Christmas! at Dalton Academy

di Demolition
(/viewuser.php?uid=70438)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Baby, it’s cold outside! ***
Capitolo 2: *** Say, what's in this drink? ***
Capitolo 3: *** Ice dance! ***
Capitolo 4: *** Let it snow! ***
Capitolo 5: *** Underneath the mistletoe ***
Capitolo 6: *** Gonna stay with you 'til Santa grants my wishes. ***
Capitolo 7: *** Fall in love with me, this Christmas ***
Capitolo 8: *** Raise up cups of Christmas cheer! ***
Capitolo 9: *** BONUS: Spirito del Natale. ***



Capitolo 1
*** Baby, it’s cold outside! ***




Per la Warblers Week:
Lunedì 17 Dicembre
Il calore del camino
 
Rating: Verde
I personaggi non mi appartengono, sono solo del caro Ryan Murphy, io scrivo perché sono una malata mentale e non ci guadagno niente.
 
 

Baby, it’s cold outside!

 
 
Dicembre 2011;
 
Sebastian sorrise, sprofondando in una poltrona davanti al fuoco. La sala comune era deserta: probabilmente gli altri ragazzi della Dalton erano di fuori a giocare tra la neve o nelle loro camere a preparare le valigie per tornare a casa durante le vacanze.
Si chiese se gli altri Usignoli avessero notato la sua assenza alle prove, quel pomeriggio. Era l’ultima riunione del gruppo prima della partenza, eppure Sebastian aveva deciso di non partecipare e, piuttosto, di rimanere un po’ da solo di fronte al camino.
Sebastian si conosceva molto bene e sapeva che tutto quello di cui aveva bisogno, era di sentirsi un po’ vivo.
Tutto ciò che aveva fatto nella sua vita, era servito solo a quello scopo.
Ogni scherzo, ogni sopruso, ogni vittoria: piccoli tasselli che erano andati lentamente a riempire quel vuoto che il ragazzo avvertiva chiaramente dentro di sé.
Raramente si soffermava a riflettere su sé stesso: era impulsivo, ma anche astuto e furbo, perfino manipolatore.
Soprattutto, abbastanza intelligente da non legarsi mai a nessuno per un tempo abbastanza lungo da affezionarsi.
Vi erano, tuttavia, dei momenti in cui non aveva bisogno di nulla, se non di far ordine tra i suoi pensieri, di togliere la maschera da cattivo ragazzo ed essere semplicemente Sebastian. Di ascoltare quel suo vuoto interiore, senza preoccuparsi di come riempirlo; di essere consapevole dei suoi sentimenti, delle emozioni che si ostinava a nascondere nella vita di tutti i giorni.
Sebastian non sarebbe tornato a casa, per quelle vacanze; non avrebbe preso il treno con gli altri ragazzi, quel pomeriggio. Non riusciva a reggere l’idea di passare il Natale nella sua enorme e fredda casa, circondato da parenti lontani di cui a malapena sapeva il nome. Non aveva voglia di ascoltare gli interminabili discorsi di suo padre riguardanti il suo lavoro, né di guardare le guance di sua madre tirate in un sorriso glaciale e falso; non aveva intenzione di rispondere alle domande formali di lontani zii, di alzarsi il prima possibile da tavola e rinchiudersi in camera sua, ad ascoltare musica.
Sebastian amava la solitudine, amava prendersi qualche ora per rilassarsi, in quei rari momenti in cui non era a flirtare con qualche ragazzo o ad escogitare qualche piano per vincere le gare di canto. In quegli sporadici attimi di solitudine, amava esplorare sé stesso, perdersi tra i propri pensieri, ascoltare le sue necessità.
Chiuse gli occhi, rilassando il volto illuminato dal fuoco che bruciava, nel camino. Sentiva il calore sulla pelle, sulle mani appena screpolate dal freddo. Sentiva caldo, sotto il suo costoso maglione verde smeraldo, vecchio regalo di sua madre; un verde freddo, glaciale, privo di quel calore natalizio che si respirava lungo i corridoi della Dalton. Un colore che rispecchiava la solitudine di Sebastian, così carismatico da avere l’ammirazione di tutti, così freddo e scaltro da non avere il reale affetto di nessuno.
Nella sua vita non si era mai realmente legato a qualcuno: un legame di qualsiasi tipo avrebbe creato un varco nella sua corazza di ghiaccio, un rischio che non si poteva affatto permettere.
C’era stata un’unica eccezione, nella sua vita: gli Usignoli.
Sebastian sapeva che quei ragazzi non solo lo ammiravano per il suo talento e lo seguivano per il suo carisma: lo consideravano qualcosa di più, qualcuno con cui confidarsi, con cui passare le serate insieme, con cui parlare o studiare. Qualcuno con cui cantare, con cui passare la notte a chiacchierare nei dormitori.
Tuttavia avrebbe passato comunque le vacanze da solo, di fronte al camino; eppure, quel calore, Sebastian non lo avrebbe mai sentito dentro di sé. Nulla avrebbe scaldato il suo periodo natalizio: né le due righe di auguri di sua madre, né il pranzo di Natale della Dalton, né quel dannato camino.
Desiderò con tutte le forze che qualcuno lo abbracciasse, ma subito se ne vergognò; sobbalzò sulla poltrona, guardandosi intorno con circospezione come a volersi assicurare che nessuno avesse potuto avvertire quella sua debolezza.   
Scherzo del destino, la porta della sala comune si aprì e ne entrò Thad. Il volto era arrossato a causa del vento gelido e nascosto quasi interamente da un cappello calato fino alle sopracciglia e da una sciarpa chilometrica; una giacca scura pesante rendeva i suoi movimenti goffi e i suoi scarponcini erano sporchi di neve e fango.
«Ciao Thad!» esordì Sebastian, non potendo fare a meno di sciogliersi in un sorriso.
«Finalmente ti abbiamo trovato, imbecille» salutò lui di rimando, da sotto la sciarpa.
Thad si voltò, riaprì la porta della sala comune e si sporse appena oltre di essa. Sebastian lo udì benissimo urlare un “l’idiota è qui” che non lo lasciò indifferente.
Dalla porta entrarono gli Usignoli al completo, tutti nelle stesse condizioni di Thad: era chiaro che avevano passato l’ultima mezzora a cercarlo tra la neve.
«Dimmi per quale motivo non dovrei strangolarti, Smythe» sbottò David, togliendosi la giacca e lanciandola in malo modo sulla poltrona di Sebastian, che fece appena in tempo a scansarsi per non riceverla in faccia.
«Era l’ultima prova prima di Natale» continuò, lanciando sciarpa e cappello su un tavolo «e si suppone che il cantante principale partecipi.»
Gli altri Usignoli annuirono debolmente, ma nessuno cercò di calmarlo: era evidente che tutti ce l’avevano con Sebastian.
«Pensavamo fossi fuggito» ammise Jeff, alitando sulle mani per scaldarle. Il suo naso a punta era rosso, nonostante la pesante sciarpa che portava al collo.
«Ti abbiamo cercato ovunque, là fuori» aggiunse Nick, visibilmente irritato «perfino in stazione.»
Nessun legame, pensò Sebastian. Nessun legame. Eppure gli Usignoli non si erano solamente accorti della sua assenza alle prove; si erano preoccupati. Nessuno si era mai preoccupato realmente per Sebastian, né sua madre, né suo padre, né i ragazzi con cui era stato. Nella sua mente si affacciò una parola che lo fece arrossire:amicizia.
«Mi… mi dispiace» mormorò, a disagio.
«Ti dispiace?» gli fece il verso David, che rimaneva il più adirato dei ragazzi. «Pensavamo che avessi deciso di scappare in Francia! Pensavamo che fossi seppellito sotto la neve! Pensavamo che…»
«Mi dispiace, ragazzi» ripeté, sentendosi realmente in colpa.
«Oh, Sebastian che si dispiace!» scoppiò a ridere David. «Dov’eri? A festeggiare in anticipo il Natale con uno del primo anno? Ti divertivi sotto il vischio, mentre ci preoccupavamo per te?»
«David...» intervenne Nick, percependo la sincerità di Sebastian «… dacci un taglio.»
«Ero qui» si affrettò a spiegare Sebastian, approfittando di quel momento di tregua.
«Eri davanti al camino mentre noi ci gelavamo là fuori!» commentò Thad, da un angolo della stanza. Teneva le braccia conserte, offeso dal comportamento di Sebastian.
«Non mi stavo proprio divertendo» disse Sebastian, alzando un sopracciglio «ma stavo piuttosto pregustando la bellezza di un Natale da solo.»
Sentì improvvisamente le guance andargli in fiamme, consapevole di aver mostrato la sua debolezza di fronte agli altri. Eppure, quelle parole sembrarono calmare l’ira dei ragazzi.
«Oh!» mormorò Jeff.
Fu come se gli Usignoli avessero avuto la stessa idea contemporaneamente, o come se avessero potuto comunicare telepaticamente.
Uno dopo l’altro si tolsero le giacche, poi le sciarpe e i cappelli; dandosi pacche gentili sulle schiene, si dispersero per la stanza: alcuni andarono a prendere delle sedie, altri dei cuscini. Ma, dopo pochi secondi, tutti si posizionarono attorno a Sebastian, davanti al camino.
«Cosa…?»
«Per colpa tua siamo infreddoliti» borbottò Trent «quindi il camino farà bene a tutti.»
«Ma non dovete preparare le valigie?» chiese Sebastian, piuttosto confuso.
«Oops, il treno partirà tra pochi minuti» osservò dolcemente Nick.
«Guarda caso lo perderemo» ridacchiò Jeff, accoccolandosi accanto a Nick e premendo la testa contro la spalla del ragazzo.
«Nessun Usignolo passa il Natale da solo, Sebastian!» rise Thad, in risposta alle occhiate interrogative che il ragazzo stava lanciando per tutta la sala.
«Neanche il più stronzo» aggiunse David con un sorrisetto.
Fu il primo Natale in cui Sebastian avvertì dentro di sé quel calore da lui tanto desiderato.
E, di certo, quel calore non aveva nulla a che fare col camino.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Say, what's in this drink? ***


Per la Warblers Week:
Martedì 18 Dicembre
Cioccolata in tazza.

Rating: Giallo

 Say, what's in this drink?  
 

Dicembre 2011;

 
Non era a causa della sua fame spietata, che Trent ingrassava puntualmente di due chili, ogni Natale.
No, la colpa era unicamente di Jeff, Jeff e il suo entusiasmo natalizio, Jeff e le sue proposte travolgenti, Jeff a cui non si poteva dire di no.
«Trent, Trent, Trent…» urlò Jeff, scuotendo l’amico, ancora profondamente addormentato nel suo letto comodo e confortevole.
«Oh Dio, no, ti prego…» riuscì a mormorare Trent, di rimando, prima che il biondo tornasse all’attacco.
«Trent, Trent, Trent…»  continuò imperterrito, completamente insensibile alle preghiere dell’amico.
«Che ore sono?» sbiascicò il ragazzo ancora assonnato, muovendosi tra le coperte.
Per nulla al mondo sarebbe uscito dal suo letto; il solo pensiero della neve e del vento gelido lo fece rabbrividire.
«Le sei» annunciò candidamente Jeff, alzando le coperte e infilandosi nel letto, accanto a Trent.
«Le sei» ripeté questo, sperando di aver capito male. «E adesso cosa stai facendo?»
«Mi scaldo» spiegò Jeff con semplicità, accoccolandosi contro il corpo dell’amico.
«Scordatelo!» esclamò Trent, ormai completamente sveglio, lanciando via le coperte e allontanandosi dall’altro.
«Bene» sorrise Jeff con tranquillità «adesso che ho la tua attenzione, vorrei che tu mi portassi a prendere una cioccolata calda.»
Trent si prese qualche secondo, prima di rispondere; rifletté velocemente sulle sue possibilità di farla franca dopo l’omicidio del caro Jeff, ma alla fine convenne che riempirlo di insulti sarebbe stato più che sufficiente.
«Tu!» sbraitò, alzandosi a sedere sul bordo del letto e indicando l’altro con espressione scandalizzata. «Tu mi hai svegliato per una semplice cioccolata calda!»
«Sì» ammise Jeff con semplicità, giocherellando con il bordo della coperta e evitando di guardare l’amico.
Era ben consapevole di averlo fatto arrabbiare, ma il desiderio di quella cioccolata calda era davvero forte.  
«Non potevi chiederlo a David?» fu la risposta paziente di Trent, deciso ad usare tutta la calma che aveva in corpo per evitare un omicidio.
«Mi ha insultato.»
«Thad?»
«Mi ha lanciato contro una ciabatta.»
«Chissà perché!» commentò Trent, chiudendo le palpebre e assaporando la bellezza dell’idea di Jeff colpito da una pantofola «Nick? Nick ti dirà sicuramente di sì.»
«Ha minacciato di tirarmi addosso la cioccolata.»
Trent si portò una mano in viso, sinceramente disperato:Nick era davvero la sua ultima speranza. A meno che….
«Sebastian?»
«Sebastian dorme.» disse Jeff, con un sorriso tenero.
«Non potevi svegliarlo?»
«No» mormorò il ragazzo, alzandosi e cominciando a passeggiare per tutta la stanza, con una profonda calma che irritò parecchio Trent.
«E perché no?» chiese, sempre deciso ad usare tutta la sua pazienza.
«Non te lo dico, non sono così stronzo!» esclamò Jeff, quasi offeso, alimentando la curiosità dell’altro. «Comunque, ora che ci penso, a prendere la cioccolata ci possiamo andare anche tra un paio di ore, se proprio vuoi dormire.»
«Oh, grazie al cielo!» sospirò Trent, rigettandosi sotto le coperte, completamente dimentico di Sebastian.
«Posso venire lì con te, però?» chiese timidamente Jeff, accennando al letto.
«No» fu la risposta secca.
 
-
 
Il bar era davvero affollato di persone: studenti della Dalton con le loro divise impeccabili, ragazzi della scuola pubblica, addirittura insegnanti. Trent inspirò a pieni polmoni l’odore del caffè che aleggiava nella stanza, cercando con gli occhi un tavolo libero in cui sedersi con Jeff.  
 «Hey, guarda chi si vede!» li salutò David, agitando una mano per richiamare la loro attenzione.
Era seduto ad un tavolino con Thad ed un annoiatissimo Sebastian, che sembrava essere stato trascinato lì contro il suo volere; davanti a loro c’erano tre tazze di cioccolata fumante.
«Volete sedervi?» li invitò Thad, indicando alcune sedie rimaste libere.
Trent non se lo fece ripetere e si accomodò con grazia di fronte a David. Jeff sedette al suo fianco, adocchiando le tre tazze di cioccolata.
«Stavamo decidendo che brani cantare allo spettacolo di Natale!» spiegò David con entusiasmo, spingendo verso i due nuovi arrivati un paio di spartiti.
«Oh sì, vi supplico, salvatemi da questa noia!» lo interruppe Sebastian con tono lamentoso, sbadigliando vistosamente e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Thad.
«Sei il cantante principale, Sebastian» gli ricordò Jeff, cercando contemporaneamente di attirare l’attenzione della cameriera.
«Appunto, se dipendesse da me, questi canti natalizi sarebbero aboliti!» ribatté il ragazzo, giocherellando con la sua tazza.
«Cosa mi tocca sentire!» esclamò Trent, sentendo ferito il suo orgoglio di Usignolo.
Lo spettacolo di Natale era una delle tradizioni a cui non avrebbe mai potuto rinunciare.
«Sono noiosi» continuò Sebastian, fissando un bel ragazzo seduto nel tavolo di fronte a loro «e perfino imbarazzanti.»
«Questa tua anarchia è preoccupante!» dichiarò Trent, passandosi una mano tra i capelli e cercando l’appoggio degli altri tre ragazzi.
«Non lo ascoltare,» disse Thad, sorseggiando la sua cioccolata con invidiabile tranquillità «non cancelleremo mai lo spettacolo natalizio per i capricci di un francesino.»
Sebastian sogghignò.
«Fate come vi pare, ma vi dico che i canti natalizi mi fanno cascare le….»
«Scusi,» li interruppe Jeff, che nel frattempo era riuscito a reperire una cameriera «le dispiacerebbe portarci due tazze di cioccolata?»
«Arrivano subito» disse la ragazza, appuntando le ordinazioni su un block notes, prima di sparire dalla loro vista.
«Hey, guardate chi c’è!» disse Thad, con un grande sorriso, sventolando una mano in segno di saluto.
Gli altri ragazzi si voltarono per vedere chi fosse e così si ritrovarono davanti Blaine Anderson, in carne e papillon.
Ci mancava lui, pensò Sebastian, cercando di mantenere un’espressione impassibile, pur sentendo il cuore sussultargli nel petto. 
«Blaine!» esclamò Trent alzandosi rumorosamente per abbracciare l’ex Usignolo.
«Blaine, ci manchi da morire!» gli fece eco Jeff, unendosi all’abbraccio.
Anche Thad e David si alzarono, avvicinandosi per salutare Blaine. Sebastian non si mosse di un millimetro, tenendosi a debita distanza da quelle affettuose cerimonie; sapeva di non essere così in confidenza con Blaine da poterlo abbracciare, ma sentì l’improvviso impulso di unirsi a quel saluto, di cingere i fianchi di Blaine e di salutarlo con un sorriso.
Sono ridicolo, si disse, distogliendo lo sguardo e spostandolo su un bel ragazzo che stava ordinando qualcosa al bancone. Quando i loro occhi si incrociarono per un istante, Sebastian ammiccò, sfoderando il suo ghigno malizioso, ottenendo un sorriso imbarazzato da parte dell’altro. Semplice, prevedibile. Fu una voce calda a riportarlo alla realtà.
«Sebastian!» lo notò infine Blaine, quando gli altri ragazzi si decisero a lasciarlo respirare.
«Blaine!» lo salutò il ragazzo, lasciando perdere il tipo del bancone e abbozzando un sorriso.
Gli occhi scuri dell’ex Usignolo brillavano, notò Sebastian. Indossava una giacca scura, portata elegantemente sopra dei pantaloni pesanti e un paio di scarponcini invernali.  
«Bevi qualcosa con noi!» lo implorò Trent, decisamente felice di poter trascorrere del tempo con il vecchio amico.
«Sì, aiutaci a decidere cosa cantare allo spettacolo natalizio!» propose David con entusiasmo.
«Oh, beh, io ero con degli amici…» disse Blaine, guardando un punto imprecisato alle sue spalle.
Con quella checca del tuo ragazzo, forse?
«Smettetela di ciarlare e lasciatelo respirare, principesse!» biascicò Sebastian, incrociando le braccia al petto.
Blaine scoppiò a ridere, una risata vera, calda, così diversa da quella glaciale di Sebastian.
«Beh, mi siederò per un po’ con voi, allo spettacolo non si dice mai di no» dichiarò infine, mantenendo il suo sorriso perfetto.
Prese una sedia libera e la sistemò accanto a quella di Sebastian, accomodandosi elegantemente al suo fianco. Jeff saltò su, facendosi notare dalla cameriera.
«Vorrei aggiungere all’ordine un’altra cioccolata, per il mio amico» disse, tutto soddisfatto.
«Oh no, niente cioccolata per me!» si affrettò a correggerlo Blaine, arrossendo appena «Un tè, grazie.»
«Come sarebbe a dire niente cioccolata?» chiese Jeff, visibilmente deluso.
Fanculo la cioccolata.
«Non dirmi che anche tu sei un fan dei cori!» lo interruppe Sebastian, sorseggiando la sua cioccolata calda con un misto di evidente delusione e noia.
«Chi è che non lo è? Sono la cosa più bella del Natale!» disse Blaine, gli occhi illuminati dall’eccitazione.
«Sononoiosi» gli rispose Sebastian, fingendo di sbadigliare e beccandosi un’occhiataccia di Thad.
«Io li trovo… appassionanti. E molto emozionanti» rispose Blaine, sulla difensiva, senza più sorridere.
Sorridi, pensò Sebastian. Avanti, sorridi, stavo solo scherzando.
Accertandosi di non essere visto da Blaine, David tirò un tovagliolo sul viso di Sebastian, prima di portare la discussione su argomenti più leggeri.
«Allora Blaine, hai visto che ci sono gli sconti da Gap?»
 
La mattinata passò in fretta, per Sebastian. Avrebbe voluto rimanere in quel bar per ore e ore ancora, ad ascoltare Blaine, ipnotizzato dai suoi racconti sul Natale e, perché no, su quella faccia da checca del suo ragazzo. Avrebbe ascoltato all’infinito la sua voce calda e armoniosa, avrebbe voluto rimanere lì a lungo, a contare i piccoli nei sul suo collo, ad osservare le sue labbra dischiudersi in quel bellissimo sorriso.
Oh Dio, sto buttando sul patetico, pensò Sebastian, salutando gli Usignoli con un sorriso glaciale. Sono veramente ridicolo.
«Vuoi un passaggio, Blaine?» si ritrovò a chiedergli, sentendosi a disagio per quella gentilezza. Non era abituato ad essere gentile: preferiva di gran lunga passare il suo tempo inventando nuovi piani per demolire le persone. Essere gentile fa schifo, pensò, camminando al fianco di Blaine. Trent e Jeff erano voluti ritornare alla Dalton, lamentandosi per l’enorme quantità di esercizi di matematica che dovevano svolgere per le vacanze; David e Thad si erano eclissati con la scusa dello spettacolo natalizio. 
«Visto che per te è troppo noioso, resta pure qui!» aveva detto David, avviandosi verso la Dalton, seguito a ruota da Thad.
Non che questo avesse reso Sebastian troppo triste: era la sua occasione per rimanere faccia a faccia con Blaine, per chiacchierare con lui ancora un po’, per scoprire nuovi particolari della sua vita.
«Oh, beh, non devi scomodarti...»
«Risparmiatelo» tagliò corto Sebastian, dirigendosi verso la macchina.
Blaine lo seguì incerto, le mani infilate nelle tasche della giacca, evidentemente a disagio.
«Avanti, non ti mangio mica!» cercò di sdrammatizzare Sebastian, aprendogli la portiera.«Et voilà Monsieur!»
«Mh, quanta gentilezza oggi» rise Blaine, entrando nell’auto. «E io che pensavo fossi un cattivo ragazzo!»
«Visto come ti sorprendo?» scherzò Sebastian, girando la chiave e mettendo in moto.
Dopo qualche decina di metri, percorsi in silenzio, Blaine decise di iniziare una conversazione.
«Puoi portarmi al McKinley?» chiese, allacciandosi la cintura di sicurezza.
«Non se ne parla» rispose Sebastian, serio in viso, accelerando.
Con la coda dell’occhio poteva leggere benissimo il panico sul volto di Blaine, poteva sentire il suo cervello lavorare dietro quel volto d’angelo. 
«No, seriamente, devo…»
«Una cioccolata» tagliò corto Sebastian, senza guardarlo «Concedimi una cioccolata insieme e non ne parliamo più.»
Evitò il contatto visivo con Blaine, ma immaginò dal suo silenzio che il ragazzo stava probabilmente riflettendo su quella proposta.
«Non posso bere una cioccolata con te, Sebastian.»
«Non ti piace? Non per dire, ma sei veramente noioso, il tè lo bevono solo i vecchi e gli inglesi!» sbuffò Sebastian, azzardando un sorriso.
«No, è per…»
«Kurt? Non lo saprà mai.»
«No, è per la dieta. Sono a dieta, non posso… cosa fai?» chiese Blaine, spaventato per l’improvvisa frenata di Sebastian che per poco non lo fece finire contro il parabrezza.
«Tu!» lo appellò l’Usignolo, guardandolo finalmente negli occhi, ignorando il frastuono dei clacson degli altri automobilisti dietro di loro.
«Io. Ti prego, riparti.» lo supplicò Blaine.
Stranamente, gli diede retta; diede gas senza farsi troppo pregare, mormorando qualcosa tra sé e sé.
«E’ quella checca che ti ha messo in testa la storia della dieta?» chiese all’improvviso, facendo sobbalzare Blaine.
«N-no, non è Kurt… Sebastian rallenta, ti supplico!»
«Te la faccio passare io la fissa della dieta» fu la risposta categorica di Sebastian, prima di frenare dolcemente.
Proseguirono il viaggio in silenzio, Blaine troppo spaventato dalla guida pericolosa dell’Usignolo per osare chiedere quale fosse la loro meta, Sebastian troppo impegnato a pensare al da farsi. 
Quando, infine, parcheggiò vicino alla Dalton, Blaine non ce la fece più a trattenersi e aprì la portiera dell’auto, scendendo velocemente.
«Sebastian, non ci vengo in camera tua, non esiste!» esclamò colto dal panico, saltellando sul posto.
«Oh mio Dio, Blaine, è solo una cioccolata!» rispose Sebastian, decisamente irritato, scendendo molto più elegantemente dal sedile.
«Ma cosa penseranno gli altri?» si lamentò il ragazzo, alzando gli occhi al cielo.
«Non ci vedranno, tranquillo» rispose l’altro, chiudendo la portiera dell’auto con uno schiocco secco.
Blaine scivolò al suo fianco, percorrendo con lo sguardo tutto il perimetro della Dalton.
«Se ti vergogni tanto…» aggiunse Sebastian a mezza bocca, dirigendosi verso l’entrata. Il commento non sfuggì alle orecchie di Blaine che si mostrò subito dispiaciuto. A dire il vero fu difficile per Sebastian mantenere un’espressione seria, cercando di non ridere alla vista di Blaine che gli trotterellava intorno cercando di tenere il passo.
Solo una cioccolata, pensò, ridendo tra sé e sé. Amava con tutto il cuore l’ingenuità di Blaine.
 
 
«Lì chi ci dorme?» chiese Blaine, indicando con curiosità il letto accanto a quello di Sebastian.
«Il mio compagno di stanza» tagliò corto lui, porgendogli un’enorme tazza di cioccolata fumante. «Bevi piano, è bollente… l’ho fatta venire su direttamente dalla cucina.»
«Tu non bevi?» chiese il ragazzo portando alla bocca la tazza e osservando Sebastian con quello che sembrava essere profondo interesse.
L’Usignolo prese una seconda tazza di cioccolata, più piccola della prima e la assaporò lentamente; poi allontanò le labbra dalla ceramica e le fece schioccare, leccandole lentamente. Naturalmente non smise di fissare la reazione di Blaine: il ragazzo lo guardava ipnotizzato, la bocca semi aperta, ancora sporca di cioccolata.
«Tutto bene?» gli chiese Sebastian, sfoderando l’irresistibile sorriso beffardo che utilizzava ogni volta che adocchiava un bel ragazzo. 
«Mh» disse Blaine, bevendo un sorso. «Questa cioccolata è strana, sai?»
«Ottima» fu la risposta laconica dell’Usignolo. «Ah, siediti pure sul mio letto.»
«Grazie» mormorò l’altro, accomodandosi e cominciando a raccontare di come era solito decorare la sua stanza, durante le vacanze natalizie, quando frequentava la Dalton.
Trascorsero una mezz’ora buona a scherzare e chiacchierare: minuto dopo minuto, il ghiaccio si rompeva sempre di più e la situazione si faceva sempre più rilassata. Blaine era sempre più allegro e disinvolto e ciò non poteva che far piacere a Sebastian. 
«…così beccai David e la sua ragazza sotto il vischio! Giuro, non gli ho parlato per un mese.» disse Blaine, ridacchiando e finendo in un lunghissimo sorso la sua cioccolata.
«L’hai finita tutta in un sorso?» gli chiese Sebastian, senza più sorridere. Sul suo volto si fece strada un’espressione preoccupata.
«Già!» rispose Blaine, osservando la tazza con sguardo confuso, come se l’avesse realmente vista solo in quel momento.
«Blaine, era… era tantissima!» gridò Sebastian, lasciando la sua cioccolata sul comodino e avvicinandosi al ragazzo.
«Era strana!» rispose Blaine, scoppiando in un risolino imbarazzante e sdraiandosi sul letto.
Questo fu realmente troppo per i nervi di Sebastian, che corse in corridoio fino a raggiungere la camera di Nick. Senza neanche bussare, diede un calcio alla porta, che si spalancò rivelando il proprietario della stanza completamente nudo, intento a cantare Jingle Bells saltellando per la stanza.
«Oh mio Dio, perché non bussi?!» urlò, gettandosi sul letto e  cercando di coprirsi con le lenzuola.
«Non me ne frega niente del tuo culo, Duval, quanto cavolo di liquore ci hai messo dentro quella tazza?» ringhiò Sebastian, scansando le lenzuola e afferrando Nick per un braccio.
«Tu hai detto di mettercene tanto!» cercò di difendersi il ragazzo, rosso in viso per l’imbarazzo.
«Quanto, Nick?!» sussurrò Sebastian, digrignando i denti.
«Mezza bottiglia» rispose il moro, liberandosi dalla stretta dell’amico.
«Se l’è praticamente schiantata, imbecille!» urlò questo, precipitandosi fuori dalla stanza, senza neanche preoccuparsi di chiudere la porta.
In breve fu nuovamente nella sua camera, dove trovò Blaine senza più né giacca né maglietta, che saltava sul suo letto ridendo a crepapelle.
«Ditemi che è un sogno» mormorò Sebastian più a sé stesso che all’altro, portandosi una mano alla bocca.
Si avvicinò a Blaine e lo afferrò per i pantaloni, cercando di metterlo a sedere con una mossa decisa. Tuttavia fallì, perché il ragazzo sbiascicò un “Sebascian” alcolico e si gettò di peso sul povero Usignolo; questo cercò di afferrarlo al volo, ma le sue braccia cedettero sotto il peso di Blaine ed entrambi ruzzolarono a terra.
«Giuro che ti uccido!» urlò Sebastian, cercando di liberarsi dalla stretta dell’altro.
«Sebasciaaan, sei sporco di cioccolata!» fu la risposta estasiata.
Blaine si sistemò a fatica sopra il corpo dell’altro, avvicinando il viso fino a sfiorare le labbra di Sebastian, il quale si irrigidì, preso di sprovvista.
«Sei sporco qui» ripeté Blaine, posando le sue labbra all’angolo della bocca dell’Usignolo.
«E qui» aggiunse, posando un bacio casto sul labbro superiore dell’altro.
«Anche qui, Sebasciaan, hic!» aggiunse con un risolino e un singhiozzo, prima di passare lentamente la lingua sul labbro inferiore di Sebastian.
Reagisci, pensò quest’ ultimo, portando una mano tra i capelli di Blaine, è esattamente come qualunque altro ragazzo.
Ma quella non era la verità e Sebastian lo sapeva bene. Non sarebbe mai stato come tutti gli altri, pensò con angoscia, mentre l’ex Usignolo mordeva con poca gentilezza il suo labbro inferiore succhiandolo avidamente.
«Sei buono, Sebascian!» ridacchiò, prima di crollare sul suo petto, stringendolo forte a sé.
Sebastian ne approfittò per ribaltare la situazione e spingere Blaine sotto di sé. Il moro non se ne lamentò, anzi, scoppiò a ridere prima di cominciare a posare una scia di baci lungo il collo dell’altro. Sebastian si godette quegli attimi, affondando il viso contro i capelli morbidi di Blaine e inspirando il suo profumo.
«Blaine, per me non sei come tutti gli altri» gli soffiò in un orecchio.
Se ne pentì l’istante dopo, provando un moto di rabbia contro sé stesso e desiderando solo di fuggire lontano da lì, lontano dal petto nudo di Blaine e dal suo profumo. Invece, graffiò la schiena candida di Blaine, baciandogli il collo, poi le scapole ed infine il petto. Quando sentì la pelle d’oca del ragazzo sotto la sua lingua, risalì lentamente fino alle sue labbra; lo baciò lentamente, come aveva sempre desiderato di fare, assaporando il suo profumo mischiato a quello del liquore e della cioccolata.
«Sebastian?» lo chiamò Blaine, separandosi per un momento dalle sue labbra.
«Mh» mugolò il ragazzo, tornando a baciarlo avidamente.
Qualsiasi cosa volesse, non era quello il momento.
«Sebastian!» esclamò Blaine, staccandosi con decisione e guardandolo negli occhi.
«No, non ora, ti prego. Baciami, baciami e basta.» lo pregò Sebastian, cercando il contatto delle sue labbra, ma senza trovarle.
«Non voglio baciarti!» rispose qualcuno e Sebastian avvertì un gran dolore alla testa.
«Cosa diamine…!?» urlò l’Usignolo, portandosi le mani tra i capelli.
Il volto di Blaine si fece confuso, di fronte a lui, ma non riuscì a capire cosa lo avesse colpito. Cercò di afferrare la mano del ragazzo, ma qualcosa di pesante e scuro glielo impedì.
«Blaine!» urlò con quanto fiato aveva in corpo.
«Blaine? Smythe, ma sei impazzito?» urlò Trent, mollandogli uno schiaffone.
Sebastian rotolò sul pavimento, ma si accorse improvvisamente di quanto fosse soffice. Era sul suo letto. Aprì gli occhi, di scatto, ma fu costretto a richiuderli tempestivamente, perché un’ondata di luce lo investì. Il dolore alla testa si fece improvvisamente più forte e Sebastian la massaggiò con vigore, con le lacrime agli occhi.
«Cosa mi è arrivato in testa?» chiese, sperando che fosse la voce di Blaine a rispondergli.
« L'abat-jour» gli rispose la voce di Jeff. «Scusa, è che hai provato a baciare Trent e mi sono spaventato!»
Sebastian aprì gli occhi e li richiuse più volte, prima di abituarsi alla luce della finestra.
Che figura di merda. Pregò con tutto sé stesso di non aver nominato il nome di Blaine, ma Trent gli tolse immediatamente ogni dubbio.
«Stavi… sognando Blaine?» gli chiese, gli occhi sgranati per la sorpresa.
«No» rispose secco Sebastian, alzandosi e andando a chiudere le ante della finestra.
«Hai detto il suo nome una decina di volte e…» Trent alzò un sopracciglio «Sebastian, stai veramente arrossendo?»
«Non sto arrossendo!» ringhiò il ragazzo, lanciando un cuscino contro Trent e sentendo le guance avvampare.
«A me pare di sì!» ridacchiò Jeff, tornando immediatamente serio quando Sebastian lo fulminò con lo sguardo.
«Comunque, cazzo volete? Perché mi avete svegliato?» urlò il ragazzo, cercando di deviare il discorso e fingendosi molto impegnato a sistemare i libri sulla sua scrivania.
«Io e Trent ci chiedevamo se volessi venire con noi a prendere una cioccolata.»
Il libro di algebra scivolò dalle dita di Sebastian.
«Una… cosa?»
«Una cioccolata» ripeté Jeff, scambiandosi un’occhiata con l’altro Usignolo.
«Fuori di qui» disse Sebastian, fissandoli con sguardo assassino.
«Sebastian, cosa…?»
«Fuori di qui!» urlò, lanciando un libro attraverso la stanza e colpendo una mensola.
Jeff e Trent non se lo fecero ripetere e si precipitarono fuori dalla camera, sbattendo la porta dietro di loro. Non smisero di correre se non quando si trovarono a debita distanza dalla furia omicida di Sebastian.
«Ma che diamine gli è preso?» chiese Trent, col fiatone.
«Non lo so, ma quello che so è che lo avevo già sentito nominare il nome di Blaine nel sonno, quando ero andato a svegliarlo stamattina. Per quello lo avevo lasciato dormire, mi sembrava un peccato privarlo di un bel sogno» disse Jeff, portandosi una mano alla milza.
«Io so solo che non voglio più provare l’emozione di avere Sebastian a due millimetri dalla mia bocca, mentre mi implora di baciarlo!» commentò Trent, con un’espressione inorridita.
«Cioccolata?» propose Jeff, raddrizzandosi.
«Cioccolata sia» rispose Trent con un sorriso. «Dovrebbero esserci anche David e Thad al bar, tanto.»

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ice dance! ***



Per la Warblers Week:
Mercoledì 19 Dicembre
Pattinare sul ghiaccio.

Rating: Verde
 

Ice dance!

 
 
Dicembre 2010;
 
 
«Tutto bene, Blaine?» lo salutò David, con un bel sorriso.
Gli altri Usignoli erano intenti a tifare per Thad e Wes, impegnati in una partita a carte contro due ragazzi dell’ultimo anno, per cui non notarono l’entrata di Blaine nella sala comune.
Il ragazzo fu lieto di passare inosservato; non voleva dover rispondere a domande imbarazzanti sul pomeriggio appena trascorso.
Ricambiò il saluto di David, agitando la mano e incurvando appena le labbra, prima di svicolare per le scale che portavano alle camere.
Pochi minuti dopo, disteso sul suo letto, sotto le coperte calde, Blaine ripensò al pomeriggio appena passato.
Aveva previsto ogni parte di quella giornata. Era stata un’ottima giornata, un ordinario pomeriggio invernale, passato con quello che ormai stava diventando il suo migliore amico.
Aveva previsto l’inevitabile cioccolata calda che aveva bevuto con Kurt, al bar, con la pelle arrossata per il freddo e le mani ancora gelate dal vento tagliente. Aveva di certo previsto anche la fin troppo lunga passeggiata ad osservare le vetrine al fianco dell’ esagitato ragazzo, che sembrava avere una crisi di nervi ogni volta che Blaine si rifiutava di entrare in un negozio. Forse non aveva previsto la gioia che aveva provato lui stesso quando Kurt, con un sorriso soddisfatto, gli aveva mostrato una vetrina letteralmente piena di papillon, il punto debole di Blaine.
Le  sciarpe alzate accuratamente fino al naso, per difendersi dal gelo, i due avevano camminato a lungo, uno a fianco dell’altro; a volte le loro dita, sotto i guanti caldi, si erano sfiorate inavvertitamente e entrambi avevano sussultato, per poi sciogliersi in un sorriso imbarazzato.
Blaine aveva inoltre previsto la preoccupazione di Kurt per l’orlo dei pantaloni della loro divisa, ormai irrimediabilmente bagnato dalla neve, ammucchiata ai bordi delle strade.
«Odio essere sporco, davvero, che ne dici se torniamo alla Dalton e…?»
Blaine aveva riso, passandogli gentilmente una mano dietro la schiena e rassicurandolo.
«Ora ce ne andiamo al negozio di dischi e vedrai che non ti importerà più dei tuoi pantaloni, quando troverai quello spartito che cerchi da settimane.»
Blaine aveva previsto ogni parte di quel pomeriggio.
Tranne la passione di Kurt per il pattinaggio sul ghiaccio.
«Oh, ti prego, Blaine, andiamoci!»
Kurt lo aveva tirato gentilmente per una manica della giacca, gli occhi illuminati fissi sulla pista ghiacciata, dove decine di ragazzi e ragazze scivolavano più o meno elegantemente sui loro pattini.
«Non saprei, non siamo ancora andati da Gap e…»
«Giuro che per Natale ti regalerò una sfilza di papillon!»
Così Blaine non aveva potuto rifiutare: aveva lasciato che il ragazzo lo prendesse per mano e lo trascinasse al bordo della pista, mollandogli un paio di pattini che avevano tutta l’aria di essere parecchi scomodi.
L’ansia di Blaine era cresciuta, piano piano, quando Kurt aveva iniziato a raccontare delle numerose gare di pattinaggio sul ghiaccio a cui aveva partecipato al primo anno di liceo, per lo meno finché suo padre non lo aveva  sorpreso mentre era intento a provarsi una di quelle tutine cosparse di brillantini che indossano le pattinatrici. Quello aveva definitivamente segnato la fine della carriera di Kurt come re della pista ghiacciata e il costumino era finito nella spazzatura, insieme alla sua collezione di cerchietti.
 
Blaine  aveva posato una mano sulla spalla di Kurt, che aveva scambiato quel tocco per un gesto affettuoso.
«Oh, vedo che ti sei preparato!» aveva detto, accennandocon un sorriso emozionato ai pattini bianchi ai piedi di Blaine che, il volto contratto per lo sforzo, si teneva con una mano alla sbarra che delimitava la pista e con l’altra alla spalla di Kurt. Questo non sembrava affatto turbare il ragazzo, che dopo pochi secondi stava già pattinando con eleganza, evitando un gruppo di ragazzi barcollanti e con l’aria incerta.
Blaine lo aveva guardato insicuro, indeciso sul da farsi. Sapeva che sarebbe caduto al primo tentativo, glielo dicevano le sue gambe vacillanti, in bilico su quei dannati pattini. D’altra parte, non poteva prendersela con nessuno se non con sé stesso: più volte suo padre lo aveva portato a pattinare, quando Blaine era ancora un bambino, nel tentativo di instaurare un vero rapporto tra padre e figlio. Ma ogni sforzo era risultato vano: al piccolo Blaine non piaceva affatto pattinare, né tanto meno dover cadere di fronte agli occhi divertiti di un mucchio di sconosciuti.
Sapeva che, in ogni caso, avrebbe fatto una pessima figura con Kurt: se avesse confessato la sua incapacità di pattinare, Kurt si sarebbe mostrato rammaricato e avrebbe insistito per tornare alla Dalton, probabilmente per non far sentire Blaine a disagio. Se avesse pattinato, invece, sarebbe sicuramente rovinato a terra al primo tentativo e Kurt avrebbe comunque insistito per andarsene.
«Allora non vieni?»
Gli occhi luccicanti e le guance arrossate, Kurt era di fronte a lui, perfettamente sicuro sulle sue gambe allenate e gli tendeva una mano.
«Oh, sicuro.»
Blaine aveva mosso un passo incerto, scivolando inevitabilmente; aveva evitato la caduta per un pelo, aggrappandosi al collo della giacca dell’altro, che si era portato una mano alla gola, preso di sprovvista.
«Oops, scusami Kurt, sono… un po’ fuori allenamento, ecco.»
«Unbel po’, direi» aveva commentato il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli e guardando Blaine senza sorridere. «Stai bene?»
«Sicuro. Potresti, ecco…»
Kurt aveva afferrato l’altro per la giacca, aiutando a ritrovare l’equilibrio. Ma non appena aveva lasciato la presa, Blaine si era ritrovato a terra.
«Oh cielo, Blaine, ma ci sei mai andato sui pattini?»
Kurt aveva centrato il punto della questione, aveva pensato Blaine mentre cercava dolorosamente di rimettersi in piedi, senza successo.
«Mi spiace» aveva detto alla fine, rinunciando completamente all’impresa e massaggiandosi un ginocchio.
«Probabilmente ti verrà un livido,» aveva detto Kurt, mordendosi un labbro e porgendo una mano per aiutare l’altro a rialzarsi «quindi penso sia meglio tornare alla…»
«No!»
Blaine era ormai in piedi, le guance rosse di vergogna, le mani saldamente aggrappate al braccio di Kurt. Il pantalone era sgualcito, all’altezza del suo ginocchio sinistro e sapeva di non risultare molto credibile, in quelle condizioni, ma non aveva intenzione di arrendersi così facilmente.
«Blaine, non voglio che tu ti faccia male o…»
«Insegnami, allora» aveva sussurrato il ragazzo, senza smettere di massaggiarsi la gamba e evitando di guardare Kurt negli occhi. Sapeva che sarebbe caduto un’altra decina di volte, ma sapeva anche che quello era il momento di imparare, lì accanto ad un vero amico, accanto ad una delle persone di cui si fidava di più.
Quest’ ultimo non era sembrato così convinto, gli occhi fissi sul ginocchio di Blaine.
«D’accordo» aveva detto alla fine, sciogliendosi in un sorriso «ma cerca di non strangolarmi più come hai fatto prima!»
Avevano riso all’unisono, rilassati. Poi si erano presi per mano, con sguardo complice, e avevano mosso qualche passo incerto, con estrema cautela, per evitare che Blaine cadesse. Quando questo, però, si era ritrovato a barcollare pericolosamente, Kurt aveva posato un braccio sulla sua schiena, spingendolo gentilmente in avanti. Dopo altre quattro cadute evitate per un soffio, avevano percorso metà pista, finché si erano imbattuti in un gruppo di ragazzi alquanto chiassosi che pattinavano allegramente, facendo gare di velocità e seminando panico tra i presenti.
«Wes, guarda se sei in grado di fare questo!» aveva urlato Thad, esibendosi in una perfetta piroetta.
Accolta la sfida, l’altro Usignolo aveva cercato di imitare l’acrobazia, riuscendo, però, solo a finire a terra, tra le risate generali.
Blaine si era allarmato e aveva cominciato a tirare Kurt per la manica per la giacca, sperando di non essere notato dagli altri ragazzi.
«Ci sono gli altri Usignoli, forse sarebbe meglio se…»
Ma Kurt aveva già alzato la mano in segno di saluto e dopo poco erano stati attorniati dai loro compagni di scuola.
Wes aveva mollato una pacca sulla spalla a Blaine, rischiando di farlo finire a terra; fortunatamente Kurt era stato abbastanza rapido da afferrarlo per l’orlo della giacca, senza perdere il suo sorriso perfetto. Blaine gliene era stato molto grato.
«Hey Blaine, vediamo chi arriva prima laggiù!» aveva proposto Nick, in un coro di approvazione generale.
«Io in realtà non…»
«…noi stavamo per andarcene, ragazzi!» era intervenuto Kurt, ancora una volta in suo aiuto «sapete, dobbiamo ancora fare un mucchio di regali.»
«Grazie» aveva sussurrato Blaine mentre si avvicinavano lentamente all’uscita, le mani ancora intrecciate, lasciandosi alle spalle uno stuolo di Usignoli delusi.
«Figurati, tanto si era fatto tardi. E poi ti voglio ancora tutto intero» aveva aggiunto con un sorriso Kurt, sporgendosi per afferrare la ringhiera della pista.
«Sarà un lungo Natale, mi sa» aveva sospirato Blaine, arrancando verso l’uscita.
Ormai erano fuori dalla pista e Kurt si era chinato per sfilare i pattini. Poi, all’improvviso, si era gettato su Blaine, lo aveva abbracciato forte, stringendolo a sé, totalmente incurante di un mucchio di ragazzi che li stava additando, ridendo.
«Non vedo l’ora di passarlo con te» mormorò Blaine, stringendo il cuscino a sé, prima di cadere in un sonno profondo.
 
 
 
 
 
 
                                                                                         ~

 
 
Ok, momento riflessione.
Un ringraziamento a tutti coloro che stanno inserendo recensioni, mettendo tra le preferite, tra le seguite o semplicemente leggendo questa raccolta. Siete tutti adorabili ♥
Secondo punto, vorrei spendere due parole su questa one. Avevo deciso di usare questo prompt per la Klaine anche prima che uscissero gli spoiler sull’episodio di Natale, ma quando ho visto quei video con quei due poveracci che arrancavano sui pattini, non ho avuto più dubbi.
Così ho cominciato a scrivere questa one finché non l’ho finita; solo a quel punto mi sono resa conto che, nel 2010, Blaine e Kurt ancora erano solo buoni amici. Così ho dovuto modificarla e ne è uscito questo. In fondo la Klaine che amo di più è quella ambigua della seconda stagione, quando non si capivano i sentimenti di Blaine, quindi non posso lamentarmi.
Alla prossima,
H.  

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Let it snow! ***


Per la Warblers Week:
 
Giovedì 20 Dicembre.
Neve.
 
Rating: Giallo
 

 
Let it snow!

 
Dicembre 2012;
 
Hunter avrebbe davvero voluto dare una sprangata sui denti a chi aveva avuto quell’idea. Di certo doveva essersi trattato di un genio incompreso (i suoi sospetti vertevano su Jeff), ma nulla gli toglieva dalla testa che anche Sebastian aveva giocato un ruolo determinante in quella situazione malsana. Ad ogni modo, se fosse stato lui ad avere l’idea di trascorrere una giornata in montagna, si sarebbe per lo meno assicurato di saper raggiungere l’albergo dove avrebbero pranzato.
«Secondo me ci siamo persi» commentò Jeff, affatto tubato, ammirando il paesaggio invernale dal finestrino.
Tutto, attorno alla loro auto, era ricoperto da uno spesso manto innevato; l’unica nota di colore era data dalla strada grigia, completamente sgombra dalla neve. Probabilmente, rifletté Hunter, doveva essere stata pulita dallo spazzaneve quella mattina, dopo la nevicata notturna.
Il cielo era bianco, coperto dalle nuvole, ma qualche raggio di sole si affacciava timidamente, riscaldando l’aria gelida.  
«Sei un genio, Sterling» osservò David, alla guida dell’auto.
Il ragazzo non aveva lo stesso atteggiamento calmo e rilassato di Jeff: con una mano teneva il volante, mentre con l’altra armeggiava con una cartina stradale.
Sebastian, al suo fianco, se ne infischiava bellamente: i suoi pensieri erano ben lontani dalla strada, bensì erano volati al momento in cui avrebbe rivisto Thad. Era stato lui ad invitarli a pranzo in uno degli alberghi della catena gestita da suo padre e così gli Usignoli avevano accettato immediatamente, contenti di poter rivedere il loro amico. Thad, infatti, si era trasferito in un’altra città poche settimane prima, lasciando la Dalton e, di conseguenza, gli Usignoli. Era stata una decisione molto veloce, quasi indolore: il giorno prima Thad era con loro ad improvvisare canzoni nei corridoi, quello dopo era nell’atrio con una valigia in mano, abbracciandoli uno ad uno; aveva fatto promettere loro di rimanere in contatto con lui, di aggiornarlo sempre sulle novità della Dalton. Sebastian aveva pensato un paio di volte di chiamarlo ma si era solo ritrovato a fissare il suo costoso cellulare, indeciso su cosa dire. Alla fine aveva sempre rinunciato, sperando che fosse Thad a farsi vivo per primo; Sebastian sorrise al ricordo di come Nick era piombato in sala comune, pochi giorni prima, annunciando agli Usignoli che Thad lo aveva chiamato per invitarli a pranzo in uno degli alberghi di suo padre. Quando avevano scoperto che l’hotel si trovava in montagna, l’atmosfera, se possibile, si era fatta ancora più festosa: non vedevano l’ora di passare una giornata in una bella località innevata, facendo delle passeggiate rilassanti e sfidandosi a pallate di neve.
«Hey, principino, sei nel mondo dei sogni?» chiese Hunter, dal sedile posteriore, scuotendo una manica della giacca di Sebastian.
«Eh?» chiese lui, distratto.
«Ti sto chiedendo» disse Nick, dal posto accanto a quello di Hunter «se hai notizie di lui.»
«Lui chi?» chiese Sebastian, giocherellando con la cartina che David gli aveva mollato sulle ginocchia.
«Di Trent!» esclamò Nick, spazientito, sporgendosi verso i sedili anteriori.
«Ah sì…» fu la risposta evasiva di Sebastian. «E’ già arrivato all’albergo.»
«Oh bene, mi fa piacere che siamo gli unici ad essersi persi!» commentò David, sarcastico, imboccando una strada stretta che aveva tutta l’aria di essere quella sbagliata.
Erano partiti quella mattina contemporaneamente a Trent, che aveva preso la sua auto; tuttavia, ad un certo punto del viaggio, David lo aveva perso di vista.
«Possibile che in questa auto nessuno sappia leggere una cartina?» sbottò Hunter, irritato dalla stupidità dei suoi compagni di viaggio.
«Senti, sei tu che facevi il militare o quello che è!» gli rispose malamente David, al limite della pazienza.
«Io ero uno scout» annunciò allegramente Jeff «ma non so comunque orientarmi.»
Una cartina lo colpì violentemente sul naso.
Un’ora e molti insulti dopo, Sebastian ebbe l’ingegnosa (nonché banale) idea di chiamare Trent, per chiedere indicazioni stradali.
«Perché non ci abbiamo pensato prima?» chiese Hunter, sull’orlo della disperazione.
«Ringrazia che ci ho pensato ora, generale!» rimbeccò Sebastian, aprendo la cartina per l’ennesima volta e lottando contro l’impulso di lanciarla contro Hunter «Gira a destra, David.»
 
Quando arrivarono all’albergo, trovarono proprio Thad ad accogliergli all’entrata, con un sorriso radioso.
«Thad!» urlò Jeff, col naso ancora graffiato a causa della cartina.
I ragazzi corsero a salutare Thad con entusiasmo, riempiendolo di domande e ringraziamenti per il suo invito.
Quando fu il suo turno per abbracciarlo, Sebastian avvertì lo stomaco sussultargli: si era dimenticato di quanto buono fosse il suo profumo. Sembrava così strano vederlo lontano dalla Dalton, lontano da quelle mura dove Sebastian lo aveva sempre visto cantare.
«E’ bello rivederti, Seb» gli soffiò il ragazzo in un orecchio, prima di allontanarsi da lui con un sorriso.  
«Ce l’avete fatta, vedo!» commentò Trent, spuntando dalla porta dell’hotel, seguito da…
«Wes!» urlò David, sconvolto dalla sorpresa, correndo ad abbracciare l’amico.
«Ho pensato di invitare anche lui» spiegò Thad, radioso, mentre i ragazzi correvano ad abbracciare Wes «visto che sono due anni che non si fa vedere!»
«L’università mi tiene occupato!» cercò di difendersi Wes, abbracciando Nick e Jeff, a dir poco estasiati di vederlo.
«Piacere, Sebastian Smythe» si presentò il ragazzo, tendendo la mano «So che dirigevi gli Usignoli con Thad e David, prima che mi trasferissi alla Dalton.»
«Esatto!» rispose Wes, stringendo la mano con un sorriso e voltandosi verso Hunter «E tu devi essere il nuovo leader!»
«Hunter Clarington, piacere» si presentò, stringendogli frettolosamente la mano.
«Pensavamo foste seppelliti dalla neve, comunque!» disse Trent, stringendosi nella giacca scura.
«Non nevica mica» osservò Hunter, alzando un sopracciglio.
Le ultime parole famose.
 
«Sono piuttosto sicuro che si vada di qua!» disse Trent, in testa al gruppo, consultando una vecchia bussola.
«Perché non usi il navigatore satellitare?» chiese Sebastian, guardandolo come se avesse appena visto un alieno.
«Perché siamo a contatto con la natura, Sebastian! Niente tecnologia avanzata!» esclamò Trent, ignorando lo sguardo scettico dell’altro.
«Perché non lo abbiamo usato noi, questa mattina, il navigatore?» soffiò Hunter, arrancando al fianco di Sebastian.
«Questa è un ottima domanda» commentò Nick, superandoli velocemente.
Continuarono a camminare in silenzio per un po’, seguendo la strada stretta che si snodava attraverso il bosco innevato. Il pranzo offerto dal padre di Thad era stato molto sostanzioso e così i ragazzi, assonnati e appesantiti dal cibo, avevano deciso di fare un po’ di movimento, con un’ escursione tra la neve.
«Ti piace, Seb?» chiese Thad, spuntando silenziosamente alle spalle del ragazzo e facendolo sobbalzare.
«Oh… sì, certo» rispose Sebastian, preso alla sprovvista, inciampando su un ramo ben nascosto dalla neve e maledicendosi interiormente.
«Da quand’è che sei diventato così timido?» ridacchiò Thad, alzando la sciarpa fin sopra il naso per proteggersi da un’improvvisa raffica di vento.
Quelle parole colpirono Sebastian come uno schiaffo. Un conto era avvertire dentro di sé quella debolezza che mostrava ogni qualvolta Thad era a meno di due centimetri da lui, un altro era rendere palesi quei sentimenti o qualunque cosa fossero.
«Non sono timido, ho freddo e non mi va di parlare» mentì Sebastian, accelerando il passo e lasciando Thad, con un’ espressione ferita, alle sue spalle.
«Che hai, Smythe?» gli chiese Hunter col fiato corto, schivando una palla di neve lanciatagli da Nick e chinandosi per rispondere al colpo.
«Niente, cosa te ne frega» rispose il ragazzo, sistemandosi lo zaino in spalla e nascondendo il viso sotto la sciarpa pesante.
Il vento si era fatto più forte: la leggera brezza di quella mattina aveva lasciato il posto a piccole raffiche gelate che non sembravano promettere nulla di buono. Anche la temperatura era scesa nettamente: i ragazzi rabbrividivano, sotto le loro giacche.
«Non trovo la strada per arrivare al rifugio!» urlò Trent, in testa al gruppo, cercando di sovrastare il rumore del vento.
«Che rifugio?» urlò Wes, di rimando, con espressione confusa.
«C’è un rifugio, se continuiamo a camminare,» gli spiegò Thad, tremando per il freddo «ma penso sia meglio tornare indietro.»
«No, io voglio rimanere qui!» si lamentò Jeff, lanciando una palla di neve addosso a David.
«Non ci fermeremo per un po’ di freddo!» fu il commento di Nick, alitando sulle mani per riscaldarle. 
«Tu e Jeff sapete bene  come riscaldarvi, tanto!» commentò Sebastian maliziosamente, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di entrambi.
«Sebastian, sai che queste battutine sono noiose?» disse Hunter, alzando gli occhi al cielo.
«Se vuoi puoi sempre scaldarti con me, Clarington» rispose Sebastian, sfoggiando il suo sorriso beffardo.
Continuarono la passeggiata per qualche decina di metri, finché Trent si girò verso il gruppo con un’espressione terrorizzata.
«Ci siamo persi?» chiese Jeff, distrattamente.
«Stai per vomitare il pranzo?» gli fece eco David, guardando l’amico con preoccupazione.
«No» disse Trent, con un’occhiataccia «Nevica.»
Sebastian alzò il palmo della mano verso il cielo osservando i fiocchi gelati posarsi su di esso.
«Torniamo indietro, prima che cominci seriamente» disse, girando sui tacchi e trovandosi di fronte a Thad.
«Sì, torniamo all’albergo» lo appoggiò questo, guardandolo negli occhi, con espressione indecifrabile.
Anche gli altri Usignoli furono d’accordo e dopo poco si trovarono a ripercorrere la strada al contrario, ansiosi di raggiungere l’hotel per potersi riscaldare davanti al camino. Ben presto i rari fiocchi di neve divennero più abbondanti, finché si trasformarono in una vera e propria bufera; tutto ciò che riuscivano a vedere era il bianco della neve che, portata dal vento, frustava i loro volti congelati.
«Quanto manca?» urlò Sebastian, inciampando e rischiando ci cadere contro un albero.
«Non lo so, non ci vedo niente!» gli rispose Thad, afferrandolo per la giacca e aiutandolo a raddrizzarsi.
«Grazie» mormorò l’Usignolo, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e evitando di guardare l’altro.
«La strada si sta ghiacciando, fate attenzione» li ammonì Hunter, indicando l’asfalto sotto i loro piedi.
«Grazie, non me ne ero accorto» borbottò ironico Sebastian, superandolo.
 
Un’ora dopo raggiunsero finalmente l’albergo, tremanti a causa del gelo. Jeff si lasciò cadere sul divano, sfilando gli scarponi e massaggiandosi i piedi.
«So che me li dovranno amputare» mormorò, guardandoseli, preoccupato.
«Ma figurati, vieni qua che te li scaldo» disse Nick, sedendosi accanto a lui e prendendogli un piede tra le mani.
«Oh dio, fate queste cose da un’altra parte!» si lamentò Sebastian, sfilandosi la giacca coperta
di neve e avvicinandosi al camino «Non mi pare che io vi abbia mai costretto a guardarmi mentre lo…»
«Sebastian!» esclamò David, scandalizzato, tappandosi le orecchie con le mani.
«Ah il feticismo dei piedi non fa parte dei tuoi interessi?» borbottò Hunter, accennando un sorriso.
«Perché dovrebbero piacermi i piedi, scusa? Ho ben altro su cui concentrarmi!» ribatté Sebastian, spostandosi per fare spazio a David.
«Non farci caso, è fatto così» sussurrò Trent a Wes, che guardava quella scena inorridito.
«Vi preparo una cioccolata» disse Thad, troncando quella situazione piuttosto imbarazzante.
«Ti aiuto» disse Sebastian, camminando con solo i calzini attraverso la stanza.
«Oh» mormorò sottovoce Thad, quando l’Usignolo gli fu molto vicino «Pensavo non volessi parlare con me.»
«Lascia perdere» tagliò corto Sebastian, entrando nella cucina.
Era un locale ampio, pulito e ben ordinato; lungo le pareti erano allineate numerose mensole, ricolme di pentole e stoviglie di ogni dimensione, mentre la parte centrale della stanza era occupata dai fornelli.
«Ok, dov’è il cacao?» chiese Sebastian che, in verità, non aveva mai preparato una cioccolata calda in vita sua.
«Smettila di fare il cuoco della situazione» disse Thad, alzando un sopracciglio. «In Francia te la preparavano i tuoi servitori, la cioccolata? Com’è che non ci hanno messo mai del veleno dentro?»
«Fattela finita!» borbottò Sebastian, aprendo un paio di scaffali alla ricerca del cacao e trovando, invece una bomboletta di panna montata.
«Prima mettiamo il latte» disse Thad, sciogliendosi in un sorriso e passandogli la bottiglia.
L’Usignolo la afferrò, versandone il contenuto dentro un pentolino.
«Adesso il cacao?» chiese, mescolando il latte con un cucchiaio di legno.
«Prima lasciamo che si scaldi.»
«D’accordo» disse Sebastian, osservando il latte come se potesse misurarne la temperatura con lo sguardo «E non avevo dei servitori, per la cronaca.»
Thad rise, al suo fianco, una risata sincera e spontanea.
«Dai aggiungi il latte, ora. Se la vuoi densa metti poco latte e tanto cacao.»
Sebastian prese la bustina di cacao che l’altro gli stava porgendo e ne gettò una grande quantità nel pentolino, versandone un po’ sul mobile e un po’ pavimento.
«Oops!» sussurrò, mortificato.
«Tranquillo, non è niente» lo rassicurò Thad, correndo a prendere lo straccio per pulire il pavimento.
«Aspetta» lo fermò Sebastian, afferrandolo per il polso magro.
«Cosa…?» gli chiese Thad, mentre l’Usignolo raccoglieva un po’ della polvere dal mobile con un dito e la avvicinava alle labbra dell’altro.
«Lecca» disse semplicemente, godendo nel vedere le guance di Thad tingersi di rosso.
«Sebastian smettila di giocare con me, non è divertente» sussurrò il ragazzo, evitando il contatto visivo.
«E’ solo del cacao» disse Sebastian, avvicinando ulteriormente il dito alla bocca del ragazzo.
Thad non si mosse per alcuni istanti, in cui un silenzio carico di tensione aleggiò tra loro. Poi, lentamente, si avvicinò alla mano di Sebastian, dischiudendo le labbra e portandole intorno all’indice del ragazzo.
«Buono» mormorò Thad, staccandosi velocemente, rosso in viso «Un po’ amaro, forse»
Sebastian rise, alleggerendo la tensione. Poi afferrò la bomboletta di panna, ne prese un po’ sul dito e, ignorando l’espressione sconvolta di Thad, ne assaggiò un po’.
«Mh» mugolò, osservando il viso rosso dell’altro e divertendosi un mondo.
«Sebastian…»
«Ne vuoi un po’?» chiese, sorridendo, avvicinando l’indice con la panna rimasta alle labbra dell’altro.
Thad lo fissò negli occhi, stavolta, mentre passò la lingua sui polpastrelli di Sebastian, quasi con aria di sfida.  L’Usignolo, eccitato da quel gioco malizioso, si avvicinò lentamente  alle labbra di Thad, senza distogliere gli occhi dai suoi. L’altro, per tutta risposta, si avvicinò pericolosamente, ormai dimentico di ogni pudore, dischiudendo le labbra e posando una mano sul fianco di Sebastian.  
«Seb…»
«Scusa, non posso» soffiò questo sulle sue labbra, prima di voltarsi ed andare via, lasciando Thad da solo nella cucina, le labbra ancora dischiuse, desiderose di quel bacio alla panna che gli era stato ingiustamente negato.
La cioccolata, nel pentolino, era più densa che mai.
 
«Nevica ancora molto» osservò Trent, scostando le tende dalla finestra per poter guardare meglio il cielo.
Erano le otto di sera e sarebbero dovuti partire già mezz’ora prima. Erano tutti nervosi, perché indecisi sul da farsi. David e Wes erano distesi sul divano e controllavano le previsioni meteorologiche; Jeff sembrava l’unico allegro e mangiucchiava dei biscotti, seduto di fronte al camino, mentre Nick lo osservava silenziosamente, chiedendosi dove trovasse tutta quella calma.
Dall’altra parte della stanza, Trent e Thad discutevano animatamente sulla possibilità di dormire nell’albergo per quella notte.
«Beh, di certo non potete guidare con la strada ghiacciata!» commentò Thad, alzando le spalle «Dovremo passare la notte silenziosamente, però! Niente festini o cose simili o mio padre mi ucciderà!» aggiunse, guardando in particolar modo Jeff.
Sebastian, seduto sul divano accanto a David, taceva. Non avrebbe sopportato una notte in quell’albergo; forse avrebbe addirittura dovuto dormire nella stessa stanza di Thad e Sebastian sapeva benissimo che quella non sarebbe stata affatto una buona idea. Ripensò a quel bacio mancato, la sua grande occasione perduta. Eppure, se lo avesse baciato, non avrebbe fatto altro che confermare che, per lui, Thad era più che un semplice gioco, qualcosa di diverso da tutti i ragazzi con cui aveva fatto sesso. Non sapeva cosa lo spaventasse di più: dichiararsi a Thad o fuggire a gambe levate?
«Io vorrei sapere» si intromise Hunter, con voce calma «chi cazzo è quello stupido che non ha controllato le previsioni meteorologiche.»
Hunter era rimasto a lungo, in silenzio, seduto su una sedia a fianco ad una finestra, osservando il paesaggio innevato, chiaramente concentrato per impedire a sé stesso di uccidere gli altri ragazzi.
«Non è colpa di nessuno,» tagliò corto Sebastian, parlando per la prima volta dopo ore «neanche tu hai controllato le previsioni, Clarington, ma non ti sto rompendo le palle con aria saccente, per questo.»
«Smettetela di litigare» borbottò Trent «tanto ormai il danno è fatto. Ceneremo e passeremo la notte qui e domani torneremo a casa, non appena la strada sarà pulita.»
«Fantastico!» saltò su Jeff, sinceramente entusiasta.
«Ho detto niente festini!» gli ricordò Thad.
Ma Jeff era già corso verso la cucina, alla ricerca di chissà che cosa. Non lo videro per tutta la cena.
 
Quando lo ritrovarono, un’ora dopo, la scena che si parò sotto i loro occhi era raccapricciante.
Jeff era nel corridoio del terzo piano, con una bottiglia di tequila in mano, le palpebre cadenti e lo sguardo confuso.
«Ciao!» esclamò, alzando la bottiglia a mo’ di brindisi. «Avete visto la mia camera? Era qui un attimo fa!»
«Ditemi che è un sogno. Ditemi che mi sveglierò presto» mormorò Thad, fissando Jeff con gli occhi sgranati.
«Jeff, fattela finita, dammi quella bottiglia!» sbottò Trent, preoccupato, cercando di sfilare la Tequila dalle mani dell’amico. Ma il biondo serrò la presa e né Trent né Nick riuscirono nell’impresa.
«Puzza di alcool da far schifo» commentò Hunter, guardando Jeff con un misto di pietà e ribrezzo.
«Dai portiamolo in una camera» si fece avanti Sebastian, passando un braccio di Jeff sopra le sue spalle.
David gli fu subito vicino, prendendo l’amico per l’altro braccio.
«Aspettate!» rantolò Jeff, cercando di liberarsi dalla stretta dei due ragazzi «Devo prendere le altre.»
«Le altre cosa, esattamente?» chiese Wes, che ormai non era più abituato alle stronzate di Jeff.
«Temo che intenda le altre bottiglie» mormorò Hunter, provocando l’ira di Thad.
«Jeff, dove cavolo sei andato a prendere tutto questo alcol?» urlò, dimentico degli altri ospiti dell’albergo.
«Probabilmente non lo sapremo mai» commentò Sebastian, lasciando Jeff e osservandolo barcollare verso una porta che si trovava a metà corridoio.
«Qui!» sussurrò Jeff, emettendo un risolino acuto.
A malincuore, gli altri lo seguirono, ritrovandosi in uno stanzino delle scope. Su uno scaffale, tra detergenti e stracci, c’erano una sfilza di bottiglie. Hunter ne afferrò una, leggendo l’etichetta.
«Cointreau. Vuoi scherzare?»
«Dai a me!» disse Sebastian, afferrando la bottiglia e osservandola con uno strano luccichio negli occhi.
«Prendiamo queste bottiglie e togliamole da qui!» ordinò Thad, chiedendosi come degli alcolici potessero essere finiti in uno stanzino delle scope.
Ma si sa, quando si tratta di Jeff, ogni domanda è superflua.
Così i ragazzi si divisero i compiti: Sebastian, Hunter, Nick e Wes presero le numerose bottiglie, mentre Trent e David presero Jeff per le ascelle e lo trascinarono letteralmente per tutto il corridoio. Il gruppetto era guidato da Thad che, da bravo padrone di casa, mostrò loro le camere dove avrebbero passato la notte.
Le camere erano tre ed erano comunicanti tramite due porte scorrevoli.
«Io dormo con Jeff» mormorò David preoccupato, guardando l’amico ubriaco rotolare sul pavimento.
«Vengo con voi» si unì Wes.
«Ok, allora io, Trent e Nick dormiamo in un’altra camera e Thad e Sebastian nella terza» disse Hunter sbrigativo, non vedendo l’ora di andare a dormire.
«Vuoi scherzare?!» esclamarono a una sola voce Sebastian e Thad, entrambi troppo imbarazzati dall’episodio della cioccolata per potersi guardare in volto. Figuriamoci dormire insieme.
«Sentite, dormire in una stanza con un letto matrimoniale non vuol dire che dovete fare sesso» disse Hunter, veramente spazientito, guardando più Sebastian che Thad.
«E’ fuori questione!» esclamo quest’ ultimo, sconvolto.
«Facciamo cambio» si intromise Nick «Seb, vieni al mio posto e io dormo con…»
«Fanculo tutto!» lo interruppe Thad, afferrando una bottiglia di vodka dalle mani di Wes e prendendone un grande sorso.
Ci fu un momento di silenzio, in cui tutti i ragazzi si guardarono, indecisi sul da farsi. Quando le labbra di Thad si staccarono dalla vodka e il ragazzo annunciò «festa!», Nick, Wes e Sebastian si avventarono sulle bottiglie.
«Oddio mi erano mancate queste cose!» dichiarò Wes, tracannando metà bottiglia di vino tutta in un sorso, sotto lo sguardo sconvolto di David.
Jeff, ancora rannicchiato sul pavimento, cominciò a ridere fuori controllo, chiaramente felice di quel ribaltamento della situazione.
«Non ci voglio credere» disse Hunter, osservando Nick e Sebastian fare cin cin con della vodka e del gin.
«Neanche io. E’ per questo che berrò anche io» commentò Trent, strappando una bottiglia dalle mani di Nick e unendosi a quella follia.
«Avevamo detto di fare silenzio…» provò ad obiettare David.
«Fanculo il silenzio e bevi!» ordinò Thad, infilandogli una bottiglia di rhum tra le mani.
David la fissò per un po’ in silenzio, combattuto tra la sua integra moralità e la voglia di fare baldoria. Naturalmente vinse la seconda e, dieci minuti dopo, era sul letto con Wes, a ricordare i bei tempi in cui dirigevano gli Usignoli.
«Non fatemi piangere!» esclamò Nick, completamente ubriaco, ascoltando le loro storie «Vi ricordate quando ho vinto l’audizione per quell’assolo?»
«L’abbiamo vinto insieme, dolcezza» gli ricordò Jeff, passandogli una bottiglia.
«Basta ricordi commoventi!» esclamò Thad, definitivamente sbronzo.
Salì sopra un letto, per farsi ascoltare meglio, ma scivolò e finì a terra, tra le risate generali.
Quando riuscì ad alzarsi, alzò le braccia al cielo ed annunciò quale attività avrebbe deliziato la loro notte.
«Gioco della bottiglia!»
Un coro di approvazione si levò dagli Usignoli.
«Voi state male!» si lamentò Hunter, sgranando gli occhi «Siete tutti uomini e solo meno della metà di voi ha tendenze omosessuali.»
«Mi hai contato?» chiese Jeff, rotolando sul letto, addosso a Nick.
«Chi se ne frega!» urlò David, barcollante, suscitando un altro coro di assenso.
«Bene, io vi guarderò perdere la dignità» disse Hunter, incrociando le braccia.
Quello era troppo perfino per lui: nulla lo avrebbe convinto a partecipare a tale follia.
«Bevi invece di rompere le palle!» disse Sebastian facendo rotolare una bottiglia fino ai piedi di Hunter.
«Non se ne parla!» disse questi, in tono di sfida.
«Prima regola: partecipano tutti!» esclamò Thad, ridendo allegramente.
«No!»
«Sì!» esclamarono gli altri Usignoli all’unisono.
«Seconda regola: vai con la lingua!»
«No!» lo supplicò Hunter.
«Sì, cazzo!» urlò Sebastian, ormai fuori di sé.
Nei successivi dieci minuti, Hunter cercò in ogni modo di fuggire da quella stanza. Si arrampicò fino alla finestra, ma Nick lo tirò per la maglia fino a farlo ruzzolare a terra; sgusciò fino alla porta, ma scoprì che qualcuno l’aveva serrata e poi aveva tolto la chiave.
«Muoviti Hunter!» urlò Thad, agitando minacciosamente una bottiglia.
L’Usignolo si trascinò di malavoglia verso gli altri, che si erano sistemati sul pavimento a formare un cerchio. Hunter prese posto accanto a Sebastian, preparandosi al peggio.
«Primo giro!» urlò Wes, facendo roteare la bottiglia.
Un brivido di terrore percorse Hunter, che cominciò a pregare per la sua incolumità.
«Nick!» urlò Wes, quando la bottiglia si fermò, finalmente «E….Trent!»
«Oh no!» disse Trent, ridendo in maniera incontrollata e coprendosi gli occhi con le mani.
Nick si unì alle risate, prima di sporgersi verso il centro del cerchio e posare un bacio sulle labbra di Trent.
«Ma io volevo la lingua!» si lamentò Sebastian, crollando addosso a Hunter con una risatina maliziosa.
«Dio ce ne scampi» commentò il suo vicino di posto, passandogli una mano tra i capelli.
Wes passò la bottiglia a David, che la fece roteare per il giro successivo.
«Oh no!» esclamò Hunter, quando la punta della bottiglia si fermò proprio davanti a lui.
«Oh sì!» gli fece eco Sebastian, quando al secondo turno toccò a lui essere scelto.
«Bacio, bacio, bacio…» cominciò a gridare Jeff, agitando le braccia come a dirigere un’orchestra invisibile.
Quando anche gli altri Usignoli si unirono all’incitazione, Sebastian si mise a sedere composto e guardò Hunter con un sorriso sghembo.
«Pronto a rinunciare alla tua eterosessualità, Clarington?»
«Non ci penso neanche» mormorò il ragazzo, in risposta, prima che le sue labbra fossero premute contro quelle dell’altro.
«Questa volta devo vedere la lingua!» esclamò Jeff, ma né Sebastian né Hunter lo sentirono, troppo impegnati a baciarsi.
Le labbra di Sebastian erano sottili, calde e sapevano di Courvoisier, ma quel sapore forte non infastidì Hunter che dischiuse le labbra, per approfondire il bacio. Sebastian approfittò di quel momento di debolezza per cercare la lingua dell’altro con la sua; Hunter non sembrò spaventato o intimorito da quel gesto e continuò a baciare avidamente Sebastian, passandogli una mano tra i capelli e facendola poi scivolare lungo la guancia.
«Ok, basta così!» urlò Thad sopra il coro di incitamenti degli altri Usignoli, che non riuscivano a credere ai loro occhi.
«No!» si lamentò Jeff, passando un braccio attorno alla spalla di Nick, quando Sebastian e Hunter si separarono.
Il primo sorrideva, chiaramente soddisfatto; Hunter, invece, evitò di guardare chiunque e si rimise a sedere in maniera composta, sbuffando.
«Piaciuto, Clarington?» gli chiese Sebastian, con un ghigno.
«Puzzi di alcol da far schifo» gli rispose l’altro, alzando un sopracciglio.
«Non pareva che ti dispiacesse» commentò Trent, ridacchiando e beccandosi un’occhiataccia da parte di Hunter.
Il giro successivo toccò a David e Jeff, poi a Wes e Thad e infine a Nick e Jeff che si baciarono con un tale trasporto da costringere Sebastian a intervenire per evitare che la situazione degenerasse.
«Un altro giro» decretò Hunter, che ci aveva segretamente preso gusto a vedere i suoi amici perdere il senno in quel modo.
Fece roteare la bottiglia, chiedendosi chi sarebbero stati i prossimi a farlo divertire. Puntò tutto su Wes e David ma le sue speranze furono deluse.
«Ancora io?» si lamentò Sebastian, quando fu scelto «Mi si screpoleranno le labbra così!»
«Ma stai zitto!» lo schernì Hunter, girando la bottiglia.
«Sì, cazzo!» esclamò Jeff, quando vide chi era stato scelto.
«Lo sapevo!» si unì Nick, battendo il cinque al biondo «Desidero questo momento da due anni!»
Sebastian non riusciva a spiccicare parola: tutto quello che riusciva a fare era fissare alternamente quella dannata bottiglia e il ragazzo che avrebbe dovuto baciare.
«Non ci voglio credere» mormorò Thad, fissando la bottiglia, la cui punta stava indicando il suo ginocchio.
«Bacio, bacio, bacio…» ricominciò Jeff, improvvisando un balletto sul suo posto.
«Fattela finita!» gli intimò Sebastian, facendolo tacere all’istante.
Alzò lo sguardo fino a incontrare quello di Thad, cercando di leggere le emozioni dietro i suoi occhi: paura, forse? Rabbia?
«Facciamolo, muoviti» disse infine, scuotendo la testa e sporgendosi verso di lui.
L’ex Usignolo non disse una parola e si avvicinò a Sebastian, senza smettere di fissare i suoi occhi; quando furono abbastanza vicini, entrambi si sporsero l’uno verso l’altro, gli occhi socchiusi, alla ricerca delle labbra dell’altro. Sebastian avvertì il respiro dell’altro sulle labbra e si immobilizzò, a pochi millimetri dalla sua bocca. Aprirono entrambi gli occhi e rimasero per alcuni, lunghissimi istanti a fissarsi, senza osare fare la prima mossa. Quando Sebastian si mosse, fu solo per allontanarsi rapidamente.
«Non posso farlo» borbottò, alzandosi in piedi e barcollando pericolosamente.
«Cosa?!» sbottarono Thad e Nick insieme, entrambi profondamente delusi.
«Non puoi ritirarti, sono le regole!» urlò Hunter, ormai dimentico del suo proposito di odiare quel gioco.
Sebastian ignorò tutti, fece qualche passo ma, troppo ubriaco, cadde a terra. Ringhiando, si rialzò, prese la chiave della porta dalla tasca dei pantaloni e la fece scattare, correndo nel corridoio in direzione del bagno.
«Ma che gli è preso?» chiese Wes, abbracciando una bottiglia di Courvoisier.
Thad boccheggiò, osservando la porta aperta. Non poteva crederci: Sebastian lo aveva lasciato senza un bacio per la seconda volta nel giro di poche ore.
«Vado a cercarlo» sbuffò, alzandosi faticosamente in piedi.
«Ti aiuto?» chiese Hunter, ormai troppo appassionato a quella vicenda.
Thad scosse la testa prima di sparire per i corridoi.
 
Ritrovò Sebastian solo dieci minuti dopo, dopo aver controllato tutte le dispense e la cucina. Si era rintanato dentro un bagno al secondo piano: Thad lo trovò seduto accanto ad un lavandino, con la faccia seppellita sulle ginocchia raccolte al petto.
«Seb…» mormorò, imbarazzato.
«Vattene!» urlò l’altro, alzando il viso.
Thad avvertì una fitta allo stomaco. Non aveva mai visto Sebastian in quello stato: non c’era più traccia del suo inconfondibile sorriso malizioso, che aveva lasciato spazio a due occhi gonfi e alle guance rigate di lacrime.
«Ti prego, non piangere!» esclamò Thad, confuso dall’alcol, lasciandosi cadere al suo fianco e accarezzandogli le gote, raccogliendo una lacrima con le dita.
«Non toccarmi!» gridò Sebastian, spingendolo via con forza inaspettata e facendolo cozzare contro il lavandino.
«Da quando sei così distante con me?» urlò Thad con rabbia, massaggiandosi una spalla e lottando contro l’impulso di strangolare Sebastian.
«Da quando te ne sei andato, di punto in bianco!» urlò questo, fuori di sé a causa dell’alcol.
Quella verità, gridata con così tanta rabbia, fu un colpo per entrambi: Thad seppellì il viso tra le mani, cercando di soffocare le lacrime che sentiva affiorare; Sebastian, a vederlo così, si morse un labbro e scagliò un pugno contro il muro.
«Cazzo, ahia!» urlò, sentendo le ossa cozzare contro la parete «Fa male, che cazzo ti ridi?»
Infatti Thad, alla vista di Sebastian piegato in due per il dolore, era scoppiato a ridere fuori controllo, un po’ per l’alcol, un po’ perché quella scena era effettivamente comica.
«Quanto sei cretino?» chiese, tra le risate, avvicinandosi a Sebastian e prendendogli la mano dolorante tra le sue.
«Si è rotta?» ansimò Sebastian, visibilmente preoccupato.
«Ti verrà un livido, ma nulla di più» sussurrò Thad, avvicinando le labbra alle nocche dell’altro e posandoci un bacio sopra.
Sebastian lo lasciò fare, trattenendo il fiato finché la bocca di Thad non fu lontana dalla sua pelle.
«Tu… non farlo più!» urlò, indicandolo con la mano sana.
«Ah no, perché?» gli chiese l’altro, con aria di sfida, avvicinandosi alla guancia di Sebastian e posando un altro bacio su di essa.
«Io…non…» boccheggiò Sebastian, arrossendo e fissando l’ex Usignolo come se non lo avesse mai visto prima.
«Smettila di comportarti come un coglione» sussurrò Thad, avvicinando il volto a quello dell’altro e  percorrendo la guancia di Sebastian con la punta del naso.
«Ti piaccio?» sussurrò, le labbra a pochi millimetri da quelle di Sebastian.
«Io… sì» mormorò quello, con gli occhi sgranati.
«Allora baciami e fattela finita» gli ordinò Thad, accarezzandogli una guancia e spingendolo delicatamente verso di sé.
L’Usignolo non se lo fece ripetere e si gettò sulle sue labbra, baciandolo con avidità e desiderio. Aveva aspettato da così tanto tempo quel momento, ma nei suoi sogni le labbra di Thad non erano così calde, né così perfette e invitanti, sotto le sue. Fu quasi contento di non averlo baciato in cucina né durante il gioco della bottiglia, poiché quei due rifiuti avevano portato a quel bacio vero, passionale.
«Sebastian, promettimi che mi telefonerai» mormorò Thad, staccandosi dal bacio e fissando il ragazzo negli occhi.
«Perché vuoi farmi promettere qualcosa che sai che non farò?» gli chiese Sebastian, tornando a baciarlo con passione. Fece scivolare Thad sotto di sé e si sistemò a cavalcioni su di lui, per guardarlo meglio negli occhi.
«Possiamo continuare a vederci» sussurrò il ragazzo, baciandogli il collo e passandogli una mano tra i capelli.
«No, non possiamo» mormorò Sebastian, mordendogli delicatamente un lobo e reprimendo le lacrime.
«Io verrò a Westerville e…»
«No, non ci verrai, perché io non sono fatto per una relazione» tagliò corto Sebastian, guardandolo negli occhi e lasciando che una lacrima gli rigasse la guancia; Thad la raccolse con l’indice e la portò alle labbra. Entrambi sapevano che quella discussione era chiusa e avevano solo una notte per stare il più vicino possibile. Non c’era bisogno di parlare, i loro gesti avrebbero comunicato per loro.
Si strinsero in un abbraccio e passarono la notte così, appoggiati a un lavandino e al freddo, scaldati solo dai loro baci, desiderando che il mattino non arrivasse mai.
 
«La mia testa, cazzo» si lamentò Jeff, massaggiandosi le tempie.
«Certo, con tutto quello che hai bevuto!» ribatté David, dirigendosi verso il bagno per sciacquarsi il viso.
Hunter, riposato e fresco come una rosa, osservò i suoi compagni, che sembravano essere sopravvissuti ad una calamità naturale. La sera prima, dopo che Thad e Sebastian erano spariti chissà dove, piano piano, uno dopo l’altro gli Usignoli si erano addormentati nelle posizioni più disparate: chi sul pavimento, chi in braccio ad un altro (vedi alla voce: Jeff e Nick), chi abbracciato al water. Hunter, l’unico sobrio, si era sistemato per bene su un letto, sotto le coperte calde e si era addormentato contento.
«Oh eccovi» mormorò Wes, quando Thad e Sebastian entrarono nella stanza, gli occhi gonfi e stanchi.
«Che avete fatto?» chiese Nick, con curiosità, gettando una bottiglia vuota nel cestino.
«Niente» mormorò Sebastian, aiutando Trent ad alzarsi. Nessuno ebbe il coraggio di chiedere niente.
Non ebbero il coraggio di fare colazione, per la paura di vomitare tutto durante il viaggio e designarono Hunter come autista per il ritorno a casa.
«Non mi perderò, promesso!» disse, sorridendo e armandosi di cartina stradale.
«Tu vieni in macchina con me, Wes?» chiese Trent, massaggiandosi la testa dove aveva battuto la notte precedente: si era addormentato contro lo spigolo del comodino.
«Volentieri» rispose Wes, prima di fuggire in bagno e vomitare.
Un’ora dopo erano pronti alla partenza. Fu il momento dei saluti: Trent e Wes furono i primi a salutare Thad e a partire, i volti stravolti dalla stanchezza; poi Jeff e Nick  si avventarono su Thad, abbracciandolo e ringraziandolo per l’ospitalità. Dopo di loro, uno ad uno gli Usignoli gli strinsero la mano, lo ringraziarono, gli promisero di chiamarlo o di mandargli delle e-mail.
L’ultimo fu Sebastian.
«Ti aspettiamo in macchina» mormorò Hunter, comprensivo, dandogli una pacca sulla spalla.
«Grazie» soffiò Sebastian, avvicinandosi a Thad.
Il ragazzo lo guardava rassegnato, con le mani sui fianchi magri.
«Allora eccoci qui» disse, abbozzando un sorriso triste e tendendogli la mano.
«Fanculo tutto» mormorò Sebastian, abbracciandolo con slancio e baciandolo con passione. L’altro rispose al bacio, il loro ultimo bacio, l’ultimo contatto prima della distanza. C’era così tanto in quel bacio: rabbia, delusione, tristezza, dolore. Amore.
«E questo cos’era?» chiese Thad, staccandosi di malavoglia e gettando un’occhiata nervosa alla macchina di David.
«Chiamami» disse Sebastian, mollandogli tra le mani una lettera che aveva scritto quella mattina di fretta e furia.
Thad la fissò per qualche istante, poi la fece scivolare dentro la tasca della giacca e si alzò sulle punte dei piedi per posare un bacio sulle labbra di Sebastian.
«Grazie» mormorò, sorridendo.
«Ci vediamo» rispose Sebastian, prima di infilare le mani nelle tasche dei pantaloni e allontanarsi, lottando contro la voglia di girarsi e correre ad abbracciare nuovamente Thad.
«Tutto bene?» gli chiese Hunter, notando i suoi occhi arrossati, quando Sebastian si sistemò sul sedile.
«Mh» mormorò Sebastian, mordendosi un labbro e osservando il cielo.
Era terso, azzurro: la neve del giorno prima era ormai un lontano ricordo che avrebbe custodito per sempre dentro di sé.
 
 


~



 
Va bene, amo ufficialmente la Thadastian, scusate. Non avevo scritto mai di loro due, prima di questa Week, né tantomeno della Niff (che in questa One è appena accennata, ma che emergerà successivamente), quindi sono così emozionata *^*
Scleri a parte, avverto fin da subito che le prossime due One saranno la continuazione temporale di questa e i rapporti tra i vari personaggi si svilupperanno meglio.
Ringrazio ancora tutti per il sostegno ♥    
Alla prossima,
H.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Underneath the mistletoe ***


Venerdì 21 dicembre
Baci sotto al vischio.

 Dicembre 2012;
 

Underneath the mistletoe
 

«Hai sentito Thad?»
Jeff sollevò un sopracciglio e rise. Il rumore della sua risata risuonò nella biblioteca; era un luogo sempre gremito di studenti, ma era molto silenzioso, almeno finché gli Usignoli non decidevano di improvvisare una canzone, ballando sopra i tavoli di legno scuro.
«E’ la terza volta in questa settimana, che me lo chiedi.»
Sebastian non alzò gli occhi dal suo libro, ma sentì qualcosa, all’altezza dello stomaco, sgretolarsi. Non gli capitava spesso di sentire dolore, semplicemente perché non accadeva spesso che qualcuno trovasse il modo di ferirlo. Ma l’improvviso trasferimento di Thad aveva profondamente scosso Sebastian; non c’era un giorno in cui non pensasse a come il ragazzo avesse mollato improvvisamente la Dalton, gli Usignoli e, soprattutto, lui. Quello che tormentava Sebastian, in realtà, era il rimpianto di non aver mai ammesso neanche a sé stesso che, quella che provava per Thad, era qualcosa di più della semplice attrazione sessuale che provava per almeno una decina di ragazzi al giorno. «Ci vediamo» gli aveva detto Sebastian, abbracciandolo, prima che Thad partisse. Era lì che aveva realizzato quanto, in realtà, gli sarebbe mancato. Era lì che tutte le sue numerose avventure sessuali avevano improvvisamente perso di significato, impallidite di fronte a qualcosa più grande di loro.
Non si erano più sentiti né visti, almeno fino alla settimana prima, quando Thad li aveva invitati per una giornata sulla neve; aiutato dall’alcol, Sebastian aveva finalmente ammesso i suoi sentimenti, tra l’altro corrisposti. Eppure il ragazzo sapeva benissimo che una relazione avrebbe ferito entrambi: Sebastian non avrebbe avuto altro che la conferma di non essere in grado di amare e così avrebbe arrecato solamente del dolore a Thad. 
Sebastian sentì lo sguardo di Jeff sulla nuca, così alzò gli occhi dal libro.
«Era per sapere.»
«Sì, come no!» sbuffò il biondo «Come mai ti manca così tanto? Non lo vedi solo dalla nostra famosa gita sulla neve.»
Sebastian sentì il suo castello di certezze crollare, di fronte a quella domanda. Possibile che fosse così palese?
«Non mi manca affatto.»
«Andiamo, non c’è nulla di male. ANatale siamo tutti più buoni!» scherzò Jeff, sfogliando il quaderno di matematica con una risatina.
Bugia, pensò Sebastian, il volto nuovamente immerso nel libro di spagnolo. Se quel detto fosse stato veritiero, Sebastian avrebbe odiato sicuramente il Natale. Non c’era niente che trovasse così noioso quanto quell’atteggiamento da bravo ragazzo che si è ripromesso di adottare da quando i suoi giochi si erano spinti oltre il limite.
Invece non c’era nulla che non amasse del Natale. In primis, amava i regali. E Sebastian ne riceveva, di regali, ne riceveva a dozzine, dai suoi parenti, dagli amici francesi, da qualche ragazzo illuso di poter comprare la sua benevolenza con un maglione o un profumo.
Un’altra cosa che Sebastian amava del periodo natalizio, era l’enorme abete della Dalton, che ogni anno veniva ospitato nell’atrio della scuola, riccamente addobbato.
Ma una delle cose che l’Usignolo adorava alla follia, era il vischio.
Questo pensiero gli ricordò improvvisamente di quanto facesse schifo essere gentili e sentimentali.
«Ci vediamo, Jeff» disse, alzandosi di scatto e afferrando la borsa e il suo libro.
«Dove vai?»
«Hunter» mormorò distrattamente.
 
-
 
«Questa è l’ultima volta che lo fa!» esclamò Nick, sbattendo la porta della camera con violenza.
Una decina di ragazzi, intenti a chiacchierare nel corridoio, lo guardarono accigliati, ma Nick non ci badò affatto. In effetti, era completamente fuori di sé, la camicia fuori dai pantaloni della divisa, il viso accaldato e la fronte solcata da una ruga profonda. Non gli importava affatto di cosa pensassero gli altri, tutto ciò che voleva era strozzare una certa persona.
A Natale siamo tutti più buoni, si sa.
Scese frettolosamente le scale, corse attraverso la sala comune, urtando dolorosamente Trent e urlando qualche scusa di sfuggita. Si ritrovò presto nel corridoio principale, gremito di ragazzi appena usciti dalle lezioni pomeridiane. Le pareti erano ricoperte di eleganti festoni natalizi e in fondo al corridoio, dove si apriva l’atrio, faceva mostra di sé un gigantesco albero di natale; ogni suo centimetro ospitava lucine, addobbi, festoni.
Nick superò Hunter e Sebastian, intenti a confabulare davanti alla porta di un’aula, probabilmente occupati ad elaborare un piano su come vincere le regionali. Pregò mentalmente che non lo vedessero e non lo fermassero e, da qualche parte, qualcuno ascoltò i suoi desideri, perché in poco tempo riuscì ad attraversare l’atrio e scivolare nella biblioteca.
In realtà Nick era una persona estremamente paziente e, in cuor suo, ne era consapevole. Purtroppo, però, esisteva un’unica persona che aveva quell’odioso potere di fargli perdere totalmente il controllo; si dava il caso che quella persona frequentasse la sua stessa scuola e, ironia della sorte, condividesse la camera con lui.
«Jeff!» urlò Nick, facendo sobbalzare un gruppo del primo anno, lì vicino. La biblioteca era gremita di ragazzi, la maggior parte dei quali aveva sollevato la testa per fissarlo con espressione esterrefatta. In quella stanza erano solite accadere molte cose: spesso, lì, gli Usignoli avevano improvvisato una delle loro esibizioni, una volta Sebastian si era addirittura fatto sorprendere con uno del primo anno, ma nessuno aveva mai urlato in quel modo. Nick sapeva che in pochi minuti la bibliotecaria sarebbe piombata su di lui facendolo pentire del suo gesto. Ma neanche questo lo fece desistere dal suo tentativo di mettere le mani al collo di Jeff, che, con un balzo, scattò in piedi e si allontanò da Nick.
«Sei impazzito?» sussurrò il biondo, gli occhi sgranati.
«Impazzito?!» urlò di rimando l’altro, arrossendo paurosamente e afferrando Jeff per il blazer. Questi gli mollò uno schiaffo sulla mano che non fece altro che peggiorare la situazione.
Nick gli si gettò addosso, spingendolo su un tavolo e in pochi secondi si trovarono a lottare e a strattonarsi sul legno scuro, sotto gli occhi stupiti di tutti e le grida concitate di qualche Usignolo presente.
Nick riuscì a recuperare l’uso del braccio destro, che fino a quel momento era rimasto schiacciato sotto la schiena di Jeff, solo quando David lo afferrò di peso, allontanandoli.
«Siete fuori di testa tutti e due?!» sbraitò, il volto contratto per lo sforzo di impedire a Nick di saltare nuovamente addosso all’altro.
Jeff, gli occhi sgranati, la cravatta slacciata e un graffio sulla guancia, fissò David a lungo, poi girò sui tacchi e, senza una parola, afferrò i suoi libri e uscì dalla biblioteca.
 
-
 
«Capo» ghignò Sebastian, gli occhi fissi sul viso di Hunter.
L’ironia con il quale pronunciò quella parola non sfuggì all’altro: gli angoli della sua bocca si incurvarono in un sorrisetto tirato.
«Smythe» lo salutò con voce melliflua.
Hunter si appoggiò allo stipite della porta dell’aula da cui era appena uscito. Lo attendevano ancora un paio di ore di lezione, per quella mattina.
«Mi chiedevo» iniziò Sebastian senza distogliere lo sguardo «cosa avessi intenzione di fare.»
«Di fare…?»
«Ora» precisò, increspando le labbra in una risata beffarda «Ho una mezz’oretta libera, in caso volessi, ecco,duettare. »
Gli occhi di Hunter si spalancarono dalla sorpresa, ma fu solo per un secondo, prima che riacquistasse completamente il controllo di sé. Quel secondo non sfuggì allo sguardo attento di Sebastian.
«Smythe, pensavo di aver messo subito in chiaro che la mia presenza in questa scuola non porterà ad alcuna modificazione ai miei…diciamo…gusti.»
«Dovrei prenderla come una scommessa, Clarington?»
Gli occhi brillanti di Sebastian si illuminarono. Le scommesse gli piacevano, eccome se gli piacevano; non c’era niente di più divertente, per lui, che vincere. Sapeva che avrebbe vinto, glielo dicevano quegli occhi fermi e autoritari e quella bocca contratta in un sorrisetto orgoglioso. 
«Sembri molto sicuro di te, Smythe.»
«Sì, mi ricordo di come tu fossi etero quando abbiamo giocato al gioco della bottiglia, la settimana scorsa!» disse Sebastian, con sarcasmo. «Non devo ricordarti chi ha deciso di cantare “Whistle” alle provinciali, come non devo ricordarti che quella canzone parla chiaramente di un…»
«Ho afferrato» lo interruppe Hunter, gli occhi socchiusi in un’ espressione indecifrabile «Ma non scordarti chi di noi due è il capo.»
Fu a quel punto che Sebastian seppe di averlo in pugno.
«Chissà che nei dormitori i ruoli non cambino. Ci vediamo.»
 
-
 
Se c’era una persona che Nick conosceva perfettamente, quella persona era Jeff. Non che fosse una persona prevedibile, ma la realtà era che Nick passava talmente tanto con lui, da essere in grado di prevedere ogni sua mossa.
Così, era certo di poter trovare l’amico in sala comune, da solo, probabilmente a mangiare una scatola di cioccolatini o a leggere un libro. E fu proprio lì che lo trovò, sprofondato in una poltrona di fronte al caminetto, la divisa nuovamente in ordine, ma il volto contratto dalla rabbia; stava sorseggiando una cioccolata calda, guardando il camino acceso. Nick fu certo che Jeff lo avesse sentito entrare nella stanza dalla porta alle sue spalle, anche se questo non distolse lo sguardo dal fuoco.
«Potrei aver esagerato.»
Jeff alzò un sopracciglio, senza degnarlo di uno sguardo. C’erano molte cose, alla Dalton, che lo spingevano ad alzare il sopracciglio. Nick era chiaramente una di queste.
«Potresti
«Ok, senti, scusa per…» Nick indicò vagamente il viso graffiato di Jeff «…quello
Jeff sospirò e finì la cioccolata in un sorso. Si alzò, posò la tazza ormai vuota su un tavolino e guardò Nick, posando le mani sui fianchi.
«Se almeno mi spiegassi perché hai deciso di saltarmi addosso, magari….»
«Perché?! Oh, vieni con me» sbottò Nick, afferrando la manica di Jeff e costringendolo a  seguirlo su per le scale che portavano al dormitorio.
Si ritrovarono presto davanti alla porta della loro camera; Nick la indicò, rosso in viso.
«Aprila, Jeff.»
«Perché?»
«Sai benissimo perché, aprila.»
Con un sorrisino malizioso Jeff spinse la maniglia e scivolò nella stanza, seguito dall’amico.
«Beh, cosa c’è?»
«Cosa c’è!?» urlò Nick, sentendo nuovamente il forte impulso di fare fuori il suo compagno di stanza «Hai visto cosa hai fatto alla nostra camera?!»
Jeff ridacchiò, osservando le pareti della stanza con espressione soddisfatta.
«Te lo dico io cosa gli hai fatto!» urlò Nick, fuori di sé «Gli hai fatto quello che hai fatto con l’aula magna e poi con la biblioteca e poi con la sala comune e …»
«Baciami, allora» sorrise Jeff.
«No!» urlò Nick «Non ti bacerò mai solo perché hai disseminato vischio in ogni centimetro della nostra camera.»
Jeff rise, chiaramente soddisfatto della sua malefatta. Osservò con un sorriso beffardo il soffitto della camera, interamente coperto di vischio.
«Eh, cosa si deve fare per avere un bacio da te.»
«Devi smettere di farlo!» lo ignorò Nick, sentendo le guance accaldarsi «Non ti bacerò né sotto il vischio, né altrove!»
«Andiamo Nick, porta male non baciarsi sotto il vischio. E’ la tradizione.»
«Tu» lo indicò «fallo un’altra volta e giuro che passerai il Natale su un letto d’ospedale.»
«Ma se una ragazza sotto il vischio non viene baciata dal ragazzo che gli piace, non si sposerà durante l’anno successivo!» protestò Jeff, indicando le bacche malefiche sopra le loro teste.
«Punto uno: non sei una ragazza.» gli gridò di rimando Nick.
«Non fa differenza!»
«Punto due!» Nick alzò la voce, cercando di ignorare Jeff «dubito che ti sposerai comunque, quest’ anno.»
«Non dipende mica da me!» ribatté il biondo, incrociando le braccia al petto.
«Terzo: hai seriamente detto il ragazzo che ti piace
Jeff fece spallucce, sfoderando un sorrisino malizioso. Poi uscì, lasciando Nick solo con i suoi pensieri.
E con una cappa di vischio sopra la testa.
 
-
 
 
«Hai un minuto, Sebastian?»
Il ragazzo si fermò, richiamato da una voce che proveniva dall’interno di una classe vuota.
Si guardò intorno, piuttosto confuso, prima di entrare nell’aula.
«Ah, Jeff, sei tu.»
Jeff era seduto sulla cattedra, torturandosi le mani con un sorriso imbarazzato.
«Volevo chiederti una cosa… un consiglio, diciamo.»
Sebastian sistemò la tracolla sulla spalla, prima di sedersi sulla cattedra, accanto all’altro. Non aveva la minima idea di cosa potesse volere uno come Jeff, da lui.
«Spara!»
«Nick.»
Le guance di Jeff avvamparono, mentre Sebastian scoppiò in una risata glaciale: ora era tutto chiaro.
«Vuoi che ti insegni come….?»
«No!» urlò Jeff, visibilmente preso dal panico, nascondendo il viso rosso tra le mani.
Sebbene Nick gli piacesse molto, sebbene lo avesse visto in mutande, nudo, sotto la doccia, sebbene lo avesse sorpreso a guardare un porno, Jeff proprio non riusciva a pensare a lui in quel modo senza provare un tremendo imbarazzo. Le occhiatine maliziose di Sebastian di certo non aiutavano.
«Dai, è ora che voi due ci diate dentro, siete più noiosi della presunta eterosessualità di Hunter e ho detto tutto.»
Jeff decise di ignorare completamente quell’osservazione e cercò di riacquistare il suo colore naturale. Dopo un paio di respiri, riuscì a guardare Sebastian negli occhi.
«Guarda che mica ti devi vergognare di queste cose, io le faccio sempre e non sono mica….»
«Thad» buttò lì Jeff, ormai disperato.
Quella parola sortì l’effetto sperato: il sorriso malizioso di Sebastian scomparve completamente e il volto del ragazzo divenne improvvisamente pallido.
«Cosa c’entra lui ora?» chiese, serio.
«Nick è per me ciò che Thad è per te» spiegò pazientemente Jeff «ed io non voglio togliergli le mutande e…»
«Ah no?»
«Ok, sì, anche, ma non è solo quello!» balbettò confusamente Jeff.
Sebastian si passò una mano tra i capelli, mordendosi le labbra.
«Ho capito.»
«Hai capito?»
«Sì. Ho capito» Sebastian scese dalla cattedra, sistemandosi la borsa in spalla. «Ma come vedi io non ho Thad qui con me ora, quindi vuol dire che non sono la persona giusta per darti consigli.»
Girò sui tacchi e fece qualche passo verso la porta, finché non fu richiamato da Jeff.
«Oh, per Hunter….»
«Cosa?» chiese Sebastian, stupito.
Come faceva Jeff a conoscere le sue intenzioni?
«Prova col vischio. Pare che funzioni, se non te ne frega nulla di lui»
«Vischio?» ripeté Sebastian battendo delicatamente le palpebre con espressione perplessa.
«Probabilmente Thad ti darebbe due schiaffi» disse Jeff, pensieroso «ma visto che Hunter è solo un gioco per te….»
«Vischio» ripeté ancora una volta Sebastian, incredulo.
Come aveva fatto a non pensarci prima?
«Tanto vischio» sorrise Jeff prima di uscire lui stesso dalla porta.
 
-
 
«Adesso ascoltami. Va bene tutto, vanno bene la battutine, vanno bene le avances da femme fatale, va bene quello sguardo da francesino arrapato, ma questo no!» sbottò Hunter, indicando un punto imprecisato delle gambe di Sebastian.
Questo rise, una risata gelida, maliziosa. La sua mano si serrò ancora più strettamente attorno al rametto di vischio che teneva tra le dita.
«Dai, ti piaceva tanto cantare Whistle, se non sbaglio.»
«Sebastian, anche gli etero si fanno fare… hai capito, insomma!» sbraitò Hunter, perdendo realmente la pazienza.
Quello Smythe gli era sempre piaciuto per il carattere autoritario e fiero, le sue frecciatine a sfondo sessuale lo avevano spesso divertito, ma ora, vederlo con un rametto di vischio sospeso sopra i sua pantaloni aperti, era decisamente troppo.
«Non puoi cantare una canzone simile di fronte a me e pensare di farla franca, Clarington!»
«Il cantante è molto etero, ok? E anche io lo sono!»
«Ah-ah e io sono un ragazzo pudico. Ora fai il tuo dovere!»
«Il mio dovere?!» esclamò Hunter, colto dall’improvvisa idea di scappare dalla finestra dell’aula dove si trovavano.
«Quello che dice al vischio. Il vischio comanda.» sospirò Sebastian, facendo ondeggiare il rametto davanti ai suoi pantaloni.
«Sebastian, senti… non posso, ok?»
«Cadi in ginocchio, di fronte al potere del vischio!»
«Tu stai male io non… fermo!» urlò Hunter, cercando di respingere Sebastian che, lasciato cadere il vischio, si era praticamente avventato sulle labbra dell’altro.
«Cercavo solo di allentare la tensione, avanti!» disse Sebastian in tono annoiato «Sappiamo entrambi come finirà la serata!»
«Ok» disse Hunter, chiudendo gli occhi e tentando di riprendere il controllo di sé.
«Ok?» ripeté Sebastian, maliziosamente.
«No, non è ok, è solo che…. adesso cosa fai, esattamente?» gridò Hunter, ancora una volta spaventato dall’altro che, con un movimento rapido, si era messo in ginocchio di fronte a lui.
«Sta zitto e guarda come si fa, capo
-
 
Non era servito a nulla. Aveva comprato tutto quel vischio per nulla; aveva speso soldi per ricevere un bacio, qualcosa di così prezioso da non poter essere comprato.
«Mi sta bene!» pensò Jeff con rabbia, salendo nel gradino più alto della scala per togliere l’ultimo rametto di vischio rimasto sul soffitto della sua camera.
Il rametto era in un angolo della stanza, particolarmente difficile da raggiungere e a Jeff non bastò una semplice scala per riuscire ad eliminare quell’ultima traccia del suo fallimento.
«Al diavolo!» urlò, rinunciando all’impresa e scendendo rapidamente gli scalini «Sono un imbecille, un imbecille!»
«Concordo.»
Jeff si girò, furente, ma tutto ciò che si ritrovò a guardare fu Nick, appoggiato alla porta della loro camera con un sorriso divertito.
«Ho tolto tutto» borbottò Jeff, evitando lo sguardo dell’altro «ma non riesco a raggiungere quell’ultimo pezzo e…»
«Baciami.»
Jeff lo fissò, scandalizzato. Era uno scherzo. Lo era sicuramente.
«Baciami» ripeté Nick, apparentemente divertito.
«Ma che diamine… mi prendi in giro?» chiese il biondo, sgranando gli occhi.
«Dopo tutto questo lavoro, proprio ora che ti dico di baciarmi, ti tiri indietro?» disse Nick, alzando gli occhi al cielo.
«Ma…»
«Baciami. C’è rimasto un rametto di vischio e se non mi baci, non farai sesso o qualcos’altro di terribile che non ricordo.»
«Non mi sposerò il prossimo anno!» precisò Jeff, prima di avvicinarsi a Nick.
Si guardarono a lungo, uno imbarazzato, l’altro quasi divertito da quella situazione inverosimile.
«No, senti Nick, non posso farlo e… uh
Non riuscì a dire altro, le labbra immobilizzate da quelle del moro; dopo pochi secondi di shock rispose al bacio e desiderò immensamente di poter approfondire quel contatto. Come se avesse ascoltato quei pensieri, Nick portò una mano tra i capelli di Jeff, spingendolo senza troppa premura contro di sé.
«Ah però!» soffiò Nick, separandosi di pochi millimetri dalle labbra dell’altro «Se avessi saputo che saremmo finiti così, ti avrei lasciato tenere tutto quel vischio!»
Jeff rise di cuore, prima di tornare sulle labbra di Nick.
 
-
 
«Nessuno lo saprà.»
Sebastian rise, divertito, aggiustandosi la cravatta. Quanti ragazzi gli avevano detto quelle stesse parole….
«Seriamente, Smythe, io…»
«Hunter?»
«Non posso davvero permettere che…. è stata un’eccezione e…»
Sebastian sbuffò sonoramente, aggiustandosi i capelli e afferrando la borsa, dimenticata fino a un momento prima sulla cattedra dell’aula.
«Io non so perché ti ho permesso di…»
«Ascolta, non me ne frega niente. Non lo dirò a nessuno, se questo vorrà dire che la smetterai di parlare.»
«Oh, ok.» borbottò Hunter, chiaramente in imbarazzo.
«Ci vediamo in sala prove» lo salutò vagamente Sebastian.
Tuttavia, prima di uscire definitivamente dall’aula, si girò ad osservare l’Usignolo per un ultimo momento.
«Hunter?»
«Mh?»
«Etero un cazzo.»

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Gonna stay with you 'til Santa grants my wishes. ***



Per la Warblers Week:
Sabato 22 Dicembre
Ricordi di Natale
 
Rating: Verde
 

Gonna stay with you 'til Santa grants my wishes.
 

Dicembre 2012;
 
Nick guardò l’orologio, con un cipiglio preoccupato: le lancette indicavano le tre di notte. Aveva fatto veramente tardi, ma ne era valsa la pena; si era divertito veramente molto alla cena che Blaine aveva organizzato per rivedere i suoi vecchi amici di scuola e, una cosa tira l’altra, aveva perso di vista l’orario. Entrò in camera e si tolse le scarpe, cercando di fare il minor rumore possibile. Jeff, suo compagno di stanza, nonché suo ragazzo da qualche giorno, dormiva nel suo letto, vicino alla porta. Il rumore dei suoi respiri profondi era il solo suono che dominava, nella camera.
In punta di piedi, Nick scivolò sotto le coperte di Jeff, stendendosi nel letto, accanto a lui. Il biondo avvertì il contatto con il corpo caldo del ragazzo e si svegliò lentamente, cercando di capire cosa stesse succedendo.
«Nick?» lo chiamò, con la voce impastata dal sonno.
«Sono qui, tranquillo» lo rassicurò, passando una mano tra i capelli di Jeff e chinandosi per posare un bacio sulla sua tempia.
«Dov’eri?» sussurrò Jeff, beandosi di quelle carezze che gli erano mancate così tanto, prima di addormentarsi la sera prima.
«Da Blaine, ma abbiamo fatto un po’ tardi» spiegò Nick, abbracciando il ragazzo e annusando il suo profumo dolce. «Come va la febbre?»
«Avevo trentanove ieri sera» si lamentò Jeff, gettandogli le braccia al collo e premendo il viso contro il suo collo, in cerca di un po’ di fresco che alleviasse il suo mal di testa.
«D’accordo, ora riprendi la medicina e vedrai che starai meglio» disse Nick, sciogliendosi dall’abbraccio di malavoglia e alzandosi per cercare il medicinale.
«No, resta qui» mugolò Jeff, tastando la parte del letto dove poco prima era sdraiato il suo ragazzo. Era ancora calda.
Nick lo guardò, cercando di distinguere la sua figura nel buio della stanza. Aveva fatto decisamente male a lasciarlo da solo in quelle condizioni.
«Dimmi, cosa c’è?» gli chiese, premuroso, lasciando perdere la ricerca del medicinale e sedendosi sul letto, accanto a Jeff.
«Stai qui con me» mormorò il biondo cercando a tentoni la mano di Nick «e parliamo.»
Nick gli afferrò la mano e la strinse, portandola alle labbra. Era bollente.
«Prima abbassiamo la temperatura» incalzò il ragazzo, cercando di rialzarsi. Ma Jeff, benché malato, stringeva la mano con forza, per impedirgli di alzarsi.
«Parliamo» lo implorò.
«Parliamo!» ripeté Nick, esausto, stendendosi nuovamente accanto a lui e stringendolo tra le sue braccia. «Di cosa vuoi parlare?»
«Ti ricordi di quando eravamo piccoli?» gli chiese Jeff, accarezzandogli una guancia.
Nick sorrise e, pur non potendone essere certo a causa del buio, per un attimo fu sicuro che anche Jeff stesse sorridendo, accanto a lui. Era impossibile non intenerirsi, ripensando a quante ne avevano combinati da bambini. Si conoscevano dalle elementari, quando erano diventati migliori amici e da allora non si erano più separati. Nick ricordava ancora di quando Jeff gli aveva tagliuzzato in malo modo i capelli, alle elementari, sostenendo che quell’acconciatura gli donava molto di più; o di quando aveva difeso Jeff da un gruppo di bulli, alle medie. Poi era venuto il primo giorno del liceo, quando entrambi si erano ritrovati nella stessa classe della Dalton e, naturalmente, avevano fatto di tutto per essere compagni di stanza. Nessuno dei due, a quel tempo, poteva immaginare che sarebbero finiti con il baciarsi sotto il vischio e condividere il letto ogni notte.
«Ne abbiamo passate tante» mormorò Nick, sorridendo contro il cuscino.
«Ti ricordi cosa abbiamo fatto la notte di Natale, quando avevamo sette anni?» chiese Jeff, con una risatina.
«Eccome se lo ricordo!» esclamò Nick, scoppiando a ridere e riassaporando il ricordo.
 
 
«Cosa diavolo stai facendo?» chiese Nick, in un sussurro concitato, guardandosi intorno con circospezione per assicurarsi che fossero soli.
«Aspetto Babbo Natale» rispose Jeff, con una tranquillità invidiabile.
Zaino in spalla, era seduto sul pavimento freddo dell’atrio del collegio, accanto all’enorme albero di Natale che era stato allestito per l’occasione. Era tassativamente proibito ai bambini di uscire dalle loro camere durante la notte, a meno che non esistesse una ragione eccezionale per farlo: evidentemente Jeff aveva ritenuto che l’arrivo di Babbo Natale lo fosse.
«Babbo Natale arriva passando dal camino» osservò Nick, constatando la totale assenza di un camino nell’atrio della scuola.
«La signorina Murphy ha detto che quando in una casa non c’è il camino, Babbo Natale entra dalla porta principale, ma facendo molta attenzione a non farsi vedere» spiegò Jeff, in tono pratico. «Quel vecchio vuole farla franca, ma non sa che qui ci sono appostato io!»
Nick guardò nervosamente la porta dell’atrio, desiderando che si aprisse in quel momento. Cominciava a sentire freddo sotto il suo pigiama leggero e i suoi piedi scalzi si stavano lentamente gelando.
«Jeff torniamo a dormire, ti prego.»
«Tornaci tu!» rispose il bambino, estraendo dallo zainetto un pacco di caramelle e cominciando a mangiarle. «A proposito, perché sei qui?»
«Mi sono svegliato e non c’eri più. Avevo paura che Richard ti avesse chiuso di fuori, come la scorsa settimana»
Jeff arrossì, ancora incollerito da quell’episodio. Era stato costretto a passare una notte sul balcone della stanza degli alunni, perché Richard Watson e un altro paio di bambini avevano deciso di chiuderlo fuori dalla camera. Solo alle tre del mattino le insegnanti avevano finalmente udito gli urli e le lacrime di Jeff ed erano corse a farlo rientrare. Richard si era beccato una settimana di punizione, ma Jeff aveva dovuto subire tutte le prese in giro degli altri bambini.
«Non gli permetterò di farlo più, tranquillo!» esclamò, tornando a concentrarsi sulle sue caramelle.
«Se la signorina Murphy ci scopre, ci espelleranno» mormorò Nick, saltellando sul posto per riscaldarsi.
Jeff, per tutta risposta, gli tirò una coperta estratta dallo zaino.
«Vieni accanto a me ad aspettare Babbo Natale. Tua madre paga tanti soldi per mandarti qua, non ci espelleranno mai» aggiunse, dimostrando una maturità superiore a quella di un bambino di sette anni.
Era dovuto crescere in fretta, in fondo: i suoi lo avevano spedito in collegio a sei anni e da allora passava tutto l’anno lì, perfino le vacanze Natalizie. Costretto alla solitudine, aveva imparato a cavarsela molto presto, anche grazie all’aiuto del suo amico Nick, con cui aveva legato fin da subito.
«Mi scappa la pipì, Jeff, non voglio sedermi» piagnucolò il moro, strofinandosi gli occhi.
«Vai a farla, allora.»
«E se mi trovano?» sussurrò Nick, disperato, maledicendo il momento in cui aveva deciso di andare a cercare l’amico.
«Non importa, devo aspettare Babbo Natale.»
«Ma ci faranno pulire i cancellini per punizione e a me i cancellini fanno tossire» si lamentò il moro, sentendo le lacrime affiorargli agli occhi.
«Nick, smettila di frignare o sveglierai qualcuno e allora, altro che cancellini!» sussurrò Jeff, facendo scoppiare Nick a piangere.
Vedendolo così triste, Jeff si alzò e gli si avvicinò. Lo afferrò per la manina e si sporse per lasciargli un bacio sulla guancia.
«Scusa» sussurrò timidamente «Non volevo metterti paura.»
«Torniamo a letto, Jeff?» chiese Nick, ormai completamente in lacrime, tirando il biondo per la manica del pigiama.
«Ma… Babbo Natale?» chiese Jeff, deluso, lanciando una rapida occhiata alla porta dell’atrio. Tuttavia, quando sentì i singhiozzi spaventati di Nick farsi più frequenti e forti, lo afferrò per una mano e lo trascinò verso le camere.
«Dove credete di andare?» esclamò una voce profonda, facendoli sobbalzare.
«La signorina Murphy!» sussurrò Nick, fermandosi di botto e serrando gli occhi per la paura.
«Ma quale signorina Murphy» esclamò Jeff, con gli occhi lucidi dall’emozione «Babbo Natale!»
«Proprio io!» esclamò l’uomo, accarezzando la folta barba bianca e scrutandoli da dietro gli occhiali tondi, posati in bilico sul naso.
Nick afferrò la mano di Jeff e si voltò, lentamente. Era proprio come lo aveva sempre immaginato: i pesanti pantaloni rossi infilati dentro gli stivali scuri, la giacca rossa tirata sulla grande pancia e fissata da una grande cintura di pelle. 
«Babbo Natale!» esclamò Nick, scuotendo la mano di Jeff e cominciando a saltellare su e giù sul posto, senza credere ai propri occhi.
«Voi dovreste essere Jeff e Nick, giusto?» chiese l’uomo, estraendo una lunga lista dalla tasca dei pantaloni.
«Siamo in lista?» chiese Jeff emozionato, in un sussurro.
«Sicuro!» esclamò Babbo Natale in una risata profonda che risuonò per tutto l’atrio «Sono qui per portare i regali a tutti i bambini del collegio!»
«Anche a Richard Watson?» si informò Jeff, alzando un sopracciglio. «Non è stato molto buono, con me.»
«Lo so» replicò Babbo Natale, accarezzando la folta barba con espressione pensierosa «Vedrò che posso fare.»
«Cosa c’è per noi?» chiese timidamente Nick, in un sussurro.
«Vediamo un po’!» esclamò l’uomo, mostrando loro un grande sacco di tela e cominciando a rovistarci dentro.
Ne estrasse due pacchi voluminosi, avvolti da un’ allegra carta rossa. Quando si avvicinò ai due bambini porgendo loro i regali, Nick e Jeff strinsero le loro manine l’una nell’altra e cominciarono a saltellare sul posto per l’eccitazione.
«Grazie signor Babbo Natale» mormorò Nick afferrando il suo pacco e lanciando un’occhiata concitata a Jeff. Anche il biondo afferrò il suo regalo e si sporse addirittura per abbracciare le gambe dell’uomo.
«Ora, ditemi un po’» borbottò Babbo Natale, guardando prima uno poi l’altro «Voi non dovreste essere a letto, ora?»
«Mh, sì, ma io sono venuto a cercare Jeff» cerco di difendersi Nick, nervosamente. Non aveva alcuna voglia di passare il Natale pulendo cancellini.
«Ora torniamo a letto, signore» spiegò l’altro bambino lanciando un’occhiata di rimprovero al moro.
«Buon Natale, bambini! Oh! oh! oh!» esclamò il vecchio uomo, prima di girarsi e sparire nuovamente dietro il portone d’ingresso.
«Non ci credo» sussurrò Nick, emozionato, guardando prima il portone, poi il pacco tra le sue mani. «Ha detto davvero Oh! Oh! Oh! come fa in tutte le storie»
«Te l’avevo detto!» esclamò Jeff, gli occhi che gli brillavano. «Adesso torniamo a letto, prima che ci scoprano!»
I due bambini corsero velocemente verso la camera, cercando di essere silenziosi; svicolarono dentro, sentendo il rumore di alcuni passi dietro di loro. Si infilarono nei rispettivi letti, chiudendo gli occhi e fingendo di dormire. Non osarono aprirli neanche quando la porta si aprì e sentirono qualcuno entrare nella stanza e posare qualcosa sul pavimento.
Quando la porta si richiuse, i due bambini, sveglissimi a causa dell’adrenalina, si guardarono senza fiato.
«Non lo racconteremo a nessuno» mormorò Jeff, porgendo il mignolo.
«Mai» acconsentì Nick intrecciando il suo mignolo con quello dell’amico.
Fu il Natale più bello della loro vita.
 
 
«Tra l’altro, ancora oggi mi chiedo chi ci fosse sotto il costume da Babbo Natale» rise Nick, accarezzando la fronte calda di un Jeff ormai cresciuto.
«Probabilmente il custode» rispose debolmente questo, tirando le coperte verso di sé e lasciando Nick scoperto.
«Sai cosa mi è piaciuto di più di quel Natale, però?» disse Nick, riprendendosi le coperte e lasciando un bacio sulle labbra secche di Jeff.
«Mh, cosa?» chiese il biondo, sorridendo con curiosità.
«Richard Watson» rispose Nick, scoppiando in una risata che fu prontamente soffocata contro il cuscino.
Gli occhi di Jeff si illuminarono, al ricordo di quel Natale di molti anni prima.
«E’ vero! Il giorno dopo per lui c’era solo una lettera dove qualcuno gli aveva scritto che non avrebbe ricevuto regali a causa del suo comportamento!»
«Poveraccio!» Jeff rise sommessamente, divertito dal ricordo della faccia delusa di Richard.
«Non dicevi così, a sette anni» gli ricordò Nick, alzandosi dal letto con sommo dispiacere di Jeff.
«Ero un ragazzaccio» commentò questo, guardando il suo ragazzo muoversi nel buio della stanza fino alla scrivania. Sentì il rumore di qualcosa di vetro che veniva sbattuto e il fruscio dell’acqua.
«Prendi la medicina» gli ordinò Nick, avvicinandosi al letto e porgendogli una pillola e un bicchiere di acqua.
«Agli ordini, dottore!» rise Jeff, obbedendo. «Adesso dormiamo?» chiese, speranzoso, sentendosi esausto.
«Adesso dormiamo» acconsentì Nick, stendendosi accanto a lui e baciandolo.
Anche se avessero passato il venticinque dicembre a letto, entrambi malati, quello sarebbe stato comunque uno dei Natali più belli della loro vita.
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Fall in love with me, this Christmas ***


Per la Warblers Week:
Domenica 23 dicembre
Prepararsi alla notte di Natale.

Rating: Giallo

Fall in love with me, this Christmas




Dicembre 2012;

Sebastian entrò nel negozio, con un’espressione soddisfatta stampata sul viso magro: lui sì che sapeva esattamente come prepararsi al Natale.
Era il giorno della Vigilia e come ogni anno tutti, alla Dalton, erano impegnati con i preparativi. L’ ultima volta che aveva visto David, stava litigando con Trent per decidere quale centrotavola usare per la sala comune.
«Rosso, con i ricami blu!» aveva urlato Trent, da un angolo della stanza, sbandierando un centrotavola.
«Blu coi ricami rossi!» aveva sbraitato David con maggiore enfasi, dall’angolo opposto, lanciando il suo centrotavola addosso a Hunter.
«Cosa centro io?» aveva esclamato questo, sulla difensiva, riparandosi con le braccia dall’attacco.
«Che noia» aveva mormorato Sebastian, osservando quella scena patetica dalla poltrona accanto al camino.
Ne aveva abbastanza delle preparazioni per la notte di Natale. L’anno prima era stato perfino coinvolto in una rissa per decidere con quale canzone si sarebbero esibiti durante il pranzo del venticinque dicembre. Il team “Last Christmas”, capeggiato da Thad, stava picchiando il team “Winter Wonderland” di David, quando Sebastian aveva deciso che quello era decisamente troppo e aveva cercato di dividerli, finendo a terra con un occhio nero.
Bah, Usignoli.
«Smythe» esclamò un ragazzo moro dagli occhi azzurri, fermandosi a fissarlo davanti a uno scaffale.
Sbuffando, Sebastian alzò lo sguardo per rispondere al saluto.
«Ciao, hem, Spencer» disse, confuso, tornando ad osservare gli articoli sul ripiano di fronte a lui.
«Thomas» lo corresse il ragazzo, alzando un sopracciglio.
«Scusa, mi sono confuso» disse Sebastian con voce melliflua, cercando di ricordare se Thomas fosse il ragazzo che aveva conosciuto allo Scandals tre settimane prima o se fosse il commesso del Lima Bean a cui aveva allietato un sabato sera. Non faceva differenza, in fondo: erano tutti uguali, tutti insulsi, tutti banali, tutti diversi da Thad.
«Se vuoi possiamo vederci, un giorno di questi» buttò lì Thomas, ammiccando e gettando un’occhiata maliziosa agli articoli che stava osservando Sebastian.
«Non penso sia il caso» tagliò corto l’Usignolo, afferrando un pacco di preservativi dallo scaffale e gettandoli nel carrello. Fece per andarsene, ma Spencer si parò di fronte a lui, impedendogli il passaggio.
«Quindi te ne vai tutto solo per un sexy shop perché….?» chiese, deciso ad ottenere una seconda notte con Sebastian.
«Per qualcuno che non sarai sicuramente tu» gli soffiò il ragazzo con aria di sfida, prima di allontanarsi definitivamente, lasciandosi l’altro alle spalle.
Scivolò con eleganza tra gli scaffali, osservando con curiosità gli oggetti esposti, cercando qualcosa di particolare e originale.
Non c’era posto migliore di un sexy shop per prepararsi alla notte di Natale.


L’orologio della Dalton segnava le quattro in punto, quando Sebastian varcò il portone principale; con il fiato corto corse verso la sala comune, cercando contemporaneamente di sciogliere il nodo della sciarpa che gli dava un fastidioso prurito al collo.
Gli Usignoli, ad eccezione di Nick che era sparito quella mattina senza lasciare indicazioni, avevano deciso di prendere il tè tutti insieme, prima di uscire per completare le ultime compere per il giorno seguente.
«Sono qui» boccheggiò Sebastian, trovandosi di fronte gli altri ragazzi, completamente in silenzio. Appoggiò la busta dei suoi acquisti molto poco natalizi su una poltrona e si avvicinò agli altri, mentre Jeff, con un’ingenuità impressionante, aprì la busta per controllare cosa ci fosse all’interno. L’urlo che cacciò fece sobbalzare il gatto di Hunter, che fino a un minuto prima era acciambellato sulle gambe del padrone, di fronte al fuoco.
«Sterling, hai spaventato Mr. Pussy» dichiarò Hunter, profondamente irritato, alzandosi per recuperare la povera bestia.
«Non me ne importa un fico secco di quell’animalaccio!» esclamò Jeff, sventolando un paio di manette che aveva estratto dalla busta. «Queste cosa sono esattamente?»
«Secondo te?» gli rispose ironicamente David, ridacchiando. Si avvicinò al biondo e gli strappò di mano le manette.
«Il tuo spirito natalizio è impressionante, Smythe» commentò, sogghignando.
«Lo so» gongolò Sebastian, ignorando gli sguardi sconvolti di Jeff e Hunter.
«Non puoi passare il Natale a scopare con uno sconosciuto!» si lamentò Jeff, stendendo una tovaglia rossa sul tavolo al centro della sala comune.
«Perché no? E’ divertente!» cercò di difendersi Sebastian, osservando il biondo piegare con cura dei tovaglioli e disporsi sul tavolo.
«E’ tristissimo» lo corresse Trent, spalleggiando Jeff e sistemando i cucchiaini su ciascun tovagliolo. Era ancora arrabbiato con David, ma ancora di più lo era con Hunter che, sfinito dal litigio tra i due, aveva afferrato entrambi i centrotavola e li aveva gettati nel camino.
Quando furono disposte anche le tazze da tè, gli Usignoli si sedettero, continuando a dibattere sugli acquisti di Sebastian.
«Sei veramente la persona più oscena che conosco» disse Jeff, versando un cucchiaino di zucchero nella sua tazza e ripensando a quelle terribili manette che aveva estratto.
«Ognuno si prepara al Natale come può» ribatté Sebastian, ridacchiando.
«Lascialo vivere, dai!» disse David, comprensivo, ridendo. «Sappiamo tutti che Seb in realtà è un romanticone!»
«Come no» commentò Hunter, ripensando all’episodio del vischio e mordendosi un labbro, pensieroso. Si aspettava una battutina maliziosa da parte di Sebastian, ma questa non arrivò. Sembrava che il ragazzo avesse deciso di mantenere davvero la promessa di non raccontare a nessuno ciò che era successo in quella famosa aula.
«Quello che ho visto in quella busta era tutto tranne che romantico» commentò Jeff, rosso in viso.
«Ah Seb, dato che siamo in tema, non ci hai ancora detto cosa è successo quando sei sparito con Thad, in montagna» gli ricordò David, ridacchiando.
«Lascerò la risposta alla tua immaginazione» disse Sebastian, con un occhiolino, fingendosi spavaldo. In realtà, quando udì il nome di Thad, avvertì un groppo alla gola crescere rapidamente.
Hunter sorseggiò il tè rumorosamente, facendo ridere gli altri Usignoli e distraendoli dal discorso. Sebastian gliene fu grato: sapeva che lui e Jeff erano gli unici ad aver veramente capito quando Thad contasse per lui.
«Quindi voi non ci darete dentro, a Natale?» chiese Sebastian, scettico.
Trent, senza scomporsi, affermò che non aveva nessuno con cui divertirsi e che, se anche avesse avuto una ragazza, di certo non avrebbe passato il Natale a copulare in giro.  
«Sì, sì, come no!» esclamò Sebastian, osservando Jeff diventare completamente rosso. «E tu e Nick, invece, a che punto state?»
Il biondo per poco non si strozzò con il tè che stava sorseggiando e David fu costretto a dargli delle pesanti pacche sulla schiena per farlo riprendere.
«Stiamo insieme da pochissimo!» si lamentò Jeff, quando ebbe riacquistato il controllo di sé.
«Cosa c’entra, io faccio sesso con la gente anche senza esserci fidanzato» gli ricordò Sebastian, sorseggiando il suo tè come se stesse parlando del tempo.
«Tu sei una persona orribile» esclamò Jeff, desiderando di affogare nella sua tazza. «Ci andiamo ancora molto cauti e…»
«Che noia!» sbottò Sebastian, interrompendo quello che sarebbe stato sicuramente un discorso pieno di sentimenti e cose simili. «E tu, Clarington?»
Hunter si mostrò impassibile, continuando a concentrarsi sul suo tè. Dopo alcuni istanti di silenzio alzò gli occhi e fissò quelli di Sebastian.
«Aspetto che qualcuno mi scaldi il Natale» disse lentamente.
Jeff chiuse gli occhi, tappandosi le orecchie con le mani, mentre gli Usignoli esplosero in una risata fragorosa.
«Amico, stare troppo vicino a Smythe ti fa male!»
«Vedi come cresce bene, il ragazzo?» ghignò Sebastian, osservando attentamente Hunter. Avrebbe giurato di aver visto un sorriso sulle labbra del ragazzo.


Nick entrò nella sala comune solo alle nove e mezzo di sera, ma non trovò nessuno. Si diresse verso le scale che portavano alle camere, ma anche lì gli altri ragazzi sembravano essere spariti. Probabilmente erano scesi tutti per la cena.
Entrò nella sua stanza e qui trovò Jeff accoccolato sotto le coperte con un paio di occhiali sul naso, intento a leggere un libro.
«Ciao» lo salutò a malapena, senza distogliere gli occhi dalle pagine.
«Cos’è questa freddezza?» chiese Nick, posandogli un bacio tra i capelli e posando la borsa a terra.
«E’ quello che dovrei dire io» ribatté Jeff, chiudendo il volume con uno schiocco secco e gettando gli occhiali sul comodino.
«Guardami» mormorò Nick, sedendosi sul letto accanto a lui; prese il suo viso tra le dita e lo alzò, costringendolo ad incrociare lo sguardo col suo. «Dimmi cos’è successo.»
«Te ne sei andato stamattina lasciandomi solo un bigliettino» mormorò Jeff, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. «Non sei tornato per pranzo, né per il tè, non hai risposto a tutti i miei messaggi e ora torni qua, in camera, come se nulla fosse!»
«Si era scaricato il cellulare» mormorò Nick, avvertendo i sensi di colpa attanagliargli lo stomaco. «Mi dispiace, tesoro, ero andato da mia madre e poi a comprare delle cose e…»
«Cosa hai detto?» esclamò Jeff, gli occhi lucidi animati da uno strano luccichio.
«Ho detto che sono andato a…»
«No, non quello» disse Jeff, sedendosi sul bordo del letto e mordendosi le labbra, visibilmente emozionato. «Come mi hai chiamato….»
«Oh» arrossì Nick, rendendosi conto solo in quel momento di ciò che aveva detto «Mi dispiace, mi è uscito così, senza pensarci.»
«E di che ti scusi» sussurrò Jeff, gettandogli le braccia al collo e stringendolo a sé con entusiasmo. «Mi piace, se mi chiami così.»
Nick si limitò a sorridere, troppo imbarazzato per dire qualsiasi cosa.
«Dove sono tutti?» chiese infine, quando l’altro sciolse l’abbraccio.
«Oh, Sebastian è sparito prima di cena e sinceramente non voglio sapere cosa sta facendo in questo momento. Hunter è in camera sua, credo, mentre tutti gli altri sono usciti a prendere una cioccolata calda. David ha quasi fatto un occhio nero a Trent per il centrotavola e…»
«Oh cielo, devo preoccuparmi? Stanno tutti bene?»
«Sì, te l’ho detto, sono andati a prendere una cioccolata per calmare gli spiriti» rise Jeff, posando un bacio sulle labbra di Nick.
«E tu perché non sei andato?»
«Volevo aspettare te» mormorò il biondo, arrossendo. «Sai, passare la notte di Natale insieme e tutte queste cose…. Prepararci, insomma.»
Nick rise abbracciando Jeff e baciandolo con slancio. «Sono così felice che tu sia il mio ragazzo» disse, guardandolo negli occhi.
«Ti va di andare in sala comune?» chiese il biondo, con un sorriso.
«Per fare cosa?» chiese Nick, che in realtà avrebbe preferito stendersi nel letto insieme all’altro.
«Vorrei provare una cosa.»

-

Alle nove Sebastian scivolò in camera sua, per prepararsi. Se avesse seguito scrupolosamente la sua tabella di marcia, avrebbe passato la mezzanotte nel letto di qualcuno.
Tutto si aspettava, tranne di trovare Hunter seduto sul suo letto, le gambe accavallate.
«Allora ti è piaciuto sotto il vischio eh, Clarington?» esclamò Sebastian, incurvando le labbra in un ghigno. «Sei venuto a chiedere il bis?»
«Chi credi di rimorchiare, con quel maglione osceno?» gli rispose il ragazzo, fissando la stoffa scura tesa sul corpo snello dell’altro.
«Ero giusto venuto per cambiarmi» spiegò Sebastian, ammiccando «quindi penso che continuerò, come se non fossi qui.»
Lentamente, con quel sorriso maligno che lo accompagnava ogni qualvolta decideva di provocare qualcuno, cominciò a sfilarsi il maglione, senza perdersi lo show della faccia di Hunter, di fronte a lui. Il ragazzo lo guardava rapito, gli occhi che indugiavano sugli addominali di Sebastian.
«Vuoi scherzare?» esclamò questo, lasciando perdere il suo intento e guardando Hunter con gli occhi sgranati. «Ti piace davvero quello che vedi?»
«Sta zitto» ringhiò Hunter distogliendo lo sguardo dal corpo nudo dell’altro e concentrandosi sulla fantasia della coperta sopra la quale era seduto.
«Clarington sei gay o…?»
«No!» esclamò Hunter, lanciandogli il cuscino con rabbia.
Sebastian lo afferrò, alzando un sopracciglio. C’era qualcosa, in quella discussione, che non riusciva ad afferrare.  
«Allora vediamo di capirci qualcosa, amico….»
«Sei tu!» urlò Hunter con rabbia, guardando deciso verso la coperta e indicando vagamente gli addominali di Sebastian che, per tutta risposta spalancò la bocca in un’espressione sorpresa.
«Io?» ripeté, incredulo.
«Tu e quel dannato vischio!» continuò Hunter, arrossendo improvvisamente «Non avresti dovuto, non…»
«Ah!» esclamò l’altro, con un lampo di trionfo negli occhi verdi «Te l’ho detto che le mie abilità di oratore ti avrebbero fatto cambiare idea!»
«Smythe, non c’è niente da ridere! E non ho cambiato nulla, è solo che non riesco a smettere di pensarci quando mi stai vicino e….»
«Neanche lontanamente bi-curioso un cazzo!» continuò Sebastian, lottando contro sé stesso per non scoppiare a ridere.
Hunter serrò gli occhi, concentrandosi su ogni grammo di pazienza che aveva in corpo.
«Smettila» sussurrò con forza «non sono gay, né mai lo sarò, sono solo…»
«Curioso» completò Sebastian, con un ghigno. Ma quando vide l’espressione disperata sul viso di Hunter, smise di sorridere. Per un momento ricordò di quando, a tredici anni, aveva provato quella curiosità per Pierre. E poi per Dominic, per André, per Antoine….
«Ok, senti, è normale» disse, comprensivo, infilandosi nuovamente il maglione e sedendosi accanto ad Hunter, che teneva il volto seppellito tra le mani.
«No, non è normale, non ho mai….non mi è mai successo.»
«E’ comprensibile che ti sia successo ora con me, guarda come sono bello!» cercò di scherzare Sebastian, passando un braccio attorno a Hunter.
Questo sbuffò, ridendo nervosamente.
«Non sono gay e non ti implorerò di fare sesso con me come una principessa» precisò poi, guardandolo di sottecchi.
«Lo so» ridacchiò Sebastian, battendogli una mano sulle schiena. «Puoi solo provarci.»
«Quindi te ne andrai in uno di quei locali gay che si vedono nei telefilm e finirai nel bagno con il primo ubriaco che trovi?» si informò Hunter, con un sorriso indecifrabile.
«Dici che è troppo triste?» scherzò Sebastian, passandosi una mano tra i capelli.
«Cambia programma amico, lo dico per te.»
«Cosa proponi, Clarington? Se vuoi ripetere il vischio, ci sto, ma questa volta facciamo cambio!» ridacchiò Sebastian, evitando per un pelo un pugno di Hunter. «Hey, siamo un po’ permalosi qui!»
«Sai benissimo dove dovresti essere ora» disse Hunter, alzandosi dal letto e incrociando le braccia al petto con un insopportabile sguardo saccente.
«Allo Scandals?» propose Sebastian, con una scrollata di spalle.
Hunter alzò gli occhi al cielo.
«Sebastian, a Natale succedono molte cose strane. Questa sera avevi programmato di trovarti uno sconosciuto e riversare i tuoi ormoni su di lui e invece eccoti qui, con quello sguardo da cretino che ti ritrovi. Io mi ero riproposto di andare ad una festa e trovarmi una bella ragazza e invece eccomi qui, a parlare con un imbecille della mia eterosessualità turbata.»
«Senti, se stai per farmi un discorso filosofico, ti avviso di tagliare corto, perché se questa notte dovrò passarla qui in camera mia, tra dieci minuti iniziano le repliche di Grey’s Anatomy e non voglio perdermele.»
«Niente tv per te, stasera!» esclamò Hunter, irritato dal comportamento frivolo dell’amico. «Prendi la tua cazzo di macchina e fila da Thad.»
Sebastian lo fissò a lungo, chiedendosi se quello fosse uno scherzo. Aprì e chiuse la bocca parecchie volte, cercando qualcosa di intelligente da ribattere, ma non lo trovò.
«Hunter, sai che non sono fatto per una relazione…» provò a spiegare, senza troppa convinzione.
«Io non sono fatto per sentire stronzate, eppure eccomi qui!» esclamò l’altro, alzando un sopracciglio. «E’ Natale, succedono cose strane stanotte.»
Girò sui tacchi e si diresse verso la porta, con un sorriso tirato.
«Io non merito Thad» disse Sebastian, fissando la sua schiena. Hunter si fermò, la mano sulla maniglia; lentamente si girò, fissando l’amico con sguardo grave.
«Non meriti neanche di passare la vita buttandoti via così.»
Con mille pensieri confusi nella mente, Sebastian lo guardò sparire dietro la porta.

Scesero le scale in silenzio, mano nella mano. Non c’era bisogno di parlare, sapevano entrambi che stava per succedere qualcosa di grande ed importante. In fondo era la notte di Natale, quella.
Il camino era acceso e un cd di canzoni natalizie, nello stereo, rendeva l’atmosfera magica e meravigliosa.   
«Gattaccio, via da lì!» esclamò Nick, calciando Mr. Pussy e maledicendo Hunter.
«Non trattarlo così!» esclamò proprio Hunter, spuntando alle loro spalle, facendoli sobbalzare per lo spavento.
«Che ci fai qui?» chiese Jeff, piuttosto irritato, guardando sospettoso il ragazzo.
«Ero venuto a recuperare Mr. Pussy e poi pensavo di andare a letto» spiegò Hunter, acchiappando il gatto e stringendolo a sé.
«Buona notte e buon Natale, ragazzi» si congedò, prima di salire le scale, diretto verso le camere.
Guardarono il punto in cui era sparito finché non furono certi di essere soli.
«Vieni con me sul divano?» chiese Nick, alzandosi appena sulle punte dei piedi per baciare Jeff.
«Mh» mugolò questo, passando le dita tra i capelli scuri dell’altro.
Senza staccarsi, indietreggiarono a fatica verso il divano, inciampando sui loro stessi piedi. Si lasciarono cadere sui cuscini morbidi, continuando a baciarsi con foga e di tanto in tanto staccandosi per guardarsi e sorridere silenziosamente, consapevoli di quello che stava per accadere. Si sistemarono, Nick con la schiena contro il divano, Jeff disteso sopra di lui, le mani sotto la testa dell’altro. Una lacrima scese sul viso del biondo, una lacrima di gioia che però allarmò Nick.
«Jeff, non voglio fare nulla che tu non voglia fare» disse, serio in volto, accarezzando il viso del suo ragazzo.
«Sono felice» mormorò Jeff, senza smettere di guardare l’altro negli occhi. «Sono felice dopo tanto tempo, Nick.»
Senza fiato per l’emozione, il moro alzò la testa per unire le sue labbra a quelle del ragazzo. Facendo pressione sulle braccia, si mise a sedere con la schiena contro il divano mentre Jeff fece scivolare le sue gambe, in modo da ritrovarsi a cavalcioni sopra di lui. Nick lo guardò con dolcezza, mentre gli sfilò il maglione lentamente, controllando ogni sua reazione. Jeff lo aiutò, alzando le braccia e quando si ritrovò a petto nudo, si strinse contro il moro con un pizzico di vergogna.
«Non mi guardare così» cercò di sdrammatizzare, arrossendo con un sorriso.
«Sei meraviglioso» sussurrò Nick, serio, passando delicatamente l’indice sugli addominali poco definiti e poi risalendo lungo il petto, fino al collo. Qui, lasciò dei baci umidi, dapprima lentamente, poi sempre più con foga, facendo gemere Jeff, sopra di lui, che strinse le unghie sul suo maglione. Nick afferrò i lembi e se lo sfilò, premendo la sua pelle calda contro quella di Jeff; il ragazzo, a quella vista, deglutì e riprese a baciare il moro, scendendo fino all’incavo del collo e mordendogli maliziosamente un lobo.
«Desidero questo momento da sempre» mormorò, chiudendo gli occhi e beandosi delle mani di Nick che scendevano lentamente lungo la schiena, provocandogli dei brividi di piacere. Non li riaprì neanche quando sentì il rumore della sua cintura che veniva slacciata, né quando, non senza difficoltà, i suoi pantaloni finirono a terra, lasciandogli le cosce nude strette intorno alla vita di Nick. Si guardarono per un istante, prima che le sue mani corressero fino ai pantaloni del moro. Aprì un bottone dietro l’altro e, facendo leva sulle ginocchia, fece scivolare via anche  i suoi pantaloni. Cominciò a  muoversi sopra di lui, avvertendo l’eccitazione dell’altro premere contro la sua. Si morse il labbro inferiore, soffocando un gemito, quando sentì le unghie di Nick graffiargli la pelle, mentre si sporgeva per sussurrargli parole sconnesse all’orecchio.
«Jeff, ti prego» mormorò il moro, baciandogli il collo e aggrappandosi alla sua schiena nuda.
Affondando il viso tra i capelli scuri di Nick, Jeff afferrò l’elastico dei boxer e lo tirò giù. Ben presto anche quelli di Nick raggiunsero i suoi, sul pavimento. Rimasero per qualche minuto a guardarsi, senza fiato, l’uno ancora sopra l’altro; non parlarono, non ne avevano bisogno. Le mani di Nick vagavano sulla schiena candida dell’altro che, a cavalcioni sopra di lui, lo guardava come se lo vedesse per la prima volta in vita sua.
«Ti amo» mormorò con semplicità, passando l’indice su un neo del collo di Nick.
Il moro socchiuse gli occhi, sorridendo emozionato: non si era mai sentito così a nudo di fronte a un altro essere umano. Prese lentamente il polso di Jeff e lo portò alle labbra, lasciando dei piccoli baci umidi.
«Andrà bene» mormorò Nick, facendolo scendere da sopra di sé e aiutandolo a stendersi sotto di lui, a pancia in giù. «Siamo pronti.»
«Dammi la mano» mormorò Jeff, intrecciando le dita con quelle del ragazzo.
Gli occhi di Nick caddero su una busta di plastica, dimenticata sopra una sedia.
«Cos’è quella?» chiese, posando un bacio tra i capelli biondi di Jeff.
«Oh, potrebbe servirci» rise il ragazzo, socchiudendo gli occhi e stringendo la mano di Nick.
Sarebbe stata una notte di Natale veramente speciale.

-


Non gli importava del limite di velocità, lo aveva superato da un pezzo. Non gli importava neanche degli occhi gonfi a causa del pianto, né del vento  che entrava dal finestrino, scompigliandogli i capelli di solito impeccabili. Sapeva che Thad non ci avrebbe fatto neanche caso, sapeva che non sarebbe stato il suo aspetto a contare, per una volta.
Il cellulare squillò, ma Sebastian non ci badò, continuando a guidare e premendo al massimo l’acceleratore.
Guidava da un’ora e ormai non doveva mancare molto: la cittadina dove si era trasferito Thad non era lontanissima da Westerville. Prese l’agenda che aveva buttato sul sedile accanto a lui e la aprì alla prima pagina, tenendo il volante con una sola mano. L’indirizzo era scritto lì, con inchiostro nero. Era stato lo stesso Thad a scriverlo, a dire il vero.
«Andrà tutto bene» mormorò Sebastian, le lacrime agli occhi.
Chiuse il finestrino e imboccò una stradina, rallentando. Doveva essere lì, da qualche parte.
«12, 14, 16…» contò i numeri civici, proseguendo lentamente «22!»
Inchiodò davanti alla casa, lasciando la macchina pressoché in mezzo alla strada. Non gli importava neanche di quello.
Scavalcò il basso cancello e corse a suonare il campanello. In una giornata normale, avrebbe suonato una volta educatamente, ma quella era la notte di Natale: Sebastian premette il bottone all’infinito, tremando per l’emozione. Sentì un urlo provenire dalla casa e solo allora smise di suonare. La porta si aprì e di fronte a lui si parò proprio Thad, i piedi nudi, con indosso un pigiama e i capelli scompigliati. Lo aveva palesemente svegliato.
«Chi cazzo è?» chiese il ragazzo, stropicciandosi gli occhi. Ma quando realizzò che quello di fronte a lui era veramente Sebastian, cacciò un urlo e lo afferrò per la giacca, trascinandolo dentro casa. L’Usignolo riuscì ad intravedere un camino spento e un albero di Natale, prima di essere spinto sul divano; Thad si distese un secondo dopo, sopra di lui, baciandolo con passione e intrecciando le dita tra i suoi capelli.
«Ma i tuoi genitori dove sono?» chiese Sebastian, molti minuti dopo, staccandosi di malavoglia.
«Alla messa» borbottò Thad, alzandosi e sistemandosi il pigiama. Sebastian lo imitò e i due si ritrovarono l’uno davanti all’altro, guardandosi negli occhi.
«Non pensavo saresti venuto» disse infine l’ex Usignolo.
«Neanche io» ammise Sebastian, sorridendo.
«Allora perché sei qui?» chiese Thad, avvicinandosi e passando una mano dietro la schiena dell’altro.
«Perché ti…» le parole gli morirono in gola. Non ce l’avrebbe fatta. Non così in fretta. Non tutto insieme.
Ma a Thad quello bastò: gettò le braccia al collo di Sebastian e lo baciò dolcemente, senza smettere di sorridere. Fu solo quando gli accarezzò la guancia, che avvertì le lacrime fredde dell’altro sotto le dita.
«Sei qui, Seb, sei qui e andrà tutto bene» mormorò, prendendogli il volto tra le mani e posando dei piccoli baci sulle sue labbra.
«E’ tutto il giorno che mi preparo a questa notte» mormorò l’Usignolo «Sai, lo stile Smythe.»
Thad scoppiò in una risata nervosa e Sebastian si sciolse in un sorriso.
«Intendi dire che hai svaligiato un sexy shop?» chiese, alzando un sopracciglio.
«Più o meno. Ognuno si prepara alla sua maniera» ribatté Sebastian, con un’espressione innocente. «Ma stasera ho capito che l’unica cosa che volevo fare, questa sera, era stare con te.»
Thad lo strinse a sé, felice.
«Non ho ancora finito di impacchettare i regali per domani» gli sussurrò in un orecchio «Ti va di aiutarmi?»
Sebastian sorrise e annuì, lasciandosi prendere per mano. Era tutto perfetto.

Da lontano, le campane suonarono la mezzanotte.
I due ragazzi, umidi per il sudore, si abbracciarono più forte, distesi su quel divano.
«Buon Natale, tesoro» mormorò Nick, posando un bacio sui capelli biondi dell’altro.
«Buon Natale» rispose Jeff, appoggiando la testa sul petto nudo del ragazzo. Le loro dita erano intrecciate, posate sulla pancia di Nick.  
«Devo dire che ci siamo preparati in maniera originale a questa notte» disse il moro, soffocando una risatina.
«E’ sempre piacevole rompere la routine. Impacchettare i regali o bere cioccolata calda sarebbe stato troppo banale.»
«E’ stato magico anche così» sussurrò Nick, baciando il collo dell’altro, scansando i capelli umidi con una mano.
«Giuro che non giudicherò più Sebastian» mormorò Jeff, con una risatina.
«Dobbiamo anche ringraziarlo per quella busta» ribatté Nick, soddisfatto. «Non riuscirò più a guardare questo divano senza scoppiare a ridere, comunque.»
«Ti immagini quando gli altri ci si siederanno sopra, ignari di tutto?»
«Oh sì, ma tu vuoi scommettere sul numero di volte in cui ti sei seduto su qualcosa dove Sebastian ci aveva precedentemente sbattuto l’uc-»
«Nick!» urlò Jeff, arrossendo vistosamente e stringendosi contro di lui.
«E poi anche lui si starà godendo la notte di Natale, credi a me» esclamo Nick con l’aria di chi sapeva il fatto suo.
«Sì anche lui starà provando cose nuove» ridacchio Jeff, baciandolo, felice.
«Gli altri arriveranno a momenti, sarà meglio rivestirci» mormorò il moro, alzandosi piano a sedere e spostando la testa di Jeff.
Tenendosi per mano, raccolsero i vestiti e cominciarono a salire le scale parlando a bassa voce per non attirare l’attenzione di Hunter.
In una cittadina neanche troppo lontana, dopo tanto tempo, un altro Usignolo stava facendo i conti con i suoi sentimenti.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Raise up cups of Christmas cheer! ***



Per la Warblers Week:


Lunedì 24 dicembre
Mezzanotte.
 
Rating: Verde
 
Raise up cups of Christmas cheer!
 
Dicembre 2022;


La notte tra il ventiquattro e il venticinque dicembre era particolarmente amata, alla Dalton. I ragazzi che rimanevano a scuola, infatti, erano soliti trascorrerla insieme in sala comune, davanti al camino, aspettando la mezzanotte con impazienza.
E quando in lontananza si sentivano le campane e l’orologio della Dalton batteva dodici rintocchi, gli Usignoli intonavano una canzone natalizia e i loro compagni li guardavano, affascinati, scambiandosi auguri ed abbracci.
«Cosa fai?» chiese Nick, accarezzando i capelli di Jeff, osservando lo schermo del pc su cui il biondo stava lavorando.
«Scrivo una mail di risposta a David» rispose, sistemandosi gli occhiali da vista sul naso all’insù e digitando qualche parola sulla tastiera.
«Che dice?»
«Chiede se abbiamo voglia di andare da Blaine, stasera» mormorò, cancellando una frase, con indecisione.
Nick sorrise per la piacevole notizia; aveva davvero voglia di rivedere gli altri Usignoli, dal momento che gli unici con cui  erano rimasti in contatto erano Trent e David.
«Possiamo portare Taylor?»
«Certo!» esclamò Jeff, sorridendo e alzando la testa per baciare dolcemente l’altro.
Nick strinse le labbra. Jeff era meraviglioso, anche con indosso una semplice tuta e con le occhiaie dovute a una giornata lavorativa piuttosto impegnata. Ma soprattutto, quello che amava di più, era il fatto che Jeff non era assolutamente consapevole di ciò che provocava in lui.
«Mi aiuti con Taylor, quando hai fatto?» chiese Nick, posando un bacio sulla guancia del marito.
Il nome della figlia risvegliò completamente l’attenzione di Jeff che lasciò perdere all’istante il computer e cominciò a guardarsi intorno per tutta la sala, cercando la piccola.
«Dov’è, dov’è Taylor? Era qua un attimo fa, stava giocando con un pupazzo…»
«Jeff, calmati» soffiò Nick divertito, passandogli un braccio sulla schiena. «La nostra cucciola è in camera, sta preparando la sua calza per stanotte.»
Jeff versione papà preoccupato era qualcosa a cui Nick doveva ancora abituarsi, nonostante avessero avuto la piccola tre anni prima. Ricordava ancora il sorriso emozionato che era apparso sul volto di suo marito quando aveva visto la figlia per la prima volta, un sorriso così simile a quello che aveva sfoggiato dopo il loro primo bacio.
Ma la parte più divertente era stata scegliere il nome. Erano stati subito d’accordo su “Taylor”, ma per ragioni profondamente diverse: Nick voleva rendere omaggio alla bellezza della grande Elizabeth Taylor, Jeff semplicemente agli addominali di Taylor Lautner.
«Non puoi chiamare tua figlia con il nome di un tizio che ti arrapa» aveva esclamato Nick, a dir poco sconvolto.
«A ognuno i propri gusti!» si era difeso Jeff, soffocando a stento una risatina. Amava mettere in difficoltà il marito con quelle trovate e godersi la sua faccia stupefatta.
«Ok, ma se ci chiede perché l’abbiamo chiamata così, parlo io» aveva acconsentito infine Nick, incrociando le braccia al petto con quel broncio adorabile a cui Jeff non sapeva dire di no.
Si era avvicinato a lui, abbracciandolo e baciandogli una tempia.
«Se è maschio lo posso chiamare Goku, vero?»
Nick aveva evitato accuratamente di rispondere.
-
 
«Smuovi quel culo e aiutami» borbottò Thad, aprendo uno scatolone e rovistando dentro, alla ricerca di qualche addobbo meno impolverato degli altri.
Era una situazione seriamente imbarazzante. Lui che amava il Natale alla follia, lui che avvertiva lo spirito natalizio ancora prima di Halloween, ancora non aveva addobbato l’abete.
L’albero, imponente e maestoso come quello della Dalton, faceva mostra di sé in mezzo alla sala, proprio dietro alla tavola dove avrebbero consumato il pranzo di Natale. I rami verdi, spogli di luci e decorazioni, gli ricordavano quegli occhi che tanto amava, le iridi del suo compagno scansafatiche che, una tazza di cioccolata in mano, era troppo impegnato a guardare la tv per aiutarlo.
«Sebastian, vieni qua o niente sesso natalizio» lo minacciò Thad, lanciandogli un festone.
«Che palle» borbottò l’altro, afferrando il telecomando e spegnendo la televisione. Si alzò di malavoglia dal divano e poggiò la cioccolata sul tavolo, guardando Thad con un sopracciglio alzato.
«Chi se ne frega se l’albero non è addobbato, chi deve vederlo?» chiese, facendo spallucce.
Thad lo guardò come se avesse appena detto qualcosa di molto volgare di fronte a un bambino; successivamente, decise di ignorare quella sua affermazione e di passargli silenziosamente le decorazioni per l’albero.
«Con questa cosa oscena che ci faccio?» chiese Sebastian, sventolando un festone particolarmente polveroso.
«Buttalo» convenne Thad, ridendo. Non riusciva a tenergli il broncio per più di qualche minuto. Sebastian gettò il festone a terra e si accoccolò sul pavimento, accanto all’altro.
«Vieni con me, Thad?» mormorò suadente, lasciandogli dei piccoli baci sul collo e passandogli le dita tra i capelli, lentamente.
«Mh» mormorò Thad, cercando di rimanere concentrato sul suo abete.
«Dai, chi se ne frega di tutto questo ciarpame, vieni di là con me» insistette, infilando una mano sotto la felpa di Thad che, a contatto con la pelle fresca di Sebastian, rabbrividì.
«Non mi compri così, Smythe» borbottò, scansando le dita del compagno e appendendo una pallina colorata all’albero.
Sebastian sbuffò, ma tornò subito a sorridere, lasciando un bacio tra i capelli di Thad.
«Dai, passami quelle lucine» mormorò, rassegnato.
Gli occhi di Thad si illuminarono, quando Sebastian le sistemò con cura tra i lunghi rami, ma la magia non durò a lungo.
«Il telefono!» esclamò Sebastian, quando riconobbe la sua suoneria provenire dalla camera dei due. Con un sorrisetto di scuse si precipitò a rispondere, ma mai si sarebbe sognato di trovare quel nome, sullo schermo. Premette il tasto di risposta, con il cuore che gli martellava nel petto.
«Pronto, Blaine?»
 
-
 
«Amore, il tuo cellulare sta squillando da dieci minuti» esclamò una donna graziosa, con i capelli biondi raccolti con cura in una coda di cavallo.
Per tutta la casa si espandeva il delizioso odore dell’arrosto che Hanna aveva cucinato quel pomeriggio; sapeva quanto suo marito amasse tornare a casa dopo il lavoro e trovare la cena già pronta. Di certo era già di per sé una tortura dover lavorare il ventiquattro dicembre, ma purtroppo il lavoro dell’uomo non aveva orari ben precisi e così era stato costretto a passare anche la Vigilia tra le quattro mura del suo ufficio.
Hunter tirò lo sciacquone e si lavò accuratamente le mani sotto l’acqua fredda. Non amava essere disturbato, tanto meno la Vigilia di Natale; non osava immaginare chi potesse chiamarlo in quel giorno speciale e pregò che non si trattasse del suo datore di lavoro, con cui aveva litigato giusto quel pomeriggio.
«Arrivo, Hanna, grazie!» esclamò, uscendo velocemente dal bagno.
Sua moglie era davanti alla porta e gli porgeva il cellulare, con un sopracciglio alzato.
«Un certo Seb non vuole proprio arrendersi» dichiarò, sventolando l’apparecchio telefonico. Il cuore di Hunter fece una capriola, quando lesse quel nome sullo schermo graffiato. Cosa poteva volere da lui Smythe, dopo tutti quegli anni? Dopo il diploma si erano completamente persi di vista. Mentre Hunter aveva partecipato alle rimpatriate che gli Usignoli avevano organizzato nei successivi due anni, Sebastian non si era mai fatto vivo, con sommo dispiacere di Hunter che in lui aveva trovato un vero e proprio amico. Quando pensava a lui, lo immaginava in Francia, a fumare una sigaretta sotto la Torre Eiffel o a provarci con qualche ragazzo, con il suo fascino da uomo sicuro di sé.
Presumibilmente, invece, Sebastian viveva solo a pochi chilometri da lui, probabilmente con Thad, in una bella casa; chissà se stavano ancora insieme. Forse aveva un lavoro stressante come quello di Hunter, forse aveva un bambino.
Hunter rise tra sé e sé, immaginando Sebastian alle prese con un pannolino e accarezzò con un sorriso lo schermo del cellulare dove, sotto le chiamate perse, compariva quel “Seb” memorizzato dieci anni prima. Quanti sogni aveva dedicato a Sebastian, a diciotto anni; si era trattata di una cotta, di un’eccezione che tuttavia aveva lasciato il segno in Hunter.
Il cellulare vibrò nuovamente e ancora una volta sullo schermo apparve quel nome. Prendendo un respiro profondo, sotto gli occhi curiosi di sua moglie Hanna, rispose.  
«Pronto?»
La voce melliflua dall’altra parte del telefono era inconfondibile, esattamente insopportabile come la ricordava. Esattamente attraente come la ricordava.
«Pronto, sto parlando con un neanche lontanamente bi-curioso?» chiese la voce di Sebastian, con una risata.
Le guance di Hunter avvamparono; era come se quei dieci anni non fossero passati, come se fossero ancora quei  due diciottenni che amavano provocarsi in continuazione e improvvisare canzoni in biblioteca. Evitando accuratamente lo sguardo di Hanna, Hunter ridacchiò nervosamente.
«Può darsi» scherzò, sentendo la risata di Sebastian «Tu invece perché mi chiami? Ti sei finalmente beccato la sifilide e devo correre a salvarti?»
«Ah-ah, molto spiritoso» ribatté Sebastian, facendolo ridere.
«Fa un po’ strano sentirti dopo dieci anni» ammise Hunter, allontanandosi dallo sguardo di sua moglie e dirigendosi verso la sua camera. Si sedette sul letto matrimoniale, con un profondo sospiro.
«Lo so» concordò Sebastian e Hunter sentì in sottofondo una seconda voce, ma non riuscì a capire chi fosse.
«Sei con qualcuno?»
«Con Thad che vuole costringermi ad addobbare l’albero» sussurrò Sebastian, evidentemente per non farsi sentire dall’altro.
«Oh, state ancora insieme» sottolineò Hunter, ricordando quanto quei due fossero effettivamente innamorati, l’ultima volta che li aveva visti. Cioè dieci anni prima.
«Certo!» esclamò Sebastian come se l’altro avesse detto una cosa ovvia e per un attimo Hunter si stupì del tono che Sebastian aveva usato. Ricordava bene quale concezione avesse dell’amore, quando aveva diciotto anni.
«Pensavo fossi quello che non era fatto per una relazione.»
«Le cose cambiano» sospirò Sebastian e questa volta Hunter udì distintamente Thad, di sottofondo, minacciarlo.
«Ti ha appena detto che se non vai a fare l’albero, non farete sesso per un mese?» chiese, sdraiandosi sul letto e reprimendo una risata.
«Infatti mi tocca andare» sussurrò Sebastian, scocciato. «Volevo solo dirti che Blaine ci ha invitato a casa sua per aspettare la mezzanotte tutti insieme, stanotte.»
Qualcosa dentro Hunter, si incrinò: avrebbe rivisto tutti i suoi amici entro poche ore, avrebbe rivisto Jeff e la sua stupidità, Nick e la sua dolcezza, David e la sua forza, Sebastian e Thad insieme dopo tutto quel tempo, Trent e la sua pazienza. Avrebbe rivisto anche Wes, che aveva visto solo poche volte. Avrebbe rivisto Blaine, una volta Usignolo, sempre Usignolo.
«Pronto, ci sei?» gli chiese la voce di Sebastian, dal telefono.
«Non vedo l’ora» ammise Hunter, sorridendo.
 
-
 
Trent scivolò sul pavimento del bagno, cadendo a terra con un rumore fragoroso.
Imprecando neanche troppo silenziosamente, cercò di capire il motivo della sua caduta. Non ci mise neanche troppo: le piastrelle erano completamente bagnate e, come se non bastasse, Trent si ritrovò davanti David completamente nudo, appena uscito dalla doccia.
«Eh no, questo è davvero troppo» urlò il povero ragazzo, indicando le parti intime dell’altro e serrando gli occhi per non vederlo in quello stato.
«Trent, se non vuoi vedermi nudo perché entri in bagno mentre faccio la doccia?» si lamentò David con aria annoiata, superando l’amico e recuperando un asciugamano pulito dalla pila che tenevano accanto al lavandino.
«Perché non avevo idea di dove fossi» sbraitò Trent, così infervorato da riaprire gli occhi. «E’ scritto nel nostro contratto da coinquilini che dobbiamo sempre girare vestiti per casa»
«Non sto girando nudo per casa» ribatté David, scaldandosi. Dannato Trent e la sua idea del contratto.
Erano finiti per andare ad abitare insieme, in un piccolo appartamento economico a Lima e dopo dieci anni dalla fine del liceo, nonostante numerosi litigi, erano ancora ottimi amici. Dopo il diploma si erano iscritti alla stessa università e avevano deciso di prendere casa insieme; dopo la laurea entrambi avevano trovato lavoro in quella cittadina, per cui avevano continuato a dividere l’appartamento. Comunque, la vita da coinquilini si era dimostrata subito piuttosto dura. Trent amava la tranquillità, David amava organizzare festini molto rumorosi; Trent amava addormentarsi con la luce accesa, David con il buio più assoluto; Trent amava mangiare cibo salutare, David amava rimpinzarsi di hamburger e patatine. Ma lo scoglio più difficile da superare era stato la questione nudità: Trent non si stancava mai di narrare con quale orrore, una mattina, aveva trovato David completamente nudo, intento ad imburrarsi una fetta di pane tostato, in cucina.
Da lì era partita la “questione contratto”. Si erano ritrovati d’accordo sullo stabilire delle regole per una convivenza civile e, non a caso, il primo punto del documento recitava “Non girare in casa nudi”. La seconda era “Non toccarsi il pistolino nel letto, mentre l’altro dorme”, ma quella era tutta un’altra storia legata a un episodio che aveva costretto Trent a rivolgersi a uno psicologo.
«Comunque, perché sei venuto in bagno?» chiese David, frizionandosi i capelli con un secondo asciugamano.  
«Secondo te?» chiese Trent, alzando gli occhi dal cielo e ricordandosi solo in quel momento del suo estremo bisogno di utilizzare il wc.
David ridacchiò e si ricordò improvvisamente di ciò che avrebbe dovuto dire all’amico un’ora prima.
«Ah senti, Blaine ci ha invitati ad aspettare la mezzanotte da lui» annunciò, infilandosi un paio di mutande con nonchalance.
Trent alzò un sopracciglio: non vedeva né sentiva Blaine da dieci anni.
«Che gli hai risposto?»
«Mi sembra ovvio, gli ho detto di sì» rispose David, guardandolo come se fosse pazzo. «E ho avvertito anche Jeff e Nick, sai?»
«E io cosa mi metto stasera?» esclamò Trent, senza più ascoltare l’amico.
 
-
 
«Pensavo avremmo passato la notte insieme» si lamentò Hanna, sbattendo l’anta dell’armadio con forza. Hunter si morse un labbro, accarezzandole i capelli biondi.
«Tesoro, sono i miei amici… non li vedo da dieci anni.»
«Non potevano aspettare un paio di giorni, prima di rifarsi vivi?» esclamò la donna, tirando un maglione sul letto.
Hunter scrollò le spalle, non sapendo cosa ribattere.
«Dove vai ora?» le chiese, osservando Hanna infilare il maglione.
«Da Rose, per lo meno lei non mi lascerà sola la notte di Natale» soffiò lei, scansando una carezza di Hunter.
«Hanna per favore, è Natale» cercò di farla ragionare «Non voglio litigare con te»
«Probabilmente Seb è più importante di me, allora» ribatté lei, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Hunter impiegò dieci minuti per decidere cosa fare. Aveva due strade: rincorrere sua moglie e passare il Natale con lei o prendere la macchina e guidare fino a Lima.
Cinque minuti dopo, Hunter stringeva nervosamente il volante di pelle tra le mani. Rise fragorosamente, una risata liberatoria, una risata rilassante. Avrebbe rivisto Sebastian dopo dieci anni.
 
-
 
«Papi, metti su la canzoncina della giraffa?» chiese la piccola Taylor, battendo le manine, contenta.
Nick, alla guida dell’auto, si sciolse in un sorriso e infilò il disco preferito di sua figlia nel lettore cd. Non appena le prime note della canzone cominciarono a risuonare nell’auto, Taylor iniziò a ridere, canticchiando e storpiando le parole. Nick scoppiò a ridere e si unì alla figlia, cantando le eroiche gesta della giraffa a squarciagola. Nel vedere suo marito scomporsi in quel modo, Jeff soffocò una risata e agitò le braccia come un direttore di orchestra.
«Papà, canti con me e papi?» lo implorò Taylor, divertita dai suoi due papà.
«Certo!» acconsentì Jeff, che non aspettava altro, unendosi al coro e accarezzando la mano di Nick, posata sulla leva del cambio.
«Ti amo» sussurrò, smettendo per un attimo di cantare e strappando un sorriso a Nick, che lo guardò, profondamente innamorato.
Quando la canzone finì, la piccola Taylor si accoccolò sul seggiolino, i capelli biondi che le solleticavano il viso. Quella sera sarebbe andata con i suoi papà a una festa per grandi: sarebbe rimasta alzata fino a tardi, avrebbe aspettato Babbo Natale a mezzanotte, avrebbe ascoltato i discorsi dei loro amici. Non li conosceva tutti, ma papi Nick e papà Jeff le avevano raccontato molte volte di quello che avevano fatto da ragazzi, quando andavano a scuola insieme allo zio David e allo zio Trent.
«I vostri amici sono simpatici?» chiese, curiosa, cercando di immaginarli.
«Certo, piccola» la rassicurò Jeff, gettando un’occhiata premurosa al sedile posteriore. «Conoscerai zio Blaine, stasera!»
«Quello a cui piacciono i papillon?» chiese la bambina, ridendo e battendo le manine. Zio Blaine era sempre presente nei racconti dei suoi papà.
«Certo. E poi vedrai anche zio Sebastian e zio Thad» aggiunse Nick, immaginando la reazione di Sebastian alla vista di Taylor.
«Ma zio Sebastian mi fa paura» si lamentò la piccola, ricordando di quante cose terribili gli avevano raccontato Nick e Jeff.
«E’ innocuo» rise Jeff, mentre Nick si sbellicava di fronte a lui. Il biondo aveva già una mezza idea di chiedere a Sebastian di travestirsi da Babbo Natale, per poi entrare trionfalmente in casa a mezzanotte e portare i regali a Taylor.
«E poi c’è zio Thad a badare a lui» le ricordò Nick.
«Vedrai come lo sculaccerà, se Sebastian farà il cattivo» ridacchio Jeff, beccandosi un’occhiata maliziosa da parte del marito.
«Anche loro si vogliono bene come voi?» chiese la bambina, tranquillizzata dalle parole di Jeff.
«Si vogliono molto bene, sì» rispose Nick, felice.
Jeff si sporse per posare un bacio sulla guancia del marito, emozionato come lo era a diciotto anni. La sua famiglia era perfetta, sua figlia era perfetta, suo marito era perfetto.
«Incontrerai anche zio Wes, amore.»
«Porterà il martelletto?» chiese la piccola, divertita.
Jeff scoppiò a ridere incontrollatamente.
 
-
 
Blaine aveva preparato ogni cosa. L’abete illuminato gettava delle ombre colorate sulle pareti della sala, ricoperta da ogni tipo di addobbo. Aveva appeso festoni dorati su ogni centimetro di muro, aveva acceso una decina di candele profumate e aveva appeso dei rametti di vischio ad ogni angolo della stanza.
Stava giusto ammirando la sua opera, quando il campanello suonò ripetutamente, scuotendolo dai suoi pensieri.
«Arrivo» urlò, saltellando fino alla porta sui mocassini scamosciati che gli aveva regalato Kurt per il compleanno. «Amore, sono arrivati!» urlò poi a Kurt, chiuso in bagno. Non ottenne risposta e così, rassegnato, aprì la porta.
«Buon Natale!» esclamarono gli Usignoli in coro, abbracciandolo tutti insieme.
Per i successivi due minuti, Blaine non vide più nulla, tranne le braccia dei suoi ex compagni di scuola, stretti attorno a lui. Il cuore gli batteva forte nel petto: quei dieci anni sembravano non essere mai passati e loro erano ancora lì, insieme, pronti ad improvvisare una canzone.
«Usignolo una volta, Usignolo per sempre» disse Sebastian con un sorriso, tendendogli la mano per salutarlo.
Dopo numerosi saluti, entrarono tutti in casa di Blaine, osservandosi tutti con curiosità. Dopo tutti quegli anni, qualcuno era rimasto identico alla sua versione diciottenne, qualcuno era dimagrito, qualcuno si era fatto crescere i baffi.
«Il primo che improvvisa una canzone, lo picchio col mio martelletto» disse Wes, alzando un sopracciglio.
«Il martelletto, papà, il martelletto» esclamò una vocina femminile dal fondo del gruppo, facendo sobbalzare tutti.
Gli Usignoli si dispersero per l’ingresso della casa, cercando di capire chi avesse parlato.
«Beh, lei è Taylor» disse Nick, prendendola in braccio e posandole un bacio tra i capelli biondi.
«Oh mio Dio» urlò Sebastian, indicando la bambina con gli occhi fuori dalle orbite. Non poteva essere, assolutamente no.
«Quello è zio Sebastian, tesoro» ridacchiò Nick, posando nuovamente la piccola a terra, sotto gli occhi divertiti di tutti. Di tutti tranne di Sebastian, che continuava a osservarla, sconvolto. Taylor saltellò fino a lui, guardandolo con curiosità.
«Ciao zio Sebastian» disse infine, abbracciando le sue gambe magre.
«Oh cielo, è adorabile!» esclamò Wes, saltellando sul posto.
Sebastian continuò ad osservare Taylor, sotto shock, finché Thad non gli venne in aiuto. Prese la bambina in braccio e si presentò stringendole la manina calda.
«Ciao, io sono Thad.»
«Sei tu che vuoi bene a zio Sebastian?» chiese la bambina, tutta contenta.
«Certo» rispose l’uomo, colto di sprovvista, guardando Sebastian di sottecchi, mentre tutti gli Usignoli ridevano, inteneriti dalla dolcezza della bimba.
«Oh Nick, non sapevo avessi una figlia. Ti sei sposato?» chiese Blaine, tutto interessato, osservando Taylor, che nel frattempo era sgattaiolata da Trent, per ricevere un po’ di coccole.
«Sì» rispose il moro, mostrandogli la fede nuziale che portava al dito.
«Oh» sospirò Blaine, felice per la notizia «E come sta tua moglie?»
Una risatina divertita percorse tutto il gruppo.
«Benissimo» rispose Jeff, ironico, passando un braccio attorno alla schiena del marito.
Blaine non capì neanche a quel punto e alzò un sopracciglio, pensando ad uno scherzo. In fondo, l’ultima volta che aveva parlato per bene con Nick, quest’ultimo era perdutamente innamorato di una ragazza. L’episodio ancora bruciava a Jeff, che non perdeva occasione per ricordargli quella cotta.
«Non ho ben capito» disse Blaine, stringendo gli occhi «Di chi è tua figlia?»
«Non è mia, tecnicamente» iniziò a spiegare Nick, gettando un’occhiata rapida a Taylor, che giocava con la cravatta di David, in braccio a quest’ultimo.
«Blaine, guarda il colore dei capelli e capirai molte cose» sbottò Jeff, afferrandosi con le dita una ciocca di capelli e indicando poi quelli biondi di sua figlia.
Un lampo di comprensione illuminò gli occhi scuri di Blaine.
«Oh» disse, spalancando gli occhi, guardando prima Jeff e poi Nick. «Devo essermi perso qualcosa.»
«Tipo il fatto che io e Sebastian stiamo insieme, sì» buttò lì Thad, rapido e indolore.
La faccia che assunse Blaine fu impagabile.
 
Si accomodarono nel salone, sedendosi composti sul divano e sgranocchiando patatine e pop corn.
«Questa stanza è estremamente eterosessuale» commentò Sebastian, rilassandosi al fianco di Thad e osservando le numerose decorazioni. «Le ha preparate faccia da checca?»
«Non credo proprio, Mangusta» ribatté Kurt, spuntando dalla porta della sala, con un sorriso divertito. Amava ancora insultare Sebastian, dopo tutto quel tempo.
«Kurt, dov’eri finora?» chiese Nick, confuso.
«Ero a fare la pulizia del viso, scusate» spiegò Kurt in tono pratico, accomodandosi sul divano accanto a Blaine.
«Estremamente eterosessuale» ripeté Sebastian, beccandosi una gomitata di Thad.
«Quello cos’è?» esclamò Hunter all’improvviso, indicando il vischio con orrore.
«Come mai non ti piace il vischio?» chiese Sebastian, trattenendo una risata.
«Allora Hunter» li interruppe Nick «tu che fine hai fatto?»
«Mi sono sposato» li informò Hunter, sfilandosi la fede e alzandola in aria per mostrarla agli altri. Sebastian si strozzò con una patatina, quando vide l’oro luccicare davanti ai suoi occhi.
«Stai scherzando?!» esclamò, mentre Thad gli dava delle grosse pacche sulla schiena per farlo respirare.
«No» rispose lui, sulla difensiva, alzando un sopracciglio.
«E con chi?» chiese Blaine, elettrizzato dal gossip, mentre Taylor giocava sul pavimento con i suoi mocassini.
«Si chiama Hanna» mormorò Hunter, sentendo i sensi di colpa al pensiero di come la aveva lasciata sola, quella notte.
«Dimmi che è uno scherzo» balbettò Sebastian, aprendo e chiudendo più volte la bocca, sconvolto. «Dimmi che non hai davvero sposato una donna.»
«Perché non avrebbe dovuto?» chiese Thad, alzando un sopracciglio.
«Fammi indovinare. E’ bionda e ti prepara la cena ogni sera, quando torni dal lavoro» continuò Sebastian, mordendosi un labbro e ignorando completamente il compagno.
Hunter sentì un groppo alla gola. Sebastian era lì, vicino a lui, bello come dieci anni prima; indossava una camicia bianca, elegante, con i primi due bottoni aperti a rivelare una porzione del petto nudo. Le sue labbra erano attorniate da un paio di baffi castani, che gli davano l’aria da uomo maturo e professionale. Aveva ancora quell’abitudine di passarsi le dita magre tra i capelli, di leccarsi le labbra, senza neanche accorgersi di quanto fosse attraente. E lui aveva sposato una Hanna qualunque.
«Hai indovinato» mormorò, sconfitto, guardando l’altro negli occhi. 
«Non ci voglio credere» ribatté Sebastian, alzandosi dal divano, senza smettere di fissarlo. Sconvolto. Deluso. Arrabbiato.  
«Ceniamo?» chiese Blaine, cercando di alleggerire la tensione che si era creata. Infatti, non solo Sebastian e Hunter si stavano lanciando delle occhiate di fuoco, ma anche tutti gli altri Usignoli li stavano osservando preoccupati. Thad, in particolare, sembrava non avere idea di ciò che stava accadendo e non sembrava così contento.
«Sì» convenne Trent, alzandosi dal divano e accomodandosi al tavolo che Blaine aveva apparecchiato con cura.
Nick si alzò e prese in braccio Taylor, accarezzandole il viso.
«Ti diverti, amore?»
«Sì, ma zio Sebastian non mi vuole bene» mormorò, allacciando le piccole braccia dietro al collo del padre.
Il resto della serata fu più allegro. Nick osservò per una buona mezz’ora suo marito confabulare con Sebastian, dall’altro lato del tavolo, chiedendosi quale fosse l’argomento della conversazione.
«Papi, mi dai il panettone?» chiese Taylor, seduta in ginocchio sulla sedia al suo fianco, per potere arrivare meglio al tavolo.
«Certo, amore» disse l’uomo, tagliando una fetta di dolce per la figlia, osservando con un cipiglio preoccupato Blaine.
Il padrone di casa, infatti, era al decimo bicchiere di vino e Nick sapeva bene che, quando Blaine beveva, erano guai per tutti.
«Così quel tizio aveva davvero un faro come foto profilo» esclamò, ridendo sonoramente, occupato a raccontare di come lui e Kurt si erano lasciati, dieci anni prima.
Nick, completamente sobrio, ringraziò il cielo per il fatto che Kurt, anche lui un po’ brillo, era dall’altra parte del tavolo, impegnato in una discussione animata con Trent.
«Non puoi mettere pantaloni zebrati con maglia a pois!» stava urlando Trent, agitando pericolosamente il bicchiere, rosso in viso.
«Sì che si può, te lo dico io che ho lavorato da Vogue» ribatté Kurt, picchiando sonoramente un pugno sul tavolo.
Nick si morse le labbra, accarezzando il viso della figlia. Quella storia non gli piaceva: ricordava bene che cosa accadeva ogni volta che gli Usignoli si ubriacavano insieme.
«E tu, Thad, come va con Sebastian?» chiese David, ingozzandosi di pandoro.
Nick fu costretto a tappare le orecchie di Taylor con le mani, per i successivi dieci minuti, in cui Thad si lanciò in una descrizione dettagliata di ciò che lui e il suo compagno amavano fare quando erano soli. Quando David, Hunter e Wes scoppiarono a ridere in maniera incontrollata, Nick si accorse di essere l’unico sobrio. Beh, l’unico oltre a Jeff e Sebastian.
Quest’ultimo si alzò da tavola e si avvicinò a Thad, con un sorriso malizioso.
«Oh, Seb, abbiamo sentito delle tue prodezze» esclamò Wes, ridacchiando e scambiandosi delle gomitate con David.
«Se vuoi provare, non sono disponibile, spiacente» disse Sebastian, lasciando scivolare le dita sulle spalle di Thad. «Amore, mi accompagni fuori a fumare una sigaretta?»
«Uh?» fece Thad, guardandosi intorno confuso. Sebastian lo aiutò ad alzarsi e lo spinse neanche troppo gentilmente verso l’uscita, ritrovandosi nel giardino di Blaine.
Nel frattempo, dentro casa, Nick si alzò da tavola, lasciando Taylor da sola a giocare con l’uvetta del panettone. Fece il giro del tavolo e si sedette accanto a Jeff, sulla sedia lasciata libera da Sebastian.
«Di che parlavi?» chiese, baciandolo sulle labbra.
«Gli stavo chiedendo una cosa» rispose evasivo Jeff, strofinando il naso contro quello del marito «Per Taylor, sai?»
Nick si sciolse in un sorriso: amava quando il suo uomo si comportava da papà premuroso.
«Ti amo» sussurrò sulle sue labbra, prima di baciarlo nuovamente.
«Ti amo anche io, come dieci anni fa» sussurrò l’altro, guardandolo teneramente prima di rispondere al bacio.
«Mi è venuto il diabete» si lamentò David, appoggiando la testa sopra la spalla di Blaine.
«Hey, mancano pochi minuti a mezzanotte!» esclamò Kurt, controllando l’orologio, emozionato.
«Oh, dovremmo tipo metterci sotto l’abete e pensare all’anno appena passato?» chiese David, un po’ confuso.
«Non è mica capodanno» ribatté Jeff, andando a prendere in braccio Taylor. «Piccola, vieni con me e Papi sotto l’albero?»
«Perché?» chiese la bimba, stringendosi al suo papà.
«Perché è quasi Natale» rispose Jeff, lasciandole un bacio tra i capelli dorati. Prese per mano il marito e si sedettero tutti e tre sotto l’albero, controllando l’orologio di tanto in tanto.
Hunter li raggiunse dopo poco, sedendosi sconsolato accanto a loro.
«Sono un imbecille» mormorò, appoggiando la testa contro la spalla di Jeff.
«Perché sei triste, zio Hunter?» chiese Taylor, posando un bacino sulla guancia dell’uomo.
«Perché quando ti accorgi che vuoi qualcosa, dovresti prendertela» fu la risposta sibillina.
Blaine e Kurt, entrambi brilli, si presero per mano e si sedettero accanto a loro.
«Adottiamo un bambino?» chiese Blaine, strofinando il naso contro la guancia di Kurt.
«Ok, ma non permetterò a Mangusta di farsi chiamare zio» ribatté lui, con un sorriso soddisfatto.
«C’è spazio per noi?» chiese Wes, sedendosi con David e Trent accanto a Hunter.
«Meno due minuti» constatò Blaine, emozionato, battendo le mani.
«Non è capodanno» ripeté Jeff, esasperato.
 
«Aiutami con questo coso» sbottò Sebastian, infilando una manica della giacca rossa che aveva trovato nel bagagliaio dell’auto di Nick.
«Come hai fatto ad aprirla?» chiese Thad, inebetito dal vino.
«Jeff mi ha dato le chiavi, genio» borbottò il compagno, infilandosi anche un paio di vecchi stivali. «Passami la barba, ora» aggiunse, sentendosi molto ridicolo.
Quando Jeff gli aveva chiesto di travestirsi da Babbo Natale per portare i regali a Taylor, Sebastian non aveva potuto rifiutare. Quella bambina aveva fatto breccia nel suo cuore quando gli aveva abbracciato le gambe.
«Seb, ti devo chiedere una cosa» mormorò Thad, accarezzandogli il viso coperto dalla barba finta.
Sebastian si infilò il cappello rosso e lo guardò, irritato.
«Proprio ora devi parlarmi?» chiese, ammirandosi nello specchietto retrovisore. Era veramente un Babbo Natale molto sexy.
«Cosa c’è tra te e Hunter?» continuò Thad, ignorandolo.
Sebastian spalancò la bocca e lo fisso, a lungo, indeciso su cosa rispondere. Alla fine, optò per la verità.
«Niente» disse, spostando la barba finta per baciare Thad sulle labbra. «Quando ancora io e te non stavamo insieme abbiamo avuto, diciamo, un episodio un po’ particolare.»
«E ora?» chiese Thad, abbracciando Sebastian e avvertendo il suo corpo magro sotto il costume natalizio.
«E ora io amo te» disse Sebastian, inginocchiandosi improvvisamente davanti a lui. Estrasse una piccola scatola dalla tasca dei pantaloni rossi e la aprì, davanti agli occhi stupefatti dell’altro. «Vuoi passare ogni istante della tua vita con me?»
Gli occhi di Thad si riempirono di  lacrime e la risposta tardò ad arrivare, intimorendo Sebastian.
«Non passerò tutta la mia vita vestito da coglione come ora» puntualizzò, con una risatina nervosa.
«Sì, cazzo» mormorò Thad, a bassa voce, ormai completamente in lacrime. «Sì, cazzo, Seb, voglio sposarti.»
Sebastian si alzò in piedi e abbracciò il suo futuro marito, baciandolo con passione. Le campane segnalarono l’arrivo della mezzanotte, proprio in quel momento.
«Ti amo, Seb, ti amo da morire» sussurrò Thad sulle labbra dell’altro.
«Anche io» rispose Sebastian, guardandolo innamorato e raccogliendo le sue lacrime con un dito. «E ora andiamo a portare i regali alla nostra nipotina.»
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** BONUS: Spirito del Natale. ***


NOTA: Questa one shot è INDIPENDENTE dalle precedenti. E’ un bonus, un piccolo regalino natalizio che ho scritto ancor prima di ideare tutta la raccolta per la Week.
Auguro a tutti un buon Natale ♥
 
 
Martedì 25 dicembre
Spirito del Natale.
 
Non è che a Nick non piaccia il Natale. Nick ama il Natale, a dire la verità. E’ Jeff che Nick non sopporta. Per lo meno durante il periodo natalizio.
«Mettiamo in chiaro una cosa, quest’ anno niente decorazioni eccessive, niente pupazzo di Babbo Natale appeso sopra il tuo letto, niente festoni e soprattutto niente lucine a intermittenza seminate su tutte le pareti. Intesi?»
Non che Nick speri in un “sì”, a dire la verità. E’ già mentalmente pronto ad un rifiuto assoluto, accompagnato da una di quelle espressioni da cucciolo ferito che Jeff gli riserva ogni qual volta vuole ottenere qualcosa.
Invece, Jeff lo asseconda sorprendentemente.
«D’accordo.»
Nick, pronto a un acceso dibattito, rimane interdetto. Ha davvero detto “d’accordo”? Questo vuol dire niente faccina da cucciolo, niente imbarazzo, niente litigi, niente di niente?
«D’accordo?! Come sarebbe a dire?»
Jeff prende un sorso dalla sua cioccolata calda e, quando posa la tazza sul tavolo della sala dove gli alunni della Dalton sono soliti studiare, Nick nota che ha gli angoli della bocca sporchi.
«Ho detto d’accordo, Nick, ho capito, niente decorazioni. Mi comporterò come se non fosse Natale, come se tu non fossi un cinico, come se questa non fosse una delle mie feste preferite e come se tu non lo sapessi.»
«Oh.»
Nick sa cosa sta facendo Jeff. Lo sa esattamente, mentre guarda l’amico assaporare la cioccolata ignorandolo bellamente.
«Stai cercando di farmi venire i sensi di colpa, per caso?»
«Affatto.»
Jeff continua a sorseggiare la bevanda, sfogliando un giornale di arredamento. Quando probabilmente si stanca di sentire lo sguardo di Nick fisso su di lui, alza gli occhi, esasperato.
«Cosa c’è?»
«Puoi…puoi mettere qualcosa, se vuoi» balbetta il moro, confuso dal comportamento di Jeff.
«Qualcosa?» ribatte Jeff, alzando un sopracciglio.
«Qualcosa, non so, qualche bacca, un festone... qualcosa.»
«Qualcosa»  ripete Jeff scettico «qualcosa, certo, come se Natale fosse solo qualcosa. E’ che non hai buon gusto, ecco la verità.»
Nick lo guarda stupito, lasciandosi andare in una risatina.
«Non sono io quello che, lo scorso Natale, ha deciso di ubriacarsi e girare per tutto il dormitorio con delle mutande con disegnata una renna sul…davanti. Chi è che non ha buon gusto, eh?» esclama, mandando l’amico su tutte le furie.
Jeff, infatti, butta da una parte la sua rivista e le guance si colorano improvvisamente; la voce si fa un sussurro.
«Non era Natale, brutto imbecille, era capodanno! Io non mi permetterei mai di ubriacarmi a Natale e se tu non fossi così cinico capiresti perché!»
Nick ride, osservando l’amico rosso in viso e visibilmente alterato.
«Spiegamelo.»
«Spiegamelo!»gli fa il verso Jeff, ormai dimentico della sua cioccolata. «Non c’è nulla da spiegare Nick, semplicemente tu non senti lo spirito del Natale. Non vedi la differenza tra quel giorno, quel magico e speciale giorno e tutti gli altri giorni dell’anno. Tu non senti la magia, non senti lo spirito del Natale. Perché se lo avvertissi, non mi vieteresti di trasformare la nostra camera in un romantico rifugio natalizio, non verresti da me ogni anno a cercare di impedirmi di festeggiare il Natale come voglio.»
Nick lo guarda con un sorriso imbarazzato.
«Mi sono perso a “romantico rifugio natalizio”, scusa.»
Jeff si alza rumorosamente, la sua sedia gratta contro il pavimento. Prima di voltarsi con un’uscita decisamente teatrale, si volta verso l’amico, solo per scoprire che ha ancora quell’irritante sorrisetto sulle labbra.
«Ci vediamo in giro Nick.»
 
-
Ecco, ci siamo, pensa Nick mentre percorre il corridoio della Dalton. Eccolo, il momento della partenza, il momento più brutto dell’anno.
La verità è che Nick ama il Natale. O per lo meno lo amerebbe, se lo festeggiasse a casa.
Amerebbe la neve che cade mentre in casa si sta al caldo, amerebbe svegliarsi la mattina di Natale chiedendosi cosa gli hanno regalato gli amici, amerebbe bere cioccolata calda davanti al camino, amerebbe l’abete della Dalton, l’abete che ogni anno viene decorato con mille luci e festoni. Nick amerebbe il Natale, ma la verità è che, ogni anno da quando frequenta la Dalton, lo passa da solo. Ogni Natale, i suoi genitori sono puntualmente in qualche parte del mondo per dei costosi viaggi di lavoro, viaggi che li tengono lontani da casa anche durante l’anno, certo, ma durante l’anno Nick ha i suoi amici Usignoli a farlo sentire meno solo.
Da piccolo, Nick aveva sempre festeggiato il Natale a casa di sua nonna, stretto nella sua sedia, circondato da sconosciuti “amici di famiglia”, che di familiare o amichevole avevano ben poco. Così, appena i suoi lo avevano iscritto alla Dalton, il ragazzo non era più tornato per le vacanze natalizie, preferendo passarle in solitudine nel suo dormitorio, mangiando dolci davanti al camino. Probabilmente, tutto questo ha congelato il suo spirito natalizio, col passare degli anni. Forse Jeff ha ragione, forse non sente lo spirito del Natale, forse è solo un cinico.
Ma la verità è che non è Natale se non è a casa. E casa è dove ci sono delle persone che ti danno realmente affetto. Ma, come ogni anno, è praticamente l’unico degli Usignoli a rimanere alla Dalton.
Si ferma nell’atrio: eccoli i suoi compagni che si scambiano gli ultimi saluti ed auguri, prima di  lasciare la scuola per tornare dalle loro famiglie, per passare le festività insieme.
«Tu rimani alla Dalton, Nick?»
Nick sobbalza, colto alla sprovvista da una mano che si serra intorno al suo braccio. E’ solo Sebastian. Il ragazzo è davanti a lui, il sorriso beffardo sul volto e la valigia in una mano; i suoi occhi brillanti sono in contrasto con la giacca scura.
Nick sente in fondo qualcosa in fondo allo stomaco: che sia delusione?
«Ah, sei tu Sebastian, ciao.»
«Certo che sono io, come puoi confondermi in mezzo a tanta banalità?»ride accennando ai ragazzi nell’atrio.
«Sì, certo. Hai visto Jeff?»
Il sorriso si congela sul viso di Sebastian. Il ragazzo posa la valigia a terra e posa una mano sul fianco.
«Stai scherzando, Duval?»
Gli occhi di Nick percorrano l’atrio stracolmo di gente, ma non riescono a scorgere i capelli chiari dell’amico. Forse è già partito. Forse non lo ha neanche salutato, come non lo ha salutato per settimane, dopo quell’ultimo litigio. Forse è solo in dormitorio, nella loro camera, a preparare gli ultimi bagagli.
«Uh?»mormora distrattamente.
Sebastian è costretto a sventolargli una mano davanti al viso, per riportarlo alla realtà. Quando Nick finalmente si concentra su di lui, l’Usignolo ha un sopracciglio alzato.
«Ogni Natale è la stessa storia! Tutti si godono le vacanze con la famiglia e tu te ne resti in questo covo di bei sederi, guardando tutti con quella faccia da cucciolo bastonato, mentre speri che ti venga il coraggio di chiedere al tuo bel biondino di rimanere qui con te.»
Nick lo guarda, completamente scoraggiato.
«Teoricamente, non parto perché i miei sono a Parigi …»
Sebastian sbuffa, prima di scoppiare in una risatina maligna.
«Come se fosse realmente questo il motivo per cui stai qui a fissare gli altri nell’atrio! Tira fuori le palle e chiedigli di rimanere qui con te.»  
Nick prova a ribattere qualcosa, ma sente le guance infiammarsi e così resta lì, chiudendo e aprendo la bocca più volte, senza sapere cosa dire. Sebastian, vincitore, gli dà una pacca sulla spalla e prima di andarsene si china lentamente verso il collo dell’altro, sorridendo maliziosamente. Per un secondo Nick teme che l’amico stia per riversare tutti i suoi ormoni natalizi su di lui, ma Sebastian gli soffia solo qualcosa all’orecchio.
«Buon Natale, Nick. Jeff è ancora in dormitorio.»
 
-
La loro camera sembra così vuota e triste, senza le consuete decorazioni natalizie accuratamente appese da Jeff ogni anno. Sono settimane che i due amici non si parlano, evitando accuratamente di guardarsi negli occhi quando si incrociano nei corridoi della Dalton, ignorandosi completamente quando, la sera, si addormentano a pochi centimetri di distanza, ognuno nel suo letto. Dopo quella teatrale uscita di scena, Jeff non ha più rivolto la parola a Nick. Quest’ ultimo ha provato più volte a fare pace, ma guadagnandosi solo l’indifferenza più totale da parte dell’altro.
Così quando Nick appare sull’uscio della camera, col fiato corto e le guance arrossate, Jeff non sposta lo sguardo dalla sua valigia.
«Sei ancora qui» ansima Nick, sollevato, portandosi una mano alla milza dolorante.
Il biondo scuote appena le spalle, continuando ad ignorare l’amico e sistemando un maglione in una valigia rossa.
«Jeff, per favore.»
Questo non provoca alcuna reazione. Nick vorrebbe solo riuscire a dirglielo, riuscire a liberarsi da quel peso che gli ha rovinato gli ultimi Natali della sua vita.
Ma sa che qualunque cosa dirà, Jeff non farà altro che fingere di non ascoltarlo. Così Nick copre nervosamente quei pochi metri che lo separano dall’altro, si china rapidamente e prima che Jeff possa gridare, arrabbiarsi o semplicemente mollargli un ceffone, Nick afferra il suo volto tra le mani e preme le labbra contro quelle calde dell’altro.
E’ appena un secondo, prima che il biondo gli dia uno strattone, facendolo rovinare a terra.
«Cosa cazzo fai?!»
Per pochi, lunghissimi secondi i due si fissano intensamente negli occhi, per la prima volta dopo settimane. Le guance di Nick sono scarlatte, quelle di Jeff pericolosamente pallide.
Sembra quasi che entrambi stiano aspettando che l’altro prenda la parola, ma quando ciò non accade, Nick muove un passo incerto verso il biondo, che, in risposta, arretra rapidamente.
Quello che Nick sente, stavolta, in fondo allo stomaco, non è che sofferenza. Qualcosa di angosciante lotta per uscire dalla sua gola, ma lui ingoia e ingoia ancora, sperando di riuscire ad evitare di urlare di dolore. Sente già le lacrime inumidirgli gli occhi, quando si volta e, con le guance ormai bagnate, si precipita fuori dalla porta.
 
-
E’ la mattina di Natale e Nick è in sala comune, davanti al fuoco, una fetta di torta in una mano e il regalo di sua madre nell’altra. Probabilmente un maglione o un profumo. Qualcosa di anonimo, qualcosa che potrebbe essere regalato a chiunque. I pochi ragazzi che, come lui, non sono partiti per le vacanze non sono ancora scesi e sono ancora nei loro letti. Nick li invidia; ultimamente invidia chiunque riesca a dormire per più di un paio d’ore senza svegliarsi in preda agli incubi. Dopo qualche minuto davanti a lui ha due nuovi maglioni da parte dei suoi genitori, un paio di cd da parte di Thad e una scorta di preservativi da Sebastian con un bigliettino con su scritto “fanne buon uso”.
La mattina di Natale non potrebbe essere più triste per lui: da parte di Jeff non c’è neanche un misero messaggio. Sembrano passati anni da quando Nick ha trascorso un pomeriggio a decidere cosa regalare al ragazzo, passando da un negozio all’altro. Eppure il libro di poesie che, dopo molti sforzi, gli ha comprato, è ancora nascosto nel suo comodino, sotto la pila di cd che Jeff gli ha prestato.
Il pranzo non è migliore: Nick è insensibile alle risa degli altri ragazzi, alle loro chiacchiere concitate riguardanti i loro costosissimi regali. Forse Jeff ha ragione: ha davvero perduto completamente lo spirito del Natale. Neanche la montagna di dolci che arrivano alla fine del pasto riescono a sollevare il suo morale ed è con somma tristezza che Nick si trascina fino al suo letto, dove, poco dopo, sprofonda in un sonno tormentato.
Sembrano passati pochi minuti quando una mano fredda lo schiaffeggia ripetutamente.
«Svegliati, cretino.»
Nick si preme il cuscino sul volto.
«Ancora cinque minuti, Sebastian, ti prego.»
«Non mi sono fatto tutti questi chilometri per vederti dormire, sai?»
Sebastian gli strappa il cuscino dalle mani e glielo getta addosso con violenza.
Nick trasale e con un sussulto mette a fuoco il ragazzo di fronte a lui.
«E se pensi così tanto a Sebastian perché non vai a ficcare due metri di lingua nella sua bocca, visto che ne sarebbe sicuramente contento?»   
«Jeff!»
Il biondo sorride e ora Nick, assolutamente sveglio e con il cuore a mille, può riconoscerlo perfettamente, sotto il suo cappello scuro e la sciarpa verde.
«Cosa diamine ci fai qui? Pensavo, pensavo…oh.»
Jeff si è tolto sciarpa e cappello. E la giacca. E la maglia. E i pantaloni.
«E’ ancora Natale, mio caro. E io non ti ho ancora dato il mio regalo.»
Nick arrossisce visibilmente e, cercando di guardare il meno possibile l’altro che ormai è mezzo nudo, si sporge verso il comodino, il suo nascondiglio segreto.
Quando porge il pacchetto spigoloso a Jeff, negli occhi di questo non c’è altro che affetto.
«Grazie» mormora, le guance innaturalmente rosse.
Lo scarta, mentre Nick lo guarda, in attesa col fiato sospeso.
«Oh Nick, ma è Baudelaire!» esclama, accarezzando la copertina del libro.
«Spero ti piaccia, ci ho messo un po’ a decidermi su cosa regalarti» ammette il moro, scrollando le spalle.
Restano lì, immobili, per qualche secondo, indecisi su cosa fare. Poi Jeff, imbarazzato, raccoglie i vestiti dal pavimento e li infila nuovamente, mormorando qualche scusa.
«Per quello c’è tempo, direi»Nick sorride «ora andiamocene a giocare tra la neve, così ti mostro il mio spirito natalizio.»
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1461619