Used To Tell Me

di hsxnflower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***
Capitolo 15: *** 15. ***
Capitolo 16: *** 16. ***
Capitolo 17: *** 17. ***
Capitolo 18: *** 18. ***
Capitolo 19: *** 19. ***
Capitolo 20: *** 20. ***
Capitolo 21: *** 21. ***
Capitolo 22: *** 22. ***
Capitolo 23: *** 23. ***
Capitolo 24: *** 24. ***
Capitolo 25: *** 25. ***
Capitolo 26: *** 26. ***
Capitolo 27: *** 27. ***
Capitolo 28: *** 28. ***
Capitolo 29: *** 29. ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31. ***
Capitolo 32: *** 32. ***
Capitolo 33: *** 33. ***
Capitolo 34: *** 34. ***
Capitolo 35: *** 35. ***
Capitolo 36: *** 36. ***
Capitolo 37: *** 37. ***
Capitolo 38: *** 38. ***
Capitolo 39: *** 39. ***
Capitolo 40: *** 40. ***
Capitolo 41: *** 41. ***
Capitolo 42: *** 42. ***
Capitolo 43: *** 43. ***
Capitolo 44: *** 44. ***
Capitolo 45: *** 45. ***
Capitolo 46: *** 46. ***
Capitolo 47: *** 47. ***
Capitolo 48: *** 48. ***
Capitolo 49: *** 49. ***
Capitolo 50: *** 50. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 1
J.


 
Il colpo parte, ma a questo giro non proviene dalla mia pistola. Sussulto io stesso e mi guardo intorno: ero stato chiaro, niente spari.
«Che cosa cazzo state facendo?» Lo dico sottovoce, con la paura che qualcuno possa essersi accorto di qualcosa e nascondo velocemente l'arma sotto la maglietta. È Seth il colpevole e guadagno strada verso di lui, colpendo con la spalla Anthony per scansarlo.
«Avevo detto di non sparare idiota.» Glielo grido quasi in faccia, puntandogli un dito accusatore contro; in risposta mi scosta la mano con un gesto brusco e mi ritrovo a stringere i denti.
«Se avesse portato i soldi, non lo avrei fatto.» Replica lui pizzicandosi il naso, ma indicando con un cenno del capo il ragazzo alle mie spalle.
«Tu devi fare quello che dico io, sono stato chiaro?» Sono furibondo, me ne accorgo dal modo in cui le nocche mi sono sbiancate. «Sparisci dalla mia cazzo di vista e controlla che nessuno si sia accorto della tua cazzata.» Gli do le spalle solo per raggiungere nuovamente il ragazzo accanto ad Anthony: gli sta dicendo qualcosa, ma non capisco. Ha però l'accortezza di tacere una volta che mi vede.
«Presentati domani sera al molo perché è l'ultima possibilità che ti do. E ora sparisci.» Glielo ordino con un semplice cenno del capo; il ragazzo annuisce e raggiunge poi la sua auto a qualche passo di distanza.
Lo osservo mettere in moto e scomparire dalla mia vista mentre mi passo una mano tra i capelli, pieno di frustrazione.
Sento Austin al mio fianco schiarirsi appena la voce, chiudendosi la zip della giacca che indossa.
«Che facciamo adesso?» Me lo domanda con una nota di preoccupazione nella voce e so benissimo il perché; io non sono da meno.
«Ce ne andiamo e pensiamo a cosa fare domani sera in caso non rispettino il patto.» Replico fin troppo brusco. Austin non aggiunge niente, si limita ad annuire e fa un cenno sia verso Seth sia verso Anthony.
Ho lo sguardo basso mentre raggiungiamo le nostre auto, lo alzo solo quando poso una mano sulla portiera della mia macchina. La bocca mi si secca all'istante: c'è una luce accesa ed è esattamente di fronte a dove ci troviamo noi. Lo sparo che ha echeggiato per qualche secondo ha svegliato qualcuno; quella maledetta luce è stata spenta per tutto il tempo, ne sono più che sicuro.
So bene chi sono gli inquilini di quell'abitazione e Seth la pagherà molto cara per quel gesto; penserò a tutto l'indomani mattina.
Il viaggio verso casa di Randy è silenzioso: Austin non ha voglia di parlare, io nemmeno. Parcheggio accanto all'auto di Anthony nel momento in cui sia lui che Seth chiudono le rispettive portiere.
Sono il primo a entrare in casa, lasciando la porta aperta alle mie spalle in modo che possano seguirmi; Randy sta scendendo le scale, Anthony chiude la porta.
«I miei soldi sono nelle tasche di qualcuno di voi, vero?» Soffia via il fumo della sigaretta dalle labbra mentre lo domanda a tutti e a nessuno in particolare; la mia guancia scatta.
«No.» Replico in fretta, passandomi una mano tra capelli. Randy è sull'ultimo gradino e scende in fretta, posizionandosi esattamente di fronte a me.
«Cosa significa "no"?» Non è infuriato e so che questa calma è peggiore. «Avevo espressamente ordinato entro stasera, Bieber.» Me lo ricorda, puntandomi contro un dito accusatore.
«Ho tutto sotto controllo» prendo posto in cucina, intorno al tavolo. «Domani sera mi farò dare quanto ti spetta o se la vedranno direttamente con me.»
«Lo spero per te, voglio i miei soldi.» Ripete, sedendomi di fronte e spegnendo la cicca della sigaretta nel posacenere trasparente. Annuisco a quell'affermazione, poi indico Seth seduto a poca distanza da me.
«Domani sera lui non viene» mormoro a denti stretti, guardandolo con la coda dell'occhio. «Ha sparato un colpo nonostante avessi detto chiaramente di non farlo.» Randy volta il viso verso Seth con una calma che mette i brividi.
«Voglio sperare che nessuno abbia visto o sentito niente» replica freddo Randy. «O questa è la volta buona che ti faccio saltare il culo.» Seth abbassa lo sguardo perché sa di essere stato colto in fallo.
Sono però io a prendere un lungo respiro, passandomi una mano sul volto a massaggiarmi le tempie.
«Qualcuno ha visto.» Lo dico a bassa voce, ma tutti si voltano verso di me; non guardo Randy direttamente negli occhi.
«Che cosa?» È Austin a prendere per primo la parola. «Che diavolo significa, non c'era nessuno.» Accompagna quelle parole con un gesto carico di frustrazione, allargando le braccia. Scuoto nuovamente la testa, restando però in silenzio.
«Justin.» È Randy a chiamare il mio nome e questa volta lo devo guardare negli occhi perché non ho scampo.
«C'era una luce accesa quando siamo venuti via. Qualcuno era alla finestra.» Mormoro a mezza voce; Randy sbatte il pugno sul tavolo, non sono l'unico a sussultare.
«Seth sei un emerito coglione» esclama e lo vedo il guizzo della guancia sul viso di Seth. «Se ci fai arrestare, giuro su Dio-»
«Randy, ci penso io.» Lo interrompo velocemente, tanto che volta il viso dalla mia parte. «Me ne occupo io.» Ripeto, alzando il tono di voce.
«E che cosa avresti intenzione di fare, uccidere questa persona per farla tacere?» Me lo dice quasi divertito.
«No, conosco chi abita in quella casa. Me ne occupo io.» Ripeto, quasi a convincere anche me stesso.
«Justin-»
«Cazzo, ho detto che ci penso io.» Mi alzo dalla sedia in fretta, interrompendo ciò che Austin avrebbe voluto dire. Saluto i ragazzi con appena un cenno del capo, poi esco da casa raggiungendo la mia auto.
La portiera sbatte violentemente mentre mi siedo al posto di guida, con i gomiti appoggiati al volante e le mani a massaggiarmi le tempie. Austin mi raggiunge qualche istante dopo, sedendosi al mio fianco.
«Chi abita lì, Justin?» Me lo domanda a bassa voce, quasi dovesse essere un segreto tra noi due.
«Haley Clark.» Rispondo secco e con la coda dell'occhio vedo Austin annuire perché sa di chi sto parlando.
«Che cos'hai intenzione di fare?» Domanda nuovamente, scompigliandosi i capelli con la mano; io mi stringo nelle spalle.
«Non lo so» replico sincero e Austin annuisce appena. «Ci penserò stanotte, ora voglio solo andare a casa.» Aggiungo poi, più rivolto a me stesso che ad Austin direttamente.
Sento il telefono che vibra nella tasca della giacca e sbuffo perché so già cosa mi aspetta: mia madre. Ci sono un paio di chiamate perse e qualche messaggio dall'aria minatoria.
«Mi dai uno strappo?» Chiede Austin, rompendo il breve silenzio. Annuisco in fretta e lo vedo muoversi verso la cintura di sicurezza, facendola scattare una volta agganciata.
Nessuno dei due ha voglia di parlare, Austin però è nervoso e non so bene perché. Non è lui a dover mettere a posto le cose, ma io.
Fermo la macchina di fronte all'ingresso di casa sua, costeggiando la strada deserta.
«Ci vediamo a scuola.» Mormora semplicemente, aprendo la portiera.
«A domani.» Annuisco, rimettendo in moto e pigiando appena l'acceleratore. Austin però picchietta sul finestrino, che faccio scendere in modo da sentire ciò che ha da dire.
«Non essere così duro con Seth» me lo dice schiettamente perché sa che può farlo. «Sapeva che non doveva sparare.» Aggiunge in fretta, notando il mio repentino cambio di espressione.
«Avrebbe dovuto pensarci prima.» Replico semplicemente; Austin annuisce e fa un passo indietro, le labbra strette in una linea sottile. Tiro su il finestrino solo quando sono già lontano da lui.
Casa mia è completamente buia, solo i lampioni lungo la strada m'illuminano il percorso. Lascio la macchina di fronte ad essa, non volendo creare troppo rumore e mi tasto i jeans alla ricerca delle chiavi di casa. Ci pensa mia madre ad accendere le luci del corridoio, facendomi sobbalzare sul posto.
«Ti rendi conto di che ore sono?» Non è una domanda per la quale aspetta una risposta e comunque io non ho voglia di darne una. «Provo a chiamarti da-»
«Mamma sono stanco» la interrompo bruscamente, chiudendo a chiave la porta alle mie spalle. «Non ho nessuna voglia di starti a sentire.» La sorpasso raggiungendo le scale.
La sento mentre continua a chiamare il mio nome, con la speranza che torni indietro a prendermi la ramanzina, ma ho già chiuso la porta della mia stanza e la sua voce è solo un eco leggero.
Ho sonno, sono stanco, eppure non riesco a prendere sonno. Il soffitto continua ad avere qualcosa d'interessante mentre nella testa ho ben impresso il viso di Haley Clark.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 2
*** 2. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 2
H.


 
«Haley, la colazione è pronta.»
La porta della mia stanza è socchiusa e riesco perfettamente a sentire la voce di mia madre raggiungere il piano superiore. Sussulto mentre indosso le scarpe; ho i nervi a fior di pelle questa mattina e me ne rendo sempre più conto quando, non trovando gli appunti di Algebra, impreco tra i denti.
Sono stanca, il sonno di stanotte è stato agitato. Lo sparo improvviso l'ho sentito forte e chiaro, così come ho visto il gruppo di ragazzi diradarsi fino a scomparire con le loro auto.
Un gesto del genere poteva significare solo due cose: un ferito o un morto.
Scendo le scale di fretta, attenta a non inciampare negli skateboard che mio fratello lascia sempre sugli ultimi scalini.
«Coraggio, farai tardi.» Mi rimprovera mamma, allungandomi una tazza vuota, che riempio in fretta con dei cereali.
«Sono pronta, sono pronta.» Mormoro velocemente, sedendomi a tavola. La televisione è sintonizzata sul telegiornale locale, ma nessuno parla di ciò che ho sentito io.
Mangio ascoltando il resto delle notizie, con la voce di mia madre che arriva quasi ovattata alle mie orecchie, mentre commenta il tutto. Non oso domandarle niente, non voglio farla preoccupare.
«Nathan, devi venire a fare colazione e devi venire adesso!» Mamma alza la voce tanto che sobbalzo, rischiando che il cucchiaio colmo di latte sporchi il tavolo. Finisco i cereali proprio quando il mio fratellino entra in cucina, con la faccia ancora assonnata e la maglietta del pigiama tutta stropicciata.
«Buongiorno dormiglione.» Lo saluto, lasciando la tazza di cereali vuota nel lavandino, insieme al bicchiere di succo di arancia. Lo sento borbottare qualcosa, ma non capisco a pieno. La tasca dei miei jeans vibra e il cellulare mi avverte di un messaggio non letto.

Da: Madison
«Ho bisogno di un passaggio. Per favore, passate a prendermi.»

Le rispondo affermativamente e solo in un secondo momento chiedo conferma a mia madre.
«Vi accompagnerà vostro padre questa mattina» mi risponde, spegnendo la televisione con un gesto veloce del telecomando, seguito dalle lamentele di Nathan. «Chiedilo direttamente a lui.»
Annuisco a quelle parole e percorro il corridoio, raggiungendo in fondo ad esso lo studio di papà. Non l'ho ancora visto questa mattina e deduco si trovi lì, ma busso alla porta prima di precipitarmi all'interno.
Sta parlando al telefono e gesticola con una mano, mentre con l'altra sfoglia dei documenti. Mi fa segno di aspettare solo un secondo, così obbedisco. Ha una giacca blu scura questa mattina e il Sig. Raimond deve averlo già fatto spazientire. Sbuffa quando chiude la telefonata, passandosi una mano sul viso.
«Madison chiede se possiamo darle un passaggio.» Papà annuisce semplicemente e immagino stia per aggiungere qualcosa, ma il suo cellulare prende a suonare nuovamente. Legge il mittente e alza gli occhi al cielo; io sorrido e mi defilo mentre risponde con tono fin troppo scocciato per l'ora.
Mio fratello è seduto sul divano, intento ad allacciarsi le scarpe mentre con un occhio vigile controlla cosa sta succedendo sullo schermo della televisione. Accorro in suo aiuto perché tanto lo so che non riuscirebbe a fare due cose contemporaneamente. Almeno, non con Spongebob e Patrick che stanno ballando qualcosa con dei cappellini in testa.
«Hai promesso che mi avresti accompagnato a scegliere il regalo per il mio compleanno.» Mi picchietta sulla spalla mentre me lo dice.
«Me lo ricordo, me lo ricordo» replico, sedendomi accanto a lui e lo vedo annuire. «Verrò a prenderti a scuola e andremo poi insieme al negozio. Una promessa è una promessa.» Nathan sorride, poi torna a rivolgere la sua completa attenzione allo schermo della televisione.
Papà ci raggiunge qualche minuto dopo, stringendosi il nodo della cravatta e facendo tintinnare le chiavi dell'auto tra le dita.
«Vi aspetto in macchina, non fate tardi.» Dà un bacio sulla guancia a mamma prima di uscire, chiudendosi la porta alle spalle. Mi alzo in fretta, recuperando la borsa contenente i libri dalla poltrona; Nathan si solleva dal divano controvoglia.
Mamma gli aggiusta la maglietta e lo sento mentre sbuffa a quel suo gesto, che compie tutte le mattine, forse senza nemmeno rendersene conto.
«Fa' il bravo oggi a scuola.» Anche questo è qualcosa che dice ogni giorno e Nathan annuisce.
«Sì, mamma.» Il suo tono però è persino scocciato e mi suscita delle risate; lo prendo per mano, salutando mamma con un veloce bacio sulla guancia.
«Coraggio piccola peste o faremo tardi» lo trascino letteralmente fino alla porta di ingresso. «Buona giornata mamma, ci vediamo più tardi.» Nathan chiude la porta, poi lascia la mia mano per correre fino all'auto dove papà ci sta aspettando, con il motore in folle mentre controlla qualcosa sul cellulare.
Madison ci aspetta sul marciapiede di fronte a casa sua e sale in un lampo, tanto che quasi non mi accorgo che si sia accomodata accanto a mio fratello, scompigliandogli i capelli.
«Grazie per il passaggio Sig. Clark.» Mormora educatamente, ma papà le fa un cenno con la mano perché il suo telefono prende nuovamente a squillare.
Il primo a scendere è Nathan, la sua scuola dista un paio d'isolati dalla nostra. Papà è ancora al telefono con il Sig. Raimond, ma augura una buona giornata a entrambe quando chiudiamo le portiere.
Madison mi prende sotto braccio mentre raggiungiamo l'ingresso; il parcheggio è gremito di auto e studenti, così come i corridoi. Devo chiedere scusa a un paio di ragazzi quando li urto senza farlo apposta, entrando in aula.
Madison siede al solito posto, io mi accomodo in quello appena accanto a lei.
«Non mi hai più detto com'è andata ieri sera con Zac.» Sembra ammonirmi con quella sua affermazione e mi affretto a stringermi nelle spalle, estraendo gli appunti di Scienze dalla borsa.
«Perché sono tornata tardi. E poi siamo solo andati al cinema.» Replico, picchiettando la penna contro il banco. Madison annuisce, ma la punta maliziosa nel suo sguardo non mi sfugge e mi fa arrossire.
Lo so che vuole continuare il discorso, ma il professore entra proprio in quel momento, costringendola al silenzio. Per quando non abbia voglia di seguire la lezione, sono contenta che inizi.
Il docente fa l'appello come di consueto e dopo essersi accertato dei presenti e degli assenti, distribuisce i compiti della scorsa settimana.
Sul mio foglio spicca una A+ cerchiata di rosso scuro, Madison invece ha una B, ma non mi sembra così dispiaciuta.
Il professore si congratula con chi l'ha svolto per il meglio, poi comincia la lezione, introducendo un nuovo argomento.
In classe c'è silenzio, tutti prestano attenzione perché siamo consapevoli che qui, gli appunti presi fanno la differenza. È però proprio il silenzio a far risaltare il cigolio della porta che viene aperta e chiusa; tutti alziamo e voltiamo lo sguardo verso destra.
«Sig. Bieber, buongiorno. Grazie per averci onorato con la sua squisita presenza.» Il tono del professore è del tutto sarcastico e Justin non esita a ricambiare il gioco, esibendosi in un inchino.
«Il piacere è tutto mio.» Replica, prendendo poi posto nell'unico banco rimasto libero, appena dietro di me.
Non so se sono io a incrociare il suo guardo o è lui a incrociare il mio, ma sono tanto scaltra dal distoglierlo subito. Torno ai miei appunti, concludendo la frase lasciata a metà con gli occhi di Justin a battere insistentemente sulla mia schiena.
«Ah, Sig. Bieber: il suo compito» esordisce poi il professore, ricordandosi di averlo ancora sulla sua cattedra. «Una D, stiamo facendo passi avanti.» Aggiunge, avvicinandosi per lasciarlo sul suo banco. Lo immagino stringersi nelle spalle alle sue parole e scarabocchiare annoiato su un foglio bianco, fingendo forse di prestare attenzione.
Quando la campanella suona, decretando la fine della lezione, chiudo il quaderno lasciandovi all'interno la solita penna di colore nero. Aspetto Madison all'uscita quando il professore la richiama, forse a spiegarle qualcosa del suo compito.
Justin si alza dal suo posto e mi passa accanto così vicino da sfiorare il mio braccio con il suo. Sussulto a quel contatto fugace e incrocio il suo sguardo; si sta mordendo il labbro inferiore, poi mi squadra da capo a piedi.
Sento le guance in fiamme e distolgo gli occhi dai suoi perché nessuno vuole avere a che fare con lui e con la sua reputazione.
Tutti la conoscevano e tutti si guardavano bene dal non interferire con lui.
«Andiamo?» La voce di Madison mi fa spaventare, ma annuisco seguendola. I corridoi sono pieni di studenti che entrano in nuove aule.
Poco dopo la fine del pranzo papà mi avvisa di aver lasciato la sua auto nel parcheggio della scuola per permettermi di accompagnare Nathan al negozio di giocattoli. La trovo accanto ad una macchina sportiva blu elettrico e gli interni di pelle di un bianco avorio.
«Ti serve un passaggio?» Chiedo a Madison, estraendo le chiavi di riserva dalla borsa, ma scuote la testa.
«Ci pensa Martin, ma ti ringrazio.» Risponde, aggiustandosi la borsa sulla spalla. Annuisco e la saluto, osservandola mentre raggiunge l'auto di Martin, a poca distanza da dove ci troviamo noi.
Poso la borsa sui sedili posteriori e chiudo la portiera; quando mi volto sobbalzo e devo mettere una mano sulla carrozzeria dell'auto per non perdere l'equilibrio.
Justin è fermo, con la schiena posata sul bagagliaio della mia auto, le mani nelle tasche dei jeans.
«Sei Haley, non è vero?»


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 3
*** 3. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 3
J.


 
Il viso di Haley è una maschera di terrore e quando mi avvicino, automaticamente fa un passo indietro. Alzo appena le mani in segno di resa e la vedo deglutire, osservandomi.
«Non ti spaventare, è solo una semplice domanda.» Il mio tono risulta divertito, io però non lo sono più di tanto; Haley annuisce e allungo una mano verso di lei, facendo buon viso a cattivo gioco.
«Io sono Justin.» Non stringe la mia mano, si limita a guardarla; la riporto nella tasca dei pantaloni stringendomi poi nelle spalle.
«Lo so chi sei» replica e la sua voce tradisce il nervosismo. «Devo andare, mi dispiace non poter chiacchierare con te.» Non lo so se mi sta prendendo in giro o meno, ma è abbastanza svelta da riuscire quasi a salire sulla sua auto. Io lo sono altrettanto e le afferro il polso, fermando la sua corsa.
Haley è costretta a voltarsi e sbarra gli occhi, osservando prima il mio viso, poi la mia mano sulla sua pelle.
«Non scappare» mormoro semplicemente, lasciandola però andare; non siamo soli. «Ho bisogno di parlarti.» Aggiungo velocemente. Una ruga tra le sopracciglia mi fa intendere che in realtà è anche incuriosita dalla mia affermazione. Incrocia le braccia al petto, ponendo ulteriore distanza tra di noi.
«Che cosa vuoi da me, Justin?» Me lo chiede in un sussurro, poi si guarda intorno ad accertarsi di non essere osservata da nessuno in particolare.
«Parlarti» replico semplicemente, non ho bisogno di mentire. «In privato.» Sottolineo però, indicando qualcosa alle mie spalle.
«Qualunque cosa tu abbia da dire, puoi farlo qui.» Ribatte in fretta; le nocche sbiancano all'interno della tasca dei miei jeans.
«Ti prego.» La gola quasi mi brucia nel pronunciare quelle parole. «Sali sulla mia auto, ti prometto che ci vorranno pochi minuti, poi ti lascerò in pace.» Haley mi osserva in silenzio per diversi secondi, come a soppesare la mia offerta. Apre la portiera della sua auto per recuperare la sua borsa, poi aspetta; le indico la mia auto e la seguo mentre è lei a fare strada.
Salgo in auto solo quando lei ha già chiuso la portiera e prendo posto accanto a lei; entrambi allacciamo le cinture di sicurezza e metto in moto, uscendo dal parcheggio della scuola.
«Non ho nessuna intenzione di farti del male.» È quasi una rassicurazione la mia, mentre svolto a destra.
«Non ho paura di te.» Replica in fretta e questo la tradisce, oltre al fatto che si sta torturando uno degli anelli che porta. Sorrido appena e svolto di nuovo, fino a raggiungere il centro commerciale, a pochi passi dalla scuola. Parcheggio sul retro, ma non c'è molta gente ad affollarlo.
Haley slaccia la cintura di sicurezza, io faccio lo stesso e lascio le chiavi inserite nel lunotto, poi mi volto verso di lei.
«Rilassati Haley» mi passo una mano tra i capelli a quelle parole e Haley si schiarisce appena la voce. «So che la mia reputazione mi precede per questo hai paura – e credimi, fai bene – ma so anche che cos'hai visto ieri notte.»
Cerco di soppesare tutto quello che pronuncio, ma Haley sussulta e si porta entrambe le mani sulle labbra; gli occhi sbarrati e colmi di paura.
«Hai u-ucciso qualcuno?» Me lo domanda in un soffio, veloce come il vento. Scuoto la testa, pizzicandomi la punta del naso.
«Cazzo, no» ribatto con altrettanta velocità. «I miei piani non comprendono nulla che abbia a che fare con il marcire dietro le sbarre.» Haley espira forse di sollievo e un po' di colore torna ad affluire sulle sue guance.
«Ma allora, cos'è successo?» Chiede nuovamente, ma scuoto per l'ennesima volta il capo.
«Non ti riguarda» replico secco, inumidendomi il labbro inferiore. «Voglio solo sapere cos'hai visto o sentito.» Questo sì che è un ordine e Haley lo sa.
«Nient'altro che uno sparo. Quando mi sono avvicinata alla finestra qualcuno stava scappando.» Me lo dice sotto voce, quasi con il timore che qualcuno possa sentirla.
«Non hai riconosciuto nessuno?» Scuote la testa alla mia ennesima domanda.
«Sei stato tu?» Me lo chiede di nuovo e stringo i denti.
«Ti ho già detto di no» replico infastidito. «Non sono stato io e nessuno si è fatto male.» Non so quale delle mie parole la faccia sospirare di sollievo, io mi passo una mano sul viso.
«Perché mi hai portata qui?» Me lo chiede dopo qualche secondo di silenzio; mi stringo nelle spalle.
«Perché non ne devi parlare con nessuno.» Rispondo in fretta, sottolineando l'ovvio.
«Non l'avrei fatto in qualsiasi caso.» Incrocia appena le braccia al petto e annuisco, fissandola in viso per qualche secondo, fino a che non è lei a distogliere lo sguardo. «Mi riporti a scuola? Avevi detto-»
«So quello che ho detto» la interrompo bruscamente, girando le chiavi e mettendo in moto. «Haley, non dovrai niente a nessuno.»
«Non lo farò, è una promessa.» Mormora in risposta; io continuo a guardarla.
«A nessuno.» Ripeto, perché voglio che capisca che mi sto riferendo anche a Madison.
«Justin, ho capito.» Questa volta è spazientita e annuisco una sola volta. «Riportami a scuola.» Sembra lei quella che detta legge ora e non mi piace. Però obbedisco ed allaccio la cintura di sicurezza, inserendo poi la prima e tornando a scuola.
Il parcheggio è ormai deserto, l'auto di Haley spicca al centro di esso. Fermo la macchina accanto alla sua e la osservo mentre si affretta a liberarsi dalla costrizione della cintura di sicurezza.
Apre la portiera dalla sua parte, ma le afferro il polso, fermando ogni altro suo movimento.
«Aspetta un secondo.» Quando si volta, il mio viso è pericolosamente vicino al suo.
«Giuro su Dio Justin, ho capito» borbotta, muovendo il braccio in modo che la lasci andare. «Starò zitta, te lo prometto.»
«Grazie.» Glielo dico con sincerità e la guardo poi scendere dalla mia auto, solo per rifugiarsi nella sua. Esce prima lei dal parcheggio, io la seguo; lei gira a sinistra mentre io svolto a destra.
Parcheggio nuovamente la macchina fuori casa, passandomi la mano tra i capelli mentre raggiungo l'ingresso: mamma non c'è, ma la porta è aperta.
«Justin, sei tu?» È la voce di Jazzy ad echeggiare per il corridoio mentre la porta si chiude alle mie spalle.
«Sono io, sì.» Le rispondo, posando le chiavi dell'auto sul tavolino appena accanto all'appendiabiti; Jazzy mi viene in contro con un libro sottobraccio.
«Sono le quattro.» Me lo dice indicando l'orologio appeso alla parete.
«Sì, lo so. Grazie.» Mi siedo scompostamente sul divano a quella sua strana affermazione, poi accendo la televisione con la sola intenzione di sovrastare la voce di mia sorella.
«Hai promesso che mi avresti accompagnato dalla mia amica Emily, te lo sei dimenticato?» Me lo chiede con tono accusatore, come se già conoscesse la risposta.
«Emily abita in fondo alla strada, non puoi andarci da sola?» Alzo il tono di voce, ma non me ne rendo nemmeno conto.
«La mamma ha dett-»
«La mamma dice sempre un sacco di cose» la interrompo fin troppo brusco. «Conosci la strada, puoi andarci da sola.»
Jazzy mi osserva in silenzio e quando volto la testa, i suoi occhi sono lucidi come se stesse trattenendo delle lacrime. Si morde il labbro, portandosi il libro al petto, io sento lo stomaco che si stringe. Mi dà le spalle, salendo le scale di corsa; la porta della sua stanza sbatte.
Mi alzo in fretta dal divano, masticando una sonora imprecazione tra i denti e raggiungo la cucina. Nella dispensa ci sono i soliti biscotti che mamma le vieta di mangiare dopo una certa ora perché si rovina sempre l'appetito in vista della cena. Mamma però al momento non è in casa e recupero un piccolo contenitore di plastica.
Lo riempio con un paio di biscotti, uno lo tengo in bilico tra i denti; nella mano destra ho un bicchiere con del tè freddo al limone. Salgo le scale con attenzione e busso due volte alla sua porta. Jazzy non risponde e con il gomito riesco ad abbassare la maniglia.
Mia sorella è seduta al centro del letto, con le ginocchia al petto e il viso nascosto.
«Guarda cosa ti ho portato.» Mormoro, sperando di attirare la sua attenzione.
«Vattene.» Replica, senza però alzare lo sguardo. Trovo difficile non sorridere, ma mi impegno a non farglielo notare.
«Se me ne vado, sarò costretto a dare questi biscotti agli altri bambini del vicinato.» Borbotto semplicemente, fingendo di allontanarmi e tornare in sala. Jazzy alza il viso più incuriosita che altro e mi fa cenno di avvicinarmi.
Obbedisco lasciando la ciotola sul letto, ma allungano una mano verso Jazzy, che non esita a prendere il biscotto che le sto porgendo.
«Non lo dirai a mamma, vero?»


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 4
*** 4. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 4
H.


 
«Haley, posso prendere questo vero?» Nathan mi sta sventolando qualcosa davanti al viso e sussulto perché non sto prestando attenzione; annuisco, ma potrebbe essere qualsiasi cosa.
Siamo in questo negozio da più di un'ora e mio fratello ha perso più tempo a giocare con qualunque cosa, piuttosto che scegliere il regalo da portare a casa.
«Sì, quello che vuoi.» Replico, controllando lo schermo del cellulare: sono le 17:24 ed io voglio tornare a casa.
Ho in testa Justin e il nostro incontro. Come se fossi così stupida da raccontare qualcosa riguardo a ciò che è successo. Come se volessi avere a che fare con lui!
Non riesco a figurare nella mia mente l'esatta posizione in cui è avvenuto il fatto, ma ho ben impresso il colpo di pistola e il susseguirsi di voci. Non sarei stata in grado di riconoscere alcun volto anche con tutte le luci di casa accese.
Justin è stato chiaro: lui non c'entra con il colpo sparato, ma ancora adesso, non sono sicura di credergli del tutto.
«Haley, voglio quello» la voce di mio fratello mi riporta alla realtà e quasi sobbalzo quando mi afferra il lembo della maglietta a richiamare la mia attenzione. «Ho deciso!» Annuisco e seguo la traiettoria di ciò che sta indicando; non entrerà mai nella mia auto.
«Vado a chiamare qualcuno, aspettami qui e non muoverti.» Mi guardo intorno perché il negozio sembra deserto e devo girare tra le corsie per qualche minuto prima di incrociare un addetto alle vendite.
Indossa un buffo cappellino ed è arrampicato su uno scaffale a sistemare scatole contenenti puzzle. Faccio strada fino a raggiungere nuovamente mio fratello e con qualche fatica, riesce a tirare giù il regalo scelto da Nathan.
Sbatto le palpebre più del necessario quando in cassa mi comunicano l'importo dovuto, ma allungo la carta di credito ripetendomi nella testa che si tratta di una buona causa.
Ci aiutano a caricare tutto in auto e con qualche fatica, riesce a incastrare il regalo. Nathan prende posto accanto a me e armeggia con i pulsanti della radio mentre gli ricordo di allacciarsi in fretta la cintura di sicurezza, se non vuole rischiare di finire in prigione.
Riusciamo in due a estrarre l'oggetto dal bagagliaio, ma a pochi metri dall'ingresso, Nathan decide che salutare il nostro vicino di casa è più importante che aiutare me a sorreggerlo.
Lo appoggio a terra e suono il campanello; mamma ci apre qualche secondo dopo, con una tazza di tè tra le mani. Nathan mi sorpassa senza degnarsi di aiutarmi, così spingo la scatola con entrambe le braccia.
«Nathan, quello sarebbe il tuo regalo?» Chiede mamma, chiudendo la porta alle mie spalle. Mio fratello annuisce con un sorriso a trentadue denti. «Non ti sembra di aver esagerato?» Lo ammonisce e in risposta Nathan scuote la testa, come a discolparsi di qualsiasi cosa.
«Mamma, non importa» intervengo io, lasciando le chiavi di riserva dell'auto accanto all'ingresso. «È il suo compleanno, va bene così.»
«Posso aprirlo e giocarci?» Nathan saltella quasi sul posto ma mamma scuote la testa e il suo viso s'incupisce; credo sia persino arrabbiato.
«Il tuo compleanno è domani e rimarrà chiuso fino ad allora.»
A quelle parole Nathan sbatte il piede a terra, totalmente contrario a quella sua decisione e borbotta qualcosa, ma nessuna delle due comprende cosa stia dicendo. Di nuovo viene rimproverato e i suoi capricci non fanno che aumentare, fino a quando non corre per le scale, sparendo dalla nostra vista.
Io alzo gli occhi al cielo divertita, mamma sospira chiudendo gli occhi.
«Vado a studiare.» Mormoro, lasciandole un bacio sulla guancia, ma facendo tappa prima in cucina. C'è un solo yogurt in frigo e faccio una smorfia mentre lo recupero perché neanche mi piace.
Saluto con un cenno veloce della mano alcune amiche di mia mamma che hanno assistito divertite il teatrino messo su da mio fratello, poi salgo in fretta le scale chiudendomi la porta della stanza alle spalle.
L'agenda è fitta di compiti da svolgere e mi passo una mano sul viso perché sono quasi le sei.
Recupero il pc dal letto, spostandolo sulla scrivania. Gli appunti sono tutti sparsi per i vari block notes e mettere tutto in ordine mi porta via altro tempo.
Mamma deve chiamarmi un paio di volte prima che mi renda conto che la voce che sento è la sua e che la cena è pronta perché sono le 20:34.
Mi massaggio le tempie con le dita, sbadigliando fin troppo rumorosamente, poi apro la porta. Nathan è già in cucina perché la sua porta è aperta, ma la stanza è silenziosa.
La televisione in salotto è accesa e Nathan è seduto sul divano, intento a osservare un cartone animato a me sconosciuto.
Mamma è in cucina e la raggiungo, aiutandola con le ultime cose. Qui la televisione è sintonizzata sul solito telegiornale locale; non sapevo che stessero organizzando una cena di beneficenza per questo fine settimana.
Papà ci raggiunge qualche minuto dopo, recuperando dal salotto Nathan, che di cenare sembra non avere nemmeno voglia.
Quasi mi strozzo con l'acqua che sto bevendo quando la signora degli annunci cambia tono, assumendo un'espressione grave e preoccupata: ciò che è successo la scorsa notte è stato scoperto.
«La polizia sta indagando, ma niente è ancora stato trovato. Potrebbe essersi trattato di un semplice sparo, ma vi terremo senz'altro informati.»
Abbasso lo sguardo sul piatto che ho davanti, trovando interessante la distribuzione delle verdure contenute in esso; mamma impallidisce, papà è attento.
«Non posso credere di non essermi accorta di niente.» Mormora, posando la forchetta accanto al piatto; papà annuisce.
«Già, nemmeno io.» Borbotto a bassa voce, senza incrociare i loro sguardi. Fingo un tono sorpreso, ma non ho bisogno di simulare la paura.
«Ed è persino accaduto proprio qui!» Il tono di voce di mamma si alza di qualche ottava mentre annuisco alle sue parole.
Lo stomaco si contrae in una morsa dolorosa e all'improvviso non ho più fame. La diffusione di questa notizia comporterà una cosa sola: Justin e l'accusa nei miei confronti di aver infranto la promessa.
Cazzo.
Aiuto mamma a sparecchiare, ma rischio di infrangere più volte i bicchieri al suolo, tanto che mi dice di lasciar perdere se non ho voglia di fare le cose. Odio Justin. Odio aver sentito tutto.
Entro in camera mia nel momento in cui il cellulare prende a squillare e sobbalzo persino, con il presentimento che Justin possa aver recuperato il mio numero da qualche parte.
È Madison.
«Hai sentito il notiziario?» Me lo domanda senza lasciarmi nemmeno il tempo di dire un semplice "pronto".
«Sì, l'ho sentito.» Mormoro, sedendomi sul bordo del letto, il viso rivolto verso la finestra.
«Cazzo, è successo appena dietro casa tua! Non posso credere che tu non ti sia accorta di nulla.» Il suo tono di voce è agitato, io non sono da meno.
«Già, dovevo dormire proprio profondamente.» Borbotto poi e ringrazio qualunque entità ci sia sopra di me in questo momento. Se solo mi avesse guardato negli occhi avrebbe capito le mie bugie.
«Mi chiedo chi possa essere stato. Tu non hai visto niente?» È curiosa, come immagino tutta la città.
Scuoto la testa rispondendo che in realtà non ho proprio idea di chi potesse aggirarsi qui intorno a quell'ora di notte. E Madison sembra credermi perché poi cambia irrimediabilmente discorso, affermando quanto poco abbia studiato per il compito di domani e che questa volta, l'ennesima C non le sarà di nessun conforto.
Io ho un sonno agitato, fatto di voci, auto, spari e Justin, nell'ombra, che mi osserva minaccioso.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 5
*** 5. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 5
J.


 
«Ciò che dovete fare è chiaro a tutti, non è vero?» Il tono di voce che assume Randy sta significare una cosa sola: non sono ammesse repliche.
Tutti noi annuiamo nello stesso istante e lui mi sembra soddisfatto mentre spegne a terra la cicca della sigaretta ormai esaurita.
L'auto è parcheggiata a poca distanza dal magazzino nel quale stiamo per entrare. Regna il silenzio e non è mai un buon segno; mi sento il cuore che pompa fino nelle tempie.
Randy mi dà le spalle ma volta appena la testa nella mia direzione con una sola domanda negli occhi, alla quale rispondo con un semplice cenno del capo.
È lui a spingere la porta d'ingresso, con l'arma pronta nella mano destra. Non passa molto tempo prima che io faccia la stessa cosa, seguendolo. Randy si guarda intorno e quando volto il capo verso sinistra, anche gli altri stanno perlustrando con lo sguardo lo spazio circostante; troppo silenzio.
Una porta posta a parecchi metri da noi, sul fondo della parete opposta, viene aperta e due ragazzi a noi conosciuti fanno il loro ingresso. Abbasso di qualche centimetro la pistola perché non sembrano armati.
Randy li raggiunge per primo.
«I miei soldi?» Di nuovo, è un tono che non ammette troppe repliche; la pistola lui la tiene ancora in vista. Il ragazzo dai capelli ricci sorride.
«Trovi la cosa divertente?» Glielo domando a voce fin troppo bassa ma piena di sarcasmo. Seth non c'è, ma accanto a me ho sia Austin sia Anthony.
«I tuoi soldi sono al sicuro.» Il ragazzo mi guarda appena, ma mi rivolge a Randy.
«Nelle mie tasche lo saranno ancora di più.» È fin troppo sarcastico Randy e la cosa mi provoca una certa tensione.
«Amico, non siamo qui per perdere tempo» sbuffo quando noto che il ghigno dal suo viso non è ancora scomparso. «Fuori i soldi.»
«Perché dovrei darti ascolto?» Me lo chiede con scherno e mi ritrovo ad alzare un sopracciglio, come se non avessi compreso a pieno le sue parole.
«Perché metà della città è nelle nostre mani.» Ribatto seria e lo sento Randy che bestemmia tra i denti.
«Ti diverti a comandare tutti a bacchetta, non è vero Justin?» Qualcuno me lo domanda con un tono di voce divertito.
Non riconosco subito a chi appartiene, ma non appena varca la soglia del magazzino raggiungendoci, sbarro gli occhi e involontariamente la pistola è lungo il mio fianco.
«Sasha.» È appena un sussurro il mio, mentre intorno a me vedo anche gli altri ragazzi nella mia stessa situazione; Sasha sputa dalle labbra il fumo della sigaretta che tiene tra le dita.
«Sorpreso di vedermi?» Me lo domanda con nient'altro che sarcasmo nella voce e mi ritrovo quasi ad annuire.
Lo credevo ancora in carcere a scontare la sua condanna ricevuta più di tre anni fa per rapina a mano armata. In pochi sanno che in realtà ha commesso anche un omicidio, ma la polizia non è mai stata in grado di accertarlo.
«Le tue doti da leader devono essere diminuite parecchio se mandi avanti dei ragazzini.» Non mi rendo nemmeno conto di aver fatto passi avanti, fino quasi a dare le spalle a Randy. Anche Sasha si avvicina ed è a pochi metri da me, sembra quasi pronto a colpirmi, ma il ragazzo dai capelli ricci allunga un braccio per fermare la sua corsa.
«Non provare a toccarmi.» Mormoro tra i denti; la guancia di Sasha scatta al gesto di quel ragazzo, ma arresta ugualmente i suoi passi.
«Non mi sporcherei le mani con te, ma la tua cara e dolce mamm-»
Premo il grilletto della pistola senza che nemmeno mi renda conto di averlo anche solo pensato.
Lo colpisco al braccio o forse lo sfioro soltanto, non ne sono sicuro. Sasha s'inginocchia stringendosi il punto ferito, io sento il cuore che pompa e che rimbomba nello stomaco, nel petto, nelle orecchie.
Succede tutto all'improvviso, nessuno può fare niente per evitarlo; non capisco che il secondo passo è stato fatto dai ragazzi di Sasha o dai nostri.
Vedo Randy sferrare un colpo dritto sul viso del ragazzo con i capelli ricci, Anthony schiva un destro dell'altro ragazzino.
C'è una valigetta non troppo lontana da Sasha ed è quella che stavamo aspettando di ricevere: lì ci sono i soldi di Randy.
Mi muovo in fretta, con uno scatto che mi porta direttamente al mio obiettivo. Nessuno fa caso a me, forse perché non mi vedono realmente, forse perché non hanno tempo di rincorrermi.
Corro in direzione dell'uscita con la pistola salda in una mano e la valigetta nell'altra. Non arrivo alla porta, un colpo secco e un dolore lancinante al braccio dentro mi mozzano il fiato; la valigetta finisce a terra, così come la mia pistola e qualche secondo dopo, le mie ginocchia cozzano contro il suolo. Non so cosa faccia più male.
Mi stringo il punto colpito, quasi a voler attenuare il dolore. La mano mi diventa ben presto rossa e sento il calore del sangue che la sporca. Mi si annebbia la vista e non riesco più a pensare lucidamente.
Cerco di alzarmi, ma qualcosa me lo impedisce. Mi accorgo solo in un secondo momento che è Sasha a spingermi al suolo e lo fa con un calcio ben assestato all'altezza dei reni. Sono di nuovo in ginocchio, con un'imprecazione stretta tra i denti.
Sento la canna della pistola di Sasha tra il collo e la testa; si muove solo quando è sicuro che non mi muoverò di lì.
Mi gira intorno fino a quando non mi è di fronte, io riesco a vedere la punta delle sue scarpe. Quando alzo lo sguardo, vedo prima l'arma a pochi centimetri dal mio viso, il suo dito pronto a premere sul grilletto, poi i suoi occhi.
Respiro a fatica, ma sostengo il suo sguardo; la maglietta che indossa è macchiata di sangue.
«Pensavi di scappare?» Me lo domanda come se volesse davvero una risposta, ma la conosce bene. Il mio volto è una maschera di dolore, lui non sembra provarne neanche una ben che minima parte.
«Puoi pronunciare le tue ultime parole, ci penserò io a recapitarle alla tua deliziosa famigliola.» È divertito da tutta quella sceneggiata, io sento solo odio e il cuore che pompa ovunque. Sento il grilletto scattare, pronto a esplodere. L'istinto mi fa chiudere gli occhi, ma lo sparo non lo vedo, lo sento solo rimbombarmi nelle orecchie e nello stomaco.
Non c'è altro dolore e la cosa mi confonde perché il colpo l'ho sentito partire: Sasha cade a terra nel momento in cui i miei occhi si aprono, la sua pistola è esattamente di fronte a me, la sto sfiorando con il ginocchio.
Austin è dietro di lui e di fronte a me, con la pistola puntata dritta verso di noi. Ha il respiro pesante mentre con difficoltà mi rialzo da terra, portando con me la pistola di Sasha; ha ferito Sasha senza pensarci due volte.
Le sue urla di dolore mi arrivano quasi ovattate alle orecchie perché ho la mente ancora annebbiata e non sono nemmeno sicuro di riuscire a camminare senza vacillare.
Riprendo la valigetta e seguo Austin mentre mi fa strada. Usciamo in strada, la macchina di Randy è a pochi passi da noi ed è aperta.
Poso la valigetta nel sedile del passeggero e chiudo la portiera, pronto a tornare dentro il magazzino, Randy però esce seguito a ruota da Anthony e mi urla di salire in auto con Seth.
Entrambi obbediamo e apriamo le portiere per velocizzare le cose e permettere loro di salire in fretta. Una fitta lancinante si propaga lungo tutto il braccio a quel gesto e arriva fino alla punta delle dita.
Randy inserisce la prima e s'immette nella strada, accelerando fino a lasciarci il magazzino alle spalle; non ho idea di cosa sia successo o in che condizioni sia Sasha.
«Hai preso tu la valigetta, vero?» Randy me lo domanda con il fiatone ed io annuisco semplicemente, tenendomi stretto il braccio. «Ti hanno ferito.» Suona come una domanda, in realtà è un'affermazione bella e buona.
«Sasha.» Replico semplicemente. Randy bestemmia contro qualcuno e accelera notevolmente, quasi la mia vita fosse a repentaglio, senza curarsi di limiti di velocità e regole civiche.
Randy mi aiuta a scendere dall'auto e mi trascina letteralmente dentro casa, lasciandomi sedere sul divano mentre sale di corsa le scale.
Austin è al mio fianco e quando mi posa la mano sulla spalla, mi volto verso di lui.
«Grazie.» Glielo dico senza aggiungere altro; stringe le labbra in una linea sottile, poi annuisce.
Jennifer scende le scale, Randy la segue. Ha in mano il kit del pronto soccorso e lo posa accanto a me prima di allungare la mano verso il mio braccio; ha il viso assonnato, stava dormendo.
«Fammi vedere» non mi dà tempo di poter replicare, mi sta già togliendo la camicia e alzando la stoffa della manica della maglietta fin sopra la spalla. Sussulto di dolore, ma non mi muovo. «Il proiettile ti ha colpito di striscio, ma è una brutta ferita, ti servono dei punti.» Me lo dice a titolo informativo, ma non replico, mi limito ad annuire.
Impreco quando il cotone intriso di disinfettante mi tocca la pelle e faccio altrettanto quando Jen inietta l'anestesia locale per mettere i punti e suturare la ferita. Il respiro torna regolare solo quando il dolore è appena percepibile e Jennifer ferma la garza con del nastro carta bianco.
«Guarirà in fretta, ma non fare movimenti bruschi.» Me lo dice con lo stesso tono che potrebbe usare con un qualsiasi paziente del pronto soccorso a cui è appena successa la stessa cosa.
«Grazie.» Lo mormoro a mezza voce, con la bocca quasi del tutto asciutta. Continuo a non pensare lucidamente, ho la mente ancora annebbiata.
«Justin, va a casa» persino Randy sembra esausto mentre osserva Jennifer rimettere tutto a posto. «Avete fatto tutti un ottimo lavoro.» Lo so che lo sta dicendo per tranquillizzarmi, ma scuoto la testa.
«Non posso.» Replico e lui lo sa perché non posso farmi vedere in questo stato da mia madre.
Randy sospira, poi si accede una sigaretta.
«Non avresti dovuto sparargli.» Non è un rimprovero il suo, ma mi sento punto sul vivo.
«Ha minacciato la mia famiglia.» Rispondo secco e Randy si passa una mano sul viso alle mie parole.
«Non è un buon motivo, te la farà pagare» fa un cenno verso il mio braccio fasciato. «Riesci a guidare?»
«Sì.» Mi alzo a quella risposta e sento la testa gira per un momento. Austin mi accompagna fuori, ma sale poi in auto con Anthony.
Arrivare a casa mi sembra quasi impossibile, ma riesco a parcheggiare di fronte al cancello. Varco la soglia il più silenziosamente possibile; mamma non è sveglia ad aspettarmi.
Il piano superiore è buio e silenzioso: la porta della stanza di Jazzy è socchiusa, la mia totalmente aperta.
Mi sdraio nel letto senza nemmeno togliermi le scarpe aspettando che il dolore torni a farsi vivo.
Mi addormento prima che riesca a percepirlo.  


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 6
*** 6. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 6
H.


 
«Haley, dopo scuola ho bisogno del tuo aiuto. Per favore, torna appena puoi.» Mamma mi porge un muffin mentre me lo dice e mi ritrovo ad annuire piuttosto distrattamente.
Sono stanca, non sono riuscita a dormire come in realtà avrei voluto. Il pensiero di Justin tra i corridoi, nelle mie stesse aule, mi ha reso nervosa e terrorizzata allo stesso tempo.
Ho quasi pensato di fingere un improvviso malessere per evitare di presenziare quella mattina, ma ai suoi occhi quel mio gesto avrebbe significato soltanto che avevo rivelato qualcosa.
«Tesoro, va tutto bene?» Sobbalzo a quella domanda perché mamma mi strappa dai pensieri nei quali sono scivolata senza nemmeno rendermene conto.
«Sì, sono solo preoccupata per il compito di questa mattina.» Lo so che è nient'altro che una menzogna, ma sembra non farci troppo caso, cadendo nella mia bugia.
«Andrà tutto bene, non pensarci.» Mi accarezza il braccio, sperando forse di farmi sentire meglio e mi ritrovo a sorriderle, in tacito e finto ringraziamento.
Finisco la colazione, guardando la televisione in cucina insieme a Nathan, ma senza prestare realmente attenzione.
Avviso velocemente Madison che ci saremmo viste direttamente a scuola; ho bisogno di camminare per calmarmi e schiarirmi le idee. Non aspetto nemmeno una sua risposta, recupero la mia borsa e saluto mamma con bacio sulla guancia, augurandole una buona giornata.
La campanella dell'inizio delle lezioni deve essere già suonata perché i corridoi non sono gremiti di studenti e mi rendo conto che la mia brillante idea di andare a piedi non si è rivelata così brillante.
Il professore non è ancora arrivato ed espiro di sollievo raggiungendo Madison, prendendo posto nel banco libero accanto al suo.
«Che cos'è successo?» Me lo domanda picchiettando la penna sulla superficie del banco.
«Niente, volevo fare due passi.» Replico in fretta e la sento l'occhiata che mi rivolge, ma l'ingresso del professore la costringe al silenzio.
La lezione comincia, ma sono distratta. Non sento nemmeno la campanella che segna la fine della lezione e Madison deve picchiettarmi la spalla.
«Mi dici che cosa ti succede?» Questa volta me lo chiede con tono persino preoccupato e sbuffo mentre la seguo lungo il corridoio. Mi ritrovo a cercare Justin con lo sguardo, ma non lo trovo; la cosa mi spaventa sempre di più.
«Sono preoccupata per il compito in classe.» Uso la stessa menzogna di questa mattina e anche lei sembra credermi perché annuisce.
Mi tranquillizzo solo quando entriamo nella classe successiva, Justin non la frequenta. Il problema reale riguarda la prossima ora: Biologia.
La campanella suona nuovamente e questa volta sì che sobbalzo sul posto, tanto che Madison mi guarda con ansia mista a preoccupazione. Ho davvero voglia di fingere un malore e tornare a casa.
Prendiamo posto nei soliti banchi, ma mi rendo conto che in borsa non ho i miei appunti; sono nell'armadietto in corridoio.
Approfitto dell'assenza del professore per tornare indietro e recuperare tutto, ma Justin compare nel momento in cui faccio marcia indietro verso l'aula.
Incrocio i suoi occhi e involontariamente la mia schiena tocca la schiera di armadietti disposti lungo tutta la parete; spero abbia la decenza di non farmi del male qui e all'istante.
Justin però non dice niente e tanto meno muove un muscolo. Mi guarda solo negli occhi con un'espressione che però non riesco a decifrare. Il cuore mi rimbomba nelle tempie e non mi rendo nemmeno conto di aprire bocca in un discorso sconclusionato.
«Ti giuro che non sono stata io. Non ho detto niente a nessuno, qualcuno al notiziario deve aver sentito qualc-»
«Haley, respira.» Justin interrompe il mio monologo con voce fin troppo calma e deglutisco mentre le parole mi muoiono sulle labbra. «Ho sentito anche io il notiziario. So che non sei stata tu.» Aggiunge poi e sento il cuore respirare di sollievo a quelle parole; mi guardo intorno, ma siamo da soli in corridoio.
«Hanno scoperto qualcosa?» Glielo domando in un sussurro e Justin scuote la testa, passandosi una mano tra i capelli, scompigliandoli.
«Non lo faranno» mormora a voce bassa. «A parte te non ci sono testimoni e tanto meno feriti.» Aggiunge in fretta e annuisco.
«Puoi fidarti di me.» Non lo so se lo dico per convincere lui o me stessa.
«Lo so.» La sua risposta mi spiazza mentre mi guarda negli occhi. «Che cosa ci fai nei corridoi tutta sola?» Me lo chiede come se fosse una normalissima conversazione tra amici.
«Ho dimenticato gli appunti di Biologia» replico, sentendo le guance arrossarsi. «Tu invece?» Non mi accorgo nemmeno di stare intavolando un discorso con Justin.
«Biologia non mi fa impazzire, così perdo tempo» mormora, mettendo entrambe le mani nelle tasche posteriori dei jeans. «Tu però dovresti tornare in classe. Ci vediamo fra un po'.» Mi regala un occhiolino prima di darmi le spalle e dirigersi nel bagno dei ragazzi, a pochi passi dal corridoio.
Espiro solo quando sparisce oltre la porta; non mi ero resa conto di aver trattenuto il fiato.
Quando torno in classe, il professore ha già cominciato la lezione e prendo posto scusandomi con lui per il ritardo. Madison segue i miei movimenti con lo sguardo, ma non dice niente, io mi limito a stringermi nelle spalle.
Justin si presenta in classe poco dopo e nuovamente, l'unico banco rimasto vuoto è quello dietro di me. Sento il suo sguardo su di me per buona parte della lezione, poi mi arrendo e cerco di non farci più troppo caso. Non c'è astio né rabbia verso di me, forse solo curiosità.
La campanella non mi fa sussultare questa volta e seguo Madison per poter finalmente pranzare, ma il professore mi chiama all'ultimo, costringendomi a fermare i miei passi.
«Bieber, si trattenga un istante anche lei.» Aggiunge l'insegnante, proprio quando lui stesso mi passa accanto; il fatto di noi due soli in quest'aula mi riempie di preoccupazione. «Accomodatevi.» Indica i primi due banchi di fronte alla cattedra mentre Justin ed io ci scambiamo un'occhiata del tutto confusa.
Io prendo posto nel banco a destra, Justin mi siede accanto. Il professore si accomoda invece sul bordo della cattedra, togliendosi gli occhiali dalla punta del naso.
«Signorina Haley, le propongo uno scambio di favori» mi guarda incuriosito ed io annuisco, in attesa che continui; Justin si volta verso di me, quasi non capisse il motivo della sua presenza lì. «La media scolastica del Signorino Bieber qui accanto a lei immagino non le sia sconosciuta.» Lo dice con del sarcasmo e vedo Justin sorridergli, stando al gioco.
«Gli dia delle ripetizioni e se nei prossimi due test riuscirà ad avere la sufficienza, non lo boccerò. In cambio, lei avrà dei crediti extra.»
«Ma io-»
«Oh, Signorina Haley» m'interrompe il professore in fretta. «Non le conviene rifiutare la mia offerta.» Justin apre bocca come a volersi intromettere in questa conversazione, ma il professore interrompe ben presto ogni sua intenzione; io sono tentata di alzare la mano e chiedere spiegazioni perché non sono del tutto sicura di aver compreso a pieno.
«Signorino Bieber, non le è permesso replicare. Se non sarà la Signorina Haley, le assegnerò qualcun altro.» Aggiunge velocemente e l'espressione di Justin cambia dal confuso a del tutto fuori luogo. «Entrambi pensate che sia stato abbastanza chiaro?» Lo domanda come se si aspettasse una nostra risposta, io vorrei solo chiedere quale sia la sua concezione di "scambio di favori".
Fa un veloce cenno verso la porta, come a dirci di lasciare l'aula perché ha altro da fare. Justin si alza per primo, io lo seguo in fretta, come se in corridoio mi aspettasse aria fresca a rischiararmi le idee.
«Non ci posso credere!» Lo mormoro sottovoce, aggiustandomi la borsa sulla spalla e sorpassando Justin, fino a riuscire a sbarrargli la strada, in modo che non si allontani troppo.
«Non guardarmi così Haley» Justin si ferma in mezzo al corridoio, con le mani nelle tasche dei jeans. «Ho di meglio da fare anche io, cosa credi?» Non capisco se sia infuriato o se si stia solo godendo la mia espressione.
«Come sparare alla gente, non è vero?» Ribatto senza nemmeno rendermi conto di averlo fatto; l'espressione di Justin cambia l'istante dopo.
«Attenta a quello che dici, Clark» Me lo dice sottovoce, avvicinandosi al mio viso in modo che solo io sia in grado di sentire le sue parole; ha un buon profumo. «Una promessa è una promessa. Te la farò pagare se spifferi qualcosa, puoi stanne certa.»
È una minaccia bella buona e mi rimbomba nelle orecchie anche quando Justin mi sorpassa, lasciandomi sola in mezzo al corridoio.



 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 7
*** 7. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 7
J.


 
«Attento a dove cammini, coglione.» Non sono nemmeno sicuro che il ragazzino che ho appena urtato mi abbia sentito, ma non m'importa; sono fin troppo intento a mettere piede nella mensa per pensare ad altro.
Ho lo sguardo basso, non mi serve individuare a quale tavolo sono seduti gli altri ragazzi. Quando mi siedo sono consapevole dei loro occhi addosso, mentre mi passo una mano tra i capelli.
«Che succede?» Austin me lo chiede cambiando postazione e sedendosi sul bordo del tavolo, con il gomito sul ginocchio.
«Quella ragazza mi farà uscire di testa.» Lo dico a bassa voce, intento a passarmi una mano sul viso. È seduta poco più in là, insieme a Madison; alza gli occhi quasi avesse capito che la conversazione con i miei amici verte su di lei.
Non dura molto quel gioco, il bordo del tavolo al quale è seduta sembra improvvisamente interessante, come se il suo sguardo avesse captato qualcosa di particolarmente degno di attenzione.
«Ha aperto bocca con qualcuno?» Austin balza giù dal tavolo mentre pronuncia quella frase e muove un passo, come a volerla raggiungere. «Giuro su Dio che la uccid-»
«Non dire cazzate.» Sono costretto ad alzarmi e afferrarlo per il lembo della camicia per evitare che si sposti di lì. «Non la toccherai nemmeno con un dito, credi che sia stato abbastanza chiaro?» Austin deglutisce a quella che sa benissimo non essere una domanda, poi con un gesto brusco fa in modo che la mia mano lasci la stoffa dell'indumento.
«Se ci mette nei guai io-»
«Austin, non provocarmi!» Mi rendo conto di aver alzato la voce solo quando intorno a noi il brusio diventa meno percepibile, come se tutti fossero in ascolto e attenti ai nostri movimenti.
Austin mi guarda fisso negli occhi mentre la sua guancia scatta più volte. Lo so che vorrebbe ribattere, lo conosco come le mie tasche, ma lo batto sul tempo voltandogli le spalle e allontanandomi da lui e da tutti gli altri studenti.
Seth chiama il mio nome, seguito da Austin un istante dopo, ma le porte si sono già chiuse dietro di me, zittendo brusii e chiacchiere.
Esco nel giardino, prendendo possesso di una panchina; ho il respiro pesante e sento la rabbia che scorre nelle vene come se volesse uscire. Non c'è nessuno nei dintorni, sono tutti a pranzo; a me la fame è passata completamente. Sento il peso delle chiavi dell'auto nella tasca dei jeans, ma non posso andare via, la scuola avviserebbe subito mia madre.
So di non avere lezioni né con Austin né con Haley al momento e quando la prima campanella del pomeriggio suona, mi alzo per raggiungere l'aula. Solamente l'ultima lezione è in comune con Austin e quando varco la soglia della porta, lui è già lì.
Prendo posto in fretta, ma Austin è talmente insistente da raggiungermi e costringere il ragazzo accanto a me ad alzarsi.
«Justin, ti chiedo scusa. Sai che non parlavo sul serio.» Mormora, ma scuoto la testa alle sue parole.
«Chiudi la bocca, non è giornata.» Replico secco, senza nemmeno guardarlo negli occhi; sento la sua mano che batte sulla superficie del banco.
«Cazzo, non sono come gli altri! Non puoi trattarmi così.» Mi volto verso di lui e mi ritrovo a stringere i pugni per evitare di alzarmi e colpirlo.
«Allora non costringermi a farlo.» Alzo il tono di voce quel tanto che basta perché il professore, entrato da poco, si volti verso di me. Abbasso lo sguardo sprofondando leggermente nella sedia. «Non toccare Haley e non parlarle. Non sono mai stato così serio Austin, mi hai capito?» Questa volta non lo guardo negli occhi, ma so che lui sta fissando me e riesco persino ad immaginare l'espressione del suo viso.
«Che diavolo t'importa se si fa male?» Me lo chiede con una sincerità che mi stupisce.
«Non ho mai detto che m'importa, ma non metterti in mezzo.» Replico nuovamente. «Ho detto che me ne sarei occupato io personalmente, non ho bisogno che anche tu finisca nei casini. Stai alla larga da lei.» Mi ritrovo a scandire le parole una per una, con l'intento di chiarire subito il concetto. Lo sento sogghignare e istintivamente mi volto nella sua direzione per trovarlo con un sorriso sulle labbra.
«Cristo santo, è quel caso in cui tu finirai con l'innamorartene?» Me lo chiede sollevando il sopracciglio con fare allusivo.
«Innamorarmi, io?» Replico, quasi scocciato da quella sua domanda. «Cascasse il mondo. E ora lasciami in pace, prima che ti prenda a calci.» Aggiungo in fretta, lanciandogli contro una matita.
Non seguo il resto della lezione perché la mia testa è altrove e la cosa mi dà su tutte le furie perché questa è una delle poche materie che realmente m'interessa. Nella mia mente compare Haley e non riesco a capire il perché.
Non mi accorgo nemmeno della campanella che decreta la fine della giornata, Austin deve richiamarmi un paio di volte prima che riesca a tornare alla realtà e a rendermi conto di dover uscire da lì.
«Muoviti.» Sbotta, toccandomi la spalla per costringermi quasi ad alzarmi. Lo seguo lungo il corridoio principale per sfociare nel grande parcheggio.
Haley mi passa accanto e mi ritrovo a seguirla con lo sguardo fino a quando il suo viso non si volta in direzione del mio. È tutto una questione di pochi secondi: i suoi occhi azzurri incontrano i miei, si sposta una ciocca di capelli dal viso e si abbassa a mormorare qualcosa nell'orecchio di Madison. Quando sale in auto, si volta di nuovo e ancora il mio sguardo si scontra con il suo.
Austin mi esorta nuovamente a muovermi e a questo giro impreco ad alta voce.
«Cazzo Austin, piantala di spingermi.» Borbotto, raggiungendo la mia auto e chiudendo la portiera con così tanta violenza che sento i vetri dei finestrini tremare sotto quella pressione. Austin mormora qualcosa, ma non lo ascolto; né lui né tanto meno Seth.
Raggiungiamo la casa di Randy una buona mezz'ora dopo; è in salotto a guardare il notiziario pomeridiano, ma spegne il televisore dopo il nostro ingresso, facendoci segno di accomodarci in cucina.
«Abbiamo una consegna.» Ce lo dice una volta che tutti siamo seduti.
«Dove?» Domando in fretta.
«Poco lontano da qui» mi risponde e mi ritrovo ad annuire, incrociando le braccia al petto. «E questa volta i miei soldi li voglio subito. Nuova regola: non si fa più credito a nessuno.»
«Quando?» Chiedo di nuovo.
«Tra due giorni.» È Jacob a rispondere e allungarmi un foglietto di carta malmesso. Leggo velocemente l'indirizzo: conosco il posto, ma non il destinatario.
«Seth verrà con noi?» Non guardo in faccia il diretto interessato, Randy lo fa e si stringe nelle spalle.
«Non lo so» mormora poi, accendendosi una sigaretta e lasciandola penzolare tra le labbra. «Deciderò di volta in volta.»
«Ma-»
«A proposito» Randy non lascia che Seth possa aggiungere qualcosa, io lo ignoro. «Quella storia del testimone?»
«Tutto sotto controllo.» Rispondo velocemente, ma con la coda dell'occhio vedo Austin scuotere leggermente la testa.
«Voglio sperare.» Borbotta Randy, ma più a se stesso che a qualcuno in particolare; poi agita la mano, come a chiudere tutta la faccenda. «Abbiamo finito, potete andare a casa e fare i vostri compiti.» Sogghigna, prendendoci palesemente in giro. Austin e Seth sono i primi a uscire dalla cucina, seguiti a ruota da Jacob e Anthony; io resto seduto.
«Che succede?» Mi chiede Randy, spegnendo la cicca della sigaretta nel portacenere a poca distanza da lui.
«Una complicazione.» Mormoro appena.
«Il braccio ti dà problemi? Jennifer-»
«No, no» lo rassicuro in fretta, ravvivandomi i capelli con un gesto della mano. «Il braccio è a posto, si tratta della scuola: mi hanno incastrato con delle ripetizioni per non saltare l'anno.»
«Ti porterà via del tempo?» Me lo chiede pizzicandosi la punta del naso. «Lo sai che mi servi più degli altri.»
«Cercherò di far quadrare tutto, promesso.»



 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 8
*** 8. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 8
H.


 
«Questo è l'ultimo.» Mormoro, chiudendo la busta e impilandola sopra il resto, appena accanto a me. Mamma chiude quella in suo possesso, poi allunga la scatola verso di me, così che possa riporre le mie.
«Grazie, Haley.» Replica, alzandosi per fare il giro del tavolo e chiudere la scatolina di cartone; il tutto serve per l'organizzazione della festa di compleanno di Nathan, vuole invitare sia i compagni di scuola che il vicinato.
Le sorrido e nascondo uno sbadiglio solo per imitare il suo gesto, ho bisogno di stirare i muscoli; papà apre la porta di casa nel momento in cui recupero una bottiglietta d'acqua dal frigorifero. Nathan entra in cucina con un sorriso a trentadue denti e la faccia pasticciata di acquerelli.
«Buon compleanno, Nathan!» Esclamo, arruffandogli i capelli. Lui mi abbraccia, poi la sua attenzione si sposta sulla mamma.
«Posso aprire il mio regalo?» Mamma sta per replicare qualcosa, ma papà la batte sul tempo dicendo qualcosa come "non se arrivo prima io", il tutto seguito da uno scatto di Nathan per raggiungere la loro camera da letto, dove il mio regalo è custodito sotto stretta sorveglianza.
Mamma scuote la testa, io mi stringo nelle spalle, avvisandole che salirò al piano di sopra per fare una doccia e rivedere gli appunti presi durante la giornata.
Il cellulare annuncia l'arrivo di un messaggio mentre l'aria calda dell'asciugacapelli mi scivola sul viso.

Da Zac:
«Ho voglia di vederti.»

Mentre scendo le scale mi accorgo di essermi dimenticata di qualcosa perché i miei genitori sono vestiti eleganti, come se dovessero uscire per una ricorrenza; mamma sta aggiustando la camicia di Nathan mentre lui si lamenta, cercando di sfuggire alla sua presa.
Mi balena in mente la cena di beneficenza annunciata qualche giorno fa e non ho motivo di chiedere il perché del loro abbigliamento; il mio finto studio matto e disperato mi è servito ad annullare la mia di partecipazione.
«La cena è in forno, Haley» mamma indossa la giacca mentre mi annuncia tutto ciò ed io annuisco. «Non faremo tardi.» Aggiunge in fretta.
«Divertitevi.» Mormoro semplicemente, nascondendo un sorriso quando Nathan mi fulmina letteralmente con lo sguardo. La porta si chiude a chiave dopo la loro uscita mentre l'orologio segna le otto spaccate.
Mangio ascoltando il notiziario: la notizia principale continua a essere la sera dello sparo, ma così come previsto da Justin, la polizia non è ancora venuta a capo di niente e con grandi probabilità, sarebbe rimasto un mistero irrisolto.
So che devo ripassare per il test di Letteratura ed è quello che mi accingo a fare dopo aver dedotto che nessun programma degno di nota sarà trasmesso in prima serata.
L'eco di qualcuno che bussa alla porta, però m'impedisce di salire i gradini della scala, costringendomi a fare marcia indietro e a riaccendere le luci della sala e dell'ingresso.
Quando apro la porta, mi ritrovo a sbattere le palpebre, come se dovessi mettere a fuoco qualcosa che è del tutto assurdo.
«C-che cosa ci fai tu qui?» La mia domanda fuoriesce con un semplice sussurro mentre poggio la spalla allo stipite della porta; Justin deglutisce per poi stringersi nelle spalle.
«Volevo chiederti scusa e anche parlare un po' con te.» Risponde schietto e veloce, ma ha la voce bassa, roca. Mi sposto per farlo entrare; siamo entrambi titubanti.
«Scusarti e parlare?» Glielo chiedo di nuovo perché non sono sicura di aver compreso a pieno.
«Sì» mormora e annuisco, in attesa che continui. «Scusarmi per quanto successo questa mattina. Haley, non ti farei mai del male, ma quando la rabbia prende il sopravvento, non mi rendo conto di quello che dico o faccio.» Me lo dice guardandomi dritta negli occhi, mentre io mi stringo le braccia contro il petto.
«Non ne sarei poi così sicura.» Non mi accorgo nemmeno di aver pronunciato tanto; il suo sopracciglio sinistro si solleva curioso.
«Come dici?» Ribatte quindi, passandosi una mano tra i capelli.
«Se dovessi dire tutto quello che so, dubito che tu non mi faccia del male.» Non lo so perché stia osando tanto e mi accorgo di essere andata oltre quando lo sguardo di Justin diventa di ghiaccio.
«Lo pensi davvero?» Me lo chiede con tono quasi incredulo, ma sotto sotto è arrabbiato. Mi stringo nelle spalle perché non posso fare altro e perché è troppo tardi per rimangiarmi tutto. «Rispondi.» Questa volta è un ordine il suo e sussulto a tutto ciò.
«Non l-lo so.» Mormoro, abbassando lo sguardo e rendendomi conto di aver balbettato. Lo sento inspirare e quando torno a guardarlo, il labbro inferiore è stretto tra i denti.
«Non lo farei mai, credimi» il suo tono continua a essere serio e basso, come se avesse paura che qualcuno potesse sentire i nostri discorsi. «Non ne sarei capace.» Aggiunge poi e sono tanto sconvolta che mi ritrovo a inarcare il sopracciglio.
«Non dovrebbe importarti più di tanto, considerando che lo fai ad altre persone.» Contro ogni aspettativa, il viso di Justin si rilassa in un semplice sorriso e non so se avere paura.
«Sei una ragazza, è diverso.» Mormora, grattandosi distrattamente la nuca; se ci fosse stata più luce, lo avrei persino visto arrossire.
«Mi stai dicendo che se fossi stata un ragazzo, mi avresti ucciso?» Glielo domando in tono di sfida, mordendomi la lingua l'istante dopo.
«Puoi scommetterci, Haley.» Me lo dice con calma, ma non sta scherzando. So bene che dice la verità e la cosa mi spaventa.
«Beh, sono grata di essere una ragazza.» Borbotto più a me stessa che rivolgendomi a lui; lo sento sogghignare. «Grazie per essere venuto a scusarti e mi dispiace di aver detto quelle cose fuori dall'aula.» Aggiungo dopo qualche secondo.
Justin si stringe nelle spalle, poi indica la porta con un debole cenno del capo.
«Ora è meglio che vada.» Mormora, nascondendo le mani nelle tasche dei jeans.
«No, aspetta» replico in fretta, pentendomene l'istante dopo. «Di cosa volevi parlare? I miei genitori non sono in casa, se prometti di non uccidermi, puoi restare.» Non mi rendo nemmeno conto di aver pronunciato quelle parole; lui aggrotta le sopracciglia, poi sorride e non lo so se lo fa per prendersi gioco di me o meno, però annuisce.
Indico il divano sul quale prendiamo posto l'uno accanto all'altra.
«Ti ascolto.» Mi stringo le ginocchia al petto mentre aspetto che dica qualcosa.
«Non ho tempo da perdere dietro a queste ripetizioni e so che nemmeno tu sei esaltata all'idea di quello che ci aspetta, ma possiamo conciliare le cose.» Parla in fretta, come se avesse studiato un copione relativo a questo argomento.
«Qual è la tua proposta?» Domando quindi, realmente curiosa di capire cos'ha in mente.
«Verrò qui dopo la scuola per un massimo di due ore: tu farai la tua stupida lezioncina ed io fingo di prestarti attenzione. Finito questo teatrino, tutto torna alla normalità, dove io faccio finta di non sapere chi sei e dove tu hai paura di me.» Espone il suo ragionamento in fretta.
«Io non ho paura di te, ma se questo "teatrino" servirà a non farti ripetere l'anno, d'accordo.» Replico in fretta e Justin sorrise.
«Haley, della scuola non m'interessa. Ho di meglio da fare.» Borbotta, riattivando la modalità di persona intrisa di superiorità nei confronti del mondo.
«Ti prego, illuminami sullo svolgimento dei tuoi pomeriggi!» Lo prendo in giro, ma me ne pento sempre l'istante dopo.
«Non sono affari tuoi.» Mormora nervoso e so che non si può scherzare su certi argomenti, dei quali non farò mai parte.
«Quando vuoi cominciare?» Glielo chiedo perché non voglio più che resti qui con me al momento.
«Domani pomeriggio; prima iniziamo, meglio è.» Me lo dice con fare brusco e mi ritrovo ad annuire. «Alle quattro.» Aggiunge poi in fretta.
«D'accordo.» Non credo di aver modo di poter ribattere.
«Bene.» Sembra soddisfatto e mentre lo osservo, non mi rendo conto di aver pronunciato un'altra domanda a mio discapito.
«Perché sei sempre così scontroso?»
«Non sono scontroso» me lo dice in modo piccato, poi incrocia le braccia al petto. «Non mi conosci, non lo sai come sono fatto.»
«Certo, perché tu non dai la possibilità a nessuno di farlo.» Ribatto in fretta, voltandomi completamente verso di lui; ha gli occhi di un colore ben preciso. «Ho visto il modo in cui ti sei comportato con Austin oggi in mensa.» Justin serra le labbra, accentuando la linea dura della mascella.
«Se solo sapessi il perché del mio comportamento, mi staresti ringraziando.» Si alza dal divano, come se per lui la conversazione fosse finita qui.
«Che cosa significa?» Lo seguo con lo sguardo, ma non mi alzo; è lui a voltarsi.
«Austin ha minacciato di ucciderti se solo dovessi provare ad aprire bocca e spifferare qualcosa a qualcuno» mi porto le mani alle labbra a quelle parole e sento il cuore battere contro la gabbia toracica. «Ed io, come un perfetto idiota, ho minacciato di fare la stessa cosa con lui se avesse anche solo provato ad avvicinarsi a te.» Contro la mia volontà, le guance si arrossano mentre gli occhi di Justin sono fissi nei miei.
«Io-»
«Prego, non c'è di che.» M'interrompe, pronunciando quelle parole come se lo avessi realmente ringraziato. E sto per farlo, ma il suo telefono prende a squillare un paio di volte, per poi silenziarsi e annunciare l'arrivo di un messaggio.
Justin legge velocemente il contenuto di esso per poi digitare qualcosa sullo schermo in risposta; si passa una mano tra i capelli mentre lo fa.
«Va tutto bene?» Glielo chiedo solo dopo aver notato il cambiamento della sua espressione e della tensione delle spalle.
«Devo andare.» Borbotta velocemente, raggiungendo la porta. Mi alzo in fretta dal divano per raggiungerlo e quando si volta nella mia direzione, mi rendo conto che siamo fin troppo vicini. «Ci vediamo domani pomeriggio.»
«Sì.» Replico in fretta, facendo però un passo indietro. È lui ad aprire la porta, poi scende gli scalini, pronto a percorrere il vialetto.
Lo chiamo di nuovo quando è appena a metà, costringendolo a fermarsi; è quello che fa perché si volta e aspetta, in attesa che io parli di nuovo.
«Grazie per essere venuto a scusarti.» Glielo dico con sincerità, alla quale annuisce.
«Buonanotte, Haley.»


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 9
*** 9. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 9
J.


 
Ci sono due cose che non ricordo con esattezza al momento: l'ultima volta in cui ho chiesto scusa a qualcuno e come diavolo sono arrivato a casa di Haley con l'intenzione di ricevere il suo perdono.
Perdono di cosa poi?
Non mi accorgo nemmeno del sorriso da ebete che mi dipinge le labbra mentre mi allontano dalla sua abitazione: tutto questo mi farà impazzire, ma non sono ancora sicuro se in modo positivo o negativo.
Le luci di casa mia sono per la maggior parte accese e quando varco l'ingresso, mia madre e mia sorella sono sedute in modo scomposto sul divano, impegnate a guardare la televisione su un programma che al momento non so riconoscere.
«Dove sei stato?»
Mamma non me lo chiede con tono accusatorio questa volta, ma non mi va di parlare con lei e non impiego molto tempo a raggiungere le scale. La sua voce però mi richiama e sono costretto a raggiungerla.
Mi siedo sulla poltrona a poca distanza da dove si trova lei; Jazzy si alza dal divano per accomodarsi sulle mie gambe.
«Allora?» Incalza di nuovo.
«Facevo un giro» borbotto, attorcigliandomi tra le dita una ciocca di capelli di Jazzy; mamma inarca il sopracciglio curiosa. «E poi sono finito a casa di una ragazza.» Mamma scoppia a ridere alle mie parole e mi rendo conto troppo tardi di aver aperto la bocca a sproposito.
«E cosa facevi a casa di questa ragazza?» Il suo tono è malizioso, tanto che sono costretto a domandarmi se la donna seduta di fronte a me sia realmente mia madre o un surrogato. Che l'avessero scambiata durante la mia assenza?
«Mamma, se fossi andato a fare sesso a casa di qualcuna, dubito che verrei a raccontartelo.» Replico schietto, senza accorgermi del sorriso che pian piano si allarga sul mio volto. Mia madre scoppia in una risata fragorosa, contagiandomi; sento il cuore fare male a questo nostro momento.
«E comunque, si tratta di scuola.» Aggiungo poi, tralasciando però il reale motivo. Le sue risate scemano e torna la mamma di sempre, con le braccia incrociate al petto ma seduta composta.
«È successo qualcosa?» Chiede in fretta; scuoto la testa distratto, seguendo appena ciò che dicono in televisione.
«No, devo solo prendere delle ripetizioni» replico, soffocando uno sbadiglio. «Il professore di Biologia dice che se riuscirò ad ottenere la sufficienza nei prossimi test, non mi farà ripetere l'anno.»
«Ripetizioni da chi?» Me lo chiede sporgendosi verso di me, con entrambi i gomiti posati sulle ginocchia.
«Haley Clark» mormoro in risposta, arricciando le labbra; mamma annuisce perché sa di chi sto parlando. «inizieremo domani pomeriggio.» Mi rendo conto che il mio tono è petulante, ma sono stanco e faccio scendere Jazzy dalle mie gambe. «Vado a dormire, ci vediamo domani mattina.» Mi abbasso per abbracciare mia madre ed è un gesto che sorprende entrambi perché s'irrigidisce qualche secondo, poi si rilassa e ricambia il gesto; sorrido, ma lei non se ne accorge.

 
-
 
Ho già posticipato la sveglia almeno quattro volte e il Sole che entra dalle imposte inizia a darmi fastidio sul viso, costringendomi a stringere gli occhi.
Mi alzo controvoglia, deciso però a fare una doccia per scacciare la stanchezza ed evitare di crollare addormentato su qualche superficie sulla quale non arrivi la luce solare.
Quando ritorno nella mia stanza, il cellulare smette di squillare; ci sono tre chiamate perse da parte di Austin e una qualche vaga minaccia da parte di Randy con le solite parole. Se non mi fossi presentato da lui nel giro di dieci minuti, mi avrebbe fatto saltare il culo.
Digito velocemente una risposta, sottolineando il semplice concetto che il tragitto verso casa sua prevede almeno mezz'ora di strada e che, stranamente, avrei fatto tardi.
Sento il telefono vibrare in risposta, ma ho già imboccato le scale per scendere di sotto.
Ci sono dei cereali e faccio colazione con quelli, impiegando però meno tempo possibile. Nonostante tutto, sentire Randy lamentarsi fino a perforarmi i timpani, non sono i miei piani migliori.
«Mamma, sto uscendo.» Parlo ad alta voce perché non so in quale parte della casa sia; esce dalla sua stanza quando finalmente trovo le chiavi della mia auto.
«Sono le nove del mattino, dove stai andando?» Me lo chiede soffocando uno sbadiglio; mi stringo nelle spalle.
«Mi vedo con austin ma torno per pranzo.» Borbotto in fretta, inforcando l'uscita e chiudendomi la porta alle spalle.
Non rispetto del tutto i limiti di velocità e raggiungo casa di Randy con qualche minuto di anticipo; parcheggio dall'altro lato della strada e busso fino a quando qualcuno non mi dà il permesso di entrare. Non so chi sia, ma le voci provengono dalla sala da pranzo; li raggiungo solo dopo aver posato la giacca sullo schienale del divano.
«Buongiorno, Sua Maestà. Dormito bene?» Randy me lo chiede con astio nella voce e tutti gli occhi sembrano squadrarmi dalla testa ai piedi; mi siedo accanto ad Austin passandomi una mano tra i capelli.
«Cosa mi sono perso?» Lo chiedo ignorando le lamentele di Randy.
«Tutto.» È Seth a rispondere e nella sua voce riconosco qualcosa misto a fastidio nel vedermi lì; io nemmeno mi sono accorto della sua presenza.
«Lui che cosa ci fa qui?» Mi rivolgo a Randy, indicando Seth con un debole cenno del capo. «Credevo che-»
«Sbaglio o le regole qui le faccio io? Se non ti stanno bene, conosci la strada.» Randy mi risponde senza nemmeno prestarmi troppa attenzione, intento ad accendersi la sigaretta che tiene in bilico tra le labbra.
«Sicuro. E un altro che ti para il culo quando te la fai sotto, dove lo trovi? Tra di loro?» La mia voce esce infastidita e mi accorgo a mala pena che Randy si è alzato e mi sta afferrando il colletto della camicia, costringendomi ad alzarmi; la sedia sulla quale sono seduto finisce a terra.
«Ti avverto Principino: non è giornata. Credo sia meglio per tutti se chiudi quella cazzo di bocca che ti ritrovi.» Il fumo mi sbatte negli occhi, facendoli lacrimare. Riesco a liberarmi dalla sua stretta solo per alzare la sedia da terra e sedermici nuovamente.
Seth mi guarda e non mi sfugge il ghigno che ha dipinto sulle labbra.
La sedia sotto di me striscia producendo un rumore sordo quando mi alzo nuovamente, deciso a raggiungerlo.
«Hai cinque cazzo di secondi per toglierti quel sorriso dalla faccia o ci penserò io, sono stato chiaro?» La minaccia parte da me questa volta e il tono di voce che uso è fin troppo alto anche per i miei standard; Austin accanto a me sussulta, poi impreca tra i denti.
«Justin, torna al tuo posto.» Mi ammonisce Randy.
«Ringrazia Dio che quella sera non ti abbia ucciso. O forse non ti rendi nemmeno conto di quello che hai combinato perché il tuo culo è salvo?» Faccio persino in giro del tavolo per trovarmi di fronte a lui e guardarlo negli occhi. «Lo sai che per colpa tua ho tra i piedi un'insopportabile ragazzina della quale non mi importa un cazzo, ma alla quale devo stare perennemente attento che non riveli alla polizia ciò che ha visto? Lo sai vero? Quindi fai un favore al mondo: togliti quel cazzo di sorriso dalla faccia.» Ho il fiatone quando finisco di parlare e sento la mano di Randy sulla mia spalla. Non tento nemmeno di fare resistenza, mi ritrovo seduto sulla sedia senza che me ne accorga.
«Mi sembrava di averti detto che non era giornata. Piantala.» Borbotta Randy, massaggiandosi le tempie, poi mi punta un dito contro. «Anzi, fai un favore all'umanità e sparisci dalla mia vista. Non ho più bisogno di te qui.»
«Fottiti Randy, sul serio.» Esco da casa quasi di corsa, ma stando ben attento a far sbattere la porta dietro di me.
Salgo in macchina e fumo così tanto di rabbia che per scacciarla sferro un pugno contro il volante, tanto che il clacson suona. Il dolore che s'irradia lungo tutto il braccio mi fa persino pensare di essermela rotta, ma torno a pensare lucidamente. Metto in moto solo quando il respiro e il cuore tornano al loro normale ritmo.
Nel vialetto di casa c'è una macchina in più: mio padre.
Prendo un lungo respiro prima di aprire la porta, tanto che sento la gola scoppiare. So che mamma è in cucina perché sento il profumo del pranzo da dove mi trovo.
«Sono a casa.» Mormoro, dirigendomi in fretta verso le scale, riuscendo a percorrere i primi gradini. La voce di mamma però mi costringe ad arrestare i miei passi; in cucina trovo mio padre, con Jazzy sulle gambe intenta a disegnare qualcosa.
«Non vieni neanche a salutare tuo padre?» Papà me lo chiede con gentilezza; mi appoggio con la spalla allo stipite della porta e incrocio le braccia al petto.
«Certo, magari passo tra sei mesi. Che dici?» Ribatto secco, senza muovermi. Mamma si volta in una tacita preghiera di comportarmi bene e di non rispondere con quel tono.
«Justin, lo sai che-»
«No, non lo so e nemmeno m'interessa.» Lo interrompo subito perché non mi va di ascoltarlo. «Con quale dignità ti presenti qui come se niente fosse e tieni in braccio Jazzy dopo che quasi per un anno non ci sei stato? Io non ho bisogno di te, nessuno di noi ha bisogno di te. Prendi la tua schifosissima auto sportiva e torna alla tua bella vita lontano da noi.»
A malapena concludo il discorso, ho già voltato le spalle ad entrambi, diretto verso il piano di sopra; la voce di mia mamma echeggia fino a che la porta non sbatte con un tonfo sordo.
Mi sdraio sul letto e fisso il soffitto, con le vene delle braccia che sembrano esplodere per tutta la rabbia che contengono.
Jazzy apre la porta della mia stanza appena qualche minuto dopo, arrampicandosi sul letto e sedendosi sul mio stomaco.
«Perché sei così cattivo con papà?» Me lo domanda pizzicandomi le guance.
«Perché lui è stato cattivo con me.» Replico a bassa voce.
«Allora vuol dire che farà così anche con me?» Alzo gli occhi al cielo e sbuffo, cercando di tirarmi su a sedere; Jazzy scivola fino alle mie gambe.
«Certo che no» le do un bacio sulla fronte a quelle parole. «Papà ti adora, lo sai. Tu non c'entri nulla, sono io a essere arrabbiato con lui.» Jazzy annuisce e mi pizzica nuovamente le guance in un gesto ormai divenuto involontario da parte sua.
«Ti va se scendiamo e pranziamo?»
«Solo se ti comporterai da persona educata con papà.» Somiglia alla mamma mentre pronuncia quelle parole e non posso evitare di sorridere.
Mi comporto da persona educata perché non apro bocca, limitandomi ad annuire alle domande; ogni tipo di conversazione che mio padre prova a intavolare con me finisce nel silenzio.
Resto fino al dolce, poi mi alzo perché non riesco più a respirare in quella stanza.
Saluto velocemente Jazzy, sotto le domande insistenti di mamma, le quali però non ricevono mai una risposta esaustiva.
Controllo l'ora solo quando sono già in auto, diretto verso casa di Haley. È presto, ma ho bisogno di andare via di qui.
Parcheggio in fondo alla strada e proseguo a piedi fino all'ingresso. C'è qualcosa che non quadra perché ci sono palloncini colorati ovunque, sul cancello e appesi ai rami degli alberi.
Busso alla porta e faccio un passo indietro, in attesa di poter entrare. Sento la sua voce al di là dell'ingresso e il suo viso appare dopo qualche istante.
Sta sorridendo, ma incrociando il mio sguardo, torna seria.
«E tu che diavolo ci fai qui?»

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 10
*** 10. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 10
H.


 
«Avevamo appuntamento, ti sei dimenticata?»
Justin non cerca una reale risposta a quella sua domanda, lo so fin troppo bene. Boccheggio più in cerca d'aria che di parole perché decisamente sì, mi sono dimenticata.
La parte peggiore di tutto ciò riguarda la festa di compleanno di Nathan: la casa è gremita di bambini che stanno mettendo a dura prova la pazienza di mia madre.
«Certo che no, solo-» m'interrompo da sola, il panico si sta impossessando di me e non è un bene.
«Devo tornare più tardi?» Me lo chiede inarcando un sopracciglio; scuoto velocemente la testa.
«No, no. Entra pure.» Mi scosto di lato, in modo che possa passare.
«Perché hai quel ridicolo cappellino e la faccia coperta da brillantini?» Lo so che mi sta prendendo in giro e non tenta nemmeno di nascondere il suo divertimento.
«È il compleanno di mio fratello e-» un ragazzino colpisce Justin in pieno viso con un palloncino che qualcuno gli ha legato al polso mentre passa di corsa nell'ingresso, diretto verso la sala. Non si accorge nemmeno di niente perché sparisce tanto veloce quanto è arrivato. Justin sobbalza, ma sono tanto svelta da afferrarlo per il lembo della camicia quando lo vedo muovere un passo verso il salotto; i suoi occhi si abbassano sulla mia mano, che ritiro subito.
«Non provare a farlo di nuovo.» Me lo dice a bassa voce, passandosi una mano tra i capelli.
«Justin, è solo un bambino.» Replico, posando il cappellino sul tavolino all'ingresso. Lo vedo trattenere il respiro, poi buttarlo fuori tutto d'un fiato.
«Hai ragione, ti chiedo scusa» borbotta velocemente, scuotendo la testa. «Non è una buona giornata e forse è meglio che torno più tardi.» Parla veloce, tanto che quasi non riesco a capire cosa stia dicendo. Mi volta le spalle, pronto ad aprire la porta e sparire, ma senza pensarci gli prendo la mano, a fermare la sua corsa.
«No, per favore. Resta» indico la cucina a pochi passi da noi. «Fammi solo avvisare mia madre. Seguimi.» Justin si guarda intorno ed è palesemente a disagio, però obbedisce e sento i suoi passi dietro di me.
«Mamma, devo assentarmi per un po'. Mi sono dimenticata di avvisarti che oggi sarebbe passato Justin per delle ripetizioni.» Mamma osserva prima me e poi Justin, squadrandolo quasi da capo a piedi; poi annuisce.
«Ma certo» mormora semplicemente, facendo cenno verso la sala. «Ti prego di voler ignorare tutte queste urla.» Mia mamma si rivolge a Justin, il quale si stringe nelle spalle. Io sorrido, poi prendo la mano di Justin per trascinarlo letteralmente per le scale, lasciandolo andare solo quando la porta della mia stanza è ben assicurata e chiusa a chiave dietro di noi.
Mi tolgo il cardigan lasciando andare un sospiro di sollievo.
«Mi dispiace.» Mormoro semplicemente; Justin si siede sul bordo del letto.
«Per cosa?» Me lo domanda schietto, pizzicandosi la punta del naso.
«Per tutto questo» borbotto poi; mi siedo esattamente di fronte a lui, con la consapevolezza di essere in imbarazzo. «Da dove vuoi iniziare?»
«Quello che ti pare.» Borbotta; non è infastidito, solo annoiato. Mi alzo schiarendomi la voce solo per recuperare alcuni appunti; Justin segue ogni mio minimo movimento.
«Almeno un argomento.» Ripeto, cercando di essere per lo meno convincente; lui sbuffa.
«Quali ci saranno nel test?»
«I primi che ho evidenziato in verde» replico, indicandoli con il dito. «C'è qualcosa in particolare che ti è sfuggito?»
«Haley, non mi frega un cazzo del test o di essere bocciato. Non ricordo nemmeno il nome del professore, figuriamoci gli argomenti che spiega.» Me lo dice in modo brusco, ma mi mordo il labbro.
«D'accordo, allora partiremo da qui.» Faccio segno verso uno schema disegnato ad arte e Justin lo ricopia velocemente sul suo block notes.
Mi perdo a spiegare vari passaggi e significati di ciò che ho scritto, aiutandolo a memorizzare varie formule semplificate per risolvere il quesito; Justin m'innervosisce.
«Perché stai sorridendo in quel modo?» Sono nervosa mentre pongo quella domanda, ma lui scuote la testa e mi fa cenno di continuare con la spiegazione. Incrocio le braccia al petto, in attesa di una risposta da parte sua.
«Quei brillantini sul tuo viso.» Ammette infine, indicandomi gli occhi e le guance; sbuffo e mi alzo in fretta, ma non faccio molta strada perché la mano di Justin afferra il mio polso, costringendomi a fermarmi. «Dove stai andando?»
«A lavarli via.» Replico fin troppo brusca; Justin sorride.
«Ho solo detto che mi fanno sorridere» ammette in fretta. «Non che li devi togliere. Ti stanno bene.»
Arrossisco, ma torno a sedermi. Mi rendo conto che ogni qualvolta il mio sguardo incrocia il suo durante un qualsiasi tipo di spiegazione o domanda da parte sua, le mie guance si colorano di rosso; non so se lui lo faccia di proposito o non se ne renda nemmeno conto.
Qualcuno bussa alla porta e mi ritrovo a sussultare, mentre mi volto verso sinistra: è mia madre.
«Haley, tuo fratello ti sta cercando» m'informa velocemente. «Dice che altrimenti non smetterà di piangere.»
«Arrivo.» Justin annuisce mentre lo dico perché lo sto guardando negli occhi.
«Non vorrai mica rovinare la festa di compleanno di tuo fratello, vero?» Si alza dal letto per tendermi la mano. «Finiremo più tardi.» Aggiunge in fretta, intimandomi a raggiungerlo.
Nathan è seduto sul divano, con il viso così arrabbiato che le sue guance sono rosse. Mi siedo accanto a lui solo per scompigliargli i capelli.
«Alle feste non è permesso piangere, lo sai? Stavo solo aiutando un amico, che succede?» Nathan volta il viso verso Justin ed il suo sguardo non si placa.
«Tutta colpa mia, ti chiedo scusa» borbotta Justin, mettendosi le mani nelle tasche e stringendosi poi nelle spalle. «Buon compleanno!» Aggiunge dopo qualche secondo.
«Che cosa ti va di fare?» Domando a Nathan, il cui viso si è disteso in un sorriso, a ringraziare per gli auguri appena ricevuti.
Non sento solo la sua voce, ma anche quella di tutti gli altri bambini che ho intorno; un ragazzino sta persino tirando il braccio di Justin, come per attirare la sua attenzione.
Non so a chi rispondere, però Justin prende la mano al bambino accanto a lui e alza la sua di mano verso l'alto.
«Io voglio giocare a nascondino. Chi è con me?»
Mio fratello salta giù dal divano come se gli scorsi cinque minuti non fossero mai esistiti; è il primo a raggiungere la porta d'ingresso. Gli altri bambini li seguono, io chiudo la fila ad aspettare che tutti siano usciti.
Il bambino lascia la mano di Justin per correre in direzione degli altri; gli poso una mano sulla spalla e il suo viso si volta verso di me.
«Grazie.» Mormoro semplicemente; lui mi fa un veloce occhiolino in risposta.
«L'ultimo sarà il primo a contare.» Borbotta, allungando il passo per raggiungere Nathan; non faccio in tempo a replicare che non toccherà di certo a me, ma lui è già troppo lontano.
Nessuno dei bambini vuole essere il primo a fare la conta, stanno già tutti scrutando con lo sguardo il giardino a cercare un luogo sicuro in cui nascondersi; è Justin alla fine a nascondere il viso contro il palo dell'altalena.
I bambini sono spariti, ma si sentono le loro risate da ogni parte; Justin arriva al venti.
«Nasconditi, o sarai presa.» Sussurra appena e sussulto sul posto perché so che non sta scherzando.
Raggiungo un albero in fondo al giardino e sento Justin urlare un finto "cento", poi si volta.
I primi bambini vengono smascherati dalle loro risate, ma sono abbastanza svelti da non essere presi. Nathan viene scoperto subito dopo; io sono l'ultima.
Sto persino pensando di uscire allo scoperto ma Nathan fa la spia, indicando il mio nascondiglio.
Sobbalzo quando Justin muove i primi passi verso di me e non mi muovo; mi raggiunge in fretta, posando la mano sul tronco dell'albero.
«Il gioco prevede che tu ora scappi per raggiungere la tana e fare in modo di non essere presa da me.» Me lo dice in tono di sfida, io incrocio le braccia al petto.
«Puntami una pistola alla testa e forse inizierò a correre.» Non mi rendo nemmeno conto di pronunciare ciò; le labbra di Justin si aprono in un mezzo sorriso.
«Non sei abbastanza veloce da poter scappare» ribatte, trattenendo il labbro inferiore tra i denti più del dovuto. «Lascia almeno che credano che tu ci stia provando.» Suggerisce poi, senza levarsi quel ghigno dal viso.
Alzo gli occhi al cielo, ma obbedisco e lo sorpasso; le sue braccia mi cingono la vita e la terra sparisce da sotto i miei piedi.
«Che diavolo stai facendo, mettimi giù!» Sono completamente avvolta dalle sue braccia e le mie mani si fermano sui suoi polsi per evitare di cadere accidentalmente.
«No, ho vinto.» Mormora al mio orecchio e non accenna a lasciarmi andare fino a che non raggiungiamo l'altalena. Lo colpisco alla spalla non appena mi fa tornare con i piedi per terra.
«Sei un'idiota.» Borbotto, ma non sono capace di nascondere un sorriso. Lui, al contrario, non è tanto svelto da celare il guizzo della sua guancia.
Non ho tempo di chiedergli cosa sia successo perché i bambini decidono di voler contare tutti insieme, lasciando me e Justin a nasconderci. Non ho nemmeno il tempo di dire loro che non è possibile giocare in questo modo, Justin mi prende per mano e inizia a correre.
Sono costretta a seguirlo, attenta a non inciampare nei miei piedi.
Justin si ferma davanti al piccolo cancello che dà sul retro, aprendolo leggermente. Punto i piedi quando capisco le sue intenzioni.
«Justin, no.» Si volta alle mie parole e inarca appena il sopracciglio, aspettando forse una spiegazione. «No.» Ripeto semplicemente.
«Non dirmi che hai paura.» Me lo dice con l'intento di prendersi gioco di me; io non ho nessuna voglia di scherzare.
«Non ho paura, ma non voglio entrare là dentro.» Mormoro, abbassando lo sguardo. Justin sospira, poi si volta e torna lentamente indietro. Non ho tempo di poterlo ringraziare per non aver insistito, i bambini si accorgono di noi, correndoci incontro.
Justin è costretto a sollevare Nathan per evitare che si scontri contro le sue gambe; di nuovo la sua guancia scatta, come se provasse dolore a compiere quel movimento.
So che c'è qualcosa che non va, ma non posso chiederglielo perché non avrò risposte a riguardo.
Mamma compare sulla soglia qualche istante dopo, chiamando tutti per ritornare dentro casa: la torta verrà tagliata a breve.

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 11
*** 11. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 11
J.
 
Non appena lascio andare il fratello di Haley, mi volto verso di lei; mi sta guardando accigliata e sono sicuro che si sia accorta della mia espressione nel sollevare Nathan.
«Coraggio, entriamo.» Mormoro semplicemente, indicando la porta d'ingresso.
Haley annuisce e mi segue, preoccupandosi di chiudere la porta alle nostre spalle. Si ferma nell'ingresso, voltandosi verso di me.
«Va tutto bene?» Me lo chiede a bassa voce.
«Sì, perché non dovrebbe?» Non mi rendo conto di aver pronunciato quelle parole in modo più brusco del previsto, ma lei sì. «Va tutto bene, credimi.» Ripeto, sperando di convincerla. Mi guarda qualche secondo, poi annuisce; il discorso non è terminato, lo sappiamo entrambi.
Mi ritrovo a seguirla per le scale e sono io a chiudere la porta della stanza. Do un giro di chiave, lei si siede nuovamente sul bordo del letto, senza quasi rendersene conto.
«Haley, è tutto a posto?» Mi accorgo che la stessa domanda mi è stata posta qualche istante fa.
«A meraviglia.» Borbotta, aprendo un libro a caso; io non frequento Spagnolo.
«Non sei capace di mentire.» Sogghigno, con l'intento di prendermi gioco di lei e smorzare la tensione. Mi siedo persino di fronte a lei, cercando di rubarle il libro dalle mani.
«Vai al diavolo.» Chiude il libro così in fretta che faccio appena in tempo a togliere la mano prima che me la schiacci al suo interno.
«Ma che cazzo ti prende?» Allargo le braccia in preda all'esasperazione, poi impreco tra i denti; perché oggi fa così male?
«Lo so di non essere capace di mentire, ma tu cosa mi dici? Sei una bugia unica!» Si alza dal letto e sono costretto ad alzarmi e raggiungerla per poter essere al suo livello.
Non mi accorgo delle sue spalle contro il muro e delle mie mani ai lati delle sue spalle, quasi a impedirle di muoversi e scappare.
Trattiene il fiato, ma sono così vicino al suo corpo da sentire il suo cuore battere contro la sua gabbia toracica.
«Tu non sai niente di me, non osare dire una sola parola.» Il mio naso quasi sfiora il suo e la vedo chiudere gli occhi. Faccio un passo indietro e la osservo portarsi una mano alla base del collo, tornando a respirare.
Impreco tra i denti e quando apre gli occhi, mi avvicino nuovamente, prendendole il viso tra le mani. Sussulta, ma non prova nemmeno a scostarsi.
«Haley, mi dispiace» sento una lacrima bagnarmi le dita; ha portato con sé un paio di brillantini. «Non volevo spaventarti.»
Haley scuote la testa e non so come o perché, me la ritrovo tra le braccia. Non so nemmeno se è lei a stringere me o viceversa.
Rimane contro di me per minuti interi, la sorreggo solo con un braccio, l'altro torna contro il muro, mentre le sue di braccia, mi cingono i fianchi; la guancia è posata contro il petto.
Mi sento rigido, come se tutto questo fosse sbagliato e mi ritrovo a respirare regolarmente solo quando Haley scioglie la presa. Mi guarda per un paio di secondi, poi si asciuga entrambe le guancie con il dorso delle mani.
Raggiunge il letto aggirandomi e vi si siede, tornando ad aprire il libro; io continuo a non frequentare il corso di Spagnolo.
Mi passo una mano tra i capelli, prendendo un lungo respiro. Mi siede accanto a lei qualche istante dopo.
«Non puoi fare così» il mio è solo un sussurro, ma siamo vicini e non ho bisogno di alzare la voce. «Non puoi fare come se le regole le dettassi tu e non puoi parlarmi nel modo in cui continui a farlo.»
«Tu sei un idiota.» Ribatte Haley, voltando il viso verso di me; è fin troppo vicino.
«No, tu-»
«Justin, stai sanguinando!» Me lo dice in fretta, senza lasciare che finisca la frase. Allunga la mano verso di me, ma sono più svelto nell'alzarmi dal letto e darle le spalle.
La stoffa della maglietta è macchiata di sangue nel punto in cui la sutura fattami da Jennifer è saltata.
«Non è niente, sto bene.» Mi stringo il braccio mentre glielo dico, ma Haley è già al mio fianco.
«No, non è vero.» Mi prende la mano in modo da spostare la mia e controllare; non oppongo resistenza perché fa male sul serio. Arrotola leggermente la manica fino a scoprirla del tutto. «Justin-»
«Non è niente.» Ripeto di nuovo, interrompendo ciò che avrebbe voluto dire.
«Devo portarti in ospedale, hai bisogno che ti diano nuovamente i punti.» Haley parla veloce, innervosendomi più del necessario.
«Non andrò da nessuna parte, ho solo bisogno di una fasciatura. Sei in grado di aiutarmi?» Immagino sia una domanda difficile perché Haley annuisce dopo qualche istante, ma non è del tutto convinta della sua risposta.
M'indica la porta del bagno e la seguo, poi mi accomodo sulla poltroncina appena accanto al lavandino; la osservo mentre controlla vari armadietti alla ricerca dell'occorrente.
«Che cos'è successo?» La sua espressione trasuda curiosità.
«Niente, mi sono fatto male da solo.» Borbotto, abbassando lo sguardo sulla mia mano; ho le dita sporche di sangue.
«Per l'amor del Cielo, smetti di mentire per un secondo.» Il suo tono di voce mi fa sussultare, tanto che alzo gli occhi e incrocio i suoi; deglutisco.
«Mi hanno sparato.» Mormoro poi; Haley impallidisce. «Non è niente di grave, mi hanno già medicato. Devi solo fasciarmi nuovamente il braccio.» Glielo ripeto velocemente.
Haley annuisce e stringe le labbra in una linea sottile per recuperare del cotone e del disinfettante.
L'odore sgradevole impregna l'aria non appena Haley svita il tappo per bagnare il cotone che tiene tra le dita. Si avvicina con calma e sposto leggermente il braccio in modo che la ferita sia ben visibile.
Sussulto masticando un'imprecazione tra i denti quando il freddo del cotone mi tocca la pelle; fa male.
«Scusa.» Mormora Haley, finendo di pulire il sangue ormai raggrumato. Scuoto la testa mentre la osservo srotolare la garza per poi avvolgerla meticolosamente intorno al mio braccio, coprendo la ferita. Deve fermare le due estremità con un cerotto per evitare che si stacchino.
«Grazie.» Mormoro quando alza lievemente il viso; il mio naso quasi sfiora il suo. Annuisce appena e non so come, ma i miei occhi si fermano sulle sue labbra. Mi accorgo solo ora della loro forma; credo abbia smesso di respirare. Non lo so in seguito a cosa decido che ho voglia di baciarla, ma lo faccio.
Non oppone resistenza quando premo le mie labbra sulle sue, sussulta solamente e interpreto tutto come sorpresa da parte sua.
Schiudo le labbra sfiorandole con la lingua il labbro inferiore e serro la mano intorno al suo polso, fino a tirarla verso di me; si siede cavalcioni sulle mie gambe.
Ha una mano sulla mia spalla, le mie sono rispettivamente sulla sua coscia e sulla sua schiena, in modo da portarla più vicino al mio corpo. Non c'è più un centimetro a dividerci.
Sento la sua mano salire lungo il mio collo e intrecciarsi tra i miei capelli; è un gesto inaspettato, tanto che mi ritrovo ad imprecare tra i denti.
È lei a prendermi il viso tra le mani e a seguire i movimenti delle mie labbra; riesco a sollevarmi dalla poltroncina e a portarla con me, sorreggendola perché non perda l'equilibrio. Indietreggio fino a che Haley non cozza contro il bordo del lavandino; con le mani salgo prima sulle spalle, poi al collo e infine al viso.
Il bisogno di ossigeno diventa impellente in entrambi e sono costretto a scostarmi solo per riprendere fiato. Mi guarda negli occhi con il labbro inferiore stretto tra i denti; non so se osservare i suoi occhi o la sua bocca.
Ho il fiatone, ma mi avvicino di nuovo; non raggiungo la mia destinazione, la voce della mamma di Haley arriva nitida al di fuori della sua stanza.

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 12
*** 12. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 12
H.

 
Justin si allontana così bruscamente che rischio di finire in avanti per la mancanza improvvisa di contatto datomi dal suo corpo contro il mio.
Justin mi osserva e sul suo viso c'è preoccupazione, mentre io deglutisco cercando di riprendere tanto fiato per rispondere a mia madre; lui indica la porta con un cenno del mento, annuendo brevemente. So che Justin ha chiuso a chiave.
Giro in chiavistello e trovo mamma con le braccia incrociate al petto, mi gira la testa. Justin esce dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle e passandosi velocemente una mano tra i capelli.
Mamma guarda prima lui e poi me; ho le guance in fiamme, ne sono più che consapevole.
«Stavo aiutando Justin con un taglio, si è fatto male mentre giocavamo in giardino.» La mia voce non risulta ferma come vorrei.
«Sì, ma non è nulla di grave. Solo un graffio.» Fa eco lui stesso, appena dietro di me. Di nuovo mamma ci osserva, poi annuisce.
«C'è qualcuno per te giù in sala, scendi appena puoi.» Me lo dice con calma, ma non mi dà tempo di poterle chiedere di chi si tratta, sta già scendendo lungo le scale.
Lascio uscire il fiato che non mi ero accorta di trattenere e scuoto la testa quando mi volto verso Justin. Lui non proferisce parola, si limita a recuperare il suo zaino e a riporre i libri che abbiamo utilizzato.
Mi fa di nuovo cenno verso la porta, intimandomi a uscire silenziosamente; sento gli angoli degli occhi bruciare. Lo odio. Odio quando fa così.
Obbedisco e mi schiarisco la voce mentre scendo in fretta le scale; Justin è subito dietro di me.
Ad aspettarmi alla fine di esse c'è Zac, voltato di spalle ed intento a parlare con una bambina dai codini rossi.
Mi accorgo di aver perso l'equilibrio solo quando la mano di Justin mi afferra il braccio, impedendomi di cadere sull'ultimo scalino; impreca tra i denti.
«Zac, che cosa ci fai qui?» Lui si volta e i suoi occhi si posano su Justin solo qualche secondo. Mi libero dalla presa di Justin per scendere definitivamente dalle scale; Zac mi sovrasta in altezza, devo sollevare il viso per guardarlo negli occhi.
«Ti avevo detto che sarei passato nel pomeriggio.» Me lo dice piano e nella sua espressione trovo quasi delusione; la presenza di Justin accanto a me quasi brucia.
«Vi conoscete, vero? È venuto per delle ripetizioni, ma stava giusto andando vi-»
Justin mi supera velocemente, rivolgendo a Zac solamente un cenno con il capo. Si aggiusta lo zaino sulla spalla destra, poi raggiunge la porta d'ingresso e la infila senza dire una parola. Si chiude alle sue spalle con un tonfo sordo ed io rimango a fissare lo spazio vuoto che ha lasciato senza poter dire niente di più.
Zac mi aggancia un braccio intorno ai fianchi, ma mi scosto da lui senza un apparente valido motivo.
«Torno subito.» Mormoro, per niente sicura che mi abbia sentito; sono già fuori di casa per rendermene effettivamente conto.
Justin sta salendo sulla sua auto, parcheggiata dall'altro lato della strada. Lo raggiungo nel momento in cui chiude la portiera. Si accorge della mia presenza perché le sue labbra si serrano in una linea sottile, nel fastidio più totale.
Non mette in moto, nonostante le sue mani siano ferme sul volante, come se fosse pronto a partire.
Faccio un passo indietro perché deve scendere ed è proprio ciò che fa, lasciando che la portiera rimanga aperta dietro di lui.
«State insieme, non è vero?» Non lo so perché sussulto sul posto a quella domanda, però scuoto in fretta la testa e Justin sbuffa sonoramente.
«Sì» replico in fretta. «Più o meno, non lo so. Perché me lo chiedi?» Parlo veloce, tanto che rischio di mangiarmi le parole e balbettare; Justin sorride, ma non è divertito.
«Per quanto strano possa sembrarti, non mi sono mai piaciute le ragazze che si divertono con più ragazzi nello stesso momento.» Justin schiocca la lingua a quelle parole e i suoi occhi mi osservano dalla testa ai piedi.
Passa un secondo netto prima che mi renda conto che il suono sordo che ho sentito rimbombare nelle orecchie proviene dalla mia mano che cozza contro il viso di Justin.
Il palmo mi brucia; la guancia di Justin scatta silenziosamente.
Non parla: mi guarda dritta negli occhi con i pugni lungo i fianchi; le nocche sbiancano.
Faccio un passo indietro quando sento la sua bestemmia masticata tra i denti. Sale in auto l'istante dopo, premendo l'acceleratore come se fosse l'ultima cosa da fare nella vita.
Resto immobile in mezzo alla strada, con lo sguardo rivolto verso il vuoto. Quando mi porto una mano sul viso a scostare una ciocca di capelli, mi rendo conto che c'è una lacrima che occupa uno spazio non suo. La asciugo in fretta e mi volto pronta a ripercorrere il vialetto di casa; Zac si trova dall'altro lato della porta, con un'espressione di curiosità dipinta sul volto.
«Che diavolo è successo?» Me lo domanda quando avvicina la mano al mio viso, sfiorandomi la guancia dove le lacrime si sono ormai asciugate. «Haley, hai pianto?»
«No» ho la voce ovattata perché la stoffa della sua maglietta mi sta premendo le labbra mentre lo abbraccio.
Non lo so se mi crede o meno, però sento le sue braccia stringermi e le sue labbra sulla spalla, esattamente dove quelle di Justin si sono posate neanche mezz'ora fa.
Sono talmente veloce a scostarmi da lui per alzarmi in punta di piedi e baciarlo, che Zac ha un momento di esitazione per quel repentino cambio di situazione.
Mi solleva appena dal suolo e: «seguimi» gli ordino, sussurrandoglielo all'orecchio.
Mi lascia andare solo per permettermi di salire le scale e farlo lui stesso.
Sono io a chiudere a chiave la porta della mia stanza, ma è Zac a sollevarmi nuovamente, tanto che le mie gambe finiscono contro i suoi fianchi, a sostenermi meglio.
Quando sento il materasso sotto di me, Zac si allontana brevemente; io alzo il viso perché possa baciarmi di nuovo, mentre le mie mani percorrono uno a uno i bottoni della camicia che indossa.
L'indumento finisce a terra mentre Zac si abbassa su di me; la schiena batte ora contro il materasso. Le labbra di Zac mi baciano il collo, le guance e la bocca.
Mi ritrovo a chiudere gli occhi, ma il viso di Justin sembra non voler sparire; allontano Zac, sedendomi velocemente con il fiatone che non accenna a rallentare.
«Ho fatto qualcosa di male?» La sua voce è bassa mentre mi afferra il polso, con l'intenzione di avvicinarmi nuovamente.
Scuoto la testa, più per scacciare ciò che affolla la mente che in risposta a Zac.
Lui sorride e non so come, mi ritrovo cavalcioni su di lui; questa volta è la mia di maglietta a finire a terra.
Mi bacia delicatamente, ma non mi rendo conto di avere le guance umide fino a che non mi scosto una ciocca di capelli dal viso; Zac se ne accorge quando mi bacia la guancia.
Mi guarda confuso, con il petto che si muove velocemente su e giù.
«Se vuoi che mi fermi, devi solo dirmelo.» Me lo dice con dolcezza e il peso che provo al centro del petto fa ancora più male.
Quando annuisco, l'espressione di delusione che passa sul suo viso è più chiara di quanto lui stesso voglia dare a vedere. Si passa una mano tra i capelli prima di farmi scendere dalle sue gambe; recupero la mia maglietta, indossandola l'istante dopo.
«Haley, se stai piangendo per qualcosa che ha fatto Bieber-»
«Non sto piangendo per nessuno.» Lo interrompo bruscamente perché non ho una risposta reale da potergli dare. «Per favore, va' via.»
Zac stringe i denti e mi scocca un'occhiata di fuoco, ma obbedisce. Indossa nuovamente la camicia, impiegando volutamente più tempo ad abbottonarla.
Quando apre la porta, non riesco a guardarlo negli occhi, ma sembra non importargli più di tanto. Giro la chiave nella toppa della serratura solo quando sono sicura che sia realmente uscito da casa mia.
L'acqua fredda sul viso è qualcosa che mi fa bene e male allo stesso tempo; perché diavolo continuo a pensare a Justin?
Lo chiedo alla persona che vedo riflessa nello specchio di fronte a me: ha il viso sporco di mascara colato e quasi non la riconosco. Abbasso lo sguardo perché non mi piace ciò che vedo; sul collo sento ancora la pressione delle labbra di Justin, fino a salire sulla mia di bocca.
Come se lui in qualche modo volesse me ed io volessi lui.
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 13
*** 13. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 13
J.

 
Sto andando oltre il limite di velocità concessomi dalla legge, ma non m'importa.
Tutto ciò che voglio, è allontanarmi il più possibile dalla casa di Haley ed evitare di tornare indietro.
Come se m'importasse davvero con chi va a letto!
Ho la guancia che ancora soffre per il colpo ricevuto e sono più che sicuro del fatto che a breve, qualcosa farà capolino sulla superficie.
Scuoto la testa, sperando che tutta questa situazione finisca il prima possibile, ma mi rendo conto di una cosa: anche se niente fosse mai venuto a galla, lei avrebbe sempre saluto la verità.
Siamo legati da un filo che entrambi ignoriamo.
La casa di Randy compare davanti ai miei occhi ancora prima che possa effettivamente rendermi conto di essere arrivato.
Parcheggio nel vialetto, con la chiusura automatica che mi rimbomba nelle orecchie; non posso andare a casa, non quando mio padre è ancora lì.
Jennifer mi apre la porta con un sorriso, Randy è seduto sul divano con l'immancabile sigaretta tra le labbra. Sta guardando la TV, ma si volta con una semplice domanda sul viso che non ha bisogno di esternare per avere una mia risposta.
«Mi dispiace, non posso tornare a casa.» Jennifer mi bacia la guancia mentre si dilegua in cucina, io raggiungo Randy.
Annuisce quando mi fa cenno di accomodarmi e così faccio, seguendo distrattamente ciò che accade in televisione.
Sento Jennifer canticchiare qualcosa e mi passa per la mente un pensiero stupido: lei sa tutto quello che succede nella vita di Randy?
Una parte di me immagina di sì e l'altra si chiede come possa stare con lui, essendo consapevole di ciò che fa per vivere.
Eppure Jennifer è qui da che io ne ho memoria, lei ha curato tutte le mie ferite. Non ho altri amici al di fuori di loro, non ho relazioni durature come quella di Randy o come quella di Anthony. Non so nemmeno se posso essere in grado di stabilire un legame tanto profondo.
«Hai fame? Jen stava preparando la cena.» La voce di Randy mi strappa ai miei pensieri e annuisco, accettando la sigaretta che mi porge; io, che non fumo quasi mai.
«Dove sei stato oggi?» Non lo so perché me lo chiede, ma mi prendo del tempo prima di rispondere; il fumo delle due sigarette si sta espandendo sopra e intorno a noi.
«C'è una cosa che dovresti sapere e che non ti ho detto.» Sento i sensi di Randy allertarsi e improvvisamente la sua attenzione è tutta concentrata su di me. «Ricordi le ripetizioni, vero? La ragazza che si sta occupando di questa idiozia è colei che ha sentito lo sparo.» Abbasso vigliaccamente lo sguardo mentre pronuncio quelle parole; contro ogni aspettativa, Randy non esplode di rabbia.
«Lo sa che ci sei dentro anche tu?» Non mi resta che annuire.
«Non conosce il motivo per il quale è successo tutto ciò.» Replico, cercando una via di fuga.
«Attento a non riporre la tua fiducia nelle persone sbagliate.» Spegne la sigaretta pronunciando quella frase.
«Lo so.» Borbotto, imitando il suo gesto. So che Haley non si sarebbe mai rimangiata la sua promessa.
«Chi è?» Randy mi distrae nuovamente e impiego qualche secondo a capire a cosa si stia riferendo.
«Haley Clark.» Mormoro.
«Ed è almeno carica?» Me lo chiede dandomi una sonora gomitata all'altezza delle costole. Non rispondo, ma scuoto la testa con un sorriso.
«Chiudi quella cazzo di bocca, Randy» in risposta alza le mani in segno di resa, poi si stringe nelle spalle. «Nessuno lo sa, nemmeno Austin.» Aggiungo dopo qualche secondo. Il solo pensiero che qualcuno possa metterla in mezzo mi rende nervoso.
«So mantenere un segreto, tranquillo.» Annuisco alla sua promessa; la voce di Jennifer annuncia che la cena è pronta.

 
-

«È molto semplice: noi saremo in quattro e loro in tre.» Randy si accende l'ennesima sigaretta mentre espone il suo piano. «I miei soldi li voglio subito, non permetterò che commettiate lo stesso errore e non voglio spari.» Lo sguardo di Randy è incentrato su Seth.
«Quale macchina?» Domando io, rendendomi conto che una sola sarebbe bastata a contenerci tutti. È Anthony a proporre la propria; Randy annuisce e si alza, lasciando che la sigaretta si consumi all'interno del posacenere.
Anthony mette in moto l'auto, Randy è seduto davanti a dare indicazioni; Seth ed io siamo seduti dietro.
Il luogo dell'incontro non è distante, ma deserto una volta raggiunto. I sensi inibitori di tutti noi sono in allerta, mi sento agitato nonostante mi stia ripetendo che si tratta di una semplice consegna, qualcosa che faccio ogni giorno da anni.
La mano di Randy si posa sulla mia spalla e scatto nella sua direzione.
«Tranquillo.» Non so se sta cercando di tranquillizzare solo me o anche sé stesso.
Qualcuno chiama il suo nome in lontananza e come se fossimo tutti d'accordo, ci voltiamo restando sempre a debita distanza, pronti a fronteggiare qualunque attacco; la mano mi scivola lungo il fianco, a tastare il calcio della pistola.
«Spero tu abbia i miei soldi.» La voce di Randy non è grezza come al solito, ma non ha voglia di perdere tempo.
Uno dei ragazzi mostra qualcosa all'interno della giacca; Randy si tocca la tasca della sua. Il ragazzo porta con sé oltre cinquemila dollari.
Quando il ragazzo allunga una mano compiendo un passo avanti, Randy fa l'esatto contrario: si allontana.
«Prima i soldi.» Randy detta legge da sempre e lo fa estraendo la pistola dai pantaloni; io so che non sparerà, ma a loro concediamo il beneficio del dubbio.
Seth è più pallido del solito e Anthony lo sta tenendo d'occhio. Il ragazzo al centro del gruppo opposto alza le mani in segno di resa, senza però nascondere il sorriso che gli increspa le labbra.
«Un patto è un patto.» Mormora, allungando il contenitore con il denaro all'interno. Lo recupero solo dopo aver avuto il permesso di Randy; un brivido mi percorre la schiena quando mi volto.
«È il mio turno.» Sogghigna il ragazzo e a Randy non resta che annuire e porgere i pacchetti perché possano recuperarli.
Nel momento in cui spariscono, mi ritrovo a buttare fuori il fiato che ho trattenuto senza quasi rendermene conto.
Mi siedo nuovamente accanto a Seth; Anthony guida e Randy conta scrupolosamente i soldi.
Cerco di ignorare le continue occhiate da parte di Seth, è qualcosa che dura dal momento in cui è entrato a casa di Randy, dopo cena.
Solo una volta scesi dall'auto, complice l'adrenalina che ancora mi circola nelle vene, scoppio.
«Mi spieghi che cazzo vuoi?» Lo afferro per il colletto della maglietta quando mi lancia l'ennesima occhiata; la schiena cozza contro la carrozzeria dell'auto di Anthony, il quale impreca.
«Non voglio proprio niente!» Cerca di divincolarsi dalla mia presa ma Seth è molto più piccolo di me e riesco a contenerlo senza nessuna fatica.
«Ho sopportato le tue occhiate tutta la sera, ma ora ho decisamente perso la pazienza.» Mormoro, a pochi centimetri dal suo viso.
«Cazzo, lasciami andare» riesce a sfuggire, spingendomi i palmi delle mani contro il petto. «Non sei nessuno per dirmi cosa posso o non posso fare, non lo sei mai stato!»
«Dovresti ringraziarmi di stare ancora respirando, Seth. Se fosse stato per me, ti avrei ucciso quella sera stessa.» Ho alzato fin troppo la voce, i passi di Randy mi risuonano nelle orecchie.
«Ah davvero?» Scoppia in una risata amata. «E come faresti a spassartela con quella ragazza, me lo dici?»
Non mi accorgo nemmeno di avergli colpito lo zigomo destro fin quando il nostro contatto visivo è interrotto dallo scattare del suo viso. Poi non mi accorgo del suo pugno contro il mio di viso, proprio mentre ho intenzione di replicare.
Sento sue braccia serrarmi le spalle, il sapore di sangue si fa spazio nella mia bocca.
«Lasciami andare!» Grido, cercando di scrollarmi di dosso le mani di Randy.
«Adesso basta.» La sua voce non è alta, ma è un ordine ben preciso quello che ha impartito. Mi lascia andare, ma la sua mano è ancora ferma sulla mia spalla, a evitare che possa attaccare nuovamente Seth.
Lo indico con la punta del dito, mordendomi il labbro e incrementando il sapore salato che sento sulla lingua.
«Giuro sulla mia vita che se provi di nuovo a nominarla o a metterla in mezzo, ti uccido.» La mia sì che è una minaccia; Seth si esibisce in un brivido di finto terrore.
«Che paura.» Borbotta sarcastico, mentre un ghigno gli increspa le labbra. Scatto di nuovo ma Randy è più forte di me e non mi permette di compiere un ulteriore passo.
«Ti avverto Seth, non sto scherzando.» Sento la rabbia ribollire nelle vene.
«Seth, sparisci di qui.» Questa volta è Randy a parlare e non gli resta che obbedire; Anthony lo osserva con la coda dell'occhio mentre raggiunge la sua auto.
«'Fanculo.» Mi aggiusto la maglietta, ignorando la voce di Randy che tenta invano di farmi tornare indietro.
Se l'avessi fatto, mi sarei ferito inutilmente.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 14
*** 14. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 14
H.

 
«Sì, Madison. Domani, certo.» Cerco di soffocare uno sbadiglio, con la speranza che la parlantina della mia migliore amica si plachi nel giro di qualche minuto. La sento sospirare dall'altro capo del telefono e so che in realtà ha capito quanto sia stanca.
«D'accordo, buonanotte allora.» Chiudo velocemente la chiamata, notando solo in quel momento che ore siano in realtà; i numerini indicano le 00:42.
L'anteprima di un messaggio appare silenziosa proprio quando ho intenzione di posare il telefono sul comodino alla mia destra.

Da: Sconosciuto
«Sono sul retro. Per favore: scendi. Justin.»

Devo rileggere quelle poche parole un paio di volte: perché diavolo sembra un ordine?
Mi mordo il labbro, scuotendo la testa decisa a ignorarlo. Blocco persino lo schermo, ma come se mi avesse letto nel pensiero, un secondo messaggio segue il primo appena arrivato.

Da: Sconosciuto
«Haley, lo so che sei sveglia. Ti prego.»

Mi ritrovo a prendere un lungo respiro, quasi mi stessi dando la forza per compiere il gesto seguente.
Lascio che il cellulare cada sulle coperte, poi mi alzo solo per recuperare il cardigan che pende dallo schienale della sedia.
Scendo le scale nel modo più silenziosamente possibile, contenta che nessuno scricchiolio echeggi nell'ambiente; esco da casa usando la porta sul retro, raggiungendo direttamente il giardino.
È buio, fatta eccezione per due lampioni che illuminano appena la strada circostante. Sembra essere tutto deserto e sono persino tentata di rientrare perché non c'è nessuno nei paraggi. In lontananza però compare una debole luce, come se la portiera di un'auto si fosse aperta e chiusa nel giro di qualche secondo.
Muovo un ulteriore passo avanti: Justin è fermo davanti alla sua macchina. Lo raggiungo in silenzio, aprendo il piccolo cancello.
«Come diavolo hai avuto il mio numero? E perché diamine sei qui a quest'ora? E- hai un occhio nero?» Glielo chiedo perché l'ombra nera appena sopra il suo zigomo non è uno scherzo dovuto alla luce della Luna che si riflette sui nostri visi. Justin abbassa leggermente il viso, ma invano.
«No.» Mente spudoratamente, sfiorandosi il punto colpito come se volesse nasconderlo alla mia vista.
«Ascoltami bene: è tardi e sono stanca. Se mia madre disgraziatamente si sveglia e non mi trova in casa, passerò dei guai seri. Devi andartene e devi farlo subito.»
Mi rendo conto di parlare in fretta, ma non voglio che m'interrompa o che provi a farmi cambiare idea, facendomi cadere in uno dei suoi stupidi giochetti.
Gli sto già voltando le spalle, pronta a rientrare dentro casa ma Justin si muove più velocemente di me. Mi afferra il polso, tirandomi verso di sé per evitare che possa scappare.
Faccio appena in tempo a posare la mano sul suo petto per non cozzare contro di lui. Sento indistintamente il suo respiro sul viso e trattengo il fiato a quel gesto.
Quando Justin allenta leggermente la presa, mi allontano aumentando la distanza tra di noi.
«Devi andare via» questa volta glielo dico in un soffio, quasi avessi timore che qualcuno possa sentirci. «Non ho niente da dirti e tu nemmeno.»
«Sono qui per questo, invece.» Ha la voce bassa, mi graffia la pelle e mi coglie alla sprovvista. È difficile guardarlo negli occhi ora.
«Vuoi riaffermare il tuo concetto secondo il quale vado a letto con tutti? Il messaggio è stato recepito forte e chiaro, non ti devi preoccupare.» Ribatto piccata alla sua affermazione e senza rendermene conto, mi sono avvicinata tanto da sfiorare la punta del suo naso con il mio.
«Lo sai che non lo penso davvero.» Mormora, stringendo persino nelle spalle.
«È meglio se chiudi la bocca e torni a casa.» Questa volta il mio è davvero un ordine, ma a Justin sembra non interessare. Scuote la testa e mi ritrovo ad alzare gli occhi al cielo perché non riesco a credere di trovarmi in una situazione simile.
«Non posso.» È appena un sussurro quello di Justin; sospiro a tutto ciò perché mi sembra solamente una sceneggiata.
«Justin, che cosa vuoi da me?» Sono quasi sicura che nella mia voce sia emersa la nota di supplica che tanto cercavo di nascondergli. Mi guarda negli occhi e mi ritrovo improvvisamente ad avere la bocca secca.
«Non lo so Haley.» Di nuovo è solo un mormorìo ma sussulto. «Mi sento in dovere di essere qui e chiederti scusa. Mi sento persino in colpa ogni volta che ti ferisco con tutto quello che dico. Non c'è un perché, è così e basta.» Justin parla lentamente, come se volesse che ogni parola pronunciata si fissi per bene nella mia testa. Abbassa lo sguardo, poi si schiarisce la voce.
«Volevo solo chiederti scusa per come mi sono comportato e ringraziarti per aver avuto pazienza con me questo pomeriggio.» Quando alza nuovamente lo sguardo, non lo fa a cercare una risposta da parte mia; aspetta un paio di secondi, poi si volta e posa la mano sulla portiera, pronto ad andare via.
Lo fermo prima che possa compiere un ulteriore movimento.
«Hai appena detto che non puoi tornare a casa» la mia mano si chiude sul suo braccio. «Dove stai andando?» Si volta alla mia domanda e non lo so se sia uno scherzo della luce, ma sul viso gli si apre appena un sorriso.
«Che c'è: ti preoccupi per me ora?» Guarda prima i miei occhi, poi si abbassa sulla mia mano e di nuovo sul mio viso.
«Certo che no.» Replico in fretta, sentendo però le guance avvampare. Lo sento sorridere e due dita si posano sotto il mio mento, con l'intento di farmi alzare per bene il viso; la mia mano è ancora sul suo braccio.
«Non ho bisogno di nessuno che si preoccupi per me.» È appena un sussurro il suo, ma finisce dritto sulle mie labbra, tanto il suo viso è vicino al mio.
«Non sono affatto preoccupata per te.» Lo ripeto con l'intento di sembrare convincente; Justin annuisce appena, inumidendosi le labbra con un gesto fin troppo veloce.
Si avvicina in fretta alle mie di labbra, sfiorandole appena solo per e lasciare il mio viso, portandomi una mano sulla base della mia schiena in modo da potermi avvicinare al suo corpo.
La distanza tra di noi viene colmata in fretta, tanto che le mie mani finiscono sul suo petto appena in tempo. Di nuovo, la sua mano sale al mio viso, racchiudendomi la guancia.
Non me ne accorgo, ma le mie mani finiscono tra i suoi capelli; lui trattiene il fiato, poi lo rilascia solo per premere le sue labbra sulle mie.
Lo sento cercare un contatto più profondo e non so come o per quale motivo preciso, ma non gli nego quest'occasione.
Lo sento sorridere mentre io ho bisogno di ossigeno; mi scosto appena, ma Justin è tanto svelto da riprendermi. Mi cinge i fianchi con entrambe le mani e sono talmente assopita da tutto ciò che lascio che continui a baciarmi fino a che il suo respiro non mi solletica il collo.
Piego leggermente il viso, lasciandogli un accesso completo, inarcando persino la schiena. Justin mi cinge la vita con entrambe le braccia e sento il suolo sparire da sotto i miei piedi; la schiena cozza contro la carrozzeria della sua auto.
Questa volta è lui ad avere bisogno di riprendere fiato; si allontana appena dal mio viso, sento la fronte sfiorare le mia.
«Devo andare.» Me lo dice piano, sfiorandomi una ciocca di capelli contro la guancia. Scuoto la testa quando si allontana definitivamente, mentre muovo un passo in avanti lasciando libera la portiera dell'auto; questa volta è lui a dare le spalle alla sua macchina, mentre io gli sto di fronte.
«Dove?» Ho il fiatone mentre pongo quel quesito; Justin si stringe nelle spalle, poi si passa una mano tra i capelli.
«Qualcuno sarà così gentile da ospitarmi, altrimenti passerò la notte in macchina.» Mi risponde calmo, come se avesse già sperimentato tutto ciò.
Riesce a salire in auto, ma non chiude la portiera e nemmeno fa in modo che mi allontani per mettere in moto e andarsene davvero.
«Non puoi passare la notte in macchina. Justin, devi tornare a casa.» Glielo dico come se fossero affari miei.
«Ti stai di nuovo preoccupando per me.» Non cerca nemmeno di nascondere il sorriso che gli affiora sul viso; sbuffo, sentendo le guance colorarsi di rosso.
«Non è vero» Justin alza leggermente il sopracciglio, posando entrambe le mani sul volante. «Solo, non mi piace questa cosa che tu sia in giro a quest'ora o che tu debba dormire in auto!»
«Non è certo la prima volta» borbotta in risposta Justin. «Tu non sai cosa mi tocca fare a volte.» È divertito mentre pronuncia tutto ciò.
«Perché tu non me ne dai la possibilità.» Replico in fretta e lo sguardo di Justin cambia totalmente; mi mordo la lingua.
«No, perché non ti riguarda quello che faccio!» La sua voce si alza e sobbalzo senza nemmeno rendermene conto. Lo guardo un paio di secondi, poi annuisco brevemente e mi volto, camminando spedita verso casa.
Sento la sua imprecazione, poi la portiera che sbatte e la sua mano a stringere la mia, nel tentativo di rallentare la mia corsa.
«Aspetta.» Riesco a liberarmi dalla sua stretta con un gesto brusco.
«No» replico in fretta. «Justin, fammi un favore: sparisci dalla mia vita tanto in fretta quanto ci sei entrato.» Tutto ciò deve coglierlo di sorpresa perché sbatte le palpebre, interdetto.
«Non posso.» Mormora; non è abbastanza veloce dal distogliere lo sguardo, l'ombra sul suo viso la vedo chiaramente.
«Sì che puoi» lo correggo. «Continua a fare come se io nemmeno esistessi. È quello che fai da quando ci conosciamo, cos'è cambiato adesso?»
«Tutto, Haley. Sai la verità!» Sento la sua rabbia insinuarsi tra di noi, la percepisco come se fosse elettricità. «Non capisci che non posso andarmene da te e fare finta di niente? Davvero credo che non m'importo assolutamente nulla?» Me lo chiede come se stesse realmente cercando una risposta. Sono io, però, a volerla.
«No, tu hai solo paura che io possa rivelare ciò che ho visto.»
«Non è vero» replica, scuotendo la testa. «Okay, forse un po'. È vero che sono costretto a tenerti d'occhio e a passare del tempo con te, ma-» si interrompe, come a voler lasciare cadere il discorso.
«Ma?» Lo incito a continuare perché voglio sapere e voglio che mi dica la verità; sospira e un guizzo sulla guancia non passa inosservato.
«Ma è anche vero che se uno solo di loro provasse a toccarti, lo ucciderei con le mie stesse mani.» Non mi guarda negli occhi mentre pronuncia tutto ciò ed è un bene perché ho le guance in fiamme.
«Non ho nessun vantaggio a rivelare la verità. Puoi smettere di fingere di preoccuparti di poter essere scoperto. So mantenere un segreto, così come una promessa.» Abbasso il tono della voce nel momento in cui lui alza il viso.
«Non sto fingendo Haley.» Mormora, ma sembra quasi scocciato nel dover ripetere il concetto.
«Justin, io lo so quello che dicono su di te. Come puoi-»
«Sai quello che dicono, ma non mi conosci davvero.» M'interrompe ed è furioso. «Potrebbero essere tutte bugie.»
«E dimmi: lo sono?» Questa volta sono io a cercare una risposta, che arriva sotto forma di silenzio.
«Non è sempre tutto vero.» Me lo dice mettendosi le mani in tasca. «Nessuno mi conosce realmente.» Mi guarda negli occhi.
«Hai mai pensato di darne la possibilità a qualcuno?» Non lo so perché sono ancora qui a perdere tempo con questo discorso, ma non ho nessuna voglia di andarmene adesso. Non quando sembra in vena di darmi risposte.
«Non ne ho bisogno.» Replica piccato; mi stringo nelle spalle sia per il suo comportamento sia per il freddo.
«Sai, le persone non sono tutte uguali. Potresti provarci» glielo dico con calma, come se volessi persino convincerlo. «Non tutti giudicano in base alle voci che corrono tra i corridoi della scuola. Qualcuno guarda ai fatti.» Justin curva le labbra in un sorriso.
«Se tu fai parte di quest'ultima categoria, forse dovrò rivedere le mie priorità nei tuoi confronti.»


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 15
*** 15. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 15
J.

 
La odio. Perché deve avere sempre e costantemente ragione?
La osservo mentre si morde il labbro, scostandosi una ciocca di capelli che le vola davanti al viso. Mi ritrovo a stringere la mano lungo il fianco per evitare di essere io a compiere quel gesto.
«Devo andarmene sul serio: è tardi e tu devi rientrare.» La voce continua a essere bassa mentre pronuncio quelle parole; Haley non si muove, incrocia le braccia al petto come a dirmi che da lì non si sposterà.
«Justin, non passerai la notte in macchina.» Tutto questo mi porta a corrucciare le sopracciglia.
«E che cosa avresti intenzione di fare a riguardo?» Sono curioso e divertito da questa sua caparbietà; si morde il labbro e non so se per l'imbarazzo o perché sta escogitando qualcosa.
«Verrai a dormire da me.» La guardo qualche secondo, trattenendo a stento una risata: suona come un ordine, così mi avvicino di qualche passo.
«Ma come: prima mi dici di sparire dalla tua vita e poi mi inviti a dormire da te?» Mi dondolo sui talloni, in attesa di una sua risposta; si morde il labbro e di nuovo devo combattere contro l'istinto di prenderle il viso tra le mani e baciarla.
«Non farti strane idee, Bieber» m'indica con un dito del tutto accusatore. «Dormirai sul pavimento. Lo faccio solo perché non voglio farti passare la notte al freddo.» Alzo le mani in segno di resa, stringendomi poi nelle spalle.
«D'accordo.»
«Te ne andrai domani mattina, prima che tutti si sveglino. Se dovessero accorgersi-»
«Haley» la interrompo fin troppo bruscamente, posandole entrambe le mani sulle spalle. «D'accordo.» Ripeto; annuisce, prendendo un lungo respiro, come se dovesse calmarsi.
Quando la chiusura automatica della mia auto scatta, Haley fa strada lungo il vialetto fino ad arrivare alla porta sul retro dalla quale è uscita.
La seguo attentamente perché non accende alcuna luce e sono costretto a starle dietro; mi prende la mano nel momento in cui imbocca le scale.
Dà un giro di chiave alla porta e la sento lasciare uscire il fiato che deve aver trattenuto fino ad ora; io non sono da meno.
La osservo mentre traffica con qualcosa nell'armadio, mentre mi dà le spalle: mi porge un paio di cuscini e lascia che la coperta le cada per terra.
«Buonanotte allora.» Mormora, togliendosi il cardigan che indossa e lasciandolo sul bordo del letto.
«Sono commosso da cotanta gentilezza.» Borbotto in risposta; la sento sorridere, ma non posso vederla: sono intento a creare qualcosa sul quale dormire.
Abbassa la luce solo quando sono soddisfatto del mio lavoro, poi si sdraia nel letto. Faccio lo stesso, voltandomi nella sua direzione.
«Grazie, Haley.» Mormoro dopo qualche secondo.
«Figurati.» Replica lei; la sento muoversi nuovamente e il buio ci avvolge.
Non ho sonno, ma chiudo gli occhi perché non ha senso fissare il vuoto. Non lo so quanto tempo passa prima che Haley sussurri il mio nome.
«Sì?» La sento persino prendere fiato, come se dovesse prepararsi ad una domanda fin troppo importante.
«Chi è stato a farti l'occhio nero?» Me lo chiede in un sussurro e sono stupito dal fatto che sia riuscita ad aspettare tutto questo tempo.
«Lascia stare.» Borbotto, muovendomi appena. Haley non replica e la cosa m'infastidisce perché lei ribatte sempre; sbuffo. «Seth.» Mormoro semplicemente, dandogliela vinta.
«Perché?»
«Mi ha provocato.» Replico; una mezza verità fa sempre comodo.
«Eri con loro, vero?» Non credo stia cercando realmente una risposta, ma annuisco.
«Sì, non ha fatto altro che infastidirmi tutta sera. Alla fine sono scoppiato.» Mi dilungo fin troppo, ma non ho poi molte altre possibilità.
«Come mai avete-» s'interrompe qualche secondo e la sento sbuffare. «Niente, non importa.» Sorrido a tutto questo.
«Litigato?» Continuo io, certo di aver concluso correttamente la sua domanda. «Perché ha fatto il tuo nome: ha detto che avrei dovuto essergli grato per aver commesso quell'errore. In questo modo, posso spassarmela con te.» La sento respirare e il silenzio che segue per qualche secondo mi dà fastidio.
«Ed è vero che te la stai spassando?»
«No» le rispondo fin troppo velocemente, quasi a non lasciarle nemmeno il tempo di poter finire di pormi la domanda. «Certo che no.» Aggiungo poi, come a sottolineare il concetto.
Haley non risponde più e so che la conversazione, per il momento, non continuerà.

 
-

Non è nessuna suoneria di un cellulare a svegliarmi, ma un raggio di Sole che riesce a insinuarsi tra le imposte delle finestre.
Quando mi tiro su a sedere, sono spaesato, non ho idea di dove mi trovo: è un posto familiare ma sconosciuto allo stesso tempo.
Solo quando mi alzo in piedi, tutto torna alla normalità: Haley è sdraiata nel suo letto e sta dormendo; il respiro è lento e regolare.
Lo schermo del mio cellulare mostra l'ora: sono le 05:48. Nel silenzio più assoluto recupero i cuscini e la coperta per riporli nell'armadio dal quale li ha tirati fuori Haley la sera prima.
Non voglio svegliarla, ma mi avvicino lentamente al suo letto: dorme profondamente e dal lato in cui è girata, posso distinguere senza problemi il brillantino che ha sempre portato al naso; cattura la debole luce che si sta insinuando pian piano nella stanza.
Devo trovare un modo per andarmene di lì che non comprenda l'uscire dalla stanza e attraversare casa sua, con il pericolo di svegliare qualcuno.
L'unica via d'uscita è il finestrone che dà sul giardino sul retro: se però fossi saltato giù direttamente da lì, mi sarei rotto entrambe le gambe.
Il tetto però, in un punto ben preciso, si abbassa di qualche metro prendendo una piega più strana rispetto al resto del perimetro: è da lì che sarei sceso.
Apro lentamente i vetri, stando attento a non far cigolare nulla. Mi volto di nuovo verso Haley e digito velocemente un messaggio; il cellulare di Haley vibra sul comodino accanto a lei.
L'aria fredda mi colpisce direttamente in viso e impreco tra i denti. Prendo nuovamente le misure, uscendo dalla finestra e camminando il più lentamente possibile sul tetto, arrivando al punto più basso adocchiato prima: mi guardo intorno e solo dopo aver appurato che nessuno è nei paraggi, salto.
Atterro in giardino senza fare troppo rumore e quando mi alzo, prendo un lungo respiro di sollievo. Riesco ad aprire il cancello e mi ritrovo a correre verso la mia auto, mettendo in moto nell'istante in cui chiudo la portiera.
Davanti casa mia, la macchina di mio padre è sparita; salgo le scale nel silenzio più assoluto, sdraiandomi a pancia su nel letto della mia stanza.
Non ho sonno e so che non riuscirei comunque a prenderne a breve; mi resta solo di fare una doccia per cercare di eliminare quanto più possibile lo stress e la stanchezza accumulata nelle ultime ore.
L'acqua della doccia al piano di sotto scorre e devo dimezzare i tempi per paura che mia madre possa svegliarsi. Mi scontro con la sua figura quando attraverso il corridoio, diretto nuovamente al piano di sopra.
Mi osserva il viso in silenzio, poi scuote la testa; non sono abbastanza svelto da ribattere, lei mi precede sempre.
«Pensi davvero che io sia stupida, Justin?» Sono abbastanza sicuro che non stia aspettando una mia risposta. «Sono stata in pensiero fino ad ora, credevo ti fosse successo qualcosa! Dove diavolo sei stato?» Mamma è svelta nelle sue domande.
«Da nessuna parte, non ti preoccupare.» Abbasso lo sguardo anche se sono consapevole che il livido violaceo che occupa il mio viso, sia ugualmente ben in vista.
«Sono stanca, Justin» sussurra appena, con un tono che mi fa rabbrividire. «Sono stanca di passare le notti a preoccuparmi e a cercare di non pensare al fatto che quando non rientri la notte è perché possa esserti successo qualcosa. Non so mai nemmeno con chi sei!» La voce le si rompe e di conseguenza, una morsa all'altezza dello stomaco mi fa sussultare.
«Sono abbastanza grande da saper badare a me stesso.» Non so se sto cercando di convincere solo lei o entrambi; però non funziona.
«Sono tua madre! Il fatto che tu sappia badare a te stesso non è qualcosa di rilevante.»
«Lo so» replico velocemente. «E so anche quello che faccio. Ti prometto che non mi succederà mai nulla: ho te e Jazzy, non posso permettere che mi accada qualcosa.»
Mamma mormora qualcosa in risposta, ma le parole vengono attutite dalla stoffa della mia maglietta.
Ho un nodo alla bocca dello stomaco e la abbraccio, sperando che smetta di piangere perché è qualcosa che mi sta uccidendo.


 
---
Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 16
*** 16. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 16
H.

 
La sveglia suona più tempo del solito, ma la silenzio solo quando diventa del tutto insopportabile; mi sento stanca, come se non avessi dormito abbastanza o come se avessi avuto un sonno tanto agitato da non permettermi di riposare sia fisicamente sia mentalmente.
Come se ci fosse qualcosa che non quadra alla perfezione, come di consueto.
Justin!
Mi alzo dal letto così velocemente che non mi accorgo nemmeno dello sbalzo di temperatura causato dal pavimento freddo contro le piante nude dei piedi.
A terra non ci sono né Justin né tanto meno coperte e cuscini; sono nell'armadio, esattamente da dove sono stati tirati fuori la sera prima.
Mi passo una mano sul viso mentre in mente ho solamente due ipotesi sulla sua clamorosa uscita. Spero solo che la finestra non abbia nulla a che vedere con tutto ciò.
«Haley, sei sveglia?» Mamma bussa appena alla porta e sussulto, controllando persino il bagno; Justin non è nemmeno lì.
«Buongiorno.» La saluto con un sorriso, aprendo la porta davanti a lei. Lei ricambia quel gesto, poi si dirige verso la camera di Nathan, poco più in là.
Recupero in fretta il cellulare dal comodino e non appena il display s'illumina, l'icona di un messaggio non letto, cattura la mia attenzione.

Da Justin:
«Sono andato via non appena ho potuto, non volevo svegliarti; sono saltato giù dal tetto. Grazie per essere stata gentile con me e ti chiedo nuovamente scusa per quanto detto: non penso per niente tu sia una sgualdrina. Ci vediamo in giro Haley.»

Lo rileggo un paio di volte, pronta a comporre una risposta, ma Madison mi impedisce tutto ciò; il suo nome compare sullo schermo in una chiamata in arrivo.
«Buongiorno.» Le rispondo, con voce ancora piuttosto assonnata; la sua è ben allegra.
«Buongiorno a te! Martin e Zac ci portano a fare colazione fuori, ti aspetto a casa mia tra mezz'ora. Non fare tardi.» Non ho tempo di poter replicare qualcosa, la comunicazione s'interrompe da parte sua e mi rendo conto che non era una proposta, ma un ordine ben preciso.
Scuoto la testa, ma velocemente tolgo il pigiama per potermi vestire; Nathan è seduto a tavola con il viso rivolto verso la televisione. Ha le labbra sporche di latte e cacao.
«Faccio colazione con Madison, per me non preparare nulla.» Mormoro, recuperando però un po' di succo d'arancia dalla brocca sul tavolo. Mamma annuisce, girando le frittelle per Nathan.
«Che cosa stai guardando, piccola peste?» Mi siedo di fronte a mio fratello; lui si stringe nelle spalle.
«Con chi parlavi ieri sera?» Me lo chiede tanto schiettamente che quasi mi strozzo con il succo.
«Cosa-»
«Come dici, Nathan?» È mamma a chiederlo al posto mio, con un sopracciglio perfettamente inarcato. Aspetto che Nathan risponda con il cuore che batte più forte del necessario.
«Ieri sera l'ho sentita parlare con qualcuno.» Ripete Nathan, tornando però a guardare la televisione.
«Te lo sarai immaginato, ho dormito come un sasso tutta notte» borbotto, alzandomi velocemente da tavola, lasciando nel lavello il bicchiere ormai vuoto. «C-ci vediamo dopo pranzo, ciao.»
Esco da casa quasi di corsa e raggiungo Madison una buona mezz'ora dopo. È seduta sui gradini del portico di casa, in mia attesa. Mi saluta con un cenno della mano, chiedendo a sua madre di far scattare l'apertura del cancello perché possa entrare.
«Saranno qui tra cinque minuti.» M'informa, digitando qualcosa sullo schermo del cellulare. Annuisco, ma sento qualcosa all'altezza della bocca dello stomaco.
Non ho però troppo tempo per pensarci perché un paio di minuti dopo, la macchina rossa fiammante di Martin si ferma all'ingresso del cancello; suona due volte il clacson.
Madison ed io li raggiungiamo in fretta, lei occupa il posto davanti quando Zac scende dall'auto per accomodarsi dietro; io sono seduta accanto a lui. Mi bacia la guancia, ma entrambi siamo in imbarazzo. Odio tutto questo.
Martin ferma l'auto qualche isolato più in là, ma nessuno di noi sembra avere idea sul dove ci troviamo. È Madison a porre la domanda, mentre scendiamo dall'auto.
Martin le mette un braccio intorno alle spalle, poi fa strada verso l'entrata del locale, senza però rispondere. È un qualcosa a metà tra una caffetteria e una pasticceria; il profumo di dolci mi fa brontolare lo stomaco.
Sono costretta a prendere posto accanto a Zac e passano appena pochi minuti prima che la cameriera arrivi, pronta a prendere gli ordini. I cappuccini e il vassoio con i dolci seguono qualche momento dopo.
«Avete idee su questa sera?» Martin si lecca via lo zucchero in eccesso mentre pone quella domanda; Madison ed io ci stringiamo entrambe nelle spalle.
«Appena fuori città hanno aperto un nuovo locale.» Propone Zac, guardando prima me e solo dopo i due seduti di fronte.
«E di cosa si tratta?» Chiedo, bevendo un sorso dalla tazza.
«Un pub, ci sono stato qualche sera fa» risponde Zac. «Non è male, ci sono un sacco di ragazzi di scuola.»
«Allora andiamoci.» Replica in fretta Madison; Zac le allunga una mano in modo che potesse battergli il cinque.
I dolci spariscono in fretta ed è ora di andare; Madison mi tocca il braccio quando le passo accanto.
«Guardate chi c'è.» Il suo è appena un sussurro e mi fa preoccupare. Fa un cenno verso il bancone e mi ritrovo a seguire la traiettoria con lo sguardo; è girato di spalle, ma lo riconosco subito.
«Non lo facevo tipo da pasticceria.» Mormora sprezzante Martin, facendo tintinnare le chiavi tra le dita.
«Haley gli sta dando delle ripetizioni. Ieri era a casa sua.» Non lo so perché Zac lo dica ad alta voce, ma il cellulare che tengo tra le mani, cadendo sul tavolo.
«Che cosa?» La voce di Madison si alza di qualche ottava nel pronunciare quella domanda mentre Martin mi guarda scettico.
«Sono stata costretta dal professore di Biologia-»
«Perché non ti sei rifiutata? Lo sai che tipo è!» Pronuncia tutto ciò a voce fin troppo alta; mentre mi volto verso Justin, lui fa la stessa cosa. Incrocio i suoi occhi per un secondo appena e sono più che sicura il mio cuore abbia mancato un battito. Si volta nuovamente verso la ragazza dietro al bancone, senza permettermi di poter decifrare la sua espressione.
«Non ho potuto.» Replico semplicemente.
«Cazzo, non posso credere che tu lo abbia fatto entrare a casa tua!» Madison sta quasi urlando e chiudo gli occhi.
«Madison, abbassa la voce.» Il mio invece è un sussurro appena accennato, ma Madison non mi dà ascolto, scuote la testa e mi afferra per un braccio, trascinandomi letteralmente fuori dal locale.
Passiamo inevitabilmente accanto a Justin e incrocio di nuovo il suo sguardo: ha le sopracciglia aggrottate e sono più che sicura abbia sentito ogni singola parola.
Solo quando mi siedo in macchina, mi rendo conto che il mio telefono è rimasto sul tavolo della pasticceria.
Prego Martin di aspettare, devo tornare dentro; Justin è ancora lì.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 17
*** 17. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 17
J.

 
«No, tieni pure il resto.» Sorrido alla ragazza dietro al bancone, mentre scuoto la testa e lasciando le monete sul banco; recupero il sacchetto con alcuni cornetti appena sfornati che mi sta porgendo.
La campanella posta all'ingresso tintinna e in un gesto automatico, mi volto verso il rumore: Haley è appena rientrata e si sta dirigendo verso il tavolo al qualche era seduta fino a qualche minuto fa. Recupera qualcosa e noto essere il cellulare quando lo infila nella tasca posteriore dei jeans.
Quando alza lo sguardo e incontra il mio, la vedo arrossire nonostante la distanza che ci separa. La osservo mentre viene verso di me, è l'unica uscita e non può fare altro. Ho però quasi timore che faccia finta di niente e tiri dritto. Si ferma invece a pochi passi di distanza, sbirciando oltre la vetrata; seguo la sua traiettoria.
«Da qui non possono vederti.» Haley sobbalza alle mie parole e si volta nella mia direzione.
«Io-»
«Madison dovrebbe imparare a modulare il tono di voce.» La interrompo senza troppe cerimonie; si morde il labbro e abbassa leggermente lo sguardo.
«Mi dispiace, non avrebbe dovuto dire quelle cose.» Mormora e non so perché si stia scusando. Mi stringo nelle spalle, ma sembra non notarlo. «Che cosa ci fai qui?» Me lo chiede con mia grande sorpresa, ma apprezzo perché l'ultima cosa che voglio fare è parlare dei suoi amici; le mostro il sacchetto con i dolci.
«Mia sorella dice che non vuole più mangiare-»
«Hai una sorella?» Sembra scioccata dalla mia affermazione e mi ritrovo a inarcare un sopracciglio.
«Sì, Jazzy» replico a mezza voce. «Credo abbia più o meno l'età di tuo fratello.» Il viso di Haley s'illumina, ma non ne capisco il motivo.
«Non me lo hai mai detto.» Mormora e di nuovo mi stringo nelle spalle.
«Non me lo hai mai chiesto.» Borbotto in risposta. «Che si dice in giro, che sono figlio unico?» Mi accorgo di aver toccato un tasto dolente quando l'espressione di Haley cambia. «Sparisci, va' dai tuoi amici prima che tornino a controllare che tu stia effettivamente bene.»
«Perché fai così?» Haley incrocia le braccia al petto e mi ritrovo a sogghignare alla sua domanda.
«Pensi che sia stupido?» Lo domando senza aspettare una risposta da parte sua; non so nemmeno se la ragazza sia ancora dietro al bancone o meno. «Non fare la buona samaritana con me.»
Haley borbotta qualcosa, ma non capisco realmente cosa abbia detto. Forse perché la campanella che tintinna copre la sua voce mentre esce.
Scuoto la testa, lasciando passare qualche minuto prima di imitare il suo gesto, attraversare il parcheggio e raggiungere la mia auto. Mi accorgo a malapena di essere persino arrivato davanti casa.
«Ho la colazione!» Mi chiudo la porta alle spalle con il tallone; Jazzy corre verso di me, rubandomi il sacchetto con i dolci dalle mani, poi sparisce in cucina. «Lasciamene qualcuno.» Borbotto, appendendo la giacca al muro. La sento ridere, ma non risponde.
Mamma scende le scale e sta sorridendo. Mi passa una mano tra i capelli, sfiorandomi la guancia prima di raggiungere Jazzy in cucina. Sono subito dietro di lei e mi siedo accanto a mia sorella mentre mamma prepara due tazze di latte, riempiendo però la sua con del caffè appena fatto.
Jazzy sta dividendo i dolci, ma la vedo mentre ne ruba uno in modo che tutti avessimo la stessa quantità nei piatti.
Mamma accende il televisore, sintonizzandolo sul notiziario contro ogni protesta di Jazzy; si parla di qualcosa che non conosco, ma il conduttore ha una voce così monotona da distrarmi, tanto che mamma deve chiamarmi un paio di volte per richiamare la mia attenzione.
«Mi accompagni?» Me lo chiede come se non fosse nemmeno la prima volta. Non ho idea di dove debba accompagnarla, ma annuisco in fretta.
«Sì, certo.» Replico, alzandomi da tavola e portando con me la tazza di latte ormai vuota; Jazzy corre per le scale, pronta per vestirsi, io recupero le chiavi della macchina.

 
-

«Sono qui.» Randy spegne l'ennesima sigaretta schiacciandola all'interno del posacenere di vetro, esattamente di fronte a lui. «Armati per giunta. Per l'amor di Dio, non provocateli.» Lo dice a bassa voce, seguendoli con lo sguardo.
Imitiamo tutti il suo gesto e sobbalzo quando un ragazzo di colore del gruppo incrocia i miei occhi. Mi volto immediatamente, dando loro le spalle con la speranza di non aver destato troppi sospetti.
«Cercano qualcosa?» Lo chiedo a Randy, che sta svuotando il bicchiere; si stringe nelle spalle.
«Non ne ho idea, ma non sarai di certo tu a scoprirlo.» Me lo dice serio, guardandoli nuovamente con la cosa dell'occhio. «Non provocateli, siamo qui per divertirci.» Mormora per la seconda volta; non sono l'unico ad annuire in risposta.
Una cameriera dai capelli biondi si avvicina al tavolo, chiedendoci gentilmente se abbiamo il piacere di ordinare dell'altro. Randy non perde troppo tempo e alcuni minuti dopo mi ritrovo uno shot di vodka tra le mani.
Lo ingollo tutto di un fiato, sentendo la gola andare a fuoco e gli occhi colmi di lacrime. Stringo le labbra in una linea sottile perché la vodka è la cosa che mi piace meno.
Sento la porta del locale aprirsi e mi volto come sempre: impiego due secondi netti nel riconoscere Haley. Sobbalzo sulla sedia e quando mi passa accanto, i suoi occhi incrociano i miei. Non si aspettava di trovarmi lì perché sta facendo di tutto per non guardarmi in faccia; quando Zac le prende la mano, stringo il pugno sul ginocchio tanto forte che le nocche mi fanno male.
La seguo con lo sguardo fino a che non prendono posto, noi diamo loro le spalle.
«Justin, tutto bene?» La voce di Randy mi fa scattare nella sua direzione, ma annuisco.
«Sì, sono solo stanco.» Replico, sperando che Randy non abbia voglia di chiacchierare. Lo sento borbottare qualcosa, ma non lo ascolto.
Non succede subito, ma quando realizzo dove Haley è seduta, sento il panico pian piano impossessarsi di ogni mia parte del corpo. Mi alzo così in fretta che la sedia rischia di cadere dietro di me; tutti gli occhi sono puntati su di me.
«Vado in bagno.» Non so se mi sentano realmente o se qualcuno di loro replica qualcosa in risposta, sono già a metà strada per rendermene conto.
Passo volontariamente accanto al tavolo al quale è seduta Haley, stando ben attento a farmi notare. Madison mi fissa, ma ha l'accortezza di non dire o fare nulla: una cameriera sta chiedendo loro le ordinazioni.
Mi dirigo realmente verso il bagno, con la speranza che Haley abbia accolto e capito la mia richiesta. Mi fermo poco prima della porta, poggiandomi di schiena contro il muro; il piede batte nervoso a terra. Haley mi raggiunge un paio di minuti dopo.
«Che cazzo ci fai qui?» La aggredisco senza nemmeno rendermi conto del tono di voce utilizzato; lei scambia la mia paura con rabbia nei suoi confronti. È pronta a replicare, ma non posso concederle questo lusso. «Devi andartene, non puoi stare qui.»
«Come ti permetti di dirmi cosa posso o non posso fare?» Mi guarda appena mentre muove qualche passo verso la porta del bagno; le blocco la strada prima che possa andare oltre.
«Sono serio Haley: devi andare via.» Lo ripeto sperando che obbedisca, ma scuote la testa e mi afferra il polso in modo che possa oltrepassarmi.
«No» ribatte, stringendo la presa. «E adesso spostati, ho bisogno del bagno.» La sua voce mente spudoratamente e mi ritrovo a imprecare a mezza voce.
«Cazzo, ascoltami: devi andare via perché è pericoloso stare qui. I ragazzi seduti accanto al vostro tavolo sono armati.» Glielo dico in modo chiaro perché voglio che capisca la gravità della situazione. Questa volta la stretta sul polso non è atta a farmi spostare, ma a non farmi andare via di lì. «Devi uscire da qui.»
«Come fai a saperlo? E perché lo stai dicendo solo a me?» Me lo chiede spaventata, tanto da guardarsi intorno per accertarsi che non ci sia qualcuno ad origliare.
«Perché li conosco e non voglio che possa succedere qualcosa mentre tu sei qui.» Sono costretto ad ammetterlo, ma lei sembra non essere propensa ad ascoltare.
«Non posso dire loro di andare via, siamo appena arrivati.»
«Haley-» Non so se finisco di formulare la frase o meno, ma il colpo di pistola sovrasta la mia voce.
Haley grida e in uno scatto repentino, mi ritrovo a tirarla verso di me, stringendola tra le braccia a farle da scudo. L'imprecazione questa volta non sono capace di trattenerla.
«Che cosa succede?» La sento divincolarsi tra le mie braccia, ad afferrare la stoffa della mia maglietta; mi guardo intorno perché in realtà non lo so.
«Devi aspettarmi qui, d'accordo?» Le prendo il viso tra le mani, guardandola negli occhi mentre scandisco parola per parola. «Tornerò il prima possibile e ti porterò via con me.»
«No, gli altri-»
«Non m'importa di nessun altro, ho bisogno di sapere te al sicuro. Ti prego, non ti muovere.» Non le do più tempo di rispondere perché il tempo è qualcosa che al momento manca; apro la porta alle nostre spalle e la spingo delicatamente all'interno, lei continua a tenere la mia mano.
La lascio andare controvoglia perché tutto quello che vorrei fare è portarla fuori di lì il prima possibile.
Corro lungo il corridoio e la scena che mi si para davanti, è pressoché identica a quella immaginata fino a qualche secondo prima: un ragazzo dai capelli ricci brandisce una pistola mentre un ragazzo con un berretto verde si tiene il braccio. Sento la terra frantumarsi sotto i piedi: è Austin ed è stato ferito.
«Sparite da qui, è meglio per tutti.» Minaccia uno di loro; guardandomi intorno colgo la paura nei gesti e negli occhi delle persone presenti. Gli amici di Haley la stanno cercando con lo sguardo, ma sanno di non potersi muovere; Madison sta piangendo, Zac ha i pugni stretti lungo i fianchi.
«Ce ne andiamo» Randy alza le mani in segno di resa muovendosi lentamente; mi passa accanto e mima con le labbra: «coraggio.» Lo fermo immediatamente, bloccandogli la spalla perché non vada oltre.
«Haley è qui, non posso lasciarla da sola.» Non lo so se anche alle sue orecchie la mia voce ha un tono di supplica. Randy inarca le sopracciglia perché non sono nemmeno sicuro che si ricordi di chi sto parlando.
«Che diavolo stai dicendo? Se non vuoi finire ammazzato, porta il tuo culo fuori di qui.» Non è un consiglio il suo, ma un ordine bello e buono; mi costringe a camminare trascinandomi per il gomito. Io punto i piedi a terra.
«Non mi muovo di qui se lei non esce da questo posto con me. Devi distrarli» indico i ragazzi con un debole cenno del mento. «Non posso tornare indietro, mi hanno visto.» Randy sbuffa, ma mi porge le chiavi della sua motocicletta.
«Ti farai uccidere.» Bisbiglia, ma la cosa non m'importa: Haley deve uscire da lì.
Randy mormora qualcos'altro, ma non capisco. È però qualcosa che distrae l'attenzione dei ragazzi, focalizzandosi su Randy e gli altri amici.
Ho giusto il tempo di voltarmi e correre verso Haley.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 18
*** 18. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 18
H.

 
Non riesco a capire cosa stia succedendo. Ho il cuore che mi rimbomba nel petto, nello stomaco, perfino nelle tempie.
Sono talmente terrorizzata che non saprei nemmeno dire se lo sparo sentito è qualcosa di reale o meno.
In corridoio echeggiano passi veloci; qualcuno sta correndo nella mia direzione e la paura aumenta; e se qualcuno entrasse brandendo una pistola?
Indietreggio quando la maniglia della porta si abbassa, rivelandomi l'entrata di qualcuno.
D'istinto chiudo in fretta gli occhi; nessuno spara, una mano prende saldamente la mia.
Justin è davanti a me, con il petto che si alza e si abbassa; ho le vertigini.
Non so se sono io a buttarmi tra le sue braccia o è lui a tirarmi verso di sé. Indietreggia leggermente, ma non per sottrarsi a quel gesto: mi sta abbracciando e lo slancio gli ha fatto perdere momentaneamente l'equilibrio.
«Andiamo via di qui.» Me lo sussurra all'orecchio ma, contro ogni aspettativa, scuoto la testa.
«I miei amici-»
«Non m'importa» m'interrompe bruscamente, scostandomi dal suo corpo per guardarmi negli occhi. «Devi venire via con me, voglio che tu sia al sicuro e la cosa non può succedere fino a che restiamo in questo cazzo di posto.»
«Non posso lasciarli qui!» Cerco di divincolarmi per scappare e tornare dai miei amici. Justin mi blocca di nuovo.
«Haley, cazzo» sono spinta contro la parete e chiudo gli occhi. «Giuro su Dio, ti trascinerò via con la forza se necessario. A loro non faranno del male, probabilmente sono già fuori. Voglio che tu venga con me. Ti prego Haley.» Il suo tono di voce cambia e mi ritrovo ad annuire senza rendermene conto.
«Non accadrà niente, vero?» Glielo domando con un filo di voce.
«Te lo prometto.» Annuisce alle sue stesse parole e mi prende per mano, costringendomi a muovermi. «Ora ti supplico, andiamo via di qui.» Justin apre la porta e resto dietro di lui perché non mi permette di camminargli a fianco, come se volesse proteggermi da qualsiasi cosa. Si ferma in mezzo al corridoio e sembra titubante; il cuore non smette di battere.
«Dobbiamo uscire dal retro.» Lo dice più a se stesso che a me in particolare; fa marcia indietro, cercando con lo sguardo l'uscita secondaria, ma sono io a indicargliela.
Con nostra fortuna, non è chiusa a chiave; le sirene della polizia echeggiano nell'aria. Non sono ancora qui, ma non tarderanno ad arrivare.
Mi accorgo a malapena di essere ferma di fronte ad una motocicletta. Lascio la mano di Justin e lui si volta, dondolando tra due dita un mazzo di chiavi.
«Sali, non ti chiederò cortesemente di farlo.» Il suo non è nient'altro che un ordine e non mi dà possibilità di poter replicare perché è già seduto su di essa, con il motore che romba. Justin mi osserva dallo specchietto mentre indietreggio ulteriormente.
«Ho paura.» Mormoro; lui sbuffa e si volta verso di me.
«Non avevo alcun dubbio, ma non m'importa. Sali e basta.» Continua a essere un ordine, ma questa volta mi porge la mano. Io però non ho nessuna intenzione di muovermi; Justin sospira e le sirene si avvicinano. «Ti prego.»
Afferro la sua mano e monto sulla motocicletta, Justin volta la testa verso di me.
«Stringiti forte a me.» Annuisco e faccio esattamente come dice, mentre sotto di noi il motore romba ulteriormente; forse lo immagino, ma sento Madison gridare il mio nome.
Non ho tempo di voltarmi e controllare, Justin parte e sono letteralmente sospinta all'indietro. Mi stringo maggiormente al corpo di Justin mentre due auto della polizia ci passano accanto. Nessuno di loro sembra interessato a noi e questo rilassa Justin, nonostante aumenti la velocità, sfrecciando nel traffico come se ne dipendesse la sua vita.
La moto si ferma dopo qualche tempo; sento freddo e mi rendo conto di non riuscire a muovere un singolo muscolo del corpo. Le mani di Justin si posano sulle mie, a sciogliere l'intreccio della morsa in cui lo sto stringendo.
«Coraggio» mormora, liberandosi e scendendo dalla motocicletta. Io devo posare entrambe le mani sulla sella vuota per non sbilanciarmi e cadere a terra. «Ora puoi scendere.»
«Beh, magari non voglio farlo.» Justin mi guarda confuso, poi lo vedo sorridere e scuotere la testa; non passa troppo tempo prima che allunghi una mano verso di me.
Sbuffo, ma la afferro perché so di non avere altro modo per scendere da lì; mi tremano le gambe non appena i miei piedi toccano il suolo. Io stessa me ne sorprendo mentre Justin sussulta e mi tira verso di sé, tanto che mi devo aggrappare alla sua maglietta.
Sotto le dita sento i suoi muscoli tendersi per lo sforzo di reggere me insieme alla motocicletta perché non cada al suolo.
«Haley» mormora a denti stretti. «Per favore, non cadere.»
Vorrei ribattere che non è una mia scelta, non sono pienamente padrona delle mie azioni; mi limito ad annuire e lo vedo intento a trovare un modo per non fare danni alla moto, a se stesso e a me.
Viene soccorso all'ultimo: due auto ci raggiungono e un paio di ragazzi corrono verso di noi; non li conosco.
Due di loro si precipitano a sorreggere la motocicletta, un altro attraversa il vialetto di corsa. Justin usa entrambe le braccia per reggermi.
«Va tutto bene?» Non so chi sia stato a porre quella domanda.
«Tu che dici?» Justin ribatte piccato, poi abbassa lo sguardo su di me. «Ce la fai a camminare?»
Vorrei dire che sì, sono perfettamente in grado di reggermi sulle gambe, ma non ce la faccio e Justin sogghigna. E lo odio per questo.
Si abbassa di qualche centimetro, posando una mano alla base della mia schiena e una appena sotto le ginocchia; mi solleva da terra senza alcuno sforzo, costringendomi a portare entrambe le braccia intorno al suo collo per reggermi ulteriormente.
Mi porta fino in casa, lasciandomi sul divano e sedendosi accanto a me.
«Meglio?» Mi sta prendendo in giro, ma non ho tempo di poter ribattere perché un bicchiere colmo d'acqua mi viene messo davanti al viso.
«Bevi, ti sentirai meglio.» So che si tratta di acqua e zucchero perché ci sono dei rimasugli sul fondo ed è disgustosa, però lo svuoto completamente, lasciandolo in bilico sulle ginocchia.
«Mi dispiace.» Borbotto, fissandomi la punta delle scarpe.
«Per cosa?» Justin si siede meglio sul divano, allungando un braccio sullo schienale, dietro le mie spalle.
«Justin, hai dovuto letteralmente portarmi in braccio» alzo gli occhi al cielo mentre Justin inarca un sopracciglio. «Mi sento un'idiota.» Sorride e mi sfiora una ciocca di capelli con le dita.
«Poteva andarti peggio: potevi cadere direttamente dalla moto in corsa.» Contro la mia volontà sento le labbra distendersi in un sorriso, ma gli lascio una gomitata dritta sulle costole.
Un ragazzo fa il giro del divano per inginocchiarsi alla mia altezza, posando le mani sulle mie gambe per sostenersi e non perdere l'equilibrio.
«Ti senti meglio?» Me lo chiede con un semplice sorriso e non posso fare altro che annuire, allungandogli il bicchiere ormai vuoto. «Sono Randy, comunque.»
«Posso usare il bagno, per favore?» Non mi presento e ho come l'impressione di non averne bisogno.
«Su per le scale, seconda porta a sinistra.» Si alza mentre indica il piano superiore.
C'è una scala a chiocciola e quasi cambio idea; non riesco a stare correttamente in piedi, figuriamoci girare in tondo salendo gli scalini.
Mi alzo dal divano, raggiungendo il corrimano. Riesco a farne appena due prima di dovermi aggrappare saldamente. Sento la risata di Justin ancora prima di capire che la mano ferma sulla mia schiena appartiene a lui.
«Ti ho presa equilibrista.» Sogghigna di nuovo e mi ritrovo a sbuffare, continuando a salire gli scalini.
È Justin a indicarmi la porta e solo una volta dentro mi rendo conto che siamo nella camera degli ospiti. In fondo ad essa c'è una porta, che conferma la presenza del bagno.
Me la chiudo alle spalle e non so quando o perché, ma due lacrime mi solcano le guance.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 19
*** 19. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 19
J.

 
Mi siedo con ancora l'ombra del sorriso a dipingermi le labbra; nelle vene però, continua a scorrere ansia e preoccupazione.
Per me, per Haley, per Austin e chiunque altro fosse presente in quel dannato locale.
Non lo so che cosa scatta dentro la mia testa in quel preciso istante, ma capisco una cosa fondamentale: devo allontanarmi da Haley.
Devo farlo perché, inevitabilmente, si farà del male. Mi sono sempre imposto che nessuno vicino a me dovrà mai essere ferito, eppure nell'arco di poco tempo, questa promessa a me stesso è stata infranta un paio di volte.
Mi alzo in fretta dal letto, sbuffando. C'è qualcosa che non va e solo quando mi avvicino alla porta del bagno, capisco realmente cosa sta succedendo: Haley sta piangendo.
Il cuore manca un leggero battito e sfioro la maniglia della porta, pronto ad abbassarla.
«Haley, posso entrare?» Lei non risponde e mi azzardo ad aprire leggermente la porta; è seduta a terra, con le ginocchia strette al petto. Abbassa lo sguardo asciugandosi la guancia con il dorso della mano; m'inginocchio di fronte a lei.
«Perché stai piangendo?» Glielo chiedo perché appena un momento prima sorrideva. Continua a non rispondere e mi siedo accanto a lei, porgendole la mano. La guarda titubante, ma la afferra dopo qualche secondo.
Non lo so se sono io che intreccio le mie dita alle sue o viceversa.
«Non me lo vuoi proprio dire, vero?» Scuote la testa in risposta ed io mi stringo nelle spalle. «Vorrà dire che rimarremo qui seduti fino a quando non ti deciderai a parlare.»
La vedo l'ombra che appare sul suo viso. La vedo anche muoversi appena e posare la sua guancia sulla mia spalla; è così vicina che il suo profumo mi dà alla testa.
Resta in silenzio e non riesco nemmeno a capire se abbia smesso di piangere o se stia continuando silenziosamente.
Passano minuti interi prima che si scosti da me, asciugandosi definitivamente la guancia con le dita.
«Va meglio?» Continuo a porre domande alle quali la sua voce non arriva mai a rispondere. Quando annuisce, sono io ad alzarmi e portarla con me. Mi segue fuori dal bagno, poi lascia la mia mano dandomi persino le spalle.
«Mi dispiace.» Mormora qualche secondo dopo, scostandosi i capelli dalle spalle.
«Non ti sto accusando di niente, perché le scuse?» Sono realmente confuso da ciò; lei si volta.
«Mi hai visto?» Si indica con un sorriso carico di amarezza a dipingerle il volto. «Sto piangendo per qualcosa che nemmeno io so. Mi sento così stupida che-»
«Non sei stupida.» La interrompo e mi avvicino quel tanto che basta per poterle sollevare il mento.
«Non fare così.» I suoi occhi sono così azzurri che mi confondono.
«Che cosa sto facendo?»
«Perché mi hai portata via dal locale? Perché fingi di interessarti quando un momento prima mi hai trattato come un'idiota?» Haley è davvero arrabbiata e sono costretto a fare un passo indietro, con la paura che possa colpirmi.
«Mi dispiace se ti ho dato l'impressione di trattarti come un'idiota qualche volta» Haley alza gli occhi al cielo alle mie parole. «E te l'ho detto mille volte: quei ragazzi erano pericolosi, non volevo che ti succedesse qualcosa.»
«Cazzo, sono morta di paura.» Il suo è un sussurro appena accennato, ma sono tanto vicino da sentirlo chiaramente. Le prendo il viso tra le mani: ha le guance umide.
«Non era mia intenzione spaventarti.» Haley scuote la testa e lo so che sta per ribattere, ma non glielo permetto: le mie labbra sono già premute sulle sue.
Sussulta, ma contro ogni mia aspettativa, non fa nulla per allontanarmi. Tutt'altro: le sue mani si stringono al colletto della maglietta che indosso prima che riesca a rendermene del tutto conto.
È audace tutta d'un tratto e gioco di conseguenza perché le porto una mano dietro la schiena solo per rendermi il compito di farla scontrare con il mio corpo più semplice.
Haley risponde a ogni singolo bacio e quando cerco un contatto più intimo, non me lo nega. Le cingo i fianchi con le braccia solo per sollevarla e farla finire contro la parete.
Non ha possibilità di scappare, ma come io non glielo permetterei, lei non sembra nemmeno provare a farlo.
Spingo entrambe le mani sulla parete alle sue spalle e piego il capo quel tanto che basta per incastrarlo nell'incavo del suo collo.
Sa di buono e non esito a baciarle ogni punto che le mie labbra riescono a raggiungere senza incontrare difficoltà.
Inarca la schiena, rendendomi il compito più semplice; torno alle sue labbra perché se continuassi, le marchierei la pelle già fin troppo sensibile del collo.
I miei polmoni però richiedono ossigeno e sono costretto ad allontanarmi per cercarne un po'. Anche il suo petto si alza e si abbassa fin troppo velocemente, ma le sue mani tengono ancora ben salda la stoffa della mia maglietta.
Qualcuno bussa alla porta e non so chi dei due sobbalzi più visibilmente.
«Va tutto bene?» La voce di Randy che rimbomba per il corridoio non è mai stata tanto fastidiosa come in questo momento.
Haley riesce a sfuggire dalla mia presa e la osservo mentre si scosta i capelli dalle spalle.
«Arriviamo.» Randy non aggiunge altro e immagino sia già tornato di sotto; Haley sta controllando il cellulare, poi sbuffa.
«Che succede?»
«Madison ha provato a chiamarmi un milione di volte» mi mostra lo schermo mentre parla. «Se ha avvisato i miei genitori, sono morta.» Lascia che il telefono le cada dalle mani, finendo sul letto dove lei stessa si siede, occupando il bordo del materasso. L'imprecazione mi esce dalle labbra senza che me ne renda conto.
«Chiamala.» Haley mi guarda come se fossi impazzito tutto a un tratto.
«Ti sei per caso bevuto il cervello? Devo andare a casa.» Si alza in fretta, urtandomi la spalla quando cerca di sorpassarmi; la fermo semplicemente afferrandole il polso.
«Chiamala.» Glielo ripeto scandendo ogni sillaba. Haley mormora un insulto prima di si stringere le labbra e obbedire.
Compone il numero di Madison e la sua voce arriva forte e chiara attraverso il vivavoce dopo appena un paio di squilli; è fastidiosa come sempre.
«Haley, dove cazzo sei?» Esordisce, ma la cosa non mi stupisce. «Perché diavolo Bieber ti ha portato via su una maledetta moto?» Non è arrabbiata, è furiosa; forse persino terrorizzata. Haley scuote la testa e mi rendo conto che forse, non è stata una buona idea.
«Sono con Justin.» Replica semplicemente, prima di guardarmi.
«Perché sei con quel delinquente? Ti ha fatto del male? Dimmi esattamente dove ti trovi, veniamo subito a prenderti.» Parla talmente in fretta che a malapena capisco cosa stia dicendo.
«Non hai chiamato i miei genitori, vero?» Madison tace per qualche secondo e vedo il panico impossessarsi di Haley, che irrigidisce le spalle mentre attende una risposta da parte sua.
«Certo che no! Siamo a casa di Zac, ma veniamo a prenderti all'istante. Dimmi dove sei.» Suona come quello che è: un ordine. In sottofondo sento la voce di Zac, ma non capisco le sue parole.
«No, la riporterò io a casa.» Chiudo la chiamata in un istante e Haley mi guarda stralunata.
«Ma perché diavolo lo hai fatto?» Mi spinge posando entrambi i palmi delle mani sul petto, ma non abbastanza forte da farmi indietreggiare.
«Seguimi.» Anche il mio è un ordine e ignoro volutamente le sue proteste.
Tengo la porta della stanza aperta in modo che possa uscire, ma impiega qualche secondo di troppo prima di decidersi.
Non so cosa la faccia cambiare improvvisamente espressione, ma obbedisce e usa il momento di uscita per darmi l'ennesima spallata, che senso eccome questa volta.
Qualcuno si sta lamentando e la voce arriva più chiara mentre scendiamo gli scalini.
Solo in quel momento mi rendo conto di una cosa: Austin non è tornato con Randy.
Faccio gli ultimi scalini di corsa, raggiungendo la cucina in un istante: Austin è seduto su una sedia mentre Jennifer gli gira intorno con delle garze. C'è odore di disinfettante a impregnare la stanza.
«È più grave di quanto pensassi, ma niente che non possa guarire.» Sussulto alle sue parole, ma cerco di farmi coraggio anche per Austin. Se fosse davvero così grave, lo avrebbero già portato di corsa in ospedale.
Mi avvicino ad Austin, posandogli una mano sulle spalle.
«Andrà tutto bene, Jennifer sa quello che fa.» Cerco di rassicurarlo, ma in fondo so di stare dicendo la verità; lui annuisce e vedo il segno dei denti sul labbro inferiore, forse stretto con più forza del dovuto.
«Dov'è Haley?» Me lo chiede a bassa voce e faccio un cenno verso la sala.
«La riporto a casa non appena sarò sicuro che tu non abbia bisogno di andare in ospedale.» Austin impreca mentre Jennifer lo tocca, ma io sogghigno alla sua espressione.
«Neanche da morto dovrai portarmi in ospedale.»
Mi volto perché sento qualcuno avvicinarsi all'ingresso della cucina: Haley.
«Portala a casa.» È Randy a suggerirlo, passandosi una mano sul viso. Stringo di nuovo la spalla di Austin, ma obbedisco.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 20
*** 20. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 20
H.

 
Lo so che non sono affari miei, ma non posso evitare di chiederlo.
«Che cos'è successo ad Austin?» Justin è ad appena pochi passi da me, mentre gli pongo quella domanda.
«Niente di grave. Ti porto a casa coraggio.» Risponde brusco e mi prende per il gomito, trascinandomi letteralmente per il corridoio diretto poi alla porta. Non so come, ma riesco a puntare i piedi, fermando la sua corsa; Justin impreca in modo colorito. «Te lo spiego una volta in auto.»
Non aggiungo altro, mi limito a un'occhiataccia e faccio in modo che lasci la presa dal mio braccio.
Lo sorpasso e sono io ad aprire la porta, che però non sento sbattere alle mie spalle. Raggiungo la macchina di Justin ed è lui stesso a far scattare l'apertura centralizzata. Non aspetto che mi dia il permesso di salire, lo faccio e basta. Lui fa altrettanto e in silenzio mette in moto.
È costretto a una retromarcia e voltandosi per avere una migliore visuale, incrocia il mio sguardo. Lo distolgo l'istante seguente, gli anelli che porto alle dita sono diventati interessanti tutto ad un tratto.
Justin guida in silenzio, nemmeno lo stereo disturba la quiete carica di tensione.
«Va tutto bene?» La domanda di Justin mi spiazza, ma annuisco.
«Voglio solo andare a casa.» Sono ancora piuttosto piccata e lo vedo stringere le labbra senza proferire ulteriori parole; mezz'ora dopo, siamo fermi di fronte a casa mia.
Sgancio la cintura di sicurezza, pronta a scendere con la speranza di non rivederlo mai più. Justin però è tanto svelto da bloccare i miei movimenti afferrandomi il polso.
«Aspetta un momento.» Ha la voce roca, ma non lo guardo; continuo a contare le pietruzze blu incastonate sull'anello nella mano sinistra. «Sicura di stare bene?»
«No.» Lo dico a bassa voce ma Justin serra la mascella. «Non ho idea di cosa cazzo sia successo perché tu non me lo vuoi dire. So solo che hanno sparato ad Austin e che avrebbero potuto fare del male ad altre persone, tu ed io compresi. Non so che diavolo stia succedendo nella mia vita da quando ti parlo e non voglio che-»
«Haley» Justin interrompe il flusso delle mie parole scoordinate posandomi una mano sulla spalla. «Respira.» Questa volta non è un suo solito ordine, ma un consiglio. Non so perché, ma lo seguo e sono persino grata che me lo abbia detto.
Il mio cuore pompa così forte contro la gabbia toracica che potrei avere un attacco di panico nel giro di qualche minuto.
«Vieni qua.»
Capisco le sue parole solo quando mi ritrovo tra le sue braccia. Chiudo gli occhi, ritrovandomi a prendere un lungo respiro; l'aria intorno a me sa di lui.
«Ti verrà un esaurimento nervoso se continui ad agitarti in questo modo.» Sento le sue labbra sulla tempia, sta sorridendo.
«No, tu mi farai venire un esaurimento nervoso.» La sua risata echeggia nell'auto e mi lascia andare; il cuore continua a battere forte, ma il respiro è regolare. Le mani di Justin si posano sul volante.
«Perché gli hanno sparato?» Justin serra le labbra alla mia domanda, poi si stringe nelle spalle.
«Non lo so.» Non sta mentendo, non conosce davvero il motivo di tutto ciò.
«Sta bene?» Justin annuisce e anche questa volta so che dice la verità. «Perché mi hai portato via?» So di essere fastidiosa, ma ho bisogno di saperlo.
«Per l'ennesima volta: non volevo rischiare che potessi farti del male.» Sembra una cantilena ormai.
«Ma che motivo avrebbero avuto?» Se potessi allargare le braccia e mostrare tutta la mia frustrazione lo farei.
«Uno qualsiasi, credimi. Non so cosa sia successo per fa sì che sparassero ad Austin, ma sarebbe potuto accadere a chiunque e il solo pensiero che tu fossi lì, mi ha fatto uscire di testa.» Parla velocemente, fatico quasi a stargli dietro.
Poi lo ringrazio e lui è così sorpreso da voltarsi completamente verso di me. Lo vedo sorridere e sento le guance avvampare.
«Questa sera puoi tornare a casa?» Glielo domando così, senza nessuna logica. Justin deve forse interpretarlo male perché inarca un sopracciglio.
«Vuoi che dorma ancora sul pavimento? Grazie, ma sono molto più comodo in un letto, a casa mia. Dove non devo saltare giù da un tetto alle sei di mattina per paura di essere scoperto.» Mi sta rinfacciando ogni cosa ma scoppio a ridere.
«Sei un idiota.» Scuoto la testa mentre glielo dico e si stringe nelle spalle.
«Già.» Replica, alzando gli occhi al cielo. «Haley-»
«Perché l'altro giorno – alla festa di mio fratello – mi hai baciato?» Lo interrompo senza che nemmeno abbia il tempo di rendermi conto di stare porgendo quella domanda. «E perché l'hai rifatto ancora e ancora, persino stasera?» Justin è del tutto spiazzato ed io sono consapevole di avere le guance in fiamme.
«N-non lo so.» Replica, appena qualche secondo dopo.
«Non mentire.» Incrocio le braccia al petto; non so se sospiri o sbuffi.
«Perché sei esasperante» ammette infine. «E perché, al momento, è l'unico modo che conosco per farti stare zitta.»
Non lo so se mi stia prendendo in giro o meno.
«Io sarei esasperante?» M'indico, sottolineando la sua teoria; Justin annuisce serio. «Io non sono esasperante!» Justin scoppia a ridere e lo colpisco al braccio; lui sobbalza perché senza volerlo, devo aver colpito il punto ancora ferito.
«Oh Dio, mi dispiace.» Mi porto una mano alla bocca, mentre l'altra cerca la sua spalla. Justin scuote la testa, ma rilassa i lineamenti.
«Le tue scuse mi hanno stancato.» Non so quando si è avvicinato tanto.
«Scusa.» La mia risposta è involontaria. Justin alza gli occhi al cielo e sto per scusarmi di nuovo, ma non ho realmente il tempo necessario per farlo.
Se anche volessi, le sue labbra premute sulle mie m'impedirebbero comunque di poter formulare una frase sensata.
La sua mano è subito sulla mia schiena, lo sa che non mi scosterei. Cerca di portarmi verso di sé o forse è lui a fare leva per potersi avvicinare. La manopola del cambio ostruisce però il passaggio.
Non so dove trovo il coraggio per compiere quel gesto, ma mi sposto in avanti quel tanto che serve a sorpassarla e a finire cavalcioni sulle gambe di Justin.
Il volante preme sulla mia schiena e Justin usa la mano libera per far scattare la leva del sedile; in un unico gesto siamo sospinti all'indietro.
Sono più libera nei movimenti e posso intrecciargli le mani nei capelli. Justin lascia le mie labbra solo per scendere lungo il collo. È ancora sensibile e so per certo che domani mattina potrei trovare un livido violaceo da qualche parte.
Non mi bacia, mi sfiora la pelle con la punta del naso e rabbrividisco a quel simile contatto, così tanto che inarco la schiena.
Justin mi solletica i fianchi con le dita e torna a torturarmi le labbra, baciandone prima gli angoli. Poi si ferma e mi guarda semplicemente negli occhi, risalendo la mia coscia con le dita. Il suo respiro si calma, il mio impazzisce.
«Sono ancora esasperante?»
Non sono nemmeno sicura che mi abbia sentito, ma le sue labbra si curvano in un leggero sorriso. È bello quando sorride.
«Non immagini quanto.» Vorrei che mi baciasse, ma all'ultimo sono io a scostarmi; mi sfiora appena.
«Devo andare.» Lo vedo mentre stringe i denti, però annuisce. Mi permette di tornare sul sedile del passeggero solo dopo aver preso un lungo respiro.
La leva scatta ancora e si avvicina di nuovo al volante, su cui poggia entrambe le mani. Lo sento il cambio di umore, ma lo ignoro.
«Grazie per avermi riaccompagnato.» Justin annuisce e sono costretta a schiarirmi appena la voce. «Ci vediamo a scuola, buonanotte.»
Sono già scesa dall'auto quando Justin ricambia il saluto. Lo sento sfrecciare via solo dopo aver attraversato la strada.
Sono così distratta da non accorgermi di tre figure accanto al cancello; grido e mi porto le mani alle labbra quando il lampione illumina il viso di Madison.
«Cristo S- mi avete spaventata a morte!»
«Ah, ma davvero?» Madison è infuriata. «Te ne sei andata con Bieber, su una cazzo di moto!» Le stringo il braccio perché sta urlando.
«Abbassa la voce, stupida.»
«Stai bene?» Zac mi scruta con lo sguardo e mi gratto distrattamente la spalla, mentre con la coda dell'occhio controllo i paraggi.
«Sì.» Madison scuote la testa.
«Perché diamine eri con lui?» Questa volta tiene la voce bassa; boccheggio in cerca di qualcosa da dire che si avvicini alla verità.
«L'ho incrociato mentre stavo andando in bagno. Stavo tornando indietro quando abbiamo sentito lo sparo e mi ha fatto uscire dalla porta sul retro. Austin è stato ferito e mi ha portata con lui a casa di un suo amico per accertarsi che stesse bene.» Parlo così velocemente che non sono nemmeno sicura che abbiano capito qualcosa; Madison alza le mani in segno di resa.
«Ringrazia Dio che non abbia chiamato i tuoi genitori quando non sapevo dove fossi finita o perché Justin ti abbia portato via su una dannata moto!»
«L'avresti fatto, non è vero?» Zac è costretto ad allungare un braccio, tanto da premerlo sul mio stomaco per evitare che mi avvicini troppo a Madison.
«Puoi giurarci» replica lei. «Se non mi avessi chiamato, sarei andata alla polizia per-»
«Andate via di qui.» Sposto bruscamente il braccio di Zac, interrompendo le parole di Madison; la serratura del cancelletto scatta quando inserisco le chiavi.
«Haley-»
«Ora. Sparite dalla mia vita.» Non sento le parole di Zac, ma le imprecazioni di Madison quando volto loro le spalle.

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 21
*** 21. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 21
J.

 
«Justin per l'amor di Dio, sono le otto.»
Da quanto dice mia madre, sono le otto da circa una mezz'ora. Non so se sia al piano di sopra o mi stia chiamando dalla tromba delle scale, ma mi alzo una volta per tutte.
Mi stiracchio nel momento in cui il telefono prende a vibrare sul comodino.

Da Randy:
«Alle quattro a casa mia.»

Ordini su ordini; nel mentre, mamma mi chiama altre due volte.
Mi vesto in fretta, scendo le scale con l'orlo della camicia incastrato nella cinta dei jeans; mamma è indaffarata e la osservo sbadigliando.
«Che cosa stai facendo?» Le pizzico di proposito il braccio, solo per infastidirla ed in risposta ricevo uno spolverino puntato addosso; alzo le mani in segno di resa.
«Ho una riunione tra circa un'ora, ti voglio fuori di qui il prima possibile.» Ho riempito una tazza di cereali, che lei mi porta via dalle mani perché sto sporcando il tavolo; sono costretto a finire la colazione in piedi, con la schiena premuta contro il frigorifero ed il suo sguardo puntato addosso.
Sembra persino isterica, ma la scodella è ormai vuota e l'unico posto in cui poterla lasciare è il lavandino. Lei però urla qualcosa, ma non capisco realmente cosa abbia appena detto, sono già fuori dalla cucina.
Jazzy è in sala, intenta a guardare la televisione.
«Per favore, accompagna tua sorella a scuola.» Qualcosa sulle mensole deve essere fuori posto.
«Mi sembri un tantino nervosa questa mattina» allungo una mano verso Jazzy. «Coraggio, usciamo di qui prima che decida di spolverare anche te.» Jazzy scoppia a ridere, ma obbedisce.
«Molto spiritoso Justin, davvero.» La sento replicare, mentre mi chiudo la porta alle spalle; Jazzy è già pronta per salire in auto.
Solo quando parcheggio nello spiazzale della scuola mi rendo conto che non sono passato a prendere Austin, come gli avevo promesso la sera prima. Scoppio a ridere tra me e me, ma la cosa finisce nell'istante in cui lo incrocio poco prima dell'entrata, accanto a Seth. Non mi dà tempo di spiegare, mi colpisce il braccio con un pugno.
«Cazzo, mi dispiace» mormoro, massaggiandomi il punto colpito, ma trattenendo a stento le risate. «Ho dovuto accompagnare mia sorella a scuola e mi sono dimenticato.»
«Fottiti.» Ribatte semplicemente, dandomi le spalle ed entrando nei corridoi di scuola; fulmino con lo sguardo Seth, il quale mi cammina accanto, ma seguiamo entrambi Austin.
Tutti e tre siamo in ritardo e la professoressa non perde occasione per farcelo notare e regalarci una ramanzina di prima mattina. Gli sguardi dei presenti tornano a fissare i banchi davanti a loro quando capiscono di non potersi lasciare andare a risate di scherno.
Questa mattina però sono di buon umore e probabilmente non mi darebbero nemmeno così fastidio. Gli occhi di Zac che incrociano i miei rovinano però tutto.
Così tanto che costringo Austin ad alzarsi e scambiare il suo posto con il mio. Devo persino sollevarlo di peso e la sua imprecazione fa voltare nuovamente la professoressa.
«Mi scusi, ma non vedo bene da qui.» Mi siedo l'istante dopo; Austin si sta aggiustando la camicia, poi fa lo stesso.
«Vaffanculo.» Lo sento borbottare e poi sprofondare nella sedia.
«Sta' zitto.» Ribatto, voltandomi verso l'insegnante.
Non presto attenzione, come metà della classe, ma alle parole "test" e "Mercoledì", le orecchie di tutti sembrano drizzarsi.
La campanella suona tra sbuffi e lamentale, mentre io mi alzo in fretta per lasciare l'aula. Austin mi è subito dietro e mi sta dando talmente i nervi con qualcosa che mi sta dicendo e alla quale non presto attenzione, che voltandomi, rischia di finirmi addosso.
«Giuro su Dio che ti sbatto contro al muro se non chiudi subito la bocca.» Devo aver alzato parecchio la voce perché alcuni si voltano, ma ad Austin sembra non importare poi molto. Mormora qualcosa in risposta, ma poi entra in classe dall'altro lato del corridoio.
Le due ore successive di Letteratura passano fin troppo in fretta, tanto che mi sorprendo del suono della campanella.
Tra gli altri studenti del corridoio trovo Austin, è intento a parlare con una ragazza che non conosco. Lui però ha il suo solito ghigno dipinto in viso; incrocia il mio sguardo qualche secondo dopo e mormora qualcosa all'orecchio della ragazza, la quale annuisce e si sposta verso la mensa; Austin viene verso di me.
«Che c'è, non me la presenti?»
«Sta' zitto.» Borbotta Austin, allungando il passo e lasciandomi indietro.
«Che ho detto di male!» Lo raggiungo in un istante, gettandogli un braccio al collo. Austin scuote la testa, ma sta bene attento a colpirmi una costola con il gomito. Poco prima di raggiungere la mensa, dall'altra parte del corridoio c'è Haley e sta trafficando con il suo armadietto.
«Ci vediamo dopo.» Austin annuisce, ma non mi presta troppo attenzione; è incazzato con me, lo sento.
I miei passi echeggiano lungo il corridoio perché non c'è quasi più nessuno che vi cammina. Haley però non se ne accorge perché sussulta quando mi avvicino.
«Mi hai spaventato.» Mi dà una leggera spinta prima di portarsi una mano al petto.
«Hai perso qualcosa?» Glielo chiedo perché nel suo armadietto sembra essere scoppiata una bomba.
«Il mio telefono» mi lascia cadere tra le mani un paio di libri ed un astuccio colorato. «Non lo trovo da nessuna parte.»
«Sì beh, fa' pure con comodo.» Borbotto, mentre l'ennesimo libro cade su quelli che già reggo tra le braccia. Haley si volta, sbuffa e ne riprende un paio, ritirandoli all'interno dell'armadietto. «Lo avrai lasciato in macchina.» Mormoro poi, riponendo le ultime cose. Haley continua a non rispondere e la cosa mi innervosisce.
«Che succede?» Le domando poi; Haley sbatte la porticina dell'armadietto e torna indietro lungo il corridoio. Sbuffo, ma le sono dietro fino a che non entra in un'aula deserta.
«Dopo che mi hai riaccompagnato a casa, li ho trovati fuori dal cancello ad aspettarmi.»
«E dimmi un po': hanno avuto da ridire perché ti ho portato via dal locale?» Glielo chiedo nonostante conosca già la risposta e suoni come un'idiozia. Scoppio a ridere in una risata amara quando Haley annuisce. «Chiederò loro scusa per aver pensato di fare del bene.»
«No, è perché sei stato tu a farlo.» Mormora, sedendosi sul bordo del banco; aggrotto le sopracciglia perché continua ad essere un'assurdità.
«Come se m'importasse.» Haley alza il viso quando le poso entrambe le mani sulle gambe.
«Nemmeno a me interessa qualcosa, ma-»
«Ma cosa?» Glielo chiedo perché lei non continua; scuote la testa, ma l'ombra del sorriso sulle sue labbra non mi sfugge quando mi avvicino pericolosamente al suo viso; siamo alla stessa altezza.
«Niente.» Borbotta, ispirando profondamente.
«Non la sopporto.» Questa volta Haley scoppia a ridere.
«Oh credimi, il sentimento è reciproco.» Mormora, riuscendo ad alzarsi dal banco, lasciandomi come un'idiota di fronte ad esso. «Mi aiuti o no a cercare il cellulare?» Sta già uscendo dall'alula quando mi volto per seguirla.

 
-

«Non mi hai ancora detto chi era la ragazza con la quale stavi parlando.» Chiudo a chiave l'auto prima di stuzzicare nuovamente Austin.
«E continuo ad non avere intenzione di farlo.» Borbotta in risposta.
«Ti ha per caso morso una tarantola?» Busso alla porta di Randy, facendo un passo indietro.
«Senti un po' da che pulpito. Ti sei già dimenticato la tua grandiosa sceneggiata in classe?» È sarcastico mentre me lo chiede e mi fa incazzare.
«Congratulazioni, hai appena mandato a puttane il mio buon umore. Di nuovo.» Gli do una spallata non appena Randy apre la porta di casa.
«Ho già voglia di prenderti a pugni, Bieber.» Il tono di voce di Randy è esasperante mentre mi siedo sul divano.
«Ah, davvero?» Austin scoppia a ridere, seguito da Anthony; Randy sogghigna.
«Sì, hai questo effetto devastante su di me» replica, sfilandosi la sigaretta dalle labbra. «Ma non lascerò che il mio umore venga rovinato.» Vorrei rispondergli di non preoccuparsi, che tanto ci penserà a breve Austin, ma è già lontano diretto verso le scale; guardo i ragazzi accanto a me stringersi nelle spalle.
Randy torna in salotto qualche minuto dopo e tra le mani tiene una scatolina di velluto blu scuro, poi si accomoda sulla poltrona, tenendola in equilibrio sul palmo di una mano. Mi sporgo in avanti quando la apre: c'è un piccolo anello d'oro bianco sormontato da un diamante di svariati carati.
«Ma cos-»
«Jennifer» sussurro, guardando Randy negli occhi. «Vuoi chiedere a Jen di sposarti?» Lo so che suona come una domanda stupida visto il contesto, ma Randy annuisce.
«Quando?» Chiede in fretta Austin.
«Stasera, dopo cena. Ci siamo conosciuti esattamente cinque anni fa.» Randy chiude la scatolina e la posa sul tavolino che ci divide.
«Randy con una fede al dito» mormoro quasi tra me e me. «Riuscite ad immaginarvelo?»
«Mi sembrava di aver detto che non mi sarei fatto rovinare l'umore.» Mi indica con un dito accusatore, ma sta sorridendo e la cosa mi scalda il cuore.
«Dovresti smetterla di essere così aggressivo. Stai per diventare un maritino per bene, amico mio!» Lo prendo in giro e lui scuote la testa prima di alzarsi dal divano ed indicare la porta d'ingresso.
«Fuori di qui.» Ordina, spegnendo la sigaretta nel posacenere. Austin ed Anthony sono i primi ad uscire.
«Congratulazioni, sono fiero di te.» Randy annuisce e la felicità gliela leggo in faccia.
«Ci vediamo domani sera.» Replica, spingendomi letteralmente fuori casa. Raggiungo la mia auto, convinto che Austin sarebbe venuto con me, ma lo vedo accanto a quella di Anthony, dalla quale mi fa un cenno di saluto.
Mi stringo nelle spalle e monto nulla mia di auto; mamma mi avvisa di essere appena passata a prendere Jazzy a scuola.


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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 22
*** 22. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 22
H.

 
Sto ritirando gli ultimi libri nella borsa quando Madison mi cammina accanto senza accorgersi della mia presenza, intenta com'è a litigare con la chiusura del suo zainetto.
È però lei ad incrociare il mio sguardo quando volta la testa nella mia direzione, inconsciamente. Mi squadra per qualche secondo, forse indecisa sul da farsi; non credo si aspettasse di trovarmi lì perché si avvicina cauta.
«Che cosa ci fai ancora qui?» Me lo chiede dopo aver gettato un occhio all'orologio posto sul fondo del corridoio.
«Ero in biblioteca» la mia voce risulta fin troppo piatta. «Tu piuttosto?»
«Il professor Shane mi ha incastrata. Ho passato le ultime due ore a spiegare a dei ragazzini del primo anno le regole base dell'Algebra.» Me lo dice con voce secca, ma devo trattenermi dallo scoppiare a ridere; Madison odia i ragazzi del primo anno tanto quanto detesti l'Algebra.
«Ti serve un passaggio?» Non so perché le stia ponendo questa domanda, ma il mio orgoglio mi ricorda troppo tardi che sono ancora arrabbiata con lei. La sua poca voglia di prendere l'autobus deve annebbiare anche a lei il giudizio.
Annuisce semplicemente e si incammina lungo il corridoio, tendomi aperta la porta in modo che possa trovare le chiavi nella borsa. La sento forte e chiara la tensione tra di noi, quasi fosse elettricità statica pronta a darmi la scossa.
È qualcosa che però parte da me e si abbatte su di lei, tanto che sobbalza quando le mie parole mi escono dalle labbra.
«Non so che cosa ti abbia detto Zac in queste ore, ma l'unica cosa che so è che non vi devo delle scuse.» Impiega qualche secondo ad immagazzinare tutto.
«Ah, davvero?» Lo dice in un tono che lascia trasparire incredulità ed un pizzico di sfida. «Non ho mai avuto tanta paura quanto l'altra notte, un paio di scuse credo di meritarle. Anzi, credo proprio di essere l'unica a cui le devi fare» alza la voce senza nemmeno rendersene conto. «Il non riceverle ti farebbe passare per ipocrita!»
«Tu non sai quello che dici e giudichi Justin da delle semplici voci di corridoio.» Io invece me ne accorgo eccome di aver alzato la voce.
«Lo stai difendendo?» Sembra quasi scioccata a quella sua stessa domanda.
«No, sto solo cercando di dire che-»
«Che non è un delinquente? Che non è vero che se ne va in giro per la città a fare solo Dio sa cosa? Che Justin Bieber è la persona più buona del mondo?» Non mi permette di formulare una frase tanto è presa dal dire la sua.
«No.» So di avere poche speranze di poterla convincere del contrario.
«Haley, stiamo parlando di Bieber. Tra qualche anno marcirà in galera con la sua combriccola, sono aperte le scommesse da sempre.»
C'è solo astio nelle sue parole e tutto ciò mi lascia stranita perché credo che loro due non abbiano mai scambiato due parole. Il pensiero di Justin in carcere mi fa sobbalzare.
«Non lo conosci.»
«Non lo conosci neanche tu.» Ribatte in fretta; non mi sono nemmeno accorta di essere quasi arrivata a destinazione.
«Lo conosco meglio di te.»
«Haley, ma ti senti quando parli?» Credo che la sua domanda sia retorica perché non aspetta una mia risposta. «Ti ha trascinato via su una moto nel bel mezzo della notte, portandoti chissà dove con la scusa che quei tizi avrebbero potuto fare del male a qualcuno quando invece non hanno degnato noi presenti del ben che minimo sguardo. Lo hai persino fatto entrare a casa tua!» Sembra stia elencando tutte le colpe di Justin.
«Madison-»
«Che cosa mi dirai ora, che è una brava persona? Che è un buon amico? Che fa beneficenza? Che ti ha baciato e che ora ti piace?» Madison non sente nemmeno il suo nome da me pronunciato l'unico scopo di zittirla; sono ferma di fronte a casa sua quando pone l'ultima domanda.
«Ma che cosa ti salta in mente?» La sento anche io la nota stonata nella mia voce.
«È proprio quello che ha fatto, non è vero? Per questo lo stai difendendo a spada tratta» scuoto la testa e distolgo lo sguardo dal suo. «Sono curiosa di sapere che storielle ti abbia raccontato per farti finire nella sua rete.»
«Non mi ha baciato-»
«Non posso credere che tu stia prendendo in giro Zac.» Continua ad interrompermi e forse io glielo lascio persino fare perché non sono in grado di formulare una giustificazione.
«Non lo sto prendendo in giro e ti prego, non parlare come se sapessi tutto perché non è così!» Spengo il motore dell'auto e mi volto completamente verso di lei. Madison sembra borbottare qualcosa, poi scuote la testa ed afferra lo zaino. È però indecisa se scendere o meno: opta per una via di mezzo perché salta giù dall'auto, ma si volta nuovamente verso di me.
«Già, ma ti prego: non scomodarti a farmi avere la tua versione dei fatti perché è qualcosa che non m'importa. Fa' pure comunella con Bieber, ma non venire da me quando ti renderai conto di che persona è. Grazie del passaggio.» Parla così in fretta che ha il fiatone quando sbatte la portiera dell'auto.
Non riesco nemmeno a far uscire le lacrime che mi stanno annebbiando la vista; devo prendere solo un lungo respiro e rimettere in moto.
Non mi preoccupo nemmeno di fare rumore una volta rientrata in casa e ignoro persino mio padre, che sentendo il fracasso della borsa che sbatte a destra e a sinistra, chiama il mio nome ad alta voce.
Quando chiudo la porta della stanza, un leggero tintinnio proviene dalla borsa, ma il bussare alla mia camera mi impedisce di controllare di cosa si tratta.
«Papà è tutto a posto, non ti preoccupare.» gli parlo attraverso la porta perché non voglio che mi veda piangere; mi siedo sul bordo del letto, portando i gomiti sulle ginocchia e massaggiandomi le tempie.
«Sicura di stare bene?» Me lo domanda una seconda volta e annuisco anche se non può vedermi. «Stavo andando a prendere Nathan dalla nonna. Ti va di accompagnarmi così mi racconti cos'è successo?»
«No, va bene così. Davvero papà.» Non sento la sua risposta, sono già in bagno ed ho le orecchie ovattate per l'acqua della doccia che scorre. Non le do il tempo di arrivare a temperatura e sobbalzo quando il primo getto freddo mi bagna le braccia.
Non so quanto tempo impiego, ma quando torna il silenzio, l'auto di papà scricchiola sulla ghiaia del vialetto.
Quando controllo il cellulare, ci sono un paio di messaggi. Il primo appartiene a Zac, ma lo ignoro volutamente. Il secondo invece proviene da Justin.

Da Justin:
«Spero tu abbia ritrovato il tuo prezioso cellulare perché ho bisogno di parlarti e chiederti una cosa.»

A Justin:
«La mia pazienza – al contrario della tua – ha portato i suoi risultati. Di che si tratta?»

Da Justin:
«La mia non pazienza ti ha permesso di ritrovarlo. Non essere timida, un "grazie" potresti concedermelo.
Ho un test Mercoledì e ho bisogno di aiuto.»

A Justin:
«Sei consapevole del fatto che Mercoledì è tra due giorni appena? Cosa pensi di fare in così poco tempo?»

Da Justin:
«Per questo ho bisogno di te.»

A Justin:
«Questo fa sempre parte del mio obbligo verso di te con le ripetizioni? Non posso studiare al posto tuo e di certo non ti aiuterò ad imbrogliare.»

Da Justin:
«Nessuno ha mai parlato di imbrogliare.»

A Justin:
«E che cosa dovrei fare?»

Da Justin:
«Venire in biblioteca domani dopo le lezioni. C'è una biblioteca in quel posto, vero?»

A Justin:
«Che tu ci creda o no, c'è una biblioteca.
Finite le lezioni, non fare tardi.»

Da Justin:
«Promesso.»

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 23
*** 23. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 23
J.

 
Esco da scuola solo per recuperare la giacca dall'auto; minaccia pioggia oggi e non ho idea del perché Austin mi stia seguendo, mormorando qualcosa alla quale non presto attenzione.
«Chissà che ha in mente Randy per Sullivan.» Ridacchia da solo e apre lo sportello del passeggero per accomodarsi; guardo l'ora sul quadrante che porto al polso.
«Non verrò da Randy» mi aggiusto la giacca sulle spalle. «Ho ripetizioni.» Chiudo la portiera dei sedili posteriori e mi avvicino nuovamente all'ingresso; sento Austin scendere dall'auto e mi raggiunge bloccandomi per la spalla.
«E come diavolo ci arrivo secondo te? Ucciderà prima me per essere arrivato tardi e poi te per non esserti presentato affatto.» A quella sua affermazione disperata scoppio a ridere.
«Mi dispiace non poter venire, mamma» Austin alza gli occhi al cielo, poi gli allungo le chiavi della mia auto. «Un solo graffio e ti ammazzo con le mie mani. Randy non deve sapere nulla, chiaro?» Austin prende le chiavi al volo e forse vuole anche ribattere con qualche stronzata, ma cambia idea all'ultimo secondo.
Non aspetto che faccia qualcosa in particolare, sono già nel corridoio della scuola.
Mi guardo in giro e mi rendo conto di una cosa che fino a ieri non avevo considerato: io non ho la ben che minima idea di dove sia la biblioteca.
Percorro i corridoi, svoltando prima a destra e poi a sinistra, ma continuo a ritrovarmi sempre nello stesso punto, davanti all'aula di Scienze.
Haley esce da quella di Letteratura, poco più avanti da dove mi trovo io. Incrocia il mio sguardo, mi osserva e poi scoppia a ridere. Il mio piano di fingere di essere consapevole su dove mi trovi, fallisce miseramente.
«Tu non hai idea di dove sia la biblioteca, vero?» Mi raggiunge, fermandosi a pochi passi da me. Vorrei ribattere che si sbaglia, che sono consapevole della sua posizione, ma le sue risate me lo impediscono; mi limito a sbuffare e ad ammettere le mie colpe.
Haley mi fa cenno di seguirlo e non posso fare altro che obbedire o mi ritroverei nuovamente davanti all'aula di Scienze.
Scopro che la biblioteca risulta essere situata al terzo piano e c'è persino una targhetta ad indicare la sua posizione. Come se io fossi mai salito al terzo piano.
Haley spinge la porta d'ingresso, che cigola con non poche difficoltà. Il silenzio che aleggia tra quelle mura è quasi inquietante e dubito fortemente che ci sia qualcuno.
«La Signora Pillow dice che possiamo usarla per un paio d'ore, oggi è giorno di chiusura.» Questo conferma i miei sospetti e annuisco mentre la guardo sfilarsi il cardigan. Io poso la giacca sulla sedia, c'è caldo qui dentro.
«Di che test si tratta?» Impiego qualche secondo a formulare una frase che abbia un senso perché mentre mi pone quella domanda, ha incrociato le braccia al petto.
I capelli le ricadono sulle spalle e si fermano giusto sotto il seno che la scollatura della maglia che indossa lascia scoperta.
«Algebra» replico, distogliendo lo sguardo. È arrossita, e so che si è accorta del mio sguardo su di lei. «Algebra.» Ripeto dopo qualche secondo, annuendo alle mie stesse parole, più sicuro della mia risposta; lei annuisce e si muove tra gli alti scaffali.
La seguo e mi fermo subito dietro di lei quando arresta i suoi passi davanti ad alcuni volumi; ne osserva un paio e ne recupera uno, riprendendo a camminare.
Poco più in là ci sono dei tavoli vuoti rettangolari. Posa il libro, estrae il cellulare dalla tasca e poi si accomoda. Io faccio esattamente lo stesso, prendendo posto di fronte a lei.
«L'argomento è questo, non è vero?» Mi sta mostrando dei grafici e annuisco perché li riconosco. La professoressa Brown ne ha disegnati un paio pressoché identici. «Sono piuttosto difficili da spiegare, ma posso insegnarti un metodo facile per ricordare tutti. Devi solo ascoltarmi.»
Sembra una minaccia la sua e la cosa mi fa ridere; Haley non è del mio stesso pensiero perché mi lancia un'occhiataccia.
«Ti chiedo scusa: sono pronto a imparare l'Algebra.» Torno serio per quanto mi è possibile e poso entrambi i gomiti sul tavolo per sostenermi il mento; questa volta è lei che scoppia a ridere.
«Non posso spiegarti l'Algebra se mi fissi con quell'aria da idiota.» Sprofondo leggermente nella sedia.
«Idiota? È la mia solita espressione.» Alzo gli occhi al cielo quando mi mostra uno schema sul suo block notes.
Lo riconosco e mi meraviglio io stesso di averlo fatto; mi sta spiegando qualcosa alla quale ho prestato attenzione per più di un paio di minuti.
Ricopio tutto velocemente mentre Haley parla. Mi spiega formule, numeri e cose che faccio fatica a capire, ma se ne accorge perché rallenta il flusso di parole, perdendo tempo a cercarne di nuove in modo che possa essere più semplice.
Alla terza spiegazione diversa, riesco a risolvere tre problemi su quattro. Quando mi svela la soluzione dell'ultimo, mostrandomi un semplice trucco per farlo, mi rendo conto che in realtà è più facile di quanto sembri.
«Justin, se sei riuscito a capire fino a qui, il resto sarà una passeggiata.» L'Algebra è noiosa perché sbadiglio dopo neanche un'ora.
«Mi fa male la testa.» Mi passo la mano sul viso, lasciando cadere la matita sul libro davanti a me.
«Devo spiegarti altri tre grafici.» Ribatte Haley, alzandosi per controllare un altro paio di libri dietro di lei.
«Possiamo continuare domani mattina? Il test è subito dopo pranzo.» La mia suona come un'ottima proposta, ma Haley la boccia nel momento in cui lascia le mie labbra.
«Non essere ridicolo.» Borbotta; non le dico che sono serio.
Mi mostra altri due grafici e per un'intera mezz'ora, parla senza sosta. Non so come o perché, ma riesco a starle dietro, poi si alza mormorando di come abbia bisogno un ulteriore libro.
Ha appena inventato l'ennesimo problema da risolvere ed è quello che sto provando a fare da dieci minuti buoni. Quando alzo lo sguardo per comunicarle che finalmente sono giunto alla conclusione, la vedo voltata di schiena, rivolta verso la parete.
Suppongo non arrivi a raggiungere ciò che cerca di prendere perché è tesa e in punta di piedi. Mi alzo perché sono stufo di stare seduto.
La sento imprecare e sorrido; non le chiedo di spostarsi, semplicemente resto dietro di lei e alzo il braccio. Non sono tanto più alto di lei, ma quei centimetri che mi separano sono abbastanza da raggiungere ciò di cui ha bisogno.
Appoggio il braccio sinistro sul bordo dello scaffale per non perdere l'equilibrio e mi rendo conto che Haley è intrappolata tra me e la libreria. È tesa contro il mio corpo, ma il libro è più difficile del previsto da recuperare.
Devo avvicinarmi ulteriormente e questo comporta una maggiore vicinanza a Haley.
Il mio naso le sfiora quasi la guancia e i suoi capelli mi solleticano la pelle; riesco ad afferrare il libro e faccio un passo indietro.
Haley si schiarisce la voce e quando si volta verso di me, ha le guance arrossate.
«Grazie.» Quando mi prende il libro dalle mani, lo sussurra appena.
Torniamo a sederci e riprendo ad ascoltare, con la speranza che questa tortura si concluda nel minor tempo possibile.
Quando Haley chiude definitivamente il libro, mi lascio andare a un sospiro di sollievo; stiracchiando le braccia fin sopra la testa.
«Se non riuscirai a ottenere almeno una B, giuro che ti prenderò a calci, Bieber.» Il suo tono suona come una minaccia mentre si alza per ordinare i libri utilizzati; io recupero quello che va nello scaffale più alto.
«Non azzardare minacce contro di me, Clark.» Incrocio le braccia al petto e la osservo mentre si volta.
«Altrimenti?» Assume la mia stessa posizione.
«Beh» mi pizzico la punta del naso, avvicinandomi quel tanto che basta perché Haley debba alzare il viso per sostenere il mio sguardo. Mi abbasso con un solo movimento, riuscendo a issarla sulla mia spalla; urla più di sorpresa che per lo spavento.
«Justin!» In realtà forse è più spaventata che sorpresa, ma sta ridendo. «Fammi scendere, mi farai cadere.»
«Minaccerai ancora di prendermi a calci?» Mormoro, fingendo di perdere l'equilibrio; non risponde, stringe i miei fianchi. «Allora, lo farai?»
«No, ti prego mettimi giù.» Questa è una supplica, ma mi pizzica la pelle del fianco; sobbalzo per la sorpresa e diamine, per il dolore.
«Mi hai fatto male.» Borbotto, stringendole le gambe.
«E allora fammi scendere.» Ha la voce ovattata, ma la faccio tornare con i piedi per terra. Tenta di spingermi, ma sono abbastanza svelto da riuscire ad afferrarle il polso.
«Oh, io non credo proprio» mormoro, riferendomi al suo vano tentativo di farmi del male. Mi avvicino di nuovo, ma Haley fa un passo indietro, finendo contro lo scaffale alle sue spalle.
Sono fin troppo vicino, tanto che il suo respiro finisce dritto sulle mie labbra, così come il mio sguardo vi si posa di conseguenza. Le lascio il polso solo per sollevarle il mento.
Non so cosa dica, le mie labbra sono già premute sulle sue perché possa scoprirlo. Haley sussulta, ma non accenna a spostarsi, tutt'altro. È proprio lei che afferra il colletto della mia camicia, io mi ritrovo con le mani sui suoi fianchi solo per eludere del tutto lo spazio che ancora ci separa; ricevo subito il permesso di avere quel contatto che tanto mi ritrovo a bramare.
Le sue mani salgono tra i miei capelli e questa volta sono io a sussultare e non ho altro modo di farle capire che quel suo gesto mi fa più che piacere, se non quello di morderle il labbro inferiore, per poi spostarmi su guance e collo.
Vi traccio una scia umida, mordendola in un punto ben preciso, dove, però non mi soffermo più di tanto solo perché un marchio violaceo è l'ultima cosa che voglio imprimerle sulla pelle.
Le labbra di Haley restano sulla mia tempia, sento il suo fiato accelerare a ogni mio bacio. Traccio una via di ritorno solo per arrivare nuovamente alla mia destinazione iniziale: le sue labbra.
Sorride e non so per quale motivo; mi scosto solo quando il bisogno di ossigeno è maggiore del mio desiderio di sentire il suo sapore.
«Devi smetterla di baciarmi.» Me lo dice con entrambe le mani premute sul mio petto; sono quasi sicuro che riesca a sentire il battito del mio cuore.
«E tu impediscimi di farlo.» Sfioro di nuovo le sue labbra con le mie.
Non sento cosa risponde, un tuono squarcia il cielo e il silenzio che fino a poco fa aleggiava intorno a noi, è ora disturbato dal suono della pioggia che batte contro i vetri.
Le luci si spengono all'improvviso e la mano di Haley scende a cercare la mia.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 24
*** 24. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 24
H.

 
Justin allenta la stretta sui miei fianchi e lascia cadere il braccio lungo il corpo, afferrandomi la mano; con quella libera traffica con il cellulare nella tasca dei jeans.
Il flash da lì proveniente illumina i nostri volti e lo spazio circostante. Justin muove il braccio, cercando di localizzare la via d'uscita senza incappare in ostacoli. Intreccia le sue dita alle mie e fa strada; recupero la borsa dalla sedia e lo seguo, posandogli una mano sulla schiena. Sobbalzo quando un secondo tuono rimbomba nell'edificio.
Justin raggiunge la porta, aprendola velocemente. Mi ritrovo a sospirare di sollievo e noto come le luci in corridoio siano saltate, costringendoci a usare la luce artificiale del telefono per scendere le rampe di scale.
Il piano terra è più illuminato rispetto agli altri due e raggiungiamo in fretta l'uscita. Dobbiamo fermarci sotto il porticato dell'ingresso; piove a dirotto.
«Ho lasciato la macchina ad Austin.» Impreca Justin, passandosi una mano tra i capelli; io mi stringo nelle spalle.
«Io sono venuta in autobus, mi dispiace.»
Justin impreca nuovamente, poi si siede sui gradini dell'ingresso trafficando con il cellulare. Mi siedo al suo fianco, osservandolo mentre compone un numero. Austin risponde dopo qualche squillo, riconosco la sua voce.
«Devi venire a prendermi, sono bloccato a scuola e sta diluviando.» Austin, dall'altro capo del telefono, non deve essere proprio d'accordo con questa sua richiesta, perché Justin serra la mascella.
«E cosa ti fa pensare che ti conceda tutto quel tempo? È pur sempre la mia macchina, ti do un quarto d'ora di tempo per essere qui.» Chiude la chiamata mentre io controllo l'ora sul quadrante che ho al polso.
Justin è silenzioso, solo la pioggia ci fa da sfondo e i tuoi in lontananza continuano a rimbombare a distanza di minuti.
«Haley» mi volto quando la voce di Justin mi chiama; resto in attesa, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Lui però poi scuote la testa. «No, nulla. Lascia perdere.» Distoglie lo sguardo dal mio e gli poso una mano sulla spalla.
«Che c'è?»
«Voglio che tu mi dica una cosa e che tu sia sincera con me.» Deglutisco a quelle sue parole perché non credo di avere scampo. «Stai con Zac, eppure quando ho bisogno di te, ci sei sempre. Ti lasci persino baciare, non tirandoti mai indietro. Perché?» Me lo chiede come se la risposta fosse facile da dare.
«Perché sei esasperante?» Ribatto sotto forma di quesito e nonostante Justin cerchi di mascherare un sorriso, lo so che è serio.
«Dico davvero: perché?» Prendo un lungo respiro, quasi avessi bisogno di nuova aria nei polmoni per rispondere.
«Non lo so» mormoro, giocando con gli anelli che porto alle dita. «Ed è sbagliato, lo so bene. Ma è tutta colpa tua, per come ti comporti, per come vuoi proteggermi quando non è necessario. Tutto questo è sbagliato, tu sei sbagliato perché non dovresti fare così. Eppure mi va bene, voglio addirittura che sia così perché quando reagisci in un certo modo, mi spaventi, ma poi invece mi baci e-»
Il resto del discorso mi muove sulle labbra perché quelle di Justin sulle mie impediscono la minima parola di fuoriuscire da esse. È un gesto tanto veloce il suo che non ho nemmeno il tempo di reagire.
«Lo vedi che ho ragione quando dico che l'unico modo che conosco per farti stare zitta è quello di baciarti?» Me lo sussurra dopo qualche secondo e abbasso lo sguardo. «Vuoi sapere quello che penso io, invece?» Non è una domanda la sua perché non aspetta che gli dia una risposta.
«Non m'importa se stai con lui o se hai dei sentimenti verso Zac. Mi piace baciarti, non credo tu nemmeno riesca a immaginare quanto. Devo trattenermi ogni volta che ti vedo o che ti incrocio per i corridoi ed è straziante. Mi piace quando arrossisci, mi piace starti a sentire anche mentre mi parli di Algebra.» S'inumidisce le labbra prima di continuare con il suo discorso. «Non lo so che cosa mi stai facendo, Haley Clark, ma devo ammettere che Seth non ha fatto poi chissà quale danno.» Non si preoccupa nemmeno di nascondere il sorriso che gli sta increspando le labbra.
Vorrei ribattere alle sue parole, ma un clacson in lontananza mi fa sobbalzare; l'auto di Justin guidata da Austin è in fondo al parcheggio.
Justin si alza in fretta, togliendosi la giacca e tenendola alta sulla propria testa. Lo seguo stando al suo passo per evitare di bagnarmi troppo; lui prende posto accanto ad Austin, io mi accomodo sui sedili posteriori.
Austin si volta e non so se il sorriso che mi rivolge sia carico di scherno o semplicemente di cortesia.
«Finalmente ci conosciamo-»
«Austin, chiudi la bocca e portala a casa.» Justin lo interrompe in fretta, allacciandosi la cintura di sicurezza. Austin sbuffa, ma ingrana la prima, uscendo dal parcheggio.
«Randy ha detto-»
«Dico sul serio: zitto e guida.»
Il tono di voce assunto da Justin è secco e autorevole, tanto che il viaggio prosegue nel silenzio più totale; piove ancora quando Austin accosta nei pressi di casa.
Apro la portiera, ma Justin mi segue senza indugi tenendo ancora la giacca sopra la propria testa. Saluto Austin con un veloce cenno di ringraziamento, poi seguo Justin per fermarmi solo quando il portico appena sopra il cancello d'ingresso non ci ripara dalla pioggia.
«Non era necessario.» Mormoro, asciugandomi il braccio dalla pioggia.
«Nessun problema.» Justin si pizzica la punta del naso; io sorrido.
«Ci vediamo a scuola allora. In bocca al lupo per il test.» Justin annuisce mentre mi osserva recuperare le chiavi di casa. Inaspettatamente, le sue labbra si posano sulla mia guancia.
«Crepi il lupo.» Mi sussurra all'orecchio.

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 25
*** 25. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 25
J.

 
«Dove cazzo sei stato?»
Randy sembra mia madre mentre mi pone quella domanda, non appena metto piede in casa sua.
Sbuffo, esattamente come farei con lei, poi mi tolgo la giacca, sedendomi sul divano sotto lo sguardo di tutti i presenti; Jennifer sta parlando con qualcuno in cucina e mi rilasso senza darlo a vedere perché Randy difficilmente muoverebbe un dito su di me con lei nei paraggi.
«Ti ho fatto una domanda.» Borbotta nuovamente. Recupero il cellulare dalla tasca, sbuffando ancora una volta.
Riesco a vedere ben poco perché Randy si avvicina così in fretta che non ho nemmeno il tempo di reagire.
Il cellulare mi vola via dalle mani, schiantandosi al suolo a poca distanza da me. Lo osservo, mordendomi a sangue il labbro inferiore tra i denti.
«Ho avuto da fare.» Replico, alzandomi dal divano per recuperarlo, con la speranza che non sia fuori uso.
Non faccio però troppa strada, Randy mi afferra per il colletto della camicia e la schiena sbatte contro il muro, proprio accanto al caminetto.
Il colpo è talmente forte che mi manca il fiato per un paio di secondi; due cornici s'infrangono al suolo. Non saprei dire se Jennifer sbuchi dalla cucina con il volto pieno di terrore per me o per le foto distrutte ai miei piedi.
«Randy, lascialo immediatamente!» Jen muove qualche passo nella mia direzione, ma Anthony è più svelto e la blocca per un braccio.
«E dimmi: cos'era di tanto importante da non presentarti quando – chiaramente – avevo bisogno di te?» Ho il respiro pesante e anche se cerco di rallentarlo, la botta ricevuta non mi è d'aiuto.
«Sono dovuto rimanere a scuola.» Replico perciò senza fiato; Randy scoppia a ridere, ma non è minimamente divertito da tutto ciò.
«A scuola?» Me lo dice quasi sconvolto.
«A scuola, sì.» Continuo a non avere fiato.
«Non me ne frega un cazzo della tua scuola. Se ti dico che devi essere qui alle quattro, devi essere qui alle quattro. Non ci sono scuse.» Non sento cosa dice Jennifer, la voce di Randy sovrasta la sua.
«Sono sempre presente, sempre. Per una volta, non credo che caschi il mondo.» Cerco di divincolarmi e vedo Randy scuotere la testa, poi mi lascia andare, allontanandosi di qualche passo. Mi sbilancio in avanti perché è qualcosa che non mi aspettavo.
«Vattene.» Non mi guarda nemmeno, mi sta già dando le spalle.
«No, sono venuto fino a qui e non me ne vado. Abbiamo una consegna da fare.» Mi aggiusto il colletto della camicia, massaggiandomi poi la spalla dolorante.
Cala il silenzio, persino Jennifer tace. Randy si volta con una lentezza disarmante, quasi teatrale.
«Abbiamo?» Randy parla a bassa voce, sottolineando il fatto che abbia usato il plurale. «Esci da casa mia o, giuro su Dio, ti ammazzo con le mie stesse mani.»
Sono abituato alle sue minacce e non mi spaventano più; recupero il cellulare da terra, ma l'orgoglio m'impedisce di uscire dalla porta.
«Cazzo» grido senza nemmeno rendermene conto; Randy inarca un sopracciglio, curioso della mia prossima mossa. «Non sono il tuo schiavo e non prendo ordini da te. Ho una vita, esattamente come la hai tu e se per una dannatissima volta non sono presente, la cosa non deve interessarti. Sono stato chiaro?» Sono tanto vicino a Randy da sfiorare il suo naso con il mio. «Sai quello che è successo, ti ho detto cosa avrebbe comportato avere da fare colpa di Seth per cui non venirmi a dire-»
Non riesco a terminare la frase, un dolore acuto si propaga dal labbro fino allo zigomo. Lo sento gonfiarsi non appena vi poso la mano; le dita sono rosse di sangue.
Non lo so se provo a ricambiare il colpo, Jennifer me lo impedisce afferrandomi il viso tra le mani. Non mi sono nemmeno accorto che si fosse avvicinata tanto.
Esamina il lavoro che il suo fidanzato ha appena realizzato sulla mia faccia. Sono stordito, non ho mai ricevuto un pugno tanto forte da qualcuno, persino il viso di Jennifer è sfocato davanti a me e devo sbattere le palpebre un paio di volte prima che torni ad avere i lineamenti ben nitidi.
«Justin guardami: stai bene?» Me lo chiede con la sua solita voce da medico e annuisco, poi mi volta il viso in modo che possa esaminare il labbro da ogni angolazione. Mi trascina con lei, afferrandomi saldamente per il gomito.
La seguo, ma mi rendo conto di non essere poi troppo stabile sulle gambe; la sento in lontananza ordinare a Randy di andarsene. Lui deve ribattere qualche cosa, ma Jennifer ha la meglio. Non è solo lui a uscire da casa, lo fanno tutti; sento le auto allontanarsi una dopo l'altra.
Jennifer mi trascina letteralmente su per le scale a chiocciola, fino a farmi sedere sul bordo della vasca da bagno. L'immagine che lo specchio riflette allontana ogni mio dubbio: Randy mi ha rotto il labbro.
Jennifer s'inginocchia e mi prende il mento tra le dita, scuotendo la testa.
«Guarda come ti ha ridotto.» Sussurra, prima di alzarsi e recuperare l'occorrente dal solito armadietto del primo soccorso.
Sussulto quando il cotone impregnato di disinfettante mi preme sul labbro; devo chiudere gli occhi per impedire a me stesso di alzarmi.
«Mi dispiace.» La sento mormorare, mentre tampona la ferita con del cotone ormai asciutto e pulito; il sangue deve essersi fermato perché non ne sento più il sapore in bocca.
«Non è mica colpa tua.» Jennifer sbuffa e mi fa cenno di alzarmi per seguirla in cucina.
Scendo cautamente le scale e quando mi siedo al tavolo in cucina, poggio entrambi i gomiti sulla superficie del tavolo a sostenere testa e mento.
Jennifer mi porge del ghiaccio secco e non perdo tempo a portarmelo al labbro, coprendo anche buona parte di zigomo. Il livido non avrebbe tardato a manifestarsi.
Il freddo del ghiaccio addormenta brevemente il labbro e il dolore si placa; Jennifer si massaggia le tempie con le dita.
«Ero realmente a scuola.» La mia voce è attutita dal ghiaccio; Jennifer sorride, ma non so perché.
«Lo so, ti credo.»
«Austin ti ha-»
«Me l'ha detto poco prima che arrivassi, ma Randy non lo sa.» Annuisco, ma sono furioso. Avevo chiaramente detto ad Austin di non farne parola. «T'importa davvero di Haley?» Me lo chiede con gentilezza, ma sobbalzo; Jennifer aspetta una risposta.
«Non lo so.» La voce nella mia testa sta gridando "bugiardo".
«Non mentire, non a me» mormora, inumidendosi le labbra. «Hai mancato l'appuntamento per stare con lei.» Mi stuzzica come una sorella maggiore farebbe con il fratello più piccolo.
«Sono rimasto per la scuola.» Mi riporto il ghiaccio alle labbra.
«Da quando la scuola è una tua priorità?» Me lo chiede imitando lo stesso tono usato da Randy poco fa. Scoppio a ridere a quel suo tentativo, pentendomene l'istante dopo: il dolore al labbro si propaga lungo tutta la guancia.
«Da quando mi hanno obbligato a farlo. Non voglio passare un altro anno in quel posto e se mi bocceranno, mia madre mi farà letteralmente saltare la testa.» Jennifer mi guarda come se ne sapesse una più del diavolo ed io la detesto.
«Magari hai finalmente trovato un buon motivo per andare a scuola?» La sua proposta mi fa abbassare lo sguardo.
«Sì, forse.» Ammetto infine.
«Sono contenta, sai?» Quando alzo gli occhi, sorride. «Ti farà bene passare del tempo con qualcuno che non sia né Randy, né gli altri ragazzi. Sono così preoccupata ogni volta che uscite da casa per andare chissà dove.» Improvvisamente non ci sono più sorrisi, ma la lascio continuare. «Ho sempre paura che possa succedere qualcosa e ogni dannatissima volta, è così. Tu che vieni ferito al braccio da un colpo di pistola, Austin lo stesso. Se dovesse succedere qualcosa a Randy-»
«Jen ascoltami» allungo un braccio fino a toccare la sua mano e a interrompere il flusso delle sue parole. «Lo so che ti preoccupi, ma non ne hai motivo. Randy ha sempre tutto sotto controllo, non può succedere niente che non abbia previsto, te lo posso assicurare. Non è mai tornato a casa con nulla di grave e fino a che ci sei tu qui ad aspettarlo, non può permetterselo. Dovete sposarvi!» Sposto lo sguardo sull'anello che porta al dito, ma la vedo sorridere.
«Già» mormora, stringendomi la mano in un tacito ringraziamento. Sono io ad alzarmi per fare il giro del tavolo e abbracciarla, lasciandole un bacio sulla guancia.

 
-

«Odio questa dannata scuola.» Austin lascia l'aula di Algebra passandosi una mano tra i capelli; io mi stiracchio seguendolo lungo il corridoio.
«Lo so.» Soffoco uno sbadiglio mentre ci dirigiamo verso l'uscita. Non faccio molta strada, qualcuno mi viene addosso, facendomi cadere i due libri che tengo sotto il braccio. «Dico io, guarda dove diavolo cammini.» Sbotto, abbassandomi per recuperarli.
Non ricevo né scuse, né risposte e la cosa mi fa incazzare più dello scontro, forse involontario.
È Zac quello che mi trovo a pochi passi da me.
«Altrimenti?» Me lo chiede con un tono carico di sfida; guardo Austin per una manciata di secondi, ma mi bastano a farmi intuire il suo "non fare cazzate".
«Altrimenti ti spacco la faccia.» Zac si guarda intorno e stringe i denti, ben attento a non attirare l'attenzione su di noi.
«Non ho paura di te.» Si avvicina leggermente, ma il suo tono lo tradisce; eccome se ha paura di me. «Vorrei mandare dei fiori a chi ti ha conciato così.» Aggiunge poi, accennando al mio labbro ancora rotto; Austin mi chiama in segno di avvertimento, ma lo ignoro volutamente.
«Non provocarmi.» Zac scoppia a ridere per poi puntarmi un dito contro il petto.
«Stai alla larga da Haley, sono stato chiaro? Non toccarla, non parlare con lei. Non fa per te e cosa di fondamentale importanza: è la mia ragazza.» È parecchio infuriato, ma io lo sono di più; lo faccio indietreggiare con un gesto fin troppo brusco.
«Non dirmi quello che posso o non posso fare. Se voglio Haley, me la prendo. Sono stato chiaro?» Zac stringe nuovamente i denti, poi mi dà una spinta, ma sono più sveglio di lui ed ho già puntato i piedi a terra per evitare che mi sposti. È più muscoloso di me.
«Non toccarmi.» Questa volta sono a imporre ordini e scandisco le parole una per una. Zac però non sembra comprendere perché ci riprova e mi smuove appena.
Guardo a destra e a sinistra giusto qualche istante, poi stringo la mascella e carico il pugno, mollandolo sullo zigomo di Zac. Indietreggia e Austin chiama nuovamente il mio nome, ma non c'è gente intorno a noi. Non sono tanto stupido da mettermi nei guai qui a scuola.
«Hai intenzione di impartire altri ordini?» Si sta tastando le labbra alla ricerca di sangue, ma non ne avrebbe trovato.
Non risponde, è lui a caricare il colpo questa a volta, ma invano. Mi abbasso prima che riesca a colpirmi sul serio, non ho bisogno di altri lividi a rovinarmi il viso.
«Mancato.» Sussurro e non gli do nemmeno il tempo di replicare, l'ho già colpito di nuovo. Questa volta l'equilibrio lo perde e finisce al suolo con un gemito di dolore a sfuggirgli dalle labbra.
Mi abbasso al suo livello mentre si porta una mano alle labbra; questa volta sì che c'è il sangue.
«Non ti disturbare per i fiori, l'indirizzo di casa mia lo so a memoria.» Zac cerca nuovamente di colpirmi, nonostante sia ancora al suolo; gli blocco il polso prima che possa riuscire nel suo intento. «Non azzardarti a mettermi le mani addosso ancora una volta o giuro su Dio, sarà l'ultima cosa che farai.»
I passi di qualcuno echeggiano nel corridoio e serro le labbra, con la paura che qualcuno possa averci scoperto.
Il sorrisetto sul viso di Zac canta vittoria e so per certo che non si tratta di alcun insegnante.
Gli occhi azzurri di Haley incrociano i miei nel momento in cui mi volto.


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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 26
*** 26. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 26
H.

 
Non so chi noto prima, se Zac a terra con il viso insanguinato o Justin sopra di lui, come se lo stesse tenendo fermo a non farlo muovere.
«Ottima mossa, Bieber.» Zac sogghigna mentre Justin si alza, venendo verso di me.
«Haley-» faccio un passo indietro quando cerca di toccarmi.
«Sei stato tu?» Glielo chiedo nonostante la risposta sia più che palese.
«Mi ha provocato, io-» mi sposto ulteriormente e la mano che tende verso la mia gli cade lungo il fianco. Lo raggiro, aiutando Zac ad alzarsi da terra.
«Stai bene?» La smorfia di dolore che gli colora il viso risponde per lui. «Coraggio, andiamo.»
Justin chiama il mio nome, ma lo ignoro volutamente. Zac mi cammina a fianco e riusciamo a raggiungere la mia auto, nel parcheggio. Mi scontro con il corpo di Justin quando faccio il giro della macchina per salire al posto di guida.
«Haley, ti prego.» Mi scanso mentre cerca nuovamente un contatto con me; il labbro rotto e la macchia violacea sulla mascella non mi sfuggono.
«Non toccarmi.» Justin sussulta a quelle parole per un secondo, poi la sua mano riesce a chiudersi sul mio polso. «Non hai nessun diritto di fargli del male ed io non voglio avere niente a che fare con te.» Mi guarda per un solo secondo, poi la stretta sulla mia pelle si allenta fino a scomparire; muove persino un passo indietro per permettermi di salire in macchina. Non lo guardo, tengo gli occhi bassi. Non lo sento, lo vedo seguirmi con lo sguardo e sferrare un pugno contro la carrozzeria di una macchina parcheggiata lì accanto; Austin appare qualche momento dopo.
Spengo il motore dell'auto, lasciandola lungo il vialetto. Zac mi segue quando apro la porta e qualcuno scendere le scale. Nathan si ferma sugli ultimi scalini, poi indica Zac con un dito.
«Che cosa si è fatto?» Zac mormora qualcosa, ma gli faccio cenno di stare zitto.
«Niente di grave. Vai a prepararti, tra poco usciamo per la merenda.» Credo che questo basti a convincerlo perché torna di corsa al piano di sopra; io sospiro e trascino letteralmente Zac in cucina.
Nel freezer non c'è ghiaccio, solo un sacchetto di carote surgelate che porgo a Zac, il quale non esita a posarlo sulla parte colpita da Justin.
«Perché l'ha fatto?» Glielo chiedo con appena un sussurro e Zac si stringe nelle spalle.
«Non è altro che un bastardo.» Me lo dice a denti stretti.
«No, che cosa gli hai detto per farti prendere a pugni?» Ho bisogno di saperlo, mi sta scoppiando il cuore.
«La verità: che deve starti lontano» Zac è dannatamente sincero. «Non voglio che tu abbia a che fare con lui, è pericoloso. Potrebbe farti del male-»
«Zac» lo interrompo perché non voglio starlo a sentire. «Justin non mi farebbe mai del male.»
«Justin? Siete così in confidenza che usi addirittura il suo nome di battesimo?» Non lo so se mi prenda in giro o meno, ma scuoto la testa. «Ascoltami bene, Haley: sei la mia ragazza e non devi avere niente a che fare con lui. Sono stato chiaro?» Non mi accorgo nemmeno di essermi alzata dalla sedia a quelle sue parole.
«Dovresti andartene.» Il cuore mi rimbomba persino nelle tempie; Zac stringe i denti.
«Non ti riconosco più, sai? Fai comunella con Bieber, te ne vai con lui su una moto, litighi con la tua migliore amica. Mi ignori» Zac parla lentamente, poi arriccia le labbra. «Ed è tutta colpa sua.» Ammette infine, sputando una sentenza che nessuno ha richiesto.
«Zac, vattene via.» Vorrei che fosse un ordine, ma mi rendo conto che suoni come una supplica.
Chiudo gli occhi mentre mi appoggio allo stipite della porta; Zac si alza dalla sedia e lo sento fermarsi di fronte a me, poi mi sfiora il viso con le dita.
«Non permetterò che ti porti via da me.» Me lo dice sfiorandomi le labbra con le sue, ma sono tanto svelta da scostarmi; sospira e si allontana di appena un passo. «Non finisce qui con Bieber.»
Non faccio tempo a chiedergli se si tratta di una minaccia vera e propria, è già uscito dalla porta d'ingresso. Scuoto la testa e la raggiungo per dare un giro di chiave.
Mi accordo di stare piangendo solo quando mi lascio andare lungo la superficie, atterrando al suolo con le guancie bagnate di lacrime.
Passa un buon quarto d'ora prima che Nathan scenda le scale, costringendomi ad alzarmi e ricompormi nell'aspetto.
«Ho fame.» Me lo dice dondolandosi sui talloni, fermo sugli ultimi gradini.
«Dai, andiamo Pulce.» Gli tendo la mano, recuperando la borsa dalla poltrona sulla quale è rimasta.
Ci dirigiamo verso il parco perché so che a quest'ora c'è sempre il camioncino degli hot dog che a Nathan piacciono tanto.
Ne prendo uno per lui, chiedendo una bottiglietta d'acqua per me, poi ci sediamo su una panchina libera; lo osservo mentre freme dalla voglia di raggiungere i suoi amichetti.
Prima di andare da loro però, corre a lavarsi le mani, poi mi saluta con un cenno della mano.
Sorrido quando dalla borsa, un tintinnio di un messaggio non letto, mi arriva alle orecchie. È Madison.

Da Madison:
«Sono passata a casa tua, dove sei?»

A Madison:
«Al parco, con Nathan.»

Riesco a leggere un paio di capitoli di un libro che ho dimenticato di tirare fuori dalla borsa prima che Madison si materializzi al mio fianco, sedendosi sulla panchina accanto a me.
«Zac mi ha raccontato quello che è successo.» Non perde tempo a salutarmi o a chiedermi come sto.
«Che novità.» Ribatto semplicemente, chiudendo il libro e posandolo in equilibrio sulle ginocchia; Madison sbuffa e mi volto verso di lei.
«Haley, gli ha dato un pugno» alza leggermente la voce mentre parla. «E tu continui a difenderlo. Quando ti renderai conto di che persona è realmente?»
«Perché siete tutti convinti che possa farmi del male?» Sono più che arrabbiata mentre pronuncio quelle parole e Madison inarca un sopracciglio.
«Perché stiamo parlando di Bieber» replica semplicemente. «Non puoi avere a che fare con lui.»
«Non lo conosci nemmeno.» Tutto questo è diventato una sorta di cantilena e sono stanca di ripetere sempre le stesse cose.
«Ascoltami, lo ammetto: Justin è un bel ragazzo e ti capirò se mi dirai che ti sei presa una cotta per lui. Tutte le ragazze della scuola sono prese da lui, ma Haley sei la mia migliore amica.» Il suo tono di voce cambia. «Justin è pericoloso, lo sai anche tu quello che dice la gente su di lui.»
«Non ho nessuna cotta per Justin» so di mentire anche a me stessa, ma è qualcosa che al momento non m'importa. «E non è pericoloso.» Madison sospira alle mie parole.
«Haley, ha dato un pugno a Zac. Questa mattina l'ho visto, ha il labbro rotto, ha litigato con qualcuno. Se dovesse fare del male anche a te-»
«Perché diavolo dovrebbe?» Mi rendo conto di aver alzato la voce solo quando Madison sobbalza. «Ci vediamo solo per delle stupide ripetizioni!»
«Ti ha baciato, non è vero?» Me lo chiede senza nemmeno prendere in considerazione ciò che ho appena detto; forse non mi sta neanche ascoltando.
«Sì, mi ha baciato.» Glielo dico in preda all'esasperazione e quella batte la voglia di raccontarle la verità.
«Zac lo sa?» Me lo chiede dopo qualche secondo e quasi stento a credere che stia succedendo davvero.
«No. Vuoi essere tu a dirglielo?» Incrocio le braccia al petto mentre mi osserva per qualche istante, per poi scuotere la testa.
«Non se lo merita.» Lo dice come se io stessi sostenendo l'esatto opposto, come se volessi che Zac si senta preso in giro. «Haley, io non voglio litigare con te, ma non mi fido di Justin.» Mi posa una mano sulla spalla perché lo sa che non ho più autocontrollo nel trattenere le lacrime che spingono agli angoli degli occhi.
«Ma ti fidi di me, vero?» Madison annuisce, anche se non ce n'è bisogno. «Se Justin avesse voluto farmi del male, non avrebbe aspettato.» Madison non sembra cogliere a pieno il senso di quelle parole, ma io so bene a cosa mi sto riferendo.

 
-

Nathan sceglie la torta da portare a casa per il dopocena; quando spengo il motore dell'auto all'interno del vialetto, ne noto una nera dall'altro lato della strada; è diventata fin troppo familiare ormai.
Vedo Justin scendere e posarsi di schiena contro la carrozzeria della portiera. Nathan si accorge di lui solo quando Justin si muove verso di noi; il cancello ci divide.
Nathan lo saluta con un cenno della mano, poi si volta ed entra in casa, con il vassoio della torta tra le mani. Justin sta ricambiando il saluto.
«Che diavolo ci fai qui?»


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 27
*** 27. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 27
J.

 
Non sono ben sicuro del perché mi trovi qui, per cui non ho una valida risposta alla sua domanda.
«Devo parlarti io-»
«Non m'importa.» Non mi dà tempo di formulare una frase di senso compiuto, mi volta le spalle prima.
«Ti prego» la supplico perché non ho altra scelta che questa. «Haley, fammi entrare.»
Il tono della mia voce deve sconvolgerla perché torna verso di me, posando persino una mano sul cancello, come se volesse addirittura aprirlo; sfioro le sue dita con le mie. Sto quasi pensando di pregarla nuovamente, ma fa un debole cenno verso il secondo cancello alle sue spalle.
«Sul retro.»
La osservo mentre mi volta le spalle, percorrendo il vialetto e chiudendosi la porta di casa dietro di lei. Impreco tra i denti, ma raggiungo il retro, in attesa.
Sembrano passare ore e sono quasi tentato di chiamarla sul cellulare; la porta si apre proprio quando sfioro il telefono nella tasca dei jeans.
«Non ti farò entrare e se devo essere profondamente sincera, non ho nemmeno voglia di stare a sentirti.» Non è arrabbiata, è furiosa.
«Non è come pensi tu, Haley.» La mia voce assume un tono del tutto esasperato e Haley inarca leggermente un sopracciglio, non so se in segno di confusione o incredulità.
«Ah no?» Mi sfida, incrociando le braccia al petto. «Hai preso a pugni Zac.»
«Mi ha provocato.» Mi difendo, ma lei non mi crede.
«Zac non lo farebbe mai. Non so cosa ti sia passato per la testa in quel momento, ma non voglio avere niente a che fare con te.» Haley si allontana e afferro le sbarre del cancello, quasi volessi aprirlo con la forza.
«Non andare via, per favore.» Non alzo la voce, sono sicuro che Haley mi abbia sentito. E ho ragione perché si volta, incrociando nuovamente il mio sguardo. So che vuole sapere la verità, ma non parla e tutto questo mi manda fuori di testa.
«Non voglio che ci sia un cancello tra di noi» Haley deglutisce. «Sono sempre io.» Sembra passare un'eternità prima che la serratura del cancello scatti. Non sono però io a entrare, ma lei a uscire.
Chiude il cancello e vi si poggia di schiena. Mi avvicino senza nemmeno pensare, ma Haley blocca i miei passi allungando una mano verso di me, che si ferma sul mio petto, non permettendomi di fare altro.
«Ti ascolto.» Mi toglie di dosso la mano e non mi rendo nemmeno conto di averla presa e stretta nella mia; Haley volta appena il viso quando mi avvicino, come se non riuscisse a sostenere il mio sguardo.
«Lo vuoi davvero sapere il motivo per il quale ho dato un pugno a Zac?» È una domanda semplice, diretta e abbastanza perché riesca ad avere la sua completa attenzione; annuisce. «Perché ha provato a farlo anche lui e lo sai che cos'ha detto? Di starti lontano, di non toccarti e di non parlarti. Io l'ho colpito a mia volta.»
«Perché?» La sua mano è ancora stretta nella mia e non sarò certo io a lasciare la presa; la uso come pretesto per avvicinarmi ulteriormente.
«Perché non voglio starti lontano, perché voglio toccarti e perché voglio parlarti» le mie labbra sfiorano pericolosamente le sue, ma Haley mi sfugge di nuovo. Stringo i denti e nel momento in cui abbasso il viso in preda alla frustrazione, i suoi capelli mi solleticano la fronte. «Le mie non erano parole al vento, non sarei qui a chiederti scusa se così non fosse.» Non la guardo negli occhi, ma sento i suoi su di me. Non sono nemmeno io impormi di farlo, è lei stessa a sollevarmi il viso. Incrocio i suoi occhi azzurri per un momento perché scendono sulle sue labbra mentre le muove a formulare una frase.
«Nemmeno io voglio che tu mi stia lontano» è imbarazzata nel dirlo, io mi trovo a sorridere. «Ma ha fatto del male a Zac e qualcuno deve averne fatto a te.» Vorrei dirle di chi si tratta, ma riprende a parlare e le cingo i fianchi con le mani, avvicinandomi quel tanto che basta perché Haley debba alzare il viso per continuare a sostenere il mio sguardo.
«Nemmeno le mie erano parole al vento, ma odio quando vedo trattare male alcune persone. Detesto quando ti presenti con un occhio nero o un labbro rotto.» Alle sue parole chiudo gli occhi quando le accompagna con un gesto ben preciso della mano: mi accarezza la guancia.
«Mi dispiace.» Questa volta non sono sicuro che mi abbia sentito.
«Mi hanno sempre detto di starti lontano perché hanno paura che tu possa farmi del male.» Me lo dice a bassa voce; sono tanto veloce da prenderle il viso tra le mani che le sue braccia finiscono lungo i suoi stessi fianchi.
«Non ti farei mai del male» scuoto persino la testa mentre pronuncio tutto ciò. «A chiunque, ma non a te.» La sento sorride e il mio cuore sembra mancare un paio di battiti.
«Lo so» è sincera mentre lo dice. «Non c'è bisogno che tu me lo dica. È la tua capacità di fare del male agli altri che non mi piace; qualcuno inevitabilmente ne farà a te.» Non lo so perché continui a rimarcare lo stesso concetto e mi stringo nelle spalle.
«Sono solo graffi. Haley devi credermi, è stato Zac a provocarmi. Non lo avrei nemmeno considerato altrimenti.» Haley si morde il labbro.
«Da quanto tempo sei qui?» Me lo domanda cambiando completamente discorso ed è qualcosa che al momento mi spiazza.
«Credo un paio d'ore.» Replico, non sicuro del lasso di tempo trascorso in macchina; Haley sorride.
«Mi sembrava che mio fratello volesse salutarti, poco fa.» Indica la porta alle sue spalle, oltre il cancello. Sono io ad annuire, poi la seguo mentre percorre il vialetto.
Nathan è seduto sul divano, intento a guardare qualcosa in televisione, ma si volta quando Haley si schiarisce la voce per poi indicarmi.
«Ti ricordi di Justin, non è vero?» Nathan annuisce alla domanda di sua sorella e lo saluto con un cenno della mano. Ci raggiunge qualche istante dopo.
«Anche tu ti sei fatto male?» Lo chiede rivolgendosi a me e Haley, al mio fianco, sussulta. Mi gratto il mento in cerca di una risposta da dare, ma Haley è più svelta di me.
«Justin è caduto dallo skateboard.» Mi volto in fretta verso di lei, sgranando gli occhi; sembra nel panico.
«Sai andare sullo skateboard?» Il viso di Nathan sembra illuminarsi e dimentica in fretta il labbro rotto sul mio viso; mi stringo nelle spalle perché non so che altro fare e perché Haley mi ha appena messo nei casini.
«Sicuro. Beh, non troppo bene, altrimenti non sarei caduto.» Mi massaggio il collo mentre al mio fianco Haley cerca di mascherare una risata con un colpo di tosse.
«Posso insegnarti io.» Nathan indica alcuni skate appesi alla parete lì accanto.
«Certo.» Replico, rivolgendo un'occhiataccia a Haley mentre Nathan si è già avvicinato a essi.
«Non ora però Nathan. Magari un altro giorno.» Suo fratello non è prettamente d'accordo con lei.
«La prossima volta che ci vedremo mi insegnerai tutti i trucchi, te lo prometto. Anzi, porterò anche la mia sorellina, così imparerà anche lei. Ti va?» Pronuncio la mia proposta il più velocemente possibile e Nathan sorride, annuendo alle mie parole.
Haley sospira di sollievo quando Nathan torna a sedersi sul divano, Spongebob cattura la sua totale attenzione; Haley mi fa cenno di seguirla al piano di sopra.
«Skateboard, fai sul serio?» Mi chiudo la porta della sua stanza alle spalle mentre lei si siede sul bordo del letto, stringendosi nelle spalle.
«È la prima cosa che mi è venuta in mente.» Replica, mordendosi il labbro. Non so dire se perché colpevole o semplicemente divertita.
«Mi hai fatto fare la figura dello stupido davanti ad un bambino di sei anni.» Ribatto e questa volta scoppia a ridere.
«Oh, mi dispiace.» Pronuncia le sue finte scuse proprio mentre mi avvicino.
«No, non è vero.» Mi fingo offeso e in un solo gesto, le afferro la mano per sollevarla dal bordo del letto, costringendola ad alzarsi. Finisce sulla mia spalle e trattiene a malapena un grido, aggrappandosi ai miei fianchi per non rischiare di finire a terra.
«Di nuovo? Mettimi giù!» I suoi tentativi di restare seria falliscono miseramente.
«Se dovrà insegnarmi ad andare sullo skateboard farò davvero la figura dello stupido» borbotto, sostenendola con una mano. «Non potevi inventare qualcos'altro?» Haley ride di nuovo, stringendo la presa sulla mia pelle.
«Fammi scendere.» Questa volta è più seria.
«No» replico, afferrandole entrambi i polsi. «E niente pizzicotti questa volta, credo mi sia uscito un livido.»
Sono costretto, però, a farla tornare a terra perché non ne vuole sapere di stare ferma. Mi abbasso, raggiungendo nuovamente il bordo del letto; scivola giù dalla mia spalla, afferrandomi però il cappuccio della felpa e facendomi perdere l'equilibrio.
Finisco di schiena sul letto e la sento sogghignare a quella sua bravata. Scuoto la testa e quando incrocio il suo sguardo dal basso, torna di nuovo seria, stringendosi le braccia al petto, attenta a non lasciarsi sfuggire un sorriso.
«Ben ti sta.» Borbotta; resto sdraiato e a mia volta incrocio le braccia, lasciando che le gambe penzolino dal bordo del letto.
Dietro di me Haley si muove appena e sento la sua mano finire tra i miei capelli. Chiudo gli occhi, inspirando e incapace di muovere un muscolo. Il silenzio tra di noi regna per qualche minuto e a nessuno dei due sembra dare fastidio.
«Chi è stato?» Me lo chiede senza specificare nulla, sa che non ce n'è bisogno. I miei occhi restano chiusi, ma la sua mano non si muove più. Allungo il braccio dietro la testa fino a raggiungerla e intrecciare le mie dita alle sue.
«Randy.» Mormoro semplicemente.
«Perché?» Continuo a non capire tutta questa sua curiosità.
«Sono rimasto con te a scuola invece che presentarmi a un appuntamento-»
«Saprò mai quello che combini?» Me lo chiede realmente interessata, ma scuoto la testa con un sorriso.
«Certo che no.» Quando apro gli occhi, Haley ha il viso corrucciato. «Non è niente di grave, mi ha solo dato un pugno.»
«Ti ha rotto il labbro.» Scuoto di nuovo la testa e quando si abbassa leggermente in avanti, la catenina che porta al collo, fuoriesce dalla scollatura; la afferro con la mano libera e me la attorciglio alle dita, intimandola ad avvicinarsi ulteriormente, fino a sentire il suo respiro sul mio viso.
«Non è niente di grave.» Lo ripeto in un sussurro prima che le sue labbra siano sulle mie. Non oppone resistenza e ne sono grato perché voglio baciarla da quando l'ho vista.
Lascio la collana solo per cingerle il collo; la pressione delle sue labbra sulle mie mi provoca un dolore sordo e non mi accorgo nemmeno di averlo esternato se non quando Haley si allontana. Serro la mascella, imprecando contro Randy per avermi conciato in quel modo. Torno a sedermi per poterla guardare negli occhi.
«Justin-»
«Ti prego» è una supplica bella e buona la mia e lei lo sa. «Baciami.»
La raggiungo di nuovo, prendendole il viso con entrambe le mani, annullando la poca distanza ormai rimasta tra di noi.
La sento titubante, ma poi afferra saldamente il tessuto della felpa, portandomi più vicino; non so se sono io a farla sdraiare o lo fa di sua spontanea volontà.
Poso entrambe le mani ai lati del suo viso mentre le sue braccia mi cingono il collo; riesco a baciarla come voglio fare da prima.
Le accarezzo la gamba mentre la sua lingua cerca la mia, poi risalgo lentamente lungo il fianco, insinuando le dita sotto la maglietta. Sento il tessuto del reggiseno che indossa a fermare la mia corsa.
Lascio le sue labbra solo per scendere lungo il collo, tracciando una scia di baci che assume un percorso tutto suo.
Haley riesce a ribaltare la situazione quando torno a baciarle le labbra; finisco io questa volta con la schiena contro il materasso. I suoi capelli mi solleticano le guance quando mi prende il viso tra le mani.
La voce di suo fratello arriva soffocata dal piano inferiore ed entrambi sussultiamo, le labbra si dividono con uno schiocco.
Haley non si muove fino a quando Nathan non chiama il suo nome di nuovo, ma fissa la porta.
«Torno subito.»
Non fa in tempo di raggiungere la porta e scendere a controllare, qualcuno dietro ad essa compie per lei quel gesto.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 28
*** 28. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 28
H.

 
«Odio quando non rispondi al telefono.»
Non è Nathan a materializzarsi nella mia stanza, ma Madison. Sono così in preda al panico che non riesco nemmeno a mettere insieme due parole per chiederle che diavolo ci faccia qui.
Sento Justin alzarsi dal letto e Madison si accorge di lui. Passa un secondo prima che mi sorpassi, fermandosi esattamente di fronte a lui, il quale aspetta.
Non so cosa, forse Madison che apra bocca per poter poi ribattere e iniziare una discussione del tutto inutile.
«Che diavolo ci fai tu qui?» Madison mi sta ignorando e la cosa mi manda fuori di testa.
«Potrei farti la stessa domanda, ma non credo siano affari tuoi.» Justin incrocia le braccia al petto mentre Madison lo osserva. Si è accorta del suo labbro rotto, ma d'altronde chi non lo noterebbe?
«Lo sono eccome, visto come sei conciato.» Non so dove voglia arrivare.
«Madison, cosa-»
«Devi andartene.» Justin scoppia a ridere a quel suo tentativo di imporre ordini, ma il divertimento si esaurisce fin troppo in fretta. Nasconde le mani nelle tasche dei jeans, dondolandosi sui talloni.
«E chi saresti per dirmi cosa devo o non devo fare?» Justin la sta prendendo in giro, ma so che in realtà è infastidito dal suo modo di fare e non passerà molto tempo prima che la sua parte arrogante prenda sopravvento sulla mia migliore amica.
«Non ha importanza: se dico di andartene, lo fai e basta.» Non so dove Madison abbia tirato fuori tutta questa rabbia o questo coraggio nel rivolgersi così verso Justin.
«Io non prendo ordini da nessuno, piccola.» Quello di Justin è appena un sussurro, ma abbastanza perché Madison arrossisca a quell'appellativo. Deglutisce e sembra abbia perso le parole.
Si ricompone dopo qualche secondo, alzando il mento in segno di superiorità.
«Dico sul serio, vattene.» L'angolo della bocca di Justin si piega nuovamente, forse divertito o forse solo annoiato da questa situazione, ma voglioso di continuare il battibecco; uno dei due cederà presto.
«Mi dispiace Madison, ma sono arrivato prima io.» Madison si morde il labbro inferiore.
«Sei un coglione, Bieber.» La mascella di Justin si tende e questa volta ho davvero paura per Madison.
«Dimmi qualcosa che non so.»
«Adesso basta.» Madison sembra finalmente rendersi conto che nella stanza ci sono anch'io. «Justin stava andando via, non c'è bisogno che tu faccia la stronza in questo modo. E tu, smettila di stuzzicarla.» Madison fissa le braccia al petto, Justin la osserva.
«Spetta a te andare via, Bieber.» Sembra una bambina capricciosa e la mia pazienza sta arrivando al limite. Justin deglutisce, muovendo il viso verso di me.
«Sì, forse è meglio.» Ci supera entrambe, inforcando la porta e scendendo in fretta le scale. Madison sorride vittoriosa, ma non le do retta, sto già correndo dietro a Justin.
Cammina veloce, raggiungendo la sua auto più velocemente del previsto, ha un passo molto più lungo del mio.
Chiamo il suo nome un paio di volte, ma mi sta deliberatamente ignorando. Raggiungo il cancello per aprirlo solo quando Justin si chiude dietro di sé lo sportello della sua auto.
L'adrenalina mi corre nelle vene velocemente, la paura invece si fa viva quando i fari si accendono con il motore in funzione.
Batto contro il finestrino e percepisco le lacrime offuscarmi il viso e serrarmi la gola. M'ignora, ma non parte. È teso, lo capisco dalle spalle e dalla mascella che scatta, come se stesse stringendo i denti più e più volte. Si volta solo quando un singhiozzo mi esce dalle labbra, come se si fosse accorto o avesse sentito.
Mi guarda per un paio di secondi, poi faccio un passo indietro mentre Justin apre la portiera. Il motore continua a girare mentre mi asciugo in fretta la guancia con il dorso della mano. Non ho tempo di fare lo stesso con la guancia sinistra, Justin lo fa per me.
«Non piangere.» Mi sfiora la pelle con le dita mentre mi mordo il labbro a quel tocco. Vorrei obbedire, ma la frustrazione e la reazione di Madison me lo impediscono.
Scuoto la testa un paio di volte poi le braccia di Justin mi intrappolano contro il suo corpo.
Non riesco a muovermi, ma forse non voglio nemmeno provare a sfuggirli. Sento il suo mento sulla mia testa e mi rendo conto che si tratta di qualcosa di cui al momento ho dannatamente bisogno.
Nascondo il viso nell'incavo del suo collo e Justin scioglie l'abbraccio solo dopo parecchi minuti, prendendomi il viso tra le mani. Le sue labbra mi sfiorano la fronte e la pelle reagisce arrossendo.
«Mi dispiace.» Lo vedo aggrottare le sopracciglia, poi scuotere il capo.
«Per aver pianto davanti a me? Non è mica la prima volta che-»
«Per Madison» lo interrompo perché non mi va di scherzare. «Non doveva dire quelle cose.»
«Non importa» mi stringe di nuovo il viso tra le mani, come se volesse così sottolineare il concetto. «Né di quello che dice lei, né di quello che dicono gli altri. Se voglio stare con te, lo faccio e bast-»
Non gli lascio il tempo di concludere la frase, lo bacio prima. Lo spiazzo perché forse non se lo aspetta, sussulta e mi cinge i fianchi con le mani. È di nuovo lui a condurre il gioco ed io sono costretta ad alzarmi in punta di piedi. Lo sento sorridere mentre mi accarezza la schiena; le mie dita tirano le punte dei suoi capelli e lo sento gemere sulle mie labbra.
Mi allontano solo quando il bisogno di aria è più forte di tutto questo. Justin mi accarezza entrambe le braccia lentamente, fino ad arrivare alle mani, dove intreccia le sue dita alle mie. Arrossisco di nuovo mentre lui sorride.
«Non arrossire» mormora, come se potesse aiutare in una situazione simile. Mi sfiora lo zigomo quando scuoto la testa. «Anche se in realtà mi piace quando lo fai. Le tue guance si arrossano proprio qui-»
«Smettila.» Borbotto, cercando di non dargli la soddisfazione di aver colpito in pieno il bersaglio.
«D'accordo.» Sogghigna, stringendo la presa delle dita.
Quando alzo lo sguardo, una macchina imponente si sta fermando a pochi passi da noi. Justin si volta nell'istante in cui la portiera viene aperta e chiusa nell'arco di appena un secondo.
Se possibile, la presa delle mani di Justin diventa più ferma e sussulto quando risucchia un respiro; ha irrigidito la postura delle spalle.
Seguo il suo profilo e mi rendo conto che in realtà è spaventato e sta fissando il ragazzo biondo che si ferma esattamente di fronte a noi, ci dividono pochi passi.
Ha i capelli biondo cenere, sono molto più chiari rispetto a quelli di Justin; è slanciato e muscoloso, con due occhi azzurri e le labbra incurvate in un sorriso tutt'altro che incoraggiante e amichevole.
L'atmosfera intorno a noi cambia nel giro di qualche istante e so per certo che l'uno conosce l'altro.
«Lei è il tuo nuovo giocattolino, Bieber?» Il tono del ragazzo biondo è sprezzante quando m'indica con un cenno del meno; Justin sembra voglia strapparmi la mano dal braccio.
«Che cazzo ci fai qui, Sasha?» Justin ha la voce bassa, mi graffia la pelle e mi terrorizza. Sono io a stringere il suo avambraccio, ma il ragazzo sembra non essere minimamente preoccupato dalla sua reazione. Si avvicina e Justin indietreggia, costringendomi a spostarmi dietro di lui.
«Non ti avvicinare.» Il sorriso non abbandona il suo viso, nemmeno sotto minaccia. Però alza le mani in segno di resa e non ho idea di cosa stia a significare.
«Questa volta ti sei superato in quanto a bellezza. Chissà, magari farà la stessa fine di- come si chiamata? Ah sì, Stacy. La piccola e dolce Stacy. Dimmi un po', l'hai più vista da quando-»
«Chiudi quella cazzo di bocca o giuro su Dio, ti uccido in questo istante.» Justin sta urlando, interrompendo il discorso del ragazzo. Io sobbalzo, posandogli una mano sulla schiena; il cuore gli batte a mille.
«Lo sai che non hai nessuna convenienza nel minacciarmi» la reazione di Justin non gli fa né caldo né freddo. «Impiegherei meno di un secondo a spararti una seconda volta.» Questa volta sono io a risucchiare un respiro, sento il cuore accelerare, poi gli occhi cristallini di Sasha si posano nei miei.
«Respira occhi d'angelo, non ti farò del male» deglutisco a quelle sue parole e sento la bestemmia di Justin masticata tra i denti. «A meno che il tuo ragazzo qui presente non mi faccia saltare i nervi.» Aggiunge però, ammiccando verso Justin.
«Non parlare con lei, non avvicinarti, non-» Justin s'interrompe da solo, mordendosi a sangue il labbro inferiore; Sasha scoppia a ridere.
«Mi divertirò un sacco.» Lo dice più a se stesso che a uno di noi in particolare, poi sale nuovamente in macchina. «Ci vediamo in giro, occhi d'angelo.»
Justin non ha tempo di ribattere, Sasha è già partito. Lo seguo fino a che non percorre la curva, sparendo ai miei occhi.
Lascio la mano di Justin così in fretta che lui stesso sobbalza, poi si porta entrambe le mani al viso, imprecando più volte, senza nemmeno preoccuparsi di me, al suo fianco.
«Chi diavolo era quello?» Sento la mia voce tremare mentre Justin si passa una mano tra i capelli, voltandosi verso di me.
«Mi dispiace, io-» continua a interrompersi e la cosa mi sta spaventando a morte.
«Ti dispiace di cosa? Justin, che cosa diamine sta succedendo?» Si deve accorgere per forza del panico nella mia voce, così come io percepisco il suo nei movimenti che compie.
«Non avrebbe dovuto vederci insieme, non così. Cazzo!» Sferra un pugno sul cofano della sua auto e questa volta la paura diventa reale; muovo un passo all'indietro sotto le imprecazioni di Justin.
«Mi stai spaventando.» Non mi sente, è concentrato a estrarre il cellulare dalla tasca per comporre un numero, far partire la chiamata e utilizzare il viva voce per passarsi di nuovo le mani tra i capelli, come se fosse in preda alla disperazione.
«Che diavolo vuoi?» Suona familiare la voce che arriva dall'altra parte del telefono.
«Randy, l'ha vista» Justin si morde il labbro prima di imprecare ancora. «Mi ha minacciato.»
«Chi ti ha visto? Chi ti ha minacciato?» Il ragazzo sembra stare perdendo la pazienza.
«Sasha!» Il silenzio che segue sembra segnare la fine della telefonata.
«Dove sei?» Randy parla veloce tanto quanto Justin.
«A casa di Haley, sono con lei adesso. Sasha è appena andato via.» Posa entrambi i gomiti sulla carrozzeria dell'auto.
«Vieni da me. Justin, subito.» Randy chiude la comunicazione con un ordine ben preciso. Justin annuisce al nulla e ritira il cellulare nella tasca dei jeans. So che sta per salire in auto e lo afferro per il braccio, impedendogli qualsiasi altro possibile movimento.
«Dove pensi di andare? Justin o mi dici che cazzo sta succedendo o giuro su Dio, ti prenderò a pugni.» Non mi rendo nemmeno conto di quello che sto dicendo, ma ottengo la sua completa attenzione perché si volta, ricordandosi che ci sono anch'io.
«Sasha.» Mormora quel nome, come se significasse tutto e niente. «È pericoloso, è stato lui a spararmi la prima volta e cazzo, non avrebbe dovuto vederci insieme. Farà qualsiasi cosa per farmi incazzare e-» s'interrompe perché la mia reazione parla per me; ho fatto un passo indietro. «No, no. Non è a te che farà qualcosa, te lo prometto. Sono io il suo bersaglio, però voglio che tu faccia una cosa per me, d'accordo?» Non aspetta una mia risposta perché riprende a parlare e ad impartire ordini che non capisco fino in fondo. Annuisco, perché non ho nient'altro da fare.
«Resta a casa, okay? Non uscire se non ci sono io. Fallo per me va bene? Non mi fido di lui. Io ti chiamo stasera non appena rientro a casa.» Non mi lascia parlare ed è terrorizzato tanto quanto me. Impreca di nuovo mentre mi abbraccia.
«Ma tu starai bene, vero?» Justin annuisce in fretta.
«Starò bene.» Quando inspiro, sento il suo profumo.
«Promettimelo.» Questa volta non può sfuggire alle mie parole e lo sento prendere un lungo respiro prima di annuire.
«Te lo prometto» mi bacia la fronte. «Torna dentro, ti chiamo dopo.»
Mi lascia andare in fretta, salendo in auto; chiudo il cancello quando la portiera della sua auto si chiude dietro di lui. Lo sento sgommare sull'asfalto e solo dentro casa mi rendo conto che Madison è ancora qui.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 29
*** 29. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 29
J.

 
Stringo il voltante con così tanta forza che le nocche sono sbiancate, mi fanno persino male le spalle da tanto che sono tese.
Mi accorgo a malapena di essere arrivato davanti casa di Randy, sono quasi sicuro di aver beccato una multa per eccesso di velocità.
Parcheggio nel solito posto, fiondandomi contro la porta di casa sua e bussando fino a quando la sua figura non mi si para davanti.
Non lo saluto, lo sorpasso senza nemmeno curarmi di avergli urtato la spalla; devo sbarazzarmi di quell'orribile sensazione che mi sta mangiando vivo.
«Respira e dimmi esattamente quello che è successo.» Non so se sia agitato o meno, ma faccio come dice e prendo un lungo respiro. Il cuore mi batte contro la gabbia toracica e fa quasi male.
«Haley mi ha accompagnato fuori di casa e lui è arrivato.» Parlo in fretta, ho troppe cose da dire e spero che Randy mi ascolti attentamente. «Mi ha minacciato; l'ha vista e l'ha chiamata occhi d'angelo. Randy, ha nominato Stacy, io-»
«Respira» me lo dice una seconda volta, interrompendo il flusso delle mie parole. «Lo so che fa male, ma-»
«Non può avvicinarsi ad Haley» sono io a tagliargli le parole. «Non avrebbe dovuto vederla, io-» scuoto la testa quando mi rendo conto di stare balbettando.
«Justin, lo so. Conosco Sasha, ma ti prometto una cosa: non lascerò che si avvicini ad Haley come ha fatto con Stacy.» Non gli credo per il semplice motivo che non è l'unico a conoscere Sasha.
«E se cambiasse idea?» Potrebbe sempre succedere. «Se lo facesse per farmi incazzare? Randy: ci ha visto insieme.» Mi rendo conto di aver alzato la voce solo quando Randy mi afferra per le spalle, stringendo fino a farmi male.
«Respira» me lo dice con il mio stesso tono di voce. «So che sei arrabbiato, ma nessuno toccherà Haley. Non fino a quando ci sarò io, è una promessa.» Continuo a non fidarmi di lui perché non mi fido di Sasha.
«Se dovesse minacciarla-»
«Non glielo permetteremo» m'interrompe nuovamente e mi mordo il labbro inferiore. «Parlale, spiega a Haley che tipo è. Dille come comportarsi nella remota occasione in cui Sasha potrebbe avvicinarla.» Randy cerca di tranquillizzarmi, ma non funziona.
«Prima mia sorella e ora lei» lo dico più a me stesso che a lui in particolare. «Sono stanco di questo suo gioco e non sono più sicuro che siano solo minacce a vuoto.»
«Lo sono eccome» sottolinea Randy, premendomi le dita sulle spalle. «Non stare al suo gioco, ti prego.» Si passa poi una mano tra i capelli.
«Voglio solo che non tocchi le persone alle quali tengo di più.» Randy sorride e al momento non me lo spiego questo suo comportamento.
«Haley ne fa parte?» Me lo chiede con naturalezza, ma è curioso. Annuisco senza nemmeno rendermene conto. «È per lei che non sei venuto l'altra sera, non è vero?»
«Sì.» Non credo che Randy stesse aspettando una vera e propria risposta, sembrava conoscerla già. Mi fa cenno di seguirlo sul divano, poi mi offre una sigaretta che rifiuto.
«Allora mi dispiace di averti colpito in quel modo. Hai la capacità di farmi incazzare come nessun altro a questo fottuto mondo.» Soffia via il fumo mentre io alzo gli occhi al cielo.
«Sei fortunato che Jennifer ti abbia sbattuto fuori di casa o saresti conciato al mio stesso modo.» Randy scoppia a ridere e io mi alzo dal divano solo per raggiungere la cucina e recuperare una bottiglietta d'acqua. Randy deve borbottare qualcosa, ma non comprendo.
Il cellulare inizia a squillare non appena prendo nuovamente posto; è mamma. A quella finta chiamata segue un messaggio minatorio nel quale specifica che se non sarò a casa entro un paio di minuti, chiuderà a chiave la porta, cambiando la serratura.
«Mia madre è passata alle minacce, devo andare.» Blocco lo schermo del cellulare, riponendolo poi nella tasca dei jeans.
«Salutala da parte mia.» Sogghigna poi Randy; l'insulto appena mormorato lo raggiunge nel momento in cui mi chiudo la porta alle spalle.

 
-

«Noto con piacere che le mie minacce hanno funzionato» gongola mia madre non appena varco la porta di casa. «Devo iniziare ad usarle più spesso.» Svio il discorso con un veloce cenno della mano, ma scoppio a ridere davanti la sua espressione.
«Ero già per strada e no, non sono più un bambino.» Mamma inarca un sopracciglio prima di voltarmi le spalle e tornare in cucina.
«Ah no?» Borbotta, ma sono già per le scale.
Jazzy è sdraiata sul mio letto, con gli auricolari nelle orecchie e il mio iPod tra le mani. Sobbalza quando si accorge di me, fermo sullo stipite della porta.
«Mi stavo annoiando.» Si giustifica, togliendosi gli auricolari; ricorre al tono di voce capriccioso.
«La mia stanza non è un parco giochi.» La sento borbottare qualcosa mentre mi tolgo la maglietta, recuperandone una pulita dall'armadio.
«Ne voglio uno anche io.» È diventata una cantilena e quando mi siedo accanto a lei sul letto, non accenna a lasciarlo andare.
«Sei troppo piccola.» Jazzy incrocia le braccia al petto, sbuffando. Poi scende in fretta, con l'intenzione di sbattersi la porta alle spalle in segno di offesa.
Scuoto la testa, sorridendo quando il cellulare vibra. L'anteprima di un messaggio proviene da Austin.

Da Austin:
«Randy mi ha detto quello che è successo con Sasha. Stai bene?»

A Austin:
«Sto bene. È Haley che mi preoccupa, l'ha chiamata occhi d'angelo.»

Da Austin:
«Le hai parlato? Le hai detto che tipo è?»

A Austin:
«Le ho detto di non uscire di casa fino a domani. Come se non bastasse, ho discusso con Madison.»

Da Austin:
«Quella ragazza è una spina nel fianco. Justin, lo so che non sono stato un buon amico negli ultimi giorni, ma Haley mi piace e so che sei preso da lei; ho visto come la guardi. Assicurale che non le succederà niente, non deve preoccuparsi di Sasha se ci sei tu.»

A Austin:
«Grazie.»

Lascio cadere il cellulare sullo stomaco e chiudo gli occhi per qualche secondo. Jazzy viene a svegliarmi perché la cena sarà pronta a momenti.
Non presto troppa attenzione agli argomenti discussi a tavola, ma non appena mamma nomina mio padre, la forchetta mi scivola dalla mano producendo un rumore sordo contro la superficie del tavolo.
«Come scusa?» Sono più vigile che mai.
«Tra qualche giorno tuo padre verrà qui.» Ripete; la tensione riprende a scorrere libera nelle vene.
«Perché?» Mamma alza gli occhi al cielo alla mia domanda. «Non voglio che venga qui, non ha nessun motivo per farlo.»
«Lo so che non lo vuoi qui, ma non ci sei solo tu. Viene anche per Jazzy.» Non so perché si ostini a spiegarmelo ogni volta ed io poso la forchetta.
«Jazzy non ha bisogno di lui.» Sento la sedia strisciare sul pavimento mentre la faccio indietreggiare, alzandomi.
«Justin, ti prego-»
Non ha molto tempo per aggiungere altro perché le ho già dato le spalle, correndo per le scale e chiudendo la porta con un tonfo dietro di me.
Non posso urlare, non posso prendere a pugni nessuno, non posso fare assolutamente nulla per scacciare la tensione che mi opprime le spalle.
Posso solo azionare l'acqua della doccia e comporre poi il numero di Haley.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 30
*** 30 ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 30
H.

 
La suoneria del cellulare rompe il silenzio della stanza; sobbalzo e per errore, chiudo una delle tante icone aperte sullo schermo del pc.
Non mi aspetto di veder comparire il nome di Madison, è fin troppo arrabbiata con me per chiamarmi dopo appena qualche ora.
Mi alzo dalla sedia, con la speranza di non aver perso parte del lavoro non ancora salvato per la ricerca di Letteratura. È il nome di Justin a lampeggiare sul display del cellulare ed esito appena un istante, poi accetto la chiamata, sedendomi sul bordo del letto.
«Pronto?»
«Haley.» La preoccupazione che tinge la sua voce non mi sfugge.
«Ciao.» So che non mi ha chiamato solo per pronunciare il mio nome; Justin sospira.
«Stai bene, non è vero?» Annuisco, ma ricordo solo in un secondo momento che non può vedermi.
«Sto bene. Tu come stai?» Lo sento trattenere appena un sorriso mentre pronuncio a mia volta la domanda.
«Se l'episodio di oggi non fosse mai successo, starei meglio.» Me lo dice però con un tono così diverso che riesco quasi a immaginarlo mentre contrae la guancia; è un gesto che fa ogni volta che qualcosa lo preoccupa o lo infastidisce. Me ne sono resa conto ultimamente e per quanto possa sembrare attraente, non è mai un buon segno.
«Mi hai spaventato, prima.» Glielo dico dopo qualche secondo di silenzio; lo sento trattenere il respiro.
«Mi dispiace, ho reagito male-»
«Non devi giustificarti, tranquillo.» Lo interrompo perché non conosco quel ragazzo, ma credo di stare imparando a conoscere Justin.
«Sasha è pericoloso, Haley.» Me lo dice come se non me ne fossi resa conto.
«Credo di averlo notato.» Non lo so perché cerco di sdrammatizzare la situazione, ma Justin non ne vuole sapere.
«Voglio che tu capisca una cosa: ho già avuto a che fare con lui-»
«Stacy?» Lo interrompo senza che nemmeno me ne accorga e pronuncio quel nome perché aleggiava nell'aria; il respiro di Justin si spezza.
«» lo sussurra appena. «Dobbiamo stare attenti. Ci ha visto e ha visto il modo in cui eravamo insieme. È stato lui a sparare e tutto questo si sta trasformando in qualcosa di comico perché Randy mi ha costretto a dirti di stare tranquilla e di non preoccuparti. Come diavolo faccio a dire una cosa del genere quando io sono spaventato a morte?» Sta parlando più con se stesso, ma lo ascolto.
«Justin, perché sei spaventato?»
«Perché ha capito quanto sei importante e userà questo contro di me. Farà qualsiasi cosa per farmi incazzare, ma giuro su Dio, se solo proverà ad avvicinarsi io-»
«Sono importante?» Ho smesso di ascoltare nell'istante in cui quelle parole mi sono arrivate all'orecchio; Justin impreca a mezza voce.
«Ti sembro il tipo da passare le giornate in biblioteca? O il cavaliere che salva le ragazze portandole via su una cazzo di moto perché delle persone potenzialmente pericolose fanno il loro ingresso nei locali? No, e non sono nemmeno il tipo che passa due ore fuori di casa perché ha bisogno di chiedere scusa o spiegare la situazione per non farsi odiare.» Parla così veloce che a malapena riesco a stargli dietro. «Se non fossi importante, non avrei fatto niente di tutto ciò.»
Vorrei dire qualcosa, un semplicissimo grazie sarebbe sufficiente, ma non ne ho il tempo; la voce di mia madre me lo impedisce.
«Io-»
«Sì, ho sentito» borbotta, ma non è infastidito. Forse solo stanco. «Volevo solo assicurarmi che fosse tutto a posto.»
«Grazie per averlo fatto.» Lo sento sorride e lo odio; è qualcosa che va vissuto di persona.
«Ci vediamo a scuola allora.» Aggiunge semplicemente.
«Ci vediamo a scuola.» Ripeto, consapevole che la comunicazione sarà interrotta nell'arco di un paio di secondi; Justin resta in silenzio giusto un attimo, come se volesse aggiungere dell'altro, ma poi la linea viene chiusa.

 
-

«Avete ancora una settimana prima della consegna della relazione» il professore di Letteratura sta ritirando gli ultimi fogli nella sua cartelletta. «Non esitate a chiedere se avete ancora qualche dubbio.» Resta in silenzio qualche istante, forse ad aspettarsi una qualche reazione da parte nostra. Nessuno sembra averne voglia e sospira.
«Bieber, quanto a lei: mi aspetto almeno un foglio con scritto nome e cognome.»
Mi volto anch'io verso di lui, seduto a qualche banco di distanza. Sta giocando con la matita, facendola rimbalzare sulla superficie e producendo un rumore piuttosto fastidioso. Torna a sedersi composto e sogghigna quando si accorge che tutti gli occhi sono puntati su di lui.
«Perché perdere tempo quando sembra conoscerli così bene?»
Il professore non ribatte, ma l'espressione sul suo viso parla per lui. Incrocio appena lo sguardo di Justin quando la campanella suona; entrambi stiamo sorridendo.
Madison ed io ci siamo parlate stamattina, ma sento ancora astio nei suoi comportamenti. Nonostante tutto la seguo fuori dall'aula. Sta parlando di qualcosa e la ascolto brevemente, è indaffarata a recuperare altri libri dall'armadietto. Sento il nome di Martin, ma smetto di ascoltarla quando Justin mi passa di fronte, schioccandomi un occhiolino.
Il suo armadietto e qualche metro di distanza, sul lato opposto rispetto ai nostri. Assume la mia stessa posizione, sta aspettando che Austin chiuda l'anta.
Sono costretta a distogliere lo sguardo dal suo, ma lo sento che mi osserva e ha un palese ghigno dipinto sul viso.
Per un secondo penso di immaginarlo soltanto, ma lo fa una seconda volta, ripetendo il gesto: con un cenno indica il corridoio alla mia destra.
«Mi stai ascoltando?» La voce di Madison sembra essersi alzata di parecchie ottave; sobbalzo quando chiude l'anta dell'armadietto.
«No, mi sono distratta.» Justin non sta facendo assolutamente nulla per non celare il suo sguardo verso di me.
La vedo scuotere la testa forse rassegnata, poi la campanella suona annunciando l'inizio della prossima lezione. Non frequentiamo insieme e non esita a lasciarmi sola in mezzo al corridoio.
Io devo raggiungere l'aula di Scienze e ho perso di vista Justin. Percorro a ritroso il corridoio, tirando dritto senza preoccuparmi di nulla. Oltrepasso una piccola nicchia, ma vengo trattenuta e tirata indietro.
Non ho tempo di aprire bocca per gridare, la mano di Justin è premuta sulle mie labbra a impedirmelo; il cuore sta battendo fin troppo forte contro la gabbia toracica.
Justin mi lascia andare solo quando è ben sicuro che non possa muovermi, la mia schiena tocca la parete dietro di me.
«Mi hai spaventato a morte.» Non vorrei tenere la voce così bassa, ma sono costretta a farlo. Justin sorride e nasconde entrambe le mani nelle tasche, dondolandosi sui talloni.
«Mi dispiace.» Mormora e sto per spingerlo via, ma è abbastanza veloce da afferrarmi il polso e impedire il movimento. «Ti ho spaventato davvero o ti diverti a ripetere sempre la stessa cosa?»
«Di solito non vengo trascinata in questo modo, sparendo per i corridoi della scuola.» Justin sorride di nuovo e si avvicina al mio viso, togliendomi una ciocca di capelli sfuggita alla treccia. «Che c'è?» Glielo chiedo perché non smette di guardarmi.
«Niente.» Replica, stringendosi nelle spalle; mi allontano dal muro, avvicinandomi pericolosamente a lui.
«Allora posso andare? Sono in ritardo per la lezione.» Justin allunga il braccio fino a che il suo palmo non tocca la parete appena sopra la mia spalla. Contrae la guancia e sobbalzo perché è il suo modo di dire che qualcosa lo sta infastidendo.
«Justin-»
Non riesco a formulare una frase completa, le sue labbra premono sulle mie e le parole non possono fuoriuscire.
Rimane immobile, ad assicurarsi che io non opponga resistenza. E non lo faccio.
Solo quando ne è davvero sicuro, sento la sua mano che piano risale alla guancia e il braccio che fino a qualche secondo fa m'impediva di andare via, è ora dietro la mia schiena a portarmi quanto più vicino al suo corpo.
Schiude appena le labbra, ma sono io a baciarlo questa volta; il colletto aperto della sua camicia finisce stretto tra le mie dita. Non c'è più spazio tra di noi, solo il libro che ancora tengo sotto braccio.
Lo sento sorridere prima di mordermi il labbro, facendomi sussultare. Quando lascia il mio viso, sento la mancanza della sua mano su di esso. Mi ha imprigionato con entrambe le mani, spingendomi nuovamente conto il muro. Il suo corpo preme contro il mio così tanto che gli sento battere il cuore.
Il bisogno di ossigeno mi costringe a scostarmi da lui e ad abbassare lo sguardo; Justin deglutisce a quella mia reazione.
«Ho fatto qualcosa di male?» Sento il timore nella sua voce e scuoto la testa; mi costringe ad alzare il viso. «Che succede?» Non lo so perché sorrido, ma lo faccio e avvicino nuovamente le mie labbra alle sue.
«Niente» sussurro, sfiorandole appena. Justin mi guarda perplesso e per poco non mi ritrovo a sbuffare. «Tu baciami e basta.»
Il mio è un ordine e Justin non è proprio il tipo di persona che disobbedisce. Lo fa con delicatezza e non so cosa scatta poi, le sue labbra si fanno più insistenti, persino la presa sulla mia pelle sembra chiedere si più. Mi bacia il collo, tracciandovi una linea immaginaria che mi fa venire la pelle d'oca.
«Devo andare.» Sono senza fiato, eppure non mi sono mossa di un passo. Justin non mi ha sentito o forse mi sta solo ignorando perché non accenna a concludere quella piacevole tortura. «Justin devo andare.»
Quando torna a guardarmi negli occhi, annuisce e si morde il labbro inferiore, trattenendolo tra i denti più del necessario. Fa un passo indietro, permettendomi di muovere un passo in avanti e raggiungere la classe di Scienze.
Ho il cuore gonfio tanto quanto le labbra.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 31
*** 31. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 31
J.

 
«Mamma, sto uscendo.» Indosso la giacca nera, aggiustandomi il colletto della camicia sotto di essa.
Sono ben consapevole dell'arrivo di mio padre, il mio intento è sparire prima di incrociarlo. Randy mi sta aspettando e nonostante il mio umore sia più pessimo del previsto, non voglio restare nei paraggi.
«Come scusami?» Mamma me lo chiede in modo talmente retorico che trattengo a stento il gesto di alzare gli occhi al cielo.
«Sto uscendo.» Lo ripeto, cercando le chiavi dell'auto. Borbotta qualcosa e credo sia una sorta di imprecazione nei miei confronti.
«Tuo padre sarà qui a momenti.» Non fa che ripetermelo da stamattina e sebbene non ci creda, lo so bene.
«Jazzy, se mi hai nascosto di nuovo le chiavi dell'auto, giuro su Dio che ti farò passare un brutto quarto d'ora.» Non me ne rendo neanche conto, ma mia madre mi fulmina con lo sguardo. La ignoro tanto quanto mia sorella sta facendo con me; le chiavi sono all'interno dei pantaloni, sento il solito portachiavi quando mi tasto le tasche.
«Non andare da nessuna parte, tuo padre-»
«Sta per arrivare, ho capito mamma» la interrompo, concludendo la sua frase ormai monotona. «È proprio per questo che sto uscendo.»
Mia madre non ha tempo di ribattere - so che vuole farlo, glielo leggo in faccia - la ghiaia nel vialetto segnala l'arrivo di mio padre. Stringo i denti così forte che mia madre mi osserva preoccupata mentre mi allontano dalla porta.
«Grandioso.» Trattengo a stento un'imprecazione, ma mi appoggio allo schienale del divano nel momento stesso in cui bussano alla porta. Mamma cerca di stabilire un contatto con il mio viso, ma mi stringo nelle spalle.
La figura massiccia di mio padre compare sulla soglia e mia madre gli sorride. Non ho mai capito se lo faccia per finta o se realmente le fa piacere vederlo.
Papà le bacia le guance quando si scosta per farlo entrare; stringo i pugni per evitare di fare qualsiasi movimento brusco. Si accorge della mia presenza e pronuncia il mio nome. Lo ignoro volutamente e in fretta scrivo un messaggio a Randy, avvisandolo del ritardo.
«Non vieni a salutarmi?» Interpreto il suo tono come una sfida e devo mordermi la lingua; mia madre è sempre qui. Papà arriccia le labbra e si guarda intorno alla mia non reazione. «Dov'è la mia principessa?» Jazzy fa il giro del divano, correndogli in contro e papà la solleva, stringendola tra le braccia.
«Ti ho portato una cosa.» Le mostra una piccola scatola, che Jazzy agita per indovinare cosa contiene.
«Vai ad aprirla, ti raggiungiamo subito.» Mamma mi sta guardando negli occhi, ma Jazzy obbedisce; Amma sospira esausta da quella situazione.
«Justin, puoi comportarti in maniera educata e da persona civile, per una volta?» Continuo a pensare che stia usando un tono retorico e sbuffo.
«Certo mamma. È proprio per questo che sto uscendo» mi aggiusto nuovamente il colletto della camicia. «Per comportarmi in maniera educata e da persona civile.» Sono pronto ad uscire, ma mio padre impedisce ogni mio movimento, afferrandomi e trattenendomi per il braccio. Osservo prima la sua mano, poi il suo viso.
«Lasciami andare.» Il mio è un ordine solo sussurrato.
«Per una volta, ascolta tua madre.» Mi lascia andare lentamente.
«Non toccarmi» scandisco le parole, ben attento affinché capisca il concetto. «Mai più.»
«Justin.» Anche quello di mia madre è un sussurro e forse ne soffre anche, ma non m'importa.
È la solita scena, ha le stesse caratteristiche: sa che non sono capace di restare nella stessa stanza con mio padre per più di un paio di minuti.
«Me ne vado.» Ripeto ancora e questa volta si arrende.
«Posso almeno sapere dove?»
«Da Randy, ma non aspettarmi alzata. Non so quando torno.» Inforco finalmente le chiavi dell'auto e mamma annuisce, raggiungendo Jazzy in cucina. Mio padre mi osserva in silenzio, poi allunga una mano verso di me; mi scosto appena.
«Ti ho portato una cosa.» Me lo dice quasi a bassa voce e lascio persino la maniglia della porta per guardarlo in faccia. Impiego un solo gesto, brusco e veloce. Ciò che tiene in mano, finisce al suolo.
«Va' al diavolo.»

 
-

«Un po' di vita Bieber, ti supplico.» Randy si lamenta per quella che deve essere la quarta volta e mi dà persino una pacca sulle spalle. Stiamo festeggiando le sue ultime settimane da uomo non sposato.
Scuoto la testa e bevo un altro sorso di birra, afferrando la bottiglia dal collo.
«Che ti prende?» Me lo chiede curioso, ma non sono io a rispondere alla sua domanda.
«Suo padre è di nuovo in città.» Fulmino Austin con lo sguardo e lui arriccia semplicemente le labbra.
«Mio padre è di nuovo in città» ripeto e Randy annuisce. «È a casa mia ora, abbiamo discusso nell'esatto momento in cui è arrivato. Credo che ia madre mi odi, ma sono uscito mandandolo al diavolo.» Sospiro infine; Randy fa cenno a Seth di passargli qualcosa e quando incrocio il suo sguardo, mi ritrovo a stringere i denti.
«Voi due dovete risolvere questa pagliacciata.» Suona vagamente come un ordine; sia io che Seth ci fissiamo per un istante.
«No.» Lo diciamo nello stesso momento, tanto che gli altri scoppiano a ridere, innervosendomi più del necessario.
«Siete peggio di due bambini viziati. Bieber, tua sorella sarebbe più di compagnia in questo momento.» Borbotta Randy, accendendosi una sigaretta senza guardarmi negli occhi.
«Ma che cazzo stai dicendo?» Mi alzo dalla sedia, lasciandola strisciare sul pavimento; Randy alza gli occhi al cielo.
«Non volevo che suonasse così e poi stavo scherzando. Torna a sederti, coraggio.» Indica la sedia accanto alla sua e impreco.
«Vaffanculo.» Obbedisco per il semplice fatto che non ho altro posto in cui andare.
«Dico davvero, non volevo metterla in mezzo» so che è sincero, probabilmente non si è nemmeno accorto di averlo detto. «Però tu e Seth dovete smetterla di comportarvi come due idioti. Quello che è fatto è fatto, non si torna indietro. Non ci sono state conseguenze, dobbiamo tornare alla nostra vecchia vita.» Randy sta cercando di risultare simpatico, ma sgrano gli occhi a quelle parole. Seth gongola, compiacendosi di ciò che è appena stato detto.
«Scusami?» Cerco di non passare per stupido, ma mi riesce difficile al momento. «Non è successo niente?»
«Nessuno ha scoperto niente, qual è esattamente il problema?» Mi schiarisco la voce, sperando che non sia serio e che la birra gli abbia dato alla testa.
«Haley ti dice qualcosa?» Pongo la mia domanda consapevole che tutto ciò mi porterà nient'altro che guai; Randy aspira il fumo dalla sigaretta, indirizzando poi verso di me.
«In effetti sì: credo sia la ragazza con la quale te la spassi. Dico bene?» Continuano le domande retoriche.
«Come?!» È Anthony a porre il quesito, dall'altro lato del tavolo; Austin e Seth sogghignano.
«Esattamente, qual è il tuo cazzo di problema?» Randy si alza solo per recuperare una seconda bottiglia di birra. Mi ignora e lo seguo quando dalla cucina si sposta al salotto, sedendosi comodamente sul divano.
«Ti ho fatto una domanda.» Randy si stringe nelle spalle, ma m'ignora. «Sei sempre stato tu a dirmi che Seth si è comportato da idiota. Mi hai detto tu di tranquillizzare Haley e adesso sputtani tuto così?» Seth mormora qualcosa a Anthony, poi Randy sospira.
«Non sto sputtanando niente, dico solo le cose come stanno.» Replica fin troppo calmo; mi passo una mano tra i capelli per evitare di colpirlo dritto in viso.
«No, mi stai solo facendo incazzare.»
«Justin, sto solo dicendo che il danno è fatto. Ora stai con lei, dimentica la storia di Seth.» Si siede meglio sul divano.
«Sei un coglione.» Mi siedo a mia volta, osservando come la stessa cosa fanno anche gli altri ragazzi.
«Randy ha ragione» È Austin a parlare e mi volto verso di lui. «Voglio dire, è vero che Seth si è comportato da idiota, ma nessuno ha scoperto niente fino ad ora.»
«Lo ha scoperto Haley.» Lo ripeto di nuovo e mi sembra di avere a che fare con degli stupidi.
«Non lo dirà a nessuno.» Quando interviene Seth alzo gli occhi al cielo.
«Questo non cambia le cose. Non mi hai dato ascolto quando avevo chiaramente impartito un ordine.» Seth sbuffa, io aggrotto le sopracciglia.
«Vuoi che ti chieda scusa, Justin?» Me lo domanda con fare sarcastico. «Devo scusarmi per non aver obbedito e sparato un colpo oppure vuoi solo sentirti dire tutto ciò per compiacere il tuo smisurato ego? Ringraziami e basta.»
«Per non averci fatto arrestare?» Mi sembra di urlare.
«Per averti fatto conoscere Haley. Ho visto come le gironzoli intorno a scuola.» Mi corregge e devo stringere i pugni per non raggiungerlo.
«Conoscevo già Haley.» Borbotto in risposta. È una mezza bugia, ma non è necessario che loro lo sappiano.
«Scommetto che prima non te la facevi, non è vero?» Randy ride di gusto alla sua stessa battuta, seguito a ruota da Anthony e Austin. «Sei cotto di lei.»
«Bieber innamorato è una novità per tutti.» Austin mi dà una gomitata all'altezza delle costole; non so cosa mi faccia ridere, ma succede.
«Non sono innamorato di nessuno, idiota.»
«Se mai avessi bisogno di consigli riguardo una proposta di matrimonio, non esitare a chiedere.» Randy si indica, prendendomi palesemente in giro.
«Pensa al tuo, di matrimonio.» Borbotto in risposta. «Non sono innamorato, tanto meno di Haley. Mi piace stare con lei, tutto qui.» Non mi rendo nemmeno conto di pronunciarlo ad alta voce.
«Non arrossire, Bieber.» Scuoto la testa quando Anthony si prende gioco di me.
«Chiudi la bocca.» Non sono più credibile perché sto sorridendo e Randy sospira in modo teatrale.
«Allora: consideriamo chiusa tutta la faccenda?» Osserva prima me e poi Seth, al suo fianco.
Annuisco con riluttanza e Seth fa lo stesso.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 32
*** 32. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 32
H.

 
Ho troppe buste in mano per controllare correttamente l'orologio che indosso al polso; sono in ritardo .
Il sole non è ancora del tutto caldo, ma la fatica di camminare velocemente, mi sta dando quella sensazione.
Attraverso il parco solo perché si tratta della strada più breve; qualcuno mi si affianca.
«Ti serve una mano, occhi d'angelo?»
Non presto troppa attenzione alla voce, sono già pronta a replicare che non ho bisogno di niente. Qualcosa però scatta quando quello stupido soprannome mi rimbomba nelle orecchie.
Fermo i miei passi nell'esatto momento in cui collego tutto: è Sasha e un sorriso gli sta increspando le labbra.
«Sei la nuova ragazza di Bieber, non è vero?» Si avvicina pericolosamente e la parole di Justin mi rimbombano nella testa. La mia vocina mi sta ordinando di scappare, ma le mie gambe non ne vogliono sapere di collaborare.
«Non sono la ragazza di nessuno.» Glielo dico in fretta, ma la mia voce suona strana. Mi ha spaventato, ma non vorrei darglielo troppo a vedere; si passa una mano tra i capelli mentre mi osserva.
«Invece io credo che sia l'esatto contrario.»
«Tu non sai niente.» Abbasso la voce, così come lo sguardo; lo sento sorridere.
«So più di quanto tu possa anche solo immaginare, occhi d'angelo.» Mi corregge e mi ritrovo a mordermi il labbro.
«Smettila di chiamarmi così.» Non riesco a nascondere la paura e lui se ne accorge.
«Non devi avere paura di me» mi sta sfiorando una ciocca di capelli. «Non ti farò del male a meno che il tuo ragazzo non mi faccia saltare i nervi.» Sottolinea la minaccia con tanto di sorriso e indietreggio, cercando di allontanarmi il più possibile dalla sua figura.
«Che cosa vuoi da Justin?» Sasha è divertito da quella situazione.
«Abbiamo un piccolo conto in sospeso.» Si stringe nelle spalle, come se fosse la situazione più normale della vita. «Tu non hai idea di quello che combina con i suoi amichetti, non è vero?» Non voglio cascare nel suo tranello, ma è dannatamente difficile e lui si sta beando della mia ingenuità.
«Io-»
«Quando lo vedi, riferiscigli che lui e Randy hanno ancora qualcosa che mi appartiene e che rivorrei indietro il prima possibile. Oppure troverò il modo di farla pagare a entrambi, tu potresti essere il mio obiettivo preferito.» Si accende una sigaretta e le sue parole risultano persino strascicate.
«Sarò ben felice di riportare le tue minacce alla polizia.» Sto cercando qualcosa per spaventarlo, ma è tanto furbo da non cascarci; scoppia a ridere.
«Non lo faresti mai.» È fin troppo calmo, lo odio.
«Ne sei sicuro?» Racimolo un briciolo di coraggio, ma invano.
«Mai stato così sicuro. Justin finirebbe nei guai e tu questo non lo vuoi. Credi che non sappia che sono stati loro a sparare quella sera?» Non rispondo perché non riesco a muovere le labbra per poterlo fare. «Riferisci il mio messaggio o lo farò di persona, ma non ci andrò così leggero come con te. Ti auguro una splendida giornata, occhi d'angelo.» Il tono che assume torna a essere serio e mi rendo conto che per lui non è affatto uno scherzo.
Mi volta le spalle e lo osservo camminare per qualche secondo, poi mi mordo la lingua.
«Chi è Stacy?»
«Non è compito mio dirtelo.» Si volta nuovamente, lasciandomi inebetita nel bel mezzo del parco.
Il cellulare nella tasca prende a squillare e sobbalzo perché non me lo aspettavo; è mia madre.
«Haley, sono bloccata in ufficio. Passa a prendere Nathan prima di cena.»
«Sono dall'altro lato della città, a piedi.» Glielo dico alzando gli occhi al cielo, consapevole che non mi avrebbe visto.
«Lo so e mi dispiace. Chiedi a Madison un passaggio, noi ci vediamo dopo.» Chiude in fretta la chiamata, senza darmi la possibilità di ribattere.
Prendo un lungo respiro, poi riprendo a camminare; il locale si trova alla fine del parco, Madison e Martin mi stanno aspettando.
Spingo a fatica la porta di vetro e li cerco con lo sguardo; sento la risata di Madison più che notare la sua persona.
«Pensavo non arrivassi più.» Mi lascia un bacio sulla guancia quando mi siedo accanto a lei; Martin mi fa un cenno con il capo.
«Sono a piedi.» Borbotto, passandomi una mano sul viso.
«Potevi dirmelo, sarei passato a prenderti.» Mi stringo nelle spalle all'affermazione di Martin.
«Avete ordinato anche per me?» Seguo con lo sguardo la solita cameriera dai capelli lilla e Madison scuote la testa in risposta, poi agita la mano come se volesse farsi notare da qualcuno.
Seguo la traiettoria con lo sguardo oltre le spalle di Martin: Zac è appena entrato e si sta dirigendo verso di noi. La sua espressione non credo sia tanto diversa dalla mia. Nessuno dei due era a conoscenza della presenza dell'altro.
«Siediti.» Madison sta sorridendo, eppure sembra che abbia appena impartito un ordine.
Zac siede accanto a Martin, di fronte a me. Sul viso si nota ancora il segno violaceo causato dallo scontro con Justin. So che Madison vorrebbe dire qualcosa a riguardo, ma la cameriera con le loro ordinazioni glielo impedisce; Zac chiede un caffè, io un frullato al cioccolato.
«Ho un'idea per questa sera.» Martin sgranocchia una patatina bruciacchiata. «Quella ragazza, Quinn, darà una festa al vecchio magazzino. Ci saranno tutti, dovremmo andare anche noi.» Espone in fretta la sua proposta; Madison e Zac annuiscono.
«A che ora.» È proprio lui a chiederglielo, spostandosi leggermente per permettere alla ragazza di posare il suo caffè sul tavolo.
«Alle undici.»
«Tu vieni, vero?» Madison me lo chiede posando una mano sul mio braccio; mi stringo però nelle spalle.
«Ho davvero scelta?» Ribatto sarcastica e Madison scuote la testa.
«Ci sarà anche Bieber?» Martin mi guarda negli occhi, io lo osservo come a voler essere sicura di aver capito bene.
«Perché lo chiedi proprio a me?» Sono a disagio, ma mi siedo meglio sulla sedia. Madison mi osserva, Martin ha un leggero ghigno sulle labbra.
«Non stai con lui ora?» Devo trattenermi dall'alzarmi e uscire; Zac sembra aspettare una mia risposta.
«Chi te l'ha detto?» Odio il suo modo di porsi.
«L'occhio nero di Zac, l'averlo trovato in camera tua, il tuo non prestare attenzione quando parlo se lui è nei corridoi.» So che potrebbe andare oltre, ma Madison ha l'accortezza di fermarsi. Mi mordo il labbro, soppesando la risposta.
«Zac ha un occhio nero perché se l'è cercato ed era in camera mia perché gli sto dando delle ripetizioni. Per quanto riguarda la terza cosa, non presto attenzione perché ripeti sempre le stesse cose!» So di averla ferita, l'espressione sul suo viso è palese.
«Io non ho provocato nessuno.» Il mio sguardo si posa su Zac quando apre bocca.
«Prego?» Vorrei aver capito male.
«Non sono stato io a provocarlo, mi ha colpito senza motivo.» Mente spudoratamente; Madison vorrebbe intervenire e dargli ragione, ma non glielo permetto.
«Sei ridicolo» mormoro, guardandolo negli occhi. «Lo hai minacciato dicendogli di non parlarmi o di non avvicinarsi.»
«Questo non è provocare, è puntualizzare e stabilire delle regole.»
«Credi di essere nel giusto?» Alzo la voce senza rendermene conto e sposto la sedia all'indietro, alzandomi.
«Dove stai andando?» Madison me lo chiede quando lascio una banconota sul tavolo.
«Devo andare a prendere mio fratello.»
«Non ho visto la tua auto fuori.» Zac espone l'ovvio e sbuffo.
«Infatti non la ho, andrò a piedi.» Zac esegue i miei stessi movimenti, pagando la sua parte.
«Ti do un passaggio io.» Sono stanca di ribattere e annuisco.
«Haley-»
«Ci vediamo stasera.» Mi dirigo all'uscita senza aggiungere altro; Zac è subito dietro di me.
La sua auto è parcheggiata lì vicino e fa scattare l'apertura automatica, permettendomi di salire. Chiudo lo sportello quando Zac sale al posto di guida, mettendo in moto.
Non ho voglia di parlare e resto in silenzio ad osservare fuori dal finestrino; raggiungiamo casa mia poco dopo.
«Haley, mi dispiace.»
«Per cosa, esattamente?» Mi volto finalmente verso di lui, sganciandomi la cintura di sicurezza per essere più libera nei movimenti.
«Lo sai perché» mormora Zac e io sbuffo. «Ascolta, so che tra noi è finita e se vuoi stare con lui, mi farò da parte. Ma non voglio che tu ti faccia del male.»
«Perché pensate tutti la stessa cosa?» So che cosa sta per dire, ma non voglio ascoltarlo. «Lui non è cattivo.»
«Provi qualcosa per lui, non è vero?» Domanda schietto e annuisco senza pensarci troppo.
«Non volevo che finisse in questo modo, devi credermi.»
«Io voglio solo che tu stia attenta.» Annuisco sotto lo sguardo di Zac, poi sorrido.
«Grazie del passaggio, ma devo recuperare Nathan.»
«Ti accompagno io, non c'è problema.» Scuoto la testa, già pronta a scendere dall'auto.
«Ci vediamo più tardi, d'accordo?» Zac annuisce e sono pronta a scendere. Lo osservo fino a che la sua auto non scompare dalla mia vista.
Sobbalzo quando un clacson richiama la mia attenzione e le chiavi quasi mi scappano dalle mani. Justin è dall'altro lato della strada e spegne il motore della macchina. Mi raggiunge in pochi secondi, l'espressione tesa.
«Perché sei scesa dalla sua auto?» Me lo chiede senza troppe cerimonie, ma lo ignoro fino a quando non chiama il mio nome, spazientito.
«Perché sono a piedi.» Inforco finalmente la serratura, ma Justin non mi permette di andare oltre.
«Potevi avvisarmi, sarei venuto io a prenderti.» Lo dice come se fosse la conversazione più normale al mondo e quasi non mi accorgo della risata che mi sfugge dalle labbra; sono satura di tensione.
«Ma certo, che stupida non averci pensato!» Esclamo, lasciando che le borse si posino al suolo; Justin mi guarda confuso, forse è addirittura spaventato da quella mia reazione. «Justin ciao, sono con la mia migliore amica - che ti odia profondamente - e il mio ex ragazzo - credo anche lui non sia da meno e porta ancora il segno del tuo pugno sul viso. Sono a piedi, vieni a prendermi?» Mimo quella che poteva essere un'ipotetica conversazione telefonica.
«Stai bene?» Justin me lo chiede dopo qualche secondo passato a scrutarmi il viso.
«Alla grande. Devo solo recuperare mio fratello da un suo amico, ma come ho più volte sottolineato sono a piedi e sono stanca e ho avuto una giornata orribile e-»
«Ti accompagno io.» Justin mi prende la mano, interrompendo il flusso delle mie parole. Non posso fare altro che seguirlo, mi sta già trascinando verso la sua auto.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 33
*** 33. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 33
J.

 
Haley mi cammina accanto, la chiusura centralizzata dell'auto scatta; le lascio la mano solo per permetterle di salire. C'è qualcosa che non va in questo momento, la rabbia di averla vista scendere dall'auto di Zac è ancora lì.
Litiga con la cintura di sicurezza e la cosa mi fa sorridere. La vedo sbuffare e incrociare le braccia al petto, voltando il viso verso il finestrino ad evitare il mio sguardo.
Inserisco la chiave nel lunotto, ma non avvio il motore. Le poso la mano sulla gamba, appena sopra il ginocchio. Si volta l'istante secondo e non so se sto immaginando la rabbia nel suo sguardo o meno.
«Vuoi dirmi che cosa succede?» Non ho intenzione di farla innervosire e modulo il tono di voce.
«Non succede assolutamente nulla.» Non mi guarda negli occhi e prendo un respiro, quasi a voler contare fino a dieci prima di parlare; le afferro la mano.
«Non sei capace di mentire, ricordi?» Lo vedo l'accenno di sorriso sulle labbra, ma è tanto svelta da nasconderlo.
«Justin, voglio solo andare da Nathan.» Sottrae la mano da sotto la mia e annuisco, facendole segno che non l'avrei toccata ulteriormente.
Giro la chiave, abbassando leggermente il finestrino. Haley mormora qualcosa, ma quando mi volto verso di lei sta giocando distrattamente con l'anello che porta sempre al dito. Solo in un secondo momento realizzo che si trattava di scuse.
«È stata una giornata orribile» è appena un sussurro, ma abbastanza perché possa capirla. «Sono senza macchina e ho dovuto attraversare mezza città a piedi. Madison mi ha teso una trappola e Zac non era certo nei piani della giornata. Mio fratello è da un suo amico, ma né mia madre né mio padre possono-»
Non m'interessa che vada oltre, non mi servono nemmeno le sue scuse. La bacio prima, interrompendo il suo discorso.
sussulta, ma non si sottrae. La bacio solo perché voglio che smetta di parlare. Poi la bacio perché in realtà voglio farlo e le prendo il viso con entrambe le mani. Deve fare leva sul mio petto per evitare di sbilanciarsi, poi sale fino al collo, fermandosi tra i capelli. Mi scosto leggermente dalle sue labbra, stringendo i denti.
«Dimmi dov'è tuo fratello o giuro su Dio, non ci muoveremo più di qui.» Glielo dico scandendo le parole una per una, sfiorandole la punta del naso con il mio. Il respiro di Haley mi arriva dritto sul viso, ma annuisce.
Ingrano la prima marcia e seguo le sue indicazioni, mentre la osservo litigare con la stazione radio; quando alza il volume le sorrido perché la sento canticchiare.
La musica si affievolisce quando sono costretto a fermarmi davanti a un semaforo rosso.
«Posso chiederti una cosa?» Mi volto appena, annuendo e ripartendo qualche istante dopo.
«Certo.» La sento prendere un respiro e la cosa mi preoccupa.
«Voglio sapere chi è Stacy» non è una domanda, piuttosto un ordine. Non mi accorgo nemmeno che il prossimo semaforo è di nuovo rosso e inchiodo bruscamente, stringendo poi con forza il volante. «Per favore.»
«Perché?»
«Ho visto la tua reazione quando Sasha ha fatto questo nome, provocandoti.» Tamburello con le dita sul volante, prendendo tempo fino a che il semaforo non torna verde, costringendomi a distogliere lo sguardo dal suo.
«Stacy è-» mi mordo il labbro, rendendomi conto di aver utilizzato un tempo verbale errato. «Era la mia migliore amica.»
«Era?» Haley lo ripete, forse pensando di aver capito male. «Cos'è successo?»
«Non lo so» mormoro, stringendomi nelle spalle. «Sono passati anni dall'ultima volta che l'ho vista.» Devo fermarmi di nuovo e questa volta sbuffo; l'espressione di Haley è colpa di curiosità. «Se prometti di non interrompere, ti spiegherò tutto.» Haley annuisce, mordendosi il labbro; so che siamo quasi arrivati a destinazione.
«Stacy e io siamo cresciuti insieme e siamo sempre stati due poli opposti: io calmo e pacifico, era lei quella combina guai. Ho conosciuto Randy e Anthony a sedici anni e ho presentato loro Stacy. Non si poteva resistere a quella ragazza, tutti le volevano bene. A quel tempo, Sasha era un buon amico di Randy e Stacy si è presa una cotta per lui. Odiavo quella situazione, ma non per gelosia nei suoi confronti; non mi sono mai fidato di Sasha. Sono stati insieme per un po', poi un giorno è sparita.»
Haley sussulta alle mie parole, portandosi una mano sul cuore.
«Un paio di mesi dopo, Randy mi ha detto di sapere qualcosa: Sasha aveva costretto Stacy a lasciare la città, minacciandola. Se non l'avesse fatto, avrebbe fatto del male a tutte le persone a lei care; io e Randy compresi. Non la vedo da quattro anni ormai, non so dove sia o con chi sia. Non so nemmeno se sia viva. Qualche mese dopo la sua sparizione, Sasha venne arrestato per rapina a mano armata. La prima volta che l'ho rivisto, mi ha sparato al braccio, la seconda fuori casa tua.»
Siamo arrivati a destinazione, ma non riesco a interpretare lo sguardo di Haley quando mi volto verso di lei.
«C'è un motivo se ho reagito così: non voglio che la storia si ripeta. Non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa.»
Haley sgancia così velocemente la cintura di sicurezza che non ho tempo di realizzare le sue intenzioni. Me la ritrovo tra le braccia senza rendermi conto di quanto stia succedendo. La stringo perché non posso fare altro.
«Mi dispiace.» Me lo sussurra sulla pelle, mentre io le accarezzo la schiena. «Non avrei dovuto chiederti nulla, non pensavo-»
«Non importa» la interrompo subito, sciogliendo l'abbraccio, ma tenendo stretta la sua mano nella mia. «Va bene così.»
«Grazie per avermelo detto.» Annuisco alle sue parole, ma questa volta è lei ad avvicinarsi e posare le sue labbra sulle mie. Le stringo il fianco in risposta, lasciandola però andare usando la poca forza di volontà rimasta.
«Vai a prendere tuo fratello, così posso riportarvi a casa.» Haley non se lo fa ripetere due volte e scende dall'auto.
Attraversa la strada solo per citofonare al cancello; trovo un messaggio di Austin quando controllo il cellulare. Nathan mi sta salutando con la mano e ricambio mentre viene verso di me, tenendo Haley per mano.
«Ciao.» Ha la voce squillante quando si accomoda nei sedili posteriori.
Non so di cosa parla, ma lo fa per tutta la durata del viaggio di ritorno, con la testa che scoppia. Non faccio quasi nemmeno in tempo a ricambiare il suo saluto perché è già sceso e sta armeggiando con il cancello perché si apra; Haley si massaggia le tempie con le dita.
«Mi dispiace.» Borbotta, fissando suo fratello.
«Mia sorella è peggio di lui.» Replico, stringendomi nelle spalle.
«Mi hanno detto che questa sera danno una festa al vecchio magazzino» si morde il labbro, ma annuisco; sono stato io a dirlo a Randy. «Martin mi ha chiesto se ci saresti stato anche tu.»
«Mi stai invitando?» La prendo in giro e alza gli occhi al cielo.
«No, non ti sto invitando.» È divertita, ma mi colpisce con il gomito all'altezza delle costole
«Ci sarò.» Replico poi e Haley annuisce.
«Allora ci vediamo stasera.» Non mi dà tempo di poter replicare, è già scesa dall'auto.

 
-

«Ho detto loro di venire verso a mezzanotte.» Randy si guarda intorno e getta la sigaretta a terra, lasciando che si consumi da sola. Annuisco e i miei occhi fanno la stessa cosa; c'è fin troppa gente e sembra che il magazzino non riesca nemmeno a contenerla tutta. Haley è qui da qualche parte, ma non l'ho ancora incrociata.
«Justin, mi stai ascoltando?» Randy mi strappa ai miei pensieri e scuoto la testa.
«Che cosa c'è?» Domando poi stizzito, mentre alza gli occhi al cielo.
«Smettila di pensare a Haley, non siamo qui per divertirci.» Sento Seth sogghignare al suo richiamo.
Gli volto le spalle, allontanandomi di qualche passo; non è mia intenzione discutere con nessuno. La musica all'interno è piuttosto alta, ma la suoneria del telefono di Randy arriva forte e chiara alle nostre orecchie. Sono costretto a raggiungerlo di nuovo e lo ascolto parlare; non so chi ci sia dall'altro capo del telefono, ma annuisce e chiude la chiamata in fretta.
«Sono sul retro.» Cammina velocemente e mentre lo seguiamo, continuo a guardarmi le spalle, come se Haley potesse apparire all'improvviso.
Randy spinge una porta arrugginita, che cigola in modo sinistro. Ho il presentimento che ci cacceremo nei guai, ma non posso andarmene. In fondo alla stanza c'è una seconda porta, che si apre non appena Austin si chiude quella dalla quale siamo entrati alle spalle.
Mi accorgo che sto muovendo passi in avanti solo quando sento una stretta fin troppo forte al braccio destro: è Randy; Sasha è dall'altro lato della stanza.
Mi lascia andare solo dopo aver annuito, ma sta ben attento a stare nelle mie vicinanze a evitare un qualsiasi scontro fisico con Sasha.
«Mi stai pedinando?» Sasha si è avvicinato e sta armeggiando con un pacchetto di sigarette, portandone una alle labbra.
«Non sei il centro del mio mondo, Bieber.» Borbotta, accendendo l'estremità e aspirando il primo fumo.
«Non si direbbe.» Ribatto, scostando la presenza di Randy; il suo braccio però m'impedisce di avvicinarmi ulteriormente a Sasha.
«Ascolta, non voglio problemi» Randy alza le mani in segno di resa e deglutisco. «Datemi ciò che mi spetta e tornare a quella stupida festa.» Sasha si stringe nelle spalle, facendo però cenno al ragazzo accanto a lui. Randy si avvicina, ma non guardo cosa sta facendo, i miei occhi sono fissi in quelli di Sasha.
«Come sta la tua ragazza?» Me lo chiede come se fosse una normale conversazione tra amici; stringo i pungi lungo il busto.
«Non metterla in mezzo.» Sasha scoppia a ridere, gettando la sigaretta a qualche metro di distanza.
«Deduco che non ti abbia ancora raccontato del nostro incontro, questo pomeriggio.» Sono talmente vicino che l'odore di sigaretta mi brucia il naso.
«Che cazzo stai dicendo?» Lo spingo, ma alza le mani in segno di resa senza nascondere il ghigno sul suo viso.
«Era tutta sola, le ho dato semplicemente una mano. Aveva un sacco di buste tra le mani.» Si sta giustificando.
«Sasha, ti avverto-»
«Non ti sto prendendo in giro» sbuffa, passandosi una mano tra i capelli. «Immagino che non ti abbia nemmeno detto niente sul fatto di ridarmi quello che tu e il tuo amichetto mi avete deliberatamente rubato.» Sono io a sogghignare questa volta.
«Non riavrai la pistola» mormoro semplicemente. «Mi hai sparato e Austin l'ha presa. Conosci le regole.» Sasha stringe i denti.
«La rivoglio» il suo è un ordine. «Oppure mi divertirò parecchio con la tua-»
Non fa in tempo a concludere la frase, il mio pugno si infrange dritto sul suo zigomo; perde l'equilibrio non perché io abbia acquisito forza, ma perché lo colgo alla sprovvista; Randy bestemmia tra i denti.
«Ti ho detto di non metterla in mezzo.» Le nocche mi fanno male, ma vorrei non darlo troppo a vedere, poi sfioro la pistola che la mia maglia sta nascondendo. Sasha ride, poi sputa del sangue, pulendosi la bocca con il dorso della mano.
«Tu dammi solo ciò che mi appartiene.» Ripete, deglutendo. «Non vuoi che la storia si ripeta, non è vero?» Me lo chiede come se fosse un cazzo di bambino viziato.
Scatto nuovamente in avanti, ma questa volta Randy è pronto a fermarmi per la stoffa della maglietta. Sono quasi certo che si sia strappata, ma è abbastanza perché mi trattenga sul posto.
«Sasha, sparisci.» Randy non aggiunge altro, non aspetta nemmeno che ribatta; mi trascina letteralmente fuori dal magazzino lasciandomi andare solo quando la porta si è chiusa. Sono talmente infuriato che lo spingo via, colpendolo sul petto con entrambe le mani.
«Randy, cazzo!» La mia voce sovrasta la musica e Randy serra la guancia. Sasha mi passa accanto, rallentando i passi per abbassarsi al mio livello e mormorarmi qualcosa all'orecchio.
«Non dovresti lasciare che si diverta con qualcun altro. È fin troppo bella per una come lui.»
Randy non si accorge di nulla e approfitto della sua distrazione per scontrarmi nuovamente con Sasha. barcolla, questa volta riesce a evitare il pugno che voglio sferrargli sul viso.
Mi spinge via con forza, ma mantengo l'equilibrio. È qualcosa che però non dura troppo, mi colpisce prima allo stomaco, poi al viso facendomi cadere malamente a terra.
Sento l'imprecazione di Randy non appena la schiena batte al suolo. I ragazzi di Sasha corrono subito verso di lui, ma ha già estratto la pistola dalla cinta dei pantaloni, puntandomela contro.
Mi tengo lo stomaco, quasi a voler attenuare il dolore che sento.
«Mi hai stancato» non so perché, ma sembra che la musica si sia affievolita. «Hai un destro niente male e probabilmente mi uscirà un bel livido, però mi hai fatto incazzare.» La pistola scatta appena, non so più se guardarlo in faccia o voltarmi dall'altra parte; non voglio che sia lui l'ultima cosa che vedrò.
«Una volta che sarai sparito dalla circolazione mi prenderò la mia pistola e come trofeo, esibirò la tua ragazza dagli occhi d'angelo.» Lo vedo avvicinarsi; dietro di lui nessuno si muove, nemmeno Randy.
Chiudo gli occhi, sperando che tutto finisca in fretta e senza dolore; non ho la forza di alzarmi.
Qualcuno grida il mio nome, ma la voce che sento non appartiene a Randy: è Haley.
Sasha volta il viso nella sua direzione, non so dire se sia sorpreso o meno, ma è abbastanza perché riesca ad alzarmi. Mi sembra di avere del cemento rappreso ai piedi, i miei movimenti sono lenti. Austin mi sorregge con l'aiuto di Randy; Haley ha entrambe le mani sulle labbra, Zac è dietro di lei.
«Che dolce, non riesce a starti lontano.» La voce di Sasha è divertita, ma impiega qualche secondo a realizzare che non sono più ai suoi piedi.
«Haley, devi andartene!» Mi tengo lo stomaco con entrambe le braccia; il pugno sferrato da Sasha è stato veloce, ma ha colpito un punto ben preciso.
«Che cosa ti è successo?» Lo sento il panico nella sua voce, ma non ho tempo di ripeterle di andarsene; Sasha le sta puntando conto la pistola. Haley sussulta, Zac le afferra la mano. Muovo appena un passo, ma Sasha è più svelto di me.
«Non ti avvicinare ulteriormente.» Non posso fare altro che obbedire; non mi sta nemmeno guardando in faccia, potrei estrarre la pistola e colpirlo, ma ho paura che un minimo movimento possa causare una tragedia.
«Ti scongiuro Sasha, lasciala andare.» Lo so di stare supplicandolo, ma al momento non m'importa. Lui però sembra non avermi sentito, anche se per un secondo appena la pistola si posa su di me.
«Dammi la mia pistola.»
«Non la ho con me, è a casa.» Io mento, Sasha impreca.
Nessuno si aspetta un colpo sparato a vuoto, ma è proprio quello che succede. Haley urla e il mio sangue si gela all'istante; mi mordo il labbro così forte che sento il sapore salato invadermi la bocca.
«Zac, portala via di qui.» Spero che mi senta, non ho idea di che tono io abbia appena assunto; riesco a puntare la pistola contro Sasha. Haley muove un passo nella mia direzione e impreco perché Zac è immobile accanto a lei.
«Cristo Zac, ti ho detto di portarla via di qui!» Questa volta so di aver urlato; Sasha stringe il pugno lungo i fianchi.
Vedo Zac annuire e afferrare Haley per il braccio, costringendola a muoversi. Chiudo gli occhi, la sua voce continua a chiamare i mio nome. Riesco a respirare solo quando la sua voce è un grido in lontananza.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 34
*** 34. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 34
H.

 
La mano di Zac è salda intorno al mio polso mentre cerco invano di puntare i piedi a terra. Tento anche di torcere il braccio in modo che mi lasci andare, ma non accenna a farlo.
Ho smesso di chiamare il nome di Justin, mi fa male la gola e so che non riuscirebbe più a sentirmi. Quanto più tento di sfuggire alla sua presa, tanto più Zac preme sulla mia pelle.
«Zac, lasciami andare!» Ho la voce roca e la gola mi pizzica; Zac scuote la testa, non ne vuole sapere. È spaventato, lo sono anche io. La reazione di Justin deve averlo colto alla sprovvista, io voglio solo tornare da lui.
«No, ti riporto dritta a casa.» Non ho vie di fuga e nessun modo per liberarmi.
Gli interni dell'auto di Zac si illuminano quando la chiusura centralizzata viene azionata. Apre la portiera, costringendomi a salire.
«Non capisci, io devo tornare da lui. Ti supplico, lasciami andare da Justin, ha bisogno di me.» Non mi rendo conto di singhiozzare. Zac stringe i denti e mi solleva da terra con un solo movimento, facendomi sedere pesantemente sul sedile; le mie mani gli impediscono di armeggiare con la cintura di sicurezza.
«Haley, basta!» Sussulto perché non gli ho mai sentito alzare la voce così. «Non me ne frega un cazzo di Bieber, ti hanno appena puntato contro una pistola.»
«Non mi avrebbe sparato.» Riesco a sganciare la cintura, ma Zac non mi permette di scendere. Gli afferro il colletto della maglietta, strattonandolo.
Ho le guance inondate di lacrime, ma a nessuno sembra importare più di tanto. Mi allaccia nuovamente la cintura di sicurezza, intimandomi con lo sguardo a non muovermi; non avrebbe esitato a riprendermi.
Singhiozzo più forte, tanto che il respiro inizia a mancare; sento la portiera di Zac aprirsi e poi chiudersi. Mette in moto e raggiungiamo casa mia nel più breve tempo possibile; è terrorizzato.
Zac ferma l'auto e sgancia la sua cintura di sicurezza, poi fa la stessa cosa con mia. Scende dall'auto e mi raggiunge aprendo il mio sportello. È lui a trascinarmi giù dall'auto.
«Ti odio.» Zac si passa una mano sul viso alla mia affermazione; è pallido.
«Sì, certo.»
«Justin è in pericolo, non avresti dovuto portarmi via e lasciarlo da solo!» Sono talmente fuori controllo che riesco a spingerlo e a farlo barcollare.
«È stato Justin a chiedermelo.» Scoppio a ridere in modo così isterico che quasi non mi riconosco.
«E da quando fai quello che ti dice Justin?» Sottolineo il fatto che lo abbia chiamato per nome. «Tu lo odi!» Zac contrae il viso e distoglie lo sguardo dal mio.
«Tu non immagini nemmeno quanto» mormora, ma non fatico a capire le sue parole. «Quel ragazzo ti ha appena puntato addosso una pistola, perché non vuoi capire che quella gente è pericolosa?» Zac in realtà una risposta non se l'aspetta nemmeno.
«Justin non è pericoloso.»
«Certo che sì, ma sei troppo stupida per rendertene conto» quelle parole me le sputa addosso e fanno un male cane. «Sei il suo nuovo giocattolo e ti farà del male senza che tu nemmeno te ne accor-»
Non è in grado di concludere l'accusa, la mia mano cozza sulla sua guancia prima.
«Sparisci dalla mia vita!» Mi rendo conto di urlare, ma al momento non me ne importa; Zac sussulta.
«Haley-»
Smetto di ascoltarlo quando l'auto nera di Justin, seguita da una seconda a me sconosciuta, si accosta a quella di Zac.
Randy, Austin e Seth scendono dall'auto bianca, Justin invece dalla sua.
Il cuore mi batte contro il petto ad una velocità fin troppo elevata, fa quasi male. Zac si contrappone tra me e Justin, il quale sta camminando verso di noi a passo sostenuto. Ha lo sguardo celato dall'oscurità, ma non mi sta guardando in faccia, lo so.
Sorpasso la figura di Zac così in fretta che non ha tempo di reagire; Justin alza il viso solo quando sono a pochi passi da lui.
Mi scontro letteralmente contro il suo corpo, lo sento barcollare non appena le mie braccia sono intorno alle sue spalle. Sono terrorizzata, ho paura che possa respingermi, ma succede l'esatto opposto.
Le sue braccia sono serrate intorno al mio corpo e mi sollevano da terra; mi sta stringendo così forte che mi manca il respiro.
Nascondo il viso nell'incavo del suo collo e rabbrividisce; non mi muovo e noi nemmeno. Perdo la cognizione del tempo, ci siamo solo io e lui; le sue labbra così vicino al mio orecchio che lo sento respirare. Piango senza nemmeno rendermene conto.
Non sento le parole di Justin, solo Randy che si schiarisce la voce. Justin mi lascia lentamente andare, fino a staccarmi completamente da lui; i miei piedi toccano di nuovo terra.
«Ti aspetto a casa mia.» Randy lo dice a bassa voce, facendo poi cenno a Seth e Austin di seguirlo; Justin annuisce.
Zac mi passa accanto scuotendo la testa; Justin chiama il suo nome e si volta verso di noi.
«Grazie.» Glielo dice sincero e Zac annuisce con un debole cenno del capo.
Lo guardo allontanarsi e nel momento in cui i miei occhi non sono più in grado di vederlo, so che qualcosa tra di noi si è rotto.
Voglio urlare, voglio sfogarmi, voglio parlare, voglio essere capace di formulare una frase di senso compiuto, ma Justin mi precede e non con le parole.
Mi bacia così impetuosamente che sussulto quando mi prende il viso con entrambe le mani. Chiudo gli occhi così forte da farmi male e con altrettanta forza gli afferro il colletto della giacca, poi le spalle e infine le braccia.
Questa volta è lui a nascondere il viso tra i miei capelli e mi fa venire la pelle d'oca; Justin parla e lo fa sulla mia pelle. Non capisco cosa dice, è solo un mormorio. Mi scosto per riuscire a guardarlo in faccia e le sopracciglia sono aggrottate, la mascella tesa.
«Dimmi che stai bene.» Mi rendo conto che si tratta di una specie di supplica; Justin distoglie lo sguardo quasi a voler evitare la domanda.
«Sto bene.» E mentre perché l'ombra di un livido la vedo ben nitida.
«Ti ha dato un pugno.» Gli sfioro la guancia e chiude gli occhi sotto il mio tocco.
«Non è niente.» Lo sento così distante che fa male.
«Non mentire, ti prego.» La sua espressione cambia e si allontana così in fretta che quasi non me ne accorgo.
«Non sono io a mentire.» Indietreggia, lasciando troppo spazio tra di noi.
«Che cosa stai-»
«Sasha mi ha detto del vostro incontro.» Mi interrompe con rabbia.
«Non era niente di importante» muovo un passo verso di lui, ma Justin allunga una mano a intimarmi di non fare altri movimenti. «Justin, io-»
«Ti avevo espressamente chiesto se fosse successo qualcosa e mi hai mentito» parla a bassa voce e ho paura. «Ti ho raccontato di Stacy e mi ha ringraziato per essere stato sincero. Poi mi hai mentito di nuovo.» È così arrabbiato da risultare calmo.
«Non ti ho mentito, non è davvero successo nulla.» Non mi avvicino.
«Cazzo Haley!» Sussulto tanto forte da mordermi il labbro; sono io a mettere distanza tra di noi. «Sasha non scherza, ti ha puntato contro la sua pistola. Perché non riesci a capirlo?»
«Non mi avrebbe sparato.» Mi asciugo la guancia con il dorso della mano e non riesco a capire come mai io sia così ferma su questa mia teoria. Justin si passa una mano tra i capelli scompigliandoli più del dovuto, poi si stringe il mento come a evitare di gridare con quanto fiato ha in corpo.
«L'avrebbe fatto. Senza pensarci due volte.» Quelle parole mi fanno venire i brividi lungo le braccia, tanto che me le stringo al corpo.
«Ma non è successo.» Justin mastica un'imprecazione tra i denti, raggiungendomi poi in fretta e afferrandomi violentemente le spalle. Batto la schiena contro il cancello dietro di me.
«Poteva succedere!» Sta urlando e chiudo gli occhi. «Ha un conto in sospeso con me, non vede l'ora di farmela pagare. Ho paura che possa farti del male, riesci a capirlo questo?» Il suo respiro mi solletica la pelle da tanto che è vicino; la sua fronte si posa contro la mia e prende un respiro, come se fosse a corto di fiato.
«Fino a che ci sarai tu non succederà nulla.» Justin mi guarda negli occhi e scuote la testa.
«Invece è già successo ed è solo l'inizio se non otterrà ciò che vuole.»
«E cos'è che vuole?» Glielo chiedo ingenuamente perché vorrei capire, vorrei aiutarlo.
«La sua pistola.» Si morde il labbro inferiore prima di fissare le mie.
«Allora restituiscigliela.» Justin sorride, ma non è divertito.
«Tu non lo conosci» ribatte, scuotendo la testa. «Avere la pistola non lo fermerà. Me la farà pagare per avergliela portata via.» Di nuovo si passa una mano tra i capelli, poi si allontana e mi dà le spalle. Muove qualche passo, come se avesse intenzione di andarsene. Lo raggiungo afferrandogli il braccio, non può farlo.
«Nemmeno io voglio che ti succeda qualcosa.» Lo dico così seria che un sorriso si fa spazio sul suo viso.
«Anche se mi succedesse qualcosa, Randy e gli altri sarebbero pronti a fargliela pagare.»
«Justin, io-»
«Haley, io voglio che tu sia al sicuro» mi prende il viso tra le mani. «Voglio che tu ne stia fuori.»
«Non posso» mi scosto da lui, perde la presa su di me. «Non più.»
«Si che puoi» ho paura ad ascoltare ciò che ancora ha da dire. «Devi solo stare lontano da me.» Mi colpisce in pieno, nel centro del petto.
«C-cosa?» Il respiro mi manca per qualche istante.
«Stai lontana da me, Haley» scandisce le parole una a una, assicurandosi che arrivino forti e chiare. «Solo così sarò sicuro che niente potrà accaderti.» Lo sento il dolore nella sua voce e impreco.
«No» gli afferro con forza il braccio. «Non puoi, Justin!» Fa un passo indietro, sfuggendo alla mia presa.
«È l'unico modo. Se stiamo insieme, Sasha se la prenderà con te.» Non mi guarda più negli occhi.
«Non importa.» Mi avvicino di nuovo e stringo così forte la sua mano che ho paura di fargli male. «Mi hai capito? Non importa.» La sua mano scivola via dalla mia.
«Se tenerti al sicuro significa starti lontano, allora è così che dovrà essere.» Non è mai stato tanto serio, eppure so che sta mentendo.
Justin sa che voglio raggiungerlo e allunga nuovamente il braccio costringendomi a fermare i miei passi esattamente dove sono al momento.
«Ti prego» le sue labbra si stringono in una linea sottile mentre scuote la testa. «Come puoi chiedermi una cosa simile?» Sto di nuovo singhiozzando e le ginocchia mi tremano.
«Non te lo sto chiedendo, devi farlo e basta.» La sua voce mi graffia la pelle. «Se tieni alla tua incolumità Haley: stai lontano da me.»
«E se non m'importasse?»
«Saresti molto stupida.» Sa che lo sto sfidando, ma la sua risposta mi colpisce nuovamente al centro del petto.
«Che tiene fin troppo a te.» Non sono sicura che mi abbia sentito, ma la luce del portico si accende all'improvviso; Justin non ha modo di ribattere.
La figura di mio padre si avvicina fino a raggiungerci. Ci osserva per qualche secondo, come a voler capire la situazione.
«Sono le due di notte, vi state urlando contro da quasi mezz'ora: vuoi dirmi che cosa succede e chi è questo ragazzo?» Mio padre lo sta chiedendo a me, ma i suoi occhi sono fissi su Justin.
«Mi ha accompagnato a casa, è Justin.» Papà sa che sto mentendo, ma annuisce.
«Rientra, è molto tardi» mormora dopo qualche secondo, poi si rivolge a Justin. «E tu ragazzo, vai a casa.»
Justin annuisce e guarda mio padre voltarsi e ripercorrere il vialetto, rientrando in casa; i miei occhi non lasciano la sua figura.
Lo vedo mordersi l'interno della guancia, come se si stesse trattenendo dal dire qualsiasi cosa. So che vuole farlo davvero, ma mi guarda per un paio di secondi appena, poi mi dà le spalle e raggiunge la sua auto; gli interni sono giù illuminati.
Mette in moto e sparisce a grande velocità senza fare rumore; l'unica cosa che sento è il mio cuore che rimbomba nel petto e si riversa nella gola e nelle tempie.
Fisso il vuoto un istante appena, poi rientro in casa silenziosamente. Le gambe sono pesanti e le scale sembrano infinite.
Non ho la forza di cambiarmi, crollo sul letto e recupero il cellulare dalla tasca, digitando solo due parole.
A Madison:
«Lo odio.»

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 35
*** 35. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 35
J.

 
Il viso di Haley pieno di lacrime mi accompagna fino a casa di Randy.
Arrivo a destinazione ma non scendo dall'auto; resto all'interno dell'abitacolo per una ventina di minuti, immobile e in silenzio. Solo quando raggiungo il limite della sopportazione sferro un pungo sul votante; non sento nemmeno il clacson suonare, percepisco solo un dolore che s'irradia lungo il braccio, fino al gomito.
Ho l'impulso di rimettere in moto e fare retromarcia, tornando da Haley. La figura di Randy però, impedisce ogni mio movimento.
Scendo dall'auto sbattendo violentemente lo sportello; Randy rientra in casa e mi ritrovo quasi a correre per raggiungerlo.
«Dammi quella dannata pistola.» Sono io a imparare ordini e sento Austin sospirare. Mi volto nella sua direzione solo per intimarlo a non dire una parola; avrei preso a pugni chiunque si fosse intromesso.
«No.» Randy si accende una sigaretta e si accomoda sulla poltrona. Sferro un calcio alla prima cosa che mi capita a tiro e mi rendo conto che si tratta si una sedia; non penso a Jennifer, solo a me.
«Randy, voglio quella cazzo di pistola e se non sarai tu a consegnarmela, la prenderò da solo.» Mi avvicino alle scale con l'intento di rovistare nella sua sua stanza, ma non ne ho il tempo.
Randy mi afferra per le spalle, trascinandomi di peso giù dai primi scalini per farmi cozzare contro la parete dietro di me; mi manca il respiro.
«Muovi un altro passo e giuro su Dio, ti prendo a pugni.» Il fumo della sigaretta mi fa lacrimare gli occhi, ma non ho abbastanza forze per respingerlo; Austin e Seth si sono alzati, pronti a intervenire se necessario.
«Dammi la pistola di Sasha.» Randy scuote la testa, io urlo. «Perché?»
«Non spetta a te tenerla.»
«Se è per questo nemmeno a te» lo correggo, cercando di scivolare via dalla sua presa ferrea. «Voglio quella dannata pistola, è a me che ha sparato.»
«Quella pistola spetta a Austin, è stato lui a prenderla.» Austin alza le mani in segno di resa quando Randy fa un cenno verso di lui.
«Non la voglio, quel ragazzo è un pazzo.» Si difende in fretta.
«Allora la terrò io.»
«Ti ho già detto di no.» Scandisce le parole, ma il suo tono è annoiato.
«Randy, ti sto pregando: dammi quella pistola.» Lo sto supplicando sul serio e lo vedo serrare i denti, come a trattenersi dallo sferrarmi un pugno sul viso e arricchire la collezione di lividi che mi ritrovo.
«Perché dovrei?»
«Perché ho detto a Sasha che l'avevo io.» Replico, imprecando subito dopo.
«Mossa stupida: se venisse a casa tua e scoprisse che gli hai mentito, non la passeresti liscia.»
«E perché credi che la voglia così tanto, razza di idiota? Mi ucciderà, lo sai. A casa mia ci sono mia madre e mia sorella, lo capisci? Se dovesse anche solo pensare di fare loro del male per quella dannata pistola, ti giuro Randy, ti ammazzerò con le mie stesse mani.» Non ho più il controllo di ciò che dico e lui lo sa perché non sta reagendo. In un'altra situazione mi avrebbe atterrato.
«Non usare quel tono con me, Bieber.»
Non so che cosa mi fa scattare, forse tutta la tensione accumulata negli ultimi istanti o forse la noncuranza di Randy; carico il colpo e finisce dritto sul suo viso. Le mie nocche fremono.
Randy barcolla e deve sorreggersi allo schienale del divano per non perdere l'equilibrio. Esco di casa prima che possa raggiungermi e scatenare la sua ira su di me.
Le luci di casa mia sono ancora accese, ma l'auto di mio padre non è più parcheggiata nel vialetto. Chiudo la porta con la consapevolezza che mamma è ancora in cucina, con la piccola TV accesa; non mi sgrida per l'ora tarda, mi fissa negli occhi qualche istante, poi si alza e spegne la TV.
Mi passa accanto e abbasso lo sguardo perché non riesco a sostenerlo.
«Metti del ghiaccio sull'occhio.»
Annuisco appena e la sento chiudersi la porta della sua stanza alle spalle mentre io resto in mezzo al corridoio, con l'interno della guancia stretto tra i denti, a non pensare agli occhi che pungono.
La stanza di Jazzy è buia, dalla mia arriva un filo di luce, complice il lampione acceso del vialetto. Mi sfilo la maglietta, lasciando che cada al suolo, poi recupero un paio di vecchi pantaloncini e mi lascio andare sul letto.
Sono stanco, lo sento nelle spalle e nella testa, ma non riesco a prendere sonno. Sento la porta cigolare appena, Jazzy è nella mia stanza. Mi chiama con un filo di voce e mi metto a sedere, allungando un braccio per accendere la luce.
«Che cosa ci fai ancora sveglia?» Quando mi passo la mano sul viso sussulto, lo zigomo fa male.
«Non riesco a dormire.» Scosto appena le coperte, permettendole di raggiungermi e sdraiarsi al mio fianco.
«Hai avuto un brutto sogno?»
«Perché sei andato via quando è arrivato papà?» Ignora la mia domanda e pone la sua.
«Avevo degli impegni che non potevo rimandare, mi dispiace non essere rimasto.» Mi sento in colpa a mentirle, ma non posso evitarlo.
«Erano più importanti di noi?»
«Jazzy, ma lo sai che ore sono? Dovresti dormire da ore.» Sospiro e spero che il discorso finisca.
«Non ci riesco.» Ha la mano fredda quando afferra il ciondolo della collana che porto.
«Perché?»
«Ho sentito mamma e papà discutere.» Odio quando succede.
«Sai dirmi riguardo a cosa?»
«Parlavano di te, mamma era molto arrabbiata.» Mi ritrovo a stringere i denti, poi le poso un bacio sulla tempia.
«Mi dispiace.» E sono sincero nell'ammetterlo.

 
-
 
«Jazzy mi ha detto che tu e papà avete litigato» il cucchiaio che mi sta porgendo mia madre resta sospeso tra di noi per qualche secondo. «Per colpa mia.»
«Discutiamo sempre per colpa tua.» La sua voce assume un tono accusatorio e mi ritrovo a mordermi il labbro. «Credi di poter fare sempre di testa tua, vero? È tuo padre, Justin. Che ti piaccia o no, devi rispettarlo e il modo in cui lo hai trattato-»
«Devo rispettarlo?» Alzo la voce senza nemmeno rendermene conto. «Perché dovrei rispettare un uomo che se n'è andato quando Jazzy aveva appena due anni e che ci ha abbandonato? Quello non è mio padre.» Sputo quelle parole con rabbia e mamma scuote la testa.
«Tesoro mio-»
«No» non le do modo di parlare perché non mi va di sentire cos'ha da dire per farlo apparire come un padre che non sento mio. «Non voglio che venga qui, non merita di passare del tempo con Jazzy e tanto meno di vedere te. Ha deciso di andarsene, perché tornare indietro?»
«Vorrei solo che ti comportassi in maniera civile quando è con noi.» Me lo dice in un sussurro e abbasso lo sguardo prima di alzarmi dalla sedia.
«Non sono capace.» Ribatto, recuperando il cellulare dal tavolo e uscendo dalla cucina.
Faccio fatica a trovare Austin nei corridoi, ma una volta suonata la seconda campanella lo vedo entrare in aula e prendere posto accanto a me.
«Randy è incazzato con te.» Sprofonda nella sedia mentre io tamburello con la penna sulla superficie del tavolo.
«La cosa dovrebbe in qualche modo interessarmi?»
«Se tieni alla tua vita, sì.» Replica, abbassando il tono di voce.
«Mia madre mi odia, mio padre è uno stronzo, penso costantemente al fatto che Sasha possa scoprire che in realtà non ho la sua pistola e credo che anche Haley mi odi» conto sulle dita mentre elenco tutto. «Randy è l'ultimo dei miei problemi.»
«Che cosa c'entra Haley in tutto questo?»
«Non posso permettere che Sasha le faccia del male. Se l'unico modo per far sì che stia lontana da me è che provi odio nei miei confronti, allora lascerò che mi odi.» Austin mi guarda confuso e lo so bene che il mio discorso non sta in piedi.
«Haley non starà mai lontana da te» questa volta sono io a guardarlo in modo strano. «Credo si sia innamorata di te e sono quasi sicuro che lo sia anche tu.»
Abbasso lo sguardo perché improvvisamente i suoi occhi sono diventati difficili da sostenere, ma scuoto la testa.
«Quando vuoi bene a una persona è facile rinunciarvi. È quando inizi ad amare che diventa impossibile farne a meno.»

 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 36
*** 36. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 36
H.

 
«Ti avevo avvisato su quanto Justin potesse essere stronzo e guardarti» la voce di Madison mi fa sussultare. «Due settimane dopo, sei ancora uno straccio.» Chiudo in fretta il libro che ho davanti, lasciandovi la penna incastrata al suo interno. Mi volto verso Madison, appoggiandomi al bordo della scrivania e passandomi una mano sul viso.
«Sto benissimo.» Mormoro; Madison sa che sto mentendo.
«Sicuro, si vede lontano un miglio quanto tu stia bene.» Madison scuote la testa alle sue stesse parole.
Non vedo e non parlo con Justin da oltre due settimane; mi manca.
Tutto quello che la mia mente continua a elaborare sono le sue ultime parole nei miei confronti: devo stare lontana da lui.
«Ascolta, devo vedere Martin tra mezz’ora. Vuoi venire con me?» La voce di Madison continua a irritarmi e scuoto la testa perché non ho nessuna intenzione di uscire di casa.
«Mi dispiace, non posso» le mento di nuovo, ma non sembra importarle più di tanto. «Devo finire di studiare.»
«Haley-»
«Davvero Madison.» La interrompo, stirando le braccia fin sopra la testa; sono stanca, non dormo bene da giorni interi.
Ogni volta che chiudo gli occhi, la figura di Sasha compare e la sua pistola puntata contro di me mi fa tremare le ginocchia. Sento Justin ordinare a Zac di portarmi via, riesco persino a percepire le sue braccia. Poi c’è la sua voce che mi dice di stargli lontano.
Madison annuisce e recupera tutto ciò che ha sparpagliato sul letto, nel tentativo di studiare. La saluto velocemente, accompagnandola fino alla porta.
Mamma in cucina sta infornando dei biscotti, Nathan è seduto al tavolo con un bicchiere colmo di latte; sta disegnando.
Mi siedo accanto a lui, sbirciando ciò che c’è sul foglio: due ragazzi che vanno in skateboard. Mi ritrovo a sorridere perché Nathan adora quello sport, ma il mio cuore perde un battito quando la mia mente ricorda l’episodio di Justin e del suo labbro rotto. Avevo mentito a mio fratello, raccontandogli di come Justin fosse caduto dallo skateboard.
«Haley, va tutto bene?» Mamma me lo chiede con curiosità e mi stringo nelle spalle; vorrei confidarle qualcosa, ma non saprei da dove iniziare. «Ti vedo strana da qualche giorno ormai.»
«Va tutto bene, non ti preoccupare.» Ho perso il conto delle bugie dette fino a oggi, ma le sorrido.
«Hai per caso discusso con Zac?» Scuoto la testa, poi sospiro.
«Mamma, Zac ed io non stiamo più insieme» mamma annuisce. «Però non è per lui che-»
«Haley adesso è fidanzata con Justin.» Nathan non alza il viso dal foglio dopo aver esordito come se niente fosse.
«No, non-»
«Justin?» Non è a me che mamma lo sta domandando.
«Sì, Justin» afferma nuovamente Nathan. «Era qui alla mia festa di compleanno. Mi ha anche promesso che potrò insegnargli ad andare sullo skateboard. L’ultima volta che è venuto qua si è fatto male cadendo e-»
«Nathan, il tuo disegno è davvero bello. Dovresti appenderlo in salotto.» Parlo velocemente, cercando di coprire la sua voce; lui effettivamente si alza e mamma annuisce, d’accordo con me. So che in realtà vuole sapere di più perché si siede esattamente di fronte a me.
«Justin?» Ripete nuovamente il suo nome e abbasso lo sguardo; non ho più vie di scampo.
«No, è solo un amico.» Mormoro, so che le mie guance si sono colorate di rosso.
«È il ragazzo al quale stai dando le ripetizioni, non è vero?» Me lo chiede come se si fosse appena ricordata di quel particolare.
«Sì, è lui» devo mordermi la lingua per sputare fuori tutta la verità. «Abbiamo avuto una discussione e sono ancora arrabbiata con lui, tutto qui.»
 
-
 
«Haley.» Riconosco la voce che sta chiamando il mio nome, ma non capisco da dove provenga.
Solo quando gli ultimi due ragazzi che mi stanno camminando davanti svoltano l’angolo, vedo Austin. È appoggiato alla parete e si sta guardando intorno, sembrano persino spaesato. Lo raggiungo lentamente, osservandolo e cercando di capire cosa possa volere da me.
«Sì?» Austin sorride.
«Come stai?» Me lo chiede come se fossimo amici da sempre e non ci vedessimo da un po’. Ho persino timore che possa abbracciarmi.
«Che cosa vuoi da me?» Voglio cavargli qualche parola, ma Austin e furbo e si stringe nelle spalle.
«Sapere come stai.» Ripete e devo trattenermi per non allungare il passo e lasciarlo nel bel mezzo del corridoio a parlare da solo.
«Austin-»
«D’accordo, volevo sapere come stava andando con Justin.» Sentire il suo nome mi fa sussultare, ma ho abbastanza coraggio da sorpassarlo e scuotere la testa. Austin però mi raggiunge e mi affianca nuovamente, camminando con me lungo il corridoio.
«Sparisci dalla mia vista.» Sento vibrare il cellulare nella tasca, ma Austin non mi permette di poterlo controllare; sta sogghignando.
«Oh andiamo, è solo una domanda.» Mi fermo all’improvviso, ma Austin ha i riflessi abbastanza pronti da evitare di scontrarsi rovinosamente con me.
«Dovresti chiederlo direttamente a Justin.» Borbotto e la mia sembra quasi una minaccia; il sorriso che gli aleggia sul viso scompare. Guarda oltre la mia spalla per qualche secondo, poi mi fa un cenno con il viso, tornando indietro.
Il professor Jacque sta venendo verso di me, con la sua immancabile cartellina appena al braccio e gli occhiali in bilico sulla punta del naso.
«Signorina Clark, il professore di Biologia la sta cercando» mormora, aggiustandosi la cravatta blu che porta. «Lo raggiunga il prima possibile nella sua aula.»
«Ma io stavo-»
«Immagino sia piuttosto urgente. Le auguro una buona giornata, Signorina Clark.» Non mi dà tempo di chiedere o ribattere con altro. Ripercorro il corridoio a ritroso, sperando vivamente che Austin sia sparito.
Il professore di Biologia è seduto alla cattedra e sta tamburellando con una penna sulla superficie del tavolo.
Mi accorgo di Justin solo quando mi chiudo la porta alle spalle; è seduto nei primi banchi.
«Signorina Clark, prego» Justin si volta nell’istante in cui il professore chiama il mio nome. La sua espressione non è carica di sorpresa, è solo infastidito. «Per favore, si sieda.»
Prendo posto accanto a Justin, ma un banco tra di noi ci divide.
«Vi ho convocato per sapere come stanno andando le ripetizioni.» Il suo tono è gentile, ma so che in realtà è scocciato di non poter andare a pranzo; le lezioni pomeridiane ricominceranno tra meno di un’ora.
Deglutisco e sento gli occhi di Justin fissi su di me; io però sto guardando il professore davanti a me. Mi sono bastati pochi secondi per imprimere nella mia mente i particolari che ritraggono Justin: indossa una maglietta a maniche corte blu e ha una leggera scollatura. Porta una catenina e un tatuaggio all’altezza della clavicola è quasi del tutto visibile: è una corona.
«Benissimo, Justin impara in fretta.» Mento spudoratamente a entrambe le persone presenti in aula. Justin maschera la risata con un colpo di tosse; non gli ho mai dato ripetizioni di Biologia.
«A fine semestre, ci sarà il test finale. Ne siete al corrente, vero?» Usa il plurale, ma i suoi occhi sono puntati su Justin; non so se a sfidarlo meno. Justin però si stringe brevemente nelle spalle.
«Come dimenticarlo.» Borbotta, pizzicandosi la punta del naso.
«Quando ha intenzione di mettersi a studiare sul serio?» La sua domanda ha qualcosa di retorico, ma Justin non sembra voglioso di rispondere a tono. Usa solo del sarcasmo e vorrei uscire dall’aula all’istante perché tutto ciò non mi fa bene.
«Quando mi verrà l’ispirazione, forse» si passa una mano tra i capelli a quelle parole e il muscolo del braccio guizza sotto quel gesto. «O quando l’ispirazione verrà alla Signorina Clark.» Si volta nella mia direzione e i suoi occhi incrociano in pieno i miei.
Resto immobile qualche secondo, perdendomi nei dettagli del suo viso: ha le sopracciglia lievemente aggrottate e tutto ciò gli conferisce un’espressione annoiata e infastidita, ma dannatamente attraente.
«Signorina Clark?» Sobbalzo quando il professore mi richiama.
«Cosa?» Ribatto quasi infastidita dall’avermi distratta; Justin sogghigna quando il professore si massaggia le tempie.
«Le ho chiesto quando è fissata la prossima ripetizione.»
«Domani pomeriggio.» Lo dico senza pensarci.
Justin torna serio e la sua guancia si contrae; ho quasi paura che possa sferrare un pugno a qualcosa o a qualcuno.
«Non mi deluda Signorina Clark.» So che ci sta congedando e mi alzo dal banco, trattenendomi quasi dal correre fuori dall’aula. La sedia di Justin scivola sul pavimento quando la porta mi si chiude alle spalle.
Ho quasi l’impulso di sparire, ma qualcosa mi tiene ben salda sui piedi, impedendomi di muovermi.
Ho paura, ma ho anche l’adrenalina che inizia a circolare. La cosa peggiora quando la mano di Justin si serra sul mio polso.
Sussulto, ma con un gesto piuttosto brusco, riesco a far sì che lasci la presa.
«Haley-»
«Ti ricordi ancora il mio nome, bene.» Devo trattenermi dallo scoppiare in una risata nervosa. Justin stringe i denti e infila le mani nelle tasche.
«Certo che ricordo il tuo nome. Cosa-»
«Sto solo facendo quello che mi hai detto: ti sto lontano. E ora scusami, ma voglio andare a pranzo.» Riesco ad allontanarmi, ma Justin mi recupera; la sua mano è di nuovo sulla mia pelle.
«Non voglio che tu mi stia lontana, lo sai. Ma non c’è altro modo.» Me lo sussurra perché alcune persone ci stanno passando accanto.
«Troppo tardi.» Riprendo a camminare; sento gli occhi che pizzicano.
«Allora non avresti dovuto dire che mi darai delle ripetizioni domani pomeriggio.» Mi coglie alla sprovvista perché quando mi volto nella sua direzione, non so in che modo ribattere. I suoi occhi m’impediscono di pensare lucidamente.
«Io non-»
«Non vorrai deludere il professore, dico bene?» Mi sta stuzzicando; non è giusto che un sorriso mi compaia sulle labbra e non è giusto che il suo sia così bello. «Vieni da me, domani pomeriggio.» Sobbalzo quando si avvicina per sussurrandomelo all’orecchio, come se fosse un segreto solo nostro.
Sento il suo respiro solleticarmi la guancia e rabbrividisco; quando ispiro, sento il suo profumo.
«Non ho idea di dove abiti.» Ammetto infine e mi sento arrossire.
Justin sorride e mi fa passare il braccio dietro la schiena; trattengo il respiro quando infila la mano nella tasca posteriore dei miei jeans, estraendo il mio cellulare.


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 37
*** 37. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 37
J.

 
«Justin, sto uscendo.»
La voce di mia madre echeggia per le scale e mi affretto a raggiungerla al piano di sotto; smette di trafficare nella sua borsa quando si accorge di me, fermo sul primo gradino.
«Tesoro, sei sicuro di stare bene? Sei agitato e sembra quasi tu stia nascondendo qualcosa.» Il suo tono accusatore non mi sfugge, ma scuoto la testa infilando le mani nelle tasche posteriori dei jeans.
«Non sto nascondendo nulla, ma resterò a casa.» Mamma mi guarda come se non credesse a una singola parola. «Jazzy?» Le chiedo poi, a cambiare discorso e a assicurarmi che non torni a casa all’improvviso.
«Dalla Signorina Molly, andrò a prenderla prima di cena» replica, ma è titubante. So di averle posto la stessa domanda non troppo tempo fa. «Justin, sei sicuro-»
«Farai tardi, ci vediamo dopo.» Scendo l’ultimo scalino con un salto e la spingo letteralmente verso la porta d’ingresso. Mamma scoppia a ridere, ma non oppone nessuna resistenza; mi punta un dito accusatore prima di uscire definitivamente, ma la anticipo.
«Farò il bravo, te lo prometto.» Borbotto, quasi avesse a che fare con un bambino.
«Stavo per dire che passerò anche dal supermercato prima di cena, ma sì, fai il bravo.» Me lo dice divertita, poi mi saluta con un cenno della mano, raggiungendo la sua auto. Chiudo la porta solo quando sono sicuro che sia partita e sparita dalla mia visuale.
Non ho comunicato a Haley un orario preciso, ma l’orologio che porto al polso m’indica che sono appena le tre di pomeriggio. Ho già in mente di mandarle un messaggio, ma quando recupero il cellulare, l’arrivo di un messaggio illumina il display e il suo nome compare a dirmi che sta arrivando.
Sto sorridendo e non mi sto nemmeno rendendo conto di compiere quel gesto.
Entro in cucina solo per recuperare una bottiglietta d’acqua e faccio in modo che i miei pensieri restino tali. Devo impegnarmi a fondo per non rivivere sempre e costantemente le stesse scene: Sasha, la pistola puntata contro Haley, Randy e Zac che la porta via.
Una portiera viene chiusa nelle vicinanze e quando sbircio dalla finestra della cucina, Haley sta scendendo dalla sua auto bianca, parcheggiata dall’altro lato della strada; si sta aggiustando la borsa sulla spalla.
C’è il sole oggi e non lo so per quale tipo di fenomeno, ma un suo raggio è catturato dal brillantino che Haley porta da sempre al naso.
La osservo fino a quando non sparisce dalla mia visuale e sento il campanello suonare. Lascio la bottiglietta d’acqua intatta sul tavolo e mi tolgo la felpa che ancora indosso; fa fin troppo caldo.
Mi schiarisco la voce mentre con un unico movimento, apro la porta d’ingresso; Haley sobbalza, io sorrido. Impiega qualche istante a decidersi a entrare, ma alla fine lo fa.
«Pensavo non saresti venuta.» Glielo dico chiudendo la porta e Haley mi guarda appena.
«Non volevo.» Ribatte e nonostante io sappia che non lo pensa davvero, mi ritrovo a stringere il pugno lungo il fianco.
«Però sei qui.» Haley accenna un sorriso.
«Non mi hai dato molta altra scelta.» Borbotta, indicando la borsa contenente libri e appunti.
Faccio strada lungo le scale, arrivando alla mia stanza. Esita di nuovo, ma non ha molta scelta se non entrare.
Mi accorgo di stare fissandola solo quando Haley si schiarisce la voce; distolgo in fretta lo sguardo, posandolo ovunque tranne che su di lei.
Mi accomodo sul bordo del letto, lei invece prende posto alla scrivania. Sfoglia un libro fino all’argomento da lei scelto, poi lo allunga verso di me, in modo da sapere di cosa si tratta.
Continuo a non avere nessuna idea, il modo in cui i suoi capelli le ricadono lungo le spalle, accentuando la scollatura che ha deciso di indossare proprio oggi, mi distrae.
La sento appena parlare, sono fin troppo preso dalla movenza delle sue labbra e dal leggero rossore che le si forma sulle guance ogni qual volta i miei occhi incrociano i suoi. Sospiro senza rendermene conto e lei deve interpretare quel mio gesto come fosse invece stanchezza.
«Sono così noiosa?» So che sta scherzando, ma annuisco e la vedo mordersi il labbro.
«Te l’hanno mai detto che parli troppo?» Mi sdraio sul letto, passandomi una mano sul viso. Quando sospira il libro viene chiuso con un tonfo. «Dove vai?» Persino io mi accorgo del tono fin troppo allarmato che ho usato.
«Ho bisogno del bagno.» Borbotta e lo so che sta mentendo, ma annuisco e le indico la porta alla mia sinistra. Mi sdraio di nuovo e la seguo con la coda dell’occhio; quando torna, ho gli occhi chiusi e Haley sbuffa.
«Sono qui da appena mezz’ora.» Mi ritrovo a sorridere, ma assumo nuovamente una posizione consona, pronto a ascoltarla per un altro po’. Sembra in difficoltà, poi schiocca le dita e si alza dalla sedia.
«Certo, perché l’ho scritto su un foglio diverso.» Non lo dice a me, più a sé stessa. È distratta e mi sta dando le spalle.
Riesco a raggiungerla senza fare troppo rumore e quando poso entrambe le mani sui suoi fianchi, sobbalza sotto di me. Io stesso trattengo il respiro, sfiorandole i capelli con le labbra.
«Justin-»
«Per l’amor di Dio, basta parlare.» Il mio è solo un sussurro, ma abbastanza perché obbedisca. Smette di respirare quando la stringo contro di me, tanto che il mio cuore deve battere contro la sua scapola.
«Che cosa stai-»
«Ho detto: basta parlare.» Riesco a farla voltare; è intrappolata tra la scrivania e me, non ha nessuna via di fuga.
Le prendo il viso tra le mani, sfiorandole i capelli con la punta delle dita. Non la bacio, non subito. Ho ancora paura che possa sottrarsi a quel mio gesto. Invece non lo fa, resta immobile con un fiatone di una corsa immaginaria. Mi guarda negli occhi, poi si abbassa sulle mie labbra.
Trattiene il respiro quando la mia bocca tocca la sua, ma le sue mani salgono al mio petto. Non so cosa scateni il resto, se la presa sulla mia maglietta o il suo corpo che si avvicina al mio.
Non c’è più alcun centimetro disponibile tra di noi e riesco a intrappolarle il labbro inferiore tra le mie. Quando lo mordo, la stoffa della maglietta sembra quasi scricchiolare sotto le sue dita, tanta è la forza con la quale sta stringendo.
Lascio il suo viso solo per posare le mani sui suoi fianchi, riuscendo a sollevarla e a farla sedere sulla scrivania. Le sue labbra non lasciano mai lei mie, ho bisogno di sentirla il più vicino possibile.
Soffoco un gemito sul nascere quando le sue mani s’insinuano tra i miei capelli, tirandone appena le punte. Mi allontano solo perché il bisogno di ossigeno è diventato più forte di tutto il resto.
Ho il fiatone e per tornare lucido, sfioro con la punta del naso tutta la lunghezza del suo collo, arrivando alla clavicola, fino alla spalla.
La sento sussurrare il mio nome e quando sollevo lo sguardo, Haley ha gli occhi chiusi; le sfioro la pelle del viso con la punta delle dita e sorride.
Non mi rendo conto di averla sollevata dalla scrivania, ma con un gesto veloce la porto sul letto. Non so se sono io a sfilarmi definitivamente la maglietta o se è invece Haley a compiere in buona parte quel gesto.
Ha le mani fredde quando le posa sul mio petto; le sfioro i fianchi, riuscendo a farla sdraiare completamente sul letto. È lei a cercare le mie labbra ed io non mi tiro indietro.
Sento il calore della sua pelle quando la mia mano scende lungo i fianchi, risalendo fino allo stomaco e sfiorandole le stoffa del reggiseno. Anche ora non so chi sia dei due a togliere di mezzo la canotta che indossa Haley, se io o lei stessa.
Deglutisco mentre il suo petto si alza e si abbassa fin troppo velocemente; mi ritrovo a stringere i denti e mi alzo così velocemente che Haley sobbalza. I pantaloni sono stretti. Le bacio il collo e quando inarca la schiena, il suo petto si sconta con il mio.
Riesco a sbottonarle i jeans che per qualche assurdo motivo, ancora porta. Infilo una mano lungo un lato di essi, riuscendo a farli scivolare via senza troppo sforzo.
Tutto finisce al suolo insieme al resto dei miei vestiti.
M’inginocchio su di lei solo per tracciare una scia di baci che parte dall’ombelico e arriva nuovamente alle sue labbra. Intreccia le mani nei miei capelli e sento la testa che gira.
Con la mano sinistra percorro in lungo la sua gamba, tastandone ogni centimetro; le sto sfiorando l’elastico delle mutandine. La sento trattenere il respiro e sollevo lo sguardo sul suo: annuisce appena e non ho bisogno di altro perché gliele sfilo in fretta, facendo la stessa cosa con ciò che indosso io.
Sento il sangue pulsarmi nelle orecchie e rimbombare nelle tempie mentre le bacio di nuovo il collo. La sento sorridere quando le mordo un punto ben preciso di esso; sono dentro di lei in un unico movimento. Mi stringe un avambraccio con la mano, l’altra è sulla mia schiena.
Le sfioro il naso con la punta del mio e quando sussurra il mio nome, il cuore perde un battito.
«Mi sei mancata.» Quasi non mi accorgo di averglielo sussurrato all’orecchio. La sento mormorare qualcosa in risposta, ma deve ripeterlo una seconda volta.
«Anche tu.» Fermo ogni mio movimento, solo il fiato se ne va per conto suo; ho la fronte imperlata di sudore, lo sento sulle tempie.
«Non voglio che tu mi stia lontano. Cazzo, io non voglio starti lontano.» Sta sorridendo e alza il viso a sfiorare di nuovo le mie labbra in quello che però non è un vero e proprio bacio.
«Nemmeno io.»
«Queste settimane sono state un inferno.» Mormoro; la sua mano ancora stringe il mio braccio.
«Justin-»
«Mi dispiace per quello che è successo con Sasha, io farò in modo che non si avvicini più. Te lo prometto, io-»
«Justin» questa volta è lei che m’interrompe; apro gli occhi e nemmeno mi ero accorto di averli chiusi, talmente preso dal mio monologo. «Chiudi la bocca, ti prego.» Scandisce ogni parola e per un momento non so più quello che devo fare.
Haley mi bacia e non c’è più alcun suono a interrompere il silenzio che si è creato. Ci siamo solo noi e i nostri respiri che si fanno sempre più pesanti e veloci, fino a che non mi ritrovo a nascondere il viso nell’incavo del suo collo, stremato.
Sento il suo respiro sulla tempia prima che venga sostituito dalle sue labbra.
La stringo a me o forse è lei che mi sta stringendo; mi piace. Mi piace averla tra le braccia.
Riesco ad afferrare il lenzuolo più per coprire lei che me, poi la sento accoccolarsi contro il mio petto; continua ad avere le mani fredde.
Chiudo gli occhi solo un secondo e la sento sorridere.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 38
*** 38. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 38
H.

 
Sono in stato di dormiveglia, ma il braccio di Justin che si muove sotto di me lo percepisco. Sbatto le palpebre giusto a scacciare la spossatezza.
Non so che ore siano, ma il sole all'orizzonte si è abbassato. Prendo un respiro e involontariamente alzo il viso, incontrando quello di Justin, appena più su del mio. Respira lentamente e ha gli occhi chiusi.
Sta dormendo e limito i movimenti per non svegliarlo; lo guardo come non ho mai avuto occasione di fare prima.
La sua pelle ha sempre quel colorito ambrato, come se fosse appena tornato da una vacanza al mare; il naso è piccolo e delicato. Rabbrividisco a quel pensiero perché l'effetto che mi fa ogni volta che mi sfiora la pelle del collo, parla da sé.
C'è un unico difetto sul suo viso: una piccola cicatrice appena sopra le labbra, sulla guancia.
Non è muscoloso, ma i pettorali e le spalle sono pronunciati quel tanto che basta a renderlo attraente. La pelle ambrata fa sì che i tatuaggi che ricoprono braccia e petto risaltino in modo dettagliato.
Sulla clavicola destra vi è inciso un numero romano, su quella sinistra una corona; le braccia sono quasi prettamente ricoperte di inchiostro.
Le mie dita si soffermano a sfiorare i contorni della corona ed è in quel momento che Justin si sveglia, strappato al sonno.
Sussulto, ritraendo la mano immediatamente. Lo sento sorridere e le sue labbra si posano sulla mia fronte in un bacio delicato.
«Non volevo svegliarti.» Mormoro, sentendomi persino in colpa.
«È stato un buon risveglio.» Mi stringe a sé e non posso fare altro che accoccolarmi nuovamente a lui; la mia guancia sente tutto il calore della sua pelle.
Non dice altro e io nemmeno; i minuti passano così, senza che nessuno dei due abbia voglia di parlare.
Sono abbastanza vigile da accorgermi che qualcuno ha appena parcheggiato nel vialetto di casa sua; Justin impreca e non so chi dei due si alzi più in fretta.
«Mia madre. È tardissimo.» Devo dargli ragione, nessuno dei due si è preoccupato di tenere sotto controllo l'ora; Justin è nettamente più veloce di me nel rivestirsi e ha già aperto la porta della stanza. La serratura nell'ingresso sta scattando.
Recupero la borsa, ritirando i libri utilizzati; gli passo accanto mentre lui tiene aperta la porta. Se la chiude alle spalle solo per stringermi il polso e voltarmi; mi bacia sulle labbra, poi sorride.
Arriviamo nell'ingresso nel momento in cui la porta di casa si apre, una bambina dai capelli chiari sta lasciando il suo zainetto accanto al tavolino. La mamma di Justin è subito dietro di lei, con una borsa di carta tra le mani e una sulla spalla.
«Ci penso io, mamma.» Justin accorre in suo aiuto e Pattie lo osserva quasi sorpresa da quel gesto.
«Grazie» replica semplicemente, chiudendo la porta alle sue spalle. «Ciao Haley.» Mi saluta poi.
«Salve, Pattie.» Mi scosto i capelli oltre la spalla, avanzando un passo verso di lei.
«Come sono andate le ripetizioni?» Me lo chiede nel momento in cui Justin è nuovamente nell'ingresso ed è lui a rispondere per me.
«Alla grande, stava giusto andando a casa. Abbiamo appena finito.» Annuisco alle sue parole e sento la sua mano sulla mia schiena.
«Vuoi fermarti a cena, tesoro?» Scuoto in fretta la testa alla sua proposta.
«Grazie, ma i miei genitori mi stanno aspettando.» Lo so che è una bugia, ma Justin sembra apprezzare il mio rifiuto.
«È la tua fidanzata?» La sorellina di Justin fa sobbalzare tutti con quella domanda; le mie guance si colorano di rosso.
«No, Jazzy.» Di nuovo è Justin a prendere parola. Pattie sorride e Jazzy mi osserva ancora per qualche istante, poi mi saluta con un cenno della mano, raggiungendo il salotto.
«Buona serata Haley, salutami tanto i tuoi genitori.» La mamma di Justin mi posa una mano sul braccio prima di raggiungere la cucina e trafficare con il contenuto delle buste di carta.
Justin al mio fianco lascia uscire il fiato che deve aver trattenuto da qualche istante a questa parte. Apre la porta d'ingresso, tendendomi la mano e aspettando che io l'afferri prima di chiudersela alle spalle.
Mi accompagna fino alla mia auto, lasciando socchiuso il cancelletto d'ingresso.
Poso la borsa sul sedile e sento la mano di Justin stringersi intorno al mio polso, costringendomi a voltarmi verso di lui.
Sussulto quando mi bacia, ma chiudo gli occhi e poso una mano sul suo petto, a stringere la stoffa della maglietta che indossa.
«Non voglio che tu vada via.» Me lo dice a qualche millimetro dalle mie labbra e sorrido.
«Non sarei nemmeno dovuta essere qui.» Justin non coglie il mio essere divertita perché si allontana per guardarmi direttamente negli occhi; la vedo la sua espressione cambiare. «Non volevo dire-»
«Ti ho chiesto scusa.» Mi interrompe e mi ritrovo a prendere un lungo respiro; gli afferro il mento con le dita e la sua guancia guizza appena prima che la sua mano si posi sul mio fianco.
«Non ho mai detto che non avrei voluto venire qui.» Mi correggo, mentre Justin si passa la lingua sul labbro inferiore, stringendolo tra i denti e trattenendolo più del necessario.
«Mi dispiace, Haley» la sua voce cambia totalmente cadenza. «Non credo di essere mai stato così spaventato in tutta la mia vita. Se ti avesse fatto del male, io-»
«Ti prego, smettila» Justin scuote la testa e abbassa la sguardo, ma lo ritrovo l'istante dopo. «Non è successo niente, va tutto bene.»
«Avrebbe potuto sparare.» È appena un sussurro e lo abbraccio, però è lui a stringermi.
«Ma non l'ha fatto.» Sento le sue labbra all'altezza della tempia.
«Non voglio stare lontano da te e non voglio nemmeno che tu stia lontana da me.» Me lo dice all'orecchio e sono grata che al momento non possa vedere il rossore sulle mie guance.
«Allora per favore, non farlo.»  

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 39
*** 39. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 39
J.

 
«Bieber» sobbalzo quando il gomito di Randy mi colpisce dritto sul costato, strappandomi ai miei pensieri. Stringo i denti perché è già la quarta volta che compie quel gesto e sembra sempre colpire lo stesso punto. «Mi stai ascoltando?»
«Sì, ti sto ascoltando.» Replico, schiarendomi la voce.
«Si può sapere che hai?» È divertito mentre me lo chiede e mi stringo nelle spalle, incrociando le braccia al petto in modo che non possa più colpirmi.
«Niente.» Borbotto, chiudendo persino gli occhi. Le sento le risate che provengono da Seth e Austin; Randy sbuffa.
«Se ti farai ammazzare, io non voglio saperne nulla.» Si accende una sigaretta mentre pronuncia quelle parole, tanto che la sua voce appare confusa. Alzo gli occhi al cielo, ho già fatto almeno un milione di consegne, so come funziona.
«Chi penserà poi alla tua ragazza?» Fa eco Anthony; reprimo un sorriso, ignorandolo volutamente.
«Già, chi la consolerà?» Questo è Austin, ma ignoro anche lui.
«Io lo farei più che volentieri.» Interviene anche Seth, ma è troppo impegnato a ridere per notare la mia occhiata di fuoco nei suoi confronti. Randy schiocca le dita di punto in bianco, poi batte il pugno sul tavolo.
«Te la sei portata a letto!» Esclama, quasi fosse venuto a capo di un enigma. Vorrei potergli dire che non sono affari suoi, ma Anthony mi brucia sul tempo.
«Ce ne hai messo di tempo amico.» Aggrotto le sopracciglia, ma di nuovo non ho il tempo di replicare.
«Pensavo fosse successo una vita fa» ammette Randy, rivolgendosi principalmente ai ragazzi. «Da quando hai tutta questa calma? E io che credevo-»
«Randy, chiudi quella cazzo di bocca» mi passo una mano tra i capelli, interrompendo il flusso delle sue parole. «Tutti quanti, non sono affari vostri.» Cala il silenzio per qualche secondo e li vedo mentre si osservano l'uno con l'altro, scoppiando poi a ridere. «Non è divertente.» Borbotto, ma nessuno sembra sentirmi.
«Lo è eccome.» Replica Randy e tutti sono d'accordo con lui.
«Sei carino quando arrossisci.» Anthony mi prende in giro e appallottolo il bigliettino contenente l'indirizzo di quella sera, lanciandoglielo contro.
Questo scatena altre risate, ma Anthony è abbastanza svelto da afferrarlo al volo, rispedendolo verso di me. Lo appiattisco sul tavolo, cercando di riportarlo allo stato originale, ma senza riuscirci.
«D'accordo, sono andato a letto con Haley» borbotto infine e le risate si placano. «Ora possiamo tornare alle nostre cose?» Randy annuisce con ancora l'ombra di un sorriso sulle labbra, poi spegne la sigaretta.
«Ora, per la centesima volta - perché so che non hai sentito una parola - Sullivan ti aspetta davanti casa sua alle dieci spaccate.» Ripete Randy e inarco un sopracciglio; non avevo realmente sentito una parola.
«Devo andare fino a casa sua? Perché?» Randy sbuffa, io sono confuso.
«Se mi avessi ascoltato, ora lo sapresti» borbotta e alzo gli occhi al cielo. «Mi ha mandato un messaggio questo pomeriggio, dice che ha qualcos'altro da consegnare.»
Sullivan ha sempre portato guai: è nel giro di Sasha da anni e contrattare con lui implica avere a che fare con Sasha.
«Non farò da tramite per nessuno.» Ammetto infine, sotto lo sguardo di Randy.
«Lo farai eccome e senza fiatare.» Nessuno scherza più.
«Perché non può farlo Anthony?» Propongo, cercando di liberarmi da quell'incarico. Odio fare da tramite, detesto stare in giro tutta notte per la città.
«No, lo farai tu.» Randy assume un tono che non ammette repliche.
«E se avessi degli impegni?» Randy scuote la testa, lasciando trasparire del divertimento.
«Haley aspetterà.» Borbotta poi.
«Non si tratta di lei.» Ribatto a denti stretti.
«Allora puoi benissimo andare tu.» Ripete e devo mordermi la lingua per evitare di dire anche solo un'altra parola che vada contro i suoi ordini.
«A che ora hai detto?»

 
-

Accosto l'auto parallelamente alla casa di Sullivan quando l'orologio digitale sul cruscotto della macchina segna le 21:58.
Spengo il motore, schiarendomi la voce e guardandomi intorno. La casa di Sullivan è fatiscente, come tutto il circondario della periferia. Sullivan ha sempre avuto un giro di denaro piuttosto consistente e non riesco a capire perché si ostini a vivere qui.
Sono le 22:15 quando compongo il suo numero sullo schermo del mio cellulare, ma chiudo la chiamata quando la porta di casa sua si apre.
Esce di corsa, raggiungendomi. Premo l'apertura automatica del finestrino alla mia sinistra, ma non allunga nessun pacco verso me, tutt'altro. Fa il giro completo dell'auto e apre la portiera, accomodandosi accanto a me.
«Sull, che cazzo stai facendo?» Lo dico a voce così alta che la sento echeggiare nell'abitacolo. «Scendi dalla mia fottuta auto, adesso!» È un ordine, ma Sullivan scuote la testa allacciandosi la cintura di sicurezza ed estraendo il cellulare dalla tasca della giacca.
«Metti in moto, abbiamo mezz'ora di tempo per essere lì.» È lui a dare ordini, mostrandomi un indirizzo sul display del suo telefono.
«Non vado da nessuna parte.» Sullivan scoppia a ridere.
«Se tieni alla tua vita: parti.» Sprofonda meglio nel sedile e sferro un pugno sul volante così forte che il clacson suona.
«Non farò il tassista per te.» Sullivan si massaggia le tempie alle mie parole.
«Perché Randy continua a mandare te quando sono io a dover fare delle consegne?» Non lo sta domandando a me, sta solo pensando ad alta voce e non è l'unico a porsi quel quesito.
«Non sono qui per portarti in giro, dammi la roba e scendi dalla mia cazzo di auto.» Questa volta scandisco bene le parole, ma Sullivan scuote la testa.
«Non ho io quello che ti serve.» Incrocia le braccia al petto.
«Che cosa? E quando pensavi di dirmelo?»
«Te lo sto dicendo adesso, non ti basta?» Trattengo un'imprecazione tra i denti e deglutisco. «Per questo dobbiamo raggiungere l'indirizzo che ti ho mostrato. La roba è tutta lì, ma devo prima pagarla.» Aggiunge, battendosi sulla tasca della giacca, appena sopra il cuore.
«Non ho idea di dove sia questo posto.» Ammetto infine e Sullivan sospira, spiegandomi per filo e per segno come raggiungerlo.
«Non se ne parla, ci vuole almeno un'ora ed è sabato sera.» Scuoto la testa, passandomi una mano tra i capelli.
«Allora metti in moto e corri. Veloce.»

 
-

Inchiodo all'ultimo, tanto che sento le ruote dell'auto stridere sull'asfalto.
«Giuro su Dio Sull, se ho preso qualche multa ti uccido con le mie stesse mani.» Spengo il motore, scendendo dall'auto.
Sullivan mi raggiunge, sventolandomi un braccio davanti al viso, come a voler lasciar cadere il discorso. Mi supera, dirigendosi verso una porta ben precisa. Mi fermo appena dietro di lui, guardandomi intorno con il terrore che mi scorre nelle vene.
Sembra passare un secolo prima che la porta si apra: un ragazzo dai capelli ricci compare sulla soglia. Riconosce immediatamente Sullivan e si sposta di lato per lasciarlo entrare; c'è puzza di chiuso all'interno dell'abitazione e qualcosa mi dice di stare in allerta.
«Ho i soldi, voglio la mia roba.» La voce di Sullivan è chiara e concisa; il ragazzo annuisce e si allontana mentre io sfioro la pistola che porto alla cintura dei pantaloni.
Il ragazzo è di ritorno dopo qualche secondo e mostra a Sullivan un pacchetto. Quest'ultimo sorride e recupera un plico di soldi dalla tasca; sono quasi cinquemila. Aspetto di essere di nuovo al sicuro nella mia auto prima di tornare a respirare regolarmente.
«Quanti cazzo di soldi gli hai appena dato?» Sullivan si stringe nelle spalle mentre io metto in moto.
«È roba di Sasha.» Replica semplicemente, come se bastasse quello a spiegare tutto. Stringo le mani sul volante e la sensazione che qualcosa possa andare storto continua ad attanagliarmi lo stomaco.
Seguo le istruzioni di Sullivan fino a che non riconosco le strade familiari, arrivando davanti a casa sua un'altra ora dopo.
Sullivan scende dall'auto, poi fa il giro e si accosta al mio finestrino. Allungo una mano e recupero una scatolina, poi mi fa scivolare un paio di banconote sul palmo della mano.
«Consegnalo senza fare troppi danni» mormora e poi sorride. «I soldi sono per le multe.»
Premo sull'acceleratore il secondo dopo, diretto alla mia reale meta. Sono in ritardo di quasi due ore e controllo velocemente il cellulare: Randy ha chiamato quattro volte, mentre il ragazzo che avrei dovuto incontrare, tre.
C'è persino un numero sconosciuto, ma lo ignoro. Richiamo velocemente Matt, rassicurandolo sul fatto che sarei arrivato nel giro di un quarto d'ora. Ha la voce infastidita, ma dice che mi sta aspettando.
Consegno il tutto e mezz'ora dopo, la morsa allo stomaco continua a perseguitarmi. C'è qualcosa che non va, ma non riesco a capacitarmi di cosa possa essere.
Passo inevitabilmente davanti casa di Sasha e la mia attenzione viene catturata da una macchina bianca, posteggiata parallela alla sua abitazione.
Una ragazza scende da essa e quando i miei fari illuminano i dintorni, le vertigini si impossessano della mia mente, annebbiandola totalmente.
Stacy.
Freno di colpo, osservandola attraversare la strada. Entra in casa di Sasha e non ho la forza di muovermi.
Quella ragazza non può essere Stacy, lei è sparita anni fa dalla città.
Ho quasi un conato di vomito mentre penso a tutto questo e devo stringere i denti tanto forte perché il dolore mi faccia tornare lucido.
Scendo dall'auto in fretta, posando la fronte sulla superficie fredda del finestrino; ho le mani che tremano.
Non lo so quanto tempo passa, ma la porta di casa sua si apre nuovamente e non ho più alcun dubbio. È lei.
Ho il corpo totalmente paralizzato, solo gli occhi riescono a seguire ogni suo minimo movimento. Non ho fiato per parlare, ma qualcosa la fa voltare nella mia direzione.
Sembra confusa, poi la paura si fa spazio sul suo viso. Ci guardiamo per una manciata di secondi, io contro la mia auto, lei ferma in mezzo alla strada.
Non so chi compie il primo passo, ma mi ritrovo le sue braccia strette intorno al collo; le mie sono sulla sua vita.
Ho il respiro corto mentre lei sussurra il mio nome. Mi rendo conto di stare facendo la stessa cosa e tutto mi sembra impossibile.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 40
*** 40. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 40
J.

 
La sento piangere e il suo corpo trema contro il mio; devo sciogliere l'abbraccio perché ho bisogno di respirare e di guardarla negli occhi. Sono lucidi, ma sempre verdi.
Le prendo il viso tra le mani, costringendola a guardarmi dritto in faccia.
«Credevo che non ti avrei più rivisto.» Stacy chiude gli occhi alle mie parole e scuote la testa.
«Mi dispiace.» Sussurra appena e ho quasi l'impressione di aver sentito male.
«Ti dispiace?» Sento la rabbia montare dentro a tutta questa situazione.
«Sì, per essere andata via senza aver detto niente» replica, deglutendo per mantenere un tono di voce saldo. «Sono sparita da un giorno all'altro, ma Justin credimi: non avevo altra scelta. Io-»
«Basta» mi rendo conto di averla interrotta bruscamente solo quando sussulta. «So che è stato Sasha e giuro su Dio, gliela farò pagare. Lo voglio morto.» Sto blaterando parole a caso, lo sappiamo entrambi.
«Non puoi fare niente, lo sai perché sono dovuta sparire.»
«Non avrei mai permesso che ti facesse del male. Nessuno di noi lo avrebbe fatto» è la mia voce questa volta a essere disturbata da un groppo alla gola. «Saremmo morti piuttosto che permettergli di farti del male.» Stacy sorride, ma c'è del dolore sul suo viso.
«Lo so, ma se fossi rimasta non avrei potuto proteggere te o Randy» mi prende il viso tra le mani mentre pronuncia quelle parole. «Sasha vi avrebbe ucciso e non ho avuto altra scelta che andare via. Solo così vi avrei tenuti al sicuro.»
«L'unico modo di saperti al sicuro era quello di stare al mio fianco. Sempre.» Ho la voce che trema e che va per conto suo. «Sono passati anni Stacy, non sapevo dove fossi o tantomeno con chi. Credevo che fossi morta.»
«Mi dispiace di averti fatto soffrire, ma sono qui. E questa volta non vado da nessuna parte.» La sua è una promessa e so che la manterrà.
«Non permetterò che ti faccia di nuovo del male» la stringo nuovamente a me, con i capelli che mi solleticano il viso e il collo. «Anche a costo della mia stessa vita.»
«Mi sei mancato.» Me lo dice all'orecchio e le bacio una guancia, facendovi schioccare le labbra più e più volte.
«Mi sembra di essermi svegliato dopo un incubo, sto iniziando a respirare solo ora.» Stacy sorride e scioglie l'abbraccio, sfiorandomi il viso con le mani.
«Hai mai cambiato numero di telefono?» Scuoto la testa a quella sua domanda e lei aggrotta leggermente le sopracciglia. «Ho provato a chiamarti un paio di volte questa sera, ma non mi hai mai risposto.» Aggiunge in fretta, stringendosi poi nelle spalle.
«Perché sei qui da lui?» Faccio cenno verso la casa di Sasha.
«Devo parlargli, ma non c'è.» Replica semplicemente.
«Ti ho visto entrare.» Stacy annuisce e si scosta una ciocca di capelli dal viso.
«C'è Gordon, ma Sasha non tornerà prima di domani sera.» Mi spiega.
«Che cosa devi dirgli?» Sono curioso e persino impaurito.
«Voglio fargli sapere che sono tornata e che non ho alcuna intenzione di andarmene di nuovo.»
«Nessuno ti costringerà ad andare via da qui, te lo prometto» le stringo una mano, suggellando quella promessa. «Non andrai da nessuna parte. Hai un posto dove stare questa notte?»
«C'è un motel non troppo lontano-»
«Non dire cazzate, starai con noi» la interrompo in fretta. «I genitori di Austin sono fuori città, è lì che andremo. Sali in macchina e seguimi.»

 
-

H.

 
«Zac, ho detto che ti aiuterò. Lasciami in pace ora.» Borbotto, voltandomi nuovamente verso la professoressa ancora intenta a spiegare la lezione.
«Sei sicura? A Bieber non darà fastidio?» Me lo chiede picchiettandomi la schiena con una matita.
«Perché dovrebbe?» Zac si stringe nelle spalle, incrociando le braccia al petto.
«Non state insieme, ora?» Me lo chiede in modo retorico mentre alzo gli occhi al cielo. Non ho tempo di ribattere, il telefono vibra sulla superficie del banco.
Da Justin:
«Ti aspetto nel parcheggio alla fine delle lezioni. Devo parlarti.»
Lo leggo una seconda volta, sentendo la preoccupazione risvegliarsi; non vedo Justin da tutta la mattina, non so se sia a scuola o meno.
A Justin:
«Justin, è successo qualcosa? Va tutto bene?»
Da Justin:
«Sì, ci vediamo nel parcheggio.»
Non rispondo, so bene che la conversazione non si sarebbe protratta oltre. Io però ho la bocca secca ora.
Mi volto quando sento Zac chiamare il mio nome e gli mostro i messaggi da parte di Justin.
«Non credo di averlo visto oggi, ma sono sicuro che non sia niente di grave.» Cerca di tranquillizzarmi, ma non sembra funzionare.
La campanella suona all'improvviso e Zac deve letteralmente trascinarmi fuori dall'aula per raggiungere quella di Letteratura. La lezione sembra protrarsi in eterno e non faccio altro che tormentarmi il labbro, cercando di immaginare cosa possa essere successo.
La campanella suona di nuovo e mi alzo così velocemente da rischiare di rovesciare il libro sul bordo del banco.
«Vai, ci penso io ad avvisare Madison.» Zac mi stringe la spalla e annuisco, camminando spedita verso il mio armadietto; rischio di scontrarmi contro chiunque provenga dalla direzione opposta.
Recupero la giacca e la indosso velocemente, raggiungendo le porte di uscita.
L'auto di Justin è parcheggiata a qualche metro di distanza da quella di Zac, che sta uscendo in retromarcia.
Justin ha la schiena contro la carrozzeria della sua auto e sta guardando distrattamente qualcosa sul cellulare, con gli occhiali da sole in equilibrio sul naso. Ha i capelli scompigliati, come se si fosse alzato dal letto qualche minuto fa. Solleva lo sguardo quando mi fermo esattamente di fronte a lui.
«Che cosa succede?» Glielo chiedo senza nemmeno salutarlo e le labbra di Justin si piegano in un sorriso mentre nasconde il cellulare nella tasca dei jeans.
«Sei impegnata?» Ignora deliberatamente la mia domanda.
«No, voglio sapere cosa sta succedendo.» Incrocio le braccia al petto.
«Vieni con me?» Ribatte Justin.
«Dove?» Sono restia sul seguirlo o meno; Justin sorride, confondendomi.
«Da Randy.» Replica semplicemente, contro ogni mia aspettativa. Annuisco e mi accomodo sul sedile accanto a lui, lasciando la borsa nei posti dietro.
«Non ti ho visto tutto il giorno.» Mi allaccio la cintura di sicurezza, mentre Justin percorre il parcheggio della scuola.
«No, non c'ero.» Justin accelera ad un semaforo per evitare di fermarsi con il rosso.
«Come mai?»
«Per questo stiamo andando da Randy.» Mi mordo il labbro, nervosa a quel suo modo di ribattere; so che una qualsiasi domanda da parte mia non otterrà una risposta e poi Justin continua ad avere un sorriso dipinto sulle labbra.
Parcheggiamo davanti casa di Randy una ventina di minuti dopo. Justin spegne il motore e scende dall'auto; io faccio la stessa cosa, ma non muovo altri passi.
Lui si accorge che non lo sto seguendo perché si volta e si toglie di occhiali da sole, appendendoli al colletto della camicia.
«Non muoverò un altro passo fino a che non mi dirai che diavolo sta succedendo e perché siamo qui.» Justin si passa una mano tra i capelli, poi mi cinge la vita con le mani.
«Dovrai entrare con me per scoprirlo» me lo dice a poca distanza dalle labbra; percepisco le sue ma non posso toccarle. «Fidati di me per una volta e poi, mi sei mancata oggi.» Questa volta le sento eccome mentre la sua mano si intreccia nella mia.
Dalla cucina di Randy riconosco le voci di Seth e Austin, ci sono anche quella profonda di Randy e quella già conosciuta di Jennifer. Ci sono altre due voci che però non conosco: una maschile e una femminile.
Justin fa strada senza lasciare la presa sulla mia mano e quando socchiude le porte, tutti gli occhi si posano su di noi; la mano di Justin si stringe sulla mia.
«Finalmente.» Borbotta Randy, spegnendo la sigaretta nel posacenere; credo si riferisca maggiormente a Justin perché sorride nella mia direzione, facendo cenno di avvicinarmi. Riconosco tutti tranne due persone ed è Justin a venire in mio aiuto.
«Lui è Anthony» indica il ragazzo bruno seduto alla sinistra di Seth. «Lei invece è Stacy.»
Il secondo nome che Justin pronuncia mi lascia un segno al centro del petto; incrocio i suoi occhi verdi e sorride, accanto a Jennifer.
«Ti ho sconvolto tanto quanto loro, non è vero?» Ha una voce chiara e decisa e annuisco perché non so cosa dire; non credo nemmeno di essere nella posizione adatta per dire qualcosa.
Justin mi trascina verso di lei perché c'è un'unica sedia disponibile. Lui si siede, mentre Stacy si alza per tendermi la mano.
«È un piacere conoscerti.» Mormora.
«Sono Haley.» Stacy alza gli occhi al cielo con fare divertito.
«Oh, lo so bene.» Mi prende in giro, toccando la spalla di Justin mentre torna al suo posto. Justin mi afferra il polso, invitandomi a sedermi sulle sue gambe.
Incrocio lo sguardo di Austin, il quale sorride e mi regala un occhiolino; non ho mai capito quel suo modo di salutarmi.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 41
*** 41. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 41
J.

 
I capelli di Haley mi solleticano il viso quando si siede sulle mie gambe. Le cingo i fianchi con le braccia e lo faccio perché mi sento al sicuro e la sensazione aumenta quando anche le sue mani si fermano sui miei polsi, a dirmi che da lì non ha intenzione di muoversi.
Stacy ha lo sguardo basso e Jennifer le posa una mano sulla spalla.
«Non so nemmeno da dove iniziare.» La voce di Stacy è bassa, sembra quasi un sussurro. È nervosa e lo capisco dal modo in cui si sta torturando le dita delle mani.
«Perché Sasha ha fatto in modo che te ne andassi?» Jennifer la sprona con una domanda, in modo che possa iniziare a parlare; tutti gli occhi sono puntati su di lei, in attesa.
«Non lo so» non sta mentendo, glielo leggo in faccia. «L'unica certezza che ho è quella di aver fatto l'errore più grande, innamorandomi di lui.» Sentire tutto ciò mi fa male al cuore, non riesco a capacitarmi di come sia potuto succedere.
«Credevo che il sentimento fosse corrisposto, ma con il passare del tempo mi sono resa conto che forse sbagliavo. È iniziato tutto quando tu e lui avete litigato.» Si sta rivolgendo a Randy, lo sappiamo tutti. «Ho cercato in tutti i modi di farmi raccontare qualcosa, ma non ne avete mai fatto parola con nessuno. Io però continuo a sostenere che fosse geloso di Justin.» Sussulto a quelle sue parole e le mani di Haley si stringono sui miei polsi.
«Sasha ha sempre invidiato il vostro rapporto e non potete contraddirmi su questo. Di punto in bianco ha iniziato a prendersela con me, diceva che preferivo stare con voi piuttosto che non lui. Dopotutto, ero la sua ragazza. Come potevo preferire i miei amici al mio ragazzo? Non voleva che continuassi a vedervi; cose se fosse normale smettere di volere bene ai propri migliori amici. Un giorno mi ha chiamato, dovevo raggiungerlo il prima possibile e mi sono preoccupata così tanto da saltare le lezioni a scuola, con la paura che potesse essergli successo qualcosa.» Stacy prende fiato perché è arrabbiata e sta parlando troppo velocemente.
«Non era successo niente, ma ha alzato la voce. Ho avuto paura, credevo mi avrebbe addirittura messo le mani addosso. Invece mi disse semplicemente che dovevo andarmene, che tra noi era tutto finito. Non ho realizzato subito che intendesse via da questa città. Sosteneva di non poter stare con una ragazza come me, non poteva permettersi che la sua ragazza preferisse passare il tempo con i suoi amici. Non c'è stato verso di calmarlo, dovevo andare via.» Stringo i denti così forte che mi fa male persino il viso. Mi ritrovo a respirare con la fronte premuta contro la schiena di Haley, per paura di trovare gli occhi di Stacy a guardarmi.
«Poi sono iniziate le minacce: o me ne andavo o avrebbe fatto del male alle persone a me più vicine. Credo di conoscerlo meglio tutti voi messi assieme e sapevo bene che le sue non erano solo parole atte a spaventarmi, lo avrebbe fatto sul serio. Justin era in pericolo, più di tutti voi. Ho pregato di non farlo, ho supplicato di risolvere la situazione, ma Sasha non ascolta nessuno. I suoi ordini erano chiari: dovevo lasciare la città o, giurando su Dio, avrebbe fatto così male a Justin che a stento lo avrei riconosciuto.» Sento la sua voce spezzarsi; la mia rabbia cresce a dismisura.
«Mi ha spaventato così tanto che me ne sono andata senza dire niente a nessuno. Mio padre a stento si sarebbe accorto della mia assenza, così ho preso il primo treno per il Texas e ho raggiunto mio zio. Non ho avuto motivo di spiegare la mia comparsa, ma immagino che abbia dato la colpa a mio padre e ho lasciato che fosse così.» Nessuno parla, nessuno ne ha il coraggio.
«Sono venuta a sapere dell'arresto di Sasha, ma non ho mai trovato il coraggio di tornare. Prima o poi sarebbe uscito e trovandomi lì, avrebbe rispettato la sua promessa di farvi del male.»
«Perché sei qui allora?» Austin prende coraggio, ponendo quella domanda che tutti noi avremmo voluto fare.
«Perché un giorno stavo tornando dal lavoro e ho incrociato un ragazzo; ti assomigliava parecchio» lo so che si sta rivolgendo a me perché alzo lo sguardo e la trovo a sorridere. «Mi sono resa conto di aver fatto il secondo errore più grosso della mia vita: lasciare te e tutti voi. Sono tornata da mio zio e ho fatto i bagagli; mio padre nel frattempo mi aveva cercata, ma ho mentito dicendo che mi ero trasferita in Texas per cambiare aria e trovare un lavoro che avrebbe soddisfatto i miei bisogni, ma che sarei tornata a casa molto presto, le cose non stavano andando come previsto. Ho preso il treno due giorni dopo, con il pensiero di voler affrontare Sasha. Per questo mi hai visto lì, Justin. Lui non c'era, ma tu sì. E non ho idea di cosa tu stessi facendo da quelle parti a un'ora così tarda, ma credo di non essere mai stata più felice in vita mia. Lo so che non appena Sasha scoprirà di me, me la farà pagare e so anche che questo includerà tutto voi, ma-»
«Non succederà» Randy stringe il pungo contro la superficie del tavolo, interrompendo Stacy fin troppo bruscamente. «Sasha non farà del male a nessuno. Non permetterò che si avvicini a nessuno di noi, a costo di ucciderlo con le mie mani. Non ti guarderà nemmeno, te lo prometto.»
Ho la vista annebbiata e solo in un secondo momento mi rendo conto che le lacrime cariche di frustrazione, vogliono uscire. La mano di Haley lascia il mio polso e se la porta sul viso. Stacy invece sorride, ma ha gli occhi lucidi.
Il cellulare nella tasca di Haley inizia a vibrare ed è costretta ad alzarsi per poter rispondere, lasciando la cucina. Mi passo una mano sul viso, osservandola. Stacy mi guarda e mi sto torturando il labbro inferiore con i denti. La vedo alzarsi fino a raggiungermi.
«Hai perso la lingua?» Me lo domanda in un sussurro e scuoto la testa. «Allora dimmi che ti sono mancata e che mi vuoi bene, perché ne ho bisogno.»
Non lo faccio, la travolgo in un abbraccio tanto forte da mozzarle il fiato; lei ricambia la stretta fino a farmi sentire nuovamente bene.
Haley rientra in cucina scostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«Mi dispiace interrompervi, ma devo tornare a casa.» Annuisco, ma non sono io a rispondere.
«Non ti preoccupare.» Stacy le si avvicina e io sono subito dietro di lei. La vedo accennare un sorriso, poi stringersi appena nelle spalle.
«Mi dispiace per quello che è successo, non lo meritavi. Spero tu rimanga in città.» Stacy annuisce.
«Mi ha fatto piacere conoscerti.» Non so se Haley replichi qualcosa, sono già in sala, diretto verso l'uscita.
Non parlo durante il tragitto verso casa e lei nemmeno. Lo sento il silenzio che pesa tra di noi, ma non faccio nulla per ovviarlo. Ho la mente annebbiata, quasi fossi ubriaco di qualcosa che non ho però mai bevuto.
Quando fermo l'auto davanti casa sua, butto fuori tutto il fiato che mi è sembrato di trattenere fino a questo momento.
«Cazzo.» Impreco, prendendomi il viso tra le mani. Sento gli occhi di Haley su di me, poi le sue mani si posano sulle mie, costringendomi a mostrarle il viso.
«Guardami» scuoto la testa alle sue parole, ma poi obbedisco. «Va tutto bene.» Non è una domanda, solo una semplice affermazione alla quale credo ciecamente.
«Grazie» mormoro, stringendole le mani intrappolate nelle sue. «Per essere rimasta.»
«Justin-»
«Dico davvero» la interrompo subito perché voglio che il concetto le sia chiaro. «Avevo bisogno che tu fossi lì. Non avrei resistito a lungo senza uscire a cercare Sasha.»
«No, non è vero.» Replica però lei, sorridendo.
«Averti con me mi ha fatto sentire al sicuro» ribadisco e la vedo deglutire. «Non lo so cos'è questa cosa tra di noi, ma è qualcosa che non mi permette di averti lontano. Io- se non ci sei mi manchi e n-non so che diavolo stia s-succedendo.» Sto balbettando e Haley sorride, mentre io mi sento nervoso.
«Non lo so nemmeno io, però mi piace.» Le sfioro le labbra con le mie, ma è lei a prendermi il viso tra le mani.

 
-

«Come vi siete conosciuti?» Stacy è seduta dall'altro lato del divano quando me lo domanda; mastico la mia fetta di pizza prima di risponderle.
«Seth.» Replico semplicemente e la vedo aggrottare le sopracciglia.
«Seth?» Ripete confusa; arriccio le labbra, raccontandole l'accaduto e senza rendermene conto, le confesso tutto dall'inizio alla fine. La vedo la sua espressione cambiare quando nomino Sasha.
«Non permetterò che accada di nuovo.» È una promessa che faccio più a me stesso e Stacy sorride.
«Lo so che non lo farai.» Mormora.
«Non avrei dovuto permettere che accadesse anche all'epoca.» Ribatto, stringendo i denti.
«Non è stata colpa tua e dovresti smettere di pensarci. Io non ho bisogno della tua protezione, so cavarmela da sola. Haley ha uno strano effetto su di te e mi piace. Non lasciare che l'odio e la paura verso Sasha rovinino tutto. Non ne vale la pena.» Finisce la bibita nel suo bicchiere. «Non ne vale mai la pena.»


 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 42
*** 42. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 42
H.

 
Le lezioni a scuola terminano nel pomeriggio e mi ritrovo a tirare un sospiro di sollievo.
Incrocio Zac per i corridoi, diretta verso l'uscita. Lo saluto con un cenno della mano al quale risponde con un sorriso. Madison si materializza nelle vicinanze, Martin la tiene per mano. Non mi parla da quasi una settimana.
Mormora qualcosa all'orecchio di Zac, che annuisce. Escono prima di me e sbuffo, continuando però il mio cammino. Ci sono troppi studenti e li perdo di vista non appena metto piede nel parcheggio.
Quando raggiungo la mia auto, chiavi in mano, un rumore di tacchi che si avvicinano e si fermano a pochi passi da me, mi fa sussultare. Stacy è dietro di me, con un sorriso dipinto in viso alla mia reazione.
«Che cosa ci fai qui?» Glielo chiedo sorpresa, mentre mi stringe in un abbraccio.
«Justin e gli altri ragazzi non vogliono accompagnarmi al centro commerciale» me lo dice assumendo un'aria imbronciata, mordendosi il labbro inferiore. «Ti ho scritto un messaggio un paio di ore fa, ma non mi hai mai risposto. Consideralo un rapimento, ma ho bisogno di comprare qualcosa di nuovo. Non ho più niente da mettere e-»
«Ho capito, Stacy» la interrompo in fretta perché parla così veloce che ho quasi paura che non stia nemmeno respirando. «Sali in macchina.» Aggiungo, indicandole il lato del passeggero.
Il centro commerciale non dista troppo da dove ci troviamo; Stacy parla senza sosta, di tutto e di niente. Riesce persino a farmi sentire in colpa per le volte in cui, sentendo il suo nome, l'ho giudicata male.
Stacy slaccia la cintura di sicurezza solo ad auto ferma ed io faccio lo stesso. È Stacy a fare strada e per un attimo dimentico che in realtà è stata via per anni.
«Che cosa stiamo cercando di preciso?» Glielo chiedo mentre la guardo osservare un paio di tacchi vertiginosi.
«Qualcosa che riesca ad attirare la mia attenzione.» Borbotta, sedendosi sulla poltroncina e sfilandosi gli stivali che indossa per sostituirli con le scarpe appena adocchiate. Quando si alza mi fa segno di avvicinarmi. «Come ti sembrano?» È realmente curiosa del mio parere, come se servisse a decidere se compararle o meno.
«Ti stanno bene.» Mormoro e Stacy sorride, sfilandosele per rimetterle però al loro posto. «Vuoi dirmi che niente ha attirato la tua attenzione?» Tutto in questo negozio è degno di essere guardato.
«Certo che no, ma tutto ciò che mi piace costa tre volte tanto rispetto a quello che posso effettivamente permettermi.» Arriccia le labbra e la prendo per il polso, trascinandola via dal negozio.
Dobbiamo salire al piano superiore per raggiungere ciò che sto cercando, poi spingo Stacy all'interno.
«Divertiti!» Sussurro, seguendola lungo i corridoi.
«Lo sai che Randy si sposa, vero?» La raggiungo quando ciò che tiene tra le braccia le diventa d'impiccio.
«Sì lo so, ma quando?» Replico incuriosita; si dirige verso i camerini, stringendosi nelle spalle.
«Tra qualche settimana. Justin non ti ha detto nulla?» Mi coglie di sorpresa con quella sua domanda.
«A che proposito?» Replico e Stacy sbuffa, sembra spazientita.
«Non ti ha chiesto di accompagnarlo?» Quando scuoto la testa la sento borbottare qualcosa e immagino sia un'imprecazione verso Justin.
«Perché avrebbe dovuto? Conosco appena sia Randy che Jennifer, sarebbe imbarazzante.» Borbotto, giocando con il ciondolo della collana.
«Sei la sua ragazza e Justin è il migliore amico di Randy. È naturale che tu debba accompagnarlo.» Lo dice come se fosse la cosa più naturale al mondo mentre io mi stringo nelle spalle.
«Non credo mi dirà niente o lo avrebbe già fatto.» Borbotto, sedendomi sulla poltroncina davanti al camerino. Stacy sbuffa di nuovo, chiudendo le porte color avorio.
«Questo è tutto da vedere.»

 
-

«Non ti farò mai più un favore» tiro fuori le chiavi dell'auto dalla borsa, raggiungendo il parcheggio. «Sarei dovuta essere a casa due ore fa!» Stacy arriccia il naso, prima di sfoderare un sorriso innocente. Non ho tempo di ribattere a quel suo gesto.
«Chi non muore si rivede.»
Il sorriso di Stacy si trasforma in una smorfia di terrore a quelle parole; io sento la pelle d'ora farsi spazio sulle braccia.
Mi volto lentamente perché quella voce la riconoscerei tra mille. L'istinto mi sta urlando di scappare, ma Sasha è appena dietro di noi; le mani di Stacy tremano.
Sasha tiene in bilico una sigaretta accesa tra le labbra ed è vestito completamente di nero. I suoi occhi azzurri riflettono la luce più del solito, sono quasi trasparenti. Con due dita sfila la sigaretta dalla bocca e dopo averla osservata qualche secondo, la lancia lontano lasciando che si spenga da sola.
«Pensavo di essere stato piuttosto chiaro, Stacy» quando pronuncia il suo nome sussulto perché lo fa con rabbia. «Pensavo che t'importasse di Justin, ma forse mi sbagliavo.»
Sembra ridere delle sue stesse parole, trovandole divertenti. Stacy lo guarda in modo diverso, come se un nuovo coraggio si fosse impossessato di lei e si avvicina a quel ragazzo che trasuda ira e orgoglio ferito.
Mi porto le mani alle labbra quando il viso di Stacy è ad appena un paio di centimetri da quello di Sasha; non mi sono accorta si fosse avvicinata tanto.
«Non provare a dire una sola parola in più su Justin.» Il tono con cui Stacy parla mi fa quasi più paura di Sasha stesso. Lui rimane immobile per un paio di secondi del tutto sorpreso, ma si riprende e il ghigno torna padrone sul suo viso.
«E questa cosa dovrebbe essere, una minaccia?» Lo dice in modo da stuzzicarla e Stacy ci casca con tutte le scarpe.
Mi guardo intorno, ma il parcheggio è deserto, nessuno vi cammina. «Ti avevo ordinato di lasciare la città, perché sei tornata?» Il guizzo della sua guancia non mi sfugge, Stacy solleva il mento ma le mani le tremano ancora.
«Non sei nessuno per darmi ordini.» Replica, ma la voce le si spezza pronunciando le ultime sillabe.
«Eppure te ne sei andata.» Sasha sorride, ma non è divertito. È come se stesse cercando di innescare qualcosa in lei.
«Non perché avessi paura di te. Volevo solo proteggere Justin.» Abbassa lo sguardo quando Sasha inarca un sopracciglio.
«Ma tu hai paura di me.» Afferma lui dopo qualche secondo ed è soddisfatto di quello che sta dicendo. Rabbrividisco nonostante non mi abbia ancora degnata di uno sguardo.
«Cazzo sì, ho paura di te e lo sai benissimo.» Cede infine Stacy, ma Sasha non batte ciglio. «Justin però è più importante ed è per questo che sono tornata. Sei riuscito a spaventarmi a morte, tanto da farmi andare via per anni, ma non succederà di nuovo. Non ti permetterà di farmi del male.» Lo sento che sta cercando di trattenere le lacrime, ma ogni volta che il nome di Justin esce dalle sue labbra diventa più difficile.
«Ricordi che cosa ti ho detto anni fa?» Stacy annuisce. «Che avrei conciato così male Justin che a malapena lo avresti riconosciuto. Te lo ricordi bene, Stacy?»
«Me lo ricordo.» Mormora e Sasha si avvicina, posandole una mano sul fianco.
«Cosa ti fa pensare che non lo farei adesso?» Stacy chiude gli occhi a quella sua domanda.
«Non toccherai Justin nemmeno con un dito.» Non mi rendo conto di aver pronunciato quelle parole. Lo sguardo di Sasha trova il mio per la prima volta da quando è comparso nel parcheggio.
«E sarai tu a impedirmelo, occhi d'angelo?»
«Haley ti prego, lascia stare.» Stacy sembra supplicarmi mentre cerca di trattenere Sasha, che si sta avvicinando pericolosamente. Sasha si libera della sua presa senza troppi sforzi.
«Sarai tu a impedirmelo?» Me lo domanda di nuovo, quasi gli avessi chiesto di ripetere la domanda.
«Sì.» Glielo dico in fretta, senza pensarci troppo. Sasha scoppia a ridere, Stacy stringe le labbra in una linea sottile. Mi sto cacciando in qualcosa di troppo grande per me.
«Sasha, lascia fuori Haley da questa storia.» Stacy alza la voce per richiamare la sua attenzione. «Lei non c'entra, è qualcosa che riguarda me e te.» Di nuovo afferra il polso di Sasha, ma lui è bravo a ribaltare la situazione perché ora è lui a tenerla in pugno. Trattengo un grido, ma Stacy sembra tranquilla.
«Dove sono i tuoi amici, piccola? Non puoi permetterti di giocare con me se sei sola.» Il tono di Sasha è tornato a essere funesto, non c'è più divertimento in tutto ciò.
«Stanno arrivando.» Stacy mente e chiudo gli occhi a quelle parole.
«Chiamalo.» So che si sta rivolgendo a me, nonostante non mi stia guardando negli occhi. «Fa' in modo che arrivi qui il prima possibile insieme ai suoi amici.» Stacy scuote la testa alle parole di Sasha. «Haley, chiamalo o Stacy viene via con me.»
Non ho più scampo e sono costretta a fare come dice. Sento gli occhi che pungono mentre compongo in fretta il numero di Justin, sotto lo sguardo attento di Sasha. La linea suona libera e Justin risponde al quinto squillo.
«Haley?» Me lo chiede sorpreso, dall'altro capo del telefono.
«J-Justin.» Non mi accorgo di balbettare, ma lui sì perché lo sento muoversi, come se si fosse appena alzato da un divano o da una poltrona.
«Che cosa succede?» Me lo chiede in fretta mentre io guardo Sasha.
«Sasha» replico velocemente perché il soggetto della nostra conversazione mi fa cenno di continuare a parlare e di farlo alla svelta. «È qui nel parcheggio del centro commerciale. Dice che se tu e Randy non venite immediatamente, Stacy andrà via con lui.» Ripeto le sue stesse parole mentre Justin mastica una bestemmia tra i denti; sento le chiavi dell'auto tintinnare in sottofondo.
«Non muoverti, sto arrivando.» Chiude la chiamata, lasciandomi ad ascoltare il suono della comunicazione ormai interrotta.
«È già per strada, non è vero?» Sasha sogghigna, ma non aspetta una vera e propria risposta da parte mia perché la conosce meglio di me. «Che dolce.» Mormora poi, guardandomi mentre mi asciugo velocemente una lacrima sulla guancia sinistra; Stacy chiude gli occhi, il polso ancora stretto nella morsa di Sasha.
Nessuno si muove e nessuno fiata; ho paura persino a respirare troppo a fondo.
Quindici minuti più tardi, una sgommata attira l'attenzione di tutti. Mi volto appena in tempo per scorgere Justin scendere dalla sua auto con forza. Ci raggiunge in fretta, seguito a ruota da Randy e da Austin.
Quando mi passa accanto non mi degna di uno sguardo e Sasha si allontana da Stacy, quasi volesse accoglierlo.
Justin carica il colpo e gli sferra un pugno dritto sul viso; Sasha barcolla, io grido.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 43
*** 43. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 43
J.

 
La voce di Haley mi risuona nelle orecchie, insieme con quella di Stacy. Entrambe stanno gridando il mio nome, ma le ignoro. I miei occhi sono puntati su Sasha, è immobile davanti a me con un ghigno dipinto sul viso e una mano a massaggiarsi il punto colpito. Ho il fiatone.
«Ti credevo più veloce.» Sputa a terra dopo aver pronunciato quelle parole. C'è del sangue e so di avergli fatto male, le nocche della mano pulsano. Il pensiero di Haley in pericolo mi ha dato più adrenalina di quanta ne avessi realmente bisogno.
«Non devi avvicinarti a Haley. Pensi che sia stato abbastanza chiaro?» Alzo la voce, come se servisse a rimarcare bene il concetto. Le mani mi tremano a tal punto che devo chiuderle a pugno. Sasha tira su con il naso e fa un debole cenno oltre le mie spalle; non mi volto.
«Non ho sfiorato la tua dama con un dito. Lei non m'interessa» lo dice fin troppo sincero, ma non gli credo. Non credo mai a una singola sua parola. «Stacy non sarebbe dovuta tornare. Credevo di essere stato chiaro su questo punto.» Stringo i denti per non colpirlo nuovamente in viso.
«Questa è casa sua, Sasha! Tu non sei nessuno.» Lo vedo stringersi nelle spalle.
«Ti prego Justin-»
«Stacy, chiudi la bocca.» Lo dico con rabbia e non me ne rendo nemmeno conto. Sasha fischia, poi applaude svogliatamente.
«Ma che caratterino.» Canzona, sputando nuovamente a terra. Lo zigomo inizia a gonfiarsi.
«Non avvicinarti alla mia ragazza Sasha, giuro su Dio se ti trovo ancora nelle sue vicinanze, ti uccido a mani nude.» Sono consapevole delle minacce che sto sputando e a lui queste cose non sono mai andate a genio. Un nuovo ghigno sul suo viso compare e mi distrae.
Riesce ad avvicinarsi quel tanto che basta per colpirmi al viso, dritto sulla guancia destra. Chiudo gli occhi per la sorpresa e per il dolore che segue; barcollo, ma resto in piedi.
Qualcuno grida di nuovo, ma ho i sensi annebbiati per capire da chi provenga. La voce di Randy però mi arriva dritto alle orecchie, ma alzo un braccio.
Sasha mi aggira in modo che sia lui a dare le spalle alle ragazze; Randy e Austin sono accanto ad entrambe.
«Te lo ripeto: non è lei che voglio. Stacy deve sparire dalla circolazione.» Diventa più serio man mano che i minuti passano.
«Lei non andrà da nessuna parte. Se solo provi a farle del male, siamo tre contro uno.» Sono parole vane, ma Sasha non ha paura. Scoppia a ridere, arrotolandosi velocemente le maniche della giacca.
«Tremo di paura solo al pensiero.» La sua voce è strafottente e lo odio. Randy sta combattendo contro l'istinto di scagliarsi contro Sasha. «Stacy sa quello che ti succederà se non sarà sparita entro domani mattina.»
«Sasha, ti prego!» Vedo Stacy muovere un passo verso di me, ma Austin è tanto veloce da trattenerla per le spalle.
«Stacy, chiudi quella cazzo di bocca!» Di nuovo mi ritrovo a urlare parole forti che in circostanze normali non avrei fatto. Non con lei.
I suoi occhi incrociano i miei e sento lo stomaco contrarsi in una morsa di dolore che mi consuma fino nelle ossa.
«Non ho paura di te, Sasha.» Mi rivolgo direttamente a lui e lo vedo inarcare un sopracciglio; sembra sorpreso dalla mia affermazione.
«Ne hai eccome, invece» mormora e si tasta le tasche, come a cercare qualcosa. «Eviterò comunque di dare spettacolo davanti a due signore. Il sangue non piace a nessuno.» Stringe i denti mentre pronuncia quelle parole.
Haley sussulta e cerca di avvicinarsi, ma la presa di Randy è salda sul suo braccio. Il dolore allo stomaco è così forte da darmi la nausea.
«Coraggio, colpiscimi.» Glielo ordino io stesso, alzando il mento in segno di superiorità. «Conciami così male da rendermi irriconoscibile. Fallo Sasha, fallo adesso!» Allungo entrambe le braccia fino a che i palmi delle mie mani non cozzano contro il suo petto; barcolla. Sento tutti i muscoli fremere e Sasha non si lascia sfuggire l'occasione.
Il pugno che vuole sferrare non va a segno perché mi abbasso appena in tempo, riuscendo a evitarlo. Lui però non si perde d'animo e usa quella mia distrazione per colpirmi dritto allo stomaco; la ginocchiata ricevuta mi fa piegare su me stesso, senza fiato.
Boccheggio in cerca d'aria ed è proprio lì che Sasha mi colpisce dritto al viso. Atterro sulle ginocchia con una smorfia di dolore; non so quale parte del corpo mi faccia più male.
Mi alzo a fatica e Sasha me lo permette, lasciandomi respirare un momento; le labbra le trovo rosse, il sapore di sangue m'invade la bocca.
«Portate via le ragazze.» Mormoro appena, sperando che il messaggio arrivi a destinazione. Randy e Austin mi guardano, ma non si muovono.
«Justin-»
«Randy, ti prego» lo sto supplicando, ma la voce crolla proprio in quel momento. «Porta Haley a casa sua.» Sembra passare un'eternità da quando Randy finalmente annuisce.
Deve sollevarla di peso da terra perché Haley non ha intenzione di muoversi di lì; Stacy è già sull'auto di Randy. Haley sale sulla sua, Randy è alla guida.
Entrambe le auto si muovono dal parcheggio e la mia attenzione torna nuovamente su Sasha. Sputo a terra per liberarmi dal sapore di sangue che mi offusca persino la vista.
«Facciamola finita una volta per tutte.» Sono pronto a sferrare un nuovo colpo, dritto contro di lui.
«E mettere così fine al mio divertimento?» Scuote la testa, fin troppo divertito e non d'accordo con le mie intenzioni. «Questo gioco finirà solo quando sarò io a deciderlo. Dammi la mia pistola e fai in modo che Stacy sparisca da questa città. Obbedisci e non ti darò più fastidio, hai la mia parola. Farò finta che tu, Randy, i tuoi amichetti e la tua ragazza dagli occhi d'angelo non esistiate nemmeno. Disobbedisci e ti renderò la vita impossibile. Non sarà solo Haley a pagarla, so dove abiti e mi riprenderò la pistola da solo e se significa trovarsi sulla strada tua madre o tua sorella-»
«D'accordo» lo interrompo perché mi tremano le mani, le gambe, persino il cuore. «Ti darò la tua pistola, te lo prometto. Ti darò quello che vuoi, ma non minacciare la mia famiglia. Domani sera, è una promessa.» Sto supplicando e Sasha ne è compiaciuto. «Stacy però non andrà da nessuna parte, questa è casa sua.»
«Per ora voglio la mia pistola, a lei penserò dopo.» Si passa una mano tra i capelli e la macchia violacea sul suo zigomo risalta; il mio viso non deve essere tanto diverso dal suo.
So che la conversazione è conclusa perché muove dei passi all'indietro, prima di darmi le spalle e sparire nella direzione opposta alla mia. Lo guardo attraversare la strada e non c'è più nessuno nei dintorni. Non so nemmeno che ore siano.
Grido e grido ancora, imprecando fino a che tutta la tensione accumulata non lascia il mio corpo. Ho il respiro pesante, sono agitato e malfermo sulle gambe.
Stringo i pugni e senza rendermene conto, ne sferro uno sul finestrino di un'auto a poca distanza da me.
Il vetro va in frantumi e il dolore esplode con una tale forza da propagarsi fino al gomito. L'antifurto suona quando la prima goccia di sangue mi cola dalle nocche della mano.

 
-

Quando arrivo nei pressi della casa di Haley, il dolore mi ha intorpidito talmente tanto la mano che non riesco quasi più a percepirla. Non ho ancora controllato quanto serio sia il danno che mi sono causato.
L'auto di Haley è parcheggiata al solito posto, ma tutte le luci di casa sono spente. Sento un moto di terrore allo stomaco, perché sembra non esserci?
Sono così preso a controllare i paraggi da non accorgermi che in realtà, è seduta sul marciapiede all'ingresso del suo vialetto.
Alza lo sguardo quando i miei passi producono un eco e si alza in fretta, raggiungendomi appena in tempo da riuscire a sollevarla dal suolo quando mi porta le braccia al collo.
Mi manca il fiato e retrocedo di qualche passo per lo scontro contro il suo corpo; la sento singhiozzare.
«Va tutto bene, non piangere.» Chiudo gli occhi, come se dovessi in realtà convincere me stesso.
«Justin, io-»
«Haley è tutto a posto, te lo prometto.» Tra di noi non c'è più alcuno spazio.
Non so come, ma riesce a sciogliere l'abbraccio in cui la sto stringendo per afferrarmi il viso con entrambe le mani. Mi guarda attentamente, a constatare quasi effettivamente siano i danni reali riportati. Ho la mano contro il petto e fa sempre più male, così come il viso dove Sasha ha colpito.
«Sei ferito.» Mormora, accorgendosi della mano.
Trema contro la mia volontà e solo in quel momento mi rendo conto di ciò che ho fatto: è completamente ricoperta di sangue ormai secco. Ogni nocca ha uno squarcio e quando tento di chiuderla a pugno, il dolore s'irradia lungo tutto il braccio; ho paura che sia rotta.
«Ho distrutto il finestrino di un'auto.» Mormoro perché voglio che sappia che ho fatto tutto da solo.
Scuote la testa e fa strada lungo il vialetto, raggiungendo la porta di casa. Vedo tutto a rallentatore e quasi non mi accorgo che stiamo salendo le scale. Ho le vertigini, ma riconosco il bagno adiacente alla sua stanza.
Mi siedo sulla poltroncina, lei prende posto sul bordo della vasca, nascondendo il viso tra le mani.
«Haley-» non posso continuare ciò che voglio dire, si è già alzata.
«Dovrei portarti in ospedale, io non sono Jennifer» sta cercando qualcosa in un armadietto posto accanto allo specchio. «Non so che cosa fare.» Quando si volta ha del cotone, del disinfettante verde e delle garze.
Riesco ad alzarmi, contrastando la nausea che mi attanaglia lo stomaco e recupero ciò che tiene in bilico tra le mani. Stappo il disinfettante bagnando il cotone, prima di passarlo nuovamente a Haley.
Allungo poi la mano ferita verso di lei, il palmo rivoto verso il basso.
Haley posa il cotone imbevuto sulle ferite e sussulto perché fa male e la mano continua a tremare; chiudo gli occhi perché mi viene da vomitare.
«Justin?» La voce di Haley mi arriva ovattata alle orecchie, ma apro gli occhi. «Va tutto bene?»
«Mi gira la testa» ho la bocca secca. «Cerca di bendarmi la mano quanto più stretta riesci.» Accenno alle bende sulle mie ginocchia e Haley obbedisce, srotolandole per poi avvolgerle meticolosamente intorno alla mano e alle dita. Quando ferma le garze con un cerotto, il dolore è diminuito notevolmente.
Mi aiuta ad alzarmi e tenendomi per mano, mi conduce nella sua stanza, lasciandomi sedere sul bordo del letto. S'inginocchia di fronte a me, prendendomi il viso tra le mani, richiamando la mia attenzione.
«Vuoi che chiami qualcuno? Hai bisogno di Randy o di Jennifer-» scuoto la testa, afferrandole i polsi.
«No, solo di te.» Sono così vicino alle sue labbra che sento il suo respiro sulle mie. «Ti prego, non andare via.»
«Ma io non vado da nessuna parte.» Annuisco alle sue parole, lasciandole i polsi. «Sdraiati, okay?» Faccio di nuovo cenno di aver compreso e raggiungo i cuscini dietro di me.
Mi si spezza il respiro quando sono completamente disteso, ma le faccio segno di venire a sdraiarsi accanto a me. Non se lo fa ripetere due volte e sussulto quando sento la sua guancia contro il mio petto; una mano finisce a sfiorare i suoi capelli.
«Mi dispiace.» Chiudo gli occhi a quelle parole e la sento muoversi.
«Per cosa?» Me lo domanda con innocenza.
«Sasha ha nuovamente provato a farti del male.» Si solleva, guardandomi negli occhi.
«Non l'ha fatto, non mi ha nemmeno degnato di uno sguardo. L'unica cosa che ha fatto è stata quella di dirmi di chiamarti per farti arrivare. Justin, lui vuole Stacy.» Conferma i miei dubbi e stringo i denti.
«Non cambia le cose.» Haley scuote la testa, poi avvicina le sue labbra alle mie un istante soltanto, senza darmi il tempo di assaporarle.
«Mi hai spaventato a morte» sussurra. «Vederti in quello stato mi ha-»
«Non è successo niente.» La interrompo perché non voglio che quel discorso si protragga oltre.
«Succede sempre qualcosa invece.» Non è arrabbiata quando pronuncia quelle parole. «Per quanto questi lividi ti rendano attraente, ti preferisco senza macchie violacee sul viso.» Sorrido a quelle parole e lei arrossisce, rendendosi conto solo in un secondo momento di aver dato voce ai suoi pensieri.
«Credi che così sia attraente?» Haley non risponde e devo chiamare il suo nome una seconda volta.
«Non ho detto questo.» Non mi guarda negli occhi quando mente spudoratamente.
«Oh, lo hai fatto eccome.» Si nasconde il viso con una mano.
«D'accordo, penso che tu sia dannatamente attraente con questi lividi.» Ammette infine, con le guance dipinte di rosso; m'inumidisco le labbra prima di avvicinarmi alle sue.
«Beh, tu non hai bisogno di nulla per essere attraente. Lo sei e basta.»

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 44
*** 44. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 44
J.

 
Nel momento in cui pronuncio quelle parole, il sorriso di Haley abbandona il suo viso e le guance le si colorano di rosso; l'azzurro dei suoi occhi si fa più intenso, ma lo vedo per pochi secondi perché abbassa lo sguardo.
Riesco a sollevarmi e a mettermi quanto meno seduto, combattendo contro il dolore che continuo a provare allo stomaco.
«Non nasconderti.» Haley alza nuovamente il viso e realizzo una cosa: lei è la mia eccezione. «Sei bellissima, lo sai vero?»
«Sei un bugiardo.» Replica Haley, mordendosi il labbro inferiore. Aggrotto le sopracciglia, avvicinandomi tanto da sfiorare il suo naso.
«Non sono mai stato più sincero in vita mia.» Haley sussulta quando le mie labbra si posano sulle sue ed esita appena un secondo prima di stringere le dita sulla stoffa della maglietta che indosso; sono fermamente convinto di essere in grado di riconoscere il suo profumo tra mille.
La mia mano si chiude a coppa sulla sua guancia, quando le sfioro il labbro con la lingua non si tira indietro, ma segue i miei movimenti.
Riesco a spingerla sul materasso, puntando i gomiti su di esso per non pesare troppo sul suo corpo. Mi gira la testa, ma do la colpa al repentino cambio di posizione.
Sento le sue mani premermi sulle spalle, poi risalire verso il collo fino a sfiorarmi i capelli. Le modo il labbro quando ne tira le punte e di conseguenza, inarcala schiena scontrandosi contro il mio petto. Sento il bisogno fisico di quel bacio, ne ho bisogno tanto quanto necessito di ossigeno per respirare.
Le sue mani si insinuano sotto la stoffa della maglietta e le dita sfiorano le clavicole, facendomi rabbrividire. Lascio le sue labbra solo per poterla guardare negli occhi; ha il respiro pesante.
Le sfioro il collo con le labbra e quando inarca la schiena, il mio braccio la avvolge completamente. Sento il calore della sua pelle sotto le dita; le sue labbra mi sfiorano la tempia mentre i capelli mi solleticano il viso.
Mi ritrovo a premere i fianchi contro il suo bacino e la sento trattenere il respiro; so che riesce a sentire quanto io la voglia in questo preciso momento.
Annuisce alla mia tacita domanda e mi aiuta a sfilarmi di dosso la maglietta, che finisce a terra senza troppe cerimonie. Faccio la stessa cosa con la sua, la stoffa del reggiseno mi graffia del dita.
«Sei bellissima.» La mia voce è roca, come se mi fossi appena svegliato; quando le bacio la spalla ne sento la pelle d'oca.
Le mie dita sfiorano il suo stomaco e i suoi fianchi. Mi ritrovo pensiero a essere timoroso nei movimenti, quasi avessi paura di sbagliare qualcosa. Scendo lungo la gamba, stringendole brevemente la coscia. Le sue mani sono di nuovo sulle mie spalle, le dita stringono forte mentre le bacio di nuovo il collo.
Sussurro il suo nome quando le mie dita sfiorano il bottone dei suoi jeans e li slaccio senza troppe difficoltà, infilandovi una mano per far scorrere l'indumento lungo la gamba, fino a sfilarglieli. Haley mormora qualcosa, ma non presto attenzione; mi mordo il labbro quasi a sangue per evitare di strapparle di dosso ogni singola cosa che ancora indossa.
Sussulto quando le sue mano passano dal mio petto allo stomaco, sfiorandomi la cintura dei pantaloni; sorrido a quel suo gesto ma sono io a liberarmi dei jeans. Di nuovo mi gira la testa, ma preferisco dare la colpa alla situazione in sé piuttosto che ad altro.
Le abbasso lentamente gli slip, lasciando che cadano da qualche parte intorno a noi; raggiungo il gancetto del reggiseno, liberandomi di quell'ultimo ostacolo. Ho la bocca completamente asciutta.
Haley si aggrappa saldamente ai miei bicipiti quando con un unico movimento sono dentro di lei; trattiene il fiato, io libero un gemito di piacere. Sento le sue dita sulla pelle, sulle spalle, sulla schiena. Ne sento persino le unghie e la cosa mi fa impazzire.
Non c'è più niente intorno a me, solo lei ed io con i nostri respiri pesanti e spezzati.
Il suo profumo lo sento dentro di me quando nascondo il viso nell'incavo del suo collo, le sue mano sono ancora ferme sulla mia pelle.
Resto immobile e nemmeno lei si azzarda a muovere un muscolo. La stringo a me, lasciando che il respiro di entrambi torni regolare, poi mi stendo sulla schiena fino a quando il cuore non smette di balzarmi nel petto.
Chiudo gli occhi perché ho la testa che va per conto suo, ma sembro tornare a ragionare lucidamente quando la mano di Haley si intreccia alla mia e le sue labbra raggiungono la mia guancia.
«Cazzo, ti amo Haley. Così tanto che non sono nemmeno sicuro che tutto questo sia possibile.» Non mi rendo conto di aver pronunciato quelle parole, eppure l'ho fatto. «Sono terrorizzato da quello che provo per te, a tal punto da aver paura di fare qualsiasi cosa e ferirti. Non so che cosa significhi, ma mi sono reso conto che preferirei morire io stesso piuttosto che-»
Haley non mi permette di continuare oltre con questo mio discorso senza senso, le sue labbra sono premute sulle mie a zittirmi. Ha capito cosa io abbia appena blaterato e non c'è bisogno che io continui a ridicolizzarmi così.
«Ti hanno mai detto che parli troppo?» Me lo domanda con un filo di voce, a così poca distanza dalla mia bocca che riesco ancora a percepirla su di me.
«Sì, ogni tanto.» Deglutisco e annuisco nello stesso momento; Haley sorride.
«Ti amo anche io, Justin.» Il cuore manca un paio di battiti mentre la guardo negli occhi.
Annuisco di nuovo e poi la bacio perché non mi serve sentire altro e lo faccio come s fosse la prima volta. E sì, sono davvero innamorato di lei.
È lei ad abbracciarmi e lascio che sia così, beandomi della sensazione di averla contro di me, stretta tra le braccia con i capelli a solleticarmi il viso.
Quando chiudo gli occhi, lo faccio senza rendermene nemmeno conto. Non so se passino minuti interi o se ore, ma quando apro nuovamente gli occhi, il dolore è accentuato in ogni parte del corpo.
Mi muovo per cambiare posizione, ma non posso farlo più di tanto perché Haley è ancora al mio fianco, con gli occhi chiusi.
La mano fasciata riporta chiazze di sangue in prossimità delle nocche e quando provo a chiuderla a pugno, un guizzo di dolore si riverbera lungo tutto il braccio, fino al gomito.
Non so che ore siano, ma la spossatezza mi invade le ossa e ben presto mi ritrovo a scivolare lungo il materasso.
Haley mormora qualcosa, ma sono già assopito per comprendere ciò che dice.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 45
*** 45. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 45
H.

 
Rimango sveglia tra le sue braccia per parecchio tempo, mi piace la sensazione della mia pelle contro la sua.
Non è la prima volta che Justin si agita; lo so che sta sognando perché ha nominato Sasha un paio di volte e so per certo che si tratti di un brutto sogno,
Gli accarezzo il viso, tracciando una linea immaginaria che parte dalla tempia e arriva alle labbra. Sembra quasi calmarsi, il suo respiro torna regolare. Si muove però ancora e questa volta la sua mano si stringe sul mio fianco, svegliandosi poi di soprassalto.
«Jazmyn!» Ha la voce roca, ma alta mentre cerca di mettersi a sedere; ha la fronte imperlata di sudore, sembra persino non accorgersi di me.
«Justin, va tutto bene.»
«Jazzy.» Ripete di nuovo il nome di sua sorella, con il cuore che batte all'impazzata contro la gabbia toracica.
«Justin, guardami» è spaesato, ma mi posa entrambe le mani sui polsi quasi volesse costringermi a mollare la presa sul suo viso. «Sono qui, va tutto bene.»
Mi fissa negli occhi e sussulto quando mi stringe nuovamente il fianco; non si rende conto di quello che sta facendo e si guarda intorno, alla ricerca di qualcosa.
«Haley.» Sussurra poi, senza voce.
«Sono qui.» Gli accarezzo la guancia e riporta gli occhi nei miei.
«C-cos'è successo?» Balbetta mentre me lo chiede, passandosi una mano sul viso, come a cancellare il brutto sogno.
«Hai avuto un incubo.» Ha ancora il fiatone perché il petto si alza e si abbassa velocemente.
«Chiamavo mia sorella, vero?» Annuisco alla sua domanda, anche se una vera e propria risposta non la sta cercando.
«Hai nominato anche Sasha.» La guancia destra guizza a quel nome. «Non volevo svegliarti, ma mi hai spaventato. Cosa stavi sognando?»
«Mia sorella.» Sembra quasi seccato a dovermelo spiegare. «Stava giocando in giardino ed è arrivato Sasha, dicendo qualcosa.» Justin sembra voler ricordare, ma invano.
«Era solo un brutto sogno, Sasha non farebbe mai del male a tua sorella.» Mi sembra quasi di dover convincere entrambi.
«Come fai a dirlo?» Mi sorprende questo suo scetticismo, tanto che alzo gli occhi al cielo.
«Perché sa che andrebbe in contro a morte certa» replico semplicemente, quasi fosse un dato di fatto. «Sa che lo uccideresti con le tue stesse mani e sa che Randy, Austin, Sette e Anthony non esiterebbero a fare lo stesso. Sasha non è stupido, non toccherebbe mai Jazzy.»
Justin si morde il labbro inferiore, trattenendolo tra i denti più del dovuto, come se stesse aspettando il momento buono per dire qualcosa.
«E se facesse del male a te?» Mi sfiora la guancia a quella sua stessa domanda.
«Non è me che vuole, non avrebbe nessun motivo di farmi del male.»
«Risposta sbagliata» le sue labbra sono a qualche millimetro dalle mie. «Non lo farà perché sa che andrebbe a morte certa. Sa che lo ucciderei con le mie stesse mani e sa che Randy, Austin, Seth e Anthony non esiterebbero a fare lo stesso.» Ripete le mie stesse parole e inconsciamente trattengo il fiato, poi scuoto la testa nascondendo il viso contro la sua spalla, lasciando che mi accarezzi la schiena.
«Lo faresti davvero?» Lo sento annuire senza esitazione.
«Sono più che sicuro che farei qualsiasi cosa per te, Haley.» Me lo dice serio e la cosa mi spaventa, ma sorrido.
Non so se sono io a baciare lui o è lui a baciare me, così come non so chi dei due stia stringendo di più l'altro, quasi dovessimo scomparire l'uno nel corpo dell'altro.
Justin riesce a ribaltare il gioco, puntellandosi suoi gomiti per non pesare troppo su di me, io gli affermo le spalle sentendone tutta la durezza.
Mi bacia le labbra, il collo, l'incavo della spalla; quando mi morde il lobo dell'orecchio inarco la schiena, scontrandomi contro il suo petto.
«Ti amo.» Me lo soffia sulla pelle.
«Dillo di nuovo.» Stringo le mani sui suoi bicipiti.
«Ti amo.» Lo ripete a bassa voce, sorridendo.
«Dillo ancora.» Chiedo di nuovo e sorride più apertamente, baciandomi la punta del naso.
«Ti amo, ti amo, ti amo-» sollevo il viso a raggiungere le sue labbra e questa volta non sorride più.
Mi morde il labbro inferiore, lasciando che i suoi fianchi spingano contro i miei; sussulto quando con un movimento lento e delicato spinge dentro di me.
Nasconde il viso nell'incavo del mio collo, scandendo un ritmo regolare, lento e deciso. I muscoli del suo corpo sono tesi, mi sfiora le labbra ma non mi bacia.
Lo sento mormorare il mio nome, il suo cuore batte contro di me quando mi bacia il collo. Resta immobile fino a quanto tutto non si calma, tornando a sdraiarsi accanto a me.
L'orologio alla sua destra scatta e la lancetta si posiziona sulle otto in punto. Justin impreca, tirandosi su a sedere velocemente.
«È tardissimo, devo andarmene.» Si alza fin troppo in fretta, barcollando qualche secondo ma tornando lucido per potersi rivestire.
«Devi proprio?» Justin si volta, con un braccio fuori dalla maglietta che sta cercando di infilarsi e annuisce.
«Devo andare da Randy e fare vedere la mano a Jennifer» si morde il labbro riuscendo a entrare nella maglia. «E devo assicurarmi che Stacy stia bene.» Recupero anche io i vestiti, accompagnandolo lungo le scale.
Esce di casa prima di me e non dice niente, mi prende il viso tra le mani, baciandomi a lungo. Corre lungo il vialetto, svoltando a destra dell'isolato; Randy ha la sua auto.
Nel momento in cui Justin gira l'angolo, la macchina di Madison si ferma a qualche metro di distanza dal mio cancello. Le faccio cenno di entrare e aspetto che mi raggiunga prima di lasciarla passare.
«Era Justin quello, non è vero?»
«Non mi parli da settimane e ti presenti qui per chiedermi se fosse Justin o meno?» Sono fin troppo scettica della sua presenza; Madison sospira.
«No, sono qui perché mi manchi» si tortura l'anello che porta all'indice. «E perché mi sono resa conto di essermi comportata da stupida, non avrei dovuto allontanarti tanto.»
«Già, non avresti dovuto.» Replico, stringendomi nelle spalle, ma sto sorridendo.
«Spero di non aver interrotto niente tra di voi, ma ho bisogno del tuo aiuto» annuisco, aspettando che continui il suo discorso. «Dobbiamo organizzare la festa a sorpresa per il compleanno di Zac.»

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 46
*** 46. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 46
J.

 
«Justin, devi stare fermo!» Jennifer ripete la stessa frase per la quarta volta e mi ritrovo a sbuffare, cercando di rilassare il muscolo del braccio e automaticamente, la mano.
«Scusa.» Borbotto, sussultando all'ennesimo passaggio di disinfettante; Jennifer sospira, ma riprendere la medicazione.
«È stato Sasha?» Chiude finalmente la boccetta di plastica e scuoto la testa.
«Ho rotto il vetro di un'auto.» Replico e vedo Jennifer stringere le labbra in una linea sottile.
«Perché diavolo hai fatto una cosa simile?» Mi stringo nelle spalle quando Jennifer alza la voce.
«Non lo so, ero arrabbiato.»
«Non è rotta, ma ti farà male per un bel po'.» Mormora, chiudendo definitivamente la valigetta del primo soccorso. Annuisco alle sue parole, fissando la mano fasciata. Il dolore compare non appena provo a chiuderla a pugno, ma evito di imprecare. «No, non farlo.»
Mi alzo dalla sedia per raggiungerla e darle un bacio sulla guancia, in un ringraziamento sincero. Non ho tempo di chiederle che fine abbia fatto Randy, la porta di casa si apre proprio in quel momento.
L'espressione di Randy alla vista di me nella sua cucina passa dalla sorpresa alla preoccupazione fino ad arrivare alla solita incavatura perenne.
«Cazzo, stavo per chiamare la polizia!» Si avvicina e non esita a spintonarmi, prima di riprendermi e stringermi in una sorta di abbraccio. «Dove diavolo eri finito?» Jennifer si avvicina nel sentirlo alzare la voce, ma non ha nessuna intenzione di farmi del male.
«Haley.» Mormoro appena e lo vedo serrare la mascella.
«Ti costava tanto dirmelo? Credevo che Sasha ti avesse ucciso.» Si passa una mano tra i capelli, raggiungendo il divano e accendendosi l'immancabile sigaretta.
«Avevo altro da fare, mi dispiace.» Mi siedo accanto a lui, rifiutando la sigaretta che vuole offrirmi.
«Credevo che fossi morto.» Sottolinea il concetto e mi ritrovo a contrarre la guancia, in una stretta morta.
«Lo sarò presto se non gli restituirò la pistola.»
«Ho detto che non l'avrai-»
«Ha minacciato la mia famiglia, Randy.» Non ho bisogno di alzare la voce per interromperlo.
«No, non è vero.» Ribatte, scuotendo la testa.
«Lo ha fatto e se non gliela porterò questa sera stessa Randy, se la prenderà lui stesso e se dovesse succedere qualcosa a mia madre o a mia sorella, io-»
«D'accordo» m'interrompe in fretta, alzandosi dal divano. «D'accordo.»
Sparisce per le scale minuti interi solo per tornare con una scatola di cartone, che lascia sul tavolino di vetro di fronte a noi.
«Facciamola finita con questa storia.» Borbotta Randy e annuisco, recuperando la scatolina.
«Grazie, Randy.» Muovo qualche passo verso la porta prima che Randy faccia penzolare le chiavi della mia auto dalle dita.
«Non permetterei mai a Sasha di fare del male alla tua famiglia, lo sai.»
«Lo so.» Replico, afferrando le chiavi e stringendole nella mano. «Dov'è Stacy?»
«Da Austin» replica, spegnendo la sigaretta nel posacenere. «Sta bene, ma devi andare da lei.»
Non ho bisogno di farmelo ripetere due volte, sono già fuori casa.
Raggiungo la via familiare di Austin una buona mezz'ora dopo; lascio la scatolina sul sedile del passeggero e scendo tanto velocemente da non accertarmi nemmeno che la chiusura centralizzata sia scattata.
«Ti prego, apri la porta.» Mormoro, bussando una seconda volta. Non ricevo risposta, ma l'auto di Austin è parcheggiata nel vialetto.
Busso una terza volta e la serratura scatta; Stacy è subito lì, con la paura dipinta in volto che svanisce piano mentre mi riconosce.
«Cazzo, mi hai spaventato.» Apre la porta, lasciandomi entrare.
«Dov'è Austin?» Le chiedo, guardandomi intorno e dando un giro di chiave alla porta.
«A prendere qualcosa per cena, è uscito poco fa.» Replica, stringendosi le braccia al petto.
La osservo a lungo prima di stringerla in un abbraccio, dal quale riesce a divincolarsi per abbracciarmi se possibile più fermamente.
«Mi dispiace averti trattato in quel modo, avrei dovuto lasciar perdere Sasha e portare voi al sicuro-»
«No.» Scioglie l'abbraccio, scuotendo la testa.
«No?» Replico, decisamente confuso dalla sua affermazione.
«Non devi preoccuparti per me, solo di Haley. È lei la tua ragazza, non io.» Non riesco a identificare il tono della sua voce.
«Ma sei la mia migliore amica e mi preoccupo tanto per lei quanto per te. Sasha non può trattarti così, io-»
«Stai facendo il suo gioco.» Continua a interrompermi, innervosendomi più del necessario. «Sa che metteresti Haley davanti a me e non provare a dire il contrario. Lo so io, lo sa lui e lo sai anche tu. Salsa sfrutta questa cosa, ma non mi farebbe mai del male, Justin.» Respira a fondo mentre io scuoto la testa, afferrandole il polso.
«Non metterei mai Haley davanti a te.» Stacy ride e sembra realmente divertita.
«Non essere ridicolo, hai minacciato Sasha di morte se si fosse avvicinato nuovamente alla tua ragazza. Ti sei quasi rotto una mano - so che te lo sei fatto da solo, Sasha avrebbe fatto di peggio se solo avesse voluto.» Indica la mano fasciata. «Preoccupati di Haley, non di me. Fai in modo che Sasha non le si avvicini. Proteggi lei, non me.»
«Posso proteggere entrambe.» Ribatto, sentendo però la tensione tra di noi allentarsi.
«Lo so.» Mormora, lasciandomi un bacio inaspettato sulla guancia.
«Stai bene, non è vero?» Le chiedo poi, rendendomi conto di non averlo ancora fatto.
«Sì, ero solo spaventata.» Replica, abbassando lo sguardo.
«Perché eri con Haley?» Stacy scioglie la treccia per ravvivarsi i capelli.
«Nessuno di voi ha voluto accompagnarmi al centro commerciale. Non avrei mai immaginato che-»
«Al centro commerciale?»
«Ho bisogno di un vestito per il matrimonio di Randy e Jennifer.» Replica, stringendosi nelle spalle.
«E ti serviva Haley per questo?»
«Non dirmi che è un problema se esco con lei.» Ribatte, apparentemente scocciata dalle mie domande.
«Non lo è. Ero solo curioso.» Replico, alzando le mani in segno di resa. Stacy borbotta qualcosa che non capisco e mi colpisce alle costole con una gomitata.
«Che cosa aspetti a chiederglielo?» È arrabbiata e devo allungare una mano verso di lei per evitare che mi colpisca di nuovo.
«Chiedere cosa a chi?» Stacy sbuffa, pronta a sferrare un altro colpo.
«Haley! Che cosa aspetti a invitarla al matrimonio?» Abbasso lo sguardo imbarazzato, massaggiandomi il collo.
«Glielo avrei chiesto domani.» Borbotto, fissando la mano fasciata.
«Datti una mossa, Bieber.»

 
-

«Io preferisco questo. È più classico, più tradizionale. Più da Jennifer.» Stacy sfoglia una pagina di una rivista, scostandosi i capelli dal viso.
«Non lo so.» Sospira Jennifer, massaggiandosi le tempie.
La casa di Randy non è mai stata così piena di ragazze come negli ultimi giorni; sono intente a sfogliare riviste da ore.
«Credo che Stacy abbia ragione, un vestito come questa si adatta meglio alla tua corporatura.» Interviene Haley, indicando qualcosa.
«Dovremmo andare in città per provare i modelli.» Propone poi Stacy, sorseggiando la bibita nel bicchiere. Vedo Haley annuire, d'accordo con lei e mi distrae perché smetto di ascoltare quello che Randy ha da dire.
Ha i gomiti posati sul tavolo ed è protesa in avanti, tanto che la scollatura viene accentuata da quella posizione. Quando alza lo sguardo e incrocia il mio, colto in fallo nell'osservarla, sorride e si morde il labbro, scostandosi i capelli oltre la spalla.
Rabbrividisco a quel suo gesto, ma i pensieri non possono andare oltre perché Randy mi sferra una gomitata dritta nel costato.
«Cazzo.» Impreco, distogliendo lo sguardo da Harry.
«Ascoltami quando ti parlo.» Sbuffa Randy, prendendo una boccata dalla sigaretta stretta tra le labbra.
«Ti sto ascoltando.»
«No, stai guardando la tua ragazza e mi stai ignorando.» Ribatte e mi stringo nelle spalle.
«Sei noioso, non è colpa mia.» Borbotto, ricevendo una seconda gomitata.
«Ti ho chiesto se Haley è a conoscenza del tuo incontro con Sasha, questa sera.» Abbassa la voce e scuoto la testa.
«Glielo dirà una volta che l'avrò accompagnata a casa.»
«Stai attento e chiamami se hai bisogno di aiuto» annuisco alle sue parole e lo vedo alzare gli occhi al cielo. «E per l'amor di Dio: invita Haley al matrimonio.»
«Ho già sentito questa frase almeno un milione di volte e sono sicuro di avervi detto altrettante volte che lo farò!» Randy sogghigna e fa cenno alle ragazze di avvicinarsi.
«Dobbiamo andare.» Mormoro, guardando l'ora sul display del cellulare. Haley saluta Jennifer e Stacy con un abbraccio, poi faccio strada lungo il corridoio.
La strada verso casa sua non è mai trafficata, ma non ho fretta di raggiungere la destinazione. Haley canticchia insieme alla radio e mi ritrovo a sorridere, guardandola con la coda dell'occhio.
«Che cosa stavate guardando, fino a poco fa?» Haley si stringe nelle spalle.
«Abiti da sposa.» Replica con un sorriso; casa sua dista appena qualche chilometro.
Si libera dalla cintura di sicurezza solo a motore spento e io faccio la stessa cosa.
«Ti va di venire?» Glielo chiedo in fretta e Haley aggrotta le sopracciglia, giocando distrattamente con il ciondolo del bracciale.
«Dove?» Non so se stia facendo finta di non sapere o meno.
«Al matrimonio. Ti va di venire con me?» Haley si morde il labbro.
«È stata Stacy a dirtelo, vero?»
«No. Cioè sì, m-ma te lo avrei chiesto comunque.» Balbetto ed evito di imprecare.
«Non sei obbligato a farlo e poi mi sentirei un'estranea tra di voi.» Replica, intrecciando però la mano nella mia.
«Voglio che tu venga.» Annuisco alle mie stesse parole, portandole una mano sulla guancia.
«D'accordo, verrò.» Mormora, lasciandosi andare a quel bacio che tanto bramo.
«C'è un'altra cosa che devo dirti.» La mia fronte è posata sulla sua, ma annuisce. «Questa sera mi vedo con Sasha, ho la sua pistola e devo restituirgliela-»
«Stai solo attento, d'accordo?» Haley mi stringe la mano.
«Te lo prometto.»

 
-

«Hai la mia pistola, vero Bieber?» È la prima cosa che domanda Sasha, scendendo dalla sua auto. Faccio cenno verso l'interno della mia macchina, annuendo.
«Dammi una buona motivazione per restituirtela.» Sasha inarca il sopracciglio.
«Credevo di averlo già fatto, ma te lo ripeto volentieri: o lo fai di tua spontanea volontà o me la prenderò da solo. E se questo significa che tua madre o-»
«Basta con le cazzate Sasha» lo interrompo in fretta, avvicinandomi pericolosamente. «La verità, siamo solo io e te.»
«È la pistola di mio padre.» Contrae la guancia prima di parlare. «È tutto ciò che mi resta di lui e la rivoglio, Austin non avrebbe dovuto prenderla.» Abbassa il tono di voce, ma i suoi occhi sono carichi d'ira.
«Funziona così, lo sai meglio di me.» Sasha sorride amaramente.
«Se fosse stata un'altra pistola avrei lasciato perdere, ma non con questa.» Ammette e potrei persino credere alle sue parole.
Stringo i denti, ma mi volto aprendo la portiera dell'auto, recuperando la scatolina con nascosta la sua pistola. Gliela porgo, lasciando che la apra e controlli che non stia mentendo.
«È scarica.» Mormoro, indicandola con un cenno del capo.
«Non mi sarei aspettato il contrario.»
«Mantieni la tua promessa Sasha: stai lontano da Haley.» Di nuovo sorride e la cosa non mi rilassa.
«Che tu ci creda o no, Justin: Haley non m'interessa. Stacy deve andarsene.» Replica mentre stringo i pugni lungo i fianchi.
«Non lo permetterò.» Sasha si stringe nelle spalle.
«Succederà e tu non potrai fare niente per impedirlo.» Mi dà le spalle, rientrando nella sua auto.
Lo guardo mettere in moto e sparire, lasciandomi di nuovo solo in mezzo al nulla.    


 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 47
*** 47. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 47
H.

 
«Sai una cosa? Potremmo chiedere di affittare una casa per la festa di Zac.» Madison mi strappa ai miei pensieri, riportandomi alla realtà. Mescolo la bevanda che ho di fronte e aggrotto le sopracciglia.
«Ma è tra nemmeno due giorni, non riusciremo mai a trovare qualcosa.» Borbotto, bevendo un sorso di caffè. «Potremmo stare da me-»
«No, saremo in troppi» mi interrompe in fretta. «Non voglio che tua madre possa dire di no all'ultimo.» Digita velocemente qualcosa sul display del telefono.
«Martin?» Scuote nuovamente la testa e sbuffo. «Non ho altre idee, mi dispiace.» Madison sospira, posando il cellulare sul tavolo.
«Ci penserò io come al solito.» Borbotta, stando bene attenta a farsi sentire mentre mi alzo per raggiungere il bagno.
La tasca dei jeans vibra e il telefono annuncia l'arrivo di un messaggio.


Da Stacy:
«Fammi sapere se ti serve una mano con il vestito per il matrimonio.»

A Stacy:
«Ho decisamente bisogno del tuo aiuto. Ci vediamo domani mattina e non fare tardi, usa la sveglia!»


Non faccio tempo a bloccare il cellulare, una chiamata in arrivo illumina di nuovo il display. Questa volta è Justin.
«Pronto?» Rispondo subito, preoccupata; Justin non chiama mai al cellulare.
«Ti disturbo?» Me lo chiede con un tono piuttosto sbasso.
«Sono con Madison, è successo qualcosa?»
«No, nulla.»
«E allora perché stai sussurrando?»
«Jazzy si è addormentata su di me e non posso muovermi. Volevo solo chiederti a che ora devo passare Domenica.»
«Domenica?» Replico, al momento davvero confusa dalle sue parole. «Che cosa succede Domenica?»
«Il matrimonio. Te ne sei già dimenticata?» Chiudo gli occhi, imprecando mentalmente.
«No, certo che no. Immagino che per le dieci possa andare bene.» Replico; lo sento sorridere.
«Ci vediamo più tardi.» Sussurra, chiudendo la chiamata l'istante dopo.
Raggiungo Madison rispondendo il telefono nella tasca posteriore dei jeans; Madison ha un sorriso sul viso.
«La sorella di Martin è fuori città questo week-end, possiamo usare casa sua.» Gongola sulla sedia, soddisfatta di aver trovato una soluzione.
«Madison mi dispiace, ma mi sono appena ricordata che Domenica non ci sarò.» Parlo velocemente, con la speranza che possa non capire le mie parole.
«Come scusa?»
«Ho un impegno e non posso rimandare, mi dispiace.»
«No, non esiste!» Alza la voce e sussulto. «Non m'interessa cosa devi fare con Justin - perché lui c'entra sempre! - è la festa di Zac, non puoi mancare.»
«Il migliore amico di Justin si sposa.» Madison si morde il labbro e sono sicura lo stia facendo per evitare di scoppiare a ridere o urlare.
«Non puoi saltare la festa di Zac per stare con Justin.»
«Passerò a salutare, te lo prometto.» Recupero la borsa dall'altra parte del tavolo, stringendole le mani.
«Non è la stessa cosa.» Borbotta lei, alzando gli occhi al cielo, ma compiendo i miei stessi movimenti.
«Mi dispiace.»

 
-

Raggiungo casa di Austin in poco tempo, ma devo suonare il clacson un paio di volte prima che Stacy esca di casa.
«Sono pronta, sono pronta.» Borbotta, allacciandosi la cintura di sicurezza e soffocando uno sbadiglio.
Il terzo piano del centro commerciale è sempre il meno affollato, ma Stacy è sicura dei suoi movimenti. Sparisce all'interno del corridoio del primo negozio per tornare con una pila di vestiti tra le mani. Ne riconosco alcuni già adocchiati qualche giorno prima.
Stacy chiama il mio nome qualche istante dopo, uscendo dal primo camerino. Indossa un vestito viola semplicissimo, attillato al punto giusta su vita e seno.
«Allora?» Gira su sé stessa, con indosso dei tacchi altissimi. «Ti piace?»
«Assolutamente sì. Sei bellissima, ti calza a pennello.» Stacy sorride compiaciuta, togliendosi poi le scarpe.
«Che cos'hai trovato tu invece?» Mi chiede poi, sbirciando sulla sedia.
«Niente, non sono molto per i vestiti.» Replico e la vedo picchiettarsi sul mento, come a trovare una soluzione; sciocca le dita davanti al mio viso.
«Ma certo!» Esclama, tornando in camerino per cambiarsi. «Paghiamo questi e ti faccio vedere che cos'ho in mente.»
Stacy mi trascina letteralmente al secondo piano, facendomi entrare in uno dei vari negozi illuminati; due commesse ci chiedono se abbiamo bisogno di aiuto, ma Stacy le svia entrambe con un gesto della mano.
«A Justin non piacciono le ragazze troppo eleganti, i vestiti non fanno per lui» alza gli occhi al cielo, indicando la borsa con il suo acquisto. «Tu sei decisamente una ragazza da questo e credimi, lui apprezzerà.»
Mi fa cenno verso il manichino di fronte a noi e lo osservo qualche secondo, prima di trovarmi totalmente d'accordo con lei. Recuperiamo i vari capi solo per provarli e convenire che sì, realmente fanno per me.
«Oh sì, è perfetto. Justin non ti toglierà gli occhi di dosso più di quanto già non faccia.»


 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 48
*** 48. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 48
J.

 
«Justin farai tardi.» Mamma mi richiama per quella che deve essere la decima volta nell’arco di un quarto d’ora. Arrotolo le maniche della camicia fino ad arrivare ai gomiti, aggiustando la stoffa sulle spalle. Mi passo una mano tra i capelli prendendo come ultima cosa la giacca.
«Sono pronto.» Borbotto scendendo l’ultimo gradino della scala, aggiustandomi nuovamente le maniche. Mamma sorride e si avvicina, aiutandomi. «Grazie. Sei sicura che tu e Jazzy non volete venire? A Randy farebbe piacere, lo sai.»
«Devo portare Jazzy da tuo padre, lo sai.» Replica mamma e alzo gli occhi al cielo, lasciando così cadere il discorso. «A che ora ti aspetta Haley?» Mi chiede poi.
«Alle dieci» mormoro prima che Jazzy compaia in salotto con uno zainetto rosa sulle spalle. «E tu dove stai andando?»
«Da papà» replica indicando il suo zaino. «Tu perché non vieni?» Mamma chiama il suo nome in segno di avvertimento, ma la ignoro perché non voglio discutere. Non oggi.
«Randy si sposa e non posso mancare al suo matrimonio, per questo non posso venire da papà.» Replico in fretta, ignorando il moto di rabbia che si presenta ogni volta che nomino quella parola.
«Anche Haley viene con te?»
«Sì, ci sarà anche lei.» Jazzy sorride e non so perché.
«La prossima volta però verrai con me da papà, vero?» Jazzy recupera lo zaino, indossandolo nuovamente sulle spalle, mentre mamma dondola le chiavi dell’auto tra le dita.
«Vedremo.» Replico, seguendole lungo il corridoio. «Dammi un bacio o in questi tre giorni mi mancherai fin troppo.» Jazzy alza gli occhi a cielo, ma allunga le braccia in modo che possa sollevarla da terra.
«Non fare arrabbiare mamma.» Me lo dice schioccandomi un bacio sulla guancia e scoppio a ridere, posandola nuovamente al suolo.
«Ci vediamo più tardi Justin, fai gli auguri a Randy e a Jennifer.» Saluto mamma con un cenno della mano, ma esco quasi subito dopo di lei, raggiungendo la mia auto.
Il cellulare squilla nell’esatto momento in cui metto in moto.
«Dove sei?» Randy me lo domanda in fretta.
«Sono appena uscito di casa.» Replico, controllando che nessuno intralci le mie manovre, prima di inserire la prima e dirigermi verso casa di Haley.
«Datti una mossa.» Ordina e sbuffo, stando bene attento perché mi senta forte e chiaro.
«Devo andare a prendere Haley, ci vediamo tra mezz’ora.» Replico, svoltando a sinistra.
«Ti do dieci minuti al massimo.» Non ho tempo di replicare che in mezz’ora non riuscirò mai a essere a casa sua, la comunicazione s’interrompe prima che io possa anche solo pensarlo.
Rallento solo in prossimità della via di Haley, il telefono è finito da qualche parte sotto il sedile durante una curva e non posso avvisarla che sono arrivato; devo scendere dall’auto e suonare alla porta.
E lo faccio, ma non è Haley ad aprire, sua madre.
«B-buongiorno.» Balbetto e impreco mentalmente a quel mio gesto.
«Justin, non è vero?» Annuisco alla sua domanda e deglutisco, in attesa che Haley esca il prima possibile. «Arriva subito, prego accomodati.» Si sposta di lato, lasciandomi entrare.
Nathan è seduto sul divano con la televisione accesa sullo stesso cartone animato che mia sorella guarda tutti i giorni. La mamma di Haley sale le scale e Nathan si volta verso di me.
«Ciao!» Esclama, alzandosi dal divano e venendo verso di me; la TV passa nettamente in secondo piano.
«Hey Nathan, come stai?»
«Sei venuto per le lezioni di skateboard?» Mi massaggio il collo brevemente, sia colto alla sprovvista da quella sua richiesta sia perché mi sento ancora in imbarazzo per la figuraccia fattami fare da Haley.
«No, sono venuto a prendere tua sorella per-»
«Dove andate? Si è vestita elegantissima!» Non mi dà tempo di continuare la spiegazione, è smanioso di chiacchierare ed è curioso.
«A un matrimonio.» Nathan aggrotta le sopracciglia, pensieroso.
«Il tuo?» Continua poi e scuoto la testa, ma non ho tempo di formulare una risposta negativa; l’eco di un paio di tacchi risuona lungo le scale.
Nathan ed io voltiamo la testa nella stessa direzione; Haley sta scendendo e la prima cosa che vedo sono le sue gambe apparentemente nude. Solo raggiunti gli ultimi scalini ho una piena visione.
Sbatto le palpebre un paio di volte, giusto per assicurarmi che non sia un’allucinazione, ma qualcosa di reale. Haley sorride quando incrocio il suo sguardo.
Indossa una gonna beige a vita alta con una semplicissima camicia bianca, le maniche appena arrotolate lungo le braccia. I primi tre bottoni sono slacciati di proposito, a dare spazio alla collana che le fascia il collo. Sul viso spicca un rossetto rosso e i capelli le ricadono ricci sulle spalle e sul seno.
Vorrei dire qualcosa, ma quando apro la bocca per farlo, non esce nessun suono e non posso fare altro che inumidirmi le labbra; ho la bocca secca.
«Nathan, che ne dici?» Haley fa un giro su sé stessa, dopo essere scesa definitivamente dalle scale.
«Mi piace!» Alza entrambi i pollici in approvazione prima di voltarsi verso di me. «Vero Justin?» Sobbalzo alla sua voce, ma annuisco velocemente, tornando alla realtà.
«S-sì, bellissima.» Di nuovo il balbettio; Haley sorride e le guance si colorano di rosso.
«Grazie.» Replica, esibendosi in un piccolo inchino.
Mi schiarisco la voce, indicando poi la porta con un cenno del capo e lei annuisce. Salutiamo sia Nathan che sua madre, la quale ci augura buona giornata.
Allungo una mano verso Haley, che lei afferra senza esitazione e raggiungiamo la mia auto, senza dire una parola. Metto in moto, ma non parto. Mi volto semplicemente verso di lei, guardandola per interi secondi.
«Che c’è?» Haley incrocia le braccia al petto, curiosa e imbarazzata dal mio fissarla così.
«Che sei talmente bella e non trovo nemmeno le parole per dirtelo.»
«Piantala.» Mormora Haley, abbassando lo sguardo. Aggrotto le sopracciglia e mi avvicino al suo sedile, costringendola ad alzare lo sguardo. La bacio annullando la poca distanza rimastra tra di noi.
«Sul serio, sei bellissima.» Ripeto, perché voglio che il concetto le sia ben chiaro.
«Anche tu stai molto bene.» Replica, indicando la giacca che indosso; alzo gli occhi al cielo perché so che mi sta prendendo in giro, nonostante forse lo pensi sul serio.
Non aggiungo altro durante il viaggio, sono sicuro di non riuscire a formulare una frase di senso compiuto e realizzo che forse, il silenzio in questo contesto, è la cosa migliore.
Parcheggio accanto all’auto di Anthony, nel vialetto di Randy. Scendo in fretta, facendo il giro dell’auto per aprire la portiera di Haley e recuperare di conseguenza il mio cellulare, nascosto da qualche parte.
Aiuto Haley a scendere, riponendo poi il telefono nella tasca della giacca, poi muove qualche passo in direzione dell’ingresso, ma le afferro il polso e non so perché, lo faccio e basta. Haley sussulta quando voltandosi verso di me, mi trova più vicino del previsto.
Devo trattenermi dal farle cozzare la schiena contro la carrozzeria della mia auto, non voglio che la camicia bianca immacolata le si sporchi a causa mia. Lascio la presa sul suo polso solo per posarle una mano sulla guancia; le sue finiscono tra i miei capelli e ne tira le punte quando le sfioro le labbra con le mie.
Scendo lungo la schiena solo per incontrare i suoi fianchi e sarei sceso ulteriormente se il telefono nella tasca della mia giacca non avesse squillato proprio in quel momento: Randy.
Non rispondo, prendo la mano di Haley, attraversando il vialetto e aprendo la porta di casa.
«Sono qui, metti via quel dannato telefono!» Chiudo la porta alle nostre spalle, salutando poi i ragazzi. Randy compare con una sigaretta accesa tra le labbra, il viso seminascosto dal fumo.
«Mi sembrava di averti detto “dieci minuti”.» Borbotta, stringendo Haley brevemente tra le braccia.
«Casa mia dista venti minuti dalla tua, lo sai vero?» Incrocio le braccia al petto quando Haley sorride a qualcosa che Randy le mormora all’orecchio. Haley sparisce al piano di sopra qualche momento dopo.
«Allora?» Domando poi a Randy, poggiandomi di schiena contro il divano.
«Allora cosa?» La voce di Randy suona brusca e alzo le mani in segno di resa.
«Sarà meglio che tu ti dia una calmata. Che ne dici di iniziare spegnendo la sigaretta? Quante ne hai già fumate?» Randy alza gli occhi al cielo, aspirando ulteriore fumo.
«Una sola.» Mente spudoratamente, spegnendola poi nel posacenere.
«Ho perso il conto dopo la decima.» Interviene Anthony e vedo Randy borbottare qualcosa che non capisco.
«Dico davvero Randy, devi darti una calmata.» Ripeto, posandogli una mano sulla spalla; si passa una mano tra i capelli, più ordinati del solito.
«Non sono mai stato così calmo.» Replica, incrociando le braccia al petto. Non ho tempo di ribattere, Stacy fa capolino dalle scale.
«Siete pregati di rimanere a bocca aperta non appena Jen scenderà dalle scale e- Randy!» Scende gli ultimi scalini di corsa, raggiungendolo. «Che cosa ci fai ancora qui? Esci immediatamente di casa, credevo te ne fossi andato già da un pezzo! Non puoi vederla, vattene.» Ho quasi paura e mi affretto a mettere entrambe le mani sulle spalle di Randy, intimandolo a uscire.
«Rilassati Stacy, ce ne andiamo» mormoro, spingendo letteralmente Randy perché compia i passi necessari ad allontanarsi. «Anthony, lascio Haley nelle tue mani.»
Randy continua a opporre resistenza, ma riusciamo a raggiungere la mia auto, sulla quale Randy impreca più e più volte, accendendosi quella che suppongo essere l’ennesima sigaretta della mattinata.
 
-
 
La cerimonia dura quasi un’ora, ho perso il conto di quante volte Haley e Stacy, sedute al mio fianco, si sono commosse.
Raggiungiamo nuovamente le nostre auto per dirigerci al rinfresco organizzato dai genitori di Jennifer, che avrebbero ospitato i novelli sposi in Europa per qualche settimana.
Aspetto che Haley sia pronta prima di aprire l’auto; chiama il mio nome prima di salire e annuisco, in attesa che continui.
«Posso chiederti un favore?» Fa il giro dell’auto, raggiungendomi nuovamente e fermandosi di fronte a me.
«Che succede?»
«Oggi è il compleanno di Zac e mi chiedevo se potessi accompagnarmi alla sua festa» apro la bocca per replicare, ma Haley alza la voce. «Non voglio fermarmi, starò con te tutto il giorno. Vorrei solo passare a salutarlo per augurargli buon compleanno di persona e-»
«D’accordo, non preoccuparti» la interrompo in fretta, nonostante debba trattenermi dallo scuotere la testa. «Avviso Randy, non muoverti.» Raggiungo Randy solo per spiegargli del contrattempo, saremo da lui il prima possibile. Haley mi spiega la strada da percorrere e la raggiungiamo a velocità sostenuta; non voglio perdere tempo qui, il mio posto è con Randy e Jennifer oggi.
Haley mi lascia un bacio a fior di labbra, mormorandomi un semplice “grazie” prima di bussare alla porta.
È Madison ad aprire, abbracciando Haley e fulminando me con lo sguardo; Zac ci raggiunge qualche istante dopo.
«Mi dispiace non poter restare, ma-»
«Non importa, è solo una festa. Ci stiamo divertendo anche senza di te.» La interrompe Zac, pizzicandole una guancia.
«Volevo farti gli auguri di persona, quindi: buon compleanno.» Mormora, abbracciandolo nuovamente. Zac le bacia la guancia, poi tende una mano verso di me.
«Grazie di averla accompagnata.» Annuisco alle sue parole, stringendogli la mano.
«Non c’è problema, buon compleanno.»
 
-
 
«Sei una frana a ballare, Bieber.» Ride Jennifer, una volta conclusa la canzone. Mi fingo offeso, scatenando le risate di Stacy, a pochi passi da noi intenta a ballare con Austin.
«Sei tu quella che mi ha pestato i piedi, non io.» È pronta a colpirmi dritto al braccio, Randy compare qualche istante dopo. 
«Posso riavere mia moglie?» Tiene Haley sottobraccio. «Per quanto io adori la tua ragazza, vorrei ballare con Jennifer.» Lascia che Haley prenda la mia mano, poi mi faccio da parte, baciando Jennifer sulla guancia.
«Ti va di ballare?» Glielo chiedo tirandola verso di me, quasi a sfiorare il suo naso con il mio.
«Se mi rovini le scarpe, ti toccherà comprarmene un paio nuovo.» Le cingo i fianchi, inarcando un sopracciglio. Mi allaccia le braccia al collo, sfiorandomi i capelli con le dita e chiudo gli occhi quando mi abbraccia.
«Grazie per avermi portato da Zac.» Me lo dice contro il collo e rabbrividisco al contatto con le sue labbra.
«Se vuoi andare con loro-»
«Voglio stare con te.» Mi porta le mani sulle spalle, guardandomi dritto negli occhi.
«Ti amo.» Glielo dico così, senza un motivo ben preciso per farlo. Perché lo penso e basta; Haley sorride.
«Ti amo anch’io.» Replica, posandomi le mani sul petto.
Sono così preso da Haley da non accorgermi di ciò che sta succedendo a pochi passi da noi. Ci sono voci fuoricampo. Voci non desiderate. Voci odiate.
Uno sparo sovrasta la musica; Haley grida.


 
---
Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 49
*** 49. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 49
J.

 
Le braccia di Haley si serrano maggiormente al mio corpo ed io non sono da meno; so che lei è sana e salva, ma la stringo nel tentativo di proteggerla da qualsiasi cosa sia provenuta dalle sue spalle.
Mi volto in fretta, in modo che qualunque cosa possa essere stata, avrebbe preso me e non lei.
Tutto è fermo, solo la musica in sottofondo continua imperterrita il suo ritmo. Mi guardo intorno frenetico, cercando di capire cosa diavolo sia successo nell'arco di un paio di secondi. La mano di Haley cerca la mia, ma il momento prima di incrociare i suoi occhi, la voce di Randy spezza l'ambiente in un ruggito di rabbia e terrore. Pronuncia solo una cosa: il nome di Jennifer.
Riesco a individuare Randy e di conseguenza Jen: è accasciata al suolo, ma stretta tra le braccia di Randy. Qualcosa mi sale lungo tutto il corpo facendomi perdere la cognizione del tempo; solo in un secondo momento mi accorgo che il bianco candido del vestito di Jennifer è squarciato da una macchia rossa. Il corpetto immacolato perde colore, lasciando posto a quello che è nient'altro che sangue scarlatto.
«No.» Scuoto la testa senza che la voce esca dalle labbra. Lo sguardo di Sasha incontra il mio e il leggero ghigno dipinto sul viso non mi sfugge. Corro, trascinando letteralmente Haley con me prima di cadere in ginocchio, accanto a Randy e Jennifer.
«Jen» la scuoto delicatamente, nel tentativo di svegliarla, ma rimane immobile con gli occhi chiusi. «Jennifer, ti prego guardami.» È tra le braccia di Randy, ma non si muove. La voce di Haley mi arriva alle orecchie.
«Justin, basta» sta singhiozzando, ma la mano è salda sulla mia spalla. «Ti prego, alzati.» Mi sta supplicando, ma non capisco perché lo stia facendo. Le lacrime le corrono sul viso, rovinando il trucco strisce nere. Randy sta stringendo Jennifer tra le braccia e lui stesso piange.
Mi alzo in fretta, scostandola da me con gesto fin troppo brusco; non mi accorgo che anche io sto piangendo.
Mi guardo intorno, la testa mi gira, ma vedo Sasha nascondere la pistola sotto la maglietta. Qualcuno accanto a lui sorride, fiero e compiaciuto del gesto appena compiuto.
Stacy è pallida, con il viso inondato di lacrime e non accenna a muovere un muscolo; Austin la sta stringendo tra le braccia, guardandomi e chiedendomi cosa fare.
Randy si muove al mio fianco e lo vedo posare delicatamente a terra il corpo di Jennifer; mi sorpassa urtandomi violentemente la spalla, poi corre e lo fa a perdifiato, scontrandosi contro il petto di Sasha, il quale barcolla e cade al suolo.
Mi inginocchio al suolo, prendendo Jennifer tra le braccia. Haley è al mio fianco e quando mi volto la vedo piangere, scuotendo la testa. Devo trattenere un conato di vomito.
Un secondo sparo echeggia nell'aria, questa volta è Stacy a urlare mentre Haley mi afferra il braccio; Sasha ha colpito il suolo, Randy è stato così veloce da muovergli il braccio giusto in tempo: il prossimo bersaglio sarebbe stato lui.
Mi alzo con qualche difficoltà, ma corro verso Randy; Haley grida il mio nome. Randy sferra un pugno sul volto di Sasha ed è un colpo così violento che Sasha cade per la seconda volta al suolo, riesco persino a sentire il respiro spezzarsi.
Randy è accecato dalla rabbia e perde il controllo, lo colpisce ripetutamente allo stomaco, sferrando calci e pugni. Sasha sputa sangue, ma questo non sembra fermarlo.
Resto immobile dietro di lui, con le mani che tremano. Sasha perde i sensi e riesco a trovare la forza di allontanare Randy; l'adrenalina che mi scorre nelle vene mi regala forza in più per contrastare il corpo di Randy.
«Randy, basta! Lo ucciderai.» Stringo la presa sulle sue braccia.
«È proprio quello che voglio fare!» Mastica una bestemmia tra i denti e poi urla. E lo fa così forte che devo chiudere gli occhi.
«Finirai in carcer-»
Le sirene della polizia impediscono ogni altro mio tentativo di terminare la frase; Randy si affloscia tra le mie braccia. Austin annuisce quando incrocio il suo sguardo e so che è stato lui a chiamare i soccorsi.
Gli amici di Sasha sono scomparsi, ma non posso occuparmi di loro. Ho quasi paura che Randy possa svenirmi tra le braccia, ma annuisce quando lo scuoto; è lucido e barcolla fino a raggiungere Jennifer, inginocchiandosi nuovamente accanto a lei.
Stacy si fa in là, lasciando che sia Randy a occuparsene; Haley mi raggiunge – o forse sono io che corro verso di lei – e sprofondo il viso tra i suoi capelli nell'istante in cui il suo corpo trova il mio.
Jennifer è morta.
Sasha l'ha uccisa a sangue freddo, senza pensarci due volte.
Jennifer, che con lui non aveva mai avuto a che fare. La persona più buona mai conosciuta, la moglie del mio migliore amico, la ragazza che ha curato ogni mia ferita.
Jennifer, che non c'è più.
Allontano Haley con delicatezza e trovo Sasha ancora svenuto a pochi passi da noi. Devo mordermi il labbro fino a sentire il sapore di sangue per evitare di concludere ciò che ha iniziato Randy.
Un agente della polizia mi passa accanto, inginocchiandosi e posando due dita alla base del collo di Sasha.
«È ancora vivo» annuncia, alzandosi e guardandomi dritto negli occhi. «Chi ha chiamato?»
«S-siamo stati noi.» Balbetto senza nemmeno rendermene conto.
«Dov'è la ragazza?» Sento una morsa all'altezza della bocca dello stomaco, ma indico Jennifer. Randy fatica a spostarsi all'arrivo del poliziotto; le sirene dell'ambulanza si avvicinano.
«Avete visto chi è stato?» Faccio un cenno verso Sasha.
«Lui.» Il poliziotto annuisce e con semplice gesto del capo, altri due poliziotti si avvicinano a Sasha, sollevandolo dal suolo. L'ambulanza a sirene spiegate arriva una manciata di secondi più tardi, la barella viene spinta verso di lui, dove provano a rianimarlo. Lo caricano in ambulanza, portandolo via dopo aver scambiato due parole con il comandante della polizia. Haley singhiozza e le bacio la tempia quando una seconda ambulanza; questa è per Jennifer.
Randy si fa da parte quando due infermieri si avvicinano, con la barella al seguito. Uno dei due tasta il polso a Jennifer, poi la gola; scuote la testa e sento lacrime calde scivolarmi lungo le guance.
«Mi dispiace.» Il medico lo dice posando una mano sulla spalla di Randy; grida di nuovo, poi scoppia a piangere. Jennifer viene caricata in ambulanza per sparire qualche secondo dopo.
«Qualcuno di voi è ferito?» Nessuno replica e il comandante si volta verso Randy. «Signore, devo chiederle di venire con noi alla centrale.» Randy incrocia il mio sguardo, io annuisco e Randy fa la stessa cosa nei confronti del comandante.
«Posso venire anche io?» Lascio la mano di Haley per avvicinarmi a Randy; il comandante fa un semplice cenno affermativo con il capo, poi indica la volante della polizia. «Per favore, portate da Randy le ragazze.» Lo dico atono, senza guardare negli occhi nessuno. Lascio semplicemente scivolare le chiavi della mia auto a terra, qualcuno si occuperà di raccoglierle e obbedire alla mia richiesta.


 
H.
 
Nessuno apre bocca durante il tragitto verso casa. Nessuno ha il coraggio di farlo.
Solo Stacy singhiozza, io non credo di avere altre lacrime per farle compagnia. Ha le mani sporche di sangue e quando abbasso lo sguardo sulle mie, non sono da meno. Persino la camicia è macchiata del sangue di Jennifer.
Mi precipito in bagno non appena raggiungiamo la casa di Randy, strofinandomi le mani e combattendo contro il moto di nausea che mi attanaglia lo stomaco. Sfrego le mani fino a sentire dolore.
Mi passo le mani sul viso, ho le guance appiccicose per via delle lacrime scese e del mascara ormai totalmente colato.
Sono tutti riuniti in salotto, seduti sul divano.
«Che cosa succederà adesso?» È Austin a chiederlo, ma senza rivolgersi a nessuno in particolare; mi siedo accanto a Stacy, prendendole la mano e stringendola forte nella mia.
«Non lo so» replica qualcuno. «Ma Sasha finirà in galera per il resto della vita.»
«E Randy?» Continua Seth.
«Sarà dura, ma ce la farà. Tutti noi ce la faremo.» Mormora Anthony.
«Non finirà in prigione per aver ridotto Sasha in quel modo, vero?» Di nuovo è Seth a parlare.
«No, l'unica persona che arresteranno sarà quel bastardo di Sasha quando si sveglierà.» Replica nuovamente Anthony.
«Se si sveglierà.» Fa eco Austin.
«Lo farà, deve pagare per quello che ha fatto.»
Non so quanto tempi passi prima che la porta di casa di Randy si spalanchi violentemente. Randy entra di corsa, sparendo lungo le scale; la porta al piano di sopra sbatte violentemente.
Justin è subito dopo di lui e si passa una mano tra i capelli, prima di togliersi la camicia completamente bagnata dal sangue di Jennifer. Sospira, posando entrambe le mani sullo schienale del divano; scuote la testa e abbassa lo sguardo.
«Com'è andata?» È sempre Anthony a chiederlo; la guancia di Justin scatta.
«Non appena Sasha sarà stabile, lo sbatteranno in galera» mormora e la voce gli trema. «Hanno c-chiamato i genitori di Jen, p-partiranno questa sera stessa. Randy dovrà s-solo testimoniare e-» scuote la testa, non riuscendo a terminare la frase.
Mi alzo in fretta dal divano, raggiungendolo e fermandomi esattamente dietro di lui, abbracciandolo e posando la guancia sulla sua schiena. Trema, ma le sue mani sono sulle mie.
«Ha bisogno di noi, è fuori di sé.» Aggiunge, tirando leggermente su con il naso.
«Andrà tutto bene Justin.» Sentenzia Anthony e lascio la presa quando annuisce; so cosa vuole fare. Raggiunge gli altri ragazzi, abbracciandoli uno per uno, come a infondersi forza l'uno con l'altro. Ignora Stacy e lei fa la stessa cosa; so che si sente in colpa.
Justin torna da me senza dire niente, mi stringe tra le braccia per minuti interi.
«Stai bene? Vuoi che ti riporti a casa?» Scuoto la testa contro il suo petto e lo sento sospirare.
«No, voglio stare con te.»
I passi di Randy sulle scale echeggiano pesantemente. Justin scioglie l'abbraccio, Randy è fermo a pochi passi da Stacy.
«Esci da casa mia e non tornare. Sparisci dalla mia vita.» Glielo dice serio, tanto che sento tremare la terra sotto i piedi.

 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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Capitolo 50
*** 50. ***


 


Used To Tell Me
 
 

 
Capitolo 50
H.

 
Faccio fatica a immagazzinare le sue parole e mi rendo conto di non essere l'unica perché tutti sono nella mia stessa condizione. Mi volto verso Justin e lo vedo contrarre la guancia, poi chiude gli occhi.
Stacy si alza dal divano, più a mettere distanza tra loro due che per obbedire.
«Mi hai sentito? Vattene.» Il tono di voce di Randy si alza ulteriormente, tanto da echeggiare per l'ambiente circostante. Guardo di nuovo Justin mentre Stacy singhiozza.
«Randy, avevamo detto-»
«Stai zitto.» Si rivolge a Justin bruscamente e lui abbassa lo sguardo, intenzionato a non proferire altre parole. «Jennifer è morta per colpa sua, se non fosse tornata tutto questo non sarebbe mai successo.»
«No-»
«Jennifer è morta per colpa tua» questa volta si rivolge a Stacy, guardandola dritta negli occhi. «Non voglio più vederti, vattene da casa mia, sparisci dalla città, sparisci dalla mia vita!» Muove persino un passo verso di lei, Stacy si allontana per paura che possa allungare le mani. Austin le va in soccorso e Randy non esita a sferrare un pugno sul suo viso, mandandolo al suolo.
Justin lascia la mia mano per precipitarsi verso Randy e trascinarlo via di lì, in modo da non poter reagire ulteriormente. La porta di casa sbatte, ma non si tratta né di Randy, né di Justin e tanto meno gli altri ragazzi, chinati per aiutare Austin. È Stacy a essere uscita, ma quando le mie gambe decidono di muoversi e seguirla, c'è già troppa distanza tra di noi. Le corro dietro, gridando il suo nome perché si fermi, ma fa finta di non sentirmi.
Riesco a raggiungerla con uno scatto, afferrandole il polso e arrestando così i suoi passi.
«Dove diavolo stai andando?»
«Hai sentito anche tu, me ne vado.» Me lo dice con voce ferma, nonostante le lacrime sul suo viso.
«Che cosa? Non puoi andare via, non diceva sul serio. Non è colpa tua-»
«Haley basta» mi interrompe in fretta. «Randy ha perfettamente ragione, Jennifer è morta per causa mia. Sasha l'ha fatto di proposito.»
«Ti prego, non puoi andare via. Spezzerai di nuovo il cuore a Justin e hanno bisogno di te più che mani. Non farlo.» Stacy sorride, ma scuote la testa.
«Mi odia e mi odio anche io. Devo andarmene.»
«Stacy-»
«È di te che Justin ha bisogno, l'ho capito nel momento in cui mi ha parlato di te. È innamorato di te e lui è stato il migliore amico che potessi mai desiderare» parla con calma e la cosa mi spaventa. «Io non faccio più parte della sua vita, non c'è più spazio per me qui. È giusto che cada via. Torna da lui e lasciami andare.» Scuoto la testa, ma Stacy riesce a liberarsi della mia presa, poi mi abbraccia e lo fa tenendomi stretta a sé.
«Dove andrai?»
«Tornerò in Texas» scioglie l'abbraccio, scostandosi i capelli dal viso. «Torna da Justin, resta con lui. Io me la caverò.»
Posso solo annuire, non ho tempo di poter replicare; mi ha già dato le spalle, camminando in fretta e svoltando a destra lungo l'isolato. Non posso andarle dietro, devo tornare da Justin.
«Dov'è?» Lo chiedo chiudendomi la porta alle spalle, con il fiato corto. Anthony fa un cenno verso il piano di sopra. «Stacy se n'è andata, è diretta verso il centro della città, alla stazione dei treni.» Corro lungo le scale, sentendo la porta di ingresso aprirsi e chiudersi.
Non ho idea di dove si trovi Justin, ma una stanza in fondo al corridoio è socchiusa; Justin è seduto sul bordo del letto, con la testa stretta tra le mani. Mi inginocchio davanti a lui, posandogli una mano sulla sua.
«Hey» Justin solleva appena lo sguardo; ha gli occhi rossi e lucidi. Mi stringe la mano, chiudendo gli occhi mentre gli accarezzo i capelli. «Mi dispiace tanto.» Justin scuote la testa.
«Se n'è andata, vero?» Annuisco e per un secondo appena, Justin distoglie lo sguardo dal mio.
«Ho provato a fermarla, ma-»
«No» si alza in fretta, scansandomi e dandomi poi le spalle. «Randy ha ragione, Jennifer è morta per causa sua.»
«Non è vero.» Mi avvicino, volendo afferrargli il polso.
«Sì, invece!» Justin alza la voce, avvicinandosi alla parete lì accanto e sferrandovi un pugno, imprecando a gran voce.
Gli sfioro il braccio e a quel minimo contatto, Justin mi porta le mani sulle spalle, facendomi cozzare la schiena contro la parete appena colpita. «È solo colpa sua, Sasha me l'ha fatta pagare in questo modo. Sono contento che se ne sia andata, non avrei sopportato di vederla di nuovo. Jennifer è morta, lo capisci? Morta!» Me lo grida a pochi centimetri dal viso e chiudo gli occhi.
«Justin-»
«Non tornerà più, se n'è andata per sempre. Era come una sorella per me Haley, non la rivedrò più per colpa di Stacy.» La voce si è ridotta a un sussurro e la rabbia sembra abbandonare il suo corpo. Ha le braccia ferme sopra le mie spalle, in modo che non possa scappare e gli prendo il viso tra le mani, costringendolo a guardarmi negli occhi.
«Mi dispiace.» Justin si morde il labbro prima di nascondere il viso tra i miei capelli; le braccia mi avvolgono il corpo e lo lascio fare, sentendolo tremare contro di me.
«Non lasciarmi, ti prego.» Me lo dice dopo minuti interi di silenzio.
«Non lo farò.» Alza il viso, incontrando i miei occhi.
«Non allontanarti da me.»
«Ti amo, non ho nessun motivo per andare via da te.»

 
-
J.

 
«Da questa parte, prego.» Il comandante ci indica una stanza in cui entrare; entrambi ci alziamo dalle sedie e lo seguiamo lungo il corridoio. «Devo chiederle di aspettare fuori.» Me lo dice scusandosi con gli occhi. Randy apre bocca per ribattere, ma scuoto la testa.
«D'accordo. Sarò proprio qui quando avrai finito.» Randy annuisce e segue nuovamente il comandante all'interno di una porta.
Passa un'ora buona prima che la stessa si apra, rivelando Randy e il comandante. Mi alzo velocemente, sentendo la testa girare per il troppo tempo passato nella stessa posizione. Il comandante ci porta in una seconda stanza con un solo vetro scuro all'interno di essa. Il comandante preme un pulsante sulla parete di destra.
«Falli entrare, Marcus.»
Il ragazzo al di là del vetro apre una porta; uno dopo l'altro, sei uomini sfilano davanti a noi posizionandosi in riga contro la parete. Ognuno di loro tiene tra le mani una targhetta recante un numero di riconoscimento; Sasha è l'ultimo a entrare.
Randy stringe i pugni lungo i fianchi; gli occhi di Sasha incontrano i miei nonostante il vetro nero.
«Voglio che mi indichi nuovamente chi è il colpevole.» Randy annuisce alla parole del comandante, poi punta un dito contro Sasha. «Numero sei, un passo avanti.»
Sasha obbedisce e avanza verso di noi; il viso è deturpato ancora da lividi ed escoriazioni. Respira a fatica e la cosa mi fa stare meglio.
«Confermi la tua scelta?» Randy annuisce di nuovo e il comandante fa cenno verso l'uscita. Non parla, si limita a salire sulla mia auto, allacciando la cintura di sicurezza. Parla solo una volta che ho messo in moto.
«Andrà tutto bene, vero Justin?» Me lo chiede guardandomi dritto negli occhi. Stringo con forza il volante, ma annuisco.
«Sì Randy, andrà tutto bene.»


 
-
Qualche tempo dopo.

-
J.

 
Prendo le chiavi dell'auto dal tavolino e la busta bianca sotto di esse, infilandola nella tasca posteriore dei jeans. Inforco la porta, ma la voce di mia madre impedisce ogni altro movimento.
«Stai uscendo?» Si sfila la maglietta, restando i canottiera; fa piuttosto caldo oggi.
«Sto andando da Haley, ti serve qualcosa?» Mamma scuote la testa e Jazzy fa capolino nell'ingresso.
«Dove vai?» Me lo chiede allegra, con i codini che le oscillano in testa.
«A casa di Haley.» Ripeto, tirandogliene uno.
«Posso venire?» Mamma è pronta a ribattere, ma mi stringo nelle spalle.
«Sì, perché no.» Tendo una mano verso Jazzy, poi sorrido rivolto a mia mamma. «Ci vediamo più tardi.»
Ho bisogno di parlare con qualcuno e Haley è l'unica persona con la quale posso farlo; raggiungiamo casa sua una ventina di minuti più tardi, parcheggiando al solito posto.
Attraverso la strada con Jazzy al mio fianco ed è Nathan ad aprirci il cancello, invitandoci a entrare.
«Ciao Nathan» il suo sguardo finisce curioso su Jazzy. «Lei è la mia sorellina, Jazmyn. Ti avevo parlato di lei.»
«Siete venuti per lo skateboard, vero?» Rido a quella domanda, ma finalmente annuisco.
«Ma certo» Nathan saltella sul posto. «Devo parlare però con tua sorella prima.»
«È sul retro.» Indica il solito passaggio e mi rivolgo a Jazzy.
«Ti va di restare qui un momento con Nathan? Io torno subito» Jazzy annuisce e Nathan sorride. «Ti tengo l'occhio, sai?» Scoppia a ridere, ma corre a chiudere il cancello prima di fare cenno a mia sorella di seguirlo lungo il giardino.
Haley è seduta su un divanetto, intenta a leggere un libro. Le arrivo da dietro, non si accorge di me fino a quando non le lascio un bacio sulla guancia. Sussulta, voltandosi di scatto.
«Mi hai spaventato!» Faccio il giro e mi siedo accanto a lei, sorridendole. «Che cosa ci fai qui?» Posa il libro sul tavolino e mi mordo il labbro.
«Devo farti vedere una cosa» annuisce curiosa, poi faccio un cenno verso il giardino. «Nathan è con mia sorella, probabilmente dopo mi toccherà persino andare sullo skateboard.» Tiro fuori la busta dalla tasca dei jeans e la porgo a Haley.
«Che cos'è?» Me lo chiede, prendendomela dalle mani.
«È arrivata l'altro giorno.» Le dico semplicemente.
«È di Stacy.» Annuisco passandomi una mano tra i capelli.
«Leggila per favore.» Haley tira fuori i fogli dalla busta e li legge attentamente, con il labbro inferiore stretto tra i denti. La osservo e quando alza lo sguardo, ha gli occhi lucidi.
«Lo hai detto a Randy?» Me lo chiede in un sussurro e scuoto la testa.
«No, non ancora. Se n'è andata, non tornerà più» replico, stringendomi nelle spalle. «Credo che volesse solo salutarmi e-» Non riesco a finire il discorso ed è Haley a farlo per me.
«Dirti quanto ti voglia bene?» Annuisco alle sue parole, poi mi posa una mano sulla guancia e chiudo gli occhi. «Stai bene?»
«Mi manca.» Affermo e non me ne vergogno. «Mi sento solo senza di lei, senza Jennifer. Randy è diverso, lo sento distante e lo sono tutti. Lo capisco, ci vorrà molto tempo prima che le cose tornino come prima - se mai lo faranno - ma mi sento s-solo a volte.»
«Guardami» me lo ordina in tono deciso e la guardo negli occhi; sono così azzurri da sembrare quasi trasparenti. «Non sei solo, Randy si riprenderà ma ha bisogno di te per farlo. Austin, Seth e Anthony ci sono sempre e anche io.» La mia guancia si serra a quelle parole.
«Sempre?» Le mie labbra sfiorano le sue.
«Sempre.» Replica e annullo la distanza che ancora ci separa, assaporandole la bocca. Le accarezzo la schiena, il collo, il viso con la speranza che capisse quanto io sia innamorato di lei.
La voce di Nathan chiama i nostri nomi e Haley si scosta con un sorriso.
«Lo skateboard ti aspetta, Bieber. Prometto di non ridere quando cadrai al suolo.»
Scuoto la testa, mordendomi il labbro e afferrando la sua mano. Sono io a fare strada verso il giardino, dove Nathan ha già preparato tutto l'occorrente per umiliarmi.





N/A: Grazie per essere arrivati fino alla fine.
 
 
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Non siate lettori silenziosi.
(Revisionato)

 


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