Giulia

di MrBadGuy
(/viewuser.php?uid=124389)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.
 

L’amore più puro e incondizionato;
La lotta per la vita;
Il sacrificio più stremante
Giulia. Una donna pronta a tutto.

 
Lettera al marito:
 
“Il passo
che giunge alla sera
è sì lieve,
ma non felpato.
È ancora tua vita;
tuo sangue nelle mie vene”.

 
Posò la penna, senza neanche curarsi di rimetterci il tappo.
Aveva programmato per troppo tempo la propria vita senza ricevere risultato alcuno.
Nei suoi sogni più rosei poteva ancora abbracciare sua figlia Anna e suo marito Luigi;
nella realtà era estremamente diverso.
La vita la stava lentamente abbandonando, dolore dopo dolore, capello bianco dopo capello bianco.
Giulia avrebbe volentieri scambiato la propria esperienza di donna anziana, tanto ambita fra i giovani, con un po' di candore puerile, bramata dai vecchi.
Ma, si sa, se non fosse stata anziana e cosciente delle sue esperienze, non avrebbe mai pensato qualcosa del genere.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


Capitolo primo.

Estratto per la copia integrale del Registro degli Atti di Nascita dell’Anno Millenovecentoventi.
Parte I, serie IV.
Anno millenovecentoventi, addì diciannove, di Febbraio, a ore nove e minuti dieci in Roma, nella casa comunale.
Avanti a me Vagliasco Carlo, delegato il cinque giugno del Millenovecentodiciannove ad Ufficiale dello stato civile del Comune di Roma, mi ha dichiarato che alle ore diciotto del dì quattordici del corrente mese, nella casa posta in Via G., in una Clinica, da una donna che non consente di essere nominata è nato un bambino di sesso femmina che non mi presenta e a cui dà il nome di Giulia ed il cognome di Mecogni ed è gemello con il seguente –documento mancante-.
A quanto sopra ed a quest’atto sono stati presenti quali testimoni Arcuri Pietro di anni quarantatre, impiegato e Stoisman Anita di anni ventiquattro, impiegato, entrambi residenti in questo Comune.
La nascita e il sesso sono stati accertati dal medico direttore della R. Clinica Ostetrica.
Omessa la presentazione del neonato per igiene.
Fa la presente denuncia quale delegato dal Direttore di detta Clinica ove avvenne il parto.
Detto bambino viene da me inviato al Brefotrofio di Roma per mezzo del dichiarante di ciò incaricato al quale rimetto copia del presente atto affinché si consegni al direttore di detto Istituto, insieme col bambino.
Il dichiarante asserisce di essere il suddetto bambino il primo nato.
Firmano i presenti: Arcuri Pietro, Anita Stoisman.
L’Ufficiale di Stato Civile Vagliasco Carlo.

“Signora, mi scusi” azzardò la governante mentre aiutava la sua padrona a infilarsi la giacca,
“Dimmi, Evelina” rispose la donna, con la voce provata dalla stanchezza del parto e dei giorni passati in clinica,
“Perché le bambine non tornano a casa con noi?”
“Alcune motivazioni, mia cara, sono fin troppo difficili e personali per essere spiegate”
“Capisco”
“Andiamo a casa, sono stanca”
“Certo Signora, il Padrone ha chiamato mentre Lei non c’era, ha detto che la prossima settimana tornerà alla Villa”
“Ti ringrazio per la comunicazione”.
 
Era stato terribile lasciare fra le braccia dell’ostetrica quelle bambine meravigliose, dagli occhi azzurri e gioiosi.
La Duchessa chiuse il libro, le pagine si congiunsero in uno schiocco secco; con un’espressione ricolma di un odio velato osservò la foto posta sul tavolo, vicino a sé, congiunse le mani sul grembo e si chiese com’era possibile che una donna bella com’era lei avesse accettato di sposare un uomo del genere. L’avevano attratta i soldi, la vana speranza di potersi salvare dal turbinio di fame e miseria in cui era entrata.
Ed effettivamente si era salvata, ma continuava a pensare che la povertà e gli stenti fossero migliori dell’inferno in cui si era portata con le proprie gambe.
Proprio per questo la Duchessa si era creata una vita alternativa, dove potesse veramente donare il proprio cuore: aveva trovato un altro uomo.
Un ragazzo umile che lavorava come garzone in una bottega d’arte, certo, ricco nell’anima, in grado di rendere felice persino un bambino a cui il pallone era fuggito fra le case.
Appartenevano a lui le bambine che la donna aveva portato in grembo e poi donato alla luce.
Le aveva dovute affidare a qualcun altro, le aveva consegnate al fato, come Rea Silvia con i suoi due tesori.
“Duchessa” la chiamò una cameriera facendo capolino nella stanza, “C’è un ragazzo che chiede di lei”
“Lascia che si accomodi in sala da pranzo e servigli una bevanda, non ci metterò molto a sistemarmi”
“Certo Signora”.
 
Scendendo lentamente le scale, la Duchessa, il cui corpo era vestito di un semplice abito nero, giunse nel salone in tutta la sua bellezza impostata nel tempo, per seguire ogni piccolo cliché nobiliare.
Con gli occhi chiari guardò l’ospite e nascose un sorriso, poi gli si avvicinò, si accomodò sulla sedia davanti a lui, “Buonasera”
“A lei Signora”.
La donna si guardò attorno, assicurandosi che non ci fosse nessuno di indiscreto che potesse ascoltare la discussione,
“Lorenzo, Dio, quante volte ti ho fatto giurare che non saresti mai venuto qui!?”
“Ho dovuto. Ero preoccupato per te, temevo ti fosse successo qualcosa…”
“No, è andato tutto bene. Solo che…”
“Che? Per favore, amor mio, dimmelo”
“Oh, ti prego, modera ciò che dici, potrebbero ascoltare… Non era solo una bimba, erano ben due”
“E posso vederle?”
“No, Lorenzo. Ho delegato qualcuno affinché le portasse al brefotrofio, per offrire loro un futuro nettamente migliore della miseria che tu puoi dar loro e i miei guai. Oh, se solo mio marito sapesse…”
“Ti accoglierei io e nessuno saprebbe, fuggiremmo dove non ci potrebbero trovare”
“Non posso di certo fare una scelta così avventata. Scappare… Oh, che sciocco che sei.
Fosse per te il Mondo sarebbe un’allegra fiaba. Io non me lo posso permettere, al tuo contrario… Non mi fraintendere, te ne prego, io ti amo, ma se dovessi lasciare mio marito, non potrei sottrargli quei pochi soldi che riesco a consegnarti ogni mese, in segreto”
“Avrei preferito essere braccato fino alla morte, più che essere consapevole che i frutti del nostro amore sono persi per sempre”
“Non sono persi per sempre”
“Che sciocca che sei. Lo hai detto tu che il Mondo non è un’allegra fiaba”.
 
Il Duca sarebbe tornato quella settimana, dopo ben un anno d’assenza; sua moglie, dopo essersi beata della sua lontananza durante il suddetto arco di tempo, non riusciva a capacitarsi nemmeno lontanamente di dover di nuovo condividere il proprio letto con lui.
All’idea di fingersi entusiasta, la donna si sentiva ancora più scoraggiata, fissava la propria figura riflessa nello specchio lasciandosi scappare un sospiro ogni tanto, mentre si acconciava i capelli.
“Evelina? Evelina!” chiamò ad alta voce, con una nota di esasperazione nel tono, la ragazza non tardò a raggiungerla nella stanza da letto
“Sì, Signora?”, chiese remissiva, consapevole che quell’improvvisa vitalità non fosse dipesa da alcun motivo gioioso,
“Ascoltami, vienimi vicino” la Duchessa abbassò il tono della voce, quasi sussurrò impercettibilmente,
“Mi dica pure”
“Non dire niente al padrone di quel che è successo, intendimi”
“Ma…”
“Fammi finire, è buona educazione. Le bambine non sono tornare a casa con me perché semplicemente non gli appartengono, capisci?”, la donna cercò un velo di comprensione negli occhi della sua dipendente, ma non ne ricevette,
“Capisco, Signora” rispose lei, seppellendo una quantità spropositata di punti interrogativi.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1481597