenso e appetitoso.
    “Rika, non sapevo avessi della mani così d’oro in cucina” Si complimentò Hajime, mentre Teppei faceva fuori la terza fetta d’arrosto.
    “Però scommetto che le mani di quando ti tirava i capelli te le ricordi eccome!” ridacchiò. La ragazza arrossì, agitando il tovagliolo in modo fintamente minaccioso.
    “Teppei! Smettila! Avevo solo tre anni!”
    “Allora eri violenta di natura” rincarò Kanda e lei arricciò le labbra.
    “Non vale! Siete in tre contro uno! Adesso mi avvalgo di Yuzo e Mamoru per difendermi!”
    La serata si mantenne su quel tono fino alla fine della cena, tra ricordi d’infanzia e battute di spirito, ma, soprattutto, tra le occhiate indagatrici che la Fiamma rivolgeva alla padrona di casa. Occhiate in cui sembrava studiarla, valutandone i comportamenti. Poi, l’ex-Tritone decise di passare ad argomenti più seri.
    “Si può sapere, ora, il motivo di tanto mistero?” Koshi si rilassò contro lo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto. “Qui non ci sono né occhi né orecchie indiscrete.”
    Hajime preferì essere piuttosto franco. “Siamo in missione per conto del Re.”
    “Qualcosa che riguarda la guerra imminente?” Rika assunse un’espressione piuttosto preoccupata.
    “Non direttamente. A dire il vero, non so nemmeno io cosa sia peggiore, comunque, si tratta del Principe Tsubasa: sembra sia scomparso.”
    “Oh, Dee.” L’ex-Sacerdotessa si portò una mano alla bocca. “Ma è terribile. Il Principe è il detentore della Chiave Elementale, se finisse nelle mani sbagliate sarebbe una catastrofe!”
    “Per questo hanno mandato noi alla sua ricerca” intervenne Teppei. “Avevano detto che un gruppetto di quattro persone, magari, avrebbe dato meno nell’occhio…”
    “Forse con chi non ha a che fare con la magia.” Koshi inarcò un sopracciglio con severità. “Ma non di certo per chi la conosce.”
    A quelle parole Teppei sospirò grave. “Stiamo facendo il possibile per non attirare troppo le attenzioni di probabili Stregoni nascosti in queste terre…”
    “Pensate che siano coinvolti nella sparizione del Principe?”
    Il tyrano si limitò a stringersi nelle spalle a quella domanda di Rika.
    “Speriamo di no, ma non c’è nulla di certo.”
    Con fare pensieroso, Kanda si passò una mano sul mento. “Il Principe è stato qui non molto tempo fa…”
    “Lo sappiamo.” Stavolta fu l’Elemento di Fuoco a prendere la parola. “Per questo siamo venuti a Dhèver. Stiamo ripercorrendo le tappe del viaggio del Principe nella speranza di trovare qualche indizio utile per venire a capo della faccenda.”
    “Domani volevamo andare dal Doge-” Ma Kanda rivolse un’occhiataccia – l’ennesima – al volante che aveva appena parlato, dipingendosi un ghignetto ironico.
    “Mi dispiace deluderti, piccione, ma il Doge è fuori città e non tornerà prima della prossima settimana.”
    “Che cosa?!” sbottò Mamoru a quella notizia, con poca delicatezza.
    Quell’imprevisto non ci voleva proprio, non avrebbero potuto perdere un’intera settimana nell’attesa che il Doge fosse ritornato, solo per sentirsi ripetere la solita tiritera.
    “Se può esservi utile, possiamo raccontarvi più o meno cosa è accaduto. Il Principe è venuto a vedere anche uno dei nostri spettacoli.”
    Ascoltando il resoconto di Rika, capirono che nemmeno in quella visita era avvenuto nulla di rilevante, purtroppo. E visto che sia Koshi che sua moglie avevano lungamente avuto a che fare con la magia, il fatto che non si fossero accorti di eventuali stregoni nei paraggi poteva essere interpretato come un buon segno o, in alternativa, quest’ultimi erano stati parecchio bravi a confondersi con la folla il che faceva ritornare tutto al punto di partenza.
    “Quindi, domani ci toccherà il solito giro di perlustrazione e poi ripartiremo.” Hajime appoggiò il mento nella mano dipingendosi un’espressione di sconforto. Ormai dovevano esserci abituati a sentirsi sempre rispondere le stesse cose, solo che dopo un po’ diveniva frustrante. In quei mesi, da che erano partiti, non erano ancora riusciti a scoprire nulla, nemmeno l’indizio più misero. Nel frattempo le nubi della guerra si stavano avvicinando sempre di più al grande confine Nord senza avere la certezza di sapere il Principe e la Chiave al sicuro o, almeno, in vita.
    Come a leggergli nel pensiero, Rika tentò di confortarlo alzandosi in piedi e cominciando a sparecchiare. “Non temere, sono sicura che presto riuscirete a trovare qualche notizia che possa rassicurare sulla condizione del nostro futuro sovrano. Se lui fosse morto e la Chiave fosse finita nelle mani sbagliate, a quest’ora l’avremmo già saputo. Poco, ma sicuro.”
    Il Tritone si ritrovò ad ammettere che aveva ragione, dopotutto, e visto che catastrofi non se n'erano ancora verificate, potevano concedersi ancora un po’ di tranquillità.
    “Ti aiuto.” Si offrì improvvisamente Mamoru, raccogliendo alcune stoviglie, il tutto sotto lo sguardo perplesso di Yuzo seduto al suo fianco. “Che hai da guardare?!” Gli domandò la Fiamma, seccato.
    “Queste sono cose che farei io…”
    “Ah, ah.” Lo gelò Mamoru e lui si limitò a trattenere una risata che gli sarebbe valsa una serie infinita di improperi.
    “No, non preoccuparti. Voi andate pure a sedervi nel salotto, qui faccio io.”
    Kanda non se lo fece ripetere e, presa in braccio la piccola Mayleen, si diresse ai divani. “Vi offro qualcosa di forte che fa uno dei nostri atleti. Roba che ti apre le budella!”
    Hajime si passò una mano sullo stomaco. “Grazie, ma le mie stanno bene chiuse.”
    Vennero raggiunti anche da Yuzo e Teppei, mentre Mamoru portava le stoviglie in cucina dove Rika stava mettendo via l’arrosto avanzato. La Fiamma le passò i piatti, che lei provvide a lasciare accanto al lavello.
    “Grazie” disse l’ex-Sacerdotessa e l’attimo dopo il rumore scrosciante dell’acqua riempì la cucina. “Puoi anche espormi la tua perplessità, so che ne hai una.”
    Appoggiato contro il mobile della credenza, Mamoru accennò un sorriso, tenendo le braccia incrociate. Si mosse, raggiungendola adagio e fermandosi accanto a lei, che gli rivolse la coda dell’occhio; sul viso l’espressione divertita.
    “Ho sentito che eri una Sacerdotessa Elementale” iniziò l'Elemento di Fuoco, mantenendo un tono neutrale, ma quando sollevò nuovamente le iridi in quelle di Rika, la ragazza poté scorgervi una strana attesa, nel ribollire del nero. “Non ti sei pentita della tua scelta? Non ti manca il Tempio?”
    Rika chiuse il lavello e il flusso dell’acqua si ridusse sempre di più fino a che non vi rimase solamente un filo e poi nulla. Asciugò le mani vicino al grembiule e volse anche lei le spalle al mobile, assumendo la stessa posizione della Fiamma.
    “Mentirei se dicessi che non ripenso a Rhanora, certe volte, alla vicinanza quasi simbiotica che mi teneva legata alla Dea. Le mie sorelle, le nostre preghiere, l’essere uniche guardiane dell’Elemento Eterno dell’Acqua, la Lacrima. Poi, però, penso anche alla solitudine cui eravamo costrette, l’isolamento dal mondo, l’impossibilità di amare qualcun altro oltre la Dea, l’impossibilità di venire amati. Ripenso a tutto questo, guardo mia figlia, guardo mio marito e sono felice così.” Nel chiaro azzurro delle sue iridi, Mamoru lesse sincerità; una risposta che lo fece sentire pienamente soddisfatto. “Non tornerei indietro per nessun motivo al mondo e, no, non ne sono pentita.”
    Lui annuì e abbandonò il mobile presso cui era rimasto appoggiato. A passi lenti s’avviò alla porta per tornare nel salotto, dove gli altri stavano ancora chiacchierando.
    “Mayleen è una bambina molto fortunata.” Si concesse di dire, mentre, alle sue spalle, Rika osservava con maggiore serietà e dispiacere la schiena del giovane sulla quale i crini corvini si muovevano adagio.
    “Tutte conosciamo la storia di Sakura Takarazuka, anzi, del Mito." Con quelle parole lo fermò che era a un passo dalla soglia. "La Prima Sorella e le Sorelle Maggiori ce l’hanno sempre portata ad esempio, osannandone l’integrità dei principi e l’amore indissolubile per la Dea.”
    Mamoru ghignò con sdegno, mentre stringeva convulsamente i pugni. Rika non poteva vederle ma era sicura che le sue iridi stessero ardendo come dannate. “Tsk. Un esempio, eh? Integrità… amore… mi piacerebbe scambiare due chiacchiere con le vostre Sorelle Maggiori.”
    “Non ho mai compreso il loro apprezzamento per quanto accaduto. Perché mi rendevo conto di quanto dolore doveva esserci, dall’altra parte, che loro non prendevano nemmeno in considerazione. E ora che sono madre, lo comprendo ancora di più. Io non farò mai una cosa simile, Mamoru, se è questo che pensi possa accadere.”
    Le mani, dalle nocche livide per la forza con cui erano state strette, allentarono la morsa fino a sciogliersi del tutto. Non si volse, ma sul suo viso si distese un sorriso.
    “Lo so. Hai fatto bene a lasciare il Tempio, le Sacerdotesse sono solo delle pazze.” Abbandonò la stanza senza aggiungere altro.
    Quando rientrò nel salotto, Kanda aveva appena messo Mayleen a dormire.
    “Ha fatto i capricci?” domandò la voce di Rika, comparendo alle spalle di Mamoru.
    L’ex-Tritone sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. “Eh già, oggi è stata davvero una monella. Non voleva saperne di mettersi a letto, nonostante fosse stanca morta.”
    Lei sghignazzò. “Potevi lasciare a Yuzo il compito, sono sicura che non avrebbe fatto storie.”
    Kanda arricciò il naso, assumendo una smorfia spiacevole, e solo in quel momento il volante iniziò a comprendere la frase che gli aveva detto Mamoru sulla questione del ‘maschio alfa’. Subito s’affrettò ad agitare le mani, arrossendo.
    “Ma no, ma no! Il papà è insostituibile.”
    Kanda gli rivolse la stessa espressione minacciosa pur annuendo adagio, mentre lui stringava un sorriso di circostanza piuttosto imbarazzato.
    “Tesoro, perché non accompagni i nostri ospiti a vedere il circo? Sono sicura che gli piacerà da matti!”
    Teppei, manco a dirlo, fu il più entusiasta. Subito balzò in piedi, galvanizzato, mentre Koshi aggiungeva: “Non hai bisogno di una mano per sistemare i letti?”
    “Non ti preoccupare, posso fare benissimo da sola, che credi!”
    “D’accordo, d’accordo, togliamo il disturbo.” Il giovane s’avviò alla porta seguito dai suoi ospiti; lentamente scuoteva il capo, borbottando. “Il solito caratterino.”

    I tendoni, dove erano sistemate e accudite le creature quando non si esibivano, erano quattro, disposti in fila alle spalle di quello principale. Erano meno alti, ma sufficientemente capienti per ospitare tutti gli animali in maniera comoda.
    I quattro Elementi li avevano visitati con grande interesse, notando la cura con cui gli addetti li assistevano. Non c’era nulla fuoriposto o lasciato a sé stesso; il Naturalista Animale passava a controllarli tutti i giorni, uno per uno, e Hajime era rimasto positivamente colpito dalla professionalità di Kanda e da come si dimostrasse sempre risoluto e deciso a ogni richiesta di aiuto da parte dei colleghi. Quando stavano ancora ad Agadir, Koshi non era mai stato tanto serio e ligio, anzi, non faceva altro che combinare guai e attaccare briga. Era proprio vero, quindi, che il tempo sapeva cambiare le persone e, notando la differenza, il Tritone cominciò a interrogarsi sul motivo della sua fuga dalla Scuola. Forse con l’immaturità del ragazzo e del compagno tradito, aveva davvero giudicato troppo frettolosamente le sue scelte. Prima di ripartire avrebbe dovuto provare a parlarci.
    Mentre varcavano l’ingresso dell’ultimo tendone, Teppei era ancora galvanizzato da quello dei rettili, sicuramente il suo preferito: era rimasto più di venti minuti fisso davanti al terrario dei tricaudati con la faccia spiaccicata al vetro, tanto che Mamoru aveva dovuto tirarlo via a forza.
    “Quelle code erano ipnotiche, te lo dico io!” Si impuntò il tyrano rivolgendosi alla Fiamma. “Tu non te ne sei accorto perché non ti sei fermato a guardarle con attenzione.”
    “Sì, Teppei.” Il tono accondiscendente di Mamoru fece ridacchiare gli altri e imbronciare l’Elemento di Terra.
    Fu Kanda a prendere la parola, focalizzando su di sé l’attenzione.
    “E in questo tendone sono custodite le creature più rare del circo.”
    Le vasche, i terrari e il loro contenuto non smentirono le sue parole. Un domatore stava nuotando con un demone marino dalla lunga coda biforcuta e le pinne tentacolari, un gruppetto di zaikotti(1) prese a sibilare e schioccare la lingua con piacere appena passarono loro accanto e Teppei si fermò subito a giocherellare con le creature che si accalcarono al vetro. Le bellissime pietre rosse brillavano sotto le luci delle fiaccole che illuminavano l’ambiente.
    Ma fu la vasca centrale, la più grande tra quelle che avevano visto, ad attirare la loro attenzione. E Kanda li stava conducendo proprio lì.
    “La maggior parte di queste creature erano state contrabbandate dai regni esterni a quello degli Ozora, ma la nostra Guardia Cittadina funziona in maniera davvero efficiente. Gli esemplari che potevano essere rimandati nei loro paesi d’origine sono stati liberati, ma nei casi particolari, in cui la cattività era troppo radicata, sono stati portati qui.”
    “E’ davvero stupefacente”, affermò Hajime, “il lavoro che fate e il vostro impegno. Credo che questo sia il primo circo ad avere il mio rispetto.”
    L’ex-Tritone abbozzò un sorriso ironico. “Ne dubitavi, forse?”
    “Piantala di metterti sulla difensiva. Il mio voleva essere un complimento. Ad ogni modo, ho visto creature, qui, che conoscevo solo tramite i testi scolastici.”
    A quelle parole, Kanda gonfiò il petto un po’ di più, indicando la grande vasca centrale col pollice.
    “Allora permettete che vi presenti i pezzi forti.”
    I quattro Elementi si affacciarono con curiosità alle spalle del giovane, scrutando nelle limpide acque della piscina. Era la più grande tra quelle che avevano finora veduto. Scorsero tre costruzioni che, dalla base, emergevano ben oltre la superficie. Apparivano come micro-case e c’erano tre figure che nuotavano velocissimamente da una parte all’altra. Il suono di voci e risate arrivò fino a loro, lasciandoli un attimo perplessi.
    Da quando i pesci avevano la parola? Perché erano creature marine e su quello non si discuteva; le lunghe code che fendevano le acque erano inconfondibili.
    Poi, il delicato gorgheggiare d’un soprano bloccò Hajime d’improvviso. Il dito puntato alla vasca e il tono sconcertato: “Avete delle sirene?!”
    Lo disse così forte che le tre figure si fermarono all’istante, permettendo agli Elementi di vederle nella loro interezza.
    Sì, non ci si poteva sbagliare.
    Lunghe code di pesce, busto antropomorfo, crini sospesi nell’acqua, pelle squamata e padiglioni auricolari composti da lunghe e trasparenti membrane.
    A Teppei sembrarono la versione femminile d’un Tritone di Agadir completamente trasformato.
    Gli Elementi e le sirene rimasero a fissarsi per alcuni secondi, poi le creature urlarono in sincrono, raggiungendo toni ultrasonici che costrinsero tutti i presenti a turarsi le orecchie. Con un guizzo, scomparvero alla vista per nascondersi nelle costruzioni all’interno della piscina.
    “Ma che diavolo…” borbottò Hajime, dolorante, mentre Mamoru accanto a lui si massaggiava le orecchie.
    “Per poco non mi spaccano un timpano!”
    Koshi sbuffò, portandosi le mani ai fianchi. “Ci risiamo” disse raggiungendo la vasca. Salì le scalette laterali che conducevano alla sommità e bussò contro il vetro.
    “Ragazze, non incominciate. Venite, abbiamo degli ospiti.”
    “No!” Una voce decisa provenne da una delle minicasette.
    “Su, non fate le preziose.”
    “Dacci qualche minuto, non siamo presentabili!” borbottò una voce diversa dalla precedente, mentre la terza esclamava: “Quante volte ti abbiamo detto che devi avvisarci, prima? Siamo tutte spettinate, che figura ci facciamo?!”
    “Oh, ma voi siete sempre bellissime.”
    “Seee, seee. Non cercare di adularci, tu” sbuffò la prima voce che, infine, sospirò sonoramente e con rassegnazione. “Siete pronte.”
    Le tre sirene uscirono dai nascondigli portandosi presso il bordo e, emergendo dall’acqua, si affacciarono per osservare i nuovi venuti.
    Quella più vicina a Kanda, e con folti capelli neri, gli mollò un buffetto sul braccio.
    “E tu volevi che ci presentassimo davanti a questi bei giovanotti tutte in disordine?”
    “Suvvia, Solei(2), sei sempre incantevole.”
    La creatura al centro, con mossi capelli castani, si portò le mani al viso, arrossendo. “Che carini!”
    Mentre l’ultima dalla capigliatura bionda, le pungolò il gomito. “Parole sante, Betei(3)!”
    “Ragazzi”, Kanda si rivolse agli Elementi con una certa solennità, “queste sono Solei, Betei e Tamei(4), le stelle del Circo Acquatico.”
    Yuzo, come sempre, si occupò di rispondere ai convenevoli, profondendosi in un inchino.
    “E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza.”
    Mamoru borbottò a mezza-voce con un sorriso ironico. “Ecco che ritorna cortesino.”
    “Oh, ma il piacere è tutto nostro, mio caro” Solei agitò una mano, sbattendo le lunghe ciglia, poi strinse lo sguardo rivolgendosi a Mamoru. “E tu hai detto qualcosa, belloccio?”
    Sentendosi interpellato, la Fiamma di Fyar si volse a osservare la sirena. “I-io?”
    Era strano vedere Mamoru in difficoltà, ma sembrava trovarsi a disagio nell’essere l’oggetto dell’interesse femminile, soprattutto se tanto palese.
    “Grazioso” Solei sorrise con una punta di malizia e ciò lo fece irrigidire ancora di più fino a muovere un passo indietro.
    “Bellezze, loro sono Elementi” riprese Kanda. “Mamoru da Fyar, Yuzo da Alastra, Teppei da Tyran e Hajime da Agadir. Hajime e Teppei sono amici d’infanzia di Rika.”
    “Avevamo percepito del potere” affermò Tamei. “Che sorpresa però: tutti di scuole diverse.”
    “Come mai da queste parti?” domandò Betei e gli interpellati si scambiarono una rapida occhiata.
    “Ehm… vacanza” giustificò Hajime. “Avevamo tanto sentito parlare delle terme e così…”
    Ma le creature marine ridacchiarono apertamente.
    “Bugiardo” rispose Solei. “Ma immaginiamo ci sia un motivo importante dietro, quindi non chiederemo altro.”
    “Grazie della vostra discrezione” Yuzo si beccò una gomitata da Mamoru.
    “Ma la pianti?”
    “Che ho fatto adesso?”
    “Certo che… delle sirene” ripeté Hajime. “Siete lontanissime dalla vostra casa, il Mare Orientale. Come siete finite qui?”
    Betei appoggiò il mento nelle mani congiunte a coppa. “Come sempre avviene in simili casi: siamo state catturate. Per fortuna eravamo troppo piccole per ricordare i luoghi e le persone che avevamo intorno e quindi non sentiamo troppo nostalgia di casa.”
    “Il nostro rapitore fu intercettato che era già nell’entroterra, e fu accusato di contrabbando” continuò Tamei. “Meno male che eravamo vicino a Dhèver. Portarci qui fu la prima cosa che i nostri salvatori fecero.”
    “La mossa migliore, aggiungerei” commentò Kanda.
    “Già, e poi qui siamo trattate come regine” ridacchiò Solei. “Presto avremo anche un laghetto artificiale tutto nostro. Questa vasca è un po’ stretta per noi e ingombrante per il circo.”
    Le due sorelle annuirono con approvazione, mentre Teppei le osservava con occhi luccicanti. “Meravigliose” esalò e lui aveva sempre avuto un debole per simili creature forse perché, fin da piccolo, aveva vissuto accompagnando i principi dell’Acqua a quelli della Terra.
    Solei, Tamei e Betei si schermirono contemporaneamente, agitando una mano e sbattendo le ciglia. “Adulatoooore!”
    La sirena con i capelli castani si accucciò dietro al bordo della vasca, scrutandoli con vivaci occhioni nocciola.
    “E quanto tempo resterete a Dhèver?”
    Mamoru incrociò le braccia al petto. “Solo per questa notte, domani ci rimetteremo in viaggio.”
    “Oh, che peccato. Così presto? Non vi fermerete a vedere la nostra esibizione? Siamo brave, sapete!”
    La Fiamma sorrise, ma scosse il capo. “Purtroppo non possiamo permetterci nemmeno un attimo di tregua. Magari la prossima volta.”
    “Ma anche tutte le volte che vuoi, belloccio.” Solei gli strizzò l’occhio con fare ammiccante e Mamoru gelò all’istante, assumendo una postura rigidissima e l’espressione terrorizzata. Il viso che arrossiva visibilmente. Aveva sempre avuto una certa difficoltà a relazionarsi con le donne, soprattutto con quelle che gli facevano i complimenti, un po’ a causa della sua infanzia non propriamente idilliaca e poi perché era cresciuto circondato esclusivamente da maschi.
    Yuzo fece per dire qualcosa, quando Mamoru gli arpionò il braccio con una morsa.
    “Non. Una. Parola” sibilò. “Guai a te se fiati.”
    Il volante lo accontentò, ingoiando la battuta e cercando di trattenere le risate.
    “Comunque sono brave davvero” riprese Kanda. “Quando la gente sa che si esibiscono, il tendone è sempre pieno. Betei è la nostra danzatrice, ma a volte dà supporto musicale a Tamei, l’arpista, mentre Solei è il soprano.”
    “Se tu sei di Alastra”, affermò proprio quest’ultima rivolgendosi a Yuzo, “si potrebbe fare un duetto, la prossima volta che passate di qui.”
    “Oh, sì! E anche una Danza Acquatica! Ho sempre sentito parlare così bene dei Tritoni” appoggiò Betei con entusiasmo, mentre Hajime inarcava un sopracciglio con ironia.
    “Ma davvero? Non di certo per bocca di Kanda.”
    “Piantala, DentiSplendenti! E voi non correte troppo con la fantasia, ricordate che per ogni cosa bisogna prima chiedere a Bala.(5)
    Yuzo si incuriosì e pose la domanda che stava per fare il Tritone.
    “Chi è Bala?”
    “Il verme!” sbottò Tamei.
    “Il viscido” continuò Betei.
    “Il bastardo” concluse Solei.
    “Un uomo molto amato a quanto vedo” ironizzò Mamoru.
    Kanda parlò di lui in tono più brusco del solito. “E’ uno schifoso sfruttatore che pensa solo a far soldi. È il proprietario del circo.”
    “Il proprietario?” fece eco Hajime. “Ma… ma credevo che il Circo Acquatico fosse proprietà dell’intera città e fosse sotto la responsabilità del Doge.”
    Tsk. Magari fosse vero” Kanda si appoggiò al bordo della vasca. “Purtroppo il circo è nella mani di un unico uomo assetato di potere. Tutti quelli che lavorano qui e, a volte, anche le creature del circo, come le ragazze, lo temono. Considera ogni animale, ogni lavoratore, ogni fibra di questo tendone come un oggetto che gli deve obbedienza, perché tutto gli appartiene. Quando io e Rika arrivammo e ci proponemmo come custodi e responsabili, capimmo subito con chi avevamo a che fare, per questo facemmo di tutto per farci assumere: per riuscire a tenere sotto controllo le creature ospitate; non potevamo permettere che per la sua cupidigia ci rimettessero loro.”
    Teppei si guardò intorno con una certa perplessità. “Eppure non mi sembra che gli animali siano trattati male…”
    “Questo perché Bala sa benissimo di essere sotto l’occhio dell’intera Dhèver, e il Doge non vuole certo perdere una delle sue fonti di turismo, per questo, anche se non ne è il proprietario, controlla molto attentamente la situazione del circo. Inoltre, c’è da dire che tra Bala e il Doge non corre affatto buon sangue, anzi” Koshi scese dalla scala che portava alla sommità della vasca e sospirò con una certa serietà. “Al momento sembra andare tutto bene, ma non abbasso mai la guardia. Anche se, se fosse per me, cancellerei la sua esistenza dal pianeta senza starci a pensare due volte.”
    Tamei si sporse dal bordo. “Ssst! Kanda non parlare così! Sai bene che quello ha mille orecchie. Se ti sentisse, sarebbe pericoloso!”
    “Tranquille ragazze! Se lui ha quel bestione di Garcia(6) al seguito, beh, io non sono affatto da meno” esclamò gonfiando il petto con una certa presunzione. In quel momento, uno degli addetti lo raggiunse di corsa. Si fermò accanto a loro col fiatone. Veniva direttamente dal tendone precedente.
    “Kanda! Sta arrivando Bala!”
    A quelle parole, le sirene si dileguarono in un attimo mentre Koshi storceva la bocca in un’espressione di disgusto.
    “Parli del diavolo! Presto, voi quattro nascondetevi dietro la vasca di quella tridacna e non fatevi vedere: Bala non sopporta intrusi e turisti che non siano nel tendone principale. Svelti!”
    Gli Elementi eseguirono l’ordine in un attimo. La creatura che popolava la vasca designata come nascondiglio era davvero enorme e riusciva a coprire senza alcun problema la loro presenza permettendo, tuttavia, di poter osservare ciò che sarebbe accaduto.
    Dal fondo, la voce di Bala risuonò gracchiante e viscida spegnendo di colpo tutto l’entusiasmo che gli Elementi avevano potuto osservare fino a quel momento. Ogni dipendente del circo si era irrigidito e la tensione era palpabile.
    Bala avanzò allargando le braccia ed esibendo una gioia palesemente costruita. Le iridi non riuscivano a nascondere la cupidigia che sembrava brillare in esse, e inoltre avevano la stessa forma tonda delle monete.
    “Kanda, Kanda, Kanda!” Iil tono viscidamente gioviale, il sorriso sghembo e l’energumeno al suo fianco che lo seguiva come un’ombra muta. La presenza della scorta rafforzò l’idea che non fosse affatto benvoluto. “Un successone, come sempre.”
    “Signor Bala” annuì formalmente Koshi, sul viso una trattenuta voglia di spezzargli il collo. “Grazie, signore.”
    “Il circo prospera che è un piacere e tu sai che vuol dire, mi spiego?” sottintese, fingendo complicità, ma Kanda comprese lo stesso. Voleva dire ‘soldi’, voleva dire ‘continuate così o saranno guai per tutti, te per primo’, voleva dire ‘sono un bastardo e voi i miei schiavi’.
    “Sì, signore” ringhiò tra i denti.
    Quell’immagine di Kanda, sottomesso ai voleri di quell’essere basso, tondo e infame, lasciò Hajime completamente spiazzato. Bala doveva avere davvero un gran potere per riuscire a tenere buono addirittura un carattere ribelle come quello del suo ex- compagno di scuola.
    “Perfetto, ragazzo mio, perfetto” ammiccò con due vigorose pacche sulle spalle. Negli occhi del giovane balenò l’istinto omicida per un attimo tanto intenso quanto breve: se l’avesse ucciso davvero, sarebbero stati solo altri problemi, così non reagì.
    Bala si sfregò le mani, scrutando poi nella vasca.
    “E dove sono le mie bambine, mh?”
    Dal suo nascondiglio, Yuzo rabbrividì per il tono usato dall’uomo. Era disgustoso. Alla cieca mosse la mano afferrando il polso di Mamoru, accanto a lui, quasi per istinto e senza voltarsi. La Fiamma rimase perplesso alcuni momenti, poi si soffermò sulla sua mano e avvertì, distintamente, un calore intenso irradiarsi dal punto in cui lo stava stringendo. Lo percepì preoccupato, ma non si divincolò, tornando invece a osservare la scena.
    Kanda sembrava nervoso. “Forse sono stanche, signore-”
    “Sciocchezze, nessuno è troppo stanco per venire a salutare il proprio paparino. Vero, mie care?”
    Ma delle tre sirene non si vide nemmeno l’ombra. Il sorriso di Bala si piegò in una smorfia nel sibilare quel: “Kanda”, che era un palese ordine a farle uscire allo scoperto.
    L’ex-Tritone sospirò e obbedì, nonostante sentisse ritorcersi le viscere.
    “Ragazze, per favore, venite fuori.”
    Per quanto fosse stata la voce familiare di Koshi a chiamarle, Solei, Tamei e Betei non uscirono subito. Si fecero attendere qualche altro momento e poi le loro teste fecero capolino lentamente e con riluttanza. A caricarsi del coraggio anche per le sue sorelle fu Solei, che nuotò con decisione ed espressione incattivita sul volto, mentre Tamei e Betei si tennero dietro la sua scia.
    Il sorriso di Bala si allargò, malevolo. “Oh, eccole qui. Ma insomma, volete proprio farvi attendere, eh? Come delle vere principessine.”
    La sua risata stridente era fastidiosa. Le sirene si fermarono un po’ più lontano dal bordo e non emersero mai in superficie, ma restarono trincerate sotto il pelo dell’acqua. L’uomo si accontentò, tanto non avrebbero potuto rifiutarsi di avvicinarsi ancora di più se solo glielo avesse ordinato, ma quella sera si sentiva magnanimo e non infierì, anzi, fu lui ad avanzare.
    “Siete state brave, bambine, molto brave. Il papà è contento di voi, ma mi raccomando: domani verranno degli uomini importanti con cui dovrò concludere degli affari e voglio che li incantiate, ci siamo capiti, mh?”
    Gli occhi di Solei cercarono per un attimo quelli di Kanda il quale annuì impercettibilmente, dando il suo sostegno. Anche Solei accennò col capo un gesto affermativo e Bala si sentì soddisfatto.
    “Bene. Siete la mia piccola miniera d’oro, non dimenticatelo, bambine” e, dato un lieve colpetto sul vetro, si volse passando accanto all’ex-Tritone. Con le mani dietro la schiena e la coda dell’occhio rivolta verso di lui, tese le labbra in tono sottilmente minaccioso.
    “Mi raccomando, domani dovrà essere tutto perfetto. Dovesse succedere qualcosa alle sirene, sarai tu a rimetterci. Sono stato chiaro, Kanda?”
    “Sì, signore” L'insulto rimase tra i denti e lì stette fino a che l’uomo non lasciò il tendone seguito dal suo energumeno. “Flaccido pezzo di merda!” sbottò quando non poté più essere udito. Gli Elementi abbandonarono il nascondiglio per avvicinarsi alla vasca.
    “Tutto a posto?” domandò Hajime.
    “Certo che sì, che credi?! Ci vuole ben altro per spaventarmi!”
    Koshi tendeva sempre a mettersi sulla difensiva e a rispondere in maniera peggiore del solito e in quel momento non ci sarebbe voluto un indovino per capire quanto fosse nervoso.
    “E voi, ragazze? State bene?” Yuzo appoggiò una mano sul vetro, mentre le sirene tiravano fuori le teste con mestizia.
    “Sì, più o meno” sospirò Betei.
    “E’ sempre più viscido! Per tutte le Dee, che schifo! Lo stritolerei con la mia coda se potessi!” Tamei infranse l’acqua con un pugno, mentre Solei s’appoggiava al bordo.
    “Lo sai che non possiamo farlo, ha sempre il suo gorilla da passeggio. Pensiamo solo allo spettacolo di domani e ai suoi stramaledetti ospiti.”
    Hajime decise che il loro giro turistico si chiudesse lì. “E’ meglio se vi lasciamo riposare, ora. Avete avuto una giornata pesante e la sua conclusione non è stata da meno.”
    Le sirene annuirono esibendosi in delicate volute sotto la superficie, mentre la voce di Betei arrivava con un suono diverso, attraverso l’acqua, più musicale. “E’ stato un piacere conoscervi, fate buon viaggio.”
    “E veniteci a trovare presto!” sottolineò Solei, dalle lunghe ciglia, agitando mellifluamente le dita in direzione di Mamoru che, al solito, divenne un blocco di marmo mentre indietreggiava adagio.
    “Sì. Certo” disse lapidario, pronto per darsi alla fuga.
    Accanto a lui, Yuzo tentò una seconda volta di fare una battuta, ma l’altro fu più veloce.
    “Ci riprovi?!” Lo incenerì con gli occhi. “Taci.”
    “Va bene, va bene.”
    Stando attenti che Bala non fosse ancora nei paraggi, riuscirono a rientrare nell’abitazione di Kanda dove Rika aveva già finito di sistemare i letti per la notte e stava preparando del rilassante tè per tutti.
    “E allora? Che ve n’è sembrato?”
    Teppei fu il primo a mostrare tutto il suo entusiasmo per ciò che aveva visto.
    “Insomma", intervenne l'ex-Tritone interrompendo il racconto senza fine del tyrano, "sarebbe potuta andare meglio se non fosse arrivato Bala.”
    Rika assunse un’espressione preoccupata. “E’ venuto nei tendoni? E non ha visto i ragazzi, vero? Che è successo?”
    Il giovane tentò di rassicurarla, appoggiandole le mani sulle spalle. “Ma nulla, non ti preoccupare. Il solito viscido. Ne parliamo dopo, vuoi?” tagliò corto e, se gli Elementi erano ancora lì, significava che, in fondo, non era accaduto nulla di rilevante o diverso dal solito.
    “Va bene” sospirò Rika, poi sorrise ai suoi ospiti. “Starete un pochino stretti nel salotto, spero non vi dispiaccia.”
    “Vorrai scherzare?” rise Teppei. “Anzi, grazie dell’ospitalità.”
    “Per degli amici, questo e altro. Riposatevi, piuttosto; domani dovete riprendere il vostro viaggio. Lasciate pure le tazze nel lavello, penserò io a metterle via” Agitò una mano, oltrepassando la soglia. “Buonanotte.”
    Gli Elementi risposero al suo saluto raggiungendo il salotto, dove solo la tenue luce di un paio di candele rischiarava l’ambiente. Kanda seguì la moglie quasi subito, scomparendo dietro a una porta del corridoio.
    Rimasti soli, Yuzo sospirò. Lo sguardo fisso al liquido caldo della tazza che stringeva tra le mani.
    “Quel Bala non mi piace per niente.”
    “Non sei l’unico, volante” appoggiò Mamoru, che stava già provvedendo a cambiarsi d’abito.
    “Ma non possono davvero fare nulla per liberarsene?” insistette il ragazzo di Alastra.
    “Hai visto anche tu come tutto sia in regola, gli animali sono trattati con ogni riguardo. Se ci fosse stato un qualsiasi appiglio a cui aggrapparsi per estromettere Bala dalla proprietà del Circo, credimi, Kanda l’avrebbe già usato” intervenne Hajime.
    “Non preoccuparti, Yuzo” la mano di Teppei si poggiò sulla spalla del volante. “Non succederà nulla, c’è sempre l’amico di Hajime a proteggere tutte le creature.”
    “Non è mio amico” sottolineò il Tritone con stizza.
    “A ogni modo, non sono affari che ci debbano riguardare, capito, uccellino?” sottolineò Mamoru con fermezza, visti i precedenti da buon samaritano del giovane.
    “Sì, ho capito.”
    “E ora vediamo di dormire, perché Rika ha detto bene: domani si riparte.”
    “Ma… e il bagno alle terme?!”
    Mamoru ruotò gli occhi con pazienza. “Avevo detto ‘vedremo’, Teppei, e noi dobbiamo ancora girare per la città.”
    Il tyrano incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio. “Oh, come sei pesante.”
    “Vuoi che ti ricordi qual è la nostra missione?!” si stizzì il giovane, sentendosi punto sul vivo, ma l’Elemento di Terra agitò una mano dandogliela vinta, tanto era inutile stare a discutere con lui.
    “Sì, sì, come dici tu. Però se finiamo presto, ce lo meritiamo un tuffo caldo!”
    La Fiamma si passò una mano sul viso prima di infilarsi sotto le coperte. A fior di labbra masticò i suoi soliti borbottii che strapparono un sorriso ai compagni.

     


    [1]ZAIKOTTI: sono dei piccoli serpenti da compagnia, molto rari e molto socievoli. Nel mezzo della fronte hanno incastonata una pietra rossa, che gli è valso il nome anche di ‘Rubinati’. La polvere della pietra è un antidoto naturale a tutti i veleni presenti su Elementia. Inoltre, per quanto affettuosi e di compagnia, la carne degli Zaikotti è la più velenosa dell’intero pianeta.

    [2], [3], [4]SOLEI /  BETEI / TAMEI: X3 piccolo omaggino a tre pucciautrici di CT! Solarial (Solei), Sakura-chan (Betei) e Momo-chan (Tamei). :****** un abbraccio strizzoso a tutte loro!

    [5]BALA: ve lo ricordate Bala? Era il padre adottivo di Carlos Santana. Uno stronzo senza precedenti XD e, ovviamente, anche qui non poteva essere altrimenti! (Bala: *clicca qui*)

    [6]GARCIA: ovvero Bonjo Garcia, uno dei giocatori della nazionale messicana nel World Youth. Si fece espellere durante una partita, dopo un fallaccio nei confronti dei Tachibana Bros. Dopo di ciò ha lasciato il calcio per il wrestling, la sua vera passione! (XD come dargli torto, grosso com’è! CiccioBonjo: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Fa un certo effetto ritrovarsi in questo spazio dopo una sola settimana, vero?! XD
    A me ne fa tantissimo! Però in senso positivo! *-*
    Continua la permanenza dei nostri eroi nel Circo di Dhèver dove facciamo la conoscenza di altri personaggi. Alcuni amici e altri decisamente irritanti! Staremo a vedere cosa succederà! X3
    E anche per questo capitolo è tutto. Un sentitissimo grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia o che hanno deciso di avventurarsi solo ora per le strade di Elementia! :3


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora e i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 13
    *** 6 - Il Circo Acquatico - parte III ***


    Documento senza titolo

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 6: Il Circo Acquatico (parte III)

    Dhèver – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Avevano progettato che il giorno successivo l’avrebbero dedicato alla perlustrazione di Dhèver per trovare indizi sulla scomparsa del Principe Tsubasa, ma nessuno di loro avrebbe mai ipotizzato che sarebbero stati svegliati dall’incessante bussare delle guardie cittadine alla porta della casa di Kanda.
    “Aprite! In nome del Doge!”
    Il continuo battere delle nocche sul legno strappò i giovani dal sonno. Teppei si tirò a sedere, passandosi il dorso della mano su un occhio assonnato.
    “Ma non si diceva ‘in nome del Re’, una volta?” borbottò, quando Kanda uscì svelto dalla propria stanza, seguito da una Rika altrettanto agitata.
    “Che sta succedendo?” domandò quest’ultima, ma bastò semplicemente che suo marito aprisse per avere una risposta, e dopo non capì ugualmente nulla.
    “Che cos’è tutta questa fretta?” Kanda lo chiese al Comandante della Guardia Cittadina di stanza a Dhèver che si trovò davanti appena aprì l’uscio. Il giovane soldato, dai corti capelli neri e la pelle scura, aveva un’espressione più seria del solito.
    “Koshi Kanda devi seguirci presso l’edificio della Guardia, sei accusato di rapimento.”
    Due soldati entrarono di forza, afferrandolo per i polsi e pronti a metterlo ai ferri, mentre il giovane li guardava sgomento. I quattro Elementi erano ormai tutti svegli e attenti a ciò che stava accadendo.
    “Rapimento?! Rapimento di chi?!”
    “Delle sirene del Circo Acquatico.”
    Lo sconcerto serpeggiò rapido come un fulmine tra i presenti che non riuscivano a credere alle proprie orecchie.
    “Cosa?! Solei, Tamei e Betei sono state rapite?!” sbottò Kanda. “E quando?! Come?!” Con furore strattonò i polsi, liberandoli dalla presa delle guardie che tentarono di riafferrarlo.
    “Questa notte. L’ingresso del magazzino è stato sfondato e abbiamo indizi necessari per supporre un tuo coinvolgimento.”
    “Andiamo, Rivaul(1)! Non dire stronzate! Non avrei mai potuto fare una cosa simile alle ragazze! E per quale motivo, poi?!”
    Kanda e il giovane Comandante si conoscevo fin da quando lui e Rika erano arrivati in quella città. Per quanto Koshi non andasse d’accordo praticamente con il novanta per cento delle persone con cui aveva a che fare, tra lui e Rivaul si era creata una sorta di rispetto reciproco. Il primo per il suo impegno a proteggere le creature del circo, il secondo per il suo temperamento integerrimo e giusto.
    “Per tentare di rovinare Bala. Ma di questo discuteremo al comando della Guardia Cittadina. Andiamo.”
    “Io non vado da nessuna parte!” L’ex-Tritone ruggì come un golkorhas inferocito. Sollevò le mani pronto a sferrare un incantesimo, quando Hajime lo strattonò.
    “Fermati, sei impazzito?! Non puoi usare la tua magia per offendere! Hai dimenticato di non essere più un Elemento?!” Il giovane di Agadir lo guardò con durezza, mentre l’altro sembrava avesse potuto azzannarlo da un momento all’altro. “Inoltre così non fai che peggiorare la tua situazione, ragiona!”
    Il Comandante Rivaul scrutò sia Hajime che gli altri sconosciuti dietro di lui, stringendo gli occhi grigi.
    “Non siete di Dhèver, dico bene? E non fate nemmeno parte del circo. Chi siete voi? Da dove venite?”
    “Siamo degli amici di Rika, in visita da Raskal” rispose Hajime.
    L’uomo li scrutò attentamente e con piglio severo prima di decidere. “Potreste venire anche voi? Vorrei rivolgervi delle domande” domandò con calma, ma Mamoru non era dello stesso parere.
    “Ah, sì? E perché mai?” sbottò, inarcando un sopracciglio e sfoggiando la più strafottente delle sue espressioni. “Non vorrete mica accusarci di qualcosa, vero? Non abbiamo tempo da perdere dietro queste stronzate.”
    “Modera i termini, straniero!” Un soldato imprudente fece per avvicinarsi, ma Mamoru sollevò una mano sulla cui punta delle dita presero a danzare le fiamme elementali.
    “Perché, se no che fai? Io ti arrostisco il pelo, e tu?”
    Questa volta fu Yuzo a intervenire, con tono preoccupato. “Mamoru, richiamale. Subito.”
    “Sta’ zitto, uccellino, non tollero che un branco di soldatini mi accusi perché si sono alzati col piede storto.”
    “Non ci stanno accusando, vogliono solo scambiare due parole con noi e noi li seguiremo senza fare storie.” Lo sguardo che il volante rivolse alla Fiamma era serio ma supplichevole. “Cerchiamo di non aumentare la tensione, per favore.”
    Seppur con riluttanza, Mamoru non fu in grado di negare quella richiesta. Dopotutto, Yuzo aveva ragione: si trattava solo di qualche domanda, non c’era bisogno di perdere le calma. Con un grugnito estinse il fuoco danzante che ardeva nella sua mano e incrociò le braccia al petto.
    Rivaul, invece, seguitava a fissare il gruppo con una certa sorpresa. “Siete Elementi?”
    “Oh, che bravo, hai vinto un premio” borbottò Mamoru, ma ricevette una leggera gomitata da parte del volante prima che si rivolgesse al Comandante.
    “Sì, veniamo da Raskal e siamo a vostra disposizione. Dateci solo il tempo di cambiarci d’abito e vi seguiremo.”
    L’uomo annuì con un gesto deciso, spostando poi lo sguardo su una Rika rimasta letteralmente senza parole dal susseguirsi degli eventi. “Mi dispiace” disse solo.
    L’ex-Sacerdotessa osservò prima il soldato e poi spostò le iridi azzurre, allarmate, sulla figura di Kanda il quale si ritrovò a stringere gli occhi con forza, divincolandosi dalla presa di Hajime.
    “Ti giuro che non c’entro nulla con questa faccenda, devi credermi.”
    Gli uomini della Guardia gli serrarono i polsi in stretti ceppi di legno, cominciando a trascinarlo via. La sua voce si perse mentre si allontanava.
    “Vedrai, si sistemerà tutto! È solo un dannato malinteso! Hai capito, Rika? Andrà tutto bene!”

    L’edificio della Guardia Cittadina era una costruzione in pietra che occupava quasi un intero isolato. Nei suoi sotterranei vi erano le celle dove i colpevoli di reati minori, come piccoli furti o risse, e gli uomini su cui gravavano delle imputazioni ancora da verificare venivano tenuti in attesa di un verdetto. Se l’imputazione era grave, come un omicidio, e l’imputato veniva giudicato colpevole, allora sarebbe stato successivamente trasferito nelle prigioni reali: strutture adibite per ospitare solo detenuti altamente pericolosi. Una simile prigione, chiusa dopo la guerra tra gli Ozora e i Gamo per le condizioni inumane cui erano costretti i suoi ospiti, era Bàkaras, la Nave-Prigione, detta anche Nave dei Deserti.
    Lì, invece, l’ambiente era molto più accogliente seppur riuscisse ugualmente a intimorire chiunque vi entrasse in catene.
    Kanda era stato condotto in una delle sale per gli interrogatori, mentre gli Elementi si trovavano nell’ufficio del Comandante Rivaul. Rika, invece, era rimasta a casa ad occuparsi di Mayleen, su costrizione sia di Hajime che di Teppei, che le avevano promesso di raccontarle ogni cosa al loro ritorno.
    Seduto dietro la spartana scrivania in legno, l’ufficiale lesse a fondo il permesso speciale che i giovani maghi guerrieri recavano con loro: il permesso firmato dal Re, in cui si spiegava la scomparsa del Principe Tsubasa e la loro missione di ricerca e recupero.
    Con una mano sul mento e le dita che scivolavano sulle labbra, Rivaul sospirò a fondo un’ennesima volta, inarcando il sopracciglio.
    “Questa non ci voleva davvero” esordì. Di fronte a lui erano seduti Yuzo e Hajime, mentre Mamoru aveva preferito restare accanto alla finestra, con le braccia conserte, e Teppei sedeva in una poltrona rossa dal rivestimento ormai consunto.
    “E’ per questo motivo che siamo venuti a Dhèver, Comandante Rivaul. Il fatto che fossimo ospiti di Koshi Kanda e Rika Ozawa è stata una fortunata coincidenza, altrimenti avremmo dovuto pernottare fuori le mura della città” spiegò Yuzo, l’espressione affabile e il sorriso sulle labbra.
    Mamoru gli lanciò un’occhiata fugace, tirando il labbro con fastidio: come diamine faceva a essere sempre così calmo quando l’unica cosa sensata da fare sarebbe stata quella di prendere quell’idiota d’un soldatino e rimetterlo sulle tracce del vero colpevole? Tanto era palese che si trattasse d’un malinteso. Eppure continuavano tutti a restare in quella dannata stanza a dare spiegazioni del cavolo. Sbuffò, lo sguardo che si puntava nuovamente all’esterno.
    “E’ evidente che quindi siete estranei ai fatti.”
    “Grazie, molto magnanimo” borbottò Mamoru senza nemmeno girarsi, ma l’ufficiale lo ignorò.
    “Ricapitoliamo, quindi voi siete rimasti con Koshi Kanda per tutta la sera, dico bene?” riprese, ripiegando la pergamena e consegnandola nuovamente a Yuzo.
    “Sì, li abbiamo incontrati in città, ci hanno portati nella loro dimora, all’interno del perimetro del circo, e abbiamo cenato tutti insieme. Dopo, Kanda ci ha fatto fare un piccolo giro turistico nei tendoni dove sono custoditi gli animali.”
    “E avete visto le sirene.”
    “Sì, esatto.”
    “E stavano bene?” Rivaul assottigliò lo sguardo con fare pensoso.
    “Certo, benissimo” sorrise Yuzo. “Almeno fino a che non è arrivato il signor Bala.”
    L’altro parve animarsi e si sporse verso di loro. “Quindi voi avete conosciuto il proprietario del circo?”
    Il volante scambiò una rapida occhiata con Hajime. “Non proprio…”
    “In teoria, noi non avremmo dovuto essere lì. Kanda ci aveva detto che Bala non apprezzava curiosi nel suo circo che non facessero parte del pubblico pagante” intervenne il Tritone. “Così ci ha fatto nascondere dietro una delle vasche presenti e abbiamo potuto assistere alla scena.”
    “Cos’è accaduto? Mi raccomando, voglio che mi diciate tutto per filo e per segno.” Gli occhi grigi di Rivaul erano attenti e decisi, sapevano esattamente come incutere timore in chi gli stava davanti.
    “Le sirene sono corse a nascondersi perché spaventate dalla presenza di Bala” continuò Hajime. “L’uomo ha fatto i complimenti a Kanda per la serata, che era stato un successo, e lo ha costretto a richiamare le ragazze perché non volevano farsi vedere. È stato lì che ha accennato al fatto che, il giorno successivo, ci sarebbero stati degli ospiti importanti che avrebbero assistito allo spettacolo.”
    “E non ha detto nient’altro?”
    “Ha detto che se qualcosa fosse andato storto, la colpa sarebbe ricaduta su Koshi.”
    L’uomo si rilassò contro lo schienale della poltrona. Il gomito appoggiato su uno dei braccioli e l’avambraccio sull’altro. “Solo questo?”
    “Sì.”
    Rivaul assunse di nuovo l’aria pensierosa. “E dopo, che è successo?”
    “Siamo tornati a casa e siamo andati a dormire” concluse Hajime. “E seppure Kanda fosse uscito durante la notte, di sicuro non è passato per l’ingresso principale, perché noi dormivamo nel salotto.”
    Mamoru annuì con approvazione alle parole del Tritone, ma il Comandante tergiversò ancora.
    “Capisco.”
    “Comandante Rivaul” Questa volta fu Yuzo a parlare, le mani strette sulla superficie del tavolo. “Potremmo sapere perché sospettate di Koshi Kanda? Avete detto di avere delle prove…”
    L’uomo cambiò posizione; inspirando a fondo, drizzò la schiena e tornò a sporgersi in avanti. Le mani intrecciate all’altezza del mento. Iniziò prendendola alla larga.
    “Il carattere ribelle di Kanda non è una novità, come non è una novità la sua profonda avversione per Bala-”
    “Se è per quello, non è l’unico” intervenne Mamoru in tono tagliente. “Doge compreso.”
    Rivaul gli rivolse la coda dell’occhio. “Vero. Ma Kanda ha più volte espresso l’intento di togliere il circo al suo proprietario.”
    “Questa non può essere usata come prova.”
    “Il cancello dove erano custodite le attrezzature per spostare le sirene è stato sfondato e non in maniera normale.”
    Hajime inarcò un sopracciglio. “Che vuol dire ‘non in maniera normale’?”
    “Le sbarre sono state divelte e c’era acqua dappertutto in un luogo in cui acqua non avrebbe dovuto essercene. Kanda è stato allievo alla Scuola di Agadir, anche se non ha completato il ciclo, conosce gli incantesimi.”
    “Ma perché sfondare il cancello? Non poteva usare la chiave?”
    “Di chiave, per quel magazzino, ce n’è solo una e ce l’ha Bala.”
    Mamoru si spostò dalla finestra, dandosi una spinta, e camminò fino al centro della sala. “E allora perché non accusare direttamente questo dannato Bala?”
    “Non avrebbe senso” protestò Rivaul. “E’ il proprietario a che pro rapire le stesse creature che sono per lui fonte di guadagno? Considerando soprattutto che s’era raccomandato per lo spettacolo del giorno successivo.”
    Gli Elementi tacquero non sapendo che rispondere. Il Comandante della Guardia aveva ragione: non aveva senso e tutto questo giocava a sfavore di Kanda.
    “Almeno per il momento e fino a che non avremo prove certe della sua innocenza o colpevolezza, Koshi Kanda resterà ospite presso le celle della nostra prigione. Mi dispiace. Voi, se volete, siete liberi di riprendere il viaggio; avete un compito davvero importante da portare a termine, non voglio trattenervi-”
    “Potrei parlare con Kanda per qualche momento?” Hajime interruppe Rivaul con decisione.
    “Sì, certo. Anzi, magari con voi parlerà molto più facilmente che con un soldato” Poi sospirò, tornando ad appoggiarsi allo schienale. “Anche io sono convinto che Kanda sia innocente, so quanto lui e Rika stanno facendo per il circo, ma purtroppo le prove contro di lui sono maggiori di quelle a favore. Noi, come Guardia Cittadina, faremo il possibile, ma so già che Bala farà di tutto per metterci i bastoni tra le ruote.”
    In quel momento, un deciso bussare interruppe la loro conversazione.
    “Avanti” incitò Rivaul con decisione e uno dei suoi sottoposti entrò, rigidamente.
    “Comandante, l’interrogatorio non ha dato alcun esito. Kanda continua a dichiararsi innocente. Procediamo alla sua incarcerazione?”
    “Lasciate. Ci penso io personalmente.” L’ufficiale si alzò, rivolgendosi agli astanti: “Prego, venite con me.” A passo deciso si mosse per lasciare la stanza, seguito dagli Elementi.
    Il rumore dei suoi stivali risuonò con forza accompagnato dal tintinnare del metallo della divisa e della spada; si amplificò sotto la volta dell’alto corridoio. I soldati della Guardia Cittadina li superavano con le schiene dritte e rivolgevano a Rivaul rigidi e formali cenni di saluto.
    L’ingresso che portava alle segrete era un cancello di ferro con maglie quadrate di dieci centimetri di lato, e spesse quattro dita. Due uomini armati di lance, incrociate proprio davanti l’entrata, restavano di guardia. Appena videro il Comandante Rivaul, si fecero da parte, permettendogli di passare e nulla chiesero degli sconosciuti che lo seguivano silenziosi.
    L’ufficiale scese la lunga scalinata in pietra. Le torce illuminavano gli stretti scalini scavati nella roccia che tracciavano una via diritta fino al pianerottolo, poi un’altra tornata di scale, invece, disegnava una curva e il cancello, alle loro spalle, non fu più visibile appena girarono il muro. Altre due guardie restavano ferme all’inizio del corridoio dove erano dislocate le varie celle. Lì se ne contavano almeno una decina, cinque per lato, ma vi erano altri corridoi.
    Si fermarono alla prima porta, che non era una cella vera e propria, quanto una stanza, quella in cui venivano condotti gli interrogatori. Rivaul aprì l'uscio e fece cenno al soldato presente di uscire.
    Kanda restava seduto al lato dell’unico tavolo che faceva da arredamento. Le mani incrociate sulla superficie e lo sguardo che avrebbe voluto trafiggere tutto ciò su cui si posava. Lanciò un’occhiata di disprezzo al Comandante delle guardie e poi tornò a fissare davanti a sé, in silenzio.
    “Avete pochi minuti” disse Rivaul rivolto ad Hajime. La porta venne richiusa alle spalle del Tritone, ma l’ufficiale rimase presso la feritoia.
    Quando Koshi s’accorse che era il suo ex-compagno di scuola, storse ancora di più la bocca.
    “Che t’hanno mandato a fare, da me, DentiSplendenti?” domandò con fastidio, mentre l’altro si sedeva proprio di fronte a lui.
    “Non mi hanno mandato loro, ho chiesto io di poter parlare con te.”
    “Ah sì, e per cosa? La mia versione non cambierà, se lo ficchino in testa.”
    Hajime sbuffò inarcando un sopracciglio. “Vuoi smetterla di metterti sulla difensiva?! Non sono venuto qui per accusarti!”
    “Ah! Ci mancherebbe! Siamo rimasti insieme per tutto il tempo e voi dormivate addirittura nel-”
    “Potevi sempre uscire dal retro.”
    Koshi Kanda batté violentemente un pugno sul tavolo, i nervi a fior di pelle e la voce che sibilava, tagliando l’aria come una lama. “Dannazione, Hajime! Non sono stato io! Non avrei mai fatto una cosa tanto stupida senza preparare un piano! Non sono più un ragazzino e ho una moglie e una figlia di cui prendermi cura! Credi che avrei preferito un’inutile ripicca a loro?!”
    Il Tritone assottigliò lo sguardo, puntandolo dritto nel suo. “Quando si è trattato di voltare le spalle ad Agadir, non ci hai pensato sopra due volte.”
    Lo sguardo di Kanda si assottigliò a sua volta, mentre una sorta di ghigno ironico gli tendeva le labbra. “Quindi è questo. Non crederete di valere più della mia famiglia, spero. La situazione era diversa, allora.”
    “E spiegamela!”
    In tutti quegli anni, Hajime s’era sempre domandato per quale motivo un Elemento come Kanda, che era in gamba anche se troppo indisciplinato, avesse deciso di scappare in quel modo, proprio lui che era così orgoglioso. L’unica risposta che si era dato era che fosse solo un vigliacco e il suo orgoglio, la sua forza, solo una bella facciata. Ma ora che lo aveva avuto nuovamente davanti dopo tutto quel tempo, la stessa immagine del forte e fiero Koshi Kanda che aveva avuto prima della fuga era rimasta immutata. Anzi, aveva assunto quella maturità che non aveva all’inizio. Merito della presenza di Rika e Mayleen, di sicuro, ma la fuga di un Elemento dalla propria scuola era una macchia indelebile nella sua testa.
    Il guardiano del circo sbuffò ancora, appoggiandosi allo schienale della dura sedia di legno, un braccio contro la spalliera e l’altra mano chiusa in pugno e ferma sul tavolo; lo batteva piano, con nervosismo, mentre gli occhi erano spostati altrove.
    “Perché non ero adatto a restare lì” rispose infine, senza guardarlo.
    “Ma che diavolo significa? Eri sempre stato uno dei più forti-”
    “E a che serviva se non ero portato a lavorare in squadra? A che serviva se ero uno spirito individualista? Era a Fyar che sarei dovuto andare, lo sapevi? A Fyar, non ad Agadir. Ma mio padre era devoto alla Divina Yoshiko e mi ha mandato al lago per divenire un mezzo pesce. Ma più il tempo passava, più mi sentivo un estraneo, lì dentro, fuori luogo.” Adesso Kanda lo stava fissando con serietà. No, non stava mentendo. “Io sarei stato il neo di Agadir, quello che avrebbe minato la stabilità e l’equilibrio di tutti gli Elementi della scuola. Non potevo restare.”
    “Ma perché fuggire! Avresti dovuto parlarne col Master Katagiri, lui-”
    “Non avrebbe potuto fare niente, oltre a cercare a ogni costo di convincermi a non andarmene. Così l’ho tolto dal peso di star dietro anche a uno come me. Fuggendo, nessuno avrebbe dato la colpa a nessuno tranne che al sottoscritto. Non me ne frega un accidente se vengo considerato come un vigliacco, questa era l’unica scelta che avevo per preservare il buon nome di Agadir.” Distolse lo sguardo tornando a fissare il tavolo. “E anche quello della mia famiglia. Meglio un vigliacco che fugge e si leva dai piedi, piuttosto che un elemento di disturbo in grado di portare problemi alla scuola. Mio padre avrebbe pensato di sicuro questo.”
    Hajime restò a fissarlo senza dire nulla ma senza nascondere la sorpresa. Come Rika lo aveva ammonito, aveva giudicato la situazione senza conoscerla a fondo, ma basandosi solo sulla sua iniziale impressione e sul suo orgoglio di compagno tradito, ma ora si rendeva conto di come Kanda non avesse preso quella decisione a cuor leggero, in fondo, non aveva solo abbandonato la scuola, ma anche la sua famiglia.
    “E poi? Che è accaduto dopo che hai lasciato Agadir?”
    Il giovane abbozzò un sorriso ironico. “Ho fatto il vagabondo per un po’, fino a che non sono arrivato nei pressi di Rhanora… e ho conosciuto Rika.” Arricciò le labbra incrociando le braccia e ad Hajime sembrò addirittura che arrossisse leggermente. “Il resto non sono fatti tuoi!”
    Al Tritone sfuggì un sorriso, sistemandosi meglio sulla scomoda sedia. “Lo so che non sei stato tu” disse, esibendo un’espressione più rilassata e meno ostica.
    “Oh, grazie della fiducia, DentiSplendenti.”
    “Ehi! Vedi di trattarmi bene altrimenti non ti aiuterò a uscire da qui!”
    Kanda sbuffò, scuotendo il capo. “Lascia stare, Taki. Voi avete altro di cui occuparvi, me la vedrò io. E poi non sono più un tuo compagno di scuola, non mi devi nulla.”
    “Quanto sei superficiale! Credi che solo perché hai mollato Agadir non ti aiuterò? Io e gli altri sappiamo che sei innocente e non ti lasceremo qui dentro mentre Bala fa di tutto per trovare prove a tuo carico. La nostra missione aspetterà un altro giorno.”
    Questa volta, Kanda non replicò con il suo solito tono sprezzante, ma si limitò a sospirare, passandosi una mano nella folta massa di capelli. “La guardia che mi ha interrogato, ha detto che la gabbia degli attrezzi era stata sfondata.”
    “Sì” confermò Hajime. “E che c’era acqua dappertutto, come se qualcuno avesse usato un incantesimo.”
    “Oggi ho quasi usato la mia magia perché mi sono visto in trappola, squamato, ma ti posso assicurare che non l’ho mai usata contro nessuno. Chiedi agli addetti del circo. Al massimo io e Rika la utilizziamo per necessità quando dobbiamo interagire con le creature. È anche per questo che siamo stati assunti: prendere un Minister sarebbe costato troppo a quel pidocchioso di Bala.”
    Il Tritone si massaggiò pensosamente il mento. “Sicuro di essere l’unico ad avere le chiavi dei tendoni?”
    “Sicurissimo! Sono io il solo responsabile. Abbiamo chiuso insieme, ieri sera, c’eravate anche voi, no? La chiave la porto sempre con me ed era in stanza quando sono andato a dormire; nessuno sarebbe potuto entrare senza che ce ne accorgessimo!”
    Eppure, come detto da Rivaul, la porta era stata aperta e non sfondata, né forzata.
    “E’ possibile che qualcuno te l’abbia rubata e poi ne abbia fatto una copia?”
    “Lo escludo.” Kanda scosse nuovamente il capo. “Conoscendo l’importanza di quel mazzo di chiavi, ci sto attentissimo. Le tolgo solo la sera, quando ormai è tutto chiuso. Ma nessuno può entrare nella mia camera da letto. Per quanto io abbia lasciato la scuola anni fa e per quanto Rika non sia più una Sacerdotessa, il nostro retaggio non lo dimentichiamo di certo; avendo poi a che fare con una bambina così piccola: il nostro udito è super sviluppato.”
    Però Hajime sapeva anche che le porte non si aprivano da sole, a meno di un qualche incantesimo, ma non avevano avvertito nessuna presenza magica minacciosa, nonostante Dhèver fosse piena di gente.
    “E Bala?” domandò a un tratto, sollevando lo sguardo su quello di Koshi, che inarcò un sopracciglio.
    “Bala? Ovvio che ce l’ha. Anzi, lui ha il passpartout: un’unica chiave che apre tutte le porte di questo circo. E quando dico ‘tutte’, intendo proprio ‘tutte’; anche quelle delle abitazioni.”
    “Che cosa?!”
    “Te l’avevo detto, no? Per lui siamo solo oggetti, schiavi al suo servizio. Il terreno dove sorge il circo è il suo e tutto ciò che vi è sopra gli appartiene, ergo, lui deve avere libero accesso in qualsiasi edificio o tenda.”
    Il Tritone girò il viso con disgusto. “Bastardo” sibilò. “Ma quindi la chiave che apre il magazzino-”
    “No, quella ce l’ha solo lui. Nel magazzino principale sono riposte tutte le attrezzature che permettono il trasporto delle creature oltre il perimetro del circo. Bala lo tiene sotto stretta sorveglianza in modo che nessuno possa tentare di fare il furbo e provare a portarle via di nascosto.”
    “Vedo che non è servito a nulla.”
    Koshi sorrise, poi prese a rimuginare. “Deve essere stato lui. Me lo sento.”
    “Perché derubarsi della sua fonte di guadagno?” Hajime sollevò le mani al cielo con rassegnazione. “Sarebbe ridicolo.”
    “E che diavolo ne so? Però da quel verme ho imparato ad aspettarmi di tutto! È un vile; venderebbe anche sua madre pur di far soldi.”
    In quel momento, la porta della cella si aprì e il Comandante Rivaul fece il suo ingresso accennando ad Hajime la fine del tempo a loro disposizione. Il Tritone annuì a sua volta e si alzò, quando l’ex-Elemento d’Acqua lo fermò un altro momento ancora.
    “Ehi, mezzo pesce, senti…”, sul viso aveva un’espressione ansiosa, “…puoi dire a Rika di non preoccuparsi e che… tornerò presto a casa?”
    “Ma certo che glielo dirò. Tranquillo, ti tiriamo fuori.”
    L’altro parve rilassarsi pur esibendo una smorfia presuntuosa. “Tsk. E chi si preoccupa?”
    Quando uscì dalla stanza, due guardie entrarono al suo posto e prelevarono Koshi Kanda per condurlo in cella, in attesa di avere prove definitive per condannarlo o liberarlo.
    Hajime, affiancato dai suoi compagni, lo vide sparire dietro un’altra, pesante porta collocata alla fine del corridoio.
    “Vi ha riferito qualche particolare che può esserci utile?” domandò d’un tratto Rivaul, osservando il Tritone, ma quest’ultimo scosse il capo.
    “Niente che già non sapevamo. Koshi ha detto di essere l’unico ad avere la chiave e che è improbabile che qualcuno gliel’abbia rubata o anche solo sottratta per il tempo necessario a farne una copia.”
    A passo lento emersero dai sotterranei, dove l’aria era stranamente fredda, per immergersi nuovamente nel tepore cittadino di Dhèver.
    “Questo non gioca a suo favore, anzi, non fa che renderlo l’unico indiziato” fece notare il Comandante, mentre camminavano lentamente verso l’ingresso dell’edificio.
    “C’è qualcosa che possiamo fare?” domandò immediatamente Yuzo, attirandosi l’occhiata truce di Mamoru che lo afferrò per un braccio.
    “Che ti avevo detto, volante?” sibilò la Fiamma con occhi stretti e ardenti e quando l’altro tentò di protestare, la stretta si fece più salda. Un modo come un altro per fargli capire che doveva tacere.
    “Nulla” tagliò la testa al toro Rivaul. “Anzi, vi pregherei di non intervenire, non sono cose che debbano riguardarvi.”
    “Ma siamo ugualmente Elementi del Re” rimarcò Teppei.
    “Sì, ma non siete ancora Minister, e il compito di occuparsi della città e dei suoi abitanti spetta a noi.” Rivaul lo sottolineò come fosse la sua ultima parola a riguardo, una specie di imperativo categorico, poi però aggiunse: “Ciò non toglie che se, per caso, doveste trovare qualcosa di utile, siete pregati di avvisarci immediatamente.”
    Che tradotto suonava come: ‘Non posso darvi il permesso di curiosare, ma non ve lo sto vietando, solo che farò finta di non saperne nulla’; dopotutto, anche lui si rendeva conto di come Kanda fosse innocente, ma fino a che non ci fossero state prove sufficienti a scagionarlo, non avrebbe potuto fare altro che trattenerlo.
    “Perfettamente d’accordo, Comandante” intervenne Mamoru scoccando delle occhiate eloquenti anche ai suoi compagni di viaggio. “Questi sono affari che non ci competono. Le auguriamo buon lavoro” E, accennando col capo, fece per congedare definitivamente l’intero gruppo – aveva parecchie cosette da ribadire agli altri tre! – quando la figura tozza di Bala avanzò decisa verso di loro. Al suo fianco, l’inseparabile energumeno dai capelli cortissimi e gli occhi talmente stretti da sembrare chiusi.
    “Ah! Eccola, Comandante! E allora?! Quel maledetto ladro vi ha detto dove ha portato le mie bambine?! Oggi avevano uno spettacolo importante! Vi rendete conto della perdita?!” inveì con foga, agitando animatamente l’indice. “Voi dovete assolutamente trovarle! Assolutamente! Ne va dell’immagine del circo e dell’intera Dhèver! Tsk! Dovevo immaginarlo che Kanda mi avrebbe giocato un simile tiro: è solo un misero vigliacco che è scappato dalla sua scuola a gambe levate!”
    Hajime fece per replicare a tono, quando la mano di Teppei lo trattenne. “Lascia perdere” sibilò e solo allora Bala sembrò accorgersi della loro presenza. Con sufficienza, rivolse loro un’occhiata indagatrice, come se li stesse studiando.
    “E loro chi sono?”
    Rivaul inspirò a fondo mantenendo un autocontrollo davvero invidiabile che poteva addirittura competere con quello degli Elementi d’Aria. Dalla sua espressione non trasparve alcuna emozione, anche se dal tono affilato della voce, si capiva che avrebbe voluto cacciarlo a calci dall’edificio.
    “Signor Bala, noi stiamo facendo il possibile e vi ricordo che la colpevolezza di Koshi Kanda non è ancora stata provata. Questi ragazzi erano ospiti presso l’abitazione del vostro custode.”
    Il viso dell’uomo arrossì di collera, mentre riprendeva ad abbaiare. “Ah, siete suoi complici, quindi?! Chi vi ha autorizzato a dormire all’interno del perimetro del circo?! Non sapete che quel terreno mi appartiene?!”
    Mamoru inspirò a fondo un paio di volte, stringendo pericolosamente gli occhi. Lo avrebbe incenerito sul posto se Rivaul non fosse nuovamente intervenuto.
    “Signor Bala, questi giovani sono Elementi del Re.” Lo sottolineò con una verve particolare che escludeva l’assoluta possibilità di un loro coinvolgimento nella faccenda, ma ciò che colpì fu il repentino cambio di espressione che attraversò il viso dell’affarista. Un’espressione sorpresa, di chi si trova davanti qualcosa di inaspettato. Difatti corresse il tiro, abbassando il tono della protesta.
    “Elementi, avete detto?” fece eco perdendo parte del piglio aggressivo. “Ah, bene… questo cambia le cose.”
    “Ovviamente, non si è mai sentito di un gentiluomo che rifiuta ospitalità ai servi delle Dee. Dico bene, signor Bala?”
    Rivaul ci sapeva dannatamente fare con le parole, tanto che, messa in quei termini, nemmeno il proprietario del circo poté far altro che replicare quell’infastidito, ma remissivo: “Certo, certo. Ovviamente.”
    “Ad ogni modo, siete capitato a proposito, avevo giusto delle domande da porvi. Prego, questo soldato vi accompagnerà nel mio ufficio. Vi raggiungerò fra un momento.” Il Comandante fece cenno a uno dei suoi sottoposti che scattò subito sull’attenti. Fece strada a un Bala, ora piuttosto reticente, che continuava a guardare di sottecchi i quattro Elementi. Nel momento in cui volse loro le spalle, Mamoru ne approfittò per lanciargli dietro una Scintilla con un impercettibile schiocco di dita. Il piccolo incantesimo volò come una scheggia sfuggita allo sfregamento di due pietre focaie e attecchì in maniera istantanea agli abiti di Bala generando un’improvvisa fiammata.
    L’uomo iniziò a urlare girando in tondo per sfuggire inutilmente al fuoco che lo rincorreva qualunque cosa facesse. Ci volle la prontezza di riflessi dell’energumeno per spegnerlo, soffocando le fiamme con la propria giacca di cuoio. Il posteriore di Bala, coperto da fini tessuti di seta, presentava ora una evidente chiazza marrone, bruciacchiata, giusto al centro del sedere.
    “Mamoru!” lo rimproverò Yuzo, ma l’interpellato subito si difese mostrando il più candido dei suoi sorrisi, mentre Hajime e Teppei cercavano di trattenere le risate.
    “Eh? Che c’è? Io non ho fatto niente, perché guardi me?”
    Il volante sospirò scuotendo il capo mentre Rivaul tossicchiava nel tentativo di mantenere imperturbabile la sua espressione seria e ligia.
    “Sarebbe il caso che andiate, giovani Elementi. E qualora doveste avere informazioni, siete pregati di farcelo sapere.”
    Yuzo annuì, profondendosi in un cortese inchino. “Certo, Comandante, non mancheremo”
    Una volta fuori dall'edificio della Guardia Cittadina e immersi nel caos di Dhèver Teppei fu il primo ad affermare: “Avete visto come ha cambiato espressione, Bala, appena ha saputo chi eravamo?”
    “Allora non è stata solo la mia impressione” convenne Hajime.
    “Mi è sembrato quasi che si fosse spaventato.”
    “Sì! Esatto!”
    Teppei incrociò le braccia al petto, mentre si dirigevano nuovamente verso il Circo. “Ho avuto come la netta sensazione che lui c’entrasse qualcosa in tutto questo…”
    “Ma è il movente che manca” gli fece notare Hajime, eppure questo non bastò a scoraggiare l’Elemento di Terra.
    “Lo troveremo.”
    “Eh no, noi non troveremo proprio nulla.” Mamoru bloccò il loro avanzare piantandosi di fronte ai compagni. Un sopracciglio inarcato e l’espressione severa che non ammetteva repliche. “Chiariamo subito una cosa: noi faremo quello che dobbiamo fare, ovvero gireremo per Dhèver alla ricerca di possibili informazioni, e poi riprenderemo il viaggio e la missione. Non abbiamo tempo da perdere e queste, come detto anche dal Comandante Rivaul, non sono cose che ci debbano riguardare. Mi ero già spiegato col volante, devo ripetere il concetto anche a voi?”
    “Oh, andiamo, Mamoru! Non possiamo lasciare Rika e Kanda nei guai! Siamo gli unici, in questo momento, a poterli aiutare!” Teppei era fermamente deciso e anche sul viso di Hajime la Fiamma lesse la stessa risolutezza. Rika era una loro amica di infanzia e non le avrebbero voltato le spalle nell’ora del bisogno, ma lui era stato già fin troppo accondiscendente tra le vicende del Poli-Poli e Sundhara. Non poteva permettere che si rammollisse in quel modo.
    “Non essere così presuntuoso, la Guardia Cittadina sa il fatto suo e quel Rivaul mi è sembrato un tipo davvero in gamba.”
    “La Guardia Cittadina non può competere con noi, siamo Elementi, abbiamo la magia. Per i soldati, Kanda è già colpevole!” insistette Teppei. “Mettiamola ai voti!”
    “Ai voti?! Quali voti?! Sono io che decido, questa è una dittatura! Ti ricordo che siamo già in ritardo sulla tabella di marcia-”
    “Ma non abbiamo bisogno di girare inutilmente per la città! Rika e Kanda ci hanno già detto tutto quello che dovevamo sapere!”
    “E’ la prassi.”
    “Non essere ottuso!”
    Mamoru si passò una mano sul viso tentando di non perdere la pazienza che già era ai minimi storici. “Teppei…” ringhiò basso
    “No, non cambierò idea” si impuntò il tyrano, sollevando una mano. “Io voto per aiutarli, chi è con me?”
    “Cosa?!”
    Accanto a lui, anche Hajime sollevò la propria mano inguantata. “Anche io resto. Sono miei amici, è mio dovere fare qualcosa.”
    La Fiamma era sull’orlo di incenerirli su due piedi, stava già stringendo le mani in pugni per contrastare l’istinto omicida, quando Teppei si rivolse anche all’Elemento d’Aria rimasto fino ad allora in silenzio.
    “E tu, Yuzo?”
    Mamoru osservò il volante nella maniera peggiore possibile e, sotto quelle iridi ribollenti, l’interpellato tentennò visibilmente, ma alla fine la sua natura prevalse.
    “Mi dispiace Mamoru, ma non me la sento di lasciarli da soli, c’è di mezzo anche la felicità della piccola Mayleen e la vita delle sirene. Scusami, ma voglio aiutarli.”
    La Fiamma soffocò, nel palmo della mano che spiaccicò sul viso, una sequenza di insulti in fyarish. “Cos’è, il buonsamaritanismo è contagioso, per caso?! Stramaledizione!”
    Era fuori dalla grazia delle Dee, ma si sforzò di recuperare una sorta di autocontrollo, tanto ormai era chiaro che era stato messo con le spalle al muro.
    “Diamoci una mossa” capitolò definitivamente, mentre Hajime e Teppei sorridevano soddisfatti e riprendevano a camminare a passo spedito. Dietro di loro, Mamoru aveva un’espressione indecifrabile e per nulla pacifica. Accanto a lui, Yuzo parve dispiaciuto.
    “Sei arrabbiato?” gli chiese piano, per essere udito solo da lui.
    “No, ma va? Da cosa lo avresti dedotto?!”
    “Lo sappiamo tutti che tu hai ragione, Mamoru. La missione è fondamentale e noi siamo ancora lontani dalle altre mete, ma se voltassimo le spalle a chi chiede il nostro aiuto, che Elementi saremmo?”
    La Fiamma lo afferrò per un braccio, costringendolo a fermarsi. Il nero delle sue iridi piantato nel nocciola. “E’ questo il problema”, sibilò minaccioso, “nessuno ce lo ha chiesto!” Avrebbe voluto risultare incisivo, categorico, e forse con qualcun altro davanti ci sarebbe anche riuscito, ma Yuzo non sembrò prestare fede al tono della sua voce e delle parole. Quietamente, seguitò a sorridergli.
    “Guarda che l’ho capito che anche tu fremi dalla voglia di dar loro una mano, ma devi far vedere di essere contrario per mantener fede al tuo caratteraccio.”
    Colpito e affondato.
    Mamoru si sentì scoperto, tanto che sgranò gli occhi con evidente sorpresa. Da quando Yuzo aveva imparato a conoscerlo così a fondo da saper girare attorno a determinati atteggiamenti ‘di facciata’?
    Non volle rispondersi e si limitò a lasciarlo andare per raggiungere gli altri; tra le labbra, una sequela di borbottii che strapparono un sorriso all’Elemento d’Aria.
    “Ma che diavolo ci parlo a fare con te, maledetto volante!”

     


    [1]RIVAUL: compagno di squadra di Tsubasa al Barcellona. Fa la sua prima comparsa nel Road to 2002! (Rivaul: *clicca*)




    …Il Giardino Elementale…

    E ovviamente le cose si complicano! X3
    Credevate che potesse andare tutto liscio in questa città? Ma certo che no, altrimenti non c'è gusto! *ridacchia della propria perfidia*
    Così, le sirene sono scomparse, ma chi-come-perché resta ancora un mistero... siete pronti a svelarlo assieme ai nostri Elementi? :3

    Anche per questo capitolo è tutto!
    Ci rileggiamo al prossimo aggiornamento! :3
    Ringrazio di cuore tutte le persone che seguono questa storia! *-*/



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 14
    *** 6 - Il Circo Acquatico - parte IV ***


    Documento senza titolo

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 6: Il Circo Acquatico (parte IV)

    Dhèver – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    Quando arrivarono al circo, tra tutti gli addetti dilagava il fermento.
    Gli Elementi li videro raccolti attorno alla casa di Kanda e Rika o in gruppetti che discutevano animatamente di ciò che era accaduto e del misterioso rapimento.
    Riuscirono a raggiungere l’abitazione facendosi largo, mentre i luoghi del misfatto erano controllati a vista dalle guardie.
    I ragazzi trovarono Rika seduta al tavolo del salotto occupata a cullare la piccola Mayleen. Accanto a lei, c'erano le mogli del Naturalista Animale e dell’addetto alle illuminazioni.
    “Vedrai, andrà tutto a posto” stava dicendo quest’ultima. “Lo sappiamo che Koshi non avrebbe mai fatto una cosa del genere.”
    Quando li vide, Rika si alzò di slancio andando loro incontro, il viso contrito in un’espressione preoccupata.
    “Ditemi: come sta? Che sta succedendo?”
    Hajime guardò per un momento le due donne, le quali compresero subito che era meglio lasciarli da soli e se ne andarono, raccomandandosi ancora una volta di stare tranquilla.
    Appena la porta venne richiusa, la piccola Mayleen ricominciò a piangere. Rika cercò di calmarla, dondolandola dolcemente. “E’ da quando siete andati via che è così agitata. Anche lei sente che è successo qualcosa al suo papà…”
    “Lascia che ci pensi io, mentre Hajime ti racconta tutto” si offrì Yuzo. L'ex-Sacerdotessa lo guardò con profonda riconoscenza e lasciò che il giovane prendesse May dalle sue braccia. Li vide uscire dal salotto per andare nella cameretta della bambina.
    Hajime si sedette al tavolo, incrociando le mani sulla superficie.
    “Al momento, ci sono solo accuse contro di lui, ma non prove certe. Lo tengono in custodia.”
    Rika si lasciò cadere sull’altra sedia. “Divina Yoshiko…” si appellò con gli occhi lucidi. “Ma è innocente, lo sapete anche voi!”
    Teppei le prese le mani per cercare di rassicurarla e le sorrise. “Ma certo che lo sappiamo, non temere. Non hanno nulla di definitivo” Poi aggrottò le sopracciglia. “Anche se quel poco è tutto a suo sfavore…”
    “Ragazzi, vi prego, aiutatemi. Lui non ha fatto niente, davvero…”
    “E’ ovvio che ti aiuteremo, siamo già tutti d’accordo” continuò Hajime, mentre Mamoru fingeva ancora d’esser contrario e girava il viso, arricciando le labbra. “Ma ora devi dirci tutto dall’inizio: sai chi ha avvisato le guardie?”
    La giovane annuì. “Ho saputo che è stato uno dei tecnici del pompaggio delle acque nelle vasche. Ma è strano che Tsuyoshi(1) non sia venuto subito da noi appena ha scoperto il misfatto. Di solito, quando succede qualcosa, Kanda è il primo a cui tutti si rivolgono. Ho provato a parlarci, ma si è chiuso in casa e non vuole saperne nulla.”
    Questa notizia fece insospettire il Tritone. “E sei riuscita a dare un’occhiata nel tendone o al magazzino?”
    “Le guardie non fanno passare nessuno e io non ho insistito, anche perché c’era May di cui dovevo occuparmi.”
    “Ci andremo noi” decise Mamoru. “E poi parleremo anche con questo Tsuyoshi”
    “E come faremo a passare le guardie?” domandò Teppei con perplessità, ma ignorava quanto sapesse essere convincente una Fiamma di Fyar, quando voleva.
    “Non temere, a quello penserò io” Il sorriso minaccioso che gli tese le labbra lasciò interdetti gli altri due, mentre lo vedevano attraversare la stanza per raggiungere il corridoio. “Vado ad avvisare Yuzo, aspettate qui” disse infine scomparendo alla vista.
    La porta della stanza di Mayleen era proprio di fronte a quella dei genitori. La Fiamma la trovò socchiusa. Stranamente, da fuori non aveva avvertito il pianto della bambina. La sua solita ironia prese possesso delle labbra in un sorriso sbilenco, mentre pensava che era meglio per Kanda se non avesse saputo che il volante era riuscito a tener buona la piccola un’altra volta.
    Fece per entrare quando dallo spiraglio aperto, Mamoru scorse Yuzo seduto sul davanzale della finestra chiusa dalle tende leggermente tirate, la schiena appoggiata allo stipite e il capo addossato al vetro. Dalle labbra scivolava il suono d’una lenta melodia, simile a una ninna-nanna, ma l’Elemento di Fuoco avvertì una nota malinconica carezzargli la pelle sotto gli abiti.

    “Trovo che Yuzo abbia un innato senso paterno.”

    Quella frase pronunciata da Rika, la sera prima, tornò a occupare la sua mente con prepotenza e stavolta non poté negare a sé stesso che aveva ragione. Yuzo guardava la piccola con un sorriso amorevole sulle labbra chiuse che sussurravano quelle poche note concilianti e la sensazione che investì Mamoru fu di calore. Un calore diverso dalla Fiamma che bruciava nel suo cuore a ogni istante. Era qualcosa di tiepido e… bello… che si diramava a raggiera in tutto il corpo. Un calore che lui, proprio lui, Elemento di Fuoco, non aveva mai conosciuto nella sua infanzia.
    Quando la nenia terminò, lo stato di stupore cessò con essa, ma quel tepore particolare Mamoru lo sentì ancora, dentro di sé, nostalgico e aleggiante come un ricordo.
    Serrò il pugno con forza scacciando, o almeno ignorando, quella sensazione e attese qualche altro momento prima di entrare nella stanza, per non far credere al volante d’esser stato lì fuori ad ascoltare. Quando fece il suo ingresso, un piglio più duro di quanto non fosse stato fino a un attimo prima sostò sul suo viso. Yuzo sollevò lo sguardo verso di lui.
    Mayleen si era davvero addormentata come era parso alla Fiamma.
    “Noi stiamo andando al magazzino degli attrezzi per cercare di carpire qualche informazione. Tu sei dei nostri?” domandò con tono basso per non svegliare la piccola.
    “Veramente… preferirei restare con Rika e la bambina, se non è un problema per te. Almeno terrò loro compagnia.”
    “Certo che non è un problema” Mamoru fece una smorfia nel sentirsi dipingere come un essere insensibile e allungò una mano verso di lui. “Dammi il permesso reale.”
    Yuzo glielo concesse senza protestare, ma visibilmente incuriosito. Pescò il piccolo rotolo chiuso in un involucro d’oro dove campeggiava il simbolo della Casa Ozora.
    “E a che ti serve?”
    “Sarà il nostro lasciapassare” ridacchiò la Fiamma con perfidia. “Ci sono le guardie che presiedono le due strutture. Almeno così non faranno storie.”
    Il volante annuì e, per una volta, non mise in mezzo i suoi soliti discorsi sulla correttezza ad ogni costo. Mamoru gliene fu mentalmente grato.
    “Spero che riusciate a scoprire il più possibile e tu, mi raccomando, cerca di essere diplomatico.”
    “Ehi! Ehi! Cosa vorresti dire con questo?!” La Fiamma gli agitò animatamente un dito sotto al naso.
    “Oh, proprio nulla.”
    Tsk. Lo spero. Tu aspetta qui e non fare danni, volante.”
    Così dicendo, Mamoru tornò nel salotto dove Hajime e Teppei erano già pronti per entrare in azione. “Muoviamoci” ordinò.
    Terra e Acqua annuirono prontamente e abbandonarono l’abitazione. Fuori, i lavoratori del circo si erano messi in moto per svolgere le loro mansioni quotidiane, ma c’erano ancora numerosi gruppetti che seguitavano a discutere animatamente degli ultimi eventi. Rika vide gli Elementi allontanarsi a passo spedito per raggiungere la loro prima meta, il magazzino, e chiuse l’uscio con un profondo sospiro. La prima cosa che fece fu andare da sua figlia. Non l’aveva più sentita piangere e quando si affacciò alla porta della cameretta, sorrise. Con passo silenzioso e le mani dietro la schiena si avvicinò al volante e si affacciò per vedere come la bambina stesse dormendo, rannicchiata contro Yuzo. Nello scorgere il suo visino sopito e la piccola bocca leggermente aperta, le si strinse il cuore.
    “Voi Elementi d’Aria siete davvero bravi a sedare gli animi, anche quelli di creaturine così imprevedibili come i bambini.”
    “Più che bravura, credo sia abitudine. Conosci già quale sia il ciclo scolastico di un Elemento, quindi ho spesso a che fare con allievi molto più piccoli di me” Sorrise divertito. “Ad Alastra sono un fratello maggiore quasi per tutto il tempo.”
    Ridacchiò anche Rika, carezzando leggermente una guancia di sua figlia. “Volevo chiedertelo già ieri, ma poi non c’è stata l’occasione” aggiunse, sollevando lo sguardo su di lui. “Tu sei il figlio del Console Shiroyama, vero?”
    “Sì.”
    E tutto le sembrò improvvisamente più chiaro.
    “L’avevo immaginato.”

    Quando Hajime, Teppei e Mamoru arrivarono nei pressi del magazzino, il tyrano masticò a mezza bocca.
    “Spiegami che hai intenzione di fare.”
    “Ora lo vedrai. Fate parlare solo me, capito?” si raccomandò la Fiamma. Rigirò il permesso tra le mani e si fermò, schiena dritta e sguardo infuocato, davanti agli uomini di Rivaul.
    “Fermi” intimò uno dei due, sollevando una mano. “Qui non potete entrare, ordine del Comandante Rivaul.”
    Mamoru tirò fuori il tono più autoritario di cui era capace, quello che faceva storcere il naso a qualsiasi Doge si fosse trovato davanti, ma in questo momento non c’erano Doge ed era lui a dettare le regole. “E’ il tuo Comandante che ci manda. Siamo Minister Elementali, fatevi da parte.”
    Il soldato incassò il colpo con una certa perplessità e scambiò una rapida occhiata con il compagno accanto a lui.
    - Bene, sono dei pivelli - pensò invece Mamoru. Alle sue spalle, Hajime era sbiancato di colpo per la balla colossale che l’Elemento di Fuoco aveva tirato fuori.
    “Spiacenti ma noi…” tentò di dire l’interlocutore, ostentando un’espressione più ferma, “…noi non ne sappiamo niente e se-”
    Mamoru gli mise sotto al naso l’involucro d’oro all’interno del quale era racchiuso il permesso reale firmato da sua Maestrà il Re Ozora, il simbolo della famiglia sovrana era impossibile da non riconoscere.
    “Non so, vuoi che ti conduca dal Comandante in persona o ti basta questo?”
    Richiamando una minima frazione dei suoi poteri, Mamoru lasciò che parte della mano venisse coperta da fiamme sottili. Stavolta, la guardia prese a sudare freddo.
    “No, no di certo. Basta questo. Prego, potete passare.”
    L’altro soldato non osò replicare e, dall’espressione che fece, sembrava essere altrettanto teso.
    “Molto bene” L’Elemento di Fyar ridacchiò dentro di sé, pensando a quale goduria sarebbe stata far assistere anche quel pacifista del perfettino, tsk! Lo aveva sempre detto, lui, che i suoi metodi erano altrettanto efficaci!
    Senza aggiungere altro i tre giovani varcarono il perimetro recintato, raggiungendo l’ingresso del magazzino.
    “Minister del Re?!” sibilò Hajime affinché gli altri non sentissero. “Ma ti rendi conto che casino verrebbe fuori se si sapesse che abbiamo mentito?!”
    “Vuoi aiutarli i tuoi amici o no?” replicò Mamoru per nulla intimorito. “E allora fai come ti dico. Tanto non lo verrà a sapere nessuno, quindi, piantala e cerchiamo quello che ci serve.”
    “Sante Dee, Sante Dee…” Hajime si era portato una mano alla fronte, mentre Teppei, di fianco a lui, se la rideva divertito. A lui, l’idea di farsi passare per Minister, non era dispiaciuta affatto.
    Quando si trovarono di fronte l’ingresso, l’acqua era dappertutto, proprio come aveva detto Rivaul. Il cancello del magazzino era alto e spesso, decisamente difficile da sfondare senza l’ausilio di poteri o di una testa d’ariete, ma per maneggiare quest’ultima ci sarebbe voluta ben più di una sola persona, e, soprattutto, gli eventuali ladri avrebbero dovuto impiegare il quintuplo del tempo facendo un rumore infinito. Era anche questo che aveva lasciato perplesso Hajime: possibile che nessuno avesse sentito nulla? Un cancello così grosso avrebbe dovuto fare un gran botto nel cadere al suolo, e le prime abitazioni dei membri del circo non erano troppo lontane da lì.
    Il Tritone si inginocchiò toccando il liquido che, al suolo, si era raccolto in pozzanghere. Sì, era proprio acqua.
    Ma era troppa.
    Troppa perché fosse tutta opera di un incantesimo come una Sfera Marina; addirittura le traiettorie colpite erano inverosimili. Camminando all’interno del capanno, Hajime notò che erano fin troppo bagnati anche dei luoghi in cui a stento sarebbero dovuti arrivare degli schizzi.
    “C’è qualcosa che non va” esordì a un tratto. Mamoru tornò indietro, provenendo dal fondo.
    “Hai già trovato qualcosa che non ti convince?”
    “Lo spargimento d’acqua post incantesimo è stato simulato” a passo deciso raggiunse il cancello per esaminarlo più da vicino. Le sbarre erano state piegate dall’esterno verso l’interno, ma presentavano curvature irregolari che non avevano continuità le une con le altre; sembrava come se ogni sbarra fosse stata divelta singolarmente. “Guardate qui: se fosse stata opera di un incantesimo, tutte le aste avrebbero dovuto seguire una stessa deformazione omogenea. Inoltre, c’è troppa acqua; ben oltre quella necessaria al sortilegio che avrebbe permesso di sfondare questo cancello.”
    Erano cose che un occhio non allenato non avrebbe notato con facilità, ma che non potevano sfuggire a un Elemento che conosceva il potere della propria magia fin nei minimi particolari.
    In quel momento, anche Mamoru sembrò accorgersi di qualcosa. Con perplessità inarcò un sopracciglio, tornando a ispezionare l’inferriata da cui il cancello era stato scardinato.
    “Ma cosa…” lo sentirono mormorare. “La serratura non è divelta!”
    “Che?!” fecero eco Hajime e Teppei contemporaneamente.
    “Quello che ho detto! Guardate al lato della toppa.”
    Il metallo era intatto, nemmeno un po’ ripiegato. Il meccanismo di chiusura era funzionante, come nuovo.
    “Ma non ha senso!” fece notare il tyrano. “Se fosse stata sfondata, avrebbe dovuto essere rotta.”
    “Proprio così. Controllate i cardini” Mamoru si sporse per vedere quelli relativi al resto del cancello e, ovviamente, non erano stati toccati.
    “Nuovi nuovi” illustrò Hajime.
    “Pure troppo nuovi…” sottolineò invece Teppei. E in quel momento il Tritone collegò i fili. Rapidamente s’alzò, raggiunse Mamoru e osservò con lui il resto dell’inferriata nella sua interezza. Il metallo, in alcuni punti, aveva cominciato ad arrugginirsi, mentre nel resto si era un po’ scurito da quello che era il suo colore originario. Probabilmente a causa del tempo, l’usura e le intemperie. Quello del cancello abbandonato al suolo era di un bel grigio omogeneo, leggermente più chiaro.
    “Ecco perché nessuno ha sentito nulla…”, la conclusione ormai era divenuta lampante, “…non è stato sfondato, è stato sostituito.”
    “Chiunque sia stato ha cercato di simulare un attacco elementale per fare in modo che Kanda venisse incolpato del rapimento delle sirene” Teppei spostò le iridi dall’uno all’altro compagno. “Ma chi? E perché?”
    Mamoru assottigliò pericolosamente lo sguardo. “Credo sia il caso di fare una visitina a questo Tsuyoshi.”

    Bussarono sul legno con insistenza fino a che non lo convinsero ad aprire la porta di uno spiraglio.
    “Nishio(2), sei tu? Ho detto che non ho voglia di parlare con nessuno” ma quando Tsuyoshi Oda si ritrovò tre paia di occhi in cui riconobbe quelli degli ospiti di Rika, gelò all’istante.
    Toc, toc” esordì Mamoru, il tono basso e minaccioso.
    Visibilmente spaventato, Tsuyoshi tentò di chiudere la porta, ma la Fiamma lo bloccò col piede. “Non tanta fretta” con forza riuscì ad aprire l’uscio costringendo il povero tecnico a rientrare con passo incerto. “Vogliamo solo scambiare due chiacchiere.” Peccato che il tono di Mamoru non avesse nulla di rassicurante.
    Teppei fu l’ultimo a varcare la soglia, chiudendo la porta alle loro spalle.
    “Che… che volete d-da me?” balbettò Tsuyoshi, tremando da capo a piedi. “N-non ho niente… niente da dire… niente… lasciatemi stare…” Indietreggiava a ogni parola, ma fu costretto a fermarsi quando urtò contro il tavolo del salotto-cucina. La sua abitazione era più piccola di quella di Koshi e Rika poiché il giovane viveva da solo.
    Hajime si fece avanti mostrando un’espressione più cordiale di quella del suo compagno di Fyar. Il giovane davanti a lui stava tremando come una foglia, sembrava terrorizzato e di certo il tono di Mamoru non aiutava a rilassarsi, ma era anche molto strano che avesse così tanta paura di loro.
    “Non vogliamo farti nulla di male, davvero. Siamo degli Elementi, vogliamo solo parlarti.”
    “Ho detto che non ho niente da-”
    “Balle, Tsuyoshi”, lo zittì Mamoru, “quelle che non ho voglia di sentire, quindi vedi di darci un taglio.”
    “Mamoru!” lo riprese Hajime.
    “Ho già parlato col Comandante Rivaul, gli ho detto tutto quello che sapevo” l’addetto lo sbrodolò a raffica, come se fosse sufficiente ripeterlo anche a loro, ma le domande dei ragazzi erano differenti.
    “Noi vogliamo sapere perché non hai avvisato Kanda appena ti sei accorto del rapimento, ma hai chiamato la Guardia Cittadina” Il Tritone tentò di avvicinarsi d’un passo, ma l’altro si ritrasse come poteva, tanto che l’urto contro il tavolo fece cadere il vaso che restava al centro. L’acqua scivolò fuori dal coccio di porcellana, rovinando sulla superficie e poi al suolo.
    “Ah!” sbottò Tsuyoshi, che, ad occhio e croce, doveva avere la loro età. “Io… beh… pe-perché non avrei dovuto? Sono le guardie che si chiamano di solito, no?”
    “Invece te lo dico io perché. Perché Kanda si sarebbe accorto subito che c’era qualcosa che non andava,” Mamoru camminava per l’ambiente guardandosi intorno, “che il cancello non era stato sfondato, ad esempio, ma semplicemente sostituito; che non era stata opera di un incantesimo.”
    Lo sguardo di Tsuyoshi si muoveva dall’uno all’altro Elemento. Non sapeva che rispondere, stava sudando e Hajime si rese conto che gli mancava veramente poco per crollare. Doveva essere una persona facilmente impressionabile e incapace di sostenere una simile tensione.
    “E invece qualcuno non voleva essere scoperto tanto presto, vero?” la Fiamma continuò, stavolta insinuante. Un mezzo sorriso gli tese le labbra. “Così ti hanno chiesto di rivolgerti direttamente alla Guardia Cittadina che non avrebbe perso tempo a prelevare Kanda come possibile responsabile, visti anche i noti attriti tra lui e Bala. Non ho ragione, forse? Smentiscimi.”
    “I-io… io…” Tsuyoshi si lasciò cadere al suolo come se le sue gambe non fossero state più in grado di sorreggerlo. “Io non volevo, ma non potevo fare altrimenti!” Nascose la testa tra le mani. Si mise a piangere come un disperato. “Kanda è sempre stato onesto con me, non volevo fare una cosa simile! Ma quello… quello mi ha sollevato con un solo braccio! Mi ha detto che se non avessi fatto come diceva mi avrebbe spezzato le gambe! Avevo paura! Mi dispiace! Mi dispiace davvero!”
    Teppei gli si avvicinò, inginocchiandosi davanti a lui e poggiandogli una mano sulla spalla.
    “Stai tranquillo”, cercò di rassicurarlo, “Noi siamo qui per aiutare lui e anche te. Sai chi è stato?”
    Tsuyoshi scosse il capo, sollevando lo sguardo. “Non l’ho visto, sono stato aggredito alle spalle, ieri, durante lo spettacolo. Ero all’esterno del tendone principale a sistemare dei tubi, quando qualcuno mi ha afferrato come fossi stato un fuscello” Tirò su col naso. “Mi ha detto che al mattino, prima di tutti gli altri, sarei dovuto andare al tendone delle sirene e dopo avrei dovuto chiamare le guardie. Se ne avessi fatto parola con qualcuno me l’avrebbero fatta pagare.”
    Tsk, un coraggio da leoni questi vermi” Mamoru sbuffò incrociando le braccia al petto.
    “L’avevi mai sentita quella voce?” domandò ancora Teppei, ma l’interpellato negò ancora. Lui non sapeva nient’altro. Il tyrano rivolse un’occhiata ad Hajime il quale annuì.
    “Torniamo da Rika” dovevano fare il punto della situazione.

    L’ex-Sacerdotessa e Yuzo si trovavano seduti al tavolo del salotto con delle tazze fumanti di tè quando gli altri rientrarono.
    “E allora? Avete scoperto qualcosa?” domandò subito la giovane con apprensione.
    “Come sta la bambina?” si informò invece Teppei; Yuzo sorrise.
    “Dorme tranquillamente.”
    Nel frattempo, Hajime si era seduto accanto a Rika, mentre Mamoru rimaneva in piedi a braccia conserte. Di nuovo, ora che era assieme al volante, era tornata quell’eco tiepida. La ignorò.
    “Qualcuno ha cercato di incastrare Koshi” esordì il Tritone con serietà. Rika si coprì la bocca.
    “Ne siete sicuri?” Yuzo era sconvolto quanto lei.
    “Sì, l’attacco al magazzino è stato simulato. Il cancello d’ingresso è stato sostituito con un altro appositamente deformato e l’acqua è stata probabilmente sparsa con una secchiata. Inoltre, Tsuyoshi ha ammesso di essere stato minacciato da ignoti, ieri, affinché fosse lui a scoprire il furto e avvisare le guardie.”
    “Ma chi può aver fatto una cosa simile? Koshi non aveva nemici…”
    “Ragionate” Mamoru intervenne in tono fermo. “Qual è l’unica persona che avrebbe voluto Kanda fuori dai piedi?”
    Hajime non parve convinto. “L’abbiamo già ipotizzato, ma a che pro Bala deruberebbe sé stesso? Le sirene sono un affare per lui.”
    “Questo è vero, a meno che…”
    “A meno che?” incalzò Teppei.
    “A meno che lui non abbia trovato il modo di fare più soldi facendole sparire.”
    Il tyrano continuò a scuotere il capo. “Ma allora perché inscenare tutto questo in maniera così palesemente intuibile? Di sicuro, lo capirà anche il Comandante Rivaul che Kanda non c’entra appena farà i sopralluoghi col Minister dell’Acqua.”
    “E se avesse voluto prendere due piccioni con una fava?” Mamoru si massaggiò il mento, prendendo a camminare davanti al tavolo. “Mettiamo che Bala abbia fatto sparire le sirene per effettuare qualche traffico segreto, se Kanda fosse rimasto libero, avrebbe subito indagato per conto suo pur di trovare le ragazze; gli sarebbe stato di intralcio. Così ha montato la storia del cancello sfondato da un incantesimo acquatico affinché lui fosse messo dietro le sbarre per un po’, il tempo necessario a permettergli di fare quello che deve. Una volta che Kanda sarà stato scagionato, lui potrà comunque decidere di licenziarlo perché ugualmente non lo ritiene affidabile, visto che gli hanno sottratto delle creature senza che se ne accorgesse. Ovviamente, se Kanda va via, andrà via anche Rika e così Bala si sarà liberato di due ex-maghi decisamente scomodi ai suoi affari. Due piccioni, con una fava.”
    Questa volta, nessuno replicò perché l’ipotesi formulata da Mamoru, improvvisamente, sembrava assumere connotati tutt’altro che impossibili. Rika sapeva che il proprietario del circo era capace di qualsiasi cosa pur di trarre profitto e se davvero lei e suo marito erano diventati un ostacolo alla sua ricchezza, sarebbe stato disposto a tutto pur di metterli fuori gioco. E ora sembrava a un passo dal riuscirci.
    “Cosa possiamo fare?” domandò Yuzo, sollevando lo sguardo sulla Fiamma il quale arrestò il suo lento camminare, ma non rispose. Fu Teppei a farlo per lui.
    “Ma oggi, Bala non aveva detto di avere un importante impegno d’affari?” domandò. “E se gli uomini che dovevano venire a vedere lo spettacolo facessero parte del piano? Magari il rapimento delle sirene ha a che fare con loro.”
    In quel momento, Hajime sembrò avere un’idea. “Rika, sai dove potrebbero alloggiare i mercanti che intrattengono rapporti commerciali col proprietario del circo?”
    “Sì, Bala ha sempre delle stanze riservate per i suoi ospiti in una delle locande più importanti di Dhèver, ‘La Trota Dorata’” spiegò la giovane e il Tritone si concesse un accenno di sorriso.
    “Allora muoviamoci, ci apposteremo fuori dal locale. Prima o poi, dovranno pur muoversi per incontrarsi con Bala e noi li seguiremo. Se siamo fortunati, ci porteranno dritti dove sono nascoste le sirene.”
    Per quanto non fosse sicuro che quegli uomini c’entrassero davvero con la sparizione delle creature acquatiche, era l’unico piano che avevano a disposizione e avrebbero tentato il tutto per tutto.

    Appostati dietro al muro di una delle abitazioni all’altro lato della strada, che immetteva in un vicolo, i quattro Elementi rimasero di guardia fino al primo pomeriggio, ma nessuno di abbastanza sospetto mise fuori il naso da La Trota Dorata. Per lo più videro sfilare coppie di persone facoltose che, sottobraccio, iniziavano a passeggiare per la città, in direzione del centro. Un paio di carrozze caricarono alcune famiglie e una coppia di signori anziani con alti cappelli ed eleganti soprabiti.
    Nessuno di loro, a una prima occhiata, dava l’idea di poter intrattenere relazioni commerciali con una persona come Bala.
    “Forse avremmo dovuto seguire direttamente il proprietario del circo” notò Teppei. Ma chissà per quanto tempo Bala era rimasto al comando delle guardie e se, dopo esser stato interrogato, era ritornato a casa.
    “E’ quello che faremo se questo appostamento non porterà a nulla. Dovremmo farci dire da Rika dove abita, però” rimuginò il Tritone, quando il volante ruppe l’attesa.
    “Non credo che ce ne sarà bisogno. Guardate chi è appena arrivato.”
    Da una elegantissima carrozza privata – la si riconosceva dall’estrema ricchezza dei suoi finimenti – scese proprio Bala accompagnato dal fido gigante che avevano scoperto chiamarsi, per esteso, Bonjo Garcia. Il gigante muto, poiché in pubblico non parlava quasi mai, poteva essere l’uomo che aveva minacciato Tsuyoshi. La stazza ce l’aveva per sollevare il tecnico con una sola mano.
    Con uno smagliante sorriso sulle labbra, segno che il Comandante Rivaul non era riuscito a scoprire nulla di interessante, il proprietario del circo entrò nella locanda e rimase lì per più di un’ora, ma quando uscì non era da solo.
    “Ci siamo” Mamoru si era fatto improvvisamente più attento e aveva osservato gli uomini salire su due carrozze distinte, ma indirizzate entrambe nella stessa direzione. “Cerchiamo di non perderli di vista” disse, muovendosi tutti insieme per lasciarsi inghiottire dall’enorme confusione cittadina che già dal primo mattino aveva invaso le strade di Dhèver.
    Le carrozze filavano abbastanza agilmente al centro della strada sgombra, molto più agilmente di loro, che invece dovevano farsi spazio tra i passanti.
    Uccellino, abbandona la via principale e vedi di seguire quelle carrozze volando” ordinò Mamoru, ma prima che Yuzo potesse separarsi da loro lo afferrò per un braccio, rivolgendogli un’occhiata severa. “E cerca di non farti vedere, va bene? Non attiriamo l’attenzione più del dovuto.”
    “Sissignore” gli sorrise l’Elemento d’Aria scomparendo tra le persone. Mamoru arricciò le labbra in una smorfia per quella sottile presa in giro. Il volante stava diventando troppo ironico per i suoi gusti, ma si redarguì subito per quel continuo dar troppa importanza ai suoi gesti o atteggiamenti; Yuzo finiva sempre con l’occupare una parte dei suoi pensieri e questo non andava bene. Stringendo gli occhi tornò a concentrarsi sulla strada e sulla carrozza che era divenuta un po’ più lontana.
    Al riparo dagli sguardi indiscreti, invece, l’Elemento d’Alastra si era fermato in un vicolo e, indisturbato, era volato fino al tetto di una delle abitazioni. Da quella posizione dominante, aveva una visuale più completa dell’area e poteva seguire i movimenti delle due carrozze. Volando, saltò di tetto in tetto con la leggerezza di una piuma. I due tiri a quattro attraversarono tutta la città e poi presero una strada secondaria che abbandonava la Via Crociata per immergersi nelle campagne. Yuzo si fermò sull’ultimo tetto, appoggiando un ginocchio sulle tegole. Scrutò tra la folla e, dopo qualche minuto, vide i suoi compagni emergere a passo sostenuto.
    Hajime, Mamoru e Teppei si fermarono all’incrocio dell’ultima abitazione oltre la quale si aprivano ampie distese pianeggianti circondate da folti boschetti. La forma concava dei crateri era ancora riconoscibile nel verde che ormai li aveva ricoperti. In quella zona periferica, ma situata più in alto rispetto al resto di Dhèver, si potevano scorgere lontane ville appartenenti, probabilmente, alle persone più in vista della città termale.
    Yuzo planò toccando terra senza fare rumore.
    “Da adesso ci muoveremo nascondendoci nella boscaglia, così saremo al riparo dai loro sguardi” fu la nuova disposizione di Mamoru.
    Gli altri annuirono e insieme ripresero il loro pedinamento.
    Sfruttando la copertura naturalmente offerta da alberi e cespugli e le loro abilità di inseguimento apprese durante gli anni di addestramento nelle scuole, seguirono il percorso delle carrozze senza che nessuno degli occupanti, né tantomeno i cocchieri, si accorgesse di nulla e non ci volle molto per capire dove fossero diretti. Sull’altura che rappresentava il bordo craterico sorgeva un’enorme villa. La dimora di Bala. Non ci si poteva sbagliare, il megalomane aveva fatto incidere il proprio nome nel ferro della cancellata che chiudeva la proprietà.
    Le carrozze vennero accolte all’interno, mentre le pesanti inferriate venivano richiuse alle loro spalle.
    Gli Elementi seguirono il perimetro del cancello che nascondeva la vista con lunghi filari di siepi. Yuzo si levò in volo fino a riuscire a scorgere l’interno.
    “Sono appena scesi dalle carrozze e si stanno dirigendo sul retro” riferì. “Ci sono dei cani che fanno la guardia al giardino.”
    “Ai cani penso io” si offrì Teppei. “Poi vi raggiungerò sul retro.”
    Yuzo individuò il punto migliore affinché potessero scavalcare senza essere visti e misero piede nella proprietà di Bala. Una volta dentro, si separarono.
    Teppei andò a mettere fuori combattimento gli animali da guardia, mentre gli altri tre aggirarono l’intera abitazione per poter raggiungere il commerciante.
    Vi era un’altra ampia costruzione dietro la villa pantagruelica. Era un tendone simile a quelli che si vedevano nel circo, ma di dimensioni più ridotte seppur non piccolissime. Sperduto così in alto e con la mole della casa a coprirlo era praticamente impossibile da scorgere dal centro cittadino.
    “E allora? Spero che abbiate portato tutto il necessario.”
    Bala lo chiese agli uomini ben vestiti che si accompagnavano con lui. Alcuni servitori portavano tre bauli che, a giudicare dalla fatica con cui venivano trasportati, dovevano essere molto pesanti.
    “Oh, suvvia, Bala. Ormai dovresti conoscerci, sai bene che siamo sempre di parola. Non vorrai certo metterti a contare fino all’ultima moneta?” rise un uomo dalla pancia prominente e il folto baffo candido. L’interpellato tenne il gioco, ma si comprese subito che per lui quando si parlava di denaro non c’era nulla da scherzare.
    “Sarei capace, e tu lo sai, Merak. Ti ricordi quella volta che cercasti di fregarmi sul prezzo delle sete? Io ho una buona memoria, che credi!”
    L’altro rise più forte, dandosi una manata sul ventre tondo, mentre anche gli altri mercanti – o forse era meglio dire ‘compratori’, in quel caso – si univano al divertimento di facciata.
    “Tu e Teppei avevate ragione” sibilò Hajime all’indirizzo della Fiamma. “A quanto pare Bala ha davvero un losco giro d’affari.”
    “Speriamo solo di essere arrivati in tempo” Differentemente da Yuzo, che era ottimista per natura, Mamoru non pensava quasi mai in positivo, ma faceva prevalere il suo lato pratico.
    “Lo siamo” Come volevasi dimostrare, il volante era il suo opposto e, per una volta, Mamoru volle credere che avesse ragione.
    Nel frattempo, Garcia aveva aperto l’ingresso del tendone facendosi da parte per permettere agli altri di entrare; lui fu l’ultimo.
    “Che mi sono perso?” il mormorio di Teppei arrivò l’attimo dopo. I cani non erano stati affatto un problema.
    “Non avrai mica fatto loro del male, vero?” si informò Yuzo con le sopracciglia aggrottate e Mamoru ruotò gli occhi, rassegnato.
    “No, sta’ tranquillo. Sono delle bestiole innocue, in fin dei conti.”
    “Piantatela con il vostro spirito animalistico” ironizzò la Fiamma prima di dare disposizioni. “Voi due accerchiate il tendone dal lato sinistro, io e il volante ci occuperemo del destro. Mi raccomando, non fate nulla fino a che non vi daremo noi il segnale attraverso il vento. D’accordo?”
    Hajime e Teppei annuirono e tutti e quattro abbandonarono velocemente il proprio nascondiglio per raggiungere la nuove posizioni.
    Mamoru studiò quella parte di perimetro scorgendo, sulla sommità, una specie di finestrella usata per illuminare l’interno e permettere il ricircolo dell’aria.
    “Perfetto, vediamo di dare un’occhiata” mormorò e Yuzo lo prese alla lettera: senza nemmeno dargli il tempo gli circondò la vita con un braccio e si librò in volo.
    Woh, woh, woh! Chefaichefaichefai?!” s’allarmò la Fiamma, stringendosi al suo collo. “Cazzo, ma almeno avvisami!”
    Yuzo gli rivolse un’occhiata perplessa e innocente. “Eh? E perché? Che ho fatto che non va? Non soffrirai ancora di vertigini, a Sundhara eravamo più in alto…”
    “Sta’ zitto! Non ho detto quello! E tu non puoi capire, maledetto piccione!” s’inalberò Mamoru, arrossendo leggermente; detestava dover ammettere d’aver ancora qualche problema con le altezze, e quindi girò il viso di lato, continuando a borbottare. “Sali piano piano. Grazie.”
    Ma la Fiamma non aveva bisogno di dirle, le cose, o di tentare di camuffarle; per quanto ingenuo, non ci volle molto affinché Yuzo comprendesse i suoi timori nel tenere i piedi lontani dal suolo, così lo accontentò, raggiungendo lentamente la finestra.
    “E comunque non dimenticare che ho promesso che non t’avrei mai fatto cadere” ci tenne però a ricordargli, mentre il contatto con il terreno era ormai stato lasciato indietro.
    Mamoru sbuffò, mugugnando quel: “Sì, sì.”
    -…lo so. -

    Il resto della frase rimase solo pensiero; dirglielo sarebbe stato come fargli credere che si fidasse ciecamente di lui ed era ancora troppo presto. Al momento era fermo sul ‘mi fido’, senza infamia e senza gloria, spassionato, distaccato – più o meno –, solo il tempo avrebbe saputo dire se sarebbe mai arrivato ad avere totale fiducia in quello strano volante, e di tempo ne avevano ancora parecchio da condividere.
    “Eccoci” disse proprio il giovane d’Aria. La finestrella era davanti a loro e non esitarono ad affacciarsi per cercare di carpire almeno una punta di verità in tutta quella faccenda.
    Non gli andò affatto male.
    L’ambiente non era troppo illuminato, ma la luce era sufficiente da permettere di capire cosa celasse al suo interno, ed erano vasche. Vasche di tutte le dimensioni, terrari, gabbie che racchiudevano, alcune in condizioni disperate, miriadi di creature acquatiche. E possedere simili creature, molte delle quali lontanissime dal loro habitat naturale, andava contro la legge. Venderle, poi, era reato punibile con la gattabuia. Ma di questo, Bala sembrava non curarsi affatto; conduceva i suoi traffici in tutta tranquillità, lì, nel suo eremo, in quella proprietà racchiusa da siepi dove nessuno poteva entrare, circondato da guardie del corpo. Tanto, chi mai avrebbe potuto avere la brillante idea di andare ad accusare il proprietario del Circo Acquatico d’essere un trafficante d’animali? Con tutto il denaro che guadagnava attraverso la struttura circense, era inutile pensare che non gli fosse sufficiente, e invece… era proprio così.
    “Hai capito, il bastardo” scandì Mamoru con lentezza. Gli occhi che catturavano e studiavano ogni centimetro dell’interno, facendo un rapido conto di quante creature vi fossero stipate.
    “Ma perché… fare tutto questo? Sono esseri viventi… non oggetti…” Yuzo non sembrava comprendere la malvagità che spesso animava lo spirito degli uomini, troppo abituato alla purezza di ideali e sentimenti con cui era stato cresciuto ad Alastra per poter credere che l’avidità sapesse andare oltre ogni logica.
    Mamoru grugnì. “Non chiedertelo, tanto non esiste un valido motivo. Tutto quello che noi possiamo fare è mettere fine ai suoi affari una volta per tutte.”
    Yuzo osservò, con le sopracciglia aggrottate, il profilo severo del suo compagno di viaggio. Aveva ragione e lo sapeva, quando tornò a scrutare nel tendone i suoi occhi però si illuminarono di sollievo.
    “Eccole! Le sirene! Stanno bene, meno male.”
    La Fiamma si sporse ancora di più notando solo allora la modesta vasca che occupava il centro della struttura. All’interno, un po’ strette, stavano Solei, Tamei e Betei e sembravano illese, anche se a cavallo tra il furente e lo spaventato.
    “Sei un mostro! Un vile verme! Mi fai schifo!” Solei gli stava ringhiando contro, con tutti i capelli arruffati.
    “E’ questo il modo di parlare a tuo padre, piccola insolente? Dopo tutto quello che ho fatto per voi, tsk, bella gratitudine!” rispose Bala, mentre i mercanti accanto a lui se la ridevano.
    Solei si irritò ancora di più, i capelli le si gonfiarono come spugne intrise d’acqua, le unghie divennero artigli, allungandosi a dismisura, e tutto il viso si contrasse in un’espressione spaventosa.
    Padre?! Tu non sei mio padre, porco bavoso!” Poi si fece minacciosa e malevola, mentre distendeva un sorriso terrificante. “Perché non ti avvicini, paparino delle mie pinne, vieni… ti caverò gli occhi e poi ti spezzerò il collo con un colpo di coda!”
    Dietro di lei, Betei cercava di acquietarla. “Solei non provocarlo”
    “Fa’ silenzio!” tuonò Bala e questo la urtò ancora di più.
    “Ma come?! Non ti piace più la mia bella voce?!” Diede fiato a un urlo talmente acuto che gli altri furono costretti a tapparsi le orecchie.
    “Dannazione, Garcia! Fai tacere quel maledetto pesce!”
    La fida guardia del corpo non se lo fece ripetere e, con una cerbottana, narcotizzò la sirena. Solei crollò quasi subito addosso a Betei, ronfando della grossa, mentre Tamei sospirava.
    “Come volevasi dimostrare.”
    Il mercante Merak prese a ridere col vocione pieno. “Un caratterino niente male! Voglio quella! Farà un figurone nella fontana del mio giardino!”
    “Prima però vediamo il denaro” Bala si sfregò avidamente le mani al solo pensiero.
    L’uomo accennò col capo ai due servitori che portarono un grosso forziere fin davanti al proprietario del circo. Quando l’aprì, l’espressione che fece valse più di mille parole.
    Fuori dal tendone, Mamoru inarcò il sopracciglio, pronto a dare battaglia.
    “Fermiamoli” decise infatti e stava quasi per ordinare a Yuzo di lanciare il suo segnale per avvisare anche Hajime e Teppei, quando una voce sconosciuta attirò la loro attenzione.
    “Ehi, voi! Chi siete?! Intrusi!”
    Uno degli scagnozzi di Bala stava a terra, tenendoli sotto tiro con una balestra e il suo starnazzare attirò l’attenzione anche delle persone che restavano al riparo dentro al tendone.
    “Accidenti” ringhiò Mamoru che poteva così dire addio al suo effetto sorpresa. “Dannato guastafeste.”
    Bonjo Garcia uscì dalla struttura individuando le figure in volo e riconoscendovi immediatamente quelli che avevano incrociato al comando della Guardia Cittadina.
    “Uccidili” ordinò senza nemmeno stare a pensarci e lo sgherro non tardò a eseguire, facendo partire il dardo.
    La Fiamma arricciò le labbra minacciosamente, infastidito da tanta insolenza.
    “Non scherzare!” Con una vampata divorò la freccia in un attimo facendola arrivare già sottoforma di cenere nei pressi del suo palmo. “Credi che un misero affare di legno possa farmi qualcosa?! Pivello pieno di spocchia, ti insegno io a provocare un Elemento di Fuoco!” Poi si rivolse a Yuzo: “Rimettimi a terra, volante, e fila al comando delle guardie. Rivolgiti solo ed esclusivamente al Comandante Rivaul, mi hai capito? Digli di venire qui con un nutrito gruppetto di soldati muniti di ceppi: avranno di che ammanettare.”
    “Ma non vuoi che-?”
    “Obbedisci” Il tono tagliente come una lama.
    “Sì, va bene.” Yuzo comprese che non era il caso di fare storie. Svelto planò, mentre il povero servitore di Bala aveva perduto tutta la sicurezza di poco prima nel rendersi conto d’aver a che fare con dei maghi. Nel frattempo, nugoli di uomini stavano accorrendo dalla villa e lo stesso proprietario del circo uscì dal tendone.
    “Ancora voi?! Sapevo che mi avreste portato guai! Me lo sentivo!”
    “Questo non era nei patti, Bala! Non erano previsti degli intrusi!” s'allarmò uno dei mercanti che era la metà, se non un terzo, di Merak, con unti capelli neri e una folta barba scura.
    “Non preoccupatevi, non sono nulla che Garcia non possa eliminare. Torniamo pure nel tendone a pensare ai nostri affari.” Li costrinse seppur lasciandoli ugualmente reticenti. “Bonjo, falli scomparire” fu la sua ultima raccomandazione, prima di chiudersi all’interno della struttura.
    Mamoru era di tutt’altro avviso. Appena toccò terra, creò una sfera infuocata. Yuzo, invece, sfrecciò oltre i contendenti per volare fino in città.
    “Abbattetelo!” Garcia lo ordinò agli uomini che stavano accorrendo. Quelli armati di archi o balestre si misero in posizione per cercare di colpirlo.
    “Non azzardatevi!” ringhiò la Fiamma lanciando la sfera nel mucchio che saltò in aria tra fuoco e grida.
    “Ed era questo il segnale?!” sbottò d’un tratto Teppei, all’altro lato del tendone. Accanto a lui, Hajime era ancora più sconvolto.
    “Credo proprio che ci sia stato un piccolo cambio di programma! Presto, andiamo!”
    Entrambi uscirono allo scoperto per dar manforte a Mamoru. Quest’ultimo stava atterrando, senza nessun problema, chiunque gli capitasse a tiro utilizzando solo le tecniche di karate che Magister Wakashimazu gli aveva insegnato con rigore assoluto.
    “Occupatevi di Bala e del grassone! A questi moscerini penso io!” disse, appena si accorse di loro.
    Teppei non perse tempo. “Bala è tutto tuo, Hajime, lascia a me il gigante.”
    “Ma sei sicuro? Quel tipo è-”
    “Oh, sì” Il tyrano gli rivolse un sorriso a trentadue denti e fece sonoramente schioccare le dita tanto che il Tritone non replicò ma rimase a fissarlo con una certa perplessità. Di lontano, la voce di Mamoru arrivò decisa.
    “Hajime! Abbatti quel maledetto tendone!”
    Il giovane lanciò un’ultima occhiata a Teppei, che si avvicinava lentamente a un agguerrito Garcia, e si mosse. “Va bene!”
    Bonjo si tolse la giacca di cuoio leggero per avere movimenti più liberi; osservò il piccoletto, che gli si era fermato a un passo, guardarlo con espressione di sfida e divertimento. Gli arrivava alla cintola: che sperava di fare quel nanetto? Gli avrebbe fatto capire che mettersi contro di lui non era stata affatto una buona idea. Senza premurarsi di andarci piano, caricò il destro e colpì di schianto il viso di Teppei dall’alto in basso. Il corpo del tyrano non si mosse nemmeno d’un millimetro, mentre il volto si girava seguendo la direzione del pugno. Dopo qualche attimo, tornò a volgersi verso Garcia. Non aveva nemmeno un graffio.
    Bonjo rimase di sale. Finalmente, dai suoi occhi sempre stretti, le iridi vennero fuori, non più protette dalle palpebre.
    “Riprova” invitò l’Elemento di Terra. L’interpellato caricò ancora, con talmente tanta forza da farsi male egli stesso. Ma il risultato non cambiò, il corpo non si mosse, il viso non subì il minimo danno, nemmeno fosse fatto di pietra. Teppei gli rivolse un’espressione compassionevole.
    “E quello sarebbe un pugno?” domandò, sollevando la propria mano destra e stringendo saldamente le dita. Bonjo non perse di vista nessuno dei suoi movimenti, lo vide sorridere e baciarsi le nocche prima di caricare la mazzata.
    Questo è un pugno!”
    Il ‘crack’ delle ossa che andavano in frantumi lo sentirono tutti, non solo il diretto interessato che, per sua fortuna, perse conoscenza immediatamente.
    Teppei parve deluso. “Tutto qui? Che noia.”
    Nell’osservare come il grande e forte Bonjo Garcia fosse stato messo al tappeto in un attimo, tutti gli altri sgherri si fermarono all’istante, Mamoru compreso.
    La Fiamma squadrò il minuto tyrano da capo a piedi. “Ricordami che non devo mai venire alle mani con te, mh?” Infine rivolse un’occhiata di fuoco ai fedeli di Bala. “C’è qualcun altro che vuole fare la stessa fine?”
    Tutti mollarono le proprie armi all’istante sollevando le mani in segno di resa.
    “Molto ragionevoli” approvò. “A che punto sei, Hajime?”
    Alle loro spalle, il Tritone era inginocchiato con i polpastrelli premuti sull’erba. Funi d’acqua richiamate dalla falda sotterranea emergevano dal terreno e correvano lungo le pareti del tendone. Come serpenti liquidi s’erano avvolte alle corde che fissavano il telo al suolo.
    “Ci sono quasi!” Appena fu sicuro d’aver fatto presa su ciascuna di loro, richiamò tutta l’energia che aveva a disposizione, iniziando a tirare. Le mani si sollevarono dal suolo mostrando come l’acqua fosse legata alle dita come i fili d’argento alle zampe d’un ragno. Li fece emergere completamente dalla terra e si alzò in piedi, stringendo i denti. Infine, liberò tutta la sua forza tirando le funi d’acqua che sradicarono quelle di corda dai rispettivi fissaggi. In pochi momenti, l’enorme tendone si ritrovò a oscillare come l’orlo grigio d’un fantasma fino a che non venne tirato via, mettendo a nudo lo scheletro metallico.
    Solo in quel momento, Hajime interruppe il suo incantesimo e lasciò il tessuto libero di accasciarsi al suolo. Incrociò le braccia al petto con soddisfazione e venne affiancato da un lato da Mamoru e dall’altro da Teppei.
    Trovandosi improvvisamente sotto al cielo e non più al riparo, Bala e i mercanti presero a urlare in preda al panico.
    Garcia! Garcia!” Il proprietario del circo che arraffò quante più monete possibili e si lanciò fuori. Lui e i suoi compari si arrestarono d’improvviso quando trovarono Acqua, Terra e Fuoco ad attenderli, perfettamente incolumi e con un ironico sorriso sulle labbra.
    “Andiamo da qualche parte, Bala?” esordì il Tritone e l’interpellato cadde a terra di schianto, in un tintinnare scoordinato di monete d’oro.
    Quando Yuzo arrivò assieme a Rivaul e ai soldati della Guardia, i tre stavano piacevolmente chiacchierando con Tamei e Betei, mentre Solei era ancora immersa nel suo sonnellino indotto dal sedativo. Bala e soci erano legati a una delle travi della struttura del tendone e Garcia era ancora svenuto. Gli altri uomini al servizio del trafficante, invece, restavano buoni buoni seduti in un angolino senza fare storie.

     


    [1]TSUYOSHI ODA: sfiga!pg in Captain Tsubasa. Ha giocato come centrocampisca nella Nankatsu durante il campionato delle medie ed elementari. (Tsuyoshi: *clicca*)

    [2]KOJI NISHIO: altro sfiga!pg in Captain Tsubasa (XD gli sfigati mi ownano, lo sapete). Ha giocato come difensore nella Nankatsu durante il campionato delle scuole medie ed elementari. (Nishio: *clicca*)




    …Il Giardino Elementale…

    I nostri eroi non potevano assolutamente lasciare libero un tipo come Bala che, appunto, si è mostrato per il verme che è! XD Povero personaggio, nemmeno in questa fic trova la redenzione! XDDDD
    Parlando da autrice, una delle cose che più mi sono piaciute di questo capitolo: è stato Teppei! XDDD Ridevo da sola mentre scrivevo come accoppava l'enorme Garcia! XDDD E' abituato a spaccare pietre con le mani, lui, Garcia gli fa un baffo!
    Ormai ci avviamo alla conclusione di questa piccola avventura, la prossima sarà l'ultima parte prima che i nostri eroi si rimettano in viaggio e... X3 credo che vi lascerò con taaaaanti interrogativi!
    Ringrazio di cuore chi continua a seguire questa storia! :D
    Anche per questo capitolo è tutto, ci rileggiamo al prossimo! :D


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 15
    *** 6 - Il Circo Acquatico - parte V ***


    Documento senza titolo

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 6: Il Circo Acquatico (parte V)

    Dhèver – Regno degli Ozora, Terre Centrali

    “Vi avevo detto di informarmi, se scoprivate qualcosa, non di fare tutto da soli.”
    L’ufficiale inarcò un sopracciglio, ma sul viso, solitamente severo e impassibile, comparve una sorta di sorriso accennato. Dopo aver messo in ceppi tutti gli uomini di Bala, il trafficante stesso e gli altri mercanti, li avevano condotti in città, sotto gli sguardi incuriositi dei cittadini che non poterono fare a meno di sghignazzare e poi di esultare palesemente nello scoprire che Bala stava per essere rinchiuso in gattabuia per il resto dei suoi giorni.
    Ora si trovavano nell’ufficio di Rivaul al comando della Guardia Cittadina.
    “Beh, Comandante Rivaul, che dirvi: è capitato tutto così… per caso” ironizzò Mamoru, stringendosi nelle spalle.
    “Sì, proprio per caso.” L’uomo scosse il capo e diede immediatamente disposizione che Koshi Kanda fosse rilasciato.
    “Che ne sarà del Circo Acquatico, ora che Bala ne ha perso la proprietà?” domandò Teppei un po’ preoccupato.
    Rivaul non si scompose, ma continuò a comporre il documento che aveva sotto mano. “Il circo diventa un bene cittadino, sarà il Doge a gestirlo, cosa che non gli dispiacerà, ma ovviamente non potrà fare tutto da solo. Gli uomini e le donne che se ne sono presi cura fino a questo momento non perderanno le proprie mansioni, così come Koshi Kanda e Rika Ozawa che, per la loro dedizione, resteranno i custodi della struttura, facendo le veci del Doge.” Con eleganza apportò la propria firma sul foglio dalla carta ingiallita. Prese il bastoncino di ceralacca e ne sciolse un paio di gocce sulla pergamena. Con forza, vi impresse il sigillo dogale del Doge di Dhèver, la arrotolò e la legò con un sottile filo di spago.
    Rivaul consegnò la pergamena a Kanda, appena questi fece il suo ingresso all’interno dell’ufficio, spiegandogli che, adesso, il circo non aveva più nulla di cui preoccuparsi.

    “E anche questa è fatta!” esultò Teppei una volta che misero piede fuori dall’edificio. La folla di Dhèver, che si era riunita attorno al comando della Guardia Cittadina, aveva cominciato a diradarsi già da un po’, ma il via vai, ora che s’approssimava il tramonto, era divenuto molto più intenso di quanto non fosse stato prima. La gente rientrava da una giornata trascorsa alle terme o in giro per le fiere, e il centro si riempiva di famiglie e turisti che andavano a prepararsi per la cena e per l’uscita successiva. Il Circo Acquatico, nonostante lo scossone subito, non sarebbe rimasto chiuso, quella sera, ma avrebbe continuato a deliziare la vita degli abitanti e degli ospiti con i suoi spettacoli e le sue creature. Ogni cosa continuava, scorreva, come l’acqua, e nulla avrebbe bloccato il loro tempo né trafficanti affamati di soldi né l’odore della Guerra che proveniva dal Nord. Al momento, perché non c’era nient’altro che avessero potuto fare, tutti, in quella città, avrebbero continuato a vivere come sempre.
    Mamoru non si lasciò sfuggire l’occasione per mettere in mostra la sua vena ironica. “Udite, udite. Il Bene vince sempre. Che bello” ridacchiò.
    “E smettila di essere così cinico! Uffa!” Il tyrano girò il viso di lato.
    “Almeno questa volta non ci sono state premonizioni principesche.”
    “Premonizioni Principesche?” fece eco Kanda, più arretrato e affiancato da Hajime e Yuzo. Il Tritone agitò una mano con poca importanza.
    “Oh, niente. Sembra che il Principe abbia previsto il nostro arrivo almeno in un paio di occasioni, quelle nelle quali abbiamo avuto qualche problema. Teppei dice che è merito della Chiave Elementale, Mamoru pensa che la Chiave Elementale non esista. Discorsi filosofici.”
    L’altro si passò una mano sotto al mento con fare pensieroso, mentre la Fiamma riprendeva la parola con piglio vittorioso.
    “Beh, ciò che è avvenuto oggi dimostra quello che ho sempre detto io: e cioè che si è trattato di coincidenze!”
    “Veramente… ora che mi ci fate pensare, il Principe ha tenuto un discorso prima dello spettacolo.”
    Mamoru fulminò Kanda con un’occhiata truce, ma questi nemmeno se ne accorse. Teppei, dal canto suo, divenne tutt’orecchi.
    “E che ha detto?!”
    “Mah, non è che sia stato tanto a sentirlo. Senza offesa, ma il Principe Ozora mi sta sulle palle con tutto il suo buonismo e il non arrendersi mai e il combattere e tutta quell’altra serie di ovvietà che dice sempre. Però! Ricordo che aveva sbrodolato frasi su tempi migliori, fiducia e… ah! Ecco! Futuro di libertà” annuì Kanda con vigore. “A conti fatti, e con tutto quello che è successo, cazzo se è stato profetico!”
    “A-ah! Lo sapevo!” sbottò Teppei pungolando fastidiosamente la spalla di Mamoru con l’indice. “Te l’avevo detto! Te l’avevo detto! Hai visto?! La tua teoria è una bufala!”
    La Fiamma si volse con l’intenzione di divorargli il dito molesto con tutta la mano. “Sta’ zitto tu! Sono solo coincidenze, e nient’altro! Se avesse davvero saputo come sarebbero andate le cose, avrebbe avvertito Rivaul dei traffici di Bala!”
    Il tyrano incrociò le braccia, assumendo un’espressione sostenuta. “Ti ricordo che quando eravamo a Sundhara è stato mooooolto preciso o devo rammentarti le parole di Shingo Aoi? Ti rode essere nel torto, ammettilo!”
    “Rodere?!” Il tono di Mamoru s’era pericolosamente elevato oltre i livelli di guardia, ciò stava a significare che, come un vulcano, era in procinto di eruttare. “Te lo do io il ‘rodere’, Teppei! Lascia che ti metta le mani addosso!”
    L’Elemento di Terra schivò il pugno iniziando a correre tra la folla, mentre l’altro gli teneva dietro sbraitando senza sosta.
    Yuzo si girò, preoccupato, verso Kanda e Hajime che osservavano i due: il primo con espressione perplessa e il secondo rassegnata. Giunse le mani davanti a sé e fece un piccolo inchino. “Scusate, ma vado a evitare che se le diano in pieno centro.” In un attimo gli stava già correndo dietro.
    Rimasti soli, Kanda si passò una mano nella folta capigliatura riccia, abbozzando un sorriso.
    “Oh, mamma. Certo che siete un gruppo veramente… vario. Per non dire qualcosa di peggio.”
    “Sì, decisamente” sospirò il Tritone.
    “Senti, squamato” Koshi affondò le mani nelle tasche e strinse le spalle; lo sguardo era rivolto alla pavimentazione della strada. “Non sono bravo in queste cose, anche perché non ne ho mai avuto il bisogno perché me la sono sempre cavato da solo, quindi, vediamo di farla breve, e inoltre sarà la prima e l’ultima volta che lo sentirai da me.” Si volse, stavolta osservandolo con un sorriso sincero sull’espressione più distesa, ma sempre supponente e arrogante. “Grazie. Per avermi aiutato, per aver liberato l’intera Dhèver dall’ingombrante presenza di Bala e per esser stato vicino alla mia famiglia. Se non ci foste stati voi, adesso io sarei ancora dietro le sbarre, mentre il circo non si sarebbe più liberato di quella viscida sanguisuga.”
    Hajime scosse il capo. “Figurati, nessun problema. E sappi che non ti ho aiutato solo perché siamo stati compagni di scuola.”
    Tsk, vorrei ben vedere. Non ne avresti avuto alcun motivo, visto che me ne sono andato.”
    “Questo non cambia le cose, Koshi” continuò il Tritone con serietà. “Anche se hai lasciato la scuola, resterai ugualmente un mio fratello d’Acqua. ‘Mai uguale’, recita il nostro motto, ‘ma sempre unita’ e anche se noi abbiamo intrapreso strade diverse, la cosa non cambia.”
    Kanda inspirò a fondo, incrociando le braccia al petto. Sul viso una finta espressione infastidita. “Vedi di piantarla di fare il romantico e pensiamo alle cose serie, squamato.”
    “E sarebbero?”
    “La vuoi fare questa Danza Acquatica o no?”
    Hajime drizzò la schiena e lo guardò con occhi sgranati. “Eh?!”
    “Faresti contenta Betei, che ci teneva tanto, e poi sarebbe una buona pubblicità per il circo. Tanto non credo che ripartirete adesso, la sera è ormai prossima.”
    “Beh, effettivamente… ma dovrei prima parlarne con Mamoru, è sempre lui il responsabile della missione.”
    “Sì, certo…” ridacchiò Kanda indicando davanti a loro. Nel mezzo della folla, la Fiamma di Fyar continuava a inseguire uno svelto Teppei che non smetteva di provocarlo. A chiudere la fila, un disperato volante inseguiva tutti e due. “…se riesci a fermarlo.”
    Hajime si portò una mano alla fronte. “Io non sopravviverò a tutto questo, lo so, me lo sento. Povero me.”

    Il tendone principale del Circo Acquatico di Dhèver era gremito in ogni ordine di posti. La notizia che un Elemento d’Acqua si sarebbe esibito aveva fatto il giro della città, attirando anche la curiosità dei visitatori che si recavano alle terme.
    Oggettivamente era qualcosa di molto raro. Di solito gli Elementi non si esibivano mai fuori dalle Scuole – tranne in caso di manifestazioni reali nella Capitale Raskal –, rendendo i loro spettacoli a esclusivo appannaggio della classe elementale e lasciando che aloni di meraviglia e mistero avvolgessero le loro capacità artistiche, grazie ai racconti dei pochi fortunati che riuscivano ad assistervi.
    La notizia che un Elemento di Agadir, noti per le loro meravigliose danze, avrebbe animato una serata lontano dalla scuola o la capitale era stata vista da tutti come una grande occasione per verificare ciò che si sapeva solo per sentito dire.
    Cambiando posizione sul suo sedile, a qualche fila di distanza dalla prima, Mamoru lanciò un’occhiata complessiva all’interno del tendone, inarcando un sopracciglio.
    “Ma quanta gente c’è?”
    “Magari noi siamo abituati, ma a loro non capita certo tutti i giorni di vedere una Danza Acquatica” spiegò Yuzo, seduto tra la Fiamma e Teppei per evitare che riprendessero a battibeccare. Il tyrano si sporse, pieno di entusiasmo.
    “Io ho visto già altre volte le danze dei Tritoni, ma non sto più nella pelle! Non ho mai visto ballare Hajime.”
    “Capirai, cosa vuoi che cambi?” borbottò Mamoru con il viso sprofondato nella mano e il piglio annoiato. Yuzo gli mollò una gomitata e lo fulminò con un’occhiataccia traversa. Lui sbuffò, assumendo un atteggiamento più conciliante ed entusiasta.
    L’Elemento di Terra lo ignorò a piè pari, troppo preso dall’ansia e dalla trepidazione per prestargli ascolto.
    “Io, invece, non ho mai sentito cantare una sirena” esordì il volante. Teppei annuì con vigore.
    “Nemmeno io; dicono che siano dotate di voci bellissime, ma credo che nessuno possa eguagliare la Voce Regina.”
    “Assolutamente d’accordo” appoggiò Yuzo, mentre Mamoru li fissava come se stessero parlando in una lingua sconosciuta.
    “Che diavolo sarebbe la ‘Voce Regina’?”
    I suoi compagni si zittirono all’istante, rimanendo immobili. Poi, lentamente, si volsero a guardarlo come se avesse appena bestemmiato tutte le quattro Dee in un colpo solo: gli occhi sgranati e le sopracciglia saettanti verso l’alto.
    Mamoru arrossì, ma per sua fortuna nessuno se ne accorse a causa della penombra regnante nella sala.
    “Che avete da fissarmi in quel modo? Che ho detto?!”
    “Vuoi dire che tu”, scandì adagio Teppei, “non hai mai sentito parlare di Magister El Cid(1), detto la ‘Voce Regina’? Il cantore dotato della voce più bella di tutto Elementia?”
    L'interpellato si passò pensosamente una mano sul mento. “Magister El Cid… è un volante, vero?”
    Sì!” sbottarono in coro, sconvolti.
    La Fiamma fece spallucce. “L’avrò sentito nominare”
    “Ma… che noi di Alastra siamo cultori del canto e della musica lo sai, vero?”
    “Sì… per sentito dire.”
    Teppei si sporse ancora di più dal suo posto, salendo quasi in braccio al volante. “Ma come sarebbe? Non hai mai assistito a una manifestazione inter-scolastica?! Si esibiscono sempre esponenti di tutte e quattro le scuole e se hai visto i Tritoni danzare, non puoi non sapere che gli Elementi di Aria suonano e cantano: sono loro che accompagnano i balli dei Tritoni!”
    La Fiamma di Fyar parve realmente sorpresa. “Davvero?”
    Yuzo sprofondò il viso in una mano, scuotendo il capo, mentre il tyrano tornava a sedersi composto, non riuscendo crederci.
    Sentendosi terribilmente ignorante, Mamoru si stizzì e incrociò le braccia al petto, assumendo un’espressione torva. “Piantatela di sfottere! I canti e i balli non rientrano nei miei interessi.”
    “Ma non puoi non saperlo!”
    “Non è colpa mia, Teppei, se mi addormento appena parte la musica!”
    Yuzo fece riemergere gli occhi nocciola da dietro la mano. “Quindi… tutte le volte che i miei fratelli d’Aria si esibiscono… tu dormi?”
    “Beh… ecco…” girò il viso di lato per stemperare l’imbarazzo. “Non prendertela con me se siete soporiferi.” Il piede seguitava a tamburellare al suolo con nervosismo perché odiava sentirsi additato come un eretico. “E smettetela di fissarmi!”
    Teppei alzò le mani, rinunciando a quella battaglia persa in partenza, e preferì tornare a osservare il palco in attesa dell’inizio dello spettacolo. Yuzo, invece, dopo lo sconcerto iniziale, cercò di non ridere, ma non si lasciò sfuggire l’occasione per pungolarlo. Piano, si sporse verso di lui, abbassando il tono.
    “Almeno ti conciliamo il sonno, lo vedi che non siamo poi così inutili?”
    Mamoru ruotò gli occhi con noia, senza replicare, sul momento, ma non era disposto a lasciargli l’ultima parola. Si volse con un sorrisetto beffardo, osservando il suo profilo.
    “E quindi, volante, canticchi e strimpelli, mh?”
    “Sì, ce lo insegnano a scuola.”
    “Che bravo” ironizzò, con l’eco leggera di quella nenia a fior di labbra che sussurrava al suo orecchio. “Sei proprio un uccellino. E cosa suoni?”
    “Strumenti a corda.”
    Il sorrisetto si tese ancora di più. “Buono a sapersi, così quando non riuscirò a dormire mi farai da sonnifero” ridacchiò, ma stavolta non aveva calcolato bene il tiro.
    “Ma certo, conosco svariate ninne nanne. Con Mayleen hanno funzionato. Quando vuoi.”
    La Fiamma arrossì fino alla punta delle orecchie nel suo balzare sulla sedia pronto per inveire nella maniera più acida possibile, ma proprio in quel momento le luci si abbassarono del tutto e Teppei lo zittì ben prima che potesse dire alcunché, elettrico come un’anguilla.
    “Finalmente si comincia!”
    Mamoru fu costretto a mettere da parte i suoi propositi di vendetta, assumendo una postura più composta, ma non rinunciò a borbottare un basso: “Dopo facciamo i conti, noi due”
    “Beh, perché ti arrabbi? Hai proposto tu che ti cantassi qualcosa per conciliarti il sonno e le ninne nanne sono l’ideale.”
    Mamoru fissò, con occhi ardenti di fiamma, il sorriso sulle sue labbra quasi avesse potuto carbonizzarlo solo con lo sguardo. “Ti detesto, maledetto volante.”
    Nel brusio di curiosità generale che andava lentamente scemando, dall’alto del tendone venne calata un’enorme vasca piena d’acqua limpidissima che animò di rinnovato stupore il borbottio degli spettatori. Le torce sulla pedana e quelle ai lati della vasca stessa la illuminavano in maniera completa e subito lo sguardo di tutti si puntò prima sulle sirene, sedute sul bordo della struttura, e poi sull’Elemento di Agadir al centro della piscina. Indossava l’abito tradizionale della sua scuola, legato in forma di pantalone, mentre il dorso era nudo. Restava in piedi sul pelo dell’acqua, quasi ci fosse stata una lastra rigida a separarlo dal liquido. Lo stupore aumentò tra gli spettatori che si chiedevano come facesse e quale meraviglia fosse la magia elementale. Poi, Betei si separò dalle sue sorelle, immergendosi completamente nella vasca e stringendo un lungo velo che si muoveva sinuosamente assieme a lei. Si fermò proprio sotto la figura di Hajime in una posizione speculare e capovolta rispetto quella dell’Elemento.
    Un ultimo attimo di silenzio, in cui il mormorio finalmente cessò del tutto, e poi le dita di Tamei presero a scorrere leggere sulle tre arpe che lei e Betei solitamente suonavano in coppia. Si diffuse una delicata melodia che raggiunse anche i più remoti e lontani angoli del tendone, avvolgendo dolcemente ogni singolo spettatore.
    Ma fu quando Solei iniziò a cantare che l’Elemento e la sirena diedero vita alla danza. Una sincronia che aveva a dir poco dell’incredibile per loro che non avevano mai provato insieme. I movimenti di Hajime e Betei erano perfetti e sembravano omogenei e fluidi come se loro fossero stati acqua.
    La sirena piroettò sotto la superficie, con la coda che si fletteva sinuosamente e il velo che le volava attorno. Fuori dall’acqua, Hajime compiva movimenti speculari, distendendo con grazia ed eleganza le braccia, le gambe e tutto il corpo in un’ipnotica armonia; poi richiamò i suoi poteri e una lingua d’acqua si separò dalla superficie per oscillare attorno a lui esattamente come la stola della sirena. Scivolava sul torace nudo con sensualità senza bagnargli la pelle, ma carezzandola con leggerezza fino a che non tornò a essere parte della massa liquida, in silenzio e senza increspare la superficie.
    Hajime sciolse il kiro che tornò gonna. Ad ogni movimento si sollevava e avvolgeva attorno alle sue gambe, alzando piccole gocce d’acqua.
    Il pubblico era ammutolito dalle quelle movenze leggere e flessuose; dalle gambe, i cui contorni erano appena accennati sotto la stoffa dell’abito, dalle braccia che sembravano tentacoli d’acqua per la fluidità del loro flettersi, dal torace asciutto e dalla muscolatura perfetta che si piegava con agilità ed eleganza.
    “Stupefacente” decretò Yuzo, pensando a voce alta, e Mamoru, per una volta tanto, non ebbe nulla da replicare, anzi, si trovò d’accordo con lui; continuò a osservare l’esibizione con espressione soddisfatta.
    Teppei, invece, non aveva più neanche i pensieri. Gli occhi, carichi di meraviglia, erano inchiodati sul suo migliore amico, mentre la bocca rimaneva leggermente aperta. Non aveva mai immaginato che Hajime potesse essere così bravo. Cioè, era sempre stato sicuro al cento per cento che fosse fantastico, ma non credeva che fosse così… così… ipnotico, quasi. Delicato e armonioso, flessuoso come un giunco, e lui aveva visto moltissime volte i Tritoni danzare, ma nessuno, nemmeno l’Aquila di Mare, era mai riuscito a catturarlo così, a fare in modo che i suoi occhi non lo perdessero mai di vista neppure per un solo istante, danzando con lui sulle note pizzicate da Tamei e il dolce canto di Solei. Ma fu quando Betei abbandonò il ballo, dopo un’ultima piroetta, che lo spettacolo raggiunse il suo culmine e il pubblico poté finalmente ammirare ciò che un Tritone solitamente non mostrava a chi non era Elemento. Si trattava de La Divina, la massima tecnica di Danza Acquatica, quella con cui, si narrava secondo il mito, la Dea Yoshiko allietava le Dee sue sorelle nella loro eternità.
    Rimasto solo al centro della vasca, Hajime si lasciò inghiottire dall’acqua avvitandosi su sé stesso senza che si levasse il minimo spruzzo. Sotto la superficie e completamente avvolto dal liquido, il kiro si allargò, fluttuando in lente onde che scoprirono le gambe fino al ginocchio. Hajime le tenne unite con le punte dei piedi rivolte verso il basso, mentre le braccia erano abbandonate all’interno dell’acqua.
    Con stupore e curiosità, gli spettatori osservarono le gambe tramutarsi lentamente nella coda che era valsa agli Elementi d’Acqua l’appellativo di Tritoni; le squame le ricoprirono, mentre i piedi mutavano in pinne. Le branchie sul collo diedero ad Hajime la possibilità di respirare pur senza aria. E Teppei continuò a fissarlo estasiato, per quanto non fosse una novità, per lui, la sua mutazione. Eppure, appena riprese a danzare, gli sembrò di vederlo per la prima volta ed era impossibile non rimanere affascinati da ogni suo movimento. La gonna ruotava alle piroette, gonfiandosi e spandendosi completamente nel liquido cristallino. La coda si fletteva elegante, seguendo il movimento delle braccia e il torace. Hajime nuotò per tutta l’estensione della vasca, caricando la superficie con un colpo di reni, emergendo con un balzo e disegnando un arco nel suo volteggiare. Attorno a lui, spire di acqua accompagnarono l’emersione tra i gridolini entusiasti e gli applausi del pubblico.
    Di nuovo in acqua, Hajime si liberò del kiro, mentre l’Elemento a cui si era consacrato prendeva ad agitarsi e incresparsi attorno alla sua figura. Sulla superficie si innalzarono sbuffi inquieti e spruzzi che si fondevano e scomparivano in nuove onde e Hajime venne avvolto da una strana corrente centrifuga, simile a un gorgo, all’interno del quale scomparve alla vista degli astanti. Un brusio incuriosito si levò da ogni parte del tendone, mentre Teppei si sporgeva dalla sua posizione per cercare di vedere meglio e riuscire a scorgere l'amico tra i flutti. Una espressione preoccupata gli attraversò fugacemente il viso per poi dissolversi di colpo quando il piccolo turbine acquatico emerse in superficie, simile allo spruzzo di una balena, lasciando che Hajime comparisse come la perla dalla conchiglia. La sorpresa cavalcò le fila dei presenti con un meravigliato: “Oh.”
    I capelli, lucidi e neri, restavano bagnati e incollati al viso ai lati del quale le orecchie erano mutate assumendo una strana membrana che le rendeva simili a delle piccole pinne. La coda, ben più lunga di prima, aveva squame che riverberavano come la madreperla e le punte della caudale erano lunghissime e sottili. Grazie alla purezza dell’acqua della piscina, l’intero suo corpo assunse un tenue colorito verde che sfumava in argento e brillava sotto le luci posizionate attorno a lui.
    Poi, lo spruzzo d’acqua si abbassò, lasciando che si immergesse nuovamente e seguitasse a danzare nella sua forma completa che lo vedeva Tritone a tutti gli effetti. Ancora più elegante e sinuoso, ancora più ipnotico agli occhi di Teppei che si fecero enormi per riempirsi totalmente della sua figura. E mentre l’osservava, un ricordo perduto della loro infanzia apparve e scomparve alla sua memoria.

    «A me piace il verde, Hajime! Zio Shiro, anche Hajime avrà una coda lunga e luccicante come la tua?»
    «Certo, Teppei.»
    «Wow! Hai sentito? Diventerai bellissimo come il tuo papà!»
    «Bellissimo? Ma se ho i denti a coniglio!»
    «E allora? A me piacciono anche quelli! Voglio vederti con la coda verde!»
    (2)

    E bellissimo lo era diventato davvero, proprio come lo zio Shiro. Proprio come lui era sempre stato convinto.
    Lentamente, un luminoso sorriso gli distese le labbra addolcendogli l’espressione carica d’affetto e senza nemmeno rendersene conto si commosse per l’emozione.
    Al suo fianco, però, la lacrima solitaria che gli carezzò la guancia non sfuggì all’Elemento d’Aria che sorrise. Discretamente, pungolò il gomito di Mamoru per attirarsiil suo sguardo interrogativo. Col capo accennò in direzione di Teppei e la Fiamma si sporse, assumendo un ghignetto ironico, ma per nulla beffardo, mentre scuoteva il capo e tornava a osservare lo spettacolo d’Acqua che aveva riempito, con la sua delicata magia, l’intero tendone.
    Fermi dietro le quinte, Koshi, Rika e la piccola Mayleen osservarono sorridenti la meravigliosa esibizione che Hajime stava offrendo al pubblico di Dhèver.
    Mh, toglimi una curiosità, tesoro.”
    Kanda ruotò gli occhi al cielo a quell’affermazione e al tono insinuante che aveva usato. “Che c’è?” sospirò.
    “Ma lo sai fare anche tu?” Col capo, Rika indicò la mutazione del suo compagno di giochi di quando era bambina.
    “Certo che sì. Anche se non proprio così bene.”
    La consorte gli carezzò maliziosamente il braccio con l’indice, assumendo una sorniona espressione. “Ah, sì? Perché non me la mostri più tardi?”
    Kanda avvampò fino alla punta dei capelli. “Non davanti alla bambina!” protestò, turando le orecchie della piccola Mayleen, ma Rika si limitò a ridacchiare del suo imbarazzo.
    La bambina batteva felicemente le mani.
    Accà! Accà!”

    Riuscirono a raggiungere il tendone dove riposavano le creature solo quando la maggior parte del pubblico aveva ormai abbandonato la struttura. Tra la folla e la calca alla fine dello spettacolo, Teppei, Yuzo e Mamoru erano riusciti a guadagnare l’esterno dopo più di mezz’ora e anche arrivare agli altri tendoni non era stato affatto facile, ma furono contenti di vedere che, nonostante i problemi causati da Bala prima e dopo il suo arresto, il circo non avesse subito cali nell’affluenza. Anzi.
    Il primo a correre per congratularsi con Hajime, appena lo videro in piedi accanto alla vasca delle sirene assieme ai custodi, fu Teppei che stava fremendo da che lo spettacolo era finito.
    Il Tritone se lo vide piombare addosso come una valanga senza avere la giusta prontezza per evitare d'essere travolto. L’attimo dopo, il tyrano lo stava stritolando in un abbraccio degno d’un boa.
    “HajimeHajimeHajime! Sei stato fantastico! No, di più! Sei stato magnifico! No, ancora di più! Sei stato fantasmagoricostupendomeraviglioso!” sbrodolò a raffica l’Elemento di Terra e lui lanciò un’occhiata rassegnata a Yuzo e Mamoru che cercarono di non ridere.
    “Un semplice ‘bravo’ era sufficiente” gli fece notare il Tritone, ma l’altro scosse il capo con vigore smuovendo l’intricata massa di riccioli e rafforzando la stretta. “Teppei, così mi stritoli!”
    “Bravo è troppo poco! Bravissimo!”
    “Sì, quello che vuoi, ma ti spiacerebbe non uccidermi?!”
    Rika ridacchiò divertita. “Credo gli sia piaciuto il tuo spettacolo.”
    “Eh, lo vedo!” ironizzò Hajime ridendo anche lui, prima che l’altro si decidesse a mollare la presa e lo guardasse con occhi luccicanti.
    “Mi è piaciuto tantissimo! Sapevo che saresti diventato come lo zio!”
    “Non esagerare” arrossì il giovane, imbarazzato.
    “Non esagero affatto! La tua coda era bellissima e aveva quelle squame così luccicanti!” Teppei era estasiato. “Posso averne una? Ti prego!”
    “Cosa vuoi tu?!” fece eco Hajime, ancora più rosso. “Scordatelo!”
    “Perché no?”
    “Perché fa male, Teppei! È come se ti strappassero un pezzo di pelle!” gli spiegò, incrociando le braccia al petto e l’Elemento di Terra assunse un’espressione che era un misto tra dispiacere e delusione.
    “Oh, che peccato. Mi sarebbe piaciuto così tanto…”
    Kanda non perse l’occasione. “Vedila così: almeno non puzzerai di pesce.”
    “Noi non puzziamo, dovresti saperlo. O forse tu non eri poi tanto pulito…”
    Koshi ringhiò. “Cos’hai detto, DentiSplendenti?!”
    Rika gli tirò un orecchio. “Piantala e ricorda che devi tantissimo a questo DentiSplendenti. Non devo certo dirtelo io, vero?”
    Hajime sorrise con furbizia. “Già. Ringraziami, Koshi.”
    “T’ho già ringraziato, non allargarti!”
    “A proposito di ringraziamenti e meriti. Noi non ci meritiamo niente, noi?” Teppei rivolse un'occhiata sottile a Mamoru, mentre le lunghe ciglia venivano sbattute con fare civettuolo. “Che so, un piccolo premio, magari? In fondo, siamo stati bravi e abbiamo fatto la nostra buona azione quotidiana. Magari una capatina alle terme…”
    La Fiamma incrociò le braccia al petto, assottigliando lo sguardo a sua volta. “Non incominciare, Teppei, non siamo in vacanza, quante volte devo dirtelo?”
    “Oh, eddai!” sbuffò il tyrano. “Non vorrai mica partire a quest’ora, no? E allora perché non approfittarne?”
    A dargli manforte intervenne Solei che, appoggiata al bordo della piscina, s’unì al suo sbatter di ciglia. “Suvvia, belloccio, non essere antipatico. Accontenta il riccino, te lo chiede una signora” In ultimo, gli lanciò anche un bacio volante.
    “Sentito?” annuì Teppei con vigore, mentre Mamoru era diventato paonazzo e indietreggiava meccanicamente.
    “Beh… se lo chiede una signora…”
    “Evviva!” esultò l’Elemento di Terra, prendendo le mani di Solei e saltellando pieno di entusiasmo come fosse stato un bambino. “Grazie, Sol!”
    “Però domani si riparte, eh!” Ci tenne a sottolineare la Fiamma, con una certa acidità, ma Teppei non lo ascoltava nemmeno più; nella sua testa era già immerso nelle calde acque termali.
    Yuzo gli si avvicinò con espressione divertita. “Complimenti, hai fatto colpo.”
    “Non ti ci mettere pure tu, volante!” Lo fulminò Mamoru con un’occhiataccia traversa

    Il vapore caldo dell'acqua creava come una cortina di nebbia sottile attorno a loro che erano praticamente gli unici presenti in tutte le terme. Il gestore aveva offerto un trattamento particolare ai quattro Elementi, permettendo loro di usufruire delle sorgenti anche oltre l’orario di chiusura. Era un suo gesto di riconoscimento per aver liberato Dhèver e il suo circo da quello schiavista di Bala. Loro, ovviamente, avevano accettato con entusiasmo, o meglio: Teppei aveva accettato a nome di tutti correndo negli spogliatoi per potersi cambiare e gettarsi finalmente nel caldo abbraccio, a lungo desiderato, dell’acqua sulfurea. Hajime e Mamoru avevano capitolato con un sospiro di fronte alla sua frenesia, mentre Yuzo aveva sorriso.
    Ora, i quattro restavano placidamente immersi nella fonte di foggia pressappoco circolare a godersi il meritato riposo, prima di ripartire.
    “Oddea, se ne valeva la pena” esalò Teppei in preda a un’estasi mistica. “Ora capisco perché la città è sempre così affollata: queste terme sono fantastiche. E tu che non volevi nemmeno provarle.” Lanciò un’occhiata trionfante a Mamoru che, con le braccia distese lungo la roccia, restava con la schiena appoggiata al bordo e il capo reclinato all’indietro.
    Mmmh” fu tutto ciò che rispose.
    Yuzo, accanto a lui, sembrava davvero entusiasta di quel luogo che non aveva mai visto in vita sua perché ad Alastra non era possibile avere terme, mentre Hajime non ci trovava nulla di esaltante poiché abituato a restare a lungo in acqua, ma, anzi, non pareva tollerare molto l’alta temperatura.
    “Da noi non ce ne sono” riprese Teppei. “Ed è un vero peccato, col freddo che fa a Tyran sarebbe stupendo scaldarsi in questo modo a fine giornata.”
    “Nemmeno ad Alastra ci sono, per i motivi che potete ben immaginare. Avevo sentito parlare delle terme solo nei libri.” Yuzo spiegò il suo punto di vista che a Mamoru appariva sempre un po’ fuori dal mondo. Forse per questo aveva deciso di prenderlo come sua vittima sacrificale: erano così diversi.
    “Che scuola di secchioni” borbottò, ricevendo un’occhiata ironica da parte del volante.
    “Per me è decisamente troppo calda quest’acqua” sentenziò Hajime. “E non riesco a restarvi immerso a lungo.”
    Teppei convenne con espressione pensierosa. “E’ vero, i pesci non vivono nelle terme.”
    Mamoru si rilassò ancora di più, ruotando il capo in direzione del Tritone e rilasciando un soddisfatto sospiro. “Peggio per loro, non sanno cosa si perdono”
    Fu in quel momento, nello sporgersi per riuscire a inquadrare l’Elemento di Acqua che qualcosa attirò la sua attenzione. Inarcò un sopracciglio, allungando una mano verso la nuca di Yuzo.
    “Ma… cos’hai qui?” disse. Il volante si ritrasse leggermente sistemando l’asciugamano che aveva attorno al collo.
    “Qui dove?”
    “Sotto il telo. Mi era sembrato di vedere…”
    L’altro si tastò alla cieca. “Ti devi essere sbagliato, non c’è niente.”
    “Vuoi togliere la mano e lasciarmi fare, uccellino?” sbuffò la Fiamma con stizza e Yuzo si vide costretto a capitolare, permettendo a Mamoru di togliere l’asciugamano. Lo sguardo dell’Elemento di Fuoco si allargò mentre un sorriso sghembo gli tendeva le labbra.
    “E questo cosa cavolo è?” sbottò, osservando la pietra nera che sembrava incastonata nella nuca, proprio a cavallo tra l'ultima vertebra cervicale e la prima toracica. La liscia superficie era bombata e lucida, mentre tutto attorno, dove si immergeva nella carne, era bordata di platino finemente lavorato.
    Teppei li raggiunse con movimenti piuttosto impacciati. “Cosa? Cosa?” domandò incuriosito.
    “Ah, ma ti riferivi alla mia onice?” Yuzo parve ancora più sorpreso. “Non l’avevi vista? Eppure ormai viaggiamo insieme da mesi, credevo l’avessi già notata.”
    Alla parola ‘onice’ le iridi di Hajime si spalancarono di colpo, ma nessuno dei suoi compagni vi fece caso, presi com’erano dalla novità della scoperta.
    Un’onice.
    Yuzo aveva un’onice.
    Sotto la superficie dell’acqua, Hajime serrò con forza la mano avvolta nel guanto decorato col simbolo di Agadir, e nel continuo chiacchiericcio che lo circondava, il rumoroso battito del proprio cuore era divenuto il suono più forte alle sue orecchie.
    Non era possibile che fosse una coincidenza, ma, più di tutto, non era possibile che Yuzo… proprio Yuzo… fosse… uno di loro.
    “Oh, che bella!” osservò Teppei ammirato. “E cosa rappresenta?”
    Il volante scrollò le spalle, esibendo un sorriso; di circostanza, percepì Hajime: stava cercando di non dare importanza all’oggetto per camuffare la distrazione che aveva portato Mamoru a scoprirla. “Niente, è solo una decorazione, come il mio orecchino.”
    “Ma… non ti ha fatto male metterla?” insistette il tyrano, carezzando la superficie della pietra che, per quanto fosse in contatto per tutto il tempo col calore di Yuzo, era fredda come il ghiaccio.
    “No, affatto.”
    Le abilità menzognere degli Elementi d’Aria erano incredibili, convenne il Tritone, avrebbero potuto ingannare chiunque, ma lui che sapeva poteva cogliere la differenza.
    Tsk! Certo che siete proprio degli Elementi vanesi” Mamoru lo schernì, inarcando un sopracciglio e disinteressandosi al monile. Appoggiò nuovamente la nuca contro il bordo di pietra e socchiuse gli occhi, beandosi del tepore termale. “E prima gli orecchini e poi l’onice. Pensa un po’ di più a menare le mani, invece che abbellirti come una donnetta, uccellino.”
    - Taci! Taci per una volta in vita tua, Mamoru. Taci! - il Tritone provò l'impulso di strappargli la lingua, ma non tramutò quel pensiero in suono; lo ingoiò con forza.
    “Sei il solito zotico antipatico” esclamò Teppei in difesa di Yuzo che rise della sua punzecchiata, muovendosi per lasciare la sorgente.
    La Fiamma aprì un attimo gli occhi, inquadrando la sua figura da sotto in su. Sulle labbra ancora un sorrisetto ironico. “Ma come? Ci abbandoni già? Non ti sarai mica offeso, vero?”
    “Per nulla” Yuzo scosse il capo, avvolgendo l’asciugamano attorno alla vita. “E’ che comincio a essere un po’ stanco; queste acque calde hanno sciolto parte della tensione accumulata e credo proprio che me ne andrò a dormire.”
    Mentre lui parlava, gli occhi di Hajime non l’avevano perso di vista per un solo momento, soprattutto quando si era voltato per uscire dalla sorgente e quando le sue iridi si erano finalmente fermate sull’onice, lo sgomento era stato totale, perché non c’era più margine d’errore o possibilità che fosse stato solo un incredibile scherzo del caso.
    La pietra, l’incastonatura, erano identiche a quelle che lui conosceva fin troppo bene da quando aveva quindici anni. Dovevano assolutamente chiarirsi.
    “Allora, buona notte, Yuzo” augurò Teppei, mentre Mamoru tornava a sonnecchiare.
    “Il solito delicato” rimbeccò, accentuando il ghignetto. “A domani… uccellino.”
    “Aspetta, vengo con te!” La fretta con cui Hajime parlò e si mosse attirò l’attenzione di Teppei.
    “Ma come? Vai via anche tu?”
    “Ehm… te l’ho detto che non posso restare troppo tempo immerso in queste acque così calde” tentò di giustificarsi. Alla rinfusa si appuntò il telo sui fianchi e velocemente si mosse per raggiungere il compagno. Mamoru non si scompose.
    “Ecco un altro delicatino” ironizzò. “Come detto poc’anzi: non sapete cosa vi perdete.”
    Per una volta, Teppei fu d’accordo con lui.

    Hajime quasi rincorse Yuzo, che era già entrato negli spogliatoi, e vedere la pietra da una distanza così ridotta fugò ulteriormente i dubbi. Ma pensare che proprio una persona come Yuzo fosse il proprietario di un’onice fece domandare a sé stesso con quali criteri loro scegliessero i soggetti idonei e, soprattutto, se l’ingenuo e fin troppo buono Elemento d’Aria fosse pienamente cosciente di ciò in cui era finito.
    Eppure, nella sorpresa e nello sgomento per quella scoperta, Hajime non poté non pensare a quanto incredibile fosse la coincidenza di quell’incontro.
    “E dire che Mamoru nemmeno ci voleva venire alle terme” ridacchiò Yuzo, dandogli le spalle mentre recuperava gli abiti da uno degli armadi. “E adesso, guardalo: fosse per lui vi resterebbe ore intere.”
    Ma Hajime non rispose. Mamoru, Teppei e le terme erano estromessi dalla sua mente in quel momento. Lentamente aggrottò le sopracciglia al passaggio di un fugace pensiero: con un Principe che sembrava addirittura predire il futuro, il loro incontro, il fatto che ambedue facessero parte della stessa squadra, non doveva essere affatto frutto del caso. E, purtroppo, non sapeva dire se quello fosse un bene o un male, percepiva solo una sensazione, come una specie di sesto senso, e non era positiva.
    “Yuzo…” In tono grave si decise ad attirare la sua attenzione. Lentamente sollevò la mano inguantata e quando l’interpellato si volse, sfilò via il tessuto, mostrandogli il palmo dove nera, lucida, liscia, dalla superficie bombata e l’incastonatura in platino vi era una pietra d’onice.
    Il sorriso di Yuzo morì con la velocità di un soffio di vento.
    “…credo che dobbiamo parlare.”

    Nel grande tendone si canta di gioia,
    festeggiando insieme la nuova vittoria,
    ma al calor delle terme, nell’acqua bollente,
    il destino striscia come un serpente.

     


    [1]EL CID: cioè Pierre El Cid, ovverosia Pierre Le Blanc! X3 Ve l’ho trasformato in un grazioso Farinelli, via! XDDD Niente fotina perché immagino non ce ne sia bisogno XD

    [2]: questa è una citazione da: “Elementia: Fragments – Green Wonder.


     

    …Il Giardino Elementale…

    IL CODONE FTW!!! \O/
    XD finalmente Kara ha potuto leggere del tanto atteso codone di Hajime! Dovete sapere, che lei, poverina, sapeva dell'esistenza di questo capitolo da taaaaanto, ma taaaaanto tempo! X3 Però è stata buona buona (più o meno) e ha aspettato! :****
    Non posso che dedicarglielo; il codone di Hajime è tutto suo e di Teppei XD.
    Finisce così l'avventura a Dhèver, ma... che vi avevo detto del finale?
    Vi voglio bene anche io! ♥
    Un capitolo si chiude e un altro sembra aprirsi in questa avventura in cui la parola 'pace' è ancora molto lontana.
    Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire quest'avventura! :***
    Ci rileggiamo tra una settimana con il nuovo capitolo dal titolo: "Il villaggio di Yoshiko", non perdetevelo! :D


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 16
    *** 7 - Il villaggio di Yoshiko - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 7: Il villaggio di Yoshiko (parte I)

    Raskal, Capitale del Regno degli Ozora – Terre Centrali

    Il Primo Ufficiale Ryoma Hino controllò per l’ultima volta i finimenti dello stallone per verificare che fosse tutto in ordine. Il levianto nero batté al suolo lo zoccolo, denotando impazienza, poi sbuffò e sollevò il muso, ma non si mosse. Erano una razza fiera della regione Levi-Ant, sperduta nell'Ovest delle Terre Centrali. Muscoli scattanti, infaticabili e agili.
    L’uomo si portò più avanti, prendendogli le briglie.
    Nel cortile interno del castello, la Guardia Reale era schierata e pronta a partire, mentre fuori dalle mura, le migliaia di uomini della Guardia Cittadina avevano invaso la capitale e le sue strade. Si vedevano più militari che cittadini, ormai. A breve, però, quella fiumana di guerrieri si sarebbe mossa, in direzione del Nord. Una volta arrivati al fronte, del futuro non sarebbero rimaste che ipotesi.
    “Tutto bene?”
    La voce di Ramon Victorino s’attirò per un attimo il suo sguardo.
    “Siamo in guerra. Non c’è niente che vada bene.” Sul viso fece aleggiare un sorriso di rassegnazione che stemperò l’espressione seria.
    Gli altri Capitani erano anche loro impegnati in controlli di routine ormai compiuti decine e decine di volte, giusto per ingannare l’attesa. Hernandez provava gli archi dei suoi arcieri scelti; Shunjin-Go[1] affilava la lama della spada con movimenti lenti e precisi; Shinprasat[2] sferrava pugni nel vuoto per valutare se l’armatura gli permettesse di muoversi agilmente.
    Ryoma spostò lo sguardo verso l’ingresso del castello. Il Re rimaneva presso il porticato, seduto su uno dei muretti. Sulle gambe, coperte da un’armatura più leggera di quella che avrebbe indossato una volta arrivati al fronte, teneva il piccolo Principe Daichi. L’uomo parlava e il bambino rideva, agitandosi come avesse avuto l’argento vivo in corpo. C’era anche la Regina.
    Da quando era giunta la notizia della scomparsa di Tsubasa, la donna tendeva a rimanere confinata nelle sue stanze, ma quello era un giorno troppo importante; doveva essere lì, al fianco del sovrano, per dargli il suo supporto prima della partenza. Sorrideva, ma in quella smorfia si poteva leggere tutta la preoccupazione che recava nell’animo.
    “Non durerà.” Il Capitano Victorino spostò il proprio destriero, uno stallone levianto simile a quello di Hino ma di colore bianco. “Faremo in modo che questa guerra si estingua il più velocemente possibile, tanto da non permetterle nemmeno di varcare i confini.”
    “Su questo puoi scommetterci la testa.” Al solo pensiero di trovarsi di fronte Gamo e i suoi, Ryoma ridusse lo sguardo. “Nascerà e morirà in un’unica battaglia. E nessuno di loro avrà salva la vita.”
    In quel momento, dal portone principale, il Comandante Roberto Hongo fece il suo ingresso a passo sostenuto; una mano reggeva l’elsa della spada e l’altra era chiusa in pugno, lungo il fianco; seguiva rigidamente i suoi movimenti. Raggiunse il Re e gli parlò fitto, annuendo un paio di volte.
    Per Ryoma quello era il segnale che era ora di muoversi. Senza aspettare il comando da parte del sovrano, montò in sella, lanciando poi un’occhiata a Ramon.
    “Hai fatto un discorsetto ai tuoi? Ormai ci siamo.”
    “Non temere, mi sono già premurato che ciascuno di loro salutasse le persone care” rispose, allontanandosi assieme alla cavalcatura per raggiungere il gruppo della Guardia Reale affidato al suo comando.
    Nel frattempo, il Re si era alzato, aveva messo a terra il piccolo Daichi e gli aveva carezzato il capo un’ultima volta. La Regina gli aveva amorevolmente sistemato il mantello sulle spalle e lui le aveva baciato la fronte.
    Nell’osservarli, Ryoma pensò che non c'erano altre possibilità: o si vinceva o si moriva, e molti di loro, nonostante un’eventuale vittoria, sarebbero morti lo stesso. Lui avrebbe combattuto anche per loro; quel pensiero avrebbe reso più letale ogni suo affondo, più rabbioso, perché attraverso la sua lama si sarebbe riversato anche l’odio dei suoi compagni.
    Re Koudai non disse una parola, raggiunse il robusto e solido Colosso delle Isole Zmyr, ubicate al largo della costa Nord, in groppa al quale avrebbe affrontato la traversata e la battaglia per il pianeta, e montò in sella. Il mantello oscillò alle sue spalle, nell’aria limpida di Raskal; campeggiava, nel centro, il simbolo della famiglia Ozora. Spronò la cavalcatura e la indirizzò verso il portone. Al suo fianco, Roberto Hongo era immancabile, come un’ombra.
    “In marcia” fu tutto ciò che disse, prima di varcare la soglia delle mura con la testa alta e lo sguardo fiero, e quelle due semplici parole corsero di bocca in bocca, di orecchio in orecchio; volarono come il vento, trasmettendosi a ogni soldato come un respiro. La macchina della guerra si era mossa da tempo e loro erano gli ultimi ingranaggi; bulloni e rotelle. Come le tessere d’un domino ogni cavaliere montò sul proprio destriero, i fanti impugnarono lance e stendardi, i trombettieri fecero suonare l’adunata in tutta Raskal.
    La gente s’affacciò dalle case, interruppe il proprio lavoro, uscì in strada. Rimase a vedere sfilare il Re in persona e il suo Comandante. Gli uomini migliori della Guardia Reale venivano subito dopo, seguiti dagli alti ufficiali della Guardia Cittadina. Dietro ancora, i fanti, i Naturalisti, gli Alchimisti, i magazzinieri. Carretti e casse, armi e viveri, scorte d’acqua.
    I cittadini inneggiavano al sovrano e alla vittoria, lanciavano fiori, salutavano. Qualcuno piangeva, nascosto, più lontano.
    Mentre sfilavano verso la porta Nord della città, per quanto nel suo spirito ardesse la voglia di punire i traditori e la convinzione che avrebbero sconfitto Gamo, Ryoma Hino si sentì, per un attimo, alla testa d’un corteo funebre.

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Smontarono dalle cavalcature che erano da poco entrati nel borgo rurale di Sendai.
    Era un villaggio che faceva capo al Dogato di Rhalesta, una delle città agricole più importanti del Sud.
    Avevano attraversato a cavallo immensi campi coltivati che si estendevano all’esterno dell’abitato e poi, una volta varcata una delle porte, avevano deciso di procedere a piedi.
    Il borgo era costituito da costruzioni prevalentemente basse, con enormi terrazze al posto dei tetti spioventi utilizzate non solo per la raccolta delle acque piovane, ma anche come postazioni strategiche per le vedette della Guardia Cittadina che, trattandosi di un borgo situato all’estremo confine del Dogato, non era composta dall’esercito regolare. Era costituito dagli stessi abitanti che facevano riferimento al capo del villaggio.
    Stavano camminando nel centro del borgo, ornato da una bellissima fontana zampillante, quando Mamoru fermò il gruppetto ed esordì.
    “Mi raccomando, cerchiamo di non farci riconoscere come al solito.” Con un sopracciglio inarcato puntò lo sguardo su Yuzo. Quest’ultimo sospirò.
    “Possibile che tu ce l’abbia ancora con me per quanto avvenuto a Sundhara? Non è mica stata colpa mia…”
    “Non ho detto di avercela con te. Guardo te solo perché sei quello più incline a fare danno, uccellino” specificò Mamoru con supponenza e divertimento. “La nostra nuova parola d’ordine sarà: ‘discrezione’. Dobbiamo essere invisibili, senza attirare l’attenzione e senza farci cogliere da attacchi improvvisi di buonasamaritanismo” elencò solennemente e pretese che gli altri rispondessero quel diligente quanto annoiato: “Sì, signore.”
    Mamoru non ebbe nemmeno il piacere di poter distendere un sorriso soddisfatto che un grido allarmato coprì ogni altro rumore.
    Lungo la facciata esterna di una casa in costruzione, la fragile impalcatura di tavole in legno era crollata, lasciando che un uomo penzolasse pericolosamente nel vuoto. Le sue grida richiamarono subito gli astanti, mentre gli altri che erano sulla struttura cercavano di salvarlo. In quell’istante, anche l’ultima tavola cui restava aggrappato si spezzò, e per lui sembrò non esserci più nulla da fare. Ormai era spacciato.
    Tra le persone che si fecero da parte, con spavento, dei fasci di vento filtrarono a tutta velocità avvolgendo il corpo del malcapitato, pochi attimi prima che toccasse il suolo, e salvandolo per miracolo da una morte certa.
    “Oooh!” si levò generale, cavalcando lo stupore dei presenti che si volsero tutti nella direzione dei quattro Elementi.
    Hajime e Teppei erano rimasti pietrificati; l'unico movimento che si concessero fu quello di girare adagio le teste per osservare Yuzo e prepararsi alle fiamme che sarebbero volate di lì a poco. All’unisono, si coprirono il viso con una mano.
    All’altro lato del volante, Mamoru aveva i pugni stretti così forte che Acqua e Terra si aspettarono di vederli sanguinare.
    “Dis… cre… zio… ne…” sillabò a denti serrati e capo chino. I capelli coprivano lo sguardo bruciante. “Avevo detto… discrezione…”
    Yuzo tremò da capo a piedi, osservandolo con terrore, ma tentando ugualmente di mostrare una specie di sorriso tra il dispiaciuto e l’intimorito.
    “Ma-Mamoru… mi dispiace… io…”
    “Taci, Yuzo. Taci.”
    Intanto l’uomo era ancora sospeso a mezz’aria, avvolto dal vento. Osservava, incredulo, i quattro sconosciuti, senza osare aprir bocca e, onor del vero, non volava una mosca in tutta la piazza.
    “Ma… ma io… non potevo…”
    Vuoi stare zitto, impiastro colossale?!” Mamoru esplose a mo’ di bomba. Gli occhi iniettati di sangue e i capelli che serpeggiavano impazziti. Avrebbe voluto strozzarlo, glielo si leggeva in faccia. “Ma che cavolo ho detto, io?! Nemmeno un minuto fa, cazzo! E tu: ‘sì, signore’Sì signore! Discrezione, per tutte le Dee! Discrezione! Sai cosa significa?! Lo sai?!”
    “Mamoru, non potevo lasciarlo morire!”
    “E chi te l’ha detto?! Non te l’ho di certo ordinato io!”
    Yuzo strabuzzò gli occhi, assumendo un piglio più deciso.
    Hajime e Teppei si guardarono rassegnati.
    “Ecco i fuochi d’artificio” sospirò il tyrano.
    “E’ un innocente! Se posso salvarlo, perché non dovrei?”
    “Perché lo dico io! Avevo dato un ordine, stramaledizione! E l’ordine era ‘essere discreti’, non di andare in giro con un cartello con su scritto: ‘Elementi, per di qua’!” Mamoru appoggiò la mano al fianco, continuando a gesticolare e portando avanti una sorta di monologo. “Ma, ovviamente, nessuno mi sta a sentire, eh. Ci mancherebbe. E’ come se non parlassi.”
    “Non prenderla così sul personale… avrei fatto lo stesso anche se tu fossi stato Master Misugi.” Yuzo tentò di fargli capire il suo punto di vista, ma sapeva quanto la Fiamma fosse intransigente su certe cose. “Era mio compito salvare quell’uomo.”
    “E se invece era destino che morisse?! Eh?! Ci hai pensato?! Magari era arrivata la sua ora!”
    Il volante sbuffò, distogliendo lo sguardo. Se si fosse messo a parlare con un muro gli avrebbe dato sicuramente più soddisfazioni. Altroché.
    “E vuoi metterlo a terra, dannazione?! L’hai salvato, l’abbiamo capito, ora lascialo andare!” Mamoru gli fece notare solo in quel momento che l’uomo era ancora avvolto dai suoi poteri, sospeso a pochi centimetri dal suolo.
    “Oh! Sì, subito.” Svelto, Yuzo si adoperò per farlo atterrare perfettamente in piedi e incolume. Rapidamente richiamò l’aria a sé e i fasci che avevano salvato il povero malcapitato si ritirarono, sgusciando tra le persone che li seguirono pieni di meraviglia e curiosità. Per molti di loro, era la prima volta che vedevano qualcuno usare la magia.
    “Bene! Adesso veniamo a noi!”
    Yuzo si portò le mani ai fianchi, usando un tono accondiscendente. “Mamoru, ne abbiamo già parlato. Mi sembrava d’esser stato chiaro…”
    “Anch’io credevo d’esserlo stato con te, ma vedo che hai fatto orecchie da mercante. Come a Sundhara, come a Dhèver.” Incrociò le braccia al petto, categorico. “Avevamo una tregua, tra noi, vuoi mandarla a monte?”
    “Certo che no!” Il volante strabuzzò gli occhi. Quando era infuriato, Mamoru diventava del tutto irragionevole.
    A quel punto, si intromise una voce titubante. “Scusate…”
    La Fiamma silurò con gli occhi infuocati l’uomo salvato dall’uccellino. “Che c’è?!”
    “I-io… volevo…”
    “Sì! Siamo Elementi! Va bene? Fuoco, Aria, Terra e Acqua! Contento? E dovevamo essere discreti! Per tutte le Dee!”
    “Mamoru, vuoi smetterla? Stai facendo tutto da solo!”
    Cosa?!” Ora sì che gli sarebbe balzato alla gola. Hajime e Teppei lo temettero per un attimo piccolissimo in cui sudarono freddo, mentre l’uomo, imperterrito s’intrometteva ancora, sperando di sedare gli animi.
    “Oh! Quale onore, per noi, giovani Elementi delle Dee.” Era cordiale; si tirò su gli occhiali che aveva sul naso. “Vi sarò per sempre grato per avermi salvato da morte certa. Ditemi, come posso sdebitarmi?”
    Yuzo gli rivolse un sorriso felice e un inchino che sembravano sottolineare la spontaneità del suo intervento del tutto gratuito. Mamoru, invece, tornò a incenerirlo con gli occhi; la rabbia a fior di pelle.
    “Sai dove possiamo trovare il capo villaggio?”
    L’uomo li osservò sorpreso, per un momento, prima di allargare un amplissimo sorriso entusiasta e sollevare le mani.
    “Ma sono io! Sono io il capo villaggio di Sendai. Mi chiamo Koji Yamaoka, ma per tutti sono semplicemente Mastro Koji. Cercavate me e mi avete salvato, doveva essere destino.” Educatamente si fece da parte, indicando una costruzione che affacciava proprio in quella piazza. Era bassa, come le altre, ma più grande e ugualmente in arenaria. “Venite. Andiamo pure a casa mia, lì potremo parlare tranquillamente.”
    Mamoru rimase con gli occhi spalancati e la bocca aperta. Accanto a lui, Yuzo era altrettanto sorpreso, così come Hajime e Teppei. Poi, sul viso del volante le labbra tracciarono una mezzaluna sorridente e soddisfatta. Si girò verso la Fiamma pronto a dir qualcosa, ma l’altro lo zittì prima che potesse proferire anche solo ‘A’.
    “Taci” sibilò veloce, una mano alzata. Le dita arpionate alle briglie del cavallo stringevano in maniera convulsa. Inspirò lentamente un paio di volte ed era palese che stava cercando di controllare la collera. “Non dire. Una. Parola” scandì piano.
    “Ma-”
    “Ah!”
    “Io-”
    Sh!”
    Mamoru gli rivolse un’occhiata che avrebbe incenerito anche i ghiacci polari. “Stai. Zitto” intimò in maniera decisiva e gli volse le spalle. Con passo misurato iniziò a seguire il capo villaggio senza aggiungere altro. Non avrebbe mai ammesso la ragione di quell'insopportabile uccellino.
    Dietro di lui, Yuzo stava praticamente fremendo. Spostava il peso da un piede all’altro e si mordeva il labbro inferiore. Ogni tanto lanciava un’occhiata ai suoi compagni e poi tornava a fissare la schiena della Fiamma. Attese che si fosse allontanato a sufficienza e infine si girò verso Acqua e Terra, parlando a voce più bassa possibile.
    “Visto? Ho fatto bene a salvare la vita di quell’uomo! Avevo rag-”
    Yuzo!” Il richiamo di Mamoru tuonò così forte da farlo sobbalzare. “Ti ho sentito, maledizione! Stai parlando?! Fai silenzio e vieni subito qui! Muoviti!”
    “Arrivo!”
    Mentre vedevano il volante raggiungere di corsa il giovane di Fuoco, che non perse tempo ad ammonirlo acidamente, Hajime e Teppei scoppiarono a ridere.

    La casa di Mastro Koji era su due livelli con un bel cortile interno e l’ampia terrazza sommitale. Il suo proprietario era una persona affabile e disponibile; li aveva addirittura convinti a pernottare da lui che tanto: “La mia dimora è così spaziosa, non dovete preoccuparvi. E poi gli Elementi delle Dee sono sempre i benvenuti.”; non avevano potuto rifiutare. Anche perché Mamoru non lo aveva permesso, sempre per la storia del risparmio e del non dormire all’addiaccio.
    “Vi siamo grati per la vostra ospitalità, Mastro Koji” ribadì Yuzo, mentre una domestica serviva la cena. L’odore speziato della carne riempì le narici dei giovani, aprendo lo stomaco di Teppei che fissava la sua porzione con occhi adoranti e l’acquolina in bocca. Di fronte a lui, Hajime faceva finta di niente, tanto ormai c’era abituato.
    “Ma no, questo è il minimo ch’io possa fare. Voi mi avete salvato e non potrò mai dimenticarlo.” Con benevolenza, rivolse un’occhiata amorevole alla consorte, una donna molto bella e raffinata che sedeva al suo fianco. “Mi spiace solo d’aver rimandato alla sera la nostra discussione. Purtroppo, anche se piccolo, Sendai mi dà molto da fare come capo villaggio. Sono davvero desolato.”
    Il pomeriggio, subito dopo il loro arrivo e il salvataggio dell’uomo, nonostante fossero andati alla dimora di Mastro Koji per discutere, quest’ultimo non era riuscito a prestare loro la dovuta attenzione: i numerosi impegni nella gestione del villaggio l’avevano tenuto costantemente in movimento. L’uomo aveva quindi proposto loro di sistemarsi a casa sua e di riposarsi; a cena avrebbero avuto finalmente modo di parlare di tutto.
    “Dovrebbero farvi Doge vista la dedizione che mettete nel vostro lavoro, Mastro Koji” affermò Mamoru, bevendo un sorso di vino rosso, e l’interpellato arrossì, schernendosi con imbarazzo.
    “Ah! Ma no, ma no! Sarebbe così impegnativo! E poi non potrei più dedicarmi alla mia famiglia.” Sorrise, sistemando gli occhiali. “Loro vengono sempre prima di tutto.”
    La Fiamma tacque. Negli occhi nascose un’espressione ferita.

    “Loro vengono prima di tutto.”

    Quella frase riecheggiò nella sua testa in maniera sprezzante, assieme all’incontro con Rika. Poi sorrise, con un certo rammarico, rendendosi conto di quanto le realtà del mondo potessero essere differenti tra loro.
    Spostò lo sguardo davanti a sé e solo allora si accorse che Yuzo lo stava osservando. Sul volto aveva un’espressione incuriosita e preoccupata che gli fece immediatamente indurire i tratti e girare la faccia. In uno sbatter di ciglia era tornato di nuovo il solito Mamoru di sempre, ma dentro di sé si redarguì dicendosi di dover prestare maggiore attenzione.
    “Veniamo a noi.” Mastro Koji aveva ripreso a parlare. “Cosa vi porta a Sendai? È un villaggio piuttosto piccolo e non è annoverato tra le mete turistiche del Sud.”
    Mamoru prese la parola prima che potesse farlo il volante. Severamente incrociò le mani davanti a sé, tenendo poggiati i gomiti ai lati del piatto dove la sua porzione di carne era stata solo appena toccata. “Siamo in viaggio per conto del Re Ozora.”
    L’uomo parve realmente sorpreso e ammirato. “Oooh.”
    “Purtroppo, non è una visita di piacere” specificò la Fiamma, smorzando da subito l’entusiasmo del suo interlocutore. “Ciò di cui vi metteremo a parte deve restare un segreto tra noi e voi, spero comprendiate.”
    “Ma certo. Ma certo.” Koji s’affrettò subito ad annuire. Con un deciso battere di mani ordinò alle due donne che stavano servendo la cena di lasciarli da soli, in modo che non vi fossero orecchie indiscrete. “Prego. Parlate pure.”
    “Il Principe Tsubasa è scomparso alcuni mesi fa.” Mamoru fu lapidario e la notizia lasciò veramente sconcertato il capo villaggio che sgranò gli occhi.
    “Ma non è possibile! Il Principe è stato qui ultimamente-”
    “Lo sappiamo, per questo siamo giunti fino a Sendai. Il Re ci ha dato il compito di ritrovarlo e noi stiamo ripercorrendo il tragitto del suo viaggio.”
    “Vorremmo che ci parlaste della sua visita.” Yuzo lo disse con un sorriso cordiale volto a stemperare la durezza della Fiamma. Quest’ultimo gli rivolse un’occhiata stizzita, ma non aggiunse altro; era ancora infastidito per quello che era successo al loro arrivo per essere più conciliante nei suoi confronti. Per fortuna, il volante si era abituato al suo caratteraccio e ignorò volutamente il suo sguardo pessimo.
    Ignaro a queste loro strane dinamiche, Mastro Koji si portò una mano al mento, pensieroso.
    “In verità, il suo soggiorno è stato molto breve. Impegni importanti lo richiamavano altrove. È arrivato qui verso metà mattinata e il pomeriggio stesso è ripartito.”
    “Avete notato qualcosa di strano durante la sua sosta?” Hajime si sporse un po’ verso il centro del tavolo.
    “No… non mi pare… il Principe ha tenuto un piccolo discorso agli abitanti, ha fatto il giro del villaggio ed è ripartito dopo pranzo.”
    La Fiamma fece ruotare il vino nel bicchiere, guardando il liquido oscillare piano lungo le pareti trasparenti.
    “Visto che Sendai è piccolo, non avete visto se c’erano stranieri sospetti?” Nella sua mente c’era ancora la convinzione che si trattasse di Stregoni, anche se non poteva provarlo e, dopotutto, avrebbero sempre potuto camuffarsi per passare inosservati; la Magia Nera aveva un potere che era meglio non sottovalutare.
    “Me ne sarei accorto, sicuramente” negò Mastro Koji. “A parte la piccola delegazione di Guardie Reali che accompagnavano il Principe, no, non c’era nessun altro esterno al villaggio.”
    Mamoru sorseggiò il vino, sospirando. “Sì, capisco.”
    “Vi dispiace se per un giorno o due gironzoliamo nei paraggi alla ricerca di informazioni?”
    Il capo villaggio scosse animatamente il capo, guardando con un ampio sorriso collaborativo il volante. “Ma no! Che dite? Fate tutto quello che ritenete opportuno per ritrovare il nostro amato Principe e la Chiave. Anzi, se c’è qualcosa ch’io possa fare per voi-”
    “Non disturbatevi oltre, Mastro Koji”, Hajime sollevò una mano per rassicurarlo, “avete già fatto molto offrendoci ospitalità. Continuate pure a svolgere i vostri doveri come se non ci fossimo. Faremo anche il possibile per non turbare la serenità degli abitanti di Sendai…”
    Tsk. Come se non l’avessimo già fatto” sbuffò Mamoru, lanciando un’occhiata accusatoria nei riguardi di Yuzo che sostenne il suo sguardo con un sopracciglio inarcato.
    Koji Yamaoka rise divertito. “Al massimo li avete incuriositi. Non ci sono Minister in questo villaggio: troppo piccolo per averne uno e troppo vicino ad altri più grandi che ne sono dotati. Perdonateli se vi scruteranno con insistenza.”
    I giovani, tranne la Fiamma che parve chiaramente seccata, gli rivolsero un sorriso tranquillo.
    Finalmente, poterono dedicarsi al pasto che avevano davanti mentre Teppei dava l’assalto alla sua seconda porzione con buona pace di Hajime che si domandava dove diavolo lo mettesse tutto quello che ingurgitava: il tyrano non ingrassava nemmeno di un etto.
    “In merito al fatto che non siamo abituati ad avere dei maghi elementali a Sendai…” Mastro Koji parve un po’ in imbarazzo ed esitante. Mamoru lo guardò di sottecchi, mentre tagliava la carne. L’uomo muoveva lo sguardo dal proprio piatto al volante e sembrava in difficoltà.
    Perché aveva una brutta sensazione?
    “…Yuzo, avrei un favore da chiederti. Tu sei un Elemento d’Aria, vero?”
    Appunto e ti pareva.
    Il suo sesto senso funzionava in maniera impeccabile. Mamoru sospirò impercettibilmente mentre buttava giù il boccone, pronto a sentire di cosa si trattasse. Davanti a lui, l’uccellino aveva la solita espressione innocente e candida.
    “Sì, se posso esservi d’aiuto…” disse e alla Fiamma cominciò ad andare di traverso la cena. Come al solito, quel dannato piccione concedeva la sua disponibilità senza pensarci su due volte.
    Mastro Koji poggiò le posate nel piatto, levando con decisione lo sguardo. Stavolta, al posto del solito entusiasmo, Mamoru vi scorse una nota più triste.
    “Ecco, io… avrei una figlia.”
    Stavolta il boccone gli andò di traverso sul serio, tanto che si mise a tossire, spezzando la conversazione. Hajime versò subito dell’acqua che la Fiamma buttò giù d’un sol fiato.
    Per un attimo, quella frase detta dal capo villaggio gli era sembrata quasi il principio di una proposta di matrimonio. E come gli era venuto in mente non volle nemmeno saperlo.
    Yuzo, diversamente da lui, era felicissimo della cosa. Di sicuro non aveva avuto il suo stesso pensiero, Mamoru ne era convinto al cento per cento.
    “Ha undici anni e ha sempre… sempre desiderato divenire una Sacerdotessa Elementale dell’Aria.”
    Ora, la Fiamma s’era fatta improvvisamente più attenta e seria. Succedeva sempre così quando sentiva nominare quella maledetta casta di fanatiche.
    Il volante, invece, allargò il sorriso, come se per lui non ci fosse nulla di male, anzi, sembrava davvero interessato, ma il capo villaggio non aveva ancora terminato.
    “Purtroppo, la sua salute cagionevole non le permette di poter lasciare Sendai.”
    Di colpo, tutto l’entusiasmo che Mamoru aveva letto sul volto di Yuzo si dissolse come se un improvviso colpo di spugna l’avesse cancellato. Le labbra persero la presa sul sorriso che scivolò e scomparve, lasciando, al suo posto, un’espressione dispiaciuta.
    “Oh…”
    Anche la serietà della Fiamma mutò, stemperando la durezza.
    “Per questo volevo chiederti se… se non ti spiacerebbe farle visita. Ovviamente non devi sentirti obbligato, ci mancherebbe! Mi rendo conto che sarai impegnato con i tuoi compagni per cercare il Principe, e se non fosse un caso estremo non te lo avrei mai chiesto, però… so che a lei non resta molto e so che non avrà una seconda occasione di poter vedere un vero Elemento d’Aria. Per questo, ti chiedo: potresti parlare un po’ con mia figlia?”
    “Ma certo!” Yuzo gli rispose con foga. Poi, improvvisamente, si volse a cercare lo sguardo di Mamoru, con apprensione. “Perché posso… vero?”
    La Fiamma spalancò gli occhi.
    Voleva il suo permesso?!
    Adesso?!
    Con tutte le volte che si era raccomandato, quel dannato volante andava a cercare il suo consenso nell’unico momento in cui non ne avrebbe avuto bisogno.
    Ruotando gli occhi con noia gli fece capire che era ovvio che potesse farlo, che diamine!, non era mica un mostro senza cuore.
    L’uccellino si illuminò a quel suo ‘sì’ silenzioso, sorridendo nuovamente con entusiasmo, tanto da lasciare la Fiamma con un sopracciglio inarcato sull’espressione rassegnata. Ormai era palese, come era stato quando si trovavano a Sundhara: per quanto avrebbe tentato di cambiarlo o di renderlo più simile a ciò che lui avrebbe voluto che fosse, avrebbe sempre fallito, perché Yuzo sarebbe rimasto il solito, stupido volante.
    “Sarò più che felice di poter parlare con lei, Mastro Koji” confermò proprio quest’ultimo e il capo villaggio poté sciogliere la tensione in un’espressione di profonda gratitudine.

    La piccola Yoshiko non riusciva a stare ferma un momento mentre si agitava nel letto, tempestando di domande la governante.
    “Ma allora è vero che sono arrivati degli Elementi? Eh?! Oggi ho sentito una gran confusione provenire dalla piazza, ma non sono riuscita a vedere. Ti prego, Miyu!”
    “Signorina, per favore! Non agitatevi così, non vi fa bene, lo sapete. Su, fate la brava.” Per l’ennesima volta, la donna le sistemò le coperte, mentre la bambina restava seduta, la schiena appoggiata contro tre grandi e morbidi cuscini imbottiti. Sulle gambe, c’era l’ultimo libro di Leggende Elementali che il buon Gozo, mercante di stoffe, aveva portato dal suo viaggio a Shaqqara. Lei lo stava divorando con l’innata, esuberante curiosità e voglia di sapere, conoscere e scoprire quelle realtà lontane da Sendai. Voleva sognare.
    Accanto al letto, in un angolo, la sedia a rotelle restava a riposo.
    “Ma non mi sto agitando! Dai, per favore… sono davvero degli Elementi?! E che Elementi sono?! E da dove vengono?! E perché sono qui?! Posso vederli, domani?! Ti prego! Ti prego! Ti prego! Prometto che farò la bravissima!” I suoi occhioni scuri erano lucenti e supplicanti.
    Da quanto tempo desiderava incontrarne uno dal vivo? Vedere un mago guerriero, servo delle Dee, fautore della magia più potente del pianeta. Chissà quante storie aveva da raccontare, quanti viaggi e avventure, quanta conoscenza.
    La donna sospirò, portandosi le mani ai fianchi e gonfiando le guance. “E va bene, signorina: sì, sono arrivati degli Elementi.”
    Yoshiko si illuminò di gioia, le ciglia che sbattevano incredule e il libro che veniva portato a coprire la bocca e i suoi gridolini.
    Vederla così estasiata fece stemperare il piglio arrabbiato alla governante, che sorrise, rilassando le spalle. La donna si piegò in avanti per poterle fare una confidenza e la bambina rimase ad ascoltarla con attenzione.
    “Sono quattro e hanno salvato vostro padre che stava per avere un bruuuutto incidente”
    Yoshiko trattenne il fiato.
    “E poi?!”
    “E poi sono ospiti in questo palazzo; se promettete di fare la brava… forse li potrete vedere. Sono molto impegnati, sapete?”
    La bambina annuì vigorosamente. Diede una rapida lisciata alle coltri e si mise composta, al centro del letto, con la schiena ben dritta. “Sarò buonissima” giurò solennemente.
    In quel momento, la voce affettuosa del capo villaggio le interruppe.
    “Chi è che sarà buonissima?” domandò, divertito, facendo capolino sulla soglia.
    “Io! Io!” la bambina alzò la mano. “Papà! E’ vero che sei stato salvato da degli Elementi?! Miyu mi ha detto che ce ne sono quattro! Se mi comporterò bene potrò vederli?”
    L’uomo le si avvicinò, ridendo; sua figlia era su di giri. Le prese dolcemente il viso tra le mani e le baciò il capo.
    “Ma tu ti comporti già bene, piccola mia. Per questo, avrai un piccolo premio.”
    Lei sollevò il viso nella sua direzione, guardandolo con aria incuriosita e perplessa.
    Il capo villaggio le sorrise ancora, prima di girarsi verso la porta.
    “Yuzo, vieni, entra pure.”
    Yoshiko fissò l’uscio con curiosità, lo vide schiudersi, pian piano. Dall’esterno, la figura di un giovane sconosciuto fece capolino, titubante.
    Lei capì all’istante chi fosse.
    Per anni, da che aveva imparato a leggere, aveva cercato notizie su Alastra, e della Magia Elementale dell’Aria sapeva molto di più di quanto potessero conoscere gli altri del villaggio. Aveva sempre desiderato divenire una Sacerdotessa e riconoscere Yuzo per ciò che era fu una conseguenza immediata.
    Rimase con la bocca semiaperta mentre lo vedeva avanzare nella camera: il passo sicuro, il sorriso e tutta l’espressione del viso che trasmettevano calma e gentilezza.
    Yoshiko si portò le mani al volto, allargando un sorriso di pura gioia.
    “Un Elemento d’Aria!” squittì, emozionata. “Un vero Elemento d’Aria! Veroveroverovero!” Di slancio strinse Mastro Koji in un abbraccio caloroso. “Grazie, papà! Grazie, grazie, grazie!”
    Yuzo sorrise di quell’entusiasmo così genuino e forte, contagioso. C’era vita, in quella bambina, che non voleva arrendersi e restava aggrappata allo spirito con tutta sé stessa. E questa sua tenacia gli scaldò il cuore.
    “Mi raccomando, non torturarlo con le tue domande, però” scherzò bonariamente il capo villaggio e Yoshiko arrossì, gonfiando appena le guance.
    “No, che non lo torturo!”
    “Certo, certo. Allora vi lascio parlare” si congedò l’uomo, facendo un cenno anche alla governante. Quest’ultima rivolse un inchino al giovane d’Aria e uscì; piano, la porta venne chiusa sui loro passi.
    La stanza affacciava nella piazza principale di Sendai ed era dipinta di un rilassante e luminoso arancio. Le tende oscillavano appena accanto ai vetri aperti per permettere il passaggio dell’aria.
    In quel villaggio, ancora più addentro al Regno del Sud, vi era un clima molto umido e caldo. Per lui, che poteva sopportare temperature ben peggiori, non faceva differenza, ma per gli abitanti cercare anche il più piccolo spiraglio di corrente era necessario.
    Il volante si avvicinò di qualche passo, fino a raggiungere il letto, da cui la piccola non perdeva nemmeno uno dei suoi movimenti. Era visibilmente emozionata e lo guardava, stregata. Yoshiko gli fece cenno di accomodarsi sulle coltri e lui obbedì.
    “Hai subito capito che ero un Elemento d’Aria, sei molto intuitiva"
    La bambina arrossì per il complimento. “Ho letto così tanto di voi che mi è sembrato di conoscerti già. E poi… quella è una Piuma di Yayoi, vero?” indicò il lungo orecchino che il giovane portava con sé.
    “Sì, esatto.”
    “Ah! Che meraviglia! Dal vivo sono molto più belle che disegnate su un libro.”
    Yuzo convenne e con gesti fluidi tolse il pendente per farglielo vedere da vicino.
    Yoshiko si sporse, gli occhioni spalancati e il sorriso trasognante. “E’ bellissima!” Poi sembrò come ricordarsi di una cosa importante e assunse una postura più dritta. Si profuse in una sorta di inchino. “Grazie per aver salvato il mio papà e per aver accettato di parlare con me.”
    “Non devi ringraziarmi, aiutare gli altri è un mio dovere, inoltre…”, Yuzo rimise la piuma all’orecchio, inclinando leggermente il capo, “…non potevo non far visita a un’aspirante Sacerdotessa dell’Aria.”
    Yoshiko sospirò, abbassando un po’ lo sguardo. “Te lo ha detto il mio papà, vero? Ma io non potrò mai diventare una Sacerdotessa e servire la Dea…”
    “Lo stai già facendo.”
    La giovane levò su di lui le iridi nocciola; sul viso brillava un’espressione di palese perplessità mentre Yuzo esibiva quella tranquillità disarmante e, all’apparenza, imperturbabile. A volte, sembrava che avesse potuto spostare le montagne.
    “Ami la Dea, ami il suo Elemento. Amare è sempre stato il primo insegnamento della Divina Yayoi e fintanto che tu continuerai a farlo, ad amare i tuoi genitori, la gente che ti circonda, l’intero pianeta allora non verrai mai meno ai suoi insegnamenti.”
    Yoshiko lo ascoltò con attenzione. Lei era sempre stata convinta che per poter servire davvero la Dea avrebbe dovuto prendere i voti di Sacerdotessa, andare ad Alastra e non lasciarla mai più come si richiedeva. E invece, le parole di Yuzo le fecero capire che tutti, nel loro piccolo, potevano servirla. Questo nessuno glielo aveva mai detto e se ne sentì profondamente orgogliosa e felice. Anche rassicurata, perché il suo sogno, anche se non si sarebbe realizzato pienamente, non sarebbe morto assieme a lei.
    Gli sorrise, con calore e riconoscenza. “Grazie.”
    Il volante le poggiò una mano sul capo. “Il mio nome è Yuzo e puoi chiedermi tutto quello che vuoi.”

    Mamoru seguitava a restare, braccia conserte, appoggiato con la schiena alla sedia; lo sguardo puntato all’esterno a osservare la piazza di Sendai dall’alto. La brezza calda, il bicchierino di liquore ancora pieno a metà davanti, le gambe allungate sotto al tavolo.
    Nella piccola saletta del secondo piano che Mastro Koji aveva messo a loro completa disposizione c’erano solo loro tre. La mappa della zona spiegata sulla superficie del tavolo e lì accanto quella dove era tracciato il loro percorso.
    “Secondo me, conviene che setacciamo prima la zona a Ovest.” Teppei evidenziò l’area con le dita. “Guarda com’è fitta la vegetazione.”
    Di fronte a lui, Hajime annuì mantenendo un piglio critico. Il tè fumava ancora debolmente.
    Sendai era circondata da boschi e foreste che si aprivano in rare radure. Offriva, quindi, un’infinità di luoghi dove potersi andare a nascondere e loro speravano di riuscire a trovare, nel folto degli alberi, qualche indizio lasciato dai misteriosi rapitori del Principe.
    “Se ci dividiamo in due gruppi, potremmo fare anche prima” propose il Tritone. “Così controlleremo contemporaneamente Est e Ovest.”
    “Giusto! Allora domattina ci alzeremo presto e informeremo anche Yuzo.”
    Tsk. Se non è impegnato a fare il bambinaio.” La Fiamma aveva il labbro tirato in un sorriso ironico, lo sguardo ancora all’esterno.
    Hajime sospirò con condiscendenza, afferrando la tazza col tè.
    “Vuoi lasciarlo in pace? È per una buona causa.”
    “E chi dice niente?” si difese, spostando lo sguardo sul suo interlocutore. “La mia era solo una constatazione. Anzi, magari è la volta buona che me lo tolgo dai piedi per un po’. E poi piantala di prendere sempre le sue parti, non sei mica sua madre.” Stavolta sghignazzò apertamente, beccandosi una smorfia di rimando.
    “Scusa, ma tu non l’avresti fatto se fossi stato al suo posto? Metti che la bambina avesse aspirato al ruolo di Sacerdotessa Elementale del Fuoco, non saresti andato a parlare con lei?”
    L’ironia sul viso di Mamoru si affievolì, lasciando il posto a un’espressione quasi amara. Girò il viso, tornando a fissare l’esterno.
    “No.”

    “Davvero?”
    Yoshiko non smetteva di strabuzzare gli occhi a ogni spiegazione che Yuzo non lesinava di darle, soddisfacendo davvero tutte le sue infinite domande.
    “Certo. Le phaluat appena nate non hanno il ventre azzurro, ma sono avvolte da un piumaggio bianchissimo.”
    Oooooh. E sono morbide?”
    “Morbidissime” rise Yuzo, mentre Yoshiko era deliziata; con la fantasia stava immaginando piccoli batuffoli candidi dal becco lungo che dibattevano le ali cercando di volare già come le meravigliose fenici d’aria adulte.
    “E tu te ne prendi cura?”
    “L’ho fatto fino a che non sono dovuto partire, adesso se ne starà occupando di sicuro il vecchio Magister Jinnosuke.”
    “Devono essere bellissime quando volano tutte insieme…”
    “Sì, lo sono. Si muovono in stormi, mettendosi in formazione. Da terra è molto difficile scorgerle nelle giornate di cielo sereno” spiegò Yuzo e la bambina lo ascoltava rapita da parole e racconti, davano una realtà quasi tangibile a ciò che aveva letto o visto in qualche immagine dipinta su carta ingiallita. Ora poteva scoprire cosa fosse vero e cosa fosse solo una diceria. E il suo interlocutore non si risparmiava nemmeno un po’, narrandole quanti più dettagli possibili, senza stancarsi.
    Yoshiko sorrise. “Sei una persona buona” disse d’un tratto, lasciandolo con le mani sospese a mezz’aria, prese nel mezzo d’una spiegazione impegnativa. “Si vede. Gli Elementi d’Aria sono tutti così? Gentili come te?”
    Yuzo arrossì appena; non gli capitava spesso che qualcuno gli facesse dei complimenti tanto aperti. Nell’ultimo periodo, stando a contatto con un tipo come Mamoru, il massimo della parola cortese era stata ‘stupido volante’, che lasciava un po’ il tempo che trovava. Sorrise.
    “Sì, fa parte della nostra natura e del nostro Elemento. La Divina Yayoi è considerata l’esempio della gentilezza e del buon cuore e noi, che siamo suoi servitori, cerchiamo di portare avanti i suoi insegnamenti in qualsiasi situazione. Per controllare un Elemento come l’Aria, ci vogliono calma e tranquillità, ma anche bontà per non farsi dominare dal troppo potere che ci si potrebbe trovare tra le mani.”
    “Anche le Sacerdotesse Elementali sono così?” Gli occhi di Yoshiko si illuminarono di curiosità e trepidazione, ma Yuzo si ritrovò a sospirare, stringendosi nelle spalle. Sulle labbra un sorriso dispiaciuto.
    “Purtroppo non saprei dirlo, non ne ho mai vista una. Perdonami.”
    “Davvero? Ma il Tempio di Alastra è proprio sotto la grande Scuola Elementale e le due strutture sono collegate da un passaggio interno!” Le sembrava così incredibile che non si fossero incrociati nemmeno per un attimo veloce.
    “Le Sacerdotesse non hanno il permesso di uscire dal Tempio nemmeno per volare attorno alla Punta di Diamante”, com’era chiamata l’appuntita base di roccia grezza su cui era edificata la Scuola, “e tra gli Elementi d’Aria, solo il Master e il Console hanno il permesso di poter scendere attraverso il passaggio che porta al Tempio, e solo in casi particolarissimi o estremi.”
    Yoshiko era seriamente impressionata. Sapeva che la vita delle Sacerdotesse era votata alla clausura, ma non pensava potesse essere così rigida. Non potevano nemmeno volare all’esterno, ma solo dentro la struttura sacra. Quella notizia parve raffreddare le sue aspettative.
    Yuzo se ne accorse.
    “Delusa?” domandò, dispiaciuto di averle dovuto narrare una realtà decisamente diversa da come doveva averla idealizzata.
    La bambina scrollò le spalle, sprofondando nei cuscini. “Un po’… di certo non è romantica come la descrivono nei libri. Volare deve essere così bello che non poterlo fare all’aperto deve essere una costrizione terribile.”
    “Sì, l’ho sempre pensato anche io. Noi Elementi abbiamo molta più libertà rispetto a una Sacerdotessa e meno responsabilità. Vegliare sull’Elemento Eterno è un compito difficilissimo dal quale non è possibile distrarsi nemmeno un momento. Anche per questo, il Tempio ha ridotto a zero i contatti con l’esterno.”
    Yoshiko annuì. “Lo capisco, però deve essere brutto non vedere mai il Sole, il cielo azzurro o le phaluat che volano libere. Non si sentiranno tristi?” Il dispiacere si appropriò dei suoi tratti e quella purezza d’emozioni disegnò un sorriso sulle labbra del volante. Se avesse potuto diventarlo, era convinto che Yoshiko sarebbe stata un’ottima Sacerdotessa, ma, allo stesso modo, forse un po’ egoisticamente, lui fu felice che non potesse recludersi nel tempio di Alastra. Uno spirito così vitale avrebbe finito con il morire lentamente, tra quelle mura di roccia.
    Dolcemente, le carezzò il capo coperto da morbidi capelli castani, facendo scivolare la mano sulla guancia.
    “Forse, però sono sicuro che se sapessero che c’è chi si preoccupa per loro, sarebbero molto, molto felici.” Le confidò e la bambina ricambiò il suo sorriso, cercando appoggio in quelle dita che trasmettevano calore e tranquillità. Le ricordavano contemporaneamente il tocco protettivo di suo padre e quello dolce e amorevole di sua madre.
    Sì, quell’Elemento d’Aria era davvero una persona buona.
    “Ora, però, devi riposare” affermò Yuzo. Erano rimasti a parlare almeno per un paio di ore e non voleva che Yoshiko si affaticasse; il capo villaggio aveva accennato alla sua salute molto cagionevole e al fatto che si stancasse facilmente, soprattutto la sera.
    “Vai già via?”
    “Hai bisogno di dormire, lo sai.”
    Yoshiko non rispose, ma si limitò ad abbassare lo sguardo, emettendo un sospiro dispiaciuto. Quando lo sollevò, un guizzo speranzoso balenò nelle sue iridi. “Quando ripartirete?”
    “Tra due giorni.”
    Lei si animò come per magia; tutta la stanchezza che sentiva, nonostante si sforzasse d’apparire in perfetta salute, sembrò dissolversi. Le labbra tornarono a distendersi in un sorriso e gli occhi a brillare. “Allora, se non è un disturbo, parleresti ancora un po’ come me, domani? Lo so che avrai tanto da fare ma posso rubare qualche minuto del tuo tempo, la sera?”
    “Certo che puoi. Passerò volentieri, proprio come oggi, e potremo continuare da dove abbiamo interrotto.”
    “Oh! Grazie!” La piccola era così felice che, se avesse potuto, avrebbe saltato di gioia, ma le sue gambe non erano in grado nemmeno di reggere il suo esile peso, così si limitò a stringergli una mano tra le sue prima di lasciarla andare. Diligentemente scivolò sotto le coperte, mentre Yuzo le sistemava i cuscini sotto la testa e le rimboccava le lenzuola leggere con attenzione e praticità.
    Yoshiko ridacchiò. “Posso farti una domanda?”
    “Sicuro, chiedi pure.”
    “Tu hai un fratellino, vero? Sei premuroso come la mia mamma!”
    Il volante cominciò a ridere di gusto, mentre gli venivano in mente anche le parole di Rika, quando lo aveva visto alle prese con Mayleen. “Uno solo? Ne ho centinaia.”
    Lei ridacchiò e si girò di lato, pronta per dormire.
    Yuzo abbassò la fiamma della lampada, riducendola a un baluginio tenue che ricreava una riposante penombra. “Sogni d’oro” augurò e lasciò la camera, chiudendo piano la porta.
    Un rilassato sorriso gli tendeva ancora le labbra mentre s’avviava per il corridoio. Le torce incassate nelle pareti illuminavano debolmente la via da percorrere. Era felice quando riusciva a rendersi utile in qualcosa, anche solo portando un po’ di conforto e serenità. Pensandoci bene, in quella missione si sentiva un intralcio il più delle volte, perché non era un Elemento da combattimento, anzi. Rifuggiva la lotta e non perché non sapesse farla, ma perché non voleva far del male a nessuno, e sapeva quanto queste sue limitazioni pesassero pure nel suo rapporto con Mamoru. Spesso era convinto che lui lo vedesse un po’ come un incapace cui bisognava dire cosa fare e su cui non poter fare troppo affidamento. Nonostante avesse detto di fidarsi di lui un po’ di più, al volante non erano sfuggite le occhiate di sufficienza che ogni tanto gli rivolgeva. Avrebbe dovuto lavorare sodo per riuscire a farsi accettare completamente e poi…
    Yuzo sospirò, passandosi una mano dietro la nuca.
    E poi era successa quella cosa.
    Non avrebbe mai pensato che anche Hajime ne fosse coinvolto e la scoperta l’aveva lasciato sorpreso e… spaventato. Gli era parso un segno infausto. Tutto gli sembrava infausto quando si trattava dell’onice.
    La toccò con le dita, avvertendola gelida come sempre e con la sensazione che pulsasse di vita propria. Ma non voleva che quel pensiero negativo oscurasse il piacere che aveva provato nel far compagnia a Yoshiko, così scosse il capo e si focalizzò sulla bambina e il suo amore per l’Aria.
    “Ah, ragazzo!”
    La voce di Mastro Koji attirò l’attenzione di Yuzo. Il giovane lo scorse farglisi contro dal fondo dell’andito assieme alla moglie Yumiko.
    “Stavamo andando dalla nostra bambina per darle la buonanotte. Spero non ti abbia fatto disperare con le sue domande infinite.”
    Il volante s’affrettò a negare; il sorriso si fece più ampio. “Ma no, Mastro Koji, nient’affatto. Anzi, se fosse possibile, mi piacerebbe farle un po’ di compagnia anche domani sera, quando torneremo dalla perlustrazione.”
    Non lo vide nettamente, ma a Yuzo parve che l’uomo quasi si commuovesse, scambiò una rapida occhiata con la donna al suo fianco e poi rispose: “Ma certo, ragazzo, certo! Che domande!”
    Yumiko gli rivolse un profondo inchino in segno di ringraziamento e si avviò alla camera di Yoshiko. Non era una donna molto loquace, ma attraverso i suoi gesti e le espressioni del viso, gli sguardi, tutte le parole che non diceva divenivano chiarissime.
    “Ti raggiungo subito” affermò il capo villaggio, rimanendo accanto a Yuzo. Appena la donna scomparve dietro la porta della stanza, Koji Yamaoka emise un profondo sospiro. Sul viso, l’espressione mutò in una smorfia a metà tra il rassegnato e il grato. Sollevò gli occhiali con un gesto lento, passandosi le dita sugli occhi.
    “Io… io non so davvero come esprimerti tutta la mia riconoscenza per ciò che stai facendo.” L’uomo accompagnò quella frase con un secondo sospiro. Gli occhi emersero da dietro le mani e stavolta il volante poté scorgere reale commozione.
    “Non dovete ringraziarmi, lo faccio con vero piacere, credetemi.” Eppure offrirgli il suo sorriso non gli sembrò abbastanza, in quel momento.
    “E invece devo. Non l’avevo mai vista così felice. Lei… lei sorride sempre, anche quando è allo stremo delle forze. Sorride per alleggerire il suo dolore e il nostro. Quando ha visto te, sembrava rinata. Questo per noi vale più di un miracolo.”
    Yuzo abbassò lo sguardo, intrecciando le mani davanti a sé; l’espressione seria e preoccupata. “E’ così grave?”
    Non l’aveva percepito nel tempo in cui erano rimasti a parlare. Anche lei era brava a nascondere, allora.
    “Non le resta molto, ormai. Il Naturalista ha detto che si tratta di giorni, forse settimane. Quando la sera le andiamo ad augurare la buonanotte, io e mia moglie ci domandiamo sempre se sarà l’ultima, se al mattino si sveglierà.” Il capo villaggio tornò a mostrargli un sorriso più sereno anche se provato. “Per questo ti sono grato, se riesci a rendere lieti i suoi ultimi giorni.”
    Yuzo gli rivolse uno sguardo stranamente fermo. Sembrava aria immobile, la stasi nell’occhio del ciclone.
    “Farò tutto quello che sarà in mio potere. Glielo prometto.”
    “Più di quanto stai già facendo?” L'uomo gli poggiò una mano sulla spalla.
    “Caro”, Yumiko Yamaoka s’affacciò dalla porta, con un sorriso, “vieni, nostra figlia ti cerca.”
    “Oh, oh! Eccomi subito!” Di nuovo, sul volto del capo villaggio era tornata l’espressione cordiale e un po’ buffa, quella che mostrava a Yoshiko affinché continuasse anche lei a sorridere e Yuzo aggrottò leggermente le sopracciglia nell’osservarlo allontanarsi.
    Nell’aria c’era un odore triste. Lo inspirò a fondo, percependolo fin dentro ogni cellula del proprio corpo. Poi, si volse, cominciando a camminare nuovamente per il corridoio.
    Non era abituato a vedere la gente soffrire e questo era uno dei grandi effetti collaterali del non aver mai lasciato Alastra. Quando si era trovato a Dhèver, dove la situazione era stata addirittura peggiore, si era sentito come soffocare dal dolore altrui, schiacciare al suolo. Fuori dal suo mondo tranquillo e felice, la gente soffriva molto di più di quanto potesse anche solo pensare e molto di più di quanto lui potesse materialmente fare per essere d’aiuto.

    “Noi siamo semplici essere umani leggermente più speciali di altri, perché conosciamo la magia. Niente di più. Non siamo divinità, figliolo, e non riusciremo mai a preservare tutte le vite di questo pianeta. Però, ricordati sempre che anche un solo gesto che possa arrecare sollievo al dolore altrui è prezioso.”

    “Anche un solo gesto…” a fior di labbra ripeté le parole di suo padre. Gliele aveva dette circa nove anni prima, quando non era ancora divenuto Console. Aveva sempre cercato di insegnargli il possibile prima del termine del suo mandato e l’inizio dell’altro, molto più impegnativo, che l’avrebbe tenuto lontano dalla Scuola. Con un sorriso, Yuzo si rese conto che riusciva sempre a trovare il giusto conforto in quei ricordi con lui, quando c’era qualcosa a turbare il suo cammino. Un po’ come Mastro Koji faceva con Yoshiko: le dava il conforto e la solidità cui appoggiarsi quando non si sapeva che fare, anche in maniera impercettibile, camuffandola dietro un’apparente tranquillità.
    Parlare con lei, soddisfare la sua curiosità sarebbe stato il gesto che avrebbe fatto per portarle almeno un po’ di sollievo, ma non gli parve abbastanza.
    Yuzo sollevò il capo, inspirando a fondo di nuovo, e in quel momento scorse la figura di Mamoru seduta in una piccola saletta. Il viso girato a osservare l’esterno e una bottiglia di liquore davanti.
    La Fiamma lo notò che non era ancora entrato e gli rivolse il suo mezzo sorriso ironico facendogli cenno d’avvicinarsi.
    Il volante varcò le soglie della stanza accogliente, dove le tende oscillavano alla brezza filtrante dalle vetrate spalancate, e si accomodò di fronte al compagno.
    “Allora, fatta la tua buona azione quotidiana, uccellino?” lo pungolò Mamoru senza perdere tempo.
    “Sì, signore.”
    “Perché non ti rivolgi a me sempre così, mh?” finse di supplicarlo con le sopracciglia aggrottate. “Non senti come suona bene?”
    Lui si volse e guardò fuori dalla finestra; c’era una bella vista della piazza di Sendai. “Perché poi non avresti nulla di cui lamentarti e ti annoieresti.”
    “Uh, sagace.”
    Yuzo sbuffò un sorriso; lo sguardo vagava alla città addormentata o in procinto di dormire. Bagliori tenui di candele e lanterne provenivano dalle finestre di alcune abitazioni, mentre la fontana continuava a zampillare con un mormorio piacevole che si accodava ai grilli. Attorno, oltre i confini, le fronde boschive stormivano piano, scure, creando come una coperta intorno alla città.
    Il volante distese le braccia lungo il davanzale, appoggiando il viso sopra di esse.
    “Mi piace questo posto.”
    L’espressione di Mamoru si fece attenta nell’osservare il suo profilo e valutare quella frase. Il volante non lesinava mai nell’esprimere i propri pareri, come tutti, ma questa volta vi colse una nota più personale e sentita. Sul viso, carpì un accenno di tristezza.
    “E’ così tranquillo e raccolto. La gente mi sembra felice.”
    “Qualcosa non va?”
    Yuzo sorrise un po’ sorpreso del fatto che l’altro si fosse accorto del suo turbamento.
    Nel gorgogliare della fontana rivelò: “Lei morirà.”
    “Si muore tutti prima o poi”
    “Ma per lei avverrà prima degli altri. Non le rimane molto.”
    Mamoru rimase in silenzio, continuando a scrutarlo; con lui era fin troppo facile riuscire a leggergli dentro.
    “Vorrei… vorrei poter fare di più.”
    “Non dirmi che ti ci sei già affezionato, vero?” inarcò un sopracciglio e l’altro rise, senza voltarsi.
    Per Mamoru fu un ‘sì’. Cominciò a scuotere il capo, facendo schioccare la lingua tra i denti.
    “Il solito volante. Così non andiamo d’accordo.”
    “Perché? Cosa c’è di male?”
    “C’è che ti fai distrarre e noi dobbiamo essere concentrati.” Si versò da bere e poi portò il bicchiere alle labbra. “I legàmi sono solo un intralcio.” Lo vuotò d’un sol colpo, avvertendo il calore dell’alcool scendere piacevolmente lungo la gola e l’esofago.
    Yuzo sollevò il capo, assumendo una postura più composta. Sul viso, vi era un’espressione incredula. “Ma… ma i legàmi fanno parte di noi fin dalla nascita. Rifiutarli o non averne significa essere-” si interruppe all’improvviso, abbassando lo sguardo.
    “Che cosa, volante?”
    “No, niente.”
    “Dillo.”
    “Non vorrei offenderti” rifuggì ancora i suoi occhi, ma la mano della Fiamma gli afferrò il polso con decisione, bloccandolo sulla superficie del tavolo prima che potesse ritrarlo.
    Nello sguardo, che aveva incrociato per la sorpresa di quel gesto, Yuzo lesse il ribollire spietato della pece.
    “Offendimi.”
    Il volante si mortificò per non aver pensato prima di parlare.
    “Soli.”
    Tsk.” La Fiamma sbuffò un mezzo ghigno ironico. “La solitudine non mi spaventa. Anzi, almeno non ho seccature.”
    “A me sì.”
    La sincerità con cui lo disse colpì Mamoru in maniera precisa come fosse stato punto da un lungo spillo, così come l’espressione malinconica che lesse sul suo viso.
    “Per questo mi circondo di legàmi.”
    Si fissarono a lungo, cercando di leggere negli occhi dell’altro le parole non dette che maturavano le loro scelte tanto opposte. Poi, la Fiamma lasciò la presa tornando a versarsi da bere.
    “Si vede che siamo diversi” ironizzò e Yuzo annuì, rivolgendogli un sorriso di circostanza. Lo sguardo tornava a fuggire verso l’esterno.
    “Perché ti sei affezionato alla mocciosa?”
    Stavolta, il sorriso che carpì dal suo profilo fu nuovamente sincero, ma sempre pregno di quella malinconia che gli sembrava così strana, come una nota stonata, qualcosa di sbagliato, ma non capiva perché lo infastidisse tanto.
    “Il suo amore per l’Aria, la sua voglia di apprendere e volare con la fantasia quando la realtà ti costringe al suolo… mi ricorda quando ero piccolo.”
    Stavolta la Fiamma non rispose, limitandosi a osservarlo con un senso di profonda nostalgia che gli pungolò il petto. Lo scacciò prontamente e con decisione, relegandolo nello spazio impolverato del suo cuore da cui era fuggito. Lì, dove giacevano i ricordi.
    Gli vide prendere un respiro più profondo e, quando si volse, la maschera creata attraverso l'incantesimo di Autocontrollo era calata perfettamente sul suo viso, mostrandogli un sorriso che avvertì gelido.
    “Allora, qual è il programma di domani?”
    Il tono completamente differente, gli occhi fissi nel cristallo, le labbra che sembravano seguire la piega sbagliata.
    Yuzo si stava nascondendo e lui l’aveva capito all’istante, tanto da rimanerne spiazzato. Il mimetismo camaleontico dei sentimenti era perfetto, tale sarebbe parso ad altri occhi che non avrebbero saputo cogliere le differenze, ma lui… da quando riusciva ad aggirare simili difese con tanta semplicità?
    Tsk. Come sei romantico” lo prese in giro, appoggiando un braccio alla spalliera della sedia e cambiando postura. “Comunque, domattina sveglia all’alba. Io e te daremo un’occhiata alla zona Ovest, Hajime e Teppei setacceranno le boscaglie a Est. Vediamo di trovare qualcosa.”
    “Spero non ti dispiaccia se, in serata, torno a far compagnia alla figlia di Mastro Koji. Le ho detto che sarei passato.”
    Mamoru arricciò le labbra, incrociando le braccia al petto.
    “A proposito di questo: la vuoi smettere di chiedere il mio permesso verso cose per cui non ne hai bisogno?! Sembra quasi che tu mi prenda per il culo!”
    “Ma no! Ma no! Giuro! Non l’ho fatto con quell’intenzione è solo che… sto cercando di fare il possibile per… per venire incontro alle tue esigenze. Voglio far durare questa tregua.”
    “Se vuoi che duri, devi semplicemente fare quello che dico io, quando lo dico io. Non è poi così difficile.”
    “Ma io lo sto già facendo, sul serio!”
    Mamoru sollevò il mento. “Seee, seee. Come il salvataggio non autorizzato di Mastro Koji.”
    “Sì, ma ho fatto bene, no? Questo devi ammetterlo.”
    La Fiamma grugnì. “Vedi di sparire dalla mia vista, volante. Vattene a dormire che domani ci aspetta una lunga giornata.”
    Yuzo sorrise, alzandosi lentamente. “D’accordo, ho capito. Taccio.”
    “Bravo.”
    “Tu non vieni? Ah, ma è vero! Dormiamo in camere separate.”
    Mamoru allargò le braccia, portandole dietro la nuca e dipingendosi un sorriso sornione. “Già! Una vera pacchia. Niente uccellini cinguettanti nelle orecchie. Cosa chiedere di più alla vita?”
    Il volante continuò a sorridere, scuotendo il capo e allontanandosi di qualche passo.
    “Eppure sono sicuro che un po’ ti mancherò. Buonanotte.”
    “Certo, come no, in un’altra vita, magari!” sbottò a ridere Mamoru, la mano che veniva agitata in un cenno di saluto. Lo seguì con gli occhi fino a che non scomparve oltre l’uscio. Velocemente il sorriso si dileguò, lasciando il posto a un’espressione più seria e pensosa. Spostò lo sguardo alla bottiglia e si versò ancora un dito di quella grappa dal colore scuro. Prese il bicchiere e si perse nell’oscillare del fondo senza smettere di vedere la fissità falsa della maschera dietro cui Yuzo continuava a trovare rifugio.
    Quanto di simile c’era dentro di loro?

     


    [1]SHUNJIN-GO: Capitano della Nazionale Cinese comparsa nel "World Youth Hen". Sì, pg-meteora. X3 Vogliategli bene. :* (fotina: *clicca qui* XD ammettetelo, non ve lo ricordavate nemmeno!)

    [2]BUNNAKU SHINPRUSAT: ammetto, ho un debole per la squadra Thailandese. X3 Mi sono sempre stati simpatici, e infatti non è la prima volta che compaiono in una mia AU. Vi ricordate che avevo già nominato i Fratelli Konsawatt? Ebbene, non poteva mica mancare Bunnakinopuccio! *-* Mi ha sempre ispirato grande simpatia, per il suo essere un piagnone XD (Bunnakuzzo: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…

    Argh. Scusate, capitolo lungo. X3
    Questa prima parte del capitolo 7 darà il via a una specie di 'minisaga', che si concluderà nel capitolo 9. Quello che avverrà in questa parte della storia sarà molto, molto importante, perché segnerà i nostri eroi in maniera profonda per svariati motivi. Qualcuno si sentirà tradito, qualcun altro si sentirà in colpa, tutti soffriranno. Nessuno ne uscirà illeso.
    XD ovviamente, non potevo non dare un ruolo piccino a Yoshiko Yamaoka che, in questa storia, non è la sorellastra di Taro. ;)
    Da quando ho scritto "Huzi", mi sono affezionata moltissimo a questo pg e quindi, se posso, cerco di inserirlo alla prima occasione buona! *sghignazza*
    Ringrazio, come sempre, tutti coloro che seguono questa storia :D! Ci rileggiamo al prossimo aggiornamento!


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 17
    *** 7 - Il villaggio di Yoshiko - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 7: Il villaggio di Yoshiko (parte II)

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Hajime incrociò le braccia al petto, appoggiandosi allo schienale della sedia. C’erano solo loro nella sala da pranzo e i loro piatti erano ormai vuoti.
    “Un nulla di fatto anche questa volta” affermò in tono grave e un po’ rassegnato emettendo un profondo sospiro.
    Quella mattina avevano lasciato la casa di Mastro Koji prima che sorgesse il Sole e avevano battuto palmo a palmo la boscaglia a Est e a Ovest del villaggio, tenendo sempre la Via Crociata come riferimento, ma il risultato non era cambiato: nessuna traccia, niente di anomalo.
    Mamoru sbuffò. “O sono stati molto bravi a non farsi scoprire oppure hanno usato la Magia Nera.”
    “Un Aprivarco giustificherebbe l’assenza di tracce come resti di fuochi o giacigli per dormire” ipotizzò Hajime, mentre la Fiamma ringhiava.
    “Che siano dannati, accidenti! Se hanno uno di quelli, le cose si complicherebbero; potrebbero spostarsi in tutto il pianeta in un attimo e portare il Principe con loro chissà dove.”
    Yuzo si fece serio. “Deve esserci una base d’appoggio da queste parti. Gli Aprivarco non possono trasportare oltre un raggio di venti chilometri alla volta, a meno che non vi sia un amplificatore.”
    Hajime annuì. “Sono d’accordo. Ma se il Principe non è scomparso qui, significa che la base era ancora troppo lontana per poterlo rapire e andarsene.”
    “Sembrerebbe.” Mamoru inspirò a fondo, cercando di sedare la rabbia. “Verificheremo la situazione alla nostra prossima meta.” Non c’era molto altro da fare, purtroppo, e ne erano un po’ tutti consapevoli.
    “Qual è, dunque, il programma del pomeriggio?” Yuzo lo chiese mentre si versava dell’acqua. Hajime e Teppei si scambiarono uno sguardo d’intesa e un sorriso mentre la Fiamma sollevava appena gli occhi su di lui, restando a braccia conserte. Masticò a vuoto, nascondendo un certo imbarazzo.
    “Noi faremo un altro giro, spingendoci verso Sud, ma sempre qui intorno.”
    “E io che devo fare?”
    “Niente.”
    Il volante drizzò la schiena. “Cosa? In che senso?”
    “Nel senso più ovvio, uccellino” rimbrottò l’altro, piccato. “Non devi fare niente, non c’è bisogno che venga anche tu. Puoi restare qui.”
    Yuzo non capiva e nel suo sguardo un po’ smarrito si lesse chiaramente. “E… e che faccio qui?”
    “Ma come? Te lo devo dire io? Potresti stare con la mocciosa, per esempio…”
    Stavolta la sorpresa balenò nelle iridi nocciola dell’Elemento di Aria che spostò lo sguardo anche su Hajime e Teppei. Entrambi sorridevano. Tornò a guardare Mamoru.
    “Davvero? Posso?”
    “Ti ho detto di sì. Sei tonto?”
    Hajime distese un sorriso smagliante e ironico. “E’ stata tutta una sua idea!” confessò indicando proprio la Fiamma che non riuscì a nascondere il rossore.
    “Tappati quella bocca, sardina!” gli abbaiò contro poi girò il viso di lato, lanciando qualche fugace occhiata a Yuzo che lo fissava con evidente sorpresa. Arrossì ancora di più, in difficoltà.
    “Beh? Che hai da guardarmi in quel modo? Non sono l’orco cattivo, tsk! E sappi che l’ho fatto solo perché non eri indispensabile. Se lo fossi stato, non t’avrei mai dato il permesso. Ecco” borbottò senza girarsi. E, a dirla tutta, ancora si domandava perché avesse deciso di fargli quel favore. La sera prima, dopo che Yuzo era andato a dormire, non aveva fatto altro che ripensare alla loro conversazione e a quanto il volante gli fosse apparso… strano. Il fatto era che l’aveva infastidito avergli visto la maschera dell’incantesimo di Alastra, gli aveva dato l’idea di trovarsi di fronte a una persona sconosciuta che non si fidava di lui, se arrivava a nascondere sé stesso.
    Non che gli importasse avere la fiducia del volante, figurarsi, era solo perché, come leader del gruppo, pretendeva la sincerità dagli altri. Certo. Solo per quello.
    Yuzo gli sorrise largamente; di nuovo, era tornato a essere un libro aperto sulle sue emozioni e non ci voleva un indovino per capire che era felice.
    “Grazie, Mamoru!” s’alzò in piedi, di slancio, preda dell’entusiasmo. “E grazie anche a voi per permettermi di poter stare con lei.”
    “Non hai bisogno di ringraziarci.” Teppei agitò una mano. “E’ per una buona causa. Salutaci la piccola, magari al ritorno potremmo passare a trovarvi.”
    “Scordati ch’io verrò” ringhiò Mamoru che non aveva la minima intenzione di trasformarsi in una bambinaia.
    “E piantala di essere sempre così acido.”
    Nel frattempo, Yuzo aveva raggiunto l’uscita della sala, fermandosi sulla soglia. “Sono sicuro che a lei farebbe davvero piacere conoscervi. E… Mamoru?”
    “Cosa?”
    “Non penso affatto che tu sia un orco cattivo. Devi credermi.” Se ne andò accennando un ultimo saluto col capo.
    Mamoru arrossì di nuovo a quelle parole, dette con tale sincerità.
    “Stupido volante” masticò, storcendo la bocca per camuffare l’imbarazzo.
    Accanto a lui, Hajime sorrise, poggiando il viso in una mano.
    “Yuzo era davvero felice. Penso sia stata un’ottima idea lasciarlo con la bambina. Stamattina mi era sembrato un po’ triste.”
    “Eh, già. L’avevo notato anche io. E’ così cristallino” appoggiò Teppei, ma Mamoru non era del tutto d’accordo. Certo, il più delle volte il suo viso era lo specchio della sua anima, ma solo fino a un certo punto e per preoccupazioni lievi. Il resto, Yuzo sapeva nasconderlo molto meglio di quanto Acqua e Terra avrebbero potuto credere.
    Mamoru ripensò a quando si trovavano a Sundhara e il volante aveva nascosto il reale dolore per l’intossicazione o la paura di morire, ripensò alla sera prima e a come avesse fatto ricorso all’incantesimo dell’Autocontrollo quando i suoi pensieri negativi erano diventati troppo forti.
    Yuzo non celava la gioia o le emozioni che non avrebbero fatto preoccupare chi gli stava attorno, ma le altre le teneva serrate sottochiave, e come lui avesse imparato a capirlo, a conoscerlo tanto a fondo da prevedere i suoi comportamenti, lo turbava.
    Però non poteva negare la sensazione piacevole che aveva provato nel vederlo sorridere con quella genuina felicità.

    “Non penso affatto che tu sia un orco cattivo. Devi credermi.”

    Le sopracciglia corrugate si rilassarono su di una specie di smorfia sorridente.
    No, non poteva proprio negarlo.

    Yuzo raggiunse la stanza di Yoshiko in rapidi passi e con il sorriso sulle labbra per due motivi: avrebbe fatto di sicuro una gradita sorpresa alla bambina e… e perché ricevere un gesto gentile da Mamoru era dolcemente piacevole. Lui era sempre stato convinto della bontà nascosta della Fiamma e aveva la netta sensazione che più passava il tempo, più il giovane lasciava intravvedere qualcosa di sé e questo glielo faceva sentire ogni volta più vicino. Quella missione gli stava dando molto di più di quanto avrebbe mai creduto.
    Arrivato alla porta della camera, la trovò aperta. Bussò e fece capolino.
    “E’ permesso?”
    Il volante scorse la bambina sulla sedia a rotelle ferma accanto alla finestra e pronta per uscire, mentre la governante dava un’ultima sistemata alle coperte. Quando lo vide, Yoshiko si animò.
    “Yuzo! Che bella sorpresa! Non dovresti essere con i tuoi compagni?”
    “Piccolo cambio di programma. Visto che non era necessaria la mia presenza, ho pensato di farti visita.”
    Lei parve ancora più felice per quella risposta e il suo entusiasmo lo contagiò. “Davvero?! Evviva! Ho ancora così tante cose da chiederti!”
    Yuzo rise, mentre la governante interveniva appoggiando affettuosamente le mani sulle spalle della bambina.
    “Signorina, perché non vi fate accompagnare dal giovane Elemento, quest’oggi?”
    “Stavate andando da qualche parte?”
    “E’ la passeggiata pomeridiana” spiegò Yoshiko. “Ogni giorno, Miyu mi porta a fare un giretto del villaggio. Ti andrebbe di essere il mio accompagnatore? Dai, ti prego! Così ti mostro Sendai!” Si inorgoglì un po’. “Anche se esco pochissimo, nessuno la conosce meglio di me.”
    “Ma certo. Sarà un piacere. Non ho ancora avuto modo di vederla e sono molto curioso.”
    “Evviva!” esultò Yoshiko sollevando le braccia al cielo, mentre la donna si profondeva in un sincero inchino di gratitudine.
    “Grazie mille per aver accettato” disse e quando sollevò lo sguardo, Yuzo lesse una leggera commozione. Anche lei era molto affezionata alla bambina e, come tutti, desiderava che trascorresse in serenità gli ultimi giorni.
    Il volante ricambiò il sorriso, accennando col capo. “Allora? Dove andiamo?”
    “Vieni, ti faccio strada.” Lei iniziò a spingere le ruote, ma Yuzo la fermò.
    “Ci penso io” disse e richiamò il potere del vento che fece oscillare le tende alla finestra. Lo convogliò dietro la carrozzina, dandole una spinta leggera. Yoshiko ne rimase affascinata.
    “Così non ti affaticherai” spiegò Yuzo.
    “Wow!” Yoshiko si era portata le mani al petto e continuava a guardarsi intorno con incredulità mentre la sedia si muoveva da sola. “E’ fantastico!”
    Scesero lungo una rampa che li condusse al piano inferiore e da lì uscirono finalmente all’esterno.
    L’aria calda di Sendai li avvolse con un venticello piacevole che sembrò volerli scortare durante la loro passeggiata. Ogni cosa sembrava dar loro un saluto, ogni suono, ogni odore. L’acqua che zampillava nella fontana della piazza centrale, il rumore del fabbro che martellava sull’incudine, l’odore del pane e delle focacce che aspettavano d’esser sfornate.
    Gli abitanti del villaggio li salutarono calorosamente, rivolgendo affettuosi sorrisi alla bambina che li conosceva tutti e gli parlò di loro, uno per uno. Gli parlò del villaggio stesso, raccontando la storia della sua fondazione, e il volante ebbe l’impressione di conoscerlo da moltissimo tempo. Si sentì a suo agio in quel calore genuino che veniva dagli abitanti, dalla loro cortesia e tranquillità. Sì, come aveva detto a Mamoru la sera prima: Sendai gli piaceva.
    “E così il villaggio è votato alla Divina Yoshiko” affermò, mentre passeggiavano lungo la via delle botteghe. Gli artigiani avevano in mostra i propri lavori e si dedicavano agli altri, ben visibili dalla strada.
    La bambina annuì. “L’economia di Sendai si basa per la maggior parte sull’agricoltura e un buon raccolto è largamente legato alla quantità di acqua per irrigare. La Dea ci ha sempre benedetto, da questo punto di vista, per questo venne costruita la fontana della piazza principale.” Poi si sporse un po’ verso di lui. “Io però prego anche la Divina Yayoi.”
    A Yuzo venne da ridere. “Non devi farne un segreto. Finché vi è il rispetto verso ciascuna di loro, allora le Dee sono in pace e armonia e offriranno sempre la loro protezione.”
    Yoshiko annuì entusiasta. A un bivio si fermò e indirizzò le ruote verso una stradina secondaria che tagliava attraverso le case, allontanandosi dal villaggio.
    “Vieni, ti mostro il luogo dove vado sempre a pregare la Dea”, ridacchiò, “è il mio posto segreto.”
    Si inoltrarono lungo il sentiero più sterrato, ma delimitato da una serie di pietre tonde, levigate.
    Adagio, si lasciarono i rumori di Sendai alle spalle fino a che non divennero solo un brusio lontano e di nitido non rimasero che le loro voci e i rumori della natura. Stavano risalendo la collina.
    Arrivati in cima, davanti agli occhi del volante si aprì una enorme canneto. Il bambù era piegato e creava un ingresso alla foresta, un arco naturale sotto il quale passarono indisturbati.
    Yuzo si guardava intorno, ammirato e sorridente. Era uno spettacolo veramente suggestivo. All’interno, il sentiero si snodava attraverso le canne altissime, che arrivavano a coprire il cielo curvandosi le une sulle altre, e intrecciando le foglie.
    “Siamo arrivati! Ecco, laggiù!”
    Yoshiko indicò una struttura in pietra posta in quella che sembrava una nicchia artificiale mentre, invece, nessuno aveva osato mettere mano per modificare la natura. Nell’avvicinarsi, il volante scrutò con attenzione la sagoma: sembrava una panchina, una panchina intagliata nella roccia; un colpo dopo l’altro, lo scalpello aveva lasciato segni netti e decisi. Non capì di che materiale fosse – quello l’avrebbe saputo di sicuro Teppei – eppure luccicava intensamente sotto ai sottili spilli di sole che riuscivano a filtrare attraverso il groviglio di canne e foglie. La luce fendeva il pulviscolo, mentre sagome di farfalle apparivano e scomparivano, trafitte dai raggi.
    “Com’è bella.” Guardò la sagoma che emergeva dal terreno e non sembrava essere stata lavorata altrove e poi trasportata in quel luogo.
    Yoshiko ridacchiò. “E non hai ancora visto la parte migliore! Toccala.”
    Yuzo obbedì, allungando la mano sulla superficie. Sul suo viso si dipinse un’espressione incredula e sorpresa. “Ma è calda!”
    “Sì!” la bambina fece forza sulla roccia per darsi la spinta necessaria a sollevarsi e a lasciare la sedia a rotelle. Si sedette sulla panchina con notevole praticità; aveva compiuto centinaia di volte quel gesto. “E’ una pietra termica. Assorbe il calore della luce diretta che riesce ad arrivare sulla sua superficie e la trattiene, rilasciandola poi durante la giornata.” I piedi ciondolavano nel vuoto, mentre si sistemava contro lo schienale duro, ma per nulla scomodo. “Visto che qui di luce non ne arriva tanta, è solo tiepida. Dai! Siediti anche tu!” invitò la piccola e il volante non se lo fece ripetere.
    Yuzo perse lo sguardo sopra la propria testa, nell’intricato rincorrersi di rami e foglie che spezzettavano la luce in tanti piccoli frammenti.
    La schiena appoggiata contro la spalliera e una mano che ne carezzava la superficie. Un senso di tranquillità e pace si addormentò sotto la pelle inondandogli il petto di serenità e sospensione del tempo.
    “E’ bellissimo qui” disse, volgendosi a guardare la bambina, anche lei col naso all’insù.
    “Pensa che questa panchina esiste da prima che venisse fondato il villaggio. Nessuno sa chi l’ha creata e si è spesso vociferato che fosse stata messa da una delle Dee, forse proprio dalla Divina Yayoi.” Sospirò. “Le lunghe canne di bambù riescono a bloccare ogni cosa, rallentano la pioggia, frenano la luce. Però l’aria no. Riesce a insinuarsi tra i rami, è così piacevole. Ci vengo tutti i giorni a chiedere alla Dea di vegliare sempre su questo villaggio affinché continui a vivere tranquillo e felice, proprio come adesso… anche quando io non potrò più vederlo.” Abbassò lo sguardo sulle proprie mani ferme sulle ginocchia.
    Yuzo s’accorse che stringeva la stoffa.
    “Sai, le persone mi vedono sorridente, ma io non sono sempre felice, solo non voglio che la gente si preoccupi per me. Soprattutto i miei genitori. Molte volte mi è capitato di vedere piangere la mamma ma se mi mettessi a piangere anche io, sarebbe peggio, no?” Yoshiko stentò un sorriso che non riusciva a nascondere le iridi lucide. “Così cerco sempre di essere di buon umore per loro, per vederli tranquilli.” Svelta si passò il dorso della mano sugli occhi, ridacchiando. “Oh, scusa. Non volevo annoiarti!”
    Ma Yuzo non si stava affatto annoiando. Capiva più di quanto Yoshiko potesse immaginare: fingere, per le persone cui si voleva bene e per sé stessi, era un qualcosa che aveva imparato a fare fin da bambino, prima ancora di leggere e scrivere.
    Le poggiò una mano sul capo, carezzandole piano i capelli.
    “Puoi parlarmi di tutto quello che desideri, io non mi stancherò di ascoltare.”
    Yoshiko osservò le iridi scure con le sopracciglia aggrottate. Poteva piangere un po' con lui, si disse, solo con lui. Sapeva che non lo avrebbe detto a nessuno, così si lasciò abbracciare, trovando rifugio e calore nelle sue mani e nel suo petto. Le bastò quello e le parve già che tutto potesse andare meglio, che la consapevolezza di un tempo troppo breve non facesse poi tanto male, che il suo papà e la sua mamma non avrebbero sofferto troppo, che forse avrebbe potuto vegliare su Sendai dall’alto, volando come uno spirito. Volando. Come aveva sempre sognato. E si sentì felice, nonostante stesse singhiozzando, perché anche se solo per pochi attimi, stava realizzando i suoi desideri. Gli Elementi d’Aria erano davvero creature magiche.
    “Anche il Principe Tsubasa è un mago…”
    Yuzo assunse un’espressione sorpresa, mentre le carezzava i capelli.
    “Un mago?”
    “E’ venuto a farmi visita quando si è fermato al villaggio. È stato gentile, abbiamo parlato e poi, prima di andarsene, mi ha detto di non aver paura perché avrei realizzato i miei desideri. Pensavo fosse solo cortesia, la sua. Poi siete arrivati voi. Sei arrivato tu.” Sollevò il viso verso di lui, le lacrime avevano lasciato una scia che brillava alla luce sottile. “Se non è magia questa, allora cos’è?”
    Yuzo l’osservò a sua volta, senza rispondere.
    Di nuovo, il Principe aveva dimostrato di sapere del loro viaggio molto di più di quanto avrebbero potuto sapere loro stessi. Ormai era innegabile che doveva esserci qualcosa dietro, un motivo preciso. Come se il Principe avesse percorso di proposito quel determinato tragitto per far sì che loro toccassero particolari città come Sundhara, come Dhéver, come Sendai. Avrebbe dovuto parlarne anche con i suoi compagni ma sul momento si limitò a sorridere, tenendo per sé le sue congetture.
    “Sì, è proprio magia.” Confermò in tono calmo.
    Yoshiko rispose al sorriso e si asciugò col dorso della mano, abbandonando, con un po’ di dispiacere, il suo abbraccio, ma aveva pianto abbastanza e non voleva che quei momenti fossero troppo a lungo velati dalla tristezza.
    “Ma lo sai che ci siamo distratti così tanto a parlare che non ti ho mai chiesto di farmi vedere un incantesimo?”
    Il volante drizzò la schiena e inarcò un sopracciglio. “Oh, accidenti. Ora che me lo fai notare è vero!” Si scambiarono una rapida occhiata e poi scoppiarono a ridere entrambi. “Non ci ho pensato, in effetti. Ma si può rimediare subito.”
    Allungò una mano verso di lei, mostrandole il palmo vuoto che Yoshiko scrutò con curiosità e attesa. D’un tratto, l’aria iniziò ad assumere una maggiore consistenza che la rese visibile attraverso le forme sfuggenti di una graziosa ballerina.
    Yoshiko ne rimase affascinata.
    Sul viso aveva la stessa espressione di quando, molti anni prima, suo padre aveva mostrato a lui quella stessa magia. Era stato il primo incantesimo che avesse mai visto.
    “Posso toccarla?” domandò la bambina, rapita dai movimenti eleganti e sfuggevoli dell'incanto.
    “Ma certo.”
    Yoshiko allungò le dita senza timore o paura, sicura che l’aria non avrebbe mai potuto farle del male. Sfiorò e attraversò le forme sottili della ballerina e il vento le carezzò la pelle in un formicolio.
    Ridacchiò, arricciando il naso.
    “Fa il solletico!”
    Le stesse parole, lo stesso stupore. La ciclicità della storia, a volte, aveva un sapore familiare così piacevole e nostalgico che non avrebbe mai capito se non l’avesse provato sulla propria pelle.
    “Sì, è vero” affermò Yuzo continuando a sorridere. Poi sciolse la danza del vento, i cui flussi vennero dispersi tra le fronde sopra le loro teste, prendendo a spirare in maniera diversa, più ritmica. Le foglie sfregavano contro il bambù e quest’ultimo si intrecciava, ricurvo, stringendo i passaggi all’aria. Si sentì una melodia sottile.
    Yoshiko mantenne in alto lo sguardo, la bocca leggermente aperta. “Sembra che i rami stiano suonando” disse e socchiuse gli occhi, appoggiandosi allo schienale di roccia. “Sarebbe bellissimo se questa tranquillità durasse per sempre.”
    “E perché non dovrebbe durare?”
    “Perché c’è la guerra.” Yoshiko scrollò le spalle. “In teoria, non dovrei saperlo perché non vogliono che mi preoccupi, però l’ho scoperto ugualmente; non è una cosa che può venir nascosta troppo a lungo. Tu pensi che sarà tanto sanguinosa e lunga?”
    Yuzo sospirò. Non aveva una risposta per quella domanda o, almeno, non aveva la sicurezza necessaria affinché ciò che desiderava potesse avverarsi senza ombra di dubbio. “A dire il vero non saprei dirlo con certezza, ma ho fiducia. Sono convinto che non arriverà mai fino a Sendai; noi e l’Esercito del Re lo impediremo. Il male perpetrato dagli Stregoni non può avere la meglio sul potere congiunto delle quattro Scuole Elementali; le Dee non lo permetterebbero. Per questo stiamo cercando di raggiungere il Principe. Dobbiamo proteggere lui e la Chiave da coloro che vogliono sottomettere questo pianeta.”
    “Oh! Devi aver viaggiato moltissimo…”
    Yuzo si imbarazzò per la sincera ammirazione che la bambina nutriva nei suoi confronti e si vergognò un po’ nello smorzare le sue aspettative. “Veramente… è la prima volta che lascio la Scuola.”
    “Eh? Davvero?”
    “Sì, questa è la mia prima missione e anche se devo ammettere che non è cominciata nel migliore dei modi, mi sta dando molto di più di quanto potessi immaginare. Ho trovato degli amici e compagni di viaggio fantastici; ho visto cose che avevo letto solo sui libri e ho incontrato persone speciali.” Una ce l’aveva davanti, ad esempio.
    “E quando tutto questo sarà finito, che farai?” domandò Yoshiko con curiosità.
    “Beh, tornerò ad Alastra e continuerò a studiare.”
    “E non hai un sogno?”
    “Un sogno?” Il volante ci pensò un po’. “Sì, anche se l’ho già realizzato: il mio sogno era quello di volare.”
    “Anch’io! Anch’io sogno di volare! È anche per questo che ho sempre desiderato divenire una Sacerdotessa.”
    “Ah, sì? E come mai?”
    “Per essere libera. Libera di muovermi senza l’aiuto di nessuno, libera di vedere le cose da tantissime prospettive senza doverle scrutare solo dal basso. Voglio volare per non essere più un peso; anche se lo so che mi vogliono tutti bene e non è un fastidio aiutarmi, vorrei poter finalmente essere in grado di fare tutto da sola. Volare in alto, più su delle nuvole, e vedere il tramonto.” Yoshiko levò lo sguardo alle fronde e tutto girò per un momento lunghissimo, costringendola a cercare l’appoggio di Yuzo. Sentiva il corpo pesante come un sasso.
    “Va tutto bene?” si allarmò il volante e lei tentò di sorridere.
    “Ultimamente mi stanco subito...”
    “Allora sarà il caso di rientrare” disse, sollevandola per adagiarla sulla sedia a rotelle. Yoshiko tentò di tranquillizzarlo, ricevendo una carezza sul capo.
    “Non preoccuparti, va già meglio. Si tratta di momenti.”
    “E’ meglio se non ti sforzi troppo. Vieni, torniamo a casa.”
    Insieme abbandonarono il canneto, seguendo il percorso inverso. Il tramonto stava già colorando il cielo.
    Passeggiarono ancora tra le botteghe aperte e indaffarate; il lavoro sembrava non finire mai. I bambini giocavano sul selciato e in mezzo alla strada con tutto ciò che potevano trovare: ciottoli e legno. E se passava un carretto trainato da un asino stanco, gli correvano dietro per un po’, ridendo spensierati. Alcuni salutarono anche loro prima di tornare ai propri sassi.
    Quando si approssimarono alla piazza dalla bella e fresca fontana, il sorriso di Yuzo si allargò entusiasta. Poggiò una mano sulla spalla di Yoshiko e indicò in lontananza tre figure che restavano a godere delle piroette dell’acqua. “Ti andrebbe di conoscere i miei compagni di viaggio?”
    “Ma certo! Così avrò visto un Elemento per ogni Scuola!”
    Yuzo rise della sua euforia, recuperando pienamente il buonumore che aveva un po’ perso nel vederla affaticata.
    “Andiamo, allora. Ti piaceranno, vedrai. A me piacciono moltissimo.”

    Il primo ad accorgersi di loro fu Teppei, che iniziò a sbracciarsi in mille modi.
    “Teppei, puoi anche smetterla. T’hanno visto” sospirò Hajime, mentre Mamoru continuava a restare seduto presso il bordo della fontana, con le braccia conserte e l’espressione sostenuta. Osservò l’avvicinarsi dei nuovi arrivati concedendo loro solo la coda dell’occhio, nel suo solito atteggiamento un po’ diffidente. Attorno a lui, gli schizzi d’acqua evaporavano a contatto con l’aura rovente ben prima di riuscire a toccarlo.
    “Bentornati!” salutò Yuzo, appena li raggiunsero.
    “A voi!” fece eco Teppei, che rivolse un sorriso solare alla bambina.
    “Un Elemento di Terra!” squittì quest’ultima e il tyrano gongolò.
    “E per i muscoli, vero?”
    Hajime ridacchiò. “Io credo sia per il casino che hai messo su.”
    L’altro gli fece una smorfia. Anche Yoshiko rise, divertita, guardando il Tritone. “Voi Elementi d’Acqua, invece, siete così longilinei.”
    “La forma ideale per muoversi in mari, fiumi e laghi” spiegò Hajime.
    Tra le loro figure, filtrò lo sguardo della Fiamma che riuscì a catturare quello di Yoshiko. A prima vista non sembrava affatto cordiale, ma la bambina non parve intimorirsi. Anzi, lo osservò affascinata.
    “Gli Elementi di Fuoco…” cominciò, attirandosi quattro paia d’occhi “…sono davvero belli come dicono!”
    Mamoru avvampò come un tizzone, tra le risate fintamente trattenute dei suoi compagni che sapevano quanto l’imbarazzassero i complimenti.
    “Già, già. Dei veri rubacuori!” scherzò Teppei. Mamoru ringhiò tutto il suo dissenso, puntandogli sulla schiena un’occhiata truce, ma fu il resto del commento di Yoshiko a mandarlo definitivamente al tappeto.
    “…e anche con un pessimo carattere.”
    Hajime e Teppei risero a piena bocca, mentre Yuzo cercava comunque di trattenersi.
    La Fiamma, invece, aveva una vena nevrotica che continuava a pulsargli sul collo. S’alzò di slancio e si allontanò, dirigendosi alla casa di Mastro Koji; nella bocca, seguitava a masticare un qualcosa come: “Io non ho un pessimo carattere!”
    Yoshiko guardò Yuzo. “Oh, no. Forse l’ho offeso…”
    “Non preoccuparti. Mamoru è proprio fatto così, un po’ irascibile, ma non si è offeso.”
    “Ha solo grandi difficoltà nelle relazioni sociali” ridacchiò Teppei. “Ma tralasciando la nostra Fiamma scontrosa…” continuò, sollevando un sasso con la telecinesi. Lo strinse tra i palmi, lavorandolo con l’abilità dei suoi poteri all’interno delle stesse mani. L’attimo dopo porse a Yoshiko un bellissimo fiore di pietra. “…ecco un fiore per una graziosa signorina. Gentile omaggio di Teppei da Tyran-”
    “E di Hajime da Agadir.” Lo pungolò il Tritone col gomito. Toccò la punta del fiore con un dito e una magica goccia d’acqua si infranse sulla superficie, facendo luccicare la roccia come fosse stata piena di frammenti di diamante.
    Yoshiko guardò in totale estasi quel dono così semplice e per lei prezioso. Lo prese delicatamente, quasi avesse potuto infrangersi da un momento all’altro. Poi guardò tutti e tre con le lacrime che pizzicavano gli occhi e la gioia nel cuore.
    “Grazie! Grazie a tutti! Grazie!”
    Non si era mai sentita tanto viva e felice.

    “Allora è deciso, ripartiremo domattina” disse Mamoru, appoggiando il bicchiere di liquore sul tavolo.
    Per il dopocena, Acqua, Fuoco e Terra si erano nuovamente riuniti nella saletta messa a disposizione da Mastro Koji. Sul tavolo: liquore e tè.
    “Ormai non c’è più alcun motivo per restare, tanto le ricerche si sono concluse come avevamo pensato.”
    Hajime si rilassò contro lo schienale, sollevando lo sguardo al soffitto. “Magari dovrei dare un’occhiata più approfondita a Est. C’era una parte di foresta che non sono riuscito a controllare come avrei voluto.”
    “Pensi che possa esserci di qualche utilità?”
    Il Tritone fece un paio di smorfie pensierose, poi sospirò rassegnato senza rispondere.
    Con il viso sprofondato in una mano, Teppei restava seduto accanto a lui, rigirando il bicchiere vuoto.
    “Chissà quanto ancora ci vorrà prima di riuscire a trovare qualche indizio.”
    “Non chiedertelo.” Mamoru si alzò lentamente. “O altrimenti finisce che ti avvilisci ancora di più. Dobbiamo continuare a cercare con lo stesso impegno, senza indugiare.” Si sgranchì la schiena. “Vado ad avvisare l’uccellino bambinaio” ridacchiò mentre lasciava la stanza. “Gli toglierò il passatempo, che peccato.”
    Acqua e Terra scossero il capo, limitandosi a sorridere.

    L’uccellino era ancora nella stanza della bambina. Di questo, Mamoru era sicuro: ci era andato subito dopo cena e non si era ancora fatto vedere.
    Arricciò le labbra con ironia. Chissà che diavolo avevano quei due da parlottare così fitto. Era forse questa la vera natura dei volanti? Erano dei pettegoli? Gli venne da sghignazzare e non si trattenne quando un altro suono arrivò alle sue orecchie e si faceva via via più forte mentre camminava lungo il corridoio. C’era una sola porta aperta dal cui interno scivolava un tenue bagliore tremolante: luce bassa di una candela, forse.
    Il suono proveniva da lì, e ciò che gli fece dissolvere il sorriso per mutarlo in un’espressione diversa, più attenta, assorta, fu che conosceva quella melodia.
    L’aveva sentita a Dhèver.
    Rallentò il passo d’istinto e si mosse facendo il minimo rumore possibile.
    Allora era stato solo un mormorio a labbra chiuse, una nenia. Ora era voce e parole, era… calore, di nuovo. Mamoru lo sentì formicolare sotto la pelle e lungo la spina dorsale. Percepì i muscoli tesi, la stanchezza della giornata dissolversi, sciogliersi nelle terminazioni nervose, farsi vapore e andare via, scomparire.
    Si irrigidì di colpo, tentò di scacciare l’indubbio piacere, quella serenità infantile che non aveva avuto, ma il corpo non gli obbedì e i passi lo condussero fino alla meta. Fece capolino oltre la soglia e il suo primo pensiero fu che Yuzo avesse davvero una voce molto bella(1). Lui non ne capiva molto perché, per sua ammissione, si era sempre addormentato durante le manifestazioni, però… però già solo il fatto che non gli fosse indifferente doveva pur significare qualcosa, no? Non era tedio, non avvertiva sonnolenza, era… era… attratto. Come le falene alla fiamma. Era un senso di familiarità che non aveva conosciuto e riusciva a scaldarlo fin dentro le ossa.
    Con una mano poggiata allo stipite, Mamoru osservò il volante seduto sul bordo del letto, una spalla alla testiera e le dita che scivolavano adagio tra i capelli di una Yoshiko profondamente addormentata. Sul viso aveva un’espressione benevola e, sì, tremendamente, dannatamente e fottutamente paterna. Cantava a metà tra il sussurro e la ninna nanna. Sembrava di essere in un altro mondo, in un’altra realtà.
    Mamoru si ritrovò catapultato nella sua città natale, nella stanza illuminata dalla fiamma che doveva sempre ardere secondo il volere di sua madre, ma non c’era nessuno a cantagli una canzone affinché si addormentasse, non c’era nessuno a carezzargli i capelli e se anche la fiamma seguitava a bruciare, viva e fulgente, il suo calore era gelido. Quel freddo era rimasto annidato dentro di lui in un angolo isolato dove nemmeno la vampa del Fuoco Elementale era mai riuscita ad arrivare. Ma ascoltare Yuzo pungolava proprio lì, in quello stesso angolino, come se cercasse di tirarlo fuori, mentre lui s’ostinava a nasconderlo, con tutti i mezzi a sua disposizione. Mamoru sapeva che avrebbe dovuto allontanarsene, mettere quanto più spazio possibile tra lui e quel canto, ma sembrava essere divenuto di pietra e le sue convinzioni erano un’eco che non riusciva a scuoterlo. Aggrottò le sopracciglia scure in un’espressione ferita che non era da lui e si riscosse solo quando lo sguardo di Yuzo incrociò i suoi occhi.
    Si sentì scoperto per un attimo, tanto da nascondere la propria espressione dietro una più severa e distaccata, però non si mosse. Il volante non interruppe la ninna-nanna, ma si portò un dito alle labbra per dirgli di non fare rumore.
    Mamoru arricciò il naso infastidito; odiava quando gli dicevano di fare cose che già sapeva da solo. Lentamente s’allontanò dalla porta per raggiungere la parete di fronte all’uscio aperto. A braccia incrociate si appoggiò al muro.
    E perché cavolo lo stava aspettando, poi?!
    Maledetto, stupido, ingenuo… e buono uccellino.
    Le ultime note della canzone si dissolsero nel silenzio successivo spezzato solo dal respiro profondo di Yoshiko.
    Yuzo le carezzò i capelli un’ultima volta e poi sorrise. Adagio si mosse con attenzione per non compiere movimenti bruschi. Abbassò al minimo la fiammella della lampada e si alzò, sistemando le coperte leggere.
    Mamoru non perse nessuno dei suoi movimenti. Lui non era mai stato così premuroso verso nessuno, nemmeno verso gli Elementi più giovani della Scuola né aveva permesso ad alcuno di esserlo nei suoi confronti: il bambino che aveva avuto bisogno di calore umano era morto quando era arrivato a Fyar.
    Nell’osservare Yuzo avvicinarsi, Mamoru assunse un’espressione più sostenuta e sollevò un po’ il mento.
    Il volante richiuse pianissimo la porta alle sue spalle e con la mano gli fece cenno di allontanarsi per non disturbare la piccola.
    “Bravino” commentò Mamoru senza voltarsi, e dal tono di Yuzo capì d’avergli fatto un gradito complimento, ma ovviamente trovò lo spunto per sfoderare gli aculei da porcospino.
    “Davvero? Grazie. Detto da te è un grande onore.”
    “Che significa: ‘detto da me’?!”
    Il volante sollevò subito le mani. “Non partire prevenuto!”
    “Io non parto prevenuto, rispondo solo a quello che sento!”
    “Non era inteso come un’offesa! Tutt’altro!” Yuzo si mise a spiegare prima che lui potesse scattare come al suo solito. “Visto che solitamente ti addormenti, mi fa piacere di non essere stato soporifero. E di essere addirittura considerato bravo-”
    “Bravino.”
    “Bravino, certo. Davvero, era un ringraziamento…”
    Mamoru gli scoccò un’occhiata traversa, sempre con le labbra arricciate. Sbuffò, non era in vena di tirare la loro discussione troppo per le lunghe, soprattutto perché aveva ancora quell’eco di calore che lo rendeva remissivo e docile, così mollò la presa dando, per una volta, il contentino al piccione.
    “D’accordo. Ma finitela con questa storia che mi addormento. Va bene?”
    Il giovane d’Aria tornò a sorridere. “Va bene.”
    “Ad ogni modo, ero venuto per dirti che domattina ripartiamo. Abbiamo setacciato interamente la zona, ma non ne abbiamo cavato nulla di utile.”
    “A proposito di questo…”
    Mh?”
    “Io… avrei una cosa da chiederti.”
    Mamoru lo inquadrò, stringendo le palpebre. A giudicare dal tono, non si preannunciava nulla di buono, così mise subito le cose in chiaro. “Se è un qualcosa che sai già per certo mi farà incazzare, allora evita di dirmelo.”
    Mh…”
    “Ecco, appunto. Non disturbarti. Qualunque cosa sia sappi che la risposta è ‘no’, ‘no’ e ancora una volta ‘no’.”
    Yuzo non demorse. Lo fermò per un braccio, costringendolo a voltarsi. Aveva le sopracciglia aggrottate nel tipico sguardo supplichevole. Mamoru non sapeva se gongolare per questo – perché vederlo supplicare era sempre fonte massima di goduria – oppure restare sulla difensiva – perché se era un qualcosa che lo avrebbe fatto arrabbiare, non è che avesse poi tutta questa voglia di sentirla.
    “Ti prego, è importante. Almeno ascoltami.”
    “Tanto la mia risposta non cambierà.”
    “Per favore.”
    Mamoru ruotò gli occhi con noia. Certo che quel dannato piccione sapeva essere davvero insistente quando ci si metteva di impegno. Incrociando nuovamente le braccia al petto, cambiò piede d’appoggio. “E va bene. Avanti.”
    “Possiamo posticipare la partenza a domani sera?”
    Lui rise sarcastico, prima di freddarlo come da copione. “No.”
    “Ti scongiuro lasciami esaudire il suo ultimo desiderio.”
    “E perché non mi stupisco che c’entri la marmocchia?!”
    “Vorrei farla volare con me e farle vedere il tramonto da sopra le nuvole.”
    La Fiamma si portò teatralmente una mano al petto, chinando il capo di lato e sbattendo le ciglia. “Oh, come sei romantico, ma la mia risposta non cambia. Abbiamo già perso fin troppo tempo.”
    “Lo so e so anche che in parte è colpa mia. Ti giuro che dopo non ti chiederò più nulla, ma questa è la sua ultima possibilità per farle provare l’ebbrezza del volo, non avrà mai un’altra occasione, Mamoru, ed entrambi sappiamo perché.”
    “Non mi muovo a pietà. Non se ne parla. Abbiamo altre priorità che ci attendono, quindi scordatelo.”
    Vedendolo saldamente ancorato alla sua risposta, Yuzo tentò il tutto per tutto. Non avrebbe mai lasciato la presa, a costo di doverli raggiungere in seguito, ma pregò la Divina Yayoi che non dovesse ricorrere a una cosa simile o davvero Mamoru avrebbe finito con l’ucciderlo sul serio.
    “Il Principe Tsubasa sapeva che saremmo venuti qui e che io avrei esaudito tutti i desideri di Yoshiko, per quanto possibile.”
    “Ancora con questo dannato Principe dalle doti di preveggenza?! Non attaccare la solfa anche tu, mi basta Teppei!”
    Era l’ultima cosa che la Fiamma avrebbe mai voluto sentire. Già lo urtava a morte l’intera faccenda di questo fantomatico Principe che sembrava sapere le cose prima di tutti, meglio di tutti tanto che si era più volte domandato perché diamine non avesse evitato di finire in un’imboscata, visto che poteva vedere il futuro. Poi ci si metteva pure quel dannato piccione.
    “Mamoru, ti prego! Te lo chiedo come un favore personale!”
    “Io non faccio favori a nessuno, men che meno a un volante.”
    A quell’ennesimo rifiuto, Yuzo si vide costretto a sfoderare il suo ‘asso nella manica’.
    “Ti prometto che dopo farò tutto quello che vorrai. Obbedirò a qualsiasi cosa mi chiederai di fare e non ti darò più alcun problema.”
    “No! Se ho detto ‘no’ è-… cosa?!” questa volta, Mamoru non poté ignorare le parole del giovane che restava dritto davanti a lui, con espressione ferma. Sulle prime fu convinto d’aver capito male. “Farai… che cosa?” Yuzo non poteva davvero arrivare a sottomettersi pur di esaudire lo stupido desiderio di una maledetta bambina. Invece, il volante rimarcò il suo proposito, lasciandolo confuso.
    “Obbedirò ai tuoi ordini senza fare storie. Hai la mia parola di Elemento d’Aria.”
    “E' così importante per te quella… mocciosa?”
    “Sì.”
    “…perché?” domandò con le sopracciglia aggrottate e l’espressione di chi, davvero, non riusciva a comprendere. Yuzo non sembrò intenzionato a rispondere subito e questo lo destò dal suo stato di confusione facendogli rendere conto che, in definitiva, non erano fatti suoi.
    “No, senti, non lo voglio sapere” sbuffò nel momento in cui l’altro tentava di prendere la parola, e si concentrò sulla parte del discorso che più gli interessava. Con sguardo obliquo e attraversato da un piglio decisamente perfido, squadrò il volante dalla testa ai piedi. “Hai detto ‘tutto quello che voglio’?”
    “Tutto. Ti ho già dato la mia parola.”
    Quella decisione negli occhi di Yuzo riuscì ugualmente a metterlo a disagio, oltrepassando, prevaricando anche il piacere estremo di sapere che, finalmente, avrebbe fatto ogni cosa gli avrebbe ordinato. Capitolò, buttandola sull’indifferente.
    “D’accordo, come ti pare. Tanto Hajime aveva un’altra zona da controllare più approfonditamente. Però sia chiaro: quando torni si riparte. E stavolta non voglio sentire scuse, desideri da esaudire e stronzate varie. Il buonsamaritanismo finisce qui.”
    Nonostante il corridoio fosse in buona parte in penombra, perché la fiamma delle torce poste lungo le pareti non era molto forte, Mamoru vide chiaramente il guizzo felice negli occhi del volante. Senza avere nemmeno il tempo di evitarlo-fermarlo-prevenirlo o qualsiasi altra cosa, si ritrovò stretto nell’abbraccio dell’Elemento d’Aria, quale segno di gratitudine per il permesso ricevuto.
    “Grazie! Grazie!”
    La Fiamma rimase gelata, con gli occhi sgranati e le labbra tiratissime, piegate in una smorfia. Era la maschera del terrore.
    Nessuno, nessuno, nessuno l’aveva mai abbracciato. Nessuno. Quello era il primo che riceveva e per di più da un fottuto piccione!
    Il volante si separò da lui, tenendogli le spalle strette nelle mani; sul viso, l’espressione di felicità incontenibile.
    “Grazie! Davvero, grazie! Non immagini cosa significhi per me!”
    E nemmeno lui immaginava cosa quel gesto avesse significato per Mamoru.
    Nessuno immaginava niente di nessuno, tranne i rispettivi proprietari che sapevano benissimo cosa stavano provando, e se i sentimenti avessero potuto prendere corpo sarebbero stati un rimestare di lava rovente e impazzita e uno spirare di vento in un tenue mulinello.
    “Non. Rifarlo” sibilò la Fiamma il cui rossore non era visibile solo per via della debole luce. “Guai a te.”
    Solo in quel momento Yuzo si rese conto d’essere stato troppo espansivo. Dipinse un’espressione allarmata e lo lasciò subito andare nemmeno fosse divenuto un tizzone.
    “Ah! Sì! Scusami! Scusami, non volevo. Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo, scusa! Non arrabbiarti.”
    “Non mi arrabbio” rassicurò Mamoru con gli occhi ancora spalancati. Sembrava quasi sotto shock. “Ma sparisci dalla mia vista.”
    “Sì! Subito! Scusa! Vado ad avvertire Mastro Koji. Grazie ancora per avermi dato il permesso di rimanere.” Yuzo fece un passo indietro all’interno del corridoio e gli rivolse un inchino prima di scomparire lungo l’andito.
    Quando non fu più visibile, Mamoru si scrollò quel brivido caldo dalle ossa, stringendo i denti e assumendo un’espressione inacidita. “Devo piantarla di farmi prendere da attacchi di buonismo. La prossima volta-” ma si interruppe, scacciando animatamente quel pensiero dalla testa: non ci sarebbe stata nessunissima prossima volta!
    Borbottando insulti in fyarish, Mamoru si mosse per raggiungere Hajime e metterlo al corrente delle ultime novità.

     


    [1]: chissà se qualcuno di voi si sia mai domandato come potesse essere. X3 Seppur l'abbiate fatto, credo proprio che non abbiate indovinato. Qualcuno di voi ormai l'avrà capito, io ascolto musica praticamente da tutto il mondo, e sono stata combattuta nella scelta. Avevo due nomi. Il primo, è stato la mia prima scelta fin da subito perché è uno dei miei preferiti, poi però mi sono resa conto che era troppo... da uomo maturo. Ringraziamo quindi Sonu Nigam from India per la partecipazione, ma non è andata bene. (XDDDD)
    Allora, cerca che ti ricerca, gira che ti rigira sono capitata su un ragazzetto israeliano di nome Shabi Bar. :3 E lì mi sono fermata. Canta in ebraico, ovviamente. Mi piaceva il suono non pulito della sua voce e il fatto che si sentisse che è ggggggiovane. XDDD Non volevo una voce estremamente particolare e/o potente e/o variedeventuali. La sua mi ha soddisfatto in pieno! :3 (e poi l'ho scelto anche per un motivo futilissimissimo X3 ma questo ve lo dirò al momento debito! *rotola*)
    Salutate quindi la voce di Yuzo e, in particolare, la canzone che sta cantando di cui so solo il titolo "Hallelujah" (XD che fantasia!) è strabella. °-° mi è piaciuta immediatamente, anche se non sono riuscita a trovare un cavolo di testo T_T.


    …Il Giardino Elementale…

    Continua l'avventura a Sendai e sembra che tutto stia andando tranquillo. :3 Sembra.
    XD Pensate anche voi che Yuzo si sia messo da solo con le mani nel sacco buttando lì quella promessa con Mamoru?! O invece sarà l'esatto contrario?!?!?!? *ride tantissimo e se ne va*
    Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa storia! :3333


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 18
    *** 7 - Il villaggio di Yoshiko - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 7: Il villaggio di Yoshiko (parte III)

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Il cinguettio degli uccelli e i raggi del sole che riuscirono a filtrare tra le tende tirate le diedero il buon giorno.
    Yoshiko aprì lentamente un occhio, mettendo a fuoco la realtà circostante, ancora in penombra. La prima cosa che fece, dopo essersi messa a sedere, fu spegnere la lampada che aveva bruciato per tutta la notte. A breve sarebbe arrivata Miyu con la colazione e la sua giornata sarebbe ricominciata da capo.
    Con un sospiro un po’ affranto pensò che gli Elementi del Re dovevano già essere partiti da diverse ore e non avrebbe più potuto ascoltare alcuna storia da parte di Yuzo. Per un attimo si intristì, ma subito scosse il capo ricordando a sé stessa la grande possibilità che aveva avuto e che doveva essere felice di quei desideri che era riuscita a realizzare.
    Yoshiko rivolse una preghiera silenziosa alla Dea Yayoi, tenendo stretta i ricordi di quei giorni.
    Come aveva pensato, poco dopo arrivò Miyu per prendersi cura di lei e Yoshiko le rivolse un solare sorriso.

    La colazione fu ottima e la bambina la assaporò fino all’ultimo boccone.
    Non poteva dire di sentirsi bene, ma, dopotutto, non stava nemmeno così male da non potersi muovere. Insomma, era nella norma cui aveva finito per abituarsi.
    “Qual è il programma di oggi?” domandò, restando seduta sul letto. Miyu l’aveva aiutata a lavarsi e vestirsi e ora stava finendo di sistemare la stanza. La finestra era spalancata e le tende oscillavano tenui al vento caldo. Dall’esterno, poteva sentire il vociare confuso delle persone nella piazza miste al gorgogliare della fontana.
    La bambinaia ridacchiò; lo stava facendo da quando era arrivata a svegliarla.
    “Oh, vediamo, il programma…” e giù un’altra risatina.
    Yoshiko inarcò un sopracciglio con perplessità.
    “Miyu ti senti bene? Sei un po’ strana.” Le disse, incrociando le braccia al petto e guardandola con attenzione.
    La donna si coprì la bocca con la mano. “Sì, sì, signorina. Benissimo.” Ma i modi in cui cercava di trattenersi erano davvero poco efficaci. Chissà che cosa aveva architettato la sua governante. D’un tratto, la bambina si portò le mani al viso, esibendo un’espressione disperata.
    “Non dovrò mica fare lezione con il maestro Aella, vero? Oggi non mi va di fare matematica! E poi non gli tornano mai i conti!”
    “No, signorina, niente matematica.”
    “Allora non sarà mica la signorina Sachiko? Sono sicura che mi farà fare quegli odiosi ricamini che tanto le piacciono.”
    “No, nemmeno la signorina Sachiko” negò ancora la governante, sempre mantenendo quel sorrisetto furbo e divertito. “Oggi seguirete una lezione che non avete mai fatto, con un maestro d’eccezione.” S’avvicinò alla porta e diede una rapida scorsa nel corridoio. “A proposito dovrebbe già essere… eccolo! Sta arrivando. Mi raccomando, obbeditegli senza protestare.”
    Yoshiko arricciò un po’ le labbra per nulla convinta dell’entusiasmo di Miyu, ma quando vide comparire Yuzo sulla porta, tutta la sua diffidenza venne spazzata via in un attimo e lei rimase a bocca aperta.
    “Sentito cosa ha detto la signorina Miyu?” fece eco il volante agitando severamente un indice. “Non dovrai protestare. Sono un insegnante molto esigente.” Poi rise, avvicinandosi alla bambina che continuava a guardarlo con gli occhioni sgranati.
    “Ma… ma tu… non sei partito?!” la gioia prese il posto della sorpresa. Strinse le mani viso, esibendo un larghissimo sorriso entusiasta.
    “Abbiamo rimandato a questa sera, dopo il tramonto.”
    “Evviva! Avremo un’altra giornata da passare insieme! Che cosa mi racconterai? Eh?”
    “Quest’oggi nessun racconto, faremo una passeggiata un po’… particolare.”
    La bambina nemmeno si chiese cosa mai potesse essere, si fidava ciecamente dell’Elemento d’Aria, tanto da chiedere a Miyu di portarle la sua sedia a rotelle per scendere dal letto. La governante ridacchiò e non si mosse.
    “Non ne avrai bisogno” spiegò Yuzo. Il volante si piegò in avanti, avvicinando il viso al suo. “Perché oggi ci muoveremo volando.”
    Gli occhi della figlia di Mastro Koji si fecero enormi; spalancati fin quanto possibile. Aveva sentito bene? Per un attimo si convinse addirittura di stare ancora dormendo e quello non era altro che un sogno; bellissimo, stupendo, meraviglioso ma pur sempre un sogno. E invece, quando Yuzo le disse di aggrapparsi al suo collo capì che era davvero la realtà, che a breve avrebbe visto il mondo da una prospettiva nuova, che avrebbe finalmente volato e realizzato il suo più grande desiderio.
    La piccola si sentì prendere in braccio senza il minimo sforzo, come fosse stata leggera come una piuma. Già da quell’altezza, la realtà sembrava assumere un punto di vista differente e incredibile. Si volse a guardare Miyu, poco distante, che sorrideva felice e commossa. Lei rise, con la sua gioia incontenibile.
    “Miyu! Dopo ti racconterò tutto-tutto!”
    La donna si passò svelta il fazzolettino sugli occhi. “Divertitevi, signorina.”
    In quel momento, Yoshiko si rese conto che non sarebbe mai riuscita a ringraziarla davvero per tutto quello che aveva sempre fatto per lei, per la dedizione con cui si era presa cura di ogni sua esigenza, dando un grandissimo aiuto a sua madre. Miyu era un po’ una mamma-in-seconda e lei le voleva bene.
    “Mi divertirò tantissimo! Promesso!” disse, tornando a guardare il profilo dell’Elemento di Aria che ora era puntato in direzione della finestra.
    Yuzo aveva l’odore dell’aria. Dell’aria estiva, per la precisione. Era difficile da inquadrare e catalogare, ma impossibile da non riconoscere. Yoshiko l’aveva percepito fin da quando lo aveva conosciuto, e quel profumo così bello e familiare – perché a Sendai quell’odore c’era quasi per tutto l’anno – le era rimasto impresso come un ricordo.
    “Devo avvisare il mio papà.” Si ricordò a un tratto; di sicuro si sarebbe arrabbiato se se ne fosse andata in giro senza nemmeno dirglielo. “E anche la mamma!” Lei si sarebbe arrabbiata anche di più, poco ma sicuro, ma Yuzo le sorrise in quel modo che le ricordava proprio l’affetto dei suoi genitori.
    “Ne sono già a conoscenza. Ho chiesto loro il permesso ieri sera. Non preoccuparti.”
    Il giovane salì sul davanzale e Yoshiko si strinse istintivamente di più al suo collo. Di fuori, più in basso, la gente si muoveva tranquilla per la piazza, affaccendata nella propria quotidianità. Accanto alla fontana c’erano gli altri Elementi. Erano pronti per andare in escursione nelle terre attorno a Sendai. Più lontano, Yoshiko vide anche i suoi genitori che guardavano proprio nella sua direzione, la stavano aspettando.
    “Pronta?” le chiese Yuzo e lei annuì con decisione.
    “Prontissima!”
    Il voltante rise divertito e avanzò.
    La bambina sentì il cuore salirle fino alla gola, volava all’interno del suo piccolo corpo. Erano sospesi nel vuoto, non c’era nulla che li sorreggesse se non l’aria invisibile che entrava e usciva dai suoi polmoni e le sembrava incredibile potesse avere una tale forza. La Magia Elementale era la cosa più bella del mondo.
    Dabbasso, la gente la notò e sollevò teste e sguardi. Sorridevano, mentre i più piccoli indicavano, con gli occhi pieni di meraviglia.
    Volarono lentamente sopra la fontana e Teppei si sbracciò, salutando con i suoi modi solari. Hajime, accanto a lui, agitò una mano in maniera più composta. Leggermente più distante, già in cammino verso l’uscita del villaggio, anche Mamoru si volse appena, l’espressione sempre imbronciata venne stemperata da un mezzo sorriso; impercettibilmente accennò col capo.
    Yoshiko salutò ciascuno di loro con gioia ed entusiasmo e la sua voce riempiva l’aria con toni vibranti per l’euforia.
    Quando sorvolarono Mastro Koji e sua moglie, Yuzo planò adagio. Yoshiko lasciò per un momento il collo del volante per abbracciare i genitori.
    Strofinò la guancia contro i loro visi. “Volerò! Oggi volerò! Guardatemi!” disse felice e loro la strinsero con calore. “Grazie di tutto! Vi voglio tanto, tanto bene!”
    “Anche noi, piccola mia.” Mastro Koji le baciò delicatamente la fronte. “Mi raccomando obbedisci a Yuzo.”
    Yumiko le baciò una guancia, separandosi a malincuore dalla sua bambina. “Vola felice, tesoro.”
    Yoshiko annuì con decisione, poi tornò a stringersi al volante.
    “Vogliamo andare?” le chiese.
    Yoshiko non se lo fece ripetere due volte, pronta per affrontare il cielo sconfinato come infinite volte aveva sognato vedendo gli uccelli volare fuori dalla finestra.
    “Bene, allora…”, Yuzo si volse a guardare dove l’azzurro si perdeva tra il verde delle fronde e l’oro del sole, “…si vola!”
    I gridolini deliziati di Yoshiko si persero nell’aria quando sfrecciarono su Sendai alla velocità del vento.
    Nella piazza, Koji li osservò con espressione serena e il cuore più leggero anche se sempre preoccupato: sua figlia era fragile come porcellana, ma vederla così felice sapeva ripagare anche lui di tutte le sofferenze che tutti e tre, insieme, avevano affrontato. Se davvero il suo tempo era quasi finito, allora glielo avrebbe fatto vivere fino in fondo. Ma non fu il solo a scortare i due con gli occhi fino a che non si dissolsero all’orizzonte.
    Poco più avanti, anche Mamoru era rimasto a osservarli. “Diamoci una mossa” disse bruscamente ad Acqua e Terra, ma sulle labbra aleggiava un sorriso.

    Essere parte del vento, fenderlo e crearne di nuovo era un qualcosa che Yoshiko non avrebbe saputo descrivere nemmeno se avesse avuto tutte le parole del mondo.
    L’aria scivolava sulla pelle come se la stesse accarezzando e ogni cosa, vista da lassù, era così piccola da poter stare in una mano; miniatura del mondo.
    Yoshiko era rapita da quella prospettiva che superava di ben oltre le mille fantasie che aveva costruito negli anni. Il verde di Sendai era intenso e vitale e brillava sotto i raggi del sole caldo e benevolo. Ogni nuovo particolare che riusciva a cogliere era un piccolo gridolino di stupore e estasi e ‘Yuzo! Yuzo, guarda! Quelle persone laggiù sono piccolissime!’ e ‘Yuzo! Il corso del fiume sembra un serpente! Com’è lungo, non finisce più!’ e ancora ‘Yuzo! Dei cavalli selvatici, che belli! Guarda come corrono!’.
    Il volante rideva di cuore.
    C’era tantissimo di lui nella meraviglia di Yoshiko, nel suo non credere ai propri occhi, nell’indicare di continuo ogni cosa vedesse; c’era la propria infanzia, la stessa incredulità di quando aveva volato anche lui per la prima volta, stretto tra le braccia di suo padre. Ricordò di non avergli dato un attimo di respiro in quel viaggio verso Alastra, ma l’uomo aveva continuato a ridere di piacere, proprio come lui adesso rideva con Yoshiko. In quel momento comprese il significato di tanta euforia: probabilmente, anche suo padre aveva rivisto qualcosa di sé e conoscendo per primo quanto assoluta fosse la libertà che si provava volando, non aveva potuto non gioire nel poterla condividere. Lo stesso valeva per lui adesso. Rendere felice gli altri dava la stessa libertà e leggerezza del volo.
    “Sì che li ho visti, anzi, adesso ci avviciniamo.” Svelto Yuzo planò, rallentando alla velocità dei cavalli e volando tra loro. Criniere al vento assieme alle code, livree lucide.
    Yoshiko era senza fiato: erano vicinissimi, poteva sentire i respiri affannati dello stallone baio che correva alla testa del gruppo. Allungò una mano e le dita sfiorarono il corpo dal manto liscio. Poi presero velocità e se li lasciarono indietro, mentre salivano di quota.
    Nel vederli divenire più piccoli, Yoshiko li salutò, quasi avessero potuto rispondere.
    “Allora, ti piace?” domandò Yuzo, mentre sorvolavano le fronde boschive.
    “E’ bellissimo!” rispose Yoshiko, entusiasta. “La cosa più fantastica che io abbia mai fatto! Era come l’avevo sempre sognato… tutto cambia da quassù.”
    Yuzo atterrò su un grosso ramo di quercia e rimase in piedi con la bambina tra le braccia a osservare l’intorno con più calma. Yoshiko si lasciò coccolare dal tepore dell’aria calda, chiudendo appena gli occhi per imprimersi tutto nella memoria.
    “Grazie, Yuzo, per tutto quello che hai fatto per me.”
    “E’ presto per i ringraziamenti, abbiamo ancora tantissime cose da fare prima di goderci il tramonto.”
    “E cosa?” la piccola sollevò subito il capo.
    “Beh, dobbiamo passare alla seconda lezione di oggi, ovvero: volare da soli.”
    “Ma… ma io non sono una Sacerdotessa, non so come si fa…” Yoshiko parve titubante, ma il sorriso dell’Elemento riuscì a dissolvere ogni dubbio.
    “Non temere, ti aiuterò io” disse, guardandosi poi intorno, come a valutare la loro posizione. Non c’era nessuno se non loro, il verde e gli animali del bosco. “Penso che possiamo cominciare.”
    Un brivido tra l’impazienza e il timore attraversò la bambina, ma non smise nemmeno per un attimo di ascoltarlo.
    “Per prima cosa lascerò andare le gambe.”
    Yoshiko annuì, ma istintivamente rafforzò la presa attorno al collo.
    Yuzo rise. “Tranquilla, anche se non ci saranno le mie mani, non ti farò mai cadere. Fidati di me.”
    Aveva detto una frase simile anche a Mamoru e il modo in cui la piccola si stringeva a lui gli ricordò la Fiamma. Non avrebbe mai lasciato precipitare le persone a cui teneva.
    Adagio, sfilò la mano sotto le ginocchia che si distesero senza nessun appiglio. Yoshiko non le sentiva pesanti, ma avvertiva l’aria renderle stranamente leggere e poter finalmente essere ‘in piedi’, dopo tantissimo tempo, era una sensazione che non credeva avrebbe mai più provato. Però faceva così strano non avere un appoggio che non allentò comunque la presa attorno al collo di Yuzo.
    “Prendimi le mani.”
    “Ma… ma non cadrò in questo modo?”
    “No, non cadrai. Te l’ho detto, no? Non ti lascerò cadere.” Sorrise ancora. “Ecco, così, piano.” Adagio guidò i suoi movimenti affinché non risultassero troppo bruschi.
    Yoshiko sciolse a poco a poco la stretta e fece scivolare le mani sottili lungo le spalle e le braccia fino a stringere le sue dita.
    Ora era completamente in piedi e… non stava toccando da nessuna parte. I piedi erano ancora sospesi nel vuoto quando Yuzo abbandonò il ramo di quercia con un passo.
    “Bene e ora… le ali.”
    “Ali?”
    Yuzo annuì. “Le Sacerdotesse Elementali usano lo stesso principio di volo degli Elementi, ma in più materializzano l’aria sulla schiena, dandole la forma di ali in onore della Divina Yayoi.”
    Yoshiko era affascinata. “Questo non c’era scritto nei miei libri.”
    Tante altre cose non erano scritte in merito alle Sacerdotesse, ma non gliele avrebbe rivelate perché era giusto così: per quel giorno, Yoshiko sarebbe stata una piccola Sacerdotessa libera.
    Stringendo le sue mani, richiamò i propri poteri modificando la consistenza della materia. Divenne visibile e sembrava nascere dalla schiena di Yoshiko. Le ali si spiegarono nel vuoto, vibrando e sbattendo senza fare rumore. La bambina si volse e riuscì a intravederle.
    “Sembrano vere...” esalò.
    “Lo sono. Vere ali d’aria” rise Yuzo. “Adesso, lascia le mie mani e vola.”
    “D-devo cosa?”
    “Lasciale, non avere paura. L’hai desiderato per tutto questo tempo. Goditelo, è il tuo momento.”
    Lei osservò le sue iridi nocciola. Non avrebbe mai avuto un’altra occasione, lo sapeva.
    Lentamente allentò la stretta, continuando a cercare il coraggio necessario nei suoi occhi e in quella serenità che le sembrava indistruttibile. Quasi non ci credette quando si ritrovò sospesa nel vuoto, senza più un appiglio. E non cadeva, non cadeva.
    Yoshiko si guardò intorno tra l’intimorito e l’incredulo.
    “Quelle ali ti porteranno ovunque vorrai andare, basterà un tuo ordine.” Le spiegò Yuzo. “Ma non volare troppo in alto, non sei abituata all’aria troppo rarefatta di alta quota.”
    Andare ovunque. Avrebbe dovuto dire semplicemente ‘A Ovest’ e ci sarebbe andata. Guardò per un momento ancora l’Elemento d’Aria con le sopracciglia aggrottate, ma non ebbe bisogno di esporre la sua perplessità.
    “Vola tranquilla, sarò sempre accanto a te se ti troverai in difficoltà.”
    Il sorriso tornò sulle sue labbra e si allargò caloroso e felice.
    “Allora… allora a Ovest!” decise, gridandolo quasi con liberazione e le ali iniziarono a sbattere come quelle degli uccelli, portandola via.
    Yoshiko volò tra gli alberi, toccò le fronde, si librò nel vuoto assoluto del cielo e poi planò, camminò sulla superficie di un lago, sfiorandola appena con le suole e bevve l’acqua fresca di una cascata. Accompagnò uno stormo di fenicotteri rossi e giocò a nascondino con Yuzo tra le fronde. Non si era mai sentita così viva e indipendente, non era un peso per nessuno, non doveva costringere Miyu a spingere la sua carrozzina né rinchiudere il proprio spirito in quel corpo troppo fragile.
    Lei era libera. Non aveva più nulla da desiderare.

    “Stasera ripartirete?”
    Il cielo aveva perso il suo azzurro limpido, verso Est, dove il violetto colorava già l’orizzonte. Verso Ovest, invece, stava per approssimarsi il tramonto. Yuzo e Yoshiko restavano seduti su di un ramo. Avevano volato per tutto il giorno, fermandosi per mangiare della frutta rinfrescante.
    Yuzo non l’aveva mai persa di vista, prestando attenzione alla sua salute e non gli sfuggì come adesso apparisse stanca.
    “Sì. Hajime è il nostro navigatore” disse con un sorriso. Quando l’avvertì appoggiarsi alla sua spalla, le labbra si tesero un po’. “Stai bene? Vuoi che rientriamo?” chiese, osservando la testa castana i cui capelli oscillavano alla brezza.
    “Tornare a casa non cambierà le cose né farà passare il dolore.” Yuzo non riusciva a vederla in viso ma ebbe l’impressione che stesse sorridendo. “Non rinuncerò a questo tramonto, è la mia unica occasione. Vediamolo insieme.”
    Il volante rimase in silenzio, acconsentendo alla sua richiesta. Le passò un braccio attorno alle spalle e l’altro sotto le ginocchia, sollevandola ancora con quella semplicità che sembrava far immaginare la leggerezza estrema di Yoshiko, quasi che la giovane stessa fosse fatta d’aria. Le ali si dissolsero in un attimo, tornando invisibili e intangibili.
    Insieme, con la bambina appoggiata al suo petto, si librarono un po’ più su delle fronde e da quello spazio infinito poterono finalmente scorgere la sfera rossa che calava placidamente verso le montagne distanti.
    “E’ davvero bellissimo” mormorò Yoshiko con gli occhi lucidi e pieni di quel colore così carico da sembrare un enorme incendio indomabile. Era il suo ultimo sogno che si avverava, e la gioia, il senso di appagamento riuscivano persino a scacciare la fatica di respirare, l’intorpidimento delle braccia e delle gambe e il peso che le premeva sul petto. Ogni sofferenza diveniva di colpo inesistente e lei si ritrovò ancora a sorridere, affidandosi completamente a Yuzo. Nella mente, tornarono le parole del Principe Tsubasa.

    “Troverai chi ti aiuterà a realizzare tutti i tuoi desideri e dopo non avrai più alcuna pena a farti soffrire. Non avere paura, non sarai da sola.”

    Quella persona era magicamente comparsa e lei, proprio come dettole dal Principe, non aveva affatto paura.
    “Sono felice di poterlo vedere con te.”
    Il volante sorrise eppure avvertiva qualcosa di strano nell’aria, qualcosa di malinconico che aveva il suono di un addio. Si sforzò di ignorarlo, concentrandosi invece sulle parole della bambina.
    “Yuzo, tu hai detto di avere tanti fratelli ad Alastra, i tuoi compagni di scuola…”
    “Sì, esatto.”
    “Ecco, nonostante non sia un Elemento, ti andrebbe di avere anche una sorella?” rise con difficoltà “A me sarebbe sempre piaciuto avere un fratello maggiore come te.”
    Il sentore di ‘addio’ si fece ancora più forte e stavolta il volante faticò a scacciarlo. La preoccupazione si nascose dietro la maschera dell’Autocontrollo.
    “Ma certo. Mi piacerebbe molto” rispose con calore e affetto, sorridendo un po’ dentro di sé al pensiero di come Mamoru l’avrebbe rimproverato per il suo modo troppo rapido di legarsi alle persone.
    “Allora, quando tutto sarà finito e non avrai troppi impegni, torna a trovarmi. Ho ancora tanti posti da farti vedere.”
    “Verrò di sicuro, mi piace molto questo villaggio. Ma perché, nel frattempo, non mi scrivi? Possiamo ricevere posta dall’esterno.”
    Lei sembrò rinvigorirsi per un attimo. “Davvero? Posso davvero?”
    “Tutte le volte che vorrai.”
    Forse sarebbe potuto apparire utopico fare piani per un futuro tanto lontano quando il presente era ancora così incerto, ma era un piccolo gesto di speranza e fiducia per un domani che sembrava ancora troppo in là da venire.
    Nel frattempo, del sole non era rimasto che una mezza sfera; l’altra metà era stata divorata dalle cime aguzze dell’Ovest dietro le quali, anche se non era visibile, c’era il mare.
    “Grazie, Yuzo.” Yoshiko chiudeva e riapriva gli occhi adagio; anche le palpebre erano divenute pesanti. “Lo so che lo dico sempre e sono sicura che anche mio padre te lo avrà ripetuto tantissime volte, però sento che devo dirtelo ancora perché quello che hai fatto per me non lo dimenticherò mai. E anche la mia mamma e il mio papà, dovrò ringraziare di nuovo anche loro.”
    “Rivolgi loro un sorriso, varrà più di mille parole.”
    Lei ridacchiò, chiudendo gli occhi; non riusciva a tenerli aperti.
    “Allora farò così. Certo che il sole… è davvero abbagliante…” ma non avrebbe saputo dire che lacrime fossero quelle che scivolavano lungo le guance. “Se mi dovessi addormentare, potresti dire a mamma e papà che è stata la giornata più bella della mia vita e che… che gli voglio tanto bene?”
    “Sì, non temere. Penserò io a tutto, tu riposati”
    Un respiro profondo accompagnò le ultime parole della bambina.
    “Yuzo… voglio bene anche a te.”
    Un affettuoso sorriso addolcì l’espressione del volante. “Anche io te ne voglio, Yoshiko.”
    Dopo non rimase che il fruscio del vento a riempire il silenzio. Sgattaiolava tra le fronde sottostanti, trascinava via degli strati di nuvole altissime che ancora brillavano d’oro rosso, mentre il sole scompariva al di là dei rilievi.
    Il tramonto era finito.
    “Torniamo a casa.” Yuzo lo mormorò appena e quando non ricevette risposta, abbassò lo sguardo. La bambina aveva gli occhi chiusi e un sorriso felice; sembrava stesse dormendo placidamente.
    Sembrava.
    L’addio, aleggiante nell’aria, divenne tattile e lui lo stava tenendo tra le braccia.
    L’espressione sul suo viso mutò, si fece ferita, e nonostante l’Autocontrollo non riuscì a nasconderla, sul momento, non del tutto. Aveva fallito l’incantesimo ma non era l’unica cosa che provava. Dentro, qualcosa si spezzò e qualcos’altro tornò a galla.
    “Buona notte, mia piccola sorella.”
    Il rosso del cielo tornò a ferire i suoi occhi.

    “Come volevasi dimostrare, l’ulteriore sopralluogo è stato inutile.”
    Hajime sospirò con evidente frustrazione alle parole di Mamoru.
    Non era spuntato alcun indizio, nonostante avessero non solo approfondito il controllo dell’area a Est di cui il Tritone non era stato convinto, ma avessero pattugliato zone già setacciate. Niente. Non era emerso niente. Ed era scoraggiante.
    Hajime e il tyrano si lasciarono cadere pesantemente sul bordo della fontana nella piazza principale. Mamoru, invece, rimase in piedi con le braccia conserte. Erano rientrati al villaggio da circa un’oretta e avevano avuto giusto il tempo di darsi una rinfrescata e preparare i leggeri bagagli che avevano con loro. Al ritorno di Yuzo sarebbero ripartiti. La moglie di Mastro Koji aveva insistito affinché la cuoca preparasse loro la cena da portare via e consumare durante il viaggio.
    Con piglio più seccato del solito, la Fiamma si guardò attorno, levando lo sguardo al cielo in cui sperava di scorgere presto il volante e non perché gli mancasse. Voleva solo andarsene il prima possibile e depennare l’ennesimo buco nell’acqua dalla lista. L’elenco delle città andava rapidamente assottigliandosi; non potevano essere troppo lontani, o almeno così sperava.
    Scrutando a fondo e in ogni direzione il cielo ormai indaco, Mamoru arricciò le labbra con fastidio, prendendo a picchiettare al suolo la punta del piede.
    “Ma quanto ci mette quell’impiastro? Aveva detto che alla fine del tramonto sarebbe stato di ritorno. Vatti a fidare della sua parola.”
    “Eddai, vuoi dargli il tempo di arrivare?” Hajime restava ogni volta sconvolto dal modo in cui la Fiamma tendeva ad attaccare l’Elemento d’Aria. Non gliene faceva passare nemmeno una. “Ha la bambina con sé, non può mica sfrecciare come un fulmine. A quest’ora l’aria è anche più umida, non dimenticare che Yoshiko è cagionevole di salute.”
    L’altro ruotò gli occhi, dandogli le spalle. “Sì, sì. Come dici tu.” Gli seccava ammettere che doveva dargli contro solo per puro piacere e non perché ce l’avesse realmente con il volante. Lo sapeva anche lui che non era da solo.
    “Sei stato accontentato” esordì Teppei interrompendo il discorso. “Yuzo sta tornando.”
    Tutti e tre si fermarono a osservare la sua figura farsi sempre più vicina mentre le luci delle lampade venivano accese all’interno delle case e lungo le strade. Da una delle traverse che portavano alla piazza, sopraggiunse anche Mastro Koji. Stava rientrando dopo l’ennesima lunga giornata di lavoro. Sorrise; era arrivato giusto in tempo.
    Piano, Yuzo iniziò a planare fino a toccare terra con eleganza e leggerezza. La casacca lunga oscillò prima di fermarsi al cessare del vento.
    Teppei si alzò di slancio. “Avete fatto una buona passeggiata?” domandò, salutando il volante e Yoshiko con un gesto della mano, ma non venne ricambiato.
    Shhh! Teppei, non urlare!” lo riprese Hajime ancora seduto.
    “Oh, scusa!”
    Anche Mamoru non si era mosso. Era rimasto a osservare il lento avvicinarsi dell’uccellino.
    “C’è qualcosa che non va” mormorò, attirandosi l’attenzione dei compagni. Non sapeva nemmeno lui come avesse fatto ad accorgersene. L’aveva semplicemente ‘percepito’ nei movimenti compiuti dal giovane, negli sbuffi di vento che lo avevano accompagnato fino a che non aveva toccato il suolo: gli erano parsi ‘perfetti’ e per questo ‘non naturali’; c’era l’Autocontrollo di Alastra dietro.
    Yuzo seguitò ad avanzare con passo lento ma deciso. Tra le braccia teneva il corpo minuto della piccola Yoshiko. La bambina aveva le mani raccolte in grembo e il capo adagiato contro il suo petto, gli occhi chiusi e un’espressione serena, eppure bastò uno sguardo al viso del volante per capire quale fosse la realtà della situazione.
    “Oh, no…” mormorò Hajime, dopo che ebbe incrociato la sua espressione seria, mentre Mamoru si limitava a scuotere il capo e emettere un profondo quanto nervoso sospiro.
    “Che succede?” domandò il tyrano, piuttosto perplesso.
    “Non te ne sei accorto?”
    “Accorto di cosa?”
    Il Tritone sospirò. “E’ morta, Teppei.”
    A quelle parole, l’Elemento di Terra spalancò gli occhi puntandoli sulla bambina che, davvero, sembrava stesse solo dormendo, e su Yuzo che passò accanto a loro senza fermarsi, puntando invece il capo villaggio Koji.
    Il sorriso dell’uomo scomparve lentamente quando ebbe davanti l’Elemento d’Aria e lasciò il posto posto a un’espressione che tentava strenuamente di reprimere il dolore. Anche le altre persone presenti si erano fermate e non volò una mosca in tutta la piazza. L’unico rumore fu solo quello della fontana e mai era sembrato a ognuno di loro tanto assordante.
    Mastro Koji sfiorò il viso della figlia in un’amorevole carezza paterna.
    “Dimmi, ragazzo…”, la voce cercava a fatica di trattenere l’emozione, “…è riuscita a vedere il tramonto dall’alto delle nuvole che aveva tanto sognato?”
    “Sì” rispose semplicemente.
    “E non ha sofferto, vero?”
    “No. Ha chiuso gli occhi… e si è addormentata. E’ stata felice.”
    L’uomo gli rivolse un sorriso affranto ma, al tempo stesso, pieno di gratitudine.
    “Grazie per aver realizzato i suoi desideri.”
    Yuzo scosse il capo. “Grazie a voi per avermelo permesso.”
    Lasciò che Koji prendesse il corpo della piccola dalle sue braccia e si allontanasse per scomparire tra le mura dell'abitazione.
    Teppei ringhiò. “Era solo una bambina…”
    “La morte non bada all’età” sentenziò la Fiamma, mentre si dirigeva verso l’Elemento d’Aria.
    Yuzo era rimasto immobile e silenzioso con le braccia lungo i fianchi e lo sguardo fisso in avanti.
    Mamoru si fermò accanto a lui, scrutandone il profilo. “Stai bene?”
    “No.” 
    La sua espressione era così imperscrutabile da sembrare una statua. L’Autocontrollo era lì, nella sua massima manifestazione.
    La Fiamma avrebbe voluto rispondergli qualcosa, qualsiasi cosa pur di strappargli una reazione, seppur minima, ma rimase in silenzio. Avrebbe voluto sapere cosa c'era nella sua testa, cosa pensava, quali erano i veri sentimenti che si agitavano dietro a quel controllo che lo rivestiva come un'armatura. Eppure non chiese né ordinò.
    Yuzo gli volse le spalle allontanandosi un passo alla volta adagio, da principio, e poi correndo fino a che non spiccò il volo.
    Teppei tentò di fermarlo, ma Hajime lo bloccò, scuotendo il capo.
    “Lascialo andare, ha bisogno di stare un po' da solo.”
    In un attimo la sua figura venne inghiottita dal buio della notte.

    Quello, ad Alastra, non glielo avevano insegnato.
    Nella città in cui si inneggiava alla vita, alla pace, al controllo degli impulsi negativi non gli avevano insegnato come si affrontava la morte, e ora che l’aveva stretta tra le mani si sentiva schiacciare da tutte quelle emozioni che gli erano esplose dentro.
    Il controllo su cui aveva tanto lavorato, la meditazione per cui Magister Misaki si era complimentato non erano altro che traguardi effimeri che sentiva svanire in scoppi leggeri.
    Era questo che intendeva il Master quando gli aveva detto che per diventare Magister avrebbe dovuto fare esperienza e conoscere il mondo(1)?
    Aveva avuto ragione, lui, quando gli aveva detto di non essere pronto per affrontare l’esterno che si estendeva oltre la sua piccola realtà perfetta, e i fatti lo stavano confermando: non era preparato a quello, non era preparato a stare così male.
    Se quello era il prezzo da pagare per divenire un Magister, beh, allora ci avrebbe rinunciato senza pensarci due volte. Tra tutta la confusione che regnava nella sua testa, quella era l’unica certezza a essergli rimasta: avrebbe abbandonato ogni proposito di diventare un insegnante, avrebbe completato il ciclo di studi ma sarebbe rimasto presso la scuola. Non avrebbe più lasciato Alastra, il suo nido, isolato da tutto ciò che poteva ferirlo, perché quel particolare dolore, quello della perdita, era un qualcosa contro cui non aveva mai saputo vincere.

    “Ma perché devi essere sempre così insicuro? Vedrai che sarai all’altezza della situazione. Io mi fido di te…”(2)

    Il Master si fidava? E come poteva se era così debole da non riuscire a sopportare una cosa tanto naturale come la morte? Ne era stato sopraffatto e l’unica cosa che aveva saputo fare era stata fuggire, lasciarsi tutto alle spalle, ma il dolore sapeva volare più veloce di lui. E questo, Yuzo non l’aveva messo in conto.
    Mentre fendeva l’aria incurante della direzione che stava prendendo, le lacrime si ghiacciarono all’altezza degli zigomi. Sembrava una folgore precipitata dal cielo, una stella cadente. Fuggiva veloce senza nemmeno sapere cosa ci fosse attorno a lui, quali zone stesse sorvolando; magari erano le stesse in cui aveva riso con la piccola Yoshiko. Tentò di aprire gli occhi, ma la vista era appannata per il pianto e allora cercò di asciugarsi con il dorso della mano. Se avesse abbassato lo sguardo avrebbe scorso solo immense quanto buie distese boschive; minacciose, ostili. Il cielo, invece, era limpido, illuminato da una splendida luna piena.
    Ma per Yuzo ogni pezzo della realtà circostante stava collassando su sé stesso, accartocciandosi nei ricordi del passato emersi prepotentemente con la morte della bambina.
    “E’ sempre qui…” masticò, ma le parole restarono incastrate nella bocca. “…quel dannato dolore non se ne andrà mai, vero? Vero?” Yuzo afferrò la stoffa all’altezza del cuore, che batteva veloce, torcendola e stringendo gli occhi con rabbia.
    “Come vorrei poter parlare con te, in questo momento, padre.”

    “L’hai agganciato?”
    La pesante balestra veniva mossa seguendo il percorso della preda.
    “Sì.”
    “Bene, tiralo giù.”
    Un attimo dopo il dardo sibilò, fendendo lo spazio.

    Acuto e improvviso, il dolore alla spalla gli mozzò il respiro mentre riapriva gli occhi di scatto.
    Un dardo, di cui poteva vederne solo l’estremità dalla coda piumata, lo aveva passato da parte a parte, strappandogli un lamento sofferente e riportandolo alla realtà.
    L’Elemento d’Aria cominciò inesorabilmente a perdere quota non essendo più in grado di mantenere la concentrazione per tenersi in volo. Mentre precipitava, diretto nella boscaglia buia, Yuzo si chiese da dove fosse sbucata quella freccia e chi mai avesse potuto lanciargliela. Forse l’avevano scambiato per un uccello.
    Con uno sforzo tentò di convogliare tutte le energie nel tentativo di attutire l’impatto. Generò una serie di flussi d’aria che crearono un cuscinetto che andò a frapporsi tra il suo corpo e le fronde, rendendo il colpo meno traumatico ma comunque poco ortodosso.
    Rovinò tra i rami di una delle querce che si spezzarono sotto il suo peso e la forza di impatto, facendolo scivolare sempre più in basso fino a che non atterrò, di schiena, con un tonfo.
    Yuzo rimase immobile e dolorante, incapace di compiere anche il movimento più semplice. Gli risultava difficile perfino respirare e lo faceva con boccate brevi e rantolate. Si sentiva intontito e gli faceva male la testa. Doveva essere colpa della botta mentre la spalla gli pulsava martellante come un picchio, diramando una sorda sofferenza in tutto il corpo.
    Yuzo roteò gli occhi e cercò di individuare qualche elemento familiare che potesse suggerirgli la sua posizione, ma il bosco sembrava essere tutto uguale di notte e a poco serviva la pallida luce della luna piena che occhieggiava quasi con indifferenza dall’alto del cielo.
    Poi, un pensiero balzò alla sua mente, come per beffarlo: sarebbe morto lì? In quel modo così… stupido? Abbattuto come un fagiano durante una caccia?
    Quasi sorrise, quella era la giusta fine che si meritava per non essere mai riuscito ad affrontare, con il giusto coraggio, tutte le sue paure e insicurezze.
    - Mi spiace, padre, di averti deluso…- pensò, mentre chiudeva gli occhi, quando dei rumori improvvisi lo misero sull’attenti.
    Ascoltò.
    Nulla.
    Forse li aveva solo immaginati o forse non erano altro che i normali fruscii prodotti dal popolo del bosco, sia animale che vegetale.
    Rimase in ascolto ancora per qualche momento, trattenendo il respiro già flebile, ma a vuoto. Poi, li sentì di nuovo. Ed erano più decisi e forti, si stavano avvicinando, sembravano passi.
    In lui si riaccese un filo di speranza, soprattutto quando sentì dei mormorii sconnessi accompagnare lo scalpiccio.
    C’era qualcuno! Era salvo!
    Yuzo raccolse le ultime energie di cui era ancora dotato.
    “A… iuto… aiuto…”
    Forse poteva ancora farcela.
    Aiuto!” chiamò con quanta più voce avesse. I passi e i mormorii cessarono subito. “Aiutatemi!”
    Ricomparvero più veloci ed erano diretti verso di lui. Oh, Dea, lo avevano sentito e individuato. Forse erano proprio i suoi compagni o forse coloro che lo avevano scambiato per un uccello: avrebbero avuto una bella sorpresa.
    Due persone emersero dalla boscaglia, rallentando l’andatura per avvicinarsi. Appena entrarono nel suo raggio visivo, Yuzo avvertì una sensazione di pericolo che fece scomparire l’abbozzo di sorriso dalle labbra.
    Uno di loro, quello mastodontico, stringeva una pesante balestra; il dardo incoccato aveva le stesse piume di quello conficcato nella sua spalla. L’altro aveva una pessima pettinatura e un sorrisetto perfido. Scambiò un’occhiata col suo compagno e disse: “Portiamolo da Hans.”
    Prima di perdere conoscenza a causa della stanchezza e del dolore, un nuovo e più inquietante pensiero si fece spazio nella mente del volante: forse non era stato abbattuto per sbaglio.

    Gira la ruota che sceglie la sorte.
    A te quale tocca: la Vita o la Morte?
    Magari entrambe o forse nessuna,
    gira la ruota e buona fortuna.

     


    [1] e [2]: citazioni dal Capitolo 2 (parte III)


     

    …Il Giardino Elementale…

    *w* è finita la calma apparente!!!
    XD non l'avevate notato, vero?
    Capitolo dai toni angstosi; non potevo lasciarvi senza angst, non sarei stata Melanto XD
    Ecco che il mistero inizia a infittirsi. Chi sono i misteriosi uomini che hanno abbattuto Yuzo? E perché? Chi è 'Hans'?
    Tutto questo, lo scoprirete solo... XD NELLA PROSSIMA PUNTATA!!! MWAAHAHAHAHHAAHAH!!!
    XD scusate, la battuta scema dovevo farla!
    Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa storia :D


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 19
    *** 8 - Il potere del Vento ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 8: Il potere del Vento

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Mamoru stava seduto presso la balconata dell’edificio in cui dormivano. I piedi poggiati al parapetto e un gomito sul bracciolo, a sostenere il viso affondato nella mano. I suoi occhi scrutavano e controllavano il cielo notturno; si muovevano vigili, nulla sarebbe riuscito a sfuggire alla loro attenzione. Il viso era contratto in un’espressione seria.
    Nemmeno il rumore della sedia che veniva presa alle sue spalle e posta lì accanto riuscì a distrarlo.
    Hajime si sedette, fermandosi a osservare anche lui il cielo per qualche istante, prima di sospirare.
    “Sono ormai molte ore che è via. Nessuna traccia?”
    “No” rispose Mamoru senza voltarsi.
    “Non mi piace, non è da lui.”
    “Già.” La Fiamma lo osservò per un attimo con la coda dell’occhio. “E Teppei?”
    “E’ in camera: fa un solitario con le carte e finge di non essere preoccupato.”
    Mamoru annuì.
    “Chiamalo” disse a un tratto, alzandosi. “Lo andiamo a cercare.”
    “Ma è buio, non si vede niente!” protestò l’altro sgranando gli occhi.
    “Abbiamo la Luna.”
    “Molto romantico” scosse il capo Hajime, ma obbedì all’ordine e si mosse per raggiungere l’Elemento di Terra.
    Mamoru li attese all’esterno dell’edificio in pietra, consultando la cartina e chiedendo informazioni a uno degli uomini che restavano di ronda nella piazza del villaggio.
    “Mi chiedevo quando ci saremmo mossi!” Lo raggiunse la voce di Teppei, galvanizzato e pronto a iniziare le ricerche. “Non ne potevo più di fare inutili solitari!”
    Mamoru mostrò loro la mappa. “Yuzo si è allontanato verso Est: da quella parte ci sono solo alberi e foresta. Il primo villaggio è a una decina di chilometri, per quanto non credo che abbia raggiunto un centro abitato. Deve essersi fermato da qualche parte nella boscaglia.” Piegò la cartina passandola a Teppei, che la eclissò in una delle tasche dei pantaloni.
    “Dividiamoci e facciamo una ricerca a ventaglio, avremo più possibilità. Il primo che lo trova o ha una novità a riguardo lancerà un segnale…”
    “Che tipo di segnale?” domandò Teppei.
    “Siamo Elementi, usa un po’ di fantasia!” concluse Hajime, l’altro gli fece una smorfia poi si separarono, scomparendo velocemente tra le oscure fronde boschive.

    Il dolore alla spalla fu così forte da fargli riprendere conoscenza. Gli occhi si aprirono lentamente, mentre cercava di mettere a fuoco l’ambiente circostante. Si abituò quasi subito poiché la luce non era altro che una tenue penombra.
    Un puntino tremolò davanti agli occhi, lo mise a fuoco: era la fiamma di una candela. Il dolore intenso gli strappò un lamento.
    “Ma bene”, qualcuno parlò, “siamo svegli.”
    Una figura si fermò davanti a lui, inginocchiandosi per incrociare il suo sguardo.
    Yuzo alzò lievemente il capo, ancora intontito: un uomo dal viso smunto e i capelli bianchi, che scendevano lunghi su metà volto, lo osservava in maniera nient’affatto rassicurante.
    “Chi sei?” biascicò il volante con la bocca pastosa, cercando di muovere le braccia; fu allora che si accorse che erano legate dietro la schiena. La paura di sentirsi in trappola lo svegliò del tutto, mettendolo in agitazione. “Dove mi trovo? Perché sono legato?”
    “Calma, calma. Non dibatterti in questo modo, non fai altro che acutizzare il dolore” disse l’uomo senza cancellare il sorriso subdolo. L’Elemento d’Aria si guardò intorno, riconoscendo quello che sembrava essere l’abitazione di un alchimista data l’ingente quantità di alambicchi pieni di liquidi ribollenti e barattoli con chissà che erbe.
    Riconobbe, in un angolo, anche i due uomini che lo avevano abbattuto e, probabilmente, portato lì. Restavano seduti su alcune sedie, in attesa. Il più grosso stava sistemando la balestra con la quale lo aveva tirato giù.
    “Sei a casa mia” disse quello che gli stava di fronte, attirandosi la sua attenzione.
    “Ma chi sei, tu?”
    L’altro non rispose, limitandosi a dare un’occhiata alla ferita procuratagli dal dardo.
    “Fa male?” domandò poi, togliendo l’impacco che vi aveva applicato mentre il giovane era svenuto.
    “Sì…”
    L’uomo annuì, dirigendosi al tavolo ricolmo di oggetti; ne prese una bottiglietta e tornò da lui. “Questo lo farà anche di più.” Con un gesto deciso, versò il contenuto sulla lesione.
    L’attimo dopo, Yuzo sentì come se l’avessero appena marchiato a fuoco. La pelle tirò dandogli l'idea che qualcuno la stesse strappando a crudo, facendolo gridare per la sofferenza. Lievi scie di fumo si levarono dalla ferita, ma il tutto durò pochi momenti poi il dolore scomparve nello stesso modo in cui era arrivato. Il volante osservò la spalla e, con sua sorpresa, il foro di dardo non c’era più.
    “Sono un Naturalista” disse l’uomo candidamente, posando la boccetta ormai vuota. “Purtroppo da svenuto non avrebbe sortito lo stesso effetto.”
    Yuzo scosse il capo, incredulo. “I Naturalisti non sono in grado di fare questo…”
    “Infatti mi diletto in Magia Nera. In quel liquido c’era della polvere di Rànkesh(1). Fa miracoli, non trovi?”
    “La Magia Nera è bandita dalle scienze naturalistiche, così come da tutte le altre. Come puoi definirti un medico?”
    L’uomo scosse il capo. “Eh, voi Elementi d’Aria siete così ligi al dovere…”
    Yuzo si irrigidì, particolare che non sfuggì allo sconosciuto.
    “Non stupirti, in questa zona rurale non se ne vedono molti di quelli come te. Tu e i tuoi amici non passate inosservati.”
    “Io non capisco… prima mi ferisci, poi mi curi: che cosa vuoi?”
    “Quello che vogliono tutti, ultimamente: il potere. E tu mi aiuterai a ottenerlo.”
    Dal tavolo prese un altro oggetto: un grande ma sottile anello di metallo.
    “Ma di cosa stai parlando?” Yuzo era confuso. “Sei un Naturalista, il tuo scopo è di aiutare la gente-”
    Una grassa risata lo interruppe. Una risata che aveva un che di terrificante e maligno.
    “Povero ingenuo.” Con passo lento tornò a farsi vicino. “Credi forse che non sappia della guerra imminente? Vedo legioni di soldati che marciano verso il Nord, Stregoni che si radunano in maniera sospetta. Magari le notizie arrivano in ritardo, qui, ma arrivano.” Si fermò davanti a Yuzo, afferrandogli il viso con una mano dalle lunghe dita ossute per costringerlo a guardarlo. “E dimmi, ragazzino, cosa credi che potrà mai fare Re Ozora contro Minato Gamo? Oh certo, sua Maestà ha voi Elementi su cui fare affidamento, così fedeli, ma Gamo ha la Magia Nera…” Enfatizzò le ultime parole. “Il Sovrano non può nulla contro di lei, nessuno può, nemmeno quelli come te.” Lasciò la presa, rigirando il grande anello che brillava alla luce della candela. “Con il tuo aiuto conquisterò i villaggi vicini e appena Gamo marcerà al Sud, glieli donerò con i miei omaggi. Così dimostrerò la mia lealtà, chiedendogli una piccola ricompensa." Raggiunse Yuzo con uno scatto improvviso, fermandosi a distanza millimetrica dal suo viso. Gli occhi lanciavano lampi di pura fullia quando mormorò: “Il posto del Nero alla guida dell’AlfaOmega.”
    “Che cosa?! Sei pazzo! Tu non hai la minima idea di quanto possa essere potente il Nero! Conosce l’arte oscura meglio di chiunque altro, non hai nemmeno la più remota speranza di batterlo! E dai a me dell’ingenuo?! Stolto!”
    L’uomo arricciò il naso. “Vedo che ne sei molto sicuro. A ogni modo non credere che io sia così debole. Ho imparato molto bene a utilizzare la Magia Nera…” Fece ondeggiare l’oggetto davanti ai suoi occhi. “Guarda. Questa è una mia creazione: un manufatto magico. La vedi la pietra purpurea?”, e indicò un vetro incastonato nel metallo, “L’ho lavorata con siero di Rànkesh e un incantesimo. Come ho detto per l’intruglio che ti ha guarito la ferita: fa miracoli.”
    Yuzo scosse il capo. “Non mi importa di quello che crei o dei tuoi folli propositi! Io non ti aiuterò ad attuarli!”
    “Non esserne così sicuro, mia giovane cavia. Ora, da bravo, non ti muovere.” Con voce di perentoria si rivolse ai due giovani che, fino a quel momento, si erano tenuti in disparte. “Taichi, tienigli ferma la testa.”
    Il colosso appoggiò la balestra contro la parete e raggiunse il Naturalista. Si posizionò alle spalle del volante, afferrandogli il capo.
    “Lasciatemi andare!”
    “Stai fermo o te la schiaccio come un acino d’uva” borbottò Taichi mentre l'uomo provvedeva a infilargli il diadema. Ogni resistenza del volante si rivelò inutile.
    Yuzo sentì come se migliaia di aghi gli bucassero la testa, attraversassero la pelle, le ossa e arrivassero dritti nella materia grigia. Arpioni aggrappati alla carne di una balena.
    Perse conoscenza senza riuscire nemmeno a gridare.

    Mamoru si muoveva velocemente tra la boscaglia cercando a terra e tra i rami tracce del passaggio di Yuzo o l’Elemento stesso. Lui sperava nella seconda eventualità, ma ormai erano due ore che si era separato dagli altri e del volante nemmeno l’ombra.
    Era preoccupato. Non perché non si fidasse a lasciarlo solo, quanto a lasciarlo solo in quelle condizioni e lui aveva la responsabilità dell’intero gruppo: se fosse successo qualcosa ai suoi compagni non se lo sarebbe mai perdonato. Eppure, doveva ammettere a sé stesso di essere più in ansia del dovuto. Forse perché si trattava di Yuzo?
    Mentre scivolava tra le fronde, facendosi luce con una piccola sfera infuocata, si domandò se avesse fatto lo stesso nel caso fossero stati l’Elemento di Terra o di Acqua a dileguarsi nel nulla. No, probabilmente no.
    Hajime e Teppei sapevano il fatto loro e lui sarebbe stato meno in pensiero. Invece, Yuzo era un ingenuo e sprovveduto volante, sempre sorridente, sempre gentile con tutti, fin troppo disponibile. E lui aveva un comportamento da ‘mamma chioccia’ nei suoi confronti.
    “Mamoru, piantala!” si disse, cercando di auto-convincersi. “E’ un Elemento, sa badare a sé stesso che diamine! Smetti di comportarti come se fossi la sua balia!”.
    A peggiorare la situazione si ricordò di come il giovane si fosse rifiutato di eliminare quel Vulkan che avevano incontrato nel deserto, nonostante fosse stato un demone e avesse cercato di ucciderli. Ora che ci pensava, non aveva idea di quanto potessero essere realmente forti gli Elementi d’Aria. Tutto ciò che sapeva l’aveva appreso alle manifestazioni durante i tornei, ed erano semplici dimostrazioni di intrattenimento. Il primo che aveva visto all’opera sul campo di battaglia era stato proprio Yuzo, che preferiva la difesa all’offesa, mantenendosi rigidamente fedele al principio della Scuola di Alastra che si basava sul motto ‘l’Aria è fonte di vita’.
    “Accidenti!” sbottò tra il nervoso e il crucciato. “Guai a te, se ti sei cacciato nei casini! Guai a te!”
    L’attimo dopo sbucò in una radura. Si fermò nel mezzo, osservando le ultime luci notturne scivolare via, mentre la Luna stava per lasciare il posto all’alba. Avanzò di qualche passo, dirigendosi nuovamente tra gli alberi e alzò la sfera infuocata per illuminarsi il cammino, quando scorse qualcosa ai piedi di una quercia. Si avvicinò incuriosito, facendo luce: c’erano dei rami spezzati e, tra essi, era incastrato un pezzo di stoffa e qualcosa di metallico che luccicava sotto il bagliore della fiamma.
    Mamoru si inginocchiò per raccogliere il tessuto. Lo riconobbe subito: apparteneva alla casacca di Yuzo. Dei rumorosi campanelli di allarme si accesero nella sua testa, ma la conferma la ebbe dall’altro oggetto che raccolse nel palmo. Vi avvicinò la torcia per illuminarlo meglio e sentì la schiena che veniva percorsa da una pessima sensazione: era il lungo orecchino con la piuma dal quale il volante non si separava mai.
    “Maledizione!” imprecò, stringendo il gioiello nel pugno. Quella era la prova che gli era successo qualcosa.
    Mamoru lanciò la sfera in aria, facendola esplodere in un luminoso fuoco d’artificio che illuminò il cielo per qualche istante. Dopo un po', Hajime e Teppei emersero di corsa dal bosco.
    “Però, gran bel segnale!” esclamò l’Elemento di Terra. “Un po’ vistoso, ma tant’è…”
    “Lo hai trovato?” intervenne Hajime, avvicinandosi, ma la Fiamma scosse la testa spegnendo le loro speranze.
    “Però so che è passato di qui”, mostrò la stoffa e l’orecchino, “erano incastrati tra questi rami.”
    Teppei si inginocchiò, osservandoli. “Sono spezzati” disse e guardò l’albero al quale erano appartenuti. “Forse non hanno retto il suo peso…”
    Mamoru scosse la testa. “Yuzo che cade da un albero? Impossibile e poi avrebbe volato.”
    “Magari non ha potuto.”
    “E se…” si intromise Hajime, osservando il cielo “…se fosse precipitato mentre era in volo?”
    L’Elemento di Fuoco inarcò un sopracciglio, mentre quello di Terra ipotizzò: “Forse si è sentito male…”
    “Al villaggio hanno detto che è periodo di caccia.”
    Hajime si avvicinò preoccupato. “Pensi che l’abbiano abbattuto, Mamoru? In quel caso potrebbe essere seriamente ferito…”
    Il giovane sospirò grave. “Non so che pensare” disse, passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri. “Quello che non capisco è che seppure lo abbiano scambiato per un uccello… dovrebbe essere qui, ma non c’è! Dove diavolo se ne sarà andato in giro, quello stupido?!”
    Teppei tastò leggermente il suolo. “Qualcuno è rimasto sdraiato in questo punto” disse attirandosi la loro attenzione. “L’erba è schiacciata vedete?” Poi si alzò, scrutando l’intorno; strappò alcune foglie, inspirandone l’odore e rimanendo in silenzio, infine prese un filo d’erba accanto ai rami spezzati, annusando anche quello. “Ma non si è allontanato con le sue gambe” dedusse scuotendo il capo e indicando un punto più lontano dal luogo del ritrovamento. “Lì l’erba ha un odore diverso. Qualcuno deve averlo sollevato e portato via, il problema è che le loro tracce sono state coperte dai nostri passi e da quelli degli altri animali del bosco.”
    Mamoru inspirò profondamente, passandosi una mano sugli occhi.
    “Merda!” sbottò fendendo l’aria con un calcio e prendendo a camminare nervosamente. “Io lo uccido, se è ancora vivo, lo giuro su Maki!”
    “Calmi, stiamo calmi…”
    “Calmi un corno, Hajime! Yuzo potrebbe essere ovunque a quest’ora e forse è ferito, e noi abbiamo percorso nemmeno un terzo del tragitto, e dobbiamo ancora trovare il Principe, e la guerra è ormai alle porte, e-”
    L’Elemento di Acqua lo prese saldamente per le spalle. “Calma Mamoru, non dobbiamo farci prendere dal panico o non concluderemo nulla…”
    “Parole sante” appoggiò Teppei.
    “…e siamo anche noi preoccupati. Lo so che ti senti responsabile dell’incolumità di tutti, ma vedrai che lo troveremo.”
    L’Elemento di Fuoco sospirò rassegnato.
    “Sì, hai ragione tu, ma appena lo trovo lo strozzo!” disse facendo sorridere i suoi compagni. “Che suggerisci?”
    “Ormai è l’alba e conviene tornare al villaggio. Chiederemo agli abitanti di aiutarci e riprenderemo le ricerche: alla luce del sole abbiamo maggiori possibilità di trovare nuovi indizi. Magari chi lo ha abbattuto è anche colui che lo ha portato via, per curarlo. Sei d’accordo?”
    La Fiamma annuì e insieme ai due compagni tornò sui propri passi senza riuscire a darsi pace.
    Una folata di vento gelido li raggiunse che erano nel folto della foresta.
    “Odore di pioggia” esclamò Hajime. “Dovremmo muoverci prima che arrivi il temporale: mentre cercavamo Yuzo, ho visto qualche lampo in lontananza, temo che si stia muovendo nella nostra direzione.”
    “Ci mancava solo questa!” sbuffò Teppei. “Ci limiterà nelle ricerche.”
    “Già.”
    Il Tritone e il tyrano proseguirono ma Mamoru rimase leggermente distanziato, pensieroso: i repentini cambiamenti di temperatura non erano mai un buon segno e quell’aria sembrava avere qualcosa di negativo.

    “Uccidili…”

    L’Elemento di Fuoco si volse di colpo.
    “Avete sentito?” disse ai suoi compagni che si arrestarono subito.
    “Sentito cosa?” domandò Hajime.
    “Non so… sembrava un sussurro…”
    “Un sussurro?” fece eco Teppei. “Forse ti sei confuso con il rumore del vento. Ora sbrighiamoci, prima che incominci a piovere.”
    Ripresero a camminare, scomparendo nella boscaglia che ormai faceva meno paura, rischiarata dalle prime luci dell’alba.
    “Sì, deve essere così…” mormorò Mamoru e, nonostante la titubanza, li seguì senza indugiare oltre.

    Arrivarono al villaggio che il sole era alto e caldo sulle loro teste. Quando entrarono nella piazza videro Mastro Koji farglisi contro.
    “Allora, lo avete trovato?” esordì visibilmente preoccupato. “Questa mattina una delle guardie mi ha detto della scomparsa del ragazzo d’Aria e speravo portaste buone nuove al vostro ritorno…”
    “Purtroppo non sono felici, le notizie, Mastro Koji” spiegò Mamoru. “Abbiamo trovato un pezzo di stoffa del suo abito impigliato tra i rami e temiamo sia ferito.”
    “Oh… Se posso esservi utile in qualche modo…”
    Ma Mamoru scosse il capo, abbozzando un sorriso. “No, Mastro Koji, non datevi pena. Avete già un grave lutto cui far fronte-”
    “Devo molto a quel ragazzo” lo interruppe il capo villaggio, ricambiando il sorriso. “Ha reso felici gli ultimi giorni di mia figlia, realizzando tutti i suoi desideri. Mettermi a vostra disposizione per le ricerche è il minimo ch’io possa fare per ringraziarlo.”
    “Siamo noi a ringraziarvi per l’aiuto e l’ospitalità che ci state ancora offrendo.”
    Koji Yamaoka gli strinse amichevolmente la spalla, cominciando a incamminarsi. “Andiamo in casa, staremo più comodi. Avete già un piano?”
    “Avevamo pensato di formare delle squadre e setacciare nuovamente i boschi qui intorno” spiegò Teppei.
    L’uomo annuì. “Molto bene, allora organizziamoci-”
    Mastro Koji! Mastro Koji!” Delle grida allarmate interruppero bruscamente la loro conversazione. Tutta la gente si fermò, attirata da quegli schiamazzi.
    Un ragazzo arrivò di corsa, gettandosi ai piedi del capo villaggio, ansante e visibilmente agitato o, per meglio dire, terrorizzato. “Mastro Koji, l’ira divina si sta abbattendo sulle nostre terre!”
    “Ira divina, Nagai(2)? Non capisco di cosa parli, cerca di calmarti...”
    Ma il giovane era troppo scosso per farlo e lo afferrò per un braccio, costringendolo ad ascoltarlo.
    “Lungo... lungo la Via Crociata... ho incontrato un gruppo di persone malconce con carri e qualche bagaglio al seguito. Ho chiesto loro chi fossero e mi hanno detto di provenire da Atzar.” Prese fiato un paio di volte e sembrava avere quasi il terrore di dire il resto. “Hanno detto… hanno detto che il villaggio è stato raso al suolo!”
    “Che cosa?!” Koji sgranò gli occhi, mentre tutt’intorno si levavano confusi mormorii.
    Il giovane Nagai continuò. “Non una casa, non un muro è rimasto in piedi e i pochi sopravvissuti si stanno dirigendo qui con il minimo che sono riusciti a salvare. È terribile, terribile!”
    “Ma... ma come è possibile? Chi... cosa-”
    “Hans(3), il Naturalista!”
    Koji scattò, indignato e incredulo. “Hans?! Quel folle con il pallino della Magia Nera?! Le Dee non vogliano che abbia deciso di assoldare qualche squadra di mercenari per-”
    “No, no!” Nagai scuoteva il capo, sembrava impazzito. “Uno! Uno solo! Un solo uomo che ha scatenato le ire dei cieli!”
    A quelle parole, Mamoru si fece improvvisamente attento e, prima che qualcun altro potesse intervenire, si inginocchiò accanto al giovane.
    “Che cosa hai detto?” domandò serio.
    “Proprio così! Una sola persona! Hanno detto che ha tirato giù il finimondo! Hanno parlato di nuvole nere formatesi all’improvviso e raffiche di vento così forti da sradicare gli alberi da terra! Poi hanno cominciato a piovere fulmini e la gente moriva tanto velocemente da non avere nemmeno il tempo di recitare una preghiera!”
    L’espressione della Fiamma si fece terrea: quello a cui stava pensando non poteva essere vero, era troppo assurdo per esserlo. Era impossibile.
    Cercò di mantenere il sangue freddo.
    “Lo hanno visto? Lo hanno descritto?”
    Nagai scosse il capo. “Hanno detto che sapeva volare!”
    “Volare?” mormorò qualcuno, lì attorno, dove la gente si era raccolta in un nutrito gruppetto. “Come uno degli stranieri…”
    “Già”, accordò un altro, “ed è scomparso giusto ieri!”
    “E’ un demonio! Sono tutti Stregoni!”
    “Ma cosa dite? Sono degli Elementi, servi delle Sacre Dee!”
    “Forse le Dee sono adirate con noi!”
    “Dobbiamo pentirci e supplicare la Divina Yayoi di sedare la sua ira!”
    Mamoru restava immobile avvolto da quella girandola di voci che si facevano più forti e isteriche, sempre più allarmate e concitate, come il panico sciolto dai freni. Rimbombavano nella sua testa in un’eco martellante e opprimente.
    Villaggi distrutti.
    Yuzo un assassino.
    Demoni.
    Stregoni.
    Ira divina.
    Parole che si sommavano le une alle altre e si confondevano tra i suoi pensieri e una assurda verità che non voleva accettare.
    Doveva capire, Mamoru doveva vederlo con i propri occhi, perché tutto quello era semplicemente impossibile per essere creduto sulla parola.
    Una mano si poggiò sulla sua spalla, facendolo ritornare con la mente nella piazza del villaggio di Sendai, tra la folla che blaterava spaventata. Si volse a incrociare lo sguardo preoccupato di Hajime.
    “Mamoru… non pensi che-”
    “No!” rispose energico, alzandosi in piedi. “Lui non può aver fatto una cosa simile! Noi lo conosciamo bene, credi che ne sarebbe stato capace?” Il suo sguardo ardeva dalla rabbia. “Assolutamente no! Yuzo non è un assassino.”
    “Lo so anch’io, e sono convinto che debba esserci una spiegazione a tutto, ma le coincidenze sono-”
    L’Elemento di Fuoco allontanò malamente la mano dalla spalla. “Al diavolo le coincidenze! Non mi servono a nulla! Non ci crederò fino a che non l’avrò visto con i miei occhi! Come puoi credere a delle parole senza fondamento?”
    “Santa Dea, Mamoru!” sbottò Hajime tra l’irato e il frustrato. “Pensi che questa storia mi faccia gioire? Pensi che dubitare di lui mi faccia sentire bene? Quando faccio parte di una squadra ho cieca fiducia nei miei compagni, ma non abbiamo notizie di Yuzo da ieri sera e stanotte è successo quel che è successo! È troppo per cercare di chiudere gli occhi e, se vogliamo aiutarlo, l’unica cosa da fare è trovarlo e capire cosa diavolo sta succedendo!”
    Rimasero a fissarsi, occhi negli occhi, mentre anche la gente intorno a loro si era azzittita e Teppei spostava lo sguardo perplesso dall’uno all’altro.
    Allarme! Allarme!” Una delle guardie dall’alto del tetto della casa di Koji Yamaoka ruppe il silenzio che si era creato, con delle grida di avvertimento. “Mastro Koji, venite a vedere! È spaventoso!
    Il capo villaggio fece segno agli Elementi di seguirlo, mentre pregava i suoi concittadini di mantenere la calma.
    I quattro salirono velocemente, raggiungendo la grande terrazza tramite una scala esterna. Sulla sommità, l’uomo osservava un punto fisso, a Nord di Sendai.
    “Le ho viste formasi in meno di un battito di ciglia” spiegò, indicando le immense nubi nere che si erano addensate in lontananza e si muovevano con innaturale rapidità. “Non avevo mai visto niente del genere, signore!”
    Improvvisamente presero a illuminarsi, percorse da fulmini e lampi, il cui rombo riusciva ad arrivare fino a loro come una eco trasportata dalle nubi.
    “Come ieri notte...” mormorò Hajime, mentre venivano investiti da folate di vento gelido. “...i bagliori in lontananza e l’odore di pioggia...”
    “Voi credete davvero che sia opera del ragazzo d’Aria?” Koji era incredulo di fronte a una simile eventualità e non era il solo.
    Mamoru ridusse gli occhi a due fessure. “L’unico modo per saperlo è andare a vedere di persona. Cosa c’è lì?”
    “Il villaggio di Krrish(4).”
    La Fiamma non disse altro. Abbandonò rapidamente la terrazza, seguito dai due compagni. Insieme salirono in groppa ai primi cavalli sellati che trovarono e li lanciarono al galoppo verso il luogo sovrastato dalle nubi.
    Non si parlarono per l’intero tragitto, ognuno immerso nei propri pensieri; l’unico rumore ad accompagnarli era quello degli zoccoli che pestavano il suolo a velocità incoscienti sia per l’animale che per il cavaliere, ma non potevano aspettare, dovevano raggiungere il villaggio prima che fosse ormai troppo tardi, così, spronarono gli stalloni fino al limite, ‘volando’ sulla Via Crociata.
    Vennero avvistati da un gruppo di viaggiatori e lasciati passare.
    Mamoru rivolse loro un’occhiata fugace: dovevano essere i sopravvissuti di Atzar. Poche persone dall’aria disperata, un paio di carri con alcuni feriti e degli oggetti. Nagai aveva detto il vero e lui non ne aveva mai dubitato per quanto gli risultasse difficile ammetterlo a sé stesso; farlo avrebbe significato condannare Yuzo e questo non era accettabile. Non lo era. Non per lui.
    Le nubi si facevano sempre più nere e intense mentre si avvicinavano a destinazione e il vento sferzava con forza sui loro visi, dall’espressione tesa e concentrata, e sui corpi degli animali che montavano. Sembrava fosse calata la notte e invece era pieno giorno; non era nemmeno l’ora di pranzo. L’intero ordine delle cose sembrava sul punto di essere capovolto e i fulmini impattavano al suolo con rombi sempre più fragorosi, sovrastando l’eco delle prime urla che riuscirono a sentire. Straziate e disperate, gelarono loro il sangue nelle vene.
    D’un tratto, i cavalli si impennarono, stoppando di colpo la loro corsa. Nitrivano impauriti, scalciavano, sembravano avere percepito l’odore della morte ancor prima di mettere piede nel villaggio.
    Non andremo da nessuna parte con loro! Non si muoveranno oltre!” gridò Teppei cercando di sovrastare il fragore dei tuoni.
    Allora proseguiremo a piedi!” Mamoru smontò e abbandonò la sua cavalcatura che corse, tornando indietro; venne imitata a ruota dagli altri due animali, una volta che Hajime e Teppei furono scesi dal loro dorso.
    Acqua e Terra inseguirono l’Elemento del Fuoco che correva verso il cuore delle nubi.
    Le prime immagini ebbero l’effetto di un pugno allo stomaco.
    Dei corpi giacevano inermi ai loro piedi, mentre alcuni spuntavano semisommersi dalle macerie delle abitazioni crollate; persone terrorizzate cercavano di scappare tra le grida e i fulmini che fischiavano al loro fianco. Spesso sembrava che le folgori li inseguissero.
    Le madri stringevano i pargoli al petto alla ricerca di un riparo dove nascondersi in attesa che l’Inferno cessasse. Ai loro piedi, il sangue dei caduti si mischiava alla polvere, mentre le folate di vento scoperchiavano tetti, sradicavano alberi che poi rovinavano sulle altre abitazioni in legno, abbattendole, frantumandole come fossero fatte di carta. E una voce dominava sulle altre, con infame arroganza.
    Questo è ciò che accade a chi non si arrende ad Hans, lo Stregone. Il villaggio di Krrish sarà cancellato dalla faccia di Elementia!
    “Voglio vedere il brutto muso di quel bastardo che sta facendo tutto questo” ringhiò Teppei. “Dopodiché, lo sprofonderò nelle viscere della terra!”
    I tre Elementi continuarono ad avanzare nelle vie della cittadina in rovina, cercando di favorire la fuga degli abitanti che incrociavano sul loro cammino.
    Quando giunsero in quello che rimaneva del foro, scorsero una figura in piedi e a braccia conserte che si ergeva su di un muretto diroccato. Osservava la distruzione con un sorriso sulle labbra e l’espressione compiaciuta. Quando si accorse della loro presenza, gli rivolse dapprima uno sguardo interrogativo, quasi sorpreso, poi continuò a sorridere.
    Teppei e Hajime vagliavano il cielo plumbeo alla ricerca della persona che stava distruggendo Krrish e i suoi abitanti, senza però riuscire a individuarla. Mamoru, invece, teneva il suo sguardo fisso sull'uomo dai capelli bianchi, ancora immobile.
    “Mi domandavo quando sarebbero arrivati gli altri tre” disse proprio il Naturalista, suscitando la loro perplessità.
    “Sembra sapere chi siamo” mormorò Hajime. “Non è un buon segno.”
    “E anche in quanti eravamo” sottolineò Teppei.
    “Interrompi immediatamente questa carneficina!” Mamoru passò subito all’azione.
    “Tu devi essere quello del Fuoco” fu la risposta dell’auto-proclamatosi Stregone. “La rabbia che arde nei tuoi occhi è inconfondibile.”
    “Hai sentito quello che ho detto? Arrenditi o sarai ucciso!” E lui sarebbe volentieri passato direttamente alla seconda opzione.
    L’altro rise di gusto. “Arrendermi? Ma se ho appena cominciato! E non mi fermerò fino a che non lo deciderò io, ragazzo.”
    Una sfera di fuoco si formò nel palmo sinistro della Fiamma. Quello, per lui, non era che un invito a nozze. “In questo caso...”
    Il colpo venne lanciato senza nemmeno stare a pensarci. Correva veloce verso l’avversario, ma Hans rimase immobile, non intenzionato a schivarlo. Era cosciente di non averne bisogno.
    Un’improvvisa lama di vento deviò il tragitto della sfera, facendola esplodere contro un’abitazione.
    Il Naturalista sorrise. “Oh, sembra che il mio fedele amico non sia d’accordo con voi.” Si rivolse alle fronde di uno dei pochi alberi rimasti in piedi. “Che ne diresti di giocare con loro? Vediamo se ho scelto bene.”
    Teppei pungolò il fianco di Mamoru con un gomito, accennando col capo in direzione di una figura che restava comodamente seduta su di un ramo. “Eccolo.”
    La Fiamma inspirò a fondo. Quello era il momento della verità, ora avrebbe visto con i suoi occhi se i sospetti di Hajime – e i suoi timori – erano fondati. Ma cosa avrebbe fatto se lo fossero stati davvero? A quello non aveva pensato, rifiutandosi di crederlo.
    La figura incappucciata si mosse, librandosi in volo e vederglielo fare provocò a Mamoru una spiacevole sensazione: quei movimenti erano inconfondibili per poter continuare a negare l’evidenza; aveva imparato a conoscerli e li aveva anche sfruttati almeno in due occasioni. Gli avevano fatto passare le vertigini.
    Lo vide planare e toccare terra con leggerezza.
    Il viso, dal naso in su, era celato dalla buffa nera. Solo le labbra erano visibili. E sorridevano.
    Anche quello aveva imparato a conoscerlo. Quel modo di sorridere.
    Ora erano separati niente più che da una manciata di passi, sufficienti a decretarne l’identità una volta che il mantello fosse caduto. Il vento bizzoso prese a smuovere i lembi della cappa, sollevandoli per capriccio, poi, come una mano irata, glielo strappò di dosso, trascinandolo lontano.
    Fu in quel preciso istante, quando i loro occhi si incrociarono, che Mamoru sentì distintamente il proprio cuore sancire un ultimo battito per poi fermarsi, come fosse anche lui preda della terrificante scoperta.
    Nessun errore, questa volta.
    Nessuna giustificazione.
    Nessun dubbio.
    La persona che aveva scatenato le ire dei cieli, che aveva raso al suolo due villaggi, il demonio, era davvero Yuzo.
    L’espressione sorridente, ma lo sguardo terribilmente malvagio che non sembrava nemmeno il pacifico Elemento d’Aria che i suoi compagni avevano conosciuto.
    Hajime tolse rapidamente la stoffa che avvolgeva il palmo sinistro per controllare la pietra: l’oggetto era nero, inanimato. Per un momento si sentì sollevato, ricoprendolo prima che gli altri potessero notarlo, ma la malvagità che leggeva negli occhi del volante lo confondeva. Doveva esserci qualcosa sotto, qualcosa come un incantesimo per poterlo manovrare, qualcosa come… un sottile cerchio di metallo che gli circondava la fronte. Un'intuizione lo colse, ma non ebbe il tempo di spiegarla ai suoi compagni.
    “Come hai potuto...” mormorò Mamoru, fissando Yuzo con sconcerto e incredulità, mentre si sovrapponevano flash di ricordi del viaggio condiviso fino a quel momento, inframmezzati alla distruzione e alla morte degli ultimi istanti. “Come hai potuto...” Avrebbe dovuto ragionare. Estraniarsi dalla situazione, mantenersi lucido e ragionare per un solo attimo, ma i suoi occhi vedevano rosso e i suoi poteri si liberarono dai palmi delle mani, dove lingue infuocate venivano vomitate dalla carne.
    “No, Mamoru, aspetta!” cercò di fermarlo Hajime. “Non farti accecare dalla rabbia. Lui-”
    Come hai potuto?!
    Mamoru non lo stette a sentire, non sentiva nulla, ma era ferito. Quello sì. E furente. Senza nemmeno pensarci, gli liberò contro il potere del Fuoco. Le fiamme divorarono la distanza che le separava dal loro bersaglio ancora immobile e sorridente.
    Con il taglio della mano, Yuzo separò l'aria che aveva davanti. Lungo il vuoto di ossigeno che si venne a creare, il fuoco si divelse, lasciando la sua figura perfettamente intonsa.
    Questa volta, il Tritone afferrò Mamoru per un braccio, costringendolo a guardarlo.
    “Lasciami andare, Hajime!”
    “Ascoltami, dannazione! Non lasciarti guidare dalla rabbia per quello che credi di vedere! Non ti sei accorto di niente?! Guardalo bene. Hai visto cos’ha intorno alla fronte?”
    Solo allora, Mamoru si accorse dell’oggetto che la circondava. La Ragione spense l'incendio nella sua testa, prendendo di nuovo il controllo sulle sue facoltà.
    “E quello che diavolo è?” domandò Teppei.
    “Un manufatto.”
    “E’ sotto incantesimo...” comprese la Fiamma, facendo scomparire la rabbia dal viso.
    “Era ovvio che lo fosse!”
    “Deve essere stato quell’Hans!” affermò Teppei contrariato, incupendo l’espressione. “Non sarà facile toglierglielo.”
    “Beh? Tutto qua?” La voce dello Stregone richiamò la loro attenzione. “Cosa state aspettando? Lui è la minaccia che dovete scongiurare. È il male che dovete debellare per la salvezza di tutti i villaggi che sono ancora intatti. Perché indugiate?” Poi sorrise con ironia, portandosi teatralmente una mano al petto. “Oh, già, capisco: non deve essere facile uccidere un amico, non è così? Ah, l’amicizia, che nobile sentimento. Yuzo, fai vedere quanto conta, per te, la loro amicizia.”
    Il volante accentuò il sorriso. Le sue braccia vennero percorse da fugaci bagliori che apparvero e scomparvero in un battito di ciglia fino a divenire più insistenti e crepitanti. Si avvinghiavano agli indumenti come serpi elettriche, scivolavano nei palmi fino a lambire la punta delle dita.
    “Non tenterà mica di fulminarci, vero?” mormorò Teppei senza perdere di vista nemmeno il suo più piccolo movimento. “Non è così?” ripeté, cercando di convincere sé stesso e i suoi compagni, ma non ottenne conferma perché nemmeno gli altri sapevano cosa rispondere.
    Yuzo sollevò lentamente le braccia, stringendo le mani in pugno. Il potere dei fulmini si racchiuse al loro interno.
    Fu in quello stesso istante che Mamoru ebbe la certezza di quello che sarebbe accaduto e meno di un respiro per agire. Con una spinta, allontanò i due Elementi e sé stesso dalla loro posizione. L’elettricità si scaricò con violenza dove, poco prima, poggiavano i piedi, lasciando profondi solchi fumanti nel terreno.
    “L’ha fatto...” Teppei era sconcertato e guardava Hajime, diametralmente opposto a lui. “...l’ha fatto davvero...”
    Mamoru, che si era allontanato con un balzo all’indietro, vide Yuzo volare nella sua direzione ad altissima velocità. Sarebbe stato il suo primo bersaglio.
    Il volante emise una serie di taglienti raffiche di vento laminari che l’Elemento di Fuoco schivò, lasciandosi cadere di schiena sul terreno. Facendo perno sulle mani, caricò un calcio a piedi uniti che affondò nell’addome dell’avversario appena questi gli fu sopra. Yuzo venne allontanato verso l’alto, ma atterrò con una capriola, mentre Mamoru si portava a una certa distanza tentando, in tutti i modi, di evitare lo scontro diretto.
    “Yuzo, ascoltami!” cercò di spiegare, nonostante il volante avesse spiccato nuovamente il volo. “Quell’uomo ti sta ingannando! Ti tiene sotto controllo con la Magia Nera!” Evitò altre scariche elettriche, saltellando tra le rovine della città. “Fermati! Tu non sei un assassino!”
    Ma erano davvero parole al vento che sembravano infrangersi sulla figura del suo compagno di viaggio.
    Appena gli fu abbastanza vicino, Yuzo affondò il destro che Mamoru deviò con il polso, ma l’Elemento d’Aria roteò su sé stesso, piazzandogli una violenta gomitata al volto e concludendo l’attacco con una sfera di vento che gli fece esplodere all’altezza dello stomaco. Il colpo allontanò la Fiamma di una cinquantina di metri dalla loro posizione.
    L’impatto con il muro di una costruzione già mezza diroccata fu cupo e violento, e Mamoru esalò tutto il fiato che aveva in corpo. Rimase immobile, cercando di riprendersi, ma il volante stava già camminando lentamente verso di lui. La Fiamma strinse i denti.
    “Ti prego…”, lui, che non aveva mai pregato nessuno, “…devi ascoltarmi…”
    Yuzo si fermò a pochi passi. L'Elemento di Fuoco poté quasi illudersi che volesse ascoltarlo sul serio. A guardarlo così, sembrava tutto normale: il volante sorrideva, sorrideva pacifico in quel modo che lui ormai avrebbe saputo riconoscere tra mille altri. Sembrava tutto un errore, un equivoco, un incubo... E invece, Mamoru si rese conto come quel sorriso non fosse quello cui era abituato, ma nascondesse qualcosa di maligno: si stava divertendo.
    Yuzo rimase lì fermo, a osservarlo, studiando i suoi dolorosi tentativi di alzarsi e provando quasi un gusto perverso nel vederlo arrancare. Lo guardava soffrire e ne provava piacere.
    Poi, Mamoru lo vide incupirsi e scrutare con la coda dell’occhio alla sua sinistra: spiccò il volo prima che il getto d’acqua di Hajime potesse centrarlo. “Stagli lontano!” Lo avvertì il Tritone; l’altro sorrise per nulla intimorito dal tono poco conciliante che gli aveva usato. Anzi, era già pronto per l’offensiva.
    “Non… non fargli del male…” Lo difese la Fiamma, reggendosi l’addome.
    “Non gliene vorrei mai fare, ma bisogna almeno tramortirlo per togliergli quel manufatto.”
    Hajime decise quindi di ingaggiare lo scontro con l’Elemento d’Aria. Quest’ultimo restava in volo sopra la sua testa e lui incrociò le braccia all’altezza della fronte. Dal centro, nacque un turbine d’acqua che il Tritone guidò verso il suo obiettivo. Yuzo riuscì a evitarlo, spostandosi velocemente, ma lui non era intenzionato a mollarlo e seguì tutti i suoi spostamenti fino a che non divise il getto in tanti tentacoli più piccoli. Delimitarono un perimetro, come una rete, nel quale chiusero il volante, mettendolo in trappola.
    Yuzo si fermò, trovandosi ormai circondato, eppure guardò Hajime con espressione di sfida.
    “Mi dispiace” disse il Tritone prima di serrare le maglie d’acqua, inghiottendolo nel vortice.
    - Così dovrebbe bastare - pensò, ormai certo di avergli fatto perdere conoscenza. Hajime diminuì l’intensità del getto e in quel momento si accorse che qualcosa stava volando controcorrente.
    Il volante sbucò all’improvviso, avvolto da uno scudo di vento. Velocemente si portò in verticale sopra il Tritone e, afferratolo per le spalle, lo lanciò nella fontana della piazza. Lo zampillo in pietra si spaccò sotto la forza impressa al corpo di Hajime, e l’acqua si sollevò in alti spruzzi, tracimò, si riversò al suolo.
    Il Tritone riemerse tra le macerie dopo qualche momento, dolorante. Con lo sguardo cercò la posizione del suo avversario che lo osservava, poco distante. Restava inginocchiato al suolo.
    Ancora fermo presso il muro, Mamoru aveva seguito l'intera sequenza ed era perplesso: perché lo aveva lanciato proprio nella fontana sapendo che l’acqua era il suo elemento? E che cosa stava aspettando, ora?
    Stava preparando una nuova offensiva, ne era sicuro, ma fu quando gli vide poggiare le mani nei rivoletti fuoriuscenti dalla fonte che capì il suo gioco.
    Allontanati da lì, Hajime!” gridò con quanto più fiato avesse in gola, ma era troppo tardi. Yuzo scaricò i fulmini, sfruttando la conduzione naturale dell'acqua.
    Le urla del Tritone riecheggiarono terrificanti, mentre la sua figura era stretta nella morsa dell’elettricità che la percuoteva e la faceva sussultare in preda a spasmi convulsi.
    Arrivo, Hajime!” Teppei interruppe quella tortura e il corpo tremante del giovane scivolò nei flutti dell’acqua della fontana, lasciandolo a galleggiare sulla superficie con gli occhi sbarrati e sotto shock.
    Il tyrano si lanciò a pugno chiuso su Yuzo che evitò il suo intervento, librandosi in volo. Il fendente di Teppei impattò al suolo e lasciò un solco profondo come traccia.
    - Non posso utilizzare le onde sismiche -, pensò il giovane, elaborando una strategia, - perché non avrebbero effetto visto che può volare. - Poi abbozzò un sorriso. - Vediamo come se la cava con queste! - D’improvviso si levarono degli enormi spuntoni di roccia dal suolo che puntarono dritto sul volante.
    Quest’ultimo riuscì a evitarli senza troppa difficoltà, saltellando agilmente tra di essi fino a librarsi troppo in alto perché potessero raggiungerlo.
    - Accidenti, non funziona! - Decise infine di ricorrere alla telecinesi con la quale riuscì a sollevare pezzi di massi e cocci di mura abbattuti. Guidandoli con la forza del pensiero, li indirizzò contro la figura del giovane d’Aria. Quest'ultimo attese che fossero abbastanza vicini prima di intrappolarli in un anello di vento che prese a spirargli attorno; la forza centrifuga li strappò al controllo mentale di Teppei.
    “Maledizione!” a quel punto il tyrano aveva le mani legate: fino a che fosse rimasto in aria non avrebbe potuto concludere nulla, così fu Yuzo a fare l’ultima mossa. Sfruttando la forza impressa dal moto centrifugo, rispedì le rocce al mittente a velocità triplicata.
    L’Elemento di Terra si ritrovò sotto una pioggia di detriti. Alcuni riuscì a frantumarli a suon di pugni, ma erano troppi e troppo veloci e finì col rimanerne semisommerso.
    Quando fu sicuro di non correre rischi, Yuzo discese lentamente, toccando terra senza che si fosse fatto un graffio. Mosse adagio lo sguardo dal corpo di Hajime, ancora sotto shock ma vivo, a quello di Teppei, anche lui vivo ma che faticava a muoversi. Sorrise del disastro e della distruzione che lo circondava e tornò a donare le sue attenzioni a un Mamoru attonito.
    - Ha battuto gli altri sfruttando i loro stessi poteri. È furbo. Dannatamente furbo. Ma si può sapere che razza di mostri sono gli Elementi di Aria? -

    “Io detesto quelli come te! Mi irritano: sempre così pacifici, sorridenti, imperturbabili. Mi date l’orticaria! Avete quella perenne aria di arrogante ingenuità verso ciò che vi circonda…”
    “Non criticare quello che siamo senza conoscere ciò che si cela dietro di noi. Il nostro autocontrollo è frutto di rigore e disciplina. Meditazione portata avanti fin dal Livello Asylum Lower. L’Aria è un Elemento fin troppo mutevole che non deve essere utilizzato da persone interiormente instabili: potrebbe avere effetti devastanti. Quindi, il nostro essere irreprensibili non è dovuto a un atteggiamento di superiorità nei confronti degli altri, solo… non possiamo permetterci di perdere la lucidità delle nostre azioni.”(5)

    Era stato così scettico verso le sue parole, ma ora, quelle stesse erano riaffiorate alla memoria confermando la loro veridicità.
    “Dove eravamo rimasti?”
    La voce di Yuzo restituiva un tono spaventosamente pacato che riuscì a mettergli i brividi. Ma come poteva un semplice oggetto soggiogarlo in quel modo totalizzante? Certo, era stato combinato con la Magia Nera, ma colui che l’aveva confezionato era solo un Naturalista esaltato, non era un vero Stregone e l’Elemento d’Aria doveva avere la concentrazione necessaria per tentare di opporsi. Invece le sue supposizioni venivano smentite dalla fredda lucidità dello sguardo del volante. Nei suoi occhi scuri non leggeva il minimo rimorso per tutto quello che, volente o nolente, aveva fatto. Era come se gli avessero estirpato la pietà dal cuore.
    Mamoru lo osservò attentamente mentre si avvicinava a lui e non aveva tempo per capire ciò che, in quel momento, non riusciva a comprendere. Il suo obiettivo era cercare di bloccarlo, in qualsiasi modo, e poi soccorrere i due compagni feriti; insieme sarebbero riusciti a trovare una risposta a tutti gli altri punti oscuri di quella vicenda. E Mamoru era sicuro che c’era qualcos’altro oltre al manufatto magico ad avere effetto sul volante.
    Quest’ultimo spiccò un balzo, caricando il pugno, ma, stavolta, l’Elemento di Fuoco era deciso a non lasciargli nessuno spiraglio per contrattaccare: bloccò il colpo sotto il braccio e gli assestò una ginocchiata all’addome, costringendolo a piegarsi dal dolore. In maniera brusca, gli ruotò il braccio, portandosi alle spalle di Yuzo; la faccia premuta contro il muro.
    “Devi stare calmo e ascoltarmi!” gli disse, mentre il volante lo osservava con la coda dell’occhio e la polvere della roccia si sollevava sotto il suo respiro pesante. “Quell’uomo si sta prendendo gioco di te, usandoti come un oggetto! Noi vogliamo aiutarti, Yuzo, ma devi darci una mano anche tu! Ribellati a questa forza malvagia che cerca di controllarti! Puoi farlo, sei un Elemento d’Aria! Concentrati! Non sei un assassino!”
    La risata uscì sottile e divertita.
    “Hai… hai ragione…” riuscì a rispondere il volante. “Non lo sono… sono molto peggio.” E, mentre pronunciava quelle parole, l’iride nocciola divenne scuro. Una sorta di fluido nero, come inchiostro, divorò il colore dei suoi occhi, dilagando anche nella sclera fino a che non divenne completamente di tenebra.
    Mamoru si irrigidì di colpo. Ogni cosa era fuori da ogni possibile logica o spiegazione, ora più che mai, perché quel cambio di colore… quella peculiarità inconfondibile apparteneva a una sola categoria di persone… la categoria diametralmente opposta alla loro.
    Andhralis da…”, mormorò il volante nella lingua proibita della Dea Kumi, “…kalandhra dhela!
    D’improvviso, Mamoru non fu più padrone di muoversi: era come se una forza oscura gli tenesse fermi i piedi e le braccia. Il corpo era ingabbiato in corde invisibili, rigide, che si stringevano attorno a lui. La forza lo sollevò di peso dal suolo, alla mercè del suo avversario.
    “Magia… Nera…” mormorò sconcertato dalle proprie parole, mentre Yuzo continuava a dargli le spalle, sistemandosi in tutta calma la casacca impolverata.
    Fu in quel momento, mentre poteva osservarlo da vicino, che la vide.
    L’onice, che il volante aveva nella nuca, pulsava di uno strano bagliore violaceo, come fosse stato un oggetto dotato di vita, un cuore che batteva, e aveva la stessa luminescenza della pietra che ornava il diadema sulla fronte.
    Quando si volse a guardarlo, gli occhi di Yuzo erano tornati normali, ma ciò non fu sufficiente a tranquillizzarlo: aveva dei vortici di piccole dimensioni che ruotavano nei palmi. Dal loro centro emersero degli spilli d’aria sottili come stiletti. Yuzo li afferrò con due dita, osservando un'ultima volta la preda intrappolata. Poi, con un movimento deciso, li lanciò contro Mamoru, inchiodandolo – letteralmente – nel tronco di un albero a qualche metro da loro.
    La Fiamma soffocò, con volontà estrema, un grido di dolore, stringendo gli occhi. Non capiva. Non capiva più nulla di quello che stava succedendo. Troppe incognite si stavano frapponendo fra lui e Yuzo. Incognite inquietanti e pericolose che dovevano trovare al più presto una risposta altrimenti il massacro di innocenti sarebbe continuato incondizionatamente. Eppure, in quel marasma di interrogativi insoluti, una certezza ce l’aveva: avrebbe ucciso Hans il Naturalista. A qualsiasi costo.
    Deglutì a fatica riaprendo gli occhi e il volante era a un passo da lui che lo guardava, in attesa. Leggeva curiosità nelle iridi scure e anche una punta di delusione per come lo scontro fosse già finito.
    Stavolta fu la Fiamma a sorridere.
    “Avevi ragione, sai? Avevi ragione…” e le sue parole si riferivano a quel discorso che era riaffiorato d’improvviso alla mente. “Ora so quello che…  che avevi cercato di dirmi. Ma non voglio accettare di dovermi arrendere. Tu… puoi opporti al male… che credi sia parte di te… so che puoi farlo… io mi fido... E anche Hajime e Teppei… abbiamo fiducia nelle tue capacità… Non lasciarti sopraffare…”
    “Le tue parole non hanno effetto su di lui." La voce di Hans si intromise con insopportabile sicurezza. "Ma ha ucciso e continuerà a farlo, e seppur dovessi riuscire a riportarlo indietro, il sangue di quelle vittime continuerebbe a sporcare le sue mani. Potresti cancellarlo? Potresti debellare i rimorsi dalla sua coscienza, piccolo e patetico Elemento?”
    Stavolta, Mamoru non seppe cosa rispondere. Era rimasto spiazzato dal repentino susseguirsi degli eventi che non si era soffermato a riflettere sulle conseguenze che questi avrebbero irrimediabilmente portato. Si erano lasciati guidare dall’impulsività o, meglio, lui aveva dato retta alla sua impulsività, trascinando anche Hajime e Teppei. Aveva finalizzato tutti i suoi sforzi nel tentativo di ‘salvare’ Yuzo dallo spietato giogo del Naturalista, ma non aveva mai pensato a cosa ne sarebbe stato, dopo, dell'Elemento d'Aria; non aveva pensato al dolore di fronte al quale lo avrebbe messo quando tutto fosse finito. Lo avrebbe distrutto. Avrebbe avuto il coraggio di sobbarcarsi una simile responsabilità?
    Hans rise sommessamente. “Deduco che tu non possa a meno che tu non lo uccida. Se posso darti un consiglio: fallo, la prossima volta che ne avrai l’occasione, o sarà lui a uccidere te.” Si volse al suo fido servitore, continuando a sorridere. “Basta così, amico mio. Credo che questa lezione sia stata sufficiente. Vieni, abbiamo ancora altri villaggi da radere al suolo.” Saltò giù dal muro e prese ad allontanarsi verso la boscaglia.
    Yuzo annuì, iniziando a seguire il suo padrone senza che Mamoru potesse impedirglielo. Gli stiletti d’aria si dissolsero facendo scivolare l'Elemento, ormai esausto, ai piedi dell’albero. Con la vista che cominciava ad annebbiarsi, vide la figura del volante farsi sempre più piccola fino a scomparire, mentre le nubi nere prendevano a diradarsi lasciando che il sole, dalla luce abbagliante, restituisse nitidamente i contorni della sua disfatta.
    Aveva disperatamente lottato per salvare Yuzo ma in quel momento, mentre socchiudeva gli occhi, non era più sicuro che fosse la cosa giusta da fare.

     

    E’ questo il nascosto potere del Vento,
    che dà Vita e dà Morte in un solo momento.
    E’ questo il nascosto potere del Male,
    che si insinua ed infetta un cuore mortale.

     


    [1]RANKESH: sono pantere dal manto grigio fumo e il pelo lungo. Presentano un corno d'avorio candido sulla fronte. Sono considerati gli animali sacri alla Perfida Kumi e venerati dagli Stregoni dell'AlfaOmega dal cui corno ricavano una polvere che viene utilizzata anche per la creazione di oggetti magici e durante i rituali. Servono anche per la distillazione di pozioni e veleni. Solitamente, i corni dei Rànkesh vengono tagliati ma ricrescono nel giro di un anno/un anno e mezzo.

    [2]NAGAI: Etsuo Nagai, personaggio meteora del manga di CT. Era il portiere della Shimada, squadrettina delle elementari. :3 (*clicca qui*)

    [3]HANS: Hans era l'allenatore psicopatico di Deuter Muller durante lo Shin Captain Tsubasa. XD (Mr. Simpatia: *clicca qui*)

    [4]KRRISH: all’inizio, doveva essere questo il nome del villaggio di Yoshiko, poi cambiato con Sendai per ovvi motivi (XD). Però ho voluto lasciarlo lo stesso, anche perché era un omaggino ai film di Bollywood (♥) di cui “Krrish” fa parte. :3

    [5]: citazione dal Capitolo 3


     

    …Il Giardino Elementale…


    La Cattiveria è mia amica e ci piace camminare a braccetto, saltellando tra i fiori! XD
    L'avevo detto che con questo ragazzo sarei stata diabolica, perché se Yuzo non ne passa di cotte e di crude nelle mie storie, non sono contenta. :3
    La missione a Sendai mostra così i suoi risvolti più tragici: il volante è divenuto un Tristo Mietitore, Mamoru non sa più che diavolo fare e Il Nodo legato all'Onice sta per venire al pettine. Insomma, ce n'è per tutti! XD
    Sissi, scommetto che non era questo che intendevi quando avevi detto che avresti voluto vedere Yuzo in azione! XDDDDDDD
    Ovviamente, sia Mamoru che Hajime che Teppei non calcano volutamente la mano durante il combattimento, altrimenti s'ammazzavano per davvero XDDDD, il che sarebbe stato un po' un problema!
    E con questo, anche per questa settimana è tutto :3

    Ringrazio sempre di cuore chi continua a seguire questa storia! :*****

    PS: Solarial... il suo momento sta arrivando! *zazazazaaaaaaaan* (X3 lei sa a che mi riferisco!!!)


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

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    Capitolo 20
    *** 9 - Ritrovare la fede - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 9: Ritrovare la fede (parte I)

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Kenichi Iwami(1) sbatté il pugno sul tavolo con estrema violenza facendo tremare i numerosi alambicchi posti sulla superficie. Il cozzare del vetro provocò un sonoro quanto confuso tintinnio.
    “Ora stai passando il limite!” disse rivolto al Naturalista che restava compostamente seduto nella poltrona accanto al caminetto spento. Le gambe accavallate e un calice di vino rosso stretto in una mano; lo faceva roteare smuovendo il liquido scuro al suo interno e osservandolo ondeggiare. Poi si fermò, piantando l’occhio azzurro, libero dai capelli, sul viso del giovane dalle gote arrossate per la collera.
    Quest’ultimo continuò, ignorando la sua espressione gelida e il mutismo.
    “Si era parlato di ‘conquistare’ non di ‘provocare un’ecatombe’! Non erano questi gli accordi, Hans!”
    Il suo compare, quello mastodontico armato di balestra, annuì e gli si fece di fianco.
    “Hai distrutto due villaggi liberando quel... quel mostro!” Kenichi indicò l’Elemento d’Aria seduto nei pressi della finestra e intento a scrutare l’esterno.
    Sentendosi nominato, il volante gli rivolse un’occhiata di compatimento, abbozzando un sorriso, poi tornò a guardare fuori senza degnarlo oltremodo di attenzioni.
    “Noi non siamo più disposti a continuare, se è questo il prezzo!” concluse il bracconiere. “La nostra collaborazione finisce qui.”
    “Lo avevo sospettato che sarebbe finita così...” La voce calma del Naturalista lo bloccò che era già arrivato alla porta. Emise un sospiro. “Speravo di poter illuminare le vostre menti per indirizzarle alla complessità delle arti oscure, ma, a quanto vedo, siete solo dei sempliciotti bifolchi che non si rendono conto di come l’ordine delle cose si stia ribaltando.” Abbozzò un sorrisetto malefico. “Sciocchi. Avreste potuto godere della disfatta totale degli Elementi e della salita al trono di Gamo da un posto d’onore.”
    Iwami scosse il capo, sputando ai piedi dell’uomo. “Ti sei totalmente bevuto quel poco di cervello che ti era ancora rimasto, vecchio. Continua pure a filosofare insieme a quell’essere senza pietà, e buon divertimento!”
    Aprì la porta senza nemmeno attendere una risposta, ma si ritrovò bloccato poiché un piccolo mulinello imperversava proprio fuori dall’uscio. Kenichi lanciò un’occhiata in tralice al volante, che continuava a restare seduto per osservare l’oscurità del bosco dai vetri della finestra.
    “Togli subito quell’affare!” gli disse brusco, attirandosi lo sguardo soddisfatto di Yuzo. Quest'ultimo sorrise e, per tutta risposta, gli strappò la porta dalle mani, con una folata di vento, facendola richiudere con uno schianto.
    Il bracconiere rimase per qualche momento sorpreso a osservare la mano ormai vuota. Poi ringhiò irato.
    “Piantala con questi stupidi scherzi!” Ma di nuovo, una volta aperto l'uscio, il vortice era ancora lì, a imperversare dispettoso. “Allora?! Ti ho detto di togliere quell’affare!”
    Ancora, l’Elemento lo sbeffeggiò, chiudendogli la porta. Il volante ridacchiò della sua espressione incollerita, quando intervenne Taichi.
    “Se non la smetti subito io-”
    “Non avere fretta, ce n’è anche per te” disse Yuzo con sguardo minaccioso, bloccandolo che aveva la balestra già a mezz’aria.
    Tutto quello cominciava a essere abbastanza per Kenichi che afferrò saldamente la maniglia della porta. “Prega la tua Dea che quel vortice sia scomparso o ti giuro che me la pagherai cara.”
    Ma, quando aprì l’entrata per la terza volta, trovò qualcos’altro ad attenderlo. Certo, la tromba d’aria si era dissolta, però aveva lasciato il posto a decine e decine di sottilissimi pugnali di vento che erano tutti rivolti verso di lui.
    “Che... che significa?” balbettò intimorito.
    “Significa che o siete con me o contro di me” rispose il Naturalista, bevendo una lunga sorsata dal calice. “Un’ottima annata” annuì soddisfatto.
    “A noi non frega un accidente di quello che fai!” sbottò Kenichi allarmato. “Vogliamo solamente andarcene!”
    L’uomo dai capelli bianchi scosse il capo. “L’indifferenza non è una scelta e io non voglio codardi tra i piedi. Quindi siete contro di me.”
    “No, aspetta-” La sua frase venne troncata di colpo quando gli aghi lo passarono da parte a parte, facendo zampillare il sangue da ogni foro. Il bracconiere rimase immobile, poi barcollò e cadde con il viso rivolto al pavimento pregno del rosso della sua linfa vitale.
    Taichi Nakanishi (2) inorridì nell’osservare il cadavere. Era successo tutto così velocemente da essere inevitabile. Accecato dalla rabbia, alzò la balestra e la puntò contro l’Elemento.
    Dannati bastardi!” gridò, facendo partire il dardo che si infranse contro la barriera di vento che il giovane aveva eretto.
    Il bracconiere non si mosse, osservando l’altro che si alzava adagio per avvicinarsi a lui. Troppo ci sarebbe voluto per ricaricare l’arma che, inoltre, si sarebbe dimostrata nuovamente inutile. Lasciò così che la balestra toccasse terra con un tonfo, mentre Yuzo si portava proprio davanti a lui. Nonostante Nakanishi lo superasse di tutta la testa e oltre, il colosso sembrava inerme e rimase a osservarlo terrorizzato.
    Yuzo sorrise; un candore raggelante. Con l’aiuto del vento, lo costrinse a sedersi.
    “Ora” disse e nei palmi si formavano delle correnti sferiche. “Sarò io a schiacciarti la testa come un acino d’uva.”
    Poco dopo, la materia grigia di Taichi Nakanishi tinteggiava le pareti della casa del Naturalista.

    Aprì gli occhi molto lentamente cercando di mettere a fuoco il soffitto color sabbia sopra di lui, ma l’immagine gli si presentò come un confuso tremolio di puntini bianchi e gialli. Così li richiuse più volte fino a che non si fu abituato alla luminosità tenue della stanza.
    Poi si concentrò sul resto del corpo. Lo sentiva indolenzito e percorso da un dolore sordo e costante.
    D’un tratto, il viso di Hajime apparve nel suo raggio visivo.
    “Ben svegliato, Mamoru, come ti senti?” domandò il giovane che prese a controllare le sue ferite.
    “Dove sono?” mormorò, nonostante la bocca pastosa e dal sapore ferrigno.
    “Siamo nel palazzo di Koji, a Sendai.”
    “Non ricordo come ci sono arrivato...”
    “Infatti eri privo di conoscenza. Poco dopo che il Naturalista e Yuzo sono andati via da Krrish è arrivato Koji con i suoi e ci hanno soccorso...”
    Appena udì il nome del volante, Mamoru si destò completamente, cercando di mettersi a sedere.
    “Lui... lui...”
    Hajime lo prese per le spalle, costringendolo a restare sdraiato.
    “No, Mamoru, non sei ancora in grado di alzarti...”
    Ma il ragazzo di Fuoco si aggrappò, con tutta la poca forza che aveva riacquistato, al suo braccio.
    “Tu... tu devi ascoltarmi, Hajime!” gli disse con sguardo atterrito. “Lui... ha usato la Magia Nera contro di me... è uno Stregone, Yuzo è uno Stregone!”
    L’altro sospirò, scuotendo il capo. “No, non è uno Stregone...”
    “Ma io gli ho sentito pronunciare una formula nella lingua proibita! Con questi occhi ho visto i suoi divenire neri come le tenebre...” Per lo sforzo gli sfuggì un lamento di dolore.
    “Mamoru, ti prego, devi sdraiarti, sei ancora troppo debole.”
    Questa volta, l’Elemento di Fuoco non riuscì a opporsi oltre, lasciando che il compagno d’Acqua lo aiutasse a distendersi.
    Hajime gli sistemò le coperte, dopodiché versò in una ciotola, posta sul tavolino accanto al letto, del liquido caldo dal colore trasparente e verdastro.
    “Bevi questo” gli disse, sorreggendogli la testa, “ti farà bene.”
    Mamoru mandò giù un paio di lunghe sorsate dello strano intruglio dall’aroma dolciastro, poi affondò il capo nel cuscino, osservando il soffitto. Le immagini presero nuovamente a tremolare, mentre avvertiva le palpebre farsi pesanti.
    “La pietra sul suo collo...”, doveva dirglielo prima di addormentarsi, “...pulsava... di una luce oscura... cos’è davvero?”
    Hajime rimase a guardare gli oggetti sul tavolino per qualche secondo, senza rispondere. Ormai non aveva più senso tacere per quanto, parlando, avrebbe infranto il solenne giuramento fatto davanti al Consiglio Anziani e alle Quattro Dee. Un peccato gravissimo per qualsiasi Elemento, ma in quella situazione non aveva alternative. Quali che sarebbero state le conseguenze, avrebbe svelato il segreto suo, di Yuzo e di molti altri come loro, prendendosene le responsabilità. Osservò il palmo sinistro avvolto dal liscio tessuto di seta blu; al centro campeggiava, in bianco, la Conchiglia con l’Onda, il simbolo della Scuola di Agadir.
    “Quando ti sarai ristabilito” disse, osservando il profilo assonnato dell’amico, “c’è qualcosa di cui devo parlarvi, sia a te che a Teppei. Una cosa importante.”
    Mamoru si girò lentamente per incrociare il suo sguardo.
    “...cosa?...”
    “Non ora. Pensa a riposarti, ne riparleremo quando ti sentirai meglio.”
    L’Elemento di Fuoco avrebbe voluto replicare, ma non era più in grado di contrastare l’effetto soporifero del liquido che aveva bevuto. Così, anche contro la sua volontà, chiuse gli occhi, cadendo in un sonno profondo.

    Sendai era in fermento.
    L’intero villaggio sembrava percorso da un’invisibile scarica elettrica che manteneva in palpabile tensione i nervi di tutti gli abitanti. Questi ultimi si muovevano velocemente tra le abitazioni preparandosi a dovere nel caso Hans lo Stregone avesse deciso di sceglierli come prossime vittime.
    Era stato tutto deciso al ritorno di Koji da Krrish. Il capo villaggio aveva indetto un consiglio di emergenza per parlare della loro situazione attuale e organizzare la difesa del villaggio. Erano stati tutti concordi: non si sarebbero arresi alle richieste del Naturalista impazzito, ma, nonostante la loro buona volontà, sapevano di potere poco o nulla contro la forza inarrestabile dell’Elemento d’Aria.
    Un messaggero era stato inviato a Rhalesta, la città cui facevano riferimento tutti i borghi rurali della zona, per riferire al Doge i fatti fin lì occorsi e richiedere l’intervento della Guardia Cittadina.
    Dopo una nottata passata insonne a discutere e assegnare i vari incarichi, gli abitanti di Sendai erano passati all’azione già alle prime luci dell’alba e ora, che il sole era ben alto nel cielo, continuavano a lavorare senza sosta: fortificando le mura, raccogliendo viveri, facilitando una possibile evacuazione e sorvegliando l’intorno dalle torrette di guarda, ininterrottamente.
    Hajime osservava la loro laboriosità seduto presso una delle finestre della piccola saletta, nel palazzo di Koji, dove solitamente si riunivano. Sul tavolo rimestava, quasi meccanicamente, il tè con il cucchiaino, producendo un leggero tintinnio.
    “Credo che lo zucchero si sia sciolto, ormai...”
    La voce di Teppei lo distolse dai suoi pensieri, facendogli voltare il capo per incrociare il viso sorridente dell’amico seduto di fronte.
    “Oh, sì... ero distratto.” Si giustificò sorridendo a sua volta.
    L’altro inarcò un sopracciglio, poggiando il viso in una mano.
    “E’ da ieri sera che sei pensieroso, sei preoccupato per Mamoru? Tranquillo, lui è un osso duro!”
    “Sì, lo so.” Tornò a osservare l’esterno. “Ma questa gente? Che ne sarà di loro se quel folle decidesse di attaccare Sendai? Sarebbe l’ennesima carneficina.”
    “Per questo dobbiamo fermare Yuzo” concluse Teppei con sguardo deciso. “Il tutto sta a togliergli quell’affare dalla testa... anche se sembra impossibile.”
    Hajime osservò l’amico dalla folta massa riccia che picchiettava nervosamente un dito sul legno del tavolo. Sorrise della sua espressione concentrata in cerca di una probabile soluzione.
    “A proposito”, disse, “come vanno le tue ferite?”
    “Benissimo! Erano solo dei graffi e qualche livido!” minimizzò con un sorriso trionfante. “E tu?”
    Hajime assaporò un sorso del tè ancora caldo, annuendo. “Va molto meglio, nonostante continui a prendere ancora delle piccole scosse quando vengo a contatto con dell’acqua o del metallo. Sto finendo di perdere la corrente residua.”
    “E le bruciature?”
    “Quelle andranno via più lentamente.”
    Teppei annuì, facendo cadere la conversazione per qualche secondo prima di aggiungere: “E Mamoru? Come sta?”
    La situazione dell’Elemento di Fuoco era più complessa. “Il Naturalista di Sendai gli ha suturato le ferite alle spalle, ma ha perso sangue quindi ha bisogno di più tempo per ristabilirsi."
    “Se non l’avessi visto con i miei occhi, non ci avrei mai creduto, sai?” Il tyrano si volse a osservare l’esterno dalla finestra aperta.
    I rumori e le voci degli abitanti arrivavano concitate e confuse alle loro orecchie, mentre un flebile filo di vento si insinuava, smuovendo leggermente le tende e i loro capelli, deviando il rettilineo percorso della scia di fumo proveniente dal tè di Hajime.
    “Per un attimo, ho pensato fosse tutto uno scherzo o un’allucinazione... un incubo. Poi ho guardato meglio i suoi occhi e vi ho letto così tanta cattiveria da averne paura. La sentivo strisciare nel mio stomaco come una serpe. Ma, nonostante tutto, mi fidavo talmente di lui che ero convinto che non avrebbe mai potuto aizzare i suoi poteri contro di noi.” Teppei sorrise, passando un dito sulla medicazione che aveva sulla guancia. “Avere torto non è una bella sensazione.” Poi incrociò con decisione lo sguardo di Hajime. “Il male intrinseco della Magia Nera è sconvolgente, ma come Elementi abbiamo il dovere di opporci a esso, in questa guerra, affinché venga definitivamente debellato da Elementia. Lo so, magari è estremamente utopico questo mio pensiero, ma farò qualunque cosa sarà in mio potere per renderlo più vicino alla realtà, e il primo passo sarà quello di strappare Yuzo dall’influsso malefico del manufatto che ha attorno alla fronte.”
    Hajime rimase a osservare i suoi occhi scuri non senza sentirsi in colpa per la delusione che gli avrebbe dato e solo la Divina Yoshiko sapeva come avrebbe voluto tacergli quell’odiosa verità, ma i fatti erano tutti contro di lui e continuare a restare in silenzio non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione. Si sforzò, quindi, di accennare un sorriso, mentre il suo amico di infanzia riprendeva il solito atteggiamento scherzoso.
    “L’avresti mai detto che sarei diventato così saggio?” concluse Teppei, rilassandosi contro lo schienale della sedia.

    Il sole filtrò tra le tende nonostante queste fossero tirate. Riuscì a penetrare, con un sottilissimo raggio, attraverso un piccolo spiraglio. Intrappolò l’intangibile pulviscolo sospeso nell’aria e si infranse sul viso di Mamoru, strappandogli una smorfia di disappunto.
    Il giovane respirò profondamente, aprendo gli occhi.
    Aveva dormito come un sasso e non osava nemmeno immaginare che diavolo ci fosse nell’intruglio che gli aveva dato Hajime per sortirgli un simile effetto. Però il dolore era notevolmente diminuito.
    Mise a fuoco l’ambiente circostante, riconoscendo la sua camera nel palazzo di Koji. Ma non c’era nessuno oltre lui e doveva parlare con Hajime per spiegargli meglio quello che aveva visto riguardo Yuzo.
    Prese un paio di ampi respiri prima di tirarsi lentamente a sedere. Sì, stava meglio del giorno prima, ma non era ancora guarito. Le spalle e l’addome protestarono vivacemente ai suoi sforzi, ma riuscì a ignorarli grazie alla notevole forza di volontà, sedendosi ai bordi del letto e poggiando i piedi sul pavimento. Osservò le fasciature che coprivano le spalle e parte del torace.
    Avrebbe potuto evitarli, quegli aghi di vento, se Yuzo non lo avesse immobilizzato con la Magia Nera. Poi sospirò profondamente, stringendo i pugni.

    “Potresti cancellare i rimorsi dalla sua coscienza?”

    Quella frase lo aveva perseguitato anche mentre era immerso nel sonno. Lo ossessionava con la pesante risposta che si portava dietro.
    No.
    Lui non avrebbe mai potuto annullare i crimini di cui le sue mani si erano macchiate. Anzi, gli avrebbe dato il colpo di grazia, raccontandogli di quante vite aveva strappato, di quanto terrore aveva seminato e quanto dolore aveva arrecato. E le lacrime che aveva fatto versare, e il sangue.
    Mamoru si nascose la testa tra le mani, mentre l’indecisione sulla scelta da prendere gli rodeva le interiora così lentamente da farlo impazzire.
    Riportarlo indietro, uccidendolo poi con il resoconto di ciò che aveva fatto, oppure lasciare la sua bontà ignara e sopita sotto l'influsso malvagio dell’incantesimo, e poi ucciderlo comunque perché pericoloso per le altre vite?
    Oddea!
    Come poteva anche solo pensare di togliergli la vita? Non ne sarebbe mai stato capace davvero. Per quanto trovasse insopportabile la sua natura di Elemento d’Aria, erano compagni, ormai! Detestava i suoi slanci altruistici, il suo essere pateticamente affettuoso e la sua stucchevole positività, ma, al tempo stesso, sapeva che non avrebbe più potuto farne a meno, che quel viaggio non sarebbe più stato lo stesso senza i loro battibecchi quotidiani e i suoi disastri.
    Fin dalla prima volta che l’aveva visto, quando era piombato nel cortile del castello degli Ozora, rischiando quasi di venir infilzato come uno spiedo dai soldati della Guardia Reale, Mamoru aveva capito che avrebbe dovuto vegliare maggiormente su di lui per evitare che si cacciasse nei guai, assumendo quell’atteggiamento da ‘mamma chioccia’ che in più di un’occasione si era rimproverato. Ma ora c’era dell’altro a mantenere l’equilibrio nella bilancia della sua indecisione ed era la certezza che, qualunque scelta lui avesse compiuto, lo avrebbe perso. E questo era ciò che maggiormente lo feriva.
    Un’improvvisa fitta alle tempie gli strappò un lamento di dolore. Ci mancava solo un’emicrania e poteva dirsi al completo. Sospirò a fondo, cercando di alzarsi. Le gambe lo sorreggevano, anche se traballanti, ma era il pavimento che non voleva star fermo e oscillava come un tappeto volante sotto i suoi piedi. Barcollando, raggiunse la poltrona sulla quale era appoggiata la sua casacca e, lentamente, per non riaprire le ferite, se la adagiò sulle spalle. L’occhio gli cadde sul mobile lì vicino: raggomitolato su sé stesso c’era il lungo orecchino di Yuzo. Lo guardò per qualche secondo, sentendosi preda di una strana sensazione di sconforto sulla quale, però, si sforzò di non soffermarsi, lasciando la stanza alla ricerca degli altri compagni.

    “Ah sì, sei diventato proprio un filosofo!” scherzò Hajime. “Non li facevo così profondi gli Elementi di Terra!”
    L’altro gli fece una smorfia, sorridendo. “Come sei spiritoso!” Poi assunse un’espressione dubbiosa. “Forse dovremmo controllare se Mamoru stia ancora dormendo, che ne dici?”
    Stupido!” si sentì rispondere con ira. Hajime si alzò in piedi sbattendo i pugni sul tavolo e facendo tintinnare la tazza di tè.
    Teppei sgranò gli occhi. “Bastava un semplice ‘no’...” disse confuso, poi vide l’altro oltrepassarlo con passo sostenuto e, seguendolo con lo sguardo, capì a chi fosse indirizzata la sua invettiva.
    Mamoru era comparso sull’uscio della saletta e avanzava lentamente nella loro direzione, sostenendosi lungo la parete.
    “Ma come ti è venuto in mente di andartene in giro nelle tue condizioni?!” lo ammonì Hajime, prestandogli immediato soccorso. “Sei proprio uno sciagurato!”
    Naaaa, piantala di urlare... ho mal di testa!” borbottò l’altro. “E poi sto bene...”
    “Sì, certo! Vediamo: se ti tocco qui?”
    Ahiaaaa!” fu la risposta che ottenne.
    “Appunto.”
    Teppei spostò una delle sedie, aiutandolo a sedersi. “Hajime ha ragione, non puoi ancora permetterti di strapazzarti, sei convalescente.”
    “Sì, ma quel folle di Hans non aspetterà di certo che io mi rimetta in forze prima di attaccare un altro villaggio.” Mamoru si appoggiò lentamente allo schienale, emettendo un profondo sospiro. I due amici lo osservarono preoccupati e lui sorrise, cercando di rassicurarli. “Dai, state tranquilli, stasera sarò come nuovo.” Comprese di non averli convinti, così preferì cambiare argomento. “Allora, cosa è successo mentre dormivo?”
    “La gente di Sendai si è mobilitata per la difesa del borgo” disse Teppei, indicando l’esterno dalla finestra. “Hanno passato la nottata ad organizzare il lavoro e già dall’alba si sono rimboccati le maniche.”
    Mamoru si sporse per quanto il suo fisico glielo permettesse. Annuì, osservando le persone che si muovevano rapidamente.
    “E del Naturalista? Nessuna traccia di lui... e di Yuzo?”
    Teppei scosse il capo. “No, è quasi un giorno che se ne stanno buoni, rintanati da qualche parte, ma non vorrei aver parlato troppo presto.”
    Annuì nuovamente, mentre l’altro aggiungeva: “Dovremmo cominciare a elaborare una strategia d’attacco per salvare Yuzo.”
    Era arrivato il momento di dare fiato ai suoi pensieri, ma già sapeva quale sarebbe stata la loro risposta.
    “Qualsiasi cosa faremo, il volante morirà...”
    “Cosa? Ma che stai dicendo?”
    “...sia che noi lo liberassimo, sia che lo lasciassimo nelle mani dello Stregone.”
    “Dannazione Mamoru, rallenta! Non riesco a starti dietro!” si impuntò l’Elemento di Terra. “Che cosa vorresti dire? Noi abbiamo il dovere di salvarlo-”
    “Sì, dall’influsso del male, certo! Ma chi lo salverà, poi, dai suoi stessi rimorsi per ciò che ha fatto?”
    “Rimorsi? Ma non è stata colpa sua! Non era in sé...”
    “Questo vaglielo a dire a tutte le persone che sono morte.” Lo sguardo di Mamoru era serio come Teppei non glielo aveva mai visto. “E vaglielo a dire a Yuzo che i suoi poteri hanno mietuto decine e decine di vittime, poi dagli una pacca sulla spalla e digli che non è stata colpa sua. Credi che lui si nasconderà dietro questa fragile scusa, seppur vera? Credi che farà finta che la cosa non lo riguardi?”
    L’amico abbassò lo sguardo, mortificato. A quello non aveva affatto pensato e adesso che Mamoru glielo aveva fatto notare, si vergognò di quanto fosse stato ingenuo, ma quale altra soluzione poteva esserci?
    “Non mi starai dicendo che dobbiamo lasciarlo nelle mani di quell’Hans?”
    “No.” La Fiamma scosse il capo, spostando lo sguardo altrove. “Sarebbe troppo pericoloso lasciarlo libero di agire con quel dannato manufatto a condizionargli la mente...”
    E allora? Cos’altro restava da fare? Teppei sembrava non riuscire a capire dove l’Elemento di Fuoco volesse andare a parare, mentre Hajime parve cogliere il ragionamento dei suoi pensieri. Sgranando gli occhi con incredulità e con la speranza di aver frainteso disse: “Dobbiamo ucciderlo?”
    “E’ una possibilità.”  
    “E’... cosa?!” Balzò in piedi il tyrano, sconvolto. “Ora stai scherzando, vero? Non azzardarti nemmeno a ripeterlo, Mamoru Izawa, e non pensarlo neppure! Io non ucciderò un amico, puoi scordartelo!”
    “Teppei non-” tentò Hajime.
    “Un accidente!” Lo zittì l'Elemento di Terra, per poi tornare a osservare l’altro seduto al suo fianco. “Che razza di discorsi stai facendo?! Eh?! Le botte che hai preso ti hanno mandato in pappa il cervello?! Lui è Yuzo, per tutte le Dee! E' Yuzo! Anche se malvagio è sempre lui! Non possiamo liquidarlo con un ‘uccidiamolo’ e passare oltre! Una possibilità di salvarlo ce l’abbiamo ed è a quella che dobbiamo aggrapparci!” Poi ammorbidì il tono, poggiando una mano sulla spalla di Mamoru per attirarsi finalmente il suo sguardo. Uno sguardo di chi non aveva vagliato quella evenienza a cuor leggero.
    “Lo so che non vuoi che soffra, nessuno di noi lo vuole, per questo gli saremo vicini e lo aiuteremo a superare il dolore. Perché siamo suoi amici.”
    Hajime sorrise. “Sono perfettamente d’accordo con Teppei. Lui non sarà da solo a sostenere il peso della sua coscienza. Ogni Elemento deve imparare a convivere con le proprie responsabilità e noi lo aiuteremo.”
    Mamoru mosse lo sguardo dall’uno all’altro, abbozzando il primo sorriso da quando si era svegliato. Un sorriso di gratitudine nei loro confronti e per le loro parole che erano riuscite a riaccendere un nuovo filo di speranza anche in lui.
    “Vedo che sono in minoranza” borbottò ironico, cercando di camuffare i suoi sentimenti. “E io che credevo di potermi finalmente liberare di quel dannato volante!”
    “Ti sarebbe piaciuto, eh?” scherzò Teppei, che era tornato a sedersi. “Ora però dobbiamo organizzare una strategia per riuscire a bloccarlo. Forse, se lo attaccassimo tutti e tre insieme, avremmo più possibilità di vittoria.”
    Mamoru scosse il capo, pensieroso. “Non sarà così facile. Ricorda che è riuscito a rigirare contro di noi i nostri stessi poteri, per non parlare degli incantesimi di Magia Nera che-”
    “No, aspetta: che incantesimi?”
    L’Elemento di Fuoco parve sorpreso. “Ma Hajime non te l’ha detto? Mentre combatteva contro di me, ha lanciato un maleficio nella lingua di Kumi! Ho visto i suoi occhi diventare neri come quelli degli Stregoni mentre preparano i sortilegi.”
    Teppei non riusciva a crederci. “Assurdo! Fino a questo punto arriva l’effetto di quell’affare che gli ha messo il Naturalista?!”
    Mamoru annuì, per quanto non ne fosse totalmente convinto. “Chi può dirlo... anche se ho visto qualcosa che mi ha lasciato perplesso...”
    “Che cosa?”
    “Hai presente la pietra sul collo di Yuzo? Ecco, pulsava di un’intensa luce purpurea. Quasi fosse stata viva... ma non capisco cosa significhi. Lui aveva detto che era solo un ornamento...” Poi si rivolse al Tritone che non aveva proferito parola. “Hajime, ma non gli hai detto nemmeno questo?”
    L’interpellato non rispose, rimanendo con lo sguardo fisso al tè, ormai freddo, che riempiva metà della tazza. Forse sperava di trovare la giusta soluzione a tutto scrutando tra le trame del liquido scuro o, forse, solo le parole adatte a spiegare uno dei segreti più oscuri della Magia Elementale.
    “Hajime?!”
    O, magari ancora, una plausibile giustificazione verso una scelta che lui e gli altri erano stati costretti a prendere.
    “Hajime!”
    Il terzo richiamo di Mamoru riportò la sua attenzione al presente, mentre Teppei si portava le mani dietro la testa, esclamando: “Lascia stare! È in quello stato di assenza da ieri sera, e io non sono riuscito a cavargli un ragno dal buco! Magari tu sei più fortunato.”
    “Hajime, va tutto bene?” domandò la Fiamma.
    “Sì... sì, certo.”
    “Riguarda forse la questione che mi avevi accennato ieri?”
    “Ecco! Nemmeno di questo sapevo nulla!” si intromise Teppei.
    “Beh, nemmeno io so di cosa si tratti. Mi ha solo detto che doveva parlarci di una cosa importante.” Mamoru si rivolse nuovamente al Tritone che stava loro di fronte. “Ora siamo entrambi qui. Dicci pure.”
    Hajime spostò lo sguardo ansioso su entrambi, rimanendo in silenzio per qualche secondo, prima di annuire lentamente.
    “Va bene” disse schiarendosi la voce e preparandosi ad affrontare quel discorso, anche se non sapeva bene da dove cominciare. Decise che partire dall’inizio fosse la cosa migliore.
    “Dovete sapere che esiste un ordine chiamato: I Cavalieri dell’Onice.”
    I due Elementi si scambiarono un’occhiata perplessa: come era ovvio, non ne avevano mai sentito parlare.
    “Vennero fondati in gran segreto circa mille anni fa, all’alba del giorno che mise la parola ‘Fine’ al più devastante conflitto del pianeta.”
    “Parli del Nihil.
    Mamoru lo aveva capito all’istante. Il Nihil, il Nulla. Il momento più oscuro della storia di Elementia dove il conflitto fra il Bene e il Male aveva raggiunto il suo apice più estremo dando vita alla più grande battaglia che si fosse mai svolta sull’intero pianeta, dove non si era mai riuscito a comprendere se davvero ci fosse stato, o meno, un vincitore. Tutti avevano perso, generando, appunto, il Nulla.
    “Sì, proprio quello, il cui esito bandì, definitivamente, la Magia Nera da tutti i territori del pianeta, relegandola a una scienza clandestina. Lo scontro più sanguinoso della storia che finì col dimezzare la popolazione di Elementia. In quell’occasione, il Consiglio Anziani, in accordo con i quattro Master e il Re, promisero, davanti alle Dee, che mai e poi mai si sarebbe ripetuta una simile ecatombe. Decisero che, qualora si fosse ripresentata una nuova minaccia da parte degli Stregoni, l’avrebbero annientata con la più devastante arma mai creata. Un’arma così potente che avrebbe permesso di condurre una guerra-lampo, scongiurando le paure di un’altra catastrofe. Un’arma che non avrebbe dovuto avere la minima pietà per i propri nemici. Con questo spirito e intento nacquero I Cavalieri dell’Onice.”
    “Fammi capire: questi cavalieri cosa sono esattamente? Un gruppo di soldati scelti della Guardia Reale, degli Elementi potenziati o cosa?” domandò Teppei.
    “Elementi potenziati.”
    “E in cosa consiste questo ‘potenziamento’?”
    “In un incantesimo...” e la parte peggiore “...di Magia Nera.”
    Teppei trasalì, alzandosi in piedi di scatto. La sedia rovinò con un tonfo alle sue spalle.
    “Che cosa?! Non è possibile! Quello che stai dicendo è un controsenso! Come possono degli Elementi far uso dell’arte bandita? È contro natura!” Per quanto si sforzasse non riusciva a capacitarsene. “Mamoru, diglielo anche tu che è impossibile! Un Elemento non ricorrerebbe mai a una cosa simile!”
    La Fiamma si sporse leggermente senza perdere di vista lo sguardo di Hajime, troppo serio perché stesse scherzando. “Come si può vincere una guerra combattendo il Male con altro Male? E perché né io e né Teppei sapevamo nulla di tutto questo?”
    “Perché nessuno deve sapere dell’esistenza dell’Ordine.”
    “Ma tu lo sai...” E, nel momento stesso in cui la formulò, Mamoru capì il significato di quell’affermazione; era fin troppo palese.
    L’Elemento d’Acqua si sfilò lentamente il guanto che avvolgeva il palmo sinistro. “I Cavalieri vengono suddivisi in tre ruoli: Evocatori, Esecutori, Annullatori.” Alzò la mano in modo che potessero vedere la pietra nera rifulgere di oscuri riverberi sotto la luce del sole. Emergeva, bombata e liscissima, dal palmo all’interno del quale era stata incastonata. “Gli Evocatori vengono scelti tra gli Elementi di Acqua” disse senza esitare, mentre i due amici riconoscevano in quell’onice la stessa pietra che Yuzo aveva nella nuca. “Nostro è il compito di sciogliere ‘il giogo delle bestie’” spiegò, citando testualmente il Codice che regolava I Cavalieri. “Gli Esecutori sono il braccio armato dell’Ordine, sono coloro che affrontano i nemici sul campo, sono le ‘bestie’ e vengono scelti tra gli Elementi d’Aria.” E prima che gli altri due potessero anche solo domandarlo annuì: “Sì, Yuzo è un Esecutore.” Infine concluse con l’ultimo ruolo. “Gli Annullatori sono solo due e sono gli unici in grado di estinguere l’incantesimo che ci tiene legati all’onice e sono, rispettivamente, il Master del Fuoco e il Master della Terra.”
    No!” gridò Teppei, sbattendo le mani sul tavolo e facendo sobbalzare i due amici. “Non è vero! Stai mentendo! Quello che dici è falso... loro... voi... non potete aver tradito quello che è lo spirito degli Elementi! Non potete esservi fatti corrompere fino a questo punto, fino a impiantare nel vostro stesso corpo un manufatto del Male!”
    “Teppei, noi non abbiamo potuto scegliere!” Anche Hajime si era ritrovato ad alzare la voce. “Era un ordine diretto del Consiglio e il nostro compito era quello di obbedire. Né io e né Yuzo abbiamo mai detto di essere d’accordo con tutto questo, ma ci era preclusa qualsiasi altra possibilità!”
    “Balle! C’è sempre una scelta!”
    Non per noi!
    L’acqua della fontana nella piazza di Sendai si increspò improvvisamente, lanciando sbuffi irati verso il cielo azzurro. Anche il liquido rimasto nella tazza prese a ribollire nervosamente, mentre Hajime e Teppei si scambiavano sguardi astiosi fino a che il Tritone di Agadir non si riscosse e l’acqua e il tè tornarono alla loro pacifica natura.
    “Scu-scusate...” balbettò, riprendendo il controllo. “L’incantesimo di Magia Nera che ti è stato lanciato contro, Mamoru, non era altro che legato all'Onice.”
    “Vuoi dire che Yuzo è un Esecutore, ora?”
    “No, solo un Evocatore può richiamare un Esecutore tramite un incantesimo specifico. Il problema occorso a Yuzo è che l’onice, venendo in contatto con un altro manufatto magico, è come se fosse entrata in risonanza con il potere di quell’oggetto, potenziandolo e permettendo all’Esecutore di richiamare alcuni sortilegi di Magia Nera.”
    “Basta!” ringhiò il tyrano, volgendo loro le spalle. “Questa discussione mi ripugna. Ne ho abbastanza.” Si allontanò senza più voltarsi indietro nonostante i numerosi richiami di Hajime. Quest’ultimo sospirò affranto nel vedere la sua schiena scomparire nei corridoi adiacenti.
    “Lascia che metabolizzi quello che ha appena sentito” intervenne Mamoru, ma non c’era conforto nella sua voce. “Non è un boccone facile da mandare giù.”
    “Anche per te?”
    “Sì, anche per me. Ma io devo sapere. Tutto.”
    L’altro annuì. “Quello che penso è che il manufatto del Naturalista sia un prodotto troppo dozzinale. Se fosse stato creato da un vero Stregone non sarebbe mai entrato in risonanza con l’onice perché i loro campi di azione sarebbero rimasti distinti. L’incantesimo di Hans ha delle falle e, attraverso queste, l’influsso della Magia Nera si è espanso fino ad arrivare nella zona del cervello sulla quale agisce la pietra.”
    “Quindi, se gli togliamo il diadema...”
    “Cesserà anche la risonanza.”
    Mamoru intrecciò le mani all’altezza del naso, poggiando i gomiti sul tavolo. Il suo sguardo si perse in un punto indefinito della superficie.
    “Siete sopravvissuti per mille anni... e nessuno si è mai accorto di niente” disse, più a sé stesso che al giovane d’Acqua, scuotendo il capo. Ma aveva ancora delle domande da porre e decise di non perdere altro tempo. I suoi occhi scuri si mossero per incontrare quelli di Hajime.
    “Chi sceglie I Cavalieri?” cominciò e la fermezza della sua voce era raggelante.
    “Il Consiglio.”
    Tsk! Quell’accozzaglia di vecchi rimbambiti! Dannazione il padre di Yuzo è uno di loro! Come ha potuto fare una cosa simile a suo figlio?”
    “Non saprei. Bisogna vedere quando Yuzo è stato arruolato nell'Ordine. Io ignoravo addirittura che fosse un Esecutore. L’ho saputo quando eravamo alle terme di Dhèver ed è stata una vera sorpresa per entrambi.”
    “Perché gli Elementi d’Aria vengono scelti come Esecutori?”
    “Per la loro ferrea disciplina di autocontrollo e meditazione.” Il Tritone si rilassò contro lo schienale della sedia. “Vedi, l’onice nel collo agisce sulla parte inconscia del cervello. Quindi è una zona molto delicata che gli Elementi d’Aria riescono a circoscrivere e contenere proprio grazie alla concentrazione. Differentemente da tutti gli altri, per loro l’inconscio non è una zona d’ombra.”
    “E voi d’Acqua perché siete gli Evocatori?”
    L’altro abbozzò un accenno di sorriso. “Perché siamo meno impulsivi degli Elementi di Fuoco e di Terra.”
    Sì, il ragionamento era abbastanza logico, decretò Mamoru. “Dove ce l'hanno l’onice gli Annullatori?”
    “Loro non hanno la pietra a contatto diretto con il corpo, come gli Evocatori o gli Esecutori. Utilizzano un manufatto magico, un anello, al centro del quale è incastonata la pietra.”
    Dopo questo, la Fiamma si alzò lentamente, venendo imitato dall’amico.
    “Vuoi che ti aiuti?”
    “No. Ce la faccio.” Mamoru gli volse le spalle, cominciandosi ad allontanare, mentre Hajime rimaneva fermo al suo posto. In fondo, non era rimasto sorpreso dalle loro reazioni, erano state le stesse che aveva ipotizzato... e molto simili alla sua quando l'allora Master Katagiri gli aveva comunicato di averlo scelto come Evocatore.
    “Ho un’ultima domanda.” La voce di Mamoru richiamò la sua attenzione. “Cosa succede quando si attiva un Esecutore?”
    “L’Esecutore verrà totalmente sopraffatto dalla Magia Nera, assopendo la sua coscienza. Egli non farà distinzioni tra amici o nemici, ma ucciderà chiunque troverà sul suo cammino, fondendo, in maniera perfetta, il potere Oscuro e la Magia Elementale. Avendo dalla sua sia il Male che il Bene diverrà automaticamente il mago più potente sul campo di battaglia.”
    Sulle labbra di Mamoru si delineò una smorfia afflitta che l’altro non riuscì a vedere.
    “Creerà un nuovo Nihil” mormorò, lasciando definitivamente la stanza, sorreggendosi alle pareti.
    Con passo incerto riuscì a raggiungere la sua camera. Aveva chiesto troppo al suo fisico e ora aveva bisogno di stendersi almeno per un’ora. Maledizione, non poteva rimettersi così lentamente! C’era sempre la minaccia di Hans a pendere sulle loro teste.
    Rimase a fissare il soffitto quasi con la speranza che le ferite si rimarginassero di colpo, ma, in fondo, i suoi pensieri non erano affatto interessati ai suoi acciacchi.
    - I Cavalieri dell’Onice... -
    Non era stato palese come Teppei, ma anche lui ne era rimasto sconvolto. Il Consiglio, i Master... avevano tenuto nascosto un segreto terribile che avrebbe minato l’intero sistema se fosse venuto a galla. Forse era anche per questo motivo che in mille anni non erano mai ricorsi al loro utilizzo. Sarebbe stato uno shock per tutti gli altri Elementi che vivevano ignari di quello che le alte sfere avevano costruito. Ma se quei quattro barbogi avevano davvero a cuore il pianeta, il motivo principale, per il quale I Cavalieri erano ancora avvolti nel segreto, era dovuto alla loro devastante potenza. Anche il Consiglio Anziani doveva temere ciò di cui erano capaci e di come avrebbero potuto perderne il controllo.
    “Che stupidi!” ringhiò, rigirandosi lentamente su di un fianco, mentre l’immagine di Yuzo che lo guardava con gli occhi da Stregone appariva e scompariva per dargli il tormento. Strinse le palpebre con forza nel sentire che la rabbia veniva pompata in tutto il corpo come sangue.
    - Maledizione! Guarda cosa ti hanno fatto! Ti hanno ridotto a una marionetta pronta ai loro comodi! - si disse quasi, come se il volante avesse potuto ricevere i suoi pensieri ovunque fosse stato. - Tu, Hajime e tutti gli altri... nessuno di voi si meritava questo... e nessuno di noi... - Poi si ritrovò ad abbozzare un sorriso triste mentre ripensava al loro arrivo a Sendai, a Yoshiko e a come Yuzo avesse cercato di allietare i suoi ultimi giorni. - Che ironia che proprio voi, Elementi di Aria, così pacifici, siate i più adatti a custodire un terribile potere come quello. - Affondò il viso nel cuscino, mentre i capelli serpeggiavano liberi attorno a lui. - Perché tu? Perché? -

    “No! Il muro così non va bene! Bisogna rinforzare qui, qui e qui!”
    Teppei dava perentorie disposizioni a un gruppo di uomini che stava lavorando alle fortificazioni aggiuntive della cinta muraria. Questi annuirono ai suoi comandi senza controbattere, rimettendosi subito all’opera.
    Uno dei più giovani attirò la sua attenzione. “Elemento Kisugi abbiamo quasi terminato i mattoni, li vado a prendere?”
    “Lascia, faccio io” rispose l’interpellato, dirigendosi a passo spedito verso la casupola che era stata adibita a magazzino.
    Era arrabbiato, e non si sforzava nemmeno di nasconderlo agli sguardi altrui che assistevano con perplessità ai suoi atteggiamenti collerici e perentori, così diversi dal suo essere scherzoso con tutti. Lo avevano visto uscire dalla casa di Koji come una furia e subito si era messo al lavoro, aiutando gli uomini nella fortificazione delle mura. Non gli avevano visto abbozzare nemmeno l’ombra di un sorriso, ma manteneva, irremovibile, un’espressione arrabbiata.
    Attraversò le case arrivando alla sua destinazione e con decisione aprì la porta dirigendosi verso il mucchio di mattoni lasciati in un angolo. Li osservò sommariamente decidendone la quantità da portare ai lavoratori.
    Un leggero rumore di passi alle sue spalle attirò la sua attenzione, ma non si girò nemmeno, riconoscendo l’ombra che la luce proveniente dall’esterno proiettava sul pavimento.
    “Che vuoi? Sono impegnato.” Il suo tono non fu conciliante.
    “Volevo parlare un po’ con te...”
    Teppei si portò le mani ai fianchi, emettendo uno sbuffo ironico. “Qualche altro sconvolgente segreto da spifferare? No grazie, ne ho avuto abbastanza per oggi!” Sollevò alcune pile di mattoni con la telecinesi.
    “Capisco che tu sia deluso-”
    “No, tu non capisci proprio un cazzo, Hajime!” I blocchi di pietra cadessero al suolo con un rumoroso tonfo quando il tyrano volse lo suo sguardo al Tritone dietro di lui. “Non sei certo tu quello a cui hanno mentito per anni! E se non fosse saltato fuori il Naturalista pazzo avrei continuato a vivere nella mia beata ignoranza forse per tutto il resto della mia vita!”
    Hajime abbassò lo sguardo fino a incrociare il pavimento polveroso del magazzino; l’Elemento di Terra non si rendeva conto che, differentemente da ciò che pensava, lui lo capiva benissimo.
    “Mi sento un idiota”, continuò Teppei, “mi sento preso in giro. In cinque-minuti-cinque sono cadute tutte le certezze che avevo. Puff. Sono scomparse nel nulla. E sono arrabbiato con te perché non mi hai mai detto niente! Dea Santa, Hajime, ci conosciamo da quanto camminavamo ancora carponi, come hai potuto tacermi una simile verità?!”
    “Abbiamo giurato di fronte alle Dee di portare questo segreto nella tomba” spiegò il Tritone, seguitando a tenere lo sguardo basso. “E io che l’ho infranto, parlandone a voi, ho commesso un peccato gravissimo.” Poi sospirò, sedendosi stancamente sul limitare della soglia e volgendogli le spalle. “Ti ho deluso, non è così?”
    L’espressione irata di Teppei virò in una più dispiaciuta. Lentamente si avvicinò all'amico di una vita, sedendosi accanto a lui.
    Entrambi scrutavano la stradina lì davanti senza essere realmente interessati a quello che vedevano.
    “Non mi hai deluso, Hajime, non tu. E lo so che non potevi sottrarti a tutto questo: quando il Consiglio ordina, nessuno può rifiutare.” Gli poggiò una mano sulla spalla, abbozzando una specie di sorriso. “Scusa se me la sono presa con te.”
    “Mi spiace di non avertene mai potuto parlare prima. Non immagini quanto avrei voluto farlo...”
    “Lo so, invece.” Poi sospirò, osservando l’acciottolato intorno a loro. Con la telecinesi sollevò un sassolino, facendolo volteggiare nel vuoto. “Il sistema che regola Elementia è corrotto”, esordì, “e io non sono un ipocrita.”
    “Che vuoi dire?”
    Teppei volse lo sguardo per incrociare quello scuro di Hajime; il sassolino ricadde al suolo.
    “Appena avremo concluso questa missione... lascerò Tyran.”
    “Cosa?! Perché, Teppei?!”
    “Perché non posso tornare alla scuola come se niente fosse e fingere che I Cavalieri dell’Onice non siano mai esistiti! Come potrei ascoltare una lezione dei Magister che dicono che la Magia Nera è uno strumento del Male senza pensare: ‘Balle! I Master la usano!’? Tutto quello che mi è stato insegnato finora non erano altro che bugie; dovrei fingere di credere a una bugia? Che esempio potrei dare agli Elementi più giovani?”
    “Non è vero, Teppei, non sono bugie! La Magia Nera è davvero il Male e cancellandola dal pianeta anche l’Ordine dell’Onice scomparirà. Tutto quello di cui mi avevi parlato poco prima che arrivasse Mamoru non sarebbe più solo un’utopia!”
    “Ma come posso gioire se la vittoria l’abbiamo ottenuta barando?”
    A quello Hajime non seppe come rispondere, ma non voleva che Teppei commettesse un grave errore rinunciando a ciò per cui stava lottando da quando erano solo dei bambini. Non era giusto che per colpa di ciò che il Consiglio aveva istituito mille anni prima, lui dovesse gettare alle ortiche tutta la fatica fatta per divenire un Elemento.
    “Lo so che ti è difficile e io non sono certo la persona più adatta a darti torto, ma ti prego: non abbandonare Tyran, Elementia ha bisogno di guerrieri come te.”
    “Creduloni come me, vuoi dire…” Dipinse un ironico sorriso sulle labbra.
    “No. Entusiasti come te, fiduciosi e fieri... per cancellare i nostri errori e liberare finalmente il pianeta dalla piaga della Magia Nera.”
    Si scambiarono un lungo sguardo senza aggiungere altro. Teppei osservò la mano sinistra che Hajime teneva celata nel guanto. Sotto quel sottile e liscio strato di stoffa era custodito il segreto più antico di Elementia. Un fardello piccolo come un sassolino, ma pesante come una montagna.
    “Se tu avessi potuto scegliere” disse, senza smettere di osservare la sua mano, “saresti divenuto comunque un Cavaliere dell’Onice?”
    L’amico scosse il capo. “Io non posso scegliere...”
    “Questo lo so, ma rispondimi e basta.” Mosse lo sguardo ai suoi occhi scuri.
    “No” rispose il Tritone, “non sarei mai divenuto uno di loro.”
    E Teppei sapeva che quella era la verità.
    Il tyrano annuì, sorridendo. “Allora darò al sistema una seconda possibilità. Quando lo troveremo, parlerò al Principe Tsubasa: chi detiene il potere della Chiave Elementale è al di sopra dello stesso Consiglio Anziani, ebbene, io convincerò Sua Altezza a sciogliere l’Ordine dell’Onice!” E, mentre lo diceva, nei suoi occhi l’Elemento d’Acqua scorse il solito coinvolgente entusiasmo che riuscì a farlo sorridere.
    “E se dovesse rifiutare”, continuò Teppei, “allora lascerò la Scuola!”. Con decisione si alzò in piedi. “Ma sono sicuro che accetterà, riuscirò a far valere le mie ragioni e nessun altro Elemento sarà più costretto a soffrire come è toccato a voi.”
    I raggi del sole alle sue spalle rimasero come intrappolati nell’intricata tela dei suoi ricci castani, conferendo loro un bagliore bronzeo.
    Si girò, mostrando la trequarti ad Hajime.
    “E ora forza, dobbiamo riprenderci Yuzo!”

     


    [1]KENICHI IWAMI: ovvero l’uomo dalla capigliatura impossibile! XD Chi non ricorda il mitico: Timothy Vance?! Ovviamente nemmeno lui poteva mancare in questa fic, quindi, eccolo qua (foto di BelliCapelli: *clicca qui*).

    [2]TAICHI NAKANISHI: non avrebbe bisogno di tante presentazioni, ma per chi non lo conoscesse col suo nome originale basta solo dire che lui è Teo Sellers! (Teone Seller(s)one: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…

    E così arrivò il suo momento.
    Sto parlando della morte di Kenichi XD Dovete sapere, che Solarial è una grande fan di Iwami e lei, poverina, l'ha sempre saputo che sarebbe morto ç_ç. Sollyna, mi dispiace tanto. *abbraccia*
    Allora, ecco finalmente svelato il famoso segreto nascosto dietro l'altrettanto famosa Onice di Yuzo e Hajime. L'Ordine dei Cavalieri dell'Onice non ricordo nemmeno come nacque, nella mia testa, ma all'inizio dovevano chiamarsi: Ordine del Cerchio Bianco. Poi ho introdotto l'onice, che fa decisamente più fashion X3
    Insomma, la battaglia è ben lungi dall'essere terminata, anzi, sta proprio per entrare nel vivo! *ridacchia*
    Riusciranno i nostri eroi a salvare il povero Yuzo dalle mani del perfido e spietato Hans, lo Stregone?!

    Ringrazio tutti coloro che continuano a seguire questa storia! :***


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 21
    *** 9 - Ritrovare la fede - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 9: Ritrovare la fede (parte II)

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    L’erba rada frusciò sotto le suole dei sandali che la calpestavano. Uno scalpiccio leggero, come leggero era il tocco dei suoi piedi.
    Un corvo volse il becco nero verso di lui, distraendosi per qualche istante dal lauto pasto che stava consumando. Squadrò la sua figura con sospetto, valutando se fosse o meno una presenza ostile poi inclinò il capo senza ulteriori movimenti, sembrando indeciso. Il corvo percepiva pericolo, ma non era indirizzato a lui. Stabilì che poteva ignorarla, così si volse e affondò il becco nella carcassa di cui si stava cibando, strappandone un consistente brandello. Una carcassa senza testa.
    Lo sconosciuto rimase a osservare quel lento smembramento senza muovere un dito, mantenendo un leggero sorriso sulle labbra. I lembi della casacca lunga oscillavano lievemente alla bava di vento che disperdeva un forte lezzo di carne morta. Il giovane non sembrava esserne infastidito, mentre continuava a osservare quel macabro banchetto.
    Stava aspettando.
    Attendeva di poter nuovamente oscurare il cielo, far piovere fulmini e incontrare i suoi giovani avversari. Sarebbe stato divertente. Il sorriso si fece più ampio, mentre assumeva una piega malevola. D’improvviso i corvi si levarono da sopra le carogne, disperdendo nere piume nella loro improvvisa fuga. Lui le osservò dondolare nell’aria.
    Dei passi più decisi lo raggiunsero.
    “Ti stai annoiando, vero, mio giovane amico?”
    L’interpellato si mosse leggermente per incrociare lo sguardo azzurro del suo interlocutore e padrone. Quest’ultimo gli tese una mano.
    “Vieni, abbiamo un nuovo villaggio da conquistare.”
    L’attesa era finita.

    Il Naturalista di Sendai sistemò anche l’ultima fasciatura, appuntandola con una spilla.
    “Molto bene, Elemento Izawa, un paio di giorni e sarai come nuovo.”
    Mamoru roteò gli occhi, sbuffando. “Sto già bene! E non ho certo due giorni da perdere in questo modo!”
    L’uomo sorrise. “Voi giovani d’oggi siete proprio tutti uguali. Ma, per quanto tu possa essere allenato, ricorda che non sei fatto di ferro.”
    La Fiamma sorrise a sua volta, infilando lentamente la maglia. “Me ne ricorderò” disse, chiudendo i bottoni e alzandosi in piedi.
    Dopo essersi riposato si era sentito meglio e riusciva a muovere di più le braccia, per quanto persistesse un fastidioso dolore. In compenso, il pavimento aveva smesso di traballare e le sue gambe sembravano reggerlo piuttosto stabilmente.
    Le tende della camera erano spalancate, permettevano alla luce di inizio tramonto di illuminare l’intero ambiente facendo filtrare una piacevole brezza dai vetri aperti.
    “Si può?” Teppei fece capolino da dietro la porta, in compagnia di Hajime.
    “Entrate pure, ragazzi, io ho finito” sorrise il medico, richiudendo la valigetta. “Ma ditegli anche voi di non strafare!”
    Il tyrano fece spallucce. “Tanto non ci ascolterebbe!”
    L’uomo scosse il capo. “Ripasserò in serata per cambiare le bende” disse a Mamoru, poi lasciò la stanza.
    “Non dategli retta, sono in perfetta forma” borbottò il giovane di Fuoco, mentre gli altri due si scambiavano un’occhiata scettica.
    “Certo, come no” sospirò Hajime e lui gli fece una smorfia, poi divenne serio.
    “A che punto sono le difese di Sendai?”
    “A un punto mediocre se il nemico fosse stato un esercito di guerrieri armati di spade, archi e balestre.” Teppei scosse il capo. “Ma ciò che li aspetta è un Elemento controllato da uno Stregone. Nessun muro, per quanto rinforzato esso sia, reggerà la violenza delle sue raffiche di vento.” Sospirò. “Hanno fatto quello che potevano. Sta a noi salvarli e non solo loro.”
    “Allora è il momento di preparare una strategia, sperando di avere successo ai primi tentativi…” I lunghi capelli scuri della Fiamma vennero leggermente smossi dalla corrente che fluiva all’interno della stanza. Il tramonto ne delimitava i contorni con l’arancio della sua luce. L’intera chioma sembrava ardere in quei bagliori. “…e non ne avremo molti a disposizione. Questa volta Yuzo non si limiterà a ferirci, ci attaccherà con l’intento di ucciderci. Dovremo essere più astuti, più veloci e più forti di lui.”
    Gli altri due annuirono, consapevoli del fatto che avrebbero potuto concedersi ben pochi errori.
    Il suono del corno arrivò lungo e cupo, interrompendo sul nascere la conversazione. Un suono intenso che aveva un solo scopo e un solo messaggio da portare: il Naturalista, o meglio il suo servo, si era mosso.
    Gli Elementi rimasero ad ascoltare il basso rimbombo fino a che non cessò, riecheggiando ancora per qualche attimo nelle loro orecchie.
    “E’ il momento” decretò Mamoru e fu il primo a varcare la soglia della camera a passo sostenuto.
    Nello spiazzo antistante l’abitazione di Koji, la gente si era immobilizzata. Tutti avevano interrotto ciò che stavano facendo, rimanendo come pietrificati. Le teste rivolte all’insù per attendere le parole di colui che aveva dato l’allarme. Parole che già conoscevano, ma che comunque avevano il potere di terrorizzarli.
    Gli Elementi vennero raggiunti dal capo villaggio che aveva già dato ordine di sellare tre dei più veloci corsieri di Sendai.
    La guardia si affacciò alla balaustra, indicando un punto oltre le mura che, dal basso, nessuno avrebbe potuto vederlo.
    Allarme!” fu la sua prima parola. “Grosse nubi nere in anomala formazione a Ovest del villaggio!
    “Di là c’è solo Rossak” affermò Mastro Koji. “Deve essere sotto attacco.”
    Mamoru annuì mentre una familiare lingua di vento gelido si insinuava fin dentro le sue ossa, portando l’inconfondibile odore di pioggia.
    “I corsieri vi aspettano alle stalle” continuò l’uomo, poi poggiò una mano sulla spalla della Fiamma. “Che le Dee vi assistano nella salvezza del ragazzo d’Aria.”
    “Lo spero. Ne avremo bisogno” fu la sua risposta, mentre lo sguardo restava fisso verso il cielo dall’azzurro tenue che presto sarebbe stato color rosso dell’oro. Poi si volse, dirigendosi alla stalla, seguito da Hajime e Teppei.
    Gli animali erano già fuori, un ragazzo teneva le redini e, appena li vide sopraggiungere, diede un’ultima, veloce occhiata ai sellaggi, controllando che tutto fosse in perfetto ordine.
    “Ce la fai a cavalcare?” la voce di Hajime era piuttosto tesa e aveva un’espressione scura sul volto da quando il corno aveva disperso il suo suono.
    “Sì, voi non preoccupatevi” rassicurò Mamoru in tono deciso.
    Montarono in groppa agli animali, tre splendidi sauri dai muscoli guizzanti, e bastò un semplice colpo sul fianco perché scattassero come molle verso una delle porte minori di Sendai, quella a Ovest.
    La gente si dileguò dalla strada per permettere loro il passaggio; con sguardi terrorizzati li seguirono fino a che non scomparvero lungo la via sterrata che conduceva a Rossak. In silenzio innalzarono una preghiera affinché riuscissero a liberarli dalla follia del Naturalista.

    Mamoru strinse gli occhi per affrontare l’aria tagliente che gli schiaffeggiava il viso durante la folle cavalcata. Ma non solo per quello. Non aveva mentito sulla sua possibilità di stare a cavallo, ma ogni passo era una fitta dolorosa che, dalla base della schiena, si diramava in tutto il corpo. Più volte aveva temuto che le suture alle spalle saltassero per lo sforzo, ma non poteva fare altro che stringere i denti e andare avanti.
    Le nuvole nere erano perfettamente visibili e incombevano con spesse forme a incudine sul villaggio che Hans aveva deciso di distruggere.
    - Stiamo arrivando, Yuzo - pensò, saltando con abilità un tronco abbattuto che giaceva al centro della strada. Perché quello era il suo obiettivo: raggiungere il volante, affrontarlo, salvarlo e poi...
    Ormai siamo prossimi alla destinazione” chiamò Teppei a gran voce per sovrastare i tuoni il cui fragore diveniva sempre più forte a mano a mano che si avvicinavano alla meta. “Hai già una strategia?
    ” fu la risposta secca. I pensieri di nuovo fermi al presente, perché quello che sarebbe avvenuto in futuro non lo facesse sentire impotente. “E dovremo essere perfettamente tempestivi per fare in modo che funzioni!
    Gli faremo del male?” domandò Hajime.
    Se tutto va bene, no.- E io spero ardentemente che vada tutto bene. -
    “Ho un brutto presentimento” confidò il Tritone, abbassando leggermente il tono.
    Come?” Con i tuoni rombanti era impossibile sentire se non si urlava a squarciagola. Mamoru vide Hajime che scuoteva il capo, facendo intendere di non aver detto nulla di importante.
    Fu allora l’Elemento di Fuoco a riprendere la parola.
    “Va bene, ragazzi, statemi a sentire molto attentamente. Questo sarà il nostro piano d’azione…”

    Le grida degli abitanti di Rossak facevano da allarmato sottofondo al crepitare netto dei fulmini che tagliavano il cielo. Erano brillanti nella loro elettrica luce accecante; si scaricavano al suolo in fragori assordanti che facevano vibrare con forza gli alberi, i cocci di legno, i vetri delle case, la nuda pietra, finanche le ossa delle persone che correvano come disperate alla ricerca di un qualsiasi riparo a quella improvvisa catastrofe. Le grida concitate si accompagnavano a pianti disperati di uomini, donne e bambini.
    Per il Naturalista, che pacificamente se ne restava eretto sul tetto di una bassa abitazione, quelli erano cori celestiali. Sorrideva soddisfatto del lavoro che l’Elemento d’Aria stava svolgendo.
    Quest’ultimo era seduto accanto a lui e non staccava gli occhi dalla gente che scappava terrorizzata. Hans ne osservò il profilo concentrato, accentuando il suo sorriso beato.
    “Oggi sembri essere particolarmente magnanimo, ragazzo mio: ne hai lasciati così tanti in vita. Come mai?”
    L’altro fece spallucce. “Non ti riguarda” rispose in tono neutro senza perdere di vista la strada che portava a Sendai.
    “Sei impaziente di confrontarti nuovamente con i tuoi amici? Almeno loro cercano simpaticamente di tenerti testa.” Anche Hans si mise a scrutare la via dissestata ben visibile dalla loro posizione. “Vedrai, vedrai, presto saranno qui, ma questa volta… uccidili tutti.”
    Fu in quel momento che videro un polverone levarsi lungo l’acciottolato. Lo scontro si sarebbe svolto prima di quanto avesse ipotizzato.

    I tre Elementi riuscirono a entrare nel villaggio in groppa ai cavalli di Koji, per quanto avessero dovuto faticare notevolmente per non farli indietreggiare, ma questi si erano dimostrati più coraggiosi di quelli utilizzati per andare a Krrish.
    Mamoru e compagni si immersero in quella giostra di grida, contrastando la corrente contraria delle persone in fuga. Individuarono le figure dei loro avversari che, a mano a mano che avanzavano, divenivano sempre più nitide. Smontarono per completare a piedi l’ultima distanza percorribile.
    Le raffiche di vento avevano una forza terrificante. Si abbattevano nell’intorno con la stessa violenza e rapidità di un colpo di frusta; schioccando, ululando. Poi, d’un tratto, calarono di intensità, circoscrivendo la zona in cui si trovavano assieme al Naturalista: l’occhio del ciclone.
    Mamoru guardò intensamente Yuzo che non si sottrasse, ma lo ricambiò, accentuando il sorriso gentile ma nient’affatto rassicurante.
    “Siamo venuti per te” sentenziò infine, l’Elemento di Fuoco, fissando Hans, che rise.
    “Vedo che siete decisi, buon per voi. Ma ricordatevi che non sarò io il vostro avversario. Il mio giovane amico vi stava aspettando con ansia.” Gli rivolse la coda dell’occhio. “Sono tutti tuoi.”
    Yuzo si librò leggermente in volo per poi planare e toccare terra ad alcuni metri dai compagni che lo osservavano attentamente, mantenendo la massima concentrazione.
    “Dopo sarà il tuo turno” affermò Mamoru senza la minima esitazione. La rabbia che stava covando nei suoi confronti era calda e liquida, come lava, circolante nelle vene. Gliel’avrebbe fatta pagare per ciò che aveva fatto fare al volante, per averlo reso così spietato, per aver corrotto la bontà dei suoi principi e la purezza del suo sguardo.
    Gliel’avrebbe fatta pagare per tutte le persone innocenti che aveva sterminato in nome di chissà quali folli propositi di conquista.
    Gliel’avrebbe fatta pagare. Per tutto.
    “Siete pronti?” domandò Mamoru ad Hajime e Teppei. I due annuirono, cominciando a muoversi adagio per accerchiare l’Elemento d’Aria. Dal canto suo, il volante seguiva costantemente i loro movimenti, in attesa che facessero la prima mossa.
    Come pianificato Fuoco, Terra e Acqua attaccarono contemporaneamente da tre lati differenti, ma il loro avversario non si fece trovare impreparato.
    Si muovevano a tutta velocità, utilizzando le tecniche marziali di cui erano a conoscenza, ma gli Elementi d’Aria avevano una capacità di concentrazione decisamente superiore che permetteva loro di discernere e rispondere a più attacchi contemporaneamente. E la Magia Nera sembrava non influire su questa abilità di Yuzo che parava velocemente i colpi cui era sottoposto.
    Per contro, gli Elementi di Fuoco, conoscevano le arti marziali meglio di chiunque altro e Mamoru era fermamente intenzionato a dimostrare i frutti dei durissimi allenamenti del Magister Wakashimazu. Inoltre, la tecnica dei volanti aveva il difetto di essere solo difensiva nei combattimenti multipli.
    La Fiamma affondò un pugno e un calcio uramawashi(1) in rapida sequenza, facendo arretrare di un paio di passi il suo avversario che, nel frattempo, teneva testa anche agli attacchi di Hajime – di precisione – e di Teppei – di potenza – che cominciavano a farsi più pressanti.
    Mamoru attese che Yuzo tentasse l’affondo per afferrargli la mano e bloccarla nel palmo. Con i suoi poteri, lo rese incandescente.
    Nell'attimo stesso in cui il volante gridò per il dolore dell'ustione, la Fiamma lasciò la presa, abbozzando un sorriso. Era il momento perfetto: Yuzo aveva perso la concentrazione.
    “Ora!” esclamò, dando il segnale ai suoi compagni.
    Sul volante si abbatterono, contemporaneamente, due calci mawashi(2) e un mae(3) a piena potenza che lo fecero ruzzolare sul terreno battuto per almeno un centinaio di metri dalla loro posizione.
    L'Elemento d'Aria si aggrappò con le unghie alla terra, nel tentativo di rallentare la corsa. Attorno a lui, la polvere si era sollevata nell'impatto, assieme a ciottoli e rami spezzati. Una volta fermo, Yuzo scosse il capo, stordito, cercando di mettersi almeno in ginocchio. Con una mano fece forza al suolo e con l'altra si tenne l'addome colpito.
    “Ingabbiamolo!” ordinò Mamoru, mentre l’uccellino incrociava i loro sguardi decisi. Yuzo non ebbe nemmeno il tempo di tentare di alzarsi che Hajime circondò il suo spazio con quelle che apparvero come funi fatte di acqua. Attorno a lui, crearono come una gabbia. Le spirali infuocate di Mamoru formarono un secondo strato protettivo. Per ultimo toccò a Teppei che fece emergere degli spuntoni di roccia dal terreno, a mo’ di sbarre, che si chiusero a intreccio sopra la testa del volante, mettendolo in trappola. Quando la gabbia fu conclusa, gli incantesimi di Acqua e Fuoco si dissolsero, lasciando solo la pietra.
    “Evviva ce l'abbiamo fatta!” esultò Teppei con un largo sorriso, mentre anche i suoi compagni si scambiavano un’occhiata di assenso. Con Yuzo bloccato, avrebbero potuto occuparsi tranquillamente del Naturalista.
    Hans aveva assistito, immobile e a braccia conserte, allo svolgersi dello scontro il cui esito sembrava essere tutto a favore degli Elementi. Li aveva un po’ sottovalutati, doveva ammetterlo; quei ragazzi si erano dimostrati molto più caparbi del previsto e pieni di risorse, ma, nonostante tutto, continuavano a commettere lo stesso stupido errore: volevano salvare il compagno e questo loro affetto nei suoi confronti sarebbe stata anche la loro rovina.
    “Bravi!” esclamò, battendo le mani lentamente. “Davvero notevole, le vostre scuole hanno fatto un ottimo lavoro.”
    “Hai ben poco da lodarci!” ringhiò Teppei. “Adesso tocca a te!”
    “No, io non credo” scosse il capo il Naturalista. “Ora viene il bello.”
    L’Elemento di Terra sembrò non comprendere e non fu il solo.
    Hajime si adombrò, percependo nuovamente una sensazione spiacevole alla quale, però, non sapeva dare una spiegazione, mentre Mamoru stava per avventarsi contro l'uomo per nulla interessato ai suoi vaneggiamenti. Era così maledettamente sicuro di sé che lo mandava in bestia e non era più disposto a tollerare tale ignobile supponenza.
    Una nuova risata, a labbra strette, attirò però la sua l'attenzione prima che potesse tentare di agire.
    Yuzo stava ridendo. Restava seduto all'interno della sua prigione, sghignazzando divertito.
    “Siete proprio degli sciocchi.” Il suo sguardo, fintamente benevolo, li trapassò uno per uno. “Non avete capito che, per vincere, dovete uccidermi? Avevate avuto l'occasione giusta e l’avete sprecata. Non ve ne concederò una seconda.”
    Fu in quell’istante che l’aria si fermò. I venti impervi, attorno all'occhio del ciclone, cessarono di colpo, come non fossero mai esistiti. Non si muoveva più una foglia e la polvere era ferma al suolo. Tutto era immobile; innaturalmente immoto.
    “Non mi piace...” mormorò Hajime.
    “Nemmeno a me” accordò Mamoru; lo sguardo fisso in quello di Yuzo che sembrava sfidarlo. Sfidava lui, solo lui, tra tutti e tre. “Sta per succedere qualcosa che non avevamo previsto...”
    “Come vi avevo detto”, affermò solennemente Hans, “il bello sta per arrivare.”
    Lo sentirono provenire da lontano. Prima simile a un sibilo, poi sempre più forte fino a costringerli a turarsi le orecchie per il suo acuto stridio.
    Un fischio. Continuo e penetrante, che arrivava fin dentro al cervello.
    Ma che diavolo sta succedendo?” gridò Teppei che non riusciva a individuare la fonte del frastuono.
    Poi, il sibilo sembrò scindersi e accompagnarsi a suoni più cupi e rombanti.
    Il vento riprese a spirare all'improvviso con una violenza tale che rischiò di sbilanciarli.
    - Che cosa ha in mente? - Mamoru non riusciva in nessun modo a decifrare lo sguardo del suo avversario, ma avrebbe provato il tutto per tutto pur di salvarlo.
    “Che Yoshiko ci salvi!” esclamò d’un tratto Hajime, attirando l’attenzione degli altri. Era immobile, come imbambolato, a fissare un punto del cielo.
    “Merda...” mormorò Teppei. “Che diavolo è quel coso?”
    La nube a incudine aveva assunto una forma strana, circolare, sfilacciata ai lati. Sembrava una enorme cella che avrebbe potuto schiacciarli e inghiottirli. Copriva il cielo per centinaia di metri, chilometri addirittura, e tutto era buio quasi fosse calata la notte. Dal centro, una lingua di quelle nuvole sembrò staccarsi e scendere. Ruotava senza sosta assumendo una forma più netta e definita, un imbuto rovesciato, che prese a volteggiare sulla testa del volante.
    “Tornado” Il tono di Mamoru fu lapidario. “E sarà meglio togliersi da qui prima che sia troppo tardi!”
    Con rapidi salti, si portarono tutti e tre a una distanza ragionevolmente sicura dalla quale osservare, inermi, il manifestarsi violento della natura.
    Rinchiuso nella sua nicchia, l’Elemento d’Aria restava immobile con un leggero sorriso sulle labbra, mentre il turbine toccava terra alle sue spalle, volteggiando come un'elegante ballerina. La forza delle raffiche frantumò, pezzo per pezzo, la gabbia di pietra le cui sbarre non sembravano altro che miseri stecchini tra le sue spire. La annientò in pochissimi istanti.
    Nuovamente libero, Yuzo avanzò di qualche passo. I lembi della casacca oscillarono impazziti, rischiando di strapparsi, ma lui non ci fece caso e continuò a camminare, e il tornado lo seguiva. Sembrava un cagnolino al seguito del padrone. Poi si fermò e l'imbuto arrestò l'avanzata, ondeggiando alle sue spalle e disegnando strane figure. Strideva come un'arpia. Poi toccò terra e si fece mastodontico; il diametro di centinaia di metri. Ululava cupo e aveva un oscuro colore grigio di polvere e detriti che sollevava e inglobava nel centrifugo moto delle sue correnti.
    “Ebbene, non volevate fermarmi?” domandò il volante; il suo sorriso manifestava piacere e divertimento. “Venitemi a prendere!” Con un balzo, si lasciò inghiottire dal mostro di vento alle sue spalle.
    “Ora siamo nei guai!” Teppei non aveva tutti torti, mentre il Naturalista applaudiva entusiasta, ridendo sguaiatamente. La sua figura era protetta da un rudimentale incantesimo di Magia Nera.
    “Magnifico, assolutamente magnifico!”
    Mamoru avrebbe voluto staccargli la testa dal collo a mani nude, ma si impose di frenare l'istinto omicida per concentrarsi sul problema principale: fermare Yuzo, prima che finisse col radere al suolo l'intera area.
    Fu nuovamente il tyrano a parlare. “Hajime, ti prego, dimmi che quello è un effetto dovuto all'influsso della Magia Nera...”
    “No.”
    “No?! Come sarebbe ‘no’!”
    “Quello è il potere di un Elemento di Aria.”
    “Santa Yukari, ora capisco perché sono votati al pacifismo!”
    “Come lo fermiamo, Mamoru?” domandò Hajime osservando il profilo del suo compagno che continuava a fissare il vortice con sguardo serio e occhi stretti.
    “Non credere di spaventarmi”, lo sentì mormorare, “sono più testardo di te.” Sembrava stesse parlando direttamente con Yuzo che non era visibile all'interno della gigantesca nube.
    Poi, la Fiamma gli rivolse la parola. “Potresti riuscire a lanciare un masso in quel tornado con i tuoi poteri?”
    L'altro sbatté velocemente le palpebre piuttosto perplesso. “Come?”
    “Puoi farlo sì o no?”
    “Sì, posso farlo...”
    “E tu, Teppei, potresti sollevare quella pietra con me sopra tramite la telecinesi?”
    “Certo” rispose l’Elemento di Tyran, “ma mi spieghi cos’è che dovresti fare?”.
    “È semplice: una volta in aria, Hajime mi lancerà all'interno del vortice con un getto d'acqua.”
    “Che cosa?!” esclamarono in coro.
    “Mamoru, sei impazzito? È troppo pericoloso! In quel turbine viaggiano centinaia di detriti a tutta velocità, rischi di venirne travolto!” Teppei non poteva credere alle sue orecchie.
    “Per non parlare del fatto che, nel suo centro, non ci sono venti! Come speri di mantenerti in volo?” rincarò la dose Hajime.
    “A quello penserò io, voi preoccupatevi solo di non farci schiantare una volta che il tornado si sarà dissolto!”
    Gli altri tentarono di protestare, ma lui non volle perdere altro tempo così ignorò i loro reclami e corse verso il masso che aveva scelto: un pezzo di casa abbattuta precedentemente. Con un paio di balzi le fu sopra. “Forza Teppei, dobbiamo muoverci!”
    Il tyrano emise un profondo sospiro ma obbedì ai suoi ordini. Si concentrò sulla materia, sollevandola lentamente con la telecinesi, mentre Hajime ricreava una sfera d'acqua tra i palmi, in attesa del segnale della Fiamma. Quest’ultimo restava inginocchiato su quel costone di muro, tenendosi stretto ai bordi.
    Aveva avuto un'idea balzana e senza la minima sicurezza di portarla a termine, ne era consapevole, ma non poteva arrendersi. Non adesso. Farlo sarebbe equivalso a perdere il volante e anche se sapeva che alla fine avrebbe potuto perderlo comunque, avrebbe fatto di tutto per strappargli quell'espressione malefica dalla faccia e restituirgli la sua. Quella vera.
    Appena fu abbastanza in alto, gridò: “Adesso, Hajime!” e il Tritone fece partire un potente getto che colpì la roccia alla sua base, spingendola verso il turbine.
    Mamoru si aggrappò con tutte le forze, piegandosi su sé stesso in modo da ridurre al minimo la superficie d'impatto.
    Il tornado divenne sempre più vicino e i venti si fecero più forti fino a che non chiuse gli occhi e chinò il capo, preparandosi al contrasto con le correnti centrifughe.
    Il colpo fu più duro del previsto e gli fece perdere la presa della roccia. Quest’ultima venne risucchiata e lanciata verso l'alto. Anche l'acqua del getto di Hajime non riuscì a contrastare la forza del moto rotatorio e lui non aveva che la consistenza di un fuscellino lì in mezzo.
    L'aria spirava talmente forte che respirare gli sembrò impossibile e quasi non riusciva a rendersi conto di quello che stava succedendo.
    Si sforzò di aprire gli occhi, ma attorno a lui c’erano solo sfilacciate trame ingrigite di polvere e detriti. Un frammento di roccia, grande quanto un albero, per poco non gli rovinò addosso, ma si scontrò con un altro oggetto, deviando la traiettoria di entrambi.
    Quello era il caos.
    Allo stato puro.
    L’ordine e il rigore di cui erano fautori gli Elementi d’Aria sembravano annullarsi in quello spirare confuso di venti. Il tornado era la nemesi degli insegnamenti della Scuola di Alastra. Ma lui non poteva lasciarsi trascinare come massa inerte senza nemmeno tentare di opporvisi.
    Con tutta la forza d'animo di cui disponeva, Mamoru generò una sfera infuocata nella mano che s’oppose al moto rotatorio. La resistenza del fuoco cominciò a rallentare la sua corsa, mentre, con l'altra mano, generava un’altra sfera indirizzandola verso l'esterno. La forza della fiamma gli permise di muoversi, andando sempre più all'interno del tornado.
    Il contrasto venti/quiete fu talmente netto che per poco, per la troppa energia che emettevano i suoi incantesimi, non rischiò di attraversare il centro per finire nuovamente nelle correnti trascinanti. Si fermò per tempo e riuscì a indirizzare ambo le sfere infuocate verso il basso in modo da mantenersi in tribolante sospensione.
    Il volante era poco più in alto e restava immobile. Anche Yuzo si accorse di lui e gli rivolse un’occhiata di pura sorpresa, prima di sorridere e avvicinarsi.
    “Sei pieno di risorse. Sapevo che sarebbe stato divertente battersi con te.”
    “Io non ho la minima intenzione di battermi...”
    “Se è per quello non ne hai nemmeno le capacità, in questo momento” gli fece notare Yuzo, incrociando le braccia al petto. “Le tue mani sono già impegnate a tenerti sospeso, ma non durerai ancora per molto. Quelli come te non sono fatti per volare.”
    E Mamoru sapeva che aveva ragione. Inoltre, aveva utilizzato gran parte delle sue forze per contrastare le correnti all'interno del vortice e non si sarebbe potuto mantenere in aria per troppo tempo. Doveva passare all'azione.
    “Sai? Ora come ora mi basterebbe un solo dito per ucciderti. Hai sbagliato a provare ad affrontarmi nell'ambiente che mi è più congeniale.”
    Oh sì, era stato impulsivo, Mamoru sapeva bene anche quello, ma forse buona parte della sua forza nasceva proprio da quell'impulsività. E se era impulsivo, era anche imprevedibile, proprio come una fiamma. Abbozzò un sorriso.
    “Questa volta sarò più furbo di te!” gli disse prima di lanciarsi nuovamente all'interno delle correnti del tornado.
    Il volante prese a guardarsi attorno; sul viso, un’evidente espressione di perplessità e confusione.
    “E questo che significa? Dove sei finito? E’ inutile che ti nascondi, non hai speranze di battermi! Non qui!” Ma la polvere e i detriti mescolati all'aria creavano una cortina grigia pari a un muro. E se dall'esterno non era possibile vedere all'interno, allora anche Yuzo era svantaggiato, perché non era in grado di scorgere, in maniera distinta, quello che avveniva dentro la nube a imbuto.
    Mamoru se n'era reso conto quando era riuscito a entrare nel tornado; sarebbe potuto essere una facile preda per il volante, ma l'altro non si era mosso fino a che non era stato raggiunto nel centro. Allora, la Fiamma aveva capito che prima non era stato in grado di vederlo. In quel momento, il suo folle piano non gli era sembrato più tanto folle.
    Di nuovo nel mezzo delle correnti ascensionali, il giovane di Fyar non aveva bisogno di scorgere la figura di Yuzo, l'importante era che avesse continuato a restare lì, sospeso nel mezzo. Variò la consistenza delle sfere, rendendole meno dense. Le fiamme si fecero più labili e sottili e lui iniziò a perdere stabilità per quanto la potenza dei venti lo mantenesse in volo, nonostante tutto. Solo allora, quando il fuoco raggiunse lo stato adatto, lo rilasciò completamente, disperdendolo nell'aria. Fu in quell'attimo che, come Yuzo gli aveva implicitamente insegnato, sfruttò l'incantesimo dell'avversario perché a contatto con l'ossigeno, la fiamma si alimentò a dismisura, venendo trascinata nel moto rotatorio e quello che era stato un tornado si trasformò in un turbine di fuoco e vento.
    Yuzo vide l'aria incendiarsi, divenire rossa e bollente, tanto che anche per lui divenne impossibile avvicinarsi. Ruotò su sé stesso, gli occhi brillavano per l'eccitazione che gli provocava la forza del suo avversario, e la follia piegò le labbra in un sorriso mostruoso. Il desiderio di combattere era incontrollabile e lo scuoteva da capo a piedi. Iniziò a ridere.
    "Sì! Sì, è questo che volevo vedere! Vieni avanti, non nasconderti! Sarà un piacere strapparti il cuore!"
    Anche nel caos totale, tra vento e fiamme, polvere e detriti, Mamoru riuscì a sentire le sue parole, urlate per sovrastare il rumore, e seppero disegnargli una smorfia indecifrabile sul viso. Indurì lo sguardo e si lanciò contro di lui, sfruttando nuovamente il suo incantesimo. Lo afferrò alle spalle, cingendogli le braccia in modo da impedendogli qualsiasi movimento.
    Il volante si allarmò. “Che stai facendo?! E' da vigliacchi! Affrontami a viso aperto! Lasciami andare!”
    “Ti ho detto che non voglio combattere con te!” Mamoru lo teneva stretto facendo ricorso all'adrenalina e alle ultime forze che gli erano rimaste.
    Lasciarmi andare! Subito!” Yuzo era inferocito. Gridava, si dibatteva per liberarsi. In ultimo, tentò di fare ricorso alla Magia Nera, ma l’altro gli afferrò il diadema prima che potesse anche solo provare a masticare una formula qualsiasi.
    “Questo ti farà male. Perdonami, uccellino.” Con decisione provò a sfilarglielo.
    Il volante avvertì un dolore lancinante che gli strappò un urlo a cui Mamoru si sforzò di non prestare ascolto. Continuò a tirare fino a che l'oggetto non venne via definitivamente, liberando l’Elemento d'Aria dal suo maleficio. Il dolore e lo shock per l’interruzione dell’incantesimo gli fecero perdere conoscenza. Senza il controllo di Yuzo, anche il tornado iniziò a dissolversi e con esso il fuoco, ma la Fiamma non era più in grado di tenersi in volo e cominciò inesorabilmente precipitare. Fissando il suolo che diveniva sempre più vicino, tenne stretto il corpo del compagno senza mai lasciarlo andare.
    - Maledizione! Non ho energia a sufficienza per tentare di rallentare la caduta! - pensò Mamoru quando all’improvviso un enorme cuscino di acqua si frappose fra lui e la terra, strappandogli un sorriso. Subito si preparò all'impatto.
    - Ottimo tempismo, Hajime! -
    Appena Teppei vide i corpi dei suoi compagni entrare in contatto con l’incantesimo del Tritone, esultò. “Evviva! Mamoru ce l'ha fatta!”
    E dire che, quando lo aveva visto scomparire, trascinato dalle correnti del tornado, aveva temuto il peggio, restando in trepidante attesa che qualcosa avvenisse. Poi la fiammata spaventosa che aveva dato fuoco al vortice e quest'ultimo aveva cominciato a dissolversi, nel suo doloroso stridio, facendogli trattenere il fiato per alcuni secondi, prima di individuarli in caduta libera. Hajime, allora, era intervenuto per evitare che si schiantassero al suolo.
    Hans, invece, era ammutolito. Il volante e l’incantesimo con cui lo aveva soggiogato erano stati sconfitti. Non poteva crederci.
    “Impossibile” mormorò per poi stringere i pugni con forza. “Maledetti!”
    Teppei e Hajime si avvicinarono velocemente alla massa liquida che andava ritirandosi. Da essa, emersero Aria e Fuoco.
    “State bene?” domandò il Tritone, inginocchiandosi accanto a Mamoru. Quest’ultimo seguitava a stringere Yuzo. Non lo aveva lasciato andare nemmeno durante la caduta, anzi, gli aveva fatto scudo, proteggendolo dall’impatto con l’acqua e aveva continuato a tenerlo anche quando si erano trovati immersi nel liquido, per non perderlo di nuovo.
    “Io sì” rispose la Fiamma e attese che il compagno verificasse le condizioni del volante. Quando vide Hajime accennare un sorriso e annuire, sentì dissolversi parte della tensione che aveva accumulato. Solo allora tirò un profondo sospiro.
    “E’ solo svenuto” disse il Tritone.
    Anche Teppei si buttò a sedere accanto a loro, sorridendo. “Le Dee ci hanno assistito. Non ci credo che sia finita.”
    “Finita?” tuonò imperiosa la voce del Naturalista. “Illusi, è appena cominciata! Vi sterminerò tutti di mio pugno! Non potrete sfuggire ad Hans lo Stregone!”
    “Adesso gli faccio-”
    “No.” Mamoru fermò Teppei con tono perentorio. Affidò il volante ad Hajime e si mise in piedi, lentamente, voltando loro le spalle. “Il Naturalista è mio.”
    Lanciò il diadema al tyrano che lo afferrò al volo e lo rigirò tra le mani.
    “E questo sarebbe un oggetto magico?” disse con sufficienza; con una semplice pressione lo mandò in frantumi. “Scadente. Una pessima fattura.”
    Il Naturalista arrossì per la collera e, con un gesto stizzito, allontanò i capelli dal viso in modo da osservare, con entrambi gli occhi, quei tre ragazzini che avevano osato mettergli i bastoni tra le ruote.
    Mamoru rimase a fissarlo con sguardo cupo. Era stato certo che si sarebbero scontrati, l'aveva quasi promesso a sé stesso, e ora il momento era arrivato. Poco importava che avesse utilizzato gran parte delle sue energie contro Yuzo, adesso le sentiva praticamente ricaricate e per Hans non ci sarebbe stato scampo.
    Una violenta fiammata si levò dai suoi piedi fino ad avvolgerne l’intera figura. Asciugò all’istante l’acqua di cui gli abiti e i capelli erano pregni. I crini scuri oscillarono al vento caldo, che la vampa pura generava intorno a lui, come fossero stati lingue di fuoco nero. Il fuoco vibrava, vivo, e assumeva fluttuanti forme animalesche. Teste di leoni ruggenti, cani rabbiosi, draghi volanti nascevano fra le ondeggianti trame ardenti per poi fondersi tra loro in una danza dal fascino ipnotico. Le bestie manifestavano l'ira che alimentava il suo elemento; ringhiavano, mostravano i denti e gli artigli, erano pronti per azzannare, cavare gli occhi, sventrare chiunque si fosse messo di mezzo. Il fuoco mostrava ciò che dal viso non riusciva a trapelare, bloccato com'era in un'espressione ferma e austera. Dominante. In quel momento, Mamoru era padrone di tutto ciò che lo circondava.
    Hans tentò di formulare un incantesimo, ma la Fiamma fu molto più veloce di lui e lo colpì in pieno viso con una delle sue vampe bestiali; una scudisciata di fuoco. Il Naturalista non era addestrato a dovere e venne sbalzato all'indietro. Con una seconda scudisciata, che lo centrò nel centro della schiena, Mamoru non gli permise nemmeno di toccare il suolo. Il corpo di Hans era quello di un fantoccio, che veniva sballottato in ogni direzione senza potersi ribellare. L'ultima scudisciata si trasformò in pugno, questa volta per mano stessa dell'Elemento, che lo colpì all'addome.
    Un fiotto di sangue fuoriuscì dalla bocca del Naturalista.
    Per quanto si pavoneggiasse, nella Magia Nera era solo un principiante. I veri Stregoni erano avversari ben più temibili, mentre lui non era che uno stupido folle.
    Il suo corpo toccò finalmente terra con un sonoro tonfo, accasciandosi ai piedi di Mamoru.
    La Fiamma pensò che gli avrebbe rotto tutte le ossa, una alla volta.
    Il Naturalista si tirò lentamente a sedere, sputando un grumo di sangue e guardando l’avversario con occhi terrorizzati. Fu in quel preciso istante che si rese conto di aver commesso un gravissimo errore.
    “A-aspetta… aspetta…” Cercò di fermarlo, alzando le mani in segno di resa. “…abbi pietà… non uccidermi… perché… perché invece di combatterci… non ci alleiamo?... potremmo… potremmo…”
    Mamoru torreggiava su di lui e lo osservava con espressione di puro disgusto.
    “Pietà? Osi reclamare pietà proprio tu, che non ne hai avuta per nessuno?” disse e la sua voce era lava iraconda. “Dov’era la tua pietà quando ordinavi la distruzione di interi villaggi indifesi?! Dov’era quando le persone urlavano disperate mentre cadevano, come mosche, ai tuoi piedi?!”. Lo prese per i capelli, costringendolo a guardare verso il corpo di Yuzo. “Dov’era la tua pietà quando lo hai trasformato in un mostro senza cuore e gli hai imposto il massacro di centinaia di innocenti solo per portare avanti i tuoi maledetti propositi?!” I suoi occhi scuri erano pozze ribollenti di pece; gorgogliavano di rabbia. Facevano paura. “Tu… tu non hai la minima idea di quello che gli hai fatto. Non ne hai idea!”
    L’uomo non ebbe nemmeno il tempo di rispondere che Mamoru gli schiacciò il viso con una mano dal palmo incandescente. L’ustione lo uccise tra atroci sofferenze, lo corrose fino a che il teschio non venne a giorno, in un ululare di grida strazianti e spasmi. Hans si contorse, cercando in tutti i modi di liberarsi, ma quella stretta non lo lasciò fino a che non fu totalmente consunto, ossa e cervello compresi.
    Quando della testa non rimase che cenere, Mamoru sciolse la presa e il corpo decapitato si accasciò al suolo; il collo tronco era ancora fumante.
    Hajime distolse lo sguardo da quello spettacolo raccapricciante, mentre il forte lezzo di carne bruciata solleticava le narici sue e quelle di Teppei che, invece, aveva mantenuto gli occhi sulla scena fino alla fine, stoicamente.
    Mamoru lo guardò dall'alto ancora per un momento prima di volgergli le spalle e tornare dai suoi compagni. Quest’ultimi seguirono i suoi movimenti senza dire nulla. Non lo avevano mai visto così furente né avevano pensato che potesse davvero eliminare il Naturalista. O, meglio, non si aspettavano che lo facesse in un modo tanto atroce.
    Sempre in silenzio, la Fiamma si inginocchiò accanto ad Hajime. Non aveva ancora controllato una cosa da quando aveva tolto il manufatto dalla fronte di Yuzo. Osservò il volante sdraiato su di un fianco, il viso disteso in una espressione di riposo profondo. Lentamente gli spostò il lembo della casacca che copriva la nuca e osservò l’onice che lo rendeva uno degli Esecutori del segreto ordine cavalleresco. La pietra pulsava ancora debolmente di un tenue bagliore purpureo, ma a ogni attimo che passava, il brillio oscuro andava scemando fino a che non scomparve del tutto. L’effetto di risonanza con l’incantesimo del Naturalista si era esaurito, il volante era libero dall’influsso della Magia Nera. Solo allora, Mamoru si concesse un sorriso.
    “Portiamolo a Sendai.”

     


    [1]URAMAWASHI – [2]MAWASHI – [3]MAE: sono tre mosse di karate, in questo caso tre calci: mawashi geri, uramawashi geri e mae geri. Il mawashi è il calcio rotante, laterale, che colpisce il punto desiderato col collo e col dorso del piede. L’uramawashi è uguale e opposto, nel senso che è sempre un calcio rotante, laterale, ma che colpisce il punto desiderato col collo e il tallone del piede (quindi, un mawashi all’inverso). Il mae geri è il calcio frontale.


     

    …Il Giardino Elementale…

    E i buoni vincono. Ancora. O forse no?
    Il Naturalista è stato sconfitto e il pericolo che minacciava le terre attorno a Sendai è stato scongiurato, ma la vittoria, questa volta, si preannuncia con un sapore amaro.
    Quanto profonde saranno le ferite?
    Lo scopriremo nella terza e ultima parte di questo capitolo 9. :3

    Aggiornamento mattutino quest'oggi perché sto tornando al paese e lì ho un problema sulla linea telefonica (che non so se è stato risolto), quindi ne ho approfittato che ero ancora nella casa universitaria. :3
    Ringrazio a tutti coloro che continuano a seguire questa storia. :****


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 22
    *** 9 - Ritrovare la fede - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 9: Ritrovare la fede (parte III)

    Sendai, Dogato di Rhalesta – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    La Luna campeggiava tranquilla in quella notte di serenità ritrovata.
    Serenità per Sendai e i suoi abitanti; per tutti gli altri villaggi che mai avrebbero saggiato la perfidia del folle Naturalista. Uno spiraglio di serenità anche per coloro che avevano toccato con mano la sua malvagità e ora sapevano che l’incubo era finito; avrebbero fatto ritorno alle macerie di ciò che restava delle loro case, fatto un bilancio, seppellito i morti, ricominciato.
    Serenità per tutti, nel bene e nel male, ma non per gli Elementi.
    Teppei restava seduto lungo il bordo della fontana nel centro di Sendai, mantenendo lo sguardo rivolto a una delle finestre dalle cui tende tirate filtrava debolmente la luce di una candela.
    Aveva le gambe incrociate e il viso affondato nella mano il cui gomito poggiava su di un ginocchio. L'attesa era accompagnata dal sommesso gorgogliare dell’acqua zampillante alle sue spalle che lanciava deboli schizzi sulla schiena e sulle braccia, ma lui sembrò non curarsene minimamente, mantenendosi immobile nella sua posizione.
    Solo quando vide la figura di Hajime che usciva dal palazzo di Koji sembrò animarsi, assumendo una postura più composta.
    “Allora?!” domandò con impazienza appena gli fu accanto, ma il pesante sospiro che ottenne spense parte del suo entusiasmo.
    Il Tritone prese posto vicino a lui, incrociando le braccia al petto. “Yuzo non ha ancora ripreso conoscenza, ma sembra sia solo questione di momenti. Non ha riportato ferite rilevanti, solo qualche graffio.”
    “E Mamoru?”
    “Mamoru si ostina a non volere la nostra presenza quando gli parlerà: dice che è una sua precisa responsabilità, come capo di questa missione, e ci ordina di starne fuori.”
    Teppei sbuffò pesantemente. “Accidenti, se è un dannato testardo!”
    “E’ un Elemento di Fuoco, mi sarei stupito del contrario.”
    “Sì, ma è un peso troppo grande quello di cui si sta caricando; dovremmo affrontarlo tutti insieme.”
    Hajime fece spallucce. “Lo sai com’è fatto; non ha cambiato idea fino ad ora, non lo farà all’ultimo momento. Rassegniamoci, non ci resta che aspettare.” Ed emise un profondo sospiro.

    Mamoru restava seduto sul bordo del letto a vegliare il riposo del volante.
    Da quando erano tornati da Rossak non lo aveva lasciato da solo nemmeno un momento, per quanto fosse arrivato a Sendai che le suture alle spalle erano saltate in alcuni punti e presentasse ferite fresche che necessitavano di cure immediate. Ma lui era stato irremovibile, quasi ostinato, e alla fine l’aveva spuntata, facendosi medicare nella stanza di Yuzo per poter continuare a vegliare su di lui.
    E ora, nonostante la stanchezza e il dolore persistente che i farmaci del Naturalista di Sendai avevano solo parzialmente sedato, continuava a restargli accanto, osservando l’espressione distesa del suo viso sopito.
    Intorno alla fronte, dove fino a poco prima c’era stato il manufatto di Hans, erano rimasti dei piccoli segni rossi che sarebbero scomparsi in pochi giorni e nulla sarebbe rimasto di quei terribili momenti.
    Nulla fuori, almeno. Ma dentro, gli eventi che si erano succeduti lo avrebbero massacrato e Mamoru, di questo, non ne aveva il minimo dubbio, purtroppo.
    Non gli restava che trovare le parole più adatte per dirgli ciò che aveva fatto, ma l’impresa si stava rivelando oltre la sua portata. Aveva cominciato a pensarci da quando erano ripartiti da Rossak, ma non era giunto ad alcuna conclusione. Ogni volta che provava a formulare un qualsiasi discorso mentale, gli sembrava di essere eccessivamente brutale. In qualsiasi modo la ponesse, sentiva di non avere il tatto sufficiente per arrecargli il minor shock possibile, come se non esistessero delle 'parole adatte'. Forse avrebbe dovuto chiedere aiuto ad Hajime, che sicuramente aveva una sensibilità maggiore della sua, ma non poteva usufruire della scusa della sua incapacità per venire meno alle proprie responsabilità: il Re in persona lo aveva messo a capo di quel gruppo, e il comando comportava anche simili momenti.
    Si lasciò sfuggire un pesante sospiro, massaggiandosi gli occhi stanchi.
    Un paio di candele mantenevano un ambiente di rilassante penombra, che disegnava complessi chiaroscuri su tutti gli oggetti presenti, comprese le loro figure.
    “Ma… mo… ru…”
    Il richiamo fu debolissimo, ma si attirò subito la sua attenzione. La Fiamma volse lo sguardo per incrociare quello volante. Lo vide socchiudere gli occhi, scorgendo le iridi scure dalla luce benevola, e tutto ciò che fu in grado di fare, in quel momento, fu sorridere.
    “Mi hai riconosciuto” disse piano, “è un buon segno.”
    Yuzo ricambiò debolmente il suo sorriso, ruotando il capo per osservare l’ambiente circostante. “Dove… sono? Mi sento… un po’ confuso…”
    “E’ normale, non preoccuparti. Sei nella tua stanza al palazzo di Koji. Sei a Sendai.” Gli poggiò una mano sulla spalla. “Sei al sicuro.”
    “Sì… la riconosco, ora…” Poi incrociò lo sguardo del suo compagno nelle cui iridi si rifletteva il tremolio luminoso della fiamma della candela, conferendo loro l’illusione che stessero ardendo.
    Il giovane di Fyar parlò di nuovo, ingoiando a vuoto. La gola era così secca. “Ricordi cosa è successo?”
    Lui ci pensò per qualche momento, cercando di fare mente locale e contrastando il violento mal di testa che martellava come un picchio.
    “Yoshiko… è morta…” cominciò, incurvando le labbra in un’espressione ferita. “Non sarei dovuto andare via così, senza dire una parola, ma avevo bisogno di metabolizzare la situazione… non avevo mai affrontato una perdita, prima d’ora…”
    “Lo capisco. E anche Hajime e Teppei. È normale volersene restare un po’ da soli a riflettere.”
    “Hai perso anche tu qualcuno a cui volevi bene?”
    La pece ribollente che tingeva le iridi di Mamoru sembrò gelarsi per un istante, giusto l’attimo necessario a pronunciare quel: “Sì”, e poi tornare a liquefarsi. “Quindi puoi credermi quando ti dico che comprendo simili dolori.”
    Yuzo annuì, mentre la Fiamma lo incitava a proseguire con i ricordi.
    “Stavo volando” riprese. “Non avevo una meta precisa e non ho avuto nemmeno il tempo di deciderne una: mi hanno abbattuto con una freccia.”
    “Chi?”
    “Non li avevo mai visti, forse erano due bracconieri”, scosse il capo lentamente, “che però stavano cercando proprio me.”
    “Continua.” Lo incitò, calmo.
    “Mi hanno portato da un uomo che diceva di essere un Naturalista che… mi ha curato…” D'istinto si tastò il punto della spalla in cui doveva essere presente la ferita ma che invece era perfettamente sano. “…con delle pozioni di stregoneria. Cose bandite! E poi ha cominciato a vaneggiare sull’avvento di Gamo, la conquista di Elementia… ed era convinto che avrebbe preso il posto del Nero alla guida dell’AlfaOmega!”. Riuscì a ridere, debolmente, ricordando i suoi folli propositi. “Soppiantare il Nero. Ma ci pensi? Quello era completamente matto! E diceva che io lo avrei aiutato cosa che, probabilmente, era ancora più assurda della sua megalomania. Ma io lo sapevo che sareste arrivati, ne ero sicuro.” Il volante assunse un’espressione mortificata. “Vi ho arrecato ancora un sacco di fastidi. Mi dispiace, davvero…”
    Ma di sicuro mai quanto a Mamoru. “Non ricordi nient’altro?”
    Yuzo scosse il capo. “Devo essere svenuto quando mi hanno messo quello strano oggetto attorno alla fronte…”
    Come aveva ipotizzato Hajime, il manufatto aveva agito sul suo inconscio, facendogli perdere il controllo di tutte le facoltà e venendo potenziato dall’interazione con l’onice maledetta che aveva nel collo.
    L’Elemento di Fuoco emise un profondo respiro prima di cominciare a parlare nuovamente, raccogliendo tutto il coraggio di cui disponeva.
    Assunse un’espressione seriosa per quanto cercasse di stemperarla il più possibile perché non divenisse troppo grave.
    “Ascolta, Yuzo, quello che sto per dirti è molto importante, quindi, seguimi con attenzione, va bene?” cominciò con un tono carezzevole di cui si stupì egli stesso.
    Il volante annuì, tentando di mascherare la propria perplessità, ma senza interromperlo.
    “Sono trascorsi quattro giorni dal tuo ultimo ricordo.”
    “Come? Quattro giorni? Così tanti?” fece eco, incredulo.
    “Sì. Giorni nei quali sei rimasto nella mani del Naturalista…”
    “Ma… com’è possibile? Io non ricordo nulla…”
    “Lo so” disse Mamoru, annuendo, per prepararsi a metterlo al corrente della parte peggiore degli eventi. “Hai parlato di un oggetto che lo Stregone ti avrebbe messo intorno alla fronte, no?”
    “Sì…”
    “Quel monile era un manufatto magico con il preciso compito di assoggettare la tua volontà ai suoi voleri. Il Naturalista ti ha manovrato come una marionetta.”
    A quelle parole, il giovane di Fuoco lo vide trasalire. Gli occhi scuri dell’uccellino si allargarono, venendo attraversati da un lampo di smarrimento, paura, preoccupazione; le labbra socchiuse in un tentativo abbandonato di proferire parola. Yuzo fece forza sui gomiti, mettendosi lentamente a sedere e contrastando le proteste di Mamoru che, invece, continuava a ripetergli di stare sdraiato. Per la prima volta, tra i due la spuntò l’Elemento d’Aria; si aggrappò all’avambraccio del compagno, senza perdere di vista i suoi occhi.
    “Non ti devi sforzare, accidenti!” protestò la Fiamma con poca incisività, ma Yuzo lo interruppe incurante di tutto il resto e ponendogli un preciso quesito.
    “Che cosa ho fatto, Mamoru?”
    L’interpellato sostenne il suo sguardo terrorizzato, cercando di non soccombere a quel senso di colpa, per non averlo difeso abbastanza, che gli contorceva le viscere come la coda di una serpe.
    “Non è stata colpa tua e anche se questo non ti sarà di nessun aiuto, voglio che tu lo tenga a mente.”
    “Per l’amor del cielo, dimmelo!”
    Era inutile, Mamoru lo capì: per quanto avesse girato attorno alle parole le conseguenze non sarebbero cambiate. La pece dei suoi occhi si fermò all'improvviso. “Il Naturalista ha attaccato tre villaggi, ordinandoti di raderli al suolo.”
    “E io… io…”
    Un impercettibile cenno del capo.
    Yuzo serrò la mascella. Distolse lo sguardo, lasciando che si arenasse in un punto indefinito della stanza. Il petto si alzava e abbassava in respiri brevi e pesanti, mentre le dita, strette attorno al braccio dell’Elemento di Fuoco, presero a tremare vistosamente.
    La stanza in cui si trovava non c'era più. Yuzo non vedeva né soffitto né pareti, non vedeva gli oggetti. Non vedeva niente. Un niente che feriva gli occhi e li faceva sanguinare. E nel sangue scorrevano numeri. “Quanti?” mormorò a mezza voce, il tono illusoriamente fermo.
    “Il bilancio è irrilevante-”
    “Dimmelo!”
    Mamoru trasalì a quella richiesta gridata con rabbia. Lungo tutto il loro viaggio, c'erano delle cose che aveva capito del volante: Yuzo non urlava, Yuzo non si arrabbiava né perdeva la calma, Yuzo si indispettiva, sì, ma il suo tono restava quieto e pacifico anche nella sofferenza. Yuzo non si disperava nemmeno quando sembrava essere a un passo dalla morte. Ma se ora era disperazione che avvertiva provenire da lui in maniera netta, significava che nemmeno l'Autocontrollo di Alastra era in grado di nascondere tutto. Non questa volta.
    La sensazione che provò non gli piacque affatto. Il palato assunse un sapore amaro.
    “Tu devi dirmelo… ti prego…” Il volante lo supplicò, alzando nuovamente lo sguardo su di lui. “Quanti ne ho uccisi?”
    Mamoru si accorse di come stesse cercando di schermarsi, schermarsi il più possibile, ma la ferita era troppo dolorosa.
    Abbassò lo sguardo sul braccio: le dita tremanti dell'uccellino accentuarono la stretta. Tornò a guardarlo.
    “Svariate decine, la conta non è definitiva. Un numero imprecisato i feriti, centinaia i profughi.” Elencò quel bollettino di guerra in tono neutro, lottando per non affogare nelle lacrime che restavano aggrappate agli occhi di Yuzo, trattenute fino allo stremo, mentre ascoltava, in silenzio, i numeri della strage.
    Lo vide respirare profondamente un paio di volte, per poi lasciare la presa e volgere lo sguardo alla finestra dai vetri aperti e le tende tirate, attraverso le quali si insinuavano deboli lingue di vento tiepido.
    “Vorrei restare da solo” gli disse senza nemmeno guardarlo negli occhi.
    “Yuzo, ascoltami, non…”
    “Per favore” rincarò con decisione apparente e Mamoru si sentì chiuso fuori, isolato, consapevole di non poterlo raggiungere. Si tratteneva solo perché lui era lì presente, ma era arrivato al limite e a lui non rimase che farsi da parte. Si alzò adagio, osservando il profilo seminascosto dalle ombre della luce soffusa.
    “Per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, chiamaci.”
    Yuzo non rispose né accennò un solo movimento.
    L’Elemento di Fuoco gli volse le spalle, raggiungendo la porta in pochi passi. Rigirò il pomello e uscì nel corridoio, socchiudendo il legno lavorato dietro di sé e lì stette, per qualche attimo ancora, con la schiena poggiata all’uscio, incamerando quanta più aria possibile con un respiro. Chiuse gli occhi, quando lo sentì piangere, continuandosi a ripetere che lui non doveva cedere, perché gli era stato affidato il comando e doveva essere forte per tutti i suoi compagni. Doveva. Nonostante desiderasse ardentemente distruggere qualsiasi cosa si fosse trovato davanti.
    Si domandò se fosse normale sentirsi così inutile. Lui non era bravo a confortare gli altri, ma agiva sempre per prevenire quel genere di situazioni. Stavolta aveva sbagliato e non gli rimasero che domande senza risposta assieme a quello strano senso di malessere che gli pungolava il petto con insistenza, mentre ascoltava il pianto disperato del volante.
    Noi siamo la Fiamma, di sempiterna potenza. Non proviamo dolore, ma solo ardore. Non proviamo dolore… non proviamo dolore…” sibilò tra i denti il motto della scuola, come fosse un mantra, ma non seppe trovare conforto in quelle poche parole che erano il primo insegnamento di Fyar, appreso molto tempo prima di imbarcarsi alla volta dell’arcipelago delle Fyarandas. Non sortirono l’effetto sperato, non gli diedero la forza.
    Strinse gli occhi come a cercare una maggiore concentrazione, ma alle sue orecchie riecheggiava solo il frantumarsi del cuore di Yuzo. Lo stesso crepitio acuto di un cristallo che veniva sbattuto al suolo con violenza, distrutto in mille piccolissimi pezzi. E lui l’aveva lasciato cadere.
    Serrò i pugni fino a che le nocche non divennero livide e le unghie non intaccarono le carni dei palmi. Una smorfia cupa adombrò i tratti del viso, mentre la pece degli occhi ribolliva furente. Si allontanò, con passo sostenuto, fermamente deciso a scaricare in qualche modo la sua rabbia.

    Aspettava di risvegliarsi perché quello non poteva essere altro che un incubo.
    Impossibile che fosse la realtà. Semplicemente impossibile.
    E allora perché stava piangendo? Perché non riusciva a fermarsi, a smettere di tremare? Perché il dolore che stava provando era così forte, così reale?
    Le parole di Mamoru erano tutte lì, una ad una, si rincorrevano senza sosta nella sua mente, nelle sue orecchie. Si incidevano sulla pelle come fossero dotate di artigli. Graffiavano, lasciavano segni.
    L'incubo non era che quella verità troppo scomoda e tagliente.
    Come poteva accettare di aver fatto una cosa simile?
    Le sue mani, i suoi poteri avevano sterminato villaggi, distrutto case, ucciso persone
    “Non è vero...” singhiozzò disperato “…non l'ho fatto... non è vero...”

    … “L’Aria è un elemento estremamente mutevole, Yuzo, e questo non lo dovrai mai dimenticare. Per tale motivo devi esercitarti nella meditazione più che in ogni altra disciplina: perché l’Aria senza controllo è estremamente pericolosa.”
    “Ma il Vento è fonte di vita, lo dice anche il motto della scuola!”
    L’uomo gli sorrise, poggiandogli una mano sulla testa con benevolenza.
    “Questo è vero, ma nelle mani sbagliate può scatenare l’Inferno. Ogni elemento lasciato libero di agire può generare il caos e l’Aria richiede un livello di concentrazione estremo per contenerne la potenza, per questo ad Alastra osserviamo rigidamente le discipline mentali. Senza controllo, il Vento può causare la Morte. Ripensa a queste mie parole la prossima volta che tenterai di dormire a lezione!” Gli scompose affettuosamente i capelli corti “E ora fila a studiare, Asylum Higher!”
    Il piccolo rise, balzando in piedi, e si profuse in un inchino. “Sì, padre!” Gli volse le spalle, correndo lungo uno dei ponti sospesi che univano i candidi torrioni della struttura scolastica…

    “Ho perso il controllo dei miei poteri, padre… ho perso il controllo…” Si guardò le mani come se avessero potuto stillare sangue da un momento all’altro. Lentamente se le portò alla testa, stringendola in esse. “…e ho ucciso. Io ho ucciso!

    L’ennesimo albero cadde sotto colpi violenti, mentre l’alba schiariva la sua notte insonne, tinteggiando di un tenue azzurro il nuovo giorno.
    Mamoru respirò con affanno, mantenendo una posizione di attesa e scegliendo con la coda dell’occhio il nuovo bersaglio.
    Alcuni calci in rapida sequenza alla base del tronco lo spezzarono, lasciandolo oscillare pericolosamente prima di collassare lungo un fianco, ma la Fiamma non gli diede il tempo di toccare il suolo poiché lo avvolse in una stretta corda di fuoco e lo lanciò in aria. Una sfera incendiaria lo carbonizzò. I brandelli abbrustoliti del legno caddero intorno a lui, per far compagnia a quelli che li avevano preceduti.
    “Non ti sembra di esagerare, ora?” domandò una voce all’improvviso. “Hai distrutto mezza foresta, potresti incorrere nelle ire degli Erboristi.”
    Mamoru lanciò una rapida occhiata al suo interlocutore, recuperando fiato. “Si facessero avanti, ne ho anche per loro” rispose con asprezza, sistemando i capelli che erano sfuggiti alla mezza coda. Aveva il viso imperlato di sudore e dei sottili rivoli di sangue che scivolavano dalle bende delle spalle, segno che le suture erano nuovamente saltate.
    Teppei scosse il capo, contrariato. “Adesso smettila, il tuo comportamento è assurdo. Non è riducendoti uno straccio che aiuterai Yuzo.”
    L’Elemento di Fuoco lo guardò in tralice con espressione iraconda. “Non dirmi quello che devo o non devo fare!”
    “Non dovrei? Ma hai visto lo stato in cui sei ridotto? Da quanto tempo non fai una dormita decente? Hai bisogno di riposarti, non sei invincibile. E se continui a sforzarti quelle dannate ferite non guariranno mai.”
    Mamoru avrebbe voluto controbattere qualcosa, ma sapeva di essere nel torto. Stava sprecando inutilmente energie, ma voleva sentirsi stravolto, completamente svuotato così non avrebbe potuto pensare più a nulla e sprofondare nell’incoscienza del sonno sarebbe stato di gran lunga più semplice. Alla fine si limitò a guardarlo furente ancora per qualche momento, prima di voltargli le spalle e cessare le ostilità. Prendersela con Teppei non aveva alcun senso né rientrava nelle sue intenzioni. Forse sì, era il caso di andare a dormire, si era stancato abbastanza.
    “Hai fatto questo per tutta la notte?” Si sentì domandare.
    “Avevo della rabbia da sfogare.”
    “E adesso sei soddisfatto? Ti senti meglio?"
    “No” rispose con sincerità.
    Non era soddisfatto di nulla né si sentiva meglio. Nemmeno la morte di Hans gli aveva arrecato sollievo.
    “Immagino che l’abbia presa molto male, vero?” Teppei si era alzato in piedi per portarsi al suo fianco. “Sei andato via senza dire mezza parola a nessuno, ma non ci è voluto un indovino affinché capissimo che Yuzo è a pezzi.”
    Mamoru annuì. “Già… Credo sia meglio che gli parli Hajime. E anche tu, tenetegli compagnia… ha bisogno di facce allegre…” Gli rivolse un sorriso sbilenco che l’altro ricambiò, poggiandogli una mano sulla spalla.
    “Ci penseremo noi, non preoccuparti. Tu devi riposarti, ora. Torniamo al villaggio.” E si immersero nella foresta alle loro spalle, mentre il sole si levava rapidamente dietro le montagne distanti.
    Quando si presentarono dal Naturalista di Sendai, questi scosse il capo facendo uno sbadiglio e invitando Mamoru a entrare. Teppei, invece, decise di raggiungere Hajime per la colazione.
    Il medico inarcò un sopracciglio, sciogliendo le bende; accanto a sé aveva un vassoio sul quale aveva preparato ago e filo.
    “Benedetto figliolo, sei proprio irrequieto!” esordì, scuotendo il capo. “E anche irresponsabile! Ti strapazzi e ti dimentichi di aver perso molto sangue in questi ultimi giorni!”
    “Sì, sì… lo so.”
    “Ah, sì? E allora perché, se lo sai, sei di nuovo qui?!” A quell’ennesimo rimprovero, Mamoru rise poco rispettosamente. “Voi Elementi non siete più disciplinati come una volta” rimbeccò il medico. “E voi di Fuoco siete addirittura peggiorati!”
    Per fortuna i punti saltati erano meno del previsto e il Naturalista fu rapido. Completò l’opera con un nuovo bendaggio, dandogli un affettuoso scappellotto dietro la nuca, appena ebbe terminato l’opera.
    …lllà! Il signore è servito, ancora una volta. Ma ora fila subito a dormire, intesi?” Lo minacciò, puntandogli l’indice sotto il naso. “E non fare il furbetto! Tra dieci minuti verrò a controllare e se non ti troverò ronfante ti ci legherò al letto, parola mia!”
    “Signorsì!” rispose il giovane di Fyar, lasciando la stanza e avviandosi per i corridoi del palazzo di Koji.
    Questa volta aveva chiesto troppo a sé stesso e gli effetti cominciavano a farsi sentire. Non aveva più un briciolo di energia e le immagini oscillarono pericolosamente davanti ai suoi occhi per un paio di volte, ma decise stoicamente di non sorreggersi alla parete. Se era testardo, doveva esserlo fino in fondo.
    Eppure, nonostante tutto, avrebbe voluto dirigersi dal volante, giusto un attimo per controllare se avesse avuto bisogno di qualcosa. Con questo pensiero i suoi passi lo fermarono proprio all’imbocco del corridoio che conduceva alla camera di Yuzo. Rimase a guardarlo per qualche secondo, con indecisione, poi immaginò le facce di Teppei e del Naturalista che lo guardavano furenti e gli sfuggì un sorriso.
    - Meglio non farli arrabbiare di nuovo. - si disse e, lanciata un’ultima occhiata al fondo dell’andito, proseguì per la sua strada fino alla porta della propria camera.
    Aprì l’uscio, scivolando all’interno. Aveva bisogno di rinfrescarsi dopo l’allenamento notturno, ma in quel momento non ne aveva materialmente la forza e si lasciò cadere sul letto morbido, sprofondando il viso nel cuscino, mentre i capelli serpeggiarono disordinatamente attorno al viso.
    Accompagnato dal suono del suo stesso respiro, il sonno lo colse quasi subito e sperò, con tutto il cuore, che al suo risveglio ci fossero buone nuove.

    Quella giornata stava passando fin troppo in fretta e non nel modo sperato.
    Hajime sospirò, affranto, di fronte alla tazza di tè. La schiena era poggiata alla spalliera della sedia sulla quale era seduto.
    Dalla finestra lì accanto filtrava l’inizio del tramonto e un’arietta tiepida.
    Tre colpi decisi alla porta della stanza lo distolsero dai suoi pensieri.
    “Avanti.”
    Teppei fece capolino. “Sei stato più fortunato?” domandò, richiudendo l’entrata alla sue spalle, lentamente.
    Il Tritone scosse il capo. “Yuzo si ostina a non voler parlare con nessuno. Non mangia, a stento manda giù un bicchiere d’acqua e resta tutto il tempo rannicchiato sul davanzale della finestra a sbirciare l’esterno tra gli spiragli della tenda.” Era così che lo aveva trovato, fin da quella mattina. Il viso girato non riusciva a nascondere totalmente il rossore degli occhi. Per tutto il tempo che era rimasto con lui, non aveva spiccicato una sola parola. Non aveva risposto alle domande che gli aveva posto né aveva avanzato una sola richiesta. Lui e Teppei si erano alternati per andare da lui, ma la situazione non era cambiata lungo tutto l'arco della giornata.
    Teppei sospirò pesante, portandosi nei pressi del tavolino su cui era adagiata la tazza con il tè e vi si poggiò contro. “Maledizione, questo non va affatto bene” disse incrociando le braccia al petto. “Tanto più che non possiamo restare ancora a Sendai. Presto arriverà la delegazione da Rhalesta e noi dovremmo già essere in viaggio quando ciò avverrà o altrimenti la missione finirà col subire ennesimi ritardi. E non possiamo permettercene altri.”
    “Questo lo so bene, ma cosa possiamo fare? Non scordarti che Mamoru è ancora ferito; non dovremmo aspettare che si rimetta in forze?”
    “Dovremmo parlarne con lui…”
    Hajime afferrò la tazza, portandola lentamente alla bocca. “Non credo che prenderà bene la situazione”

    Quel sonno senza sogni fu un toccasana per il corpo e la mente. L’essere troppo stanco per formulare una qualsiasi immagine nella testa gli permise di riposare e rilassare ogni singolo muscolo.
    Mamoru si rigirò nelle lenzuola, cambiando posizione, e lentamente aprì gli occhi, riemergendo dal nulla del suo sonno profondo. La stanza lo accolse silenziosa e, nonostante le tende tirate, intuì che la sera non doveva essere ancora giunta.
    Spostò lentamente delle ciocche di capelli dal visto, continuandone a tenere una parte immersa nel cuscino. Il suo respiro era lento e pesante. Si sentiva decisamente meglio di quando si era coricato e si concesse qualche altro minuto di tepore sotto i tessuti leggeri delle lenzuola.
    Poi, con il risveglio, formulò il primo pensiero.
    - Devo andare dal volante. –
    Sorrise di come stesse diventando fin troppo prevedibile, eppure non avrebbe cambiato programma in virtù di nessun atteggiamento di facciata.
    La Fiamma si stiracchiò adagio per non far saltare nuovamente i punti o il Naturalista lo avrebbe strozzato; si tirò a sedere e si alzò piano. La testa non gli girò, non tanto almeno, e la cosa gli parve essere un buon segno: si stava riprendendo.
    Il bacile con l’acqua era fermo sopra uno dei mobili presenti nella stanza, quello dotato di specchiera. Lo adocchiò con la coda dell’occhio e lo raggiunse in passi non affrettati, in modo da testare le reazioni del proprio corpo e visto che gli parve reagire piuttosto bene e velocemente, si mosse con maggiore sicurezza.
    Decise di rinfrescarsi, prima di andare da Yuzo: se l’uccellino l’avesse visto in quelle condizioni pietose, avrebbe finito col preoccuparsi ancora di più e di tutto aveva bisogno, il volante, tranne che altro dolore.
    Mamoru fece in fretta e si cambiò d’abito, ma prima di lasciare la stanza si avvicinò alla tenda e la aprì. Il tramonto era appena agli inizi. Alla fine aveva dormito solo una mezza giornata, ma si sentiva riposato e piuttosto tranquillo. Inspirò a fondo con lo sguardo immobile verso la sfera ancora gialla, ma cerchiata da un alone più aranciato. La luce intensa non gli ferì gli occhi. Poi, volse le spalle a quell’immagine di quiete e abbandonò la camera per dirigersi, a passo spedito, verso quella di Yuzo.
    Sicuramente doveva essere in compagnia di Hajime e Teppei; gli avrebbe fatto solo una visita veloce, tsk!, non poteva mica fargli vedere di essere preoccupato! Sia mai! Altrimenti l’uccellino avrebbe finito col credere chissà cosa. Naaaa! E poi come avrebbe fatto a toglierselo dai piedi quello stupido volante?!
    La Fiamma abbozzò un sorriso a fior di labbra ben deciso, inoltre, a mettere qualcosa sotto i denti. Da quanto tempo non faceva un pasto degno di questo nome?
    Non lo avrebbe mai dato a vedere davanti agli altri, soprattutto innanzi a quella pattumiera con gambe quale fosse Teppei, ma, Dea!, che fame che aveva! In quel momento sarebbe stato capace di mangiare un bue intero con contorno, frutta e dolce!
    Con quei pensieri culinari stava per imboccare il corridoio per la camera di Yuzo quando venne fermato da una voce.
    “Ragazzo di Fuoco” si sentì chiamare e in quel tono profondo riconobbe Mastro Koji. Scorse la sua figura farglisi contro, provenendo dalla direzione opposta.
    “Ragazzo di Fuoco”, ripeté, “sono lieto di vedere che stai meglio.”
    “Grazie, Mastro Koji, avevo solo bisogno di dormire un po’. Ora mi sento in piena forma.”
    L’uomo annuì. “Ma non essere imprudente e segui i consigli del Naturalista.”
    “Sì, sì certo.”
    “Andavi da Yuzo? Come sta?”
    Lui sospirò, facendo spallucce. “Ieri sera gli ho spiegato quello che è successo. Credo abbia bisogno di tempo per accettare la situazione.”
    Koji annuì grave. “Povero ragazzo, deve essere stato un duro colpo per lui…”
    “Sì…” Nelle orecchie, il pianto riecheggiava come un'eco che si dissolveva, ma non scompariva.
    Mastro Koji si grattò un sopracciglio, apparendo piuttosto titubante. “Non so se sia il caso… ma volevo informarti che tra poche ore celebreremo la cerimonia funebre per Yoshiko; sai, con tutto quello che è successo e la minaccia di Hans, io e mia moglie abbiamo voluto aspettare prima di dare l’ultimo addio alla nostra bambina.”
    Mamoru annuì con un sorriso. Il viso dell'uomo aveva l'espressione serena di chi aveva sempre saputo e aveva già imparato a rassegnarsi.
    “Vorrei che lo dicessi anche a Yuzo… ma se non se la sente di venire, non deve preoccuparsi.”
    “State tranquillo, Mastro Koji, lui non mancherebbe per nulla al mondo: per quanto la conoscesse da poco, si era affezionato a vostra figlia e sono sicuro che verrà, per darle un ultimo saluto.”
    “Allora vi aspetto al tempio a metà tramonto per la cerimonia di cremazione.” E, dopo avergli poggiato piano una mano sulla spalla, si allontanò, scomparendo tra i corridoi del palazzo.
    Mamoru osservò la sua figura per qualche altro istante prima di inforcare l’andito per la camera del volante. Osservò rapidamente il sole da una delle finestre e pensò che mancavano ancora un paio d’ore al rito.
    Si fermò davanti alla stanza di Yuzo rimanendo a osservare la porta per alcuni momenti. Non sapeva cosa avrebbe trovato dall’altra parte, con che espressione il volante l’avrebbe accolto, con quale sguardo. Le iridi sconvolte della sera prima apparvero e scomparvero in un attimo e gli fecero serrare la mascella con forza, ma non voleva presentarsi in quel modo davanti a lui, con l'aria altrettanto ferita. Così, Mamoru chiuse fuori dalla sua sfera mentale tutto ciò che avrebbe potuto turbare la sua sicurezza e inspirò a fondo un paio di volte, prima di bussare.
    Non ricevette risposta.
    La Fiamma inarcò un sopracciglio. Strano che non rispondesse nessuno, forse l’uccellino stava riposando e poi non sentiva alcun rumore provenire dall’interno.
    Non udì nemmeno la voce di Teppei, che era solitamente forte e vivace e si riconosceva all’istante.
    Bussò ancora.
    “Yuzo, sono Mamoru” disse, ma al nuovo silenzio entrò nella stanza, facendo capolino da dietro l’uscio. “Sei sveglio?” domandò, lo sguardo sbirciò l’interno, ma il mistero si infittì quando si accorse che l’ambiente era vuoto. Spalancò l’entrata e avanzò di qualche passo, guardandosi intorno.
    Il letto era stato accuratamente rifatto e la finestra era aperta per permettere alla luce esterna di illuminarla nella sua interezza.
    Gli abiti di Yuzo non erano più sulla sedia, sostituiti invece dalla veste da camera, perfettamente piegata.
    Il cuore saltò un battito, mentre tutta la tranquillità con cui si era svegliato svanì di colpo, sostituita da un attacco di ansia improvviso.
    Come un fulmine, Mamoru tornò sui propri passi e corse a cercare Hajime e Teppei. Forse Yuzo era in loro compagnia, magari erano seduti da qualche parte a bere un tè e lui si stava facendo prendere inutilmente dal panico.
    Piombò nella piccola saletta al secondo piano, attirandosi gli sguardi perplessi di alcune servette intente a riordinare. Dei tre Elementi nemmeno l’ombra. Si mosse allora nei corridoi, affacciandosi ogni tanto a osservare i cortili interni, ma nulla. Salì lesto le scale e spalancò la porta della camera di Teppei. Niente nemmeno lì.
    “Maledizione!” imprecò tra i denti, dirigendosi infine agli alloggi di Hajime.
    Quando aprì di schianto la porta, gli Elementi di Acqua e di Terra si volsero a osservarlo con espressione interrogativa.
    Hajime era fermo presso il piccolo scrittoio, Teppei era in piedi accanto a lui e appoggiato al tavolo.
    Quando Mamoru si accorse che il volante non era con loro, l’ansia aumentò di colpo.
    “Ben sveglia-” cominciò il giovane di Tyran, ma lui lo interruppe con foga.
    “Dov’è?!”
    “Dov’è chi?” domandò Hajime.
    “Non è con voi?!” continuò, senza badare al quesito del Tritone.
    “Ma a chi ti riferisci?”
    “A Yuzo!” sbottò, malcelando l’ira. “Non è con voi?! La sua camera è vuota!”
    Hajime balzò in piedi. “Come sarebbe?!”
    “Quello che ho detto, maledizione! Non è nella sua stanza! Per Santa Maki Ardente, vi avevo chiesto di restare con lui!” Era avvampato come un enorme falò di paglia. Era avvenuta la fiammata e adesso si rendeva conto di essersi fatto prendere dalla foga. Stancamente, si massaggiò le tempie, cercando di recuperare una parvenza di autocontrollo. “Scusate…”
    Il Tritone posò la tazza sul tavolino. “Non preoccuparti Mamoru, adesso lo cerchiamo” disse con un sorriso rassicurante, per poi inforcare l’uscita della camera seguito dai compagni.

    Camminare, tenere ancorati i piedi al suolo, era un qualcosa che ad Alastra non faceva spesso, ma che aveva ripreso a fare da che era in missione. Non gli aveva mai arrecato chissà quale disturbo; in quel momento gli parve un supplizio.
    Muovere passi in sequenza, sentire la dura terra sotto le suole avevano il doloroso effetto di una punizione. La peggiore. Come un uccello cui avevano strappato le ali, Yuzo si sentiva mutilato. Ma per tutto quello che aveva fatto era un prezzo equo, ragionevole: non avrebbe mai più volato né utilizzato i suoi poteri.
    Era giusto così; come molti altri che avevano perso tutto ciò che avevano, così sarebbe stato anche per lui. Avrebbe perso le cose cui era più legato: il vento, il volo. La sua identità. Quella che suo padre gli aveva dato e che considerava il tesoro più grande. Di certo non avrebbe mai più avuto il coraggio di guardarlo in faccia, di incrociare il suo sguardo e leggervi il disprezzo per le sue colpe e per l’incapacità di gestire gli insegnamenti di Alastra.
    E il Master? Che avrebbe pensato l’Airone di Cristallo?
    Si lasciò sfuggire un pesante sospiro mentre continuava a immergersi nella fitta boscaglia fino a raggiungere la sua meta: il luogo segreto della piccola Yoshiko.
    Individuò la panchina intagliata nella roccia dove si era seduto in compagnia della bambina a raccontarle le meraviglie della città dell’Aria, a soddisfare ogni sua più piccola curiosità e ad ascoltare i suoi sfoghi e frustrazioni.
    Le dita scivolarono lente sulle venature rugose della superficie tiepida di pietra termica.
    Lentamente si sedette sul blocco grigio scuro puntellato di cristallini così piccoli da essere difficilmente visibili a occhio nudo.
    Il volante distese le lunghe gambe, poggiò la schiena alla roccia e lì stette, col capo reclinato all’indietro e lo sguardo rivolto alle intricate fronde verdi. Alcune luccicavano dei bagliori dorati, colpiti dal sole al tramonto, e restò a scrutare tra le loro trame seguendo arzigogolati ghirigori che non tracciavano nessun disegno particolare, ma si perdevano e riemergevano tra le braccia del bambù. A differenza della luce, che arrivava con notevole fatica, il vento scivolava senza il minimo sforzo anche nello spiraglio più piccolo e stretto, oppure aggirava l’ostacolo zig-zagando tra i fusti e arrivava a lui sottoforma di soffio tiepido, a solleticare il viso e smuovere le vesti.
    Con le mani adagiate sulle gambe, socchiuse gli occhi, lasciandosi cullare dall'aria che sembrava carezzarlo amorevolmente, come una mano materna. In quel momento immaginò di essere nella voliera, circondato dal bel canto delle phaluat che volteggiavano libere. Immaginò tutte le persone che per lui erano state fondamentali e che lo avevano sempre incoraggiato a dare il meglio di sé. E poi di nuovo la piccola Yoshiko che lo guardava piena di un’ammirazione che sentiva di non meritare e sembrava rivedere in lui la realizzazione di tutti i suoi sogni.
    “Eri molto più forte di me…” mormorò, provando infinita vergogna di sé, ma i rimorsi erano schiaccianti.
    Quante vite aveva sulla coscienza? Quante famiglie distrutte? Quanto dolore?
    Molto di più di quanto potesse sopportare e la sua decisione era stata più lucida di quanto non fosse egli stesso.
    Avrebbe dovuto metterne al corrente i suoi compagni di viaggio e già sapeva che questo avrebbe scatenato le ire di Mamoru. Anche le sue invettive sarebbero state giuste e le avrebbe accettate senza controbattere: in fondo, che diritto aveva di difendersi dopo quello che aveva fatto?
    Aprì lentamente gli occhi, traendo un profondo sospiro, poi reclinò la testa in avanti, muovendo lo sguardo alle mani. Le osservò attentamente, percependo il movimento dell’energia che confluiva ai palmi e alle dita. Non era un qualcosa di visibile ma un insieme di sensazioni che formicolavano in tutto il corpo come un brivido, lo cavalcavano, per concentrarsi in un solo punto in cui il vento sarebbe divenuto qualcosa di tangibile e consistente, in cui avrebbe potuto controllare i suoi sbuffi irrequieti e la sua natura mutevole.
    Avvertì l’imminente manifestarsi dei suoi poteri, ma strinse i palmi in pugni chiudendo gli occhi con forza, per ricacciarli indietro.
    “Non posso farlo” mormorò tra i denti. “Non posso.”

    Mamoru si muoveva rapidamente tra le strade di Sendai fermando chiunque incontrasse: uomo, donna, bambino o anziano che fosse. Eppure sembrava che nessuno avesse visto il volante. Spesso alzava lo sguardo al cielo e scrutava tra le fronde di qualche albero, ma le sue ricerche si stavano rivelando infruttuose.
    Dopo aver frugato l’intero palazzo del capo villaggio senza trovarlo, era uscito in strada insieme ad Hajime e Teppei, separandosi proprio fuori la porta dell’abitazione di Mastro Koji in modo da fare più in fretta. Il loro intento era ritrovarlo prima che facesse buio, ma sia il Tritone che il tyrano sembravano essere più sereni di lui e avevano cercato di acquietare le sue ansie convinti che lo avrebbero trovato presto. Intanto lui sembrava essere a un punto morto e sperò ardentemente che gli altri avessero maggiore fortuna.
    Ma dove diavolo poteva essersene andato da solo, quello stupido?
    E lui perché se ne preoccupava così tanto?
    Lo sapeva perfettamente che non c’erano più pericoli, almeno per il momento; probabilmente cercava solo un modo per poter pensare in tutta tranquillità… un modo che però lui non riusciva affatto a comprendere. Dea, com’erano complicati gli Elementi d’Aria! Così terribilmente cerebrali!
    Mamoru si fermò nei pressi della bottega di un fabbro. Un uomo, probabilmente il proprietario, stava lavorando uno scudo con certosina meticolosità; quasi gli dispiacque interrompere la sua concentrazione.
    “Scusate, buon uomo” cominciò facendo un altro passo nella sua direzione. L’interpellato mosse lo sguardo su di lui solo per un brevissimo istante per poi ritornare alle sue incombenze.
    “Dimmi pure, figliolo” gli rispose con voce burbera.
    “Avete visto passare un ragazzo poco più alto di me con corti capelli neri e una casacca lunga bianca e azzurra?”
    Anche se non lo osservò mai negli occhi, Mamoru ebbe la sensazione che ci stesse pensando.
    “No, non mi pare” rispose a un tratto. “Come puoi ben vedere, ragazzo, sono oberato di lavoro e gli scudi non si preparano solo con le mani, ma anche con gli occhi. Inoltre, ogni arma presente è destinata alle guardie cittadine rimaste al Sud, qualora lo scontro dovesse superare i confini, quindi devono essere perfette e non posso distrarmi. Spiacente di non poterti aiutare.”
    L’Elemento di Fuoco si guardò intorno, osservando mucchi di spade e punte di picca ammassati in un angolo. Un garzone li tirava a lucido con uno straccio.
    Era vero. La guerra era sempre più vicina ormai e questo gli ricordò come desiderasse ardentemente essere insieme ai suoi compagni di Fuoco per prepararsi allo scontro invece che correre dietro a principi scomparsi e stupidi volanti. Ma si morse il labbro, pentendosi immediatamente di quel pensiero: ritrovare sua Altezza Tsubasa era fondamentale anche per gli esiti della stessa guerra. In quanto a Yuzo, beh, era preoccupato da morire e dire il contrario sarebbe stata la più grossa balla del secolo.
    Fece un rapido inchino. “Grazie della vostra cortesia e buon lavoro” disse, tornando sui suoi passi.
    “Che le Dee ti guidino, figliolo” gli rispose l’altro, seguitando a smartellare sul metallo che stava forgiando.
    Mamoru inforcò nuovamente la strada quando un bambino attirò la sua attenzione.
    “Cerchi il ragazzo che vola?” gli domandò candidamente, mangiando un biscotto. “Se cerchi lui, io l’ho visto.”
    A quelle parole, il giovane di Fyar gli si inginocchiò accanto. “Davvero, piccolo? E dov’era diretto?”
    Il bambino indicò un sentiero poco lontano da loro. “L’ho visto camminare da quella parte, verso il bosco.”
    Mamoru inarcò un sopracciglio. “Camminare? Intendi proprio a piedi?”
    Il piccolo annuì.
    “Non volava?”
    Negò.
    “Ne sei proprio sicuro?”
    "Sicurissimo."
    La cosa gli risultò strana: ormai, in quel villaggio, tutti sapevano che loro erano Elementi, per quale motivo Yuzo si spostava a piedi? Lui adorava volare! Sarebbe morto se non avesse potuto più farlo. E ora che non era necessario essere discreti, invece, lo era.
    Mamoru si alzò. “Grazie mille!” esclamò, allontanandosi molto più velocemente di come era venuto per inforcare il sentiero che gli era stato indicato.
    Scivolò rapidamente tra le canne di bambù mentre sentiva il proprio respiro farsi più pesante per l’affanno che l’ansia sapeva creare. Poi, fu un attimo, intravide la figura del volante tra gli alti fusti e si sentì come rinascere. Si fermò proprio sul limitare di quella piccolissima radura.
    Yuzo era seduto su di una specie di panca fatta di roccia, la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi.
    In quel momento, il pesante macigno che si era appollaiato sullo stomaco scomparve, venendo esalato in un profondo sospiro. Il volante stava bene e quella certezza fece star bene anche lui in una specie di reazione a catena che non sapeva comprendere, ma su cui non si interrogò.
    Osservandolo attentamente, sembrava quasi che stesse dormendo, poi lo vide muoversi, chinare lo sguardo per osservarsi le mani, ed era così assorto da non essersi accorto della sua presenza.
    Mamoru scrutò il suo profilo dall’espressione addolorata, poi gli vide stringere i pugni con forza, portandoseli al petto. Ma per quanto si sentisse sofferente anche lui nel vederlo così, il sentimento di rabbia prevalse: Yuzo non poteva sparire in quel modo senza nemmeno avvisarli, non dopo gli ultimi avvenimenti almeno.
    Con piglio incollerito, si mosse per raggiungerlo.
    “Ma bene. Eccolo qui, il signorino” cominciò aspro, incrociando le braccia al petto.
    Il volante sobbalzò, non avendolo minimamente sentito arrivare. Si alzò in piedi. “Mamoru… ciao…”
    “Ciao?!” fece eco la Fiamma, con ironia. “Io, Hajime e Teppei ti stiamo cercando come matti da più di un’ora e tutto quello che mi sai dire è solo ‘ciao’?!” Non era propriamente vero, visto che l’unico a essersi preoccupato era stato solo lui e gli altri avevano tentato di rassicurarlo, ma decise di tralasciare quel piccolo particolare.
    Yuzo si mortificò. Adagio, portò una mano dietro la nuca, massaggiando il collo e spostando altrove lo sguardo. “Mi dispiace, io… non era nelle mie intenzioni… davvero…”
    “E che diavolo vuoi che me ne faccia delle tue scuse? Gradirei che ci pensassi su prima di fare cose stupide.”
    “Hai ragione…”
    Oddea! Cos’era quel tono di remissione totale? Mamoru finse di non notarlo e gli volse le spalle. “Che ti serva per la prossima volta. Ora torniamo al villaggio, a breve celebreranno il funerale di Yoshiko. E tu vorrai esserci, spero” concluse, sempre in tono poco accondiscendente. La coda dell'occhio ferma a catturare lo sguardo dell'altro.
    “Sì, sì. Certo che ci sarò, non potrei mai mancare.”
    Mamoru annuì, decidendo che il rimprovero poteva dirsi concluso. Non voleva calcare troppo la mano. A dire il vero, non sapeva nemmeno cosa stesse davvero pensando il volante. Sembrava rassegnato; come quando arriva la piena e non si può più scappare. Nei suoi occhi non c'era nulla, erano come persi in chissà cosa. Vacui. “Molto bene. Dopo ci organizzeremo per la ripartenza, dobbiamo muoverci prima che la delegazione del Doge di Rhalesta arrivi a Sendai.” Iniziò a incamminarsi, ma Yuzo rimase immobile con lo sguardo fisso al suolo e le dita intrecciate.
    Quello era il momento più adatto per dirglielo, così il volante fece un profondo respiro bloccando la Fiamma prima che scomparisse nel canneto.
    “A tal proposito, io… volevo comunicarti… la mia decisione di tornare ad Alastra. Torno a casa.”
    Mamoru non si volse subito nel sentire quelle parole, ma rimase fermo, come pietrificato, per un lunghissimo istante.
    Metabolizzò lettera per lettera l’intera frase, comprendendone appieno il significato. Gli occhi si allargarono sempre di più in un misto di sconcerto, incredulità e rabbia. E crescevano tutti, tutti insieme. Lava che risaliva lungo il condotto magmatico.
    Lentamente disincrociò le braccia e si girò a guardarlo con le iridi che ribollivano per l’ira che si stava impossessando di lui nonostante cercasse di contenerla in tutti i modi.
    “Tu cosa?” sibilò tra i denti. “Credo di non aver capito.”
    Yuzo continuava a tenere lo sguardo basso, fisso sulle mani. “Non… non posso continuare, non me la sento. Sarei solo un peso per voi e, a causa mia, avete già perso troppo tempo; non voglio rallentarvi ancora…”
    “Fammi capire bene: mi stai dicendo che abbandoni la missione?”
    Il volante annuì ma questo mandò la Fiamma fuori dalla grazia delle Dee.
    Voglio sentirtelo dire!” gli urlò contro, facendolo sussultare. “E guardami negli occhi quando parli con me!”
    Yuzo obbedì, seppur con una certa riluttanza; le iridi scure si mossero per incrociare le sue e lo sconforto che affogava il colore nocciola era palpabile. Faceva sul serio. L'uccellino faceva sul serio. Lasciare tutto, lasciare loro. Scomparire dalle loro vite così come vi era entrato. Tornare indietro. E arrendersi.
    In quel momento, Mamoru decise che doveva spronarlo in qualche modo e lasciò che fosse la rabbia a guidarlo.
    “Stai scappando, allora? È questo che ti hanno insegnato ad Alastra? A fuggire le responsabilità? Ma bravo, congratulazioni, hai appreso tutto alla lettera!”
    “Non è così, Mamoru-”
    “Ah, no? E allora dimmi tu com’è! Dici che vuoi tornare alla scuola, abbandonare la missione, voltare le spalle al Principe! Come lo chiami questo? Io lo chiamo in un solo modo: codardia!”
    Yuzo non rispose, ma tornò ad abbassare lo sguardo incapace di sostenere quello del compagno.
    La rabbia divenne furia.
    Ti ho detto di guardarmi negli occhi, maledizione!
    La piccola sfera infuocata gli sfuggì dalle mani in un impeto d'ira. Un colpo facile facile che un Elemento di livello superiore come il volante avrebbe deviato a occhi chiusi e invece Yuzo non si mosse nemmeno di un millimetro mentre la meteora passava radente accanto al suo braccio, annerendo, per il calore intenso, una lingua del tessuto candido della manica. Il suo sguardo si levò con lenta stanchezza fino a incrociare quello perplesso di Mamoru.
    “Perché non hai deviato il mio incantesimo?” gli domandò quest’ultimo ma l’uccellino rimase a osservarlo in rigoroso silenzio. In quei pochi secondi, l’Elemento di Fuoco sembrò comprendere le sue reali intenzioni. Era per quello il vuoto che aveva visto nei suoi occhi. Era per quello il senso di rassegnazione. La resa. “Ecco perché non hai volato per arrivare fino qui. Dunque sarebbe questa la tua ‘soluzione’? Non vuoi più utilizzare i tuoi poteri?”
    “Sì. E' quello che ho intenzione di fare. Molta gente è morta a causa loro, altri hanno perduto tutto ciò che avevano… è giusto che anche io mi privi di ciò che ho di più caro, per fare ammenda. Purtroppo non posso resuscitare i morti.”
    “Ma che diavolo stai dicendo? Non vuoi più essere un Elemento? Non vuoi volare mai più? E che farai senza l’Aria? Non avrai più niente, te ne rendi conto? Non sarai niente!” Mamoru avanzò nella sua direzione con passo deciso. Il tono sottile e più basso, ma non per questo meno tagliente. “Sarà come morire.”
    “Lo so. E va bene così.”
    Per la Fiamma quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Le labbra si incurvarono disegnando un’espressione di disgusto.
    “E allora scappa pure, vigliacco” gli sibilò in tono basso, traboccante sdegno. “Ritorna nel tuo nido dorato. Mi domando come diavolo tu abbia fatto a raggiungere il Sesto Livello.” Il ghigno si caricò di cattiveria. “Allora avevano ragione a odiare quelli come te. Volanti. Non siete altro che dei damerini senza spina dorsale. Mi fai venire il voltastomaco.”
    Per quanto quelle parole stessero dando il colpo di grazia al suo spirito, Yuzo non replicò a nessuna delle ingiurie, ma le ascoltò attentamente. D’altra parte, quello stoico mutismo stava facendo impazzire la Fiamma che vedeva andare a vuoto ogni suo tentativo di sprono. All’improvviso lo afferrò saldamente per le spalle, scuotendolo.
    “Santa Dea, ma tutto quello che ti sto dicendo non ti fa né caldo né freddo? Perché non ti difendi e non mi dici che ho torto marcio? Arrabbiati, maledizione, prendimi a pugni, odiami se preferisci ma abbi una reazione! Non continuare a restare così impassibile come se ogni invettiva verso di te sia lecita! Il colpevole di ciò che è successo non sei tu!”
    “Ma sono io che ho ucciso! A questo non pensi? Era la mia mente che controllava il vento, erano le mie mani a generare tempesta, ero io!” Yuzo fissò le fasciature che spuntavano da sotto gli abiti di Mamoru, sentendosi pungere il petto con insistenza. “E sono sempre io quello che non ha risparmiato nemmeno gli amici…”
    “Ma non eri in te in quel momento!” insistette il giovane di Fyar prima di stemperare il tono irato traendo un profondo respiro. “Io non ti sto chiedendo di dimenticare, ma di andare avanti per le prime vittime innocenti di questa dannata guerra. Esiliando te stesso da Alastra, rinunciando ai tuoi poteri… non farai altro che ucciderli una seconda volta. È questo che vuoi?”
    Yuzo si divincolò dalla stretta. “No che non lo voglio!” Gli rispose voltandogli le spalle e allontanandosi di alcuni passi. “Ma non posso usarli… non posso…”
    “Ma perché?!”
    Perché ho paura!” Il volante esplose per la disperazione. Quella consapevolezza di temere la propria natura era il male peggiore da cui si diramava ogni altra cosa. Ma non sapeva contrastarla né vincere i dubbi. Con voce incrinata si volse, guardandolo negli occhi. “Ho paura dei miei poteri… ho paura di non riuscire più a controllarli e far nuovamente del male… Ho paura del mio Elemento.”
    Mamoru non rispose perché quell'eventualità, quella che gli eventi potessero arrivare a intaccare addirittura la sua fede che aveva sempre ritenuto la più incrollabile tra le loro, non l'aveva messa in conto. Yuzo aveva paura dell'Aria. Suonava come una bestemmia. Ma quella sembrava essere la realtà dei fatti e davanti a una simile situazione lui non poteva fare niente. Ancora, di nuovo, si sentì inutile.
    “Fino a che avrai fede nel tuo Elemento, esso non ti tradirà. La paura nasce solo da una mancanza di fiducia: verso sé stessi e la materia dalla quale traiamo forza.” Gli disse con calma, voltandogli le spalle. Quelle parole, riaffiorate all'improvviso, gli sembrarono l'unica cosa cui aggrapparsi, in quel momento. Ll'ultimo tentativo. “Il coraggio di affrontare le paure l'abbiamo dentro di noi: trovalo e troverai anche il modo di vincere i sensi di colpa. Ma se ti arrendi senza nemmeno tentare, allora non sei degno di essere un Elemento, e io non ti tratterrò oltre se vorrai ancora tornare ad Alastra. Tutto ciò che ti chiedo è di non deludere la memoria della bambina, non vorrei che avesse mal risposto la sua ammirazione.” Concluse il discorso mentre si immergeva nella boscaglia per ritornare al villaggio, e non si voltò più indietro. “Hai tempo fino alla fine della cerimonia funebre, dopodiché noi ripartiremo, con o senza di te.”
    Yuzo non poté fare altro che osservare la sua figura che scompariva tra gli alberi.
    Rimasto solo, il volante aveva la mente che era un focolaio contrastante di pensieri. Si rincorrevano proprio come l'aria, un ricircolo di venti che spiravano senza sosta.
    Mamoru aveva ragione, ma la paura di provocare un’ennesima ecatombe era schiacciante, addirittura impensabile. La sola idea gli ghiacciava il sangue. Però… non voleva nemmeno deludere tutte le persone che avevano avuto fiducia in lui fino a quel momento. Suo padre, i Magister e il Master ad Alastra, il Re a Raskal, Hajime e Teppei, la piccola Yoshiko, ma, soprattutto, non voleva che Mamoru pensasse davvero che fosse un codardo. No, non lo era.
    Ma doveva dimostrarglielo. Doveva farlo a qualsiasi costo altrimenti la Fiamma lo avrebbe disprezzato per sempre e il suo sguardo ribollente d’ira lo avrebbe perseguitato per tutto il resto dei suoi giorni, ricordandogli la propria inettitudine.
    E doveva farlo per loro. Tutti loro. Loro che ora non avevano più niente, loro che erano stati spazzati via dai suoi poteri senza controllo. Loro che non avevano colpe, ma avevano pagato per una guerra ancora lontana. E lui, quell'immenso 'loro', l'avrebbe portato per sempre con sé.
    Il volante strinse i pugni, alzando lo sguardo al cielo.
    “Divina Yayoi, l’Elemento a te consacrato è la cosa più importante che ho, ciò che ho sempre desiderato di governare fin da bambino, ma io non voglio essere portatore di morte. Quindi, ti prego, dammi la forza di non avere paura e di credere fino in fondo di essere all’altezza del titolo di Elemento…”
    La sua energia prese a formicolare in tutto il corpo, cavalcando ogni nervo o muscolo, dalle sinapsi fino alla circolazione periferica, dai capelli alle ossa, scivolando all’interno dei pugni chiusi. Come una scarica elettrica si trasmise a ogni singola cellula del suo essere, mentre gli occhi continuavano a mantenersi fissi alle fronde che si aggrovigliavano in un complesso mosaico di canne e foglie. Dagli spiragli più sottili, l’aria si insinuava assieme ai colori dell'ultimo tramonto. In quel rosso avrebbe rivisto, ogni giorno, il sangue che aveva versato.
    “…dammi la forza di essere degno di essere vivo.”

    Mamoru ripercorse a ritroso il tragitto e riemerse sul sentiero con passo deciso e sguardo severo. La sua destinazione era il palazzo di Mastro Koji. Si impose di non arrabbiarsi oltre né di dispiacersi; si era lasciato prendere fin troppo dalle emozioni, rischiando di venir meno a una promessa fatta molto tempo prima. Però aveva avuto ragione: lo aveva perso. Ormai, Yuzo sembrava deciso ad andarsene e nonostante il suo ‘io’ interiore gli urlasse a squarciagola di costringerlo con ogni mezzo a non mollare lui non l’avrebbe trattenuto, non sarebbe stato giusto farlo: il volante doveva scegliere da solo il suo destino e se non aveva la forza necessaria per sostenere una tale responsabilità… allora, forse, era meglio così. Però non poté non domandarsi cosa ne sarebbe stato di lui una volta abbandonata Alastra. Cosa avrebbe fatto senza i suoi poteri? Sarebbe affogato nell'infelicità? Perché non gli aveva detto che avrebbero diviso tutti insieme il dolore? Perché non gli aveva detto che non lo avrebbero lasciato solo? Perché...
    Mamoru incupì l’espressione. Il Fuoco gli divorò il cuore. Doveva smettere di fare la chioccia nei suoi confronti.
    Di lontano distinse le figure di Hajime e Teppei che si muovevano velocemente nella sua direzione. I loro visi tradivano una preoccupazione maggiore di quanto non fosse stata alcune ore prima.
    “Mamoru, non siamo riusciti a trovarlo da nessuna parte!” esordì il Tritone, ma la Fiamma li superò senza nemmeno degnarli di un’occhiata.
    “Preparate i bagagli”, disse lapidario, “siamo in partenza.”
    Hajime rimase perplesso, mentre Teppei inarcava un sopracciglio. “Ma… così? All’improvviso? E Yuzo-”
    “Forse non verrà.”
    “Non verrà? Ma che significa?” domandò Hajime.
    “Quello che ho detto e non ho intenzione di ripetermi.”
    “Ma… ci hai parlato? Che sta succedendo?”
    Mamoru si fermò di colpo rivolgendo loro lo sguardo deciso. “Yuzo vuole tornare ad Alastra e non sarò certo io a trattenerlo. Questa missione è fondamentale e non voglio incapaci al seguito, quindi, non c’è più nessun motivo che ci trattiene ancora a Sendai.”
    “Smettila di essere così duro con lui! Ti rendi conto di quello che sta-” replicò Teppei altrettanto deciso.
    “Lo so benissimo, ma noi non abbiamo più tempo e se non ha la prontezza di riprendersi ora, allora è inutile che continui a fare parte di questa missione.” Poi si volse, riprendendo a camminare. Non doveva mostrare agli altri che sarebbe stato pronto a trascinarlo a viva forza con sé. “Fate in fretta a prepararvi, a breve ci sarà la cerimonia funebre di Yoshiko.”
    Gli altri due lo videro allontanarsi di gran carriera senza aggiungere altro.

    La pira funeraria era arsa con un suono crepitante, innalzando intense fiamme al cielo dove il sole stava per scomparire alle spalle delle vette lontane che si estendevano a Ovest.
    L’intero villaggio si era radunato dietro al tempio dove era stato allestito il tumulo da ardere. Centinaia di persone avevano arrestato tutto ciò che stavano facendo per dare un ultimo saluto alla piccola e forte figlia di Mastro Koji. Quest’ultimo aveva portato a spalla il feretro avvolto da un sudario candido su cui erano stati amorevolmente ricamati i simboli dei quattro Elementi. Aveva poi adagiato il corpicino sulla sommità della pira e, dopo averle rivolto un’ultima, lunga occhiata, aveva appiccato il fuoco. La fiamma si era insinuata tra le sterpaglie divorando rapidamente i rami rinsecchiti e la paglia, ascendendo poi i livelli più alti fino a intaccare la figura distesa e immobile della bambina.
    Non si era levata una sola parola né un lamento da parte di nessuno. Un rigoroso e rispettoso silenzio aveva dominato la scena, interrotto solo dal fuoco crepitante.
    - Che la Terra tracci il cammino, che la Fiamma illumini i passi, che l’Acqua disseti l’arsura, che l’Aria allontani i pericoli. Intrapreso è il viaggio del Lungo Riposo. Le Dee siano con te. Amen. - Mamoru aveva recitato mentalmente una preghiera mentre Hajime e Teppei erano rimasti in piedi, accanto a lui.
    Di Yuzo nemmeno l’ombra.
    L’Elemento di Fyar aveva mosso lo sguardo, scandagliando l’intero spiazzo senza però riuscire a vederlo. C’era molta gente e probabilmente il volante si era mescolato a essa.
    Nemmeno ora che il falò si era spento e Koji riempiva l’urna con le ceneri di Yoshiko, Mamoru era stato in grado di individuarlo.
    Il giovane sospirò rassegnato.
    - Non è venuto - pensò. - Allora è proprio deciso a mollare… Dannazione doveva almeno venire a salutare la bambina! –
    Manifestò il suo disappunto stringendo i pugni e disegnando una fugace smorfia sul viso.
    “Amici…” Il capo villaggio prese la parola, rivolgendosi alla gente che era accorsa; tra le mani teneva saldamente l'urna. “Vi ringrazio dal più profondo del cuore per l’affetto che avete dimostrato a mia figlia, venendo qui a dirle addio. Ora lei ha cominciato l’ultimo viaggio per le Terre dell’Oltre, dove l’attenderà il Lungo Riposo. Adesso è libera.” Sul viso aveva un sorriso sereno. “Io e mia moglie abbiamo deciso di disperdere le ceneri nel fiume affinché le conduca al mare dove riposeranno in pace.”
    “Mastro Koji…”
    Una voce maschile si levò all'improvviso.
    Le teste dei presenti ruotarono all'unisono e la folla si aprì, lasciando che un giovane avanzasse in direzione della pira.
    Anche Mamoru si era girato di scatto, riconoscendo la voce all’istante e vedere che fosse davvero Yuzo gli scatenò una strana tempesta di emozioni: aspettativa, stupore, una punta di rabbia, sollievo.
    “Mastro Koji” ripeté il volante, avanzando sotto gli sguardi inquisitori e diffidenti degli abitanti del villaggio che in lui vedevano ancora l’assassino spietato che aveva distrutto Atzar, Rossak e Krrish. Per quanto sapessero che il giovane era rimasto vittima di un incantesimo, e che quindi la colpa per ciò che era accaduto non era da attribuire a lui, non potevano non scrutarlo con timore.
    L’Elemento d’Aria passò in mezzo a loro sostenendo il peso della paura, che velava i loro occhi, con uno sforzo quasi sovrumano di cui però solo Mamoru sembrò accorgersi, mentre lo scortava con lo sguardo. Yuzo si fermò davanti al capo villaggio.
    “Yoshiko non era fatta per l’Acqua. Era nata per l’Aria. Se voi me lo concedete, vorrei essere io a disperdere le sue ceneri. Le devo più di quanto potrei mai dire.”
    Koji scrutò fin nel profondo delle sue iridi scure prima di rivolgere un’occhiata fugace alla moglie, al suo fianco. La vide sorridere e annuire. Sorrise anche lui nel porgergli l’urna cineraria.
    “Grazie per quello che hai fatto per lei.”
    Il volante rispose al suo sorriso. Tolse delicatamente il coperchio dal vaso e lo lasciò nelle mani della madre di Yoshiko. Richiamò il potere del vento affinché sollevasse le ceneri fino a estrarle dall’involucro. Lentamente si librò in volo, portandole con sé sotto gli sguardi interrogativi dei presenti che continuavano a seguire i suoi movimenti con attenzione.
    Yuzo si fermò a numerosi metri dal suolo, dove era ancora possibile vedere il sole al tramonto, mentre dabbasso era già scomparso alle spalle delle vette lontane. Osservò quello spicchio rosso per alcuni momenti, prima di sollevare le ceneri sopra la sua testa.
    “Tuo padre mi ha ringraziato, ma sono io a dover ringraziare te, per avermi insegnato a essere una persona più forte. D’ora in avanti cercherò di non avere paura. Ho delle persone che si fidano di me, non posso mica deluderle.” Incrociò le mani sopra la propria testa, mentre le ceneri restavano un po’ più in alto, sospese nel vuoto. “Sii eterna, Yoshiko.”
    La raffica di vento concentrica disperse le spoglie in ogni direzione come un’immensa onda d’urto che cavalcò il cielo per tutta la sua estensione fino a dissolversi.
    Dabbasso, Hajime si rivolse a Mamoru, con un sorriso. “A quanto pare, saremo ancora in quattro a lasciare Sendai.”
    “Già” annuì l’altro altrettanto sorridente. “Si direbbe proprio di sì.”
    E nessuno poteva immaginare quanto ne fosse orgoglioso.

    "For what I've done /
    Per quello che ho fatto
    I start again
    ricomincio ancora
    and whatever pain may come
    e qualsiasi dolore ne potrà venire
    today this ends
    oggi questo finisce.
    I'm forgiving what I've done
    Sto perdonando quello che ho fatto,
    I face myself
    affronto me stesso
    to cross-out what I've become
    per tracciare una croce su ciò che sono diventato,
    erase myself
    cancellare me stesso
    and let go of what I've done
    e lasciare andare quello che ho fatto"

    Linkin Park
    - What I've done

    “E così avete deciso di ripartire.”
    La cerimonia era finita da poco e il tempio si era andato gradualmente spopolando.
    “Proprio così, Mastro Koji, vorremmo evitare di trovarci qui all’arrivo della Guardia Cittadina mandata dal Doge di Rhalesta” rispose Mamoru, finendo di sellare il cavallo.
    L’uomo annuì. “Capisco, potrebbero rallentarvi dal portare avanti la vostra missione.”
    “Esatto.”
    “Allora non vi tratterrò oltre. Grazie per averci liberato da quel folle di Hans.”
    “Grazie a voi per averci offerto ospitalità per tutto questo tempo. Non lo dimenticheremo.” Con un gesto elegante montò in sella imitato dai compagni.
    “Mi raccomando, fate attenzione!” esclamò infine il capo villaggio mentre si allontanavano attraverso la porta Sud di Sendai. “E buona fortuna!”
    I quattro Elementi salutarono un’ultima volta prima di spronare gli animali e scomparire alla vista.
    “Ragazzi, vi devo delle scuse per i problemi che ho causato…” cominciò Yuzo.
    Teppei sorrise. “Non devi, non finiremo mai di dirti che non è stata colpa tua. E poi l’importante è che siamo ancora tutti interi e tutti uniti.”
    Tsk! Delle tue scuse me ne faccio poco e niente” intervenne piccato Mamoru. “Vedi piuttosto di non provocare altre disgrazie.” Poi sospirò, rassegnato. “E io che credevo di essermi liberato di te una volta per tutte. Che sfortuna.”
    Il volante rise toccandosi l’orecchio in un gesto meccanico, ma non trovò l’orecchino. Si era dimenticato di averlo perso e abbozzò un sorriso un po’ malinconico.
    “Non incominciare, Mamoru!” esclamò Hajime. “Tanto ormai non ci crede più nessuno!” Con espressione sghignazzante si rivolse a Yuzo. “Lo dovevi vedere come era preoccupato.”
    “Che cosa?!” ruggì la Fiamma, arrossendo leggermente. “Vorrai scherzare! Non lo ero per niente!”
    “E’ vero, invece! Non stava fermo un secondo” infierì Teppei, facendogli il verso. “Ci ha pure sgridato: ‘Vi avevo detto che dovevate restare con lui!’
    “Ah, sì?” Il volante rideva alla faccia sua, senza nemmeno fingere un minimo di contegno.
    “Finitela, accidenti a voi!” tuonò Mamoru, agitando l’aria con il pugno chiuso. “Chiudete quelle boccacce!”
    Terra e Acqua spronarono leggermente i cavalli, aumentando la distanza e ridendo come matti.
    Tsk! Vedi di non farti strane idee” disse la Fiamma, rivolgendosi a Yuzo. “Non ero affatto preoccupato per te, io! Però sono il responsabile della missione e di voi tre, sarebbero stati cavoli miei se ti fosse successo qualcosa! Chiaro?”
    “Sì, sì. Figurati, so bene che non ti preoccuperesti mai per me.”
    “Ecco, appunto” sottolineò Mamoru con decisione, poi infilò una mano nella tasca di una delle borse legate alla sella, cavandone una piccola scatola. “Prima che me ne dimentichi… tieni.”
    Yuzo osservò il dono con espressione sorpresa. “Un regalo? Ma non è il mio compleanno.”
    “Lo so bene che non è il tuo compleanno! Il 12° Màkiza l'abbiamo passato da un pezzo!”
    “Oh. Te lo ricordi ancora?”
    “Certo che me lo ricordo! Non sono così stupido!”
    Il volante rise. “No, non volevo dire questo!”
    “E che volevi dire?!" si irritò la Fiamma. "No, non voglio saperlo. Vuoi aprirlo o no?”
    “Va bene, va bene. Lo apro.” L’Elemento d’Aria si arrese, prendendo la scatola dalle sue mani, però non la aprì, ma rimase a fissarla mentre la rigirava tra le dita.
    “E ora che c’è?” domandò Mamoru, ruotando gli occhi.
    “Mi dispiace. Davvero, mi dispiace molto per quello che è successo” disse Yuzo con serietà, tanto che anche la Fiamma perse il suo piglio stizzito in favore di un finto fare distratto "Ho... ho messo in pericolo tutti voi, ho messo in pericolo l'intera missione. Ho... ho...".
    “Su questo la penso come Teppei e lo sai.” Lo interruppe Mamoru prima che potesse continuare. Non voleva che lo dicesse apertamente e stare lì a ricordarselo ad alta voce, bastavano i tormenti silenziosi.
    “Sì, però… so di non avere grandi qualità, di non essere forte-”
    Woh! Aspetta, frena! Il discorso sulla forza lasciamolo da parte, eh?”
    Aveva distrutto tre villaggi e diceva di non essere forte?! O era modesto o era fesso. Lui propendeva per la seconda, manco a dirlo.
    Yuzo agitò una mano. “No, ma non intendevo in merito ai miei poteri magici!”
    Aaaah! Va bene, allora sono d’accordo.”
    Il volante sorrise, scuotendo il capo. “Ho molti difetti però… non voglio che tu pensi che io sia un vigliacco. Non lo sono.”
    Mamoru lo aveva sempre criticato, questo era vero, cercava ogni minimo appiglio per dargli noia e contro, ma aveva imparato, vedendolo sul campo, che, no, Yuzo non era vigliacco. Era capace di sacrificare anche sé stesso per gli altri, però… non era in grado di affrontare i problemi quando lo toccavano direttamente. Questo era ciò che aveva capito del volante, ma ancora non sapeva spiegarsi il perché. Lui aveva sempre odiato gli Elementi d’Aria perché avevano un qualcosa che non riusciva a raggiungere e cioè l’equilibrio interiore dato dalla completa conoscenza di sé stessi, dei propri limiti e della propria forza. A Yuzo, invece, quello stesso equilibrio sembrava mancare, o meglio, non era completo.
    Che cosa nascondeva che lo rendeva imperfetto?
    Mamoru era sicuro che la verità si celasse dietro il famoso Autocontrollo di Alastra, perché gli sembrava di notare qualcosa, quando lo guardava negli occhi, ma non ne era sicuro.
    “Staremo a vedere.” Un ghignetto ironico gli tese le labbra. Non avrebbe mai ammesso di avergli dato del vigliacco solo per provocarlo e non perché lo pensasse davvero. D’un tratto sembrò ricordarsi di qualcosa e si volse, agitando l’indice in direzione del volante con aria furba. “E comunque, ricordati che noi abbiamo un patto, eh? Tutto quello che voglio! Tutto-tutto-tutto!”
    “Ah, allora non te ne sei dimenticato.”
    Tsk! Vorrai scherzare?! Ti ho in pugno, caro mio! Non puoi rifiutarti!”
    “D’accordo, hai ragione. Ti ho dato la mia parola e così sarà: obbedirò ai tuoi ordini senza protestare. Promesso.”
    “Oh, sì. Dimmelo ancora. Questo è il giorno più bello della mia vita.” Mamoru si portò una mano al petto, sospirando d’estasi. Le ciglia che sbattevano velocemente e che facevano ridere di gusto il volante. Non gli dispiacque vederlo così. Gli parve rilassato, anche se era consapevole che il giovane d’Aria non avrebbe mai potuto dimenticare quanto era accaduto in quei pochi giorni che avevano trascorso a Sendai, ma sarebbe cresciuto, come uomo ed Elemento, portando quel peso sempre con sé.
    Mamoru camuffò la preoccupazione, assumendo una postura più composta e finendo di fare lo scemo. Col capo indicò la scatola che l’altro seguitava a tenere tra le mani, ancora avvolta nel nastrino.
    “Senti ma vuoi che te la apra io? Sai come si scioglie un fiocco, sì?”
    “Divertente, molto.” Yuzo stette alla presa in giro e afferrò un lembo del nastro. “Adesso ti stupirò, guarda… oooooh!” Il nodo si disfece in un attimo e l'uccellino sollevò il coperchio. Raggomitolato all’interno della scatola, giaceva l’orecchino. Yuzo sgranò gli occhi per la sorpresa; era stato convinto d’averlo perso per sempre.
    “La mia Piuma!” esclamò, preda di una felicità così genuina che anche il compagno di Fuoco sorrise. Velocemente afferrò l’oggetto e lo indossò. “Io credevo-”
    “L’ho trovato nella foresta, tra i rami spezzati di un albero. Ti ho fatto riparare la chiusura.”
    “Grazie, Mamoru. Questo orecchino è molto, molto importante per me.” Più di quanto la Fiamma potesse pensare.
    L’interpellato arrossì per tale gratitudine e volse altrove lo sguardo, con fare sostenuto. “Figurati.”
    Rimasero in silenzio con Yuzo che sorrideva del suo imbarazzo. Il volante osservò a lungo il suo profilo e infine aggiune: “Il 20° Làstero.”
    Mamoru si volse di scatto.
    “Come vedi qualcosa la so anch'io” cinguettò, spronando leggermente il cavallo per raggiungere Hajime e Teppei. L’altro rimase a osservare la sua schiena con la bocca leggermente aperta.
    “E questa… dove…” mormorò inebetito prima di riprendere il controllo. “Ehi! Ultimamente stai avendo sempre tu l’ultima parola e questo non va bene, sai?! Torna subito qui!”

    Riprende il cammino verso un altro villaggio,
    con la fede più forte e un nuovo coraggio;
    con antichi segreti a causare dolore
    e altri ancora nascosti nel cuore.

     


     

    …Il Giardino Elementale…

    Màkiza? Làstero? Se questi nomi vi suonano poco familiari... AVETE RAGIONE! XD
    Mentre stilavo il capitolo 11 (che è completo e pure dalla mia Bet(t)ina), ho avuto come una sorta di 'lampo': non potevo lasciare i nomi dei mesi così come sono i nostri. Non avrebbe avuto senso. Su Elementia non esiste un Dio Giano né tantomeno un Imperatore Augusto! E come potevo spiegare l'esistenza delle 'settimane'? Allora mi sono armata di santa pazienza e ho creato Il Calendario Elementale (Volume Sesto dell'Enciclopedia Elementale, lo trovate a fondo pagina :*). Uh, sì, e per quanto riguarda le "Terre dell'Oltre", ci sarà un volume dell'Enciclopedia anche per quello XD. Sante Dee! *sospira*
    Signore mie, ve lo dico perché lo sto affrontando in prima persona: scrivere una storia fantasy, che coinvolge un mondo interamente nuovo e creato dal nulla, non è facile. Non lo è. Per niente. Se volete che il vostro fantasy venga bene, dovete lavorarci, lavorarci e lavorarci. Rendervi conto di cosa appartiene al 'nostro' mondo e cosa appartiene a 'quel' mondo, son cose diverse e, molto spesso, ce ne si rende conto solo mentre si scrive e i problemi spuntano all'occorrenza.

    Ciuò detto, passiamo al capitolo vero e proprio! :3
    Angstino ♥
    L'angstino è bello ♥
    XD potevo lasciarvi senza?
    Come dite? E' stato addirittura poco?
    Oh, oh, oh! Non preoccupatevi, ce n'è ancora che vi aspetta. Così come non tutti i problemi sono stati affrontati perché non volevo fosse tutto subito. Con calma, c'è tempo.
    Finisce così la missione a Sendai, la tappa decisamente più lunga dell'intera storia, ma ci sono ancora molte città da visitare e molte altre avventure aspetteranno i nostri quattro eroi. La Via Crociata è ancora lunga.
    (Ora che ci faccio caso... \O/ oddio! Questo capitolo è venuto lungherrimo!!! T^T scusate.)

    In tutto ciò, è stata aggiunta anche una fanartina :3 Vecchissima, se notate l'anno in cui è stata fatta XD

    Ringrazio di cuore tutti coloro che continuano a seguire questa storia con affetto! :*****


    Galleria di Fanart (NOVITA'!)

    - What I've done

    Enciclopedia Elementale (NOVITA'!):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 23
    *** 10 - Il compleanno di Teppei - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 10: Il compleanno di Teppei (parte I)

    Rhanka – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    “Maledizione!” imprecò Mamoru per l’ennesima volta. Si strinse nel cappotto foderato di pelliccia mentre il vento freddo dell’altopiano sferzava deciso sul suo volto. “Ma si può sapere quanto ci mette?!”
    Hajime rise, incrociando le braccia. A dispetto della Fiamma, sembrava non soffrire minimamente il brusco calo di temperatura. Infatti non portava nulla sopra la maglia dal leggero tessuto color cobalto. I cavalli, intanto, pascolavano là intorno, brucando la rada erba che ricopriva il pendio.
    “Abbi un po’ di rispetto.” Lo rimproverò bonariamente il Tritone. “Siamo in un luogo sacro agli Elementi d’Aria, lascialo pregare in pace.”
    “E’ da mezz’ora che è lassù e a me si sta congelando il congelabile, dannazione! Ho freddo, voglio una tazza di brodo bollente e un maledetto riparo da questo vento del cavolo!” Continuò a camminare avanti e indietro, cercando di scaldarsi.
    Teppei per poco non cadde dal grosso masso su cui si era seduto a causa dalle risate che gli valsero un’occhiata traversa e un’imprecazione irripetibile.
    “Se trovi che qui faccia freddo”, disse, “allora vieni a Tyran! Lì sì che si congela!” Poi, l’Elemento di Terra sospirò, alzando la testa per osservare il cielo grigio sopra di loro. “Non ci crederete, ma mi manca la neve…”
    “Neve?!” fece eco Mamoru. “Che Maki benedica il Sud dove nevica solo su questi gelidi altopiani!”
    “Ah! Non capisci niente!” Lo ammonì l’altro. “E’ meraviglioso quando diventa tutto bianco. E poi quei fiocchetti sono così delicati e morbidi, soffici. Scendono leggeri come piume. È uno spettacolo indescrivibile…”
    “Bah, se lo dici tu.” Il fiato della Fiamma si condensò in piccole nuvolette mentre si guardava attorno.
    Da quella posizione avevano una bella visuale della conca sottostante dove sorgeva la città che sarebbe stata la loro nuova meta. Su quella collina, invece, non c’era nulla a parte erba rada, spuntoni calcarei di roccia, greggi in pascolo lungo un versante e quel dannato Tempio dell’Aria, sulla sommità, dove Yuzo si era fermato a pregare. Con sommo dispiacere di Mamoru, ovviamente, che avrebbe voluto solo mettere le chiappe a mollo in una tinozza ricolma di acqua bollente per togliersi il freddo che gli era entrato ovunque.
    Una raffica più forte di vento gelido gli abbassò il cappuccio, anch’esso impellicciato, e lo fece arretrare di qualche passo. Fu la cosiddetta goccia che fece traboccare il vaso.
    Adesso basta!” gridò l’Elemento di Fuoco, spostando, alla bene e meglio, i capelli che il vento bizzoso gli aveva fatto scivolare sul viso. “Ora vado lassù e lo vado a prendere! A costo di trascinarmelo dietro per quel suo dannato orecchino piumato!”
    Con un moto stizzito si inerpicò verso il sentierino sterrato che portava alla sommità del colle, lasciandosi alle spalle le sghignazzate di Hajime e Teppei.

    La vetta di quella collina aveva una pendenza di circa sessanta gradi, lungo il declivio, per poi terminare con un’ampia radura su cui era stata eretta una statua alla divina Yayoi.
    Mamoru percorse gli ultimi tratti praticamente arrampicandosi sul versante, cosa che lo fece irritare ancora di più, se possibile.
    “Potevano farle delle dannate scale!” borbottò, issandosi sulla piana sommitale. “Invece, solo perché è la Dea dei volanti, se ne fregano dei comuni mortali che non volano!” Fece l’ultimo sforzo per arrivare in cima dove, finalmente, poté alzarsi in piedi. Con un gesto seccato diede una ripulita al cappotto prima di guardarsi intorno per individuare Yuzo.
    E si immobilizzò.
    La bocca semiaperta, pronta a imprecare, rimase silenziosa; come se le parole si fossero rifiutate di uscire all’ultimo momento.
    Intorno a lui il vento spirava senza sosta, smuovendo i lembi del soprabito e i capelli in modo che serpeggiassero impazziti. Ma sembrò non prestarvi assolutamente attenzione. Solo gli occhi vagavano, timorosi, per catturare l’immagine di quel luogo.
    Quattro colonne dalla sommità obliqua erano disposte ai vertici di una croce immaginaria. Al centro di quest’ultima si ergeva la statua, in candido marmo, raffigurante la divina Yayoi dalle benevoli ali spiegate e le braccia aperte; aveva il volto sollevato e i fluenti capelli scolpiti nel vento.
    Quel luogo emanava una tranquillità reverenziale che ogni sua imprecazione precedente gli sembrò davvero inappropriata. Con lo stesso timore nei movimenti individuò Yuzo inginocchiato ai piedi della statua. Le mani incrociate sul petto, il capo chino e gli occhi chiusi.
    Per quanto il vento spirasse con violenza intorno a Mamoru, dov’era il volante sembrava non esserci nemmeno un alito: gli abiti non si muovevano di un millimetro.
    L’Elemento di Fuoco si riscosse dalla catatonia, facendo qualche passo in direzione del compagno, ma non si era reso conto di quanta attenzione ci stesse mettendo per non disturbarlo. Improvvisamente, per quanto continuasse ad avere un freddo terribile, non aveva più la stessa fretta di richiamarlo. Lo vedeva così concentrato, così sereno, che gli dispiaceva doverlo interrompere. Così, si fermò di nuovo, senza nemmeno entrare nello spazio delimitato dalle colonne, temendo di rompere l’intimità di quel momento.
    “Ci sto mettendo troppo, vero?” sorrise Yuzo, muovendosi lentamente per incrociare il suo sguardo; le mani sciolsero la preghiera, sembravano ali che venivano spiegate. Lui ebbe un sussulto.
    - Perché mi sento a disagio? - Si domandò, stringendosi nel cappotto e dissimulando un’espressione mortificata.
    “Se… se hai bisogno di qualche altro momento, fai pure.”
    Ma l’altro scosse il capo, alzandosi in piedi. “Ho finito. Anzi, scusami se mi sono trattenuto così a lungo, so quanto soffri il freddo.”
    “Già…” borbottò la Fiamma. Il suo sguardo vagava d’intorno senza sosta. “Senti, ma… mi spieghi cos’ha di sacro questo posto?”
    Yuzo sorrise. “E’ un Crocevia. Qui si incontrano le correnti provenienti dalle quattro direzioni principali: Nord, Sud, Est e Ovest.” Tese una mano verso di lui, invitandolo a raggiungerlo. “Entra nel rombo sacro.”
    Per tutta risposta, la Fiamma fece un passo indietro, scuotendo il capo. “No, no! Non importa…”
    Denigrando i volanti a ogni occasione, metter piede in un loro luogo sacro gli faceva uno strano effetto.
    “Dai, avvicinati, non ti succederà nulla. Anzi, ti posso assicurare che dove sono io non fa così freddo.”
    Mamoru esitò ancora, ma Yuzo lo incalzò.
    “Avanti.”
    La Fiamma sospirò e mosse i passi definitivi per accorciare anche l’ultima distanza. Entrò nel Crocevia e fu come varcare l’ingresso di una casa: lo stacco netto tra il vento alle sue spalle e l’aria immobile in quel perimetro fu lo stesso, tanto da lasciarlo a dir poco esterrefatto. Con sguardo confuso si guardò attorno, calando il cappuccio.
    “Ma… cos’è successo?”
    “Come ti ho detto, qui si incontrano le correnti ed essendo a due a due uguali e contrarie, nel loro punto di intersezione si annullano.”
    “Oh…”
    “Se ti concentri, puoi riuscire a sentire anche i sussurri trasportati dal vento!” esclamò il volante entusiasta. “Vuoi provare?”
    Mamoru si riscosse, recuperando il suo piglio burbero per non dare troppo a vedere d’essere rimasto colpito da quel luogo.
    “Ma piantala! Non abbiamo tempo per simili giochetti, ci siamo trattenuti molto più del dovuto e finiremo con l’arrivare in città a sera inoltrata!”
    “Dai! Solo un attimo! Prova!” Yuzo lo prese per le spalle, ignorando bellamente ogni protesta. Lo fece girare come una trottola fino a fermarlo con il viso rivolto in una direzione, restando poi alle sue spalle.
    “Ma… ma… smettila di strapazzarmi come un sacco di patate!” tentò di ribellarsi la Fiamma.
    “Zitto. E chiudi gli occhi.”
    A quel comando, detto con tale decisione, Mamoru storse il naso, però obbedì.
    “Ora concentrati… e ascolta…”
    L’Elemento di Fuoco eseguì per la seconda volta, pur mantenendo un atteggiamento di poco velato scetticismo nei confronti delle parole di Yuzo. A dire la verità, si era risolto di accontentarlo solo per toglierselo dai piedi.
    D’un tratto, però, venne raggiunto da un confuso e sommesso mormorio. Ghignò.
    “Non provare a ingannarmi con simili trucchetti! Come se non l’avessi capito che sei tu che-”
    Ma quando si volse si accorse che il volante non era più alle sue spalle. Lo individuò a una certa distanza, intento a osservare una delle colonne.
    “Sentito qualcosa?” domandò Yuzo, alzando il tono, mentre lui lo guardava con espressione perplessa e confusa, tanto da strappargli un sorriso. “Se senti un mormorio è normale. Prova a concentrarti solo su di una voce, discernendola dalle altre.”
    Mamoru tornò a guardare davanti a sé; socchiuse gli occhi ma questa volta con un atteggiamento molto meno scettico.
    Il brusio confuso lo raggiunse di nuovo, ma seguì le indicazioni del volante e cercò di concentrarsi.

    “…è probabile che piova, in nottata…”

    Era profonda, di uomo, ne era sicuro.

    “Bambini! C’è la merenda!”

    Una donna che chiamava i figli.

    “Arance di Meiwa! Freschissime arance di Meiwa!”

    “Ehi bello, vuoi divertirti un po’?”

    “Rinfoderate l’acciaio! Siete ubriachi!”

    Parole e stralci di vita che lo fecero sorridere per un momento prima che un oscuro ricordo si mescolasse a quelle frasi.

    “Uccidili…”

    Aprì gli occhi di scatto, interrompendo l’attimo di tranquillità.
    A ripensarci ora, gli sembrò quasi che il vento, quella volta, avesse voluto avvisarlo di ciò che stava succedendo. E anche se erano trascorse molte decime da quando si erano lasciati il villaggio di Yoshiko alle spalle, il senso di colpa per ciò che era avvenuto sapeva riaffiorare beffardo, incupendogli l’espressione.
    Diede una rapida occhiata a Yuzo che restava seduto alla base della colonna con le ginocchia raccolte al petto e lo sguardo al cielo. Per quanto non lo desse mai a vedere, Mamoru era sicuro che lui pensasse ogni singolo momento della giornata agli eventi di Sendai e anche quando si era fermato per pregare al Crocevia sicuramente aveva pregato per loro.
    Si diresse verso il volante, alzando nuovamente il cappuccio.
    “E’ ora di muoversi, andiamo.” Lo appellò bruscamente, ma Yuzo gli sorrise lo stesso.
    “Sentito qualcosa di interessante?”
    “Schiamazzi cittadini.”
    Nell’uscire dal rombo sacro, la corrente del Sud lo investì in pieno, facendogli stringere gli occhi. Yuzo, alle sue spalle, come Teppei e Hajime, sembrava non soffrire per quelle temperature tutt’altro che miti, e indossava – da sopra la casacca lunga – solo una giacca di cuoio che gli arrivava alle caviglie.
    “Comunque, è possibile sentire i sussurri del vento anche fuori dai Crocevia” spiegò l’Elemento d’Aria mentre seguiva Mamoru fino al bordo della piana. “Però è molto più difficile.”
    “Sì, lo so.”
    “Come lo sai? Ne hai forse sentito qualcuno?”
    Mamoru riparò lo sguardo dietro al cappuccio. “Già.”
    “Davvero? È molto raro per chi non è un Elemento d’Aria. E che dicevano?”
    Lui rimase in silenzio.

    “Uccidili…”

    “E chi se lo ricorda!” borbottò seccato, passandogli un braccio attorno al collo. “Ora muoviamoci.”
    Il volante fece spallucce, prendendolo per la vita.
    “Peccato” disse solo, prima di sollevare entrambi in volo e planare oltre il declivio per raggiungere Hajime e Teppei.

    Come predetto da Mamoru, arrivarono in città che la sera era ormai abbondantemente calata e le vie di Rhanka erano illuminate dalle fiamme tremule dei lampioni a olio e da quelle provenienti da case e locande.
    Il gruppo si fermò davanti all’ingresso di una di queste e smontò dai cavalli.
    Mamoru fece cenno ad Hajime di entrare con lui per andare a chiedere se ci fossero ancora dei posti liberi, mentre Yuzo e Teppei rimanevano fuori con le cavalcature.
    Fuoco e Acqua varcarono la soglia e vennero accolti da un meraviglioso tepore e un invitante odorino di stufato.
    “Maki sia lodata!” mormorò il primo con un sospiro. “Caldo e cibo. Cosa chiedere di più alla vita?!”
    Il compagno sorrise fermandosi presso il bancone dove un omone nerboruto, dalla capigliatura un po’ incolta come la barba, rivolse loro un sorriso.
    “Benvenuti al Corno del Facocero, ragazzi, di cosa avete bisogno?”
    “Siamo in viaggio e vorremmo sostare in questa città per un paio di giorni” parlò il Tritone. “Avete quattro posti liberi?”
    L’uomo annuì, energico. “Vanno bene due doppie?”
    “Perfetto” accordò Hajime.
    “Avete cavalli?”
    “Sì, i nostri compagni stanno aspettando fuori.”
    “Bene, ci penso io.” L’uomo fece cenno a un garzone. “Porta gli animali dei signori nelle stalle e da’ loro da mangiare.”
    Il ragazzo annuì e lasciò in fretta la locanda mentre Mamoru firmava il registro.
    “Siamo ancora in tempo per cenare qualcosa?” domandò, intingendo la piuma nell’inchiostro.
    “Ma certo: stufato di selvaggina e una tazza di brodo caldo, che stasera il vento soffia più freddo del solito!”
    “Ottimo.”
    In quel momento arrivarono anche Yuzo e Teppei. L’oste li guardò, inarcando un sopracciglio.
    “Uhm, vedo che siete refrattari al freddo. Temerari” affermò, riferendosi al loro leggero abbigliamento e Mamoru sorrise.
    “Parlate per loro! Io preferisco di gran lunga il caldo del camino acceso.” Agguantò i due mazzi di chiavi e salì ai piani superiori assieme ai compagni, in modo da posare i pochi bagagli che avevano.
    Si divisero come solitamente facevano in quei casi: Hajime e Teppei in una camera, Yuzo e Mamoru nell’altra. Quest’ultime non erano nulla di speciale: due letti dalla struttura tozza e massiccia, un armadio piuttosto grande, un angolo per rinfrescarsi con delle brocche piene d’acqua e uno specchio appeso al muro. Essendo che non si sarebbero fermati a lungo, era più che sufficiente.
    Lasciarono le sacche in camera e tornarono nella sala principale per consumare finalmente un pasto caldo. Trovarono posto presso un tavolo sito accanto a una finestra e mentre Teppei ne sembrava entusiasta, poiché la prima cosa che fece fu sedersi nella parte più vicina al vetro per osservare il panorama, Mamoru storse il naso.
    “Evviva, la fiera degli spifferi. I miei reumatismi ringrazieranno, tra una trentina d’anni.”
    “Ma dai!” Lo ammonì Hajime, ridendo. “Non essere così melodrammatico!”
    “Non farci caso” sbuffò la Fiamma. “Divento particolarmente insofferente quando ho freddo.”
    “Il che vuol dire sempre?” scherzò Yuzo.
    “Tu fai silenzio, volante, che mi hai fatto congelare in balia di quel vento dannato!”
    “Che strano, eppure mi era sembrato che fossi rimasto colpito alla vista del Crocevia…”
    Mamoru ammutolì e girò la faccia, nel tipico comportamento che assumeva quando non sapeva che dire. Hajime e Yuzo ridacchiarono, mentre Teppei sembrava del tutto assorto da ciò che vedeva all’esterno.
    I venti impervi spazzavano le vie di Rhanka, facendo tremare le fiammelle dei lampioni. Gli ultimi passanti, che si muovevano diretti alle proprie case, locande o anche postriboli, erano avvolti in lunghi e pesanti cappotti. I visi nascosti dietro spesse sciarpe e buffi cappelli e tutto ciò che di loro era visibile erano solo le fessure strette degli occhi. Un contadino trascinava il mulo stanco e il carretto, spingendoli controvento, e ogni raffica gli strappava un’imprecazione.
    Due soldati della Guardia Cittadina facevano la ronda in groppa a pesanti stalloni dalla coda e dalla criniera lunghe e folte. I cavalieri indossavano le armature con la celata degli elmi abbassata per ripararsi dalle raffiche, mentre i mantelli ondeggiavano violentemente alle loro spalle, mettendo in mostra lo stemma reale ricamato su di essi.
    Un gruppetto di bambini, invece, rideva gioioso giocando con quel vento gelido dal quale tutti tendevano a ripararsi; gareggiavano con lui in duelli di forza. Altre risate lo raggiungevano quando il vento sembrava avere la meglio e faceva indietreggiare gli sfidanti.
    Queste immagini gli dipinsero un sincero sorriso sulle labbra, mentre quel luogo non faceva che ricordargli Tyran e il suo pessimo clima che lui adorava.
    Ma pensare alla Scuola Elementale non poteva non fargli ricordare l’Ordine dei Cavalieri dell’Onice e quel nome aveva la capacità di fargli passare tutto il buonumore.
    Nonostante avesse detto ad Hajime che avrebbe dato una seconda possibilità al sistema che governava Elementia, convincendo il futuro Re Tsubasa a sciogliere l’Ordine, non riusciva a mandare giù il fatto che il Master si fosse fatto coinvolgere in una cosa simile.
    Genzo Wakabayashi, il Marmo Nero, era la guida della scuola. L’esempio massimo cui tutti i giovani Elementi cercavano di tendere, lui compreso.
    Ma con la scoperta dell’Ordine, l’isola felice che era stata l’immagine di Tyran aveva perso gran parte della sua autentica bellezza. E questo pensiero lo caricava ogni volta di una pesante vena malinconica, però non poteva negare quello che aveva detto a Mamoru mentre erano fermi al Crocevia.
    Gli mancava la neve.
    Quello strato candido che ricopriva le forme della scuola e imbiancava vette e paesaggi. Si adagiava come un mantello sul Chakram Tyran, abbagliando la vista di giorno, ma brillando di una luce opalescente di notte.
    Molta strada c’era ancora da fare per ritrovare il Principe e riportarlo a casa e, chissà, probabilmente sarebbe tornato alla scuola proprio nel periodo delle nevi e sotto il manto bianco e puro sarebbe risorta la sua Tyran, quella vera, quella isola felice come ricordava che fosse prima che lo spettro dei Cavalieri dell’Onice si abbattesse su di lui, divorando le ferme convinzioni su cui aveva edificato tutta la sua vita di Elemento.
    “Teppei, sei dei nostri?”
    La voce di Hajime lo strappò ai suoi pensieri, facendolo voltare di scatto. I compagni lo osservavano con perplessità, mentre il Tritone continuava, poggiandogli una mano sulla spalla.
    “Va tutto bene? Sembri un po’ tra le nuvole…”
    “…come un volante”, scherzò Mamoru, “e non so quanto possa essere considerato un complimento!”
    Yuzo gli mollò una gomitata di disappunto.
    L’Elemento di Terra scosse il capo. “No, no… è tutto a posto, solo che…”, camuffò i suoi veri sentimenti dietro un’ostentata allegria, “…ho una fame terribile!”
    Proprio in quel momento, arrivò l’oste con dei piatti fumanti.
    “Eccomi a voi, ragazzi!” esclamò. “Scusate per l’attesa. La cena è servita.”
    Davanti a loro, pose ciotole ricolme di un invitante brodo e pane freschissimo.
    “E tra un attimo tornerò con lo stufato!”
    I giovani ringraziarono mentre Mamoru sembrava rinascere già alla prima cucchiaiata, esalando un felice sospiro di sollievo.
    “Finalmente qualcosa di caldo.”
    “Ma non starai esagerando, adesso?” Yuzo scosse il capo.
    “Esagerando?! Ma quale esagerando! Faranno meno trenta là fuori!”
    “Ma smettila!” replicò Hajime. “Al massimo saranno dieci sopra lo zero.”
    “Secondo me sono molti di meno.” Si impuntò la Fiamma con decisione, rivolgendosi poi a Yuzo. “E pensa che Teppei voleva la neve!”
    “Magari! La neve è bellissima!”
    Mamoru si portò una mano alla fronte. “Oddea, no! Eccone un altro!”
    “Mamoru, credo che tu sia l’unico al quale non piaccia la neve” sentenziò Hajime.
    “Allora sono l’unico sano di mente” concluse la Fiamma gustando, soddisfatto, una nuova cucchiaiata di brodo.

    La cena venne consumata nell’organizzazione della giornata seguente per cercare le informazioni presso il Doge di Rhanka. Ma nonostante tentasse di scrollarsi di dosso il pensiero della scuola, Teppei sembrava non riuscirvi in alcun modo. Forse perché quella città gliela ricordava troppo o forse perché era solo stanco.
    “Ragazzi, io sono a pezzi” disse infatti, alzandosi e interrompendo la conversazione dei suoi compagni. “Me ne vado a letto a recuperare le energie perdute con una sana dormita.”
    La sua uscita venne accolta con evidente perplessità. Di solito, Teppei era quello più disposto a far tardi anche perché, da buona roccia, aveva una resistenza alla fatica superiore agli altri.
    Mamoru inarcò un sopracciglio.
    “Oh. Buonanotte, Teppei.” Attese che fosse uscito dalla sala prima di rivolgersi ai compagni rimasti al tavolo. “Ma si può sapere che ha, oggi? È da quando siamo arrivati qui che è strano. Credevo gli facesse piacere trovarsi in una città simile a Tyran… e invece è così assente.”
    Yuzo annuì. “E’ vero, l’ho notato anche io. E’ probabile che senta la mancanza della scuola. Anche a me Alastra manca molto.”
    “Ma dai! Teppei non è sentimentale come te!”
    “Invece lo è più di quanto dia a vedere.” Hajime scosse il capo, intervenendo nel discorso.
    “Sul serio?”
    “Già, ma se lo conosco bene… credo di aver capito quale sia il problema.”
    Mamoru si fece più serio. “Qualcosa di grave?”
    “Per certi versi, sì…”
    “Piantala di girarci attorno, Hajime. Che succede?”
    Il Tritone sorseggiò lentamente il tè caldo che si era concesso. “E’ deluso. Per la scoperta dei Cavalieri dell’Onice, intendo.”
    “Oh…” Il volante assunse un’espressione mortificata e abbassò lo sguardo.
    “No, non si tratta di noi due, Yuzo” sorrise Hajime. “E’ per il coinvolgimento di Master Wakabayashi. Per Teppei è un riferimento molto importante. Scoprire all’improvviso che lui fa parte di un ordine segreto che sfrutta la Magia Nera e, soprattutto, che agisce all’oscuro della maggior parte degli Elementi… beh… lo ha disilluso. Si è sentito tradito dalla persona di cui si fidava di più.”
    Mamoru si rilassò contro la spalliera della panca. “Certo, il boccone è stato amaro da digerire anche per me. Master Hyuga è la guida della scuola del Fuoco e la persona più forte che io conosca. Per quanto mi rivolti lo stomaco sapere che lui è immischiato in questo Ordine, continuo ad avere fiducia nel suo operato. Tento di comprendere il suo punto di vista, per quanto sia difficile.”
    Hajime sospirò ancora. “Cerca di capire, Teppei è una persona che basa tutto sui suoi principi, sapere che proprio questi celano segreti e menzogne lo ha demotivato.”
    “Non dovrebbe prenderla così. Alla fine i Master sono agli ordini diretti del Consiglio, non è che avessero chissà quale possibilità di scelta, per quanto avrebbero potuto almeno tentare di opporsi, differentemente da te e Yuzo.”
    “Mamoru… Teppei voleva lasciare la Scuola di Tyran per questo.”
    Quella notizia fece spalancare gli occhi a entrambi i suoi interlocutori.
    “Che cosa?!” esclamò l’Elemento di Fuoco.
    “Dico sul serio. Ma gli ho detto che farebbe un grosso errore perché lui è un ottimo Elemento…”
    “Ovvio che lo è, Santa Dea!” sbraitò la Fiamma, battendo un pugno sul tavolo. I bicchieri poggiati sulla superficie tintinnarono per le vibrazioni del colpo. “Certo che mollare l’osso va di moda, ultimamente, eh?” aggiunse, lanciando un’occhiata a Yuzo, ma subito alzò una mano. “Scusa. Questa era proprio fuori luogo.”
    “E’ bello che tu te ne sia reso conto” replicò il volante con una punta di ironia.
    Mamoru gli rispose piccato. “Faccio progressi.”
    “Sei riuscito a fargli cambiare idea, vero?” chiese poi lo stesso giovane di Alastra, in direzione del Tritone.
    “Sì, più o meno. Ha detto di voler convincere il Principe Tsubasa a sciogliere l’Ordine. Se non ci dovesse riuscire, abbandonerà la scuola.”
    Mamoru rigirò il bicchiere ricolmo di un dolce liquore ambrato.
    “Ci riuscirà” disse con decisione e un mezzo sorriso. “Sono sicuro che convincerà il Principe.”
    Buttò giù il liquido in un sol sorso e il calore dell’alcool riscaldò piacevolmente il suo corpo. Assaporò l’aroma all’interno del palato, guardando controluce il bicchiere ormai vuoto.
    “E dopo la mia perla di saggezza… credo sia il caso che anche noi andiamo a dormire.”
    Hajime lo fermò prima che potesse alzarsi.
    “C’è un’ultima cosa di cui debbo parlarvi.”
    “Oddea, che c’è ancora?”
    Il Tritone rise dell’espressione rassegnata della Fiamma.
    “State tranquilli, niente di cui preoccuparsi.” Sporgendosi in avanti, incrociò le mani sul tavolo assumendo un tono cospiratore. “Domani è il compleanno di Teppei. E con tutto quello che è successo nell’ultimo periodo, credo se lo sia dimenticato.”
    Yuzo ne fu entusiasta. “Gli potremmo fare una sorpresa!” esclamò e, incredibile ma vero, Mamoru fu d’accordo.
    “Perché no?”
    “Hai già qualche idea, Hajime?”
    “Sì, ma dovremo tenere Teppei impegnato mentre noi organizziamo tutto.”
    “Niente di più semplice.” L’Elemento di Fuoco sapeva già che fare. “Lo manderemo dal Doge, e noi potremo agire indisturbati.”
    Con un movimento fluido si alzò, venendo imitato dai compagni. A passo lento abbandonarono la sala. Salutarono l’oste che finiva di sistemare il bancone, poiché il salone era ormai vuoto, e salirono al piano superiore.
    “Allora domani daremo il via alla missione ‘festa a sorpresa’” disse a bassa voce Hajime appena furono sul pianerottolo.
    “Vedrai che gli tireremo su il morale.”
    “Ne sono sicuro, Yuzo. Buonanotte.”
    “Buonanotte” risposero in coro Aria e Fuoco, scomparendo oltre la porta della loro camera.

    “Oh Dea, che freddo!” Mamoru non perse tempo e si diresse subito alla sua sacca per caverne un pigiama.
    Yuzo non replicò, ma si limitò a liberarsi lentamente della lunga casacca color sabbia. Aprì l’armadio, afferrando una gruccia e l’appese in maniera ordinata.
    Mamoru, invece, si cambiò d’abito gettando alla rinfusa i vestiti sulla sedia. In un attimo scomparve sotto le coperte.
    Sul davanzale della finestra, dalle spesse imposte chiuse e le tende tirate, era accesa una candela che diffondeva una luce soffusa. La Fiamma seguì attentamente i movimenti del compagno che sistemava gli abiti con un ordine che lui non sarebbe mai riuscito ad avere.
    “Sei troppo silenzioso, volante” disse d’un tratto, attirandosi lo sguardo perplesso di Yuzo che richiudeva gli ultimi bottoni del pigiama. “C’è qualcosa che non va?”
    Il modo in cui riusciva subito ad accorgersi dei cambiamenti di umore dell'uccellino gli lasciava sempre uno strano senso a cavallo tra fastidio e piacere di cui non sapeva liberarsi.
    L’Elemento d’Aria sospirò a fondo. Il letto accolse il suo peso con un leggero ‘puff’.
    “Sono dispiaciuto” confessò.
    “Dispiaciuto di cosa?” Domanda retorica. Conosceva già la risposta, ne era sicuro. La stessa sicurezza che si aveva del proprio nome e dei propri poteri.
    “Della delusione di Teppei.”
    Appunto.
    “Me ne sento responsabile…” continuò il volante, infilandosi sotto le pesanti coperte di lana grezza e pelli. “Se non fossi stato così stupido da lasciarmi catturare da Hans, magari la questione dell’Onice non-”
    “E continuare a vivere ignorando un tale segreto?” Lo interruppe bruscamente la Fiamma. “Tsk. Meglio la verità, per quanto amara, che una terribile menzogna.”
    “Lo so… hai ragione anche tu.” Yuzo si coprì il viso col braccio. “Se solo quest’Ordine non fosse mai esistito… tante cose non sarebbero successe… tante.”
    “Lo so che ti è difficile se non impossibile non pensarci. Ma dannarsi l’anima non serve a nulla.”
    Yuzo sorrise del tono più morbido che aveva usato. Gli rivolse lo sguardo. “So anche questo.” Però non era solo alle stragi dei villaggi ciò a cui stava pensando. C’era ancora una cosa, legata anche all’Onice, che gli altri non sapevano, nemmeno Hajime, e che non aveva ancora rivelato. Era una cosa di cui erano a conoscenza solo il Consiglio Anziani, i Master e gli Esecutori. Gli Evocatori e il Re ne erano all’oscuro.
    Mamoru rispose al suo sorriso con una specie di smorfia tranquilla. “Vedi di dormire, domani ci aspetta un’altra giornata piena.” Tirò le coperte fin sul naso e si rigirò. “Dea che freddo! Ho il terrore di morire congelato. Ogni tanto controlla che io sia vivo!”
    “Ma la smetti di lamentarti? Non è poi così fredda questa stanza e le coperte sono pesantissime.”
    “Io ho freddo lo stesso!”
    L’uccellino sospirò, scuotendo il capo con rassegnazione. “Se vuoi puoi dormire con me. Questi letti sono molto larghi e ci entriamo tranquillamente in due.”
    Mamoru balzò a sedere, spalancando gli occhi e con le guance in fiamme.
    “Che cosa?!” sbottò in un misto di incredulità e sgomento. “Come… come ti salta in mente?! Non ci penso nemmeno!”
    “Beh, io lo dicevo per te, visto che non hai fatto altro che lamentarti da quando siamo arrivati nella zona dell’altopiano. Non capisco perché te la prendi tanto.”
    Mamoru rimase ancora più interdetto non riuscendo a comprendere se lui stesse scherzando o se davvero fosse così ingenuo da non essersi reso conto di quello che gli aveva appena proposto. D’un tratto cominciò a ridere di gusto, lasciandosi cadere di schiena nelle coperte. Yuzo, invece, inarcò un sopracciglio, incrociando le braccia.
    “E ora cos’hai da ridere? Si può sapere che ho detto di male? Accidenti se sei antipatico! Io cerco di essere gentile con te e tu devi sempre prendermi in giro! Sai che ti dico? Arrangiati! Ma non aspettarti che venga a pungolarti per vedere se sei vivo o meno.”
    “Ma davvero non hai capito?” domandò Mamoru tra le risate.
    “No!”
    I due si guardarono in silenzio per alcuni secondi.
    “Io, nel letto con te.”
    “Eh. E allora?”
    Io e te.”
    L’espressione del volante rimase interrogativa, mentre la Fiamma cercava in tutti i modi di trattenere le risate.
    “Ma davvero non ci arrivi?!”
    “Ma dove dovrei arrivare?!”
    “Io. Te. Letto. Più chiaro di così!”
    Il volante ci pensò un attimo e poi arrossì fino alla punta delle orecchie.
    “Aspetta”, disse, “ho capito.”
    “Alleluia!”
    Yuzo sistemò le coperte tentando di dissimulare l’imbarazzo.
    “Io non l’ho detto con chissà quali propositi. Sei tu che hai pensato male!”
    Il giovane di Fyar aveva le lacrime agli occhi per le troppe risate. E chi se la ricordava l’ultima volta che aveva pianto così? Di certo non era stato per divertimento.
    “Tu mi farai morire, un giorno o l’altro!”
    “Sono… proprio ingenuo, vero?” Il sospiro del volante uscì mogio, ma la Fiamma nemmeno se ne accorse.
    “Oh, sì! Sei uno spasso!”
    “Già, un vero divertimento… Buonanotte.”
    Soffiando leggermente in direzione della candela, Yuzo generò una piccola folata di vento che spense la tremula fiammella, facendo calare il buio nella camera.
    Mamoru sghignazzò ancora un po’ prima di cominciare a girarsi e rigirarsi tra le lenzuola, cercando in qualche modo di scaldarsi. Purtroppo non ottenne dei buoni risultati. Era incredibile come quelle coperte fossero fredde come il ghiaccio, la sua unica consolazione fu che si sarebbero fermati poco in quella città e poi avrebbero finalmente abbandonato l’altopiano per raggiungere luoghi più miti.
    Tentò d’addormentarsi pensando a Fyar e cercando di scaldarsi al ricordo del sole cocente che picchiava sull’arida e vulcanica isola dell’arcipelago, senza riuscirci. Sbuffò, cambiando posizione.
    “Problemi a prendere sonno?”
    La voce di Yuzo gli arrivò ovattata e lui fece riemergere la testa da sotto le coltri.
    “Ho talmente tanto freddo che non riesco ad assopirmi.”
    Per quanto Mamoru non potesse vederlo bene a causa dell’oscurità, capì che stava sorridendo.
    “Non è divertente, sai?” lo rimbeccò. “Non è la mia massima aspirazione morire congelato!”
    “Guarda che la mia proposta è ancora valida, se può interessarti.”
    L’Elemento di Fuoco arrossì al solo pensiero. “No, no. Grazie. Tsk! Sia mai detto che io condivida il letto con un volante!”
    “Va bene. Se preferisci tramutarti in una statua di ghiaccio, fa’ pure.”
    - Lo sta facendo apposta, quel maledetto! - pensò la Fiamma, arricciando il naso. Ma era anche vero che stava per cominciare a battere i denti. E poi… perché doveva vergognarsi per una cosa simile? Era un suo compagno di missione, non c’era mica niente di male, no? E poi lui aveva convissuto per quasi la totalità dei suoi anni circondato da uomini, condividendo tutto con loro. Il letto… era solo un letto, dopotutto, ma la ‘vicinanza’ era un altro paio di maniche. Lui non si avvicinava mai troppo a nessuno, nemmeno ai suoi compagni di scuola.
    “Va bene, hai vinto, accidenti!” esclamò. Con un gesto deciso scansò le coperte, mentre Yuzo rideva e gli faceva spazio. All’ultimo momento, Mamoru gli puntò il dito in direzione dell’ombra del viso che riusciva a distinguere, agitandolo con fare minaccioso.
    “Vale la stessa regola per quello che è successo a Sundhara, quindi…”
    “Gli altri non dovranno saperlo.”
    “O altrimenti?”
    “Mi farai flambé.”
    “Perfetto.” Lesto si infilò nel letto, tirandosi nuovamente le coperte fino al naso.
    “Va un po’ meglio?” gli domandò Yuzo, osservando i suoi movimenti di assestamento.
    “Seee…” accordò con sufficienza. “Appena tiepido.”
    Il volante avvertì la consistenza del tessuto che stava indossando e sgranò gli occhi. “Ma… santo cielo, è di lana?! E hai anche il coraggio di dire che hai freddo?”
    “Sì! Sono un tipo freddoloso! Poi sapere che tu sei in maniche di camicia mi fa venire i brividi.”
    “Noi Elementi d’Aria siamo addestrati a resistere a un’escursione termica che va dai +50 °C ai -20 °C” spiegò. “Mentre gli Elementi di Terra resistono anche di più. I Tritoni di Agadir, differentemente dagli Elementi di Fuoco, soffrono il caldo.”
    Tsk! E come le sai tutte queste cose?”
    “Dai libri” rispose candidamente.
    Mamoru rise con ironia.
    “Secchione. Si vede che non avete proprio niente da fare ad Alastra. Non ci sono svaghi o passatempi con cui rilassarvi?”
    Yuzo ci pensò un po’. “Io mi occupo della voliera.”
    “La voliera?! E che razza di passatempo sarebbe quello di pulire le gabbie degli uccelli?!”
    “E’ molto rilassante, invece.”
    Lui fece spallucce. “Se lo dici tu.”
    Però dovette ammettere che non era così male averlo tanto vicino né gli dispiaceva ascoltarlo parlare del suo mondo, della sua realtà, anzi: si sentiva stranamente rilassato e a suo agio. Ma decise di non soffermarsi su quella strana sensazione di benessere che riusciva a mettere la sua sofferenza al freddo in secondo piano.
    “Toglimi una curiosità…”, cominciò quindi, per distrarre i suoi pensieri, “…ma davvero non hai mai messo il naso fuori da Alastra prima d’ora?”
    “Sì, esatto.”
    “E non torni mai a casa?”
    “Casa?” fece eco il volante. “Alastra è casa mia.”
    “Ma no! Intendo la tua città di origine. Dove sei nato?”
    “Non lo so.”
    Quelle parole gli fecero spalancare gli occhi nell’oscurità per volgerli al suo compagno. Ora che erano più vicini, riusciva a distinguerne ben più dei soli contorni.
    “Come sarebbe?!” esclamò, forse con troppa poca delicatezza, ma quel modo di fare fu in grado di far sorridere il volante. Quest’ultimo si girò per incrociare il suo sguardo.
    “Sono stato abbandonato davanti all’orfanotrofio di Mizukoshi(1) che non avevo nemmeno un anno” spiegò con calma. “Non so da dove vengo.”
    La Fiamma ammutolì per qualche istante, assimilando quella informazione di cui non era a conoscenza.
    “Quindi… il Console non è…”
    “Il mio padre naturale? No.” Gli sorrise. “Avevo quattro anni quando l’ho conosciuto. All’epoca era ancora Master e si era fermato a Mizukoshi con una delegazione elementale.” Dalle sue parole, Mamoru non percepì alcuna tristezza. E stavolta no, l’incantesimo dell’Autocontrollo non c’entrava nulla. “Io ero seduto presso il cancello dell’orfanotrofio quando lui comparve, e quando ripartì mi portò con sé, come suo figlio.”
    “E… non sei più tornato a Mizukoshi?”
    “Non è mai stata ‘la mia città’ né l’ho mai sentita tale. Mentre la scuola… beh… la scuola è molto più di una casa per me.” Rimasero a guardarsi in silenzio per alcuni istanti. Yuzo fu perplesso del suo tono sorpreso.
    “Ma come? Non lo sapevi?” scherzò, facendogli arricciare il naso. “Non è un segreto.”
    “Non sono un pettegolo!” Mamoru girò la faccia con stizza e il volante cercò di non ridere.
    “Hai ancora freddo?” gli domandò poi, temendo già la risposta, infatti Mamoru si strinse nelle coperte.
    “Non avresti una domanda di riserva?!”
    “Oddea, sei davvero incredibile!” esclamò, stavolta ridendo sonoramente. “Forza, alza la testa.”
    “Uh?”
    “Su, avanti. Alza la testa: a mali estremi, estremi rimedi.”
    Mamoru seguì le sue indicazioni senza protestare e Yuzo fece scivolare il braccio sotto al suo collo, mentre con l’altra mano lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio.
    La Fiamma non riuscì a dire niente; la bocca a distanza millimetrica dal collo del volante. La sorpresa gli troncò in gola ogni possibile parola; smise addirittura di respirare, quasi senza accorgersene. Altrettanto contrastanti furono le sue reazioni interne: la sensazione di gelo venne soppiantata da una vampata di fuoco che cavalcò violentemente le guance e si trasmise a tutto il corpo con un calore insopportabile. Ma ebbe la velocità di una scossa elettrica: lo attraversò come una scarica e poi si esaurì, provocandogli un intenso brivido. E tutto quello che riuscì a pensare in quella frazione infinitesima di tempo fu: - E’ caldo. -
    Solo in quel momento, e per un solo attimo, si rese conto d’aver avuto un pensiero simile, nell’unica altra occasione in cui si erano trovati così vicini.

    - Sono morbide…-

    Lo aveva pensato davvero? O era stato solo frutto della sua immaginazione e della sorpresa e della confusione e-…
    “Vedi di non pensar male” scherzò il volante prima che lui potesse anche solo tentare di ricoprirlo di improperi. Concentrando i poteri, sprigionò un tenue vento caldo che avvolse entrambi, gonfiando leggermente le coperte.
    Coccolato da quel tepore meraviglioso, tutto il resto scomparve dalla mente di Mamoru. La tensione improvvisa, i muscoli irrigiditi, la consapevolezza d’esser stato abbracciato per la seconda volta nella sua vita e dalla stessa persona. Tutto si sciolse lentamente e fu anche in grado di esalare il respiro che aveva trattenuto. Socchiuse gli occhi, godendo di quella indescrivibile sensazione di benessere.
    Woah…” Involontariamente sfiorò il collo dell'altro con le labbra. Non se ne accorse. “Cos’è?”
    Shurhùq(2)” sorrise Yuzo. “Un vento caldo del Sud. Ora va meglio?”
    “Sì…” con quel tono da estasi mistica che divertì il volante, ma per una volta all’Elemento di Fuoco non importò nulla di mantenere un atteggiamento di indisponente superiorità.
    “Ti dà fastidio l’orecchino? Vuoi che lo tolga?”
    Se non glielo avesse fatto notare, Mamoru nemmeno si sarebbe accorto della presenza del lungo pendente che il volante portava sempre con sé. Spostò leggermente la testa, facendo scivolare due dita a toccare il filo e la piuma in oro bianco.
    “Ma non lo togli mai?” domandò, incuriosito dall’affetto che Yuzo riversava in quell’oggetto.
    “Solitamente no, ma se preferisci-”
    “No, no. Non mi dà alcun fastidio.”
    “Sicuro?”
    “Sì.” Lo osservò attentamente, ricordando l’espressione di estrema gratitudine quando, alla partenza da Sendai, glielo aveva restituito riparato. “Ha qualche significato particolare? Hai detto che è un oggetto importante per te…”
    Perché avesse sentito quasi la necessità di informarsi non gli fu chiaro da subito, ma quella strana sensazione di ‘sollievo’ alla sua risposta gli accese strani campanelli di allarme.
    “Si chiamano Piume di Yayoi e sono dei portafortuna. Ricordi la statua della Dea al Crocevia?”
    Mamoru annuì lentamente.
    “Ebbene, la storia narra che un giorno la Dea regalò una delle piume delle sue ali al suo allievo prediletto, come gesto di affetto e gratitudine per la sua devozione. L’uomo bagnò l’oggetto nell’oro e lo trasformò in un orecchino che portò per sempre con sé. Nacque così il primo Master dell’Aria e la leggenda delle Piume di Yayoi, portafortuna che devono essere regalati alla persona che si considera la più importante.” Sorrise. “Io l’ho ricevuta in dono da mio padre, quando ho compiuto dodici anni, per questo ci tengo così tanto: sapere che sono la persona cui tiene di più per quanto io sia solo il suo figlio adottivo… mi incoraggia e fortifica.”
    Mamoru rigirò la piuma con delicatezza, osservandola in silenzio.
    - L’affetto di un padre… -
    “Già…” sussurrò in maniera quasi impercettibile. “…deve essere molto bello.” Adagiò il pendente sul cuscino in modo che non si intrecciasse con i suoi capelli.
    “Sì, ma parlo solo io? Tu di dove sei?”
    Ecco.
    Lo sapeva che sarebbe successo prima o poi, anche perché non avrebbe potuto tenerlo nascosto ancora a lungo, ormai.
    “Dhyla” disse in tono neutro e distaccato.
    “Davvero?!” Come aveva immaginato, il volante ne fu entusiasta. “Ma non è la nostra prossima meta dopo Rhanka?”
    “Sì.”
    “Ma è fantastico! Potremo conoscere-”
    “Mia madre è morta che avevo sei anni” lo disilluse Mamoru senza girarci intorno. “E con mio padre ci detestiamo.”
    “E’ lei, vero? La persona importante che avevi perduto...” sospirò l’uccellino nel ricordare il discorso che avevano affrontato a Sendai.
    La Fiamma annuì, nascondendo ancora di più il viso nel suo collo. Un gesto istintivo.
    “Non mi piace parlarne.”
    A quelle parole e al suo repentino cambiamento di umore, il volante capì come il dolore della perdita fosse ancora vivo in Mamoru, soprattutto se c’era dell’astio con il padre. Per quanto non sapesse cosa si celasse davvero nel passato del giovane, percepì uno strano alone di solitudine attorno a lui. Lo stesso con cui egli stesso aveva convissuto fino a che il Console non l’aveva portato ad Alastra.
    Avrebbe voluto davvero fare qualcosa per poterlo aiutare, anche solo per dargli un po’ di conforto, ma sapeva che con Mamoru le frasi di circostanza o anche solo ‘parlare’, dimostrare a voce la propria vicinanza, era inutile. Così accentuò l’abbraccio, mentre avvertiva il modo spasmodico con cui gli aveva afferrato un lembo della maglia. Forse era rabbia verso qualche ricordo affiorato alla memoria e che tentava di ricacciare indietro.
    “Hai ancora freddo?” domandò piano. Labbra contro la linea del naso.
    Mamoru allentò la presa, rilassandosi nuovamente e rallentando il respiro accelerato dall’ira. Il vento caldo smuoveva i suoi capelli e un leggero sorriso di gratitudine gli distese le labbra.
    “No. Ora non più.”

     


    [1]MIZUKOSHI: è stato un cambiamento dell'ultimo momento. La città, in principio, si chiamava Misham, solo che poi... ho scelto Mizukoshi per un motivo preciso: nel manga, quella è stata la scuola in cui Yuzo giocava prima di venir selezionato per la Nankatsu. Ha passato lì tutto il periodo delle elementari, cambiando, forse, proprio all'ultimo anno. Mi sembrava una buona idea usare questo nome, per avere un parallelismo anche con il manga e perché, alla fine, Mizukoshi è stata proprio una città di passaggio, come per Yuzo fu la scuola. Pensavo di apportare lo stesso cambiamento anche a Dhyla e chiamarla Shutetsu... ma alla fine ho deciso di lasciare Dhyla. Ormai, quella città, non potrebbe avere un nome differente. :D

    [2]SHURHUQ: è il nome originale dello Scirocco :P. Mi piaceva come suonava e poi, usando l’arabo, era più esotico! XDDDD


    Curiosità:

    Non lo nomino direttamente, ma in teoria l’oste del “Corno del Facocero” è Iuliano Gozza che compare nello speciale “Go for 2006” :3 E’ il proprietario del ristorante dove va sempre Kojiro, nonché capitano della Reggiana! :D Mi dava proprio la sensazione di ‘rustico’, per questo ce l’ho visto bene come oste di una locanda rustica come il “Corno” XDDDD (Rustichello Itagliano XD: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Awwww, le situazioni da letto!
    Io le amo in maniera particolare, non so bene perché. Mi piace descriverle, mi danno l’impressione di calore. E poi sono rrrrrrrrrromantiche! X3
    Nuova città, nuova missione. Anche se in questo caso penso si possa davvero tirare un sospiro di sollievo, non vi pare? :3
    E cominciano a scoprire determinati altarini.
    Primo altarino (già mezzo scoperto): la madre di Mamoru è morta (ci eravate già arrivati, lo so XD) e lui e suo padre non vanno d’accordo. (E angst sia! *w*)
    Secondo altarino: Yuzo è stato adottato. Penso che anche a questo potevate arrivare, in fondo, facendo cognome Shiroyama e non Morisaki, il dubbio sarebbe dovuto quantomeno venire. :3
    E finalmente sono stati aggiornati anche i “Fragments” perché almeno la questione di Yuzo è stata in parte scoperta :3 Dal Capitolo 11 in poi, non avrò più problemi di spoiler. \O/ YEPPA!
    Ma ora siamo a Rhanka, godiamoci un po’ di tranquillità e questa fantomatica festa a sorpresa! *-*

    Ringrazio di cuore tutti coloro che continuano a seguire questa storia :****



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora e i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 24
    *** 10 - Il compleanno di Teppei - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 10: Il compleanno di Teppei (parte II)

    Rhanka – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Non si era mai sentito così. Mai. In nessun momento della sua vita.
    Mai da bambino, quando il tocco di sua madre gli era sembrato troppo freddo e distante, né alla scuola, dove il Fuoco aveva rappresentato solo lo sfogo della rabbia e del cinismo.
    No, quel calore tiepido e avvolgente senza essere indiscreto, ma calmo e rassicurante, era convinto di non averlo mai provato prima. Così come non si era mai sentito tanto tranquillo, immerso in una sensazione di benessere che lo aveva accompagnato e cullato per tutta la notte.
    Quella era stata senza ombra di dubbio la migliore dormita che si fosse fatto negli ultimi anni. Talmente piacevole che le sue labbra erano incurvate in un sorriso.
    Nemmeno questo gli era mai capitato: svegliarsi sorridendo, eppure lo sentiva distendere i tratti del viso dall’espressione perennemente infastidita o imbronciata.
    Ad ogni modo, nonostante i sensi e la coscienza si fossero già svegliati da un po’, seguitava a restare con gli occhi chiusi perché sapeva che, qualora li avesse aperti, quella sensazione di pace e benessere avrebbe avuto un nome cui associarla e tutto sarebbe divenuto troppo. I tanti tasselli di emozioni, volutamente sparpagliati o lasciati da parte, si sarebbero ricomposti dando risposte e minando quell’antica promessa su cui aveva edificato il suo cammino elementale.
    Quanto aveva sacrificato di sé stesso per quel giuramento?
    E perché proprio lui e nessun altro lo stava lentamente portando a un passo dal frantumarlo?
    Era tutta una strana ironia e si rimproverò per aver permesso che gli si avvicinasse così… per essersi avvicinato a lui così, e non era solo una mera questione fisica, ma qualcosa di molto complesso. Un qualcosa che si fondeva alla tranquillità del suo respiro, che era tanto vicino da solleticargli le labbra, e alla ritmicità calma del battito del cuore, che sentiva sotto le dita, dove la mano si poggiava sul petto.
    Quando aveva abbassato la guardia, permettendo al muro che aveva eretto attorno a sé di creparsi? E come aveva fatto, lui, a insinuarsi in uno spiraglio così piccolo da essere invisibile?
    Ma forse, più di ogni altra cosa, più del come e del quando, Mamoru continuava a domandarsi il perché; quell’assurdo e inspiegabile ‘perché’ di cui non riusciva a venire a capo: perché proprio un volante? Non avevano niente in comune, assolutamente niente. Interessi differenti, caratteri opposti, punti di vista divergenti, eppure continuava a sentirsi in colpa verso di lui per i fatti occorsi a Sendai, continuava a preoccuparsi per lui ogni volta che aveva il sentore che fosse in pericolo, continuava ad avvertire la presenza di un invisibile laccio a tenerli legati. Sentiva, quasi a pelle, il mutare dei suoi stati d’animo anche quando cercava di nasconderli dietro uno degli incantesimi di Alastra; lo aveva notato anche quando, una volta da soli in camera, avevano parlato di Teppei.
    E tutto quello continuava a non avere senso anche nel momento in cui si decise a schiudere lentamente le palpebre.
    Come aveva immaginato, il viso della sua fonte di benessere comparve davanti la pece delle proprie iridi. L’ingenuità che lo aveva colpito fin dalla prima volta che lo aveva visto trapelava ugualmente dall’espressione di Yuzo, anche se era profondamente sopita. Gli occhi nocciola erano nascosti dietro le palpebre chiuse, il sorriso luminoso era al sicuro a ridosso delle labbra leggermente aperte.
    Avvertì il tepore del vento shurhùq spirare piano attorno a loro, ancora stretti nell’abbraccio in cui si erano addormentati. Sentì la sua mano mollemente appoggiata sul fianco e l’altro braccio sotto al collo, mentre le gambe, che dovevano aver intrecciato durante il sonno, lo tenevano bloccato in quella posizione.
    Mamoru seguitò a osservarlo, nella penombra che i tenui raggi del primo mattino avevano creato riuscendo a infiltrarsi tra le imposte, respirando adagio, quasi col terrore di svegliarlo e sentirsi di nuovo con addosso la sensazione di essere stato colto a far qualcosa che non avrebbe dovuto anche se, effettivamente, non si era mosso né aveva fatto alcunché.
    Ma nonostante l’intensità con cui lo stava fissando, quasi avesse potuto avere una rivelazione da un momento all’altro, non riusciva a capire.
    Cosa aveva quel volante di tanto speciale rispetto a tutti gli altri Elementi d’Aria, anzi, rispetto a qualsiasi altra persona che aveva incontrato sul suo cammino? Cos’era che lo rendeva diverso tanto da non riuscire più a separarsene?
    E lui perché si ostinava così disperatamente a cercare di capire, invece di lasciare che tutto finisse nel dimenticatoio delle cose inutili ai fini della missione e della sua stessa esistenza, come aveva fatto fino a quel momento ogni volta che qualche strana sensazione aveva intaccato la sua solita indifferenza?
    In fondo… lui odiava quel volante! Era un dannato accalappia guai, sapeva solo farlo uscire dai gangheri e… e…
    Mamoru fece scivolare lentamente la mano, che aveva lasciato appoggiata sul suo petto, verso l’addome, fino ad avvolgergli il fianco per sostare alla base della schiena. Piano lo attirò di più a sé quel tanto che bastava affinché le fronti si toccassero e i nasi si sfiorassero; il calore del suo respiro divenne l’ossigeno che inalò mentre richiudeva la pece all’interno delle fornaci, sospirando: “Perché proprio tu, Yuzo?” in un mormorio che rimase fiato senza suono.
    Si riscosse solo quando sentì l’altro muoversi contro di sé. Aprì gli occhi di uno spiraglio, osservandone gli assestamenti.
    Nel sonno, Yuzo ritrasse la mano che gli aveva lasciato sul fianco, rannicchiandosi contro di lui e a Mamoru sembrò alla ricerca di un rifugio, di un nido. Le gambe scivolarono contro le sue, carezzandole in movimenti che alla Fiamma parvero estremamente sensuali nella loro innocenza. Sorrise, quando l’altro sospirò soddisfatto e il fiato gli solleticò il collo nel punto in cui aveva nascosto il viso.
    Le posizioni si erano invertite con una naturalezza sconosciuta. La sera prima, era stato Yuzo ad abbracciarlo per ripararlo dal freddo, era stato sul suo collo che lui aveva respirato e nascosto il viso contrito dall’ira riemersa assieme ai vecchi ricordi dell’infanzia. Ma ora, le braccia che avvolgevano e proteggevano erano quelle di Mamoru, il viso nascosto era quello di Yuzo e la Fiamma di Fyar si assopì nuovamente, sentendolo respirare sulla propria pelle.

    Fu un vociare confuso e rumoroso che passò proprio davanti la porta della loro camera a svegliarlo di nuovo, e stavolta la luce all’interno della stanza era divenuta più intensa di prima.
    Santa Maki, ma che diavolo di ore erano?!
    Mamoru si mosse appena e notò che Yuzo stava ancora dormendo profondamente, mentre lo shurhùq era un sussurro tiepido sotto le coperte.
    In quel momento, Mamoru realizzò ben due cose: la prima era che Yuzo fosse ancora a letto, quando, solitamente, era il più mattiniero dei quattro; la seconda era più che altro una domanda: com’era possibile che l’incantesimo fosse ancora attivo?
    La Fiamma si tirò lentamente a sedere, sciogliendo l’abbraccio il più adagio concepibile per non svegliarlo. E per tutte le Dee che freddo che faceva fuori dalle coperte!
    Rabbrividì, stringendosi nelle braccia, terribilmente tentato di rifugiarsi di nuovo sotto le coltri, quando un borbottio assonnato lo raggiunse.
    “E’ già mattina?” In quel momento l’incantesimo cessò.
    Mamoru si volse, inquadrando il volante che si stropicciava un occhio.
    “T’ho svegliato?” domandò un po’ bruscamente, ma l’altro scosse il capo, regalandogli il primo sorriso della giornata.
    “Spero tu non abbia avuto freddo, stanotte.”
    “No” rispose laconico, osservando come gli sembrasse ancora stanco, nonostante avesse dormito più del solito. “Va tutto bene?”
    Yuzo si stiracchiò, sprofondando il viso nel cuscino. “Sì, ho solo bisogno di qualche altro momento.”
    Il sopracciglio della Fiamma si inarcò pericolosamente. “E’ perché hai usato l’incantesimo per tutta la notte, vero?” sbuffò con stizza, dissimulando un certo imbarazzo per la sua premura. “Sei il solito stupido volante. Non ce n’era bisogno.”
    L’altro non se la prese e continuò a sorridere. Lentamente cercò di mettersi a sedere, notando solo allora come avesse bloccato Mamoru con le gambe.
    “Oh, scusami” s’affrettò a lasciarlo libero, con espressione mortificata. “Non sono abituato a dormire con qualcuno, spero di non averti dato fastidio.”
    “Ho dormito come un sasso, quindi, no, non mi hai dato noia.” Finse una certa indifferenza, tutto affinché la loro vicinanza non aumentasse anche di un solo millimetro. Però nel vedere ancora il suo sguardo leggermente velato, non riuscì a non chiedere, in quello stramaledetto atteggiamento da chioccia di cui non riusciva a liberarsi: “Sicuro di stare bene?”
    “Sì, sì.” Il volante agitò una mano prima di crollare sulla spalla di Mamoru perché la stanza aveva preso a girare come una trottola. “…più o meno.”
    La Fiamma sospirò.
    “Sei un disastro.”
    “Me l’hai già detto.”
    “E allora perché perseveri?!”
    La sua risata aveva un suono piacevole e Mamoru volse appena la coda dell’occhio.
    “Perché se questi disastri servono per aiutare un compagno, allora li faccio volentieri.”
    Diceva sul serio, Mamoru lo sapeva. Forse, la risposta al suo incomprensibilissimo ‘perché?’ era molto più semplice di quello che pensava.
    “Tsk, volanti” borbottò. “E’ una delle vostre abilità?”
    “Quale? Perseverare nel disastro?”
    “No, stupido! Mi riferisco al saper lanciare incantesimi anche dormendo.”
    Yuzo si sistemò meglio contro la sua spalla come fosse stato un cuscino, con disappunto della Fiamma. “Controllo dell’Inconscio. Posso fare in modo che lui mantenga vivo un incantesimo anche se non sono cosciente, ma è un comando che si impartisce da svegli.”
    “Come con l’onice” rispose Mamoru senza pensarci e subito se ne pentì, sapendo quanto il volante fosse sensibile a quell’argomento.
    “Te l’ha spiegato Hajime?”
    “Sì, qualcosa.”
    Yuzo sospirò. “Più o meno è così. L’incantesimo degli Evocatori agisce sull’inconscio degli Esecutori, anche se sono svegli. L’inconscio prende il sopravvento e ‘addormenta’ la coscienza agendo in totale autonomia sul corpo e, attraverso esso… distrugge.”
    “Scusa, non avrei dovuto dirlo.”
    “Va bene così, noi non ne abbiamo mai parlato ed è giusto che tu mi ponga delle domande, se ne hai.”
    “Non volevo che ci pensassi di prima mattina.”
    Yuzo rise divertito. “Così però sembra che ti preoccupi per me.”
    Mamoru arrossì.
    “Per niente! Ma come ti salta in testa?! Pensa a dormire ancora un po’ ché non ti reggi in piedi.”
    “No, ma io sto-”
    La Fiamma lo costrinse a stendersi. “Niente ‘ma’ è un mio ordine e noi due abbiamo un patto. Vedi di obbedire almeno a questo, volante. E poi, così mi fornisci anche una scusa credibile per mandare Teppei dal Doge.”
    Mamoru gli lanciò praticamente la coperta sulla testa poi si mosse rapidamente per la stanza, cambiandosi in pochi minuti per non congelarsi e imponendo a sé stesso di farsi un bel bagno bollente prima di agire con il piano ‘Festa a sorpresa’.
    Yuzo fece capolino da sotto le coltri.
    “E’ vero! Oggi è il compleanno di Teppei, devo-”
    “Dormire. Quando ti sarai ripreso farai tutto quello che vorrai, ma ora farai quello che ti dirò io. È chiaro?”
    Il volante sospirò rassegnato, troppo stanco per controbattere, e si lasciò sprofondare nel morbido cuscino. “Va bene, va bene. Sei tu il capo.”
    “Ecco, se non te lo ricordassi solo quando ti fa comodo, magari.” Ma Yuzo si era già addormentato e a lui non rimase che borbottare quello stizzito: “E ti pareva” mentre chiudeva la porta alle sue spalle.

    “Che strano, non sono ancora in piedi.” Teppei addentò un biscotto sfornato da poco, mentre restava con Hajime seduto a un tavolo della sala da pranzo.
    L’ambiente era un via vai brulicante di gente, molto più rumoroso di quando erano arrivati la sera prima. L’oste e i suoi garzoni correvano lesti tra i tavoli quasi tutti occupati, servendo i clienti, e l’intera sala era satura di odori invitanti come pane, biscotti e minestre calde, perché il nuovo giorno, lì a Rhanka, sembrava preannunciarsi ugualmente freddo e insidioso.
    Dalla sua posizione, sempre accanto al vetro, Teppei diede un’occhiata al cielo grigio che sembrava minacciare pioggia a ogni attimo.
    “E se fossero già usciti?” propose a un tratto, voltandosi verso Hajime che però scosse il capo.
    “Ne dubito, non si sarebbero mossi senza prima avvertirci.” E, quasi a leggerlo nel pensiero, Mamoru fece capolino sulla soglia della sala, cercando di individuarli. “Appunto, che ti avevo detto?” Il Tritone agitò una mano, attirandosi l’attenzione della Fiamma.
    “Sì, ma Yuzo dov’è?” s’interrogò Teppei mentre l’Elemento di Fuoco prendeva posto sulla panca assieme a loro.
    “Buongiorno” esordì l’ultimo arrivato, richiamando anche l’oste con un cenno.
    Il tyrano ridacchiò. “Sonno profondo quest’oggi?”
    “Già. Questo freddo fa poltrire più del necessario” accordò Mamoru, mentre il nerboruto proprietario della locanda si avvicinava a lui, pronto per prendere la nuova ordinazione. “Del tè bollente.”
    “E Yuzo è già uscito?” stavolta fu Hajime a parlare, ma l’interpellato scosse il capo, esibendo un ghignetto ironico.
    “Il volante è fuori combattimento. Sta ancora riposando, ne avrà per qualche oretta.”
    Acqua e Terra lo guardarono con tanto d’occhi e un filo di preoccupazione, visto che erano reduci da degli eventi non proprio felici.
    “Che è successo? Sta bene?” Si informò subito il Tritone, ma vedendo che l’altro continuava a ridacchiare, capì che non c’era nulla da temere.
    “Sta benissimo, ha solo bisogno di dormire.”
    Teppei non parve convinto. “Ma… e come mai?”
    “Lunga storia” tagliò corto cambiando argomento prima di doversi mettere a dare spiegazioni che, invece, avrebbe preferito tenere per sé. “Quindi, visto che il volante per ora non si schioderà dal suo letto, sarai tu ad andare dal Doge, Teppei.”
    “I-io?! Ma… ma io non sono un diplomatico! Non dovresti andarci tu, visto che sei il capo-missione?”
    “Vuoi che ti ricordi cosa è successo l’unica volta che ho tentato di parlare con un Doge?” E non era andata affatto bene: era stato così indisponente che per poco non era stato cacciato dal palazzo. Per fortuna che Yuzo era riuscito a calmare le acque. Da allora, Mamoru aveva deciso che se era il volante il diplomatico, un motivo ci doveva pur essere e così non aveva più aperto bocca oltre il necessario in presenza dei Doge.
    Teppei non demorse.
    “E… e allora perché non Hajime?”
    Mamoru sospirò, sentendosi fiero della sua perfidia perché aveva pensato anche a quello. “Rhanka è una città devota a Yukari, con un Elemento di Terra saranno molto più disponibili.”
    Solo allora il tyrano parve convincersi, anche se non completamente. “Non credo di essere molto adatto a questo genere di cose.”
    “Ma guarda che non devi fare nulla di eccezionale.” Hajime cercò di rassicurarlo. “Ti presenti al suo cospetto, gli mostri il permesso reale per convincerlo che è davvero il Re a mandarti e gli fai le solite domande di rito” concluse, poggiandogli la mano sulla spalla e rivolgendogli un sorriso. “Sono sicuro che farai tutto alla perfezione.”
    “Io e Hajime ci occuperemo di indagare in città. Il volante si unirà a noi quando avrà finito il sonnellino.”
    Teppei sospirò, consapevole che non avrebbe potuto fare altrimenti, così si alzò deciso ad avviarsi subito verso l’abitazione del Doge. La Fiamma gli passò il permesso firmato da Re Koudai che recava lo stemma degli Ozora impresso nella ceralacca.
    “Allora… io vado” disse un’ultima volta il tyrano, scrutando i visi sorridenti del Tritone e della Fiamma, prima di lasciarseli definitivamente alle spalle.
    Quando Teppei fu fuori dal loro raggio visivo, Hajime esclamò. “Ottima trovata quella di Yuzo.”
    “Oh, ma il volante è davvero fuori uso” rimarcò invece Mamoru, che venne finalmente servito dall’oste. Inalò profondamente il caldo aroma del tè, sorridendo soddisfatto, e pescò un biscotto, addentandolo con gusto.
    “Che cosa?!” sbottò l’altro, stavolta incredulo per davvero. “Ma che ha? Sei sicuro che stia bene?”
    “Ti ho già detto che sta benissimo e che ha solo bisogno di riposarsi ancora un po’. Per pranzo sarà come nuovo.” Mamoru sospirò con condiscendenza senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, in parte perché era preso dalla propria colazione e in parte perché sapeva che Hajime era un maledetto ficcanaso che sicuramente non si sarebbe accontentato di qualche risposta vaga come Teppei.
    Infatti, il Tritone incalzò. “Ma… vuoi spiegarmi che è successo?”
    “Ti ho già detto che è una lunga storia.”
    “Ho tempo prima di muovermi.”
    “Chi ha tempo, non aspetti tempo” concluse con un ironico sorriso per fargli capire che non si sarebbe sbottonato nemmeno sotto tortura, poi tornò a sbocconcellare biscotti, mentre, al riparo dal suo sguardo puntato sulla superficie ambrata e fumante del tè, Hajime affilava il proprio, con fare indagatore. Distese le labbra in un sorriso perfido e si rilassò contro lo schienale della panca.
    “E quindi…” Il tono insinuante si attirò subito l’attenzione di Mamoru. “…non mi è dato sapere in quali interessanti attività notturne tu abbia tenuto impegnato il nostro Elemento d’Aria…”
    La Fiamma lo fulminò con un’occhiata di puro fuoco, sibilando minacciosamente il suo nome. “Hajime…”
    “Dovevano essere di sicuro stancanti se ha bisogno di tutto questo riposo.”
    “Hajime.”
    “E poi, visto che non vuoi parlarmene, doveva essere qualcosa di estremamente imbarazzante, come quella volta a Sundh-”
    “Ha. Ji. Me.” Il biscotto che Mamoru stringeva tra le dita iniziò a bruciare.
    “Dai, dai! Stavo scherzando, non ti scaldare!”
    “Mettiti al lavoro, invece di perder tempo” ringhiò ancora la Fiamma e l’altro non se lo fece ripetere, lasciando subito la sala senza smettere di sghignazzare.
    Rimasto solo, Mamoru sbuffò. Col mento appoggiato nella mano, osservò con occhio critico il biscotto ormai carbonizzato.
    “Che spreco” borbottò.

    Mentre camminava per le vie che l’avrebbero condotto al palazzo dogale, Teppei si concesse un attimo di sincerità a sé stesso ammettendo di aver mentito sia ad Hajime che a Mamoru.
    Non era perché non si sentisse in grado di svolgere egregiamente un colloquio col Doge il vero problema; era proprio Rhanka. Quella città gli ricordava troppo Tyran perché si sentisse pienamente a suo agio.
    In condizioni diverse, quando ancora ignorava il marcio su cui si reggeva l’ultima difesa elementale, magari sarebbe stato felicissimo di trovarsi lì, ma in quel momento e con la verità nel cuore non vedeva l’ora di lasciarsela alle spalle. Aveva come l’impressione di dover affrontare Tyran stessa e il confronto col ritorno alla vita di sempre e lui… non si sentiva ancora pronto per farlo.
    Con un sospiro affranto abbassò lo sguardo all’acciottolato sotto i piedi. Per un momento, come già era avvenuto quella notte, pensò all’eventualità in cui il Principe non avesse approvato la sua futura richiesta di scioglimento dell’Ordine.
    Ad Hajime aveva sempre mostrato una sconfinata fiducia e sicurezza nella riuscita della sua personale missione nella missione, ma al riparo dal suo sguardo, col buio delle tenebre a nascondere i pensieri, aveva vagliato anche l’opposta possibilità e le conseguenze che ne sarebbero seguite.
    Sicuro, come il sole nel cielo e come aveva detto anche al Tritone, avrebbe lasciato Tyran e smesso di essere un Elemento. Non sarebbe mai riuscito a fingere con i compagni e i Magister che erano all’oscuro di tutto, ma, allo stesso modo: sarebbe riuscito a fingere con i suoi genitori? Perché lui lo aveva capito quasi subito: che fosse rimasto o fosse andato via, il segreto dell’Onice avrebbe dovuto continuare a restare tale per tutti. E con che faccia avrebbe potuto guardare suo padre negli occhi senza dirgli la verità? Il vero motivo dietro il suo abbandono? Gli avrebbe provocato un dispiacere immenso, senza contare che, non potendogli dire nulla, avrebbe potuto pensare che avesse mollato per codardia e lì, al dolore, si sarebbe sommata anche l’onta del disonore. E sua madre? Che avrebbe pensato di lui?
    E zio Shiro e zia Arin?
    Magister Sho diceva sempre che fasciarsi la testa prima di essersela rotta l’avrebbe fatta solo rompere prima, ma lui non riusciva a togliersi l’immagine della scuola, dei compagni e degli insegnanti che l’avrebbero visto come un codardo e un traditore. Si sentiva quasi schiacciare e soffocare da quegli sguardi che, almeno per ora, restavano solo nella sua testa.
    E stare lì, a Rhanka, non faceva che confonderlo ancora di più, in quella sensazione contrastante di nostalgia e disagio. Piacevole la prima, spiacevole la seconda. Gli mancava Tyran, ma era felice di esserne lontano chilometri.
    Teppei camminava affrontando il vento a viso aperto e senza indietreggiare; non era forte quanto lui e per spezzare una roccia ci voleva un lavorio continuo e lungo. Però la corrodeva, ne mangiava un pezzo alla volta, piano piano. Faceva meno male di un colpo secco, però prolungava l’agonia verso l’infinito.
    D’intorno, la gente viveva il nuovo giorno avvolta in scialli e mantelli; capelli nascosti sotto cappelli pesanti per non soffrire troppo il freddo.
    Si inoltrò per una stradina che permetteva di aggirare il centro pur conducendo comunque alla residenza dogale.
    Lì trovò una vecchietta.
    “Giovanotto!”
    Teppei si fermò. Un po’ titubante si guardò intorno, ma c’era solo lui.
    “Sì, sì, sto parlando con te. Vedi altri giovanotti in giro?”
    La nonnina era piccola e infagottata, ricurva su un bastone nodoso intagliato direttamente in un grosso ramo. Era interamente vestita con colori scuri, nero e marrone; si riusciva a scorgere solo il viso grinzoso e l’attaccatura di capelli bianchi.
    “Posso aiutarvi?”
    “Ti prenderai un malanno se non ti copri per bene, lo sai, giovanotto?” disse agitando l’indice con sapienza. Teppei sorrise, grattandosi i ricci.
    “Oh, non preoccupatevi, sono uno resistente.”
    “Lo diceva anche mio nipote e ora è a letto con la febbre!”
    “Ma io sono un Elemento di Terra, nonnina, non abbiate paura! Sono una roccia!” subito però si rese conto d’aver parlato troppo. Se Mamoru avesse saputo che si era lasciato sfuggire d’essere un Elemento, si sarebbe arrabbiato di sicuro, fissato com’era con la discrezione.
    “Un Elemento? Oh, allora è proprio la Divina Yukari che ti manda, giovanotto!” sorrise la donna, mostrando qualche dente mancante. Le rughe profonde si arricciarono tutte, rendendola buffa. Poi, lo prese sottobraccio, guardandolo da sotto in su. “A causa del forte vento, il mio gattino è rimasto intrappolato sotto un muro di pietra che è crollato nella notte. Saresti così gentile da aiutarmi a riprenderlo?”
    “Ma certo, dov’è?”
    La vecchina lo guidò dietro un’abitazione oramai abbandonata. Il muro che delimitava il perimetro era venuto giù e da sotto il cumulo di resti si sentiva un tenue miagolio.
    “Povero, povero micetto. Sarà tutto infreddolito. La notte fa freddo qui, lo sai?”
    “Adesso ci penso io, lasciate fare a me!”
    Teppei afferrò i pezzi di roccia con una strabiliante facilità, nemmeno fossero fatti di cartone. Li gettò da un lato e dall’altro in modo che non potessero più creare pericolo. Tra la polvere, emerse una testolina pelosa.
    “Eccoti qui!” Il tyrano lo prese per la collottola e lo porse alla vecchina che batté le mani, felice.
    Il gattino scrollò il pelo, acciambellandosi tra le braccia della donna. A casa lo avrebbe aspettato un bel piattino di latte caldo.
    “Oh, grazie, mio caro. Grazie mille. Se non ci foste voi Elementi, come faremmo noi povere vecchiette piene di acciacchi? Non abbiamo mica la forza di un tempo.” Piano, dalla borsa che portava appesa al braccio, estrasse una lunga sciarpa di lana; gli fece cenno di abbassarsi e gliela mise attorno al collo. “Così non ti prenderai il raffreddore, giovanotto.”
    Teppei guardò quel regalo inaspettato e sorrise, profondendosi in un inchino. “Grazie mille, nonnina.”
    “E fai attenzione, mi raccomando” salutò la donna, allontanandosi un passettino alla volta sorreggendosi al bastone.
    Il tyrano si sentì soddisfatto di sé stesso: quella poteva dirsi una classica missione da Minister, anche se era ancora solo uno studente. Però doveva ammettere che era stato divertente, aveva salvato una vita e aveva reso felice una simpatica vecchietta. Con un gesto convinto, annodò meglio la sciarpa e riprese il percorso verso il palazzo del Doge.
    Il viottolo correva lungo la zona più rurale della città e costeggiava il torrente che, tagliando Rhanka, si dirigeva verso quote più basse.
    Teppei ne guardò il rapido scorrere. Quelle acque dovevano essere gelate, ad Hajime sarebbero di sicuro piaciute.
    Più avanti, presso il ponte che collegava le due sponde e portava nelle campagne aperte fuori dal centro urbano, il giovane scorse un gruppo di uomini impegnati a lavorare alacremente, mentre altri, con carretti al seguito, discutevano col capomastro e due soldati della Guardia Cittadina.
    “Ma io devo passare! Ho le vacche da mungere! Chi lo farà se non ci penso io? L’altro ponte è troppo lontano e stretto, col carro farei fatica e non riusciremmo nemmeno a passarci in due! Tulée ha addirittura le capre…”
    “Mi dispiace, ma il transito è vietato, qui. Il ponte è troppo pericoloso, al momento. Stiamo cercando di fare il possibile per stabilizzarlo, ma attraversarlo con dei carri o, peggio ancora, con del bestiame, sarebbe rischioso. Non posso permettervi di farlo.” Il soldato più alto in grado aveva parlato con tono deciso ma i pastori presero a rispondere tutti insieme.
    Teppei si avvicinò, incuriosito dagli schiamazzi. Si fermò accanto un anziano appoggiato a un lungo bastone grezzo che usava per guidare le sue greggi. Un grosso cane dal pelo bianco gli restava accucciato ai piedi.
    “C’è qualche problema?” domandò l’Elemento e il pastore sospirò.
    “Ci sono sempre problemi, ragazzo. Da che è iniziata la guerra, molti dei nostri giovani sono partiti per raggiungere la Capitale, per arruolarsi tra le fila della Guardia Cittadina, e noi siamo rimasti a corto di manovalanza.” Accennò col capo in direzione del gruppetto di capre che pascolava libero all’altra sponda del corso d’acqua. “Io devo andare a recuperare le mie bestie, ma col ponte pericolante non ci fanno passare. Questa non ci voleva proprio, senza contare che il Minister di Terra è stato chiamato d’urgenza da un villaggio vicino, a causa di una frana…”
    Teppei allungò il collo per vedere i muratori alle prese con i lavori, ma l’acqua era gelida e rendeva tutto più lento e difficile. Indeciso, diede una rapida occhiata al castello dogale le cui torri svettavano in lontananza e poi di nuovo al ponte. Il suo spirito buonista prevalse. Se Mamoru l’avesse saputo, gli avrebbe di sicuro detto che il volante l’aveva contagiato, così decise che l’avrebbe tenuto per sé.
    Raggiunse il cuore della protesta e si attirò l’attenzione dei contendenti.
    “Perdonate l’intromissione, ma forse potrei esservi d’aiuto: sono un Elemento di Terra.”
    Il vociare confuso si interruppe e gli sguardi di tutti si puntarono su di lui.
    Il pastore che aveva fretta di andare a mungere il bestiame sgranò gli occhi, speranzoso. “Davvero ci potresti aiutare, figliolo?”
    “Non gioite troppo presto, vi prego.” Si intromise il soldato, rivolgendogli poi lo sguardo. A guardarlo da vicino, Teppei si accorse che era più giovane di quello che sembrava. Era proprio vero: i soldati più esperti erano stati richiamati a Raskal, punto di incontro anche dei volontari. Ormai, l’Armata Reale doveva già essersi mossa per raggiungere il fronte Nord.
    “Vieni da Tyran, hai detto? Che livello sei?”
    “Sesto, signore.”
    Il soldato sospirò. “Sei sicuro di poter fare qualcosa?”
    “Certo. Posso stabilizzarlo, almeno in maniera provvisoria, in modo che le persone possano transitare e, contemporaneamente, i lavoratori continuare a sistemarlo.”
    “Può reggere per almeno due-tre giorni?” Il mantello della guardia svolazzò a una folata più forte. “Il Minister di Terra sarà di ritorno per quella data.”
    “Anche di più!” annuì Teppei, sorridendo al soldato. Quest’ultimo sembrò rilassarsi e gli fece cenno di avvicinarsi al ponte, per poter operare meglio.
    Il tyrano scrocchiò le dita. Era una specie di rituale che compiva ogni volta che doveva entrare in azione. Entrò nel torrente, ma gli stivali lo protessero dal freddo; per fortuna il livello delle acque arrivava solo fino al polpaccio. Afferrò una delle lunghissime travi in metallo con cui avrebbero dovuto rinforzare la struttura del ponte e la sollevò con la sola forza fisica.
    I manovali lo guardarono con tanto d’occhi: e pensare che per riuscire a portarla fin lì, c’erano voluti quattro di loro e molta fatica.
    Teppei la sistemò sotto l’arco, incastrandola alla perfezione. Ripeté l’operazione anche con le altre, aiutandosi con la telecinesi, quando necessario, per stabilizzare alcune delle rocce della volta.
    Di sicuro, ora il capomastro e i suoi uomini avrebbero potuto lavorare più agilmente, visto che aveva fatto metà dell’opera. Poi, al suo ritorno, il Minister avrebbe dato gli ultimi ritocchi.
    I pastori potevano di nuovo tornare a transitare.
    “Ecco fatto.” Teppei si ripulì le mani, raggiungendo la riva. “Adesso non dovreste avere problemi.”
    Un coro di assensi si levò entusiasta da parte di tutti, lavoratori e pastori.
    “Yukari ti benedica, figliolo! Grazie dell’aiuto!”
    “Meno male che ci siete voi, Elementi, ad accorrere in caso di bisogno.”
    “Saranno decisivi anche nella guerra, ne sono sicuro!”
    “Con loro ad aiutare il Re e l’Armata, gli scontri finiranno in un batter d’occhio!”
    “Ahahaha! Gamo e i suoi scapperanno a gambe levate!”
    Teppei si grattò la nuca, imbarazzato. Gli uomini lì attorno parlavano con una sicurezza che nemmeno loro, proprio gli Elementi che avrebbero dovuto salvare il pianeta, avevano fino in fondo. Erano fiduciosi, una fiducia che lui, invece, sembrava aver perduto.
    “Adesso non esagerate.” Li ammonì il soldato, bonariamente. “E occupatevi del vostro bestiame. La guerra non è mica una cosa così semplice da risolvere.”
    I pastori borbottarono, dandogli del menagramo e del pessimista. Poi risero e si misero finalmente in marcia per riprendere la loro quotidianità. Quando si furono allontanati, il miliziano rivolse un sorriso a Teppei.
    “Grazie per averci aiutato, ci sei stato davvero utile.”
    “Il piacere è stato mio.”
    “Non sei di queste parti, vero? Rhanka non è molto grande e non mi sembra ci siano altri Elementi oltre al nostro Minister.”
    Il tyrano annuì. “Vengo dalla Capitale, devo parlare col Doge.”
    “Se vuoi ti possiamo dare noi un passaggio a cavallo, così farai prima.”
    “Ma non vorrei farvi perdere tempo…”
    Il giovane uomo rise, dandogli una leggera pacca sulla spalla. “Figurati. Si tratterà solo di pochi minuti, non preoccuparti.” Fece cenno al suo compagno d’armi e tutti e tre si mossero per raggiungere le cavalcature. Teppei montò alle spalle del soldato.
    Dalla via laterale, tornarono a dirigersi verso il centro: a cavallo ci avrebbero messo di meno e il via vai di gente non sarebbe stato un problema.
    “Spero che tu sia dotato di pazienza” affermò il soldato, d’un tratto. “Il Doge ha sempre molte persone con cui conferire. Rhanka sarà anche piccola, ma i problemi fioccano di continuo.”
    L’idea di dover aspettare non allettò molto il tyrano che continuava a non sentirsi a suo agio nel dover affrontare un Doge.
    “Non importa, aspetterò.”
    “Spero non sia nulla di grave, se ti mandano addirittura da Raskal; ma con la guerra alle porte, mi viene da pensare tutto e il suo contrario.”
    “Non vorrei sembrare scortese, ma purtroppo sono informazioni riservate…”
    Il soldato scosse il capo. “Scusami tu, sono stato indiscreto. Capisco bene quale sia la tua posizione.”
    Mentre i cavalli si muovevano a passo svelto lungo la strada, Teppei si guardò attorno.
    “E’ per la guerra che ci sono così pochi miliziani, in giro?” Ne aveva già avuto il sentore quando aveva visto il suo compagno di sella giù al torrente, ma girando per il centro ne aveva avuto la conferma: non ne aveva contati nemmeno una decina.
    “Ahimé, sì, purtroppo. Ogni dogato ha dovuto sacrificare le proprie difese di circa il trenta/quaranta per cento degli uomini; sono stati tutti inviati al fronte, scortati da alti funzionari facenti le veci dei Doge.” Il giovane girò interamente il volto per riuscire a scorgere il viso dell’Elemento. “Visto che vieni dalla Capitale, per caso hai qualche notizia? Sai se l’Armata Reale si è già mossa?”
    “Mi dispiace, ma sono partito molto prima che le forze di difesa si mettessero in marcia. Da un mese era cominciata l’adunata.”
    Il soldato, che doveva avere al massimo cinque anni in più di lui, sospirò con una certa afflizione, tornando a guardare in avanti.
    “Sì, capisco. Perdona la mia curiosità, il fatto è che mio fratello minore è nel gruppo partito da Rhanka.”
    Teppei aggrottò le sopracciglia. Nella mente realizzò come la guerra fosse anche e soprattutto quello: separazione. Dalla famiglia, dalla propria città e dagli amici. Si lasciava tutto alle spalle per andare ad affrontare un destino di cui non si conosceva l’esito.
    Anche il cammino elementale iniziava con una separazione, però non era per sempre e il destino era chiaro. La separazione diveniva unione, gli amici lasciati non erano perduti, ma si sommavano agli altri che si sarebbero incontrati sul proprio cammino. Amici con cui imparare a difendersi e a combattere… ma per cosa, se gli ideali su cui tutto era costruito non erano che di cartapesta? Per cosa valeva la pena tirare dritto e continuare a lottare affinché i pilastri che reggevano Elementia potessero tornare nuovamente di roccia indistruttibile?
    “Sai, forse i pastori l’hanno fatta troppo facile, ma in parte sono d’accordo con loro.”
    Il giovane lo strappò al suo continuo pensare che non sembrava trovare una via d’uscita.
    “Noi soldati ci mettiamo la forza e le armi, l’astuzia di una buona strategia, il valore… ma contro Gamo e i suoi, contro il Nero, di sicuro non sarà sufficiente. Per questo la gente fa affidamento su di voi, perché oltre a tutto quello che abbiamo anche noi, voi portate la magia che è la più grande speranza del nostro pianeta. Voi siete la Speranza di Elementia.”
    La speranza? Loro? Con tutti gli inganni e le menzogne?
    “La gente crede in voi, per questo continua a vivere giorno dopo giorno nonostante la consapevolezza che il mondo possa finire anche domani. Il popolo sa che le Dee non vi lasceranno mai da soli e non vogliono essere da meno, dandovi tutto il supporto morale di cui avete bisogno. Dandovi la loro fiducia. E anche io.” Poi ridacchiò. “Ma meglio se non mi faccio sentire da mio fratello, è un tipo molto permaloso!”
    Anche Teppei sorrise, però le sue parole rimasero lì, bloccate nella testa.
    Loro erano la speranza, la fede e la fiducia delle persone.
    Nonostante tutto, nonostante il male che si annidava da mille anni nella loro storia.
    Gente come quel soldato, come quei pastori, come quella vecchina, che non sapevano niente dell’Ordine dell’Onice e avrebbero continuato a ignorarne l’esistenza probabilmente fino alla morte, credevano in loro nella maniera più pura possibile. Per loro, gli Elementi erano davvero uomini senza macchia. E fino a poco fa, anche lui pensava la stessa cosa. Tutti i suoi compagni di scuola lo pensavano e così gli altri Elementi sparsi da Alastra ad Agadir, da Tyran a Fyar.
    Loro, che combattevano senza conoscere la verità, continuavano a essere puri come la neve che cadeva sul Trono di Yukari.
    Non tutte le fondamenta erano marce, dopotutto.
    Il miliziano fermò il cavallo nei pressi del muro di cinta che delimitava la proprietà del Doge.
    “Ah, perdonami! Devo averti annoiato con tutte le mie chiacchiere. Siamo arrivati, quello è l’ingresso del palazzo.”
    Teppei smontò con un agile salto e, sollevando il capo, rivolse un largo sorriso al giovane della Guardia Cittadina.
    “Ti ringrazio per le tue parole: la fiducia che riponete in noi è anche la nostra forza. Sono sicuro che, quando tutto questo sarà finito, tuo fratello tornerà a casa.”
    Il soldato ricambiò il sorriso, accennando col capo. Tirò le briglie e indirizzò nuovamente il cavallo verso la città. “Non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami.” Si rese conto, all’ultimo momento.
    “Teppei Kisugi, da Tyran.”
    “Io sono Seisuke Kano(1). E’ stato un piacere conoscerti, magari un giorno ci rincontreremo. Abbi cura di te, Elemento della Divina Yukari.”
    Il tyrano rimase a osservare la sua schiena, dove la cappa con il simbolo degli Ozora oscillava rabbiosamente al vento.
    In quel movimento, deciso e fiero, in quel simbolo che riuniva i popoli della loro fetta di pianeta, Teppei capì che la domanda non era ‘per cosa’ tirare dritto, ma ‘per chi’. Ed era per loro.
    Improvvisamente, non si sentì più a disagio nel dover parlare col Doge.



    [1]SEISUKE KANO: questa è una piccola Guest Star! ;PPPPP Chi ha letto l’altra opera di Takahashi-sensei, “Hungry Heart” (che io consiglio vivamente! Esiste anche l'anime, che io non ho ancora visto, ma il manga è strabello! *_*), avrà capito subito chi è. E soprattutto chi è il suo ‘fratellino’ XDDDD
    :) Ce lo vedevo bene Seisuke in questo ruolo e allora ho voluto lasciare un piccolo omaggino. :D (Fratellone Seisuke: *clicca qui* e quella testaccia del suo fratellino, Kyosuke XD: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…

    Awwwww, scena da letto bis! XD
    \O/ Mi piacciono, è più forte di me!!!
    La fermata a Rhanka continua. Mi sembrava giusto approfondire il discorso riguardante la delusione di Teppei per la scoperta dell’Ordine. Lui è quello che ne è rimasto più scottato e non potevo liquidare la cosa solo all’ambito del capitolo 9. Doveva trovare un nuovo ‘motivo’ per poter credere in quello che faceva, avrebbe dovuto fare e farà, una volta che la missione sarà finita. :3 doveva recuperare fiducia, e chi meglio del popolo che, in qualità di Elemento, deve proteggere avrebbe potuto aiutarlo? :333333

    Grazie mille a tutti coloro che continuano a seguire questa storia! :*


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

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    Capitolo 25
    *** 10 - Il compleanno di Teppei - parte III ***


    Nota Iniziale: poiché la mia Bet(t)ina è impossibilitata a lavorare al computer, questo capitolo (e penso anche qualcun altro dei prossimi) non è stato betato. Per farvelo avere comunque, ho deciso di pubblicarlo lo stesso e magari apportare le correzioni successivamente. :D Se trovate qualche errore, quindi, XD sapete perché! *abbracciatutti*


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 10: Il compleanno di Teppei (parte III)

    Rhanka – Regno degli Ozora, Terre del Sud

    Yuzo era caduto in un sonno così profondo che risvegliarsi sembrava quasi un’utopia.
    Solitamente era sempre il primo ad alzarsi dal letto, ma quando aveva aperto gli occhi, si era sentito svuotato di ogni energia, tanto che già tirarsi a sedere era stato uno sforzo sovrumano. Alla fine era crollato sulla spalla di Mamoru.
    Lo sapeva che quello era il prezzo da pagare per aver usato l’incantesimo per tutta la notte, quando gli avevano sempre insegnato che andava utilizzato al massimo per un paio d’ore al minimo dell’energia. Ma lui sapeva anche quanto il suo compagno soffrisse il freddo e aveva deciso di mettere da parte il buon senso, per una volta. Nemmeno si ricordava quando Mamoru aveva lasciato la camera.
    In quel momento, in cui finalmente stava riprendendo coscienza di sé, e quindi doveva aver recuperato la quasi totalità delle sue energie, ricordava solo frammenti di conversazione e poi l’eco lontana di una sensazione piacevole che gli aveva ricordato la scuola elementale: protezione. Si era sentito al sicuro come quando si trovava ad Alastra tanto che, per un istante, aveva davvero creduto di essere a casa, che quella missione fosse stata solo un sogno, che in realtà non si trovava a Rhanka, immerso nell’altopiano del Sud. Poi, però, il calore intenso che aveva sentito sotto le mani e contro il proprio corpo gli aveva sussurrato la verità: che era Alastra il sogno.
    Gli era venuto da sorridere pensando a quanto Mamoru fosse caldo.
    Lo sapeva che gli Elementi di Fyar avevano una temperatura corporea superiore alla media per sopportare il calore che faceva nell’Arcipelago e per generare fuoco, eppure non erano in grado di tollerare nemmeno per un attimo temperature che fossero attorno ai dieci gradi, per non parlare di quelle ancora più basse, perché scambiavano così velocemente il calore con l’ambiente circostante da avere uno sballamento interno. Era stato anche per questo motivo che lui aveva continuato a usare il Controllo dell’Inconscio, in modo da mantenere una temperatura ottimale.
    E poi perché aveva la sensazione che Mamoru gli avesse detto qualcosa?
    Molto probabilmente era stato solo un altro dei frammenti di dialoghi che ancora riusciva a ricordare.
    Quando lentamente riaprì gli occhi, le immagini divennero subito più nitide e i sensi risposero prontamente a ogni stimolo.
    Era da solo, nel letto, ma nella stanza doveva esserci qualcuno perché avvertiva il rimestare lento dell’acqua.
    Piano, si tirò a sedere.
    “Era ora che ti svegliassi, cominciavo a credere che avresti dormito per un giorno intero.”
    Yuzo riconobbe la voce proveniente da dietro un separé. L’ombra che la candela proiettava sul tessuto dei pannelli tracciò i contorni di qualcuno immerso in una tinozza.
    “Non hai battuto ciglio nemmeno quando il garzone è venuto a prepararmi il bagno. Che sonno pesante, uccellino.”
    Yuzo sorrise, osservando l’ombra dei movimenti del suo interlocutore. “Scusa, Mamoru. Ero completamente-”
    “Lo so. Non c’è bisogno che ti giustifichi.” Lo interruppe la Fiamma, ma senza rimproverarlo. “Nell’ipotesi che ti fossi svegliato, ti ho fatto preparare del cibo; anche se l’ora di pranzo è passata da un po’, dovrebbe essere ancora tiepido.”
    L’Elemento d’Aria mosse lo sguardo al tavolo, dove scorse il vassoio con le ciotole coperte.
    “Grazie, sei stato gentile” disse, alzandosi e sgranchendo braccia e gambe un po’ anchilosate per il lungo riposo. Lentamente raggiunse il tavolo, superando il separé che non fu più in grado di nascondere il compagno alla sua vista.
    Mamoru se ne stava immerso nella tinozza con l’acqua e la schiuma che a stento arrivavano a lambirgli il petto; un braccio era disteso lungo il bordo del legno, l’altro era appoggiato col gomito mentre la mano sosteneva il viso.
    Le iridi pece seguivano tutti i suoi movimenti e anche quando Yuzo si fu seduto restarono puntate su di lui, tant’è che il volante si volse con una certa perplessità e una punta di disagio.
    “Qualcosa non va?” gli chiese, aspettandosi una strigliata vista l’espressione che gli incupiva i tratti.
    Mamoru non ripose subito, ma lo squadrò completamente da capo a piedi.
    “Come ti senti?” domandò infine mentre l’altro gli rivolgeva un sorriso convinto.
    “Adesso bene, ho recuperato le energie. Te l’avevo detto che avevo solo bisogno di dormire.” Con calma cominciò ad assaporare la minestra di carne e verdure. Era ancora tiepida, ma per lui il freddo non era un problema poiché si trovavano abbondantemente all’interno di una temperatura tollerabile.
    Mamoru lo fissò con intensità, ma si convinse della veridicità delle sue parole solo quando lo vide mangiare con appetito. L’espressione sul viso mutò in una più rilassata.
    “Va bene” accordò, appoggiando la testa contro il bordo della tinozza e socchiudendo gli occhi.
    “Non vi sono stato di grande aiuto, mi dispiace.” Yuzo era mortificato di non aver potuto adempiere ai suoi doveri e di aver lasciato tutto sulle loro spalle, ma la Fiamma agitò stancamente una mano, restando immerso nel tepore dell’acqua e della schiuma profumata.
    “Lascia perdere, volante, io e Hajime eravamo più che sufficienti e comunque non abbiamo cavato un ragno dal buco.”
    “Nessuna novità?”
    Mamoru sospirò. “Macché, sempre il solito e a meno che Teppei non ci informerà del contrario dopo il colloquio col Doge, il Principe Tsubasa non è stato rapito qui.”
    In quel momento, Yuzo sembrò ricordarsi di qualcosa di importante. Brandì con foga il cucchiaio e parlò con la bocca piena.
    “Teppei!” Rischiò addirittura di strozzarsi e fu costretto a buttare giù un buon sorso d’acqua. “Scusa.”
    Mamoru rise della sua imbranataggine.
    “Rilassati, volante, non c’è alcuna fretta. Teppei è ancora dal Doge e credo ne avrà per un po’: stando a quello che ho scoperto dagli abitanti, sembrerebbe una persona molto impegnata. Nel frattempo, Hajime è andato a cercare un luogo adatto per la festa di stasera, in quanto a me…”, si mosse, intenzionato a lasciare la vasca, anche se controvoglia, “…è meglio che mi metta al lavoro.”
    “Al lavoro per cosa?”
    “Non sono affari tuoi.”
    “Ma è per la festa di stasera?”
    “Sì.”
    “E allora perché non dirmelo, tanto lo scoprirei ugualmente, no?” insistette il volante, ma Mamoru sapeva essere più testardo di lui, quando voleva.
    “Aspetterai.” Abbandonò la tinozza e si avvolse nell’asciugamano. Con stizza scosse la testa, borbottando. “Figurati se mi faccio prendere in giro da te fin dal pomeriggio!”
    “Che ne sai che ti prenderei in giro?”
    “Lo farai, ne sono sicuro.”
    “Ma si può sapere cosa stai organizzando?”
    L’altro ruotò gli occhi con noia; infilava rapidamente gli abiti prima che il calore dell’acqua con cui si era scaldato fuggisse via. Con un gesto secco si avvolse nel cappotto pesante, pronto per dedicarsi alla sua attività segreta. “Ti ho detto di no, non se ne parla, non te lo dirò. Rassegnati.”
    Il volante gettò la spugna. “Va bene, come vuoi. Lo scoprirò stasera” sospirò ancora una volta, divertito dalla sua solita diffidenza. Doveva ammettere però che le cose erano migliorate rispetto a quando erano partiti da Raskal, e anche se a volte conservava degli scatti burberi, Mamoru si era come ‘addolcito’. E ogni gentilezza nei suoi confronti non faceva che rafforzare la convinzione secondo cui la Fiamma fosse davvero una persona buona e generosa, in fondo al cuore, solo che aveva come il timore di mostrarlo agli altri per non passare per debole.
    “Finalmente.” Mamoru sbuffò, aprendo la porta della camera e fermandosi sull’uscio. Appoggiato allo stipite si volse appena, inquadrando la figura di Yuzo che mandava giù gli ultimi cucchiai di minestra.
    “Ehi, uccellino, vuoi che ti mandi uno dei garzoni per far preparare un bagno caldo anche a te?” Ah, Dee! Doveva piantarla di essere così gentile, stava diventando ridicolo! Vero era che fossero nuovamente in tregua già da un bel po’, ma non doveva rammollirsi in quel modo; proprio lui, che aveva sempre avuto la cortesia di un’ortica. In quel momento si domandò se non fosse proprio a causa del suo perdere colpi che si fossero avvicinati. Ma quando l’interpellato gli sorrise, si rese conto che la ‘colpa’ di tutto era solo dello stramaledettissimo volante e del suo dannato modo di fare e di essere.
    “Sì, grazie. Sei gentile” accettò Yuzo e lui, come al solito, tentò di camuffare i reali sentimenti, nascondendoli dietro l’ormai nota acidità.
    “Non ti illudere, è solo un modo come un altro per non averti tra i piedi.”

    Teppei ritornò alla locanda molto più velocemente di quando l’aveva lasciata, animato da uno spirito più forte e rinnovato vigore.
    Stare in quella città, a suo modo, gli aveva fatto bene e lo aveva fatto sentire veramente utile nel suo ruolo di Elemento di Terra; puro, come tutti gli altri Elementi avrebbero dovuto essere. La gente credeva in loro e riponeva quella stessa fiducia che lui aveva perduto appena aveva scoperto quel terribile inganno che erano I Cavalieri dell’Onice, ma avrebbe dovuto fare l’impossibile per riuscire a cancellare la macchia nel sistema, proprio per tutte le persone che racchiudevano ogni speranza in loro: tradire la loro fiducia, farsi prendere dallo sconforto ancor prima di aver tentato il tutto per tutto, beh, quella era la vera sconfitta. E poi non doveva dimenticare che c’era in gioco la libertà dei suoi amici Hajime e Yuzo, costretti a sottostare a una volontà che non era la loro, costretti a mentire per anni e a fingere che andasse tutto bene. Lui avrebbe fatto in modo che l’era delle menzogne finisse per sempre ed era più deciso che mai a trovare il Principe.
    Con questi pensieri e propositi e la durezza della roccia nelle iridi scure varcò la soglia della locanda dirigendosi al bancone dove l’oste stava sistemando i registri.
    “Salve” esordì e l’uomo levò lo sguardo su di lui.
    “Bentornato, ragazzo.”
    Teppei buttò un’occhiata alle sue spalle dove vide appese le chiavi delle camere. Con perplessità inarcò un sopracciglio. “I miei compagni non sono qui?”
    L’oste sembrò ricordarsi in quel momento di qualcosa di importante. “Ah, sì! Mi avevano pregato di riferirti dove avresti potuto raggiungerli. Si trovano nella radura poco fuori dalla città. Prendi il sentiero a Nord, in direzione del Crocevia dell’Aria. Li troverai là.”
    Per quanto sorpreso e con la mente che già frullava le ipotesi più disparate, il tyrano sorrise ringraziando e lasciando di corsa la locanda.
    Muovendosi il più agilmente possibile controvento, Teppei percorse a ritroso la via che li aveva condotti a Rhanka e che immetteva direttamente sulla Via Crociata.
    La cosa gli piaceva poco.
    Che avessero scoperto nuove informazioni sul Principe? E perché avevano preferito incontrarsi all’esterno per parlarne? Probabilmente dovevano esserci orecchie nei paraggi che non avrebbero dovuto udire. Maledizione, forse c’erano degli Stregoni!
    La vita cittadina scivolò rumorosa attorno a lui, che sembrava non risentire minimamente del clima impervio, fino a che non se la fu lasciata alle spalle come fosse stata solo un sommesso brusio. La Via Crociata si estendeva nuovamente aperta e libera davanti ai suoi occhi. Di lontano riuscì a scorgere la collina su cui sorgeva il Crocevia; ne individuò le sagome delle colonne.
    Teppei si guardò intorno notando, dall’alto della sua posizione, la radura di cui i suoi amici dovevano aver parlato all’oste e gli sembrò che ci fosse qualcuno perché vide la luce di un fuoco acceso.
    Aumentando la velocità, abbandonò la via principale per scendere lungo il declivio che la costeggiava. A mano a mano che si avvicinava, le forme divennero più nette e, sì, erano proprio loro. Dei tronchi fermi attorno al fuoco acceso e i suoi amici in piedi ad attenderlo.
    “Hajime!” annunciò la sua presenza e loro si volsero, portando le mani dietro la schiena; le espressioni ferme e severe.
    “Ehi, ragazzi! Ma che diavolo sta succedendo? Stregoni in vista?” domandò ancora, mentre il vento, sferzante fino a quel momento, sembrava acquietarsi. Eppure, nemmeno questa volta ottenne risposta da loro che rimasero immobili e rinchiusi in uno strano mutismo. Teppei rallentò il passo fino a fermarsi e a mettersi sulla difensiva. Rapidamente si tenne pronto per lanciare un qualsiasi incantesimo visto che sentiva una tremenda puzza di trappola. Forse gli stavano per tendere un agguato, forse i suoi amici erano stati rapiti e quelli che vedeva non-…
    “Sorpresa!” sbottarono in coro i tre Elementi ricoprendolo con una pioggia di coriandoli e stelle filanti che avevano tenuto strette nelle mani nascoste, mentre la sua espressione virava repentinamente dall’'attentissimo e pronto ad entrare in azione' al 'totalmente confuso'.
    “Ma che… cosa…” smozzicò, guardandoli uno per uno come fossero stati dei fantasmi.
    “Buon compleanno, Teppei!”
    Di colpo tutto divenne chiaro, lasciandolo senza parole eccetto un balbettante: “E’… è già il 15° Flòrio?”
    Adagio si sedette su un tronco, portandosi una mano alla fronte. “I-io… me ne sono completamente dimenticato… con tutto quello che è successo…”
    “Lo sappiamo” intervenne Hajime con un sorriso. “Per questo ci abbiamo pensato noi.”
    Teppei lo guardò, rispondendo al suo sorriso con un altro pieno di affetto. “Ragazzi, io… grazie, non ho parole.”
    “Stai vedere che te le faccio tornare?” La Fiamma prese quello che al tyrano sembrò un grande vassoio. “Da parte mia” borbottò, esibendo una smorfia che avrebbe dovuto essere una specie di sorriso non ironico, e quando Teppei sollevò il coperchio riuscì davvero a recuperare la voce.
    “La albuminga(1) tyrana!” esclamò; gli occhi su quella pila di nuvolette candide dall’aspetto invitante il cui interno racchiudeva un morbido cuore di pandispuma(2) e cioccolato. “Ma è una specialità di Tyran! Dove l’hai-”
    “Fatta io” scandì lentamente la Fiamma, attirandosi lo sguardo ironico del Tritone.
    Deh, sai cucinare?”
    “Modestamente, sì” replicò Mamoru con stizza. “Non come qualcuno qui presente.”
    Hajime rise, alzando le mani in segno di resa, mentre Yuzo era davvero colpito.
    “Non mi sarei mai aspettato che fossi bravo ai fornelli.”
    “Ne dubitavi, forse? Non sei l’unico, Signor Perfettino.”
    “Non metterti sulla difensiva, pensavo semplicemente che a un tipo guerriero come te non piacesse o lo trovasse poco virile.”
    “Ecco, lo sapevo che mi avresti preso in giro.”
    “Ma non ti sto prendendo in giro!”
    Seh, seh.”
    Yuzo sospirò, abbandonando la questione: quando Mamoru si metteva un’idea in testa avrebbe anche potuto fare i salti mortali per dimostrargli il contrario, non ci sarebbe stato verso di fargliela cambiare.
    Tra i due litiganti, Teppei afferrò una delle albuminghe, addentandola con gusto e assaporando il duro zuccherino esterno col cuore morbido e più amaro.
    Mmmmh! È ottima!” decretò e Mamoru si inorgoglì, appoggiando il vassoio su un ceppo accanto al fuoco.
    “Servitevi, uomini di poca fede” invitò in direzione del Tritone e del volante.
    In un clima decisamente più allegro e rilassato, tutti e quattro si misero a gustare i dolci seduti sui tronchi.
    “Io, poi, avevo una fame da lupo!” disse Teppei addentando il quarto. “Sono stato tutto il giorno dal Doge, non vi dico quanta gente era in attesa di udienza.”
    Anche se si erano concessi un momento di pausa, Mamoru non perse di vista le loro priorità. “A proposito: qualche buona notizia?”
    Il tyrano scosse il capo con un sospiro. “Sempre il solito. Il Principe ha seguito il programma usuale come nelle altre città e quando è andato via non c’è stato nessun problema. E voi?”
    Hajime si strinse nelle spalle. “Niente, purtroppo.”
    “Quindi siamo sempre al punto di partenza, vero?”
    Mamoru buttò giù l’ultimo morso della sua albuminga. “Sì, più o meno. Chiunque abbia tenuto il Principe sotto controllo durante i suoi spostamenti, non deve essere affatto un principiante per non essersi fatto scoprire.”
    Il Tritone inarcò un sopracciglio, pensieroso. “Sei ancora convinto che si tratti di Stregoni?”
    “Sì. E a ogni città che superiamo diviene sempre più una certezza.” La Fiamma si sporse verso il piccolo fuoco che avevano acceso, appoggiando i gomiti sulle ginocchia; con gli occhi fissi al focolare, sembrò quasi che vi stesse leggendo attraverso. “Solo gli Stregoni sono in grado di utilizzare incantesimi di occultamento che li rendono praticamente invisibili agli occhi umani e nella delegazione del Principe non c’erano Elementi che avrebbero potuto avvertirne la presenza. Inoltre, se fossero stati uomini di Gamo a che pro scatenare una guerra se avevano già Sua Altezza come ostaggio? Sarebbe stato inutile.”
    Hajime non parve convinto. “Sì, ma si può dire lo stesso dell’AlfaOmega: non sono alleati il Nero e Gamo?”
    Teppei si passò una mano sul mento. “E se… se l’AlfaOmega avesse agito all’oscuro del Signore del Nord?”
    Gli sguardi del Tritone, della Fiamma e del volante si puntarono su di lui, ma fu solo Mamoru a parlare esponendo il pensiero comune.
    “Doppio gioco.”
    “E sempre la stessa domanda: perché?”
    Ma questa volta nessuno seppe dare una possibile risposta, lasciando che un silenzio preoccupato aleggiasse tra loro.
    Poi, d’improvviso, una goccia d’acqua ruppe la stasi infrangendosi sulla mano di Teppei. Il tyrano sollevò lo sguardo al cielo, carico di nubi, osservandolo con espressione sorpresa. Un’altra goccia lo centrò in piena fronte.
    “Oh. Sta cominciando a piovere” disse, mentre l’acqua prendeva a sfrigolare sulla fiamma accesa appena le gocce divennero più numerose.
    Deboli scie di fumo si alzarono dal fuoco e Mamoru nascose il capo sotto al cappuccio del suo pesantissimo cappotto, sbuffando con stizza. “Ah, che bello! Ci mancava solo questa.”
    Eppure, sia Hajime che Yuzo non sembravano affatto dispiacersi, anzi.
    “Complimenti per la tua precisa previsione meteorologica” affermò il Tritone all’indirizzo del volante.
    La Fiamma storse il naso. “Ah, lo sapevi?! Beh, grazie per avermi avvisato! Tsk! Altra roba da aggiungere ai miei poveri reumatismi; con tutto il freddo e gli spifferi che sto prendendo in questa città, ci mancava solo l’acqua.”
    “Mi dispiace, Mamoru, ma la pioggia mi era necessaria” si scusò il volante. “Però non temere, ho pensato anche a te.”
    La Fiamma, però, nemmeno lo sentì mentre si stringeva nelle braccia e lo folgorava con un’occhiata che preoccupata era dir poco.
    “In che senso ‘avevi bisogno della pioggia’? Perché ho la sensazione che tu abbia architettato qualcosa che io sicuramente riterrò pessimo?”
    In tutto ciò Teppei rivolse uno sguardo confuso al Tritone, che gli sorrideva col viso poggiato in una mano e sapeva perfettamente cosa sarebbe accaduto.
    “Lo so che non approverai, ma è il mio regalo per Teppei, quindi… chiudi un occhio per questa volta.”
    Yuzo non diede alla Fiamma nemmeno il tempo di replicare che sollevò una mano al cielo. Dal palmo, e irradiandosi lungo le dita, una serie di bianchi fili sottilissimi, simili alla seta, si allungarono fino a immergersi nelle nuvole opalescenti, facendole diventare improvvisamente meno minacciose e più chiare.
    Teppei rimase col naso all’insù fino a che, invece della pioggia, qualcos’altro cominciò a cadere sul suo viso. Qualcosa di soffice, freddo e candido.
    Un fiocchetto gli si posò sul dorso della mano e gli occhi si riempirono di meraviglia.
    “Neve?”
    “Ti auguro un felice compleanno.”
    Il tyrano lo guardò con gioia indescrivibile. “E’… è fantastica! Grazie!”
    Quasi non poteva crederci che gli stesse nevicando sulla testa, mentre la sensazione di familiarità lo riportava a Tyran con ancora più forza, ma questa volta se ne sentì davvero felice.
    ‘Chiudere un occhio’, eh?” Mamoru borbottò quella frase guardando di sottecchi il volante.
    “Solo per una volta.”
    L’altro sbuffò, osservando l’immensa radura che rapidamente perdeva i suoi colori, le irregolarità, le imperfezioni. Tutto diveniva a poco a poco più compatto e luminoso, quasi non fosse tramonto inoltrato, ma giorno. E lo spazio smarriva la tridimensionalità, la profondità della prospettiva. Diveniva uguale in ogni direzione si guardasse nel raggio d’azione della neve che continuava a cadere leggera e delicata.
    La contemplazione di quel piccolo incantesimo venne interrotta quando Hajime colpì Teppei con una palla di neve, cominciando a ridacchiare.
    Il tyrano si pulì il lato del viso su cui sentì la fredda consistenza dell’arma, rivolgendogli un’occhiata furba e un mezzo sorriso.
    “Ehi! Lo sai come si chiama questa, a Tyran? Sfida!”
    “Veramente, si chiama così in ogni parte di Elementia.”
    “Ah, allora mi stai sfidando sul serio!”
    Un’altra palla lo colpì a tradimento e lui riuscì a pararsi col braccio solo all’ultimo momento. Hajime si alzò in piedi; ne rigirava lentamente una terza.
    “Ovvio!” provocò, allontanandosi adagio verso lo spiazzo aperto.
    Mamoru s’affrettò a metterli in guardia. “Qualsiasi cosa vogliate fare, fatela lontano da me, intesi?” Già si stava congelando, ci mancava solo che avessero cominciato a tirargli addosso la neve.
    “E tu, Yuzo, sei dei nostri?” propose Hajime senza perdere di vista Teppei che si stava preparando alla lotta. Il volante scosse il capo con un sorriso.
    “Io passo, devo occuparmi della Fiamma… altrimenti si spegne” e si sforzò di non ridacchiare mentre Mamoru, accanto a lui, masticava uno stizzito: “Mi prende anche per i fondelli, adesso! Hurrà.”
    “Allora sarà una sfida uno contro uno?” Il tyrano avanzò con passo cauto verso il suo nemico il quale, prontamente, indietreggiava.
    “Già, all’ultimo sangue.”
    “Oh, oh. Non chiedo di meglio!”
    E, proprio come quando erano piccoli, cominciarono a rincorrersi per tutta la radura prendendosi a pallonate e riempiendo l’aria con delle risate che nascevano dal profondo del cuore.
    “Ecco” Mamoru bofonchiò, assottigliando lo sguardo. “La regressione all’infanzia è completa.”
    “Beh, ne avevamo tutti un po’ bisogno, non trovi?”
    Anche se, in fondo, era d’accordo con lui, la Fiamma si limitò a mantenere un tono più sostenuto; gli occhi fissi sui due compagni che si stavano letteralmente ricoprendo di neve.
    “Mah, sarà…” poi si volse caustico in direzione di Yuzo. “E tu non potevi regalargli qualcosa di meno gelido?!”
    “Ma la smetti di lamentarti? Avevo detto o no di aver pensato anche a te?”
    Mamoru mugugnò poco convinto.
    Il volante sospirò, scuotendo il capo, e gli si avvicinò fino a che non si ritrovarono praticamente spalla a spalla.
    “Forza, dammi la mano” disse, allungando la sua.
    “Che hai intenzione di fare?”
    “Vuoi continuare a congelarti o vuoi darmi la mano?” Yuzo lo osservò dritto nelle iridi pece, meno ribollenti del solito, che capitolarono con estrema facilità; faceva troppo freddo per stare a fare lo schizzinoso.
    Con riluttanza gli prese la mano e il volante la portò alle loro spalle in modo che gli altri non potessero vederle. Mamoru pensò che lo avesse fatto di proposito, sapendo quanto lui fosse restio a determinate effusioni o contatti in pieno pubblico, e stemperò leggermente il broncio.
    Poi, un improvviso calore si insinuò all’interno della manica, distribuendosi per tutto il cappotto. Un vento tiepido che lui aveva già avuto modo di provare. Lentamente esalò un estatico sospiro, facendo scomparire la diffidenza, come se non fosse mai esistita; un’espressione sorridente ne prese il posto.
    “Adesso sì, che cominciamo a ragionare.” Il vento lentamente gonfiava il cappotto.
    “Che ti avevo detto?”
    Mamoru si volse a osservare il profilo del volante il cui sguardo seguiva l’evolversi della battaglia tra Acqua e Terra. Il sorriso gli distendeva le labbra quando riuscivano a colpirsi a vicenda. L'occhio seguì la linea del collo e si fermò sull'onice che riusciva appena a intravedere oltre il bordo della maglia.
    "Non pensarci così tanto, chiedimelo e basta."
    Mamoru sussultò, sentendosi colto sul fatto. Yuzo lo stava guardando con un leggero sorriso; doveva essersi accorto che stava fissando la pietra.
    "No, non-"
    "Va bene così. Sul serio." L'uccellino volse nuovamente lo sguardo alla distesa bianca. "Anzi, ammetto che mi solleva un po' poterne finalmente parlare con qualcuno. Di solito, tra noi non ne facciamo mai parola; nemmeno con mio padre, che è stato Cavaliere dell'Onice prima di me."
    La Fiamma seguitò a osservare il suo profilo. Aveva, sì, un paio di domande. Le avrebbe soddisfatte e dopo non avrebbe chiesto altro. Anche se il volante diceva che non era un problema, sapeva i pensieri che avrebbe acceso nella sua testa e lui non voleva calcare troppo la mano. Sospirò. "Quanti anni avevi?"
    "Quindici. Ma il giorno della mia iniziazione c'erano anche allievi più piccoli di me." Si volse verso di lui, sorrise. "Si comincia presto."
    "Hai sofferto?"
    "Un po'" ammise. "Però ricordo molto poco ciò che è accaduto." Scosse il capo. "C'era qualcosa che premeva per entrare, poi quel calore insopportabile. Bruciava da morire. Infine il buio. Quando mi sono svegliato ero nella mia stanza. Devo aver addirittura preso a pugni il pavimento per il dolore perché avevo le nocche graffiate. Mio padre disse che era andato tutto bene e che ero stato bravo. Col senno di poi, credo l'abbia detto solo per non spaventarmi."
    Appena sentì nominare il Console, Mamoru inspirò a fondo, incupendo l'espressione. A dire il vero, era quella l'unica domanda che avrebbe voluto porgli fin dall'inizio. Gli si era piantata in testa da che Hajime aveva parlato di quel maledetto Ordine segreto, ma già sapere che Yuzo era stato arruolato che aveva quindici anni era stata quasi una risposta, per lui, solo che voleva esserne sicuro.
    "Quindi, quando sei stato scelto per far parte dei Cavalieri dell'Onice, tuo padre..."
    "Era ancora Master, sì."
    Mamoru si sentì sollevato. "Allora non è stato lui a fare il tuo nome."
    Yuzo rise, scuotendo animatamente il capo. "No, assolutamente! Anche per lui fu difficile, quando venne a sapere che sarei diventato un Cavaliere." Il volante abbassò lo sguardo, osservando i propri piedi che rimestavano la neve. "Anche per questo ho sempre detestato l'Ordine."
    La Fiamma lo ascoltò senza interromperlo, ma percependo un chiaro astio verso tutto il sistema.
    "Non solo per quello che fanno, per il loro aver a che fare con la Magia Nera, ma soprattutto perché hanno rischiato di minare il rapporto che avevo con mio padre. E questo non l'avrei mai potuto perdonare. A nessuno." Poi, l'uccellino si volse. Il sorriso di nuovo sulle labbra, ma era come velato pur non essendo nascosto dietro il suo solito incantesimo di difesa. "C'è altro?"
    "No." Mamoru si ritenne soddisfatto e, in fin dei conti, non voleva che Yuzo ricordasse ancora. Anche se non poteva cancellare la loro esistenza dalla sua vita, avrebbe voluto almeno tenerne lontano il pensiero il più possibile.
    Entrambi tornarono a fissare in avanti, lasciando che le risate di Hajime e Teppei coprissero per un po' quel silenzio in cui aleggiava ancora il non detto di quei ricordi e quanto facessero male, seppur diluiti negli anni ormai trascorsi.
    Mamoru sentì la mano di Yuzo stringersi un po' di più attorno alla sua; osservò il suo profilo.
    “Non usare lo shurhùq, questa notte” esordì.
    Ci aveva pensato a lungo mentre si trovava nella cucina della locanda a preparare la albuminga tyrana per Teppei, risolvendosi che avrebbe preferito soffrire un po’ il freddo che ritrovarselo di nuovo privo di energie il mattino seguente.
    Yuzo gli rivolse le iridi nocciola. “Ma… ma così tu-”
    “Il tuo calore sarà sufficiente”
    “Sei sicuro?”
    “Ti ho detto di sì” rimarcò Mamoru con fermezza. Il volante annuì, lasciando intendere che avrebbe obbedito.
    “Mi spieghi almeno perché non vuoi?”
    La Fiamma non rispose subito, seguitando a fissare i suoi occhi tra il continuo e delicato cadere della neve.
    “Perché non mi piace il modo in cui sei ridotto, dopo.”
    “Quello è stata colpa mia perché ho tirato troppo la corda.”
    “E tu vedi di non rifarlo, va bene? Te l’ho detto anche quando eravamo a Sundhara, ma tu devi sempre fare di testa tua, accidenti!” Non era partito con l’intenzione di alzare la voce, eppure lo aveva fatto senza nemmeno rendersene conto se non a sfogo concluso.
    Volgendo lo sguardo altrove, scosse il capo.
    “Non volevo rimproverarti. E’ solo che…” -…ero preoccupato per te…- “…non so che farmene di un volante fuori uso.”
    Aveva corretto il tiro all’ultimo momento, camuffando con più difficoltà del solito il suo vero pensiero.
    “Hai ragione, mi dispiace. La prossima volta starò più attento.”
    Tanto Mamoru lo sapeva che non sarebbe stato affatto così, perché quando si trattava di fare le buone azioni, il volante si dimenticava puntualmente di tutto il resto.
    Rimasero in silenzio per un po’ e solo il rumore ovattato della neve che cadeva tutt’intorno e le risate di Hajime e Teppei scandirono il tempo.
    “Sicuro che non volevi rimproverarmi?”
    Mamoru arricciò il naso. “Sì, perché?”
    “Beh, di solito lo fai sempre e quindi…”
    “Ah! Non è vero!” Si difese la Fiamma anche se era consapevole che ci fosse un fondo di verità nelle sue parole. Forse più di un fondo. Ma lui era sempre stato abile a negare a oltranza e continuò a farlo anche quando Yuzo si mise a ridere e a lui non restò che girare altrove la faccia, bofonchiando.
    Con il viso sollevato in direzione del cielo, mise da parte il broncio, restando a osservare la pioggia di fiocchi di neve che continuava a venir giù silenziosa. Il calore del vento shurhùq che lo avvolgeva con delicatezza, ma, soprattutto, anche se avrebbe finto di ignorarlo, quello delle dita che stringevano le sue, gli addolcì l’espressione.
    “Così, questa è la neve” disse e dovette ammettere che era bella. Ricopriva tutto con leggerezza e il cadere dei fiocchi aveva un che di ipnotico e meraviglioso.
    “Non l’avevi mai vista?”
    “Mi sono trasferito a Fyar che avevo quattro anni e lì aspettarsela era una speranza vana.” Il labbro gli si tese in un sorriso ironico. “Prima di allora, tra i miei ricordi la neve non rientra, mentre dopo…”, si volse affinché Yuzo non vedesse lo sguardo caricarsi di rancore, “…sono tornato a Dhyla veramente di rado e seppur si fosse messo a nevicare, non credo che avrei avuto il tempo e la voglia di contemplarne la bellezza.”
    Il volante aggrottò le sopracciglia, ripensando alle parole che gli aveva detto la sera prima in merito alla sua famigli. Si rese conto che la prossima meta non sarebbe stata facile né per Mamoru né per tutti loro. Eppure, quando la Fiamma si volse di nuovo a osservarlo, il sorriso ironico era di nuovo sulle sue labbra, ma le iridi pece tradivano un certo ribollio, segno che stava cercando di mettere da parte i cattivi pensieri.
    “Comunque, a modo suo, la neve mi è familiare. Mi ricorda la cenere del Raiju Mountain.”
    Yuzo ricambiò il sorriso. “Allora ho fatto un regalo anche a te.”
    “Beh, avresti potuto farlo a una temperatura più alta, eh” rimbeccò Mamoru, cercando di camuffare l’imbarazzo perché, sì, certi modi di fare del volante e certe cose che lui diceva lo imbarazzavano a morte. Come il modo in cui stava ridendo in quel momento, e dire che si era impuntato e ripromesso di non permettergli di avvicinarsi ancora.
    “Ma se era più calda poi si scioglieva e diventava acqua.”
    “Giammai!” sbottò inorridito e insieme tornarono a fissare il tyrano e il Tritone persi nel loro gioco fino a che la Fiamma non inarcò un sopracciglio con curiosità.
    “Ma… e qual è il regalo di Hajime?”

    “A-ah! Non mi scapperai! Sono un campione mondiale nella lotta con le palle di neve!” esclamò Teppei mentre gli lanciava le sfere che il Tritone riusciva a evitare con una certa fatica.
    “Non vale! A Tyran nevica più spesso che ad Agadir!”
    “Avresti dovuto pensarci prima di sfidarmi! Adesso verrai punito per la tua insolenza!” E prima che il Tritone potesse sfuggirgli di nuovo, riuscì ad agguantarlo per la vita con un solo braccio e a bloccarne la corsa, ma scivolò sul ghiaccio e caddero entrambi sul morbido manto nevoso senza smettere di ridere.
    “Complimenti! Un campione mondiale… di cadute!” Lo prese in giro Hajime, che aveva ormai la neve dappertutto, nei capelli, negli abiti, sul viso e sulle mani, ma l’acqua era il suo Elemento e il freddo non era mai stato un nemico.
    Teppei si tirò a sedere, scrollando il capo, e dalla intricata massa di ricci la neve intrappolata gli cadde sulle spalle e in parte al suolo.
    “Non parlare troppo presto, Hajime!” Lo ammonì, ridacchiando, e con uno strattone se lo tirò addosso poiché il braccio era ancora stretto attorno alla vita. Svelto gli infilò una buona manciata di neve all’interno degli abiti.
    “Va bene! Va bene! Basta così, hai vinto! Mi arrendo!” rise la vittima e il suo carnefice lo lasciò andare.
    Ansanti per le corse lungo tutto lo spiazzo, rimasero seduti a recuperare fiato.
    Teppei sollevò, soddisfatto, il viso al cielo, godendo del tocco leggero dei fiocchi sulla pelle. Il malessere che aveva provato fino al giorno prima sembrò solo un ricordo lontano e si sentì felice, a suo modo, per aver ritrovato una sorta di equilibrio interiore anche se tutto sembrava ancora essere incerto, davanti a lui, ma era un testardo e questa volta non avrebbe lasciato ai dubbi la capacità di minare le sue convinzioni.
    “Meglio ora?”
    “Sì, molto.” Sorrise. “Dimmi la verità: tutto questo è stata opera tua, vero?”
    Il Tritone si limitò a stringersi nelle spalle e a rispondere con tono vago.
    “Io ho solo detto che era il tuo compleanno…” Un sorriso soddisfatto sfuggì alle sue labbra, mentre guardava lentamente intorno a sé.
    “Grazie. È stato di sicuro uno dei più bei compleanni di sempre. Era da tanto che non ne passavamo uno insieme.”
    “Vero” annuì Hajime, ricordando come i rispettivi impegni nelle scuole avessero impedito loro di rivedersi per moltissimo tempo, eppure la distanza non era riuscita in alcun modo a minare quella amicizia che era davvero la cosa più speciale e preziosa che entrambi avessero. “E comunque non è finito” continuò il Tritone, pescando una scatola da una delle tasche del pantalone. Gliela porse, stringendosi semplicemente nelle spalle. “Manca ancora questo. Buon compleanno, Teppei.”
    Il tyrano la osservò con curiosità. Rigirò il lungo e piatto involucro, sciogliendo il nastro rosso che lo ornava. Lo aprì adagio e dall’espressione che fece, Hajime capì che ciò che c'era dentro gli piaceva, gli piaceva eccome.
    L’affetto piegò le labbra del Tritone in un sorriso quando lo vide boccheggiare per qualche istante prima che levasse di nuovo lo sguardo su di lui, con le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione.
    “Ma non avevi detto che-”
    “Non così tanto, pensavo peggio.” Hajime diede due colpetti leggeri sulla gamba. “Prima che me lo domandi: guarirò in un paio di giorni.”
    Teppei abbassò nuovamente lo sguardo sul suo regalo. La sagoma aveva una forma irregolare e una sfumatura cangiante di madreperla. Un piccolo foro era stato applicato sulla sommità per permettere il passaggio del filo di cuoio.
    “Dicono che porti fortuna” spiegò il Tritone. “Anche la mamma ne ha una di papà.”
    Il tyrano lo guardò senza nascondere la commozione, sfiorando il ciondolo con la punta delle dita, ma si sforzò di ricacciare indietro le lacrime che sentiva nella gola.
    “Grazie” mormorò.
    Hajime scosse il capo e lo abbracciò con affetto. Rise nel sentire Teppei che tirava su col naso.
    “Oh, suvvia! Non ti metterai a piangere, vero?”
    “E’… è il regalo più bello che abbia mai ricevuto” borbottò, nascosto nel suo collo. “Grazie… grazie mille.”
    Ma c’era dell’altro che Hajime aveva da dirgli e, senza lasciarlo andare, assunse un tono più serio.
    “Abbi fiducia nelle tue capacità.”
    Il tyrano sussultò prima di guardarlo negli occhi con sorpresa e stupore.
    “Come sai che-”
    “Perché sono tuo amico. Non ho bisogno che tu me le dica, le cose, perché io le veda né puoi nascondermele col buio.”
    Teppei abbassò lo sguardo. Si mortificò per aver creduto di poterlo ingannare, ma quando sentì che Hajime gli affondava una mano nei capelli, per spettinarli adagio, vide che gli stava sorridendo.
    “Credi in te stesso e sono sicuro che ce la farai. Mi fido di te e so che il Principe ti darà ascolto.”
    Il tyrano annuì e svelto si passò il dorso della mano sugli occhi per scacciare le lacrime.
    “E questa sciarpa?” domandò a un tratto il Tritone. “Non mi dirai che hai freddo? Ma se non lo soffri!”
    Teppei la sciolse piano, guardandola con affetto e una sicurezza indistruttibile. Hajime comprese che doveva aver a che fare con il suo giro a Rhanka, nel pomeriggio, e con la serenità che ora riusciva nuovamente a leggere nel suo sguardo.
    “Questa… è la fiducia del nostro popolo” affermò il tyrano, poi sfilò il ciondolo dalla scatola e lo indossò. La squama brillò di riverberi multicolore e in quel luccicare lui racchiuse la sua solenne promessa. Lo sguardo assunse una sfumatura decisa.
    “Ti giuro che riuscirò a convincere il Principe, Hajime, e non mi arrenderò fino alla fine” perché la posta in palio era troppo alta per cedere. La sconfitta non era contemplata.
    Lentamente, su Acqua e Terra, Aria e Fuoco la neve continuava a cadere e loro rimasero lì, a godere del suo freddo tocco ancora un po’ prima che una nuova tappa li vedesse coinvolti in un’altra avventura.

    Scende la neve dal freddo candore
    e tutto ricopre, perfino il dolore,
    ma basta il calore a scioglierne il manto
    e sbrina anche il cuore, come d’incanto.

     


    Poiché non ci troviamo sulla Terra, ho dovuto modificare alcuni nomi che per noi sono di uso comune, ma che su Elementia non avrebbero significato nulla XD. E così, ecco nascere [1]Albuminga e [2]Pandispuma che sostituiscono i nostrani Meringa e Pandispagna. XDDDD Il nome meringa derivante da una città olandese, Meiringen, è stato sostituito con qualcosa che la ricorda: ovvero l'albume montato a neve; mentre pandispuma fa il verso al pandispagna XD ma essendo che la Spagna su Elementia non esiste... XDDDD ho dovuto provvedere diversamente!


    …Il Giardino Elementale…

     

    Si conclude la tappa a Rhanka. :3
    Questa è stata davvero una ‘missione’ tranquilla in tutti i sensi. I nostri eroi hanno avuto modo di rilassarsi, leccarsi un po' le ferite, e qualcuno è addirittura riuscito a superarle, a modo suo, trovando la giusta forza in un nuovo obiettivo. Per qualcun altro le ferite restano ancora lì, mentre per qualcun altro ancora è il momento di affrontarle faccia a faccia.
    E' l'ora di muoversi verso una nuova città.
    E la nuova città sarà Dhyla.
    La patria di Mamoru.
    *tossicchia*
    Preparatevi al peggio. L’avrete. X3 (mi rendo conto che non dovrei fare la faccina puccia, ma insomma XD Io non faccio molto testo!)

    Grazie a tutti coloro che continuano a seguire questa storia. Siete impagabili! :*


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 26
    *** 11 - I segreti di Mamoru - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 11: I segreti di Mamoru (parte I)

    Dhyla – Regno degli Ozora, Terre del Sud Nord-occidentali

    La serenità del viaggio aveva cominciato a vacillare quando mancava una settimana per giungere alla nuova meta.
    In tutto quel tempo, né Hajime né Teppei avevano capito il perché, tuttavia si erano astenuti dal fare domande poiché Mamoru sembrava così avverso e malevolo che una sola parola sbagliata avrebbe potuto scatenare una catastrofe.
    Anche Yuzo se n’era accorto, mostrandosi più accondiscendente del solito, ma diversamente dai compagni i motivi li conosceva.
    Erano a Dhyla, la città natale di Mamoru e quest’ultimo non nascondeva il desiderio di essere altrove.
    Il famoso mercato perenne li aveva accolti appena varcata la porta Nord, lasciando Aria, Acqua e Terra di stucco: dopo Raskal, quella era senza dubbio la più grande città che avessero mai visto. Il mercato era ovunque per un tratto che si perdeva a vista d’occhio e la gente che lo popolava, spostandosi tra le bancarelle, non era stimabile.
    Il gruppo si era fermato sul limitare per ammirarlo dall’esterno prima di lasciarsene inghiottire.
    In confronto, a Dhèver c’erano stati quattro gatti.
    “I-io… non ho mai visto una cosa simile.” Teppei ne era rimasto ben oltre l'affascinato. Sgomento era il termine più adatto. Continuava a guardarsi attorno mentre camminavano adagio, cercando di farsi spazio assieme ai cavalli.
    A una prima occhiata si sarebbe potuto dire che vendevano di tutto, dagli oggetti di uso più comune, ai gioielli; dagli abiti al cibo, dalle armi agli animali da lavoro. E le merci provenivano dai luoghi più disparati del Regno degli Ozora.
    A qualcuno servivano semi di Ibisco di Punta Maar, la località più a Sud del continente?
    Li avevano.
    A qualcuno servivano uova di folandra bianca, un pesce che viveva a dieci chilometri di profondità, per fare la più gustosa zuppa di mare di Elementia?
    Le avevano.
    A qualcuno serviva siero di zaikotto, merce rarissima per i Naturalisti?
    Lo avevano.
    A Dhyla si poteva trovare tutto, anche le cose di cui si ignorava l’esistenza.
    Yuzo era sopraffatto. Aveva più volte tentato di esprimere un parere, ma si era reso conto che ogni commento non sarebbe stato abbastanza esaustivo, così aveva preferito tacere. Dhyla era un posto che poteva essere solo osservato e vissuto, per poter tirare le somme alla fine.
    Il suo sguardo si perse in tutto ciò che c’era da vedere, ed era troppo per i suoi occhi abituati a realtà molto più piccole. A dire il vero, quel tutto così denso lo spaventò un po’.
    D’istinto si girò a cercare Mamoru. Quella era la sua città, ci era nato, avrebbe potuto scorgere una maggiore sicurezza in lui che la conosceva meglio. Eppure, quando i suoi occhi lo trovarono, percepirono sì sicurezza, ma così gelida da fargli dimenticare che fosse un Elemento di Fuoco. Il suo sguardo era rigido, dritto in avanti, ignorava l’immensità spropositata in cui erano immersi come se non fosse degna di nota o, peggio, come se non esistesse.
    “Non perdiamo tempo e organizziamo il lavoro” esordì la Fiamma con un tono perentorio che nulla aveva a che fare con quello cui erano abituati. Adesso sembrava davvero il comandante di una missione, anzi, forse era addirittura peggio. “La prima cosa da fare è andare alla locanda, dopo mi recherò subito dal Doge. Provvedete a girare per la città come da prassi e tu, Teppei, vedi di non distrarti con il mercato” sottolineò freddamente tanto che l’interpellato non protestò dicendogli che era un musone, ma si limitò ad assentire.
    Leggermente più arretrato, Yuzo era preoccupato.
    Aveva sempre saputo che le cose sarebbero state diverse lì, ma più il tempo passava, più uno strano sentore di pericolo sembrava rendere l’aria densa e pesante. Un pericolo inevitabile.
    Yuzo sospirò piano anche se, con la confusione che c’era, non l’avrebbero udito comunque. Sperando di trovare rassicurazioni e consiglio nel cielo, come faceva spesso, sollevò il capo e si fermò. Era incredibile come avesse fatto a non notarli. Il clima teso aveva rubato tutta la sua attenzione, ma ora la maestosità dei ciliegi di Dhyla gli riempiva gli occhi, cancellando tutto il resto. Il mercato sembrò non esistere più, le bancarelle si dissolsero assieme al rumore caotico. C’erano solo il silenzio e quel tripudio di bianco e rosa che pioveva delicatamente e con discrezione, senza fare il minimo rumore.
    I filari sembravano infiniti, si perdevano tra i banchi del mercato, ed erano così belli che a Yuzo parve di non aver mai visto niente di simile.
    Poi si ricordò.
    Quella stessa sensazione di magnificenza e calma insieme, quell’esplosione di petali lui le aveva già viste e vissute, mesi prima a Raskal, in quella terrazza che era un piccolo giardino nascosto.
    E ricordò anche che, tra quei ciliegi, non era stato da solo.
    Volante, ma che diavolo fai? Ti sei addormentato? Datti una mossa!”
    Il brusco richiamo di Mamoru interruppe la sua contemplazione, ma questa volta Yuzo osservò la Fiamma con occhi diversi. Anche se non faceva niente per nascondere quanto odiasse quel posto, anche se ignorava ciò che nessuno sarebbe mai stato in grado di ignorare, Mamoru era legato a quella città ancora e nonostante tutto. Una parte di lui, connessa a quegli alberi, seguitava a rimanergli accanto ovunque andasse.
    “E allora? Ti vuoi muovere?!” Mamoru lo afferrò malamente per un braccio, strattonandolo. “Si può sapere che hai da guardarmi con quella faccia? Non ho voglia di perdervi nel mercato come è successo a Dhèver.”
    “Ora capisco perché conoscevi così bene i ciliegi” replicò Yuzo. “Qui sono ovunque.”
    Mamoru si irrigidì, cambiando espressione. Di colpo ricordò di Raskal e del giardino, del volante che non ne aveva mai visti e di lui che era andato lì per rifugiarsi su quegli alberi che avevano un significato particolare e doloroso allo contempo. Indissolubile.
    “Sono bellissimi” Yuzo rivolse loro un’ultima occhiata di sincera ammirazione.
    Mamoru si disincagliò dalla rete con forza. “Sta’ zitto. Non sai nemmeno di che parli” bofonchiò, trascinandolo via per raggiungere anche Hajime e Teppei, fermi poco più avanti. Questa volta era intenzionato a tenerli tutti uniti, non poteva rincorrerli.
    “Mamoru?”
    Una voce di donna, però, lo fermò. Anche nel caos l’aveva riconosciuta subito e la stretta attorno al polso del volante si fece di colpo serrata, tanto che l’espressione dello stesso Yuzo virò in preoccupazione.
    La Fiamma si volse e le sue iridi nere incontrarono quelle di un caldo color miele che ridevano, cordiali.
    La donna, sconosciuta agli altri, apparve bella ed elegante, di media statura. I capelli, di un bronzo lucente, erano raccolti in una crocchia e indossava abiti dai tessuti ricchi. Si proteggeva dal sole con un grazioso ombrellino.
    Mamoru sembrò volerla incendiare sul posto. Aveva gli occhi spalancati e le labbra piegate in una smorfia carica di sdegno. Yuzo si allarmò ancora di più.
    “Mamoru, sei proprio tu. Quando sei tornato?”
    La dama allungò incautamente una mano verso la Fiamma nel tentativo di fargli una carezza, ma il giovane l’allontanò con uno schiaffo, gelando il Tritone e il tyrano sul posto. Yuzo addirittura sussultò.
    “Non toccarmi” sibilò velenoso. “Come osi rivolgerti a me con tanta confidenza? Mi sembrava di essere stato chiaro: noi non abbiamo niente da spartire.”
    Gelava, Mamoru lo sentiva. Il suo sangue s’era spento all’improvviso. Aveva freddo anche se il sole era a picco sulle loro teste.
    Non era possibile che in tutta quella confusione avessero incontrato proprio lei. Non era possibile, ci doveva essere una qualche congiura in atto, di sicuro.
    La donna parve mortificasi. Il sorriso perse il genuino entusiasmo iniziale, ma restò comunque cortese.
    “Sì, hai ragione. Perdonami.” Notò solo allora gli altri Elementi e tentò di essere accogliente almeno nei loro confronti. “Hai portato degli amici-”
    “Questi non sono affari che ti riguardano.”
    Yuzo era sconvolto: Mamoru non si era mai comportato in quel modo, con nessuno, nemmeno con gli estranei. Nemmeno con lui.
    “Non essere maleducato” tentò di intervenire ma l’unica risposta che ottenne fu un’occhiata così minacciosa da seccargli la gola in un istante. La stretta attorno al polso iniziò a fargli male.
    “Non importa.” La donna sorrise ancora, ma dal viso trapelava un’espressione di palese dispiacere.
    “Vedi di non intralciarmi. Stammi alla larga e stai alla larga da loro. Intesi?”
    Mamoru non attese nemmeno che rispondesse e se ne andò, trascinando un recalcitrante Yuzo. Quest’ultimo tentò di divincolarsi, volgendo di tanto in tanto lo sguardo alle sue spalle dove la donna sconosciuta appariva e spariva tra le persone.
    “Vuoi smetterla di agitarti, dannazione?!” sbottò la Fiamma.
    “Lasciami andare, devo scusarmi con lei! Sei stato scortese! Non ti aveva fatto nulla-”
    Mamoru si fermò di colpo e in maniera inaspettata, tanto che Yuzo gli sbatté contro.
    Il volante si ritrovò il suo viso a un palmo e poté quasi avvertire il calore bollente dei tizzoni che ardevano nei suoi occhi.
    “No, tu non farai proprio un bel niente, mi hai capito? Niente!” ringhiò la Fiamma. Sembrava un golkorhas inferocito. “E lo stesso vale per voi!” Ad Hajime e Teppei rivolse solo la coda dell’occhio. “State lontani da quella donna. Se vi pesco a parlarle, ve ne farò pentire amaramente. Questo è un ordine.”
    Acqua e Terra si scambiarono prima un’occhiata tra loro, poi annuirono. Mamoru tornò a fissare il volante.
    “E tu, mi hai capito?”
    “Ma… lei non-”
    “Mi. Hai. Capito?”
    Yuzo distolse lo sguardo.
    “Sì, ho capito…”
    “Sto parlando sul serio, Yuzo. Questa volta non tollererò disobbedienze, fai una mossa falsa e ti ritroverai a pregare di non esser morto prima.” Con un gesto secco lo lasciò andare per rimettersi alla testa del gruppo.
    “Posso almeno sapere perché?”
    La Fiamma lo incenerì con un’occhiata che tradiva sconcerto: possibile che il volante non si rendesse conto quando era meglio non impicciarsi degli affari altrui?
    “Non ti riguarda.”
    “Non mi riguarda? Non sei da solo in questa missione-”
    “Lei non fa parte della missione e tutto ciò che non vi rientra non sono affari tuoi. Non voglio sentire una parola di più. Muoviamoci.”
    “Sappi che non approvo il tuo comportamento.”
    “Problema tuo, non devi approvare, ma solo eseguire. Avevamo fatto un patto a Sendai, se non sbaglio è ancora valido” fu la sua ultima parola. Neanche si volse, anzi, aveva già ripreso a camminare, lasciando indietro i compagni che ora apparivano ancora più confusi.
    “Di quale patto sta parlando?” domandò Hajime ma Yuzo gli passò accanto assieme al proprio cavallo senza rispondere.
    Il tyrano affiancò il Tritone, emettendo un sospiro preoccupato.
    “Ho paura che questa sarà una tappa molto, molto difficile.”
    “Lo temo anche’io. Teniamoci pronti.”

    “You only see what your eyes want to see /
    Vedi solo quello che i tuoi occhi vogliono vedere.
    How can life be what you want it to be? /
    Come può la vita essere quella che tu vuoi che sia?
    You’re frozen /
    Sei gelido,
    when your heart’s not open /
    quando il tuo cuore non è aperto.

     

    Camminarono spediti senza chiedere informazioni nemmeno una volta e senza mai consultare la cartina.
    Ad Hajime parve molto strana tutta la sicurezza con cui Mamoru si destreggiava per la città, sembrava quasi che la conoscesse e pure molto bene. Senza contare, poi, la comparsa di quella donna. Sì, la Fiamma era già stato a Dhyla, ne era sicuro, ma lui preferì continuare a non fare domande, la situazione era già abbastanza tesa così.
    Mamoru rimaneva davanti a tutti, facendo da guida, e senza mai voltarsi indietro. Sapeva già in quale locanda fermarsi, era la stessa dove alloggiava quelle rare volte che tornava in città. Non si sognava neppure di dormire a casa. Con quel posto, lui non aveva niente da spartire se non un’unica cosa, che era anche il solo motivo per cui rientrava a Dhyla.
    La Fiamma avanzava senza guardare in faccia nessuno o fermarsi un solo momento, voleva chiudere quella tappa il prima possibile e passare oltre. Magari per sempre. In più ci si era messo anche Yuzo a farlo irritare con quel suo solito atteggiamento troppo cortese e corretto.
    Andare a scusarsi con lei?!
    Tsk! Non sapeva niente. Niente.
    E Mamoru sentiva che più restava lì, più gli risultava difficile contenere la rabbia. Ci provava, ma lo sforzo diveniva inumano a ogni passo.

    “Ora capisco perché conosci così bene i ciliegi.”

    Ancora si ricordava di quella sera a Raskal?
    Era una cosa talmente insignificante che lui l’aveva rimossa. O almeno così tentò di convincersi, fingendo di dimenticare, invece, come le parole che il volante che gli aveva detto quella stessa sera fossero rimaste impresse dentro di lui ben più di prima, in maniera inesorabile.
    A Sendai, molte cose erano cambiate e continuavano a cambiare velocemente, ma lì, in quella maledetta città, le avrebbe fermate una volta per tutte. Perché erano inaccettabili, perché aveva promesso e quella promessa era tutto ciò gli fosse rimasto di sua madre. Non poteva permettere al volante di intromettersi, di insinuarsi ancora di più di quanto già aveva fatto. Doveva arrestare la sua avanzata tra le fiamme del suo spirito che non aveva mai sentito tanto fredde.
    Poteva farlo.
    Lui era più forte di qualsiasi legame.
    “Bene, fermiamoci qui” ordinò, bloccandosi davanti all’ingresso della locanda. Mollò le briglie a Teppei e si portò le mani ai fianchi. “Lascio a voi i convenevoli: affitto delle stanze e sistemazione bagagli. Una volta a posto, sparpagliatevi per Dhyla e cercate quante più informazioni possibili. Ovviamente, con questo caos non pretendo miracoli. E non dimenticate ciò che vi ho detto: state alla larga da quella donna. Non fermatevi a parlare con lei, non ascoltatela e, se la vedete, cambiate strada. Ci siamo capiti?”
    “Sì” risposero in coro i suoi compagni anche se privi del solito entusiasmo. A lui non importò.
    “Vado dal Doge, ci ritroveremo in serata.”
    Yuzo si mosse per seguirlo, ma la Fiamma lo bloccò puntellandogli due dita sul petto.
    “No volante, tu non vieni.”
    Il giovane non nascose la perplessità. “Ma… è mio compito-”
    “Non questa volta. Vado da solo.”
    Yuzo tirò un profondo sospiro. Si portò una mano al fianco e massaggiò con l’altra il centro della fronte.
    “Mamoru, devo ricordarti che le uniche volte che-”
    “E’ diverso. Ma non voglio stare qui a discutere: il mio è un ordine e tu obbedirai.” Era irremovibile. “Non ti voglio, non mi servi.”
    Si fissarono in silenzio fino a che non fu Yuzo a distogliere per primo lo sguardo, sconfitto. Gli occhi di Mamoru erano… indecifrabili. Ardevano d’ira repressa, odio, poi, d’improvviso, diventavano freddi come il ghiaccio e la pece si cristallizzava e si faceva tagliente, come ossidiana. Erano schiaccianti. La loro superiorità era paragonabile a una mano gigante che lo sfracellava al suolo.
    Non replicò, ma ingoiò con forza.
    Mamoru si volse, incamminandosi verso la sua destinazione senza chiedere nemmeno di dare un’occhiata alla mappa di Hajime, tanto non ne aveva bisogno.
    Yuzo richiamò un’ultima volta la sua attenzione, ma lui non si girò.
    “Hai dimenticato il permesso reale!”
    “Non mi serve.”
    Lo sguardo del volante si fece ancora più allarmato e confuso.
    “Ma che-”
    “Lascialo fare." Hajime lo trattenne per un braccio. "Se dice di non averne bisogno, ci sarà un perché.”
    “Ma Mamoru non è mai andato d’accordo con i Doge! Non sa come trattarli! E senza il permesso non-”
    “Yuzo, lo so. Mamoru si sta comportando in maniera molto strana da quando abbiano iniziato a viaggiare per raggiungere questa città e in altre occasioni avrei appoggiato ogni tua osservazione, ma per questa volta sarebbe il caso di obbedire senza fare storie. Anche tu.”
    Il volante abbassò il braccio che stringeva il permesso, cessando le proteste.
    “Mamoru è come un vulcano, basta un niente per farlo esplodere. Evitiamo di creare scintille.”
    Teppei annuì alle parole sagge dell'amico di infanzia e cercò di stemperare il clima di tensione.
    “Dai, vedrai che una volta che ce ne saremo andati, tornerà il Mamoru di sempre. Non prendertela.”
    Yuzo ricambiò come poté il sorriso del tyrano e annuì.
    “Prendo i vostri cavalli?” chiese loro un garzone.
    “Sì, grazie” accettò Hajime.
    Scaricarono i bagagli e tutti insieme entrarono nella locanda. L’interno si presentò interamente in legno di abete rosso, luminoso. Sulla parete erano disegnati petali di fiori, gli stessi che riempivano il cielo di Dhyla.
    “Benvenuti, viaggiatori. In cosa posso servirvi?” domandò l’oste dal sottile baffo scuro e il sorriso cordiale. Hajime si fece portavoce del gruppo.
    “Avremmo bisogno di quattro camere.”
    L’uomo controllò il registro, aggrottando le sopracciglia.
    “Mi dispiace, ma al momento disponiamo solo di una doppia; si potrebbe adattarla come tripla, ma visto che siete in quattro…”
    Hajime picchiettò il dito sul bancone, pensieroso. Guardò i suoi compagni.
    “Allora dovremo provare altrove…”
    “Ma Mamoru è convinto che alloggeremo qui, come lo avvisiamo?” domandò Teppei.
    “Perdonatemi, avete detto Mamoru? Mamoru Izawa, Elemento di Fuoco?”
    “Sì…” rispose il Tritone alla curiosa domanda dell'oste e questi allargò un caloroso sorriso.
    “Ma potevate dirlo subito di essere amici del figlio del Doge!” Senza prestare minimamente attenzione alle espressioni di pura sopresa dei tre giovani avventori, prese dal muro due mazzi di chiavi e li appoggiò sul bancone. “Ecco, questa è la doppia rimasta libera e questa è la chiave della stanza che noi riserviamo sempre al signorino quando torna a casa. Possiamo adattarla per essere una doppia a sua volta. Vi farò portare subito un altro letto.” L’oste nemmeno si rese conto di quanto li avesse lasciati sgomenti. “Voi due portate di sopra i bagagli dei signori!” ordinò a un paio di ragazzi che si misero subito in movimento, poi si rivolse nuovamente a loro, porgendo il registro. “Prego, se volete mettere una firma.”
    Yuzo oppose una sorta di scarabocchio illeggibile, tentando di mantenere la lucidità che ad Acqua e Terra era venuta a mancare.
    “Vi ringraziamo.” Il volante fece un breve inchino, sorridendo, ma l’oste non poteva certo riconoscere gli incantesimi di Alastra.
    I giovani tornarono all’esterno della locanda e la prima cosa che fecero, una volta fuori, fu di scambiarsi una lunga occhiata allibita.
    “Il figlio del Doge?” sbottò Teppei, rubando quasi le parole di bocca al Tritone. "Ma nessuno sapeva che il più alto funzionario di questa città faceva cognome Izawa?!"
    “No, la lista con tutti i nomi e le destinazioni ce l'ha Mamoru..." Hajime annuì adagio. "Ecco perché sapeva esattamente come muoversi in questo caos ed ecco perché non aveva bisogno di essere accompagnato.” Si passò una mano tra i capelli. “Yuzo, tu ne eri proprio all'oscuro?”
    Il volante sospirò, guardandosi le mani. “Mi aveva detto di essere di Dhyla, ma non aveva specificato chi fosse suo padre.”
    “Tutto questo mi piace poco. Perché nasconderci una cosa simile? Non c’è niente di male! E poi che voleva dire l’oste con: ‘è la camera che gli teniamo da parte’? Perché dorme in una locanda?”
    “Mamoru sembra non andare molto d’accordo con il padre, stando a quando mi ha detto” spiegò Yuzo. “Ma non mi ha rivelato il perché. Non so altro.”
    Il Tritone respirò a fondo, passandosi ancora una volta una mano tra i capelli. Il ciuffo ribelle tornò a scivolare sull’occhio. “D’accordo, sentite. Meno ci immischiamo e meglio sarà. Mamoru non lo tollererebbe e potrebbe finire davvero male questa volta. Seguiamo i suoi ordini e non discutiamo. Ovviamente non una parola o domanda in merito al Doge.”
    “Va bene” annuì Teppei, ma Yuzo era meno convinto. Ed era preoccupato. Sapendo cosa si provasse a trovarsi senza genitori, si sentiva ferito nel vedere la famiglia di un amico così frammentata e poi l’aveva avvertito quella sera a Rhanka, nel modo in cui gli aveva stretto gli abiti, che anche Mamoru ne soffriva profondamente, anche se tentava di nasconderlo in tutti i modi.
    Da quando erano arrivati a Dhyla, il giovane si era sempre mostrato gelido, come se avesse bloccato la sua fiamma nel ghiaccio, ma lui sapeva quanto invece ardesse dietro l’apparenza.
    La voce di Hajime lo riscosse.
    “Yuzo, vale anche per te. Soprattutto per te” disse con preoccupazione. “Io lo so che le tue azioni sono sempre mosse dai buoni propositi ma, almeno per questa volta, non intervenire, va bene? Fai sempre quello che ti dice.”
    Il volante capitolò, eppure continuava ad avvertire un senso di irrequietezza.
    Hajime diede disposizioni dopo aver guardato la cartina. Lui e Teppei decisero di proseguire verso l’interno, mentre Yuzo si offrì di ritornare nella zona del mercato e costeggiarla. Si sarebbero ritrovati alla locanda per l’ora di cena.

    Mamoru si muoveva svelto per quelle strade che conosceva solo in maniera sommaria e quanto bastava per sapere sempre, da qualsiasi posizione, come raggiungere il palazzo dogale e il cimitero.
    Il resto non gli era mai interessato, per questo non si era sforzato di approfondirne la conoscenza. Non sentiva vincoli affettivi legarlo a Dhyla. L’unica città che riconosceva importante era solo Fyar.
    La gente gli passava accanto velocemente e, nonostante si stesse addentrando, allontanandosi sempre di più dal mercato, la folla sembrava non esaurirsi mai.
    Lui tirò dritto non degnando nessun negozio o passante del suo sguardo. Le iridi erano puntate alla sommità del palazzo che si scorgeva già nitido e possente tra le altre costruzioni. Era l’edificio più grande della città. Tetto spiovente, di colore rosso scuro, e facciata bianco latte. Un cancello enorme delimitava la proprietà.
    Mamoru lo vedeva farsi più vicino a ogni passo e ogni particolare divenire netto. Contemporaneamente, la sua espressione si induriva e assumeva sfumature astiose. Dentro di sé, la fiamma era ridotta a un fumo sottile che si levava da braci non ancora spente. Non c’era calore, ma gelo tombale.
    Quando arrivò davanti al cancello le due guardie, che presiedevano l’entrata, lo riconobbero subito. Anche se tornava lì raramente, perfino i soldati che lo vedevano per la prima volta sapevano chi fosse. I capelli neri degli Izawa e dei Takarazuka erano quasi un elemento distintivo perché sembravano godere di vita propria. Poi l’andatura fiera, lo sguardo di brace, l’espressione severa. Tutti riconoscevano il Doge nel suo portamento e nell’incedere.
    Appena Mamoru passò tra i miliziani, questi si misero sull’attenti.
    “Bentornato, giovane signore.”
    Mamoru non li degnò nemmeno di un cenno, mentre entrava nell’enorme cortile della tenuta col suo passo da leone e lo sguardo dritto, la testa alta.
    La gente, che anch’essa si stava dirigendo dal Doge, fermò con maggiore attenzione gli occhi su di lui.
    Per quanto non li stesse osservando, perché non gli importava nulla di quelle persone, poteva sentire i loro bisbigli.
    “Il figlio del Doge? È tornato ancora?”
    “Non si può dire che non sia tenace.”
    “Tanto suo padre non acconsentirà mai alla sua richiesta.”
    “Mi domando come possa essere divenuto Elemento una persona pericolosa come lui…”
    “Beh, considerando chi era la madre.”
    “Forse è pazzo allo stesso modo!”
    Stanco di quei brusii, Mamoru rilasciò il potere per alcuni momenti, quasi ad avvisarli di tacere prima che avesse perso del tutto la pazienza.
    Sottili lingue di fuoco si levarono da sotto le suole, avvinghiandosi attorno alle gambe e ai tessuti; divennero un velo, un secondo abito.
    Gli astanti recepirono il messaggio e tacquero.
    Nessuno intralciò il suo cammino verso l’ingresso che portava direttamente all’ala del palazzo che suo padre aveva riservato al lavoro. Si attraversava il cortile principale e ci si portava alla facciata laterale. Dhyla era tutt’attorno al palazzo dogale, che rappresentava il cuore della città.
    Mamoru salì le scale e attraversò il lungo e alto corridoio senza mai guardarsi attorno. Si fermò solo quando scorse la fila di persone che attendevano il proprio turno davanti allo studio del Doge.
    “Signorino Mamoru?”
    Si sentì chiamare, titubante e con leggera trepidazione.
    Il vecchio Rhadan era invecchiato ancora di più. Serviva la sua famiglia da prima che lui nascesse. Lo ritrovò al suo fianco; i capelli candidi risaltavano sulla pelle color caffèlatte. Tra le mani portava un vassoio in argento con teiera fumante e una tazza di porcellana finissima. Stava andando sicuramente dal Doge.
    “Signorino, finalmente siete tornato.”
    Era davvero felice di rivederlo, probabilmente l’unico lì dentro. Fu per questo che Mamoru, almeno con lui, stemperò l’espressione di gelo.
    “Non è una visita di cortesia.”
    “Non lo è mai, signorino” sorrise il domestico e lui non riuscì a non fare altrettanto. Lì attorno, le occhiate dei presenti erano tutte su di lui, le sentiva pur senza vederle direttamente. Se ne accorse anche Rhadan.
    “Attirate sempre gli sguardi. Ignorateli.”
    Il sorriso divenne un ghigno malevolo, volto a incutere timore: funzionò, le occhiate cessarono.
    “Non mi fanno né caldo né freddo.”
    Rhadan si lasciò sfuggire un mezzo sospiro rassegnato di chi sapeva scorgere più in profondità di quello che la vista gli proponeva.
    “Siete tornato solo per la solita richiesta?” domandò poi, ma la risposta che ottenne lo stupì.
    “La mia è anche una visita ufficiale. Sono qui per conto del Re.”
    “Allora non è il caso che aspettiate e-”
    “No.” Lapidario. “Non ho intenzione di avere alcun trattamento di favore da quell’individuo e per quanto io sia qui con uno scopo importante, aspetterò il mio turno.”
    “Ma signorino-”
    “Ho detto di no. E’ un ordine.” Mamoru si poggiò spalle al muro, incrociando le braccia al petto. Di lì non si sarebbe mosso, non prima del tempo.
    Il servitore capitolò.
    “Come volete, signorino…”
    “Ah, sia chiaro: mio padre saprà che sono qui solo quando mi vedrà varcare quella porta. Perché rovinargli la sorpresa? Non sei d’accordo?” Implicito invito a tacere cui l’uomo rispose con un inchino e un altrettanto implicito: ‘sì’.
    La Fiamma rimase a osservare Rhadan che si allontanava, poi volse lo sguardo a una delle enormi finestre che illuminavano l’ambiente.
    Di fuori, il cielo era di un fastidioso colore azzurro.

     

    “You’re so consumed in how much you get /
    Sei così consumato da quello che ottieni,
    you waste your time with hate and regret /
    perdi il tuo tempo con odio e rancore.
    You’re broken /
    Sei spezzato,
    when you’re heart’s not open /
    quando il tuo cuore non è aperto.

     

    “Davvero una brutta storia.”
    Teppei aveva le mani intrecciate dietro la testa e lo sguardo per aria.
    Assieme ad Hajime avevano camminato per ore eppure entrambi avevano la sensazione di non essere nemmeno a un quarto della città. Dhyla sembrava infinita e si perdeva nel rosa dei petali di ciliegio che erano ovunque.
    Si erano fermati solo per sbocconcellare qualcosa, mentre entravano e uscivano nelle serpentine di strade più strette o più larghe. Avevano incontrato uno dei Minister del Fuoco – lì ce n’erano addirittura tre; Dhyla era votata alla divina Maki –, ma non avevano ottenuto nessuna informazione utile in merito alla visita del Principe Tsubasa.
    “Già.” Hajime aveva un’espressione pensierosa, mentre si guardava attorno pur senza vedere nulla. “Chi mi preoccupa di più però è Yuzo. Temo che il suo innato istinto a volere a tutti i costi far del bene porterà a una catastrofe, questa volta.”
    “Lui sente molto le questioni familiari, dopotutto non è il vero figlio del Console.”
    “Sì, lo so. Ma da che ci siamo mossi per raggiungere Dhyla, Mamoru è cambiato in maniera radicale e non ti nascondo che il suo atteggiamento mi intimorisce.”
    Teppei annuì con vigore, lasciando che il silenzio accompagnasse per un po’ i loro passi.
    Entrambi temevano la reazione di Mamoru, che di solito era solo fumo. Questa volta però percepivano nettamente il pericolo provenire dalla Fiamma e non sapevano immaginare quello che sarebbe potuto accadere se infastidita più del necessario.
    D’un tratto, il tyrano cercò di allentare la tensione, sorridendo.
    “Non pensavo che questo viaggio finisse col portarci nella città natale di uno di noi. Pensa che bello se fossimo arrivati anche a Ilar.” Gongolò alla sola idea, mentre Hajime appariva di tutt’altro avviso. “I nostri genitori sarebbero stati così orgogliosi di vederci insieme in missione ufficiale!”
    “E sentirmi chiamare ‘pesciolino’ davanti a tutti?! Che Yoshiko mi scampi! Anche no!”
    “Oh, andiamo! Non fingere che non ti piacerebbe. Da quanto tempo non vedi tua madre?”
    Il Tritone nascose il sorriso, fingendo di guardare altrove.
    “Più di un anno, ormai.”
    “Io due. Tyran è troppo lontana e tra l’andata e il ritorno perderei troppo tempo.” Sospirò.
    Non avevano mai affrontato il discorso della lontananza da casa; ogni volta che si vedevano, o anche nelle lettere che si scambiavano, parlavano sempre d’altro, ma non si erano mai fermati, seriamente, a rimuginare su quanto distanti erano divenuti dalle loro radici.
    “Mi mancano tutti. Mamma, papà, zio Shiro, zia Arin. E tu. Ti vedo ancor meno dei miei genitori, per questo sotto sotto sono felice di questa missione. Era da tanto che non passavamo tutto questo tempo insieme.”
    “Sei sempre stato il più sentimentale tra noi.”
    “Come se non ti conoscessi, so bene che manchiamo molto anche a te.”
    Hajime non rispose, ma girò nuovamente il viso. Teppei aveva sempre saputo vedere sotto i suoi modi più distaccati quello che provava davvero. Non per niente era il suo migliore amico.
    “Però, anche se non li vedo spesso, i miei, mi sento comunque molto fortunato” riprese il tyrano e aveva un’espressione più seria, ma velata. “So che ci saranno sempre, anche se distanti. Yuzo invece non ha mai conosciuto sua madre. Deve essere stato… difficile.”
    “Sì, lo penso anche io. Per fortuna ha suo padre.”
    “Ma non è quello vero.”
    “Non credo che dopo tutti questi anni ci sia differenza.”
    “Tu dici? Forse hai ragione. Non abbiamo mai avuto modo di parlarne, ma le volte che Yuzo racconta del Console mi sembra veramente felice.” Poi sospirò. “E Mamoru, invece?”
    Hajime tese le labbra. “Hai sentito Yuzo, no?”
    “Devono avere dei caratteri molto simili per essere così in contrasto.”
    “Ho avuto il tuo stesso pensiero. I conflitti generazionali uniti alla distanza forzata a causa dello studio non devono aver giovato al loro rapporto.”
    “Mah, non saprei, Hajime. Io e te vediamo pochissimo i nostri genitori, ti sembra che siamo così ai ferri corti?”
    Il Tritone non seppe rispondere. Doveva esserci per forza qualcos’altro di cui loro non erano a conoscenza. E poi c’era anche la figura di quella donna misteriosa e il modo aspro con cui Mamoru le si era rivolto.
    “Certo che però, seppur in conflitto col padre, potrebbe anche farla una visita a sua madre, quello zuccone.” Teppei infilò le mani nelle tasche, deformando le labbra in una smorfia. “Secondo me deve essere una donna molto bella.”
    “Tutte le madri sono belle.”
    “Ecco, lo vedi che sei sentimentale anche tu?” Lo punzecchiò Teppei e Hajime rise, dandogli una leggera gomitata.
    Camminarono ancora e sulle loro teste il cielo imbruniva. Si incendiava nel tramonto che lì sembrava davvero diventare di fuoco. Quest’ultimo era ovunque. Si rincorreva nel frequente colore rosso della case o insegne delle botteghe, nei piccoli simboli incisi sulle mura, sotto i cartelli. Appariva in maniera discreta ma decisa per rimarcare che Dhyla era una città interamente votata a questo Elemento.
    Hajime se ne accorse nell’andare avanti della giornata e delle strade.
    Lungo una viuzza sterrata, che portava alle campagne più esterne, incrociarono un piccolo altare alla divina Maki intagliato in pietra lavica.
    Davanti alla statuina vi era un fuoco che bruciava lentamente e di continuo e ceste ricolme di petali di ciliegio: la gente passava, ne prendeva una manciata, la gettava nel braciere e rivolgeva una preghiera alla Dea.
    Il Tritone si fermò a osservare quell'altare con intensità.
    Fuoco e ciliegi.
    Erano questi i veri simboli della città.
    Fuoco e ciliegi.
    “Se non sbaglio, la più importante Sacerdotessa del Fuoco dell’ultimo secolo ha vissuto a Dhyla.” Teppei aveva le braccia conserte e lo sguardo serio, contrariato. “So che è vista come un modello di integrità. Un Mito. E non sono d’accordo. È per questo che non nutro molta ammirazione in loro: hanno una mentalità arcaica, certe volte, che mi lascia perplesso. Sono troppo chiuse in loro stesse e nel loro mondo fatto di clausura e preghiera.”
    Hajime sembrò ricordare solo in quel momento quella storia, letta su qualche libro. Se non ricordava male, la donna si chiamava Sakura.
    Ciliegio.
    Fuoco e ciliegi.
    - Sakura Takarazuka - pronunciò il nome per esteso nei suoi pensieri, mentre le parole che aveva letto di sfuggita venivano a galla. - Moglie del Doge di Dhyla. -
    Il Tritone venne percorso da un brivido improvviso.
    Lentamente realizzò il senso della frase che, un tempo, gli era sembrata solo nozionistica e senza importanza. Ora gli parve fondamentale.
    Lei era parte della risposta ai numerosi perché di quella tappa.
    “Teppei” Hajime sembrava scolpito nel ghiaccio. “Credo che quella donna sia la madre di Mamoru.”

     

    “Now there’s no point in placing the blame /
    Ora non ha senso dare la colpa
    and you should know I suffer the same /
    e dovresti sapere che anche io soffro lo stesso.
    If I lose you /
    Se perdo te
    my heart will be broken /
    il mio cuore si romperà.

     

    Si era offerto di tornare indietro perché sperava che la confusione del mercato lo distraesse e lo aiutasse a non pensare ad altro che alla missione. Invece, nel continuo vociare e fluire di persone e merci che passavano di mano in mano e attorno a lui, il suo compito, l’intera missione sembravano non esistere più.
    Fino ad allora, ed erano trascorse parecchie ore da che si era separato dai suoi compagni, non aveva fatto altro che vagare, trascinato dalla fiumana come un pesce nella corrente. Non aveva cercato informazioni né indizi, non ci aveva nemmeno pensato.
    La sua testa era presa da altro e non riusciva a scrollarsene semplicemente perché non voleva. Non voleva tacere e obbedire passivamente anche se sembrava la cosa migliore da fare. Non voleva vedere Mamoru… che non era Mamoru. Perché il giovane gelido che abbaiava ordini, che sembrava un cane rabbioso costretto al guinzaglio e si contorceva per riuscire a mordere chiunque gli capitasse a tiro, non era l’ardente Fiamma di Fyar. Non era la persona brusca ma giusta, che faceva sempre tante storie, ma che si preoccupava di tutti e capiva i propri errori. Non era la persona che aveva imparato a conoscere e non riusciva a vederla così perché… gli faceva male.
    Il gioco dei legàmi tornava ancora a stringere un po’ di più quei fili che, accettati o meno, facevano già parte di loro.
    Mentre un mercante gli mostrava ninnoli di tutti i tipi che lui non vedeva neppure, Yuzo si domandò se non fosse per quello che Mamoru rifiutasse di legarsi alle persone: per la morte di sua madre e l’odio verso suo padre. Forse si sentiva tradito e lui, che allo stesso modo conosceva il dolore di certi legàmi, poteva capirlo. La differenza era che lui continuava a crederci e gli risultava impossibile non legarsi alle persone, mentre Mamoru aveva deciso che non sarebbe più caduto nella stessa trappola. Modi diversi per un identico scopo: non ferirsi di nuovo.
    Ma la Fiamma sembrava non accorgersi di come la sua ostinazione e il suo gelo stessero avendo un effetto deleterio.
    Non poteva accettare che si distruggesse in questo modo. Era più forte di lui. Perché per quanto Mamoru avesse cercato di spezzarlo, come aveva fatto con gli altri, c’era un legame tra loro e Yuzo non l’avrebbe mai lasciato morire.
    Il problema, però, era che non aveva la minima idea di quello che avrebbe dovuto fare.
    Il volante sospirò mentre fingeva di valutare la qualità di un ricco pezzo di stoffa. La seta era bordeaux scuro e scivolava morbidissima tra le dita.
    Se si fosse intromesso, Mamoru gliel’avrebbe fatta pagare.
    Sotto la pelle si affollarono tutte le sensazioni negative che aveva provato da quando aveva osato rispondergli nel modo sbagliato: i suoi occhi di fuoco freddo, l’impressione di venire schiacciato al suolo.
    Yuzo avvertì un brivido corrergli lungo la schiena per diramarsi poi nel resto del corpo.
    Un’improvvisa folata di vento lo investì con la sua pioggia di petali di ciliegio. Si schermò il viso con un semplice gesto della mano e, mentre tutt’attorno c’era chi borbottava, a lui sfuggì finalmente un sorriso. Sollevò il capo per godere del tocco leggero dei fiori che sembravano accarezzargli il viso e quando abbassò lo sguardo scorse un ombrellino da sole rotolare, spinto dal vento, fino a fermarsi ai suoi piedi. Un grazioso ombrellino rosso con dei tintinnanti pendagli.
    Yuzo lo osservò muoversi come a rallentatore prima di chinarsi a raccoglierlo. Lo aveva già viso, stretto in mani ben precise.
    L’attimo dopo, i suoi occhi incrociarono quelli della donna misteriosa da cui Mamoru gli aveva ordinato di stare alla larga.
    La vide raggiungerlo con passo svelto, destreggiandosi tra la folla. Dietro di lei, una signora più paffuta e goffa – probabilmente della servitù – cercava di seguirla come poteva.
    Yuzo sapeva che non avrebbe dovuto essere lì. Sapeva che avrebbe dovuto solo restituirle l’ombrellino e andarsene via il più in fretta possibile, ma il pensiero della brezza improvvisa che faceva cadere quell’ombrello proprio davanti a lui rallentò le sue reazioni.
    “Il vento me lo ha rubato dalle mani!” rise la donna. “Ti ringrazio per averlo raccolto.”
    “Non dovete ringraziarmi, mia signora” rispose con cortesia, porgendole l’oggetto.
    “Sei uno dei ragazzi che erano con Mamoru, vero?”
    Il volante indietreggiò di un passo. “I-io…”
    “Posso rubarti qualche minuto?”
    “No… no, io… io non posso…” indietreggiò ancora. Mamoru non gliel’avrebbe perdonata se gli avesse disobbedito. Eppure nel suo sguardo si leggeva chiaramente quanto fosse combattuto.
    “Ti prego, sarò veloce…”
    “Mi… mi dispiace, ma Mamoru… Mamoru non… non posso. Perdonatemi, non posso!”
    “Per favore…”
    “Non posso! Devo andare!” indietreggiò ancora fino a voltarle le spalle. Non riusciva a sostenere il suo sguardo che lo supplicava di ascoltarlo. Doveva allontanarsi altrimenti sapeva che avrebbe ceduto. Cercò di ignorare il segno del vento che sembrava averli fatti incontrare, ma non poté non fermarsi di colpo quando udì quelle parole. Non poté.
    “Sono sua madre!”

    “Mmmmh, if I could melt your heart /
    Mmmmh, se io potessi sciogliere il tuo cuore
    Mmmmh, we’d never be apart /
    Mmmmh, non saremmo mai separati.
    Mmmmh, give yourself to me /
    Mmmmh, dammi te stesso.
    You /
    Tu
    hold /
    stringi
    the key /
    la chiave.

    Madonna - Frozen




    …Il Giardino Elementale…

     

    Finalmente... Dhyla.
    Come già annunciato da Teppei, questa non sarà affatto una tappa facile e anche per me è stato lunghissimo scriverla (XD infatti è divisa in cinque parti). Quindi, seguendo il consiglio del Tritone: tenetevi pronte! X3
    E' arrivato il momento di cominciare ad aprire le porte rimaste chiuse, di mostrarvi cosa c'è in fondo al cuore di Mamoru, i suoi segreti.
    E Yuzo?
    Adesso che quella donna lo ha fermato affermando di essere la madre di Mamoru... che avverrà?
    Scopritelo su Melantuchescional Ciannel! Scopriamolo insieme! **
    Consiglio moltissimo di vedere il video di "Frozen" perché rende abbastanza bene l'idea di Sakura Takarazuka. Il cognone, 'Takarazuka', non è stato scelto a caso: il Teatro Takarazuka è una forma di teatro leggero - simile all'operetta - composto da soli membri femminili, che coprono anche ruoli maschili. L'ho scelto perché si accosta molto all'immagine matriarcale delle Sacerdotesse Elementali.

    Grazie di cuore a tutti coloro che seguono questa storia :*




    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 27
    *** 11 - I segreti di Mamoru - parte II ***


    Auguri Natalizi: Questo sarà l'ultimo aggiornamento prima di Natale, ma non di certo l'ultimo dell'anno! *ride*
    Volevo quindi fare a tutte/i voi, che continuate a seguire con costanza e affetto (XD e coraggio!) questa storia, tantissimi auguri per un Natale felice e sereno, da trascorrere con le persone che più amate e che più vi amano, quelle persone importanti che vorreste sempre avere vicino in ogni momento della vostra vita. Divertitevi e mangiate senza stare a pensare alla linea (XD). AUGURI!!! :3 *abbraccia tutti*

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 11: I segreti di Mamoru (parte II)

    Dhyla – Regno degli Ozora, Terre del Sud Nord-occidentali

    “Il prossimo.”
    Il tono perentorio era come lo ricordava. Non avrebbe mai ammesso che fosse uguale al proprio quando aveva la luna storta.
    Mamoru entrò nella grande stanza che suo padre usava come ufficio, chiudendo le pesanti porte alle spalle.
    L’uomo era seduto alla lunga e spessa scrivania, lo sguardo rivolto alle carte che stava compilando.
    La luce del limpido tramonto entrava dall’enorme finestra alle spalle del Doge. Dhyla viveva oltre quei vetri.
    “Nome e motivo del colloquio.” Nasir Izawa non alzò gli occhi nemmeno per un attimo, continuando a scarabocchiare numeri e parole.
    Mamoru si calò l’espressione peggiore e rispose con ironia. “Elemento di Fuoco, in missione per conto del Re Ozora.”
    Nasir levò subito lo sguardo, tenendo la piuma sollevata a mezz’aria. I capelli, non più perfettamente neri come in gioventù, erano sciolti e ben più lunghi di quelli di Mamoru. Le labbra si piegarono in un sorriso altrettanto ironico da sotto i baffi e le rughe si approfondirono attorno agli occhi.
    “Ma tu guarda chi si ricorda, ogni tanto, di tornare all’ovile.” Lasciò con un gesto seccato la penna nel calamaio, incrociando poi le mani sopra la scrivania. “Bentornato, figlio.”
    “Se mi dessi quello che voglio, una volta per tutte, potrei anche smettere di tediarti con queste visite di scortesia. Ne guadagneremmo entrambi.” Mamoru rimase davanti alla scrivania a braccia incrociate e mento sollevato, ma Nasir era ormai abituato ai suoi modi arroganti e aveva sempre saputo rispondergli a tono. Era ancora suo padre, dopotutto.
    “E privarmi del piacere di vederti schiumare rabbia ogni volta che te ne vai? Come farei senza il mio passatempo preferito?”
    Mamoru masticò un insulto, ingoiandone i frammenti. Gli avrebbe voluto staccare la testa con un colpo solo, ma si limitò a scuotere il capo, spostando altrove lo sguardo. L’ironia si sciolse in toni più seri.
    “Vedi di non farmi perdere tempo, sono venuto qui in missione ufficiale.”
    “Addirittura?” Nasir si strinse nelle spalle. “Avanti, sentiamo.”
    “Voglio un resoconto dettagliato della visita del Principe: è scomparso e io sono stato mandato sulle sue tracce.”
    A quella notizia, il volto di suo padre si fece più attento e serio; un sopracciglio saettò verso l’alto. “Scomparso, hai detto?”
    “Sì. Lui, la Chiave, tutta la scorta. Scomparsi. Non sono mai giunti a destinazione né tantomeno sono tornati indietro. Il Principe è arrivato a Dhyla, vero?”
    L’uomo si passò una mano sul mento, pensieroso e preoccupato. “Sì, certo.”
    “Dimmi tutto e non tralasciare nemmeno l’evento più insignificante.”
    Nasir annuì adagio, rilassandosi contro lo schienale della poltrona. “La città era blindata. Il Principe era un ospite troppo importante perché qualcosa potesse andare storto, quindi ho raddoppiato il numero dei soldati nei posti di guardia. Ho addirittura sospeso il mercato lungo la strada che avrebbe dovuto percorrere il corteo.”
    “E i Minister?” Mamoru prese a camminare davanti al tavolo. Gli occhi di suo padre lo seguivano a ogni passo.
    “Tre del Fuoco, uno di Aria e uno di Terra. Dislocati lungo tutta la strada. Uno del Fuoco e quello di Terra sono poi rimasti di guardia al palazzo per la durata della cena e il pernottamento. Il Principe è partito come da programma la mattina successiva.”
    “E non è stato notato nulla di anomalo?”
    “No.”
    Mamoru si fermò nei pressi del grande camino sito nella parete opposta alla finestra. Non ricordava di averlo mai visto acceso, ma era anche vero che lui non aveva mai passato molto tempo, da bambino, in quell’ala del palazzo. Troppo impegnato ad apprendere il possibile da sua madre per dedicarsi ad altro. E poi, non ricordava nemmeno quanto rigido fosse l’inverno a Dhyla; come aveva detto a Yuzo, non ricordava nemmeno se avesse mai nevicato.
    Espirando a fondo, appoggiò il braccio sulla mensola della cappa, picchiettandovi nervosamente le dita. Così non andava bene. Era impossibile che non ci fosse ancora nessuna novità, nemmeno un indizio. Come avevano fatto, gli Stregoni, a passare inosservati ogni dannata volta? Soprattutto in una città come Dhyla, dove la componente magica era molto più presente che altrove? A meno che…
    “Che cosa ha fatto il Principe?” domandò, lo sguardo assottigliato e puntato in quello di suo padre.
    “Ha girato un po’ per la città, ha tenuto un breve discorso alla popolazione e poi per il resto è rimasto al castello. Abbiamo discusso di questioni burocratiche.”
    “E le guardie reali sono sempre rimaste con lui?”
    “Certo, naturale. Lo seguivano ovunque andasse. Era il loro compito. Anche quando parlava con me, c’era sempre un soldato a vegliare sulla salute del Principe.”
    Per un attimo, un dubbio si insinuò nella mente della Fiamma, un dubbio terribilmente grave, ma ormai stava imparando che nessuna ipotesi poteva essere scartata. Nessuna. Nemmeno la più impensabile.
    Nasir notò il nervosismo nei gesti del figlio e abbandonò lo sguardo severo in favore di uno preoccupato. Mamoru era cresciuto ancora di più dall’ultima volta che lo aveva visto. Era un uomo ora, anche se negli occhi lo era sempre stato. Inspirò a fondo.
    “Sei in missione da solo?”
    “Questi non sono affari tuoi.” La Fiamma rispose brusco senza nemmeno girarsi. “Piuttosto, hai altri particolari da riferirmi?”
    “No.” Nasir sospirò. “Alloggi sempre alla solita locanda?”
    Mamoru ruotò gli occhi con noia, tornando nei pressi della scrivania. Odiava quando fingeva di preoccuparsi per lui.
    “Certo, dove se no?”
    “Avresti potuto fermarti qui, visto che era una visita ufficiale.”
    Tsk. Non essere ridicolo.” Minacciosamente si sporse verso di lui, le mani puntellate ai fianchi e l’espressione disgustata. “Io non ci metto piede, a eccezione di questo dannato ufficio.”
    Nasir lo fissò con altrettanta durezza. Il nero dei loro occhi non sbiadiva con lo scorrere del tempo né diveniva meno ardente. Pece e Carbone.
    “C’è altro che vuoi sapere?”
    Mamoru tornò a sollevare il mento, interrompendo lo scontro visivo. Nessuno dei due vinceva mai, tra loro, si trattava solo di ritirate strategiche per poi tornare a combattere ancora.
    “Sì, una cosa c’è: quando ti deciderai a darmi quel dannato permesso?”
    A Nasir sfuggì una risata ironica a labbra strette. Scosse il capo. “Non molli la presa, vedo. Nemmeno in missione. Ancora non ti sei stancato?”
    “Per niente. Credi davvero che mi arrenderò, un giorno?” Mamoru si sentì ferire nell’orgoglio. “Non ci penso nemmeno. Io tornerò, fino a che non cederai. Sarai tu ad arrenderti.” Gli volse le spalle, guadagnando la porta con passo fiero e deciso. Si fermò sull’uscio un’ultima volta, rivolgendo a suo padre solo la coda dell’occhio. “E vedi di dire alla tua donna di non intralciare la mia strada.”
    Nasir rimase a osservare il modo brusco con cui sbatté l’uscio per poi passarsi lentamente una mano sul volto.
    “Che caratteraccio. Chissà da chi ha preso…” Gli venne da ridere.
    In quel momento la porta si aprì piano e la testa candida di Rhadan fece capolino. Sul viso, l’espressione preoccupata.
    “Va tutto bene, signore?”
    “Sì, certo. Tutto a posto.” Un sorriso riconoscente si incurvò da sotto i baffi. “Grazie per avermi avvisato.”
    Il servitore accennò appena col capo e poi se ne andò, lasciandolo nuovamente ai suoi affari.

    Per quale dannato motivo avrebbe dovuto pernottare in quel maledetto palazzo?
    Ormai non aveva più niente a che fare con nessuno, lì, eccetto suo padre. Ma una volta che avesse ottenuto quel maledetto permesso, tutta quella storia sarebbe finalmente finita e lui non avrebbe rimesso mai più piede a Dhyla.
    Mamoru aveva lasciato la sede dogale quasi correndo, tanto sostenuto era il suo passo. Ne aveva abbastanza di quel posto, degli sguardi che la gente gli rivolgeva e di quella inutile commedia che ogni fottuta volta suo padre metteva in piedi. Se non fosse che diverso era stato il motivo che lo aveva condotto in quella città, questa volta non se ne sarebbe andato fino a che non gli avesse consegnato quell’odiatissimo documento.
    Un semplice pezzo di carta e dopo la sua famiglia non sarebbe esistita mai più. Forse non esisteva già da tempo, ma presto avrebbe spezzato anche l’ultimo legame.
    Perché i legami indebolivano e fuorviavano.
    Ingannavano.
    E lui doveva liberarsene ora che era in tempo.
    Anche con Yuzo.
    Scosse il capo. Non voleva nemmeno accettare di avere una qualche sorta di legame con lui. Eppure le sensazioni di Rhanka erano ancora lì, calde come il vento shurhùq.
    Mamoru si massaggiò la fronte, passando poi una mano tra i lunghi capelli corvini.
    Avrebbe fatto in modo che il giro di perlustrazione si concludesse il giorno dopo così, la sera, sarebbero stati nuovamente pronti per ripartire. Doveva lasciare quella città il più in fretta possibile. Gli faceva mancare l’aria.
    La Fiamma si inoltrò per alcuni vicoli stretti che tagliavano la via principale. Sarebbe arrivato alla locanda giusto in tempo per la cena, anche se non aveva chissà quale appetito. D’un tratto si fermò, per capire dove fosse e non trovò nessun elemento familiare. Non conoscendo Dhyla alla perfezione, forse doveva aver sbagliato vicolo in cui svoltare.
    Sbuffò, portandosi le mani ai fianchi. Frettolosamente si guardò intorno per riuscire a capire da che parte doveva andare, quando i suoi occhi passarono di sfuggita davanti alla vetrina di una taverna e la superarono.
    Poi tornarono indietro.
    E si fermarono, divenendo enormi.
    Orbite nere che sembravano inglobare tutto ciò che vedevano, quasi fossero dei pozzi senza fondo.
    Si era trattato solo di un attimo. Il brillio di un lungo orecchino era rimasto intrappolato nella coda del suo occhio; gli era sembrato quello del volante.
    Aveva guardato meglio.
    Era quello del volante.
    I suoi occhi non mentirono quando lo videro seduto a un tavolo assieme alla donna alla quale non si sarebbe mai dovuto avvicinare. Glielo aveva ordinato e lui aveva detto che avrebbe obbedito, che avrebbe obbedito a tutti i suoi ordini. Glielo aveva promesso, gli aveva dato la sua parola.
    Ma in quel momento non vide nient’altro che loro due che continuavano a discorrere amabilmente come se lui non avesse nemmeno parlato.
    E si sentì tradito; la sua fiducia gettata alle ortiche.
    Il sangue si incendiò nelle vene e formicolò nei palmi; cavalcò la schiena, avvampò il petto.
    Quel fottuto volante aveva oltrepassato il limite.

    Si erano lasciati alle spalle le vie trafficate del mercato, i rumori, la gente e la pioggia di petali.
    Avevano scelto la tranquillità di una taverna meno in vista come luogo in cui nascondersi, ma gli sguardi degli avventori erano comunque su di loro, incuriositi.
    La donna aveva congedato la sua accompagnatrice, delegandola di tornare a casa e di riferire alla cuoca cosa avrebbe dovuto preparare per cena. Era molto meticolosa, ma gentile.
    Yuzo l’aveva osservata con attenzione, come se dai suoi modi di fare avesse potuto scoprire tutto di lei. Gli aveva detto di chiamarsi Sheral e gli aveva fatto strada verso quella taverna dove erano ancora seduti.
    Erano rimasti in silenzio fino a che una cameriera non aveva portato le loro ordinazioni.
    Il tramonto era già in atto, ma il cambio di luminosità era stato reso meno evidente dalle candele accese.
    Yuzo aveva mantenuto lo sguardo fisso sulla tazza fino a che lei non aveva parlato.
    “Matrigna sarebbe il termine più corretto. La vera madre di Mamoru è morta che lui aveva solo sei anni.”
    “Sì, me lo ha accennato.”
    La donna lo guardò con espressione palesemente stupita, ma era una sorpresa positiva.
    “Davvero?”
    “Sì, mia signora.”
    “Non immagini quanto sia contenta di questo.” Rimestò il cucchiaino nel tè per l’ennesima volta. I movimenti erano lenti e perfettamente circolari. “Mamoru non ama parlare di sé o della sua famiglia.”
    “Già. È un po’ burbero.”
    “Solo un po’?” rise lei divertita. “Anche se non è davvero mio figlio, gli voglio bene come se lo fosse, ma lui non ha mai accettato il fatto che suo padre si sia risposato. Per lui non sono che l’usurpatrice che ha osato prendere il posto della sua vera madre.” Levò lo sguardo sull’Elemento d’Aria. “Mi spiace che abbiate dovuto assistere a una scena simile, prima, e mi spiace di averti costretto a concedermi qualche minuto, ma volevo sapere come stava.”
    Yuzo riconobbe un senso d’afflizione e rassegnazione nel suo sospiro.
    “Sai, Mamoru non torna quasi mai e quando finalmente rientra in città va dritto da suo padre, litigano e se ne va. Non resta nemmeno a dormire a casa…”
    “Sì, lo so. Alloggiamo alla locanda dove si ferma di solito. E’ stato così che abbiamo scoperto che era il figlio del Doge. Non lo sapevamo…” Yuzo incrociò le mani sulla superficie del tavolino.
    Era consapevole che non avrebbe dovuto farlo e aspettare che fosse Mamoru stesso a parlargliene, ma sapeva anche che la Fiamma non lo avrebbe mai fatto, così s’arrischiò a chiedere: “Quindi è a causa del suo secondo matrimonio che Mamoru e suo padre non vanno d’accordo?”
    Doveva capire.
    Magari… magari avrebbe potuto fare qualcosa, anche se il rischio di farsi odiare era altissimo. Aveva già disobbedito ai suoi ordini, Mamoru sarebbe andato fuori di testa, ma non voleva che continuasse a soffrire.
    Perché la Fiamma soffriva, anche se fingeva d’essere indistruttibile e indomabile come un incendio.
    La donna lo scrutò a lungo, le sopracciglia erano aggrottate sull’espressione titubante.
    “Mamoru non ti ha raccontato di com’è morta sua madre, vero?”
    Il volante scosse il capo.
    “Lei era una Sacerdotessa Elementale.”
    Quella verità lo gelò. Yuzo avvertì nettamente l’aria ghiacciarsi lungo la schiena. Come un fulmine gli tornò alla mente quel momento a Dhèver in cui aveva saputo che Rika era stata Sacerdotessa Elementale, ricordò la freddezza improvvisa e poi la malinconia nei suoi occhi quando aveva guardato la piccola Mayleen. Comprese tutto in maniera limpida, quasi l’avesse sempre saputo.
    “Una delle più importanti dell’ultimo secolo, oserei dire. Fu costretta a lasciare il tempio quando la sua famiglia cadde in disgrazia. Purtroppo, il fratello maggiore della madre di Mamoru era morto prematuramente e tutte le responsabilità si riversarono su di lei. L’unico modo che i Takarazuka avevano per non perdere i loro possedimenti era quello di legarsi a qualche famiglia importante. Il caso volle che il vecchio Doge, il nonno di Mamoru, stesse cercando una moglie per il figlio che avrebbe dovuto ereditare l’intero Dogato di Dhyla. Fu così che venne combinato il matrimonio tra Nasir Izawa e Sakura Takarazuka.”
    Sakura.
    Quel nome rimbalzò nella sua testa senza fermarsi, ma esplodendo in altri nomi, concetti, pensieri.
    Sakura.
    I fiori di ciliegio.
    Quelli che riempivano l’intera città.
    Quelli che Mamoru amava.
    “Nasir… ha amato davvero Sakura, nonostante il loro rapporto fosse costruito su litigi e silenzi. L’ha amata dal primo momento che l’ha vista.” La donna sorrise. Dal suo sguardo era chiaro che sembrava conoscere ogni cosa di suo marito, ogni pensiero e sfumatura. E anche se parlava dell’amore che l’aveva legato a un’altra donna non c’era astio o invidia nei suoi occhi. “Sakura era così bella. Sembrava una bambola antica e preziosa e per questo fragile. Invece era una donna che dietro la purezza della devozione per la Dea Maki, dietro la bellezza intoccabile nascondeva una spietatezza che neanche il diamante avrebbe potuto scalfirla.” Lo sguardo s’adombrò. “Non ha mai amato nient’altro che la Dea e il suo Elemento. Sakura era nata per il Fuoco, portarla via da Vestalys non servì a piegarla né spezzarla. Molti pensarono che fosse pazza, invece aveva solo una fede incrollabile e niente, niente riuscì mai a far vacillare le sue convinzioni. Né suo marito. Né suo figlio.”
    Un altro brivido, più forte del precedente, lo punse per tutta la spina dorsale senza dargli tregua. Aghi sotto pelle, si infilavano tra le ossa.
    Sheral parlava di Fuoco, ma lui avvertiva solo ghiaccio nelle sue parole, lo stesso che aveva letto negli occhi del compagno da quando avevano messo piede in quella città.
    “Fin dalla sua nascita, Mamoru è stato educato secondo i principi elementali. Sakura se ne incaricò personalmente nonostante Nasir fosse sempre stato contrario. Temeva che anche lui rimanesse ossessionato dal Fuoco e per questo ha sempre cercato di spezzare il loro legame, ma a quella età il mondo di un bambino ruota tutto attorno alla propria mamma.” Sheral addolcì lo sguardo con un sorriso. “Almeno, questo è quello che sto imparando dai miei figli.”
    Yuzo sgranò gli occhi. “Mamoru ha dei fratelli?!”
    Lei ridacchiò del suo entusiasmo. “Ben tre. Due maschietti e una femminuccia. Sono orgogliosissimi di avere per fratello maggiore un Elemento di Fuoco, stravedono per lui.”
    “Ma è bellissimo!” Poi il volante si accigliò, passandosi una mano sul viso. “Oddee, spero che Mamoru sia gentile con loro, mi ha detto che non sopporta i bambini…”
    “Anche io all’inizio credevo che li avrebbe detestati. Dopotutto: odia me, odia suo padre, perché avrebbe dovuto avere riguardi per quelli che per lui non sono che fratellastri? Invece, nei momenti in cui si sono incrociati, non è stato affatto scontroso. Ma in imbarazzo. I bambini gli fanno sempre un sacco di feste e lui… a volte ho avuto l’impressione che gli facesse piacere, che volesse essere più espansivo, ma non ci riesce: non si sente parte della famiglia. Così resta sulle sue e concede loro giusto un’occhiata o un saluto prima di dileguarsi.”
    Il volante non nascose la sorpresa.
    Ripensando bene ad alcune frasi che gli aveva rivolto a Sendai, avrebbe dovuto capirlo subito che anche quelle facevano parte di un atteggiamento di facciata. Ma non avrebbe mai pensato a una cosa del genere.
    Mamoru aveva tre fratelli.
    Il sorriso fece lentamente sparire la perplessità.
    Immaginarlo nel ruolo di ‘maggiore’ lo fece ridere sottilmente. Doveva essere fantastico.
    Sheral riprese la parola dopo aver sorseggiato un po’ del suo tè, ora tiepido. Nel tono, tornato serio, quasi dolente, Yuzo comprese che la storia non era ancora finita.
    “Con gli anni mi sono resa conto che Sakura non aveva fatto altro che ‘rispettare’ gli impegni presi. Prima di sposarsi, la sua responsabilità era stata quella di non abbandonare la famiglia in disgrazia, mentre dopo il matrimonio il suo dovere era divenuto quello di dare un figlio a suo marito. Se ci pensi bene, ha fatto entrambe le cose, ha mantenuto fede agli obblighi, ma nessuno le aveva detto che sarebbe dovuto essere per sempre. Fin da prima di sposarsi non ha mai smesso di ripetere che sarebbe tornata a Vestalys, un giorno, anche se oggettivamente non avrebbe più potuto farlo. Qualsiasi Sacerdotessa che abbandona il tempio viene esiliata all’istante e per sempre, non importa il motivo. Eppure Sakura era convinta del contrario.” La donna sospirò. “Lei decise di aver adempiuto ai suoi doveri quando Mamoru compì quattro anni. Lo fece partire in gran segreto, senza avvertire nemmeno Nasir. Attese due anni prima di congedarsi.”
    “Con… congedarsi?”
    Sheral levò lo sguardo su di lui e a Yuzo parve quasi di vederlo il ghiaccio che riusciva a ricoprire cose e persone. Era tattile.
    “Sakura si suicidò nella grande distesa di ciliegi che, prima di quel giorno, sorgeva alle spalle del palazzo dogale.”
    Il ghiaccio si ruppe all’improvviso, lasciando solo una lucente polvere di diamanti. Poi si dissolse.
    Yuzo non parlò. I lucchetti dell’Autocontrollo si serrarono uno dietro l’altro per nascondere agli occhi della donna la vera espressione che avrebbe voluto mostrare. Ora, sul suo volto, c’era quella fissità che Mamoru avrebbe riconosciuto essere finta in un attimo. La sua matrigna, invece, non aveva idea che si stesse nascondendo e davanti a lei vedeva solo un giovane uomo dal volto serio.
    “Nemmeno Nasir riuscì a fermarla. Sakura era troppo potente e a lui non rimase che guardarla morire tra le sue stesse fiamme.”
    “Si arse viva.”
    “Sì. Davanti a suo marito. Senza la minima pietà.”
    Un nuovo giro di chiave. La dominazione perfetta dell’emotività rinchiusa nel più piccolo spazio, fino a soffocarla.
    Con un sospiro, Sheral stemperò il tono. “Come ti ho detto, lei era nata per il Fuoco e solo nel Fuoco avrebbe accettato la propria fine. In questo modo, tornando cenere, sarebbe potuta tornare anche a Vestalys. Sai, le Sacerdotesse Elementali del Fuoco, quando muoiono, vengono cremate e le ceneri gettate nella brace del loro Elemento Eterno, il Sangue, affinché il suo ardere si fortifichi. Nonostante lei fosse stata esiliata dal Tempio, la Prima Sorella e le Sorelle Maggiori decisero che avrebbero fatto un’eccezione.” Scosse il capo, sul volto s’affacciò l’ombra di un sorriso ironico e triste. “Per loro, la sua devozione è superiore, divina. Per questo Sakura è conosciuta come Il Mito. La sua storia è portata come modello, un esempio da seguire.”
    Yuzo deglutì e la rabbia aveva un sapore acre. I lucchetti si chiudevano con suoni cupi che echeggiavano nella testa.
    Delle persone avevano sofferto per la sua ‘devozione’, Mamoru continuava a soffrire in solitudine. Ma alle Sacerdotesse non importava, troppo concentrate sulla propria fede. Il dolore altrui non era degno di nota.
    Con tutto sé stesso pregò di non aver mai a che fare con quelle donne.
    “Mamoru era solo un bambino quando Sakura morì e per lui, che le era sempre stato così legato nonostante tutto, fu semplice vedere in Nasir il colpevole. Per questo non vanno d’accordo: Mamoru vuole portare le ceneri di Sakura a Vestalys e Nasir non glielo permette.” Sheral abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Sorrise e sul volto si leggeva amore incondizionato e profondo. “Nasir adora suo figlio e vorrebbe davvero avere un buon rapporto con lui. Il problema è che sono uguali: testardi e pieni d’orgoglio. Nonostante sia stata lei la causa della loro separazione, Sakura continua a rimanere anche il loro unico punto d’unione.”
    Yuzo l’ascoltò fino in fondo con attenzione, concentrandosi solo su di lei e sulle sue parole. Il tè che aveva davanti non era stato toccato nemmeno con il cucchiaino e ormai era diventato gelido.
    Così quella era la storia, il perché Mamoru e il suo perenne ardore fossero divenuti glaciali e imperscrutabili. Il perché lui fosse sempre così cinico e preferisse restare da solo. Il perché considerasse inutili i legàmi. E ora che l’aveva saputo non aveva la minima idea di quello che avrebbe dovuto fare. Era stato troppo sicuro di poterlo aiutare, di essergli utile in qualche modo, senza nemmeno pensare che, invece, lui non avrebbe potuto fare niente.
    Non aveva ragionato a dovere, ma si era fatto guidare solo dal desiderio di poter fare qualcosa affinché non soffrisse.
    Sheral gli rivolse un sorriso più entusiasta e curioso. “Scusami se ho parlato così tanto. Ti prego, raccontami un po’ di Mamoru. Da quanto vi conoscete? Tu non sei di Fyar, vero?”
    Yuzo ricambiò il sorriso, allentando un po’ la tensione che avvertiva nelle spalle, ma l’incantesimo dell’Autocontrollo no, non lo sciolse.
    “Vengo da Alastra e conosco Mamoru solo da alcuni mesi. Siamo stati assegnati alla stessa missione.”
    “Oh, spero non sia niente di pericoloso.” Si preoccupò. “Si comporta bene?”
    “Sì, lui… è il nostro responsabile.” Il volante mimò una risata divertita. “Pecca un po’ di buone maniere, ma non ci abbandona mai. È sempre al nostro fianco, in ogni situazione. È leale.” Mentre lui non lo era stato, venendo meno alla parola data.
    “Davvero?” Sheral era affascinata. “Sono felice che abbia finalmente trovato degli amici. Mi dispiace di averti costretto a disubbidire ai suoi ordini…”
    “E non immagini quanto dispiacerà a lui d’averlo fatto.”
    Quella voce sprezzante, quella rabbia che colava da ogni singola lettera pronunciata con quel tono forte e perentorio sorprese entrambi e li gelò sul posto.
    Mamoru comparve dal nulla. La figura ritta, la testa alta e lo sguardo che avrebbe polverizzato l’Inferno.
    Sheral si portò una mano al petto e fece per parlare quando Yuzo la anticipò.
    “Mamoru, non-”
    “Tu aspettami fuori e non fiatare.”
    La Fiamma non lo guardò nemmeno e questo andava oltre ogni peggiore previsione.
    Yuzo non ebbe il coraggio di aggiungere altro. Rivolse un saluto col capo alla moglie del Doge e lasciò la taverna.
    Rimasti soli, Sheral si sentì ridurre in polvere sotto al suo sguardo. Tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di loro, ora più che mai. Per la Fiamma erano inesistenti.
    “Che cosa ti avevo detto?” sibilò.
    “Ti prego, Mamoru, non prendertela con Yuzo, non è stata colpa sua sono io che l’ho costretto a-”
    “Non mi importa di chi diavolo è la colpa! Ero stato chiaro con entrambi, ma mentre tu puoi permetterti il lusso di non ascoltarmi, per lui era un ordine!”
    I suoi occhi non davano tregua, avevano artigli roventi che si aggrappavano ai bulbi oculari di chi lo guardava e Sheral non riuscì a sottrarsi.
    “Cosa gli hai detto?”
    “Abbiamo parlato un po’ di te, non ti fai quasi mai vedere, non sappiamo nulla di come stai. Tuo padre-”
    “Non dire stronzate. Cosa gli hai detto, Sheral?” Poggiò una mano sul tavolo e il legno iniziò a fumare.
    Mamoru si sentiva esplodere. Un vulcano in eruzione. La lava rovente stazionava nello stomaco, bloccata solo dalla sua forza di volontà. Se l’avesse lasciata libera, avrebbe compiuto una strage. Negli occhi la pece ribolliva, diveniva incandescente; per un attimo alla sua matrigna sembrò addirittura tingersi di rosso.
    La donna ingoiò a vuoto, distogliendo lo sguardo.
    “Questo, nient’altro…”
    Lui masticò un ruggito. “Bugiarda.”
    La pece era impazzita, la lava divenne fiamma, il legno del tavolo venne consumato da un fuoco senza vampe. Nel momento in cui la donna aveva distolto lo sguardo, Mamoru ne era stato sicuro: “Gli hai parlato di lei.”
    Sheral si morse il labbro. “Lui… lui era preoccupato per te! Voleva solo aiutarti!” Levò nuovamente lo sguardo, ma ciò che vide riuscì a spaventarla ancora di più.
    La fiamma che ardeva nei suoi occhi si era ghiacciata di colpo. Dal suo corpo non avvertiva più il calore travolgente, il tavolo non stava ardendo. C’era solo freddo, Mamoru era freddo come un cadavere.
    “Non dovevi permetterti” disse in tono piatto e tagliente. Le parole le gelarono le ossa fin nel midollo. “Non ti uccido solo perché sei madre, ma intralciami di nuovo, avvicinati a lui ancora una sola, misera volta e non mi farò scrupoli e rendere nuovamente vedovo mio padre.”
    Non aggiunse altro, non le chiese nemmeno se avesse capito. Le volse le spalle e se ne andò.
    Sulla superficie del tavolo, l’impronta della sua mano era divenuta parte del legno.

    Yuzo lo sapeva.
    In quei pochi metri che lo separavano dalla porta della taverna, Mamoru pensò solo a quello.
    Yuzo lo sapeva.
    I metri gli sembrarono chilometri e i secondi per percorrerli s’allungarono in anni.
    Yuzo lo sapeva.
    Sapeva di sua madre, della sua storia e della sua morte.
    Sapeva dell’odio che covava verso suo padre e anche se era stato lui ad accennarglielo per primo, adesso era tutto diverso, perché conosceva il motivo.
    Le mezze parole che gli aveva confidato avrebbero assunto tutt’altro significato e si sentì messo a nudo, privato della pelle e delle ossa. La gabbia toracica sventrata e solo il cuore lasciato in balia dello sguardo altrui, quando per anni aveva imparato a tenerlo nascosto. Si sentì senza difese nel momento in cui afferrò la maniglia della porta, senza nemmeno il fulgore della fiamma a proteggerlo perché non l’avvertiva bruciare. Non aveva niente. Nessun’arma, nessuno scudo. Niente.
    Uscì dal locale. Yuzo era lì che lo aspettava; visibilmente nervoso, spostava il peso da un piede all’altro.
    Lui non aveva più il cinismo né la faccia di bronzo. Non era più l’irascibile Fiamma di Fyar.
    Era solo Mamoru.
    E Yuzo lo sapeva. Sapeva il suo segreto. Lo sapeva. Lo sapeva.
    “Mamoru… Mamoru mi dispiace, credimi! Ti giuro che non volevo disobbedire ai tuoi ordini! Non-”
    Il volante parlava a raffica come sempre quando tentava di giustificarsi affinché lui non si arrabbiasse. Ma l’Elemento di Fuoco non lo sentì e non lo guardò – o non permise che l’altro lo guardasse negli occhi –. Lo prese malamente per il braccio e lo trascinò con sé senza dire una parola.
    Come quando l’aveva cacciato via, Yuzo si preoccupò di quel silenzio perpretrato a oltranza. Quando perdeva le staffe, Mamoru gli urlava sempre contro, ma solo ora, trincerato nel mutismo, capì che era molto più che arrabbiato. Si lasciò strattonare senza opporre resistenza.
    “Hai tutte le ragioni del mondo per avercela con me. Però non prendertela con lei, non ha fatto nulla di male, voleva solo sapere come stavi. Sono io che ho sbagliato!”
    Mamoru svoltò in un vicolo isolato e meno trafficato. Con forza lo sbatté spalle al muro per farlo tacere.
    “Sì, sei tu che hai sbagliato! Sbagliato in tutto da che mi sei capitato tra i piedi!” abbaiò, le mani ai fianchi e gli occhi indemoniati.
    Se non avesse avuto il muro contro la schiena, Yuzo sarebbe indietreggiato. Non lo riconosceva, non lo riconosceva affatto. E ne ebbe paura.
    “Avevi detto che mi avresti obbedito! Mi avevi dato la tua parola! Sei un fottuto bugiardo! Bugiardo e ficcanaso! Non avevi alcun diritto di impicciarti della mia vita! Ma chi cazzo ti credi di essere?!” Mamoru lo afferrò per il bavero della casacca e lo strattonò. Gli occhi fissi nelle iridi nocciola confuse da quella violenza che sembrava incontenibile.
    Era impazzito.
    Ma tutto quello che riusciva a pensare era che Yuzo lo sapeva e sarebbe riuscito a leggergli dentro senza che potesse nemmeno tentare di difendersi. Il sapere a priori che non avrebbe potuto opporsi gli distrusse anche l’ultima punta di razionalità.
    “A che diavolo ti è servito ficcanasare?! Che speravi di fare una volta saputa la verità?!”
    “I-io… volevo aiutarti…” Il volante lo disse con un filo di voce e lui lo strattonò di nuovo.
    “Aiutarmi? E chi te l’ha chiesto?! Non ho bisogno di nessun aiuto, men che meno del tuo! Sei solo un presuntuoso che crede di sapere tutto! Ti ha cambiato la vita la verità su mia madre? Ti ha cambiato la vita sapere perché odio mio padre?! Dimmelo!”
    Yuzo distolse lo sguardo per un momento, ma quando tornò a guardarlo, Mamoru si accorse che aveva fatto ricorso all’Autocontrollo, velando gli occhi con una patina più distaccata, e la cosa gli mandò il sangue alla testa.
    “Non provarci!” Gli serrò il collo in una mano. Sembrava una tenaglia. Yuzo emise un lamento di dolore. “Non provarci nemmeno a nasconderti, non questa volta!”
    Se lui non aveva armi con cui difendersi, anche Yuzo non doveva averne.
    “Interrompi il tuo fottuto incantesimo e mostrati!”
    Il volante scosse il capo con difficoltà.
    “Mostrati, ho detto!”
    “No…”
    “No?! Pretendi di avere una scelta?! Io non ne ho avuta nessuna! E ora mostrati! Fammi vedere la tua vera faccia! Dimmi perché! Perché l’hai fatto?!
    A Mamoru non importava quanta violenza avrebbe dovuto usare. Fisica, psicologica non faceva differenza. Anche lui si era sentito violato nel suo dolore, ma nessuno se n’era curato e continuava a rimanere nudo davanti a Yuzo che aveva stretto gli occhi.
    Guardami!” Lo strattonò per la terza volta, senza controllo, voleva che obbedisse e non si curò della propria ferocia. Sarebbe arrivato anche a sbranarlo.
    Il volante cedette, le palpebre si aprirono adagio e Mamoru si rese conto che aveva annullato l’incantesimo.
    Eppure, in quello stesso momento, desiderò che non l’avesse mai fatto.
    Brillò per un attimo tra le ciglia e poi scivolò lungo la guancia, lenta, affinché potesse seguirla con lo sguardo.
    Mamoru non l’aveva mai visto piangere. Udito, quello sì, quando si trovavano a Sendai e già solo il ricordo gli riportò nel petto l’angoscia e il senso di colpa per non averlo potuto evitare. Vederlo andava oltre. Era a questo che serviva, dunque, l’Autocontrollo? Era a questo livello che poteva arrivare?
    Nascondeva la sofferenza fisica, nascondeva il dolore in tutte le sue forme, nascondeva le lacrime.
    Il suo cuore, scoperto e furente, venne schiacciato, sepolto sotto quella goccia, affogato.
    Si sentì un mostro.
    Aggrottò le sopracciglia e la bocca perse la piega amara in favore di una disorientata. La mano allentò la presa attorno al collo.
    Che cosa aveva fatto?
    Yuzo continuava a guardarlo con gli occhi che gli attraversavano i vestiti e la carne, polverizzavano le ossa.
    “L’ho fatto perché tu non sei Mamoru. Non quello che conosco io…” La voce, sussurrata, non faceva quasi rumore. “Da quando siamo arrivati qui sembri un’altra persona. Non avverto il tuo calore. Sei gelido. Mi avevi detto di starne fuori e io volevo obbedirti perché te l’avevo promesso… ma non ho potuto restare a guardare mentre la tua fiamma si spegneva come un fuoco sotto la pioggia.”
    Mamoru si sentì colpire, affondare, annientare; fare a pezzi, pezzi piccoli. Lo lasciò perché anche toccarlo gli faceva male. Arretrò d’un passo.
    “Tu soffri e io lo vedo, lo sento… ma non posso fermarlo.”
    Mamoru scosse il capo meccanicamente e indietreggiò ancora, passi alla cieca e malfermi. Non poteva arrivare a leggerlo così in profondità; non voleva accettare che ci riuscisse tanto facilmente.
    Gli volse le spalle, per non essere più succube dei suoi occhi.
    Era un incantesimo? Era anche quella una fottuta abilità dei volanti?
    “Volevo fare qualcosa per spezzare il tuo dolore-”
    “Sta’ zitto!” Il pugno stretto e caricato. Non vedeva più nulla. “Zitto! Zitto! Zitto!
    Il colpo si infranse nel muro di mattoni scavando un solco profondo quanto una mano: dall’osso semilunare alla punta del medio.
    Yuzo si coprì il volto per proteggersi dalle schegge che gli graffiarono il dorso delle mani e il collo.
    Il respiro di Mamoru era quello di un animale inferocito.
    “Sta’ zitto…” sibilò. “Non puoi fare niente per me… non puoi…” - Non so affrontarlo… -
    La rabbia rifluì come dopo un’improvvisa fiammata. Si disperse nell’aria. Il controllo tornava a prendere possesso del suo corpo.
    “Se osi intrometterti di nuovo, ti uccido.” - Non avvicinarti a me ancora di più... -
    Yuzo non replicò. Il viso girato dalla parte opposta a dove il pugno aveva colpito il muro. La guancia premuta nei mattoni, il respiro sollevava polvere. L’Autocontrollo di Alastra subito eretto, spesso e invalicabile. La loro tregua e tutto ciò che avevano costruito era andato in frantumi in pochissimi attimi. I legami recisi sanguinavano copiosi.
    Mamoru ritrasse la mano e dei frammenti di muro caddero a terra. Non guardò il volante, non ci riuscì. Gli volse le spalle e si allontanò.




    …Il Giardino Elementale…

     

    Uh-oh.
    Mamoru non l'ha preso tanto bene il tentativo di Yuzo.
    E così, come penso avevate già intuito da un po', sì: la madre di Mamoru era una Sacerdotessa Elementale e visto la fine che si è data, penso non sia nemmeno tanto difficile comprendere perché lui detesti l'intera categoria. Beh, diciamo pure che il loro rigore non fa molto onore (però fa rima XD), perché tutto viene lasciato indietro, non importa cosa si può arrivare a calpestare. Tutto quello che conta è solo ed esclusivamente la devozione alle Dee, il proprio Credo, la propria Fede. Il resto è come se non esistesse.
    Ma adesso la situazione è sfuggita di mano a entrambi. Che ne sarà di Mamoru e Yuzo?
    Avrei voluto farvi avere in questo aggiornamento un nuovo volume dell'Enciclopedia che riguarda più da vicino le Sacerdotesse e gli Elementi Eterni, ma complici i millemila impegni pre-natalizi non ce l'ho fatta T_T. Spero di riuscire ad aggiungerlo al prossimo capitolo. :3

    Gli ultimi aggiornamenti di Dicembre (e del 2011) verranno effettuati il:
    - 26 Dicembre: aggiornamento "Elementia: Fragments"
    - 29 Dicembre: aggiornamento "Elementia: The War"

    Ancora, e come sempre, ringrazio di cuore che continua a seguire questa storia infinita! :*****




    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 28
    *** 11 - I segreti di Mamoru - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 11: I segreti di Mamoru (parte III)

    Dhyla – Regno degli Ozora, Terre del Sud Nord-occidentali

    Rientrarono alla locanda in tempi diversi.
    Mamoru arrivò per primo, Yuzo circa quattro ore più tardi.
    Il buio era già calato su Dhyla, ma le strade erano ancora piene di gente che rientrava dal mercato che solo allora aveva cominciato a chiudere.
    Yuzo si era trascinato un passo alla volta per le labirintiche strade della città, percorrendo il tragitto più lungo.
    Aveva sbagliato.
    Aveva cercato di fare qualcosa e aveva sbagliato, ferendolo ancora di più. Mamoru aveva ragione: era stato presuntuoso e ora aveva perso anche quella fiducia così faticosamente guadagnata. Non era poi tanto bravo a sedare gli animi come gli aveva detto Rika. O forse era solo quello di Mamoru a essere davvero indomabile?
    A giocar col fuoco ci si finiva per bruciare. Niente di più vero.
    Si fermò ad alcuni passi dall’ingresso della locanda. La porta era chiusa, la cena doveva essere già stata servita. Mamoru era oltre quella soglia e lui non sapeva come avrebbe dovuto comportarsi. Prima di entrare s’aggrappò con tutto sé stesso alle discipline mentali della scuola, l’unica certezza a essergli rimasta.
    Con passo che mimava sicurezza, raggiunse la sala da pranzo. Hajime e Teppei erano ancora lì, al tavolo. Nessuna traccia della Fiamma.
    Appena lo vide, il Tritone s’alzò in piedi, nervoso e preoccupato.
    “Yuzo, finalmente! Ma dove sei-” Inarcò un sopracciglio senza terminare la frase. Gli occhi si accorsero delle ferite sul collo. Non erano altro che graffi di poco conto, ma erano arrossati e avevano stillato qualche goccia di sangue. “Che è successo?”
    “Le tue mani…” notò Teppei. Gli toccò il braccio, attirandosi il suo sguardo. “Stai bene?”
    Il volante lo rassicurò ma non sorrise. “Sì. Non è successo nulla.”
    “Ti sei messo in mezzo?” Il tono di Hajime fu brusco e lo sguardo cupo. Si passò nervosamente una mano tra i capelli. “Avrei dovuto capirlo non appena Mamoru ha messo piede qua dentro, dannazione! Allora ha ragione a dire che sei testardo, alle volte! Eppure eravamo d’accordo di tenerci fuori!”
    “Hajime, non essere così duro!”
    Yuzo interruppe Teppei, scuotendo il capo. “No, ha ragione. Non avrei dovuto. Mi dispiace.”
    “Ma qualunque cosa tu abbia fatto, hai agito solo per il suo bene, no?”
    Hajime appoggiò con decisione le mani sul tavolo, sporgendosi verso il tyrano.
    “Non contano le motivazioni. A volte ci sono porte che non devono essere aperte. Mamoru ce l’aveva detto fin da subito, per rispetto avremmo dovuto stare ad ascoltarlo.”
    Teppei si portò le mani dietro la testa, storcendo la bocca in una smorfia. “Me ne sbatto del rispetto e non rispetto: se un mio amico è in difficoltà, sono capace di sfondarla a calci quella dannata porta!”
    “E buonanotte alla delicatezza” sospirò Hajime.
    “Mamoru è già rientrato, quindi.” Yuzo era rimasto in piedi.
    “Sì, ha finto di cenare e ha detto che non ci sono novità nemmeno qui. Il Doge ha parlato di una visita tranquilla e nella norma. Le misure di sicurezza erano molto alte poiché la città è enorme. I Minister del Fuoco hanno presidiato il corteo non appena è entrato a Dhyla, scortandolo fino al palazzo dogale.” Emise un sospiro basso e pesante. “Comincio a pensare che, seppure debbano esserci Stregoni coinvolti in questa faccenda, abbiano agito con modalità diverse da quelle che crediamo. Anche Mamoru è del mio stesso avviso.”
    Il volante annuì. “Lui dov’è
    ?”
    “E’ salito in camera subito dopo cena. Molto probabilmente starà compilando il diario dei rapporti che dovrà consegnare alla fine della missione. Domattina continueremo la perlustrazione della città. Ci vorrà più del solito, visto quanto è grande.” Hajime gli rivolse uno sguardo meno severo e più preoccupato. “Ci siamo divisi come al solito, ma forse è meglio se dormo io con lui.”
    “No. Non ce n’è bisogno.”
    Teppei si intromise con vigore. “Ma Yuzo! Mamoru ti ha-”
    “Mamoru non ha fatto niente, Teppei. Niente.” Lo sguardo del volante era strano, padrone d’una sicurezza solida e distaccata tanto che il giovane di Terra preferì non insistere. Si ostinava a proteggere la Fiamma nonostante fosse chiaro che le schegge non fossero finite da sole nella sua pelle.
    “Buonanotte.” L’uccellino si diresse alle scale. Hajime lo fermò che era a cavallo della soglia della sala.
    “Non mangi nulla?”
    “No. Non ho fame.” Chiuse il discorso senza voltarsi e se ne andò, lasciandoli da soli.
    “Per tutte le Dee, che casino.” Teppei appoggiò la fronte sul tavolo e il suo sospiro si infranse contro la superficie, restituendogli un leggero odore di legno umido.
    Hajime, invece, rigirò la tazza di tè, guardandone il fondo.
    “Questa volta non ho proprio idea di come finirà.”

    Mamoru non sollevò lo sguardo su di lui quando entrò nella stanza, quasi non fosse stato nemmeno presente. Stava compilando il rapporto, seduto sul letto che faceva già parte del mobilio; quello aggiuntivo era stato posizionato più vicino alla finestra: il posto che di solito occupava il volante quando dormivano in una doppia.
    Yuzo chiuse pianissimo la porta. Non voleva fare rumore, voleva divenire invisibile.
    I passi non si udirono quando si mosse per raggiungere il letto. Tolse la casacca e la appoggiò sulle coltri, ripiegandola con la solita cura, altrettanto fece anche con la maglia di lino leggero. Si avvicinò al tavolo sul quale, assieme al piccolo specchio, vi era anche un bacile con brocca. Per quanto non sanguinassero si decise a ripulire ugualmente i graffi e disinfettarli. Così, sempre silenzioso come un fantasma, si sedette iniziando dal collo.
    Solo allora, quando ormai gli voltava le spalle, Mamoru mosse lo sguardo.
    La penna d’oca interruppe il ruvido scrivere e rimase appena sollevata dal foglio per evitare di macchiarlo.
    La schiena nuda del volante occupava il suo campo visivo e la fissò a lungo, seguendo i movimenti di Yuzo: il panno di spugna che veniva immerso nel bacile con l’acqua, il capo leggermente inclinato per tendere il collo, il modo lento in cui passava la stoffa sui segni lasciati dalle schegge del muro mandato in frantumi.
    Non aveva smesso di pensarci per un solo attimo, non riusciva a crederci d’essersi comportato in quel modo. Nonostante non l’avesse colpito direttamente, aveva ferito proprio il compagno che aveva sempre cercato di proteggere. Quel che era peggio, era che l’avesse fatto intenzionalmente. Aveva desiderato fargli del male, in quell’attimo di pura follia, aveva desiderato annientare la sua presenza, cavargli gli occhi e strappargli la lingua affinché non potesse guardarlo nel modo in cui sembrava conoscerlo meglio di chiunque altro. Affinché non potesse piangere per lui e non gli potesse dire di non volere che soffrisse. S’era fermato all’ultimo momento, deviando il pugno nel muro, ma, alla fine, del male gliene aveva fatto lo stesso e non per le schegge.
    Pensò che Yuzo lo odiasse.
    Doveva essere così e Mamoru non riuscì a comprendere per quale motivo anche il solo pensarlo gli schiacciasse il petto.
    Aveva maledetto il modo in cui lentamente si era insinuato nella sua esistenza, aveva fatto di tutto per fermarlo, l’aveva sempre trattato male, aveva cercato con ogni mezzo di provare a cambiarlo, ma nessuna delle sue armi era stata efficace e chi si era avvicinato, tra loro, era stato lui, e chi ne stava uscendo cambiato era ancora lui e chi non riusciva a smettere di proteggerlo era sempre e solo lui.
    Lui che faceva e disfaceva le cose.
    Lui che odiava, ma solo sé stesso.
    Lui che spezzava i legàmi ma che sembrava non poter fare nulla per quello che sentiva verso Yuzo.
    Perché c’era un legame, tra loro.
    Un legame che non sapeva gestire e diveniva sempre più forte; cambiava forma, come una fiamma nel vento.
    Un legame cui non voleva dare nome per non ammetterne del tutto l’esistenza.
    Un legame che, nonostante Yuzo gli apparisse così distante da essere irraggiungibile, era ancora lì, come una corda infinita.
    L’occhio gli cadde sull’onice. Il platino dell’incastonatura emergeva dalla carne e risaltava sul bel colorito della pelle. Yuzo non era di carnagione chiara, perché Alastra sorgeva nel cielo libero e il sole vi batteva tutto il giorno.
    Aveva una bella muscolatura e una bella schiena.
    Scosse il capo e tornò a concentrarsi sull’onice: una pietra così piccola per una maledizione così grande. Infine si focalizzò di nuovo sul collo che Yuzo aveva appena finito di medicare.
    Carpì il riflesso del suo viso nello specchio.
    Il volante aveva un’espressione concentrata e lui si domandò come avrebbe dovuto comportarsi.
    Incupì lo sguardo. Era arrabbiato e confuso, una miscela letale per lui che doveva sempre essere sicuro e non poteva permettersi di conoscere l’incertezza.
    Ma quell’incertezza gli era piombata davanti da mesi e aveva un nome, un volto, un corpo… un fottutissimo carattere che non sapeva fronteggiare, e ogni volta che si trovava spalle al muro o annaspava tra sentimenti che voleva rifiutare l’unica cosa che riusciva a pensare era perché diavolo lui fosse fatto proprio così, in quel modo preciso.
    Nel momento in cui prese un unguento da mettere sulle ferite, Yuzo incrociò il suo sguardo attraverso lo specchio. Mamoru lo fissava dritto negli occhi, con espressione dura.
    Il volante distolse in fretta le proprie iridi, ingoiando a vuoto. Sforzandosi di ignorare quei brividi che gli avevano azzannato la carne, finse di dedicarsi a ciò che stava facendo. Aprì il barattolo e l’odore pungente di erbe medicinali gli pizzicò le narici.
    Poi, il rumore del libro che veniva chiuso e qualcuno che si alzava. Passi nella stanza si avvicinarono a lui.
    Yuzo deglutì ancora e si sforzò d’apparire distaccato, impegnato in tutt’altre faccende. Applicò il medicamento sul collo, con movimenti circolari.
    Mamoru era al suo fianco.
    Avevano più o meno la stessa altezza eppure gli parve che torreggiasse come un gigante.
    Con un’occhiata fugace gli vide poggiare il diario sul tavolo, ma la sua presenza, sempre così vicina, non riuscì ad acquietarlo. Soprattutto perché era rimasto lì, fermo.
    Yuzo non ebbe il coraggio di alzare lo sguardo, ma mosse solo leggermente la coda dell’occhio. In quella frazione di secondo colse il movimento della sua mano.
    Agì d’istinto, senza pensare.
    Sollevò di scatto le braccia, frapponendole tra loro due, per proteggersi, e lo guardò dritto negli occhi. Per il movimento brusco, l’acqua nel bacile aveva oscillato assieme a tutti gli oggetti sul tavolo.
    Mamoru si immobilizzò con la mano a mezz’aria. Assorbì interamente la paura che lesse nelle iridi del volante. Paura che potesse avere ancora una reazione violenta, paura che potesse ancora costringerlo a non nascondersi.
    Di nuovo, la sensazione d’essere un mostro lo impietrì e lo fece sentire colpevole. Lo stomaco schiacciato da un pugno dato con così tanta forza da trapassarlo.
    Aveva… aveva solo cercato di toccargli la spalla, voleva provare a parlargli, magari tentare di scusarsi… ma Yuzo aveva paura di lui.
    Non riuscì a nascondere un’espressione ferita.
    Il volante si rese conto della propria reazione solo in un secondo momento, quando negli occhi della Fiamma lesse dolore per essere stato respinto in quel modo.
    “M-mi… mi dispiace, i-io… io non volevo, è stato solo… un riflesso condizionato. Avevo creduto che tu… che tu…” -…volessi colpirmi…-
    Ma ormai era troppo tardi e le sue parole non ebbero alcun effetto su Mamoru.
    Quest’ultimo storse le labbra in una smorfia e sollevò il mento. Il gelo invase la stanza e, come era avvenuto nel vicolo, gli volse le spalle senza replicare. Lasciò la camera, sbattendo la porta.

    Non si fermò fino a che non uscì dalla locanda. Il passo svelto, deciso.
    Sembrava stesse scappando.
    Strinse i pugni. Perché illudersi? Lui era scappato.
    Scappato da Yuzo e dai suoi occhi che lo avevano colpito in pieno petto: la paura si era trasformata in lama ed era affondata facilmente nella carne. Avrebbe tagliato anche il ferro.
    In un’altra situazione avrebbe sogghignato di piacere sentendosi forte del timore che poteva incutere. Ma adesso… adesso non c’era nessuna forza, solo un dolore insopportabile che pulsava al ritmo del suo cuore.
    Quando uscì all’aperto e il fresco serale lo investì, facendolo rabbrividire, per un momento Mamoru si domandò perché. Perché soffrisse, perché si sentisse ferito.
    Perché era Yuzo?
    Era la stessa domanda che si era posto anche a Sendai, quando si era scoperto preoccupato per la sua scomparsa.
    Perché era Yuzo?
    Le sensazioni di quando si trovavano a Rhanka gli ricordarono il benessere provato tra le sue braccia e nell'abbracciarlo a sua volta.
    Perché era Yuzo?
    I fili della promessa fatta a sua madre iniziarono a divenire cenere. Si sfaldarono e si persero nel tempo, lasciando al cuore la libertà di tornare alla vera forma.
    Sentì il calore della fiamma avvolgerlo di nuovo e rinascere un po' alla volta, da sotto le braci.
    Sì, perché era Yuzo.
    Sconfitto da sé stesso, riprese a camminare senza una meta precisa.

    Yuzo rimase a guardare la porta chiusa con un senso di dolorosa rassegnazione.
    Si sentiva uno stupido per aver reagito in quel modo, per averlo allontanato nell’unico momento in cui avrebbe dovuto stargli più vicino. Perché era di questo che Mamoru aveva bisogno, ormai l’aveva capito, proprio di quei legàmi che si ostinava a recidere a ogni costo. La madre aveva scelto la propria fede, il padre era troppo orgoglioso per aprirgli il suo cuore e Mamoru aveva bisogno di avere accanto qualcuno di cui potersi fidare, che non gli voltasse le spalle.
    E lui non era stato all’altezza.
    Yuzo si disinteressò alle medicazioni e rimase fermo presso lo scrittoio ad aspettare senza avvertire il freddo sulla pelle nuda.
    Aspettava il suo ritorno.
    Ma dopo un’ora di Mamoru non ci fu traccia.
    Avrebbe dovuto arrendersi? Abbandonare ogni proposito di agire, di interferire ancora con i suoi problemi?
    Nel riflesso del proprio sguardo cercò le risposte a quelle domande.
    Abbandonare, farsi da parte, rinunciare.
    Si toccò distrattamente i segni sul collo.
    Mamoru non lo aveva mai abbandonato quando si era trovato in difficoltà né aveva temuto d’affrontarlo quando Hans aveva sciolto parte del mostro che dormiva dentro di lui. Non aveva avuto paura di uscirne ferito nello spirito e nel corpo.
    Lui quali ferite temeva?
    Abbandonare…
    Il suo riflesso indurì lo sguardo.
    Non avrebbe mai abbandonato nessuno.
    Allontanò la sedia con un gesto deciso. Infilò la maglia e guadagnò l’esterno tagliando per la finestra, tanto a Dhyla non era raro vedere Elementi di tutte le scuole; era una città di passaggio per chi si spingeva verso l’estremo Sud del Regno degli Ozora.
    Spiccò un balzo e atterrò silenziosamente svariati metri più lontano dalla locanda. Girò su sé stesso, guardando in tutte le direzioni, ma quella città gli era sconosciuta, non sapeva dove Mamoru potesse essersi diretto per starsene da solo e lui aveva fretta di trovarlo. Voleva almeno assicurarsi che stesse bene.
    Corse per le ampie strade, sui tappeti di petali abbandonati che si sollevarono al passaggio dei suoi passi. Volò tra i vicoli, perdendosi in quel labirinto di edifici che affacciavano su altre vie, altri svincoli. Dall’alto, Dhyla sembrava tutta uguale, coperta da un mantello chiaro che al buio della notte e alla luce dei lampioni sembrava neve.
    La neve che Mamoru non aveva mai visto.
    Così non sarebbe mai riuscito a trovarlo. Yuzo strinse i pugni. Non si sarebbe dato per vinto, a costo di cercarlo per tutta la notte.
    Con lo sguardo individuò l’incrocio più vicino e lo raggiunse, volando a tutta velocità. Quando atterrò, i petali crearono un mulinello attorno a lui e si aprirono, lasciando vuoto lo spazio su cui poggiò i piedi. Certo, un incrocio qualunque di strade non era altrettanto efficace come un Crocevia dell’Aria, ma se lo sarebbe fatto bastare.
    Il volante si posizionò giusto al centro. A quell’ora, in quella zona, non passava nemmeno una carrozza. Chiuse gli occhi e concentrò tutte le sue percezioni nell’udito. Sarebbe riuscito a sentire anche il più piccolo rumore che il vento gli avrebbe portato. Il suo elemento non lo avrebbe abbandonato nel momento del bisogno.
    Il brusio era basso, confuso, farfugliato. Le voci si sommavano le une alle altre ed erano così deboli che scinderle sembrava impossibile anche per lui; si sforzò di concentrarsi solo su quella di Mamoru, sul suo suono. A un Crocevia sarebbe stato diverso, ma aveva solo quello; se non fosse riuscito a trovarlo così, avrebbe setacciato la città strada per strada, giardino per giardino, taverna per taverna.

    “Madre…”

    Aprì gli occhi, trattenendo il fiato. Era stato nient’altro che un guizzo veloce, un suono più deciso nella moltitudine.

    “Madre…”

    A sinistra.
    Yuzo prese il volo come un fulmine. Si aggrappò alla sua voce come fosse stata una corda e più la risaliva, più diveniva forte e chiara, vicina. Affranta.
    Quel tono combattuto gli parve impossibile da associare a Mamoru; il cinico, il tenace. Eppure non si era ingannato.

    “…io ho sbagliato?”

    Yuzo atterrò, sollevando una piccola folata di vento a causa dello spostamento d’aria.
    Le parole provenivano da lì. Si guardò intorno e s’accorse d’essere all’ingresso di quello che sembrava un parco o un giardino. Era immenso, costellato di ciliegi a perdita d’occhio. Gli ricordò quello al palazzo reale.
    Sì, Mamoru poteva essere solo lì.
    Avanzò stando ben attento a non fare rumore. Si lasciò inghiottire dalla vegetazione talmente fitta che gli bastò passeggiare per un po’ tra gli alberi per non scorgere più da dove era entrato.
    Non c’erano luci accese, nemmeno lampioni, ma il chiarore dei petali stemperava l’oscurità, definendo i contorni e i passi da compiere.
    Il volante camminò seguendo sentieri inesistenti fin nel cuore del ciliegeto.
    Lo trovò lì, seduto su di un ramo, con la schiena appoggiata al tronco e un piede che oscillava nel vuoto. Lo sguardo era perso in un punto invisibile.
    I petali piovevano su Mamoru, s’appoggiavano sui capelli corvini e poi scivolavano in basso, lasciandosi cadere nel vuoto.
    Yuzo non si avvicinò oltre, rimanendo celato dietro un grosso tronco. Lo osservò da quell'angolo, Mamoru parlava a un interlocutore invisibile.
    “Mi hanno detto che la mia fiamma si sta spegnendo. È vero, secondo te?” Un sorriso ironico gli increspò le labbra. “Se così fosse, immagino che ti arrabbieresti. A maggior ragione se lo dicesse qualcuno che non è del Fuoco, come noi.” Inspirò a fondo, lasciando che l’attesa divorasse il breve silenzio. “Me lo ha detto un dannato Elemento d’Aria. Un volante…” ripeté adagio, scandendo quella parola come se racchiudesse troppi significati che richiedevano tempo per essere compresi. “Non ti piacerebbe. È un impiccione e poi è troppo buono e i buoni non possono essere degli Elementi affidabili perché si fanno piegare dalla propria bontà. Non è così che mi dicesti? I buoni sono coloro che fanno soccombere i popoli. Per questo noi dobbiamo essere la Fiamma, di sempiterna potenza.”
    Yuzo avvertì, di riflesso, il rigore con cui quella donna doveva averlo cresciuto; gli insegnamenti di Fyar estremizzati fino all’inverosimile, bloccati in una visione talmente esclusivista da essere cieca. Valori che non esaltavano la forza d’animo e la devozione erano considerati una debolezza inaccettabile.
    Quindi era per questo motivo che Mamoru lo aveva sempre osteggiato, fin dal loro primo incontro. Lui era pacifico, lui non combatteva, lui voleva sempre aiutare gli altri, lui era ingenuo. Lui era debole e quindi non era un buon Elemento.
    Chinò il capo; ora era tutto chiaro…
    “Avevi torto.”
    …o forse no?
    “Avevi torto marcio.”
    Yuzo strinse istintivamente le dita contro il tronco. Sul viso un’espressione incredula e carica d’attesa. Poteva sperare di avere ancora la sua fiducia? Poteva sperare di non essere considerato un peso, un intralcio, un fastidio?
    “Perché lui è un ottimo Elemento. Certo, è sempre uno stupido volante, ma il suo spirito è puro. E è in quella purezza che nasce la sua bontà.”
    Era questo che pensava di lui? Era davvero questo?
    L’espressione sorpresa di Yuzo si sciolse in un sorriso d’affetto sincero. Il loro legame, quello che avevano costruito dal niente, era ancora lì.
    “Hai sbagliato e anche io.” Mamoru piegò la gamba distesa sul ramo, cercando un appoggio per il braccio. Lo sguardo ancora arenato come se avesse potuto davvero vedere la donna nel disfarsi dei fiori di ciliegio. Quei petali. Le loro Lucciole di Fuoco(1).
    “Mi sarebbe bastato prendermela con la persona giusta, anni fa. Avrebbe fatto male lo stesso, ma non saremmo arrivati a questo punto.” Sospirò. “Dovrai pazientare ancora un po’ per tornare a Vestalys. Papà è un osso duro, lo sai anche tu, ma terrò fede alla promessa. A qualunque costo. Indietro non si torna.”
    Mamoru non si sarebbe mosso dalla sua posizione. Yuzo ormai ne era sicuro, non avrebbe mai piegato il suo orgoglio, e lui seppe finalmente cosa fare. No, non sarebbe rimasto a guardare.
    Adagio, sollevò la mano. Due petali caddero nel palmo e lui li soffiò via, con delicatezza.
    “Fagli compagnia per un po’” mormorò al vento e con lo stesso silenzio con cui era arrivato, se ne andò.
    Nel ciliegeto, Mamoru rimase da solo con i suoi fantasmi.
    “L’altra promessa non credo potrò più mantenerla. Mi perdonerai, spero; nessuno è perfetto. Nemmeno io.”
    Chiuse gli occhi con una certa stanchezza, quando un refolo d'aria si insinuò tra i crini scuri. La brezza si era levata all’improvviso, tiepida e accogliente. Mamoru la sentì carezzargli il viso in maniera amorevole; sapeva consolare anche senza parole e sapeva alimentare la fiamma che stava morendo.
    Ossigeno.
    Adagio aprì gli occhi e vide le fronde scuotersi appena, mormorare nella danza dei fiori. Due petali, attraverso la moltitudine, gli passarono davanti. Li racchiuse nel palmo prima che potessero scappare via. Li guardò giacere sulla pelle, uno sull’altro.
    Anche loro erano come quei petali?
    Sorrise.
    “Madre, sono innamorato del Vento.”

     

    “And if I told you that I loved you /
    E se ti dicessi che ti ho amato,
    you'd maybe think there's something wrong /
    tu potresti pensare che ci sia qualcosa di sbagliato.
    I'm not a man of too many faces /
    Non sono un uomo dalle molte facce,
    the mask I wear is one /
    la maschera che indosso è una.
    […]
    I know that the Spades are the swords of a soldier /
    So che questi Picche sono le spade di un soldato,
    I know that the Clubs are weapons of War /
    so che questi Fiori sono le armi della Guerra,
    I know that Diamonds mean money for this art /
    so che questi Quadri significano soldi per questo gioco, 
    but that's not the shape of my Heart /
    ma questa non è la forma del mio Cuore.
    That's not the shape of my Heart /
    Questa non è la forma del mio Cuore.

    StingShape of my heart

     



    [1]: riferimento al racconto "I Ciliegi di Dhyla" presente nella raccolta di spin-off: "Elementia: Fragments"


    …Il Giardino Elementale…

     

    Sono stata buona, ammettetelo. :3 Dopo che prima di Natale vi avevo lasciato con un capitolo in cui dominava la rabbia, per la fine dell'Anno vi lascio con un finale di capitolo molto votato alla puccioseria. In fondo, abbiamo la prima ammissione. *ride* E l'avreste mai detto che sarebbe stato Mamoru il primo a capirlo tra i due? Io credo di sì! X333
    Nel frattempo, Yuzo è deciso - nonostante tutto quello che è accaduto - a non lasciare le cose come stanno tra Mamoru e suo padre (se è testardo, lo deve essere fino alla fine, cavolo! XD).
    I prossimi due aggiornamenti penso che siano molto significativi ed è stato un piacere scriverli.
    Ora arrivano le note dolenti che non avrei mai voluto darvi: sto ancora scrivendo il capitolo 12 (cioè il prossimo) e non penso di riuscire a darvelo per tempo una volta terminato questo in corso di pubblicazione. Purtroppo, real life sucks e mi ha decisamente frenato, molto più di quanto avrei creduto. Al momento, sono riuscita a stimarlo in 6 parti, di cui solo le prime due sono complete e le altre hanno delle scene mancanti qui e là. Spero di riuscire a terminarlo prima possibile, ma non prometto nulla. Ovviamente farò di tutto per ridurre all'osso i tempi di attesa e non temete: la storia non rischia nulla, solo che potrà avere qualche rallentamento. Anzi, posso già dirvi che verrà conclusa SICURAMENTE nel corso di questo 2012. :D E questa è una promessa.
    Per quanto riguarda i "Fragments" me ne mancano da scrivere solo quattro e non dovrei impiegarci troppo. Ovviamente me ne occuperò appena ho un buco di respiro tra un capitolo e l'altro di "The War". :)

    Detto questo, a tutti voi che iniziate a seguire questa storia, a voi che la seguite da tempi immemori e che avete aspettato tre anni per vedere come va avanti, a voi che non mi fate mai mancare i vostri meravigliosi commenti, a voi che l'avete inserita in qualche lista e a voi che siete lettori ninja vorrei augurare una buona fine e un meraviglioso principio e che questo 2012 possa portarvi tutto il bene di questo mondo. Vi ringrazio infinitamente per essere stati con me durante il corso di questo lungo anno e spero che possiate continuare a divertirvi con le mie storie :3

    Auguri a tutti voi! :D


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)

  • Ritorna all'indice


    Capitolo 29
    *** 11 - I segreti di Mamoru - parte IV ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 11: I segreti di Mamoru (parte IV)

    Dhyla – Regno degli Ozora, Terre del Sud Nord-occidentali

    Mamoru aveva aperto la mappa di Dhyla nel mezzo del letto, in modo che i suoi compagni potessero guardarla dall’alto.
    Dopo una colazione consumata in uno strano silenzio carico di tensione, si erano riuniti nella camera della Fiamma e del volante per definire le ultime cose, prima di mettersi all’opera.
    “Per quanto grande, Dhyla ha una simmetria ben precisa. Ha una pianta circolare in continua espansione secondo dei raggi definiti, come un sole. Il palazzo dogale è al centro, mentre il mercato corre tutto attorno al perimetro.” Le sue dita scivolavano svelte sulla carta, tracciando percorsi e individuando punti precisi.
    Fu ben attento a non guardare mai Yuzo né ad avvicinarsi troppo a lui: l’idea che lo respingesse ancora o lo guardasse con terrore lo tenne a debita distanza. Non l’avrebbe mai sopportato. “Divideremo il territorio in quattro spicchi e a ciascuno il suo. Ma visto che già uno dei Minister ha detto di non aver visto nulla di strano, comincio a essere pessimista. Fate il possibile, la città è enorme e me ne rendo conto, ma una buona fetta di lavoro l’abbiamo fatta ieri; vediamo di concludere.”
    Hajime inarcò un sopracciglio, fissando la pianta della città. “Se non riuscissimo a trovare nulla si avvalorerebbe la tesi di cui abbiamo parlato ieri…”
    “Quella di un infiltrato nella Guardia Reale? Sì, esatto.”
    “Qualcuno dall’interno, che ha potuto seguire tutte le mosse del Principe senza problemi, comunicandole a chiunque.”
    Teppei scosse il capo. “Bastardo. Il Comandante Hongo lo ucciderebbe di sua mano se fosse così.”
    “Questo è poco, ma sicuro. E per quanto non penso faccia piacere a nessuno l’idea di un traditore, non è un’ipotesi da scartare.” Mamoru richiuse la mappa e la diede al tyrano. “Ora vediamo di muoverci. Il lavoro è molto e il tempo è poco.”
    Tutti annuirono, ma lui non guardò nessuno negli occhi, fingendo di essere impegnato a sistemarsi l’abito che stava indossando. Sollevò lo sguardo solo quando fu sicuro che gli altri non lo stavano osservando e cercò Yuzo.
    Fissò il collo, i segni erano coperti dal tessuto, ma il senso di bestialità tornò a galla per l’attimo necessario a graffiargli il petto prima che riuscisse a gettarlo nuovamente in pasto al ferreo controllo del suo fuoco interiore.
    Guadagnò la porta per primo, con falcate ampie e decise, quasi incollerite, ma nessuno avrebbe mai detto che, invece, stava scappando.

    Yuzo aveva svolto il suo compito in maniera precisa, come sempre. Aveva cercato, setacciato la sua zona di competenza in lungo e in largo. Meticolosamente, velocemente. Ma per tutto il tempo la sua mente non era rimasta nello stesso luogo del corpo: si era ancorata in un solo punto del panorama che riusciva a vedere anche da lì. Il palazzo dogale.
    I suoi occhi l’avevano inquadrato fin da quando era uscito dalla locanda e non l’avevano mai lasciato, fino a che non era giunto nell’area che avrebbe dovuto controllare. Dopo, solo i pensieri avevano continuato a seguire l’oscillare delle bandiere sui pinnacoli. E in quello sventolare di tessuti si erano rincorse anche le frasi che avrebbe dovuto usare per affrontare il discorso una volta che si fosse trovato al cospetto del Doge.
    Perché era questo che lui avrebbe fatto, una volta conclusa la ricerca che gli era stata assegnata.
    Sarebbe andato al palazzo per parlare con il padre di Mamoru e tutto quello che ne sarebbe seguito non avrebbe più avuto importanza né sarebbe stato capace di abbattere la sua sicurezza. Ormai aveva preso la sua decisione.
    Agilmente saltò giù da un tetto atterrando senza fare rumore e senza attirarsi l’attenzione dei passanti. Era all’interno di un vicolo che separava due abitazioni vicine.
    Con serietà e guardandosi attorno fece il punto della situazione: non aveva trovato alcuna traccia della presenza di Stregoni nella sua zona. Questo significava che, seppure fossero stati presenti a Dhyla, non erano passati di là. Nonostante avesse cercato di svolgere le ricerche nel minor tempo possibile, sapeva di non aver tralasciato nulla.
    Con passo lento e mischiandosi subito alla gente, si immise in una delle vie anulari che tagliavano i vari raggi della piantina immaginaria della città.
    Gli occhi puntati al palazzo dogale e la mente che ripensava alla fiducia che Mamoru riponeva in lui, nonostante l’avesse deluso, disubbidendo ai suoi ordini. Soprattutto, ricordò il modo ferito in cui l’aveva fissato, quando l’aveva allontanato. Quelle immagini caricarono ancora di più le sue certezze, anche in virtù del fatto che Mamoru non gli aveva più rivolto la parola. Se n’era accorto, anche se l’Elemento era stato molto attento a non darlo a vedere, ostentando un atteggiamento insofferente verso tutto e tutti.
    Lo evitava.
    Evitava di avvicinarlo troppo. Evitava di guardarlo. Evitava di chiedergli anche solo un parere.
    E Yuzo non voleva che quell’improvvisa distanza divenisse una voragine. Anche per quello proseguì per la sua strada sempre a testa alta, senza perdere mai di vista l’obiettivo.
    Non si sarebbe guardato indietro né avrebbe esitato, non si sarebbe fatto spaventare da quanto sarebbe potuto uscirne ferito. Avrebbe corso il rischio.
    Il volante attraversò il cancello di ingresso con passo fermo e percorse il cortile antistante il portone. Un grosso ciliegio secolare sorgeva al centro di una piccola aiuola.
    Yuzo lo osservò a lungo mentre gli passava accanto e un’orribile immagine di centinaia di alberi tutti uguali che andavano in fiamme si sovrappose per un attimo a quella, poi si dissolse.
    Lui tirò dritto, salendo le scale che lo fermarono davanti un alto e spesso portone di legno rivestito da uno strato protettivo di metallo.
    Il simbolo della casata – uno scudo di marmo nel cui centro campeggiava la ‘I’ degli Izawa e il simbolo elementale del Fuoco – torreggiava su di lui al centro dell’arco della porta.
    Il chiavistello aveva la forma di un fiore di ciliegio.
    Yuzo prese un ultimo respiro profondo, poi diede tre colpi secchi e attese.
    L’uomo che gli aprì aveva i capelli bianchi e la pelle scura.
    “Posso esservi utile, mio signore?”
    Il volante accennò un inchino. “Vorrei conferire con il Doge di Dhyla.”
    “L’ingresso ai suoi uffici è sul lato del palazzo, ma sono spiacente di informarla, mio signore, che oggi il Doge non riceve.”
    Il servitore gli parlò con cortesia e professionalità, ma quella notizia non ci voleva proprio. A ogni modo, lui aveva sempre la carta del permesso reale da poter tirare fuori. Non era nel suo stile ricorrere alla sua autorità per scopi personali, ma sarebbe stato disposto a tutto pur di riuscire a parlare col Doge prima di ripartire: Mamoru e suo padre avrebbero potuto non avere altre occasioni. Una guerra era pur sempre una guerra e lui non aveva idea di cosa ci sarebbe stato alla fine di quella missione.
    Stava per estrarre il permesso dalla tasca, quando una figura a lui conosciuta comparve alle spalle del domestico.
    “Yuzo?”
    Sheral si fece subito dappresso alla soglia. Sorrideva, felice di rivederlo. In particolare, a lui parve che fosse addirittura sollevata.
    “Mia signora” salutò il volante, con un inchino. “Perdonate il disturbo, mi è stato riferito che il Doge non riceve, quest’oggi, ma avrei urgente bisogno di parlare con lui.”
    La donna annuì. “Ma certo, accomodati. Rhadan, avverti mio marito che sta per raggiungerlo uno degli amici di Mamoru, per favore.”
    Il servitore mostrò un’espressione di pura sorpresa, ma non perse la solerzia, anzi, sembrò animarsi.
    “Un amico del signorino?! Vado subito, mia signora!”
    In un attimo scomparve dietro una delle porte che costeggiavano l’ingresso.
    La padrona di casa lo invitò nuovamente a entrare e il volante varcò la soglia, richiudendo il portone alle spalle.
    Quella era la casa di Mamoru.
    Yuzo levò lo sguardo verso il soffitto dell’enorme sala di ingresso. Dall’alto scendeva un grosso lampadario pieno di candele, per illuminare gli ospiti che giungevano la sera. Le pareti erano tappezzate di rosso: una sfumatura bordeaux che non era viva e accecante come quella del fuoco, ma trasmetteva calma e tranquillità; era un messaggio di benvenuto e lui si sentì a proprio agio, percepiva calore. Sorrise.
    La donna sospirò, portandosi una mano al petto. “Sono felice di vedere che stai bene. Quando Mamoru è arrivato con quegli occhi, ho temuto che-”
    “Ho disubbidito ai suoi ordini, era normale che fosse furente. Ma non alzerebbe mai le mani su un suo compagno.” I graffi sul collo punsero per un momento, ben nascosti sotto la maglia dal collo leggermente più alto, cosicché nessuno potesse vederli.
    Sheral addolcì lo sguardo. “Ciò che dici mi solleva. Devo ammettere di essermi preoccupata… Io conosco il suo modo di arrabbiarsi, ma ieri… credo di non averlo mai visto arrivare a quel punto.” Delicatamente lo prese sottobraccio, facendogli strada. “E’ davvero molto difficile riuscire a capire come comportarsi con Mamoru quando è così ostile. Ogni cosa che farai o dirai potrà essere quella sbagliata e mandarlo su tutte le furie.”
    Il volante accennò un sorriso. “L’ho imparato a mie spese, in questo viaggio, ma non sarà questo a piegarmi.”
    Insieme varcarono la stessa porta usata dal servitore che li condusse in un altro ambiente.
    Yuzo vide come i corridoi di quella casa fossero lunghissimi e luminosi. Le vetrate laterali offrivano un panorama stupendo della proprietà. Il verde dei giardini aveva il rosa dei ciliegi sullo sfondo e il contrasto era netto, quasi disegnato.
    “Da quella parte sorgeva la distesa di ciliegi.”
    Yuzo strinse gli occhi per mettere a fuoco un punto particolare, quasi avesse potuto scorgervi qualcosa che ricordasse quello che era accaduto anni e anni prima. Ma in quel tripudio di acacie non c’era nemmeno un petalo di ciliegio. Il loro verde era immacolato.
    “Sei venuto per parlargli di Mamoru?” domandò Sheral a un tratto.
    Il volante annuì e lei gli sorrise. Gli era grata, anche se non aveva ancora fatto nulla, anche se forse avrebbe fallito, anche se forse Mamoru non avrebbe fatto altro che odiarlo ancora di più, in maniera mortale; nonostante tutto, Sheral gli era grata. Gli era grata anche solo per voler tentare perché a quanto pareva anche lei aveva provato a far da paciere, ma senza alcun risultato. Anzi, attirandosi ancora di più l’odio e il disprezzo della Fiamma.
    “Il tuo gesto è nobile e io sono davvero felice che Mamoru abbia trovato dei veri amici, che tengono a lui e vogliono solo il suo bene, per questo ti dico: non prendertela per le cose che potrà dirti Nasir, lui… sa essere molto duro con le parole. Ti prego, non farti intimorire.”
    Yuzo tenne a mente quell’informazione ma ora che era giunto fin lì, nulla l’avrebbe fatto desistere, non adesso che c’era così vicino.
    “Non fraintendermi” aggiunse Sheral, sorridendo. “Lui è un uomo buono, affettuoso con i suoi figli, ma quando si tratta di Mamoru si irrigidisce e diventa molto più severo di ciò perché si tocca un argomento che non ha mai capito come affrontare. Ma io so che se non risolveranno i loro problemi, finiranno col pentirsene per tutto il resto della vita.”
    “E’ per questo che sono qui.”
    Scomparendo all’interno di un altro corridoio, girarono attorno all’edificio, entrando nell’ala che il Doge aveva riservato al lavoro. Il panorama era cambiato, e ora si poteva vedere un ampio scorcio di Dhyla oltre i vetri.
    Sheral fermò il loro incedere davanti all’ultima porta e Yuzo comprese che erano arrivati. La donna lo lasciò andare, stringendogli però le mani.
    “Buona fortuna” augurò.
    Yuzo accennò col capo e guardò l’uscio chiuso. Il legno pesante era stato intarsiato in maniera magistrale.
    Con decisione diede un paio di colpi.
    Gli rispose un tono forte e autoritario. "Avanti."
    Non si fece spaventare.
    Yuzo entrò e la prima cosa che vide fu la scrivania vuota.
    Il Doge non era seduto alla poltrona, ma restava in piedi, dandogli le spalle. Guardava la città attraverso la grande vetrata.
    Quei lunghi capelli neri e le mani dietro la schiena gli diedero una sensazione di solidità e forza. Di déjà-vu.
    Gli ricordarono Mamoru.
    “Interessante.”
    Anche il tono di voce era simile: deciso, con quella punta ironica sempre presente, ma più profondo e maturo.
    Sheral aveva avuto ragione a metterlo in guardia, avrebbe dovuto fronteggiare un Mamoru adulto e non sarebbe stato facile.
    “Non pensavo che mio figlio avesse addirittura degli amici, col carattere che si ritrova.”
    Nasir si volse, mostrando a Yuzo il profilo e un occhio il cui nero intenso lo inglobò come fosse caduto in un lago di pece.
    “Posso confermare che ne ha, Doge.” Il volante tentò di sorridere, mentre si sentiva scrutato centimetro per centimetro da quell’iride. Lo vide salire e scendere lungo tutta la sua figura.
    “Vedremo.”
    Nasir si girò completamente, appoggiandosi con le braccia alla sommità della poltrona. Un sopracciglio inarcato e un mezzo sorriso divertito che si tendeva da sotto i baffi. Nel complesso, Yuzo comprese che non si sarebbe dovuto aspettare parole gentili. Lo sentiva quasi a pelle: Nasir lo stava testando.
    “Non mi sembri uno di Fyar, non hai la loro aria arrogante. Come ti chiami?”
    “Vengo da Alastra, mio signore, il mio nome è Yuzo Shiroyama.” Il volante si profuse in un breve inchino di presentazione, mentre Nasir arricciava le labbra con fare pensieroso.
    “Shiroyama…” ripeté, in attesa di un'illuminazione che non tardò ad arrivare. “Shiroyama… Ah! Ma non mi dire!” Distese completamente il sorriso e assottigliò lo sguardo, affondando il colpo. “Allora tu sei il bastardo di Tadashi!”
    Yuzo incassò senza battere ciglio, ma dovette ringraziare l’Autocontrollo per questo. Inspirò a fondo e si strinse nelle spalle. “Bastardo non è il termine adatto, signore, dopotutto il Console non è sposato e noi non abbiamo legami di sangue. Sarebbe meglio ‘orfano’, ‘trovatello’…”, mostrò un sorriso che di cordiale aveva solo l’apparenza. “Randagio.”
    Nasir colse qualcosa di stonato a ridosso di quelle labbra distese. Lo sguardo del giovane sembrava pacifico, ma le sue parole dovevano essere riuscite a ferirlo. Accentuò il sorriso.
    Randagio. Mi piace.” Stemperò il tono sarcastico in favore di uno più rilassato. “Veniamo al dunque: cosa posso fare per te? Hai bisogno di altre informazioni riguardo-”
    “No, veramente” Yuzo lo interruppe, stringendo di più le mani che manteneva intrecciate davanti a sé. “Il motivo della mia visita non ha nulla a che vedere con la missione, anzi. Mi rendo conto che quello che sto per chiederle la manderà su tutte le furie e so che non è una questione che mi riguardi, ma… per favore, dia a Mamoru il permesso di portare le spoglie di sua madre a Vestalys.”
    La prima espressione che comparve sul volto del Doge fu di sorpresa. Palesemente, non si era aspettato una richiesta così diretta e da uno sconosciuto, per giunta. Ma fu solo un attimo.
    Tsk! Questa poi!” Nasir si sedette con un gesto infastidito, le labbra tese verso il lato disegnarono una smorfia. “Certo che non ti riguarda! Adesso mio figlio manda addirittura i portavoce a-”
    “Veramente, Mamoru non ne sa nulla, signore. Anzi, mi ucciderà appena ne verrà a conoscenza. Mi aveva raccomandato di non immischiarmi.”
    “E tu non sei uno che ascolta, a quanto pare.” Si sporse in avanti fino ad appoggiare un gomito sul tavolo. Gli occhi fissi su di lui; l’avrebbero azzannato se fossero stati fauci. “Sono anni che mio figlio viene qui e tenta in tutti i modi di avere quel dannato pezzo di carta e, puntualmente, se ne va a mani vuote. Ora dimmi: perché dovrei dare retta a te, un estraneo qualunque, e non a mio figlio?”
    “Perché, appunto, sono un estraneo. Non mi importa del vostro orgoglio né mi interessa giudicarvi, non vi conosco nemmeno, come potrei? Mi importa solo quel permesso.” Yuzo inspirò a fondo, abbassando lo sguardo sulle proprie mani. Nasir non gli rispose e questo lo spinse a continuare. “Molto spesso, è più facile parlare con un estraneo, perché ignora quella che è la nostra storia e possiamo comportarci come più vogliamo, liberi, anche di essere incoerenti e irrazionali con noi stessi. Io non sono Mamoru e voi non dovete essere a tutti i costi il padre severo e inamovibile che lui crede che siate, ma solo essere padre.”
    Stavolta, anche Nasir distolse lo sguardo. Il sopracciglio inarcato e il nero dell’iride che si appoggiò sugli oggetti posti sul tavolo. Con fare pensieroso, fece scivolare le dita sui baffi.
    “Ieri pomeriggio, vostra moglie mi ha raccontato la storia di Mamoru e di sua madre”, riprese il volante, “e io credo di aver capito perché non volete cedere alla sua richiesta: temete che dopo non tornerà mai più a Dhyla.”
    “Sheral parla troppo.”
    “Vorrebbe solo che foste entrambi felici e quindi io vi domando: cosa è meglio? Rischiare, dargli quel permesso e dimostrargli così quanto siete disposto a perdere per lui, oppure tenerlo a tutti i costi legato a voi anche se con odio, rabbia e rancore? Vi rendete conto che potreste non avere più un'altra occasione? Che siamo in guerra e che alla fine di questa missione... nemmeno noi sappiamo cosa ci aspetterà?”
    Nasir cambiò posizione; la poltrona era divenuta improvvisamente scomoda. Ci aveva pensato. Ci aveva pensato eccome, dannazione! Fin da quando la notizia era giunta anche a lui il suo primo pensiero era andato a quello sciagurato di suo figlio! Al fatto che fosse un Elemento e che quindi avrebbe preso di sicuro parte al conflitto, figurarsi! Di certo non si sarebbe mai tirato indietro, conoscendolo. E aveva iniziato a scrivergli più spesso di proposito: sapeva che Mamoru non avrebbe mai risposto, non lo faceva mai, ma il fatto stesso che le missive non tornavano indietro per lui era un segno che, almeno al momento, non doveva preoccuparsi. Pensare che sarebbe potuto andare al fronte, pensare che avrebbe combattuto, pensare che non sarebbe più tornato a casa e pensare che non avrebbero mai potuto chiarirsi gli aveva fatto passare infinite notti insonne, a domandarsi se stesse ancora facendo la cosa giusta. E ora era arrivato quel ragazzo e gli sbatteva in faccia tutti i suoi dubbi senza tanti complimenti.
    Appoggiò entrambe le braccia sulla scrivania, intrecciandone le mani. “E se non dovesse più tornare?” chiese, guardando Yuzo quasi con sfida.
    “Saprebbe almeno che suo padre gli vuole bene sul serio, che lo accetti o meno, mentre voi non avreste il rimpianto di non aver fatto nulla per tentare di dimostrarglielo.”
    Il Doge lo guardò fisso, dritto in quegli occhi nocciola in cui lesse tensione e attesa. Quel ragazzo sembrava davvero tenere a quel testardo di Mamoru.
    “Mio padre mi ha sempre detto, che dietro le azioni di ogni genitore c’è solo l’amore per i propri figli. Fare un passo indietro rientra in questi gesti d’amore. Un giorno, forse toccherà anche a Mamoru farne.”
    Sì, teneva a lui. Nasir sbuffò un sorriso.
    “Tadashi ti ha proprio insegnato bene, mh? Parlate alla stessa maniera.”
    “Voi… conoscete mio padre?”
    “Fin da quando eravamo ragazzini. E’ di Dhyla, non lo sapevi?”
    Yuzo ne rimase davvero sorpreso; scosse il capo.
    “E’ così.” Il Doge distolse lo sguardo, lasciando che si arenasse su un punto indefinito, mentre le dita scivolavano di nuovo sui baffi. Con la schiena si appoggiò stancamente contro l’imbottitura della poltrona. Socchiuse gli occhi e accennò un sorriso rassegnato. “Dopotutto, è durata anche troppo” disse, pensando a voce alta.
    Con un gesto deciso, Nasir schiuse nuovamente le palpebre. Aprì il primo cassetto della scrivania e ne cavò una lettera. La ceralacca rossa chiudeva il foglio ingiallito dandogli una forma rettangolare. La fece scivolare sulla superficie lucida del tavolo, in direzione del volante.
    “Quello è il permesso che mi hai chiesto. E’ tuo, prendilo pure.” Piano si alzò dalla poltrona, portandosi alla vetrata. “E salutami tuo padre, quando lo vedi.”
    Il Doge non poté notarlo, poiché gli dava le spalle, ma il sorriso di Yuzo era luminoso come il sole. Si profuse in un sentito inchino.
    “Vi ringrazio, Doge Izawa. Non mancherò.” In un paio di passi raggiunse la scrivania e prese il documento. Anche se Mamoru avrebbe finito con lo staccargli la testa, era felice. Tutto il resto non importava più. “Arrivederci.”
    Nasir lo fermò che era arrivato alla porta; la mano appoggiata sulla spalliera della poltrona non nascondeva un certo nervosismo nel modo in cui il pollice strofinava le altre dita. Preoccupazione. Stava rischiando il tutto per tutto, ormai, e dovette ammettere a sé stesso d’aver già capito che era arrivato il momento di lasciarlo andare. Mamoru non era più un bambino e se davvero dire addio a quella città e anche lui era ciò che voleva… era la sua scelta e lui avrebbe dovuto accettarla. Perché anche quello facevano i padri, oltre ai passi indietro.
    “Di' a mio figlio di non essere avventato, va bene?”
    Il sorriso di Yuzo si tese ancora di più. Anche in questo, Mamoru e suo padre si somigliavano molto: avevano una scorza dura, ma un cuore incredibilmente grande e accogliente. Bisognava solo grattare un po’ il guscio per farlo venire fuori.
    “Lo farò. Lo farò di certo.”
    Nasir attese di udire il rumore della porta che veniva chiusa prima di sospirare a fondo. Di fuori, il tramonto stava bruciando nel cielo di Dhyla e lui si sentì di colpo più vecchio.

    Yuzo scorse la figura di Sheral presso una delle vetrate del corridoio che conduceva all’ingresso. Aveva percorso tutto il tragitto a ritroso e, nel trovarla lì, capì che era rimasta ad aspettarlo perché quando lo vide gli sembrò che trattenesse il fiato per un attimo.
    Lui le sorrise, sollevando il famoso permesso e a quella vista la donna si concesse di tirare un sospiro sollevato.
    “Devi esser stato davvero convincente” disse, appena lui la raggiunse.
    “Ve l’avevo detto che non mi sarei arreso. E poi… ho fatto tanta pratica con Mamoru; fronteggiare un osso duro non mi spaventa più.”
    Sheral nascose una risata nella mano, poi assunse un’espressione più seria e preoccupata. Lo sguardo tornò a perdersi verso l’esterno. “Pensi che vorrà dare una possibilità a suo padre? Pensi che vorrà almeno provare a parlargli?”
    Yuzo avrebbe davvero voluto avere una risposta certa a quelle domande, però sapeva quanto l’intera faccenda cambiasse Mamoru, stravolgesse il suo comportamento. Lui faceva affidamento sul suo vero ‘io’, nascosto dietro la rabbia, ma non sapeva quale dei due fosse più forte. Anche con la Fiamma in prima persona, avrebbe dovuto essere convincente e veloce il necessario per riuscire a parlargli prima che l’altro avesse cercato di staccargli la testa.
    “Non lo so. Ma come suo padre, anche Mamoru è una persona buona e generosa. Deve solo accettarlo.”
    La donna annuì. “Speriamo in bene.”
    Rivolgendogli un sorriso lo accompagnò all’uscita, ringraziandolo ancora per quello che stava facendo. Yuzo rispose con un inchino, prima di lasciarsi alle spalle il palazzo dogale.
    D’intorno, il tramonto stava divenendo sempre più intenso e il cielo aveva raggiunto una cromia che avrebbe fatto invidia a qualsiasi pittore per quanto viva e seducente. Pareva essere il colore la fonte che riscaldava l’aria di quel pomeriggio.
    Mentre raggiungeva i cancelli d’uscita, il volante respirò a fondo.
    Metà del lavoro era stato fatto, ma, a pensarci bene, forse quella era stata la parte più facile perché il difficile sarebbe stato affrontare la Fiamma. A dire il vero, non aveva idea di cosa avrebbe dovuto dirgli di preciso e nemmeno se ne avrebbe avuto la possibilità o se se la sarebbe dovuta guadagnare combattendo. Mamoru stavolta non si sarebbe limitato a dare un pugno nel muro, ma lui era pronto a raccoglierli tutti; tutti i pugni che gli avrebbe tirato.
    I soldati di guardia erano rimasti nella stessa posizione di quando era arrivato e non si mossero di un millimetro nemmeno quando uscì, abbandonando la proprietà degli Izawa.
    Davanti a lui c’era un lunghissimo viale privo di alberi, diversamente da quanto avveniva in tutto il resto della città. Quella strada era l’ultimo tratto di raggio che congiungeva il centro con ogni punto della circonferenza perimetrale che correva attorno Dhyla.
    Negli altri giorni, quando il Doge riceveva, doveva essere molto trafficata, ma in quel momento e col tramonto in atto non c’era nessuno se non una persona, oltre lui. Una persona che proveniva da lontano e camminava nella direzione opposta alla sua. Una persona che era sicuro avrebbe dovuto incontrare, ma che non immaginava se la sarebbe trovata davanti così presto.
    Fece un altro paio di passi e poi si fermò. Il tempo per cercare le parole giuste era già finito.

    Era vero, aveva diviso la città in quattro spicchi, ma era stato altrettanto chiaro che il centro di quella circonferenza, ovvero il palazzo dogale, sarebbe stata competenza solo sua e di nessun altro.
    Mentre camminava in direzione di quella che si rifiutava di chiamare ‘casa’, Mamoru pensò che forse sarebbe stata la sua ultima possibilità, quella, di ottenere il documento per trasferire le ceneri di sua madre o anche solo di chiederle. Una volta ripartito, la missione sarebbe stata la sua unica preoccupazione e con essa la guerra. Attestata lungo il confine Nord, sarebbe stata la meta che avrebbe raggiunto dopo aver lasciato il Principe a Raskal, sempre se l’avessero trovato.
    C’era il rischio di non tornare mai più. Volente o nolente la sua guerra privata sarebbe potuta finire lì.
    Beh, poco male, nessuno dei due avrebbe pianto, sicuro.
    Ghignò, scuotendo il capo.
    Non vedeva l’ora di lasciare Dhyla. Quella città lo stava facendo impazzire nelle troppe cose che si erano susseguite, nella piega che avevano preso gli eventi e nella consapevolezza che lui non era più la stessa persona che era partita da Raskal mesi prima. Non poteva ignorarlo, ma faticava ancora ad accettarlo completamente.

    “Sono innamorato del Vento.”

    Si passò una mano sul viso per spostare i capelli in un gesto deciso.
    L’aveva detto ad alta voce e quando certe cose prendevano un suono significava che non si poteva più fingere che non esistessero.
    C’erano. Non ci si poteva illudere.
    E sapere che Yuzo aveva paura di lui era davvero un valido aiuto, come no.
    Sbuffò; non sapeva che fare. Troppe cose cui pensare e di cui occuparsi tutte nello stesso momento e lui sentiva la testa che stava per esplodere. Avrebbe dovuto stilare una sorta di ‘elenco delle priorità’ e decidere cosa affrontare e cosa poteva far cadere nel dimenticatoio.
    D’un tratto rivide lo sguardo terrorizzato del volante e rivide sé stesso mentre colpiva il muro.
    Quei pensieri non lo lasciavano in pace, l’avevano seguito anche per tutto il tempo che aveva setacciato la sua parte di città. Gli si aggrappavano addosso, gli rendevano difficile riuscire a concentrarsi e comprese che quella era una delle cose che avrebbe dovuto affrontare e non dimenticare.
    Doveva parlargli, non sapeva come, ma doveva parlargli, non sapeva che dire, ma doveva parlargli. Doveva farlo. E poi avrebbe mantenuto le distanze, per il bene di entrambi.
    Mamoru lo decise quando arrivò all’inizio del viale, l’ultimo tratto di strada prima di giungere al palazzo. Lo vedeva, nitido, stagliarsi sul fondo del paesaggio. E non era da solo. Un’altra figura comparve e Mamoru la riconobbe subito.
    Il volante non passava inosservato, con il suo fisico alto e l’andatura elegante. Per non parlare di quel dannato orecchino che riusciva a riflettere sempre e comunque la luce, da qualsiasi posizione. Lo vide brillare anche in quel momento e abbagliarlo per un attimo.
    Si fermò.
    Uno all’inizio e uno alla fine della strada che conduceva al palazzo dogale, in direzioni opposte. S’accorse che anche Yuzo si era fermato, doveva averlo riconosciuto. Dopotutto anche lui, come l’uccellino, non passava inosservato.
    Rimase a fissarlo con la bocca semiaperta. Non poteva crederci che gli avesse disobbedito ancora, non dopo tutto quello che era accaduto, dopo la rabbia, dopo il veleno che gli aveva sputato contro, dopo essere stato allontanato; Yuzo aveva comunque e caparbiamente agito di testa sua.
    Sul momento, Mamoru non riuscì nemmeno a capire come si sentisse. Avvertiva freddo e fuoco, tutto insieme, che si mescolava e contorceva nel tramonto che bruciava la città e tutti i suoi colori in un unico e vivo arancione, di luci e ombre. Anche la figura del volante era di quella stessa tonalità ardente.
    Provò l’istinto di urlare. Gridare così forte da distruggersi le corde vocali. Poi provò l’istinto irrefrenabile di ucciderlo davvero, come aveva minacciato di fare. E, infine, provò l’istinto di piangere perché tutto gli era ormai sfuggito di mano; il suo passato, i suoi sentimenti, le decisioni da prendere. Ma tra le tre avrebbe dovuto farne prevalere una sola, e l’istinto omicida prese il sopravvento.
    Nel momento in cui vide che Yuzo aveva ripreso ad avanzare, caricò anche lui. I pugni stretti, la testa bassa, il respiro di un bufalo.

    Yuzo inspirò a fondo e mantenne la testa dritta.
    Da come si muoveva, Mamoru doveva essere furente, ma gli avrebbe impedito a ogni costo di ridursi come il giorno prima, in quel modo irriconoscibile. Prima avrebbe dovuto ascoltarlo e dopo, se davvero non aveva capito niente di com'era fatto, avrebbe potuto agire come preferiva.
    Yuzo camminò con passo calmo e misurato, senza lasciarsi intimidire dalla collera che bruciava il suo compagno di missione. Gli vide digrignare i denti e sollevare la mano, pronto a ringhiare come un cane feroce, ma impedì che la rabbia potesse prendere il sopravvento e fargli ancora del male.
    “Il tuo permesso” disse lapidario. Gli premette la lettera sul petto, bloccandola con tutta la mano: come quando gli Erboristi usavano determinati sigilli magici, lui sembrava avesse voluto sigillare il suo dolore.
    L’espressione iraconda di Mamoru si spezzò in due, si fece confusa, le sopracciglia si aggrottarono e le labbra rimasero semiaperte ma mute.
    “Puoi riportare tua madre a Vestalys.”
    Tutto quello che la Fiamma avrebbe voluto fare, tutti i suoi propositi dettati dalla rabbia, si cancellarono di colpo e negli occhi di Yuzo sembrò quasi cercare una risposta o un’indicazione su come avrebbe dovuto agire, adesso, perché lui non lo sapeva più.
    Il giovane di Fuoco sollevò una mano e se la portò al petto, coprendo quella del volante per qualche momento, prima che Yuzo la ritraesse. Allora, Mamoru riuscì a sentire la consistenza della carta sotto le dita, il suo rumore. Prese la lettera e finalmente la guardò. Il sigillo in ceralacca era proprio lì. Era davvero il permesso che rincorreva da anni, l’unico motivo per cui continuava a tornare a Dhyla. Adesso avrebbe finalmente potuto dirle addio per sempre, come aveva desiderato fare da che sua madre era morta. Eppure, in quel momento, non c’era nessuna soddisfazione, non pensava ad altro che a quello che stringeva tra le mani. Quel permesso era divenuto una sorta di simbolo, la guerra segreta tra lui e suo padre, e averlo ora significava che Nasir si era arreso.
    “Perché a te?” domandò d’un tratto, incredulo. “Perché lo ha dato a te? Dopo tutti questi anni che io… perché?...”
    “Perché siete troppo simili, anzi, direi uguali. Lo stesso orgoglio, la stessa testardaggine. Non avresti mai chinato la testa, vero? Non ti saresti mai fermato a parlare con lui, invece di pretendere di avere ragione a ogni costo e senza condizioni, vero?”
    Mamoru lo fissò, sentendo che non c’era più nulla che il volante non avesse capito di lui, pur senza guardarlo direttamente negli occhi, e magari quello stupido nemmeno se ne rendeva conto.
    No, non avrebbe mai chinato la testa.
    Yuzo sorrise.
    “Nemmeno lui, non davanti a te. Non voleva mostrarsi debole per non lasciarsi sopraffare dal tuo rancore, però ti vuole bene, più di quanto immagini. Si è raccomandato di dirti di fare attenzione.” Abbassò lo sguardo sulle proprie mani. “Per favore, dagli una possibilità e non lasciarti questa città alle spalle. Sono le tue radici: se le recidi, potresti pentirtene per sempre.”
    Vedendo che la Fiamma non rispondeva sospirò, tornando a osservarlo.
    Mamoru rigirava la lettera adagio, come se stesse valutando cosa fare, cosa dire, addirittura cosa pensare.
    “Io lo so... so di essere stato... pessimo. Sono venuto meno alla mia parola, ti ho disubbidito, ho messo il naso nei tuoi affari senza pensare a quanto il mio atteggiamento potesse ferirti perché ero accecato dal desiderio di poter fare qualcosa per te. Qualsiasi cosa. Sono stato presuntuoso, hai ragione. Però sappi che non mi pento di essermi intromesso nella tua vita. Nemmeno un po'." Accennò un sorriso. "Torno alla locanda, quando vorrai uccidermi sarò lì ad aspettarti.”
    Yuzo gli passò di fianco, Mamoru continuò a tacere.

    “Non mi pento di essermi intromesso nella tua vita.”

    Solo il volante poteva dire certe cose e fargli capire che, in fondo, nemmeno a lui dispiaceva. Per nulla.
    Strinse il permesso e la carta si piegò rumorosamente.
    “Aspetta.”
    Era partito come una furia, si era dissolto come una fiammata nel cielo e non avrebbe mai pensato che potesse addirittura fermarlo. E chiedergli di andare con lui? No, nemmeno quello.
    “Ti va di accompagnarmi?”
    Il volante osservò la sua schiena e quell’accenno di profilo nel capo girato di lato.
    “Dove?”
    “Da mia madre.”
    Di tutte le cose che si era aspettato di sentire – insulti, per lo più –, quella non rientrava affatto. Ma non nascose di esserne felice; il suo sorriso parlava molto di più di mille parole.

    Avevano camminato fianco a fianco per tutto il tragitto senza dirsi nulla.
    Il palazzo dogale, ormai, non era più visibile dietro di loro, a meno che non si cercasse di individuarlo attraverso le altre costruzioni e i rami degli alberi.
    In quella zona di Dhyla, che ricadeva nella parte di cui si era occupato Mamoru, a Yuzo parve che i ciliegi si facessero più radi.
    La Fiamma aveva continuato a stringere il permesso nella mano, lo sguardo dritto in avanti, e il volante gli aveva lanciato delle occhiate di tanto in tanto, aspettandosi qualcosa, qualche parola, ma niente. Mamoru era rimasto muto.
    Per quanto il fatto che non gli si fosse lanciato contro e avesse cercato di ucciderlo gli fosse parso la più grande benedizione del secolo corrente, era altresì vero che non sapeva affatto come interpretare quel lungo silenzio. Dai pochi momenti in cui era riuscito a incrociare il suo sguardo, Yuzo non aveva percepito il gelo degli ultimi giorni, quanto la familiarità del suo calore naturale. Era tornato il Mamoru che lui conosceva, ma gli appariva più pensieroso, come se stesse valutando attentamente quello che avrebbe dovuto fare.
    Da parte sua, non domandò; dopo essere stato tanto prepotente da irrompere nei suoi affari, preferì non forzare ancora di più la mano e rispettare i suoi silenzi. Adesso sì, poteva aspettare.
    Il cimitero si trovava verso la periferia ed era l’unica zona della pianta circolare a non avere il mercato.
    L’ingresso era composto da un altissimo cancello in ferro battuto le cui sbarre disegnavano volute e foglie, fiori e fiamme. Verso l’alto, le punte concludevano con delle affilate picche.
    Tutt’intorno, correvano i ciliegi tagliati e curati affinché mantenessero delle forme più piccole, quasi avessero dovuto fare da siepe, mentre all’interno Yuzo s’accorse che di albero ve n’era solo uno. Enorme. Di sicuro il più grande che avesse mai visto. E poiché riusciva a distinguerlo nettamente dominare il paesaggio con i suoi rami lunghissimi, nonostante avessero appena varcato l'ingresso del cimitero, allora doveva essere mastodontico per davvero.
    Per un attimo, la presenza del ciliegio riuscì a distrarlo da tutto il resto, ma quando si guardò attorno arrestò il passo senza nemmeno accorgersene.
    Tombe ovunque, marmi candidi ornati da simboli elementali. E fiori. Tantissimi fiori che si mischiavano ai petali di ciliegio trascinati dal vento e dispersi dall’albero immenso.
    Mamoru si fermò qualche passo più avanti, quando si accorse di non avere più il compagno al suo fianco. Si volse, lo vide lì fermo e lo sguardo che si spostava velocemente su tutto ciò che lo circondava. Il viso tradiva un’espressione quasi intimorita. Gli sembrò a disagio.
    “E’ la prima volta che ne vedi uno, vero?” Per lui, come per qualsiasi altro vissuto altrove prima di entrare in una scuola elementale, i cimiteri non erano chissà quale novità, mentre per Yuzo, che aveva conosciuto solo Alastra e di certo non aveva avuto né occasione né motivo per andare al cimitero di Mizukoshi, doveva essere il primo in cui metteva piede. E per il volante, che sembrava essere così impreparato quando si tirava in ballo il concetto di ‘morte’, l’effetto doveva essere molto più forte.
    “Sì…” Yuzo si guardava attorno, disorientato.
    “Scusami, non ci avevo pensato. Sono stato indelicato a chiederti di venire qui.”
    “No! No, non è vero!” Il volante s’affrettò a scuotere il capo. Lo raggiunse in rapidi passi, ostentando una sicurezza che non provava. Sorrise, nascondendosi dietro l’incantesimo che meglio conosceva. “Non è un problema, devo solo… abituarmi, ecco.”
    Mamoru lo guardò con intensità e senza ironia. Gli parve quasi di riuscire a vedere oltre l'Autocontrollo, attraverso le sue iridi nocciola, e quello che scorse gli diede l’idea del vetro. Una spessa e invalicabile lastra di vetro che si celava dietro il primo livello di difesa. Molto, molto più in profondità.
    “Non funzionerà per sempre. Lo sai, vero?”
    “Che cosa?” Yuzo sembrò non capire, ma Mamoru non ne fu del tutto sicuro.
    Sospirò.
    “Niente.” Riprese a camminare, con il compagno al suo fianco. Fece vagare lo sguardo lungo il percorso. Conosceva quelle tombe forse meglio dell’intera città. Camminare per il cimitero non gli aveva mai creato problemi né fastidi. Anzi, gli metteva una strana tranquillità sotto la pelle, forse perché era un luogo di riposo e il dolore che era appartenuto alla vita terrena non c’era più. Ognuno era in pace con le Dee. “Che impressione ti dà?”
    Yuzo osservò il candore delle lapidi fondersi nelle venature rossastre dei diaspri che le decoravano. C’erano più colori lì che in tutta Dhyla; esplodevano nei petali dei fiori di mille varietà diverse.
    “Non so. Gli addii non mi piacciono…”
    “Questo l’avevo capito.”
    Sorrisero entrambi. Poi, il volante si volse indietro. Da lì, più vicini al grande ciliegio, si poteva vedere una porzione di cimitero più ampia; gli parve una strada, costeggiata da case silenziose. Piene di cenere.
    “Nostalgia” disse infine. “Mi dà un senso di nostalgia.”
    Mamoru si fermò presso il recinto che correva tutt’intorno al ciliegio. Erano distanti parecchi metri dal tronco, ma i suoi rami erano ben oltre le loro teste. Il tramonto lo investiva di lato, illuminandolo di oro rosso. Legato al fusto, vi correva una fune dove oscillava uno stendardo con il simbolo del Fuoco.
    “Immagino non abbiate cimiteri ad Alastra.” La Fiamma giunse le mani portandole, in sequenza, al petto, alle labbra e alla fronte, nel gesto di preghiera compiuto dagli Elementi di Fyar. Yuzo, invece, le incrociò al petto, fece un inchino e poi le sciolse.
    “No, infatti. La politica della scuola è molto chiara in questo: si viene cremati e poi sparse le ceneri dall’alto dei torrioni.” Sbuffò un sorriso. “Ero sempre stato convinto che il primo funerale cui avrei assistito sarebbe stato quello di Magister Matilda.”
    “Che sarebbe...?”
    “Il guardiano della voliera.” Stavolta sorrise a piene labbra. “Mi ha insegnato lui a prendermi cura delle phaluat. Sotto sotto, credo fosse lui a prendersi cura di me.”
    “Una specie di nonno.”
    Yuzo rise. “Sì, qualcosa del genere.” Poi levò lo sguardo al ciliegio con profonda ammirazione. “E’ bellissimo.”
    “E’ millenario” spiegò Mamoru. “Quando io ero piccolo, lui era già enorme. Nessuno sa chi l’ha piantato, ma molti dicono sia più vecchio persino della stessa Dhyla.” Riprese a camminare, girando per un percorso laterale che si inoltrava sempre di più all’interno del cimitero labirintico.
    In quel momento, Yuzo si rese conto di come stessero parlando in maniera diversa. Di solito, finivano col battibeccare dopo nemmeno tre parole, ma ora sentiva che c’era qualcosa di differente. A pensarci bene, già a Sendai i loro discorsi si erano fatti più rilassati e articolati, profondi avrebbe osato dire. Parlavano di loro stessi con meno difficoltà, si confrontavano, ricordavano. A Rhanka avevano condiviso per la prima volta il loro passato e ora Mamoru lo stava addirittura portando da sua madre. Il modo burrascoso e diffidente in cui si erano conosciuti a Raskal passò per un attimo davanti ai suoi occhi, poi scomparve e gli sembrò lontano un’eternità.
    Nella zona in cui arrivarono il cimitero era più monumentale. Cappelle dalla forma di vere e proprie case iniziavano a sorgere qua e là tra lapidi imponenti. Lì erano sepolte le persone più in vista di Dhyla. Loro si fermarono davanti a una struttura di forma cilindrica. Sulla sommità svettava una fiamma di marmo rosso e nero.
    Mamoru estrasse una chiave dalla tasca e si avvicinò al cancello che precludeva l’ingresso agli estranei. Lo aprì e si fece da parte per permettere al volante di entrare.
    La prima cosa che Yuzo fece, fu di sollevare lo sguardo al soffitto.
    La volta aveva lo stesso scudo che aveva visto al palazzo dogale: la ‘I’ campeggiava nel centro, assieme al simbolo del fuoco, sovrastati dalla corona reale che indicava obbedienza al Re Ozora.
    Poi si guardò attorno. Le pareti erano costellate di celle con nomi ed effigi, date. Ce n’erano tantissime.
    “Questa è la cappella di famiglia. Qui sono sepolti tutti i membri della famiglia Izawa.” Mamoru era rimasto appoggiato con la spalla allo stipite dell’ingresso. Le braccia incrociate. “Nel centro vi è il ramo principale, ovvero tutti quelli che, nei secoli, sono divenuti Doge di Dhyla.” Si mosse e avanzò, fermandosi accanto al volante.
    Yuzo vide una fila verticale di loculi più grandi, rettangolari, mentre gli altri erano di forma quadrata.
    “Miroku Izawa.” Mamoru indicò il primo, più in alto di tutti. “Capostipite della famiglia Izawa e primo a essere stato eletto Doge. Sotto c’è suo figlio, il figlio del figlio e così via. Dasaratha Izawa era mio nonno.”
    Il volante sorrise. La famiglia di Mamoru aveva davvero una storia lunga e antichissima. Ricordi che si perdevano tra genitori e figli, nonni e nipoti, zii, cugini. Legami intrecciati gli uni agli altri; così tanti da dimenticarseli addirittura. Famiglia. Nel senso più infinito del termine.
    “Lì ci sarà mio padre, un giorno, e chi lo seguirà alla guida del dogato.” La Fiamma indicò il loculo sotto quello del nonno. “E non sarò io, ovviamente.” Il mezzo sorriso scemò subito in favore di un’espressione leggermente imbarazzata. “Toccherà a uno… uno dei miei fratelli.” Lanciò un’occhiata fugace al volante per vedere la reazione e lo notò sorridere con una punta di soddisfazione. Lui arrossì e girò la faccia.
    “Sheral mi ha detto che ne hai tre.”
    “Sheral ti ha detto proprio tutto, eh?”
    Stavolta, Yuzo rise più apertamente. “Non arrabbiarti, è una persona così dolce e premurosa.”
    “Ecco, ora vuoi farmi la parte perché sono stato scortese con lei, dillo! Non aspettavi altro!”
    Ma il volante scosse il capo, tornando a guardare le lapidi. “No, non ce n’è bisogno. Tanto lo sai già.”
    “Che sfacciato!”
    Yuzo rise ancora, divertendosi nel vederlo nuovamente così, nuovamente lui. Sembrava che tutta la tensione accumulata prima di arrivare a Dhyla e tutto quello che era accaduto il giorno prima non fossero mai esistiti. Il tempo si era riavvolto o, forse, aveva solo superato quell’ostacolo su cui si era inceppato, per tornare a scorrere.
    “Spero che mio padre non sia stato troppo scortese con te. Non ha un bel carattere e a volte provoca solo per vedere le reazioni.”
    “Sì, me ne sono accorto.”
    “Non gli avrai dato soddisfazione, spero?!”
    “No, no. Ormai sono allenato.”
    “Molto bene-… Ehi! No, aspetta! Che vorresti dire?!”
    “Io? Proprio niente!” rise ancora il volante mentre lui borbottava per il riferimento, molto poco velato, alle loro zuffe verbali. Alla fine, anche alla Fiamma sfuggì un mezzo sorriso, nell'ammettere a sé stesso che Yuzo non aveva tutti i torti.
    “E gli altri? Chi sono?”
    Il volante aveva ripreso la parola, indicando tutte le tombe più piccole che costellavano la parete in file ordinate.
    “Rami cadetti. Fratelli, figli, zii, nipoti, cugini. Gente che non ho mai conosciuto.” Poi spostò lo sguardo sul lato destro della fila principale. “E mogli.”
    Yuzo lo imitò. Partendo dall’alto, i suoi occhi catturarono le effigi delle donne che avevano generato la discendenza degli Izawa fino a fermarsi sul loculo accanto a quello vuoto del padre di Mamoru.
    “Ti presento mia madre” disse quest’ultimo e lui rimase intrappolato nel nero degli occhi che, dalla ceramica, sembravano non aver perso nulla della forza che avevano dovuto avere in vita. Occhi neri, che ricordavano quelli di Mamoru, fieri, così come i capelli. Incorniciavano un viso dall’ovale perfetto e i tratti delicati, ma precisi. Sheral aveva avuto ragione.
    “E’… è bellissima…” La donna più bella che avesse mai visto.
    “Sì, lo era.” Mamoru abbassò lo sguardo sul permesso che continuava a stringere tra le mani. Finalmente si decise a staccare la ceralacca che lo sigillava.
    “Che succederà adesso?”
    Lui fece spallucce, aprendo la missiva. “Quel loculo verrà svuotato e poi sarà-…”
    Yuzo si girò a guardarlo e sul suo viso lesse un’espressione turbata. Fissava il permesso e ciò che recava scritto con le sopracciglia aggrottate.
    “Va tutto bene, Mamoru?”
    La Fiamma alzò la testa di scatto, richiudendo il foglio. Apparve disorientato e quasi impreparato. “Io… sì. Sì è tutto a posto.” Tossicchiò e si passò una mano nei capelli, cercando di recuperare la sua solita fermezza per dare nuove disposizioni. “Tu… Gli altri dovrebbero già essere rientrati alla locanda. Raggiungili e di’ loro che dopo cena ripartiremo, tanto non troveremo altro qui. Io vi raggiungerò a breve, ho una cosa da fare.”
    Per quanto gli parve evidente che ci fosse qualcosa di strano nel modo di fare di Mamoru, il volante preferì non discutere, perché qualunque cosa fosse, sapeva che non c’era più nulla di cui preoccuparsi.
    “Va bene” annuì, ma la Fiamma sembrava avere ancora qualcosa da aggiungere.
    “Senti…” Si passò di nuovo la mano nei capelli, tirandoli indietro. Poi lo guardò dritto negli occhi e all’Elemento di Alastra parve inquieto. “…per quanto riguarda quello che è successo ieri: giuro che non ricapiterà mai più. Però… non avere paura di me, Yuzo.”
    “Ma io non ne ho” rispose il volante, con semplicità, e nel suo sorriso Mamoru ritrovò la familiarità cui si era abituato pur senza volerlo. Eppure, quando lo vide dirigersi all’uscita della cappella, sentì la necessità di avere delle conferme, di poter credere davvero e fino in fondo alle sue parole e al suo sorriso.
    Si mosse senza pensarci, lo raggiunse senza pensarci, lo afferrò senza pensarci. O forse consapevole che solo nel contatto avrebbe potuto avere la sicurezza di cui aveva bisogno. Se si fosse divincolato, se Yuzo l’avesse respinto come era avvenuto quando si trovavano in camera allora avrebbe saputo che nulla sarebbe più potuto tornare come era prima, che non avrebbe avuto la sua fiducia. Dopo che era sempre stato il contrario, si rese conto che anche lui aveva bisogno di sapere che il volante si fidava.
    Ma Yuzo non si divincolò, non tentò di rifuggirlo, non lo guardò con il terrore di poter essere colpito. E non era per merito di alcun incantesimo.
    Il volante lo osservò con perplessità, aspettando che aggiungesse dell’altro, ma Mamoru non avrebbe mai potuto spiegargli che in realtà non voleva nulla se non toccarlo e basta.
    La Fiamma guardò il braccio ancora stretto nella sua mano e buttò lì la prima cosa che gli venne. “Potresti… potresti dire all’oste che non c’è più bisogno che mi tenga da parte la camera?”
    “Certo.”
    Il suo sorriso gli parve l’unica Verità in cui avrebbe creduto fino alla morte.
    Lo lasciò andare, seguendolo con lo sguardo fino a che non uscì. Piano raggiunse a sua volta il cancello della cappella, si appoggiò al ferro delle sbarre fissando la schiena del volante che si allontanava tra le lapidi. Nell’aria, il vento del meriggio soffiava su Dhyla trasportando ovunque i petali del grande ciliegio.
    “Non posso più spezzarlo, questo legame.”
    E mentre stringeva il foglio firmato da suo padre, capì che non era l’unico.




    …Il Giardino Elementale…

     

    Vorreste vederla la madre di Mamoru, Sakura? Tempo fa trovai la foto di un'attrice giapponese che mi lasciò con la faccia da triglia, perché era davvero come avevo immaginato che fosse Sakura: lei si chiama Yukie Nakama (qui, qui e qui) e trovo che sia davvero bellissima. *-* L'espressività del suo viso mi dà tantissimo la sensazione di delicatezza e distacco; quelle bambole belle e irraggiungibili, di porcellana finissima. Mi sembrava perfetta.

    E così, comincia un nuovo anno all'insegna della pucciosità! :3
    Mamoru sembra finalmente a un passo dal lasciarsi i vecchi fantasmi e rancori alle spalle per far posto a qualcosa di nuovo e conosciuto al contempo, qualcosa che aveva sempre rifuggito, ma di cui forse nessuno può fare a meno. (\O/ e qui si vede che io ho una vena rrrrrrromanticherrrrrrima inesauribbbbboli anche se cerco di camuffarla con l'angssssstt e il dddddolore! XD)
    Un applauso a Blackvirgo *-* che aveva anticipato le mosse di Yuzo! *awwwwwwwwwww*abbraccia*
    Il prossimo aggiornamento concluderà questo lungo capitolo 11, dopodiché... il... DODICI. *sbatte la testa contro il gong*
    Al momento mi mancano solo quattro scene, per un totale di mezzo capitolo e un pezzetto (ma non è detto che il mezzo capitolo poi non diventi capitolo intero ecc ecc ecc). Alla fine non manca molto, ma ridendo e scherzando sono sei parti, di cui l'ultima di venti pagine che... non vorrei dividere ç_ç Lo so che mi odierete, ma spezzarla non avrebbe senso. T^T lo so che sono graforroica, ma voi mi vorrete bene lo stesso, vero? VERO???? *piange e si dispera*

    :*** ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi; grazie della vostra pazienza!


    Prima di lasciarvi: SETTIMO VOLUME DELL'ENCICLOPEDIA ELEMENTALE DEDICATO ALLE 'TERRE DELL'OLTRE'!!! :3 Mi ha fatto davvero scervellare, ma credo sia venuto bene! X3 Come sempre, mi sono divertita a fondere cose già conosciute (come gli Elementali) con altre totalmente inventate (i Maustaki, ad esempio X3). Al solito, trovate tutto a fondo pagina! :*



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (AGGIUNTO IL VOLUME 7°!!!):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
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    Capitolo 30
    *** 11 - I segreti di Mamoru - parte V ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 11: I segreti di Mamoru (parte V)

    Dhyla – Regno degli Ozora, Terre del Sud Nord-occidentali

    Mentre accorreva per andare ad aprire la porta, Rhadan pensò che era strano che cercassero così spesso il padrone nel suo giorno di riposo. Da un lato, però, queste visite avevano portato delle notizie inaspettate e buone, secondo il suo punto di vista.
    Era stato davvero felice di scoprire che il signorino Mamoru aveva degli amici, il suo cuore irrequieto ne aveva talmente bisogno. E quando aveva incrociato il Doge, dopo che il ragazzo era andato via, gli era sembrato sereno come solo in rare occasioni gli era capitato di vederlo da che la signora Sakura era morta.
    Poteva quindi sperare che le cose stessero davvero cambiando? Che la frase che il Principe Tsubasa gli aveva rivolto durante la sua visita fosse vera?

    “Molto presto il passato verrà dimenticato. Non temere, il Vento lo spazzerà via e il Fuoco potrà cicatrizzare la ferite.”

    Lì per lì, quando Sua Altezza lo aveva fermato, dopo avergli portato il tè, e gli aveva detto quelle parole era rimasto fermo, spiazzato. Ma guardando il sorriso del Principe e la sicurezza nei suoi occhi gli era sembrato che il giovane sapesse ogni cosa e anche quanto lui desiderasse che la famiglia del suo padrone fosse finalmente riunita.
    Poi si era dato dello stupido e non ci aveva pensato più.
    Almeno fino a che il signorino Mamoru non era tornato in città. Addirittura per conto del Re. E poi era comparso quell’altro giovane, e il signore aveva assunto quell’aria quieta.
    Davvero… davvero poteva sperare?
    La risposta la ebbe nel momento in cui aprì la porta e trovò il signorino Mamoru.
    Aveva l’aria di chi si sentiva a disagio e lui sapeva perché: il figlio del padrone non metteva piede in quella casa da quando era morta la signora Sakura. L’unica ala dell’edificio in cui entrava era quella che conduceva agli uffici.
    Distese un caloroso e affettuoso sorriso e se qualcuno gli avesse detto che il Principe sapeva fare i miracoli gli avrebbe creduto, perché per lui era proprio quello che stava avvenendo: un miracolo.
    “Signorino…”
    “C'è mio padre, Rhadan?” Mamoru cambiò piede d’appoggio, mantenendo un atteggiamento di difficoltà.
    “Ma certo, signorino. Venite, non restate sulla porta." Si fece da parte, indicandogli l’interno. "Bentornato a casa.”
    La Fiamma spostò velocemente lo sguardo dal servitore all’ingresso, e quella frase, quella parola rimbombava nelle orecchie. Casa.
    Gli parve tal quale a quando l’aveva vista l’ultima volta all’età di sei anni. Un vento di familiarità e ricordi lo investì in quei colori rossi. Quante volte aveva attraversato quell’atrio per correre fuori, fino alla distesa dei ciliegi, dove sua madre l’avrebbe aspettato per una nuova lezione sul Fuoco?
    Inspirò a fondo ed entrò con un gesto deciso. Alle sue spalle, Rhadan chiuse la porta.
    In un primo momento gli parve di essere in trappola, ma fu una sensazione fugace e dopo ricordò dove si trovava ogni stanza, quasi non avesse mai lasciato quel posto.
    “E’ nel salone, signorino” spiegò il domestico e lui annuì.
    “Bene, posso proseguire da solo, Rhadan. Grazie.”
    L’uomo fece un inchino e se ne andò, sparendo in altri corridoi.
    Mamoru si avventurò per quei terreni conosciuti, avanzando adagio. Lo sguardo si spostava lungo gli oggetti e le pareti dove, tra i quadri a lui noti, scopriva cose nuove. Vita che passava e mutava tra quelle mura, vita che credeva non far più parte della sua, ormai. Troppo denigrata e distante, piena di piccoli particolari che lui aveva sempre lasciato fuori.
    Superò l’atrio e le porte che lo costeggiavano, per raggiungere l’antisalotto che affacciava sul grande ingresso a vetri che dava nel giardino.
    Un tempo c’era stato un mare infinito di petali rosa che cadevano dalla distesa di ciliegi, ma di quella distesa non c’era più nemmeno il ricordo. Quando sua madre l’aveva rasa al suolo per la seconda volta, col suicidio, suo padre aveva deciso che non sarebbero più stati ripiantati. Ora, infatti, il panorama aveva un colore verde smeraldo, intenso.
    Appoggiò una mano sul vetro rivedendo le fronde rosa tingersi di un rosso vivo e bruciante. Il suo Fuoco e quello di sua madre. Erano sempre stati loro la rovina del dogato. Poi, una risata infantile richiamò la sua attenzione. La porta del salone era aperta abbastanza da permettere di poter osservare l’interno anche dalla soglia pur rimanendo una presenza indiscreta.
    Mamoru avanzò. Il permesso, ancora nella mano, era ormai stropicciato dalle volte in cui l’aveva stretto e poi letto, richiuso, riaperto e riletto. Appoggiò una mano allo stipite e lì stette.
    Sdraiati sul grande tappeto, Bairei e Seika leggevano un libro di storie. O meglio: Bairei tentava di leggere, mentre Seika lo ascoltava con le manine che reggevano il viso e i piedi che dondolavano in aria.
    Sei anni il primo, cinque il secondo.
    Diavolo se erano cresciuti dall’ultima volta che li aveva visti.
    Nonostante fosse scostante e non domandasse praticamente mai, si ricordava tutto dei suoi fratelli. Conservava ancora le lettere che suo padre gli aveva mandato per informarlo della nascita di ciascuno di loro.
    Con lo sguardo cercò Nahila e la vide in braccio a suo padre, seduto in una grande poltrona. Lei aveva due anni e gli stessi capelli degli Izawa: nero corvino.
    Giocava con delle sagome di legno a forma di cavallini e le faceva correre sulle gambe dell’uomo che sorrideva felice, divertendosi quasi più di lei. Non ricordava di aver mai visto quell’espressione rilassata sul volto di suo padre, nemmeno da bambino.
    “…e… tut-ti… insieme… i… Re… vis-sero… in… pace… e… ar-… ar-… armònia!” lesse Bairei con convinzione.
    Armonìa, giovanotto.” Nasir lo corresse, rivolgendogli un’occhiata di finto rimprovero mentre il bambino si girava a guardarlo. “Dobbiamo studiare un po’ di più, vero?”
    “Sì, padre. Che vuol dire ‘in armonia’?”
    “Che non c’è nessuno che vuole dominare sull’altro.”
    “Allora Rei non è in armonia!” esclamò Seika. “Lui vuole sempre avere ragione!”
    “Non è vero!” si difese l’accusato.
    “Invece sì!”
    “Invece no!”
    A Mamoru venne da ridere: quei due cominciavano proprio bene.
    “Bambini, smettetela” intervenne pacatamente Sheral, seduta nella poltrona opposta a quella di Nasir; portava avanti un ricamo, ma con un occhio controllava i piccoli contendenti. “Non si vive in armonia se si litiga. E se si litiga, niente torta dopo cena.”
    I piccoli si dimenticarono completamente del diverbio ed esclamarono un estatico e corale: “Tooooorta?! Evvivaaaaa!”
    Mamoru pensò che fossero davvero una bella famiglia, una famiglia in cui lui era una ingombrante nota stonata. Se n’era sempre sentito tagliato fuori, fin dalla prima volta in cui suo padre gli disse che si sarebbe risposato. Aveva avuto dodici anni. E ora, che di anni ne avrebbe dovuti compiere diciannove, sentiva che il divario era ormai divenuto incolmabile. Forse sarebbe stato meglio lasciare a Rhadan un messaggio da riferire e dileguarsi, prima che qualcuno…
    “Mamoru-fratello?!”
    Troppo tardi.
    Seika lo stava guardando fisso con la bocca aperta, pieno di sorpresa.
    “C’è Mamoru-fratello!” Balzò in piedi, felicissimo, e Bairei lo imitò subito.
    “Dove?!”
    Mamoru si trovò accerchiato dai suoi fratelli minori che lo guardavano da sotto in su con delle espressioni entusiaste. Entrambi si profusero in un perfetto saluto elementale(1), tanto che egli stesso ne rimase sinceramente colpito, persino dalla pronuncia.
    As-salaam ‘alaykum.(2)
    “Mamoru…” Suo padre lo chiamò e si poteva dire che fosse il più incredulo tra i presenti.
    Lui tentennò. Osservò prima i fratelli, poi il Doge e Sheral, che aveva smesso di cucire.
    “Perdonate l’intrusione.” Si giustificò, guardando suo padre. “Hai un momento?”
    “Ma certo, certo ce l’ho.” Nasir si alzò, lasciando Nahila in braccio alla moglie. In rapide falcate raggiunse la soglia. Nessuna frecciata, nessuna parola o frase fuori luogo. “Andiamo nello studiolo.”
    Mamoru annuì e lasciò che l’uomo uscisse dalla stanza, poi si rivolse a Bairei e Seika ancora lì, in attesa.
    Wa ‘alaykum as-salaam” rispose al loro saluto e i bambini si illuminarono di felicità strappandogli una smorfia sorridente che non sfuggì agli occhi di Sheral, prima che lui volgesse le spalle al salotto per seguire Nasir.
    “Mamma, ma ora papà e fratello andranno a litigare?” domandò il maggiore dei tre. Ogni volta che Mamoru tornava, era quella la sequenza cui Bairei si era abituato, ma Sheral scosse il capo, serena.
    “No, questa volta no.”

    Tornarono indietro attraversando l’antisalotto e avviandosi per uno dei corridoi.
    Nasir non se l’era aspettato di vederlo arrivare quello stesso giorno. A dire il vero, era stato convinto che non si sarebbe mai più fatto vedere, ma forse il giovanotto di Tadashi aveva capito di suo figlio molto di più di quanto avesse sempre cercato di comprendere egli stesso. Mamoru era sempre stato ostile, fin da piccolo, e forse lui non aveva insistito troppo per paura di essere respinto ancora di più. Quel giovane, invece, aveva un modo di fare molto diverso sia dal suo che da quello di Mamoru.
    “Mi spiace averti disturbato nel tuo giorno libero” esordì la Fiamma. Camminava dietro di lui di un passo.
    “Sei mio figlio e i figli non disturbano mai.”
    “Beh, ma eri con la tua famiglia…”
    Nasir si fermò per poterlo guardare negli occhi. Da fuori proveniva ancora un po’ di tramonto e le cere dei candelabri alle pareti erano già state accese. Nelle sue iridi, la Fiamma non lesse né severità né l’ironia pungente che dominava sempre i loro incontri.
    “Quella è anche la tua famiglia, Mamoru. I tuoi fratelli ti vogliono bene e anche Sheral. Non sei mai stato un estraneo per loro.”
    Il giovane distolse lo sguardo e per la prima volta a Nasir sembrò che fossero finalmente tornati a essere padre e figlio dopo anni passati a essere nemici.
    “Non ci farebbero un grande affare con me.”
    “Lascia che siano loro a decidere.”
    Mamoru rimase a guardare l’esterno ancora per un momento, pur senza vederlo, prima di riprendere a camminare e fingere di cambiare discorso.
    “Nahila è cresciuta.”
    “Oh, sì.” Suo padre sorrise. “Ha i capelli degli Izawa.”
    “L’ho visto.” Accennò anche lui un sorriso. “E Seika da chi ha preso le fossette?”
    “Da zio Moriyo.”
    “Ma chi? Il pescatore?” Allora qualcosa della sua famiglia ancora se la ricordava, dopotutto.
    “Proprio lui. Mentre Bairei è un Hasser purosangue, come sua madre.”
    “Sì, ma a caratteraccio…”
    Il Doge ridacchiò tra perfidia e divertimento. “Te ne sei accorto, eh? Se continua così, crescerà proprio bene.”
    Quei tre avevano tutti qualcosa che li legasse alla famiglia Izawa, quindi a lui, e non solo perché figli dello stesso padre.
    Si fermarono davanti alla porta dello studiolo. Nasir l’aprì, entrando per primo e dirigendosi alla finestra. Scostò le tende per far entrare il filo di luce rimasta; da quella posizione vi era una visuale perfetta del vecchio ciliegeto ormai scomparso.
    Mamoru lo seguì, richiudendo l’uscio alle spalle. Diversamente dal padre, si avvicinò al candelabro posto sulla piccola scrivania. Toccò lo stoppino delle candele consunte a metà e queste s’accesero in un attimo, dopodiché lanciò, con uno schiocco di dita, delle scintille che attecchirono anche ai candelieri alle pareti.
    Quella era la prima volta che Nasir gli vedeva usare la magia e gli fece uno strano effetto. Non era più il bambino inesperto che aveva mandato a fuoco il ciliegeto, ora era padrone delle fiamme. Lo si capiva dai movimenti sicuri e naturali.
    “Utile” affermò, dopo che nell’ambiente fu fatta luce.
    Mamoru si strinse nelle spalle. “Non serve solo a fare danni.”
    “Sì, questo lo so. L’ultima volta che ho visto eseguire un incantesimo da così vicino è stato per mano di tua madre.”
    La Fiamma non rispose subito e il silenzio cadde per alcuni momenti assieme ai ricordi che aveva portato con sé.
    “Te l’ho detto, non serve solo a fare danni.”
    Il Doge si portò adagio davanti alla scrivania, appoggiandosi contro di essa. Guardò suo figlio.
    “C’è qualcosa di cui volevi parlarmi?”
    Mamoru sollevò il foglio stropicciato, lasciandoglielo accanto.
    Nasir annuì. “Capisco. Così quel ragazzo te lo ha dato.”
    “Sì. L’ho letto.” La Fiamma incrociò le braccia. “Perché non me lo hai mai detto? La data riportata sul documento è quella del giorno dopo la morte della mamma. Ancora prima dei funerali. Perché non mi hai detto che anche tu avresti sempre voluto che ritornasse a Vestalys?”
    Il Doge inspirò a fondo, intrecciando le mani davanti a sé. I baffi celavano appena la piega delle labbra.
    “Anche Sakura era una vittima delle circostanze. Come me e te. Lei era stata costretta a lasciare il Tempio e a sposarsi, io ad amare una donna che non mi amava e tu… tu a non avere una madre. Eravamo tutti e tre bloccati in una specie di circolo.” La mano tracciò un cerchio. “Quando morì, sapevo che la cosa più giusta da fare era quella di farla tornare a Vestalys però… però vedevo una sottile ingiustizia in tutto quello. Lei aveva portato avanti la sua parte in quella recita con una freddezza che io non sarei mai riuscito ad avere. E ora era libera mentre noi… eravamo rimasti qui a patire da soli le conseguenze.” Accennò un sorriso sbilenco. “Mi volevo vendicare, tenendola bloccata in questo posto ancora per un po’ ma poi ha finito col diventare l’unica scusa che avevo per farti tornare a casa, almeno una volta all’anno.” Si strinse nelle spalle e sospirò di nuovo. Non aveva mai smesso di guardarlo negli occhi mentre gli parlava ed era strano, per Mamoru, stare lì ad ascoltarlo senza che nessuno dei due si adirasse. “Ho davvero provato a farle cambiare idea, nel tempo in cui siamo stati insieme. Ma lei mi ha chiuso fuori, anzi, non mi ha mai permesso di entrare nel suo mondo.”
    Mamoru annuì in un gesto lento e ripetitivo. “La mamma era un’egoista. Esisteva solo il Fuoco, per lei, e nient’altro. E io questo lo sapevo, l’avevo sempre saputo. Così come sapevo che non c’era spazio né per me né per te. Anche della sua morte sapevo che era solo colpa sua, ma lei non c’era più e io avevo bisogno di prendermela con qualcuno: mi eri rimasto solo tu. Per tutti questi anni ti ho usato come un capro espiatorio, lo ammetto, anche se sapevo che eri nella mia stessa situazione.” Si passò una mano nei capelli, scuotendo il capo. “Ero proprio un bambino testardo.”
    “Da qualcuno dovevi pur prendere” scherzò Nasir. “Per fortuna hai preso da me.”
    Mamoru sorrise, tornando a guardarlo. “Penso proprio di sì, forse per questo ho deciso che visto che ha aspettato per tutti questi anni… beh, può aspettare ancora un po’.” La smorfia ironica piegò le labbra con divertimento e la solita baldanza. “In questo momento ho una missione più importante da portare a termine, quindi vorrei che custodissi ancora tu quel documento, fino al mio ritorno. E se non dovessi tornare-”
    Nasir lo prese saldamente per una spalla, gli occhi neri brillavano sotto la luce delle candele di un riflesso rovente e le sopracciglia erano aggrottate su un’espressione terribilmente seria.
    “Tu tornerai, Mamoru. Tornerai.”
    Sembrava quasi un ordine cui non poteva permettersi di rifiutare. Era una strana sensazione rendersi conto che suo padre si preoccupava per lui. Strana, ma piacevole.
    “Sì, tornerò.”
    Nasir sorrise, allentando la presa. “Anche tu sei cresciuto.”
    “E tu sei invecchiato.”
    Sorrisero entrambi e Nasir lo abbracciò; la stretta era sicura, paterna, e Mamoru si rese conto di quanto davvero gli fosse mancata solo in quel momento. La ricambiò, affamato del suo affetto.
    “Mi dispiace, papà.”
    “Anche a me, ragazzo mio. Anche a me.” Il Doge gli carezzò la nuca dove i capelli neri erano simili ai suoi. “Mi raccomando, sta’ attento. E non lanciarti allo sbaraglio. Chissà perché, penso che ne saresti capace.”
    Mamoru arrossì, separandosi da lui. “Naaa! Non è vero!”
    “Come no.”
    “Ah, piantala! Sono troppo vecchio perché tu possa farmi la predica!” La Fiamma arretrò di un passo, prendendo congedo. “Allora, io vado… siamo in partenza.”
    Nasir annuì, serioso. “Non dimenticare che questa casa è anche la tua. Qualsiasi cosa succeda, potrai sempre tornare tutte le volte che vorrai.”
    “Non lo dimenticherò.”
    “Salutami il trovatello dalla lingua lunga” aggiunse l'uomo con un mezzo sorriso, quando gli vide raggiungere la porta.
    “Il trovatello ha un nome, papà, si chiama Yuzo.” La Fiamma si fermò a cavallo dell’uscio. “Ed è l’amico migliore che potessi incontrare.”
    Con quella frase, in cui per la prima volta sentiva Mamoru difendere qualcuno che non fosse sua madre, il Doge si rese conto che suo figlio, sì, era davvero cresciuto.
    Solo allora, dopo che la porta venne chiusa, si concesse di commuoversi un po’, seppur col sorriso.

    Mamoru sospirò, poggiandosi con le spalle al legno.
    Con gli occhi chiusi e il viso sollevato, stava sorridendo. Dopo anni passati a lottare senza sosta, a darsi contro in tutti i modi possibili finalmente avevano smesso di fare gli stupidi per ammettere la verità: che non c'era alcun motivo per farsi la guerra. La colpevole della loro infelicità, che era poi anche vittima, ormai non c’era più e loro dovevano andare avanti. Magari imparando a chinare la testa, qualche volta.
    Con una spinta, la Fiamma si mosse, allontanandosi lungo il breve corridoio per raggiungere la porta di ingresso. Pensò che, forse, avrebbe dovuto fermarsi a salutare i suoi fratelli, anche se si sentiva ancora in difficoltà all’idea di rapportarsi come loro parente e non come un estraneo.

    “Quella è anche la tua famiglia, Mamoru.”

    Anche la sua.
    Era una seconda possibilità di avere quella famiglia unita che aveva sempre desiderato fin da bambino.
    Nonostante avesse sempre dimostrato una certa freddezza nei riguardi dei legami affettivi, soprattutto quelli familiari, dentro di sé non aveva fatto altro che guardarli con nostalgia e rammarico. Ma ora che aveva l’opportunità, si sentiva ugualmente frenato. Troppo tempo passato a odiare, aveva un po’ arrugginito la capacità di amare che aveva dentro di sé. Aveva iniziato a tirarla fuori solo da pochissimo, grazie a un dannato volante impiccione.
    Sorrise abbassando per un attimo lo sguardo al suolo. Quando lo rialzò, trovò Sheral ad attenderlo nell’atrio assieme ai suoi figli.
    Bairei e Seika gli si fecero subito vicini, pieni di curiosità, e lui si irrigidì un po’.
    Il primo lo guardò con titubanza. “Non avete litigato… vero?”
    Quella domanda lo spiazzò, sul momento. Non pensava che i bambini sapessero delle violente dinamiche che avevano sempre caratterizzato il rapporto con suo padre, ma forse si era solo illuso che le sue azioni non avessero ripercussioni su nessun altro.
    Sospirò, stemperando l’aria severa.
    “No, non abbiamo litigato.”
    Bairei sorrise, girandosi verso Sheral. “Avevi ragione, mamma!”
    La donna lanciò una fugace occhiata a Mamoru aspettandosi qualche improvviso scatto d’ira, ma il giovane la guardò con un’espressione un po’ perplessa e senza ostilità. Allora tentò un sorriso, cui l’altro rispose con un cenno del capo.
    “E quanto resterai, fratello?” Seika si attirò l’attenzione di Mamoru cui dispiacque dover spegnere le sue aspettative.
    “Veramente, sono in partenza.”
    Il piccolo afflosciò le spalle e il sorriso si piegò verso il basso, facendo scomparire le graziose fossette.
    Anche Bairei assunse un’espressione delusa, ma cercò di trovare subito il lato positivo. “Quando tornerai a trovarci?” chiese, con piglio sicuro.
    Mh… presto” concesse Mamoru, pur senza sbilanciarsi troppo. Ma per i bambini quello fu più che sufficiente per mandarli su di giri. Lui sospirò, poggiando una mano sulla testa di Bairei. “Vedi di obbedire a quello che dice nostro padre, intesi? Un giorno sarai tu il nuovo Doge.”
    Il bambino gonfiò il petto con orgoglio nel sentirsi prendere così in considerazione. Annuì con vigore.
    Al suo fianco, Seika saltellò, alzando la mano. “Io! Io!” si agitò per attirarsi la sua attenzione; le fossette di nuovo sulle guance, accentuate dal sorriso, e gli occhi verde scuro che brillavano. “Io voglio diventare un Elemento come Mamoru-fratello!”
    La Fiamma impallidì e alzò le mani. “No, per carità! Non farti sentire da papà o questa è la volta buona che gli prende un colpo!” Gli diede un paio di colpetti sul capo e stentò un sorriso terribile. “Ne basta uno, in famiglia, a combinare guai, va bene?”
    In cerca di appoggio, lanciò un’occhiata a Sheral che rideva, tenendo in braccio Nahila. Quest’ultima allungò una manina verso di lui. Gli occhi vispissimi e neri, i capelli corvini. Una Izawa in miniatura.
    “Mamo! Mamo!” Lo chiamò con la sua vocina sottile. Al volante sarebbe piaciuta oltre ogni dire, poco ma sicuro.
    “Tu vedi di non crescere troppo in fretta o ci toccherà combattere con una fila di pretendenti.”
    “Cosa sono i ‘pretendenti’?” domandò Bairei.
    Mamoru ghignò. “Lo capirai quando sarai più grande e, credimi, non ti piacerà.”
    “Bambini, ora salutate vostro fratello e poi correte da Rhadan; dovete ancora prepararvi per la cena” intervenne Sheral, lasciando la piccola Nahila in braccio a Bairei.
    Seika si aggrappò alla vita della Fiamma, cingendola in un abbraccio. L’altro, invece, mantenne un certo contegno.
    “Ciao, fratello!” salutò infatti e Nahila lo imitò, agitando la manina paffuta.
    Tao, Mamo!”
    Lui carezzò il capo a entrambi e poi osservò la testa castana del piccolo polipo che ancora gli restava attaccato. Sospirò, spettinandogli i capelli già mossi.
    Seika rise e sollevò il viso per poterlo guardare.
    “Torna presto, fratellone!”
    “Certo, ma se non mi lasci non esco nemmeno fuori dalla porta.”
    Il bambino ridacchiò più forte e si decise a mollare la presa. Insieme a Bairei e Nahila si avviò lungo il corridoio per andare a cercare Rhadan che, di sicuro, doveva essere nelle cucine.
    Rimasti soli, Sheral gli sorrise con sincera gratitudine. “Grazie per essere venuto e per aver salutato i bambini. So già che ne parleranno per giorni.”
    Lui si sentì in difficoltà, sia per l’estrema ammirazione che le tre pesti nutrivano nei suoi confronti, sia per il modo sempre cortese con cui la moglie di suo padre gli si rivolgeva, nonostante tutto. Si mantenne un po’ sulle sue quando rispose: “Di nulla.” Infine tossicchiò, consapevole che nemmeno da quella situazione sarebbe potuto venire fuori senza affrontarla una volta per tutte. “So di essere stato veramente terribile e ingiusto nei tuoi confronti, me ne rendo conto, e mi dispiace. Grazie per esserti presa cura di mio padre. Lui è felice, adesso.”
    “E tu? Tu sei felice?”
    Lo spiazzò con quella domanda che sapeva essere animata da un sincero interesse per il suo bene. Lo era sempre stata, ogni volta che aveva cercato di intavolare un discorso e lui non aveva fatto altro che aggredirla.
    Si strinse nelle spalle e, finalmente, le mostrò un sorriso e non la solita espressione guercia e inferocita. “Al momento, non ho di che lamentarmi.”
    Sheral sembrò comprendere quel suo non dire e rispose al sorriso con calore. “Immagino che tuo padre ti avrà già fatto mille raccomandazioni, ma sii prudente.”
    Mamoru si limitò ad accennare col capo prima di varcare finalmente la soglia e lasciare dietro di sé il palazzo dogale.
    Le sue spalle non erano mai state così leggere.

    Camminò senza andare di fretta.
    Non proseguì per la solita strada più breve con lo sguardo dritto in un unico punto che sembrava passare attraverso le cose e le case senza vedere nulla se non la meta, ma avanzò con passo piuttosto lento, quasi stesse passeggiando. E si guardò attorno. Guardò Dhyla, i suoi colori, le bandiere che oscillavano e le insegne dei negozi. Guardò la gente che gli passava accanto e le carrozze che procedevano perdendosi negli incroci infiniti.
    Guardò anche gli alberi e quella pioggia di petali che sembrava non stancarsi mai di ricoprire ogni cosa, come una benedizione divina. Dhyla era protetta da Maki e quei fiori, forse, erano il suo modo per dire che sarebbe sempre rimasta con loro.
    Ma non era il solo a guardare: anche i passanti guardavano lui. Qualcuno lo riconosceva e si intimoriva. Per anni, doveva aver davvero fatto paura a chiunque avesse incrociato il suo cammino, se ora era accerchiato da un’aura di diffidenza. Col tempo, pensò, magari anche quella sarebbe scomparsa e lui sarebbe potuto tornare a passeggiare inosservato. Cittadino tra i tanti.
    Arrivò alla locanda che il cielo era ormai indaco e viola, carico di sfumature.
    Entrò e accennò all’oste un saluto. Quest’ultimo rispose, profondendosi in un inchino cordiale.
    Lui passò oltre, affacciandosi alla sala da pranzo. Vide Hajime e Teppei seduti presso uno dei tavoli a parlare. Quando lo notarono, il Tritone alzò una mano per salutarlo e lui, che comunque si sentiva in difetto anche verso di loro, avanzò mostrando un passo sicuro.
    “Ti stavamo aspettando. Yuzo ha detto che ripartiremo oggi stesso.”
    La Fiamma annuì, appoggiandosi col fianco al tavolo, le braccia conserte e un sopracciglio inarcato. “Sì. Era già chiaro fin da ieri che non avremmo trovato altro. Il Principe non è scomparso qui. Voi, novità?”
    Acqua e Terra scossero il capo. Hajime sospirò, poggiando il viso in una mano. “Abbiamo girato in lungo e in largo. Nessuna traccia, nemmeno minima, di Magia Nera o qualunque cosa abbia potuto indicare la presenza di Stregoni.”
    “Io, poi, ho una fame da lupo!” brontolò il tyrano, massaggiandosi lo stomaco vuoto.
    “E dove starebbe la novità, Teppei?!” Lo pungolò Mamoru, assottigliando poi lo sguardo e puntandogli contro il suo indice inquisitore. “Piuttosto. Sicuro di aver cercato come si deve e non esserti invece perso tra i meandri del mercato a gozzovigliare?!”
    “Chi?! Io?!” arrossì il giovane, esibendo un sorriso larghissimo. “Nooooo!”
    Mh. E quelli che sono?” domandò, indicando dei piccoli pacchettini lasciati incautamente sul tavolo.
    Vedendosi scoperto, il tyrano cercò prima aiuto in Hajime, che restava a braccia conserte a godersi lo spettacolo, e poi capitolò.
    “Una sola bancarella, giuro!”
    “Ah, Teppei! Sei incredibile! E figurati se ci credo che ne hai girata una sola!” Mamoru scosse il capo, ma stava ridendo ed era chiaro che non fosse realmente arrabbiato. “Piuttosto, manca l’uccellino chiacchierone all’appello.”
    “E’ in camera, sta finendo di preparare il bagaglio” spiegò Hajime.
    “Allora vado anch’io, così dopo possiamo ordinare la cena.”
    “Fate preeeesto! Prima che il mio stomaco si auto-fagociti!” supplicò Teppei e, a dargli manforte, arrivò un suono cupissimo e grufolante che si attirò le attenzioni sia della Fiamma che del Tritone. “Sentito?!”
    Hajime affondò la fronte in una mano, mentre Mamoru si mosse per raggiungere le scale che portavano ai piani superiori. Prima di lasciare la sala, però, si fermò e si volse ancora una volta.
    “Io… so di essere stato intrattabile in questi ultimi giorni” esordì, un po’ in imbarazzo. Ma quanti ‘scusa’ e quanti ‘grazie’ aveva detto in una sola giornata?! Adesso poteva considerarsi a posto per anni interi. “Mi dispiace.”
    “Non importa, Mamoru” rispose il Tritone anche a nome di Teppei. “Quello che davvero conta è andare avanti. Tutto scorre.”
    “E tutto brucia” sorrise la Fiamma, raggiungendo le scale.
    Le salì piano, facendo scivolare le dita sul passamano. Percorse il corridoio ed entrò nella stanza.
    Yuzo era presso il letto e stava infilando, ordinatamente, le ultime cose nella borsa. Si volse nel sentire il rumore della porta.
    “Bentornato” salutò con un sorriso prima di annodare i lacci per chiudere la sacca. “Tutto a posto?”
    “Sì.” Mamoru afferrò la sua abbandonata accanto alla sedia dello scrittoio e la lanciò sul letto, poi aprì l’armadio. “Mio padre ti manda i suoi saluti.”
    “Avevo immaginato fossi andato da lui.”
    La Fiamma non lo stava guardando, ma dal tono capì subito che il sorriso si era fatto più ampio. Poteva dire di conoscerlo bene, almeno fino a un certo punto; prima di arrivare alla lastra di vetro.
    “Sono felice che tu l’abbia fatto. Avresti finito col pentirtene. E poi tuo padre non stava aspettando altro, l’ho capito anch’io.”
    Lui sbuffò un ghignetto ironico. “Ficcanaso fino alla fine, eh?”
    Mmmmh… sì!”
    Stavolta gli concesse un’occhiata, ridendo. Yuzo aveva poi afferrato la sacca e si era diretto alla porta.
    “Ti aspetto di sotto, per la cena. Teppei era in procinto di mangiarsi il tavolo.”
    Seee, lo so” ironizzò, ripiegando alla rinfusa gli abiti. Ma se ne disinteressò quasi subito, guardando solo lui. Avrebbe voluto dirgli di più, molto di più, ma doveva ancora prendere confidenza con quel sentimento che per anni aveva tenuto rinchiuso. Doveva capire fin dove poteva spingersi e, soprattutto, se voleva farlo. Non poteva dimenticare le priorità di quella missione e le priorità erano trovare il Principe e la Chiave; distrarsi non era contemplato. Avrebbe dovuto lavorare molto su sé stesso, mentre Yuzo… Yuzo era come uno specchio. Rifletteva solo l’immagine di superficie, ma sotto ormai si era reso conto che nascondeva ombre. Restavano intrappolate, ingabbiate dietro la lastra di vetro.
    Lui avrebbe voluto conoscerle?
    Molto di più.
    In quel momento, si rese conto che avrebbe voluto addirittura dissiparle.
    “Grazie, volante, ma vedi di non abituartici troppo.”
    “Oh, non mi abituo, non temere. So che i ringraziamenti bisogna sudarseli con te, però… se riflettiamo bene, adesso mi sei in debito.”
    Il sopracciglio di Mamoru saettò verso l’alto. “Cos’è che sarei, io?”
    “Sì, per l’aiuto che ti ho dato. Quindi potremmo annullare la promessa di obbedienza che ti ho fatto a Sendai e saremmo pari.”
    “Sìììì, ceeeerto. E poi?”
    “Ah, vuoi anche altro? Allora, vediamo…”
    La Fiamma fissò il sorriso candido con il quale lo stava bellamente prendendo per il culo. Non c’era più freddo dentro e attorno a sé, ma solo il calore di chi sapeva di aver ritrovato qualcosa e scoperto qualcos’altro.
    Ridendo con lui, afferrò una pantofola e gliela tirò dietro.
    “Sparisci dalla mia vista, impiastro di un volante!”

     

    Il Fuoco guarisce le cicatrici,
    che feriscono il cuore e le sue radici.
    E qualcosa rinasce dal vecchio dolore:
    una fenice in volo, chiamata Amore.




    [1]: Saluto Elementale e Preghiere Elementali sono cose diverse. Il saluto elementale è unico per tutte le scuole, mentre il modo di pregare varia da scuola a scuola:
    - Fyar: le mani sono giunte con la punta delle dita rivolta verso l’alto (perché il Fuoco tende al cielo e non subisce la gravità e perché prende la forma triangolare di una fiamma). Vengono portate al petto, alle labbra e alla fronte: cuore, verbo e intelletto considerati la genesi della Forza dell’uomo (gestualità ispirata al saluto hindi più noto, ovvero ‘Namastè’).
    - Alastra: le mani, dalle dita aperte, sono incrociate e appoggiate al petto. A fine preghiera vengono ‘sciolte’ imitando il gesto delle ali che si ‘spiegano’. Il petto è il luogo in cui è custodito il cuore, simbolo dell’amore, e i polmoni, simbolo di respiro e vita. Le ali spiegate simboleggiano l’apertura agli altri, benevolenza, carità.
    - Agadir: le mani sono giunte e le dita intrecciate. Ci si appoggia con la fronte alle mani, in modo che coprano gli occhi. Le dita intrecciate simboleggiano l’unione e la fusione proprie dell’Acqua, quindi l’unità tra le genti. Gli occhi chiusi simboleggiano la capacità di guardare ‘oltre’ le apparenze, inoltre sono i luoghi da cui nascono le lacrime, simbolo delle emozioni.
    - Tyran: si prega in ginocchio, con il viso e le mani premute nella terra. Vi è quindi un contatto diretto con l’Elemento di appartenenza attraverso il quale si cerca di stabilire un legame più profondo con la divinità. Simboleggiano l'umiltà e il rispetto.
    Il Saluto Elementale, invece, è il saluto arabo: “As-salaam ‘alaykum[2]” (‘la pace sia su di voi’), cui si risponde con “Wa ‘alaykum as-salaam” (‘e con voi la pace’). Si china il capo e la mano viene portata al viso con le dita all’altezza del naso.
    Perché il saluto arabo?
    O_O perché è bellissimo.



     

    …Il Giardino Elementale…



    *-* la famiglia di Mamoru!
    Ammetto di essere stata fortemente tentata, all’inizio, di affibbiare a lui i fratelli di Kojiro, poi però ho pensato che volevo proprio crearli dal nulla.
    Adoro il nome Bairei *-* (che mi ricorda Baiko, altro nome che adoro!) e ho cercato di differenziarli un po’ tutti, i piccini, pur cercando di mantenere delle caratteristiche che li accumunassero a Mamoru: ora i capelli, ora il carattere ecc. Mi piacciono come son venuti. *_* Gli Izawa sono davvero una bella famigliola!
    Finisce così il lungo capitolo dedicato a Mamoru, alla sua famiglia e ai suoi segreti, che ormai sono stati svelati del tutto. *_* gioisco nel comunicarvi che... \O/ IL CAPITOLO 12 QUASI TERMINATO!! Manca davvero un pezzettino piccolinissimo *s'odono campane scampanare a festa* Quindi non ci saranno ritardi in queste sei settimane in cui ci farà compagnia (XD). Nel mentre, conto di riuscire a finire (stigheizz, lo devo ancora cominciare *facepalm*) il capitolo 13 che, in teoria, dovrebbe essere di più facile stesura. Diciamolo piano piano, che non si sa mai ç_ç. *_* però il capitolo 14 ha già un pezzetto scritto! *w* (io vado sempre a macchie di leopardo XD).
    Allora, io ve lo dico già: preparatevi pissicologggicamente, perché il capitolo 12 sarà Angst dalla prima all'ultima parola. Voi ormai dovreste essere abituati con me. XD

    Come sempre, ringrazio tutti coloro che continuano a seguire i nostri eroi in questa lunga e complicata avventura! :*******


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 31
    *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte I)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    La prima cosa che Ryoma Hino vide appena arrivarono al confine Nord, in quella striscia di terra in cui si sarebbe consumata la battaglia per la salvaguardia dei Regni degli Ozora, fu un enorme iktàba(1) che sgranocchiava la carcassa di quello che era stato un cavallo.
    Ringraziò di avere uno stomaco di ferro e non vomitò, ma a Ramon, al suo fianco, non andò altrettanto bene. Gli vide girare il capo e coprirsi la bocca con una mano, per non guardare con quanta delizia l’animale stesse consumando il lauto pasto.
    “Dov’è il Master Wakabayashi?”
    Sentì il Comandante Hongo che chiedeva informazioni all’Elemento di Terra che si trovava sul dorso del mastodontico vermoide.
    “E’ in testa alla guarnigione, signore! Tiene sotto controllo le mosse del nemico assieme all’Airone di Cristallo!”
    Il mago indicò dopo l'accampamento, dove le prime linee di Elementi erano schierate. Oltre ancora, si estendeva un’enorme superficie di roccia nuda e sterile. La pietra emergeva dalla polvere in spuntoni taglienti e grigi, come il cielo, che da quando erano arrivati non aveva mai mostrato il sole, nascosto dietro nuvole minacciose. Le avevano già avvistate in lontananza, mentre si avvicinavano sempre di più al loro obiettivo. Adesso formavano una coltre compatta che faceva arrivare prima la notte.
    Hongo conferì un momento col Re e poi si volse, dando i suoi ordini al Capitano Victorino. “Di’ agli altri capitani di accamparsi qui, noi andiamo a parlare col Master Wakabayashi.”
    Il giovane annuì e si allontanò. Allora il Comandante si rivolse a lui: “Ryoma, tu vieni.”
    Hino accennò col capo e spronò il cavallo.
    Gli Elementi di Terra erano stati i primi ad arrivare, data la loro vicinanza al Nord. Stesso discorso valeva per quelli di Aria, i secondi sulla linea del traguardo.
    Mentre si faceva largo tra animali e persone, vide un paio di loro volare a tutta la velocità sopra la sua testa e allontanarsi, per prestare soccorso ad alcuni feriti che erano ritornati dalla spianata.
    Assieme ai maghi guerrieri erano giunte al confine anche alcune delle guarnigioni della Guardia Cittadina mandate dai Doge delle città più vicine al fronte.
    Con curiosità si guardò attorno: degli Elementi di Fyar e Agadir ancora nessuna traccia. Meglio così, almeno per un po’ non avrebbe avuto la faccia di quel presuntuoso del Master Hyuga sotto al naso.
    Quando scorse un golkorhas accucciato e sonnecchiante capì che erano arrivati: quello era l’animaletto domestico del Marmo Nero. Ghignò. Non c’era niente da dire, aveva davvero dei gran bei gusti in fatto di cuccioli.
    “Master” salutò il Re solennemente, scendendo dal destriero.
    Misugi gli rivolse un educato inchino, mentre Wakabayashi si limitò a un cenno del capo. Aveva il piede puntellato su una roccia sporgente, un braccio appoggiato sul ginocchio e l’altro al fianco. Con loro c’erano i sei Magister che formavano i Consigli Scolastici di Alastra e Tyran.
    Erano tutti riuniti attorno a una grande cartina spiegata su un tavolo rimediato alla buona da un ciocco di pietra.
    “Allora, ditemi: com’è la situazione?” Il sovrano passò subito al sodo.
    “Stabile” spiegò il Marmo Nero. “Al momento ci sono stati alcuni tentativi di incursione, ma siamo riusciti a rispedirli al mittente con svariati feriti ma senza alcuna perdita.” Indicò oltre la distesa desertica e solo allora Ryoma si rese conto che tutti quei puntini scuri, che lui aveva creduto essere parte del panorama, erano invece i soldati dell’esercito di Gamo. Ed erano molti di più di quanto avesse immaginato.
    Tra di loro, qualche bagliore saettò per alcuni secondi prima di scomparire.
    Quelli dovevano essere gli Stregoni.
    “Sembra stiano aspettando prima di dare inizio alle danze vere e proprie.”
    “Aspettando?” Ryoma inarcò un sopracciglio, dipingendosi una smorfia.
    Master Wakabayashi ammiccò. “Proprio così. Aspettano di vederci al completo.”
    “Volete dire che vogliono attendere l’arrivo degli altri Elementi? A che scopo? Se attaccassero adesso sarebbero avvantaggiati.”
    Il giovane scosse il capo, sbuffando un sorriso sghembo. “Oh, ma a Gamo non frega un cazzo del vantaggio.”
    “E’ così” sospirò il Re. Avanzò di qualche passo, superando il gruppo lì riunito. Con le mani dietro la schiena osservò il nemico in lontananza. “E’ un uomo troppo orgoglioso. Una vittoria ottenuta senza che il nemico sia al massimo delle forze non è in grado di soddisfare il suo ego spropositato.”
    Ryoma pensò che fosse una pessima, pessima mossa. Anche lui aveva un ego grosso quanto l’intero Elementia e l’importante era vincere; che l’avversario fosse o meno al meglio poco gli importava.
    Master Misugi prese la parola, attirandosi lo sguardo del Re. “Ci sono notizie sulla salute del Principe Tsubasa, Vostra Altezza?”
    L’uomo sospirò ancora, scuotendo il capo. Adagio tornò indietro. “Ancora nulla, purtroppo. Ho aspettato fino a che ho potuto, ma non c’erano novità e io dovevo partire. Data la domanda, immagino che nemmeno voi abbiate saputo niente, vero?”
    “Purtroppo no, Vostra Altezza. Non abbiamo notizie dei nostri Elementi da che sono partiti per raggiungere la Capitale.”
    Il Re abbassò gli occhi al suolo, fissando un non ben precisato punto. Annuì piano, valutando l’intera situazione. “Sì, capisco. La strada per il Sud è molto lunga, dopotutto.” Cercò di sorridere, mostrando fiducia nell’operato delle Scuole Elementali. “Non resta che aspettare, dunque, e pensare ai problemi imminenti. Mostratemi la disposizione degli uomini.” 
    Koudai si avvicinò alla piantina per dare un’occhiata alle strategie imbastite da Master Misugi, quando un Elemento d’Aria arrivò all’improvviso, rimanendo sospeso a mezz’aria.
    Ryoma si era sempre chiesto come diavolo facessero, ma in quel momento non gli sembrava il caso di mettersi a lambiccarsi il cervello con simili idiozie.
    “Master, porto notizie!”
    “Riferisci, Magister Pascal.”
    Il giovane indicò un punto verso l’orizzonte. “Uomini in avvicinamento da Ovest, signore. Sono gli Elementi di Fyar a cavallo dei màlayan.”
    Il Master annuì. “Va’ loro incontro e guidali. Una volta arrivati, di’ al Master Hyuga di raggiungerci assieme al Consiglio Scolastico di Fyar.”
    L’Elemento annuì e volò via a tutta velocità, sembrava una scheggia.
    Hino avrebbe preferito di gran lunga restare lì a far congetture sui loro trucchetti magici, ma tutto quello che riuscì a pensare, con un pesante sospiro, era che ora, all’appello, mancava solo il Master Matsuyama e dopo avrebbero davvero potuto dare il via alla guerra.

    Via Crociata – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    Mamoru richiuse il diario di viaggio dopo aver spuntato, con un bastoncino di grafite, l’ennesimo nome dalla lista delle città che occupava tutta la prima pagina. La riga lo copriva per intero e vedere quell’elenco di nomi barrati gli fece tirare un lungo e infastidito sospiro.
    Herus. Whae. Akaranta. Misham(2).
    Questi erano i centri che avevano raggiunto dopo Dhyla, ma in tutti la risposta era stata sempre la stessa: il Principe non era stato rapito in nessuno di loro.
    Era come sbattere la testa contro un muro sempre nello stesso punto, sperando di romperlo, in un gioco per vedere chi era il più duro. E loro non sembravano vincere.
    Sollevò lo sguardo, continuando a cavalcare lentamente. Davanti a lui si estendeva il Dogato di Tha Cerròs, uno dei più vasti e frammentati dell’intero Sud. Le sue terre comprendevano circa una quarantina di centri minori, che si perdevano tra le numerose foreste. In lontananza, si potevano già intravvedere le vette del sistema montuoso del Nohro. Si stavano ormai addentrando verso le zone più selvagge e impervie del Sud. Prima e oltre la modesta catena montuosa, vi erano le foreste Lulha, le più grandi del Regno degli Ozora, cui facevano parte anche quelle del dogato che stavano attraversando. Poi paludi e acquitrini.
    Si poteva dire che il Dogato di Tha Cerròs fosse uno degli ultimi avamposti conosciuti prima di inoltrarsi verso le montagne, oltre le quali tornava la pianura, ma la differenza di tradizioni si faceva più forte e la voce del Re arrivava molto più ovattata, quasi sconosciuta. Anche per questo, si vociferava, era stato combinato il matrimonio del Principe con la figlia del Doge Nakazawa di Nankatsu, sperduto alla fine del Regno, per consolidare la presenza degli Ozora sul territorio.
    Magheggi reali.
    A lui non importavano poi tanto, a dirla tutta.
    La città principale, Tha Cerròs, non era così grande, rispetto alla superficie del dogato. In confronto, Dhyla era ben più vasta. A ogni modo, la loro tappa sarebbe stata Ghoia, uno dei centri minori.
    Mamoru volse appena la coda dell’occhio. L’iride pece corse subito a catturare il profilo del volto di Yuzo che cavalcava adagio al suo fianco, mentre Hajime e Teppei proseguivano più avanti lungo la Via Crociata.
    Mizukoshi apparteneva al Dogato di Tha Cerròs.
    Mizukoshi distava nemmeno un giorno da Ghoia.
    Mizukoshi era vicinissima, ma il volante non l’aveva più nominata dopo quella sera a Rhanka; nemmeno ora, che avrebbe potuto chiedere di deviare il percorso per poterla raggiungere.
    Gli aveva detto di non considerarla la sua città, ma poteva credergli fino in fondo?
    Da quando avevano lasciato Dhyla, ogni parola gli era sembrata si riflettesse su quella lastra invalicabile di vetro che giaceva in fondo ai suoi occhi. La percepiva spessa, indistruttibile. Vecchia quanto lo stesso volante.
    Yuzo.
    E così era del Sud, come lui. Essendo vissuto per lo più ad Alastra, non aveva l’accento tipico di quelle zone che, invece, a lui a volte sfuggiva.
    Solo in quel momento Mamoru si rese conto che erano sempre stati vicini, fin da prima di conoscersi. Come poteva chiamarlo, quello? Destino?
    Accidenti! Stava cominciando a parlare come Teppei!
    La Fiamma non trattenne una mezza risata e si passò una mano nella lunga chioma corvina, scuotendo il capo.
    “E’ tutto a posto?” domandò Yuzo, attirato dai suoi borbottii.
    “Sì, se così si può dire.” Mamoru dissimulò i reali pensieri, buttandoli su qualcosa di più serio.
    “Pensi ai troppi buchi nell’acqua?”
    La Fiamma avrebbe voluto chiedergli come facesse a comprenderlo con tanta semplicità anche quando ciò che stava formulando era il pensiero dell’ultimo secondo, però si limitò a guardarlo dritto negli occhi prima di annuire adagio.
    Il volante ispezionò l’intorno cercando di scrutare nel fitto della vegetazione che costeggiava la Via Crociata.
    “Gli Stregoni non dovrebbero avere una base da queste parti?”
    “A dire il vero, non si sa con precisione.” Anche Mamoru si ritrovò a compiere lo stesso gesto, ma le fronde erano talmente intricate che era già tanto se riusciva a scorgere qualche albero più lontano. “Si ipotizza essere in una zona che comprende anche il sistema del Nohro, ma nessuno lo sa con certezza.” Abbozzò un ghigno. “Altrimenti sarebbero già andati a stanarli come ratti. Il problema delle basi degli Stregoni è dovuto al fatto che le cambiano di continuo. Qui al Sud, poi, ci sono un’infinità di luoghi in cui nascondersi.”
    Mh, capisco.” Yuzo tornò a guardarlo. “Però, il fatto che il Principe abbia dovuto attraversare le montagne deve essere stata un’ottima opportunità per loro.” Inarcò un sopracciglio, assumendo un piglio più pensieroso. “E se fossero passati vicino al nascondiglio senza saperlo?”
    “Giusta osservazione. Fossi stato uno Stregone, non me li sarei lasciati sfuggire.” Lo sguardo di Mamoru si fece più sottile e cupo. “E se nella scorta reale c’è davvero un talpa, allora possono anche essere stati attirati tutti in una trappola.”
    Il volante tirò un sospiro preoccupato che gli fece subito stemperare l’espressione severa per tentare di rassicurarlo in qualche modo. Senza nemmeno pensare. Ormai era così che agiva nei suoi confronti; non pensava più, non stava lì a valutare cosa faceva e cosa diceva, non si ammoniva per essere troppo protettivo, non temeva più che l’altro avrebbe potuto farsi chissà quali strani pensieri sul suo conto. Agiva d’istinto, che equivaleva a dire che si comportava nella maniera più naturale e rilassata possibile.
    “Vedrai che lo troveremo. E poi sono sicuro che al Principe non avranno torto nemmeno un capello; è un prigioniero troppo importante e se il Nero è davvero interessato alla Chiave Elementale, sta’ pure tranquillo che preserverà il giovane Ozora sotto una campana di vetro.”
    Yuzo sorrise a quelle parole e tornò a guardare la strada che si perdeva in lontananza, tra altre foreste e fronde sconosciute, cariche di un verde scuro e inquietante. Silenzioso.
    “Senti” esordì Mamoru a un tratto. Si era detto che avrebbe dovuto almeno tentare e vedere la sua reazione.
    Il volante lo osservò con espressione serena sul volto, ma… ma dannazione! La muraglia era ancora lì! Che fosse triste o felice, appagato o ferito, il suo sguardo continuava a essere solo la superficie di uno specchio.
    “Se lo desideri possiamo deviare per Mizukoshi, prima di arrivare a Ghoia. Si tratterebbe di allungare il percorso solo di-”
    “No. Grazie.”
    La Fiamma inarcò un sopracciglio a quella risposta così secca e decisa, ancor prima che lui finisse la frase. E anche se l’uccellino stava sorridendo in maniera cordiale, il tono gli era parso tagliente come vetro. Il vetro della muraglia.
    “Sei sicuro? Non vuoi salut-”
    “Ho detto di no. Abbiamo già perso un sacco di tempo, non mi sembra il caso di sprecarne ancora dietro futilità.”
    Ancora quella fermezza che colpiva in maniera precisa e veloce, come un colpo di frusta.
    Il volante era tornato a volgere lo sguardo alla strada, mentre lui assumeva un’espressione indagatrice.
    “Io non credo sia così futile.”
    “Ti ho già detto che quella non è la mia città. Non c’è alcun motivo per andare a Mizukoshi.”
    “Ti hanno trattato male?”
    “No, affatto.”
    “E allora non capisco perché-”
    “Mamoru.” Gli rivolse lo sguardo, ancora, ma stavolta le mura di difesa erano diventate due: l’Autocontrollo di Alastra era magicamente apparso per dar manforte. “Anche mio padre si è dovuto arrendere davanti ai miei ‘no’.” Che equivaleva a dire: ‘se lui non mi ha fatto cambiare idea, non ci riuscirai tu. Desisti.’
    La Fiamma decise di mollare la presa, solo per il momento, perché arrendersi, tsk!, non rientrava nel suo vocabolario.
    Questa volta, entrambi tornarono a guardare in avanti, verso le schiene di Hajime e Teppei, i quali parlottavano e ridevano, indicando il panorama. Ma Mamoru non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione di Yuzo.
    Gli aveva visto usare l’incantesimo di difesa svariate volte, ma non gli era mai parso così freddo e imperscrutabile. Gli era bastato nominare quella città e il volante aveva cambiato atteggiamento; per un attimo aveva faticato a riconoscerlo dietro la risolutezza del tono e dello sguardo. Gli era sembrato di rivedere sé stesso quando si trovavano a Dhyla, solo che lui sfogava il suo rancore con la rabbia, mentre Yuzo-…
    Cosa aveva detto?
    Si volse di scatto per osservare il profilo del compagno e in quell’istante gli sembrò di capire. Capire quel muro che non riusciva a oltrepassare, che gli impediva di dissolvere le ombre.
    Era quello che celava, quindi?
    Yuzo provava rancore?
    Proprio lui, che non sapeva odiare nemmeno i suoi nemici, che non aveva voluto affrontare il Demone di Terra, che sarebbe stato capace di perdonare anche quel folle di Hans… in realtà serbava un sentimento così forte da averlo addirittura compresso sotto un incantesimo così potente da essere invalicabile?
    Rancore.
    Ma verso chi e perché?
    Verso la gente dell’orfanotrofio? Eppure aveva detto che non lo avevano trattato male.
    Espirò lentamente, distogliendo lo sguardo per spostarlo sulla criniera del proprio cavallo.
    Più il tempo passava e più Yuzo diveniva un enigma di cui non riusciva a trovare la soluzione. All’inizio, gli era sembrato così trasparente da essere fin troppo prevedibile, ma ora… ora sapeva che non lo era mai stato davvero. Ora che si era reso conto di conoscerlo meglio, ora che era capace di comprendere i suoi meccanismi di difesa appariva ai suoi occhi come un qualcosa di così complesso da essere indecifrabile e i suoi pensieri sfuggevoli, nascosti, inafferrabili. Come un refolo di vento: potevi sentirlo, ma non vederlo né toccarlo.
    “La ninnananna che hai cantato a Yoshiko” disse, d’un tratto, in un tentativo di allentare quella tensione che si era creata tra loro in un battito di ciglia. “Te l’hanno insegnata ad Alastra?”
    “No, la conoscevo da prima.” Il tono di Yuzo aveva perso la durezza. “Credo me la cantassero all’orfanotrofio. Quando ero molto, molto piccolo. Non lo ricordo con precisione.”
    “Com’era vivere lì?” Mamoru lanciò un’occhiata fugace al volante con la coda dell’occhio, lo vide stringersi nelle spalle e, nonostante le labbra fossero più tese, rispose ugualmente.
    “Normale. Avevo due istitutrici, la Signorina Heidi e la Signorina Wilhelmina. Erano simpatiche.”
    Comprese il suo modo di tagliare corto quel discorso che, palesemente, non gli piaceva. Così, anche lui smise di domandare.
    Espirò lungamente, lo sguardo alla via da percorrere.
    “Era una bella canzone.”
    Al suo fianco, il volante non rispose subito, ma assunse una postura più ritta e sollevò le sopracciglia. Guardò il compagno, si volse altrove e tornò a guardarlo. Perplesso.
    “Prima dici che sono bravino, ora che la canzone era bella…” gli venne da ridere. “Ti starai mica convertendo, vero? Tra un po’ dirai che ti siamo simpatici?”
    Woh! Woh! Woh! Rallenta, grand’uomo!” Mamoru s’affrettò a freddare tutte le sue congetture, guardandolo come se avesse detto un’eresia e gesticolando animatamente. “Adesso non allargarti, va bene? Prima che io possa dire di trovare simpatici i volanti ne dovrà passare di tempo!”
    “Ah, mi pareva!” rise l’uccellino.
    Vedendolo di nuovo tranquillo e sapendo che non lo era mai fino in fondo, Mamoru sospirò.
    Vicino da poterlo toccare, ma distante migliaia di miglia.
    Accennando un mezzo sorriso più mesto, si domandò se, alla fine di quella strana avventura, sarebbe mai riuscito a scoprire com’era fatto il vero Yuzo.

    Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    “Beh, benvenuti a Ghoia…”
    Mamoru lo disse con marcata ironia appena entrarono in città e da subito ebbe una strana impressione.
    La tensione sembrava essere così densa da divenire tattile e si sorprese che non fosse addirittura visibile. Anche l’aria appariva immobile, quasi stagnasse sulle teste di tutti nemmeno temesse di poter rompere qualcosa.
    L’ingresso alla cittadina aveva un piccolo e sparuto mercato. Ai lati della strada c’era una fila di banchi dove i venditori esponevano la merce, ma non c’era molta gente in giro, nonostante fosse passata da poco l’ora di pranzo. Le persone che si aggiravano erano così silenziose da sembrare fantasmi.
    L’intera Ghoia li aveva accolti con un mormorio sottile e pacato, quasi non si dovesse fare rumore.
    Dopo essere stati travolti dalla vita frenetica di centri come Dhyla, lì sembrava che la vita si fosse spenta.
    “Posticino tranquillo, no?” azzardò Teppei, stentando un sorriso per rinfrancare gli spiriti, ma Mamoru preferì non girarci intorno e dire le cose come stavano.
    “Tranquillo? Sembra una tomba.”
    Che si fossero spinti lontano dalla Capitale era ormai chiaro. Lo si poteva intuire dagli abiti così dissimili dai loro che pensarono fosse per quello che tutti, ma proprio tutti, i presenti li stavano fissando con insistenza e senza un minimo di discrezione. I loro occhi si erano a poco a poco focalizzati sulle loro figure e lì si erano fermati, scortandoli in maniera morbosa a ogni passo.
    Eppure, nonostante tutto, Mamoru si rese conto che non erano sguardi ostili. Anzi, ebbe l’impressione che fossero preoccupati, se non addirittura spaventati. Di sicuro sconvolti.
    Lo aveva capito da come distoglievano lo sguardo quando ne incrociava qualcuno. Fossero stati minacciosi, non si sarebbero fatti intimorire per così poco.
    Ghoia era silenziosa, ordinata, ma tra i suoi abitanti dilagava la paura e la Fiamma non capì perché.
    “Vediamo di andarcene presto da qui” masticò adagio, in modo che solo i suoi compagni potessero sentirlo. Quel posto non gli piaceva, era inquietante. Gli altri si trovarono d’accordo, mentre Yuzo si guardava intorno, osservando la merce esposta sui banchi.
    La fattura era così diversa da quella che aveva visto finora. Il suo sguardo cadde su delle bellissime ampolle. Il vetro era lavorato in maniera talmente sottile che sembrava assumere la stessa consistenza delle bolle di sapone. Cangiava sotto i raggi del sole prendendo tutte le sfumature dell’iride. E poi le forme erano particolari, con delicate volute. Chi le aveva create doveva essere un artigiano veramente molto abile. Rallentò il passo, rimanendone affascinato. Poi, l’occhio catturò dei piccoli campanellini lavorati allo stesso modo e appesi a dei cordoncini di stoffa. Stavolta si fermò del tutto e si avvicinò un po’ di più, per soddisfare la sua curiosità.
    Visti da vicino gli diedero ancora di più l’impressione che fossero fatti proprio di bolle di sapone. Sorrise, sollevando lo sguardo sul mercante. L’uomo lo fissò con gli occhi spalancati e la bocca leggermente aperta. Lo strano cappello, dalla sommità piatta che scendeva a punta sulla fronte e che la maggior parte dei mercanti di sesso maschile indossava, aveva gli stessi colori e ricami della cintura di stoffa che fermava la veste sui fianchi. Questa era una camicia che arrivava fino ai polpacci. Una serie di piccoli bottoncini scendevano a metà petto, accompagnata da disegni che risalivano fino al colletto alto e rigido. Le maniche erano state arrotolate ai gomiti, in quella calda giornata di Yùkiza.
    “Sono molto belli” esordì il volante, mostrando un sorriso per cercare di mettere a proprio agio il venditore. Gli era parso che fosse spaventato da qualcosa e quindi aveva deciso di mostrarsi il più cordiale possibile. “Sono opera vostra?”
    L’altro sembrò sconvolgersi ancora di più già solo per il semplice fatto che gli avesse rivolto la parola. Yuzo lo vide boccheggiare per un momento e poi farsi coraggio.
    “S-sì, mio signore” confessò in un bisbiglio e chinando il capo in un gesto di rispetto e sottomissione.
    Lui seguitò a sorridere. “Siete bravissimo.”
    “Grazie, mio signore.”
    Yuzo osservò meglio i ninnoli. “Campanelli scaccia-guai…” c’era scritto sul piccolo cartoncino esplicativo.
    Volante, datti una mossa.” Il tono di Mamoru era quello di chi stava già iniziando a perdere la pazienza e lui non aveva voglia di sentirlo borbottare. Così, sospirò, alzando un rassegnato sguardo al cielo.
    “Sì, arrivo subito” rispose con condiscendenza. Rivolse un breve inchino al mercante e fece per allontanarsi, quando l’altro lo afferrò per il polso.
    “A-aspettate!” Con foga e anche leggermente tremante prese uno dei campanelli e glielo mise tra le mani. “Ecco, prendete!”
    Yuzo lo fissò con tanto d’occhi e la bocca semiaperta, senza però sapere cosa dire. “Ma… veramente…”
    “Ve lo regalo!” insistette l’uomo. “Vi prego, accettatelo.”
    “Oh, no… non posso…”
    “Vi prego!”
    Nelle sue iridi chiare, il volante lesse un misto di supplica e speranza che accettasse quel dono, come se per lui fosse quasi di vitale importanza. Ne rimase colpito, ma non seppe che rispondere.
    Si volse a cercare Mamoru, per capire come doversi comportare, e vide che aveva assottigliato gli occhi sull’espressione che sembrava dire: ‘e ti pareva’. Il piede picchiettava il suolo con nervosismo e le braccia restavano incrociate.
    Lui si strinse nelle spalle, perplesso e in difficoltà, così la Fiamma tirò un fintissimo sorriso a labbra strette e gli fece cenno di prenderlo e sbrigarsi.
    Yuzo tornò a guardare il mercante. Gli sorrise. “Grazie.”
    “Sono io che vi ringrazio, mio signore.” L’uomo si profuse in un inchino così profondo che lo imbarazzò. Lui rispose con un cenno del capo e si allontanò, raggiungendo i compagni.
    Appena il volante fu abbastanza vicino, Mamoru inspirò a fondo, con piglio stizzito.
    “Non guardarmi in quel modo, non ho fatto niente!” si difese Yuzo. “Mi ero solo fermato a osservare quelle lavorazioni così particolari.”
    “Sì, sì. Certo. Tu non fai mai niente, vero uccellino?”
    “Ma lo hai visto anche tu! Io avevo solo detto che erano molto belle…”
    La Fiamma gli agitò minacciosamente l’indice sotto al naso. “Che questo ti insegni a non perder tempo quando non te lo dico io.”
    Yuzo gli rivolse una smorfia e Mamoru ridacchiò. Provava un piacere sottile nel pungolarlo, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti al volante. Poi allungò il collo per osservare l’oggetto che il mercante gli aveva regalato.
    “Cos’è?”
    “Un campanellino scaccia-guai.” L’Elemento d’Aria aprì il palmo e il piccolo ninnolo in vetro fece capolino. Aveva la forma del calice di un fiore dove il bianco latteo dei petali sfumava nelle punte di un verde trasparente. All’interno, il pistillo dondolava producendo un leggerissimo tintinnio.
    “Scaccia-guai, eh?” fece eco la Fiamma, disinteressandosi all’oggetto e tornando a osservare la strada. “Speriamo funzioni. Male non ci farebbe, visti gli ultimi tempi.”
    Yuzo, invece, lo guardò ancora un po’ mentre camminava e il sorriso si addolcì perché gli piaceva davvero. Si girò un’ultima volta; alle proprie spalle scorse la figura del mercante ancora puntata su di loro che, a mano a mano, divenivano sempre più piccoli.
    E non riusciva a capire.
    Non riusciva a comprendere quell’insistenza, quella necessità o anche solo il perché di un simile regalo. Quella città era strana.
    Yuzo sospirò, eclissando il campanello in una tasca e occupandosi di ben altre stranezze.
    “Sentite, ma è impressione mia… o ci stanno guardando tutti?” Teppei infossò la testa nel collo, sentendosi a disagio nell’avere tutti quegli occhi puntati addosso. Anche Hajime, al suo fianco, si guardava in giro con circospezione e un sopracciglio inarcato sull’espressione tesa.
    “No, non ti sbagli.” Mamoru tirava dritto e a testa alta, ignorando il resto. Essere al centro dell’attenzione non era mai stato un problema, ci era abituato. Così come era abituato a ignorare chi lo fissava per poi parlare alle sue spalle.
    “Forse… non sono avvezzi a vedere stranieri” propose il tyrano. “Avremmo dovuto indossare degli abiti più consoni a questi luoghi. Avremmo attirato meno l’attenzione.”
    “Cos’è, adesso vuoi fare il tipo discreto?!” Dopo tutte le volte che li aveva rimproverati di non fare danni, e puntualmente non l’avevano mai ascoltato, a Mamoru venne da ridere per l’improvvisa voglia di passare inosservati. “Ignorateli e andiamo avanti. Ci fermeremo alla prima locanda e seguiremo i nostri programmi abituali.” Avrebbe però fatto in modo di concluderli il più in fretta possibile perché, per quanto avere gli occhi puntati addosso non lo infastidisse più di tanto, l’aria che sembrava aleggiare su quella città continuava a non piacergli.
    “Sempre simpatico, vero?” borbottò Teppei, dando una gomitata al Tritone per cercare un complice nella battuta, ma Hajime sembrava non aver nemmeno sentito lo scambio che c’era stato tra loro. Con attenzione seguitava a scrutare l’intorno, tentando di capire l’origine che poteva esserci dietro tale curiosità nei loro confronti.
    I presenti li seguivano con gli occhi e solo raramente scambiavano un commento tra loro, quasi che avessero paura a farsi sfuggire una parola di troppo. Si tenevano a distanza, intimoriti. I bambini si nascondevano dietro le gonne delle madri che mantenevano le sopracciglia aggrottate, sofferenti, quasi sul punto di piangere. Gli uomini, invece, ostentavano una forza maggiore ma comunque mostravano cordoglio. Sì. Cordoglio. E in quel suo osservare, seguire i loro sguardi, analizzarli gli parve di cogliere qualcosa che gli fece sbattere velocemente le palpebre. Il sopracciglio sempre più inarcato.
    “…perché?”
    Teppei colse il mormorio e tornò a pungolarlo, questa volta riuscendo a ottenere la sua attenzione. “Tutto bene?”
    Hajime sussultò. “Eh? Sì, sì. A posto.”
    “Che succede? Hai una faccia…”
    Non essendo sicuro di ciò che credeva d’aver intuito, preferì tenere ancora per sé le proprie congetture. “No, non è nulla” sorrise, tirando indietro il ciuffo ribelle di capelli che tornò a ricadere sull’occhio. “Mi ero un po’ distratto.”
    “Sono inquietanti, vero?” Teppei accennò col capo agli abitanti di Ghoia.
    “Sì, un pochino. Forse hai ragione tu, non sono abituati a ricevere visite da stranieri che vengono da tanto lontano.”
    “Beh, si abituassero in fretta” affermò Mamoru in tono deciso. “Non abbiamo tempo da perdere dietro il loro stupore.” Si fermò al centro di una piazzetta di foggia asimmetrica e fece vagare lo sguardo per avere una panoramica completa dell’ambiente. L’occhio gli cadde sull’insegna di una locanda. Annuì, riprendendo a camminare. “Quella andrà bene. E speriamo di essere ancora in tempo per il pranzo, sto morendo di fame.”
    “Ah, allora non sono solo io quello che pensa solo al cibo!” Teppei ridacchiò, puntandogli l’indice contro.
    “Sai com’è, ho anche io uno stomaco.”
    Arrivato davanti alla locanda, il gruppo si fermò.
    L’insegna in legno campeggiava, sopra le porte d’ingresso, dipinta con grafia chiara in vernice nera.
    Daaku(3)” lesse Mamoru. “Sarà qualche lingua locale.”
    “Veramente no.”
    La Fiamma si volse in direzione di Yuzo, scoccandogli un’occhiataccia. Detestava quando faceva il saputello.
    Il volante, però, restituì un’espressione perplessa.
    “E’ dell’Est.”
    “Sai sempre tutto, vero?”
    Yuzo sollevò leggermente in mento, guardandolo con un piglio di superiorità. Le labbra strette per non scoppiare a ridere.
    “Beh, Alastra è la scuola più a Est del Regno degli Ozora. E’ una lingua che studiamo.” Il noi rafforzativo venne solo sottinteso.
    La Fiamma grugnì. Detestava quando gli si dava implicitamente dell’ignorante e se non fosse stato innamorato di quella gran faccia da schiaffi, lo avrebbe incenerito sul posto. Così, si limitò a gonfiare il petto, lanciandogli l’ennesima occhiataccia, per poi girare il volto, stizzito.
    “Non ti sopporto” fu la sentenza.
    Yuzo sbottò a ridere di gusto, appoggiandosi contro la sua spalla.
    “Tanto lo so che non è vero, ma farò finta di crederci.”
    Mamoru masticò un paio di insulti in fyarish e gli fece il verso prima di girarsi e inquadrare la sua testa con la coda dell’occhio. Rideva, era tranquillo. Pensò che se fosse stato sempre così, felice ma senza ombre, sarebbe stato perfetto. La smorfia virò in un mezzo sorriso. Poi sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “La smetti? Non sei divertente.” Ma sotto sotto anche a lui veniva un po’ da ridere.
    “Ad ogni modo, significa ‘Brigante’.” Yuzo indicò l’insegna.
    “Brigante?”
    “Sì. Brigante, bandito.”
    Mamoru assunse un divertito piglio di sfida. “Ma bene, allora alloggeremo nel covo dei cattivi.”
    “Più che altro, è strano che conoscano le lingue dell’Est. Sono dialetti molto particolari mentre qui siamo nel profondo Sud.”
    “Perché ti ostini a voler trovare una spiegazione anche in una cosa così ovvia, volante?” La Fiamma incrociò le braccia al petto. “Si vede che gli piacciono le cose esotiche.”
    In quel momento, un garzone uscì dalla stalla sul retro dell’edificio per accogliere i possibili avventori, ma quando li vide sussultò in maniera evidente.
    Hajime non perse nessuna delle sue reazioni e queste sembrarono avvalorare ancora di più la sua tesi.
    “P-posso prendere i v-vostri cavalli, s-signori?” balbettò il giovinetto che doveva avere al massimo quindici anni.
    “A te.” Mamoru decise per tutti e allungò le briglie, ma non gli sfuggì il modo guardingo e spaventato con cui si avvicinava a ciascuno di loro. Prendeva le redini con mani tremanti, sollevava appena gli occhi e poi li riabbassava per passare oltre.
    “Grazie” annuì Yuzo e il giovane lo fissò con occhi sgranati, poi si profuse in una serie infinita di inchini.
    “Grazie, mio signore.”
    La Fiamma inarcò un sopracciglio mentre osservava il giovane scomparire velocemente dietro la locanda.
    “Sempre più strani…” borbottò, stringendosi nelle spalle. “Va bene, vediamo di entrare e sperare che abbiano ancora qualcosa di pronto nelle cucine.”
    Mamoru fu il primo a varcare la soglia e si trovò davanti un ambiente molto semplice in legno chiaro. Alcune panche, con tavoli rettangolari, erano disposte nel percorso che portava al bancone, in fondo alla sala. Un’altra sala si trovava invece sulla sinistra ed era separata dall’ingresso da un disimpegno senza porta. Le panche avevano dei bei cuscini dai tessuti colorati di arancione e bronzo e qualche lustrino. Nel complesso, la locanda non era molto grande però dava l’idea di essere accogliente.
    “Ci pensi tu alle formalità, uccellino?” delegò, avviandosi nell’altra sala assieme ad Hajime e Teppei. “E chiedi anche se è ancora possibile mettere qualcosa sotto i denti.” Ma a giudicare dai clienti impegnati a pranzare aveva ormai la certezza di poter finalmente dar pace allo stomaco. Ovviamente, come già accaduto quando si trovavano all’esterno, anche le persone all’interno della locanda si fermarono a fissarli.
    “Sì, me ne occupo io” sorrise Yuzo, sollevando gli occhi al cielo. Mamoru continuava a essere refrattario verso tutto ciò che riguardava carte e chiacchiere di circostanza e quindi approfittava del suo ruolo di ‘diplomatico’ per affibbiarle a lui. Non che la cosa gli creasse problemi, dopotutto era il suo compito.
    Al banco non c’era nessuno. Il volante si sporse un po’ per dare un’occhiata in direzione della porta che conduceva alle cucine da cui proveniva un continuo tintinnio di posate e stoviglie. Per non parlare del profumo.
    Con un sorriso bussò sul piccolo campanello.
    “Sì, sono subito da voi!”
    Finalmente qualcuno che rispondeva con una nota carica di vitalità ed energia. Il volante se ne sentì quasi rassicurato. Era da quando erano entrati a Ghoia che la gente sembrava terrorizzata dalla loro presenza. Li fissavano con timore e quasi non spiccicavano parola, ma quel tono gioviale gli fece ben sperare d’aver finalmente trovato qualcuno ‘normale’.
    L’ostessa comparve con un larghissimo sorriso e gli occhi rivolti ai piatti che stava portando nel vassoio. Di certo le ordinazioni per qualcuno degli avventori.
    “Eccomi, in cosa posso-”
    Levò lo sguardo, incrociò il suo. Trasalì all’improvviso, tanto che perse la presa sul vassoio, ma Yuzo era dotato di ottimi riflessi: fece un rapido gesto e un piccolo flusso d’aria impedì che ogni cosa si schiantasse al suolo.
    Allarmato per aver usato i propri poteri contravvenendo alle regole della copertura, il volante guardò il vassoio, guardò la donna e poi rivolse un’occhiata fugace alla sala, per essere sicuro che Mamoru non si fosse accorto di nulla. Per fortuna, il tavolo in cui si erano seduti non offriva alcuna visuale su quello che succedeva al bancone. Infine tornò a osservare l’ostessa, immobile, con gli occhi spalancati e increduli che guardava ora il vassoio, ora lui.
    Sorrise e si portò il dito alle labbra in una richiesta implicita di non farne parola con nessuno. Con il potere dell’aria sollevò il tutto, mettendolo nuovamente tra le mani della donna. La brocca con dentro il vino si era rovesciata nel piatto, rendendo la minestra immangiabile, ma per fortuna nulla era andato in frantumi.
    “Non volevo spaventarvi…” Il giovane accennò un gesto di scuse col capo.
    Lei negò piano. Le pupille seguitarono a restargli incollate addosso, sul viso, dritto nei suoi occhi. Negò ancora e si sforzò di trovare le parole. Gli sorrise.
    “No, è tutto a posto! E’ stata colpa mia, non preoccupatevi! Caroline!”
    Dalla porta, una delle cameriere arrivò di corsa e lei le lasciò il vassoio ordinandole di preparare un nuovo piatto di zuppa da portare al cliente. La ragazza tornò a eclissarsi nel retro senza avere il tempo di guardare chi fosse arrivato.
    Yuzo attese e quando l'ostessa ritornò sorrideva largamente e forse sembrava troppo entusiasta, ma almeno era gentile e non lo guardava come fosse stato un appestato.
    “Cosa posso fare per voi?”
    “Sono in viaggio con altri tre compagni, avremmo bisogno di due camere doppie per un paio di giorni.”
    L’altra annuì con vigore e subito prese dei mazzi di chiavi da sotto al mobile.
    “Ecco. Sono le nostre stanze migliori, spero vi troverete bene qui.” Lo disse con un tono così speranzoso che sembrò ricordargli lo stesso usato dal mercante che gli aveva regalato il campanellino; aveva anche lo stesso modo di guardarlo: con intensità e attesa. Anzi, forse addirittura più degli altri. L’ostessa doveva essere al massimo sulla quarantina, con dei capelli castani dal taglio corto. Aveva gli occhi nocciola.
    “Vi ringrazio. È ancora possibile pranzare? Abbiamo viaggiato tutto il giorno e i miei compagni sono affamati.”
    “Ma certo! Prendete pure posto nella sala grande, sarò subito da voi.” Poi si affrettò ad aprire il registro, porgendo anche l’inchiostro e la piuma. “Prego, se volete firmare.”
    Yuzo scrisse il proprio nome e fece un inchino, allontanandosi per raggiungere il resto del gruppo.
    Non appena gli volse le spalle, l’ostessa eclissò il sorriso sostituendolo con un’espressione colma di ansia e agitazione. Girò con foga il pesante volume e scorse velocemente i nomi fino a fermarsi sull’ultimo. Le tremavano le dita.
    Yuzo Shiroyama.
    “Oddee…” si coprì la bocca con la mano. Le lacrime salirono agli occhi in un attimo, ma riuscì a trattenerle lì.
    Le dita scivolarono su quel nome sbavando leggermente l’inchiostro non ancora asciutto.
    Era la conferma a una già chiara certezza, era l’avverarsi di un monito scritto su di un foglio stropicciato e scambiato di nascosto.
    ‘Il passato sta tornando’.





    Curiosità:
    Il campanellino che il mercante regala a Yuzo ha la forma di un fiore, come avete letto. Questo fiore si chiama comunemente proprio Campanellino :3. Il norme tecnico è Leucojum e presenta varie specie: Leucojum vernum, Leucojum autumnale, Leucojum aestivum.
    In particolare, quello del campanello di Yuzo è un Leucojum aestivum *clicca qui*. E' una pianta bulbosa, con stelo che porta dai due ai cinque fiori. La corolla presenta tre petali esterni e tre interni, di colore bianco con macchie verdi (o anche gialle) sull'apice.
    I Leucojum vernum, invece, presentano fiori più grandi, massimo uno per ogni stelo.
    I Leucojum autumnale, infine, hanno fiori di colore totalmente bianco e più allungato.
    Sono tutte specie protette (quindi è vietato coglierli, se li si trovano in natura) e sono diffusi per tutto il Nord Italia, più un paio di regioni del Centro.
    Ho scelto i Leucojum aestivum perché crescono nei boschetti e Ghoia vive accerchiata da boschi e foreste :3 E poi è un puccino *-* *si rende conto di aver sbagliato tutto nella vita e doveva andare a fare Botanica*


    [1]IKTABA: sono vermi giganti. Vivono prevalentemente sottoterra dove creano enormi tunnel oppure nei deserti dell’Ovest. Sono animali da combattimento utilizzati dall’avanguardia degli Elementi di Terra. Hanno prevalentemente un colore bruno, con zampe corte, ma dotate di artigli scavatori. ‘Vedono’ attraverso le variazioni termiche.

    [2]MISHAM: era il primo nome che avevo scelto per la città in cui si trovava l’orfanotrofio di Yuzo, poi successivamente cambiato con Mizukoshi. Poiché mi ci ero affezionata… ho deciso di inserirlo lo stesso. XD

    [3]DAAKU: è hindi. :3 Potevo non piazzarcelo l’hindi? XD


    …Il Giardino Elementale…



    A lalalala long, a lalalala long long li long long long, hey! *Mela canta Bob Marley*
    Ci dovevamo pur arrivare, un giorno, e quindi eccoci qui.
    XD penso che avrete già capito di che si parlerà in questo capitolo, e quindi potrete altresì comprendere perché mi abbia fatto penare tanto.
    Come vi accorgerete andando avanti, Yuzo non è come Mamoru. Mamoru da gestire è una passeggiata XD, Yuzo ti stronca \O/.
    Perché?
    Perché Mamoru fa tutto il tipo, ma alla fine è un personaggio chiaro in tutte le sue contraddizioni, scatti d'ira e istintività.
    Yuzo, invece, è così cerebrale che per venirne fuori c'ho impiegato più di un mese, credo. \O/
    E vi pare che quando si parla di Yu-chan io non ci piazzi l'angst con la pala?! XD
    Vi preannuncio subito che un paio di parti saranno ben più lunghe del solito :( perdonatemi, ma spezzarle non avrebbe avuto senso. Vi ringrazio fin da ora per la pazienza! :3

    Grazie infinite a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto e costanza. *-* Grazie di cuore! ♥



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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    Capitolo 32
    *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte II)

    Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    “E allora? Che hanno detto?” Mamoru si informò subito appena Yuzo li raggiunse e si sedette al tavolo che avevano scelto.
    Gli altri avventori presenti nella sala avevano nuovamente puntato gli sguardi su di loro, ma questa volta ci si fermarono con un’insistenza quasi maniacale, però rimasero muti. Qualcuno aveva addirittura interrotto il pasto.
    “Tutto a posto, hanno le camere e hanno anche il pranzo.” Il volante appoggiò le chiavi al centro del tavolo, sorridendo.
    Mamoru sospirò sollevato. “Cominciavo a temere il peggio.”
    “Sta arrivando l’ostessa per prendere le nostre ordinazioni.”
    “E come ti è sembrata?” Teppei si era sporto e aveva abbassato il tono. “E’ inquietante come gli altri? Non so voi, ma a me non piace esser fissato così. Soprattutto se mi guardano come avessero visto un fantasma.”
    Hajime fece per dire qualcosa, ma ci ripensò all’ultimo momento, limitandosi a dargli una pacca sulla spalla. Non era ancora sicuro di ciò che credeva d'aver capito e non voleva allarmare inutilmente i compagni.
    “Ti ho già detto di ignorarli.” Mamoru s’appoggiò alla spalliera della sedia, assumendo una posizione poco composta; si comportava come non ci fosse stato nessun altro oltre loro, come se nessuno lo stesse osservando, ma Teppei non riusciva a mostrarsi altrettanto disinvolto.
    Yuzo lo tranquillizzò.
    “Lei mi è sembrata cordiale. Sorrideva, era gentile.” Però preferì omettere il modo in cui era sussultata appena l’aveva visto.
    La donna arrivò proprio in quel momento, grembiule in vita e un foglio di carta con un bastoncino appuntito di grafite per annotare le ordinazioni.
    “Benvenuti al Daaku, viaggiatori, io sono Haruko(1), proprietaria della locanda. Cosa posso portare a quattro giovanotti affamati?”
    Teppei sembrò perdere di colpo il piglio preoccupato nel vedere il sorriso accogliente illuminare lo sguardo dell’ostessa. Drizzò la schiena e sorrise a sua volta, dimentico di tutto il resto.
    Mamoru appoggiò i gomiti sul tavolo. “Cosa offre la casa?”
    “Oh, vediamo, abbiamo un po’ di tutto. Arrosto di selvaggina, pane fresco di giornata, spezzatino di agnello, zuppa di verdure e una nostra specialità locale: la pizza.”
    “Io vorrei dell’arrosto e del pane” scelse la Fiamma e Teppei concordò.
    “Sta bene. Anche per me.”
    “Io preferirei mantenermi leggero, una zuppa di verdure è più che sufficiente” ordinò il Tritone, mentre Yuzo sembrava indeciso.
    “Cos’è la pizza?” domandò con curiosità. In quel viaggio aveva preso l’abitudine a ordinare per lo più piatti tipici che ad Alastra non avrebbe mai potuto assaggiare. Era un modo per riuscire a conoscere di più quelle terre così lontane dalla sua scuola e da essa così diverse.
    Haruko s’illuminò, spiegandogli da cosa era composto, e il volante si convinse.
    “Vada per la pizza, allora.”
    “Perfetto! Visto che è la prima volta che ne assaggiate una, vi porterò quella più tradizionale.” Accennò un leggero inchino e s’allontanò svelta per rientrare in cucina.
    Teppei si rilassò contro lo schienale della sedia, sorridendo soddisfatto. “Finalmente una persona normale.”
    “Per fortuna” convenne Mamoru. “Stavo cominciando a pensare che non ce ne fosse nessuna in questa cittadina.”
    Yuzo scosse il capo. “Non essere sempre così severo. Avranno i loro motivi per essere tanto diffidenti…”
    “Diffidenti?! Fosse per loro scapperebbero via a gambe levate e si barricherebbero in casa!”
    “Non hanno paura.” Hajime sembrava quasi stesse ragionando a voce alta, ma era serio e sicuro delle proprie parole. “Sembrano sorpresi. Allibiti, direi. Ma no, non hanno paura.” Volse lo sguardo alla vetrata poco distante dalla loro posizione. Di fuori sembrava essere dilagato un animato via vai. La gente correva di casa in casa, di bottega in bottega a parlottare fitto con chi si trovava all’interno. Nuove teste facevano capolino da dietro i vetri, dalle porte. Qualcuno usciva in strada e guardava proprio verso la locanda. Qualcosa stava succedendo, era cominciato fin dal loro ingresso a Ghoia e ora si espandeva come goccia d’olio nell’acqua. Bisognava stare attenti e pronti, perché quella strana tensione sarebbe potuta esplodere in un attimo e ancora non riusciva a capire cosa avrebbe potuto comportare.
    “Tu dici?” Mamoru si passò un dito sulle labbra, pensieroso. Forse il Tritone aveva ragione. Se avessero davvero avuto paura, il mercante non avrebbe insistito così tanto affinché il volante prendesse quella chincaglieria.
    La situazione continuava a non piacergli, ma non aggiunse altro.
    Dopo un po’, l’ostessa tornò da loro reggendo un vassoio pieno di piatti fumanti che disperdevano invitanti odori e tutto il resto passò in secondo piano.
    “Ecco qui! Arrosto per i due giovanotti di buon appetito. Verdure per il giovanotto con i capelli ribelli.” Distribuiva le pietanze sempre sorridendo. Poi lo sguardo sembrò illuminarsi un po’ di più quando poggiò un piatto circolare davanti a Yuzo. “E pizza margherita per il temerario che vuole provare cose nuove. Spero vi piaccia.”
    Il volante accennò un ringraziamento col capo e guardò con estremo interesse il cibo che aveva davanti. No, decisamente non aveva mai visto una cosa simile. La base su cui poggiava il condimento aveva la sagoma di un fiore. La salsa ricopriva interamente la pasta, mentre la mozzarella era stata disposta per disegnare i petali bianchi della margherita lasciando un vuoto al centro, che rappresentava i pistilli.
    “Immagino si chiami margherita per la sua forma” propose Yuzo e la donna annuì.
    “La base è sempre la stessa e sopra vengono condite con tante cose diverse, a seconda dei gusti del cliente. Ogni pizza ha il nome di un fiore, in modo da distinguerla dalle altre.”
    Il volante afferrò forchetta e coltello e ne tagliò un pezzo. Quando lo assaggiò, spalancò gli occhi per la sorpresa.
    “Ma è fantastica! E’ una delle cose più buone che abbia mai mangiato! Mamoru, devi provarla, assolutamente!”
    La Fiamma mostrò una smorfia divertita per il suo entusiasmo e decise di accontentarlo, tanto il piatto aveva davvero un bellissimo aspetto. Assaggiò, masticò adagio per sentirne tutti i sapori e poi sbottò.
    “Accidenti! Questa farebbe faville da me!” Poi si rivolse all’ostessa. “Posso averne la ricetta?”
    “Che donnina di casa” ridacchiò Teppei.
    “Tu sta’ zitto e assaggiala, prima di commentare.”
    In poco tempo, anche il tyrano e il Tritone avevano provveduto a provare la fantomatica pizza e ne erano rimasti talmente entusiasti che avevano deciso che sarebbe stata la loro cena.
    In tutto questo, Haruko rideva divertita, tornava spesso al loro tavolo, per assicurarsi che non avessero bisogno d’altro, e rispondeva volentieri a tutte le loro curiosità culinarie.
    Fu mentre portava una seconda caraffa di birra che Yuzo domandò: “Come mai avete deciso di chiamare questa locanda: ‘Brigante’?”
    Un rumore deciso di posate che tintinnavano con forza nel piatto, dopo essere state lasciate cadere, attirò l’attenzione dei quattro Elementi. La gente intorno aveva ripreso a osservarli con tanto d’occhi e anche l’ostessa parve divenire di sale.
    Yuzo masticò lentamente il boccone, assumendo un’espressione colpevole, mentre il sorriso scivolava dalle sue labbra. “Forse… sono stato troppo invadente... mi dispiace.”
    “Ah! No, è solo che…”, Haruko si sforzò di apparire cordiale e di buonumore, “…è raro che qualcuno conosca il significato di Daaku.”
    “Io vengo dal confine Est” spiegò il volante e lei camuffò la dimenticanza in sorpresa.
    “Davvero? E… e come mai dei giovani provenienti da così lontano sono finiti qui a Ghoia?”
    Mamoru riempì per la seconda volta il boccale con la birra. “Di questo ne discuteremo con il vostro capo villaggio. Potete indicarci dove possiamo trovarlo?”
    “Capo… villaggio?” L’espressione di Haruko si adombrò, sfumando in preoccupazione. “Noi non ne abbiamo uno.”
    “No? E chi fa le veci del Doge?”
    La preoccupazione si fece più evidente. “A-abbiamo un Delegato Dogale. M-ma lui è sempre molto impegnato; ha più paesi di cui occuparsi…”
    “In mancanza d’altro.” Mamoru fece scorrere lo sguardo sui suoi compagni, i quali si strinsero nelle spalle. “Dove abita?”
    “Fuori Ghoia… tra l’andata e il ritorno ci vuole circa un giorno di viaggio.”
    “Eh?! Così tanto?!” La Fiamma sbuffò palesemente seccata. Avrebbero perso più tempo del previsto, ma cercò di trovare una soluzione per riuscire a ottimizzare ogni istante a disposizione. “Se ne parlerà domani, oggi restiamo in città. Col nuovo giorno, io e Yuzo andremo da questo Delegato Dogale, mentre voi-”
    “Volete andare voi due?!”
    Aria e Fuoco si scambiarono un’occhiata perplessa per la foga con cui l'ostessa si era intromessa.
    “Beh, sì.” Mamoru inarcò un sopracciglio.
    “Ma… ma fareste un viaggio a vuoto! Sicuramente non lo trovereste in casa! Le cittadine di sua competenza sono piuttosto distanti le une dalle altre e lui è sempre in viaggio! E poi le foreste qui intorno sono molto pericolose, piene di animali selvatici! Rischiereste di perdervi facilmente!”
    Agli occhi della Fiamma, sembrò che volesse a tutti i costi impedire che incontrassero questo famoso Delegato. Lo sguardo della donna si spostava rapido e preoccupato dall’uno all’altro. Un altro po’ e si sarebbe messa a supplicarli di non andare.
    Il suo tono si fece più severo. “Questi sono problemi nostri.”
    Yuzo intervenne col suo atteggiamento cordiale e più accondiscendente; ogni volta che lui diveniva ostico in una discussione, il volante agiva per evitare tensioni.
    “Non dovete preoccuparvi, sappiamo cavarcela molto bene in ogni situazione. Non ci succederà nulla.”
    “Sì, ma-”
    L’urlo impaurito di una donna, accompagnato dall’improvviso pianto di una bambina, interruppe la conversazione.
    “Ma che-?!” Mamoru drizzò la schiena.
    “Sono già tornati…” esalò la padrona della locanda, serrando forte le mani attorno al vassoio.
    Il Tritone indicò la finestra a Mamoru con un cenno del capo e lui scorse delle persone, fuori; stava succedendo qualcosa. La Fiamma si volse di nuovo verso Haruko.
    Chi è tornato?” domandò in tono fermo, ma la donna distolse lo sguardo senza rispondere.
    Le urla spaventate si ripeterono e il pianto continuò, incessante, eppure c’era qualcosa di surreale nel modo in cui tutti gli avventori rimasero immobili. Gli occhi fissi nei piatti, ma le dita strette alle posate, tanto da far divenire livide le nocche.
    Yuzo fece per alzarsi, quando Mamoru lo anticipò e si portò nei pressi del vetro. Spostò piano le tendine e inarcò ancora di più il sopracciglio.
    Poco lontano dalla locanda, una donna restava seduta a terra, tenendosi stretta la figlioletta.
    A minacciarla, bastone alla mano, c’erano degli uomini. In armatura.
    “Ma che diavolo…” masticò, riconoscendo i colori dei mantelli e lo stemma degli Ozora ricamato sugli stessi.
    “E’ la Guardia Cittadina”, mormorò Haruko, “è venuta a riscuotere le tasse.”
    “Prego?! E da quando in qua fanno gli esattori?!” La Fiamma incupì l’espressione in una smorfia feroce. “Per giunta così violenti.”
    La gente in strada restava a distanza. Guardavano e non agivano. A Mamoru sembrò che fossero terrorizzati. Questa volta per davvero. Eppure quei miliziani erano solo in due, ci sarebbe voluto poco per metterli al tappeto e dargliene di santa ragione. E poi perché non avevano mai fatto rapporto al Doge per un simile sopruso? La Guardia Cittadina doveva proteggere gli abitanti, non spaventarli a morte né tantomeno malmenare donne e bambini.
    Yuzo lo raggiunse con passo svelto, appoggiando una mano sul vetro. L’espressione che aveva sul viso gli fece capire che poteva anche scordarsi l’idea di una tappa tranquilla e senza problemi.
    “Mamoru, dobbiamo-”
    “Sì, sì. Lo so” masticò con fastidio. “Ma vediamo di non attirare troppo l’attenzione. Con quei babbei lì bastano un paio di pugni, se capisci cosa voglio dire.” Gli scoccò un’occhiata eloquente che significava: niente incantesimi. Per quanto avessero addosso gli occhi di tutti da che avevano messo piede in città, almeno la storia che erano degli Elementi avrebbe voluto cercare di tenerla nascosta quanto più possibile.
    Yuzo annuì e lui sospirò.
    “Andiamo a fare la buona azione quotidiana.”
    Almeno con sé stesso, però, dovette ammettere che non gli dispiacque, non quella volta. Aveva un desiderio irresistibile di dare una lezione a quei due balordi. Era tutta colpa del volante, lo aveva contagiato.
    “Ci pensiamo noi” disse ad Hajime e Teppei. Anche loro si erano alzati e restavano pronti ad entrare in azione qualora ce ne fosse stato bisogno, ma considerando chi erano i due avversari, Mamoru e Yuzo sarebbero stati più che sufficienti.
    “Posso pestarli anch’io?!” Il tyrano si sfregò le mani, galvanizzato all’idea, ma la Fiamma inarcò un sopracciglio con ironia.
    “Teppei, non voglio ucciderli.”
    “Mica li uccido!”
    “Devo ricordarti lo sgherro di Bala, per caso?”
    “Sì, ma non l’ho ucciso. Gli ho solo spaccato la faccia!” insistette il tyrano, però Mamoru fu inamovibile.
    “Fa’ come ti dico e aspetta qui.”
    “Cosa volete fare?” L’ostessa si allarmò. “Quegli uomini sono pericolosi, lasciate perdere! Non vedono di buon occhio gli stranieri!” Non poteva permettere che i miliziani li vedessero. Che lo vedessero.
    “Se loro sono pericolosi, io che sono?” sghignazzò Mamoru con un sottile piacere. Fu il primo a uscire dalla sala e a inforcare il corridoio con passo deciso. Spalancò la porta della locanda con un gesto secco e si appoggiò allo stipite, calandosi un’espressione annoiata sul volto.
    “Avanti!” stava incalzando uno dei miliziani, il più robusto. “Devi ancora versare cinquecento scudi!”
    “Ma se non puoi pagare, puoi sempre vendere la tua graziosa figlioletta.” Il tono del suo degno compare arrivò mellifluo, viscido. “Ce ne prenderemo cura noi. Abbiamo proprio bisogno di una nuova servetta.”
    “Vi prego, no!” La donna strinse ancora di più la bambina a sé che continuava a piangere, raggomitolata al suo fianco. “Ha solo otto anni!”
    Gli occhi di Mamoru si ridussero a una striscia sottile e incandescente. La noia virò in disgusto e gli arricciò le labbra.
    “Pietosi” sibilò.
    Il miliziano magro si girò di scatto, con sguardo minaccioso. “Che hai detto?”
    “Ho detto che siete pietosi. Cos’è, sei sordo?”
    Mamoru venne squadrato da capo a piedi, con fare guardindo. “Un forestiero? Mostrami il lasciapassare!"
    "Quale lasciapassare?" Si strinse nelle spalle la Fiamma.
    "Quello che avrebbero dovuto darti al posto di blocco!"
    Il giovane parve ancora più perplesso. Ci pensò su, portandosi un dito al mento e poi si ricordò di quella sorta di avamposto che avevano incrociato proprio un chilometro prima di arrivare a Ghoia. "Aaaah! Quello. Era un posto di blocco? Peccato che non ci fosse nessuno a fare la guardia."
    Il soldato borbottò un paio di insulti. "Maledizione a Hisei! Sarà andato a puttane come al solito! Comunque, non ti hanno insegnato il rispetto? Come osi rivolgerti in questo modo a dei soldati della Guardia Cittadina?!”
    “Potremmo farti strappare la lingua per la tua insolenza!” Quello grasso agitò minacciosamente il bastone. “Vedi ti pensare agli affari tuoi, se non vuoi finire male!”
    Tsk.” Il ghignetto supponente fece capolino sulle labbra della Fiamma. “Mamma mia, che paura. Guardami, sono tutto un brivido.” Scosse il capo con disapprovazione. “Capisco che siamo in guerra, ma dare un’armatura anche a cani e porci mi sembra una pessima idea.”
    “Cosa?!” Il soldato magro e dal viso scavato andò su tutte le furie. “Prova a ripeterlo se ne hai il coraggio, fottuto moccioso!”
    “Ripeterlo? Oh, ti dirò di più.” Mamoru incrociò le braccia, sollevando il mento per guardarlo con sufficienza. “Nella mia città, il Doge vi avrebbe fatto frustare a sangue per un simile comportamento e poi esposti a chiappe all’aria in pubblica piazza. Vomitevoli scarti di merda.”

    Aveva visto il giovane di nome Mamoru avviarsi all’uscita con passo sicuro, e Yuzo muoversi per tenergli dietro, ma non poteva permetterglielo.
    Haruko gli sbarrò la strada e il volante la guardò con perplessità.
    “Non andare!” gli intimò, le mani sollevate per fermarlo a qualsiasi costo.
    “Non dovete preoccuparvi, il mio compagno ha ragione: noi siamo più pericolosi di loro, anche se non sembrerebbe. Ma seppur non lo fossi stato… non sarei mai rimasto a guardare.” Sorrise con semplicità, stringendosi nelle spalle. “Non posso.”

    “Non importa in quanti saranno, non resterò a guardare come distruggeranno tutto quello che abbiamo costruito. E se sarà sangue l’ultima cosa che i miei occhi vedranno… che sangue sia!”

    “Fuggire? Non posso più. Né posso arrendermi e guardare come marciano sulle nostre vite e le calpestano. Non posso permettere che tutto sia vano. Io combatterò fino a che avrò vita per farlo.”

    Quelle parole tornarono a galla, si sovrapposero a quelle di Yuzo, si fusero e le tre voci divennero una sola capace di spezzarle il cuore un’altra volta ancora.
    Gli occhi di Haruko divennero lucidi, ma non si fece da parte. “Per favore!”
    Il volante apparve confuso. Non riusciva a comprendere per quale motivo avesse tutta quella paura. Ormai doveva averlo capito che erano degli Elementi, dopo che aveva assistito al suo piccolo incantesimo. Indeciso, sollevò lo sguardo al fondo del corridoio. Sulla soglia, la Fiamma stava già ingaggiando battaglia verbale con i soldati e presto sarebbero venuti alle mani, non poteva temporeggiare ancora. Le iridi tornarono su Haruko, che non demordeva, ma aveva perso parte della fermezza.
    “Per favore…”
    Lui inarcò un sopracciglio, assumendo un piglio più serioso e deciso. “E’ la vostra gente, perché non intervenite? Perché restate a guardare e non vi ribellate?”
    La donna ingoiò con forza le lacrime. Distolse lo sguardo senza rispondere, abbassò il capo e le mani con esso; sapeva che non avrebbe mai potuto trattenerlo.
    Quel gesto di resa e il mutismo dietro cui ognuno in quella città sembrava essere trincerato confusero il volante ancora di più e gli fecero capire quanto complicata doveva essere la situazione. Tragica. Ma, come le aveva detto, lui non sarebbe rimasto a guardare.
    Senza aggiungere altro la superò e Haruko lo lasciò andare.

    “Bastardo!” ringhiò il miliziano all’insulto di Mamoru. Con i denti stretti e in mostra si volse in direzione del compagno. “Branko! Carica di legnate quella puttana e dopo occupiamoci di lui!”
    Mamoru non si mosse, ma inspirò a fondo. Gli occhi puntati sul soldato armato di bastone.
    “Fossi in te, io non lo farei.” Scuoteva la testa con condiscendenza, ma l’altro decise di non ascoltare il suo avvertimento.
    Levò l’arma dalla punta rinforzata e vibrò il colpo. Si sentì il rumore cupo del legno che si infrangeva su qualcosa ma, diversamente da quanto creduto, non fu il cranio della donna.
    Un’altra figura si era frapposta tra lui e la vittima, una figura che aveva parato la calata del bastone con un braccio, sollevandolo oltre la testa.
    La guardia rimase spiazzata: non l’aveva visto arrivare tanto era stato veloce.
    Poi, due occhi nocciola emersero da dietro al braccio e per Branko fu come vedere un fantasma.
    “Non rifarlo.” Il tono di Yuzo era fermo; più che minaccioso, sembrava avesse impartito un ordine.
    L’uomo lasciò cadere l’arma e indietreggiò. Il viso, che fino a qualche attimo prima era stato rosso e incollerito, adesso era terreo e pallido. Indietreggiò ancora.
    “Non ci credo…”, mormorò, “…non è possibile, non ci credo!” Ma aveva ancora gli occhi per vedere e gli occhi gli dicevano che era davvero così e che, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto crederci sul serio.
    Poi, il compagno gli rovinò addosso all’improvviso, colpito da un calcio di Mamoru, e tutti e due caddero a terra.
    “Io ve l’avevo detto di non farlo.” Li canzonò la Fiamma, raggiungendo Yuzo a passo lento. Il volante si alzò in piedi in attesa che i due provassero a caricarli di nuovo, invece, i soldati rimasero al suolo.
    “L-lo vedi anche tu?” domandò Branko, strisciava sulla rena, nel tentativo di allontanarsi.
    “S-sì… questo… questo è il passato… che torna per perseguitarci! Andiamo via! Via!
    Senza sapere come, riuscirono a rialzarsi, afferrarono le briglie e montarono in sella. I cavalli si impennarono e poi vennero lanciati al galoppo. Fuggirono senza mai guardarsi indietro.
    Mamoru sbatté le palpebre. “Ma come? Tutto qui?” Lui si era già aspettato di spaccare qualche ossicino, in barba a quello che aveva detto a Teppei. “E poi cos’è che blateravano? Il passato?”
    Al suo fianco, Yuzo sembrava ancora più perplesso. Scosse il capo, facendo spallucce.
    La Fiamma incrociò le braccia, aggiungendo l’ennesima stranezza alle altre che ormai sembravano essere di casa a Ghoia. “Mah. Senti, ti ha fatto male?"
    Il volante sollevò il braccio, sorridendo. “No, è tutto a posto. Come nuovo. Piuttosto…” Si volse a osservare la donna e la bambina, che aveva smesso di piangere e adesso tirava su col naso. Si fece loro vicino e si accovacciò, sorridendo.
    “State bene?”
    La donna annuì, ma non disse una parola. Negli occhi, aveva lo stesso sguardo che gli abitanti di quella città sapevano mostrare nei loro confronti: incredulità. La più pura e sconcertante che potesse esistere.
    “E tu?” domandò alla bambina, carezzandole la testa.
    Anche la piccola annuì e lo osservò con curiosità, da sotto in su. Poi si volse in direzione della donna.
    “Mammina, lui è il brigante?”
    “Bri-brigante?” L’uccellino spalancò gli occhi. Stando a stretto contatto con Mamoru si era abituato ai nomignoli più strani, ma brigante gli mancava. “No, no! Non sono un brigante, stai tranquilla! Io sono un-…”
    Mamoru tossì rumorosamente.
    “…viandante!” Yuzo corresse il tiro all’ultimo momento. “Un viandante che viene da molto, molto lontano. Adesso vai con la mamma, ti riporterà a casa, va bene?”
    La piccola annuì di nuovo e lui rivolse un cenno del capo alla donna.
    “Grazie. Grazie, mio signore…”
    Mentre li vedeva allontanarsi, Yuzo ripensò alla riconoscenza del mercante, quando aveva accettato il suo regalo. Era la stessa che aveva visto negli occhi della donna, prima che se ne andasse.
    Inspirando a fondo si alzò e quando si volse, lo sguardo di Mamoru era già su di lui. A braccia conserte, lo stava fissando, tamburellando adagio il piede al suolo.
    “Che… che c’è?”
    “Glielo stavi per dire, vero?”
    “No, affatto!” Si difese, arrossendo un po’.
    Seee, seee. Tra un po’ le avresti mostrato pure il permesso reale.”
    “Ma la vuoi smettere?! Ti ho detto che non glielo stavo dicendo!”
    “Come se non ti conoscessi” sospirò la Fiamma e Yuzo incassò la testa nelle spalle, girando lo sguardo.
    Quando si accorse che la gente accorsa dalle case li aveva circondati, perse il piglio imbronciato.
    “Uhm… Mamoru…”
    “Cosa?”
    “Non credi che ora stiano esagerando?” Con un cenno del capo indicò le persone attorno a loro.
    La Fiamma incupì l’espressione. Gli abitanti si erano fatti più vicini, i commenti volavano veloci di bocca in bocca, bisbigliati ma decisi. Si scambiavano sguardi e poi li puntavano su di loro. Le donne si coprivano le labbra con le mani, ma non erano sufficienti a nasconderne i mormorii.
    Sì, stavano esagerando, e lui cominciava ad averne abbastanza.
    “Perché continuano a guardarci così?” Yuzo lo chiese ugualmente, nonostante fosse convinto che sarebbe rimasta una domanda senza risposta, come tutte le altre che li avevano accompagnati fin dal loro ingresso a Ghoia. Invece, qualcuno rispose davvero.
    “Perché la somiglianza è troppa per fingere di non vederla.”
    Haruko passò tra Hajime e Teppei, che si erano fermati sulla soglia per poter seguire lo scontro.
    Il Tritone la vide camminare lentamente per raggiungere la Fiamma e il volante. Capì che parlava a Yuzo ed ebbe la certezza che stava cercando.
    “Allora avevo visto giusto” masticò, attirandosi l’occhiata perplessa del tyrano. “Non guardavano noi, guardavano lui.”
    “Te n’eri accorto?!” bisbigliò il compagno.
    “Sì, ma non ne ero sicuro.”
    Poco distante, l’espressione sorpresa sul volto di Mamoru mutò in allarme, mentre Yuzo seguitava a rimanere confuso.
    “E’ impressionante…” Haruko lo guardava e, negli occhi, aveva una luce diversa, più calda. “…siete come due gocce dello stesso mare.”
    Mamoru avrebbe detto fosse sul punto di commuoversi perché le iridi erano lucide e anche se non avvertiva né minaccia né pericolo provenire da lei e dalle persone intorno, rimase in allerta, perché aveva una pessima sensazione. La coda dell’occhio corse al volante, che era il più interdetto di tutti.
    Haruko gli si fermò proprio davanti. Le labbra si schiusero in un sorriso dolce. Sollevò una mano e gli toccò la guancia in una carezza.
    Yuzo non riuscì a ritrarsi a quel gesto. Era strano, ma non lo avvertì nemico, tutt’altro. La cosa più assurda fu che gli sembrò addirittura familiare, nonostante non avesse mai visto prima quella donna. Eppure, guardando meglio i suoi occhi, si rese conto di quanto il loro colore fosse simile al proprio.
    “Somigli così tanto a tuo padre.”
    Il meccanismo di difesa scattò all’istante, quasi avesse risposto a una parola d’ordine.
    Yuzo arretrò d'un passo, separandosi da quel contatto nemmeno si fosse ustionato all’improvviso.
    Dal canto suo, Mamoru aveva spalancato gli occhi perché se si parlava di ‘somigliare al padre’, l’ostessa non poteva certo riferirsi al Console.
    “Che vi avevo detto?! Non poteva essere altrimenti!”
    D’intorno, le voci si fecero più concitate e le parole cominciarono ad arrivare, suo malgrado, alle orecchie del volante.
    “Doveva essere per forza così! Sono identici!”
    “Allora è davvero il figlio di Bashaar(2)?!”
    Bashaar.
    Quel nome giunse chiaro e lui si volse di scatto, quasi a cercare chi avesse parlato, in mezzo alla moltitudine, ma le persone erano troppe. Gli occhi puntati addosso iniziarono a essere insostenibili. Lo fissavano, parlavano e continuavano a fissarlo. Erano decine e decine.
    Qualcun altro lo nominò.
    Bashaar.
    E lui si volse dall’altra parte. Altri occhi, altre persone. Tutt’intorno, più vicini, iniziavano a girare, a scorrere, come in una giostra dalla quale voleva scendere. L’Autocontrollo venne eretto in fretta e furia, ma non sembrò schermarlo abbastanza, mentre sentiva che qualcosa iniziava a graffiare da dentro e gli faceva piegare le labbra per il sapore acre che risaliva alla gola.
    “Ci deve… ci deve essere stato un errore…”  sibilò nei tentativi fallati di riuscire a respirare. “…vi state sbagliando…”
    Erano uguali. Uguali.
    Bashaar.
    Adesso gli sembrava che tutti lo stessero nominando perché continuava a sentirlo chiamare ovunque si girasse in quella trottola di voci che si rincorrevano senza riuscire a fermarsi.
    Indietreggiò ancora, iniziando a respirare con la bocca perché l’ossigeno che entrava dal naso non sembrava essere sufficiente.
    Tra tutti gli occhi, riuscì a trovare quelli di Mamoru. Li aveva cercati senza rendersene conto e la Fiamma appariva spiazzata quasi quanto lui.
    Nelle reazioni del compagno, il giovane di Fuoco riconobbe il fallimento dell’Autocontrollo che non riusciva a nascondere la sua paura. La lastra di vetro, invece, era sempre lì, quasi fosse l’ultimo baluardo alla roccaforte in cui si era rinchiuso per chissà quanto tempo.
    Gli parve di leggere altro in fondo ai suoi occhi: aiutami.
    Poi il rumore di qualcosa che si crepava.
    Fece per allungare una mano verso di lui, ma Yuzo indietreggiò ancora. Le labbra nuovamente serrate e le difese alzate come spine di riccio.
    “Devo andarmene… mi manca l’aria… Devo andarmene!”
    Lo masticò a filo di voce, tanto che Mamoru riuscì a capirlo solo quando fu troppo tardi: l’attimo dopo, Yuzo aveva già spiccato il volo, allontanandosi in tutta fretta da Ghoia.
    “Accidenti!” sbraitò la Fiamma. “Ma che dannato viziaccio che ha, maledizione! La prossima volta gli lego una corda al piede e poi vediamo dove se ne scappa! Cazzo!” E questa era già la seconda volta che fuggiva dal dolore.
    Sbuffò, calciando l’aria e passandosi nervosamente una mano tra i capelli, tirandoli indietro.
    Attorno a lui la gente parlava ancora più animatamente, indicando il cielo.
    “E’ un Elemento! Avete visto?”
    “Deve essere un segno!”
    - Sì! Di disgrazia! - pensò Mamoru, ringhiando - La mia! -
    Era successo tutto così in fretta e lui si sentiva un idiota per non essere riuscito a trattenerlo, per avergli permesso di fuggire di nuovo.
    Alle proprie spalle, l’ostessa sospirò con rassegnazione.
    “Mi aspettavo che reagisse così. Il Console mi aveva avvertito.”
    “Il Console è stato qui?!” La faccenda diveniva ancora più complicata.
    “Alcuni anni fa. Ma credo sia meglio discuterne dentro; è una storia lunga.” Sospirò di nuovo. “E triste.”
    Mamoru si passò una mano sul volto. Vi nascose un respiro più profondo degli altri e si massaggiò la fronte.
    La brutta sensazione che aveva avuto non l’aveva tradito e adesso si preparava anche a dargli il colpo di grazia.
    Le ombre che aveva voluto dissipare erano proprio davanti a lui, a un passo, e avevano assunto consistenza, ma non era da solo che avrebbe voluto affrontarle. Per una volta, maledì la sua incapacità di volare, perché altrimenti non c’avrebbe pensato un attimo a rincorrere quello stupido.
    Era insieme che avrebbero dovuto attraversarle, ma adesso lui ne sarebbe uscito e Yuzo avrebbe continuato a restarvi nascosto, come farfalla nel bozzolo.
    Una delle persone si fece velocemente dappresso. L’espressione preoccupata. D’un tratto, tutti gli abitanti di Ghoia avevano perso la loro aura di mistero ed erano tornati a essere perfettamente normali.
    “Haruko, cosa facciamo? Quegli uomini lo hanno riconosciuto, domani ce li troveremo qui in massa!”
    Lei si portò una mano al mento, pensando in fretta e prendendo una decisione. Mostrò una risolutezza che Mamoru non aveva minimamente sospettato.
    “Fate allontanare le donne e i bambini, portateli al sicuro, sulle grotte delle montagne. Noi ci prepareremo ad affrontarli. Qualcuno vada ad avvisare il vecchio Zed.”
    I suoi comandi lo misero in allarme. Tutto stava precipitando in caduta libera.
    “Che diavolo sta succedendo? Chi dovete affrontare?”
    Haruko lo guardò e Mamoru lesse preoccupazione, nei suoi occhi, ma non sorpresa: lo stavano aspettando, qualunque cosa fosse lo stavano aspettando da anni.
    “Domani a quest’ora la città pullulerà di miliziani.”
    “Per quale motivo?”
    “Per uccidere Yuzo.”
    Avvampò. Sentì il petto andare di colpo a fuoco, bruciare. Si dovevano solo azzardare a tentare di torcergli un capello e avrebbe fatto una strage. Poi si ammonì, ancora, perché non era riuscito a fermarlo.
    “E per ordine di chi?!”
    Haruko sospirò, le sopracciglia si aggrottarono sull’espressione severa. Nemmeno questa volta esitò a rispondere.
    “Del Delegato Dogale.”




    [1]HARUKO: XD lei è una sorta di ‘vittima sacrificale che mi piace usare quando posso’. E’ Haruko Maruyama, la professoressa delle elementari che era innamorata di Taro Misaki!!! *rotola via* Nelle mie storie, è già comparsa sotto le – succinte – vesti della Maitresse de “La Casa di Marilyn” nella fic: “L’uomo in vetrina” XD. Questa volta ha un ruolo più serio, giuro! (Per vedere la prof stalker: *clicca qui*)

    [2]BASHAAR: come per Nasir, Bashaar è il nome di Yuzo nella traduzione araba di Captain Tsubasa, ovvero ‘Captain Majid’. *-* Non trovate che Bashaar sia davvero un bel nome?! (significa 'portatore di buone notizie' XD E tutto si potrebbe dire di Bash, tranne che porti buone nuove... oddio, se poi vogliamo vederlo sul piano astratto e filosofico...)


    …Il Giardino Elementale…



    Oh, finalmente inizia a farsi una punticina piccina di chiarezza nel passato di Yuzo. Il vero passato di Yuzo, quello che nemmeno il volante conosce e che si colloca prima della sua vita all'orfanotrofio.
    Cosa sarà successo?
    E perché il Delegato Dogale dovrebbe volerlo addirittura morto?
    Ma, soprattutto, perché io devo essere così cattiva con lui?! XDDDDD Scopritelo su Kazzengeeeer!
    Le prossime parti saranno piuttosto corpose e ogni domanda avrà una risposta definitiva. **/ Restate sintonizzati!

    Come sempre, infinitamente grazie a tutti coloro che seguono questa storia! ♥



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 33
    *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte III ***


    Nota Iniziale: Vi consiglio, se non l'avete fatto, di leggere il frammento "La Piuma di Yayoi" della raccolta "Elementia: Fragments" perché molto di quello che è stato scritto in questa parte del capitolo fa riferimento a ciò che è avvenuto in quel piccolo frammento di vita.


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte III)

    Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    Si era gettato tra gli alberi, incurante di quanto le fronde delle foreste Lulha potessero essere intricate e lasciando che i rami e le foglie lo schiaffeggiassero senza riguardi, tanto non le sentiva. Non sentiva il dolore fisico, perché aveva quello interiore che valeva per tutti. E lo stava sventrando.
    Yuzo lo avvertiva scavare a piene mani, e nella mente si formò l’immagine mostruosa di artigli che sfondavano il torace per guadagnare l’uscita. Artigli neri e lunghi. Sanguinanti.

    “Somigli così tanto a tuo padre.”

    No!
    Lui non somigliava a nessuno!
    Nessuno!
    Nessun padre, nessuna madre. Nessuno!
    Perché non erano niente per lui, perché non esistevano(1).
    Digrignò i denti e strinse gli occhi; il petto gli faceva un male dannato e il volo era irregolare, quasi non riuscisse a controllarlo, come le emozioni. Doveva stabilizzare l’incantesimo di Autocontrollo, doveva soffocare tutti quei pensieri che si rincorrevano, impazziti.

    “Somigli così tanto a tuo padre.”

    Padre?
    Quale padre?
    Quello che l’aveva scaricato nel primo orfanotrofio?
    Quello che gli aveva voltato le spalle senza mai tornare una volta, una, anche solo per dirgli: ‘mi dispiace’?
    Quello che aveva preferito levarselo dai piedi perché non era che un peso?
    Non era suo padre, non lo avrebbe mai accettato come tale.
    L’unico padre che aveva era il Console, tutto ciò che lo aveva preceduto non era niente per lui, non esisteva.
    Non era niente, non esisteva.
    Non era niente, non esisteva.
    Nessun padre, nessuna madre.
    Non era niente, non esisteva.
    Non esisteva.
    Non esisteva.
    Non esistete! Non siete niente per me! Niente!
    Lo gridò fin quasi a farsi esplodere i polmoni. La testa stretta nelle mani per zittire tutte le altre voci che si accalcavano, che chiamavano e parlavano.

    “Somigli così tanto a tuo padre.”
    “Allora è davvero il figlio di Bashaar?”

    Con gli occhi serrati, urtò un tronco di conifera, perdendo del tutto il controllo sul volo. Precipitò; l'intrigo di rami cercò di attutire la caduta, ma non gli impedì di ruzzolare al suolo, sollevando polvere e strappando erba. Si fermò col viso premuto nella terra e il respiro affannato.
    Rimase immobile in quella posizione, esausto per non aver saputo dosare le energie: era come se avesse corso senza sosta per chilometri.
    Tutt’attorno, c’era solo il rumore delle foglie che si muovevano al vento leggero infilatosi tra le fronde. Così come la luce: erano spilli sottili che infilzavano il terreno. Uno di questi si infranse sul campanellino che gli aveva regalato il mercante: giaceva abbandonato a poca distanza da lui. Yuzo lo fissò con solo metà viso, mentre l'altra metà era schiacciata al suolo.
    Continuava a ripetersi che non erano niente, che non esistevano.
    Il verde e bianco del campanellino sembrarono intrappolare la luce del raggio di sole, facendola propria.
    Nessuno esisteva.

    “Somigli così tanto a tuo padre.”

    Le dita strisciarono tra i fili d’erba strappata e quelli che erano rimasti aggrappati alla terra, trascinando foglie e fiori spezzati. Si allungarono, sforzarono, tremarono e alla fine riuscirono a toccare il fiore di vetro, seppur solo con la punta.

    “Tuo padre.”

    Le labbra si aprirono e chiusero mentre respirava a fatica. Il fiato si condensò in suono.
    “…Bashaar…”

    La cucina della locanda aveva chiuso i battenti.
    Per quel giorno, il Daaku sarebbe divenuto il quartier generale della Resistenza. Gli uomini di Ghoia erano già tutti presi da ciò che andava fatto in previsione dell’arrivo del Delegato Dogale e nella locanda non era rimasto nessuno se non i tre Elementi e Haruko.
    “Il primo ricordo che ho del padre di Yuzo è della sua schiena.”
    Seduti al lunghissimo tavolo in legno, dalla lavorazione molto grezza, Hajime e Teppei ascoltavano le parole dell’ostessa. Mamoru era seduto proprio sul ripiano; le braccia poggiate sulle ginocchia e le nocche a sorreggere il viso dall’espressione grave.
    “Allora non avevo che dieci anni e mi apparve… enorme. Mi trovavo nelle foreste fuori dal centro di Ghoia a cercare erbe mediche. Mio padre era il Naturalista di questa città e io già sapevo della presenza dei briganti nelle nostre campagne. Quello che non immaginavo, fu che proprio un brigante sarebbe accorso per salvarmi la vita.” Haruko inspirò lungamente, mantenendo le dita intrecciate sul tavolo e fissandole, quasi potesse leggere tutti i suoi ricordi in esse. “Il Delegato Dogale si chiama Erik Van Saal(2) e, come avete potuto constatare, quelli che spaccia per uomini della Guardia Cittadina in realtà non sono che mercenari che si vendono al miglior offerente. Sospetto che il Doge nemmeno lo sappia, come non sa nulla di quello che è avvenuto e continua ad avvenire in questa città. E noi non possiamo neppure tentare di allontanarci per provare ad avvisarlo perché ci ucciderebbero tutti. Ci abbiamo già provato.” Erano reclusi nella loro stessa città. “Quel giorno, mentre cercavo erbe, sulla mia strada comparvero tre soldati e non avevano buone intenzioni. Ricordo che provai a fuggire, correndo più veloce possibile ma la paura mi fece cadere e loro ci misero un attimo a raggiungermi. Sperai che la terra potesse inghiottirmi e farmi sparire, ma ciò non avvenne. In quel momento, pensai fosse arrivata la fine e avevo ragione. La fine arrivò, ma non per me.” Le labbra tese si sciolsero in un sorriso d’affetto sincero. “La sua schiena oscurò il sole.”

    “Conosci una bella canzone, bambina?”

    “Mi chiese di cantargli qualcosa e di chiudere gli occhi.”

    “Non aprirli fino a che non te lo dico io.”

    “Ero talmente terrorizzata che gli obbedii ciecamente. Mi turai le orecchie, serrai le palpebre e cominciai a intonare il primo motivetto che mi venne in mente. Feci di tutto per ascoltare solo me stessa, la mia voce, e non le grida dei soldati che si lanciavano con ferocia contro quello sconosciuto. Poi… più nulla, ma continuai a cantare imperterrita. Anche quando mi prese in braccio.”

    “Ma non avete qualche canzone più allegra da queste parti?”

    “Quando mi disse che potevo aprire di nuovo gli occhi ero sul retro di casa, a Ghoia. E la prima cosa che feci fu di correre a piangere da mia sorella maggiore.” Haruko levò lo sguardo su di loro, stava ancora sorridendo, con lo stesso affetto. “Mia sorella, Arya. La madre di Yuzo.” Appoggiò il viso nella mano. “Credo sia stato allora che Bashaar ha deciso di prendere il controllo della città, per strapparla alle grinfie di Van Saal. E Arya c'entra di sicuro, ne sono sempre stata convinta. Anche se non gliel’ho mai chiesto, penso sia stata lei a parlargli delle condizioni in cui versava Ghoia.”
    Hajime incrociò le braccia, inarcando un sopracciglio. “Un brigante che ‘aiuta’ delle persone per buon cuore e non per tornaconto personale? Suona un po’ strano…”
    “Sì, è vero, ma Bashaar e i suoi compagni non erano veri briganti. Si erano rinominati tali perché non avevano altra identità.” Haruko cambiò nuovamente posizione, poggiandosi contro la spalliera della sedia. “In realtà, erano evasi. Evasi di Bàkaras.”
    Mamoru si intromise con foga, drizzando la schiena. “Bàkaras?! La Nave dei Deserti(3)?!”
    “E’ stata dismessa solo da una quindicina d’anni…” masticò Teppei che ne aveva letto spesso nei libri di storia. “Era la più importante tra le carceri di massima sicurezza.”
    “Bàkaras non era un carcere. La camuffavano come tale.” Haruko aveva una smorfia di spregio e un sopracciglio inarcato. “In un carcere c’è almeno un minimo di dignità, mentre a Bàkaras… i condannati erano costretti a uccidersi a vicenda. Era un’arena mobile in cui vigeva la legge del più forte. Se non uccidevi, venivi ucciso e non c’era possibilità di scampare alla lotta.”
    “Quindi il padre di Yuzo…” Mamoru apparve pensieroso mentre cercava di ricostruire le vicende storiche di quegli anni. Tornando così indietro, arrivò a una sola conclusione. “…veniva dal Dogato di Kalavira?”
    “Il vecchio dogato dei Gamo(4)?” precisò Hajime, sporgendosi in avanti, mentre Haruko annuiva.
    “Sì, era di Kalavira, quando ancora esisteva e non era stato smembrato. Suo padre, Alevhar, era un falegname. Lavorava per uno dei signori locali quando fu condannato. Lo accusarono d’aver ucciso la propria moglie e la moglie del nobiluomo presso cui prestava servizio. Secondo quanto mi è stato raccontato dagli altri briganti, perché né il padre né il nonno di Yuzo parlavano mai della vita precedente alla reclusione, le prove che presentarono a suo carico furono costruite, come se stessero a tutti i costi cercando un colpevole; e a Kalavira la legge la faceva chi pagava di più. Ma io ho conosciuto Alevhar e posso giurare su ciò che ho di più caro che non avrebbe mai potuto fare una cosa simile: era una persona buona e calma, nonostante tutti gli orrori che aveva vissuto a Bàkaras. Voleva bene a mia sorella come fosse stata figlia sua e stravedeva per Yuzo!” Haruko si fermò, inspirando a fondo per sedare la rabbia. “Fu un’orribile ingiustizia. Tutta la loro vita è stata un’ingiustizia! Bash aveva undici anni quando venne incarcerato assieme a suo padre, perché tanto a Kalavira non si guardava in faccia a nessuno e i Gamo non erano conosciuti per essere uomini clementi, ma duri come la pietra. Quando è riuscito a evadere, di anni ne aveva ventidue. Capite? Tutto quel tempo rinchiuso in quell’Inferno a uccidere gli altri detenuti per poter sopravvivere!” L’ostessa guardò ciascuno di loro con occhi lucidi prima di passarvi rapidamente un lembo del grembiule che aveva legato in vita. “Non aveva un carattere facile ed era temuto e rispettato perché faceva sempre quello che diceva. Sempre. Anche a costo di apparire spietato. Quando lui e i suoi compagni arrivarono nei dintorni di Ghoia, rimasero per un po’ nascosti. Fu Arya la prima persona che avvicinarono: Bash la minacciò puntandole un pugnale alla gola. Mia sorella era un'Erborista, faceva da assistente a nostro padre, e loro avevano bisogno di qualcuno che curasse i feriti in seguito all'evasione.”
    Per Mamoru fu chiaro da chi Yuzo avesse ereditato la magia ma, soprattutto, l’istinto paterno e la vicinanza che sentiva verso i legàmi, soprattutto quelli familiari: per gli Erboristi, la famiglia era considerata qualcosa di sacro. Ma pensò anche che, proprio in virtù di questo, sua madre non avrebbe mai potuto abbandonarlo. Mancava qualcosa, ma non interruppe l’ostessa.
    “Arya rimase con loro per un po’ e poi la lasciarono andare. Così ci raccontò di questo gruppo di fuggitivi che si facevano chiamare briganti. Per lei era già chiaro che non fossero una minaccia.” Haruko fece strusciare la sedia sul cotto che piastrellava le cucine, alzandosi in piedi. In pochi attimi scomparve in una delle stanze adiacenti, dove c'erano i suoi alloggi, e ne tornò con uno scampolo di pelle di daino ripiegato. Lo aprì sul tavolo e ne cavò dei fogli in condizioni perfette. Erano i manifesti dei ricercati, ce n'erano tantissimi, ma la donna ne affiancò tre, in particolare.
    Finalmente, i tre Elementi furono in grado vedere con i propri occhi che volto aveva il padre di Yuzo e, anche se l’uomo era molto più maturo, la somiglianza non lasciava alcun dubbio.
    “Li ho conservati per tutto questo tempo” spiegò la donna, facendoli scorrere. “Loro sono Arya, Bashaar e Alevhar.”
    “Per tutte le Dee!” sbottò Teppei, esponendo quello che era anche il pensiero di Hajime. “Non avevo pensato potessero somigliarsi così tanto!”
    Mamoru, invece, aveva preso tra le mani il manifesto che ritraeva la madre del volante. La osservò lungamente e in quello sguardo, seppur non disegnato con particolare attenzione, ebbe come un senso di déjà-vu. Bashaar gli somigliava terribilmente nei tratti del viso, ma negli occhi… negli occhi c’era Arya, di quello la Fiamma non aveva alcun dubbio.
    “I briganti facevano sempre riferimento a Bash e a suo padre, e quando Arya decise di unirsi a loro divenne un elemento fondamentale, grazie alla sua magia. Mia sorella fu la pioniera, in questo senso. Dopo di lei, molte altre donne si aggregarono e quello che era stato un piccolo gruppo, cominciò a divenire una comunità sempre più grande. Iniziarono a sposarsi, formare famiglie, creare una nuova vita, e Ghoia non era mai stata così tranquilla e serena come negli anni in cui Bashaar e i briganti se n'erano presi cura.”
    “Van Saal li ha costretti ad andarsene? Se potessimo fare in modo di avvertirli o raggiungerli, sarebbe fantastico! Yuzo potrebbe incontrarli!” L’ottimismo e il fervore di Teppei erano sempre stati contagiosi e travolgenti, ma a volte erano ciechi, come in quel caso, perché non sapevano cogliere l’ingranaggio mancante nelle storie raccontate da Haruko, nella successione di eventi, nel presente. E per Mamoru, quello stesso ingranaggio trovò il suo posto quando vide l’ostessa distogliere lo sguardo.
    “Non se ne sono andati. Sono stati uccisi. Tutti. In solo giorno.”
    Teppei ingoiò il sorriso perdendo il suo entusiasmo, mentre la Fiamma avvertiva di colpo le mani farsi gelide, come se il fuoco si fosse ritirato all’improvviso. Spento.
    “Cosa avrebbero potuto fare in cento, donne e bambini compresi, contro il triplo degli uomini armati di tutto punto? Bashaar e i briganti rimasero al villaggio che avevano costruito, difendendolo strenuamente fino alla morte. Mentre le mogli e i loro piccoli vennero portati sulle montagne per sfuggire alla mattanza, ma dall’alto si poteva vedere tutto.” Inspirò con una certa fatica. “C’ero anche io quel giorno e c’era Yuzo con me. Arya gli diede qualcosa affinché dormisse e me lo affidò. Mi disse di stare nascosta nella caverna: c'era una rientranza, coperta da uno spesso velo di rampicanti. Ricordo che da principio non sentivo nulla, se non le parole concitate delle donne che si informavano su quello che avveniva di fuori, poi iniziai a sentire grida, pianti. E voci di uomini. Erano irate, piene d’odio e capii subito che non appartenevano ai briganti, ma a quei bastardi degli sgherri di Van Saal. Hanno massacrato la gente come fosse stata carne da macello, senza un minimo di pietà nemmeno per i bambini. Gli era stato dato ordine di fare piazza pulita e non si tirarono indietro. Tranne uno.” Haruko annuì adagio, le labbra sempre piegate verso il basso. “Scoprì il luogo dove restavo nascosta con Yuzo. Quando me lo vidi davanti seppi di essere morta però… però lui mi fece cenno di non fiatare e richiuse l’entrata, nascondendo meglio l’anfratto affinché nessun altro lo scoprisse. Quando fui in grado di pensare a quei momenti senza avere attacchi di panico e pianti isterici mi resi conto che quell’uomo… era terrorizzato almeno quanto me.” Tornò ad asciugarsi gli occhi col grembiule. “Ricordo... ricordo ancora quell'odore pungente di fumo(5), che entrava fin dentro le ossa, e il calore... Venni fuori da lì solo molto, molto tempo dopo, quando fui certa che non ci fosse più nessuno e il silenzio era divenuto di tomba. Non so nemmeno io come ho fatto a non morire per ciò che mi trovai davanti. La caverna era stata… trasformata in un immenso… forno. I cadaveri al suo interno bruciati, senza rispetto, gli uni sugli altri. Arya…” Si portò le mani alle labbra, la voce ridotta a un filo sottile e i ricordi che si facevano lacrime. “…Arya era fuori dalla grotta, sul pianale. Quegli assassini avevano incendiato la foresta e lei… i suoi poteri venivano dagli alberi… li controllava lei… e… le ustioni l’hanno uccisa… dall’interno… mentre Bash… Bash era al centro del villaggio… inchiodato al suolo… trafitto da una delle sue stesse spade…”
    Mamoru serrò la mascella così forte che sentì il sapore del sangue scivolare nella bocca. Lo sguardo fermo infilzava un punto del pavimento senza vederlo. Le mani nuovamente calde, bollenti, il sangue bruciava, tornava a essere vampa impazzita e furente. Avevano osato usare il suo elemento per fare quell'orrore e non riusciva a non pensare che anche la madre di Yuzo, come la propria… a causa del fuoco… Maledizione!
    Strinse il pugno, conficcando le unghie nei palmi.
    Van Saal non era un uomo. Nessun essere che poteva fare una cosa simile in maniera indiscriminata poteva essere considerato uomo. Nessun essere che massacrava per il puro piacere di farlo potesa essere considerato uomo.
    E non era accettabile che un mostro simile continuasse a camminare libero su quelle terre, continuasse a comandare e a farla da padrone, terrorizzando la povera gente.
    E non era accettabile che quello stupido volante fuggisse ancora, senza voler ascoltare, senza voler capire.
    Non poteva più permettersi di essere cieco, doveva sapere la verità. A ogni costo.
    E dopo ne sarebbe morto, ma questa volta non l’avrebbe lasciato soffrire da solo, non sarebbe rimasto ad ascoltarlo piangere da dietro una porta chiusa. Avrebbe preservato il suo cuore da qualsiasi caduta, e se era proprio così che doveva andare, se proprio doveva cadere, allora sarebbero caduti. Insieme.
    “…non sapevo che fare… non potevo riportare Yuzo a Ghoia, loro… loro avrebbero potuto cercarlo…” Haruko scuoteva il capo mentre narrava gli ultimi, terribili momenti. “La città più vicina che non ricadeva sotto l’influenza di Van Saal era Mizukoshi… e io… Era l’unica soluzione che avevo… l’unica… Sono stata io a lasciarlo davanti a quell'orfanotrofio.”
    Con un gesto secco, Mamoru saltò giù dal tavolo dirigendosi alla porta con passo deciso e collerico.
    “Dove stai andando?” lo fermò Hajime.
    “A cercare l’idiota.”
    “Non sarebbe meglio dargli un po’ di tempo?”
    “No.” Mamoru fu categorico. “L’ultima volta che l’abbiamo fatto è successa una catastrofe e con un bastardo come quel Van Saal nei paraggi che vuole ucciderlo sarebbe come offrirglielo su di un piatto d’argento. Basta fare le chiocce; Yuzo deve imparare a sbatterci la faccia, contro certe cose, e non fare lo struzzo.” Si fermò sul limitare della soglia, rivolgendosi ad Haruko. “Vorrei che mi indicaste dove si trova il vecchio villaggio dei briganti.”
    L’ostessa si ripulì gli occhi alla buona, alzandosi svelta e tenendogli dietro. Mamoru si eclissò oltre le porte, raccomandandosi con Hajime e Teppei di aspettarlo alla locanda.
    Quando però sia lui che la zia di Yuzo furono nei pressi dell’ingresso principale del Daaku, la Fiamma si fermò, parlando con un tono più basso.
    “Avrei una cosa da chiedervi” disse serio. “Il Console sapeva tutta la storia? Come ha fatto ad arrivare fin qui?”
    “Il Console è venuto a Ghoia circa quattro anni fa. Aveva fatto fare delle ricerche e sapeva una parte di ciò che era successo. Fui io a raccontargli tutto per intero” spiegò Haruko.
    “Perché proprio qui? Ci sono tante città accanto a Mizukoshi, come faceva a sapere che era proprio di Ghoia?”
    “Perché lui aveva capito che uno dei suoi genitori doveva essere un Erborista, poi è stato facile che arrivasse da noi. Vedi, Arya, poco prima che avvenisse la tragedia, aveva lasciato un glifo sul piccolo Yuzo. Per proteggerlo. E' una pratica che fanno spesso gli Erboristi.”
    “Un glifo?” fece eco la Fiamma, inarcando un sopracciglio.
    “Sì, è un incantesimo di protezione che si esaurisce quando viene rilasciato. Una sorta di sigillo. Doveva preservare il bambino qualora avessero cercato di attaccarlo e, secondo quanto detto dal Console, il glifo è entrato in azione mentre a scuola stavano portando avanti un incantesimo di tipo invasivo.”
    Mamoru sgranò gli occhi. “Invasivo?! Vi ha spiegato che tipo di incantesimo fosse?” Quella cosa gli piaceva poco.
    “Non è entrato nel dettaglio. Mi disse solo che Yuzo aveva perso conoscenza e quindi non si è mai accorto di nulla. Anzi, mi ha pregato, qualora lui fosse arrivato qui, di non dirgli come sono andate veramente le cose, ma di inventare, invece, che è stato rilasciato durante il sonno.”
    Mamoru parve ancora più confuso da quell’alone di mistero e non poté non domandarsi che razza di incantesimo stessero portando avanti per arrivare a far addirittura svenire il volante.
    Quattro anni prima, Yuzo ne aveva quindici.

    “Quanti anni avevi?”
    “Quindici.”
    “Hai sofferto?”
    “Un po’, però ricordo molto poco ciò che è accaduto. C’era qualcosa che premeva per entrare, poi quel calore insopportabile. Bruciava da morire. Infine il buio. Quando mi sono svegliato ero nella mia stanza.(6)

    Quindici anni, un incantesimo invasivo, perdita di conoscenza.
    Nella mente di Mamoru si formò una sola parola che potesse legare tutti e tre quegli elementi. E la parola era: onice.
    Con astio si passò una mano nei capelli, intrappolando un’imprecazione tra i denti. Era dunque da quello che il glifo aveva cercato di proteggerlo: dalla Magia Nera.
    “Qualcosa non va?” domandò Haruko, attirandosi la sua attenzione. La Fiamma si limitò a scuotere il capo, cambiando discorso.
    “No, è tutto a posto. Piuttosto, come posso arrivare al villaggio dei briganti?”
    “Avrei un'altra proposta.” La donna gli poggiò una mano sul braccio, aggrottando le sopracciglia. “So io dove devi portare Yuzo.”

    Era rimasto immobile in quella posizione nemmeno lui sapeva per quanto. Ipotizzò dovessero essere passate ore perché aveva scorto il riflesso della luce sul campanello cambiare posizione. Il sole si era spostato.
    Quando si decise a variare la sua stasi sentì di aver recuperato un po’ di energie. Col dito fece scivolare il campanellino verso il palmo e lo afferrò, chiudendolo nel pugno. Usò quest’ultimo come appoggio per fare forza e mettersi almeno in ginocchio.
    Aveva male un po’ ovunque, a causa dell’impatto, ma non era niente di importante.
    Si sollevò, staccando il viso dal suolo. Vi passò il dorso dell’altra mano per ripulirlo alla buona, poi crollò sui talloni respirando lentamente, in maniera controllata.
    Le mani sulle gambe e la schiena tenuta più dritta possibile. Si sentiva un po’ intontito ma poteva farcela. Chiuse gli occhi e cominciò a fermare tutte le sue vacillanti barriere. Le stabilizzò, ne eresse di altre. Qualsiasi cosa pur di ritrovare la lucidità e il controllo. Senza si sentiva perduto e poi era l’unica arma che aveva per affrontare ciò che lo avrebbe aspettato a Ghoia.
    Doveva tornare indietro, lo sapeva. Anche perché qualcuno avrebbe finito col cercarlo e visto che l’ultima volta che era fuggito in quel modo era successo un disastro, decise di non voler rischiare.
    Mamoru doveva essere furioso.
    Lo sentiva.
    Yuzo aprì gli occhi e inspirò a fondo un’ultima volta, prima di mettersi lentamente in piedi. Si guardò attorno e cercò di comprendere quale fosse la via per rientrare in città, poi iniziò a camminare con passo malfermo.
    Nella testa percepiva che l’incantesimo di Autocontrollo non era stato eretto al meglio, ma incredibilmente non riusciva a renderlo più stabile e la cosa lo infastidì. Nemmeno quando era piccolo l’aveva mai fallito in modo tanto palese. Avrebbe dovuto sforzarsi molto di più del solito per tenerlo in piedi e far sì che tutto il resto non potesse ferirlo ulteriormente. Dopotutto, a lui dei suoi genitori non importava nulla, non aveva motivo di scappare. Anzi. Li avrebbe affrontati a testa alta. Oppure li avrebbe lasciati nell’indifferenza, come loro avevano fatto con lui.
    Sì, avrebbe agito così. L’indifferenza feriva più di qualsiasi altra emozione. Perfetto.
    Su quella decisione, il passo si fece più sicuro e lui fu in grado di uscire dalla foresta per raggiungere la strada che portava alla città.
    Distacco. Controllo. Freddezza. Indifferenza.
    Controllo.
    Controllo.
    Odio.
    No! Controllo.
    Mamoru lo avrebbe rimproverato aspramente.
    Controllo.
    Poteva affrontare anche lui, certo.
    Controllo.
    Paura.
    Controllo! Controllo!
    Di lontano scorse l’ingresso a Ghoia e, quasi l’avesse chiamato, la Fiamma che camminava con passo collerico verso di lui; non aveva affatto una bella espressione.
    Si sentì ferire ancor prima di poterci parlare.
    Dolore.
    Yuzo si fermò a qualche passo da lui, percependo come l’altro avesse voluto incenerirlo sul posto. E quelle iridi pece erano insostenibili, tanto che il volante abbassò le proprie, sconfitto.
    Mamoru non cambiò espressione quando colmò la loro distanza, trovandosi finalmente l’uno di fronte all’altro. Lo fissò a lungo senza dire una parola e cercando di capire cosa diamine gli stesse passando per la testa, i suoi pensieri, i suoi sentimenti e gli sembrarono chiari nel loro essere contrastanti. Inspiegabilmente, era sempre stato immune all’Autocontrollo di Alastra dietro cui Yuzo seguitava a nascondersi, fingendo distacco. Lo sapeva riconoscere all’istante e quello non era il solito incantesimo, era imperfetto, quasi non riuscisse a completarlo.
    In quel momento percepì chiaramente la sofferenza del volante che si trovava oltre l’Autocontrollo e schermata dietro quella lastra di vetro infrangibile di cui si era accorto quando si trovavano a Dhyla; urlava disperata, batteva i pugni per avere una via d’uscita, ma Yuzo non la lasciava andare, seguitando a segregarla in un angolo del cuore. Forse per non sentirsene dominato, schiacciato, o forse per il timore di ammetterne l’esistenza.
    A ogni modo, Mamoru non si fece commuovere.
    “Quanto ancora vorrai scappare?” gli disse con durezza, ma l’altro continuò a mantenere lo sguardo basso e a tacere. “Non puoi più farlo ormai, quindi smettila e parla con Haruko. Pensavo l’avessi già capito a Sendai che non serve a nulla fuggire.”
    “Io non ho niente da dirle.”
    “Tu no, ma lei sì. E l’ascolterai con attenzione.”
    “A me non interessa sapere di cosa vuole parlarmi.”
    “Per tutte le Dee, Yuzo! Si tratta dei tuoi genitori!”
    “Non lo sono più!” Il volante alzò finalmente lo sguardo su di lui e a Mamoru sembrò di udire di nuovo lo stesso rumore avvertito prima che fuggisse via. “Hanno perso questo diritto quando mi hanno lasciato a Mizukoshi! Quando non hanno più voluto curarsi di me! La mia famiglia è il Console, non loro! La mia casa è Alastra, non Ghoia! Loro non sono niente per me!”
    Lo schiaffo lo colpì senza che il volante lo vedesse arrivare. La mano della Fiamma ancora ferma a mezz’aria e l’espressione tagliente sul viso impassibile.
    Adagio, Yuzo si toccò la guancia e la sentì calda.
    “Non t’ho mai sentito dire tante stronzate tutte assieme.” Il tono del giovane era asettico e gelido. “Prima di parlare a vanvera dovresti esser sicuro della verità.”
    Quel crepitio, la sensazione di frattura si fecero più forti alle orecchie dell’Elemento di Fuoco quando l’altro tentò di replicare e gli vide perdere lucidità, come se non sapesse più cosa dire per giustificarsi.
    “T-tu non puoi capire e non puoi costringermi a-”
    “Non posso capire? Io?!”
    Yuzo sussultò e si pentì all’istante di quelle parole; era l’ultima persona a cui avrebbe dovuto dire una cosa simile. Aggrottò le sopracciglia, seguitando a mantenere distolto lo sguardo. Per quanto ci provasse, con Mamoru era completamente inutile ricorrere agli incantesimi, non sortivano alcun effetto se non quello di farlo imbestialire di più.
    “A quanto pare predichi bene ma razzoli male, volante. Sei una sequela di saggezza e belle parole solo con gli altri, mentre il primo a fare orecchie da mercante ai tuoi stessi consigli sei proprio tu.” Gli ringhiò la Fiamma tra i denti, il viso vicino e minaccioso. “E in quanto a costringerti” sibilò, afferrandogli il polso in una presa salda, “staremo a vedere se non posso farlo.”
    Yuzo incrociò il suo sguardo astioso, fissandolo allarmato, poi venne strattonato in direzione opposta alla città. Cercò di divincolarsi, ma la presa non accennava ad allentarsi nemmeno di un millimetro.
    “Dove… dove mi porti?! Lasciami andare! Ti ho detto che non voglio parlare con lei! Lasciami, Mamoru!”
    Sta’ zitto!
    Di nuovo, uno sguardo incandescente e un abbaiare furioso zittirono ogni protesta. Realizzò di averlo visto così imbestialito solo quando si trovavano a Dhyla.
    Mamoru contrasse la mascella, cercando di recuperare un filo di calma, uno solo, almeno per il momento.
    “Stai. Zitto” sillabò adagio tornando a tirarselo dietro.
    Se fosse stato più lucido, magari Yuzo si sarebbe reso conto di come Mamoru perdesse le staffe in quel modo solo quando in ballo c’era qualcosa che gli stava particolarmente a cuore. Ma in quel momento lui era terrorizzato all’idea di dover affrontare i suoi genitori e la verità, una verità che non voleva sentire perché tanto già la conosceva, no? Perché lui sapeva che l’avevano lasciato a Mizukoshi perché non lo volevano con loro, perché non gli volevano bene e perché era solo un peso, giusto? Era quella la verità e non ce n’erano altre… e allora perché aveva così paura di sentirla con le proprie orecchie? Perché non riusciva ad affrontare l’intera situazione con maggiore distacco? Perché non riusciva a pensare ad altro se non al fatto che li avrebbe visti? Li avrebbe avuti davanti, avrebbe scoperto i loro volti, sentito le loro voci.
    Non riuscì a trovare una risposta a nessuna delle domande, per quanto si sforzasse, e per quanto tentasse di liberarsi dalla stretta era incapace di fare anche quello, così arrancò dietro un ostinato Mamoru che lo trascinò di nuovo all’interno del bosco. La via principale e la stessa Ghoia non erano già più visibili alle loro spalle, tutt’intorno c’erano solo alberi dai fusti alti e sottili e dalle fronde sempre più intricate, tanto che la luce faticava a raggiungerli. Ovunque, il muschio iniziò a farla da padrone e i rampicanti si avvolsero ai tronchi di lecci come scialli attorno al collo di una donna.
    Superarono un torrente che scorreva veloce, nascondendosi nel sottobosco, e si inerpicarono per l’ultimo tratto su sporgenze di roccia coperte da felci.
    “Mamoru, smettila!” protestò ancora il volante e stavolta venne accontentato. La Fiamma lo spinse malamente in avanti, mollando la presa.
    “Siamo arrivati” sentenziò duramente, superandolo con passo spedito.
    Yuzo si fermò al centro di quella che gli apparve come una radura. Con sguardo intimorito osservò d'intorno. Anche se coperte di licheni, quelle sagome di roccia gli sembravano avere forme troppo particolari per essere di origine naturale e dovevano essere almeno un centinaio. Spuntavano dal terreno, in fila, qualcuna messa meglio, qualcuna inclinata.
    Un’angoscia improvvisa lo investì e il petto cominciò a pungergli con tale insistenza che vi portò una mano per vedere se il cuore stesse battendo ancora.
    La prima idea di quel luogo era che fosse un cimitero.
    Un cimitero che nulla aveva a che vedere con quello visitato a Dhyla, dove aveva provato una malinconica sensazione di nostalgia. Ora, il sentimento che lo avvolgeva era dolore. Dolore puro. Si sentiva opprimere, schiacciare da un senso di impotenza inesplicabile. L’angoscia gli rodeva le viscere.
    “Dove siamo? Portami via da qui… portami via…” sussurrò col fiato ridotto a un filo e sul punto di rompersi. Girò su sé stesso, la foresta era divenuta soffocante.
    “Siamo dove devi essere” sbottò Mamoru, il tono affilato come il taglio di una falce, batté un colpo sulla roccia alle sue spalle e solo in quel momento Yuzo la vide. Era la base di una statua che, anche se coperta di muschio ed edera, aveva le forme ancora visibili. Forme piuttosto grezze, di chi vi aveva lavorato a lungo ma con sofferenza. Tre figure si ergevano illuminate da sottili aghi di luce: un uomo, una spada in una mano impugnata con la possente lama rivolta in basso, un’altra spada a riposo nel fodero; lo sguardo fiero, la testa alta. Accanto a lui, una donna restava in ginocchio. Le mani al petto e il viso al cielo, sembrava stesse pregando o lanciando un incantesimo; i lunghi capelli sciolti trasfiguravano in rami e foglie. Alle loro spalle un secondo uomo, più anziano del primo, tendeva un arco verso l’infinito.
    “Eccoli qui.” Mamoru parlò di nuovo con la stessa causticità. “Tuo padre, tua madre e tuo nonno. La tua famiglia, Yuzo, e sono morti.”
    Quell’ultimo battito di cuore vibrò con un rumore così cupo e profondo, nel petto del volante, che rimbombò per riflesso in ogni parte del corpo e dopo non fu più in grado di sentirlo, come se si fosse fermato.
    Niente pillole indorate, niente gabbie di cristallo. La verità, nuda e cruda. E la verità era che non c’erano più.
    Sua madre… suo padre… e anche suo nonno… non c’erano più.
    Niente più volti da vedere né voci da sentire.
    Morti.
    E… e perché? Quando?
    Scosse il capo con lentezza, nemmeno fosse stato una bambola che avesse esaurito la corda. Gli occhi inglobarono la possanza della statua, ricavata da un unico blocco di roccia, e si sentì improvvisamente solo, perduto. Una strana smorfia gli deformò i tratti mentre avanzava lentamente un passo alla volta e si domandava perché la stesse prendendo così male; in fondo, a lui non importava, no? Non gli importava nulla di loro; che fossero vivi o morti che differenza faceva?
    Mamoru lo osservò vacillare e lesse confusione nei suoi occhi per quell’improvvisa incapacità di controllare la barriera dietro cui aveva isolato i sentimenti. In quel momento, capì che il rumore crepitante che era convinto di sentire veniva proprio da quel vetro, dalla muraglia. Scheggia dopo scheggia, frattura dopo frattura il dolore stava per mandarla in pezzi.
    Ingoiò la voglia che aveva di difenderlo da tutto quello, perché Yuzo aveva bisogno di sapere le cose come stavano, senza filtri e senza protezioni, altrimenti non le avrebbe mai affrontate. Così, continuò a parlargli in tono duro.
    “Esatto, non ci sono più. E sai perché? Perché credevano nella libertà. Come tutte le persone che sono qui.”
    Yuzo guardò quel crogiolo di lapidi, sentendosi schiacciare da tante di quelle emozioni che non riuscì a dire nulla, ma le smorfie sul suo viso parlarono per lui, mentre la Fiamma gli si parava davanti.
    “Uomini e donne, anziani e bambini, massacrati come animali perché avevano osato ribellarsi.”
    Smettila! Smettila! Non voglio ascoltare!” gridò Yuzo cercando di sopraffarlo. Lesto si strinse la testa tra le mani perché faceva male, troppo male, ma la Fiamma lo costrinse con forza a guardarlo negli occhi.
    No! Tu devi sapere, Yuzo! Devi sapere che tu e Haruko siete sopravvissuti a tutto questo! Devi sapere che se lei non ti avesse abbandonato all’orfanotrofio di Mizukoshi saresti morto anche tu! Lei ti ha salvato e tutto questo devi saperlo perché i tuoi genitori erano degli eroi che hanno dato la vita per quello in cui credevano! Eccola la verità! E tu gliela devi perché loro sono morti anche per te!” Fissò intensamente i suoi occhi affinché comprendesse ogni singola parola, fino in fondo. “Ti volevano bene. Te ne hanno sempre voluto e ti hanno protetto fino alla fine. Non dimenticartelo mai” concluse, il tono di colpo calmo. Lo lasciò andare, ma il volante, oramai, non lo vedeva più. Lo sguardo fisso oltre la sua spalla, inchiodato alla base di quella statua dove, nella pietra, erano scolpiti i nomi dei suoi genitori. La sua famiglia, quella vera. Quella che, per rendersi tutto più facile, aveva finto non fosse mai esistita, perché dimenticare chi non si era mai conosciuto era meno doloroso, perché raccontarsi bugie invece di scavare con le unghie e con i denti per sapere la verità era molto più facile. E quando Mamoru si fece da parte, lui mosse in avanti i suoi passi, avvicinandosi al monumento. Le dita tremanti seguirono il contorno delle incisioni, lettera per lettera, nome per nome. Vennero scolpiti di nuovo, questa volta dentro di lui.
    Bashaar.
    Arya.
    Alevhar.
    “…Morisaki” sussurrò, cadendo in ginocchio. “Mi chiamo Yuzo Morisaki…”
    Con la stessa lentezza sollevò lo sguardo per osservare da sotto in su quella famiglia che aveva perduto troppo presto e in quell’attimo avvertì il crollare della muraglia invalicabile, della barriera oltre la quale aveva intrappolato ogni dolore. Sentì lo sgretolarsi dell’incantesimo di controllo dietro cui si era nascosto fin dalla prima volta che era stato capace di crearne uno e lo capì anche Mamoru, alle sue spalle.
    Ancora in ginocchio, gli occhi di Yuzo si riempirono di lacrime mentre il respiro diveniva breve e veloce, e quando il cuore gli esplose nel petto riversò fuori tutto il dolore che aveva accumulato negli anni in un grido liberatorio.
    Perché?! Perché ve ne siete andati?! Io avevo bisogno di voi! Perché non siete rimasti con me?! Perché?! Perché?! Perché?!
    Uno, due. Pugni infiniti si infransero nel suolo, sollevando la terra. Ognuno più furioso di quello che l'aveva preceduto, si susseguirono fino a che Mamoru non li fermò. Alle sue spalle, lo bloccò in una stretta forte e protettiva.
    “Buttali fuori. Buttali fuori, Yuzo.” Le parole della Fiamma arrivarono sussurrate ma decise. “Di tutta questa rabbia e questo dolore non hai bisogno. Grida fino a non avere più fiato, piangi fino a che non ci saranno più lacrime e liberati di loro così che non possano più farti del male. Mai più.”
    E il volante pianse, pianse con tutto sé stesso, e gridò, come non ci fosse stato un domani per farlo ancora.

     

    IRIS OST - Sad Love
    (Drama version - strumentale)

    Mamoru lo tenne stretto fino a che non lo avvertì rilassarsi. La fronte appoggiata contro la sua nuca.
    Solo quando sentì una mano fermarsi sulle sue sollevò il capo, notando che Yuzo aveva smesso di piangere.
    La luce era calata drasticamente rispetto a quando l’aveva portato nel cimitero e si rese conto che il sole doveva essere ormai al tramonto. Seguitò a non dire nulla, sulle prime, ma quando udì Yuzo prendere un profondo respiro, parlò.
    “Come ti senti?”
    Il volante non rispose subito, come se ci stesse seriamente pensando. In altre occasioni gli avrebbe risposto con uno dei suoi falsi ‘bene’ con cui solitamente tendeva a proteggere verità che non voleva palesare, ma in quel momento non ci provò nemmeno a nascondersi.
    “Spezzato” ammise infine. Ingenuamente, era stato convinto che dopo essersi sfogato sarebbe stato meglio, ma si era sbagliato. ‘Meglio’, che era minore di ‘bene’, era una parola lontana verso l’infinito. Il dolore era ancora lì, l’angoscia era ancora lì; avevano solo attenuato la morsa. “Ti sei sentito anche tu così quando hai saputo della morte di tua madre?”
    “Qualcosa del genere.” Mamoru sospirò. Il suo dolore era stato anestetizzato dalla rabbia che aveva provato verso di lei per il gesto che aveva compiuto. Più che spezzato, si era sentito tradito a morte.
    “Non passerà tanto presto, vero?”
    “Non pretendere di costruire una città in un giorno.”
    La Fiamma non poteva dargli la certezza che sarebbe mai passato sul serio; forse si sarebbe solo indebolito, col tempo. Tanto tempo. Anche quello, Yuzo avrebbe dovuto comprenderlo da solo, un po’ alla volta, non era un qualcosa che le parole potevano spiegare in maniera esauriente, ma era una consapevolezza che il cuore avrebbe acquisito in autonomia da ogni razionalità.
    “Erano tante informazioni, tutte insieme. Hai bisogno di un po’ di tempo per metabolizzarle nel modo giusto.” Dicendo questo, allentò la presa fin quasi a scioglierla, ma il volante gli fermò le mani prima che potesse ritrarle.
    “Esiste davvero un modo giusto?”
    Mamoru osservò la nuca dove spiccava la nera pietra d’onice, proprio sotto ai suoi occhi. No, non esisteva, ma non se la sentiva di togliergli anche quell’aspettativa, però non la confermò.
    “Anche questo non puoi pretendere di saperlo subito.”
    “E allora cos’è che posso sapere, adesso?” Yuzo esalò un profondo respiro, appoggiandosi contro il compagno. Sollevò il viso alle fronde dai colori falsati per il tramonto e i verdi più scuri tendevano al buio. “Cos’è che mi è rimasto? Quale certezza ho, nell’immediato presente, da cui cominciare? Un punto di partenza…”
    Mamoru lo sorresse, riuscendo a scorgerne il profilo. “Il tuo punto di partenza è questo, Yuzo. Questo cimitero, quella statua. La certezza è la loro storia. Sta solo a te decidere se vuoi conoscerla. Haruko ti sta aspettando per raccontarti ogni cosa; è da una vita che aspetta di poterlo fare.”
    “Lei… Siamo parenti, vero?”
    “Tua madre era sua sorella.”
    Il volante inspirò a fondo, smettendo di appoggiarsi a lui. “Mia zia.” Lasciò andare le mani di Mamoru, annuendo piano. “Ho una zia.”
    “Anche quello è un punto di partenza” sorrise la Fiamma, sciogliendo l’abbraccio. Lentamente si alzò, portandosi davanti a lui. “Andiamo?”
    Yuzo guardò a lungo quella mano tesa. Haruko, sua zia Haruko gli avrebbe raccontato quello che era successo ai suoi veri genitori, perché erano morti e per mano di chi. Non era sicuro di essere pronto davvero, ma non poteva più pretendere che gli eventi lo aspettassero ancora. Strinse le dita della Fiamma e si lasciò aiutare.
    Adagio si mossero insieme per raggiungere la loro nuova destinazione, abbandonando alle loro spalle il cimitero di Ghoia.

    Haruko li stava già aspettando sul limitare del bosco. Quando li vide, mostrò un sorriso incerto e imbarazzato. Strinse nervosamente le mani, abbassando lo sguardo al suolo.
    “Non vi vedevo tornare e mi ero un po’ preoccupata. Scusate.” Si giustificò.
    Mamoru le sorrise, rivolgendole un inchino, mentre Yuzo restava arretrato di un passo rispetto al compagno, quasi avesse paura ad avvicinarsi. Ed era strano vedere il volante che rifuggiva le persone, quando di solito era il primo a fare amicizia con chi stava loro intorno.
    Mamoru si accorse delle occhiate che lanciava all’ostessa. Erano fugaci e le distoglieva subito.
    “Allora, io torno in città.” La Fiamma fece per prendere concedo, ma Yuzo lo guardò smarrito e agitato. Mamoru sapeva che non poteva essere presente, per quanto desiderasse rimanere al suo fianco: era la sua famiglia, ed era con Haruko che avrebbe dovuto affrontare lo scoglio della verità; lui ci sarebbe stato per raccogliere i cocci che il dolore avrebbe lasciato dietro di sé. Per rassicurarlo, gli poggiò una mano sul braccio, accennando un sorriso. “Ti aspetto alla locanda.” Rivolse un cenno del capo all’ostessa e si allontanò.
    Yuzo lo vide andare via ma non riuscì a dire nulla, però avvertì nettamente la perdita di quel minimo di sicurezza che la presenza di Mamoru era riuscita a infondergli fino a quel momento. Ora che non c’era più, si sentiva schiacciato dal senso di disagio e quando si volse per osservare la figura di Haruko, vide che anche lei era in difficoltà, ma gli sorrideva ugualmente con lo stesso calore che aveva avvertito quando gli aveva detto di somigliare a suo… suo padre. Deglutì con uno sforzo, sentendo la gola improvvisamente secca.
    “Immagino che Mamoru ti abbia mostrato il cimitero dei briganti” disse lei con calma, mentre la parola ‘briganti’ gli si piazzò al centro della testa, scacciando tutte le altre. Briganti. Daaku. Quindi era questo il collegamento. I suoi genitori erano… briganti?
    D’improvviso, si rese conto di avere tantissime domande cui desiderava avere una risposta.
    Annuì, pur senza dire nulla. Lei sorrise un po’ di più.
    “Allora vieni, ci sono altri posti in cui voglio portarti.”
    Haruko si incamminò e lui le tenne dietro seppur a distanza di qualche passo. Tornarono a immergersi nella foresta, ma il percorso che seguirono gli parve differente. Di lontano, tra le cime degli alberi dove le fronde si districavano un po’, si riuscivano a scorgere i pendii delle prime montagne che già appartenevano al complesso del Nohro. E più camminavano, più divenivano vicine.
    Tornarono a incrociare lo stesso torrente che aveva superato con Mamoru, ma da un punto diverso, più alto, e tra i tronchi e la vegetazione abbondante scorse quello che sembrava un vecchio sentiero. Anche se ricoperto per la maggior parte dall’erba, si potevano ancora vedere i solchi scavati nella terra. Alla fine del percorso sbucarono in quello che gli parve un rudere. Tra gli alberi ricresciuti e la gramigna, i rampicanti e i muschi notò sagome diroccate di case.
    “Questo era il piccolo paesino che i briganti avevano costruito dal nulla, come loro dimora” spiegò Haruko, fermandosi al centro dell’area e Yuzo la imitò. Titubante, si guardava attorno, sperando, da un momento all’altro, di riuscire a scorgere qualcosa di familiare. Qualsiasi cosa. Ma poi si diede dello stupido perché era impossibile che potesse ricordare alcunché; era stato troppo piccolo allora.
    Quindi osservò le case dalle facciate crollate, i tetti sfondati e le mura divorate dal verde come le vedesse per la prima volta, scrutandole tutte attentamente. Non gli diede l’idea di un luogo che era stato abbandonato, quanto distrutto.
    “Cos’è… successo?” domandò piano, temendo la risposta.
    “Hanno bruciato ogni cosa. Abbattuto le case a colpi d’ascia. Non volevano che rimanesse alcuna traccia di questa città e dei suoi abitanti.” Haruko camminò fino a un punto poco più avanti a dove si erano fermati. Si inginocchiò e poggiò una mano al suolo.
    Solo allora Yuzo vi scorse una ghirlanda di fiori bianchi. Bianchi con le punte colorate di verde. Gli stessi del suo campanellino.
    “Tuo padre è morto qui.”
    Il volante cercò di ingoiare il groppo che gli aveva repentinamente serrato la gola, ma senza riuscirci. Gli occhi fissi su quei fiori le cui corolle oscillavano al vento, mentre la testa lavorava senza sosta per riuscire a immaginare il come, il perché. Per riuscire a trovare, di quell’uomo, anche il più piccolo e insignificante ricordo. Ma era uno sforzarsi a vuoto. Non ne aveva nessuno.
    Haruko indicò verso l’alto, il costone della montagna che si affacciava a strapiombo sul villaggio. “Tua madre, invece, è spirata lassù. Su quel pianale.”
    Il groppo si fece così grande che gli impedì addirittura di respirare, tanto che fu costretto a farlo con la bocca, e nella gola il sapore del sale scivolava lento. Qualcosa iniziò a bruciare e ribollire. Risalire.
    “Chi è stato?”
    Haruko tornò verso di lui. “Il Delegato Dogale.”
    Il suo sguardo ebbe un guizzo di totale sgomento, tant’è che se ne accorse anche l’ostessa.
    “Per questo non volevo che andassi da lui né che i suoi uomini ti vedessero. Ti avrebbero riconosciuto all’istante, sarebbe stato troppo pericoloso. Non volevo che rischiassi.”
    Ma Yuzo non la udì, troppo preso dal pensiero che fosse stato proprio un uomo del Doge, un uomo di legge, ad aver ucciso i suoi genitori, ad aver distrutto un intero villaggio. Per quanto fossero stati dei briganti, non era questa la giustizia del Re, non era così crudele. Mai.
    “Perché?” domandò, fissando di nuovo la ghirlanda come non vedesse altro. Ma ad Haruko non sfuggì il modo in cui gli era tremata la voce. E non era solo per la sofferenza o per il dolore: era rabbia.
    L’ostessa gli prese la mano e solo allora il volante si accorse di aver stretto il pugno talmente forte d’aver fatto divenire livide le nocche.
    Quel gesto riuscì a chetarlo, ma non fu in grado di guardarla a lungo negli occhi. Tanto che li distolse per farli arenare nuovamente su quei fiori abbandonati sull’erba, però non si ritrasse al suo tocco.
    In quel luogo, in cui l’erba ricresceva sulla distruzione, per seppellirla e renderla meno amara e spaventosa, per darle un colore che non fosse quello della cenere, Haruko gli raccontò ogni cosa. Gli raccontò di quell’evaso da Bàkaras e dei suoi compagni che erano divenuti i Briganti di Ghoia, gli raccontò di quella Erborista che non aveva paura e di come lei e l’evaso avessero costruito un’intera comunità, trasformando ciò che era ritenuto fuorilegge in giustizia e di come insieme avessero combattuto il vero usurpatore, il vero assassino, il vero brigante. Gli raccontò di come si fossero amati e di come avessero amato lui, prima che la vendetta del pavido Delegato avesse separato tutti e tre, uccidendone due, e distruggendo la libertà di Ghoia col fuoco e la spada. Gli raccontò di quanto avesse corso, nella foresta, per portarlo a Mizukoshi e di quanto avesse sofferto nel doverlo lasciare ai piedi dell’orfanotrofio perché era l’unica possibilità che aveva di sopravvivere e di provare, almeno lui, a essere felice. Gli raccontò di come avesse pregato ogni giorno e di quanto si fosse sentita sollevata nel sapere che era stato adottato addirittura dal Console dell’Aria. Gli raccontò anche del glifo che Arya gli aveva lasciato e di come il suo padre adottivo sapesse la verità.
    Gli raccontò ogni cosa, senza esitare e tenendogli costantemente la mano. Pianse mentre gli parlava, ma non si fermò nemmeno un attimo e lui l’ascoltò senza interromperla.
    Assorbì ogni sua parola, ogni sua memoria, ogni suo dolore e ogni sua lacrima quasi fosse stato una spugna e fece trovare ordine a tutto ciò che si era precluso negli anni.
    I suoi genitori l’avevano amato, ma era stato troppo piccolo per averne ricordi. Non aveva nemmeno un’immagine in cui poter provare a riconoscere sé stesso. Non aveva niente se non le loro ceneri e nel grigio non c’erano colori da associare ai capelli e agli occhi, non c’erano sorrisi né il calore delle loro braccia, non c’erano le voci che lo chiamavano. Nella cenere c’era solo il loro addio.
    Le lacrime gli sfuggirono senza un lamento nel realizzare che erano morti troppo presto mentre lui era cresciuto troppo tardi e che, anche se era tornato lì, non ci sarebbe stato nulla che avrebbe potuto fare per salvarli, perché i morti non tornavano. Non gli era rimasto più niente di loro.
    Mamoru aveva detto che il cimitero sarebbe stato il suo nuovo punto di partenza, assieme alla loro storia, ma si era sbagliato, perché quelli non erano che la fine. Nella morte non c’era alcun inizio, così come in una storia passata che gli anni avevano provveduto a seppellire, assieme alle ceneri.
    Troppo tardi.
    Troppo, troppo tardi.
    Haruko gli carezzò il viso con affetto e lui si riscosse, sollevando lo sguardo dalla ghirlanda a lei. Fissò i suoi occhi con maggiore attenzione e stavolta il loro colore gli divenne familiare sul serio.
    L’ostessa gli sorrise dolcemente. “Loro sarebbero felici di saperti qui, in questo luogo. Era il villaggio in cui avrebbero voluto crescerti. Solo il fatto che tu l’abbia visto è importante.”
    Lui aggrottò le sopracciglia, scuotendo il capo. Con fermezza, ma senza essere brusco, si liberò dal tocco delle sue mani e si allontanò di un passo, asciugando le lacrime nella manica dell’abito.
    “E a che serve? Che io sia qui non cambierà la cose. Non cambierà quello che è stato.”
    “Questo è vero” sospirò la donna, osservando la sua schiena. “Ma gli ideali non muoiono.”
    Yuzo la guardò. “Gli ideali?”
    “Sì. Questi ruderi, il cimitero, la statua e il luogo in cui ti porterò adesso continuano a conservare tutti i loro ideali. Ne sono pregni, in ogni filo d’erba che è cresciuto su queste macerie, in ogni goccia di pioggia che è caduta sulle lapidi e nel cuore di ciascuno di noi che popoliamo la città: gli ideali dei Briganti di Ghoia, di Bashaar e Arya, continuano a vivere. Non li abbiamo dimenticati solo perché seguitiamo a chinare la testa.”
    Gli ideali vivevano. Anche nel cimitero.
    Era quello il vero punto di partenza?
    “Dove vuoi portarmi?” chiese e a quella domanda Haruko tornò a sorridere.
    “In un posto che ti piacerà più di quanto pensi.”
    Sollevando appena la gonna, che ogni tanto toccava il suolo, l’ostessa si tornò a immergere nella boscaglia e a lui non rimase che seguirla. Salirono, inerpicandosi per un sentiero maggiormente stretto e nascosto. Si ritrovarono in una zona dalla vegetazione più selvaggia. L’erba era cresciuta alta e spesso s’alternava ai rovi tanto che se ne trovarono davanti una specie di tenda. La strada era bloccata, o almeno così credette Yuzo, ma Haruko impiegò un attimo a sollevare interamente lo strato di pruni.
    Nascondeva un passaggio ed era fatto così bene da sembrare che non potesse esserci nulla oltre se non altra sterpaglia e foresta. Invece, il sentiero li guidò fino a un piccolo pianale ricco di denti di golkorhas(7). Le corolle gialle erano ormai state sostituite dalla morbidezza dei pappi bianchi che si staccarono quando vennero attraversati da un’improvvisa folata di vento. Yuzo li vide sollevarsi in una nuvola leggera e allontanarsi verso Sud-Ovest. Da quella parte c’era una perfetta visuale delle montagne Nohro in tutta la loro imponenza e i picchi innevati.
    E il sole al tramonto investiva tutto l’anfratto e quella… casa.
    Era modesta e in legno, piena di luce.
    Haruko le si avvicinò, attraversando la distesa di fiori con movimenti che sembravano aver messo da parte la sofferenza mostrata quando si trovavano al villaggio dei briganti.
    “Vieni!” esclamò, ed era già arrivata al portico, mentre lui era rimasto fermo. Gli fece cenno di avvicinarsi e Yuzo tornò a muoversi. I pappi l’avvolsero come si immerse in quel mare di fiori e gli volarono intorno prima di allontanarsi, portati dal vento.
    La prima cosa di cui s’accorse fu lo stato perfetto in cui la casa era tenuta. Qualcuno, di sicuro Haruko, doveva andarci regolarmente per pulire; sembrava fosse abitata.
    L’ostessa estrasse una chiave dal grembiule e aprì la porta. Entrò velocemente e corse ad aprire le finestre per permettere alla luce del tramonto inoltrato di illuminare l’ambiente.
    Lui era rimasto sulla soglia, quando Haruko tornò a raggiungerlo.
    “Cosa aspetti?” gli sorrise, prendendogli la mano e tirandolo all’interno. “Sei a casa.”
    A quelle parole gli parve che la schiena venisse attraversata da un lunghissimo brivido.
    Casa.
    Casa sua.
    Un divano, un tavolo e delle sedie, mobili, un camino, una libreria, ninnoli.
    Casa.
    Porte, finestre, altre stanze ancora nascoste.
    Casa.
    Gli tremarono le gambe.
    “L’ha costruita Bashaar, tutto da solo, così come da solo ha scelto il posto in cui sarebbe sorta. Tua madre era un’Erborista e lui aveva cercato il luogo più adatto a lei. Non ha mai permesso a nessuno di avvicinarsi mentre la tirava su. L’ha finita il giorno prima del matrimonio. Ad arredarla però ci ha pensato Alevhar. Tuo nonno era un falegname davvero bravo.”
    Yuzo camminò sul legno facendo talmente tanta attenzione da non farlo nemmeno scricchiolare. Temeva che ogni cosa potesse rompersi all’improvviso e scomparire in un attimo.
    Casa.
    La sua.
    Ne aveva davvero una.
    “Tu sei nato qui” rise Haruko. “E quel giorno è stato memorabile.”
    Lui non sapeva dove girarsi e cosa guardare, desiderava poter poggiare gli occhi su tutto contemporaneamente, ma non era possibile e seguitava a sembrare più intimorito che emozionato. Toccò appena la superficie di un mobile accanto all’ingresso e subito ritrasse la mano, tanto che la zia lo guardò divertita.
    “Vuoi sapere perché tutti ti osservano con così tanto sconcerto?” Gli domandò d’un tratto, attirandolo di più verso il centro della stanza. Yuzo spostò lo sguardo su di lei che gli indicava il camino. Sopra il camino.
    Non aveva visto quel quadro appena era entrato. Gli era sfuggito nel rincorrersi degli oggetti che erano divenuti così tanti che non aveva più saputo dove girarsi, ma appena i suoi occhi si poggiarono sulla grande tela appesa alla cappa, ogni altra cosa, attorno a lui, scomparve.
    Si dimenticò anche di respirare.
    Bashaar era ritratto in piedi, appoggiato alla spalliera della sedia sulla quale era seduta Arya.
    Erano uguali davvero.
    La somiglianza non lasciava adito a dubbi sul fatto che fossero padre e figlio. Si distinguevano solo per il colore degli occhi e per quelle cicatrici. Ogni punto scoperto che era stato dipinto aveva un segno. Il viso, le braccia, le mani. Tracce di lotte passate, di sofferenza. Le tracce di Bàkaras. Di giustizia negata.
    Eppure stava sorridendo. O, meglio, accennava un sorriso che però sembrava renderlo davvero felice.
    I suoi occhi si spostarono e stavolta inspirò così a fondo da riempirsi i polmoni, mentre il cuore perdeva un battito nel rifluire dell’aria all’interno del petto.
    Quella era sua madre.
    Quel sorriso solare che le illuminava il volto, quei capelli biondi lunghissimi e mossi che le scivolavano addosso, quegli occhi… che erano i suoi occhi, lo stesso colore. Bella come non avrebbe mai saputo raccontare e che trasmetteva un’infinita gioia di vivere.
    E allora… se l’uomo era suo padre e la donna sua madre… il bambino che lei stringeva… era… lui?
    Una macchia rosa infagottata.
    Loro…
    Lui…
    Insieme.
    Quei volti si incisero nella sua mente in linee e colori, colmando tutti i vuoti della sua memoria, come tessere d’un mosaico. La traccia che fossero esistiti davvero, che non fossero solo racconti sconosciuti, che fossero stati uniti era lì davanti, l’unica a essergli rimasta.
    Si mosse per raggiungerla senza nemmeno accorgersene. Girò attorno al divano, arrivò davanti al camino. La tela era alta sopra di lui e sembrava che i loro occhi lo seguissero a ogni movimento.
    “Mamma… papà…” Toccò il quadro con la punta delle dita e l’insieme di emozioni che aveva dentro l’illuse che fosse caldo, quasi come se in esso fosse rimasto un ultimo soffio vitale che stava aspettando solo il suo ritorno per potersi dissolvere.
    “Lo ha dipinto Hock Settedita, uno dei briganti” spiegò Haruko, appoggiata alla spalliera del divano. “Anche il Console è rimasto impressionato quando l’ha visto.”
    Yuzo si volse. “Mio padre è stato qui?”
    Haruko annuì. Lentamente gli si fece vicino. “Avete avuto la stessa reazione. Anche lui ha indugiato un po’, prima di avvicinarsi per toccare la tela.” Gli carezzò il viso con affetto. “Si è commosso. L’ho capito subito che ti vuole infinitamente bene.”
    Lui distolse lo sguardo, piegando le labbra in un’espressione ferita. “Perché non me l’ha detto?”
    “Se lo avesse fatto, tu l’avresti ascoltato?”
    Il volante dovette ammettere che no, non l’avrebbe fatto. Quando era a Dhyla aveva accusato Mamoru di essere troppo testardo, ma a pensarci bene, era stato proprio l’ultimo a potersi permettere di parlargli in quel modo.
    “Il Console Shiroyama sapeva che non avresti mai voluto affrontare l’argomento, perché provavi ancora troppo rancore. Non eri pronto e lui non poteva costringerti.”
    Yuzo sollevò nuovamente lo sguardo. “Ma se lui sapeva quello che il Delegato stava facendo a questa città, perché non è intervenuto?! Avrebbe potuto dirlo al Doge! Avrebbe-”
    “All’epoca era ancora un Master e, per quanto avesse avuto una grande influenza, i Doge non fanno riferimento esclusivamente al potere religioso. Inoltre… sono stata io a chiedergli di non agire.” Haruko scosse il capo, voltandogli le spalle. “Per anni ho desiderato di vederti per poterti raccontare ogni cosa, ma mi rendevo conto che non era giusto. Non era giusto che tu dovessi soffrire così tanto. Il Console mi aveva detto che eri felice, lì, alla scuola, e chi ero io per rovinare la tua felicità?” Tornò a guardarlo, torturandosi le mani. “Volevo tenerti lontano da tutto questo dolore. A maggior ragione adesso, che avevi trovato la tua strada. Arya e Bashaar non avrebbero mai voluto che tu soffrissi. Per questo chiesi al Console di non fare nulla. Era un nostro problema e tu eri già stato punito abbastanza per essere stato abbandonato. Ma lui era convinto che un giorno avresti saputo la verità, anche se non sapeva quando. Era fiducioso e credeva nella tua bontà. Non pensavo che quel giorno sarebbe arrivato così presto.” Tornò ad accigliarsi, mentre Yuzo restava in silenzio, ancora fermo presso il camino. “Domani Ghoia sarà piena di soldati. Il Delegato Dogale non perderà l’occasione di vedere il figlio dell’uomo che gli ha dato tanti problemi, in passato. Verrà per uccidere anche te…”
    La vide portarsi una mano alle labbra per sforzarsi di ricacciare le lacrime, ma quando si mosse per avvicinarla e dirle che era impossibile poiché non doveva dimenticare che era un Elemento, Yuzo urtò qualcosa col piede. Qualcosa che era appoggiato al lato del camino e che cadde al suolo con un suono cupo e pesante. Metallico.
    I suoi occhi trovarono la sagoma di una grossa scimitarra a riposo nel fodero che seguiva le forme della lama ampia e ricurva. L’elsa aveva una lavorazione particolare, che si avviluppava lungo l’impugnatura. Era stata lucidata alla perfezione eppure era chiaro che qualcuno doveva averla usata per molto, molto tempo.
    “Quella è Dolore” spiegò Haruko. Con fatica, poiché molto pesante, la sollevò da terra e gliela porse. “E’ la spada con cui tuo padre è stato ucciso. La gemella, Vendetta, Van Saal l’ha portata via come trofeo.” Yuzo la prese dalle sue mani, mentre lei seguitava a raccontare. “Quando Bashaar giunse qui le aveva già con sé; non se ne separava mai. Venivano da Bàkaras, diceva sempre che rappresentavano i ricordi del passato e i propositi del futuro.”
    Dolore e Vendetta. Tutto quello con cui suo padre era cresciuto, le sue compagne di vita e di morte.
    “Non le faceva toccare a nessuno, nemmeno ad Arya. Non voleva che si avvicinasse al suo lato peggiore. Con l’ingenuità di quando ero bambina, ero sempre stata convinta che lei sarebbe riuscita a fargliele mettere da parte, un giorno. A fargliele dimenticare. Ma Bash non avrebbe mai potuto farlo e questo Arya lo sapeva e lo rispettava.”
    Yuzo la strinse a sé e valutò quanto, effettivamente, fosse grande: la lunghezza della lama raggiungeva la caviglia e, contando il peso dell’elsa, la punta arrivava a sfiorare il suolo. Ci voleva un fisico imponente per maneggiarle e portarle entrambe al fianco e in questo suo padre non faceva difetto. L’aveva visto dal quadro: spalle ampie e braccia muscolose di chi aveva combattuto per tutta una vita e fosse abituato a fare lavori pesanti. Accanto a lui, sua madre gli era parsa così minuta e piccola. Un fiore di campo e lui la quercia che gli faceva ombra.
    Haruko gli fece cenno di nuovo, affinché lo seguisse, e si avvicinò a una delle porte ancora chiuse. L’aprì, ma da quel lato il sole non batteva e l’interno si presentò più in penombra, oscurato anche dalla folta vegetazione che cresceva alle spalle della casa. Con passo svelto, la donna raggiunse una piccola candela sul davanzale della finestra chiusa, sfregò l’acciarino e la scintilla attecchì subito. La fiamma che ne nacque era debole e tremula, ma sufficiente per illuminare l’interno.
    Il cuore saltò l’ennesimo battito e Yuzo pensò che se avesse continuato così avrebbe finito col morirne, ma sapeva anche che non avrebbe potuto controllarlo. Non c’era più nulla che potesse controllare di sé stesso, scivolava tutto dalle mani e dai pensieri. I suoi poteri erano la barca che aveva perduto timone e rotta, non avevano più senso. E tutto questo perché quella che si trovò davanti, una volta entrato nella stanza, fu una culla.
    “Alevhar l’ha costruita con tantissima cura. Voleva che la tua camera fosse accogliente.” Haruko sfiorò le lavorazioni sulla testiera e lungo le sbarre: erano intagliati riproducendo rami e foglie che si intrecciavano le une alle altre. E sulla testiera vi era inciso un quadrifoglio. “Amava profondamente la Natura, anche per questo andava d’accordissimo con tua madre. Era molto devoto alla Dea Minore Azumi e voleva che questo quadrifoglio ti potesse portarti fortuna.”
    Yuzo appoggiò Dolore accanto alla porta e poi avanzò. Adagio si affacciò aspettandosi quasi di vedere un bambino dormire placidamente, pugnetti chiusi, ma la culla era vuota. Ripiegata al suo interno vi era solo una coperta verde chiaro.
    Mentre Haruko continuava a parlare, a raccontare aneddoti su quella stanza, Yuzo vide il tempo scorrere attorno a lui velocissimamente. Vide l’arredamento cambiare, la culla sparire sostituita da un letto. Giochi sparsi, risate nell’aria, soli che sorgevano e tramontavano e mobili che cambiavano. Libri, candele che si consumavano e venivano sostituite, tende e piante, voci che divenivano più mature, ma che continuavano a ridere ed essere felici.
    La vita che avrebbe avuto se i suoi genitori fossero stati ancora vivi gli corse attorno impazzita, vissuta solo col pensiero mentre la realtà restava una sola e immutabile. La testa gli girò assieme al tempo ormai perduto che portava via tutto ciò che di tangibile poteva vedere, mentre l’invisibile continuava a vivere proprio come gli aveva detto sua zia. Gli ideali aleggiavano anche in quella stanza, vincevano la morte come le phaluat, che nella fine creavano un nuovo principio, ed era terribile che proprio lui, Elemento d’Aria, non ci avesse pensato all’istante, ma si fosse lasciato sopraffare dal proprio dolore.
    Anche la lucidità della ragione si era perduta assieme al controllo, assieme ai suoi poteri, assieme a sé stesso. Lui si era perduto e non vedeva strade per potersi ritrovare.
    Appoggiato alle sponde della culla, Yuzo si guardò intorno. Lo sguardo vagava di nuovo al presente, per quella cameretta che non aveva mai vissuto, ma tutto ciò che riusciva a pensare era che tutti avessero sempre cercato di proteggerlo: suo padre, i suoi veri genitori, suo nonno, Haruko. Tutti avevano fatto ciò che era in loro potere per preservarlo da quella verità scomoda e dolorosa, per preservare la sua vita come fosse la cosa più importante che avessero e lui, invece, come li aveva ripagati? Come aveva ricambiato tutto l’amore che gli avevano dato?
    Con l’ingratitudine. Con l’odio. Con la menzogna. Con la presunzione che nessuno avesse mai potuto capirlo fino in fondo.
    Si sentì la persona più orribile di Elementia.

     


    [1]: riferimento al frammento "La Piuma di Yayoi" della raccolta "Elementia: Fragments".

    [2]VAN SAAL: Erik Van Saal è l'allenatore del Barça nel Road to 2002. X3 Visto che purtroppo il manga di CT ha penuria di personaggi veramente cattivi (oltre Bala, ma l'avevo già usato! XD), ho dovuto trovarne un altro e sono andata a pescarlo tra quei personaggi che mi stanno cordialmente sulle balle. *ride* Van Saal rientrava nella lista XD. E poi è parecchio sprucico, con quei modi di fare che sembra sapere tutto lui. Allora mi son detta: "Van Saal, sei stato nominato!". Avrei potuto anche usare l'altro tipo che stava con Van Saal, Sebastian Cou, che era effettivamente un coglionazzo, ma non aveva la forza che serviva a me. Van Saal, invece, mi sembrava il personaggio ideale. :D Ergo, fategli un applauso, si è appena sacrificato per la patria! *applaude* (per vedere Van Saal: *clicca qui*)

    [3]BAKARAS: è stata nominata per la prima volta e solo di sfuggita nel Capitolo 6: "Il Circo Acquatico" - parte III.

    [4]: confrontare "Enciclopedia Elementale - Vol.4: Gli Ozora e i Gamo - La Faida tra gli Ozora e i Gamo"

    [5]: riferimento al frammento "La Piuma di Yayoi" della raccolta "Elementia: Fragments".

    [6]: Discorso affrontato nel Capitolo 10: "Il compleanno di Teppei" - parte III

    [7]DENTI DI GOLKORHAS: ovvero... i comunissimi Denti di Leone X3. Visto che i Golkorhas sono chiamati 'leoni di montagna', beh, mi sembrava ci stessero bene, no? I denti di leone sono di colore giallo *clicca qui*, ma quando le corolle sfioriscono lasciano i semi, cioè i pappi. E i pappi sono quei cosini bianchi, piumosi, che da bambini venivano fatti soffiare via e si esprimeva un desiderio :3 Sì, i soffioni. *clicca qui*
    Il nome tecnico della pianta è Tarassaco officinale (Taraxacum officinalis). :3


    …Il Giardino Elementale…



    Partiamo dalla premessa che la nota finale a questo capitolo l'avevo scritta la settimana scorsa, ma mi sono vista costretta a stravolgerla. XD
    Avevo scritto per comunicarvi che i capitoli sarebbero passati da 18 a 17, poiché volevo accorpare (come avvenuto per il penultimo e l'ultimo capitolo) anche il 13° e il 14°. Peccato che alla fine sia spuntato fuori un NUOVO capitolo 13 praticamente dal nulla e che quindi i capitoli resteranno 18 XDDDDDD Sono psicopatica!
    Questo nuovo capitolo 13 (già pronto e mandato dalla beta) doveva essere solo riassunto in quello che ora sarà il capitolo 14. Alla fine, mi sono resa conto che era meglio svilupparlo da solo, per un sacco di motivi che vi spiegherò nella nota finale di quel capitolo XD.
    Inoltre, non penso di riuscire a scrivere per tempo il capitolo 14, per quanto ne abbia già una decina di pagine all'attivo. Dovrebbe contare circa quattro parti, se tutto va bene, se non andrà bene potrebbero variare tre le cinque e le sei. XD Il tutto è nella mani della mia logorrea.
    So bene di aver messo le mani avanti già col capitolo 12 e poi sono riuscita a finirlo, però, insomma, non si sa mai.
    Ovviamente, vi terrò aggiornati :D

    Venendo a questo capitolo, invece, ecco questa era una delle parti che non mi sentivo di dividere e che, quindi, v'è toccato beccarvi tutta intera. Volevo che aveste un quadro completo dell'insieme e, sì, angst a profusione, ma non abbiamo ancora finito XD *MWHAHAHAHAHAHAHA*
    Io ve l'avevo detto che Yuzo era un personaggio difficile; ormai lo conosco bene (XD), ed è per questo che mi fa penare ogni volta che devo andare a scavare nella sua testa. Perché elucubra, macina, i neuroni gli friggono il cervello ed è un complesso di tante cose insieme che riuscire a farle quadrare tutte non è semplice; anche se poi appare come un personaggio semplicissimo.
    Ok, per stavolta la pianto qui, che vi ho già ammorbato un sacco XD.
    Consiglio spassionatissimo: la musica che vi ho linkato, tratta dalla colonna sonora del K-Drama "IRIS", è BELLERRIMA. Ascoltatela! :3

    Grazie infinite a tutti coloro che continuano a seguirmi con affetto e costanza. *-* Grazie di cuore!



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

     

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    Capitolo 34
    *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte IV ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte IV)

    Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    Haruko era stata molto precisa nelle sue indicazioni e infatti non gli fu difficile riuscire a trovare il vecchio villaggio dei briganti e il sentiero.
    Mamoru superò il groviglio di sterpi e rovi che si erano aggrappati ai tronchi degli alberi, creando una tenda invalicabile che però non sarebbe riuscita a fermarlo poiché Haruko gli aveva spiegato come sollevarla.
    Dall’altra parte, dopo alcuni metri percorsi alla luce di un globo di fuoco, sbucò nella radura dei denti di golkorhas. La casa era proprio lì. Silenziosa, dal tetto spiovente, affacciata verso Sud-Ovest. La striscia di montagne appartenenti al Nohro non si riusciva a vedere; quella notte era troppo buia e senza luna. Le stelle non erano abbastanza.
    Si avvicinò adagio, gli occhi si poggiavano dove la fiamma arrivava a illuminare: i due scalini, il portico, il dondolo. All’interno sembrava tutto spento, quasi non ci fosse nessuno, ma la porta di ingresso era solo socchiusa e Mamoru seppe che Yuzo era ancora lì, in quella casa che era la sua, ma che non aveva mai creduto di avere.
    La Fiamma mosse piano l’uscio e il buio del salotto venne rischiarato dal fuoco. Il divano, al centro, puntava al camino spento, poi c’erano una libreria, un tavolo. Altre porte conducevano nei diversi ambienti.
    Camminò adagio, ma il suo peso fece scricchiolare il legno sotto i piedi. Se ne disinteressò quando scorse il grande quadro sopra la cappa. Levò la mano e il fuoco fece luce.
    Un uomo, una donna. In quei volti riconobbe gli stessi disegnati sui manifesti dei ricercati.
    Quindi, il neonato che lei stringeva tra le braccia doveva essere il volante.
    Lo sguardo di Mamoru si addolcì e le labbra si piegarono in un sorriso. Anche se solo in dipinto, Yuzo aveva ancora un ricordo in cui erano tutti e tre insieme. Era poco, lo sapeva anche lui, ma avrebbe dovuto imprimerselo a fondo nella memoria, marchiarlo, per non perderlo mai.
    I suoi occhi rimasero aggrappati al sorriso di Arya in cui, inconfondibile, riconobbe ancora e con più forza quello del volante.
    Volse lo sguardo e vide un leggero bagliore provenire da sotto la porta socchiusa di una delle camere.
    Con un gesto leggero, Mamoru spense il piccolo fuoco e si avvicinò alla stanza. Il buio rischiarato solo da quella luce debole e incerta.
    Sospinse l’uscio con due dita e questo si aprì senza fare rumore.
    Nella semioscurità non scorse nessuno, ma solo il mobilio. Una culla, delle sagome in legno le cui ombre rimbalzavano contro le pareti, un mobile basso.
    La camera di un neonato.
    Mamoru deglutì e avvertì amarezza scivolare nella gola assieme alla saliva.
    Tlin.
    Quel tintinnio gli fece volgere il capo.
    Tlin tlin tlan.
    Yuzo restava seduto su una sedia a dondolo che oscillava lentamente. Lo sguardo fisso sulla giostrina piena di ninnoli appesa sopra la sua testa. Con un dito la faceva ruotare adagio e ogni movimento era un suono sottile che si spegneva nel gelo della camera.
    A Mamoru sembrò improvvisamente distante, perduto in chissà quali pensieri che lo spingevano a fondo, gli tenevano la testa sotto la superficie di quel dolore che era denso e non gli permetteva di risalire, di tornare a respirare. Lo volevano affogare.
    Sospirando a labbra strette lo raggiunse, fermandosi al suo fianco.
    “Avevo detto che ti avrei aspettato alla locanda, ma volevo sapere se era tutto a posto. E’ stata Haruko a dirmi come arrivare qui.”
    “Papà ha costruito questa casa da solo, lo sai?” Yuzo lo ignorò, imprigionato nell’infinito rincorrersi di uccellini e campanelli a forma di fiore, lo stesso che il mercante gli aveva regalato, lo stesso che era intrecciato in una ghirlanda posta sul luogo dove suo padre era morto. “Ha rifiutato anche l’aiuto del nonno. Io non saprei mettere in fila nemmeno tre mattoni.” Esalò un sorriso che di divertimento non aveva nulla, nemmeno la forma.
    Mamoru non rispose, l’occhio gli cadde su quella che pensò dovesse essere una delle due scimitarre di Bashaar. Dolore.
    “Però, i mobili li ha fatti lui. Il nonno, dico. Ha costruito la culla, la cassapanca, la giostra…” Strinse il bracciolo, dondolandosi un po’ più forte. “Questa sedia.”
    Tlin tlan tlan.
    “Haruko… zia Haruko mi ha raccontato che la mamma si sedeva qui o sotto al portico e mi teneva in braccio per farmi addormentare… Mi dondolava, piano piano.” La smorfia che gli curvava le labbra assunse una piega più vera e affettuosa, ma tremava un po’. Poi scomparve, incapace di trattenerla. “Mamma… pensavo non avrei mai pronunciato questa parola. Pensavo non avrei mai conosciuto il suo nome.” Espirò. “Pensavo male.” Le dita scivolarono lungo le figure della giostra e si abbandonarono sul bracciolo. “Per me, Alastra era stata quanto di più simile a una madre avessi mai potuto desiderare. Certo, è una scuola, una cosa, come può… essere paragonata a una madre vera?” Scosse il capo, il sorriso fece di nuovo capolino, ma era ironico, sprezzante. “Te l’avevo detto che era stata molto più di una città per me(1). Mi ha accolto e mi ha cresciuto. Come potevo vederla come fosse stata solo un insieme di blocchi di marmo messi gli uni sugli altri? Come potevo?” Chiuse gli occhi, nel continuo dondolare della sedia; il sopracciglio che saettava verso l’alto. “Mentre loro…”
    Le iridi tornarono a balenare nella luce tremolante della candela ormai quasi del tutto consunta che restava appoggiata nell’angolino più distante della stanza. La cera si era riversata sul ripiano e qualche goccia era caduta al suolo.
    Nel nocciola dei suoi occhi, Mamoru scorse un senso di colpa così forte che se ne sentì opprimere egli stesso, quasi fosse stato il proprio. Strisciava come una serpe, allungava le spire per avvolgere completamente il volante e tutto ciò che gli era intorno. Colava dagli occhi, colava dal cuore, veniva vomitato attraverso le parole. Il tono duro stonava così tanto col suo volto.
    “Li ho odiati. Sempre. Da quando ho cominciato a capire che anche io avevo dei genitori, da qualche parte. Odiarli è stato così naturale tanto quanto convincersi di non esser mai contato nulla per loro. Credere che non fossero mai esistiti? Ancora più semplice. Cancellarli, relegarli in fondo all’anima perché finissero per scomparire da soli, come i ricordi inutili. Tutto naturale, tutto lineare. Non sapevo di aver dato vita a un incantesimo di Autocontrollo.” Scrollò le spalle. “Perché avrei dovuto dare loro una possibilità o il beneficio del dubbio? Per soffrire di nuovo qualora mi avessero davvero detto di non avermi mai amato?”
    L’odio parlava al posto del volante, ringhiando ogni frase come fosse stato una bestia inferocita, poi tornò ad acquietarsi, a chiudersi su sé stesso per cercare riparo nella bontà che viveva nel cuore del suo ospite. Non c’era controllo nelle sue emozioni, come il vento che spirava senza sosta e senza una direzione. Impossibile da trattenere o afferrare. La sua forma mutava alla velocità del pensiero e tutto quello che si poteva fare era lasciarsene travolgere, ma Mamoru non voleva essere solo uno spettatore distante, voleva afferrarlo, voleva ghermire quella trottola di emozioni che girava di continuo.
    “Che vigliacco” soffiò via Yuzo in un respiro, lo sguardo di nuovo vacuo e perduto.
    “Quando si è così piccoli, crediamo che l’odio sia tutto quello che ci è rimasto. Riesce a trasformare in rabbia il dolore che sembra non fare più male, sembra quasi scomparire. E quando cresci si fortifica assieme a te, siete un tutt’uno.” Mamoru si avvicinò ancora di un passo, adesso gli sarebbe bastato allungare una mano per toccarlo. Osservò il suo profilo immobile.
    Quando si tratteneva così a lungo il rancore, si dovevano affrontare delle tappe obbligate una volta che veniva liberato; le emozioni sballate rientravano in queste tappe e lui sarebbe stato pronto a controllarle per impedire che facessero cadere la trottola, che facessero cadere Yuzo.
    “So che significa aggrapparsi all’odio. Credere che nel rancore possa esserci l’unica strada per andare avanti. Eri un bambino ed eri ferito. Non potevi sapere che, per quanto confidiamo di poterla affrontare e superare, la sofferenza resta sempre lì. Anche io l’ho imparato solo col tempo. Non devi sentirti in colpa per questo.” Gli avvolse la spalla con la mano in una presa salda che avrebbe voluto trasmettergli tutto il suo supporto, la sua vicinanza. Voleva dire: ‘io sono al tuo fianco, non avere paura’, ma in quel momento Yuzo non riusciva a sentire nemmeno la parte di sé che cercava di tornare a galla.
    “Ma ora non sono più un bambino. Perché non sono riuscito a capire? Perché non ho voluto almeno provare?” Non attese una risposta, scosse il capo. “Dovremmo rientrare a Ghoia.”
    Mamoru sbuffò un leggero sorriso. “Non c’è fretta. Se preferisci, possiamo dormire qui. Torneremo domattina.” Lo lasciò andare e fece per allontanarsi, quando si sentì fermare per un braccio.
    La Fiamma si volse; Yuzo lo aveva trattenuto, ma lo sguardo era rimasto arenato lontano.
    “Io… ho fallito, vero?” domandò a mezza voce. “Come persona e come Elemento. Erano i miei genitori e li ho detestati per una vita intera.” Gli tremava la mano.
    Dal tono spezzato, Mamoru capì che la trottola stava oscillando troppo, sarebbe caduta, avrebbe roteato in un ultimo guizzo al suolo e poi sarebbe rimasta lì, abbandonata e immobile.
    “E la gente vicino Sendai… Avrei dovuto proteggerli… avrei dovuto proteggere anche i miei amici e invece ti ho ferito mentre loro… li ho uccisi. Non passa giorno che non ci pensi. Ogni notte sono lì. Nei miei incubi.” Il tremore si trasmise a tutto il corpo. Di colpo faceva così freddo. I brividi si accavallavano sotto la pelle.
    Erano mesi che si portava dietro quel peso. Come tutto ciò che lo faceva soffrire, si era tenuto dentro ogni cosa, nascondendola agli occhi degli altri o facendola apparire meno dolorosa di quello che era.
    “Ho provato a farmene una ragione, avevo detto a Yoshiko che sarei diventato una persona più forte, ma… ma era solo un’illusione. Non ci riesco. Penso solo che sono morti e che c’è gente che soffre per colpa mia. Gente che non ha più una casa, che ha visto morire la propria famiglia, che ha perso un figlio, un amico, la persona che amava. E so che non mi perdoneranno. Nessuno mi perdonerà. Mai.” La sedia smise di oscillare quando Yuzo si chinò in avanti, prendendosi la testa tra le mani. “Quando tornerò ad Alastra mi faranno affrontare una commissione disciplinare; non potrò restare, non dopo quello che ho fatto. Nemmeno lì, in quello che è stato il mio nido, mi perdoneranno. Nemmeno mio padre. Ho deluso tutti. Tutti quelli che mi hanno dato il loro affetto e la loro fiducia. Come farò? Come potrò scusarmi con chi ormai non c’è più e rimediare ai miei errori? Come farò? Come? Mi odieranno… mi odieranno per sempre… i miei padri, mia madre… tutti…”
    Mamoru si inginocchiò davanti a lui. Con decisione allontanò le mani per prendergli il viso e costringerlo a guardarlo negli occhi. Trovò i suoi pieni di lacrime, terrorizzati.
    La trottola oscillava da un lato e dall’altro, come il ramo spezzato, pronto a cadere per un soffio di vento più forte.
    “Yuzo! No, Yuzo!”
    “Non ce la faccio… io non ce la faccio.”
    “Sì che ce la fai! Ascoltami!”
    “È come se il dolore mi scavasse dentro e strappasse il cuore, un pezzo alla volta. Il senso di colpa mi sta uccidendo.”
    “Non parlare così!”
    “Ma è così che mi sento…”
    Mamoru strinse le labbra. Nei suoi occhi poteva leggere che stava dicendo il vero. Poteva capire, capire fino in fondo ogni cosa, ogni suo pensiero perché non c’era più nulla di nascosto. Yuzo, ora, era un libro di cui poteva sfogliare le pagine con una semplicità inaudita. Ma quelle pagine colavano inchiostro che macchiava le dita, si infilava sotto la pelle e ti restava attaccato. Diveniva parte di te.
    Per Mamoru, Yuzo lo era già una parte di sé. Gli era entrato dentro in un attimo e ora che lo vedeva così distrutto sentiva come se stessero distruggendo anche lui.
    Fece scivolare le mani lungo le guance, affondandole nei corti capelli scuri, e poi le fece tornare indietro. Aggrottò le sopracciglia, in un misto di rabbia e impotenza, mentre Yuzo lo guardava come fosse stato l’ultima cosa preziosa a essergli rimasta e in procinto di perdere anche quella.
    Il volante si aggrappò ai suoi polsi per non affondare; lo supplicò.
    “Perdonami… almeno tu, perdonami…” Chinò il capo, mentre le lacrime arrivavano alle labbra, bagnandole di sale. “…perdonatemi…”
    “Io, Hajime e Teppei non dobbiamo perdonarti nulla, perché non hai fatto niente. La colpa non è tua e sarò disposto a ripetertelo fino a che non te ne convincerai, sarò disposto a venire ad Alastra per dirlo a chicchessia, per dirlo a tutte le commissioni di questo mondo!”
    La decisione della Fiamma non era discutibile. Lo avrebbe fatto, se fosse stato necessario. Avrebbe attraversato Elementia per farsi valere e far valere l’innocenza del volante.
    Mamoru lo costrinse a guardarlo di nuovo. “E se il dolore è troppo grande allora dividilo con noi, ti aiuteremo a portarlo avanti perché siamo tuoi amici. Perché sono tuo amico.” E quello non avrebbe mai dovuto metterlo in dubbio.
    Adagio, tra i sensi di colpa, tra il dolore e la rabbia, anche la paura si fece strada. Emerse dall’oscurità delle ombre, ultima rimasta in fondo alle macerie di una barriera abbattuta e a Mamoru sembrò di capire ogni cosa, ogni ingranaggio che aveva mosso tutto, che aveva creato la muraglia, che l’aveva resa solida e spessa. In quell’istante si maledì per non esserci arrivato prima.
    “Non lasciarmi solo…”

    “La solitudine non mi spaventa.”
    “A me sì, per questo mi circondo di legàmi.”(2)

    Perché non l’aveva capito in quel preciso istante?
    L’abbandono. L’abbandono era ciò che Yuzo temeva più di tutto e tutti. Svegliarsi al mattino e non avere nessuno accanto; nessun amico, nessun parente, nessuno che potesse aiutarlo a ricordare chi fosse e quello che faceva. Nessuna identità, che tornava a sbiadire fino a essere dimenticata. Tornare a divenire un figlio senza genitori, lasciato tra estranei come un pacco.
    Perché era stato così cieco da non vederlo?
    Mutò in fuoco tutta la sua fermezza e le conseguenze persero importanza. Orgoglio e paure erano già lontani dietro le spalle per pensare a cosa fare per non ferire nuovamente sé stessi. Ferirsi, se era per Yuzo, non era importante.
    “Ti giuro che fino a che avrò vita e respirerò, resterò al tuo fianco. Ti aiuterò a ritrovarti ogni volta che ti perderai, e ogni volta che cadrai ti tenderò la mano per alzarti di nuovo.”
    Il volante lo guardò con gli occhi grandi, spalancati su quelle parole che sembravano l’ancora cui aggrapparsi per non sparire nel nulla, per mantenersi a galla e tirare fuori la testa. Per continuare a respirare.
    Le lacrime gli impedirono di tenere aperte le palpebre, ma stavolta non si oppose. Si aggrappò a quella promessa di salvezza con tutto sé stesso e Mamoru lo accolse, lo strinse più forte che poté, fermò la trottola e caddero insieme, al suolo, ma la Fiamma gli fece da scudo con tutto il suo corpo. Quello che a Sendai non era riuscito a fare.
    Anche se era solo un altro passo tra i tanti che Yuzo avrebbe dovuto compiere per uscire dalle macerie del dolore, Mamoru lasciò che si nascondesse dentro di lui per piangere per tutto il tempo che sarebbe stato necessario, fermarsi e poi piangere ancora perché le lacrime sapevano tornare anche quando si era convinti di averle versate tutte. Ma lui sarebbe rimasto lì, per asciugarle.
    La sedia a dondolo oscillava, vuota.

    Michael OrtegaIt’s hard to say goodbye
    (Instrumental – solo piano)


    Gli occhi si aprirono con una certa fatica e tutt’attorno regnava una silenziosa oscurità. Da qualche parte, forse nel salotto, crepitava il fuoco del camino mentre la candela, che prima a stento illuminava la stanza, doveva essere stata spenta da molto.
    Yuzo si tirò a sedere di scatto e la coperta gli cadde dalle spalle. Era intontito ma si rese conto di essere ancora nella sua casa natale. Doveva essere tardi.
    Abbassò lo sguardo sulla coperta che non ricordava di essersi poggiato addosso. Non ricordava nemmeno di essersi addormentato, a dire la verità.
    Mamoru. Doveva essere stato Mamoru.

    “Ti giuro che fino a che avrò vita e respirerò, resterò al tuo fianco.”

    Inspirò a fondo, chiudendo gli occhi nel tentativo di trovare la giusta lucidità per muoversi. Il corpo era così pesante, svuotato da ogni energia e forza, tanto che addirittura alzarsi si rivelò un’impresa. Con lentezza raccolse la coperta e la ripiegò con cura, appoggiandola sulla sedia. La coperta verde di quando era piccolo.
    Tutto il resto era immerso nell’oscurità, solo la luce, filtrante dalla stanza attigua, riusciva a far indovinare qualche sagoma. Yuzo girò piano su sé stesso, scrutò il buio, ascoltò il silenzio e di nuovo, come prima di addormentarsi, un brivido di freddo lo fece stringere nelle braccia. Tra le forme cercò la sagoma di Dolore. La vide appoggiata contro il muro, accanto alla sedia a dondolo. La fissò per un lungo momento prima di prenderla.
    Non poteva restare ancora in quella casa. In città, Hajime e Teppei avrebbero finito col preoccuparsi.
    Inspirò di nuovo, cercando in quel gesto continuo e familiare, vitale, una sorta di calma interiore, ma il suo equilibrio era andato in pezzi assieme all’incantesimo di Autocontrollo. Provò a erigerne uno, ma non ci riuscì. Si concentrò, strinse gli occhi, cercò di fermare il flusso emotivo delle proprie percezioni e dei propri poteri, cercò di bloccare il dolore, di rinchiuderlo in uno spazio irrisorio ma questo era incontenibile e lui dovette arrendersi. Boccheggiò per lo sforzo compiuto e pensò che se Magister Nozaki avesse potuto vederlo, avrebbe finito col rimproverarlo. Ma i Magister, il Master, l’intera scuola non erano lì, non potevano sostenerlo.
    La mano corse a toccare l’orecchino in cerca di rassicurazione, ma nemmeno quel gesto, che per anni lo aveva aiutato a superare i momenti difficili, riuscì, per la prima volta, a dargli ciò di cui aveva bisogno e la sensazione di freddo si fece più forte.
    Yuzo aggrottò le sopracciglia, passandosi una mano sul viso. L’espressione divenne contrita.
    In quel preciso istante gli parve di non essere altro che un bambino sperduto che non sapeva che fare, non sapeva che dire né come agire. Aveva perduto tutte le sue certezze.
    Con forza ingoiò le lacrime che sentiva nuovamente aggrapparsi alla gola e lasciò la stanza.
    Nel salotto, trovò Mamoru seduto nel divano davanti al camino. Addormentato.

    “Ti aiuterò a ritrovarti ogni volta che ti perderai e ogni volta che cadrai, ti tenderò la mano per alzarti di nuovo.”

    Fermo sulla porta, Yuzo rimase a fissare il suo profilo. Il capo reclinato contro la testiera, i capelli liberi che seguivano percorsi astratti. Aveva l’espressione severa anche mentre dormiva e con una mano teneva fermo, contro il petto, un libro aperto.
    Era stato convinto che fosse tornato in città e invece era rimasto con lui.
    Al suo fianco.
    Aveva detto di non avere più certezze, però forse… forse una… ancora…
    “Resterai?” mormorò nel crepitare della fiamma che divorava il legno. “Mi aiuterai?”
    Qualcosa bruciò sotto la pelle, si diramò nel corpo. Scacciò i brividi e il freddo. Mutò in calore.
    Il rapporto che aveva con Mamoru non l’aveva con nessun altro.
    Era iniziato in maniera strana e altrettanto stranamente aveva preso a evolversi, seguendo percorsi che non conosceva, imprevedibili. Aveva cominciato a capirlo quando si trovavano a Sundhara e poi a Sendai era diventato evidente come il giorno. Avevano smesso di aggredirsi, e se si pungolavano era solo per il piacere di farlo. Perché lo trovavano entrambi divertente.
    A Rhanka avevano iniziato a scoprire le carte dei rispettivi fardelli. A Dhyla, Mamoru era stato messo a nudo e ora… ora era lui a ritrovarsi nudo sotto il suo sguardo.
    Nessuno dei due aveva giudicato l’altro per le proprie scelte di vita, ma entrambi si erano prodigati per dividere le angosce e alleviare le sofferenze.
    Per quanto non avesse mai lasciato Alastra, non era così stupido da non capire che il loro legame era diverso da tutti quelli che aveva avuto finora.
    Voleva bene ai suoi compagni di scuola, a suo padre, ad Hajime e Teppei, ma con Mamoru non era la stessa cosa. Voleva bene anche a lui, certo, ma era differente, in un modo che però non sapeva spiegare.
    Era necessità.
    Seppur con chiunque altro avrebbe potuto farsi bastare la ‘vicinanza di spirito’, con Mamoru non sarebbe stata sufficiente: era una persona che avrebbe voluto fisicamente accanto, una persona che avrebbe voluto vedere al mattino appena sveglio, alla quale chiedere consigli, con la quale confrontarsi, alla quale offrire la spalla se ne avesse avuto bisogno. La persona contro cui avrebbe anche potuto dormire senza fare incubi e senza pensare quanto lontana fosse stata casa, perché in fondo non faceva poi così male, anzi, sembrava più vicina.
    Mamoru aveva la sua fiducia incondizionata.
    Non era lo stesso legame che aveva con gli altri.
    E allora?
    Cos’era quello?
    Cos’erano loro?
    Come faceva a ritrovare sé stesso nel suo sguardo quando tutto, nella vita reale, sembrava mandarlo fuori strada?
    Senza fare rumore Yuzo si avvicinò al divano. Dolore venne appoggiata contro il bracciolo.
    Piano fece scivolare il volume dalla presa del compagno, che non oppose resistenza. Lo richiuse e guardò la copertina.
    ‘Le erbe curative del Dogato di Tha Cerròs’
    Era di sua madre.
    Un sorriso riuscì a sciogliere la sconfitta che regnava sul volto, mentre faceva scorrere piano le dita su quella copertina rigida e accuratamente lavorata.
    Gli occhi si sollevarono al quadro che lo osservava dall’alto del camino. Cercò lo sguardo dipinto di Arya, la sua espressione dolce, felice, il suo sorriso. Seguì le onde bionde dei capelli che cadevano sulle spalle e sugli abiti.
    Si lasciò scivolare sul divano con lentezza, cercando di scoprire, in quello sguardo, la strada che avrebbe dovuto prendere, ma non trovò altro che vernice su tela. Doveva imparare a camminare con le proprie gambe.
    Sorrise, ancora, ma le sopracciglia si aggottarono.
    “Eri così bella…” Il mormorio scivolò dalle labbra coperto dallo scoppiettare delle braci. “…così… bella…”
    Prima che serrasse tutto dietro l’incantesimo di Autocontrollo, per dimenticare la loro esistenza, aveva passato notti intere a immaginarla, a sognarla. E ogni volta era sempre stata diversa. Non avrebbe mai creduto di poterla vedere davvero, un giorno, totalmente differente da qualsiasi fantasia. E il modo in cui lo teneva in braccio, lo stringeva contro di sé lo fece sentire importante per un solo e intenso momento. Speciale.
    Avrebbe tanto voluto ricordarne il calore.
    Poi il sorriso si sciolse come cera quando spostò lo sguardo.
    Bashaar sembrava giudicarlo.
    I suoi occhi erano fissi, verde scuro, quasi vivi attraverso il dipinto.
    La somiglianza riusciva ancora a sconvolgerlo; era come guardarsi allo specchio e fare i conti con sé stesso. Un riflesso duro, severo.
    Anche se l’uomo aveva un’espressione pacifica e appagata, gli occhi parevano dire tutt’altro.
    Yuzo non riuscì a sostenere il suo sguardo e lo abbassò, sentendosi quasi rimproverato.
    “Sei deluso?”
    Il loro aspetto poteva ingannare gli occhi inesperti, ma in fondo al cuore non c’erano persone più diverse. I loro caratteri puntavano in direzioni opposte e lui si sentì messo alla gogna.
    Strinse con forza il volume, mantenendo lo sguardo fermo sulla copertina senza più avere il coraggio di sollevarlo.
    Con un gesto deciso, che voleva nascondere la frustrazione, Yuzo si alzò e ripose nuovamente il libro nella piccola scaffalatura assieme ad altri volumi, tutti di sua madre. Li fissò pur senza vederli, appoggiandosi al legno del mobile alla ricerca di un sostegno.
    “Io credo sia preoccupato.”
    La voce di Mamoru suonò bassa e calda come il fuoco del camino.
    Yuzo si volse di scatto e vide un braccio allungarsi sul bordo della spalliera del divano.
    “Non volevo svegliarti…”
    “Non dormivo.”
    Lui spostò il peso sull’altro piede e si girò a guardare la finestra e l’oscurità oltre i vetri. Lì attorno immaginò il campo di denti di golkorhas dai pappi bianchi, pronti a volare via al più tenue filo di vento.
    “Dovremmo spegnere il camino e tornare a Ghoia.”
    “Ti ho detto che, se vuoi, possiamo dormire qui.”
    Scosse il capo. “No. Hajime e Teppei saranno in pensiero.”
    Questa volta, Mamoru si alzò. Fissò la schiena di Yuzo e la mano appoggiata sul vetro. Gli sembrò che tentasse strenuamente di recuperare il controllo di sé e delle proprie emozioni, ma i risultati non erano paragonabili a quando usava il suo incantesimo preferito.
    Girò attorno al divano con passo lento.
    “Arya…” Yuzo lo fermò che gli era ormai alle spalle. “Si chiamava Arya… Non trovi che sia una strana coincidenza?”
    “Sì.”
    “Se non fosse stata un’Erborista, probabilmente non sarei mai riuscito a diventare un Elemento. Pensavo anche a questo.” Il volante sospirò. “Ho ereditato da lei la predisposizione alla magia. Se non l’avessi avuta, quel giorno, a Mizukoshi, non sarei mai stato in grado di sollevare la piuma e il Console non mi avrebbe portato con sé e adottato.” Le dita scivolavano sulla superficie liscia, perdendosi sotto al tessuto delle tendine tirate al lato. Tracciavano percorsi invisibili che avevano catturato gli occhi del giovane. Le strade da percorrere, le scelte da prendere. Aveva bisogno di sentirsi dire ‘cosa’ fare. Stava impazzendo. “Chissà come sarebbe stata la mia vita se non fossi andato ad Alastra. Chissà come sarebbe stata… se loro fossero ancora vivi…”
    Mamoru inarcò un sopracciglio nell’udire la voce che si faceva più sussurrata. “E’ così importante, per te, saperlo?”
    Yuzo si riscosse e chiuse la mano in pugno. Scrollò le spalle e tentò di dissimulare il reale interesse. “Oh, no. Certo che no. Solo che… mi domandavo chi sarei stato, cosa sarei stato… come. Magari a quest’ora non sarei così stupido.” Ridacchiò, ma alla Fiamma non sfuggì la nota di nervosismo che tradì la sua voce. “Forse è un bene che mio padre, quello vero, non possa vedermi. Lui era forte…” Gli occhi del dipinto glielo avevano detto a chiare lettere. Il tono si inasprì. “Non certo come me. Credo si sarebbe vergognato di avere un figlio così vigliacco ed egoista che non ha mai voluto dar loro nemmeno una possibilità solo perché… perché…” sussultò, odiandosi anche per quello, per quelle le lacrime che arrivarono, di nuovo, a bagnargli la guancia. “Oggi deve andare proprio così, maledizione! Non ho nemmeno un po’ di spina dorsale! Non gli somiglio per niente, proprio per niente, Mamoru! E’ solo nell’aspetto che siamo uguali, ma poi nella sostanza lui resta leone e io...” Con rabbia si passò una mano sul viso, masticando le parole. “Ma perché non si fermano?!”
    La Fiamma scosse il capo. Nel vetro riusciva a scorgere un accenno del suo riflesso e il modo in cui deformava le labbra per lo sforzo di trattenersi.
    “Perché non si può.”
    “Prima potevo!” Yuzo si volse di scatto. Era frustrato, ferito. Aveva gli occhi rossi e il bagliore del fuoco faceva brillare la scia delle lacrime che lui si ostinava a cancellare appena venivano giù.
    “Prima non è adesso.”
    “Rivoglio il mio controllo!” Il volante sembrava quasi supplicarlo, come se davvero lui avesse potuto fare qualcosa. Ma non c’era nulla che avrebbe potuto fare.
    “Se non riesci a usarlo, significa che non è ancora il momento. Quanto odio hai accumulato? Devi lasciarlo andare.”
    “Ma io lo lascio andare! E’ solo che… che queste maledette non…” Le mani sul viso scorsero frenetiche, ma più Yuzo tentava di asciugarsi gli occhi, più le lacrime accorrevano copiose, rendendo rabbiosi i suoi gesti.
    Mamoru gli afferrò i polsi con decisione, costringendolo a fermarsi. Lo attirò a sé e lo strinse, bloccandolo tra le sue braccia. “Ehi… basta …”
    “Fermale.” Il volante lo mormorò aggrappandosi a lui. “Se io non posso, puoi farlo tu?”
    “No. Devi lasciare andare anche loro.”
    “Perché?”
    “Perché sono lacrime di dolore. Più ti ostinerai a trattenerle, più soffrirai.”
    “Perché deve fare così male?”
    Mamoru sorrise. La mano scorreva lenta lungo la schiena nel tentativo di calmarlo e fargli capire che non doveva combattere poiché se davvero voleva indietro il controllo che non riusciva più a imporsi, allora doveva prima liberarsi di tutto ciò che aveva accumulato. Tutti i sentimenti negativi che aveva compresso e tenuto nascosti, erano loro i veri responsabili della sua sofferenza.
    “Non lo so. Anche io me lo sono chiesto per anni, ma col tempo ho capito che la risposta non ha tutta questa importanza: farà male comunque. Però di una cosa sono sicuro, Yuzo: i tuoi genitori, ovunque siano, sono fieri di te. E lo saranno sempre.”

    Da quando erano rientrati alla locanda di Haruko, Yuzo non aveva spiccicato mezza parola.
    In silenzio, gli Elementi avevano cenato tutti insieme, ma il volante si era limitato a rigirare quello che aveva nel piatto, mandando giù solo qualche boccone.
    Hajime aveva rivolto un paio di occhiate indagatrici a Mamoru che si era limitato a scuotere il capo per fargli capire che non era stato facile e che era meglio lasciarlo tranquillo, almeno per quella sera. Il Tritone aveva annuito.
    Al tavolo avevano ricevuto la visita dell’ostessa che li aveva serviti con cortesia e, prima di ritirarsi, aveva appoggiato una mano sulla spalla di Yuzo, rivolgendogli un sorriso. Il volante aveva risposto con un altro sorriso, che era però lontano da quelli che elargiva solitamente; doveva ancora abituarsi all’idea di avere una parente diretta.
    Anche ora che la cena era finita e alcune persone, quelle che formavano il gruppo della Resistenza, erano riunite attorno a loro per decidere quali sarebbero state le contromisure che avrebbero preso per affrontare l’arrivo del Delegato e dei suoi uomini, Yuzo continuava a restare in silenzio.
    Lo sguardo si alzava di tanto in tanto, ma non riusciva a reggere quelli che gli altri gli rivolgevano in cerca, magari, di qualche sua parola, consiglio. Ordine. Sembravano quasi aspettarsi che prendesse il posto che un tempo era stato di suo padre e li guidasse contro Van Saal. Ma lui non sapeva cosa avrebbe dovuto fare, non aveva mai avuto lo spirito del comandante e faticava ancora ad accettare tutto quello che aveva saputo. Le notizie restavano bloccate nello stomaco, come un pasto mal digerito, e si sentiva opprimere dalle loro aspettative.
    Aveva paura.
    Paura di avvicinarsi ancora di più a quella figura così rispettata da tutti, ma da lui così distante. Sconosciuta.
    Bashaar.
    Suo padre.
    Il volante guardò di sottecchi Mamoru per un istante. Restava lì, seduto al suo fianco e non si era mosso nemmeno per un momento. Ascoltava le parole degli uomini, dava pareri insieme ad Hajime e Teppei su come avrebbero dovuto disporre le difese, ma, più che altro, consigliava a tutti di non preoccuparsi perché c’erano loro e con i loro poteri non avrebbero mai permesso che a soffrire fosse stata ancora la già martoriata gente di quella città.
    D’un tratto, la porta della locanda si spalancò di colpo e una voce concitata si levò su tutte.
    Dov’è?! Dov’è, per tutte le Dee! Devo vederlo! Fatemelo vedere!”
    Era agitata e profonda, quasi tonante. Passi trascinati e poi il rumore duro di un bastone che veniva picchiato al suolo mostrarono tutta la necessità che animava l’ultimo arrivato.
    A nulla valsero i tentativi di un paio di uomini di calmarlo.
    “Sta’ buono, vecchio Zed-”
    “Taci, fottuto sbarbatello che non sei altro! Haruko! Haruko!”
    La donna sospirò con una certa rassegnazione, ma il suo viso mostrava un’espressione sorridente. Quell’uomo era arrivato come una furia, però sembrava non esserci nulla di cui preoccuparsi.
    Yuzo era sussultato per lo schianto della porta di ingresso della locanda. Si era leggermente ritratto sulla sedia, quasi avesse voluto nascondersi e restare in disparte a guardare cosa sarebbe accaduto. Ma non era da solo e quando sentì la mano di Mamoru poggiarsi sul braccio riuscì a rilassarsi almeno un po’. Era con lui, sarebbe andato tutto bene.
    “Zedečka!” chiamò sua zia. “Siamo qui, nella sala grande!”
    I rumori sul legno si fecero più veloci e la voce più vicina.
    Tra le figure che gli coprivano la visuale, Yuzo riuscì a filtrarne una grossa come una montagna. Un occhio coperto da una benda e una gamba che non era altro che zavorra trascinata.
    “Dov’è?! Levatevi dai piedi, dannazione! Fatemi largo!”
    Yuzo vide le persone spostarsi velocemente e in quel momento comprese che quel vecchio furente stava cercando proprio lui. Era arrivato da chissà dove solo per vederlo.
    Quando emerse tra gli altri, poté finalmente scorgerlo nella sua interezza. Era alto, sì, come gli era sembrato di carpire, e il corpo massiccio portava ancora il ricordo di una grande forza fisica.
    Aveva i capelli ingrigiti in maniera irregolare, biondicci, coperti da una bandana. Il volto era rugoso, bruciato dal fuoco, invecchiato precocemente. Il segno di tre sfregi gli tagliava interamente una guancia, su cui basette e baffi formavano un tutt’uno, e poi scendeva verso il collo, ma non se ne vedeva la fine.
    Non avrebbe dovuto avere più di sessant’anni.
    Quando si trovarono faccia a faccia, lo sconosciuto si fermò di colpo. La bocca si aprì adagio e l’occhio rimasto buono si fece enorme. Boccheggiò, letteralmente.
    Il volante s’accorse che lo guardava come fosse stato un miracolo, un fantasma, un ricordo vivente.
    Fissando quell’iride azzurro slavato percepì dolore e sconcerto che si mischiavano a qualcosa di simile alla gioia e al sollievo.
    “Lui è Zedečka Hansen(3).” La voce di Haruko lo fece voltare, la donna sorrideva. “E’ il terzo sopravvissuto. L’ultimo.”
    L’ultimo brigante.
    L’ultimo rimasto in vita tra i compagni di suo padre.
    Haruko gliene aveva parlato quando si trovavano nella casa e adesso era lì, davanti a lui.
    Ora capiva perché lo guardava con quel misto di sensazioni che non sapevano trovare parole.
    Yuzo toccò appena le dita di Mamoru facendogli intendere che poteva lasciarlo, che andava tutto bene, e la Fiamma sciolse la presa in silenzio.
    Voleva avvicinarsi, così il volante si alzò adagio, mentre l’altro rimaneva immobile a fissarlo dritto negli occhi.
    Mosse qualche passo e si fermò solo quando gli fu davanti, ma rimase in silenzio, non sapendo che dire. E, forse, non c’era bisogno di dire nulla.
    Yuzo scorse l’occhio sano riempirsi di lacrime, mentre le labbra screpolate venivano strette e tese. Le rughe s’accentuarono ai lati della bocca e la palpebra venne serrata. Stava pressando tutte le emozioni con uno sforzo sovrumano che il volante poteva comprendere. Quanto dovevano avere sofferto suo padre e sua madre, la gente di quella città, lo riusciva a vedere e capire, provare, solo in quel momento, solo guardando quanto Zedečka fosse sconvolto anche soltanto ad averlo di fronte.
    L’uomo lasciò cadere il bastone e gli prese saldamente le spalle.
    “Io lo sapevo… sapevo che le Dee non ci avrebbero abbandonato! Non potevano essere state così crudeli da voltarci ancora le spalle. E sapevo… sapevo che un giorno ti avrebbero rimandato da noi… lo sapevo! Non è un caso se sei arrivato qui.”
    In quella stretta salda e disperata, Yuzo si rese conto di non essere in grado di smentire le sue parole.
    Non era un caso.
    Forse non lo era davvero.
    Il suo ritorno era già stato scritto da prima che partisse per Alastra, gli eventi avevano concorso a farlo arrivare proprio a Ghoia, che il Principe aveva solo attraversato nel suo lungo viaggio. Così come erano arrivati proprio a Dhyla, così come avevano salvato Sundhara e così via.
    Tutto si incastrava, come gli anelli di una infinita catena.
    Mentre le lacrime avevano preso a scorrere tra le pieghe del viso, l’ultimo brigante sciolse l’espressione di sofferenza in un sorriso sereno. Le sopracciglia si aggrottarono e la presa si fece più affettuosa e meno disperata.
    “Haruko, tira fuori una bottiglia di quel tuo liquore speciale. Io e questo ragazzo abbiamo un sacco di cose di cui parlare.”

     


    [1]: discorso affrontato durante il Capitolo 10: Il compleanno di Teppei (parte II)

    [2]: discorso affrontato durante il Capitolo 7: Il villaggio di Yoshiko (parte I)

    [3]HANSEN: il vichingo allenatore nordico della Svezia :3 Da principio, sarebbe dovuto essere un personaggio inventato di nome "Zedečka". Poi però mi sono ricordata di quell'allenatore che, toh!, era perfetto per il ruolo! °-° Si somigliavano pure d'aspetto (cioè, in teoria la prima versione di Zed doveva essere mooooolto più bassa di Bash. XD Ora, invece, la supera)! E così, visto che Hansen nel manga non ha un nome... ho fatto 1+1 XD Lo so che Zedečka non è molto svedese (LOL), ma insomma, chissene frega XD. *rotola via ridendo* Non potevo cambiarglielo, era il nome che il pg aveva scelto :3


    …Il Giardino Elementale…



    E giusto per restare in linea con le involontarie similitudini RobinHooddiane: ecco a voi anche Little John! XDDD *ride tantissimo*
    E pensare che prima che decidessi di affidare ad Hansen il ruolo di Zed, quest'ultimo doveva essere basso e tarchiato. XD Tarchiato è rimasto, ma è diventato un gigantone!XDDD
    Orbene, credo che in questo capitolo ci sia proprio lo scoglio più grande della psicologia Yuzita (XD), e cioè l'abbandono/solitudine. Ma per fortuna che c'è Mamoru, no? X3
    Questo capitolo mi è servito molto anche per far cominciare a porre dei particolari quesiti a Yuzo. Perché se è vero che Mamoru ha capito cosa prova per il volante, quest'ultimo naviga ancora in acque incerte. Dovevo cominciare a fargli prendere un po' di coscienza delle differenze nel rapporto che lo lega alla Fiamma, piuttosto che agli altri compagni. Ovvio, così come è stato per Mamoru, anche per Yucciolo ci vorrà un pochino di tempo per fare 2+2 XD
    XD Non pretendevate mica che fosse tutto subito, eh?! *MWAHAHAHAHAHHA*
    Nel frattempo, giusto per farvi ridere, c'è un piccolo aneddoto legato alla parte ambientata nel cimitero dei briganti che non vi ho raccontato la volta scorsa (XD il capitolo era già lungo così, non volevo stressarvi con altre chiacchiere). Allora, il tutto risale a un sacco di tempo fa, e badate bene che quella parte io l'ho scritta molto prima di tutto il resto; ancor prima del capitolo sei! XDDD
    Dunque, si era in quel di MSN con Maki-chan e si discuteva di cose utilissime alla comunità tutta (ma si dice 'faggetA' o 'faggetO'? Abbiamo deciso che: la Foresta di faggi è la FAGGETA, il Bosco di faggi è il FAGGETO). Il discorso era nato perché avevo bisogno di informazioni sulla possibilità di trovare muschi e felci in determinati tipi di foreste (per la descrizione della location riguardo al Cimitero dei Briganti): e se c'erano con le conifere e se c'erano con le decidue, e Maki che mi diceva 'sì/no' a seconda delle sue rimembranze.
    Ed è stato proprio in quel momento che Maki ha esclamato:

    Maki:
    "Ma sì, basta che non sballi latitudine per le piante e via. Non mi mettere il baobab in Lapponia, intendo!"
    Melanto:
    "No, figurati!"
    Maki:
    "Ed improvvisamente, Yuzo si trovò ai piedi di un baobab enorme... Yuzo: 'Cazzo, troppe canne!' "
    Melanto:
    "ROTFL XD"

    Non potevo non condividerla con voi, questa perla di genialità XD

    Ringrazio ancora infinitamente i Santi e Martiri che continuano a seguirmi in questa lunga avventura! :3


    PS: le musiche di Ortega sono MERAVIGLIOSE! °-°



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 35
    *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte V ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte V)

    Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    “L’avevano sbattuto fuori in malo modo! Per poco la levatrice Flòria non lo prendeva a calci nel sedere! Ma Bashaar era testardo e ha cominciato a girare tutt’intorno alla casa per riuscire a sbirciare da una finestra qualsiasi. Per tutti i diavoli, Arya gridava forte!” Zedečka Hansen era seduto in maniera scomposta davanti all’ennesimo bicchiere di liquore. La mano appoggiata sulla testa del fido bastone e lo sguardo concentrato mentre raccontava. “Io e Alevhar eravamo sotto al portico, a guardarci con rassegnazione. A un tratto, all’ennesima finestra chiusa sul naso, Bash arrivò col passo d’un bisonte e l’espressione inviperita. Ci guardò in un modo che sembrava pronto a sfondare la porta con Dolore e Vendetta alla mano e invece incrociò le braccia al petto e disse: ‘Cazzo! Speriamo non sia femmina!’
    Con la mano colpì sonoramente la superficie del tavolo facendo tintinnare pericolosamente i bicchieri e la bottiglia quasi vuota. La sua risata piena rimbombò per tutta la sala, mentre Haruko scuoteva il capo.
    “Oddee, e chi se lo dimentica. Ero nella stanza con Arya, nostro padre e Flòria: poverina, andava avanti e indietro per tenere Bashaar alla larga” rideva l’ostessa.
    Yuzo aveva le labbra piegate in un sorriso che però non riusciva a snudare i denti; era controllato, forse troppo distante.
    Era una sensazione strana ascoltare storie sulla propria nascita, su suo padre e sua madre. Memorie. Ricordi. Ricordi che lui non aveva e che, per quanto glieli avessero raccontati, non avrebbero mai potuto appartenergli fino in fondo. Sarebbero rimasti episodi affidati a bocche estranee. Erano così amari.
    Eppure sorrise ugualmente, perché nonostante tutto sembravano capaci di dare un corpo – per quanto amorfo – al passato che aveva sempre rifiutato di conoscere. E più Zed parlava, più la forma sembrava divenire, anche se solo apparentemente, nitida e chiara. Senza voltarsi, fece scivolare la mano al suo fianco, trovando la gamba di Mamoru. Adagio afferrò il lembo della sua maglia e lo strinse. Sapere di averlo vicino riusciva a tenere a bada l’ansia e la tensione.
    Dal canto suo, la Fiamma mosse lo sguardo prima alla mano e poi al volante, il cui profilo era puntato su Zedečka. Percepiva il suo disagio.
    Con discrezione disincrociò le braccia, allungandone uno sulla spalliera del compagno; gli pose la mano sulla schiena e questo sembrò che lo rilassasse.
    Nel frattempo, il brigante si era poggiato contro lo schienale, sospirando. L’eco della risata ancora tra le labbra. “Eeeh, Bash non andava affatto d’accordo con le donne” disse, agitando l’indice in direzione del volante. “E magari dopo anni passati a Bàkaras, in cui il massimo dell’interazione era uccidersi a vicenda, era anche comprensibile. Insomma, peccavamo tutti di buone maniere, ma Bash non sapeva proprio trattarle. Ci litigava sempre.” Ridacchiò. “Il suo primo incontro con Arya non può di certo essere annoverato nei massimi esempi di cortesia ed educazione. Tua zia te l’avrà raccontato, immagino.”
    Yuzo annuì: suo padre le aveva puntato un pugnale alla gola minacciando di ucciderla se avesse provato a urlare.
    Zed sollevò le mani, con solennità e ironia. “Beh, quello era Bash! Un vero modello di cavalleria fatta e finita!” E giù un’altra risata. Poi scosse il capo; l’espressione si fece più nostalgica. “Ma Arya… eh, Arya non era come tutte le altre. Lei era speciale.” Inspirò, fece vagare l’unico occhio per l’ambiente senza fermarlo in nessun posto, come stesse raccogliendo le idee, ed espirò. I tratti induriti. “Era troppo buona. Troppo ottimista e troppo fiduciosa. Credeva che nessun uomo potesse essere crudele fino in fondo e che anche quel poco di bene che aveva potesse essere tirato fuori. Non ci ha mai giudicato per quello che eravamo: evasi, assassini, dimenticati dalla società e usati come carne da macello per il divertimento altrui. Ci guardava vedendo solo degli uomini che cercavano un posto dove stare per poter ricostruire una vita, o quanto di più simile a una vita potessimo tendere. Ci ha insegnato a coltivare la terra, a prenderci cura di noi stessi quasi fosse nostra madre o una sorella. Ha curato le nostre ferite in seguito all’evasione preoccupandosi anche di tutte le cicatrici che i combattimenti ci avevano lasciato. Ed erano tante, sai, ragazzo?” Zedečka si versò altre tre dita di liquore, sollevando il bicchiere per guardare il liquido attraverso la fiamma della candela che continuava a bruciare sul tavolo.
    Yuzo lo ascoltava in silenzio e, sì, sapeva che erano tante, troppe. L’immagine del dipinto, del volto di suo padre, dei segni che era riuscito a vedere sulla pelle scoperta gli tornarono alla mente.
    “Non c’era una parte del corpo di Bashaar che non fosse marchiata. E lui se li ricordava tutti.” Zed annuì adagio, il bicchiere che oscillava ancora nella mano. “Ricordava a memoria i nomi di tutte le persone che aveva ucciso e che gli avevano lasciato una traccia sulla pelle. Ma non domandarmi perché li tenesse a mente, non gliel’ho mai chiesto e sono sicuro che non mi avrebbe mai risposto.”
    “Già…” Haruko vuotò il fondo della bottiglia nel proprio bicchierino.
    Nella sala erano rimasti solo loro assieme ai quattro Elementi. Il resto degli abitanti era preso dal far allontanare le donne e i bambini per la loro sicurezza, mentre l’ostessa si era intestardita a voler restare: avrebbe affrontato Van Saal assieme a tutti gli altri, così come Arya prima di lei.
    “Ricordo che un giorno, Bash si accorse che fissavo quella cicatrice che aveva sul collo, a forma di ‘V’. Le sue ferite mi incuriosivano e spaventavano al contempo. Pensavo che fosse forte per essere sopravvissuto, ma poi mi chiedevo quanto avessero fatto male. Non attese che gli ponessi alcuna domanda e senza guardarmi mi disse che gliel’aveva lasciata un tizio di nome Hamura, ma che non era stato così fortunato da fargliene una seconda. Lì per lì non compresi cosa volesse dire.”
    “Ah! Hamura!” Hansen buttò il capo all’indietro. “Me lo ricordo. Bash gli bucò la gola con il pugnale. Quanto doveva avere avuto all’epoca? Quindici anni?” Si strinse nelle spalle. “Sì, qualcosa di simile. Già da tre l’avevano costretto a scendere nell’arena dei combattimenti.”
    Doveva essere stata una vita orribile. Per quanto si sforzasse di immaginarla, Yuzo era convinto che fosse stata cento volte peggiore. Un’infanzia passata a vedere la propria dignità calpestata come fosse inesistente, come non fosse un uomo, ma solo un animale agli ordini altrui. Il pensiero gli fece male, ma non disse nulla.
    Zed scosse il capo, tornando a sorridere e cambiando discorso.
    “Arya era una donna rara, come ti dicevo, e Bashaar, per quanto si pavoneggiasse d’esser refrattario alle femmine, dovette alzare bandiera bianca con lei. Era l’incarnazione di tutto ciò che, entrando a Bàkaras, aveva perduto: la vita. Nel senso più ampio del termine.” Buttò giù il liquore con un solo sorso deciso. “Lei aveva sempre saputo che saresti stato un maschio. Fin dal primo momento. La vedevo spesso sotto al portico di casa, sul dondolo. Non aveva occhi che per te e passava le ore a cantarti una vecchia ninnananna di queste zone.” Fece schioccare le dita, non riuscendo a ricordare con chiarezza. “Come si chiamava? Sognando qualcosa…”
    Sognando i miei sogni…” Yuzo lo sussurrò con una nota di sconcerto nella voce.
    “Sì! Esatto! Quella! Te la cantava sempre per farti addormentare e tu crollavi come un ghiro in letargo” rise, mentre al volante veniva da piangere.
    Quella canzone… quella che, da bambino, si canticchiava per farsi compagnia? Quella che aveva cantato anche a Yoshiko e che usava per far addormentare i suoi fratelli d’Aria più piccoli? Quella canzone… gliela cantava lei? Era da lei che l’aveva sentita e non all’orfanotrofio come aveva creduto?
    Sentì le lacrime affollarsi agli occhi e le scacciò, facendo vagare le iridi per la stanza e poi fermandole al suolo.
    Gliela cantava lei e lui l’aveva dimenticato. Come aveva potuto farle una cosa simile?
    “La Natura era la sua casa, non per niente era un’Erborista eccezionale. La sua simbiosi col mondo era tale che fece scegliere alla natura il tuo nome.”
    Teppei inclinò il capo di lato, grattandosi i ricci. “In che senso?”
    “Nel senso che disse che era stato il vento a suggerirglielo, durante una passeggiata nella foresta. Ancora prima che Yuzo nascesse.” Zedečka tornò a guardare il volante. “Le Foreste Lulha sono molto fitte e l’aria che filtra riesce a produrre dei suoni particolari sfregando contro la vegetazione. A volte sembra quasi che parli.”
    Yuzo lo guardò nuovamente con un certo stupore.
    “Bash non ebbe nulla da ridire, anzi. Devi sapere che tuo padre non era un uomo di fede. Figurarsi, dopo una vita come la nostra, beh, qualche dubbio che le Dee esistano davvero viene eccome. Anche più di uno. Però lui diceva che, tra tutti, l’Elemento che sentiva più affine era l’Aria perché in esso rivedeva la libertà che gli era stata strappata e a cui tendeva. Per questo, quando Arya gli disse che il nome per te glielo aveva suggerito il vento non si oppose, ma ne fu entusiasta: per lui era un augurio, quello che tu potessi essere sempre libero come lui non era mai stato.” Zed accentuò il sorriso, velandolo di una divertita ironia. “Non penso si sarebbero mai aspettati che potessi divenire addirittura un Elemento d’Aria. Il destino è proprio incredibile.”
    Yuzo sorrise a sua volta, abbassando lo sguardo. Il suo nome scelto dal vento, suo padre che non credeva né pregava, ma si sentiva affine all’aria. Sì, il destino era incredibile.
    Con amarezza strinse ancora di più la stoffa della maglia indossata da Mamoru. Quest’ultimo se ne accorse e gli rivolse nuovamente la coda dell’occhio. Nel profilo dello sguardo, fisso in un punto, e nelle labbra piegate in un sorriso doloroso decise che per quella sera poteva bastare e che era meglio se il volante andava a riposarsi per riuscire a metabolizzare, nel sonno, tutte le informazioni che lo avevano quasi sommerso.
    “Si è fatto tardi, penso sia il caso di andare a dormire.” Lo disse con tono solenne che era più un’affermazione che una proposta: qualsiasi cosa avessero deciso gli altri, lui e Yuzo avrebbero imboccato la strada per la loro camera. “Domani sarà una lunga giornata.” Guardò il giovane d’Aria e questi annuì con una certa decisione, quasi non avesse aspettato altro per tutto il tempo; doveva essere esausto e doveva avere la testa piena di troppe cose, troppe notizie, troppe storie e troppe emozioni.
    Anche Zedečka fu concorde. “Hai ragione, non avevo notato che si fosse fatto così tardi.”
    “Ho fatto preparare una stanza anche per te, Zed” spiegò Haruko, alzandosi. Afferrò la bottiglia vuota e i bicchieri abbandonati sul tavolo con praticità e si diresse alle cucine. “E’ quella accanto alla camera di Yuzo e Mamoru.”
    “Oh, benissimo. Allora fatemi strada, gioventù.” Con un po’ di fatica fece forza sul bastone per riuscire ad alzarsi. La sua grande mole era difficile da spostare con una gamba fuori-uso, ma in vent’anni aveva cominciato a farci l’abitudine.
    Hajime e Teppei li precedettero lungo le scale e furono anche i primi a raggiungere la stanza che si trovava proprio alla sommità della rampa.
    Il Tritone appoggiò una mano sul braccio del volante. Gli sorrise. “Cerca di dormire, va bene? Se avessi bisogno di qualcosa, io e Teppei siamo qui, e Mamoru ce l’hai accanto. Non esitare a buttarlo giù dal letto.”
    Il tyrano ridacchiò divertito e anche Yuzo accennò un sorriso, limitandosi ad annuire.
    “Ah, ah. Che simpatica sardina” borbottò invece la Fiamma, avanzando verso la propria stanza. Subito seguita da quella di Zedečka.
    Mamoru entrò per primo, accennando un saluto al vecchio brigante. Yuzo lo raggiunse in un attimo, ma Zed lo fermò prima che entrasse.
    “Un momento solo, ragazzo. Concedimi l’ultimo minuto. Solo io e te.”
    Si allontanarono dalla porta non prima che il volante avesse rivolto un’occhiata fugace al compagno di Fuoco, quasi a cercare la sua approvazione. Il giovane annuì impercettibilmente e socchiuse l’uscio, per lasciarli soli.
    Yuzo e Zedečka si fermarono all’altro lato del corridoio; la mole del brigante sovrastava completamente quella dell’Elemento, facendolo apparire addirittura minuto. L’uomo gli poggiò una mano sulla spalla, accigliandosi.
    “Lo so che senti il peso di come tutti ti guardano, qui in città. Si aspettano grandi cose perché sei il figlio di Bashaar, ma sappi che non devi preoccuparti: ignorali e pensa solo a quello che senti sia più giusto fare. Non sei Bash e anche se le Dee ti hanno appiccicato la sua faccia, di carattere sei uguale ad Arya. Non forzare la tua natura e non sentirti in dovere verso nessuno, questa non è la tua guerra e a noi basta solo che tu sia qui, fisicamente.” Inspirò a fondo, spostando lo sguardo al pavimento. Poi tornò a sollevarlo verso di lui. “Era la forza quella che ci mancava per poter reagire. Alla morte di Bashaar e degli altri l’avevamo persa del tutto, ma vedere te, pensare che in qualche modo loro siano tornati per combattere con noi di nuovo, ci basta e avanza per poter credere di riuscire a vincere, questa volta. Basta che ci sei; al resto possiamo pensare noi.”
    Gli stava offrendo una scappatoia per lavarsene le mani e non prendersi responsabilità. Zed forse non se ne rendeva conto, ma era proprio questo che Yuzo leggeva nelle sue parole. L’ennesima scorciatoia, via di fuga. Sarebbe stato facile, eppure il solo pensiero di mettersi all’angolo come spettatore lo innervosiva.
    Zed gli diede una leggera pacca sulla spalla. “Buonanotte, figliolo.”
    Yuzo lo osservò arrancare con il bastone e quando fu davanti alla porta della stanza decise di fermarlo ancora una volta.
    “Zedečka”, strinse i pugni lungo i fianchi, “hai perso qualcuno vent’anni fa? Oltre… oltre ai tuoi amici.”
    Le labbra non si riuscivano a vedere da sotto i baffi, quindi non comprese bene l’espressione che fece, ma gli occhi e la voce restituirono il senso di dolore e rassegnazione che venivano soffocati strenuamente per impedirsi di cedere.
    “Mia moglie e mia figlia.”
    Lui abbassò lo sguardo, annuendo piano. “Capisco.”
    “Non pensarci e riposati” disse infine, varcando la soglia della camera e richiudendo la porta sull’ultima frase: “Qualunque sia l’esito, domani a quest’ora sarà tutto finito.”
    E Yuzo si rese conto che per lui non sarebbe finito nulla e che per quanto Zedečka dicesse che non fosse la sua guerra, la terra aveva sepolto tra i morti anche le persone a lui care.
    Con lo sguardo basso entrò in stanza e prese a cambiarsi senza dire niente.

    Hajime si accorse subito di come Teppei avesse cambiato espressione una volta che furono da soli in camera.
    Subito dopo aver salutato Yuzo, l’aveva visto dirigersi alla finestra e lì restava ancora, a sbirciare il fermento di Ghoia oltre i vetri. Nonostante l’ora tarda, la città era sveglia e vigile, frenetica. Non c’era tempo da perdere e non importava che fosse notte, il buio non sarebbe stato un ostacolo.
    Il Tritone l’osservò, muovendosi per la camera senza però prestare attenzione a ciò che faceva.
    “Che cos’hai?” Si decise a chiedere, alla fine.
    Teppei fece spallucce, senza distogliere lo sguardo. “Nulla. Cosa vuoi che abbia?”
    Ma la sua espressione avvilita non poteva ingannarlo. Il tyrano non era mai stato bravo a raccontare bugie, quello che mentiva alla perfezione era sempre stato lui.
    Piano gli si fece vicino, fermandosi al suo fianco. Non disse né chiese nulla. Sapeva di non averne bisogno, perché Teppei non era un tipo che andava pregato per tirargli fuori dubbi e incertezze; e poi, lui le capiva al volo anche quando non le diceva e a Rhanka glielo aveva dimostrato.
    “Non è giusto” confessò il tyrano. Gli occhi fissi all’esterno. “Tutto questo non è giusto.”
    “Non si tratta di giustizia, ma di destino.”
    “E allora è un destino infame! Non bastava quello che era successo a Sendai?!” Teppei scosse il capo. Chiuse il pugno sul vetro e vi poggiò la fronte. “Ho sempre pensato che dietro eventi così grandi e dolorosi ci fossero per forza le Dee. Non li evitano perché deve esserci una ragione fondamentale se avvengono, ma… ma allo stesso tempo non posso non pensare che loro si stiano solo divertendo alle nostre spalle. E questo è orribile, per un Elemento.”
    “Le Dee ci hanno lasciati liberi e il destino appartiene solo a noi. Siamo sempre noi uomini che facciamo del male. Non le Dee.”
    “E quale consolazione dovrei trovare nell’idea di Divinità che restano a guardare dall’alto con indifferenza?”
    Hajime sospirò, passandogli una mano nella folta chioma, riccia e morbida, ma non rispose. In quel momento Teppei non aveva bisogno di fare filosofia elementale, ma solo di sfogarsi un po’.
    “Yuzo non se lo merita tutto questo.”
    “Lo so.”
    “E questa sensazione di impotenza perché non possiamo fare nulla mi snerva. E mi fa rabbia. Non vorrei mai vedere soffrire i miei amici.”
    “Ma c’è qualcosa che possiamo fare. Non è molto, ma è tutto ciò che ci resta.”
    Teppei si decise a rivolgergli lo sguardo. Il viso restituì un’espressione abbattuta. “E cosa?”
    “Restargli vicino. Come abbiamo fatto a Sendai.”
    “Forse non è sufficiente… come non lo è stato allora.” Il lungo sospiro del tyrano si infranse contro il vetro, appannandolo leggermente. “Credi che non me ne sia accorto? Solo perché cerco sempre di scherzare o di mantenere l’atmosfera leggera non significa che non veda le cose. Il peso di quello che è successo lo angoscia e in tutto questo tempo la situazione non è cambiata. Poi… poi non ne parla e continua a soffrire da solo.”
    Dai capelli, Hajime fece scivolare la mano sulla spalla, stringendola per infondere fiducia all’amico di sempre. “Se non vuole parlarne, forse è perché non si sente pronto per condividerlo con noi. Dobbiamo rispettare i suoi tempi, per questo dico che non possiamo fare altro che stargli vicino. E poi io non credo che sia inutile.”
    “Speriamo” sospirò di nuovo il tyrano, scansandosi definitivamente dal vetro per guardare il compagno. “E se dormissimo tutti insieme, stanotte? Così gli facciamo compagnia.”
    Hajime inclinò il capo di lato, sul volto aleggiò un sorriso divertito. Teppei aveva davvero un cuore grande e anche se era un rozzo Elemento di Terra, certe volte, con la testa dura e che spaccava pietre a mani nude, sapeva mostrare un lato tenero insospettabile.
    Con affetto, gli spettinò i ricci. “E’ un pensiero carino, ma non credo ce ne sia bisogno. Non dimenticare che c’è Mamoru con lui.”
    “Ah, beh. Signor Cinico col Tatto da Elefante. Come dire ‘dalla padella alla brace’” borbottò il tyrano, incrociando le braccia e mettendo il broncio. “Finisce che lo demoralizza ancora di più.” Si impuntò, ma il ghigno di Hajime gli fece inarcare un sopracciglio. “Non mi piace l’espressione che stai facendo…”
    “Ma allora non vedi proprio tutto come dici.” Il Tritone si sfregò le mani, nascondendo un piglio furbetto dietro il ciuffo ribelle.
    “Che vorresti dire?!”
    “Mah, niente… perché toglierti il gusto di scoprirlo da solo” rise ancora, allontanandosi verso il proprio letto, con Teppei che lo tampinava.
    “Cosa dovrei scoprire?!”
    “Ci arriverai.”
    “Naaaa! E dimmelo!”
    Ma Hajime aveva già deciso che non avrebbe aperto bocca, curioso di sapere come si sarebbe evoluta la situazione. Però di una cosa era certo: in quel momento, l’unica persona che poteva avvicinare Yuzo e provare a fargli aprire il suo cuore era la Fiamma. E nessun altro.

    Una volta che il volante fu entrato in camera, Mamoru ne osservò i movimenti in silenzio e non gli piaceva vederlo così taciturno. Così come non gli piacevano quell’espressione e quello sguardo spenti. Sembrava che tutta la sua vitalità fosse scivolata via dagli occhi assieme alle lacrime.
    Fin dal loro rientro alla locanda, poi, Yuzo si era lasciato attraversare dagli eventi; passivamente aveva ascoltato chi gli stava intorno, compreso Hansen, e aveva percepito nettamente il modo in cui aveva continuato a cercare la sua presenza accanto a sé. Presenza che non gli aveva fatto mancare per un solo istante. Per il resto, Yuzo sembrava un corpo vuoto alla ricerca di un’anima.
    Uccellino.” Lo chiamò, attirandosi le sue iridi; stava richiudendo l’ultimo bottone del pigiama.
    Lentamente, Mamoru gli fece spazio nel proprio letto e il volante lo osservò perplesso.
    “Hai freddo?”
    “No, non è per quello” scosse il capo la Fiamma, abbozzando un sorriso ironico.
    Per un momento, Yuzo non riuscì a capire, poi le labbra si distesero con affetto e gratitudine sinceri. “Ti ringrazio del pensiero, ma non preoccuparti. Sto bene, davvero.” Anche se il suo sguardo sembrava dire tutt’altro.
    “Sei sicuro?”
    “Sì. E’ tutto a posto.”
    Mamoru continuò a seguirne i movimenti, il modo in cui le labbra venivano abbandonate senza espressione, il modo in cui si muoveva per la camera così lentamente che sembrava avesse avuto macigni al posto delle gambe. Trascinava il proprio corpo come una zattera alla deriva: le onde la spingevano a riva e la risacca la riportava indietro per farla sbattere di nuovo, ma la zattera non si ribellava, continuando a essere contesa dallo sciabordio. Per Yuzo era la stessa cosa, gli eventi attorno a lui e le emozioni dentro di lui erano onde e risacca. Avanti e indietro lungo una stessa linea. Lo vide scivolare sotto le coperte e spegnere la candela con un soffio leggerissimo.
    “Buonanotte” augurò il volante, voltandogli le spalle.
    “Sì, buonanotte” rispose senza convinzione, troppo preso dall’osservare come si rannicchiasse sotto le coperte. Dava quasi l’idea di voler farsi più piccolo possibile per scomparire; le coltri erano arrivate a coprirlo fin sopra la testa.
    Caricò lo sguardo di decisione e astio. Lo stava facendo di nuovo, quasi senza accorgersene; si stava isolando ancora, comprimeva la sofferenza dentro di sé per affrontarla da solo, ma non ce l’avrebbe fatta, non poteva, non ora che aveva perso tutta la sua forza d’animo. E lui non sarebbe rimasto a guardare mentre altre mura sarebbero tornate a ergersi per intrappolarlo per sempre in quella condizione di angoscia.
    Con un gesto deciso si alzò. Non si era mai fatto problemi a usare le maniere forti, di certo non avrebbe cominciato adesso.
    Senza alcuna delicatezza sollevò le sue coperte.
    “Fammi spazio.”
    Yuzo si girò a guardarlo senza capire, mentre lui si sedeva sul bordo e si sdraiava al suo fianco. “Ma che…? Ti ho detto che non ce n’è bisogno!”
    Mamoru non sentì ragioni. Inquadrò il suo sguardo nell’oscurità, inarcando un sopracciglio.
    “Voglio dormire con te, è un problema?”
    Yuzo si rese conto d’essere arrossito, più per il modo diretto che per la proposta in sé, in fondo avevano già condiviso il letto, la cosa non lo sconvolgeva.
    “No, certo che-”
    “E allora spostati.”
    Il volante non seppe che altro replicare, sulle prime, allora si limitò a sospirare, facendosi da parte. Purtroppo, però, quel letto era molto più stretto di quello in cui avevano dormito a Rhanka, e i suoi movimenti furono più calibrati e attenti per non cadere dall’altra parte.
    “Come vuoi” capitolò. “Certo che sei incoerente forte, l’altra volta hai fatto tutte quelle storie e ora…” Scosse il capo, decidendo di abbandonare la diatriba. Era troppo stanco anche per discutere con Mamoru, aveva troppi pensieri per la testa e si sentiva svuotato di tutto, quasi gli avessero tolto anche le interiora assieme al cuore e alle emozioni. Tornò a mostrargli la schiena, restando stretto nella sua parte di letto, e non disse altro.
    Ma restare in silenzio era l’unica cosa che Mamoru non voleva. Alla Fiamma bastò guardarlo meglio per capire quali fossero le sue necessità, erano evidenti, ma il volante continuava a ignorarle in tutti i modi.
    “Guarda che lo so che ne hai bisogno e non devi aver paura di chiedermelo né di ammetterlo.”
    “Non capisco di cosa tu stia parlando. Non ho bisogno di niente” rispose l’altro spiccio, lui non demorse e inarcò un sopracciglio.
    “Sei proprio un dannato testardo, lo sai?”
    Yuzo si mosse, girò il capo e si sollevò un po’, ma quel movimento lo mise in trappola. “Senti chi parla! Anche tu non scherzi e sappi che-”
    Le braccia di Mamoru gli scivolarono attorno e lo colsero impreparato quando si chiusero intorno a lui. Lo strinsero con una presa dolce e protettiva. Non era forte, ma sentì che non sarebbe mai riuscito a liberarsene. Avvertì il respiro del compagno scivolare tra l’orecchio e il collo e infine poggiarsi sulla nuca, in un solletico piacevole che gli trasmise un brivido strano. Poi il calore si diramò in tutta la schiena, quando sentì il petto e l’addome dell’altro aderire perfettamente al suo corpo. Anche le mani di Mamoru, che si erano chiuse sulle sue, bloccandole in quella stretta, erano calde. Caldissime.
    Yuzo aggrottò le sopracciglia e chiuse gli occhi.
    Gli era grato.
    Per aver capito anche se non aveva detto nulla, per essere così testardo da aver ignorato i suoi ‘no’ poiché mai come quella notte sentiva il bisogno fisico di rinchiudersi in un abbraccio. E quell’abbraccio lo avvolgeva come un nido, mentre una strana sensazione di déjà-vu gli carezzava la pelle sotto il tessuto leggero degli abiti.
    Mamoru lo sentì rilassarsi, il corpo scioglieva la tensione che lo aveva tenuto rigido fino a quel momento. Si calmava, usciva dall’isolamento.
    “Parlane con me” sospirò e gli sfiorò la nuca con le labbra. “Se continui a chiuderti in te stesso non ne verrai mai fuori né andrai avanti, ma tornerai costantemente indietro. Accumulerai, soffocherai e soffrirai come adesso. Ogni volta sarà peggiore di quella che l’ha preceduta. Per questo voglio che ne parli. Ogni pensiero che ti passa per la testa, ogni ricordo che senti ti farà piangere, ogni evento che potrà ferirti condividilo; sai benissimo che puoi farlo. E ti basterà chiederlo o anche solo accennarlo e ti abbraccerò tutte le volte che vorrai.”
    “Tutte le volte?”
    Fu solo un sussurro, ma riuscì a sentirlo chiaramente. Sorrise.
    “Tutte le volte.”
    Udì Yuzo inspirare a fondo. Respiri ampi che potessero riempire completamente i polmoni e frenare le lacrime. Poi, lo sentì muoversi tra le sue braccia, girarsi e tornare a mostrargli il viso. Diversamente da quanto avvenuto a Rhanka, questa volta si rannicchiò contro di lui consapevolmente e non più nascosto dietro l’incoscienza del sonno. Cercava il contatto, il suo corpo dentro il quale scomparire per un po’.
    Mamoru lo lasciò fare. Lasciò che le sue gambe si intrecciassero alle proprie con quei movimenti sensuali e innocenti che aveva già conosciuto ma non dimenticato, lasciò che le sue mani gli scivolassero sul petto con delicatezza e che il viso sfregasse tra il collo e la spalla, alla ricerca del punto più nascosto e protetto. Lasciò che il respiro gli si poggiasse sulla pelle. Aspettò che si fermasse e poi fu lui a muoversi. Mosse le gambe per intrecciarle ancora di più, in modo che gli fosse impossibile fuggire. Gli poggiò il palmo aperto sulla schiena, stringendolo ancora un po’, e poi lo fece scivolare, adagio, in un movimento continuo e rassicurante. L’altra mano, invece, era già tuffata nei capelli corti.
    Non parlarono per un tempo che sembrò lungo un’infinità, eppure erano consapevoli che nessuno dei due stesse dormendo.
    “Quando hai detto che saresti rimasto al mio fianco… parlavi sul serio?”
    Yuzo fu il primo a rompere il silenzio e la sua voce arrivò leggermente ovattata.
    Quella domanda lo fece arrossire un po’ nel ricordare quanto fosse stato impulsivo e come non avesse minimamente pensato prima di parlare. Si era esposto così tanto che poteva anche dirgli la verità sui suoi sentimenti e farla finita. Però non lo fece.
    “Sì.”
    “E cosa succederà quando termineremo la missione? Abbiamo ancora due anni di studio, ognuno di noi tornerà alla propria scuola…” C’era una nota affranta nella voce del volante. Nota che non gli sfuggì e che gli fece perdere un battito lungo la via.
    “Guardi già così lontano? Questa missione non mi dà l’idea di qualcosa che possa concludersi presto. È quasi un anno che viaggiamo e poi c’è la guerra…”
    “Lo so…”
    Mamoru sospirò per la sua rassegnazione. “Cos’è che ti spaventa?”
    “I cambiamenti non previsti, le convinzioni disattese. Credere che resterai davvero e poi scoprire che te ne andrai. Resterei solo…”
    “Ma tu non sei mai stato solo, Yuzo. Mai. Sei sempre stato circondato da persone che ti vogliono bene sul serio. I tuoi amici, tuo padre.”
    “Mio padre non sa tutto…” La voce del volante si era fatta più bassa nel dire quella frase. Suo padre aveva capito che provava dell’astio verso i suoi genitori, ma lui credeva non avesse mai compreso quanto fosse forte; non era mai riuscito a superare la barriera che aveva eretto per difendersi e quindi ignorava anche l’entità del dolore che restava latente e si confondeva nel rancore.
    “Perché tu non gli hai permesso di capirlo. È stato il tuo rinchiuderti a isolarti dal resto del mondo, a mantenere una patina che ti separasse dagli altri e ti impedisse di capire quante persone avevi realmente al tuo fianco.” Mamoru non smise di carezzargli i capelli e il suo tono si mantenne calmo, seppur lo stesse rimproverando. “E comunque, si tratterebbe solo per il tempo di finire la scuola. Non sarebbe mica un addio.” Yuzo non sembrava convinto e lui sorrise. “Ti ho mai mentito finora?”
    “No.”
    “E allora credimi. Mantengo sempre le mie promesse.”
    Questo Yuzo non poteva proprio negarlo. Mamoru aveva trascorso gli ultimi quattordici anni della sua vita dietro una promessa e l’aveva portata a termine. Perché avrebbe dovuto disattendere quella?
    Le labbra si distesero in un sorriso. Sfregò il volto contro di lui, celandolo un po’ di più.
    “Sarebbe perfetto se potessimo rimanere così per sempre” esalò. “Isolati da tutto ciò che può far male, nascosti al mondo… Sarebbe bello.”
    Mamoru lasciò un pesante respiro tra i suoi capelli. Le dita scivolavano lungo la schiena, tracciando il percorso della spina dorsale. Arrivavano alla base, oltre la quale nasceva la curva dei glutei e poi risalivano.
    Avrebbe voluto andare oltre. Toccarlo ovunque. La linea oltre la quale non sarebbe più potuto tornare indietro era già stata oltrepassata e perduta alle spalle, ma non importava. L’aveva ormai dimenticata.
    Avrebbe voluto baciare ogni parte del suo corpo e amarlo. Perché era questo ciò di cui Yuzo aveva bisogno. Amore. Non l’affetto di un amico o di un padre, ma l’amore, quello vero, che non avrebbe potuto spezzarsi nemmeno con tutti gli incantesimi e le armi del mondo. Quella fiducia totale e incondizionata, quella certezza che qualsiasi cosa sarebbe potuta accadere, la persona amata non lo avrebbe mai abbandonato né tradito. Quella necessità di avere un punto fisso cui guardare per non perdersi nella nebbia e nel buio. Quel legame… che anche lui aveva sempre desiderato e rifuggito al contempo.
    A Sendai ne aveva avuto il sentore, ma ora c’era la certezza: erano uguali, pur avendo percorso strade diverse. Talmente simili che non riusciva più a distinguere dove finiva Yuzo e cominciava egli stesso.
    Ma questa somiglianza gli faceva male perché non poteva dargli ciò di cui aveva bisogno. Non adesso. Era troppo pericoloso confessare i propri legàmi in un momento così oscuro, era come mostrare il fianco in un combattimento: il rischio di vederli distrutti era alto e poteva uccidere. C’erano delle priorità e andavano alla missione di trovare il Principe e affrontare la Guerra. E non era una scusa per rifuggire i propri sentimenti per la paura di affrontarli, quanto di difenderli e difendere l’altro dall’ennesimo dolore.
    Sospirò di nuovo, celando l’amarezza che Yuzo non sembrò cogliere.
    “Non è possibile nascondersi in eterno.” Lo diceva a lui, ma anche a sé stesso.
    “Sì, lo so. Ma lasciamelo fare questa notte, solo per stanotte. Fammi illudere un’ultima volta, poi domani… domani…”
    Quella parola feriva, Mamoru poteva sentirlo, racchiudeva tanti significati che al volante facevano male.
    “Domani è un giorno come un altro. Come oggi, come ieri e come quello che lo seguirà.”
    “Si aspettano troppo da me. Nei loro occhi c’è la speranza di veder cancellati per sempre questi anni di sofferenza e io… io non so…” Strozzò il fiato nella gola e poi inspirò. “E’ me che hanno di fronte, ma vedono mio padre e so di non essere alla sua altezza.”
    “Questo lo credi tu. Hai sempre peccato di fiducia nelle tue capacità.” Sbuffò. “Cosa ti ha detto Hansen?”
    “Di non preoccuparmi e di non pensare a quello che gli altri si aspettano da me. E che, dopotutto, questa non è la mia guerra.”
    “Ha ragione.” Mamoru lo sorprese tanto che Yuzo aprì gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento. “Anche se magari può sembrare cinico, non hai nessun obbligo verso questa città. Non sei Bashaar e non conta quello che devi, ma quello che vuoi fare. Soprattutto, non dimenticare che il Delegato agisce per conto del Doge, è un’autorità. Sarà pure un bastardo, ma noi non abbiamo il potere di destituirlo dal suo ruolo.”
    “Ma… ma hai visto quello che fa agli abitanti?” Il volante si agitò tra le sue braccia, tentando di sollevare la testa per guardarlo negli occhi, però la Fiamma glielo impedì, tenendolo bloccato in quella posizione. “Li fa vivere nel terrore, li prosciuga di tutto ciò che hanno. Come posso fingere che non mi riguardi? Loro sono… sono…” - …la mia gente… -
    Mamoru lo strinse un po’ di più, avvertendo nervosismo e indecisione nelle sue parole. Era combattuto perché nonostante fosse giunto a Ghoia solo da quella mattina stava già iniziando a riconoscerla come la città cui appartenere e non poteva ignorare ciò che il Delegato aveva fatto ai suoi genitori e ai briganti.
    Eppure si sentiva frenato. Avvertiva il peso del confronto, delle aspettative che gli gravavano sulle spalle e lo lasciavano confuso e frustrato.
    “Non lo so, io… io non lo so. Non lo so, non lo so!”
    Shhh…” Il tocco della Fiamma lo calmò ancora quasi sapesse come controllare il suo spirito inquieto. “Lascia perdere questi pensieri. Dovresti cercare di dormire e di riposare.”
    “Non ci riesco… non riesco a tenerli fuori dalla mia testa. Ci provo, ma tutto resta sempre lì.” Yuzo sbuffò. Era davvero stanco. “Tu conosci un modo per non pensare? Voglio solo questo. Non pensare… chiudere gli occhi e non pensare a niente.”
    Ma Mamoru, per quanto anche a lui avrebbe fatto comodo, purtroppo non sapeva come trovare finalmente il silenzio. La Coscienza era un qualcosa che non si poteva zittire o ignorare perché parlava, parlava e parlava senza sosta. Però avrebbe potuto sopraffare la sua voce, coprirla con altre affinché non fosse più una presenza ronzante.
    “Pensa alle cose belle” disse, lasciando perplesso l’amico.
    “Le cose belle?”
    “Sì, i ricordi felici, piacevoli. Se non si può smettere di pensare, almeno prova a considerare qualcosa che non faccia del male. È una soluzione, no?”
    Non ne conosceva altre e a Yuzo sembrò bastare.
    Mamoru lo sentì inspirare a fondo e ripetere le sue ultime parole come se in quel modo avesse potuto trovare una soluzione.
    “Le cose belle…”
    Quali erano le sue cose belle? I ricordi di Alastra? Il volo? Le phaluat e la voliera? Suo padre?
    La mente tornò indietro, cercando di fare ordine in quella confusione insopportabile, e nel rincorrersi delle risate infantili che si accavallavano allo sbatter d’ali e alla voce del Console, riuscì a tirare fuori il suo primo e vero ricordo felice.
    Sorrise, avvertendo per l’ennesima volta gli occhi inumidirsi, ma li ignorò. La voce scivolò dalle labbra appena schiuse e, mentre cantava, riuscì a rivedersi piccolissimo, in braccio a sua madre seduta sul dondolo.
    It’s out there, it’s out there… it’s out there if you want me I’ll be here… It’s out there, it’s out there, it’s out there if you want me I’ll be here… I’ll be dreaming my dreams with you, I’ll be dreaming my dreams with you… and there’s no other place, that I lay down my face… I’ll be dreaming my dreams with you…

    The CranberriesDreaming my dreams
    (Cover version by Shabi Bar & Hadar Ozeri)(1)

     

    Lo svegliò il cinguettio di un uccello passato più vicino alla finestra della loro camera. La sua abitudine a essere mattiniero, poi, fece il resto.
    Yuzo aprì lentamente un occhio, inquadrando, poco alla volta, il collo scoperto di Mamoru che era ancora immerso nel sonno.
    Non ricordò con precisione quando era riuscito ad addormentarsi, ma era quasi certo che le ultime parole sulle sue labbra erano state quelle della ninnananna.
    Si mosse adagio, abbandonando il suo piccolo nascondiglio che, per davvero, era stato capace di celarlo al mondo durante quella notte che era stata fin troppo breve.
    Doveva alzarsi, ma si trovava così bene tra quelle braccia, che non gli sarebbe dispiaciuto poltrire ancora un po’. Alla fine si sollevò, per nulla intenzionato a dare ancora fastidio al compagno di Fuoco. Già doveva aver dormito scomodamente con lui nel letto; almeno per quelle ultime ore voleva togliersi di torno. Forse, un po’ di aria fresca, col sole che faceva appena capolino sulla linea dell’orizzonte, gli avrebbe fatto bene.
    Lentamente si massaggiò gli occhi. Li sentiva ancora pesanti a causa di quel continuo piangere che non era riuscito a controllare, ma da quel momento in poi sarebbe stato diverso. Aveva detto che quella sarebbe stata l’ultima notte in cui si sarebbe crogiolato nell’illusione che tutto fosse perfetto, che il mondo era fuori e lui al sicuro in una dimensione chiusa e intoccabile. Le mura erano già cadute e la perfezione esplosa in un temporale di tuoni e fulmini. Se era proprio quel mondo che avrebbe dovuto affrontare da ora in avanti, quello che faceva male e in cui l’ideale di una vita perfetta non esisteva, allora doveva smetterla di essere debole e prendere nuovamente quel controllo di sé che davanti ai fantasmi del passato si era dissolto.
    Si passò una mano sul viso, quasi avesse potuto ancora sentire l’umido delle lacrime rimaste sulla pelle.
    A conti fatti, prima degli eventi di Sendai, l’ultima volta che aveva pianto in maniera tanto disperata era stato quando suo padre gli aveva comunicato la notizia che sarebbe divenuto un Cavaliere dell’Onice. Abbozzò un mezzo sorriso ironico a quel ricordo, pensando che fossero passati solo pochi anni, ma già allora avrebbe dovuto capire che la sua vita era stata costruita in una sfera di vetro. E nonostante le lacrime versate allora e quelle versate a Sendai, ne aveva accumulate talmente tante che non riusciva a capacitarsi di come non fosse mai esploso prima, di come avesse fatto a resistere, a ignorare la loro presenza ed essere così cieco da non vedere quanto, davvero, stesse soffrendo. Non esisteva nemico più difficile di sé stessi: conosceva tutti i trucchi per metterti con le spalle al muro. Ma alla fine l’aveva spuntata e ora che s’era liberato, si sentiva come purificato e più leggero, ma debole. E lui non voleva essere debole. Lo doveva alla sua famiglia. A sua madre, suo padre e suo nonno.
    Si volse per osservare la figura di Mamoru i cui capelli serpeggiavano indisciplinati sul cuscino e sul viso. Sorrise. Forse non sarebbe mai riuscito a dimostrargli davvero tutta la sua gratitudine perché aveva fatto per lui molto di più di quanto sarebbe mai riuscito a dire.
    Aveva sempre cercato di aprirgli gli occhi, di mostrargli l’imperfezione della realtà, ma lui si era incaponito nel vedere solo la luce del sole in un cielo terso, senza notare le ombre che creava dietro gli ostacoli, e quando finalmente era caduto dal suo pilastro di intoccabilità, la Fiamma aveva attutito il colpo e si era fatto carico di accompagnarlo lungo il dolore.
    Mamoru era il controllo perduto e la certezza che da tutto quello si poteva uscire.
    Yuzo inclinò leggermente il capo e seguì con gli occhi il percorso di una ciocca corvina che scivolava lentamente sul viso dalle linee perfette e leggermente marcate.
    Era molto, molto bello. Si corresse e accennò un sorriso: moltissimo. Considerando quanto lo era sua madre, non avrebbe dovuto stupirsene. Lo aveva sempre pensato, ma non gliel’aveva mai detto e poi il ricordo di come i complimenti lo imbarazzassero a morte lo fece sorridere ancora di più. Adagio allungò una mano e le dita spostarono delicatamente la sottile ciocca ribelle. Poi le ritrasse, deciso ad alzarsi, ma un’altra mano, non sua, lo bloccò prima che potesse mettere piede giù dal letto.
    “Il sole non è ancora sorto. Torna a dormire.” La Fiamma aveva gli occhi chiusi e il viso affondato nel cuscino.
    “Oh, scusami. Ti ho svegliato.”
    Nh. Ero già sveglio.” Le dita strette attorno al polso di Yuzo.
    “Colpa mia, questo letto non è largo come quello di Rhanka, devi aver dormito malissimo” spiegò il volante. “Mi stavo alzando proprio per quello, per permetterti di riposare come si deve un altro po’.”
    “Non te l’ho chiesto. Torna giù.” Sembrò una polemica, ma il tono non era affatto pungente o sarcastico, quanto calmo e leggermente assonnato.
    “Ma-”
    “E obbedisci!” Mamoru sbuffò rassegnato e lo tirò versò di sé, tanto che al volante non rimase che eseguire. E il modo di rimproverarlo e di dare sempre ordini anche appena sveglio lo fece ridacchiare con un certo gusto, mentre tornava a prender posto tra le sue braccia accoglienti. In quel preciso istante, in cui aveva provato sia il calore della loro stretta che il disagio del distacco, capì perché si trovasse così bene tra di esse.
    “Posso dirti una di quelle cose che a te non piace sentire?”
    Mamoru gorgogliò una risata. “Se il buon giorno si vede dal mattino, avanti.”
    “Il tuo abbraccio mi ricorda Alastra.”
    La Fiamma aprì gli occhi di scatto; sveglio del tutto in un attimo.
    “E’ la stessa sensazione di protezione e familiarità. Quando ti sono così vicino, mi sembra di essere… a casa.”
    Le iridi rimasero spalancate e fisse sui suoi capelli, mentre realizzava che lo aveva associato, paragonato alla cosa più importante che avesse e, quasi per assurdo, lui non era in grado di dare un nome a ciò stava provando in quel preciso istante, sapeva solo che il cuore aveva improvvisamente accelerato i battiti.
    “Però, sai cosa? Preferisco essere qui.”
    Mamoru deglutì con uno sforzo e a mala pena riuscì a sfoggiare il solito tono pungente.
    Tsk. Non l’avresti mai detto fino a poco tempo fa. Sei cambiato, volante.”
    “Anche tu” rispose Yuzo prontamente. “Fino a poco tempo fa mi avresti urlato l’impossibile per simili parole.”
    “Dovevi per forza farmelo notare, vero?” La risata del volante gli fece il solletico. “E questa? Cosa odono le mie orecchie? Stai ridendo! Udite udite, l’uccellino non ha dimenticato come si fa!” Si divertì a prenderlo in giro ma, dentro, il suono della sua voce venata da una punta di allegria gli sembrò la cosa più bella che avesse mai ascoltato. “Come ti senti?”
    Yuzo sospirò.
    “Leggero...”
    “Ma?”
    “...svuotato e indeciso.”
    Mamoru avvertì che questa consapevolezza lo metteva in ansia, anche senza guardarlo negli occhi. Lo capiva dalla voce, lo percepiva dal modo di respirare e ogni volta che si rendeva conto di quanto il livello di comprensione verso l’Elemento d’Aria si fosse fatto profondo e forte, ne restava sgomento egli stesso, perché sapeva spiazzarlo.
    “Sento che dovrei fare qualcosa, che dovrei… smetterla di essere così… così…” Yuzo sbuffò, cercando di stemperare la frustrazione. Soffiò un sorriso contro il suo collo. “Ma non ti starai mica preoccupando per me, vero?” ridacchiò, aspettandosi la solita risposta acida, tipica di Mamoru, ma la Fiamma non voleva affatto scherzare, non quella volta, e lo capì anche Yuzo.
    “Certo che lo sono.”
    Il sorriso si dissolse dalle labbra del volante, mentre socchiudeva gli occhi e aggrottava le sopracciglia.
    “Non devi” replicò, la voce gli uscì leggerissima. “Ormai sono corazzato.”
    “E’ proprio questo che mi preoccupa, Yuzo. Non voglio che tu ti nasconda dietro un nuovo muro. Le mura non proteggono, ma trattengono. I nemici restano sempre dall’altra parte ad aspettare. Aspettano il momento giusto per dare l’assalto, quando nel muro si crea una crepa.”
    Quelle parole gli fecero pungere gli occhi, perché sapeva che la Fiamma aveva ragione, che ciò che gli stava dicendo era quello che, inevitabilmente, sarebbe accaduto. Ma un muro che andava in pezzi aveva effetti devastanti, e, ormai, sapeva anche quello.
    “Anche io ci sono passato” riprese Mamoru, la voce decisa, seppur senza rimprovero o severità. “Tu lo sai. E sai anche come nascondersi sia inutile. Non scappare.”
    Scappare.
    Non era quello che aveva fatto per una vita intera?
    Rifuggire la realtà, barricarsi nell’isolamento di Alastra e nella sua perfezione serena e tranquilla. Ogni volta che stava male volava via. Anche quello era scappare, scappare dal dolore perché sembrava così enorme da essere un avversario impossibile da affrontare. Lui, poi, non ci aveva mai nemmeno provato, preferiva allontanarsene pensando di poter essere più veloce e seminarlo, ma era impossibile distanziare ciò che viveva dentro di te.
    Yuzo tacque e la Fiamma, per un  attimo, pensò d’aver complicato le cose.
    Non era più capace di controllare la propria lingua: parlava senza pensare, agiva senza pensare. Tutto quello che gli passava per la testa e per il cuore si mutavano in verbo e le parole che uscivano erano lì a testimoniare come quel legame si facesse a ogni momento più indissolubile e intricato, forte come cento corde unite da altri cento nodi. Poi, il volante emise un sospiro lento che sembrò carezzarlo, provocandogli un leggero brivido lungo la schiena e il desiderio di toccare il suo corpo tornò prepotente a cavalcare l’onda di quel fremito. Desiderio. Era la prima volta che aveva una simile reazione al suo fiato sulla pelle e questo non andava bene. Per un attimo avrebbe tanto voluto saper usare anche lui il famoso Autocontrollo, perché c’era quel fottuto istinto che aveva bisogno di darsi una regolata. E doveva darsela subito.
    Con uno sforzo, ignorò tutto il resto e si concentrò solo sulla voce di Yuzo.
    “Mamoru.”
    “Dimmi.”
    “Aiutami.”
    “Cosa vuoi fare?”
    Sorrise della decisione che avvertì nella voce, una decisione che, piacevolmente, gli ricordò lo Yuzo che a Sundhara era stato disposto a morire pur di salvare un’intera città, lo Yuzo che a Sendai aveva fatto di tutto per allietare gli ultimi giorni della piccola Yoshiko, lo Yuzo che a Dhyla lo aveva messo spalle al muro per affrontare suo padre e il passato.
    Lo Yuzo che gli aveva fatto scoprire di nuovo e con forza l’importanza di avere dei legàmi.
    Sapeva che, anche quella volta, avrebbe preso l’unica decisione che si sarebbe mai potuto aspettare da lui.
    “Vendicarmi. Vendicare loro. Vendicare la gente di Ghoia.”
    Dalle labbra di Mamoru scivolò fuori uno sbuffo ironico, pervaso da una punta di perfidia. “Ti sei rivolto alla persona giusta.”
    Il volante spalancò gli occhi. Con decisione si divincolò dal suo abbraccio e si mise a sedere. Il viso mostrò un’espressione tra il confuso e il sorpreso. “Vuoi dire… che avevi già un piano prima che io-”
    “Per chi mi hai preso, mh? Per uno stupido volante?” replicò Mamoru, allungando un braccio e pungolandogli la fronte con l’indice. “Però dovrai fidarti del sottoscritto” aggiunse, inarcando pericolosamente un sopracciglio.
    “Ma io mi sono sempre fidato di te.”
    Il ghigno divertito tornò a farsi sorriso sulle labbra della Fiamma e gli occhi neri brillarono alle prime luci che riuscivano a filtrare tra le imposte chiuse.
    “Allora lasciami fare.”
    La mano si mosse sulle lenzuola per prendergli il polso ancora una volta e tornare a tirarlo giù, tra le sue braccia, e Yuzo si lasciò guidare, di nuovo, docile docile.
    “Lasciami fare…”
    Il volante gli solleticò il collo con un sorriso quando tornò ad appoggiargli il viso contro la pelle. La sua voce era un mormorio piacevole.
    “Ma se ti lascio fare, finisce che ammazzi qualcuno. Come con il Naturalista Hans.”
    Mamoru arrossì fino alla punta dei capelli. “E questo chi te l’ha detto?!”
    “Oh, sai… un pesciolino ha nuotato fino alla mia porta.”
    Seguì un attimo di silenzio e poi uno sbuffo ingrugnato.
    “Hajime!”

     

    “When it’s black /
    Quando è buio
    take a little time to hold yourself /
    prendi un po’ di tempo per te stesso,
    take a little time to feel around /
    prendi un po’ di tempo per sentire cosa succede
    before it’s gone /
    prima che sia passato.

    You won’t let go /
    Non vuoi lasciarti andare
    but you still keep on falling down
    ma stai ancora continuando a cadere.
    Remember how you saved me now /
    Ricorda come mi hai salvato,
    from all of my wrongs, yeah /
    da tutti i miei sbagli, yeah.

    And if there’s love just feel it /
    E se c’è amore, sentilo
    and if there’s life we’ll see it /
    e se c’è vita, la vedremo.
    This is no time to be alone, alone, yeah
    Non è questo il tempo di essere solo, solo yeah.
    I won’t let you go /
    Non ti lascerò andare.

    Say those words /
    Dici quelle parole
    say those words like there’s nothing left /
    dici quelle parole come se non ci fosse più niente.
    Close your eyes and you might begin that there is some way out /
    Chiudi i tuoi occhi e potrai iniziare a vedere che c’è una via d’uscita.
    Open up /
    Aprimi,
    open up your heart to me now /
     aprimi il tuo cuore, ora,
    let it all come pouring out /
    lascia che tutto venga fuori;
    there’s nothing I can’t take /
    non c’è nulla che non possa prendere.

    And if there’s love just feel it /
    E se c’è amore, sentilo
    and if there’s life we’ll see it /
    e se c’è vita, la vedremo.
    This is no time to be alone, alone, yeah /
    Non è questo il tempo di essere solo, solo yeah.
    I won’t let you go /
    Non ti lascerò andare.

    And if your sky is falling /
    E se il tuo cielo sta crollando,
    just take my hand and hold it /
    prendi la mia mano e stringila.
    You don’t have to be alone, alone, yeah /
    Non devi essere solo, solo yeah.
    I won’t let you go /
    Non ti lascerò andare
    (Won’t let you go, won’t let you go) /
    (non ti lascerò andare, non ti lascerò andare)
    And if you feel the failing of the light /
    E se senti la mancanza della luce,
    and you’re too weak to carry on the fight /
    e se sei troppo debole per continuare la lotta
    and all your friends that you care for have disappeared /
    e tutti gli amici a cui tieni sono scomparsi,
    I’ll be here now darling, forever, holding on /
    sarò qui, tesoro, per sempre, stringendoti.

    James MorrisonI won’t let you go

     


    [1]: X3 con questa si spiega pure perché io abbia scelto proprio la voce di Shabi Bar da affidare a Yu-chan. Questa è la mia canzone preferita dei The Cranberries. :3 E sembra davvero la ninna nanna che una madre canterebbe al proprio piccinino (lo hanno detto anche loro); ci vedevo benissimo Arya a cantarla a Yuzo.
    Cercando su youtube qualche cover, l'unica eseguita da un uomo è stata questa. Ed era in coppia. E l'altra voce era femminile. E io mi son trovata a pensare: "Yuzo e sua madre", quasi come se la cantassero assieme. T^T mi ha fatto tenerezza e l'ho scelta. XD ecco svelato l'arcano!


    \O/ Shame on me! Settimana scorsa mi ero dimenticata di mettere l'immagine di Hansen! °-° All'ultimo momento mi son scordata, così ho deciso di rimediare in questo capitolo: salutate il vecchio Zed, *clicca qui* (inoltre, mi sono accorta che riportando il file in html, mi aveva scritto male il nome di Zed -_-: è Zedečka con la 'č'. Questo cambia la pronuncia del nome: scritto "ck" è un rafforzativo, come "zoCColo", con la "č", questa si legge come 'Ciao' e la "k" come "peCora". Filo a correggere anche nel capitolo precedente :3)


    …Il Giardino Elementale…



    *-* tornano le scene da letto FTW!!!
    XD non posso farne a meno, sono più forti di me, le adoro troppo per non metterle (e ci faranno compagnia almeno un'altra volta ancora nel corso di questa storia *ride*)
    Per la cronaca: no, Yuzo non lo sapeva nello specifico come era stato ucciso Hans, per voluta omissione della Fiamma. XD Peccato che Hajime abbia la lingua più lunga del Elementia XDDDD
    Dunque, un altro capitolo di preparazione, perché la questione era lunga e il rimuginare su sé stessi anche, e Yuzo non poteva passare dallo sconvolto andante al deciso e senza dubbi come se niente fosse, doveva comunque passare per tutto un percorso (oh, comunque non è deciso e senza dubbi, i dubbi ce li ha lo stesso, ma sa che non potrebbe mai restare a guardare). E poi avevo bisogno di altro tempo e altri momenti per far avvicinare quei due cretini un po' di più, o no?! X3333
    Sì, il prossimo capitolo è quello delle mazzate XD So che in molti lo stanno aspettando, ma vi annuncio che è LUNGO, quindi, non vi spaventate quando ve lo troverete davanti, va bene? XD *ha sempre i sali a portata di mano*
    Giusto per mantenervi aggiornati con ciò che sto scrivendo: sono già alla terza parte del Capitolo 14 e sto andando anche abbastanza spedita, ergo, non credo subirà ritardi di aggiornamento (sempre Santa Neve che mi ha tenuta a casa praticamente per TUTTO Febbraio XD Non ho fatto altro che scrivere come una macchinetta *-* E ho anche avuto il tempo di impelagarmi in TRE e dico TRE contest diversi XD Ma chi sono?!)

    Ah, sì, oltre a consigliarvi tantissimo le canzoni perché son davvero belle, penso che il video della canzone di James Morrison sia stupendo oltre ogni dire. T^T

    Ringrazio, come sempre, tutti i miei lettori fidati che non si arrendono e lottano strenuamente - più degli Elementi - per riuscire a vedere la fine di questa fic X3. Giuro, i sequel saranno BREVISSIMI! XDDD \O/ Noooo! Non scappate solo perché avete letto 'sequel'!!! *Mela rincorre i lettori*
    :**** grazie a tutti!



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 36
    *** 12 - I Briganti di Ghoia - parte VI ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 12: I Briganti di Ghoia (parte VI)

    Ghoia, Dogato di Tha Cerròs – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-occidentali

    “Je n'ai pas peur de la route /
    Non ho paura del cammino.
    Faudrait voir, faut qu'on y goûte /
    Si vedrà, bisogna assaggiare
    des méandres au creux des reins /
    i meandri oscuri delle nostre emozioni
    et tout ira bien là /
    e tutto andrà bene.
    Le vent nous portera /
    Il vento ci guiderà.

    Il Delegato Dogale, Erik Van Saal, aveva avuto gli incubi per tutta la notte.
    I due uomini che aveva mandato a Ghoia per la riscossione delle tasse erano tornati e avevano varcato le soglie del castello in tutta fretta, gridando come disperati che Bashaar era tornato.
    Quando aveva sentito quel nome era rimasto pietrificato sulla poltrona, ma poi aveva riso dell’impossibile eventualità perché Bashaar era morto. Morto e sepolto da quasi vent’anni e lo aveva ucciso lui. Con le proprie mani l’aveva trapassato con una delle enormi scimitarre appartenute al brigante, con i propri occhi l’aveva visto esalare l’ultimo respiro.
    Bashaar era morto e quegli uomini dovevano aver bevuto o chissà che altro.
    Poi si erano gettati, ansanti e terrorizzati, ai suoi piedi.
    “Mio signore, dovete crederci! L’abbiamo visto, non siamo impazziti!”
    “Era il fantasma del brigante! E’ tornato dalle Terre dell’Oltre!”
    “Imbecilli.” Li aveva azzittiti con tono tagliente, guardandoli dritto negli occhi. “Quel cane, la sua strega puttana e tutti gli altri bastardi sono crepati. A quest’ora le loro ossa saranno state rosicchiate dai topi.”
    “Ma… ma era lui… noi l’abbiamo-”
    “E da quando i morti risorgono dalla tomba?” aveva ghignato, poi si era rilassato contro lo schienale della poltrona. “Dovete averlo confuso con qualcun altro. Descrivetemelo.”
    Le due guardie si erano scambiate un’occhiata perplessa e poi quella magra aveva preso la parola.
    “Non… non doveva avere più di vent’anni…”
    A quel punto era sbottato in una risata talmente forte che era risuonata per tutta la sala, anzi, per tutto il palazzo.
    “Vent’anni?! Ne aveva trenta quando c’ha tirato le cuoia, decerebrato, come può averne venti?!”
    E giù un’altra risata.
    Nessuno aveva fiatato e lui era stato pronto per fare un’altra battuta che però gli era rimasta strozzata in gola.

    “Oggi… posso anche… morire, ma… un giorno… qualcuno… te la farà pagare… per tutto questo…”
    “E chi? Nessun brigante sopravvivrà. Vi farò passare tutti a fil di spada. Farò trovare le vostre donne e farò uccidere anche loro. E i vostri figli. Chiunque si metterà sulla mia strada troverà la morte.”
    “… mio figlio… non… non morirà… perché lui… lui… è nato… libero…”

    Il figlio di quel cane quanti anni doveva avere?
    Se l’era domandato all’improvviso e poi aveva scosso il capo con foga: erano stati uccisi tutti e i loro cadaveri bruciati. Nessuno era sopravvissuto. Nessuno.
    Ma quella notte non aveva chiuso occhio. Gli incubi di Bashaar, dei briganti, dell’Erborista lo avevano perseguitato e, all’alba, aveva dato ordine ai suoi uomini di sellare i cavalli e partire: sarebbero andati a Ghoia. Quei cani rognosi e ribelli avevano bisogno di una nuova lezione e lui era pronto a impartirgliene una memorabile.
    Era a questo che stava pensando mentre cavalcava alla testa del gruppo di miliziani composto da circa un’ottantina di uomini. L’espressione solenne, la schiena dritta e la testa alta. Sulle labbra un sorriso bieco. Al suo fianco, il capo delle guardie aveva il volto pallido e l’aria di chi, come lui, non doveva aver dormito per niente.
    “Che hai?” Gli chiese d’un tratto e Kahil sobbalzò, uscendo dai suoi mille pensieri.
    “No. Niente, mio signore.”
    “Lo spero. Voglio vedere un bello spettacolo oggi, non deludermi.”
    “Sì, signore.”
    Ma il solo pensiero fece rabbrividire il soldato.
    Il figlio di Bashaar. Non aveva fatto altro che pensare a questo da che i due uomini erano tornati. Li aveva presi da parte dopo che avevano parlato con il Delegato Dogale e si era fatto spiegare tutto per filo e per segno. E più i due raccontavano, più lui si era convinto che il fantasma di Bash altri non fosse che il bambino: quello che diciannove anni prima non aveva avuto il coraggio di uccidere. Tra tutti, aveva risparmiato proprio suo figlio, ma come diavolo era stato possibile? Quali Dee avevano interceduto, quel giorno, per salvarlo?
    Gli errori del passato si pagavano sempre, e non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, il fato avrebbe bussato alla porta con il conto da saldare. E lui aveva un conto infinito, sporco di sangue, di persone innocenti, di bambini che piangevano ancora nella sua testa, certe notti, e di madri che urlavano. Il lezzo di carne bruciata non aveva mai lasciato le sue narici e in tutti quegli anni aveva perso buona parte del sonno e della propria sanità mentale.
    A dire la verità, forse aveva vissuto solo in funzione di quel giorno. Perché lui l’aveva sempre saputo che il passato sarebbe tornato; le parole di Bashaar non erano state che una maledizione e un avvertimento lanciati su di loro perché non abbassassero mai la guardia. Ma mentre tutti gli altri avevano riso e avevano finito con l’ignorarlo, lui non l’aveva mai dimenticato.
    Sospirò lungamente e chiuse gli occhi per un momento. Quando li riaprì, la città di Ghoia comparve in lontananza e lui sentì il peso sulle spalle farsi più greve e sforzare il cuore che batteva veloce, inarrestabile.
    Van Saal sistemò meglio la sua figura spessa sulla sella, drizzando le spalle.
    “Ci siamo, finalmente” disse, abbozzando un’espressione di puro spregio e fastidio per essere stato scomodato in quel modo da assurde fantasie di schiavi che non avevano ancora capito che la ribellione non portava altro che alla morte. Quando un cane prova a mordere il padrone è la catena che viene stretta, per serrarsi attorno al collo e insegnargli chi comanda. Allo stesso modo, lui avrebbe fatto stringere tante corde attorno a loro, per ficcargli in testa una volta per tutte cosa fosse l’ubbidienza.
    “Aumentiamo il passo” ordinò ai suoi uomini. Il gruppo spronò gli animali e questi andarono più veloci. Il rumore degli zoccoli era un ritmo scoordinato che sembrava crescere di intensità, pur rimanendo uguale.
    La terra si sollevava, creando una piccola nuvola di polvere attorno alle zampe dei cavalli, quasi camminassero su un cuscino.
    Quando si approssimarono alle porte, il comandante Kahil scorse una testa che scompariva velocemente dietro una casa. Era la vedetta lasciata in attesa, ma nessuno di loro, a partire dal Delegato Dogale, aveva mai puntato sull’effetto sorpresa. Se davvero era il figlio di Bashaar, quello che era arrivato in città, e se davvero assomigliava a suo padre come dicevano, allora tutti, lì a Ghoia, avevano saputo fin dal primo istante quello che sarebbe accaduto.
    “Chissà dove ci staranno aspettando quei cani.” Van Saal sbuffò una smorfia, guardandosi attorno. Già prima di varcare la porta della città, si era accorto che non c’era un’anima per le strade. Il corso principale, dal quale si snodavano le varie stradine, era deserto. I banchi del mercato erano stati lasciati coperti e sgomberi dalle merci. Le porte e le finestre erano sbarrate, così come anche le soglie delle botteghe. Nessuno nascosto dietro i vetri, nessun trambusto di oggetti, legno, mormorii. Nemmeno il vento faceva rumore e le fronde sembravano essersi fermate di colpo dallo stormire.
    Solo il silenzio li accolse, il silenzio della morte che anni prima avevano lasciato alle loro spalle.
    Kahil inspirò a fondo, ma più cercava di incamerare aria, più gli sembrava che non fosse abbastanza per riempire i polmoni e si ritrovò a inspirare ancora un paio di volte.
    “Sembri preoccupato.” Il Delegato Dogale lo derise continuando a guardare in avanti. “Ti fanno così tanta paura i fantasmi?” La sua era solo una battuta di pessimo gusto, ma Van Saal non sembrava considerare che a volte i fantasmi potevano entrare nei corpi delle persone e animare i loro occhi. E lui, in quelli del figlio di Bashaar, cosa avrebbe visto? Lo sguardo di suo padre?
    Era così terrorizzato che gli tremavano le gambe.
    “Affatto, mio signore” mentì meglio che poté, cercando sicurezza nella crudeltà che non aveva mai fatto parte del suo animo fino in fondo. “Non vi faremo perdere tempo, statene certo. Ce ne libereremo subito.”
    “No, perché così presto?” Van Saal strinse lo sguardo e il naso adunco sembrò farsi più sottile e appuntito. “Voglio che la loro sofferenza sia lunga e dolorosa. Diamo loro modo di ricordare i vecchi tempi, ma questa volta… ci assicureremo che capiscano fino in fondo la lezione.”
    Kahil annuì brevemente, ingoiando a vuoto. La bocca impastata di saliva ma la gola secca. Faceva troppo caldo quel giorno; più del solito. O forse era solo la sua impressione?
    Seguirono la strada principale  fino a che qualcosa non parve cambiare e nel vuoto assoluto che aveva reso Ghoia una città disabitata, nel silenzio che gli stava spaccando i timpani qualcosa brillò di lontano verso una piazzetta laterale. Delle sagome scure si stagliarono contro il colore chiaro delle costruzioni illuminate dal sole alto sulle loro teste. L’ora di pranzo era passata solo da una manciata di minuti e le ombre si iniziavano ad allungare.
    Sentì il cuore che arrivava fino alla gola quando si rese conto che quelle sagome erano uomini e quel brillio non era che il luccicare delle lame delle loro armi rudimentali. Rastrelli, forconi, pale, spranghe di ferro, mazze di legno, asce.
    “Il comitato di accoglienza.” Il Delegato Dogale non sembrò intimorirsi. “Piccoli, ingrati bastardi. Dopo tutto quello che faccio per loro. Non sono che feccia.”
    Eppure Kahil aveva il sentore che più cose terribili avesse detto Van Saal, più il prezzo da pagare sarebbe stato salato. E anche la sola idea del sale nella bocca gli fece seccare la gola ancora di più.
    Il gruppo entrò con passo trionfante nella piccola piazza e si fermò a poca distanza dalla prima fila di uomini. Tra di essi, al centro, vi era l’unica donna.
    Kahil trasalì visibilmente nel riconoscere, nei tratti del suo viso, quelli della giovane che aveva salvato assieme al bambino. Non c’erano più dubbi, ormai. Il figlio di Bashaar era tornato.
    “Finalmente posso vedere in faccia chi dovrò punire” esordì il Delegato Dogale, sollevando il mento. “Avete osato cacciare dei membri della Guardia Cittadina che agivano per ordine mio. Sapete, vero, cosa comporta un simile atto di protesta? I miei ordini sono gli ordini del Doge.” Si sporse in avanti, appoggiandosi sul bordo della sella. “O devo forse pensare che vogliate ribellarvi proprio al signore del dogato? Sapete cosa succede a chi prova a sfidare la mia autorità…”
    Le sue minacce si scontrarono con un muro di silenzio. Nessuno dei cittadini parve intimorito; nei loro occhi leggeva la durezza del ferro. Si ritrasse e cercò di non dare a vedere come la loro non-reazione l’avesse infastidito.
    Van Saal guardò i due soldati che avevano farneticato di Bashaar. “E allora? Dov’è? Io non vedo il vostro fantasma.” Accennò un sorriso ironico.
    Quello più magro prese coraggio. “E’ uscito da quella locanda!” Indicò l’ingresso aperto del Daaku.
    “E allora andatelo a prendere, no? Vediamo di muoverci, ho una lezione da impartire quest’oggi.” Minacciò, tornando a guardare la gente. I miliziani scomparvero all’interno della locanda, muovendosi svelti. “Una lezione molto più severa di quella che ricordate. Qualcuno potrebbe dire che il fegato non vi manca di certo, ma io più che fegato lo chiamerei ‘pazzia’. Ad ogni modo, vedrete se non saprò fare di peg-”
    In quel momento, uno dei soldati volò fuori dalla locanda, rovinando pesantemente sul terreno, davanti agli zoccoli del cavallo di Van Saal. Il suo compare più grosso lo seguì qualche attimo dopo.
    Van Saal sgranò gli occhi mentre Kahil cercava di acquietare il proprio animale, innervosito da tale confusione.
    Una voce allegra provenne dal locale e la figura di un giovane con i capelli ricci fece capolino. Si stava ripulendo le mani. “Non ci siamo per niente. Li ho atterrati con un pugno solo, ma ci pensi?”
    Era seguito da altri due ragazzi. Uno aveva dei lunghi capelli neri e l’altro gli incisivi sporgenti.
    “Era anche per questo che non ti ho fatto partecipare, ieri. Non ti avrebbero dato soddisfazione.” Appoggiò quello con i capelli lunghi, mentre il terzo se la rideva.
    “E voi chi diavolo siete?!” sbottò Van Saal; la bocca distorta in una smorfia confusa e infastidita.
    “E-e-erano… c-con… Bash…aar…” faticò a dire uno dei miliziani. Il naso spaccato di netto e non solo quello, purtroppo per lui. L’altro era svenuto sul colpo.
    “Ah, sì?!” Il Delegato si irritò ancora di più. Guardò i tre stranieri che, a loro volta, lo stavano fissando: l’aria di chi non aveva alcuna paura, quasi fosse stato solo un fantoccio di paglia, e l’espressione disgustata. Quello con i capelli lunghi, in particolare, gli diede l’impressione di volerlo incenerire solo con lo sguardo. La loro arroganza lo mandò in collera.
    “Ebbene?!” sbottò, gli occhi che vagavano in mezzo alla moltitudine di volti immobili come maschere di cera. “Dove sei, fantasma?! Voglio proprio vedere che faccia hai, piccolo bastardo! Avanti! Vieni fuori! Vieni fuori se hai il coraggio!”
    “Ci tieni tanto a vedermi?” Quella voce gelò sia lui che Kahil sulle selle. “Eppure il mio viso dovresti conoscerlo bene. Quello davvero curioso, dei due, sono io.”
    La folla, ferma davanti a Van Saal, si aprì adagio e in silenzio. Fecero spazio a un giovane che avanzò in mezzo a loro; in una mano stringeva l’elsa della spada di Bashaar, quella con cui lui l’aveva trafitto e piantato al suolo. La riconobbe all’istante e d’istinto appoggiò la sua su quella che aveva legata alla sella. Era il suo trofeo di vittoria e l’aveva portata perché con quella stessa scimitarra, che era stata il simbolo della loro passata rivolta, li avrebbe affossati nuovamente nel sangue. Però, nel momento stesso in cui le sue iridi si fermarono sul ragazzo, sul suo viso e sul suo sguardo, Van Saal avvertì, di netto, il sangue prosciugarsi dalle vene. Lo sentì strisciare e ritirarsi, come la marea dalla spiaggia.
    “I morti non risorgono…” sibilò, cercando di convincere sé stesso.
    Al suo fianco, Kahil era rimasto muto. Nella gola sentì un nodo serrarsi così forte da lasciarlo incapace di respirare e negli occhi pungevano le lacrime delle sue notti insonni.
    Yuzo si fermò qualche passo avanti ad Haruko. Riempì le iridi della figura di Van Saal, che squadrò dall’alto verso il basso. Lentamente.
    Quello era l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori, che aveva assoggettato un’intera cittadina e fatto soffrire decine e decine di persone.
    Quello era l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori; che aveva ucciso suo nonno, tutti i briganti, le loro mogli e i loro figli.
    Quello era l’uomo che aveva ucciso i suoi genitori.
    Lo sezionò con lo sguardo, quasi avesse potuto farlo a pezzi per poterlo osservare meglio, per imprimersi nella memoria ogni singolo tratto del suo volto e della sua persona per non dimenticarlo mai. La calvizie incipiente sulla fronte e i lunghi capelli bianchi che formavano una striscia alla base della testa, il naso adunco e sottile, le labbra tese e gli occhi piccoli, vicini. La struttura massiccia, lo stomaco abbondante, gli abiti ricchi e dai tessuti pregiati, gli stivali con finiture in argento.
    L’elsa.
    Di.
    Vendetta.
    La mano inguantata era poggiata sulla gemella di Dolore e il fatto stesso che quell’uomo stesse toccando qualcosa appartenuta a suo padre gli fece ira e ribrezzo assieme.
    Inspirò a fondo per abbassare il livello di collera che sentiva montare dentro di sé come un’onda di marea. La represse con forza e nella testa continuava a pensare che il piano di Mamoru fosse sbagliato.
    Fin da quella mattina, quando la Fiamma gli aveva detto: “Terrorizzalo”, lui era rimasto perplesso.
    “E’ vendetta che vuoi, no? Allora fagli provare la più grande paura della sua vita. Fagli desiderare d’essere morto. Piegalo, sotterralo sotto tutto quello che tu ti sei trovato a reprimere fino adesso.” Aveva continuato il compagno e nel suo sguardo aveva letto una fermezza che credeva non sarebbe mai riuscito a eguagliare. Tirare fuori il suo odio gli faceva paura, perché sapeva quanto grande fosse e il solo pensiero di lasciargli campo libero lo inquietava.
    Non pensava che, invece, fosse tanto semplice, quasi naturale. Emergeva dal petto, si riversava dal cuore e colava nella cassa toracica come la lava di un vulcano. Entrava nelle vene e si mischiava al sangue, entrava nei polmoni e diveniva respiro, bollente, usciva dalle narici, dagli occhi, dalle labbra, da ogni poro della pelle. Si fondeva ai suoi poteri e diveniva vento. Il vento l’avrebbe guidato nelle azioni da compiere, nelle parole da dire. Il vento, che era stato l’obiettivo da raggiungere, poi l’alleato, poi il nemico e poi di nuovo un fedele compagno. Il vento con i suoi mutamenti bizzosi, che andava e veniva a suo piacere, che aveva bisogno d’esser controllato con le unghie e con i denti. Il vento. La libertà. Di suo padre e di sua madre, di suo nonno e dei briganti. La sua. Il vento che sceglieva il suo nome, il vento che gli faceva incontrare il Console, il vento che era al suo fianco ancora, per aiutarlo a vendicarsi.
    L’espressione tesa e iraconda iniziò a sciogliersi nella piega deliziata delle labbra che ghiacciava la schiena perché non aveva niente di buono.
    Nel cielo, il sole venne oscurato da una nuvola spuntata all’improvviso. Alcuni miliziani alzarono lo sguardo e videro che ce n’erano altre, che nascevano e morivano e si muovevano con velocità innaturali. L’aria attorno iniziò a farsi più fredda e tagliente. Il vento fece stormire le foglie e sollevare abiti e capelli.
    Yuzo allungò la mano vuota verso Van Saal. “Hai qualcosa che mi appartiene” disse. “Dammela. Dammi quella spada” pretese senza mezzi termini e il nocciola degli occhi sembrò brillare alla luce di qualcosa che l’uomo non riuscì a identificare chiaramente. “Io voglio Vendetta.”
    Il Delegato Dogale deglutì con uno sforzo. Le labbra strette presero a tremare per la rabbia. Non riusciva ancora ad accettarlo del tutto, ma se quello non era il fantasma di Bashaar allora doveva essere per forza suo figlio. Per forza! Perché la somiglianza non poteva essere un fottuto caso e quell’atteggiamento che sembrava non aver paura di niente neppure. E quella sicurezza di sé? Quel sorrisetto di sfida?
    Arricciò le labbra in un ghigno e la stretta attorno all’elsa di Vendetta si fece ferrea.
    “Come diavolo è possibile che quel bastardello sia ancora vivo?!” Si rivolse al suo comandante pur senza guardarlo. “Avevo detto di ucciderli tutti! Ero stato chiaro! Come hai potuto permettere che te ne sfuggisse uno?! E proprio il figlio di quel cane, maledizione!”
    Kahil boccheggiò come un pesce fuori dall’acqua.
    “Uno?” Un’altra voce sprezzante tuonò e venne accompagnata dal gorgoglio di una risata. “Puoi anche dire due!” Zedecka Hansen si fece largo, trascinando la gamba col suo fido bastone.
    Van Saal riuscì a riconoscerlo, seppur invecchiato e con una benda sull’occhio. “Tu?!” sputò, la voce saliva di tono. “Ti ho visto morto!”
    Zed rise di lui. “Non hai guardato bene, vecchio porco. Ero solo mezzo morto.”
    Stavolta, il Delegato si girò verso il comandante, ma gli occhi di Kahil erano fissi su quanto stava accadendo. Non avrebbe mai creduto che, a salvarsi, fossero stati addirittura in tre. Zedecka era stato una sorpresa anche per lui.
    “Kahil! Che diavolo significa tutto questo?! Sterminali, dannazione! Ripara agli errori, datti una mossa!”
    L’uomo era frastornato, ma sì… avrebbe davvero riparato agli errori su quello Van Saal poteva stare certo. Senza rispondere scese dal cavallo reggendosi sulle gambe con passo malfermo.
    Vide la donna poggiare una mano sulla spalla del ragazzo attirandosi la sua attenzione. “E’ l’ufficiale che ci risparmiò” spiegò e se lui avesse potuto vedere il volto del Delegato avrebbe trovato i suoi occhi ancora più allibiti e spalancati, ma a Kahil, in quel momento, non importava nulla di ciò che l’uomo avrebbe potuto pensare. Anzi, a dirla tutta, non gli sarebbe importato nemmeno nei momenti a venire.
    Piano si trascinò davanti al giovane, guardandolo fisso in quegli occhi pieni di odio. Lo poteva vedere chiaramente, lo poteva addirittura sentire sulla pelle, nell’aria che gli girava intorno e che si era fatta insinuante.
    “Qual è il tuo nome?” chiese, la voce che faticava a uscire.
    Il volante abbassò la mano ancora tesa nell’attesa di ricevere la spada, il sorriso venne sostituito da una espressione seria. Lo guardò fisso e senza indietreggiare; non si mise nemmeno in posizione di difesa quasi percepisse chiaramente che colui che aveva davanti non era una minaccia.
    “Yuzo.”
    “Yuzo…” ripeté Kahil adagio, mentre annuiva. Poi fece quello che nessuno si sarebbe mai aspettato: si lasciò cadere in ginocchio, appoggiò le mani al suolo e si inchinò; la faccia premuta nella rena. “Mi dispiace. Mi dispiace per tutto. Non ho avuto il coraggio per impedire l’orrore di vent’anni fa. Speravo che risparmiandoti potessi mettere a tacere almeno un po’ la mia coscienza, ma è stato vano. Tutto vano.” Le lacrime si mischiarono alla polvere. “Ho sempre saputo che un giorno saresti tornato e se sei qui significa che le Dee lo hanno voluto, così come hanno voluto che ti lasciassi vivere. Allora… allora non avere pietà. Uccidimi, torturami, vendicati come più ti aggrada. Accetterò tutto quello che deciderai. Tutto.”
    L’espressione non variò sul viso di Yuzo mentre l’aria attorno a lui gli sussurrava ciò che la rabbia le dettava. E diceva di accontentarlo, senza mezzi termini, gli sarebbe bastato un attimo, un colpo di spada e la testa si sarebbe staccata dal collo con la precisione chirurgica del bisturi di un Naturalista.
    Si volse per cercare lo sguardo di Mamoru, perché in quel momento non riusciva a distinguere cosa fosse giusto e cosa sbagliato.

    “Liberati, falla esplodere. Esaurisci tutta la rabbia che ti sei portato dentro fino a questo momento.”
    “Non credo sia una buona idea. E se… se dovessi perdere il-”
    “Ti fermerò io. Non preoccuparti, sarò lì con te.”

    Nella pece dei suoi occhi trovò la solidità della realtà cui aggrapparsi, la lucidità delle azioni da compiere.
    “Non devi ucciderli.”
    Era come se Mamoru glielo stesse dicendo a voce, ma la sua bocca era ferma e le labbra chiuse.

    “La rabbia sarà il vento che ti scivolerà attorno, ma non sarà più parte di te. Sarà il tramite per andare fino in fondo, ma non la mano che firmerà la condanna né il boia che la eseguirà.”

    Cominciò a ripetere quella frase nella testa in maniera lenta e ciclica. Una volta dietro l’altra per ricordarla a ogni gesto che avrebbe compiuto, a ogni respiro che avrebbe preso e a ogni parola che avrebbe detto e ascoltato.
    “Che cosa?!” La voce di Van Saal giunse irata e traboccante di sdegno. “Cosa devo sentire! Traditore bastardo! È così che mi obbedisci?!” Preso dalla foga estrasse Vendetta dal fodero legato alla sella. La lama danzò nel vento con eleganza, nonostante chi la brandisse fosse un uomo rozzo. “Ti insegno io a voltarmi le spalle, Kahil! Vuoi morire?! Ecco quello che ti aspetta per averlo risparmiato e per avermi tradito!” Impennò il cavallo e calò il fendente. L’avrebbe inchiodato al suolo come con Bashaar. Ma l’acciaio di Vendetta cozzò, con un rumore cupo, contro quello di Dolore.
    “Non ti permetterò di sporcare la spada di mio padre con del sangue che non sia il tuo, Van Saal.”
    L’interpellato rabbrividì a quella minaccia di Yuzo e allo sguardo immobile con cui gliel’aveva rivolta. Sollevò l’arma, facendo arretrare il destriero di un passo. “Guardie!”, chiamò, “Ammazzateli! Ammazzateli tutti! Non un solo essere umano deve sopravvivere!
    La risata del giovane con i capelli lunghi spezzò la sua foga e quando vide che una fiamma, una fiamma pura!, gli ardeva nel palmo della mano perse tutte le parole.
    “Il primo che si muove lo spedisco all’Infero senza nemmeno passare per il Gefüra” minacciò senza mezzi termini e per rafforzare il concetto liberò il potere del fuoco, innalzando una barriera alle spalle di Van Saal isolandolo, di fatto, dai suoi scagnozzi. “Se volete mettere alla prova il vostro ardore col mio, prego, a vostro rischio.”
    “Nel caso, penserò io a spegnervi per bene.” Accanto all’altro, quello con gli incisivi sporgenti aveva una lingua d’acqua che gli avvolgeva il braccio.
    Per il Delegato quella scoperta ebbe l’effetto di una doccia gelata.
    “Elementi?!” esalò, carico di sconcerto. Lentamente lo sguardo tornava a posarsi sul figlio di Bashaar.
    Il cielo oscurato da nuvole in corsa e il vento che, di colpo, esplose in raffiche che spazzavano la piazza senza sosta.
    “Sì. Elementi” confermò Yuzo.
    Il cavallo di Van Saal si impennò spaventato dalla forza della magia che percepiva come una presenza minacciosa. L’uomo ne tenne saldamente le redini, seppur con fatica, e tutto ciò che fu in grado di pensare fu che doveva fuggire da lì.
    Alle sue spalle, il volante aveva ripreso la parola. “Scendi da cavallo e affrontami.”
    Van Saal non ci pensava nemmeno. Era condannarsi a morte, lo comprese all’istante. Caricò il muro di fuoco, deciso a superarlo con un balzo, ma non aveva tenuto conto del fatto che Yuzo aveva messo da parte la storica pazienza in suo onore.
    “Ti ho detto di scendere.” Sollevò la mano e con un gesto secco strappò l’uomo dalla sella sfruttando il potere del vento.
    Kahil rimase a guardare la semplicità con cui il figlio di Bashaar l’aveva atterrato. Non poteva, non poteva assolutamente essere un caso se quel ragazzo era tornato. Le Dee lo avevano protetto fin da piccolissimo; il fatto che fosse un Elemento ne era una prova e il fatto che fosse lì ne era un’altra. Le Dee in persona erano venute a riscuotere il prezzo di tutte le loro malefatte.
    “Ti ho detto di restituirmi Vendetta.” Yuzo allungò nuovamente la mano verso Van Saal, ora a terra. Quella spada apparteneva a lui e se la sarebbe fatta ridare a qualsiasi costo.
    Il Delegato si mise a sedere, dolorante. La spalla e la schiena gli facevano male per il colpo ma non era disposto a cedere. Arrancò nella polvere. La mano vagò per cercare la scimitarra che, nella caduta, aveva perduto. La trovò e la strinse, saldamente, brandendola come fosse una difesa invincibile, ma non si rese conto di peggiorare la situazione.
    Un sorriso sottile tese le labbra di Yuzo, mentre aumentava la forza delle raffiche. Quest’ultime erano piene di collera e sollevavano rena, frustavano lo spazio, costringevano a chiudere gli occhi. Le chiome degli alberi si dibattevano in fruscii confusi e spaventati. L’aria piangeva e ululava senza sosta.
    Van Saal si trascinava sulla terra per allontanarsi da lui che restava in piedi e solido, quasi che il vento non esistesse nemmeno. Dolore stretta nella mano e con la lama rivolta al suolo.
    Lo guardò con occhi spalancati e cercò di farsi scudo con Vendetta, inutilmente, perché le raffiche non gli permisero più nemmeno di brandirla.
    “Fermali! Ferma i tuoi poteri!”
    “E perché dovrei?” Yuzo si strinse nelle spalle. Il sorriso assunse una piega che inquietò il Delegato Dogale. “Immagino che anche i briganti, quando venivano trucidati, ti chiedevano di fermarti, ti supplicavano. E tu? Tu ti sei fermato?” Scosse il capo facendo schioccare la lingua con divertimento e ironia.
    Van Saal arretrò ancora. “Sei pazzo…”
    Yuzo non lo smentì, ma oscillò una mano in aria e da sotto la manica, girando attorno al polso e poi alle dita, fili di elettricità si attorcigliarono tra loro e si allungarono verso il suolo, formando una corda lunga e sottile. Il volante la fece schioccare, producendo un suono acuto e crepitante. Una frusta di fulmini.
    Il sorriso scivolò dalle labbra, lasciando al suo posto un’espressione severa e dura. Adagio, iniziò ad avvicinarsi all’uomo che prontamente scivolò indietro, scalciando nella terra.
    “Adesso striscia” ordinò Yuzo. “Chiedi perdono per tutto quello che hai fatto, chiedi perdono per le persone che hai trucidato, chiedi perdono per il dolore che hai arrecato e per il modo in cui hai reso schiave queste persone. Chiedi perdono alla gente di Ghoia. Chiedi perdono a me.” La frusta danzava al suolo, anche senza che il volante la muovesse: l’elettricità la rendeva viva e vibrante. Altri passi, lentissimi. “Supplicami, implorami di lasciarti vivere. Striscia ai miei piedi come la serpe che sei e pregami di essere magnanimo come tu non sei stato.”
    Van Saal tremò per la collera che gli salì al viso. Mostrò i denti in un ringhio rabbioso e poi abbaiò, sputando saliva e tirando calci come un toro.
    “Pietà?! Perdono?! Fottiti, piccolo bastardo! Ti taglierò la gola con la spada di quel porco di tuo padre!” rise in maniera convulsa, gli occhi spalancati inglobavano le facce impassibili di tutti gli abitanti che lo fissavano senza fiatare; volti scolpiti nella pietra. La terra sollevata dal vento gli andò in bocca, ma non se ne curò. “Voi mi appartenete! Io decido delle vostre vite che valgono uno sputo! Ve la farò pagare per esservi ribellati di nuovo! Siete carne morta che cammina! Carne morta!” E giù, ancora, un’altra risata fuori controllo.
    Yuzo sollevò il volto al cielo; oscillò appena seguendo ritmicamente il movimento del vento che gli smuoveva gli abiti. Strinse le labbra e sospirò. “Risposta sbagliata.”
    La frusta schioccò nell’aria e poi serpeggiò veloce, abbagliando Van Saal per un istante e colpendolo in pieno viso.
    Il bruciore della folgore lo fece gridare e rotolare di lato, nella terra, tenendosi la guancia.
    Yuzo continuava a guardare il cielo con aria assorta. Sembrava che il vento gli sussurrasse cosa fare e come.
    “Supplicami” ripeté, abbassando lo sguardo privo d’espressione. “Supplicaci.”
    “Bas… tardo…”
    La frusta lo colpì di nuovo, all’altra guancia, e le grida di Van Saal tornarono a riempire l’aria assieme all’ululare del vento. Il volto segnato da sfregi di bruciature di colore bruno. Gli sembrava che la pelle potesse cadere a pezzi. Levò con fatica lo sguardo sul suo carnefice che seguitava a torreggiare su di lui; l’elettricità dei suoi poteri schioccava a vuoto con un suono che non avrebbe mai potuto dimenticare.
    “Sto aspettando.” Lo incalzò Yuzo e forse, ciò che più spaventava il Delegato Dogale era quella calma nella voce che mai, nemmeno per un attimo, s’era trasformata in grida, mai s’era levata oltre la soglia di guardia, ma era rimasta quieta e ferma. Totalmente opposta al vento, che continuava a spirare pieno di furore.
    Strisciò ancora ma un tronco alle sue spalle fermò i suoi movimenti. Van Saal lo guardò terrorizzato solo per un attimo, prima di tornare a fissare il giovane. Se solo fosse riuscito ad alzarsi! Ma per quanto voleva dare a vedere di potergli tenere testa e di non aver paura, le gambe non gli obbedivano.
    Nel frattempo, Yuzo si avvicinava un passo alla volta e lo schiocco della frusta si faceva più forte. Van Saal si appiattì contro il tronco.
    “Stammi lontano…” biascicò, il terrore negli occhi. Questa volta non poteva più fuggire.
    “Devi solo supplicarmi” insistette Yuzo, sordo a qualsiasi altro richiamo.
    Stammi lontano! Non avvicinarti a me, assassino!
    Il volante si fermò davvero. “Assassino?” Qualcosa brillò nei suoi occhi e le labbra si tesero in un accenno di sorriso rassegnato. “Sì, lo sono già.” Caricò la frusta e all’elettricità anche l’aria si unì, fischiando, mentre prendeva forza sopra la sua testa.
    Van Saal serrò gli occhi, nascondendosi dietro Vendetta.
    “Che diavolo sta succedendo, qui?!”
    Quella voce, comparsa dal nulla, fermò tutto. L’aria s’acquietò d’improvviso e il vento cessò di spirare.
    Yuzo abbassò la frusta pur senza farla sparire; gli occhi puntati in direzione del nuovo arrivato.
    Bardato con abiti ricchi e in sella a uno stallone imponente dal manto fulvo, un uomo osservava la scena con espressione palesemente sconcertata. Alle sue spalle, nugoli di soldati della Guardia Cittadina.
    “Doge Gasport(1)!” piagnucolò Van Saal in un misto di gioia e sollievo. “Arrestateli! Questi sono pazzi! È in atto una ribellione e hanno tentato di uccidermi, di sovvertire il potere! E’ un attacco contro di voi, mio signore! Loro! Tutti!”
    “Adesso calmati, Van Saal.” Gasport lo zittì con un gesto deciso. Il suo sguardo correva alla popolazione che vedeva armata dei più comuni utensili da lavoro. A loro volta, lo fissavano disorientati. Qualcuno parlò, borbottando quel: ‘E’ questo il Doge?’ che lo lasciò ancora più perplesso.
    Poi, al centro, c’era quel ragazzo che stava usando la magia. Un Elemento.
    “Esigo una spiegazione” ordinò, gli occhi fissi su Yuzo che dissolse in un attimo l’arma che stava brandendo. Rimase solo la spada.
    Il volante sostenne il suo sguardo, in cui si leggeva palese rimprovero per ciò che stava vedendo. “Siamo Elementi, in viaggio al Sud per ordine del Re Ozora.”
    “Per ordine del Re? Ed è stato sempre il Re a ordinarvi di spaventare i miei funzionari e sovvertire le città del mio dogato?”
    “Ora lo ammazzo” borbottò Mamoru, palesemente infastidito, ma la mano del Tritone lo fermò prima che potesse muoversi.
    “L’intimidazione è inaccettabile. Farò rapporto alla tua scuola elementale, come ti chiami?”
    La Fiamma ingoiò un ruggito, mentre sul viso l’espressione si inaspriva. Guardò Yuzo e non lo vide vacillare nemmeno per un attimo: le labbra tese e il volto di pietra, ma negli occhi… negli occhi vide brillare qualcosa che in lui non aveva mai scorto. Orgoglio.
    “Il mio nome?” sibilò il volante, la testa alta e lo sguardo fiero. “Il mio nome è Yuzo Morisaki. Figlio di Bashaar e Arya Morisaki che diciannove anni fa sono morti assieme ad altri cento, tra uomini, donne e bambini, nel tentativo di preservare la libertà di Ghoia da un funzionario corrotto di nome Erik Van Saal!”
    Il Doge rimase colpito. “Morisaki…” con un sopracciglio inarcato si volse in direzione del suo sottoposto. “Van Saal, Morisaki non era il capo di quegli assassini che-”
    “Di assassino, qui, ce n’è sempre stato solo uno” sputò Yuzo aspramente; anche i suoi occhi corsero a guardare l’uomo ancora a terra. “E non era mio padre.”
    “Sì, Doge! Proprio lui! Quel bastardo rognoso! Arrestateli tutti, presto!”
    Il volante coprì i suoi lamenti. “Quest’uomo ha ridotto Ghoia in schiavitù, costringendo i suoi abitanti a pagare tributi aggiuntivi alle tasse imposte dal dogato, li ha minacciati per anni, vessandoli per mezzo dei suoi mercenari che ha fatto passare per guardie cittadine.” Indicò gli sgherri di Van Saal che erano rimasti fermi e ora si sentivano in trappola.
    Il Doge appariva disorientato, mentre muoveva gli occhi ai volti stanchi delle persone attorno a loro che non sembravano affatto dei veri ribelli, quanto dei disperati.
    “E chi non poteva pagare veniva torturato, stuprato. Venduto.”
    Gasport scosse il capo con decisione, stringendo le briglie. “Tutto questo non è possibile” rispose fermamente, tentando di aggrapparsi alle proprie convinzioni o a ciò che aveva sempre creduto che avvenisse. “L’operato del Delegato Dogale è sotto il mio controllo e-”
    “Il vostro controllo? E da dove controllate? Dalla comoda poltrona al palazzo di Tha Cerròs?” Yuzo abbozzò un sorriso ironico. “E ditemi, è sempre da lì che riuscite a vedere quello che succede a Ghoia? I miei complimenti, avete una vista davvero acuta.”
    “Di cosa mi stai accusando? Modera le parole ragaz-”
    Non ci penso nemmeno!
    Il modo in cui il volante ruggì lasciò sorpresi anche i suoi stessi compagni: aveva seppellito anche la diplomazia oltre alla pazienza.
    Teppei sbatté le palpebre più volte, mentre Hajime sgranava gli occhi.
    Mamoru, invece, aveva la schiena dritta e la testa alta. Le labbra distese in un sorriso di pura soddisfazione e approvazione.
    Dove eravate, voi, mentre la gente moriva? Dove siete stato per questi venti lunghi anni? Da quanto tempo non mettete piede a Ghoia? È già tanto se qui conoscono il vostro nome!” Yuzo ridusse il tono, scuotendo il capo. “Che cosa conoscete, voi, di questa realtà?”
    Gasport non replicò, ma vide lacrime scorrere sui volti di quelle persone che ora avevano abbassato le loro armi e si rese conto che anche gli occhi dell’Elemento che gli stava davanti dovevano aver pianto.
    “E’ vero, Van Saal?” domandò, pur senza voltarsi a guardare direttamente il Delegato. “Per tutti questi anni hai abusato della fiducia che io avevo riposto in te? Mi hai usato?”
    L’interpellato si vide in trappola. “Ma… ma no, mio signore! Io-”
    “E’ tutto vero.”
    La voce del comandante Kahil arrivò chiara e distinta, sovrastando quella di Van Saal. Quest’ultimo lo guardò con orrore.
    “Taci, maledetto traditore!”
    “Chiudi quella fogna! Per anni mi sono sporcato le mani ai tuoi ordini, adesso basta!” L’uomo prese ad avanzare, portandosi di fronte al Doge. “Quello che dice questo Elemento è vero. Tutto. Io c’ero vent’anni fa, ho partecipato alla strage dei briganti che avevano solo cercato di proteggere questa gente. Hanno strenuamente lottato con le unghie e con i denti, ma noi eravamo in numero maggiore… Non abbiamo risparmiato nemmeno i bambini…”
    “Ma perché nessuno è mai venuto a rifermi di quanto stava accadendo?!” Il Doge era sconvolto. “Perché nessuno è mai venuto a Tha-”
    “Perché non potevano!” Kahil abbassò il capo. “Se qualcuno avesse provato a lasciare la città, sarebbe stato ucciso. Erano questi gli ordini. Noi saremmo riusciti a rintracciarlo prima che potesse entrare in qualsiasi altra città, e lo avremmo punito.” Adagio allungò i polsi verso il Doge, chinando il capo. “Siamo noi quelli che devono essere incatenati e portati via, siamo noi quelli che devono pagare una volta per tutte. Loro hanno pagato anche troppo.”
    Il Doge rimase in silenzio. Le mani poggiate una sull’altra sulla sommità della sella, lo sguardo fisso sui crini del destriero che oscillavano al vento, ora leggero, di Yùkiza.
    Iniziò ad annuire piano, e prese la sua decisione.
    “Così sarà. Guardie, arrestate Van Saal e i suoi uomini. Li condurremo a Tha Cerròs con l’accusa di strage e tirannide, abuso di potere, estorsione, schiavismo e… e solo le Dee sanno cos’altro” scandì lentamente, quasi come se egli stesso faticasse a crederci, e dopo più di trent’anni di fiducia, non poteva essere che così.
    A quelle parole, Yuzo chiuse gli occhi, riempiendosi i polmoni di quanta più aria possibile per ingoiare le lacrime.
    Era finito. Tutto, tutto finito.
    Tra i mercenari dilagò il fermento, qualcuno cercò di fuggire, ma i veri miliziani della Guardia Cittadina erano molti di più e riuscirono a rincorrerli e bloccarli.
    Van Saal seppe che oramai non c’era più scampo. Per lui, per la sua brama. Se gli fosse andata bene, l’avrebbero sbattuto in cella e buttato via la chiave; se gli fosse andata male… avrebbe spaccato pietre fino alla fine dei suoi giorni, sotto i lavori forzati. Per fortuna, a Tha Cerròs non vigeva la pena di morte, ma le pene corporali sì. Forse l’avrebbero preso a frustate.
    Con gli occhi iniettati di sangue, guardò con odio il figlio di Bashaar che, dal nulla, era tornato per distruggerlo e distruggere tutto il suo impero perfetto. Si alzò in piedi e brandì Vendetta nell’ultimo guizzo di rabbia.
    “Io marcirò in galera, ma prima ti spedisco nelle Terre dell’Oltre!”
    Con la forza che gli era rimasta, lanciò la grossa scimitarra verso Yuzo.
    Il volante non si mosse, mentre Vendetta tagliava il vento. Vicina con la velocità del soffio, era destinata a trafiggerlo in pieno. Ma a Yuzo bastò sollevare il dorso della mano e la spada si fermò all’istante, toccandogli la pelle solo con la punta. Girò il volto, schiuse le palpebre e diede un colpo leggero alla lama con le nocche. Il potere del vento mosse Vendetta con lentezza ed eleganza; l’elsa obbedì docile e si fermò nel palmo, dove venne racchiusa.
    “Ti sei deciso, finalmente. Era ora che me la restituissi” affermò Yuzo, facendo sibilare la lama con un gesto deciso. Senza aggiungere altro gli volse le spalle e si mosse per raggiungere i suoi compagni.
    Dietro di lui, Van Saal iniziò a ridere sommessamente, prima di esplodere in un suono fragoroso.
    Credi… credi di aver vinto?! Di avermi sconfitto?! Illuso! Io finirò in cella, ma i tuoi genitori non ritorneranno! Per quanto tu possa fare, niente li riporterà indietro! E continueranno a marcire all’Inferno con Kumi!” rise sguaiatamente, restando seduto a terra. Senza un minimo di vergogna o senso di colpa. Rideva di ciò che aveva fatto e continuava a provarne piacere.
    Yuzo lo ignorò con tutte le sue forze. Era consapevole che non avrebbe mai avuto di nuovo né sua madre né suo padre, ma cercava di trovare una consolazione nel fatto che Van Saal avrebbe pagato per i suoi crimini. Una minima, microscopica consolazione.
    Stringendo le scimitarre aveva continuato a camminare, mentre Van Saal inveiva senza sosta.
    Quegli schifosi rifiuti umani hanno provveduto a ingrassare i vermi di questo maledetto dogato! E i topi hanno pasteggiato alla grande con le ossa di quel cane bastardo e della sua puttana!
    Questa volta Yuzo si fermò.
    Girò appena il viso mentre le parole ‘cane bastardo’ e ‘puttana’ venivano ripetute e assimilate dalla testa. Ne aveva abbastanza.
    Van Saal era ancora a terra, a contorcersi dalle risate. Il viso paonazzo, la bocca spalancata. Lo guardava e rideva di come, alla fine di tutto, ne sarebbe sempre uscito salvo.
    Il volante si mosse così velocemente che lo sguardo di buona parte dei presenti non riuscì a stargli dietro. Gli videro spiccare un balzo, le lame ruotare nel vento e brillare sotto i raggi del sole.
    Van Saal strozzò in gola il fiato quando le sentì conficcarsi nel terreno a un soffio dalla propria faccia. Gli occhi di Yuzo, improvvisamente vicinissimi ai suoi, lo guardavano con talmente tanto odio che non seppe come non morì d’infarto, perché in quel volto e in quello sguardo si sovrapposero quelli di Bashaar in maniera perfetta e lui, per la prima volta, pensò che il brigante fosse davvero risorto dalla tomba.
    “Ascoltami con attenzione e fino in fondo.” La voce di Yuzo era fiato che graffiava i timpani e grondava minaccia. “Non osare mai più nominare la mia famiglia e i briganti. Se verrò a sapere che avrai fatto il loro nome anche una sola volta, io tornerò e ti strapperò la lingua. E se li scriverai, ti taglierò le dita una ad una. Qualsiasi cosa proverai a fare, io te la restituirò moltiplicata per cento. Non esisterà alcun posto su questo pianeta abbastanza sicuro per nasconderti perché io saprò ritrovarti sempre in ogni istante della tua misera e inutile esistenza. Sarò nel vento che soffierà intorno a te, sarò nei fulmini che accompagneranno la pioggia, sarò nell’aria stessa che respirerai. Ovunque ti girerai, io ci sarò. Mi hai capito bene?” Le labbra si deformarono in un ghigno che lo fece tremare dalla testa ai piedi. “Mio padre faceva sempre quello che diceva, no? Vuoi mettere alla prova anche me?”
    L’uomo non rispose. Rimase inglobato nei suoi occhi che avrebbero voluto annientarlo per non lasciare, di lui, nemmeno la più misera traccia.
    “Vuoi mettermi alla prova, Van Saal? Dimmelo” ripeté il volante e l’altro deglutì con uno sforzo. La testa si mosse pianissimo nel rispondere quel ‘no’.
    Più lontani, Hajime, Teppei e Mamoru guardavano la scena.
    “Che gli avrà detto?” domandò il tyrano. La Fiamma inarcò un sopracciglio con un mezzo sorriso.
    “Non lo so, ma il bastardo si è appena pisciato addosso.”
    “Oh, che schifo!”
    “Per un attimo ho davvero temuto che...” Hajime scosse il capo, sbattendo le palpebre. Poi si passò una mano sul viso, ridendo del suo stesso, impossibile pensiero. “No. Yuzo non lo avrebbe mai fatto.”
    Mamoru non disse nulla a riguardo, ma dentro di sé seppe di non avere la stessa sicurezza del Tritone perché lo sguardo che gli aveva visto l’attimo prima di agire gli aveva detto tutt’altro.
    “Tutto quanto è successo è avvenuto per causa mia.” Il Doge tirava profondi respiri inquieti mentre restava in sella al suo cavallo. “Ho fatto troppo affidamento sulle figure dei Delegati e ho finito col perdere di vista il bene delle città appartenenti al dogato. Ma farò il possibile per rimediare anche se, nel vostro caso, non servirà a molto…”
    “Doge Gasport” Haruko si fece avanti. “Coloro che sono morti non possono certo tornare in vita e questo noi lo sappiamo. Però vorremmo che il loro nome, il nome di tutti i briganti, fosse riabilitato. Perché hanno combattuto fino in fondo per la nostra libertà e vogliamo che vengano ricordati per quello che sono stati e saranno per sempre: degli eroi.”
    L’uomo annuì con severità. “Sarà fatto, non temete. Una volta arrivato al palazzo dogale, sarà mia premura rendere i giusti onori a tutti coloro che hanno pagato per la follia di uno solo.” Con spregio e disgusto rivolse lo sguardo a Van Saal. “Guardie, mettete in catene quel viscido assassino.”
    Yuzo non si mosse fino a che due miliziani non portarono via l’ormai non più Delegato Dogale, trascinandolo sulla rena perché non sembrava avesse nemmeno la forza di alzarsi in piedi, dopo il loro ultimo colloquio. I suoi occhi lo seguirono come ombre a ribadire il concetto che nessun posto sarebbe mai stato sicuro su Elementia, non per lui, e Van Saal rimase a fissarlo di rimando, fino a che non venne coperto dagli altri uomini e dai cavalli.
    Solo allora, Yuzo si alzò in piedi. Con facilità estrasse Dolore e Vendetta dal terreno e rivolse loro uno sguardo malinconico; il metallo di cui erano fatte brillava sotto i raggi del sole non più coperto dalle nubi.
    La guerra personale dei suoi genitori era terminata e forse avrebbe dovuto sentirsi orgoglioso di esser stato proprio lui ad avervi scritto la parola fine, ma non riusciva a provare gioia per una conclusione senza vincitori né vinti. I briganti erano ormai morti e questo non sarebbe cambiato, così come non sarebbe cambiato sapere Van Saal rinchiuso in gattabuia per tutto il resto dei suoi giorni.
    E poi troppe cose di sé erano venute allo scoperto, nella conquista di quella giustizia a metà, di cui non sarebbe mai andato fiero, ma che non poteva più ignorare. Cose che scorrevano sul filo delle lame di Dolore e Vendetta.
    Con un sospiro sollevò il viso al cielo e l’azzurro che copriva Ghoia era più carico e vivo, rinato, mentre le voci attorno a lui divenivano concitate e felici.
    Guardò la gente che sollevava mazze e rastrelli proprio a quel cielo, inneggiando alla libertà che a lungo avevano cercato e, nonostante dentro non fosse felice, gli venne lo stesso da sorridere. Scorse i loro volti distesi perdere tutta la stanchezza e la rabbia di una vita di sottomissione e tornare indietro, quasi ringiovanire di colpo. Alcuni erano corsi per andare a prendere le donne e i bambini sulle montagne. Altri festeggiavano con i suoi compagni che erano assieme ad Haruko e Hansen. Il vecchio Zed nascondeva a fatica le lacrime, proprio come la volta che aveva visto lui e aveva creduto che fosse stato un miracolo. Teppei cercava di consolarlo con i suoi modi solari e Hajime rideva assieme a sua zia che fingeva un comportamento più vivace, ma che ogni tanto si asciugava gli occhi con la manica. Mamoru, invece, stava guardando lui e Yuzo se ne accorse solo in quel momento. Lo fissava senza una chiara espressione sorridente né triste; con gli occhi sembrava chiedergli qualcosa, e lui si limitò ad accentuare quel sorriso più simile a una smorfia.
    Va tutto bene.
    O questo avrebbe dovuto significare in qualche modo astratto.
    Con decisione rinfoderò Dolore e la lama produsse un suono sottile nello scivolare contro il cuoio. A riposo. Questa volta per sempre.
    “Quello che hai detto è giusto. Sono stato troppo lontano dalle terre che si estendono oltre Tha Cerròs.” Quella voce profonda lo distrasse dai suoi pensieri. Il Doge era sceso da cavallo per avvicinarsi e ora gli rivolgeva uno sguardo colpevole. Le labbra piegate verso il basso mostravano amarezza. “Ho peccato di buonafede. Ero davvero convinto che gli uomini che avevo scelto potessero svolgere il loro lavoro con la stessa correttezza che avrei impiegato io, ma a quanto pare le mele marce si formano anche sull’albero florido.”
    Yuzo poteva percepire il suo sincero rammarico, così si limitò ad accennare col capo.
    “Mi basta che la gente di Ghoia possa finalmente superare quest’incubo e vi ringrazio per ciò che farete per coloro che sono morti, in questi anni.”
    Non era vero, non gli bastava, ma quello che avrebbe voluto non si poteva avere così continuò a mostrare la razionalità tipica degli Elementi come lui. Ne approfittò addirittura per chiedere informazioni sul Principe Tsubasa. Fece cenno a Mamoru affinché si avvicinasse e mostrò al Doge il permesso reale. Il responsabile delle terre di Tha Cerròs scosse il capo e disse loro di non essere stato presente durante la visita del Principe poiché impegnato altrove, ma di aver lasciato tutto nelle mani del Delegato appena arrestato. Nessun’altra informazione aggiuntiva, quindi, sarebbe stata sommata a quelle che già conoscevano.
    Entrambi ringraziarono con un inchino e il Doge tornò a occuparsi dei prigionieri.
    “Non c’era bisogno che pensassi a queste cose, non ora.” Mamoru lo affermò incrociando le braccia al petto. Entrambi avevano lo sguardo sul funzionario del Re, che dava disposizioni, e sulla lunga fila di uomini che venivano messi in catene.
    Lui si strinse nelle spalle, con rassegnata semplicità. “Siamo in missione. Non posso dimenticarmene.”
    Gli rivolse un sorriso che non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che la Fiamma amava ma, in cuor suo, il giovane di Fuoco sapeva che non avrebbe potuto aspettarsi niente di più al momento.
    “Yuzo, ascolta-” Mamoru fece per aggiungere qualcosa quando vennero raggiunti da Zed e Haruko.
    “Degno di tuo padre!” esordì l’ultimo brigante, stringendo il braccio di Yuzo con ardore e affetto. “Sarebbe fiero di te, non ne ho alcun dubbio.”
    “Se sei tu a dirlo, allora ci credo.” Il volante sorrise e approfittò di quell’intrusione per interrompere sul nascere la conversazione con la Fiamma. Gli rivolse solo uno sguardo fugace che diceva: ‘non adesso’ e Mamoru comprese poiché non aggiunse altro.
    “Credici, figliolo” annuì ancora Zedecka, distendendo un ampio sorriso che trasmetteva affetto e sollievo, malinconia e anche un po’ di speranza. Speranza per il futuro di tutti coloro che non avevamo visto gli orrori che la lotta serrata per la libertà aveva comportato e che, nel suo cuore di vecchio dalla pellaccia dura, sperò non avessero mai dovuto provare. “Credici.”
    Tutto tornava a divenire ovattato e distante, quasi coperto da una patina di pace che Yuzo guardava con disincanto e dalla quale non si lasciava toccare o ricoprire. Ringraziò il vecchio amico di suo padre, si lasciò abbracciare da Haruko, che gli carezzò amorevolmente il viso, e sorrise a tutte le persone che gli si fecero intorno per ringraziarlo di averli liberati dall’usurpatore. Tutto in maniera perfetta, ma non entusiasta.
    Si rese conto di essere nuovamente in grado di usare l’incantesimo di Autocontrollo.
    Tra i visi, scorse quello dell’uomo che gli aveva risparmiato la vita, firmando la condanna del suo signore. Con le catene ai polsi camminava scortato da un paio di miliziani della Guardia Cittadina. Kahil lo guardò a sua volta. Sul volto aveva un’espressione affranta eppure nel suo sguardo si poteva leggere chiaramente un senso di sollievo. Senza dire nulla, chinò il capo in segno di saluto e rispetto.
    Era l’unica cosa che poteva fare, ormai, ma a Yuzo non sembrò abbastanza; nulla sarebbe mai potuto essere abbastanza.
    Rispose al suo saluto, poi tornò a lasciarsi avvolgere dalla confusione circostante all’interno della quale sarebbe sparito fino al tramonto.


    “Pendant que la marée monte /
    Mentre sale la marea
    et que chacun refait ses comptes /
    e qualcuno rifà i suoi conti
    j'emmène au creux de mon ombre /
    mi sposto al fondo della mia ombra.
    Des poussières de toi /
    Le ceneri di te
    le vent les portera /
    il vento le porterà,
    tout disparaîtra mais /
    poi tutto sparirà.
    Le vent nous portera /
    Il vento ci guiderà.

    Noir Desir Le vent nous portera

     

    "Ancora devo capire cosa faceva qui il Doge” esordì Teppei, vuotando il fondo del bicchiere in cui erano rimaste due dita di un vino di mele speziato.
    La locanda era piena in ogni ordine di posti, e molti altri erano stati aggiunti. Per non parlare delle enormi tavolate che erano state imbandite nella piazzetta all’esterno, dove sedevano anche loro. Gli abitanti di Ghoia avevano deciso di concedersi quel pranzo tutti insieme. Era stata invitata l’intera città, per festeggiare quella libertà che non erano sicuri avrebbero mai visto, ma in cui tutti avevano creduto. Dalle montagne erano tornate le donne e i bambini ora correvano dappertutto, ridendo e gridando, e nell’aria c’era il rumore delle stoviglie contro i piatti, dei bicchieri che tintinnavano in brindisi infiniti e di pianti che si levavano all’improvviso per poi mutarsi in risate e canti.
    Haruko andava avanti e indietro, portando piatti e pentole, e tutti davano una mano, mentre nel girarrosto allestito nella piazza il maiale più grasso di Ghoia continuava a cuocere e dal forno della locanda le pizze uscivano in tutte le forme dei fiori.
    Zed si pulì la barba sporca di vino con la manica. “Un caso. Un puro e semplicissimo caso, anche se io ho smesso da anni di credere al caso, soprattutto quando le coincidenze sono a incastro così perfetto.” Il tyrano convenne, ma non lo interruppe. “Stava rientrando nel Dogato dopo una visita a quello adiacente per questioni commerciali, solo che la strada per Tha Cerròs era interrotta, e l’unico modo era passare per Ghoia” rise, dando una manata sul tavolo dove i cocci tintinnarono. “Se è un caso, questo, io sono il Re Ozora!”
    Tutti risero, lì intorno, e anche Mamoru abbozzò una smorfia, bevendo un sorso di vino di more. Poi girò lo sguardo al posto accanto al suo, trovandolo ancora vuoto. Il piatto di Yuzo era intatto così come glielo avevano messo davanti e lui l’aveva solo visto cincischiare col cibo, fingendo di mangiarlo.
    Ripensò al volante e al fatto che non avesse detto nulla, tranne frasi di circostanza e piene della diplomazia degli Elementi d’Aria fino a che il Doge di Tha Cerròs non se n’era andato via, portando Van Saal e compari con sé. Dopo, aveva abolito anche le frasi di circostanza, chiudendosi in un silenzio pensieroso e concedendo giusto qualche sorriso, di tanto in tanto.
    L’assassino dei suoi genitori era stato arrestato, ma non l’aveva visto felice, quanto rassegnato; l’aveva visto mostrare, davanti a tutti, un lato di sé che aveva sempre tentato di soffocare, un lato feroce che tutti credevano essere solo frutto della messinscena per spaventare Van Saal e piegarlo, ma lui sapeva che dietro la facciata della punizione c’era la rabbia di Yuzo finalmente libera. Anche lei, come Ghoia. Tutti si liberavano, quel giorno, di pesi e catene, e qualcuno prendeva coscienza di altri pesi, più piccoli, di altre catene più sottili con cui, questa volta, avrebbe dovuto convivere per sempre.
    Senza attendere oltre si alzò con discrezione, lasciando gli altri alle risate e ai brindisi. Raggiunse la porta della locanda dove l’ostessa stava prendendo un vassoio dalle mani di una cameriera.
    “Haruko” chiamò, poggiandole una mano sulla spalla. La donna gli rivolse un sorriso solare.
    “Lo so! Il vino è finito di nuovo! Zedecka non si sa regolare! Adesso ve ne porto dell’altro-”
    Mamoru scosse la testa. “No, veramente… volevo sapere se avevate visto Yuzo.”
    Il giovane d’Aria si era alzato nel bel mezzo del pranzo ed era entrato nella locanda, poi i suoi occhi l’avevano perso nel via vai continuo di gente e vivande.
    L’ostessa addolcì l’espressione. “Ha detto che voleva stare un po’ da solo. È andato sicuramente alla casa nella foresta. Lui…”, abbassò lo sguardo e sospirò, gli occhi velati di preoccupazione. “Ha bisogno di qualcuno che gli dia forza. L’arresto di Van Saal non è stato sufficiente e sa che nessuna vendetta sarà mai abbastanza per riempire il vuoto. Ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto mentre impara ad accettare i propri limiti.”
    Mamoru sorrise, rassicurante. “State tranquilla, ci penso io.”
    “Grazie.” La donna gli poggiò una mano sul braccio, stringendolo fiduciosa. “Yuzo tiene moltissimo a te, l’ho capito. Così come ho capito che anche tu tieni molto a lui. Lo so che mio nipote è un uomo ormai e che, anche se sono sua zia, sono poco meno di un’estranea, però sono davvero molto, molto felice che abbia delle persone come te al suo fianco. E anche i suoi genitori; ovunque essi siano in questo momento, so che possono vederlo e so che ora… ora possono riposare in pace perché sanno che Yuzo non è da solo a percorrere il suo cammino.”
    La Fiamma accennò col capo in segno di gratitudine per la fiducia che riponeva in lui; era un po’ come se gli stesse affidando il volante e Mamoru avrebbe fatto qualsiasi cosa per vegliare su di lui.
    Sempre con discrezione, abbandonò la piazzetta piena di gente e di vita per raggiungere il suo triste uccellino.

    Emerse dalla boscaglia in quella piccola radura che puntava alle montagne lontane del Nohro. Il tramonto investiva la facciata anteriore della casa e Yuzo che, proprio come gli aveva detto Haruko, vide seduto sul dondolo sotto al portico. Oscillava piano piano, spinto dal piede del volante che guardava dritto verso il sole rosso, senza rimanerne accecato. Tutta la sua figura, l’abitazione intera erano dipinti d’un arancio luminoso, come fossero stati bagnati da una pioggia d’oro.
    Mamoru si fermò per osservare quel profilo che vedeva ma non guardava, il piede che imprimeva la spinta in maniera ritmica e lenta, le mani abbandonate sulle gambe. Attorno a lui non c’erano più ombre, dissolte dal sole e dal passato che aveva disseppellito i morti per renderli cenere. E quella cenere, però, il vento non riusciva a portarla via del tutto. La espandeva, ma una piccola traccia sarebbe sempre rimasta; un frammento d’ossa, un granello di polvere attaccato al cuore, dove avrebbe riposato in eterno.
    In quel momento, Yuzo gli apparve tale pur sembrando diverso o forse quello non era che il suo vero volto, il suo spirito senza più mura di vetro a smerigliarne i contorni e renderli sfocati. Il volante combina guai e disobbediente, l’uccellino dalla fiducia incrollabile c’era ancora, ma sarebbe rimasto a dormire accanto al granello di polvere. Quello che vedeva ora era l’equilibrio che alla partenza da Raskal non aveva avuto, e senza bisogno di incantesimi. Era la consapevolezza di sé che non veniva né nascosta né ignorata.
    Era un Elemento d’Aria e brillava di una luce abbagliante e calda, ma era così triste che feriva gli occhi.
    Anche i suoi avevano cominciato a pungere, ma lui era un Elemento di Fuoco, nato nel calore che bruciava le carni. Quel piccolo dolore era ben poca cosa se paragonato a quello che poteva sopportare. Così si mosse per avvicinarsi a Yuzo; per raggiungere quella luce accanto alla quale aveva promesso di restare.
    “Sapevo che ti avrei trovato qui” esordì, salendo i due scalini che portavano al porticato. Le suole produssero un rumore secco sul legno.
    Yuzo non distolse lo sguardo, ma accennò un sorriso. Dolore e Vendetta giacevano appoggiate contro il muro della casa; finalmente riunite, sembravano i capi di una stessa corda che nel tempo era stata intrecciata attorno a migliaia di ostacoli e imprevisti. Ora che tutto si era dissolto, la matassa aveva nuovamente trovato un suo ordine e i capi erano stati ripiegati assieme.
    Con movimenti rozzi, la Fiamma si lasciò cadere sul dondolo, assumendo una postura poco composta. Stretto nell’angolo, un braccio venne disteso lungo il bordo dello schienale, mentre l’altro appoggiato sul bracciolo. Le gambe allungate verso l’esterno. Un piede imitò il lento movimento di quello di Yuzo, aiutandolo nella spinta.
    “Ero venuto per godere di questa brezza” confessò il volante. Brezza che lì soffiava dolcemente, trasportando lontano i pappi dei denti di golkorhas.
    Mamoru sbuffò un sorriso ironico.
    “Di questo spiffero, vorrai dire. Ah, i reumatismi…” Il sorriso del volante si accentuò per un breve momento e poi sfumò ancora sotto il suo sguardo. Il profilo che non mostrava né gioia né tristezza sembrava quello di una statua perfetta. “Cosa pensi?” gli chiese, ma l’altro scosse il capo.
    “Niente di importante…”
    Sperava che ci credesse? Mamoru lo irrise.
    “Tu che ti lambicchi il cervello dietro futilità? Non è da te, volante.”
    Il sole calava lentissimamente sotto gli occhi di Yuzo che anche se bruciavano un po’ rimasero incollati all’astro, per seguirne la caduta. Mamoru non comprese cosa stesse cercando nella sua luce. Ne possedeva una uguale, ma non sembrava essersene accorto o, forse, semplicemente non cercava nulla ma metteva in ordine tutto quello che aveva trovato, dandogli un senso.
    “Ricordi quando, a Dhyla, provasti ad avvicinarmi e io ti allontanai?” domandò il volante a un tratto. “Tu andasti via.”
    Lo ricordava. Mamoru lo ricordava bene. La paura del giovane nei suoi confronti l’aveva quasi ucciso e allo stesso tempo gli aveva permesso di ammettere una volta per tutte di esserne innamorato. Era stata una rivelazione.
    “Ti ho seguito. Ti ho trovato in quel ciliegeto e ti ho ascoltato. Parlavi a tua madre.”
    La Fiamma si allarmò. Non se n’era accorto, non lo aveva sentito arrivare.

    “Mamma, sono innamorato del Vento.”

    L’ansia gli azzannò il ventre al solo pensiero che avesse udito anche quello.
    Yuzo continuò. Il movimento del dondolo sembrava scandire il tempo che il sole impiegava a tramontare e quello che scorreva tra loro, centellinandolo fino allo stremo.
    “Hai detto che la mia forza è nella mia purezza. Ma io non lo sono più.”
    “Cos’è che non saresti?”
    Il volante puntò il piede al suolo, bloccando il dondolio. Bloccando il tempo.
    “Puro.” Una lacrima solitaria e discreta scivolò sul viso, rivelando che c’era vita in quell’immobilità. Forse era solo colpa del sole, Mamoru non seppe dirlo con sicurezza, l’unica cosa di cui era certo era che fino alla fine di quella missione gli occhi di Yuzo non avrebbero più pianto. Quella gli parve quasi una cerimonia di commiato. “Non sono più la stessa persona che è partita da Alastra, convinta che il mondo fosse tutto lì, in quelle torri alte e bianche, in quello spicchio di terra che dalla terra era sollevato. Non sono più la persona convinta che non avrebbe mai potuto far del male a nessuno, che non avrebbe mai odiato e che avrebbe sempre perdonato tutti i torti che avrebbe subito. Guardami ora: ho ucciso, ho odiato e per quanto io mi possa sforzare non riuscirò mai a perdonare Van Saal per quello che ha fatto ai miei genitori. Ci ho pensato, ci ho provato, ma è più forte di me. Non voglio farlo.” Finalmente, il volante abbassò lo sguardo e poi si volse, per osservare la Fiamma.
    Gli occhi nocciola gli apparvero limpidi come un cielo privo di nuvole. Le sue emozioni arrivavano dritte senza più filtri né riflessi. E Mamoru le accolse tutte, catturandole del proprio sguardo. In quel vetro vulcanico le avrebbe nascoste e protette perché era il primo a vederle nella loro purezza assoluta. Era come se gli appartenessero un po’.
    “Quando l’ho avuto davanti, quando lo minacciavo affinché si pentisse delle sue colpe, per tutto il tempo… ho desiderato di ucciderlo. Volevo farlo a pezzi.” Il bagliore di quel gesto incompiuto brillò nel riflesso d’un raggio di sole. Era ancora lì, mostrato senza vergogna o colpa. C’era, non si poteva nascondere. “La rabbia che avevo era… aveva un qualcosa di mostruoso che non so quante volte ho temuto mi sfuggisse di mano. Ancora adesso non so spiegarmi se sono riuscito a controllarla solo perché c’eri tu e sapevo che mi stavi guardando, quasi mi ricordassi ogni istante che non dovevo ucciderlo, ma solo spaventarlo. Me lo ripetevo nella testa come una nenia continua. Sono cambiato così tanto che mi è estraneo il mio stesso riflesso. Chi sono adesso?” Yuzo scosse piano il capo. “Non lo so.”
    La lacrima continuò il suo percorso sulla guancia e come una lumaca lasciava un’umida traccia dietro di sé. Oro liquido sotto il fuoco del tramonto.
    Mamoru fissò i suoi occhi a lungo prima di rispondere, quasi che le parole da dire fossero annidate proprio lì, pronte per essere lette. Invece le parole lui già le conosceva da molto tempo, tempo in cui aveva atteso che si liberasse per sempre dai suoi muri, che aprisse i lucchetti in cui aveva serrato le profondità dello spirito, che gli mostrasse cosa si nascondeva nella faccia oscura del cuore.
    Adagio, sollevò la mano abbandonata contro la spalliera del dondolo. Gli appoggiò le dita sulla guancia, lasciando che scivolassero sulla pelle. La lacrima scomparve, trascinata da quel tocco che assomigliava di più a una carezza.
    “Sei la stessa persona che è partita da Alastra quasi un anno fa. E quello che hai perso non è la tua purezza. Anzi, non sei mai stato così trasparente come adesso. In ciò che vedo, continuo a riconoscerti.”
    Gli occhi di Yuzo si chiusero piano e i sensi si concentrarono sul tatto. Si appoggiò contro le dita della Fiamma cercando e trovando conforto nel calore intenso della sua pelle che aveva il sapore di ‘casa’, anche se Alastra era lontana e Ghoia ancora sconosciuta.
    Come avevano imparato a conoscersi così bene? A comprendersi in quel modo in cui le spiegazioni non dovevano più essere tirate fuori un po’ alla volta, ma scorrevano veloci come l’acqua in un torrente?
    “L’ingenuità. È questo che ti sei davvero lasciato alle spalle nel momento in cui hai capito che gli uomini non sono né buoni né cattivi, ma ambedue le cose; sta solo a loro decidere quale far prevalere.”
    Il volante accennò un sorriso triste. “E io cosa sono? Buono o cattivo?”
    “Sei quello che sei. Con i tuoi pregi e i tuoi difetti. Anche io sono quello che sono”, scherzò, “e sono molto cattivo!”
    Yuzo aprì nuovamente gli occhi e nelle iridi di Mamoru non trovò giudizi né condanne, ma solo quella pece familiare che ogni tanto ribolliva e gorgogliava, ma che non faceva male e lo proteggeva. Sempre.
    Sospirò.
    “Ti spiace se-”
    “Che me lo chiedi a fare?” La Fiamma ridacchiò sottilmente  e fece scivolare la mano dietro la nuca.
    Di nuovo, quella comprensione che andava oltre le parole sorprendeva e, allo stesso tempo, rassicurava. Sarebbe bastato anche solo un accenno o un gesto e l’altro avrebbe subito capito.
    Due domande tornarono alla mente di Yuzo.
    Cos’era quello?
    Cos’erano loro?
    Mamoru lo attirò contro di sé, lasciando che appoggiasse il capo nell’arco accogliente tra il collo e la spalla. Con le labbra poteva toccargli la fronte, mentre la mano restava affondata nei capelli tracciando percorsi, tornando indietro e creandone di nuovi in movimenti lenti che avevano un ritmo tutto loro.
    Yuzo sbuffò un altro sorriso, scusandosi. “Credo che non potrò mai fare a meno del contatto fisico, è una cosa di cui ho bisogno. Non arrabbiarti.”
    Tsk, è già da un po’ che ho smesso di arrabbiarmi. Sono stato io a dirtelo che ti avrei abbracciato tutte le volte o no?” Mamoru tese un po’ il labbro in una smorfia divertita. “E comunque, tu sei buono.”
    La sua memoria tornò indietro, fino a Raskal, quando un volante imbranato era stato messo sulla sua strada. Non avrebbe scommesso nemmeno uno scudo su di lui e ora sarebbe stato capace di affidargli la vita senza pensarci un momento.
    Tornò a guardare il tramonto che ormai stava scomparendo dietro le vette aguzze del Nohro. Assunse un’espressione più seriosa, pur senza smettere di carezzargli i capelli.
    “Di quello che ho detto a Dhyla… cos’altro hai sentito?”
    Yuzo inspirò a fondo, catturando l’odore della sua pelle, familiare anch’esso. “Nulla. Sono andato via quasi subito. Non sono mica uno che origlia. Volevo solo accertarmi che stessi bene.”
    “Prego? Tu dovevi assicurarti che stessi bene io? Ma se è sempre stato il contrario.”
    “Oh, credo che anche questo cambierà.”
    Tsk! Sante Dee, il mondo comincia a girare all’inverso” ridacchiò divertito da quei ruoli che cambiavano, si evolvevano, da come Yuzo non aveva più paura di affrontare il mondo che non conosceva, da come egli stesso non aveva più paura di vivere quei sentimenti che aveva sempre rifiutato. Si volse un po’, quel tanto che bastava affinché le labbra si poggiassero sulla fronte del volante, baciandola a ogni parola. “Sei già passato a salutarli? Dobbiamo ripartire.”
    “No, adesso vado. Dammi un minuto.” Yuzo si sistemò meglio contro di lui. Gli avvolse la vita con un braccio mentre il piede tornava a imprimere una leggera pressione al suolo. Il dondolo riprese a oscillare e il tempo a scorrere. “Restiamo così solo un altro minuto…”

     

    “By the waters, the waters of Babylon /
    Presso le acque, le acque del Babylon
    we laid down and wept /
    ci stendemmo e versammo lacrime
    and wept /
    versammo lacrime
    for thee, Zion /
    per te, Zion.
    We remember thee, remember thee /
    Noi ti ricorderemo, ti ricorderemo,
    remember thee, Zion. /
    ti ricorderemo, Zion

    Don MacLean- Babylon

     

    Il tramonto non riusciva più ad attraversare l’intrigo della foresta dei briganti, ma c’era ancora abbastanza luce per poter vedere distintamente tutte le sagome delle lapidi e l’imponenza della statua avvolta dai rampicanti.
    Lentamente, Yuzo appoggiò Dolore e Vendetta contro la base, ai piedi di suo padre.
    “Te le ho riportate. Ora sono di nuovo insieme per farvi la guardia. Vi proteggeranno da chiunque verrà a minacciare questo luogo.” Sorrise, levando lo sguardo al volto scolpito di Bashaar. “Sono un po’ scomode però, questo dovevo dirtelo. Come facevi a portarle sempre con te?”
    La risposta gli arrivò dal cinguettio di un uccello che passò e scomparve, nascondendosi tra gli alberi.
    Il volante intrecciò le mani davanti a sé e abbassò lo sguardo cercando le parole nei nomi incisi nella pietra.
    “Sono in partenza. Forse sarei dovuto rimanere di più, ma non posso. Però tornerò.” Sorrise. “Tornerò sicuramente. Non dovete preoccuparvi per me, anche se non sembra me la so cavare bene. E poi non sono da solo, ho degli amici speciali che non mi volteranno mai le spalle. Penso che vi sarebbero piaciuti molto.” Inarcò un sopracciglio, guardando suo padre. “Credo che saresti andato d’accordo con Mamoru, visto il carattere che vi ritrovate.”
    L’erba frusciò a un debole refolo di vento che serpeggiò tra le sue gambe e sollevò alcune foglie cadute. Le trascinò in un ballo e scomparvero alla vista.
    “E poi… poi ho il Console. È stato il padre migliore che potesse capitarmi. Mi ha dato tutto quello di cui avevo bisogno: una casa, affetto. Una famiglia. Anche lui vi sarebbe piaciuto.” Lo sguardo scorse sulle sagome immobili che, per anni, erano rimaste a sopportare l’alternarsi del giorno e della notte, le intemperie, lo scorrere del tempo. “Sono stato davvero cieco. Ero così preso dal mio dolore, da ciò che avevo perduto, che non mi sono mai reso conto di quanto, invece, io sia stato fortunato, perché nonostante tutto ho sempre avuto qualcosa di vostro anche se non me n’ero mai accorto. La tua magia, mamma, mi ha permesso di poter aspirare a divenire un Elemento, e la tua forza di volontà, papà, ha fatto in modo che io la tirassi fuori al momento opportuno. Il coraggio apparteneva a entrambi, ed è proprio grazie a esso che proverò ad affrontare quello che mi aspetterà.” Sospirò, abbassando nuovamente lo sguardo e annuendo adagio, prima di risollevarlo. “In questo viaggio, so che qualcosa dovrò lasciarla indietro, lo sto già facendo, ma so anche che troverò cose molto più importanti lungo la strada. Una me l’ha data Ghoia, la mia storia, e tutto quello che voi mi avete lasciato, io non lo dimenticherò. Mi dispiace di avervi ferito e vi ringrazio per avermi amato fino alla fine. Vi voglio bene.”
    Intrecciando le mani al petto in segno di preghiera, Yuzo fece un profondo inchino. Il vento si levò più insidioso e quando il volante sciolse le braccia, sollevando nuovamente il capo, gli parlò.
    Iiiiihuuuuuusoooooooo.
    Le fronde stormirono tutte insieme, in un frusciante bisbiglio, e un sorriso genuino gli illuminò il volto. Era proprio come gli aveva raccontato Zedecka.
    “Allora è vero che il mio nome è stato scelto dal vento!” Guardò attorno a sé la boscaglia un’ultima volta e poi volse le iridi alla statua. “A presto” disse, voltando loro le spalle. Voltando le spalle all’intero cimitero di cui ora riusciva a comprendere fino in fondo il significato nostalgico che aveva provato vedendo quello di Dhyla.
    Camminò tra le lapidi e i denti di golkorhas, per raggiungere l’uscita della foresta. Sulla strada che portava in direzione della Via Crociata, Mamoru e i suoi compagni lo stavano aspettando con i cavalli sellati, pronti per rimettersi in cammino.
    Sul limitare del sentiero, una farfalla gli volò accanto.
    Le foglie frusciarono più forte.
    Yuzo si volse, ma nella foresta non c’era nessun altro oltre lui. Il volante scosse piano il capo, riprendendo a camminare.
    Alle sue spalle, la farfalla si poggiò su una foglia che, nel flettersi, perse una goccia d’acqua. Velocemente si infranse sulla dura roccia della statua, sul viso di Arya levato al cielo, e scivolò lungo la guancia, mutandosi in lacrima.

     

    I ricordi formano la nostra memoria,
    quello che siamo, la nostra storia
    e restano vivi, in ogni momento,
    avvolgendo il cuore di fuoco e di vento.

     


    Curiosità:
    Avrei voluto usare un personaggio del manga da mettere nel ruolo del comandante delle guardie di Van Saal, ma, mi credete? Non ne ho trovato nessuno adatto ç_ç.
    Uff, che peccato.


    [1]GASPORT: è il capo supremo del Barça nel Road to 2002. Quando il presidente della squadra, Sebastian Cou (colui che avrebbe dovuto coprire il ruolo di Van Saal in questa storia ma è stato declassato XD), spinge per avere un ultimatum e destituire Van Saal dal suo ruolo di allenatore, Gasport lo difende e mette Cou a tacere (XD per questo l’ho declassato, era troppo un pirla!). Questo denota grande fiducia da parte di Gasport che ho voluto rendere anche in questo caso, ma stavolta con un diverso finale XD (Gasport: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…



    E guerra fu e fine fu. :3
    I buoni vincono, i cattivi perdono, ma la vittoria è molto a metà. Metà gioia, metà dolore e tanta amarezza. XD cioè, sono pur sempre io, ormai dovreste essere abituati con me: tra il tutto bianco e tutto nero tendo sempre a scegliere una certa tonalità di grigio. *ride*
    I Briganti di Ghoia sono stati vendicati e Yuzo è cresciuto parecchio, ma la crescita - anche se già in questo finale di capitolo si può intuire - si riuscirà a capire meglio solo andando avanti, dal suo modo di parlare e porsi.
    Penso che il piacere più grande, l'ho provato scrivendo il pezzo in cui lui e Mamoru si ritrovano a parlare sul dondolo. Mi è piaciuto scriverlo, mi è piaciuto immaginarlo ed è il momento in cui è proprio palese che loro due e il loro rapporto sono cambiati in via definitiva. La canzone di Don McLean mi ha aiutato tantissimo e anche se il testo è il pezzo di un salmo, mi piaceva l'utilizzo metaforico rispetto alla storia: la canzone è il commiato da Gerusalemme da parte dei giudei costretti all'esilio dai babilonesi conquistatori. Qui, il commiato Yuzo lo fa verso una parte di sé, sopraffatta dalla consapevolezza di non poter più mentire a sé stesso.
    XD forse vi aspettavate più mazzate, nel senso di 'Grande Mischia Tutti-contro-tutti'.
    Ero stata tentata, ma se avessi dato piede libero a Yuzo, avrebbe squartato vivo Van Saal e non era il caso XD. Soprattutto, poi sarebbe stato un casino giustificarsi con il Doge. Ricordiamo che, per quanto bastardo, Van Saal era stato scelto legalmente dal Doge di Tha Cerròs, quindi le cose bisognava farle in un certo modo e senza stragi. L'ho sempre detto: anche su Elementia esiste la burocrazia! XD

    Per quanto riguarda il prossimo capitolo, ve lo restituirò per intero, nonostante sia piuttosto lunghino (X3 quasi come questo *ride*), ma dividerlo non avrebbe avuto molto senso.
    Il quattordicesimo è ancora in fase di stesura, e spero di riuscire a finirlo prima del prossimo aggiornamento: saranno quattro parti, molto serrate.

    Penso di aver detto tutto. *-* Ringrazio come sempre le anime pie che continuano a seguirmi con affetto! :***



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 37
    *** 13 - Febbre bassa ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 13: Febbre bassa

    Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-meridionali

    Yuzo fu il primo ad accorgersi del mutismo in cui Mamoru era scivolato a poco a poco, non appena avevano iniziato a inoltrarsi nella catena montuosa del Nohro.
    Quest'ultima si estendeva enorme, come una muraglia invalicabile e dalle rocce irte e taglienti. La neve delle vette rifletteva la luce in maniera abbagliante, tanto che era difficile riuscire a guardarla troppo a lungo, e arrivava verso le pendici dando l’impressione di divorarne, ogni giorno, un pezzo in più.
    Faceva freddo.
    Un freddo che prima ti congelava e poi ti segava in due. Roba che, in confronto, il gelo di Rhanka pareva deliziosa primavera. Era anche vero che si avvicinava il periodo peggiore dell’anno per affrontare la traversata di un sistema montuoso, quindi le condizioni meteorologiche non avrebbero fatto altro che peggiorare: il mese di Yòkoza non aveva pietà in zone come quelle.
    Mentre cavalcavano seguendo la Via Crociata, ora ridotta a un sentiero stretto, Mamoru restava quasi nascosto dentro al cappotto pesante. La pelliccia che lo foderava spuntava dal cappuccio tirato sulla testa. Della Fiamma si notava solo il nero dei capelli che scivolavano attorno al viso, celandone buona parte, mentre il resto rimaneva coperto dal cappuccio. Le mani erano coperte da spessi guanti.
    Con l’andare dei giorni, a Yuzo era sembrato che la sua pelle – almeno quel po’ che ogni tanto riusciva a scorgere da sotto lo spesso abbigliamento – avesse perso colore, ma Mamoru non gli aveva mai permesso di indagare oltre, mostrando una strana reticenza ai suoi sguardi. Soprattutto, rifiutava il suo contatto, qualunque esso fosse stato. Come provava a toccarlo, lui si tirava indietro, dissimulando perfettamente il gesto e facendolo passare per un caso.
    La cosa non gli piaceva, perché non era da Mamoru; non dopo quanto avvenuto a Ghoia, in particolare.
    Vedendolo stretto sulla sella e col capo chino verso la criniera, il volante decise che doveva parlargli. Spronò leggermente il cavallo e lo raggiunse; loro due erano in coda al gruppo, mentre Hajime e Teppei non avevano alcun problema ad affrontare quei climi impervi, soprattutto il tyrano che era abituato al freddo della scuola.
    “Ehi” chiamò in direzione del compagno di Fuoco, ma quest’ultimo nemmeno si volse. Yuzo lo affiancò, abbassando il capo per cercare di scorgerne lo sguardo da sotto al cappuccio. “C’è qualcosa che non va? Sei strano ultimamente.”
    Mamoru grugnì un verso a mezza bocca che lui non comprese, così si sporse un po’ di più e fece per toccargli la spalla, ma stavolta la Fiamma reagì in maniera brusca.
    “Ho detto che sto bene!” ripeté in maniera decisa, allontanandosi dalla mano prima che potesse poggiarsi su di lui.
    Yuzo si accigliò. “Sei sicuro? Non hai più detto nulla da quando abbiamo attraversato il Passo di Dastel e ci siamo inoltrati per il Nohro. C’è qualcosa che ti preoccupa?”
    “No.”
    “E allora cosa?”
    “Niente.”
    Le sue risposte erano monosillabi che Yuzo si rese conto gli uscissero a fatica, come se parlare lo stancasse oltremisura.
    Abbassò lo sguardo con un mezzo sospiro e l’occhio gli cadde sulle mani che stringevano le briglie. Gli parve che tremassero, ma erano seminascoste dalle maniche del cappotto. Poi una folata gelida, infiltratasi nel corridoio che le gole delle montane creavano attorno al passaggio, strappò il cappuccio dalla testa del compagno, costringendolo a coprirsi con le mani e a rallentare. Quando il vento cessò, il pallore del viso di Mamoru gli apparve evidente e preoccupante, tanto da fargli sgranare gli occhi. Su una pelle perfettamente scurita dai raggi bollenti del sole che picchiava alle Fyarandas risaltava ancora di più.
    “Oh, Vergine Yayoi…”
    “Che hai… da guardare?!” Mamoru gli rivolse un’occhiata truce e cercò di nascondersi nuovamente sotto al cappuccio, quando Yuzo gli afferrò il polso. Lui si divincolò con un gesto secco, sibilando quel: “Non toccarmi!” che lasciò il compagno con la mano ferma a mezz’aria e l’espressione confusa. Le loro cavalcature erano ferme.
    In quel momento, mentre la Fiamma aveva il braccio sollevato, il volante notò come stesse tremando.
    “Sto… benissimo” faticò a dire, le labbra viola per il freddo e quell’orgoglio che non voleva farlo piegare nemmeno ora che sembrava stesse raggiungendo il limite di sopportazione.
    “Non dire idiozie.” Lo rimproverò Yuzo. Velocemente liberò la mano dal guanto e l’allungò verso di lui per toccargli il viso.
    “Ho detto che-”
    “Sta’ fermo!”
    Mamoru rimase spiazzato per un momento da come i ruoli si fossero ribaltati in un attimo, ma quando sentì il calore delle sue dita sulla guancia gli sembrò d’essere arrivato nel Paràdeisos. Era come l’acqua per un assetato, la pelle assorbiva il calore del palmo come non fosse esistito nient’altro al mondo di più importante. Chiuse gli occhi, afferrando il polso del volante con entrambe le mani.
    Non era come quando si trovava a Rhanka dove, per quanto facesse freddo, aveva avuto il riparo di un tetto e temperature comunque accettabili perché di poco sotto i dieci gradi. Lì erano fissi sullo zero e, per la maggior parte, lo superavano anche. In negativo.
    “Oddea, Mamoru. Sei gelido.” Yuzo si spaventò. Lui era sempre rimasto sorpreso dal calore che gli Elementi di Fuoco sprigionavano, di molto superiore agli altri, ma ora sembrava che la Fiamma fosse divenuta un blocco di ghiaccio, il suo pallore era cinereo e il viso sofferente. “Ma perché non me l’hai detto prima?” esalò, guardando il bisogno che aveva di scambiare calore col freddo del proprio corpo. Senza pensarci tirò via l’altro guanto con i denti e fu libero di prendergli il viso con entrambe le mani.
    L’espressione della Fiamma si fece d’estasi.
    “Febbre bassa(1)…” riuscì a dire. “Noi… ne soffriamo, quando le… temperature scendono troppo.”
    Il volante chiamò subito il Tritone: il giovane aveva bisogno di stare al riparo e recuperare il calore perduto. “Hajime! Mamoru sta male!”
    Acqua e Terra accorsero.
    “Che è successo?” si preoccupò il primo, e già solo il fatto che fosse Mamoru a non star bene lo allarmò perché lui e Teppei erano quelli dotati della tempra più forte tra loro quattro. Eppure, quando vide la fatica che faceva anche a respirare, capì che la situazione era piuttosto seria. “Dannazione, cos’ha?”
    “Ha detto che si tratta di febbre bassa.”
    Hajime fece per toccarlo, ma Yuzo lo fermò con foga. “No! La tua temperatura corporea è sotto la media, Mamoru ha bisogno di scaldarsi, io ho una temperatura normale. Al massimo Teppei-”
    “La mia temperatura si adatta all’ambiente: se siamo al freddo, scende.” Scosse il capo il giovane di Terra.
    “Accidenti!” masticò il volante, ma subito il Tritone prese in mano la situazione.
    “Dobbiamo creare un riparo. Teppei, usa i tuoi incantesimi, io mi occuperò di sciogliere un po’ della neve qui intorno e trovare qualcosa di asciutto da bruciare.” Svelto smontò da cavallo, imitato dal compagno, mentre Yuzo restava vicino alla Fiamma per infondergli almeno un po’ del suo calore, anche se si disperdeva subito.
    “No… non dobbiamo fermarci…” Mamoru tentò debolmente di protestare, ma non aveva abbastanza energie per farsi valere. “Sto bene… posso continuare…”
    “Non dire sciocchezze!”
    “Non… zittirmi…”
    “Oh, invece ti zittisco eccome! Perché non me lo hai detto subito? Ci saremmo fermati molto prima per permetterti di riprenderti.”
    Storse le labbra intirizzite in una smorfia e spostò lo sguardo. “Non… non ce n’era bisogno…”
    Il volante ruotò gli occhi, rassegnato. “Cocciuto fino alla nausea. Fai concorrenza a Teppei, sappilo.”
    Mamoru non replicò, troppo succube di quell’energia che riusciva a sottrargli, quasi fosse una droga e lui un disperato senza possibilità di salvezza. Nei libri di mitologia antica e folklore aveva letto di strane creature che si chiamavano upir’ (2), grandi quanto un ratto, che si attaccavano ai colli o alle gambe delle persone e succhiavano il loro sangue. Ecco, in quel momento lui era come un upir’, ma si nutriva di calore.
    A scuola non gli era mai capitato di ammalarsi, poiché la temperatura, lì, non scendeva mai sotto i quarantacinque gradi all’ombra, ma aveva letto e studiato che un Elemento affetto da febbre bassa poteva assorbire un fuoco acceso o il calore di un’intera persona, portandola alla morte per assideramento. Quel particolare gli tornò in mente all’improvviso e subito cercò di separarsi da Yuzo.
    “Vuoi stare fermo?” gli domandò quest’ultimo, vedendolo agitarsi per sottrarsi al suo tocco. Mamoru cercava di spingerlo via, ma lui non demorse, tenendolo ben fermo. “Che ti prende?”
    “Allontanati…” Il modo in cui batteva i denti gli rendeva difficoltoso farsi comprendere o articolare frasi più complesse. “…o… rischio di… ucciderti…”
    “Ma che dici? Come potrest-”
    “Ascoltami quando ti parlo!” sforzò in un ringhio. Riuscì ad allontanare le mani dal suo viso e si sentì gelare all’istante, ma cercò di resistere. “Posso assorbire… interamente… il tuo calore… Non lo posso controllare…” Aveva gli occhi spalancati e il nero sembrava ossidiana bloccata sotto una lastra di ghiaccio. La pece non ribolliva più, ma era come se si fosse cristallizzata.
    Yuzo tese le labbra in un’espressione severa e inarcò un sopracciglio. “Non sono una persona normale, Mamoru. Sono pur sempre un Elemento, te lo sei dimenticato? Posso resistere molto più di quanto pensi e inoltre ho la magia in supporto. Non ti preoccupare.”
    La Fiamma fece per controbattere, ma il volante tornò a toccargli il viso e la sensazione di benessere gli annebbiò la mente, spegnendo ogni protesta in un ringhiato sospiro di soddisfazione.
    L’altro sorrise della sua arrendevolezza e non perse l’occasione di pungolarlo per primo, una volta tanto. “Ma guarda, si direbbe che ora sia io quello che ti ha in pugno.(3)
    “…bastardo…”
    Yuzo tentò di non ridere del tono estatico che aveva usato.
    Attorno a loro, Hajime aveva cercato il punto più riparato sotto un costone di roccia e aveva poggiato le mani al suolo. Il manto nevoso e compatto aveva iniziato a sciogliersi sotto i comandi della sua magia che ne aveva variato lo stato. Si formarono dei rivoli e poi un piccolo rigagnolo che prese a scorrere secondo la pendenza.
    Teppei, nel frattempo, aveva valutato la geologia della montagna, prettamente granitica. “Sarebbe stato perfetto se ci fosse stata della pietra ollare(4), da queste parti, ma vediamo di accontentarci.” Penetrò la parete rocciosa con un pugno ben calibrato, in modo da non generare crolli, e iniziò a estrarre il materiale assieme alla mano. Lo modellò come fosse fuso e creò una sorta di nicchia circolare, lasciandone aperto solo un ingresso anteriore che poi avrebbero chiuso con rami e foglie per limitare l’accesso dell’aria fredda.
    Hajime annuì al suo operato e si allontanò per cercare qualcosa da ardere.
    “Presto, entrate.” Il tyrano si rivolse a Yuzo e Mamoru. “Almeno vi togliete dalla corrente. Io e Hajime dormiremo all’esterno; non abbiamo problemi di temperatura.”
    Il volante annuì e scese da cavallo. Non appena allontanò le mani dal suo viso, la Fiamma venne scossa da un brivido talmente intenso che lo costrinse a piegarsi sul dorso dell’animale.
    “Mamoru!”
    “…fred… do… Ho… freddo…” masticò in un balbettio percepibile a stento.
    Yuzo si levò leggermente in volo, per facilitare i movimenti del compagno a smontare di sella.
    “Ti aiuto a scendere, forza. Prendimi le mani.”
    Anche se con una smorfia riluttante, il giovane di Fyar obbedì. Detestava dover dipendere tanto dagli altri. Nella sua vita aveva sempre fatto affidamento solo sulle proprie forze e ora… ora si trovava ad aver bisogno di aiuto anche per una cosa così stupida. Lui. Che a Fyar cavalcava i màlayan.
    Era così umiliante. Ma ancora più umiliante, era il modo in cui il calore del volante lo assoggettasse completamente. Quasi fosse stato uno schiavo.
    Era la prima volta che arrivava così vicino al suo limite. Anzi, era sempre stato convinto di non averne mai avuto uno e invece, quella maledetta montagna glielo aveva sbattuto in faccia senza tanti complimenti.
    “Tra poco starai meglio, promesso.” Yuzo gli teneva una mano sul viso, mentre camminavano velocemente per entrare nella piccola struttura creata da Teppei.
    Lui arricciò le labbra e aggrottò le sopracciglia borbottando quel: “Non… trattarmi come fossi… un bambino…”, che l’altro non sentì.
    Entrare nella cupola riuscì a dargli da subito un leggero senso di sollievo. L’aria fredda si era fermata e aveva smesso di sferzare intorno a lui per sottrargli anche quel poco di calore che il volante riusciva a infondergli.
    Yuzo stese una coperta e Mamoru si rannicchiò nell’angolo, scomparendo sotto al cappuccio alzato e calato sugli occhi. Non si riusciva a scorgerne nemmeno la punta del mento.
    “Può andar bene?” domandò Teppei, affacciandosi all’entrata e il giovane d’Alastra gli sorrise.
    “Sì, grazie. Sei stato fantastico.”
    L’altro gonfiò un po’ il petto. “Modestamente!”
    “Piantala di vantarti e intreccia questi.” Hajime era comparso alle sue spalle e gli aveva mollato dei rami di phytolacca(5), molto elastici e ricchi di foglie, in modo che potesse creare una tenda. Lui, invece, entrò mantenendosi in ginocchio poiché l’ambiente non permetteva di stare in piedi, in modo da raccogliere meglio il calore. Delimitò, con alcune pietre, lo spazio in cui avrebbe acceso il fuoco e posizionò dei tronchi asciutti che era riuscito a trovare. Alla base, mise erbe secche e sterpaglie, poche a dire la verità, ma la neve aveva impregnato il suolo e reso tutto troppo umido.
    “Come sta?” domandò il Tritone al volante.
    “Benissimo…” sibilò la Fiamma.
    I due si scambiarono un’occhiata eloquente per il tono profondamente infastidito del compagno e non aggiunsero altro.
    Nel frattempo, Yuzo si era liberato del proprio cappotto per metterlo sulle spalle dell’amico. Mamoru liberò una mano dal guanto e lo toccò, assorbendo completamente il calore che il volante aveva lasciato nella stoffa.
    Poi, il rumore dell’acciarino attirò la coda del suo occhio, che riusciva a carpire qualcosa di ciò che avveniva al suolo. Guardò le scintille, le bramò e quando il fuoco attecchì riuscì a sentirsi meglio già per quel po’ di calore che la fiamma aveva iniziato a sprigionare e che lui assorbiva attraverso l’aria.
    Il Tritone soffiò un po’ per alimentare la brace e gettò una manciata di polvere incendiaria che potesse ravvivare le fiamme.
    “Vado a preparare qualcosa di caldo, ve lo porterò appena è pronto” disse poi e Yuzo annuì, occupandosi lui di far attecchire bene il fuoco con i suoi poteri.
    “Avvisa… prima di… entrare…” Mamoru lo disse con foga, lasciando perplessi entrambi i compagni. Quest’ultimi si scambiarono un’occhiata e mentre il volante si stringeva nelle spalle, il Tritone trattenne una sorta di sorriso perfido e molto, molto malizioso.
    “Avvisare?” fece eco Yuzo una volta che furono da soli. Vide la Fiamma incassare di più la testa nelle spalle e rispondere a mezza voce.
    “Mi dà… fastidio…”
    “Cosa?”
    “Lo sai… benissimo…”
    No, a dire il vero sul momento Yuzo non lo comprese. Poi ebbe come un’illuminazione e non seppe se ridere o arrabbiarsi. Fatto stava che per quello stava rischiando moltissimo e allora si concesse almeno di rimproverarlo.
    “Quindi è per questo che non mi hai chiesto niente, nelle notti trascorse, né hai voluto che io ti tenessi al caldo come avvenuto a Rhanka. Pensavo stessi bene, anche se faceva molto più freddo che sull’altopiano. Non credevo potessi vergognarti tanto.”
    “Senti, piantala!” ringhiò l’altro con furia. Il viso emerse da sotto al cappuccio e Yuzo si trovò i suoi occhi neri e taglienti che lo stavano quasi divorando, carichi di fastidio. Avrebbe snudato i denti in una smorfia se non gli stessero battendo per il freddo. “Io non sono avvezzo… a questo… genere di… di… davanti agli altri…”
    Anche con i suoi fratellini si era limitato a una innocua carezza sulla testa. L’unica persona con cui si lasciava andare a gesti d’affetto totalmente nuovi, per lui, era solo il volante. Al massimo aveva concesso un abbraccio a suo padre, ma anche quella era un’eccezione. In tutti gli anni che era stato alla scuola non si era mai mostrato affettuoso con nessuno, perché non era così che era stato cresciuto. Solo da poco aveva iniziato a sciogliere il suo cuore e non era ancora pronto per mostrare il suo lato più debole agli occhi altrui. Yuzo, invece, era sempre stato circondato da carezze e abbracci. Non poteva capire come si sentisse vulnerabile al solo pensiero d’esser osservato. E visto che già si sentiva terribilmente esposto per colpa di quella fottuta febbre bassa, non voleva mostrare anche quello.
    Il volante lo guardò a lungo con serietà, ma poi si sciolse in un sorriso comprensivo che gli fece perdere tutto il piglio bellicoso. Sollevò le mani e gliele poggiò tra la mascella e il collo, infondendogli benessere immediato che gli fece socchiudere leggermente le palpebre.
    “D’accordo. Ma avresti dovuto parlarne almeno con me.” Gli disse Yuzo con calma. “Avremmo potuto trovare una soluzione prima.”
    Lui rispose con un mugugno, troppo preso del tocco caldo e piacevole. Gli coprì le mani con le proprie e il calore venne assorbito dai palmi e dai polpastrelli. Li fece scivolare lungo le braccia coperte dagli abiti e la sua fame di temperature fu in grado di nutrirsi anche attraverso le fibre dei tessuti. Arrivò al viso ed emise un basso grugnito di soddisfazione.
    Il respiro era pesante e difficoltoso, a causa del tremore che lo percuoteva da capo a piedi. Si avvicinò, muovendosi con fretta e necessità sulla coperta stesa al suolo. Lo cercò come fosse l’ultima fonte di calore rimasta su Elementia e poggiò la fronte contro la sua. Fu come rinascere. Inalò profondamente il respiro di Yuzo e avvertì in maniera chiara come entrasse nelle proprie vie respiratorie, in circolo, e gli facesse sentire il petto più leggero. Estasi.
    Fece scivolare la guancia contro la sua, le dita dietro la nuca, le labbra contro l’orecchio. Poi le mani sul collo, il naso contro il naso e avevano meccanismi calibrati in una sincronia perfetta: quando Yuzo espirava, lui inspirava e sapeva di essere troppo vicino alle sue labbra, una tentazione atroce cui iniziò a dubitare se sarebbe stato in grado di resistere. In quelle condizioni, dove non era più il pieno padrone di sé stesso, ma un affamato di calore, avrebbe anche potuto cedere e compiere una pazzia di cui poi avrebbe finito col pentirsi per tutto il resto della sua vita. Ma il solo pensiero della bocca e del fiato, che dovevano essere caldissimi, sapeva piegare la sua volontà di resistere.
    Le dita carezzarono le labbra, già esule dal suo controllo. Ne seguirono la linea e notò che erano piegate in un sorriso. In quel momento gli parve benedetto perché lo costrinse a spostare il viso di nuovo contro la guancia e quindi lontano da zone pericolose.
    “Non… ridere…” Lo ammonì.
    “Non sto ridendo.”
    Lui ci credeva poco, invece Yuzo era sincero. Non stava ridendo, ma solo sorridendo. Era piacevole il modo in cui Mamoru cercava ogni minimo lembo di pelle per poterlo toccare. Era piacevole in maniera diversa da quanto lo potesse essere l’abbraccio paterno o la carezza di sua zia. Già a Ghoia aveva sperimentato come il contatto con Mamoru sapesse calmarlo non appena l’ansia e la paura prendevano il sopravvento, ma in quel tocco in particolare, che era una ricerca spasmodica di pelle e corpo, c’era qualcosa di molto più intimo e sensuale che non lo infastidiva affatto. Allo stesso tempo, si rese conto che se ci fosse stato un altro al posto di Mamoru, si sarebbe trovato molto più a disagio e magari non gli avrebbe permesso di avvicinarsi così tanto.
    Quando la Fiamma lo toccava percepiva distintamente la perdita di calore. Gli provocava un leggero formicolio cui comunque non si sarebbe sottratto, per non metterlo in pericolo. Così, lo lasciò fare. Lasciò che gli carezzasse il viso, che vi facesse strusciare il proprio e quel movimento gli ricordò il gesto compiuto dalle phaluat quando si toccavano collo a collo. Era stato quello a farlo sorridere, il modo in cui Mamoru sapesse ricordargli casa in qualsiasi occasione, anche la più difficile.
    Diede un’occhiata al focolare e vide che ormai aveva attecchito completamente, ma il suo calore faceva fatica a diffondersi perché veniva assorbito dalla Fiamma anche se non lo stava tastando direttamente. Quest’ultimo si separò piano da lui per guardare la vampa che oscillava in maniera ipnotica.
    Mamoru pensò che fosse perfetta, in questo modo non avrebbe rischiato di fare del male all’uccellino e, soprattutto, non avrebbe permesso ai suoi desideri di prendere il sopravvento e farlo agire senza pensare. Con decisione allungò una mano, immergendola quasi completamente nel fuoco.
    Fu come una scarica elettrica. Gli saturò il petto e gli fece provare un dolore immenso che lo sconvolse.
    Tutto il corpo si irrigidì all’istante, mentre gettava il capo all’indietro e spalancava gli occhi. Non ebbe nemmeno la capacità di gridare: l’aria gli rimase intrappolata nei polmoni e il respiro si fece irregolare, rantolato; la bocca aperta ma muta e Yuzo impallidì.
    “Mamoru! Mamoru!” Lo chiamò, impedendogli di cadere di schiena. Lo appoggiò piano al suolo e gli toccò il viso, chiamandolo ancora, ma lui non rispose. Gli occhi rivolti al soffitto di pietra dove la luce della fiamma accesa allungava le ombre e le faceva tremare; il corpo percorso da spasmi. “Mamoru, rispondimi! Mamoru!”
    Yuzo gli carezzò le guance più volte, ma non ottenne alcuna reazione. Guardò la mano con cui aveva toccato il fuoco, ma si accorse che non c’erano tracce d’ustioni e non riusciva a spiegarsi cosa diamine fosse accaduto. Il suo corpo sembrava essere sotto shock e solo in quel momento ebbe la giusta intuizione.
    La fiamma troppo intensa e il corpo troppo freddo.
    Shock termico.
    Imprecò a mezza bocca e poi tornò a sfiorare la fronte di Mamoru ancora tremante.
    “Tranquillo, tranquillo va tutto bene” disse, prima di guardarsi attorno e trovare un ristagno d’acqua gelida della neve che Hajime aveva sciolto. Si bagnò la mano e ne raccolse un po’ nel palmo. “Va tutto bene” ripeté, facendogli scivolare le gocce sul viso e bagnandogli il collo.
    Mamoru ebbe un sussulto e l’aria gli invase i polmoni, riempiendoli fino in fondo. Gli occhi, che erano divenuti vitrei, si fecero nuovamente lucidi e vivi. Vennero socchiusi adagio e poi riaperti un paio di volte. Si spostarono sul volante che lo guardava preoccupato.
    “Prontezza… di riflessi…” mormorò e il freddo era tornato a farla da padrone nel suo corpo. “…colpa mia… ho sbagliato…”
    Yuzo rilassò le spalle, sollevato. Piano lo aiutò a sedersi, ma stavolta Mamoru gli crollò addosso, poggiando il viso sulla gola scoperta. Le braccia erano ancora intorpidite e faceva fatica ad alzarle.
    “Stai bene?” Gli domandò il volante.
    “Mai stato… meglio…” ironizzò con una punta di rassegnazione. “…sono cose che… non conosco bene… a Fyar… non ci succedono…”
    “Non hai motivo di giustificarti.” Gli poggiò una mano sul viso, mentre con l’altro braccio lo teneva stretto per facilitargli l’assorbimento del calore. Poi liberò il vento shurhùq in modo che potesse riempire l’ambiente e fornire altra energia, in dosi minori e facilmente assimilabili da Mamoru.
    Quest’ultimo non aveva nemmeno la forza di rispondere, ma era frustrato. Terribilmente. E avrebbe voluto urlarlo, ma non ce la faceva neppure a muovere un dito, così si lasciò stringere e carezzare dalle sue mani, chiudendo gli occhi.
    Gli bastò un attimo per addormentarsi e non sentì l’ironico: “Toc, toc” che Hajime disse quando si presentò con il cibo.
    “Entra pure” sorrise Yuzo e il compagno fece capolino, spostando appena la tenda di erbe. Come lo vide, il volante gli fece cenno di parlare a bassa voce perché Mamoru stava dormendo e, ovviamente, il Tritone non si fece sfuggire l’occasione di poterlo sfottere senza correre il rischio di venir abbrustolito da una fiammata.
    “Ma guarda che carino!” ridacchiò, appoggiando due ciotole con della zuppa fumante e osservando con quanta tranquillità restasse accucciato tra le braccia di Yuzo.
    “Per favore, non dirgli che ti ho lasciato entrare senza che-”
    “Sarò muto come un pesce.” Lo rassicurò subito Hajime. Poi appoggiò il viso in una mano. “Non lo facevo così timido.”
    “Mamoru è molto diverso da come si ostina ad apparire. È il suo modo di difendersi.” Le dita del volante scivolavano con lentezza tra i capelli del compagno.
    “Sì, ce n’eravamo accorti anche io e Teppei. Sbraita e borbotta, ma poi ha degli slanci altruistici che disorientano. E’ molto protettivo.” Hajime spostò lo sguardo su di lui. “Soprattutto con te.”
    “Lo so.” Yuzo seguiva con gli occhi il brillare del fuoco sui crini neri di Mamoru e non si accorse del sorriso che aleggiò sulle labbra del Tritone per alcuni momenti, prima che assumesse un’espressione più seria.
    “Come sta?”
    Il volante s’accigliò. Emise un lungo sospiro e si volse. “Non bene” ammise, scuotendo il capo. “Ha bisogno di una sorgente a temperatura maggiore e di lunga durata.”
    “Il focolare non è sufficiente?”
    “E’ troppo intenso e concentrato. Quando prima l’ha toccato, ha avuto uno shock termico.”
    “Merda!” Hajime sbuffò, mordicchiandosi il labbro. Lo sguardo spostato al suolo mentre cercava di ragionare su come avrebbero dovuto agire. “Tu che ne pensi?”
    “Io non posso fare molto, perché sono in grado di maneggiare temperature limitate che per Mamoru non sono sufficienti. Al momento, posso mantenerlo stabile e aiutarlo a recuperare qualche grado, ma niente di più e le condizioni delle montagne sono più avverse di quanto io possa rimediare. Non potrebbe mai affrontare la traversata del Nohro.” Scosse il capo, aggrottando le sopracciglia. “Avrebbe bisogno di stare al caldo, sotto delle coperte spesse, con un camino acceso e fare un bagno bollente. E anche così, temo non recupererebbe tutto subito. Purtroppo non conosco molto bene i meccanismi degli Elementi di Fuoco, ma considerando come sta reagendo Mamoru, questa è l’ipotesi che mi viene da formulare.”
    Hajime annuì alle sue parole pur mantenendo lo sguardo fisso al suolo ancora per qualche momento. “D’accordo, senti. Adesso Teppei è andato a cacciare qualcosa, ma prima abbiamo dato un’occhiata alla cartina per valutare il percorso. Ci separano ancora tre giorni dall’ingresso al cuore del sistema montuoso e una volta dentro, non potremo tornare indietro. Quella sarà la nostra ultima possibilità per cambiare idea e fare il giro largo. Fino a quel momento, procediamo come da programma e se la situazione dovesse virare al peggio, raggiungeremo il villaggio di Sithe; non è troppo lontano da lì.”
    Yuzo sospirò. “Mamoru non vorrà mai cambiare la tratta stabilita.”
    “Mamoru farà quello che diremo noi, e senza discutere anche.” Si impuntò il Tritone, agitando severamente l’indice, tanto che il volante rise sottilmente.
    “Ammutinamento?”
    “Sovvertiamo l’ordine!”
    “Parla piano, per carità. Non sembra, ma il signorino ha un udito molto fine in certi casi” rise ancora Yuzo, imitato da Hajime.
    “Ormai siamo arrivati a un punto in cui tutti abbiamo la responsabilità di questa missione e la affrontiamo insieme, non è più solo un compito di Mamoru” espose il Tritone, assumendo un atteggiamento più serioso.
    “Mi trovi d’accordo, per questo appoggio l’idea di cambiare il percorso, nel caso la situazione dovesse precipitare. Sono consapevole del compito importante che ci è stato affidato, ma non rischierei mai la vita di uno di voi pur di portarlo a termine.”
    Hajime annuì con vigore. Era molto più semplice, per lui, relazionarsi con un Elemento come Yuzo, perché non agivano d’istinto, come spesso facevano molti di quelli di Terra e la totalità di quelli di Fuoco, ma ragionavano sulle cose per trovare la soluzione migliore. Spostò lo sguardo su Mamoru, che continuava a dormire profondamente, e gli venne da ridere al pensiero di quanto avrebbe protestato all’idea di allungare il tragitto. L’avrebbe bollata come una ‘perdita di tempo’, anche se in gioco c’era la sua vita.
    “Secondo me, quando è partito, non si sarebbe mai aspettato di doversi ritrovare, un giorno, ad avere tanto bisogno di te.”
    Yuzo rise e nel tempo che era rimasto a parlare con Hajime non aveva mai smesso di accarezzarlo e di far soffiare lo shurhùq attorno a lui. “Sì, lo credo anch’io. Anzi, sono sicuro che si sarebbe messo a urlare improperi se qualcuno avesse provato a ipotizzarlo.”
    “E tu? Tu l’avresti mai detto?”
    Yuzo si volse. Lo sguardo di Hajime era deciso e intenso, ma lui non fece in tempo a chiedergli nulla che la voce di Teppei arrivò chiara, dall’esterno, segno che era tornato con qualche preda.
    Il Tritone indietreggiò. “Vado a impedire che quel cinghiale entri qui, altrimenti Mamoru può considerarsi un uomo finito. Se Teppei lo vedesse ora, non gli darebbe più tregua” rise, allungando le ciotole con la zuppa ancora fumante. “Fallo mangiare, ne ha bisogno. E’ pur sempre una fonte di calore, gli sarà d’aiuto.”
    Lui annuì e avvicinò il cibo, mentre Hajime lasciava la stretta struttura di roccia.
    Attese ancora qualche attimo prima di provare a svegliare la Fiamma. Ne scorse parte del viso e sembrava dormire così bene che gli spiaceva doverlo chiamare, anche se era necessario.
    Con un sorriso, fece scivolare le dita dalla tempia lungo la guancia, fino ad arrivare al mento.
    Cosa aveva voluto dire Hajime?
    Non riuscì a non domandarselo mentre rivedeva il suo sguardo deciso. Gli aveva dato l’idea di aspettarsi una risposta in particolare, ma lui non avrebbe saputo dire quale, anche perché non aveva compreso quale fosse la vera domanda.
    Cos’è che non avrebbe mai detto?
    Che anche lui si sarebbe trovato ad avere così tanto bisogno di Mamoru?
    Se era quello, no, non l’avrebbe mai detto. Erano tante le cose che non avrebbe mai detto di quella missione, in verità. Ed erano cose belle e brutte in egual misura, ma non era ancora il momento di fare bilanci, la missione era lunga e le somme si sarebbero dovute tirare solo alla fine. Il pensiero gli mise addosso una sensazione di malinconia che gli fece capire che forse aveva un po’ timore di arrivare a quel punto. La fine. Perché non sapeva cosa ci sarebbe stato ad aspettarli e per quanto tutto, attorno a loro, si mantenesse in bilico sulla punta di uno spillo, nel loro piccolo sistema erano in perfetto equilibrio.
    Inspirò, mettendo da parte tutti quei pensieri e occupandosi solo del presente; al futuro ci sarebbero arrivati insieme.
    Riuscì a svegliare la Fiamma, pur cercando di essere il più delicato possibile, e lo vide sollevarsi senza dire nulla. L’espressione insonnolita che sembrava quasi non capire dove si trovasse e con chi. Mangiò in maniera meccanica e in silenzio e poi tornò a crollare su di lui, questa volta infilandogli le mani da sotto la giacca di cuoio. Le fece risalire lungo la schiena e si accomodò meglio contro il suo petto. Il profilo poggiato lungo la linea del collo.
    Yuzo sorrise divertito dal fatto che non avesse posto alcuna domanda sulla cena e su quando Hajime fosse arrivato a portargliela, ma cercasse di stringersi il più possibile contro di lui in cerca di calore.
    Fuori c’era ancora luce, segno che il giorno non era ancora finito, ma per Mamoru era come se fosse già arrivata la notte.

    La sensazione che aveva era di essere immerso in qualcosa di tiepido. A momenti era più caldo, altre volte più freddo. Ma ugualmente piacevole; terribilmente essenziale.
    I brividi non l’avevano abbandonato, li sentiva formicolare sotto la pelle, ma gli parve chiaro che la sua temperatura non fosse scesa ancora di più. Buon segno.
    Quando aprì gli occhi, dalla tenda di erbe che copriva l’entrata filtrava un chiarore debole. Forse era l’alba.
    Non ricordava quando si fosse addormentato, con precisione, ma ricordava che Teppei aveva tirato su quella struttura che il sole non era ancora calato. Aveva dormito tantissimo e la cosa lo infastidì.
    Attorno a lui scorse le braccia di Yuzo, con la coda dell’occhio, che ancora lo tenevano stretto e non l’avevano lasciato andare nemmeno per un attimo. La pelle del volante non era calda come il giorno precedente, ma era ancora ricca di energia. Le labbra si deformarono in una smorfia tesa. Non voleva rischiare di fargli del male per colpa di un suo limite fisico.
    Appena si sentì in grado di farlo, cercò di muoversi per tirarsi a sedere. Allora si accorse del vento shurhùq che ancora spirava attorno a loro. La smorfia mutò in piglio irato.
    “Quel… dannato incant-”
    “Buongiorno.”
    Mamoru sollevò il capo e trovò il sorriso del volante a salutarlo. Dunque era già sveglio. Per un attimo aveva pensato che avesse usato lo stesso incantesimo che gli aveva mostrato a Rhanka, ma quello entrava in azione quando dormiva.
    Scrutò attentamente il suo sguardo nocciola, prima di rispondere un semplice: “Mh.”
    Non sembrava stanco. La volta precedente non era riuscito a stare sveglio nemmeno dieci minuti, ma adesso pareva che fosse a posto. Doveva essersi sbagliato.
    “Va un po’ meglio, oggi?” gli domandò il volante e lui si passò una mano tra i capelli, rabbrividendo per aver abbandonato il corpo di Yuzo.
    “Normale.”
    “La febbre è peggiorata?”
    “No.”
    Monosillabi o risposte di una sola parola. Di più non riusciva a fare; parlare gli costava troppe energie ed erano già poche.
    “Te la senti di cavalcare?”
    - No. - Ma non potevano restare fermi lì. “Sì.”
    Diede un’occhiata al focolare ancora acceso, ma dalla fiamma ridotta. Vide il volante buttarci dentro dell’altra polvere incendiaria, ma non era più sufficiente per tenerlo vivo: lo aveva assorbito quasi tutto mentre dormiva.
    “Hai fame? Vado da Hajime a dirgli di prepararti qualc-”
    “No!” questa volta la risposta fu venata da un certo allarmismo. La mano artigliata al suo braccio e gli occhi spalancati. “Non… andartene…”
    L’idea che si allontanasse e che perdesse anche quel poco di calore che riusciva a trasmettergli gli fece accentuare i brividi all’improvviso. Strinse gli occhi e arricciò le labbra.
    “Odio… tutto questo…” masticò, stringendo più forte la presa.
    Però Yuzo comprese le sue difficoltà e gli sorrise. “Devi avere solo un po’ di pazienza. Vedrai che appena usciremo dalle montagne starai subito meglio.” Tornò a toccargli il viso e lui perse il piglio infastidito. Anche quello detestava: il modo in cui divenisse docile non appena sentiva le sue mani su di sé. Era preda, lui che era sempre stato cacciatore.
    “Perché non dormi ancora un po’? Il sole sta ancora sorgendo, abbiamo tempo prima di muoverci.”
    Obbedì senza fiatare.
    Era insopportabile.
    Si sistemò meglio contro di lui. La pelliccia che foderava il suo cappotto riusciva a trattenere il proprio calore che altrimenti sarebbe già sfuggito via, scambiato in fretta con il freddo esterno. Poi aveva anche il cappotto di Yuzo sulle spalle. Il volante gli aveva detto di poter resistere fino a venti gradi sotto lo zero; un’infinità.
    Respirò sul suo collo scoperto nella maniera pesante e seccata di chi non poteva sottrarsi a tutto quello, anche se avrebbe voluto.
    “Ti agitavi nel sonno.” Gli disse il volante a un tratto. “Incubi?”
    Lui grugnì. “Cercavo… di svegliarmi.”
    “Perché? Avevi bisogno di riposare.”
    “Se dormo non… mi rendo conto… di quanto calore assorbo… rischio di… metterti in pericolo.”
    Yuzo sospirò, con quel pizzico di condiscendenza che lo mandava in bestia, e lui non poteva rimproverarlo. “Ne abbiamo già parlato ieri. Ti ho detto che non è un problema e che non rischio nulla. La tempra di noi Elementi è superiore a quella di un essere umano, ricordalo.”
    “Sì, ma quanto… pensi che potrai… resistere?” sbuffò. “Non sei… invincibile…”
    “Nemmeno tu.”
    Odiava quando gli sbatteva in faccia la verità in maniera così diretta e limpida. Era lui quello che agiva così, maledizione. Il volante era quello dotato di diplomazia. Il mondo stava davvero girando al contrario.
    S’addormentò per un altro paio d’ore, prima che fosse lo stesso Hajime ad andare da loro. Fu un sonno leggero e infatti, appena sentì la voce del Tritone avvicinarsi, aprì subito gli occhi per mettersi a sedere.
    Gesto che fece ridacchiare sia Yuzo che lo stesso Hajime quando fece capolino. Lui li guardò con sospetto, scambiando delle occhiate truci e minacciose che, purtroppo per lui, non avrebbero fatto paura a nessuno in quel momento.
    Mangiarono in fretta e spensero le braci rimaste. Questa volta fu in grado quasi di toccarle senza subire conseguenze, poiché non c’erano fiamme vive. Le assorbì completamente, estinguendole del tutto.
    Anche se il calore con cui era stato a contatto sapeva non essere sufficiente per guarire la sua febbre bassa, si sentì meglio del giorno del precedente, tanto che per pochi momenti riusciva anche a non stare a contatto con il volante, ma ciò non toglieva che, durante il viaggio a cavallo, avrebbero dovuto camminare fianco a fianco, per poterlo toccare.
    “Va’ pure avanti. Ti raggiungo tra un momento.” Gli disse Yuzo, mentre finiva di mettere via la coperta che si era in parte bagnata, stando a contatto col suolo. Lui annuì, separandosi da lui, seppur con riluttanza. Lasciò la struttura e solo quando fu solo, il giovane d’Aria respirò a fondo e si passò una mano sul viso.
    Sentiva la stanchezza calare inesorabilmente sugli occhi perché, diversamente da quanto era riuscito a far credere a Mamoru, aveva usato il Controllo dell’Inconscio durante la notte e ora ne stava pagando le conseguenze. Respirò ancora in maniera profonda, stringendo le mani sulla fronte e sbattendo velocemente le ciglia per scacciare il sonno. Avrebbe dovuto resistere tre giorni così e non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma avrebbe fatto di tutto per andare fino in fondo.
    Con l’incantesimo di Autocontrollo trincerò il senso di stanchezza in un angolo per mostrarsi lucido ai suoi compagni.

    “Yuzo! Yuzo, svegliati! Yuzo!”
    Sussultò e spalancò gli occhi di scatto, richiamato da quella voce che era riuscita ad arrivare al suo cervello solo in quel momento.
    Davanti a sé, trovò il viso di Teppei che lo guardava carico di preoccupazione.
    “Era ora. Sono almeno dieci minuti che ti sto chiamando e scuotendo!”
    Lui boccheggiò. Aveva la testa annebbiata da un sonno terribile che a stento gli faceva tenere gli occhi aperti. Si passò una mano sul viso per riuscire a riprendere contatto con la realtà, ma sentiva la mente piena d’ovatta e le voci gli arrivavano smorzate.
    “Io…” tentò di dire, ma in quel momento si accorse che il vento di shurhùq non spirava più e si svegliò del tutto, mettendosi in fretta a sedere. La testa girò velocissima. “Mamoru?”
    Yuzo lo trovò seduto al suo fianco, aveva lo sguardo carico di rimprovero, così come il tono della voce.
    “Sono qui.”
    Stava bene ma, data l’espressione, ormai doveva aver capito: in quei due giorni aveva continuato a usare il Controllo dell’Inconscio per riuscire a tenerlo al caldo con il suo incantesimo di vento, però la stanchezza accumulata ormai pesava troppo nella testa e nel corpo. Nonostante la notte dormisse, al mattino si sentiva a pezzi, come non avesse chiuso occhio e fosse rimasto sempre vigile e attento.
    E ora che era giunto il terzo giorno doveva essere arrivato allo stremo: il sonno l’aveva sconfitto e, poiché aveva tanto da recuperare, una volta che lo coglieva era come se sprofondasse in letargo.
    “Stai bene?” domandò Teppei, allungandogli una tazza di tè caldo.
    “Sì” mentì. “Scusa se non ti ho sentito…”
    “Sembravi morto!”
    Sforzò una risata. “Addirittura. Non esagerare.”
    Ma Teppei si impuntò, dicendogli di bere tutto il tè perché Hajime vi aveva messo delle erbe aggiuntive che servivano a far recuperare le energie.
    Mamoru attese che il tyrano fu fuori dalla nuova nicchia di roccia che aveva creato per loro, prima di rimproverarlo.
    “Stupido.” Una sola parola, diretta e secca, in cui riassunse tutti gli altri improperi che avrebbe voluto lanciargli contro, ma che non riusciva bene ad articolare per colpa della febbre bassa. “Avevo detto… che non volevo-”
    “Si tratta solo di sonno perduto. Appena starai meglio, recupererò tutte le energie con una bella dormita, promesso.”
    Tsk! Non farla facile!” sputò la Fiamma di getto e lo sforzo lo lasciò a corto di fiato per un po’.
    Yuzo fece per allungare la mano e toccarlo, dargli calore, ma Mamoru la rifiutò.
    Se il volante l’avesse sfiorato, addio ramanzina e col cavolo che gliel’avrebbe risparmiata. Lo guardò con occhi taglienti. “Non riesci… nemmeno a svegliarti. Scommettiamo… che crolli prima che… cali il sole?”
    Vide il volante inspirare a fondo e non rispondere. Bevve il tè e lo finì senza dire altro.
    Entrambi si mossero per sistemare le ultime cose e abbandonare anche quel riparo. Come per tutti gli altri, Teppei l’avrebbe lasciato così per permettere a chiunque sarebbe passato da quelle parti di poterlo usare.
    Appena fu in grado di alzarsi in piedi e uscire, la terra prese a girare davanti agli occhi di Yuzo, quasi impazzita. Per non parlare della luce riflessa dalla neve che lo infastidiva tanto da fargli tenere le palpebre strette.
    Tirò l’ennesimo respiro e si sforzò di mantenere una postura dritta per ignorare la stanchezza. Anche l’incantesimo di Autocontrollo iniziava a fare cilecca non riuscendo più a bloccare il sonno come avrebbe dovuto. Sbatté più volte le palpebre per cercare di svegliarsi, ma era tutta fatica sprecata: Mamoru aveva ragione, di quel passo sarebbe crollato prima del tramonto.
    Montare in sella fu l’ennesimo sforzo e, una volta a dorso del cavallo, gli parve d’essere talmente in alto da avere un attacco di vertigini. Ci avrebbe riso su se non fosse stato così stanco.
    Cavalcare riuscì a farlo riprendere appena un po’, forse per il freddo dell’aria gelida che lo colpiva in viso, ma aveva l’attenzione ridotta quasi a zero e non riusciva a stare al passo dei compagni. Inoltre, quando aveva provato di nuovo a prendere la mano di Mamoru, quest’ultimo si era sottratto ancora, rivolgendogli un’occhiata di rimprovero e scuotendo il capo, coperto dal cappuccio. Nonostante si rendesse conto come il giovane stesse patendo il freddo, non aveva voluto il suo aiuto per non fargli esaurire il fondo di energie che gli erano rimaste.
    Si spinsero lungo la serpentina di Via Crociata che passava attraverso le prime montagne. Da lì era ancora possibile tornare indietro o deviare il percorso, ma quando sarebbero giunti al Passo di Salha avrebbero dovuto fare la scelta definitiva: andare avanti o abbandonare la traversata del Nohro.
    Mentre procedevano, il suo sguardo rimaneva fisso alla criniera del cavallo, domandandosi quale sarebbe stato l’esito, ma non aveva nemmeno la forza di girarsi per scrutare Mamoru e capire come stava. Ogni tanto sentiva la testa cadere pericolosamente in avanti e le palpebre scivolare sugli occhi. Si riprendeva giusto l’attimo prima di crollare sull’animale.
    Ma se lui non aveva forza, Mamoru invece non perdeva nemmeno un suo movimento, studiandolo da sotto al cappuccio. Le labbra tese e l’espressione di chi si sentiva colpevole; perché se Yuzo era in quello stato era a causa sua e la cosa gli faceva una rabbia tale, che se solo fosse stata capace di bruciare, gli avrebbe fatto passare in un attimo quella fottuta febbre bassa. E invece non poteva fare altro che restare a guardarlo mentre cercava di vincere il sonno.
    Non sopportava di essere lui il motivo.
    Non sopportava di essere prostrato da una maledetta e inutile febbre.
    Non sopportava di essere un peso per loro. Per lui.
    Non lo sopportava proprio.
    Così come non sopportava la necessità che aveva di sentire il suo calore sotto le mani.
    Per tutto il tempo che avevano cavalcato, fino a quel momento, si era rifiutato di toccarlo, ma il freddo non gli stava dando requie. Sentiva le sue lame infilzarlo tra le ossa e irrigidirlo ancora di più. Lo sentiva assorbire il suo respiro vitale con la sensazione che si sarebbe saziato solo quando l’avrebbe prosciugato del tutto, e se riusciva ancora a cavalcare era solo per merito di Yuzo che, fino a quella mattina, gli aveva ceduto parte del suo calore.
    E lui non sopportava l’idea di non poter fare nulla per aiutare il volante, poiché non ne aveva la forza.
    Quando lo vide piegarsi definitivamente sul cavallo, le mani che perdevano la presa sulle briglie e scivolavano abbandonate, il tramonto non era ancora cominciato, proprio come gli aveva detto.
    Il sonno aveva vinto e se l’era preso.
    Afferrò le redini del destriero e lo fermò. Chiamò Hajime, sforzandosi di farsi sentire.
    Quando il Tritone scorse Yuzo chino sul cavallo, sospirò profondamente. Le sopracciglia inarcate e l’espressione severa.
    “Oh, no! Si è addormentato di nuovo!” Teppei si avvicinò per accertarsi che stesse bene. “Non è normale che faccia così! Provo a svegliarlo.”
    “Lascia stare… non ci riusciresti…” Lo fermò Mamoru. “A Rhanka… è successa la stessa cosa.” Spostò lo sguardo sul Tritone. “E’ stanco.”
    “Va bene, basta così” decise Hajime. “Non possiamo attraversare il Nohro in queste condizioni, quindi, ci dirigeremo a-”
    “Sithe” esalò Mamoru, lasciandolo sorpreso. “Avevo già… studiato il percorso… alternativo.” Da vero responsabile di tutti loro e della missione.
    “Anche se non sei d’accordo, noi-”
    “Va bene.” Respirò a fatica, esalando piccole nuvolette bianche. “Deviamo.”
    Hajime restò sorpreso per la seconda volta dall’arrendevolezza di Mamoru. Era stato convinto che avrebbe tirato giù il Paràdeisos pur di continuare per le montagne, con la sua testardaggine degna d’un mulo, e invece aveva mollato l’osso in un attimo. Ma gli bastò scorgere il modo in cui guardava il volante per capire che se aveva ceduto era stato solo per lui. Avrebbe fatto lo stesso se fosse accaduto qualcosa anche a loro due, ma avrebbe tirato dritto se si fosse trattato solo della sua febbre.
    Mamoru si preoccupava sempre dei suoi compagni, ma non faceva mai sconti a sé stesso.
    “Mi occupo di Yuzo” disse Teppei. “E’ meglio se lo porto sul cavallo con me, altrimenti rischia di cadere.”
    “No.” Lo fermò la Fiamma, il tono basso per riuscire a parlare in maniera più chiara e continuativa. “Ci penso io.”
    “Sei sicuro?” Si accigliò il tyrano e lui si limitò ad annuire, incaricandolo di prendersi cura del cavallo.
    Teppei l’aiutò a far salire il volante sulla propria cavalcatura, come era avvenuto quando si trovavano a Sundhara.
    Da sotto al cappuccio, Mamoru si soffermò per un momento sul profilo di Yuzo. Gli teneva la testa appoggiata contro la spalla e dormiva profondamente. Dava l’impressione che nulla avrebbe potuto svegliarlo fino a che non si fosse rimesso. Di sicuro, loro avrebbero cavalcato, sarebbero arrivati a Sithe, l’avrebbero messo a letto e lui non se ne sarebbe accorto.
    “Grazie” mormorò, in modo che nessuno lo udisse, poi tirò le briglie e spronò il cavallo verso la loro nuova destinazione.

    Villaggio di Sithe, Dogato di Tha Khela – Regno degli Ozora, Terre del Sud Centro-meridionali

    “Due doppie, per favore.”
    Hajime lo chiese al perplesso oste che li accolse alla locanda.
    L’uomo guardò il gruppetto piuttosto malandato, domandandosi come facesse il piccoletto con i ricci e portare in braccio una ragazzo ben più alto come fosse stato un fuscello. Per non parlare di quello con i capelli neri! Per tutte le Dee! Un pallore irreale!
    “Certo, ecco a voi.” Si limitò a dire, appoggiando le chiavi sul bancone. Almeno il ragazzo con i denti sporgenti sembrava normale… se non fosse che se ne andava in giro in maniche di camicia, quando fuori c’era la neve su tutto il villaggio. Ah, benedetta gioventù. “Qualche problema lungo la strada?” S’arrischiò a chiedere, con un mezzo sorriso.
    Hajime sospirò. “Solo qualche? Dovevamo attraversare il Nohro.”
    “Ah! Pessima, pessima idea. Di questi periodi, poi. Non sapete che l’unico mese propizio per l’attraversamento del Nohro è Yàoza? Siete un po’ in ritardo.”
    Il Tritone inarcò un sopracciglio, dipingendosi una smorfia rassegnata: ovviamente non lo sapevano. “Grazie dell’informazione, lo terremo a mente”, per una prossima volta che, tutti pregavano, sarebbe stata quella del ritorno a casa. Poi si volse ai suoi compagni. “Andate in camera e fate riposare Yuzo. Mamoru, vale anche per te: stai a letto e non muoverti. Quando vi sarete svegliati vi farete un bel bagno caldo e metterete qualcosa sotto i denti ma, per il momento, dormite.”
    La Fiamma annuì, avviandosi sul retro della locanda davvero piccola: un solo piano, poche stanze, ma piuttosto grandi e accoglienti. Quando entrarono, trovarono anche il camino dalle braci basse che mantenevano caldo l’ambiente. Accanto all’attizzatoio vi era una cesta chiusa, con dentro del materiale secco per ravvivare il fuoco. Mamoru ve ne buttò subito una manciata e la fiamma riemerse, viva e invincibile.
    Nel frattempo, Teppei aveva messo a letto il volante. L’aveva liberato del cappotto e degli stivali e l’aveva coperto con le coltri pesantissime di lana e pelli. Per tutto il tempo, Yuzo non aveva mai dato segno di essere sulla via del risveglio.
    “Accidenti. Certo che deve essere un incantesimo davvero sfibrante per ridurlo così” osservò il tyrano con un filo di preoccupazione nella voce.
    “Si riprenderà… presto.” Lo rassicurò Mamoru. A sua volta si era tolto il cappotto, fermandosi davanti al camino con le mani sollevate verso la fiamma; ne assorbì il calore quasi fosse stato una spugna ed esalò un respiro di sollievo. Accennò solo la coda dell’occhio a Teppei. “Va’ pure… da Hajime. Ora… ci penso io.”
    “Ti serve nulla?”
    “Non soffrire… il freddo.”
    Il tyrano sorrise, raggiungendo la porta. “Ognuno di noi ha i suoi limiti. Non fartene cruccio.” Richiudendo la porta alle spalle se ne andò, lasciandolo solo.
    “Io non voglio… averne…” ma ormai nessuno poteva più sentirlo o forse lo disse proprio per quello.
    Si girò. La figura del volante era solo una sagoma informe sovrastata dalle coperte. La raggiunse, adagio. I brividi nuovamente a tormentarlo una volta che si era separato dal calore del camino. Tolse gli stivali e scansò appena le coltri. Sentiva già l’energia di Yuzo serpeggiare verso di lui anche se non lo stava toccando.
    “Non voglio… limitare voi…”
    Gli sfiorò la fronte, il flusso termico di nuovo vivo tra loro. Strinse gli occhi e aggrottò le sopracciglia.
    “Non voglio… limitare te…”
    Scivolò al suo fianco, nel letto matrimoniale posto al centro della camera, e gli prese la mano. Non voleva approfittare più di quanto stava già facendo; quel contatto sarebbe bastato.

    Fu grazie alla sua volontà se riuscì ad aprire gli occhi e a vincere il sonno. Quest’ultimo lo teneva ancora sotto al suo controllo e infatti faticava a mantenere lucidità. Era peggio di quanto avvenuto a Rhanka; stavolta aveva davvero esagerato.
    E Mamoru?
    Quella fu la sua prima preoccupazione e il motivo per cui aveva lottato così tanto per riuscire a svegliarsi.
    Appena fu in grado di mettere a fuoco, si rese conto che era proprio davanti a lui e rilasciò un sospiro pesante ma sollevato. L’espressione che aveva gli fece capire che era anche lui immerso in un sonno profondo e ciò lo fece sorridere e sentire più tranquillo. A giudicare dalle coperte che li avvolgevano e dalla morbidezza che avvertiva sotto di sé, dovevano essere in un letto e, quindi, in una locanda.
    Avevano deviato a Sithe.
    Yuzo non ricordava di preciso quando si fosse addormentato né quanto avesse davvero dormito, ma ipotizzò che fossero già parecchie ore. L’udito percepì il rumore di braci, segno che doveva esserci un camino, nella stanza, e che fosse acceso. Pensò che fosse perfetto, l’ambiente ideale per permettere a Mamoru di guarire più in fretta e poi anche lui, in questo modo, avrebbe recuperato e prodotto maggior calore da poter donare al compagno.
    Spostò lo sguardo, dalle palpebre ferme a mezz’asta, verso la propria mano. La trovò stretta in quella di Mamoru, che era ancora fredda. Sciolse la presa e allungò le dita per sfiorargli il viso. Anch’esso era freddo e la cosa gli fece aggrottare le sopracciglia in maniera contrariata.
    Mamoru non si era avvicinato per non assorbire troppo il suo calore, di questo Yuzo ne era sicurissimo, ma in tal modo non sarebbe mai riuscito a riprendersi completamente, anche se l’ambiente era accogliente e le coperte pesanti. Aveva bisogno di una fonte non troppo intensa che lo toccasse in maniera diretta.
    Con uno sforzo, provò a generare vento, ma i tessuti ebbero solo un leggero sbuffo, che si spense in un attimo e lui si sentì mancare di ogni forza. Niente incantesimi.
    Respirò con fastidio, contrastando ancora il sonno che voleva sprofondarlo nell’incoscienza più totale, e si disse che non c’era altra scelta. Mamoru si sarebbe arrabbiato, ma tanto si sarebbe già dovuto sorbire l’ennesima sfuriata per l’utilizzo del Controllo dell’Inconscio. Una più, una meno, non faceva poi differenza.
    Piano si sollevò un po’, aprendo completamente la propria camicia. Si fece più vicino al compagno e gli prese la mano, appoggiandosela direttamente sul petto nudo in modo che usasse lui come fonte. Ricordava, la prima volta, come avesse cercato la sua pelle. In questo modo gli aveva offerto una superficie maggiore da cui attingere.
    Il contatto con le dita gelide lo fece rabbrividire, sul momento, poi si rilassò, percependo di nuovo quel formicolio strano del calore che lo abbandonava.
    Sentì Mamoru inspirare a fondo e immaginò che stesse per svegliarsi. Sorrise con una punta di divertimento, consapevole che le invettive della Fiamma sarebbero andate a vuoto, perché si sarebbe addormentato nel giro di un attimo e invece, Mamoru non si svegliò ma il suo corpo si mosse nel sonno.
    Avvertì le dita animarsi veloci e correre sull’addome e sul ventre in una carezza di ghiaccio. Arrivarono al fianco e l’avvolsero, salendo per la schiena con il palmo aperto.
    Il freddo del suo tocco gli increspò la pelle in tanti brividi, più piccoli.
    Poi venne tirato verso di lui, con una forza del tutto inaspettata, quasi feroce, che lo lasciò sorpreso e incapace di liberarsi; un po’ perché non aveva abbastanza energie, un po’ perché la presa sembrava d’acciaio. Per fortuna che il letto in cui dormivano era abbastanza largo per muoversi con comodità, senza il rischio di cadere.
    Yuzo respirò adagio, ormai bloccato, mentre Mamoru gli aveva affondato il viso nel petto. Sentì il respiro soffiare sulla pelle e risalire, piano, trascinando le labbra con sé che seguivano le linee del suo corpo. I capelli lo solleticarono e percepì qualcosa di totalmente nuovo in quel contatto.
    Aveva… caldo.
    E non era la Fiamma a sprigionare calore, visto che era gelido, ma veniva da dentro di lui.
    Non l’aveva mai provato prima. Una sensazione avvolgente, sembrava di avere un fuoco sotto la pelle, tra i muscoli, che si avviluppava alle ossa. Si diramava. Ovunque. Dal ventre alle gambe, nella schiena, nel petto, nelle braccia.
    E più questo calore aumentava, più Mamoru lo teneva stretto a sé.
    Le labbra della Fiamma salirono fino al collo, oltre la mascella. Lo sentì ruggire al suo orecchio e poi rilasciare un roco ansimo di piacere e appagamento nel respiro affannato.
    C’erano brividi dappertutto, lo pungevano in quel contrasto freddo-caldo che sembrava non avere né una logica né un senso, ma che lo teneva incatenato in una sensazione che non avrebbe saputo definire altrimenti se non ‘unica’.
    La mano sulla schiena tornò al fianco e lo tracciò con la punta delle dita, mentre la mancina, affondata nei capelli, scivolò sul viso, seguì la guancia, gli coprì gli occhi e scese lungo la linea del naso per arrivare alle labbra e al mento. La fece scivolare sotto al collo e lì si fermò, stringendolo appena in modo che il proprietario di quelle stesse mani potesse abbandonare il viso nell’incavo della spalla con un sospiro di soddisfazione e delizia.
    Yuzo era rimasto sopraffatto, sotto di lui.
    Il torace completamente coperto da quello di Mamoru che respirava sulla sua pelle in maniera regolare, ora. Dormiva. Non si era accorto di niente. Mentre lui aveva ancora quel calore intenso che correva sotto la pelle in onde e punture di spillo.
    Nessuno lo aveva mai toccato così.
    Era dunque vero che il fuoco attecchiva su tutto? Che si avvolgeva in spire che non lasciavano scampo così come Mamoru si era avvolto attorno a lui e non aveva potuto contrastarlo?
    Non aveva voluto.
    Era dunque vero che il fuoco era impossibile da domare, ma sapeva incantare tutti?
    Il Fuoco poteva assoggettare i popoli e lui era appena stato sottomesso alla danza della sua passione.
    Con il poco di forze che gli erano rimaste, sollevò le braccia per avvolgere la schiena di Mamoru prima di sprofondare nel sonno, assaporando l’eco della sensazione più bella che avesse mai provato in tutta la sua vita.

    Caldo.
    Ora sì che si cominciava a ragionare.
    Le labbra si distesero in un sorriso appagato. Percepiva i muscoli intirizziti che si rilassavano, scioglievano.
    Meraviglioso.
    Qualsiasi cosa fosse che sentiva contro il viso e sotto le dita.
    Era un tepore piacevole che le coperte sopra di lui trattenevano e mantenevano raccolto, non poteva esserci niente di meglio.
    Mugolò d’estasi.
    Mosse una mano e tracciò alla cieca i contorni di ciò che stava stringendo: liscio, morbido. Caldo.
    E chi si sarebbe mai mosso da lì? Sarebbe potuto arrivare anche il Nihil e avrebbe continuato a restare immobile senza degnare la fine del mondo nemmeno di uno sguardo.
    Poi c’era quel rumore ritmico e lento che l’accompagnava in maniera rassicurante. Un rumore ovattato.
    Tu-tum.
    Sembrava quasi un cuore che batteva.
    Tu-tum.
    Conciliante.
    Inspirò a fondo e al calore si fuse un odore familiare. Un odore che aveva imparato a conoscere e che era entrato nella sua quotidianità in maniera lenta e costante. Soprattutto negli ultimi tempi, visto che se l’era ritrovato addosso spesso.
    Era l’odore del…
    - Volante! -
    La sua mente lo formulò nell’attimo stesso in cui spalancò gli occhi. Non vedeva nulla perché aveva il viso premuto in qualcosa di morbido che, di colpo, gli diede l’idea di essere… un collo? Una spalla? L’incavo tra i due?
    E quel rumore ritmico, forse… forse era davvero un cuore?
    Ma non il suo.
    Sudò freddo per alcuni momenti perché c’era qualcosa che non quadrava: lui non si era addormentato abbracciato a Yuzo, gli aveva solo tenuto la mano, ma non era quella la questione. Il vero problema era che… quella che sentiva sotto le dita… era… pelle?
    Le mosse e l’impressione che ebbe, fu che gli stesse toccando il fianco. Nudo.
    Panico.
    Cercò il materasso e si puntellò su di esso. Solo in quel momento sentì le mani dell’uccellino scivolare dalla sua schiena e sciogliere la presa con cui l’avevano tenuto stretto.
    Lo guardò. Guardò il suo viso dalle labbra socchiuse e il respiro regolare. Guardò il collo e lo trovò scoperto, come scoperto era il torace. La camicia aperta completamente.
    Il panico aumentò mentre i suoi capelli scivolavano in avanti, appoggiandosi sul corpo sotto di sé.
    - Non posso averlo fatto! Non posso, non… non ci credo! - pensò pietrificato. Non aveva la minima idea di cosa succedesse quando era preda della febbre bassa, ma si era reso conto di quanto non sapesse più controllarsi non appena veniva in contatto con una sorgente di calore. La sua mente si spegneva e si focalizzava solo su quella parola: ca-lo-re.
    Ora che il suo colorito aveva iniziato a sopraffare il pallore, poté permettersi di arrossire.
    Tolse la mano da sotto al collo del volante e lo vide aggrottare le sopracciglia in maniera contrariata, prima che aprisse gli occhi.
    Il panico lo investì nuovamente, tanto che rimase immobile non sapendo che reazione aspettarsi.
    - Ora mi uccide! - fu tutto quello che riuscì a pensare.
    Invece, non appena Yuzo mise ben a fuoco il viso sopra di lui, sorrise.
    “Ciao” disse con fatica, gli occhi si aprivano a chiudevano lentamente. Scorse la sua espressione accigliata e piegò appena il capo di lato. “Lo so, non arrabbiarti…” Lo fermò prima che potesse dire alcunché. “Era l’unico modo, per farti riprendere prima. So che non volevi starmi troppo vicino per non rischiare”, parlava lentamente a causa del sonno che non sembrava essere abbastanza, “ma se mi avessi tenuto solo per mano ci avresti messo troppo.” Yuzo sorrise ancora. “A mali estremi, estremi rimedi… te lo dissi anche a Rhanka.”
    Stavolta, il panico della Fiamma venne sostituito dalla sorpresa.
    Era stato lui?
    Si era scoperto di proposito per permettergli di assorbire più calore?
    Era…
    “…scemo?!” sbottò, mentre l’altro agitava lentamente una mano.
    “Mi rimprovererai più tardi, mh? Lasciami dormire.” Poi lo guardò un’ultima volta, avvicinandogli quella stessa mano al viso. L’espressione più seria. “Hai un colorito migliore. Stai meglio, vero? Dimmi che… che stai… meglio…”, ma il sonno lo vinse prima che potesse sentire la risposta.
    Le dita scivolarono lungo la guancia e Mamoru le afferrò. Le strinse.
    Negli occhi, la pece era tornata liquida e avvolgente.
    “Sì, sto meglio” disse piano, fissando il suo viso. Poi le iridi scesero lungo il collo e seguirono le linee perfette del fisico, più leggere e meno marcate delle proprie. Sensuali. Le conosceva già, anche se non le aveva mai viste da così vicino, anche se non le aveva mai toccate, fino a quel momento. Si ritrovò a tracciarle con le dita ben prima di rendersene conto. Sagomavano il corpo con eleganza.
    Gli piacevano. Gli erano sempre piaciute. Le aveva studiate con attenzione, dapprima spinto dalla curiosità di capire, attraverso la muscolatura, il tipo di allenamenti che seguivano le altre scuole e poi perché se ne era ritrovato attratto, ma non se n’era mai accorto se non a Dhyla. Era stata la prima volta che si era reso conto del modo in cui lo guardava. Allora aveva fissato la schiena, mentre adesso… adesso poteva addirittura sentire come fosse la sua pelle.
    Aggrottò le sopracciglia e gli sfiorò il viso.
    “Come faccio a non preoccuparmi per te? Dimmelo tu.”
    Si stese al suo fianco. Gli passò di nuovo il braccio sotto al collo mentre l’uccellino facilitava e seguiva tutti i suoi movimenti: si girò su un fianco, si lasciò stringere, liberò la mano da quella di Mamoru e gli avvolse la schiena, così come la Fiamma cinse la sua.
    Le dita scorrevano lente sulla pelle nuda e calda, tracciando disegni senza forma.
    Mamoru chiuse gli occhi.
    Quanto era sottile il respiro che separava le loro labbra, adesso?
    “Dimmelo tu, come posso…” -…non essere pazzo di te? -

     

    La passione del Fuoco è una danza d’amore
    che soggioga la mente, il corpo ed il cuore.
    E il suo ardore divampa, bramoso e lento,
    affondando gli artigli nello spirto del Vento.

     


    [1]FEBBRE BASSA: aw, piccolo omaggio d’amore al Maestro Golding e alla trilogia “Ai confini della Terra”. :3 La famosa ‘low fever’ è ciò che un ubriaco Mr. Brocklebank diagnosticò alla morte del Reverendo Colley. X3 La febbre bassa non esiste, ma qui su Elementia mi è stata provvidenziale! *ride*
    Grazie, Maestro. 

    [2]UPIR’: qualcuno ha detto ‘vampiri’? XD Tombolone! Premesso: io odio i vampir(l)i, però mi piaceva questo Mamoru che fosse come un vampiro di calore. Allora mi son messa a cercare un po’ su Wiki qualcosa sull’etimologia del termine ‘vampiro’. E’ spuntato fuori “ Upir’ ”, che è un termine russo con cui venivano chiamati, appunto, i vampiri. :3 Mi piaceva e ce l’ho messo. Ah, sì, XD il loro aspetto me lo sono inventato. *sghignazza* Altro che bei giovanotti, tutti infighettati: i vampiri di Elementia sono delle bestiole semi-volanti (le ali servono solo per planare), brutte e succhiasangue!  *si sente perfida e non se ne vergogna*

    [3]: Yuzo fa il verso alla frase che Mamo disse alla fine del Capitolo 9: “Per ritrovare la fede” (parte III).

    [4]PIETRA OLLARE: ovvero la Steatite, è un tipo di pietra che presenta un’altissima resistenza all’escursione termica e al fuoco. E’ sempre stata usata per tantissime cose, ma in particolare per la costruzione di stufe, proprio per le sue proprietà di conservazione del calore. E’ una roccia metamorfica e, nella scala di Mohs per la durezza, ha valore 1(c’est fragile!) :D (Steatite: *clicca qui*)

    [5]PHYTOLACCA: è una pianta realmente esistente (XD me la sono trovata anche in giardino!) e piuttosto ‘invasiva’ (per debellarla è una parola!). E’ di tipo arbustivo, erbaceo o arboreo (in giro si trova quello arbustivo, Phytolacca americana. La prima volta l’ho vista a Torino, prima di trovarmela nel giardino di casa XD) e perenne. E’ una pianta che salta facilmente all’occhio per i suoi colori accesi. Presenta un tronco molto liscio di un colore rosso tendente al fucsia, foglie verde brillante e grappoli di bacche che, quando acerbe, sono di un bel colore verde pisello (XD), mentre raggiunta la maturità sono viola molto scuro.
    LA PIANTA E’ TOSSICA IN OGNI SUA PARTE!
    Ergo, non fatevi venire in mente di mangiarla °_°. Nonostante tutto, comunque, in piccole quantità viene usata in omeopatia (ma da gente esperta, quindi, non fate gli omeopati dell’ultimo secondo XD).
    L’ho scelta perché, sì, presenta dei rami molto elastici, da quello che ho potuto constate in prima persona XD (phytociccia americana de noantri: *clicca qui*)


    …Il Giardino Elementale…



    Ok, diciamola per bene e diciamola tutta: questo capitolo NON era in programma. Non lo era, no, neanche un po’.
    Questa parte sarebbe dovuta essere super riassunta all’inizio del prossimo capitolo, MA!, *prende un profondo respiro* c’è stato un compromesso.
    IO sono scesa a un compromesso con Yuzo e Mamoru perché voi non potete capire quanto mi stiano facendo diventare PAZZA.
    E’ dal capitolo 10 che stanno smodatamente cercando di finire a letto e NON per dormire! XD Scrivere il capitolo 11 e il capitolo 12 è stato come finire in una Dark Room senza voler fare zozzate: un su-i-ci-di-o! Ho dovuto cambiare talmente tante volte l’andazzo dei capitoli perché ogni due per tre si incanalavano in situazioni che non sarebbero finite con una semplice pacca sulla spalla.
    Sì, sono due maniaci sessuali, e sì, sono riuscita a sopravvivere. Finora.
    Allora ho lasciato che si scrivessero il capitolo da soli e se la cavassero, sempre da soli, ma son stata chiara: niente cosacce!
    Avevano bisogno di una specie di ‘biscottino’ che li tenesse buoni fino alla fine (XD lo spero, almeno!).
    Comunque.
    In questo capitolo dovevo raccontare delle cose che mi servivano per il prossimo, quindi ho cercato di sfruttarlo al meglio e non pensavo potesse addirittura uscir fuori così lungo °-°. E visto che, ad ogni modo, ‘sti due zucconi – soprattutto Yuzo, che è ancora come mamma Arya lo ha fatto XD – dovevano iniziare ad approcciarsi anche in un altro senso un po’ meno romantico e più fisico, la scena finale ci stava tutta e via. Insomma, Mamo-chan non è nuovo a ‘determinati aspetti della vita’ (che nella sua, in particolare, possono essere tradotti come: ‘sesso senza sentimenti’), mentre Yuzo doveva iniziare a prenderci confidenza, in qualche modo, perché va bene la sintonia perfetta, il capirsi al volo, il condividere ogni pensiero ecc ecc, ma, insomma… sono giovani, aitanti e di 19 anni, volete forse che i loro ormoni non mi stiano ululando quel: “A’ bbella! Damose na’ mossa! Facce trombà!”?!
    XD Ecco.
    Dovete capire, io maneggio dinamite e la dinamite è instabile.
    *sospira*


    Comunico inoltre di aver finito il capitolo 14, composto da cinque parti - non più quattro XD. Avevate dubbi sulla mia logorrea? Ecco, neppure io -
    Non ho ancora messo mano al capitolo 15 di cui non ho neppure una mezza frasetta buttata lì. Niente. E stavolta temo che non riuscirò a finirlo in tempo per poter aggiornare ogni settimana (lo dico sempre, lo so, ma credo che questa volta non potrò fare altrimenti). Il capitolo 15 sarà, beh, piuttosto importante e sapete perché? :) Perché è il penultimo prima del gran finale e dell'epilogo. Ormai, in queste ultime battute, Santa Azione ci farà tanta compagnia, quindi, preparatevi. :D
    E comunque anche il capitolo 14 è mooooolto importante. Perché? XP non ve lo dico! *sghignazza malissimo*

    Ringrazio profondamente tutti coloro che continuano a seguirmi imperterriti! :DDDD



    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 38
    *** 14 - All'ultimo respiro - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 14: All'ultimo respiro (parte I)

    Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro Sud, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    “Ancora con ‘sta storia del Principe veggente?! Ebbasta!” Mamoru sbuffò così sonoramente che, secondo Teppei, dovevano averlo sentito fino alla fine della Via Crociata, e cioè a Punta Maar.
    “Sapevo che non avrei dovuto dirtelo, ma pensavo fosse importante” sospirò Yuzo con marcata rassegnazione. Introdurre con la Fiamma l’argomento delle predizioni del Principe era sempre un rischio, quello di sentirlo sbraitare e borbottare per ore. Eppure il volante era conscio dell’importanza di quel particolare e voleva mettere in chiaro il suo pensiero: ovvero che c’era qualcosa che non quadrava.
    “Ho sentito le parole ‘Principe’, ‘veggente’ e ‘Mamoru che si incazza’?” si interessò subito il tyrano, rallentando il passo del proprio cavallo per raggiungere i due compagni più arretrati. Hajime fece altrettanto. “Certo la terza non è proprio esatta, ma rende l’idea del tuo sbuffo.”
    Mamoru ruotò gli occhi al pensiero di quanto si sarebbe divertito, proprio Teppei, a prenderlo in giro dopo aver saputo l’ennesima previsione – azzeccata – da parte del giovane Ozora. Già si stava divertendo, a quanto pareva.
    “Di che stavate parlando?” chiese il Tritone e Yuzo decise di spiegare quello che aveva saputo e ciò che ne pensava.
    “Pare che il Principe avesse predetto il mio arrivo a Ghoia. Zia Haruko mi ha raccontato che una delle guardie personali della scorta del Principe si è recata in città in gran segreto ed eludendo i controlli dei tirapiedi di Van Saal. Si è presentata alla locanda e ha chiesto proprio di lei e di nessun’altra. Con sé recava un messaggio da parte dal Principe, scritto su di un foglietto.”
    Manco a dirlo, al tyrano si illuminò lo sguardo. “E che diceva?!”
    ‘Il passato sta tornando’.”
    Tra tutti, il Tritone sembrò essere quello che, a ogni nuova previsione riuscita del giovane Ozora, rimaneva più perplesso; un po’ come lo stesso volante. Per Teppei, invece, era una cosa normale, attribuibile alla presenza della Chiave Elementale, e quindi niente di così sconvolgente, mentre per Mamoru era semplicemente assurdo e lui scettico per natura.
    “Davvero?” Hajime inarcò di più il sopracciglio. “Ha indovinato un’altra volta?”
    “Non incominciate a farvi strane idee” intervenne subito la Fiamma per evitare che i suoi compagni credessero a quell’assurdo insieme di coincidenze.
    “E tu non vorrai ancora impuntarti sul fatto che sia un caso, vero?”
    “Perché? Per te cosa sarebbe, altrimenti? E’ ovvio che non ha nulla a che vedere con ciò che abbiamo affrontato!”
    Ma stavolta fu Yuzo a contraddirlo. “La penso esattamente come Hajime” esordì, attirandosi lo sguardo infastidito della Fiamma. “Era proprio di questo che volevo parlarvi.”
    “Hai qualche idea?” domandò il Tritone con serietà.
    “Non di preciso, però se ci facciamo caso siamo arrivati in molti luoghi in cui avevano bisogno di noi o in cui la nostra presenza si è rivelata utile per qualcosa.”
    “Ah, sì, certo. E la nostra utilità a Sendai qual è stata?” replicò Mamoru in tono sprezzante, ma nell’attimo stesso in cui lo disse, desiderò essersi morso la lingua. Distolse lo sguardo, mentre cadeva il silenzio e si beccava anche le occhiatacce congiunte di Hajime e Teppei. “Scusa. Ho parlato a vanvera.”
    Non seppe dire se rimase più sorpreso o sollevato dalla risposta che ottenne.
    “A Sendai siamo stati utili a Yoshiko.”
    Yuzo non parve ferito dalla sua uscita infelice, ma lui si sentì lo stesso un verme per quello che aveva detto. A volte aveva degli ottusi comportamenti ingrati che si sarebbe preso a pugni da solo.
    Il fatto era che non poteva davvero accettare che ogni tappa di quel viaggio fosse stata già calcolata, definita a priori per fare in modo che loro si trovassero nel posto giusto al momento giusto. Anche la sua visita a Dhyla, allora, era stata già decisa?
    Perché?!
    Perché qualcuno avrebbe dovuto stabilire la loro strada ancor prima che partissero da Raskal?
    O, addirittura, ancora prima che partissero dalle rispettive scuole?
    Detestava l’idea di venir mossi come fossero niente più che pedine su di un grande scacchiere.
    Si volse per guardare il volante e non lesse dolore né rancore per ciò che aveva detto. No, nemmeno il distacco dell’Autocontrollo.
    “Scusa…” mormorò di nuovo, questa volta affrontando i suoi occhi.
    Yuzo sorrise e scosse appena il capo, per fargli capire che non c’era alcun problema.
    “Ma chi e perché avrebbe dovuto orchestrare una cosa simile?” Teppei espose le stesse perplessità che aveva anche la Fiamma, lasciando ad Hajime il primo tentativo di risposta.
    “Il Principe?” Dopotutto le profezie erano le sue.
    “E il motivo?”
    Il Tritone cercò consiglio nel volante che però si ritrovò a scrollare le spalle.
    “Se fosse davvero il Principe non avrebbe senso.” Si intromise la Fiamma. “Avrebbe dovuto saperlo che sarebbe stato catturato, no? Non mi verrete a dire che tra tutte le sue fantomatiche predizioni, lui non abbia visto giusto il proprio rapimento? Andiamo.”
    “Anche questo è vero…” sospirò Hajime, ma Teppei mostrò subito la cieca convinzione secondo cui certe cose avvenivano per un motivo preciso.
    “Il perché deve esserci, anche se noi non siamo ancora riusciti a trovarlo. Prima o poi lo capiremo e, anche se può sembrare contraddittorio, resta la questione che il Principe abbia fatto delle profezie. E le abbia indovinate tutte.”
    Mamoru scosse il capo di fronte alle sue certezze ottuse e storse la bocca infastidito, come al solito, da tutta la faccenda della preveggenza.
    Al suo fianco, Yuzo gli rivolse un’occhiata più attenta.
    Gli sembrava che stesse meglio; attraversare il Nohro non era stato facile per lui, e anche se il colorito della pelle era divenuto molto prossimo alla normalità, era sicuro che soffrisse ancora dei postumi della febbre, seppur si ostinasse a non ammetterlo.
    Nel lungo percorso per aggirare il sistema montuoso, avevano cercato di evitare le zone più innevate, percorrendo quelle che, al minimo, assomigliavano a Rhanka.
    Mamoru era stato particolarmente silenzioso durante la traversata e solo ora, che l’avevano superato e tornavano a immergersi nelle foreste Lulha meridionali, aveva ripreso a spiccicare qualche parola in più, ma le montagne erano ancora con loro, così come la neve; ci sarebbero voluti giorni prima di liberarsene del tutto.
    Yuzo aveva avvertito chiaramente il nervosismo verso quel limite fisico contro cui non poteva vincere e che lo faceva sentire in colpa per aver costretto l’intero gruppo a effettuare la deviazione non prevista.
    “Come va?” Gli domandò a un tratto e l’altro fece spallucce, stretto nel cappotto foderato di pelliccia pesante. Distolse lo sguardo e non rispose.
    Yuzo non demorse. “La febbre bassa?”
    “Sta passando.” Ma mentre lo diceva un brivido improvviso gli attraversò con forza la schiena e anche il volante se ne accorse.
    Mamoru storse la bocca, ruotando gli occhi con fastidio.
    “Hai freddo?”
    “Solo un po’”, minimizzò la Fiamma, “tra le spalle, ogni tanto…”
    Senza star lì a pensarci, Yuzo gli prese il polso, facendo scivolare la mano all’interno dell’ampia manica del cappotto. Rilasciò piano il vento di shurhùq e vide l’espressione di Mamoru mutare e rilassarsi nel momento in cui sentì il calore diramarsi dal braccio alla schiena, riscaldandolo proprio lì, nel punto in cui sentiva più la morsa del gelo.
    La Fiamma si calmò, reclinando il capo all’indietro e socchiudendo gli occhi con piacere. Respirò a fondo, godendo di quel calore che gli sollevava un po’ gli abiti e lo accarezzava con delicatezza e cura. Poi riaprì le palpebre, storcendo la bocca in una smorfia.
    “Non preoccuparti” disse, sottraendo bruscamente la mano al contatto di Yuzo. Non voleva ancora dipendere da lui in quel modo che non lasciava scampo, ma assoggettava senza la possibilità di liberarsi.
    Il vento cessò e il calore lo abbandonò con la lentezza d’un addio. Un brivido improvviso lo punse al centro della schiena e gli fece accentuare la smorfia.
    “Sei proprio sicuro?” domandò ancora il volante e si vedeva che era preoccupato.
    Mamoru stemperò l’espressione guercia, appoggiando entrambe le mani inguantate sulla sommità della sella.
    “Sì, tranquillo. Il clima inizia a farsi meno pungente e poi non voglio che ti stanchi più di quanto hai fatto durante la traversata.” Drizzò la schiena e assunse un piglio orgoglioso. “Sono una Fiamma di Fyar, dopotutto.”
    “Lo sai che per me non è un problema…”
    “Lo è per me.” Di nuovo un tono brusco e lo sguardo deciso.
    Già a Rhanka gli aveva impedito di usare il Controllo dell’Inconscio per due notti di seguito, ma durante il passaggio attraverso il Nohro era divenuto addirittura necessario e questa cosa lo aveva innervosito molto più del freddo in sé.
    Odiava dover dipendere dagli altri, soprattutto se questo significava dover vedere il volante cadere in un sonno talmente profondo da non essere svegliato da nulla. Era sempre stato suo il compito di proteggere i compagni e d’improvviso si era ritrovato a essere un peso. Non riusciva proprio a digerirlo.
    Distolse lo sguardo, volgendolo alla strada che ora si apriva pianeggiante e dalla vegetazione che tentava di guadagnare più spazio possibile su quel terreno impervio, dalle temperature proibitive. “Hai già consumato troppe energie con quell’incantesimo che non voglio che usi.”
    “Era necessario, lo sai anche tu. E a me non è dispiaciuto affatto cercare d’esserti utile. Purtroppo i miei incantesimi che sfruttano l’aria calda sono limitati; per quel poco che posso, lasciamelo fare.”
    Yuzo non perdeva il modo di impuntarsi quando si trattava di aiutare chi gli stava intorno e lui non sapeva se dirsene felice perché, nonostante gli eventi di Ghoia, quel suo lato era rimasto lo stesso o sentirsi infastidito perché non aveva mai sopportato il modo cieco in cui offriva tutto sé stesso per fare del bene al prossimo.
    Sbuffò e non rispose. Non aveva voglia di mettersi a discutere, soprattutto con lui, così preferì restare in silenzio e interromperla lì. Gli occhi costretti a non girarsi per valutare l’espressione del compagno.
    Quello che lo stupì, fu che Yuzo non insistette. Di solito avrebbe finito col prenderlo per sfinimento, gli avrebbe fatto saltare i nervi e si sarebbero trovati – o, meglio, lui si sarebbe trovato – a sbraitare fino a che uno dei due, tra Hajime e Teppei, non avrebbe provveduto a chiudere la faccenda. Invece, il volante proseguì in silenzio al suo fianco, rispettando il suo non voler dargli spiegazioni.
    Lo aveva compreso, come sempre.
    La cosa lo calmò, facendogli addirittura perdere il piglio nervoso in favore di uno più quieto.
    Davanti a lui, Hajime e Teppei, che avevano ripreso a cavalcare con un passo più sostenuto del loro, avevano rallentato per aspettarli. Quel punto della Via Crociata tornava a essere stretto, preso tra le montagne alle spalle, la foresta incostante e spuntoni di roccia granitica che si ritrovavano lungo il cammino verso valle, anche se la pendenza non era molto acuta.
    In direzione opposta, scorse un somarello stanco tirato da un vecchio. In sella portava un bambino imbacuccato fino a i denti e dietro, trotterellando, li seguiva un grosso cane nero, dal pelo folto.
    Quelle zone erano dedite alla pastorizia e lungo la strada avevano scorso alcune greggi pascolare libere nei tratti meno impervi.
    “Ehi, Mamoru!” Teppei si era girato per poterlo guardare. “Qual è la nostra prossima tappa?”
    L’interpellato pescò il diario di viaggio da una delle sacche.
    “Hemur, del Dogato di Tha Laziska” disse, richiudendo il volume e mettendolo via.
    Teppei arrestò del tutto la propria cavalcatura e cavò la cartina ormai logora per le volte che l’avevano aperta e richiusa durante quella missione. Agilmente scese da cavallo, la spiegò e l’appoggiò contro il dorso dell’animale, valutando la loro posizione e quella della destinazione.
    Hajime si appoggiò con i gomiti sulla sommità della sella, sporgendosi in avanti. Gli mancava dormire in un letto e aveva un fastidioso mal di schiena per le ore passate a dorso del cavallo o sdraiato sulla dura terra.
    Il tyrano fece schioccare la lingua, seccato. “Abbiamo ancora due-tre giorni prima di arrivare e le nostre provviste non sono messe bene.” Con le dita indicò la strada da percorrere che mancava alla meta.
    Mamoru e Yuzo si fermarono appena furono abbastanza vicini.
    Senza scendere da cavallo la Fiamma diede un’occhiata alla cartina e si rese conto che, sì, tre giorni di viaggio non glieli levava nessuno e solo le Dee sapevano che voglia aveva di dormire in un posto caldo, con un brodo caldo, bagno caldo, fuoco caldo. Caldo, caldo, caldo.
    “Che dici, se lanciassimo i cavalli al massimo potremmo recuperare qualcosa.”
    Lui scosse il capo. “No, le bestie sono già parecchio provate per la traversata del Nohro. È un miracolo se sono ancora tutte e quattro vive; avevo calcolato che ne avremmo perso una o più. Ci è andata meglio del previsto, anche perché abbiamo deviato.”
    Mh, quindi?”
    “Quindi niente, Teppei. Passo solito e un paio di notti ancora all’aperto. Prima che al terzo giorno faccia buio dovremmo esserci.”
    L’altro annuì, anche se non era troppo convinto, però si rese conto che Mamoru aveva ragione. Seguendo le indicazioni di Hajime si mise a cercare una strada più breve e che fosse più agevole anche per gli animali; che fosse pieno Yòkoza non aiutava affatto, visto che la neve, lì sul Nohro, era già caduta dal mese di Yùkiza. Anzi, sulle vette era addirittura perenne e d’intorno continuava a essere una fedele compagna. Trovare un posto dove poter stare al caldo avrebbe giovato a tutti.
    Nel mentre, Mamoru si sollevò, drizzando la schiena un po’ anchilosata e che ancora risentiva delle basse temperature. I brividi si erano acuiti all’improvviso e in maniera fastidiosa. Arricciò le labbra. Eppure erano in una zona meno fredda di quelle attraversate all’inizio del Nohro.
    La sua espressione non passò inosservata al volante e nemmeno il modo in cui cercava di muovere le spalle per scacciare il fastidio.
    “Sono peggiorati?” chiese il giovane, comprendendo il problema.
    “Sì. Dannazione.”
    “Hai bisogno del mio aiuto?”
    “No, ce la faccio.” Masticò un insulto e finalmente si volse a guardarlo. “Non capisco perché! Fino a un attimo prima non erano tanto insidiosi!”
    I brividi restavano incastrati tra le spalle, gli pungevano la spina dorsale giusto al centro, tra le scapole, sempre in uno stesso punto. Tra le ossa percepì una sensazione spiacevole, di disagio. Poi le orecchie presero a fischiare.
    Aye!” salutò il vecchio, passando con il somarello, il bambino e il cane.
    Loro risposero al saluto con un cenno del capo.
    Il bambino fece emergere una manina inguantata, sorridendo al volante. Quest’ultimo rispose con un altro sorriso e agitando anch’egli la mano. Quando si volse, si portò due dita all’orecchio.
    Mamoru se ne accorse. “Non stai bene?”
    “No, no! E’ che ho un fischio fastidioso.” S’affrettò a tranquillizzarlo, ma la Fiamma, invece, inarcò ancora di più il sopracciglio.
    “Anche tu?”
    Yuzo parve sorpreso.
    “Ragazzi, per caso vi fischiano le orecchie?” Mamoru interruppe la conversazione di Hajime e Teppei i quali lo guardarono con perplessità, prima di scambiarsi un’occhiata tra loro.
    “Beh, un po’, perché?”  rispose il tyrano.
    “Ora che me lo fai notare…” Anche il Tritone si rese conto di quel fischio sottile di cui non si era accorto prima, preso com’era stato dal discorso.
    La Fiamma assunse un’aria pensierosa. L’intensificarsi dei brividi, la sensazione di disagio gli parvero quasi delle avvisaglie, se poi si teneva conto che a tutti fischiavano le orecchie il quadro poteva essere letto come un monito di qualche tipo.
    Forse di pericolo.
    Con impazienza si mosse sulla sella, facendo vagare intorno lo sguardo. Tra la neve a macchie, che scendeva dalla montagna, e le fronde degli alberi non c’era nessuno a parte loro e il vecchietto con somaro che si allontanava piano verso il Nohro.
    Mamoru cercò le loro figure e le seguì con gli occhi. In quel momento gli parvero anche fin troppo silenziosi, soprattutto con un bambino e un cane al seguito, anche se, col freddo che faceva, doveva ammettere d’esser stato il primo a peccare di loquacità. Abbassò lo sguardo sulla neve seguendo, con gli occhi, le macchie scure lasciate dalle impronte del vecchio e del cane. Scosse il capo, tornando a scrutare nella vegetazione imbiancata, prima d’avere un’intuizione.
    Le impronte del vecchio e del cane.
    “E quelle del somaro?!”
    Si volse: non c’erano.
    Il grosso cane nero, l’ultimo a chiudere la fila, girò il muso verso di loro. Verso di lui.
    Gli occhi gialli brillarono di nero per un solo istante.
    I brividi si fecero coltelli nella schiena di Mamoru che tese le labbra e tirò le briglie.
    Stregoni!” gridò e tutto quello che avvenne, nei concitati momenti successivi, fu talmente veloce da essere surreale.
    Mamoru caricò un’enorme sfera di fuoco e la esplose, lanciandola contro il gruppo di maghi neri, mentre i suoi compagni realizzavano l’intera situazione.
    Rab na bela rei!” mormorò il vecchio, portando due dita davanti al viso. Dal palmo dell’altra mano, rivolto agli Elementi, partì un globo di energia nera e purpurea che contrastò l’incantesimo della Fiamma.
    Dal cozzare e annullarsi delle due magie, il cane spuntò fuori con un balzo, le zanne snudate e gli occhi neri in ogni loro parte. Mamoru lo scorse all’ultimo momento ed ebbe solo il tempo di pararsi col braccio che l’animale gli fu addosso. Affondò denti e artigli nell’avambraccio, trascinandolo giù dal cavallo, con un ringhio rabbioso.
    La neve attutì il colpo, ma non il dolore che la Fiamma represse per non urlare e dar soddisfazione al suo avversario.
    Mamoru!” Yuzo provò a correre in suo soccorso ma il bambino, che fino a un attimo prima era stato sorridente e grazioso, si lanciò contro di lui emettendo un verso acuto che graffiava i timpani. Il volante lo allontanò con una folata di vento prima che potesse raggiungerlo, ma non sembrò abbastanza. Il nero invase la sclera del suo avversario, mentre il ghigno era candido e perfido. Il volto paffuto era ora una maschera di orrore e mostruosità. Provò un secondo assalto e, ancora un volta, il volante fu costretto a lanciarlo via con i suoi incantesimi. Svelto abbandonò il cavallo e si librò in volo. Nelle mani richiamò il potere dei fulmini, pronto a scaricarli sullo Stregone, ma questi rideva con lo stesso stridore di una iena.
    Aratna koi!
    E folgori nere emersero dal terreno, intrecciandosi a quelle di Yuzo per legarlo in un mortale tiro alla fune dove più cercava di liberarsi, più altre folgori spuntavano con l’intento di trafiggerlo. Intanto, lo Stregone sotto le mentite del vecchio cercò di approfittarne e visto che era difficile tentare di colpire Mamoru senza ferire anche la bestia che gli stava sopra, puntò Yuzo ancora in cielo e troppo occupato a pensare al suo avversario-bambino per curarsi di lui. Provò ad attaccarlo, ma la terra tremò violentemente sotto i suoi piedi, costringendolo a inginocchiarsi poiché non più in grado di mantenersi in equilibrio.
    “Non avere fretta!” Gli intimò Teppei, i pugni battuti al suolo per generare il terremoto e i denti snudati in un sorriso di battaglia.
    “Questo vale anche per te!” Lo ammonì Hajime, al suo fianco. “E vedi di non-”
    “Non c’è tempo per pensare!” replicò il tyrano e in un attimo si era già buttato nella mischia, col Tritone che sbuffava rassegnato.
    “…lanciarti allo sbaraglio. Ma con chi parlo io? I muri mi ascoltano di più.”
    Il somaro, che non lasciava impronte, corse incontro a Teppei, sbuffando fiato viola e acidulo che scioglieva la neve in un attimo. Il tyrano lo superò con agilità, guardandosi alle spalle.
    Hajime!
    Ma il Tritone aveva già le mani al suolo. Sospirò con una certa rassegnazione prima di rilasciare la sua magia. Centinaia di aghi di ghiaccio spuntarono dal manto nevoso, trafiggendo l’animale in un attimo e bloccandolo lì, senza che potesse muovere un passo.
    Il somaro rimase immobile per una frazione di secondo e poi si dissolse in un fumo viola scuro che corse di nuovo al vecchio, il suo padrone.
    Hajime fece scioccare la lingua, deformando la bocca in una smorfia. “Un incantesimo.”
    Il fumo s’avvolse al braccio dell’uomo, raccogliendosi nel palmo; il tempo di una nuova formula e assunse la forma di una lunga lancia che venne scagliata in direzione del tyrano. Quest’ultimo, a pugno chiuso, era quasi addosso al suo nemico.
    “’Fanculo!” Con un braccio si parò dal colpo. La lama cozzò contro la pelle, resa coriacea come pietra da un incantesimo di difesa, senza fargli un graffio ma sfregiando invece la spalla dove l’incantesimo dello Scudo non riusciva ad arrivare, poiché ad azione limitata. Eppure nemmeno si accorse della ferita, vibrando la poderosa percossa. La terra tremò di nuovo quando affondò il pugno nel suolo: lo Stregone era riuscito a evitarlo per un soffio. “Non credere di potermi sfuggire in eterno, vecchio mio.”
    Quella era, per tutti loro, la prima volta che avevano a che fare con degli Stregoni.
    Al riparo delle mura scolastiche era impossibile trovarsi faccia a faccia con i servitori della Dea Kumi. Così come era difficilissimo arrivare allo scontro nel vivo delle città dei Regni degli Ozora. Gli Stregoni c’erano, sparsi su tutto il territorio, ma incontrarli era molto più arduo di quanto sembrava. Per lo più, restavano aggregati in basi nascoste in zone impervie e dagli ambienti sfavorevoli. A quanto pareva il Nohro con le foreste Lulha rientravano tra questi.
    Ma affrontare degli Stregoni non era affatto facile, soprattutto se si veniva sorpresi all’improvviso, come era capitato a loro, e non si procedeva con un piano ben elaborato. Non era come dare una lezione a un Naturalista folle. Assolutamente no.
    Hans fu proprio il bastardo cui pensò Mamoru, ancora costretto al suolo dal cane rabbioso. I denti avevano abbandonato il braccio e abbaiava furiosamente nel tentativo di azzannarlo alla gola. L’assassino di Sendai non era stato altro che un fuoco di paglia, un principiante pieno di ego, mentre la bestia che gli stava sopra aveva una forza paurosa se ancora non era riuscito a liberarsene. Non pensava che gli incantesimi di Mutazione della Forma, spesso usati dagli Stregoni Manipolatori, potessero essere fatti talmente bene da non permettergli di rendersi subito conto con chi avevano a che fare. Se non fosse stato per quel fischio alle orecchie… Ma dopotutto lui non aveva mai fronteggiato uno Stregone in carne e ossa e quindi non aveva idea di come potesse riconoscerne uno. Avvertiva la magia, questo era vero, ma quando gli erano passati accanto non aveva percepito nulla, segno che uno dei tre doveva essere uno Stregone Illusionista.
    Ringhiando, la Fiamma riuscì ad afferrargli il pelo e l’orecchio per tenerlo fermo.
    “Levati di dosso, maledetto figlio di puttana!”
    Con l’altra mano gli esplose una sfera infuocata sul ventre, scagliandolo lontano. Il guaito di dolore dell’animale fu acuto, ma si rialzò quasi subito. Rapidamente scrollò la neve dalla pelliccia. I denti tornarono a snudarsi, mentre Mamoru si rialzava.
    Il sangue colava in rivoli rossi dove le zanne erano riuscite ad affondare, arrivavano al polso, lungo le dita, piovevano sul candore della neve in piccole gocce.
    “Vuoi riprovarci, pulcioso bastardo?” Lo incitò, ma questa volta non si sarebbe fatto atterrare.
    Il cane tese le orecchie all’indietro, snudando le zanne in quello che parve quasi un ghigno di sfida. Caricò con le zampe pronto a muoversi quando un urlo stridulo lo fece girare di scatto, imitato dalla Fiamma.
    Più lontano, entrambi scorsero il bambino che penzolava nel vuoto, le caviglie strette dai fulmini di Yuzo. Lo Stregone, intento a ingaggiare battaglia col volante, era scivolato sulla neve che Hajime aveva sciolto con un incantesimo e Yuzo si era liberato dalle sue folgori nere, lo aveva afferrato per i piedi e ora lo stava facendo oscillare nell’aria.
    Il volante caricò la corda di fulmini e lo lanciò lontano, contro gli alberi.
    Il cane si disinteressò totalmente a Mamoru e, con uno scatto di reni, riuscì ad agguantare il bambino al volo; le zanne affondate nel cappotto pesante che stava indossando. Il piccolo sussultava e tremava per l’effetto dell’elettricità.
    “S-sono… scivolato… pêe chaai(1)” piagnucolò.
    L’animale, che era quattro volte il bambino, se lo caricò sulla groppa, poi puntò lo sguardo dritto su Yuzo, che restava ancora in volo. Il ringhio basso, il muro arricciato e feroce, le orecchie calate. Gli occhi neri tornarono gialli e la sua voce risuonò, forse più roca per via della forma che aveva assunto.
    “La tua faccia… me la ricorderò.” Poi si volse in direzione del vecchio che continuava a ingaggiare battaglia con Teppei. “Sakun!
    Ma l’altro era troppo preso dallo scontro per dargli ascolto.
    Il cane sbuffò nella neve, con fastidio. Si mosse, saltando agilmente i suoi avversari, grazie ai vantaggi che la forma animale gli dava e caricò il tyrano.
    Quest’ultimo colse la macchia scura piombargli addosso grazie alla coda dell’occhio. Con un tuffo di lato, riuscì a evitarla, rotolando poi sul manto nevoso.
    L’animale si frappose fra i due contendenti. “Sakun, basta giocare! Lasciamo il campo”, i suoi occhi gialli si puntarono sugli Elementi, “per ora.”
    L’uomo annuì. Sollevò due dita e pronunciò il suo incantesimo. “Dessòla.
    L’attimo dopo, scomparvero in una nuvola di fumo nero e il silenzio tornò a riempire lo spazio circostante.
    Gli Elementi non si mossero per i momenti successivi, mantenendo i sensi tesi e attenti a ogni minimo suono o percezione. Gli sguardi vagarono veloci tra le fronde per percepire, nel bianco immacolato, anche la più piccola macchia.
    Una folata di vento fischiò sopra le loro teste.
    “Se ne sono andati” espirò Mamoru, non avvertendo né brividi né fischi alle orecchie.
    “Quello era un incantesimo di Dissoluzione” spiegò Hajime in tono basso. “Sono ancora nei paraggi, si saranno mossi solo di poche centinaia di metri, massimo un chilometro da qui.”
    “Quanto basta per mettere la giusta distanza e fuggire.” Lo sguardo della Fiamma si assottigliò. “Non possiamo lasciarceli scappare.”
    “A questo penseremo dopo le medicazioni” Yuzo atterrò con eleganza, avvicinandosi al compagno con passo svelto.
    “Ma così rischiamo di perderli!” Si impuntò Mamoru per nulla intenzionato a restare con le mani in mano. Anche Teppei fu d’accordo.
    “Battiamo il ferro finché è caldo; uno dei loro non era messo bene, se li trovassimo riusciremmo a sconfiggerli!”
    “Cercate di ragionare, invece di buttarvi allo sbaraglio come dei suicidi.” Il tono di Hajime fu di rimprovero, mentre raggiungeva il tyrano. “Con gli Stregoni basta distrarsi un attimo per perderli di vista e a quest’ora avranno già usato degli altri incantesimi o degli Aprivarco per allontanarsi di più.”
    Tch!” Mamoru girò il capo, stringendo i pugni. Il dolore del morso sembrò non essere tanto importante, ma quando sentì il viscido del sangue sotto le dita abbassò lo sguardo, fissandolo con fastidio.
    “Fammi vedere.” Yuzo gli prese il braccio, cercando di valutare l’entità della ferita. I denti avevano trapassato i tessuti pesanti del cappotto, riuscendo ad affondare dentro la carne.
    Mamoru gli vide storcere le labbra, anche se alla fine non era nulla di grave. Per un attimo si sentì importante per lui, anche se effettivamente non si era mai fermato a pensare quale fossero i reali sentimenti che Yuzo nutriva nei suoi confronti. Era sempre rimasto focalizzato solo su sé stesso, sapendo che il volante teneva ad averlo vicino, ma ignorando fino a che punto. Il dolore gli parve quasi scomparire del tutto. Poi, quella frase detta dallo Stregone sotto spoglie di cane tornò alla mente.

    “La tua faccia… me la ricorderò.”

    “Cerco di recuperare il mio cavallo per trovare delle bende con cui medicarti” disse il volante. Spaventate, le cavalcature si erano disperse nei boschi, ma non dovevano essere andate troppo lontano.
    Lui lo trattenne. Lo sguardo fisso in quello del compagno bruciava più del solito. La pece ribolliva, inquieta.
    “Dovessimo re-incontrarli, sta’ attento.”
    “Anche tu.”
    “Yuzo, non hai capito. Quello ti ha puntato.”
    Il volante accennò un sorriso che potesse in qualche modo tranquillizzarlo. “E’ il minimo, visto che credo d’aver ferito il suo fratellino.”
    “Appunto per quello” insistette, lasciandolo andare. “Non abbassare la guardia.”
    Yuzo si limitò ad annuire prima di scomparire nella vegetazione.
    Mamoru sbuffò. “Mi preoccupo troppo.” Si disse, consapevole di non essere mai stato così apprensivo verso nessuno, ma non poteva fare diversamente quando in gioco c’era la sicurezza del volante. Era stato così fin dall’inizio, magari velandolo di superiorità e fastidio, ma ora le cose erano cambiate e non erano le manie di superiorità a tenerlo in tensione. Quello Stregone aveva uno sguardo che non gli piaceva per niente.
    Poco distante, Hajime stava controllando la ferita di Teppei.
    “E’ un graffietto” minimizzò quest’ultimo. “E me lo sono fatto solo perché la lama è rimbalzata contro il mio incantesimo Scudo.”
    “Beh, il tuo graffietto sanguina, quindi vediamo di farlo smettere, mh?” Il Tritone si guardò intorno con uno sbuffo contrariato. “Speriamo che Yuzo riesca a trovare i cavalli. Abbiamo ancora un po’ di strada da fare per giungere a Hemur, dannazione, e non possiamo restare troppo tempo al freddo o finisce che a Mamoru tornerà la febbre.”
    “Vuoi smetterla di preoccuparti tanto?”
    Hajime fulminò Teppei con l’occhio non coperto dal ciuffo. “Io mi preoccupo perché tu non lo fai! Ma ti è sembrato quello il modo di lanciarti nella mischia?!” Gli schioccò le dita contro la fronte. “Erano tre Stregoni, pezzo di idiota! Non ci si getta tra le braccia del nemico senza prima avere un piano, non te l’hanno insegnato a scuola?!”
    Aouh!” Il Tyrano si massaggiò la fronte, aggrottando le sopracciglia. “E quando me lo creavo il piano?! Ci hanno attaccato all’improvviso!”
    “Non cercare scuse!”
    “Non sono scuse…” borbottò, mortificato per quel rimprovero, ma sembrò subito ritrovare il sorriso, afferrando la collana che gli aveva regalato Hajime per il suo compleanno. “E comunque non mi sarebbe successo niente. Ho la mia squama portafortuna, no?”
    Lo disse con un tale candore che il Tritone arrossì .
    Quando si volse, borbottando una serie di ingiurie e ‘incoscienza’, ‘irresponsabilità’, ‘idiozia’, Teppei fu sicuro di essersela scampata come al solito. Conosceva Hajime come le sue tasche e sapeva sempre cosa dire quando l’amico partiva all’attacco.
    Lentamente sospirò, arricciando le labbra. “Certo che… un cane che parla…”
    “Era uno Stregone, Teppei, sotto incantesimo di mutazione.”
    “Sì, lo so. Però… un cane che parla fa sempre effetto, no? E’ il primo che vedo.”
    Non aveva mai affrontato degli Stregoni sul campo. Conosceva qualche rudimento sui loro incantesimi principali, ma non se ne sapeva molto. Di sicuro, Hajime e Yuzo erano molto più ferrati a causa del legame che avevano con l’Onice. Però, da quel poco che aveva visto era rimasto profondamente colpito: combattere contro di loro era stimolante.
    “Per fortuna non erano andati troppo lontano.”
    Yuzo emerse dalla boscaglia, stringeva le briglie dei cavalli, ancora visibilmente agitati per il trambusto scatenato dallo scontro. Tiravano, soffiavano, il loro fiato si condensava in nuvole bianche nel freddo che ancora colpiva, lì, alle pendici delle montagne. Il volante cercò di acquietarli, carezzando i loro musi, e sembrò funzionare.
    Dalla borsa, che portava legata alla propria sella, estrasse il necessario per effettuare dei bendaggi di fortuna; una volta a Hemur avrebbero fatto vedere le ferite a un Naturalista esperto, per evitare infezioni.
    Passò garze e unguenti lenitivi anche al Tritone, prima di raggiungere la Fiamma, che si lasciò fasciare senza proteste, ma con la mente già proiettata alla prossima mossa da compiere per riuscire a non perdere le tracce di quei maghi da strapazzo.
    Dal canto suo, Teppei masticò quell’“Ahio!”, sotto i gesti molto meno delicati di Hajime.
    “Ma come?” ridacchiò quest’ultimo con una punta di perfidia. “Non era solo un ‘graffietto’? Quante storie!”
    E lì, il tyrano capì che non era il caso di rispondere o la vendetta di Hajime sarebbe stata ben peggiore.




    [1]PEE CHAAI: è tailandese e significa ‘fratellone’. :3


    …Il Giardino Elementale…

    E finalmente il nostro gruppetto entra in contatto con dei veri Stregoni, non di certo delle minchie lesse come Hans XD.
    Penso fosse arrivato il momento, visto che ci stiamo avvicinando alla fine della storia: questo è il terzultimo capitolo e, mi rincresce moltissimo annunciare, che non ho ancora cominciato il 15 \O/
    Questo mi fa ancora più supporre che non riuscirò a finirlo per tempo, poiché anch'esso è molto concitato e denso di avvenimenti, come questo che avete iniziato a leggere e che, vi ricordo, sarà composto da cinque parti.
    Farò il possibile per scrivere più che posso in queste cinque settimane, in modo comunque da non farmi aspettare troppo, qualora non dovessi riuscire a tarminarlo in tempo.
    X3 avete indovinato chi sono i tre Stregoni che hanno incontrato i nostri eroi, vero?

    :**** come sempre, un ringraziamento speciale e sentito a tutti coloro che continuano a seguirmi senza mollare! :3 grazie infinite. *abbraccia tutti*


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 39
    *** 14 - All'ultimo respiro - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 14: All'ultimo respiro (parte II)

    Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro Sud, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    “Se ci ripenso, devo dire che la cosa che mi ha più impressionato di quel combattimento è stata vedere Yuzo che picchiava un bambino!”
    Il volante arrossì all’osservazione di Hajime. “Non era un bambino! Era uno Stregone!”
    “Accidenti, avevo il sacco di pulci a coprirmi la visuale” sbuffò Mamoru, tirando via un ghignetto divertito. “Me lo sono perso. Finalmente ti sei deciso ad abbandonare la facciata del ‘bravo ragazzo’, uccellino?”
    Lui arrossì ancora di più. “Non c’è niente da ridere.”
    “Questa è bella! Non hai voluto picchiare lo scarafaggio di quel Vulkan, mentre hai quasi accoppato un marmocchio! Sei un po’ contraddittorio, lo sai?”
    “La vuoi piantare?!”
    Scontrarsi con degli Stregoni, e uscirne praticamente illesi, li aveva caricati. Forse anche troppo.
    Mentre si avvicinavano alle porte di Hemur, non avevano fatto altro che parlare di quello che era avvenuto. Certo, c’era la novità di aver potuto affrontare i servi di Kumi sul campo ed essere sopravvissuti per poterlo raccontare agli altri compagni di scuola rimasti nelle rispettive città-studio, ma c’era altresì che, in fondo al cuore, si sentivano invincibili. Avevano letto di tantissimi scontri epocali, nei libri di storia, che non sempre si erano conclusi con la vittoria degli Elementi; molti erano caduti, altri erano periti per le ferite riportate, ma la loro iniziazione era stata un successo. Avevano costretto tre Stregoni alla ritirata e non erano nemmeno dei Minister; doveva pur significare qualcosa.
    Ciò non toglieva che la prossima volta avrebbero dovuto prestare maggiore attenzione e preparare un piano d’azione preventivo, onde evitare anche le poche ferite che avevano riportato. La prossima volta sarebbero riusciti a sconfiggerli del tutto.
    Erano pronti?
    Forse sì o forse…
    Hajime volse lo sguardo a Teppei, celando la propria preoccupazione.
    Restava in disparte, rispetto agli altri, e a stento diceva due parole quando di solito chiacchierava così tanto che doveva intervenire Mamoru per farlo stare zitto.
    Non stava bene, glielo si leggeva in faccia: l’espressione stanca, gli occhi stretti e lucidi, lo sguardo sempre chino. Aveva la fronte imperlata di sudore, e Teppei non sudava mai né avvertiva la stanchezza fisica, grazie ai suoi allenamenti a Tyran. Eppure continuava a non dire nulla, apertamente, ma lui l’aveva capito: c’era qualcosa che non andava e tutto era cominciato dopo che avevano affrontato gli Stregoni.
    “Teppei, sei divenuto silenzioso.”
    L’interpellato quasi sussultò sulla sella. Sollevò il capo di scatto, alla domanda di Yuzo, e la luce del sole che si rifletteva ovunque gli bruciò gli occhi. Tutto bruciava: la schiena, le gambe. Si sentiva a pezzi, aveva le braccia pesanti e stava sudando. Lo stomaco gli faceva un male terribile, quasi l’avessero infilzato con decine di lame, e gli risultava difficile perfino respirare bene.
    “No, tutto a posto” disse con sforzo, abbassando nuovamente lo sguardo per il fastidio della luce.
    Il volante scosse il capo. “A me non sembra…” 
    Anche Mamoru rimase perplesso, ma non disse nulla. Si limitò solo a lanciare un’occhiata al Tritone e questi annuì, rallentando il proprio cavallo per affiancarsi a quello del compagno di Terra.
    “Vedi di farla finita.” Gli disse in tono serio e anche piuttosto nervoso. Se già gli era parso stranissimo che la Fiamma si fosse ammalata di febbre bassa, vedere Teppei sofferente gli piacque cento volte meno. “Ce ne siamo accorti tutti, ma speravamo non ti si dovesse strappare di bocca il motivo. Stai male?”
    Teppei ruotò gli occhi con fastidio, girando altrove il viso. “Non sto male per niente.”
    “Mi sembra di averla già vissuta questa scena.”
    E Mamoru tossicchiò, più distante, con fare disinvolto, tanto che riuscì a strappare un sorriso anche al tyrano.
    Hajime però non perse la propria serietà. “Guarda che parlo sul serio, Teppei.”
    Ma l’interpellato non aveva voglia di parlare o di ammettere che qualcosa non andava; lui era una roccia e stava benissimo. Rise, ma si vedeva che stava fingendo.
    “Ho detto che non ho niente! Non mi credi? Guarda! Sano come un pesce!” Teppei spronò la propria cavalcatura, spingendola al trotto. Superò i compagni e provò a saltare un piccolo ramo caduto sulla via da uno degli alberi che la costeggiava. Confidò troppo in sé stesso e nella propria resistenza.
    Quando il cavallo atterrò con le zampe posteriori, una fitta lancinante lo trapassò di netto, all’altezza dello stomaco, togliendogli il respiro. Per un momento lunghissimo il mondo si dipinse di bianco e nemmeno si accorse di cadere di sella, tanto da non sentire l’impatto col suolo. Tutto, attorno a lui, era ovattato, lontanissimo, per primo il suo corpo. Quasi non gli appartenesse più.
    Non udì il richiamo allarmato di Hajime, non udì le voci di Mamoru e Yuzo. Il bianco, che gli copriva gli occhi, si diradò dopo alcuni momenti infiniti che non riusciva ugualmente a collocare in una dimensione temporale. Non riusciva neppure a muoversi.
    Il primo volto che scorse fu quello di Hajime, chino su di lui, che gli sollevava la testa e lo guardava, pallido in volto; poi la Fiamma e il volante. Le loro voci arrivarono in differita rispetto al movimento delle labbra. Di nuovo il bianco e infine, come un muro soffocante, il nero.
    “Teppei! Teppei, maledizione rispondimi!”
    “Ha… ji…”
    “Sono qua, sono qua!”
    “…dove… dove?...”
    Hajime sentì il sangue prosciugarsi dalle vene, mentre aggrottava le sopracciglia. “Come ‘dove’? Sono qui…” Gli passò la mano sulla fronte: era bollente. “…non mi vedi?”
    Teppei sollevò le dita con uno sforzo atroce. Cercò di trovarle con gli occhi, ma c’era solo il nero ed era ovunque. Iniziò a tremare. “…do… ve…”
    Hajime gli prese la mano e la strinse, seguitando a carezzargli il viso. La propria pelle era fresca, poteva dargli un po’ di sollievo, ma il tyrano sembrava aver perso tutte le percezioni. Prese a scuotere il capo e a guardare alternativamente Mamoru e Yuzo. Il suo solito distacco verso le esternazioni troppo accorate era stato messo da parte in un attimo per lasciare il posto a un totale smarrimento. “Che sta succedendo?”
    “Non ne ho idea!” sbottò la Fiamma.
    “Cos’è questo?” Yuzo sembrò scorgere qualcosa sul collo di Teppei. Velocemente gli aprì la giacca di cuoio e la camicia. Gli era parso di aver visto un segno scuro, ma quando si trovò davanti quella ragnatela violacea che tracciava vene e capillari di quasi metà torace, rimase di sale.
    Il volante cercò di seguire tutti i percorsi, per trovare il punto da cui partivano e ogni segno conduceva al braccio, dove c’era ancora la benda. Yuzo la tolse e la ferita apparve aperta e infetta.
    “Dannazione!” ringhiò, mentre Hajime scuoteva il capo.
    “Ma… ma com’è possibile? Era solo un graffio…”
    Con della stoffa, il volante provò a toccarla e del siero chiaro uscì misto a un fluido violaceo. Strinse gli occhi con preoccupazione. “Credo sia veleno. L’oggetto che l’ha ferito doveva esserne imbevuto.”
    Hajime ingoiò un’imprecazione. Davanti ai suoi occhi scorsero nuovamente le immagini di ciò che era accaduto: il somaro, il fumo viola e la lancia. Era stata quella a colpirlo ed era un incantesimo Venefico. Maledizione, che stupido a non averci pensato prima! Che stupido!
    Guardò il compagno di Alastra alla ricerca di una sua parola o anche solo di essere rassicurato,
    ma Yuzo, suo malgrado, si ritrovò a scuotere il capo.
    “Non me ne intendo, purtroppo. Dobbiamo portarlo da un Naturalista, lui saprà cosa fare.”
    Mamoru annuì. “Hemur dovrebbe essere a pochi chilometri, non perdiamo tempo.”

    Lanciarono i cavalli fino allo stremo.
    I muscoli degli animali erano tesi, gli zoccoli sollevavano zolle di terra quando lasciavano il suolo e le criniere schioccavano nel vento. Erano già provati per la lunga traversata, ma gli Elementi sarebbero stati disposti a spingerli a versare fino all’ultima goccia del loro sudore pur di arrivare a Hemur il prima possibile.
    Sulla strada, si fermarono solo quando scorsero la prima persona dopo giorni. Un uomo aveva, sulle spalle, una cesta piena di pesce e una canna lunga nella mano. Quando li sentì arrivare di corsa, si fermò al lato della strada e li guardò con aria perplessa e anche un po’ intimorita.
    Mamoru tirò le redini dello stallone e questo impennò sulle zampe posteriori, sbuffando e scalciando.
    L’uomo si strinse di più sul ciglio.
    “Sapete dove possiamo trovare un Naturalista?!” esclamò la Fiamma. La sua urgenza era palpabile anche nella voce.
    “B-beh… dovete arrivare in città, lì-”
    “Possibile che prima non ci sia nessuno?! Che so, nelle campagne!”
    Il povero pescatore ci pensò un po’, scrutandoli intimidito. Solo allora si accorse che su uno dei cavalli viaggiavano in due, e quello che montava dietro non stava per niente bene. Per non farlo cadere, era stato addirittura legato al compagno che guidava l’animale.
    “Dannazione, abbiamo fretta!” insistette Mamoru.
    “Veramente, ci sarebbe… ci sarebbe Shibasaki, ma-”
    “Dove lo troviamo?”
    “Proseguite dritto. Al bivio per Hemur prendete la via sterrata a destra. Però devo avv-”
    “Grazie!”
    Mamoru non lo fece finire, diede un leggero colpo alla bestia e questa riprese a correre come avesse avuto un mostro alle calcagna.
    Il pescatore rimase col dito sospeso a mezz’aria e l’aria incerta di chi non aveva avuto il tempo di dire la cosa più importante.
    Ormai lontani, Yuzo si girò in direzione di Mamoru. “Lasciamelo portare in volo a destinazione; ora che sappiamo dov’è la casa del Naturalista, posso andare avanti.”
    La Fiamma si volse rapidamente verso Hajime e vide la testa di Teppei abbandonata a peso morto sulla spalla del compagno; tutto il suo corpo era un peso morto, le braccia ciondolanti lungo i fianchi e l’aria che veniva inspirata con la bocca. Non c’era tempo per pensare alla copertura o alla discrezione.
    “D’accordo, fa’ in fretta!” decise e Yuzo annuì, gli lasciò le redini della cavalcatura di Teppei e lui rallentò un po’, per affiancarsi al Tritone.
    “Lascialo a me, Hajime. Vi precedo.”
    L’altro non riuscì a rispondere nulla, ma sciolse i nodi della corda che aveva legata in vita. Yuzo si sollevò in volo, mentre il proprio cavallo correva ormai a briglia sciolta, e prese in consegna il tyrano. In un attimo, partì come una scheggia, lasciandoli indietro.
    Hajime lo seguì con gli occhi fino a che non scomparve, pregando, in tutte le lingue che conosceva, le divine Yukari e Yoshiko affinché non abbandonassero Teppei.

    Yuzo volò sopra gli alberi, mantenendo fisso lo sguardo al suolo in attesa di scorgere il bivio che lo avrebbe condotto dal Naturalista e, quando emerse finalmente nella pianura, delle foreste Lulha alle sue spalle non rimasero che dita verde scuro che sembravano allungarsi sui primi campi coltivati.
    Da quell’altezza, che non era eccessiva per non affaticare ulteriormente Teppei, poteva già scorgere Hemur in lontananza, segno che la meta non doveva essere troppo lontana.
    La Via Crociata era di nuovo ben visibile e ampia, piena di luce.
    Quando notò il bivio, rallentò qualche attimo per assicurarsi che fosse quello giusto. Spostò lo sguardo a destra e scorse un filo di fumo levarsi tra alcuni alberi radi, innocuo prolungamento delle foreste. Doveva essere quella la casa del Naturalista.
    Riprese a volare a tutta velocità, scansando agilmente le fronde fino a che non emerse in una piccola radura.
    Una modesta casa in legno e mattoni vi sorgeva al centro e il fumo proveniva da un focolare acceso nel cortile su cui bolliva un calderone nero.
    Quando piombò nei pressi dell’entrata, il volante si trovò davanti una giovane. A una prima occhiata pensò fosse l’assistente del medico.
    Appena lo vide, e forse più per la sorpresa e i modi bruschi con cui era atterrato, la donna lanciò un urlo spaventato facendo cadere i tre tronchetti tagliati di fresco che reggeva tra le braccia.
    “E’ qui il Naturalista?” domandò Yuzo con urgenza; non aveva tempo di provare a rassicurarla, ci avrebbe pensato dopo, adesso doveva solo occuparsi di Teppei. “Vi prego, è importante!”
    In quel mentre, un uomo sulla trentina uscì dall’abitazione.
    “Deva, cos’hai da urlare?” disse, spostando poi lo sguardo su Yuzo, ma quando i loro occhi si incrociarono il volante si coprì l’orecchio che aveva preso a fischiare con forza.
    “Uno Stregone?!” gli parve assurdo che ne avesse incontrato uno proprio in quel momento e la stessa sorpresa aleggiava nello sguardo dello sconosciuto.
    Con un balzo, Yuzo si levò in volo. Un braccio reggeva il corpo di Teppei mentre la mano libera gli aveva permesso di sollevare il vento che ora spirava forte attorno a loro, tanto da rovesciare il pentolone sul focolare e far ruzzolare i cocci di legno al suolo.
    La giovane si rannicchiò in un angolino, spaventata.
    Lo Stregone guardò prima l’assistente e poi l’Elemento che aveva davanti – Elemento d’Aria, a giudicare dai poteri –; in fretta sollevò le mani.
    “No, aspetta-”
    “Allora quella del Naturalista era un’altra trappola!”
    Ma lì arrivò la frase che Yuzo non si sarebbe mai aspettato di sentire. Un’altra volta.
    “Nessuna trappola. Sono io il Naturalista!”
    “Vuoi prendermi in giro?!” Il volante lo disse in tono severo e accusatorio. Il vento seguitava a spirare e lui non sembrava intenzionato a farlo dissolvere.
    Non era possibile. Non di nuovo.
    Per un attimo, davanti ai suoi occhi la figura del giovane venne sostituita da quella di Hans e provò un terribile istinto di vendetta. Con uno sforzo atroce si contenne, serrando quei sentimenti a volte aggressivi che la tappa a Ghoia aveva riportato alla luce insieme a tutto il resto. Non poteva dar loro spazio; in quel momento, Teppei era la sua priorità e non aveva tempo di mettersi a litigare o, peggio ancora, combattere contro uno Stregone.
    “Non ti sto prendendo in giro, ragazzo. Interrompi i tuoi poteri, te lo chiedo per favore.”
    “Sì, certo, e dovrei abbassare le mie difese? Mi credi così stupido?”
    “Ti credo stupido se non lo fai!” L’uomo si sistemò gli occhiali in un gesto stizzito. “Oh, dannazione! Dovrei essere io quello furioso! Piombi in casa mia e mi aizzi contro la tua magia elementale da due scudi! Se davvero avessi voluto, ti avrei già immobilizzato, è chiaro?!” Il Naturalista si avvicinò all’assistente e si chinò al suo fianco, per poggiarle una mano sulla spalla in segno di rassicurazione. “Chiunque ti abbia mandato da me non era certo uno Stregone, no? Altrimenti te ne saresti accorto o sbaglio?”
    Yuzo valutò le sue parole e convenne che, sì, se il pescatore fosse stato un mago l’avrebbe avvertito, così come era successo appena aveva visto lui.
    Con cautela sedò l’intensità delle raffiche, riducendole a un vento insidioso, ma incapace di rovesciare oggetti al suolo.
    Lo Stregone tornò ad alzarsi. Le mani ai fianchi e le labbra piegate in una smorfia.
    “Ora dimmi che diavolo sei venuto a fare qui, dopodiché sparisci dalla mia vista.”
    A Yuzo non sembrò sul piede di guerra e nonostante odiasse a morte l’idea di dover affidare Teppei nelle mani di un bastardo della stessa risma di Hans, era consapevole che il tempo stava stringendo e lui doveva prendere una decisione.
    “Ho bisogno del vostro aiuto.” Il vento si dissolse e lui smise di volare.
    Tsk! E chi ti dice che sia disposto a dartelo?” Si impuntò l’altro voltandogli le spalle. Aveva subito notato il compagno che reggeva tra le braccia e, a una prima occhiata, doveva essere ridotto male, sembrava avesse la febbre, ma non era riuscito a vederlo da vicino e poi non erano affari suoi. Niente che aveva più a che fare con la medicina era affar suo. Né con la Magia Nera. Aveva smesso di esser entrambi da troppo tempo; non era più nessuno se non una specie di eremita fuori da Hemur che i cittadini accettavano solo per l’aiuto che, in passato, aveva dato loro. Null’altro che questo. Lui non era nessuno.
    “Vi prego. Non saprei a chi chiederlo né penso che avrei più il tempo per farlo.”
    “Se è di un medico che hai bisogno, caschi male. Non sono più un Naturalista.” Salì nuovamente le scale di casa e si fermò sulla soglia, continuando a dargli le spalle. “E ora che lo sai, vattene.”
    Yuzo lo osservò rientrare nell’abitazione, con sguardo inferocito.
    Lui… lui si permetteva di rifiutarsi?
    Dopo che era stata per colpa degli Stregoni se Teppei rischiava la vita?
    Dopo che era stata per colpa di un maledetto fanatico emulatore se lui aveva distrutto mezzo Dogato di Rhalesta?
    Oh, no.
    Nessuno Stregone-Naturalista-Eremita o quel che credeva di essere l’avrebbe chiuso fuori. Quello era poco, ma sicuro.
    Gli Elementi d’Aria erano la pazienza della diplomazia, ma lui non aveva tempo né d’esser paziente né d’esser diplomatico.
    In un attimo lo seguì, entrando in casa senza invito. Con una folata di vento fece spazio su di un tavolo e vi adagiò il corpo di Teppei tra le proteste del medico.

    “Sta’ tranquillo.”
    La voce di Mamoru gli fece spostare lo sguardo per puntarlo sulla schiena del compagno. Cavalcava di qualche metro avanti a lui e gli aveva rivolto appena la trequarti.
    “Vedrai che Yuzo sarà già arrivato e il Naturalista si sarà subito messo all’opera.”
    Hajime lo sperò con tutto sé stesso. Sperò che la Fiamma avesse ragione e che magari il medico avesse già somministrato l’antidoto a Teppei. Magari stava già guarendo e ora se la dormiva della grossa, alla faccia della sua preoccupazione. Ma tutte le congetture gli sembrarono così appese a un filo da essere pronte a cadere in un attimo.
    Il volante era diventato invisibile in un batter d’occhio, lasciandoli indietro nemmeno si stessero muovendo a rallentatore e invece cavalcavano come disperati, trascinando gli altri animali, privi di cavaliere, con loro. Ma nonostante gli zoccoli sembrava avessero le ali, ad Hajime la comparsa del bivio gli parve avvenire dopo un’eternità. Le sue percezioni di tempo e spazio avevano perso il senso della realtà, allungandosi a dismisura. Tutto quello che voleva era arrivare dal Naturalista e scoprire che Teppei stava bene e già in via di guarigione. Nient’altro. Voleva avere la sicurezza che fosse fuori pericolo, che avrebbe aperto gli occhi per guardarlo e riuscire a vederlo. Tutto qui. Non era una richiesta assurda, dopotutto.
    Senza rallentare, svoltarono in direzione della stradina sterrata che portava di nuovo verso un lembo di foresta.
    L’ansia sembrava una spugna che cresceva e si gonfiava nello stomaco, quasi a soffocarlo, ma si ostinò a ignorarla, nonostante la voglia che aveva di vomitare. Una nausea terribile mista a crampi.
    Non era mai stato così tanto preoccupato in vita sua. Mai. E pregò di non esserlo mai più, perché non avrebbe saputo sopportarlo di nuovo.
    Lui e la Fiamma rallentarono le bestie solo quando scorsero la sagoma di un’abitazione. Doveva essere quella e Hajime scese al volo, senza nemmeno aspettare che il cavallo si fermasse del tutto.
    “Aspetta!”
    La voce di Mamoru lo bloccò all’improvviso. Il tono tagliente.
    Il Tritone gli vide uno sguardo attento che scrutava l’intorno con circospezione. Poi abbandonò l’animale e lo raggiunse.
    “Non noti nulla? Non senti nulla?”
    “Cosa dovrei sentire?!” Hajime era frustrato. Voleva solo entrare in casa e sapere come stava Teppei, quando d’improvviso se ne accorse. Un orecchio fischiava, basso. Lo toccò e guardò la Fiamma, spalancando l’occhio non coperto dal ciuffo. “Non dirmi… che anche tu…”
    “Ci deve essere uno Stregone. Forse più.”
    - No! Non adesso! Non qui! - pensò Hajime guardandosi intorno, senza però scorgere nessuno. Solo allora si accorse del calderone rovesciato e dei tronchi sparsi. Un pensiero orribile gli attraversò la mente. “E se fossero all’interno della casa?”

    “Ma… dico, sei sordo?! Ti ho detto che non sono più un Naturalista! Fuori di qui subito o altrimenti-”
    “Lanciatemi contro tutti i vostri incantesimi di Magia Nera, non me ne andrò fino a che non lo avrete curato.” Il medico piegò le labbra verso il basso, inarcando pericolosamente un sopracciglio, ma Yuzo non ne volle sapere. “Siete voi Shibasaki, giusto? Se mi hanno detto di venire qui ci sarà un perché! Per favore, date un’occhiata al mio compagno e se non vorrete essere voi a curarlo, dite a me come posso fare. Me ne occuperò io.”
    Hiroyuki Shibasaki(1) tacque per alcuni momenti, colpito da tanta insistenza e determinazione. Spostò lo sguardo sul giovane adagiato sul tavolo e strinse le labbra, in una smorfia che tentava di nascondere quanto dentro si sentisse combattuto.
    Da un lato, il suo spirito naturalistico avrebbe voluto fare qualcosa, ma dall’altro…
    Spostò lo sguardo sull’assistente che era entrata piano piano in casa e si manteneva ferma contro la parete. Anche lei sembrava aver capito la gravità della situazione e gli rivolse un’occhiata speranzosa. Si aspettava che lui…
    Hiroyuki girò le spalle al mago d’Alastra e incrociò le braccia. “Certo che sei indisponente! E poi dite che sono gli Stregoni a-”
    “E colpa di alcuni Stregoni se il mio compagno sta così male.” Lo freddò Yuzo e lui si fece più attento. “Siamo stati attaccati e lui ferito.”
    “Non dirmelo: presenta degli strani segni viola che seguono vene e capillari?”
    Yuzo capì che lui sapeva cosa facesse soffrire Teppei. Si preparò a sentire il verdetto. “Sì…”
    L’altro sbottò in una risata di spregio.
    “Ah! Allora puoi anche raccomandare la sua anima a una delle tue Dee, ormai è spacciato.” Shibasaki si volse, per godere appieno dall’espressione smarrita e incredula del suo ospite. Lo spirito dello Stregone non riusciva mai a sopirsi completamente. “Veleno di Rankesh, il peggiore di Elementia.”
    Rankesh. Quella maledetta bestia tornava di nuovo. Per Yuzo fu un incubo; il siero di Rankesh aveva soggiogato la sua mente quando era caduto nelle mani di Hans e ora il veleno dello stesso animale rischiava di far morire Teppei.
    “Non c’è niente che possa curarne gli effetti”, riprese Shibasaki, “tranne il siero di Zaikotto, ma scordati che io ce l’abbia; è merce talmente rara che non la troveresti mai da queste parti, nemmeno pregando in tutte le lingue del mondo.” Tese un mezzo sorriso di superiorità. “Rassegnati.”

    “Facciamo irruzione.” La mano di Mamoru si infiammò completamente, rendendola simile a una torcia.
    Al suo fianco, Hajime ingoiò a vuoto, indurendo l’espressione. Lingue d’acqua scivolarono dai palmi e frustarono l’aria, emettendo un suono basso e gorgogliato.
    La Fiamma gli fece cenno di avvicinarsi a un lato della porta socchiusa, mentre lui si sarebbe appostato all’altro.
    Furono in posizione in un attimo. Mamoru appoggiò due dita sul legno, pronto a spalancare l’uscio, e avvertiva distintamente, ormai, la presenza di persone all’interno della casa. Sentiva una voce e non era quella di Yuzo.
    “…è merce talmente rara che non la troveresti mai da queste parti, nemmeno pregando in tutte le lingue del mondo. Rassegnati.”
    Il tono non gli piaceva, anche se non aveva idea di cosa stesse parlando e con chi. Guardò Hajime e gli mimò dei numeri con le labbra.
    Tre.
    Due.
    Uno.
    Mamoru spalancò la porta con un colpo deciso. La mano ardente protesa in avanti per attaccare chiunque si fosse trovato di fronte. Hajime comparve dietro di lui, lingue d’acqua riempirono l’ambiente fino al soffitto, incombendo minacciose sui presenti.
    I due Elementi si trovarono davanti una specie di spettacolo irreale: una donna impaurita, Teppei disteso su un tavolo, Yuzo fermo al suo fianco e un terzo uomo in piedi, più distante.
    Quest’ultimo sgranò gli occhi allargando le braccia. “E questi chi diavolo sono?! Amici tuoi?! Ma in quanti accidenti siete?!”
    Per Mamoru fu chiarissimo che quello era lo Stregone, era tutto il resto a essere incomprensibile. “Ma che cosa…?”
    “Interrompete gli incantesimi!” Yuzo si mise di mezzo, alzando le mani.
    “Interromperli?! Quello è uno-”
    “E’ il Naturalista.”
    La Fiamma s’azzittì per un momento, sgranando gli occhi. Poi sbottò: “Un altro?! Cos’è? Una mania?!”
    “Per favore non polemizzare…” Yuzo cercò di calmare tutti e due, ma Hajime guardava lo Stregone con un odio talmente denso che lo stesso Shibasaki pensò che potesse inchiodarlo al muro.
    Scosse il capo, i tentacoli d’acqua ancora danzanti nel vuoto.
    “Non permetterò a nessuno Stregone di mettere di nuovo le mani addosso a Teppei” ringhiò.
    “Perfettamente d’accordo” convenne Mamoru e Yuzo lo fulminò con l’occhiata peggiore che avesse mai ricevuto dal volante, tanto da lasciarlo interdetto.
    “Adesso smettetela. Non possiamo permetterci di stare ancora a discutere perché la situazione è peggiore di quanto creduto e questo Stregone è tutto quello che abbiamo, quindi fate sparire i vostri incantesimi. Adesso.”
    “Che vuoi dire con ‘la situazione è peggiore’?” Hajime lo guardò terrorizzato, l’acqua dissolta nel nulla, e Yuzo stemperò l’espressione severa, aggrottando le sopracciglia e usando un tono più morbido.
    “Il veleno iniettato a Teppei, non è uno qualunque.”
    “E dovremmo fidarci di uno Stregone per-”
    A quel punto, Shibasaki si decise a intervenire. Ne aveva piene le scatole di tutta quella storia e l’unica cosa che voleva era vederli sparire dalla sua proprietà, per non farvi mai più ritorno, possibilmente. Interruppe Mamoru ancor prima che terminasse la frase.
    “Volete stare zitti?! Continuate a blaterare quasi che non fossi presente, che razza di modi!” Sollevò il mento e tirò su gli occhiali. “Ho già detto al vostro amico che non ho la minima intenzione di intervenire, anche perché non c’è nulla ch’io possa fare, quindi potete anche smetterla di affannarvi tanto.” Abbassò il tono, pur mantenendolo freddo e sdegnoso. “Non sono più un Naturalista da molto tempo e non ricomincerò adesso. Allo stesso modo, ho smesso di essere uno Stregone, quindi evitate di parlare a sproposito; né il mio passato né ciò che sono è affar vostro.”
    Ma di tutto il discorso, ad Hajime interessò solo una frase, che gli fece abbassare le braccia per abbandonarle lungo i fianchi mentre mormorava quel: “Non potete… fare niente…?”
    “Esatto. Il vostro amico è senza speranza ed è un miracolo che non sia già morto. Già che ci siete, ditegli una preghiera.”
    Shibasaki lo affermò con durezza e quasi non curanza, costringendosi a ignorare il dolore con cui uno dei nuovi arrivati aveva posto quella domanda. Per sottolineare la sua indifferenza, riprese a occuparsi degli alambicchi sparsi per la casa-laboratorio e voltò loro le spalle, come se non fossero nemmeno presenti. Come se Teppei non fosse steso sul suo tavolo in preda agli spasmi causati dal veleno, ai dolori dei crampi, alla febbre.
    Mamoru l’avrebbe voluto incenerire, ma rispose con altrettanta durezza ed espressione carica di sdegno. Dissolse le fiamme. “Abbiamo perso solo del tempo. Porteremo Teppei in città, da un Naturalista vero e non da uno Stregone che dovrebbe pendere da una forca, invece di giocare al medico.”
    Ma Hajime si rese conto che non c’era tempo né altre opportunità. Teppei doveva essere curato lì e subito e lui aveva finito la pazienza.
    Nel momento in cui Mamoru fece per muoversi, i liquidi di tutti gli alambicchi e le ampolle presero a ribollire di colpo, tanto da far tintinnare i contenitori di vetro.
    Shibasaki si guardò attorno, con un sopracciglio inarcato e l’espressione infastidita.
    “Non potete… fare niente…” ripeté ancora il Tritone, il viso immobile, sembrava in trance e Yuzo gli rivolse un’occhiata preoccupata. I capelli neri si sollevarono nel rifluire dei poteri che illuminarono i suoi contorni di un bagliore blu oltremare. “Adesso te lo dico io cosa farai.”
    Le ampolle andarono in frantumi una dopo l’altra, riversando al suolo il loro contenuto.
    “Non è minacciandomi che-”
    Hajime non gli lasciò finire la frase. Lo raggiunse in un batter d’occhio, lo agguantò per le spalle e lo scaraventò dall’altra parte della stanza, facendolo finire su un secondo tavolo.
    Shibasaki avvertì l’impatto con fiale e boccette vuote che si frantumarono sotto il suo peso. Espulse l’aria, spalancando la bocca, ma non ebbe il tempo di rispondere a quell’attacco, perché il Tritone gli fu nuovamente addosso, per bloccarlo. La nuca batté contro il legno e una lingua d’acqua gli si avvolse attorno alla gola, strozzandogli il respiro.
    Hiroyuki spalancò gli occhi e si aggrappò ai polsi del giovane per cercare di liberarsi, ma senza risultati. In quel modo non poteva nemmeno pronunciare qualche incantesimo.
    “Adesso tu farai quello che hai detto di essere, ovvero il Naturalista, e lo guarirai, mi sono spiegato bene? Non mi importa un cazzo del tuo passato, dei tuoi motivi o di chissà che altra stronzata lacrimevole. Tu. Guarirai. Teppei.” Gli occhi neri sembravano inghiottirlo in fondo a un mare oscuro, dove era impossibile respirare o provare a risalire. Lo strattonò ancora, la nuca di nuovo contro il legno. “Io non posso rischiare di perdere il mio migliore amico solo perché non hai abbastanza palle. Sono stati quelli come te a ridurlo in questo stato e tu lo salverai, a qualsiasi costo, perché se lui muore, io ti ammazzo.”
    “Hajime, adesso calm-” Mamoru venne fermato da un lungo tentacolo d’acqua che si frappose fa lui e i duellanti in maniera minacciosa. “Woh! Woh! Ho capito! Stai calmo, dannazione!” Arretrò un passo alla volta, con le mani alzate.
    Ecco un altro che perdeva la testa. Si ritrovò a pensare che il detto: ‘le acque chete rompono i ponti’ fosse più che azzeccato, vista la reazione di Hajime, ma in fondo… in fondo lui poteva capire. Anzi. Capiva benissimo. Anche lui sarebbe stato disposto a fare l’impossibile, a minacciare e uccidere il mondo solo per la persona che riteneva essere la più importante. E Teppei era la più importante per Hajime.
    “Hajime, ascoltami.” La voce di Yuzo gli parve provvidenziale in quel momento, anche perché sapeva prendere le persone meglio di lui. E forse quel tono fermo, di chi stava impartendo quasi un ordine, era ciò di cui il compagno aveva bisogno. “Se lo uccidi, non salveremo mai Teppei. Lascialo respirare, ha capito l’antifona. Lascialo respirare, Hajime.”
    La bocca del Tritone si deformò in una smorfia di totale disprezzo e rabbia. La corda d’acqua ancora stretta attorno alla gola dello Stregone e negli occhi avvertì il netto pizzicare delle lacrime. Fu solo quello, unito alle parole di Yuzo, che riuscì a fargli riprendere il controllo di sé.
    Lasciò la presa, l’acqua si ritirò e lui fece qualche passo indietro, voltando le spalle al Naturalista. Svelto si passò il dorso della mano sugli occhi.
    Shibasaki scivolò al suolo, tossendo con forza. L’aria nei polmoni gli bruciò il petto mentre prendeva boccate profondissime. Era stato convinto che sarebbe morto e invece era ancora lì e c’era l’Elemento di Aria, ora, a guardarlo dritto negli occhi con freddezza.
    “State bene?”
    Lui annuì, ma non riuscì a rispondere.
    “Per favore, aiutateci. Non ve l’avremmo mai chiesto se non ne avessimo avuto così bisogno, ve lo posso assicurare.”
    Nel suo tono, per quanto mitigato dalla diplomazia di Alastra di cui aveva tanto sentito parlare, c’era disprezzo e non gli sembrava dettato esclusivamente dal pregiudizio che vedeva l’uno Stregone e l’altro Elemento, ma c’era una netta forma di rancore per qualcosa che doveva aver provato in prima persona. Qualcosa che aveva a che fare con la sua categoria e con la sua magia.
    Poi… poi c’erano le parole dell’Elemento d’Acqua. C’era la sua disperazione. Quella di chi si sarebbe perduto per non ritrovarsi mai più se il compagno fosse morto. Quella disperazione la conosceva anche lui, meglio di quanto quei ragazzi potessero anche solo immaginare.
    Inspirò a fondo un’ultima volta e si alzò.
    “Deva, prendimi dell’acqua e della terra” disse con tono deciso. “Mi raccomando: la terra non deve essere superficiale, togli i primi venti centimetri e prendi il resto.”
    “Sì… dottore.” L’assistente aggiunse quella parola con un misto di ansia e trepidazione, scomparendo all’esterno della casa.
    “Lo guarirà?” domandò Yuzo; la durezza appena stemperata, come se avesse voluto mettere da parte quelli che erano i dissapori per pensare solo al bene del loro compagno.
    Lui annuì, poi cercò il Tritone con lo sguardo. Anche se chiaramente arrabbiato e preoccupato, anche nei suoi occhi riuscì a leggere un filo di speranza.
    “Farò tutto quello che posso, dico sul serio.” Non lo faceva per le minacce; essendo uno Stregone, aveva sempre messo in conto di morire troppo presto per assaporare la maturità della vecchiaia. Lo faceva perché era importante, perché doveva. Perché era arrivato quello che non credeva avesse aspettato per così tanto tempo.
    Eppure gliel’aveva detto.
    ‘Tornerai ad alzare la testa. Nella Terra e nell’Acqua troverai tutte le risposte che non hai mai saputo darti.’
    Gliel’aveva detto.
    La Terra, il ragazzo che rischiava la morte, e l’Acqua, il ragazzo che sarebbe stato disposto a qualsiasi cosa pur di salvarlo.
    Gliel’aveva detto, sì, il Principe gliel’aveva detto in quell’incontro di un attimo dall’altra parte del Nohro e lui era stato scettico, come qualsiasi Stregone. Il lupo perdeva il pelo, si diceva così, e il suo vizio di non credere nel potere elementale era difficile da mandare via, dopo che per anni era vissuto immerso solo nella Magia Nera.
    Forse era arrivato il momento di iniziare a cambiare sul serio.
    Con gesti svelti si arrotolò le maniche del maglione e della camicia, si avvicinò al giovane disteso sul letto e gli aprì gli abiti per capire meglio la sua condizione e fino a che punto il veleno fosse entrato in circolo. Nel mentre, parlò con loro, per spiegare cosa avrebbe fatto e di cosa aveva bisogno.
    “Il veleno di Rankesh si combatte solo con siero di Zaikotto, ma è una merce rarissima che io non ho. E se non ce l’ho io, non ce l’avranno nemmeno in città.”
    Yuzo si fece dappresso con preoccupazione. “Ma se voi ne siete sprovvisto come possiamo fare?”
    Shibasaki s’allontanò dal tavolo per raggiungere i suoi ripiani colmi di barattoli di vetro. Ne prese uno pieno di larve verdi e tornò al tavolo.
    “Si dice che ce ne sia qualcuno nelle Paludi Acquanera, ma non ne ho la certezza. Molte volte sono andato a cercarli, ma gli zaikotti sono sensibili alla magia ostile e io sono comunque uno Stregone; devono aver percepito i miei poteri come una minaccia, quindi non si sono mai fatti vedere.” Pescò quattro o cinque larve e le mise sulla ferita di Teppei. Gli animali ci si aggrapparono, fameliche, iniziando a mangiare i tessuti morti e a suggere il veleno. Avrebbero ripulito il taglio meglio di qualunque altro disinfettante.
    Quando le vide all’opera, Hajime comprese fossero delle velenisughe e storse il labbro in un misto di disgusto e dolore nel vedere il viso contratto di Teppei. Stava soffrendo, stava soffrendo moltissimo, era palese, e lui non ce la faceva a vederlo così senza poter fare nulla per riuscire ad alleviare le sue sofferenze.
    Hiroyuki continuò. “Io posso rallentare l’effetto dell’avvelenamento, ma non so per quanto tempo; ricordate che il veleno di Rankesh avrebbe già dovuto ucciderlo ed è solo perché è un Elemento di Terra che è ancora vivo. Non posso fare altro, ma ho bisogno di reperire degli ingredienti nelle foreste qui intorno.”
    Mamoru annuì e diede disposizioni. “Yuzo, resterai con lo Stregone e gli presterai sostegno nella ricerca dei materiali o in qualsiasi altra cosa avrà bisogno; io e Hajime andremo alle Paludi: da che parte sono?”
    “Uscite dal retro e proseguite sempre dritto, troverete delle indicazioni lungo il cammino. Le paludi sorgono in una specie di conca, circondata dalle montagne e sono molto insidiose, vedete di stare attenti. Nella stalla ci sono un paio di cavalli, usate quelli, i vostri devono essere stanchi.”
    “D’accordo, non perdiamo tempo.” La Fiamma uscì in fretta dalla porta secondaria che dava sul retro dell’abitazione e si mise a sellare le bestie. Hajime lo seguì quasi subito, ma si fermò un’ultima volta accanto al tyrano: aveva la fronte madida di sudore, i denti digrignati e stretti per combattere il dolore.
    Il Tritone gli poggiò la mano sul braccio e avvicinò il viso. “Tornerò presto, promesso, ma tu non mollare, va bene? Non mollare, Teppei. Se ci provi te la farò pagare e lo sai che sono violento, quando voglio.” Tentò di sorridere, ma la smorfia che uscì fu contrita e affranta.
    Yuzo gli toccò la spalla. “Abbi fiducia, ce la farà. Adesso vai, appena posso vi raggiungo per darvi una mano.”
    Lui annuì, e uscì svelto sul retro. I cavalli pronti e Mamoru già in sella. In un attimo era al suo fianco, che galoppavano per raggiungere le paludi.
    Fermo sulla soglia, Yuzo li seguì con gli occhi mentre si allontanavano. Levò una silenziosa preghiera alle Dee affinché riuscissero a trovare al più presto il famoso serpente di cui avevano bisogno per salvare Teppei, poi tornò dal Naturalista per sapere come rendersi utile.
    Lo vide intento a staccare le velenisughe ormai gonfie per buttarle nuovamente nel barattolo, dove sarebbero morte per il troppo nutrimento.
    “Ditemi di cosa avete bisogno” esordì, mentre l’assistente rientrava in casa con due secchi enormi, uno pieno d’acqua e l’altro pieno di terra.
    “Deva, sostituiscimi” ordinò il medico alla giovane che prese subito il suo posto. Senza guardare il volante, Shibasaki si diresse al banco, pescò quattro barattoli diversi, quasi vuoti, e ne cavò, per ognuno, una foglia differente. “Queste. Crescono qui intorno, non dovrebbe esserti difficile trovarle.”
    Yuzo le prese dalle sue mani e lasciò in fretta l’abitazione. L’attimo dopo, Hiroyuki lo vide sfrecciare in volo da una delle finestre.
    “Dottore.” L’assistente si attirò il suo sguardo, smettendo per un attimo ciò che stava facendo, ma seguitando a guardare il viso di Teppei con profondo dispiacere. “Credete che questo ragazzo-”
    “Non devo credere nulla.” Non voleva, per paura di fallire di nuovo. “Devo solo agire.”

    I cavalli dello Stregone non erano stalloni possenti come i loro, ma continuavano a correre ugualmente, nonostante venissero spronati fino al limite.
    Mamoru si manteneva leggermente sollevato dalla sella, il viso quasi affondato nella criniera e gli occhi stretti, per contrastare il vento comunque freddo e tagliente anche se avevano superato le montagne. Anzi, a ogni istante sembrava gelarsi un po’ di più, forse perché stavano tornando in prossimità dei monti.
    Hajime, al suo fianco, era nella stessa posizione e con gli occhi spalancati, come se freddo e vento non fossero affatto un problema.
    Si fermarono a dei bivi, dove cercarono di capire la direzione da prendere leggendo dei cartelli logori, recanti scritte incise male, quasi incomprensibili. Erano stati fatti dagli abitanti delle zone rurali, per cercare di orientarsi in quell’intrigo di foreste che portava alle paludi. Non erano zone attraversate tutti i giorni.
    All’ennesimo bivio, Mamoru percepì l’aumento di umidità nell’aria che rendeva il freddo più intenso e fastidioso. Al momento non aveva troppi problemi, poiché accaldato, e sperò solo che la febbre bassa non tornasse a dargli noia, perché in quel momento non poteva assolutamente permettersi di mollare: doveva salvare Teppei; dopo sarebbe anche potuto morire, ma prima doveva salvare il suo compagno di missione.
    “Ascolta” esordì, in direzione del Tritone. “Io e l’acqua non andiamo d’accordo, quindi procedi per gli acquitrini, io cerco lungo pendici delle pareti montane che circondando la conca. Se trovi questa serpe, prendila e corri dallo Stregone; non perdere tempo ad avvisarmi, va bene? Prendila e vai.”
    Hajime annuì e le loro strade si separarono.
    Mamoru si immerse di nuovo nella foresta, che si infoltiva andando verso le montagne, mentre tendeva a diradarsi verso le paludi vere e proprie. Non aveva idea di dove avrebbe potuto trovare questo fantomatico rubinato e si sentì già abbastanza fortunato nel sapere come diavolo fosse fatto solo perché lo aveva visto al Circo di Dhèver.
    Cavalcò, scartando agilmente, e qualche volta saltando, tronchi piegati di querce su cui erano cresciuti erbe e muschi. Di lontano, le formazioni montuose sembravano divenire più vicine e, diversamente da quelle incontrate quando erano più addentro al Nohro, solo le vette e le zone alte dei costoni erano innevate.
    Quando si accorse di essere entrato abbastanza nella foresta, rallentò l’animale fino a fermarlo del tutto. Smontò e iniziò a guardarsi attorno per provare a cercare qualsiasi indizio, ma ebbe la sensazione di essersi messo alla ricerca del famoso ago nel pagliaio e sperò che ad Hajime andasse molto meglio che a lui.

    Comprese d’esser prossimo agli acquitrini quando sentì il rumore che gli zoccoli producevano al suolo: un suono sciaguattante.
    Hajime rallentò, facendo avanzare la cavalcatura fino a una zona più scoperta. Da lì si potevano vedere le pozze d’acqua stagnante coperte da una sottile patina verde, alghe, qualche ninfea. Lungo i bordi dominavano canneti alti e silenziosi, che nascondevano piccoli animali anfibi e uccelli pescatori, mentre dai pantani, tronchi spezzati di faggi, disseminati per le paludi, emergevano dalla superficie; alcuni erano addirittura interi.
    Si guardò intorno e decise che era meglio proseguire a piedi, altrimenti il cavallo si sarebbe trovato solo i calcagni pieni di sanguisughe. Smontò di sella e i piedi affondarono nella fanghiglia viscida. Lui non se ne curò e avanzò con passo sicuro e sguardo attento.
    Doveva trovarlo. Non importava quanto avesse dovuto rivoltare quella palude, avrebbe trovato uno zaikotto, avrebbe salvato Teppei, fosse stata anche l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua.
    Mentre camminava, immergendosi negli acquitrini fino al ginocchio, sentiva la testa spaccarsi in due sotto un’emicrania lancinante. Gli veniva sempre quando sentiva di aver accumulato troppo, senza esplodere.
    La sua non era la scuola dei colpi di testa, non era la scuola dove si insegnava a sfogare tutta la frustrazione e la stanchezza che si accumulava nel tempo, ma era la scuola che imponeva, sempre, di guardare ogni cosa con distacco, a distanza. Similmente come avveniva alla scuola di Alastra, ma ad Agadir non creavano incantesimi dietro cui nascondersi né si studiavano le discipline mentali; semplicemente, il resto veniva lasciato indietro per focalizzarsi sulle cose più importanti perché, come diceva suo padre, non esistevano prove difficili, ma solo quelle che richiedevano un impegno maggiore.
    E lui, adesso, si sentiva la testa piena.
    I troppi pensieri la stavano martellando senza sosta nonostante si ostinasse a ragionare e agire con lucidità. Aveva già dato di matto abbastanza quando si trovavano dallo Stregone, quando aveva tentato di ucciderlo, perché lui l’avrebbe ucciso sul serio se Yuzo non l’avesse fermato e gli avesse fatto riacquistare un filo di obiettività. Il suo raziocinio era andato a puttane, il suo distacco, a volte quasi freddo, era andato a puttane con lui e adesso si intestardiva a mantenere un controllo che non aveva, che non sentiva. Sapeva solo che Teppei stava morendo. Stava morendo e lui non era al suo fianco. Stava morendo e non poteva salvarlo. Stava morendo e lui stava correndo dietro a un fottuto serpente.
    D’un tratto si fermò, un piede in acqua e l’altro sulla riva; la mano appoggiata a un tronco ricurvo. Assaporò l’amaro della realtà in tutta la bocca e lungo la gola.
    Teppei stava morendo.
    L’amico di una vita, quello insostituibile; il fratello che poteva essere l’altra metà di sé stesso. Quello che era convinto restasse al suo fianco fino alla fine dei suoi giorni. Quello che si ritrovava a consolare, a rimproverare, con cui aveva passato le notti a parlare di tutto e che avrebbe sempre capito, sempre, anche quando faceva lo stupido e l’irresponsabile.
    Teppei. Il suo.
    “Che farò?” La voce gli uscì spezzata. Stava piangendo e non se n’era nemmeno accorto. “Che farò se ti dovessi perdere? Che ne sarà di me? A questo non hai pensato? Eh? Non hai pensato… a me?” Si morse il labbro inferiore, chinando il capo, e il ciuffo ribelle gli coprì gli occhi al momento opportuno. “Non puoi farmi questo… non puoi…”
    La mano si serrò attorno al tronco, strappandone la corteccia con rabbia.
    Non gli avrebbe mai permesso di andarsene in quel modo e lasciarlo da solo, a patire la mancanza.
    Ringhiò, tirando un pugno all’albero e imprimendovi il segno delle nocche. La solidità del legno gli fece prendere nuovamente contatto con la realtà e con la sua razionalità. Alzò la testa e si mosse per mettersi alla ricerca di quel maledetto serpente.

    Sollevò l’ennesima pietra, ma non trovò nulla.
    Mamoru cominciava a perdere le speranze.
    Era da troppo, ormai, che stava cercando, setacciando la boscaglia senza cavare un ragno dal buco o un serpente dalla tana, in quel caso. E nonostante i guanti e il cappotto pesante, iniziava a sentire l’acuirsi dei brividi di freddo tra le spalle, per non parlare delle mani che si erano fatte gelide.
    La Fiamma sfilò un guanto e soffiò nel palmo. La pelle assorbì del tutto il calore del suo fiato, ma non era sufficiente.
    Dee, quanto avrebbe voluto avere il volante al suo fianco, in quel momento. Gli sarebbe bastato toccarlo per un momento e-… Scosse il capo, rimproverando sé stesso per la propria debolezza. Non voleva sfruttare Yuzo ancora di più, era fuori discussione, e se l’era già ripromesso.
    Infilò nuovamente il guanto e si guardò intorno. Aveva cercato negli anfratti, sotto le sporgenze di roccia, alla base degli alberi e dei ceppi. Niente serpenti. O, almeno, niente zaikotti.
    Se davvero erano in grado di percepire la magia attraverso la pietra che avevano sulla fronte, allora avrebbe dovuto di sicuro aver sentito la sua. Ma se l’avesse scambiata per una magia ostile?
    Sbuffò, passandosi una mano nei capelli. Correre dietro a una serpe che, tra l’altro, come animale gli faceva pure schifo, non era proprio l’ambizione della sua vita, ma non poteva fare altrimenti, se voleva salvare Teppei. Questo, Mamoru lo sapeva, perciò continuava a cercare, a sollevare rami e foglie, a frugare tra i cespugli e a camminare sotto i costoni di roccia alla ricerca anche solo di una traccia, come la muta della pelle, senza fermarsi nonostante il freddo lo azzannasse in morsi leggeri e mirati, taglienti.
    Era arrivato alle pendici di una delle vette più basse della parte esterna del Nohro, si staccava dal sistema principale creando una specie di braccio circolare, che racchiudeva la conca delle paludi. Aveva un taglio netto, scalabile solo con corde e picconi o volando. La roccia era nuda e alla sua base aveva tane di animali, nelle caverne naturali.
    Mamoru continuò a camminare immergendosi nuovamente verso le fronde. C’erano querce e faggi; s’alternavano in maniera irregolare, ma per fortuna erano meno intricate di quelle che aveva attraversato assieme ai suoi compagni; quella parte delle Lulha, proprio perché chiusa dalle montagne e ricca di paludi, era cresciuta più rada e questo tornava un po’ a suo vantaggio, poiché gli permetteva di cercare meglio. Allo stesso modo, per avere una maggiore libertà di movimento, aveva lasciato il cavallo verso l’esterno della foresta, per poter passare anche per gli anfratti meno agevoli senza doversi curare dell’animale.
    Si fermò accanto a una quercia e fece per chinarsi a controllare la presenza di serpenti quando i brividi lungo la schiena si acuirono di colpo.
    Le labbra di Mamoru si tesero, mentre lo sguardo si faceva attento nello scrutare tra fronde e cespugli.
    Aveva già provato quei brividi improvvisi e se aveva ragione a breve avrebbe dovuto sentire anche uno spiacevole fischio alle orecchie.
    Arrivò l’attimo dopo che l’ebbe pensato, facendo allertare tutti i suoi sensi.
    La Fiamma rimase immobile perché, da qualche parte, molto vicino a lui, erano in transito degli Stregoni. Certo che la zona pullulava di Magia Nera; altro che serpenti e zaikotti, quei maghi da strapazzo, lì, crescevano come funghi.
    L’udito si tese, catturò ogni suono, anche il più piccolo: il fruscio delle fronde, un verso lontano, il suo stesso respiro.
    Lo spezzarsi d’un ramoscello.
    Nel preciso istante in cui spiccò il balzo, una raffica di piccole sfere infuocate abbandonò le sue mani disperdendosi tutt’attorno alla sua figura. Per contro, un’altra sfera, nera, emerse dal nulla e ne contrastò e divorò un paio.
    Era lo stesso incantesimo che aveva osteggiato il suo nel loro primo scontro con gli Stregoni.
    “Ma guarda un po’ cosa abbiamo qui.”
    Quella voce, Mamoru la riconobbe subito; era l’unica che aveva udito dei tre maghi.
    Si volse e questa volta fu una figura intera a spuntare da dietro gli alberi. Media statura, capelli castani e sopracciglio inarcato con divertimento sull’espressione poco rassicurante.
    “Il cane” disse la Fiamma, stringendo lo sguardo.
    Quello sorrise. “Ci rivediamo prima del previsto, Elemento. Hai ancora i segni del bacetto che ti ho dato?”
    Mamoru stette al gioco. Nel palmo già pronta un’altra sfera. “Tsk. Dovrai fare di meglio, se vuoi sperare di farmi male, sacco di pulci.”
    L’altro ammiccò e incrociò le braccia. Aveva l’aria di chi sapeva avrebbe vinto lo scontro e Mamoru si rese conto di non poterlo smentire perché, ne era certo, il cane non era da solo.
    Con la coda dell’occhio, la Fiamma inquadrò altre due figure che emergevano dalla boscaglia, alle sue spalle. Era in trappola ed era in minoranza. Questa volta non sarebbe stata affatto una passeggiata.
    “Tutto solo?” Una voce più sottile gli si rivolse e Mamoru la associò al più basso del trio. “Dove hai lasciato i tuoi amici? Il conto lo abbiamo in sospeso anche con loro.”
    “Di sicuro quello di Terra sarà già morto” sentenziò quello più grosso e Mamoru pensò che sarebbe stata una catastrofe se avessero trovato anche Hajime: nel pieno di uno scontro non avrebbero mai fatto in tempo a recuperare lo zaikotto che serviva per salvare Teppei.
    Non poteva fuggire, ma avrebbe dovuto trattenerli il più a lungo possibile per permettere al compagno d’Acqua di muoversi indisturbato. Era arrivato il momento di tirare fuori tutto ciò che aveva imparato a Fyar, ma non sarebbe stato facile con la febbriciattola che ancora lo attanagliava.
    Ghignò. Era nella situazione peggiore possibile: cosa chiedere di più al suo spirito combattivo per dare il meglio?
    “Eh, già. Solo soletto, ragazzi.” Le sfere si moltiplicarono nei palmi; pronte per essere lanciate. “Che dite? Mi fate compagnia?”

     


    [1]HIROYUKI SHIBASAKI: ve lo ricordate? E' il medico che cura Taro Misaki durante il World Youth, dopo che il giovane si era ferito per salvare Yoshiko dal solito camion folle vagante per le strade di CT XD. Shibasaki non si è mai dimostrato troppo 'dolce di sale', come suolsi dire dalle mie parti, ma sempre molto severo e rigido. Si scioglie un po' solo nel Golden23, dove lo vediamo assieme alla sua famosa assistente di cui ignoro completamente il nome (XD) e che ho ribattezzato Deva. (The Doctor: *clicca qui*. L'Assistente: *clicca qui*)


    …Il Giardino Elementale…

    Ops.
    Houston, abbiamo un problema.
    XD e io aggiungerei anche 'grosso'. XD Insomma, doveva esserci un motivo se questo capitolo si intitola "All'ultimo respiro", o no? Ed è solo l'inizio. XD
    Io non sono cattiva, sono solo un po' sadica. I personaggi ormai si sono abituati a tutto questo, la prendono come viene, anche perché non possono fare altrimenti. X3 E poi, che mondo sarebbe senza drama e angst?! *ride*
    La faccenda si complica, dunque, con la vita di Teppei appesa a un filo, Hajime a un passo dalla disperazione e Mamoru impegnato in un face-to-face con ben tre stregoni alla volta. E Yuzo?
    *ride* Staremo a vedere.

    Al solito, il mio ringraziamento va a tutti voi che continuate a stare dietro a questa storia infinita - che forse sta vedendo la fine XD -. Ho iniziato qualcosa del capitolo 15, ma proprio qualcosissima, ergo, ci vorrà tempo per finirlo e Aprile non mi sarà molto propizio tra viaggi vari. Farò quello che potrò, ma stavolta non assicuro nulla anche se non ho mai saltato gli aggiornamenti anche quando credevo di non farcela. In questo caso, credo proprio che non sarò puntuale. Mi spiace. :(


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 40
    *** 14 - All'ultimo respiro - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 14: All'ultimo respiro (parte III)

    Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro Sud, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Come gli aveva già accennato il Naturalista, Yuzo non faticò a trovare le foglie di cui l’uomo aveva bisogno. I cespugli di caglio(1) e blupleurum(2) crescevano molto rigogliosi, così come quelli di bocca di lupo(3) e lui ne prese in abbondanza.
    Quando ritornò alla casa, Shibasaki aveva quasi finito di applicare un impasto di acqua, fango e non sapeva che altro sulla spalla di Teppei, dove c’era la ferita.
    Hiroyuki gli rivolse un’occhiata fugace quando sentì la porta aprirsi. Scorse la sua espressione preoccupata e sospirò, spiegando cosa stesse facendo. “Acqua per reidratare i tessuti, terra per cicatrizzarli. Essendo un Elemento di Tyran, bisogna usare cure specifiche.”
    Yuzo annuì pur senza rispondere e si sentì leggermente più sollevato nel sapere cosa ci fosse dietro al suo operato. Si stava sforzando di fidarsi di quell’uomo, ma fissava ogni suo gesto con attenzione, per non scorgere mosse false o tradimenti improvvisi che potessero mettere ancora di più in pericolo la vita di Teppei, già appesa a un filo.
    “Deva, prendi le erbe. Venti per ciascuna pianta, mettile a bollire con acqua, quattro gocce di distillato di tricaudato e sangue di golkorhas.”
    L’assistente si mosse svelta, prendendo le erbe dalle mani di Yuzo e pulendone i rami per staccarne la quantità richiesta. Dopodiché, uscì svelta per preparare il calderone e il resto.
    “Posso fare qualcos’altro?” domandò il volante. Detestava dover rimanere con le mani in mano.
    “Sì, sederti e dirmi che diavolo ci fanno quattro Elementi di scuole diverse, insieme, al Sud.” Shibasaki aveva finito di applicare la fanghiglia medicamentosa sulla spalla di Teppei e si stava lavando le mani per preparare la pozione che avrebbe rallentato gli effetti dell’avvelenamento. Accennò una specie di sorriso ironico. “E non dirmi che siete amici di vecchia data in vacanza di piacere.”
    “Non posso rivelarlo, mi dispiace.”
    Hiroyuki lo inquadrò con la coda dell’occhio, la lente riflesse un piccolo bagliore esterno. Il sorriso più teso e quasi divertito. “Non puoi o non vuoi?”
    Yuzo non mentì. “Non voglio.”
    L’altro si strinse nelle spalle, sfregando bene la pelle per togliere il fango già indurito. “Non ti fidi, fai bene, ma non dimenticarti che sto curando il tuo amico.”
    “Non posso esser certo nemmeno di questo, che lo curerete davvero.”
    Shibasaki sbuffò un sorriso e si asciugò le mani su un pezzo di stoffa. Prese mortaio e pestello e strappò altre quattro foglie di ciascuna pianta. Le lavò con cura, le asciugò nello straccio e poi le spezzò, mettendole nel mortaio. Da un barattolo prese della polvere scura che Yuzo non seppe identificare, ma che emanava un odore pungente.
    Shibasaki ne mischiò una manciata alle foglie e aggiunse un paio di bacche rosse, anche quelle sconosciute al volante che seguì ogni suo movimento senza dire nulla. Poi, si mise a pestarle per bene.
    “Almeno chi ha ridotto così il vostro amico posso saperlo? Giusto per curiosità, magari lo conosco.” Tornò a guardare l’Elemento di Alastra con aria di sfida e divertimento; il vecchio retaggio che faticava a morire.
    Yuzo si disse che almeno quello avrebbe potuto concederglielo, anche se non gli piaceva quello sguardo, lo trovava irritante. “Erano in tre, ma non sotto le loro vere sembianze. Credo che uno di loro si chiamasse Sakun.”
    “Sakun?” Hiroyuki lo guardò da sopra gli occhiali e poi fischiò. “I fratelli Konsawatt. Siete stati fortunati se solo uno di voi è ridotto così male; già è tanto se non ci è ancora scappato il morto.” Il pestello in agata spezzettava e mischiava verde di foglia con grigio e rosso. “Quei tre sono pericolosi, che vi è saltato in mente di battervi con loro? Non mi sembrate affatto maghi esperti.”
    Colpito e affondato. Shibasaki lo capì dal modo in cui Yuzo distolse lo sguardo per un attimo, prima di tornare a guardarlo.
    “Ce li siamo trovati davanti all’improvviso. Non ci saremmo lanciati in un combattimento senza avere almeno un piano, ma loro sono sbucati inaspettatamente e noi-”
    “Non avete mai lottato contro degli Stregoni, non è così?”
    Yuzo assottigliò lo sguardo, valutando fino a che punto poteva sbottonarsi; dopotutto, chi gli diceva che non avrebbe comunicato informazioni preziose su di loro ai suoi compagni Stregoni?
    “Saperlo non vi cambierà la vita, e se comunque tre di noi ne sono usciti illesi, significa che non siamo poi così tanto inesperti. Né da sottovalutare.”
    Un mezzo ghignetto tese le labbra del Naturalista. “Attento a ogni parola, vedo. Tattici e cerebrali, come avevo sentito dire. Ma puoi anche rilassarti, ragazzino, non sono una spia, dopotutto non sono nemmeno più uno Stregone.”
    “A questo proposito…” Yuzo assottigliò lo sguardo e il tono aveva assunto la sfumatura guardinga di chi stava sondando il terreno. Cercava di carpirgli informazioni, Hiroyuki se ne accorse, e forse gli aveva anche un po’ esposto il fianco per permettergli di pungolarlo. “…tre Stregoni alla fine del Nohro, con voi fanno quattro. Un po’ troppi, dopo che non ne abbiamo visti per quasi un anno di viaggio.”
    Lui cercò di sviare il discorso, ma Yuzo non si distrasse. “Addirittura un anno, però, bel viaggetto.”
    “Si dice che al Sud vi sia una importante base dell’AlfaOmega, ma nessuno è mai riuscito a trovarla.” Finse di spostare lo sguardo senza però perderlo nemmeno per un attimo attraverso la vista periferica. “Chissà, magari ci siamo vicini.”
    “Ti ho già detto che non sono più uno Stregone” tagliò corto Shibasaki e capì d’aver risposto con troppa fretta. Aveva sbagliato.
    “Sapete dov’è e non è lontana.”
    Il medico interruppe ciò che stava facendo, fissando il miscuglio che aveva nel mortaio pur senza vederlo; il tono dell’Elemento era fermo, eppure avvertì nettamente un filo di agitazione nelle sue parole.
    “Se è così, vi prego di dircelo, potrebbe essere importante.”
    “Sì, e magari vi ci debbo anche accompagnare?” sbottò con sarcasmo, sollevando lo sguardo su di lui; un sopracciglio inarcato, il tono sulla difensiva. Non era più lui a gestire quella specie di reciproco interrogatorio, ma il giovane che l’Elemento con i capelli neri e lunghi aveva chiamato Yuzo.
    “Perché avete smesso di essere uno Stregone?” domandò quest’ultimo a un tratto e lui strinse il pestello con forza.
    “E tu perché sei così ostico con me?” domandò di rimando. “Guarda che l’ho capito che non ti vado a genio e non perché io sia solo uno Stregone.”
    “Non mi avete risposto” sorrise il volante e l’altro riprese a pestare con forza, tornando in silenzio.
    Era insopportabile essere messo nel sacco da un dannato ragazzino! Maledetti Elementi d’Aria!
    Shibasaki si ammonì e in un guizzo di irritazione il lampo del tradimento balenò come un vecchio ricordo lontano: avrebbe potuto finire di uccidere quello stupido Elemento di Terra dando la colpa al veleno di Rankesh e nessuno se ne sarebbe accorto, ma mentre lo pensava, una fitta dolorosa lo stilettò al ventre e poi al cuore.
    Shizuru avrebbe pensato che fosse tornato il vigliacco Stregone che era stato un tempo e l’avrebbe maledetto una volta di più dall’alto del Paràdeisos. Rallentò i movimenti, quasi non vedesse più ciò che faceva. Sollevò appena lo sguardo sul giovane moribondo e rivide l’espressione determinata e disperata del suo amico Tritone.
    Nella Terra e nell’Acqua avrebbe trovato le risposte.
    Ma a quali domande?
    E sarebbero state le risposte giuste?
    Hiroyuki fissò il viso contratto di Teppei e pensò a come il Tritone si fosse fidato delle sue parole, quando gli aveva detto di andare alle paludi per cercare lo zaikotto.
    Fiducia.
    E Teppei che rimaneva aggrappato alla vita con ogni brandello di anima, nella speranza che i suoi amici lo salvassero.
    Speranza.
    Fiducia e speranza. Erano queste le risposte?
    Fiducia in sé stesso, che era stato uno Stregone e aveva tentato d’essere un Naturalista per cambiare la propria vita e salvare gli altri.
    Speranza di poter ancora essere utile in qualche modo.
    Poteva ancora credere nelle proprie capacità?
    Poteva essere perdonato per aver fallito?
    Queste erano le domande.
    E Shizuru gli aveva sempre detto che se non si dava niente, non si riceveva niente.
    Hiroyuki  finì di pestare il composto che ormai era polvere fine.
    “Sei mai stato innamorato?” Lo domandò così all’improvviso che Yuzo rimase spiazzato. “Innamorato?” fece eco il volante rendendosi conto solo allora di non poter rispondere perché non lo sapeva.
    Cosa intendeva con ‘l’essere innamorato’? Lui amava suo padre, amava i suoi fratelli d’Aria, i suoi amici. Le phaluat. O forse, parlava di un amore diverso, come quello che magari era esistito tra i suoi genitori?
    Ci pensò, mentre l’altro continuava.
    “Sì. Quando sei convinto che la tua vita non possa cambiare e poi ti ritrovi davanti una persona che te la stravolge in un attimo.”
    La vita stravolta…
    “Una persona che ti capisce così tanto che, a volte, non hai nemmeno bisogno di dire nulla.”
    Yuzo drizzò la schiena, lo sguardo fisso in un punto, l’espressione tesa.
    “Una persona che riesce a farti sentire a casa ovunque ti trovi.”
    Lo sguardo del volante saettò per incrociare quello dello Stregone con perplessità e forse anche sconcerto, perché l’uomo aveva appena descritto…
    “Vedo che hai capito cosa intendo” sorrise Shibasaki mentre Yuzo sentiva d’essere arrossito di colpo. L’uomo si appoggiò al mobile alle proprie spalle. “E’ stato per questa persona se ho lasciato la Magia Nera. Ho lasciato l’AlfaOmega, correndo il rischio d’essere ucciso perché non si abbandona la gilda come se niente fosse. Però avevo molte conoscenze tra gli Stregoni che contavano, con la mia magia ne avevo salvati svariati, e quindi loro intercedettero affinché venissi lasciato in pace, tanto non sarei stato un problema. Mi controllarono per un po’, e quando si resero conto che, effettivamente, non gli sarei mai stato d’intralcio, si disinteressarono a me.” Hiroyuki tirò un profondo sospiro, poi si mosse. Prese un’ampollina con dell’olio grigio e ne versò una goccia nel mortaio, riprendendo a mischiare il composto che iniziò ad amalgamarsi e divenire una pasta. “Fu per lei che divenni un Naturalista. Mi convinse che la mia magia, se ben utilizzata, avrebbe potuto essere utile agli altri, avrebbe potuto convivere nello stesso mondo di quella elementale, bastava solo non esagerare. E stava andando bene. Le mie conoscenze furono preziose per riuscire a compensare gli incantesimi con le scienze mediche. Andava tutto liscio.” Il pestello veniva brandito con più forza e vigore.
    “E poi che è successo?”
    “Ho sbagliato una cura, ho perso una paziente.” Hiroyuki sollevò lo sguardo, gelido e carico di amarezza e rimpianto, di colpa e di fallimento. “E quella paziente era lei.”
    “Per questo avete smesso anche di essere un Naturalista” concluse il volante.
    “Per quelli come me non c’è spazio in nessuna parte del mondo. Una volta Stregone si è destinati a esserlo per sempre, ed io che l’ho rifiutato, ormai non sono più nulla.” Hiroyuki guardò il composto e parve soddisfatto della consistenza. “Adesso dovrò usare un incantesimo di Magia Nera, se non ti spiace.”
    Yuzo annuì, appena. “Basta che non lo applichiate su di lui.”
    L’altro accennò un sorriso, stranamente rassicurante. “No, sta’ tranquillo.”
    Mentre gli vedeva sollevare una mano sul mortaio e masticare formule incomprensibili, Yuzo si ritrovò a valutare le parole dell’uomo e convenne che erano sincere. Non nascondevano nessun tentativo di menzogna o raggiro: quello Stregone aveva davvero provato a essere una persona qualunque, un medico. Forse poteva fidarsi.
    Dal mortaio, Yuzo gli vide estrarre quella che sembrava una pillola. Con i suoi poteri aveva modificato la forma del composto, plasmandola per compattarla in qualcosa di facilmente assimilabile. Gliela vide mettere da parte.
    “E tu, invece? Che problema hai? T’abbiamo ammazzato il gatto?” Il sorriso si fece nuovamente ironico.
    Shibasaki non si aspettava che l’Elemento gli rispondesse sul serio, aveva buttato lì la domanda solo per cambiare argomento, ma quando l’altro parlò si volse a guardarlo, con attenzione e serietà.
    “Durante il viaggio ho incontrato un uomo, un Naturalista, con le manie da Stregone. Non lo era davvero, altrimenti avrei dovuto avvertirlo come è accaduto con voi. Era solo un emule pazzo, ma attraverso un oggetto lavorato con siero di Rankesh, è riuscito a sottomettere la mia volontà costringendomi a uccidere decine e decine di persone.”
    Sul suo viso, l’uomo lesse uno sguardo rassegnato. In quel momento ebbe come un’intuizione che gli fece stringere gli occhi e sollevare un sopracciglio, con sorpresa. “Sei il mostro di Sendai?”
    Quella frase lo ferì, visibilmente; Shibasaki lo poteva leggere nel modo affranto in cui aveva piegato le labbra in una specie di sorriso.
    “Mi chiamano così? Capisco.” Yuzo abbassò lo sguardo e poi lo spostò altrove, girando il viso.
    Lui tirò un lungo respiro. “Mi erano giunte delle voci, mesi fa, ma non erano molto precise. Ero ancora dall’altra parte del Nohro. Ci vado periodicamente per fare rifornimento; una delle ultime volte, prima d’allora, ho anche incontrato il Principe Ozora.”
    Il volante tornò a guardarlo, l’espressione improvvisamente attenta. “Il Principe?”
    “Sì.”
    “Quanto tempo fa?”
    Hiroyuki incrociò le braccia, tirando gli occhiali sul naso con fare pensieroso. A mente fece un rapido calcolo. “Più di un anno sicuro. Era in procinto di attraversare il Nohro, ma a quanto sembra non lo ha mai passato.”
    Yuzo si fece dappresso al tavolo su cui era sdraiato Teppei e si appoggiò al legno con foga. Forse avevano finalmente trovato il punto in cui il Principe era scomparso. “Che volete dire?”
    “Beh, sapevo che il Principe sarebbe dovuto passare per Hemur e poi muoversi alla volta del Dogato di Nankatsu, ma a quanto sembra non si è mai fatto vedere da queste parti. Me lo hanno riferito sia gli abitanti della città che la mia assistente.” Shibasaki assottigliò lo sguardo, studiando le reazioni dell’Elemento: sembrava preoccupato.
    “Siamo sulle tracce del Principe” confessò Yuzo. “Oltre a non essere arrivato a Hemur, Vostra Altezza non è mai tornato a Raskal.”
    Hiroyuki sgranò gli occhi, disincrociando le braccia e cambiando postura. “Che cosa?”
    “Noi siamo stati mandati alla sua ricerca. Abbiamo ripercorso tutto il tragitto compiuto dal Principe per capire cosa gli fosse accaduto e cercare degli indizi che ci permettessero di ritrovarlo sano e salvo. Ma se voi mi dite che era arrivato al Nohro, ma non lo ha mai oltrepassato, allora abbiamo appena trovato il luogo in cui è scomparso.”
    “Eh, no, un momento! Se è scomparso nella zona del Nohro significa che-” Il Naturalista tacque all’improvviso, completando solo mentalmente il proprio ragionamento. Fu Yuzo a dargli voce.
    “Significa che è stato rapito dagli Stregoni, qui, dove hanno il loro avamposto principale nelle Terre del Sud.”
    Shibasaki strinse i pugni, distogliendo lo sguardo: non poteva essere che così.
    “Per favore, voi sapete come raggiungerlo! Aiutateci!”
    Yuzo si era proteso in avanti, cercando il suo appoggio, ma lui non sapeva che fare. Quando aveva lasciato la Stregoneria l’aveva fatto solo per vivere in pace, ma se avesse rivelato l’ingresso della base avrebbe tradito i suoi compagni e lui… lui non era un traditore, in fin dei conti.
    Ma non era ancora il momento di prendere una decisione, così scosse il capo, sfregando le mani e prendendo la medicina.
    “Occupiamoci di una questione alla volta, ragazzo, e la priorità, adesso, è di curare il vostro compagno. Sei d’accordo?”
    Yuzo annuì, significava che comunque il discorso non era concluso del tutto e adesso che finalmente sapevano dove cercare, avrebbe potuto aspettare di avere tutte le spiegazioni del caso.
    Poco dopo, l’assistente rientrò con una ciotola piena di brodaglia calda; le foglie galleggiavano sulla superficie assieme agli altri componenti dell’intruglio finale che Teppei avrebbe dovuto bere.
    Shibasaki le fece cenno di poggiarlo sul ripiano da lavoro e prese colino e bicchiere. Filtrò il composto e ordinò alla giovane di farlo bere lentamente al paziente, mentre lui gli teneva la testa.
    “Dopo lo sposteremo nel letto, starà più comodo” disse l’uomo, la pillola nella mano e il capo di Teppei nell’altro braccio, per tenerlo su.
    Yuzo si fece da parte per non essere loro d’intralcio. Si avvicinò alla finestra, spostandone le tende per guardare l’esterno e cercare di ordinare i pensieri. In quelle poche ore erano venute fuori più cose di quelle che avrebbe mai potuto credere. Avevano trovato il Principe, rischiavano di perdere Teppei e lui si era trovato, inaspettatamente, a fronteggiare un concetto su cui non si era mai fermato a pensare.
    L’Amore.
    Quella parola tornò per portargli altri significati, diversi, che però sembravano incastrarsi alla perfezione con ciò che lui non era ancora riuscito a capire di sé stesso.
    Shibasaki aveva parlato di vita creduta immutabile e poi stravolta, di comprensione senza la necessità di parole, di sentirsi a casa ovunque.
    Aveva parlato di quello che lui provava quando era con Mamoru.
    La stessa intesa immediata, lo stesso benessere, lo stesso cambiamento di abitudini che però non spaventava, ma anzi gli aveva aperto un mondo nuovo davanti che non gli aveva mai fatto rimpiangere il vecchio, nemmeno per un momento.
    Era da quando si erano fermati a Ghoia che se lo domandava e forse ora poteva provare a rispondersi.
    Cos’era quello?
    Amore.
    Cos’erano loro? O era meglio dire: cos’era lui?
    Innamorato.
    Innamorato di Mamoru.
    Era strano, ma era sempre stato sicuro che lo avrebbe riconosciuto, l’avrebbe capito all’istante se si fosse mai innamorato. Era convinto che avrebbe dovuto sentirsi il cuore pieno di emozioni fino a esplodere e invece era solo confuso. Perché non sapeva dire quanta paura gli facesse l’idea di veder spezzata l’amicizia che aveva con la Fiamma. Quel legame unico ed esclusivo, che non aveva con nessun altro. Se avesse detto a Mamoru una cosa simile, di essere innamorato di lui, sarebbe stata una catastrofe: il giovane di Fuoco rifuggiva i legami, come avrebbe potuto sbattergliene in faccia uno così importante e sperare che non sarebbe cambiato nulla tra loro? Che sarebbe comunque rimasto al suo fianco come gli aveva promesso?
    Ed egli stesso… sarebbe stato disposto ad accettare che tra loro potesse esserci solo amicizia e null’altro?
    Mamoru non gli aveva mai detto cosa pensava di lui, dopotutto. Le sopracciglia si aggrottarono e il sorriso si fece mesto. Forse credeva che fosse ancora uno stupido volante?
    A conti fatti, non aveva proprio idea di cosa pensare.
    Quando ci si innamorava si era felici, era stato sicuro anche di questo: che sarebbe stato felice. E allora perché si sentiva così preoccupato e in ansia?
    Timoroso di perdere Mamoru se avesse infranto il loro equilibrio, timoroso di vederlo allontanarsi, di perdere il calore del suo fuoco che bruciava in ogni parte di quello spirito ribelle e sfrontato.
    D’un tratto capì cosa ci fosse dietro la sensazione di necessità.
    Ma se quello era amore, allora cos’era stata quella sensazione caldissima che aveva provato quando si erano trovati a Sithe e Mamoru lo aveva toccato in quel modo?
    Con un gesto deciso, Yuzo scosse il capo per scacciare qualsiasi altro pensiero diverso dalla guarigione di Teppei. Non poteva permettersi di pensare ad altro, non in quel momento.
    Svelto si allontanò dalla finestra, rivolgendosi al Naturalista. “Non avete più bisogno del mio aiuto, giusto?”
    “No” scosse il capo Shibasaki, fissandolo da sopra gli occhiali.
    “Allora vado a raggiungere i miei compagni; altre due braccia e occhi possono sempre servire.” Senza attendere una risposta, lasciò la casa di corsa per poi spiccare il volo in direzione della palude.
    Hiroyuki osservò la porta chiusa, tirando un profondo sospiro e quasi invidiando quella incredibile forza d’animo che ognuno di quei giovani aveva dentro di sé. La forza di chi non si sarebbe mai arreso.
    “Dottore, guardi!”
    La voce allarmata di Deva gli fece muovere lo sguardo ed emettere un ringhio. “Dannazione!”
    “Che sta succedendo?” La giovane osservò prima il medico e poi il piede dell’Elemento la cui pelle era divenuta di pietra.
    Shibasaki lo prese dalle mani dell’assistente che ancora lo reggevano, dopo avergli tolto lo stivale, e lo appoggiò sul tavolo, con movimenti calibratissimi e lenti.
    “Si sta pietrificando.”
    “Che significa?”
    L’uomo la guardò, l’espressione tesa. “Che sta morendo” disse senza mezzi termini. “Quando gli Elementi di Terra muoiono, il loro corpo diventa di pietra per ricongiungersi al loro elemento principale. Lo dice anche il motto della loro scuola: ‘Il nostro destino è scritto nella polvere’. Basta un niente per mandarlo in frantumi per questo è impossibile spostarlo, al momento.”
    Deva si portò una mano alla bocca, spaventata. “Quanto tempo gli resta?”
    “Non lo so, ma se la pietrificazione dovesse arrivare al cuore… non ci sarebbe più niente da fare.”
    “E quei ragazzi…”
    “Dobbiamo sperare che facciano in fretta.” E in quel momento, Shibasaki si trovò a sperare, addirittura pregare, che la lotta degli Elementi non fosse vana.

    Volò sfrecciando sopra le fronde boschive, per avere una maggiore visuale del percorso da compiere. Dall’alto, non aveva bisogno di cartelli.
    Da un lato riusciva a scorgere la foresta diradarsi, segno che da quella parte doveva esserci la palude, mentre dalla parte opposta, la vegetazione si infittiva, correndo lungo il perimetro delimitato dalla montagna che non era niente più di un enorme costone di roccia nuda e irta, con i picchi innevati.
    Yuzo stava per prendere la via che conduceva alla palude, quando vide uno stormo di uccelli levarsi all’improvviso a seguito di rombo cupo. Poi, tra le fronde, si levò del fumo.
    Il volante si bloccò rimanendo in volo e scrutando da quella parte con attenzione. Anche se era piuttosto distante, gli parve di percepire della magia ostile nell’aria, molto attenuata, ma non ne era sicuro.
    Poi, un altro boato e della polvere, altri uccelli e di nuovo del fumo.
    Yuzo planò scendendo a una quote minori e guardandosi attorno. Trovò un piccolo crocevia e lo raggiunse, fermandosi nel suo centro. Un cartello logoro indicava la direzione per le paludi.
    Cercò di concentrarsi, per riuscire a percepire eventuali voci trasportate dal vento, ma gli giunsero solo suoni più o meno forti di qualcosa che andava in frantumi, di incantesimi lanciati e stridere d’uccelli spaventati.
    Infine, delle frasi.

    “…ma come? Non ti si sono ancora sedati i bollenti spiriti?”
    “…fottiti…”

    Fruscii più vicini di animali, il contatto venne interrotto. E se la prima voce gli era parsa sconosciuta, la seconda, per quanto debole e sussurrata, non avrebbe mai potuto confonderla con nessun’altra.
    Yuzo aprì gli occhi, puntandoli in direzione del costone di roccia.
    “Mamoru…”

    Hajime era fradicio, completamente.
    Gli abiti zuppi, i capelli attaccati al viso.
    Con un gesto secco si tolse una sanguisuga dal collo gettandola nuovamente nella pozza da cui era emerso. Le branchie si richiusero, ma senza scomparire. Non aveva trasformato le gambe in coda poiché gli acquitrini erano troppo bassi ed era inutile mutarsi completamente in Tritone, bastava immergersi e affondare il viso nelle acque torbidi per riuscire a vedere sul fondo.
    Ma tutte le sue ricerche si erano rivelate infruttuose e Hajime stava per esplodere. L’emicrania batteva contro le tempie allo stesso ritmo del cuore e il respiro era andato serrandosi a ogni momento che passava e si ritrovava solo con un pugno di mosche tra le mani.
    Non poteva continuare così, setacciando a vuoto quelle acque fangose senza riuscire a trovare niente, nemmeno la più piccola traccia di quel maledetto animale.
    Un serpente.
    Aveva bisogno di un banalissimo serpente.
    Perché non riusciva a trovarlo? Perché le Dee sembravano avergli voltato le spalle proprio nel momento in cui aveva più bisogno di loro?
    Per quanto Elemento, era raro che si rivolgesse alla Divina Yoshiko con le sue preghiere; lo faceva solo in caso di necessità estrema perché per il resto aveva sempre teso a cavarsela da solo, senza aver bisogno di chiedere aiuto a una qualche entità superiore; fosse solo con un sospiro. Ma adesso… adesso ne aveva bisogno come mai in vita sua. Aveva bisogno di aiuto, di un segno, di qualsiasi cosa perché da solo non ce la faceva. Non era riuscito a venire a capo di nulla, aveva setacciato tutti gli acquitrini delle paludi, sollevato tronchi sommersi, si era immerso e aveva seguito il percorso dei pesci che si era trovato davanti, così come quello degli anfibi, di rane e rospi, tarantole di paludi e rettili di vario tipo, ma non era servito a niente se non a fargli aumentare il mal di testa e l’ansia verso il tempo che passava.
    Non aveva idea di quanto ne fosse trascorso da che aveva iniziato la sua ricerca e fino a quel momento, sapeva solo – lo sentiva – che era troppo, che era agli sgoccioli, che non poteva tirare ancora la corda, che stava per impazzire. E la testa continuava a picchiare, batteva nell’emicrania incessante ed era così forte che avrebbe voluto spaccarsi il cranio a metà contro una pietra per farla smettere, oppure urlare, urlare con tutta la voce che aveva in corpo per liberarsi della paura accumulata e dell’ansia, del peso delle responsabilità – perché lui si sentiva responsabile verso Teppei – che lo stavano schiacciando; foglia sotto la scarpa di un gigante. Non sapeva ancora con quale forza stesse riuscendo a imporsi di non cedere alle pressioni che sentiva dentro e fuori di sé.
    Tornò a riva, si guardò intorno. L’acqua sporca scivolava da ogni parte del suo corpo, tracciava percorsi sul viso ma non riusciva a offuscarne lo sguardo neanche quando si insinuava tra le ciglia e andava a coprire gli occhi, quest’ultimi restavano aperti e vigili, alla ricerca del più piccolo movimento nel sottobosco.
    Le iridi scure trovarono un’altra pozza, si sarebbe diretto lì, e si ostinò di non chiedersi se non l’avesse già perlustrata perché non se lo ricordava più. Forse sì, forse no, era meglio non rischiare. Lì, poi, sembrava tutto uguale; ovunque si girasse c’era una patina verde che copriva la terra e la superficie delle acque, celandole a una prima occhiata. Odiava le paludi e il loro lezzo malsano, così lontano dalla purezza delle acque di Agadir, ma non avrebbe mai permesso che fosse quello a fermarlo.
    Lentamente si trascinò verso l’acquitrino successivo, gli occhi costantemente bassi per trovare tra l’erba, il muschio e le foglie cadute e divenute poltiglia la vita di quei luoghi.
    Una rana nascondina uscì dalla mimetizzazione saltando su un tronchetto più lontano. Hajime la guardò con occhi gelidi e labbra tese. La rana sembrò fissarlo a sua volta, inclinò la testa e gracidò. Poi tornò a mimetizzarsi con l’ambiente circostante.
    I passi del Tritone producevano uno scalpiccio che cominciava a diventare fastidioso allo stesso Hajime e a ogni movimento che faceva, una creatura delle paludi lo imitava, quasi di riflesso, emergendo da sotto una foglia o librandosi in volo. Al sibilare d’un serpente si volse di scatto, il cuore che batteva velocissimo come il suo respiro, ma quando scorse che si trattava solo di una vipera smeraldo fu l’emicrania a battere ancora di più, mentre espirava sonoramente e tornava a guardare altrove. I passi lo guidarono al bordo della pozza, ma la melma verdognola lo ingannò, facendogli mettere un piede in fallo e scivolare in acqua di schianto tanto da lanciare un’imprecazione e sollevare lo sguardo al cielo. Lì, tra una liana che scendeva da un tronco di faggio e del muschio che sembrava divorare la roccia su cui cresceva, scorse una piccola statua della Divina Yoshiko. La osservò, sospirò e gli venne da ridere. Una risata di quelle ironiche e piene di frustrazione, quasi isterica. Sicuramente esausta.
    “Che altro devo fare?” domandò al piccolo simulacro che rappresentava la Dea seduta su uno scoglio, con le gambe mutate nella bellissima coda di una sirena, i lunghi capelli a coprirle i seni, una mano poggiata al petto e l’altra – palmo rivolto al cielo – indicante le acque. Il viso era inclinato verso il basso, ma sembrava guardare proprio lui. Aveva la bocca leggermente aperta, come avesse voluto parlargli ma, in quel momento, Hajime non vedeva altro che un pezzo di pietra lavorato. Tanto bello, quanto inutile.
    “L’ho setacciata tutta, non prendiamoci in giro.” Sciaguattò un piede nell’acqua, sollevando un’onda. “Anche questo, sicuro, l’ho già controllato. Perché non lo trovo? La mia magia non è ostile… perché non si avvicina? I zaikotti sono… sono serpenti socievoli e affettuosi e allora perché?” rise ancora allargando le braccia. “Che altro devo fare, dimmelo. Devo vendere l’anima a Kumi? Lo faccio, se vuoi, dico sul serio. Sono disposto a fare qualsiasi cosa… qualsiasi… ma fammi trovare quel serpente. Ti supplico…”
    La statua non rispose e Hajime abbassò il capo, scuotendolo adagio. Stava uscendo fuori di testa se si ritrovava a parlare con un pezzo di pietra nella speranza di un aiuto divino.
    “Sono disposto a tutto…” ripeté, rivolgendosi più a sé stesso che a un interlocutore invisibile. “…anche a morire…”
    Pur di salvare Teppei sarebbe arrivato a tanto, perché per lui era tutto. Era sempre stato tutto. Il fratello che non aveva mai avuto, l’amico da cui non si sarebbe mai voluto separare, l’affetto indissolubile che l’avrebbe accompagnato fin dentro la tomba. A conti fatti, si rese conto che anche se da bambini era sempre stato il tyrano a fare i capricci per non andare in scuole diverse, mentre lui si era sforzato di mantenersi più posato e farlo ragionare, chi davvero aveva sentito di più il distacco e la mancanza era stato lui. Quei nove anni senza potersi scambiare neppure una lettera erano stati i più lunghi della sua vita e si era buttato anima e corpo nello studio solo per aiutarsi a non pensare al tempo che passava. E ogni volta che rientrava a Ilar, dentro di sé fremeva perché avrebbe potuto rivederlo, e ogni volta che c’erano delle manifestazioni scolastiche si segnava i giorni sul calendario affinché passassero prima.
    Chi aveva vissuto la lontananza quasi come fosse una punizione divina era sempre stato lui. Aveva solo imparato a nasconderlo bene, dietro la calma e il distacco dell’Acqua che era un tutt’uno compatto e unito. Adesso che rischiava di perderlo per sempre, ogni cosa veniva a galla, come pesci morti, e Hajime continuava a sentirsi come se stesse morendo anche lui, un po’ alla volta, perché non era in grado di salvarlo, perché la vita di Teppei era appesa a un dannato serpente e lui non riusciva a trovarlo. Si sentì inutile.
    La testa continuò a martellare senza pietà, costringendolo ad affondare il viso in una mano per riuscire a concentrarsi quanto bastava per non pensare al dolore.
    “Yoshiko, non abbandonarmi adesso…” mormorò al proprio palmo. Poi un nuovo sibilo gli fece sollevare la testa di scatto. Veniva dalle proprie spalle. Forse questa volta poteva essere lo zaikotto.
    Con gli occhi pieni di speranza si volse, ma le sue aspettative vennero disattese nel peggiore dei modi.
    L’anaconda di palude aveva le fauci spalancate ed erano enormi, ben più grandi di quanto gli erano sembrate sul libro ‘Rettili di mare, fiumi, laghi e paludi’. I denti affilati erano in mostra, pronti per fare di lui il pasto della giornata. Gli occhi piccoli e neri erano fissi nei suoi e Hajime ebbe solo il tempo di sollevare il braccio prima che l’animale lo attaccasse con talmente tanta forza da spingerlo interamente nella pozza.
    I denti si aggrapparono alla carne e facevano un male del diavolo. Hajime gridò sott’acqua, ma i suoi versi vennero assorbiti dal liquido e resi incomprensibili.
    La coda dell’anaconda gli si avvolse attorno alla vita e alle gambe. Aveva letto che potevano raggiungere i quindici metri e quell’esemplare rientrava nella norma, per sua sfortuna.
    Hajime sentì la stretta farsi serrata. Quella bastarda voleva spezzargli le ossa, in modo da poterlo ingurgitare per intero e senza difficoltà. Lui cercò di divincolarsi, afferrandola per il muso, ma l’anaconda iniziò a ruotare in acqua e più si avvolgeva più le spire si stringevano.
    Tutt’intorno all’acquitrino, gli animali erano fuggiti, allontanati dal trambusto del predatore e della preda: pochi momenti e quest’ultima sarebbe stata pronta per essere mangiata, ma questa volta l’anaconda aveva scelto il pasto sbagliato.
    Con gli occhi spalancati e fissi su di lei, Hajime richiamò i propri poteri e l’acqua della pozza si mosse a un semplice comando. Un piccolo mulinello si formò al suo fianco e lui gli diede una consistenza più solida. Con la mano libera, lo indirizzò verso il serpente e affondò il colpo senza nemmeno guardare. L’anaconda spalancò le fauci, mollando la presa; un occhio centrato in pieno e reso irrimediabilmente cieco. Con un guizzo più svelto di quando l’aveva attaccato, si ritrasse e lo lasciò andare, cominciando a scuotere la testa come fosse impazzita. Riemerse in superficie e guadagnò la riva, fuggendo nel sottobosco.
    Hajime rimase immobile sott’acqua, respirando attraverso le branchie. Il braccio gli doleva e lo sentiva intorpidito, ma non era importante, tanto il suo morso non era velenoso. Mosse appena le gambe per sentire se fossero tutte integre e gli era andata bene; lo scontro era durato nient’altro che pochi momenti, l’anaconda non aveva avuto possibilità di arrecargli troppo danno.
    Mentre si lasciava appoggiare sul fondale, Hajime fissava il mondo, oltre la superficie, che tremava tutto e sembrava quasi privo di consistenza, come fosse stato solo un riflesso e il fondo della pozza la realtà. Quel pensiero gli ricordò i tempi di quando lui era piccolo e per sfuggire alla tristezza per la mancanza della sua famiglia e di Teppei correva a tuffarsi nelle acque di Agadir per perdere il contatto con il mondo di superficie e fingere che non esistesse, così non aveva motivo di provare nostalgia. Il mondo vero era solo sotto il pelo dell’acqua.
    In quel momento, si rese conto di essere stanco, stanco morto e senza più energie, totalmente sopraffatto dal senso di sconfitta. Senza più speranza.
    Non c’erano zaikotti in quella maledetta palude, l’aveva setacciata palmo a palmo e non ne aveva trovati. Il suo elemento e le sue preghiere erano andate a vuoto e Teppei se ne sarebbe andato senza che lui avesse potuto impedirlo, nonostante ci avesse provato.

    “E comunque non mi sarebbe successo niente. Ho la mia squama portafortuna, no?”(4)

    Accennò un sorriso, ripensando alle parole del tyrano.
    Non portava affatto fortuna, nemmeno in quello sarebbe stato utile.
    Le labbra assunsero una piega contrita, mentre aggrottava le sopracciglia.
    “Non servo a niente, Teppei…” mormorò nell’acqua in versi incomprensibili per chi non era un Tritone. Strinse gli occhi, sentendo le lacrime abbandonarli e divenire parte stessa dello stagno in cui giaceva. Inspirò a fondo e poi rilasciò tutta la frustrazione accumulata in quell’anno in un pianto liberatorio, urlando sotto la superficie a quel mondo che si trovava dall’altra parte e che voleva prendersi la persona più importante che aveva. Il suo lamento impregnò l’acqua e si diramò, cavalcando le onde, ma lui non era in grado di sentirsi, troppo preso dalla forza di ciò che aveva dentro e che voleva lasciarsi alle spalle, liberarsene e ricominciare, riconquistare di nuovo la determinazione e la lucidità di alzarsi da quel fondo torbido, emergere in superficie e cercare l’antidoto per Teppei.
    Quando aprì gli occhi, gli sembrava di non avere più fiato. La superficie dello stagno era immobile e restituiva spessore e profondità alla terra fuori dalle acque.
    Sospirò, sentendosi incredibilmente meglio. La testa non gli faceva più male. Era da troppo tempo che non si concedeva un momento solo suo per sfogarsi e liberarsi di quei pesi che si accumulavano dentro con l’andare dei giorni. Non ricordava nemmeno quando avesse nuotato, solitario, in qualche fiume o lago. Le coste non le avevano mai toccate durante il loro viaggio e avrebbero continuato a non toccarle nemmeno una volta arrivati alla meta finale, il Dogato di Nankatsu.
    Ora, però, si sentiva più leggero e poteva farcela. Doveva farcela. Se Teppei l’avesse sentito piangersi addosso in quel modo l’avrebbe rimproverato e spronato a non mollare.
    “Sono pronto.” Mormorò, poi girò il viso di lato e gli occhi si sgranarono. Una fila di pesci restava stranamente ferma al suo fianco, guardandolo fisso.
    Hajime si girò dall’altro lato e un’altra fila di pesci restava immobile nella stessa posizione.
    Adagio si sollevò, emergendo in superficie. Gli occhi ancora più grandi e increduli, mentre le gocce d’acqua scivolavano sul suo viso.
    Rane, rospi, uccelli pescatori, insetti, serpenti, anfibi di ogni genere erano schierati ovunque, in circolo attorno all’acquitrino. Lo guardavano come se si stessero aspettando qualcosa: un ordine, un cenno.
    Hajime spostò le iridi scure da una parte all’altra, ruotando la testa in movimenti calibratissimi e lenti un po’ per la sorpresa e un po’ per il timore di spaventarli. Aveva visto solo una volta una cosa simile e l’aveva fatta Magister Levin: i pesci del lago Agadir erano accorsi a un verso che lui, però, non era riuscito a sentire, come fosse a una lunghezza d’onda differente da quelle che gli esseri umani potevano percepire.
    Incantesimo di Richiamo.
    “Ma… lo insegnano solo… a quelli dell’ultimo anno…” mormorò e lui non era ancora un diplomando. Eppure non vi era alcun dubbio, ne aveva appena eseguito uno.
    Gli occhi si spostarono alla statuina della Divina Yoshiko che indicava l’acqua ma guardava lui, ancora, benevola. Differentemente dal comportamento distaccato tenuto dalla maggior parte dei membri della sua scuola, la Dea era rappresentata sempre con tutt’altra espressione, anzi, per lo più, nei grandi affreschi, sul suo volto c’erano sempre le lacrime, limpide, quasi di cristallo. L’immensità delle emozioni racchiusa in una piccola goccia, come la vastità degli oceani.
    Poi, una nota di colore scivolò attorno alla base della statuina e si arrampicò lungo la stessa. Girò attorno alla mano protesa e si acciambellò al centro del palmo. Una nota gialla, luminosa, con una pietra rossa al centro della testa. Una pietra che era valsa l’appellativo di rubinati agli animali che la portavano. E quegli animali erano gli zaikotti.
    L’incantesimo di Richiamo aveva avuto effetto anche su di lui, portandolo a rivelarsi perché non c’era pericolo.
    Lo zaikotto aveva la testa alta e dritta, la spostava da un lato e dall’altro mostrando la lingua biforcuta, poi iniziò a farla schioccare, producendo un suono simile a una risatina. Aveva gli occhi color argento vivo che lo fissavano con attenzione.
    Hajime rimase immobile, non riuscendo a credere a ciò che vedeva. Questa volta nessuna vipera smeraldo o anaconda delle paludi. Questo era uno zaikotto vero, con tanto di pietra sulla testa e colore abbagliante.
    La salvezza. La salvezza di Teppei era a un passo, non doveva far altro che allungare la mano e afferrarla. Ma doveva muoversi con cautela o l’animale sarebbe potuto fuggire via, spaventato, e l’incantesimo di Richiamo si sarebbe potuto rompere all’improvviso. E lui, che non aveva mai gestito una simile magia, non aveva la minima idea di come dovesse agire. Però gli veniva da piangere. Sentì le lacrime pungergli gli occhi e la tensione addentargli lo stomaco. Se avesse sbagliato, questa volta non ci sarebbe più stata speranza per Teppei.
    Lentissimamente allungò una mano verso quella della statua della Dea.
    “Vieni… non ti faccio nulla… promesso.” L’acqua di cui erano ancora intrisi i capelli scivolò lungo il viso, mischiandosi alle lacrime che colavano dall’occhio non coperto dal ciuffo. “Avvicinati, non avere paura… ti ho cercato… così tanto.” La mano più vicina, a un soffio dal serpente che aveva smesso di far schioccare la lingua.
    Quest’ultimo si ritrasse e lui si fermò all’istante. L’animale si fece diffidente, oscillò ancora il capo, dondolandolo quasi al ritmo di una musica che sentiva solo lui.
    “Vieni con me… ti prego.”
    Lo zaikotto avvicinò il muso per annusargli la pelle delle dita, la linguetta biforcuta fece capolino velocemente per leccarla.
    “Ho bisogno del tuo aiuto, non ti verrà fatto alcun male.” Gli parlava, quasi che l’animale avesse potuto capirlo, ma non si sentì stupido a discorrere con una serpe.
    Quest’ultima sollevò il capo e rimase ritta e ferma. Immobile come si fosse pietrificata. Lo sguardo fisso nel suo.
    Hajime era convinto che sarebbe fuggita l’attimo successivo e invece, con un guizzo rapidissimo, gli si arrotolò al braccio, salendo fin sulla spalla per acciambellarsi definitivamente attorno al suo collo a mo’ di sciarpa.
    Il Tritone rimase spiazzato per alcuni momenti, ma quando lo sentì sibilare quieto, un genuino sorriso gli piegò le labbra. “Grazie” esalò, carezzandogli la testa con un dito e lo zaikotto gli dimostrò il suo carattere docile e affettuoso, strofinandosi contro di lui. Un gesto che riuscì a strappargli addirittura una mezza risata. Rivolse lo sguardo alla statua della Dea, ancora con la sensazione che i suoi occhi di pietra lo stessero guardando a loro volta. Sorrise di nuovo, giungendo le mani al viso e intrecciandone le dita in segno di preghiera e gratitudine perché quel piccolo serpente, che fino a un attimo prima si trovava nella mano del simulacro, era come se glielo avesse donato lei. La Dea era venuta in suo soccorso.
    Lo stesso gesto lo rivolse a tutti gli animali radunatisi al richiamo, che ancora restavano fermi ad osservarlo. Si ritrassero solo quando sciolse le mani, scivolando nel sottobosco, tra le fronde e le canne o sopra a qualche albero.
    Rimasto solo, si volse per guardare lo zaikotto con la coda dell’occhio, il sorriso ancora sulle labbra.
    “Forza, allora. Abbiamo un tyrano da salvare.”

     

     


    [1]CAGLIO, [2]BLUPLEURUM, [3]BOCCHE DI LUPO: sono tutte piante curative (reali) dai molteplici effetti. Ovviamente Shibasaki li mischia ad altra robetta per creare il suo intruglio rallentante. XD

    [4]: frase detta da Teppei nel Capitolo 14: All'ultimo respiro (parte I)


    …Il Giardino Elementale…

     

    Oh, questo capitolo ha tante cose, o sbaglio? :3
    Abbiamo uno Stregone divenuto Naturalista per amore e che poi ha scelto di non essere più 'nessuno' per il dolore del fallimento e della perdita.
    Abbiamo un volante che, ops, forse ha appena fatto tombola con il proprio cuore e un Tritone che per disperazione è riuscito a usare un incantesimo di livello superiore.
    E HABEMUS PRINCIPE!!! \O/
    E HABEMUS ZAIKOTTO!!! \O/
    XD insomma, tanta roba.
    E ora?
    Riuscirà Hajime ad arrivare in tempo per riuscire a portare lo zaikottino al Naturalista e salvare Teppei?
    E Mamoru? Come se la starà cavando con i tre Stregoni che, ormai, avrete tutti capito, essere i Fratelli Konsawatt?! XDDD
    Yuzo che sceglierà di fare: raggiungere Mamoru o cercare Hajime?
    Lo saprete nel prossimo aggiornamento! YAY! (XD mi sento molto cretina)
    Ah, sì: e Domenica aggiornerò anche i "Fragments" con il primo dei tre Extra :3

    :*** grazie ancora per continuare a restare con me e questa storia! :*****


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 41
    *** 14 - All'ultimo respiro - parte IV ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 14: All'ultimo respiro (parte IV)

    Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro Sud, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Shibasaki teneva la pietrificazione dell’Elemento di Terra sotto stretto controllo. A ogni attimo che passava, verificava di quanto fosse aumentata e ormai stava per diramarsi all’inguine.
    La pozione rallentante non era sufficiente per fermare anche quello.
    “Dottore, possibile che non ci sia altro che la sua magia possa fare?”
    L’uomo scosse il capo alla domanda di Deva, ma non rispose. Detestava dover arrendersi, l’aveva fatto anche per troppo tempo, e gli risultava inaccettabile che proprio lui, che aveva molta più esperienza, dovesse farsi battere da un branco di ragazzini alle prime armi. Velocemente corse alla traboccante libreria. Cominciò a pescare diversi volumi di cure naturalistiche. Gli sembrava di ricordare qualcosa a proposito di un particolare unguento, ma non ricordava dove l’avesse letto. Gettò a terra i libri che non gli servivano, mettendo tutto a soqquadro sotto lo sguardo dell’assistente.
    Afferrò il volume più grande della scaffalatura, con la morbida copertina in pelle nera e due simboli incisi rispettivamente uno davanti e uno sul retro del libro. Una ‘alfa’ e una ‘omega’.
    Aprì il tomo e vi piazzò sopra la mano aperta, recitando dei versi di cui la giovane non riuscì a capire nemmeno una parola. I fogli scorsero velocissimi senza che lui nemmeno li toccasse. Si fermarono da soli, dopo aver passato la metà del libro.
    Lo sguardo di Shibasaki ebbe un guizzo. “Eccolo!” Velocemente seguì le scritte e contemporaneamente si mosse alle grandi mensole dove aveva tutti gli ingredienti per cure e pozioni.
    “Sì. Sì. Sì” borbottò. Gli occhi correvano dal libro ai barattoli, mentre controllava che avesse tutti i componenti. Poi, un’imprecazione gli sfuggì. Con rabbia sbatté il dorso delle dita sulla pagina. “Dannazione, questo mi manca! Se solo la pietrificazione si fosse manifestata prima avrei potuto chiederlo a quel Tritone!”
    “Avete trovato una cura?” domandò Deva; lo sguardo speranzoso. L’uomo le si fece dappresso, appoggiando il tomo sul tavolo accanto al corpo di Teppei con malagrazia e un moto di frustrazione.
    “Mi manca un ingrediente fondamentale! Senza non funzionerebbe mai! E dire che fino a poco fa avevo un Elemento d’Acqua proprio qui, merda!”
    “Di cosa avete bisogno?”
    Hiroyuki sbuffò, passandosi una mano tra i capelli. “Una squama. Una squama di Tritone di Agadir.” Scosse il capo. “E non è nemmeno una merce che si può trovare in giro: viene usata solo nella Magia Nera.” Accennò un mezzo sorriso ironico nell’aggiungere: “Noi le ricavavamo dagli Elementi d’Acqua che catturavamo o uccidevamo. E dire che adesso potrei usarla per salvare uno di loro…” Osservò intensamente il volto del tyrano. Quest’ultimo aveva ancora gli occhi stretti e le labbra deformate in una smorfia; continuava a lottare, almeno lui.
    Spostò lo sguardo verso il torace, seguendo i percorsi delle vene e dei capillari infettati dal veleno di Rankesh e, lì, qualcosa brillò, legata al suo collo e un po’ nascosta sotto il lembo della camicia aperta.
    Shibasaki allungò la mano, scoprendo il ciondolo. Un ciondolo composto da una squama di Tritone.
    Le labbra gli si distesero in un sorriso inaspettato. “Non immagini nemmeno quanto tu sia fortunato, ragazzo” disse a Teppei e, in un attimo, la squama era nella sua mano.
    Senza dire nulla a Deva, che continuava a guardarlo correre avanti e indietro per il laboratorio, il Naturalista si mise a preparare l’unguento con cui avrebbe contrastato la pietrificazione.
    Questa volta ebbe bisogno di tutte le sue conoscenze di Magia Nera: miscelò i componenti in un unico recipiente e iniziò a salmodiare parole incomprensibili mentre versava dell’acqua fredda. A ogni verso, l’acqua iniziò a tingersi di nero. Sembrava godere di vita propria, aggrediva e divorava gli altri ingredienti della mistura e li fondeva, rendendoli una sola amalgama compatta. Infine prese la squama, continuò il suo fraseggio e la lasciò cadere nel recipiente, ma questa si mantenne sospesa, i contorni illuminati da un alone blu, intenso. Oscillò nell’aria, quasi che i poteri di un Elemento di Alastra le impedissero di cadere, poi si dissolse, sgretolandosi in polvere che si fuse al resto, rendendo il composto nuovamente trasparente, limpido. Aveva perso la sua consistenza liquida in favore di una più viscosa e densa.
    “Deva, taglia gli abiti” ordinò alla sua assistente che, svelta, lacerò i pantaloni indossati dall’Elemento di Terra, visto che sfilarglieli era troppo pericoloso: si correva il rischio di rompere la roccia friabile.
    Il Naturalista immerse le mani nell’unguento e iniziò a spalmarlo lentamente e con attenzione sulle gambe del tyrano. Era consapevole che si sarebbe trattato solo di un rimedio momentaneo, ma in questo modo avrebbe recuperato del tempo prezioso e permesso ai compagni del giovane di continuare le loro ricerche nella palude. Inoltre, avrebbe permesso il ritirarsi della pietrificazione in tempi lampo, una volta che gli fosse stato somministrato l’antidoto di zaikotto, sempre che i suoi compagni fossero riusciti a trovarne davvero uno. Ma scacciò quel pensiero pessimista dalla mente dedicandosi solo alla cura la quale, si accorse, stava già dando i frutti sperati: la pietrificazione si era fermata.
    Shibasaki sollevò le mani ancora sporche di unguento e annuì per esserci riuscito, per aver avuto fiducia in sé stesso.
    In quel momento e senza che né lui né Deva si fossero accorti del rumore di zoccoli in avvicinamento, perché troppo impegnati a dedicarsi al tyrano, la porta dell’abitazione si aprì di schianto e sulla soglia comparve la figura, fradicia a prima vista, del Tritone. Attorno al collo aveva un serpente giallo con una pietra rossa al centro della testa.
    Shibasaki fissò sia il giovane che il serpente come fossero due fantasmi.
    Era incredibile, lo aveva trovato sul serio.
    Gli Elementi erano davvero i maghi più speciali di tutto Elementia.

    Mamoru arretrò di un altro passo e il tacco dello stivale contro la pietra gli disse che, ormai, non poteva più muoversi. L’avevano messo con le spalle al muro, nel senso più letterale del termine: dietro di lui, c’era la roccia delle montagne.
    Inspirò brevemente e in maniera rantolata.
    L’aria era gelida, tutto era gelido, tanto che ormai un braccio era fuori uso, abbandonato lungo il fianco.
    Maledizione.
    Tre Stregoni erano troppi anche per lui, che era stato convinto di poterne battere a decine, tutti quelli che si sarebbe trovato davanti, ma non in quelle condizioni.
    Espirò. L’ossigeno usciva in una piccola nuvola bianca. Freddo ovunque. Dentro, fuori.
    La mano ancora sollevata davanti a sé, l’unica che poteva muovere, tremava vistosamente e aveva un colorito troppo pallido che non era più il suo.
    Gli era bastato distrarsi per un solo attimo. Aveva perso di vista lo Stregone più piccolo, tra gli attacchi di quello grosso e del cane; gli si era portato alle spalle e lo aveva colpito con un incantesimo di Congelamento. Quei bastardi conoscevano bene i punti deboli dei propri avversari elementali, e il suo era anche fin troppo facile da scoprire; così come per quelli di Acqua. Le temperature erano un fottuto problema.
    Ma non si sarebbe arreso. Oh, no. Avrebbero dovuto ucciderlo, prima che avesse gettato la spugna, e ucciderlo non sarebbe stato affatto facile. Anche perché, se proprio sarebbe dovuto morire, fanculo!, se li sarebbe portati all’Infero!
    Tese le labbra in un mezzo ghigno, l’altra parte della faccia era gelata, nemmeno la sentiva più.
    “Però! Quanta tenacia, devo riconoscertelo” disse proprio lo Stregone più piccolo. Ora vedeva solo loro due, gli erano davanti, uno di fianco all’altro, mentre del cane non c’era più traccia e Mamoru cercava di scorgerlo tra le fronde o in qualunque altro posto si fosse nascosto.
    “Grazie… del… complimento…” faticò a rispondere. “Perdonami se… non mi inchino…”
    “Hai ancora tanto ardore da fare simili battute? Ma come? Non ti si sono sedati i bollenti spiriti?”
    Tsk… fottiti…” Con uno sforzo tentò di creare una sfera di fuoco, ma la sua intensità era irrisoria e la dimensione ridicola. Non avrebbe ferito nessuno con quella, tantomeno due maghi. Era proprio arrivato alla fine. Il freddo dell’incantesimo stava sopraffacendo la sua fiamma vitale e per quanto si sforzasse, i suoi poteri non erano più in grado di reggere il confronto. “Non mi piego… bastardi… Fatevi… sotto…”
    Se dalle altre parti del corpo, il fuoco stava regredendo, soffocando, cristallizzando sotto il gelo, negli occhi la fiamma continuava a bruciare senza sosta e avrebbe arso fino alla fine, fino a che non avesse esalato l’ultimo respiro.
    L’ultimo respiro.

    “Ti giuro che fino a che avrò vita e respirerò, resterò al tuo fianco.”

    Il cuore venne attraversato da una fitta di dolore.
    Non avrebbe mantenuto la parola. Avrebbe lasciato da solo il volante.
    L’attacco degli Stregoni venne interrotto da una pioggia di lame.
    In un attimo si conficcarono nel terreno, costringendo gli avversari ad arretrare con un balzo per non esserne trafitti.
    Mamoru le guardò senza capire, fino a che non le vide dissolversi in aria pura.
    Indietro!” intimò una voce che fino all’attimo prima era stato convinto che non avrebbe sentito mai più.
    Il volante si frappose tra lui e i due Stregoni, restando in sospensione. Nei palmi, il vento spirava in turbini pronti a colpire chiunque avesse osato fare un passo.
    “Cosa… fai qui?!” biascicò tra l’irritato, il preoccupato, il felice.
    “Secondo te?” Yuzo non perdeva di vista gli avversari che restavano a distanza e avevano incupito gli sguardi, seppur apparissero nient’affatto preoccupati del suo arrivo.
    “Stupido!” Gli intimò l’altro con fatica. “Vedi… di andartene!”
    “Ce ne andremo insieme.”
    Ma Mamoru non poteva abbandonare il campo, non sapeva nemmeno se Hajime fosse o meno riuscito a trovare lo zaikotto. Non poteva correre il rischio che quei bastardi si accorgessero anche del Tritone. Strinse i denti.
    “No! Va’ via… è pericoloso! Loro… sono… quelli che… ci hanno attaccato!”
    Yuzo affilò lo sguardo. “I Konsawatt.” Mormorò il loro nome tra le labbra e poi inarcò un sopracciglio. Erano solo in due? “E il terzo?”
    In quel momento, una chiazza scura balzò fuori dai cespugli cogliendolo alla sprovvista e attaccandolo di lato. Il grosso cane nero era lo stesso che avevano incontrato quando Teppei era stato ferito, Yuzo lo riconobbe, e fu costretto ad allontanarsi per non essere azzannato.
    Mamoru si allarmò; la volta precedente, quel bastardo aveva detto chiaramente di averlo puntato. “Scappa! Non pensare a me!”
    Il volante arretrò ancora, in volo radente al suolo, perché in alto le fronde avevano di nuovo coperto il cielo.
    Il cane gli tenne dietro. Con rapidi balzi, sfruttando i tronchi degli alberi, riuscì a raggiungerlo, mentre Yuzo doveva controllare di non andare a sbattere.
    Adesso, Chana!” abbaiò lo Stregone e il più piccolo del trio recitò la formula di rilascio.
    Yuzo vide il cane assumere sembianze umane. Erano praticamente uno sull’altro, in volo. Un ghigno perfido, le orbite nere.
    Kela rhat!” Nelle mani, formò un’enorme sfera nera e gliela esplose contro a distanza ravvicinata.
    Yuzo cercò di contrastarla con una barriera di vento, ma la sua posizione era di svantaggio e la sfera lo colpì all’altezza dello stomaco, schiacciandolo al suolo. L’impatto fu tanto violento da sollevare la terra e fargli spalancare la bocca per espellere tutto l’ossigeno che aveva in corpo.
    Yuzo!” Mamoru si mosse per soccorrerlo, ma il grosso Sakun gli bloccò la strada.
    “Non andare di fretta. Siamo noi i tuoi avversari, fuocherello.”
    Più distante, quasi nascosto tra le fronde, il volante era a terra.
    Lo stomaco era divenuto tutt’uno con reni e spina dorsale. Per un attimo, pensò di essersi rotto qualche costola, ma quando scorse la figura dello Stregone in procinto di attaccarlo di nuovo, riuscì a effettuare una capriola e poi spiccare un balzo per allontanarsi. Ora erano l’uno di fronte all’altro.
    Lo Stregone sogghignava, divertito. Aveva gli occhi dal taglio allungato e i capelli castani. Era quello il suo vero volto.
    “Te l’avevo detto che mi sarei ricordato di te.” Gli disse in tono insinuante. “Avevi osato far del male al mio fratellino.”
    “Il tuo fratellino se l’era cercata.”
    L’altro sputò in terra, in un gesto di sdegno. “Credete di essere dei veri sapientoni, voi Elementi d’Aria. Sarà un piacere cavarti gli occhi.”
    “Dovrai riuscire a battermi, prima. E non sarà affatto facile.” Yuzo lanciò un’occhiata a Mamoru. Lo Stregone con cui stava per ingaggiare battaglia lo aveva allontanato dalla Fiamma, e già prima, quando si trovavano vicini, aveva avuto il sentore che stesse molto male. A guardarlo ora, stretto contro la parete di roccia, con il fuoco che non aveva la solita intensità incandescente, il sentore divenne una certezza. Probabilmente si era riacutizzata la sua febbre bassa.
    Storse le labbra: doveva portarlo via da lì il prima possibile.
    “Dove guardi?!” Lo Stregone si riprese la sua attenzione di prepotenza.
    Yuzo schivò una scarica di fulmini neri e purpurei. Con un salto s’appoggiò in piedi al tronco di un faggio, ma lo Stregone manovrò i fili elettrici per inseguirlo all’interno della boscaglia. Non potendo volare agilmente, Yuzo si ritrovò a saltare da un albero all’altro con il suo avversario che rideva divertito da quello spettacolo. Il volante sfruttò gli alberi per far intrecciare le folgori ai rami e impedendo così all’altro di muoverli.
    “Non scappare!” rise il cane di cui ignorava il nome e che non si accorse di ciò che stava facendo fino a che, nell’attimo in cui Yuzo sbucò tra due faggi volando in picchiata verso di lui, si rese conto che i fulmini erano ormai incastrati.
    “Io non scappo” disse il volante, prima di colpirlo in pieno viso con un calcio.
    Lo Stregone ruzzolò di schianto sul terreno, ma quando si fermò la sua figura si dissolse in melma.
    Yuzo strinse le labbra. “Un doppio?”
    “Sorpresa!”
    Il volante se lo ritrovò al fianco, pugnale alla mano. Lo fermò in tempo dall’essere infilzato, sollevando il braccio e deviando il colpo. Quello dello Stregone venne afferrato e stretto contro il suo corpo.
    “Già, sorpresa” sorrise Yuzo. “Gli scontri ravvicinati sono i miei preferiti.”
    Il volante lo colpì al volto, e questa volta per davvero, con una sonora testata e poi con un calcio ben assestato allo stomaco, mandandolo disteso.
    Subito dopo si volse per cercare Mamoru con lo sguardo; lo scorse che tentava di difendersi strenuamente, senza riuscire ad attaccare, la parete alle spalle non gli permetteva un’ampia scelta di movimenti. Fece per raggiungerlo, ma il suo avversario tornò alla carica.
    Una corda nera gli avvolse la vita senza che se ne accorgesse, se non quando fu troppo tardi. Yuzo venne scaraventato contro gli alberi con violenza. Dei tronchi più sottili si spezzarono nell’impatto fino a che uno più solido non fermò la sua corsa, facendolo scivolare al suolo, senza fiato.
    “Dove credevi di andare?” ringhiò lo Stregone. “Non abbiamo ancora finito.” Le unghie gli si allungarono e ispessirono, tramutandosi in artigli. Gli fu addosso in un attimo e cercò di sfregiargli il volto, ma Yuzo lo tenne a distanza sollevando il vento, mentre cercava di riprendersi abbastanza per rimettersi in piedi.
    L’altro oppose resistenza alle raffiche, tracciando solchi nel terreno, ma non fu in grado di avvicinarsi, anzi, si ritrovò a indietreggiare.
    “Maledetto, bastardo! Ti caverò gli occhi!”
    “L’hai già detto” arrancò Yuzo, alzandosi lentamente. Inspirò a fondo; la schiena gli faceva un male cane e doveva trovare un modo di liberarsi del suo avversario per poter prendere Mamoru e fuggire da lì.
    Kela rhat!
    Una nuova sfera nera riuscì a bucare le sue raffiche, costringendolo a rotolare di lato più agilmente che poté per evitare di essere colpito. Il suo incantesimo si interruppe e mentre recuperava una nuova posizione di difesa, Yuzo si rese conto che era impossibile combattere contro uno Stregone puntando solo a stordirlo; quello poteva farlo contro persone comuni, ma contro altri maghi… Era un modo diverso di combattere che non aveva mai affrontato; nemmeno quando si era trovato faccia a faccia con un Demone di Terra. Vero era che lui non era ancora all’ultimo anno di scuola, e molto probabilmente il combattimento con il fine di uccidere veniva insegnato solo ai ragazzi più grandi, mentre a lui sarebbe toccato impararlo da solo, lì, sul campo. L’idea gli fece gelare il sangue.
    Faran! Noi siamo pronti!
    D’un tratto, la voce di uno degli altri fratelli Konsawatt, quello più piccolo, attirò l’attenzione del suo sfidante, facendo preoccupare anche lui. Lanciò uno sguardo fugace a Mamoru: lo vide prostrato e in ginocchio. Doveva raggiungerlo. Adesso.
    Perfetto!” rispose lo Stregone. “Fatela crollare!
    Yuzo lo guardò senza capire e l’altro gli mostrò un mezzo sorriso di rivalsa. Il sorriso di chi aveva la vittoria in pugno, doveva solo alzare il trofeo. D’un tratto, dall’altro terreno di scontro il rumore assordante di un boato lo fece girare di scatto: i fratelli Konsawatt avevano colpito la sommità della montagna con degli incantesimi incrociati. Vide la roccia iniziare a staccarsi e precipitare.
    Precipitare su Mamoru.
    “Allora, Elemento. Te l’avevo detto che te l’avrei fatta pagare, no?” Faran aveva il tono di chi si stava divertendo da matti. “La scelta è tua: combatti con me o muori con il tuo amico.”
    Yuzo mosse lo sguardo da Mamoru a lui. Non aveva nemmeno bisogno di scegliere.
    “Faran, hai detto?” Le iridi nocciola lo trapassarono da parte a parte. “Stavolta sarò io a ricordarmelo.” Si sarebbe impresso la sua faccia e il suo nome nel centro del cervello. E se il destino, le Dee o chi per loro gliel’avrebbero fatto incontrare ancora, lo Stregone poteva stare certo che non avrebbe avuto la possibilità di raccontarlo in giro. Con uno scatto sfrecciò in volo per raggiungere Mamoru, mentre l’altro, rimasto alle sue spalle, sbuffava quel supponente: “Prevedibile.”
    Nel frattempo, fermo contro la roccia, la Fiamma non riusciva a muoversi di un passo.
    Il suono assordante della pietra che franava fu tutto ciò che gli fece capire cosa stava succedendo, poi, delle braccia attorno a lui lo portarono a sollevare il capo con uno sforzo. Ebbe solo il tempo di scorgere il profilo di Yuzo e poi l’ombra sulle loro teste sembrò dirgli che era giunta la fine.

    Mentre continuava a mescolare velocissimamente con la sua Magia Nera la polvere di zaikotto, grattata via dalla pietra che l’animale aveva sulla fronte, mista a tutta un’altra serie di ingredienti, Shibasaki continuava a tenere lo sguardo fisso sul Tritone di nome Hajime che restava seduto al capezzale del tyrano di nome Teppei. Non aveva voluto nemmeno cambiarsi d’abito, aveva preso uno sgabello e l’aveva messo accanto al compagno.
    “Ancora non ci credo che tu sia riuscito a trovare un vero zaikotto” borbottò, ma più se lo ripeteva, più ne restava sconcertato. Era riuscito a trovare l’ago nel pagliaio. Forse aveva usato l’incantesimo di Richiamo? Eppure non era affatto una magia facile, da quello che ne sapeva. Solo maghi molto potenti riuscivano a eseguirlo a dovere.
    “Se è per quello, anche a me risulta ancora incredibile” rispose Hajime, le mani stringevano quella di Teppei. Lo sguardo fisso sulle sue espressioni che sembravano aver stemperato di molto quella estremamente sofferente che gli aveva visto prima di dirigersi alle paludi. Non avrebbe mai pensato che, al suo ritorno, l’avrebbe trovato addirittura in fase di pietrificazione.
    Spostò le iridi scure alle gambe, ora nascoste sotto una coperta.
    Lo zaikotto restava attorcigliato al suo collo. Spostava gli occhi d’argento da lui all’altro Elemento. Fece schioccare la lingua e Hajime gli accennò un sorriso. “Era per questo che avevo bisogno del tuo aiuto.”
    Shibasaki accennò un mezzo sorriso ironico. Era sempre stato convinto che i matti votati al chiacchiericcio con piante e animali fossero solo gli Erboristi, ma a quanto pareva anche gli Elementi non scherzavano. Scosse il capo e fece per spostare lo sguardo al siero che stava preparando, quando lo zaikotto scivolò dal collo del Tritone e andò ad acciambellarsi sul ventre del tyrano.
    Se non fosse stato uno Stregone, che quindi poco credeva a simili smancerie, avrebbe pensato che l’animale avesse capito che il giovane di Terra fosse molto importante per quello che adesso era divenuto il suo ‘padrone’ e che quindi si fosse arrotolato su di lui per… fargli compagnia.
    “Per il culo d’oro di Kumi, adesso posso dire di averle proprio viste tutte” borbottò prima di concentrarsi solo su quello che stava facendo.
    “Il mio compagno, quello di Aria” Hajime gli parlò senza distogliere lo sguardo da Teppei.
    “Si chiama Yuzo, no?”
    “Sì, dov’è andato?”
    “E’ venuto a cercarvi, un po’ di tempo fa, per aiutarvi a trovare lo zaikotto.” Fermò il mescolare, ormai il siero era pronto, e lo guardò da sopra gli occhiali. “Non lo hai incrociato?”
    Stavolta, Hajime si volse. “No. Ma quando ero nella palude e stavo tornando ho sentito… dei rumori, credo anche di aver percepito della magia ma non ne sono sicuro. Ero troppo concentrato a rientrare qui.”
    L’uomo inarcò un sopracciglio. “Dei rumori?”
    “Sì, cupi, duri.”
    “Come un combattimento?”
    Hajime drizzò la schiena. Il volto assunse un’espressione improvvisamente preoccupata mentre ci ripensava e, sì, erano proprio come quelli di un combattimento. Yuzo e Mamoru erano impegnati in un duello?
    Shibasaki aspirò il siero in una siringa e si avvicinò a loro.
    Come lo vide, lo zaikotto gli soffiò e sibilò contro, minaccioso.
    “Sta’ buono tu! Ho capito che non ti sono simpatico!” Già quando aveva cercato di prendergli un po’ di polvere dalla sua pietra, l’animale aveva tentato di morderlo. Percepiva la magia negativa e quindi lo associava al pericolo. Aveva dovuto grattargliela via mentre restava attorno al collo del Tritone, e non era stato semplice comunque.
    “Puoi stare tranquillo” intervenne Hajime. “Non gli farà nulla di male, anzi.”
    Lo zaikotto parve comprendere, ma rimase ugualmente ritto e con lo sguardo puntato su di lui per seguirne ogni movimento.
    “Quanto tempo ci vorrà perché faccia effetto?” domandò mentre l’uomo iniettava l’antidoto nel braccio di Teppei.
    “Non lo so, è la prima volta che lo uso, ma so che la sua azione è molto rapida. Il vostro compagno è un Elemento, quindi dovrebbe volerci ancora di meno.” Shibasaki estrasse la siringa e si allontanò per ripulire gli arnesi e mettere via il siero rimasto in piccole fiale.
    Hajime annuì, ma la sua espressione rimase pensierosa, fissa in un punto del tavolo; adesso c’era il problema dei suoi compagni di Aria e Fuoco. Doveva tornare nella palude per avvisarli e vedere che diavolo stava succedendo.
    “Dove sono?! Che è successo?! C’è uno Stregone?! Adesso l’ammazzo!”
    Teppei era balzato a sedere in un attimo, sbraitando di questo e quello e con le mani già sollevate in direzione di Shibasaki per attaccarlo.
    Avvenne tutto talmente di fretta che Hajime non ci capì quasi nulla, seppe solo che il tyrano era sveglissimo e stava così bene da non sembrare affatto uno che, fino a qualche secondo prima, era un moribondo.
    “Ma che vuoi fare?! Stai fermo, maledizione! E abbassa le mani!” Hajime lo afferrò prima che potesse fare danno e l’altro lo guardò tra il perplesso e il felice.
    “Hajime!” Gli si buttò addosso, abbracciandolo così stretto da essere sul punto di stritolarlo. “Stai bene?”
    Il Tritone sorrise, emettendo un lungo sospiro rassegnato. “Io sto benissimo, sei tu quello che è stato a un passo dalla morte, stupido roccioso dalla testa dura.” Ricambiò il suo abbraccio e nessuno poteva immaginare quanto fosse felice di vederlo di nuovo sveglio, di nuovo lui, di nuovo vivo e chiacchierone.
    “Sei bagnato. Perché sei bagnato?” domandò il tyrano staccandosi da lui e osservandolo con occhio critico e un po’ preoccupato. “E puzzi.”
    Hajime assottigliò minacciosamente lo sguardo. “Beh, fattelo tu un bel tuffo nelle paludi e poi vediamo se profumi di margherite.”
    Shibasaki non trattenne una mezza risata, mentre dava le spalle ai due e Teppei gli lanciò un’occhiata perplessa, senza capire, ma restando in allerta. Si rivolse nuovamente ad Hajime, abbassando un po’ la voce.
    “Ma è uno Stregone? Perché siamo con uno Stregone?”
    “Sì, è uno Stregone e ti ha appena salvato la vita.” Inspirò a fondo, guardando Shibasaki. “Ringrazialo.”
    L’uomo rivolse la coda dell’occhio all’Elemento d’Acqua. Sbuffò via un mezzo sorriso. “Non ce n’è bisogno” disse, girandosi completamente.
    “Siete… un Naturalista?” osò Teppei, ancora perplesso.
    “Sì.”
    “Un altro?!” domandò il tyrano, questa volta cercando conferme in Hajime.
    “Il vostro amico Yuzo mi ha parlato di tale Hans” spiegò il medico, incrociando le braccia al petto. “Io però sono uno Stregone vero, non un dilettante.” Ci tenne a precisare.
    “Non ricordi nulla di quello che è successo?” Hajime prese nuovamente la parola e Teppei si strinse nelle spalle.
    “L’ultima cosa che ricordo è che vedevo tutto nero.”
    “Durante lo scontro con gli Stregoni sei stato avvelenato, attraverso la ferita alla spalla” spiegò il Tritone. “Stavamo andando a Hemur per trovare un medico, quando un pescatore ci ha mandato qui. Eri…”, ingoiò con sforzo, “ridotto proprio male. Te l’avevo detto di non lanciarti allo sbaraglio contro di loro!”
    “Sì, scusa” Teppei incassò il rimprovero senza replicare, stavolta non era davvero il caso. Dallo sguardo che Hajime aveva, doveva essersi preoccupato tantissimo.
    “Ho setacciato tutta la palude per riuscire a trovare uno zaikotto affinché il Naturalista potesse creare un antidoto a quel veleno. Già che ci sei, ringrazia anche quella bestiola” concluse il Tritone, indicando verso un punto del suo corpo.
    Teppei seguì l’indice con lo sguardo fino a che non si trovò, appollaiato sulle gambe una macchia gialla dagli occhi vispi, che prese a dondolarsi e far schioccare la lingua. E poiché lui aveva una passione smodata per i serpenti, e quando era stato a Dhèver era rimasto incantato dai rubinati, andò in visibilio.
    “Oddee, che carino!” squittì. Lo zaikotto gli fece subito le feste, giocando con le sue dita e attorcigliandosi al braccio. “Possiamo tenerlo?!”
    Hajime chiuse gli occhi inspirando a fondo, sollevò una mano prima che il Naturalista aprisse bocca. “No, non dite niente. Vi prego.”
    Hiroyuki si limitò a ridacchiare e ingoiare una pessima battuta, mentre il giovane d’acqua tornava a fissare Teppei con un sopracciglio inarcato.
    “Parlane con Mamoru, sono certo che sarà lietissimo di avere una serpe al seguito.”
    “Oh, eddai! Mi ha salvato!” insistette l’altro, poi si guardò intorno. “A proposito, dove sono Mamoru e Yuzo?”
    “Mamoru era venuto con me nella palude, poi ci siamo divisi. Credo siano ancora lì, verso la zona delle montagne.” Hajime aveva assunto un’espressione più seria. “Devo tornare a cercarli.”
    Teppei non ebbe il tempo di dire che sarebbe andato con lui, che la porta si aprì e l’assistente di Shibasaki comparve sulla soglia visibilmente agitata. “Dottore, stanno arrivando degli uomini da Hemur, sono armati.”
    Poco dopo, anche loro furono in grado di udire un chiacchiericcio farsi sempre più vicino e più forte, assieme al rumore di passi e tintinnare d’oggetti. Deva si fece da parte e un giovane con corti capelli biondi entrò brandendo un lungo forcone.
    “Dottore!” esclamò, con foga, poi si accorse degli altri due giovani e perse un po’ della sua verve. Tossicchiando e togliendo il cappello, in segno di rispetto, fece un mezzo inchino. “Pe-perdonatemi per il disturbo.”
    “Nessun problema, Saragoza(1). Che succede? Come mai tutta questa gente?”
    “Sta succedendo qualcosa nelle paludi” spiegò piuttosto agitato. “Abbiamo visto levarsi del fumo, stiamo andando a dare un’occhiata. Volete venire con noi?”
    Shibasaki si portò le mani ai fianchi. Era titubante. “In questo momento non posso, ho un paziente di cui occuparmi-”
    “Vengo io.” Hajime si alzò, attirandosi gli sguardi sia del medico che dell’abitante di Hemur. “Devo accertarmi che Yuzo e Mamoru stiano bene.”
    “Vengo con te-”
    “No, tu non ti muoverai” Hajime puntò seccamente l’indice contro Teppei. “Anche perché non puoi: le tue gambe sono ancora pietrificate, stai buono.”
    “Le mie…?” Il tyrano sollevò la coperta. Non se n’era nemmeno reso conto né pensava che fosse arrivato addirittura a quel punto. Se l’era vista ben più che brutta, allora. “Tch! Dannazione!” sbuffò, quando scorse la pietrificazione ritirarsi lungo le ginocchia. Ne avrebbe avuto ancora per una mezz’ora.
    Nel frattempo il Naturalista stava spiegando a Saragoza che i due giovani erano degli Elementi e che, quindi, il Tritone avrebbe potuto fornire tutto l’aiuto magico di cui avevano bisogno. L’altro annuì, ma un improvviso boato spezzò l’aria attorno a loro e fece tremare la terra, tanto che gli alambicchi di Shibasaki preso a tintinnare tutti insieme, cozzando tra loro.
    Un suono cupo, rombante, li attraversò come un lunghissimo sciame e poi si spense nell’eco.
    “Che diavolo è stato?” mormorò il Naturalista, tenendosi saldo al legno.
    “Un terremoto?” propose Saragoza, il cui sguardo saettava d’intorno quasi che avesse potuto scorgere chissà cosa da un momento all’altro.
    “No.” Teppei si attirò gli sguardi dei presenti. “Non era un terremoto; le vibrazioni partivano dalla superficie.” Guardò intensamente Hajime. “Qualcosa è crollato. Qualcosa di molto grande.”
    E quando uno degli uomini rimasti fuori gridò di un’enorme nuvola di polvere che proveniva dalla zona più esterna delle paludi, per Shibasaki fu chiaro cosa fosse venuto giù.
    “La montagna.” 

    “Stupido…”
    La voce di Mamoru lo raggiunse flebile in quel luogo che nemmeno lui poteva identificare con precisione.
    Aveva agito in un attimo, perché tanto era stato il tempo che aveva avuto per pensare. Quando era accorso per salvare la Fiamma dal crollo della montagna, gli Stregoni avevano impedito loro di fuggire accerchiandoli con una barriera e anche Yuzo, per un solo momento, aveva creduto che sarebbero stati schiacciati dalle rocce: aveva visto il foro di quella tana solo con la coda dell’occhio, ma era stata sufficiente per sceglierla come via di fuga.
    La grotta era abbastanza profonda, ma stretta, tanto che potevano restarvi al massimo seduti. A occhio e croce, la copertura rocciosa era troppo spessa affinché avesse potuto sbalzarla via con la forza del vento: se non fosse morto per lo sforzo, avrebbe finito col compiere un disastro, era pur sempre una montagna.
    Le pietre chiare avevano una loro luminescenza che, nel buio totale in cui l’ambiente era piombato, stemperava leggermente l’oscurità, permettendo alla vista di abituarsi. Di Mamoru riusciva a scorgere dei contorni, seppur con fatica, mentre l’unica entrata era stata bloccata dai detriti in seguito al crollo.
    Erano sepolti vivi.
    “…avresti dovuto… lasciarmi lì… e fuggire…”
    Mamoru aveva il viso contro la sua gola, e ora che poteva stringerlo, Yuzo si accorse di quanto, effettivamente, stesse male: sotto le dita, sentì nuovamente la pelle gelida come durante la febbre bassa.
    “Non ti avrei mai abbandonato” disse con decisione e naturalezza senza accorgersi del battito che era saltato nel petto del compagno. Svelto si tolse il cappotto per avvolgervi Mamoru e poi aprì i primi bottoni della camicia per permettergli di assorbire il calore del proprio corpo, liberando anche il vento shurhùq. “Piuttosto, dimmi cosa ti è successo. Hai di nuovo la febbre?” Doveva cercare di riscaldarlo o, almeno, stabilizzarlo in attesa che fosse arrivato Hajime ad aiutarli: di sicuro doveva aver udito il boato in seguito al crollo.
    Eppure, si rese conto che c’era qualcosa che non andava.
    Mamoru spostò la mano che gli aveva poggiato sulla guancia. “Questa volta… non puoi… fare nulla…”
    “Cosa? Che stai dicendo-”
    “Non è una… febbre normale…” La Fiamma si accorse di non riuscire ad assorbire il suo calore. “Si tratta di… un incantesimo… Congelamento…” Respirò contro il suo collo con ancora più fatica. Ogni parola sembrava un ostacolo insormontabile. “Può contrastarlo… solo… una sorgente… intensa… molto, molto… intensa…”
    Yuzo si allarmò, Mamoru lo capì dal tono della voce. “No, deve esserci qualcosa che io… io…”
    Il vento shurhùq aumentò il suo spirare e un po’ del calore. Il volante gli offrì più pelle possibile da cui attingere e lui si trovò ad accennare un sorriso affettuoso sulle labbra gelide. Lo fermò, a fatica, tirandosi leggermente su. Riusciva a comandare solo metà del proprio corpo, ormai.
    “Ehi… basta…” Gli toccò il viso con l’unica mano di cui aveva ancora il controllo. Nell’oscurità non vedeva altro che sagome e odiò che non ci fosse nemmeno un filo di luce per poter scorgere i suoi occhi; avrebbe dovuto fare affidamento sull’udito per capire le sue reazioni. “…non sprecare… energie…”
    “Ma non puoi dirmi che non posso fare niente! Deve esserci qualcosa che io… per aiutarti… per-”
    “Hai fatto… tutto quello che… potevi…” Non riusciva nemmeno a percepire il calore del corpo di Yuzo. Mamoru faceva scivolare le dita contro la sua guancia, ma seguitavano a rimanere fredde. Stava perdendo sensibilità anche a quella mano e presto non sarebbe più stato in grado di muoverla, ma almeno poteva ancora sentire il calore del suo fiato. Era vicino.
    “Ma stai tremando…”
    “Lo so…” sorrise un po’ di più. Il volante era spaventato, lo sentiva, ma gli Elementi d’Aria come lui non potevano contrastare gli incantesimi di Congelamento. Tornò a poggiare il viso contro il suo collo. Respirava con affanno e sentiva il corpo intorpidito e le membra stanche. Quasi non riusciva a tenere gli occhi aperti. Faceva fatica addirittura ad articolare i pensieri e spesso ne perdeva il filo logico. “Forse qualcuno… ci troverà…”
    Sentì le braccia di Yuzo stringerlo con più forza. La voce sembrava aver recuperato un filo di sicurezza e determinazione. “Certo che ci troveranno. Hajime verrà a cercarci quando non ci vedrà tornare. E magari ci sarà anche Teppei con lui.”
    La solita, ottusa vena ottimista da volante. Mamoru sbuffò un sorriso contro la sua pelle. In quel momento la trovò piacevole e di conforto. Dee, era proprio arrivato alla fine, se pensava certe cose.
    “Avranno… già cominciato… al Nord?...” Perché gli fosse venuta in mente la guerra e la battaglia non avrebbe saputo dirlo. La sua mente si perdeva in pensieri strani, che si rincorrevano tra coscienza e oblio. “A quest’ora… avrei dovuto… essere al fronte… lo sai? Non ricordo… se te l’ho detto…” Apriva e chiudeva gli occhi lentamente, ed era più il tempo in cui li teneva chiusi. Tanto non cambiava nulla, era sempre troppo buio. “…avevo… firmato per… essere nell’avanguardia.” Ma che gli andava a raccontare? “E invece… sono stato spedito… a fare la balia…” Yuzo non lo interruppe, lui prese fiato accorgendosi che ne entrava troppo poco a riempirgli i polmoni. “…credo sarei… morto… al primo assalto… visto come… mi hanno ridotto…”
    “Ci hanno solo colto di sorpresa. E poi erano tre contro uno! Un duello sleale!”
    Mamoru rise, per quanto gli fosse possibile, del tono stizzito usato dall’uccellino. Era spaventato, ma si ostinava a non mostrarsi tale ai suoi occhi; forse per non spaventare anche lui. Adorabile. “No, Yuzo… in guerra… non esiste la… slealtà… ma solo… la vittoria.” Inspirò l’odore della sua pelle, quasi a marchiarselo dentro finché poteva ancora farlo. “Che ci serva… di lezione… Non dovevamo… sottovalutarli…”
    L’altro sospirò. “Va bene, ne riparleremo quando saremo al sicuro.”
    “Questa volta… non credo… di farcela.”
    Sentì Yuzo irrigidirsi. Le mani che gli passava sulle braccia e sulla schiena, sfregando, per cercare di scaldarlo in qualche modo nonostante gli avesse detto che fosse inutile si fermarono per un momento. Poi ripresero, con maggiore vigore.
    “Non voglio sentire simili assurdità.”
    Il tono del volante si era fatto severo, di rimprovero, ma Mamoru sapeva che illudersi non avrebbe fatto altro che rendere tutto più doloroso. Inspirò ancora; il suo odore era così familiare, lo rassicurava nonostante tutto, nonostante il freddo stesse camminando sotto la sua pelle come un esercito che avanzava senza fare prigionieri, nonostante gli riuscisse impossibile sollevare un braccio, nonostante lì fosse tutto buio e silenzioso, nonostante non sapesse nemmeno in che direzione si trovasse l’uscita dalla grotta. Nonostante non avesse visto l’alba del giorno dopo, si sentiva tranquillo, stretto contro di lui, e non aveva paura.
    “Yuzo… non diciamoci… bugie… non sento... le gambe… non-”
    “Smettila!”
    La voce spezzata e il petto che si sollevava e abbassava seguendo il respiro più veloce, arrabbiato. Ferito.
    Mamoru si costrinse ad aprire gli occhi – da quanto tempo li teneva chiusi? – e sollevare la mano per toccargli una guancia, quasi a volerlo rassicurare anche se non poteva, né aveva più scuse da tirar fuori.
    “Calmo… non sento nemmeno… dolore…”
    “Non parlare in questo modo…”
    Però era vero: non sentiva dolore. Era come se il suo corpo si stesse riducendo fino a divenire piccolissimo. Perdeva un pezzo a ogni respiro, ma non faceva male. Il freddo ovattava le sensazioni, rendendo tutto distante, anche le sue reazioni; sembravano avvenire in ritardo rispetto a ciò che diceva o pensava, tanto che faceva fatica a non accavallare pensieri e parole. Chiuse di nuovo gli occhi. Il freddo stancava e nemmeno si rendeva più conto di tremare né di addormentarsi. Era così subdolo.
    Yuzo si accorse che Mamoru stava scivolando nel sonno quando avvertì la sua mano abbandonare lentamente la guancia, dove l’aveva appoggiata. Cadeva lentamente, come un peso morto e lui lo scosse subito, allarmato.
    “Mamoru! Mamoru, svegliati! Non devi dormire, hai capito? Non chiudere gli occhi! Mamoru!” Non ottenne risposta e sentì il terrore dare un altro colpo d’artigli al ventre; si faceva strada tra le viscere e la cassa toracica.
    Non poteva finire così.
    Perché stava precipitando tutto in quel modo?
    Teppei e il veleno, Mamoru e il freddo.
    Davvero non c’era più nulla da fare e lui e Hajime stavano combattendo contro mostri di nebbia impossibili da afferrare e colpire?
    Davvero i suoi poteri non erano abbastanza? Il suo Elemento non era abbastanza? Non era… utile?
    Non poteva arrendersi, non prima di aver tentato anche l’impossibile. E nemmeno dopo averlo fatto. Non poteva, perché non voleva perderlo; non voleva perdere Mamoru.
    Prese un respiro profondo. Se era un incantesimo di congelamento che doveva combattere, allora l’unica arma possibile era il calore e se da fuori il suo calore non era sufficiente… allora avrebbe provato dall’interno: doveva impedire che i polmoni e il cuore congelassero. Yuzo sollevò il viso della Fiamma, cercò le sue labbra nel buio e gliele aprì il necessario per poterlo baciare e trasmettergli il suo respiro; proprio come Mamoru aveva fatto con lui quando si trovavano a Sundhara.
    Provò una, provò due, provò tre volte.
    “Andiamo! Combatti!”
    Alla quarta, Mamoru tossì con forza e si svegliò, facendogli tirare un profondissimo respiro. Il capo sollevato, arrivò a toccare il muro appoggiandovisi contro.
    “Grazie, Yayoi” mormorò in preghiera, prima di rivolgere nuovamente lo sguardo alla Fiamma. “Mamoru, mi senti? Non devi addormentarti, hai capito? Parliamo… parliamo di qualsiasi cosa, ma non dormire, va bene?”
    La Fiamma aprì e chiuse gli occhi, la testa intontita e piena d’aria. “Volante…” masticò, disorientato.
    “Vedrai che ne usciremo, dobbiamo solo resistere, ma fino ad allora, continua a parlarmi… ti prego…”
    Mamoru sorrise, quasi non ricordava più nemmeno dove fosse, non aveva alcuna percezione dello spazio e a fatica riusciva a sentire sé stesso, però il tono di Yuzo, la sua voce, il modo in cui si preoccupava per lui… erano così dolci per non sorriderne. Si era proprio rammollito, ma forse… forse non era tanto male.
    “Sei… proprio… un uccellino…” biascicò tra le labbra. “Mi ero… addormentato?”
    “Sì, ti ho chiamato ma non rispondevi, allora ho provato a imitare il Bacio di Maki, ma le temperature che raggiungo io non sono alte come le tue.”
    Mamoru sorrise ancora di più, divertito. “Il Baciodi Maki?... Mi hai… baciato a… tradimento?... ti dovrei… fare flambè…”
    Rise anche il volante, provando a trovare un lato divertente in quella situazione disperata. “Hai ragione, non arrabbiarti. Dopo mi rimprovererai quanto vorrai, promesso.”
    Però Mamoru riuscì a tenere entrambi con i piedi per terra e le sue parole pesavano così tanto da portar via anche quell’illusione di speranza. “Dopo… Non ci sarà… un dopo… Yuzo… non ci sarà…” E quella consapevolezza gli fece capire che stava rischiando di andarsene senza dirgli nulla, senza dirgli ciò che pensava davvero, senza dirgli cosa provasse per lui e quanto lui gli avesse stravolto l’esistenza. Era così che voleva che finisse?
    “Devo… dirti delle cose…”
    “Non voglio sentirti parlare come se mi stessi dicendo addio, va bene?!” Yuzo si impuntò. “Parlami di qualsiasi altra cosa, ma non di questo, e se hai delle cose così importanti da dirmi allora me le dirai quando saremo fuori da qui! Così avrai un buon motivo per sopravvivere…”
    Ma Mamoru sapeva che non c’era più tempo, a stento riusciva a capire le proprie parole, a stento si rendeva conto d’esser cosciente. I pensieri si accavallavano e respirare era diventato troppo difficile per poter credere di rimandare e poterlo fare sul serio, uscire davvero da quella situazione. L’occasione era solo quella, il tempo era ora. Si sollevò, con fatica estrema, tanto che le parole uscirono rantolate. Gli toccò il viso, poggiando la fronte contro la sua e ringhiando le frasi.
    “Invece ascoltami… se non lo faccio ora… me ne pentirò… per l’eternità… col rimorso… non voglio… ascoltami…”
    “Mamoru, non-”
    “Ascoltami!”
    Yuzo deglutì con forza, arrendendosi alla sua disperazione. Anche se l’altro non poteva vederlo, poiché nemmeno lui riusciva a scorgere nulla oltre alle sagome, abbassò lo sguardo, ma Mamoru percepì ugualmente la sua resa. Forse dal modo in cui la stretta attorno alla schiena si era fatta più forte o forse grazie a quella loro intesa che era immediata e non aveva bisogno di parole.
    Prese fiato più volte e iniziò a condividere quei segreti che riguardavano entrambi. “Il glifo…” esordì. “…non si è… attivato di notte… E’ stato durante… il rito dell’onice… Voleva proteggerti…”
    Yuzo ascoltò quelle parole che erano solo fiato senza suono, mormorato vicino alle sue labbra tanto da sentirne il calore. Ecco, il suo respiro era l’unica cosa di Mamoru ad avere ancora un po’ di calore.
    “E’ stato per quello che io sono svenuto?”
    “Sì…”
    Ora gli era tutto più chiaro: il dolore durante il rito, la perdita di conoscenza. Il glifo aveva combattuto contro la Magia Nera e gli venne da sorridere pensando che fosse stato come se sua madre avesse combattuto per lui.
    “Chi te lo ha detto?”
    “Haruko… l’ha saputo… da tuo padre… Non voleva che… lo scoprissi…” Mamoru deglutì con uno sforzo e prese fiato, prima di proseguire. “Non odiarmi…”
    Yuzo scosse leggermente il capo, confuso. “Perché dovrei?”
    “Per il… fuoco…”
    “Ma che-”
    “La morte… di tua madre… il fuoco… non odiarmi…” La fatica gli impedì di articolare una frase completa, ma il senso per il volante fu chiaro ugualmente.
    Non pensava che Mamoru potesse sentirsi in colpa per una cosa simile. Una cosa che non aveva nemmeno fatto lui, ma verso cui si sentiva responsabile, perché era un Elemento di Fuoco. Non credeva potesse pesargli un suo eventuale rancore solo perché sua madre era morta arsa viva.
    Yuzo gli carezzò i capelli e accennò un sorriso. Avrebbe voluto rassicurarlo e dirgli che non lo odiava affatto, ma Mamoru non era più in grado di sentire nemmeno sé stesso, la propria voce. Parlava perché era guidato dagli ultimi brandelli di volontà, ma non si rendeva conto di nulla: né delle parole che diceva né di altro.
    “Per anni ho… creduto che la mia… vita… fosse ormai decisa… che… esistesse solo… il fuoco… e la promessa… Sarei divenuto… come mia madre…” Sbuffò un sorriso. “…poi… sono arrivato a Raskal… poi… sei arrivato tu… così diverso da me. Ti ho… dato contro solo… perché… ero rimasto colpito… dal tuo essere imperfetto… non come gli… altri volanti… e ora… ringrazio le Dee… per avermi mandato… lontano dal fronte… perché ho… potuto conoscerti…” Deglutì e prese fiato, il poco che ancora entrava nei polmoni, per arrivare fino in fondo. Odiava non poter percepire il suo calore, con le dita, nonostante stesse continuando a toccargli il viso, e cercò di accontentarsi di quello che riusciva a percepire attraverso il suo respiro. “Mi hai… cambiato la vita… davvero… e ho capito… l’importanza dei legami… solo dopo… essermi legato… legato… alle tue gioie… e paure… al tuo dolore… a te… Io sono legato a te…”
    “Allora non lasciarmi.” Yuzo lo disse così piano che Mamoru pensò di averlo solo immaginato nella realtà che la sonnolenza del freddo mutava a suo piacere. “Se sei davvero legato a me non lasciarmi, non voglio.”
    Un sorriso sereno aleggiò sulle labbra della Fiamma, mentre carezzava il viso con il suo.
    “Dillo… ancora…”
    “Non lasciarmi…”
    Lo sentiva sforzarsi per non piangere, per non cedere. A Ghoia aveva promesso che non sarebbe più stato debole e ora avvertiva nettamente la lotta per resistere e non crollare.
    Era pazzo di lui.
    “Il mio… uccellino…” sussurrò, mentre faceva scivolare le dita per seguire il suo profilo e impararne i tratti lungo il naso e le labbra. Cercò quest’ultime con le sue e le baciò. Pianissimo. Finalmente, riuscì ad avvertire il calore della sua pelle e lo trovò meraviglioso. La sua bocca era morbida, come ricordava quando l’aveva baciata a Sundhara e il pensiero della piacevolezza era passato fugace in un attimo sfuggito al suo controllo. E nonostante fosse buio e i suoi occhi non vedevano nulla, nemmeno da aperti, il viso di Yuzo gli esplose nella mente come fosse pieno giorno, rendendosi conto che ormai era impresso dentro di lui e nulla l’avrebbe più potuto cancellare.
    Strinse le labbra e poi le schiuse, cercando un maggiore contatto, il suo sapore, e il messaggio arrivò perché Yuzo gli permise di entrare, di lambirlo, di rendere quel carezzarsi di labbra un bacio vero, solo loro.
    Mamoru sorrise, sfiorandolo ancora, prima di lasciarlo andare e il calore che incredibilmente era riuscito a sentire e assorbire corse sotto la pelle per fermarsi sul cuore, prima di dissolversi sconfitto dall’incantesimo degli Stregoni che ormai aveva vinto sulla sua volontà, sulla sua fiamma. Ma andava bene così, dopotutto, non aveva rimpianti.
    “…amore mio…”
    Ora poteva dormire.
    Yuzo rimase immobile, con gli occhi spalancati nel buio, avvertendo il freddo delle sue dita scivolare dalla guancia e cadere al suolo, abbandonate. La testa di Mamoru s’appoggiò sulla spalla e lì giacque. Nemmeno più quel filo di fiato dalle sue labbra, più nessun rumore. Nulla. Sentiva un solo respiro ed era il proprio, un solo cuore che batteva ed era il proprio, un solo corpo che tremava… anche quello, il proprio. Perché era vero, gli tremavano le mani e odiava il buio perché non riusciva a vederlo, a scorgere i suoi capelli che all’oscurità avevano rubato il colore. Abbassò il viso e lo sguardo, desiderando di sentirlo muoversi ancora, alla ricerca di una posizione più comoda. Ma Mamoru non si muoveva più. E lui si sentì spezzare di netto quel cuore che, per un attimo, era stato davvero pieno di emozioni.
    “Mamoru… svegliati…” lo scosse, ma così adagio da essere inutile. Il dolore gli montò dentro, gonfiandosi senza controllo. Lo scotimento si fece più forte, più deciso. Più disperato. “Mamoru! Guardami, apri gli occhi! Mamoru!
    Riprovò con il Bacio di Maki, una, due, dieci volte. Ma non funzionò e lui non aveva più armi per combattere l’incantesimo degli Stregoni. Il suo elemento non poteva aiutarlo, non quella volta. L’aveva abbandonato e Yuzo si sentì sconfitto. Le lacrime caddero dagli occhi e lui non si curò di sentirsi debole o meno, perché non gli importava. Non gli importava più di nulla.
    “Non lasciarmi…” mormorò tra le labbra, come una cantilena, mentre stringeva la Fiamma, nascondendo il viso nei suoi capelli. “…non lasciarmi… resta con me… resta con me… resta con me.”

     


    [1]SARAGOZA: sfiga!Pg (as usual XD) della Nazionale Messicana. Fa la sua (unica) comparsa nel WY. (Saragozzolo bellicapelli: *clicca qui*)


    …Il Giardino Elementale…

     

    Settimana scorsa l'aggiornamento è saltato poiché non ero in città, ma credo di esser tornata col botto. XD
    Non ci credete, eh? Non ve lo aspettavate, eh?
    E invece: CREDEVATECI! *su Melantuchesional Ciannel*
    Mamoru poteva vuotare il sacco solo in una situazione come questa, dove è consapevole di essere arrivato alla fine della propria esistenza e non vuole chiudere gli occhi e rimpiangere per sempre di non aver mai detto a Yuzo la verità sui suoi sentimenti. E' un personaggio molto coerente con sé stesso e deve esserlo fino in fondo.
    Ovviamente io non potevo lasciare che si dichiarassero in tutta calma e tranquillità. Nooooo, sia mai. Quindi eccoli qui, incastrati in una situazione che è giusto un tantino disperata. Come se non mi conosceste. XD
    Credo che al prossimo capitolo mi odierete. Forse. Un po'. *ride, è tutto quello che può fare*
    E qui arrivano anche le dolenti note perché il prossimo aggiornamento l'avrete la prossima settimana, ma non ho idea di quando avrete il capitolo 15.
    Sarò sincera, le poche righe che avevo scritto non sono progredite e questo tra questioni varie annesse alla stanchezza mentale, lo studio che non va, il week-end fuori città e la voglia di staccare un po' da questa storia che ormai mi tiene incollata a lei da anni, di cui l'ultimo in maniera serratissima. La nota positiva è che la settimana che va dal 16 al 23 Aprile sarò a Torino, a cercare di far rilassare i neuroni, e beh, 9 ore di treno si sono sempre rivelate propizie per la scrittura. :3 Ergo, le sfrutterò per lavorare al capitolo 15.
    Io vi ringrazio infinitamente e di cuore per essere sempre stati lettori fedeli e vi prometto che farò di tutto per non farvi aspettare troppo. Questa storia verrà conclusa e di questo non dovrete mai dubitarne, visto anche il lavoro che ha dietro, solo, il rush finale andrà un pochino più a rilento di quanto preventivato. :)
    Grazie a tutti! :*****


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 42
    *** 14 - All'ultimo respiro - parte V ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 14: All'ultimo respiro (parte V)

    Hemur, Dogato di Tha Laziska – Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Buio.
    Fu la prima sensazione associata al funzionamento delle capacità cognitive, poi, il rosso.
    L’oscurità si tinse di quel colore familiare, legato alle fiamme, al fuoco, perché la sua vista si stava basando sul tatto: faceva caldo.
    I sensi iniziavano a risorgere dall’intorpidimento totale che sentiva in ogni parte del corpo, anche se la concezione di ‘corpo’ dotato di braccia e gambe era ancora lontana. Non riusciva a muoversi né ci provò più di tanto. Non riusciva nemmeno a riconoscere le proprie estremità o parti del viso come le labbra. Provava solo caldo, un calore piacevole che gli entrava dentro, ovunque. E fu sempre il caldo che iniziò a fargli prendere coscienza con sé stesso prima e col mondo poi. Iniziava a diramarsi permettendogli di creare una forma, nella mente, delle parti in cui lo sentiva entrare. La sua pelle lo stava assorbendo e l’eco di una atavica mobilità iniziò a risorgere nelle sue membra.
    Il colore rosso si fece più intenso dietro le palpebre chiuse, più chiaro, per variare verso l’arancione e il giallo, fino a perdere una propria cromia ed essere solo luce.
    Inspirò a fondo, si rese conto che poteva farlo, e prese di nuovo confidenza con i polmoni e i denti, leggermente serrati, che vennero rilasciati rilassandogli i muscoli facciali – prese coscienza anche di essi.
    Il calore era tutto intorno a lui, ma avvertiva dei punti precisi in cui si concentrava e il suo corpo lo assorbiva come una spugna senza mai stancarsi. Niente shock termico come sul Nohro, non doveva essere a contatto diretto con delle fiamme.
    E allora dov’era?
    Era vivo?
    Era morto?
    - Yuzo… -
    Riuscì a pensare solo al nome del volante nell’ovatta che rallentava ancora le sue facoltà cognitive, rendendole pastose e difficili, come camminare nel fango. Si chiese dove lui fosse, se erano ancora nella caverna, se lo stava ancora abbracciando. I ricordi iniziarono a scorrere all’indietro, per fargli ritrovare la memoria di quei momenti, ma erano tutti sconnessi, confusi. Attimi lunghissimi di vuoto e altri pieni di parole senza senso. Il volante aveva cercato con ogni mezzo di riscaldarlo, ma l’incantesimo di Congelamento era troppo difficile da contrastare.
    - Yuzo… -
    Ricordava il panico nella sua voce. E poi? Che era successo, dopo? Aveva detto all’uccellino di non preoccuparsi? Gli aveva detto che sarebbe andato tutto bene? Non riusciva a ricordarlo.
    Doveva svegliarsi, doveva sapere dov’era il volante, accertare con i propri occhi che stava bene e poi dopo avrebbe potuto dormire un altro po’.
    Deglutì. Prese coscienza della propria gola e della saliva. Mosse la lingua all’interno della bocca senza aprirla. Arrivarono i primi rumori.
    Un fruscio regolare: il proprio respiro. Un flusso continuo: il proprio sangue. Un lento sfrigolare lontano: forse un braciere?
    Pesi sullo stomaco, sul petto, sulle gambe; coincidevano con i punti più intensi di calore.
    Un dito si mosse di scatto, solitario, e poi si riabbassò. Recuperare la mobilità sarebbe stato un po’ più lento come processo, ma stava andando bene.
    Arricciò il naso, sollevò le guance e storse le labbra. Strinse gli occhi.
    Sì, niente male. Un po’ alla volta, adesso doveva solo schiudere le palpebre…
    La luce non perse subito la sua acromia, quando riuscì ad aprire gli occhi, tanto che in un primo momento pensò che fossero ancora chiusi. Poi, l’indistinto iniziò ad assumere delle forme precise e delle tinte più nette.
    Legno. C’era del legno sopra la sua testa, in bande una di fianco all’altra. Sembrava un soffitto. Il colore era opaco per il vapore che lo circondava; passava davanti agli occhi in nuvole e saturava l’ambiente in maniera piacevole. Ecco perché si stava così caldi.
    Inspirò a fondo, sbatté le palpebre lentamente e spostò le iridi. Non vedeva altro che legno e vapore da lì, doveva provare a girare il viso di lato, ma l’impresa, sulle prime, si rivelò oltre la sua portata.
    Per la terza volta tirò un lungo respiro e si sforzò. Adagio, un millimetro alla volta, la testa prese a muoversi e le immagini iniziarono ad assumere profondità. Il soffitto continuò fino a una parete, abbassò lo sguardo e la seguì. Era completamente a vetri, ma non erano appannati; il vapore era concentrato più al suo fianco e verso la volta, per poi disperdersi.
    Si focalizzò sulle vetrate e su ciò che c’era al di fuori. Forse un muro, un corridoio. Nessuno.
    - Yuzo… -
    Delle panche. Vuote.
    - Yuzo… -
    Una figura, l’unica. Aveva cambiato posizione all’improvviso, scavallando le gambe e disincrociando le braccia. La schiena dritta, le labbra schiuse. Lo sguardo attento, familiare.
    Mamoru sentì la bocca tendersi senza alcuno sforzo; gli parve incredibile.
    - Yuzo. -
    Era lì, anche se dall’altra parte del vetro. Forse non poteva entrare, forse faceva troppo caldo e per lui no, non andava bene. Non oltre i cinquanta gradi, giusto? Non se lo ricordava ma non gli importò affatto. Yuzo c’era, stava bene e ora gli stava sorridendo. Una mano sollevata in segno di saluto.
    Sorrideva. Solo per lui.
    Mamoru si sforzò, alzò la mano poco alla volta anche se la sentiva pesantissima, come morta, e non riusciva a muoverla bene. Però la sollevò quel tanto che bastava per ricambiare il saluto del volante. Quindi girò nuovamente il volto al soffitto e chiuse gli occhi. D’improvviso gli parve che lì dentro facesse più caldo di prima.

    Vedere Mamoru riprendere conoscenza e girarsi a guardarlo gli aveva fatto distendere il primo sorriso da che Hajime era arrivato per salvarli dalle macerie della montagna.
    Mentre si trovava chiuso in quello spazio angusto e buio, Yuzo era rimasto sordo a qualsiasi rumore esterno fino a che non aveva udito il rotolare delle pietre e più si era avvicinato, più ai massi si era associato un altro rumore, un chiacchiericcio concitato che, a mano a mano, si era trasformato in voci distinte e poi quel richiamo familiare che aveva subito ricongiunto ad Hajime.
    Quando la luce era nuovamente arrivata ai suoi occhi, Yuzo era stato costretto a doverli chiudere, accecato.
    Tutt’intorno: persone sconosciute, pastori. Hajime gli aveva parlato di cittadini di Hemur e cani che avevano percepito l’aria calda del suo shurhùq emergere tra le pietre. Lui l’aveva ascoltato senza capire, mentre gli occhi erano rimasti puntati su Mamoru che era stato caricato su una portantina. Alla luce del sole aveva potuto scorgere il pallore innaturale del suo viso e gli aveva gelato il sangue. Con passo malfermo aveva cercato di raggiungerlo e magari portarlo in volo dal Naturalista, ma come aveva tentato di sollevarsi era crollato al suolo. Le gambe non l’avevano retto. Stancato fino al limite dalla tensione, dall’utilizzo continuo dei poteri, dalla posizione immobile per troppo tempo, dalla poca aria all’interno del riparo di fortuna.
    Arrivati dallo Stregone, Shibasaki aveva detto che doveva essere condotto in città, dove c’era una sauna, il luogo adatto per curarlo: perché Mamoru non era morto, come aveva temuto, e quando il medico gli aveva spiegato che era ancora vivo, ma in stasi vegetativa autoindotta, era stato sul punto di piangere di nuovo, sentendosi invadere da un senso di sollievo che non aveva mai provato. Come se fosse rinato.
    E ora restava fuori dalla sauna, ad aspettare. Non si era mosso da che era arrivato. Voleva assicurarsi con i suoi occhi che Mamoru stesse bene.
    Sorrise, di nuovo, appoggiandosi una mano sul petto dove il cuore aveva assunto un battito veloce, non appena la Fiamma aveva schiuso le palpebre e l’aveva guardato.
    “Quindi era proprio questo…” si disse, ripensando a sé stesso e al legame che aveva con Mamoru. Un legame speciale ed esclusivo che gli aveva, davvero, riempito l’anima di così tante emozioni da essere traboccante. “…non era poi così difficile capirlo. Chissà perché ci ho messo tanto…” Accentuò la piega delle labbra, osservando il compagno di nuovo addormentato. Si corresse. “Ci abbiamo.” 
    “E allora?”
    Hajime arrivò con passo sostenuto e l’espressione che cercava di camuffare la tensione.  Yuzo lo vide farsi dappresso, distogliendolo dai propri pensieri. Gli rivolse quel sorriso che aleggiava ancora sulle labbra.
    “Starà bene. Un momento fa ha ripreso conoscenza. Mi ha addirittura salutato.”
    A quelle parole, il Tritone stemperò l’aria severa in favore di un lungo e profondo sospiro sollevato. Si lasciò cadere accanto al volante e si passò una mano sul viso in un gesto che voleva sciogliere più velocemente la tensione accumulata in quegli ultimi giorni.
    “Sei preoccupato?” Yuzo poggiò la schiena alla parete e lui fece altrettanto.
    “Sì. Molto.” Incrociò le braccia, scuotendo il capo. “Due volte ci siamo trovati ad affrontare degli Stregoni, che erano per giunta in numero inferiore rispetto a noi, e per due volte dei nostri compagni hanno rischiato la vita!” Spettinò la chioma ribelle e sbuffò, iniziando ad alterarsi e gesticolare. “Cosa faremo quando ce ne troveremo davanti a decine? Come li affronteremo?”
    “Non lo so.”
    “Non siamo pronti per questo” disse lapidario, sporgendosi in avanti ed appoggiando gli avambracci sulle ginocchia. Tutta la sicurezza e la spavalderia avuta dopo il primo scontro erano ormai scomparse, per lasciare posto alla realtà dei fatti. “Ci eravamo illusi come degli sciocchi e questo è stato il risultato.”
    Yuzo osservò il nervosismo che traspariva dal modo in cui stringeva le mani, sotto al viso. Hajime doveva essersi spaventato molto per Teppei e per Mamoru. Gli strinse la spalla.
    “Per tante cose eravamo convinti di non essere pronti, eppure le abbiamo affrontate lo stesso. In un modo o nell’altro affronteremo anche questa, se le Dee decideranno di metterla di nuovo sul nostro cammino.” Tornò a guardare la figura della Fiamma avvolta dal calore protettivo che saturava la sauna. Sorrise mentre la voce assumeva un tono più basso, quasi stesse prendendo coscienza di una realtà imprescindibile che aveva sempre fatto parte di loro, ma di cui si stava rendendo conto solo in quel momento. “Siamo Elementi, gli Stregoni sono i nostri nemici naturali. Non possiamo fuggire.”
    Anche le labbra di Hajime si piegarono piano verso l’alto. Le sopracciglia si aggrottarono, conferendogli un’espressione quasi sofferente.
    “Ci stiamo avvicinando” mormorò. “Lo sento.”
    “E allora combatteremo.”
    Tsk! Conoscendo quei due incoscienti, si getteranno contro i nemici senza pensare. Figurarsi. E noi lì, a prenderci cura delle loro ferite e a… morire di paura!” Sbuffò, girando altrove il viso.
    Yuzo rise divertito.
    “E Teppei come sta? Si è ripreso del tutto?” Nella confusione di quei momenti, nella paura che ne era seguita aveva scorto il tyrano solo di sfuggita, ma vederlo perfettamente cosciente era stata una risposta più che esaustiva a qualsiasi domanda.
    Hajime sospirò, perdendo buona parte del piglio arrabbiato. Tornò ad appoggiarsi con la schiena alla parete.
    “Sì, sì. Sta bene. L’antidoto di zaikotto è di per sé a effetto rapido, contando che Teppei è un Elemento è stato addirittura quasi istantaneo. Ciò non toglie che, quando l’ho visto agonizzante, io…” Non riuscì a finire la frase. Anche solo ricordare il modo in cui il viso era contrito, la sua sofferenza gli fece provare nuovamente la paura che aveva avuto di perderlo. Camminò sotto la pelle come un serpente, strisciava, trasformandosi in brivido.
    “Capisco quello che hai provato.”
    Il Tritone cancellò le immagini terribili di quei momenti per osservare prima il corpo di Mamoru e poi il profilo del volante, con la coda dell’occhio, che restava puntato sulla Fiamma senza perderlo di vista un momento. Sorrise, sollevando lo sguardo al soffitto dove i mattoni della costruzione si fondevano al legno.
    “Lo so.”
    Yuzo inspirò a fondo. “All’improvviso ti accorgi che tutti i poteri di cui sei dotato, che hai appreso dopo anni di sacrifici non servono a nulla perché la persona che vorresti salvare, non puoi salvarla.”
    “Già…” Hajime ricordò come fosse stato disposto addirittura a vendere l’anima a Kumi pur di salvare Teppei. Non si era mai sentito così impotente in vita sua. Quanto ingiusta gli era parsa la realtà che la sua magia, forse, non fosse abbastanza?
    “Hai mai fatto un incantesimo combinato?”
    Quella improvvisa domanda di Yuzo lo fece voltare.
    “Non volutamente. Perché?”
    “Vorrei entrare nella sauna, ma la temperatura è troppo alta per me. Però, se usassimo una combo...”
    Il volante gli apparve deciso e lui comprese quel desiderio di non voler restare con le mani in mano e di avvicinarsi anche solo un po’ al compagno ferito.
    Per questo l’osservò a lungo e in silenzio prima di affermare: “Brina.”
    “Brina?”
    “Sì, fondiamo aria e acqua a bassa temperatura in modo da rivestire il tuo corpo di un sottile strato di gelo. Ma non durerà più di pochi minuti. Che ne pensi?”
    “Saranno sufficienti.” Yuzo si alzò in piedi e il suo entusiasmo, anche per un gesto così piccolo, lo fece sorridere.
    Si alzò a sua volta, fermandosi davanti a lui.
    “Crea un flusso d’aria che avvolga completamente il tuo corpo” spiegò e il volante obbedì. Il vento si levò in lingue sottili ma stabili che si avvilupparono agli abiti partendo dalle mani e dai piedi. Scivolarono sulla pelle e si avvolsero a spirale, seguendolo interamente come fossero stati un’armatura.
    Hajime annuì e sollevò una mano, in modo che Yuzo potesse sovrapporvi la propria e unire i loro poteri in un incantesimo congiunto. Con l’altra mano, il Tritone toccò la sua armatura di vento e si concentrò affinché delle gocce d’acqua potessero imperlare l’aria, come rugiada sulla tela d’un ragno. Insieme, i due Elementi variarono la temperatura fino a che l’aria non si immobilizzò trasformandosi in una fragilissima patina di ghiaccio. L’armatura di vento era ora divenuta una armatura di neve. Le sagome dei fiori che l’acqua aveva creato nell’aria, cristallizzandosi, la decoravano in ogni sua parte. Sul capo, sul viso. Ricoprivano gli abiti e le mani.
    Hajime guardò il lavoro con una certa soddisfazione; per essere la prima volta erano stati proprio bravi.
    “Va’. Hai poco tempo” disse poi, incitando il compagno che annuì e si avvicinò all’ingresso della sauna senza compiere movimenti bruschi. La Brina era fragilissima e sarebbe bastato un niente per mandarla in frantumi.
    Il volante aprì la porta e il calore che provenne dall’interno lo investì in pieno. Lo sentì salire lungo le narici ma quella patina di acqua e aria che lo avvolgeva era un ottimo filtro e riusciva ad abbassare la temperatura dell’ossigeno che inalava, per fortuna: lì dentro facevano circa 220 °C.
    Svelto richiuse l’uscio alle spalle perché il calore non si disperdesse all’esterno e si avvicinò a Mamoru.
    Il suo corpo restava disteso, al centro di quella stanza, su tavole in legno attraverso le quali filtravano i vapori bollenti della sorgente termale. Sull’addome nudo e sul petto erano poggiate tre pietre laviche il cui cuore ardeva ancora di materiale fuso. L’unico indumento che aveva addosso era un telo che copriva il bacino.
    A guardarlo ora, si accorse di come il colorito della sua pelle fosse tornato quello di prima, e non più preda del pallore tombale. Il suo corpo stava a poco a poco recuperando la giusta temperatura. Il Naturalista l’aveva detto che ci sarebbero volute alcune ore, addirittura tutta la notte.
    A lui non importava quanto tempo, ciò che contava era che Mamoru fosse fuori pericolo e che si sarebbe rimesso.
    Piano gli appoggiò solo la punta delle dita sul dorso della mano e una smorfia di disappunto attraversò i tratti della Fiamma.
    Mh… sei… gelido” borbottò con qualche difficoltà, prima di aprire gli occhi per poterlo guardare. Anche se non l’aveva visto entrare, Mamoru l’aveva riconosciuto subito, quasi per istinto.
    Yuzo sorrise. “Per necessità.”
    “L’uomo… delle nevi…” Lo prese in giro la Fiamma appena lo vide avvolto da quella patina di sottile ghiaccio bianco che schiariva tutti i suoi colori e quelli degli abiti.
    “Se hai energie per fare battute, significa che sei già sulla via della guarigione.”
    Anche lui gorgogliò una mezza risata. Poi lo guardò. “Stai… bene?”
    “Sì. E a breve starai meglio anche tu.”
    Mh…” I suoi occhi si sforzarono di scrutare attentamente tutta la figura del volante. “Sei… ferito?”
    Yuzo scosse il capo, continuando a sorridere.
    “E Teppei?... Lui…”
    “Sta benissimo.” Lo rassicurò il volante e quella notizia sembrò quasi togliergli un peso dallo stomaco. Si rilassò, prima di rabbuiarsi nuovamente per un attimo.
    “Gli… Stregoni?”
    “Fuggiti.”
    “Li ritroveremo… vedrai…” E gliel’avrebbe fatta pagare con gli interessi. Quei maledetti bastardi. Avevano avuto la meglio solo perché lo avevano affrontato su un terreno che a lui era estremamente sfavorevole, altrimenti non ne sarebbero usciti vivi. E gli avrebbe portato il conto anche per quello che avevano fatto a Teppei. Maghetti da due scudi.
    La voce di Yuzo placò la sua collera con estrema facilità per la seconda volta. Forse perché era troppo debole in quel momento o forse perché nascondeva davvero proprietà taumaturgiche, almeno per lui.
    “Non pensarci. Riposati. Ne riparleremo quando starai meglio.”
    Un pezzo di brina che rivestiva il volante si staccò per intero, si sciolse ed evaporò prima che potesse toccare il suolo.
    Lui si accigliò. “E… e tu… esci… prima di… ustionarti…”
    Stranamente e come solo nei suoi sogni più reconditi aveva desiderato, Yuzo obbedì senza protestare.
    “Va bene. Ci vediamo dopo” disse, poi si volse per raggiungere la porta.
    Mamoru si disse che le Dee erano divenute dispensatrici di miracoli a tutto andare se non solo si era salvato, ma il volante lo stava addirittura a sentire senza che dovesse minacciarlo o sgolarsi.
    Poi un altro pensiero, più forte, soppiantò tutto il resto.
    Uccellino…” Lo fermò prima che uscisse, cercò il suo sguardo, anche se con sforzo, riuscendo a volgere il capo verso di lui. “…resterai nei paraggi… vero?”
    Nonostante la confusione che regnava ancora nella sua mente e la nebbia che ricopriva buona parte dei ricordi di ciò che era successo prima di risvegliarsi in quel posto, la sensazione di distacco, di vedere Yuzo andare via lo aveva destabilizzato all’improvviso.
    Ma quando scorse il suo sorriso accentuarsi e assumere quella piega calda si sentì sereno.
    “Non mi muoverò da qui.”
    Una smorfia quieta comparve a distendere anche le sue, di labbra, prima che la buttasse sull’ironico. “Non farti… strane idee… L’ho detto solo… solo perché… ti cacci sempre… nei guai e io… non posso… perderti di vista.”

    Mentre restava fuori dalla sauna, Hajime venne raggiunto da Teppei. Ormai la pietrificazione si era ritirata del tutto e lui era potuto tornare a camminare senza problemi.
    Gli si fece dappresso con passo svelto e zaikotto arrotolato al collo.
    “E allora? Come sta la mummia?”
    Hajime sbuffò un sorriso, scuotendo il capo. “Se ti sentisse, verrebbe a dirtene quattro anche strisciando.”
    L’altro ridacchiò, sedendosi accanto al Tritone. Guardò l’interno della sauna e vide che c’era Yuzo con Mamoru.
    “Come ha fatto a entrare? La temperatura è alta.”
    “Abbiamo usato un incantesimo combinato.”
    “Oh! Davvero?!” Teppei se ne interessò subito. “Qualche volta mi piacerebbe provarne uno con te! Sarebbe fantastico!”
    L’altro nascose il piacere di quelle parole dietro il solito atteggiamento da agadìro un po’ scostante e distaccato. Incrociò le braccia e lasciò che il ciuffo gli coprisse l’occhio senza spostarlo. “Lo abbiamo già fatto e, credimi, non ne è uscito niente di buono.”
    “Ah sì?! E quando?!”
    “Deserto del Poli-Poli, ti dice niente?”
    Teppei ci pensò un po’ e poi tirò le labbra in un’espressione che sembrava dire ‘ops’. “Ah! Quelle.”
    “Già. Quelle.”
    Dove ‘quelle’ altre non erano state che le sabbie mobili in cui si erano intrappolati da soli. Ma il tyrano non si perse d’animo e fece schioccare le dita, prima di mostrare un sorriso convinto. “La prossima volta faremo di meglio!”
    Hajime non poté non sorridere del suo solito entusiasmo, che era sempre così solido e caldo e sapeva compensare la freddezza del suo spirito liquido.
    “Sì. Faremo di meglio” ripeté e un po’ ci credeva anche lui, dopotutto.
    “Senti…” Teppei gli rivolse uno sguardo crucciato. “Potrei avere un’altra squama? La mia è andata perduta…”
    “Come sarebbe ‘è andata perduta’?”
    “Sì, il Naturalista l’ha dovuta usare per bloccare la mia pietrificazione. Dice che ha proprietà miracolose! Non lo sapevi?”
    Dall’espressione sorpresa che fece, fu chiaro che Hajime lo ignorasse. “No…”
    “Beh! Io l’avevo detto che era la mia squama portafortuna, no? Non mi sarebbe mai potuto accadere nulla di male! Avevo ragione!”
    Hajime arrossì visibilmente, tanto che si costrinse a girare altrove la faccia, ma dentro l’idea che una parte di lui l’avesse aiutato così tanto lo fece sorridere di gioia.
    “Allora? Posso averne un’altra?”
    “Sì, certo” accordò. “Al prossimo compleanno.”
    “Cosa?! Noooo! Eddai! Non posso aspettare il prossimo compleanno, Hajime!”
    Lui sghignazzò divertito ai borbottii del tyrano che gli pungolava il braccio per riuscire a strappargli la promessa di avere una nuova squamina, anche piccola.
    In quel momento, Yuzo uscì dalla sauna. Buona parte della sua armatura di brina era spezzata e pronta a cadere in pezzi, tanto che al volante bastò scrollarsi affinché rovinasse del tutto. Teppei ne afferrò un frammento osservando il modo rapidissimo con cui si dissolse nel palmo.
    “Fantastico!” esalò, realmente colpito. Poi sollevò lo sguardo sul giovane d’Aria. “Come sta Mamoru?”
    “Bene, ha solo bisogno di riprendersi. Ci vorrà qualche ora.”
    “Per fortuna.”
    “E tu stai bene?” Yuzo glielo chiese poggiandogli la mano sulla spalla, e il muso dello zaikotto andò subito ad annusarlo, con curiosità. Il volante gli carezzò la testa e l’animale ridacchiò, deliziato.
    “Benissimo!” affermò Teppei, battendosi il petto con un colpo deciso. “Una roccia.”
    “Non esagerare, adesso.” Lo pungolò Hajime con il gomito e lui si grattò la massa di ricci, un po’ in imbarazzo.
    “E con lo zaikotto? Cosa avete deciso?” Yuzo seguitò a solleticare il serpente che ora si era capovolto per farsi coccolare meglio, sotto al muso.
    Teppei arricciò le labbra. “Io vorrei tanto portarlo con noi… ma non credo che i campi di battaglia in mezzo agli Stregoni siano i posti più adatti a lui” sospirò. “Vorrei chiedere al Naturalista di prendersene cura.”
    “Ti fidi?” domandò Hajime in tono un po’ caustico. Era pur sempre uno Stregone e, nonostante tutto, doveva ammettere di essere ancora un po’ diffidente.
    “Non fino in fondo, però… mi ha salvato la vita. Qualcosa dovrà pur voler dire, no?” Si strinse nelle spalle. “Gli darò una possibilità. Ovviamente mi farò promettere solennemente di non fargli del male, anche se non so quanto piacerà a questo zaikotto restare assieme a uno Stregone.”
    “Magari potresti venire a riprenderlo, quando tutto questo sarà finito” propose Yuzo e il compagno di Terra annuì, con convinzione. “Per il nome, invece? Avete deciso?”
    Teppei si illuminò. “A me piace Johnny! È simpatico!”
    “Naaa, ma che nome è!” sbottò Hajime. “Perché non Ted, piuttosto? Breve e rapido.”
    “Ma no! Ted è un nome da orsetto di pezza!” criticò l’altro con decisione e poi rivolse lo sguardo al volante. “Yuzo, tu sei abituato a stare a contatto con le phaluat e a dare loro dei nomi, hai qualche suggerimento?”
    L’interpellato inclinò leggermente il capo. Il dito passava sotto al muso, adagio. “Visti gli occhi che ha… vi piace Silver?”
    “Argento? E’ perfetto!” approvò subito Teppei e poi si volse a cercare conferme anche in Hajime “Che ne dici?”
    Il Tritone annuì. “Secondo me fa proprio al caso suo.”
    Anche Silver parve essere d’accordo e scivolò tra i suoi nuovi padroni facendo schioccare la lingua in una contagiosa risata.

    Quella notte, per quanto Hajime avesse proposto di fare a turno, Yuzo rimase seduto fuori dalla sauna. Avrebbe dormito lì, su una delle panche, non sarebbe stato un problema.
    Il Tritone non aveva insistito, comprendendo i motivi del volante.
    Non si era mosso nemmeno per andare a cena, consumando in quella saletta d’attesa un pasto veloce con i suoi compagni.
    Hajime e Teppei erano già andati a riposare, ambedue a pezzi dopo quella giornata estenuante che li aveva visti lottare contro il tempo e la morte per riuscire a sopravvivere. Piegando il collo, da un lato e dall’altro, dovette ammettere a sé stesso di essere anche lui molto più stanco di quello che dava a vedere. Le gambe erano leggermente indolenzite e la schiena dolorante per lo scontro con i fratelli Konsawatt.
    Faran.
    Il nome dello Stregone apparve e scomparve dalla sua mente come un lampo. Lasciandogli un sapore acre nella bocca. Inspirò a fondo e appoggiò la testa contro il muro, guardando il soffitto.
    “Dovresti riposare anche tu.”
    La voce di Shibasaki comparve dal nulla, assieme alla sua figura.
    “Appena non sarò più in grado di tenere gli occhi aperti, mi stenderò qui” rispose, accennando un sorriso.
    “Tenaci fino all’ultimo e fedeli.” Hiroyuki inarcò un sopracciglio con divertita ironia, prendendo posto accanto al giovane d’Aria.
    “La fedeltà e la lealtà sono le prime cose che ci insegnano” precisò Yuzo, tornando a guardare il corpo di Mamoru dall’altra parte del vetro.
    “Ti sorprenderà sapere che anche noi abbiamo una nostra concezione di lealtà.”
    “Sì, l’ho visto.”
    Shibasaki osservò il profilo del suo giovane interlocutore.
    “Non credevo che tra Stregoni potessero esserci legami di affetto, anche se tra fratelli.”
    “I Konsawatt?”
    “Sì” annuì Yuzo. “E’ stato interessante.”
    Lui si strinse nelle spalle. “Non è sempre così; molte volte cerchiamo di farci le scarpe a vicenda, ma siamo consapevoli di avere un fine comune, una Dea comune e un destino comune.”
    “E il fine sarebbe?” Stavolta, il volante si girò a guardarlo: le iridi attente, il tono forse un po’ più duro di quello che avrebbe voluto. “La distruzione del mondo?”
    “Se distruggessimo il mondo non avremmo più niente nemmeno noi, ti pare?” Shibasaki lo guardò da sopra gli occhiali, con piglio divertito. Poi si girò, puntando altrove le iridi scure. “Vogliamo creare un ordine nel caos attuale. Un’unica scuola magica, un’unica Dea. Cancellare la frammentazione che esiste con Aria, Acqua, Terra e Fuoco e imporre l’unico non-elemento che li racchiude tutti: l’Oscurità.” La coda dell’occhio tornò a inquadrare il volante. “Nel buio non ci sono distinzioni.”
    “Ma non ci sono neanche forme né colori. Non ci sono odori, non ci sono sapori. Se tutto è uguale non ci sono obiettivi né sogni. Non ci sarebbero distinzioni nemmeno tra dolore e gioia.”
    “Ma nemmeno tra vita e morte” ribatté prontamente.
    Yuzo sostenne il suo sguardo. “L’eternità non ci appartiene, non siamo divinità.”
    “Ma possiamo evolverci, ci hai mai pensato? Passare a un livello superiore.”
    “E lo dovremmo cercare nel buio? Dove amici e nemici sono fusi insieme senza possibilità di riconoscerli? Non c’è cosa peggiore che non riuscire a vedere il proprio nemico e l’oscurità cela orrori che la vista non può nemmeno immaginare.”
    Shibasaki si girò, per guardarlo dritto negli occhi. “Quanto conosci ciò di cui parli?”
    “E voi? Quanto ne conoscete?”
    In quel nocciola, per quanto gli apparve trasparente, vi era anche una sorta di imperscrutabilità che non gli permetteva di andare fino in fondo e capire quale aspetto aveva affrontato, del buio, il ragazzo che aveva di fronte. O forse sì. Forse poteva immaginarlo, dopotutto, quello era pur sempre ‘il mostro di Sendai’.
    Scrollò nuovamente le spalle, tirando su gli occhiali. “Beh, ormai ho lasciato la Magia Nera, quindi non è più il mio obiettivo. A dire il vero, ho sempre apprezzato il fine di unità in cui non esistesse più il forte e il debole, il buono e il cattivo, il ricco e il povero.” Sospirò, appoggiandosi con la schiena al muro. “Tutti uguali. Ma ammetto che forse l’Oscurità è troppo… densa per me e forse, sì, forse questo mi ha sempre spaventato.” Tornò a guardarlo. “E se quest’unico mondo buio non fosse come l’abbiamo immaginato? Me lo sono chiesto, poi ho incontrato la persona di cui ti ho parlato e mi sono lasciato alle spalle la filosofia della Magia Nera per vivere il presente. Con il senno di poi, ammetto di essere fuggito dai dubbi per non darmi una risposta.”
    “Io ho visto cosa lascia l’Oscurità dietro di sé e dentro le persone: dolore e angoscia.” Yuzo aveva imitato il suo gesto di appoggiarsi al muro, ma aveva spostato lo sguardo alle proprie mani, abbandonate in grembo. “Voi parlate di un’unità multipla: tanti singoli che formano un unico corpo avvolto dal buio e chiamato Oscurità. Ma l’Oscurità che conosco io è un’unità singola e assoluta che vuole distruggere tutte le altre.” Guardò Shibasaki. “Chi dei due ha ragione?”
    Il Naturalista annuì lentamente. Le labbra che si tendevano in un mezzo sorriso. “Bella domanda. Forse non abbiamo ancora i mezzi per poter rispondere. E dopotutto io sono solo un Naturalista, adesso.” Ormai aveva preso la sua decisione, sarebbe tornato a fare il medico, questa volta senza fuggire dalle difficoltà.
    Sorrise anche Yuzo. Quello Stregone era totalmente differente da Hans perché nei suoi ragionamenti regnava una logica nient’affatto scontata. “Lo credo anch’io” appoggiò. “Ci aiuterete a trovare il Principe? Voi sapete dove si trova l’ingresso alla base.”
    “Sì, lo so” ammise Hiroyuki. “E, sì, vi aiuterò. Se vi fidate del sottoscritto.”
    “Vi ringrazio.”
    “Avrei però una domanda.”
    Yuzo osservò lo sguardo del Naturalista e sembrava alquanto titubante. “Quale?”
    “Riguarda il Nero” disse Shibasaki e non gli sfuggì il modo in cui l’altro spostò lo sguardo per un momento, prima di tornare a fermarlo nel suo e gli parve diverso, più attento, come se dovesse valutare sia la domanda che avrebbe ricevuto che la risposta che avrebbe dato. In quel momento, e come aveva sospettato fin dall’inizio, ebbe la certezza che quel ragazzo era a conoscenza di tutto ciò che avrebbe voluto sapere.

    La prima cosa di cui Mamoru si rese conto, quando si svegliò e aprì gli occhi, fu di essere perfettamente in grado di muoversi e percepire l’ambiente circostante senza difficoltà.
    Quello che il giorno prima gli era sembrata una stanza piena di vapore, adesso sapeva essere una sauna. Una sauna particolare perché le temperature non dovevano essere affatto basse. Forse sui duecento gradi.
    Cautamente si mise a sedere, togliendo le pietre laviche dal proprio corpo per appoggiarle su un supporto roccioso poco distante da lui.
    Studiò l’interno della stanza, guardandosi attorno e seguì il vapore che saliva verso il soffitto. Poi puntò gli occhi sulla vetrata.
    Sorrise nel riconoscere la figura di Yuzo distesa sulla panca; quello sciocco era rimasto a dormire lì. Tipico di un volante.
    Con movimenti non troppo bruschi si alzò, appurando che la testa non girava, quindi poteva avanzare anche con maggiore decisione. Si sistemò meglio il telo sui fianchi e raggiunse l’uscita. Come aprì la porta, lo sbalzo di temperatura tra l’interno e l’esterno lo fece rabbrividire con forza. Sarebbe dovuto passare attraverso fasi intermedie, ma non c’era tempo e si sarebbe dovuto accontentare. Camminando scalzo, si avvicinò al giovane d’Aria. Era girato su un fianco e doveva stare scomodissimo. Si accoccolò davanti a lui, appoggiando le mani sulle ginocchia.
    Per davvero non si era mosso, proprio come gli aveva detto, e lui scosse il capo, sbuffando un mezzo sorriso.
    “Sei il solito.” Gli disse, pungolandogli la fronte con l’indice.
    Yuzo arricciò il naso a quel tocco e aprì gli occhi trovandosi davanti quelli nero pece della Fiamma.
    “Ehi… sei uscito dalla sauna?” impastò, stropicciandosi il viso ancora assonnato. “Come stai?”
    Mphf, ho avuto momenti migliori.”
    L’altro sorrise prima di sbadigliare sonoramente e stiracchiarsi per bene. “Ahi” lamentò alle proteste della schiena. “Ti dirò, sono un po’ scomode.”
    “Perché non sei andato a dormire in un letto come si deve, piuttosto?”
    “Perché se no non avresti potuto ‘tenermi d’occhio’” ridacchiò il volante e lui lo imitò, scuotendo il capo. “E poi se ti fossi svegliato e avessi avuto bisogno di aiuto? Non avresti saputo nemmeno dove andare.”
    “Non sono mica così stupido!” sottolineò Mamoru e Yuzo ne approfittò per prenderlo in giro.
    “Ah, no?”
    “Ehi, senti un po’! Stai tirando un po’ troppo la corda, lo sai?”
    Yuzo non rispose, ma continuò a ridacchiare, divertendosi a punzecchiarsi come al solito, a sentire la sua voce e quel tono un po’ sbruffone cui si era abituato e che era divenuto una parte fondamentale della sua quotidianità. Fosse stato per lui, si sarebbe sempre voluto svegliare in quel modo: con la voce di Mamoru, i suoi gesti, il suo modo di inarcare un sopracciglio, le sue battute e i suoi occhi, neri e complici, l’unica oscurità che non aveva mai trovato ostile.
    “Avrei bisogno di fare un bagno” riprese la Fiamma, alzandosi e sgranchendosi le gambe. “Dove siamo?”
    Yuzo si mise a sedere. “A Hemur. Il proprietario di questa sauna ci sta ospitando, dormiamo al primo piano. Questo è interrato.”
    “Come ne siamo usciti?”
    “Hajime. Te l’avevo detto, no, che sarebbe arrivato.”
    “E Teppei?”
    “Sta benissimo. Hajime è riuscito a trovare lo zaikotto, lo ha portato al Naturalista e questi ne ha ricavato il siero. Appena in tempo.”
    “Grazie alle Dee” esalò Mamoru assieme a un lungo sospiro. Piano si sedette accanto a Yuzo, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. “Questa volta ce la siamo proprio vista brutta.”
    “Abbastanza.”
    “Beh, ci sia di lezione e vediamo di assimilarla in fretta per affrontare la prossima tappa. Per caso Hajime ha già parlato con il capo villaggio?”
    Yuzo sospirò. “No, non ce n’è bisogno.” Si girò per cercare il suo sguardo. “Ci siamo.”
    “Che vorresti dire?”
    “Il Principe è scomparso qui.”
    Mamoru sgranò gli occhi, cambiando posizione. “Cosa?! Come lo hai saputo? Chi-”
    “Me lo ha detto il Naturalista.”
    Tsk, lo Stregone vorrai dire.”
    “Naturalista.” Si impuntò il volante e Mamoru storse le labbra.
    “Yuzo, per favore, non vorrai dirmi che ti fidi di quell’uomo, vero?! Andiamo!”
    “Non ho detto di fidarmi ciecamente di lui, ma sono convinto che non stia mentendo.”
    “Possibile che tutto quello che abbiamo passato, che hai passato, non ti abbia insegnato nulla?!” Non poteva accettare che Yuzo fosse così cieco da non capire che uno Stregone non avrebbe mai potuto cambiare la propria natura, ma il volante gli rispose a tono, indurendo lo sguardo.
    “Proprio per questo ti dico che credo alle sue parole, Mamoru. Se io sono stato capace di distruggere intere città, perché diamine uno Stregone non potrebbe essere in grado di cambiare vita, se davvero lo vuole?”
    “Senti, te l’avrò ripetuto fino alla sfinimento, il tuo era un discorso diverso e-…” alzò le mani in segno di resa, scuotendo il capo. “Non voglio parlare ancora di quello che è successo a Sendai.”
    “Nemmeno io voglio farlo, quindi fidati di ciò che sento, almeno per una volta.”
    Risvegliarsi, dopo aver respirato il fiato della morte, e litigare con Yuzo non era proprio quello che si era aspettato, così, Mamoru girò il viso passandosi una mano tra i capelli con un certo nervosismo. C’erano già tante cose, tanti altri pensieri a pungere il suo spirito, non voleva ci si aggiungesse anche lui. “Avanti, sentiamo. Cosa ti ha detto?”
    Anche Yuzo smorzò il tono in favore di uno più morbido. “Shibasaki ha incontrato il Principe, dall’altra parte del Nohro. Sapeva che sarebbe dovuto passare per Hemur, ma quando è rientrato, quelli del villaggio hanno detto che Sua Altezza non è mai giunto a destinazione.”
    “E non può aver semplicemente cambiato percorso?”
    Yuzo sospirò, ignorando il tono piccato della Fiamma. “In tutto questo tempo ha mai modificato una delle tappe?”
    Mamoru dovette convenire che il Principe era sempre stato puntuale e preciso, ogni fermata del viaggio era stata rispettata senza problemi.
    “Inoltre, Shibasaki mi ha confermato che nei pressi del Nohro c’è la base degli Stregoni.”
    “L’avamposto a Sud?” La Fiamma si girò nuovamente a guardarlo, con espressione severa e il sopracciglio inarcato. Il volante annuì.
    “Ha detto che ci avrebbe indicato come raggiungerlo.”
    “Uhm, e già che c’eri non gli hai chiesto cosa ci ricava a tradire gli Stregoni come lui, per caso?” sbottò con quella sua arroganza che faceva saltare i nervi a tutti i Doge che avevano incontrato. Questa volta fu in grado di far innervosire anche Yuzo.
    “No, non gliel’ho chiesto, va bene?” Gli rispose quest’ultimo con stizza e il piglio arrabbiato. Lui lo sostenne.
    “Mi spieghi perché gli credi?”
    “Perché abbiamo parlato e in lui non ho avvertito né minaccia né ostilità.”
    “E di cosa avete parlato, sentiamo?” Per un attimo l’avvertì, in maniera netta, pungergli la schiena. Gelosia. Non sapeva di cosa, di preciso, ma era geloso.
    Yuzo sospirò e girò lo sguardo. “Di cose.”
    “Quali?”
    “Filosofia Elementale” tagliò corto il volante. Non voleva mettere in mezzo un discorso che forse Mamoru non avrebbe potuto comprendere perché più votato al pragmatismo e al cinismo che alla riflessione astratta.
    “Ah, beh. Un ottimo modo per capire se fidarsi o meno del tuo nemico. Come no.”
    Appunto, non avrebbe capito.
    Scuotendo il capo, Yuzo si alzò. “Vado a vedere se è possibile farti preparare un bagno” disse, allontanandosi per il corridoio.
    Quando lo vide andare via, Mamoru comprese di avere esagerato. “Yuzo, aspetta…” Era un tentativo di fermarlo, forse, ma che sapeva non avrebbe funzionato, infatti il giovane si limitò a rispondergli quell’asettico: “Cosa dovrei aspettare? Stai bene ora, no? Non hai più bisogno di me”, prima di volgergli nuovamente le spalle e lasciare la sauna.
    Rimasto solo, Mamoru sprofondò il viso in una mano, massaggiandosi la fronte.

    Al piano superiore la gente era già in piedi e nel vivo della giornata.
    Gli Elementi avevano dormito più di quanto immaginato, ma era stata una necessità per tutti.
    Yuzo e Mamoru si videro il tempo necessario per comunicare le novità ad Hajime e Teppei e poi furono entrambi presi dai preparativi che li separavamo da quella che si prospettava come la fase più difficile di tutta la missione: avrebbero dovuto avvicinarsi alla base degli Stregoni e scoprire se il Principe fosse davvero lì e se fosse ancora vivo, come tutti speravano.
    Solo quando fu il momento di definire gli ultimi particolari con Shibasaki, Yuzo andò a chiamare la Fiamma. Un po’, il volante dovette ammettere di averlo evitato di proposito, ma non era in quel modo che avrebbe voluto affrontare un momento così cruciale come quello che si profilava davanti a loro. Dovevano essere tutti concentrati e al meglio della condizione, così, decise di mettere da parte il fastidio per le parole della Fiamma e andare da lui, magari per riuscire a trovare anche un punto di incontro.
    Quando entrò nella stanza, vide che Mamoru era appoggiato con il braccio alla finestra e l’altro al fianco. A una prima occhiata sembrava stesse guardando l’esterno, ma il fatto stesso che non si fosse accorto della sua presenza significava invece che era perso in altri pensieri.
    “Sei pronto?” esordì, chiudendo la porta alle proprie spalle.
    La Fiamma si girò di scatto, sentendosi colto di sorpresa. Accennò una smorfia sorridente quando vide che era lui. Si allontanò dal vetro e portò le mani ai fianchi, indicando col capo la propria sacca da viaggio, ferma in terra.
    “Sì, sono a posto. Andiamo quando volete.”
    Yuzo si fermò a un passo, inarcando un sopracciglio. “Sicuro di star bene?”
    Lui si nascose dietro la solita ironia. “Perfettamente, a parte qualche brivido di tanto in tanto. Lo Stregone ha detto che è solo questione di tempo e poi non ne risentirò.”
    Il volante annuì, ma mantenne la stessa espressione ferma di quando era entrato e lui si rese conto che era inutile tentare di camuffare la verità, così sospirò e chinò il capo, passandosi una mano tra i capelli.
    “Scusami per prima, ero nervoso.” Si giustificò. “Tutta questa faccenda, l’attraversamento del Nohro e la febbre bassa… hanno messo a dura prova la mia pazienza. Non volevo prendermela con te.”
    “Non devi essere arrabbiato.” Gli disse e lui sollevò di nuovo lo sguardo che non celava l’irritazione.
    “Non dovrei? Per poco non mi faccio ammazzare e non dovrei essere arrabbiato?! Ho messo in pericolo anche te, tutto questo è… inaccettabile!”
    Il volante inarcò un sopracciglio. “Sai benissimo che sono l’ultima persona con cui puoi fare simili discorsi. Non dimenticarti che ho cercato di uccidervi tutti, quindi, ripeto: non devi essere arrabbiato, non ne hai motivo.”
    Lui sollevò le braccia al cielo in un gesto stizzito. Prese a camminare per la stanza, sbuffando come un toro. “Andiamo, era una situazione diversa!”
    “Forse, ma la sostanza non cambia: siamo in missione, per di più in periodo di guerra; il pericolo è la nostra quotidianità, adesso.”
    “Sì, ma non posso accettare che sia dovuto a un mio limite.” Scosse il capo, fermandosi. Si passò una mano sul viso cercando di rendere meno amara la propria frustrazione. “Gli altri possono fallire, ma non io… non io.”
    “Per quanto Elementi, siamo ancora esseri umani; ciascuna delle nostre classi presenta dei punti deboli. Ed è giusto così, lo sai anche tu.”
    “Perché deve fare tanto freddo? Lo odio.”
    Le labbra di Yuzo si piegarono in un sorriso divertito, osservando la sua schiena. “Perché se facesse sempre caldo, Hajime si scioglierebbe.”
    Mamoru ci pensò un po’ e quel ragionamento non faceva una grinza. Sì, lo sapeva anche lui che era giusto così. Nicchiò, stringendosi nelle spalle, poi si volse inarcando un sopracciglio, ma con le labbra piegate in una smorfia ironica e sorridente. “E tu perché hai sempre la risposta pronta? Stai diventando peggio d’un volante!”
    Mh, voleva essere un complimento?” Yuzo snudò i denti in uno di quei sorrisi che sapevano illuminare le sue giornate, ma non poteva non pensare a come fosse cambiato. Nel suo modo di parlare e di agire c’era una sicurezza che non aveva avuto fino a prima di arrivare a Ghoia. Anche pochi istanti prima, gli aveva tenuto testa parlandogli con razionalità e lucidità. Il passato sembrava non ferirlo più visto che glielo aveva sbattuto in faccia senza battere ciglio. Incredibilmente si rese conto che per quanto il suo spirito impulsivo avesse cercato di prevalere, il volante sarebbe sempre riuscito a dominarlo e a tenerlo con i piedi ben piantati al suolo. Il consigliere perfetto. L’amico fidato.
    L’amante…
    Impossibile.
    Il sorriso assunse una piega mesta. Con un sospiro pesante tornò a dargli le spalle. “Il fatto è che sono pur sempre il responsabile della missione e le vostre vite sono affidate a me. Per quanto nessuno di noi sia infallibile, non voglio rischiare di mettervi in pericolo.”
    “Questo lo capisco.” Yuzo lo raggiunse adagio, fermandosi a un passo da lui. Osservò i suoi capelli neri che s’appoggiavano sulle spalle e scendevano sulla schiena, ludici e perfetti. Quasi vivi. “Quante volte sono stato io quello che si è cacciato nei guai costringendovi a intervenire? Nessuno di noi vorrebbe essere un peso per gli altri. E tu non lo sei.”
    “Chissà” esalò Mamoru assieme al respiro, ma l’idea che il freddo potesse batterlo tanto facilmente l’aveva ridimensionato. Si era sempre sentito invincibile, padrone delle fiamme, eppure bastava che la temperatura scendesse troppo e non serviva più a niente. Non era facile scoprire di avere dei limiti tanto grandi e accettarli come se non fosse successo nulla.
    D’un tratto sentì le mani di Yuzo scivolare attorno a lui, lungo i fianchi, sull’addome; le braccia stringerlo e le dita aggrapparsi alla stoffa. Avvertì il peso del suo capo poggiarsi contro la nuca. E la cosa più incredibile fu rendersi conto di non arrossire minimamente né di sentirsi a disagio: quel contatto, quella vicinanza, la presenza del suo corpo, delle sue mani erano la cosa più naturale che potesse esserci. Tanto che si ritrovò a sorridere e a coprirgli le dita con le proprie.
    “Ehi, ma non ero io quello che doveva abbracciare te?”
    Yuzo non gli rispose, ma si limitò a rilasciare un pesante sospiro. Mamoru lo imitò, reclinando la testa per trovare appoggio in quella del compagno. “Che hai?”
    “Non sei l’unico a odiare i propri limiti” disse il volante, senza nascondere un tono amaro. “Non puoi immaginare quanto io mi sia preoccupato, in quella caverna. Tu stavi male, ma per quanto mi sforzassi i miei poteri non servivano a niente. Io ero lì, con te, e non potevo fare nulla. Per la prima volta in vita mia ho pensato che il mio Elemento fosse inutile se non potevo salvare te. Capisci?”
    Sì, capiva. Capiva benissimo e sentì la propria fiamma bruciare all’improvviso e scacciare anche quegli ultimi brividi rimasti sottopelle.
    “Mi dispiace, davvero mi dispiace non volevo spaventarti così tanto. Mi ero completamente dimenticato dell’incantesimo di Criostasi perché è un sortilegio che il nostro corpo apprende in maniera autonoma e a scuola non lo usiamo praticamente mai, nemmeno per provarlo.” Si giustificò con foga, prendendosela anche con sé stesso per non averci pensato subito ed esser stato convinto di stare per morire. Per tutte le Dee! Sperò di non essersi mantenuto sul patetico andante!
    “Hai altri incantesimi strani che dovrei conoscere? Vorrei evitare di prendermi un colpo la prossima volta” sospirò il volante, lasciandolo andare.
    “No, nient’altro.”
    “Meno male.”
    Mamoru si volse e l’osservò per qualche istante, prima di sollevare una mano e farla scivolare sulla sua guancia. “Scusa. Sul serio, scusami. Per lo spavento di ieri, per la discussione di oggi.”
    Yuzo sorrise. “Ma se ti scusi così tante volte potrei anche pensar male di te.”
    “Male come?”
    Mh, che so… che ti sei ammorbidito, che sei diventato più buono.”
    “Ah!” Mamoru sollevò le mani con orrore, facendolo ridere. “Sia mai detta una simile blasfemia!”
    “Piuttosto, non ricordi nulla di quello che è successo?” Yuzo aveva aspettato un po’ a porgli quella domanda, ma ormai poteva già dire di conoscerne la risposta, infatti vide la Fiamma stringersi nelle spalle e assumere delle espressioni buffissime mentre si passava una mano tra i capelli per tirarli indietro.
    “Mah, ricordo che avevo freddo e che parlavo a vanvera. Poi più nulla.” Arricciò le labbra, portandosi le mani ai fianchi e guardandolo di sottecchi. “Non ho detto cose di cui dovrei pentirmi, vero? Che so, ti ho riempito di insulti! Oh, nel caso, sappi che non li penso, eh!” Ci tenne a sottolineare e Yuzo ridacchiò del suo imbarazzo.
    Scosse il capo. “No, stai tranquillo, niente insulti. Ma ti sei fatto scappare un segreto.”
    Mamoru drizzò la schiena. “Segreto?! Quale segreto?”
    Gli occhi nocciola di Yuzo rimasero fissi nei suoi quasi avesse potuto attraversarli e lui si ritrovò ad arrossire un po’ per l’intensità del suo sguardo. Poi, il volante sorrise e si portò una mano dietro l’orecchio.
    “Il glifo.”
    “Il glifo?”
    “Mi hai detto che il suo potere non è stato rilasciato durante il sonno, ma quando mi hanno messo l’onice.”
    La Fiamma si portò le mani al viso e cominciò a sbraitare. “Ma no! No, dannazione! Come diavolo ho potuto dirtelo?! Avevo promesso a tua zia che avrei mantenuto il segreto!”
    “Vuoi stare calmo? Guarda che non è successo nulla di trascendentale.”
    “Certo che sì, invece! Come ho potuto permettere che mi sfuggisse?”
    Yuzo lo prese per le spalle. “Mamoru, la pianti? Sul serio, non è successo niente. Non mi cambia la vita sapere se è stato a causa del glifo che ho perso conoscenza durante l’incantesimo di iniziazione degli Evocatori. Davvero, credimi.”
    La Fiamma sembrò calmarsi, ma il suo viso restituì un’espressione colpevole. Lui era sempre stato il tipo di persona che si sarebbe portato i segreti fin dentro la tomba, e sapere di essere venuto meno alla parola data lo infastidiva oltremisura. Quel maledetto incantesimo aveva fatto solo danni.
    Sbuffò, passandosi di nuovo la mano nei capelli. Con un sopracciglio inarcato osservò il volante che continuava a sorridergli con tranquillità. “Sicuro che non sei arrabbiato?” gli chiese.
    “E perché dovrei? Lo so che papà non me l’ha detto solo per non farmi preoccupare, ma ormai non ho più bisogno d’esser protetto da tutto e tutti. Dovresti saperlo anche tu.”
    Sì, forse aveva ragione. Alla fine, non c’era nulla di male se ne era a conoscenza. Quello non era capace di ferirlo, ormai poteva sopportare ben di peggio.
    Mamoru sembrò convincersi. “Poi? Quale altro segreto-segretissimo e inconfessabile ti ho spifferato, sentiamo.”
    Di nuovo, Yuzo lo guardò con la stessa intensità di prima, ma non rispose subito. Gli lasciò le spalle facendo scivolare le mani lungo le braccia.
    “Non odio il Fuoco.”
    Mamoru apparve perplesso.
    “Non odio il Fuoco per la morte di mia madre.”
    La Fiamma si irrigidì. Sul volto un’espressione di chiara colpevolezza. “Ti ho detto anche questo?”
    “Sì e avresti dovuto farlo prima, ti avrei subito risposto che non ho alcun problema con il tuo Elemento. Non è il Fuoco a uccidere, ma chi lo usa. E non eri tu.” Gli sorrise. “Non devi sentirti responsabile. Non sono stupido, e se davvero provassi rancore verso di te solo perché sei un Elemento di Fyar allora sì che avresti tutte le ragioni per detestarmi e considerarmi solo un piccione d’Alastra che non vale niente. Ma non è così.” Scosse il capo, stringendosi nelle spalle. “Dovresti avere un po’ più di fiducia in me.”
    “Io mi fido di te!” Mamoru lo disse con foga, afferrandogli il braccio. Negli occhi la pece sembrava essere impazzita, il nero ardeva a un fuoco che bruciava solo dentro di lui, mentre le dita si stringevano in quella presa che era forte e impetuosa. Non glielo aveva mai detto, se non quella volta che era sotto il controllo del Naturalista, ma allora il volante non aveva avuto memoria di ciò che era avvenuto quando era stato vittima dell’influsso della Magia Nera. Ora, invece… Ora era diverso. E Yuzo lo poteva ascoltare e capire, guardarlo dritto in quegli occhi di brace e leggere in maniera chiara la sua sincerità.
    Si fidava di lui. Si fidava già da tantissimo tempo, ma dirlo era come scoprire il fianco ancora un po’ di più e il suo era ormai praticamente nudo, offerto in sacrificio e con la scritta ‘colpisci’.
    Però il volante non colpiva con armi né incantesimi. Sostenne il suo sguardo e gliene restituì uno che aveva la piacevolezza della calma primaverile, una brezza quieta ma fresca, che pizzicava le guance.
    E quella brezza sapeva contenere e ravvivare il suo fuoco.
    “Allora prova a credermi, anche quando ciò che ti dico ti risulta difficile da accettare.”
    Erano lì, Mamoru avvertì tutti i pensieri premere per uscire, tentare di sfondare le porte del suo silenzio a riversarsi fuori per travolgerlo e confessargli la verità taciuta per mesi. E la verità era una sola.
    Amami.
    Era nodo, era catena, era legame.
    Amami, maledizione!
    Era comprensione reciproca.
    Perché hai bisogno di me.
    Era l’unico domani che vedeva nella sua testa.
    Perché ho bisogno di te.
    E non ne voleva un altro.
    Perché non ho mai amato nessuno, tranne te.
    Ma Mamoru aveva una fiamma molto più forte di qualsiasi cedimento emotivo. Incendiò i pensieri, li ricacciò indietro e lasciò lentamente il braccio di Yuzo, annuendo piano, ma senza rispondere. Doveva prima essere sicuro di avere il completo controllo sulle proprie parole per aprire bocca. Quando ne fu certo disse solo: “Andiamo”, allontanandosi di qualche passo e voltandogli le spalle.
    Non si sarebbe mai aspettato che il volante potesse fermarlo di nuovo con quel candido: “Veramente… ci sarebbe ancora una cosa”, che gli fece scendere un brivido di terrore lungo la schiena.
    Ma quanto diavolo aveva parlato in punto di pseudo-morte?!  Che fottuto chiacchierone!
    “Eh?!” Mamoru si volse di scatto, gli occhi spiritati e la bocca deformata in una smorfia incredula. Sentiva i capelli drizzarsi per la disperazione. “Quanti cazzo di segreti ti ho spifferato, per tutti i diavoli dell’Infero?!”
    Yuzo aveva un sorriso innocente e terribilmente bastardo, a detta della Fiamma, mentre lo teneva sulle spine. Rimase in silenzio per qualche secondo ancora e poi snudò i denti in un’espressione solare. “Scherzavo!”
    “Cosa?!” sbottò Mamoru, sgonfiandosi come un palloncino. Era stato a un passo dall’infarto e quell’altro se la rideva della grossa, prendendolo addirittura in giro. Era proprio uno stupido volante. Scosse il capo, sospirando. “Ma ti pare il momento?”
    “Oh, beh, volevo alleggerire un po’ la tensione. Avevi quell’aria così seria.”
    Piccione” sibilò con fastidio, portandosi le mani ai fianchi. “Allora è tutto qui? Non ho detto altro?”
    Yuzo lo trafisse di nuovo con un’occhiata intensa, che lo fece vacillare, sorrise… e gli mentì.
    “Nient’altro.”
    E lui, per la prima volta da che lo aveva conosciuto, non se ne accorse.
    “Vorrei ben vedere. Ho parlato anche troppo” borbottò, scuotendo il capo e raggiungendo la sacca. L’afferrò con stizza e se la caricò sulla spalla. “E’ ora di muoversi; segui questa rana dalla bocca larga.” Si prese in giro da solo, inforcando la porta e scomparendo oltre la soglia.
    Yuzo non si mosse subito, ma rimase a osservare la sua schiena consapevole di non avergli detto la verità. Era sicuro che fosse meglio così, perché se Mamoru non si era mai fatto avanti prima doveva avere dei buoni motivi. Motivi che erano stati cancellati dall’estrema gravità della situazione in cui si erano trovati, col rischio di doversi dire addio.
    Se lui gli avesse raccontato anche di quello, della sua confessione, di sicuro la Fiamma si sarebbe trovata in difficoltà e il loro rapporto avrebbe potuto essere a rischio di rottura. Questa volta per davvero. Mamoru faceva molta fatica nel relazionarsi con i propri sentimenti, a esternarli. Aveva sempre teso a reprimerli e a mascherarli dietro al cinismo e alla praticità. Se lo avesse forzato, avrebbe finito col reagire come un animale stretto all’angolo: con rabbia e ferendo chiunque gli fosse capitato a tiro. Avrebbe tentato di spezzare ogni legame e lui non avrebbe mai permesso che una cosa del genere potesse accadere.
    Così, si disse che avrebbe aspettato.
    Avrebbe aspettato che tutta quella storia si fosse conclusa, che avrebbero smesso di correre per le Terre del Sud, che avrebbero affrontato la guerra. O solo: avrebbe aspettato che Mamoru fosse stato pronto per dirglielo. Non sapeva davvero come e quando sarebbe avvenuto, ma di una cosa era certo: non era quello il momento e non doveva avere fretta.
    Il loro tempo sarebbe arrivato, doveva solo avere pazienza e avere fiducia, nel presente, in ciò che quel viaggio era riuscito a dargli: consapevolezza di sé, nel bene e nel male, e sicurezza nelle scelte da prendere.
    E lui aveva scelto.
    “Ti amo” mormorò alla stanza vuota, alla porta aperta, alla schiena della Fiamma che era già uscita e continuava a sbraitare per questo e quello.
    Sorrise quando si sentì chiamare a gran voce.
    Volanteeee! Datti una mossa!”
    “Arrivo!” Con passo svelto lo raggiunse.
    La porta venne chiusa dietro di lui e nell’aria non rimasero che granelli di polvere in un mare di luce.

     

    Fiducia e Speranza son la Chiave e la Porta
    per affrontare il dolore che il cuore sopporta,
    e tracciano e regolano il lungo cammino
    che condurrà ogni uomo al proprio destino.

     


    …Il Giardino Elementale…

     

    Ops! X3
    Houston, abbiamo un problema. X3333
    Io ve l'avevo detto che un po' mi avreste odiato, ma sì, non poteva che essere così. Ovviamente le confessioni in extremis lasciano un po' il tempo che trovano e non sempre vanno a buon fine; cioè, nel senso, vanno pure a buon fine, ma dopo?
    Sono una paracula XD E Mamoru ha deciso di avere un vuoto di memoria nel momento sbagliato *rotola via* o il momento giusto, dipende molto dai punti di vista.
    E Yuzo?
    Dite un po', ve lo sareste aspettato che non gli dicesse nulla? Che preferisse tenere quello che era accaduto da parte, per il momento? Io penso di sì, se avete iniziato a capire come ragiona. XD
    La situazione che stanno per affrontare richiede la lucidità di tutti, e conoscendo Mamoru quella lucidità sarebbe venuta a mancare se fosse stato distratto da altri pensieri. Yuzo ha taciuto anche per questo motivo, ma soprattutto perché, beh, lo sappiamo tutti com'è fatto Mamoru, ecco XD. Per quanto gli si possa esser avvicinato e abbia iniziato a essere meno refrattario a certi comportamenti d'affetto, Yuzo ha - dal canto suo - imparato a non forzargli la mano, a non imporre come un mulo che ogni cosa debba essere chiara e definita. A volte, semplicemente, non è il momento adatto.
    XD ah sì, va beh era ovvio che Mamoru sopravvivesse!!! *ROTFL*
    Io vi faccio spaventare, ma fino a un certo punto! *MWAHAHAHAHHAAHHAHAAHH-AH*
    E così termina anche il Capitolo 14. Come già vi ho detto, la prossima settimana non ci sarò e approfitterò delle ore di treno per scrivere, scrivere e ancora scrivere questo famoso Capitolo 15 che sarà... pieno. Pieno di moltissime cose perché, ehi!, ci stiamo avvicinando al gran finale e tutti, ma proprio TUTTI, i grandi nodi di questa storia stanno per venire al pettine.
    Spero di riuscire a non farvi aspettare troppo per il prossimo capitolo e continuo a ringraziarvi di cuore per continuare a seguire questa storia. :3
    Grazie mille. :**** *abbraccia tutti*


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  •  

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    Capitolo 43
    *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte I ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 15: L'uomo senza Inconscio (parte I)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    Il grigio Colosso delle Isole Zmyr si stagliava imponente e fiero sul rialzo che affacciava sulla spianata.
    Da lì, la Lingua di Serpe si vedeva chiaramente in tutte le sue asperità, così come era possibile osservare i movimenti dell’esercito avversario.
    Visto da lontano quest’ultimo sembrava composto da microscopiche e insignificanti formiche. Allo stesso modo, con la stessa facilità e noncuranza, li avrebbe schiacciati sotto gli zoccoli duri del suo destriero e sventrati attraverso l’acciaio della sua lama.
    Il mantello oscillò alle spalle di Minato Gamo con un sonoro schiocco di cui l’uomo non si curò. Strette mollemente nella mano c’erano le briglie della cavalcatura accanto alla quale restava ritto e immobile. Alle spalle provenivano i rumori degli ultimi preparativi, ferventi, frenetici. Esplosioni cupe di incanti dissolti nell’aria lo avvisavano che gli Stregoni erano pronti. Dopotutto, non avevano bisogno di attrezzature particolari: la loro magia era l’unica arma di cui avevano bisogno assieme a dei paramenti leggeri, per riuscire a muoversi in maniera svelta sul campo di battaglia.
    I suoi uomini, invece, richiedevano un tempo maggiore per controllare le armature, i finimenti dei cavalli, la filatura delle spade. Ci voleva cura e lui, dopotutto, non aveva fretta. Per anni aveva atteso che questo momento arrivasse, che potesse finalmente vendicare suo padre e strappare dalle mani di quel bastardo di un Ozora ciò che era sempre appartenuto alla sua famiglia, di diritto. I regni sarebbero stati unificati sotto un unico, grande vessillo, quello nero con la spada d’argento, quello dei Gamo.
    Aveva pianificato l’assalto in ogni minimo dettaglio e non sarebbe rimasto a guardare dall’alto mentre le sue Legioni si sarebbero scontrate con quelle nemiche. No, lui avrebbe preso parte alla battaglia, come un vero dominatore, e avrebbe guidato la carica a spada sguainata. Dietro di loro, i Veloci a dorso degli Agili di Kalavira sarebbero letteralmente balzati in testa e piombati sul nemico. Accennò un sorriso sotto la folta barba nell’immaginare la faccia che Koudai avrebbe fatto nel vedere che i famosi cavalli del vecchio Dogato non erano estinti come tutti credevano. Gli Agili di Kalavira erano i destrieri più veloci di Elementia, dalla linea sottile e la forte resistenza. Con i loro balzi riuscivano a superare un Colosso delle Isole Zmyr, notoriamente le cavalcature più imponenti e alte. Non era semplice cavalcare un agile anche per la scomoda sella dalle staffe corte che costringeva i fantini a rimanere leggermente sollevati e raccolti sul dorso dell’animale. Ma erano letali, quando l’attacco era condotto a dovere: veloci e implacabili.
    La loro avanzata sarebbe infine stata coperta e spalleggiata dai maghi del Nero.
    Nel pensare quel nome, Minato abbassò lo sguardo verso la base del rialzo sul quale era fermo. Lì, già all’interno della spianata, il mago supremo dell’AlfaOmega restava in perfetto equilibrio sulla punta di uno sottilissimo spuntone di roccia. Il mantello con il simbolo dell’organizzazione magica oscillava alle sue spalle lentamente e con una strana eleganza. Da che era arrivato, assieme ai suoi Stregoni, non si era mosso da lì. Aveva lasciato che di tutto il resto se ne occupasse il fratello sciamano, della cui strana magia Minato non si fidava neanche un po’, poiché estranea alla loro cultura e conoscenza. Natureza si era semplicemente disinteressato di tutto ed era rimasto a guardare lontano verso l’Armata Reale e il suo stuolo di Elementi.
    “Mio signore.”
    Lazon(1), Capitano di Legione, si era mosso veloce e silenzioso fino a lui, raggiungendolo in maniera discreta.
    “E allora? E’ confermato?” chiese il signore del Nord senza nemmeno voltarsi, ma mantenendo lo sguardo fisso sul Nero.
    “Sì, mio signore. Le notizie sono vere, abbiamo avuto dei riscontri dalle spie: ce l’hanno loro.” Lazon abbassò il tono ancora di più. Girò per un attimo il volto verso la Lingua di Serpe ancora sgombera, ma che presto avrebbe pullulato di cadaveri. Riusciva già a scorgere un paio di corpi abbandonati: erano soldati mandati in avanguardia, per sondare la situazione, dei kamikaze consci di essere destinati a una sola fine. La morte. Tornò a scrutare il serio profilo del suo signore. I capelli, raccolti in trecce rasta, oscillarono al movimento. “Come dobbiamo comportarci?”
    “In nessun modo. Fingete di non sapere nulla.”
    “Ma-”
    “Solo per ora” precisò Minato al primo accenno di protesta. Strinse leggermente lo sguardo. Il Nero era sempre ancora lì. “Voglio proprio vedere fino a dove sarà disposto ad arrivare.”
    Lazon scosse il capo non riuscendo a capire. “Ma siamo alleati! Quali sono le sue reali intenzioni?”
    “Non lo so ancora, ma fino a che ci saranno utili, faremo buon viso a cattivo gioco.” Minato non era tipo da perdonare i tradimenti, ma era altresì consapevole di quanto avesse bisogno del loro supporto per battere le forze elementali. “Una volta vinta questa guerra, penserò personalmente a congedare il Nero e la sua cricca. Sono convinto che Elementia non piangerà affatto la sua morte.”
    E, finalmente, il pianeta sarebbe rinato in un mondo privo di magia.
    Con il tono duro e perentorio diede gli ordini finali. “Di’ al Golem che il momento è giunto, i Tritoni sono arrivati da tempo. L’attesa è finita.”

    Via Crociata – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    “Ripetetemi qual è il vostro piano.”
    Il Naturalista lo chiese per la seconda volta, convinto di non aver capito bene.
    Stavano avanzando all’interno delle foreste che scendevano dalle pendici del Nohro. Le macchie di neve erano tornate a essere uno strato continuo che ricopriva il terreno, ma il suo spessore non arrivava a coprire completamente i loro piedi mentre vi camminavano sopra, sprofondando appena.
    Mamoru assunse un tono seccato, però obbedì, onde evitare inutili discussioni con lo Stregone, ma soprattutto con Yuzo che sarebbe intervenuto per appoggiarlo.
    “Mi sembrava fosse semplice: entriamo nella base, troviamo il Principe, troviamo la Chiave e andiamo via. Se tutto va come deve, ce la caveremo in un paio d’ore.”
    Shibasaki levò lo sguardo al cielo mentre camminava alla testa del gruppo. “Io continuo a chiedermi come diavolo abbiate fatto a sopravvivere fino a questo momento.” Il sentiero diveniva sempre più ripido e dalla vegetazione che iniziava a diradarsi. “O siete i maghi più forti di questo fottuto pianeta o solo i più fortunati.”
    Mamoru grugnì. “Beh, scusate tanto se non abbiamo centinaia di uomini con cui tentare un assalto. Sapete, eravamo in missione segreta, discrezione, cose così.”
    Subito il gomito di Yuzo arrivò a pungolarlo e lui gli rivolse un’occhiata che diceva: “Mi ha provato, non è colpa mia! Piantala di essere sempre dalla sua parte!”
    Davanti a lui, il Naturalista ridacchiava: gli Elementi di Fuoco erano sempre uno spasso. Si infiammavano subito, sentendosi costantemente feriti nell’orgoglio e stronzate simili. Però pensava davvero che loro quattro fossero un misto di abilità e fortuna, visto ciò che avevano affrontato. Di sicuro, le Dee vegliavano su di loro – e avrebbe sfidato chiunque a dire il contrario –, ma quello che stavano per fare andava oltre. Era quasi un suicidio.
    Senza quasi.
    Nell’Avamposto Sud ci sarebbero stati decine e decine di Stregoni, forse un centinaio addirittura, e loro erano solo in quattro e si sarebbero dovuti muovere in un luogo che gli era ignoto, provvisti solo delle sue indicazioni. Inoltre erano passati anni dall’ultima volta che vi aveva messo piede e le cose potevano essere cambiate.
    “Purtroppo non abbiamo molta scelta.” Yuzo prese la parola. “Ci sarebbe impossibile richiedere un qualsiasi supporto: abbiamo poco tempo. Dobbiamo tentare.”
    Shibasaki sapeva anche questo, per tale motivo li stava accompagnando a una delle entrate alla base. Si fermò, appoggiandosi a un tronco ritorto.
    “Siete davvero sicuri che non volete che venga con voi?”
    Hajime annuì. “Ne abbiamo già parlato e siamo stati tutti d’accordo: noi forse saremo pazzi a entrare da soli nel covo del nemico, ma non lo siamo al punto da mettere in pericolo anche la vostra vita. Avete già fatto fin troppo per noi.” Questo non poteva negarlo nemmeno il Tritone, per quanto non si fidasse ciecamente di lui.
    “E sia” sospirò Shibasaki. Si fece leggermente da parte per permettere loro di avere una maggiore visuale di ciò che si estendeva più avanti.
    Tra i tronchi si scorgeva il pendio che si faceva ancora più acclive. La foresta si diradava, venendo sostituita da fronde cespugliose e sporgenze della roccia nuda.
    “Lasciate che vi dia gli ultimi consigli. Siamo arrivati.”
    I quattro comparvero alle sue spalle, per scrutare l’ingresso alla base.
    Mamoru inarcò un sopracciglio storcendo la bocca. “E dove sarebbe? Io vedo solo la montagna.”
    “Perché stai guardando con gli occhi di un Elemento, ragazzo” ghignò Shibasaki. “E gli Stregoni non sono così fessi da fare in modo che chiunque, soprattutto i loro nemici di sempre, possano trovarli.”
    La Fiamma ingoiò un insulto, ormai doveva averlo capito che con quello lì non poteva sperare di spuntarla, ma non risparmiò un’occhiataccia al volante che stava cercando di non ridere. Per tutta risposta, Yuzo ridacchiò ancora di più.
    Il Naturalista continuò: “L’ingresso è celato da un incantesimo illusorio. Io lo annullerò il tempo necessario a farvi entrare. L’avamposto ha due entrate, l’una diametralmente opposta all’altra, e tre livelli che si approfondiscono nella montagna. Il livello più vicino al centro della terra sono le segrete ed è inutile che vi ci avventuriate, non è il posto in cui terrebbero una persona di riguardo come il futuro Re Ozora. Idem il terzo livello, quello verso la vetta, poiché vi sono gli alloggi. Concentratevi sul livello centrale: oltre ai laboratori dove conducono esperimenti, vi sono anche quelle che chiamavamo ‘stanze degli ospiti’ all'interno di un corridoio verde. Vi alloggiavano i prigionieri di un certo livello e il Principe rientra nella categoria.”
    “E gli Elementi che catturate, dove li tenete?”
    “Dipende: per le prime fasi degli interrogatori, restano nelle ‘stanze degli ospiti’. Dopo, quando ormai gli Stregoni sanno che non ricaveranno più alcuna informazione, vengono trasferiti nelle segrete.”
    Mh.”
    “No, niente: ‘Mh’. Cancellati dalla testa qualsiasi idea o simil tale ti sia venuta, perché è sbagliata. E non sto scherzando. I tuoi intenti possono essere nobili quanto vuoi, ma quelli rinchiusi nelle segrete non sono più nemmeno esseri umani, quanto ammassi di carne viva. O morta. Voi avete una missione fondamentale che non dovrete mai perdere di vista: entrate, trovate il Principe, uscite. Tutto il resto, per quanto male possa fare o per quanto possa ferire il vostro spirito di fratellanza, dovrà aspettare l’arrivo della cavalleria.”
    Mamoru ingoiò il rospo. Lo Stregone sembrava gli avesse come letto nella mente, perché sì, aveva pensato di voler liberare i compagni tenuti prigionieri ma erano troppe cose che ignorava per poter attuare un piano simile e Shibasaki aveva ragione: la loro missione era della massima importanza.
    La Fiamma scambiò un’occhiata con Hajime e Teppei, i quali, seppur a malincuore dovettero annuire alle parole dello Stregone. Poi cercò Yuzo, ma lo sguardo del volante era puntato alla montagna e al presunto ingresso alla base. Appariva molto più deciso di quanto in realtà si sentisse e questo Mamoru lo sapeva. Anche Yuzo avrebbe voluto fare il possibile per liberare chiunque si trovasse nelle mani degli Stregoni, ma non era fattibile e stava forzando sé stesso ad accettarlo.
    “Facciamo quello che dobbiamo” disse fermamente poi, come avvenuto a Dhèver e a Ghoia, cercò la presenza di Mamoru non con gli occhi ma col contatto fisico: il dorso della mano sfiorò quella della Fiamma, che accennò un sorriso e ricambiò il tocco. Le dita scivolarono contro quelle di Yuzo in una carezza accennata.
    La certezza infinitamente ripetuta che sarebbe sempre stato al suo fianco.
    “Molto bene.” Shibasaki mise mano alla piccola sacca a tracolla che aveva portato con sé. Ne cavò un sacchetto di velluto nero e lo porse al volante. “Qui dentro ci sono una decina di fiale di siero di Zaikotto. Tenetele con voi, non si può mai sapere. Gli Stregoni fanno grande affidamento sul veleno di Rankesh, quindi state attenti.”
    “A proposito di zaikotti…” Teppei assunse un’espressione accorata. “Prendetevi cura di Silver, mi raccomando.”
    “Sta’ tranquillo, se ne occuperà la mia assistente.” Shibasaki non ne sembrava particolarmente entusiasta. “Se provo ad avvicinarmi io, mi morde!”
    Il tyrano si trattenne ma fu costretto a girare il viso per non sbottargli a ridere in faccia, molto poco educatamente. Poteva star tranquillo, Silver se la sarebbe cavata benissimo anche senza di loro.
    “Questa, invece, è per te.” Shibasaki aveva ripreso la parola e allungato una pillola in direzione della Fiamma. Quest’ultimo non aveva perso tempo a guardarla con sospetto e diffidenza. Un sopracciglio inarcato, le labbra arricciate. Non era proprio il massimo della riconoscenza, visto ciò che lo Stregone aveva fatto per Teppei e anche per lui, ma proprio non ci riusciva a essere più conciliante.
    “Sarebbe?”
    “Qui fa freddo e non credere che all’interno della base, soprattutto nelle segrete dove verrete sbattuti,” Shibasaki non aveva dubbi in proposito, “faccia chissà quanto caldo. Se non vuoi ammalarti di nuovo ed essere un peso per i tuoi compagni, butta giù. Sarai coperto per le prossime novantasei ore.”
    Tsk! Cosa? Vorrai scherzare che io metta in bocca una vostra diavoleria. Chissà che incantesimo oscuro avrai usato per farla!” Mamoru si impuntò con quel piglio orgoglioso che non sempre riusciva ad abbandonarlo, soprattutto quando aveva a che fare con persone di cui non si fidava. Ovvero il più delle volte.
    “Piantala di fare storie e butta giù.” Shibasaki indurì lo sguardo, tendendo le labbra in fare minaccioso. “Butta giù” ripeté con maggiore incisività e con un tono che non ammetteva repliche.
    La Fiamma fissò prima lui e poi la pillola nera con una smorfia. A dar man forte allo Stregone intervenne Yuzo, che gli mollò l’ennesima gomitata. Con stizza prese la pillola e se la cacciò in bocca, agguantando poi la borraccia che il Naturalista gli aveva porto. Ne prese un buon sorso e guardò lo Stregone con aria di sfida, ma questo per Shibasaki non fu sufficiente. Con un gesto secco lo afferrò per la nuca e gli tappò la bocca.
    “Forza, ragazzo! Ingoia!”
    Mamoru si dimenò per alcuni istanti prima di riuscire a liberarsi e tossire come un disperato.
    “Ma sei impazzito?! Per poco non mi ammazzi!”
    “Dovevo essere sicuro che non facessi il furbo, come nascondere la medicina sotto la lingua e poi sputarla al momento opportuno. Non sono nato ieri, fiammella.”
    Mamoru arrossì e grugnì un paio di insulti. No, a quello lì era impossibile fargliela.
    “Bene, ora che siete pronti, possiamo andare.”
    Shibasaki abbandonò il sicuro riparo offerto dalla boscaglia e si inoltrò nella zona scoperta con passo deciso. Non c’erano vedette esterne di guardia perché solo gli Stregoni erano in grado di entrare, essendo gli unici a poter vedere l’ingresso. Inoltre, erano talmente sicuri di loro da non avere delle guardie nemmeno una volta varcato il portone. Non c’era un gran numero di traditori nelle loro fila. Era molto più facile tradire il Bene, che il Male. E comunque la buona parte di questi era già stata uccisa. Lui era uno dei pochi a essere stato lasciato in vita.
    Aria, Acqua, Terra e Fuoco gli tennero dietro con maggiore attenzione e movimenti cauti. I loro sguardi scandagliavano ogni minimo angolo della montagna che si apriva imponente davanti a loro.
    Seguirono il Naturalista fino a che questi non si fermò in un punto che a loro apparve del tutto uguale a qualsiasi altro. Gli videro sollevare una mano e recitare le sue formule.
    Dessòla.” L’illusione che nascondeva l’ingresso scomparve e ora anche gli Elementi furono in grado di vedere il portone circolare che li avrebbe condotti all’interno e dal Principe, o almeno così speravano. “Dalàti.” Con un lugubre scricchiolio e grattare cupo, una delle ante si mosse e si aprì, lentamente e quel tanto che bastava affinché i visitatori potessero entrare.
    Shibasaki si avvicinò all’ingresso, seguito dai quattro, e lì si fermò; sulla soglia.
    “Da adesso in avanti sarete soli” disse, piuttosto solennemente e con le mani ai fianchi. “Qualsiasi cosa dovreste trovarvi davanti, non affrontatela a testa bassa senza nemmeno pensare o finirete uccisi. Se vi verranno contro orde di Stregoni avrete due soluzioni: arrendervi o fuggire. E io vi consiglierei la seconda.”
    Mamoru ruotò gli occhi con fastidio; detestava quando veniva sottovalutato, ma comprese la verità dietro le parole del mago: si erano trovati in estrema difficoltà quando erano in vantaggio numerico, figurarsi se fossero stati solo in quattro contro decine. Combattere a oltranza era di sicuro eroico e onorevole, ma non ti assicurava di sopravvivere  ed era quest’ultimo il loro obiettivo, dopo aver trovato il Principe.
    “Grazie per averci aiutato e per averci portato fin qui.” Yuzo accennò un inchino e forse, tra tutti, era quello che più aveva legato col Naturalista, con disappunto della Fiamma.
    “Vedete di non farmene pentire, non mi va di avervi sulla coscienza.”
    Mamoru ne approfittò per affondare l’ultimo colpo. “Perché? Ne avete una?”
    Shibasaki gli rivolse un mezzo sorriso e agitò l’indice, divertito, tanto che anche la Fiamma si ritrovò a sogghignare. “Stai imparando, vedo.” Decisamente, se quei ragazzi non fossero riusciti nel loro folle intento, li avrebbe sul serio avuti sulla coscienza per non essere andato con loro. Erano in gamba, pieni di quelle qualità che lui, forse, non sarebbe riuscito ad avere nemmeno in una vita intera ma che lo avevano convinto ad alzare nuovamente la testa, proprio nel momento in cui aveva deciso di chinarla per sempre. “Buona fortuna.”
    Gli Elementi si lasciarono alle spalle le foreste Lulha per immergersi all’interno della montagna, varcare il portone ed entrare in pieno territorio nemico.
    Sui loro passi, l’entrata venne richiusa e l’incantesimo di illusione ripristinato, per tornare a celare l’ingresso della base alla vista altrui.
    In quel momento, mentre la montagna tornava a essere tutta uguale e pacifica, Shibasaki pregò che le Dee continuassero a vegliare su di loro.

    Si erano aspettati di trovarsi davanti un labirinto per topi e non erano stati smentiti. Fu così che apparve loro l’interno, una volta che il portone venne richiuso e gli occhi si abituarono alla scarsa luce presente nell’Avamposto.
    L’oscurità era l’ambiente più vicino alla Dea Kumi e quindi anche agli Stregoni rifuggivano l’eccessiva luminosità per restare rintanati nei luoghi più bui possibili.
    La penombra era creata dalle deboli torce bloccate alle pareti da braccia metalliche, ma le loro fiamme apparivano consunte e incapaci di emettere tutta la luce di cui erano capaci, quasi fossero intimorite dal buio che le circondava.
    L’ingresso era alto, molto di più di quanto avessero immaginato e ciò gli fece credere che fosse così anche per il piano superiore e inferiore. A loro, comunque, interessava solo quello centrale e per fortuna non avrebbero dovuto cercarlo visto che l’entrata dava direttamente su quel livello. Le pareti erano in pietra grezza, dalla superficie a tratti ruvida e a tratti levigata; dava l’impressione di essere stata scavata direttamente a colpi di incantesimi.
    Teppei vi fece scivolare le dita mentre camminavano, inoltrandosi per quello che era il corridoio principale.
    “Un lavoro rude, ma funzionale” commentò, tanto per dire qualcosa e cui gli altri non risposero.
    La Magia Nera era ovunque, la potevano percepire attraverso il fischiare alle orecchie, ma si manteneva costante. Solo nel momento in cui il fischio aumentava, il gruppo bloccava l’incedere assumendo un profilo più cauto e guardingo: la loro sensibilità alla Magia Nera era un ottimo sistema d’allarme.
    Si inoltrarono per il corridoio che sembrava volesse farli arrivare fin nel cuore della montagna, ma invece li condusse a un altro portone. Diversamente da quello di ingresso, questo era sì alto, ma finemente lavorato con intarsi che correvano lungo il bordo dei battenti. Come il primo era privo di serratura e maniglia, anche perché, vista la stazza, sarebbero dovute essere enormi e poste troppo in alto per gli Stregoni che non potevano volare, a differenza dei volanti.
    Teppei si fece avanti, toccandone la superficie e appoggiando l’orecchio sul legno.
    “Nessun movimento sospetto dall’altra parte o presenza pericolosa” decretò e Mamoru annuì.
    “Entriamo, allora.”
    Il tyrano posizionò bene le mani per scaricare la forza nei punti necessari a fare leva. Di sicuro gli Stregoni usavano la magia, proprio come aveva fatto Shibasaki, ma per il momento – e la Fiamma si augurava il più a lungo possibile – loro si sarebbero mossi con discrezione e senza l’utilizzo dei poteri, se non in casi strettamente necessari.
    Teppei fece pressione e, dopo qualche incertezza, il portone iniziò ad aprirsi lentamente e con un fastidioso cigolio.
    Aria, Acqua e Fuoco scivolarono all’interno seguiti subito da Terra, ma una volta lasciato l’ingresso, questo si richiuse con un pesante tonfo. I quattro rimasero immobili, gelati sul posto, preoccupati all’idea di aver fatto troppo rumore.
    “Fottuto affare!” ringhiò la Fiamma tra i denti. Le orecchie tese a captare qualsiasi variazione nei movimenti della Magia Nera. Quando furono convinti che fosse tutto regolare, avanzarono di qualche passo.
    Il labirinto di corridoi si snodava davanti a loro in tutte le sue complicate conseguenze. Molto sicuramente erano arrivati nel primo punto di cambio, dove si originavano i corridoi principali che conducevano alle varie zone del livello.
    Hajime sospirò, portandosi le mani ai fianchi. “E adesso da che parte?”
    Shibasaki aveva parlato di un ‘corridoio verde’, quello dove solitamente si trovavano le stanze, ma aveva anche detto loro di non fare troppo affidamento sulle sue parole, perché le cose potevano essere cambiate all’interno della base e, purtroppo per gli Elementi, aveva avuto ragione. Mamoru guardò tutti e quattro gli ingressi per i corridoi, ma non ne vide nessuno verde o che avesse qualcosa di quel colore. I corridoi si presentavano tutti uguali: ingresso a volta con una fiaccola sotto l’arco di entrata e due ai lati.
    La Fiamma avanzò ancora, portandosi al centro di quello slargo circolare. Sotto i suoi piedi, un enorme mosaico riproduceva la figura conturbante della Dea Kumi affiancata da un ringhiante rankesh.
    La luce che riusciva appena a rischiarare parte dell’ambiente proveniva da dei bracieri rotondi, uniformemente spaziati, che seguivano il perimetro del cerchio.
    Yuzo si avvicinò a uno di essi e guardò oltre il basso muretto che circondava lo slargo: il buio aveva completamente divorato la fine di quella voragine, non si sentiva alcun rumore. Sollevò il capo e allo stesso modo notò come l’oscurità avesse inglobato anche il soffitto, impedendogli di comprendere quanto effettivamente fosse alto. I corridoi, invece, erano più bassi, tanto da permettere di osservare come una parte della roccia si approfondisse verso il buio totale.
    “Ci tocca buttarci” decise Mamoru, anche se la cosa non gli piaceva neanche un po’. Lanciò un’occhiata fugace al volante ancora intento a sezionare l’ambiente con lo sguardo, poi aggiunse. “I corridoi sono quattro e anche noi.”
    “Dobbiamo dividerci?”
    “L’idea non mi piace, Hajime, ma dobbiamo rischiare.” Si umettò le labbra, tentando strenuamente di convincersi che quella fosse la cosa migliore. L’appoggio arrivò, inaspettato, dallo stesso Yuzo.
    “Non penso ci sia molta scelta. In questo modo abbiamo più possibilità di trovarlo.”
    “E di farci scoprire” affermò Teppei con l’espressione crucciata.
    “E’ un rischio che dobbiamo correre. Ormai siamo arrivati fino qui, dobbiamo andare fino in fondo.”
    Mamoru accennò un sorriso mentre lo sentiva parlare con quella sicurezza di ciò che andava fatto che lo lasciava ancora un po’ perplesso, ma profondamente fiero. Aveva fegato, il suo uccellino.
    Il sorriso sparì nel realizzare di averlo pensato suo, come fosse ormai una cosa normale e assodata. Il suo uccellino.
    Stava dando i numeri proprio nel momento meno opportuno e non era il caso. Scosse il capo e riprese in mano il controllo della situazione.
    “Sceglietevi una strada e state in guardia.” Mamoru si allontanò dal gruppo per imboccare un corridoio. “Qualora vi trovaste faccia a faccia con degli Stregoni, valutate bene e se siete in difficoltà non esitate a fuggire.” Si volse, passando rapido sugli sguardi di Hajime e Teppei e cercando con più insistenza quello di Yuzo. “Se trovate il Principe, prendetelo e scappate. Non fate gli eroi e portate a casa la pelle.”

    La sua figura venne inghiottita dal buio oltre le fiaccole.
    L’idea di separarsi non gli era piaciuta neanche un po’, ma Mamoru aveva ragione e lui non aveva potuto negargli il suo appoggio. Non doveva essere stata una decisione facile da prendere, soprattutto considerando quanto la Fiamma si sentisse sempre responsabile verso ciascuno di loro.
    Yuzo ci stava ripensando mentre camminava per il corridoio che aveva scelto di seguire. Con attenzione, faceva vagare lo sguardo ovunque nel suo avanzare, ma le torce erano troppo deboli e il soffitto troppo alto per poterlo illuminare fino in fondo, così decise di concentrarsi solo sul fondo, invisibile anch’esso.
    Pensò che non fosse quello il luogo in cui veniva custodito il Principe perché le poche porte che aveva incontrato, avevano condotto ciascuna a dei laboratori. Non si era soffermato a indagare cosa sperimentassero e aveva proseguito.
    Quel posto gli metteva i brividi. Li sentiva zampettare veloci sotto la pelle e scivolargli lungo la schiena. Sperò solo che i suoi compagni fossero stati più fortunati, perché non voleva restare in quella base più del necessario, e per lui era già troppo.
    Poi, il primo rumore non prodotto da sé stesso arrivò alle orecchie sottoforma di lamento. Un lamento lento, continuo, maledettamente stanco. Qualcuno doveva essere arrivato allo stremo delle forze e chiedeva pietà. Pietà.
    Uccidimi.
    Yuzo si fermò, tese le orecchie e individuò la direzione da cui provenivano i suoni. Mentre vi si avvicinava cautamente, il fischio d’allarme aumentò, facendosi più intenso: doveva esserci anche uno Stregone.
    I passi del volante non fecero il minimo rumore quando raggiunse la porta oltre la quale il lamento era forte, chiaro. Terribile. L’ingresso non aveva feritoie per poter osservare l’interno, così respirò a fondo e sfiorò la maniglia.
    L’aveva detto anche a Mamoru, bisognava rischiare a qualsiasi costo, ma in quel momento non poté fare a meno di ricordarlo anche a sé stesso, di imporselo, perché quel lamento era straziante e sembrava dirgli di non aprire, di non guardare perché qualsiasi cosa avesse visto, non l’avrebbe mai più dimenticata. Altro dolore da aggiungere a quello che già aveva accumulato. Ma la cosa peggiore sarebbe stata quella di guardare e non agire, perché si erano imposti di non farlo e di dedicarsi solo alla loro missione.
    Avrebbe potuto essere il Principe. Non poteva tirarsi indietro.
    Inspirò ancora, profondamente e chiuse gli occhi. Il potere del vento venne liberato appena per facilitare l’apertura della porta e aiutarlo a fare il meno rumore possibile. Girò la maniglia e l’uscio si aprì, silenzioso, di uno spiraglio sufficiente a permettere alla vista di poter scorgere l’interno.
    Di primo acchito gli parve un altro laboratorio, poi scorse quella sedia nel centro. Una figura legata mani e piedi vi era seduta, ma chiunque fosse stato prima ora era solo una chiazza sanguinolenta. Dondolava la testa in movimenti ciondolanti e lenti e dalle labbra, invisibili in quel tripudio di capelli arruffati e sangue e barba, scivolava fuori quella supplica disperata.
    Uccidimi! Uccidimi!
    Yuzo serrò le labbra, mentre la sofferenza veniva rinchiusa dietro le mura di difesa che, ne fu più che grato, non lo tradivano mai e gli impedivano di essere preda di quel dolore che era capace di spaccare il cuore in centinaia di frammenti diversi. Nonostante l’aggressività che era emersa dall’oscurità del suo spirito e la durezza con cui aveva imparato ad affrontare certe situazioni, la sua bontà restava sempre lì e non poteva rimanere indifferente quando si trovava davanti a qualcosa di simile.
    Tortura. Era capitato nel corridoio dove erano ubicate le celle di tortura.
    “Vuoi morire, vero?”
    La voce dello Stregone carnefice arrivò divertita fino a lui e familiare. Questo gli fece spalancare gli occhi e battere il cuore più veloce, più forte. L’aveva già sentita, la conosceva e aveva giurato di non dimenticare mai il nome cui apparteneva. Svelto cercò lo Stregone con lo sguardo, ma da quello spiraglio riuscì a carpire solo il profilo del mantello.
    “Sì, ti farò questo favore. Dopotutto, non mi servi più.” La voce rise. “Grazie per la collaborazione.”
    Yuzo strinse i denti tanto da farli sanguinare.
    L’avrebbe… l’avrebbe davvero…
    Il fiotto di sangue che si riversò al suolo dove la lama era affondata fu la risposta che non avrebbe mai voluto vedere e lo paralizzò. La testa della vittima ciondolò un’ultima volta, prima di girarsi di lato, il suo lato, e fissare, senza vita, la porta. Gli occhi vitrei incontrarono quelli di Yuzo che era rimasto immobile. Quelli dello sconosciuto, che non era il Principe, sembravano aver finalmente trovato la pace, ma questo non bastò a consolare il volante. Aveva avuto una vita da salvare a un passo e non si era mosso, non l’aveva aiutato. Quanto pesante sarebbe stato da sopportare quel peso?
    Di scatto, ma cercando di non far rumore richiuse la porta, rimanendo schiacciato contro il muro per alcuni istanti. Solo dopo, quando si convinse che doveva muoversi, si accorse che gli tremavano le gambe e le mani. Piano, controllando ogni gesto, le guardò per un attimo e poi diede fondo a tutte le sue energie per usare l’Autocontrollo e riuscire a staccarsi da quel muro, riuscire ad andare avanti, anche se barcollando per i primi passi; quelli successivi sarebbero stati fermi e sicuri.
    Dall’interno della cella, lo Stregone si era girato, sentendosi osservato.

    Hajime aveva scelto uno dei corridoi laterali, Teppei quello centrale al suo fianco, Mamoru l’altro centrale e Yuzo il laterale opposto al suo.
    Da ciò che era riuscito a capire si era sentito fortunato, poiché aveva trovato alcune delle ‘stanze degli ospiti’ di cui aveva parlato Shibasaki e non erano affatto accoglienti. Ad ogni modo, del Principe ancora nessuna traccia, ma poteva dire che quel luogo non aveva penuria di prigionieri. In tutte le stanze in cui aveva ‘sbirciato’, aveva trovato qualcuno rinchiuso, incatenato. Anche uno scheletro. Chissà da quanto tempo dovevano averlo dimenticato lì, quel poveraccio.
    Aveva incontrato numerosi corridoi secondari, più stretti, segno che i principali erano collegati tra loro per permettere un più rapido spostamento ai maghi e, indirettamente, anche a loro.
    Il Tritone si avvicinò all’ennesima porta. il fischio all’orecchio gli comunicò che non dovevano esserci Stregoni nei paraggi, ma lui si guardò ugualmente attorno, con sospetto e attenzione. Quando si sentì abbastanza sicuro, si inginocchiò poggiando la mano al suolo. Un rivolo d’acqua scivolò via dalle dita raccogliendosi in una piccola pozza che si infilò silenziosa sotto lo spiffero della porta. Era stato così che Hajime era riuscito a scorgere all’interno delle stanze, sfruttando il riflesso della superficie dell’acqua come fosse stato uno specchio.
    Anche quella volta, però, le sue speranze furono vanificate: il Principe non era nemmeno lì. Con uno sbuffo fece per ritrarre la mano, quando la superficie dell’acqua tremò. Hajime non si mosse, ma strinse lo sguardo mettendo in allarme tutti i senti. Il liquido vibrò di nuovo e stavolta riuscì a sentire un suono cupo; la terra tremò sotto i suoi piedi.
    “Un terremoto?” mormorò con un filo di voce, ma ormai ne aveva imparato abbastanza da Teppei per capire da solo che non si trattava di un evento sismico. Il rumore era ritmico e sempre più vicino. Troppo vicino.
    Il muro dall’altra parte del corridoio si crepò e poi crollò in mille pezzi, aprendo una voragine nella pietra. Il Tritone fu costretto a ripararsi dai detriti con le braccia, pur mantenendo una certa visuale su quello che stava accadendo.
    Dal polverone che si era sollevato, il tyrano spuntò all’improvviso, il volto e le braccia piene di polvere e l’espressione per nulla rassicurante.
    “Teppei?!” sbottò Hajime, strabuzzando gli occhi. “Ma che diavolo-”
    L’Elemento di Terra non lo fece finire, lo agguantò per un braccio e se lo tirò dietro di forza. “Abbi fede, non vuoi saperlo! Corri!”
    Hajime si trovò letteralmente trascinato dal compagno senza possibilità d’appello e forse fu meglio così, perché l’attimo dopo una sfera d’energia nera e porpora esplose nel punto dove era rimasto accovacciato.
    Teppei replicò dando un sonoro pugno nel muro e la vibrazione si trasmise al pavimento dove affilati spuntoni di roccia emersero dal nulla.
    “Dannazione, Teppei! E questa sarebbe la tua idea di ‘discrezione’?!”
    “Non è stata colpa mia!” si difese il tyrano. “Degli Stregoni stavano per uscire nel corridoio, mi avrebbero visto, e allora sono entrato nella stanza accanto” spiegò, “che diavolo ne potevo sapere che ci stavano tenendo una riunione?!”
    “Oh, stupendo!” Hajime agitò le mani senza smettere di correre. “Ci siamo fottuti l’effetto sorpresa!”
    Insieme svoltarono nel primo corridoio secondario che trovarono sulla loro strada.

    Mamoru era stato chiaro, prima che si dividessero. Aveva espressamente detto che qualora uno di loro avesse trovato il Principe, avrebbe dovuto lasciare la base senza preoccuparsi degli altri: se la sarebbero cavata da soli.
    Ovviamente, lui aveva già saputo che avrebbe disobbedito a sé stesso perché non avrebbe mai lasciato indietro nessuno dei suoi compagni. Il leader era quello che dava gli ordini, ma non era tenuto a rispettarli.
    Mentre correva per il corridoio, dopo aver sentito ripetuti boati che riecheggiavano ovunque in quel labirinto e il pavimento, le mura, la montagna tutta tremare, si convinse di ritrovare i suoi amici una volta di più. Non aveva idea di cosa diamine stesse accadendo dalle altre parti della base, ma aveva un brutto sentore che non avrebbe giocato a loro vantaggio. Per non parlare del fatto di essere capitato proprio nel corridoio che pullulava di Stregoni: non era riuscito ad avvicinarsi a nessuna delle porte – poche, in verità – che aveva incontrato, perché da ognuna di esse aveva avvertito l’intensificarsi del fischio all’orecchio. Avrebbe dovuto trovare un luogo meno pericoloso e aspettare che le acque si fossero calmate, ma il destino sembrava avere altri piani per lui.
    In quel momento, una delle porte si aprì e lui si fermò di colpo, trattenendo il fiato. Tre Stregoni uscirono velocemente, dirigendosi dalla parte opposta alla sua e senza voltarsi indietro. Solo il quarto sostò presso la porta e poi si volse trovando i suoi occhi.
    Era fottuto.
    Ce n’è un altro!” gridò il mago nero e questo mise in allarme anche i suoi compagni più distanti. Nelle mani gli incantesimi presero corpo in un attimo e Mamoru si trovò a non avere tempo per pensare ad altro che ad agire.
    Esplose un paio di sfere prima che l’avversario potesse lanciargli contro qualche magia e sfruttò il gioco d’anticipo per correre più velocemente possibile e superarlo. Senza rallentare diede fuoco a tutta la sua figura, rendendola una torcia umana impossibile da avvicinare e d’attaccare poiché le fiamme formavano come uno scudo. Con un balzo e lanciando centinaia di insidiose scintille superò gli altri tre Stregoni che gli intralciavano la strada. Il fuoco si dissolse quando toccò terra di nuovo poiché era sconsigliato usare quell’incantesimo troppo a lungo: avrebbe finito con l’esaurire tutte le sue energie e solo le Dee sapevano quanto, invece, ne avesse bisogno per arrivare alla fine di tutto quello.
    Non ci sfuggirà!
    Nella sua scia, le grida degli Stregoni arrivarono più distanti, ma ugualmente decise, tanto da non fargli pensare nemmeno per un momento di rallentare. Poi, al suo fianco, due macchie di colore emersero da un corridoio secondario affiancandosi a lui nella corsa.
    “Mamoru!”
    “Hajime?!” sbottò la Fiamma. Guardò meglio. “Teppei, anche tu?!”
    Dietro di loro un bagliore purpureo li mancò per un soffio.
    “Mamoru, perdonami, è tutta colpa mia! Me li sono trovati davanti all’improvviso!” tentò di giustificarsi il tyrano, ma l’altro scosse il capo.
    “Lascia stare, non sei il solo!” Sollevò il braccio per indicare il fondo dell’andito. “Ci siamo, siamo quasi fuori da questa trappola per fottuti topi!” O almeno così sperava, ma quando emersero si trovarono in un altro spiazzo circolare che dava almeno su otto corridoi diversi. Era come essere tornati al punto di partenza. “Fottutissima Kumi!” bestemmiò nell’impeto della rabbia.
    Si fermarono nel centro indecisi su cosa fare. Le orecchie fischiavano come impazzite. Alle loro spalle gli Stregoni stavano arrivando, mentre davanti a loro, quegli otto corridoi sembravano altrettante incognite, impossibile prevedere cosa si sarebbero trovati davanti.
    Mamoru strinse i pugni, girò velocemente la testa da un lato e dall’altro e poi esclamò, preoccupato.
    “E Yuzo?!”
    Due schegge, una bianca e una nera, spuntarono proprio in quel momento dall’ultimo corridoio, accompagnate da un grido rabbioso d’attacco.
    La Fiamma riconobbe il volante. La sua figura era veloce e aggressiva. Aveva caricato con tutto il corpo un calcio da sferrare all’avversario e lo colpì quando questi era ancora a mezz’aria nel vano tentativo di allontanarsi. Lo Stregone si parò con ambedue gli avambracci e riuscì ad attutire il colpo, ma non poté impedirgli di scaraventarlo dall’altra parte dello spiazzo.
    Quando riuscì a fermarsi, i piedi puntati al suolo avevano fatto volare le tessere del mosaico centrale per la forza impressa, Mamoru lo riconobbe: era Faran Konsawatt.
    Subito cercò Yuzo con lo sguardo e lo vide atterrare al suo fianco: il respiro affannato, un taglio sul sopracciglio e uno sul braccio; niente di cui preoccuparsi.
    “Tutto bene?” domandò comunque e l’altro si limitò a riprendere fiato e annuire, senza distogliere lo sguardo dallo Stregone.
    “Ma guarda, guarda.” Faran si era alzato in piedi, mostrando chiaramente il volto e guardando tutti e quattro con una certa sorpresa. “Allora siete al completo. Ed io che ero convinto di avervi debellato. Avete fegato. E fortuna.”
    Gli Stregoni arrivarono da ogni corridoio, bloccando così qualsiasi proposito di avanzamento o arretramento. Mamoru li passò velocemente in rassegna: i fratelli di Faran erano alle spalle di quest’ultimo, mentre le retrovie erano controllate da un bestione che non conosceva.
    Pe^e chaai-!” Il più piccolo dei Konsawatt si mosse per andare in soccorso del fratello, ma quest’ultimo lo fermò alzando semplicemente due dita.
    “Non so come abbiate fatto a entrare”, riprese Faran, “ma posso assicurarvi che non uscirete mai più. Quindi, a voi la scelta: vi arrendete o morite?”
    Mamoru aveva poco tempo e ragionò il più in fretta possibile. Davanti a lui ogni strada era bloccata da almeno tre Stregoni e se passare i Konsawatt era difficile, ma quantomeno fattibile, affrontarli tutti non lo era per niente. Alle loro spalle, l’ostacolo maggiore sembrava essere il bestione, mentre gli altri li avevano già superati una volta, potevano farlo ancora. Il problema, era che tornare indietro non aveva senso senza aver trovato il Principe, così come abbandonare la base. Seppure ci fossero riusciti, non avrebbero fatto altro che farli mettere in guardia, avrebbero aumentato i controlli, rafforzato le difese e non sarebbero mai più riusciti a entrare. Non se lo potevano permettere.
    E se non era possibile combattere né fuggire, restava una sola scelta da prendere.
    Mamoru abbassò le spalle e le braccia, sciogliendo i pugni. “Ci arrendiamo” disse guardando Faran dritto negli occhi.
    Diversamente dallo Stregone che sembrò apprezzare la decisione, Acqua, Terra e Aria lo fissarono stravolti, nemmeno avesse appena detto un’eresia.
    “Ma che stai dicendo?!”
    “Arrenderci?! Ma-”
    “Non abbiamo scelta.” La Fiamma lo ribadì in tono lapidario, facendo valere la sua autorità. Guardò Hajime e Teppei alla sua sinistra e poi si volse a destra, il braccio allungato per fermare Yuzo che era scattato in avanti. Gli afferrò il polso senza stringerlo e nel suo sguardo il volante lesse con quale, enorme sforzo stesse prendendo quella decisione. “Non abbiamo scelta” Mamoru lo ripeté adagio e Yuzo abbassò le mani, abbandonando la posizione d’attacco. Accennò col capo per dargli il suo appoggio e tornò a guardare il maggiore dei fratelli Konsawatt.
    “Sono sorpreso! Pensavo vi sareste battuti fino alla morte!” Lo Stregone si portò le mani ai fianchi, sorridendo compiaciuto. “Allora siete più ragionevoli di quello che sembrate. Buon per voi.” Mosse lo sguardo oltre le spalle degli Elementi a cercare il bestione. “A te, Brolin(2).”
    Brolin avanzò con passò pesante e minaccioso. Gli altri maghi si fecero avanti, per circondare i prigionieri e prevenire ogni loro tentativo di fuga; nessuno poteva sapere se non fosse tutta una trappola in attesa che abbassassero la guardia.
    “Penserò io a dar loro una degna sistemazione.” La voce del bestione era profonda e tonante, rimbombava nell’alto soffitto vuoto di quel punto di snodo. Si portò davanti a loro, cosicché gli Elementi potessero vederlo nella sua interezza. Superava la Fiamma di tutta la testa e le spalle erano larghe e spesse, si riusciva a capire nonostante indossasse il mantello. L’oscurità degli abiti e dell’ambiente faceva un forte contrasto con il colore chiaro dei suoi capelli corti. Con un mezzo sorriso malevolo e gli occhi neri come quelli dei corvi, levò una mano e gli Elementi assunsero istintivamente una posizione di guardia.
    Neniès.”
    I loro corpi addormentati toccarono terra con dei sonori tonfi.
    Aaaah! Fredericks(3) avrà di che lavorare nei prossimi giorni.” Brolin si era portato le mani ai fianchi, torreggiando sulle figure inermi degli Elementi come un cacciatore con le prede. Fece cenno agli altri Stregoni di aiutarlo con il trasporto dei corpi. “Credo proprio che vorrà cominciare con quello d’Aria; ormai conosco bene i suoi gusti.” Come fosse stato un fuscello, si caricò il corpo di Yuzo sulla spalla senza il minimo sforzo.
    “Potresti chiedergli di andarci piano con lui?” Faran intervenne, avanzando di qualche passo. Pieno si sistemò il mantello che nello scontro con Yuzo si era quasi staccato. “Vorrei avere io l’onore di ucciderlo.”
    Nh, è un po’ difficile… lo sai che quelli che volano sono i suoi preferiti.”
    “Digli che gli sarò in debito, se mi farà questo favore.”
    Brolin si strinse nelle spalle e sistemò meglio il peso del volante addormentato. “Vedrò che posso fare, ma non ti assicuro nulla. Piuttosto, voi che farete?” Guardò anche Sakun e Chana che si erano affiancati al fratello maggiore.
    Faran assunse un piglio più serioso e controllò che la cintura portaoggetti fosse a posto e completa di ciò di cui avrebbe avuto bisogno. “Il nostro lavoro qui è finito. Ho appena ucciso l’ultima delle guardie del Principe senza cavare un ragno dal buco. Tsk. Inutili esseri privi di magia.” Una smorfia di disgusto gli deformò le labbra. “Abbiamo ricevuto ordini di rientrare non appena avessimo messo fuori gioco gli Elementi mandati alla ricerca del Principe.”
    “Allora sbrigatevi, il tempo credo sia quasi scaduto ormai.” Brolin volse loro le spalle, cominciando a camminare lentamente verso uno dei corridoi. “Mi raccomando, fremiamo dalla voglia di avere presto delle buone nuove. Vaya con Kumi(4).”
    “Saranno sicuramente buone le nuove che riceverete” fu l’ultima risposta di Faran Konsawatt, tirata via con un sottile sorriso che già sapeva di trionfo. Non avrebbero mai potuto perdere contro le Forze Elementali, non dopo essersi preparati così a lungo. Avrebbero distrutto il potere frammentario degli elementi e avrebbero unificato il regno sotto l’oscuro e paritario dominio della Dea reietta. Con passo sicuro e seguito dai fratelli, Faran scomparve, inghiottito in uno degli otto corridoi da cui Sakun e Chana erano arrivati. Sul fondo del buio avrebbero trovato la strada per arrivare al Nord.

     


    [1]LAZON: il rastafaro dei “Cavalieri delle Notti Bianche” svedesi. Tra i quattro, ammetto che è quello che più mi era simpatico, forse proprio per via dei capelli, quindi l’ho piazzato nell’Armata di Gamo XD. E meno male che mi era simpatico! (Bellicapelli Lazon: *clicca qui*)

    [2]BROLIN: il nome di questo mi ha sempre ricordato quello di un attore, Josh Brolin, che io ho adorato ne “The Goonies”. Peccato che il Brolin di CT non mi stesse altrettanto simpatico XD. (Cicciobello Brolin: *clicca qui*)

    [3]FREDERICKS: lo abbiamo già conosciuto nel lontanissimo (XD) Capitolo 4 dove aveva fatto una breve comparsa, ma ora possiamo ammirarlo (!) in tutto il suo splendore (e gayaggine XD). Fredericks era il quarto dei “Cavalieri delle Notti Bianche” svedesi. XD Purtroppo li ho tutti in antipatia e quindi nisba, sono finiti a fare i cattivi *TROLOL* XD Ho salvato solo Levin, ma finora temo non abbia mai aperto bocca XDDDD *rotola via* Ad ogni modo, penso di essere fautrice del: ‘curto, zico e malecavato’, ce l’ho sempre visto come cattivo. Forse anche per via dell’espressione, da vero stronzo DOC XD (Fredericks dalla pettinatura oscena: *clicca qui*).

    [4]: XD non ridete! Avete presente il modo fighissimo in cui si salutano gli Elementi? Ecco, mi sembrava giusto che anche gli Stregoni ne avessero uno, solo che non mi era venuto niente fino a che… XD non è spuntato il famosissimo ‘Vaya con Dios’ di spagnola memoria! XD *rotola via* L’avevo buttata lì a mo’ di scherzo, solo che poi mi piaceva come ci stava e l’ho lasciato, trasformando – ovviamente – quel ‘Dios’ in un più appropriato ‘Kumi’! XD
    Questo è solo il saluto di commiato, ovviamente.


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Accidenti se ne sono passati di mesi dall’ultima volta che ci siamo letti in questo angolino. :(
    Sono davvero mortificata per l’attesa, ma come avrete capito questa storia è complessa e lunga e quindi richiede una maggiore attenzione e dedizione. Dedizione che non ho potuto darle in quest’ultimo periodo a causa di tanti di quei problemi che si sono susseguiti a raffica, fino ad arrivare all’annullamento delle vacanze.
    Quindi, oltre ad essere di pessimo umore, sono anche mentalmente a terra e stanca.
    In tutto ciò, ho cercato di trovare sempre un lato positivo – uhm – e, per fortuna, la scrittura non mi ha mai deluso in questo, così ne sto approfittando per cercare di portarmi avanti e scrivere quanto più possibile. Settembre so già che sarà un mese pieno e quindi non voglio perdere neppure un minuto. Ormai, la storia si sta davvero avviando alla conclusione, manca solo l’ultimo capitolo e l’epilogo. Il primo è stato cominciato, ma ho bisogno di ragionarci bene, perché sarà molto concitato. Il secondo non è stato iniziato, ma visto che è la chiusura, avrà un ritmo molto più tranquillo e so già come incastrare gli eventi. :)

    Passando a questo capitolo, insomma, li avevano lasciati con l’idea di entrare nella tana del lupo e qui, come potete vedere, hanno fatto anche di più! XD E non in bene!  *rotola via*
    Sarà un capitolo ricco d’azione e con delle rivelazioni importanti, quindi, occhi bene aperti *-*v

    Anche se non siamo ancora alla fine-fine, ci tenevo davvero a ringraziare tutti coloro che continuano a starmi dietro, rassicurandoli sulla fine di questa storia che arriverà, manca pochissimo ormai, e promettendo che le prossime storie della saga verranno pubblicate solo una volta concluse. Questo è diventato ormai il mio ‘modus operandi’: non pubblicare più niente che non sia terminato o a un passo, tanto da permettermi di poter aggiornare con regolarità fino alla fine.
    XD ah, e ci tenevo a dirvi che, state tranquilli, non pubblicherà MAI PIU’ una roba tanto lunga. MAI. PIU’.
    L’esperienza l’ho fatta e mi è bastata XDDDDD

    Grazie ancora infinitamente dell’attenzione e ci rileggiamo al prossimo aggiornamento. :)


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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    Capitolo 44
    *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 15: L'uomo senza Inconscio (parte II)

    Avamposto Sud dell’AlfaOmega – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Yuzo riprese conoscenza in maniera lenta. Così come era stato addormentato, allo stesso modo lo stavano svegliando: per mezzo di qualche incantesimo; il volante lo sentiva pur non avendone la certezza assoluta. Aprì gli occhi e la stanza gli apparve buia; simile, nella struttura, a quella in cui aveva scorto Faran Konsawatt. Sbatté le palpebre un paio di volte e gli aloni luminosi delle candele conferivano forme sfuocate alle sagome delle fiammelle. Si sforzò di metterle a fuoco, ma gli occhi bruciavano leggermente. Emise uno sbuffo.
    “Bentornato tra noi. Lieto di avere la tua presenza.”
    Gli occhi di Yuzo cercarono subito il proprietario di quella voce dai toni acuti e fastidiosi. Lo trovò di spalle, presso quello che gli sembrò un banco da lavoro. Correva per tutta la parete e sopra ospitava oggetti di ogni genere: ampolle, barattoli pieni di erbe, forme aldeidi di strane creature e animali vivi che strisciavano contro il vetro per uscire. Poi bisturi, martelletti, pinze.
    Strumenti.
    Pugnali, fruste, mazze.
    Strumenti di tortura.
    Merda.
    “Il piacere… è solo tuo” impastò, le parole si appiccicarono tra palato e lingua, nemmeno fossero fatte di colla.
    Lo Stregone rise sottilmente e si volse permettendo al volante di poterlo guardare dritto negli occhi: incredibilmente azzurri e allo stesso modo malevoli.
    “Strana scortesia per un Elemento d’Aria. Che ne è della vostra decantata pazienza?”
    “Ho finito le mie scorte personali, chiedo venia.” Yuzo lo disse con un mezzo sorriso sulle labbra e il mago rimase colpito dalla sua acuta, quanto inusuale ironia. Sbottò in una risata piena.
    “Arguto! Lo stesso non può dirsi di coloro che son venuti prima di te.”
    “Che cosa vuoi?”
    Lo Stregone nicchiò. La sua figura era piccola e il viso imberbe, dai tratti delicati. A Yuzo parve addirittura più giovane di lui, ma non poté dirlo con sicurezza. Lo vide poggiarsi al bordo della mensola e incrociare le braccia al petto. Il mantello nero oscillò ai movimenti.
    “Fare due chiacchiere.”
    “Da quando fare due chiacchiere è divenuto sinonimo di tortura?”
    “Da quando vi ostinate a non voler rispondere alle mie domande.”
    Il sorriso tornò sulle labbra del volante. “Forse perché non usi la parolina magica.”
    “Se la usassi mi risponderesti?”
    “Chi può dirlo. Prova.”
    Lo Stregone lo guardò fisso, con intensità. Anche lui aveva un accenno di sorriso sulle labbra sottili. Stette al gioco.
    “Rivelami tutti i segreti della Scuola di Alastra. Per favore.”
    “Non ci penso nemmeno, ma è stato divertente vedertelo chiedere.”
    La risata del mago risuonò per tutta la stanza, rimbombando nell’eco del soffitto alto e vuoto. “Per Kumi! Tu sì che mi piaci! Mi piaci tantissimo! Sono sicuro che mi farai divertire più di chiunque altro!”
    Non che Yuzo morisse dalla voglia di essere usato come giocattolo, ma le cose non sarebbero cambiate, visto che chi dei due continuava ad avere il coltello dalla parte del manico non era lui. Lanciò un’occhiata alle armi che erano dietro lo Stregone, accennandole con il mento. “Cominciamo, allora. Non ho preferenze: pugnale, frusta-”
    “Oh! No, no! Gli oggetti che vedi sono per i tyrani, amano il gioco duro.” Il giovane ci tenne subito a mettere le cose in chiaro. Cambiò posizione e rivolse una rapida occhiata agli strumenti, prima di tornare a osservarlo, stringendo lo sguardo. La sua malevolenza trasudava da ogni gesto, anche il più piccolo. “Per quelli come te ho metodi diversi. La vostra educazione mentale è ciò che vi rende i più resistenti alla tortura, lo sapevi? Ma siete anche coloro che soffrono più a lungo. Per questo vengono mandati gli Stregoni come me a lavorarvi e io conosco un metodo infallibile per prolungare all’infinito il vostro dolore. Mi supplicherai di ucciderti.”
    Il lamento dell’uomo torturato a morte e il suo sguardo vacuo tornarono alla mente in un ricordo abbagliante come un lampo che il volante si sforzò di mettere da parte.
    “Forse. Ma i segreti moriranno con me.” Per quanto non fosse mai stato realmente preparato ad affrontare tutto quello, Yuzo non si fece intimorire dalle sue minacce. Non si aspettava che sarebbe stato semplice né piacevole, ma non avrebbe ceduto il passo contro quel bastardo per nessun motivo al mondo.
    “Staremo a vedere.” Lo Stregone si avvicinò con cadenza lenta, quasi stesse assaporando i pochi momenti che ancora lo separavano dal mettere in pratica i suoi propositi.
    Yuzo non lo perse d’occhio nemmeno un attimo. Il mago era più basso di lui, fisico minuto, capelli inverosimilmente biondi. A occhi inesperti sarebbe potuto apparire innocuo, ma non ai suoi che sapevano leggere benissimo la minaccia annidata nell’azzurro di quelle iridi.
    Lo Stregone si fermò davanti a lui che non avrebbe potuto muoversi nemmeno se l’avesse voluto: le mani erano legate dietro la spalliera, e le caviglie ai piedi della seggiola su cui si era svegliato. Piano gli toccò le tempie, appoggiando sulla pelle tre dita di ogni mano.
    Yuzo sbatté le palpebre e nel frammento d’istante in cui le chiuse gli sentì mormorare una formula. L’attimo dopo il laboratorio era scomparso, l’intera base con le sue mura non c’era più, mentre l’azzurro era ovunque.
    Azzurro. Luce.
    Vento.
    La brezza spirava piacevole attorno a loro che sembravano perduti nel cielo tanto che la terra non era nemmeno più visibile.
    Una phaluat volò davanti allo Stregone che rispondeva al nome di Fredericks che la osservò compiere un’elegante evoluzione prima di tornare indietro e rimanere sospesa poco sopra la spalla dell’Elemento. Si fronteggiavano.
    Fredericks sorrise. “Così la phaluat è l’animale che ti è più vicino. Banalotto.”
    E quella non era una phaluat qualunque, Yuzo la riconobbe all'istante: avere Taleja(1) al suo fianco, emersa dai suoi ricordi pronta a difenderlo, lo fece sentire improvvisamente più forte. Il volante fece vagare lo sguardo senza muovere la testa e infine lo fermò su di lui. “Un Illusionista.”
    “Perspicace. Quelli come me sono gli unici a poter affrontare quelli come te. E sai perché? Perché le vostre discipline mentali, il vanto della Scuola di Alastra, quelle che considerate il vostro punto di forza… sono anche la vostra più grande debolezza. Il vostro ordine, il vostro rigore ci permettono di entrare. Tsk, se provassi a intrufolarmi nella mente di un Elemento di Fuoco verrei ucciso all’istante; come potrei mai contrastare il loro caos mentale? Impossibile, nessuno può. Mentre voi… il disordine, il caos, l’istinto primordiale di ogni essere umano lo avete separato da tutto il resto, circoscritto, dominato.” Si profuse in un elegante e ironico inchino. “Grazie infinite della cortesia.” Poi allargò le braccia, esalando un profondo sospiro estatico. “Ah! La tua mente è così ordinata e calma. È come passeggiare in un giardino.” Lo sguardo vagò per il cielo sconfinato e infinito, calò sulla figura dell’Elemento e infine si concentrò oltre la spalla del volante dove centinaia di sagome sfuocate si muovevano e parlavano, ma le loro voci erano un brusio non comprensibile.
    Yuzo si accorse del ghigno predatorio dello Stregone e inquadrò le proprie spalle con la coda dell’occhio per un fugace attimo.
    “E lì…”, riprese Fredericks, “ci sono tutti i tuoi segreti e ricordi che aspettano solo d’esser colti come frutti maturi.”
    “Prova a toccarli e ti uccido.” Il volante lo disse senza mezzi termini, niente giri di parole né retorica. Era la seconda volta che minacciava di morte qualcuno e se la prima si era sentito spaventato da sé stesso, non avrebbe mai creduto che farlo ancora potesse rivelarsi così facile. Soprattutto, non avrebbe mai creduto di essere di nuovo sicuro che sarebbe andato fino in fondo alla prima occasione.
    “Accidenti che freddezza!” Fredericks non nascose la palese sorpresa. “Che fine ha fatto il pacifismo degli Elementi d’Aria? Non eravate tutti buoni, voi?”
    Yuzo accennò un leggero sorriso, ma piegò solo le labbra, mentre gli occhi non sorridevano affatto. “Perdonami, sono il peggiore tra i miei compagni.”
    Lo Stregone si limitò ad accennare col capo, sinceramente divertito dall’insolita aggressività del suo avversario e si preparò ad affrontarlo.
    Il giovane non si mosse quando lui avanzò, né la prima né la seconda volta, ma sembrò quasi aspettare che si avvicinasse ancora per poi attaccarlo. Fredericks decise che non gliene avrebbe dato il tempo e agì per primo. Velocissimamente lo scartò di lato dove c’era lo spazio libero, infinito; riusciva a scorgere le sagome. Allungò una mano per afferrare brandelli di ricordi, nomi, volti ma l’Elemento gli apparve davanti l’attimo prima che potesse entrare nella parte più nascosta e protetta della sua mente.
    “Pensi che non ne sarei capace?”
    Il volante lo domandò guardandolo con occhi di sfida.
    Fredericks dovette ammetterlo: quel ragazzo era diverso da tutti gli Elementi di Alastra che si era trovato contro.
    “Credi che non ti ucciderei? Farei qualsiasi cosa per proteggere ciò che ho di più caro dalle grinfie di quelli come te.”
    Il mago non prestò troppa attenzione alle sue parole, occupato com’era a domandarsi come avesse fatto a muoversi così velocemente. Girò lo sguardo e, per assurdo, vide il volante dove l’aveva lasciato. Ma, allo stesso tempo, era anche davanti a lui.
    Erano due.
    “La mia mente. Le mie regole” decretò il giovane con un sorriso. La voce raddoppiata e poi triplicata quando provò a scartarlo di nuovo, e quadruplicata, quintuplicata. In un attimo, le copie dell’Elemento d’Aria avevano formato un muro a protezione di tutti quei segreti di cui aveva bisogno.
    Con sorpresa di Fredericks, il suo avversario ci aveva messo poco a capire come funzionava, tanto da prendere subito in mano le redini del duello. Non si smentivano. Gli Elementi d’Aria erano in gamba davvero, ragionavano in un attimo e nello stesso tempo formulavano strategie, che fossero di difesa o attacco non era differente, sapevano sempre come agire. Questo lo mandava in bestia. Detestava il loro trovarsi sempre pronti a ogni evenienza, il loro non farsi sorprendere né cogliere impreparati. Sembravano sempre essere un passo avanti a lui ed era una cosa che non riusciva ad accettare. Aveva torturato decine di alastri, ma mai da nessuno di loro era riuscito a strappare più che banalità, informazioni superficiali che lasciavano il tempo che trovavano. Addirittura, a volte trovava più facile fare breccia nel loro spazio personale, nei ricordi legati agli affetti, piuttosto che in quelli relativi alla scuola. Avrebbero difeso fino alla morte i loro segreti e la morte era proprio ciò che avevano trovato una volta finiti nelle sue mani. Più che altro, Fredericks nutriva un’invidia sconfinata per le loro abilità e se era vero che li detestava, d’altro canto adorava torturarli e prendersi, in un modo o nell’altro, la sua piccola rivincita.
    Il ragazzo che aveva davanti era più giovane di quelli che aveva avuto il piacere ‘conoscere’ eppure sembrava avere quella fermezza che solo l’esperienza poteva dare. Si sarebbe divertito un mondo a fargli del male.
    Velocemente cominciò a correre lungo il perimetro che quella barriera umana aveva creato, alla ricerca di un minuscolo spazio in cui provare a intrufolarsi, ma come sembrava trovarne uno, spuntava una nuova copia dell’Elemento a coprirlo.
    Masticando delle formule, Fredericks fece piovere centinaia di piccole sfere di energia. Il suo era un attacco diversivo, sperava di distrarre l’avversario quanto bastava per provare ad affondare il colpo decisivo. Il tentativo andò a vuoto perché Yuzo non si fece cogliere impreparato e mentre le copie affrontavano l’incantesimo, un altro paio balzarono in avanti, attaccando direttamente lo Stregone e costringendolo ad arretrare.
    Il mago ringhiò un insulto, ma le corde di sottili fulmini neri seppero andare a bersaglio, facendo scomparire i due cloni fastidiosi.
    Sempre senza smettere di correre – o volare, visto che si trovavano in cielo –, Fredericks tornò indietro deciso ad affrontare il vero Elemento, anche se non avrebbe saputo dire quale di quelli fosse. Non a una prima occhiata, ovviamente, ma c’era quella phaluat che girava intorno solo su di un unico punto. Per quanto fosse una creatura che era lì per difendere il suo avversario, stava facendo anche un favore a lui, perché gli aveva permesso di individuare l’alastro vero in mezzo a quell’esercito di falsi.
    Fredericks tese il ghigno e sfruttò le illusioni per triplicarsi: se poteva farlo l’Elemento, a maggior ragione poteva farlo anche lui, visto che era la sua specialità. Le tre figure corsero in circolo, ben distanziate l’una dall’altra, ma l’alastro sfoderò la sua difesa, sollevando delle raffiche di vento tanto forti, quanto insidiose.
    Lo Stregone e i suoi cloni furono costretti a rallentare e contrastarlo con tutta la loro forza, poi misero contemporaneamente mano alla cintura. Da una specie di tasca lanciarono una manciata di polvere grigia che si insinuò nello spirare del vento. I tre pronunciarono una formula magica e la polvere si gonfiò all’improvviso, espandendosi in maniera inverosimile fino a coprire la visuale del volante.
    Le teste di Yuzo si volsero in tutte le direzioni, ma il grigio era ovunque e non permetteva di vedere attraverso la cortina che aveva creato. Il vento si intensificò, le raffiche riuscirono ad aprirsi un varco e a disperdere l’incantesimo. Poi, il verso forte della phaluat avvertì il volante che sollevò il capo. Due Stregoni avevano sfruttato il diversivo della nube per attaccarlo di sorpresa e il giovane li vide piombare su di lui, fruste di fulmini neri alle mani. Yuzo contrattaccò con la stessa moneta e poiché era in superiorità numerica, riuscì a trafiggerli con le sue scariche elettriche ben prima che le armi altrui riuscissero a toccarlo.
    “Sei mio!”
    Quel sibilo arrivò deciso e troppo vicino. L’Elemento originale, in quella moltitudine di copie, si volse giusto in tempo per vedere il vero Stregone emergere dal basso. Preso com’era stato dall’attacco arrivato dal cielo, Yuzo non si era accorto che mancava uno degli avversari all’appello. Era qui che si vedeva la differente esperienza: nonostante avessero la stessa età, Fredericks aveva già torturato decine e decine di Elementi, aveva affrontato centinaia di duelli mentali e si era fatto le ossa sul campo molto prima dell’alastro, che invece basava tutto sulla teoria e solo adesso stava muovendo i primi passi nella pratica vera e propria. Lo Stregone lo aveva capito e aveva atteso il momento giusto affinché compisse il famoso passo falso, affinché gli lasciasse un misero varco attraverso il quale riuscire a entrare. E il momento era arrivato.
    Il braccio di Fredericks affondò nell’unica falla di quella barriera invalicabile, tra il fianco e il gomito. Le dita fecero breccia, toccarono l’essenza della mente di Yuzo e si chiusero come tenaglie, intrappolandone un frammento nel palmo.
    Tutte le copie del giovane si piegarono su loro stesse, afferrandosi la testa: era come se gli avessero sfondato il cranio per estrarre il cervello.
    Fredericks sorrise, trionfante. La mano ancora intrappolata dall’altra parte e il vento che gli spirava intorno sembrava impazzito, le raffiche erano incostanti.
    Ormai l’aveva in pugno, ma la phaluat, che aveva continuato a restare al fianco del volante, non fu dello stesso avviso. In picchiata ed emettendo un verso acuto e stridente si gettò su di lui. Il dolore delle beccate che lo colpirono alla testa e sulle spalle lo fece contorcere e imprecare. Strattonò il braccio e lo liberò dall’incastro.
    “Va’ via, dannata bestiaccia! Smettila!” Volando s’allontanò, cercando di colpire l’uccello alla cieca, ma senza riuscirci. Taleja lo lasciò perdere e tornò al fianco dell’Elemento.
    Fredericks gli vide reggersi ancora la testa, ma il dolore stava passando ora che non c’era più la sua mano a scavargli dentro. Le copie erano scomparse e rimaneva solo l’originale.
    “Strapperò le ali a quell’odioso pennuto, parola mia!” minacciò lo Stregone, poi sollevò il pugno ancora chiuso e lo fissò con occhio bramoso. “Adesso vediamo cosa sono riuscito a tirarti fuori.”
    Aprì lentamente la mano e un bagliore simile a un batuffolo di luce si levò dal palmo. Sotto lo sguardo preoccupato di Yuzo, venne assorbito dagli occhi neri dell’Illusionista il quale li chiuse appena la luce fu entrata in lui completamente.
    Quando li riaprì, l’espressione che fece fu di pura perplessità.
    “Perché?” domandò infatti, guardandolo con evidente sorpresa. Per un attimo, a Yuzo non parve nemmeno ostile, ma subito il ghigno malevolo tornò a rendere temibile la sua espressione. “Deve essere molto importante per te. Sì. Deve essere così. D’accordo, allora. Mi è venuta una bella idea.”
    E quell’espressione non piacque al volante, così come non gli piacque il modo in cui seguitava a sorridere. Con cautela assunse nuovamente una posizione di difesa, ma nell’attimo in cui sbatté le palpebre, l’azzurro scomparve e la penombra della stanza alla base gli apparve più buia di quanto ricordasse. Si guardò attorno, girando completamente il capo da una parte all’altra. Le mani e i piedi di nuovo bloccati.
    “Non agitarti, non potrai liberarti.”
    Lo Stregone era fermo presso il ripiano su cui erano poggiati gli strumenti di tortura. Yuzo accennò un mezzo sorriso preparandosi mentalmente a ciò che avrebbe dovuto affrontare. Sapeva come resistere al dolore, almeno per un po’, ma non aveva mai provato a fronteggiare una cosa simile. Eppure, questo non sarebbe stato sufficiente a piegarlo. Tutto ciò che aveva affrontato fino a quel momento, tutto il dolore, il coraggio e la volontà ferrea dei suoi genitori erano il motivo per cui non avrebbe potuto essere da meno.
    “Ma quelli non li usavi solo con i tyrani?” domandò. “Vedo che hai cambiato idea.”
    “Oh, no. Affatto.” Fredericks gli dava le spalle, prendendo e valutando le lame dei suoi strumenti. “Questi giochini li uso davvero solo con loro. Sai, hanno la pellaccia dura. Quelli reali almeno.”
    “Reali?” Yuzo fece eco, l’espressione mutò in sospetto.
    “Già, siamo ancora nel pieno del nostro duello mentale.” Fredericks si volse, il sorriso malevolo e ampio più che mai, gli occhi neri per la magia dilagante. “Ci siamo solo spostati, ora siamo nella mia mente e qui le regole le faccio io. Il bello di questo tipo di tortura è che posso farti di tutto: marchiarti, sfregiarti, ridurti a pezzetti e non resterà il minimo segno sul tuo corpo.” Assottigliò il tono. “Quando sarai sull’orlo della morte, mi basterà fermarmi e aspettare qualche momento prima di ricominciare da capo. Un dolore infinito.” Gli volse nuovamente le spalle. “E sia chiaro: qui le tue difese contro il dolore non valgono.”
    Yuzo deglutì e strinse le labbra. “Allora accomodati. Ma non aspettarti soddisfazioni.”
    Fredericks agitò un dito. “Ah, dimenticavo. Non sarò io a torturarti. Non con questo volto, comunque. Sai, prima sono riuscito a carpirti solo un nome e qualche misera informazione a esso legata. La prima cosa che mi sono chiesto è stata cosa avesse a che fare con te. Appartenete a mondi talmente diversi. Al che mi sono detto che se lo tenevi così nascosto, così protetto, allora deve essere una persona importante. Molto. E cosa c’è di meglio che essere torturati da coloro cui si vuole bene?”
    Nel momento in cui si volse e lesse chiaramente lo sconcerto sul volto dell’Elemento – che non si premurò nemmeno di celarlo –, lo Stregone capì d’aver fatto centro.
    Un largo sorriso si distese su quel volto che non aveva più i suoi tratti né i capelli biondi e gli occhi azzurri, ma aveva preso in prestito quelli appartenenti al fantomatico nome, assieme ai suoi colori: scuri come il buio.
    “Mamoru. Dico bene?” Anche la voce non era più la sua e per quanto Yuzo stesse continuando a ripetere a sé stesso che era solo una maledetta illusione, non poteva negare quanto fottutamente sembrasse reale.
    Serrò le labbra, non rispose.
    “Oh, è inutile che mi ignori è chiaro che non puoi farlo come vorresti. Ciò non fa che dimostrarmi quanto lui sia importante per te.” Fredericks avanzò adagio, accorciando la loro distanza in modo lento e subdolo. Ad ogni passo, Yuzo non poté fare altro che vedere quanto la somiglianza fosse perfetta. Lo Stregone non imitava solo l’aspetto, ma anche i movimenti, i gesti, le espressioni. Dovette riconoscerglielo: “Sei davvero bravo.”
    Fredericks sorrise, fermandosi davanti a lui. Avvicinò il viso.
    Addirittura le sfumature nei suoi occhi erano le stesse.
    “Solo bravo? Ragazzo mio, io sono il migliore.”
    La situazione gli apparve di improvviso così irreale che Yuzo si ritrovò a ridere sottilmente, scuotendo il capo.
    “Mi fa piacere che lo trovi divertente.” Lo Stregone gli passò una mano tra i capelli per poi afferrarli e tirargli indietro la testa.
    “Anche così, ti posso giurare che non uscirà un fiato dalla mia bocca.”
    Yuzo non smise di sorridere e nel suo sguardo, nel modo in cui lo fissava o, meglio, fissava l’illusione che aveva creato, Fredericks sembrò comprendere.
    “Quindi è in questo modo che stanno le cose tra voi. Interessante. Aria e Fuoco sono una miscela esplosiva.”
    “Lo so. Ma ce la siamo sempre cavata bene. Anzi. Non immagini quante volte avrebbe voluto essere al posto tuo per darmele di santa ragione.”
    “Oh, allora gli farò un favore.” Fredericks stette al gioco, mentre la mano libera scendeva a sciogliere i bottoni della casacca per scoprire il torace.
    Negli occhi del volante il sorriso non scomparve e nemmeno quella sorta di intoccabilità che sotto sotto lo indisponeva.
    “Di sicuro. Ma tieni ben a mente ciò che ti dirò: se non sarai già morto, una volta che sarò libero ti ucciderò con le mie stesse mani.”
    Fredericks sbuffò un ghigno nel serrare la presa sui suoi capelli. Quella minaccia, o forse il modo in cui gliel’aveva rivolta, gli fece provare una sensazione di fastidio che si ostinò a minimizzare. “Tu credi?” L’altra mano iniziò ad arroventarsi, perché le sue illusioni erano complete sotto ogni punto di vista, compreso quello della magia. “Staremo a vedere.”
    L’attimo dopo le grida di Yuzo gli esplosero nella mente quando gli marchiò il petto.

    Mamoru spalancò gli occhi di scatto e la prima cosa che vide fu il soffitto o ciò che gli sembrò tale. Si tirò a sedere velocemente e la stanza girò attorno a lui per una frazione di secondo, poi tutto rimase perfettamente immoto e silenzioso. La penombra veniva ricreata da una torcia appesa al muro opposto alla sua posizione e arrivava come filtrata da quella barriera trasparente che delimitava lo spazio intorno a lui.
    Mamoru la seguì con gli occhi, l’espressione che virava dallo smarrito al furente nel capire di essere in ‘gabbia’, anche se quella non aveva comuni sbarre. Odiava sentirsi rinchiuso, lo mandava in bestia; si sentiva come un fuoco che cercavano di contenere, limitare, ma nessuno si rendeva conto di quanto fosse difficile trattenere le fiamme: sarebbe bastata la minima distrazione affinché divampassero senza pietà. Ecco, lui si sentiva proprio così: fremeva dalla voglia di scatenarsi, di fregare coloro che cercavano di domarlo e renderli cenere.
    Senza pensare alle conseguenze, la sua impulsività agì prendendo il sopravvento sulla ragione. Caricò delle palle di fuoco e, con un balzo, le esplose contro la barriera trasparente dall’aspetto spesso e solido. Le fiamme si espansero sulla superficie e morirono in un attimo. La barriera non aveva riportato nemmeno la più piccola bruciatura, non un alone, niente.
    Mamoru non si diede per vinto, tentò un secondo assalto e contemporaneamente colpì la struttura con un pugno ben piazzato e un calcio. Tutto inutile.
    La roccia, perché di roccia si trattava anche se di un tipo che Mamoru non aveva mai visto prima, tremò con un suono cupo ma rimase in piedi, senza essere nemmeno scalfita.
    L’Elemento di Fuoco smise di attaccare alla cieca. Rilassò le braccia lungo i fianchi e inspirò a fondo un paio di volte, dipingendosi un’espressione più mesta e crucciata di quella che avrebbe voluto mostrare. Solo allora, il raziocinio sembrò prendere nuovamente il controllo sul suo orgoglio e lo convinse a guardarsi attorno. La stanza era ampia, priva di finestre, e la gabbia che lo conteneva disegnava una cupola sulla sua testa. Non aveva porte, doveva essere stata creata con la Magia Nera altrimenti sarebbe riuscito quantomeno a scalfirla o sfondarne una parte.
    Oltre il muro trasparente, alla sua sinistra, c’era un’altra cupola, anch’essa trasparente, ma questa sembrava fatta di vetro, ed era vuota.
    Dei suoi compagni non c’era traccia e in quel momento, solo in quel momento, si domandò se non avesse compiuto un grave errore di valutazione nella scelta di arrendersi. Sperò di non averli condannati a una morte peggiore di quella che avrebbero potuto incontrare sul campo di battaglia; non avrebbe mai potuto perdonarselo.

    “Secondo te come starà? È da un bel po’ che è svenuto…”
    “Chi lo sa. Magari è già morto. Beh, in tal caso meglio per lui.”
    “Ryo, non dire assurdità, per favore. Non è morto. Guarda? Sta respirando.”
    “Chi può dire che non sia l’ultimo respiro?”
    “Ryo!”
    “Sì, sì! Ho capito! Ma mi spieghi come può essere uno di coloro che ci salveranno se è in cella come noi?”
    “La risposta è solo una, Ryo: abbi fede. Oh! Guarda! Si sta svegliando.”
    Hajime arricciò le labbra, mentre apriva gli occhi.
    Quel vociare confuso lo aveva tirato via dal sonno profondo che lo aveva colto all’improvviso, opera dello Stregone di nome Brolin, di sicuro. Nella sua mente, si accavallavano i ricordi della corsa nei corridoi della base, dei suoi compagni, dei fratelli Konsawatt che intimavano loro la morte o la resa e di Mamoru che sceglieva proprio quest’ultima. Doveva ammetterlo, ma quella decisione lo aveva lasciato spiazzato. Era stato convinto che Mamoru si sarebbe fatto fare a pezzi prima di arrendersi, ma dopotutto aveva avuto ragione: non c’era altra scelta, il loro scopo era sopravvivere fino a che non avessero trovato il Principe Tsubasa.
    La prima immagine che riuscì a mettere a fuoco gli restituì il pavimento su cui era appoggiata la faccia. Dondolandosi – si sentiva ancora intontito – riuscì a piantare saldamente le mani al suolo e si mise in ginocchio, crollando poi sui talloni.
    “Te l’avevo detto che era vivo.”
    Una delle due voci che avevano facilitato il suo risveglio parlò di nuovo e lui si volse, stringendo gli occhi. Era rinchiuso in una cella davvero strana, a suo parere. Non aveva sbarre, ma c’era come un velo che l’avvolgeva: sembrava di trovarsi all’interno di un palloncino. Al di là dello spessore latteo, ma trasparente, scorse altre due gabbie, questa volta tradizionali, con all’interno altrettanti ospiti. Non doveva trattarsi di maghi, altrimenti avrebbero usato degli accorgimenti mirati come nel suo caso.
    “Chi siete?” impastò, la bocca aveva un pessimo sapore. Spostò i capelli alla buona, ma questi ricaddero indisciplinatamente sull’occhio. “Chi siete voi?”
    Uno dei due, quello con i capelli più lunghi, si avvicinò alle sbarre e le strinse tra le mani. Era in condizioni ottime, rispetto a tutti gli altri prigionieri che aveva incrociato nella sua ricerca, magari non era arrivato lì da molto o forse non era un giovane che poteva essere trattato con noncuranza.
    Hajime lo guardò meglio, gli parve familiare anche se aveva i capelli arruffati e gli abiti in disordine. Abiti ricchi, di stoffe pregiate.
    Gli sorrise e in quegli occhi scuri che gli apparvero sereni e pieni di fiducia, nonostante la loro condizione fosse quella di prigionieri alla mercé degli Stregoni, il Tritone riconobbe l’immagine che gli era stata mostrata a Raskal, prima di partire.
    “Siamo coloro che stavate cercando” disse con sicurezza.
    Hajime schiuse adagio le labbra.
    “Vostra… Altezza… Tsubasa?”

    Dopo più di un’ora e le orecchie in cui ancora rimbombavano le grida di dolore dell’alastro, Fredericks dovette ammetterlo tra rammarico e ammirazione: quel ragazzo era davvero un osso duro. Aveva detto che non avrebbe parlato e così era stato. La sua bocca si era aperta solo per urlare. Torturarlo con le sembianze di una persona a lui ben più che cara non era servito a piegarlo. La sua volontà era forse la più forte con cui avesse mai avuto a che fare.
    “Niente male” esalò, interrompendo l’incantesimo: il giovane aveva perso conoscenza per il troppo dolore, ma ciò rappresentava anche un limite alla sua magia poiché agiva solo quando la vittima era sveglia.
    Fredericks incrociò le braccia e rimase a fissarlo: aveva il capo mollemente riverso in avanti e sulle ginocchia il sangue pianto dagli occhi continuava a cadere in piccole stille cremisi dalla punta del naso dove erano scivolate.
    Avrebbe dovuto aspettare che si fosse ripreso per continuare, nel frattempo ne avrebbe approfittato per organizzare una nuova strategia, più efficace e magari più violenta. Poi si ricordò di aver promesso a Brolin di non esagerare, visto che c’era quel presuntuoso di Faran che aveva reclamato il colpo di grazia per sé.
    “Ti sei già fatto un sacco di amici da queste parti” ridacchiò lo Stregone, anche se era infastidito dall’intromissione del maggiore dei Konsawatt. Con passo lento e meditabondo prese a girare intorno alla vittima fino a portarsi alle sue spalle. Figurativamente cercava un varco dove poter fare breccia nelle sue difese e costringerlo a parlare anche se dava l’idea di uno che si sarebbe fato uccidere piuttosto. Quelli così erano un piacere da torturare. Da spezzare.
    Accennò un sorriso, poi l’occhio colse un tenue luccichio. Qualcosa brillava alla debole luce delle candele.
    Fredericks inarcò un sopracciglio e si avvicinò: nascosto dal bordo della maglia spuntava qualcosa, qualcosa che lui non aveva visto e che l’Elemento aveva saputo abilmente celare, qualcosa che gli fece accentuare il sorriso. Passò le dita sulla pietra d’onice e un fugace bagliore porpora l’attraversò rispondendo alla presenza della Magia Nera.
    “Sorpresa, sorpresa” esalò, rendendosi conto d’aver fatto una scoperta importante anche se non sapeva bene fino a che punto. “Così anche i bravi ragazzi possono avere dei piccoli e subdoli segreti. E io credo d’aver appena scoperto il tuo.”
    Lo Stregone cercò di carpirne il possibile, di capire cosa fosse di preciso, ma dall’esterno sembrava solo una semplice pietra. La cosa strana era che fosse per metà immersa dentro il corpo dell’Elemento, circondata da una sottile bordatura in platino. Sul fatto che fosse pregna di Magia Nera non c’era dubbio, poteva vederlo e addirittura sentirlo quando la toccava.
    “Vediamo dove mi porti” disse infine, appoggiando le dita sulla pelle attorno a dove si trovava il monile.
    Fredericks chiuse gli occhi e cercò di stabilire una sorta di contatto con l’onice, anche se il suo proprietario era privo di conoscenza, ma la prima sensazione che ebbe fu di venire risucchiato dalla pietra stessa e di correre lungo le migliaia di fili di Magia Nera che si diramavano nel corpo del volante come le zampe d’un ragno. E il potere che fluiva, seppur sopito, era veloce, velocissimo. Feroce. Per tutto il tragitto non fu in grado di vedere nulla se non lampi purpurei che nascevano e morivano nello stesso istante.
    Poi si fermò e fu in grado di percepire sé stesso abbastanza da poterne creare una proiezione. Attorno era tutto buio, nero, denso.
    “Decisamente diverso da prima.”
    Qui non c’era il cielo sconfinato né nulla che potesse assomigliargli. Non c’erano phaluat né brezze piacevoli. C’era solo oscurità come quella che lui, in qualità di Stregone, conosceva bene. Forse era addirittura più buia. Troppo. Soffocava, opprimeva.
    “Dove diavolo mi trovo?” Non poté non chiederselo quando le prime sagome iniziarono ad emergere dal nulla: tronchi d’alberi ritorti e spezzati, secchi; spuntoni di roccia viva e tagliente. Sembrava una palude dove le acque avevano solo suono e non consistenza.
    Fredericks si girò di scatto ma il panorama non cambiò: il buio era anche dietro di lui, eppure gli era sembrato di sentirsi osservato, aveva nettamente percepito la presenza di un paio di occhi fissi sulla schiena. Forse era solo quel luogo che riusciva a suggestionarlo più di quanto potesse accettare. Sbuffò un sorriso, si volse e li trovò lì.
    Gli occhi che aveva percepito erano davanti a lui e risaltavano come luci in mezzo al buio. Il nocciola dell’iride, spalancato e attento, era talmente carico da sembrare giallo. Non erano umani.
    Fredericks allungò appena una mano, chinandosi. Sulle labbra, il sorriso si era teso di lato.
    “Ciao, bel gattino.” Il tono era sottile, fintamente cordiale. “Cosa fai qui? Sei una specie di guardiano?” Come la phaluat durante la prima fase del loro scontro. “Lo sai che hai proprio dei begli occhi? Forza, avvicinati.”
    Ma l’animale rimase al suo posto, immobile. Le iridi seguivano vigili ogni suo movimento e Fredericks cercò d’essere il più cauto possibile. Non aveva idea di chi o cosa dovesse affrontare ed era meglio essere prudenti.
    L’attimo dopo gli occhi mutarono forma, assumendone una che riconobbe umana ma che non cambiò colore. Chiunque si celasse nell’oscurità era in piedi, lo capì dalla posizione delle orbite. Piano, un piede emerse dall’oscurità avvolto in un sandalo. Il buio sembrò ritrarsi lungo tutto il suo corpo mentre avanzava e più vedeva quegli abiti, più gli sembravano familiari e diversi al contempo. Ma solo quando ebbe finalmente un volto da associare agli occhi comprese il motivo di tale familiarità.
    “Ancora tu?” Fredericks non si premurò di nascondere la perplessità. “Dovresti essere svenuto. Mi hai forse ingannato?”
    L’Elemento rimase fermo a qualche passo di distanza, senza rispondere. Le azioni si limitavano solo a un attento osservare.
    C’era qualcosa di strano in lui, lo Stregone sembrò comprenderlo solo dopo qualche momento. E non era solo nell’ambiente così oscuro o negli abiti, neri e grigi; ma era nello sguardo a partire dal colore. Quest’ultimo era troppo chiaro e poi… avvertiva netta una sensazione di pericolo imminente, come se il suo istinto di conservazione gli stesse dicendo di andarsene finché poteva, ma lui si fece sordo e sfoggiò ancora il sorriso.
    “In quale strano posto della tua mente mi ha portato quella pietra? Sappi che preferivo di gran lunga il cielo azzurro con le phaluat.”
    Ancora silenzio.
    “Cos’è? Improvvisamente ti hanno mangiato la lingua? Che fine hanno fatto tutti i tuoi bei discorsi e le risposte sempre pronte?”
    La provocazione non attecchì e il giovane sembrava sordo e immune a tutto ciò gli venisse detto, quasi non lo capisse.
    Fredericks iniziò a innervosirsi. Detestava venire ignorato in maniera così persistente o forse era solo la forza di quegli occhi a intimidirlo. Quegli occhi che, non poteva negarlo, erano diversi da quelli che aveva visto nel suo prigioniero e che erano stati sì più scuri ma anche più caldi. Minacciosi ma umani.
    Questi invece… il loro colore era vivo e intenso, ma freddo. E senza pietà.
    “Tu non sei il ragazzo che ho torturato fino a questo momento.” Lo Stregone girò leggermente il viso facendo scomparire l’espressione sorridente che venne assunta dall’altro al posto suo, in un’inquietante inversione dei ruoli. Tese le labbra il necessario senza snudare i denti. Con movimenti lenti iniziò a camminare, girando attorno allo Stregone.
    “Ho indovinato, vero?” Ormai, Fredericks aveva messo in piedi un vero e proprio monologo. “Ma com’è possibile? Il ragazzo è privo di conoscenza e non si può entrare nella mente di qualcuno se questo è inc-… a meno che…” L’occhio nero si fece enorme, tatuandosi sul giovane che aveva appena completato il suo giro per fermarsi nella posizione iniziale.
    L’aspetto uguale ma diverso.
    La forza dominante.
    Non gli sembrò vero. Aveva compiuto l’impresa in cui tutti avevano sempre fallito.
    “Sei il suo Inconscio?”
    Il sorriso sulle labbra valeva più di mille ‘sì’ e Fredericks si esaltò. “Nessuno era mai riuscito a violarne uno! Gli Elementi d’Aria lo hanno talmente isolato da renderlo irraggiungibile!” D’improvviso gli sembrò di capire ogni cosa. “Dunque la pietra! La pietra è collegata all’inconscio! Ha creato un ponte!” Doveva assolutamente sfruttare questa notizia a suo vantaggio. Se non era riuscito a piegare la Coscienza, magari l’Inconscio sarebbe stato più corruttibile. “Perché non me ne parli? Tu sai cos’è, vero? Discutiamone. Non ti senti solo, rinchiuso in un luogo così buio? Io potrei fare in modo di renderti libero se lo volessi. Potremmo metterci d’accordo.” Gli stava offrendo delle illusioni ma sarebbe stato disposto a giocarsi tutte le carte che aveva per farlo parlare. E forse osò troppo, incautamente, commettendo l’errore di relazionasi a lui come se stesse parlando ancora con l’Elemento d’Aria.
    L’Inconscio era diverso. Umano nell’aspetto ma nell’animo chiudeva tutta la negatività, l’istinto e l’aggressività che la Coscienza aveva rifiutato. Era disordine. Era quel frammento di male che nasceva con ogni essere umano.
    “Avanti. Tu conosci i segreti di questo Elemento. Vedrai… resteranno solo tra me e te.”
    L’Inconscio di Yuzo fissò intensamente lo Stregone che continuava a parlare, tendendo dapprima una mano e poi avanzando d’un passo. Il sorriso s’assottigliò e si tese come lo sguardo e tale cambiamento fermò Fredericks.
    Quest’ultimo si rese conto d’aver fatto una mossa sbagliata, forse troppo aggressiva: ebbe la sensazione che il suo avanzare fosse stato preso come un’invasione di quello che l’Inconscio considerava il suo territorio. Mentalmente cercò di ricordare tutto ciò che aveva appreso sull’argomento attraverso gli studi degli altri Stregoni e una frase in particolare gli sovvenne: ‘L’inconscio umano è la spugna che assorbe le negatività espulse dalla coscienza individuale, i suoi istinti e tutto ciò che il raziocinio considera amorale. Il risultato è quindi un individuo inadatto a vivere in una comunità e che fa delle zone oscure della mente il proprio territorio. L’inconscio, nei fatti, è una bestia e come tale dovrà essere trattata da chiunque sarà in grado di entrare in contatto con lui.’
    Una bestia.
    E con le bestie bisognava essere cauti.
    Una smorfia fugace di disappunto passò sulle labbra di Fredericks. Avrebbe dovuto pensarci prima invece di lasciarsi prendere dalla brama di conoscenza.
    Doveva rimediare.
    Adagio arretrò dello stesso passo di cui era avanzato, sollevando piano le mani.
    “Sono stato invadente, perdonami. Non devi rispondermi adesso, magari potremmo palarne un’altra volta, sei d’accordo? Facciamo… facciamo che ora me ne vado, vedi? Tolgo il disturbo così come sono arrivato.”
    L’altro continuava a sorridere, tanto che a un certo punto si concesse addirittura di snudare appena i denti.
    Fredericks non seppe come interpretare quell’ennesimo silenzio, ma quando lo vide indietreggiare per tornare a immergersi nell’oscurità pensò di essersi comportato nel modo giusto, così si concesse di sorridere a sua volta.
    Il giallo degli occhi era tutto ciò che dell’Inconscio spuntava ancora dal buio.
    “Allora siamo d’accordo. Ne riparler-”
    Lo Stregone si accorse che qualcosa non andava: il terreno sotto i suoi piedi era divenuto improvvisamente molle, tanto che muoversi si era fatto più difficoltoso.
    Fredericks sollevò una gamba e l’oscurità era divenuta fluida, melmosa. Era risalita alle caviglie. Stava sprofondando.
    Lo sguardo corse all’Inconscio dagli occhi gialli. Occhi che erano nuovamente tornarti ad assumere la stessa forma non umana che avevano avuto al suo arrivo.
    “Cosa… cosa significa?!”
    Lo Stregone arretrò ancora, ma sembrava di guadare delle sabbie mobili. Dal buio, la risposta che ottenne fu un sottile ringhiare.
    No, non aveva fatto la mossa giusta. No, l’Inconscio non l’avrebbe lasciato andare.
    No, non poteva trattare con una bestia.
    Fredericks comprese che non era più il caso che rimanesse lì né che cercasse follemente di ragionare con quel frammento di male puro. Arrancando, provò a sciogliere l’incantesimo illusorio che lo teneva in contatto con la mente del prigioniero, ma non funzionò. Per quanto ci provasse, tutti gli incantesimi andarono a vuoto.
    “Deve essere a causa di quella pietra d’onice…” mormorò, ragionando a voce alta, mentre le iridi restavano immobili, puntate in quelle dell’Inconscio. “Ma che diavolo hanno in mente di fare quelli della Scuola dell’Aria? Quale assurda follia stanno mettendo in piedi?”
    L’urto contro qualcosa di solido alle sue spalle interruppe ogni domanda mentre il nero degli occhi divenne vitreo di paura nello scorgere un muro che fino a un attimo prima non esisteva. La creatura modificava lo spazio a suo piacere e l’oscurità gli obbediva ciecamente.
    “Vuoi attaccarmi?! Ti avverto, non sarà tanto facile!” Ma stava mentendo in un tentativo fallato di intimorire l’avversario: con la propria magia bloccata dall’onice, Fredericks era alla completa mercé dell’inconscio di Yuzo.
    Quest’ultimo l’aveva sempre saputo e aveva riso, refrattario a ogni sua lusinga o proposito, perché non aveva bisogno dell’aiuto di nessuno; perché lui stava solo aspettando il momento opportuno per venire allo scoperto e chiunque fosse stato tanto sciocco da mettersi in mezzo o cercare di avvicinarlo sarebbe stato spazzato via.
    Il ringhio aumentò di tono mentre quello che Fredericks riconobbe essere una zampa emerse dall’oscurità. Un passo, poi un altro e la bestia venne partorita dal buio che era ventre e tomba.
    Trovarsi occhi negli occhi con quel coguaro permise all’Illusionista di realizzare quanto lontano fosse quell’animale dalla phaluat che aveva accompagnato la Coscienza. Solitudine contro comunità. Terra contro cielo. Forza contro leggerezza.
    Fredericks doveva andarsene subito e lo sapeva, ma il terreno gli si era arrampicato fino alle ginocchia, non aveva più scampo. La bestia caricò, prese la rincorsa e gli fu addosso con le sue iridi gialle, gli artigli sfoderati e le fauci spalancate.
    L’Illusionista tremò, schiacciato da quel peso contro il muro fatto di nulla.
    Che cosa sei?! Che cosa diavolo sei?!
    La bestia tornò umana ma gli occhi gialli erano ancora lì assieme agli artigli lunghi e affilati, fermi a mezz’aria. Solo le zanne erano sparite sostituite dal sorriso più folle che avesse mai visto.
    Nihil.(2)

     


    [1]TALEJA: era la phaluat che Yuzo ha cresciuto. Dalla sua nascita fino alla morte è sempre stata al suo fianco. :) Potete leggere di lei all'interno di "Elementia: Fragments".

    [2]NIHIL: ricordate cos’era? Il Nihil, ovvero il Nulla, è come è stata chiamata la più grande guerra che si sia mai svolta su Elementia, secoli e secoli prima dei fatti narrati, e che ha portato al quasi annientamento del pianeta. Nihil è il nome che l’Inconscio di Yuzo ha scelto per sé. :)


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    I puma sono conosciuti – in America – con tantissimi nomi diversi: coguari, leoni di montagna (XD come i golkorhas! Mica lo sapevo!), pantere e spettri grigi (grey ghost). Sono i secondi felini più veloci al mondo, dopo i ghepardi, e i migliori saltatori. Ho scelto il puma perché volevo un contrasto netto tra la Coscienza e l’Inconscio di Yuzo (pumino: *clicca qui* e *qui* e *qui*).
    La Coscienza è ciò che viene mostrato, lo spirito del volante, la sua integrità e la phaluat era l’animale a lui più vicino, che rappresentava un po’ il simbolo di Yuzo stesso.
    L’Inconscio, invece, è nero già nell’ambiente che si è scelto, in contrasto col cielo sconfinato. Doveva essere un animale forte, feroce, più concreto e meno etereo, più solido e meno leggero. Il coguaro aveva ciò che cercavo. E’ un animale tendenzialmente solitario che si aggrega in gruppi solo durante l’accoppiamento. È attento e diffidente e non apprezza la presenza dell’uomo, tendendo ad allontanarsene quando li vede. All’opposto, le phaluat sono un esempio perfetto di comunità e vita di gruppo, mentre il coguaro è solitario, si basta da sé, non ha bisogno del supporto di nessuno.
    Allo stesso modo, mentre la Coscienza di Yuzo ha il bisogno fisico degli altri e teme la solitudine, il suo Inconscio può farne benissimo a meno perché è sempre stato abituato a vivere da solo e a essere relegato lontano, quasi nascosto. Solo ora, che il volante ha spezzato la barriera dietro cui aveva nascosto il suo odio, alcune sue caratteristiche – la forte aggressività e la ferocia – stanno iniziando a emergere e ad arricchire quello che è il vero Yuzo: un equilibrio tra bene e male.
    Un equilibrio decisamente difficile, in quanto l’Inconscio vorrebbe prevalere e ha un desiderio di indipendenza talmente forte da essersi scelto un nome diverso da quello della Coscienza.
    In questo capitolo si dovrebbe capire meglio anche come funzioni davvero l’onice. La pietra è solo un tramite che permette all’Inconscio di prendere il sopravvento e dominare la Coscienza, quando di solito avviene il contrario. È una specie di ‘lasciapassare’ che annulla il blocco mentale che gli alastri hanno creato per isolare le negatività.
    Il motivo per cui esistono contrasti così forti tra Coscienza e Inconscio è dovuto alle capacità mentali dei volanti. Da un lato, queste abilità li rendono più forti, più sicuri, più controllati, dall’altro vi è il problema che l’Inconscio, poiché separato dal resto, assume una sua ‘individualità’ che a un altro tipo di Elemento, ad esempio Acqua, mancherebbe (infatti, Terra, Acqua e Fuoco hanno una psicologia più ‘omogenea’, se vogliamo, mentre gli alastri puntano sulla calma e sulla bontà, estromettendo la normale negatività insista negli esseri umani.)

    Mi rendo conto che sono dei personaggi davvero cerebrali e ostici da comprendere, ma spero di esser riuscita a rendere l’idea che ho sempre avuto di loro, fin da che li ho creati. :)
    E anche per questo aggiornamento è tutto! Abbiamo avuto un piccolo assaggio del ‘lato oscuro’ della forza del volante. XD
    Vi ringrazio di cuore per essere ancora con me e vi rimando al prossimo aggiornamento :)


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 45
    *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 15: L'uomo senza Inconscio (parte III)

    Avamposto Sud dell’AlfaOmega – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Brolin era passato a controllare come procedeva l’interrogatorio. A dirla tutta era andato per vedere se Fredericks non si fosse incaponito con l’Elemento d’Aria, come suo solito. L’Illusionista aveva sempre preso troppo sul personale le capacità degli alastri, il loro rigore, la loro forza mentale e la purezza assoluta dei loro sentimenti. Li vedeva come un oltraggio a quelli come lui, che creavano ‘menzogne’.
    Fredericks provava un gusto perverso nel torturarli per il solo piacere di vederli soffrire, di portarli quasi sull’orlo della pazzia o della morte e poi fermarsi, per ricominciare tutto da capo.
    Sì, l’aspetto delicato e minuto di Fredericks tradiva la sua vera natura, votata al sadismo estremo e a volte puramente gratuito. A lui non aveva mai creato alcun problema, anzi: la trovava di gran lunga piacevole, solo che quell’Elemento d’Aria avrebbe potuto rivelarsi utile se il suo compagno non avesse calcato la mano e, soprattutto, avesse fatto contento Faran Konsawatt, lasciando a lui il colpo di grazia. Avere un favore dal maggiore dei fratelli faceva sempre comodo, vista la grande influenza che aveva sugli Stregoni più anziani.
    Per questo motivo era entrato nella stanza degli interrogatori, ma di sicuro Brolin non avrebbe mai creduto di trovarsi davanti a un simile scenario.
    Fredericks era in piedi, il corpo percorso da spasmi e sussulti incontrollati e la testa gettata all’indietro con gli occhi incollati al soffitto dove le ombre create dalle candele morivano nel buio.
    Le sue iridi nere piangevano sangue.
    Il prigioniero, invece, sembrava privo di conoscenza e lui non riuscì a spiegarsi, sul momento, come fosse possibile che entrambi si trovassero in contatto mentale.
    “Fredericks!” Velocemente raggiunse il compagno, le cui dita restavano appoggiate alla nuca dell’Elemento. Non avrebbe potuto separarli di netto o avrebbe finito con l’uccidere lo Stregone, così gli passò un braccio attorno alla vita per sostenerlo, mentre rivolgeva l’altra mano verso quelle dell'Illusionista.
    Relaja!” L’incantesimo, agendo dall’esterno, annullò quello interno dell’onice che impediva a Fredericks di abbandonare l’inconscio e il contatto fu finalmente reciso.
    Lo Stregone crollò addosso a Brolin prendendo profonde boccate d’ossigeno. Lo sguardo assassino e il dolore di venire sventrato iniziarono a spegnersi e appannarsi. Di tutto ciò che aveva vissuto, di quella tortura, sarebbe rimasta solo l’eco di una sofferenza indimenticabile. Il sapore della sua stessa medicina.
    “Fredericks! Fredericks, stai bene?! Che diavolo è successo?!”
    Per tutta risposta Fredericks lo allontanò in malo modo, strisciando sul pavimento. Riuscì a raggiungere il muro. Il ripiano gli fornì il giusto perno per provare a tirarsi su. Nella gola, le parole gorgogliarono con rabbia prima di venire fuori.
    “Portalo… portalo lontano da me! Porta quel mostro lontano da me!
    Era un oltraggio, un’offesa terribile per uno come lui essere battuti a livello mentale da un pivello inesperto, essere messi in trappola come un ratto per poi… poi…
    Una goccia di sangue gli cadde sul dorso della mano e Fredericks inorridì.
    Come poteva essere stato sconfitto in quel modo?
    Le mani gli tremarono in un eccesso di collera. Digrignò i denti.
    Doveva sfogarsi. Doveva sfogarsi su qualcuno, ma senza ricorrere alla magia.
    “Portami l’Elemento di Terra.”
    Brolin inarcò un sopracciglio, perplesso da tanta aggressività e soprattutto ancora confuso su quanto era successo.
    “Ma sei sicuro? Non vuoi aspettare di-”
    Portamelo!
    E Brolin sospirò, rassegnato alle sue volontà.

    I capelli di Mamoru erano arruffati come la criniera di un golkorhas e il suo modo di camminare all’interno della cella non faceva che renderlo ancora più simile a un leone di montagna inferocito.
    Andava avanti e indietro, tanto che avrebbe finito per consumare il pavimento. Nel palmo della mano le ultime lingue di una vampata si spensero lasciandogli l’ennesimo amaro in bocca e sbuffo tra le labbra: ogni incantesimo non era riuscito a scalfire il guscio dentro cui restava rinchiuso. La cupola che lo circondava era refrattaria a ogni fiamma. Nemmeno i tentativi di fusione andarono a buon fine, poiché il suo fuoco arrivava a temperature troppo basse.
    Ringhiò. L’occhio gli cadde sulla cella accanto e pensò a Yuzo. Si chiese dove l’avessero portato e se stava bene. Se l’era già domandato appena sveglio ma non aveva saputo darsi alcuna risposta. Nonostante tutto, continuò a interrogarsi e a farsi del male, perché ignorare la sua condizione lo feriva e l’ansia al pensiero di ciò che avrebbero potuto fargli cresceva in maniera esponenziale. Non era un qualcosa che era in grado di controllare, reprimere. Era consapevole che il volante aveva imparato a difendersi molto di più di quanto avrebbe mai immaginato, ma ciò non toglieva che tutto diventava inutile quando c’era di mezzo l’amore: non si sarebbe dato pace fino a che non avesse visto con i suoi occhi che stava bene.
    D’un tratto, come se le Dee lo avessero ascoltato, la porta della stanza si aprì e la grossa figura dello Stregone, lo stesso che li aveva addormentati, comparve sulla soglia. Sulla spalla, abbandonato come un sacco e privo di conoscenza, c’era proprio il corpo del volante.
    La prima reazione di sollievo venne sostituita da una feroce, degna di una Fiamma di Fyar.
    “Che diavolo gli avete fatto, maledetti figli di puttana?!” sbraitò, lanciandosi contro la roccia.
    Brolin nemmeno si premurò di rispondergli. Con un incantesimo creò un varco nel vetro che rivestiva la cella accanto alla sua e vi gettò il corpo all’interno, con noncuranza. Le labbra masticarono delle formule e un incanto di pressione costrinse il volante al suolo senza possibilità di muoversi.
    Mamoru divenne una furia. Con rabbia infranse un pugno contro la roccia e solo questo, il rumore cupo che rombò per tutta la stanza, riuscì ad attirarsi finalmente l’attenzione dello Stregone.
    Brolin richiuse il varco nel rivestimento della gabbia del volante, poi si avviò all’uscita fermandosi davanti al fyarish. Le labbra vennero piegate in una smorfia sprezzante mentre sosteneva senza indugio il suo sguardo ribollente.
    “Ti giuro che appena uscirò di qui, ti ridurrò in cenere” minacciò Mamoru e l’altro sbuffò un mezzo sorriso che scomparve subito.
    “Quando uscirai da qui, mi pregherai di fartici ritornare.”
    Se ne andò senza aggiungere altro, scortato – passo dopo passo – dallo sguardo omicida della Fiamma.
    Mamoru attese che richiudesse la porta alle sue spalle prima di raggiungere il lato che dava sulla cella del volante. Svelto si inginocchiò, appoggiando le mani sulla pietra trasparente. Nemmeno ci provò a camuffare la preoccupazione nel tono della voce.
    “Yuzo! Yuzo, riesci a sentirmi? Ti prego rispondimi, apri gli occhi, forza!”
    Ma questi rimasero chiusi e a Mamoru non restò che fissare la lunga scia di sangue ormai rappreso che arrivava a sfiorare la mascella.

    Seppur non avesse la minima idea di dove si trovasse, poiché non poteva materialmente vedere a causa della benda che gli copriva gli occhi, Teppei fu lieto di esser stato portato altrove.
    Quando si era risvegliato dopo la cattura, si era sentito come un canarino in gabbia. Letteralmente. La cella in cui era stato rinchiuso aveva sbarre di ferro e la forma di uccelliera. Niente di troppo difficile, per lui, Elemento di Terra, piegare il metallo con i propri poteri... peccato che la gabbia si trovasse sospesa su un baratro infinito. Tenendosi ben saldo, si era affacciato, cercando di comprendere quanto profondo potesse essere il salto, ma l’oscurità sottostante gli era parsa così densa che si era detto che non era il caso di provare. Attorno non c’erano ponti che lo collegassero alla porta d’uscita. Poteva vederla in lontananza, ma non era che un uscio in legno pesante incastrato in un muro di pietra. Troppo lontano da lui. Aveva provato con la telecinesi, ma non era servito, perché la gabbia era sia avvolta da un incantesimo che bloccava i suoi tentativi e sia da un incantesimo che la teneva sospesa nel vuoto. Insomma, gli Stregoni avevano proprio pensato a tutto per impedirgli di evadere.
    Poi erano andati a prenderlo. Aveva riconosciuto lo stesso mago che lo aveva addormentato non appena l’aveva visto sulla soglia. Non aveva avuto un’espressione simpatica la prima volta e questa seconda non era stata da meno. Anzi, gli era sembrato addirittura di umore peggiore. Con i suoi poteri aveva creato un passaggio per arrivare alla gabbia, raggiungendola in breve tempo, e mentre la sua magia elementale non era in grado di oltrepassare quella stregonesca della barriera, lo stesso non poteva dirsi nel caso inverso. In un attimo, era stato addormentato di nuovo.
    A svegliarlo era stata l’eco sorda di un dolore alla mascella. Qualcuno lo aveva picchiato per farlo rinvenire, e alla fine c’era anche riuscito. Ora sapeva d’avere gli occhi aperti, ma la benda in cuoio gli impediva di vedere chi era il verme che gli stava davanti e ringhiava parole cariche di collera e, sì, anche di frustrazione.
    “Ce ne hai messo di tempo! Certo che avete proprio la pellaccia dura voi tyrani. Quanto ancora avrei dovuto colpirti per avere la tua fottuta attenzione?”
    Teppei non trattenne una risata di scherno. “Colpirmi? E io che credevo mi stessi facendo delle delicate carezze. Mettici più forza, raggio di sole.”
    Il manrovescio bruciò all’improvviso e distintamente. L’Elemento sentì la guancia pulsare, ma non gli diede soddisfazione. Era stato colpito con un guanto rinforzato visto che la voce del suo sfidante non gli dava l’idea di trovarsi di fronte a un bestione come quello che lo aveva addormentato.
    “Fai poco lo spiritoso, cane bastardo, non sono in vena di giochetti.”
    “Uh, ci hai già provato con qualcun altro, ma ti hanno fatto la bua?”
    Il pugno allo stomaco o, meglio, il colpo di mazza allo stomaco lo costrinse a espellere tutta l’aria che aveva in corpo.
    “Non. Provocarmi.” La voce acuta e irata dello Stregone gli alitò l’orecchio e lui preferì seguire il consiglio, per il momento.
    Prese fiato in respiri brevi e veloci. “Perché sono bendato? Non merito l’onore di vedere in faccia il mio carnefice?”
    “Non credermi stupido, tyrano.” Il mago si era allontanato di qualche passo, Teppei lo capì, e tentò di seguire attentamente il rumore dei suoi movimenti. “Conosco bene la vostra capacità telecinetica, per chi mi hai preso? Potresti usarla per attaccarmi mentre sono distratto.”
    Ora si era fermato.
    “Giusto. Te lo riconosco.”
    Tsk. Ovviamente.”
    I piedi vennero strusciati, si stava avvicinando di nuovo. Teppei chiuse gli occhi, al momento inutili, e aguzzò l’udito.
    “Adesso dammi solo un pretesto per ridurti in poltiglia.”
    Si concesse di sorridere con ironia. “Ne hai bisogno?” Dal tono, percepì che anche l’altro aveva sorriso.
    “Direi proprio di no.”
    La mazza lo colpì ancora, questa volta alle gambe, ma si sfasciò nell’impatto. Lo Stregone imprecò.
    “Ma di che cazzo siete fatti?! Maledetti voi!”
    “Oh, scusa. Poi te lo ricompro.”
    La testarda insolenza di cui era capace mandò il mago su tutte le furie. I resti del ciocco di legno vennero lanciati al suolo, Teppei ne riconobbe il rumore, poi sentì l’altro muoversi velocemente, raggiungere quello che doveva essere un tavolo da lavoro e rovistare alla rinfusa. Il tintinnare del metallo fu sottile ma netto, per lui. Cercò di risalire alla consistenza, al peso, alla forma. Nella sua mente si disegnò l’immagine di uno stiletto. Sorrise.
    L’attimo dopo lo schioccare d’una frusta gli bruciò la pelle e lo fece ringhiare. Lo Stregone inveì con rabbia.
    “Ti avevo detto di non provocarmi!” Un altro schiocco. “Pensi di poterti permettere di prenderti gioco di me?!” La terza frustata lo colpì al volto. Teppei sentì il sangue colare lungo la guancia. “Sono io quello che può prendersi gioco degli altri! Sono io che decido chi vive e chi muore! Io! Io soltanto!” L’ultima sferzata arrivò all’addome. Lo Stregone si fermò, respirando con affanno per lo sfogo e la forza che aveva impresso nei colpi. “Adesso mi dirai tutto quello che vorrò sapere e senza fare storie o non esiterò a scuoiarti vivo prima di ucciderti!”
    La risposta di Teppei fu quella di ridacchiare, tanto da lasciare interdetto anche il mago; quest’ultimo non sapeva se considerarlo coraggioso o solo infinitamente stupido.
    “Hai finito il monologo da ‘Stregone cattivo’?” chiese, la testa piegata in avanti venne sollevata adagio e il torturatore ebbe quasi l’impressione che l’altro potesse vederlo attraverso il cuoio.
    Come ovvio, era impossibile, ma il tyrano ne aveva individuato la posizione attraverso il suono che avevano fatto i suoi passi e i colpi di frusta. “Riconosco che sei stato un tipo attento a ogni particolare. Gli occhi bendati, le mani legate…” strattonò le catene che sentiva particolarmente resistenti, anche quelle a misura di Elemento. “Davvero, un ottimo lavoro. Non so quanti miei compagni tu abbia torturato ma, vedi, io ho una cosa molto importante da fare e non posso permettermi di fermarmi qui.” Inspirò a fondo focalizzandosi sulle immagini che aveva ricreato nella mente. “Sai, ho fatto una promessa a una persona importante, gli ho detto che l’avrei liberato da un grandissimo peso. Quindi, devo andare.”
    Lo Stregone sbottò a ridere con asprezza e rancore. “Promesse? Persone importanti? Ah! Voi Elementi siete solo degli illusi e voi di Terra lo siete più degli altri! Non potrai mai uscire da qui, i tuoi poteri sono tutti sotto controllo!”
    “Ne sei proprio sicuro?”
    Non c’era cosa peggiore che instillare il dubbio. Teppei lo sapeva; il dubbio sulla correttezza del sistema aveva logorato anche lui, ma era riuscito a trovare una strada anche nell’incertezza. Lo Stregone non aveva scampo.
    “Certo che ne sono sicuro! Conosco il vostro modo di combattere: forza bruta e telecinesi e io ho bloccato entrambe!”
    “Oh, sì. La forza bruta è bloccata, ma, sai, abbiamo due tipi di telecinesi e tu ne hai fermata solo una.”
    Il mago non ebbe il tempo di sorprendersi o replicare che le parole gli furono strozzate in gola da una lama di ferro che lo trafisse da parte a parte. Spalancò gli occhi, boccheggiò. Le mani alla gola si imbrattarono di sangue.
    “Hai dimenticato la Telecinesi Cieca.”
    Tale tecnica si basava sul riconoscimento degli oggetti – metallici o in pietra – attraverso il loro rumore. Ogni oggetto aveva un peso e ogni peso produceva un rumore diverso. Grazie a quest’ultimo, era possibile risalire, in via approssimativa, al tipo di strumento e alla sua dimensione. Una volta che l’Elemento ne aveva un’immagine mentale, era su di essa che avrebbero applicato le loro abilità telecinetiche.
    Teppei avvertì lo Stregone stramazzare al suolo e immobilizzarsi, probabilmente era morto o morente. Si concentrò ancora e, tra i suoni che aveva udito quando il mago aveva preso la frusta, doveva aver carpito anche la presenza di una tenaglia. Si focalizzò su di essa e la mosse adagio. Avvertì il freddo del metallo contro il viso quando cercò di utilizzarla per togliersi la benda. Ci riuscì e poi la lasciò cadere al suolo. Nel momento in cui i suoi occhi furono nuovamente in grado di vedere, li puntò sul cadavere dello Stregone. Era minuto come aveva immaginato dalla voce, con dei capelli biondissimi e gli occhi azzurri, ora spalancati e privi di vita. Il rosso vivo del sangue che gli imbrattava il collo si stava allargando velocemente, formando una pozza.
    Uhm. Era un pugnale” fu il commento di Teppei quando vide l’arma che aveva ucciso lo Stregone. “Non ci sono andato troppo lontano.”
    Adesso non doveva fare altro che liberarsi e mettersi sulle tracce dei suoi compagni.

    Mamoru rimase seduto contro la parete della cella che confinava con quella di Yuzo per tutto il tempo durante il quale non fece che pensarci: quanto dovevano averlo torturato se non era ancora in grado di riprendere conoscenza?
    Anche in quel momento, l’Elemento era incerto se avesse voluto davvero saperlo perché poi sarebbe andato in bestia, mentre aveva bisogno di rimanere lucido fino alla fine.
    Con la testa appoggiata alla pietra girò appena il viso per riuscire a carpire quello del compagno dagli occhi ancora ben chiusi, mentre tutto il corpo restava premuto al suolo da quell’incantesimo di pressione confinato sotto la campana di vetro.
    Aggrottò le sopracciglia, le mani penzolarono dalle ginocchia piegate.
    “Ti tirerò fuori da qui. Giuro” borbottò a mezza voce e non si sarebbe dato pace fino a che non l’avesse fatto. La questione del Principe passava in secondo piano e senza alcun rimorso.
    Il tutto stava nel riuscire a trovare la giusta occasione e lui era lì, in attesa: qualora si fosse presentata, non se la sarebbe lasciata sfuggire e il volante avrebbe potuto finalmente lasciare la base assieme ad Hajime e Teppei. Il solo pensiero degli altri due compagni gli fece tirare un profondo sospiro. Non aveva idea di dove fossero né se stavano bene, cosa che lui si ritrovò a pregare.
    Maledizione!
    Da quando era divenuto così protettivo nei confronti di tutti?!
    Si era decisamente rammollito e l’idea di essersi affezionato a ciascuno di loro, tra amore e amicizia, non aiutava affatto.
    Un tempo non avrebbe indugiato sul lasciare indietro dei compagni per il bene della missione, mentre adesso il solo pensiero era fuori discussione.
    I legami erano tornati con eccessiva prepotenza nella sua vita e avrebbe dovuto cercare di controllarli prima che fossero stati loro a controllare lui.
    Il cigolio improvviso della porta lo distrasse dai suoi pensieri. Le iridi saettarono svelte all’ingresso che si apriva adagio. Forse il bestione era tornato a prendere lui, questa volta.
    Mamoru pensò subito che potesse essere quella l’occasione che stava aspettando. Appena lo Stregone avesse tolto la barriera di pietra avrebbe potuto attaccarlo, sarebbero stati ad armi pari: uno contro uno, non di certo come quando l’avevano sorpreso nelle paludi. Stavolta avrebbe retto il confronto, sempre se non fosse finito addormentato come un sasso.
    Quando però la figura del tyrano comparve sulla soglia, tutti i suoi progetti si dissolsero nella sorpresa che gli si dipinse sul viso.
    “Teppei?!”
    “Mamoru! Grazie alle Dee, finalmente inizio a trovare qualcuno! Cominciavo davvero a temere che vi avessero portati nelle segrete!”
    L’Elemento di Terra si avvicinò subito alla cella della Fiamma.
    “Come sei riuscito a liberarti?” domandò quest’ultimo mentre l’altro esplorava la barriera per capire se era in grado di abbatterla.
    “Il torturatore mi ha sottovalutato.” L’espressione si indurì quando fermò lo sguardo sul volante. “Cosa che non deve aver fatto con Yuzo, temo.” Poi scosse il capo e tornò a concentrarsi su Mamoru. “Adesso ti tiro fuori. Mi basta solo trovare il punto di rottura. Ogni roccia ce l’ha” spiegò mentre batteva leggermente le nocche sulla superficie. “Una volta trovato, basta solo… colpire bene.” La barriera che circondava la cella della Fiamma crollò in mille pezzi sotto un semplice tocco di dita.
    “Ma… ma come hai fatto?!” Mamoru era incredulo. “Io l’ho colpita con tutta la mia forza, ma non si è nemmeno scalfita!”
    Teppei trattenne un mezzo sorriso ironico. “E’ perché non hai colpito nel punto giusto. Adesso mi occupo anche di-”
    “Lascia. A Yuzo penso io.” Lo interruppe la Fiamma finalmente libera di muoversi. In un attimo era già di fronte all’altra cella. “Se la mandassi in frantumi, i vetri potrebbero rovinargli addosso. Io posso entrare senza distruggere la cupola.”
    Il compagno annuì. “Allora io provo a cercare Hajime. Dobbiamo muoverci in fretta, non credo ci metteranno molto ad accorgersi dello Stregone morto, così come credo che si siano accorti del crollo della tua cella.” In rapidi passi fu alla porta. L’aprì, controllò che la strada fosse sgombra e tornò nel corridoio.
    “Attento alle spalle!” gli disse Mamoru, ma il tyrano era già andato via. Il giovane sospirò, scuotendo il capo, poi si volse per dedicarsi esclusivamente al volante.
    Osservò attentamente la cupola di vetro sotto cui era stato rinchiuso. Diversamente dalla roccia trasparente, il vetro fondeva a temperature molto minori, temperature che era in grado di ricreare nel palmo delle mani. Mamoru li arroventò in un attimo prima di poggiarli con decisione sulla superficie. La rigidità del vetro venne meno in pochi istanti, si fece molle e modellabile e perse coerenza iniziando a creare delle fessure. Quest’ultime divennero sempre più grandi fino ad aprire un varco sufficiente per il passaggio di due persone. Nel momento in cui la cupola perse l’isolamento con l’esterno, anche l’incantesimo di pressione si sciolse, dissolvendosi nell’aria.
    Quando l’entrata fu ampia a sufficienza, Mamoru interruppe la sua magia. Il volante si mosse, segno che stava per riprendersi e lui si trovò a tirare un sospiro di sollievo.
    “Ehi. Te l'avevo detto che ti avrei fatto uscire. Forza, Yuzo, dobbiamo andare.” Svelto gli passò un braccio sotto al collo per aiutarlo ad alzarsi.
    Il volante sembrò rispondere ai suoi richiami, poiché strinse gli occhi e mugugnò dei versi sofferenti prima di schiudere le palpebre.
    La prima cosa che Yuzo vide fu una chiazza scura. Si sentiva la testa pesante e gli occhi che bruciavano. Sbatté le palpebre un paio di volte mentre i suoni iniziavano a perdere la sensazione d’ovatta per farsi più nitidi, così come le figure.
    “…zo…”
    La chiazza scura cominciò ad assumere dei contorni precisi, dei colori.
    Una forma.
    “…uzo…”
    Una forma familiare come il suono. Era una voce che parlava, che lo chiamava. E la chiazza scura ebbe un volto, una bocca che si muoveva in sincrono con i rumori, dei capelli corvini e occhi di pece.
    “Yuzo!”

    “Potrei continuare così per ore. Arrivare fin’anche a ucciderti. Scommetto che ti piacerebbe fosse lui a farlo.”

    Il ghigno malevolo si sovrappose all’espressione preoccupata sul volto di Mamoru e per lui fu sufficiente a far riaffiorare ogni cosa era avvenuta quando era sotto le mani dell’Illusionista.
    Gli occhi si fecero enormi mentre cercava di riacquistare il controllo del proprio corpo.
    “Tu… stai…”
    “Calmati, non agitarti in questo modo! Sei stato privo di conoscenza per molto tempo!” Mamoru tentò di non farlo muovere bruscamente, ma l’altro sembrava non prestargli ascolto.
    “…stai…”
    “Che vuoi dirmi? ‘Stai’ cosa?”
    “Stai… alla larga!
    Mamoru non ebbe tempo di realizzare quel rifiuto che un fascio di vento lo afferrò alle spalle, strattonandolo via in malo modo. L’impatto con la cupola ancora intatta fu talmente forte che la Fiamma temette per un attimo che potesse crollare ma ciò non avvenne. Lui ricadde al suolo, la mano a massaggiare la nuca colpita.
    “Y-Yuzo… ma sei… impazzito?!”
    Per tutta risposta il fascio di vento gli si strinse attorno al collo, sollevandolo di peso e lasciandolo con i piedi ciondolanti nel vuoto.
    Mamoru spalancò gli occhi ritrovandosi a fissare quelli inferociti e decisi del volante. Gli aveva già visto quello sguardo. Glielo aveva già visto. A Ghoia.
    “Credi di potermi ingannare ancora? Non pensare ch’io sia così stupido!” ringhiò Yuzo, la mano sollevata decideva quanto forte doveva essere la stretta del vento.
    “In… gannare?... ma… non mi riconosci?! Sono Mamoru!”
    La morsa si serrò, strappandogli il fiato in un attimo. La Fiamma strinse i denti.
    “Mamoru, certo… ma sarai quello vero?” sputò Yuzo e nella mente dell’Elemento di Fuoco la situazione iniziò ad avere un senso. “Mi basterà poco per scoprirlo e se mi avrai mentito, ti annienterò.”
    Mamoru lo fissò, aggrottando per un momento le sopracciglia. Il lato aggressivo di Yuzo riusciva sempre a lasciarlo sconvolto, da una parte perché non vi era abituato e dall’altra perché aveva una ferocia molto simile alla sua, ma gelida e distaccata.
    “Quando siamo entrati a Ghoia, cosa mi ha donato il mercante?” domandò il volante e lui strinse i denti dando fondo a tutto il poco fiato che gli era rimasto.
    “Un… un campanello… scaccia guai”, sforzò un sorriso ironico, “ma non sembra… funzionare un granché.”
    L’ira sul volto del volante si dissolse in un attimo, lasciando invece un’espressione ferita e mortificata.
    Mamoru avvertì la presa sciogliersi e l’aria tornare a invadere pienamente i propri polmoni. Tossì con forza mentre la forza del vento era mutata in una mano gentile che lievemente lo adagiò al suolo.
    “Mi… mi dispiace, io… dovevo essere sicuro…”
    Yuzo lo disse senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Piano cercò di mettersi in piedi ma l’eco delle torture e l’utilizzo estremo dei suoi poteri lo avevano lasciato a corto di energie.
    Cadde nuovamente in ginocchio, con la stanza che, attorno a lui, girava come una giostra.
    Mamoru gli fu accanto in un attimo e gli passò una mano sotto al braccio per sorreggerlo. “Aspetta, ti aiuto. Che è successo?”
    Yuzo scosse piano il capo, la velocità con cui tutto girava iniziò a diminuire. “Quello che era ovvio accadesse: mi hanno torturato, ma gli è andata male…”
    Alla parola ‘tortura’ la Fiamma serrò la mascella. “Sei ferito? Dove?” Avrebbe raso al suolo quel posto e fanculo alle raccomandazioni di Shibasaki.
    “No, non lo sono. Il carnefice era un Illusionista e quelli come lui preferiscono usare armi mentali contro gli alastri, non fisiche.”
    “E il sangue che hai sul viso?”
    Yuzo si passò le dita sulla guancia. Il rosso ne colorò i polpastrelli. Il volante abbozzò un sorriso ironico. “Significa che stavo perdendo il nostro duello.”
    Mamoru sbuffò, mentre avanzavano piano verso l’uscita della stanza.
    “Sta’ tranquillo, non sono le ferite a fare male.”
    “Che vuoi dire?”
    Il volante non rispose subito. “Niente.”
    Per Mamoru quello fu una sorta di campanello d’allarme: Yuzo stava mentendo e l’idea che si trincerasse di nuovo dietro al silenzio non gli piacque, tanto da farlo fermare.
    “Voglio saperlo.”
    “No, Mamoru, tu non vuoi, credimi.” Yuzo lo guardò con decisione prima di riprendere a camminare. Ormai la testa non girava quasi più e lui era nuovamente in grado di camminare con le proprie gambe.
    La mano della Fiamma attorno al polso lo fermò e, negli occhi scuri, il volante lesse lo sguardo di chi non avrebbe lasciato correre.
    “Il discorso fatto a Ghoia è ancora valido. Se c’è qualcosa che ti ferisce, parlamene.”
    “E ferire anche te?”
    Mamoru accennò ironicamente col capo. “Ho le spalle larghe.”
    "Non si tratta di quello-"
    "Non mi importa di cosa si tratta. Dimmelo e basta."
    Yuzo avrebbe voluto rifiutare ancora, ma la Fiamma non avrebbe mollato l’osso fino a che non fosse stato accontentato e non era quello il momento per tergiversare, visto che non avevano tempo.
    Il volante inspirò a fondo e distolse lo sguardo per qualche momento.
    “Ho difeso le mie memorie e i miei segreti fino all’ultimo, ma l’Illusionista è riuscito a strapparmi un nome e ne ha assunto l’aspetto per portare avanti la tortura. E se hai capito per quale motivo prima avessi dubitato di te, allora non ti sarà difficile capire quale sia il nome che mi è stato estorto.”
    Mamoru lasciò il polso del compagno, mentre strozzava e metà un respiro.
    Lo Stregone aveva assunto… il suo aspetto?
    Lo aveva torturato mentre aveva le sue sembianze?
    Il suo volto? La sua voce? I suoi… poteri?
    Mamoru contrasse la mascella così bruscamente da far battere i denti. Sentì quasi la necessità di giustificarsi anche se non ne aveva motivo, ma non riusciva ad accettare che qualcuno avesse potuto fare del male a Yuzo utilizzando le sue spoglie.
    “Ti ho… ti ho giurato che non ti avrei mai più alzato le mani addosso. Non potrei mai farti una cosa del genere.”
    Yuzo osservò il modo repentino in cui l’altro si era ritratto, quasi convinto che la sola vicinanza avesse potuto arrecargli dolore, e accennò un sorriso. Mamoru aveva reagito nel modo che aveva previsto: tendeva ad allontanarsi dagli altri, a rompere ogni legame, quando credeva di essere la fonte del disagio altrui.
    “Questo lo so benissimo.” Il volante avanzò fino a raggiungerlo. Come prima di entrare nella base, gli sfiorò il dorso delle dita con le proprie per fargli capire che non aveva paura di lui e che poteva toccarlo. Andava tutto bene. “Come io ho smesso di credere alle illusioni tu dovresti smettere di sentirti in colpa anche per le cose che non fai.”
    Mamoru strinse le labbra e deglutì, accennando una risposta affermativa col capo.
    Seppur la tortura fosse stata dolorosa e intensa, non sembrava essercene traccia evidente nello sguardo di Yuzo o forse l’aveva solo nascosta nel modo perfetto di cui era capace, questa volta non per dimenticare, ma solo per controllare il dolore.
    Se la situazione non fosse stata tanto disperata, Mamoru lo avrebbe abbracciato lì, dimentico di qualsiasi altra cosa, ma non c’era tempo e dovevano muoversi.
    “Non mi hai ancora detto come hai fatto a liberarti” riprese Yuzo.
    “Ci ha pensato Teppei. Ha fatto fuori l’Illusionista e ci ha trovato. Ora è andato alla ricerca di Hajime.”
    Yuzo strabuzzò lo sguardo, fermando la Fiamma prima che potesse superarlo. “Lo ha ucciso?”
    “Già.”
    Anche se per un solo attimo, gli dispiacque non poter portare a termine il proposito omicida con cui l’aveva minacciato. Poi scosse il capo, nascondendo i reali pensieri.
    “Beh, non piangerò sulla sua tomba.”
    “Lo spero bene” intimò Mamoru avvicinando il volto a quello del volante con sguardo minaccioso. “E guai a te se ti azzardi a impedirmi di ucciderli tutti questi bastardi.”
    Yuzo si strinse nelle spalle, dimostrandogli per l’ennesima volta di essere cambiato.
    “Impedirtelo? E chi ha mai parlato di impedirti qualcosa.” Nel profondo delle iridi nocciola e nella piega divertita delle labbra, la Fiamma scorse più viva che mai quella complicità che ormai faceva parte di loro, che avevano costruito faticosamente nel corso dei mesi e delle incomprensioni e che non avrebbe voluto perdere per nessuna ragione al mondo.
    Sorrise di rimando con una punta di soddisfazione e fece per muoversi, quando Teppei piombò nella stanza parlando a raffica e in maniera concitata.
    “Ho una notizia buona e una cattiva. Quale volete sentire prima? Oh, Yuzo! Ti sei ripreso! Stai bene?”
    L’interpellato annuì, mentre Mamoru andava al sodo. “La buona.”
    “Hajime è un genio. Mi ha lasciato delle tracce e sono sicuro di averlo trovato.”
    “E quella cattiva?”
    Il tyrano si portò le mani ai fianchi stringendo i denti in un sorriso di circostanza. “C’è un folto gruppo di Stregoni che sta per piombarci addosso.”
    “E lo dici così?!” Mamoru sbottò, agitando le mani al cielo.
    “E come avrei dovuto dirtelo? Cantando?”
    L’altro masticò un paio di insulti in fyarish prima di lanciarsi fuori dalla stanza. “Teppei, facci strada fino ad Hajime!”
    La loro cella si trovava a metà di un lungo e semioscuro corridoio. Il potere della Magia Nera era ovunque, tanto che ognuno di loro aveva finito con l’abituarsi al continuo fischiare delle orecchie, ma sentirlo acuirsi in quel modo voleva significare solo una cosa.
    “Arrivano.” Mamoru lo disse fissando l’oscurità dell’andito che sembrava non avere fine e i suoi compagni fecero altrettanto. Immobili, con il buio che sembrava divorare la poca luce ancora presente e che a fatica cercava di vivere attraverso le tremule fiaccole.
    Poi, dal nulla spuntò quella sfera purpurea che puntava dritta contro di loro.
    Al riparo!” gridò la Fiamma e lui e Teppei si spostarono rasenti al muro. Yuzo, invece, non si mosse, piantò bene i piedi al suolo e sollevò una barriera di vento. L’incanto si scontrò col muro d’aria, ma non riuscì a infrangerlo. Yuzo lo contrastò con tutto il corpo e la sfera rimbalzò sfondando il soffitto e tutto quello che incontrò lungo la sua corsa. La roccia precipitò al suolo in frammenti e polvere mentre anche le voci iniziavano ad arrivare.
    “Tutto bene?” Mamoru si accertò subito delle condizioni del volante, il quale annuì. “Dobbiamo andarcene da qui.”
    “E come facciamo col Principe?” domandò il volante, ma fu Teppei a rispondere.
    “Prima andiamo a recuperare Hajime e dopo ci occuperemo di Sua Altezza.”
    Mamoru fu d’accordo e insieme si mossero, correndo nella direzione opposta.
    Le tracce di acqua lasciate dal Tritone erano ancora visibili e fornirono un percorso in quel labirinto senza fine. Altre sfere purpuree spuntarono dietro di loro e Mamoru rispose al fuoco facendole esplodere a mezz’aria.
    “Da che parte?” domandò Yuzo, mandando al tappeto uno Stregone, spuntato da un vicolo laterale, con una scarica elettrica.
    “Per di qua!” Teppei girò all’ennesimo bivio, ma i seguaci di Kumi sembravano essere dappertutto, comparivano ovunque come un branco di cani neri e agguerriti. I loro passi erano divenuti una moltitudine, sempre più vicini e gli incantesimi fischiavano sopra le loro teste.
    Alcuni li mancavano altri venivano deviati, altri ancora contrastati con il potere elementale, ma non avrebbero potuto tenerli a bada ancora per molto, erano troppi, decisamente troppi per loro.
    “Attento, Mamoru!”
    La Fiamma si volse di scatto all’avvertimento del volante; era stato distratto dall’ennesimo scontro alle loro spalle da non aver visto quello che, invece, era spuntato davanti a loro.
    Degli enormi rampicanti neri si erano insinuati attraverso il pavimento crescendo a dismisura e ondeggiando nel vuoto per afferrarli.
    Teppei saltò agilmente, approfittando del varco tra i rami e con una capriola li superò, Yuzo sfruttò la velocità del volo, troppa affinché i tentacoli potessero afferrarlo, ma per Mamoru sembrò non esserci scampo, vi sarebbe finito giusto in mezzo.
    D’un tratto, una specie di pedana spuntò dal nulla, una pedana di vento. Correva sopra il mostro, ma non sarebbe durata a lungo una volta che i tentacoli l’avessero avvolta.
    Mamoru serrò i denti e corse più veloce, sfruttò la salita e poi si lanciò in scivolata sulla superficie. In un attimo fu dall’altra parte, mentre i rampicanti continuavano ad agitarsi nel nulla.
    Appena toccò terra, Mamoru venne raggiunto da Yuzo che planò al suo fianco.
    “Stai bene?” gli domandò. “Non mi è venuto in mente nulla di meglio.”
    La Fiamma si guardò intorno un po’ spaesato. “Sì, è tutto a posto.” Si passò una mano tra i capelli e aggiunse: “Lo rifacciamo?”
    “Adesso ci penso io a trattenerli.” Teppei si portò davanti ai compagni. “Voi proseguite al prossimo bivio e girate a sinistra. È la prima porta, le tracce si interrompono lì. Io vi raggiungo subito.”
    Mamoru e Yuzo ripresero a correre, mentre Teppei si preparava a bloccare l’avanzata degli avversari. Per fortuna l’intera struttura era scavata all’interno del Nohro e quindi era fatta completamente di roccia. Per un Elemento come lui tutto lì era un’arma, a partire dal pavimento. Richiamando a sé il potere della Terra e la telecinesi, Teppei lo sollevò completamente come fosse stato un tappeto, allo stesso modo fece con le pareti: le accartocciò e le chiuse, bloccando gli Stregoni dall’altra parte. Ci avrebbero messo un po’ per riuscire a superare quello spesso e intricato muro di roccia.
    Soddisfatto, il tyrano si volse per raggiungere i compagni.

     


     

    …Il Giardino Elementale…

    E la fuga continua!
    Vi dico già che per due settimane non aggiornerò perché non sarò a casa, quindi la nuova parte di questo 15° capitolo arriverà Martedì, 23 Ottobre. :3
    Finalmente vado a farmi quelle meritate vacanze che ad Agosto non ho potuto fare. E ne ho tremendamente bisogno! :(
    Nel frattempo, gioia e tripudio, perché del Capitolo 16 ho concluso già due parti e sto portando avanti la terza. Avevo preventivato che dovessero uscirne massimo quattro... e invece credo che ne verranno fuori cinque. XD As usual.
    Spero di riuscire a sconcludere tutto entro Dicembre in modo da chiudere con voi l'anno in bellezza! *-* Ve lo meritate, visto il tempo e l'affetto che avete dedicato a questa storia, per non parlare della costanza nel seguirla nonostante gli anni di stop! \O/
    Sì, lo meritate assolutamente. :3

    Nel frattempo, penso di non avervi mai tradotto le ‘formule’ magiche degli Stregoni. XD

    All’inizio – ma diciamo pure fino a questo capitolo – erano state scelte senza senso XD, accostando parole che avevano una pronuncia che mi piaceva. XD Sono vergognosa? Sì, lo ammetto. Non sono Tolkien che posso permettermi di creare una lingua dal niente XD *TROLOL*
    In quest’ultimo capitolo, invece, ho cercato di prestarvi maggiore attenzione e forse alcune parole si possono intuire. Ad ogni modo, vi elenco tutti gli incanti e i loro significati (giusto perché non ho un cazzo da fare! LOL):

    - l’unica regola che avevo stabilito era che la frase si scrivesse al contrario: dall’ultima parola alla prima. -

    • (cap.4) “Ni he nat” : “Serra la gola” (‘ni’ = gola, ‘he’ = la, ‘nat’ = serra). Incantesimo pronunciato dal Nero in persona contro uno dei suoi Stregoni. La vittima si è ritrovato il collo stretto da un’ombra scura.
    • (cap.8) “Andhralis da kalandhra dhela” : “Blocca chiunque mi ostacoli” (‘andhralis’ =  ostacoli, ‘da’ = mi, ‘kalandhra’ = chiunque, ‘dhela’ = blocca). Incantesimo proferito per bocca di Yuzo quando era sotto il controllo del Naturalista Hans e diretto a Mamoru. L’Elemento di Fuoco si è ritrovato immobilizzato da una forza invisibile.
    • (cap.14, parte I) “Rab na bela, rei” : “Colpisci, sfera di energia” (‘rab’ = energia, ‘na’ = di, ‘bela’ = sfera, ‘rei’ = colpisci). Incantesimo lanciato da Sakun Konsawatt, durante il primo scontro con gli Elementi. La magia è composta da una sfera energetica nera e purpurea.
      “Aratna koi” : “Folgori terrene” (‘aratna’ = terrene, ‘koi’ = folgori). Incantesimo lanciato da Chana Konsawatt, durante il primo scontro con gli Elementi. Tale magia richiama delle corde di fulmini che emergono direttamente dal terreno.
      “Dessòla” : “Dissolvi”. Incantesimo pronunciato da Sakun, serve a far ‘sparire’ cose o persone. E’ anche uno dei vari incantesimi di annullamento.
    • (cap.14, parte IV) “Kela rhat” : “Bomba aerea” (‘kela’ = aerea, ‘rhat’ = bomba). Incantesimo pronunciato dallo Stregone Faran Konsawatt durante lo scontro con Yuzo. L’incantesimo ha dato origine a una sfera d’aria nera che è stata fatta esplodere contro il volante, colpendolo allo stomaco.
    • (cap.15, parte I) “Dalàti” : “Apriti”. Assieme a ‘dessòla’ è un incantesimo che viene pronunciato dall’ex-Stregone ora Naturalista Shibasaki davanti al portone dell’Avamposto Sud dell’AlfaOmega.
      “Neniès” : “Dormite”. Incantesimo pronunciato dallo Stregone Brolin e indirizzato agli Elementi. Non è di attacco, ma di difesa con l’obiettivo di far addormentare gli avversari.
    • (cap.15, parte III) “Relaja” : “Rilascia”. Incantesimo pronunciato dallo Stregone Brolin e, come ‘dessòla’, è un incantesimo di annullamento.



    Anche mentre sono in mano al nemico, c’è sempre spazio per un Awww-moment tra quei due puccini di Yu e Mamo X3 Sono necessari, come i biscottini.

    Continuo a ringraziare sempre tutti coloro che seguitano nella lettura e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento :)


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega

  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 46
    *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte IV ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 15: L'uomo senza Inconscio (parte IV)

    Avamposto Sud dell’AlfaOmega – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Come spiegato dal tyrano, arrivati al bivio, Yuzo e Mamoru girarono a sinistra. Il corridoio continuava all’infinito ma a loro serviva solo la prima stanza.
    “Sante Dee, ma quante diavolo ce ne saranno di celle in questa dannata base?!”
    Il volante aggrottò le sopracciglia. “Non voglio pensarci.” Anche perché avrebbe significato quasi altrettanti prigionieri e le torture che aveva subito non le avrebbe augurate a nessuno.
    “D’accordo, la porta che ci interessa è questa.” Mamoru ispezionò l’ingresso in ferro. La sua voce era ridotta a un mormorio per non farsi sentire. “Niente feritoie per vedere all’interno, loro usano la magia quindi non possiamo sapere se c’è davvero Hajime qui dentro e se è in compagnia di qualche Stregone.”
    “Il fischio alle orecchie è normale” notò Yuzo e poteva essere tradotto con un: niente maghi negli immediati paraggi.
    “Meglio non rischiare, ergo, la sfondo alla vecchia maniera. Tu coprimi.”
    Yuzo annuì e si fermò alle sue spalle, nei palmi ruotavano delle piccole sfere di aria compressa.
    Mamoru studiò il punto migliore in cui colpire, come gli aveva insegnato Magister Wakashimazu. Caricò il fendente e sferrò un calcio giusto nel centro della porta. I cardini cedettero in un attimo e l’uscio rovinò al suolo, con uno schianto secco.
    La prima persona che la Fiamma vide fu Hajime e ciò gli fece pensare che Teppei fosse un ottimo segugio, poi però si accorse che non era solo. Di fronte alla strana bolla in cui era rinchiuso il Tritone c’erano altre due celle, normali e non protette da incantesimi, per altrettanti occupanti.
    “Era ora che arrivasse la cavalleria!” sbottò Hajime, incrociando le braccia. “Ve la siete presa comoda o cosa?”
    “Imprevisti del mestiere” minimizzò la Fiamma in merito all’orda di Stregoni che erano ancora dietro di loro.
    Yuzo si avvicinò per toccare le pareti della gabbia.
    “Ho provato di tutto, ma non sono riuscito a romperlo” spiegò il prigioniero. “Anche dilatandolo il più possibile.”
    “E’ stato creato per seguire le forme di ciò che contiene.” Proprio come l’acqua assumeva la forma del recipiente che la ospita. Yuzo accennò un sorriso, convinto di avere la soluzione. “Tra un attimo sarai fuori. Vai al centro della sfera e tappati le orecchie.”
    Il volante si volse anche agli altri due prigionieri e a Mamoru. “Fatelo anche voi, farà un po’ di rumore.”
    Poco dopo l’aria fu invasa da decine di stiletti di vento dalla punta affilata e rotante. Si disposero tutti intorno al palloncino, seguendo i silenziosi ordini di Yuzo. A quest’ultimo bastò chiudere il pugno perché gli aghi si precipitassero sulla bolla e la facessero esplodere con un sonoro scoppio.
    “Io continuo a chiedermi: e sarebbero loro?” Uno dei prigionieri, quello con i cortissimi capelli neri, si era rivolto all’altro additando gli Elementi con un tono talmente sprezzante da far indispettire la Fiamma. Quest'ultimo ridusse gli occhi in fessure e fissò, nella maniera peggiore possibile, colui che aveva parlato: non aveva idea di chi fosse.
    “Oh, sì. Per la precisione”, il secondo prigioniero dagli abiti ricchi e lo sguardo vispo apparve molto più entusiasta, “acqua lo abbiamo già conosciuto. Loro sono Aria, Fuoco… e credo che stia per arrivare-”
    “Cos’era quel boato che ho sentito?!”
    “Terra” concluse guardando in direzione di Teppei.
    Mamoru non nascose la propria perplessità e più fissava quel giovane, più aveva l'impressione di averlo già visto altrove, ma Hajime gli impedì di porre qualsiasi domanda.
    “Svelto, Teppei, sfonda quelle sbarre, dobbiamo farli uscire.”
    “Aspetta un attimo! Che cosa?” Mamoru fermò il Tritone afferrandolo per un braccio. “Avevamo detto di non poterci fermare a salvare tutti! Dobbiamo occuparci solo del Principe!”
    “E’ quello che sto facendo! Forza, Teppei! Le sbarre!”
    Il tyrano non se lo fece ripetere mentre sia Mamoru che Yuzo realizzavano la situazione.
    “Voi siete… il Principe Tsubasa?” Il volante lo riconobbe solo allora, proprio nel momento in cui Teppei scardinava l’ingresso delle celle con uno strattone: l'immagine del figlio del Re che aveva visto al palazzo reale si sovrappose perfettamente a quella, leggermente in disordine, del giovane che gli stava davanti.
    “E’ un piacere vedervi sano e salvo, Vostra Altezza!” esclamò il tyrano ben più felice che sorpreso; la porta in ferro venne lanciata da tutt’altra parte come fosse stata un fuscello.
    “Il piacere è mio, Elementi.” Tsubasa guadagnò l’uscita dalla cella dove era rimasto rinchiuso per mesi. Apparve incredibilmente tranquillo e nient’affatto provato. Certo, non era in perfetto ordine e per quanto la barba fosse di parecchi giorni doveva essere stato rasato di frequente. Stranamente, ma forse neanche tanto, gli Stregoni lo avevano trattato con tutti i riguardi.
    Quello che forse colpì di più Mamoru – a causa della sua indole piuttosto schiva – fu che il Principe non pareva per nulla sorpreso o preoccupato. Piuttosto, dava l’idea di qualcuno che era già al corrente di come sarebbero andate le cose, come se-…
    “Vi stavo aspettando.”
    Mamoru spalancò gli occhi con incredulità e irritazione. “Come sarebbe?!”
    Hajime cercò le parole migliori per rispondere sapendo come la Fiamma fosse suscettibile su tale argomento, ma gli era impossibile camuffare la verità.
    “Il Principe ha previsto il nostro arrivo.”
    “Oh, no! Aspetta!” Come immaginato Mamoru si mise a gesticolare assumendo un tono aspro. “Non vorrai ricominciare con questa storia delle premonizioni, vero?!”
    “Non sono proprio delle premonizioni” intervenne il diretto interessato con il solito entusiasmo e la seraficità, totalmente ignaro delle reazioni che avrebbe finito col suscitare. “Sono più che altro delle sensazioni, delle… ‘convinzioni’. Poi, a mano a mano che mi avvicino agli obiettivi ho delle immagini e tutto diventa più chiaro. Ma non avviene sempre né per tutte le persone che incontro.”
    Mamoru rimase ad ascoltarlo in silenzio e con la bocca semiaperta. L’espressione incredula e incapace di assumere una reazione chiara. Parlare della fantomatica preveggenza del Principe quando si era tra loro e tutti i discorsi non erano che ipotesi infondate era un conto, un altro era invece avere davanti il Principe in carne e ossa che ammetteva di avere delle visioni, che diceva: ‘sì, è vero’.
    Inclinò leggermente il capo faticando a realizzare la questione.
    “Con… convinzioni?” ripeté.
    “Sì, io ero convinto di dover venire al Sud.” Tsubasa insisteva, padrone d’un ingenuità che avrebbe battuto quella del volante su tutta la linea. “Sapevo che dovevo farlo. Non ne conoscevo il motivo ma sentivo che era importante. Per questo sono partito.”
    Il volto di Mamoru cambiò repentinamente, mutandosi in gelo. Sembrava il lupo che aveva avvistato la preda ed era pronto per scattare.
    “Ah, sì? Lo sapevate, dite? E le vostre guardie? Lo sapevano anche loro che sarebbero finite nelle segrete?” domandò a bruciapelo.
    Tsubasa aggrottò mestamente le sopracciglia. “Sapevo che sarebbe stato pericoloso, per questo avevo chiesto a mio padre di mandarmi da solo, ma-”
    “Vi ho fatto una domanda!” Se c’era una cosa che Mamoru non voleva sentire, quelle erano delle giustificazioni, per questo aggredì il Principe con tutto il suo disprezzo.
    Al giovane non rimase che chinare il capo.
    “No.”
    “Li avete condannati a morte, ne siete consapevole?”
    “Se avessi potuto-”
    “Non me ne frega niente delle vostre fottute scuse!”
    “Mamoru, calmati!” Yuzo tentò di acquietarlo, ma la Fiamma era fuori dalla grazia delle Dee.
    “No che non mi calmo!” abbaiò tornando a guardare il Principe. “Voi non avete idea di ciò che abbiamo sofferto e per cosa? Per uno stupido che sa benissimo che verrà catturato, sa benissimo che moriranno delle persone ma che se ne sbatte per una fottuta convinzione?! Ma chi cazzo vi credete di essere per giocare con la vita degli altri?!”
    Tsubasa non replicò, si era già preparato a quello scontro e a quelle parole. Sapeva che in parte il giovane aveva ragione e che il peso di tutte le vite che ci erano andate di mezzo sarebbe rimasto con lui, ma allo stesso modo non poteva ignorare la propria sensazione. Anche Mamoru l’avrebbe capito, aveva solo bisogno di tempo per far sbollire la rabbia.
    “Fatelo sparire dalla mia vista prima che lo ammazzi con le mie stesse mani” concluse la Fiamma in un sibilo.
    Hajime e Teppei non replicarono perché se da un lato erano consapevoli di essere al cospetto del Principe, dall’altro non se la sentivano di negare le parole di Mamoru. Avevano affrontato giorni terribili e dure prove per riuscire a trovarlo e scoprire che lui non aveva fatto nulla per evitare di essere catturato solo perché sentiva di doverlo fare, nonostante lo avesse sempre saputo, feriva anche loro.
    Nel silenzio teso che era caduto di colpo, solo una voce si levò, adirata e altezzosa. Ovviamente nel momento sbagliato e contro la persona sbagliata.
    “Come osi parlare in questo modo al tuo futuro Re?!”
    Mamoru freddò con una sola, intensa occhiata il giovane servo del Principe, l’unico del suo entourage che avrebbe rivisto la luce del sole. Forse. Se non fosse stato eliminato dalla Fiamma all’ultimo momento.
    “Sua Altezza sta rischiando la vita per il bene di questo pianeta e tu gli dai contro?!”
    “Basta, Ryo.” Tsubasa lo interruppe in tono fermo, seppur privo di rimprovero e l’altro tacque nonostante non fosse d’accordo.
    Le iridi di Mamoru erano braci che avrebbero potuto incendiare il mondo se solo avessero voluto. Un mondo di fuoco gelido.
    “Fate sparire anche questo maledetto lacchè o lo lascio in pasto agli Stregoni.”
    Hajime non se lo fece ripetere, impedendo al vassallo di aprire bocca una seconda volta. “Venite, usciamo da questa stanza prima che ci siano addosso.”
    Yuzo lo vide uscire assieme a Teppei, subito seguiti dal Principe e Ryo. Mamoru non si mosse e lui fece altrettanto.
    La Fiamma aveva lo sguardo arenato in un punto pur senza vedere nulla. Dire che era arrabbiato era poco. Era incollerito, furente. Era ferito, Yuzo lo avvertiva. Si sentiva manipolato come una marionetta e forse, per la prima volta in tutta la missione, non sapeva che fare. Sembrava essersi bloccato.
    “Lo hai sentito?” disse la Fiamma senza voltarsi. L’ira tremava nella voce. “Dico… lo hai sentito?! Non ci posso credere… Figlio di puttana!”
    “Sì, ho sentito. E tu sei stato troppo duro, Mamoru.” Non lo disse con rimprovero ma bastò ugualmente per mandare l’altro su tutte le furie.
    La Fiamma si volse di scatto, lo sguardo di chi veniva tradito in maniera inaspettata, ma Yuzo lo sostenne mantenendo calmo il proprio.
    Io sono stato duro?! Non provare a difenderlo, per tutte le Dee!
    “Non si tratta di quello-”
    Yuzo!” Mamoru lo afferrò saldamente per le spalle, tanto da fargli male. “Ti rendi conto che se lui fosse rimasto al castello, a Sendai non sarebbe accaduto nulla?! Tu… tu non avresti… e le tue mani non… le tue mani…” Era talmente arrabbiato da non riuscire nemmeno a finire la frase. Yuzo non l’aveva mai visto così e a maggior ragione lo lasciò fare, poi gli parlò con la stessa calma che perfettamente si contrapponeva alla sua furia.
    “Lo so, ma se lui non avesse intrapreso questo viaggio io non avrei mai saputo la verità sui miei genitori, tu non avresti mai fatto pace con tuo padre, Teppei non avrebbe mai scoperto l’onice e Hajime non avrebbe mai potuto ritrovare e aiutare il suo vecchio compagno di scuola.”
    Tutto il rancore della Fiamma sembrò cristallizzarsi in un attimo. La presa allentò la morsa.
    “Se non fossimo partiti, molta gente sarebbe ancora viva, è vero, ma altrettanta sarebbe rimasta condannata a soffrire. Non avrei mai conosciuto Yoshiko, non avrei affrontato l’odio che avevo dentro e che ne sarebbe stato delle tre sirene? Della gente di Ghoia? Di tutto ciò che abbiamo affrontato o di cui siamo stati fautori, non puoi vedere solo il male e rifiutare il bene.”
    Le mani di Mamoru scivolarono lungo le braccia, adagio, prive di forza. Yuzo gli vide distogliere lo sguardo, mentre ragionava sulle sue parole, mentre ammetteva con sé stesso quante cose non sarebbero effettivamente mai cambiate se ognuno di loro fosse rimasto nella propria scuola.
    “Abbiamo sofferto, è vero, e tutto quel dolore lo porteremo per sempre con noi, ma ci ha fatto crescere e questo non puoi negarlo. Io non sono più la stessa persona che era partita da Alastra, ma non lo rimpiango e ciò che sono ora può essere pieno di difetti però non è più preda delle illusioni né ha paura di affrontare il mondo. E a me sta bene così.” Attese qualche attimo, poi aggiunse. “Se questo viaggio non fosse mai esistito… noi non ci saremmo conosciuti. Non saremmo mai divenuti amici e tu non ti saresti mai fidato di nessuno. Lo so che è difficile dover credere a qualcosa che sembra così effimera come una sensazione, ma sono sicuro che se non fosse stata importante, il Principe non si sarebbe mai spinto fino a questo punto. Deve esserci un perché. Dobbiamo solo scoprirlo e anche se il domani può sembrare già stabilito, ricorda che siamo noi a muoverlo. Il futuro è nelle nostre mani. Non siamo le marionette di nessuno.”
    Era proprio quello il punto. Mamoru non mutò l’espressione ferita quando Yuzo colpì nel centro. Marionette. Non poteva accettare di venire usato per i giochetti di alcuni, ma le parole del volante colpirono anche un altro nervo scoperto che fece così male da fargli mancare il fiato, probabilmente perché nel suo essere troppo arrabbiato non si era fermato a ragionare con lucidità.
    Non si sarebbero mai conosciuti.
    Loro quattro.
    Loro due.
    Yuzo non sarebbe mai divenuto parte della sua vita e si sarebbe strappato la lingua da solo prima di poter rinnegare quanto la sua presenza gli fosse indispensabile.
    A questo non aveva davvero pensato.
    Distolse lo sguardo, sul volto l’espressione mutò e Yuzo comprese d’esser riuscito a smuoverlo.
    Riprese a parlare con maggiore fiducia. “Ma saremo morti se non ci muoviamo, quindi, riprendi il controllo e dicci cosa dobbiamo fare.”
    Mamoru incrociò le sue iridi. Era la prima volta che sentiva fino in fondo il ruolo di comando che aveva all’interno del gruppo. Di solito, aveva sempre dovuto imporlo, ma Yuzo gli stava dicendo che avevano bisogno dei suoi ordini, della sua guida, della sua fermezza che, anche se a volte sembrava ottusa, manteneva una solida responsabilità.
    “Adesso mi fai addirittura la predica?” Mamoru accennò una smorfia sorridente, aggrottando appena le sopracciglia.
    “Con tutte quelle che mi hai fatto tu.” Yuzo tentò di giustificarsi, rispondendo al sorriso, ma sapeva di non averne bisogno; poi tornò serio o, per meglio dire, preoccupato. “Non abbiamo molto tempo, tra poco ce li ritroveremo tutti addosso. Qual è la prossima mossa?”
    Mamoru lo fissò con decisione, i tratti di nuovo duri di chi era pronto a passare all’azione.
    “Usciamo da questo formicaio e mettiamo in salvo il Principe.”
    L’attimo dopo erano fuori dalla stanza. Trovarono Hajime con Tsubasa e il servitore Ryo che aspettavano. Teppei giunse in quel momento dal fondo del corridoio.
    “Arrivano da tutte le parti!” esclamò. “Ho cercato di bloccare alcuni ingressi ma non tutti, altrimenti rimaniamo intrappolati anche noi.”
    Il Tritone si portò le mani ai fianchi. “Shibasaki aveva parlato di un’uscita secondaria posizionata dalla parte opposta a quella di ingresso.”
    Tsk! A sapere da che parte sono entrambe!” sbuffò la Fiamma ma il volante sembrò trovare una soluzione.
    Fece schioccare le dita e un piccolo flusso d’aria si formò nel palmo. “Anche se non possiamo vederla a causa degli incantesimi illusori, un’uscita che dà sull’esterno deve avere degli spifferi d’aria. Qui nei sotterranei respiriamo grazie ai sistemi di areazione, ma ai due ingressi l’aria entra direttamente. E allo stesso modo esce. Posso provare a seguirne il flusso.” Dalla piccola sfera di vento se ne staccò un filo sottile. Si sollevò sotto gli sguardi degli altri Elementi e del futuro sovrano, oscillò e poi si infilò in un corridoio.
    “Da questa parte.” Il volante fece strada, seguito dai compagni. Il filo si muoveva velocemente e loro si ritrovarono a rincorrerlo, sembrava quasi un gomitolo di lana che veniva srotolato.
    Fermateli!
    Un gruppo di Stregoni sbucò da un corridoio laterale quando emersero in un quadrivio. Dei lampi purpurei esplosero a un soffio dai piedi di Teppei che chiudeva la fila. Hajime rallentò, mettendosi in coda. Una grande massa d’acqua venne sagomata a forma di rete e gettata sugli inseguitori nel momento in cui la nuova scarica di fulmini era ancora nelle loro mani.
    Gli Stregoni gridarono per l’effetto del loro stesso incantesimo, amplificato dalla conducibilità dell’acqua. Ci pensò Teppei a far crollare le pareti per bloccare gli altri maghi.
    I due Elementi si scambiarono un’occhiata di intesa e sorrisero, riprendendo a correre. “Che squadra!” dissero in coro.
    In testa al gruppo, invece, Yuzo correva tenendo fisso lo sguardo sul filo di aria che volava nella parte alta del soffitto e senza vedere dove, di preciso, stesse andando. Mamoru divenne i suoi occhi di emergenza, guardando la strada per entrambi e dicendogli dove e quando scartare gli ostacoli.
    D’un tratto la Fiamma scorse due Stregoni inginocchiati al suolo intenti a preparare chissà quale incantesimo. Poi abbassò gli occhi e vide quell’enorme fluido nero che ricopriva il pavimento, simile a olio incendiario.
    All’ultimo secondo, impedì che Yuzo ci finisse dentro; gli passò il braccio attorno alla vita fermando entrambi, mentre con la mano libera tracciava un muro di fiamme tra loro e l’olio. Quando quest’ultimo venne in contatto col fuoco avvampò in un attimo e dal suo interno provennero latrati di strane creature le cui sagome informi cercavano di emergere per poi tornare a morire.
    “Appena in tempo” sospirò il volante. “Grazie.” Si volse a cercare il suo sguardo dal profilo ancora puntato in avanti. I bagliori del fuoco brillavano riflessi nei crini e nelle iridi.
    L’altro inspirò a fondo e incrociò il suo sguardo con uno severo, ma più che altro preoccupato per l’incolumità di ciascuno di loro.
    Mamoru fece scivolare via la mano sciogliendo la presa forte e istintiva con cui l’aveva tirato contro di sé affinché non si ferisse.
    “Cerca un’altra strada.”
    Yuzo annuì e il filo oscillò per un attimo davanti al muro di fuoco, poi entrò nel corridoio alla loro sinistra. Tornarono a inseguirlo ma dopo un po’ divenne incerto, tremulo, fino a rallentarsi del tutto.
    “L’ha perso” decretò il volante, mentre il filo girava su sé stesso senza sapere da che parte andare. “Ha perso lo spiffero.”
    “Merda!” La Fiamma imprecò calciando il vuoto.
    Senza sapere come, erano tornati indietro fino ad arrivare nell’enorme snodo in cui erano stati catturati. Mamoru lo riconobbe perché le mattonelle del mosaico erano saltate nel punto in cui Faran Konsawatt aveva cercato di rallentare la propria corsa in seguito all’attacco di Yuzo. I corridoi che conducevano al portone da cui erano entrati erano sbarrati. Li avevano semidistrutti nella prima fuga; da lì non si poteva passare.
    “Perché ci siamo fermati?” Hajime arrivò insieme a Teppei, mentre il Principe, ma soprattutto il suo servitore, riprendeva fiato.
    “Mi spiace, ragazzi, ma il mio incantesimo ha perso la traccia d’aria che conduce all’uscita” spiegò Yuzo e Teppei imprecò.
    “Dobbiamo trovare una soluzione e in fretta” riprese il Tritone. “Qui siamo troppo scoperti, in uno scontro diretto saremmo in svantaggio.”
    Questo lo sapeva anche Mamoru, ma in quel momento i loro poteri erano inutili e di certo Teppei non poteva mettersi a scavare un tunnel. Avevano bisogno di un aiuto e l’unico su cui potevano contare era lo stesso che li aveva fatti arrivare fin lì. Dannazione doveva pur sapere come tirarli fuori!
    “Va bene, arrivati a questo punto non abbiamo altra scelta.” Si volse con un sopracciglio inarcato ma senza austerità. “Vostra Altezza, nessuna intuizione utile? Si accettano suggerimenti.”
    Era il suo modo di accettare tutto ciò che avevano affrontato fino a quel momento e di riporre in lui la stessa fiducia che riponevano i suoi compagni.
    Tsubasa sorrise. “Speravo che me lo chiedessi.” Chiuse gli occhi e si concentrò sulle sue sensazioni, su quella convinzione che lo aveva portato lì e che lo aveva svegliato la notte quando ancora si trovava a Raskal. C’era un perché, c’era sempre, per tutto, e lui aveva capito il suo solo nel momento in cui aveva incontrato gli Elementi che erano arrivati a salvarlo, perché era tutto collegato, ma per portare a termine quella che era la sua missione doveva trovare il modo di arrivare alla meta. La vera meta. Quella che aveva capito non essere il Sud. Il suo viaggio era stato solo il tramite, la via più lunga, quella traversa piena di insidie ma che lo avrebbe condotto, preparato, al luogo da raggiungere.
    “Vedo un portone” disse, stringendo gli occhi. “Un portone in penombra. Alto, chiuso, lavorato accuratamente.”
    “E’ vago. Potreste essere più preciso?” insistette la Fiamma. Di portoni così la base era piena.
    Il Principe si concentrò ancora. “C’è un simbolo… una croce… una croce con dei raggi, sormontata da una grande N.” Spalancò gli occhi, fu come averla davanti, mentre il percorso per raggiungerla diveniva nitido, come lo conoscesse già. “Da quella parte!” esclamò, indicando un corridoio dallo stesso lato da cui erano venuti, e la corsa riprese. Aria e Fuoco in testa, seguiti dal Principe e dal suo servo, mentre Acqua e Terra chiudevano la fila.
    “Merda! Spuntano come funghi questi bastardi!” sbottò la Fiamma dopo aver mandato l’ennesimo Stregone a gambe all’aria perché intralciava il loro cammino. Yuzo protesse il Principe da una pioggia di dardi avvelenati, nascondendolo sotto uno scudo d’aria, mentre Hajime era passato in testa per aiutare Mamoru ad aprire la strada e Teppei restava in coda per chiuderla agli avversari che seguitavano ad arrivare a frotte.
    La base pullulava. Dovevano essere in centinaia e tutti convergevano su di loro. D’un tratto, nel centro dell’ennesimo snodo in cui sbucarono, trovarono Brolin, lo stesso Stregone che li aveva imprigionati e lo stesso, riconobbe Mamoru, che aveva trattato Yuzo quasi fosse stato un sacco.
    “Vi ho preso” ringhiò, il volto era una maschera di rabbia. “Pagherete per quello che avete fatto a Fredericks!”
    L’intero gruppo si fermò. Mamoru era davanti a tutti, faccia a faccia con lo Stregone che non temeva di affrontarli da solo, sicuro della propria forza.
    “Voi procedete” decise la Fiamma, senza smettere di fissare il mago. “A lui penso io.”
    “No, è troppo pericoloso dividersi adesso.” Hajime lo affiancò parlando in tono basso ma con vigore. “Dobbiamo proseguire tutti insieme-”
    “Non ho la minima intenzione di fermarmi qui. Vi raggiungo appena me ne sono sbarazzato.” Sulle labbra si tese un ghigno sottile e malevolo. Non aveva affatto dimenticato ciò che si erano detti ed era pronto a mettere in pratica la minaccia che gli aveva rivolto. “Muovetevi, non perdete tempo.” Intimò, rivolgendo ad Hajime solo la coda dell’occhio, ma ciò che il Tritone vi lesse bastò a convincerlo. Si ritrasse e spronò gli altri.
    “Ti lascerò una traccia per trovarci. Andiamo, presto!”
    Mamoru li seguì e il suo sguardo indugiò di più sul volante, meno sicuro degli altri a lasciarlo indietro, glielo si leggeva chiaramente in viso. La Fiamma accennò col capo e Yuzo indietreggiò ancora.
    “Non metterci troppo.”
    Mamoru si limitò ad addolcire il ghigno giusto un attimo prima che anche il volante sparisse lungo l’imbocco laterale per cui si erano allontanati gli altri.
    Tsk! Non andranno troppo lontano. I miei compagni li fermeranno prima ancora che possano rendersene conto.” La voce sprezzante di Brolin si attirò nuovamente lo sguardo di Mamoru, il cui ghigno aveva perso l’accenno di benevolenza.
    “Allo stesso modo tu sarai cenere molto prima che loro possano impensierire i miei amici. Te l’avevo detto, ricordi?”
    Lo Stregone rispose al ghigno. “E io ti avevo detto che mi avresti pregato di tornare in cella.”
    Caricarono l’uno contro l’altro puntando prima sulla potenza fisica che sui loro poteri. Il pugno di Brolin si infranse violentemente contro l’avambraccio di Mamoru che sfruttò tutto il suo corpo per resistere all’impatto. Poi usò lo stesso pugno come perno per un calcio laterale che fischiò alle orecchie di Brolin. Con un balzo, quest’ultimo si spostò di lato, chinandosi al suolo e spazzando il pavimento con un calcio basso. Mamoru effettuò una capriola all’indietro. Le mani formarono il giusto appoggio al suolo per la successiva spinta a saltare e atterrare perfettamente in piedi.
    Fu Brolin il primo a introdurre la magia nel loro duello con una serie di fulmini che presero a strisciare sul pavimento e poi a rimbalzare contro le pareti della stanza, nel tentativo di colpire la Fiamma. Il giovane li schivò agilmente ma il suo stile non era mai stato votato alla difesa. Sfruttando la parete, la usò come pedana per saltare alle spalle di Brolin e fare in modo che venisse colpito dalle sue stesse armi. Lo Stregone si vide costretto ad annullare l’incantesimo mentre veniva raggiunto da una sfera di fuoco.
    Rab na bela, rei!” Un’altra sfera, stavolta oscura, si scontrò con quella di Mamoru esplodendo entrambe a mezz’aria.
    “Non sei male” ammise lo Stregone. “Ma non abbastanza per me.”
    “Staremo a vedere.”
    Tsk! ‘Vedere’ sarà l’ultima cosa che potrai fare!” Brolin infilò la mano in un sacchetto che portava appeso alla cintura. Cavò una manciata di polvere grigia e prima si soffiarla via pronunciò: “Suara sat.(1)
    La polvere si gonfiò all’improvviso, globosa come una nube, fitta come la nebbia. Nera come il buio.
    Mamoru si trovò perso nel nulla. Tutti i contorni della stanza, le forme, la penombra ricreata dalle candele erano scomparsi. Si ritrovò cieco pur avendo ancora la vista.
    Nel palmo, per istinto, fece brillare un globo di fuoco, ma la nebbia sembrava impenetrabile e la luce della fiamma era intrappolata in quello spazio dalle dimensioni falsate. Mamoru si girò su se stesso senza alcun risultato.
    Da un punto imprecisato, la risata di Brolin esplose sguaiata e subdola.
    “E allora, Elemento. Come ci si sente a essere tutto solo nel buio?” Lo scimmiottò. “Come ci si sente quando il tuo potere non può aiutarti?”
    Mamoru tentò di capire da dove provenisse la voce, ma un calcio lo colpì alla schiena. Cadde al suolo, la sfera si spense e il buio divenne totale.
    “Oh! Poverino! Non sei riuscito a schivarmi?” continuò l’altro imperterrito. “Perché, sai, io ti vedo benissimo!”
    Colpì ancora. La Fiamma sentì il peso del suo piede schiacciarlo al suolo tanto da farlo imprecare e appena la pressione diminuì si rotolò su un fianco, rimettendosi in piedi. Assunse una posizione di guardia, ma era inutile se non riusciva a capire da dove sarebbe stato attaccato.
    “Senza il tuo potere non vali niente, come i tuoi compagni” esclamò Brolin colpendolo alla spalla. “E io avrò il piacere di spegnere nel buio la tua maledetta fiammella!”
    Mamoru smise di dibattersi nel tentativo di evitarlo. Sulle labbra si increspò un sorriso.

    “Noi siamo la Fiamma, di sempiterna potenza. Siamo il faro destinato a respingere l’oscurità che vorrà divorare il nostro pianeta, non dimenticatelo. E se vi troverete avvolti dal buio, fermatevi e ricordatevi sempre da dove nasce il vostro fuoco.”

    Quelle parole erano state parte dell’ultimo discorso del Master Kitazume prima di divenire Console.
    Non sapeva perché gli fossero venute in mente proprio in quel momento, ma in esse trovò la risposta e il modo per battere il suo nemico.
    A occhi chiusi, i sensi erano concentrati e quando li riaprì fissò un punto preciso della nube, quasi potesse vedervi attraverso.
    “Non potrai mai spegnerla, perché la Fiamma è dentro di me.”
    All’esterno della nuvola, Brolin non comprese quella sicurezza che sembrava elevarlo su un altro piano, lontano dal suo. Né comprese come potesse fissarlo in quel modo pur essendo consapevole che la nube gli impediva la vista. Lui, invece, poteva vederlo chiaramente attraverso le sue fiamme purpuree che erano in grado di passare la sua magia.
    D’un tratto avvertì qualcosa di caldo, simile a fili di fumo, intrecciarsi con la nebbia per dissolverla, quasi fosse stato un respiro più forte, un soffio di vento, ma l’Elemento d’Aria era andato via, l’aveva visto.
    Il fumo sottile arrivò alle candele, le avvolse e le spense, facendo piombare l’intera stanza nell’oscurità, stavolta per entrambi.
    La fiamma purpurea di Brolin si dissolse, ma il giovane non se ne curò: dopotutto, non aveva bisogno di luce per vedere al buio, i suoi occhi erano allenati e avvolti da un incantesimo particolare.
    Scorse la figura del suo avversario ancora immobile e sorridente che continuava a fissarlo, nonostante l’oscurità. Sembrava non volesse né provare ad attaccarlo né a scappare. Era fermo, preda perfetta che Brolin non si sarebbe mai lasciato sfuggire. Ridacchiò e decise a quale incantesimo ricorrere per porre fine al loro breve scontro.
    Prima che entrasse in azione, però, qualcosa sembrò delinearsi alle spalle dell’Elemento di Fuoco. Quasi una sagoma emergente dal buio e fatta della stessa sostanza. Il fuoco iniziò a delimitarla e l'oscurità a spaccarsi, lasciando intravvedere un cuore di braci pulsanti.
    Brolin gelò: quella cosa, qualsiasi cosa fosse, era enorme. Alta quanto l’intera stanza e larga allo stesso modo. La sommità sembrò muoversi e fermarsi sopra al capo dell’Elemento. Il rumore delle zampe che toccavano il suolo fece tremare tutta la montagna a una cupa vibrazione. Due fili sottili di fumo scivolarono da lei, dalle sue... narici. Poi gli occhi si spalancarono di scatto, rossi come il fuoco e il sangue, e lo Stregone capì di essere morto. Le fauci si aprirono adagio, rivelando un cuore di fiamme, le stesse che si avvolsero nella bocca prima che le soffiasse via nel misto tra un ruggito e un sibilo.
    Brolin vide il fuoco piombargli addosso senza avare neppure il tempo di gridare.
    “Te l’avevo detto che saresti stato cenere” sentenziò Mamoru quando la fiammata spazzò via lo Stregone e dopo non ne rimasero che scintille nel buio. Si spinsero contro le pareti della stanza, satura del lezzo di carne bruciata. A Mamoru non diede noia. Sulle labbra aleggiava ancora quel mezzo sorriso di trionfo e consapevole superiorità. Sollevò il viso per osservare il mento dell’enorme drago che seguitava a sovrastarlo con la sua mole mastodontica.
    “Se potesse vedermi adesso, credo che Magister Schneider rimarrebbe senza parole.”
    La belva soffiò un’ultima volta, poi l’incantesimo di Fuoco Spirituale si dissolse in strali di fumo fino e scomparire del tutto.

    Teppei colpì la parete con un pugno che corse attraverso la roccia fino ad emergere al lato dello Stregone che gli sbarrava la strada. La pietra lo colpì in pieno viso, schiacciandolo contro la parete opposta in un misto di sangue, ossa e cervello.
    “Via libera” decretò il tyrano. “Da che parte, Vostra Altezza?”
    “Proseguiamo.”
    Ma Yuzo non sembrava curarsi di cosa dicessero gli altri. Da quando avevano lasciato Mamoru con lo Stregone non aveva fatto altro che guardarsi indietro nella speranza di vederlo arrivare, ma senza risultato.
    “Yuzo! Yuzo, andiamo!” la voce di Hajime lo richiamò bruscamente: loro erano già avanti, mentre lui era rimasto immobile. Detestava l’idea di averlo lasciato indietro. L’ultima volta che si era trovato da solo contro degli Stregoni per poco non era morto e anche se la situazione era differente e Mamoru era guarito dalla febbre bassa, sentiva di voler essere al suo fianco. Si erano già divisi una volta, non voleva che accadesse di nuovo.
    “Yuzo! Ehi, che ti prende?” Hajime lo chiamò ancora. Lui si volse fugacemente indietro prima di tornare a guardare i compagni e il Principe.
    “Io…”
    L’intera struttura tremò in maniera cupa.
    Teppei si guardò intorno. “Cosa è stato?” Non era un terremoto o l’avrebbe capito. Per Yuzo fu sufficiente a farlo decidere.
    “Proseguite, io vado a riprendere Mamoru!” Lo disse che si era già librato in volo.
    “Cosa?! Yuzo non-”
    “Andate! Seguiremo le tue tracce, Hajime!” In un attimo schizzò via come una scheggia mentre la sua voce si perdeva nell’eco dei soffitti altissimi.
    Yuzo!
    Teppei sospirò. “E ne abbiamo perso un altro. Secondo me, Mamoru gli ha trasmesso lo spirito da chioccia.”
    Ma Hajime sapeva quale fosse il vero motivo e non poteva biasimarlo: l’avrebbe fatto anche lui con Teppei.
    “Andiamo. Ci raggiungeranno presto.”
    Nel dirlo si era già mosso, lasciando le sue tracce d’acqua affinché i compagni potessero ritrovarli.

     


    [1]“SUARA SAT”: “Sia nebbia” (‘suara’ = nebbia, ‘sat’ = sia).


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Habemus Principe! *-*
    *rullino i tamburi, squillino le trombe**coro di angeli in giubilo*
    XD E finalmente, dopo quarantaeppassa capitoli… CE L’HANNO FATTA!!! LO HANNO TROVATO!!! T^T non posso crederci che ci siano riusciti! (me lo dico addirittura da sola XD Sarò normale? XD)
    Centinaia di chilometri, mesi di viaggio, peripezie a non finire, ma ecco che l’obiettivo della missione è davanti a loro in tutto il suo splendore (?!). Tsubasa è vivo e sta bene *_* (XD ne avevate dubbi?).
    Ma portarlo fuori da lì non sembra per niente facile, riusciranno i nostri eroi a passare le orde di Stregoni inferociti?!
    Intanto, Mamo si è dato alle pulizie e ne ha già fatto fuori uno. E Yuzo? *-* lo raggiungerà in tempo? (XD mi sembro deficiente, forse lo sono!)

    Anche per questo aggiornamento è tutto e vi rimando al prossimo.
    Grazie per continuare a restare con me :******


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 47
    *** 15 - L'uomo senza Inconscio - parte V ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 15: L'uomo senza Inconscio (parte V)

    Avamposto Sud dell’AlfaOmega – Sistema Montuoso del Nohro, Regno degli Ozora, Terre del Sud Meridionali

    Yuzo sembrava esser fatto di vento.
    Sfrecciava a tutta velocità lungo i corridoi che aveva già percorso. Le braccia erano tese lungo il corpo affinché assumesse la forma più aerodinamica possibile. L’aria fessa al suo passaggio gli scivolava sul volto senza offrirgli la resistenza usuale, ma favorendo i suoi spostamenti.
    Quella vibrazione improvvisa l’aveva messo in allarme. Non aveva idea di che diavolo fosse stato, ma non gli era piaciuta, considerando poi che il Principe tutto sommato non era da solo, non aveva resistito ed era tornato indietro. Ci avrebbe messo pochi minuti, il tempo di prendere Mamoru e raggiungere gli altri.
    Una macchia improvvisa gli comparve davanti nel girare l’angolo. Era sceso di quota per riuscire a vedere meglio, ma non si sarebbe aspettato di trovarsi di fronte qualcuno.
    Fu tutta una questione di attimi, si sentì spingere verso l’altro ma quello Stregone non poteva sapere d’esser davanti a un Elemento d’Alastra, così sfruttò la spinta, effettuò una capriola in aria e atterrò alle spalle dell’avversario scivolando al suolo per smorzare la velocità. Quando l’altro si volse, tutta la tensione che lo aveva teso ad affrontare lo scontro si smorzò.
    “Mamoru!”
    Era vivo e stava bene, per grazia di tutte le Dee.
    La Fiamma stemperò l’espressione severa, però era ugualmente sorpreso. “Che diavolo fai qui?! E il Principe e gli altri?! E’ succ-”
    “Ho detto loro di proseguire e sono tornato indietro.”
    “Cosa?! Perché?!” Mamoru non riusciva a comprendere, ma da una parte era sollevato nel vedere che il volante stava bene. D’altro canto, Yuzo sapeva di non potergli dire il reale motivo dietro la sua scelta.
    “Non che temessi una tua sconfitta. Ma volevo essere sicuro che stessi bene. Ero venuto a darti una mano.”
    La Fiamma strinse appena lo sguardo. A pelle, sentiva non fosse proprio come gli aveva detto il volante; sempre per merito di quel legame che avevano creato gli parve di comprendere oltre le parole non dette. Dopotutto, nemmeno lui avrebbe mai potuto lasciarlo indietro. Accennò un sorriso supponente.
    “Arrivi tardi, uccellino. Già fatto. Ti sei perso lo spettacolo.”
    Yuzo sorrise di rimando. “Allora vorrà dire che me lo racconterai. Raggiungiamo gli altri.”
    “Fammi strada.”
    Ma il volante gli circondò la vita con un braccio. “Volando ci metteremo molto meno. Però devi reggerti forte perché andrò più veloce di quanto sei abituato.”
    Mamoru inarcò un sopracciglio non troppo entusiasta all’idea: stava appena superando la sua fobia per le alte quote e l’ipotesi di dover sfrecciare a tutta velocità non lo allettava per niente.
    “Vedi di non farmi sbattere da qualche parte.”
    Yuzo rise apertamente, stringendolo a sé con una naturalezza che fece arrossire la Fiamma. “Il solito malfidato”. Il profilo vicino a quello di Mamoru che si schermì pur passandogli un braccio attorno al collo e l’altro al fianco, per reggersi.
    “Sei pur sempre un volante.”
    “Ovviamente” convenne il compagno ridacchiando. L’attimo dopo erano divenuti parte di un’unica scheggia che fendeva l’aria di quei labirinti.
    Mamoru si rese subito conto della differenza. Quando era capitato che volavano insieme, era in grado di osservare il panorama e l’aria era piacevole, intensa quanto bastava a smuovere i suoi capelli. Ora non era neppure in grado di sollevare il volto che teneva nascosto e protetto nel collo di Yuzo. L’aria esercitava una pressione tale da tenerlo schiacciato completamente contro il corpo del compagno. Si domandò come facesse, l’altro, a sopportare lo sferzare del vento dritto negli occhi. Ma tutte le sue domande passarono un po’ in secondo piano nella piacevole sensazione di quell’abbraccio. Aveva detto che lo avrebbe abbracciato ogni volta avesse voluto, ma anche lui traeva benefici da quei semplici gesti. E anche se in quel momento diverso era il motivo a tenerli stretti, la sua presenza sotto le dita era troppo bella per poter pensare ad altro. Bella e breve, perché ci misero davvero un attimo a raggiungere i compagni, tanto che Mamoru ebbe l’impressione che l’avessero lasciato indietro solo di pochi metri.
    “Accidenti!” borbottò Teppei nel rivedere il volante così presto e togliendo le parole di bocca alla Fiamma. “Sei stato un fulmine!”
    Mamoru si separò da lui appena furono fermi e a terra. Hajime lo avvicinò, valutandolo velocemente con sguardo serio.
    “Tutto a posto? E lo Stregone?”
    “Sì, sto bene. Il bastardo è morto.”
    L’altro annuì. In quel momento il Principe si volse, il braccio teso a indicare il lunghissimo quanto buio corridoio che si apriva davanti a loro.
    “E’ qui in fondo!” esclamò. “Il portone che ho visto è qui in fondo. Ormai ci siamo.”
    Mamoru e Hajime guadagnarono di nuovo la testa del gruppo per affrontare eventuali Stregoni, Yuzo proteggeva da vicino il futuro sovrano e il suo petulante servitore e Teppei chiudeva la fila.
    Diversamente dagli altri corridoi che, per quanto poco, mantenevano comunque delle deboli luci, questo era completamente buio.
    Mamoru dovette ricorrere ai suoi poteri per riuscire a illuminare la strada e stare attenti a eventuali trappole. Teneva la mano sollevata e le fiamme divoravano l’oscurità, ma questa si richiudeva subito dopo il loro passaggio dando l’idea di essere loro quelli che venivano divorati.
    Per quanto possibile, camminarono a passo sostenuto, dietro c’erano ancora gli Stregoni che avevano il vantaggio di conoscere quel posto a menadito. Il loro ambiente congeniale.
    Mamoru aguzzò la vista quando ebbe l’impressione che qualcosa emergesse dall’oscurità. Dovevano aver raggiunto il fondo e questo infatti si presentò con un enorme portone.
    Sulla superficie, campeggiava una specie di croce, circondata da raggi. Sulla sommità del vertice principale, la ‘N’ vista dal Principe Ozora era inconfondibile.
    Hajime parlò per gli altri. “Una rosa dei venti.”
    “A quanto pare.” Mamoru spostò il peso sull’altro piede e cercò di valutare a occhio la pesantezza dell’uscio. Yuzo si portò al suo fianco con decisione.
    “Posso pensarci io.”
    La Fiamma non ebbe nulla in contrario e lo lasciò fare, dando disposizioni a Teppei. “Fai in modo che non possano raggiungerci tanto presto.”
    Così, i due Elementi si misero all’opera senza perdere tempo, mentre Hajime e Mamoru restavano fermi contro la parete assieme al Principe e al suo servitore.
    Teppei accartocciò nuovamente pavimento e pareti, affinché gli Stregoni si trovassero davanti un muro così spesso che sfondarlo non sarebbe stato per nulla semplice, mentre Yuzo utilizzava un incantesimo che Mamoru non gli aveva mai visto.
    L’aria turbinò in entrambi i palmi, comprimendosi sempre di più fino a che non rimasero che due sfere grandi quanto una biglia bianco sporco e dense. Yuzo le chiuse nel palmo e poi le lasciò andare entrambe. L’aria si mosse tanto velocemente che la Fiamma non fu in grado di vederla a occhio nudo, ma l’impatto che ebbero con il portone lo vide e lo sentì perfettamente. Il profilo della struttura si era incurvato e l’aria aveva lasciato una traccia evidente di forma circolare nel centro, tra i due battenti. Quello di destra aveva iniziato a cedere.
    Il volante ripeté l’incantesimo, questa volta fuse le biglie in una sola, stretta in ambedue le mani. Quando la lasciò, il battente cedette di schianto, aprendosi quasi completamente come fosse stato sopposto alla pressione di una potente onda d’urto.
    “Andiamo.” Mamoru tornò alla testa del gruppo e fu il primo a entrare, così come Teppei fu l’ultimo e si premurò di chiudere il portone sui loro passi, fondendo il ferro decorativo che circondava i battenti.
    “Per tutte… le Dee…” La Fiamma lo esalò adagio e l’espressione sui volti dei suoi compagni non fu molto differente dalla sua. Davanti ai loro occhi c’era un enorme quanto perfetto sistema di cristalli trigonali che brillavano di una continua luce purpurea e pulsante.
    Mamoru lo riconobbe quasi subito, ma ne rimase ugualmente esterrefatto perché era il primo che vedeva ‘dal vivo’. Sui libri di testo aveva letto spesso degli Amplificatori di Aprivarco che erano stati trovati negli scontri tra Stregoni ed Elementi ed erano stati descritti come cristalli a tre corpi di cui il più grande, quello centrale, arrivava a un’altezza di un metro e mezzo. Il loro colore era grigio, fumoso, e il porpora della magia racchiusa al loro interno brillava in maniera continua. La loro presenza era in grado di raddoppiare il raggio di trasporto di un normale Aprivarco. Quest’ultimo era portatile, lungo circa cinque centimetri e di cristallo nero così denso da non essere trasparente. Al suo interno, il porpora della magia si illuminava solo quando veniva usato e si manifestava in un piccolo bagliore, concentrato nel mezzo, simile a una stella.
    Gli Aprivarco permettevano di raggiungere la distanza di venti chilometri dal punto di partenza, gli Amplificatori fornivano una potenza aggiuntiva necessaria a trasportare lo Stregone a quaranta-cinquanta chilometri di distanza, ma solo in punti stabiliti dove si trovavano altri Amplificatori.
    Quello, invece, era enorme.
    Il cristallo occupava quasi interamente il fondo della stanza. Largo quanto la parete che aveva alle spalle, la sua altezza mancava il soffitto solo per una manciata di centimetri. Era il più grande Amplificatore che avesse mai visto e di cui, ne era sicuro, nessun altro degli Elementi, compresi i Magister, Master e Consoli era a conoscenza.
    “Santissime Dee! Questo è in grado di mandarti dall’altra parte del mondo!” sbottò Teppei.
    Sì, in effetti, per quanto era grande, avrebbe potuto coprire una distanza pari a circa un migliaio di chilometri, se non di più. E in quel momento Mamoru realizzò due cose fondamentali: la prima, era che il Principe aveva avuto la ‘giusta’ visione, poiché quella stanza poteva essere considerata una via d’uscita, la seconda era che però nessuno di loro era uno Stregone e nessuno avrebbe saputo come farlo funzionare.
    “Siamo in trappola” disse senza mezzi termini.
    “In trappola?! Impossibile!” Ryo, il servitore, incrociò le braccia al petto e sollevò il mento con quel piglio altezzoso che Mamoru avrebbe voluto strappargli dal grugno a mani nude. “Se Tsubasa ci ha condotti qui, significa che è da qui che usciremo.” Parlava del Principe rivolgendosi a lui con un tono estremamente confidenziale, molto in là rispetto ciò che imponeva l’etichetta. Probabilmente era suo servitore da molto tempo e, essendo coetanei, nulla toglieva che fossero addirittura cresciuti insieme.
    La Fiamma soprassedette su quelle facezie folgorandolo con un’occhiata di fuoco. “D’accordo, grande genio, e allora illuminami: sei per caso uno Stregone che sa come far funzionare un fottuto Aprivarco?!”
    L’altro si infervorò, puntando i piedi. “Non usare quel tono con me!”
    “Oddee!” Mamoru si passò le mani nei capelli con forza e stizza. Si morse il labbro per ingoiare chissà quale insulto pesante e poi si volse in direzione dei compagni. “Fatelo tacere, prima che lo polverizzi!”
    Lo stesso Principe intervenne per sedare gli animi ma, nonostante tutto, il servitore continuò a borbottare di ‘mancanza di rispetto’ e di ‘tempi che non erano più come quelli di una volta’. Mamoru lo ignorò, non riuscendo a comprendere i suoi inutili lamenti. Tornò a concentrarsi sul grosso Amplificatore. Era alto all’incirca otto-dieci metri, la base larga sei. Gli altri due cristalli minori erano alti poco meno della metà di quello centrale. La magia fluiva continuamente al suo interno, riuscendo a illuminare la stanza tanto che non ci fu nemmeno bisogno del suo fuoco: quell’affare faceva luce a sufficienza.
    Davanti all’Amplificatore, posto al centro di un grande anello di ferro lavorato, vi era un tavolo con sopra dei normali Aprivarco, spenti. Molto probabilmente da lì gli Stregoni si muovevano per coprire la maggiore distanza possibile. Questo significava che doveva esserci un altro Amplificatore della stessa dimensione – o magari anche più grande – da qualche parte sul pianeta cui quello che avevano davanti era direttamente collegato.
    Avevano la via di fuga, ma non potevano usarla. Dannazione.
    D’un tratto, Yuzo, che Mamoru non si era accorto fosse fermo al suo fianco, si mosse per raggiungere il tavolo. Prese uno degli Aprivarco e lo rigirò tra le dita, prima di voltarsi e proporre qualcosa che gli ghiacciò la schiena.
    “Potrei farlo funzionare con il potere dell’onice.”
    Mamoru serrò la mascella e allargò gli occhi. “Scordatelo. Non pensarci neanche.”
    “Se Hajime attivasse la pietra il tempo necessario affinc-”
    “No, non se ne parla, sei impazzito?! Punto primo: non ti permetterei mai di usare quel… quell’affare maledetto! Punto secondo: non hai la minima idea di cosa potrebbe succedere e se è vero quello che mi ha raccontato Hajime a riguardo, finiresti con l’ucciderci tutti!”
    Yuzo sostenne per un po’ il suo sguardo, poi lo distolse, consapevole della ragione che aveva la Fiamma. Inoltre, Mamoru era memore di quello che era accaduto a Sendai, un motivo in più affinché bocciasse la proposta.
    Il volante rigirò ancora la pietra nella mano, pietra che avrebbe potuto funzionare solo con la Magia Nera, purtroppo, e lui, che ne conosceva alcuni incantesimi, non era in grado di utilizzarli, non quando l’onice era disattiva.
    Levò di nuovo lo sguardo sulla Fiamma che continuava a fissarlo seppur non con severità. Poi, il Principe prese parte alla discussione, lasciando di sale i quattro Elementi.
    “L’Elemento Izawa ha ragione, il potere della tua onice è troppo pericoloso, poiché incontrollabile. Tuttavia…”, rivolse un sorriso rassicurante al Tritone, “…non lo è quello di Hajime. La sua pietra ha un potere limitato che non sopravanza sulla coscienza. Lui potrebbe farlo.”
    Ci fu un lungo momento di silenzio e sorpresa, in cui i giovani rimasero a fissare il Principe.
    L’Elemento di Agadir avanzò di qualche passo, trovando la voce che gli altri avevano perduto.
    “Voi… siete a conoscenza dell’Ordine dell’Onice?”
    Tsubasa tirò un lungo sospiro pieno di rassegnazione. Lo sguardo che rivolse loro era venato di un insopportabile senso di colpa.
    “Ahimé, sì. Ne percepii l’esistenza quando ero molto piccolo, grazie alle mie visioni. Ma allora non ero ancora in grado di capire cosa fosse e dopotutto non avevo molti contatti con gli allora Master e Consoli. Poi ho conosciuto Master Misugi e Master Matsuyama e tutto è divenuto improvvisamente chiaro.” Osservò prima Hajime e poi Yuzo. “Credetemi, mi dispiace moltissimo per quello che vi è stato fatto… per ciò che avete sofferto…”, si soffermò più a lungo sul volante, “per le conseguenze.”
    Yuzo annuì, ma abbassò lo sguardo. “Non dovete scusarvi, non è colpa vostra.”
    “In parte mi sento responsabile, perché non ho potuto fare niente.”
    “Ma adesso” intervenne Teppei con voce trepidante e negli occhi un’espressione quasi supplichevole. “Adesso che diventerete Re… potrete cancellare per sempre questo maledetto Ordine, no? Sarete il sovrano, potrete farlo, vero?” Senza attendere risposta, il tyrano si inginocchiò ai suoi piedi. Una mano sul ginocchio piegato, le nocche dell’altra premute a terra, il capo chino. “Vi prego, Vostra Altezza, quando vestirete la corona che vi consacrerà come nuovo reggente dei Regni degli Ozora, sciogliete l’Ordine dell’Onice.”
    Hajime accennò un sorriso nel vedergli prestar fede alla promessa che gli aveva fatto, quella di tentare di dare una seconda possibilità al sistema, quella di tentare di cancellare l’incubo cui erano costretti a sottostare pur contro la loro volontà.
    “Mi rendo conto che non è il momento più opportuno per chiedervi una cosa simile, ma dovevo farlo!” Il giovane sollevò lo sguardo e i suoi occhi scuri trasmettevano chiaramente la purezza dei suoi sentimenti. “Non è giusto… non ce lo meritiamo…”
    Tsubasa sorrise. “No, nessuno se lo merita. Per questo la mia risposta è sì.”
    Il viso di Teppei sembrò illuminarsi, mentre quello degli altri si caricava di una sorpresa inaspettata. In cuor loro, né Hajime né Yuzo avevano mai creduto che il Principe potesse accettare, poiché vincolato a obblighi che, molto spesso, superavano la reale volontà della persona. Eppure, Tsubasa stava dicendo tutt’altro.
    “Quando tutto questo sarà finito, quando e se la pace tornerà ancora a illuminare la vita su Elementia, allora sciogliere l’Ordine sarà la prima cosa che farò come nuovo sovrano. Avete la mia parola.” Si rivolse nuovamente al tyrano, snudando i denti in un sorriso sicuro e deciso. “Il sistema non è marcio del tutto. Può ancora essere salvato ed è quello che faremo. Non dobbiamo arrenderci, non senza aver lottato.”
    Mamoru rimase… colpito.
    Forse, di primo acchito, il Principe poteva sembrare un ragazzino sprovveduto, e magari lo era davvero, eppure emanava una forza e una sicurezza nel futuro che erano come ipnotiche. Sarebbe stato capace di trascinare le masse, di governarle con la semplicità con cui respirava. Il Principe Tsubasa era un leader nato, ma non duro come poteva essere Master Hyuga, che attraverso la forza del comando teneva le redini dell’intera scuola. La forza del Principe era nella fiducia che riusciva a infondere nelle persone che gli erano intorno, in quelle che gli parlavano e che lo stavano ad ascoltare. La sua forza era nella speranza che sembrava non abbandonarlo mai e nella convinzione che avrebbe potuto realizzare tutto ciò che diceva. I suoi poteri gli permettevano di arrivare fino in fondo all’animo di chiunque. Sì, sarebbe divenuto un grande Re.
    “Grazie, Vostra Altezza! Grazie!” Teppei chinò il capo in segno di rispetto e sottomissione un’ultima volta, prima di alzarsi in piedi, carico come non lo era mai stato in vita sua. Sembrava come rinato. Tutti i pesi che la conoscenza dell’Ordine dell’Onice aveva calato sulle sue spalle, tutte le delusioni e l’amarezza erano improvvisamente scomparsi. Dissolti nelle parole del Principe e lui ci credeva, ci credeva fermamente. L’intero sistema che regolava Elementia poteva tornare a essere giusto e corretto come era sempre stato convinto che fosse e nessuno avrebbe più dovuto soffrire per gli errori altrui.
    “È inammissibile!” Ryo era tornato a lamentarsi. Le braccia conserte e il mento sollevato. “Ti rendi conto fino a dove si sono spinti, Tsubasa?! Per poco non mandano a gambe all’aria l’intero pianeta!” Ancora, la confidenza con cui quello strano servitore si rivolgeva al Principe andava al di là di ogni regola o etichetta. “Tanto tempo fa queste cose non sarebbero successe! Se Loro non avessero lasciato questo pianeta in mano a certi bifolchi con le manie di grandezza, adesso sarebbe tutta un’altra cosa!”
    “Ryo, non essere severo.” Il tono del Principe era conciliante, quasi fraterno, ma Mamoru ne aveva ormai fin sopra i capelli.
    Scosse il capo sbuffando un sorriso tra l’ironico e il seccato. “Basta così, ne ho piene le scatole.” Con fare minaccioso si avvicinò al giovane che era molto più basso di lui, tanto che dovette alzare la testa per riuscire a guardarlo negli occhi. E quelli di Mamoru erano ardenti di fiamme. “Stammi bene a sentire, lacchè. Fatti uscire un’altra sola, mezza parola e io giuro che ti lascio qui. Vedrai come si divertiranno gli Stregoni a farti a pezzi per sfogarsi del fatto di aver perso il loro prigioniero reale. Magari qualche annetto nelle segrete non te lo leva nessuno. Che dici? Vuoi provare?”
    Le labbra di Ryo tremarono per la collera, mentre aggrottava le sopracciglia e sembrava quasi sul punto di piangere. D’un tratto si volse verso Tsubasa – già pronto a sospirare con rassegnazione – e  sbottò: “La mamma non era così! Si può sapere da chi diavolo hanno preso questo loro pessimo carattere gli Elementi di Fuoco?! Sono i-irrispettosi, violenti e minacciosi! Lei non lo era! Non lo era affatto! Era solo tosta! E… e io non dovrei essere trattato in questo modo! Lacchè! Lo hai sentito?! Mi ha chiamato lacchè ed è già la seconda volta!”
    Mamoru strabuzzò gli occhi e tirò indietro il mento. “La… mamma?” O lui si era perso qualcosa o quel tipo era solo del tutto fuori di testa. Manco a dirlo, la Fiamma propendette per la seconda ipotesi.
    Quello si girò nuovamente, le labbra strette in una smorfia offesa e gli occhi inumiditi. “Sì! La mamma! Maki! La tua Dea! Mia madre!”
    “Vostra Altezza, credo che il vostro servitore non stia troppo bene. Parla a vanvera.” Mamoru continuava a non capire, mentre Tsubasa rideva, scuotendo il capo.
    “No, sta benissimo, te lo posso garantire” spiegò, con l’altro che ancora piagnucolava.
    “Li hai sentiti?! Mi hanno detto addirittura che parlo a vanvera! Proprio a me che dovrebbero trattarmi con reverenza e adorazione! Non c’è più religione a questo mondo e se c’è è stata completamente distorta e travisata!”
    “Ryo, smettila! Loro non lo sanno, non è colpa loro.” Ma tutte le parole di Tsubasa andarono a vuoto. Ryo aveva ormai messo il broncio e dava le spalle agli altri. Le braccia ancora incrociate e la testa incassata nel collo.
    “Sapere cosa?!” Mamoru lo chiese in maniera fin troppo brusca ma ne aveva ormai abbastanza di tutti quei misteri. Per fortuna, il Principe non voleva nascondere ancora la verità.
    “Perdonate se non ho fatto le presentazioni come si deve, ma non ce n’è stato il tempo ed era meglio che certe cose rimanessero celate il più a lungo possibile.” Sospirò. “Miei fedeli Elementi, vi presento Ryo o, per meglio dire, la Chiave Elementale, creata dalle quattro Dee per le genti di Elementia.”
    La voce di Mamoru raggiunse toni acutissimi mentre tirava via quel: “Eh?!” che risuonò per tutta la stanza. Hajime, Teppei e Yuzo non dissero una parola, ma si limitarono a fissare il giovane ancora di spalle, seppur avesse in parte girato il viso e ora mostrava il profilo dall’espressione ancora imbronciata.
    “E’ uno scherzo, vero?” Mamoru si mise a ridere. “Ci state prendendo in giro, non è così? Avete un senso dell’umorismo decisamente fuori luogo, fatevelo dire.”
    Il Principe scosse il capo senza sorprendersi per la loro reazione. “Non è uno scherzo, non mi permetterei mai di scherzare su una cosa così importante e in un simile momento. Ryo… è davvero la Chiave Elementale.”
    “Ecco! Lo hai sentito?! Pensava che stessi scherzando!” Il giovane aumentò il tono melodrammatico inspirando profondamente. “Questo mondo non mi merita.”
    Stavolta, il sorriso scomparve dal volto della Fiamma mentre realizzava la cosa più assurda possibile. Non solo la Chiave esisteva, ma ce l’aveva davanti ed era…
    “Quello lì?” Non poteva crederci. Alla faccia della beffa. “Quello lì è… davvero…”
    “Questa non è la sua vera forma, ma è quella che ha assunto per poter interagire con noi. Con me.”
    “Avrebbe potuto fare di meglio…” si lasciò sfuggire Mamoru beccandosi subito una gomitata da parte di Yuzo che lo guardò come avesse voluto mangiarlo lì sul posto: dopotutto, stava pur sempre offendendo un semidio.
    La Fiamma tacque, incassando il silenzioso rimprovero, e lasciò proprio che fosse il volante a coprire il ruolo di diplomatico che gli sembrava cucito addosso.
    “Divino Ryo, siamo terribilmente mortificati per avervi recato offesa. Non era nelle nostre intenzioni, non potevano immaginare che foste voi la Chiave. Siamo onorati di fare la vostra conoscenza.” E si profuse in un elegante e sentito inchino, imitato anche da Acqua e Terra, mentre Mamoru obbediva con maggiore riluttanza.
    Di fronte al tono ossequioso del volante, e in particolare alla parola ‘divino’, Ryo mise da parte la melodrammaticità dell’offesa per mostrarsi molto più ben disposto e interessato.
    “Divino? Io? Mi piace!” si girò verso Tsubasa, annuendo con convinzione. “Divino mi piace!”
    “Non per mancarvi di rispetto, div-… Chiave, ma perché non avete usato i vostri poteri per liberarvi?” Mamoru non riusciva in nessun modo a chiamarlo ‘divino’, era più forte di lui.
    “Non posso farlo. Sono al servizio degli uomini e solo colui che ho reputato essere degno di poterli usare avrebbe potuto farlo. Vale a dire Tsubasa.”
    Il Principe sollevò una mano prima che Mamoru potesse rivolgergli qualsiasi domanda, giustificandosi con un semplice: “Non è ancora arrivato il momento. Non è qui che deve succedere. Il potere di Ryo deve essere conservato fino al momento opportuno.”
    L’Elemento di Fuoco sospirò a quelle parole, ormai si era rifiutato di discutere con il Principe ma aveva accettato di seguire le sue intuizioni e convinzioni fino alla fine. Come aveva detto Yuzo: doveva esserci un perché a tutto quello e se il fine sarebbe stato la salvezza del mondo, allora avrebbe rinunciato a capire del tutto.
    Adagio si girò a guardare nuovamente l’Amplificatore, ora era quello l’ultimo ostacolo da superare prima di poter tirare finalmente un sospiro sollevato e sapere il Principe in salvo dalle mani rapaci degli Stregoni.
    “Allora, miscredente? Ora non puoi più negare l’esistenza della Chiave e nemmeno la preveggenza del Principe!” Teppei gli si era fatto di fianco e parlava con tono basso per non farsi sentire da nessun altro oltre che dalla Fiamma. Quest’ultimo risposte altrettanto sommessamente.
    “E ora che l’hai incontrata non pensi che sarebbe stato meglio non fosse mai esistita?! Dico, ma hai visto che faccia ha?! E siamo nelle sue mani, addirittura. La cosa non mi rassicura per niente.”
    Il tyrano non rispose; Mamoru non aveva tutti i torti: per quanto divino, Ryo non sembrava affatto un tipo sveglio, però chi poteva dire quali incredibili poteri nascondesse sotto quell’espressione fin troppo petulante. Teppei si fece da parte grattandosi la nuca, mentre Mamoru tornava finalmente a occuparsi dei problemi più immediati. Con decisione si volse in direzione del Tritone. Yuzo rimaneva ancora accanto al Principe.
    “E allora, Hajime? Te la senti di usare il potere dell’onice?”
    L’interpellato sfilò il guanto che proteggeva il palmo dove la pietra restava silenziosa e inattiva. Si fece avanti senza timore. “Dopotutto, sarà piacevole pensare di averli fregati con la loro stessa moneta.”
    Mamoru rise di rimando, trovandosi d’accordo. Teppei sembrava esitante.
    “Non abbiamo la minima idea di cosa ci troveremo davanti, una volta dall’altra parte, né dove arriveremo.”
    “Questo è vero…” Hajime convenne, assumendo un piglio più riflessivo e serio. “Potremmo finire in un’altra base, in chissà quale angolo sperduto del Regno.”
    Mamoru sembrava preda di una maggiore praticità. “Di certo non possiamo restare qui, saremmo in trappola comunque. Spostandoci, avremo una maggiore possibilità di riuscire a sfuggirgli.” Si passò una mano nei capelli, pensieroso. “Hajime, potresti trasportarci lontano dall’altro Amplificatore?”
    L’interpellato scosse il capo. “Massimo a settecento, ottocento metri. Di più non è possibile. L’Aprivarco deve trovarsi entro il raggio di un chilometro dall’Amplificatore.”
    La Fiamma sembrò soddisfatta di quella risposta. “Ce lo faremo bastare. E se ugualmente ci troveremmo davanti degli Stregoni, beh, li affronteremo come abbiamo fatto finora.”
    “E se ci fosse il Nero?”
    La domanda di Teppei fece calare il silenzio. A quell’eventualità nessuno di loro aveva mai realmente pensato, forse perché la figura del Nero sembrava essere tanto reale quanto lontana da tutto. Non era uno Stregone che amava mostrarsi in pubblico e le descrizioni in merito erano terribilmente contrastanti, quindi, l’idea di trovarcisi faccia a faccia non era mai stata presa in reale considerazione. Ciò non toglieva che ognuno di loro fosse stato istruito a temerlo con la giusta serietà, senza sottovalutarlo.
    Mamoru indurì lo sguardo mostrando un’espressione decisa; neanche l’eventualità di trovarsi di fronte il mago oscuro più potente del pianeta avrebbe fatto vacillare la sua fiamma. “Affronteremo anche lui” affermò con sicurezza. “Non importa quanto forte sia è pur sempre uno Stregone, e finora non ce la siamo cavata male. Possiamo tenerlo impegnato il tempo sufficiente per mettere al sicuro il Principe. So benissimo che non possiamo batterlo.” Un anno prima non avrebbe mai ammesso una simile debolezza, ora invece era divenuto consapevole dei suoi limiti e li avrebbe sfruttati fino alla fine a proprio vantaggio. “Ma dopotutto è solo un mago e insieme potremmo dargli del filo da torcere.”
    Tsubasa non perse una parola della discussione e a ogni frase, da che era stato fatto il nome del Nero, con la coda dell’occhio aveva seguito le reazioni dell’unico Elemento che non era intervenuto.
    Il Principe vide Yuzo stringere i pugni e le labbra, l’espressione di chi voleva parlare, ma non poteva farlo. Alla fine gli vide abbassare il viso e lo sguardo, dipingendosi una smorfia tra l’amareggiato e l’arrabbiato.
    Sorrise, arrivando alla conclusione. “Non glielo hai ancora detto, vero?”
    Non parlò a voce particolarmente alta, ma fu sufficiente perché non solo Yuzo, ma anche gli altri potessero sentirlo. Il volante gli rivolse un’occhiata di palese sgomento perché non credeva che il Principe fosse arrivato a conoscere anche quello.
    “Detto?” Mamoru rispose prima che potesse farlo il volante. “Di che sta parlando, Yuzo?”
    Lo sguardo dell’interpellato si spostava smarrito dal Principe alla Fiamma, ed era palese che quando osservava Mamoru c’era ben più dell’indecisione nei suoi occhi: l’Elemento di Fuoco vi lesse senso di colpa.
    La cosa non gli piacque, così come non gli piacque l’idea che Yuzo gli avesse tenuto nascosto qualcosa, qualcosa di importante a giudicare da come il giovane non sapesse come comportarsi.
    Si fissarono a lungo e poi il Principe continuò a parlare senza preoccuparsi di dare spiegazioni.
    “E’ per via del Giuramento alle Dee, non è così?”
    “Io…”
    “Beh, in virtù del fatto che sono il custode del potere della Chiave Elementale, la mia parola è superiore ai giuramenti, quindi non temere di venir meno a un ordine e parla pure, è il momento che i tuoi compagni sappiano tutta la storia.” Tsubasa gli parlò mantenendo sempre un sorriso tranquillo e fiducioso, ma in quel momento, Yuzo si sentiva di tutt’altro avviso.
    Tornò a guardare Mamoru e la strana espressione che continuava a leggere sul suo volto non lo aiutava di certo. Così come non lo aiutavano quelle sui visi di Hajime e Teppei che erano perplesse e non capivano cosa stesse per succedere.
    “Yuzo”, il tono della Fiamma uscì severo, quasi aspro, “mi stai nascondendo qualcosa?” Era ormai convinto che non ci fossero più segreti tra loro, nonostante lui ne celasse uno fondamentale, era convinto che il volante si fidasse di lui nello stesso, identico e cieco modo in cui lui si fidava del volante. Ma quando lo vide tentennare e abbassare lo sguardo, scuotere leggermente il capo e poi tornare a guardarlo non riuscì a fare a meno di sentirsi tradito. Il loro livello di comprensione reciproca che gli era sembrato così profondo non lo era abbastanza.
    “Io… io… avrei voluto dirtelo già da tantissimo tempo, ma non potevo.”
    “Non potevi?” Si portò le mani ai fianchi, le labbra piegate in una smorfia carica di tagliente ironia, le parole di Yuzo gli sembrarono solo delle scuse senza senso.
    Tradito. Tradito nella fiducia quell’unica volta che aveva deciso di fidarsi con tutto sé stesso. La stessa, pessima sensazione di venir pugnalati alle spalle come quando si trovava a Dhyla.
    “Avevo fatto un giuramento alle Dee-”
    Me ne sbatto dei giuramenti!” ringhiò raggiungendolo in rapide falcate, gli occhi che sembravano laghi di pece in fiamme. Ingoiò l’amaro sapore della delusione e sembrò come cieco alla supplica che le iridi del volante gli stavano rivolgendo. Supplica di credergli, di avergli sempre voluto dire tutto ma che aveva le mani legate da doveri di obbedienza più grandi di lui. Mamoru non vedeva nient’altro che ciò che la sua rabbia voleva fargli vedere. “Vieni al sodo. Sono stanco del tuo dire-non-dire!”
    Yuzo abbassò ancora lo sguardo e non erano tanto le sue parole a pesare, quanto il modo sdegnoso e ferito con cui lo fissava, il tono duro. Gli parve di essere tornati indietro di mesi, dove tutti i passi avanti che avevano compiuto insieme erano stati cancellati. Era come se davanti ai loro piedi si fosse aperta una voragine e fossero rimasti sulle sponde opposte del burrone.
    “Vuoi muoverti?! O devo strapparti le parole di bocca, stupido piccione?!”
    Fu il tocco della mano del Principe sulla sua spalla a fargli nuovamente sollevare le iridi. Incontrò quelle di Tsubasa, che gli sorrideva. Poi annuì un’ultima volta per spronarlo e Yuzo tirò un profondo respiro per riuscire a ordinare ciò che avrebbe dovuto dire, utilizzando le parole più adatte.
    “Il Nero non è uno Stregone qualunque. A dire il vero… non è uno Stregone affatto.”
    Mamoru deformò le labbra in un’espressione incredula. “Ma che blateri?”
    Non c’erano mezzi termini con cui poter camuffare o ridurre l’impatto che la verità avrebbe avuto, così Yuzo non li cercò neppure e mise le cose in chiaro senza girarci attorno. “E’ un Elemento” disse, affrontando in maniera diretta gli occhi della Fiamma. “Il Nero è un Elemento d’Aria.”
    Vide le sue iridi scure rimanere immobili per una infinitesima frazione di secondo e poi farsi enormi. Le labbra persero la presa sulla smorfia e si schiusero appena nell’intento di dire qualcosa salvo poi dimenticarla. La sorpresa o, per meglio dire, lo sconcerto si era impossessato dell’intero suo volto e anche se Mamoru non poteva vederli, era sicuro che valeva lo stesso per Hajime e Teppei. Silenziosi, ghiacciati sul posto.
    Il padrone dell’AlfaOmega, colui che mandava avanti tutto ciò che loro, in quanto Elementi, avrebbero dovuto debellare dal pianeta era un Elemento. Proprio come loro.
    Il furore divampò all’improvviso, cancellando la sorpresa in un ruggito che fece tremare le ossa di Acqua e Terra.
    Un Elemento d’Aria?! E tu questo quando avresti voluto dirmelo, di grazia?! Quando mi avresti messo al corrente che l’uomo più ricercato di tutto Elementia è un fottuto bastardo d'un volante?!
    Per la miseria, Mamoru, sono un Elemento anch'io! Ho degli obblighi da rispettare e ordini da eseguire! Credi che sia facile?! Credi sia semplice convivere con la consapevolezza che chi vuole distruggerci è lo stesso che io chiamavo fratello fino a nemmeno otto anni fa?! Siamo cresciuti insieme, maledizione!, e sono stato costretto a portare il peso di questi dannati segreti da solo! Per tutte le Dee, ne avrei fatto volentieri a meno!
    Si affrontarono a muso duro come fossero stati due bestie feroci, ma se l’aggressività della Fiamma non riusciva a sorprendere, l’esplosione di Yuzo, il suo modo di rispondere grida su grida ed esternare tutta la frustrazione accumulata in anni di silenzi fu in grado di spiazzare addirittura Mamoru. Il modo in cui incassò l’attacco fu evidente, tanto che non fu in grado di rispondere subito. Nemmeno quando si trovavano a Ghoia aveva mai avuto una simile reazione, o a Sendai. Anche questo era rimasto nascosto sotto al muro che aveva mandato in pezzi quando era tornato nella sua città natale, e nei suoi occhi la Fiamma lesse chiaramente l’amarezza covata e taciuta. Erano stati fratelli, aveva detto.
    Quel pensiero riuscì a farlo replicare.
    “Aspetta! Siete… cresciuti insieme? Vuoi dire che… che è un ragazzino? Un ventenne?! Un Elemento che non è nemmeno diplomato?!”
    “Sì! Il Nero ha la nostra età.”
    Mamoru nascose il volto in una mano. Non poteva crederci. “Oh, merda.”
    Yuzo superò la Fiamma con passo lento e raggiunse il tavolo su cui erano abbandonati gli Aprivarco. Adagio si poggiò al bordo, dando le spalle all’Amplificatore.
    “Il suo nome è Natureza e non è una persona ordinaria. Lui è… è l’Elemento perfetto. Potrebbe destreggiarsi in qualsiasi ambito senza problemi, imparare i segreti di Acqua, Fuoco e Terra in pochissimo tempo. Lui e Misugi erano in lizza per il posto di Master dopo mio padre e Natureza era ben più di una spanna sopra l’Airone di Cristallo.” Inspirò a fondo, il tono di nuovo basso, calmo, ma stanco. “Un bel giorno ci svegliammo e lui se n’era andato. Ci dissero che aveva deciso di partire per divenire un pellegrino e portare la parola elementale nelle terre che si estendevano oltre il confine dei Regni degli Ozora. Avevo circa dodici anni all’epoca e per quanto mi sembrasse così strano che avesse deciso di mollare tutto per partire senza nemmeno salutarci, io gli credetti. Credetti alle parole di mio padre e dei Magister. Perché avrei dovuto dubitarne? Poi sono diventato un Cavaliere dell’Onice e ho saputo la verità.”
    Mamoru si fece avanti di un passo. Il viso di nuovo scoperto e gli occhi in quelli di Yuzo, increduli.
    “Non mi dirai… che anche il Nero era…”
    “Un Esecutore.”
    La Fiamma levò lo sguardo al soffitto. Scosse il capo, inspirò a fondo e ingoiò tutti quegli insulti che sentiva rimescolarsi nella bocca senza dar loro voce.
    “Una volta Cavaliere mi dissero che Natureza non se n’era andato, ma era stato accusato di Stregoneria, processato, condannato e allontanato dalla scuola. A buona parte dei Magister è stata omessa la faccenda dell’onice poiché non erano Esecutori, quindi non sanno che il Nero ha sviluppato il suo interesse per la Magia Nera una volta entrato nell’Ordine.”
    Questo fu un vero schiaffo per tutti, non solo per Mamoru. “L’Ordine ha creato il Nero?!”
    “In un certo senso, ha creato l'attuale Nero, sì.”
    “Ah! Fantastico!” sbottò la Fiamma, mentre consumava il pavimento in quel collerico girare in tondo. “Bastardi” ringhiò. Poi tornò a fissare il volante. “Chi sa la verità?”
    “I Consoli, i Master e gli Esecutori. Nessun altro.”
    “Nemmeno il Re?!” Stavolta fu Teppei a rimanere spiazzato.
    “No. Nemmeno il Re.”
    “Poi che avvenne?” Mamoru interruppe il loro discorso, deciso a sapere tutta la verità e questa volta fino in fondo.
    “Natureza fu condannato a essere rinchiuso nella Prigione Elementale di Raj, nell’estremo Nordovest, ma non ci arrivò mai: durante il trasporto fuggì grazie all’aiuto di suo fratello maggiore, una sorta di sciamano, fautore di una magia diversa dalla nostra, ma simile alla Stregoneria di Kumi. Le notizie dicono che siano poi fuggiti al Nord, per unirsi agli Stregoni. In qualche modo hanno raggiunto il quartier generale dell’AlfaOmega, Natureza ha sconfitto e ucciso il precedente Nero e, secondo le regole degli Stregoni, ne ha preso il posto.”
    “Com’è possibile che gli Stregoni si facciano comandare da un Elemento?” Questa era una cosa che non aveva senso e Mamoru la espose subito, ma Yuzo sembrava avere una risposta anche a quello.
    “Non lo sanno.” Scrollò le spalle. “Era una domanda che mi ero sempre posto anche io e l’unica motivazione che avessi ritenuto valida era che non ne hanno idea. Ne ho avuto conferma anche mentre parlavo con Shibasaki.”
    “Che c’entra il Naturalista?!”
    “Quando aspettavamo che ti riprendessi ed eri nella sauna, abbiamo discusso e mi ha posto delle domande. Domande specifiche che mi hanno fatto supporre che lui avesse qualche sospetto. Più di qualche a dire il vero, ma allo stesso modo mi ha fatto capire che era forse l’unico a esserci arrivato, ad aver capito che il Nero non era un vero Stregone.”
    “Beh, che sia un Elemento gioca tutto a nostro vantaggio. Non sarà mai al pari degli altri maghi.”
    Teppei non era d’accordo. “Ha battuto il precedente Nero, lo hai dimenticato?”
    “Per quello che ne sappiamo può essere stato un colpo di fortuna, un imbroglio oppure è stato aiutato dal fratello.” Mamoru non voleva accettare che il capo dell’AlfaOmega fosse un Elemento traditore e, soprattutto, non voleva dargli tutta quella importanza che Yuzo continuava a ribadire.
    “No, fidati. Natureza è davvero imbattibile come sembra. Non è alla nostra portata.”
    “Solo perché ha imparato qualche trucchetto di Magia Nera e ha l’onice?”
    “L’onice… non funziona in maniera normale con lui.”
    “Questo che significa?”
    Yuzo sospirò, le mani vennero intrecciate e abbandonate in grembo. “Che Natureza rappresenta la grande falla dell’intero Ordine. Rappresenta quello che nessuno aveva mai previsto nel momento della sua fondazione. È l’anomalia e la prova vivente dell’enorme errore che è stato fatto quando si è deciso di istituire il Cavalierato. La pietra agisce sull’inconscio, sulla parte oscura e irrazionale dell’essere umano, ma Natureza… Natureza non ha ‘lati oscuri’. Non ha un Inconscio. È consapevole di sé a trecentosessanta gradi ed è come se incoscienza e coscienza fossero una cosa sola.” Il nocciola degli occhi del volante cercò il nero di quelli di Mamoru con insistenza, si puntò in essi e tentò di trasmettergli, prima che con le parole, la gravità di ciò che gli stava dicendo. “Lui sa chi è, fino in fondo. Sa quello che può fare e sa cosa vuole. Non ha dubbi. E se l’Inconscio non esiste e rimane solo la Coscienza, beh… allora non ha bisogno di un Evocatore per attivare l’onice, visto che può sfruttarne i poteri a suo piacere.”
    Mamoru comprese tutto, anche in maniera fin troppo chiara. “Mi stai prendendo in giro? Questo… questo non è… possibile…”
    “Magari fosse vero.” Sulle labbra di Yuzo si distese un sorriso mesto; lo sguardo venne abbassato sulle dita. “Persone come Natureza ne nascono una ogni cento, ma che dico cento: mille anni. Lui è la conferma di secoli di teorie di Psicologia Elementale. È la Chimera. Non lo possiamo fermare. Può farlo solo chi è come lui.”
    “C’è ancora qualcosa che non mi torna.” Stavolta fu Hajime a intervenire, mantenendo un’espressione seria e le braccia incrociate. “Qual è il suo scopo in questa guerra? Cosa vuole ottenere? Perché ha rapito il Principe Tsubasa ma lo ha tenuto nascosto addirittura al suo alleato, Minato Gamo?”
    Yuzo osservò il compagno e strinse ancora le spalle. Per gli altri la comprensione di una persona come Natureza era molto più ostica, mentre per lui era ormai ‘naturale’. Ogni azione, nel suo modo di ragionare, trovava un perché e diveniva evidente. “A Natureza non importa nulla della guerra. Molto probabilmente, non gli importa nulla nemmeno dell’AlfaOmega. Ciò che gli interessa è solo Elementia, il ‘bene’ di questo pianeta. E il suo bene non siamo noi. L’obiettivo di Natureza è di eliminare gli uomini, per permettere al pianeta di tornare a prendersi cura di sé stesso. Questo atteggiamento lo aveva manifestato già quando si trovava alla scuola. Ricordo che riusciva a instaurare legami con qualsiasi creatura vivente entrasse in contatto. Le phaluat… a volte le phaluat sembravano addirittura addomesticate quando lui le avvicinava. L’utilizzo dell’onice, proprio perché vincolata alla razionalità della coscienza non è sufficiente a fargli portare a termine il suo piano, per questo ha bisogno della Chiave. Con essa nulla potrebbe più fermarlo.”
    “Anche gli Esecutori vogliono distruggere gli esseri umani” insistette il Tritone, nel tentativo di arrivare a comprendere questo nemico che avevano scoperto molto più vicino di quanto avrebbero mai potuto credere.
    “No. La logica degli Esecutori è quella di distruggere ogni cosa, compreso il pianeta.”
    “Un Esecutore consapevole” concluse allora Hajime, sollevando lo sguardo per abbracciare il grande cristallo Amplificatore. “A ogni modo non è detto che riesca a sfruttare il potere della Chiave. Il divino Ryo è stato chiaro: solo Tsubasa è il predestinato a usarlo.”
    “Vero, ma conosco Natureza e non va sottovalutato. Se dice che può farlo, lo farà.”
    “Qualunque cosa sia, se ce lo troveremo davanti, lo combatteremo. Non mi importa chi è stato o quali sono le sue mire: lui è il Nero, capo dell’AlfaOmega, e questo mi basta per renderlo mio nemico.” Per Mamoru l’argomento era chiuso, ma non risparmiò l’ironica stoccata finale, forse buttata lì con una maggiore cattiveria di quella che avrebbe voluto. Gli faceva troppo male esser stato tagliato fuori in quel modo dal volante. “Se non ci sono altri segreti inconfessabili, allora direi che è arrivato il momento di andare. Ormai gli Stregoni saranno quasi riusciti a passare il muro creato da Teppei.” E il rumore cupo di esplosioni – probabilmente ad opera della Magia Nera – non fece che confermare le sue parole.
    Yuzo non rispose, ma si limitò ad accennare un ‘no’ col capo alla domanda. Nessun altro segreto, a parte uno, ma quello non riguardava la missione, quindi, tale sarebbe rimasto ancora per il tempo necessario.
    “Datti da fare, Hajime.” La Fiamma prese un Aprivarco dal tavolo contro il quale era appoggiato il volante e glielo lanciò, ma prima che potesse allontanarsi Yuzo lo fermò per un polso. Stavolta vicini, l’uno di fianco all’altro, gli parlò con un tono basso affinché sentisse solo lui.
    “Nascondertelo non è stata una mia decisione, ma non avevo scelta. Come per l’onice. Fosse dipeso da me, te lo avrei detto già quando eravamo a Sendai. Non potevo… devi credermi, Mamoru, non potevo.” I loro sguardi erano fermi, l’uno nell’altro, e la Fiamma seppe, glielo lesse dentro, che non stava mentendo, ma non riusciva ad accettarlo.
    Non rispose e fece per andarsene. La stretta si rinsaldò e i loro occhi tornarono a incontrarsi.
    Stavolta, Mamoru lesse supplica in quelli nocciola del volante.
    “Credimi. Ti prego.”
    La voce ancora più sottile, sussurrata. Le sopracciglia aggrottate, tanto da far stemperare anche la sua espressione severa in una più calma che maggiormente mostrava il modo in cui si fosse risentito per essere stato tenuto all’oscuro di tutto.
    Yuzo ci teneva? Teneva così tanto che gli credesse? Teneva così tanto al suo giudizio?
    Teneva così tanto a lui?
    “Ne riparleremo quando tutto questo sarà finito” concesse, ammorbidendo il tono, pur non dando la risposta che il volante avrebbe voluto.
    Yuzo se lo fece bastare; doveva dare il tempo a Mamoru di comprendere la sua posizione e accettarla, in qualche modo. Piano sciolse la presa e lo lasciò andare.
    La Fiamma ritrasse il polso con la stessa lentezza con cui Yuzo allentò le dita. Una parte di lui voleva passare oltre, dirgli che non importava il fatto che gli avesse taciuto la verità, ma la parte più dura non voleva saperne di arrendersi. L’orgoglio aveva sempre alimentato il suo fuoco interiore e non si sarebbe tirato indietro per nessun motivo.
    Si volse, perché evitare di guardarlo rendeva le cose un po’ più facili, e si soffermò sulla figura di Hajime. Vide il Tritone aprire e chiudere la mano un paio di volte, come se avesse voluto prendere confidenza con la pietra stessa. Gli vide osservare l’Aprivarco e poi inspirare a fondo un’ultima volta prima di rivolgersi proprio a lui.
    “Come ci disponiamo per attraversare il passaggio?”
    “Io vado per primo, per assicurarmi che sia tutto in ordine e per difendere l’intero gruppo qualora venissimo attaccati. Tu andrai subito dopo di me. Poi il Principe e la Chiave passeranno contemporaneamente con Teppei. Yuzo sarà la nostra retroguardia.” Terra e Acqua annuirono, lo fece anche il volante ma lui non lo vide, poiché alle sue spalle. “Quanto ci vorrà affinché il passaggio si chiuda?”
    “Resterà aperto per dieci minuti, poi si estinguerà da solo.”
    La Fiamma scosse il capo, deformando le labbra. “Troppo. In dieci minuti gli Stregoni saranno riusciti a passare il muro di pietra e sfondare questa porta. Non voglio sorprese, voglio un vantaggio.” Stavolta si girò per osservare il compagno d’Aria dritto negli occhi; nei propri era calata quella decisione che gli era tipica quando doveva entrare in azione. Yuzo comprese che la sua mente era focalizzata solo su quello che bisognava fare. “Puoi fare in modo che dopo di te il varco si chiuda?”
    “Posso fare di meglio: posso distruggere l’Amplificatore.”
    Fu la risposta migliore che Mamoru avrebbe voluto sentire. “Perfetto, allora. È tutto tuo, Hajime.”
    Il Tritone si spostò di qualche passo in direzione dell’Amplificatore e fece cenno agli altri di fargli spazio. Terra, Fuoco e Aria, assieme al Principe e alla Chiave si allontanarono, lasciandogli campo libero.
    Hajime rigirò l’Aprivarco nella mano un paio di volte, fissando il cuore pulsante dell’enorme cristallo che aveva davanti. Poi fermò il movimento e lanciò la chiave di trasporto verso il cielo.
    Ignios.(1)” L’onice brillò. Dal suo centro il potere emerse come acqua da una sorgente, sgorgò fino a riempire la pietra, poi tracimò. Il porpora si irradiò all’interno della mano del Tritone seguendo i percorsi dei capillari fino al polso. I vasi sanguigni principali, invece, furono invasi fino al gomito.
    Teppei seguiva i movimenti del compagno con sguardo teso e labbra strette, serrate, leggermente piegate agli angoli in una dimostrazione di amarezza e preoccupazione. Vedere Hajime che maneggiava la Magia Nera gli provocò una sensazione orribile.
    Al suo fianco, il volto di Mamoru era contratto in un’espressione seria e più distaccata, ma non gli sfuggì il sibilo del volante, alla sua destra. Si volse di scatto e lo vide reggersi la nuca, proprio dove aveva la pietra, stringerla e stringere gli occhi, digrignare appena i denti.
    “Stai male?” D’istinto gli afferrò il braccio e forse fu proprio quel contatto a fare in modo che Yuzo riuscisse a riprendere il controllo del proprio dolore. Lo murò dietro uno degli incantesimi mentali di Alastra.
    L’espressione tornò a distendersi, pur rimanendo concentrata.
    “La mia onice… percepisce il potere di quella di Hajime. Punge” spiegò il giovane, rivolgendogli un’occhiata fugace. Più che pungere e basta, era come se un ago arroventato gli venisse calato adagio nel collo, dentro la carne, fino ad arrivare alle ossa e poi ancora più a fondo. Lentamente. Ma ora che era stato isolato dalla sua mente, il dolore era divenuto più sopportabile. Il comportamento della pietra era differente rispetto quando si trovavano a Sendai. Allora, il monile di Hajime non aveva percepito l’attività di quella di Yuzo, in quanto la pietra non era stata ‘realmente’ attiva, ma solo in risonanza. Ora, invece, la pietra di Hajime era stata risvegliata e quella di Yuzo, quasi come fosse stata viva, l’aveva percepita e riconosciuta. Rispondeva al suo richiamo, mantenendosi in una condizione di quiescenza e attesa.
    Nel frattempo l’Aprivarco era rimasto sospeso a mezz’aria e ruotava perpendicolarmente attorno al proprio asse disegnando la stessa circonferenza ogni volta.
    Hajime sollevò la mano con l’onice oltre la propria testa e verso il prisma nero, mentre l’altra mano veniva poggiata dietro di essa.
    Nigra aperio hel, rash munc et, ram dala.(2)
    Quando usava gli incantesimi oscuri, Teppei si accorse che la voce di Hajime cambiava tono, si abbassava, assumeva una sfumatura più fredda e roca che gli faceva venire i brividi. Pregò che quella fosse la prima e ultima volta che gliela sentiva usare.
    L’Aprivarco smise di colpo di girare e venne colpito da un raggio di luce che nasceva dalla pietra di Hajime. Il raggio lo trafisse giusto al centro che assorbì il bagliore fino all’ultima goccia. Il raggio si interruppe, l’Aprivarcò si illuminò ed emise quello stesso raggio in direzione dell’Amplificatore. Il cuore dell’enorme cristallo pulsò più velocemente, come se l’energia al suo interno si fosse attivata e messa in circolo. Sotto il prisma di trasporto iniziò a concentrarsi una nebbiolina sottile che aumentò di dimensioni e consistenza, si fece grigia, globosa, come una nube temporalesca. Poi spalancò le fauci e il varco fu aperto, ma per nulla invitante. Il suo interno era nero, oscuro, pervaso da bagliori porpora e cremisi che tracciavano disegni astratti. Nascevano e morivano.
    Hajime abbassò il braccio, mormorando subito quel: “Closus(3)” e agitando freneticamente la mano. “Maledizione! Fa male!” ringhiò, aprendo e chiudendo le dita. I rigagnoli di magia iniziarono a ritirarsi velocemente.
    Teppei raggiunse subito l’amico di sempre, per accertarsi delle sue condizioni, ma quando l’altro si volse ebbe un chiaro sussultò che lo fece addirittura arretrare d’un passo; il volto era una maschera di sconcerto. L’occhio sinistro del Tritone era interamente nero, sclera compresa. Proprio come quelli degli Stregoni quando usavano la loro magia.
    Hajime non si sorprese e inspirò a fondo, riuscendo comunque ad accennare un sorriso. “Non avere paura. Non resterà così per sempre, l’occhio tornerà normale appena il potere dell’onice si sarà ritirato del tutto.” Lui si sentiva già fortunato per il fatto che non valesse per entrambi gli occhi, ma solo per uno. Questo perché il potere dell’onice era limitato e controllato, mentre negli Stregoni, e così anche negli Esecutori, la Magia Nera dilagava in ogni parte del corpo e dello spirito.
    “Scu-scusa… non volevo spaventarmi è solo che…” Teppei si grattò la massa riccia, esibendo un broncio mortificato. L’altro continuò a sorridere.
    “Sì, lo so. E’ strano.”
    “Molto.”
    Come Hajime aveva disattivato l’onice, così anche Yuzo aveva iniziato a sentirsi meglio, il dolore era scemato velocemente, tanto che non ebbe più bisogno dell’incantesimo di contenimento. Inspirò a fondo e massaggiò piano la nuca ancora per un attimo, prima di ritrarre la mano.
    “E’ passato?” Mamoru era rimasto al suo fianco, il braccio ancora stretto e l’espressione che era un misto tra il severo e il preoccupato.
    Lui annuì, sorridendo fugace. “Sì, sono a posto ora.”
    La Fiamma non si sentiva a posto per niente. Vederlo soffrire per quella maledetta pietra, ricordarsi improvvisamente di tutto quello che era accaduto a causa sua e di come l’onice non facesse altro che unirli e separarli di continuo gli mandava il sangue alla testa. Tutti quei segreti, tutto quel dolore. Per la prima volta desiderò ardentemente che quella missione finisse il prima possibile cosicché Hajime e Yuzo potessero finalmente liberarsi di quel maledetto fardello.
    “D’accordo…” masticò, annuendo e serrando le labbra. Lo lasciò andare e inspirò a fondo per concentrare energie e pensieri su di un unico obbiettivo. “D’accordo” disse di nuovo, con maggiore decisione. “Muoviamoci come ci eravamo organizzati. Andiamo.”
    Mamoru fece brillare una sfera di fuoco nella mano. Non sapevano cosa li avrebbe aspettati dall’altra parte ed era meglio tenersi pronti a tutto. Avanzò con passo sicuro fino al varco. Sembrava una bocca vorace pronta a inghiottirlo, ma non se ne lasciò intimorire. Abbassò il capo e l’attraversò. Hajime fu subito dietro di lui, anche se vederlo sparire in quel modo era inquietante.
    Subito dopo il Tritone, Teppei fece cenno col capo al Principe e alla Chiave, che si era aggrappata al braccio del giovane Ozora e aveva un’espressione terrorizzata, proprio lui che, in teoria, avrebbe dovuto essere una creatura ‘superiore’. Avanzarono insieme, fianco a fianco.
    “Ci vediamo dall’altra parte” disse il tyrano al volante, prima di scomparire assieme agli altri.
    Rimasto solo, Yuzo raggiunse il tavolo su cui erano posti gli altri Aprivarco. Li raccolse tutti al centro della superficie e vi levò sopra le mani. L’elettricità dei fulmini li mandò in frantumi con un suono sibilante e acuto. Almeno per un po’, non avrebbero potuto seguirli, anche se di sicuro dovevano avere altri Aprivarco sparsi per la base.
    Da fuori i rumori degli incantesimi degli Stregoni che li stavano inseguendo si erano fatti sempre più forti e a lui non era rimasto molto tempo. Si posizionò davanti al passaggio aperto e sollevò una mano in direzione del portone. I cardini di metallo erano ciò che facevano al caso suo. Prese la mira e poi lanciò delle potenti scariche verso uno di essi. Il fulmine rimbalzò sugli altri e ritornò indietro l’attimo dopo che lui ebbe attraversato il passaggio, per colpire in pieno l’Amplificatore. Il cristallo venne avvolto da una ragnatela di pura elettricità, infrangendosi in centinaia di pezzi nell’attimo stesso in cui gli Stregoni riuscirono a sfondare l'ingresso e a entrare. Si trovarono davanti quella luce abbagliante che correva come un enorme serpente per tutta la stanza. Videro l’Amplificatore crollare in luccicanti frammenti. Uno di essi colpì l’ultimo Aprivarco rimasto, quello che gli Elementi stavano usando, e questo perse il contatto con l’incantesimo, rovinò al suolo e si spezzò a metà. La voragine si richiuse, come una fauce che aveva appena concluso il suo lauto pasto. Nel buio che improvvisamente era piombato nella stanza, riecheggiò, straziante e furente, quell’infinito: “No!

    Passare attraverso un Aprivarco si rivelò essere un’esperienza tanto strana quanto immediata.
    Yuzo non riuscì a farsene un’idea chiara dopo un solo tentativo. Ne avesse avuti altri tre o quattro, forse sarebbe stato in grado di darne una sua interpretazione, ma al momento si accontentò a dire che era stato ‘strano’. Si entrava in un pozzo nero e purpureo che era bi e tridimensionale contemporaneamente. Appariva come un corridoio dove, dall’altra parte, vi era l’uscita, ma il passaggio fu così rapido che non ebbe l’impressione di averlo percorso, quanto che si fosse accorciato da solo. Nell’attimo in cui si rese conto di tutto questo uscì al varco opposto.
    La prima cosa che realizzò fu che si trovavano all’esterno. L’aria lo investì in pieno, libera e molto più fredda di quella che circolava all’interno della base o fuori di essa. Ma non era gelida, quanto tagliente. La seconda, fu che nessuno li stava attaccando, e che i suoi compagni erano in salvo, proprio davanti a lui. La terza fu che la spianata era enorme. Così vasta che non riusciva a vederne la fine, quanto la strana catena montuosa che la costeggiava nel punto di fuga. Non comprese dove si trovasse né quanto distante fossero dall’altro Amplificatore, così decise di guardarsi attorno. Alla sua destra la spianata proseguiva vastissima, forse addirittura più vasta delle Pianure di Bryzla che si estendevano sotto la Scuola di Alastra. Il terreno non era perfettamente livellato, ma accidentato e pieno di spuntoni di roccia viva. Poi, stringendo lo sguardo gli sembrò di scorgere delle figure in lontananza. Una moltitudine di figure. Un’orda di figure. Un esercito.
    Le bandiere con i vessilli oscillavano al vento, ma erano troppo lontani perché riuscisse a riconoscerli. Riconobbe, invece, le figure schierate in… volo. Non erano uccelli, perché restavano immobili a mezz’aria. Non potevano essere Stregoni perché non avevano incantesimi che ne permettessero il volo. Allora non potevano che essere…
    “…fratelli…”
    L’espressione perplessa si aprì in un sorriso luminoso come il sole che, si accorse solo in quel momento, non sembrava voler comparire, nascosto da una spessa coltre di nubi.
    Era l’Armata Reale accompagnata dalle forze elementali. Erano al fronte, nell’estremo Nord, dall’altra parte del mondo. Erano arrivati alla fine del viaggio.
    “Ce l’abbiamo fatta” disse, quasi non riuscendo a credere alle proprie parole. “Ragazzi, ce l’abbiamo fatta! Abbiamo raggiunto l’Esercito del Re! E’ incr-”
    “Non abbiamo… raggiunto solo loro.” Mamoru freddò il suo entusiasmo con un tono che era un misto tra tensione, timore e qualcosa che non riuscì a comprendere.
    Solo allora, per l’ennesima volta, Yuzo si accorse che tutti i suoi compagni, compresi il Principe e la Chiave, davano le spalle al proprio esercito per guardare qualcosa nella direzione opposta. Qualcosa di molto più interessante.
    Il volante si volse e il sorriso morì sulle sue labbra in un attimo. Gli bastò che la figura imponente e massiccia di un uomo bardato di tutto punto, a dorso di uno stallone nero, entrasse nel suo raggio visivo e fosse talmente vicina da poterne distinguere le lavorazioni dell’armatura per fargli prendere coscienza dell’effettiva realtà. Sulla sua testa, sventolava un vessillo nero con una spada al centro. Un vessillo che conosceva e visto che l’uomo in questione sembrava essere il comandante dell’enorme esercito schierato alle sue spalle, Yuzo comprese al volo che quello non poteva essere che Minato Gamo in persona.
    Sì, erano arrivati dall’altra parte del mondo, nella linea di confine che separava il Bene dal Male; sì c’erano i loro compagni ad attenderli, il Re, il suo Esercito… ma erano comparsi troppo vicini alla fazione sbagliata.
    Minato sistemò le mani sulla sommità della sella, la celata dell’elmo era già alzata e il suo sguardo scuro fissava i sei venuti con curiosità e anche un filo di ironico divertimento. Si sporse. Le Legioni del Nord erano schierate tutt’intorno a lui in un numero incalcolabile.
    “E voi?” chiese, deformando le labbra in un ghigno. “Da dove diavolo siete sbucati?”

     

    E tutto gira in una ruota infinita
    che rimescola insieme il destino e la vita,
    e alla fine di un viaggio ci si può ritrovare
    sul fronte di una battaglia che sta per scoppiare.

     


    [1]“IGNIOS”: “Inizia” / “Comincia”

    [2]“NIGRA… DALA” : “Apri ora, al mio comando, il varco oscuro”

    [3]“CLOSUS”: “Termina”


    …Il Giardino Elementale…

     

    EHM.
    XD
    Lo so, sono tantissime informazioni tutte in una sola volta.
    Habemus Chiave, habemus verità sul Nero, habemus grave notizia sull’onice.
    \O/ E Yuzo e Mamo! \O/ Stavolta il litigio è più serio e ferisce entrambi in modi diversi. T^T
    Riusciranno a venirne fuori? Ma, soprattutto, riusciranno a venire fuori dal casino epocale in cui sono andati tutti a ficcarsi?! XD
    Ecco qua, le fila sono state tirate e coloro che erano dispersi sono finalmente riuniti in uno stesso luogo.
    La battaglia per la salvezza del pianeta ha finalmente inizio :)

    Il penultimo capitolo termina qui e non ci resta che aprire la strada al gran finale! Avrei voluto darvi il capitolo 16 in continuità con questo, ma preferisco prima completarlo e poi iniziare a metterlo online. Per ora ho terminato ben tre parti, ma credo che me ne manchino almeno altre due. E' quindi piuttosto sicuro che l'aggiornamento della prossima settimana salterà, però non temete, la scrittura procede benissimo; il fatto è che è un capitolo mortalmente complicato a causa dei salti dai vari personaggi e punti di vista, ma abbiate fede. :DDDD
    Vi ringrazio infinitamente per aver continuato a leggere e vi rimando ai fuochi d’artificio che spero scoppieranno al più presto!!! :D


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 48
    *** 16 - This is War - parte I ***


    Nota Iniziale: Questa nota mi è doverosa per informare i lettori che questo… non sarà l’ultimo capitolo come, in pratica, avrebbe dovuto essere fino a pochi giorni fa. XD
    Alla fine è spuntato un diciassettesimo capitolo che non sarebbe potuto rientrare né alla fine di questo capitolo 16 né nell’epilogo.
    Ma non vi preoccupate!
    Il famoso capitolo aggiuntivo è già stato scritto! :3333
    In pratica, ora mi manca solo l’epilogo che ho già iniziato. Fino a che non l’avrò completato, aggiornerò una volta a settimana, ma quando anche l’epilogo sarà completo allora ho deciso che aggiornerò due volte a settimana, questo per permettervi di avere la storia entro la fine dell’anno. :)
    Avevo promesso che “Elementia: The War” sarebbe terminata entro il 2012 e l’impresa sta per essere realizzata, solo che per potervi permettere di leggerla tutta entro quest’anno, allora dovrò aggiornare un pelino più spesso… questo perché il Capitolo 16 sarà composto da ben SETTE parti; il Capitolo 17 è unico mentre l’Epilogo non importa quanto sarà lungo, lo pubblicherò tutto intero. :D
    Vi ringrazio fin da ora per essere stati con me lungo tutti questi anni, posso finalmente annunciarvi che l’ultimo atto della Grande Guerra per la salvezza di Elementia sta per cominciare!

     

    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte I)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    “A warning to the people /
    Un avvertimento alle genti,
    the good and the evil /
    al buono e al cattivo:
    this is war /
    questa è Guerra.
    To the soldier, the civilian /

    Al soldato, al civile,
    the martyr, the victim /
    al martire, alla vittima:
    this is war /
    questa è Guerra.

    30 Seconds to MarsThis is War

     

    Per quanto lo sguardo di Ryoma Hino fosse puntato lontano, verso la spianata, le orecchie ascoltavano tutto quello che l’Airone di Cristallo stava dicendo.
    Arroccati sul punto più in alto, gli ufficiali di grado maggiore, il Re e i quattro Master stavano facendo il punto sulla strategia di attacco.
    “Non sono d’accordo.” Koudai Ozora interruppe l’Airone, con espressione grave.
    “Ne abbiamo parlato a lungo, Vostra Maestà, è la soluzione migliore.” Il Comandante Hongo, sempre al suo fianco, cercava di farlo ragionare. “Non è sicuro, per voi, condurre la carica del primo assalto. Siete pur sempre il Re di queste terre, cosa accadrebbe se periste nello scontro? Con il Principe Tsubasa ancora disperso, lascereste tutto nelle mani della Regina e sarebbe un compito troppo gravoso per le sue fragili spalle.”
    Koudai scosse il capo, emettendo un lungo respiro. Sapeva che Roberto aveva ragione, ma si sentiva comunque a disagio nel dover mandare avanti i suoi soldati, senza essere lì a guidarli. Non voleva essere da meno di Gamo che, conoscendolo, sarebbe stato di sicuro a capo dei suoi; il primo a gettarsi nella mischia senza risparmiarsi.
    L’intervento dell’Airone riuscì a farlo ragionare in maniera più lucida. Aveva un modo di lanciare stoccate, Master Misugi, che era sottile e preciso come uno spillo, ma sapeva far male come una spada.
    “Questa è solo una battaglia e non è detto che sarà l’ultima, ma prima di qualsiasi scontro o rivalsa personale ci sono priorità cui guardare. E nel vostro caso la priorità è solo una: la salvaguardia del Regno. Moltissima gente dipende da voi, se doveste morire solo per una questione di principio, loro perderebbero la guida su cui fanno affidamento. Quindi, cercate di esser pratico.” Stemperò il tono in favore di uno più conciliante e comprensivo. “I vostri uomini non saranno da soli, il Comandante Hongo e il Primo Ufficiale Hino saranno alla loro guida. Non sono certo io colui che deve dirvi di non dubitare del loro valore né della loro abilità.”
    Koudai annuì, arrendendosi all’evidenza. “Non ne ho mai dubitato in vita mia. E avete ragione voi, Master Misugi; cercherò di essere più responsabile. Dunque, ricapitolatemi il piano.”
    L’Airone annuì e Genzo prese la parola. “L’Avanguardia di Terra darà il via alle danze al momento opportuno, in modo da confondere lo schieramento avversario. Hongo e Hino guideranno la carica della prima fila, coperti da una tempesta di sabbia a opera dei Magister dell’Aria. L’Avanguardia di Fuoco partirà con il primo assalto attaccando dall’alto, a dorso dei màlayan. Dei Tritoni, solo Master Matsuyama vi prenderà parte, mentre gli altri arriveranno al secondo giro per aprire la strada al Re. Gli Elementi d’Aria restanti faranno da copertura alle ritirate e si occuperanno dei feriti. Tutto chiaro?”
    Le teste dei presenti si mossero contemporaneamente in maniera affermativa.
    “Vostra Maestà, voi guiderete la carica successiva a capo della seconda fila di soldati. Come detto, i Tritoni vi apriranno la strada liberandovi il campo.”
    “Ho capito, Master Wakabayashi.”
    Mentre li ascoltava continuando a guardare il nemico in lontananza, Hino pensò che il piano non facesse una grinza. Ma era così per ogni strategia; funzionava sempre tutto se non si considerava la reazione avversaria, e lui continuava a domandarsi come gli uomini di Gamo avrebbero potuto contrattaccare. Si sarebbero fatti coprire dagli incantesimi degli Stregoni? Da quello che ne sapeva, i Maghi Neri non potevano volare e le loro magie non avevano chissà quale gittata. Una copertura magica sembrava essere poco probabile. Se fosse avvenuto il contrario e quindi Gamo e le sue Legioni avessero fatto da copertura agli Stregoni sarebbero stati sbaragliati molto facilmente sia dagli uomini di Hongo, dal basso, che da quelli di Hyuga dall’alto. Doveva esserci il famoso ‘asso nella manica’. Per quanto folle – visto che aveva voluto attendere che gli Elementi fossero tutti al completo –, Gamo non era stupido.
    Hino espirò velocemente risolvendosi che l’unico modo per scoprire i suoi piani sarebbe stato quello di averlo finalmente davanti. La cosa non lo impensieriva minimamente.
    Ovvio, questo non gli fece distogliere comunque lo sguardo, perché preferiva avere sempre l’occhio puntato sulle Legioni avversarie in modo da poter cogliere qualsiasi stranezza. Come quell’improvviso bagliore davanti alla linea di attacco nemica, ad esempio.
    Ryoma Hino strinse gli occhi e si sporse.
    “Comandante Hongo, sta succedendo qualcosa.”
    Il Primo Ufficiale non perse tempo e si attirò subito l’attenzione degli alti comandanti a partire dal suo diretto superiore.
    Hongo si affiancò al giovane, mentre il Re e i Master rimanevano fermi.
    “Di che si tratta?”
    “Non saprei, signore. C’è stato l’ennesimo bagliore, come ne abbiamo visti spesso in questi giorni.”
    Matsuyama volle controllare e si avvicinò ai due militari. “Saranno arrivati dei rinforzi?”
    Nh. Troppo pochi, e poi non erano vicini all’Amplificatore di Aprivarco, ma davanti allo schieramento.” Ryoma scosse il capo e pescò uno dei cannocchiali da sopra il raffazzonato tavolo in pietra. Lo puntò in direzione della linea avversaria e scrutò i movimenti nemici.
    “Sono solo in sei” disse.
    “No, non sono rinforzi” convenne allora l’Aquila di Mare.
    “E non sono neppure Stregoni…”
    Stavolta fu addirittura Hyuga a muoversi. “E allora che diavolo sono?”
    Ryoma levò lo sguardo al cielo, infastidito dal tono supponente di cui il Master del Fuoco non sapeva liberarsi; soprattutto quando si rivolgeva a lui. “Sto cercando di capirlo” sbottò di rimando con altrettanta supponenza, poi tornò a guardare nel cannocchiale.
    I sei gli davano le spalle e dai loro abiti sembravano persone comuni che avevano visto tempi migliori. Se fossero stati Stregoni, avrebbero avuto il mantello con i simboli della gilda ricamati in oro. Osservò meglio i loro movimenti e notò che quello con i capelli lunghi e neri sembrava quasi voler ‘proteggere’ il giovane dietro di lui. E così anche gli altri.
    Tre di loro – il capellone di cui sopra, il riccio e un altro con arruffati capelli neri – si erano come schierati in prima linea, mentre un ragazzo alto e dai capelli corti era subito alle loro spalle, restava vicinissimo al protetto e a un altro. Dava l’idea di uno pronto ad afferrare i due e correre via.
    Non ci stava capendo niente. Almeno fino a che il famoso protetto non si girò a guardare quello alto al suo fianco e, nel profilo, lo riconobbe.
    “Porca di quella…” Ryoma abbassò il cannocchiale. Se non lo avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto. “E’ il Principe!”
    “Il Principe?!” sbottarono in coro Matsuyama e Hongo. Il primo tolse il cannocchiale di mano a Hino e controllò.
    “Santa Yoshiko nel fondo del mare! È lui davvero! Jun, guarda! Non sono i ragazzi che abbiamo mandato alla sua ricerca?” L’Aquila di Mare allungò l’oggetto al Master dell’Aria e questi cercò subito di verificare.
    Riconobbe il Principe e il ragazzo al suo fianco non poteva che essere il figlio del Console Shiroyama. “Questo è un segno delle Dee.”
    “Un segno?” Kojiro non sembrava altrettanto ottimista. Aveva preso il secondo cannocchiale lasciato sul tavolo e stava controllando, mentre Jun dava il suo al Re che voleva accertarsi davvero che fosse Tsubasa e che fosse vivo, vegeto e salvo. “Fosse stato un segno sarebbero comparsi da questa parte” ringhiò, abbassando l’oggetto e guardando fisso davanti a sé. “Invece stanno finendo dritti nelle braccia del nemico.”

    “E voi? Da dove diavolo siete sbucati?”
    Minato Gamo li guardava divertito e anche vivamente sorpreso. Quindi erano loro i quattro Elementi di cui avevano parlato le spie. I quattro Elementi che avevano dato filo da torcere agli Stregoni del Nero e che, sorpresa delle sorprese, erano anche riusciti nel loro intento: liberare il Principe.
    Puntò lo sguardo proprio su di lui, arrivando anche a togliersi l’elmo affinché gli inaspettati ospiti potessero vederlo bene in viso. “Vostra Altezza Tsubasa. Quale onore avervi qui. Perdonate se non ho mandato la banda ad accogliervi come si deve, ma non sapevo che foste diretto al Nord. Tutt’altro. Devo dedurre che il Sud non sia stato di vostro gradimento?” Lentamente si volse per lanciare un’occhiata eloquente al Nero che restava scompostamente in groppa al proprio cavallo. “Per caso non sei stato un buon padrone di casa, Natureza?”
    L’interpellato non sembrò accusare il fatto che Gamo avesse scoperto il suo piccolo segreto, anzi, mostrò un allegro e candido sorriso che gli illuminò il viso e gli occhi nocciola chiaro così intensi e trasparenti.
    “Oh, le tue spie ti avevano già informato? Non si possono più fare le sorprese al giorno d’oggi.”
    Minato incupì l’espressione. “Quando avresti voluto mettermene a parte?”
    “Avrei dovuto?”
    La cosa che più mandava Gamo in bestia era la totale faccia di bronzo del Nero. Anche l’esser stato smascherato non sembrava minimamente toccarlo, come se lui fosse sopra a ogni cosa.
    “Non sapevo fossi interessato al giovane Principe, se l’avessi saputo prima-”
    “Non sapevi fossi interessato?” fece eco. “Non provare a prendermi per i fondelli.”
    “E tu non essere così rigido.” Il Nero era l’unico che si permetteva di rispondergli a tono, forse perché consapevole di quanto Gamo necessitasse del suo appoggio magico. “Non volevo certo toglierti il divertimento di affrontare il Re sul campo di battaglia; non eri tu quello che voleva la guerra epocale, sangue e morte per vendicare l’orgoglio di famiglia?” Natureza cambiò postura sul cavallo; sembrava starci proprio scomodo tanto che spostò le gambe ambedue da un lato e si appoggiò al capo dell’animale che non protestò, ma lo lasciò fare. “Dovresti ringraziarmi, invece. Adesso hai sia il Principe che il tuo tanto odiato Ozora, addirittura nello stesso posto.”
    Minato tornò a calcarsi l’elmo sul capo, chiudendo con asprezza quella conversazione. “Ne riparleremo a suo tempo.”
    Natureza si strinse nelle spalle. “Se credi sia necessario.” Si disinteressò totalmente all’uomo e rivolse tutte le sue attenzioni sugli Elementi.
    Così, quello era il Nero.
    Mamoru non gli aveva staccato gli occhi di dosso da quando Gamo lo aveva introdotto nel discorso.
    Quello era il traditore di Alastra e di tutti gli Elementi del Regno.
    Quello era l’Esecutore perennemente attivo o, come l’aveva chiamato Hajime, ‘consapevole’.
    Quello era l’uomo privo di Inconscio.
    Forse Yuzo non esagerava quando insisteva nel dire che era ‘diverso’. Mamoru lo comprese guardando quegli occhi che non avevano alcuna ombra e lui, le ombre le conosceva, le aveva sempre viste nel proprio, di sguardo, o in quello di Yuzo, prima di arrivare a Ghoia. E sapeva anche come si presentasse uno sguardo limpido, che non significava per forza fosse ‘privo di colpa’, ma solo ‘privo di segreti’ e lati oscuri. Natureza era così come appariva. Aveva un magnetismo tutto suo e a primo impatto non sembrava affatto cattivo né uno che aveva come scopo quello di distruggere il genere umano per rendere Elementia di nuovo un pianeta libero. Però se qualcuno gli avesse detto: ‘Ehi! Natureza è uno capace di ucciderti mentre ti sorride, declamando la bellezza della natura’ lui gli avrebbe creduto.
    Vide il Nero guardare nella loro direzione e fermare le iridi nocciola chiaro, che risaltavano come topazi sulla pelle scura, prima sul Principe e poi… poi rivolgerle a Yuzo, accennando anche un saluto col capo, quasi avesse voluto dire: ‘Che sorpresa! Da quanto tempo non ci vediamo!’.
    Senza accorgersene, Mamoru indurì lo sguardo provando un incontenibile fastidio. Detestava che proprio lui, traditore impenitente, osasse prendersi tale confidenza con l’uccellino. Il suo. Sì. Proprio il suo. E se nemmeno qualche ora prima s’era sentito sciocco e fuori luogo nel pensarlo tale, adesso il disagio non gli era passato nemmeno per l’anticamera del cervello. In quel momento si dimenticò persino della delusione provata nella stanza dell’Amplificatore di Aprivarco. Tutto quello che voleva era tenere il Nero lontano da Yuzo, proteggerlo, perché Natureza era di sicuro l’avversario più pericoloso che avessero mai incontrato.
    “Spero non vi dispiaccia se vi prendo sotto custodia.” Gamo era tornato a far sentire la sua voce, drizzandosi meglio sul dorso del Colosso.
    E stavolta fu il loro turno di rispondere. Mamoru aveva poco tempo per pensare e trovare una strategia che li facesse allontanare da lì, ma aveva bisogno di tergiversare e l’unico modo che aveva era di distrarlo con le chiacchiere.
    “A dire il vero, sì. Eravamo attesi altrove. Converrete che non sarebbe appropriato far attendere il Re.”
    Mantenendo quella sorta di sorriso di circostanza che sottolineava l’ironia dell’intero botta e risposta, Mamoru fece cenno agli altri di arretrare lentamente. La voce di Gamo li fece arrestare che si erano distanziati solo di un paio di passi.
    “Hai coraggio, ragazzo. Ma non sempre ‘l’avere fegato’ ripaga con l’avere salva la vita.” Gli occhi scuri del Signore del Nord mostravano chiaramente tutta la minaccia celata dietro al mezzo sorriso e alle parole pronunciate con calma.
    Mamoru comprese che se avesse tirato troppo la corda c’avrebbero rimesso tutti la vita, ma arrivati a quel punto importava solo portare via il Principe, e prima che fosse stato Gamo stesso a levare il primo colpo di spada lo avrebbe anticipato.
    Portò le mani dietro la schiena con un gesto discreto affinché passasse il più inosservato possibile.
    “Se hai capito cosa voglio dire, sarebbe molto più saggio per voi accettare la mia offerta: arrendetevi, non costringetemi a essere più sgradevole di quanto sarò alla fine di questa battaglia.”
    Minato aveva assottigliato il sorriso sino a farlo sparire. Mamoru, sfacciatamente, mantenne il suo.
    Mentre Gamo parlava, Yuzo catturò il movimento delle dita della Fiamma. Gesti chiari, che gli stavano dicendo di tenersi pronto e portare via il Principe in volo.
    Il volante cercò di usare la stessa discrezione del compagno e si mosse in avanti in modo da tenere il Principe e la Chiave dietro di sé.
    Accanto alla Fiamma, Hajime spostava velocemente lo sguardo da lui a Gamo, in attesa di sapere cosa avrebbero dovuto fare. Il comando gli arrivò sottoforma di due dita strette che tracciavano una linea invisibile nel vuoto. Mamoru guardò appena il Tritone, celando il gesto agli occhi avversari come fosse stato solo un’occhiata di circostanza, poi tornò a guardare Gamo.
    “Sarete ugualmente spiacevole” disse, il piede avanzò e toccò terra in un modo che stavolta fu recepito da Teppei. A ognuno di loro, nella maniera più discreta possibile, Mamoru aveva dato un ordine utilizzando il linguaggio convenzionale dei segni elementali. “Allora perché rendervi le cose più facili? Se è guerra… venite a conquistarvi i prigionieri!”
    Tra i palmi generò delle minacciose lingue di Fuoco che diedero il via al suo piano.
    “Teppei! Hajime!” chiamò in azione i compagni rilasciando delle vive spirali infuocate che colsero di sorpresa i soldati della prima linea e fecero impennare i cavalli. Teppei colpì il suolo col piede creando una serie di destabilizzanti scosse sismiche, mentre Hajime levava un muro d’acqua che isolò loro tre e l’esercito di Gamo da Yuzo, la Chiave e il Principe.
    Il volante non perse tempo, si volse e afferrò entrambi per la vita spiccando il volo e allontanandosi a tutta velocità.
    Purtroppo, Mamoru aveva fatto i conti senza il Nero. Nonostante la discrezione della Fiamma, Natureza manteneva vivo il suo retaggio elementale. I comandi che Mamoru aveva impartito ai compagni non gli erano sfuggiti e si era mosso sulla sella assumendo la posizione migliore per spiccare un balzo.
    Quando il muro d’acqua fu eretto, lui partì all’inseguimento. I poteri di Alastra erano ancora con lui, più forti di quanto fossero mai stati e il volo con essi, mentre perforava l’incantesimo del Tritone con uno di Magia Nera in cui si avvolse a mo’ di scudo.
    Il Nero è riuscito a passare!” gridò Hajime nella concitazione dell’attacco e tutto ciò che Mamoru poté fare in quel momento fu di volgersi e vedere come il foro si richiudesse rapidamente nell’acqua.
    “Merda!” sibilò. Se il solo fatto che il Nero avesse salutato Yuzo lo aveva infastidito, il pensiero che ora gli fosse corso dietro per affrontarlo gli piacque molto, molto meno. Infinitamente meno. Da come il volante ne aveva sempre parlato, dal fatto che fosse un Cavaliere dell’Onice anomalo in negativo, capì che in uno scontro diretto l’uccellino non ce l’avrebbe mai fatta.
    Dobbiamo impedire agli altri di rompere la linea!” gridò Teppei; che stava a significare, per lui, di non poter correre in aiuto di Yuzo. Il loro compito era di trattenere gli avversari il più possibile. Il volante avrebbe dovuto cavarsela da solo.
    A distrarlo dalle sue preoccupazioni, un tremore più forte arrivò fin sotto i loro piedi.
    “Che cavolo…” Mamoru guardò in basso. “E’ opera tua, Teppei?!”
    “No!” sorrise il tyrano, interrompendo le scosse. “Ma arriva proprio al momento giusto!”
    Il fronte interessato dall’attacco solitario copriva una distanza massima di circa cinquecento metri. Un niente se paragonato all’enormità dello schieramento di Gamo, ma quel tremore interessava una zona molto più vasta e gli animali dei cavalieri che avrebbero dovuto condurre il primo assalto iniziarono a innervosirsi mentre quelli interessati dall’attacco dei quattro Elementi si erano già imbizzarriti, alcuni stavano bruciando vivi sotto le fiamme di Mamoru.
    In quei brevissimi istanti, Gamo non ebbe nemmeno il tempo di cogliere lo scatto fulmineo del Nero, riuscì solo a sciogliere lo scudo dal gancio della sella per impugnarlo, poi si levarono le prima grida di dolore e il rombo emerse in superficie assieme a degli enormi vermi dagli occhi ciechi coperti da una lunga striscia di cuoio lavorato e le fauci spalancate che, assieme alla terra, macinavano i primi corpi.
    Un grido d’allarme sovrastò gli altri. “Iktàba!
    Teppei si volse ai suoi compagni, un sorriso amplissimo e trionfale gli illuminava il viso.
    “E’ l’Avanguardia di Terra!”

    Quando Mamoru aveva dato il segnale per far partire il diversivo, Yuzo si era girato di scatto e aveva agguantato il Principe e la Chiave senza dare loro il tempo di capire cosa stesse accadendo.
    “Reggetevi!” era stato tutto ciò che gli aveva detto, prima di abbandonare il contatto col suolo. Per sua fortuna il Principe era piuttosto leggero, mentre la Chiave era un po’ più pesante: poteva trasportarli entrambi senza perdere troppo terreno.
    Per tutte le mie madri!” urlettò Ryo aggrappandosi al volante come una biscia.
    “E gli altri? Che ne sarà di loro?” Il Principe tentò invano di girarsi a guardare alle loro spalle, ma la velocità con cui fendevano l’aria esercitava una pressione troppo difficile da contrastare. Tutto quello che riuscì a fare fu di sollevare lo sguardo al profilo di Yuzo dalle labbra tese e l’espressione severa. Nemmeno lui era felice di essersi lasciato i compagni alle spalle e cercava di volare il più velocemente possibile per raggiungere la fazione degli Ozora, mettere al sicuro Principe e Chiave e poi tornare da loro.
    L’idea di dover affrontare una battaglia, di dover combattere, ferire, uccidere… non lo spaventava più.
    “Sapranno cavarsela, Vostra Altezza, non temete” fu la secca risposta ed era sicuro, come si era sicuri del proprio nome, che quando li avrebbe raggiunti, sarebbero stati ancora tutti e tre vivi.
    Il Principe non aggiunse altro. Le sue visioni continuavano a divenire più nitide, un po’ alla volta, e anche in quel momento, se ripensava a ciò che aveva visto, le immagini apparivano chiare in flash più lunghi. Chiuse gli occhi e cercò di scorgere i quattro Elementi per avere delle certezze. Udì clangore di spade, grida, esplosioni di incanti. Poi vide i ragazzi e si osservò correre assieme a loro, a piedi, tra cavalli volanti e bestie mai viste, tra sangue e soldati dai colori mischiati tanto che non era più importante distinguere quelli di Gamo da quelli di suo padre. Tre degli Elementi sorrisero e si separarono dal gruppo. Le immagini saltarono e li rivide tutti e quattro a terra, disseminati come i cadaveri che giacevano a centinaia nella Lingua di Serpe. Al centro torreggiava, sorridente, la malefica figura del Nero.
    Tsubasa riaprì gli occhi di scatto e il Nero fu proprio ciò che scorse. Era comparso all’improvviso sulla loro traiettoria.
    Yuzo fu costretto a deviare all’ultimo per non finirgli addosso e uccidere entrambi nell’impatto. Ma per quanto si spostasse, il Nero gli appariva davanti, a sbarrargli la strada.
    Il volante si fermò, inspirando più volte per recuperare fiato; volare a quella velocità con della zavorra era più stancante che volare da soli.
    Il sorriso di Natureza sembrava essere tatuato sulle labbra. Non l’abbandonava mai, con quella sua piega che illudeva perché sembrava essere innocua, quando invece nascondeva una mano assassina.
    “Yuzo Shiroyama” sillabò adagio, annuendo con una certa soddisfazione. “Dannazione, sei proprio tu.”
    Yuzo non mutò l’espressione in cortesia, ma gli occhi rimasero stretti e lo sguardo aggressivo e guardingo insieme.
    “Sono davvero felice di rivederti, dopo tutti questi anni. Sei il primo alastro che incontro da quando mi hanno cacciato.”
    “Tra le mani dei tuoi Stregoni ne sono passati svariati. Vuoi farmi credere che non hai mai partecipato ai loro ‘comitati di benvenuto’?” colpì il volante, ma il Nero agitò una mano.
    “No, la tortura mi dà noia. Detesto gli schiamazzi.” Natureza scosse il capo ridacchiando. I rasta dondolarono, molto più lunghi di quando li aveva avuti l’ultima volta che era stato alla Scuola dell’Aria. Prima erano corti sulla testa, adesso li aveva addirittura legati in un codino. Inclinò il viso di lato e guardò il figlio del Console da sotto in su con divertita curiosità.
    “Non mi sembri sorpreso di vedermi qui, ora; deduco che tu lo sapessi già.”
    “Sì.”
    Natureza assottigliò le labbra, ma il sorriso era sempre lì, consapevole della verità. “Sei uno di noi.”
    Lo sguardo di Yuzo venne stretto ancora di più e le labbra si arricciarono nel sibilare la risposta. “Sono un Cavaliere dell’Onice, ma non un traditore. Non paragonarmi a te.”
    “Nemmeno io sono un traditore.”
    “Hai una bella faccia tosta a negarlo.”
    “E’ la verità.” Natureza camminò nel vuoto avanzando di un passo che prontamente Yuzo compì all’indietro: il volante non voleva che la loro distanza si accorciasse, era già fin troppo ridotta.
    “Semplicemente, ho capito che la magia che regola questo mondo non è solo quella elementale. La Magia di Elementia sono… tutti i tipi di magia insieme: Elementale e Nera. Loro si compensano e mantengono l’ordine naturale delle cose. L’Equilibrio. Siamo noi o, meglio, siete voi quelli che stanno minando la stabilità di questo pianeta. Sono gli Elementi che vogliono annientare gli Stregoni e gli Stregoni, che vogliono annientare gli Elementi. La prevaricazione dell’uno sull’altro, l’arroganza di decidere chi è il Bene e chi il Male.”
    Nelle parole del Nero, Yuzo ripensò allo scambio che aveva avuto col Naturalista, all’affinità di ragionamenti dietro le sue azioni e scelte. Pensò a lui e non gli fu difficile comprendere il discorso di Natureza, comprendere che avesse un suo senso neanche tanto assurdo. Solo che non poteva accettare il mezzo attraverso il quale avrebbe voluto fare in modo che l’ordine tornasse a essere in equilibrio perfetto.
    “E non sei arrogante anche tu, che vuoi proclamarti salvatore del mondo annientando tutti gli altri esseri umani? Coloro che non sono maghi fanno parte del famoso equilibrio di cui parli, perché uccidere anche loro?”
    Il Nero si strinse nelle spalle, sorridendo con calore. “Ma perché sono probabili minacce, mi sembra ovvio. Il problema non va ‘arginato’ ma estirpato alla radice.” I suoi occhi brillavano di un nocciola così puro e trasparente da sembrare quello di un bambino innocente; cozzava così tanto con le sue parole che a parlare non sembrava nemmeno lui. “E, dopotutto, non sarebbe questa grande perdita. Gli uomini sono crudeli in maniera gratuita, dovresti saperlo. Tuo padre non ti ha forse dato in pasto al cavalierato?”
    “Mio padre non c’entra niente!”
    “D’accordo, allora non credi che il Consiglio sia stato crudele nel costringere un padre a fare del male al proprio figlio?”
    Yuzo non rispose.
    Natureza sorrise un po’ di più, poi abbassò lo sguardo. Sotto di loro vide cavalli e cavalieri in corsa; due maree in procinto di unirsi.
    “Anche loro sono crudeli. Stanno per farsi a pezzi solo perché qualcuno glielo ha ordinato, che sia un Re o un signorotto qualunque non importa. È giusto che muoiano in questo modo? Dov’è il vero Bene dietro tutto ciò?” Indicò un cadavere a caso abbandonato al suolo: rimasuglio di schermaglie precedenti la carica. “Chi consolerà la sua famiglia? Lo farete voi, Vostra Altezza? Andrete da sua moglie e dai suoi figli per dirgli che non tornerà perché è morto nel nome di vostro di padre o perché è morto come vile traditore del regno? Credete che a loro importerà qualcosa del motivo? Credete che farà la differenza?” Levò lo sguardo sul Principe. Il sorriso ancora lì, mentre abbassava il braccio. “Le bestie cacciano per fame, attaccano per difendersi. Gli uomini uccidono per piacere. È in questo che sta la crudeltà. Solo un bambino, all’apparenza, potrebbe sembrare innocuo e ‘puro’, ma non si può certo restare bambini per sempre.” Rise sottilmente stringendosi nelle spalle.
    Yuzo arricciò le labbra con rabbia e parlò prima che potesse farlo il Principe. “Con che diritto ti ergi al di sopra degli altri? La pecca degli esseri umani sta nella nostra fallacità, ma ciò non toglie che possiamo imparare dai nostri errori. Possiamo essere migliori. Non c’è alcun ‘bene’ in una guerra, ma non siamo diversi dalle bestie: anche noi attacchiamo per difenderci ed è quello che stiamo facendo adesso.” Fissò a lungo lo sguardo del Nero e questi sembrava così serafico da essere intoccabile, così perso nella sua concezione del mondo da essere lontano anni luce da tutti loro, troppo in alto, mentalmente inafferrabile.
    “Io non mi ergo, io ho uno scopo. E il mio piano non è uccidere qualcuno e lasciare vivo qualcun altro a mia discrezione, quanto uccidere tutti: è la giustizia della morte. Non mi interessa il bene dell’umanità, ma solo quello di Elementia. E il bene di Elementia non è l’uomo.” Levò lo sguardo al cielo sopra le loro teste, coperto di nubi, allargò le mani e sospirò. “Tornerà l’ordine e anche queste nuvole saranno spazzate via. Il Nord vedrà di nuovo il sole e il cielo azzurro.”
    Yuzo non poteva credere con quanta disinvoltura parlasse di sterminare gli uomini dal pianeta, tanto che scosse il capo e lo sguardo, da furente, si fece incredulo. Quello non era più il bambino con cui era cresciuto; del suo fratello d’Aria era forse rimasto solo l’aspetto, ma il cuore era scomparso.
    “E che ne sarà degli Stregoni? Non sono i tuoi compagni, loro?”
    Nel sorriso ampio di Natureza e nel suo sollevare le spalle, il volante trovò l’ennesima risposta.
    No, non era rimasto più niente di lui nei ricordi che aveva.
    “Non hanno idea… di quello che vuoi fare…”
    “Certo che no. Pensi che mi avrebbero seguito, altrimenti? Sono stati un mezzo. Molto utile, lo ammetto, ma comunque un semplice mezzo. Non ho più bisogno di loro.” Allungò una mano verso Yuzo. I denti bianchi risaltavano sulla pelle scura. “Allora, vuoi consegnarmi il Principe? Dopo potrai andare ad abbracciare i tuoi compagni, tanto morirai comunque.”
    Il volante strinse più forte la vita di entrambi i passeggeri che stava trasportando. Ringhiò con profonda acrimonia.
    “Scordatelo.”
    “Peccato.”
    Natureza chiuse le dita a pugno e nel momento in cui le riaprì un piccolo turbine di vento roteò nel palmo. Velocemente si avvolse su sé stesso e si compresse, formando una sfera grande quanto una biglia.
    Yuzo sapeva di essere una facile preda alla sua mercé perché con entrambe le mani impegnate non poteva usare incantesimi per difendersi, inoltre, la magia che il Nero stava per scagliargli contro era troppo veloce per essere schivata solo spostandosi: doveva essere deviata. Lui l’aveva usata per sfondare il portone che conduceva all’Amplificatore di Aprivarco.
    “Preparatevi…” mormorò affinché Ryo e Tsubasa potessero sentirlo. “Quando mi avrà colpito non sarò più in grado di reggervi. Usatemi come scudo per attutire l’impatto della caduta.”
    “Cosa?!” La Chiave si allarmò.
    “Non posso contrattaccare, rischierei di far cadere uno di voi due e non so se farei in tempo a riprenderlo.” Poiché la distanza che lo separava dal suolo era troppo poca.
    Tsubasa avrebbe voluto protestare con maggior vigore, ma il movimento di Natureza catturò il suo sguardo: aveva sollevato la mano, la sfera era così piccola, sollevata dal palmo, che non sembrava possibile fosse addirittura in grado di uccidere qualcuno. La richiuse nel pugno e poi la lasciò andare.
    Apparve e scomparve alla vista nello stesso attimo che lasciò la mano dello Stregone. Velocissima. Troppo per occhi normali.
    Yuzo strinse i propri preparandosi all’impatto, ma questo non avvenne con il suo corpo. Qualcosa deviò la sfera a metà percorso, mandandola a schiantarsi al suolo con un boato sordo. Terra, roccia e polvere si levarono in una nuvola, investendo i soldati in lotta.
    Il volante vide una figura in volo frapporsi fra lui e Natureza. L’armatura leggera gli copriva appena il petto e le spalle affinché non lo impacciasse nei movimenti. Un braccio era teso con il taglio della mano ancora in posizione di difesa.
    “Master Misugi…” Yuzo lo riconobbe subito, anche se gli dava le spalle.
    “Ottimo lavoro, Elemento Shiroyama. Conduci il Principe al sicuro, al Nero pensiamo noi.” La voce di Jun era ferma come l’aria immota nell’occhio del ciclone: una calma apparente, in procinto di spezzarsi.
    A riprova delle sue parole, Yuzo vide un màlayan fermarsi alle spalle del capo dell’AlfaOmega con in groppa Master Hyuga; il fuoco già divampava nei palmi delle sue mani. A quel punto, il volante non ebbe nemmeno bisogno di abbassare lo sguardo al suolo per comprendere che Master Wakabayashi e Master Matsuyama erano in attesa sul campo di battaglia, pronti per entrare in azione.
    “Forza, va’!” Misugi rimarcò con durezza e urgenza l’ordine di allontanarsi e Yuzo non indugiò. Rivolse un’ultima occhiata severa a Natureza, che lo ricambiò con il sempiterno sorriso sulle labbra, e poi sfrecciò lontano, per raggiungere la sua destinazione.
    Rimasti soli, il Nero spostò lo sguardo sul Master dell’Aria.
    “Così… sembra che sarete voi i miei primi avversari.”
    “Togli il ‘sembra’, megalomane” pungolò Kojiro, ma lui nemmeno si volse. Era con Misugi che voleva parlare, perché era quello che, tra tutti, poteva comprendere nella giusta misura le sue parole.
    “Non potrete salvarli da me né proteggerli in eterno, perché alla fine di questo scontro io sarò ancora in piedi e voi sarete morti.”
    Jun strinse gli occhi, disposto a tutto pur di dimostrargli il contrario.
    “Questo è ancora da vedere.”

    Quando era ormai a pochissima distanza dall’accampamento dell’Armata Reale, un gruppo di alastri gli venne incontro per aiutarlo.
    Yuzo rallentò fino a fermarsi.
    “Lascia che ci pensiamo noi, fratello.” Takeshi Sawada era di un anno più giovane di lui, ma aveva una mente sveglia. Prese il Principe dalle sue braccia, mentre Manfred Margas soccorreva Ryo.
    Il volante li lasciò alle loro cure. Nemmeno si rese conto che, oggettivamente, aveva appena concluso la missione.
    “Volate di filato nell’accampamento e non fermatevi fino a che non l’avrete raggiunto, intesi?” si raccomandò prima di voltarsi, pronto a tornare indietro. Takeshi lo afferrò per un polso, rivolgendogli uno sguardo stralunato.
    “Dove stai andando? Il nostro compito è occuparci della difesa…”
    Yuzo annuì, il sopracciglio inarcato e l’espressione decisa sul volto che presentava ancora il taglio che si era procurato nell’ultimo scontro con Faran Konsawatt.
    “Sì. Difendete. Io torno a combattere.”
    L’attimo dopo si era già liberato dalla presa di Takeshi per sfrecciare in direzione della battaglia.

     


    …Il Giardino Elementale…

     

    E ci siamo.
    Direi che, sì, ci siamo proprio.
    Il Capitolo 16 avrà una sola parola d’ordine: combattere. E di combattimenti sarà pieno dall’inizio alla fine, perché la guerra non si combatte solo a parole, ma anche con i fatti. E’ quindi giunto il momento che i due eserciti si muovano, che le somme vengano tirate e che l’inevitabile si compia.
    Fin da quando stavo organizzando la storia avevo deciso che il titolo dello scontro epico si sarebbe chiamato come la canzone dei 30 Seconds to Mars e che, ad essa, fosse fortemente ispirato (avrei voluto linkare il video originale - anche perché i video dei 30 Seconds to Mars sono STUPENDI -, ma la canzone non era nella sua versione integrale, e ho preferito sceglierne un altro in cui vi fosse per intero :D) .
    XD E non dite che questa canzone non è perfetta per un capitolo di guerra! Guerra per tutti, dal primo all’ultimo. Ogni volta che l’ascolto, mi sembra di vedere lo svolgersi dell’intera scena, riesco a immaginare gli eserciti di Elementi, Stregoni, Legionari e Soldati dell’Armata Reale che si mischiano, che si danno battaglia, che sguainano spade, danno vita a magie e versano sangue.
    Vederla sullo schermo sarebbe davvero epica. :D
    Quindi, fuoco alle polveri, mano alle spade e su gli scudi.
    E’ il momento di chiudere i giochi.


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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    Capitolo 49
    *** 16 - This is War - parte II ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte II)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    “It's the moment of truth and the moment to lie /
    E’ il momento della verità e il momento di mentire,
    the moment to live and the moment to die /
    il momento di vivere e il momento di morire,
    the moment to fight, the moment to fight, to fight, to fight, to fight /
    il momento di combattere, il momento di combattere, combattere, combattere, combattere!

    30 Seconds to MarsThis is War

    Mamoru si era sentito minuscolo quando uno degli iktàba dell’Avanguardia di Terra era emerso a pochi metri da lui, aveva afferrato al volo un cavallo con tutto il cavaliere e ora lo stava macellando tra le fauci, agitando il capo da una parte all’altra. Pezzi umani e animali ricaddero al suolo, piovvero sugli altri uomini dell’esercito di Gamo sollevando grida di spavento tra le fila ordinate di soldati.
    “Per tutte le Dee…” riuscì a mormorare, ma in quella confusione non era possibile sentire sussurri; anche per dare ordini bisognava gridare.
    Hajime interruppe il muro di acqua che aveva creato. “Dobbiamo allontanarci da qui o finiremo pestati dalla carica!”
    In quel momento, Mamoru si riscosse, cercando di realizzare la situazione.
    Erano troppo vicini alla prima linea e anche se Gamo aveva probabilmente avuto un’idea diversa nel voler condurre il primo assalto, adesso si trovava, per forza di cose, a dover dare l’ordine di avanzare. E loro sarebbero finiti nel mezzo. In quel momento, l’abilità di Yuzo sarebbe tornata decisamente utile anche a loro tre.
    Mamoru si risolse ad agire nel minor tempo possibile. Approfittò della confusione e allungò una corda infuocata in direzione del soldato più vicino, disarcionandolo senza alcuna fatica.
    “Traiamo vantaggio da questo caos e prendiamo delle cavalcature! Se ci mettiamo a correre finisce che restiamo schiacciati!”
    Hajime e Teppei annuirono e attaccarono singolarmente un paio di cavalieri.
    Mamoru fu in groppa all’animale con agilità, abituato a montare i màlayan che avevano un carattere molto più ribelle dei cavalli normali. Tirò le redini e la bestia si impennò, ma come gli zoccoli anteriori toccarono terra, il leggero colpo nei reni lo fece partire come un lampo in un folle galoppo.
    Si volse il tempo necessario per assicurarsi che Hajime e Teppei fossero subito dietro di lui, poi tornò a rivolgere lo sguardo verso la fazione amica.
    La distesa della Lingua di Serpe gli si presentò, ora che poteva vederla davanti a lui, enorme e brulla. In lontananza, l’Armata Reale sembrava così piccola da essere irrisoria se paragonata agli uomini di Gamo, ma mentre cavalcava si rese conto che quella massa compatta che andava delineandosi con maggior chiarezza non era immota. Ed era enorme.
    Il fronte d’attacco si perdeva alla vista e più diveniva nitido, più gli dava l’impressione di un’enorme marea. In quel momento, realizzò che l’impatto tra le due fazioni sarebbe stato devastante per entrambi gli eserciti.
    Sopra i soldati, poi, scorse due livelli di Elementi: più in alto vi erano gli alastri, ma erano pochi e, probabilmente, solo di copertura; più in basso, invece, le ali dei màlayan non potevano ingannarlo. L’Avanguardia di Fuoco sarebbe calata inesorabile con le sue fiamme come piccoli draghi volanti. Per mesi, all’inizio del viaggio, si era torturato per non poter essere con loro e, invece, alla fine di tutto, era davvero stato al loro fianco. Anzi. Aveva finito, addirittura, con l’aprirgli la strada. Era stato lui ad aver sferrato il primo attacco, creando scompiglio tra le fila di Gamo; l’Avanguardia di Terra aveva fatto il resto e ora arrivava l’Avanguardia di Fuoco per coprire la calata dell’esercito.
    Mamoru non riuscì a non trattenere un mezzo sorriso orgoglioso. Orgoglioso di sé, dei suoi compagni, di tutti gli Elementi che stavano prendendo parte alla salvezza del mondo. Orgoglioso del volante che cercò subito con lo sguardo per capire se fosse riuscito a fuggire dal Nero, a mettersi al riparo. I suoi occhi setacciarono il cielo alla ricerca di qualsiasi figura distante da entrambe le fazioni e la trovò sospesa a mezz’aria, troppo lontana affinché lui potesse raggiungerla e troppo in  alto. Forse con un màlayan…
    Strinse lo sguardo. Yuzo reggeva ancora il Principe e la Chiave, e si muoveva in maniera strana, deviava il percorso quasi non sapendo dove andare. Poi lo vide.
    Vide il Nero sbarrargli la strada e Yuzo fermarsi.
    “Maledizione!” ringhiò.
    Mamoru!
    La voce di Hajime lo distolse affinché si concentrasse sulla loro situazione, che non era di certo migliore di quella del volante.
    Abbiamo compagnia!
    La Fiamma obbedì all’implicita richiesta. Volse il capo e trovò che la marea nera di Gamo aveva iniziato a muoversi.

    La spada del Golem si era levata per proteggere il proprio signore dal frustare confuso della coda di un iktàba. La lama era affondata con decisione nella carne della creatura, tranciandone di netto il pezzo finale. Il sangue verdognolo sprizzò fuori lordando gli altri soldati.
    Lo scudo di Gamo, sollevato sopra la sua testa, impedì che uno schizzo lo colpisse sull’elmo.
    Con uno scatto, Santana balzò sulla base della coda monca dell’iktàba e risalì la sua lunghezza in corsa, fino ad arrivare in prossimità della sommità del capo, dove l’Elemento di Terra che lo guidava teneva le redini. Si diede una spinta e saltò. Le mani ruotarono la spada volgendo la lama verso il basso. Emise un ringhio mostruoso e calò il fendente. L’Elemento riuscì solo volgere il capo verso di lui, prima che l’arma lo trafiggesse da parte a parte mischiando il suo sangue con quello dell’animale. Il Golem estrasse la lama e infilzò la fronte dell’iktàba. Il vermoide emise un verso acuto di dolore, il capo venne oscillato con forza, ma il cervello era ormai stato colpito e la forza scemò un po’ alla volta.
    Da quella posizione, molto più in alto degli altri, l’eco di un suono cupo, simile a quello di un corno, giunse a Santana, captato dal suo udito molto fine. Di sicuro, dabbasso, con il frastuono generato dall’arrivo dell’Avanguardia di Terra, nessun altro doveva averci fatto caso.
    Velocemente estrasse la spada dall’animale morente e si lasciò scivolare lungo il dorso. Toccò terra con un balzo, mentre la bestia crollava alle sue spalle.
    “Hanno suonato la carica, mio signore” riferì subito, recuperando il proprio cavallo.
    Gamo aveva un’espressione furente e galvanizzata al contempo. “Non vorremo essere da meno, vero?” La sua lama venne levata al cielo e il Colosso delle Isole Zmyr impennato, mentre la voce, neppure si sapeva come potesse, riuscì a soverchiare tutti i rumori attorno a lui. “Nel nome della liberazione di Elementia! Carica!
    Ogni cavaliere che non era impegnato a contrastare la forza degli iktàba si lanciò al galoppo, seguendo il signore cui aveva prestato solenne giuramento.
    I colori neri delle loro armature, delle cappe e in buona parte anche delle cavalcature li rendeva simili a un mare d’oscurità. L’intero fronte si era mosso in maniera asincrona, come le tessere di un domino lasciate cadere una dopo l’altra: l’inizio era stato innescato, il resto sarebbe avvenuto come una folle reazione a catena.
    Sciame di insetti disposto a divorare tutto quello che avrebbe trovato davanti.
    I vessilli dei Gamo si levavano sopra le loro teste, impugnati da coloro che li avrebbero usati come armi una volta nel vivo dello scontro: avrebbero macchiato quella bandiera con il sangue degli Ozora e dei loro uomini.
    Alle loro spalle, il gruppo dei Veloci guidato da Lazon sfuggiva al blocco offerto dagli iktàba senza alcuna difficoltà. Troppo svelti rispetto ai grossi vermoidi, sfilarono attorno alle bestie in balzi agili e scattanti per poi compattarsi nella scia del fronte d’attacco.
    Shingo Takasugi, Elemento messo a capo di quel distaccamento dell’Avanguardia di Terra, tentò senza successo di provare ad arginare il passaggio degli strani cavalieri che restavano in una posizione poco convenzionale: raccolti e sollevati dalla sella. Purtroppo, le bestie che montavano erano così veloci, che in confronto i movimenti degli iktàba sembrava avvenissero a rallentatore, per quanto quegli animali non fossero affatto lenti a differenza della stazza. Ringhiò un insulto tra le labbra e si rassegnò a non poter fare nulla se non concentrarsi sugli altri soldati che erano rimasti indietro. Se non poteva rincorrere quelli ormai alle sue spalle, almeno avrebbe fatto piazza pulita di quelli che non erano riusciti a fuggire.
    La sua stazza era imponente a dorso dell’iktàba e coperta da un’armatura di piastre non completa, per permettergli un maggiore movimento. Sul pettorale in acciaio campeggiava il disegno di un diamante, il simbolo della scuola di Terra, di colore bronzo. La testa era protetta da un elmo a tre punte con paranaso a forma di ‘T’ e paraguance non troppo doppie. La terza punta, quella posteriore, scendeva lungo la nuca, per proteggerla tramite una proiezione più larga.
    La sua voce tonante rimbombava giungendo alle orecchie dei compagni senza alcuna difficoltà.
    Kato(1), Espadas serrate le fila! Nessuno di quei bastardi deve riuscire a passare il nostro sbarramento!
    Tirò le redini dell’iktàba che stava guidando e lo indirizzò verso un soldato che tentava di fuggire. L’animale percepì l’odore del sangue degli altri caduti che gli era rimasto addosso, spalancò le fauci e azzannò il posteriore del cavallo lanciandolo in aria assieme al cavaliere e afferrandolo al volo subito dopo in un concerto di ossa e carne che venivano maciullati.
    Shingo mosse altrove lo sguardo, nel tentativo di avere una visione d’insieme più completa e solo in quel momento si accorse che qualcosa mancava. La carica era stata data, gli uomini di Gamo si erano mossi, ma che ne era stato degli Stregoni?
    Era stato convinto che sarebbero partiti assieme al primo assalto, eppure i loro incanti non erano ancora arrivati a contenere la spinta della loro Avanguardia.
    Nervoso, girò l’animale per cercarli con gli occhi e questi vennero catturati da qualcosa che non si sarebbero mai aspettati di vedere, tanto che anche l’iktàba che stava montando sembrò ‘avvertire’ il pericolo. D’improvviso si disinteressò al pasto e sollevò il muso, mantenendolo immobile. Annusava l’aria e l’odore non familiare che portava con sé.
    “Divina Yukari nel profondo della Terra…” mormorò, guardando fisso in lontananza l’esercito di Maghi Neri ordinatamente schierato e quasi irriconoscibile. “E quelli che diavolo sono?”

    Il compito di Cario era sempre stato quello di vegliare sull’operato di suo fratello minore, Natureza, e, per farlo, si era tenuto costantemente a debita distanza, muovendo i fili ai suoi comandi, come un perfetto marionettista.
    Anche quando gli eserciti si erano schierati, lui era rimasto nella retroguardia, a capo degli Stregoni. Natureza, invece, si era portato alla testa assieme a Minato Gamo perché, sue testuali parole: “devo trovare prima degli altri quello che sarà il mio avversario”. E quando l’aveva visto volare via all’improvviso, subito dopo l’attacco raffazzonato di quel gruppetto di Elementi comparsi dal nulla, aveva capito che lo aveva trovato.
    “Che diavolo significa?!” Leon Deeke era sbottato all’improvviso dopo quel momento. Non era cieco né stupido e, sì, si era accorto che il Nero era proprio ‘volato via’, per quanto velocissimo. Ma volare non rientrava nelle abilità degli Stregoni a meno che non fossero dei Metamorfi, cosa che, da quel che sapeva, non fosse il Nero. “Come ha fatto a volare?!”
    A dirla tutta, il Nero – come a buona parte degli altri Stregoni che più gli erano stati in contatto – non gli era mai piaciuto fino in fondo, ma non poteva negare l’ascendente che sembrava avere sulle persone. Il suo aspetto da ragazzino, i suoi modi da ragazzino e quello sguardo da ragazzino che trapassava persone e oggetti, che disarmava per la trasparenza e per la determinazione di ferro erano sempre riusciti a incantare tutti loro e a costringerli a fare ciò che voleva. Quel momento non faceva differenza.
    Nemmeno l’idea di prendere parte a una guerra così plateale gli era mai piaciuta; aveva sempre preferito agire nell’ombra e soffocare i suoi avversari di sorpresa – nel sonno era l’ideale! –, eppure si era ritrovato lì, a spalleggiare Minato Gamo a dorso di quel… coso che non apparteneva neppure ai Regni degli Ozora.
    Nemmeno Cario gli era mai piaciuto, forse più di Natureza, eppure quando lo Sciamano – non si faceva mai chiamare Stregone – aveva risposto alle sue proteste con quel: “Il Nero è superiore a qualsiasi mago oscuro, dovresti saperlo. Se è in grado di volare è solo perché ha trovato l’incantesimo adatto per farlo” non era stato in grado di protestare oltre. Gli era sembrato così plausibile che quel moccioso fosse riuscito in un qualcosa in cui loro avevano sempre fallito, che non aveva più detto nulla, accettando la risposta mortificante di Cario.
    Quest’ultimo, ora che le danze erano state aperte e l’Avanguardia di Terra aveva invaso il loro fronte, montò in sella al suo esemplare di Kamalocha delle Vette Aguzze e tirò le briglie. La bestia, una creatura esterna ai Regni degli Ozora che lo Sciamano aveva conosciuto nei suoi lunghi viaggi dall’altra parte del mondo, spiegò le lunghissime ali nere. Erano composte da tre sistemi alari per fianco mentre il dorso era ricoperto di scaglie che, se viste alla luce del sole, avevano dei particolari riverberi verdastri. Il muso, identico a quello di un camaleonte, era coperto di piccoli bitorzoli e dalla fronte e dal naso spuntavano tre lunghi corni bianchi. Il piumaggio nasceva da sotto le squame a partire da metà collo, fino a coprire il petto e le zampe, ed era di colore verdazzurro; in alcuni esemplari verde-giallo. Le zampe erano solo due, posteriori, mentre la coda era coperta di squame fino a poco prima della punta, dove le piume tornavano a fare la loro comparsa, mimetizzando l’estremità dell’osso che era nuda e appuntita, pericolosa come un pungiglione e capace di infilzare la preda senza pietà. La loro stazza era sufficiente a trasportare comodamente due persone sulla loro groppa, ma tutti avevano un solo cavaliere.
    L’esercito volante degli Stregoni era stato schierato indietro, molto più indietro dell’accampamento, dove nessuno avrebbe potuto far caso a loro, poiché la distanza era enorme e la visuale coperta.
    Ora sarebbero venuti allo scoperto e la lotta sarebbe finalmente stata pari. Lo spazio aereo non sarebbe stato ad esclusivo appannaggio degli alastri e dei fyarish.
    Quando il braccio di Cario si levò tutti i kamalocha sembrarono rispondere al suo ordine, seppure non avesse proferito parola. Le bestie si alzarono sulle zampe posteriori e spiegarono le sei ali, sbattendole prima in maniera disarmonica e quasi scoordinata e poi tutte insieme. Si fermarono tenendole sollevate con le punte rivolte verso l’alto, pronti a spiccare il volo.
    Le ali dei kamalocha erano indipendenti tra loro e permettevano agli animali di direzionarsi e volare in maniera imprevedibile e con tempi di reazione maggiori di qualsiasi altro animale alato; i loro occhi, poi, potendo ruotare separatamente e con una visuale di trecentosessanta gradi erano capaci di individuare e scansare all’ultimo momento qualsiasi minaccia d’attacco.
    Questo, ovviamente, avrebbe giocato tutto a loro favore, assieme all’effetto sorpresa. Nessuno conosceva i kamalocha, se non attraverso qualche sparuto libro, e di certo gli Elementi non si sarebbero mai aspettati che gli Stregoni arrivassero in massa con un esercito di tali animali. Era su questo che Cario aveva puntato quando, anni prima, aveva parlato a suo fratello dei kamalocha. Con la sua magia e le sue conoscenze era riuscito a trasportarne un numero considerevole ad Huria, per addestrarli in vista della giusta occasione. E quell’occasione si era presentata attraverso la guerra.
    Sarebbe stata la carneficina perfetta: prima avrebbero lasciato che Gamo e Ozora si ammazzassero a vicenda in numero considerevole, mentre loro provvedevano a falciare gli Elementi; poi avrebbero iniziato a uccidere anche gli inutili uomini al servizio del Signore del Nord. La loro superiorità a livello di forza era indiscutibile, un soldato non avrebbe mai potuto sperare di vincere contro un mago. Infine, quando ormai le sorti fossero state tutte a loro favore, avrebbe impartito l’ordine segreto che aveva insegnato alle bestie attraverso la sua magia. I kamalocha avrebbero disarcionato gli Stregoni e si sarebbero rivoltati contro di loro, finendo la mattanza. Una volta che le forze magiche in gioco si fossero ridotte drasticamente, i suoi poteri uniti a quelli di suo fratello che erano Elementali e Neri insieme avrebbero fatto il resto e iniziato la Purificazione di Elementia.
    Ogni essere umano – uomo, donna, bambino o anziano che fosse stato – sarebbe stato cancellato dal pianeta affinché questo potesse nuovamente tornare padrone di sé stesso. Lui e Natureza ne sarebbero stati i guardiani temporanei, per accertarsi che nulla potesse tornare a intaccarne l’equilibrio. Alla loro morte, Elementia sarebbe finalmente stato al sicuro. Per sempre.
    Quello era il grande disegno che lui e suo fratello avevano messo a punto da quando aveva liberato il giovane dalle mani degli alastri che volevano rinchiuderlo a Raj.
    Quello era il sogno che stavano per apprestarsi a realizzare.
    A Cario bastò abbassare il braccio affinché i kamalocha si levassero in volo uno ad uno e si allontanassero in direzione del fronte di guerra che si stava assottigliando sempre di più, ora che i due eserciti stavano per scontrarsi. Dabbasso, gli uomini ancora rimasti al campo tennero alte le teste, fisse sui ventri di molteplici colori di quegli strani uccelli e poi seguirono lo stormo allontanarsi velocemente verso il proprio destino.

    A terra!” fu tutto quello che Takasugi riuscì a dire quando lo schieramento di bestie sconosciute, che sembravano uscite dall’Infero, passò sopra di lui. Erano centinaia e troppo in alto affinché avesse potuto disturbarli con la telecinesi.
    Shingo tirò le redini dell’iktàba perché si abbassasse, quando attorno a lui piovvero di colpo sfere di energia purpurea. L’attacco fu a tappeto e incurante di chiunque avrebbe coinvolto.
    Gli incanti esplodevano a ripetizione con rombi cupi e fiammate improvvise, mentre le onde d’urto sollevavano terra e facevano a pezzi i cadaveri già abbandonati al suolo.
    Le ali delle bestie fischiavano, così come le code che venivano dibattute nel vento e i loro sibili acuti e stridenti graffiavano le orecchie.
    L’iktàba di Shingo venne centrato in pieno muso da un incantesimo degli Stregoni e lui sentì ciò che rimaneva del proprio animale precipitare al suolo, corpo morto. L’Elemento di Terra cercò di saltare al momento opportuno, prima che l’impatto potesse schiacciarlo sotto la carcassa e allora sarebbe potuta essere anche la sua fine: rompersi una gamba o rimanere bloccato in quel momento non era proprio la scelta più indicata.
    Balzò che ormai era a pochi metri dal suolo e attutì il colpo ruzzolando con abilità per perdere tutta la velocità accumulata nel precipitare. Si fermò che aveva un ginocchio a terra e l’altro piegato in avanti, pronto a rimettersi in piedi, ma quello che i suoi occhi videro lo lasciò a bocca semiaperta. Piano si portò in piedi e le nuvole di fumo e fiamme purpuree si stendevano a vista d’occhio da entrambi le parti del fronte.
    I cadaveri, al suolo, si mischiavano gli uni agli altri e tra quelli dei soldati di Gamo c’erano anche quelli dei suoi compagni, colpiti dalla magia degli Stregoni o schiacciati dai corpi degli iktàba.
    Riprese fiato, con le mani, il viso e l’armatura sporche di terra e mentre l’aria entrava e usciva dal suo petto, rimase a fissare lo stormo di Stregoni che si allontanava per inseguire gli uomini di Gamo e spalleggiarli nello scontro finale.

    Che diavolo facciamo, adesso?!” Hajime continuava a spronare il proprio cavallo perché l’idea di rallentare non gli passava nemmeno per l’anticamera del cervello. “Finiremo schiacciati nel mezzo della carica!” Anche quella non era proprio la fine dei suoi sogni, ma il fronte era troppo ampio per essere aggirato.
    Mamoru tornò a guardare in avanti; l’Armata Reale, dalle armature color argento e i vessilli blu e granato, diveniva sempre più vicina e a mano a mano i particolari apparivano più nitidi.
    Fermarsi non avrebbe avuto alcun senso, ma continuare sarebbe stato il modo più facile per suicidarsi.
    Attraverso la criniera dell’animale che sferzava contro il suo viso in balia del vento, scorse i volanti più in alto di tutti e la schiera dell’Avanguardia di Fuoco a metà tra la terra e il cielo che volava a dorso dei màlayan. In quel momento gli venne un’idea e pensò che fosse terribilmente folle, ma non avevano più niente da perdere.
    Tendete il braccio al cielo!” ordinò all’improvviso, le labbra tese in una smorfia di sfida.
    Cosa?!” Teppei non si premurò di nascondere la propria perplessità.
    Fate come vi dico e qualsiasi cosa accada non opponete resistenza, chiaro?
    Opporre resistenza?! Mamoru, per tutte le Dee!, qua rischiamo di tirarci le cuoia!
    Come se non lo sapessi!” esclamò la Fiamma, ma non perse tempo dietro infinite spiegazioni. Tese il braccio e drizzò la schiena, affinché potesse essere perfettamente visibile. Da chi, di preciso, né Hajime e né Teppei l’avevano capito, ma dopo essersi scambiati un’occhiata, decisero di seguire il suo esempio, seppur per loro fosse più difficoltoso mantenere l’equilibrio con i cavalli lanciati a quella velocità.
    Mamoru, invece, aveva una postura fiera ed elegante, frutto di anni di addestramento. I capelli frustavano l’aria alle sue spalle e assomigliavano alla criniera selvaggia della sua cavalcatura: nera lei e neri i suoi. Lo sguardo deciso e leggermente stretto fissava la calata inarrestabile che si avvicinava velocemente, anche a causa del fatto che vi stava cavalcando contro.
    D’un tratto, la terra si sollevò, animata dal vento degli Elementi d’Aria. Turbinò, addensandosi quasi a formare delle nubi raso terra. La visuale dell’esercito gli venne preclusa e solo a tratti riusciva a carpire le loro figure tra lo scorrere della polvere che andava e veniva; un diversivo per accecare gli avversari, mentre gli Elementi d’Aria sarebbero stati la ‘vista’ dei soldati dell’Armata Reale.
    Lui non abbassò il braccio, anzi, lo tenne più teso possibile e abbassò leggermente il capo per prepararsi ad affrontare la muraglia di polvere.
    Alla sua sinistra, ma leggermente più arretrato, Hajime seguì il suo esempio con il cuore che gli era arrivato in gola. Gli sarebbe bastato entrare in quella cortina e il tempo che lo avrebbe separato dallo scontro sarebbe stato racchiuso nello spazio di un respiro.
    Teppei, invece, per quanto sentisse anch’egli il cuore intrappolato in una parte diversa dal petto, mantenne gli occhi spalancati e vigili; la terra era il suo elemento, non aveva nulla da temere. Almeno da lei.
    Nell’attimo in cui gli zoccoli dell’animale entrarono nella tempesta di polvere, Mamoru serrò le palpebre e lasciò andare completamente le redini.
    - Ci siamo! - fu tutto ciò che riuscì a pensare e se aveva sbagliato a fare i conti, anche i suoi amici ne avrebbero pagato le conseguenze.
    Per sua fortuna, un maledetto volante gli aveva insegnato che a volte l’unico modo per venire fuori dai guai era affidarsi agli altri e i suoi compagni di Fyar furono quell’aiuto in cui aveva maledettamente confidato. Delle dita si strinsero alle sue, afferrandolo saldamente. Lo strattone fu brusco, ma si aiutò con le gambe facendole oscillare un paio di volte per riuscire a prendere la giusta spinta. In un attimo fu in groppa al màlayan, alle spalle del suo legittimo cavaliere.
    “Avevo capito che volevi trovartici proprio nel mezzo, ma non ti sembra di aver esagerato?!”
    Nonostante l’elmo dagli ampi paraguance ne coprisse buona parte del viso e la parte posteriore, che simulava l’ondulazione di una fiamma, nascondesse i suoi capelli, Mamoru riconobbe subito quell’ironia pungente, simile alla sua.
    “Non sai come sono felice di rivederti, Kazuki!”
    “E ci credo! Guarda in che razza di casino sei andato a infilarti, Sante Dee!”
    Mamoru volse il capo alla ricerca di Hajime e Teppei: li vide al sicuro, anche loro in groppa ai màlayan assieme ai suoi compagni. Fece cenno a Kazuki di avvicinarsi a loro.
    “State bene?” si accertò; nonostante ora non fossero più da soli, continuava a sentirsi responsabile per loro. Erano suoi amici, la sua squadra e anche se il Principe era, probabilmente, al sicuro la loro missione non si sarebbe conclusa prima della fine di quella battaglia. Adesso doveva solo accertarsi che anche Yuzo stesse bene, che fosse riuscito in qualche modo – uno qualsiasi! – a superare il Nero, che fosse, finalmente, arrivato al campo dell’Armata Reale. Lontano dagli scontri.
    “Sì, tutto a posto.” Hajime sembrava ancora un po’ frastornato nel trovarsi in groppa a un animale che emetteva fuoco dalla criniera e dalla coda. Non era perfettamente a suo agio, poiché il calore era piuttosto intenso, ma di sicuro era meglio che trovarsi nella mischia. Dopo il primo attimo di panico aveva anche buttato uno sguardo in basso, per vedere dove fosse finito il suo cavallo: non ne aveva trovato traccia, completamente fagocitato dalla calca, dall’acciaio, dalla stoffa e dalla carne.
    “E’ incredibile!” sbottò invece Teppei, con il suo travolgente entusiasmo. “Non ne avevo mai visto uno così da vicino! Sono fantastici questi màlayan!”
    Il piccolo Shun Nitta, che guidava l’animale su cui restava il tyrano, non trattenne una mezza risata divertita.
    Anche Mamoru si ritrovò a sorridere, seppur nel suo cuore continuasse ad albergare la preoccupazione per il volante. Fece per levare lo sguardo e provare a individuarlo, quando la voce di Magister Gentile, a capo dell’Avanguardia, si attirò la sua attenzione.
    “Non ce la facevi proprio a stare lontano dalla prima linea, vero Izawa?”
    “Nossignore” rispose prontamente.
    “Beh, hai scelto il momento giusto.”
    Dall’alto, i volanti scesero di quota per poter comunicare più facilmente. Come responsabile c’era un giovane dai lunghi capelli biondo scuro.
    “Legioni del Nord in avvicinamento. Impatto previsto fra tre minuti.”
    Le sue parole vennero ripetute per tutto lo schieramento dagli altri Elementi d’Aria che si trovavano a destra e a sinistra. Formarono quasi un’eco.
    Dabbasso, qualcuno ordinò: “Puntare le lance!
    Ormai c’erano quasi. Mancavano solo una manciata di metri prima che la fine cominciasse. Un’ultima volta, quasi disperatamente, Mamoru rivolse lo sguardo al cielo cercando di trovare Yuzo, ma tra la polvere della tempesta sollevata dagli alastri e gli alastri stessi era impossibile riuscire a scorgere in lontananza. Il cielo non era mai stato così trafficato come in quel momento.
    Fuoco sul nemico!
    La voce di Magister Gentile tuonò in maniera vibrante, dando il segnale di inizio copertura. L’Avanguardia avrebbe cominciato a spianare la strada all’esercito sottostante.
    In quel momento, i cavalieri dei màlayan lanciarono sfere di pura fiamma nella tempesta sottostante, colpendo quasi alla cieca oltre il loro fronte d’attacco. Gli incantesimi andarono a segno, e le esplosioni sollevarono fumo che si mischiò alla polvere, alla terra e alle grida dei primi caduti.
    Il rumore era assordante.
    “Ci siamo! Prepararsi al-… Misericordia Divina!” l’intervento dell’alastro alla guida degli Elementi d’Aria venne troncato da quell’espressione di sconcerto e spavento.
    “Magister Pierre! Che diavolo sta-” Magister Gentile levò il capo di scatto e anche Mamoru aveva alzato lo sguardo su di lui. In quel modo riuscì a vedere con i propri occhi come un Elemento d’Aria venisse letteralmente ‘afferrato’ da non seppe identificare cosa e trascinato via; scomparso oltre la nuvola di polvere. La formazione degli alastri si spezzò di netto dietro al comando perentorio di Pierre.
    Ripiegare!
    La tempesta diversiva creata dai volanti venne interrotta e mentre la polvere scivolava inesorabilmente verso il basso, di nuovo abbandonata alla gravità, Mamoru vide una creatura nera attraversarla e comparire all’improvviso, veloce come un lampo, non troppo distante da lui. Per poco quella che gli sembrò un’ala non lo colpì in pieno, fu solo grazie all’abilità di Kazuki Sorimachi se riuscirono ad evitarla.
    “Fottuta puttana!” sbottò l’Elemento di Fuoco, tirando le briglie del màlayan. “Che diavolo sono quei cosi?!”
    Mamoru non seppe rispondere, si limitò a ruotare la testa da una parte all’altra senza sapere bene cosa dover guardare, di preciso.
    Incantesimi di Magia Nera piovvero a raffica da una posizione troppo alta, a volte pari alla loro, altre ancora maggiore. Nuove bestie, identiche a quella che gli era passata di fianco, si fecero strada nel cielo, chiazzandolo di nero e verde.
    Gli Stregoni stanno attaccando dall’alto! Prendere quota!” ordinò velocemente Pierre agli altri alastri. In maniera quasi istantanea era passato dalla difesa all’offesa attiva. I suoi fulmini, che aveva già visto adoperati per mano di Yuzo, correvano nel cielo, all’inseguimento dei Maghi Neri e delle loro strane creature.
    “Non ho mai visto niente di simile, le Dee mi sono testimoni!” sbottò Kazuki, lanciando sfere infuocate in ogni direzione nel tentativo di cogliere almeno uno degli avversari.
    A terra le fazioni si erano scontrate in un misto di grida e clangore d’acciaio. Cavalli nitrivano spaventati.
    Agli Elementi era impossibile intervenire in aiuto all’esercito guidato da Hongo e dal suo Primo Ufficiale, poiché la minaccia degli Stregoni li stava tenendo impegnati su qualsiasi fronte e sembravano non voler finire.
    Una delle belve che usavano per volare passò sulla testa di Mamoru. La Fiamma rimase a bocca aperta e fiato corto a osservare il piumaggio verde del ventre della creatura e l’ampia apertura alare che era almeno il triplo di quella di un màlayan. Le zampe erano tirate indietro, distese lungo il ventre per non creare attrito e poi c’era la coda. Mamoru la vide frustare il cielo e poi calare, proprio verso di loro. La punta acuminata apparve color avorio tra le piume verdi.
    Il suo compagno di Fuoco era troppo impegnato a contrastare un attacco ai danni di un altro Elemento di Fyar per rendersi conto di avere quel bestione sopra la testa.
    Giù, Kazuki!” gridò Mamoru e lo costrinse di forza ad abbassarsi. Quasi lo scavalcò mentre afferrava le redini dalle sue mani e le tirava, ordinando al cavallo di spostarsi l’attimo prima che la coda potesse prenderli in pieno.
    “Maki benedetta…” esalò Sorimachi, mentre drizzava lentamente la schiena.
    Gli era andata bene, ma lo stesso non si poté dire di Hajime.
    Il Tritone riuscì solo per miracolo a non venire trafitto da una di quelle stesse code che, invece, prese in pieno il màlayan che stava montando assieme al cavaliere. Hajime si aggrappò alla sella quando l’animale venne strattonato, ma la forza della spinta gli fece perdere la presa lungo i fianchi.
    “Maledizione!” ringhiò tra i denti. Una mano affondò alla cieca dentro la criniera infuocata, ultimo, disperato tentativo di non venire disarcionato e gettato nel vuoto. Ma il fuoco puro, che ardeva sul capo dell’animale, gli ustionò la pelle in un attimo, impedendogli di tenere la presa.
    Hajime!” gridò la Fiamma nel momento in cui lo vide cadere. “Dobbiamo recuperarlo prima che tocchi il suolo, Kazuki!”
    “E come diavolo credi che possa fare?!” Gli incantesimi arrivavano da ogni lato e le sue mani erano entrambe impegnate a respingere gli attacchi. “Il màlayan non potrebbe mai sopportare il peso di tre persone!”
    Sto arrivando, Hajime!” l’urlo di Teppei coprì tutti gli altri.
    Sia Acqua, in caduta libera, che Fuoco più distante lo videro abbandonare il cavallo di Nitta e gettarsi nel vuoto. Il braccio teso il più possibile nel disperato tentativo di riuscire ad afferrare la mano del Tritone.
    Mamoru inorridì. Avrebbero finito con lo schiantarsi tutti e due.
    Hajime, invece, fissava il viso dell’amico di infanzia che gli apparve terribilmente deciso e i ricci che oscillavano per la velocità di caduta.
    - Quell’idiota… - pensò nel realizzare che sarebbero morti entrambi perché non aveva abbastanza tempo né spazio di manovra per poter creare un incantesimo di acqua che attutisse l’impatto.
    Afferra… la mano!” Il ringhio del tyrano gli arrivò nonostante il fragore della battaglia, sotto di lui, si facesse sempre più forte e vicino. Gli sembrava di stare cadendo da un’infinità e invece il tempo si era dilatato all’improvviso, trasformando i secondi in minuti lunghissimi. “Forza!
    - Idiota… - pensò ancora, ma la mano era spalancata verso di lui.
    Quando riuscì ad afferrarla il tempo scorse di nuovo velocissimo tanto che non riuscì a comprendere cosa accadde. Vide solo Teppei creare un incantesimo. Poi, il buio improvviso e i rumori attutiti di colpo. Non riuscì neppure a spiegarsi come avessero fatto ad atterrare senza schiantarsi.
    Istintivamente strinse gli occhi, anche se tutto era divenuto scuro, e si aggrappò, con la mano libera, agli abiti di Teppei.
    Sentì solo lo sbattere di zoccoli contro qualcosa e il loro rumore rimbombare in quello spazio che appariva continuo ed estraneo alla battaglia nello stesso tempo.
    “Stai bene? Sei ferito?”
    La voce di Teppei lo costrinse ad aprire di nuovo gli occhi, ma l’oscurità non cambiò.
    “Sì… no… cosa…?”
    “Ho creato una cupola di roccia.”
    E così si spiegava il perché del rimbombo e della sensazione dei rumori attutiti, nonché del buio.
    Hajime ci mise qualche attimo ancora per realizzare di essere ormai ‘al sicuro’, se così si poteva dire. Piano si rilassò completamente al suolo. Era duro, ma così meravigliosamente immobile e stabile.
    “Ommerda… mi sono visto spacciato” mormorò, inspirando più volte.
    “Non ti avrei mai lasciato morire.”
    Quelle parole gli fecero cercare il suo sguardo nel buio e lo stizzì non riuscire a trovarlo, ma d’altra parte gli permise di nascondere agilmente l’imbarazzo e il rossore che velocemente era salito alle guance. “Idiota! Per poco non ti ammazzi anche tu! Sei scemo o cosa?”
    Sentì Teppei sbuffare un sorriso; era così tranquillo, come se non avessero rischiato di morire entrambi. “La volta scorsa è toccato a te. Questa volta sono stato io a salvarti la vita.”
    “Non è mica una gara!” borbottò, però continuava a tenergli stretta la mano e la stoffa dell’abito all’altezza del petto.
    “Lo so. Volevo solo proteggerti.” Teppei stava continuando a sorridere, lo poteva sentire dal tono della voce. “Ho sempre desiderato farlo, fin da quando eravamo piccoli. Solo che avveniva sempre il contrario.”
    Avvertì palesemente che stava ridacchiando, mentre lui allentava la presa sull’abito, ma non sulla mano.
    Avrebbe voluto borbottargli un sacco di improperi e invece si limitò a sbuffare con poca convinzione quel semplice: “Stupido” che voleva dire tutto e non voleva dire niente.
    Nel buio, stemperò l’espressione imbronciata in favore di una più mesta e sincera. Dal petto, le dita risalirono dietro il collo per appoggiarsi sotto i riccioli castani, morbidi.
    Teppei pose la fronte contro la sua e anche se Hajime non poteva vederlo, riuscì a sentire lo sfiorare della linea del profilo contro di sé.
    “La fine di questa guerra la vedremo insieme, Hajime. È una promessa.” Azzardata, come suo solito; avventata e poco razionale, dettata più dal cuore che dalla testa. I tyrani non erano grandi amanti del ‘pensare prima di agire’, ma in quel momento non gli sembrò affatto un male, dopotutto.
    “Sei proprio uno stupido” ripeté, ma stava sorridendo anche lui.

    "Portami a terra!”
    Kazuki avrebbe voluto girarsi per guardare Mamoru dritto negli occhi, ma il trovarsi costantemente sotto attacco non glielo permetteva; la vista gli serviva per direzionare i suoi incantesimi. Però, cercò di imprimere nel tono della voce tutto quello che avrebbe voluto trasmettergli anche attraverso lo sguardo.
    “Cosa?! Stai scherzando, vero?!” L’ennesima sfera infuocata andò a segno e il mostro alato precipitò inesorabilmente, non prima che la sua lingua acida e collosa, lunghissima come quelle dei camaleonti, si attaccasse alla caviglia di un màlayan e lo trascinasse con sé. “Tutta questa storia della missione o che so io ti ha reso ancora più folle di quello che, sotto sotto, sei sempre stato!”
    Ma Mamoru non aveva né tempo né voglia di discutere con Sorimachi. Aveva visto Hajime e Teppei sparire nella polvere che era andata dissolvendosi, terrorizzato all’idea che non ce la facessero. Per fortuna Magister Pierre era intervenuto in tempo per rallentare la loro caduta e permettere così a entrambi un atterraggio più morbido del previsto. Teppei, poi, per proteggere entrambi dalla calca dei cavalli e dei fanti aveva creato una cupola di terra. Lui l’aveva vista bene e aveva tirato un mezzo sospiro sollevato; almeno era sicuro che non fossero feriti.
    “Portami a terra, ho detto! Subito!”
    Kazuki levò lo sguardo al cielo, con una certa rassegnazione, e si apprestò a obbedirgli. Con una mano sola, perché l’altra continuava a lanciare incantesimi, afferrò le redini e indirizzò il màlayan verso il basso.
    “Ma sappi che non posso scendere troppo in basso, sarei una preda per gli arcieri.”
    “Evita di farla tanto lunga, cazzo!”
    L’altro sbuffò, scuotendo il capo. Appena furono a un’altezza adatta fermò il proprio animale.
    “E tu vedi di non farti ammazzare, hai capito?”
    “Grazie del passaggio.” Mamoru gli colpì l’elmo con le nocche in segno di buona fortuna e gratitudine. Poi balzò agilmente dal màlayan. Rotolò al suolo per attutire il colpo e con una capriola si portò subito in piedi.
    Un soldato dei Gamo gli apparve davanti, armato di lancia ma lui lo carbonizzò nel giro di qualche istante.
    La cupola di terra tirata su da Teppei era proprio lì, e ancora perfettamente intatta.
    “Ragazzi! State bene? Siete tutti interi?” colpì il guscio di roccia in maniera decisa e, in pochi attimi, lo vide ritrarsi fino a crollare e divenire nuovamente tutt’uno con il suolo.
    “Come nuovi.” Lo rassicurò Teppei, mentre aiutava Hajime ad alzarsi.
    Mamoru guardò anche il Tritone in cerca di conferme e questi annuì, ma il palmo aveva un’evidente scottatura.
    “Ricordami che non devo più salire su un màlayan” precisò l’agadiro, mentre strappava una striscia di stoffa dalla casacca che stava indossando per avvolgerla alla mano.
    Attorno a loro la battaglia imperversava senza sosta, in ogni dove.
    Sulla terra i soldati si affrontavano a suon di lance e spade. Il rumore delle loro armature e il cozzare delle lame faceva quasi da sottofondo, mentre le grida di paura, dolore e rivalsa erano il coro che non trovava armonia.
    Nel cielo, invece, le bestie la facevano da padroni. Màlayan contro chissà che razza di mostri erano riusciti a trovare gli Stregoni. Il nero e verde delle loro livree cozzava con la luce viva e ardente emessa dal fuoco che rendeva vive code e criniere degli animali sacri alla Dea Maki. Tra loro, incantesimi a non finire e da qualsiasi direzione. Stregoni ed Elementi si davano battaglia mantenendo le rispettive posizioni. Anche gli alastri, che di solito si tenevano fuori dallo scontro diretto, si erano visti costretti a passare all’attacco. E non c’era più ordine né comando. Non c’era più alcuna religione o strategia. Era un tutti contro tutti nel tentativo di vedere chi si ammazzava per primo.
    Mamoru si guardò attorno, imitato da Hajime e Teppei, poi alzò lo sguardo al cielo. Di Yuzo non c’era ancora traccia e voleva trovarlo a tutti i costi. Fu allora che li vide.
    Il Nero era in volo, esattamente come lo era stato quando l’aveva visto l’ultima volta, ma non era l’uccellino il suo avversario. Anzi, del volante non c’era alcuna traccia. Però, nell’attimo in cui riconobbe contro chi il signore dell’AlfaOmega stava ingaggiando battaglia, si sentì improvvisamente sollevato, perché se erano arrivati loro, allora significava che Yuzo era riuscito a portare al sicuro il Principe e, quindi, anche sé stesso. Non poteva esserci notizia migliore per lui.
    Certo, l’immagine che si presentò ai suoi occhi riuscì comunque a farlo rimanere senza parole: il Nero stava affrontando i Master.

     



    [1]MASANORI KATO: è il portiere del Furano, ai bei tempi che furono dei campionati delle elementari e medie. Ovvero, il più notoriamente conosciuto come: Tony Brunor! X3 A me lui sta tanto simpatico e come Elemento di Terra ce lo vedo bene! :33333 (per KaTony XD: *clicca qui*)


    …Il Giardino Elementale…

     

    La battaglia continua e gli Stregoni hanno appena tirato fuori il loro 'asso nella manica', il gruppo si è diviso, le fazioni si sono fuse e sembra che stia per venire giù la fine del mondo.
    Che ne sarà dei quattro Elementi? Che ne sarà dei Master che stanno per affrontare il Nero?
    Questo capitolo è tutto un rincorrersi di botte da orbi, quelle che si sono molto spesso annusate lungo tutto il corso della storia.
    E... e poi... e poi c'è che ho terminato anche l'Epilogo. :) Quindi, aggiornamenti settimanali doppi fino alla fine.

    Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi!
    Con i prossimi aggiornamenti tornerà anche l'Enciclopedia Elementale con gli ultimi volumi :DDDD


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 50
    *** 16 - This is War - parte III ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte III)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    “To the right, to the left /
    Da destra a sinistra
    we will fight to the death /
    combatteremo fino alla morte,
    to the Edge of the Earth /
    fino al confine della Terra.
    It's a brave new world from the last to the first /
    È un coraggioso nuovo mondo dall’ultimo al primo.

    To the right, to the left /
    Da destra a sinistra,
    we will fight to the death /
    combatteremo fino alla morte,
    to the Edge of the Earth /
    fino al confine della Terra.
    It's a brave new world /
    È un coraggioso nuovo mondo,
    it's a brave new world /
    è un coraggioso nuovo mondo.

    30 Seconds to MarsThis is War

    La prima cosa che Ryoma Hino si trovò davanti, dopo che la copertura degli Elementi d’Aria si interruppe all’improvviso, fu il ventre di un Agile di Kalavira. Alla faccia di quegli imbecilli che avevano sempre detto e ribadito che: ‘noooo, gli agili sono estinti, ormai!’.
    La carica era stata data subito dopo che i quattro folli spuntati dal nulla assieme al Principe avevano aperto le danze, provando a creare un diversivo che tenesse impegnato Gamo e i suoi il tempo necessario per permettere a quello in grado di volare di portare in salvo il figlio del Re.
    Lui si era precipitato per raggiungere il proprio destriero e gli uomini già in posizione. Al suo fianco, il Comandante Hongo aveva fatto lo stesso: era balzato con agilità in groppa al proprio animale e si era infilato rapidamente l’elmo. La sua voce era risuonata, accompagnata dallo squillare del corno.
    L’Avanguardia di Terra si era mossa ancora prima di loro; aveva visto Master Wakabayashi dare disposizioni appena avevano riconosciuto il Principe. Poi subito dopo si erano mossi anche gli uomini di Master Hyuga e Master Misugi con l’ordine di coprire e facilitare la loro avanzata.
    Aveva visto chiaramente la schiera di Gamo che avanzava unita e compatta, proprio come la loro, nera nei colori e negli intenti. L’aveva vista divenire più nitida, più aggressiva e poi la tempesta di polvere aveva reso ciechi entrambi, ma le indicazioni del Magister di Alastra avevano saputo guidarli, almeno fino a un certo punto. Poco prima dell’impatto, quando il suo cuore aveva battuto più forte, aveva capito, in un guizzo, che qualcosa doveva essere andato storto.
    Dopo era stato solo il caos.
    La cortina di polvere degli alastri si era dissolta e ora il ventre dell’agile era sopra la sua testa.
    Ryoma non perse tempo e levò in alto la punta della propria lancia. Si conficcò nella pancia della bestia, squarciandola per tutta la sua lunghezza, tanto da rimanerne bloccata. Il Primo Ufficiale abbandonò l’arma e provvide subito a estrarre la spada. La sua prima vittima giaceva al suolo, schiacciata dall’assalto degli altri animali che non erano riusciti a evitarla. Ma se lui era stato tanto abile, grazie al suo levianto, da poter evitare che un agile gli pestasse il cranio sotto gli zoccoli, lo stesso non avrebbe potuto dirsi di alcuni suoi compagni.
    I cavalieri, a dorso degli animali dell’ormai defunto Dogato di Kalavira, erano spuntati all’improvviso, subito dopo la prima fila d’assalto. I loro cavalli erano riusciti a superare, con dei balzi, bestioni di due metri come i Colossi delle Isole Zmyr, tanto da spiazzare anche guerrieri esperti come Bunnaku: per miracolo non era finito egli stesso sotto il peso delle loro zampe, ma per la sua cavalcatura non c’era stato niente da fare.
    Ryoma si lanciò verso il prossimo avversario e ringraziò la prontezza di riflessi di Hernandez, che restava in retroguardia. I suoi uomini non avevano perso tempo e la pioggia di frecce stava cercando di arginare l’avanzata degli agili. Poteva addirittura sentire i suoi comandi nell’eco della battaglia serrata.
    Incocca!” stava dicendo, mentre lui calava l’ennesimo fendente e la lama della spada aveva ormai perso il colore grigio dell’acciaio per far posto a quello rosso del sangue nemico.
    Tendi!
    Si volse. Victorino era più distante, ma si stava facendo onore occupandosi di quanti più agili gli capitassero a tiro.
    Scocca!
    Le frecce sembrarono un mare di stelle cadenti dalle punte infuocate, come infuocate calarono, di colpo, quelle sfere color porpora.
    “Porca puttana!” Ryoma tirò le briglie per evitare che il levianto si imbizzarrisse. Anche il suo avversario parve disorientato e prese a guardarsi intorno, quasi non si aspettasse una cosa del genere e, per quanto poco ne capisse, Hino comprese una cosa: non era frutto della magia elementale.
    Sollevò lo sguardo e attraverso la celata scorse quei mostri alati che stavano dando battaglia ai cavalli degli Elementi di Fuoco.
    “Questa poi! Ho sempre detto di odiarla la magia!” imprecò tra i denti, prima di affondare il colpo nell’altro soldato.
    Una delle bestie precipitò di schianto poco lontano da lui; qualche mago doveva averla tirata giù di peso. Solo allora notò che il corpo era grande poco meno del doppio di un cavallo, ma aveva un’apertura alare che faceva impressione e quegli occhi che continuavano a ruotare, impazziti, in ogni direzione, prima di immobilizzarsi privi di vita.
    Non aveva idea di cosa fosse o da quale Infero fosse uscita fuori, ma stava di fatto che non sarebbe stata per niente una battaglia semplice.
    Tirò le briglie e il cavallo ruotò su sé stesso prima che lui lo indirizzasse in avanti.
    Vide Shunjin-Go che aveva già abbandonato la cavalcatura per combattere gli avversari con ‘Onore’, la spada di famiglia, tramandata di generazione in generazione. La lama era lunga e sottile, dalla punta ricurva, mentre l’elsa poteva essere impugnata solo usando entrambe le mani. Il capitano la faceva ruotare sul capo con agilità dando l’illusione che fosse leggera come un fuscello e invece tutti sapevano quanto fosse pesante. Shunjin-Go la teneva costantemente affilata e questo dava i suoi frutti in battaglia. Ryoma vide con quanta facilità la carne si tagliasse a ogni fendente.
    Una testa, due braccia e tre zampe di cavallo vennero falciate in un solo, elegante movimento.
    Dall’altro lato, più lontano e ugualmente impegnato, Bunnaku menava pugni a tutto andare. La forza delle sue braccia unita alle nocche rinforzate dei guanti dell’armatura frantumavano crani e piegavano l’acciaio degli elmi. Nessuno dei suoi avversari, per quanti sarebbero stati, avrebbe potuto tenere testa alla sua abilità di guerriero. Lo confermò il fatto che un soldato di Gamo tentò di attaccarlo alle spalle, brandendo la propria spada, ma Bunnaku ne spezzò la lama con un calcio.
    Ryoma si volse ancora rendendosi conto di non riuscire più a scorgere il Comandante Hongo. Non che fosse semplice individuare bene qualcuno in quella confusione, a meno che non fosse abbastanza vicino. Pensò che l’uomo fosse avanzato per andare alla ricerca di Gamo: prima l’avrebbero eliminato, prima il suo esercito avrebbe finito col disperdersi.
    Si rese conto che anche lui doveva darsi da fare e che uccidere soldati alla rinfusa non sarebbe servito a molto: erano i capitani quelli che bisognava falciare. Senza gli ufficiali maggiori, le Legioni avrebbero finito per ridursi a un disorientato manipolo di uomini senza più uno scopo; per loro sarebbe stato semplice, poi, portare avanti la vittoria.
    Con gli occhi cercò l’avversario adatto e quando fu sicuro di averne trovato uno, spronò il cavallo a raggiungerlo. La spada era stretta nella mano e pronta a essere caricata e calata sul nemico, quando un levianto pari al suo per colore e portamento gli sbarrò la strada.
    Aveva sul dorso una cappa con i colori cupi che nulla avevano a che fare con quegli degli Ozora. Nero era anche il suo cavaliere, ma dalla celata abbassata dell’elmo, il verde degli occhi sembrava un faro, quello che avrebbe guidato i naufraghi fuori dalla tempesta.
    Nascosto alla vista altrui, il sorriso di Ryoma si tese con un certo piacere. Non avrebbe mai creduto che sarebbero riusciti a fronteggiarsi davvero in quel parapiglia, ma a quanto sembrava le loro strade erano state destinate a incrociarsi proprio nella fine.
    “Questa volta non sarà come nei tornei.” Carlos Santana lo mise in chiaro da subito, anche se non ce ne sarebbe stato affatto bisogno.
    Ryoma non si sentì intimorito dal tono freddo e deciso. “Non chiedo di meglio.”
    Le lame delle rispettive spade brillarono un attimo nella luce dell’ennesimo incanto piovuto dal cielo.

    Yuzo non si era più voltato indietro una volta affidati Principe e Chiave ai suoi fratelli d’Aria. Era sfrecciato verso la battaglia e aveva visto la strada della carica del Re nascosta dalla copertura dei suoi compagni guidati da Magister Pierre. Poi un kamalocha era comparso attraverso la polvere e il suo volo si era arrestato nel momento in cui aveva riconosciuto la creatura.
    Non ne aveva mai visto uno dal vivo, poiché non erano animali appartenenti ai Regni degli Ozora. Sui libri aveva letto che nidificavano oltre le montagne del Nord più estremo, oltre la Corona dei Re. Trovarsene uno davanti l’aveva disorientato, almeno sul momento, ma subito aveva ripreso il controllo di sé stesso nell’accorgersi di come quelle bestie avessero praticamente spezzato l’avanguardia magica della fazione degli Ozora. Il loro attacco era stato a sorpresa e di sicuro non erano in molti a conoscere simili creature, nemmeno di nome.
    Riprese a volare, domandandosi come avessero fatto gli Stregoni ad addestrarne così tanti e, soprattutto, come li avessero catturati. I kamalocha non erano prede facili, le loro abilità di volo e vista li rendevano imprevedibili e abili a scartare qualsiasi ostacolo o nemico, inoltre, l’artiglio che avevano all’estremità della coda era letale, per non parlare della loro lunghissima lingua coperta da una saliva talmente acida da corrodere l’acciaio.
    Tentò di scorgere Mamoru, Hajime e Teppei, ma gli parve un’impresa impossibile. Al suolo la confusione era esplosa tra la polvere della copertura che stava svanendo, le fazioni ormai una nell’altra e gli incantesimi degli Stregoni che riuscivano ad arrivare a terra. Nonostante le forze elementali di alastri e fyrarish cercassero di arginarli il più possibile, la velocità dei kamalocha era superiore a quella dei màlayan e alcuni di loro passarono oltre la linea di difesa.
    Yuzo vide la lingua acida di una delle bestie avvolgersi attorno alla caviglia di un suo compagno di scuola, che scomparve tra grida strazianti e scariche di fulmini. Fu in quel momento che comprese che quella era una guerra, e la guerra non sarebbe mai stata una battaglia lui contro gli altri, ma lui e i suoi fratelli contro gli Stregoni. E così come i maghi neri sarebbero caduti, anche gli amici di una vita avrebbero potuto fare la stessa fine. Facevano la stessa fine.
    L’uccellino ingoiò a vuoto quel gusto amaro e ferrigno che la consapevolezza del ‘comunque vada, sarà una sconfitta’ aveva assunto, mischiandosi all’odore del sangue che gli parve già di sentire. Inganno della mente.
    Strinse gli occhi affinché tutto il dolore che aveva conosciuto potesse smorzare quello che sarebbe seguito. Dentro di lui, l’Autocontrollo serrò i sentimenti che avrebbero potuto intralciarlo cosicché, nel vivo della battaglia, non potesse farsi preda di alcuno scrupolo o ripensamento, cosicché la morte dei suoi compagni non lo rendesse cieco a causa delle lacrime; il tempo per salutarsi sarebbe arrivato dopo e se aveva finalmente imparato a dire addio, adesso c’era un’altra cosa che avrebbe dovuto imparare. O, forse, l’aveva già imparata e doveva solo metterla in pratica.
    Nel momento in cui spalancò gli occhi ogni cosa gli apparve in bianco e nero, distante, filtrata dietro un muro di vetro trasparente. Quell’incantesimo era stato il primo che, seppur involontariamente, aveva appreso, e negli anni la sua tecnica si era raffinata e rafforzata. Adesso era come se non fosse neppure lì e stesse osservando il furore della battaglia dagli occhi di un altro. Non ci sarebbe stato dolore ma il rancore non l’aveva fermato, non l’aveva rinchiuso. Come quando si era trovato a Ghoia, la rabbia sarebbe stata il motore per levare la mano, come in quel momento, tendere il braccio perpendicolare al corpo, come in quel momento, creare una lama di vento che corresse – invisibile e tagliente – per tutta la sua estensione, come in quel momento, e lanciarsi contro il kamalocha che arrivava verso di lui a tutta velocità. Proprio come in quel momento.
    La rabbia non lo avrebbe fatto esitare.
    Gli ci volle un attimo. Si trattò di una frazione di secondo, l’infinitesimo che impiegò a scartare dello spazio necessario il suo avversario e la lama di vento lungo il braccio teso fu la spada che decapitò mostro e cavaliere con innaturale facilità. Fu l’istante in cui creò, con l’altra mano, delle scariche elettriche e le usò per attorcigliare le ali del kamalocha successivo; l’effetto leva e la forza del vento gli permisero di scaraventarlo verso il basso.
    Mentre lo vedeva schiantarsi al suolo si rese conto che, sì, lui aveva già imparato. Adesso doveva solo trovare Mamoru e gli altri per ricongiungersi a loro e combattere insieme, fino alla fine.

    “Le nostre strade avrebbero dovuto riunirsi, un giorno, l’avevo sempre saputo.”
    Il trovarsi accerchiato dai Master non impensieriva Natureza. Anzi, Jun vide chiaramente il suo modo di sorridere, lo stesso che aveva imparato a conoscere quando si trovavano ancora alla scuola e si rivolgeva a lui chiamandolo ‘fratello’.
    A dirla tutta, Jun avvertì in maniera palese che il Nero non aveva paura di nulla; sembrava un sentimento estraneo al giovane poiché nei suoi occhi non vi leggeva alcun timore o esitazione, quanto calma e sicurezza e la frase che aveva pronunciato, guardando solo lui e nessun altro, sembrava confermare ancora di più l’impressione dell’Airone di Cristallo.
    Perché, sì, Natureza non considerava neppure gli altri Master. Si limitò a rivolgere loro solo un’occhiata fugace, ma poi – forse perché conosceva personalmente Misugi da anni – parlò solo con lui. Lui che, proprio in virtù dei loro trascorsi, sapeva capire meglio degli altri se stesse dicendo o meno la verità.
    “Questa volta non arriverà tuo fratello a tirarti fuori dai guai.” Jun tentò di mostrarsi più sicuro, ma dovette ammettere di basarsi solo su supposizioni e speranze.
    Di rimando, il Nero allargò il sorriso candido che risaltava ancora di più sulla pelle scura.
    “Ne sei sicuro?”
    L’attimo dopo, attorno a loro, si scatenò l’inferno.
    Per quanto fossero più distanti dal fronte di impatto, le grida allarmate e gli strani versi dei kamalocha arrivarono fino a loro, così come il rumore delle prime esplosioni.
    Jun si volse  e Kojiro allungò il collo, per capire cosa stesse accadendo. Entrambi videro bestie nere e verdi solcare i cieli per fronteggiare i màlayan.
    “Bastardo…” sibilò la Tigre Ardente, mentre Natureza ridacchiava.
    “Mio fratello è già qui.”
    Jun tornò a guardare il Nero; non pensò neppure di camuffare la sua evidente sorpresa nel riconoscere creature oltremontane al servizio degli Stregoni.
    “Ormai dovresti sapere”, Natureza aveva sollevato le mani e tanto era bastato per mettere in guardia sia lui che il Master di Fyar, “di cosa sono capace.”
    Gli incanti partirono insieme da entrambi i palmi, ma la magia cui appartenevano era differente. Nera per la mancina, elementale per la destra.
    Niger koi na pìos melia!(1)” Folgori oscure vennero giù dal cielo, copiose e fitte, per attaccare Kojiro Hyuga, mentre Master Misugi si ritrovava a contrastare, vento contro vento, due tornado in miniatura.
    Il volto del Nero era la maschera del suo immenso potere: un occhio nocciola chiaro e puro, l’altro puramente oscuro; era la sua abilità di Esecutore attivo quella di poter essere Elemento e Stregone insieme.
    Master Hyuga si schermò con una cupola interamente di fiamme che si tese come un arco sopra la sua testa. Gli occhi persero di vista Natureza che con la velocità del volo gli fu accanto in un attimo. Kojiro non ebbe il tempo provare una difesa che un calcio in pieno stomaco lo disarcionò dal màlayan.
    Misugi lo vide cadere nel vuoto, ma non se ne preoccupò; sapeva di poter contare su Matsuyama e Wakabayashi, avrebbero pensato loro a farlo atterrare su qualcosa di morbido.
    Usando il taglio della mano come fosse una lama, il Master di Alastra segò l’aria dei tornado, creando un vuoto temporaneo di alcune frazioni di secondo, ma sufficienti a dissolvere l’incantesimo dell’avversario. Il Nero, però, era sparito. L’aveva perso di vista un solo momento e non riusciva più a scorgerlo se non quando fu troppo tardi: una corda di vento gli serrò la caviglia e Misugi si ritrovò a essere sbattuto in circolo per mano di Natureza.
    Le immagini giravano così veloci da fondersi le une con le altre tanto da non permettergli di contrastare il moto centrifugo fino a che il Nero non lasciò la presa e lui venne lanciato verso il suolo. Le caviglie ancora strette non gli consentivano di acquistare l’equilibrio per poter volare, così si adoperò per sfruttare i propri poteri e riuscire ad attutire l’impatto quando si sentì strattonare. La caduta rallentata di colpo. Era come se una mano gli avesse afferrato l’armatura leggera che stava indossando e lo stesse guidando a terra con calma.
    Jun toccò il suolo senza farsi nemmeno un graffio. Subito ne approfittò per liberarsi le caviglie e quando si volse accennò col capo in direzione di Wakabayashi, per ringraziarlo. Quest’ultimo rispose al cenno: l’ausilio della telecinesi era stato l’unico modo che aveva avuto per mettere in sicurezza l’Airone di Cristallo.
    Accanto a lui, e stranamente spalla a spalla, Master Hyuga ci aveva messo il tempo di un fugace incantesimo per asciugarsi dell’acqua che l’Aquila di Mare aveva usato per farlo atterrare senza che avesse conseguenze. Master Matsuyama restava alla sinistra del Marmo Nero.
    Attorno a loro si era come fatto il vuoto.
    I soldati di entrambe le fazioni non si sognavano nemmeno di avvicinarsi nel luogo dove i Master e il Nero erano riuniti, avrebbe significato morte certa se fossero capitati nel mezzo di un attacco magico.
    Le iridi dei capiscuola si puntarono decise nel cielo, dove Natureza restava ancora in volo, sospeso nel grigio delle nubi che si stagliavano alle sue spalle disegnando con precisione la sua figura e facendo risaltare il colore oscuro del mantello, dei capelli e della pelle. Li osservava da quella posizione dominante, quasi avesse voluto rafforzare la sua superiorità.  Era accomodato sul dorso del màlayan di Master Hyuga, ma l’animale non ne sembrava infastidito. 
    Natureza avvicinò la mano alla criniera di fuoco pur senza entrare in contatto con le fiamme, dopodiché se la portò al viso nel gesto del saluto elementale, con devozione e rispetto. Abbandonò la posizione e sussurrò qualcosa all’orecchio dell’animale, che loro non sentirono, ma che parve convincere la bestia ad andarsene via, ad allontanarsi da quel posto, ad essere di nuovo libero. Il màlayan volò lontano tanto da lasciare senza parole lo stesso Kojiro che quel cavallo lo aveva montato per anni. Poi, il Nero iniziò a planare fino a che non toccò terra con eleganza. Guardò il suolo arido ai suoi piedi e si inginocchiò. La mano sfiorò la superficie e poi venne portata al viso proprio come era avvenuto con il cavallo. La terra, il fuoco e l’aria in cui volava. Avrebbe fatto lo stesso anche con l’acqua, se ne avesse avuta a portata di mano. Natureza onorava davvero tutti gli Elementi che regolavano quel pianeta. Onorava Elementia stesso in ogni sua manifestazione e creatura.
    Si portò in piedi e avvicinò la mano al gancio sotto la gola che teneva allacciato il mantello. Lo sciolse e il vento lo trascinò via in un attimo con una raffica improvvisa.
    “Non siete voi i miei avversari” disse il traditore pur senza smettere di mostrare la sua espressione sorridente, “ma solo uno dei tanti ostacoli che hanno incrociato il mio cammino. Probabilmente l’ultimo. Una volta che mi sarò sbarazzato di voi, potrò finalmente dedicarmi all’unica persona che merita la mia totale attenzione.”
    Per Hyuga erano chiacchiere al vento, utili solo a farsi compagnia quando il silenzio diveniva fastidioso. La Fiamma si lanciò contro di lui, questa volta con tutto il corpo per sfidarlo in un duello senza magia.
    “Il ronzare della tua voce” sibilò; i movimenti veloci, decisi e rabbiosi, “mi urta!”
    Il calcio volante venne schivato, ma Kojiro seguì il movimento e lo concluse con un sequenziale calcio basso, anche questo schivato con un salto. Un pugno comparve all’improvviso per unirsi ai duellanti, ed era di Genzo. Natureza lo usò come punto d’appoggio: le sue mani si posarono sulle nocche per darsi lo slancio e saltare l’avversario ritrovandosi alle sue spalle. Il Master della Terra colpì con una gomitata, ma il Nero la schivò deviandola col dorso e il palmo delle mani, affiancati. Non ebbe nemmeno bisogno di spostarsi.
    Con lo stesso movimento compiuto da Genzo, anche lui gli mollò una gomitata, dalla parte opposta a quella sferrata dal Marmo Nero, e colpì l’elmo in modo da farglielo saltare dal capo. Poi si girò, i pugni stretti vennero mossi insieme, colpendo il Master nel centro della schiena. Le nocche erano protette dal vento, utilizzato come una molla, e Genzo venne scaraventato in avanti con violenza, tanto da rotolare al suolo.
    Shiedun(2)” ordinò nel linguaggio proibito e uno scudo magico nacque direttamente dall’onice che aveva nel collo proteggendolo da qualsiasi attacco sarebbe potuto arrivare da Misugi e Matsuyama, dietro di lui. Accanto, invece, Kojiro si era rialzato, ma il pugno arroventato andò a vuoto, poiché Natureza si abbassò un soffio prima di venire colpito e contrattaccò, rilasciando una sfera d’aria compressa nell’addome della Tigre Ardente. Quest’ultimo venne sbalzato via.
    Un rumore improvviso gli fece levare gli occhi incrociando quelli di Master Matsuyama. L’Aquila di Mare doveva averlo aggirato quando lui era stato distratto dagli attacchi del Marmo Nero e della Tigre. Ne aveva approfittato per preparare un attacco a sorpresa attraverso i suoi poteri, ma ci sarebbe voluto ben altro per cogliere in fallo l’Elemento reietto.
    Natureza vide nettamente quelle tre frecce d’acqua che tagliavano la terra e assumevano la forma minacciosa della pinna degli squali.
    Oxidia na barik!(3)
    Un guscio nero e lucido di ossidiana purissima e innaturalmente resistente si sollevò dal suolo creando una barricata contro cui l’acqua si scontrò e venne spinta verso l’alto, zampillando in cielo. Sembravano le teste incontrollate di un dragone, oscillavano impazzite.
    Matsuyama imprecò, mentre Natureza sorrideva tra divertimento e soddisfazione.
    Nel tempo di un battito di ciglia, apparve e scomparve grazie alla velocità acquisita alla Scuola di Alastra. Abbandonò il guscio di ossidiana e anche lo scudo di Magia Nera creato dall’onice scomparve. Effettuò una capriola a mezz’aria pronto a rimettersi in piedi, ma il calcio al volo che gli sferrò Master Misugi interruppe i suoi movimenti, centrandolo nel mezzo della schiena.
    Essendo il primo tra gli alastri, la velocità di Natureza non poteva ingannare gli occhi di Jun, che riuscivano a seguirlo ovunque.
    Misugi rimase a guardare, leggermente sollevato dal suolo, il corpo del Nero che collideva con la terra. Il forte impatto fece sollevare polvere e frammenti di roccia.
    Matsuyama approfittò di quel momento per provare a intrappolarlo. I tre arpioni d’acqua, che ancora si agitavano, indirizzarono le loro punte verso il Nero e in un attimo si lanciarono su di lui, scomparendo nella polvere.
    Gli occhi dei Master si assottigliarono, scrutando nella nuvola che andava diradandosi e quando videro l’acqua avvolgere Natureza tanto da bloccarlo un lampo di ottimismo attraversò i loro occhi. Se avessero continuato a unire le loro forze, il traditore avrebbe finalmente capitolato e molto prima di quanto lo stesso Stregone avrebbe mai potuto pensare.
    “Lo abbiamo in pugno!” si lasciò sfuggire la Tigre Ardente in un ringhio soddisfatto, mentre Matsuyama sollevava Natureza controllando le corde d’acqua con i propri poteri.
    Eppure, nonostante la sua posizione fosse di netto svantaggio, il sorriso del Nero era sempre lì, sulle labbra. Aleggiava come un monito o la benevolenza del padre che ammonisce il figlio convinto di averlo gabbato.
    Solo Jun era rimasto più attento; sapeva sempre aspettarsi delle pessime sorprese da quel giovane. Quest’ultimo nemmeno rispose alle parole di Hyuga. Le sue braccia erano immobilizzate lungo i fianchi, ma per lui fu sufficiente riuscire a ruotare appena le mani per poter toccare l’acqua di Matsuyama.
    Niger koi(4).”
    Un sussurro e folgori porpora e nero si insinuarono all’interno delle corde percorrendole, tanto da non poter essere viste, con una velocità ben superiore a quelle che erano soliti creare gli alastri.
    “Che ne facciamo adesso?” Kojiro si era portato le mani ai fianchi, ignorando il dolore che sentiva all’addome per il colpo ricevuto.
    Genzo incrociò le braccia. “Dovremo immobilizzarlo del tutto prima che-”
    Lascialo andare, Hikaru!” l’esclamazione di Jun arrivò così allarmata, improvvisa e senza senso che gli altri Master lo guardarono con palese perplessità, ma Misugi non fece in tempo ad avvisare del pericolo che le folgori emersero dall’acqua travolgendo Matsuyama.
    L’Aquila di Mare gridò per il dolore, ma restò stoicamente in piedi, pur piegandosi in avanti. I denti vennero digrignati e i muscoli contratti dall’elettricità.
    Natureza ridacchiò di piacere. “Koi na ssord(5)” formulò e una spada, fatta di quelle stesse folgori nere, prese vita nella mano destra. Approfittò del fatto che le corde d’acqua si stessero allentando e sul punto di scomparire per liberarsene e tranciare il flusso di netto. L’acqua si rovesciò al suolo con uno scroscio, improvvisamente inanimata.
    Genzo andò subito in soccorso di Hikaru. Il suo braccio venne avvolto da uno spesso strato di roccia isolante e immerso in quel groviglio di fili elettrici che ancora stringevano l’Aquila. Se li attorcigliò addosso, liberando il compagno, e poi li scaraventò lontano, ma si dissolsero ben prima di toccare il suolo.
    L’Aquila cadde in ginocchio; il corpo che si muoveva scompostamente a causa degli spasmi, residuo della corrente assorbita.
    “Porti rogna, dannato Gatto Spennato!” ringhiò il Marmo Nero in direzione di Kojiro, anche lui accorso per dare aiuto ad Hikaru.
    “Non aggiungere altro!” minacciò in un sibilo. Era già nervoso di suo, ci mancavano solo le parole a vanvera di quel dannato Wakabayashi. Cercò il Nero con lo sguardo e lo vide che stava ferocemente ingaggiando battaglia con l’Airone. Il viso assunse un’espressione sorpresa: non l’aveva mai visto così aggressivo fino a quel momento; sembrava avercela particolarmente con Misugi. Forse per i loro trascorsi comuni alla Scuola dell’Aria? Kojiro non seppe dirlo, ma il modo in cui stava attaccando Jun non gli piacque per niente.
    Dal canto suo, Misugi, subito dopo che Natureza si era liberato dall’acqua di Hikaru, l’aveva visto puntare su di sé il suo sguardo di sfida. Uno sguardo improvvisamente carico, quello di chi avrebbe smesso di giocare e avrebbe iniziato a fare sul serio.
    Quando la nera figura di Natureza era piovuta verso di lui, Jun aveva subito innalzato una barriera di vento per tentare di fermarla o quantomeno rallentarla. Non era servito a molto. La spada che il Nero continuava a brandire era calata più e più volte sulla sua cupola, costringendolo a indietreggiare e a dare fondo a tutta la sua forza per tenergli testa.
    In quel momento, la barriera si era ridotta a poco più di una pellicola in procinto di andare in frantumi.
    “Forza, Misugi, forza! E’ tutto qui quello che sa fare il Master dell’Aria? Credevo valessi molto di più!” Natureza rise, gli occhi erano spalancati e riflettevano i due poteri che albergavano in lui. La spada calò per l’ennesima volta, sfrigolando sul vento che circolava velocissimo tanto da prendere una consistenza visibile, d’un colore grigio sporco. I fulmini neri si diramarono dalla spada quasi godessero di vita propria e corsero per tutta la cupola. “Ormai ti ho in pugno, Master!”
    Jun strinse i denti. Il sapore ferrigno del sangue gli arrivò sulla lingua, ma non demorse. Chiuse gli occhi per concentrare tutte le energie e tenere a freno quel potere dirompente che sembrava avesse voluto fagocitarlo. Le mani tremarono vistosamente nel controllare i flussi di vento, renderli stabili e impedire che si spezzassero, ma qualcos’altro sembrò spezzarsi nello sforzo eccessivo.
    Jun spalancò gli occhi quando una fitta al petto sembrò strappargli il respiro per alcuni, lunghissimi momenti. La cupola scricchiolò pericolosamente.
    Il Master tentò di riprenderne il controllo, ma una seconda fitta, più forte della prima, lo fece cadere in ginocchio. La mano corse al cuore, che batteva veloce ma aritmico. Il fiato si fece corto, come se proprio lui, padrone dell’aria, non ne avesse abbastanza. Il dolore lo piegò al suolo, il viso premuto nella terra e una mano stretta in pugno, mentre l’altro braccio continuava stoicamente a rimanere sollevato, ma tremava così forte che in un attimo la cupola si sfaldò, il vento corse via e si dissolse.
    Natureza caricò il colpo di grazia, calandolo senza pietà, ma una barriera di roccia sorse per incontrare la sua lama elettrica. Della copertura approfittò la Tigre Ardente che in un attimo prese l’Airone tra le braccia per portarlo più lontano, fuori dalla portata del Nero. La roccia creata dal Marmo Nero andò in frantumi e le schegge volarono ovunque, tanto che lo stesso Master della Terra ne rimase ferito al braccio.
    Il Nero tornò ad assumere il suo tipico sorrisetto divertito. Ritirò le folgori e fece scomparire la spada, terminando l’attacco. “Vedo che i tuoi problemi di cuore persistono.”
    “Problemi di cuore?!” sbottò Kojiro guardando Jun, ora adagiato a terra. Il giovane continuava a tenersi il petto, ma aveva forza a sufficienza per poter levare lo sguardo sul suo vecchio compagno di scuola. Il respiro era pesante e difficoltoso.
    “Sì, problemi di cuore. Altrimenti perché chiamarlo ‘Airone di Cristallo’?” Il Nero si sorprese. “Non lo sapevate? Jun Misugi ha un cuore fragile come il vetro.”
    Gli altri tre Master si scambiarono un’occhiata confusa. Erano sempre stati ignari dei problemi di salute di Jun, forse perché non si era mai presentata, ai loro occhi, l’occasione critica che lo mettesse talmente sottosforzo da farlo stare male.
    “Mi dispiace…” borbottò l’Airone quasi con rabbia.
    “Avresti dovuto dircelo prima, dannazione! Saresti rimasto a guidare le retrovie!”
    Jun rivolse uno sguardo furente alla Tigre che si ritrovò ad ammutolire.
    “E per cosa?! Conosco il Nero meglio di voi, avevate bisogno del mio aiuto!”
    Kojiro scosse il capo. “Che testardo.”
    In quel momento, un bastone, piovuto letteralmente dal cielo, si conficcò nel terreno e dalla pietra nera che fluttuava sulla sommità, al centro di una gabbia di avorio e oro, si irradiò una luce che accecò tutti e quattro i Master.
    Misugi rimase a terra, il volto coperto dalla mano. Kojiro abbassò il capo e strinse gli occhi; un ginocchio piegato e l’altro al suolo. In piedi, seppur malmesso, era rimasto solo Wakabayashi, il cui braccio sanguinava vistosamente, mentre Hikaru era ancora inginocchiato. Anche i loro occhi erano serrati.
    “Che diamine è quella roba?!” Hyuga non riusciva a capirlo. Non solo la luce li rendeva ciechi, ma era come se assieme al bagliore emettesse una sorta di energia che li respingeva fino ad arretrare.
    “Hai bisogno di una mano, fratello?”
    La luce si spense adagio e Natureza fu in grado di sollevare lo sguardo al cielo, dove ora un’ombra si stagliava in volo, minacciosa. Sorrise.
    “Appena in tempo, Cario. La questione iniziava ad andare per le lunghe e io non ho tempo da perdere.”
    “Allora lascia a noi il compito di occuparcene.”
    Nel cielo, Cario non era da solo, ma i Master furono in grado di vederlo solo quando schiusero gli occhi e la forma della pietra luminosa aveva smesso di rimanere stampata sulla loro retina ogni volta che sbattevano le palpebre. Sollevarono il capo al rumore di strani versi e si trovarono circondati dai kamalocha. Ce n’erano almeno cinque o sei, sui cui dorsi vi erano altrettanti Stregoni. E non erano Stregoni qualunque. Riconobbero Igawa, il cui nome era arrivato fino alle quattro scuole.
    La situazione si era capovolta: ora erano loro in svantaggio numerico, e per giunta erano anche stati sfiancati dallo scontro col Nero il quale, per quanto da solo, aveva tenuto testa a tutti loro senza farsi neppure un graffio.
    “Trova la Chiave, fratello.” Cario richiamò a sé il bastone con un semplice schiocco di dita e questo ci mise un attimo a sfilarsi dal terreno per correre nel suo palmo.
    Natureza annuì, ma non si librò in volo. Spavaldamente si mosse a piedi, passando tra i Master quasi che non avessero mai potuto fermarlo.
    Nonostante tutto, Matsuyama tentò di farlo, anche se l’utilizzo della magia a quei livelli così alti l’aveva sfibrato. Provò a creare una fune d’acqua che potesse avvolgersi attorno a un polso o alla caviglia, ma questa si infranse contro una barriera invisibile che seguiva il Nero.
    Sul bastone di Cario, la pietra aveva brillato per un momento. “Non è più lui il vostro avversario.”
    E per i Master fu chiaro che se non avessero sconfitto quegli Stregoni, non sarebbero mai potuti correre dietro Natureza.

    Sawada atterrò nell’accampamento degli Ozora con delicatezza, permettendo anche al Principe di poter finalmente toccare il suolo.
    Per tutto il tempo che era stato in volo, dopo che Yuzo lo aveva lasciato agli altri alastri, Tsubasa non aveva fatto altro che guardare in basso e indietro. Aveva fissato i cavalli dell’esercito di suo padre correre velocemente, sollevando polvere. E poi altra polvere, di lontano, tanto che non era più stato in grado di capire cosa fosse avvenuto quando le rispettive armate si erano fuse. Aveva solo visto quelle enormi bestie nere comparire dal nulla e in esse aveva riconosciuto quelle delle sue visioni. Era così che doveva andare.
    “Ora siete al sicuro, Vostra Altezza.”
    Sawada gli si rivolse con gentilezza e con un sorriso rassicurante, ma lui non aveva bisogno di alcuna rassicurazione. Lui già sapeva la direzione che avrebbero preso gli eventi, anche se non in maniera completa e lucida. Aveva solo sprazzi, sequenze. Ma gli erano sembrate sufficienti nella loro negatività. Eppure rispose al sorriso del giovane alastro, mentre Ryo si faceva subito al suo fianco.
    “Finalmente a terra. Siano lodate le mie madri. Non ce la facevo più a venire sballottato a destra e a manca” sbuffò, con la sua solita insofferenza, ma il Principe non gli prestò attenzione e così fu la Chiave a rivolgere lo sguardo al suo padrone. Lo vide pensieroso e con gli occhi che seguitavano a cercare il campo di battaglia, lontano. Poi le sue iridi scure abbracciarono l’intero accampamento e gli uomini che aspettavano di prendere parte alla seconda carica.
    “Venite, Vostra Altezza” Sawada gli si era rivolto prima che potesse farlo lo stesso Ryo. “Vi conduco da vostro padre. Non vede l’ora di potervi riabbracciare.”
    Tsubasa annuì di nuovo, sempre con il sorriso, ma il senso di irrequietezza traspariva nitidamente dai suoi gesti. Almeno secondo Ryo, che lo conosceva, forse, meglio di chiunque altro.
    Mentre passava tra i soldati, questi levavano le proprie armi al cielo, felici di saperlo in salvo. La sua presenza parve risollevare gli animi e Tsubasa fece tutto quello che un futuro Re avrebbe fatto: assecondò il loro entusiasmo e li ringraziò per la loro fedeltà e il loro valore.
    L’Elemento Sawada lo guidò fino al rialzo da cui era possibile dominare interamente la Lingua di Serpe, ma era così distante dal cuore vero e proprio della battaglia, che era difficile riuscire a distinguere gli eventi a occhio nudo.
    Tsubasa vide suo padre fermo presso la sommità. Il mantello pesante oscillava piano alle sue spalle e indossava l’armatura da guerra. Mentre lo raggiungeva, lesse gioia e sollievo nel suo sguardo e il modo in cui stringeva il pomolo della spada che pendeva nel fodero al suo fianco era quello di chi cercava di contenere la propria felicità.
    Tsubasa accennò un sorriso d’affetto nei suoi confronti e, dopo un anno che non lo vedeva, gli apparve improvvisamente più vecchio di quanto lo ricordasse.
    In tutti quei mesi si era focalizzato così egoisticamente solo sulle sue visioni da tralasciare troppo il resto. Di colpo si interrogò su sua madre e su suo fratello, sulla loro salute, ma si convinse che dovevano stare bene, altrimenti avrebbe di sicuro avuto dei flash di allarme. O almeno così sperava.
    L’Elemento Izawa aveva avuto ragione a rimproverarlo come fosse stato un ragazzino e non il futuro Re di quelle terre. Si mortificò e abbassò lo sguardo. Quando lo rialzò vide Koudai muoversi velocemente verso di lui. Non era riuscito a resistere alla metà paterna del proprio cuore. Con il sorriso che spuntava da sotto i baffi, allargò le braccia e lo strinse a sé.
    “Stavo per rassegnarmi all’idea che fosse ormai troppo tardi. Siano benedette le Dee per aver salvato la mia speranza.”
    Tsubasa sorrise alle sue parole e ricambiò la stretta, avvertendo il morbido velluto del mantello e la freddezza del metallo. Nonostante l’armatura, il suo odore lo fece sentire nuovamente a casa.
    “Non era quello il destino che le Dee avevano scelto.”
    “Vorrei ben sperarlo. C’è un Regno che aspetta di essere governato da te.” Koudai si separò dal figlio. Volse un’occhiata eloquente a Ryo, di cui era l’unico a conoscere il segreto assieme ai Consoli, e accennò col capo una riverenza. Avrebbe voluto essere più ossequioso, ma non poteva permettere che altre orecchie capissero la natura del giovane. Volse quindi lo sguardo alla battaglia. “Sempre se riusciamo a ricacciare l’esercito di Gamo e dei suoi Stregoni.”
    “La mamma e Daichi?” Tsubasa volle avere la certezza che le sue visioni non l’avessero tradito all’ultimo momento, ma quando vide suo padre sorridere riuscì a rilassarsi, almeno un po’.
    “Stanno bene e non vedono l’ora di riabbracciarti. Anche loro hanno sentito tanto la tua man-”
    “Vostra Maestà, mi dispiace interrompervi.” Magister Owairan avanzò affiancato dagli altri membri del Consiglio Scolastico di Agadir. “Ma il secondo assalto è pronto per essere lanciato. Gli uomini aspettano solo di vedervi alla loro guida.”
    Koudai annuì. “E sia. Il mio elmo” ordinò imperioso, dandosi una sistemata al mantello e controllando un’ultima volta la propria armatura. “Sarà strano non avere Roberto al mio fianco, come al solito.”
    “Il Comandante Hongo non è con te?” domandò il Principe.
    Koudai sorrise. “Il Comandante Hongo è già nella mischia. Manco solo io, ormai, ma a breve lo raggiungerò-”
    “A questo proposito” Tsubasa abbassò lo sguardo per un solo momento. Doveva approfittare dell’argomento, ora che era stato tirato in ballo. “Fammi venire con te.”
    Il coro si svolse in una sequenza perfetta, partendo da Owairan e concludendosi con Ryo, nel mezzo ci fu suo padre.
    “Cosa?”
    “Cosa?!”
    Cosa?!
    Tsubasa strinse i pugni. “Fammi combattere assieme a te. È quello il mio posto, è lì che devo essere.”
    “Sei forse impazzito, figlio? La prigionia ti ha dato alla testa? Sei l’erede al trono, colui che prenderà il mio posto, non posso permetterti di rischiare la vita in questo modo; non sei preparato per affrontare i nemici sul campo.” Il tono di rimprovero di Koudai non era arrabbiato, quanto preoccupato e in buona parte sorpreso.
    Tsubasa non si arrese. “Ho già duellato. Roberto mi ha insegnato tutto quello di cui-”
    “Hai duellato con spade di legno e una lancia smussata a un torneo, qualche anno fa. E l’unico acciaio che hai brandito era quello di una spada leggera.” L’uomo sospirò pesantemente. “La colpa è stata anche mia che ho rallentato la tua preparazione con le armi, ma essere il detentore della Chiave ha gravato le tue spalle di altre responsabilità e ora-”
    “Padre, tu non capisci!” Stavolta Tsubasa lo interruppe con una certa frustrazione e urgenza. “Devo raggiungere il campo di battaglia perché è quello il mio destino! Il motivo per cui sono qui ora!”
    “Destino? Quello che capisco io è che non ti lascerò rischiare la vita, perché di questo si tratta, in maniera irresponsabile. Il campo di battaglia non è il posto adatto a te, moriresti ancor prima di raggiungerlo e non posso permettere che accada. Tu resterai qui. Il mio è un ordine.”
    “Ma-”
    “I ‘ma’ non esistono.”
    Koudai non gli diede nemmeno il tempo di replicare, si calcò l’elmo sul capo e si allontanò a passo svelto.
    Tsubasa rimase a guardare il simbolo della propria casata che oscillava elegantemente assieme alla stoffa del mantello che l’uomo indossava. Non aveva avuto nemmeno il tempo di parlargli di quelle convinzioni di cui nessuno era a conoscenza a parte Ryo e i quattro Elementi che l’avevano salvato. Non era stato ascoltato e, come sempre, preso sul serio. La condizione di futuro erede al trono era piombata nuovamente su di lui anteponendo tutto ciò che per Tsubasa era davvero importante dietro i doveri che il mondo intero sembrava avere nei suoi confronti. Lui doveva essere preservato, fino a che non fosse stato grande abbastanza per governare il paese. Ma nessuno si era ancora accorto che quel tempo era arrivato, era lì, era tra la polvere delle rocce irte, tra il sangue dei suoi sudditi e tra i cadaveri dei nemici.
    Lui non poteva restare a guardare o la guerra sarebbe stata perduta.
    “Stai pensando qualcosa, te lo leggo negli occhi.” Ryo si era avvicinato fino a portarsi alle sue spalle. Gli parlò piano in modo che nessuno potesse sentire, anche se ormai erano rimasti solo loro due sul rialzo.
    Il Principe si volse e lo stesso sguardo era ora puntato alla Lingua di Serpe dove infervorava la battaglia.
    “Non posso aspettare” disse solo.
    Ryo sospirò con una certa rassegnazione. “Lo sapevo.”
    “Anche tu non capisci?” Tsubasa aveva cercato prepotentemente i suoi occhi, mentre nei propri era evidente la frustrazione di essere visto solo come l’esuberante Principe, un po’ troppo entusiasta e ingenuo. Dentro di lui c’era molto di più che gli altri si ostinavano a non vedere. “E’ questo il mio destino, il modo in cui salverò il pianeta. È qui. Non avevo chiaro perché dovessi viaggiare fino al Sud fino a che non ho incontrato quegli Elementi. Solo allora ho capito che il viaggio si sarebbe concluso al Nord e solo quando i miei occhi hanno incontrato i suoi ho capito che eravamo sempre stati legati, noi due, fin dal principio.”
    “Voi… due?”
    Tsubasa tornò a guardare verso il campo di battaglia, ma le sue iridi non si puntarono alla terra, bensì vagarono in cielo, alla ricerca – forse impossibile senza un cannocchiale – dei Master.
    “Io e Natureza.” Anche se non poteva vederlo in viso, Ryo percepì in maniera netta la sicurezza che velava la sua voce. “E’ per lui che sono arrivato fin qui. Il nostro destino è quello di affrontarci. Siamo nati solo per questo momento.”
    La Chiave si mordicchiò, poco divinamente, il labbro inferiore. Non gli piacevano particolarmente le parole del Principe, perché significava che anche lui sarebbe stato coinvolto nell’intera faccenda. Dopotutto, era per il suo possesso che era stata scatenata quella guerra; sapeva che non si sarebbe potuto tirare indietro.
    Alla fine emise un lungo respiro e si rassegnò, ancora una volta, alle volontà del giovane che era divenuto il suo padrone indiscusso, l’unico che avrebbe mai seguito. Anche se era un semidio, la luce che aveva visto nello spirito del giovane Ozora era impossibile da confondere: nessuno sarebbe stato più degno di lui di poter usare i suoi poteri.
    “E allora dimmi: come pensi di arrivare dal Nero senza farti scoprire? E, soprattutto, senza farti ammazzare?”




    [1]“NIGER… MELIA”: “Sacra pioggia di folgori oscure”

    [2]“SHIEDUN!”: “Scudo!”

    [3]“OXIDIA… BARIK”: “Barriera di ossidiana”

    [4]“NIGER KOI”: “Folgori oscure”

    [5]“KOI… SSORD”: “Spada di folgori”


    …Il Giardino Elementale…

     

    Il punto di vista si è spostato per carpire cosa sta avvenendo anche agli altri contendenti. Finalmente vediamo all'opera il Nero contro i Master e come Ryoma Hino se la cavi a doversi scontrare con qualcosa che non aveva previsto come gli Agili di Kalavira.
    Ma, soprattutto, ecco che il nostro Tsubasa non riesce a stare fermo, proprio come l'originale XD, ed è pronto a buttarsi nella mischia. Cosa accadrà?

    Grazie a tutti voi che continuate a seguirmi!
    Ho deciso che gli aggiornamenti avverranno di Martedì e Sabato. :) In questo modo, potrò darvi l'Epilogo giusto il giorno di Natale, come mio piccolo regalo per voi che siete rimasti con me! :3


    Galleria di Fanart (AGGIORNATA! **)

    - Elemento: Hajime Taki

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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    Capitolo 51
    *** 16 - This is War - parte IV ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte IV)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    “A warning to the prophet, the liar, the honest /
    Un avvertimento al profeta, al bugiardo, all’onesto:
    this is war /
    questa è Guerra.

    30 Seconds to MarsThis is War

    Magister Owairan non si mise subito alla testa del gruppo d’assalto assieme a Levin, già schierato, ma deviò il percorso all’ultimo momento, immergendosi tra le fila di feriti, accuditi dagli Elementi d’Aria. Il Re, invece, aveva tirato dritto, immerso e combattuto tra i pensieri per il proprio figlio e quelli per la battaglia.
    Owairan cercò qualcuno con lo sguardo e quando l’ebbe trovato, lo puntò con passo svelto.
    “Elemento!” chiamò, afferrando un giovane alastro per un braccio. Il ragazzino si volse, più basso di lui, e lo guardò con palese perplessità.
    “Posso esservi utile, Magister?”
    “Sei tu che hai condotto qui il Principe Tsubasa, vero?”
    Takeshi Sawada annuì. “Sì, signore.”
    “Bene, allora controllalo. Non perderlo mai di vista, intesi?” tirò un profondo respiro nervoso. “Credo abbia in mente di andare a combattere assieme a suo padre, nonostante gli sia stato impedito. Tienilo lontano dai cavalli e se hai il sospetto che voglia progettare una fuga, bloccalo.”
    Takeshi parve perplesso, nonché preoccupato. “E… e come posso fermarlo?”
    Owairan sistemò il lungo fazzoletto che gli copriva il capo e non mutò l’espressione dura nel rispondere. “Come ti pare. Tramortiscilo se necessario, ma non lasciarlo andare.”
    Takeshi assunse un’espressione accigliata mentre l’osservava andare via senza aggiungere altro. Poi si levò in volo per raggiungere il rialzo su cui aveva lasciato il Principe. Ripensò al modo accorato con cui Yuzo si era raccomandato di proteggere il giovane Ozora e alla fatica che avevano impiegato per trovarlo. Immaginare che potesse di nuovo lanciarsi in quel massacro lo preoccupò, soprattutto per l’impegno dei suoi compagni che rischiava di andare a gambe all’aria.
    Quando atterrò sulla parte più alta dell’accampamento, ovvero il luogo che il Re e i Master avevano scelto come nodo di comando, la prima cosa che notò fu che il Principe non c’era e nemmeno l’altro giovane che Yuzo aveva affidato loro.
    “Divina Yayoi…” Takeshi lo masticò cercando di non farsi prendere dal panico, ma guardando dappertutto. Gli occhi si mossero verso la linea del secondo attacco che stava per essere sferrato. Gli ultimi soldati e agadiri stavano raggiungendo di corsa le postazioni. Si librò in volo ancora una volta e iniziò a domandare a tutte le altre persone che incontrava.
    “Avete visto il Principe?”
    “Sua Altezza Tsubasa si è diretto da questa parte?”
    “Il giovane sovrano è per caso andato a riposarsi o si è diretto alle tende dei Naturalisti?”
    Ma ad ogni nuovo ‘no’, la questione cominciava a farsi più seria, fino a che anche gli altri Elementi o Magister si trovarono a negare o scuotere il capo, prima di tornare svelti alle loro frenetiche incombenze.
    “Ma… l’avevamo lasciato con il Re, sul rialzo di roccia.” Manfred Margas si grattò la testa con perplessità, mentre vedeva il compagno di scuola impallidire di colpo. “Perché? È forse successo qualcosa, Takeshi?”
    Ma Takeshi era troppo impegnato a mettersi le mani nei cortissimi capelli neri per rispondere, era troppo impegnato a spalancare occhi e bocca e a rendersi conto che era già troppo tardi. Magister Owairan non l’aveva messo in guardia per tempo e proprio in quel momento arrivò anche il suono della seconda carica: gli agadiri e il Re stavano scendendo sul campo di battaglia.
    “Oddee… ho perso il Principe!”

    “Sei sicuro che funzionerà?”
    Tsubasa calcò bene l’elmo sulla testa della Chiave che sembrava del tutto a disagio con addosso la bardatura d’acciaio. “Certo che funzionerà, se tieni abbassata la celata.”
    Avevano rimediato tutto ciò di cui avevano bisogno all’interno di una delle enormi tende allestite dai membri della Guardia Cittadina mandati al fronte. Raggiungere il Nero significava gettarsi nella battaglia e non potevano certo sperare di farlo senza una buona difesa. Erano così sgattaiolati dal luogo in cui avevano parlato con il Re per raggiungere, con la giusta circospezione, la zona dell’accampamento occupata dalla Guardia Cittadina. Non era stato difficile, tutti erano troppo impegnati a prepararsi per il secondo assalto per pensare a loro due, i cui abiti che indossavano, ormai rovinati, li facevano passare più per due attendenti o assistenti dei Naturalisti che per giovani di alto lignaggio.
    Memore degli insegnamenti di Roberto e del loro particolare obiettivo, Tsubasa cercò di non appesantire né sé stesso né Ryo. Corazze e spallacci, assieme a cosciali e schinieri avrebbero coperto i punti più critici, mentre gli elmi avrebbero celato le loro identità. Le spade che portavano al fianco servivano solo per il travestimento: non era con le armi comuni che avrebbe affrontato il suo avversario, Tsubasa lo sapeva. Rimediare i cavalli era stato altrettanto semplice, ma per sellarli c’era voluto un po’ di più perché Ryo non era affatto capace.
    “Mi raccomando, tieniti saldo.” Il Principe aveva legato le briglie dei due animali tra loro affinché non venissero separati ma potessero avanzare insieme, fianco a fianco. In questo modo, non avrebbe perso di vista la Chiave.
    Ryo annuì goffamente. La testa era così pesante con quell’affare d’acciaio. Non riusciva neppure a vedere molto bene, perché la celata aveva feritoie strettissime e la visuale era molto limitata.
    “Non si respira qui sotto!” si lamentò, mentre Tsubasa indirizzava entrambi verso l’ultima fila di soldati.
    Accanto a loro, videro volare a pochi centimetri dal suolo il giovane Elemento cui Yuzo li aveva affidati: li stava cercando, ma non li riconobbe.
    “Ormai ci siamo, tieni duro.” Tsubasa drizzò la schiena. Conosceva il peso dell’acciaio e quello che aveva addosso era anche minore rispetto quello cui Roberto lo aveva abituato. “Seguiamo i soldati fino a un certo punto, poi ci dirigeremo dove si trova Natureza.”
    “Ma hai sentito che a quanto sembra sono spuntati dei mostri, vero?” Ryo aveva ascoltato distrattamente alcuni soldati che ne parlavano.
    “Supereremo anche loro, vedrai.”
    “Oh, mammine. Proteggete il vostro figliolo adorato” La raccomandazione della Chiave rimase intrappolata nell’elmo proprio l’istante prima che il suono del corno penetrasse lì dentro e rimbalzasse all’interno dell’acciaio.
    Miei uomini! Carica!
    Tsubasa riconobbe la voce tonante di suo padre. Non si capacitò come potesse arrivare fino a loro che erano così lontani dalla prima linea, eppure la udì in maniera netta e nell’attimo che le parole del Re presero pieno significato, lui aveva già spronato il proprio cavallo.
    La seconda calata era appena iniziata.

    Mamoru affrontava, da terra, gli Stregoni che sfrecciavano nei cieli, cercando di dare il proprio supporto o, almeno, tentava di colpire quelli più in basso perché i suoi incantesimi avevano comunque un limite di gittata.
    Nel mentre, si occupava anche dei soldati che gli capitavano a tiro e che, incautamente, cercavano di ingaggiare battaglia, e gli Stregoni che non erano a dorso dei mostri volanti.
    Era una follia.
    Riuscire a tenere tutti a bada, avere occhi ovunque, dimenticarsi addirittura di respirare a volte. Tutto quello era una follia, ma lui non poteva permettersi di distrarsi neppure per un attimo, perché proprio quello avrebbe potuto essergli fatale.
    Mamoru lanciò un’ultima fiammata verso il cielo riuscendo solo a bruciare la coda di un kamalocha che si era abbassato troppo, e poi si dedicò a un soldato che era accorso, spada sguainata, verso di lui. Gli bastò emettere un calore intenso pur senza generare fuoco per farlo soffocare all’interno della propria armatura di metallo. Il semplice tocco delle mani arroventò spallacci e corazza e l’uomo guaì per il dolore, liberandosi dell’armatura senza curarsi di rimanere completamente privo di difese; venne ucciso da una freccia vagante l’attimo dopo.
    Mamoru se ne disinteressò subito, concentrandosi, invece, sull’ennesimo kamalocha in attacco e i suoi occhi erano così concentrati sulla bestia, da non rendersi conto d’esser divenuto preda di uno Stregone che, invece, attaccava da terra. Eccola lì, la famosa distrazione fatale.
    La Fiamma sentì solo un grido di dolore provenire dalle proprie spalle e un uomo volare letteralmente via, allontanato da una potente folata di vento. Di sicuro, se non avesse avuto un buon metodo per atterrare, il malcapitato si sarebbe rotto qualcosa il che equivaleva a una probabile morte.
    Mamoru scorse il suo salvatore dargli le spalle. Non seppe dire se fosse più felice o più preoccupato di ritrovarlo di nuovo sul campo, accanto a lui. Preferì andare sul classico e abbaiare. “Che diavolo ci fai qui?!”
    Yuzo gli mostrò fugacemente la trequarti, poi liberò una raffica di spilli di vento verso gli avversari che aveva davanti. “Mi sentivo solo.”
    “Beh, qui non sarai certo a corto di compagnia” sbuffò Mamoru, arretrando di un passo. Erano davvero spalla contro spalla, ora, tanto che la toccò addirittura. “Il Principe?”
    “Stai tranquillo, è al sicuro.”
    “Dove avresti dovuto essere anche tu.”
    “No. Io devo essere con i miei amici. Per questo sono qui.”
    Si volsero entrambi, Mamoru con uno sguardo che era un misto tra rimprovero e, sì, una sorta di orgoglio un po’ camuffato; mentre Yuzo aveva la determinazione di chi non si sarebbe smosso neppure di un passo dalle proprie convinzioni.
    Fu la Fiamma a capitolare. Scosse il capo e distolse lo sguardo. Nel movimento, le sue iridi captarono qualcosa di ben peggiore. Un kamalocha era appena sceso oltre la linea di volo dei màlayan e viaggiava radente al suolo travolgendo chiunque fosse stato così stolto da provare a ostacolarlo e da non spostarsi in tempo. Puntava dritto verso di loro.
    “Credo che abbiamo un problema.”
    Yuzo guardò attentamente la bestia, sfruttando le sue capacità di alastro per trovare una soluzione immediata. “Una possibilità ci sarebbe. Hai mai fatto una combo?”
    Mamoru scosse il capo; non gli era mai piaciuto fare gioco di squadra, lui era più per dettare ordini o riceverli esclusivamente da chi riteneva essergli superiore – molto pochi, in verità. La cosa però non lo preoccupò. “C’è sempre una prima volta, no?” cercò lo sguardo dell’uccellino e questi lo incrociò.
    I problemi che avevano lasciato nell’Avamposto Sud non erano scomparsi, questo era certo, ma entrambi sapevano che non gli avrebbero permesso di intralciarli ora, nel vivo della battaglia, col rischio di mettere l’altro in pericolo. Per il momento si sarebbero limitati ad accantonarli, con l’intenzione di riprendere il discorso da dove l’avevano lasciato.
    Yuzo accennò un sorriso complice. “Allora fammi accendere.”
    Il sopracciglio di Mamoru si inarcò su un ghignetto divertito. Scosse il capo e sollevò la mano destra. Il palmo aperto aspettava che quello di Yuzo gli si poggiasse contro per creare un flusso tra i loro poteri.
    Il volante, invece, apparve più titubante o forse solo insicuro. Desiderava fortemente avere un contatto con lui, anche se così misero come la stretta di una mano, ma temeva che il loro litigio avesse in qualche modo minato la fiducia che la Fiamma aveva riposto in lui. Temeva che lo rifuggisse all’ultimo momento. Per questo la sua mano si muoveva forse troppo lentamente, avvicinandosi a quella di Mamoru un po’ alla volta, come per sondare il terreno ed essere preparata nel caso venisse respinta. Invece, furono proprio del dita del fyarish ad annullare la distanza. Si intrecciarono con sicurezza alle sue in un tocco che era molto di più della semplice sovrapposizione di palmi.
    Yuzo sentì il cuore battere più forte per un solo attimo, mentre riprendeva la piacevole familiarità col suo calore, sempre più intenso degli altri. Si concesse di illudersi che l’avesse perdonato per avergli taciuto la verità. Strinse a sua volta le dita e sorrise con dolcezza nel vederle unite. Infine distolse lo sguardo e lo levò al compagno. Quest’ultimo, seguitando a fissare il kamalocha in avvicinamento, porse la mancina. In un gesto rapido fece scivolare il pollice tra anulare, medio e indice: sulla sommità del dito si accese una viva fiammella.
    Mamoru ruotò le iridi nere e ardenti verso le sue. Le catturò col calore della pece e accennò una smorfia ironica e divertita. “Esprimi un desiderio.”
    Il sorriso di Yuzo si allargò tanto da snudare i denti. Gli prese la mano portandola alle labbra. Inspirò profondamente e infine soffiò.
    La vampa si espanse a dismisura, molto più vasta e profonda di quella che un fyarish avrebbe potuto creare da solo. L’ossigeno dell’alastro alimentava vigorosamente le fiamme e queste arrivarono al kamalocha, lo investirono in pieno fin quasi a inglobarlo. Le urla strazianti della bestia giunsero subito fino a loro, che rimasero a guardarlo mentre si schiantava al suolo e si rotolava con frenesia per riuscire a spegnersi. Fu tutto inutile.
    Mamoru sciolse la presa in un attimo e con slancio, spezzando anche il sottile legame che si era instaurato tra loro.
    “Questo sì che si chiama ‘fare flambé’ qualcuno!” esultò con le braccia al cielo.
    Yuzo, invece, guardò per un momento la propria mano ora vuota, ripensando al fatto che quella era stata la loro prima combo insieme. La pelle ancora formicolava per il calore e per la presenza del potere di Mamoru che si era fuso al proprio. Piano stava svanendo, come un’eco che si spegneva sul fondo.
    Hajime e Teppei arrivarono di corsa, dopo essersi liberati dei loro avversari.
    “Ehi! Per poco non arrostivate il mondo!” esclamò Teppei dando una sonora pacca sulla spalla della Fiamma.
    “Credo sia il caso di muoversi, ne stanno arrivando altri” fece notare Hajime, guardandosi intorno. Per un attimo si era creato una specie di vuoto attorno a loro, ma gli scontri erano tornati a farsi serrati e loro erano intenzionati a spostarsi per raggiungere i luoghi in cui gli Stregoni a terra erano in numero maggiore.
    Yuzo!
    Prima che si muovessero, un alastro si precipitò in volo fino a loro. Atterrò quasi a rotta di collo e col rischio di travolgerli. Doveva aver volato a tutta velocità e vista la fretta sembrava essere successo qualcosa di grave.
    “Takeshi?” Il volante apparve perplesso. “Che è successo?”
    “Yuzo… mi dispiace… io…” Il ragazzino aveva il fiatone tanto da rimanere piegato in avanti.
    “Fai un bel respiro e parla con calma.”
    “Giuro che l’avevo portato all’accampamento, aveva addirittura parlato con suo padre!”
    “Ma di cosa stai-”
    “Il Principe!”
    A quella parola i quattro Elementi si fecero improvvisamente attenti.
    “Ho perso il Principe!”
    “Cosa?!” sbottarono in coro, prima che fosse Mamoru a sovrastare le altre voci.
    “Come sarebbe a dire che l’hai perso?!”
    “L’avevo portato all’accampamento e l’avevo lasciato col Re. Poi il Magister dell’Acqua, Owairan, mi aveva detto di tenerlo d’occhio perché pensava volesse gettarsi nuovamente nella battaglia” spiegò Sawada quasi con le lacrime agli occhi. “Ma quando sono andato a cercarlo… non sono riuscito a trovarlo da nessuna parte! Credo si sia mischiato ai guerrieri della seconda carica!”
    “Maledizione!” ringhiò la Fiamma, girando nervosamente in tondo.
    Dopo tutta la fatica che avevano fatto per portare Tsubasa al sicuro, quello stupido irresponsabile si metteva in testa di voler giocare alla guerra. Non immaginava che diavolo gli fosse saltato in mente, ma appena l’avrebbe trovato questa volta nessuno avrebbe potuto impedirgli di prenderlo a pugni. Nemmeno l’uccellino!
    “Va bene, d’accordo, ci pensiamo noi.” Quest’ultimo stava dando disposizioni al compagno. “Tu torna all’accampamento per aiutare gli altri con i feriti. Cercheremo noi Sua Altezza, non preoccuparti.”
    Takeshi annuì, visibilmente mortificato per quanto la colpa non fosse sua, e in un attimo sparì in volo per tornare indietro.
    “Questa volta mi sente” ringhiò la Fiamma. Le mani ai fianchi e lo sguardo torvo. “Giuro che mi sente.”
    “Dobbiamo trovarlo.”
    “E come speri di fare?!” sbottò in direzione di Yuzo. Non avrebbe voluto scaricare su di lui la frustrazione, ma era il primo a essergli capitato sotto mano. “Ti rendi conto che è come trovare il classico ago nel pagliaio, vero?”
    “Certo che me ne rendo conto, ma non possiamo fare altrimenti.” Il volante replicò con lo stesso tono aspro, tanto che l’altro incassò la consapevolezza di avere esagerato e non rispose. “Dobbiamo trovarlo.”
    E mentre lo ripeteva, tutti e quattro mossero attorno lo sguardo comprendendo che non sarebbe stato affatto facile.

    “Aspettavo da tanto di poterti dare la lezione che meriti, Golem.”
    Santana non si mostrò impressionato dalle parole di Hino, che invece mostrava un mezzo ghigno divertito e desideroso di scontrare le proprie lame. Attraverso la celata chiusa i suoi occhi verdi apparivano immobili, privi di qualsiasi emozione. Era per quello che lo chiamavano ‘Golem’, perché sembrava solo un pezzo di carne che camminava ed eseguiva gli ordini. Il soldato perfetto.
    - Umphf. Pure troppo. - Ryoma inarcò un sopracciglio con fastidio, ma poi si leccò le labbra nascoste dall’elmo al pensiero di prendersi la rivincita.
    La lama venne fatta ruotare nella mano come a prenderne una maggiore confidenza. Poi, la deflagrazione di un incantesimo ruppe l’attesa che si era creata e entrambi i cavalli vennero spronati per portare avanti l’attacco. L’incrocio di spade fu violento e generò delle piccole scintille nello sfregarsi del metallo. Nessuno dei due ebbe la meglio sull’altro, ma entrambi rimasero in sella.
    Ryoma era abituato a disarcionare gli avversari al primo colpo, però era preparato nei riguardi di Santana, sapeva che con lui non sarebbe stato così facile.
    Girò il cavallo e lo spronò di nuovo, senza perdere tempo. Portare un attacco serrato era tipico della sua strategia; in questo modo non dava tempo all’avversario di riprendersi subito. Il suo obiettivo era di riuscire a cogliere la difesa del Golem in fallo almeno un po’, giusto il necessario per costringerlo a scendere da cavallo e metterlo in svantaggio.
    Al secondo tentativo, Santana rimase perfettamente in groppa al levianto. Lo scalpicciare dei cavalli era inquieto mentre spingevano il fianco l’uno contro l’altro, spostandosi di pochi centimetri per lato.
    I due contendenti non si separarono, ma rimasero fermi facendo forza sulle lame.
    Ryoma ringhiava, all’interno dell’elmo, e il suo fiato riscaldava l’ambiente stretto. Carlos, invece, appariva imperturbabile. Non era affannato, non era irato. Respirava con regolarità, come stesse facendo una tranquilla passeggiata.
    Il levianto di Hino scalciò quello di Santana e questi si spostò maggiormente di lato lasciando alle spade un margine di azione.
    Il Primo Ufficiale tentò due affondi in sequenza: uno diretto e uno traverso, ma vennero entrambi parati e le lame fermate l’una contro l’altra. Hino approfittò di quella stasi e afferrò il polso dell’avversario per trattenerlo e provare a colpirlo ancora. Santana però lo anticipò, sferrandogli una sonora testata.
    Il cozzare dell’acciaio contro l’elmo rimbombò tanto da stordirlo e la forza impressa al colpo fu tale da fargli perdere l’equilibrio e cadere dalla sella. Nell’impatto, l’elmo volò via.
    Ryoma riuscì a non perdere la presa sulla propria arma e forse fu un bene l’essersi liberato di quell’affare che gli copriva buona parte della visuale. Era vero che lo difendeva dagli attacchi, ma era anche vero che non lo faceva sentire perfettamente libero di muoversi e avere tutto sotto controllo.
    Rimanendo al suolo e tentando di mettersi a sedere, si massaggiò il setto nasale e la fronte. La testata lo aveva colpito giusto tra i due e gli aveva dato l’idea che tutte le ossa della faccia avessero tremato. Nemmeno lui era capace di tirare dei colpi di testa tanto forti; con indosso l’elmo, addirittura.
    Nel frattempo, Santana era sceso dal proprio destriero con un movimento elegante. Non gli importava avere il vantaggio restando a cavallo, cercava lo scontro diretto, proprio come Ryoma.
    Il suo elmo era seriamente ammaccato nel punto in cui l’aveva usato come arma contundente. Del tutto dimentico del luogo in cui si trovavano e del rischio che avrebbe potuto correre se lo tolse, gettandolo a terra.
    Ryoma lo guardò da sotto in su studiando quei gesti e quelle scelte così avventate, prese quasi con sprezzo del pericolo. Si sentì come se l’altro lo stesse sottovalutando e la cosa non fece che mandarlo in collera. Tentò di rialzarsi, ma Santana caricò il fendente sopra la testa con entrambe le mani: voleva spaccargli il cranio.
    Hino rotolò su un fianco e la lama ricadde al suolo, conficcandosi tra roccia e terra. In un attimo fu in piedi e attaccò di lato; Santana si abbassò giusto in tempo per evitare che gli tagliasse la testa. Estrasse la lama e portò un affondo che partiva dal basso, ma Ryoma si piegò sulle gambe e utilizzò la propria arma per far perno e spingere quella avversaria verso l’alto, lontana dal suo corpo.
    Tornarono a separarsi di qualche passo. La strategia cambiava a ogni mossa perché entrambi erano in grado di opporre resistenza all’altro e conoscevano i rispettivi stili di combattimento; erano anni che si affrontavano nei tornei.
    Hino ruotò la spada con un gioco di polso; lo faceva spesso quando era in procinto di attaccare e questo lo sapeva anche Santana, per questo non si fece trovare impreparato: parò l’affondo dall’alto e quello dal basso che lo seguì e quando Ryoma provò a mollargli un pugno in pieno viso, ora che le lame erano impegnate, riuscì a bloccare anche quello fermando il colpo nella mano libera. La doppia presa gli permise di tirare un calcio all’addome dell’avversario, spingendolo via con talmente tanta forza da farlo cadere di schiena.
    Tra loro due si era sempre trattato di essere veloci; entrambi avevano capacità di ripresa così rapide che non potevano permettersi di perdere neppure un attimo tra un affondo e l’altro o lo scontro avrebbe finito con l’andare per le lunghe. Nessuno dei due lo voleva.
    Il Golem tentò di infilzarlo approfittando di essere ancora in piedi, ma il Primo Ufficiale non era di certo un tipo che si scoraggiava dopo un paio di schienamenti. Parò l’affondo e velocemente afferrò un pezzo di roccia lungo e appuntito. Lo piantò nella gamba di Santana sfruttando uno dei punti deboli tipici delle armature: nella parte posteriore tra coscia e ginocchia. Si era accorto durante il combattimento che l’altro non indossava la cotta di maglia. Gli era parso davvero assurdo, in un primo momento, poi ne aveva ghignato: se credeva di essere così invulnerabile, beh, avrebbe avuto una pessima sorpresa. E lui adorava consegnare pessime sorprese.
    Eppure, tra i due, chi ricevette la sorpresa peggiore fu proprio Hino e non perché il suo colpo non andò a segno. Tutt’altro. Lo spuntone di roccia si conficcò nella carne con una certa facilità, ma il Golem non emise un fiato. Non un lamento, niente. La sua espressione rimase impassibile e distaccata come sempre, quasi che non l’avesse nemmeno toccato, eppure aveva almeno venti centimetri di roccia infilata tra coscia e ginocchio. Soprattutto, si accorse che non sanguinava.
    “Ma che diavolo…”
    Ryoma si distrasse, troppo sconcertato, e l’altro fece per approfittarne quando tre frecce lo colpirono negli altri punti critici costringendolo ad arretrare. Di nuovo, non emise un fiato.
    “Allontanati, Ryoma!” Il Capitano Gino Hernandez manteneva l’arco teso con la freccia incoccata per dargli copertura.
    Il Primo Ufficiale non se lo fece ripetere e sgusciò via dalla linea di tiro. Non smise di fissare Carlos che, con tutta la calma di questo mondo, sfilò dapprima lo spuntone di roccia e poi le frecce. Le ferite continuavano a non sanguinare e lui non seppe dire cosa gli apparisse più assurdo se il suo distacco o il fatto che non perdesse  neppure una goccia di linfa vitale.
    Deglutì e si rimise in piedi, la posizione di difesa, ma nessuna voglia di fare il primo passo perché non aveva idea di come si potesse battere un uomo che, forse, non era uomo affatto.
    “Che diavolo sei?!” Gli sputò contro, ma l’altro non rispose. Da che avevano iniziato a lottare era rimasto trincerato in un mutismo ottuso e fastidioso. Ryoma era abituato a sentire le grida degli avversari, così come le proprie. Il rumore che le emozioni esternavano gli faceva sentire con maggiore lucidità la realtà di uno scontro. In quel caso, invece, andava tutto come non doveva e la cosa lo confondeva.
    “Adesso provo a fargli un buco in fronte” mormorò Hernandez. Aveva l’arco teso davanti al viso e la guancia appoggiata sulla mano che teneva la coda della freccia. “Distrailo.”
    Per una strana convinzione, Hino era sicuro che non avrebbe funzionato, anche se gli avesse trapassato il cervello. Si prestò comunque al piano del Capitano e scartò di lato, attaccando a lama bassa ma pronta a squarciargli il ventre dal fianco fino alla spalla opposta.
    Gino lo teneva sotto tiro, tese l’arco di un millimetro ancora, ma si sentì strattonare e cadere di lato proprio nel momento in cui stava per scoccare la freccia. L’attimo dopo un incanto si infranse a vuoto proprio nel punto in cui avrebbe dovuto esserci lui.
    “Carlos, stai bene?” Una voce sconosciuta fece la sua comparsa e l’intrigo sembrò infittirsi ancora di più, almeno secondo Ryoma.
    Il nuovo arrivato, uno Stregone visti gli occhi neri e l’incantesimo che ancora fumava tra i palmi delle sue mani, indossava… l’armatura della Legione del Nord. A giudicare dai gradi doveva essere un Comandante in seconda. La gerarchia dell’esercito di Gamo vedeva il Generale come soldato di grado maggiore, poi vi erano i Capitani di Legione e dopo i Comandanti.
    Vedere un comandante che usava la Magia Nera non gli piacque per niente e gli fece balenare in testa un’unica risposta.
    “Spie!” Infiltrati tra le stesse fila dei Gamo, ma al servizio del Nero, probabilmente per tenerlo d’occhio il più da vicino possibile. “Non ci si può proprio fidare di nessuno, a quanto vedo” ironizzò poi, scuotendo appena il capo.
    “Non c’era bisogno che ti esponessi, Leo. Ti avevo detto di restare più in disparte.” Santana manteneva il suo tono solito.
    “Questi bastardi ti stanno dando filo da torcere, ero venuto a darti una mano.”
    “Hai fatto saltare la copertura.” Lo rimproverò pur senza che l’asprezza emergesse dalla voce.
    “Allora vuol dire che li uccideremo tutti.” Lo Stregone nuovo arrivato, spia al servizio del Nero sotto le mentite spoglie di un Comandante in seconda, si chiamava Leo Luciano e si poteva considerare l’unico amico di Carlos Santana.
    Il Generale del Nord era noto per non essere affatto di compagnia, non parlava mai con nessuno oltre il necessario, non aveva famiglia; la maggior parte delle persone non sapeva nemmeno da quale città provenisse. L’unico che sembrava essere in grado di stargli vicino era Luciano; ben più basso, capelli biondi e un viso pulito, quasi innocuo, ma la sfera di energia che lanciò in direzione di Hernandez ancora a terra dopo essere stato spostato dal raggio di tiro del primo colpo dimostrò l’esatto contrario. L’apparenza sapeva ingannare piuttosto bene.
    Shunjin-Go, colui che era intervenuto per salvare Hernandez, levò Onore e l’incantesimo si riflesse sulla resistentissima spada del giovane.
    “Di loro due mi occupo io, tu pensa al Primo Ufficiale.” Nonostante la differenza di grado fosse evidente, la confidenza e l’autorità con cui Leo dava ordini a Santana pareva invertire i ruoli con estrema facilità. Hino si ritrovò ben più confuso di prima e lui odiava non capire come stavano le cose.
    “Sai che faccia farà il caro Gamo quando scoprirà che sei un traditore?” ghignò affrontando il Generale. Quest’ultimo non si scompose e parò, per l’ennesima volta, l’assalto di Hino.
    “Chi ti assicura che farai in tempo a riferirglielo?”
    Poco distante, Leo sfruttava abilità guerriere e magiche contro i capitani dell’armata reale. Non era al livello degli altri Stregoni; il suo periodo di studi era stato interrotto per permettergli di infiltrarsi tra le fila di Gamo, ma non se la cavava male. D’altra parte, Shunjin-Go ed Hernandez avevano esperienza da vendere.
    Shunjin-Go lo affrontava in maniera più diretta, levando Onore con eleganza e maestria. Era l’unica lama presente sul campo di battaglia a saper affettare anche l’acciaio. Più lontano, Hernandez forniva copertura al compagno.
    Leo parò con difficoltà l’assalto dello spadaccino e contemporaneamente indirizzò la sua magia contro Gino. A lungo andare, di sicuro l’avrebbero spuntata loro perché lo Stregone non avrebbe potuto tenere il ritmo. E questo non lo sapevano solo i tre impegnati nel duello, ma anche Santana. Ryoma si accorse di come il suo sguardo si spostasse, impercettibili volte, in direzione dello Stregone e lo sorprese il fatto che proprio un uomo di pietra come lui avesse a cuore le sorti di qualcun’altro.
    Ryoma ne approfittò e la spada riuscì ad affondare lungo la coscia, ma rimbalzò sull’acciaio dell’armatura. Poco male, seppure l’avesse colpito, quel mostro non avrebbe sanguinato e ancora di più la cosa gli fece chiedere chi o cosa fosse davvero Carlos Santana.
    “Ehi! Il tuo avversario sono io, cerca di non distrarti!” Lo rimproverò e finalmente negli occhi del Generale balenò un guizzo. Poco piacevole, a dirla tutta.
    Attaccò con maggiore ferocia e velocità, la sua forza fece arretrare Ryoma che per un attimo si pentì di aver parlato troppo. Ramon glielo diceva sempre di tenere a bada quella sua dannata linguaccia. Poi, un nuovo sguardo di lato fece condurre a Santana un attacco sbrigativo che ebbe solo l’effetto di sbilanciarlo, ma Carlos non gli diede il colpo di grazia, anzi lo lasciò lì e corse verso lo Stregone.
    La combinazione delle forze di Shunjin-Go e Hernandez l’aveva messo alle strette. La spada gli era stata tolta di mano, spezzata alla base dell’impugnatura dalla forza di Onore, e lui era arretrato fino a inciampare in un altro cadavere. Ormai a terra, a Shunjin-Go sarebbe bastato un solo, rapido fendente per porre fine alla sua vita.
    Purtroppo Santana fu più veloce della sua mano.
    Onore cozzò contro la spada del Generale e sebbene quest’ultima ebbe la peggio, la forza di Carlos fu sufficiente a scaraventare lontano il Capitano dell’esercito avversario e a fargli perdere la presa sull’arma che scivolò al suolo, distante dal proprietario.
    Con tutto il suo corpo coprì quello di Leo, facendogli da scudo umano.
    “Carlos…”
    “Ti hanno ferito?”
    Lo Stregone si mise lentamente in piedi. “No, ma-”
    “Allora vattene da qui.” Stavolta era sua la durezza nelle parole, anche se prima era stato l’altro a dargli degli ordini. “Prendi un cavallo e cerca un posto in cui restare al sicuro.”
    “No che non vado! Hai bisogno del mio aiuto e poi questi soldati hanno scoperto che noi-”
    “Penserò io a loro, ma tu-”
    “E’ la mia volontà!” Leo si impose. “Siamo sempre rimasti insieme e combatteremo fianco a fianco.”
    Hino rimase profondamente colpito da quel comportamento così ‘strano’ per uno come Santana. Allora forse un cuore ce l’aveva anche lui, dopotutto, nonostante le espressioni sul suo viso dicessero tutt’altro: era come guardare fisso una statua. Eppure, Ryoma non perse una sola parola del loro dialogo e quando Santana rispose, d’improvviso gli fu tutto più chiaro.
    “Se me lo ordini, sai bene che non posso disobbedire.”
    Hino allargò lo sguardo, la sua testa macinava strategie in maniera veloce e un po’ disorganizzata, ma doveva tentare.
    “Frecce a raffica, Gino!” ordinò, correndo poi piegato in avanti verso la spada di Shunjin-Go.
    Hernandez non perse tempo, diede fondo a tutti i dardi che aveva nella faretra, colpendo Santana ovunque trovasse uno spiraglio. In piena fronte, sotto il braccio, alla gamba. Vederlo restare stoicamente in piedi come se niente fosse gli fece gelare il sangue nelle vene, ma il Primo Ufficiale doveva avere un piano e lui non si risparmiò.
    Santana sollevò un braccio per liberarsi dei dardi, con l’altro faceva segno a Leo di non muoversi e continuare a restare nascosto dietro di lui che con la bardatura riusciva a offrirgli una copertura sufficiente.
    Hino si lanciò in scivolata, afferrò con entrambe le mani l’elsa di Onore e grazie alla spinta datagli dalla corsa riuscì a sollevarla, seppure con estrema fatica. Si rimise in piedi e tenne l’arma stretta lungo il fianco.
    La spada di Santana era andata in frantumi quando aveva cercato di proteggere Leo, così il Generale si preparò a fermare il nuovo fendente a mani nude, anche a costo di vedersele tagliate.
    Hino correva mantenendosi in posizione raccolta, sfruttò la rincorsa e si lasciò cadere di nuovo in scivolata, con un ginocchio a terra. Le mani di Santana erano pronte per afferrare la lama, ma Ryoma effettuò una torsione del busto e la spada eluse la difesa del Golem per colpirlo al petto, perforare l’acciaio e trafiggergli il cuore.
    Solo quello e nient’altro, non la freccia al centro della fronte o lo spuntone di roccia nella gamba, lo fermò. Sul viso gli si dipinse un’espressione che era a cavallo tra l’incredulo e il sofferente.
    Santana rimase immobile, le mani a mezz’aria e le labbra leggermente aperte. Il verde brillante degli occhi si fece di vetro e finalmente qualcosa iniziò a sgorgare dal petto. Sangue. Tutto quello che non aveva perso tramite le altre ferite venne fuori in maniera copiosa, scivolando sull’acciaio della spada e dell’armatura. Corse fino all’impugnatura dell’arma e sporcò i guanti di Hino che era rimasto nella posizione in cui l’aveva trafitto: piegato all’indietro con la spada sopra di lui e il mondo che gli appariva capovolto.
    Il Primo Ufficiale lasciò andare la presa e si sollevò. Vedendolo ora, Carlos Santana sembrava ancora di più una statua perfetta. Ryoma lo spinse appena e il cadavere ricadde al suolo di schianto con la schiena a terra e lo sguardo vitreo puntato verso il nulla.
    Alle sue spalle il volto di Leo era una maschera di terrore e rabbia. “Carlos!” gridò, ma non ottenne alcuna risposta. Sotto al corpo, la chiazza di sangue andava allargandosi in maniera inverosimile.
    “Cosa avete fatto?” mormorò lo Stregone. Negli occhi la collera guizzò con ferocia rendendo ancora più nere le iridi e la sclera. “Che cosa avete fatto?!” Nei palmi il bagliore della Magia Nera si fece intenso; sfere porpora ruotavano come impazzite e divenivano sempre più grandi. Ryoma si trovò sulla linea di tiro.
    Con decisione fissò il mago negli occhi un solo momento ancora, prima di abbassarsi di slancio.
    La visuale di Leo si trovò così libera dall’ostacolo giusto in tempo per mettere a fuoco la punta della freccia, l’ultima della faretra, che Hernandez aveva incoccato. L’attimo dopo era piantata nella sua fronte, uccidendolo all’istante.
    Sul suo volto si disegnò un’espressione simile a quella avuta da Santana solo che oltre alla sorpresa, la sofferenza era terribilmente evidente, anche se non sembrava più una sofferenza fisica. Ryoma non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma credeva che lo Stregone stesse soffrendo per la perdita dell’amico.
    Se poi si poteva considerare davvero ‘amico’ quella cosa.
    Ryoma guardò dall’alto i due cadaveri che giacevano vicini: Leo in posizione prona e Santana supina. Il corpo del Generale si stava liquefacendo in argilla.
    “Chi l’avrebbe mai detto…” mormorò Gino che aveva raggiunto il Primo Ufficiale fermandosi al suo fianco.
    Shunjin-Go fece capolino all’altro lato. “Allora Santana era davvero un golem.”
    “Così pare.” Ryoma l’aveva compreso quando il Generale aveva parlato di obbedire agli ordini. I golem erano creature forgiate nella terra e non potevano in alcun modo negarsi a un comando del proprio padrone; e quel padrone doveva essere lo Stregone al suo fianco.
    Era stato per quello che aveva usato tutta la sua forza per brandire Onore: la sua lama era l’unica ad affettare il metallo come fosse stato burro e visto che l’unico modo per uccidere un golem era trafiggergli il cuore, Onore aveva fatto al caso suo, altrimenti non sarebbe mai riuscito a perforare la corazza che lo proteggeva.
    Mentre vedeva Shunjin-Go estrarre la spada di famiglia dal cadavere, Ryoma non poté non pensare che dopotutto era vero: Santana un cuore ce l’aveva avuto sul serio, un cuore umano, visto il modo in cui si era mischiato tra gli uomini come fosse stato uno di loro. Forse la premura verso lo Stregone non era stata altro che il frutto del legame di fedeltà assoluta che legava il golem al padrone, però nel modo in cui Santana aveva difeso Leo e nel modo in cui questi fosse letteralmente impazzito nel sapere morta la propria creatura c’era qualcosa di diverso. Qualcosa che sembrava andare oltre.
    Si narrava che alcuni golem fossero nati dal desiderio ardente di far rivivere una persona cara, morta prematuramente.
    Di sicuro lui non avrebbe mai saputo la vera storia, ma era certo che non avrebbe mai dimenticato Carlos Santana e il suo devoto creatore.

    Vederla da lontano e trovarsene nel mezzo erano due cose completamente diverse.
    Tsubasa se ne stava rendendo conto solo in quel momento, che la carica era piombata sul campo di battaglia e nel vivo dello scontro. Gli agadiri avevano aperto la strada restando in piedi su enormi cavalloni di cui ignorava la provenienza, visto che si trovavano in una piana piuttosto arida.
    Lui si era sentito come trascinare dagli altri soldati. Aveva faticato a mantenere il proprio cavallo al giusto passo per non essere di intralcio e non perdere Ryo per strada, anche se le briglie erano legate tra loro.
    La sensazione che aveva avuto era di volersene disperatamente tirare fuori ma non poterlo fare, perché non esistevano vie di fuga e tutto quello che doveva fare era correre. Correre e lasciarsi travolgere dal rumore scoordinato di centinaia di zoccoli, di grida, di tintinnare metallico che veniva sguainato e levato al cielo.
    Poi il primo kamalocha gli passò sulla testa e lui lo seguì con gli occhi senza perderlo di vista fino a che il suo padrone non iniziò ad attaccare i soldati sottostanti. Istintivamente tirò le briglie di lato e costrinse entrambe le cavalcature a deviare il percorso. Giusto in tempo. Il fragore dell’esplosione e delle grida venne attutito dalla protezione offerta dall’elmo.
    Accanto a lui, piegato sul cavallo, Ryo borbottava probabilmente una preghiera alle Dee sue madri.
    Uscire da quella mischia per provare a raggiungere Natureza gli apparve di colpo un’impresa impossibile. Tsubasa si domandò se non avesse commesso un enorme errore di valutazione. I Master non erano più nemmeno visibili in quel caos immenso di bestie volanti, agadiri, fiamme e cozzare d’acciaio. La roccia spuntava dal nulla e gli Elementi di Terra si facevano strada a mani nude contro i loro avversari. Tutti combattevano, attorno a lui, e così tanti morivano.
    Dalla feritoia della celata, Tsubasa vide un soldato cadere al suolo con tutto il cavallo; la testa staccata e altri zoccoli che lo pestavano senza alcun riguardo. Degli alastri precipitarono trascinati dagli animali degli Stregoni le cui lingue corrodevano tutto ciò che toccavano. I corpi degli Elementi di Aria venivano separati in due mentre erano ancora in aria e l’acido dei kamalocha faceva il resto.
    D’un tratto, un agile balzato alle spalle di un altro cavallo atterrò a un soffio da loro. Le proprie cavalcature si impennarono, spaventate, e sia Ryo che Tsubasa vennero disarcionati.
    L’abile cavaliere aveva lunghi capelli biondi legati in rasta; spuntavano da sotto l’elmo che gli copriva il viso solo fino al naso. Le labbra erano chiaramente visibili e tese in un orribile ghigno.
    Ryo corse a nascondersi dietro al Principe, ancora a terra. Per un attimo, Tsubasa si vide spacciato; la superiorità del guerriero era evidente, ma un’altra spada si frappose tra quella del soldato di Gamo e loro.
    Il Capitano Victorino aveva istruito la sua squadra d’assalto dicendo l’oro di occuparsi solo dei Veloci e lui aveva appena incrociato la sua lama col ‘pesce grosso’ del gruppo.
    Lazon emise un verso contrariato, ma subito si disinteressò ai due a terra per dedicarsi al nuovo e più degno avversario.
    Tsubasa si alzò svelto, trascinando via Ryo. Approfittò dell’aiuto dell’uomo agli ordini di suo padre e iniziò a correre lungo il campo di battaglia, tra soldati che gli piombavano davanti combattendo senza esclusione di colpi e magie che piovevano dal cielo.
    Di Natureza neppure l’ombra.
    In un gesto disperato, Tsubasa si tolse l’elmo e poté finalmente riempirsi i polmoni con delle profonde boccate d’aria. Quell’affare stava quasi per soffocarlo; aveva il viso completamente madido di sudore. Ryo seguì il suo esempio benedicendo le Dee per ogni respiro che prendeva.
    “Non si respirava lì sotto, maledetta miseria!” si lamentò; gli occhi vagavano dappertutto terrorizzato all’idea di venire attaccato all’improvviso.
    “Se restiamo fermi saremo prede ancora più semplici.” Tsubasa glielo disse prendendogli il polso e mantenendosi flesso sulle gambe, pronto a scattare, per correre ancora.
    L’altro aveva il fiatone. “Ma io non vedo il Nero da nessuna parte!” si impuntò. “E quest’armatura pesa!”
    “Lo so, ma non possiamo lasciare che ti colpiscano. Se si accorgono che non muori capiranno che c’è qualcosa che non va!”
    “Devi usarmi! Non puoi aspettare ancora!”
    Tsubasa scosse il capo. Sapeva che sarebbe stato il momento sbagliato, perché la sua energia non poteva essere mantenuta a lungo. Per quanto divina, la Chiave Elementale restava comunque un manufatto creato per gli uomini e le Dee non erano state così stolte da far loro dono di un’arma definitiva.
    “Non adesso!”
    Ryo ruotò gli occhi e poi li fermò. La smorfia di protesta si sciolse in una più spaventata. Puntò il dito al cielo e riprese a sbraitare. “E allora quando?! Aspetti forse che quello ci divori?!”
    In picchiata, un kamalocha stava caricando chiunque si trovasse a terra nel suo raggio d’azione, e loro ci ricadevano in pieno.
    Tsubasa afferrò la Chiave per un polso, ma d’improvviso si rese conto che seppure si fossero messi a correre, probabilmente non avrebbero avuto scampo. Dove sarebbero mai potuti andare a nascondersi in quella piana immensa?
    Nel momento in cui iniziava a convincersi che forse avrebbe dovuto usare i poteri di Ryo, un enorme monolite emerse da terra e infilzò la bestia con tutto il cavaliere.
    “State bene, Vostra Altezza?”
    Tsubasa riconobbe la voce dell’Elemento di Terra che, assieme a quello di Aria, Acqua e Fuoco lo aveva liberato dalla prigionia degli Stregoni. Quando si volse, scoprì che non era da solo; i suoi compagni erano al suo fianco e liberavano lo spazio attorno a loro da qualsiasi pericolo.
    La possibilità di riuscire a districarsi in quell’inferno e poter finalmente scontrarsi col Nero tornò a brillare e lui sorrise, realmente felice di vederli.
    “Elementi! Siete arrivati giusto in tempo, dobbiamo trov-”
    Il pugno in pieno viso lo mandò a terra, disteso.
    Mamoru lo aveva caricato come un bufalo e non aveva neppure prestato ascolto alle sue parole. Aveva avuto quella voglia di tirargliene uno con tutto il cuore da che l’amico di Yuzo era comparso quasi in lacrime per comunicare loro che il Principe si era lanciato alla carica. Come un perfetto imbecille.
    Ryo tentò di intervenire, ma il volante lo fermò con decisione. Una mano gli sfiorò appena il braccio e quando la Chiave incrociò il suo sguardo lo trovò severo. Yuzo scosse appena il capo per fargli intendere di rimanerne fuori.
    “Non so più se rivolgermi a voi con Vostra Altezza o Vostra Suprema Idiozia!” abbaiò la Fiamma.
    Tsubasa si portò una mano allo zigomo che pulsava per il dolore, ma non rispose.
    “Che diavolo vi è saltato in mente, eh?! È così che rispettate tutta la fatica che abbiamo fatto per trovarvi e fare in modo di mettervi al sicuro?! Vi rendete conto di aver mandato a puttane un anno di duro lavoro?! E mi sono fatto andare bene le vostre fottute ‘convinzioni’, ‘visioni’ o come diavolo volete chiamarle, ma questo non posso tollerarlo!” Mamoru gesticolava animatamente, puntandogli l’indice dritto in faccia. “Ci sono persone, qui, che stanno morendo per voi e altre che sono già morte! E per cosa?! Per permettervi di comportarvi come un moccioso sciagurato?! Pensate, dannazione! Pensate prima di agire come un fottuto egoista!”
    “Io dovevo!” Tsubasa tentò di difendersi.
    Dovevate?!
    “Sì! Dovevo! Non ho mai pensato che fosse piacevole o una scelta ‘rispettosa’ e io comprendo benissimo tutto il tuo rancore, ma dovevo farlo!” Tsubasa si mise in ginocchio, sedendosi sui talloni con una certa rassegnazione. “So bene quanto dolore ci sia stato per arrivare fin qui, me lo hai già detto e io l’ho sempre saputo, ma devo affrontare il Nero. Siamo nati per trovarci, per confrontarci. Noi siamo uguali e anche se ci sono tantissime vite in gioco, anche se migliaia di uomini si stanno battendo adesso, questa è la nostra guerra. Mia e sua.” Le sopracciglia si aggrottarono conferendogli un’espressione di chi desiderava ardentemente essere ascoltato senza vedere in lui solo il figlio del Re, ma ben altro. “Gamo è stato un pretesto per coinvolgere più gente possibile e permettergli di facilitare il massacro cui aspira. Niente di più. Il suo disegno è così chiaro… e io non potevo restarne fuori, perché ne faccio parte.”
    Mamoru aveva le mani ai fianchi e una smorfia furente a piegargli le labbra. Masticò a vuoto e poi si volse. Tra i compagni cercò lo sguardo del volante, desiderandone un consiglio, un parere. Nemmeno Yuzo aveva un’espressione rilassata; sapeva che il Principe meritava tanto la strigliata quanto il pugno, ma nelle sue parole percepì la verità: lui e il Nero erano davvero uguali. Incrociò lo sguardo della Fiamma per qualche momento, poi accennò affermativamente col capo.
    Mamoru apparve sorpreso e non lo nascose, cercò conferma e l’altro annuì ancora.
    Lui sospirò a fondo, alzando poi il viso al cielo e tentando di recuperare almeno un briciolo di sanità mentale in quella situazione che richiedeva la maggiore lucidità possibile. Quando lo riabbassò, la severità apparve stemperata.
    “E questo non potevate dircelo prima invece di farci scorrazzare per tutto il campo di battaglia come dei deficienti?” Mamoru gli tese la mano.
    Il Principe distese un piccolo sorriso in segno di gratitudine e accettò il suo aiuto. “Non tutto mi appare chiaro fin dal primo istante. Sono mortificato.”
    Ryo raggiunse subito Tsubasa, lamentandosi del fatto che il pugno gli avrebbe lasciato un dannato occhio nero. Mamoru non se ne curò e gli permise di borbottare. Si avvicinò invece al volante; le mani ancora ai fianchi e la schiena rivolta a tutto il resto.
    “A me sembra un’assurdità, sappilo.”
    In un’altra occasione, Yuzo non gli avrebbe dato torto, ma in quel caso le cose erano diverse. Molto diverse.
    “Ricordi quando ti dissi che di persone come Natureza ne nascevano una ogni mille anni?” Il suo sguardo non era puntato in quello del compagno al suo fianco, ma sulla figura del Principe. “Beh, in questo millennio ne abbiamo ben due.”
    Mamoru sospirò indeciso se pensare che fosse una cosa positiva o meno, mentre il volante continuava.
    “Quelli come loro finisco sempre per ritrovarsi e non è un caso se ora sono qui. Se il vero nemico di questa guerra è Natureza e non Gamo, allora l’unico che può batterlo è solo Tsubasa.”
    “Mi stai dicendo che siamo tutti nelle sue mani?”
    “Sì.”
    “Fantastico” masticò con ironia. Sapere di non essere in grado di poter neutralizzare il Nero in prima persona non era una piacevole sensazione per uno orgoglioso come lui, ma visto che non c’erano altre alternative avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutare Tsubasa. Rivolse di nuovo lo sguardo ai suoi compagni e prese la sua decisione. “Muoviamoci, dunque, e andiamo a stanare quel bastardo di un traditore.”
    “Quanta fretta!”
    Una voce profonda e tonante fermò i loro propositi. A sbarrargli la strada, uno Stregone restava fermo a braccia conserte. La cappa nera oscillava col cappuccio abbassato e la sua stazza imponente non prometteva nulla di buono.
    “Il potente Nero ha di meglio da fare che occuparsi di voi moscerini. Ma io sono libero, e a vostra disposizione.”
    Hajime lo riconobbe, anche se la prima volta che l’avevano incrociato aveva le mentite spoglie di un vecchio. “Konsawatt.”
    “Sono esterrefatto. Trovarvi ancora vivi, dopo che eravate stati rinchiusi nella base Sud, ha un qualcosa di epico. Ma la vostra corsa finisce qui.”
    I fratelli Konsawatt non erano avversari facili e loro ne avevano assaggiato le abilità in prima persona, ma non si sarebbero certo farti fermare dal primo ostacolo. Nulla era stato semplice in quella missione, era ovvio che non lo fosse nemmeno il finale.
    Senza nemmeno discuterne con i compagni Teppei avanzò di un passo, facendo schioccare le nocche. Significava che era pronto a dare battaglia e non ci sarebbe andato affatto leggero. “Il bestione è mio.”
    “Cosa?” Hajime non fu per nulla d’accordo e non nascose le proprie remore. “Vorresti affrontarlo da solo? Quello per poco non ti ha ucciso! Combattendo insieme avremmo-”
    “Perderemmo solo del tempo prezioso!” Lo interruppe il tyrano, guardandolo con una strana serietà. “E non possiamo permettercelo. Più tempo sprechiamo, più tardi saremo in grado di fermare tutto questo.”
    “Allora resto io con te!”
    Finiscila!
    Hajime incassò l’inaspettato rimprovero. Di solito Teppei non era mai così brusco, ma l’urgenza della situazione non permetteva discussioni futili.
    “Me la so cavare meglio di quanto pensi, non temere.” Accennò un sorriso ironico. “Io e questo bestione abbiamo un conticino aperto e lo sai che detesto avere debiti.”
    Il Tritone sospirò con una certa rassegnazione. “Fai come vuoi, maledetto testardo! Ma ricordati che-”
    “Abbiamo un patto, lo so. Ci vediamo alla fine.”
    Hajime non ebbe bisogno di aggiungere altro, anche perché avrebbe finito col non andarsene. Quindi si limitò a cercare tutte le certezze di cui aveva bisogno nelle sue iridi scure, ad annuire e poi voltargli le spalle minacciandolo mentalmente delle peggiori atrocità se avesse osato non mantenere fede alla sua parola.

     


    …Il Giardino Elementale…

     

    Dite un po', sono riuscita a sorprendervi con la storia di Carlos? :3
    Lo chiamavano il Golem e alla fine... era golem davvero XD. All'inizio non sarebbe dovuta andare così. Quando ho inserito il suo pg, avevo idea che fosse un pg normale, solo molto legato al suo signore, ligio al dovere ecc ecc e dal cuore di ferro, per questo l'appellativo di Golem (che faceva il paio con Cyborg X3). Solo che mentre scrivevo questa battaglia e pensavo a come farlo morire... ecco che è spuntata l'idea. E se fosse stato davvero un golem? :3 Questo mi ha permesso di avere una sorta di sottotrama che mi sembrava fosse adattissima per permettere al Nero di sapere sempre tutto quello che riguardava Gamo. E poi mi sembrava un buon approfondimento anche per Carlos, nonostante sia solo accennato, e motivasse il perché lui fosse 'senza cuore'. :3 (ma legato a Luciano!). Carlos aveva avuto un cuore, ma che probabilmente si è fermato troppo presto e non c'è dato sapere come mai. :3333
    Abbiamo poi il Principe che viene finalmente ritrovato prima che possa finire ammazzato (XD un po' se lo meriterebbe!) e infine... arrivano i Konsawatt!!!
    La battaglia si fa sempre più intricata! :DDDD


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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    Capitolo 52
    *** 16 - This is War - parte V ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte V)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    "To the leader, the pariah, the victor, the messiah /
    Al leader, al reietto, al vincitore, al messia:
    this is war /
    questa è Guerra.

    30 Seconds to MarsThis is War

    “Come suolsi dire: ‘chi non muore si rivede’, vecchio mio.”
    Teppei stava sorridendo con un certo divertimento. Non aveva immaginato che si sarebbe ritrovato nuovamente di fronte a colui che, sul Nohro, stava per ucciderlo e l’idea di prendersi la rivincita lo allettava. Eccome se lo allettava.
    Sakun sbuffò con una certa ironia. “Tsk. Rivedervi, morti o vivi, non rientrava nei nostri piani, se vuoi saperlo.”
    “Oh, quanta scortesia.”
    “Avremmo dovuto accertarci che moriste sul serio quando vi avevamo catturato all’Avamposto. Eravate sopravvissuti una volta, non avremmo dovuto commettere lo stesso errore.”
    “Già.” Teppei annuiva piano, il labbro tirato appena verso sinistra e l’aria predatoria. “Un gravissimo errore. Lo direbbe anche quello con i capelli biondi. Sai, lo Stregone addetto alla tortura. Mi sembra si chiamasse Fredericks.”
    Sakun si fece più attento e assottigliò lo sguardo. L’ironia aveva abbandonato il suo volto. “Che fine gli avete fatto fare?”
    “Niente di meno di quella che farai tu.” Teppei sollevò entrambe le mani in un gesto deciso e centinaia di frammenti acuminati di roccia si sollevarono dal suolo e infilzarono lo Stregone come fosse stato un puntaspilli.
    La sorpresa si dipinse sul viso di Sakun, dalla bocca aperta in una ‘O’ perfetta, mentre il corpo era ora stritolato in una posizione innaturale.
    Ma se c’era una cosa che Teppei aveva imparato durante quel lungo cammino era di non abbassare mai la guardia né tantomeno credere che sconfiggere uno Stregone potesse essere così facile.
    Istintivamente si girò e col braccio parò l’affondo del vero Sakun; l’altro non era che una sua manipolazione che si sciolse in fumo scuro e corse verso il proprietario per venire assorbita dal suo corpo.
    “Immagino sia morto, quindi” ringhiò il giovane che era almeno due volte Teppei.
    “Oh, puoi dirlo forte. E se mi permetti un filo di presunzione: l’onore è stato tutto mio.” Caricò il calcio e questo colpì l’altro allo stomaco, allontanandolo violentemente da sé.
    “Fredericks avrebbe dovuto uccidervi tutti subito.” Sakun massaggiò l’addome e poi assunse una postura dritta. “Scommetto che ci è andato leggero solo perché Faran si era incaponito con quello di Alastra.” Si portò due dita all’altezza del viso e poi lanciò il suo incantesimo. “Rab na bela, rei!” La sfera di energia corse verso Teppei che non si spostò, ma afferrò telepaticamente uno scudo e lo rivolse dalla parte dell’impugnatura.
    L’incantesimo rimbalzò sulla superficie liscia del metallo e tornò indietro, costringendo Sakun a schivarlo di lato. Quando volse nuovamente il viso, Teppei era a pochi passi da lui, il pugno carico.
    Il fratello mediano dei Konsawatt lo scansò all’ultimo momento. Tra le dita il fumo con cui creava le sue manipolazioni assunse la forma di tre pugnali sottili dalla forma ricurva che tentò di infilzare nel braccio avversario.
    L’incantesimo Scudo ne spezzò le lame, lasciando Teppei illeso.
    Quest’ultimo afferrò l’altro per la nuca e gli fece sbattere il viso contro il gomito, duro come la roccia.
    Sakun arretrò con un latrato. Le mani andarono a coprire il volto dove il sangue scendeva copioso; aveva il naso rotto.
    Il giovane tyrano ne approfittò per caricare ancora, ma dal corpo dello Stregone si levò un’altra nuvola scura e una bestia dalla forma simile a un rankesh gli corse contro con le fauci spalancate.
    Teppei ne venne travolto e nel cadere di schianto lo teneva stretto per la bocca affinché non lo azzannasse. Il siero violaceo e velenoso che aveva già conosciuto scivolava dai canini molto più lunghi e affilati, mischiandosi alla bava che gli sporcò le mani. L’animale aveva una forza maggiore rispetto a Sakun e si dimenava con violenza, tanto che anche lui faceva fatica a trattenerlo.
    D’un tratto gli artigli di tenebra gli si conficcarono nella carne delle spalle, strappandogli un ringhio di dolore. Anche quelli erano pregni di veleno, e visto che era già stato ferito, tanto valeva usare un altro metodo.
    Gli infilò un braccio tra le fauci, tenendo i muscoli ben tesi. Lo affondò in profondità, tanto che la belva riuscì ad azzannarlo solo con i molari posteriori. In questo modo sfruttò la mano libera per afferrare il primo sassolino che riuscì a trovare. Con i suoi poteri ne manipolò la consistenza e la forma. Lo poggiò sotto al mento dell’animale e lo fece allungare, infilzando l’ombra da parte a parte. Lo spuntone di roccia la trapassò in obliquo, uscendo dal cranio. La creatura si immobilizzò e poi si dissolse.
    Teppei si rotolò su un fianco, respirando con affanno.
    “Non so come hai fatto a salvarti la prima volta…”, la voce di Sakun era beffarda anche se dolorante. Il sangue gli aveva sporcato buona parte del viso. “…ma stavolta non avrai scampo. Il Veleno di Rankesh-”
    “E’ il più mitico di tutti, sì, lo so già.” Adagio e con ferite evidenti il tyrano si rimise in piedi, eppure c’era un mezzo sorriso divertito sulla sua faccia. Il sorriso di chi ne sapeva una più del diavolo. “Ma questa volta sono venuto preparato, che credi?” Incurante dei segni lasciati dalla bestia d’ombra, Teppei caricò di nuovo Sakun.
    Rab na bela, rei!” tentò di difendersi ancora, ma il tyrano bloccò la sfera di energia con la mano sana, tanto da lasciare sbigottito lo stesso Stregone.
    L’Elemento di Terra usò la forza di tutto il proprio corpo per contrastarne la potenza, rispedendola poi al mittente. Lo sforzo si ripercosse fino alla spalla dove i capillari esplosero, letteralmente, ma il giovane neppure se ne rese conto: l’adrenalina pompava velocissima nel suo petto tutta l’irresponsabilità di cui aveva bisogno per battere l’avversario. Non c’era spazio né per provare paura né per farsi sopraffare dal dolore.
    Sakun venne colpito in pieno dal suo stesso incantesimo. Era stato così esterrefatto da non aver neppure cercato di evitarlo. La sfera centrò l’addome e lo trascinò con sé per alcuni metri prima di schizzare verso l’alto e trovare altrove la sua fine.
    La sensazione era la stessa di venir calpestati da centinaia di cavalli in corsa, tanto che neppure la grossa stazza gli tornò utile. Sakun aprì e chiuse la bocca emettendo dei rantoli che volevano imitare estremi tentativi di respirare, ma con pessimi risultati. Nel suo raggio visivo, il tyrano fece la sua comparsa e non stava di certo messo meglio di lui, ma almeno si reggeva in piedi.
    “Fa maluccio, vero?” Lo schernì.
    “Fottiti… moccioso…” Poi sbuffò un mezzo ghigno soddisfatto. “Tanto… per quanto ti… pavoneggi… non sopravviverai al veleno… Goditi… i tuoi ultimi momenti… e dopo… abbraccia le pene… dell’Infero.”
    “Ullalà, quanto parli.” Teppei si tenne il braccio dove il segno dei morsi era evidente. “Risparmia il fiato per esalare il tuo ultimo respiro.”
    Tsk… allora uccidimi… che aspetti?”
    Il tyrano scosse il capo dopo averlo guardato fisso per qualche momento. “La ‘morte con onore’ la concedo solo ad avversari degni di questo nome, ma ci sono Stregoni che non la meritano. Rientri nella lista, vecchio mio.” Gli volse le spalle e iniziò ad allontanarsi, strisciando leggermente i piedi.
    “E… e allora?! Mi lasci… qui?!” Nell’alzare la voce, Sakun sentì come se i polmoni stessero per esplodergli. Di sicuro aveva le costole rotte e qualche organo perforato. L’idea di morire lentamente e tra atroci sofferenze gli si presentò orribile.
    Teppei si fermò e si inginocchiò. Dall’interno dello stivale estrasse, avvolta in un pezzo di velluto, una piccola fialetta. Era stato uno Stregone, ma doveva ammettere che Shibasaki la sapeva più lunga di tutti. Si rialzò con una certa fatica e ne tolse il tappo. Per fortuna durante la prigionia non gli avevano perquisito gli stivali, altrimenti sarebbe stato davvero spacciato per la seconda volta e, soprattutto, meno male che non si era rotta con tutte le botte che aveva preso in quella battaglia. Anche per quello il Naturalista ne sapeva una più del diavolo, secondo lui: a chi sarebbe mai venuto in mente di usare vetro di resina?
    “Non ho mai detto questo” rispose a Sakun, arricciando le labbra e sputando un grumo di sangue a terra. “Solo che non ho bisogno di guardarti mentre ti faccio fuori.”
    La Telecinesi Cieca agì con un semplice schiocco di dita. Una decina di spade abbandonate al suolo e ancora strette tra le mani dei cadaveri si sollevarono e abbatterono sul corpo di Sakun, uccidendolo all’istante.
    Teppei guardò un ultimo istante la fiala contenente siero di zaikotto, prima di portarla alle labbra e sorridere. “Grazie di nuovo, Silver.”

    Minato Gamo non si era mai tirato indietro e se in passato aveva piegato il capo davanti a Koudai Ozora era stato solo per prendere tempo.
    Il tempo era stato il compagno che lo aveva fatto andare avanti, con i suoi alti e i suoi bassi. A volte gli era sembrato non passasse mai e che il suo piano non prendesse mai forma, altre, invece, gli aveva dato l’impressione di essere ormai a un passo, di aver completato i preparativi, di avere tutto ciò di cui aveva bisogno.
    Il Nord era sempre stato il ‘regno del nulla’, come l’aveva ribattezzato lui. Le città principali erano poche e lontane tra loro e anche se oggettivamente la distanza che separava l’imponente catena montuosa della Corona dei Re da Raskal era minore rispetto quella da Punta Maar, che invece si trovava all’estremo Sud, la presenza degli Ozora, lì, sembrava praticamente nulla. Il Nord era isolato, abbandonato a sé stesso, o forse talmente autosufficiente da non aver bisogno di un Re qualunque a comandarlo.
    Tutte le volte che Koudai aveva cercato di mandare emissari, lui li aveva presi in consegna fornendo resoconti fasulli e facendo in modo che la separazione tra le Terre del Nord e le Terre Centrali divenisse quanto più netta possibile. Convincere i bifolchi che aveva per abitanti che il tanto decantato sovrano li aveva abbandonati era stato piuttosto facile.
    Senza contare che nel Nord gli Stregoni avevano eretto la loro fortezza, Huria, nella sperduta Valle della Meteora.
    Koudai gli aveva affidato il regno più infausto per tenerlo buono grazie alla amorevole intercessione di Natsuko, ma non aveva capito quale madornale errore avesse commesso.
    I suoi legionari erano gente sopravvissuta al vecchio Dogato di Kalavira, soldati fedeli alla sua famiglia da generazioni ed esiliati dal resto dei Regni degli Ozora, c’erano mercenari e infine c’erano tanti di quei cittadini che si erano sentiti abbandonati dal proprio Re da non riconoscerlo più come tale.
    Koudai non aveva mai davvero capito né conosciuto la reale situazione del Nord. Troppo preso da questioni più vicine, probabilmente l’aveva ignorata. Pessima mossa, ma ottima per sé stesso.
    Richiedere un supporto magico al Nero era stato quanto di più ovvio potesse fare. Sapeva cosa avrebbe significato scatenare una guerra contro gli Ozora e sapeva che quel vigliacco si sarebbe avvalso dell’aiuto elementale. Lui, di conseguenza, avrebbe puntato sulla Magia Nera. Tanto, in generale, della magia non gliene importava nulla, anzi. Il Nero l’avrebbe aiutato a fare piazza pulita degli Elementi e poi lui avrebbe fatto piazza pulita degli Stregoni. I suoi piani erano sempre stati così lineari da essere, a volte, fin troppo prevedibili, ma lui era così credibile nel suo modo di trattare con le persone, che il precedente Nero aveva acconsentito quasi subito a schierarsi in suo favore.
    Poi era arrivato Natureza.
    Ecco, se c’era qualcosa che forse lo preoccupava in tutto il suo enorme disegno, quello era proprio Natureza. Il nuovo Nero, che aveva preso il posto del vecchio canuto con cui aveva stipulato il patto, era… diverso. Diverso da qualsiasi Stregone, diverso da qualsiasi persona avesse mai incontrato. E il fatto di non riuscire a capire davvero, fino in fondo, le sue intenzioni non gli era mai, mai, mai piaciuto. Eppure aveva continuato a fare buon viso a cattivo gioco, dopotutto il sostegno degli Stregoni gli era fondamentale. Senza dubbio doveva averlo capito anche Natureza, per questo si prendeva incredibili confidenze verso di lui. Come catturare il Principe Tsubasa e tenerglielo nascosto, ad esempio.
    In tutto il tempo in cui aveva preparato la grande rivincita, non aveva mai capito quale fosse il suo scopo. Aveva solo compreso che era pericoloso, ma niente di più.
    Adesso però tutto era divenuto irrilevante. Mentre correva nella carica, mentre la lama della sua spada affondava nei corpi degli avversari e si sporcava del sangue di coloro che servivano gli Ozora, non gli importava più di nulla se non di fare pulizia.
    Ovviamente, l’ordine imprescindibile che aveva imposto a tutti era stato: “Non toccate il Re”, l’onore di ucciderlo spettava solo a lui.
    Si era separato dal Golem praticamente quasi subito e non s’era neppure premurato se il Generale gli rimanesse accanto per vegliare su di lui. Era dimentico di ogni cosa. L’adrenalina della battaglia, la voglia di uccidere, il traguardo della rivalsa che era così vicino da poter essere quasi toccato, afferrato, abbracciato e poi fatto a pezzi avevano cancellato tutto il resto dalla sua mente.
    Lui aveva continuato ad avanzare; da che era partita la carica il suo scopo era stato ‘andare avanti’. E avanti stava andando anche adesso. Tranciava corpi, il Colosso calpestava cadaveri, dal cielo piovevano incanti elementali e neri, le bestiacce guidate da Cario stridevano con versi insopportabili ma lui procedeva spedito.
    Come aveva pensato, quel vigliacco di Koudai non era stato alla guida del primo assalto. Il fegato di scendere sul campo ce l’aveva solo lui, ce l’aveva sempre avuto solo lui. L’unica ricerca che i suoi occhi si erano concessi oltre le feritoie della celata era stata rivolta al Comandante Hongo. Di sicuro il Re gli aveva affidato il battesimo del sangue. Non l’aveva visto e non si era applicato più di tanto a cercarlo; ci avrebbe pensato qualcun altro a dargli il ben servito, probabilmente lo stesso Golem.
    Poi era arrivata la seconda carica e lì, oh sì, lì lo aveva sentito che c’era anche Koudai.
    Se prima a difendere l’avanzata dell’Armata c’erano stati gli Elementi d’Aria con la loro tempesta di polvere, non era rimasto sorpreso nel vedere il muro d’acqua cavalcato dagli agadiri sulla estesissima cresta.
    Tsk. Neppure quello l’avrebbe fermato e poi non sarebbero stati così stolti da travolgere anche i propri uomini con quell’onda anomala.
    Minato aveva continuato a cavalcare, il desiderio di spezzare le loro acque e tagliare dritto, finalmente faccia a faccia con Koudai era stato soddisfatto. Il muro degli agadiri si era aperto, i soldati erano emersi e la fusione tra le fazioni era stata totale.
    L’idea di trovare subito il Re, però, era stata nuovamente disattesa. Il fronte era così ampio che era impossibile sapere dove si sarebbe trovato, ma lui era andato avanti.
    Andava avanti.
    Solo i perdenti si guardavano indietro.
    Qualcuno cercò di fermarlo, un agadiro, ma forse lui era l’unico essere umano privo di magia a poter competere con un mago perché aveva una determinazione fuori dal comune e la determinazione l’avrebbe portato alla vittoria. Levò lo scudo per proteggersi dall’incantesimo d’acqua e poi impennò il Colosso: il cranio dell’agadiro venne schiacciato senza via di scampo, ma non prima che potesse lanciare un’ultima, disperata magia. La lama di ghiaccio però prese la traiettoria sbagliata e trapassò la gola del cavallo. Il Colosso delle Isole Zmyr si agitò in maniera disperata, muovendo il capo da una parte all’altra fino a che non crollò di lato e a nulla valsero i tentativi di Gamo di tenerlo su; ormai era morto.
    Minato riuscì a scendere dalla sua groppa prima di rimanerne schiacciato.
    “Fottuta bestia” sputò con disappunto. Crepare proprio in quel momento che aveva bisogno delle sue zampe possenti per muoversi e trovare… al più presto…
    Il suo sguardo, subito alla ricerca di un nuovo animale da montare, si fermò, frugando tra la folla e riuscendo a individuare un altro Colosso, meno brutale del suo, e con i colori dei drappi granato e blu. Un uomo in armatura lucente, che sembrava quasi brillare nella battaglia, lo cavalcava dando ordini ai suoi uomini e affrontando altri soldati dai colori differenti, neri.
    “Ozora…” lo esalò come avesse avuto una visione insperata. Lentamente, Gamo levò la celata dell’elmo per guardarlo meglio ed essere sicuro che fosse davvero lui.
    Le vestigia preziose e ricche, piene di intarsi e lavorazioni particolari non lasciavano adito a dubbi, così come lo stemma della casata inciso sul pettorale. L’elmo piumato seguiva i movimenti del capo e mentalmente si appuntò di dover uccidere tutti i suoi legionari che stavano ingaggiando battaglia con lui nonostante l’ordine ricevuto di stargli alla larga.
    “Eccoti lì, vecchio bastardo” ridacchiò. Una risata sottile e divertita, folle.
    Gli sembrò quasi che l’altro lo udisse perché dopo aver affondato la lama tra spalla e collo di un soldato pivellino si fermò, mantenendo la spada a mezz’aria. Il suo capo si volse, quasi a cercare chi stesse ridendo con così tanto gusto.
    Gamo sentì di venire individuato. Quello stesso capo si fermò nella sua direzione, impossibile confondersi. Ozora lo aveva visto e lui aveva visto Ozora. Entrambi sapevano che erano separati da una manciata di metri e che le sorti della guerra erano tutte lì, in quella stessa manciata. Bisognava solo ridurla a zero e fare ciò che tanti anni prima avevano lasciato in sospeso.
    Minato vide Koudai indirizzare la cavalcatura verso di lui, la spada ben salda nella mano e puntata verso l’alto; all’ultimo momento l’avrebbe caricata per menare il fendente, lui lo sapeva, erano entrambi guerrieri, e il modo per evitare lo scontro e portarsi alla pari era già nella sua testa.
    Con un gesto lento abbassò la celata senza smettere di sorridere, piantò bene i piedi e tenne bassa la lama della propria arma. L’impugnatura era salda nella mancina. Quando Ozora caricò il colpo con un movimento circolare che dell’alto andava verso il basso, Minato cadde in ginocchio afferrando l’elsa con entrambe le mani per avere una presa maggiore. Lo scudo era stato poggiato a terra, al suo fianco. La lama venne sollevata e le zampe del Colosso di Koudai Ozora tranciate con un colpo netto.
    Il Re cercò di tenere la presa sulle briglie, mentre la bestia cadeva di schianto in avanti con un impatto violento. Lui venne sbalzato dalla sella, tanto da rotolare nella terra e sporcare di fango e sangue l’acciaio lucido delle proprie vestigia. Quando riuscì a fermarsi e a rendersi conto di tenere ancora stretta la spada nella destra e lo scudo attorno al braccio, Koudai levò il viso. Attraverso le feritoie vide la figura nera di Gamo in piedi, perfettamente illesa e pronta a combattere.
    “E allora, Vostra Maestà, che sapore ha la polvere?”

    I tre Elementi rimasti col Principe si muovevano mantenendosi in cerchio attorno a lui e tentando di arginare ogni attacco provenisse di lato e dall’alto. Sembravano avere occhi ovunque e orecchie così attente da riuscire a discernere, nel marasma di rumori, quelli che indicavano pericolo per loro.
    “E allora? Riuscite a vederlo?” Mamoru lo chiese mentre spezzava un braccio a un legionario; dopo gli spezzò anche la schiena.
    “No! E’ impossibile anche solo riuscire a concentrarsi oltre il proprio naso!” rispose Hajime. Le sue corde di acque stavano soffocando un paio di soldati e nel mentre che li teneva sollevati dal suolo cercava di guardarsi meglio intorno.
    Yuzo respinse un paio di attacchi da parte di un insistente kamalocha, ferendolo a tre delle sei ali e costringendolo ad allontanarsi e ripiegare. “Posso provare a cercare dall’alto. È la posizione migliore, magari riuscirei a scorgere il Nero!”
    “No!” Mamoru lo fermò, una fiammata abbrustolì uno Stregone. “I cieli sono il caos, in questo momento, non sarebbe sicuro, saresti una preda facile sia per quei mostri che per qualsiasi altro incantesimo incontrollato.”
    Da quando avevano lasciato Teppei assieme a Sakun, il gruppo aveva deciso di muoversi a piedi: era il modo migliore per riuscire a restare compatti. Inoltre, volare non era sicuro e Yuzo non avrebbe potuto portare più di due persone per volta, il che avrebbe significato lasciarlo di nuovo senza protezione.
    Nel centro del cerchio, Ryo restava sempre vicinissimo a Tsubasa che si guardava intorno cercando di scorgere il suo avversario. Era difficilissimo se non impossibile riuscire a trovare volutamente qualcuno.
    “Avete visto nulla?” La domanda di Mamoru lo colse mentre gli dava le spalle e guardava oltre quelle di Hajime.
    Scosse il capo con un moto rassegnato. “No, niente!”
    “Non temete, Vostra Altezza.” Yuzo atterrò l’ennesimo avversario che venne schiacciato dalla corsa di un cavallo solitario privo di cavaliere. “Conosco Natureza e so per certo che se anche lui vi reputa l’avversario da battere, allora saprà di sicuro come trovarvi.”
    Tsk. Questo dovrebbe rincuorarci in qualche modo?!” sbuffò la Fiamma con ironia.
    “Almeno ci facilita il compito o no? Non è per questo che stiamo avanzando in questo inferno? Non è per cercare lui?”
    “Ooooh, vedo che qui c’è qualcuno che ha voglia di fare polemica.”
    Yuzo ruotò gli occhi e scosse il capo, ma quando si volse scorse una bestia volante allungare la sua lingua su Mamoru, impegnato in un altro duello. Con uno scatto rapido spiccò il volo, gli avvolse la lingua in un fascio di vento e fece in modo che gli si attorcigliasse addosso. L’animale perse il controllo del volo e precipitò lontano dal gruppo.
    Mamoru vide il ventre verde e nero passargli quasi radente sul capo e poi crollare al suolo tra roccia e polvere. Il volante atterrò al suo fianco. Aveva le braccia incrociate al petto e l’espressione che voleva essere supponente, ma cercava strenuamente di non ridere.
    “Invece di contraddire me, la prossima volta tieni gli occhi sui kamalocha.”
    Kamache?”
    “Kamalocha. Ovvero quelle sgradevoli bestiole nere che vengono dalle terre che si estendono oltre la Corona dei Re.”
    Mamoru gonfiò il petto, assumendo la stessa postura con le braccia conserte e l’espressione supponente. Detestava quando quel diavolo di un piccione lo faceva passare per un ignorante totale.
    “E tu che ne sai?”
    “Essere un secchione serve a qualcosa, dopotutto.”
    Vedergli quel sorriso così sfacciatamente trionfante non seppe se lo istigò di più a mollargli un sonoro pugno o un soffocante bacio. Mamoru girò il viso masticando un mezzo sorriso, poi gli mollò una manata sul braccio senza guardarlo, ma sentendo chiaramente che stava ridacchiando.
    “Diamoci una mossa.”
    In tutto quello, nonostante gli Elementi attorno a lui tentassero di alleggerire la tensione che si poteva quasi toccare, il Principe non era tranquillo.
    Uno dei quattro era rimasto indietro, si era separato dal gruppo. Nella sua visione ben tre lo facevano e poi li rivedeva tutti a terra, feriti, forse morti, e su di loro torreggiava il Nero. Per questo sperava di trovarlo il prima possibile, per affrontarlo e mettere fine a ogni cosa una volta per tutte. Eppure i suoi occhi, per quanto lo cercassero senza sosta, sembravano non essere in grado di trovarlo in quel continuo correre e combattere, cozzare d’armi e grida. Il sangue disegnava rigagnoli come un torrente. Ma lui doveva avere fede. Fede nelle proprie capacità, nella Chiave e in quelle visioni che, proprio perché gli attraversavano il cranio in anticipo, potevano essere cambiate.
    D’un tratto una muraglia di lunghi tentacoli neri si erse davanti a loro, fermandone la corsa.
    Mamoru tentò di deviare il percorso, ma l’incantesimo li circondò, chiudendoli in un perfetto cerchio. Per uscire, avrebbero dovuto farsi strada tra di essi e la cosa non sembrava impensierire i tre Elementi, almeno fino a che non comparve il fautore della magia.
    “Allora la lezione non vi è proprio bastata. E devo ancora capire come abbiate fatto a fuggire dall’Avamposto.” La voce un po’ stridula e fastidiosa come il gracchiare di una cornacchia risuonò familiare a tutti e tre loro ancor prima che Chana si palesasse, passando tra i tentacoli. “Brolin si è davvero rammollito.”
    La risata querula da iena riportò le menti degli Elementi a quando si erano trovati sul Nohro e quel bastardo li aveva attaccati sotto le mentite spoglie di un bambino.
    “E due” mormorò Hajime, mantenendosi in una posizione attenta. Era avanzato per affiancare Mamoru che si manteneva in testa, mentre Yuzo restava più indietro e vicino a Tsubasa e Ryo.
    Chana li guardò con attenzione stringendo appena gli occhi fortemente a mandorla. “Mi sbaglio o ne manca uno? Non eravate in quattro l’ultima volta? Che fine ha fatto l’Elemento di Terra sopravvissuto miracolosamente al veleno di Rankesh?”
    Hajime tirò via un mezzo sorriso di sfida. “Sta facendo fuori tuo fratello Sakun.”
    Chana stette alla provocazione. “O magari è il contrario.”
    Si guardarono fisso per alcuni momenti e nei loro occhi non brillava nulla di buono. Fu il Tritone a decidere.
    “Voi proseguite. Resto io.”
    Mamoru si innervosì. “Non ti ci metterai anche tu, vero? Basta Teppei che vuole fare il superuomo.”
    “Andate ho detto!” ribadì Hajime con fermezza. “Capisco la sua urgenza di farvi andare avanti. Prima si trova Natureza e prima si chiude la faccenda, quindi non protestare.”
    “Allora lascia che sia io a-”
    “No!” La testardaggine era una caratteristica che sembrava accomunare un po’ tutti gli Elementi, ma Hajime di solito non si impuntava sulle cose. Era abituato a lavorare in squadra e non era quasi mai d’accordo nel portare avanti azioni in solitario, ma quella faceva eccezione. “Tu sei il leader del gruppo e devi indicare agli altri la strada da percorrere. Yuzo invece serve nel caso la situazione sul campo di battaglia diventi insostenibile. Quindi prendete il Principe e proseguite. Io provvederò a trattenere questo bastardo per tutto il tempo necessario.”
    Mamoru sbuffò. Protestare oltre non avrebbe avuto alcun senso con lui, tanto non si sarebbe smosso.
    “Apritevi un varco. Vi copro” concluse infatti il Tritone.
    La Fiamma lanciò una fugace occhiata al volante e accennò leggermente. Dalle mani fece partire una fiammata che avvampò le spire nere, ma queste non volevano saperne di bruciare. Così lasciò che il fuoco le avvolgesse singolarmente, manovrandole come fossero state i fili di un esperto marionettista. Le fece districare a forza aprendo uno spiraglio sufficiente a permetter loro di continuare la ricerca.
    Yuzo passò per primo offrendo una difesa al Principe e alla Chiave, che lo seguirono subito dopo. Mamoru fu l’ultimo, ma arrivato a metà del passaggio guardò il Tritone. “Se non vi vediamo arrivare, verremo a cerarvi.” E si riferiva anche a Teppei.
    Hajime non rispose né si volse, ma sorrise. L’attimo dopo furono solo lui e Chana Konsawatt in quella specie di ring isolato da tutto il resto.
    “Credi davvero che possano sopravvivere per molto? Non dimenticare che c’è ancora mio fratello Faran in giro, e come io ho trovato voi, lui troverà loro.” Chana assunse una posizione di attacco, ma le sue parole non sembrarono intimorire il Tritone.
    “Come se la cosa dovesse impensierirmi. Faran è morto tanto quanto lo sarai tu a breve.”
    “Faran è il più forte tra noi tre ed è quello che meno è disposto a mollare la preda una volta che l’ha scelta. E, se vuoi saperlo, ne ha già una.”
    Il piccolo Stregone toccò una pietra e questa assunse la forma di un lupo. Somigliava all’incantesimo che aveva adoperato quando si trovavano sul Nohro; solo che in quel caso era stato proprio il famoso Faran a essere mutato in bestia. Era di sicuro uno Stregone Metamorfo.
    “A questo proposito” ridacchiò con il suo tono fastidioso e l’espressione cattiva. “Avresti fatto bene a dire addio al tuo amico di Alastra.”

    Era stato tutto veloce e lento contemporaneamente.
    Scorgere Minato tra la moltitudine di soldati, cavalcare verso di lui, fendere la spada. Tutto lento. Rallentato.
    Poi la caduta. La lama che andava a vuoto e quella di Gamo che trovava, di proposito, le zampe del suo cavallo. La durezza della terra. Quello era stato veloce. Accelerato.
    E ora che lo guardava da sotto in su, ora che era Minato a torreggiare su di lui, che velocità aveva il tempo? Che forma? Forse nessuna perché in quel momento non era importante; il tempo si era riavvolto, tornato indietro a quando erano giovani, a quando il destino di quel preciso futuro era nelle sue mani e sarebbe potuto essere diverso da com’era adesso. Sarebbe potuto essere migliore.
    “Lo assaggerai in prima persona.”  La voce di Koudai venne attutita dall’elmo, ma i suoi movimenti, per quanto impacciati dal metallo che aveva addosso, furono veloci quanto bastava a muovere il braccio con lo scudo e colpirlo alle caviglie, farlo cadere. Entrambi a terra, lo svantaggio venne azzerato.
    Minato cadde con un sonoro clangore, ma riuscì a scorgere il movimento di Ozora giusto in tempo per opporvi una parata con lo scudo. Nemmeno da sdraiati si sarebbero risparmiati; la misericordia di una volta era bastata a entrambi: chi per imparare che non bisognava averne mai, e chi che non bisognava mai concederla due volte alla stessa persona.
    A fatica, come scarafaggi finiti a zampe all’aria, riuscirono a mettersi in piedi. Faccia a faccia. Celata contro celata. Scudo contro scudo e lama, levata contro l’altra lama.
    “Da quanto tempo stavi preparando tutto questo, eh? Da quanto stavi tramando alle mie spalle, maledetto traditore bastardo?” Koudai affondò di lato, Minato deviò col piatto della lama ed effettuò una mezza piroetta per colpirlo di taglio al fianco, con lo scudo. Ozora barcollò, ma non cadde.
    “Da quanto, mi chiedi? Da quando ti ho incontrato! Da quando la tua strada s’è incrociata con la mia! Da quando mi hai portato via tutto quello che avevo! Dammi un solo fottuto motivo per esserti riconoscente, vecchio cane rognoso!” Minato tentò un affondo diretto, ma la punta della spada venne divelta dallo scudo.
    Lo smalto dell’effige della casata Ozora venne scheggiato, ma non era importante. Koudai ne approfittò per calare un fendente dall’alto; venne schivato.
    “Hai ucciso mio padre! Rubato la donna che avrei dovuto sposare! Rubato il titolo di Re che era già mio prima ancora che tu imparassi a infilare il tuo dannato cazzo tra le gambe di una puttana qualunque! Non sei mai stato niente di meno che un usurpatore, Koudai! Ed era ora che io provassi a riprendermi tutto! Tutto quello che mi avevi sottratto!”
    Era un continuo attaccarsi e difendersi, un’arte guerriera forse troppo antica e cavalleresca, movimenti prevedibili per entrambi e magari adatti ad atterrare soldati con minore abilità, ma tra loro era come combattere allo specchio.
    “Niente di quello t’era mai appartenuto se guidato dalla smania di cancellare il bene fatto dal vecchio Re! Sei sempre stato accecato dalla tua maledetta brama di potere, Minato, e non ti sei mai accorto che avevi già perso tutto!”
    “E tu non ti sei mai accorto di quanto, invece, sono riuscito a sottrarti, pallone gonfiato!”
    Il colpo di Minato calò con maggiore forza, andando a cercare proprio il braccio munito di scudo. Riuscì a fare in modo che Koudai vi perdesse la presa, poi lo allontanò con un calcio.
    Il Re indietreggiò di qualche passo per mettere una certa distanza tra loro. Ora aveva l’attacco, ma era privo di difesa.
    “Non so di cosa tu stia parlando!”
    “E’ ovvio che tu non lo sappia!” Minato rise sguaiatamente allargando le braccia e girando in tondo affinché la sua voce risuonasse forte e beffarda. “Ecco il grande e benevolo Re Koudai Ozora! Così benevolo da essere troppo impegnato a pensare alle Terre Centrali e alle Terre del Sud per ricordarsi di avere anche un Nord da comandare! Eccolo qui! Applauditelo! Inchinatevi ai suoi piedi!”
    “Ma che vai blaterando?!”
    Che vado blaterando?!” Minato gli fece eco e la sua carica fu feroce, tanto feroce da far indietreggiare il Re senza dargli scampo. Un fendente a sinistra, uno a destra, uno dal basso. Sembrava una furia. “Chi credi che siano i legionari che stanno versando il loro sangue contro i tuoi privilegiati soldati?! Come credi abbia fatto a trovare così tanti disposti a combattere per me, un fottuto reietto esiliato?!
    Koudai non rispose, non ci riuscì, ma venne disarmato con un ultimo colpo ben piazzato all’impugnatura dell’arma. Minato gli puntò la propria alla gola.
    “Esatto, Vostra Maestà. Sono i tuoi sudditi. Sono le genti del Nord. Sono il popolo di cui ti sei dimenticato e che ha capito di non aver alcun bisogno né di te né delle tue fottute leggi!”
    In quell’istante al Re sembrò di venire trafitto al petto, in pieno cuore, eppure la spada era ancora lontana, con la punta ferma alla gola ma senza toccarla. Si guardò intorno, cercò e vide quello che gli sembrava assurdo dovesse vedere.
    “Stai mentendo!”
    “Una menzogna così ben costruita non può essere che la realtà!” Gamo finse un affondo e Ozora inciampò nei suoi stessi passi tanto da cadere a terra, seduto. “Guardali bene, Koudai! Questa gente non viene da luoghi lontani e fuori dal tuo Regno, non vengono dalle terre che si estendono oltre la Corona dei Re. Guarda che vessilli hanno assieme ai miei! Li riconosci? Beh, dovresti! O forse te ne sei talmente tanto fregato da essertene addirittura scordato?!”
    Koudai strinse lo sguardo, ma dalla celata tutto appariva più uguale di quanto non fosse. Con un gesto frustrato si privò dell’elmo mettendosi ancora più in pericolo. Cercò, mise a fuoco.
    Ecco un legionario contro un suo soldato. Sullo scudo c’era il simbolo della famiglia Gamo che spiccava, ma non era da solo, ce n’era un altro più piccolo, sotto. Maledizione, se solo la sua vista fosse stata migliore. Abbassò lo sguardo un pezzo di mantello era abbandonato proprio accanto alla sua mano inguantata d’acciaio. Ora sì, ora poteva vedere. Il simbolo dei Gamo e accanto un disegno mezzo strappato. Corna di toro rosse.
    Corna di toro rosse.
    Corna di toro rosse
    “Il Dogato di Sagharò…” Koudai lo sospirò piano e il dolore al petto si fece più forte. “…delle Terre del Nord.”
    “Congratulazioni, vecchio, hai vinto un premio” esultò Minato levando la spada. Il suo colpo di grazia era pronto, l’aveva desiderato da tanto e quando vide Koudai afferrare la stoffa e poi mettersi in ginocchio non gli parve vero. “Oh, sì… quanto ho desiderato vederti prostrato ai miei piedi, Koudai. E venga il tuo premio e la mia rivalsa. Tua è la colpa e io sono il boia!”
    La spada compì un mezzo giro, ma la lama venne intercettata da un’altra quando fu a un soffio dalla carne del Re.
    Minato levò lo sguardo, negli occhi ardeva l’iride nero come brace per la rabbia. Attraverso la celata, l’altro elmo apparve nitido e difficile da confondere. Non era per la forma particolare, quanto per quell’incisione d’oro brillante a sagoma di fiore che spiccava a coprire la calotta. E non un fiore qualunque, ma una tabebuia(1). C’era solo un uomo che andava in giro con un simile elmo.
    “Hongo!”
    “Tieni le tue sudice mani lontane dal Re!”
    Il Comandante dell’Armata Reale fece forza sulla lama avversaria tanto da farle compiere un mezzo giro verso il basso e allontanarla dal sovrano, poi affondò un piede nell’addome dell’avversario e allontanò anche lui.
    Minato indietreggiò e cercò di bilanciarsi per non cadere.
    Roberto Hongo si mise subito in posizione di difesa davanti al Re – che continuava a restare a terra con quel pezzo di stoffa tra le dita – e non era un avversario comune; lo sapeva anche Minato.
    Il tutto stava nel suo stile di combattimento: era diverso.
    Di solito Hongo tendeva a non esibirsi mai durante le giostre, almeno quelle cui aveva partecipato anche lui prima di iniziare a far prendere forma al suo piano, ma sapeva – glielo avevano detto – che Hongo non era come gli altri, era speciale. Il suo modo di maneggiare la spada avrebbe fatto impallidire anche il Golem, dicevano, perché era poco convenzionale. A volte pareva quasi che danzasse. Era agile, reattivo e a una parata non faceva seguire un secondo attacco di lama, ma usava ogni parte del suo corpo.
    Minato seppe che doveva stare attento già quando gli vide ruotare la lama in un gioco di mani-polso, mentre l’altra era priva di scudo. Sembrava quasi non avesse bisogno di difendersi, perché nell’attacco vi era già la sua difesa.
    Gamo scrutò la lama: più leggera di quelle in dotazioni agli eserciti, più facile da maneggiare. Si diceva avesse ‘un trucco segreto’, ma nessuno sapeva quale fosse.
    “Sapevo che prima o poi mi saresti capitato tra i piedi, ma speravo di lasciarti in pasto al mio Golem!” che, a pensarci bene, chissà dove diavolo era finito in mezzo a tutta quella confusione. Gamo se lo domandò solo ora che ne aveva reale bisogno.
    “Il Golem non è avversario adatto a me. Basta il mio Primo Ufficiale e scommetto che si staranno già dando piacevole intrattenimento.”
    “Presuntuoso” sputò Minato. Serrò meglio lo scudo e abbassò la lama pur tenendola sempre con la punta rivolta in avanti. “Se tieni a morire per il tuo Re, dunque, non ho che da accontentarti!”
    Gamo caricò, tenendo la spada stretta al fianco e affondando solo quando si trovò abbastanza vicino per non scoprirsi troppo. Hongo deviò la punta con la propria con un semplice gioco di polso, quasi che la forza impressa alla lama avversaria non fosse qualcosa che potesse realmente metterlo in difficoltà. Deviò la punta, cambiò il piede d’appoggio che si oppose al braccio che brandiva la spada e tese l’altro tanto da offrire un intralcio ai movimenti di Gamo. Quest’ultimo vi inciampò e rischiò di cadere in avanti, ma aveva sempre avuto un buon equilibrio e la stazza era dalla sua. Hongo rimediò al piccolo inconveniente effettuando una mezza rotazione e colpendo col pomolo in mezzo alla schiena dell’avversario. Stavolta Gamo non riuscì a bilanciarsi e cadde riverso.
    Il rumore che il metallo fece a contatto col suolo assomigliò a quello di una serie di pentole cadute di mano alla servetta disattenta.
    “Bastardo!” ringhiò il dittatore. Con la coda dell’occhio intercettò un secondo affondo che gli sarebbe stato mortale se non si fosse rotolato di lato e avesse messo lo scudo di traverso per proteggersi. Cercò di usare gli stessi trucchetti dell’avversario e allungò un piede agganciandogli la caviglia e tirando in avanti. Hongo non si oppose alla forza di gravità che, unita al peso del metallo, lo portava a cadere e assecondò il movimento rimettendosi in piedi con una capriola.
    Minato ne approfittò per alzarsi a sua volta.
    Mentre lo fissava assumere la guardia, l’uomo non poté negare la sua agilità ed eleganza. I movimenti di Hongo sembrava davvero effettuassero una danza, veloce, mirata. Ogni gesto era seguito da un altro studiato, come se ogni azione lui cercasse di portare avanti fosse perfetta per il contrattacco avversario.
    Doveva stare attento, se lo rammentò per la seconda volta, eppure tornò ad attaccare per primo. Caricò di nuovo per un colpo frontale, ma all’ultimo momento cambiò idea e lanciò di piatto lo scudo.
    Hongo lo deviò verso l’alto mettendo di traverso la spada, con la punta rivolta verso il basso, ma quando scorse Gamo dietro il tentativo di ingannarlo e confonderlo, lasciò la presa dell’elsa il tempo necessario per rigirare il polso e tornare a mettere la lama parallela al terreno. Con l’altro polso tentò di fare pressione per reggere al peso del fendente di Gamo calato dall’alto e con entrambe le mani. Di corporatura, Roberto era meno robusto e Minato sembrava ancora più imponente con la sua armatura nera.
    Il signore del Nord tentò con ogni mezzo di approfittare di questo evidente vantaggio, facendo pressione con tutto il proprio corpo, tanto da costringere il Comandante a piegare un ginocchio al suolo.
    A Gamo venne da sorridere: lo aveva in pugno, ma Hongo decise che era il momento di ricorrere al ‘piccolo segreto’ della sua spada. Il pollice che teneva l’impugnatura premette un pulsante alla base della stessa, lì, dove era impressa la stessa incisione fiorata dell’elmo. L’altra mano abbandonò la pressione e afferrò il pomolo. Tirò. L’impugnatura si allungò di quasi un braccio tanto da lasciare sorpreso lo stesso Minato Gamo. Approfittando dell’estremità aggiuntiva, Hongo sfruttò l’effetto leva riuscendo a far ruotare la lama dell’opponente quel tanto che bastava ad infilzare la propria al suolo, tirarsi in piedi e usare l’impugnatura come appoggio per calciare Minato Gamo in pieno fianco.
    Il dittatore ricadde di lato, sbilanciato dal contrattacco avversario e colto di sorpresa da una simile diavoleria. La lama doveva essere cava nella parte alta tanto da ospitare il prolungamento dell’elsa che si poteva far uscire a proprio piacere. Ma mentre rotolava, Gamo si rese conto di un’altra cosa. Tra le feritoie dell’elmo che aveva ancora sulla testa, vide Hongo estrarre la spada dal suolo con un gesto fluido, riportare l’elsa alla sua lunghezza normale e impugnare poi l’arma con la mano sbagliata.
    Si fermò. Il respiro era affannoso e irato dentro il metallo. Aiutandosi con la propria spada si mise in ginocchio. Eliminò l’elmo l’attimo successivo per vedere meglio, con entrambi gli occhi e senza il metallo a ingannarlo, ma ciò che vide non cambiò. Il vero segreto dell’abilità di Hongo non era la sua spada ‘particolare’.
    “E’ ambidestro” sputò a terra un grumo di sangue e polvere.
    La danza riprese, ma questa volta fu proprio Roberto ad attaccare per primo. Gamo ebbe solo il tempo di riuscire a mettersi in piedi che i fendenti di Hongo arrivarono precisi a colpire quei punti che l’avversario riusciva a malapena a coprire: il fianco poco sopra la cintola, l’ascella quando tentava di effettuare una parata, il ginocchio opposto a quello di appoggio. Colpi netti, rapidi, che riuscivano in qualche modo a farsi spazio tra l’acciaio dell’armatura perché avevano le placche più deboli e la lama di Hongo le faceva saltare, fino ad arrivare alla cotta di maglia sottostante. Ed era così agile che quando portava un attacco lo iniziava con la mancina, lasciava la presa, e lo completava con la destra.
    Il lato del collo fu il primo punto dal quale Gamo prese a sanguinare.
    La lama di Hongo era rimbalzata contro la propria in quello che sarebbe potuto sembrare una deviazione casuale e fortuita, ma non lo era.
    Minato si portò la mano alla ferita, il taglio aveva aperto la carne come fosse stata di burro. Di sicuro quel bastardo del Comandante teneva la propria arma affilata a puntino.
    Tentò di ripulirsi alla buona ma non aveva stoffa con sé, aveva perso anche il mantello o forse non l’aveva proprio avuto durante lo scontro, non lo ricordava neppure più. La ferita continuava a sanguinare copiosa e per quanto non fosse stata mortale, a lungo andare lo sarebbe diventata; doveva chiudere quel duello e non poteva, non doveva perdere proprio all’ultimo momento, non contro Hongo. Era ‘lo straniero venuto dall’estremo Sud’, forse proprio Punta Maar, che si diceva il Re avesse salvato e che da allora gli era rimasto fedele come nessuno mai.
    Non voleva perire per mano del cagnolino da compagnia.
    Gamo si riempì il petto di tutto il fiato che poteva e tutto l’orgoglio. Si gettò sull’avversario il cui viso era ancora celato dietro l’elmo. Caricò di lato, ma Hongo deviò violentemente con la mancina ed effettuò una mezza piroetta, rigirò la lama mantenendola parallela al proprio braccio e poggiò un ginocchio al suolo. Gamo era ancora in piedi, sbilanciato col busto e piegato in avanti, ma con le gambe solidamente dritte e il retro delle ginocchia scoperto quanto bastava affinché la spada di Hongo potesse tagliare il cuoio degli abiti che indossava da sotto al metallo e colpire la carne. Altro sangue, legamenti recisi di netto e un grido straziante da parte di Gamo. Le ginocchia cedettero di schianto, facendolo trovare a terra e nella bocca aveva già, chissà come, il sapore del sangue; doveva essersi morso la lingua.
    Roberto riportò la spada davanti a sé, la tenne con la destra e ne allungò il manico con la sinistra, poi, alzandosi in piedi e impugnandola con ambo le mani, la piantò per tutta la lunghezza della lama nel fianco di Minato Gamo facendosi breccia proprio nel punto in cui aveva fatto saltare le piastre dell’armatura e slargato le maglie della cotta protettiva.
    Il lamento del signore del Nord si spense nella sorpresa che gli fece rimanere aperta la bocca con il fiato rilasciato a metà. Il mondo iniziò a cambiare asse davanti ai suoi occhi e ciò che era dritto assunse una posizione obliqua rispetto al suo punto di vista. Ma non era il mondo a cambiare, quanto il suo corpo a piegarsi di lato, sotto la pressione della lama. E il mondo stava anche cambiando colore, sfumando nel nero. Il nero del suo vessillo.
    Per un solo istante, prima di morire, lo vide come avrebbe sempre voluto che fosse. Poi crollò di lato e non si mosse più.
    Roberto Hongo rigirò la lama nel suo corpo assicurandosi che fosse morto davvero; gli piacevano le sorprese, ma non in guerra. Quando si sentì sicuro estrasse l’arma, ne accorciò l’impugnatura e tornò a infilarla nel fodero.
    Solo allora tirò il più lungo respiro della sua vita.
    Guardò nuovamente in basso e vide che, sì, il signore del Nord, l’uomo che aveva scatenato l’Infero nella Lingua di Serpe e aveva portato alla morte di decine, centinaia… migliaia dei suoi uomini e degli uomini della Guardia Cittadina… era morto. La guerra era finita. Nonostante si stesse ancora combattendo, era finita. Lo sarebbe stata nel momento esatto in cui tutti i legionari avessero compreso che non avevano più un signore a guidarli, che in piedi era rimasto solo il Re Koudai Ozora.
    Si volse, cercò proprio l’uomo con lo sguardo, ma non lo vide affatto in piedi, quanto ancora inginocchiato a rigirare e stringere lo stesso pezzo di stoffa che gli aveva trovato in mano quando era arrivato a salvarlo.
    Inspirò a fondo, ancora una volta, e si tolse l’elmo. I capelli ricci e la barba incolta emersero madidi di sudore da sotto l’acciaio che abbandonò a terra, mentre raggiungeva il sovrano.
    “Vostra Maestà.” Lo chiamò, ma non ebbe risposta. “Alzatevi, Vostra Maestà.”
    Con decisione lo aiutò, prendendolo da sotto il braccio, ma Koudai sembrava riluttante e quasi incredulo.
    “Il Re deve stare in piedi sul campo di battaglia, signore.” Gli disse con decisione, seppur non utilizzando affatto un tono di rimprovero.
    “E’ colpa mia?” replicò il sovrano levando finalmente lo sguardo su di lui. “Tutto questo… è colpa mia? Sono stato io? Io ho… male amministrato il mio regno e il mio popolo? Sono davvero io che l’ho portato a questo?”
    Nelle sue iridi scure, che sembravano aver perso tutto il fulgore e la sicurezza di cui era sempre stato fautore, Roberto lesse quanto il peso del comando lo avesse fatto invecchiare dentro, nell’animo, e quanto il senso di colpa per non essere stato il Re che avrebbe dovuto sembrasse aver reso vana ogni fatica sopportata fino a quel momento.
    “Tutti sbagliamo, Vostra Maestà.” Gli disse, senza mentire. Perché non era di bugie consolatorie ciò di cui aveva bisogno, ma di qualcuno che gli desse la giusta scrollata, lo sprone per tornare a guardare avanti. Proprio come il Re lo aveva dato a lui il giorno in cui aveva deciso di morire. “Anche i Re. Soprattutto i Re. Ma possiamo fare due cose davanti ai nostri errori: piangerci addosso e continuare a sbagliare o accettare lo sbaglio e porvi rimedio. E i Re è la seconda scelta che prendono.” Gli sorrise, mostrandogli tutta l’amicizia che nutriva nei suoi confronti e il rispetto, la fiducia. “Voi saprete certamente trovare il migliore.”
    Koudai esalò un lungo respiro e tornò a guardare il pezzo di stoffa che aveva tra le mani.
    Il rimedio migliore.
    E il rimedio migliore sarebbe stato di sicuro anche il più difficile, ma era questo che i Re facevano, dopotutto.

    Mamoru correva e atterrava avversari senza guardarsi indietro neppure per un attimo.
    Era così arrabbiato da non aver voglia di fermarsi a pensare: un avversario gli si parava davanti? Lui lo eliminava. Chiusa la questione.
    Yuzo faceva non poca fatica per riuscire a stargli dietro, anche perché doveva tenere d’occhio anche il Principe e la Chiave che restavano avanti a lui e seppur il Principe conoscesse dei rudimenti di scherma, questi non erano sufficienti per essergli di valido aiuto.
    “Mamoru!” Il volante lo richiamò in tono urgente e solo allora la Fiamma sembrò comprendere d’esser andata fin troppo avanti.
    Respirando con affanno si fermò, guardandosi intorno. La strada che avevano percorso facendosi spazio nella battaglia era stata fagocitata. Non avrebbe saputo dire da che parte fossero venuti né tantomeno dove fossero diretti.
    Attese che Yuzo e gli altri lo raggiungessero e si portò le mani ai fianchi. “Sembra un fottuto labirinto qui in mezzo e la presenza degli Stregoni è tale che nemmeno il fischio alle orecchie riesce a darmi una qualche indicaz-!”
    “Vuoi darti una calmata?!” Il volante lo afferrò in maniera brusca per un braccio, sibilandogli quella frase. Negli occhi, il nocciola aveva una netta sfumatura di rimprovero. “Si può sapere che ti è preso? Sei come fuggito via, sembravi una bestia furiosa! Il Principe non riesce a starti dietro per non parlare della Chiave!” Spostarono entrambi lo sguardo su Tsubasa e Ryo che stavano cercando di riprendere fiato il più velocemente possibile.
    Yuzo smorzò il tono in favore di uno più conciliante, così come la stretta che perse il modo saldo con cui lo teneva. “Così diventa più difficile riuscire a proteggere entrambi. Lo so che è frustrante non aver ancora-”
    “Non è per quello.” Lo interruppe la Fiamma. Nel tono non c’era più il piglio rabbioso, ma solo severo. “Detesto l’idea di averli lasciati indietro. Tutto qui.”
    “L’ho provato anche io l’amaro di dovervi voltare le spalle quando ci siamo trovati davanti a Gamo in persona.” Yuzo lo lasciò andare del tutto. “Ma è del pianeta intero che stiamo parlando e ci sono scelte da prendere sul momento, anche se fanno male.”
    Mamoru assimilò le parole del compagno mentre inspirava profondamente per recuperare di nuovo il sangue freddo di cui aveva bisogno. Poi si volse a guardarlo e lo disse senza nemmeno pensarci.
    “Non è che potresti prestarmi un po’ del tuo Autocontrollo, vero? Mi farebbe comodo, adesso.”
    Negli occhi nocciola del volante lesse chiaramente che lo stava usando, anche in quel momento. Era uno schermo nitido e riflettente che respingeva tutto ciò che avrebbe potuto farlo tentennare. Ma lesse anche altro; dietro la sua lastra, che non era più terribilmente spessa e invalicabile come quella che aveva conosciuto prima che arrivassero a Ghoia, Mamoru scorse dell’altro e non era piacevole. Si agitava, strisciando contro il muro dell’incantesimo come fosse stato un serpente che cercava a ogni costo la via d’uscita. Forse era per questo che l’alastro rispose: “Non ti piacerebbe, credimi.”
    Il volante gli diede un leggero colpo sul braccio, per esortarlo a riprendere la loro ricerca. Ma più andavano avanti, più le speranze di riuscire a trovare il Nero sembravano ridursi. Nemmeno i Master erano visibili. I kamalocha coprivano il cielo, rincorrevano i màlayan e gli alastri; la seconda carica aveva reso ancora più caotico il campo di battaglia e gli Stregoni, che tentavano di intralciarli, sembravano aumentare di numero rallentando di molto il loro avanzare.
    Per loro fortuna avevano accumulato talmente tanta esperienza che affrontarli non appariva più come una missione impossibile. Tutto ciò che avevano appreso alle rispettive scuole, unito alla pratica che i fratelli Konsawatt e la prigionia aveva fornito loro, più la determinazione che gli eventi avevano reso ferma e spietata li aveva come trasformati.
    Mamoru un po’ lo sentiva, anche se sapeva non fosse il momento più adatto per fermarcisi a pensare. Lo sentiva perché ragionava prima di portare avanti qualsiasi attacco, cosa che con l’irruenza che l’aveva sempre contraddistinto non avrebbe mai fatto. Ora pianificava sul momento e studiava le mosse avversarie per trarne il massimo vantaggio. Era maturato e rendersene conto proprio lì, nel pieno degli scontri, gli fece assumere un sapore amaro al palato. Non erano stati i buoni voti a scuola a renderlo forte, quanto i sacrifici affrontati.
    Scosse il capo e disarcionò un soldato, fondendo l’armatura alla pelle e soffocandone le grida di dolore con l’acciaio dell’elmo in un sigillo liquefatto nella carne.
    Si volse, Yuzo stava dando l’ennesimo ben servito a uno Stregone attraverso l’elettricità, ma quello che vide dopo gli provocò un brivido orribile lungo la schiena.
    Un legionario di Gamo aveva tentato l’inutile affondo. Il volante l’aveva deviato col semplice dorso della mano, si era portato alle sue spalle con un movimento fluido e la stessa freddezza e rapidità gli aveva spezzato il collo.
    Gli parve assurdo, ma solo in quel momento Mamoru realizzò che il modo di combattere di Yuzo era ‘cambiato’, quasi avesse rimosso il motto della Scuola di Alastra dietro cui si difendeva sempre quando veniva esortato a essere più aggressivo. Il Poli-Poli e la loro assurda discussione sembravano così lontani da sembrare quasi un ricordo vissuto con un’altra persona.
    D’improvviso si domandò quanti ne avesse già uccisi da che erano piombati nella Lingua di Serpe. Quando avesse messo da parte i suoi saldi e intoccabili principi.
    Lui era l’ultimo a poter parlare, visto che uccidere non era una novità per le sue mani, ma vedere che era Yuzo a farlo, che era il suo buonissimo, disponibile e puro uccellino lo lasciò come shockato.
    Di colpo scosse il capo, cercando di tenere fuori da quella questione la parte sentimentale del suo cuore, quella che amava, per lasciare che fosse solo quella della Fiamma, dell’Elemento di Fyar, del guerriero a venire fuori e quella parte gli diceva che il volante stava facendo ciò che doveva. Né più né meno. Erano nel pieno di una guerra e la guerra non si combatteva con le carezze e i buoni propositi.
    Indurì lo sguardo e tornò a volgerlo con maggiore decisione alla strada davanti a lui, anche se non era possibile vedere un percorso vero e proprio. Tentò di figurarne uno, dopodiché se lo sarebbe creato a suon di incantesimi.
    Fu in quel momento che i suoi occhi trovarono, tra tutte, una figura immobile e familiare che li stava fissando senza muoversi. Una figura che appariva e scompariva tra la folla e gli altri combattenti. Una figura con un mezzo sorriso sulle labbra, occhi dal taglio allungato e capelli castani.
    Restava lì, ferma, quasi si aspettasse che fossero loro ad avanzare, ma Mamoru strinse le labbra e provò a deviare il percorso, cercandone un altro. Eppure, come i suoi occhi vagavano intorno, quelli della figura erano sempre lì, per incrociare i suoi e dirgli che non ci sarebbe stata alcuna possibilità: si sarebbero trovati faccia a faccia.
    E l’ultima cosa che Mamoru voleva era trovarsi faccia a faccia con Faran Konsawatt.

     


    [1]TABEBUIA: in particolare la Tabebuia chrysotricha è la pianta simbolo del Brasile. :) L’albero presenta dei bellissimi fiori di un giallo abbagliante. E’ chiamata anche Golden Trumpet Tree ed è una sempreverde. In portoghese è chiamata ‘Ipê Amarelo’ ed è il cibo preferito di alcune specie di colibrì, poiché i suoi fiori sono ricchissimi di nettare. Il fiore di solito presenta cinque petali e si trova in ricchi mazzetti all’estremità dei vari rami. E’ davvero una bellissima pianta e la potete ammirare: *clicca qui* e *clicca qui*. XD Dovevo dare a Roberto Hongo un qualcosa che lo caratterizzasse come made in Brasil! XD


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Ma! Ora che ci penso... temo di non avermi mai parlato dell'origine dei Kamalocha. XD
    Quando pensavo al tipo di animale che gli Stregoni avessero potuto usare per la loro 'entrata a sorpresa', avevo iniziato a fare tutta una lista di: "Questo no, questo neppure". In primis, sapevo che non avrei voluto usare i draghi, perché nel mondo di Elementia non sono creature realmente esistenti, ma appartenenti alla mitologia e legate al potere elementale (il drago che Mamoru ha usato contro Brolin nell'Avamposto Sud, ad esempio). Non volevo usare un pennuto qualunque, tipo fenice, perché esistevano già le phaluat. Non volevo le aquile, perché erano troppo banali XD (!!) né volevo un animale che passeggiava sulla terra perché mi serviva per mettere in difficoltà alastri e fyarish. Allora mi son detta: "visto che l'animale che voglio NON esiste... perché non crearmelo?" e così sono nati i Kamalocha. :D
    Volevo che si ispirassero a qualcosa di realmente esistente, ma che avessero anche qualcosa di diverso e allora, poiché non volevo dargli un muso di drago, ho pensato ai camaleonti, ma non i camaleonti comuni... bensì: i Camaleonti di Jackson. :D Sì, quelle sono proprio le tre corna che i kamalocha hanno sul muso (AWWW! NON SONO BELLISSIMI?!?!?! *^*). Poi ho cercato di dar loro un sistema alare particolare, che li rendesse molto più agili di un màlayan, ma che comunque non potessero volare altissimo come gli alastri. Ecco quindi le sei ali indipendenti le une dalle altre; poi son venute le zampe, da uccello, il colore e la mescolanza di scaglie e piume. Mi sarebbe tanto piaciuto disegnarveli, ma mi sono dovuta arrendere T_T erano troppo difficili per me, povera scarabocchiatrice a tempo perso.

    Per il resto, questo capitolo continua a chiudere altri discorsi lasciati aperti: Teppei vs Sakun, Koudai vs Gamo. Ma altri vengono aperti: Hajime vs Chana e, in ultimo, la comparsa di Faran.
    A chi spetterà il maggiore dei fratelli Konsawatt? :3333
    Al prossimo aggiornamento!!! :DDDDD


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (nessuna aggiunta):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki
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    Capitolo 53
    *** 16 - This is War - parte VI ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte VI)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    “It's the moment of truth and the moment to lie /
    E’ il momento della verità e il momento di mentire,
    the moment to live and the moment to die /
    il momento di vivere e il momento di morire,
    the moment to fight, the moment to fight, to fight, to fight, to fight /
    il momento di combattere, il momento di combattere, combattere, combattere, combattere!

    30 Seconds to MarsThis is War

    Combattere con uno Stregone Metamorfo non era facile, soprattutto se si era da soli. Hajime se ne stava rendendo conto mentre cercava di evitare le bestie che Chana creava trasformando anche semplici pezzi di roccia. In pratica ogni cosa che aveva intorno poteva essere usato come arma.
    Quando si erano trovati sul Nohro e si erano scontrati per la prima volta, l’aiuto di Yuzo lo aveva avvantaggiato perché in due erano riusciti a distrarlo, ma ora la situazione si era capovolta: Chana lo teneva in trappola, rinchiuso in quella prigione di tentacoli neri e animali che lo guardavano come fosse il loro pasto dopo giorni di digiuno.
    Lui continuava a girare intorno, cercava di rifuggirli o tenerli alla larga con i suoi incantesimi, ma era difficile quando l’ambiente gli era tutto tranne che congeniale. La Lingua di Serpe era solo terra e di acqua che potesse essergli di sostegno non ce n’era.
    Un lupo balzò famelico, la bocca spalancata e colante bava. Hajime lo colpì al volo con un calcio portato col tallone e l’animale finì contro i tentacoli che lo afferrarono e lo stritolarono senza pietà. Non sapevano riconoscere gli ‘amici’ dai ‘nemici’: per loro chiunque ci finisse in mezzo era una preda.
    Subito un’altra bestia tentò di azzannarlo alla gamba, ma il Tritone mutò l’acqua in una lama di ghiaccio che gli conficcò nel collo, uccidendolo prima che potesse anche solo sfiorargli la pelle.
    “Non credere che potrai sfuggir loro in eterno.” Lo ammonì Chana con un risolino subdolo. “Però ammetto che è divertente vederti correre. Forza, allora! Corri, formichina, corri!”
    I lupi deceduti vennero rimpiazzati da altri due. La sua riserva di sassi gli apparve inesauribile.
    Hajime decise di provare a liberarsi di tutte e tre le bestie contemporaneamente per poi tentare di attaccare il minore dei Konsawatt prima che potesse avere il tempo di sostituirle.
    Si lasciò accerchiare di proposito, venendo avanti nel piccolo spazio che i lupi gli avevano lasciato. Si sentiva come nel centro di un’arena. Col potere dell’acqua afferrò le caviglie di ciascun animale, avvolgendole in corde sottili. Con tutta la forza che aveva li sollevò in aria e li lanciò oltre la muraglia di tentacoli oscuri. Senza perdere tempo ne approfittò per attaccare Chana, ma quella stessa muraglia lo difese e un filo nero lo colpì in pieno addome con la sferzata di una fionda.
    Il Tritone venne scaraventato dalla parte opposta finendo dritto nel perimetro dell’area e i tentacoli non persero tempo ad avvolgersi attorno a lui. Tre gli serrarono una gamba, due s’avvolsero attorno al braccio sinistro e uno trovò la gola.
    Chana ridacchiò e il suo tono era così fastidioso che Hajime avrebbe voluto strappargli le corde vocali pur di farlo tacere. “Te l’avevo detto. L’altra volta siete riusciti a mettermi in ridicolo solo perché eravate in due contro uno.” Assunse una smorfia infastidita. “Adesso mi prenderò la rivincita che mi spetta.”
    I fili si stringevano sempre di più, Hajime ne avvertiva la presa che iniziava a farsi dolorosa. Il sangue rallentava il suo fluire e il fiato faticava a entrare così come a uscire. Non andava bene. Se non se ne fosse liberato, avrebbe finito per morire e non era di certo una fine ingloriosa quella che aveva sempre immaginato per sé. Se era davvero in battaglia che avrebbe dovuto chiudere gli occhi per sempre, allora l’avrebbe fatto in modo da non avere alcun rimpianto.
    Nel frattempo, Chana aveva creato altre tre bestie, identiche alle precedenti. Solo tre. Hajime si accorse che quel numero restava invariato, come se non avesse potuto crearne di più onde rimanere a corto di energia. Qualsiasi incantesimo assorbiva la forza del mago che lo faceva brillare e gli Stregoni non facevano eccezione.
    Col laccio che si rinsaldava sempre di più, Hajime pensò che se avesse trovato un modo per bloccare i lupi senza ucciderli, avrebbe potuto affrontare Chana ad armi pari.
    D’improvviso gli balenò una mezza idea. La terra, dopotutto, avrebbe potuto divenire davvero una sua alleata.
    Raccogliendo le ultime forze rimaste prima che la riduzione d’ossigeno finisse col fargli perdere i sensi, il Tritone iniziò a far scorrere acqua dalla sua pelle. Lungo le mani, il collo, scivolava giù bagnando non solo gli abiti, ma anche i tentacoli che lo stavano lentamente uccidendo. Con i suoi poteri abbassò la temperatura dell’acqua così tanto da farli congelare. Adesso erano intrappolati nel ghiaccio e, come era noto, il ghiaccio era fragile.
    Ad Hajime bastò contrarre i muscoli affinché i tentacoli cristallizzati andassero in frantumi, lasciandolo libero. L’aria tornò a invadere con prepotenza i suoi polmoni tanto da farlo tossire con forza, mentre i segni del tentato soffocamento risaltavano rossi sulla pelle di colore chiaro.
    Chana si stizzì. “Siete proprio testardi.” Con un gesto aizzò le belve che balzarono insieme contro il suo avversario.
    Hajime ne riuscì a evitare due allontanandole con un paio di calci, ma la terza lo stese. La bava colò sul braccio che aveva usato per difendersi e che gli teneva ferma la bocca in modo che non lo azzannasse. Lo colpì in pieno ventre, facendolo finire addosso agli altri due che intanto avevano provato a rialzarsi.
    Per il Tritone quella si presentò come l’occasione perfetta. Di certo, se ci fosse stato Teppei con lui, l’effetto sarebbe stato più rapido e migliore, ma al momento non aveva il suo migliore amico con cui portare avanti una combo, avrebbe quindi dovuto ottenere lo stesso risultato da solo.
    Appoggiò le mani al suolo e vi scaricò quanta più acqua possibile. Purtroppo il substrato non era fatto di sabbia, ma la polvere avrebbe potuto fornirgli qualcosa di simile.
    “Cosa credi che possa fare il tuo Elemento in un ambiente ostico come questo?” Chana lo stava provocando e, visibilmente, non gli piaceva vederlo armeggiare con la terra. “Il sottosuolo non ha tutta l’acqua di cui hai bisogno.”
    “Me ne basta meno di quanto credi” provocò lui di rimando e il minore dei Konsawatt cadde nella trappola, proprio come aveva sperato. Era il più piccolo e forse, proprio in virtù di questo, era anche quello più orgoglioso. Non ci stava a essere sfidato, preso in giro o non preso troppo sul serio solo per il suo aspetto minuto, all’apparenza più innocuo di quanto fosse in realtà.
    Con un fischio richiamò i lupi che attaccarono in gruppo, ma quando misero le zampe nella superficie davanti al Tritone, queste affondarono fino ai gomiti tenendoli bloccati in una melma dalla consistenza collosa. Fanghiglia. Cemento.
    Non era perfetta come le sabbie mobili, ma era pur sempre meglio di nulla.
    Chana indietreggiò, colto di sorpresa.
    “E’ spiacevole essere fregati, non credi?” Hajime non perse tempo a pungolarlo, tanto che il piccolo Stregone cercò subito di uccidere le sue creature per poterne creare di nuove, ma il Tritone glielo impedì. Stavolta fu lui a creare una sorta di muro d’acqua in modo da tenerlo isolato dalle sue stesse bestie.
    Chana si sentì in trappola e tentò la fuga oltre i tentacoli di tenebra che aveva eretto per tracciare il perimetro entro cui avrebbero combattuto. Per sua sfortuna, Hajime gli fu addosso con un balzo. L’acqua era il suo Elemento e passare attraverso all’incantesimo che aveva creato fu naturale.
    Il Tritone gli teneva un ginocchio piantato nello stomaco in modo da bloccarlo al suolo. Gli occhi dello Stregone erano terrorizzati.
    “Oh, vedo che non fai più il saputello senza i tuoi fratelli a darti man forte. Beh, è un vero peccato, perché si perderanno la lezione che sto per darti.”
    Chana non ebbe nemmeno il tempo di provare a creare un incantesimo, perché l’altro lo colpì al volto con forza non una, non due e nemmeno tre o quattro volte.
    Quando si fermò, Hajime aveva la mano che gli faceva male e le nocche che sanguinavano. Il respiro era affannato, ma il senso di soddisfazione fu tale che tutto il resto poco importava.
    Incredibile a dirsi, ma lo Stregone era ancora vivo, anche se aveva il volto così tumefatto che i suoi fratelli avrebbero faticato a riconoscerlo. Il giovane si lamentava, dolorante; non riusciva neppure a portarsi le mani al viso.
    Hajime aprì e chiuse la propria un paio di volte, poi si alzò. Guardò il minore dei Konsawatt dall’alto e disse: “Sai, qualche anno fa penso che mi sarei accontentato. Riempirti di botte sarebbe stato sufficiente a farmi sentire ‘pari’. Ma, vedi, è stato per colpa di quelli come te se io stavo per perdere la persona più importante che ho e mi dispiace, non ci sarà mai nulla che potrà soddisfarmi abbastanza.”
    La barriera d’acqua scomparve. Hajime si portò a un passo da Chana e questi si rotolò su un fianco, cominciando a strisciare sul terreno. Il Tritone rimase a fissarlo senza muoversi né tentare di dargli una mano.
    Il piccolo Konsawatt cercava a fatica di tirare su col naso, ma questo era rotto e gonfio, così si mise a respirare con la bocca. Piagnucolava e, se avesse potuto, avrebbe di sicuro chiamato i fratelli affinché accorressero. Hajime rimase impassibile e indifferente a ogni suo lamento. Lasciò che si trascinasse fino a cadere anche lui nella pozza melmosa dove i cani erano ancora lì a cercare di districarsi nella malta cementizia.
    Per un attimo, per un solo attimo, Hajime ebbe l’impulso di afferrarlo e tirarlo fuori prima che fosse troppo tardi, ma l’ultima esitazione fu quella definitiva. In quel momento, non c’era più nessun controllo, i lupi non riconoscevano nello Stregone il loro padrone e vista la fame che avevano, non persero tempo a far di lui il loro primo pasto.
    Le grida di Chana risuonarono strazianti e soffocate dal fango. Interruppe l’incantesimo e le belve tornarono semplice roccia, ma il morso alla gola era già stato dato e questa sventrata. Il sangue era ovunque, diffondendo rigagnoli nel grigio della terra. Il suo corpo galleggiava a faccia in giù e i tentacoli oscuri si dissolsero segno che ormai con lui era morta anche la sua magia.
    Hajime tirò un profondo respiro e spostò lo sguardo da quel terribile spettacolo solo per incontrare degli occhi più familiari che lo guardavano con sollievo.
    Teppei si teneva vistosamente il braccio su cui aveva cercato di applicare delle bende di fortuna, ma era vivo e, dopotutto, non stava poi così male.
    Il tyrano abbassò le iridi sul corpo riverso di Chana e poi di nuovo sul Tritone. “Meno due?” domandò, abbozzando un sorriso.
    Lui annuì, sorridendo di rimando ma senza serenità. “Meno due.”
    Teppei gli si fece vicino e il Tritone poté osservarne meglio le ferite.
    “Come è successo?” L’Elemento di Terra scrutò nello Stregone i segni di quelli che parevano morsi, di sicuro non a opera di Hajime.
    “Era un Metamorfo. È finito sbranato dalle sue stesse creature.”
    Mh.”
    “A te che è successo?”
    Teppei si strinse nelle spalle. “Sakun era un Manipolatore. C’è voluto un po’ di olio di gomito e qualche graffio per farlo cedere.” Poi si volse, notando come il compagno non fosse reattivo come al solito, quanto tormentato. “Qualcosa non va?”
    Solitamente, Hajime avrebbe negato, refrattario alle confidenze troppo personali, ma chi gli stava davanti era pur sempre Teppei e nell’anno di viaggio aveva imparato a essere meno distaccato e più coinvolto.
    “Avrei potuto salvarlo, ma ho esitato. E lui è morto.”
    Il motto della Scuola dell’Acqua, ovvero ‘Mai uguale, ma sempre unita’, simboleggiava il perenne spirito di cooperazione che vigeva tra gli Elementi, e non solo tra loro, ma anche verso gli altri. Non avevano il cuore d’oro degli alastri, ma gli agadiri non si tiravano mai indietro quando si trattava di dover aiutare il prossimo. Avrebbe dovuto valere anche in quel caso, in cui lo Stregone era già stato sconfitto. Sarebbe stato un gesto di pietà e lui, che aveva esitato, non ne aveva avuta.
    “Credo che nessuno di noi abbia agito in maniera perfettamente limpida. Potresti andarlo a chiedere a chiunque e chiunque ti racconterebbe di almeno un’azione scorretta che ha compiuto in questa guerra e sai perché?” Teppei lo guardò dritto negli occhi ed era sicuro di sé, anche se non ‘fiero’. “Perché siamo in guerra. Le regole cambiano anche se non lo vogliamo; le modifichiamo perché l’estremismo in cui ci troviamo spesso ci fa dimenticare anche chi siamo e quello che dovremmo fare. L’unica cosa è non perdere mai di vista l’obiettivo e il nostro obiettivo, ora, è di raggiungere Mamoru e Yuzo per aiutarli a proteggere il Principe e la Chiave.” Gli passò accanto, sorridendogli un’ultima volta ancora. “Nemmeno io mi sono comportato da tyrano con Sakun e non ne vado fiero, ma non lo rimpiango perché sono ancora vivo e so per certo che lui non potrà fare più del male a nessuno, mentre io sono ancora in tempo per aiutare i miei amici.” Lo superò, agitando una mano. “Vieni con me?”
    Hajime incassò leggermente il mento, mentre lo vedeva allontanarsi con quell’andatura che lo faceva sembrare più vecchio dei suoi scarsi vent’anni.
    Gli venne da ridere. Sul serio, gli venne davvero da ridere. Dal profondo del cuore.
    Avanzò d’un passo.
    “Eh sì, sei diventato davvero un vecchio saggio, tu.”

    “Allora? Da che parte?”
    Yuzo tornò al suo fianco con movimenti svelti. Gli occhi non guardavano la Fiamma, ma tenevano sotto controllo l’ambiente, Tsubasa e la Chiave.
    Mamoru deglutì. “Abbiamo un problema.”
    “Di quelli ne abbiamo sempre. Che succede?”
    “Ci ha circondati.”
    Yuzo guardò il profilo del compagno con le sopracciglia aggrottate e l’espressione confusa. “Chi?” Se volevano dirla tutta, erano già ‘circondati’: soldati e Stregoni erano dappertutto, ma gli occhi di Mamoru sembravano passare attraverso di loro per puntarsi su qualcuno di più specifico.
    “Faran” disse infatti e quel nome bastò per far drizzare la schiena al volante e fargli muovere lo sguardo in modo più attento. “E’ in qualsiasi direzione decidiamo di muoverci. Non ci lascerà passare.”
    Yuzo lo cercò con ossessiva insistenza. Sembrava il segugio che voleva a ogni costo la preda, poteva quasi sentirne l’odore nell’aria, e smaniava dalla voglia di vederlo e puntarlo. Gli era bastato il nome ed era come se qualcosa gli fosse scattato nella testa.
    La rabbia pareva un acido che corrodeva le pareti del suo cervello o un branco di formiche, quelle rosse, quelle voraci. Rosicchiavano la sua stabilità e il suo controllo un pezzettino alla volta.
    Quando i suoi occhi ne catturarono la figura ferma nella battaglia cominciò ad avvertire un sapore amaro nel palato, ipersalivazione. Fosse stato un cane avrebbe iniziato a ringhiare.
    “Lo vedo” mormorò.
    “E’ ovunque.”
    Yuzo spostò altrove lo sguardo e vide che Mamoru aveva ragione. Faran era ‘oggettivamente’ dappertutto, in qualsiasi direzione. “Illusioni.”
    “Sì, l’avevo pensato.”
    Il mondo fu come se si rallentasse d’improvviso. Le spade si levavano e calavano così adagio che qualsiasi avversario avrebbe potuto evitarle, allo stesso modo i kamalocha sembravano immobili nell’aria perché le ali si alzavano e abbassavano alla lentezza delle lumache. I rumori erano ovattati, distanti, mentre i propri respiri avevano un suono sordo e forte.
    Mamoru non fece in tempo a chiedere ‘cosa facciamo?’ che sentì nella schiena l’azzannare del pericolo. Si volse di scatto e il calcio teso in una delle mosse che Magister Wakashimazu gli aveva insegnato colpì Faran dritto all’addome.
    La cosa assurda, fu che nello stesso istante Yuzo aveva fatto lo stesso con un altro Faran che aveva attaccato Mamoru frontalmente. Il volante ne aveva deviato il polso bloccandolo verso il basso. Aveva guardato dritto negli occhi l’avversario che gli era vicinissimo e aveva capito la verità.
    “Sono doppi.” Lo allontanò con una potente folata di vento e l’assalitore, così come nel caso di Mamoru, scomparve, dissolvendosi in fango.
    “Bravi.”
    La voce di Faran, questa volta quello vero, arrivò ben più vicina. Con le sue illusioni era riuscito a distrarli tanto da raggiungerli in maniera discreta e portarsi alle spalle del Principe.
    “Ancora non abbastanza, per me, ma bravi.” Poggiò una mano sulla spalla di Tsubasa. “Non vi dispiace se mi riprendo ciò che ci avete sottratto, vero?” Con violenza colpì Ryo alla schiena facendolo rotolare al suolo. Lui non aveva idea di chi fosse e non rappresentava che un intralcio di cui poteva fare a meno.
    Yuzo raggiunse subito il giovane, accertandosi che stesse bene.
    “Fa malissimo…” lamentò la Chiave, restando tutta curva su sé stessa. Anche se era un semidio, la sua forma umana gli faceva provare buona parte delle stesse sensazioni che provavano anche i mortali; tra cui il dolore, seppur in maniera ben più leggera. Ci fosse stato un altro al suo posto, ad esempio, si sarebbe trovato con la schiena spezzata.
    “Va tutto bene, passerà in poco tempo.” Lo rassicurò il volante, e l’altro si limitò ad annuire, riuscendo già a mettersi seduto. Perfino Faran ne rimase sorpreso.
    “Però! Che tempra.”
    “Lascia andare il Principe o ti faccio pentire di essere nato” minacciò la Fiamma.
    “Sapessi quante volte me l’hanno detto. Non sai trovare qualche battuta un po’ più originale?”
    Yuzo approfittò del fatto che il compagno avesse catalizzato tutta la sua attenzione per agire in maniera indisturbata. L’aria era ovunque e proprio in virtù di questo avrebbe potuto portare da qualsiasi direzione il suo attacco. Con un gesto secco fece piovere una raffica di spilli di vento alle spalle di Faran, ma questi si volse bloccandoli dietro uno scudo di Magia Nera. Per farlo però, dovette lasciare la presa sul Principe e questo fu sufficiente a Yuzo affinché una folata di vento si insinuasse tra i due e spingesse Tsubasa lontano dallo Stregone, anche se piuttosto bruscamente.
    Mamoru lo raggiunse e lo portò a distanza di sicurezza mettendosi poi di guardia per impedire che il maggiore dei Konsawatt gli si avvicinasse ancora.
    Faran emise un verso di disappunto, quando tornò a voltarsi. I suoi occhi corsero istantaneamente a al volante.
    “Tu” annuì piano. Le labbra piegate in uno strano sorriso. “Sei sempre tu che mi intralci. Scommetto che quell’imbecille di Fredericks non ha fatto il suo dovere. Dimmi un po’: lo hai ucciso? Non mi sembra che lui sia stato molto duro nei tuoi confronti; ho visto alastri devastati dalle sue abilità mentali e tu invece appari fresco come una rosa.” Annuì ancora. “Meglio così, almeno non gli dovrò alcun favore. Sarebbe stata una seccatura.”
    Yuzo non rispose, ma si mosse lentamente assieme alla Chiave per raggiungere Mamoru e Tsubasa. I suoi occhi, però, non lasciavano l’avversario per nessun motivo.
    Accanto a lui, Mamoru ne aveva piene le palle di quei farabutti dei Konsawatt. In particolare, ne aveva piene le palle di Faran. Quel bastardo lo aveva messo in difficoltà fin troppe volte per i suoi gusti e ora che a difesa del Principe erano rimasti solo lui e Yuzo, era ovvio che finalmente sarebbe toccato a lui regolare i conti con lo Stregone.
    Accennò un mezzo sorriso di scherno e sfida e fece un passo in avanti, ma il braccio di Yuzo si tese con fermezza.
    “No.” Il tono deciso si attirò subito lo sguardo della Fiamma, che si girò con sopracciglia aggrottate ed espressione incredula. “Ci penso io.”
    “Yuzo, non-”
    Gli occhi dell’uccellino si puntarono nei suoi e la stessa fermezza che animava i gesti era ancorata nello sguardo, impossibile da confondere o equivocare.
    “Ci siamo già scontrati. Non hai motivo di preoccuparti, so esattamente ciò che faccio.”
    Ancora, più forte, la decisione delle sue parole e quella freddezza nelle iridi lo disorientarono perché non si era aspettato di vederle di nuovo, ma lo lasciarono anche senza alcun dubbio: lo stesso sguardo che aveva avuto a Ghoia, la stessa, inquietante ferocia che era riuscito a tenere a bada in qualche modo. Adesso sembrava essere più forte anche se più controllata di allora, ma ugualmente destabilizzante. Non voleva lasciarlo solo in quelle condizioni, non contro Faran, e non perché non fosse in grado di affrontarlo, quanto per l’esatto contrario.
    “Non si tratta di questo-” tentò, ma Yuzo lo interruppe di nuovo e questa volta la Fiamma non riuscì a nascondere i reali sentimenti dietro l’espressione più severa.
    “Ti fidi di me?”
    Quella domanda non se l’era aspettata. Non in quel momento e non con Faran che restava fermo davanti a loro in fremente attesa di poter attaccare l’uno, l’altro o tutti e due insieme.
    Non si era aspettato nemmeno che, dopo quanto accaduto con la faccenda della verità sul Nero, la risposta che batteva sulla lingua fosse sempre la stessa, pronta. Non si sentiva neppure più tradito come quando si trovavano nella stanza dell’Amplificatore. Quell’episodio, la storia di Natureza e il segreto degli alastri era ormai già lontano da loro, quasi non gli appartenesse più, e il fatto che Yuzo gli avesse omesso la verità era divenuto qualcosa di poco conto perché il volante non avrebbe potuto fare altrimenti; ora lo capiva e accettava.
    “Certo che mi fido” soffiò via come fosse una realtà ovvia e questo bastò affinché nel gelo che velava gli occhi di Yuzo, Mamoru scorgesse una scintilla calda e avvolgente, familiare, come il sorriso che gli distese le labbra.
    “Allora porta il Principe al sicuro e non voltarti indietro. Per nessun motivo.” Lentamente, Yuzo abbassò il braccio. “E’ l’ultima speranza per questo pianeta contro la follia di Natureza, ed è nelle tue mani. Ti raggiungerò.”
    Lui annuì, piano, e tirò un respiro profondo arrendendosi al fatto che non era Yuzo ad aver bisogno di protezione, in quel momento, ma il Principe e che quella era la sua missione.
    “Fai presto.” L’unica risposta che seppe dargli in quel momento e che celava significati più importanti.
    “Se avete finito di chiacchierare, direi che è il momento di passare ai fatti!” Faran si era stancato di aspettare e non perse tempo, ora che erano distratti, a sferrare contro di loro un incantesimo. Per sua sfortuna, però, non aveva ancora capito cosa si sarebbe trovato ad affrontare e non lo comprese nemmeno quando l’incanto si infranse contro quello dell’Elemento d’Aria. Sicuro di sé com’era sempre stato, non lo comprese nemmeno quando ne incrociò lo sguardo.
    “Allontanati, Mamoru.” Yuzo non si volse a guardare la Fiamma perché non ne aveva bisogno. Quello non era un addio, Faran Konsawatt non era l’avversario che lo avrebbe fermato e dopo essersene liberato, sarebbe tornato al suo fianco, per continuare a combattere. Solo in quel momento, gli parve di cogliere la strana inversione dei ruoli che si era svolta tra lui e l’Elemento di Fuoco. Quando si trovavano alla base, era stato Mamoru a dirgli di andare avanti e di non preoccuparsi, perché li avrebbe raggiunti. Ora era il suo turno. Sorrise.
    “Sapevo che lo avresti fatto. Eri stato prevedibile allora, nelle paludi, e lo sei anche adesso. Possiamo davvero chiudere il nostro vecchio discorso.” Anche Faran stava sogghignando. “Dove eravamo rimasti?”
    Yuzo si mosse tanto velocemente da sparire alla sua vista salvo poi comparirgli alle spalle. Il maggiore dei Konsawatt lo vide appena in tempo per schivare quel calcio volante che si infranse al suolo in un concerto di polvere e rocce.
    Faran assunse una nuova postura di difesa, ma il ghigno non era più così sicuro come un attimo prima. Fissò l’uccellino negli occhi, e questi stava ancora sorridendo. Per un istante le sue iridi assunsero una sfumatura molto più chiara, quasi gialla. Apparve e scomparve come un riflesso.
    “Sicuro di volerlo sapere?”

    Non era così che sarebbero dovute andare le cose.
    Mamoru continuava a ripeterselo mentre si faceva spazio tra soldati, Stregoni ed Elementi. Nella sua scia, il Principe e la Chiave restavano vicini e lui non li perdeva di vista nemmeno per un secondo, stando attento che nessuno si avvicinasse. Nel contempo, però, la sua testa macinava pensieri su pensieri e continuava a ripetergli che non era così, non doveva andare così.
    In qualità di leader del gruppo non sarebbe dovuto andare avanti e lasciare che i suoi compagni affrontassero i nemici da soli. Avrebbe dovuto essere il primo a scendere in campo e invece Teppei, Hajime e Yuzo glielo avevano impedito, dicendogli che quella stessa responsabilità che aveva verso di loro, ora doveva rivolgerla solo a Ryo e Tsubasa. E quella responsabilità non apparteneva solo a lui, per questo i suoi compagni si erano fermati per coprire la loro fuga.
    Il problema era che non voleva accettarlo. Non voleva accettare di non essere lì per coprir loro le spalle. Non voleva accettare di non poter tenere tutto sotto controllo come invece aveva sempre fatto.
    Allo stesso modo, non poteva smettere di correre. Yuzo aveva ragione quando diceva che il Principe era la sola possibilità per il pianeta, e il bene di tutti i suoi abitanti era racchiuso in un’unica persona la cui vita dipendeva solo da lui. Eppure, il peso che gli gravava sulle spalle non era così netto da curvargli la schiena e questo perché i suoi amici ne avevano staccato dei pezzi per farsene carico in prima persona. I suoi amici stavano facendo ciò che lui aveva sempre fatto per loro nel corso di quel lunghissimo e intenso anno.
    I suoi amici.
    Amici.
    Una parola che non aveva mai usato neppure verso i compagni di scuola, prima di partire per quella missione. Ora, quella stessa parola era entrata così velocemente nel suo vocabolario da essere divenuta naturale. E con lei, altre parole. Fiducia. Perdono. Rispetto. Amicizia. Amore. Legami. Termini che non aveva mai saputo pronunciare, che non aveva mai voluto, perché messi alla gogna attraverso la promessa fatta a sua madre; ma quella promessa, ormai, non esisteva più. Sciolta nei petali di ciliegio dove era nata.
    Forse, la fine di quella incredibile avventura non era poi così lontana, forse poteva addirittura iniziare a scorgerla tra cavalli e cavalieri che gli intralciavano il cammino, tra Stregoni che cercavano di strappargli il Principe dalle mani a dorso di quelle bestie sconosciute, ma lui non si sarebbe fatto fermare da nessuno. Fino all’ultimo istante le sue gambe avrebbero corso, il suo corpo si sarebbe flesso nel combattimento e le sue mani, il suo cuore, avrebbero avvampato nel Fuoco di Maki chiunque sarebbe stato così stolto da provare a sbarrargli la strada.
    Chiunque. Fosse anche stato il…
    “Torniamo a ritrovarci faccia a faccia, a quanto pare.”
    Mamoru si fermò di colpo. Le braccia tese per proteggere Tsubasa e Ryo che erano dietro di lui. I suoi occhi catturarono subito la figura che restava sospesa a cinque metri dal suolo. Aveva le braccia incrociate e i capelli raccolti in rasta che oscillavano a un vento esistente solo attorno a lui. il nero mantello dell’AlfaOmega non c’era più e la sua figura gli parve leggermente più minuta, in quell’illusione di bontà che lo accompagnava in maniera naturale e infima.
    Il Nero era lì, davanti alla loro strada, e Mamoru sapeva che non se ne sarebbe andato e che non ci sarebbero stati di nuovo i Master a prendersene cura. Anzi, solo in quel momento si domandò cosa fosse accaduto ai capiscuola, visto che Natureza era di nuovo libero di muoversi indisturbato.
    “Ormai dovresti averlo capito che è destino il nostro. Vero, Tsubasa?”
    Il Nero toccò terra con quell’eleganza tipica degli alastri che Mamoru aveva appreso attraverso Yuzo e non lo perse di vista per un solo istante.
    Lo Stregone capo dell’AlfaOmega fermò il suo sguardo proprio sulla Fiamma. L’espressione genuinamente sorpresa. “Ancora cercano di proteggerti?” domandò, sempre rivolgendosi al Principe. “Ci tengono proprio tanto a morire per te. E tu? Ci tieni così tanto a permetterglielo?”
    Mamoru strinse le palpebre con rabbia. Aveva detto ‘chiunque’, ‘chiunque avrebbe provato a sbarrargli la strada’. Il Nero non faceva eccezione.
    Il fuoco divampò tra i palmi e gli avvolse le dita, camminò lungo le braccia come se le fiamme fossero state le spire di un serpente. Arrivarono al torace e si raccolsero nel suo centro, dove c’era il cuore, mentre i lunghi crini neri venivano sollevati per il calore dirompente. Il fuoco era dentro e fuori di lui, brillava nel nero pece dei suoi occhi.
    “Nessuno permette niente, ma su una cosa hai ragione, Nero, qualcuno morirà. E sarai tu.”

    La sfera di energia ocura di Faran venne stritolata all’interno dell’ennesima spirale di fulmini di Yuzo.
    Lo Stregone arrancò un passo indietro, respirando con affanno. Non riusciva a trovare un varco nelle difese avversarie: l’Elemento lo prevedeva, anticipava e contrattaccava in maniera differente da ciò che ricordava; era determinato e questo lo rendeva più forte. Eppure non volle ammettere a sé stesso di essere davvero in difficoltà, questa volta. Quando si erano trovati a combattere nelle paludi, era sempre stato lui a guidare il duello, a costringerlo a rispondere ai suoi attacchi nel modo che voleva. Certo, aveva avuto il vantaggio di avere la vita del compagno tra le mani, ma era sempre stato convinto che sarebbe riuscito a battere il volante anche senza quello stratagemma.
    Adesso sentiva che non era più così, eppure le cose non potevano essere cambiate in così poco tempo.
    Ringhiando, creò un diversivo tramite strani filamenti oscuri che nascevano dalla terra, sotto i piedi del volante. Spaccavano il suolo e cercavano di afferrarne le caviglie. L’Elemento si librò in volo con un balzo, ma lui fece lo stesso: saltò, la gamba tesa puntava lo spazio che c’era tra viso e collo, deciso a spezzarlo. Yuzo gli prese al volo la caviglia e girò su sé stesso come una trottola, prima di scaraventarlo al suolo, ma Faran sfruttò quella stessa velocità per darsi la spinta, i palmi contro la terra fornirono l’appoggio e lui poté balzare lontano. Il ginocchio si sfregiò nel tentativo di rallentare la propria corsa.
    Yuzo si era ripromesso che non lo avrebbe mollato neppure per un secondo, fino a sfiancarlo del tutto, in questo modo i suoi movimenti sarebbero stati più lenti e lui avrebbe potuto avvicinarsi. Gli scontri a distanza ridotta erano i suoi preferiti e quelli più adatti per chiudere il duello, ma Faran lo teneva sempre lontano e ogni volta che tentava di avvicinarsi, l’altro riusciva a eludere la sua offensiva per portarsi in una posizione più favorevole.
    Strinse gli occhi, se non poteva essere lui quello che si avvicinava, allora avrebbe costretto l’altro a venire nella sua direzione. A volte, per battere uno Stregone, bisognava ragionare come lui e usare i suoi stessi metodi.
    Yuzo toccò terra facendosi spazio tra i filamenti oscuri a suon di raffiche di vento. Sembravano lame che tagliavano il buio come le falci tagliavano il grano maturo. Corse per raggiungere nuovamente Faran che era rimasto immobile e con lo sguardo attento. Gli vide generare qualcosa tra le mani e poi lanciargliela contro quando fu abbastanza vicino.
    Kela rhat!
    Era il suo incantesimo preferito, Yuzo aveva imparato a conoscerlo bene e lo affrontò incrociando le braccia davanti a sé. La sfera di energia lo colpì in pieno, spingendolo via, ma lui assecondò il movimento con le braccia, in modo da deviarla verso l’alto. Cadde di schiena al suolo e sfruttò la forza impressa dall’incantesimo dello Stregone per effettuare una capriola e tornare in piedi. Un ginocchio al suolo e l’altro piegato.
    Un guizzo balenò negli occhi di Faran, che sogghignò. Strinse i pugni, come se tra le dita vi fossero centinaia di fili, e li tirò a sé. “Niger radis!(1)
    I filamenti neri tornarono a spuntare dal terreno e Yuzo se li ritrovò stretti attorno alle gambe e ai polsi. Bloccato al suolo e impossibilitato a fuggire.
    Faran estrasse un pugnale dalla cintura che indossava, ne strinse forte il manico e si lanciò contro di lui. Era l’occasione d’oro per eliminare l’Elemento e aveva poco tempo per agire, perché di sicuro quel ragazzo non sarebbe rimasto bloccato ancora per molto. Appena gli fu abbastanza vicino, sollevò l’arma e la calò con tutta la forza che aveva.
    Yuzo spezzò parte delle radici di tenebra, tanto da poter sollevare un braccio e parare il colpo. La lama affondò nel palmo per tutta la sua lunghezza e il sangue scivolò copioso lungo l’acciaio e dalla ferita, mentre i suoi poteri di controllo mentale annullavano il dolore inferto alla carne. Le dita si serrarono attorno a quelle di Faran impedendogli di lasciare la presa. Con la mano libera, avvolse lo Stregone in una corda di vento che teneva legati entrambi.
    “Ma che diavolo-!”
    Stavolta fu Yuzo a sogghignare. “Te l’avevo detto o no che gli scontri ravvicinati sono i miei preferiti?”
    “Bastardo!” ringhiò Faran nel momento in cui realizzò che l’altro si era fatto intrappolare di proposito. “Mi hai ingannato!”
    Tentò di divincolarsi, ma la vita e le gambe erano bloccate e più si muoveva, più l’aria si stringeva attorno a lui. Un refolo si avvolse al polso libero prima che potesse generare qualsiasi altro incantesimo e lo tirò indietro. Il dolore venne emesso con un sibilo trattenuto il più possibile per non dargli alcuna soddisfazione.
    “A volte si deve giocare sporco, non credi?” Yuzo scosse il capo. “Non sarai tu a vincere.”
    Il maggiore dei Konsawatt avvampò di collera. Già non riusciva a credere di essere stato immobilizzato e che quel dannato volante fosse stato così folle da farsi trafiggere addirittura la mano pur di avvicinarsi a lui, ma che avesse quella sicurezza così indiscutibile lo irritava da morire. Forse non avrebbe dovuto insistere con Fredericks per avere l’onore di dargli il colpo di grazia, ma in quel momento bramò come mai in vita sua il momento in cui gli avrebbe staccato la testa.
    “Cosa ti fa credere che le cose andranno diversamente dall’ultima volta che ci siamo affrontati?!”
    “Il fatto che sono cambiato, Faran, e che ho capito. Ho capito quanto sono disposto a sacrificare per le persone che amo, ho capito quando devo seguire i miei principi e quando, invece, devo metterli a tacere, ho capito che il Bene e il Male sono punti di vista dello stesso occhio e bisogna conoscerli entrambi per imparare a vedere.” Il sorriso dalle labbra del volante si sciolse adagio, in favore di un’espressione determinata. “Ho capito… che per salvare quanto ho di più caro a volte non basta combattere al solo scopo di ferire, come quando ci trovavamo nelle paludi. Era quello che facevo, allora: lottavo, ma il mio punto di vista era fermo perché avevo paura. Ora ho imparato.”
    “Imparato?”
    “A vedere…”
    Il suono sottile di un fischio costrinse lo Stregone ad abbassare lo sguardo. Nella mano libera dell’Elemento, il cui palmo era rivolto verso il suo addome, un refolo di vento si spiralizzò e compresse, fino a divenire piccolo come un sassolino e apparentemente immoto. Il volto di Faran si contrasse in una smorfia, mentre la sfera veniva stretta nel pugno di Yuzo. I suoi occhi saettarono di nuovo in quelli del volante e gli sembrò che qualcosa di terribile si riflettesse nelle iridi nocciola improvvisamente buie e fredde. Qualcosa che nello scontro alle paludi non aveva avuto.
    “…e uccidere.”
    Yuzo aprì il pugno, la sfera sfrecciò nel ventre di Faran e si espanse in una devastante onda d’urto. Poiché lo Stregone era immobilizzato, il suo corpo non venne sbalzato lontano e ridotto in brandelli, ma venne squarciato e l’aria si aprì un varco verso l’esterno che esplose in sangue, carne e ossa dall’altra parte della schiena.
    Faran si immobilizzò, il corpo che non gli apparteneva più e non era più in grado di rispondere ai suoi comandi. Era troppo sorpreso addirittura per provare dolore. Guardò dritto negli occhi il suo carnefice, mostrandogli terrore misto a incredulità. Sconcerto. Poi abbassò lo sguardo e la mano del volante, imbrattata del proprio sangue, era ancora lì, ferma, col palmo rivolto verso quell’addome che ormai non c’era più. Il buco che lo aveva sostituito gli parve enorme.
    Le parole gli gorgogliarono in gola senza trovare una via d’uscita.
    Aveva perso ed era morto.
    Quella realtà fu il suo ultimo pensiero. Gli occhi si immobilizzarono, il capo crollò all’indietro e la mano lasciò la presa sul pugnale che ancora restava infilzato fino al manico nel palmo del suo avversario. La corda di vento scomparve così come le radici oscure dello Stregone e il corpo fu finalmente libero di toccare il suolo.
    Yuzo, invece, rimase in quella stessa posizione inginocchiata per un tempo che gli parve lungo un’infinità. Inspirò ed espirò lungamente così tante volte da non rendersene neppure conto. Poi chiuse gli occhi e quando li riaprì la sue mani insanguinate erano ancora lì.
    Per sua volontà. Questa volta si erano macchiate per sua precisa volontà.
    Prese l’ultimo, profondo respiro e si alzò. La mancina estrasse il pugnale con un gesto né troppo secco né troppo lento per non compromettere ancora di più i tendini. Mosse piano le dita e vide che rispondevano tutte; forse gli era andata meglio del previsto. Fissò il pugnale di Faran Konsawatt ancora un istante prima di lasciarlo cadere al suolo, accanto al cadavere del proprietario. Il sangue suo e il sangue dell’avversario avevano lo stesso colore, tanto che era impossibile distinguerli. Ma non era importante pensarci, doveva raggiungere i compagni.
    Con un gesto secco e aiutandosi con i suoi poteri strappò una manica e la usò per fasciarsi il palmo ferito. Come rimedio di fortuna sarebbe andato bene.
    Si volse e nell’attimo in cui i suoi occhi incontrarono quelli di Kazumasa Oda, suo fratello d’Aria arrivato per prestare soccorso a un altro Elemento, si rese conto che doveva avere un’espressione terribile perché Oda lo stava fissando come fosse stato… un mostro.
    Il Mostro di Sendai.
    Non era così che lo chiamavano al Sud?
    Gli alastri non erano abituati a veder morire la gente in maniera violenta, soprattutto, non erano abituati a vedere i propri fratelli che uccidevano, ma in quella situazione gli Elementi d’Aria non potevano restare ancora chiusi sotto le loro purissime campane di vetro. In quella striscia di terra arida, c’era gente che moriva e lottava, Elementi che non si facevano scrupoli né si tiravano indietro. Loro non potevano essere da meno.
    Ma la paura che leggeva negli occhi di Oda, lo sconcerto e il timore lo fecero sentire peggio di quanto già non si sentisse. Ebbe l’impressione che non lo riconoscesse.
    Poi, gli occhi di Yuzo si allargarono e l’istinto prevalse su quelli che erano i suoi pensieri: un kamalocha stava puntando dritto Oda e l’Elemento ferito.
    Velocemente, l’uccellino tessé una corda di aria e folgori, che venne intrecciata al collo della bestia. Lo Stregone che la cavalcava ne perse il controllo e insieme si schiantarono a tutta velocità.
    Oda abbassò la testa in maniera istintiva, nel momento in cui vide l’animale passare radente sopra di lui.
    “Dannazione, Kazumasa!” Il rimprovero di Yuzo lo mise sull’attenti. “Non puoi permetterti di distrarti adesso, la vita di quell’Elemento dipende da te!”
    Oda abbassò lo sguardo sul giovane, privo di conoscenza e con un profondo taglio sulla fronte. Si rese conto che il suo compagno, lo stesso che aveva visto sventrare uno Stregone senza battere ciglio, lo stesso che quando erano a scuola aveva sempre avuto una parola gentile e un sorriso per tutti, aveva ragione. Non poteva distrarsi perché erano in guerra, e la guerra sapeva cambiare le persone tanto da costringerle a prendere decisioni drastiche.
    Annuì e nell’ultima occhiata che rivolse a Yuzo prima di voltarsi e volare via, Oda riconobbe l’incantesimo di Autocontrollo. Se si cambiava c’era sempre un motivo e non era facile per nessuno.
    L’attimo dopo stava già volando per portare al sicuro il ferito.

    Il fuoco partì dal suo petto prima ancora che dalle mani.
    Mamoru non perse tempo e attaccò, non c’era molto che poteva fare contro il Nero. Non aveva idea di quale fosse il suo modo di combattere, ma se si era liberato dei Master allora doveva essere di sicuro fuori dal comune. Il suo primo tentativo fu di ‘testarlo’, per farsene un’idea.
    Il modo in cui deviò le sfere di fuoco senza neppure toccarle gliene diede una pessima.
    “Restate indietro, Vostra Altezza” intimò a Tsubasa, alle cui spalle la Chiave lanciava occhiatine intimorite al Nero, alla Fiamma e al suo padrone.
    Il Principe non disobbedì, ma non poté non pensare che tutto stava andando secondo le sue visioni.
    Tre si erano separati e ora era rimasto solo il Fuoco. Presto Acqua, Terra e Aria sarebbero tornati e insieme, tutti e quattro, sarebbero caduti. Lui l’aveva visto, continuava a vederlo in flash che andavano e venivano, divenivano sempre più intensi, ma non sapeva come fermarlo, come impedirlo. La possibilità di essere un passo avanti rispetto agli eventi non significava di avere i mezzi per cambiarli.
    Tornò a guardare lo scontro.
    Mamoru fece oscillare le braccia davanti al volto e le fiamme danzarono con lui. Disegnò una sorta di cerchio e le spirali si separarono dal suo corpo oscillando come affamati serpenti. Dei rettili assunsero la forma, che sfumò nelle vampe, e spalancarono le fauci per addentare il nemico, ma Natureza le decapitò con una semplice folata di vento laminare, poi levò un braccio per parare l’attacco diretto che la Fiamma aveva portato in contemporanea con quello magico. Aveva tentato di distrarlo con gli incantesimi, ma il Nero era prima di tutto un alastro e, come tutti i volanti, aveva una concentrazione superiore agli altri.
    Mamoru ancora ricordava come Yuzo fosse riuscito a combattere con lui, Hajime e Teppei contemporaneamente quando era sotto l’influsso del Naturalista; con Natureza era lo stesso.
    Il suo calcio venne deviato, con un sorriso, e un incanto di Magia Nera lo prese in pieno addome, allontanandolo con violenza.
    Scontrarsi con diversi avversari, però, l’aveva reso più resistente. Mamoru se ne rese conto poiché riuscì a sfruttare la forza del colpo per atterrare comunque in una posizione non di svantaggio: ginocchio al suolo e dita infilate nella terra per rallentare la corsa. Le costole gli facevano male, questo era certo, ma poteva sopportarlo. Caricò una seconda volta. Forse sul piano magico sarebbe stato molto più difficile competere, mentre su quello fisico doveva avere di sicuro qualche vantaggio. Oggettivamente era più forte ma, come detto, Natureza aveva la concentrazione ferrea dalla sua e a ogni tentativo di colpirlo, il Nero rispondeva prontamente con una deviazione e un contrattacco.
    “Ah! Quanto mi diverte la testardaggine di voi fyarish!” rise lo Stregone prima di deviare un pugno verso l’alto e sfruttare la propria velocità portando prima un calcio basso che falciasse le caviglie della Fiamma e poi un calcio alto che lo colpisse dritto al viso durante la fase di caduta.
    Mamoru rotolò al suolo per un po’, prima di riuscire a fermarsi. Stavolta il colpo l’aveva sentito di più. Il collo del piede l’aveva preso giusto tra il viso e la spalla. Scosse il capo mentre tentava di rimettersi in ginocchio e sputò un grumo di sangue al suolo.
    Natureza era in piedi, perfettamente illeso. Lo guardava con espressione divertita, come se stessero giocando. “Sono sicuro che tu ne voglia ancora, te lo leggo negli occhi.” Lo provocò. “Forza allora, vienitelo a prendere.”
    E non ci voleva poi molto a convincere una Fiamma di Fyar a lottare.
    Mamoru corse verso di lui, poi si lanciò al suolo, effettuò una capriola e provò a colpire dal basso. Era un metodo per avvicinarsi più velocemente all’avversario e restare fuori dal raggio d’azione delle sue braccia. Il pugno però venne bloccato e così anche quelli che seguirono e che permisero a Mamoru di tornare ad alzarsi.
    Pugni e parate una dietro l’altra; caricò il calcio al volto col destro, cui fece seguirne uno col tallone del sinistro, ma se il primo venne schivato il secondo venne parato e trovarsi di spalle al nemico non fu affatto la posizione migliore. Natureza lo colpì al centro della schiena e lui tornò a rotolare al suolo, spedito ancora più lontano dalla forza del vento impressa nel palmo aperto della mano.
    D’accordo, il corpo a corpo era da escludere.
    Mamoru si tirò su facendo forza sulle braccia. Si ripulì il viso dalla terra e dal sangue dove la roccia lo aveva sfregiato e si volse. Era meglio tornare a usare la magia, anche se da qualsiasi parte la si guardava la situazione non gli era favorevole.
    Se si fosse avvicinato abbastanza, avrebbe potuto provare a ustionarlo col tocco della mano, visto che gli incantesimi da lancio venivano tutti parati. Tentare non avrebbe nuociuto.
    Mamoru espanse le proprie fiamme, gli danzarono attorno e si sollevarono tanto da assumere strane forme animalesche. Cani sbavanti, leoni ruggenti, ali che si spiegavano e dissolvevano. Corse di nuovo verso Natureza e lasciò che le forme animali delle sue vampe si separassero da lui e provassero ad attaccarlo in un tentativo di distrarlo da quello che era il suo piano principale. Ma il Nero fece lo stesso, creò delle belve similari solo che erano di fiamme nere e porpora tramite la Magia Nera e lasciò che si scontrassero. Mamoru tentò di farsi scudo dietro al leone. Balzò dalle sue spalle solo quando fu abbastanza vicino e la bestia venne a scontrarsi con il leone nero; con il braccio teso tentò di toccare l’avversario.
    Natureza gli sorrise e questo gli fece comprendere che anche quel tentativo sarebbe fallito. Un filo d’aria si avvolse al suo polso, tenendolo fermo, mentre l’altra mano gli venne portata quasi all’altezza del viso dove vide una piccola sfera prendere forma, roteare su sé stessa e comprimersi. Sembrava una biglia di vento.
    L’avrebbe colpito in pieno volto se una serie di massi non avesse iniziato a piovere su di loro. Natureza li vide all’ultimo momento e si allontanò con un balzo felino, mentre una corda d’acqua avvolgeva Mamoru tirandolo via.
    Hajime e Teppei erano arrivati in suo aiuto, significava che non c’era stato scampo né per Chana e né per Sakun.
    Quando li vide, seppur fossero piuttosto malmessi, sorrise e si schierò al loro fianco.
    “Sembra che tu abbia bisogno di una mano” fece notare il tyrano; aveva ferite di morsi e sfregi lungo le braccia, ma si reggeva in piedi.
    “Ci puoi giurare” rispose lui, assumendo una posizione di difesa. All’altro lato, Hajime aveva evidenti segni rossi sul collo; Chana doveva aver tentato di soffocarlo, ma per il resto era in condizioni migliori di Teppei.
    “Dov’è Yuzo?” domandò il Tritone a bruciapelo.
    Mamoru deglutì senza guardarlo. “Abbiamo incontrato Faran.”
    “Immagino sia rimasto.”
    “Voi non lo avete visto mentre ci raggiungevate?”
    “No.”
    Avrebbe voluto sentire una risposta diversa, ma anche quella, dopotutto, poteva andare bene: non era una certezza che stesse bene, ma neppure che stesse male. Scosse il capo, non volle pensarci e lasciarsi deconcentrare.
    “Fate attenzione. Con quello non sembra funzionare nulla: né gli attacchi fisici né magici.”
    “Proviamo a farci breccia in qualche modo.” Teppei era più per l’azione che per le teorie. Diede un colpo al suolo e dalla terra si sollevarono decine di monoliti di roccia; nascevano come funghi.
    Natureza balzò sopra di essi per cercare di evitare di finire infilzato, quando da dietro uno di essi spuntò proprio il tyrano, con pugno carico. Il Nero lo parò nel palmo attraverso una sorta di cuscinetto d’aria, gli avvolse il polso con la magia elementale e con un effetto leva lo scaraventò contro uno dei suoi stessi monoliti, quello più vicino. Attraverso la Magia Nera lo colpì all’addome talmente forte da fargli spaccare la roccia e farlo precipitare di schianto al suolo.
    Il tyrano riuscì solo a evitare di impattare a peso morto, ma l’atterraggio non fu affatto ortodosso.
    Mamoru e Hajime, intanto, avevano seguito l’azione. Il Tritone si era dato lo slancio per saltare grazie a uno dei monoliti di Teppei, ma le sue lance d’acqua vennero respinte da degli scudi di Magia Nera. Natureza sfruttò di nuovo delle sottili corde d’aria che tessero come una tela all’interno della quale Hajime finì intrappolato il tempo necessario per permettere all’ex-Elemento di avvicinarsi e colpirlo ripetutamente e velocemente all’addome.
    Mamoru intervenne e le sue fiamme bruciarono la rete d’aria che non fu più in grado di reggere il Tritone, ma quest’ultimo aveva ancora abbastanza forze per riuscire almeno ad atterrare con le proprie gambe. Sfruttò la liscia superficie di un monolite e vi si lasciò scivolare fino al suolo, dove cadde dapprima in ginocchio e poi si piegò a terra; una mano a reggersi il ventre. Delle dita si poggiarono sulla sua spalla e scorse il Principe, mentre la Chiave soccorreva Teppei. Levò di nuovo lo sguardo all’ultimo rimasto in ballo e pensò che le cose non si stavano mettendo affatto bene per nessuno di loro.
    Mamoru evitò al volo un incantesimo di Magia Nera di Natureza prendendo la spinta da una delle rocce e saltando alle spalle di Teppei, eppure nemmeno portare un attacco da dietro riuscì a mettere l’altro in difficoltà perché una difesa a scudo si levò su suo comando, respingendolo in malo modo. L’aveva vista nascere dall’onice e questo gli fece digrignare i denti con più forza. Quella bastarda di una pietra non faceva che mettersi in mezzo e aveva una voglia tale di strappargliela a mani nude che forse si lasciò accecare troppo da questo desiderio fino a essere incauto.
    La Fiamma si avvicinò quel tanto che bastò all’altro per colpirlo al fianco con una ginocchiata e mandarlo al suolo.
    L’Elemento di Fyar riuscì ad atterrare senza problemi, anche se il colpo si era fatto sentire piuttosto bene. Diede una rapida occhiata ai compagni e capì che così non si poteva continuare. Teppei era quello messo peggio di tutti e tre; lo scontro con Sakun doveva essere stato più duro del previsto. Hajime aveva dei punti deboli che un alastro sapeva benissimo come sfruttare e la sua magia era contrastata in tutto da quella Nera dello Stregone. Di sé, invece, c’era da dire che aveva ancora un asso da tirare fuori e se era vero che il gioco valeva la candela, allora era arrivato il momento di giocare duro, più duro di quanto il Nero potesse anche immaginare.
    Adagio si alzò in piedi e mentre osservava Natureza mandare in frantumi ogni monolite di Teppei lui diede fuoco alle polveri e le vampe si espansero più in alto e più forti. Ma erano fiamme diverse dal normale, sembravano essere animate da una vita propria ed erano rosso intenso nel centro e arancio-giallo verso i bordi; poi si levò il fumo, che dall’estremità scivolò verso il basso, ai suoi piedi, camminandogli attorno alle gambe come un gatto che faceva le fusa e poi in alto sopra la testa. Infine sembrò ritrarsi, raccogliersi nel centro e da quel tripudio di rosso e grigio si vide emergere, lenta, la prima zampa.

     


    [1]“NIGER RADIS” : “Radici oscure” (niger = oscure, radis = radici)


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Eeeeeeee... ci siamo! XD
    Aggiornamento pieno di dipartite. Possiamo finalmente dire addio ai Fratelli Konsawatt che hanno finito di lasciarci le penne e diamo il benvenuto questi Elementi profondamente cambiati, ognuno a suo modo.
    Hajime si sente in colpa per non aver provato pietà per il nemico, Yuzo ha preferito dimenticarsi di siffatta parola (ovvero: 'pietà') arrivando a uccidere con consapevolezza e per scelta personale.
    E poi, finalmente, abbiamo... Il Nero!
    Lo scontro epocale e finale sta per avere inizio e tutto sta procedendo secondo le visioni di Tsubasa: prima gli Elementi si dividevano, poi tornavano a riunirsi... e poi... quanto ancora le famose visioni si realizzeranno nella realtà?
    Non perdete il prossimo aggiornamento che concluderà il Capitolo 16!!! :DDDD
    Nel frattempo, non perdete il nuovo aggiornamento della "Enciclopedia Elementale"!!! Aggiunto il Volume Ottavo dedicato agli Stregoni; come sempre, lo trovate in fondo alla pagina! :D

    Grazie a tutti per continuare a seguire questa storia! :D


    Galleria di Fanart (nessuna aggiunta)

    - Elementia: Fanart

    Enciclopedia Elementale (AGGIUNTO L'OTTAVO VOLUME!!!):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki


  • 8) Enciclopedia Elementale - Volume Ottavo: Gli Stregoni di Huria

  • Capitolo 1: Storia
  • Capitolo 2: Gerarchia Stregonesca
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 54
    *** 16 - This is War - parte VII ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 16: This is War (parte VII)

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    L’enorme drago di Fuoco Spirituale si levò alle spalle di Mamoru.
    Dei soldati impauriti di entrambe le fazioni si allontanarono in fretta, quasi dimentichi di stare combattendo gli uni contro gli altri. Adesso contava solo la bestia che prendeva la sua spaventosa forma.
    Dal fuoco si separò prima una zampa e poi l’altra, a poco a poco il corpo venne via mentre il fumo entrava e usciva dalle scaglie nere che lo ricoprivano. Veniva esalato dalle narici e dalle fauci leggermente aperte. Le ali si aprirono distendendosi nello spazio infinito di quella piana, fino a che anche le zampe posteriori non furono libere e la coda oscillò sopra la testa di Mamoru.
    La belva si assestò coprendo l’Elemento con tutta la sua mole. Sbatté le ali e levò il muso al cielo. Un lungo sbuffo di vapore rovente incendiò un kamalocha di passaggio assieme al suo cavaliere. Il drago scrollò il capo e poi abbassò il lungo collo fino ad appoggiarlo al suolo, accanto alla figura del padrone. Le lunghe corna puntavano verso l’alto.
    Quella era la manifestazione corporea del fuoco che Mamoru aveva dentro di sé, la forma di quella fiamma che ardeva di continuo nel suo petto e gli avvolgeva il cuore. Il suo fuoco era nero come la pece e l’ossidiana, ma aveva occhi rossi come rubini, come Il Sangue custodito a Vestalys.
    Era un incantesimo difficile che solo gli Elementi prossimi al diploma erano in grado di utilizzare, alcuni addirittura solo parzialmente, poiché richiedeva un enorme consumo di energia e una forza spirituale superiore per riuscire a controllarlo. Dopotutto, Mamoru non era mai stato un Elemento qualunque.
    “Non ho mai visto niente di simile…” Teppei lo mormorò quando, guardandolo mentre si trovava ancora seduto a terra, il drago gli parve molto più grande di quello che era già. Accanto a lui il Principe stava aiutando Hajime a rialzarsi, ma entrambi si erano fermati per osservare quello spettacolo incredibile.
    La mente analitica del Tritone reagì subito. Strinse gli occhi e guardò velocemente il proprio corpo, si focalizzò sulle proprie sensazioni: non aveva caldo, eppure era vicinissimo alla bestia che in pratica era puro spirito di fuoco; avrebbe dovuto minimo minimo sciogliersi. Invece il calore che percepiva era sopportabile, anche troppo. Tornò a guardare l’animale e si rese conto che la forma del drago non era che un contenitore. Il nero delle scaglie simulava il carbone che copriva le braci. Il vero fuoco era sotto di esse, dentro la bestia.
    Accanto ad essa, Mamoru sembrava infinitamente piccolo, ma negli occhi ardeva lo stesso sguardo.
    La Fiamma appoggiò la mano sul muso ricoperto di scaglie e protuberanze ossee e l’animale non si ritrasse, ma sembrò gradire il contatto perché si sporse leggermente in avanti e strinse appena le palpebre. Volute di fumo scivolarono dalle narici e camminarono fino al Nero. Quest’ultimo sarebbe dovuto perire all’istante, ma aveva eretto una barriera per proteggersi dal calore del drago e il fumo vi girò attorno prima di scomparire.
    “Maestoso.” L’espressione che lo Stregone aveva sul viso era di genuina ammirazione, ma nulla ebbe effetto su Mamoru.
    Quest’ultimo si volse appena, pur senza distogliere lo sguardo dall’avversario, e ordinò: “Rendilo cenere.”
    Il drago grugnì, sembrò assentire. Spiegò le lunghe ali sottili e si eresse in tutta la sua possanza. Gli occhi rubino erano enormi, spalancati per catturare completamente l’immagine del Nero, mentre apriva le fauci e il fuoco che aveva dentro veniva mostrato nel suo nascere e morire, ruotare in una spirale che non aveva fine né principio. Liberò il colpo e le fiamme divamparono dalla bocca in un vortice.
    I bagliori del fuoco brillarono per tutta la figura di Natureza che rimase a guardarlo, rapito dalla potenza che i fyarish sapevano racchiudere dentro di loro. Non ne era intimorito, ma affascinato dalla manifestazione dell’Elemento in sé, dal dono della Divina Maki.
    “Superbo” esalò ancora, poi la fiammata rase al suolo tutto ciò che si trovava davanti a lui e Natureza non fu più visibile nel crepitare delle fiamme, nei bagliori dai colori caldi, nel fumo e nella polvere che venne sollevata e poi ricadde al suolo simile a una pioggia leggera quando il flusso di fuoco si fermò.
    Mamoru scrutò attentamente, ma quando la terra si diradò poté constatare che Natureza era scomparso. Strinse gli occhi, mentre il drago girava il muso, insoddisfatto. Per entrambi era chiaro che il Nero avesse schivato il colpo.
    L’Elemento di Fyar lo vide per primo. “E’ in alto. Vai.”
    La bestia si levò in volo e lo sbattere delle ali costrinse Tsubasa e gli altri, a eccezione di Teppei, di proteggersi dalla polvere.
    Il Nero e il drago si rincorsero nel cielo ed essendo più minuto e veloce, il primo riuscì agilmente a schivare ancora e ancora l’animale che gli dava la caccia. Aveva bisogno del giusto tempo per formulare l’incantesimo di cui aveva bisogno e farsi rincorrere gliene avrebbe fruttato abbastanza.
    Guardandosi sempre alle spalle per controllare i movimenti della bestia, Natureza avvicinò i palmi e piegò leggermente le dita, come se al posto del vuoto reggesse una sfera.
    Sapke ilu satir nehin dohi na, furei he gavir tùon hel meri, kirai muni he fugit balisha he set.(1)
    Il Nero pronunciò l’ultima parola nel momento esatto in cui toccò terra. Alle sue spalle l’ennesimo soffio rovente era già pronto a colpirlo tanto che anche Tsubasa, per un solo attimo, lo diede per spacciato. Ma il ricordo delle sue visioni gli sussurrò, perfidamente, che no, non lo era affatto. Lo comprese ancor prima che l’altro si girasse e mostrasse la strana voragine tra i palmi. Sembrava che qualcosa di indefinito avesse divorato quella parte di spazio. Era buco di colore grigio che vorticava e non aveva una fine; eppure la sua profondità era invisibile, se visto di profilo. Bidimensionale all’esterno, tridimensionale all’interno.
    Tsubasa non aveva idea di cosa fosse, fatto stava che assorbì, quasi divorò, le fiamme del drago. E non solo quelle.
    Mamoru tentò di liberare il proprio incantesimo da quello di Natureza, ma quest’ultimo sembrava avere una forza impossibile da spezzare. Non solo fagocitò la fiammata della belva, ma iniziò a divorare anche la belva stessa. La risucchiava nel buco nero dove non esisteva più aria e quindi le fiamme soffocavano e morivano in un istante.
    L’animale si tirò indietro, cercando di sciogliersi da quel giogo, ma un’ala finì attratta dal turbine e iniziò a sfaldarsi. Lo spirito emise un lugubre lamento e in quello stesso attimo Mamoru si portò una mano al petto. Aveva avvertito quella fitta trapassargli il cuore da parte a parte e troncargli il respiro.
    La Fiamma prese un paio di ampie boccate, poi barcollò di nuovo: era come se glielo stessero strappando, prosciugandolo di ogni energia. Levò, allarmato, lo sguardo su Natureza: stava spegnendo il suo spirito vitale.
    Il drago si dibatteva come se invisibili catene lo tenessero legato e lo stessero trascinando contro la sua volontà; agitava la coda e il collo in maniera scoordinata, ma nulla per quanto si sforzasse sembrava liberarlo dalla presa del Nero. Il suo incantesimo lo aspirava come non fosse mai abbastanza e in quel buco ci fosse tutto lo spazio del mondo.
    Mamoru crollò in ginocchio. L’aria nella bocca era un rantolo strozzato e il dolore al petto una fitta continua e insopportabile, non riusciva nemmeno a muoversi.
    Hajime e Teppei, per quanto provati dall’ultimo scontro e con le energie ridotte, cercarono subito di intervenire; i loro poteri piovvero dal cielo ed emersero dalla terra, ma la magia elementale del Nero li tenne a distanza. Avrebbero dovuto fare molto di più per tentare di fermarlo, ma nelle loro condizioni sembrava impossibile.
    “E allora, Tsubasa?” La voce di Natureza arrivò con un tono provocatorio, leggermente beffardo ma così profondamente divertito. “Quanto ancora vuoi che soffrano prima di deciderti ad affrontarmi? Quanti ancora vuoi vederne morire? Non ti bastano le centinaia di soldati ed Elementi sventrati dai miei Stregoni?”
    Il Principe strinse i denti e i pugni. Natureza voleva lo scontro diretto, solo loro due, e lui era tornato sul campo di battaglia proprio per quello. Fece per lasciare andare il Tritone che era in grado di reggersi in piedi da solo, ma il giovane lo fermò con forza.
    “Non cedete alle sue parole, Principe! Non è che un ricatto e voi che sarete il futuro Re dovrete imparare a saperli affrontare e a non piegarvi; non importa il prezzo da pagare. Importa il fine.”
    Negli occhi di Hajime, Tsubasa lesse decisione e sangue freddo. Tutti loro, dall’ultimo dei soldati al primo degli Elementi, erano addestrati anche a morire per il bene del Regno, del pianeta e di tutte le altre persone innocenti. Non erano spaventati, o almeno non lo mostravano, dalla fine orribile che avrebbe potuto attenderli.
    “Non sei ancora soddisfatto? Allora vediamo se riesco a convincerti uccidendo anche il giovane di Fyar!”
    Tsubasa volse di nuovo lo sguardo a Natureza. Del dragone non erano rimaste che le zampe anteriori, il collo e la testa tesa il più possibile verso l’alto, puntava il cielo ed emetteva lamenti strazianti; cercava l’aria, l’ossigeno che erano fonte vitale per il fuoco, mentre Mamoru era ormai a terra, prostrato ma non disposto a cedere. Nel pugno, che non stringeva con forza la stoffa sul petto, afferrava la terra. Respirare non gli era mai parso così difficile.
    Il Principe non era più disposto a sopportare tutto questo. Hajime gli aveva detto di non cedere ai ricatti, ma lui non poteva rimanere ancora sordo e cieco.
    Poi, d’improvviso, qualcosa sembrò letteralmente precipitare dal cielo e Natureza si ritrovò col viso girato di lato, colpito al volo da un calcio. Le sue mani persero la posizione, e l’incantesimo – molto instabile per quanto potente – si sciolse in un attimo.
    Dalla voragine, il drago spirituale di Mamoru emerse di nuovo in tutta la sua potenza e si librò in alto. Sembrò volesse volare fino all’infinito e poi scomparve, dissolto nel vento in grigi strali di fumo.
    Il respiro tornò di nuovo a riempire il torace della Fiamma e il dolore cessò all’istante. Il giovane prese ampie boccate, benedicendole una dopo l’altra come fossero sacre.
    Quando levò lo sguardo, vide Natureza che incassava il colpo e il volante praticamente a un passo da lui. Le gambe flesse nell’attutire la forza dell’atterraggio e il busto raccolto. Non perse tempo e caricò un altro rapido affondo col palmo della mancina.
    Il Nero rispose frapponendo l’avambraccio.
    L’impatto tra vento e vento allontanò i contendenti.
    Yuzo assecondò il contraccolpo con un salto all’indietro e scivolò sul terreno fino a trovarsi tra Mamoru e lo Stregone.
    “Scusa, ci ho messo un po’.” Si giustificò al compagno senza nemmeno voltarsi, ma mantenendo un’attenta postura di difesa.
    Mamoru non rispose subito, ma rimase a fissare la schiena del volante con un certo stupore. Poi, il sollievo nel saperlo ancora vivo contro Faran Konsawatt prese il sopravvento su tutto il resto e gli strappò un piccolo sorriso. A fatica borbottò: “Alla buon’ora.”
    Più lontano, ma mai abbastanza, Natureza si passò due dita sul labbro. Il dolore era netto, pulsava al ritmo del suo cuore, ma quando si guardò le mani scorse del sangue.
    Sorrise compiaciuto.
    “Sei arrivato a colpirmi, Yuzo. Sei proprio cambiato.” Levò lo sguardo sull’uccellino e sputò un grumetto di sangue al suolo. “Ma lascia che ti dica una cosa…”
    Con la stessa velocità con cui era stato colpito, raggiunse il vecchio compagno di scuola tanto da lasciarlo spiazzato. Natureza era l’alastro più veloce che il volante conoscesse e ora aveva testato questa sua, ennesima abilità, in prima persona.
    Yuzo se lo trovò di fianco: una mano dietro la nuca per tenergli ferma la testa e l’altra di taglio contro l’addome; gli sarebbe bastato un attimo per ucciderlo proprio lì e l’ultima cosa che i suoi occhi avrebbero visto sarebbero stati quelli di Natureza, ora fissi nei suoi. Il sorriso perenne aveva una sfumatura brillante, leggermente folle.
    “Stai attento al mostro, Shiroyama. Perché una volta liberato, non credere di poterlo rinchiudere.”
    Quel sussurro arrivò solo a lui, ma le poche parole che pronunciò lo colpirono fino in fondo, gelandogli la schiena.
    La rabbia che aveva dentro. La ferocia. La freddezza.
    Il mostro.
    L’indole combattiva risvegliata all’improvviso. La voglia di vendetta. Il rancore.
    Il Mostro di Sendai.
    La testata lo colse alla sprovvista. Yuzo emise un lamento e si portò le mani al viso, mentre Natureza, con la stessa velocità, si allontanava, ridacchiando.
    “Adesso siamo pari” sentenziò soddisfatto, quando scorse il sangue scivolare dalla ferita che aveva inferto al suo avversario: un taglio sul setto nasale.
    Mamoru sentì il cuore balzargli in petto. Con sforzo riuscì ad alzarsi da solo, anche se le gambe non rispondevano prontamente ai suoi comandi. Traballando raggiunse il volante.
    “Stai bene?”
    “Non è niente…” L’uccellino mostrò il taglio che effettivamente non era nulla di grave, quanto una semplice ‘ripicca’ del Nero per essere stato colpito. “Tu come stai?”
    La Fiamma ammiccò, lasciando che l’altro lo sostenesse. “Ho visto giorni migliori.”
    Si mossero entrambi per riunirsi ad Hajime e Teppei, anche loro provati nel corpo e nello spirito.
    Il tyrano spostava lo sguardo dai suoi compagni al Nero, che rimaneva immobile e sembrava quasi aspettare che facessero per primi la mossa successiva.
    “E adesso che facciamo?”
    Mamoru si strinse nelle spalle e tese le labbra. “Quello che facciamo sempre: resistiamo.”
    “Basta! Non posso permettere che siano ancora gli altri a scendere in campo contro di lui.” Tsubasa si intromise con decisione. Tra tutti, era quello che non aveva neppure un graffio a parte qualche ricordo della prigionia. Ogni soldato ed Elemento aveva messo tutto sé stesso affinché nulla lo ferisse, neppure una freccia fuori controllo o una scheggia di roccia saltata via in qualche esplosione. La cosa lo faceva sentire in colpa verso ognuno di loro i cui volti erano scavati dalla fatica, dagli attacchi subiti e inferti. La terra sporcava i loro abiti dai tessuti strappati in più punti e la loro pelle, su cui il sangue non era più un colore estraneo. “Natureza è un mio problema, è a me che spetta combattere-”
    “Non siate così presuntuoso, Vostra Altezza.” Mamoru levò una mano per farlo tacere. “Il Nero è un problema di tutti, dell’intero pianeta. È per questo che siamo qui; siamo la voce anche di coloro che non possono parlare.”
    Il che significava che non avrebbero abbandonato il campo per lasciarglielo libero, ma che l’avrebbero calcato assieme a lui, se desiderava così tanto misurarsi con il potente Stregone. Ma Tsubasa sapeva bene cosa sarebbe accaduto se non si fossero fatti da parte. Lo aveva visto.
    “Ma è una follia! Le mie visioni-”
    “Non mi importa delle vostre visioni: il futuro lo costruiamo da soli, con le nostre scelte e abbiamo scelto di combattere fino alla fine.”
    Tsubasa passò in rassegna gli sguardi degli altri Elementi e nei loro occhi lesse la stessa fermezza che dominava quelli della Fiamma. Si rese conto che non avrebbe mai fatto cambiare loro idea, così capitolò. Anche se sapeva come sarebbe andata a finire, poteva ancora sperare di riuscire a modificare un futuro non ancora avverato. Accennò uno di quei suoi sorrisi fiduciosi che tanto facevano presa sulle persone e sapevano rendere facile anche l’impossibile.
    “Allora facciamolo insieme. Natureza è me che vuole e io so di essere qui solo per lui. Possiamo crearci da soli il futuro, ma non possiamo mutare un destino che è nato assieme a noi. Ci sono cose che non si possono evitare, quindi vi chiedo di restare al mio fianco per aiutarmi ad affrontarlo.”
    Anche la Fiamma sorrise, lasciando adagio la presa del volante; adesso poteva reggersi in piedi anche da solo. “Siamo qui per questo, Vostra Altezza.”
    Lo stesso appoggio arrivò anche da Terra, Acqua e Aria. Tutti uniti, assieme al Fuoco e attorno al Principe, per affrontare il finale di quella battaglia.
    Più distante, Natureza scosse lentamente il capo, quasi con dispiacere. Sorrise agli avversari che coraggiosamente si schierarono davanti a lui e gli dissero, semplicemente col linguaggio del proprio corpo, che non avrebbero ceduto alla resa.
    “Non volete proprio arrendervi, dunque? Allora mi costringete ad usare le maniere forti.”
    Come se fino adesso avesse solo giocato.
    I quattro Elementi non avevano idea di cosa intendesse il Nero con ‘maniere forti’, ma di sicuro non sarebbe stato nulla di buono. Il gruppo si dispose in difesa del Principe, mentre la Chiave restava sempre nascosta dietro Tsubasa e faceva emergere solo la testa per sbirciare gli avvenimenti.
    “Occhi aperti e state pronti” ordinò Mamoru. Nei palmi cercò di far emergere le fiamme, ma una fitta al petto lo piegò in avanti. Lo scontro di prima lo aveva provato più di quanto avesse immaginato; in quelle condizioni usare i poteri sarebbe stato un suicidio.
    “Lascia che ci pensiamo noi a portare avanti una difesa attiva.” La mano di Yuzo si poggiò sul petto della Fiamma prima che potesse farlo egli stesso.
    Mamoru avvertì nettamente, e con familiarità, il calore che emanavano le sue dita, nonostante ci fossero degli abiti a separarle dalla pelle sottostante. Ricordava quella sensazione da quando si trovavano sul Nohro e lui era stato vittima della febbre bassa. Aver assorbito il suo calore gli aveva come lasciato dentro una traccia per cui l’avrebbe sempre riconosciuto, anche se lo avesse toccato alle spalle. Seppur non avesse potuto vederlo, il suo calore non gli avrebbe permesso di confonderlo con nessun altro.
    “Tu resta col Principe e mantieni una difesa-”
    “Fisica. Lo so.” Mamoru sogghignò. “Non fare troppo il saputello con me, uccellino.”
    Anche Yuzo si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. Nonostante le incomprensioni, nonostante i momenti di tensione che avevano affrontato e le divergenze di pensiero e carattere il loro legame, quell’intuito che avevano sviluppato l’uno nei confronti dell’altro era sempre lì. Anche quando si credeva che fosse perduto, esso tornava, ricordandogli che ormai non c’era più niente al mondo che avrebbe potuto spezzarlo.
    Yuzo interruppe lentamente il contatto, lasciando che Mamoru assumesse una posizione più arretrata rispetto alla sua, ma sempre davanti al Principe. Il giovane Ozora sarebbe stato l’ultimo baluardo nel momento in cui tutti e quattro loro non fossero riusciti ad arginare in qualche modo il Nero.
    Teppei e Hajime chiusero gli spazi uno a destra e l’altro alla sinistra di Yuzo.
    “Cosa sta facendo?” Il Tritone lo chiese mentre seguiva ogni movimento del Nero.
    Teppei scosse appena il capo, preparandosi a qualsiasi contrattacco.
    “Qualunque cosa sia, non credo dobbiamo aspettarci niente di buono.”
    Natureza aveva le braccia tese, leggermente lontane dai fianchi, l’occhio nero e l’occhio nocciola fissi su di loro. Dai palmi rivolti verso l’alto la Magia Nera e quella elementale si levavano in piccole sferule oscure dai contorni sfilacciati, simili a frammenti di spirito, in cui si fondevano soffi di vento di un bianco lattiginoso. Davano l’illusione di poterli toccare, ma sarebbe bastato avvicinare la mano affinché si dissolvessero. Tra le labbra, si rimescolavano parole oscure.
    Volutia munc nal gunno he sati o moris mailu kenné nehin set deshi surendan. Veis dé he set fui hel o sumbra he shamal set kira he saté mai.(2)
    Yuzo strinse leggermente gli occhi in un tentativo di concentrarsi e focalizzare determinati termini. Essendo Esecutore, gli avevano insegnato, almeno in parte, la lingua proibita. Ne aveva appreso i rudimenti, mentre gli incantesimi di Magia Nera erano segregati nell’onice e quindi chiusi nel suo inconscio affinché la coscienza non potesse mai richiamarli se non quando la pietra veniva attivata. Una sorta di precauzione che però in soggetti come Natureza era stata del tutto inutile.
    Fui hel o sumbra hemoris… sono parole che conosco, ma non riesco a tradurre il resto.” Scosse il capo.
    Le sferule una volte fuse all’aria cadevano al suolo e venivano assorbite dalla terra sotto di loro. Scomparvero tutte e subito dopo si creò un silenzio irreale. Anche Natureza si era ammutolito, segno che l’incantesimo era stato completato.
    Pure Hajime pensava alle parole.
    Sumbrasumbra… significava ‘ombra’.
    Veis‘vita’.
    Moris‘morire’.
    Morire.
    Vita, morte. E ombre.
    Il Tritone levò il capo di scatto mentre tutto trovava un filo conduttore che potesse ridare logicità alla formula. In quel momento la terra prese a tremare sotto i loro piedi e vista la reazione di Teppei, Hajime dedusse che non era opera sua.
    Il suolo si sollevò e nella massima tensione si crepò. Le fratture si allargarono e un fumo nero si levò da esse, sottile.
    L’agadiro non ebbe dubbi.
    Risorti!” gridò e una mano o, meglio, le ossa di una mano emersero dalla roccia.
    Gli Elementi videro decine di scheletri salire dalle viscere della terra, erano un esercito, ma non erano come i classici risorti. Le loro ossa erano nere, all’apparenza inconsistenti, come fossero fatti di puro spirito. Le bocche emettevano stridenti lamenti e gli occhi erano spilli di porpora lucenti nelle orbite oscure. Avanzavano fluttuando sulle rocce e i loro movimenti li facevano oscillare da un lato e dall’altro, quasi stessero dondolando.
    Hajime fu il primo a cimentarsi contro di loro. Richiamò il potere dell’acqua e questo si sprigionò in lunghi tentacoli liquidi dal suo corpo. Infilzarono i mostri senza alcuna esitazione e questi si fermarono, deformando le bocche in sproporzionate ‘O’, poi ricominciavano ad avanzare. Gli stracci di spirito di cui erano composti facevano in modo che ogni cosa potesse attraversarli, addirittura sventrarli, per poi farli tornare integri.
    Lo constatò anche Teppei, che racchiuse le creature in cupole di terra senza il minimo spiraglio da cui uscire. L’attimo dopo gli Elementi li videro semplicemente passare ‘attraverso’ la roccia.
    Yuzo fu il terzo. Con il vento tentò di dissolverli, ma come si scomponevano, allo stesso modo tornavano a ricomporsi. Inarrestabili.
    “Maledizione!” ringhiò. “Sembrano essere refrattari a ogni Elemento.”
    “Magari non è con la magia che dobbiamo affrontarli” propose Hajime, ma era il primo a non crederci fino in fondo.
    D’un tratto, dalle loro spalle, la Fiamma effettuò un balzo che lo portò a superare i compagni per lanciarsi in corsa contro l’esercito di risorti.
    Il fyarish mise in pratica le tecniche insegnategli da Magister Wakashimazu. Fendette l’aria con dei calci perfettamente piazzati, seguiti dai pugni.
    “Mamoru!” sbottò Yuzo. Un sopracciglio inarcato e l’espressione tra l’arrabbiato e l’incredulo. “Che cosa avevamo detto?!”
    L’altro fece il perfetto finto tonto. Non era nella sua indole tenersi da parte e lasciare agli altri il compito peggiore.
    “Avevamo detto qualcosa? Io non me lo ricordo.”
    Yuzo scosse il capo facendo ruotare gli occhi con una certa rassegnazione. Dopotutto, non si era aspettato niente di meno da uno come Mamoru; ormai aveva imparato a conoscerlo piuttosto bene. Lo lasciò fare, poiché usando solo la forza fisica non aveva le stesse difficoltà che usando i poteri.
    Peccato che nemmeno i cari e vecchi pugni facessero effetto sui risorti.
    Mamoru vide andare a vuoto ogni affondo: braccia e gambe passavano attraverso le ombre, squarciandole giusto il tempo del loro passaggio e poi tornavano a ricomporsi.
    Lo stesso, però, non poteva dirsi del contrario.
    Gli attacchi dei risorti andavano eccome a segno. E ferivano.
    La Fiamma levò un braccio per parare un attacco e la pelle venne segnata da due profondi tagli che gli fecero emettere un forte lamento. Agilmente, riuscì ad allontanarsi dalla mischia.
    “Non sono affatto amichevoli.” Si teneva stretto il braccio che aveva preso a sanguinare dove le unghie delle creature erano riuscite a intaccarlo.
    “Che ti aspettavi? Che ti offrissero dei biscotti e una tazza di tè?”
    Mamoru accennò appena col capo in direzione di Hajime. “Non sarebbe stata una cattiva idea.”
    “Come li eliminiamo?” Teppei aveva subito buttato la questione sull’aspetto pratico. Ogni loro tentativo era andato a vuoto, che avessero usato o meno la magia.
    Agilmente, arretrarono cercando di evitare di venir afferrati dalle loro dita ossute, ma queste si allungavano a dismisura grazie alla loro semi-incorporea consistenza.
    Hajime balzò all’indietro facendo cenno anche al Principe e alla Chiave di arretrare; Ryo non se lo fece ripetere, mentre Tsubasa provava a usare la spada che aveva al fianco. Non aveva pensato potesse davvero servirgli, ma poteva concedersi un tentativo. Purtroppo, neppure l’acciaio aveva effetto.
    Il gruppo si era leggermente disgiunto, l’esercito di risorti arrivava da ogni lato e se Yuzo aveva la fortuna di poter volare, lo stesso non poteva dirsi degli altri che dovevano stare attenti non solo ai mostri che erano in superficie, ma anche a quelli che lentamente emergevano da sottoterra.
    “Io… credo di avere un’idea.” Il volante lo disse atterrando vicino al Principe.
    “E te la fai uscire solo adesso?!” Mamoru non era in vena delle trovate dell’ultimo momento. Sferrò l’ennesimo calcio, ma lo spirito del risorto si deformò, senza scomparire.
    “Temo che non funzionerà! Ci ho provato solo una volta, ma non è stato molto gratificante!”
    “Non conosci il detto: ‘ritenta, sarai più fortunato’?!” La Fiamma evitò all’ultimo momento d’essere afferrata. “Non abbiamo tempo per pensare a un eventuale fallimento! Fallo e basta!”
    Yuzo non sembrava particolarmente convinto; quell’incantesimo era ben oltre le sue possibilità. Eppure c’era qualcuno che sembrava pensarla diversamente.
    Il volante avvertì una mano poggiarsi sulla spalla e si volse; Tsubasa aveva un sorriso fiducioso.
    “Vedrai che andrà bene.”
    Ma Yuzo non sapeva se lo stesse dicendo perché lo aveva visto attraverso le sue visioni o perché volesse cercare di infondergli il giusto coraggio per tentare. Forse non importava neppure saperla la risposta; come aveva detto Mamoru: non c’era tempo per pensare, bisognava solo agire.
    “Teneteli occupati!” fu tutto ciò che disse, poi si librò in volo.
    Il giovane incrociò le gambe, era come se fosse seduto nel vuoto. Chiudendo gli occhi per raccogliere la concentrazione di cui aveva bisogno, incrociò le mani al petto assumendo la posizione di preghiera tipica degli alastri. Adagio isolò i rumori per farsi sordo nei confronti di quelli che non voleva ascoltare e dedicarsi solo ai sussurri del vento. La battaglia sembrò divenire lontana anni luce da lui, scomparsa, dissolta. Le grida si erano azzittite e c’era solo un sibilo familiare che gli sfiorava le orecchie: l’aria scivolava attorno a lui in carezze amorevoli che sembravano non venire mai inquinate dalla vastità del male che si stava consumando sotto di lui. L’aria fluiva, sempre, libera da qualsiasi controllo o vincolo; non le importava di tutto il resto poiché nessuno sarebbe mai stato in grado di arrestarne il cammino.
    In quel silenzio così perfetto e naturale, l’uccellino levò la sua preghiera, sfoderando l’unico incantesimo elementale che adoperava una formula parlata.
    In nome dell’Aria, respiro del mondo, io ti prego, Yayoi, mia Signora del Cielo, per combattere l’oscurità che minaccia le creature a te devote. Distendi le tue ali sulle nostre teste e dacci il tuo sostegno in quest’ardua battaglia. Che i tuoi messaggeri ci guidino alla vittoria, nella pace del tuo nome.
    Natureza, che lo aveva seguito con lo sguardo fin da quando si era librato in volo, inclinò leggermente il capo e strinse gli occhi con fare guardingo. Sapeva ci fosse una sola possibilità per contrastare l’esercito di risorti, ma non credeva che Yuzo fosse forte abbastanza per poterla mettere in pratica. A ogni modo, rischiare era l’errore degli sciocchi, così levò una mano nella direzione dell’uccellino e formulò il piccolo quanto letale incantesimo dell’Onda d’Urto. La biglia d’aria era così piccina nel palmo, da non sembrare pericolosa come in effetti era. La lasciò andare in direzione del volante che aveva ancora gli occhi chiusi e mormorava la litania di cui anche lui era a conoscenza. La sfera sfrecciò velocissima, tanto da non essere visibile a occhio nudo. Avrebbe ucciso Yuzo all’istante, sventrandolo con la sua potenza, ma il Nero dovette far sparire il proprio sorriso quando l’incantesimo si liberò in tutta la sua forza in anticipo. Troppo in anticipo.
    Il botto della sfera che si infrangeva contro il bersaglio fece levare lo sguardo agli altri Elementi, a Tsubasa e a Ryo. Il vento dell’onda d’urto si diramò e dissolse, tanto da sollevare la polvere al suolo e cancellare i risorti per alcuni istanti, prima che si ricomponessero.
    Mamoru guardò versò l’uccellino con espressione allarmata, ma quando la nuvola si diradò, scomparendo velocemente nel vento, fu un’altra l’espressione che prese possesso dei suoi tratti.
    Yuzo era perfettamente illeso.
    Il boato dell’incantesimo riuscì a squarciare la perfezione del silenzio in cui era immerso. Il volante iniziò a percepire lentamente anche tutti gli altri rumori. La battaglia era tornata nel suo spazio sensoriale e lui aprì adagio gli occhi.
    La vide che gli dava le spalle.
    Aveva una figura sottile e delicata, elegante. Di aria erano fatte le sue vesti, ma anche il velo che le copriva il capo, i capelli, la pelle. L’intero suo corpo era un nascere e morire di soffi di vento che si avvolgevano attorno a essa per fondersi e separarsi in pochi attimi, continuamente. Aveva un colore bianco lattiginoso e la fuggevolezza dei cirri.
    Lo aveva appena difeso dall’attacco del Nero.
    Yuzo sbatté le palpebre un paio di volte con incredulità. Nonostante fosse lui il fautore dell’incantesimo, una parte piuttosto consistente di sé non era convinta che ci sarebbe mai riuscito.
    Si sentì sfiorare la spalla da qualcosa che aveva la leggerezza dell’aria e la stessa consistenza, ma vita propria. Yuzo si volse piano e un’altra Silfide era proprio lì, accanto a lui. Ora che era così vicina poté vederne chiaramente la bellezza eterea e gentile. Il velo le copriva gli occhi, ma la creatura ne sollevò un lembo per permettergli di vederla bene in viso. Le iridi erano di un grigio purissimo, sembravano perle. Gli sorrise nel modo che sapeva ammaliare i viandanti ignari che avevano la fortuna di incontrarle ai Crocevia e finivano per innamorarsi perdutamente di loro, poi si allontanò.
    Yuzo mosse ancora lo sguardo e vide che erano decine e decine. Nascevano dal vento che spirava e d’improvviso prendevano consistenza tanto da risultare visibili. Volarono al suo fianco e lo superarono, schierandosi in attesa del suo ordine.
    Gli venne da sorridere e, per quanto si sforzasse di trattenerla, un’espressione soddisfatta gli rubò le labbra per qualche istante mentre realizzava che, sì, aveva appena effettuato un incantesimo di Evocazione nonostante fosse solo un Sesto Livello. Con la coda dell’occhio cercò il Principe Tsubasa e lo vide rivolgergli un sorriso piuttosto eloquente: sapeva già che ci sarebbe riuscito, in fondo glielo aveva già detto. Poi fu un altro lo sguardo che cercò.
    Dabbasso Teppei aveva la bocca semiaperta e lo sguardo completamente rapito. “E’ la prima volta che assisto a una Evocazione. È fantastica!”
    Hajime convenne accennando col capo, ma tenendo sotto controllo anche i movimenti dei risorti che, di colpo, si erano fermati, proprio come loro. Probabilmente avevano percepito la presenza spirituale delle Silfidi, anche se non le riuscivano a vedere perché avevano un’intelligenza molto limitata.
    Più lontano, Mamoru aveva un leggero sorriso orgoglioso sulle labbra. Il suo uccellino era capace di grandi cose, se ci credeva fino in fondo, e quando ne incrociò lo sguardo un leggero brivido gli solleticò il cuore. Per un attimo, il pensiero che lo avesse cercato di proposito, come per avere la sua approvazione, gli scaldò il petto. Si convinse di non illudersi troppo e accennò col capo.
    “Facciamo le cose in grande, vedo” lo pungolò, in quel modo di rispettarsi che era diventato loro.
    Yuzo sorrise più apertamente e scosse il capo, concentrandosi solo sulla battaglia perché non dovevano dimenticare dov’erano e cosa stava avvenendo attorno a loro.
    Sciolse le braccia che aveva incrociato al petto e le distese avanti a sé. Le mani sollevate e le dita che puntavano il cielo. Le creature si volsero nella sua direzione, in attesa del comando e quando il volante serrò i pugni, le Silfidi partirono all’attacco.
    Come frecce, calarono in picchiata sui risorti. Le vesti oscillavano per la velocità e i sorrisi ammalianti trasfigurarono in ghigni terrificanti dai denti aguzzi. Le unghie mutarono in artigli e il loro canto leggiadro divenne uno stridio acuto che faceva sanguinare i timpani.
    Per i risorti non ci sarebbe stato alcuno scampo.
    Nel mentre che le creature consumavano il loro scontro, Yuzo atterrò nuovamente accanto ai compagni.
    Teppei rabbrividì. “Non era proprio così che me l’ero immaginate…”
    “Le Silfidi sono creature dotate di bellezza irreale, ma è meglio non infastidirle. Sono molto vendicative” sorrise Yuzo e il tyrano ammiccò.
    “Puoi scommetterci che me ne ricorderò.”
    Natureza osservò lo scontro tra Elementali e Risorti con vivo interesse e anche profonda sorpresa. Superò la zona di battaglia dove gli incantesimi avrebbero continuato fino a esaurirsi a vicenda e si avvicinò ai contendenti.
    “Non male. È quindi evidente che giocare a distanza, con voi, non è una buona strategia.”
    L’immagine dei quattro Elementi riversi al suolo con la figura del Nero torreggiante su di loro rimbalzò di nuovo nella testa del Principe, tanto da fargli stringere di più l’elsa della spada ancora sguainata.
    “Mi vedo costretto a scendere in campo in prima persona.” Sorrise e la sicurezza della vittoria era sempre al suo fianco. “Più vicino all’obiettivo.”
    “Vicino o lontano non credere che ti lasceremo vincere.”
    Natureza guardò Mamoru con condiscendenza. Arrendersi non era nell’indole dei fyarish, tuttavia la situazione era diversa. “Lo so che non lo farete, semplicemente non ci riuscirete.”
    “Io non la sopporto la gente piena di spocchia!” Teppei colpì la terra con un calcio e questa si scosse violentemente prima che degli enormi monoliti iniziassero a spuntare dappertutto, costringendo di nuovo il Nero a balzare da un masso all’altro per non venire infilzato. Hajime approfittò del fatto che fosse distratto dall’attacco del tyrano per intervenire. Solidificò l’acqua in ghiaccio e fece piovere stalattiti a tutto andare. Dall’alto e dal basso, Natureza era circondato, eppure trovò il modo di ripararsi da entrambi. Con la magia elementale tenne a bada l’assalto del Tritone, grazie a uno scudo di vento sul quale le stalattiti rimbalzarono, infrangendosi in migliaia di brillanti frammenti. Con la Magia Nera, invece, contrastò l’incantesimo del tyrano. Un fluido nero ricoprì la terra, aveva una consistenza così elastica che gli spuntoni di roccia non riuscivano a perforarlo per risalire in superficie e quindi restavano confinati al suolo.
    L’abilità del Nero di saper usare entrambi i poteri era strabiliante. Non faceva alcuna fatica, le sue energie sembravano inesauribili perché dopo tutti gli assalti che i giovani avevano portato, dopo tutti gli incantesimi che lo stesso Stregone aveva usato non appariva affatto stanco. Natureza non era un mago come gli altri, la prova era già in quello. Un’altra arrivò dall’abilità che aveva di utilizzare a proprio vantaggio anche gli incantesimi altrui; un po’ come aveva fatto Yuzo quando era sotto l’influsso dell’incantesimo del Naturalista. Le loro menti erano le più analitiche rispetto quelle degli altri Elementi, e potevano trovare una soluzione a qualsiasi problema nel minor tempo possibile.
    Sfruttando il vento, Natureza deviò il percorso di alcuni aghi di ghiaccio a opera di Hajime in direzione di Teppei, la cui visuale era parzialmente coperta dalla roccia del suo stesso incantesimo. Il primo gli sfiorò la spalla e solo allora il tyrano vide gli altri piovere su di lui. Si coprì con le braccia e l’incantesimo Scudo, ma le schegge taglienti riuscirono a penetrare nelle falle della sua difesa, martoriandone il corpo e spingendolo lontano, in seguito al risucchio del vento. Teppei rotolò al suolo. Con le dita affondate nella terra cercò di rallentare fino a fermarsi. Il ringhio rimaneva strozzato tra i denti e con tutta la volontà che aveva tentò di rialzarsi. Una sfera nera lo colpì allo stomaco facendogli sputare fiato e sangue, prima di mandarlo lungo, disteso.
    Il Nero toccò terra soddisfatto: uno era fuori combattimento.
    Hajime vide il corpo immobile di Teppei e avvertì una mano serrargli lo stomaco, per poi ritorcerglielo talmente forte da fargli arrivare il sapore amaro della bile alla gola. Per un solo, fugace attimo, si distrasse.
    Cosa che Natureza non faceva mai, soprattutto in combattimento. I sentimenti di rabbia, rancore, amore e amicizia esistevano in lui, ma erano in perfetto equilibrio, controllati e liberati solo al momento opportuno. E quello non lo era. Approfittò della distrazione di Hajime e sollevò una mano verso di lui, nel palmo la biglia d’aria era pronta per partire, colpire il Tritone e ridurne il corpo a brandelli.
    Hajime!
    Il grido di Yuzo arrivò quando l’incantesimo dell’Onda d’Urto aveva già lasciato la mano del Nero.
    Il Tritone si volse di scatto, richiamato solo in quel momento all’azione corrente e alle sorti dello scontro ancora in corso. Si rese conto d’essersi distratto e probabilmente gli sarebbe stato fatale.
    In quell’attimo, vide Yuzo frapporsi fra lui e l’incantesimo del Nero. L’alastro aveva il braccio teso e il palmo aperto. Quel tipo di magia poteva essere solo deviata o affrontata con una magia identica. E Yuzo era proprio questo che stava facendo.
    La sua biglia d’aria si scontrò, in volo, con quella di Natureza facendo esplodere entrambe. Ma lui era troppo vicino alla zona di impatto e il violento spostamento d’aria lo travolse in pieno.
    Hajime si schermò il viso frapponendo le braccia, mentre il vento soffiava così forte attorno a lui da avere l’impressione che potesse strappargli gli abiti di dosso. I capelli si sollevarono e così i tessuti della casacca che sentiva schioccare. Avvertì nitidamente l’impatto dei granelli di polvere sulla pelle e si sentì ‘spostare’. Il vento l’aveva trascinato indietro nonostante si stesse opponendo con tutta la forza che aveva. Se Yuzo non gli avesse fatto da scudo, di sicuro sarebbe stato travolto dalla parte più violenta dell’onda d’urto liberata nello scontro tra incantesimi. Quando lo spostamento d’aria cessò, simile all’onda che colpiva e passava oltre, Hajime aprì lentamente gli occhi, ma non vide nessuno davanti a sé.
    L’espressione era tesa e affranta al contempo mentre si girava adagio. Dentro di sé era consapevole di cosa fosse accaduto in quegli attimi concitati, ma quando scorse il corpo di Yuzo al suolo, trascinato lontano dalla forza della sua stessa magia e semisommerso dalle rocce che si erano infrante nell’impatto, non fu in grado di dire una parola.
    Più distante e sempre a guardia del Principe, Mamoru aveva visto avvenire ogni cosa senza avere la reattività giusta per muoversi. Prima Teppei, poi Yuzo. Tutto in un attimo.
    Non riusciva a spostare lo sguardo dal volante, quasi fosse rimasto congelato in quella posizione. I secondi successivi gli parvero dilatarsi fino all’infinito.
    Non si muoveva.
    Yuzo non si muoveva.
    Di lui riusciva a scorgere solo il braccio abbandonato al suolo; il resto era nascosto dal pietrame sollevato nell’impatto. E quel braccio rimaneva fermo, la mano immobile.
    Yuzo non si muoveva e la nausea gli afferrò la gola senza nemmeno passare prima per lo stomaco. L’istinto di correre per aiutarlo e accertarsi che avesse solo perso conoscenza a causa del colpo era così forte da fargli tremare le mani, ma il volante gli aveva detto qualcosa, prima di fuggire via come una scheggia.
    ‘Difendi il Principe’.
    E difenderlo significava non muoversi.
    Un ordine che invece Hajime non aveva ricevuto.
    Mamoru gli vide girare lentamente la testa in direzione del Nero; le labbra che venivano piegate amaramente verso il basso e il corpo che assumeva una posizione di carica.
    Non fece neppure in tempo a fermarlo che il Tritone si era già lanciato contro lo Stregone gridando tutta la sua rabbia. Dal palmo aperto, il potere dell’acqua si manifestò in una sfera che assunse poi la forma di una lancia ghiacciata e tagliente.
    Natureza non parve intimorito dall’irruenza della carica, che valutò agguerrita ma scomposta, e si limitò a deviare il fendente con un braccio e a esplodere una bolla d’aria nell’addome del Tritone con la mano libera.
    Hajime venne sbalzato in aria, ma era già pronto a sfruttare la spinta per attaccare di nuovo, questa volta dall’alto, quando dei fulmini lo avvolsero. La corrente elettrica lo percosse lungo tutto il corpo contraendogli nervi e muscoli in spasmi di dolore. Un altro grido, questa volta sofferente, si levò dalle sue labbra prima che il Nero lo lanciasse lontano, alle proprie spalle.
    Il corpo abbandonato del Tritone rotolò al suolo, fermandosi col viso rivolto al cielo e le braccia distese lungo i fianchi.
    Adesso era solo. Mamoru avvertì quella certezza come un brivido gelido lungo la schiena eppure era ancora sotto l’effetto della famosa pillola che Shibasaki gli aveva dato.
    Era bastato così poco perché i suoi compagni, gli stessi che erano riusciti a tenere testa a orde di Stregoni, che avevano viaggiato per un lungo anno attraverso il Regno degli Ozora, che erano riusciti a utilizzare incantesimi di livello superiore… venissero falciati via in pochissimo tempo.
    Era dunque questa la potenza di un Elemento che fondeva il proprio potere alla Magia Nera? Era questa la forza di un mago privo di inconscio?
    A Yuzo era stato dato l’appellativo di ‘mostro’, ma il vero mostro era Natureza. Un mostro di energia inesauribile e mente reattiva oltre i limiti umani, un mostro di potenza e determinazione; la sua forza non poteva essere contrastata in maniera normale.
    Non avrebbe avuto possibilità, Mamoru lo sapeva, ma ormai era rimasto solo lui a guardia del Principe e finché avesse avuto aria nei polmoni e fiamme nel petto avrebbe difeso il futuro Re senza risparmiarsi mai. Lo doveva ai suoi amici e lo doveva a sé stesso.
    Tutt’intorno, la battaglia era divenuto un parapiglia per riuscire a bloccare i legionari che tentavano di fuggire, ora che il loro comandante Gamo e il generale Santana erano entrambi morti. Gli Stregoni si mettevano di mezzo, intralciando i soldati del Re Ozora, ma gli Elementi tentavano di arginarne l’avanzata. I Master erano ancora impegnati con gli Stregoni dell’entourage del Nero, mentre Cario si manteneva lì, ma più in disparte: con un occhio controllava lo scontro dei Master, intervenendo quando necessario, con l’altro controllava suo fratello; aspettava il momento opportuno per passare alla fase successiva del loro folle piano.
    Per Mamoru era come se tutto quello che lo circondava improvvisamente non esistesse più. Nell’enorme Lingua di Serpe c’erano solo lui, il Nero, il Principe, la Chiave e i suoi compagni ora al suolo. Elementia si era ridotto al loro quadrato di terra e sette persone.
    “Vostra Altezza, non so in quanto breve tempo avverrà la mia dipartita, quindi state pronto. Il futuro del pianeta è nelle vostre mani, adesso.”
    La fermezza nella voce riuscì a impressionare lo stesso Mamoru, perché dentro aveva così tanti sentimenti che si rimescolavano uniti dal divampare del fuoco, che non avrebbe mai creduto che sarebbe addirittura riuscito a parlare. Credeva che avrebbe scatenato i suoi poteri, ruggendo di collera. Invece, aveva un controllo di sé quasi surreale.
    Non attese la risposta di Tsubasa, ma avanzò di qualche passo e poi sollevò le mani. Sentì il rifluire delle fiamme dentro di sé che correvano verso i palmi dove la magia si sarebbe manifestata agli occhi di tutti. Le fitte al petto non riuscirono a fermarlo e per quanto fossero più sopportabili – segno che si stava riprendendo dallo scontro precedente avuto col Nero – il dolore arrivava ugualmente chiaro, simile al pungolare di centinaia di spilli sottili.
    Il fuoco emerse, divenne vampa che si avvolse in una spirale e partì in direzione dello Stregone. Natureza non si mosse, sollevò le mani e il fluido nero che ancora copriva il suolo si sollevò al suo comando creando uno scudo che lo protesse senza alcuna difficoltà. L’elasticità del fluido assorbì l’energia e le fiamme si dispersero sulla superficie, avvampando per un attimo prima di scomparire.
    Mamoru non demorse, ma iniziò ad avanzare, nonostante la sofferenza che utilizzare i suoi poteri gli dava ancora. Lo spirito era lacerato, sforzarlo in quel modo non faceva che sfibrarlo ancora di più. La Fiamma sperava di riuscire ad avvicinarsi a Natureza il necessario per poterlo toccare. Con le mani arroventate, non ci sarebbe stata nessuna magia che avrebbe potuto usare per difendersi.
    Questo lo sapeva bene anche Natureza, per questo si ostinava a non avere scontri troppo diretti con i suoi avversari, tranne quando sapeva di esser loro superiore. In quel caso, per quanto evidentemente indebolito, il fyarish seguitava a rimanere molto determinato e concentrato; un avversario insidioso.
    Lo Stregone manovrò quindi il fluido che di colpo si sollevò tutto come un’onda.
    Mamoru interruppe il proprio incantesimo e cercò di sfuggire alla muraglia nera, ma il dolore improvviso arrestò i suoi movimenti. Aveva bisogno di tempo per guarire e in quel momento non aveva nemmeno un secondo.
    Si volse, l’onda torreggiava enorme sopra di lui, una bocca pronta a fagocitarlo. Gli si rovesciò addosso mentre tentava un’ultima strenua difesa, ma il labile scudo di fuoco venne stretto e poi soffocato da quel fluido così denso ed elastico. Venne sopraffatto. Gli sforzi per liberarsi furono vani. L’incantesimo seguiva le forme delle sue braccia che cercavano di crearne uno squarcio, deformandosi e allentandosi con facilità. L’aria si esaurì in pochi momenti e la resistenza della Fiamma scemò veloce, fino a cessare.
    Quando l’incantesimo si ritirò, abbandonò il suo corpo al suolo, riverso col volto nella polvere.
    La visione di Tsubasa si era realizzata di nuovo. Il Principe rimase a fissarla con la bocca semiaperta e le sopracciglia aggrottate.
    Natureza camminava piano tra i corpi degli Elementi che aveva battuto in momenti tanto concitati quanto rapidi. Non c’era stato scampo per nessuno, la mano del Nero era implacabile nonostante il sorriso amicale e lo sguardo limpido dicessero tutt’altro.
    Terra e Acqua erano alle sue spalle, Aria alla sua destra, Fuoco svariati passi avanti a lui.
    Natureza si fermò, ergendosi al centro della devastazione in segno di supremazia inequivocabile.
    “Tsu… Tsubasa-”
    “Lo so.”
    Ryo piagnucolò alle spalle del Principe e questi lo zittì subito. Il tono si era fatto tagliente, come la sua espressione. Le labbra di nuovo chiuse erano tese e lo sguardo, a dispetto dell’asprezza nella voce, era affranto. La battaglia era sempre stata solo fra loro due e avrebbe dovuto impedire con maggiore vigore, imponendo anche il suo volere reale se necessario, che gli Elementi restassero al suo fianco.
    “Vedo che finalmente siamo rimasti solo noi.” Natureza si strinse nelle spalle. Sorrise come per scusarsi di averci messo tanto e non essersi liberato prima degli intralci. “Sei pronto a darmi ciò che voglio o preferisci che l’agonia di questa farsa duri ancora un po’? Mostrami la Chiave, Principe. Mostrami il suo potere.”
    Tsubasa chinò il capo per un momento, poi chiuse gli occhi. Un leggero sorriso gli increspò appena le labbra e quando li riaprì poteva finalmente vedere tutto con maggiore chiarezza.
    “Bisogna sempre avere fiducia, Natureza.”
    Il Nero inclinò leggermente il capo, non riuscendo a capire quelle poche parole, però non chiese. Osservò il Principe che metteva via la spada; arma inutile nel loro combattimento, tanto che si slacciò il fodero legato in vita e se ne liberò.
    “Ryo, è giunto il momento” lo sentì dire, rivolgendosi al giovane che era rimasto sempre accanto a lui.
    In principio Natureza aveva pensato fosse un altro Elemento o una guardia personale, di quelle estremamente fedeli, ma vedendolo tenersi sempre dietro al futuro sovrano si era risolto che non doveva essere né l’uno e né l’altro; quello non era un guerriero. Magari un servitore o solo un folle che era stato così stolto da seguire il Principe fin sul campo di battaglia. Ci avrebbe messo uno schiocco di dita a ucciderlo.
    L’interpellato guardò la decisione che trapelava dal volto di Tsubasa e poi sospirò.
    “Sì, ho capito.”
    Ryo venne avanti, anche se piuttosto riluttante: non era molto votato al combattimento, ma il suo compito era servire il Principe e quindi avrebbe obbedito alle sue richieste. Lanciò un’occhiataccia al Nero e gonfiò il petto portandosi altezzosamente le mani ai fianchi.
    “Adesso te la farò vedere io! Hai finito di fare il gradasso, brutto pallone gonfiato!”
    Minacciò a tutto andare e con espressione di duro rimprovero.
    Natureza incassò il mento, fissandolo con i suoi grandi occhi nocciola sgranati. Le palpebre che venivano sbattute con perplessità. Poi gli puntò contro l’indice, allargando un sorriso luminoso, convinto di aver avuto l’illuminazione.
    “A-ah! Ho capito! Sei il giullare! Come ho fatto a non pensarci prima?!”
    La Chiave arrossì per la collera. “Il… il… cosa?! Tsubasa, hai sentito?! Mi ha chiamato giullare!”
    “Ryo, ti prego…” Il Principe si era portato la mano alla fronte, ma questa volta per Ryo non ci sarebbero stati abbastanza prescelti che avrebbero potuto trattenere il suo risentimento.
    Guardò nuovamente Natureza con ira e disprezzo e strinse i pugni. Attorno a lui, l’intera figura prese a brillare di una perlacea luminescenza.
    “Questo sarà il tuo ultimo affronto, misero mortale!”
    Il sorriso scomparve dal volto del Nero per sciogliersi in un’espressione di sorpresa.
    Attorno al giovane sconosciuto, la luce si espandeva con un bagliore accecante fino a creare un’aura così forte da farlo arretrare d’un passo. Nel bianco che lo avvolgeva scorse le grigie spirali di vento a lui care, il rifluire blu dell’acqua, l’avvampare rosso del fuoco e il rimestare marrone della terra. Tutti gli elementi sembravano essere concentrati dentro di lui, che diveniva così brillante a ogni attimo, tanto da costringerlo a coprirsi gli occhi con una mano.
    “…la Chiave…” mormorò Natureza, non riuscendo a crederci egli stesso perché non era così che se l’era immaginata. “Sei tu? La Chiave Elementale sei tu?”
    Un uomo. Non poteva crederci. Forse era solo una forma fittizia, forse era solo un contenitore di passaggio, forse…
    “Sì” sibilò Ryo, ormai niente del suo corpo era più visibile: era luce pura. “E tu sarai punito per quello che hai fatto.”
    L’enorme fonte di luce assunse una forma compatta, sferica, molto più piccola di prima e si fermò nelle mani di Tsubasa Ozora senza toccarle, ma rimanendo sollevata tra i suoi palmi. Il bagliore si diffuse, riducendo l’intensità tanto che anche Natureza poté finalmente scoprirsi gli occhi e guardare il dono ultimo delle Dee nella sua forma originale.
    Polvere. Acqua. Aria. Fiamme.
    Ruotavano e si fondevano in armonia in uno spazio che era confinato da quattro labili anelli di luce che gli giravano intorno. Il cuore di Elementia era nelle mani del Principe, il centro della magia era lì, nel simulacro che raccoglieva, uniti, i frammenti dei quattro Elementi Eterni. Era nella bianca essenzialità delle volute del Respiro, era nella durezza adamantina dell’Osso, era nella purezza della Lacrima, era nel vitale scorrere del Sangue. Era tutto lì. Il Divino in simboli mortali, attorno cui gli anelli di luce erano la presenza unica delle Dee.
    Se avesse potuto averlo, Natureza sapeva che nulla avrebbe più potuto intralciarlo ed Elementia sarebbe finalmente tornato un pianeta libero dalla piaga chiamata ‘umanità’.
    “Deve essere mia…” mormorò, ma Tsubasa riuscì a sentirlo comunque e l’espressione che lesse sul volto dell’alastro traditore fu in grado di sorprenderlo: aveva le lacrime agli occhi. “Tu non sai… non sai quanto sia importante la Chiave Elementale per questo pianeta. Mi permetterà di salvarlo… di purificarlo… Anche tu vuoi che il mondo viva a lungo, vero?”
    “Sì, ma non c’è nulla da cui debba essere salvato” replicò Tsubasa, gli anelli di luce si dissolsero, avvolgendosi alle sue braccia e la sfera si sfaldò, in tutti i suoi elementi, che le mani del Principe assorbirono come fossero state delle spugne. Guardò dritto negli occhi di Natureza. “Nemmeno da te.”
    Natureza serrò i pugni, sentendosi tradito e incompreso. Per la prima volta nella sua vita, il sorriso serafico venne cancellato da un ringhio rabbioso che gli snudò i denti. Si lanciò sul suo avversario con tutto il corpo e la forza che aveva.
    Inspiegabilmente, ancor prima della magia, cercò lo scontro fisico. Caricò il pugno e lo sferrò dritto al volto, ma Tsubasa – nelle cui mani era racchiuso il potere della Chiave – deviò l’attacco e col palmo aperto tentò di colpirgli l’addome. Nella deviazione c’era la durezza della roccia che non sentiva dolore e nel contrattacco c’era la forza dell’aria che allontanava il nemico senza ucciderlo.
    Ma Natureza era pur sempre un alastro, preparato a scontri in cui era coinvolto il proprio elemento, così schivò l’affondo del Principe e sfruttò l’appoggio offertogli dall’altra mano per saltare l’avversario. Con una capriola sulla testa atterrò alle spalle di Tsubasa, colpì ancora, ma uno scudo di roccia parò l’affondo.
    “Credevo che avessi capito! Che fossi come me! E invece sei come tutti gli altri esseri umani che camminano su questo pianeta: un egoista che pensa solo a sé e ai suoi simili! Dov’è la tua superiorità intellettiva nel considerare tutte le creature, anche il piccolo filo d’erba, al pari degli altri umani?”
    “Credi che io mi consideri superiore?”
    Lo scontro fisico divenne verbale, mentre l’attacco e la difesa si susseguivano veloci, spostando i contendenti da una parte all’altra del loro piccolo quadrato. Natureza iniziò a fondere la Magia Nera con quella elementale, ma sembrò essere insufficiente contro Tsubasa che, grazie al potere della Chiave, usufruiva di tutti e quattro gli elementi contemporaneamente. Folgori nere e sfere di energia purpurea esplosero contro lingue di fuoco e lance di ghiaccio.
    “Non è l’uomo a essere il male, ma chi vuole prevalere sugli altri! Non tutti gli esseri umani sono malvagi!”
    “Ma lo sono potenzialmente fin dalla loro nascita! Un rischio troppo grande per poter essere controllato! Va estirpato senza alcuna esitazione!”
    “Non posso lasciartelo fare!”
    I loro visi erano separati solo da un intrigo di fiamme attorcigliate a fili neri, infestanti.
    Natureza ghignò, guardandolo dritto negli occhi scuri. “Allora muori!”
    Aveva la mano così vicina all’addome del Principe che gli sarebbe bastato un attimo per sferrargli un colpo mortale. La biglia d’aria ruotò nel suo palmo velocemente, l’attimo di formarsi ed era già pronta. Non gli importò di essere anche lui vicino alla vittima, perché l’incantesimo avrebbe attraversato l’avversario e sarebbe corso lontano; proprio come era avvenuto con Faran Konsawatt. Ma Tsubasa non era Faran.
    Il potere elementale indotto dalla Chiave si oppose alla sfera di vento frapponendole uno scudo dello stesso elemento e lo scudo spingeva nella direzione opposta. Le due forze si contrapponevano cercando, invano, di prevalere sull’altra.
    Natureza ringhiò. Era galvanizzato dall’idea di avere finalmente qualcuno che riuscisse a tenergli testa, ma era anche frustrato perché voleva mettere fine a quella perdita di tempo per iniziare, così, la pulizia definitiva. Perse terreno, il suo incantesimo sembrò arretrare a causa di quello del Principe; lo stava sopraffacendo. Quando comprese che avrebbe finito col venire ucciso egli stesso dalla propria magia balzò in aria sfruttando la spinta impressa dal Principe. Avrebbe tentato un attacco dall’alto, ma tentacoli d’acqua gli si attorcigliarono alle caviglie in maniera inaspettata e lo lanciarono lontano dopo averlo strattonato come fosse stato un pupazzo.
    Natureza atterrò comunque in piedi, ma dovette aiutarsi con le mani mentre scivolava sulla terra a causa della forza impressa al modo in cui era stato lanciato via. Le dita della mancina scavarono dei solchi, graffiando il suolo, così come le punte dei piedi che tentarono di opporsi.
    Si ritrovò di nuovo circondato dai quattro Elementi ancora al suolo; era nel punto esatto in cui si era erto, vittorioso. Questa volta, però, aveva un ginocchio a terra e il respiro affannato.
    Tsubasa, invece, per quanto avesse un po’ di fiato grosso era perfettamente in piedi. Era lui a ergersi, adesso. Il viso non mostrava l’espressione di chi avrebbe voluto sconfiggere a ogni costo il nemico, forse perché non ne vedeva in Natureza. Avrebbe di gran lunga preferito che divenissero amici. Quel giovane gli somigliava davvero; il carisma che aveva, il modo di porsi, la purezza dello sguardo e l’innocenza del sorriso… non erano una finzione per ingannare l’avversario, ma erano davvero suoi. Natureza amava, nella maniera più profonda e sacra che avesse mai potuto pensare, l’intero Elementia. Lo amava di quell’amore che era unico ed esclusivo, forse paragonabile solo a quello di chi il pianeta lo aveva creato. Non aveva pietà verso coloro che reputava essere una minaccia, questo era vero, ma non uccideva con odio: lui voleva solo proteggere. Chiunque altro al suo posto avrebbe fatto lo stesso pur di difendere ciò che aveva di più caro, ed Elementia era la cosa preziosa di Natureza.
    “Sei davvero forte come sentivo.” Il Nero assunse lentamente una postura eretta. “Sai, fin da quando ti ho visto ho capito che batterti non sarebbe stato facile. E non lo è, infatti. Ma io non sono disposto ad arrendermi, quindi, preparati.”
    Tsubasa aggrottò le sopracciglia ed espirò lentamente. Le mani erano abbandonate lungo i fianchi, quasi in segno di rinuncia alla contesa, con i palmi che ancora brillavano della magia della Chiave.
    “Arrenditi. Ormai è finita, Natureza. Non costringermi a fare quello che non vorrei…”
    Tsk? Finita? Non montarti la testa, non sono ancora-”
    Natureza dovette interrompere la frase poiché quando tentò di fare un passo in avanti si sentì tirare per la caviglia sinistra. Qualcosa gli si stava arrampicando addosso, impedendogli il movimento, trattenendolo dov’era.
    Il Nero scorse la roccia muoversi, camminare sugli stivali scuri che stava indossando fino ad afferrargli i vestiti. Tentò di divincolarsi, ma non ebbe successo. La roccia copriva anche il piede.
    “E’ opera tua?” Ma si accorse quasi subito che quell’incantesimo si allungava dalla parte opposta a dove si trovava il Principe.
    Natureza si volse e vide che era il tyrano a muoverla, nonostante non avesse neppure la forza di alzarsi in piedi. I suoi occhi, semiaperti, lo tenevano a fatica sottocontrollo. Non si chiese come fosse possibile che fosse ancora vivo e in grado di usare la magia; il Nero si limitò a sbuffare in maniera stizzita deciso a liberarsi, ma quando tentò di strattonare la roccia, questa mutò, si cristallizzò e brillava al sole.
    Lo Stregone incurvò le labbra. “Diamante?!” quello non sarebbe riuscito a mandarlo tanto facilmente in frantumi, ma tentò comunque. Levò la mano per sfruttare la Magia Nera, ma qualcosa, stavolta, gli afferrò il polso, impedendogli di muoverlo. Qualcosa di vischioso, bagnato.
    Natureza vide l’acqua bloccargli le dita in modo che il potere non potesse essere usato.
    “Che razza di storia è mai questa?! Cosa diavolo vi state mettendo in testa?!”
    A quella domanda, però, Hajime non rispose, non puntava nemmeno lo sguardo su di lui, ma dritto al cielo. Solo le dita, muovendosi appena, controllavano quella corda fittissima.
    Natureza sorrise sprezzante. “Siamo già ai tentativi disperati?”
    Levò la destra, ma questa volta fu l’aria a fermarlo. Un’altra corda, sottile ma incredibilmente resistente, gli bloccò polso e dita. La magia elementale era neutralizzata del tutto.
    “Come se questo possa fermarmi! Illusi! Io sono il Nero! Rab na bela, rei!” Ma senza l’ausilio delle mani che ne indirizzassero la traiettoria, la sfera di energia vagò a vuoto, come impazzita, esplodendo lontano da loro. “Maledizione!” ringhiò lo Stregone. Tentando con un incantesimo differente che non aveva bisogno di essere direzionato. “Aratna koi!” Questa volta fu una cupola di fuoco a coprire tutti dalla pioggia di fulmini.
    Natureza si volse, ringhiando, e vide l’occhio non premuto al suolo dell’Elemento di Fyar fissarlo attentamente. Le dita tremanti gestivano l’incantesimo da cui se ne separò una lingua che gli avvolse anche l’altra caviglia. Adesso, il Nero non poteva più muoversi.
    La frustrazione di sentirsi in trappola lo fece sbottare.
    “Questa è pura follia!”
    “Follia o solo volontà? Fiducia? Speranza? Fede.” Tsubasa lo guardava con sincero dispiacere. Adagio camminava verso di lui. “Sono uomini che credono negli uomini, nonostante siano consapevoli di quanto dolore essi possano causare ai propri simili e alle altre creature. Credono nella forza individuale di ciascuno di loro e sono convinti che non si debbano punire tutti, ma solo i colpevoli. Anche loro amano questo pianeta, proprio come te, seppur in modo diverso, e sono disposti a tutto pur di proteggerlo.”
    “Non avvicinarti!”
    “Devo.”
    La rabbia di Natureza divenne un latrato terrorizzato. “Non osare farlo!”
    “Non mi hai lasciato altra scelta. Ti avevo chiesto di fermarti… di rifuggire i tuoi propositi… ma tu non li rinnegherai mai, non è così?” Tsubasa si fermò a un passo da lui, tanto che se avesse sollevato una mano l’avrebbe toccato.
    “Certo che no! Perché dovrei rinnegare di amare il mio pianeta?!” Natureza si tirò indietro per quanto poté, ma con le caviglie bloccate era impossibile. Perse l’equilibrio e si ritrovò a terra, seduto. Stavolta era Tsubasa a torreggiare su di lui, ma la sua figura non era imponente né voleva imporsi su qualsiasi altra. Semplicemente lo guardava dall’alto.
    “Allora non posso fare altrimenti.” Tsubasa si inginocchiò, i visi erano alla stessa altezza e potevano guardarsi occhi negli occhi. Quelli del Nero erano lucidi, spaventati come quelli di un bambino cui volevano fare il più grande male del mondo.
    “Non farlo!”
    Tsubasa levò la mano.
    “Non farlo…”
    “Non c’è soluzione.”
    Le lacrime vennero giù dalle iridi pure di Natureza. “Allora uccidimi! Uccidimi, tanto sarebbe la stessa cosa! Sarebbe come morire!”
    “Nemmeno questo posso farlo…” Per quanto deciso, Tsubasa non era felice della scelta obbligata, ma con Natureza a piede libero, Elementia e le sue genti non sarebbero mai stati al sicuro. “…mi dispiace.”
    Il Nero tentò di ritrarsi disperato un’ultima volta, ma la mano di Tsubasa si poggiò inesorabile, seppur con tocco gentile, sul suo capo. Il palmo gli copriva la fronte lasciando liberi gli occhi, che erano spalancati.
    Il potere elementale fluì dal Principe al Nero, in un primo momento, che si ritrovò la mente piena di calore, un calore così avvolgente e meraviglioso che gli apparve ultraterreno; poi il flusso si invertì, e il potere scemò dal Nero al Principe che lo assorbì completamente, fino all’ultima scintilla. La Genesi, invece, la scheggia magica che albergava in ogni essere umano e che non poteva essere estratta venne sigillata e resa inutilizzabile. Per sempre.
    Il Nero era stato privato di tutti i suoi poteri elementali. In quel momento cessò di essere un alastro.
    Gli occhi persero ogni barlume di vitalità, si spensero lentamente, come se togliendogli i poteri gli avessero tolto tutto. Natureza smise addirittura di lottare e cercare di liberarsi. Con le orbite vuote che guardavano senza vedere chinò il capo, sotto al suo stesso peso.
    La mano di Tsubasa si spostò sull’onice. Non ebbe bisogno di toccarla, l’influsso della Chiave agì a distanza. La luce sfumata nei colori elementali inondò la pietra e tutte le venature che la Magia Nera aveva diramato nel corpo dello Stregone alla base del collo e lungo le prime vertebre si illuminarono, rendendosi visibili da sotto la pelle; poi iniziarono a ritirarsi. Erano veloci, correvano nuovamente alla pietra affinché le riassorbisse. Quando furono tutte nell’onice questa si mosse da sola.
    Se prima qualcuno avesse provato a strapparla a mani nude non ci sarebbe mai riuscito senza ucciderne il portatore, ora invece la pietra emerse dalla sua allocazione senza che nessuno la toccasse. L’incastonatura cadde al suolo con il tintinnare metallico del platino. L’onice invece rimase sospesa nel vuoto, prima di frantumarsi come fosse stato un cristallo. Nel collo del Nero non rimase alcun segno, come se la pietra non ne avesse mai intaccato la pelle.
    Tsubasa chiuse la mano e il potere della Chiave cessò.
    Ora, Natureza non era più nemmeno uno Stregone, ma solo un essere umano come tanti altri.
    Il giovane non disse nulla, non tentò di dimenarsi, non protestò né maledì il Principe. Seguitava a guardare la terra ai suoi piedi, le braccia abbandonate al suolo e gli incantesimi che lo tenevano fermo si ritrassero piano, tornando ai loro proprietari che, adagio, iniziarono a rialzarsi.
    Teppei si sforzò, riuscendo a mettersi a sedere. Sanguinava, ma non era nulla che una buona fasciatura e qualche punto non avessero potuto curare. Cercò Hajime con lo sguardo e lo vide ancora sdraiato. Aiutandosi con le rocce, si alzò. Gli faceva male dappertutto, ma trascinarsi non era poi così doloroso come sembrava, così strisciò i piedi fino al Tritone, prima di crollare nuovamente a terra, seduto sui talloni.
    Hajime apriva e chiudeva gli occhi, fissando dapprima il cielo e poi gli occhi del compagno che si erano affacciati nella sua visuale.
    “Che guardi?” biascicò il tyrano. Lui si strinse nelle spalle.
    “Mi godo il panorama. Non è niente male.”
    Si scambiarono un’occhiata di intesa e poi iniziarono a ridere piano tutti e due, per quanto il dolore fisico glielo permettesse.
    Hajime sollevò una mano che il tyrano non mancò di stringere, mentre pensava che aveva mantenuto la parole: la fine l’avevano vista insieme, ma c’era ancora tantissimo che avrebbero dovuto vedere. Sempre insieme. In quel momento, però, ridere sembrò la cosa più importante a essergli rimasta.
    “E’ finita.”
    Tsubasa lo disse a Natureza, alzandosi piano. D’intorno, si era scatenata la ritirata strategica da parte degli Stregoni a dorso dei kamalocha e di quelli ancora a piedi. Chi poteva, montava in sella al primo cavallo libero per darsi alla fuga. Non c’era dubbio che qualcuno si sarebbe salvato, ma con l’organizzazione decapitata del proprio capo non sarebbe stato facile, per loro, ricostruire il potere. La guerra alla Magia Nera non cessava solo perché il Nero non esisteva più, questo Tsubasa lo sapeva e non solo lui. Avevano ottenuto una pesante vittoria, ma molto ancora restava da fare.
    “Si stanno ritirando, il tuo piano è fallito. Non c’è alcun motivo per cui tu venga rinchiuso nella prigione di Raj, non puoi più far del male a nessuno.” Tsubasa lo superò per raggiungere il Comandante Hongo che, da lontano, avevano assistito allo scontro, consapevole di non poter intervenire. Altri soldati ed Elementi iniziarono ad accorrere sulla scena; mentre i Master dettavano ordini per recuperare i feriti e inseguire i fuggiaschi.
    “Sei libero di andare dove vuoi” disse infine e quella decisione lasciò perplesso Mamoru, ma non solo lui.
    La Fiamma si era messa a sedere; fisicamente non era ridotto troppo male, ma spiritualmente era devastato. Avrebbe avuto bisogno di molto riposo prima di poter essere in grado di usare i suoi poteri senza conseguenze. Guardò il Principe allontanarsi con decisione e senza mai voltarsi indietro. Dalle sue mani il potere della Chiave emerse di nuovo, separandosi da lui per tornare ad assumere la forma umana che rispondeva al nome di ‘Ryo’. Nemmeno lui sembrava particolarmente convinto di quella decisione, infatti lo scorse parlargli animatamente, ma Tsubasa era irremovibile.
    Spostò allora lo sguardo sul volante. Anche Yuzo era seduto, ma diversamente da lui, era la schiena di Natureza che stava fissando, con profondo rammarico.
    L’ex-Stregone ed ex-Elemento si era alzato e aveva preso ad allontanarsi un passo alla volta nella direzione opposta a quella del Principe.
    Perdere i propri poteri era devastante. La Fiamma ripensò a quando Yuzo si era incaponito a non usarli più per punirsi di ciò che era avvenuto a Sendai. Ricordò quanto doloroso fosse e probabilmente era anche per questo che l’uccellino fissava l’ex-compagno con tanto dispiacere, oltre al fatto che, nonostante tutto, Mamoru sapeva che continuava a considerarlo come un fratello e anche se avevano tentato di uccidersi a vicenda, soffriva per lui.
    Con lo sguardo, si mise anche lui a scortare la marcia di Natureza chiedendosi dove stesse andando o se davvero si rendeva conto di come si erano capovolti gli eventi. Quando lo vide fermarsi davanti alla spada che Tsubasa aveva abbandonato al suolo si domandò se non fosse tanto stolto da tentare di assaltare nuovamente il Principe, questa volta con la forza dell’acciaio. Non avrebbe avuto scampo, tra maghi e soldati sarebbe morto di sicuro.
    Natureza raccolse l’arma e un sibilo contrariato gli sfuggì.
    Pazzo.
    Non c’era altro termine per descriverlo se non quello, secondo Mamoru.
    Eppure, Natureza riuscì a sorprenderlo ugualmente.
    “Credi davvero che io possa vivere in questo modo, Tsubasa?!” La voce del giovane riecheggiò per la piana, fermando il passo del Principe. Quest’ultimo si volse, ma c’era una strana rassegnazione sul suo volto, mentre su quello di Natureza c’era rabbia e voglia di vendetta. “Beh, ti sbagli! Così come ti sbagli pensando che sia finita!” Con un gesto secco estrasse l’acciaio alzando il viso al cielo e urlando con tutto il fiato che aveva. “Cario! Non dimenticare qual è il nostro obiettivo! Non dimenticarlo, fratello!” Ruotò la lama e con un gesto secco e veloce si trafisse il petto e gelò gli astanti.
    Il braccio del volante rimase disteso e la mano spalancata nel tentativo di fermarlo, ma senza avere tempo di farlo.
    Mamoru ammutolì perché quello non se l’era davvero aspettato e lo stesso si poté dire per Hajime e Teppei.
    Tsubasa, invece, non parve sorpreso. “No, Natureza, non lo credevo” disse, prima di voltargli nuovamente le spalle. La fine non sarebbe potuta essere diversa, qualsiasi scelta avesse compiuto.
    La Fiamma seguì il corpo dello Stregone più ricercato di tutto il pianeta nel suo scivolare al suolo e restare lì, abbandonato nella polvere e con lo sguardo rivolto al cielo. Le mani lasciarono l’elsa della spada e si levarono verso la volta celeste. Distese le dita, quasi avesse potuto toccarlo ancora, volare ancora, sentire il fluire del vento ancora. Forse stava sorridendo. Le mani ricaddero piano fino a che non toccarono terra, poi non si mossero più.

    “I do believe in the light /
    Credo nella luce.
    Raise your hands up to the sky /
    Solleva le tue mani al cielo.
    The fight is done /
    La battaglia è finita,
    the war is won /
    la Guerra è vinta.
    Lift your hands /
    Solleva le mani
    towards the sun /
    verso il sole,
    towards the sun /
    verso il sole,
    towards the sun /
    verso il sole,
    towards the sun /
    verso il sole.
    The war is won /
    La Guerra è vinta.

    Diversamente da quanto aveva pensato, Mamoru non si sentiva soddisfatto né felice. Non si sentiva galvanizzato dall’esserne usciti tutti, non sentiva dentro di sé la gioia di poter gridare: “La guerra è finita!”, ma prese tutto come un semplice dato di fatto. La guerra era finita, sì, e lui era cambiato troppo e aveva visto troppe cose per poter esultare come fosse stato ancora un ragazzino. Di lontano però li sentì. I soldati festeggiavano e così anche gli altri Elementi. Lui si guardò intorno, levò lo sguardo e vide una di quelle strane bestie indugiare di più nel cielo. Girava intorno a dove giaceva il corpo di Natureza. Sul suo dorso sembrava esserci qualcuno, ma a quella distanza non riusciva a vederlo bene. Poi se ne andò, volando veloce.
    Mamoru se ne disinteressò, tanto c’era chi si sarebbe occupato di lui. Abbassò di nuovo lo sguardo sul volante e lo vide ancora seduto. La mano abbassata e il capo chino. Quando lo sollevò fu lui che i suoi occhi cercarono.
    La Fiamma si alzò lentamente. Tenendosi l’addome e avanzando con passo malfermo lo raggiunse. Gli si sedette di fronte. Il tutto senza dire una parola e senza guardargli negli occhi.
    Poi Yuzo ruppe il silenzio. “Stai bene?”
    “Sono vivo.”  Che non diceva tutto, ma il necessario.
    “Anch’io.”
    Mamoru annuì. Con gli occhi si accertò delle sue ferite; non sembrava messo male, ma aveva bisogno di cure. Poi vide la mano fasciata che continuava a sanguinare. Inarcò un sopracciglio e la prese tra le sue per stimare il danno.
    “Che hai fatto?”
    “Ferite di guerra.” Yuzo si strinse nelle spalle.
    “Com’è successo?”
    “Come succede sempre: stavo combattendo e sono stato colpito. Non si è lesionato alcun tendine. Ho solo bisogno di una buona fasciatura.”
    Mamoru sollevò il tessuto e vide quello che gli sembrava il taglio di un coltello o di una spada sottile. Gli passava il palmo da parte a parte. “E’ stato Faran?” domandò in tono distaccato e fermo.
    Yuzo studiava le sue reazioni. “Faran è morto.”
    “Lo so.”
    La Fiamma non ebbe la reazione che Yuzo aveva immaginato, forse perché erano cambiate così tante cose che avevano finito col cambiare irrimediabilmente anche loro. Mamoru gli aveva risposto ancora in tono distaccato e senza nemmeno guardarlo. Non era sorpreso, ma anche se non lo mostrava apertamente urlandogli contro, era irritato.
    Il volante sospirò. “Siamo in guerra. Non era possibile non sporcarsi le mani.”
    “So anche questo.” Il fyarish terminò la sua ispezione della ferita e finalmente lo guardò. Un’occhiata fissa e diretta. “Dobbiamo comunque parlarne.”
    “Di cosa?”
    “Della tua aggressività.”
    Yuzo si strinse nelle spalle e minimizzò. “Non sono aggressivo.”
    “E io non sono cieco.” Mamoru non aveva voglia di ignorare il problema. Era divenuto evidente negli ultimi tempi e si era stancato di procrastinarlo ogni volta solo perché c’era la guerra cui pensare e la salvezza del Principe. Ora Tsubasa era al sicuro, la guerra era finita e anche se le loro ferite sanguinavano ancora era lì che avrebbero dovuto parlare della questione. “Cosa ti ha detto Natureza?”
    “Quando?” Yuzo girò il volto guardando ciò che lo circondava. Non sembrava esserne realmente interessato, ma voleva solo distogliere lo sguardo da quello del compagno.
    “Prima di colpirti al viso, ti si è avvicinato e ti ha sussurrato qualcosa all’orecchio. Cosa ti ha detto?”
    “Niente di importante.”
    “La guerra è finita e non ci sono più sacri giuramenti del cazzo, quindi non mentirmi ancora.”
    Il tono distaccato assunse una nota più aspra che fece girare nuovamente il volante.
    Mamoru non avrebbe lasciato perdere, non questa volta, Yuzo lo capì. Tentò comunque di prenderla meno sul serio di come avrebbe dovuto e fece spallucce. “Ha detto che una volta sciolta la bestia non posso sperare di rimetterla in gabbia. Probabilmente parlava dell’onice.”
    “Io non credo. Non conosco tutti i retroscena del vostro ordine, ma mi sono fatto un’idea sulla faccenda. E non mi piace.”
    Mentre parlavano, Mamoru continuava a tenere la mano ferita dell’uccellino nella sua. Nessuno dei due se n’era accorto. Troppo presi dal discorso, forse, o forse erano così abituati ad avere un contatto tra loro, uno qualsiasi, da non rendersene nemmeno conto. 
    “Magari è sbagliata, che ne sai?” Yuzo rispose di nuovo con una certa ironia. Cercava di sdrammatizzare, ma soprattutto di cambiare discorso. Mamoru non raccolse, non volle, il suo modo di glissare sull’argomento. Non smise di guardarlo nemmeno per un attimo.
    “Non è la pietra il problema. Essa è solo un tramite, un mezzo. È il lasciapassare per arrivare all’Inconscio e aprirgli le porte che voi tanto vi ostinate a tenere chiuse. Non è l’onice a rendevi malvagi… lo siete già.” Vide l’uccellino fermare le sue iridi su un punto imprecisato del terreno. Non c’era più ironia sul suo volto, ma aveva un’espressione sconfitta. Mamoru non gli stava dicendo qualcosa di nuovo e questo gli fece capire di aver visto giusto, così continuò. “Natureza ha detto che in ogni essere umano c’è una punta di male, così come c’è del bene. Solo che in quelli come noi bene e male non vivono separati, ma crescono insieme e si bilanciano. Voi invece rinchiudete la negatività in un angolo e in questo modo assume una sua identità. Quasi come se due individui vivessero nello stesso corpo.”
    Yuzo rimase in silenzio. Il suo sguardo si levò per fermarsi sul cadavere del Nero. “Dovremmo essere puniti come lui” decretò infine.
    Mamoru scosse animatamente il capo. “Non dire assurdità.”
    “Sì, invece. Noi siamo pericolosi, Mamoru. Siamo un rischio per tutti.” L’uccellino era serio, glielo lesse in quegli occhi che non sapevano più mentirgli e che ora erano fissi nei suoi. Forse fu questo che colpì di più la Fiamma. “Per anni ho finto di non aver compreso come stessero le cose. Ho sepolto questa consapevolezza, assieme a tutte le altre, sotto l’incantesimo di Autocontrollo. Ma ora… non posso più fingere… ignorare…”
    “Quando a Ghoia hai spezzato i tuoi blocchi mentali, anche quello è…”
    “In parte.” Yuzo spostò lo sguardo e inspirò a fondo. Accennò un mezzo sorriso e gli confessò le sue sensazioni. “E’ forte. La sua presenza, il suo istinto sono molto forti, più di quello che avessi mai pensato. Quando combatto sento che spinge per avere il comando. Non è facile sfruttarne la potenza solo un po’ alla volta. Quando sono sopraffatto dalla rabbia mi sembra di arrivare al limite che ci separa.” Prese fiato, ancora. “Dovrebbe toccarmi la stessa sorte di Natureza.”
    “E tu vuoi farmi credere che se ti estirpassero i poteri o se te li sigillassero come avviene a Raj tu non cercheresti la fine come ha fatto lui?!” Il tono di Mamoru era concitato, arrabbiato. Cercò di non alzare la voce per non farsi sentire, ma quando Yuzo non rispose gli strinse istintivamente la mano ed emise uno sbuffo teso. Poi addolcì il proprio atteggiamento stemperando l’asprezza e cercando una soluzione. “Ascolta. Non so in quanti abbiano davvero capito la pericolosità di tutto questo e di certo non saremo noi a metterla in piazza. Inoltre, presto la pietra ti verrà tolta e con i vostri incantesimi potrete rafforzare il sigillo dietro cui resta chiuso l’Inconscio. Nessuno potrà scioglierlo e l’aggressività che hai assorbito la controlleremo.”
    “La controlleremo?” ironizzò Yuzo, calcando volutamente sul plurale, ma Mamoru non si scompose, anzi. Ribadì il concetto. Occhi negli occhi.
    “Sì. La controlleremo. Insieme. Ti aiuterò io.” La sua determinazione colpì l’alastro che incassò il colpo. “Non faccio promesse a vanvera e non ho di certo dimenticato quella che ho scambiato con te.”
    Gli occhi del volante si fecero lucidi e li distolse affinché l’altro non li vedesse, ma invano.
    Mamoru si ritrovò a sorridere, questa volta con sincerità. Il suo uccellino aveva ancora bisogno di lui, così come lui sapeva di aver bisogno di Yuzo. C’era poco da fare, ne era cosciente ormai.
    Mamoru gli poggiò una mano sulla guancia, cancellando una lacrima che, chissà come, era sfuggita al controllo e tentò di risollevare il suo spirito.
    “Ehi, forza. Non c’è motivo di essere tristi, adesso. La guerra è finita. Siamo tutti e quattro vivi. Abbiamo scritto la storia.”
    Yuzo osservò il suo entusiasmo e non rifuggì il tocco del compagno, ma si lasciò contagiare. Il sorriso si affacciò incerto alle labbra, prima di allargarsi e snudare i denti.
    “Sì, l’abbiamo scritta” convenne. I suoi occhi cercarono Hajime e Teppei che vide, più distanti, prestarsi soccorso a vicenda. Anche loro sorridevano.
    Avevano fatto la differenza e ne erano usciti.
    Andava tutto bene, no?
    Sarebbe andato tutto bene.
    Yuzo se ne convinse, anche se poteva sembrare difficile, eppure aveva affrontato tantissime difficoltà che aveva creduto fossero insormontabili; una in più non faceva differenza, avrebbe superato anche quella. Non era da solo.
    D’improvviso, un filo di luce riuscì a toccare terra, creando una striscia incorporea ma visibile. Yuzo sollevò il capo e il suo sguardo si perse nel cielo dove la spessa coltre di nubi aveva iniziato a sfaldarsi.
    “Guarda…”, disse a Mamoru, “sta tornando il sole.”
    I raggi fecero capolino e uno si posò, indisturbato, sulle loro mani ancora unite.

    “I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    not the end and not the start /
    non alla fine e non al principio.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    not the earth and not the stars /
    non alla terra e non alle stelle.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    not the day and not the dark /
    non al giorno e non al buio.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    but the beating of our hearts /
    tranne al battito dei nostri cuori.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    one hundred suns until we part /
    mancano cento giorni alla nostra separazione.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    not in satan, not in god /
    non in satana né in dio.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    not in peace and not in war /
    non alla pace e non alla Guerra.
    I believe in nothing /
    Non credo in nulla,
    but the truth of who we are /
    tranne alla verità di chi siamo.

    30 Seconds to MarsThis is War

     

    E la chiamano Guerra, la chiamano Guerra
    quel sanguinario scannarsi per un pezzo di terra,
    per un ideale fasullo, una fede, un valore
    che in una vita nasce e in un secondo muore.

     


    [1]“SAPKE… SET”: “Che l’aria rifugga le mie mani ove il vuoto divorerà le fiamme di cui non sarà mai sazio.”
    (sapke = sazio, ilu = mai, satir = sarà, nehin = non, dohi = cui, na = di, furei = fiamme, he = le, gavir = divorerà, vuoto = tùon, hel = il, meri = dove, kirai = mani, muni = mie, he = le, fugit = rifugga, balisha = aria, he = la, set = che)

    [2]“VOLUTIA… MAI”: “Io sono la mano che richiama l’ombra e il soffio che le dà vita. Risorgano coloro che non possono più morire e siano l’arma del mio volere.”
    (volutia = volere, munc = mio, nal = del, gunno = arma, he = la, sati = siano, o = e, moris = morire, mailu = più, kenné = possono, nehin = non, set = che, deshi = coloro, surendan = risorgano, veis = vita, dé = dà, he = le, set = che, fui = soffio, hel = il, o = e, sumbra = ombra, he = la, shamal = richiama, set = che, kira = mano, he = la, saté = sono, mai = io)


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Finisce così la Grande Guerra che ha accompagnato la lunghissima stesura di questa storia e che le ha anche dato il titolo!!! X3333
    Il Nero è stato sconfitto, ma gli Stregoni non sono stati annientati anche se hanno subito una gravissima disfatta.
    La Chiave ha mostrato il suo potere, gli Ozora hanno vinto e agli Elementi non resta che ricominciare proprio da lì, da quel momento priciso.
    Il sole è nuovamente tornato sulle Terre del Nord.
    Il prossimo sarà il penultimo aggiornamento - e quindi 'ultimo' capitolo prima dell'Epilogo - e io ne approfitto per continuare a mettere online i nuovi volumi della "Enciclopedia Elementale"! A fondo pagina troverete, infatti, il Volume Nono dedicato alle Sacerdotesse Elementali e agli Elementi Eterni! :D Un modo per conoscere meglio il tanto odiato ordine di fanatiche XD
    E in più aggiornata anche la raccolta di Fanart con un disegnino che raffigura le madri di Yuzo e Mamoru. Penso che per la prossima storia disegnerò anche i genitori di Hajime e Teppei! *w*

    Oramai siamo davvero alle battute finali, quindi, grazie ancora per essere con me in questi ultimi aggiornamenti! :D


    Galleria di Fanart (NUOVA IMMAGINE!!!)

    - Madri - Sakura&Arya

    Enciclopedia Elementale (AGGIUNTO IL NONO VOLUME!!!):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki


  • 8) Enciclopedia Elementale - Volume Ottavo: Gli Stregoni di Huria

  • Capitolo 1: Storia
  • Capitolo 2: Gerarchia Stregonesca


  • 9) Enciclopedia Elementale - Volume Nono: Le Sacerdotesse Elementali e gli Elementi Eterni

  • Capitolo 1: L'Ordine Sacerdotale
  • Capitolo 2: Gli Elementi Eterni
  • Capitolo 3: Le Sacerdotesse Elementali
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    Capitolo 55
    *** 17 - Nuovo sole sulle Terre del Nord ***


    ELEMENTIA
    - The War -





    CAPITOLO 17: Nuovo sole sulle Terre del Nord

    Lingua di Serpe – Regno degli Ozora, confine con le Terre del Nord

    “Elemento Izawa, ma io che cosa vi avevo espressamente raccomandato?!”
    Il Naturalista Elementale levò per l’ennesima volta lo sguardo al cielo. Aveva quell’aria rassegnata di chi sapeva che se avesse parlato con un muro, questi gli avrebbe dato maggiore soddisfazione. Con movimenti svogliati prese una fiala, dove un liquido che tracciava deboli scie rosso scuro nell’acqua restava sospeso al suo interno, e la agitò. Poi la porse a Mamoru, stringendo gli occhi e tendendo le labbra quasi fossero delle linee. “Niente incantesimi. Niente. No. Nemmeno mezzo. Neanche a pensarli, è chiaro? Il vostro spirito ha subito lacerazioni gravissime durante lo scontro con il Nero, ma se continuate a fare di testa vostra, non guarirete mai e a lungo andare finirete col risentirne. Gravemente.” Ci tenne a sottolineare il medico.
    Mamoru non si premurò di nascondere la noia con cui ascoltava le sue infinite chiacchiere, anzi, ruotò addirittura gli occhi al cielo. Eppure prese l’ennesimo rimedio che l’uomo gli stava offrendo buttandolo giù senza aggiungere altro.
    “Adesso voi mi starete a sentire per l’ennesima volta e farete in modo che sia quella definitiva: tra pochi giorni partirete per tornare a Raskal, bene, in questi mesi di viaggio vi proibisco tassativamente – e mi premurerò di dirlo anche ai vostri compagni – di fare magie. Proibito. Neanche una scintillina sfuggita per sbaglio. Ci siamo capiti?”
    Il ‘sì’ dell’interpellato fu un palese sbuffo che il medico si fece bastare, tanto ormai c’era abituato.
    Mentre usciva dalla tenda dell’uomo a Mamoru venne da ridere. Aveva una strana sensazione di già visto, già vissuto, solo che quella volta si era trovato a Sendai. Per quanto le esperienze l’avessero messo di fronte a scelte e sacrifici, certe cose non sarebbero proprio mai cambiate.
    “Hai finito di farlo esasperare?”
    La voce di Yuzo comparve al suo fianco dove lo trovò, appoggiato al palo della tenda medica allestita nell’accampamento degli Ozora, anche se ormai la battaglia era finita ed erano trascorsi almeno cinque mesi per cui non c’era più motivo di parlare di fazioni.
    “Sto benissimo.”
    “Staresti anche meglio se gli dessi ascolto.” Il volante si diede una leggera spinta per raggiungerlo. “Se non facessi di testa tua come ormai siamo abituati, di certo non dovresti ricorrere a quei rimedi ogni tre giorni.”
    Mamoru si inorgoglì e allargò le braccia. “Vedi qualche ferita, per caso? Sono guarito.”
    “Oh, il tuo corpo sì.” Yuzo gli poggiò una mano sul petto con quella naturalezza e confidenza che la Fiamma permetteva solo a lui, al Tritone e al tyrano, ma la sensazione che il tocco del voltante gli provocava era sempre diversa da qualsiasi altra. “Ma il tuo spirito è ridotto a un colabrodo e non devo essere io a ricordartelo, quindi, fai contento il Naturalista e anche me: dagli ascolto.”
    “Me lo stai chiedendo, per caso?” Mamoru inarcò un sopracciglio non sottraendosi alle sue dita che, invece, si ritrassero spontaneamente.
    “Lo faccio praticamente tutti i giorni. Mi domando come tu non ti sia ancora stancato di sentirtelo ripetere e, a pensarci bene, non mi hai ancora mandato a quel paese. La tua soglia di sopportazione ha fatto passi da gigante.”
    La Fiamma si portò le mani ai fianchi, assottigliando lo sguardo con fare minaccioso. “Mi stai sfottendo?”
    Ironicamente, Yuzo sgranò i begli occhi nocciola. “Ops.”
    “Che stronzo.”
    Sbottarono a ridere entrambi.
    Avevano ripreso a farlo da un po’, ridere, da che la guerra era finita, e a volte gli sembrava che fosse così fuori luogo che si interrompevano all’improvviso, guardandosi intorno e sentendosi addirittura in imbarazzo.
    C’erano feriti molto gravi che venivano curati costantemente e che, a poco a poco, venivano spostati appena si rendeva possibile il loro trasferimento.
    Le prime esequie per i compagni caduti si erano svolte dopo due mesi. C’era voluta un’infinità per riuscire a recuperare tutti i corpi e tentare di dividerli tra Elementi, soldati, Stregoni e legionari. Un lavoro certosino e straziante cui nessuno di loro si era risparmiato.
    I Master avevano tentato di tenerli fuori, adducendo al fatto che avessero già fatto fin troppo, ma Yuzo era stato il primo a impuntarsi: quelli erano i suoi fratelli d’Aria, erano gli amici delle persone a lui care, erano soldati che si erano battuti con onore; il tempo di riposarsi lo avrebbe trovato alla fine di tutto quello. Mamoru, Hajime e Teppei erano stati dalla sua parte, ovviamente, irremovibili.
    Yuzo aveva così scoperto di aver perduto centotredici compagni, Hajime e Teppei rispettivamente centotrentaquattro e duecentodieci, Mamoru centonovantadue. I soldati dell’armata, purtroppo, furono le vittime maggiori. Gli Elementi persero il conto intorno agli ottomila. Gli Stregoni furono circa un migliaio; era risaputo che Huria fosse la Scuola di Magia più grande di Elementia. I legionari ben più di dodicimila unità accertate e dopo anche il loro conto fu perduto.
    Dopotutto, il bilancio non era così rilevante come appariva, ciò che contava era segnare ogni singolo nome, tenerlo appuntato con precisione e poter avvertire le famiglie una volta che la delegazione reale fosse rientrata a Raskal.
    La notizia della vittoria era già arrivata ovunque, ma il popolo aveva bisogno di sapere chi non sarebbe più tornato a casa; chi, per quella vittoria, era morto.
    I funerali furono celebrati per tutti, su volere diretto del Re Koudai. Legionari e soldati, Elementi e Stregoni. Per un attimo, in quel lungo giorno di lutto, furono tutti uguali, poi ognuno – soprattutto i cadaveri degli Elementi – fu affidato alle delegazioni delle rispettive scuole affinché venissero riportati alle proprie città per celebrare i riti dei rispettivi credo.
    Mamoru si era rifiutato di rientrare a Fyar Major quando Magister Gentile gli aveva proposto di guidare la delegazione funebre e non fu il solo. Hajime, Teppei, Yuzo. Uno dopo l’altro risposero con un secco ‘no’ all’invito ad abbandonare la Lingua di Serpe. C’era ancora molto da fare, si erano giustificati Hajime e Teppei e volevano essere d’aiuto il più a lungo possibile; Yuzo, invece, aveva già dato il suo saluto ai compagni lì, in quella piana. Era inutile tornare ad Alastra per poi ripartire alla volta di Raskal perché, sì, tutti e quattro avevano ricevuto l’ordine di tornare alla Capitale assieme al Principe Tsubasa.
    Nel cuore pulsante delle Terre Centrali i preparativi per l’incoronazione erano di nuovo ripartiti e questa volta nulla avrebbe potuto interromperli, così come i preparativi nuziali dove – si era saputo solo successivamente – la futura Regina Sanae Nakazawa, del Dogato di Nankatsu, era sempre stata al corrente del mancato arrivo del futuro sposo grazie a una missiva che il giovane le aveva fatto segretissimamente recapitare e in cui le spiegava ogni cosa e la pregava di non farne parola con nessuno.
    Così, tra sorrisi che a volte venivano soffocati quasi con terrore e tentativi di tornare a riprendere il corso di una vita normale, Aria, Acqua, Terra e Fuoco erano rimasti alla Lingua di Serpe.
    “E tu stai bene?”
    Mamoru conosceva già la risposta, poiché aveva sempre continuato, molto silenziosamente, a vegliare sull’uccellino, un po’ come l’uccellino, meno silenziosamente, faceva nei suoi confronti.
    Yuzo aprì e chiuse la mano, guardando la chiara cicatrice che segnava palmo e dorso. “Sì, ormai non mi dà problemi. Al massimo sarà un buon indicatore meteorologico più avanti.” Sorrise.
    Senza accorgersene presero a camminare lungo il campo, anche se non avevano un luogo preciso cui dirigersi. “Anche Hajime e Teppei ormai sono completamente ristabiliti. Devi vederlo Teppei come solleva pesi a destra e a manca e lì Hajime che lo prende in giro.”
    Anche Mamoru sorrise ripensando a scene cui aveva assistito in prima persona. Teppei aveva davvero la tempra più dura che avesse mai visto e quando si erano ritrovati alla fine dello scontro e gli aveva raccontato d’aver usato di nuovo il siero di zaikotto, lui aveva scosso il capo in maniera rassegnata. Teppei se la rideva come non fosse accaduto nulla di particolare, ma dietro ogni parola o mimica aveva notato quanto fosse cambiato. Quanto tutti loro fossero cambiati. Tendevano a camuffare quelli che erano stati i reali sentimenti verso quei momenti terribili, ma andava bene così, per ora. Avrebbero avuto tempo per imparare a conviverci e a ritrovare, seppur in parte, quella sincera serenità che adesso credevano fosse irrecuperabile, ma anche l’irrecuperabile lasciava briciole nella sua fuga. Le avrebbero raccolte, ricomposto i pezzi, trovato un nuovo ordine.
    “Hai saputo?” Yuzo gli parlò di nuovo, fermando il loro passo. “Il Re Koudai resterà al Nord.”
    Mamoru non nascose un’espressione di pura sorpresa. “Chi te lo ha detto?”
    Il sorriso ironico tornò ad arricciare le labbra del volante, mentre cercava di trattenersi. “Mi sono solo trovato nel posto giusto al momento giusto.”
    “Ah! Hai origliato?”
    “Puro caso.”
    Yuzo sospirò. Lo sguardo spostato lontano, al campo di battaglia, che aveva delle specie di percorsi tracciati attraverso i quali ci si spostava da una parte all’altra della piana. Eppure non c’era più alcun pericolo, ma i superstiti sembravano avere timore, rispetto o forse solo dolore a camminare su quel terreno ancora sporco di sangue.
    “Si sente responsabile di quello che è avvenuto con le genti che lo popolano. Li ha trascurati per così tanto tempo e vuole rimediare. Per questo tornerà con noi a Raskal, per effettuare il passaggio di consegne, e poi rientrerà qui. Non vuole più che gli abitanti di queste Terre vedano la sua famiglia come un nemico.”
    Cinicamente, Mamoru si strinse nelle spalle. “Auguri.”
    “Non essere così sprezzante.” Yuzo non lo disse con rimprovero e la Fiamma lo comprese. Abbassò quindi il capo e diede un calcio a un sassolino, spostandolo più lontano. “Bisogna pur ricominciare in qualche modo, perché non farlo da qui? Molto presto arriverà la pioggia e tutto questo sangue verrà lavato via.”
    Mamoru sbuffò una smorfia, guardandolo con la sua solita ironia. Per fortuna come c’erano delle cose di sé che non cambiavano, c’erano anche delle cose di Yuzo che restavano costanti ed erano le migliori, secondo lui.
    “E poi?”
    “E poi tornerà il sole.” Il volante sorrise. La cosa che non sarebbe mai cambiata. “Tu sei pronto per ripartire?”
    “Ho viaggiato così tanto che la sola idea di rimettermi in sella non mi fa saltare di gioia, però, sì. Sono pronto. Tu?”
    “I bagagli sono già chiusi.”
    Mamoru inspirò a fondo, portandosi teatralmente una mano al petto. “Fama e gloria, stiamo arrivando.”
    La loro conversazione venne interrotta proprio in quel momento. La Fiamma riconobbe nel giovane Elemento d’Aria quello incontrato durante la battaglia finale.
    “Perdonate l’intrusione.” Takeshi si profuse in un inchino di scuse, poi guardò il volante. “Yuzo, avremmo bisogno di una mano, potresti aiutarci?”
    “Ma certo.” L’uccellino continuava a non tirarsi mai indietro, qualsiasi cosa gli si chiedesse, anche quello, per fortuna, non sarebbe mai cambiato di lui e Mamoru sorrise anche se avrebbe preferito restare ancora con lui a parlare, solo un altro po’, anche per dire stupidaggini, ma il giovane si volse e si congedò dandogli appuntamento a più tardi. Si sarebbero ritrovati per pranzo insieme con Hajime e Teppei. Lui annuì e lo vide andare via.
    Osservando la sua schiena si chiese quanto davvero fosse pronto per rientrare a Raskal, quanto davvero fosse pronto ad affrontare la festa che li avrebbe attesi, lo sposalizio, l’incoronazione e… il dopo.
    Quando le luci si sarebbero spente, cosa sarebbe accaduto?
    Perché se lì, nella Lingua di Serpe, aveva la certezza di poter restare al suo fianco, una volta che si fossero trovati a Raskal quali certezze avrebbe avuto?
    Nemmeno di quello aveva mai avuto modo, tempo o forse coraggio di parlare.
    “Che ne sarà?” domandò piano, l’amaro alla bocca; forse era colpa della medicina del Naturalista. “Che ne sarà di noi?”
    Anche lui avrebbe dovuto ricominciare, proprio come dopo la pioggia tornava il sole.
    Il suo sguardo cercò l’astro che adesso sembrava splendere come non avesse mai abbandonato quelle terre. Si schermò con una mano. Quel sole era così fastidioso.
    “Forse preferisco che piova ancora.”

    Tsubasa restava fermo sul rialzo di roccia.
    Conosceva la simbolica importanza di quel luogo: era da lì che ogni strategia era stata decisa, da lì che erano partiti gli ordini, da lì che suo padre aveva vegliato sui suoi uomini mentre il massacro prendeva corpo. Sempre da lì avrebbe iniziato a dare forma al mondo nuovo che sarebbe nato dai resti della battaglia.
    Ryo restava costantemente al suo fianco, anche se avrebbe potuto andarsene a bighellonare per l’accampamento. La Chiave preferiva però stargli vicino e per Tsubasa era stata un sostegno insostituibile; per quanto fosse una semidivinità, lui la considerava come il primo, vero amico che avesse mai avuto e averlo accanto nei momenti più duri gli era stato di conforto più di quanto avesse potuto immaginare. Presto, quando sarebbe stato incoronato Re, Ryo sarebbe stato presentato al popolo per ciò che era davvero.
    Il giovane in questione, anche se non lo diceva apertamente nascondendosi dietro momenti di improvvisa altezzosità e egocentrismo, era un po’ intimorito dalla cosa. Per anni era stato abituato a vestire i panni di un semplice ‘accompagnatore’ e a conoscere la verità erano stati in pochi, troppo pochi rispetto alla moltitudine che lo avrebbe atteso. Anche ora, al campo, per quanto non ci fosse stato alcun comunicato ufficiale e ciò che circolavano erano solo racconti di chi ‘aveva visto’, molti avevano già iniziato a capire che lui fosse la Chiave Elementale e il modo in cui lo guardavano e gli rivolgevano reverenze, se da un lato lo faceva sentire pieno di orgoglio, dall’altro lo metteva a disagio.
    Tsubasa aveva sempre pensato che si sarebbe trattato solo di abituarsi. E considerato l’ego di Ryo non ci avrebbe messo troppo.
    Ad ogni modo, proprio per il significato profondo di quel rialzo, aveva deciso di accogliere lì la delegazione consolare in arrivo da Bachchalaarya. Non ci sarebbe stato il Consiglio al completo, ma solo una metà, mentre l’altra metà era già alla capitale per sostenere la Regina Natsuko.
    Per quanto non fosse stato eletto ancora ufficialmente Re, suo padre gli aveva già affidato la maggior parte dei compiti che da Raskal in poi l’avrebbero atteso e il giovane non si era tirato indietro, mostrando una propensione al comando perfettamente naturale e forte.
    “Vostra Altezza.”
    Master Misugi atterrò con eleganza alle spalle del Principe.
    “I Consoli sono arrivati” annunciò l’Airone di Cristallo e Tsubasa lo guardò con attenzione.
    “Come state, Master?”
    L’altro parve sorpreso da quella domanda, ma seppe subito come mimetizzare le proprie reazioni. “Bene, Vostra Altezza. Mi sono già ristabilito.”
    “Sappiamo entrambi che non è così.”
    Provare a ingannare il Principe era decisamente fuori questione, eppure il giovane non lo stava rimproverando.
    “Non trascurate la vostra salute, avete delle grandi responsabilità sulle spalle. E lo sappiamo tutti e due.”
    Master Misugi non rispose, ma comprese perfettamente le parole del giovane Ozora. Si limitò ad accennare un inchino e a farsi da parte. L’attimo dopo il Console della Terra, Tatsuo Mikami, fece la sua comparsa  accompagnato dal Console dell’Aria, Tadashi Shiroyama.
    “Convincere il Console Kitazume a restare a Raskal è stata una vera impresa, Vostra Altezza” esordì l’anziano tyrano, accennando un sorriso cui il giovane rispose.
    “Non stento a crederlo.”
    Entrambe le alte cariche elementali rivolsero una profonda riverenza e il saluto tipico nei riguardi della Chiave.
    “E’ un vero piacere vedere che state bene, giovane Principe.” Lo sguardo di Tadashi esprimeva chiaramente la sincerità delle sue parole e lui gli sorrise.
    “Vi ringrazio, Console. Se non fosse stato per i quattro giovani che hanno viaggiato in lungo e in largo per queste terre e sono rimasti al mio fianco fino alla fine della battaglia, non credo sarei qui ora.”
    “Era il loro compito.” Tatsuo cercò di essere più pratico, ma la ruga al lato del labbro mostrava quanto in realtà fosse orgoglioso del lavoro svolto dagli Elementi. “Avremo tempo di parlare anche di questo. Ora bisogna organizzare il vostro rientro, l’incoronazione e il momento in cui mostrerete la Chiave al mondo.” Si guardò intorno un po’ perplesso. “A dire il vero vorrei scambiare due parole anche con vostro padre, ma non lo vedo…”
    “Calma, calma, Console Mikami. C’è tempo. Avete affrontato un lungo viaggio per arrivare fin qui, è giusto che vi riposiate un po’. Dopo parleremo di tutto ciò che desiderate, ma ora lasciate che vi offra qualcosa per darvi ristoro.” Tsubasa sollevò le mani per fermare il pragmatismo che sempre aveva contraddistinto Tatsuo Mikami.
    Quest’ultimo parve capitolare, seppur con una certa riluttanza, però era ansioso di parlare anche con Genzo. L’aveva intravisto assieme al suo enorme quanto permaloso golkorhas, voleva sapere le sue impressioni sulla vicenda. E poi il peso dell’età iniziava davvero a farsi sentire. Lui e Kitazume erano i più anziani tra i quattro.
    Mh, forse sì. Forse è il caso di riposarsi un po’. A mente fresca si riesce a ragionare meglio. Che ne pensi, Tadashi?”
    “Sono d’accordo.” Shiroyama annuì con un sorriso, quando il Principe si rivolse proprio a lui. Solo in quel momento, quando il giovane lo guardò dritto negli occhi, il Console dell’Aria capì che aveva rinviato ogni cosa di proposito.
    “Console Shiroyama, se volete, perché non raggiungete vostro figlio? Non credo sapesse del vostro arrivo. Potrete trovarlo laggiù.” Indicò una zona più distaccata, dalla quale provenivano latrati e versi bestiali poco rassicuranti. Tsubasa ridacchiò. “Aiuta gli Erboristi e i Naturalisti Animali con alcuni kamalocha feriti che abbiamo trovato sul campo di battaglia.”
    Tadashi strabuzzò gli occhi. “Kamalocha?!”
    “Sì.” Tsubasa si strinse nelle spalle. “Sembra che gli piacciano.”
    Tadashi non riuscì a trattenere una mezza risata, un po’ rassegnata e un po’ paterna. Chinò leggermente il capo in segno di gratitudine e si congedò.
    Anche se l’aveva visto davvero di rado e quando era poco più di un bambino, Tadashi comprese che il Principe Tsubasa era davvero la persona speciale che tutti credevano che fosse.

    “Buono! Stai buono!”
    Il Naturalista Animale tolse l’ago con un moto di stizza dopo aver iniettato un antibiotico a un kamalocha dal pessimo carattere. Aveva una delle sei ali tranciata di netto e un’altra seriamente ferita, in più presentava tagli sul ventre. Niente di troppo profondo, ma facilmente infettabile. Di sicuro sarebbe stato in grado di volare ancora, ma solo dopo aver ricevuto le cure necessarie. Peccato non volesse essere toccato.
    “Ecco fatto. C’era bisogno di fare tutte queste storie?! Tsk! Mi domando per quale diamine di motivo perdiamo tempo dietro queste stupide bestiacce! Con tutte le persone che hanno ucciso, meriterebbero di fare la stessa fine!”
    L’Erborista al suo fianco andò su tutte le furie. “E ti fai chiamare ‘medico’?!” sbottò di rimando, lanciandogli un’occhiata assassina. “Questi animali sono stati strappati dal loro ambiente naturale! Sono vittime, tanto quanto gli altri!”
    Il Naturalista ruotò gli occhi. Ormai aveva sentito quella solfa da parte degli Erboristi e altri medici animali decine e decine di volte, tanto che non rispose nemmeno. Agitò una mano in segno di noncuranza e si allontanò per dedicarsi, secondo lui, ai cavalli che meritavano maggiormente le sue cure.
    L’Erborista gli fece una smorfia. “Presuntuoso del cazzo!”
    Yuzo sorrise. “Non prendertela, Hiroya.”
    “Non dovrei? Quel Kawakami(1) è solo un pallone gonfiato!” Shimada(2) passò una mano sul ventre della bestia. Gli avevano legato le zampe e tenuto ferma la coda affinché non tentasse di infilzarli. Il muso era stato chiuso per evitare che la lingua acida uscisse all’esterno, ma aveva una possibilità di gioco necessaria per dargli del cibo. Purtroppo, per quanto si cercasse di aiutarli, bisognava prendere delle precauzioni e sedarli di continuo avrebbe potuto far loro del male.
    “Nemmeno a me piace, ma l’importante è che continui a curarlo.” Yuzo fece lo stesso gesto di Shimada e l’animale sembrò agitarsi di meno. “Dopotutto, se ci fai caso, brontola brontola… ma alla fine lo visita lo stesso.”
    L’altro piegò le labbra in una smorfia. “Mh, è vero.” Poi allargò un ampio sorriso, cambiando discorso. “Certo che ci sai proprio fare!” Osservò come il kamalocha cessasse di dimenarsi appena Yuzo gli toccava il ventre dal piumaggio morbido e verde. Era sempre nervoso, ma appariva più tollerante. “Hai detto che ad Alastra ti occupavi delle phaluat, vero?”
    “Sì.” Il volante sorrise.
    Phaluat. Oddee, quanto era che non ne vedeva una? Sembravano passati secoli. Chissà come se la stava cavando Magister Matilda senza di lui.
    “Si vede, diavolo! Devi averci una specie di dono naturale! Di solito siamo noi Erboristi che risultiamo particolarmente simpatici agli animali. È come se tendessero a fidarsi di noi più che degli altri esseri umani, forse perché siamo molto più in contatto con la natura rispetto agli Elementi.” Shimada aveva un entusiasmo molto forte e contagioso. Credeva davvero in ciò che faceva e lo amava in maniera profonda. Per lui non era importante ciò per cui erano stati usati i kamalocha: erano animali e avevano bisogno di aiuto, poiché feriti.
    Yuzo pensò alle sue parole e si ritrovò a inarcare il sopracciglio, abbozzando un sorriso. “Mia madre era un’Erborista.”
    “E allora l’hai ereditato, fratello!” La cosa sembrò galvanizzarlo tantissimo. “Adesso devo passare a trovare un altro di questi bestioni. Ti spiace se ti lascio da solo? Tanto te la stai cavando alla grande! Basta che non si agiti troppo; se si rilassa, la medicina farà più effetto.”
    Il volante rise, scuotendo il capo. “Va’ pure, non preoccuparti. Ci penso io.”
    Hiroya gli mollò una vigorosa pacca sulla spalla e se ne andò, fischiettando addirittura.
    Yuzo pensò che fosse un tipo davvero singolare, ma non gli dispiaceva affatto. Purtroppo, nel momento in cui si allontanò, il kamalocha sembrò avvertire il distacco dall’Erborista e iniziò ad agitarsi. Tentò di sbattere le ali e un verso acuto, quasi piangente, gli sfuggì dalla bocca chiusa.
    “Ehi, no, no!” Yuzo fece scivolare la mano fino al collo, ma il suo ascendente era molto meno forte di quello di Shimada. Le dita camminarono sulle squame nere che erano lisce al tatto, simili a quelle di un rettile. “Va tutto bene, ‘sta calmo… calmo…”
    Di solito, quando parlava con le phaluat funzionava e se erano agitate tendevano a calmarsi. Soprattutto quando provava a cantare in loro compagnia. Il canto era un elemento di unione con quel tipo di animali, ma con un kamalocha la melodia non c’entrava nulla.
    Yuzo fissò l’occhio camaleontico della bestia che continuava a girare come impazzito in ogni direzione. Il corpo percorso da spasmi e tentativi di spezzare le catene e le corde che lo tenevano immobile. Un altro pianto.
    Il volante poggiò entrambe le mani sul suo collo, facendole scivolare adagio, come per farlo abituare alla sua presenza.
    “A nessuno piace restare in catene, lo so.” Gli disse piano, con un tono più intimo e basso, come se quello dovesse restare un discorso solo loro. “Sembra una punizione, vero? Pensi che non sei nato per questo, per rimanere legato e a terra, contro la tua volontà. Vorresti solo volare via.” Le narici sbuffarono, irrequiete, ma il corpo sembrò perdere lo stimolo a combattere. “Lo farai presto. Lo farai. E tornerai a casa.”
    L’occhio si fermò, cercò il suo e rimase immobile. Di sicuro non c’era comprensione verso la lingua degli uomini, ma il kamalocha poteva sentire, oltre i suoni diversi dai suoi, l’energia che proveniva dall’umano, e poteva scambiare con lui un contatto visivo, avvertirne l’odore. Ogni segnale sembrava spiegare al suo cervello che non c’era nulla da temere, che quell’umano era diverso dagli altri che gli erano balzati in groppa e non si erano curati di lui, ma gli avevano imposto dei comandi, un lavoro da compiere. Era diverso, ma anche simile, però a sé stesso.
    “Non è colpa tua.” Yuzo fissava la sferula scura del suo occhio e questa restava su di lui. La mano aveva assunto un movimento ritmico e sempre uguale che potesse rendere sicuro l’animale e a suo agio. Aveva smesso di agitarsi. “Se il tuo istinto è forte e feroce, non è colpa tua. È la tua natura.” Yuzo parlava al kamalocha, ma in realtà era come se stesse parlando a sé stesso, era come se stesse imparando ad accettarsi per quello che aveva capito di essere. “La nostra.”
    La bestia rilassò i muscoli tesi del collo e lo appoggiò del tutto al suolo, mettendosi finalmente a riposare. Aveva deciso di fidarsi dell’impressione che avvertiva, sbuffò ancora e smise di agitarsi.
    Yuzo sorrise e lo carezzò un'ultima volta prima di lasciarlo andare.
    “Se raccontassi a Magister Matilda che sei capace di tenere buono anche un kamalocha, non penso mi crederebbe.”
    Quella voce giunse chiara alle sue spalle e così familiare che il giovane si volse di scatto, convinto d’esser stato ingannato dal suo stesso udito. Nel gesto, l’orecchino oscillò con forza toccandogli il collo e rendendo ancora più vero ciò che stava vedendo.
    Tadashi aveva le mani intrecciate in grembo e il solito sorriso quieto che cercava di trattenere strenuamente quanto fosse emozionato di vederlo. Non solo di vederlo vivo, ma proprio di vederlo, letteralmente. Suo figlio era partito un anno e mezzo prima da Alastra e l’ultima volta che lo aveva incontrato risaliva a molto, molto tempo prima. Forse l’anno precedente. A conti fatti non si vedevano da due anni e mezzo.
    “Padre…” Yuzo avvertì la bocca divenire arida all’improvviso. Dire che era sorpreso era dire poco, ma molto più di tutto era felice. Felice come non si sentiva da molto tempo. Felice come se non avesse affrontato una battaglia votata al massacro né avesse ucciso. Felice come se non avesse viaggiato per tutto il mondo e avesse conosciuto persone ora fondamentali della sua vita, felice come non fosse innamorato. Eppure aveva fatto tutto questo e forse, la vera felicità che stava provando, non era la sensazione di essere tornato indietro, ma di essere lì, di aver affrontato tutto a testa alta, di essere sopravvissuto, di aver sbagliato e stare ancora pagando ma di poterlo fare senza vergognarsi di guardare suo padre negli occhi. Era felice di poterlo guardare e di lasciare che lo vedesse finalmente uomo.
    “Padre!” Lo raggiunse in passi rapidi, decisi. Un tempo gli sarebbe praticamente corso incontro e invece dei due fu proprio Tadashi quello che per poco non si mise a correre.
    Gli mostrò il sorriso più vivo da che la battaglia era finita e lo abbracciò, ma soprattutto si fece abbracciare e la stretta di suo padre non gli era mai parsa così forte come in quel momento. Era sempre stata protettiva, ma questa volta la sentì commossa, quasi disperata.
    “Dee Misericordiose, fatti guardare.” Tadashi sentì di doversi separare a viva forza o si sarebbe messo a piangere, cosa poco adatta al Console dell’Aria e alle discipline dell’Autocontrollo che tanto venivano decantate. Inspirò a fondo, gonfiò il petto e lo prese saldamente per le braccia. “Ma guarda qui che spalle! E… e sei diventato più alto.”
    Yuzo rise del suo modo di comportarsi un po’ da padre e un po’ da Console senza riuscire a far trovare un equilibrio tra le due cose. Notò come i capelli iniziassero a ingrigire e le rughe sul viso si facessero più profonde. Troppi pensieri e preoccupazioni, di sicuro, in parte anche a causa sua.
    “Solo un po’. Ma… non mi avevano detto che saresti arrivato! Sarei venuto ad accoglierti!”
    Tadashi scosse il capo. “E’ solo una visita piuttosto rapida e informale. Sono con il Console Mikami, ripartiremo assieme a voi alla volta di Raskal. Siamo venuti a vedere con i nostri occhi com’era la situazione e a parlare un po’ col Re Koudai.” Poi agitò una mano e indicò delle rocce lì accanto. “Ma abbiamo tempo per questo, il Principe Tsubasa vuole che ci riposiamo, prima. Vieni, sediamoci. Parliamo un po’.”
    Yuzo lo seguì, accennando un sorriso. “Parlare. Non lo facciamo da parecchio.”
    “Lo so. E’ sempre stata un po’ colpa mia, del resto non c’ero quasi mai.” Tadashi prese posto e non gli importò affatto che la roccia fosse dura o scomoda, incrociò le mani sotto al mento e poggiò i gomiti sulle ginocchia. Con espressione un po’ incredula fissava la bestia quieta. “Giuro che non avrei mai pensato di vedere un kamalocha dal vivo.”
    “Neppure io. E comunque non penso sia colpa di nessuno. Tu avevi degli impegni e io ero un ragazzino difficile.”
    Il Console sbottò a ridere e si girò. “Tu? Difficile? Da quando?”
    “Da quando ho sempre cercato di rifuggire tutto quello che mi feriva.” Yuzo lo guardò con assoluta calma, come se parlare di certe cose non fosse più in grado di fargli del male perché era già andato oltre.
    Tadashi fissò attentamente i suoi occhi e questo non passò inosservato al giovane che seppe sorprenderlo più di quanto si sarebbe mai aspettato.
    “E’ inutile che cerchi, non lo troverai” disse con un accenno di sorriso. “Perché non c’è più.”
    E infatti non c’era. Tadashi non scorse più il muro invalicabile che lo aveva respinto ogni volta aveva tentato di oltrepassarlo per leggergli dentro, più in fondo. Non c’era nulla che gli impedisse di guardare davvero suo figlio, di vedere il vero colore dei suoi occhi o scorgere quanto tra angoscia e consapevolezza si muovesse nel suo animo, ma erano in equilibrio. Sembravano bilanciarsi, o forse era solo Yuzo che aveva capito come muoversi tra di esse nel modo giusto e non lasciarsi sopraffare.
    Il doppio incantesimo di Autocontrollo non aveva lasciato tracce.
    La sua espressione si addolcì. “E’ così. Non lo vedo.”
    “Hai sempre saputo che c’era, anche quando neppure io mi rendevo conto di tenerlo in piedi.”
    Il Console inspirò a fondo, spostando le iridi sulle mani ora abbandonate in grembo. “Diciamo che all’inizio ero convinto di essermi sbagliato. Poi quando ormai avevi dodici anni era divenuto impossibile che io continuassi a ignorarlo. Jinnosuke se n’era accorto ben prima.”
    Yuzo rise sottilmente ripensando con affetto al vecchio guardiano della voliera. “Magister Matilda è sempre stato molto attento con me.”
    “Ti è particolarmente affezionato, lo ammetto.” Il Console guardò il profilo rilassato di suo figlio e si sentì improvvisamente più rilassato anche lui. Se Yuzo si era lasciato alle spalle quel blocco, doveva essere successo qualcosa. Forse proprio quel qualcosa che lui aveva sempre sperato in silenzio in tutti quegli anni. “Cosa ti ha spinto ad affrontarlo?” domandò infine.
    Yuzo seguitò a guardare altrove.
    “Sono stato a Ghoia. Sapevi che ci saremmo passati, non è così?”
    Il suo cuore innalzò una preghiera a Yayoi. “Sì, era una delle tappe del viaggio del Principe.”
    Ci fu una lunga pausa. A Tadashi parve che Yuzo stesse come raccogliendo tutti i pensieri per riuscire a raccontarglieli in maniera più rapida possibile. E infatti fu diretto e senza fronzoli; ogni notizia venne seguita da una pausa più lunga come se ciascun evento fosse fondamentale.
    “Ho conosciuto la zia Haruko. Ho conosciuto l’ultimo brigante. Ho saputo tutta la storia.” Levò lo sguardo al cielo e poi lo abbassò sul kamalocha ancora quieto. “Ho visto i resti del villaggio e sono stato nella mia vera casa. Sono stato al cimitero. E ho visto il quadro.” Una pausa più lunga. “Ho conosciuto i loro nomi. Ho brandito Dolore e Vendetta.” Un’ultima pausa. “Ho fatto arrestare Van Saal.”
    Tadashi drizzò la schiena. Sorrideva. “Lo hai fatto arrestare?”
    “C’è stata una mezza rivolta popolare e lui ha sfidato la persona sbagliata.” Yuzo sorrise e si volse. “Per chissà quale caso delle Dee, in quel momento è arrivato il Doge di Tha Cerròs. Tutte le sue malefatte sono venute a galla e ora non potrà più far del male a nessuno. Ai Briganti è stato riconosciuto il valore della loro resistenza e della difesa di Ghoia.”
    Il Console sorrideva e il suo sguardo era così pieno di orgoglio come non avrebbe saputo dire neppure a parole. Scosse il capo adagio con incredulità. “E’ una bellissima notizia. I tuoi genitori sarebbero-”
    “A questo proposito avrei una richiesta da avanzare.” Yuzo lo interruppe prima che terminasse la frase. Cambiò postura sulla roccia per poterlo guardare meglio e lui lesse una leggera titubanza nei suoi occhi.
    “Qualsiasi cosa.”
    “Ci ho pensato a lungo e non vorrei ferirti né che ti sentissi messo da parte o che pensassi ch’io sia un ingrato a chiedertelo.”
    “E perché dovrei pensare una cosa simile? Non essere sciocco e parla pure.”
    Yuzo si morse appena il labbro, ma glielo chiese senza mai abbassare lo sguardo. “Vorrei… vorrei aggiungere il cognome di mio padre al tuo.” Ci aveva davvero pensato per molto tempo, valutando se fosse corretto nei confronti del suo padre adottivo, ma si era risolto di non poter più rinnegare la propria storia. “Almeno questo io glielo devo, visto che sono arrivato troppo tardi a dar loro giustizia. Vorrei… sentirmi parte della famiglia, anche se ormai non esiste più, e dimostrare che i Morisaki non sono morti con mio padre e mio nonno. Ci sono ancora io.”
    Il sorriso di Tadashi non si incrinò, ma rimase lì, limpido e carico di affetto. Con l’aria di chi l’avrebbe sempre saputa più lunga di lui avvicinò un po’ il viso e disse: “E questo come dovrebbe ferirmi?” I denti vennero snudati appena, mentre gli poggiava una mano sul capo in un gesto affettuoso che forse non avrebbe più dovuto compiere; dopotutto, Yuzo non era più un bambino. Ma gli venne naturale che neppure ci pensò e suo figlio non si ritrasse. “E’ quello che mi sarei sempre aspettato da te una volta che avessi saputo la verità su di loro. Anzi, mi sarei sentito ferito del contrario, invece. Se non me l’avessi chiesto ci sarei rimasto male.” Tadashi si rilassò, tornando a intrecciare le mani in grembo, mentre suo figlio distoglieva lo sguardo e guardava le proprie, di dita.
    La crescita di Yuzo non era solo nelle spalle o nell’altezza, l’aspetto era solo una conseguenza meccanica. La vera crescita la si vedeva anche da quelle piccole cose, dalle consapevolezze e dalle scelte che venivano prese, non sempre piacevoli, e dalla capacità di riconoscere i propri errori.
    Ora, lui non aveva più niente da insegnare a suo figlio, ma forse non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato suo figlio a insegnargli qualcosa. Qualcosa di difficile e doloroso. Qualcosa che forse era troppo gravoso per la schiena di un vent’enne, così come per quella di un cinquant’enne.
    “Sì, i tuoi genitori sarebbero davvero molto orgogliosi di te. Yuzo Morisaki Shiroyama.”
    “Forse non così tanto.”
    Tadashi inclinò leggermente il capo. Suo figlio continuava a fissarsi le dita che si intrecciavano e scioglievano adagio. Non lo guardava, ma lui capì subito dal profilo che qualcosa era cambiato nella serenità di poc’anzi. Le labbra del giovane avevano perso la presa sul sorriso ed ora erano serie.
    “Forse nemmeno tu lo sarai. Non dopo quello che sto per dirti.”
    Tadashi incassò il mento. “Non capisco-”
    “Ho compiuto un disastro.” Diretto, fermo. La voce non vacillò un solo attimo, lo sguardo si levò al kamalocha e lì si fermò. Guardava quell’animale dall’indole feroce che però ora restava quieto davanti a loro. “Seppur non lo facessi ora lo leggeresti comunque nel rapporto stilato da Mamoru-… dall’Elemento Izawa durante l’intero viaggio, quindi preferisco che tu lo sappia da me.”
    “Cosa dovrei sapere?” Tadashi non avrebbe voluto esalarlo con un tono così sussurrato, preoccupato, ma dal modo in cui Yuzo la stava mettendo non si preannunciava nulla di buono. Anzi. Sembrava davvero qualcosa di particolarmente grave.
    Dal canto suo, l’uccellino non aveva fatto altro che pensare anche a quello nei mesi che avevano seguito la battaglia contro il Nero. Aveva pensato a come impostare il discorso, a come spiegarlo, addirittura a quali parole usare, ma ogni volta gli era sembrato sempre un modo per giustificare sé stesso e aveva lasciato perdere. Non avrebbe mai pensato che suo padre sarebbe piombato lì così all’improvviso e se c’era una cosa che aveva imparato in quel viaggio era di affrontare i problemi così come gli si presentavano davanti, senza cercare di aggirarli o fingere di non vederli. Il problema c’era. Il problema era lui.
    “Ho ucciso.”
    Il colpo ebbe la forza di una coltellata nel fianco.
    Tadashi si sentì uno sciocco nel pensare che suo figlio sarebbe rimasto immune da una simile eventualità, ma una guerra restava sempre una guerra, dopotutto, ma per Yuzo doveva essere stato devastante se sentiva di doverglielo dire in prima persona. Assunse un’espressione comprensiva. “Non si può pensare di restare immacolati nel corso di una battaglia-”
    “Ah! La battaglia? Quella è venuta dopo e solo le Dee sanno quanto vorrei si trattasse solo di quello.” Yuzo scosse il capo. “Non eravamo al fronte, ma ancora al Sud. Cercavamo il Principe. Abbiamo incontrato uno Stregone in erba che mi ha lanciato un incantesimo di controllo mentale. Con le mie abilità avrei potuto contrastarlo. Non è stato così.”
    Tadashi si accorse di quanto gli costasse, di quanto male gli facesse anche solo ricordare, figurarsi a dirlo. Dirlo a lui, che era suo padre. Poi, arrivò la mazzata.
    “Ho distrutto tre villaggi. Non me ne rendevo neppure conto. Ho reso orfani centinaia di bambini e ucciso figli davanti agli occhi dei genitori. Chiunque. Chiunque mi capitasse a tiro. Chiunque fosse abbastanza vicino da essere fulminato o infilzato. Il mio vento è stato morte. Forse te ne sarà arrivata voce, di solito queste notizie passano in fretta, ma se hai mai sentito parlare di Sendai e del suo mostro… sappi che stavano parlando di me.” L’alastro si volse e non lo ferì leggere l’orrore negli occhi di suo padre più di quanto l’avesse ferito vivere con il rimorso. “Sono io il Mostro di Sendai.”
    “M-ma… come…”
    Yuzo si strinse nelle spalle. “La magia dello Stregone era imperfetta, ma perfetta per la mia onice, padre. La mia onice.”
    Gli occhi di Tadashi si fecero enormi e stavolta l’orrore non era per suo figlio. “La… pietra?”
    “In risonanza con l’incantesimo, sì. Non potevo contrastarlo.” Yuzo distolse lo sguardo e si passò le mani sulle gambe, sfregandole nervosamente. “Immagino verrà istituita una commissione disciplinare o un processo o quel che sarà, non importa. Accetterò qualsiasi decisione verrà presa. Va bene così. È una mia responsabilità e non intendo rifug-”
    Un sussulto proveniente da suo padre lo interruppe e gli fece volgere lo sguardo. Lo vide piegato in avanti, una mano sugli occhi e nessun incantesimo a nascondere il dolore che erano abituati a mimetizzare. In quel momento, si rese conto che era la prima volta che lo vedeva piangere.
    “Papà…”
    Tadashi si volse di scatto e lo abbracciò forte, quasi avesse voluto soffocarlo, nasconderlo dentro di sé perché nessuno potesse fargli del male.
    “E’ colpa mia! E’ tutta colpa mia!” Lo sentì singhiozzare, lui ne rimase sopraffatto perché non era la reazione che si sarebbe aspettato da lui. Era convinto che lo avrebbe deluso e invece… “Se solo mi fossi comportato più da genitore e meno da Master, non avrei mai permesso che ti mettessero quella dannata maledizione! Avrei dovuto oppormi!”
    “Padre, erano gli ordini-”
    E tu sei mio figlio!” Tadashi lo prese saldamente per il viso, costringendo i loro occhi a restare fissi gli uni negli altri e in quelli di suo padre Yuzo lesse rabbia. Rabbia vera. “Cosa doveva essere più importante?!” Scosse il capo e strinse le labbra. “Questa volta non commetterò lo stesso errore e se qualcuno proverà anche solo ad accusarti di strage, io-”
    “Avevamo detto niente favoritismi.”
    “Me ne frego di quello che avevamo detto! Io non permetterò a nessuno di condannarti per qualcosa di cui non hai colpa. A nessuno! Fosse anche il Re in persona, la Chiave, l’intero Consiglio, Elementia stesso!”
    D’un tratto, al viso di suo padre e al suo tono rabbioso e deciso si sovrapposero quelli di Mamoru. Mamoru gli aveva detto le stesse cose, fatto le stesse promesse. In quel momento, Yuzo si sentì così al sicuro e amato che anche a lui venne da piangere.
    “Io non permetterò… io…  Mi dispiace… mi dispiace non ti ho protetto come avrei dovuto… mi dispiace tanto…”
    Yuzo poggiò la fronte contro quella di suo padre e i suoi occhi versarono lacrime, però sorrideva lo stesso e continuava a farlo nonostante tutto, nonostante le sue mani sarebbero rimaste macchiate per sempre e il suo cuore tarlato da un’aggressività che continuava a scavare per cercare una via d’uscita. Lui si sentiva al sicuro, qualunque cosa fosse accaduta. Piangere e ridere assieme dopotutto aveva un senso.
    “Tu hai fatto molto di più di quanto avessi mai potuto sognare. Grazie. Grazie per essere mio padre.” Sciolse l’abbraccio e si passò rapidamente la manica sugli occhi. “Ora, però, se piangiamo tutti e due, che figura ci facciamo come alastri?”
    “Una pessima, direi.” Tadashi corrugò la fronte, gli occhi rossi e le ultime lacrime che abbandonavano le sue iridi.
    Si guardarono, risero.
    Come il sole dopo la pioggia.

    “Acqua per tutti!” La voce dell’agadiro Takeshi Kishida annunciò finalmente la pausa dei tyrani.
    Hiroshi Jito fece cadere il grosso tronco che portava sulle spalle con un sonoro tonfo, sedendosi pesantemente a terra.
    “Mamma mia, la mia povera schiena.”
    “Reumatismi a quest’età?” Lo prese in giro Shingo Takasugi, accanto a lui. Il gomito poggiato su un altro tronco, messo in verticale. Jito agitò una mano senza replicare, ma allungò l’altra per prendere la tazza metallica che un Elemento d’Acqua gli stava porgendo.
    Teppei mise giù, con più delicatezza, il masso che stava spostando con la telecinesi e vi si sedette sopra a gambe incrociate. Osservò Hajime farsi dappresso con la tazza per lui e una brocca.
    “Si lavora sodo?” domandò l’agadiro appena fu abbastanza vicino.
    “Come tutti i giorni. Dobbiamo allargare il passaggio per facilitare lo spostamento di carri e merci da una parte all’altra. Forse stiamo gettando le basi per il primo prolungamento della Via Crociata qui al Nord.”
    Mh, qualcosa di cui andare orgogliosi.” Gli porse la tazza, ma il giovane non la prese. La guardò e poi levò lo sguardo su di lui.
    Hajime assunse una smorfia minacciosa. “Non provarci.”
    “Eddai, non essere antipatico.”
    “E tu non comportarti da bambino viziato.”
    Teppei drizzò la schiena e sollevò il mento. “Io non sono viziato, sono semplicemente privilegiato.”
    “E da quando?” ironizzò il Tritone.
    “Da quando ho salvato il Principe, il pianeta e, oggettivamente, da quando ti conosco.”
    Lo disse con un tale candore e faccia tosta che alla fine Hajime sbuffò una mezza risata e capitolò; come ultimamente faceva anche troppo spesso. Poggiò al suolo la tazza e la brocca e chiuse le mani a coppa. Quando le riaprì, dell’acqua sgorgava tra esse come una piccola sorgente.
    Teppei allargò un felicissimo sorriso, gli prese le dita e bevve. Bevve direttamente dalle sue mani. Un gesto, tra gli agadiri, considerato di fiducia assoluta e profonda unione.
    Quando si sentì dissetato, il tyrano vi affondò completamente il viso per sciacquarlo. Poi lo lasciò andare e tornò a sorridere. Soddisfatto. “Freschissima. Molto più fresca di quella nella brocca.” L’acqua gocciolava dal naso e dal mento.
    Il Tritone non commentò, ma si limitò a scuotere il capo e a nascondere lo sguardo dietro al ciuffo ribelle, come faceva sempre per non mostrarsi in imbarazzo. Scrollò le mani e queste tornarono perfettamente asciutte. Chiese spazio al compagno e si accomodò anche lui sul masso. Insieme rimasero a guardarsi attorno mentre gli altri tyrani si rinfrescavano a loro volta e si riposavano.
    A Teppei non sfuggì il sorriso pensieroso di Hajime.
    “Cos’hai?”
    “Ho visto Yuzo e suo padre.”
    “Il Console è qui?” Teppei non nascose la sorpresa, mentre l’altro annuiva.
    “C’è anche il Console Mikami, l’ho visto assieme al vostro Master; credo che dopo passerà a salutare anche voi.” Cambiò posizione; la roccia era piuttosto piccola per entrambi e scomoda. “A ogni modo credo che Yuzo abbia detto a suo padre cosa è accaduto a Sendai.”
    Teppei annuì, spostando lo sguardo altrove. Parlò con tono fiducioso. “Andrà bene. Yuzo ne verrà fuori, ne sono sicuro.”
    “Sempre ottimista, vedo.”
    “Non dovrei esserlo? Ora che l’Ordine sarà fatto a pezzi, anche questo andrà a posto. Dopotutto, non è Yuzo l’assassino, ma loro che gli hanno messo quella dannata pietra. Quindi, sì, sono ottimista.” Prese un respiro più profondo e continuò a sorridere, anche se le sue parole avevano una sfumatura amara. “Lo sono anche quando chiudo gli occhi e vedo i miei compagni diventare di roccia e tornare polvere. Lo sono perché devo esserlo. Per loro.”
    Hajime sospirò. “Ne abbiamo persi tanti.”
    “Maledettamente tanti.” Lo corresse l’amico. “Ma sono ottimista. Porteremo noi la loro memoria.”
    Il Tritone lo guardò, ma non disse altro. Capiva il discorso del suo compagno e ne apprezzava, forse addirittura invidiava, la forza d’animo.
    “Sai? Sono felice che Yuzo abbia potuto incontrare suo padre.”
    Teppei convenne. “Anch’io. Penso che ne avesse bisogno forse più di noi.”
    “Vero. Ma ormai manca poco e anche noi torneremo.”
    “Ho già preparato i bagagli. Si rientra a Raskal-”
    “No, io parlavo di casa.” Hajime lo guardò. “Casa nostra, quella vera. Ilar.”
    L’espressione di Teppei mutò in sorpresa, mentre quella del Tritone aveva una sfumatura nostalgica. Ed era una cosa ben più che rara. Rarissima.
    Hajime era stato abituato a stare lunghi periodi lontano da casa e molto spesso determinati sentimenti venivano lasciati decantare sotto la superficie liscia dell’acqua. Il viaggio affrontato e la guerra avevano rimescolato tutto e gli avevano fatto capire che il distacco andava bene, sì, ma non sempre e non verso tutti.
    “Ci meritiamo un po’ di ‘vacanza’, se così vogliamo chiamarla, no? E io vorrei tornare a Ilar, vorrei nuotare nel Dun. Abbracciare mamma e papà, zio Hide e zia Reika. Vorrei tornare a casa. Mi manca.”
    Il sorriso ampio si distese sulle labbra del tyrano pur senza snudarne i denti. “Certo che ci torniamo, Hajime. E faremo una di quelle abbuffate che tanto piacciono a mio padre! Mamma e zia Arin prepareranno dei dolci fantastici e io e papà andremo a Ribis a prendere la più buona carne di cinghiale del Dogato, mentre tu e zio Shiro pescherete le carpe blu più grandi del Dun!” rise, scuotendo il capo e i ricci assumevano colori più chiari e più scuri sotto i raggi del nuovo sole del Nord. “Mangeremo così tanto che ci terremo la pancia!”
    Rise anche Hajime, stiracchiando poi le braccia verso l’alto. L’onice era ancora nel palmo e oggettivamente non sapeva con precisione quando sarebbe stata rimossa, eppure per lui era già come non averla più. Si mosse, cercando la posizione più comoda, per quanto fosse un po’ difficile, ma riuscì a stendersi e ad appoggiare la testa sulle gambe di Teppei. Chiuse gli occhi perché il sole, anche se non forte come quello che gli era picchiato sul capo quando si trovavano al Sud, era pur sempre fastidioso.
    “Sì, ci terremo la pancia…” fece eco, sorridendo.
    Le dita di Teppei arrivarono a fargli ombra e si poggiarono appena sulle palpebre chiuse.
    Gli sembrò di essere acqua di sorgente riparata dalla solida e fresca roccia.

     

    E la chiamano Guerra, la chiamano Guerra
    che le sue spire tende e d’improvviso afferra.
    È la fornace rovente che la tempra forgia,
    incisa nel sole e plasmata dalla pioggia.


    [1]MORIMICHI KAWAKAMI: era il capitano della squadra della scuola elementare Shimizu. Sì, quel  marmocchio arrogante e saccente, che faceva il portiere. XD di certo non poteva essere Mr. Simpatia anche qui, però insomma… cattivo cattivo non è. XD diciamo che è simpatico come un palo nel chiul! XD (Kawabonga XD: *clicca qui*)

    [2]HIROYA SHIMADA: Shimada! *-* Ciccino. Ho un legame speciale con questo pg e chi mi legge sa il perché. :3 Era un giocatore della Shutetsu che non venne selezionato per far parte della Nankatsu. Hiroya è un nome che gli ho scelto io, visto che nel manga non viene mai chiamato per nome, ma solo per cognome :3 E visto che anche la sua caratterizzazione in pratica rasenta lo zero assoluto nel manga, l’ho dipinto come un puccino super attivo. Glielo dovevo, e lui sa perché :3 (Shimaduccio *-*: *clicca qui*)


     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Ultimo capitolo prima dell'Epilogo.
    Come ci si sente ora che si è a un passo dalla fine di questa lunghissima storia?
    Da parte mia, forse si inizia già a sentire la malinconia. Quando una fic tiene impegnati per così tanto tempo, separarsene diventa 'strano'. Ovviamente, come già detto più volte, la Saga di Elementia ha ancora altro da dire, al di là delle vicende di "The War". :3

    Nuovo aggiornamento per l'Enciclopedia Elementale, l'ultimo per questa storia. :3 Chissà se nelle prossime chiederà altre informazioni per cui debba venire aggornata. :333 Come voi, non ne ho idea XD, quindi credo che lo scopriremo insieme!!! Nel mentre: beccatevi il Volume Decimo - Il Bestiario!!! *W*
    E abbiamo anche una nuova fanart alla raccolta: "Padri - Bashaar&Nasir" :333 era giusto dare un angolo anche ai papottini!!!


    Galleria di Fanart (NUOVA IMMAGINE!!!)

    - Padri - Bashaar&Nasir

    Enciclopedia Elementale (AGGIUNTO IL DECIMO!!!):

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki


  • 8) Enciclopedia Elementale - Volume Ottavo: Gli Stregoni di Huria

  • Capitolo 1: Storia
  • Capitolo 2: Gerarchia Stregonesca


  • 9) Enciclopedia Elementale - Volume Nono: Le Sacerdotesse Elementali e gli Elementi Eterni

  • Capitolo 1: L'Ordine Sacerdotale
  • Capitolo 2: Gli Elementi Eterni
  • Capitolo 3: Le Sacerdotesse Elementali


  • 10) Enciclopedia Elementale - Volume Decimo: Bestiario

  • Capitolo 1: Fannùsh e Golkorhas
  • Capitolo 2: Màlayan e Iktàba
  • Capitolo 3: Phaluat
  • Capitolo 4: Rankesh e Zaikotto (o Rubinato)
  • Capitolo 5: Kamalocha delle Vette Aguzze
  • Ritorna all'indice


    Capitolo 56
    *** Epilogo: La Fiamma nel Vento ***


    Nota Iniziale: vi avevo promesso che l’Epilogo ve lo avrei dato tutto intero, indipendentemente dalla sua lunghezza perché, diciamocelo, la chiusura non poteva andare spezzata.
    Mi perdonerete, quindi, questo mattoncino di 36 pagine, vero? :P
    Ho aggiunto poi una serie di FANART e trovere i link in basso, come sempre. Ve ne ho parlato ora perché la nota finale è tutta dedicata ai ringraziamenti. :3

    Questo è il mio regalo per voi, auguro a tutti un felicissimo Natale; ci rileggiamo nella nota di chiusura.
    Buona lettura!

    ELEMENTIA
    - The War -





    EPILOGO: La Fiamma nel Vento

    Raskal, Capitale del Regno degli Ozora - Terre Centrali

    La primavera perenne di Raskal sbocciava in ogni angolo della Capitale.
    Non importava che il Nord avesse affrontato una sanguinosa battaglia né che una guerra avesse fatto tremare il pianeta. La primavera di Raskal era sempre lì. Sicura come il ‘nascere-crescere-morire’, e immutabile come il diamante.
    Le guerre erano faccende umane, la primavera era affare della Natura e non si sentiva inadeguata a risplendere in tutta la sua bellezza nei fiori che riempivano gli alberi e i cespugli, nel verde delle foglie che stormivano alla brezza leggera, nella limpidezza delle acque e del cielo. Non si sentiva inadeguata nemmeno allora, che l’Armata Reale stava rientrando, calcando l’immensa Via Crociata che attraversava la città e la collegava a tutte le altre più importanti dei Regni degli Ozora.
    La gente era accorsa, accalcava i marciapiedi e dai balconi si vedevano sventolare vessilli e fazzoletti, qualcuno lanciava fiori ai cavalieri che tornavano vittoriosi e pochi si accorgevano, ancora presi dall’euforia, che i loro volti erano diversi da quelli di coloro che erano partiti.
    Solo le madri, le mogli, i padri e i figli, i fratelli e le sorelle iniziavano a cercare, a scrutare se sotto quelle celate, molto spesso abbassate, si nascondessero le persone a loro care. Qualcuno trovava il sorriso dopo mesi di attese e ad altri restava l’amaro dell’attesa ancora lungi dal finire.
    Ma si festeggiava, si gioiva. La guerra era finita, il Principe era salvo e calcava la Via al fianco del padre. Una mano levata per salutare i suoi cittadini, l’altra stretta saldamente alle briglie per sfogare l’amaro della gioia che non era stato in grado di portare per tutti.
    Hongo e Hino erano al fianco del sovrano e del Principe, rispettivamente. Fieri e dalla testa alta. Il Primo Ufficiale mostrava un mezzo ghigno felice di essere tornato, ma con la mente che pensava alle parole di commiato che avrebbe dovuto stilare nelle migliaia di lettere assieme al Comandante. Lettere che sarebbero partite per tutte le Terre Centrali e del Sud. Lettere d’addio.
    Il corteo sfilava, come la primavera di Raskal fioriva, e andava bene lo stesso perché avevano versato già abbastanza lacrime e ora bisognava solo guardare al futuro.
    Il castello, di lontano, sembrava irraggiungibile tanta era la folla.
    La delegazione da Nankatsu era già arrivata e la Regina Natsuko aveva finalmente ritrovato il sorriso; così dicevano tutti. Aveva ripreso a uscire dal palazzo, a incontrare i sudditi. Era tornata a essere Moglie di Re e non solo moglie o madre.
    I festeggiamenti per l’incoronazione e il matrimonio si sarebbero svolti da lì a una trena, il tempo di far riprendere i viaggiatori dai circa sei mesi di marcia, mentre per le ore di battaglia non sarebbe bastata una vita intera.
    Ma andava bene. Si festeggiava, si gioiva. La guerra era finita.
    I Consoli di Terra e Aria venivano subito dopo i Reali e i primi ufficiali dell’Armata. Con loro vi erano le delegazioni che avevano portato al fronte, maghi provenienti da tutte le scuole e i quattro Elementi che avevano attraversato il mondo.
    Il popolo era ancora ignaro di ciò che avevano fatto, della grande impresa che avevano compiuto e chi li osservava, li salutava come ammirevoli servi delle Dee, senza sapere che loro, delle Dee, erano i ‘prediletti’. La Chiave restava tra loro quattro, giusto al centro; il popolo ignorava anche lei.
    Mamoru aveva le testa alta ma le labbra tese, dritte. Guardava avanti e non girava il viso neppure per parlare con Yuzo, al suo fianco. E tanto Yuzo non parlava, aveva un’espressione che sembrava lavorata nella cera. Non sorrideva né era arrabbiato, non era triste né sollevato. Non era.
    Anche Ryo era stranamente silenzioso da che erano entrati in città.
    Teppei era stato l’unico che aveva provato a strappargli una risata, ma poi aveva smesso, anche lui preda di una strana sensazione di disagio, malessere. Un dolore che non era fisico.
    Hajime, al suo fianco, tirava sospiri profondi con cui scandiva il ritmo degli zoccoli che battevano il suolo.
    Ma andava bene. Andava bene.
    La guerra era finita.
    “Odio la folla.” Mamoru ruppe il silenzio e Yuzo il suo viso di cera.
    “Non è la folla, quanto la loro gioia.”
    Mh.”
    “Torneremo ad abituarci anche a questo.”
    Mamoru si volse. “Lo faremo?”
    “Se abbiamo salvato il mondo, perché fallire questa ultima missione?” Yuzo gli sorrise; con un po’ di sforzo, era vero, ma il tentativo c’era.
    “Già. Perché?” sorrise di rimando. Poi levò lo sguardo al cielo e ammiccò. “Niente male come sfida.”

    I tre giorni passarono più in fretta di quanto chiunque avesse mai potuto pensare.
    Gli abbracci del ritorno, le lacrime di gioia e quelle di dolore, le dichiarazioni d’amore già vergate su carta ma che finalmente sfociavano in una vera proposta di matrimonio, anche se lo sposalizio era sempre stato più che ovvio, si erano susseguiti con un ritmo frenetico.
    E poi il confezionamento lampo degli abiti, gli ultimi ritocchi, il discorso alla popolazione, l’arrivo dei ritardatari. Tutto svelto, tutto veloce. Il tempo di chiudere gli occhi in un letto così grande da poterci entrare in quattro e poi risvegliarsi che il giorno era giunto.
    Le trombe suonavano a festa, al castello, facendosi eco con le campane del Tempio Maestro. Solitamente, sarebbe stato al suo interno che si sarebbe svolta la cerimonia di nozze, ma la gente era così tanta e il Tempio, per quanto enorme, improvvisamente così piccolo che sarebbe stato impossibile che tutti potessero assistere.
    Però Tsubasa era stato categorico: voleva che il popolo potesse assistere quanto più possibile, perché quello sarebbe stato un giorno importante anche per loro. Così si era deciso che – in via del tutto eccezionale – la cerimonia nuziale, l’incoronazione e la presentazione della Chiave sarebbero avvenute nella Grande Arena dove di solito si consumavano le giostre e le manifestazioni tra le scuole elementali. L’Arena era vicina al Tempio Maestro, dedicato a tutte e quattro le Dee, e il Principe aveva deciso che il corteo vi sarebbe passato attraverso per porgere omaggio alle Divine e poi andare oltre.
    Il castello si era svegliato all’alba, anzi, molti dei servitori non erano proprio andati a dormire e vi era un via vai di quelli in cui era meglio rintanarsi in un angolo e aspettare, prima di venirne travolti.
    Ed era questo che Mamoru aveva deciso di fare.
    Aveva scelto il suo angolo e vi si era nascosto. Qualcuno sarebbe venuto sicuramente a chiamarlo quando sarebbe stato il momento di andare, ma nel frattempo voleva godersi la calma dell’unico posto del palazzo che lo aveva fatto sentire profondamente a proprio agio fin dalla prima volta che vi aveva messo piede.
    La terrazza dei ciliegi era proprio come la ricordava. Sembrava che il tempo non fosse trascorso e gli alberi avevano fiori a non finire sui rami, dalle fronde ricolme e colorate, mentre altrettanti petali erano disseminati al suolo. Qualcuno turbinava giocoso attorno alle sue gambe per il tempo in cui restò poggiato al muretto della balaustra.
    Di lontano si vedeva la città, di sotto la frenesia dei servi.
    Mamoru si era alzato presto quella mattina. A dirla tutta, erano tre giorni che non dormiva un granché e non perché il letto non fosse comodo. Dannazione, a volte aveva il terrore di sprofondarci dentro tanto da non riuscirne più a venire fuori per quanto era morbido. Il fatto era che aveva perso l’abitudine a un sonno tranquillo. La sensazione di doversi svegliare presto, fare i bagagli e ripartire, oppure andare a zonzo per la città di turno e cercare informazioni sul Principe faticava ad abbandonarlo.
    Nei mesi successivi alla battaglia aveva sentito di meno questo disagio, perché c’erano state altre incombenze e poi aveva dovuto far fronte alla convalescenza per rimettere in piedi il suo spirito. Ed era stato bravo: non aveva usato i poteri lungo tutto il tragitto per raggiungere Raskal. Yuzo l’aveva controllato a vista. Diciamo pure che non aveva potuto usarli, anche perché gli occhi del volante non erano stati i soli a essere stati attenti: Hajime e Teppei gli avevano dato manforte, figurarsi. Ad ogni modo, forse avrebbe dovuto ringraziarli perché ora sentiva di stare bene davvero.
    Quando si era svegliato, il giorno dopo il loro arrivo, aveva addirittura provato a far brillare una fiamma. Questa si era accesa vitale e calda tra le sue dita e il petto non gli aveva fatto alcun male, neppure un leggero bruciore.
    Distese le braccia sul bordo spesso del muro in roccia, lasciando che le mani restassero penzoloni nel vuoto. Il metallo che aveva addosso tintinnò al movimento.
    L’alta divisa da Elemento di Fyar gli era stata consegnata la sera prima. Perfetta e lucente. Quella mattina l’aveva indossata ed era la prima volta dopo tanto tempo. L’alta uniforme non si usava spesso, se non in occasioni ben più che speciali e nella sua carriera scolastica erano state molto poche, ma quel giorno rientrava nelle famose occasioni e quando si era guardato allo specchio gli aveva fatto uno strano effetto.
    Si era visto adulto.
    Più di quanto avrebbe creduto.
    E solo quando si era posto l’axas fyarish nei capelli si era accorto quanto si fossero allungati. E sì che li aveva spuntati alla buona durante tutto il viaggio; avrebbe dovuto affidarsi a un barbiere degno di questo nome. Eppure non era questo ciò che davvero lo lasciava lì a pensare e a stare lontano dai rumori e dagli schiamazzi.
    Inspirò a fondo e intrecciò le dita.
    Il loro tempo stava finendo. Era anche per quello che non era riuscito a prendere sonno nei giorni precedenti. Quelli erano gli ultimi momenti prima che le loro strade fossero tornate a separarsi. Prima che Yuzo fosse tornato ad Alastra e lui a Fyar Major. E non aveva ancora preso una decisione, non aveva ancora trovato il coraggio necessario per dirgli come le cose fossero cambiate. Come lui fosse cambiato e come fosse cambiato anche il loro rapporto.
    Si era chiesto più volte se il volante se ne fosse accorto e spesso si era risposto di sì, ma era anche vero che il giovane aveva mantenuto un comportamento coerente con la loro evoluzione, tranquillo, rilassato. Niente che potesse fargli capire che forse aveva compreso esserci anche dell’altro. Sarebbe quindi toccato a lui dirglielo… dirgli che…
    “Avevo pensato ti fossi rintanato qui.”
    La voce di Yuzo arrivò alle sue spalle distraendolo all’improvviso. Si volse. La sua figura in bianco e azzurro risaltava così tanto nel rosa dei ciliegi da farlo sembrare quasi un’apparizione. La stessa fuggevolezza delle Silfidi, colorate di nebbia e nuvole.
    L’alta uniforme degli alastri era sobria ed elegante proprio come aveva pensato; forse era la prima volta che si soffermava ad osservarla con attenzione. Fino a un paio d’anni prima non avrebbe provato interesse per nient’altro che non riguardasse sé stesso o la propria scuola. Ora, invece, i suoi occhi seguivano l’alastro che camminava nella sua direzione facendo scivolare le iridi al movimento dei suoi passi come i petali di ciliegio gli scivolavano dalle spalle fino ai piedi.
    La giacca lunga aveva un collo asimmetrico e terminava in due code laterali. Si avvitava seguendo la linea del corpo e si chiudeva alla cintola con un fregio d’argento al cui centro risplendeva un cristallo di rocca di foggia rotonda. La sua lavorazione lasciava che le venature dei piani di rottura interni si vedessero e intricassero tra loro, tanto da rendere l’illusione che del vento vi spirasse all’interno. Altri fregi d’argento erano posti ai due lati del colletto rigido e legati tra loro attraverso sottili catenelle. Il terzo era sulla spalla sinistra. Le maniche della giacca arrivavano appena più giù dei gomiti e il suo colore era un continuo rincorrersi di bianco e azzurro che sfumavano l’uno nell’altro. Ad ogni movimento, il tessuto leggero dei pantaloni gli sfiorava la pelle, lasciandola scoperta dalle caviglie fino ai piedi, dove dei semplici sandali, anch’essi rifiniti in argento, pestavano il terreno senza fare rumore.
    “Non ero riuscito a trovarti in giro e nessuno sembrava averti visto” continuò il volante. “Ho pensato che avessi preferito cercare un posto più tranquillo.”
    “E mi hai trovato.”
    “Oh, ma io ti trovo sempre.” Yuzo si poggiò con le braccia al muricciolo, accanto a lui.
    Mamoru inarcò ironicamente un sopracciglio. “Ah, sì? Lascio mica una scia di bricioline?”
    “Anche tu riesci sempre a trovarmi. Significa che anche io lascio una scia?”
    Eccolo lì che diceva quelle determinate cose con una tale semplicità da farlo arrossire, tanto che fu costretto a guardare altrove affinché l’altro non lo notasse.
    I capelli oscillarono al movimento e stavolta fu il volante a osservarlo meglio.
    “L’axas ti sta molto bene.”
    Le dita di Yuzo scivolarono tra i pendagli del fermaglio in ossidiana rossa che solo gli Elementi di Fuoco indossavano. Nel nero dei crini di Mamoru, il rosso del vetro vulcanico prodotto esclusivamente dal Raiju Mountain risaltava come una fiamma viva.
    La Fiamma si volse nell’avvertire la presenza della sua mano e non si ritrasse ma osservò il modo in cui gli sorrideva: il viso poggiato nell’altro palmo.
    Lui lo pungolò, forse perché non avrebbe saputo che altro fare.
    “Conosci anche l’axas fyarish?”
    “Sono un secchione, non ricordi? Comunque credo che a breve verranno a chiamarci. Ho visto alcuni stallieri sellare i cavalli. Ormai ci siamo.”
    Il giovane ritrasse le dita e lui non le fermò. Si costrinse a non farlo.
    “E allora, secchione” sbottò invece, girandosi completamente verso la città e assumendo la sua aria un po’ supponente. Non sapeva come dirglielo, non ci riusciva in nessun modo così cambiò discorso in maniera quasi autolesionista. “Ancora un po’ e sarà davvero finita. Missione compiuta. Immagino che non starai più nella pelle all’idea di liberarti di me.”
    “Non è mica un addio” commentò Yuzo con semplicità. Una stretta nelle spalle e lo sguardo puntato anche lui allo scorcio di Raskal, lontano.
    “Oh, lo so, ma non mi sentirai borbottare per un po’. Non dirmi che non è un’idea allettante.”
    “Puoi sempre venire ad Alastra. Mi sono già accordato con Hajime e Teppei e li andrò a trovare.”
    Mamoru si volse guardandolo con l’espressione più disgustata e terrorizzata al contempo che potesse fare. Era una smorfia così buffa, che Yuzo sbottò a ridergli praticamente in faccia.
    “Ad Alastra?! Dico… mi vuoi così male?! Nel covo dei piccioni?! Passi per te, ma non credo potrei reggere circondato da tutti quei volanti! Siete migliorati ai miei occhi, ma non fino a questo punto, eh!”
    Yuzo cercò di recuperare un certo contegno e strinse le labbra, soffocando le ultime risate. Senza perdersi d’animo propose: “Allora potrei venire io.”
    “A Fyar Major?” Stavolta, all’orrore si sostituì un’espressione di pura sorpresa. I tratti di Mamoru non erano mai stati tanto animati come in quelle poche battute. Guardò il volante fisso negli occhi, sbattendo le palpebre e l’altro non si scompose, ma gli sorrise.
    “A Fyar Major.”
    “E non temi di essere bersaglio delle punzecchiate di burberi fyarish?”
    “Ormai ho un’esperienza così profonda con questo genere di cose che, vedrai, saprò tenerli tutti a bada. Non temere.”
    Stavolta fu il turno di Mamoru di ridacchiare e lo fece scuotendo il capo. Non aveva dubbi che li avrebbe saputi tenere al loro posto, ormai aveva pratica da vendere e una sfacciataggine che aveva appreso direttamente da lui, il Re della Faccia Tosta. Avrebbe mai potuto, il suo discepolo secchione, fallire l’esame pratico?
    Spostò di nuovo lo sguardo alla città e lasciò che le risate si spegnessero nuovamente in un’espressione più serena.
    “Sei davvero pronto per rientrare a scuola?” Gli chiese poi, perché non gli piaceva restare troppo in silenzio con Yuzo, in particolare quando il silenzio si faceva denso di parole non dette. “Cosa farai?”
    Il volante si strinse ancora nelle spalle. “Quello che faranno un po’ tutti, immagino. Terminerò gli studi; si tratta di un solo anno, dopotutto.”
    “E poi?”
    “E poi…” L’alastro lasciò che una pausa più lunga separasse i pensieri dalle parole. A Mamoru sembrò che ne stesse prendendo vera coscienza solo in quel momento: ciò che desiderava diventava reale e non più solo un pensiero vagante tra mille altri. “Vorrei andarmene.”
    “Cosa? Ma non eri tu quello che desiderava diventare Magister?”
    “Sì, lo desideravo.” Yuzo si sfregò piano le mani e le guardò con un sorriso consapevole. La Fiamma pensò che doveva davvero aver lavorato tanto su sé stesso, da scendere a patti con tutto quello che si era lasciato alle spalle da quando era partito da Alastra. Ed erano parecchie cose, migliaia di ‘non detti’ e cognizioni tenute a bada dall’Autocontrollo. “Ma solo perché avevo paura di affrontare il mondo esterno. Il diventare insegnante mi avrebbe tenuto al sicuro, protetto. Adesso so di non aver bisogno di alcuna protezione, perché non c’è nulla da cui debba proteggermi. Elementia ha ancora tanti luoghi che vorrei visitare, ma la verità… è che credo che tornerò a Sendai.”
    “Sendai?”
    Mh.”
    Mamoru scosse il capo e il tono preoccupato delle sue parole si attirò lo sguardo del compagno. Non poteva negare che quella scelta l’avesse colpito, ma non sorpreso. Forse, dentro di sé, Mamoru aveva sempre saputo che se ci fosse stata anche la più piccola possibilità di tornare lì, Yuzo l’avrebbe colta. Lui però non era convinto. “Non credo sia una buona idea. Lo sai cosa sei per quelle persone-”
    “Lo so, ma non voglio essere solo quello. So che nella zona c’è scarsezza di Minister e il mio aiuto a loro farebbe comodo. Vorrei mettere i miei poteri al servizio della ricostruzione. Voglio dimostrare di non essere solo un mostro.”
    “Smetti di usare quella parola.” Mamoru lo guardò e Yuzo colse un moto di stizza nel tono e nello sguardo. Non si scompose.
    “Ma è la verità.”
    “No. Non lo è. Affatto. Non c’è niente di mostruoso in te.”
    “Sai che non è così-”
    Mamoru batté un pugno sul muro. Negli occhi la pece ribolliva di fastidio. “Io so quello che vedo! E la natura della tua aggressività non è mostruosa, ma semplicemente umana! Inoltre sarà presto messa in una gabbia dalla quale non potrà uscire mai più, quindi, piantala!” concluse con foga. Yuzo non gli rispose, ma rimase a fissarlo con quella impassibilità che non era dettata da un incantesimo, ma che, proprio per questo, sapeva metterlo a disagio.
    Mamoru distolse lo sguardo, strofinando il pugno chiuso nel palmo dell’altra mano in un gesto di nervosismo. Cercò di buttare di nuovo il discorso su altro. “Ad ogni modo, se ti chiedessero di divenire Magister che faresti?”
    “Rifiuterei.”
    “Ne sei proprio sicuro?” Le iridi scure di nuovo su di lui si erano leggermente acquietate. L’altro annuì.
    “Sì.”
    Questo sembrò rincuorarlo, perché se non fosse rimasto presso la scuola avrebbe potuto mantenere fede alla sua promessa.
    “E tu? Se lo chiedessero a te?”
    “Rifiuterei anche io. L’idea di essere Magister mi aveva allettato tempo fa, quando in maniera egoistica volevo primeggiare, essere il migliore. Ero ancora sotto l’effetto delle idee inculcatemi da mia madre e arrivare ai vertici più alti possibili della Scuola di Fyar era il massimo per me. Ma adesso… al solo pensiero di dover insegnare a una marmaglia di mocciosi mi viene l’emicrania!” Le espressioni buffe di orrore, misto a sacrilegio, tornarono a prendere possesso dei tratti di Mamoru, mentre agitava animatamente le mani. Il nervosismo sciolto, messo da parte. “Mocciosi, Yuzo, ma mi ci vedi?! Li arrostirei tutti dopo due secondi.”
    “E allora che farai?” rise l’altro, ma la serietà della sua domanda si percepiva bene tra le labbra distese e i denti snudati.
    Mamoru si girò di lato, portando una mano al fianco, mentre l’altro gomito restava poggiato sul muro. Sollevò il mento con fare altezzoso e poi finse di pensarci. La sua decisione l’aveva già presa molto, molto tempo prima.
    “Sendai hai detto? Mh. La cittadina era carina e anche i dintorni. In più al Sud si sta belli al calduccio, quindi, non mi dispiace affatto.”
    Alla Fiamma non passò inosservato come il sorriso di Yuzo si smorzasse fino a scomparire. La serietà emerse con evidenza. Il nocciola degli occhi si fece più penetrante; Mamoru colse anche quello. Era bello. Quel colore era davvero bello. Non gli aveva mai detto che gli piaceva. Non gli aveva mai detto un sacco di cose. Yuzo, invece, non lesinava mai sulle parole, qualunque fossero.
    “Non devi sentirti obbligato dalla tua promessa. È arrivata nel momento in cui ne avevo più bisogno, ma non temere. Adesso lo so che ovunque mi troverò su questo pianeta non sarò mai da solo, anche se non avrò voi fisicamente accanto. Quindi non sentirti vincolato.”
    “Se faccio delle promesse è perché voglio mantenerle. Non amo parlare a vanvera e dovresti saperlo ormai. Sono lieto che tu abbia finalmente compreso di non essere solo, ma credo fermamente nelle mie parole.” Sostenne la sua risolutezza con la propria. Nero e nocciola immobili l’uno nell’altro, quasi fusi, affinché Yuzo capisse che non si sarebbe mai tirato indietro, nemmeno se glielo avesse chiesto in prima persona. Le sue parole, quelle poche importanti che diceva, avevano un valore inestimabile. “Finché avrò vita e respirerò. Me le ricordo ancora una per una.”
    Yuzo abbassò lo sguardo per una frazione d’attimo e in quell’istante Mamoru vi colse insicurezza e aspettativa. La domanda successiva assunse un senso particolare che voleva una risposta decisa e senza esitazioni. Voleva certezze, anche se il volante le dissimulava alla perfezione, ma lui, ormai, era passato oltre. Oltre le maschere, oltre gli incantesimi, oltre tutte le barriere umane e magiche che si sarebbe trovato davanti.
    “Sicuro che non te ne pentirai?”
    “No.”
    Deciso. Forse più di quanto l’altro si aspettasse perché gli occhi di Yuzo sembrarono farsi più grandi.
    “Devoti Elementi?” In quel momento un servetto si fece avanti con un inchino, rompendo la tensione che si era creata quasi senza che entrambi se ne rendessero conto. “E’ il momento di andare, miei signori. I cavalli vi aspettano davanti all’ingresso principale del castello.” Così come era arrivato se ne andò, lasciandoli soli per quegli ultimi istanti.
    Yuzo sospirò, sistemando meccanicamente la giacca dell’uniforme. La rilassatezza dei gesti parve cancellare come fino a un attimo prima fossero stati entrambi sospesi su un filo di lana. “Pronto a incontrare nuovamente la folla?”
    “Ah, non sto più nella pelle, guarda.” Lui gli tenne dietro, assecondando la sua calma e ironizzando come al solito, ma l’altro gli sorrise ancora, prima di volgergli le spalle.
    “Pensa che dopo le varie cerimonie ci aspetterà una piacevole festa in compagnia delle nostre famiglie. Conosceremo finalmente i genitori di Teppei e Hajime e mi è stato comunicato che ci sarà anche il simpatico Doge di Dhyla con tutta la prole. Voglio proprio vederti alla prese con i tuoi fratellini” ridacchiò.
    “Che stronzetto” masticò Mamoru con un sorriso, poi lo vide allontanarsi e si rese conto di non avere più occasioni e che se doveva farlo doveva essere adesso, prima che la folla e la festa potessero fagocitarli in tutt’altro fino a che il momento della partenza non li avesse risvegliati e divisi.
    “Yuzo, senti…”
    “Sì?”
    Per un attimo, nel momento in cui il volante si volse, Mamoru ebbe la forte impressione che la sensazione d’attesa fosse di nuovo lì. L’attesa che aveva bisogno della risposta diretta e decisa, ma questa volta seppe solo che… non aveva il coraggio.
    “No, niente.”
    L’altro sorrise e tornò a camminare nella pioggia di petali.
    L’ultima occasione e lui l’aveva appena lasciata andare.

    La Capitale si presentava al mondo come un arcobaleno.
    Mentre il corteo sfilava e i fiori oscillavano carichi dei loro colori, gli occhi di un estraneo sarebbero corsi a cercare la pentola piena d’oro che si vociferava fosse dove gli archi colorati nascevano o morivano. Ma non c’era nessuna pentola, lì, e d’oro v’erano le esplosioni dell’agrimonia e della forsythia, dei datura e dei tageti, così gialle da accecare. Poi l’arancio dei fiori di cosmo, il verde delle foglie che stormivano, il blu dei vessilli reali, l’indaco delle jacarande, il violetto degli iris e il rosso che si fondeva tra il granato della famiglia Ozora e le rose dai profumi inebrianti. L’arcobaleno sfumava in mille tonalità diverse che non si potevano contare o raccontare se non nel volteggiare delle gonne, delle piume dei cappelli e dei farsetti. I mantelli oscillavano, i berretti venivano lanciati in aria e ripresi al volo e tutti gridavano, acclamavano, seguivano la folla più grande che nella Capitale si fosse mai vista.
    Alla testa, la carrozza reale era tirata da sei levianti dal manto candido e le criniere lunghe, sormontate da pennacchi e affiancate da paraocchi. Nel cocchio aperto, per permettere a ogni cittadino di poterli vedere, c’erano il Re Koudai Ozora con al fianco l’amata Regina Natsuko e il piccolo, pestifero Principe Daichi che non riusciva a stare fermo un solo minuto. Opposti a loro, il Principe Tsubasa Ozora salutava la folla sorridendo con calore e affetto; la mano levata al cielo e la futura Regina Sanae Nakazawa, seduta accanto a lui, appariva un po’ intimorita da tutta quella gente che urlava, la acclamava e lanciava fiori, ma quando guardava il suo futuro consorte il disagio sembrava scomparire quasi per magia e la serenità tornava a essere padrona dei suoi tratti dai contorni decisi, ma non spigolosi. Doveva solo abituarsi un po’, far passare tutto il frastuono della festa, e poi sarebbe tornata il maschiaccio che soleva essere fuori dalle occasioni ufficiali.
    La mano di Tsubasa si strinse piano attorno alla sua e lei gli rivolse un’espressione crucciata e supplichevole. Il giovane si avvicinò, preoccupato, e lei gli sussurrò all’orecchio: “Non vedo l’ora di togliermi queste dannate scarpine”, in un sospiro rassegnato.
    Si scambiarono un lungo sguardo e poi scoppiarono entrambi a ridere sotto l’occhiata benevola del Re, che scuoteva leggermente il capo, e della Regina, che si portava elegantemente una mano alle labbra per nascondervi un risolino.
    Dietro la carrozza, Hongo e Hino indossavano l’alta uniforme della Guardia Reale che aveva i colori invertiti rispetto quella della Guardia Cittadina. In essa dominava il granato dello stemma, mentre di blu vi erano i finimenti, i bottoni e le cuciture. Le spalline d’argento tintinnavano come le spade al loro fianco, addormentate nei foderi ricchi e intarsiati. Altri fregi decorativi tenevano stretto il colletto sotto la gola.
    Hino sbuffò.
    “Qualche problema, Numero Uno(1)?” Hongo non si volse a guardarlo, ma teneva sempre sotto controllo la folla. I capelli ricci e spettinati erano stati domati – contro la sua volontà, andava detto – da un unguento che profumava di pino silvestre, mentre la barba incolta tale era rimasta o il barbiere reale si sarebbe trovato con una mano in meno e non era il caso. Sul petto spiccava una spilla d’oro a forma di fiore di tabebuia. Per quanto si mantenesse vigile, stava sorridendo rilassato.
    “Sì, signore” sbuffò ancora il Primo Ufficiale. “Questa finta ferraglia cigola.”
    Alle loro spalle, Victorino si spalmò una mano sulla faccia, mentre il Comandante ridacchiava dando una sonora manata sulla schiena di Hino.
    Più indietro i soldati della Guardia Reale, che erano rientrati dal fronte e quelli che invece erano rimasti già presso la Capitale, sfilavano ordinatamente in file di sei, sfavillanti sui propri cavalli.
    Dietro quest’ultimi i colori delle divise si invertivano e il blu diveniva dominante nei lunghi mantelli. Il blu della Guardia Cittadina, che marciava a piedi e chiudeva la colonna, abbigliata con l’armatura di ordinanza tirata a lucido.
    Il corteo si fermò davanti al Tempio Maestro e gli Ozora scesero, scortati dalla Guardia Reale che si schierò vigile ai lati, fermando la folla. Entrarono nella costruzione monumentale dal soffitto altissimo e gli archi a ogiva. La luce filtrava in raggi sottili dalle vetrate sommitali che ritraevano le Dee e i loro Elementi creando giochi di colori su coloro che passavano, dirigendosi all’altare. La navata accolse l’eco dei passi, del tintinnare del metallo mentre le voci andavano via via spegnendosi in religioso silenzio.
    Le quattro Dee erano alle spalle della pietra lavorata con cura dai tyrani più abili del regno. Le statue si ergevano mute e benevole, l’una accanto all’altra, unite come sorelle e con gli sguardi rivolti verso il basso, dove i sudditi si sarebbero inginocchiati, invocando la loro misericordia.
    La famiglia reale e la Principessa Sanae si disposero di fianco, eseguendo tutti e quattro i gesti di preghiera fino a inginocchiarsi e poggiare il viso al suolo, come la Divina Yukari comandava. Anche il piccolo Daichi seguì il rito senza protestare, mostrando anzi una serietà e un rigore che nemmeno il fratello maggiore aveva mai avuto alla sua età.
    Tsubasa offrì la mano a Sanae e lei la strinse, lasciandosi guidare lungo la navata che conduceva all’uscita laterale. La Guardia Cittadina era già disposta per seguire il percorso che portava alla Grande Arena.
    Presentat’arm!”
    Le spade si levarono in una sincronia perfetta creando un arco sotto il quale il corteo sfilò.
    Sanae e Tsubasa si scambiarono un sorriso un po’ complice e un po’ ragazzino, passando a testa alta e salutando la folla; mano nella mano.
    Davanti a loro, in fondo, la Grande Arena diveniva sempre più nitida e vicina fino a che l’ingresso non apparve spalancato nella sua immensità. Salirono le scalinate in marmo e ne varcarono la soglia. Il boato di voci esplose alle loro orecchie, mentre negli occhi divampò un’armonia di colori che si rincorreva per tutto l’ovale dell’Arena.
    I fyarish erano il rosso del fuoco che risplendeva sull’acciaio delle loro uniformi da cerimonia. Un pettorale corto legato a uno spallaccio, il fiancale e gli stivali composti da ginocchiera, schiniere e scarpa erano tirati a lucido e lavorati con ricchi intarsi di oro rosso. Rossi erano anche la casacca e il pantalone di seta su cui le armature poggiavano.
    Gli agadiri erano il blu dell’acqua più profonda e limpida. Il kiro da cerimonia aveva quel colore penetrante e intenso che risaltava sulle loro pelli chiare, che a lungo restavano nascoste  al sole sotto la superficie del lago Agadir. La stoffa era piegata in pantalone e ciò che avanzava, veniva appoggiato sulla spalla nuda, come nudo era il dorso a meno del bankal, l’ampio collare d’argento abbandonato sul petto su cui erano incise fitte lavorazioni intervallate da pietre acquamarina a forma di goccia. D’argento era anche l’hachimaki che avevano attorno alla fronte.
    I tyrani erano il verde e marrone della terra. La giacca dell’uniforme aveva il colletto rigido e bottoni di diamante. Si apriva in una coda circolare con una fibbia posteriore che la stringeva lungo la vita. Marroni erano i pantaloni portati all’interno degli alti stivali neri e marrone era anche il cappello rigido con visiera che indossavano i Magister e il Master; nel centro campeggiava il simbolo della scuola. Gli altri Elementi, invece, indossavano un berretto privo di visiera dello stesso colore che si portava leggermente piegato di lato.
    Gli alastri erano l’azzurro e il bianco dell’aria, il tintinnare del vento nei loro fregi d’argento e la leggerezza dei tessuti che non sfioravano né i polsi né le caviglie. L’astrattezza dell’elemento era anche nelle forme asimmetriche della lunga giacca.
    E poi altri colori non uniformi, che si mischiavano tra loro, nella gente che era riuscita a sedersi nell’Arena.
    Al centro, la grande pedana costruita appositamente per la cerimonia sembrava stesse aspettando solo loro. Tsubasa guardò ancora Sanae un’ultima volta e insieme salirono quelle ultime scale che li portarono in cima al mondo. Sul fondo, dove i due scranni reali erano vuoti e aspettavano di venir occupati dai reali Ozora, vi erano i quattro Consoli, celebratori del rito nuziale, e la Chiave Elementale, non ancora rivelata ma già in piedi alla destra di quello che sarebbe stato il posto di Tsubasa. Sorrideva fiero nella sua sopravveste di seta damascata. Una spilla con tutti e quattro i simboli elementali era appuntata sulla chiusura dell’abito appena sotto la gola.
    Il Principe e la Principessa si fermarono davanti agli ultimi due scalini che portavano ai troni, mentre il Re e la Regina li superavano per andarli a occupare. Daichi trotterellò loro dietro, andando a sedersi in uno scranno più piccolo accanto alla madre.
    Sanae e Tsubasa guardarono un’ultima volta le loro mani unite e poi le lasciarono andare, mantenendo chino il capo davanti al Re e alla Regina.
    Dagli spalti, Mamoru Izawa aveva seguito il loro ingresso assieme ai suoi compagni di Fyar. Non avevano seguito il corteo, ma erano stati subito condotti all’Arena una volta lasciato il castello. Arrivati sul posto si erano dovuti dividere. Hajime, Teppei e Yuzo avevano raggiunto gli esponenti delle proprie scuole e lui aveva fatto lo stesso.
    Da quella posizione dominante riusciva ad avere un’ottima visuale sia della pedana che del resto dell’Arena.
    Con lo sguardo lo aveva cercato subito, quasi che non sapere dove Yuzo fosse lo infastidisse o lo rendesse inquieto. Per sua fortuna aveva trovato immediatamente dove erano stati fatti accomodare gli alastri – più in basso rispetto ai fyarish – e lo stesso valeva per tyrani e agadiri. Come uno sciocco, continuava a sentirsi responsabile per loro e silenziosamente si ricordò che ormai non c’era più alcuna missione e alcun leader.
    Guardò un’ultima volta in direzione degli alastri e poi tornò a concentrarsi su ciò che stava avvenendo sulla pedana.
    Re Koudai aveva levato una mano e questo era stato sufficiente affinché il silenzio fosse calato adagio all’interno della Grande Arena.
    Tutti aspettavano che il rito iniziasse e i quattro Consoli vennero avanti, schierandosi davanti ai due giovani.
    Di solito, per le capacità oratorie, era sempre il Console dell’Aria a occuparsi della maggior parte del rituale, mentre Acqua, Terra e Fuoco provvedevano a dare solo le loro specifiche benedizioni.
    Tadashi Shiroyama avanzò quindi di un passo, spostando lo sguardo dall’una all’altro, tenendo le mani incrociate in grembo. La sua voce si levò limpida.
    “I passi che segnano il cammino di un uomo a volte sono più lunghi della gamba che li compie, altre volte seguono percorsi tortuosi e altre volte ancora possono portare lontano dalla meta per poi costringere a ripercorrerli. Ma ogni passo, se compiuto nel rispetto di ciò che le Dee ci hanno sempre insegnato, se compiuto nel rispetto di ogni creatura dalla più piccola e debole alla più grande e forte saprà sempre indicarci la via della gioia. Non importa quante lacrime dovremo versare, queste resteranno a ogni passo più lontane, alle nostre spalle, e ci insegneranno a capire quale uomo o quale donna aspiriamo a divenire. In questo lungo cammino, molti passi si incontreranno con i nostri. Alcuni per restare, altri per avere un po’ di compagnia lungo la strada e poi separarsi. Ma uno solo sarà quello che le Dee avranno scelto per non farci affrontare la marcia in solitudine. Per ogni creatura ci sarà sempre un’altra anima che l’aspetta e non importa quanto lontane saranno, le loro strade troveranno sempre un modo per incontrarsi e non separarsi mai più.”
    Lo sguardo di Mamoru corse di nuovo, inevitabilmente, al gruppo degli alastri. Un brivido gli aveva attraversato la schiena nel sentire quelle parole perché non valevano solo per il Principe e la Principessa, ma anche per lui. Per loro. I suoi passi si erano da tempo incontrati con quelli che non avrebbe mai voluto lasciare andare, eppure era questo che sarebbe successo di lì a poco e lui non aveva fatto nulla per impedirlo, nonostante ne avesse avuto l’occasione.
    I suoi occhi cercarono, ma tra le teste dei giovani lì seduti e vestiti tutti uguali, non riuscì a scorgere quella desiderata. Sospirò. Abbassò lo sguardo per un momento e poi tornò a levarlo sulla cerimonia.
    Tadashi aveva levato entrambe le mani.
    “Inchinatevi, per favore” disse, ma non c’era autorità nel tono, quanto gentilezza e una comprensione che Tsubasa – che lo aveva di fronte – avrebbe definito paterna; dopotutto, tra i Consoli, quello dell’Aria era l’unico ad avere un figlio.
    I due giovani obbedirono e Tadashi poggiò ciascuna mano sul loro capo.
    “Siamo qui oggi per rendere inscindibile sotto l’occhio delle Dee l’unione di queste due anime che hanno incrociato le proprie strade e hanno deciso di renderla una, indivisibile. Vostra Altezza Reale, Principe Tsubasa Ozora, primo figlio di Sua Maestà Serenissima Re Koudai Ozora, sovrano delle Terre del Nord, del Centro e del Sud, desiderate unire la vostra anima a quella della nobile Sanae Nakazawa, prima figlia del Doge Kentaro Nakazawa, sovrintendente del Dogato di Nankatsu?”
    La risposta si levò sicura e chiara nel silenzio dell’Arena.
    “Sì.”
    “E voi, nobile Sanae Nakazawa, prima figlia del Doge Kentaro Nakazawa, sovrintendente del Dogato di Nankatsu, desiderate unire la vostra anima a quella di Sua Altezza Reale, Principe Tsubasa Ozora, primo figlio di Sua Maestà Serenissima Re Koudai Ozora, sovrano delle Terre del Nord, del Centro e del Sud?”
    “Sì.” Un’altra voce convinta e decisa.
    “Alzatevi, miei cari ragazzi” invitò Tadashi, continuando a sorridere loro con affetto. Ora potevano finalmente vederlo in viso perché avevano il permesso di levare il capo. L’uomo prese le loro mani e le pose una sull’altra, unendone i palmi, mentre le sue si mantenevano sospese sopra e sotto di esse nel pronunciare la benedizione elementale. “Che l’Aria allontani i pericoli e le insidie che la malvagia Kumi tenterà di mettere sulla vostra strada. La Divina Yayoi sia sempre con voi.”
    Un anello d’aria prese a ruotare attorno alle mani degli sposi che rimasero unite, mentre quelle del Console si allontanarono.
    Arretrò di un passo e si fece da parte, permettendo al Console della Terra di avanzare. Anche lui pose le sue mani in modo che quelle dei giovani rimanessero nel mezzo.
    I suoi occhi li osservarono da sopra gli occhiali leggermente scuri che indossava.
    “Che la Terra tracci un sicuro cammino per i vostri passi, più sicuro di qualsiasi incertezza. La Divina Yukari sia sempre con voi.”
    Un anello di piccole pietre e polvere iniziò a girare, grazie alla telecinesi, assieme a quello d’aria.
    Tatsuo Mikami sorrise a entrambi e accennò col capo, prima di tornare al proprio posto e lasciare che fosse il Console Katagiri a prendere la parola. Dalle sue mani nacque un cerchio d’acqua limpida e trasparente mentre parlava.
    “Che l’Acqua disseti l’arsura e allenti la fatica che il cammino comporterà. La Divina Yoshiko sia sempre con voi.”
    L’ultimo fu il Console Kitazume. La testa alta e il mento sollevato, fiero. Rideva di rado, ma con loro si concesse almeno una smorfia di approvazione.
    “Che il Fuoco rischiari le tenebre per illuminarvi la strada e i passi che compierete. La Divina Maki sia sempre con voi.”
    Un anello di fuoco si associò agli altri e tutti insieme si rincorrevano e intrecciavano senza mai rompersi, ma fondendosi e scindendosi in maniera perfetta e armoniosa.
    Shiroyama tornò a farsi avanti, parlando con voce più forte. “Con il consenso delle Sacre Dee Elementali, io vi dichiaro uniti in matrimonio.”
    In quel preciso istante, i quattro cerchi si dissolsero e il rito fu compiuto. Nello stesso momento, il boato di esultanza si levò festoso da ogni angolo dell’Arena, tra gli applausi della gente comune e degli Elementi, dei soldati e dei nobili. Tutti dimostrarono a gran voce la gioia per quell’unione e la fortuna che avrebbe portato alle terre del Regno degli Ozora. La guerra era finita e una Nuova Era stava per cominciare.
    I Consoli si fecero da parte portandosi a due a due ai lati della pedana su cui c’erano i troni. Aria e Acqua alla destra del Re, Fuoco e Terra alla sinistra della Regina. Stavolta fu proprio Koudai ad alzarsi in piedi imitato dalla consorte.
    Natsuko fu la prima a sfilarsi la corona dal capo e a tenerla stretta tra le mani, mentre Koudai si avvicinava a suo figlio.
    Negli occhi c’era un po’ di commozione, ma si impose di tenerla da parte per la fine della cerimonia; sarebbe stato poco regale mettersi a piangere lì, davanti a tutti.
    “Io, Koudai Ozora, primo nel mio nome, Re delle Terre del Nord, del Centro e del Sud, lascio a te, Tsubasa Ozora, primo nel tuo nome, il titolo di sovrano che a lungo ho portato per volere del nostro popolo. Giura solennemente, davanti a loro, a me e alle Quattro Dee, di adempiere scrupolosamente al tuo ruolo, di onorare, sempre, la volontà della tua gente e di accettare con umiltà qualunque destino le Dee decideranno di mettere sul tuo cammino.”
    “Lo giuro.” E il suo destino, Tsubasa lo conosceva e lo aveva accettato già da molto tempo.
    Koudai tolse la corona dal capo e si sentì come sollevare da un invisibile peso. Lui aveva sempre cercato di fare tutto ciò che era in suo potere per vegliare su tutte le terre in attesa che il detentore della Chiave Elementale, colui che le Dee avevano davvero scelto per essere re, arrivasse tra loro. Mai avrebbe pensato che potesse essere proprio suo figlio. Mentre gli poggiava la corona sul capo pensò che non potesse esserci persona più adatta di lui.
    “Nel nome dell’Acqua, dell’Aria, del Fuoco e della Terra, io ti nomino Re Tsubasa Ozora, sovrano delle Terre del Nord, del Centro e del Sud.”
    Le mani lasciarono la presa e la corona si tenne perfettamente attorno al capo del giovane. Spiccava luminosa nei tre colori dell’oro mischiati insieme con sapienza e nel fulgore delle gemme che brillavano contro i suoi capelli corvini e lucidi. Solo allora, una volta che le mani si furono allontanate, Tsubasa alzò lo sguardo verso il padre per guardarlo dritto negli occhi. Furono ‘pari’ per quell’unico istante, poi, nel momento in cui il neo eletto Re si alzò in piedi, fu lui ad essere superiore al genitore. Koudai e Tsubasa si scambiarono i posti; l’uomo scese i pochi scalini e suo figlio li salì. E l’uomo fu il primo a rendere omaggio al nuovo sovrano inginocchiandosi ai suoi piedi.
    Natsuko, invece, si avvicinò a Sanae e le poggiò la sua corona sul capo. Quando la giovane si alzò, le baciò le guance con affetto e le cedette il posto per affiancare il marito. Anche lei si inchinò con grazia, abbassando il capo e lo sguardo. Lo stesso gesto venne eseguito da tutti i presenti, mentre la voce della Chiave risuonava forte e vigorosa per tutta l’Arena.
    “Lunga vita al Re Tsubasa Ozora!”
    “Lunga vita!”
    “Viva il Re!”
    “Evviva!”
    I cori si levarono altrettanto vigorosamente e cavalcarono gli spalti come un’onda. Cappelli vennero lanciati in aria assieme ai fiori e ai fazzoletti, mentre le trombe squillavano dal bordo più alto dell’Arena e correvano in circolo per tutto il perimetro.
    Sanae e Tsubasa si scambiarono un’occhiata di intesa e si avviarono, tenendosi elegantemente per mano, verso i rispettivi troni. Il Re accompagnò la propria Regina e la fece accomodare, poi fece cenno a Ryo affinché si avvicinasse.
    Il momento della rivelazione era finalmente giunto e la Chiave gonfiò il petto e avanzò a passo fiero per raggiungere il sovrano.
    “Popolo di Elementia.” La voce di Tsubasa era ancora giovane, ma in essa vibrava una forza che sembrava avesse potuto fare presa su qualsiasi orecchio. Mamoru l’aveva compreso all’Avamposto Sud degli Stregoni e poteva percepirla con maggiore consapevolezza, mentre gli altri si sarebbero trovati semplicemente avvinti alle sue parole come fossero l’unica strada, l’unica speranza in cui credere fino in fondo.
    Tsubasa era il vero Re che quel popolo aveva a lungo atteso. Per questo egli rimase ad ascoltarlo, mentre si apprestava a mostrare a tutti il dono ultimo delle Dee, quello verso la cui esistenza era sempre stato scettico. Sorrise. Tempo ne era passato da quei momenti. Molto tempo.
    “Miei sudditi. È con immenso onore che raccolgo l’eredità lasciatami dal mio amato padre. Egli è stato un Re buono e giusto com’io spero d’essere sempre, da questo momento e fino alla fine. Il periodo che abbiamo affrontato è stato costellato dall’oscurità che la Dea Kumi ha tentato di imporci attraverso i suoi servi in terra, ma noi siamo usciti vincitori e li abbiamo ricacciati nelle tenebre dalle quali erano emersi. Molte persone a noi care sono venute a mancare per questo. Hanno sacrificato la loro vita per ciò in cui credevano e io farò in modo che nessuna delle loro vite venga resa vana. La luce sarà sempre al mio fianco perché le Dee sono con me. Loro mi hanno affidato il dono più grande di ogni tempo e col suo aiuto non fallirò il compito di vegliare su di voi. Quest’oggi, mostro a voi, popolo di Elementia, la Chiave Elementale, colei che mi ha permesso di sconfiggere il Nero e cacciare il male. Ryo.” Tsubasa allungò una mano verso il giovane prima di volgersi a lui e sorridergli.
    Un coro di stupore e commozione si liberò, correndo di bocca in bocca, perché nessuno aveva mai visto come fosse fatta la sacra Chiave Elementale, ma tutti ne conoscevano l’esistenza. Non si sarebbero mai aspettati di vedere che era un uomo, ma nessuno poteva ancora comprenderne pienamente la grandezza.
    Ryo si guardò attorno lasciando che gli occhi di tutti rimanessero su di lui, riempiendosene le iridi. Poi afferrò le dita del Re e assunse la sua vera forma.
    La luce si diffuse dal suo corpo in un bagliore meraviglioso che accecò e sorprese i presenti, tanto che dovettero coprirsi gli occhi per alcuni istanti, ma quando furono in grado di poter nuovamente vedere, la sfera di energia elementale pura era sorretta dalle mani del Re che la alzò al cielo.
    Mamoru non aveva avuto bisogno di serrare le palpebre. Quella luce l’aveva già vista una volta e si era accorto che se all’inizio poteva sorprendere e abbagliare, era un bagliore che non accecava, che poteva essere guardato dritto e intensamente per perdersi nella sua bellezza e nel suo calore. Era il bacio delle Dee, la loro emanazione, il segno tangibile e la prova vivente che loro esistevano, erano esistite e sarebbero sempre esistite in un angolo del Paràdeisos.
    In quel momento, un servo del Re lo venne a chiamare e lui si alzò, defilandosi senza dare troppo disturbo ai suoi compagni.
    Tsubasa aveva detto chiaramente che li avrebbe voluti ringraziare alla cerimonia ufficiale dell’incoronazione, davanti a tutti. Nonostante lui non fosse stato molto d’accordo, aveva acconsentito soprattutto per i suoi compagni: avevano compiuto un’impresa per cui meritavano davvero che il mondo ne venisse a conoscenza e mentre camminava per raggiungere Aria, Terra e Acqua, la Chiave era tornata in forma umana tra le ovazioni e le preghiere degli astanti e il Re aveva di nuovo preso la parola. Di lontano scorse i suoi compagni, lo stavano già aspettando.
    “Questo è un giorno importante per molti versi. Non solo per voi, non solo per me. Per più di un anno sono rimasto prigioniero nelle mani degli Stregoni, ma sapevo che non sarebbe stato per sempre. Sapevo che qualcuno sarebbe riuscito a trovarmi. E così è avvenuto. Quattro giovani Elementi sono comparsi, inviati dalle Dee, e se non fosse stato per loro io non sarei qui, ora. Per un anno hanno viaggiato attraversando Elementia da Sud a Nord, segretamente. Si sono mischiati a voi e in molti casi vi hanno aiutato, quando neppure sapevate chi fossero né da dove venissero. Non hanno mai esitato e sono venuti a strapparmi alla prigionia in cui gli Stregoni mi avevano recluso. Hanno combattuto al mio fianco nella grande battaglia, hanno affrontato il Nero ed è giunto il momento che finalmente io li ringrazi per tutto quello che hanno fatto per me, per la Chiave Elementale e per questo pianeta. Per tutti voi. Che avanzino gli Eroi di Elementia.”
    Mamoru non si sentiva a proprio agio verso quell’appellativo. Per lui erano eroi anche coloro – soprattutto coloro – che sul campo di battaglia erano morti e non sarebbero più tornati. Sacrificati all’altare della pace. Ma capiva anche quanto il popolo avesse bisogno di eroi viventi, di sentirsi al sicuro e di mitizzare lo spauracchio che la guerra era stata per ciascuno di loro, come uno spettro oscillante sulle loro teste. Ora non c’era più, ma c’era bisogno di creare leggende che potessero rendere le cronache di quei momenti meno amari e dolorosi.
    E quella leggenda erano loro.
    Con passo sicuro, la Fiamma avanzò affiancata dai suoi compagni lungo la pedana. La testa alta, lo sguardo fiero. Camminavano con una sincronia perfetta e altrettanto perfettamente si fermarono davanti agli scalini che conducevano al trono. Braccio al petto e capo chino.
    “Devoti Elementi,” Tsubasa esordì avanzando fino a loro, “so di non essere sempre stato un Principe modello nei vostri confronti. Spesso ho corso rischi che vi hanno messo in pericolo in prima persona e per tutto quello che voi avete fatto per me e per il mio popolo io non potrò mai ringraziarvi abbastanza, perché non ci saranno mai sufficienti parole.”
    Un servetto arrivò da dietro al trono recando un vassoio in argento su cui erano poggiate quattro spille in oro, ognuna raffigurante il simbolo di ciascuna scuola elementale.
    “E so anche che del semplice metallo non potrà mai sostituire la mia riconoscenza, ma vorrei farvi dono di queste medaglie, che consacrino per sempre il vostro valore.”
    Gli Elementi si misero sull’attenti lasciando che il Re in persona appuntasse le spille sui loro abiti. E nei loro occhi c’era orgoglio, Mamoru lo sentiva sotto la pelle e doveva essere lo stesso anche per i suoi compagni. Soprattutto per Teppei, conoscendolo. Ma il Re non aveva ancora finito e lui lo seguì discretamente con lo sguardo quando tornò in cima alla piccola scalinata.
    Adesso avrebbe detto un paio di altre parole a effetto e poi li avrebbe congedati. La festa sarebbe seguita subito dopo e tutto si sarebbe dissolto nel vino e nei cibi che sarebbero scorsi da lì in poi. Tutto. Come la sua possibilità, ormai perduta e lontana.
    Mamoru avrebbe voluto girarsi, carpire il profilo di Yuzo che era alla sua sinistra; a separarli c’era solo Teppei. Però non si mosse. Non poteva. Sarebbe stato inutile.
    “Avrei ancora qualcosa da dire.”
    Come aveva pensato, il discorso di Tsubasa non era concluso e lui tornò a concentrarsi sul sovrano.
    “Ne ho parlato a lungo sia con i Master che con i Consoli e siamo venuti a una conclusione. Come voi saprete, i Master sono i responsabili dell’educazione elementale del sovrano e della sua famiglia, in questo caso mio fratello minore Daichi e i futuri eredi al trono. Purtroppo, il ruolo di Master obbliga anche i suddetti a dover occuparsi delle scuole, e viaggiare di continuo dalle città elementali alla capitale… non è agevole. Soprattutto, non è una buona cosa nei riguardi degli alunni la cui presenza del Master è fondamentale e questo, voi, lo sapete bene. A tal proposito, come detto, parlando con gli interessati e con i Consoli, vorrei farvi una proposta. Accettare sarà sempre a vostra discrezione, non è un obbligo.”
    Mamoru si preoccupò, tanto da cambiare piede d’appoggio. Tsubasa batté le mani e allargò un ampio sorriso, gettando la bomba.
    “Vorreste rimanere al castello come miei Magister Reali?”
    “Come cosa?!” A Mamoru uscì talmente spontaneo che non si trattenne, ma lo stupore fu tale che i suoi compagni neppure se ne accorsero e quello stesso stupore corse per tutti i presenti con mormorii e bisbigli.
    “Come Magister Reali” ripeté il Re. “Sareste i primi in questo ruolo, visto che verrebbe istituito con voi. Sarei davvero lieto se accettaste e non avrei alcuna remora ad affidarvi la mia famiglia, perché so che ve ne prendereste cura come fosse la vostra. Ho imparato a conoscervi e posso fidarmi.”
    Per la prima volta, gli Elementi si scambiarono un’occhiata perplessa e in quel momento, mentre i suoi occhi incrociarono prima quelli di Teppei, galvanizzatissimo all’idea, e poi quelli di Yuzo che non avrebbe saputo definire, Mamoru si rese conto di avere un’altra opportunità. Le loro strade avrebbero potuto non separarsi, proprio come il Console Shiroyama aveva detto: se era destino, ovunque si fossero trovati, il loro cammino avrebbe finito con l’incrociarsi ancora, per sempre.
    La trepidazione e una improvvisa speranza gli accesero il cuore, ma poi la concretezza tornò a dominare le sue emozioni: e se Yuzo avesse rifiutato? Aveva detto di non voler più divenire un Magister...
    “Ovviamente non dovete darmi subito la vostra risposta, però io-”
    “La Terra è al vostro servizio, Vostra Maestà.”
    Teppei interruppe il Re e fu il primo di loro a parlare e a prendere una decisione. Come sempre, il tyrano agiva di cuore prima che di testa e Hajime non si stupì del modo in cui si gettò a capofitto nella nuova impresa. Anzi, sorrise nel vedergli portare il braccio al petto e inginocchiarsi.
    A lui, ovviamente, non sarebbe che toccato stargli dietro. Non avrebbe certo permesso che combinasse un mezzo disastro come Magister Reale; c’era bisogno di qualcuno che lo arginasse.
    “L’Acqua è al vostro servizio, Vostra Maestà.”
    Mamoru sbatté più volte le palpebre nel vedere che anche Hajime aveva già compiuto la sua scelta e aveva scelto di rimanere. Erano rimasti solo loro due. Levò lo sguardo sul volante e il giovane guardò lui, di rimando, intensamente. Non osò sperare…
    “L’Aria è al vostro servizio, Vostra Maestà” sorrise invece l’uccellino, inginocchiandosi come i suoi compagni prima di lui.
    Mamoru avrebbe voluto gridare dalla gioia, ma tenne solo per sé il calore che quell’esplosione gli allargò nel petto. Levò lo sguardo fieramente verso il Re e prese la sua decisione, già ovvia.
    “Il Fuoco è al vostro servizio, Vostra Maestà.”
    Ora niente avrebbe potuto tenerli lontani.

    “Ma perché non posso portare la mia armatura usuale invece di questa robaccia finta e orpellata, dico io?”
    Ryoma Hino aveva continuato a lamentarsi anche durante il ricevimento. Il viso imbronciato e il sopracciglio inarcato con fastidio. Ogni volta che vedeva la divisa elegante riflessa in qualche vetro faceva una smorfia di disgusto. Lui preferiva il peso del metallo, altroché. Metallo vero, però! Niente roba per ricchi viziati come quella. Ma l’etichetta era l’etichetta e allora a lui non era rimasto che borbottare.
    Il Capitano Bunnaku e il Capitano Shunjin-Go risero divertiti al suo ennesimo lamento tenendo ben salde le coppe piene di vino, mentre il Capitano Victorino gli mollava un confidenziale scappellotto dietro la nuca.
    “Ripeterlo per l’ennesima volta non ti farà cambiare abbigliamento! E poi non puoi andartene in giro bardato come se stessi per tornare sul campo di battaglia! È un ricevimento reale, ufficiale per di più! Sta’ zitto e beviti il vino.”
    Ryoma gli fece una smorfia e decise di consolarsi con l’alcool.
    “Dai, Ramon, non essere così severo” intervenne Bunnaku. “Lo sai com’è fatto il nostro Primo Ufficiale.”
    “Ecco, Ramon, capiscimi” fece eco Ryoma. “E poi non comprendo perché Shunjin-Go può portare lo spadone di famiglia, mentre io devo andare in giro con questo stuzzicadenti da femminucce!”
    Shunjin-Go levò il mento con una certa altezzosità, ma stava ridendo. Onore era nel fodero che portava di traverso dietro la schiena. Un fodero ricchissimo e altrettanto antico che non sfigurava affatto in una cerimonia ufficiale. “Perché basta guardarla per avere una risposta, signore.”
    Gli altri risero e le loro risate si mischiarono a quelle che provenivano ovunque, intorno a loro.
    Il salone delle feste del Castello Ozora era gremito fino all’inverosimile, e così anche gli altri saloni più piccoli. I corridoi erano un via vai continuo di servi e bambini monelli che si rincorrevano sfuggendo sotto le sottane di qualche dama che cercava, invano, di tenerli a bada. Nei cortili qualcuno della Guardia Reale e di quella Cittadina offriva simulazioni di combattimento ai figli dei nobili Doge e ai Doge stessi che volevano apprendere.
    I colori degli Elementi si fondevano in un’armonia perfetta a tutti gli altri. I Master attiravano gli sguardi per la loro eleganza e presenza, suscitando l’imperituro borbottare di Hino che guardava l’armatura leggera di Kojiro Hyuga e ogni volta ripeteva: “Perché lui sì e io no?!” con buona pace di Ramon Victorino.
    Il Re uscente Koudai Ozora stava parlando col figlio, in un angolo della sala, assieme al Comandante Hongo, mentre la Chiave era praticamente circondata da persone che la facevano sentire la presenza più importante del castello. E la cosa, ovviamente, non dispiaceva affatto al buon Ryo la cui risata risuonava di sovente in scrosci rumorosi.
    “Direi che il Divino Ryo sia a proprio agio” stava facendo notare Koudai giusto in quel momento.
    “Oh, Ryo finisce col trovarsi bene ovunque e con chiunque. Basta solo che si stimoli un pochino il suo ego” rise Tsubasa.
    Hongo aggrottò le sopracciglia, scuotendo bonariamente il capo. “Meglio se vado a dire a sua divinità se è meglio che ci va piano con quell’idromele. Sarà anche divino, ma non credo regga molto bene l’alcool. Se volete scusarmi.” Piano si allontanò, tornando a mischiarsi tra la folla, mentre padre e figlio ridevano della scena.
    “E così, sei convinto di ripartire, padre?” domandò Tsubasa e Koudai non si mosse subito, restando ancora un po’ a fissare Hongo che con un abile trucco e una risata riusciva a sottrarre il liquore alla Chiave.
    “Sì, è così.” Si volse. Il sorriso si tendeva pacifico da sotto i baffi. “Il Nord ha bisogno di vedere rafforzata la nostra presenza. E visto che in buona parte è colpa mia se le cose sono andate in questo modo e Gamo ha trovato terreno fertile per la sua rivolta, allora è giusto che sia io a prendermene cura in prima persona, al posto tuo. Almeno per il momento. C’è bisogno di qualcuno che controlli che le autorità dei Doge vengano ristabilite secondo le nostre leggi e che dimostri che gli Ozora non si sono mai dimenticati di loro.” Sospirò. “Non sarà proprio un’impresa facile, ma nemmeno tu avrai di che gioire, qui, alla Capitale.”
    Tsubasa annuì. “Il Sud e il Centro sono molto autosufficienti. Il nostro potere, se così vogliamo chiamarlo, è rispettato e ora che Sanae è divenuta la mia Regina, il Sud si sente maggiormente considerato e più vicino a noi di quanto fosse mai stato prima.”
    “E Sanae sa esattamente come farsi rispettare” sghignazzò il Re mentre vedeva la nobile giovane in atteggiamenti ben poco nobili quali il mollare un deciso scappellotto al fratello minore che continuava a correrle intorno per afferrare quel pestifero di Daichi.
    “E la mamma? Non si sentirà sola senza di te?”
    “Sì, un po’. Ne abbiamo già parlato. Ovviamente farò ritorno, di quando in quando, non voglio certo perdermi la nascita del mio futuro nipote.” Tsubasa arrossì tracannando l’ultimo sorso di vino che aveva nella coppa e facendo scoppiare a ridere il genitore. “Vacci piano, figliolo!”
    “Padre! Mi sono appena sposato!”
    “Lo so! Scherzavo! Però è vero, tua madre è più utile qui che con me. Lei ha sempre saputo quali sarebbero stati i lati negativi nell’essere moglie e madre di un Re. È preparata.” Poi si volse e gli poggiò una mano sulla spalla. “Nella Lingua di Serpe non ho tenuto conto delle tue parole né della tua volontà che vedeva ben oltre la mia. Mi spiace molto, figliolo, ma sono sicuro che saprai come tenere ben salde le redini di questo Regno. Grazie a te, tornerà a regnare davvero la pace, da Nord a Sud.”
    Tsubasa accennò col capo, ma non abbassò lo sguardo, puntandone uno fiero in quello del genitore e fiducioso. “Farò sempre in modo che sia così, padre.”
    Il tintinnare delle coppe nuovamente riempite venne coperto da altro tinnire e posate che urtavano piatti, bicchieri contro colli di bottiglie, scalpicciare di passi e oscillare d’argenti e metalli.
    In un altro angolo della sala, un agadiro stava ammonendo un tyrano perché, come sempre, ci stava dando troppo dentro con il banchetto.
    “Quella è la terza coscia di tacchino che fai fuori, Teppei.” Gli fece notare Hajime con sguardo di rimprovero.
    L’altro si strinse nelle spalle, il boccone ancora in bocca. “E’ buona.” Si giustificò e il Tritone ruotò gli occhi.
    “Se continui ad abboffarti in questo modo, diventerai il primo Magister Reale a rotolare, invece di camminare.”
    “Sai che valanga?” Se la rise l’altro divertito, ma alla fine si lasciò convincere a mettere via il cosciotto… tanto lo aveva già spolpato per bene, fino a leccarsi anche le dita. Le lavò in una delle ciotoline apposite che uno dei servetti fermi presso il tavolo recava con sé, assieme a delle salviette in lino su cui asciugarsi. “E comunque, dopo la festa saremo in licenza e tutto quello che ingurgiterò, lo smaltirò col viaggio per tornare a Ilar.”
    Hajime sbuffò una mezza risata alla giustificazione del compagno. “Sì, così poi ti rimpinzerai quando saremo arrivati.”
    “Devo pur mettere qualcosa nello stomaco. E poi il mio è duro come la pietra!” scherzò il giovane sistemando il berretto che portava sul capo.
    “Perdonate se vi interrompo.” Una voce di donna comparve alle loro spalle e nel suo sorriso e nei modi i giovani riconobbero l’assistente di Shibasaki.
    “Signorina Deva!” Teppei esibì un sorriso amplissimo, prima di sbottare ancora più forte. “Silver!”
    Lo zaikotto, che restava attorcigliato al braccio della donna, iniziò ad agitarsi e a far schioccare la lingua per la contentezza. Allungava il muso, voleva andare dal tyrano e al giovane bastò allungare il braccio perché l’animale praticamente gli si lanciasse addosso, risalisse la spalla e andasse ad acciambellarsi attorno al suo collo facendogli tantissime feste. La testa, dove la pietra spiccava nel suo colore rosso carico, veniva strofinata contro la guancia di Teppei.
    Hajime nascose una mezza risata divertita; era da parecchio che non vedeva il suo migliore amico così felice come in quel momento.
    “Silver! Bello!” ripeté ancora quest’ultimo, sorridendo poi alla donna. “Grazie, grazie infinite per esservi presi cura di lui.”
    L’assistente del Naturalista scosse il capo, mostrando un bel sorriso sincero. “Sono io che vi ringrazio per esservi presi cura del dottore. Aveva proprio bisogno di incontrare persone come voi.”
    Hajime allungò il collo per scrutare distrattamente in giro, ma la risposta alla domanda già la conosceva. “Shibasaki non è venuto?”
    “Oh, no.” La donna agitò la mano. “Troppi Elementi per i suoi gusti, non voleva creare scompiglio proprio adesso. Per questo ha mandato me. Vi porge i suoi saluti e si augura di non dover più rivedere quella ‘dannata bestiaccia’; lui e Silver non andavano proprio d’amore e d’accordo” ridacchiò.
    “Non stento a crederlo.” Hajime scosse il capo, ricordando quanto quel tipo di serpenti fosse sensibile alla magia e poco tollerante verso la stregoneria.
    “Vi auguro ogni fortuna, giovani Magister Reali. Vi è stato affidato un compito davvero importante, ma so che saprete portarlo avanti al meglio.”
    “Andate già via?” domandò Teppei e la donna annuì.
    “Visto che mi trovavo qui, il dottore mi ha mandato a fare dei rifornimenti di materiali difficili da reperire verso il Nohro. E poi da solo temo possa combinare dei disastri; non ho idea di come troverò il laboratorio, ahimé” confessò con un sospiro un po’ rassegnato. Fece loro un ultimo inchinò e si allontanò, sparendo rapidamente tra la folla.
    “Credi che rivedremo mai Shibasaki?” domandò d’un tratto Teppei, osservando ancora nella direzione in cui Deva era andata via.
    “Chissà. Durante questa missione ho imparato che nulla si può escludere a prescindere. E poi, se lo proponessi a Yuzo, penso che sarebbe capace di andarlo a trovare. Quello Stregone gli era simpatico.”
    Teppei annuì, ma non fece in tempo a girarsi che una manona pesante si appollaiò pesantemente sul capo suo e su quello di Hajime e una voce a lui nota li rimproverò.
    “Eccovi, qua, piccoli marmocchi! Altro che Magister Reali! Non venite neppure a salutare i vostri genitori!”
    Il tyrano e l’agadiro ruotarono il capo, trovando l’espressione sorridente di Hidetoshi Kisugi che li fissava dall’alto del suo metro e novanta. Era una specie di montagna dai muscoli possenti e l’espressione bonaria.
    “Papà!” sbottò il giovane ricciuto. Gli occhi brillavano dalla gioia.
    “Zio Hide.” Hajime spostò appena lo sguardo. “Ciao, papà.”
    Hidetoshi arruffò i capelli dei due giovani, prima di abbracciarli con talmente tanta foga da sollevare entrambi dal suolo.
    “Ah! I miei mostriciattoli! Quanto sono felice di rivedervi tutti interi!” disse, quasi commuovendosi.
    “Lo vedono anche loro, Hide! Mettili giù!” Lo rimproverò Seishiro Taki passandosi una mano sul viso.
    “Non rompere, Shiro! Lasciameli strapazzare un po’!”
    “Vacci piano, zio Hide! Siamo stati già strapazzati abbastanza!” scherzò Hajime. Un tempo avrebbe avuto la stessa reazione un po’ imbarazzata di suo padre, ma in quel momento non gliene fregò nulla di venire addirittura preso in braccio. Il padre di Teppei era mancato moltissimo anche a lui ed era felice di farsi coccolare come quando era bambino. Per un attimo sembrò che il tempo non fosse passato ed era una bella sensazione.
    Al collo di Teppei, il povero Silver sibilò un verso impaurito e Hidetoshi mise subito giù i due ragazzi. Solo allora notò che suo figlio aveva addosso un serpente.
    “Ma che diavolo è quello?!”
    Teppei gonfiò il petto. “Lui è Silver, il mio zaikotto! Non è adorabile?”
    Reika ci fece subito amicizia, trovandolo irresistibile, mentre suo padre inarcava un sopracciglio. “Uno zaikotto? E dove l’hai trovato? Sono animali molto rari…”
    “L’ha trovato Hajime nelle paludi nei pressi del Nohro” iniziò subito a raccontare il tyrano con forte coinvolgimento. “Sai, ci siamo spinti fin lì, papà! E abbiamo affrontato i nostri primi Stregoni!”
    “Teppei, lascia perdere, non mi sembra il caso-”
    “Zitto, tu! Fammi finire!” – Hajime sospirò – “Erano fortissimi! Erano i temibili fratelli Konsawatt! Non ci hanno ridotto bene, lo devo ammettere. Ma per fortuna che Hajime ha trovato Silver! L’ha cercato ovunque! Ha impedito che mi pietrificassi-”
    “Ti stavi pietrificando?!” sbottò Hidetoshi a cui per poco non veniva un infarto. “Sciagurato di un figlio!”
    “Sì! Veleno di Rankesh, papà! Robaccia, te lo posso garantire!”
    “E adesso chi lo ferma più?” sospirò di nuovo Hajime, lasciando che l’altro continuasse a raccontare gli eventi in maniera scoordinata. Shiro si avvicinò cingendogli le spalle con un braccio. Anche lui indossava il kiro.
    “Addirittura il veleno di Rankesh, eh?”
    Il Tritone guardò il padre accennando un sorriso. “Già. Ci è andato davvero vicino, quella volta.” Poi si strinse nelle spalle. “Per fortuna c’ero io.”
    “Il mio piccolo pesciolino è proprio un eroe.” All’altro lato, Arin Taki cinse la vita di suo figlio, rivolgendogli un affettuoso sorriso materno.
    Hajime non se la prese come avrebbe fatto un tempo. “Mamma, sono anni che ho smesso di essere ‘un pesciolino’.”
    “Oh, lo so.” La donna poggiò il capo sulla sua spalla. “Credo che non potrò più trovarti graziosi nomignoli, ormai.”
    Il Tritone ricambiò la stretta della donna e di suo padre, rivolgendo loro un mezzo sorriso più aperto da sotto al ciuffo che, nonostante l’abbigliamento formale, seguitava a essere mantenuto ribelle, libero di andare dove più gli piaceva.
    “Hajime!” sbottò d’un tratto Teppei che, non si sapeva come, era passato dall’avventura al Nohro a parlare dei loro nuovi amici di Aria e Fuoco. “Dobbiamo trovare Mamoru! Sono troppo curioso di vederlo con i suoi famosi fratelli!”
    “Teppei, sei perfido.” Gli fece notare il Tritone, che tanto aveva capito che il suo obiettivo era quello di prendere in giro la Fiamma; l’altro non si premurò nemmeno di nasconderlo.
    “Lo so!” ridacchiò. “Scusateci per qualche minuto! Torniamo subito!” esordì poi e, afferrato Hajime per un braccio, se lo tirò dietro per andare a cercare Yuzo.

    Takeshi Sawada sembrava molto più emozionato di lui mentre parlava.
    Yuzo sorrise rigirando la coppa ancora piena a metà, vi aveva dato giusto un paio di sorsi, ma non aveva molta sete. Non di vino, almeno. Si era fermato a parlare con i suoi compagni di scuola in una zona del salone principale.
    Dopo la fine della cerimonia aveva perso di vista sia Hajime che Teppei che Mamoru e nella confusione non era ancora riuscito a trovarli. Non tanto per avvicinarsi a loro, sapeva che sarebbero di sicuro rimasti assieme ai propri familiari, quanto per sapere che c’erano, che erano lì, e che il giorno dopo e quello dopo ancora ci sarebbero stati ugualmente. Anche se il viaggio era finito, un altro molto più lungo era cominciato ed era davvero felice di poterlo affrontare assieme ai suoi migliori amici. Assieme alla persona cui aveva deciso di legarsi. Sempre se Mamoru si fosse deciso, ovviamente. Altrimenti… altrimenti Yuzo era sicuro che non sarebbe mai riuscito ad aspettare l’arrivo del nuovo giorno: se la Fiamma non si fosse fatta avanti, lo avrebbe fatto lui e prima che il sonno avesse potuto coglierli.
    “Magister Reali! E’ fantastico!” La voce di Takeshi lo distolse dai suoi pensieri. “Quando lo sapranno ad Alastra, saranno tutti felici per te, fratello!”
    Manfred Margas, assieme a loro, sollevò il viso e si portò una mano al mento. “Certo che Magister Pierre ha fatto un’espressione strana…”
    “Lui fa sempre espressioni strane.” Takeshi non vi diede importanza, poi però ci pensò un po’. “A proposito! Adesso dovremo portarti lo stesso rispetto che portiamo agli insegnanti! Scusaci!”
    Yuzo rise, poggiando il bicchiere sul primo vassoio che gli passò accanto. “Ma no, Takeshi. Sta’ pure tranquillo.”
    “Invece sì. Accidenti, dovevamo stare più attenti.”
    “Fingi che ancora per oggi io sia un Elemento qualsiasi, va bene?” propose Yuzo. Aveva tempo per abituarsi alla diversa etichetta che da quel momento in poi avrebbe dovuto usare e che gli altri gli avrebbero rivolto. Per quel giorno voleva continuare a rimanere solo Yuzo Shiroyama. Anzi… Yuzo Morisaki Shiroyama. Andava benissimo così.
    “Tu sei davvero sicuro della scelta?” domandò invece Manfred. Era tra i ragazzi più alti della scuola e la sua chioma rossiccia non passava affatto indisturbata.
    “Sì.” Deciso, forse troppo convinto, tanto che Takeshi aggrottò le sopracciglia.
    “Non volevi tornare ad Alastra?”
    “Oh, no, non è quello…” Yuzo non voleva essere frainteso. Amava la sua Città Elementale più di qualsiasi altro luogo al mondo, ma semplicemente sentiva di doversene allontanare. L’uccellino abbandonava il nido perché la sua ricerca era appena iniziata. “E’ solo che… il mondo mi ha offerto più di quanto pensassi e vorrei rendermi utile. Ad Alastra sarei al sicuro, ma non è ciò che voglio. Non più.”
    Manfred parve comprendere, infatti gli sorrise. Adagio si portò le mani dietro la testa, levando lo sguardo all’alto soffitto della sala dal quale pendevano enormi lampadari in cristallo. “Magister Matilda si dispiacerà di non averti più come suo assistente. Già è disperato perché non riesce a trovare nessuno in grado di rimpiazzarti come si deve.”
    “Già!” convenne Takeshi. “Cambia aiutante ogni trena! Quell’uomo è incontentabile.” Assunse un’espressione più mesta, stringendosi nelle spalle. “Sarebbe voluto venire, ci teneva molto, ma purtroppo l’età non gli permette più di compiere viaggi così lunghi.”
    Yuzo annuì adagio. “Sì, me ne rendo conto. Potete dirgli che passerò sicuramente a trovarlo? Tornerò ad Alastra almeno in visita non appena mi sarà possibile.” Di quello era certo, perché Alastra era parte di lui, era casa e a casa finivi sempre per tornarci, in un modo o nell’altro.
    Takeshi non fece in tempo ad aggiungere nulla che Teppei arrivò e travolse il gruppo, tutto eccitato. “Yuzo! Eccoti!”
    Hajime sospirò. “Perdonate il modo brusco in cui siamo piombati a disturbarvi. Vi prego, non fate caso a lui. E’ un tyrano.”
    “Piantala!” lo ammonì l’Elemento di Terra e Yuzo si accorse che aveva uno zaikotto attorno al collo.
    “Silver?” domandò allungando subito la mano per carezzare la bestiola sulla testa. Il rubinato gradì particolarmente quel tocco affettuoso. “Ma da dove è spuntato?”
    “Al ricevimento c’era Deva, è venuta apposta per portarmelo, assieme ai saluti di Shibasaki.”
    “Oh.” Yuzo parve particolarmente felice della cosa, poi si rivolse ai suoi fratelli d’Aria. “Takeshi, Manfred, loro sono Hajime e Teppei, i miei compagni di missione.”
    I due alastri si profusero in un elegante e ossequioso saluto elementale.
    As-salaam ‘alaykum, Magister Reali.” Margas sorrise loro con cortesia. “E’ un vero piacere fare la vostra conoscenza.”
    Wa ‘alaykum as-salaam. Il piacere è nostro.” Per fortuna che c’era Hajime a ricordare ancora le buone maniere, mentre Teppei tirava un lungo sospiro, grattandosi i ricci morbidi e folti.
    “Accidenti, sentirmi chiamare ‘Magister Reale’ mi fa uno strano effetto. Scusate se siamo piombati con tanta foga, ma possiamo portarci via Yuzo? E’ di vitale importanza.”
    “Per cosa?” Il volante si preoccupò, ma subito Hajime mise in chiaro le cose.
    “Per far imbufalire Mamoru, che altro?”
    Yuzo rise. “Teppei, che hai in mente?”
    “Nulla, vuole solo andare a punzecchiarlo ora che è con i suoi fratelli” spiegò, sempre il Tritone, mentre Teppei si sfregava le mani.
    “Sono davvero curioso di vedere se è così burbero anche con loro! Scommetto che è tutto un colar di miele!” sghignazzò, afferrando l’alastro per un braccio. “Forza! Andiamo!”
    Yuzo non ebbe neppure modo di protestare che venne trascinato via. “Scusate!” riuscì solo a dire, prima di essere inghiottito dagli altri invitati.

    Mamomamo!” quello squittire allegro interruppe il discorso – noioso, a dire il vero – che stava avendo con il Console Kitazume.
    Mamoru si volse e scorgere quella folta massa corvina che correva verso di lui con le braccia spalancate gli sembrò una manna dal cielo.
    La Fiamma prese al volo la bambina che, accidenti!, più cresceva più gli somigliava. Nahila aveva preso tutto, ma proprio tutto dalla famiglia Izawa. Gli occhi scurissimi, i capelli neri. Certo, lui non era così affettuoso, ma era anche vero che aveva avuto un’infanzia diversa.
    “Ehi! Quanta fretta!” rise, sollevandola in braccio. Ormai aveva circa tre anni e si vedeva. Era cresciuta tantissimo dall’ultima volta.
    Il Console Kitazume tossicchiò, cercando di non ridere. “A quanto sembra, penso che dovremo riprendere in seguito il nostro discorso, Magister Reale. Non si deve mai far aspettare una dama, soprattutto se così impaziente.” Dietro l’espressione un po’ scontrosa, spuntò un sorriso divertito cui Mamoru fece fronte con un ossequioso inchino.
    “Perdonate i modi un po’ prepotenti di mia sorella, Console.”
    “Oh, figurati. Dopotutto, l’hai detto tu stesso: è tua sorella.” Mamoru fece per rispondere, ma poi rimase seriamente colpito dal fatto che Kitazume gli avesse appena fatto una battuta. Si evinse chiaramente dalla sua espressione e rimase a guardarlo con tanto d’occhi mentre questi si allontanava sghignazzando.
    Appena aveva messo piede nella sala era stato braccato da un sacco di persone e il Console era stato solo l’ultimo della fila infinita. Certo, i suoi complimenti e le congratulazioni gli avevano davvero fatto piacere, ma l’avversione che aveva nei riguardi della folla non era ancora cambiata. Mentre parlava o, meglio, fingeva di ascoltare, con lo sguardo si era guardato intorno. Era riuscito a trovare Yuzo, in compagnia di alcuni alastri. Sembrava tranquillo, ma non particolarmente a suo agio. Spesso l’aveva colto a scrutare l’ambiente. Chissà, magari anche lui lo stava cercando con gli occhi. Aveva smesso di illudersi ed era tornato a concentrarsi sui suoi interlocutori fino a che una piccola peste non era piombata a reclamare solo per sé le sue attenzioni.
    Mamoru guardò con aria di finto rimprovero la sorella che sostenne i suoi occhi scuri con lo stesso atteggiamento un po’ altezzoso.
    “E insomma? Non si interrompe così una conversazione, signorina. Lo sai chi era quel signore? Era il Console del Fuoco, una persona importantissima.”
    Nahila si strinse nelle spalle, come se la cosa le importasse tanto quanto una mela caduta da un tavolo. “Io ti ho visto tanto tanto annoiato.” Si giustificò con candore.
    “Ah, sì?”
    “Sì, noi femmine vediamo le cose.”
    Parlava con un’esperienza decennale e con una sicurezza di sé che gli fece sgranare gli occhi.
    “Auguri, papà” borbottò, perché il suo vecchio avrebbe avuto un bel da fare con quella piccola peste.
    La voce di Sheral arrivò poco dopo. “Nahila, Sante Dee! Che modi sono questi? Ti avevo detto di non andare a dar fastidio a tuo fratello Mamoru.”
    La bambina cercò subito rifugio nel collo del giovane, nascondendovi il viso e stringendolo più forte.
    “Non importa, Sheral, non rimproverarla.” La Fiamma lanciò un’occhiata alla massa di capelli, così simili ai suoi, che gli restava stretta addosso. “Dopotutto, Nahila è venuta a salvarmi, vero?”
    La bambina fece spuntare di nuovo il visino vispo, annuendo con convinzione, ora che aveva l’appoggio del fratellone.
    La donna lo guardò con comprensione. “Non vorrai cominciare a viziarla anche tu, spero? Ci pensa già tuo padre.”
    “Davvero?” Mamoru inarcò ironicamente un sopracciglio. L’idea lo divertiva e poi aveva già visto come Nasir cambiasse espressione quando era con i figli.
    “Io non la vizio, è lei che tiene tutti in riga.” Il Doge avanzò con passo sicuro tenendo le mani dietro la schiena. I capelli erano legati in una coda bassa mentre il farsetto, in varie tonalità di rosso, spiccava sui pantaloni neri e gli stivali dello stesso colore. “Da perfetta Izawa” concluse.
    “Oh, e tu da quando ti fai tenere in riga dai tuoi figli?”
    “Non essere indisponente.” Lo ammonì l’uomo in maniera bonaria.
    Mamoru non si era lasciato sfuggire l’occasione per pungolarlo un po’, ma ormai non c’era più alcun intento di ferire e questo Nasir l’aveva compreso.
    Da dietro il Doge spuntarono, correndo, anche Seika e Bairei che erano già divenuti degli ometti di sei e sette anni.
    “Mamoru fratello!” salutò il primo mettendo in evidenza le bellissime fossette. Lo abbracciò con lo stesso entusiasmo mostrato a Dhyla. Un piccolo polipo.
    Bairei, invece, manteneva un comportamento più compito e poco incline ai plateali gesti di affetto.
    “Fratello! Bentornato!”
    Mamoru affondò una mano nella folta capigliatura di Seika, spettinandola e facendolo ridere.
    “Certo che siete cresciuti anche voi” notò, ora che poteva vederli tutti insieme.
    Erano cresciuti davvero tanto e in meno di un anno. Sembrava ne fossero passati molti di più. Di colpo, la Fiamma si rese conto di non trovarsi più a disagio in loro compagnia, di non essere fuori posto.
    Sheral gli sorrideva dicendo che i bambini crescevano sempre in fretta, mentre Seika e Bairei parlavano tutti insieme per estorcergli i racconti più incredibili del suo lungo viaggio. Si erano fatti spiegare per bene cosa significasse il titolo di Magister Reale e sprizzavano ammirazione da tutti i pori. Erano fieri di averlo come fratello maggiore e lo erano sempre stati anche quando a loro non rivolgeva niente più che occhiate o brevi cenni. Adesso, più di allora, pendevano dalle sue labbra e lui si sentiva perfettamente in grado di sostenere quel ruolo cruciale che era l’essere un fratello maggiore, una sorta di guida cui rivolgersi qualora avessero avuto bisogno anche del più piccolo consiglio.
    Suo padre, invece, non parlava molto, a parole, ma nello sguardo poteva leggere tutta la fierezza che aveva nei suoi confronti. Fiero di lui. E la sensazione aveva un sapore tanto strano quanto piacevole al palato e in mezzo al cuore. Inoltre, ne era sicuro, si era accorto anche di come fosse cambiato, ma Nasir non era tipo da discorrere di certe cose davanti a tutti. Appena si fossero trovati da soli, Mamoru era sicuro che glielo avrebbe fatto notare in qualche modo e in qualche modo gli avrebbe detto d’esserne felice.
    “Finalmente ti abbiamo trovato!”
    La voce smaccatamente ironica e trionfante di Teppei lo pugnalò alle spalle facendogli drizzare la schiena.
    In quel momento, Mamoru si considerò un Elemento finito.
    “Ti stavi per caso nascondendo?”
    “No che non mi nascondevo, Teppei.” La Fiamma si volse adagio lanciandogli un’occhiata omicida e un sorriso ironico. L’espressione si addolcì quando però vide che c’erano anche Yuzo e Hajime.
    “Non stava più nella pelle. Era troppo curioso di conoscere i tuoi fratelli” confessò il Tritone e infatti il tyrano batté le mani davanti a sé osservando i tre piccoli Izawa e come il loro burbero capogruppo fosse cordialissimo in loro presenza. Aveva addirittura la sorella in braccio. In braccio! Non poteva crederci! Non si era di certo dimenticato quanto fosse stato rude nei confronti di Yoshiko quando si trovavano a Sendai.
    “Allora sono loro! Ma sono carinissimi!”
    Mamoru scosse il capo e decise di capitolare. Fece le presentazioni.
    “Papà, Sheral loro sono Hajime Taki e Teppei Kisugi, rispettivamente da Agadir e da Tyran. Miei compagni di viaggio e missione. In quanto a Yuzo-”
    “Yuzo-caro!” trillò Sheral andando incontro al volante con le braccia aperte. “Che sollievo è stato vedere che anche tu stavi bene.”
    “…lo conoscete già” concluse Mamoru, arrendendosi anche a quello.
    Hajime e Teppei salutarono formalmente il Doge e la di lui consorte.
    “Quindi eravate voi gli altri due” notò Nasir, assottigliando lo sguardo. “Quelli che hanno avuto il buon senso di non pretendere di farmi la paternale. Dico bene, randagio?”
    “Papà!” sbottò Mamoru fulminandolo con la peggiore occhiata che potesse fargli. Nasir agitò una mano con noncuranza.
    “Non intrometterti, figlio, son cose che riguardano me e il tuo amico di Alastra.”
    Yuzo sorrise, affrontando a testa alta la frecciata dell’uomo. “Dite bene, Doge Izawa. È un vero piacere rivedervi.”
    L’uomo sostenne il suo sguardo, sollevando il mento. Sorrise di rimando e Mamoru non seppe se rimanerne più sorpreso o altro: sul viso di suo padre non c’era alcuna ostilità, anzi.
    “Anche per me, ragazzo. E tuo padre dov’è? Non sono ancora riuscito a incrociarlo.”
    “No, aspetta! Vuoi dirmi che conosci il Console Shiroyama?” La Fiamma spalancò gli occhi.
    “Sì, certo. Da tantissimo tempo. Tadashi è di Dhyla, ci conosciamo praticamente da quando eravamo bambini.”
    Il Magister Reale del Fuoco sbatté più volte le palpebre alla notizia. “Quindi siete… amici di infanzia?!”
    “Sì. Perché?”
    “Oh, stupendo” masticò il giovane. Poi guardò il volante di sguincio. “E tu lo sapevi.”
    “Sì, temo d’aver dimenticato di dirtelo.”
    “Non ne avevo dubbi.”
    “Qual è il problema?” mormorò Yuzo avvicinandosi alla Fiamma, mentre i suoi fratelli erano presissimi da Hajime, Teppei e Silver.
    “E mi chiedi quale sia? Ma è ovvio!” sbottò. “Conosco abbastanza bene mio padre da sapere che non perderà l’occasione per fare chiacchiere con il tuo! Già me li vedo che sparlano di noi come due vecchie comari.”
    Yuzo rise scuotendo il capo mentre Nahila lo fissava così tanto intensamente che non riuscì a non notarlo.
    “Ti somiglia tantissimo” convenne, guardando prima la bambina e poi la Fiamma.
    Quest’ultima sorrise, mettendo da parte il resto. “Vero, eh?” Poi si rivolse alla sorella. “Nahila, lui è Yuzo. E’ un mago come me, però sa anche volare.”
    Il volante si profuse in un cortese inchino e le sorrise. “Piacere di conoscerti.”
    Le guance di Nahila si imporporarono di colpo e subito tornò a nascondersi nel collo di suo fratello.
    “Oh, ma guarda” esordì Sheral con un sorriso complice. “E’ la prima volta che vedo Nahila arrossire davanti a qualcuno.” Si sporse verso Yuzo, ridacchiando. “Credo che tu abbia fatto colpo.”
    – E’ proprio una Izawa. – Mamoru aveva quel pensiero sulla punta della lingua, ma lo tenne per sé guardando poi come Seika avesse fatto subito amicizia con Silver e Hajime discorresse con Bairei e suo padre, entrambi affascinanti dalle abilità dei Tritoni di far comparire le branchie e la coda.
    Quell’immagine di calma e la sensazione di essere davvero parte di una famiglia gli sembrarono quasi una sorta di sogno, quello che avrebbe sempre voluto vivere fin da bambino, ma quando i suoi occhi trovarono quelli di Yuzo capì che per una volta, una, in tutta la sua vita, non c’era alcun sogno, ma solo la realtà. E la realtà era migliore di qualsiasi altro sogno avesse mai potuto fare.
    “Nasir, quasi non riuscivo a riconoscerti in mezzo a tutti questi bambini.”
    Il Doge levò lo sguardo al nuovo venuto e sorrise ampiamente. “Tadashi! Avevo giusto chiesto di te a tuo figlio!”
    A Mamoru fece una strana impressione vedere i due uomini abbracciarsi proprio come due amici di vecchia data. L’immagine di loro due che spettegolavano si fece dannatamente reale, tanto che tirò via un sospiro rassegnato. Era diventato davvero tollerante a tutto, ormai. Refrattario, come la migliore delle fiamme.
    Il Doge salutò anche gli altri Magister Reali, oltre suo figlio, che aveva avuto modo di conoscere durante il viaggio di ritorno, e ne approfittò per ringraziarli ancora vivamente di ciò che avevano fatto.
    “Era nostro dovere, Console” rispose prontamente Mamoru; a volte dimenticava di non essere più in missione. Sua sorella, nel frattempo, era subito corsa a nascondersi dietro le gonne di Sheral dopo che l’aveva fatta scendere dalle sue braccia. “Siamo Elementi prima di tutto.”
    “E lo avete dimostrato fino in fondo” annuì l’uomo.
    Nasir rimase davvero colpito dalla prontezza e dalla serietà con cui Mamoru aveva risposto al padre di Yuzo. Professionale, maturo. Ormai era un Magister, non doveva dimenticarlo. Non doveva dimenticare che non era più il bambino arrabbiato che era stato, ma un uomo forte e coraggioso. Un uomo di cui essere fieri.
    Hajime e Teppei ringraziarono il Console e ne approfittarono per accomiatarsi dagli Izawa e tornare dalle rispettive famiglie.
    “Ne approfitto anche io per sottrarvi Yuzo per un po’, ma dopo vorrei parlarti ancora, Nasir. Credo che tu abbia molto da raccontarmi.”
    “E sorbirmi una predica anche da te? Per carità!” rise il Doge sollevando le mani. “Hai già fatto un’ottima scuola a tuo figlio, almeno tu risparmiami.”
    Yuzo accennò un inchino e rivolse un’ultima occhiata alla Fiamma prima di allontanarsi. Anche lui gli aveva detto che si sarebbero visti più tardi, seppur senza usare le parole, tanto ormai erano divenute superflue tra loro; riuscivano a comprendersi anche solo con uno sguardo e Mamoru capì, per questo sorrise di rimando, scortandolo poi con gli occhi fin quando fu possibile.

    “Perdonami se ti ho portato via in quel modo, ma non riuscivo a liberarmi di alcuni ospiti e appena mi è stato possibile ti ho subito cercato.”
    Yuzo gli sorrise apertamente. “Ma padre, non devi giustificarti. Anzi, sono felice che tu abbia trovato un attimo per poter parlare con me.” Presero a camminare all’interno della sala, scivolando tra le persone con passo calmo, senza alcuna fretta. “Quasi non mi sembra vero che abbiamo potuto trascorrere così tanto tempo assieme.”
    “Lo so, anche a me è sembrato strano non esser stato vittima delle mie solite comparse mordi e fuggi.”
    “Anche di questo non devi giustificarti, ne abbiamo parlato spesso. L’impegno di un Console è molto importante e so quali sacrifici comporti.”
    Tadashi si fermò, guardando intensamente le iridi di suo figlio. Aveva sempre avuto quella profonda comprensione verso di lui e i suoi doveri. Qualcun altro avrebbe potuto rinfacciargli la sua continua assenza, ma non Yuzo. Lo prese per le spalle.
    “A dire il vero ti cercavo anche per parlarti di una cosa” disse poi, il tono più basso e confidenziale, quasi avesse voluto isolarsi dalla folla. “Ieri si è tenuta una riunione speciale su richiesta dell’attuale Re Tsubasa. Ha convocato i membri del Consiglio, i Master e suo padre affinché si discutesse in merito a ciò che è avvenuto a Sendai.”
    Yuzo prese un ampio sospiro appena sentì quelle parole. Fin dall’inizio, anche quando aveva scelto di accettare la proposta di Tsubasa, aveva saputo che la possibilità di veder andare tutto in fumo a causa di quello che aveva fatto c’era, era tangibile e aleggiava su di lui come la nube soffocante di Sundhara. In fondo era giusto. Aveva commesso qualcosa di orribile e doveva pagare.
    “Sì, capisco. Siete giunti a una conclusione? Non dovrebbe essere coinvolto anche il Consiglio Scolastico di Alastra?”
    Tadashi scosse il capo. “No, Tsubasa ha voluto che fosse una cosa rapida anche perché, beh, diciamo che non ci ha permesso di scegliere, ma ha scelto lui per noi, imponendo la sua volontà di detentore della Chiave Elementale. Ryo ovviamente era presente e ha appoggiato Tsubasa in ogni sua scelta.” Il Console sorrise. “Le accuse sono cadute. Non sei colpevole di nulla, Yuzo.”
    La sorpresa apparve evidente sul viso del giovane, tanto che Tadashi continuò. “Tsubasa non ha voluto sentire ragioni. Non ci avrebbe lasciati andare se non avessimo accettato il suo verdetto. Lui sapeva che eri sotto l’influsso dell’onice e quindi la responsabilità di quanto accaduto non è da imputare a te, un mero mezzo, quanto a tutto l’Ordine.” Prese un respiro ancora più profondo e un senso di sollievo dilagò nel suo sguardo. “Per questo ha disposto che l’Ordine dei Cavalieri dell’Onice venga sciolto. Per sempre.” Strinse più forte la presa. “Sei libero, Yuzo. Siete liberi. Tutti voi.”
    “Liberi?” fece eco l’uccellino, incredulo. Quella parola gli suonò così strana. Non avrebbe più avuto l’onice. Né lui né Hajime e neppure il Master Misugi e i suoi compagni che ne facevano parte. Liberi. “Tutti…”
    “Tutti” ribadì suo padre. La stretta che si addolciva. “Ci si è mossi per organizzare il Rito di Annullamento e a breve verranno spedite le comunicazioni a tutti i membri. Nel giro di un anno, i Cavalieri scompariranno.”
    “Grazie.” Yuzo lo guardò con intensità, ma Tadashi scosse il capo.
    “Non devi ringraziare me. In pratica non ho neppure avuto modo di aprire bocca. Ero andato lì già agguerrito e pronto a difenderti e invece il Re mi ha anticipato su tutta la linea” rise l’uomo, cingendogli poi le spalle con un braccio e ricominciando a camminare. “Tsubasa ha davvero qualcosa di speciale.”
    “E’ anche il motivo per cui gli abbiamo dato il nostro appoggio” confermò Yuzo, ma nella sua testa la notizia dello scioglimento dell’Ordine continuava a rincorrersi con quella del suo proscioglimento. Era felice per la prima, ma per l’altra si sentiva così stranamente colpevole. Non riusciva a esserne davvero sollevato, perché si metteva nei panni di coloro che avevano perso tutto a causa sua e non avrebbero avuto nessuno contro cui prendersela. Pensò che fosse ingiusto e la sua situazione fosse tutta in una sorta di vicolo cieco dal quale non sarebbe mai stato possibile uscire.
    “E avete fatto la scelta giusta. Ma ora vieni, c’è qualcuno che è venuto per te, da molto lontano…”
    Il volante cercò con perplessità il viso del padre e lo vide sorridere felice prima di indicargli, tra la folla che si apriva in una perfetta quanto casuale sincronia davanti a loro, due figure più appartate. Una montagna appoggiata a un bastone e una donna che, in confronto, sembrava così minuta da essere uno scricciolo. Quando lei lo scorse, un sorriso amplissimo, felice e commosso le illuminò il viso.
    Yuzo la vide farglisi contro, con le braccia aperte, pronte per stringerlo e lui fu talmente sorpreso che non si sottrasse, anzi. Ricambiò con forza la stretta.
    “Zia Haruko.” Le soffio tra i capelli, chiudendo gli occhi e beandosi al pensiero che anche la sua famiglia era tutta riunita, attorno a lui.
    “Yuzo! Oh, Yuzo!” La donna sciolse l’abbraccio e gli prese affettuosamente il viso tra le mani per trovarne gli occhi, così simili ai suoi che erano pieni di lacrime ma cercò in tutti i modi di trattenerle. “Sono stata così sollevata nel ricevere la tua lettera e nel sapere che stavi bene, che eri sano e salvo.”
    “E io sono davvero felice di vederti qui. Non me l’aspettavo…” poi levò lo sguardo e, più distante, vide Zed che cercava di mantenere un certo contegno, ma anch’egli era commosso e spostava spesso il peso sul bastone.
    Sorrise ampiamente anche a lui e andò subito a salutarlo. “Zedečka!”
    L’omone non riuscì a essere forte come Haruko e lasciò che qualche lacrima venisse giù, mentre abbracciava quello che considerava un po’ come un figlioccio.
    “Oh, per tutte le Divinità di tutte le terre di questo mondo!” borbottò, stringendolo con forza. “Haruko può testimoniare che urlo ho tirato fuori quando ho saputo che era tutto finito e tu ne eri uscito indenne! Quello sciagurato del tuo vecchio se ne andrebbe tronfio per tutta Ghoia se fosse ancora vivo per vederti, dannazione!”
    Yuzo rise a quella buffa immagine separandosi dall’ultimo brigante. Il suo sguardo si muoveva dall’uno all’altra. “Ma come sapevate che sarei rientrato? Quando vi ho scritto, la guerra si era conclusa da poco era tutto oscuro anche per noi.”
    “Il Console è stato così cortese da mandarci dei suoi emissari, a Ghoia” spiegò Haruko. “Non ci saremmo persi questo momento per niente al mondo.”
    “Già.” Zedečka rivolse un’occhiata di profondo rispetto nei confronti di Tadashi. Conoscerlo di persona gli aveva fatto una strana impressione. La prima volta che era venuto a Ghoia non si erano visti e lui ne aveva sentito parlare solo tramite Haruko. Quell’uomo era pur sempre solo il sostituto di Bash nella sua testa, ma quando l’aveva avuto davanti si era dovuto ricredere, perché Tadashi non era solo quello. Era davvero un padre. Glielo aveva letto negli occhi. “Quando siamo arrivati in città, ci è venuto ad accogliere di persona.”
    Yuzo era frastornato. Le sue iridi cercarono quelle di Tadashi con sorpresa e tutto l’affetto del mondo. “Padre, io…”
    “E’ un giorno importante, la tua famiglia doveva essere qui” si schermì il Console e subito Zed ne approfittò per spezzare la forte emozione del momento. Odiava piagnucolare come una donnetta e se avessero continuato così non avrebbe più smesso. Per questo batté leggermente la punta del bastone al suolo.
    “E infatti ci siamo. E’ la prima volta che metto piede in un posto simile, ma lascia che te lo dica: se credono che quello sia liquore, allora non hanno mai assaggiato quello di tua zia. Puoi scommetterci.”
    Yuzo rise, mente Haruko gli mollava un buffetto sul braccio. “Zed, non farti sentire: da quello che so, il Re ha dato fondo a tutta la sua cantina e a quelle di mezza Capitale per questo ricevimento.”
    “Poteva dar fondo anche all’altra metà. Non sarebbe cambiato niente.”
    “Oh, smettila di essere così rozzo, vecchiaccio burbero!” Lo ammonì Haruko. “E vedi di dargli il regalo che gli hai portato da Ghoia.”
    “Un regalo?” fece eco Yuzo. “Ma non c’era bisogno di-”
    “C’era, invece. È una cosa importante e vorrei che la tenessi tu.” Zed gli porse il pacco che aveva lasciato poggiato sul tavolo, presso cui erano fermi.
    Yuzo lo prese con non poca perplessità osservando la carta semplice in cui era stato chiuso e il filo di spago che lo teneva fermo. Poche gocce di ceralacca tenevano saldi tre piccoli fiori di leucojum, gli stessi del campanellino che il mercante gli aveva regalato. Sorrise. Lo aprì.
    La copertina del libro era in pelle, lavorata piuttosto rozzamente e dall’aspetto sembrava fosse stata aperta e chiusa più e più volte. Non recava incisioni, ma solo una cinghia che la teneva chiusa. La aprì. Le pagine scorsero fitte di scritte una dietro l’altra.
    “E’ la nostra storia” disse Zed. “Lì dentro c’è tutta la vita dei Briganti di Ghoia, dall’evasione da Bàkaras fino al giorno maledetto in cui Van Saal ci ha annientati, ma non sconfitti.” Aveva una strana luce negli occhi, un po’ malinconica, un po’ orgogliosa. “Ci ho messo molti anni per scriverla ed essere sicuro di non aver tralasciato nulla. Nessun particolare, nessun compagno.” Accennò un sorriso. “Le ultime pagine parlano di te. Di quando sei tornato e ci hai finalmente ridato la libertà e la vendetta che meritavamo.”
    Yuzo sentì chiaramente i brividi pungergli la pelle e il cuore battere più forte, mentre faceva scivolare le pagine e nomi e parole iniziavano già a scorrergli sotto le iridi, dentro la testa. “Ma Zed… sei sicuro di-”
    “Oh, sì” annuì piano il brigante. “Quella storia noi la conosciamo già e l’avremo per sempre marchiata negli occhi, ma con te sono sicuro che non andrà mai perduta. C’è molto di tuo padre, lì dentro, che non conosci e così anche di tua madre.”
    Molto di suo padre e di sua madre.
    Yuzo fece scivolare piano le dita sulla copertina avvertendo il ruvido della pelle non perfettamente trattata e in parte consunta dalle mille volte che Zed l’aveva aperta e chiusa per appuntare nuovi fatti, nuovi ricordi. Sorrise ancora e nascose le emozioni non dietro l’Autocontrollo, ma solo con la sua volontà, cosicché sarebbe bastato uno sguardo più attento per notarle e a Zed non sfuggirono quando levò gli occhi per cercare i suoi. Quegli occhi che erano di Arya, ma nei quali c’era anche tutta la forza indistruttibile e a volte spietata di Bashaar. Ora sì, la vedeva chiaramente.
    “Grazie.” L’uccellino strinse il diario contro di sé. Quasi avesse voluto proteggerlo e proteggere i suoi genitori, la loro storia e la loro sofferenza. “Grazie infinite.”

    Parlarono. Parlarono a lungo di ogni cosa. Yuzo si fece raccontare com’era la situazione a Ghoia e fu felice di apprendere come il Doge Gasport non fosse più solo una figura quasi mitologica, ma viaggiava spesso per tutto il Dogato, controllando l’operato dei suoi Delegati e parlando con la popolazione. Van Saal era stato condannato a non rivedere mai più il sole dopo un’accurata indagine condotta dal Doge in persona.
    Ghoia era praticamente rinata e a lui venne una voglia matta di poterla vedere ancora, con i suoi occhi, così come i suoi genitori avrebbero sempre voluto che fosse. Poi al discorso si era unito anche Magister Nozaki, il primo alastro che sua zia aveva conosciuto e che era stato mandato nei pressi di Mizukoshi per indagare sul glifo di Yuzo.
    Il volante aveva riso ed era stato bello vedere suo padre e sua zia discorrere così amabilmente; gli faceva sentire una maggiore unione tra i due rami della sua famiglia, tanto da fonderli e renderla unica, unita. Mentre ascoltava, i suoi occhi avevano vagato per la sala, distrattamente, e avevano trovato Mamoru.
    Era stato accalappiato da figure importanti di scuole differenti, a giudicare dagli abbigliamenti, e con discrezione l’aveva seguito, vedendolo saltare di conversazione in conversazione fino a che non si era accomiatato dall’ultimo di turno per andare ad affacciarsi a una delle vetrate.
    Gli era sembrato un po’ in difficoltà e il modo in cui guardava l’esterno sembrava fargli comprendere un desiderio imminente di fuggire da lì. Poi era stato raggiunto da un altro gruppetto di fyrarish e il copione era ricominciato.
    “Perdonatemi, mi allontano per qualche momento” esordì d’un tratto, interrompendo la discussione tra Zedečka e il Magister Nozaki.
    “Vai pure, figliolo. Lascia a me il diario, ci penso io.”
    Yuzo ringraziò suo padre e gli permise di prendersene cura fino al suo ritorno. Poi si allontanò con il passo sicuro quanto bastava affinché nessuno avesse tentato di fermarlo per parlare con lui.
    “Ormai sta già entrando nell’ottica del Magister” scherzò Nozaki, ma l’uomo non sapeva che non era per ricoprire il ruolo e l’etichetta di insegnante il motivo che lo aveva fatto allontanare. Anzi, non aveva nulla a che vedere con la sua nuova qualifica.
    Calandosi il suo sorriso perfettamente diplomatico, Yuzo arrivò tra i fyarish esordendo con pacatezza, la stessa che era abituato a sfoggiare con i Doge e che riusciva sempre a funzionare. Infatti non fallì neppure con gli Elementi di Fuoco.
    “Spero che l’argomento di discussione non fosse troppo importante, non vorrei disturbarvi.”
    Quando Mamoru si sentì toccare la spalla e poi udì la sua voce, si volse senza riuscire a celare la palese sorpresa.
    “Yuzo…”
    “No, non preoccupatevi. Voi se non sbaglio siete il Magister Reale dell’Aria” rispose prontamente un giovane che doveva avere circa la loro età e con i capelli di un bel mogano lucente su cui spiccavano vivi occhi azzurro ghiaccio. “Sono il Magister Salvatore Gentile, della Scuola di Fyar, e lui è l’Elemento Kazuki Sorimachi.”
    “Piacere di conoscervi, sono il Magister Reale Yuzo Morisaki Shiroyama.”
    Sorimachi fece tintinnare il metallo della catenella che univa le due parti del fiancale nel movimento che compì per spostare l’appoggio sul piede sinistro. “Mi pare di aver capito che siete il figlio del Console Shiroyama, se non sono indiscreto.”
    “Nessuna indiscrezione. Sì, lo sono” sorrise Yuzo. “Permettete che porti via il Magister Reale Izawa? Prometto di non tenerlo impegnato troppo a lungo.”
    L’espressione sul volto della Fiamma si fece ancora più sorpresa e anche un tantino preoccupata.
    Gentile rise, dando una pacca sulla spalla del giovane in questione. “Iniziamo proprio bene, eh, Izawa?” scherzò, sorridendo poi al volante. “E’ tutto vostro Magister. Non iniziate a fargli una testa come un pallone, so che voi alastri siete molto cerebrali.”
    “Ormai si è abituato” scherzò Yuzo di rimando. Poi accennò il saluto elementale e si allontanò assieme al compagno.
    “E’ successo qualcosa?” domandò subito quest’ultimo. Senza farci caso si stavano muovendo verso l’uscita del salone.
    “No.”
    “Come no?”
    “No” confermò Yuzo. “Sono semplicemente venuto ad aiutarti. Ti avessi lasciato un altro po’ in loro compagnia, avresti finito col trovarti la faccia bloccata in quel fintissimo sorriso.”
    La Fiamma sgranò lo sguardo nero come la pece, poi soffiò via una mezza risata, scuotendo il capo. “E sei intervenuto per questo?”
    “Sì.”
    Mamoru lo guardò di sottecchi, senza smettere di sorridere. Non sapeva se essere più felice del fatto che Yuzo si fosse accorto del suo disagio o del fatto che i suoi occhi l’avessero cercato. Pensò che essere felice per entrambe le cose fosse ancora meglio.
    “Ho visto che c’erano tua zia e Hansen. Perché non sei rimasto con loro?”
    “E tu perché non ci hai raggiunti, invece?” domandò l’altro di rimando.
    Mamoru si strinse nelle spalle. “Lo avrei fatto e dopo di sicuro andrò a salutarli, ma volevo che ti dedicassi completamente a loro. Immagino che non te lo aspettassi di vederli qui.”
    Uscirono dal salone riuscendo a non venir travolti da un gruppetto di bambini in corsa capeggiati dallo spericolato principino Daichi.
    “No, infatti. È stata una sorpresa di mio padre.”
    “Una bella sorpresa, direi.”
    “Bellissima” accordò il volante. “Zed mi ha regalato un diario in cui è raccontata tutta la storia dei Briganti di Ghoia. Ci sono cose dei miei genitori che non conosco… e poi parla anche di noi e di come abbiamo liberato la città.”
    “Accidenti, diventiamo sempre più famosi vedo” scherzò lui mentre si guardava intorno e poi alle spalle, dove il portone diveniva più distante a ogni passo. Inarcò un sopracciglio. “E ora? Dove stiamo andando?”
    “Che ne pensi di: ‘lontano dalla confusione’?”
    Mamoru lo guardò così a lungo che, per un istante, temette che l’altro potesse capire tutto all’improvviso, così spostò svelto le iridi nere, lasciando che seguissero la strada. I suoni sempre più ovattati e il percorso improvvisamente familiare. “Dico che prima ero molto più bravo a nascondere certe cose. E ora, invece, non sei neppure l’unico che si è accorto del fatto che non fossi proprio al settimo cielo, là dentro. Perfino Nahila.”
    “Ma lei è tua sorella.” Yuzo si portò le mani dietro la schiena, allentando il passo che assunse più la connotazione di una piacevole passeggiata. “E il legame che si crea con i fratelli c’è sempre, anche se non si è vicini.”
    “Forse. O forse sono solo io che ho perso lo smalto di una volta.”  
    Emergere di nuovo nella terrazza dei ciliegi gli fece esalare un profondo respiro. La calma di quel luogo aveva un effetto terapeutico, forse per via di quegli alberi che, per quanto fossero anche legati ai suoi dolori passati, continuavano a rimanere il ricordo ‘buono’ che di sua madre e Dhyla aveva sempre portato con sé.
    “Va meglio?”
    Yuzo lo seguiva a un passo di distanza.
    La Fiamma si volse, fermandosi di nuovo presso il muro del belvedere dove erano rimasti a parlare quella mattina. “Sì, decisamente. Detesto la folla, ma prima sapevo affrontarla con maggiore distacco e supponenza” confidò, mentre Yuzo lo raggiungeva con calma appoggiandosi di fianco a lui, ma dando le spalle alla città. “È una cosa che mi porto dietro fin da quando ero piccolo. Il fatto di essere il figlio di Sakura Takarazuka mi ha sempre puntato addosso gli occhi di tutti, sia alla Scuola che a Dhyla. Ognuno per un motivo diverso. L’ho sempre odiata quella sensazione di venire scrutato, quasi sezionato. Ma improvvisamente temo d’aver perso la mia aura di ‘persona sgradevole’ per questo non vedevo l’ora di filarmela.”
    “E io è per questo che sono venuto in tuo soccorso.”
    Mamoru lo guardò, stringendo gli occhi. “E ti dovrei anche ringraziare?”
    “Mi sembra il minimo.”
    Sbuffò un sorriso. L’aveva portato proprio sulla cattiva strada in quanto a indisponenza ma, diversamente da lui, Yuzo sapeva sempre come usarla e quando e, soprattutto, con chi, mentre lui faticava ancora un po’ quando si trattava di discorrere con le autorità. Certo, aveva fatto enormi passi da gigante, avrebbe addirittura potuto parlare con un Doge senza venire cacciato fuori a pedate, ma doveva finire di smussare certi lati spigolosi. Oh, beh, aveva tempo.
    Yuzo riprese. “L’avresti mai detto che sarebbe finita in questo modo? Magister Reali e ancora uniti?”
    Lui si ritrovò a scuotere il capo. Nella voce c’era ancora una certa incredulità per la piega che gli eventi avevano preso. “No. E’ andata ben oltre le mie più rosee aspettative. Ma tu non avevi detto che non avresti accettato la nomina a Magister?” Gli lanciò un’occhiatina ironica cui l’altro fece fronte con la risposta pronta.
    “Sì, se mi avesse costretto a restare ad Alastra. Ma questa è Raskal, è già una vita nuova, e poi ci siete voi. È stato sufficiente per dire ‘sì’ a scatola chiusa.”
    Lui ammiccò, tornando a guardare la città. “Sarà una grande avventura” sospirò, quasi avesse potuto sentirne già il sapore sotto la lingua e nel palato. Un’avventura meno movimentata però, fu l’augurio silenzioso che rivolse a entrambi.
    “Di sicuro.” Anche Yuzo guardò altrove. Il tappeto di petali ai suoi piedi sembrò uno spettacolo meraviglioso su cui posare gli occhi. “Mio padre ha detto che sono stato prosciolto dalle accuse in merito ai fatti di Sendai.”
    “Davvero?!” Mamoru si volse di scatto. Non si stupì che non lo guardasse, ma tenesse le iridi lontane dalle sue. L’alastro non era d’accordo e la consapevolezza di non essersi potuto opporre al potere dell’onice non lo avrebbe mai fatto sentire meno colpevole. Il peso di tutti i morti della zona di Sendai li avrebbe per sempre portati sulle spalle, indipendentemente da quello che gli altri avrebbero detto e deciso. Indipendentemente dalla verità, perché non era abbastanza forte da scacciare il ricordo.
    “Si è tenuto un rapido consiglio, ieri, tra i Consoli, i Master, il Re uscente Koudai e il Re Tsubasa. Ha detto che Sua Maestà non ha voluto sentire ragioni e che il consiglio non sarebbe stato sciolto fino a che non mi avessero dichiarato innocente. Approfittando di questo, Sua Maestà ha anche comunicato che scioglierà l’Ordine dei Cavalieri dell’Onice senza possibilità di appello. Adesso è ufficiale, nei prossimi giorni ci si preparerà al Rito di Annullamento.”
    “Ma è fantastico! Hajime e Teppei lo sanno già?”
    “Non ancora.” Yuzo gli mostrò un accenno di sorriso, girando appena il volto. “Magari dopo possiamo dirglielo insieme.”
    Lui annuì con convinzione e poi il silenzio cadde improvviso, lasciandoli ad ascoltare i festeggiamenti che provenivano da ogni dove ma che, per un meraviglioso miracolo dell’acustica, su quella terrazza arrivavano solo in maniera molto attutita.
    Mamoru rimase a osservare il profilo del compagno che ora si era perso a rimirare il panorama dei ciliegi che oscillavano e lasciavano cadere i loro meravigliosi petali.
    Adesso che le carte erano cambiate, che non si sarebbero più separati, seppe di non potersi più tirare indietro. L’ultima occasione si era ripresentata di nuovo davanti alla sua porta quasi a rimproverarlo e a dirgli che, stavolta, non avrebbe dovuto lasciarsela scappare. Alla fine non era il coraggio ciò che gli mancava davvero, ma se temeva di sentire la sua risposta significava che da quel viaggio non aveva imparato nulla e doveva dimostrare a sé stesso che non era così.
    “Yuzo, c’è una cosa di cui volevo parlarti.”
    Lo buttò fuori in un sol fiato e poi si ammutolì, inspirando lentamente, ma con la sensazione che lo stomaco si stesse avviluppando su sé stesso come una trottola. Quando il volante tornò a regalargli il suo sguardo, lesse qualcosa di bello in esso, di diverso, ma non seppe spiegarsi cosa fosse. Era vivo e brillante. Ebbe l’impressione che quella sensazione d’attesa che aveva percepito anche quella mattina, quando il giovane se ne stava andando e lui l’aveva fermato senza dirgli nulla, avesse appena trovato le certezze di cui aveva disperato bisogno. Il tono della voce gli parve come musicale.
    “Dimmi pure. Ti ascolto.”
    E lo stava ascoltando davvero. La sensazione che l’attenzione di Yuzo fosse solo su di lui e su nient’altro non lo fece rispondere subito. L’uccellino lo guardava come non esistesse più la terrazza attorno a loro. Gli stava dicendo qualcosa, anche se era lui quello che aveva detto di dover parlare, ma la tensione e la paura che sentiva dentro avevano offuscato tutto l’intuito che aveva sempre avuto verso il giovane. Così tossicchiò e si fece forza, pescò a piene da mani da quel coraggio che in lui non era mai mancato e si schiarì la voce.
    “Va bene…” Drizzò la schiena, cercò la posizione più comoda, ma non sembrava essercene alcuna. “Sono cambiate molte cose da quando siamo partiti da qui, due anni fa. Non vorrei prenderla troppo alla larga, però… non saprei come dirlo…” Stava sbagliando tutto, dannazione! Non era lui quello diplomatico che agiva con le parole invece che con un sonoro pugno in faccia!
    Mamoru si allontanò dal muro di un passo. Si portò le mani ai fianchi e poi passò due dita sulle labbra prima di riprendere.
    Yuzo aspettava, nella stessa posizione di prima. A differenza sua non si era mosso di un millimetro. Se la Fiamma avesse alzato lo sguardo in quel momento, avrebbe notato anche il sottilissimo sorriso che gli tendeva le labbra. Un sorriso carico d’affetto che non fece sparire quando lui tornò a guardarlo, ma Mamoru era così… impacciato e buffo che nemmeno ci fece caso. Guardava solo i suoi occhi.  
    “Io sono cambiato. Sono cambiato così tanto che a volte fatico a rendermene conto, ma… la cosa non mi dispiace. Ho recuperato molto di ciò che credevo di aver perduto e… Maledizione non guardarmi in quel modo!” agitò una mano con stizza, interrompendo il discorso e prendendo a camminare in tondo. Era agitato.
    Stavolta Yuzo non trattenne un sorriso più ampio, stringendosi nelle spalle. “In quale modo, scusa?”
    Mamoru si fermò, lo guardò dritto negli occhi nocciola e si fece diretto. Era la sua tattica migliore e capì che non poteva tirarsi indietro nemmeno in questo caso. Parlare chiaro, la cosa più facile per lui che non aveva mai avuto peli sulla lingua, ma farlo in quell’occasione era più difficile, perché non era abituato a dire certe cose. A confessare certe cose.
    Lo disse e basta.
    “Nel modo in cui riesci a capire tutto senza che io ti parli.”
    “Non sono l’unico a usare questo sguardo. Lo fai anche tu con me, anche se non te ne rendi conto.” Il volante rispose con la stessa franchezza. Diversamente da Mamoru, non sempre parlava chiaro, usava troppe parole, ma certe cose le sapeva dire con una semplicità che aveva continuamente spiazzato la Fiamma. “È lo stesso di questa mattina, quando ti ho detto che anche tu riesci sempre a trovarmi.”
    “E allora come posso parlarti di qualcosa che tu probabilmente hai già capito?”
    Erano passati a una conversazione superiore senza neppure accorgersene. I loro occhi parlavano ancora di più delle loro bocche, più velocemente, e suggerivano le parole che queste dovevano dire in maniera meccanica, affinché tutta la macchina umana potesse davvero comprendersi reciprocamente più di quanto le loro menti stessero già facendo.
    “Se l’ho già capito, non dovrebbe essere più facile?”
    “Non per me. Non è facile parlare di questo per me. Non è facile dirti che mi sono legato così tanto ad Hajime e Teppei da considerarli i miei amici più cari, così come non è facile dirti quanto io mi sia legato a te. E che questo legame va oltre l’amicizia. Non è facile perché non l’ho mai detto a nessuno.” Il cuore iniziò a capire, a mettersi in moto e a pulsare più veloce nel petto, pompare sangue ovunque e adrenalina sufficiente per non farlo fermare, non adesso. “Non ho mai detto a nessuno di amarlo. A nessuno, tranne te.”
    La brezza di Raskal filtrò leggera tra loro, facendo tintinnare i pendagli d’ossidiana rossa tra i capelli di Mamoru e i fregi d’argento sull’abito di Yuzo. Fece stormire le foglie e quelli furono gli unici suoni. I festeggiamenti erano scomparsi. La brezza rinfrescò la pelle di entrambi e alimentò la Fiamma, perché era dell’ossigeno che il fuoco aveva sempre avuto bisogno. Sempre.
    “Sono innamorato di te. E lo sono in una maniera che non so controllare perché non so come si fa. E quando ti ho promesso che sarei rimasto al tuo fianco, l’ho fatto perché non avrei potuto fare diversamente;  non avrei voluto. Un tempo non avrei sprecato un attimo della mia esistenza per dedicarlo a qualcun altro, ma ora il mio presente è cambiato e il mio presente sei tu e non vorrei cambiarlo, mai, con nient’altro al mondo.”
    Glielo aveva detto. Mamoru lo realizzò solo quando finì la frase e rimase in silenzio. Scrutò la risposta sul volto del compagno e allora si accorse del suo sorriso, ma lo fraintese. Lo prese per altro, confuso da una reazione che non sapeva nemmeno come avrebbe dovuto essere visto che non si era mai dichiarato a nessuno; probabilmente era solo un gesto d’amicizia o – non voleva nemmeno pensarci – di compassione.
    “Visto? Lo sapevi già, te lo si legge in viso.”
    “Veramente, no. Non lo sapevo fino a che non me lo hai detto. E non parlo di adesso, ma di alcuni mesi fa.” Yuzo lo disse con calma, scandendo bene ogni parola e senza fretta.
    Mamoru inarcò un sopracciglio.
    “Non… non capisco…”
    E allora fu la volta del volante di prenderla alla larga.
    “Ricordi quando siamo rimasti bloccati nella caverna? Ricordi che mi avevi detto delle cose? E ricordi quando mi hai chiesto se ti avessi raccontato tutto? Ecco… all’ultima domanda, ti ho mentito.” Fu l’unico momento in cui Yuzo abbassò lo sguardo in quel loro dialogo e gli fece assumere una sfumatura colpevole; come se l’idea di avergli nascosto quel particolare gli fosse stata necessaria anche se non voluta. “Quando eravamo bloccati, quando il freddo dell’incantesimo di congelamento si stava risucchiando tutte le tue energie tu mi hai parlato dei tuoi sentimenti e prima di perdere conoscenza mi hai baciato.”
    Mamoru drizzò di nuovo la schiena. La testa che si guardava attorno come se ci fossero le risposte alla sue domande da qualche parte.
    Oddee lo aveva… cosa?!
    Fece mente locale. Di quel momento non ricordava nulla, il freddo lo aveva completamente annebbiato. Rammentava parole sconnesse e poco altro. Si fece dei conti. E il risultato non gli piacque.
    “Q-questo quando… la caverna… il Nohro… un anno fa?! È successo un anno fa, Yuzo?!”
    “Sì.” Il volante vide qualcosa cambiare nelle iridi pece della Fiamma. Scorse il nero ribollire, quasi stesse per esplodere. La bocca deformarsi in una frase che non venne pronunciata. Gli vide abbassare la testa, guardare in basso, allontanarsi di un passo e rimanere in silenzio. Il respiro pesante e furioso che cercava di venir controllato in ogni modo possibile.
    “Mamoru, asc-”
    “No. Non ho più niente da ascoltare da te.” Il fuoco freddo che gli aveva avviluppato le iridi quando si trovavano a Dhyla era comparso all’improvviso, sedando tutto il resto, ghiacciando la fiamma calda che di solito benediceva i suoi occhi.
    Mamoru aveva levato una mano per farlo tacere e ora lo guardava con così tanto disprezzo che Yuzo non seppe come affrontarlo, sulle prime, ma si lasciò schiacciare da esso.
    “Adesso vedo che persona sei” sputò Mamoru, velenoso. “Lo vedo bene. Che bastardo.” Il capo veniva scosso lentamente, con incredulità, poi il gelo esplose in ira. Mamoru si sentì talmente un idiota da farsi pena da solo e per lui non c’era niente di peggio che provare odio verso sé stesso. “Come hai potuto farmi una cosa simile?! Prendermi per il culo in questo modo per un anno intero, fottute Dee! Un anno, Yuzo!”
    “E tu hai pensato a cosa sarebbe successo se te l’avessi detto allora? Se ti avessi messo alle strette per farti confessare qualcosa che non eri pronto ad affrontare?!”
    Diversamente da quando si erano trovati a Dhyla, il volante aveva affrontato troppe cose per permettere alla rabbia del compagno di metterlo all’angolo. Si spostò anche lui dal muretto imponendo la propria voce affinché l’altro lo ascoltasse e capisse.
    Mamoru lo vide caricare di un passo e poi fermarsi, le iridi nocciola decise e ferme.
    “Maledizione avrei voluto dirtelo subito ma avrei messo in pericolo tutto quello che avevamo costruito fino a quel momento sbattendoti in faccia ciò che per te è sempre stato difficile da accettare! Non potevo lasciare che ogni cosa ti distraesse da quello che ci stava aspettando! Dovevamo infiltrarci nella base degli Stregoni e se tu non fossi stato concentrato e focalizzato sulla missione, sarebbe bastato un attimo e non saremmo qui, ora, a parlarne.”
    “Oh, certo! Adesso mi stai dicendo che non hai detto nulla per colpa mia, vero?!”
    “Non è così!”
    Il tono delle loro voci si era alzato, coprendo tutto il resto.
    “E allora perché non l’hai fatto dopo la battaglia?! Per cinque mesi siamo stati bloccati al fronte a occuparci delle vittime, dei feriti. Abbiamo cercato di ricostruire! Da cosa mi sarei dovuto distrarre allora?!”
    “Ti sei risposto da solo, Mamoru! Stavamo ricostruendo! E non solo tutto ciò che di materiale avevamo perduto, ma noi stessi! E se nemmeno allora, che avevi tutto il tempo del mondo, ti sei fatto avanti, come potevi pretendere che lo facessi io per te?! Già una volta mi hai accusato di essermi messo in mezzo quando non dovevo, comportandomi da egoista, non ho voluto ripetere lo stesso errore. Non stavolta!”
    “Perché in questo modo ti sei comportato meglio, vero?!” Mamoru caricava a testa bassa, come un bufalo. Travolgeva tutto, calpestava qualsiasi cosa. Sputò tutto il veleno che aveva dentro e nemmeno si rese conto delle proprie parole, ma era ferito, quello lo sentiva bene. E faceva un male cane. “Per un anno ti sei comportato come se niente fosse accaduto, ma che cazzo hai al posto del cuore un blocco di ghiaccio?! Oh, scusa! Dimenticavo di stare parlando con un Elemento d’Aria! Quelli a cui basta schioccare le dita e nascondono il nascondibile sotto al tappeto! Quelli che hanno i sentimenti a comando! Beh, io non li ho a comando, volante! E non posso rimanere a lavorare accanto a una persona che per la terza volta ha tradito la fiducia che avevo riposto in lui! Il Re dovrà fare a meno del suo Magister Reale del Fuoco o trovarsene un altro!” Si volse senza nemmeno aspettare che l’altro potesse ribattere e prese ad allontanarsi con passo furibondo.
    In un altro tempo, mesi prima, forse il volante l’avrebbe lasciato andare a sbollire la rabbia in solitudine, ma se Mamoru era cambiato, Yuzo non era da meno.
    Con un gesto veloce erse un muro di vento che impedì al fyarish di avanzare ancora, l’uscita preclusa.
    La Fiamma ruggì un insulto e si volse piano, indicando l’incantesimo con spregio, mentre Yuzo lo raggiungeva e nei suoi passi c’era la stessa decisione che aveva mosso quelli di Mamoru.
    “Togli quell’affare!”
    “No. La discussione non è ancora finita e non ti lascerò andare fino a che non mi avrai ascoltato!”
    “Ascoltarti?! Cos’altro dovrei ascoltare da te, maledizione?! Ti ho detto qualcosa che non ho mai detto a nessuno in tutta la mia vita e tu fingi di non saperne nulla per tutto questo tempo!”
    Adesso erano faccia a faccia, occhi negli occhi.
    “Non mi hai nemmeno chiesto cosa ti ho risposto in quella dannata caverna quel giorno.”
    “Ha importanza saperlo?!” Mamoru lo sbeffeggiò, facendosi avanti di ancora un passo come se imporre la propria fisicità potesse intimorire l’altro. Lo guardò con sfida, ma era completamente accecato. “Su avanti! Sentiamo quale meravigliosa risposta strappalacrime sei riuscito a tirare fuori; voi alastri siete così abili con le par-”
    La frase venne troncata con forza nel momento in cui si ritrovò le labbra di Yuzo sulle proprie. Il viso stretto tra le sue mani che avvertì caldissime contro la pelle. Non sembravano neppure le mani di un volante, bensì quelle di un fyarish. E le sue labbra…
    Mamoru non riuscì a dire nulla né a liberarsi dalla presa che era salda seppur non forte. Forse perché la sorpresa del gesto e i sentimenti che sentiva correre, fluire dalla sua alla propria pelle, lo immobilizzarono. Soggiogato da un qualche incantesimo che non conosceva perché quel semplice tocco tra loro aveva interrotto la sua furia. L’aveva spezzata in due.
    C’erano solo le proprie labbra, ora, e quelle di Yuzo che le stringevano senza forzarle. Un bacio incredibilmente casto, ma che riuscì a stordirlo come e più di un pugno perché proveniva da lui, dal volante e non era mai stato così diretto.
    Quando la bocca dell’alastro si allontanò, Mamoru si accorse di aver trattenuto il respiro così a lungo che si ritrovò a prendere una boccata d’ossigeno profonda più e più volte.
    Il viso ancora stretto, carezzato, dalle mani del compagno, mentre il proprio sguardo era perduto in un punto che non erano gli occhi di Yuzo, ma poteva sentirne il respiro ancora vicinissimo alle labbra. Se avesse levato lo sguardo, le iridi nocciola che tanto avevano carpito di lui gli sarebbero entrate dentro come spine. Così non si mosse, non parlò, prese solo a respirare.
    La furia delle loro voci era tornata a essere sussurro piacevole assieme al tintinnare del metallo e al frusciare delle foglie sotto il tocco del vento.
    “Era questo che ti ho risposto quel giorno…” Gli mormorò il volante e il suo fiato era caldo; carezza sulla pelle. “…mentre ti supplicavo di non andartene, di restare con me e nel buio maledicevo il mondo intero perché non potevo guardarti ancora. Ti supplicavo di restare al mio fianco, di mantenere la tua promessa. E quando stamattina mi hai ribadito che saresti rimasto, mi sono sentito così egoisticamente felice. Perché è il rumore dei tuoi passi che voglio sentire mentre cammino, il tuo rimprovero quando sbaglio e la tua risata quando faccio la cosa giusta. È il tuo viso che voglio vedere al mattino quando mi sveglio e la sera quando vado a dormire. Ora, come allora, la mia risposta non è cambiata perché non voglio perderti. Perché anch’io non l’ho mai detto a nessuno e so per certo che non potrei dirlo a nessun altro, oltre te.” Le dita scivolarono un po’ più in basso, raggiungendo la linea della mascella, quasi perdessero la forza di trattenerlo mentre si liberava di tutti i suoi segreti. Le labbra ancora vicinissime. “Perché anch’io sono innamorato di te.”
    Mamoru sentì qualcosa passarlo da parte a parte, ma non seppe cosa fosse né il punto preciso in cui venne perforato; era ovunque. Non si mosse, continuò a respirare e ascoltare.
    “E non è stato… non è stato facile tenerlo nascosto, ma non volevo spezzare quello che avevano conquistato con così tanta fatica. Se ti avessi forzato la mano, se ti avessi messo davanti le tue parole troppo presto tu saresti fuggito da loro come da me. Non mi importa quanto avrei dovuto aspettare, ma avrei atteso il momento giusto, quello in cui saresti stato pronto per farti avanti.”
    Le mani perdevano sempre di più la presa, ora erano sul collo, ma lui non lo interruppe.
    “Averti… averti vicino in questi mesi e non poterti parlare come avrei voluto è stata una tortura. Se solo ti avessi toccato più del necessario, se solo ti avessi permesso di abbracciarmi anche un’unica volta ti saresti accorto di ogni cosa perché non c’è nessuno, al mondo, che riesce a capirmi come tu capisci me. Ma non era il momento e lo sapevamo entrambi. Questa guerra ci aveva fatto troppo male e se non riuscivamo nemmeno a ridere senza sentirci in colpa come avrei potuto chiederti di amarmi? O come tu avresti potuto chiederlo a me?”
    Era vero: Yuzo non gli aveva mai chiesto un abbraccio in quei mesi, Mamoru capì solo in quel momento il perché. A volte era stato tentato egli stesso di avvicinarlo, ma ogni volta si era ritratto perché avvertiva qualcosa nel compagno che sembrava come respingerlo. Si sforzava di essere sufficiente a sé stesso, di non aver bisogno del contatto altrui, quando invece Yuzo non aveva mai fatto mistero di quanto il contatto gli fosse vitale.
    Le mani erano scivolate via del tutto, adesso solo i loro visi restavano vicini, ma senza toccarsi.
    Si erano appena detti di amarsi, eppure perché alla Fiamma sembrò un orribile addio?
    “Se oggi non me ne avessi parlato, l’avrei fatto io prima della fine del giorno e non sto mentendo. Ora puoi decidere ciò che credi sia la scelta migliore per te, ma ti prego… non andartene. Resta con me, Mamoru.”
    Poi il silenzio.
    Il monologo era stato lungo, le parole gli erano entrate sotto la pelle, assorbite attraverso il calore e il fiato che erano rimasti a un soffio dalle labbra e contro il viso, ed erano arrivate dividendosi tra cervello e cuore. L’orgoglio sgomitava per farsi spazio e forse avrebbe potuto concedergli di brillare ancora un’ultima volta.
    Mamoru strinse le labbra e queste tremarono, Yuzo non comprese se di rabbia o di cos’altro. Le iridi pece si levarono di scatto per bloccarsi nelle sue e leggere, capire. Scavargli in fondo, fino a toccare l’anima. Non trovarono alcuna opposizione.
    Con un gesto secco afferrò il bavero della giacca del giovane e lo strattonò con forza contro il tronco dell’albero più vicino. I fregi tintinnarono in maniera scoordinata così come l’acciaio della propria armatura leggera.
    Yuzo chiuse gli occhi per un attimo, lasciando che il fiato uscisse fuori dalle labbra con una sottile nota quando avvertì il contatto brusco con il legno alle sue spalle. Quando li riaprì, le fiamme che divampavano negli occhi di Mamoru erano ancora lì. La pece ribolliva, gorgogliava, lo intrappolava e lui non si divincolò. Poi il fremito alle labbra cessò, la pece assunse un calore benevolo e le sopracciglia persero la presa sull’espressione iraconda. Non più fuoco gelido, ma solo quello che aveva imparato a conoscere e ad amare.
    Le labbra del fyarish lo cercarono con impeto, divorarono le sue, stringendole, forzandole e Yuzo, di nuovo, non si oppose ma si lasciò travolgere dall’amore che Mamoru aveva dentro. Ed era sconfinato, segregato per anni nel cuore cui non aveva permesso mai a nessuno di accedere; un cuore caldo e così avvolgente, generoso, nobile.
    Yuzo si sentì un privilegiato a poterlo percepire, a poter sentire e vivere tutte quelle emozioni che la Fiamma aveva sempre nascosto, ma che lui aveva, invece, sempre saputo essere parte di quello spirito ribelle. Adesso erano libere, vive come fuoco puro. Sue.
    Le mani di Mamoru lasciarono il bavero per scivolare sul collo e risalire lungo la mascella, affondare nei capelli corti e stringerlo per approfondire quel bacio che sembravano migliaia insieme. Gli lambiva le labbra, le legava alle proprie, lo cercava ancora e ancora, riconoscendo in ogni istante quel calore che aveva assorbito e non avrebbe più potuto dimenticare né confondere. Quel calore che non aveva mai avuto, nonostante fosse nato e vissuto circondato dal Fuoco. Ma il Fuoco era destinato a morire se non c’era l’Aria a tenerlo vivo. E Aria e Fuoco erano come lacci che una volta intrecciati non si potevano sciogliere, erano nodi inestricabili.
    Per questo Yuzo rispose alla sua famelicità: perché una volta entrato nelle fiamme, il vento non poteva più uscirne. Intrappolato, divorato. Reso parte di qualcosa di più grande, che si espandeva verso l’infinito.
    Le sue mani abbandonate cercarono Mamoru, scivolarono sui fianchi fin dietro la schiena, lo strinsero e il nodo fu completo. Armonia tra vento e fuoco nella danza più antica del mondo, equilibrio tra dare e ricevere, prendere e offrire. Si completavano come fossero un solo essere.
    Solo allora, quando tutto il resto sembrò non avere più importanza tanto da sparire, le labbra si separarono, ma le mani no. Le mani restarono affondate nei capelli e avvolte dietro la schiena. Le fronti si trovarono, cercarono appoggio l’una con l’altra.
    Mamoru prese un respiro più profondo. Gli sfiorò lo zigomo con la punta del naso. “Non mentirmi ancora. Non lo sopporto.”
    “Non ne ho più motivo” sorrise Yuzo e alla Fiamma bastò. Scivolò ancora contro la sua pelle; le labbra tracciarono una scia di baci più piccoli, leggeri, ovunque passava, quasi a volerla marchiare come propria, prenderne possesso. Gli baciò ancora le labbra, stavolta adagio, con controllo. Il Fuoco che veniva domato, ma si alimentava con piccole boccate di ossigeno.
    Si separò e stavolta cercò i suoi occhi. Vederli ora era tutta un’altra cosa, ed erano meravigliosi, limpidi come cristalli. Li fissò a lungo, poi sbuffò un sorriso e scosse il capo.
    “Perché ridi?” Yuzo inclinò il viso di lato lasciando che le sue mani potessero carezzargli meglio la guancia.
    Lui inarcò un sopracciglio sull’espressione ironica e divertita. “Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti?”
    “Sì, che mi avresti rispedito ad Alastra in un’urna cineraria.”
    Mamoru ridacchiò ancora di più. “Già e guardaci adesso. Dove diavolo siamo arrivati?”
    Yuzo rise con lui e poi si avvicinò per baciarlo ancora.
    Mamoru adorava il modo in cui lo cercava, lo faceva sentire così dannatamente importante e non perché fosse il maledetto figlio della maledetta Sacerdotessa o del famoso Doge, ma perché era solo Mamoru, solo sé stesso, con i suoi pregi e i suoi difetti.
    “Davvero me lo avresti detto prima della fine del giorno?” Gli domandò poi, quando le sue labbra tornarono libere. Non sarebbe stato per molto, lo sapeva; quelle di Yuzo esercitavano un magnetismo irresistibile su di lui.
    L’altro sorrise.
    “Sì. Stavolta ero io a non poter più aspettare.”
    “Lo abbiamo fatto anche per troppo tempo.” Gli fece notare e il volante annuì, appoggiando poi la fronte nell’incavo tra spalla e collo.
    Mamoru lanciò un’occhiata al muro di vento che ancora imperversava, deciso a bloccare entrata o uscita a chiunque. “Penso che quello puoi anche toglierlo, ora.”
    Yuzo mosse appena il viso, giusto il necessario per inquadrarlo con un occhio. Levò una mano e il muro si dissolse facendo sollevare i petali.
    “Sei libero di fuggire.” Lo pungolò il volante, ma subito le dita della Fiamma si strinsero ai suoi capelli con più forza, tanto da fargli sollevare il viso.
    “Tsk, prima mi blocchi e poi fai anche lo spiritoso?” Le dita allentarono la presa e scivolarono lungo la linea del collo, ma si fermarono prima di arrivare all’onice. Lo sguardo si addolcì ed era un’espressione che Yuzo gli vedeva per la prima volta. “Non ho bisogno di fuggire. Sono già dove devo essere. Dove voglio essere.” Le labbra di Mamoru scivolarono lungo la linea del naso e si fermarono vicino alle sue. Indugiarono, sfiorandole appena e poi le fece proprie ancora una volta.
    Yuzo lanciò una fugace occhiata verso l’ingresso della terrazza. Sospirò.
    “Non pensi che dovremmo rientrare? Noteranno la nostra assenza.”
    “Con tutta la gente che c’è?”
    “Beh, se mancano due dei quattro nuovi Magister Reali, qualcuno si porrà l’annosa domanda.”
    Mamoru fece spallucce. “E lascia che se la pongano.” Yuzo rise e lui continuò. “Senti… volevo chiederti… hai già deciso cosa fare nel periodo di riposo concessoci dal Re, prima di prendere servizio presso il castello? Nel senso… hai già dei piani?”
    Il volante ci pensò un po’; aveva lo sguardo altrove e le dita che scivolavano adagio lungo la schiena del compagno in un movimento ritmico e rilassante. “Avevo delle idee, ma niente di certo… pensavo di passare un po’ di tempo a Ghoia, poi non so.”
    “Che ne diresti di venire con me?” Mamoru intrappolò le sue iridi nelle proprie. “Mio padre ha portato l’urna di mia madre. Alla fine dei festeggiamenti, Sheral e i miei fratelli torneranno a Dhyla, mentre io e lui ci dirigeremo a Vestalys, per chiudere per sempre la faccenda.” Distolse lo sguardo per un attimo e poi tornò a guardarlo. “Vorrei che ci fossi anche tu.”
    “A Vestalys?”
    “E’ praticamente certo che non ti faranno mai entrare nel Tempio. Già dovrò sudare sette camicie per entrarci io, però-”
    “Certo che ti accompagno.” A Yuzo non importava dover restare fuori, gli sarebbe andato bene anche rimanere sulla paskat, ma non lo avrebbe mai lasciato da solo, non per una cosa così importante come quella. “Mi hai promesso che resterai al mio fianco, vale anche per te. Ci sarò.”
    La Fiamma sorrise, scuotendo ironicamente il capo. “Il solito uccellino…” ma le sue parole gli avevano fatto battere il cuore più forte. Solo che si era già lasciato andare troppo, per i suoi gusti, doveva ancora prendere confidenza con tutto quello. “Dopo rientreremo a Dhyla; ovviamente sei più che benvenuto. Sheral stravede per te e, come hai potuto notare, anche i miei fratelli, cosa di cui non avevo dubbi. In quanto a mio padre… La gente ha sempre dovuto sputare sangue per ottenere la sua fiducia, ma con te… piaci anche lui. La cosa mi sconvolge.”
    “Uh, ho fatto strage nella famiglia Izawa.”
    “Non sfottere” ribatté Mamoru storcendo le labbra in un mezzo sorriso.
    “Però non puoi negarlo.”
    “Non. Sfottere” ripeté ancora, mentre l’altro se la rideva. Ruotò gli occhi, masticando qualcosa piano piano. “Che diavolo gli fai tu alle persone ancora devo capirlo.”
    “Cosa?”
    “No, niente.” Poi tornò a guardarlo. “Possiamo restare lì qualche giorno e poi… andare a Ghoia.”
    “Non sei ancora stanco di tutto questo viaggiare?” Lo prese in giro il volante, ma era davvero felice che glielo avesse proposto. Mamoru lo sapeva, per questo si strinse nelle spalle rispondendo con serietà.
    “Ogni viaggio è diverso. E poi sono curioso di sapere come vanno le cose ora che Van Saal non può più fare del male a nessuno. Vorrei vedere la vera Ghoia, rinata dalle sue ceneri.”
    Il sorriso di Yuzo gli valse più di qualsiasi risposta e fece per avvicinarsi, baciarlo ancora quando…
    “Teppei, abbiamo girato tutto il castello!”
    “Devono essere sicuramente qui! Avrei dovuto pensarci subito quando mi hanno detto che c’era una terrazza tutta di ciliegi!”
    Mamoru si immobilizzò, ibernato sul posto. Sul suo volto vi era l’espressione del Terrore e un colorito acceso che gli imporporava le guance.
    Yuzo strozzò una risata che gli stava per uscire dal profondo del cuore. Non l’aveva mai visto così visibilmente in imbarazzo: i suoi occhi si spostavano da lui alla direzione dell’entrata. Erano ancora piuttosto lontani dall’ingresso, Hajime e Teppei avrebbero potuto vederli solo se fossero arrivati nei pressi del muro.
    Yuzo lo strinse più forte fino ad attirarsi definitivamente i suoi occhi, nei propri c’era comprensione e dolcezza. Lo guardò da sotto in su. “Sta’ tranquillo, terremo tutto questo solo per noi, ancora per un po’.”
    L’ansia della Fiamma si sciolse all’improvviso nella calma delle sue iridi nocciola. Non era abituato a mostrare apertamente i propri sentimenti, doveva lavorarci ancora, ma Yuzo gli aveva appena dimostrato quanto, profondamente, aveva imparato a conoscerlo.
    Mamoru gli lasciò un ultimo leggerissimo bacio sulle labbra. “E’ anche per questo che ti amo” disse con un sorriso.

    “Ecco, lo vedi? Non sono nemmeno qui.” Hajime aveva l’espressione rassegnata e un calice per mano. Aveva cercato in ogni modo di persuadere Teppei dal cercare quei due, appena si era accorto che non erano più in sala. Diversamente dal tyrano, lui aveva capito perché fossero scomparsi e avrebbe voluto fare di tutto tranne che andargli a rompere le scatole. Per una volta che finalmente trovavano il momento per chiarirsi, ci mancavano solo loro, quarti incomodi. Quinti, considerando Silver acciambellato attorno al collo di Teppei.
    “E io ti dico che devono essere qui per forza! Guarda che bello! Questo posto a Mamoru piacerebbe sicuro, non ti ricorda Dhyla?” Il tyrano girò su sé stesso riempiendosi gli occhi dei meravigliosi colori della terrazza. Silver schioccò la lingua in segno di approvazione e tornò a poggiare quietamente il muso sulla punta della coda. Poteva esser scambiato per una sciarpa, tanto se ne stava attorcigliato al suo padroncino. Anche Teppei recava due calici con sé, uno per mano.
    “Sì, va bene, ma non potevamo aspettarli nella sala grande? Saranno andati a fare due passi…” -…o qualcosa di meglio! - ma questo non lo disse. “E poi, con tutta la gente che c’è, come puoi esser sicuro che magari non erano lì, mischiati tra la folla?”
    Teppei ruotò gli occhi al cielo. “Perché è così, ti dico! Non c’erano! E poi avranno tutto il tempo di andarsene a zonzo! Non abbiamo ancora fatto un brindisi come si deve!” E mentre parlava continuava ad avanzare spedito verso il fondo della terrazza.
    Hajime sospirò. “Magari volevano trovare un po’ di calma…”
    “Con Teppei nei paraggi?” La voce di Mamoru arrivò distintamente da dietro un albero, attirandosi gli sguardi sia di Acqua che di Terra. “Impossibile.”
    Hajime soffocò una mezza bestemmia perché quel testone del suo migliore amico era peggio d’un segugio, mentre l’amico in questione, invece, sorrideva ampiamente allungando il passo.
    Li trovarono proprio doveva aveva pensato che fossero, nei pressi del tronco nodoso di un grande ciliegio, la cui visuale era preclusa dall’ingresso.
    Yuzo restava poggiato con la schiena all’albero, mentre Mamoru gli era di fronte, le braccia conserte e il sopracciglio inarcato sull’espressione ironica.
    Hajime lanciò un’occhiata di supplichevoli scuse al volante, ma quando questi gli sorrise, accennando appena col capo, si rilassò: forse non erano arrivati al momento sbagliato.
    “Ma dove eravate spariti?! Vi abbiamo cercato ovunque!” sbottò il tyrano e Mamoru sghignazzò.
    “Dove pensavi che fossimo, Teppei? Tanto ci vedremo tutti i giorni!”
    “Questo lo so! Ma con la confusione che c’è, non abbiamo ancora avuto modo di festeggiare, solo noi quattro.” Porse i due bicchieri alla Fiamma e al volante, sorridendo. “Un brindisi in solitario ce lo meritiamo, no?”
    “D’accordo, ma tieni la tua serpe lontana da me. Mi fanno senso le cose che strisciano.”
    Silver sollevò appena il muso, annusò l’aria attorno alla Fiamma con espressione supponente e poi girò il capo.
    “Non offenderlo. Silver è molto sensibile!”
    Mamoru ridacchiò con una certa perfidia, mentre Yuzo scuoteva il capo e lasciava un paio di grattini affettuosi sulla testa dell’animale che, ovviamente, non disdegnò.
    “Allora.” Il tyrano sollevò solennemente il calice che gli aveva offerto Hajime, impostando il tono della voce. “Ai nuovi, e per ora primi nel loro nome, Magister Reali di Raskal. Che la nostra saggezza-”
    Mamoru tossicchiò e Teppei corresse il tiro.
    “…che la nostra fedeltà e il nostro coraggio ci aiutino a essere sempre di degno supporto per il Re, per la Divina Chiave e per tutti gli abitanti di Elementia.”
    “Salute!” dissero in coro, cozzando i calici.
    Il tintinnare del finissimo cristallo si disperse con una nota sottile tra la pioggia di petali e mentre portava il vino alle labbra, Mamoru pensò, questa volta senza il solito rammarico, a come l’ennesimo capitolo della sua vita si stesse chiudendo mentre un altro, ancora tutto da scoprire, stesse aprendo i suoi pesanti battenti alla luce.

    Queste saranno le ultime righe che lascerò vergate su queste pagine, prima che tale Diario venga consegnato agli illustri Consoli e, di seguito, agli Archivi Reali.
    Per quanto il buio sia fuori da questo castello, i preparativi per l’incoronazione continuano in tutta la Capitale, arrivando a noi in forma di eco lontane, fuochi d’artificio e canti.
    Quando siamo partiti, la città era già in festa e così l’abbiamo ritrovata, come se il tempo si fosse fermato e non fossero trascorsi due anni sulla nostra pelle e sulle nostre teste.
    Gli eventi che ci hanno condotto lontano, per queste terre, sono stati molteplici e non di tutti conserveremo un ricordo positivo, ma ciò che ho imparato sta nel non rinnegare nulla di quello che abbiamo fatto e vissuto. Ognuno di noi ha appreso qualcosa per cui vale la pena rammentare ogni attimo di sofferenza prima di poter assaporare il nirvana della ricerca.
    Magari, ripensandoci, a volte sarà l’amaro a piegare le nostre labbra e altre volte saranno i sorrisi perché abbiamo perso qualcosa e qualcos’altro lo abbiamo trovato, ma in fondo ciò che più conta è che avremo un domani per poterlo raccontare ancora.

    Elemento di Fuoco,
    Mamoru Izawa.

     

    Così termina il cammino dei quattro viandanti
    e della loro avventura, ma senza rimpianti
    perché altre ne verranno, al di là di questa guerra,
    a scrivere il futuro di Aria, Acqua, Fuoco e Terra.

     


    [1]NUMERO UNO: XD questa è la mia passione per Star Trek che emerge di prepotenza! *rotola* Numero Uno è l’espressione con cui il Capitano della USS Enterprise 1701-D, Jean-Luc Picard, chiamava il suo Primo Ufficiale, William T. Riker. :3333 *awww*


     

    *

    Elementia: The War
    Fine


    *


     

     

    …Il Giardino Elementale…

     

    Cinque anni e sei mesi.
    Tanto è passato da quando ho pubblicato il Prologo di questa storia e mi sembra di aver chiuso un’epoca. Forse in parte è così.
    Sono cambiate tantissime cose in questi cinque anni e la stesura di “Elementia: The War” ha visto fasi alterne, tre anni di buco e poi la ripresa sfrenata fino ad arrivare a questo momento.
    Oggi “Elementia: The War” finisce, così come la guerra che vi ha raccontato, ma “La saga di Elementia” non è affatto conclusa.
    Ci sono cose non dette o lasciate in sospeso che aspettano solo il momento opportuno per tornare e prendersi tutte le parole di cui sarò capace per potervele narrare.
    Spero che allora, come ora, voi sarete ancora con me, con loro, per ascoltare.
    Potete stare tranquilli: non sarà niente di lungo come questo. Anzi, credo che qualsiasi altra storia pubblicherò non sarà mai, mai e ribadisco MAI lunga come “The War”. Mai.
    XD mi son fatta fregare una volta e mi basta. *ride*
    E visto che ho preso la sana abitudine di terminare le storie prima di pubblicarle, nelle prossime fic potete star tranquille/i che non ci saranno gli stop o le attese dovute alla pubblicazione in corso d’opera. Niente più WIP. Quindi, potete esser certe/i che se inizierò a pubblicare qualcosa, questo qualcosa sarà se non già completo al 100%, di sicuro al 90%! :D

    Prima di chiudere, vorrei ringraziare in primis la mia beta, Sakura-chan, per avermi seguita in questi cinque anni senza mandarmi a fanchiurlo.
    ** Tesoro, sappi che sei stata una Be(t)ta adorabile e paziente e tanto, tanto pucciosa e che ti voglio un mondo di bene :****. Spero tu possa tornare prestissimo a pubblicare qualcosa, perché noi s’aspetta! *_*
    E poi vorrei ringraziare tutti voi.
    Voi che avete letto, che avete recensito, che avete messo questa storia in preferite/ricordate/seguite, che avete aperto e chiuso, che siete arrivati e andati via prima della fine e che siete arrivati alla fine recuperando tutti i capitoli in un colpo.
    Grazie mille per essere rimasti con questa storia o per averci provato, anche se non ci siete riusciti. Ognuno di voi è stato un lettore prezioso e spero d’essere riuscita a darvi qualcosa che vi abbia fatto sognare almeno un decimo di quanto ha fatto sognare me. :)
    Grazie a tutte, ma proprio tutte le persone che hanno recensito fino a questo momento (solarial, Melisanna, Akuma, Koji-chan, Sissi, Blackvirgo, Wywh, Kara, Kourin, Fumina, Lily BlackRose, Sandie, Shinkocchi, MayJeevas – su EFP –. Nike_a e Sachiko Blu – su ELF –), e a tutte coloro che decideranno di farlo da questo momento in poi.
    “The War” ha visto una fine soprattutto grazie a voi e alla voglia che avevo di non lasciarvi senza avervi detto tutto e di non tradire la fiducia di chi non ha mollato nel corso degli anni.
    Grazie a tutte. Grazie a voi.
    Ci ritroveremo presto con una nuova avventura, forse proprio di questi quattro baldi giovanotti.
    Per il momento, però, lasciatemelo dire con un profondo e piacevole senso d’orgoglio e soddisfazione:

    Il Re è morto.
    Viva il Re!


    Galleria di Fanart (NUOVE IMMAGINI!!!)

    - Alta Uniforme: Fyarish
    - Alta Uniforme: Alastri
    - Alta Uniforme: Agadiri
    - Alta Uniforme: Tyrani

    Enciclopedia Elementale:

    1) Enciclopedia Elementale – Volume Primo: Le Scuole Elementali e l’AlfaOmega
  • Capitolo 1: La Scuola di Tyran
  • Capitolo 2: La Scuola di Alastra
  • Capitolo 3: La Scuola di Fyar
  • Capitolo 4: La Scuola di Agadir
  • Capitolo 5: Gli Stregoni dell’AlfaOmega


  • 2) Enciclopedia Elementale – Volume Secondo: Elementia: storia e caratteristiche

  • Capitolo 1: La Storia
  • Capitolo 2: La Magia in Elementia
  • Capitolo 3: Le Divinità di Elementia


  • 3) Enciclopedia Elementale - Volume Terzo: Cicli di Studio e Titoli

  • Capitolo 1: Cicli di Studio
  • Capitolo 2: Titoli


  • 4) Enciclopedia Elementale - Volume Quarto: Gli Ozora ed i Gamo

  • Capitolo 1: La faida tra gli Ozora ed i Gamo
  • Capitolo 2: L'Armata Reale della famiglia Ozora
  • Capitolo 3: Le Legioni della famiglia Gamo


  • 5) Enciclopedia Elementale - Volume Quinto: Classi Magiche e Professioni

  • Capitolo 1: Elementi e Sacerdotesse Elementali
  • Capitolo 2: Erboristi e Stregoni
  • Capitolo 3: Naturalisti e Alchimisti


  • 6) Enciclopedia Elementale - Volume Sesto: Il Calendario Elementale

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Mesi
  • Capitolo 3: Festività (pagg 1 e 2)


  • 7) Enciclopedia Elementale - Volume Settimo: Le Terre dell'Oltre

  • Capitolo 1: Generalità
  • Capitolo 2: Paràdeisos
  • Capitolo 3: Gefüra
  • Capitolo 4: Infero
  • Capitolo 5: Creature: Salamandre
  • Capitolo 6: Creature: Silfidi, Ondine, Gnomi
  • Capitolo 7: Creature: Driadi, Diavoli
  • Capitolo 8: Creature: Maustaki


  • 8) Enciclopedia Elementale - Volume Ottavo: Gli Stregoni di Huria

  • Capitolo 1: Storia
  • Capitolo 2: Gerarchia Stregonesca


  • 9) Enciclopedia Elementale - Volume Nono: Le Sacerdotesse Elementali e gli Elementi Eterni

  • Capitolo 1: L'Ordine Sacerdotale
  • Capitolo 2: Gli Elementi Eterni
  • Capitolo 3: Le Sacerdotesse Elementali


  • 10) Enciclopedia Elementale - Volume Decimo: Bestiario

  • Capitolo 1: Fannùsh e Golkorhas
  • Capitolo 2: Màlayan e Iktàba
  • Capitolo 3: Phaluat
  • Capitolo 4: Rankesh e Zaikotto (o Rubinato)
  • Capitolo 5: Kamalocha delle Vette Aguzze
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