Figlia di Poseidone ψ

di ripple
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rick. ***
Capitolo 2: *** Scopro che i Lestrigatti odiano l'acqua. ***
Capitolo 3: *** Ah, e c'è anche mia madre... ***
Capitolo 4: *** E adesso una bella gita al Campo. ***



Capitolo 1
*** Rick. ***


Figlia di Poseidone ψ

 
Capitolo 1
Rick.


 

Il semaforo diventò verde, e scattai in avanti, senza neanche controllare se le macchine si fossero fermate. Sono sicura che se ci fosse stato un pirata della strada, sarei già stata spiaccicata sul suo parabrezza. Una cosa è certa, è sicuramente meglio essere aggrediti da una macchina che dalla mia insegnante di fisica. La Calzari.
Non so se avete presente il tipo. Occhi da falco, orecchie da pipistrello, voce da cornacchia e una reazione da leonessa, se non peggio, nei confronti dei ritardatari. Ed io non ci tenevo ad essere tra quest’ultimi.
Saettai tra i passanti, cercando di non investire nessuno, e visto che io riesco sempre nel mio intento, presi in pieno un povero ragazzo innocente che si stava facendo una tranquilla passeggiatina di prima mattina.
– Oddio, scusami! Non volevo andarti addosso, è solo che… –
– Lo spero bene. – m'interruppe.
– Come, scusa? – Alzai lo sguardo per guardarlo in faccia e rimasi letteralmente a bocca aperta. Capelli lunghi fino alle spalle e biondi come il sole, e occhi grigi come una tempesta. Sembrava di guardare l’impersonificazione del cielo. So cosa state pensando. Sole e tempesta insieme non si vedono tutti i giorni, ed è proprio per questo che quel ragazzo era così impressionante. Impersonificava due possibili stati in cui il cielo si poteva presentare. O sole, o pioggia. E lui era tutti e due.
– Dico, lo spero bene che non volevi andarmi addosso.
Mi ripresi abbastanza da poter rispondere come faccio di solito. – Ah, ma tu guarda. Proprio il simpaticone mi doveva capitare, oggi.
Il Simpaticone mi porse la mano, che strinsi, confusa. Appena venni a contatto con lui, sentii un lieve pizzicore alla mano, come se mi avesse dato la scossa.
– Piacere, Rick.
– Piacere, Circe. Adesso fammi passare se non vuoi che ti trasformi in un maiale. – sbottai. E funzionò abbastanza bene, perché si fece subito da parte. Però non sembrò molto infastidito dalla mia risposta, e questo mi dava sui nervi. Tutto quello che uscì dalla sua bocca fu un sorriso.
Gli rivolsi un ultima occhiata e mi rimisi a correre, più spedita che mai. Non ho tempo da perdere, io, con questi tizi.

 

***

 
Bussai alla porta della mia classe esattamente alle 8.05, il limite di entrata, ed ero decisamente a corto di ossigeno. Peccato solo che nei dintorni non ci fossero stati dei rifornimenti appositi.
La voce di una donna che aveva decisamente bisogno di mangiare un po’ di miele mi invitò ad entrare. E così feci, ma con molto cautela.
– Gray! – gracchiò la mia prof. – Sempre in ritardo, lei, eh? – Sempre per lei equivale ad una sola volta, ma abbastanza per punirti.
– Mi scusi prof, ma stamattina ho avuto un contrattempo, e non…
– Non mi interessa! – Non so perché, ma nessuno mi lasciava finire nemmeno una frase quel giorno. – Per punizione non ti farò entrare nella mia ora, dovrai aspettare la prossima.
Stava scherzando? Dopo tutta la corsa che mi ero fatta, era questo il modo di ringraziarmi? Farmi aspettare fuori dall'aula per un’ora? Neanche per sogno. Gli avrei fatto vedere io con chi si stava mettendo contro.
– Sì, prof – E uscii dall'aula.
Quello sì che era il modo di farle vedere chi ero. Proprio da alunna liceale coraggiosa e ribelle.
Decisi di uscire dalla scuola per prendere una boccata d’aria. Giusto due minuti. Si, due minuti, che si sarebbero poi prolungati in molto, molto più tempo.
Appena misi un piede fuori dal cancello della scuola, una figura mi passò davanti alla velocità della luce.
Passato lo stupore momentaneo, guardai verso sinistra, cioè nella direzione in cui correva, e lo riconobbi. Rick. Chi altri poteva avere quei capelli?
Feci un calcolo veloce, e se due più due fa quattro, nessuno avrebbe rubato uno zaino pieno di libri scolastici. Lo feci cadere a terra e mi lancia all'inseguimento di Rick. Non so nemmeno adesso perché lo feci. Chiamatelo istinto.
Ad educazione fisica sono sempre stata la più veloce, anche tra i maschi, e quindi non ci misi molto a raggiungerlo. Gli arrivai accanto, e lui mi notò subito. Per un attimo intravidi un velo di stupore nei suoi occhi, non tanto perché fossi lì, accanto a lui, ma molto più probabilmente perché aveva notato che ero molto veloce. Comunque svanì subito.
– Oh, ciao Circe. Ci si rivede. Che stai facendo di preciso?
– Stavo per farti la stessa domanda.
Lui che fece? Sorrise.
– Gioco ad acchiapparello con dei miei amici.
Mi girai a controllare e per poco non tirai un urlo. Dietro di noi, in lontananza, riuscii a scorgere cinque o sei figure che correvano nella nostra direzione. Ad occhio e croce, saranno stati alti tre metri e non avevano per niente un aspetto amichevole. Mi volta di scatto verso Rick, che continuava a correre come se tutto quello che stava succedendo fosse perfettamente normale.
– Tutti i tuoi amici sono alti tre metri ed hanno dei gonfiabili ricoperti di tatuaggi al posto delle braccia?!
A questo punto fece un’espressione tra il sorpreso, per la prima volta, e il preoccupato. Sgranò gli occhi e guardò dritto nei miei.
– Tu… Tu li vedi? – balbettò, rallentando. – Nel senso… Li vedi nella loro vera forma?
– Se nella loro vera forma appaiono giganti, fin troppo muscolosi e pieni di tatuaggi… Sì, li vedo nella loro vera forma. – Ripresi fiato. – Ma chi sono?
Distolse lo sguardo e ricominciò a correre come prima. – Lestrigoni.

 







Notes;

Ehm... Salve? Salve.
Allora. Questa è la mia prima storia in assoluto che pubblico su EFP (un sogno divenuto realtà), e sono così eccitata!! Fra qualche secondo cliccherò 'pubblica storia'! E se state leggendo questo credo proprio che io lo abbia già fatto.
Calmandoci, spero che vi piaccia, perché quest'idea di fare una storia sulla figlia di Poseidone... beh...  è stato solo un piccolo colpo di genio (o forse un colpo alla testa).
So che non ho detto praticamente nulla in questo 'capitolo', che è più un'introduzione, ma appena ho scritto 'Lestrigoni' mi sono detta "Ehi, posso sempre far finire il capitolo qui".
Ok, adesso che mi avete ben inquadrata come la matta, potete ritornare alla vostra vita normale.
Bye bye blackbirds. (chi ha visto Nemico Pubblico può capire)
Angie.

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Capitolo 2
*** Scopro che i Lestrigatti odiano l'acqua. ***


 

Figlia di Poseidone ψ


Capitolo 2
Scopro che i Lestrigatti odiano l’acqua.


 

– Lestri-che?
Si fermò di colpo. – Ascoltami bene, te lo dirò una sola volta. Adesso tu entri in questo bar, e ci resti. Io tornerò a prenderti il prima possibile, ma se vedi che entro un’ora non sono qui fila dritta a casa e racconta tutto a tua madre.
– Spero vivamente che tu stia scherzando.
Mi guardò con aria grave. – Ed invece sono fin troppo serio. È molto importante che tu faccia quello che ti ho detto. Chiaro?
– Sì, chiaro come un finestrino sporco di cacca! Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Da come ti preoccupi sembra che ci vogliano mangiare!
– Esattamente.
Rielaborai quest’ultima parola nella mia testa per un po’ di tempo, forse anche troppo, perché mi accorsi che Rick si stava seriamente agitando, e di tanto in tanto buttava qualche occhiata dietro di noi. Potevo immaginare il perché. Finalmente riuscii a mettere insieme qualche pezzo del puzzle: c’erano dei mostri cannibali che si volevano mangiare Rick, mi sono messa in mezzo e volevano mangiare anche me. Se non volevo essere il contorno, dovevo nascondermi e aspettare. Peccato che l’unica cosa che non sappia fare è proprio non fare niente.
– Se quei tizi sono davvero così pericolosi come mandi a credere – replicai – Credo sia meglio che tu non li affronti da solo.
Mi lanciò una terribile occhiataccia. – Non pensarci nemmeno. Non sei pronta.
Quella affermazione mi fece innervosire non poco. – Oh, questa mi mancava! Adesso sei tu che mi dici se sono pronta o no? – Feci una pausa. – Ma per cosa, poi?
Prese un gran respiro e mi guardò fisso negli occhi, come se volesse trovare nella mia testa il modo più giusto per rispondermi. Ma poi disse: – Senti, ne possiamo parlare dopo? Non credo che questo sia il momento più adatto.
Ohh, e va bene! – Incrociai le braccia e mi avviai impettita verso il bar che era a due metri da noi. Appena prima di partire sentii che mormorò un “Grazie a Zeus”.
Prima di varcare la soglia mi girai e lo vidi correre verso quei... Lestrigatti. Pensai che volesse affrontarli da solo e a mani nude, e stavo lì lì per urlargli una cosa del tipo “Ma che diamine stai facendo?!” ma alla fine non lo feci. Ormai si erano quasi scontrati, quando, nel giro di un nanosecondo, Rick fece apparire nella sua mano una spada, e con questa infilzò il piede di uno dei giganti. Questo si disintegrò all’istante, davanti al mio sguardo incredulo. In questo modo confuse tutti gli altri ed ebbe il tempo di sterzare in una via secondaria. Appena se ne accorsero lo inseguirono molto più arrabbiati - come se prima avessero meno voglia di mangiarlo.
Ero rimasta impietrita, con le idee più confuse che mai e con un barista che da mezz’ora mi stava chiedendo se stavo bene, che cosa stavo facendo, ma non dovevo essere a scuola… Certa gente non sa proprio starsi zitta e farsi i cavoli propri. Comunque, dovevo decidere se rimanere là a prendere un caffè nell’attesa che un ragazzo fuori di testa mi sarebbe venuto a prendere dopo aver affrontato un branco di malati mentali troppo cresciuti, o di partire al loro inseguimento. Optai per la seconda. Mi avviai a tutta birra nella direzione che avevano preso, senza la più pallida idea di cosa avrei fatto una volta che li avrei raggiunti.
Dopo non so quanto tempo che gli correvo dietro, ovviamente senza farmi vedere, finalmente si fermarono. Eravamo in una piazza. Be', non era esattamente una piazza. C’era questa grande fontana semicircolare, di cui la parte circolare era costeggiata da una strada molto larga, mentre l’altra era un monumento in miniatura da cui l’acqua si riversava nella vasca. Sapevo dov’ero: al Gianicolo, e quella era la fontana dell’acqua Paola - a Roma conosciuta come “Il Fontanone”.
Rimasi in disparte. Mi guardai intorno e non notai nessuno, a parte un paio di turisti in lontananza. Vorrei vedere! Con il freddo che faceva quel giorno avrei giurato che stessero tutti in una pizzeria bella calda. Ma meglio così, non si sa mai. Ritornai a guardare Rick, che ora stava correndo dritto dritto verso i Lestrigatti. Colsi al volo l’occasione per osservare meglio Rick: era abbastanza in forma, prima di tutto. Il mio intuito decise che aveva sedici anni, mentre io ne avevo quindici. E questo l’ho detto solo per puntualizzare. Indossava una maglietta nera aderente con le maniche lunghe, un gilet di jeans aperto e un po’ strappato, come anche i pantaloni, lunghi e leggermente larghi. Dava l’idea di essere un duro - forse anche per quella sua faccia da ‘sopravvissuto’ - e di avere una grande storia alle spalle, ma secondo me sulle spalle gli mancava la testa.
Ritornando al combattimento... Rick era ormai arrivato ad un paio di metri dai Lestrigatti, quando s'impuntò all’improvviso e lanciò la sua spada contro il più vicino. Appena questa si infilzò nella sua gamba, il gigante si disintegrò all’istante in una polvere dorata - o d'orata, se preferite. Tutto questo davanti al mio sguardo incredulo e alla mia bocca incredibilmente spalancata. Mi ripresi e riuscii a riconcentrarmi su quello che stava succedendo.Quell'azione mi aveva confermato la sua stupidità. Come avrebbe fatto senza arma? Per tutta risposta si girò e corse verso il monumento della fontana, dove iniziò ad arrampicarsi. Arrivò in cima nell’esatto momento in cui i giganti finirono di accerchiare il Fontanone. Due dietro la pietra e due con i piedi nell’acqua. “Sì, è proprio deficiente” Insomma, solo un vero deficiente si sarebbe messo in trappola da solo essendo anche disarmato. Rick restava immobile, come ad aspettare qualcosa.
Un Lestrigatto parlò. – E adesso come farai a scappare? Sinceramente, mi aspettavo un briciolo d'intelligenza dal figlio del dio del cielo! – Tutti risero. Tranne Rick, ovviamente. Invece, alzò un braccio e rivolse la mano al cielo. Prese un grande respiro ed urlò. Proprio in quel momento nel cielo apparve una luce che mi costrinse a girarmi per non farmi male agli occhi. Ma non avrei mai potuto vedere quello che sarebbe successo un secondo dopo se non mi fossi rigirata, quindi lo feci. Vidi con chiarezza - forse troppa - un fulmine prendere in pieno il gigante che aveva parlato.
– Mai… nominare… mio padre… in mia… presenza! – Fu Rick a parlare. O ad esclamare, fa lo stesso.
– Che c’è, hai litigato con il tuo paparino? – Non pensavo che qualcun’altro avrebbe avuto il coraggio di parlare in quella situazione, ma evidentemente esisteva qualcuno più deficiente di Rick. Comunque un altro fulmine colpì il punto dove ci sarebbe dovuto essere il Lestrigatto idiota. Ma stavolta non si disintegrò nessuno, perché lui non c’era più.
– Tutto qui quello che sai fare, piccolo tuono? – Piccolo tuono? Questa me la dovevo segnare.
Rick adesso sudava e respirava a grandi boccate. Qualsiasi cosa sovrannaturale avesse fatto, non ero tanto sicura che ci sarebbe riuscito un’altra volta. Erano tre giganteschi mostri contro un omuncolo che dava l’idea di svenire da un momento all’altro. Aveva iniziato anche a tremare. Gli occhi di Rick saettarono incrociando i miei. Mi sentii il viso bollente e scommetto di essere diventata tutta rossa. La sua espressione sembrò dire “è quasi ora” o una cosa del genere. Notai le sue labbra stirarsi in un sorriso appena accennato, subito prima che portasse la mano sinistra su quella destra. Vidi materializzarsi nella sua stretta la stessa spada che aveva lanciato prima, mentre si voltava. La lanciò - dico io, ma non faceva prima a portarsi una lancia? - al petto dell’unico Lestrigatto rimasto fuori dall’acqua. Stavolta non ebbi il tempo di controllare se si sarebbe disintegrato, perché mi accorsi che i due giganti si erano piegati sulle ginocchia e nel giro di due secondi avrebbero raggiunto Rick. Lui non avrebbe avuto la forza di resistere o saltare giù in quel momento, e loro lo sapevano. Rick mi guardò e se prima il suo sguardo mi stava dicendo che era quasi ora adesso mi stava dicendo che era ora. Ma di cosa?? Sapevo solo che sarebbe morto.
– NO! – Mi accorsi solo dopo di quello che feci. Ero uscita allo scoperto. Avevo un braccio disteso davanti a me e la mano aperta.
Tutto ad un tratto mi sentii debole, come se avessi appena finito di sollevare pesi dopo due ore di palestra. Mi lasciai cadere a terra, sedendomi. Mi feci coraggio e guardai dove sarebbe dovuto esserci Rick. Anzi, dove c’era Rick.
Sorrisi, dopotutto ero felice che non fosse morto. Mi guardò anche lui, si mise seduto e dopo un po’ di secondi che sembrava entrato in trance, ricambiò il sorriso. Evidentemente anche lui ne era felice.

 

***

 
– No, no, no, no – Non ci potevo credere. – e no! – Stavo camminando avanti e indietro su una linea immaginaria di due metri da circa di cinque minuti.
– Sì. – Rick era seduto sul bordo della fontana, ed era piuttosto calmo. Come sempre. Mi fermai e lo guardai in faccia, aspettando che lui facesse lo stesso.
– Non so se ti rendi conto di quello che mi hai appena detto!
– Mi sembra che tu stia esagerando un po’. Che ti ho detto di tanto strano, in fondo?
– Ah, ma niente, guarda! Infatti è roba da tutti i giorni scoprire, sempre che poi sia vero, che tutti gli dei e gli eroi della mitologia greca sono reali, e che io sono la figlia di uno degli dei dell’Olimpo! Sì, proprio tutto perfettamente nella norma! Che poi, di quale hai detto che dovrei essere figlia, io?
– Non l’ho detto, ma mi sembrava piuttosto palese. – Detto questo, indicò le due nuove statue di ghiaccio di due giganti.
Allargai le braccia e scossi la testa. – La dea del frigorifero? – buttai lì a casaccio. Lui, di tutta risposta scoppiò in una risata isterica. Quando si calmò, io lo stavo aspettando con le braccia conserte e la faccia più seria che trovai. Sembrò farlo calmare definitivamente.
Si asciugò un’ultima lacrima col dito e mi disse: – Poseidone, Penny. Poseidone. – Sì, conosceva il mio nome, ma non chiedetemi perché, perché non ne ho idea. – Tu sei la figlia di Poseidone. – Non dissi nulla.
Lo guardai, poi guardai le statue di ghiaccio ed infine fissai l’acqua della fontana. Chiusi gli occhi e mi concentrai. Immaginai di essere l’acqua stessa, di alzarmi e uscire fuori dalla vasca. Aprii gli occhi e notai, con mio grande stupore, che una grande bolla d’acqua stava galleggiando nell’aria proprio alle spalle di Rick. Lui ancora non si era accorto di nulla, ma deve aver subito notato i miei occhi strabuzzanti, perché decise di girarsi. Prima che potesse spiaccicare mezza parola, venne inondato da un terzo di tutta l’acqua della fontana. Rimase immobile, ancora voltato.
Dopo un po’ di secondi che non successe nulla decisi di parlare. – Ehm… Sì, potrebbe essere.






Notes;


Ollè! E pure questo capitolo è andato. Che ci crediate o no, è stata una faticaccia, tra famiglia, amici, feste, compiti, e altre cose. Ma ora sono qui, e sono riuscita ad aggiornare!
Stavolta spero di non aver fatto tutti gli errori dell'ultima volta *arrossisce, ricordandosi che ancora si vergogna di questo* e spero anche che vi possa piacere come l'altro :D
Approposito, voglio ringraziare, ma proprio tanto, tanto, tutte le dolcissime personcine che hanno recensito e/o messo tra i preferiti o le seguite... Non so davvero come ringraziarvi, sono al settimo cielo!
Per finire, ho un paio e tre fotuzze da mostrarvi :3
- Il Fontanone.
Rick.

- Un Rick un po’ più solare.
Ovviamente cercate di immaginare i capelli del ragazzo un bel po' più biondi. Solo che, dopo tante ricerche, ho trovato Travis Fimmel, che è quello che gli assomiglia di più... nella mia testa.
Per Penny ancora devo trovare la sua sosia, mi spiace ù_ù
Basta, chiudo qua *qua, qua, qua*.
Angie.

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Capitolo 3
*** Ah, e c'è anche mia madre... ***


 

Figlia di Poseidone ψ


Capitolo 3
Ah, e c’è anche mia madre…


 

Dopo la mia ultima frase si girò, sempre molto lentamente.
Rick è un ragazzo con molto autocontrollo. Scommetto che se fosse stato un minimo più impulsivo, mi avrebbe già scagliato contro un fulmine. Ma io dovevo pur accertarmi che avessi ‘poteri magici’, no? E poi quello del bagno è stato un imprevisto, non era mia intenzione inzupparlo completamente.
– Così adesso pensi che forse potresti essere la figlia del dio del mare? Che altra prova ti serve, scusa? – Per poco non scoppiavo a ridere. No, seriamente. In quello stato sembrava un pulcino bagnato, e visto che stava contenendo la rabbia, un pulcino bagnato arrabbiato. Ditemi voi se non vi sarebbe sembrato buffo.
– Mah, non saprei… Però potresti sempre spiegarmi altre cose riguardo a questa… nuova storia.
– Che ne dici se prima mi asciughi? – Ha detto, asciughi? Io?
– Chi, io? Ma se non so neanche come si usa un phon! Non potresti pensarci da solo, scusa?
Si alzò, ed iniziò a strizzarsi la maglietta. – Perché non ci provi tu? Fai allenamento, così. 

– Allenamento per cosa?
– Credi che quelli siano gli unici mostri in circolazione? Ti dovrai far trovare veramente preparata la prossima volta.
– A proposito di questo. Quando eravamo vicino al bar, mi hai detto che non potevo aiutarti perché non ero pronta. Quando hai incrociato il mio sguardo, alla fontana, non solo non eri sorpreso, ma ti aspettavi che io ti aiutassi. E sapevi anche come ti avrei aiutato! Non a caso hai lasciato ‘per me’ i due Lestrigatti den…
– Lestrigoni.
Lestrigoni! Dentro all’acqua.

Non so come, ma ero riuscita ad accettare il fatto che fossi una semidea in pochissimo tempo, ma senza rendermene veramente conto.
Sorrise e mi rispose. – Secondo te avresti potuto fare quella cosa con l’acqua anche da morta? – Stavo per replicare, ma non me lo permise. – Sì, perché non credo che avresti fatto una bella fine se i Lestrigoni ti avessero vista. Invece, ho pensato bene di farti restare in fondo, da parte, dove avresti avuto la tua occasione.
– Come facevi a sapere che ti avrei seguito ugualmente, anche se mi avevi detto di non farlo?
Per tutta risposta alzò un sopracciglio.
– D’accordo, ho capito! Da questo punto di vista sono abbastanza prevedibile, lo ammetto – Feci roteare gli occhi e incrociai nuovamente le braccia. – Prevenuto. – borbottai.
– Bene, ora che finalmente abbiamo trovato una cosa su cui siamo d’accordo, potresti…
– Oh mamma, quanto sei assillante! No, non mi va di asciugarti. Mi dispiace ma dovrai restare così. – Mi guardai intorno. – Ora che si fa?
– Ah, non preoccuparti. Ti capisco se non te la senti.
– Io non… Non è che non me la sento! Non voglio prendere ordini da nessuno! Tantomeno da te!
– Va bene… Cerca solo di non farlo diventare il tuo difetto fatale. 

– Difetto fatale? – ripetei. – Potresti per favore, e dico per favore, non usare termini che non conosco a meno che il tuo fine non sia di spiegarmene il significato? Mi dai veramente sui nervi quando fai il saputello so-tutto-sulla-mitologia-greca-e-tu-no! – Ad un certo punto mi sentii afferrare per le braccia che stavo agitando in aria in preda al nervosismo. Mi bloccai immediatamente.
– Ti dai una calmata? – Poi imitò una voce isterica. – Mi dai veramente sui nervi quando ti agiti così.
Cercai di liberarmi, ma era molto più forte e fermo di quanto mandasse a vedere. Però era ancora tutto bagnato, e mi venne un’idea. Mi concentrai e, non so esattamente come, riuscii ad attirare tutta l’acqua via dal suo corpo facendola scivolare fino ai suoi pugni. Da qui mi fu facile sfilare le braccia dalla sua presa.
Una volta libera mi massaggiai un po’ i punti che Rick mi aveva stretto.
– Mh. Niente male, Gray. E grazie per l’asciugatina, ci voleva proprio. – Si accarezzò i vestiti che sembravano essere stati appena ritirati dalla lavanderia.
D’un tratto mi resi conto che, a parte essermi liberata, avevo ritirato tutta l’acqua dai vestiti e, sempre senza rendermene conto, l’avevo completamente asciugato.
Da dentro mi salii una tremenda rabbia. Io odio essere presa in giro. E lui l’aveva appena fatto. Mi accorsi che stava anche sorridendo, beffardo. Non riuscii a trattenermi. – TU! – Alzò lo sguardo, impassibile. – COME TI SEI PERMESSO?! – Gli puntai minacciosa un dito in faccia, che lui abbassò con noncuranza.
– Non prendertela. Ti assicuro che ti ci abituerai subito a non essere la più furba del Campo.
– Ah, no! Non vorrai mica portarmi in qualche posto sconosciuto e pieno di tizi antipatici come te?! Guarda che io di qui non mi muovo!
Rick si mise a sedere, sospirando, sul bordo della fontana, ma si rialzò di scatto quasi subito, come se avesse ricordato quello che era successo cinque minuti prima. Passarono degli attimi di silenzio.
– Lo sai? Non so proprio come comportarmi con te. – disse infine.
– Te lo dico io come comportarti: rispondi alle mie domande. Una-per-una. E non fare il misterioso e niente giri di parole o mezze risposte. Non ho la minima intenzione di partire senza neanche sapere a cosa sto andando in contro.
Allargò le braccia in segno di resa. – Come ti pare.
Soddisfatta, iniziai a contare sulle dita. Non sapevo esattamente quante cose gli avrei chiesto, ma contavo sul fatto che una domanda tirasse l’altra.
– Primo: come hai fatto a trovarmi?
Ridacchiò. – Be', sinceramente non credo che siano molte le persone che riescano a vedere i mostri, qui a Roma.
Sgranai gli occhi. – Non sapevi che aspetto avessi?
– No. Sapevo solo che ti avrei trovata in questa città.
– Ma se io non fossi rimasta fuori scuola non ci saremmo mai rincontrati e tu non mi avresti mai trovato…
– E questo chi l’ha detto, l’Oracolo? ‘Dai tempo al tempo’… Mai sentito?
– Da quant’è che mi stavi cercando?
– Uhm… direi si e no… una settimana.
Una settimana?!
– Sì. Dai, andiamo avanti. Non voglio essere ancora qui quando altri mostri ci fiuteranno.
– Ma non hai quella tua spada stramba che appare dal nulla?
Si fece scappare una risatina. – Non appare dal nulla, Penny. – Alzò la mano destra e indicò l’anello che aveva al dito, e che scoprii solo dopo essere di titanio. Aveva una testa d'aquila al centro. Immagino simboleggi il regno di suo padre, il cielo. – Guarda – Mi scanso con l’altro braccio e poi sembrò che una scarica elettrica gli percorse il braccio fino ad arrivare alla mano. A questo punto gli occhi dell’aquila si illuminarono come due lampadine che si accendono, e in un attimo l’anello si trasformò in una bellissima spada lucente che già era stretta in un pugno. – Ti presento Fulmine.
Rimasi totalmente a bocca aperta. – Wow…
Rise. – Dovresti vedere la tua faccia! Sembri un pesce lesso!
A quelle parole mi ripresi immediatamente. – Mi stai prendendo in giro? No, dimmelo subito se mi stai prendendo in giro, perché non mi piace neanche un po’ che le persone mi prendano in giro!
– Questo lo avevo notato. – Indicò le mie mani strette in dei pugni che mi facevano sbiancare le nocche e il mio volto impegnato ad avere un’espressione alquanto infuriata. Ci mancava solo che mi sventolasse davanti agli occhi un telo rosso e vi potevate anche risparmiare il biglietto per andare a vedere una corrida.
– Senti tu, sto iniziando a non sopportarti veramente più!
– Oh, sai che sorpresa. – Non so in che modo esattamente, ma ritrasse la spada, e ne rimase solo quell’anello.
– E non fare il sarcastico! Sai benissimo che non lo sopporto! – La sua faccia restò impassibile. Si studiò le unghie di una mano.
– Non è colpa mia se non sopporti niente e nessuno – Aprii bocca con l’intenzione di protestare ancora una volta, ma fu più veloce lui. Mi poggiò le mani sulle spalle e mi sussurrò con voce calma: – Cambiamo discorso, okay? Hai finito le domande e adesso sei decisa ad andare in questo posto sicuro?
Contai fino a cinque per calmarmi cercando di scacciare dalla mente l’idea di rovesciargli l’intera fontana addosso.
Calma. Stai calma e respira.
Sentii il fumo uscirmi dalle orecchie.
Strinsi più forte i pugni e mormorai a denti stretti: – Non-toccarmi. Leva immediatamente quelle sudice mani dalle mie spalle, o giuro che non risponderò delle mie azioni.
Almeno un po’ devo averlo intimorito - sì, quanto farebbe un gatto con un leone - perché le sue mani si spostarono dalle mie spalle ai suoi fianchi.
– Grazie, Rick. Ora, se non ti dispiace – Girai i tacchi e iniziai ad incamminarmi verso casa.
– Dove stai andando? Non sai come si arriva al Campo – Non gli risposi e continuai lungo la mia strada. Sentii dei passi dietro di me ed intuii chi fosse. – Non sei ancora convinta? Davvero, spiegami cosa devo fare per fare in modo di potarti via di qui!
Decisi di bloccarmi a guardarlo. – Proprio niente. Adesso me ne vado a casa a parlare con mia madre. – e mi riavviai.
Ecco, in quel momento avevo iniziato a rendermi conto di aver bisogno di una... conferma da parte di qualcuno di cui mi fidavo.
Non rispose. Camminò al mio fianco senza fiatare per circa venti minuti, quando arrivammo davanti al portone del mio palazzo. Ficcai una mano nella tasca del mio giacchetto e ne estrassi le chiavi, aprii la serratura ed entrammo. Stessa cosa feci con la porta dell’appartamento al piano di sotto.
– Davvero vivi qua sotto?
Risposi senza quasi neanche pensarci. – Sì, purtroppo. – Si voltò a guardarmi e mi rivolse un’occhiata di compassione e comprensione insieme. Se riusciva a capirmi dopotutto non doveva essere così stupido come sembrava.
Spalancai lentamente la porta e sbirciai in casa. – Mamma? Ci sei?
Dal corridoio apparve una bella signora, un po’ grassottella ma bella. Mia madre.
– Penny! Che cos’è successo, perché non sei a scuola?
Devo dire che fisicamente non gli assomiglio molto, e neanche caratterialmente. Lei è dolce e premurosa, io acida e isterica. Però andiamo piuttosto d’accordo, perché ci vogliamo bene e ci rispettiamo a vicenda.
– Ecco… Possiamo parlare? E credo anche che tu debba conoscere una persona. – Entrai totalmente in casa e invitai Rick a fare lo stesso. – Lui è Rick, mamma – Esitai un po’ prima di continuare. – Figlio di Zeus.
Ancora adesso non so descrivere l’espressione che si dipinse sul volto di mia madre. Era completamente scioccata, forse perché avrei dovuto usare più tatto, ma non so essere meno diretta di così. Nei suoi occhi non trovai stupore, bensì realizzazione. La realizzazione che io adesso sapevo, immagino. Quindi lei già sapeva chi ero io veramente eccetera, eccetera… Mi sforzai di stare nei suoi panni, cercare di capire perché non mi aveva mai detto niente, ma non ci arrivai.
– Perché? – Credo avesse capito benissimo la domanda, ma non riuscii a fermarmi. – Perché non mi hai mai detto niente? Io non mi sarei arrabbiata, non...
– No, no! Penelope, non è come credi, ci sono dei motivi più che validi. Penelope. Penny, ascoltami! – Ma non ci riuscivo, non riuscivo ad ascoltarla. Generalmente odio piangere e faccio tutto il possibile per evitarlo, ma quella volta non me ne resi neanche conto. Le lacrime uscirono tutte insieme, senza preavviso e in abbondanza. Ma non era perché mi sentivo tradita da mia madre, o almeno, non solo per quello. È che avevo passato tutta la mia vita alle prese con i soliti, stupidi problemi adolescenziali, e quella mattina ero andata a scuola con l’intenzione di fare il compito di matematica per cui non mi ero nemmeno preparata; poi sarei tornata a casa e avrei chiacchierato con mia madre. Come al solito. Invece, in meno di un’ora, avevo conosciuto un semidio, congelato due giganti cannibali e scoperto di essere figlia di un dio dell’Olimpo. Figlia di Poseidone. Io sono la figlia di Poseidone. Santo Zeus, non ero pronta. Non potevo sopportare tutto questo, non è roba che sapevo gestire. Io non sapevo gestire niente. Avevo paura. Ecco perché piangevo. Avevo semplicemente paura.
Perché? – ripetei. E questa volta non era un “perché non me lo hai mai detto?”, ma più un “perché succede tutto questo? Perché mi sta succedendo tutto questo?”.
– Oh, tesoro – Sentii delle braccia avvolgermi, ma in quel momento non potevo sopportare il più che minimo tocco, quindi mi sfilai dall’abbraccio e iniziai a correre. Corsi, senza nemmeno una meta. Corsi semplicemente più forte che potevo .
Mi fermai solo quando mi accorsi che le gambe iniziavano a perdere colpi, i muscoli bruciavano e avevo completamente finito le mie scorte di ossigeno.
Non riuscivo a pensare. Mi lasciai cadere, appoggiai la schiena ad un muro e chiusi gli occhi. Non avevo idea di dove fossi, ero solo stanca. Stanca di tutto.
 

***

 
Del mio sogno non ricordo molto, solo buio, buio e poi ad un tratto tanti colori. Ero finita in bel posto, con case, campi e tante persone,ed erano tutti ragazzi e ragazze. Era bello, ma lontano, come un sogno. E in effetti stavo proprio sognando. Ma visto che odio sognare cose che non posso avere o realizzare, mi concentrai al massimo per svegliarmi. E ci riuscii, solo che appena fui uscita dal regno dei sogni, mi resi conto di essere sdraiata. Però non era morbido come il letto di casa, né duro come il marciapiede di una strada. Quelle su cui avevo la testa poggiata erano gambe. Come se avessi avuto una molla al posto della spina dorsale, scattai a sedere, ma fui colta da un forte giramento di testa, che mi fece perdere l’equilibrio.
– Penny! – Due mani mi afferrarono saldamente le braccia e mi aiutarono a ristabilirmi.
Mi aspettai di incrociare due occhi grigi e decisi, ma appena riuscii a mettere a fuoco me ne ritrovai davanti un paio davvero… spettacolari. Erano di un azzurro speciale, mischiato a del verde alga, che davano un senso di marino. Davvero molto simili ai miei.
– Ehi Penny, come ti senti?
– Chi… Chi diamine sei?
Il ragazzo che avevo di fronte mi sorrise dolcemente. – Sono Percy. Percy Jackson. – Allentò la presa e mi guardò dritto negli occhi. Mi sentii totalmente disarmata, come se da un momento all’altro potessi abbandonarmi ad un suo abbraccio e sperare di sparirvi. – Tuo fratello.




 

Notes;


Quanto è passato? Due ere, dite? Be’, l’importante è che sono riuscita ad aggiornare, no?
Insomma, spero solo che vi sia piaciuto.
Per farmi perdonare ho due sorpresine che credo apprezzerete.
- L’anello di Rick.
Penny. (ebbene sì, gente, ho trovato la sua sosia. Più o meno)
E poi, anche se non ha molto senso, ho creato questi due avatar:
- L'avatar di Rick.
- L'avatar di Penny.
Vi mando tanti baci e ve ne recapito il triplo per le tantissime recensioni che mi avete lasciato al capitolo precedente. Io vi amo alla follia, sappiatelo.
Angie.

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Capitolo 4
*** E adesso una bella gita al Campo. ***


Figlia di Poseidone ψ


Capitolo 4
E adesso una bella gita al Campo.

 

Strinsi tra le mani la tazza bollente di camomilla, soffiandoci sopra e lasciando che il caldo e piacevole vapore mi invadesse il viso.
Forse mi stavo finalmente rilassando.
– Così… adesso ho anche un fratello – Per parlare non alzai nemmeno la testa. Ero sicura che se l’avrei fatto sarei di nuovo scoppiata a piangere. Evidentemente la tensione non era passata come speravo.
– Be’, diciamo che sarei più un fratellastro, ma dopotutto non cambia più di tanto, giusto? Voglio dire… ci possiamo chiamare come ci pare, ma alla fine conta solo come ci sentiamo, quindi.... Ecco… – Mi fece sorridere per quel suo modo impacciato di parlare. Mi piaceva, e mi stava simpatico, al contrario di qualcun altro che si era dimostrato non avere un minimo di sensibilità.
Poi un dubbio fece capolino nei miei pensieri. – Ce ne sono anche altri? Di… – Capì al volo.
– Sì, o almeno… cioè, sì. Ma… no, a dire il vero, di semidei ci siamo solo… ecco, solo noi due. Poi però ci sono anche altri fratellastri di natura… un po’ diversa dalla nostra.
– Del tipo?
– Ehm, non so… ciclopi, per esempio – Devo essere impallidita o aver fatto un espressione strana, perché riprese subito il discorso. – Ma sono molto simpatici! Ce n’è uno in particolare, Tyson, l’ho conosciuto per la prima volta qualche anno fa, quando ero ancora un ragazzino. Lui sì che è un fratellastro-ciclope modello!
Risi per la stranissima situazione familiare in cui mi ritrovavo e per allentare la tensione.
– Parlami di te – Stavolta mi rivolsi a lui guardandolo in faccia.
– Veramente… devo dire che non mi piace molto parlare di me stesso.
– Devo dire che ci assomigliamo, da questo punto di vista. – Gli sorrisi. Che bello avere un fratellastro, anzi, fratello, che possa capirmi. Mi sentii davvero sollevata. Bevvi la prima sorsata di camomilla e subito me ne pentii.
Se magari avessi soffiato un altro po’ non sarebbe stato male.
Percy iniziò a ridere e in breve tempo ne fui contagiata anch’io. Poi, senza smettere di sorridermi, mi toccò un fianco con una leggerezza infinita, e mi sussurrò: – Che ne dici, ti va di tornare di là? Credo che Rick e Barbara ci stiano aspettando con ansia.
Oh, già. Me ne stavo per dimenticare.
Acconsentii piano col capo, ma prima dovevo togliermi un’altra curiosità: – Perché mi stavate cercando? E perché proprio adesso?
– Nulla di personale, stiamo solo cercando di chiamare a raccolta tutti i semidei sparsi per il mondo.
– Mondo? Tu di dove sei, scusa?
– Manhattan, perché?
– E come facciamo a capirci? Io so a malapena chiedere ‘come stai’ in inglese!
– Penny, noi mezzosangue non abbiamo bisogno di essere nati nello stesso posto e aver studiato e parlato la stessa lingua per capirci, ne abbiamo una tutta nostra, di lingua. – Lo guardai scettica. – Non so spiegartelo bene… È strano, ma è così.
Ci pensai su per un po’. – Okay, okay. Poi… un’altra cosa – In campo di curiosità io ero al primo posto nella classifica “Ottieni più informazioni possibili in meno tempo possibile”. Non riuscivo a contenermi, davvero. Le domande mi apparivano in testa e io, senza pensarci, le facevo uscire dalla bocca. Non so se questo sia un difetto o meno. Non credo. Spero di no. – Quanti anni hai? – Ecco, questo era solo uno sfizio che dovevo togliermi. Per sicurezza gli sorrisi, non si mai.
– Diciotto. – Ricambiò il sorriso.
Figo. Avevo un fratello maggiorenne.
Uscimmo dalla mia camera con le mie spalle avvolte da un suo braccio e io che reggevo e in contemporanea continuavo a soffiare sulla camomilla che non voleva sentir ragioni di abbassare la propria temperatura. Pazienza. Tanto non mi andava più.
Entrammo in cucina e appena mia madre ci vide, smise di tagliare le patate - faceva sempre così quando era nervosa - e mi venne in contro, abbracciandomi.
– Amore. Come ti senti? Stai meglio? – Non faceva che sorridermi, quindi, per paura che si preoccupasse ulteriormente, ricambiai l’affetto, mollando la tazza a Percy, che mi diede conferma del fatto che fosse ancora bollente.
– Sì, stai tranquilla, mamma. Ero solo un po’ scossa, ma ora è passato. Ti voglio bene. – Dopo le ultime tre parole mi strinse ancora più forte. – Ma’. Credo di poter respirare sott’acqua, ma alle tue strette soffocanti non so se resisto più di tanto.
Mia madre per tutta risposta si staccò da me e mi afferrò le braccia. – A proposito di respirare sott’acqua! Percy, credo proprio che tu debba portare al più presto la signorinella qui presente a fare una nuotatina. Tanto per… prendere confidenza con il suo elemento. – Mi fece l’occhiolino, ma questo non mi impedì di sbiancare totalmente. Se per ‘nuotatina’ intendeva scendere negli abissi più profondi del mare, allora avrei preferito cambiare nome, paese e far finta di non avere nessun super potere.
– Mamma – biascicai. – Sai benissimo che io non…
– Ne sarei davvero felice! La prima, vera immersione di Penelope Gray. Non sei eccitata? – Ah. Allora stavano così le cose. Non posso scappare un momento di casa che mia madre chiama il mio fratellastro per farmi calmare, e come se non bastasse gli rivela anche la mia più profonda paura. Anzi, chiamiamolo pure terrore.
– Forse sarebbe meglio se prima la portiamo al Campo, non dite? – Una voce, di cui conoscevo fin troppo bene il proprietario, mi fece prendere uno spavento, mandandomi a sbattere contro Percy, che quasi rovesciò l’infuso che aveva ancora in mano.
– Rick! Ma quando diavolo smetterai di apparire dal nulla? – sbottò Percy.
– Non sono io che appaio dal nulla, siete voi che non fate attenzione a quello che vi succede intorno. – replicò lui con nonchalance. – Tu, piuttosto – disse rivolgendosi a me. – Se ti azzardi a riscappare via in quel modo, ti giuro che ti fulmino viva. Non hai idea di quanto hai fatto preoccupare tua madre. E anche me, se proprio vuoi saperlo. Là fuori è ancora pieno di mostri che non vedono l’ora di incrociare una bella, appetitosa, ma soprattutto indifesa mezzosangue come te. Ma questo non riesci proprio a capirlo. L’unico modo che ci era rimasto per ritrovarti è stato chiamare Percy e chiedergli di venire subito qui dal Campo, che è in America, spiegandogli brevemente cosa fosse successo. Grazie a Zeus esiste una persona sulla faccia della Terra che riesce a capire o minimamente pensare come te.
Restammo in silenzio per un po’, io trattenendo a stento la rabbia.
– Hai finito la predica, Piccolo Tuono?
Non sembrò offendersi e non diede segno di scomporsi nell’udire quel soprannome che quella stessa mattina gli avevano affibbiato i nostri cari amici Lestrigoni.
– Sì, Testuggine di Mare. – Ah, no! Testuggine di mare, no!
Senti – Avevo intenzione di partire a raffica elencandogli tutti i difetti di lui che non sopportavo - come se avrebbe cambiato qualcosa - ma una figura che mi bloccò completamente la vista me lo impedì. Percy, per cortesia, spostati. Cercai di inviargli telepaticamente, mentre lo fissavo negli occhi.
Ma lui mi ignorò e disse: – Niente litigate, grazie.
– Non era una litigata – ribattei io. – Stavamo semplicemente discutendo animatamente.
Rick fece capolino da un fianco di Percy. – Tu, stavi discutendo animatamente. Io mi limitavo a guardarti mentre ti agitavi come una foca infestata dalle pulci.
Ora basta, pensai, ha oltrepassato il limite.
Il mio sguardo finì sul rubinetto della cucina. Perfetto.
Cercando di non dare nell’occhio, concentrai tutte le mie forze sull’acqua che si trovava nel tubo, e pensai di farle pressione, fino a farla schizzare fuori dalla sua prigione e di far finire il getto dritto in faccia ad una persona in particolare.
E ci sarei anche riuscita, se solo Percy non avesse colto la mia strana indifferenza alla provocazione di Rick. Infatti allungò una mano verso il lavabo, e in me che non si dica smise subito di tremare.
– Penny. – Mi guardò fisso negli occhi, ma non sembrava arrabbiato. Più un rimprovero da fratello maggiore a sorella minore. E pensando così, mi venne da ridere. In meno di tre secondi iniziò anche lui, mentre mia madre e Rick ci guardavano come se fossimo pazzi.
Credo proprio che non si siano accorti di niente.
 

***

 
– Okay. Quindi, ricapitolando: entriamo in acqua insieme, e poi, senza fretta, iniziamo a camminare lungo il fondale. E, sempre molto lentamente, andiamo a largo – Dire che ero tesa come una tavola da surf era dire niente. Dire che non vedevo l’ora di entrare in acqua è come dire che gli elefanti piacerebbe andare a cena con i topolini tutte le sere. Una presa per il culo. Cercai lo sguardo rassicurante di mio fratello, e non solo lo trovai, ma mi prese anche per mano. – Ecco, bravo. Tienimi per mano e non t’azzardare a lasciarmi, chiaro?
Lui mi sorrise a trentadue denti, facendomi l’occhiolino. – Cristallino. – Mi feci scappare una risata, perché con la faccia che aveva fatto sembrava davvero un bambino piccolo che portava la mamma a vedere la sua prima recita. Era il ragazzo più tenero del pianeta, a parer mio. E per farmi pensare una cosa del genere, o mi minacciavi con la pistola puntata sulla tempia, o dovevi essere proprio una grande persona.
Presi tanto coraggio e un bel respiro e misi il primo piede in acqua. Era tiepida. Okay, un problema in meno.
Ora il secondo.
– Sei proprio sicuro che non ci siano granchi, eh? O magari meduse... Sai, non ci tengo per nulla a finire elettrizzata da dei molluschi semitrasparenti e viscidi.
Mi stinse più forte la mano. – Penny, non c’è niente di cui preoccuparsi. Sei o non sei la figlia del dio del mare? Non dovresti avere così paura di due goccioline…
– Due goccioline??! Percy, ma ti rendi conto che ad ogni passo rischi di finire attanagliato, morso, elettrizzato o che so io da un mostro marino?! Il mare è la prigione delle paure più terrificante che esista! Piena di trappole e creature spaventose!
Alle mie parole Percy scoppiò in una fragorosa risata, senza preoccuparsi minimamente dello sguardo con cui stavo cercando di ucciderlo.
– Scusa. È che… Penny, ma guarda che stai veramente esagerando. Il mare è la cosa più bella che esista, e tu la stai trasformando in un terrore vivente. Come fa a non incantarti tutto questo? – Alzò un braccio, indicandomi l’orizzonte. Era davvero spettacolare. Le prime luci dell’alba si riflettevano sul pelo dell’acqua, che era perfettamente immobile.
– Ma Percy – inizia io con tono dolce. – Io amo il mare, da questo punto di vista. È quello che c’è sotto, che mi preoccupa!
– Allora è meglio se facciamo scomparire questa paura il più presto possibile… – Mi rivolse uno sguardo che inizialmente non seppi interpretare, ma quando finalmente lo capii, era troppo tardi. – Senza aspettare un secondo di più. – Appena finita la frase, fece scivolare un braccio dietro le mie ginocchia, e con l’altro mi resse sotto le ascelle. Così, mentre io urlavo in preda al terrore, Percy correva in acqua tenendomi in braccio.
Riaprii gli occhi solo quando fui certa di poter veramente respirare, ma non mi staccai neanche minimamente dall’abbraccio di Percy. Sarei rimasta così per altri dieci minuti, se non mi avesse mandato un messaggio telepaticamente. Evidentemente i figli di Poseidone sott’acqua posso fare queste cose.
– Pensa se ci vedesse Annabeth.
Sorrisi all’idea. – Ti spellerebbe vivo, immagino.
– Immagini bene.
– Comunque ricordami che devo ucciderti.
– Vedrò di fartelo scordare. – Mi staccò con dolcezza - quel ragazzo faceva tutto con dolcezza, pure lavarsi i denti - e poi indicò con un cenno della testa la direzione che avremmo dovuto prendere. Mi voltai e lo stomaco mi si strinse in una morsa. La luce un po’ oltrepassava la superficie del mare, ma non abbastanza da illuminare anche il fondo marino poco più in là.
Stavo per ritirarmi, ma un qualcosa dentro di me di molto potente me lo impedì. Improvvisamente mi sentii invadere il corpo dal caldo. Però non un caldo da tazza-di-camomilla-assassina, ma un caldo… di casa. Sì, è come se mi sentissi a casa, e al sicuro, nonostante la paura che, lo sentivo, dominava il mio cervello.
Guardai Percy, gli rivolsi il mio più bel sorriso coraggioso e annuii, decisa.
Era già un quarto d’ora che camminavamo sul fondale marino. Lui tranquillissimo, con il suo immancabile sorriso sulle labbra, ed io terrorizzata per qualsiasi movimento immaginario o appena accennato, ma decisa a non arrendermi di fronte alla mia stupida e insensata paura. Per distrarre la mia mente dal ipotizzare cosa ci sarebbe potuto essere intorno a me, anche solo a due centimetri di distanza, decisi di pensare al giorno prima, quando arrivai al Campo Mezzosangue.
 
 
Quello che avevo di fronte in quel momento era un centauro. Ed era alto. Molto più alto di me. Non che ci voglia tanto per superarmi in altezza, poi.
Mi porse la mano, presentandosi: – Molto piacere, io sono Chirone. – Perché quel nome non mi era novo? – Famoso soprattutto per aver allenato eroi come Achille, Enea, Eracle, Teseo… – Ah, ecco. – Ma passiamo ad altro. Tu devi essere Penelope Gray… figlia di Poseidone. – Rivolse un’occhiata e un mezzo sorriso a Percy, che  teneva una mano sulla mia spalla. – Sono davvero, immensamente grato di conoscerti, Penelope.
– Penny. Penelope mi ci chiamano soltanto se mi devono dire qualcosa di serio. Tu chiamami solo Penny, lo preferisco. Comunque grazie, anch’io sono molto felice di conoscerti, Chirone. – E gli rivolsi il miglior sorriso che riuscii a scovare e cercai di ignorare la metà del suo corpo che comprendeva un maestoso stallone bianco.
Chirone mi sorrise e mi accompagnò personalmente, insieme a Percy e Rick - mia madre non è potuta entrare per motivi che mi hanno spiegato poi -, a fare  il giro del Campo.
 
 
– Ahh! – Urlai con la mia super ‘subvoice’ appena collaudata. – Qualcosa mi ha toccato il piede, è sicuramente quellanimalechemordesottoaipiediechefatantomale. Percy, digli di non mordermi i piedi e di andarsene. – Passai alla comunicazione ‘telepatica’.
Mio fratello, sempre molto paziente, staccò la mia presa dal suo braccio e si piegò sulle ginocchia. Il tempo che passarono due secondi e mi accorsi che stava ridendo.
– Vuoi davvero vedere che cosa hai toccato con il piede? – Si rialzò e aprì il palmo della mano destra. Mi aspettavo una viscida alga, o che so io, ma quello che vidi mi fece capire che ero davvero un caso disperato, e che forse si erano sbagliati quando hanno detto che ero figlia di Poseidone. Non potevo esserlo veramente. Non dopo quell’evento.
Percy teneva in mano una conchiglia.
Lo guardai dritto negli occhi, come a dirgli “Non è possibile. Ti prego, ti scongiuro, dimmi che non è vero”. Abbassai lo sguardo e sentii il peso del mare crollare sulle mie spalle.
 
 
– Questa è casa mia. – Rick indicò la prima, grande capanna di non so quante. Mi ricordo che erano tante e che non riuscii a contarle. – O almeno, la mia casa quando sono qui al Campo. Il resto del tempo lo passo a Miami con mia madre, Jasmine Hermann. Sorrise, probabilmente ricordando qualche bel momento passato con lei.
Poi mi venne in mente una cosa. – E dov’è casa nostra? – chiesi rivolta palesemente a mio fratello.
Lui ne indicò una proprio accanto. Era bellissima. È strano, ma la prima parola che mi venne in mente guardandola fu “mare”. Non ricordo cosa mi fossi aspettata, ma sicuramente niente del genere. Quasi era un miraggio quella casa, perché dove vivevo io con mia madre non c’era mai stato niente di tutto quello che si trovava là.
Entrammo, Percy mi fece fare un rapido giro dell’appartamento, poi continuammo quello del Campo.
Girammo in lungo e in largo e visitai tutti i posti di quello splendido luogo, cercando di tenere a mente quante più informazioni con cui Chirone mi stava riempiendo la testa.
 
 
– Ehi – Percy mi abbracciò. – Non ti devi preoccupare per questo. Anche Talia, per esempio, soffre di vertigini, ed è figlia di Zeus! È normale avere delle paure. Se poi queste vanno contro i propositi per essere figli di un dio in particolare, non è certo colpa nostra. Dobbiamo semplicemente accettarle e lasciare che ci insegnino come si lotta con se stessi per diventare persone sempre migliori. Non vuoi più avere paura del mare? E allora non l’avrai più. Basta che ti impegni e che non ti arrendi davanti alle difficoltà.
Non so perché, ma mi diede abbastanza forza da sorridere e continuare questa piccola, grande ‘missione’.
 
– Percy! – Una voce soave ma allo stesso tempo affilata come un rasoio richiamò l’attenzione di mio fratello. Questo si girò di scatto e appena riconobbe la persona che l’aveva chiamato le corse incontro.
– Annabeth! – L’abbracciò in vita sollevandola dal terreno, per poi baciarla.
Durò solo pochi secondi, perché si resero conto di essere osservati.
Soprattutto le guance di Percy ne risentirono molto di quella situazione, dato che si dipinsero di rosa. Annabeth ritornò con i piedi a terra e fu allora che notò il nostro piccolo gruppo. Chirone stava sorridendo, Rick anche, ma poggiava il peso su una gamba sola e teneva le braccia incrociate, io invece un po’ guardavo loro e un po’ guardavo intorno a me. Devo dire che in campo di ‘romanticismo’ non sono proprio una bomba, e non mi sono mai sentita a mio agio.
Lei ci venne incontro, e subito si buttò tra le braccia di Chirone, che la strinse a se; passò poi a Rick, che la guardò da capo a piedi e gli disse: – Ancora con quello sfigato? Ma non ti stufi mai? – Non la prese a male, evidentemente ci era già abituata. Invece gli sussurrò un “ciao anche a te” e gli scompigliò i capelli.
Arrivò poi davanti a me. Va bene che non sono tutta questa altezza, ma gli arrivavo a malapena al mento. Cercai di non farci caso, e per fortuna lei non sembrò dargli peso. – Tu dovresti essere Penelope. – Mi rivolse un sorriso e mi guardò con i suoi due occhi grigi, come a volermi trapassare da parte a parte.
Mi sforzai di ricambiare e mantenni il suo sguardo. – Penny, ti prego. – Gli strinsi la mano. – Tu sei la fidanzata di mio fratello? – Avrei scommesso che sarebbe scoppiata a ridere - date le mie frasi molto intelligenti - ma rimase semplicemente a fissarmi, e giuro di aver visto i suoi occhi brillare.
– Eh già – Sospirò infine.
Che grandissima perspicacia. – Sapevo fin troppo bene a chi apparteneva quella voce, e in un nanosecondo riuscii a pensare a circa dieci modi in cui avrei potuto affogarlo o farlo zittire eternamente, quando una mano mi afferrò il polso.
– Che ne dite se adesso andiamo a pranzo? Ho un certo languorino. – Con la mano libera Percy  si toccò la pancia e iniziò a trascinarmi verso un grande capannone, che doveva essere la mensa. “Rick dovrebbe ringraziarlo” pensai “Gli ha appena salvato la pelle”.
 
 
Per quanto Percy si fosse impegnato a farmi tornare il sorriso, mi resi conto di quanto mi trovavo a disagio a stare in mezzo al vuoto, non poter vedere cosa e chi mi circondava, dove mettevo i piedi. L’unico appoggio che avevo era la mano di mio fratello, salda e confortante. Non andavo molto spesso al mare. Ma soprattutto, le poche volte che mi capitava di andarci non avevo la minima intenzione di andare così al largo.
Ovviamente non potevo neanche lontanamente immaginare che ero in grado di respirare sott’acqua.
Camminammo per molti minuti, ma ad una lentezza impressionante. Riuscivo a sentire i muscoli tesi della mano di Percy. Evidentemente lui non era abituato a rimanere così fermo per un tempo così prolungato, tantomeno in mare, quando poteva fare davvero quello che voleva.
– Scusami. – Mi bloccai sul posto. – Basta, non ce la faccio più. E neanche tu, non è vero? – Cercai di scorgere i suoi occhi verde mare in mezzo a quell’oscurità.
– Penny – Riuscì a trovare il mio viso, che incominciò ad accarezzare. – Lo sai che per essere la prima volta sei stata molto coraggiosa? Abbiamo camminato molto, e se adesso sei stanca non ti biasimo. Vuoi tornare quindi?
Tentennai. – Sì – risposi in fine. Poi mi apparve un sorriso poco convinto in viso. – Devi per forza portarti dietro quella stramaledettissima conchiglia?
– Direi di sì. – Mi avvolse la vita con un braccio e mi sussurrò all’orecchio: – Stavolta facciamo più in fretta, ti porto io.
In cinque minuti eravamo già ritornati a riva, lui completamente asciutto, io, ignare di questa possibilità di isolarsi dall’acqua, grondante d’acqua.
Rimediai al danno immediatamente. Poggiai le mie mani sullo stomaco e mi concentrai. Come accadde con Rick al Fontanone, anche quella volta attirai via l’acqua dai vestiti e da tutto il corpo, tornando così asciutta  e nuova di zecca.
Mio fratello mi sorrise e mi passò una mano tra i capelli. – E brava la mia sorellina che impara così in fretta l’arte del mestiere!
Almeno in questo me la cavavo.
Rivolsi un ultimo sguardo alla superficie del mare e mi avviai a fare colazione, con Percy dietro di me.
 
 
Prima che Percy mi fece girare totalmente, scorsi con la coda dell’occhio Annabeth che ci guardava con quei suoi occhi ora duri e severi. Assomigliavano a due lame di coltelli, pronti a infilzarti alla prima mossa falsa. E mi sentii in effetti come se mi avesse appena pugnalato.
Decisi di non rischiare oltre e mi staccai lentamente dalla mano che mi teneva ancora il polso.
Durante tutto il pasto, seduta al tavolo dei figli di Poseidone con solo la compagnia di mio fratello, sentii le due lame premermi sulla schiena.
 
 
– Dove ti eri cacciato? – Ci fulminò con lo sguardo.
Percy prese la sua mano e fece sfiorare i loro nasi. – La mia Annabeth gelosona – Sembrò contagiarla con il suo largo e sincero sorriso.
– Va bene, lasciamo stare. Tanto vinci sempre tu.
– Ehm, ragazzi? – Qua un occhiataccia da parte della bionda Arpia. – Scusate se vi interrompo, volevo solo chiedere una cosa a mio fratello – Sottolineai il più possibile l’espressione ‘mio fratello’, così da ridurre al minimo i futuri danni.
– Dimmi. – Mi si avvicinò.
– Ecco, intanto grazie per quello che hai appena fatto, mi ha fatto sbloccare un bel po’ – Mi scappò un piccolo sorriso. – E poi – Guardai Annabeth, Percy, poi Annabeth e di nuovo Percy, quando una mano sulla mia schiena mi fece sobbalzare. Non era quella del ragazzo di fronte a me.
– Ci penso io a lei, tu stai pure con Annabeth. – Gli fece un occhiolino e mi prese sottobraccio.
– Grazie amico. Be’, allora ci vediamo dopo, va bene? Ciao ragazzi!
Ci allontanammo, camminando fianco a fianco, in silenzio.
– Ieri ho pensato ad una cosa – Si fermò e mi inchiodò sul posto con quei duri occhi grigi che si ritrovava. Non erano proprio come quelli della figlia di Atena. Questi erano molto più scuri e decisamente meno taglienti.
– Davvero? – Apparvi molto più stupita di quanto pensassi.
Sorrise, mostrando appena i denti. – Seriamente – tornò a guardarmi, ma con più dolcezza. – Non sono sempre così esuberante e piantagrane come mi hai conosciuto… Ho solo avuto un brutto periodo ultimamente. Dei problemi, delle discussioni poco piacevoli.
Mi tornarono in mente le parole di un Lestrigone poco prima che venisse quasi fulminato: “Che c’è, hai litigato con il tuo paparino?”. – Con tuo padre? – Osai. – Hai litigato con tuo padre?
Distolse lo sguardo. – Sì.
– Per qualche motivo in particolare? – Stupida curiosità del cavolo.
– Sì.
– E posso sapere qual è o è un segreto di stato?
Corrugò la fronte, come se gli desse fastidio quel pensiero. – È che… mi da fastidio che mi dia degli ordini senza neanche spiegarmi il motivo per cui devo eseguirli. – disse tutto d’un fiato.
Sì, in questo potevo capirlo. – Tu almeno li esegui. Io odio che mi siano spartiti ordini, anche se il motivo è più che giusto. Ed odio eseguirli.
Piegò la testa di lato e mi scrutò meglio. – Sai, mi hanno raccontato di una volta in cui Poseidone ha detto a tuo fratello Percy che “il mare non ama essere limitato”. Ed è proprio vero! – Allungò una mano e mi scompigliò i capelli.
– Vorresti dire che ti ricordo il mare per questo?
– Non solo…
Lo fissai.
Si avvicinò pericolosamente al mio viso, tanto che stavo per tirargli uno schiaffo.
– Anche per gli occhi, ovviamente. – Mi scoccò un bacio nel mezzo della fronte.
Un calore che partì da quel punto si sparse per tutto il viso. – Perché lo hai fatto?!
Scoppiò in una fragorosa risata. – Per vederti arrossire. Mi diverte vederti così, visto che sei sempre scorbutica.
– Io non sono scorbutica! Sei tu che mi ci fai diventare!
Continuò a ridere, e, dopo che invano cercai di non farmi contagiare, mi lasciai andare anch’io a quel piacevole e liberatorio momento.






 
Notes;

Okay, ecco qui il quarto capitolo.
Vediamo, vediamo… Innanzi tutto mi sono divertita molto a scriverlo. Non che succeda qualcosa di così epico o importante, ma dovevo farlo per farvi conoscere la paura di Penny a proposito degli abissi e anche per farla integrare nel Campo. A proposito, quella paura è prima di tutto la mia, ed ho pensato bene di tramandarla alla protagonista di questa storia. Che genio che sono. Sì, proprio.
Comunque, può darsi che quando Percy e Penny erano alle prese con la suddetta paura, siano sembrati come due giovani innamorati, ma in realtà non è per niente così, volevo solo farli essere molto… legati, amici, complici.
Non so, prima che vi rovini l’idea che vi siete fatti su questo capitolo ditemi voi cosa ne pensate. E mi farebbe davvero tanto piacere se mi lasciaste una recensione, perché nel precedente capitolo me ne avete lasciate solo quattro, che sono poche in confronto a quelle che mi avete lasciato ancora prima. Ma non importa, perché sono moltissime invece al confronto di altre storie, e questo mi fa arrivare al settimo cielo. Anzi, fino al 600 piano dell’Empire State Building.
Vi ringrazio ancora perché continuare a seguire questa storia, e mi rendete così soddisfatta quando vedo che l’apprezzate e che me lo fate sapere!
Tanti, tanti, ma davvero tanti baci dalla vostra
Angie.

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