Could've had a castle

di Harriet_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


"E’ sempre piacevole trascorrere del tempo con te, Sam, senza dover pensare agli affari del regno e alle mie responsabilità di re” disse Blaine smontando da cavallo e riportandolo nelle stalle, seguito dall’amico Sam Evans.

“Il piacere è tutto mio, Blaine, non è certo privilegio di tutti poter dire di passare i pomeriggi in compagnia di Sua Maestà Blaine Anderson, re dell’Ohio” rispose con un sorriso Sam.

Le famiglie Evans e Anderson si conoscevano da generazioni, e Sam e Blaine sin da piccoli avevano sempre trascorso il loro tempo insieme. Erano entrambi di sangue nobile, ma mentre Sam era uno dei tanti ‘potenti’ dell’Ohio, Blaine era molto più di questo. Lui era re. Lo era diventato dopo la morte di suo padre, avvenuta diversi anni prima, nel 1815.

Da allora il suo potere era aumentato sempre di più, e il popolo lo amava non solo perché governava egregiamente; ma anche perché non era arrogante e dispotico come il padre, anzi, era vicino alla gente ed apriva le porte della sua reggia a chiunque volesse parlargli. Per questo erano tutti molto soddisfatti di lui.

Blaine conduceva una vita che molti avrebbero considerato perfetta. Non gli mancava nulla, aveva tutti gli agi e le comodità che il suo potere gli assicuravano, il suo regno era felice e aveva una bella fidanzata, la principessa Rachel Berry, con cui presto sarebbe convolato a nozze.

Nonostante questo, Blaine rimaneva un ragazzo (sì, in fondo aveva solo diciannove anni) umile e con i piedi per terra, perciò era ammirato e venerato da tutti.

“Allora… Come vanno i preparativi per il matrimonio?” domandò Sam mentre si ripulivano gli stivali dal fango.

“Ottimamente, Rachel sta facendo un lavoro meraviglioso, quella donna non smette mai di stupirmi per tutte le capacità che ha” sospirò innamorato Blaine.

Anche Rachel era un’amica di famiglia con la quale si conosceva da quando erano bambini. Crescendo, tutti notarono l’alchimia che si andava creando fra loro, e ben presto si innamorarono, per la felicità di entrambe le famiglie.

Suo padre non avrebbe sopportato se Blaine si fosse innamorato di una giovane campagnola scapestrata come accadeva a molti principi della sua età, quindi fu ben lieto di dare la sua benedizione alla coppia.

Blaine e Rachel si amavano sinceramente, e una sera di luglio il ragazzo le fece una romantica proposta di matrimonio al chiar di luna, che la principessa innamorata accettò
.
Blaine ripensava a quel momento con le lacrime agli occhi, non vedeva l’ora che la sua principessa diventasse la sua regina, e ascoltava estasiato i racconti di come Rachel immaginava il matrimonio.

Sarebbe stata sicuramente una cerimonia appariscente – in fondo erano nozze reali – che si sarebbe svolta nell’imponente chiesa della reggia dove gli sposi sarebbero arrivati su una carrozza, per poi proseguire nei giardini reali, terminando con un ballo in maschera a palazzo.

Gli occhi dei due giovani luccicavano di felicità e aspettativa, mentre immaginavano il loro futuro insieme.

“E’ molto interessante sentire i tuoi discorsi su quanto sia bella, dolce e simpatica la tua amata Rachel, ma se permetti avrei un po’ di fame, senti lo stomaco quanto mi borbotta!” disse Sam, portando il dito davanti alla bocca per mimare a Blaine di tacere, affinché sentisse i rumori provenienti dal suo stomaco.

Blaine fece una smorfia.

“D’accordo, d’accordo. Andiamo. Senti che profumino celestiale! La cuoca deve aver cucinato il tacchino con le prugne!” esclamò Blaine, chiudendo gli occhi per inalare a fondo il profumo, poi sorrise estasiato, facendo strada a Sam dentro il palazzo.

Arrivati in sala da pranzo (anche se molti dei cittadini avrebbero considerato una reggia solo quella sala) i due giovani si avventarono su tutto il ben di Dio che si trovava in tavola, senza preoccuparsi delle buone maniere che le loro famiglie cercavano di inculcargli da quando erano neonati.

“Blaine, Sam! Ma che modi sono questi?!” esclamò indignata Rachel, portandosi una mano davanti alla bocca dall’orrore
.
“Scu-scusami amore, abbiamo camminato tanto e stiamo morendo dalla fame…” farfugliò Blaine con la bocca piena di pollo. Si sporse per dare un bacio sulle labbra di Rachel, ma questa si allontanò strillando.

 “Siete due maiali! Non posso credere di star per sposare un uomo che mangia in maniera così vergognosa!” disse incrociando le braccia al petto.

Blaine fece ruotare gli occhi, poi si pulì la bocca con il tovagliolo e si avvicinò a Rachel prendendole entrambe le mani e guardandola fissa con i suoi famosi ‘occhi da cucciolo’.

“E’ inutile Anderson che provi ad intenerirmi” disse evitando il suo sguardo, quello sguardo al quale avrebbe perdonato tutto.

Passarono altri secondi, poi la principessa si sciolse in un sorriso. “Oh, al diavolo! Torniamo a mangiare!” esclamò, prendendo la mano del suo re.

Blaine credeva che niente al mondo avrebbe mai potuto separarlo da Rachel.




“Kurt, ho tanta fame…” mormorò con un filo di voce Brittany, mentre tremava infreddolita tra le braccia di Kurt.

“Lo so tesoro, lo so” cercò di cullarla Kurt, ma sapeva che era tutto inutile.

Era logico che Brittany avesse fame, lo sapeva. Anche lui aveva fame, tutti l’avevano lì.

Era questo che univa quelli come loro, in fondo.
La fame e la povertà.

Si alzò in piedi per avviluppare meglio Brittany tra le coperte, sperando che si addormentasse presto, perché ogni lamento e ognisinghiozzo dell’amica gli riducevano il cuore in mille frantumi.

“Maledetto re. Riesci a sentirmi? Che tu sia maledetto” sibilò a denti stretti.

Kurt odiava il loro re. Da quando era salito al trono quel buono a nulla, la situazione non faceva altro che peggiorare.
Certo, i borghesi stavano bene perché avevano da mangiare e un lavoro stabile, non erano più attaccati dai barbari perché le mura erano state fortificate; ma dal punto di vista di Kurt, re Blaine non era altro che un moralista pallone gonfiato, tanto bravo a chiacchierare ma che di concreto e utile per loro non combinava nulla.
Si diceva che chiunque bussasse alla porta della reggia venisse accolto a braccia aperte, perché ‘il re è disposto ad ascoltarti!’. Tsk, buffonate.

“Noi non abbiamo bisogno di una consulenza psicologica, abbiamo bisogno di un pasto al giorno e un tetto sopra la testa, perché quell’idiota non vuole capirlo?” pensò irritato Kurt.

Non che quella non fosse la normalità, per lui.

Era abituato a vivere sotto i ponti, tra l’immondizia, al freddo e al gelo.

Era abituato a dover andare ogni giorno in città per chiedere l’elemosina, sentendosi profondamente umiliato quando i passanti lo guardavano con compassione.
A lui non serviva la compassione di quegli ipocriti.

Era abituato a dover andare in giro con niente più che stracci logori addosso, sopportando i figli dei nobili che si prendevano gioco di lui e lo cacciavano a calci fuori dalle loro proprietà.

Oh, come avrebbe voluto Kurt diventare re per distruggere la vita di tutti loro, cacciarli via dalle loro case, uccidere le loro madri, bruciare i loro indumenti, spezzare i loro sogni; affinché capiscano cos’è che si prova ad essere trattati come se fossi l’essere più disgustoso e inutile della Terra.

Kurt questo lo sapeva. Dovette impararlo alla tenera età di sette anni.


L’età che dovrebbe essere delle coccole, dei giochi, della spensieratezza.

L’età che era diventata per lui dell’orrore.

Viveva in una modesta casetta di città, con suo padre e sua madre. Era felice come ogni bambino a quell’età dovrebbe essere. I suoi lo coccolavano e viziavano e, anche se non poteva avere tutto, si accontentava.

Ma poi il padre cominciò a uscire sempre più frequentemente la sera. A volte tornava la mattina presto ubriaco, urlava come un pazzo e picchiava la mamma.

Kurt si tappava le orecchie per non sentire, e quando lui usciva di nuovo, andava a consolarla.


Poi arrivò una sera. La sera che cambiò tutta la sua vita. La sera che sarebbe stata per sempre il suo peggior incubo.

Sfondarono la porta. Tre uomini incappucciati, con lunghe tuniche nere.
Avevano dei fucili. Kurt si nascose nell’armadio terrorizzato.


Poi sentì un colpo, poi un altro. Delle urla, dei tonfi. Poi più nulla.
Se n’erano andati.

Kurt uscì tremante dall’armadio, bisbigliando “Mamma… Papà…”.

Poi li vide. Stesi per terra, un coltello conficcato nelle loro carni. Sangue ovunque, occhi sbarrati, viso gonfio e violaceo.

Urlò in preda al terrore, ma nessuno poté sentirlo.

Così balzò fuori dalla finestra, e corse più veloce che poté, corse a perdifiato, finché le gambe non gli cedettero.

Sollevò lo sguardo da terra, e vide decine di occhi curiosi che lo scrutavano.
Fu tentato di urlare un’altra volta, ma non ne ebbe la forza.

Poi, quelle decine di occhi diventarono decine di sorrisi, mani e piedi.

Persone.

Persone come lui, che lo capivano.

Persone che, senza dire niente, lo accolsero nella loro famiglia.

Kurt si svegliò di soprassalto, notando che il sole stava sorgendo e Brittany si era finalmente appisolata tra le sue braccia.

Anche gli altri parevano addormentati.

Così si alzò, strinse i pugni e si incamminò verso la città, in cerca di qualcosa con cui sopravvivere un giorno in più.


ANGOLO DELL’AUTRICE

 
Ciaaaao, piacere di fare la vostra conoscenza (:
Mi sono cimentata in quest’AU, che ve ne pare? Voglio sentire la vostra opinione, su!
Uhmm, essendo il primo capitolo non saprei cos’altro dirvi, scusate sono timida xD
Ah, sì: secondo voi, dato che c’è una scena di violenza (anche se non così dettagliata) nella parte finale, dovrei mettere il rating rosso o non ce n’è bisogno? Fatemi sapere u.u

XOXO
Harriet_

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


“Cosa sei riuscito a trovare oggi, Kurt?” sussurrò flebile Artie, vedendo l’amico ritornare.

Era appoggiato con le spalle al muro, nella stessa posizione di sempre.

Non poteva spostarsi né alzarsi da dieci anni, da quando un gruppo di briganti gli rubò i risparmi di una vita e, come se non bastasse, lo gambizzarono e buttarono nel fiume, credendo che fosse morto.

Ma non era morto, una ragazza di colore di nome Mercedes l’aveva preso con sé e accudito con amore, introducendolo in quella famiglia sciagurata che viveva sotto i ponti, ai confini della civiltà.

Artie era infinitamente grato a Mercedes e tutti gli altri per avergli salvato la vita, ma a volte, quando si svegliava e provava ad alzarsi in piedi per poi ricordarsi che non aveva più due gambe con cui farlo, si chiedeva se non sarebbe stato meglio morire tra le braccia del fiume, quella notte di dieci anni fa.

“Cosa ci hai portato, Kurt?”

La parole però gli morirono sulle labbra quando notò che l’amico aveva le mani vuote.

E mani vuote significava niente da mangiare, niente con cui riscaldarsi, niente con cui fare finta di sopravvivere.

Non ci fu bisogno di spiegazioni, semplicemente, Kurt si sedette e si rannicchiò contro il muro, singhiozzando sommessamente.
A poco a poco, tutti si unirono a lui, in un pianto silenzioso e disperato, in un urlo muto che nessuno avrebbe mai sentito.

Quando si fu abbastanza calmato, Kurt mormorò “Mi dispiace… Mi dispiace tanto… Ho-ho camminato per tutta la città… Nessuno disposto a darmi neppure una briciola di pane…”

“Dai Kurt, non fare così, è tutto inutile. Più tardi allestiranno il mercato, vedo se riesco a rubare qualcosa da lì” disse Tina, prendendo il controllo della situazione.

“Tina, è pericoloso” rispose il ragazzo, alzando il viso arrossato dalle lacrime verso di lei.

Tina scrollò le spalle. “Ma i bambini hanno fame” disse, rivolgendo lo sguardo verso i suoi due figli, affamati e infreddoliti. “Non posso vederli così. Devo correre il rischio, Kurt” sussurrò.

Il ragazzo annuì. “Va bene, ma cerca di stare attenta. Ai piccoli serve la loro mamma” disse, prendendole le mani.

Tina rispose con un sorriso pieno di amarezza. “Vorrei che avessero dei vestiti più pesanti, patirebbero meno il freddo”.

“Questo si può fare. Potrei tagliare un lembo della coperta e cucirlo affinché diventi un vestito. Certo, non un vestito da principe, ma pur sempre un maglioncino di lana” disse Kurt.

“Oh Dio, sarebbe fantastico” rispose Tina illuminandosi. “Ti passo ago e filo, li ho rubati qualche giorno fa” rivelò, guadagnandosi un’occhiata severa da Kurt, che comunque non durò molto.

Le loro vite erano state distrutte senza pietà, chi poteva biasimarli se rubavano ago e filo?

Kurt si mise subito a lavoro, cercando di ignorare il brontolio che proveniva dal suo stomaco affamato.

Prima che la sua vita perdesse di senso, adorava cucire. In particolare, adorava confezionare maglioni e gonne stupende per la sua mamma.
Era un passatempo insolito per un bambino di sette anni.

I suoi coetanei giocavano a fare la lotta, tiravano la coda alle lucertole, rincorrevano le galline.

A lui piaceva starsene accoccolato sul divano a cucire, e poi mostrare il suo lavoro alla mamma che vedendolo sorrideva fiera. E Kurt era felice.

Era quella la punizione che si meritava, per esser stato un bambino felice?

Immerso nei suoi pensieri, quasi non si accorse della figura che da svariati minuti lo scrutava indagatoria con le mani sui fianchi, in piedi di fronte a lui.

Strabuzzò gli occhi perché non se lo aspettava, ma non ebbe paura. Aveva imparato a non avere più paura di niente.

“E così sai cucire, occhi di ghiaccio?” chiese la figura in tono inquisitorio.

Kurt non l’aveva mai vista prima. Era bella, sulla ventina, carnagione olivastra, capelli corvini.

Ma quello che lo colpì di più furono i suoi occhi, profondi e neri come la pece, ma allo stesso tempo limpidi. Occhi che non avevano conosciuto sofferenza, che non sapevano cosa significasse morire ogni giorno un po’, che non c’entravano nulla con quel posto.

Perché era lì?

“Chi sei? Che cosa vuoi?” disse Kurt con diffidenza, interrompendo il suo lavoro.

“Sono Santana, ma non credo sia questo che ti interessi” rispose la ragazza ghignando.

Aveva un ché di malefico che avrebbe potuto spaventare al primo impatto, ma Kurt non aveva paura di lei. Le aveva letto negli occhi che era inoffensiva.

“No, infatti” replicò duro.

Santana sospirò. “Gestisco una sartoria in città, ma la mia assistente si è licenziata e tutti gli apprendisti che si sono presentati sono terribili. Così sono alla disperata ricerca di qualcuno da assumere, e tu sembri niente male con ago e filo” Dopo un attimo di esitazione chiese “Ti andrebbe di lavorare per me?”

Kurt sgranò gli occhi. Davvero non poteva credere alle proprie orecchie. Quella donna gli stava offrendo un lavoro? Un lavoro che avrebbe portato dei soldi con cui sfamare lui e la sua ‘famiglia’?

Era troppo bello per essere reale. O quella ragazza – Santana – era un dono del cielo, o stava cercando di incastrarlo in qualche modo.

Lei sembrò leggergli nel pensiero, infatti disse “Ehi, tranquillizzati. Non voglio farti del male. Mi serve un bravo sarto e tu mi sembri adeguato, tutto qui. Niente inganni, niente raggiri”

Kurt parve soddisfatto. Santana gli ispirava fiducia, ma altri non la pensavano allo stesso modo.

“Kurt, amico, pensaci. Sei proprio sicuro che questa donna dica la verità?” gli bisbigliò Artie.

“Non dare retta ad Artie. Io dico che dovresti fidarti e andare con lei, Kurt” disse Brittany rivolgendo un sorriso timido alla ragazza, la quale si apprestò a ricambiare.

“Sì occhi di ghiaccio, ascolta la tua bella amica biondina” mormorò Santana, e Kurt notò uno scintillio nel suo sguardo, sguardo che non riusciva a staccarsi da Brittany.

“E va bene. Non ho niente da perdere” disse il ragazzo, alzandosi in piedi. “Forza, andiamo”.

Ma Santana non si mosse, troppo intenta ad incatenare i suoi occhi a quelli della bionda. “Santana! Ricordati che hai assunto me, BrittBritt non è inclusa nel pacchetto!” rise Kurt tirandola da un braccio.

Santana arrossì vistosamente. “Cosa? Sì-sì, certo.. Andiamo” farfugliò.

“Ciao Santana, a presto” la salutò sventolando la mano, e la mora si aprì nel sorriso più dolce che Brittany avesse mai visto.

“Spero proprio che quella ragazza torni, mi è sembrata simpatica” affermò convinta Tina.

“Già… Lo spero anche io” mormorò sognante Brittany, che improvvisamente si era dimenticata della fame e del freddo.

E anche di come si respirasse.






“Amore, forza, svegliati! Abbiamo mille cose da organizzare oggi!” urlò Rachel tirando via con forza le lenzuola e facendo rotolare Blaine giù dal letto, che mugugnò contrariato, ma comunque non si svegliò.

“Mamma… Ancora cinque minuti, dai…” biascicò Blaine con la voce impastata di sonno.

La ragazza sbuffò spazientita da quel comportamento che il fidanzato adottava ogni mattina.

“Va bene, l’hai voluto tu… Quinn, passami un bel secchio d’acqua gelata!” urlò in direzione della cameriera che proprio in quel momento passava vicino alla camera da letto.

“Certo, glielo porto subito, lady Rachel” disse dirigendosi decisa e obbediente verso il rubinetto.

“No! Quinn! Fermati!” esclamò balzando in piedi Blaine. “Sei la migliore tra la servitù, ma porta quel secchio e verrai licenziata in tronco” la minacciò.

Lo sguardo di Quinn si spostava da Rachel a Blaine e poi ancora da Blaine a Rachel, spaesata e confusa sul da farsi.

“Oh, lascia perdere!” sbottò Rachel facendo segno alla bionda di allontanarsi. “Torna pure a sbrigare le tue mansioni”.

“Ma certo, signorina. Come desidera” disse Quinn aprendosi in un cerimonioso inchino e sorridendo appena, per poi sparire oltre la porta.

“Non mi piace” grugnì Blaine leggermente imbronciato.

“Cosa? Chi?” domandò Rachel, non capendo l’affermazione del fidanzato.

“La biondina” rivelò allora, emettendo un altro grugnito di disapprovazione.

“Quinn? Ma stai scherzando, tesoro? E perché non dovrebbe piacerti? E’ una bravissima ragazza, la migliore serva che abbiamo! Non hai motivo di parlare così” disse la mora, stupita da quanto Blaine aveva detto. Ma se era stato proprio lui a definire Quinn la migliore?

“Sì, lo so, è grandiosa… Ed è anche molto molto carina” borbottò.

“Ehi! Devo forse ingelosirmi?!?!” insinuò Rachel fingendosi indispettita.

Blaine rise, e quella risata ricordò alla principessa cosa diavolo le era passato alla mente quando si era innamorata di lui.

“No, amore…” sussurrò, avvicinandosi suadente a lei e poggiandole le mani sui fianchi. “Lo sai che sei la più bella di tutte” soffiò vicino al suo orecchio.

Rachel sussultò. Voleva davvero sapere cosa aveva spinto Blaine a dire ‘non mi piace Quinn’, ma non voleva interrompere quel momento speciale tra loro.

Perché, francamente, con tutti i lavori che c’erano da sbrigare a corte, era davvero poco il tempo che potevano passare insieme in intimità.

“Vabbè, magari me lo dirai un’altra volta, perché non apprezzi la nostra cameriera… Ora abbiamo altre priorità” mormorò languida e maliziosa la principessa.

“Ma… Non avevi detto che-che… Ci sono tante cose da fare o-oggi…” biascicò Blaine, beandosi dei baci che la fidanzata gli depositava sul collo.

“Mmmh… Come ho già detto, ci sono altre priorità adesso” rispose, spingendolo definitivamente sul letto.


 

ANGOLO DELL’AUTRICE

 
Yeah! E anche il secondo capitolo è andato! *si asciuga il sudore* no, non diciamo bugie, non è stato per nulla faticoso xD
Spero mi perdonerete perché ho postato con alcuni giorni di ritardo causa impegni scolastici T.T

By the way, fatemi sapere se vi è piaciuto questo cap! Ci tengo tantissimo! :)

xoxo Harriet_ <3
 

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


“Principessa, come procede il lavoro?” domandò autoritaria Santana mettendosi a braccia conserte.

Non voleva entrare ancora troppo in confidenza con quello che per lei era poco più che uno sconosciuto, non voleva che si prendesse libertà che non poteva permettersi. In realtà quel ragazzo la incuriosiva molto. Era strano perché era chiaro che non avesse paura di lei, e ciò era bizzarro, perché chi non aveva paura di lei?

Anche senza conoscerla, il solo guardarla negli occhi terrorizzava le persone, inducendole a scappare con la coda tra le gambe.

Kurt no. Lui la affrontava a testa alta, non aveva paura del suo giudizio, né tantomeno delle sue parole. Notava qualcosa nei suoi occhi, qualcosa che lo differenziava dagli altri. Non era un debole. Era un ribelle. Un combattente. Ma era evidente che fosse spezzato, privato di quella luce che non può, non deve mancare negli occhi di un giovane ragazzo che non ha ancora provato nulla della vita.

In realtà Santana era sicura che avesse già provato fin troppo, e avesse perso fiducia e speranza, limitandosi a sopravvivere, non vivere.

Santana non sapeva con precisione cosa gli fosse successo – si erano conosciuti da un giorno, era ovvio che non gli avesse raccontato la storia della sua vita – ma se l’aveva trovato sotto un ponte in condizioni pietose un motivo dovrà pur esserci, e di certo non molto piacevole.

Non si sentiva in diritto di indagare, comunque, perché questo avrebbe significato instaurare un rapporto con Kurt e non si sentiva pronta ad instaurare un rapporto con un altro essere umano, qualcuno che non fosse se stessa.

Kurt era sicuro di aver capito tutto di lei, di aver già scavato nella sua anima e aver trovato solo superficialità, arroganza e insensibilità.

Se solo sapesse quanto si stava sbagliando, se solo sapesse quanto Santana in realtà comprendeva appieno la sua solitudine… Ma non l’avrebbe mai ammesso.

In ogni caso, non era intenzionata ad entrare in confidenza con quello che per lei era poco più che un estraneo. Anzi, l’aveva già analizzato fin troppo, e non era nella sua natura.

Kurt alzò gli occhi senza però smettere di cucire la gonna che doveva essere consegnata alla cliente quel pomeriggio stesso.

“Abbastanza bene, grazie” rispose, ignorando il soprannome per niente carino che la donna si era presa la libertà di affibbiargli. In fondo era grazie a lei che aveva un lavoro, doveva cercare di essere rispettoso e riconoscente nei suoi confronti, sebbene Santana non gli stesse particolarmente simpatica.

La mora annuì noncurante e fece per andarsene. “Anche se, in realtà … Se avessi un paio di occhiali terminerei più in fretta il lavoro e potrei dedicarmi ad altri capi, è davvero molto difficile essere precisi quando non vedi bene al 100%” aggiunse Kurt.

Santana sbuffò irritata voltandosi nuovamente verso di lui, e il ragazzo le rispose con un sorrisetto innocente. Non aveva propriamente bisogno di un paio di occhiali – è vero, l’asola era molto piccola, ma avrebbe potuto cavarsela anche senza come aveva fatto fino a quel momento -, semplicemente, voleva dare fastidio a Santana, e a quanto pare riuscì nel suo obbiettivo, a giudicare da come la donna lo stava fulminando con lo sguardo.

“Va bene, ragazzina. Per stavolta ti faccio contento perché mi fai pena, ma vedi di non importunarmi ogni due minuti, o ti ritroverai di nuovo sotto i ponti a suon di calci in culo” disse lei porgendogli con poca grazia un paio di vecchi e appannati occhiali.

“Tutto quello che vuoi, mia signora” rispose inforcandoli con tono appena sarcastico, che ovviamente alla donna non sfuggì.

“Lo vuoi un lavoro, sì o no?” sibilò Santana afferrandogli il mento tra le dita e puntando gli occhi nei suoi.

Doveva guardarlo negli occhi, doveva fargli capire che lì comandava lei e non c’era spazio per i suoi capricci e le sue manie, era necessario intimorirlo con uno dei suoi soliti sguardi che terrorizzavano chiunque.

Non doveva sentirsi a suo agio con lei, né sentirsi in diritto di trattarla niente più che come una datrice di lavoro. Si era già preso troppe libertà per essere il suo primo giorno.

Ma Santana si sconvolse nel rendersi conto che era lei ad avere paura di quello sguardo. Quello sguardo che sembrava leggerle dentro, scoprire tutti i suoi segreti più reconditi e portarli alla luce.

Non poteva permettere che la capisse.

Kurt, che non si aspettava quel contatto improvviso, si limitò ad annuire. Ma se quella donna pensava di spaventarlo fissandolo in quel modo, aveva davvero sbagliato persona.
Non era tipo da lasciarsi impaurire da un paio di occhi, per quanto neri, profondi e intimidatori fossero.

“Brava, ragazzina” disse allora Santana, liberandogli il mento. “Tu non ti fai mettere i piedi in testa facilmente, l’ho capito da subito, ed è anche per questo che ti ho assunto. Non avrei mai scelto come assistente un vigliacco pappamolla. Hai un bel caratterino da donnicciola ribelle e combattente, ma vuoi stare qui devi sottostare alle mie regole, intesi?”. Doveva innalzare l’ennesimo muro fra lui e quel ragazzo così particolare, era necessario.


Kurt fece un sospiro ed annuì, tornando al suo lavoro con ago e filo. Dopotutto non poteva fare a meno – per ragioni che neanche lui sapeva spiegarsi - di ammirare segretamente quella donna.

Notava qualcosa in lei, che però non riusciva ancora totalmente a decifrare. Sembrava quasi che volessi atterrirlo con il suo sguardo, ma allo stesso tempo fuggire da quello di Kurt, spaventata da chissà cosa.

Per il momento tornò a dedicarsi meticolosamente alla gonna, troppo stanco per fare ulteriori macchinosi ragionamenti.



 
“Lo sapevo! Lo sapevo io, che finivamo solo per perdere tempo!” strepitò rumorosamente Rachel, alzandosi dal letto matrimoniale con i capelli arruffati e il volto arrossato.

“Dai amore, dovresti un po’ lasciarti andare… Alle faccende da sbrigare ci penserai dopo, ora torna un po’ qui con me” la invitò Blaine picchiettando sul materasso, esortandola a tornare fra le sue braccia.

La principessa si voltò e lo incenerì con lo sguardo. E quando Rachel lo guardava in quel modo, Blaine sapeva che qualunque cosa avrebbe detto, qualunque offerta le avrebbe proposto, avrebbe finito per ritrovarsi una guancia dolorante e una fidanzata furiosa, quindi evitò.

Se la sua principessa si metteva una cosa in testa, era quella. Nessuno poteva farle cambiare idea. Ma l’amava anche per questo.

L’amava in tutti i suoi difetti.

Quando vide che si fu ammansita abbastanza, si alzò dal letto e l’abbracciò, cingendole la vita da dietro.

Lei cercò di fare la sostenuta ancora un po’, incrociando le braccia e imbronciandosi, ma poi cedette e sorrise, rilassando la testa sul collo del suo fidanzato. Poi si voltò, prese dolcemente il suo volto tra le mani e lo baciò teneramente sulle labbra. “Ho paura di rimanere indietro con il lavoro … Questo matrimonio è molto importante, lo sai, il regno lo aspetta da tanto tempo … Non possiamo deludere le aspettative, dev’essere perfetto in ogni dettaglio” mugolò avvilita.

“E sarà perfetto, amore mio, te lo prometto” le disse convinto Blaine, allora anche lei si rilassò.

“Bene, allora andiamo a prepararlo!” esclamò determinata.

“Okay… Io stavo pensando di andare a parlare con lo stalliere insieme  a Sam, dobbiamo scegliere quali cavalli traineranno la nostra carrozza. Non possiamo permettere che ci capitino due quadrupedi imbizzarriti, no?”

“Oh no, certo che no” convenne Rachel, annuendo preoccupata. “Io andrò dalla sarta per farmi confezionare l’abito da sposa. Voglio un modello unico e speciale, solo per me!” esclamò sognante, battendo le mani con quella smorfia adorabile che solo lei sapeva fare, e che faceva impazzire Blaine.


“Già, unico e speciale … Come te” sussurrò seducente il moro, lasciandole un ultimo innamorato bacio sulle labbra, che la principessa si apprestò a ricambiare.

Poi si salutarono, avviandosi ognuno per la sua strada.




“Buongiorno Santana” disse annoiata Rachel, posando la borsa sul pavimento e accasciandosi pesantemente sul primo sgabello che trovò.

“Atteggiamento poco regale, per una principessa” sghignazzò Santana, mentre l’altra si massaggiava le tempie. “Che succede? Il fidanzatino ti ha sfiancata troppo stanotte?” la provocò.

“Smettila, e ricordati che sono sempre la tua sovrana” le rammentò Rachel. “Non hai il diritto di parlarmi come se fossi come te” fece acidamente.

La principessa si comportava con tutti così, all’infuori del castello. Faceva credere al popolo di essere buona, generosa e gentile, ma in realtà non si faceva troppi problemi nel trattare un suddito come tappetino per i piedi.

Questo Blaine non lo sapeva. Blaine era certo che la sua fidanzata fosse perfetta e giusta, considerando tutti suoi pari, anche se non lo erano. Santana moriva dalla voglia di andargli a spifferare tutto, di come la sua futura sposa fosse poco più che una strega spietata, ma ogni volta vi rinunciava. Non le sarebbe tornato niente in tasca e avrebbe finito solo per inimicarsi la sua regina, con il risultato di ritrovarsi, magari, la testa o un arto tagliati.

“Oh, andiamo, sono anni che vieni qui Rachel, non comportarti come se dovessi avere paura di te” disse Santana.

“Oh lo so, lo so che non avresti paura neanche di un toro inferocito” ghignò Rachel, studiandosi le unghie con altezzosità. “Ma questo purtroppo, non ti rende meno sola” la stuzzicò, squadrandola con fare di superiorità. Poi ridacchiò, scosse la testa e tornò ad esaminarsi le unghie.

Santana sentì una lama affilata trapassargli il cuore, girandosi per non far vedere alla principessa la smorfia di dolore che aveva assunto il suo volto, alle sue parole.

Non poteva prenderla a parolacce come avrebbe fatto con la fruttivendola o con la lavandaia, quella era la sua sovrana. Se fosse stata un’altra, non avrebbe esitato un attimo ad afferrarla per i capelli e spedirla fuori dal suo negozio, magari con qualche osso rotto.

Ma lei era miss Rachel, e davanti a miss Rachel non poteva far altro che incassare il colpo e sorridere, come se non le importasse nulla delle sue cattiverie gratuite.

Quando in realtà la uccidevano, poco a poco. Ma nessuno l’avrebbe mai detto.

“Pensi davvero che m’importi un fico secco di ciò che pensi, Rachel?” sbottò infastidita. Sì, quella era la sua futura regina, ma Santana aveva una reputazione da stronza da difendere. Non poteva comportarsi da cagnolino obbediente, neanche con quella che avrebbe potuto farla impiccare in piazza, con uno schiocco di dita. Non era nella sua natura.

“Beh, invece dovrebbe importarti, perché è ciò che pensano tutti” continuò malefica la principessa, sogghignando nel vederla sempre più in difficoltà.

“Ora basta!” urlò Santana rovesciando una sedia, per poi mettersi le mani nei capelli, digrignando furiosa i denti. “Non permetterti, non permetterti mai più” le sibilò velenosa, con il viso a un centimetro da quello di Rachel. “Non mi fai paura, stronza di una nanetta.”

Rachel rise amara. “Onestamente credo sia meglio essere nane ma regine, che alte e belle ma sole come un cane” continuò, al solo scopo di far alterare ancora di più la sarta.

Santana sentì nuovamente quella fitta allo stomaco, ma non voleva darle la soddisfazione di vederla debole. Aveva già esagerato arrabbiandosi poco prima, doveva semplicemente restare indifferente. Ma era così difficile.

“Ad ogni modo, questo gioco sta cominciando a stancarmi” sbuffò Rachel. “Sono venuta qua con uno scopo preciso, perché devo sposarmi, io” disse, sperando che Santana reagisse con una delle sue solite battute pungenti, che Rachel le avrebbe facilmente ritorto contro, come al solito.

Ma Santana non abboccò più. “E quindi, vorresti … ?”

“Un vestito, mi sembra ovvio, no?” fece, roteando gli occhi.

“Eh, un vestito, ovvio” borbottò Santana, scimmiottandola. “Beh, per questo dovrai parlare con il mio nuovo assistente, Kurt.”

“Cosa? Hai un assistente? – si sorprese Rachel – vuoi dire … Uno disposto a sopportarti? Poverino, dev’essere ridotto davvero male”

Beh, in realtà sì, pensò Santana.

“Kuuuurt! Vieni qui! Abbiamo un’altra cliente!” lo chiamò Santana.

Kurt si diede una sistemata ai capelli, nel tentativo di sembrare mediamente presentabile. Ma poi pensò che si trattava di una cliente come un’altra, che probabilmente non avrebbe rivisto mai più nella sua vita.

Così si avviò verso l’altra stanza. “Eccomi” si introdusse, ma rimase scioccato quando si rese conto a chi stava per stringere la mano. Quella era … la principessa Rachel Berry?

“Ciao Kurt” disse con un mezzo sorrisetto la principessa.

“Ma voi … Voi siete …” farfugliò emozionato Kurt, maledicendosi mentalmente per non essersi sistemato meglio i capelli.

“Sì, la principessa di Lima” lo precedette divertita Rachel.

Santana, a distanza, osservava disgustata la scena. Era rivoltante quanto Rachel potesse essere falsa.

“E così … Tu sei l’assistente di Santana?” chiese, con finta gentilezza.

“Sì, mi-mi ha assunto ieri” rispose Kurt, ancora un po’ su di giri per quell’incontro inaspettato.

“Benissimo” esclamò Rachel. “Allora immagino che dovrei parlare con te per farmi confezionare il vestito da sposa, giusto?”

“Oh sì, sono io l’addetto! Ditemi pure come lo volete, e ve lo preparerò senza problemi” disse annuendo con convinzione. “Comunque, ci tengo a farvi sapere che so anche cucinare, pulire, stirare e fare giardinaggio, nel caso le servisse un servo in più” la informò.

Rachel assunse un’espressione pensierosa. In realtà un altro aiutante per preparare il matrimonio le sarebbe servito, e quel ragazzo le sembrava un tipo accomodante. “Senti, Kurt, mi sembri un bravo giovane. Perché non vieni con me a palazzo? Potresti essermi utile in varie mansioni” lo invitò.

Kurt spalancò gli occhi per la sorpresa e l'entusiasmo. In questo modo avrebbe guadagnato molti più soldi con cui poter sfamare la sua famiglia, e inoltre era elettrizzato all’idea di partecipare ai preparativi di un matrimonio. Era uno dei suoi tanti sogni quando era bambino.

“Sì! Accetto, ovviamente!” squittì felice.

“Ottimo! Allora andiamo! Mi segui?”

“Certo, certo mia signora” le disse con reverenza, senza quel tono sardonico che invece utilizzava con Santana quando la appellava in quel modo.

Entrambi si incamminarono fuori dal negozio, senza prendersi la briga di salutare Santana, la quale sperava sinceramente che Kurt si rendesse conto in che guaio si era andato a cacciare, prima che fosse troppo tardi.


ANGOLO DELL’AUTRICE
 

Eccoci qua! In questo cap abbiamo avuto la possibilità di conoscere meglio Santana, che personalmente trovo sia un personaggio molto interessante, ma io sono di parte perché l’adoro :)
Poooi abbiamo capito che Rach in realtà non è la principessa buona e cara che tutti immaginano .. E Kurt aiuterà i due sposi a preparare le nozze reali! Yay!
Ciò significa che nel prossimo capitolo, finalmente, Kurt incontrerà Blaine. Alleluja! Mi fa un sacco ridere il fatto che in gran parte delle fan fiction, al terzo capitolo i due protagonisti sono già fidanzati ufficialmente, mentre nella mia non si sono ancora incontrati, LOL! xD

Lasciatemi una recensione con i vostri pensieri, pretty pretty please <3

Baci, Harriet
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


“Non posso davvero credere che abbiate chiesto a me di aiutarvi ad organizzare le nozze, sono così onorato ed emozionato!” cinguettò eccitato Kurt, cercando di stare al passo con la principessa mentre si dirigevano a palazzo.

“Oh, ma figurati caro” rispose Rachel, rivolgendogli un luminoso sorriso senza smettere di camminare velocemente. “Però sappi che deve essere perfetto in ogni dettaglio, non ho intenzione di accontentarmi, non nel giorno più bello della mia vita!” precisò.

“Mi sembra giusto” concordò Kurt annuendo. “Quindi … Immagino che oggi conoscerò il re, vostro futuro marito.” Disse, rabbuiandosi improvvisamente.

A Rachel quel cambio repentino d’umore non sfuggì, e volle delle spiegazioni. “Ehi, cos’è questo muso lungo? Dovresti essere elettrizzato all’idea di incontrare il tuo re.” 

Kurt si morse il labbro inferiore limitandosi ad annuire, sperando che la principessa non gli facesse ulteriori domande. Questa infatti, stava già in procinto di aprire la bocca e replicare, ma venne distratta da un negozio di cappellini, verso il quale si diresse saltellando ed emettendo gridolini eccitati. Kurt benedisse profondamente quei cappellini che l’avevano salvato da una scomoda situazione – cappellini tra l’altro di pessimo gusto, a parer suo.

‘Non posso mica dire alla principessa che penso che re Blaine sia un totale buono a nulla’ pensò. ‘Finirei alla gogna in meno di un minuto, e non posso decisamente permettermelo, ora come ora’.

Kurt vide che la principessa era di ritorno dal negozio, e si premunì di sfoggiare all’istante un sorriso. “Non avete trovato niente di vostro gradimento, lady Rachel?”

“Niente che sia alla mia altezza, no.” Rispose con un sospiro, prendendo a braccetto Kurt che si sorprese di quel contatto così confidenziale, ma non lo disdegnò.

“Allora, Kurt …” cominciò Rachel, e Kurt pregò con tutto se stesso che non gli stesse per fare una qualche domanda riguardante il re, perché in quel caso non avrebbe davvero saputo come rispondere se non con una menzogna bella e buona. “… Come sei finito a lavorare per Santana? Non ti ho mai visto in città, dove vivi?” chiese, e Kurt sentì all’istante una fitta al cuore, ma cercò di non far trasparire le sue emozioni alla principessa, che sembrava davvero astuta e avrebbe di certo capito. Pensò che fosse un tantino impertinente a fargli quelle domande così … Private. Ma poi si rese conto che quella era la sua sovrana, e aveva tutto il diritto di conoscere la vita privata dei suoi servi. Sì, perché adesso Kurt era ufficialmente al suo servizio.

“Io-io … Ehm …” cominciò a balbettare, in preda al panico.
Cosa doveva fare? Dirle la verità? E se poi si fosse rifiutata di dargli un lavoro, una volta venuta a conoscenza della sua vita e del suo passato per niente onorevole? Anche se non per colpa sua, ovviamente.

“C’è qualche problema? Per caso non vuoi parlarne?” insinuò, con un tono appena stizzito che a Kurt non sfuggì. Evidentemente le recava molto fastidio dover rinunciare a curiosare nelle vite altrui. Non gradiva che qualcuno le negasse il piacere di farsi gli affari degli altri, sicuramente era una delle cose delle quali si sarebbe ricordata in futuro, e avrebbe trattato il servo con più astio.
E l’ultima cosa di cui Kurt aveva bisogno era cattiveria nei suoi confronti, ancora. Quindi optò per la verità, sperando che la principessa non lo giudicasse per questo. Non che gli importasse granché del suo giudizio, comunque.

Trasse un profondo respiro e parlò. “A sette anni hanno ucciso i miei genitori e bruciato la mia casa, da allora vivo sotto i ponti in periferia di Lima, insieme ad altre persone che sono diventate la mia famiglia. Santana mi ha visto, ha notato che ero bravo a cucire – è sempre stata una delle mie passioni – e mi ha assunto … Salvandomi la vita, in un certo senso.”

Rachel si fermò, sorpresa da quelle parole che non si sarebbe aspettata di udire. Si girò verso Kurt assumendo quella smorfia di dolore e compatimento che Kurt vedeva sempre sulle persone quando gli narrava la sua storia, e che tanto detestava. Era una cosa così … Ipocrita. Loro non avrebbero mai capito, era inutile che facessero finta di condividere il suo dolore, perché non era così.

“Kurt, mi dispiace” sussurrò accarezzandogli piano il braccio, nell’espressione più falsa che Kurt avesse mai visto. Si vedeva lontano un miglio che non gliene importava un accidenti della sua disgrazia, e che quella era tutta una scena di circostanza. All’improvviso quel tocco che avrebbe dovuto essere rassicurante e consolatorio lo infastidì terribilmente, e pregò che Rachel la smettesse presto con quel teatrino, altrimenti avrebbe fatto fatica a controllarsi. Se fosse stata un’altra persona gli avrebbe già sputato in un occhio senza troppe cerimonie, ma quella era la sua sovrana, quindi l’unica cosa che poteva fare era aspettare e sperare che si stancasse presto di fare la parte della brava persona, e tornasse ad essere la principessa viziata e petulante che era.

Fortunatamente le sue preghiere vennero esaudite, e Rachel sospirando tornò sui suoi passi. “Comunque … Dimmi Kurt, sei mai stato a palazzo?” domandò.

A palazzo? Ma se non era mai stato neanche in una casa con un camino! Cosa avrebbe dovuto fare a palazzo? Intrattenere un’amabile chiacchierata con il suo giustissimo re, parlando del più e del meno come vecchi amici?

“No principessa, non sono mai stato a palazzo. Ma non vi nego che è sempre stato un mio grande desiderio” mentì, perché era necessario. La principessa pretendeva una risposta del genere, e Kurt preferì farla contenta.

Infatti questa sorrise soddisfatta. “Oh, posso immaginarlo, caro. Vedrai che rimarrai senza parole quando ti troverai di fronte la reggia. Tutti reagiscono così” disse, con un’alzata di spalle. 

Kurt non poté fare altro che assecondarla con un sorriso, notando quanto la principessa sguazzasse beata in tutta quella convinzione e presunzione.
In fondo però, non poté negare a se stesso di essere un tantino eccitato all’idea di entrare nella reggia. Quando era molto piccolo i suoi gliel’avevano mostrata da lontano, ma non se la ricordava neppure, era passato tanto tempo … Sentì le lacrime pizzicargli dietro gli occhi, premendo per uscire. Il ricordo dei suoi genitori era ancora troppo ben impresso nella sua mente, per poter rimanere indifferente quando pensava a loro. Cercava in tutti i modi di tenere lontano il pensiero dedicandosi ad altre occupazioni, ma non sempre vi riusciva. 

Comunque, in quel momento non doveva proprio permettersi di piangere, non davanti alla sua principessa, non mentre si dirigevano a palazzo. 
Certo, avrebbe sempre potuto giustificarsi dicendo che l’emozione di incontrare il re era troppo forte da reggere, ma lady Rachel era furba e avrebbe capito che si trattava di una scusa, o peggio, avrebbe pensato che Kurt fosse un ruffiano. Inoltre, gli sarebbe risultato molto difficile da dire senza ridere, data la ridicolezza della cosa.

“Kurt, Kurt, alza gli occhi! Siamo arrivati!” esclamò saltellante Rachel, con gli occhi che le luccicavano di felicità e smania di vedere la reazione del ragazzo.
Kurt fece come gli era stato detto, alzò lo sguardo e … 

Wow.
Era l’edificio più grande, maestoso, imponente e bello che avesse mai visto nella sua vita.
Era un complesso grandioso e armonico, di dimensioni incredibili, circondato da un vasto parco in cui erano presenti meravigliose fontane, alberi secolari, giardini di fiori e cespugli tagliati in modo che acquisissero diverse e particolari forme.
Kurt rimase totalmente senza parole, gli occhi spalancati e intenti ad ammirare quel meraviglioso spettacolo, la bocca leggermente aperta per lo stupore e la meraviglia.

Si era chiaramente aspettato un qualcosa di stupendo, anche dati i racconti che gli facevano chi ci era stato, ma quello era semplicemente … Incantevole. Perfetto.
Gli venne quasi da piangere di fronte a tanta bellezza.

La principessa sembrava soddisfatta della sua reazione, infatti indossava un sorriso compiaciuto. “Hai visto, caro? Te l’avevo detto!”

Kurt si limitò ad annuire estasiato. Una volta ripresosi, tornò a camminare, diretto all’entrata del palazzo sempre sottobraccio con la principessa.
Entrato dentro, si ritrovò a spalancare nuovamente la bocca. Se fuori il palazzo gli era sembrato la cosa più bella e incredibile del mondo, dentro era davvero qualcosa di ultraterreno. Lampadari enormi e maestosi, affreschi sulle pareti e sul soffitto, tappeti spessi e lussuosi, specchi lucidati e con le cornici in oro massiccio, intagliato con maestria.

Non avrebbe mai neppure immaginato che esistesse qualcosa di lontanamente simile, prima d’allora. “Bene Kurt, questo è il palazzo!” esclamò Rachel entusiasta, aprendo le braccia. “Ora ti lascio a una delle serve che ti accompagnerà nell’ala della servitù, ti mostrerà la tua stanza e ti aiuterà a darti una bella ripulita. Poi potrai incontrare il re” lo informò con un sorriso. Kurt annuì, anche se non poté fare a meno di infastidirsi per quel ‘darti una bella ripulita’. 
 

Per caso il re non accettava al suo cospetto chi non brillava e lasciava scie di profumo al suo passaggio? Il suo nasino grazioso e delicato non avrebbe potuto sopportare il puzzo dei comuni mortali? Patetico.

“Quinn! Quinn! Vieni qui!” la voce squillante e acuta della principessa lo ridestò dai suoi pensieri, e vide una ragazza con i capelli biondi legati in uno chignon ordinato dirigersi a passi veloci verso di loro, per poi fare un inchino che Kurt avrebbe giudicato quasi acrobatico, dato che la testa della ragazza quasi arrivò a toccare terra. 

“Ditemi lady Rachel.” Disse piano e con un sorriso gentile rivolto a entrambi, che ispirò subito fiducia e simpatia a Kurt. 

“Voglio che conduci il nostro Kurt nella sua stanza, e che gli mostri un po’ come funziona e qui e quello che dovrà fare” le ordinò. 

“Senz’altro, lady Rachel” obbedì Quinn, inchinandosi nuovamente per poi prendere a braccetto un Kurt leggermente spaesato e condurlo via con sé.

“Tranquillo, ti ci abituerai.” Lo rasserenò sorridendogli, notando la sua espressione disorientata. Kurt si sentì subito più a suo agio, sperando di poter legare almeno con quella serva.

“Non credo che riuscirò ad abituarmi a fare quell’inchino, però … Hai studiato ginnastica artistica per essere in grado di fare qualcosa del genere, per caso?” 

Quinn rise di gusto, e la sua risata riecheggiò nell’enorme sala che stavano attraversando. Anche Kurt sorrise.

“No, non ho studiato ginnastica artistica, ma non nego che mi ci è voluto un bel po’ di allenamento” ammise, continuando a ridere. 

“Posso immaginare! Comunque piacere, io sono Kurt.” Si presentò porgendole la mano, che l’altra si apprestò a stringere con un sorriso. 

“Piacere mio, Quinn.” Disse a sua volta. “Allora Kurt, per questi primi giorni sarò io a guidarti, una volta che ti sarai abituato potrai andare in giro da solo, ma per ora … Devo farti un po’ da angelo custode, disposizioni della principessa” disse con una smorfia.

“Oh, non è un problema” la tranquillizzò Kurt. “Anzi, credo proprio che mi serva una guida … Qui è tutto così grande.” 

Quinn rise. “Lo so, ti capisco, anch’io ho reagito allo stesso modo, anni fa.”

Kurt annuì, senza smettere di guardarsi intorno meravigliato. Attraversarono il giardino, e Quinn gli illustrò ogni pianta, albero, fontana che incontravano sul loro cammino.
 
“Ecco, vedi, qui si trovano le stalle.” Gli spiegò, indicando una specie di casetta di legno in cui si trovavano decine di cavalli. Kurt notò anche un uomo di spalle che spazzolava con cura e attenzione un bellissimo cavallo bianco.
 
“Ciao, Seb!” urlò Quinn in direzione dell’uomo, il quale si girò e le sorrise, agitando la mano. Stava per tornare a spazzolare il cavallo, ma Kurt lo vide aggrottare appena le sopracciglia, e dedusse che fosse perché non lo conosceva.
 
“Ehi Quinn, ma chi è quel bel bocconcino vicino a te? Non l’ho mai visto prima!” chiese lo stalliere rivolgendo un sorriso ammiccante a Kurt, il quale arrossì vistosamente, per niente abituato a quelle attenzioni.
 
Quinn gli lanciò un’occhiata severa e si avvicinò a passo svelto, seguita da Kurt. “Sebastian, quante volte dovrò ripeterti di non importunare i nuovi arrivati …” lo rimproverò, scompigliandogli affettuosamente i capelli. Sebastian fece finta di offendersi, per poi prendere Quinn in braccio e farle fare tre giri, mentre questa scalciava i piedi e rideva.
 
“Guarda cos’hai fatto! Ora dovrò farmi lo chignon daccapo!” si lamentò Quinn una volta tornata in piedi, tastando i suoi capelli ormai disordinati, per poi dare uno schiaffo sul braccio di Sebastian.

In tutto questo, Kurt era rimasto in disparte ad osservarli con il sorriso sulle labbra. 

“Oddio Kurt scusami, sono stata davvero scortese!” si scusò Quinn portandosi le mani alle guance. “Lui è Sebastian, lo stalliere. Sebastian, questo è Kurt, il nuovo servo.” Li presentò.

Kurt gli strinse cordiale la mano, sebbene quel tipo lo mettesse a disagio con continui sorrisi, occhiatine e apprezzamenti. 
Quinn sembrò leggergli nel pensiero, infatti disse “Kurt, devi perdonarlo, Bas è fatto così. Appena vede un nuovo servo gli si illuminano gli occhi. Ma non preoccuparti, è innocuo, e comunque lo controllerò io, affinché non faccia niente di stupido in tua presenza, cosa molto difficile per lui.”

“Cosa vorresti dire, miss Perfettina? Non è colpa mia se tutti i servi mi cadono ai piedi!” disse con un’alzata di spalle, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Quinn.

“Co-come i servi …? In che senso?” farfugliò Kurt, senza riuscire a fermare le parole prima che uscissero dalla sua bocca. 

Sebastian sollevò un sopracciglio e ghignò. “Spiegati meglio, pasticcino” gli sussurrò, vedendolo sempre più rosso e in difficoltà.

“Seb, smettila” gli intimò dura Quinn, per poi addolcirsi quando incontrò lo sguardo spaventato di Kurt. “Kurt … Sebastian è gay. Ecco perché dice così” gli spiegò gentilmente. “Spero che questo non ti metta a disagio.”

Oh. Gay. Certo. Non ci aveva nemmeno pensato. Non aveva mai conosciuto nessuno che lo fosse, non vi aveva mai dato particolare importanza, anche se era così che i ragazzacci di città lo soprannominavano, quando passava … Non che gli fosse mai importato molto.
Poi pensò che un ragazzo gay gli stava facendo dei complimenti, e a quel punto le sue guance presero fuoco.

“No, tranquilla, no-non mi mette a disagio …” biascicò, mentre vedeva il ghigno di Sebastian allargarsi sempre di più sul suo volto. Doveva ricordarsi di non passare troppo frequentemente davanti le stalle nei giorni successivi, non voleva imbattersi in quel ragazzo così sgradevole senza che ci fosse Quinn a difenderlo.

“Bene, Kurt, credo sia giunto il momento di presentarti il mio orgoglio” esordì Sebastian, voltandosi verso il cavallo bianco che stava spazzolando, accarezzandolo piano. 
“Lei è Beth, la luce dei miei occhi.” 

Vedendo Kurt leggermente confuso, Quinn si affrettò ad aggiungere “Beth è l’unica cavalla bianca della reggia, nonché la più veloce e buona. È un’ex campionessa, ora non gareggia più ma è comunque la migliore che abbiamo. È dolcissima e si affeziona subito, basta che gli dai uno zuccherino e diventi magicamente il suo migliore amico” rise. “Sebastian è follemente innamorato di lei, e anche Beth lo adora.”

Lo stalliere annuì con gli occhi luccicanti. “Beth è la mia piccina, guai a chi me la tocca” disse affettuoso, abbracciandole piano il muso. Kurt non poté fare a meno di aprirsi in un largo sorriso, vedendo l’immenso amore che quell’uomo provava verso l’animale. Forse dopotutto non era così sgradevole.

“Beh, direi che abbiamo già perso troppo tempo” annunciò Quinn. “Ciao piccola Beth” mormorò alla cavalla, accarezzandole la criniera. “Ciao brutto coglione!” rise, lanciandosi fra le braccia di Sebastian e baciandogli ripetutamente la guancia sinistra.
“Ciao stronzetta” rispose quello, dandole un buffetto dolce.

“Ehi Kurt, lieto di aver fatto la tua conoscenza … Spero di rivederti presto da queste parti.” Disse strizzandogli un occhio, e Kurt arrossì nuovamente. Si chiese come fosse possibile arrossire più volte in pochi minuti a causa di quel ragazzo che in diciotto anni di vita.

“Forza Kurtie, andiamo.” Lo esortò Quinn, trascinandolo via. Kurt si fermò e sorrise sorpreso. 

“Kurtie?”

Questa volta fu Quinn ad arrossire. “Ehm, sì … Scusa non volevo infastidirti, è che anch’io come Beth mi affeziono presto alle persone e mi prendo stupide libertà come quelle di affibbiare ridicoli soprannomi come Kurtie e-“

“Ehi, ehi! Frena!” esclamò divertito Kurt. “Non mi dà fastidio, anzi. Mi hai solo preso di sorpresa. Non sono molte le persone che si affezionano a me …” disse con una smorfia.

Quinn notò il tono amaro della sua voce e preferì non insistere, e Kurt le fu grato per questo. Per fortuna Quinn non era una ficcanaso come la principessa Rachel, e si sentiva già legato a lei. Questo pensiero lo fece subito sentire meglio.

Nel frattempo, erano arrivati di fronte alla porta di una stanza, e qui Quinn si arrestò. “Bene, Kurt, questa è la tua stanza. Dentro troverai tutto ciò che ti serve, vestiti puliti, asciugamano, sapone … Ti consiglio di farti un bel bagno così poi sarai pronto per incontrare il re.” Disse con un sorriso.

“D’accordo, grazie mille Quinnie.” Rispose Kurt sorridendo a sua volta, per poi rimanere totalmente paralizzato quando Quinn gli buttò le braccia al collo abbracciandolo stretto.
Cosa avrebbe dovuto fare? Ricambiare la stretta? Darle un bacio? Non lo sapeva, non era abituato, nessuno lo abbracciava da molti anni e …

Ma per fortuna Quinn sembrò capire, e sciolse l’abbraccio. “Comunque, se ti serve qualcosa tira la cordicella che troverai sopra il tuo letto e io ti raggiungerò” disse lasciandogli un ultimo gentile sorriso, per poi sparire tra i corridoi.

Kurt sospirò, e aprì la porta, guardandosi intorno.

Quasi gli vennero le lacrime agli occhi. Quello era un letto. Con un materasso, delle lenzuola e un cuscino. Non si ricordava nemmeno come fosse fatto, troppo abituato a dormire sul pavimento o addossato a delle scatole di cartone.

Ispezionò ogni centimetro della camera, mentre un senso di felicità cominciava a serpeggiargli nelle vene. Gli sembrava di vivere in un sogno, in una bolla di sapone che presto sarebbe scoppiata, e lui sarebbe tornato alla vita di sempre. Beh, vita era una parola grossa.

Con i soldi che avrebbe guadagnato avrebbe potuto comprare del cibo ai suoi amici, portare loro delle coperte di lana, e con il tempo avrebbe potuto addirittura garantire loro un tetto sotto il quale dormire.
Credeva non ci fosse più niente per lui, eppure ora si trovava seduto su un morbido letto con il sorriso sulle labbra, più felice che mai.

Evidentemente quel dio nel quale aveva smesso di credere tempo fa non l’aveva del tutto dimenticato, la sua vita non era ancora terminata. Ma non voleva illudersi troppo. C’era anche la possibilità che quella nuova esperienza si rivelasse un disastro, qualcosa non alla sua altezza… E se avesse combinato qualche pasticcio? Magari cucendo un vestito alla rovescia, o macchiando di caffè l’abito da sposa? Sicuramente la principessa non avrebbe avuto pietà di lui, licenziandolo senza troppe cerimonie, se non peggio.

Decise di smetterla con questi pensieri deleteri, e farsi un bel bagno, come gli aveva consigliato Quinn. Girò piano la maniglia della toilette ed entrò, guardandosi intorno prima di fare un altro passo, con il terrore di rompere qualche oggetto. Fortunatamente riuscì ad immergersi nella vasca già piena d’acqua senza troppi problemi. Si chiese chi gliel’avesse riempita, magari Quinn, o magari una delle innumerevoli serve della reggia… Lui era solo uno dei tanti. Il più inesperto, il novellino. Sperava solo di riuscire ad ambientarsi presto, e che fossero tutti ospitali come Quinn lo era stata con lui.

Aprì il rubinetto della vasca e infilò la testa sotto il getto d’acqua calda, lasciando che spazzasse via tutto, ogni pensiero, ogni problema, ogni questione. Solo lo scrosciare inesorabile dell’acqua, e nient’altro.

Quando si fu sufficientemente stordito e realizzò che fosse passato parecchio tempo da come i polpastrelli si erano raggrinziti a causa dell’acqua, chiuse il rubinetto e si alzò in piedi, avvolgendosi un morbido accappatoio addosso. Non aveva mai fatto un bagno così rilassante e appagante in tutta la sua vita.

Canticchiando si diresse verso il portasciugamani, ne tirò fuori uno, si strofinò i capelli per renderli un po’ meno umidi e sempre canticchiando lo rimise al suo posto, stando bene attento a non spiegazzarlo.

Ritornò nella camera da letto, indossò l’uniforme da servitore che Quinn gli aveva lasciato sulla scrivania e si sedette pensieroso sul letto, reggendosi la testa con il braccio.

All’improvviso sentì bussare alla porta e sobbalzò.

“Chi è?” chiese, alzandosi velocemente in piedi.

“Kurt, sono io, Quinn! Sbrigati, che il re vuole conoscerti!”

Diamine, il re.
Gli era completamente passato di mente, tra una cosa e l’altra se n’era dimenticato… Doveva sbrigarsi se non voleva fare una pessima impressione già il primo giorno! Imprecò a bassa voce contro la sua memoria a breve termine e corse ad aggiustarsi i capelli. Beh, più che altro cercò di salvare il salvabile, ma la verità è che non aveva messo molta cura nell’asciugarli, convinto che non avrebbe più dovuto vedere nessuno per il resto della serata. Ma si era dimenticato del re, ovviamente.

Tentò di spazzolarsi, ma poi vi rinunciò, borbottando un “chi se ne frega”. Si diede un’ultima occhiata allo specchio e uscì dalla stanza studiando la cartina della reggia che Quinn gli aveva dato quel pomeriggio, sulla quale c’era rappresentato l’intero edificio con tutti i suoi corridoi e i suoi meandri, fin nei minimi dettagli. Quinn aveva fatto un cerchio rosso con il pennarello sulla camera dove si trovava il re, per aiutare Kurt a non sbagliare strada.

Il ragazzo, senza staccare gli occhi da quella cartina che probabilmente sarebbe stata la sua salvezza durante tutta la sua permanenza a palazzo, si diresse a passo deciso verso il cerchio rosso, cercando di tremare d’agitazione il meno possibile.

 

Dopo quelli che gli parsero chilometri, giunse finalmente davanti a una porta piccola e di legno, abbastanza anonima, che si rese conto essere appena socchiusa. Sapeva che era un gesto scorretto e impulsivo, ma non poté trattenersi dallo sbirciare dentro. Si accostò il più silenziosamente possibile e scrutò l’interno.

Quello che vide lo lasciò per un attimo attonito. Era sicuro di non aver sbagliato strada? Che quella non fosse la “stanza del re”, come l’aveva chiamata Quinn? Eppure, ripercorrendo mentalmente a ritroso ogni corridoio, ogni passaggio, era sempre più convinto di non aver fatto errori. Ma come poteva essere possibile che il re stesse in una stanzetta del genere? Non c’era niente di tutto quello che si trovava nelle altre sale, non era immensa, non era lussuosa, era… Semplice. Un pavimento semplice senza tappeti, nessun lampadario lussureggiante, nessun arazzo, nessun affresco. Era come se quella stanza non fosse parte del palazzo, un appartamentino dislocato, in disparte. Ma improvvisamente, si sentì a casa. Tutto quel lusso gli aveva messo molta tensione e ansia, come se non si ritenesse degno neanche di guardarlo. Quella cameretta invece, era così semplice, così confortante.
Allungò il collo e si avvicinò per avere una visuale completa della stanza. C’erano comodini pieni di fogli, una libreria zeppa di libri di cui non riusciva a leggere il titolo, c’era addirittura un camino scoppiettante, che gli fece subito spuntare un sorriso sulle labbra.
Sì, quel posto, qualunque cosa fosse, era decisamente diverso.
Poi sentì un rumore. No, non un rumore ben distinto, più che altro… Uno sbuffo. Come di una persona affaticata, che si lamentava.
Incuriosito, si accostò maggiormente, facendo attenzione a non far aprire la porta. Stavolta riuscì a intravedere una scrivania, ma quasi il piano non si scorgeva, per quante cartelle e fogli ammucchiati vi stavano disordinatamente sopra. Kurt fece una smorfia, era particolarmente allergico al disordine: se fosse stato il proprietario di quella scrivania, non avrebbe mai permesso che restasse in quella maniera. Ma non lo era, e si chiese chi lo fosse.


Eccolo, un altro sbuffo. Qualcosa si mosse sopra la scrivania, spostando i fogli… Una mano, quella era una mano! E quella mano doveva per forza avere un proprietario, giusto? Si allungò ancora un po’, e poi lo vide.


Il re.


Stava seduto su uno sgabello dietro la scrivania, chino sui fogli con una matita in mano e un’espressione stanca ma comunque concentrata. Una camicia spiegazzata e un paio di pantaloni di cotone a fargli da vestito. Sul naso un paio di occhiali spessi come il fondo di una bottiglia, leggermente appannati dal calore del camino. Le sopracciglia corrugate e qualche goccia di sudore sulla fronte, dovuta probabilmente allo sforzo mentale. Ma, soprattutto, un cespuglio di folti ricci neri, che cadevano scompostamente in ogni direzione. Ribelli, selvatici.
Kurt non aveva mai visto re Blaine così. Alle parate e quando faceva i discorsi in piazza era sempre così ben vestito, con quei suoi stivali dorati, quelle giacche impeccabili, quegli stravaganti papillon che ogni volta si ostinava ad indossare sebbene alla regina non piacessero, quella corona torreggiante sul capo. Kurt lo ricordava con i capelli costantemente domati dal gel, credeva che il re fosse incapace di vivere senza, ma a quanto pare non era così. Perché in quel momento, chino su quella scrivania piena di fogli volanti, con i capelli liberi da ogni prodotto, con la lingua leggermente fuori all’angolo della bocca, in quella stanza semplice e accogliente, quella figura non gli incuteva nessun tipo di timore né soggezione. Quella figura era così… Casa.

Sentì che era giunto il momento di entrare e presentarsi, non voleva che il re si arrabbiasse per un suo eventuale ritardo, e a quel punto cosa avrebbe potuto dirgli, “scusate sua Maestà, la stavo spiando da dietro la porta”? No, opzione scartata. Quindi, dopo un profondo respiro, bussò piano.

“Sì? Chi è?” trasalì Blaine. Poi si ricordò: era arrivato un nuovo servitore, quel giorno, e lui stesso aveva chiesto di conoscerlo. Poi, tra un impegno, e l’altro, l’aveva dimenticato. Si stropicciò gli occhi e cercò di indossare un sorriso.

Kurt entrò piano, un po’ intimorito. Guardare re Blaine senza essere visto era una cosa, ma ora erano a un metro di distanza e i loro occhi erano puntati gli uni negli altri, e questo bastava a metterlo terribilmente in soggezione. Dopotutto era il suo sovrano. Il sovrano che non apprezzava per niente, si ricordò. Eppure, vederlo lì, così normale, così umano, così b…
No. Non bello, Kurt. Come hai potuto anche solo lontanamente pensarlo?
Arrossì e si diede mentalmente uno schiaffo.

“K-Kurt, sua M-maestà.” Un altro schiaffo mentale. Probabilmente re Blaine avrebbe pensato che fosse balbuziente, fantastico.

“Ti vedo un po’ teso, rilassati Kurt.” Lo incoraggiò, con un sorriso che fece sentire Kurt un po’ più a suo agio. Di nuovo quella sensazione di casa. “Qui nessuno ti mangerà.”

“Scusatemi, sono un po’ emozionato…” mormorò accennando un sorriso che probabilmente era venuto fuori come una smorfia. Era vero, era emozionato. Ma non quanto si era aspettato di essere. Si era aspettato di svenire dall’agitazione, che il re sarebbe stato austero e arrogante, che l’avrebbe trattato come pezza per i piedi. Ma non stava succedendo niente di tutto ciò.

“Lo capisco.” Annuì Blaine, senza smettere di sorridere. Si era prefissato di indossare un sorriso di circostanza, ma la verità è che gli si era disegnato spontaneamente sulle labbra, alla vista di quel ragazzo, Kurt. Era così adorabilmente timido che non poteva trattenersi dal sorridere. Probabilmente stava risultando un ebete ai suoi occhi, ma non riusciva a farne a meno. “Allora, Kurt… Come ti sembra qui?”

Kurt sgranò gli occhi e si trattenne dal ridacchiare. Era ovvio che trovasse tutto pazzesco e ultraterreno, ma non voleva deludere il re. “Il vostro palazzo è perfetto in ogni millimetro, sire. Non ho mai visto niente di così bello.” Ed era vero, diamine se era vero.

“Ti ringrazio, sei così gentile.” Disse sinceramente Blaine. “Hai già avuto modo di conoscere qualcuno qui?”

“Oh, sì!” esclamò Kurt, forse con un po’ troppa enfasi. Ma il sorriso confortante del re lo incoraggiò ad andare avanti. “Oltre alla sua compagna, la principessa Rachel che stimo e ammiro moltissimo – disse, in parte mentendo - , ho legato con Quinn, che è diventata un po’ il mio angelo custode e mi ha mostrato tutta la reggia… E’ molto simpatica, sento già di volerle un gran bene. E poi ho conosciuto Sebastian, lo stalliere! Davvero un tipo particolare…” disse con una smorfia.

“Oh sì, Sebastian!” rise re Blaine. “Spero non ti abbia dato troppo fastidio, a volte è così impertinente… Pensa, persino con me!”

Kurt sgranò gli occhi e ridacchiò. “No, sul serio?!” esclamò. “Beh sì, è un po’ esplicito e non si fa troppi problemi a dire ciò che pensa, ma mi sembra un bravo ragazzo.” Disse, e il re annuì come a conferma delle sue parole. “E poi mi ha presentato Beth, una cavalla che da quanto ho capito è molto benvoluta a palazzo.”

“Assolutamente!” confermò Blaine. “Beth è fantastica, la amiamo tutti. Altrimenti non l’avremmo scelta come colei che trainerà la carrozza mia e della mia futura moglie, al nostro matrimonio.” Spiegò.

Kurt sorrise, non troppo spontaneamente, e non seppe perché. “Ah sì, ecco, vostra moglie mi ha affidato il compito di cucirle personalmente l’abito da sposa. Non potrei essere più lusingato!”

“Devi essere molto bravo, allora. Mia moglie è molto esigente, non sceglierebbe una persona a caso.”

Kurt arrossì per quel complimento e pregò che le sue guance non fossero così eloquenti, ma Blaine purtroppo per lui le vide e si aprì ancora di più in un sorriso che fece arrossire ulteriormente Kurt. ‘Tanto ormai ho fatto abbastanza figuracce con il re. Una più, una meno.’ Pensò.

Per smorzare la tensione, si guardò intorno. Era tutto così semplice e armonioso in quella stanza. Si chiese perché il re fosse proprio lì, quando aveva a disposizione innumerevoli sale che trasudavano lusso. Probabilmente Blaine gli lesse nel pensiero, perché disse: “So che qui può sembrarti strano. Tutto troppo semplice, no? Troppo poco in linea con il resto. Beh, in realtà credo che sia il resto a non essere in linea con questa stanza. A me piace tanto, è la mia tana. Mi rifugio qui per badare agli affari del regno – come puoi vedere da tutte quelle scartoffie sulla scrivania – e per stare un po’ da solo a riflettere. Mi sento più me, qui dentro. Quei lampadari mastodontici non sono me. Questa stanza è me.” Spiegò. Blaine si morse un labbro. Perché stava condividendo tutto quello con uno conosciuto pochi minuti prima, di cui non sapeva praticamente nulla?


Non riusciva a capire perché, ma Kurt gli ispirava fiducia. Sembrava quasi volesse dire ‘è okay, con me puoi essere te stesso, non re Blaine, solo Blaine.’ Ma questo era assurdo, e non poteva correre certi rischi, non poteva rivelarsi ad un quasi sconosciuto, per quanto lo facesse sentire inspiegabilmente a suo agio. Tentò di ricomporsi e si schiarì la voce. “Scusa, non so perché ti sto dicendo queste sciocchezze che neanche ti interessano. Sto lavorando troppo e sono stressato.”

‘Eccola lì, quella maschera’ pensò Kurt. Quella maschera da re che indossa ogni volta che sente il bisogno di nascondere se stesso, probabilmente perché non si fidava di lui, come era ovvio che fosse. Era tentato di dirgli di buttarla via quella dannata maschera che lui stesso disprezzava, che senza di essa era una bellissima persona, ma lo faceva sentire protetto e Kurt lo capiva. Lo capiva perché non era la stessa che indossava lui ogni santo giorno, per proteggersi da quello schifo di mondo?

Improvvisamente, si rese conto di non odiarlo più. Anzi, di non averlo mai odiato. Odiava solo quella maschera di buonismo e ipocrisia che metteva nei discorsi. Odiava re Blaine. Ma quello che gli aveva raccontato di come stesse bene e al sicuro in quella stanzetta con il camino non era re Blaine, era solo Blaine.

E capì anche, da tutti quei fogli, che l’aveva giudicato troppo duramente. Non doveva essere facile fare il re. Tutte quelle cose da gestire, le responsabilità, gli impegni… Lui non sarebbe stato capace di sottostare a tutta quella pressione.

Immerso nei suoi pensieri, non si era reso conto dell’immenso gelido che era sceso fra loro. “Non fa nulla, davvero.” Cercò di rimediare Kurt. “Fa bene aprirsi con gli altri qualche volta, tenersi le cose dentro non è mai buono…” farfugliò, senza rendersi conto delle sciocchezze che stava dicendo.

Sperava che Blaine sfoggiasse uno dei suoi sorrisi rassicuranti, che lo facevano sentire bene, a posto, che gli facevano capire che non era uno stupido, che Blaine lo apprezzava.

Ma quello che aveva davanti non era più Blaine.

“Okay, Kurt.” Tagliò corto. “Mi dispiace, ma ho molti impegni da sbrigare ora… Mi ha fatto molto piacere parlare con te. Spero di rivederti presto.” Si sentì costretto a dire. Aveva già detto troppo a quel ragazzo, e non riusciva ancora a capacitarsene, non gli era mai successo di sentirsi così bene con uno sconosciuto. Di sentire come se potesse dire qualsiasi cosa, che Kurt non l’avrebbe mai giudicato. Ovviamente era tutta un’assurdità causata da tutto quello stress a cui era sottoposto, non c’erano altre spiegazioni.

Kurt gli sorrise e accennò un goffo inchino, ma l’altro restò impassibile. Niente, aveva saldato quella maschera al volto e per quanto si fosse sforzato, non sarebbe riuscito a togliergliela ancora. O almeno, non quel giorno.

Così se ne andò, chiudendo piano la porta dietro di sé.

E sorrise. Sorrise perché non se lo sarebbe mai aspettato, sorrise per tante ragioni che in quel momento non sapeva spiegare, ma soprattutto sorrise perché aveva conosciuto qualcuno che valeva la pena di essere conosciuto.
No, non re Blaine. Solo Blaine.

 

ANGOLO DELL’AUTRICE

Ciao bella genteeeee! Scusatemi l’immenso ritardo di quasi due settimane, davvero imploro perdono, ma ho avuto quindici giorni pieni zeppi di impegni, ergo non ho potuto aggiornare.. In realtà scrivo questo capitolo da sei giorni, come vedete è venuto fuori esageratamente lungo, ma non mi sentivo di tagliarlo.. Beh, spero che sia valsa la pena di attendere :)

Fatemi sapere, xoxo

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Il rumore costante di una nocca che batte per minuti interi sulla porta di camera tua quando sei nel bel mezzo di un sonno profondo può essere fastidioso, e neanche poco.

Per questo Kurt dopo una brevissima riflessione decise saggiamente di ignorarlo, tentando di ritrovare il sonno e costringendo con quanta più forza potesse le sue palpebre affinché restassero ben serrate. Perché non poteva dargliela vinta, chiunque fosse a bussare. Lui meritava un po’ di tranquillo riposo, e quel letto era così comodo e soffice che lasciarlo sarebbe stato uno strazio.

Ma non aveva fatto i conti con i nervi saldi e la testardaggine dell’amabile persona oltre la porta, che Kurt si era ripromesso di strangolare con le proprie mani non appena ne avesse avuto la possibilità. Infatti, se quel bussare poteva essere considerato frustrante, la voce squillante che arrivò poco dopo fece riflettere Kurt se buttarsi dal balcone o farla finita soffocandosi con il cuscino.
In ogni caso, non ce l’avrebbe fatta ad affrontarla.

“Dormiglione, è ora di alzarsi e rimboccarsi le maniche! Non ti ho certo assunto per stare in panciolle tutto il giorno, eh!” Esclamò la principessa Rachel con un tono che a Kurt sembrò vagamente irritato, ma non poteva dirlo con certezza, immerso com’era nel torpore del mattino.

Kurt trattenne un insulto tra i denti, perché no, non era davvero il caso. Magari uscito da lì avrebbe potuto rinfacciare a quella donna tutte le mattine in cui l’aveva fatto alzare all’alba per cucire un vestito, avrebbe potuto mandarla a quel paese e dirle che era un’insensibile e una rottura di palle cosmica e tante altre belle cose, ma in quel momento non rientrava nelle cose migliori da fare.

Anche se avrebbe voluto piagnucolare e pregarla di lasciarlo dormire dieci minuti in più, non lo fece. Non voleva rovinarsi la reputazione ancora prima di essersela creata, non voleva che tra la servitù corresse la voce che Kurt Hummel è un fannullone, ma soprattutto; non voleva che re Blaine si facesse un’idea negativa di lui. Doveva dimostrargli che era laborioso e diligente, che non protestava e … Oh mio Dio, ma perché avrebbe dovuto interessargli quello che re Blaine pensava di lui? Lui se ne fregava altamente del giudizio della gente, a patto che lo lasciassero in pace potevano dire ciò che volevano.

Eppure l’ipotesi che Blaine potesse soffermarsi un secondo per fare una critica a Kurt, per riservargli un’occhiataccia o una smorfia di disappunto, gli dava una strana sensazione. Come se lo facesse stare male, più male di quando lo criticavano gli altri. Ed era una cosa buffa, perché cos’aveva il re di diverso dagli altri, perché il suo giudizio sarebbe dovuto pesare di più nella mente di Kurt? ‘Forse perché è il re, ed è più importante degli altri’ provò a rispondersi. E rifletté che probabilmente doveva essere così, era per questo che si sentiva più in soggezione quando pensava a lui.

Kurt sapeva, sapeva benissimo che non era quella la verità.
Ma la verità non si può tirare fuori da un momento all’altro, quando ne si ha voglia. La verità è qualcosa che va covata, deve maturare dentro di noi, per poi uscire allo scoperto quando è giusto che sia. Ma bisogna scavare per trovarla, bisogna riconoscerla e accettarla, ed è un qualcosa che necessita tempo.
La verità di Kurt era ancora troppo immatura perché potesse vederla.
Ma ovviamente lui questo non poteva saperlo.

Si mise velocemente a sedere sul letto, stropicciandosi gli occhi e dischiudendoli piano, per non ferirsi con i raggi del sole che avevano cominciato a filtrare dalla tenda.

“Arrivo subito, lady Rachel.” Disse, cercando di moderare quanto più possibile la voce impastata di sonno.

“Meglio per te!” rispose ironica quella, e poi ridacchiò della sua stessa battuta. ‘Davvero una burlona’, si ritrovò a pensare Kurt.

La principessa, stancatasi di restare impalata dietro una porta (della servitù peraltro, che orrore!), fece dietrofront e si incamminò lungo il corridoio, mentre Kurt sentiva l’eco dei suoi passi farsi sempre più lontano. ‘Finalmente’ borbottò tra sé e sé.
Era tentato di appisolarsi nuovamente, ma aveva timore che stavolta Rachel non sarebbe stata così clemente. Quindi si alzò e dopo essersi lavato e vestito uscì fuori dalla sua camera, respirando una piacevole aria di pulito. Le serve dovevano aver fatto il bucato, a giudicare dall’odore.

Girò subito gli occhi alla ricerca di Quinn, il suo angelo custode. Non sapeva come muoversi senza di lei, la ragazza era indispensabile per la sua sopravvivenza in quel palazzo spaventosamente gigantesco.

Fortunatamente non dovette camminare troppo, poiché la vide dall’altra parte del corridoio - un corridoio gremito di gente vestita come lui - intenta dirigersi a passo svelto verso la lavanderia. Gli scocciava disturbarla quando probabilmente aveva cose migliori da fare piuttosto che badare a lui, ma non sapeva come altro agire.

“Quinn!” la chiamò sbracciandosi, ma cercando di non destare troppo rumore per non richiamare l’attenzione di tutta la servitù su di lui.

La ragazza sentendo il suo nome si bloccò sul posto, poi si girò e vide Kurt, illuminandosi in un caldo sorriso. Lo salutò con la mano, sgomitando con le altre serve per raggiungerlo.

“Ehi Kurt, buongiorno! Dormito bene?” lo salutò amichevole, porgendogli due piccoli baci sulla guancia che destabilizzarono un momento il ragazzo, non ancora abituato a tutto quell’affetto.

“Beh sì, ma la principessa Rachel mi ha svegliato alle sei stamattina. Sono ancora parecchio intontito.” Ammise ridacchiando, grattandosi la nuca.

Quinn proruppe in una risata anche troppo fragorosa.

“Che c’è, ho detto qualcosa di sbagliato…?” chiese confuso Kurt.

“Oh, no no! È solo che dovrai abituartici, Kurt. La principessa è stata fin troppo gentile a svegliarti alle sei, con pochi servi lo fa. In genere ci tortura sin dal primo giorno.” Lo informò.

“Vuoi dire… Che voi vi svegliate anche prima?” domandò stralunato, sgranando gli occhi con orrore. “Non posso crederci!”

Quinn annuì. “Noi rotoliamo giù dal letto alle quattro, e cominciamo subito a lavorare duro. E penso che più prima che poi capiterà anche a te, Kurt. Non rimarrai l’ospite d’onore a lungo.”

Kurt si prese la testa tra le mani, scuotendola ripetutamente e seguitando a farfugliare frasi sconnesse come “Non posso farcela”, “Ma è un campo di concentramento?”, “Principessa del cazzo”, “Reggia del cazzo” e simili, che Quinn preferì non capire.

“Mi dispiace, ma è così.” Disse Quinn, accarezzandogli il braccio con fare solidale. Poi tornò a sorridere. “Che dici, ci mettiamo in marcia, soldato?”

“Verso l’inferno?”

“Ma no, sciocchino! Verso l’ala ovest!” esclamò Quinn, scimmiottando il tono civettuolo tipico di Rachel.

“Che è dove si trova la principessa, giusto…?”

“Eh già.” Confermò.

“Appunto, verso l’inferno.” Sentenziò Kurt, scatenando una risata in entrambi.

E così, fra parole e scherzi, si avviarono verso l’ala ovest, dove sua Maestà avrebbe cominciato a lamentare fastidi e inventarsi capricci facendo uscire fuori di testa Kurt, per niente disposto a starle dietro.

Il suo primo giorno di lavoro non era neanche cominciato, e già si preannunciava un vero, appunto, inferno.

Ma l’inferno può diventare un po’ più dolce se lo si condivide con qualcuno a cui si vuole bene, pensò Kurt alludendo a Quinn.

Non si rese conto però dell’importanza di quel momento, e di ciò che aveva appena pensato.

Perché in quell’istante, con le narici impregnate di odore di bucato, gli occhi che ancora si chiudevano dal sonno e il corpo sbattuto di qua e di là da quel fiume di gente che solcava i corridoi, Kurt Hummel aveva ricominciato, dopo undici anni, a volere bene.

Ma non sapeva che quello era solo il primo di tanti passi che l’avrebbero portato a riscoprire la bellezza della vita.

 



“Ehi, chi si vede! Piccioncini, eccovi qua!” trillò Rachel, alzandosi dalla sedia e smettendo di limarsi le unghie.

Entrambi sussultarono nel sentire quel soprannome, e non poterono fare a meno di ridacchiare tra loro. Perché se Kurt era certo di una cosa, era che Quinn non sarebbe mai potuta essere più di una sua amica. L’idea era semplicemente così assurda che il suo cervello la respingeva ancora prima che si formulasse del tutto. E Quinn era dello stesso parere.

Il perché non avrebbero saputo dirlo, ma il solo pensiero faceva venire loro il voltastomaco. Eppure Kurt era un bel ragazzo e Quinn una bella ragazza, andavano molto d’accordo, ma entrambi sentivano nel profondo del cuore la certezza che non avrebbero mai potuto essere più che amici.
E stava lì, quella certezza pesante come il piombo, stava lì e non sapevano spiegarsela.
Non era ancora tempo. La verità era ancora troppo acerba.

Si ridestarono bruscamente dai loro pensieri quando sentirono Rachel ridere, ma la principessa interpretò diversamente quel gesto. “Oh cari, non c’è bisogno che nascondiate il vostro amore, io leggo nei vostri giovani cuoricini. Ma tranquilli, il segreto è al sicuro con me.” Disse, strizzando loro l’occhio. Quinn e Kurt arrossirono, la principessa aveva completamente frainteso ma sapevano che non sarebbero riusciti a convincerla del contrario, quindi rinunciarono in partenza.

“Bene bene!” cinguettò Rachel battendo entusiasta le mani. “Ci siamo rilassati abbastanza, è tempo di mettersi a lavoro.”

Kurt si chiese quale fosse il concetto di relax per la sua principessa, dato che lui era un fascio di nervi. Quella donna sapeva mettergli un’ansia terribile addosso.

“Okay, ehm, da dove cominciamo …?” chiese titubante Kurt, guardandosi attorno e notando solo un foglio di carta e una matita.

“Allora.” Iniziò Rachel schiarendosi la voce. “Tesoro, io ti spiegherò nei più piccoli dettagli il vestito da sposa che voglio. Ho un’idea molto precisa, quindi vedi di capire bene. Mentre te lo descrivo, tu lo disegni perbenino su quel foglio lì. A fine descrizione guarderò il disegno che hai fatto. Se è il vestito che voglio ti faccio un cenno e tu vai a cucirlo, altrimenti lo stracciamo e ricominciamo daccapo. Quinn ti aiuterà. Tutti pronti? Cominciamo!”

Kurt non fece in tempo a sbarrare gli occhi che la principessa iniziò a parlare a macchinetta e lui impugnò la matita in preda al panico, mentre Quinn gli lanciava un’occhiata piena di solidarietà.

Sarebbe stata una lunga giornata.

 



“Basta, non ce la faccio più.” Affermò, allontanando definitivamente la scrivania sulla quale stava lavorando e alzandosi in piedi.

Si tolse gli occhiali e fece un piccolo giro della stanza per sgranchirsi le gambe, osservando quegli scaffali impolverati e quelle enciclopedie ingiallite che ormai da molti anni rappresentavano il suo mondo, la sua vera essenza.

Intrecciò le mani dietro la schiena e continuò la sua perlustrazione passeggiando per la stanza, quella stanza che conosceva così bene, ma che allo stesso tempo lo stupiva ogni giorno, mostrandogli un lato di sé completamente nuovo.

'Ci si può innamorare di quattro mura?' si domandò tra sé e sé, sorridendo istintivamente. E si rispose che sì, si può, quando quattro mura ti conoscono meglio dei tuoi parenti più stretti, sanno più segreti su di te del tuo vecchio amico d'infanzia, di tua moglie. Quasi moglie.

A volte Blaine arrivava a domandarsi se amasse davvero Rachel. E subito dopo si dava dello stupido, dell'irriconoscente, che doveva essere grato a Dio per avergli donato quel fiore stupendo, che gli aveva cambiato la vita e lo aveva riportato sulla retta via.

Prima che Rachel inciampasse sul suo cammino era pieno di dubbi, domande, misteri irrisolti. Non faceva altro che chiedersi chi fosse veramente lui, se valesse la pena di vivere una vita come la sua.

Rachel, in un certo senso, aveva fatto chiarezza e luce sui timori di Blaine, rispondendo a tutte le sue domande con una leggerezza e una semplicità sorprendenti, che Blaine aveva amato sin dal primo momento. Il modo di pensare di Rachel era semplice, lineare, forse quasi banale. Ma Blaine aveva bisogno di qualcuno in famiglia che ragionasse lucidamente. Lui aveva la brutta abitudine di impelagarsi nelle questioni più contorte, compiendo giri mentali degni di un pilota acrobatico, finendo inevitabilmente per rovinarsi la giornata e l'umore.
Rachel gli faceva ritornare il sorriso con la frase più semplice e naturale.

Non poteva certo dire di amare ogni sfaccettatura del suo carattere, a volte era davvero testarda ed esigente, l'aveva vista più volte comportarsi in maniera quasi cattiva con i loro servi, ma l'accettava così com'era, ed era felice di sposarla. Era giusto così. Perché se non l'avesse sposata sarebbe successo uno scandalo, un altro, sarebbero tornate a galla questioni vecchie di quattro anni e la gente avrebbe ricominciato a mormorare come non aveva mai smesso di fare, e a quel punto zittirla sarebbe stato molto più difficile. Si sa come sono le persone, e di scandali a corte ce n'erano già stati abbastanza.

Comunque sia, Blaine amava Rachel.

E in caso contrario, sarebbe stato costretto ad amarla lo stesso.

Perché sì.
 



“Kuuurt ci sei? Ti vedo un po' spaesato!” sbottò irritata la principessa mettendosi a braccia conserte. “Cosa c'è che non va?”

“Lady Rachel, credo stiate andando un po' troppo veloce, Kurt non riesce a starvi dietro ...” intervenne Quinn gentilmente e con un sorriso sul volto.

“Come fai a sorridere a quell'arpia?” le bisbigliò Kurt nell'orecchio. “Non vorresti prenderla a schiaffi?”

“E' tutta questione di abitudine.” Bisbigliò in risposta Quinn, per assecondarlo. La verità era che le veniva naturale sorriderle, per motivi che neppure lei riusciva a spiegarsi. La consideravano tutti una strega, una megera, e non si poteva certo dire che fosse una santa, ma Quinn non la odiava. C'era qualcosa in quella donna che la affascinava molto, ma si trattava sicuramente di uno di quei pensieri assurdi che ti sovvengono quando sei spossato e fuori di te.
No?

“Beh, se non riesce a starmi dietro, la porta è quella.” lo minacciò Rachel, indicando l'uscita.

“No, no!” obiettò prontamente Kurt, scattando. “Ero solo un momento distratto. Continuiamo.”

La principessa sorrise soddisfatta. “Perfetto. Quinn, dov'ero rimasta?”

“Stavate descrivendo la gonna del vestito, vostra Maestà.” Le ricordò la ragazza.

“Oh, giusto! Grazie Quinn. Ti stavo dicendo, Kurt, non vorrei un modello classico per il mio matrimonio, quello che avevo pensato era qualcosa di leggermente bombato ma comunque molto di classe, e poi qualche fiore e ricamo qua e là, ah e cosa più importante-” si interrompette al suono della porta che si spalancava, e tutti e tre si girarono curiosi per verificare di chi si trattasse.

“Amore!” squillò Rachel felice, scattando in avanti e fiondandosi tra le braccia di suo marito.

“Piccola ...” rispose lui sorridendo e accarezzandole piano i capelli. “Che cosa state facendo?” chiese, notando gli altri due.

“Sto illustrando a Kurt come voglio il mio vestito da sposa, e lui lo sta disegnando!” spiegò entusiasta, stringendosi al petto del marito.

“Uh, fa un po' vedere, Kurt.” Disse Blaine, prendendo gentilmente il foglio dalle mani del ragazzo, mani estremamente bianche e candide, notò.
Dio, Blaine, ma cosa vai a pensare?
Si riscosse, e si prese del tempo per contemplare il disegno.

Nel frattempo Kurt era un fremito vivente, aveva bisogno del giudizio del re, voleva sapere cosa ne pensasse del vestito che aveva disegnato. Secondo lui era venuto abbastanza bene, ma scalpitava dalla voglia di sentirlo dire dalle labbra di re Blaine. E non riusciva a capire perché, come al solito.

Forse perché quelle labbra erano così carnose e rosee e sembravano così morbid- Kurt Hummel, ma sei impazzito o cosa?!?! Dio, la principessa mi deve star portando proprio all'esaurimento per farmi arrivare a pensare certe cose, constatò.

“Wow, Kurt.” sussurrò Blaine, sinceramente colpito. “E' davvero bello.”

“Lo-lo pensa davvero?” chiese Kurt incredulo.

Blaine pensò che sì, era vero, e pensò anche che quando Kurt si meravigliava sgranava quei suoi grandi occhi blu, e si illuminavano un po' perché era felice, e diventavano così belli e luminosi e azzurri che era impossibile non affogarvi dentro.

Ma fu solo un attimo, un pericolosissimo attimo in cui l'oro e il blu si scontrarono, perché subito dopo re Blaine distolse lo sguardo. Sapeva che se fosse rimasto solo un secondo in più ad ammirare quei due specchi di cielo, allontanarvisi sarebbe stato estremamente difficile.

“Certo. Sei bravissimo.” Disse convinto con un sorriso.

E Kurt provò, provò con tutte le sue forze a non commentare mentalmente quel sorriso, ma era davvero troppo perché il suo cervello lo facesse passare inosservato. Era sicuro di non aver mai visto un sorriso così splendido e radioso, capace di infondergli una felicità inspiegata.

“Vi ringrazio.” Rispose Kurt, arrossendo e abbassando lo sguardo, perché dopotutto era il suo re e doveva comportarsi umilmente.

“Niente. Ora è meglio che vada, ho tante cose da sbrigare.” Decretò, incamminandosi verso l'uscita.

“Ciao tesoro, ciao Quinn e … Ciao Kurt.” Salutò il re.

L'ultima cosa che Kurt vide prima che la porta si chiudesse con un tonfo, fu un sorriso.

Sorriso che non poté fare a meno di pensare fosse rivolto a lui, solo a lui.

Ma, chiaramente, il suo cervello si divertiva a giocargli brutti scherzi.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

Here we goooo!
Scusate, davvero, scusate immensamente l'imperdonabile ritardo di tre settimane T_T a mia discolpa posso dire che la scuola ti porta via davvero troppo tempo, tempo che preferiresti impiegare per le fan fiction e per cazzeggiare, ahimè T_T
Anyway, che ne dite di questo cap? Non è successo niente di rilevantissimo (?), ma è importante lo stesso anche perché abbiamo fatto un viaggetto nel cervello incasinato di Blaine, che gli ha dato e gli darà ancora del filo da torcere u.u
Vi siete accorti che sono fissata con la friendship!Kuinn, eh? Che devo farci xD li vedrete ancora condividere molti momenti insieme, anche piuttosto importanti per determinate cose.. Sì ok, non facciamo spoiler ahah!
non preoccupatevi se il pezzo di Kurt e Quinn e della ‘verità’ vi ha lasciato un po’ spaesati, è normale che ora non capiate, date tempo al tempo :3 e don’t worry, Rachel ha toppato alla grande pensando ad un eventuale amore tra i nostri due giovincelli xD!
Un'altra cosa che credo vi abbia lasciati con un punto interrogativo sono i ricordi di Blaine, la questione dello scandalo ecc ecc.. Tranquilli non sono parole buttate a caso, vi verrà spiegato tutto a tempo debito ^^ Ah e comunque, non ho dimenticato gli amici di Kurt :) e nemmeno quell'accenno di brittana che vi ho dato nel secondo capitolo, hehehe :D

Sì, sono pienamente consapevole che nessuno leggerà questo angolo aka papiro chilometrico. Ma va bene lo stesso.
Buon weekend!

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto

 
 
Camminava a passi lenti e decisi, non potendo fare a meno di sorridere, pregustando la scena che sapeva gli si sarebbe presentata davanti agli occhi di lì a pochi minuti.
Era felice.
Kurt era felice.
Aveva superato il suo primo giorno di lavoro senza troppi danni, era sicuro di aver trovato un'amica in Quinn e quel re non si stava rivelando poi così male, anzi.
Non aveva nessun motivo per sentirsi triste.
Ma gli restava ancora una cosa molto importante da fare prima di sentirsi davvero appagato: vedere la felicità sul volto dei suoi amici.
 
Sì, perché anche se ora poteva godere del privilegio di dormire in un letto caldo e morbido, si era ripromesso di non dimenticare mai da dove veniva, e di non dimenticare mai chi non l'aveva abbandonato nei momenti più bui.
Così, quando la sera prima gli venne consegnato il suo primo 'stipendio' da Rachel in persona, non ebbe il minimo dubbio su come avrebbe dovuto utilizzarlo.
Il primo pensiero corse subito a quelle persone che l'avevano cresciuto; che l'avevano, in qualche modo, fatto sentire a casa, quando non ne aveva più una.
Per questo il mattino dopo si svegliò molto prima di come era abituato, stavolta senza lagnarsi della stanchezza e del sonno.
Aveva un obbiettivo, e l'avrebbe raggiunto. Avrebbe ripagato i suoi amici di tutto quello che avevano fatto per lui.

Dedusse che era quasi arrivato dall'inconfondibile olezzo di pattumiera che caratterizzava il luogo dove era diventato adulto.
Arricciò il naso, disabituato.
Ma la smorfia di disgusto venne subito sostituita da un sorriso amaro che si arcuò sul volto di Kurt, quando li intravide.
La situazione non era diversa da come l'aveva lasciata.

Mercedes era china sulla sponda del fiume, intenta ad immergere le mani in quelle acque gelide per lavare i panni miseri e logori che continuavano a chiamare 'vestiti', quando non erano affatto degni di questo nome.

Artie era, come al solito, appoggiato con la schiena contro il suo muricciolo, apparentemente addormentato. Ma Kurt sapeva che stava con gli occhi chiusi per non costringersi a guardare, e a rendersi ancora una volta conto, dell'ingiustizia del mondo, del loro mondo.
 
Tina e Mike erano seduti per terra, abbracciati ai loro due figli per cercare di riscaldarsi, tremanti e intirizziti. Tina continuava a singhiozzare sommessamente, mentre Mike le accarezzava piano i capelli sporchi e crespi, come a consolarla, come a dirle 'è così, non possiamo farci niente'.
 
Gli altri erano più o meno nella stessa situazione, notò con un moto di amarezza Kurt.
Si guardò intorno più attentamente, accorgendosi che una persona mancava all'appello, una di quelle che gli erano state più vicine, una di quelle a cui teneva di più, che voleva vedere felice a tutti i costi.
Dov'era Brittany?
 
Cercò di non farsi prendere dal panico che sentiva crescere dentro di sé, costringendosi a mantenere la calma, che sicuramente si stava preoccupando per nulla.
Magari la ragazza era andata al mercato per cercare di rubare qualcosa – sebbene quello fosse solitamente compito di Tina, pensò Kurt – o forse... O forse cosa?
Prese un lungo e profondo respiro, mentre il cuore cominciava a battergli forte.
Non le era successo niente, vero? Si stava solo spaventando per una sciocchezza, vero?
 
Si avvicinò di soppiatto.
Inizialmente aveva pensato di fare una sorpresa ai suoi amici, facendoli trasalire tutti sul posto, ma comprese che sarebbe stato meglio assicurarsi prima che Brittany stesse bene.
Così, senza fare rumore, si approssimò a Mercedes, ancora china sulla riva del fiume, sfiorandole piano il braccio.
 
La ragazza sobbalzò al contatto, voltandosi di scatto.
Poi mise meglio a fuoco e riconobbe due occhi azzurri e vivi, che non avrebbero potuto appartenere a nessuno se non al suo amico Kurt.
 
“Kurt!” Esclamò, sorpresa e felice, gettandogli le braccia al collo e stringendolo forte. “Sono così contenta di rivederti!”
 
“Anch'io Mercedes, mi siete mancati tanto...” Sussurrò, mentre sentiva la voce incrinarsi.
 
Era con Mercedes, stretto ad un corpo amico, con il quale poteva essere semplicemente se stesso, senza il bisogno di dimostrare niente.
Non significa poi quello, famiglia?
Non è forse un posto dove ognuno si sente accettato per quello che è, amato senza riserve?
Kurt sentì di essere tornato dalla sua famiglia.
E forse, grazie a lui, da quel giorno le cose sarebbero cambiate.
 
“Mercedes... Perché non vedo Brittany?” Chiese Kurt sciogliendosi dal suo abbraccio.
 
La ragazza di colore sorrise e alzò gli occhi al cielo, rivolgendo lo sguardo dall'altro lato del fiume.
“Sei preoccupato che sia potuto succederle qualcosa, non è così? Tipico da parte tua.” Disse, scuotendo la testa divertita.
 
Kurt sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia. “Che significa tipico da parte mia?”
 
“Sei sempre stato così protettivo verso Britt, mi stupisce che non le sia mai venuto in mente di chiamarti 'mamma'.” Spiegò, ridendo.
 
Kurt sorrise, dandole un buffetto sul braccio. “Non è vero! Ma sai com'è Brittany, ha bisogno di essere... Accudita.” Si giustificò, annuendo.
 
“Le manchi moltissimo, ti cerca sempre.” Rivelò Mercedes.
 
“Davvero?” Fece Kurt, intenerito.
 
La ragazza annuì. “Non vedeva l'ora che tornassi. Sarà felicissima di rivedere il suo Kurtie.”
“Beh sì, sarei felice anch'io di rivedere la mia Brittie ma... Dov'è?” Ripeté Kurt, guardandosi intorno un'altra volta.
 
“Oh giusto!” Fece Mercedes, colpendosi la fronte con il palmo della mano. “Ci sono un po' di cose che ti sei perso, in questi giorni...” Raccontò, vaga.
 
“Che genere di cose?” Domandò Kurt, incuriosito.
 
Mercedes scosse la testa. “Guarda tu stesso.” Gli suggerì, indicandogli con il dito un grande albero dall'altra parte del fiume.
 
“Devo andare lì?” Chiese Kurt confuso, guardando anche lui l'albero. “E perché?”
 
“Vai e basta.” Gli ordinò Mercedes, perentoria.
 
Kurt fece spallucce, cominciando ad attraversare il ponticello di legno sgangherato e cadente che separava una sponda dall'altra.
 
Approssimandosi al grande albero mostratogli dall'amica, udì delle voci femminili farsi sempre più distinte.
Curioso, aumentò la velocità dei passi.
Poggiò la schiena contro il tronco dell'albero, riconoscendo, esterrefatto, due voci.
Una che conosceva come le sue tasche, l'altra un po' meno.
Ma la domanda era... Perché erano insieme due persone che c'entravano così poco l'una con l'altra?
 
“Brittany! ...Santana?” Esclamò, mentre la felicità di rivedere la sua amica e la sorpresa di trovare insieme ad essa anche la sua prima datrice di lavoro si facevano largo dentro di lui.
 
“Kuuurt!” Prorompette Brittany, alzandosi velocemente in piedi e lanciandosi fra le braccia dell'amico, soffocandolo nel suo dolce abbraccio.
 
Kurt inspirò forte il suo profumo di pelle di bambino, giochicchiando con le ciocche bionde che le ricadevano sulla schiena.
 
Da dietro la spalla di Brittany, notò una Santana a braccia incrociate e con un'espressione irritata sul viso, come se stesse rimproverando Kurt per avere interrotto chissà quale momento.
 
Staccatosi da Brittany, salutò anche l'altra ragazza. “Santana... Che ci fai qui?”
 
“Anche per me è bello rivederti, Kurt.” Sbottò, squadrandolo con il suo solito atteggiamento arrogante a cui Kurt aveva imparato a non dare peso.
 
Sorrise, allungando la mano verso la ragazza. Quando vide che l'altra non aveva la minima intenzione di stringergliela, la ritrasse con un sospiro.
 
“Sannie, perché non vuoi salutare Kurt?” Chiese Brittany toccandole il braccio, dispiaciuta.
 
L'espressione sul viso di Santana si addolcì, mentre le accarezzava piano la guancia, per poi stringerla a sé, dimenticandosi improvvisamente della presenza di Kurt.
 
“Sannie?” Chiese sbigottito Kurt. “Cos'è questa novità, Brittany?”
 
Santana allungò un braccio verso Brittany, protettiva, come a difenderla.
Rivolse uno sguardo furioso verso Kurt.
 
“Non ti riguarda.” Tagliò corto. “E non osare rivolgerti ancora a Britt in quel modo.” Sibilò.
 
“In quale modo?! Non le ho detto nulla!”
 
“Ho detto: non-osare.” Sillabò Santana, puntando l'indice contro il ragazzo, minacciosa.
 
“Ohhh...” Fece Kurt spalancando la bocca, come illuminato da un'improvvisa rivelazione. “Ora mi è tutto chiaro. Beh, avrei dovuto capirlo.”
 
“Capire cosa?” Fece Brittany, disorientata.
 
“Nulla BrittBritt, perché non vai un po' a giocare con le paperelle nel fiume?” Le consigliò Santana, sorridendole dolcemente.
 
“Okay...” Acconsentì, titubante. “Nel frattempo però, voglio che tu e Kurtie diventiate amici.” Espresse, annuendo convinta.
 
“Ma certo... S-sì, sicuro.” Balbettò Santana, per poi rivolgere un sorriso falso in direzione di Kurt.
 
Ma Brittany non se ne accorse, e saltellò contenta battendo le mani ed emettendo gridolini come: “Arrivo, paperelle mie!”
 
La mora la guardò allontanarsi con occhi sognanti, mentre faceva cenno a Mercedes di tenerla d'occhio, non sia mai cadesse nel fiume per andare dietro a quelle stupide paperelle.
 
“Da quanto tempo va avanti questa storia?” Fece brusco Kurt, aggrottando le sopracciglia.
 
“Quale storia?” Dissimulò, guardandosi vaga i piedi.
 
“Oh, sai bene quale storia.”
 
Santana sbuffò, ruotando gli occhi. “Oh, e va bene.” Si arrese, seccata. “Da quando te ne sei andato. E ora hai intenzione di farmi la predica o cosa?”
 
“Predica? Perché mai? Sono contento.” Annunciò abbozzando un sorriso, mentre Santana lo squadrava con una smorfia.
 
“Contento.” Ribatté, come per esser sicura di aver sentito bene.
 
“Sì, contento.” Confermò Kurt, con una risata. “Voglio dire... Brittany ha bisogno di qualcuno. E se quel qualcuno sei tu, benché non provi un'innata ammirazione nei tuoi confronti, non posso che esserne lieto.” Spiegò.
 
“Non credere che io straveda per te, Porcellana.”
 
Kurt rise. “Mi hai appena trovato un soprannome?”
 
“Può darsi.” Disse, lasciandosi finalmente andare ad una risatina soffocata.
 
“Beh, vi do la mia benedizione.” Annunciò Kurt allargando le braccia con un sorriso.
 
Santana lo squadrò con un sopracciglio alzato. “Oh, perché altrimenti non avrei potuto vivere.” Ironizzò.
 
Kurt ridacchiò. “Ricordati che sono la mammina di Brittany, e la mia benedizione è indispensabile. Dovresti sentirti onorata.” Scherzò.
 
“Ciò significa che... Sei mia suocera?!” Fece Santana fingendosi disgustata. “Piuttosto la morte!” Urlò, agitando il pugno in aria, facendo ridere il ragazzo.
 
Nel frattempo Brittany era ritornata, saltellante.
“Ho giocato con le paperelle.” Annunciò con un sorriso soddisfatto.
 
Santana sorrise, attirandola a sé. “Brava piccola.” Disse, lasciandole un bacio leggero sui capelli.
“E voi, siete diventati amici?” Chiese, guardandoli speranzosa.
 
Entrambi si mordicchiarono il labbro. “Sì, siamo diventati amici.” Affermò Santana dopo un attimo di esitazione, accarezzandola.
 
Brittany pigolò entusiasta, per poi sedersi a terra, stanca.
 
Kurt guardò Santana, incerto su come dovesse interpretare quella risposta.
Certo, aveva capito che la mora avrebbe detto qualsiasi bugia pur di rendere felice Brittany, ma gli era sembrato che fosse più di una semplice menzogna.
E se ci fosse stato un fondo di verità, nelle sue parole?
E se fossero davvero, in qualche modo strano, diventati amici, o almeno cominciato ad esserlo?
Sapeva che se gliel'avesse chiesto Santana l'avrebbe liquidato bruscamente, quindi preferì evitare.
 
Lasciò le ragazze da sole, riattraversando il ponte, per sedersi rumorosamente vicino ad Artie, in modo da costringerlo ad aprire gli occhi.
 
Il ragazzo si girò lentamente verso di lui, poi sgranò gli occhi riconoscendolo. “Kurt?!”
 
“In tutto il suo splendore!” Confermò scherzando, per poi lasciarsi stritolare dall'abbraccio dell'amico Artie.
“Non posso credere che tu sia qui!”
 
A quel punto tutti notarono la presenza di Kurt, e accorsero felici a salutarlo, chi con una pacca sulla spalla, chi con un bacio umidiccio sulla guancia (vedi: i figli di Mike e Tina).
 
“Caro vecchio Kurt, come stai?” Chiese Mike.

“Ci sei mancato, non era lo stesso senza di te!” Esclamò Tina.
 
“Avrai tante cose da raccontarci!”
 
“Com'è la vita a palazzo?”
 
“La reggia è così bella come la descrivono?”
 
“Ma è vero che fanno l'arrosto più buono del mondo?”
 
“Ehi, ragazzi, calmi!” Rise Kurt, alzando le mani. “Sedetevi, vi racconterò tutto.”
 
Tutti annuirono sorridenti, prendendo posto intorno a Kurt.
 
Ben presto si aggiunsero anche Mercedes, stanca di lavare panni, e Santana e Brittany, tenendosi per mano.
 
“Beh, che dire... E' tutto una grandissima figata!” Esordì Kurt, scatenando una fragorosa risata nei presenti. “No... Dico sul serio! E' come vivere su un pianeta parallelo! Ho mangiato cibo che non sapevo neanche esistesse, ho dormito in lenzuola di seta, su un cuscino! Vi rendete conto?! Un cuscino! Per non parlare della servitù, tutti gentili e carinissimi, ho fatto amicizia con una di loro, Quinn, che è la persona più adorabile che abbia mai conosciuto. ...Beh, ovviamente dopo di te Britt.” Precisò, vedendo il musetto arricciato della bionda. “E' chiaro che tutto questo ha anche i suoi lati negativi... La principessa Rachel, ad esempio, quella donna è un'arpia di dimensioni cosmiche, logorroica e presuntuosa, non la augurerei nemmeno al mio peggior nemico!” Continuò, accendendosi sempre di più.
 
“Beh, ma se non sbaglio lei è già del tuo peggior nemico, no? Re Blaine.” Gli fece notare Mike, interrompendolo.
 
Ah... Già.
 
Kurt trasse un profondo respiro. “Sapete, a volte le persone possono sorprendervi.” Cominciò, annuendo per farsi coraggio. “Quello che pensavi fosse l'essere più spregevole ed egoista della Terra, conoscendolo più a fondo può rivelarsi differente. Prendiamo per esempio Santana, fino a qualche giorno fa pensavo fosse un individuo capace solo di odio e cattiver-”
 
“Ferma, ferma, ferma,” Lo interruppe la mora, puntandogli un dito contro e assottigliando gli occhi. “Prima che ti cacci un dito in quegli occhi da elfo di Babbo Natale.” Brittany le strinse la mano, ma questa volta non vi badò. “Non provare a rigirare la frittata, Hummel. Sappi che se una settimana fa potevi eludere i tuoi amici sviando il discorso, con me non funziona così. Con me si parla chiaro o non si parla proprio.”
 
“C-che vuoi dire?” Balbettò Kurt, ostentando una sicurezza che con Santana non riusciva ad avere.

'Maledetta ispanica così fottutamente simile a me', pensò, sapendo di non avere scampo.
 
“Oh, sai benissimo cosa voglio dire.” Sibilò. “Parlaci di re Blaine, Kurt.” Lo invitò, con il suo classico sorriso da stronza, incrociando le dita.
 
Kurt la maledisse.
La maledisse così tante volte che la sua mente non riuscì più a formulare pensieri che non fossero insulti verso di lei.
Maledisse la sua stronzaggine, maledisse la sua intelligenza disumana, maledisse il fatto di non poter alzarsi e spaccarle quel perfetto naso da latina, per il semplice fatto che si sarebbe di conseguenza ritrovato una decina di costole rotte.
Oltre al fatto che probabilmente la sua Brittany non gli avrebbe più rivolto la parola.
 
Cominciò a balbettare, mentre la consapevolezza che il colorito che andava estendendosi sulle sue guance fosse direttamente proporzionale all'ampiezza del sorriso diabolico di Santana prendeva forma in lui.
 
“Re Blaine è... E'...”
Lo scrutarono tutti confusi, senza capire.
 
“Ma scusa, non lo odiavi a morte?” Fece Mercedes. “Hai cambiato idea?”
 
“Non è che ho cambiato idea, è che...”
 
“E' che si è innamorato.” Disse Santana scrollando le spalle, lasciandolo a bocca aperta.
 
“Santana ma cosa...? Ma cosa dici!” Strillò, stridulo.
 
La latina ridacchiò. “Andiamo, Porcellana: negalo.” Lo provocò.
 
“I-io...”
 
“Santana ma insomma! Lascia stare il povero Kurt!” L'ammonì Mercedes, protettiva. “Non vedi come lo stai mettendo in difficoltà? Smettila!”
 
“E perché dovrebbe essere in difficoltà? Il povero Kurt non è innamorato, giusto?” Lo stuzzicò, godendo nel vedere il suo nervosismo, reso manifesto dal rossore sulle guance, dal continuo torturarsi il labbro inferiore e le mani.
 
Si poteva dire qualsiasi cosa di Santana Lopez, ma non che fosse stupida.
 
“Dai San, basta.” Mormorò con la sua vocina Brittany, sfiorandole il polso. “A Kurt non piace questo discorso.”
 
La mora si voltò, affondando in quegli occhioni azzurri e cristallini. Deglutì, poi annuì e le sorrise, stringendole la mano.
 
“Hai ragione BrittBritt, ho esagerato, scusa.”
 
Brittany sorrise radiosa, strofinando la punta del naso con quello della latina, come a ringraziarla.
Kurt, sebbene fosse ancora parecchio turbato dalle affermazioni di Santana di poco prima, non poté fare a meno di sorridere e avvertire il cuore gonfiarsi alla vista delle due ragazze scambiarsi quei gesti.
 
Pensò che Santana quando si trovava con Brittany era completamente un'altra.
Pensò che l'amore cambiava davvero molto una persona.
Pensò che la natura non poteva essere crudele con lui al punto da negargli anche quel sentimento e istinto naturale che era alla base della vita, no?
 



Camminava svelto, senza guardare dove metteva i piedi, pensando e ripensando all'insinuazione che Santana gli aveva mosso.
 
Lui, innamorato di re Blaine.
 
Si trattava di una cosa talmente paradossale e fuori dal mondo che non poteva rifletterci un minuto senza scoppiare a ridere.
Non aveva il benché minimo senso.
 
Eppure, quel pomeriggio gli aveva insegnato qualcosa.
Vedere Santana e Brittany amarsi in quel modo così incondizionato, in quel modo così bello e puro che sarebbe assurdo anche solo pensare che sia sbagliato, gli aveva fatto capire qualcosa che era sempre stato sepolto nelle profondità del suo essere, qualcosa che ora, di fronte a quella manifestazione d'amore, scalpitava dentro di lui, scalciando e agitandosi nel suo corpo nella smania di essere riconosciuto e accettato.
 
E Kurt non poté fare altro che riconoscerlo e accettarlo.
 
Lui voleva amare così.
Esattamente così.
Ne aveva un bisogno così prepotente che riusciva a percepirlo in ogni tessuto, in ogni fibra.
Ogni cellula del suo essere reclamava quell'amore.
Ma chi, chi era disposto a darglielo?
Chi era la sua Brittany? (Perché per quanto volesse bene alla biondina, era palese che fosse molto più simile a Santana, anche se la cosa non lo riempiva esattamente d'orgoglio.)
Esisteva qualcuno al mondo capace di donargli il sentimento più prezioso e incommensurabile di cui l'umanità disponesse, senza chiedere nulla in cambio se non il riflesso del sentimento stesso?
 
Le domande di Kurt esigevano una risposta.
 
E, in un certo senso, essa si materializzò di fronte a lui, anche se Kurt si costrinse con tutto se stesso a non credere che fosse quella la risposta.
Perché ciò avrebbe significato inevitabile dolore, e non sapeva se fosse ancora disposto a sopportarne altro.
 
“Ehi, Kurt! Che ci fai qui?” Chiese Blaine piombato improvvisamente davanti a lui, sbucato da chissà dove. O forse era Kurt che da minuti aveva lo sguardo fisso a terra, senza rendersi conto di ciò che accadeva intorno a lui.
 
“V-vostra Maestà... Buongiorno... Io s-stavo tornando alla reggia, sono andato a trovare i miei amici...” Biascicò, entrando nel pallone.
Perché mai il re gli faceva quell'effetto? Era normale che, quando pensava a lui, il panico lo assalisse?
 
“Tranquillo Kurt, non devi giustificarti.” Lo rassicurò, con un gran sorriso che fece sentire subito meglio Kurt.
 
Kurt inspirò ed espirò, provando a normalizzare il battito del suo cuore che aveva improvvisamente cominciato ad accelerare senza il suo permesso.
 
“Entra, ero andato a cercarti perché la principessa voleva sapere dove fossi finito...” Spiegò Blaine, ridacchiando. Vedendo l'espressione terrorizzata di Kurt a quelle parole, si affrettò a tranquillizzarlo “Ma non preoccuparti, le ho detto di non punirti. Non sei mica scappato, sei andato dai tuoi amici.”
 
Kurt sospirò di sollievo, chiedendosi subito dopo perché il re si fosse preso la briga di difenderlo. Cosa gliene importava, dopotutto? E perché proprio lui, fra tutta la servitù, si era scomodato per andarlo a cercare? Tutte domande di cui non riusciva ad intuire la risposta.
 
“Ti sei... Divertito?” Osò il re, notando il silenzio di Kurt.
 
Kurt fece un sorriso amaro. “Beh, forse divertito non è l'espressione giusta ma... Sono stato bene, sì.”
 
“Ho saputo della vostra, ehm... Situazione. Mi dispiace. Ma è bello che non li dimentichi, continuando ad andare a trovarli. E' ammirevole.” Disse, cercando il più possibile di misurare le parole. L'ultima cosa che voleva era ferire Kurt.
 
“Dimenticarli?” Rise con amarezza Kurt. “Sono qui grazie a loro, sono vivo grazie a loro, non potrei mai dimenticare chi mi ha salvato la vita, neanche volendo.”
 
Forse quello era un discorso troppo delicato, troppo doloroso, e Kurt non se la sentiva di affrontarlo. Blaine si maledisse per la propria leggerezza, sperando che l'altro non lo stesse giudicando superficiale, insensibile. Non lo era. Voleva solo... Conoscerlo più a fondo. Capirlo. Da dove nascesse quel desiderio, però, non sapeva spiegarselo.
 
Fu però Kurt a proseguire il discorso, sorridendo improvvisamente. “Comunque sì, la nostra situazione non è certo invidiabile ma... Da oggi le cose cambieranno, lo so. Ripagherò la mia famiglia di tutto ciò che ha fatto per me.”
 
Blaine arcuò le sopracciglia, incuriosito. “E... Come intendi fare?” Non riuscì a trattenersi dal chiedere.
 
“Con i soldi che la principessa Rachel mi dà per questo lavoro. Oggi li ho portati da loro, così finalmente potranno comprarsi qualcosa da mangiare. Ma questo è solo l'inizio: punto di mettere un tetto sulle loro teste. Sarebbe per me la gioia più grande.” Spiegò, sentendo le lacrime pizzicare dietro gli occhi. Il solo pensare a quello che sarebbe potuto succedere, a come le loro vite sarebbero potute radicalmente cambiare grazie a quel denaro, gli suscitava una felicità incontenibile.
 
Dal canto suo, il re era sinceramente commosso.
Era sempre più convinto che quel ragazzo fosse una perla rara, un essere buono e capace solo di cose belle. Forse per questo gli sembrava così fragile e vulnerabile, così poco adatto al mondo meschino in cui viveva, che non aveva risparmiato di mostrarsi a lui nei suoi volti peggiori.
 
“Ti auguro con tutto il cuore di farcela, Kurt.” Disse Blaine fermandosi improvvisamente, e fissando i suoi occhi in quelli azzurri e limpidi del ragazzo che avevano il potere di catturarlo ogni volta, facendolo precipitare in una spirale di emozioni pericolose dalle quali, pur volendo, non riusciva a sottrarsi.
 
“G-grazie, vostra Maestà.” Mormorò Kurt, percependo un'agitazione improvvisa. Sembrava che il re volesse leggergli dentro, puntando i suoi occhi (caramello? Oro liquido? Che diamine di colore erano?) nei suoi. Perché si era fermato? Perché non stava dicendo niente, limitandosi a guardarlo come per studiare i suoi segreti più reconditi, quelli che neanche lui era disposto ad ammettere a se stesso?
 
“Kurt, per piacere...” Cominciò, prendendo un breve respiro, esitando. “Chiamami Blaine, solo Blaine, okay?”
 
Kurt sgranò istintivamente gli occhi, prendendo a mordersi il labbro, per niente certo di come dovesse interpretare quella proposta. La sua testa era un turbinio di pensieri che si accatastavano disordinati, privi di un filo logico, sormontati da un'unica mastodontica parola: perché?
 
Tutto quello che riuscì a dire prima che l'uomo accanto a lui si chiudesse in religioso silenzio, fu un 'okay' sussurrato al vento.

 

ANGOLO DELL'AUTRICE

 
Un mese di ritardo, ci rendiamo conto? *si prende a pugni da sola*
No, seriamente, mi dispiace guys, ma non ho potuto aggiornare prima per quelle solite scuse banali che accampo ogni volta e che hanno stancato tutti, già.
Vabbè, l'importante è che siamo qui con il sesto capitolo, no? Forse.
 
Fatemi sapere ciò che ne pensate, vi pregooo *si inginocchia*

 
A presto <3 (ma conoscendomi, dubito che sarà presto!)

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