Stralci di un Amore Improvvisato di Lady Rea (/viewuser.php?uid=282003)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Incontro ***
Capitolo 2: *** L'Addio ***
Capitolo 3: *** Caffè ***
Capitolo 4: *** Solitudine ***
Capitolo 5: *** Consapevolezza ***
Capitolo 1 *** Primo Incontro ***
Stralci di un
Amore Improvvisato
#Primo
Incontro
La prima volta che gli
occhi di Pansy Parkinson, pupille scure e severe, si posarono sull'alta
e dinoccolata figura di Ronald Weasley fu durante una lezione di
Pozioni.
Non ricordava se fosse il
primo o il quarto anno, ma rammentava ancora quella strana sensazione
che le sconvolse lo stomaco e la colpì come un lampo chiaro
nel bel
mezzo di nubi scure e gelide.
Lui se ne stava accanto a
Granger la Zannuta e Potter, ridacchiava e sorrideva contento per
aver ricevuto l'aiuto silenzioso e infastidito della secchiona.
Poi improvvisamente
volse la testa indietro e le sorrise.
Un sorriso sincero e senza
secondi fini.
Lei trattenne il respiro e
sentì la presa sulla bacchetta venire meno. La
udì scivolare a
terra con un tetro tonfo e l'esclamazione di fastidio della sua
compagna di banco.
E solo in quel momento
comprese che quel sorriso non era rivolto a lei, bensì a
Paciok che
era stato spostato dietro di lei per aver fuso il calderone.
Riacciuffò
la bacchetta e
si rimise all'opera, ignorando quella strana sensazione di
felicità
e quelle impalpabili lacrime che bussavano ai suoi occhi.
Per molto tempo dimenticò
quell'episodio, nascondendolo nei profondi antri di un'anima
condannata ad essere nera, sotto centimetri di menzogne e pallidi
sogni.
Gli anni erano passati
veloci e tumultuosi, le strade si erano divise bruscamente, i sogni
di una gioventù tranquilla spezzati e l'odore di guerra e di
morte
si stava infiltrando sempre più in quel freddo castello.
Pansy aveva preferito
aggrapparsi ad altre certezze, anche se ogni tanto continuava a
sognare quel sorriso.
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Capitolo 2 *** L'Addio ***
#L'Addio
Si erano ritrovati a camminare lungo i
piccoli sentieri di un boschetto, silenziosi ed arrabbiati con il
mondo, con passi incerti macinavano metri e chilometri, inoltrandosi
sempre più nell'oscurità.
Ron chiuse le mani in pugni tremolanti
e l'infilò nelle tasche calde e sicure della felpa, ogni
tanto
gettava un'occhiata veloce al volto cupo di Pansy. La loro ultima
notte insieme era ormai scemata in un silenzioso confronto. Pansy gli
aveva solamente chiesto di passeggiare un po' e così fecero,
senza
seguire una direzione, illuminati solamente dai deboli raggi di una
luna che stanca si trascinava lungo il cielo stellato.
Improvvisamente Pansy si fermò, il
volto basso, le labbra strette e pallide, i capelli scuri che le
coprivano il viso, le spalle che sussultavano.
-Pansy … -le sussurrò con voce
rotta. Si avvicinò ma lei si allontanò di qualche
passo.
Si passò le mani velocemente sul viso
e spostò le ciocche scure e ribelli dal volto.
Riacquistò quel
minimo di controllo e lo guardò intensamente.
-Promettimi che tornerai vivo e che non
farai nessuna sciocchezza.- disse velocemente, temendo di perdere il
controllo della sua voce.
-Non posso prometterlo. Non posso
prometterti che non farò nessuna sciocchezza.- le rispose
fissando
la terra battuta sotto i suoi piedi.
-Perché? Perché vuoi fare il
martire?- domandò, quasi più a sé
stessa che a lui.
-Devo aiutarlo, devo farlo. E' il mio
migliore amico.-
-Questo non è abbastanza per me. Io mi
getterei nelle fiamme per salvare Greengrass o Nott solo se avessi la
certezza di ritornare viva.-
Ron aggrottò la fronte confuso.
-Quindi se io avessi bisogno del tuo aiuto … -
preferì non finire
la frase e stringere nuovamente i pugni dentro la felpa.
Lo aveva sempre saputo.
Nel fondo del suo cuore albergava da
sempre la certezza che quello strano sentimento che lo univa a Pansy
Parkinson non era pienamente ricambiato.
C'era sempre un'inevitabile linea che
lo divideva da lei, un sottile muro che la isolava e gli rendeva
difficile comprenderla.
Le piccole confessioni, i dettagli, i
sospiri e i piccoli sogni che le aveva estorto con una sconosciuta
pazienza e una nota caparbietà erano andati perduti quella
notte.
La fissò nuovamente, quasi spaventato
da cosa avrebbe potuto scorgere dietro quegli occhi scuri.
-Allora, Addio Pansy.- mormorò
voltandosi e preparandosi per smaterializzarsi.
Chiuse gli occhi e cercò di
concentrarsi, lottando fra quelle lacrimi puerili che erano spuntate
e quel sordo rumore di singhiozzo che aveva sentito dietro di
sé.
Una leggera brezza colpì Pansy e il
corpo di Ron era scomparso, inghiottito dalla magia, dal senso di
dovere, dall'amicizia, dalla guerra.
Pianse a lungo, scossa dai singhiozzi,
dai lamenti a volte silenziosi, a volte rochi.
Si accasciò a terra, fregandosi del
freddo e del ruvido della terra nuda che graffiava le sue gambe
scoperte, quasi sorrise ricordando le mani calde di Ron che
più
volte l'avevano toccata e amata con un'ardore che credeva
impossibile.
Quando ormai i raggi del sole
rischiaravano il cielo e il suo corpo chiedeva un pasto caldo, una
coperta e un sonno profondo, si alzò.
Una volta nella sua stanza, si tolse
l'abito chiaro e lo gettò in fondo all'armadio, si
pulì il viso
dalle lacrime,il corpo dai brividi e cercò inutilmente di
strofinare
via la tristezza.
Ravvivò i capelli distrattamente, si
mise un abito scuro e aprì la porta della sua stanza.
E solo allora comprese quanto desolata
fosse ormai la sua nuova vita.
-Addio Ron.- si disse mentre apriva la
porta, pronta a prepararsi ad un'esistenza che non le apparteneva.
E lasciò che le tenebre l'avvolsero
come una calda coperta, soffocandole ogni lume di speranza, ogni lume
d'amore.
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Capitolo 3 *** Caffè ***
#Caffè
Bere
il caffè in quel piccolo bistrot,
nascosto dalle vie trafficate di Londra e dei Babbani che si
riversavano in continuazione nelle strade, era diventato una piccola
tradizione.
Un
modo per aggrapparsi a una routine e
ricominciare, questa volta insieme.
Per
Pansy, ancora confusa e sofferente
per le conseguenze della guerra che si erano abbattute violente su di
sé e su quel poco che rimaneva della sua famiglia, quel
piccolo
gesto quotidiano le costava enorme fatica.
Scendere
dal letto, lasciare che
l'acqua lavasse via i segni di una notte insonne, vestirsi con cura,
camminare a lungo per le strade di Londra pur di evitare i mezzi di
trasporto babbani.
Ma
quando incontrava lo sguardo ancora
assopito di Ron, il suo sorriso che riusciva a illuminarla, quella
calda mano e quelle braccia che l'avvolgevano in una stretta a volte
soffocante, a volte benefica.
Si
sedevano al solito tavolino in fondo
alla strada, nascosto dalle grandi vetrate che davano su un vicolo
pittoresco di quella frenetica città.
Ron
ordinava spesso del cibo in più
nella vana speranza che lei ingoiasse qualcosa: biscotti appena
sfornati, caldi cornetti e toast ancora fumanti.
Alla
sola vista di quel cibo, Pansy
temeva di perdere del tutto il controllo sul suo stomaco e vomitare
automaticamente, ma le bastava chinare il capo ed occuparsi di far
sciogliere la zolletta di zucchero nel caffè nero.
-Che
hai fatto di bello ieri?- le
domandò Ron improvvisamente, rompendo quel silenzio
religioso.
Pansy
aggrottò la fronte e si mise a
girare il cucchiaio con più vigore, creando vortici
tumultuosi che
tanto assomigliavano al suo precario stato mentale.
-Lo
sai benissimo cosa ho fatto ieri.-
gli rispose piccata.
Ron
si passò una mano fra i capelli,
scompigliandosi ancor di più. -Dovresti uscire.-
Pansy
non rispose. Preferì bere il suo
caffè e fingere di non aver sentito quelle ultime parole.
Non
trovava la forza di reagire.
Non
ora che aveva seppellito parte
della sua famiglia mentre l'altra parte del clan era rinchiuso in
carcere in attesa di sentenze già scritte.
Si
era ritrovata dall'avere tutto al
non avere niente, nemmeno un briciolo di speranza e vedeva con
sospetto la strana presenza del Weasley nella sua vita.
Era
ritornato lentamente, convincendola
che il letto non era un rifugio eterno, instillandole il ricordo
della Pansy orgogliosa e forte che un tempo era.
All'inizio
era convinta che il ritorno
di Weasley fosse legato a un qualche desiderio carnale, al ritorno di
vecchie abitudini e desideri risvegliati.
Si
era aspettata di sentirlo nuovamente su di sé, di sentire le
sue carezze, il calore traspirare dal suo corpo
scaldare il suo. Invece, Ron non aveva fatto un passo o un'allusione.
Un
abbraccio, un sorriso, una battuta,
la sua ingordigia, la sua viva speranza, la sua felicità e
il suo
ottimismo per il futuro erano le uniche cose che le concedeva.
Una
pallida anteprima del nuovo Ronald.
Non
aspettò una sua reazione e si alzò
bruscamente, camminando in fretta verso l'uscita, respirando a pieni
polmoni l'aria frizzante di novembre.
Era
pronta a svoltare e confondersi
nella folla quando sentì una presa al braccio e la sua corsa
si
arrestò bruscamente.
-Ron.-
sospirò a metà fra la rabbia e
il sollievo, ma ogni protesta fu sedata dall'irruento bacio che le
tappò la bocca.
Per
un solo attimo, lasciò alle spalle
i problemi e i principi che la tormentavano e baciò con
trasporto
quelle labbra che sapevano di marmellata e di caffè.
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Capitolo 4 *** Solitudine ***
#Solitudine
Aprì
gli occhi turbata e si passò in
fretta la mano sulla fronte sudata.
Boccheggiò
per il caldo e tentò di
recuperare un briciolo di ritegno quando decise di scendere dal letto
e camminare verso il bagno.
Fece
scorrere l'acqua a lungo,
bagnandosi i polsi e il collo, rinfrescando la pelle e la mente.
Aveva
appena fatto un incubo.
L'ennesimo.
Cercò
di ricordare i dettagli, ma
ormai erano svaniti, risucchiati dalla sua mente e gettati via.
Sarebbero
ritornati la notte seguente,
questa era l'unica certezza.
Bevve
lunghi sorsi di acqua ghiacciata
e s'incamminò verso il letto, pronta per una nuova notte
passata fra
occhi arrossati, incubi ricorrenti e bagni di sudore.
Una
volta sdraiata lasciò scorrere la
mano verso l'altra parte del letto, quella parte che da tempo non
osava toccare o spostare.
Il
cuscino era ancora quello a righe
blu e bianche, l'aveva lasciato così convinta che potesse
conservare
la forma della sua testa, il profumo della sua pelle, i sogni e i
pensieri che l'aveva sfiorato quella lontana notte.
Lisciò
qualche piega fra le lenzuola
mentre una silenziosa lacrima le bagnava il viso che si rifiutava di
piangere, bloccato in una smorfia a metà fra la desolazione
della
solitudine e l'orgoglio spezzato.
Pansy
si rese conto per la prima volta
di quanto fosse sola, ormai.
Aveva
ancora qualche amico, sicuramente
le sorelle Greengrass e Malfoy, ma anche loro non erano altro che
pallidi ricordi di un passato quasi remoto. I loro sguardi non aveva
più la vivacità di un tempo, erano diventati
brutalmente adulti.
Si
morse le labbra cercando in tutti i
modi di soffocare un pianto disperato e nascose il suo viso sotto
quel cuscino a righe blu e bianche.
Harry
fissò a lungo il suo migliore
amico immobile con il cucchiaio in mano e la ciotola di cereali e
latte caldo non ancora toccata. La cosa non lo preoccupava
più di
tanto, Ronald, da quando era finita la guerra, aveva delle strane
crisi. Il suo sguardo s'incupiva bruscamente, rispondeva a
monosillabi e generalmente non aveva appetito. Di solito quello
strano umore se ne andava via nel giro di qualche ora, tempo di
pensare alle scartoffie da leggere per l'Ufficio o alle missioni da
preparare che quell'aria abbattuta spariva e ritornava il solito Ron.
-Che
hai?- gli domandò dandogli una
pacca sulle spalle e sedendosi accanto a lui.
-Eh?-
esclamò Ron confuso. -Ah, nulla.
Nulla.- rispose velocemente.
-Ron
… E' da un po' che volevo
chiederti se … - non continuò la frase provando
troppo imbarazzo.
Da quando lui e Ginny avevano trovato la data perfetta per il
matrimonio era stato a lungo assente, trascinato dalla sua fidanzata
a fare compere, provare un centinaio di completi, litigare
sull'apparente utilità nell'avere due accompagnamenti
musicali
anziché solo uno e altre cose da matrimonio; il resto del
tempo
libero lo passava sistemare la nuova casa secondo gli ordini di
Ginny. Sentiva di aver perso una parte della vita del suo migliore
amico, non riusciva a capire come facesse ad amarla, ma non stava a
lui giudicare.
-Sì,
io … La amo.- disse lentamente
Ron, rispondendo a quell'incompleta domanda. Il cucchiaio cadde nella
ciotola e il latte schizzò verso l'alto per poi raggiungere
e
bagnare la grande tovaglia bianca.
-E
allora perché continui a startene
qui, eh?- gli chiese sorridendogli.
-Come
perché? Mi sembra ovvio, no?-
sbottò Ron. Harry scosse la testa e la sua irritazione
aumentò
considerevolmente. -Lei non vuole … Siamo diversi e
… E' giusto
così, Harry. E' giusto dividersi e allontanarsi.-
mormorò.
-E
questo chi l'ha deciso? Quando io me
ne sono andato, Ginny non me l'ha perdonato e ma l'ha fatta pagare
cara, ma non per questo ci siamo divisi.-
-Fra
voi è diverso.-
-Come
fai a dirlo se non vuoi nemmeno
sapere cosa esattamente intendeva con quella lettera?- lo
rimproverò
Harry alzandosi e tirandogli un leggero scappellotto. -Alzati e
combatti, anche se è una guerra persa, Ron.-
Una
volta a letto, Ron ripercorse la
conversazione avuta con Harry quella sera.
Forse
avrebbe dovuto alzarsi e
combattere.
Forse
era meglio starsene per conto
suo, vivere serenamente e dimenticarla.
Quella
notte non dormì.
Era
troppo spaventato dall'idea di non
vederla mai più, le sua mani ricordavano ancora la sua pelle
morbida
e se si concentrava poteva udire la sua risata, sentire il suo
profumo leggero e il suo caldo corpo contro il suo.
Probabilmente
era arrivato il momento
di scegliere di chiudere definitivamente quella porta o spalancarla
ed accettarne le conseguenze.
Ma
per quella notte, preferì farsi
cullare dalla solitudine ancora un po'.
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Capitolo 5 *** Consapevolezza ***
#Consapevolezza
Prima di dormire era solita cercare di
riordinare i pensieri di un'intera giornata e metterli in fila,
seguendo un'immaginaria linea razionale. Scartava quei pensieri bui,
sprazzi di oscurità e di antichi ricordi, e si stringeva al
petto i
momenti più tranquilli.
Una volta finito e raggiunta una strana
pace, spegneva la luce e si rintanava nel mezzo del letto, protetta
dalle coperte e dai pensieri.
Ma ora le cose erano cambiate.
Ogni volta che si spostava bruscamente
nel letto, incontrava un piede, toccava un braccio, sfiorava un
petto.
Non aveva più bisogno di pensieri, di
momenti di raccoglimento, tutto poteva essere riassunto dalla sua
costante presenza.
Ogni sera respirava il suo profumo.
Ogni sera le sue labbra la baciavano
con delicatezza, sfioravano una spalla e proseguivano lentamente per
il collo.
Ogni sera un braccio la cingeva, forte
e deciso, a sé.
Ogni sera parlavano e discutevano.
Ogni sera gli raccontava di quei
pensieri che silenti e velenosi si aggiravano ogni giorno nella sua
testa.
Sera dopo sera, la consapevolezza di
essere amata, nonostante tutto, distruggeva gli ultimi muri della sua
coscienza.
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