Stralci di un Amore Improvvisato

di Lady Rea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Incontro ***
Capitolo 2: *** L'Addio ***
Capitolo 3: *** Caffè ***
Capitolo 4: *** Solitudine ***
Capitolo 5: *** Consapevolezza ***



Capitolo 1
*** Primo Incontro ***


Stralci di un Amore Improvvisato


#Primo Incontro




La prima volta che gli occhi di Pansy Parkinson, pupille scure e severe, si posarono sull'alta e dinoccolata figura di Ronald Weasley fu durante una lezione di Pozioni.
Non ricordava se fosse il primo o il quarto anno, ma rammentava ancora quella strana sensazione che le sconvolse lo stomaco e la colpì come un lampo chiaro nel bel mezzo di nubi scure e gelide.
Lui se ne stava accanto a Granger la Zannuta e Potter, ridacchiava e sorrideva contento per aver ricevuto l'aiuto silenzioso e infastidito della secchiona.
Poi improvvisamente volse la testa indietro e le sorrise.

Un sorriso sincero e senza secondi fini.
Lei trattenne il respiro e sentì la presa sulla bacchetta venire meno. La udì scivolare a terra con un tetro tonfo e l'esclamazione di fastidio della sua compagna di banco.
E solo in quel momento comprese che quel sorriso non era rivolto a lei, bensì a Paciok che era stato spostato dietro di lei per aver fuso il calderone. Riacciuffò la bacchetta e si rimise all'opera, ignorando quella strana sensazione di felicità e quelle impalpabili lacrime che bussavano ai suoi occhi.
Per molto tempo dimenticò quell'episodio, nascondendolo nei profondi antri di un'anima condannata ad essere nera, sotto centimetri di menzogne e pallidi sogni.
Gli anni erano passati veloci e tumultuosi, le strade si erano divise bruscamente, i sogni di una gioventù tranquilla spezzati e l'odore di guerra e di morte si stava infiltrando sempre più in quel freddo castello.
Pansy aveva preferito aggrapparsi ad altre certezze, anche se ogni tanto continuava a sognare quel sorriso.


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Capitolo 2
*** L'Addio ***



#L'Addio




Si erano ritrovati a camminare lungo i piccoli sentieri di un boschetto, silenziosi ed arrabbiati con il mondo, con passi incerti macinavano metri e chilometri, inoltrandosi sempre più nell'oscurità.
Ron chiuse le mani in pugni tremolanti e l'infilò nelle tasche calde e sicure della felpa, ogni tanto gettava un'occhiata veloce al volto cupo di Pansy. La loro ultima notte insieme era ormai scemata in un silenzioso confronto. Pansy gli aveva solamente chiesto di passeggiare un po' e così fecero, senza seguire una direzione, illuminati solamente dai deboli raggi di una luna che stanca si trascinava lungo il cielo stellato.
Improvvisamente Pansy si fermò, il volto basso, le labbra strette e pallide, i capelli scuri che le coprivano il viso, le spalle che sussultavano.
-Pansy … -le sussurrò con voce rotta. Si avvicinò ma lei si allontanò di qualche passo.
Si passò le mani velocemente sul viso e spostò le ciocche scure e ribelli dal volto. Riacquistò quel minimo di controllo e lo guardò intensamente.
-Promettimi che tornerai vivo e che non farai nessuna sciocchezza.- disse velocemente, temendo di perdere il controllo della sua voce.
-Non posso prometterlo. Non posso prometterti che non farò nessuna sciocchezza.- le rispose fissando la terra battuta sotto i suoi piedi.
-Perché? Perché vuoi fare il martire?- domandò, quasi più a sé stessa che a lui.
-Devo aiutarlo, devo farlo. E' il mio migliore amico.-
-Questo non è abbastanza per me. Io mi getterei nelle fiamme per salvare Greengrass o Nott solo se avessi la certezza di ritornare viva.-
Ron aggrottò la fronte confuso. -Quindi se io avessi bisogno del tuo aiuto … - preferì non finire la frase e stringere nuovamente i pugni dentro la felpa.
Lo aveva sempre saputo.
Nel fondo del suo cuore albergava da sempre la certezza che quello strano sentimento che lo univa a Pansy Parkinson non era pienamente ricambiato.
C'era sempre un'inevitabile linea che lo divideva da lei, un sottile muro che la isolava e gli rendeva difficile comprenderla.
Le piccole confessioni, i dettagli, i sospiri e i piccoli sogni che le aveva estorto con una sconosciuta pazienza e una nota caparbietà erano andati perduti quella notte.
La fissò nuovamente, quasi spaventato da cosa avrebbe potuto scorgere dietro quegli occhi scuri.
-Allora, Addio Pansy.- mormorò voltandosi e preparandosi per smaterializzarsi.
Chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi, lottando fra quelle lacrimi puerili che erano spuntate e quel sordo rumore di singhiozzo che aveva sentito dietro di sé.
Una leggera brezza colpì Pansy e il corpo di Ron era scomparso, inghiottito dalla magia, dal senso di dovere, dall'amicizia, dalla guerra.
Pianse a lungo, scossa dai singhiozzi, dai lamenti a volte silenziosi, a volte rochi.
Si accasciò a terra, fregandosi del freddo e del ruvido della terra nuda che graffiava le sue gambe scoperte, quasi sorrise ricordando le mani calde di Ron che più volte l'avevano toccata e amata con un'ardore che credeva impossibile.
Quando ormai i raggi del sole rischiaravano il cielo e il suo corpo chiedeva un pasto caldo, una coperta e un sonno profondo, si alzò.
Una volta nella sua stanza, si tolse l'abito chiaro e lo gettò in fondo all'armadio, si pulì il viso dalle lacrime,il corpo dai brividi e cercò inutilmente di strofinare via la tristezza.
Ravvivò i capelli distrattamente, si mise un abito scuro e aprì la porta della sua stanza.
E solo allora comprese quanto desolata fosse ormai la sua nuova vita.
-Addio Ron.- si disse mentre apriva la porta, pronta a prepararsi ad un'esistenza che non le apparteneva.
E lasciò che le tenebre l'avvolsero come una calda coperta, soffocandole ogni lume di speranza, ogni lume d'amore.

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Capitolo 3
*** Caffè ***




#Caffè




Bere il caffè in quel piccolo bistrot, nascosto dalle vie trafficate di Londra e dei Babbani che si riversavano in continuazione nelle strade, era diventato una piccola tradizione.
Un modo per aggrapparsi a una routine e ricominciare, questa volta insieme.
Per Pansy, ancora confusa e sofferente per le conseguenze della guerra che si erano abbattute violente su di sé e su quel poco che rimaneva della sua famiglia, quel piccolo gesto quotidiano le costava enorme fatica.
Scendere dal letto, lasciare che l'acqua lavasse via i segni di una notte insonne, vestirsi con cura, camminare a lungo per le strade di Londra pur di evitare i mezzi di trasporto babbani.
Ma quando incontrava lo sguardo ancora assopito di Ron, il suo sorriso che riusciva a illuminarla, quella calda mano e quelle braccia che l'avvolgevano in una stretta a volte soffocante, a volte benefica.
Si sedevano al solito tavolino in fondo alla strada, nascosto dalle grandi vetrate che davano su un vicolo pittoresco di quella frenetica città.
Ron ordinava spesso del cibo in più nella vana speranza che lei ingoiasse qualcosa: biscotti appena sfornati, caldi cornetti e toast ancora fumanti.
Alla sola vista di quel cibo, Pansy temeva di perdere del tutto il controllo sul suo stomaco e vomitare automaticamente, ma le bastava chinare il capo ed occuparsi di far sciogliere la zolletta di zucchero nel caffè nero.
-Che hai fatto di bello ieri?- le domandò Ron improvvisamente, rompendo quel silenzio religioso.
Pansy aggrottò la fronte e si mise a girare il cucchiaio con più vigore, creando vortici tumultuosi che tanto assomigliavano al suo precario stato mentale.
-Lo sai benissimo cosa ho fatto ieri.- gli rispose piccata.
Ron si passò una mano fra i capelli, scompigliandosi ancor di più. -Dovresti uscire.-
Pansy non rispose. Preferì bere il suo caffè e fingere di non aver sentito quelle ultime parole.
Non trovava la forza di reagire.
Non ora che aveva seppellito parte della sua famiglia mentre l'altra parte del clan era rinchiuso in carcere in attesa di sentenze già scritte. Si era ritrovata dall'avere tutto al non avere niente, nemmeno un briciolo di speranza e vedeva con sospetto la strana presenza del Weasley nella sua vita.
Era ritornato lentamente, convincendola che il letto non era un rifugio eterno, instillandole il ricordo della Pansy orgogliosa e forte che un tempo era.
All'inizio era convinta che il ritorno di Weasley fosse legato a un qualche desiderio carnale, al ritorno di vecchie abitudini e desideri risvegliati.  Si era aspettata di sentirlo nuovamente su di sé, di sentire le sue carezze, il calore traspirare dal suo corpo scaldare il suo. Invece, Ron non aveva fatto un passo o un'allusione.
Un abbraccio, un sorriso, una battuta, la sua ingordigia, la sua viva speranza, la sua felicità e il suo ottimismo per il futuro erano le uniche cose che le concedeva.
Una pallida anteprima del nuovo Ronald.
Non aspettò una sua reazione e si alzò bruscamente, camminando in fretta verso l'uscita, respirando a pieni polmoni l'aria frizzante di novembre.
Era pronta a svoltare e confondersi nella folla quando sentì una presa al braccio e la sua corsa si arrestò bruscamente.
-Ron.- sospirò a metà fra la rabbia e il sollievo, ma ogni protesta fu sedata dall'irruento bacio che le tappò la bocca.
Per un solo attimo, lasciò alle spalle i problemi e i principi che la tormentavano e baciò con trasporto quelle labbra che sapevano di marmellata e di caffè.

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Capitolo 4
*** Solitudine ***



#Solitudine




Aprì gli occhi turbata e si passò in fretta la mano sulla fronte sudata.
Boccheggiò per il caldo e tentò di recuperare un briciolo di ritegno quando decise di scendere dal letto e camminare verso il bagno.
Fece scorrere l'acqua a lungo, bagnandosi i polsi e il collo, rinfrescando la pelle e la mente.
Aveva appena fatto un incubo.
L'ennesimo.
Cercò di ricordare i dettagli, ma ormai erano svaniti, risucchiati dalla sua mente e gettati via.
Sarebbero ritornati la notte seguente, questa era l'unica certezza.
Bevve lunghi sorsi di acqua ghiacciata e s'incamminò verso il letto, pronta per una nuova notte passata fra occhi arrossati, incubi ricorrenti e bagni di sudore.
Una volta sdraiata lasciò scorrere la mano verso l'altra parte del letto, quella parte che da tempo non osava toccare o spostare.
Il cuscino era ancora quello a righe blu e bianche, l'aveva lasciato così convinta che potesse conservare la forma della sua testa, il profumo della sua pelle, i sogni e i pensieri che l'aveva sfiorato quella lontana notte.
Lisciò qualche piega fra le lenzuola mentre una silenziosa lacrima le bagnava il viso che si rifiutava di piangere, bloccato in una smorfia a metà fra la desolazione della solitudine e l'orgoglio spezzato.
Pansy si rese conto per la prima volta di quanto fosse sola, ormai.
Aveva ancora qualche amico, sicuramente le sorelle Greengrass e Malfoy, ma anche loro non erano altro che pallidi ricordi di un passato quasi remoto. I loro sguardi non aveva più la vivacità di un tempo, erano diventati brutalmente adulti.
Si morse le labbra cercando in tutti i modi di soffocare un pianto disperato e nascose il suo viso sotto quel cuscino a righe blu e bianche.


Harry fissò a lungo il suo migliore amico immobile con il cucchiaio in mano e la ciotola di cereali e latte caldo non ancora toccata. La cosa non lo preoccupava più di tanto, Ronald, da quando era finita la guerra, aveva delle strane crisi. Il suo sguardo s'incupiva bruscamente, rispondeva a monosillabi e generalmente non aveva appetito. Di solito quello strano umore se ne andava via nel giro di qualche ora, tempo di pensare alle scartoffie da leggere per l'Ufficio o alle missioni da preparare che quell'aria abbattuta spariva e ritornava il solito Ron.
-Che hai?- gli domandò dandogli una pacca sulle spalle e sedendosi accanto a lui.
-Eh?- esclamò Ron confuso. -Ah, nulla. Nulla.- rispose velocemente.
-Ron … E' da un po' che volevo chiederti se … - non continuò la frase provando troppo imbarazzo. Da quando lui e Ginny avevano trovato la data perfetta per il matrimonio era stato a lungo assente, trascinato dalla sua fidanzata a fare compere, provare un centinaio di completi, litigare sull'apparente utilità nell'avere due accompagnamenti musicali anziché solo uno e altre cose da matrimonio; il resto del tempo libero lo passava sistemare la nuova casa secondo gli ordini di Ginny. Sentiva di aver perso una parte della vita del suo migliore amico, non riusciva a capire come facesse ad amarla, ma non stava a lui giudicare.
-Sì, io … La amo.- disse lentamente Ron, rispondendo a quell'incompleta domanda. Il cucchiaio cadde nella ciotola e il latte schizzò verso l'alto per poi raggiungere e bagnare la grande tovaglia bianca.
-E allora perché continui a startene qui, eh?- gli chiese sorridendogli.
-Come perché? Mi sembra ovvio, no?- sbottò Ron. Harry scosse la testa e la sua irritazione aumentò considerevolmente. -Lei non vuole … Siamo diversi e … E' giusto così, Harry. E' giusto dividersi e allontanarsi.- mormorò.
-E questo chi l'ha deciso? Quando io me ne sono andato, Ginny non me l'ha perdonato e ma l'ha fatta pagare cara, ma non per questo ci siamo divisi.-
-Fra voi è diverso.-
-Come fai a dirlo se non vuoi nemmeno sapere cosa esattamente intendeva con quella lettera?- lo rimproverò Harry alzandosi e tirandogli un leggero scappellotto. -Alzati e combatti, anche se è una guerra persa, Ron.-
Una volta a letto, Ron ripercorse la conversazione avuta con Harry quella sera.
Forse avrebbe dovuto alzarsi e combattere.
Forse era meglio starsene per conto suo, vivere serenamente e dimenticarla.
Quella notte non dormì.
Era troppo spaventato dall'idea di non vederla mai più, le sua mani ricordavano ancora la sua pelle morbida e se si concentrava poteva udire la sua risata, sentire il suo profumo leggero e il suo caldo corpo contro il suo.
Probabilmente era arrivato il momento di scegliere di chiudere definitivamente quella porta o spalancarla ed accettarne le conseguenze.
Ma per quella notte, preferì farsi cullare dalla solitudine ancora un po'.


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Capitolo 5
*** Consapevolezza ***




#Consapevolezza



Prima di dormire era solita cercare di riordinare i pensieri di un'intera giornata e metterli in fila, seguendo un'immaginaria linea razionale. Scartava quei pensieri bui, sprazzi di oscurità e di antichi ricordi, e si stringeva al petto i momenti più tranquilli.
Una volta finito e raggiunta una strana pace, spegneva la luce e si rintanava nel mezzo del letto, protetta dalle coperte e dai pensieri.
Ma ora le cose erano cambiate.
Ogni volta che si spostava bruscamente nel letto, incontrava un piede, toccava un braccio, sfiorava un petto.
Non aveva più bisogno di pensieri, di momenti di raccoglimento, tutto poteva essere riassunto dalla sua costante presenza.
Ogni sera respirava il suo profumo.
Ogni sera le sue labbra la baciavano con delicatezza, sfioravano una spalla e proseguivano lentamente per il collo.
Ogni sera un braccio la cingeva, forte e deciso, a sé.
Ogni sera parlavano e discutevano.
Ogni sera gli raccontava di quei pensieri che silenti e velenosi si aggiravano ogni giorno nella sua testa.
Sera dopo sera, la consapevolezza di essere amata, nonostante tutto, distruggeva gli ultimi muri della sua coscienza.



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