Diary of Jake Carter

di CaiusJ
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
 
Dal diario di Jake Carter.
 
 
 
Gotham City, 24 dicembre 2017 ore 20:32.
 
 
 
 
 
Quella sera la città sembrava un gigantesco formicaio illuminato. Credo fosse normale, in fondo era la vigilia di Natale. Ah il Natale…che magnifico periodo, tutti sono più gentili, si respira aria di festa; poi ci sono i regali, le cene, come non parlare dell'immancabile celebrazione in chiesa?
Tutto questo era fantastico, se non fosse stato che io ho sempre odiato il Natale, ma questa è un'altra storia. Tornando a noi, quella sera stranamente mi trovavo a camminare per le trafficate strade di Gotham City, con la testa bassa e un passo molto spedito; alle persone che, pur non conoscendomi, mi rivolgevano gli auguri, io rispondevo con uno sguardo vuoto, carico di quella tristezza che si era accumulata negli anni. Quel giorno era il settimo anniversario dalla morte del mio più grande maestro ed io ero stato invitato a Channel 3 proprio per parlare di lui. Una tortura.
Svoltai in un vicolo buio e stretto per evitare gli sguardi della gente, la loro felicità mi metteva a disagio. Ripercorsi brevemente nella mia testa quanto avrei dovuto dire ai giornalisti e mi accorsi che la storia era veramente lunga e ricca di avventure, di fatti e di eventi che erano rimasti sepolti dentro i miei ricordi e che stavano per riprendere vita.
Lo studio televisivo era dall'altra parte della città rispetto al mio appartamento ed era ormai quasi un'ora che camminavo, arrivai quasi a pensare di essermi pentito di non aver preso la Metro. Sbuffai e mi sfilai i guanti di pelle nera per sistemarmi i capelli: avevo caldo anche se la temperatura era a dir poco polare; osservai con occhi incantati le particelle della nuvola di vapore che si era formata dalla mia bocca fino a quando non si dissolse nell'aria.
Mi sorpresi a sorridere di fronte ad un ladruncolo di strada che rubava ad una delle innumerevoli bancarelle che costeggiavano il marciapiede per tutta la via principale di Gotham City. 
Sorridere, sì. Ormai non mi capitava più molto spesso, anzi quasi mai; ma per la seconda volta sorrisi a distanza di pochi minuti nel vedere un uomo distrutto e deluso dalla sua vita che si stava per buttare da un grattacielo. Oh avrei potuto chiamare la polizia, certo, ma per cosa? Per prolungargli le sofferenze e dover perdere tempo con inutili scartoffie burocratiche? No di certo. 
I grattacieli erano l'unica cosa che realmente mi piacesse della mia squallida città. I loro lunghi profili si innalzavano per molti e molti piani; al mattino, al sorgere del sole, si creava un meraviglioso gioco di luce-ombre che era uno spettacolo mozzafiato.
Mentre fantasticavo su quei capolavori architettonici, ricordai il vero motivo per cui ero uscito. L'intervista. 
Finalmente, dopo quell'interminabile camminata, giunsi a destinazione: la sede di Channel 3, il grattacielo più alto della città. 
Dovete sapere che Channel 3 era la più famosa rete televisiva di Gotham City; in ognuno dei 117 piani del grattacielo era presente uno studio per ogni diversa trasmissione. Ovviamente l'ordine dei piani non era casuale, ma si trattava di una perfetta scala gerarchica; al primo piano si trovava l'ingresso con annessa reception, a seguire più si saliva, maggiore era l'importanza della trasmissione, fino ad arrivare all'ultimo piano, sede del direttore e studio della sua trasmissione, la più vista della città: Gotham Stories.
Varcai la soglia e subito venni accolto come un ospite illustre: mi presero il cappotto e mi scortarono fino all'ascensore, ma non prima di avermi offerto del caffè e ogni tipo di dolce natalizio che la vostra mente possa immaginare.
Il viaggio verso l'ultimo piano durò meno del previsto, gli ascensori erano diventati più veloci di quanto mi ricordassi.
Una volta giunto in cima, mi accompagnarono in un camerino e mi diedero tutto quello che mi sarebbe potuto servire durante il mio intervento: un blocco di fogli, una bellissima penna stilografica (che ancora oggi conservo) e un biglietto con scritta la password per sbloccare il proiettore dello studio, per proiettare le diapositive che avevo portato con me.
Ero molto nervoso, non perché sapevo che avrei parlato di fronte a milioni di telespettatori, ma perché avevo paura di non rendere giustizia alla figura del mio maestro.
Dopo qualche minuto mi vennero a chiamare e fui invitato a sedermi su una poltrona imbottita che stava nella parte sinistra dello studio.
Appena mi fui seduto, fece il suo ingresso nello studio uno degli uomini più ricchi e conosciuti di tutta la città: Larry Hempton.
Larry era un uomo sui cinquanta, di corporatura medio- grossa che ricordava il suo passato da giocatore di football; aveva i capelli neri e due occhi color smeraldo che mandavano fuori di testa qualunque donna di mezza età nel raggio di un chilometro. Era vestito con il suo immancabile completo nero da sera, uno smoking di  tessuto pregiato,  fatto su misura dai migliori sarti italiani. Sopra la camicia pendeva una bellissima cravatta rossa; dalla mancia sinistra si intravedeva un costoso orologio svizzero. Qualunque cosa nella sua figura incuteva rispetto e ammirazione; persino io in un primo momento mi sentii fuori luogo per il mio abbigliamento di fronte a lui, con i miei pantaloni di velluto marrone e una di quelle giacche, sempre marrone, con le toppe più scure sui gomiti.
La diretta stava per cominciare, dopo gli ultimi preparativi e controlli tecnici, Larry esordì con il suo solito:
-Buonasera Gotham City! Questa sera per Gotham Stories è qui con noi un ospite molto speciale, lui è… No, lasciamo che si presenti lui e che ci dica il motivo per cui è qui-. 
Larry mi guardò e io cercai di sembrare il più naturale possibile:
-Salve Larry, innanzitutto grazie per avermi invitato. Sono passati ormai sette anni dalla sua morte e io sono veramente onorato di poterne parlare. Lo ricordiamo in modo molto diverso, voi come il più grande genio criminale di tutti i tempi, io come un grande uomo leale nei miei confronti-.
Ricordo ancora l'espressione delle persone presenti nello studio quando si accorsero della luce che c'era nei miei occhi; un brivido di terrore e di stupore li colse di sorpresa quasi quanto le mie parole.
-Ebbene sì- continuai - questa sera sono qui per parlarvi dell'uomo che ha cambiato la mia vita, il suo vero nome non lo conosco (mentivo) ma nel tempo ne ha avuti molti, Mr. Kard, Jack White... Joseph Kerr, o come lo conoscete tutti,
Joker-.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


CAPITOLO 1




Dal diario di Jake Carter.


Sede centrale Channel 3, 24 dicembre 2017 ore 21:00.



-Ricordo quel giorno come se fosse ieri...-



La pioggia cadeva fitta dal cielo in quella tarda sera di novembre, il fragore dei tuoni sovrastava prepotentemente la monotonia dei rumori della città. Gotham in quegli anni era uno spettacolo raccapricciante, la corruzione aveva raggiunto e logorato anche le più salde tra le istituzioni, la mafia esercitava il suo potere sulla gente incontrastata; la gente versava in uno stato di povertà e paura.
Camminavo per una strada secondaria della città, stringendomi dentro ad un cappotto blu; sentivo la pioggia scorrere lungo la mia giacca e intaccare quel poco di pelle che rimaneva scoperta. L'umidità mi
penetrava nelle ossa e, in qualche modo, intorpidiva i miei sensi; con la mano sinistra giocherellavo con una pistola che, da qualche settimana, si trovava costantemente nella mia tasca.
Il frastuono causato dal famoso treno sospeso di Gotham, progettato dal defunto Thomas Wayne, mi fece distrarre e accidentalmente inciampai in una pozzanghera, infradiciandomi fino al midollo.
Pensai a quelle povere persone che cercavano riparo dal freddo e dall'acqua dentro quel treno e, in quegli anni, non potevo fare meno di provare della compassione per loro.
Anche io stavo attraversando un momento di difficoltà in quel periodo ma, tutto sommato, me la cavavo abbastanza bene: avevo una casa con un tetto e un letto su cui dormire; in più, grazie ai risparmi di molti anni, riuscivo ancora a permettermi di andare in università per proseguire i miei studi.
Il ticchettio della pioggia sull'asfalto mi irritava molto, mi metteva in un terribile stato di ansia; l'ansia mi portava ad accelerare il passo sperando di giungere a destinazione il prima possibile.
Per spiegare il motivo per cui mi trovavo a camminare sotto la pioggia incessante alle dieci di sera di quel freddo novembre, dobbiamo interrompere la narrazione per tornare a quel pomeriggio. Era un giorno normale,  niente aveva interrotto la mia routine quotidiana fino a quel pomeriggio quando, rientrato a casa dall'università, trovai uno strano messaggio sulla mia segreteria telefonica; si trattava della voce di un uomo anziano che mi invitava a recarmi quella sera stessa al suo studio legale per discutere di una questione importante.
Intanto, mentre il mio cervello elaborava tutte le informazioni di cui ero al corrente cercando di capire il motivo della telefonata, raggiunsi l'edificio corrispondente all'indirizzo segnato su un foglietto di carta.
Era una costruzione d'epoca di due secoli fa, molto più simile ad un palazzo che ad una villa. La prima cosa che vidi dietro all'altissimo cancello di ottone che recintava la proprietà fu un immenso bosco; sì, si trattava di un vero e proprio bosco, e anche molto fitto per giunta, talmente fitto da lasciare intravedere solo parte dell'edificio che vi si trovava nascosto dietro.
In mezzo al bosco, come dal nulla spuntavano delle rotaie su cui era posto un vagoncino.
All'improvviso qualcos'altro attirò la mia attenzione.
Avvitata sopra il cancello c'era una grande targa di una lega metallica scura, che non riconobbi, con delle incisioni strane. Non saprei riportarvi ora quello che c'era scritto dato che  le condizioni di logoramento in cui versava quella targa non mi permisero di comprendere il suo significato.
Esitai un momento prima di varcare il cancello, che aveva cominciato meccanicamente ad aprirsi quando avevo camminato di fronte ad una fotocellula nascosta.
Feci qualche passo nella ghiaia sul limitare del boschetto prima di raggiungere le rotaie; da un paletto posto sulla destra, una gracchiante voce metallica risolse i miei dubbi:
 -Si prega di prendere posto nel vagoncino-.
Non appena ebbi appoggiato la mia schiena contro uno dei quattro sedili presenti nel vagoncino, questo immediatamente partì. Il tragitto fu più lungo di quanto avessi pensato, quindi rimasi seduto al caldo a guardare le gocce di pioggia che rigavano il finestrino.
Il fruscio delle piante piegate da un vento leggero, il rumore sommesso del vagoncino sulle rotaie, il battito accelerato del mio cuore, producevano un'armonia di suoni che, al contrario del ticchettio sull'asfalto, era quasi rilassante.
Finalmente il vagoncino si fermò e la porta si aprì, permettendomi di scendere.
Lo spettacolo che mi si presentò davanti fu mozzafiato.
La villa era di una magnificenza inaudita; sulla facciata principale si potevano notare delle grandi arcate con finestre di vetro colorato, ogni dettaglio di quella visione era perfettamente curato, dai merletti in cima al tetto fino ai ghirigori presenti sul pomolo della porta d'ingresso.
La porta era enorme,  intagliata nel legno massiccio, e di colore scuro, quasi nero;  l'unico dettaglio che contrastava quei colori scuri era una piccola targhetta di ottone sulla quale era incisa una semplice parola:
"AVANTI"
Lentamente entrai nell'edificio. L'ingresso era illuminato da un piccolo lampadario posto al centro della stanza, per terra ovunque c'erano dei tappeti persiani e sulla sinistra un grosso appendi-abiti di metallo lasciava a intendere che nella casa non erano ammessi cappotti gocciolanti.
Quello che successe dopo, lo ricordo in maniera confusa, perché tutto avvenne in una manciata di minuti.
Sentii un urlo squarciare il silenzio che fino a quel momento aveva sovrastato l'intero edificio. Un urlo e poi nient'altro. Diciamo che feci la prima cosa che mi venne in mente: estrassi la pistola e corsi verso le scale, in direzione del suono.
Arrivai davanti ad una porta socchiusa da cui si intravedeva una fioca luce.
-E' Permesso?...-provai a dire, ma non udendo risposta spalancai la porta. Vidi fu il corpo di un vecchio uomo penzolare dal soffitto tutto coperto di sangue sul volto.
Feci una smorfia e mi avvicinai di un passo; il mio istinto mi diceva di girare i tacchi e correre via il più velocemente possibile, ma, siamo sinceri, quante volte ascoltiamo il nostro istinto? Così mi avvicinai all'uomo.
Il mio sguardo si posò su uno strano particolare che interrompeva la sobrietà del suo abbigliamento: nel taschino del vestito al posto di un fazzoletto c'era... una carta da gioco. La presi in mano e la girai vedendo quello che sarebbe stato il disegno a me più comune per i seguenti anni: un Jolly.
Sentii un fruscio e non feci in tempo a voltarmi che provai un fortissimo dolore alla nuca. Poi l'oscurità avvolse i miei occhi e i miei sensi.
Quando mi svegliai non riuscivo a capacitarmi del luogo in cui ero stato portato e soprattutto chi mai potesse essere il mio aggressore.
Sentivo qualcosa di freddo bagnare la mia fronte, alzai lo sguardo e per la prima volta osservai veramente la mia prigione. Ero in un sotterraneo probabilmente, ma non quello della villa; no, l'architettura di questo posto era decisamente più recente.
Provai a girare la testa per vedere meglio, ma qualcosa me lo impediva, e di nuovo tornava quella sensazione di freddo sulla fronte; conclusi che molto probabilmente la mia testa era bloccata da una fascia metallica.
Percepii dei passi provenire da dietro di me.
Il battito del mio cuore accelerò notevolmente. Ero in preda al panico più totale.
La figura che si avvicinò a me era poco nitida, ricordo che indossava un vestito viola e che i suoi capelli erano verdi. Poi si girò e potei vedere la faccia di colui che mi teneva prigioniero: era tutta bianca con un ghigno rosso disegnato sulla bocca; era... un clown.
Venne sempre più vicino fino a sfiorare con il suo naso il mio.
-Ciao Jake- mi disse.Dopo questo breve colloquio il mio terrore non fece che aumentare: il ghigno non era disegnato, erano cicatrici.
Cominciai a dimenarmi per tentare di liberarmi, finalmente avevo capito dove avevo già visto quelle cicatrici... lui era il criminale che temevano tutti, il criminale con cui nemmeno la mafia voleva avere a che fare... il suo nome mi venne in mente come un lampo che illumina la notte. Joker. Iniziai ad urlare e a sbattere i piedi. Lui allora si avvicinò a me e disse queste semplici parole:
-Riposati un po'- e con un ghigno iniettò un liquido azzurro nel mio braccio sinistro.
Poi il buio, di nuovo.










Spazio dell'autore.
Ciao a tutti! Innanzitutto grazie se siete arrivati fino a qui. Questo capitolo è un pochino noioso secondo me, per questo ci ho impiegato più tempo a scriverlo e l'ho scritto quasi a forza... è uno di quei capitoli che fanno da intermezzo ad un punto bellissimo che si ha perfettamente in testa ma non si sa come collegarlo alla storia... bene, detto questo vi saluto e mi raccomando, recensite in più che potete, ho bisogno di sapere cosa pensate!
ciao 

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