-I ricordi di una Beatlemaniaca.

di Quella che ama i Beatles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ricordi di una Beatlemaniaca ***
Capitolo 2: *** Il presente di una Beatlemaniaca ***
Capitolo 3: *** Il concerto di due Beatlemaniache! ***



Capitolo 1
*** I ricordi di una Beatlemaniaca ***


Mi sollevai dalla comoda poltrona dove mi ero appisolata con una smorfia di dolore e fastidio; quel dannato mal di schiena non mi lasciava pace dalla mattina. Mi incamminai in punte di piedi verso la camera da letto per controllare cosa facesse il piccolino, e sì, per fortuna dormiva della grossa nel suo consueto sonnellino pomeridiano. Scossi la testa; quel diavoletto di appena quattro anni e mezzo era capace di farti girare la testa come una trottola per quanto era vivace e scatenato, e poi cinque minuti dopo dichiarava che si era stancato, andava a stendersi sul letto e lo trovavi che ronfava della grossa. Mi intenerii guardandolo rannicchiato su un fianco, con un’espressione di assoluta innocenza sul visetto paffuto. La prova che l’apparenza inganna!
Tornai nell’ampio salotto e accesi la tv. Sempre le solite cose, stupidi giochi a premi, tg, e i classici programmi di attualità del pomeriggio. Oh, e poi i cartoni animati, che forse erano la cosa migliore. Mi soffermai un attimo su un episodio dei Pokemon, poi con un sospiro spensi il televisore. La mia schiena in quel preciso istante venne trapassata da una fitta dolorosa e strinsi i denti, maledicendo quella legge della natura che aveva affibbiato ai vecchietti settantenni tutti i dolori e i malesseri di questo mondo.
La mia mente volò alle pomate nell’armadietto dei medicinali, ma il mio cuore… il mio vecchio cuore ben conosceva un rimedio migliore.
Mi accostai al piccolo scaffale vicino allo stereo che mi aveva regalato mia figlia con la sua famiglia il Natale precedente e scrutai attentamente tra la mia ordinata collezione di cd, la cosa più importante che possedevo. Fu facile trovare quello che cercavo, il dorso rosso di Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band  spiccava fra gli altri. Con un sorriso tirai fuori quel disco così familiare e guardai l’allegra copertina colorata, dove fra la moltitudine di personaggi presenti c’erano quattro tra le persone più importanti della mia vita. John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr. I Beatles.
Istintivamente sorrisi, guardando quelle figure a me così familiari. I Beatles, i compagni di tutta una vita, coloro che mi erano stati vicini nei momenti più difficili e dolorosi, coloro la cui musica bastava a farmi stare meglio. Coloro per cui dopo cinquant’ anni –bé, erano quarantanove, per la precisione, ma chi se ne importava?- provavo ancora un saldo e intenso amore e passione, un amore che non era più fatto di strilli isterici davanti a un’intervista o a qualsiasi banale immagine, di toni eccitati quando si parlava di loro, di sospiri sognanti davanti agli occhi e al sorriso di Paul, ma che era composto da lievi sorrisi e respiri sereni esalati ascoltando le loro canzoni, di tristezza e acuta malinconia ricordando i giorni delle morti di John e George –due dei giorni più brutti della mia vita-, di carezze fatte senza pensare ai cd, quasi fossero dei gatti sonnacchiosi. Era un amore più pacato e tranquillo, ma era sempre amore, un grande amore, e compiangevo quegli sciocchi che sottovalutavano l’amore che un vecchio può provare.
Guardai il coloratissimo disco che avevo fra le mani senza vederlo, ripensando a quegli agitati e movimentati cinquant’ anni passati con un’unica certezza, un’unica sicurezza, un’unica ancora: i Beatles. Tutto aveva una fine, tutto mi deludeva o mi intristiva, ma sapevo che loro c’erano e ci sarebbero sempre stati, e loro non mi avrebbero mai delusa o fatta star male. Ne ero certa. Chi era stato con me quando avevo divorziato dal mio primo marito? I Beatles. Chi era stato con me quando vedevo mia figlia passare quell’orribile periodo di depressione, e morivo dentro vedendo la luce di vitalità che aveva sempre animato i suoi occhi spenta come una candela nel vento? I Beatles. Chi era stato con me nei giorni immediatamente successivi alla prima, vera, violenta discussione con il mio primo marito, dove mi aveva insultata in maniera orribile e presa a schiaffi? I Beatles. Solo un immaginario John che mi accarezzava la guancia e mi teneva le mani, dicendo “meriti di meglio di quello stronzo”, oltre a dosi massicce di Yesterday ,  mi avevano consentito di ricacciare indietro le lacrime e sorridere davanti a mio figlio, l’unico avuto con il mio primo coniuge, come se non fosse successo nulla.
Amavo i miei figli. Amavo immensamente  i miei nipoti. Ma niente e nessuno avrebbe potuto sostituire i Beatles e quello che rappresentavano per me.
La mia schiena mi riportò al presente con una fitta, ricordandomi che non era per puro piacere che avevo preso in mano Sgt Pepper  con l’intenzione di ascoltarlo. Inserii il cd nello stereo abbassando il volume per non disturbare il piccolo Michele che dormiva e la più grande, Martina, che faceva i compiti. Andai avanti fino alla traccia numero sei, She’s Leaving Home, una delle canzoni che amavo di più, se ce n’era qualcuna che effettivamente amavo più delle altre. Non l’avevo messa tanto per: infatti avevo da un po’ la netta impressione che ascoltarla mi aiutasse col mal di schiena.
Ogni canzone ha un suo acciacco,constatai. Here comes the sun per la cervicale, In My Life mi aiuta con il bruciore agli occhi quando non porto per troppo tempo gli occhiali, Let It Be è per quel fastidioso doloretto alle ginocchia. Dio mi aiuti.
La canzone era iniziata, e mi sedetti sulla stessa poltrona su cui mi ero appisolata, chiudendo gli occhi e abbandonandomi a quel brano meraviglioso, beandomi di quella melodia splendida, della voce dolce di Paul, del testo che da tempo conoscevo a memoria.
-Nonna?-
Alzai di scatto la testa, aprendo gli occhi, proprio mentre iniziava il ritornello. Mia nipote, la “grande”, Martina, si affacciava timidamente dalla porta guardandomi.
-Dimmi, cara.-
-Ho un po’ di fame- disse lei con un sorrisetto. –Mi prepareresti dei popcorn, magari? Così li sgranocchio mentre finisco i compiti.-
Sorrisi. Martina mangiava letteralmente a quattro palmenti: era capace di consumare un pranzo natalizio e di venirsene un’oretta dopo lamentando una fame da lupi. Potrebbe essere tua nipote illegittima, George. Saresti fiero di lei  pensai divertita mentre il mio sorriso si allargava.
-Certo cara. Vieni in cucina che te li preparo.-
Stoppai la musica e mi avviai con Martina alle calcagna. Presi tutto l’occorrente e iniziai a fare i popcorn.
-Un po’ a te e un po’ a me però. Me ne è venuta voglia pure a me.-
-D’accordo.-
-Come va con i compiti?- chiesi, per riempire quel silenzio interrotto solo dai chicchi che iniziavano a scoppiare.
-Abbastanza bene. Oggi ci hanno proprio caricati. Ho già fatto matematica e arte, mi manca solo geografia.-
-Falli per bene eh, mi raccomando. So che sei brava ma quest’anno ti devi impegnare più di tutti gli altri dato che hai gli esami.-
-Lo so, nonna- replicò mia nipote alzando gli occhi al cielo; probabilmente gliel’avevano detto già un sacco di volte. –Non preoccuparti, vado forte a scuola.-
-Non ne dubito- ribattei affettuosamente scompigliandole allegramente i capelli.
Lo scoppiettare dei popcorn diventò più forte; fra pochissimo sarebbero stati pronti. A parte quello, piombò di nuovo il silenzio.
-Che stavi ascoltando?- chiese Martina.
Sorrisi. –I Beatles.-
Lei aggrottò le sopracciglia. –Ancora?-
-Già- confermai.
-Ma sono…insomma… sono vecchi!- esclamò Martina fissandomi con innocenza: non era un insulto, ma una constatazione.
Tentai di tenere a bada l’irritazione, e di tenere conto che davanti a me avevo una ragazzina di tredici anni. –Ho più o meno la loro stessa età! Vorrai per caso dire che tua nonna è vecchia?- scherzai, fissandola con uno sguardo fintamente severo.
Lei arrossì furiosamente, forse pensando di aver commesso una gaffe imperdonabile. –No, no! E’ che, insomma… sono degli anni ’60 e quindi…-
-Martina, guarda che scherzavo! Sì, a una giovane come te potrà sembrare musica vecchia, ma loro sono come…Come la musica classica, ecco. Conosci Mozart, Beethoven, nonostante siano esistiti secoli fa, no?- Lei annuì.
-Bene, i Beatles saranno come loro. Saranno immortali, la gente continuerà a conoscerli e ad ascoltarli anche fra cento, duecento anni.-
Versai i popcorn, che ormai erano pronti, in una scodellina e sparsi il sale.
-Bah, se lo dici tu…- replicò mia nipote, non del tutto convinta. Poi mi fissò attentamente. –Ti piacciono proprio tanto, eh?-
Annuii, mentre mi addolcivo. –Sono innamorata di quei quattro da quando avevo vent’ anni. Da allora non ho mai smesso di ascoltare la loro musica, mai.-
-Wow- commentò Martina, colpita. Mi fissava con una sorta di forma di rispetto: probabilmente non riusciva a immaginare un amore tanto fermo e duraturo. O chissà, forse si immaginava alla mia età ancora innamorata dei suoi idoli di adesso.
Incominciammo a sgranocchiare i popcorn.
-Come li hai conosciuti?- chiese improvvisamente lei, guardandomi con il viso acceso dalla curiosità.
Sorrisi. –Ti puoi permettere una pausa dallo studio?-
-Sì, sì, tranquilla- rispose immediatamente mia nipote, con gli occhi azzurri spalancati in un’espressione angelica.
-D’accordo… Bé, ho conosciuto i Beatles per caso, andando in un negozio di dischi per guardare le ultime novità e comprarmene uno. Bé, per puro caso il mio sguardo capitò su un quarantacinque giri tutto celeste…-
-Cos’è un quarantacinque giri?- chiese Martina, curiosa.
-E’ un disco in vinile che veniva usato per pubblicare i singoli, infatti conteneva solitamente solo due canzoni: sul lato A c’era la canzone destinata ad essere appunto commercializzata e diventare un singolo, mentre sul lato B c’era un altro brano meno importante, che poveretto non avrebbe goduto di grandi attenzioni.- Martina rise. –Dunque, dicevo, era il 1963 o il 1964, non mi ricordo. Avevo racimolato un po’ di mance nell’ultimo periodo, e sommando i miei soldi mi resi conto che avrei potuto permettermi un quarantacinque giri. Tutta contenta andai in questo negozio di dischi per comprarmene uno, quando all’improvviso il mio sguardo capitò su uno tutto celeste, con quattro ragazzi in bianco e nero in copertina. Le canzoni erano She loves you  e I’ll get you. Mi incantai un attimo a guardare il disco, e mi ricordai che c’erano un paio di mie amiche che impazzivano letteralmente per quel gruppo, i Beatles. Io non mi ero mai interessata particolarmente a loro, all’epoca la cosiddetta Beatlemania non era ancora scoppiata del tutto in Italia, ma poi ricordai che una di quelle due mie amiche mi aveva parlato in toni entusiastici del loro singolo, appunto She loves you. “Dovresti ascoltarlo, è fantastico!” mi ripeteva in continuazione. Così, mi decisi e lo comprai.
Fu una folgorazione! Mi innamorai di quella canzone fin dalla prima volta in cui la ascoltai. Mi piaceva anche l’altra, ma con She loves you… fu amore a prima vista, anzi a prima nota!- Martina rise di nuovo.
-Non passava giorno senza che l’ascoltassi. Mi piaceva da impazzire. Mi ricordo che chiamai quelle due amiche, per prima quella che mi aveva consigliato la canzone. “Avevi ragione” le dissi. “Riguardo a che cosa?” “Alla canzone dei Beatles. She loves you. E’ veramente splendida.” Mi ricordo che rise ed esultò per almeno mezz’ora, trionfante per il fatto che “c’era una nuova combattente nella schiera dei Beatlemaniaci”. Tentai di calmarla dicendole che sì, mi piaceva quella canzone, ma non bastava certo a dichiararmi innamorata persa del gruppo! Lei mi ignorò e riattaccò, dicendomi che ne avremmo riparlato a breve, quando finalmente avrei ammesso che mi piaceva anche la band e non solo il brano. Sì, se non sbaglio andò così… –
Aggrottai le sopracciglia, sforzandomi di ricordare. –Da qui in avanti i ricordi si fanno più confusi, ho una buona memoria ma è impossibile rammentare tutto…Comunque, probabilmente poi successe che comprai gli altri quarantacinque già usciti, o forse acquistai direttamente l’album, non mi ricordo… Fatto sta che la previsione della mia amica si avverò e ben presto ero persa per i Beatles, li adoravo da matti. Nel 1965, quando vennero in Italia per la prima e unica volta, andai al loro concerto.-
-Davvero?!- esclamò Martina, a bocca aperta, probabilmente tentando di immaginare sua nonna giovane, con la gonna corta e i capelli cotonati, che saltellava e strillava davanti ai suoi idoli.
-Già! Andai alla loro data di Milano. Per fortuna ero abbastanza grande, avevo ventitré anni quindi avevo una certa autonomia. Feci un lungo viaggio con la piccola macchina della mia amica, c’eravamo io, lei, altre due ragazze e i nostri ragazzi.-
-Avevi un ragazzo?- chiese mia nipote con gli occhi sgranati. –Nonna, questo sì che è un pomeriggio prolifico. Sto scoprendo un lato di te che non conoscevo!-
Scoppiai a ridere, arruffandole i capelli. –Guarda che ero una bella ragazza in gioventù! Dicevo, fu una delle esperienze migliori della mia vita. Partimmo qualcosa tipo quattro giorni prima del concerto, ammassati dentro la macchinina della mia amica, a cantare le canzoni dei Beatles. C’era un tale senso di libertà, se riesci a capirmi, un sentimento che ci faceva dire che eravamo giovani e liberi e ci stavamo godendo la vita.
Andammo all’aeroporto all’arrivo dei quattro. Mi ricordo che mi batteva il cuore a tremila, stavo per vedere i miei idoli con i miei occhi, magari mi avrebbero guardato anche loro! E li vidi scendere da quell’aereo, salutando la folla delirante, ai miei occhi erano belli come dei. Urlai e piansi e quasi svenni dall’emozione, una delle ragazze che era con me svenne davvero.-
-Seriamente?- mi chiese Martina, con occhi e bocca spalancati a dismisura, quel che rimaneva dei suoi popcorn ormai dimenticato nella ciotolina.
-Sì! Dovresti vedere certe scene, Martina, era una vera e propria follia di massa. Non solo in Italia, ma anche in Gran Bretagna, negli Stati Uniti, in Germania, dappertutto, persino in Australia! Le fan erano pronte a saltargli addosso, deliravano quando li vedevano. Le guardie e i poliziotti dovevano trascinarle via di peso.-
-Oh, mio Dio…-commentò mia nipote, scioccata. –Bé, e poi cosa successe all’aeroporto? Hai avuto un loro autografo?-
Scossi la testa. –No, ma dopotutto non firmarono autografi, c’erano barriere metalliche e umane a dividerci da loro. Noi urlavamo e ci buttavamo letteralmente addosso alle guardie, volevamo andargli vicino, anche solo sfiorarli. Però…successe una cosa.-
-Cosa, cosa?- domandò eccitata Martina.
-Essendo arrivati per prima, io, le mie amiche e i nostri ragazzi eravamo tra le prime della folla, praticamente addosso alle transenne e ai poliziotti. Li vedemmo passare da molto vicino, e praticamente… impazzimmo. Ci mettemmo a strillare i loro nomi, a gridare cose come “Beatles, we love you!” e via di questo genere. E io urlavo come una matta “Thanks Beatles, thanks for your music, thanks for all”.
-Grazie Beatles, grazie per la vostra musica, grazie per tutto- tradusse lentamente mia nipote.
-Esattamente. E John, uno di loro, mi sentì…e voltò la testa verso di me… e per una singola frazione di secondo ci guardammo negli occhi.- Mi vennero quasi le lacrime agli occhi a ricordare quel momento indescrivibile.
-WOW!!- esclamò Martina, con gli occhi che le scintillavano, ormai partecipe al racconto come se ci fosse stata anche lei.
-Già. Non scherzo se ti dico che fu uno dei momenti più meravigliosi della mia vita, che ancora oggi ricordo con gioia profonda. Lui mi guardò negli occhi e mi fece l’occhiolino. Provai una felicità talmente immensa che mi girò la testa e quasi svenni. Iniziai a piangere dalla gioia, non capii più niente. Mi ricordo che iniziai a lanciare baci volanti verso di loro, gridando fuori di me cose senza senso. C’erano quelle guardie minacciose che ci intimavano di stare indietro, ma a me non me ne importava: John Lennon mi aveva guardata e fatto l’occhiolino, e questo era ciò che contava.-
Tacqui, persa in quel ricordo meraviglioso impresso a fuoco nella mia memoria.
Anche Martina rimase in silenzio a guardarmi. –Ti si sono illuminati gli occhi, nonna- mormorò. –Fin da quando hai iniziato a parlare dei Beatles hai questa luce. Devono essere proprio importanti per te se ti stanno brillando così gli occhi.-
Il suo commento mi commosse per la sua immensa dolcezza. L’attrassi a me e la strinsi. –Sì- sussurrai. –Sì, sono estremamente importanti per me.-
Alla fine ci sciogliemmo, e tornò l’emozione per il racconto. –Dai, dì com’è andato il concerto!- mi incitò mia nipote, impaziente.
-Andò stupendamente! Ovviamente stetti in piedi a strillare e cantare fin dal primo momento. Mi ricordo che a un certo punto mi misi a piangere come successe all’aeroporto, ma mi volli fermare: probabilmente non avrei mai più ripetuto quell’esperienza, dovevo ascoltarli con estrema attenzione dall’inizio alla fine. E così mi fermai, beandomi di quella musica meravigliosa.
E’ stata l’esperienza più bella della mia vita.-
Rimanemmo in silenzio, io persa in quei ricordi stupendi e lei rimuginando su quello che le avevo raccontato. Alla fine alzò lo sguardo, e accennò un sorriso. –Mi hai fatto venire la curiosità…Che canzone stavi ascoltando prima? Vorrei sentire qualcosa anch’io.-
Balzai in piedi, entusiasta all’idea che anche mia nipote si potesse appassionare ai Beatles. –Certo! Vieni, che ti mostro i cd. Ce li ho tutti, ovviamente- dissi orgogliosa.
-Ovviamente- ripeté lei con una risatina.
-Eccoli, i cd dei Fab Four- dissi una volta arrivate in salone, mostrandole fiera la mia ordinata collezione. –Anche quelli usciti dopo che si erano sciolti. Non ne manca uno!-
Ne prese uno a caso: A Hard Day’s Night.  Guardò incuriosita la copertina, poi lo girò, e lo aprì, esaminandolo attentamente. Io la scrutavo per osservare ogni sua minima reazione, e rimasi sorpresa nel vederla arrossire parecchio.
-Che c’è?- domandai, stupita.
-Bé…ecco…- Arrossì ancora, schiarendosi la gola. –Questoèmoltocarino- sputò in un fiato, avvampando ancora.
-Che cosa?- chiesi io, che non avevo capito niente.
-Ho detto che questo è molto carino!- esclamò lei con l’ultima vampata, indicando la foto di Paul.
Scoppiai a ridere, guardandola con fare di apprezzamento. –Si vede che abbiamo lo stesso sangue! Lui era anche il mio preferito, dal punto di vista fisico. Avevo una cotta spaventosa per lui da giovane. E brava la mia nipotina!- approvai ridendo.
-Davvero? Quindi lui…è John?- chiese.
-No, no! John è lui- risposi indicandolo. –Questo che piace a noi- e le feci l’occhiolino –è Paul.-
Aggrottò la fronte. –Pensavo che fosse John il tuo preferito!-
-Bé, li adoravo tutti, ma no, era Paul quello che mi piaceva di più. Adoravo i suoi occhioni enormi, la faccia adorabile, da bimbo innocente…- e sospirai.
Lei scoppiò a ridere. –Mia nonna, innamorata di una rockstar!- esclamò tenendosi la pancia dalle risate. –Ci farò un film.-
-Certo ragazzina, davvero molto divertente- ribattei ironicamente. -Ora, sbaglio o volevi ascoltare qualcosa di loro?-
Lei tornò seria. –Sì, sì nonna! Tu che stavi sentendo prima?-
-Una canzone che si chiama She’s Leaving Home. Io la adoro, ma non so se ti potrebbe piacere, è molto melodica e dolce. Siediti sulla poltrona.-
Fece come le avevo detto.
-Ora chiudi gli occhi.-
-Perché?- chiese stupita.
-Per godertela al meglio. Su, chiudi gli occhi e rilassati.-
Obbedì e io, chiudendo la porta del salone per non disturbare Michele che continuava a dormire, alzai di molto il volume e la rimisi da capo.
Le familiari note di arpa riempirono l’aria, e dopo poco quel McCartney che mia nipote aveva giudicato con mia somma gioia “molto carino” iniziò a cantare.
Mi sedetti sul divano, osservando attentamente Martina che impercettibilmente si rilassava. I tratti del suo viso si distesero, tutto il suo corpo lasciò andare quella tensione che istintivamente si prova nell’avere gli occhi chiusi e sapere che qualcuno ti osserva. Si abbandonò di più contro lo schienale, respirando più profondamente.
Iniziò il ritornello, e come al solito avvertii la pelle d’oca diffondersi sulle braccia, sulle gambe e sulla nuca sentendo quel meraviglioso  duetto sovrapporsi nel canto. Come al solito sentii quelle voci avvolgermi, quasi cullarmi, e provai una sensazione di benessere quasi fisico.
Ma Martina… Martina chissà cosa provava.
Notai che aveva appoggiato anche la testa allo schienale. Buon segno, la canzone le stava piacendo.
Arrivammo così alla fine. Attesi che anche l’ultimissima nota di violino si fosse estinta e stoppai la musica.
-Bé? Che ne pensi?- chiesi trepidante, fissando mia nipote in attesa del suo responso.
Aprì la bocca, poi la richiuse. Poi la riaprì. –Bé… non è propriamente il mio genere- disse lentamente, scandendo le parole, pensando attentamente a cosa dire. –Non mi è mai piaciuta la musica da viole, violini, violoncelli e compagnia bella. Però senza dubbio è profonda. E’… emozionante, anche, in un certo qual modo. Però scusa se te lo dico, mi sembra strano associare i Beatles a questo tipo di musica. Pensavo che fossero i tipi da rock, da urletti, da musica ballabile e ritmata.-
-Per i primi anni lo sono stati. Hanno fatto principalmente quello. Ma poi hanno, come si suol dire, allargato i loro orizzonti, facendo brani più melodici e dolci ma anche psichedelici e sperimentali, usando a volte perfino strumenti decisamente poco comuni come quelli indiani.-
-Ho capito.- annuì lei. –Chi stava cantando in questa canzone?-
-Paul.-
-E il controcanto?-
-John.-
-Ma chi è di solito il cantante solista?-
-Dipende. Lo sono soprattutto John e Paul, ma anche George ha scritto canzoni, e nei suoi brani canta lui. Anche Ringo, il batterista, ha cantato da solista, anche se rare volte.-
-Ringo?- chiese lei ridendo. –Che nome è?-
-Nome d’arte- precisai. –In realtà si chiama Richard.-
Ero elettrizzata dal fatto che mi stesse chiedendo informazioni sui Beatles e sulla loro musica. Nessuno dei miei figli, stranamente, si era appassionato a loro, ed anzi la mia figlia avuta col mio secondo marito –la mamma di Martina- quasi era arrivata a provare un’avversione per loro, accusandomi di tenere più a loro che a lei. Scossi la testa al ricordo: amavo i Beatles, ma lei era mia figlia!
-Cosa c’è?- mi domandò mia nipote, vedendomi improvvisamente un po’ giù.
-Niente, tranquilla- la rassicurai, sorridendole. Si dovette sentire sollevata perché tornò a tempestarmi di domande.
-Ma preferisci la musica più “dolce” o quella ritmata?-
-Le adoro entrambe!-
-Come pensavo- ridacchiò lei scuotendo la testa.
-Qual è la tua canzone preferita?-
-Impossibile dirne una sola!-
-Allora diciamo le prime cinque- concesse, impaziente.
-Mmmh…vediamo…no, troppo difficile. Le adoro tutte, è inutile!-
-Almeno puoi farmi una top ten?- chiese, esasperata.
-Ma a te che te ne importa? Non erano “vecchi” i Beatles?- domandai prendendola in giro.
Alzò gli occhi al cielo. –Se magari mi dici quelle che per te sono le canzoni più belle le vado ad ascoltare e potrei cambiare idea- replicò.
-Va bene, dunque vediamo… Diciamo al primo posto Help!-
-Non She loves you ?- chiese, stupita.
-E’ speciale perché mi ha fatto conoscere i Beatles, ma no, mi dispiace dirlo è stata sovrastata da Help!-
-Ok, Help!...- mormorò andando a frugare tra i cd.
-Che fai?-
-E te lo chiedi? La voglio ascoltare- ribatté.
Sorrisi. Mia nipote si stava approcciando ai Beatles, che meraviglia! Finalmente forse avrei avuto un’altra fan in famiglia! Sarebbe stato bello condividere con qualcuno la mia sfegatata passione.
-E’ questo il cd- mormorai tirandolo fuori e inserendolo nello stereo. –Tieniti forte perché Help! inizia…col botto, diciamo così. In modo molto esplosivo.-
Lei alzò gli occhi al cielo. –E’ solo una canzone. Avanti, falla partire.-
Premetti play.
Come avevo previsto, all’ “Help!” iniziale mia nipote ebbe un piccolo sussulto e si portò la mano al cuore. –Caspita!- esclamò ridendo. –In effetti sono trasalita.-
-Te l’avevo detto- commentai.
Ascoltammo la canzone in silenzio, io che cantavo il testo in mente e lei che batteva il ritmo sulla gamba e muoveva piano la testa a tempo.
 
Wouldn’t you please, please help me, help me, help me uuuhh…
Troppo presto arrivò il verso conclusivo, e mia nipote si risvegliò dalla trance in cui era caduta. –Appena due minuti e diciotto?- chiese stupita. –Sforzarsi di farla più lunga no, eh?-
Risi. –In effetti è l’unica cosa che rimprovero a molte canzoni dei Beatles, tante sono davvero corte.- La fissai attentamente. –Ma perché…ti è piaciuta?-
Tentò invano di trattenere un sorriso. –Sì…bé, diciamo…ho ascoltato di meglio…-
-Dai, seriamente!-
Scoppiò a ridere. –Ok, ok! Sì, mi è piaciuta parecchio. Per me è molto migliore di quell’altra! Anzi…- Mi guardò di sottecchi, timidamente. –La rimettiamo?-
Balzai in piedi, entusiasta. –Ma certo! La sentiremo tutte le volte che vorrai!-
E ignorando i suoi occhi che si levavano al cielo feci ripartire la canzone.
 
Andò a finire che la ascoltammo quattro volte. Al termine della quarta Martina si abbandonò sul divano. Aveva gli occhi che le brillavano. Fissandola, improvvisamente intuii che il mio sguardo, cinquant’anni prima, nell’ascoltare She loves you probabilmente  era stato molto simile al suo.
-Cavoli, mi piace un sacco!- esclamò lei, felice. –Avevi ragione. E’ proprio bella.-
-Adesso diventerai fan dei Beatles anche tu!- affermai ridendo.
-Non esageriamo. Non basta il fatto che mi piaccia una canzone per dire di essere innamorata del…del gruppo…- La sua voce si affievolì e ci fissammo ad occhi sgranati. Entrambe le nostre menti volarono al racconto che le avevo narrato poco prima. Avevo usato pressappoco le sue stesse parole con la mia amica.
La coincidenza era incredibile.
-E a quel punto, capirono entrambe che il destino della giovane era ormai segnato- declamai io in tono solenne. –La storia si ripeteva.-
-Smettila, nonna- rise lei. –Dai, mica è detto che mi innamori dei Beatles anch’io!-
-Ne riparliamo fra pochi mesi- mormorai io con un sorriso a trentadue denti.
Mia nipote scattò in piedi. –Mi vuoi dire le altre nove canzoni della tua top ten, nonna, o sei troppo impegnata con le tue previsioni da quattro soldi?-
 
Un anno dopo
 
Martina fece timidamente capolino in cucina, battendo due nocche sulla porta.
Mi voltai. –Dimmi, che c’è?-
Ma sapevo cosa mi avrebbe chiesto. Conoscevo quel suo sguardo dagli occhioni angelici appositamente spalancati, che capeggiavano su un viso da sono-un-cucciolo-abbandonato-e-affamato-ti-prego-aiutami.
-Mi prepari qualcosa?-
Come volevasi dimostrare.
-Martina, ti rendi conto che mangi più di me e tua madre messe insieme, vero?-
-E dai, ho un po’ di fame. Ho finito i compiti, facciamo insieme una torta magari?-
Non riuscii a trattenere un sorriso. Adoravo troppo mia nipote. –D’accordo. Ma poi…?- Le feci l’occhiolino, rivolgendole un’occhiata complice, sapendo che avrebbe capito.
-Certo- annuì lei felice, mentre correva probabilmente in bagno per lavarsi le mani. –Però scelgo io!-
-Sshh, non gridare, che tuo fratello dorme!- la rimproverai sottovoce, seguendola. –Scegli tu, d’accordo.-
-Grazie nonna- disse lei ridendo e baciandomi sulla guancia.
“E di che” pensai io con un moto d’affetto, guardando la mia adorabile nipotina quattordicenne.
-Su, muoviamoci! Che torta facciamo?-
-Qualcosa di semplice ma di buono. Un ciambellone al cioccolato?-
-Andata!-
E i seguenti tre quarti d’ora passarono tra risate e sbaffi di farina. Adoravamo preparare cose insieme, fossero torte, gelati, tartine o panini imbottiti. Le insegnavo tutti i miei trucchi in cucina e lei imparava velocemente.
-E ora, che cd ascoltiamo?- chiesi io, una volta infornato il dolce.
-Ricordati che devo scegliere io- mi ricordò Martina.
-Sì, sì, lo so! Vai a metterlo, su!-
Lei corse nel salone ridendo con gaiezza, e dopo nemmeno dieci secondi udii le note di Help!  esplodere dal salotto.
-Ancora Help! ?- domandai io raggiungendola, mentre si muoveva scatenata a ritmo di musica. –Non l’avevamo già ascoltato l’ultima volta?-
Martina alzò gli occhi al cielo. –No, nonna! La scorsa volta abbiamo sentito With the Beatles. Si vede che stai invecchiando!- disse prendendomi in giro.
-Ho la stessa età di Paul McCartney- precisai.
-Ma che c’entra, lui è immortale- ribatté mia nipote con un sorrisetto furbo, lanciando uno sguardo adorante al suo Beatle preferito. Buon sangue non mente!
-Ah, e io no?- replicai, ridendo.
-Sì, ma meno di Paul- rispose facendo la linguaccia.
-Ah, grazie!- esclamai mentre scoppiavamo a ridere e contemporaneamente iniziava il secondo ritornello di Help!  che doverosamente cantammo insieme. Io con molta meno voce rispetto a quel tornado di mia nipote, ma vabbé, a settantun anni non si può certamente cantare a gola spiegata.
-Sei la nonna migliore del mondo- sussurrò improvvisamente lei, in uno delle sue rare manifestazioni  d’affetto, abbracciandomi forte. Mi sorprese ma mi intenerì anche.
-E tu sei la nipote migliore del mondo- ribattei io, stringendola.
-Dopo ci guardiamo anche un loro film?- chiese Martina
-Certo. A Hard Day’s Night, Help!, The Magical Mystery Tour…?-
-Voto per A Hard Day’s Night.-
-Andata. Quel film mi fa ricordare sempre la mia gioventù.-
E prendendoci le mani, da buone fan sfegatate dei Beatles quali eravamo, ballammo insieme sulle note dell’ultimo ritornello di Help! ridendo e divertendoci come solo una nonna e una nipote Beatlemaniache sanno fare.
 
*ANGOLO AUTRICE*
Salve ragazzi! L'ispirazione per questa OS mi è venuta più o meno tre giorni fa, immaginandomi nel parlare dei miei idoli, i Fab, ai miei nipoti, da vecchia. Infatti all'inizio pensavo di ambientarlo in un ipotetico futuro, ma poi mi sono resa conto che non saprei immaginare le tecnologie che potrebbero esserci fra cinquanta, sessant'anni, quindi mi sono attenuta al presente. Spero che vi sia piaciuta questa slice of life e...recensite mi raccomando :3

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Capitolo 2
*** Il presente di una Beatlemaniaca ***


 
Dedico questo capitolo a Erika e Chiara, due simpaticissime ragazze conosciute grazie ad EFP e al suo forum (altro che social network :P) che purtroppo, pur essendo Beatlesiane entrambe, non potranno condividere con me e Martina la gioia di assistere al concerto di Paul (25 giugno, manca poco, MANCA POCO! *-*). Spero che vi piaccia, ragazze :)
 
 
- Accidenti... -
Martina controllava le notizie sulla sua home di Facebook, commentando ogni tanto con risatine, mugugni o brevi frasi o parole. Spalancò la bocca inorridita vedendo l'ennesima foto equivoca che si era scattata una ragazza della sua classe - si fa sempre più troia, pensò acida - sospirò alzando gli occhi al cielo quando lesse che l'amica Rebecca si era per l'ennesima volta lasciata col suo ragazzo, e si sentì avvampare quando notò un'altra foto, ben più piacevole di quella di prima. Senza neanche rendersene conto sospirò sognante e sorrise, fissando quel figo del suo compagno Davide immortalato in una posa stramba con un suo amico. 
Ma quanto può essere bello? Ed è dolce, e gentile, e simpatico, e...
L'elenco dei pregi del sopraccitato Davide - che probabilmente sarebbe potuto durare molto a lungo - svanì immediatamente dalla mente di Martina, occupata da una svariata serie di imprecazioni e minacce di morte, quando notò un commento della troia di cui sopra.
- Sei bellissimo amu, ti lovvo troppo amore mio... patetica - grugnì la ragazza scura in volto. E si scurì ancora di più quando lesse la risposta di lui.
Grazie cucciolina, lo sai che ti amo. Con una svariata serie di cuori dopo. 
Martina sbuffò, seccata, si passò la mano tra i lunghi capelli biondi e si alzò di scatto per inserire qualcosa nello stereo. Automaticamente la sua mano andò tra la raccolta di cd dei Beatles - ascoltava solo loro da anni, ormai - e lì esitò, incerta su cosa ascoltare. Poi si decise per Help! e immediatamente il suo cuore si alleggerì quando partirono le prime, familiari note. Quel disco ormai lo conosceva a memoria, e dopo anni continuava a rimanere il suo preferito, ma mentalmente si ripromise che dopo avrebbe ascoltato Let it Be; era decisamente troppo tempo che non lo sentiva.
Mugolò distrattamente le parole di Help! mentre schioccava un bacio sulla figuretta di cartone di Paul McCartney disegnata sulla copertina. - Tranquillo, amore, lo sai che io in realtà sono pazza solo di te - gli confidò sottovoce e ridacchiò.
Martina aveva da poco compiuto sedici anni e frequentava il secondo liceo. Tante cose erano cambiate da quando aveva ascoltato per la prima volta Help! nel salotto di sua nonna, innamorandosene subito; era cresciuta, era maturata, era anche diventata una bella ragazza, come non mancava mai di dirle affettuosamente la nonna; aveva dato il suo primo bacio, era stata fidanzata con due ragazzi, ma la costante della sua vita ormai erano i Beatles. L'amore per loro le sembrava qualcosa di eterno, di sacro e immutabile, che mai sarebbe cambiato; in questo si rifletteva nella nonna, che era innamorata di loro da ormai cinquant'anni. Martina era sicura che una volta arrivata alla sua età avrebbe continuato ad ascoltarli e adorarli, come lei; e, chissà, magari avrebbe trasmesso la sua stessa passione ai suoi nipoti, come aveva fatto sua nonna con lei.
Persa nei suoi pensieri e nelle note di Help! quasi non si accorse del trillo di Facebook che la avvisava che qualcuno l'aveva contattata in chat. Ne seguì un secondo, ma fu solo al terzo che Martina si riscosse e andò al computer: era la sua amica Claudia.
Leggi questa notizia!!! E vedrai che mi ringrazierai.
E sotto, un link.
Martina ci cliccò sopra. Era un articolo.
I suoi occhi si fecero sempre più grandi a ogni riga. La bocca cominciò lentamente ad aprirsi.
Arrivò alla fine.
Martina strillò.
 
 
- OH MIO DIOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! -
L'urlo spaccatimpani fece quasi prendere un infarto a Francesca, l'ignara madre di Martina, che stava guardando tranquillamente la tv. Boccheggiando per lo spavento che, ne era certa, le sarebbe costato cinque anni di vita, arrivò nella camera della figlia, trovandola in stato febbrile: le guance rosse, le mani nei capelli e gli occhi sgranati, fissava il computer ansimando.
- Martina! Si può sapere che diavolo ti è preso?! Mi hai fatto spaventare a morte! - esclamò la donna, indignata. Attirato da tutte quelle urla il figlio più piccolo, Michele, arrivò di corsa masticando un biscotto. Si fermò sulla soglia, sbirciando dentro la sorella che, ne era convinto ormai da tempo, era una pazza squilibrata e ben presto li avrebbe uccisi tutti.
Martina si girò lentamente verso di loro, gli occhi fuori fuoco, aprendo e chiudendo la bocca senza riuscire a spiccicare verbo. Michele deglutì e fece un passo indietro, aspettandosi quasi che avrebbe estratto un coltello e si sarebbe scagliata contro di loro. Diede un fugace pensiero al povero papà che tornando dal lavoro avrebbe visto i corpi straziati di moglie e figlio e attese la sua sorte stringendo i pantaloni della mamma.
Ma Martina non sembrava volersi scagliare contro nessuno. Anzi, Martina sembrava non essere proprio capace di muoversi. Li guardò per diversi secondi in silenzio, le guance infiammate, sempre aprendo e chiudendo la bocca senza riuscire a parlare. 
Intanto, Francesca stava davvero perdendo la pazienza.
- Martina! Cristo, parla, che succede?! - chiese.
Finalmente, la figlia sembrò dare segni di vita, e mormorò qualcosa di impercettibile.
- Cosa?! - domandò la mamma, che ovviamente non aveva capito niente.
Questo sembrò riscuotere la ragazza, che di scatto balzò in piedi e corse verso di lei.
Era quello che Michele stava aspettando. Arretrò, terrorizzato, battendo contro il muro, ma la sorella non si diresse contro di lui, anzi, corse ad abbracciare la madre, strillando sovreccitata.
- C'E' IL CONCERTO DI PAUL MCCARTNEY!!! OH MIO DIO MAMMA!!! TI RENDI CONTO?! IL CONCERTO DI PAUL MCCARTNEY!! PAUL MCCARTNEY VIENE IN ITALIAAAAAA!! IL VENTICINQUE GIUGNO!! A VERONA!!! OH MIO DIOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!! -
Con un'ultima "o" lunghissima e acuta - Michele si tappò le orecchie - Martina strinse con forza impressionante la madre fra le braccia e corse in cucina, strillando e saltellando.
Francesca si limitò a fissare sconvolta il corridoio, balbettando qualcosa di sconclusionato. Dov'era la bambina posata e tranquilla che aveva fino a cinque anni prima?
 
 
Martina tornò in camera sua, sempre in quello stato di esaltazione febbrile, emettendo ogni tanto uno strillo soffocato. Afferrò il primo paio di jeans che vide e se li infilò, cercando nel frattempo una maglia pulita. Dunque, la prima cosa che doveva fare era dirlo a sua nonna; fan com'era lei sarebbe sicuramente voluta venire. Poi avrebbe dovuto radunare tutti i soldi che aveva per capire quale percentuale di biglietto avrebbe potuto pagarsi - aveva letto le prime ipotesi di costo, e non erano basse - e implorare il padre con occhi supplichevoli di darle il resto. Perché lei - e questo lo considerava già scontato - sarebbe andata al concerto di Paul McCartney. Era ovvio, era affermato, non era neanche da prendere in considerazione la questione! Poi avrebbe dovuto pensare a cosa indossare - doveva essere bellissima per il concerto dell'amore della sua vita - e naturalmente pensare al miglior trucco possibile, e pensare se prendere l'aereo o il treno o magari fare l'autostop...
- Tante, troppe cose a cui pensare prima del venticinque giugno - sospirò in tono melodrammatico, correndo in bagno a darsi una rapida pettinata.
- Martina? -
Si voltò verso la soglia: era la mamma, che la fissava con uno sguardo nient'affatto promettente. Quando la guardava così non c'erano da aspettarsi belle cose. Ma l'ignara ragazza era troppo sovreccitata per accorgersi di quisquilie come queste.
- Dimmi, mamma - canticchiò, controllando che il velo di trucco fosse a posto e andando a prendere il giubbotto.
- Si può sapere dove stai andando? -
- Dalla nonna, chiaramente. Devo avvertirla della grande notizia. -
- E non puoi chiamarla? Hai finito i compiti? -
Martina alzò gli occhi al cielo. - Questa domanda me l'hai fatta già due volte. Sì, mamma, li ho finiti, santa Linda! -
- E, giusto per sapere, tu sei già ferma e decisa ad andare al concerto? Non hai pensato al parere mio e di tuo padre? -
Lei si voltò di scatto a guardarla, gli occhi sgranati. - Be', ho pensato che dei genitori tanto buoni e meravigliosi come voi non avrebbero privato la loro unica figlia femmina della gioia più grande della sua vita - rispose, facendo un sorriso angelico.
La madre alzò gli occhi al cielo. Che ruffiana, non poté fare a meno di pensare. - Vai, vai dalla nonna. Poi stasera ne discutiamo. -
- Ok. Ciao ma' - sorrise Martina, schioccandole un bacio sulla guancia. - Ciao Michele! - gridò uscendo dalla porta.
Il bambino fece un sospiro di sollievo sentendo la porta che si chiudeva. Almeno per qualche ora sarebbero stati al sicuro.
 
 
Martina corse a prendere l'autobus che l'avrebbe portata vicino alla casa della nonna. Mentre camminava di buon passo verso la fermata si rese lentamente conto della notizia, non assimilata bene, forse, per via della presenza della madre e del fratello. 
Paul McCartney! Il suo Beatle preferito! In concerto in Italia! Ma si rendeva conto di quale straordinario evento sarebbe stato?!
- ANDRO' A VEDERE PAUL MCCARTNEYYYYYY!! - strillò a tutta voce, attirandosi le occhiate allarmate e stranite di molti passanti.
- Sei fan dei Beatles? - le chiese un anziano signore sorridente.
Martina annuì. - Sono gli amori della mia vita - disse con ardore.
- Eh, bella musica quella. Che bei tempi, i loro! Che infiammavano gli stadi e le radio con la loro musica... altro che la robaccia di questi anni. -
- Sono assolutamente d'accordo con lei - affermò con fervore Martina. E poi si rianimò. - E IO ANDRO' A VEDERE PAUL!!! MA LEI SI RENDE CONTO?! SONO LA RAGAZZA PIU' FELICE DEL MONDO! - strillò, salendo di corsa sull'autobus appena arrivato.
Il signore ridacchiò. Ragazzi, beati loro, pensò.
 
 
Martina canticchiò i Beatles per tutta la durata del tragitto, immaginandosi già il concerto e pensando a quali canzoni Paul avrebbe potuto cantare. Avrebbe assolutamente dovuto fare un bis - o anche un tris, magari - di Yesterday; quella canzone era qualcosa di unico. Sicuramente ci sarebbero state Let it Be e Hey Jude; a Martina veniva la pelle d'oca al solo pensare di cantare i famosi na na na insieme a tutta l'Arena. Poi pensò per un singolo istante all'eventualità che i genitori non la mandassero al concerto e rabbrividì; non li avrebbe perdonati mai se lo avessero fatto.
Persa nei suoi pensieri, quasi non si accorse che era arrivata alla fermata giusta; se ne avvide appena in tempo e balzò in piedi, uscendo in fretta dall'autobus e incamminandosi verso la casa della nonna, poco distante da lì.
Una volta arrivata citofonò e si fece aprire; salì in tutta fretta fino al terzo piano - era ancora troppo eccitata per usare l'ascensore - e la nonna le aprì la porta, stringendola subito in un forte abbraccio.
- Martina, ma che bella sorpresa! Che bello, era tanto tempo che non venivi... -
- Una settimana e quattro giorni, nonna - precisò lei ridendo.
- Sì, vabbè, dettagli. Ma sono così contenta di vederti! Vieni, entra. -
Martina arrivò in cucina e lì ebbe una sorpresa inaspettata: c'era suo zio.
- Ciao, zio - disse sorpresa. Quanto tempo era che non lo vedeva?
- Ehi, Martina! Ciao, da quanto tempo... -
La ragazza si fece stringere in un breve abbraccio, stupita. Non aveva mai avuto grandi rapporti con lo zio, che era il fratellastro maggiore della mamma: sapeva solo che aveva vissuto con il padre - il primo marito della nonna - e che il suo rapporto con la nonna si era raffreddato parecchio: di conseguenza anche con lei e con sua madre non aveva mai avuto chissà quale grande legame. 
Lanciò una breve occhiata interrogativa alla nonna, che scrollò le spalle e fece un gesto per dire: ti spiego dopo.
- Bè, si è fatto tardi. Penso che andrò... - commentò lui dopo un breve, imbarazzato momento di silenzio.
- No, no, Giovanni, resta! Era tanto che non ci vedevamo, puoi stare ancora un po'... - disse la nonna.
- Bè... Va bene, dai - acconsentì lui, con un tono di voce improvvisamente dolce.
Lei gli sorrise, poi si rivolse alla nipote. - Allora, Martina, qual buon vento? -
- Bè... - La presenza dello zio l'aveva spiazzata. Nell'immaginarsi di comunicare la splendida notizia alla nonna loro due erano sole, nel salotto, magari con Please Please Me che suonava allegro nello stereo, e di certo non era compreso lo zio che non vedeva da... quanti erano? Due anni? Ma di certo non poteva cacciarlo via, quindi si sforzò di ignorarlo il più possibile e si rivolse alla nonna, tentando di ricomporre il sorrisone che aveva quand'era arrivata.
- Nonna, ho una notizia grandiosa da darti - le comunicò trepidante.
- Dimmi tutto. -
Martina prese un bel respiro. - Paul McCartney... -
- Sì? - la incitò la nonna, con gli occhi illuminati da un nuovo interesse.
- Viene in Italia! Il venticinque giugno! All'Arena di Verona! - esclamò la ragazza, ritrovando in pieno l'eccitazione.
- Davvero? - chiese l'anziana, con un sorriso enorme che le si disegnava sul volto.
- Sì, nonna! Ormai è ufficiale! Viene in Italia! - strillò, abbracciandola.
- Davvero? Fantastico! -
Questa volta non era stata la nonna a parlare, ma lo zio. Martina si staccò, squadrandolo con stupore.
- Ti piacciono i Beatles? -
Lui annuì, con un gran sorriso. - Devo ammettere che da ragazzo quasi non li sopportavo. Tua nonna non faceva altro che parlarne e insistere perché ascoltassi qualcosa di loro. Io, per giusta contrapposizione adolescenziale, mi rifiutavo testardamente. Ma da qualche anno... bè, devo ammettere che i Fab mi hanno conquistato. Probabilmente abbiamo qualche gene nel nostro sangue. -
- Fantastico - trillò la nonna. - Allora andiamo tutti e tre al concerto: io, tu e Martina. - 
La presenza dello zio non convinceva più di tanto la ragazza, ma sarebbe stata disposta ad andare a Verona a piedi pur di assistere al concerto, quindi annuì entusiasta.
Al contrario, il sorriso scomparve immediatamente dal volto dello zio. - Mamma, ma che dici? Sei anziana, ai concerti, soprattutto quelli importanti come questo, c'è da aspettare ore e ore per entrare, per di più questo sarà a giugno, quindi sotto un sole cocente... -
Lei liquidò le sue parole con un gesto sbrigativo della mano. - Chiacchiere. Avrò pure la mia età ma ce la faccio benissimo. Dopotutto, hai mai visto una settantenne più arzilla di me? Sei d'accordo, Martina? - le chiese con un sorriso e un occhiolino. 
Martina sentiva di non aver mai adorato la nonna come in quel momento. - Assolutamente sì - annuì con fervore. 
Lo zio sembrava già in parte rassegnato, ma continuò lo stesso a combattere la sua battaglia. - Mamma, ascoltami, per una volta. Ai concerti si scalpita, ci si spinge, ci si da' gomitate e si urla. Potrebbe essere un po' troppo per una donna della tua età. -
- So benissimo cosa comportano i concerti, Giovanni - ribatté la nonna con aria altezzosa. - Ci sono stata anch'io, sai. Ma questo non m'impedirà di accompagnare mia nipote ad ascoltare il suo, il nostro - e qui le strinse le spalle con un braccio - cantante preferito. Ce la farò, e tu lo sai benissimo. -
- Accompagnerò io Martina - insistette lui. - Ma per favore, pensa alla tua salute. -
- Oh, andiamo, Giovanni. Verrai anche tu, no? -
- Assolutamente sì - rispose lui con sicurezza.
- Allora non ho niente da temere per la mia salute - concluse la nonna con un sorriso soddisfatto. 
Lo zio sbuffò frustrato, ma non replicò più niente. Si era arreso.
Dire che Martina si sentiva al settimo cielo era dire poco. - Quindi... verrete tutti e due? - chiese trepidante, e gli adulti annuirono in contemporanea.
- Grazie mille! Zio, nonna, vi voglio bene! - strillò lei abbracciandoli entrambi con foga, e tutti e due risero inteneriti, stringendola a loro volta. Aveva già dimenticato totalmente l'imbarazzo iniziale che provava per lo zio.
Si staccò. Ora veniva un tasto dolente di cui doveva discutere. Si mordicchiò un labbro.
- Ora bisogna pensare ai prezzi - comunicò, e vide un'ombra passare sul viso della nonna che la rattristò molto. Settecento euro di pensione al mese non erano tanti. 
- A quanto stanno i biglietti? - chiese lei.
- Si parla di centocinquanta euro per la tribuna, centonovanta per la poltrona e qualcosa di più di duecento per la poltronissima. Non poco, insomma - mormorò Martina, e si rispecchiò nella delusione e nella rassegnazione che si dipinse sul viso della nonna.
- Per i prezzi non vi dovete preoccupare - intervenne lo zio, ed entrambe lo fissarono speranzose. - Sono certo di riuscire a pagarti buona parte del biglietto, Martina. E quanto a te... mamma, il tuo compleanno è il cinque giugno, no? -
La nonna annuì.
- Bene, ritieni un posto in poltrona un regalo per i tuoi settantun anni - concluse, e le sorrise. - E anche un piccolo modo per iniziare a farmi perdonare... be', di tutto. -
La nonna sgranò gli occhi, che si colmarono di gratitudine e gioia. - Giovanni... tu... non ti devi far perdonare di niente - sussurrò abbracciandolo. 
Di che parlavano? Martina non aveva mai capito esattamente quale fosse la "colpa" dello zio, se non forse quella di aver sempre ritenuto che il divorzio dei suoi genitori fosse causato dalla nonna. Probabilmente era riferito a quello. Abbassò gli occhi, lievemente imbarazzata, mentre la nonna si staccava e tentava di protestare farfugliando che avrebbe potuto benissimo pagarsi il biglietto da sola. 
- Mamma, stai zitta. Il biglietto in poltrona te lo regalo io, o giuro che non ti faccio venire al concerto - le intimò scherzosamente lo zio, e la nonna, mormorando un ultimo "grazie" si acquietò.
Martina non riusciva a credere alle sue orecchie. - Stai scherzando? Zio, andiamo in poltrona? Io pensavo di prendere i posti sulle gradinate, o proprio al massimo in tribuna... -
- Non ti preoccupare - replicò affettuosamente lui, dandole una breve carezza sulla testa. - Ho un lavoro molto ben retribuito, per fortuna, e posso permettermi spese come queste. E poi, bè, spero che questo sia solo un modo per... ricominciare tutto. Con te, mamma, e con la tua famiglia, Martina. Non abbiamo mai avuto un grandissimo rapporto, per colpe solo mie, e con questo, be', spero di iniziare a recuperare - mormorò e alzò le spalle.
Martina fu sinceramente colpita da quelle parole, che le diedero un'ottima impressione, ed ebbe la percezione di non aver mai conosciuto veramente bene lo zio, che le parve come un uomo davvero maturo - o maturato - e responsabile. Non lo diede a vedere, però, e si limitò a dargli una pacca scherzosa sul braccio e a dirgli in tono solenne: - Se veramente mi paghi un biglietto in poltrona, zio, per me sei pienamente reintegrato nella famiglia. -
Le sue parole furono seguite da sonore risate.
 
 
I successivi tre giorni la casa di Martina fu animata da vivaci discussioni. I suoi genitori continuavano a insistere che non era il caso di accettare che Giovanni le pagasse buona parte di biglietto - almeno centoventi euro, aveva detto lui, dopo che Martina gli aveva detto che da parte aveva l'ammontare di settantacinque euro - e lo zio, da parte sua, ribatteva testardo che era il minimo per tutti quegli anni in cui si era fatto vedere così poco da sua nipote. Inoltre ci fu una spettacolare discussione in cui la mamma di Martina urlò alla nonna che non era proprio il caso di comportarsi da ragazzina e rischiare la sua salute per una cosa così banale come un concerto; l'anziana signora, però, le rispose a tono dicendole che lei si sentiva perfettamente in forma, che ci sarebbero stati il figlio e la nipote con lei, e che non era una sciocca e non sarebbe mai andata se non si fosse sentita in grado.
- Anche se questo non è vero - sussurrò a Martina con un occhiolino complice, mentre la figlia abbandonava la stanza furiosa - ma non glielo dire. -
All'inizio i genitori di Martina avevano reagito diversamente alla sua supplica di mandarla al concerto; Francesca con un "no" deciso, il padre con un "forse" diplomatico (il saggio uomo non aveva voluto trovarsi in uno dei due fuochi, e si era mantenuto sul vago) ma dopo svariate preghiere e promesse della ragazza si era deciso col sì. 
Francesca era stato un altro discorso. Aveva ereditato parecchio dalla mamma, tra cui proprio la sua leggendaria testardaggine, e puntando sul fattore costa troppo si era strenuamente rifiutata. Ma una volta visto che il fratellastro, la madre e la figlia adolescente formavano un'alleanza troppo forte aveva finalmente accettato, bofonchiando che Giovanni era stato fin troppo generoso e che l'anziana mamma era un'irresponsabile.
E alla fine, dunque, dopo quei famosi Tre Giorni nonna, zio e nipote si ritrovarono davanti al computer di quest'ultima, intenti ad acquistare tre biglietti online. La donna non ne capiva niente di computer, quindi rimaneva in disparte, osservando quella macchina misteriosa con cui sua nipote sembrava destreggiarsi così bene. Giovanni la guidava man mano nei vari passaggi, e alla fine si ritrovarono nell'ultima pagina, quella della conferma definitiva dell'acquisto.
- Compriamo? - sussurrò Martina con un groppo in gola, più emozionata di quanto non volesse dare a vedere.
- Compriamo - affermò lo zio con un sorriso.
- Compriamo - concordò la nonna.
Martina cliccò.
Grazie per il vostro acquisto.
Sentì un senso profondo di esultanza e senza rendersene conto si ritrovò ad abbracciare la nonna. - Ce l'abbiamo fatta! E' ufficiale! Andiamo al concerto di Paul McCartney! -
- Che bello, tesoro - disse lei, sorridendole dolcemente.
Martina la tenne stretta ancora un po', poi si staccò dolcemente e andò a stringere lo zio, colma di sincera gratitudine. - Grazie anche a te, zio. Senza di te probabilmente non andrei a questo concerto... e apprezzo sinceramente che tu abbia voluto farmi questo regalo. -
- Ehi, di niente, piccola. Sono felice di averlo fatto - rispose lui, sorridendo.
Martina si separò dallo zio e si risiedette al computer felice e soddisfatta; decise di andare su Facebook per comunicare l'acquisto alle amiche, mentre lo zio e la nonna discutevano di cosa mangiare a cena di lì a mezz'ora - il pieno reintegramento di Giovanni nella famiglia procedeva a gonfie vele, soprattutto grazie all'intermediazione della nonna che ci teneva tantissimo a vedere i suoi figli uniti.
Canticchiando si connesse al suo account. C'erano sei notifiche. Aprì la piccola icona e il cuore le balzò in gola.
A Davide Mercanti piace la tua foto.
Si dipanò dentro di lei un'improvvisa voglia di cantare a squarciagola o di ballare la salsa, mentre il suo stomaco pareva essersi dato alla ginnastica acrobatica. Sentì nascere, senza riuscire a far niente per impedirlo, un enorme sorriso sul volto.
A Davide piace la mia foto. A Davide piace la mia foto! La mia vita è STUPENDA!



Angolo Autrice:
Ho pensato questa storia come ideale secondo capitolo della one-shot -I ricordi di una Beatlemaniaca: Martina è cresciuta e lei e la nonna continuano ad amare i Beatles come sempre. Martina nella reazione alla notizia assomiglia moltissimo a me: anche io ho strillato fino a sgolarmi, e mi è perfino scappata qualche lacrima - anche se non sono arrivata a urlare per la strada, per fortuna :'D Inoltre anche io ho considerato scontata fin da subito la mia partecipazione al concerto, con buona pace del mio papi che ha acconsentito ad accompagnarmi. Ti lovvo troppo, papà :') 

 

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Capitolo 3
*** Il concerto di due Beatlemaniache! ***


Non posso che dedicare questo capitolo a Paul McCartney. Grazie, perché esattamente due mesi fa ci hai fatto sognare con la tua musica.






25 giugno 2013.
- Marti... -
Martina dormiva della grossa, dopo che il giorno prima era andata a dormire all'una passata, in fibrillazione per quello che sarebbe stato il giorno più bello della sua vita.
- Marti, svegliati... -
Ronfava a bocca leggermente aperta, le labbra curvate in un sorriso inconsapevole. Anche nell'incoscienza il suo cervello macinava immagini e aspettative di come sarebbe stato l'indomani. Tutto perfetto, ovviamente.
- Marti, dai, svegliati. Tuo zio e tua nonna stanno arrivando a prenderti, ed è inutile dire che lei è quasi peggio di te. Sembra una ragazzina... Dai, caspita, non ti ricordi che giorno è oggi? -
La ragazza aggrottò appena le sopracciglia. Una parte del suo cervello le urlava di aprire gli occhi e balzare in piedi. Tutto il suo corpo l'esatto opposto. Che fare?
- Martina, in piedi, a-des-so! Scattare! Sono le sette e mezza del mattino, se vuoi arrivare in tempo dal tuo adorato Paul ti devi muovere a un orario decente! Di qui a Verona sono ottocento chilometri buoni, quindi muovi il sedere e datti una mossa! -
Gli ingranaggi giusti, finalmente, si mossero nella mente di Martina alle parole Paul e Verona. Tutto il suo corpo dimenticò in un attimo la catalessi di sei ore di sonno, così aprì gli occhi di scatto e balzò a sedere, mentre la familiare eccitazione che dimorava in lei da una settimana a quella parte divampava più forte che mai.
- Sono sveglia! - gridò, superando la mamma che stava uscendo dalla sua camera e correndo in bagno a sciacquarsi la faccia e lavarsi i denti a tutta velocità. Le sembrava che ogni parte del suo corpo formicolasse; avrebbe potuto saltare fino alla luna. - Nonna e zio dove stanno? Si sono mossi già? Non dovranno aspettare niente, sono già quasi pronta! - affermò, mentre correva entusiasta in camera sua a infilarsi i pantaloncini senza accorgersi dello sbaffo di dentifricio che le era rimasto su una guancia.
La madre sospirò e le andò vicino, togliendoglielo con un gesto deciso. - Martina, calmati. Loro stanno a cinque minuti da casa, li ho sentiti poco fa.
Per favore, portati un giubbotto, sembra che pioverà... -
- Pioverà?! - la interruppe lei a bocca aperta.
- Sì. Perciò nello zaino mettiti anche un paio di pantaloni lunghi, e chiaramente l'ombrello. E le scarpe chiuse. E un paio di calzini puliti... -
Lei non la stava ascoltando. Mentre si infilava la maglietta dei Beatles, la sua preferita, contemplava la possibilità che il giorno più bello della sua vita fosse rovinato. Scosse la testa, decisa. Non avrebbe permesso a una cosa banale come la pioggia di disturbare il concerto del suo Paul.
- ... mi stai ascoltando? -
- Certo, mamma - bofonchiò Martina correndo in bagno a truccarsi e anticipando per un soffio il padre che, disturbato dal trambusto, si era alzato e somigliava a uno zombie in pigiama.
Francesca si mise le mani sui fianchi, severa. - E sentiamo, cos'ho detto? -
Alla ragazza fu risparmiato l'arduo dovere di rispondere dal suono del citofono.
- Sono arrivatiiiii - trillò, felice. Corse a rispondere alla nonna che le intimò scherzosamente di scendere entro due minuti "o sarebbero partiti senza di lei".
Volò fino in camera sua per aggiungere gli abiti che le aveva suggerito la madre e farla tacere: le Superga, i jeans lunghi e il giubbotto furono ficcati senza tante cerimonie nell'ampio zaino, insieme al caos che regnava lì dentro - solo il suo prezioso biglietto e il foglio di prenotazione dell'albergo dove avrebbero dormito godevano di una posizione privilegiata in una tasca esterna. Si fermò a riflettere un attimo, poi con un'alzata di spalle aggiunse il suo beauty-case: avrebbe finito di truccarsi in hotel.
Dopo aver controllato di avere tutto si caricò lo zaino in spalla, baciò entrambi i genitori che le augurarono di divertirsi al concerto e volò fuori dalla porta, sbattendosela involontariamente alle spalle. Premette ripetutamente il bottone dell'ascensore, poi decise che non riusciva ad aspettarlo e si precipitò giù per le scale, resistendo alla tentazione di ridacchiare istericamente, cantare a squarciagola o saltare i gradini tre a tre: non voleva fare come quella sfigata di Rivoluzione n.9, il libro che aveva appena letto, dove il giorno del concerto dei Beatles l'intelligentissima protagonista decideva di scivolare lungo il corrimano e si fracassava la gamba. 
O era il braccio...?
In ogni caso, un arto fratturato di certo le sarebbe stato di ostacolo, quindi si limitò a scendere le scale il più velocemente possibile - stava solo al terzo piano, per fortuna - e uscì nel piccolo cortile del suo condominio, aprendo il cancelletto e individuando subito la Volkswagen dello zio: con un sorriso a trentadue denti aprì lo sportello e si sedette accanto alla nonna, che la salutò vivacemente e con un sorriso quasi più largo del suo. Martina la ammirò guardandola: nei suoi settantun anni era sempre bellissima, con quel vestito a fiori semplice ed estivo, il caschetto biondo dei capelli e il trucco leggero che attenuava le rughe di troppo.
- Se Paul ti vede si innamora, nonna - scherzò, facendo ridere sia lei sia lo zio Giovanni.
- In effetti non sarebbe male come terzo marito, dopo la morte del tuo povero nonno - sospirò lei. - Immagino che avrei la tua approvazione, Martina. -
- Totale - confermò lei. 
 
 
Nonostante la fervida eccitazione, Martina si addormentò un'oretta dopo al confine tra la Puglia e il Molise, sulle note di Who Wants to Live Forever dei Queen. Dormì della grossa, e si svegliò quando erano già arrivati in Abruzzo, circondati da colline e montagne più o meno alte che declinavano dolcemente fin nel mare limpido. 
- Bentornata tra noi, dormigliona - la salutò la nonna. - Poco fa Giovanni si è fermato a comprare qualcosa, dato che presumeva che non avessi fatto colazione - disse alzando un sacchetto da dove proveniva un buon profumino di cornetti.
- Hai indovinato, zio - confermò Martina addentando il primo croissant alla marmellata. Si stiracchiò, guardando l'orario: le undici. 
Fra dieci ore esatte probabilmente starò urlando verso Paul che starà entrando sul palco, pensò la ragazza con un tuffo al cuore.
 
 
Il tempo, così come la strada sotto i loro piedi - o meglio, sotto la loro macchina - sembrava non passare mai: le undici e un quarto, e mezza, le dodici, l'una, pausa per pranzare, le due,  l'Abruzzo, le Marche, l'Emilia Romagna. I secondi e i chilometri gocciolavano lenti sotto il sole impietoso di fine giugno; Martina li poteva quasi percepire, che rallentavano apposta per farsi beffe di lei e del suo desiderio di arrivare a Verona il prima possibile. Mandava messaggi, chiacchierava con la nonna e lo zio, canticchiava, ascoltava musica, guardava l'Italia che scorreva sotto i suoi occhi, eppure niente sembrava ingannare il tempo.
Finalmente, in due ore e mezza che le parvero ventidue, entrarono a Verona. Martina sospirò di sollievo, guardando case, persone e negozi sostituirsi alle autostrade e ai grossi cartelli stradali.
- Accidenti, che brutto tempo - commentò la nonna, un filo di preoccupazione nel tono di voce. La ragazza alzò lo sguardo al cielo: effettivamente grossi nuvoloni stavano progressivamente prendendo il posto all'azzurro brillante che aveva dominato fino in Emilia Romagna, e il sole era ormai accerchiato da quell'ammasso grigiastro e inquietante.
Che palle... - Speriamo che non piova - mormorò.
- O meglio, speriamo piova adesso e non stasera - la corresse lo zio.
- Giusto - concordò Martina. 
In qualche minuto arrivarono in albergo, dove ci fu un generale momento di panico quando Martina non trovò i suoi documenti là dove avrebbero dovuto stare; fortunatamente, li ripescò poco dopo da una tasca del suo zaino. Alle cinque meno due minuti aprirono la porta della loro camera tripla, e Giovanni si buttò immediatamente sul letto, sbuffando.
- Che fatica! E' stremante guidare per così tanto tempo. - Sbadigliò. - Svegliatemi fra tre quarti d'ora. -
E senza aspettare risposte, si voltò vestito di tutto punto e iniziò a ronfare.
- Ecco, e neanche le scarpe si è tolto. Ma a tutto io devo pensare... - sbuffò affettuosamente la nonna, sfilandogliele. 
Dopo aver finito di truccarsi, Martina si accucciò accanto a lei, che faceva zapping annoiata, e si mise ad aspettare.
 
 
Un'ora e un quarto dopo, zio, nonna e nipote uscivano dall'albergo riparandosi sotto gli ombrelli da una pioggia torrenziale, che picchiettava senza pietà ogni loro parte scoperta. Man mano che si avvicinavano all'Arena facendo lo slalom tra le pozzanghere Martina notava sempre più persone con magliette, cappellini o borse dei Beatles, e nonostante la pioggia si sentì stringere il cuore in una morsa di euforia feroce; era tutto vero, stava per assistere al concerto di uno dei Fab Four.
Svoltarono un angolo ed eccola: davanti a lei, l'Arena di Verona si stagliava contro il cielo grigio. Notò come esternamente fosse simile al Colosseo, con quei grandi archi a brevi intervalli regolari, sebbene fosse più piccola e quasi del tutta integra, ma la sua attenzione fu catturata quasi subito dalla fiumana di gente che la circondava.
C'erano persone di entrambi i sessi e di tutte le età. Adolescenti che cantavano e ridevano incuranti della pioggia, ragazzini di qualche anno più piccoli di lei mano nella mano coi genitori, uomini adulti che conversavano animatamente, donne anche anziane che tentavano di ripararsi come potevano; persone di ogni tipo, tutti accomunati dalla passione per la musica dei Beatles e di Paul McCartney. Martina si sentì allargare il cuore, e un grande sorriso le sbocciò automaticamente sul volto: era bello vedere quella grande varietà di gente che condivideva la sua stessa passione.
Con un po' di fatica - una parte della strada era transennata - girarono intorno all'Arena e trovarono il cancello indicato sul biglietto, da dove sarebbero dovuti entrare. Martina sospirò profondamente e iniziò l'ennesima attesa della giornata.
 
 
Alle sette, finalmente, aprirono l'ingresso, e d'istinto tutta la gente accalcata intorno ad esso esplose in un boato. 
- Forza, mamma, vieni! - gridò Giovanni prendendole la mano, che a sua volta afferrò Martina in tempo per non essere separate dalla folla che si affrettava intorno all'entrata.
- Teniamoci forte, Marti... non oso pensare a cosa succederebbe se ci perdessimo... -
- Non accadrà, tranquilla - la rassicurò lei, lasciandosi guidare dallo zio che capeggiava la loro piccola fila e si faceva strada a furia di "mia madre è anziana, mi lasci passare, per favore".
- Mi sta facendo apparire come la vecchietta bisognosa di turno - brontolò la donna, attenta a non farsi sentire, e Martina si lasciò scappare una risatina.
Finalmente riuscirono ad arrivare al cancello, e dopo aver fatto controllare i loro biglietti poterono finalmente entrare. La ragazza tirò un gran sospirone di sollievo. 
- Siamo dentro, siamo dentro! - strillò e rise, correndo fino alle scale. 
- Dai, che fra due ore c'è Paul! -
- Aspetta, Martina, non ho più l'età per correre! - sfiatò la nonna e cercò di affrettarsi per raggiungere l'entusiasta nipote, che arrivata in cima alle scale fissava il grosso palco nero con la batteria e gli amplificatori già sistemati sopra. Si immaginò Paul che lo percorreva cantando e un fremito la percorse.
- Forza, venite! - disse a zio e nonna e scese di corsa gli spalti, spostando lo sguardo con attenzione per cercare di individuare i loro posti; dopo cinque minuti di ricerche li trovarono e si sedettero insieme sulle poltroncine, soddisfatti.
Ormai manca veramente poco, rifletté Martina col cuore che le frullava in petto come un colibrì. Sono solo due ore. Due ore, e vedrò Paul!
 
 
Le nove arrivarono e passarono: alle nove e un quarto Paul non era ancora salito sul palco, anche se in compenso sui grandi schermi laterali erano scorse foto e immagini molto artistiche di lui, che lo ritraevano fin dalla sua infanzia, e il pubblico aveva potuto ascoltare canzoni dei Beatles remixate e non, come Twist and Shout e Octopus's Garden. Martina si sentiva come se avesse un porcospino sulla sedia: continuava a fare su e giù, talmente era la sua impazienza. Si domandò se Paul fosse davvero così sadico da lasciarli in attesa più del dovuto.
- Dai, Paul, vieni fuori! Non fare il timido! - gridò, e l'uomo seduto accanto a lei scoppiò a ridere. Lo ignorò. - Ma anche al concerto di Milano del '65 si comportarono così? - chiese alla nonna, che si sforzò di ricordare.
- Sinceramente non lo so - si scusò. - Rammento tutto del concerto, ma dell'attesa ben poco. -
Fu un attimo. Come se lo avessero  chiamato, i riflettori si accesero tutto d'un tratto e Martina si voltò a fissare il palco, il cuore in gola che triplicava i battiti, le mani che tremavano. Ti prego, fa' che sia l'ora, fa' che sia l'ora...
Vide entrare diverse persone, un grosso omaccione di colore, un chitarrista biondo, un altro... e infine fece il suo ingresso sul palco l'uomo che agognavano tutti, i capelli castani ordinatamente pettinati, il volto allegro visibile anche a diversi metri, in giacca e pantaloni scuri. Paul McCartney salutò l'Arena che esplose in un boato, e Martina prima che se ne rendesse conto era scattata in piedi a urlare a squarciagola, le mani al volto, le gambe che le tremavano dallo shock, il freddo che la pizzicava le parti scoperte del suo corpo totalmente dimenticato, perché Paul McCartney era lì, Paul McCartney era lì davanti ai suoi occhi, non falso e distante come tutte le volte che lo aveva guardato in video al computer ma lì, in carne ed ossa, lì, in forma come non mai nonostante i settant'anni passati, e si stava sistemando il basso tra le braccia e la musica di Eight Days a Week iniziò allegra, e Martina senza rendersene conto aveva iniziato a piangere cantando con tutto il fiato che aveva in gola, perché sapeva le parole a memoria, stava cantando in contemporanea con Paul McCartney che era lì, sentiva la sua voce rimbombare nel petto, nel cuore, nell'anima. La lunga attesa era finalmente terminata e non avrebbe mai smesso di ripeterselo, era lì, era lì, era lì, e se si fosse girata avrebbe notato sua nonna che piangeva talmente tanto che non aveva neanche il fiato per cantare, perché non avrebbe mai immaginato di rivederlo, l'amore di tutta una vita, e invece lei era lì e lo ascoltava che cantava, e Paul era lì, era lì, era lì. 
Paul finì di cantare e le note finali di Eight Days a Week vennero sommerse dalle urla dei fan.
- Ciao, Verona! Siete tutti matti! - salutò lui col sorriso sulle labbra, e nonna e nipote risero mentre si asciugavano le lacrime.
 
 
Tre ore dopo Martina usciva dall'Arena completamente stordita, il cuore che batteva furiosamente e gambe e braccia che tremavano. Aveva un sorriso enorme che non riusciva a cancellare dal volto, il volto umido per tutte le lacrime che aveva versato e la gola secca e riarsa per quanto forte aveva urlato e cantato; il suo cervello, scombussolato dall'euforia, non faceva che riprodurre un'unica convinzione: quelle erano state le tre ore migliori della sua vita, senza ombra di dubbio. Quel concerto era stata la cosa migliore che potesse desiderare. Non sapeva quali momenti fossero stati i più belli, se quelli in cui Paul aveva interagito in italiano col pubblico facendoli ridere - ecco un'altra qualità da aggiungere al suo infinito elenco, aveva pensato Martina, è divertente e di spirito - o quello in cui aveva detto nella sua pronuncia zoppicante "dedico questa canzone al mio amico John" e aveva iniziato a cantare Here Today, o quando aveva dedicato a George Something, o il momento in cui Martina si era alzata in piedi con tutta l'Arena cantando con tutta la forza che aveva i na na na na di Hey Jude, o i minuti finali, quando aveva suonato Yesterday e lei, cosciente che Paul stesse per andare via, aveva ripreso a piangere, pensando che l'avrebbe voluto lì in eterno, che avrebbe voluto che quelle ore meravigliose non cessassero mai. 
- E' stato... - sussurrò rivolta a nessuno in particolare, poi le mancò la voce. Non trovava un aggettivo adeguato a quella serata. Inaspettatamente, si sentì stringere le spalle dalla nonna.
- Sì, lo so - confermò lei, e Martina non si sorprese di udire una voce roca e tremante quanto la sua. 
Grazie, Paul, pensarono in contemporanea.
 
 
- Ci saremo al prossimo concerto di Paul in Italia, vero? -
- Certo, Martina. Senza ombra di dubbio. -
 

 
 
ANGOLO AUTRICE:
E così finisce qua la breve minilong delle mirabolanti avventure(?) di queste due folli Beatlemaniache. E' la prima storia a più capitoli che scrivo (anche se i capitoli in questione sono solo tre) e in un certo senso mi dispiace lasciare nonna e nipote, che potrebbero essere entrambe due mie alter-ego, presumo (sono stata attenta a non fare Martina uguale a me, seppure mi assomigli comunque, e la nonna è proprio come mi vedo io da anziana) quindi boh... se mi viene l'ispirazione potrei scrivere qualche altra cosuccia. Non prometto niente, però, tutto dipende dall'ispirazione, appunto. Ultima cosa: ma lo sapete che sto capitolo non mi ha mai convinta del tutto? Fin da quando ho iniziato a scriverlo, qualche settimana fa, ho tentato di aggiustare in ogni modo quella prima parte, ma boh, non mi piace quanto gli altri due. Ma mi ero promessa che il limite massimo era oggi, quindi eccomi qui. 
Oh, altra cosa: il libro Rivoluzione n.9 esiste davvero, io l'ho letto e c'è davvero quella scena. Non la commento perché altrimenti potrei diventare volgare, LOL(?).
Termino qui queste note che fra poco diventano più lunghe del capitolo ^^" hasta luego a todos! :*

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