Garden Paradise

di Scaramouch_e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo. ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!

Buona lettura ;)!


Garden Paradise


Primavera.

John Watson, ex soldato dell’Impero Britannico, camminava affaticato su per la collina che l’avrebbe portato all’affascinante Manor degli Holmes. Conosceva quella casa. Ne aveva sentito parlare da soldati quando era ancora all’accampamento. Era una casa in cui si curavano i soldati feriti. E lui era ferito. E aveva bisogno di cure. Si fermò un attimo a prendere fiato, guardandosi intorno: il prato era perfettamente curato, il cielo era azzurro limpido senza che nemmeno una nuvola potesse turbarlo… sembrava il paradiso, ma il povero John Watson non ebbe il tempo di godersi l’atmosfera, perché all’improvviso la stanchezza ebbe la meglio, facendolo cadere a terra svenuto.
John Watson si risvegliò al caldo e sul morbido. Si guardò intorno, sbattendo le palpebre lentamente. Non aveva mai visto nulla di simile da molto tempo, da un anno e tre giorni, per essere precisi… ormai contava anche i giorni che lo separavano dal ritorno al mondo civile. Un sospiro gli si formò dalle labbra sottili eppure morbide, uno sguardo più in generale alla camera gli fece capire di essere finalmente giunto all’Holmes Manor: quella stanza dalle pareti di legno, quel letto soffice, con lenzuola morbide e profumate di fresco, e le cassettiere in legno pregiato… era certamente  giunto al luogo di destinazione. Si rimise meglio sotto le coperte, tirandosi fino al naso le lenzuola e pensando che poteva anche dormire, perché a lui avrebbe pensato qualcun altro e, forte di questo pensiero rassicurante, incominciò a cadere in uno nello stato di quiescenza del dormiveglia … e si sarebbe proprio addormentato se non fosse stato per la porta che pian piano si aprì… comparve una giovane donna che portava degli asciugamani: la donna si voltò verso John e il commilitone vide un corpo florido, un viso rotondo, due occhi azzurri e capelli castano chiari. La donna, quando capì che era sveglio, sussultò, facendo cadere un po’ di panni a terra.

“Oh, mi scusi… Non sapevo che lei fosse sveglio.” Sorrise, poi avvicinandosi al soldato, posò la mano sulla fronte e John sospirò di sollievo.
“Le era salita la febbre, signor Watson.” Spiegò la donna.
“Come fate a sapere il mio cognome?” John Watson era inorridito… non è che avevano visto nella sacca con la quale era arrivato?
“A proposito, dov’è la mia sacca? E i miei vestiti?” domandò sentendosi spogliato, nudo.

“I vestiti sono questi, puliti e freschi. In quanto alla sacca, sta là, sulla scrivania.” La donna indicò vicino alla finestra, dove John vide il suo borsone. Sospirò di felicità. “In quanto come faccio a sapere il vostro cognome, purtroppo non ho i ‘poteri’ dei miei due padroni. Ho dovuto guardare nei vostri vestiti. Mi dispiace.” Il viso della donna si tinse di rosso, John sorrise intenerito. Sembrava che avesse visto poco e, che fortunatamente non aveva trovato niente riguardo alla Lettera.
“Dove sono i signori Holmes?”

“Oh.” La donna sorrise. “Sherlock dovrebbe essere a caccia con il padre. E Mycroft Holmes dovrebbe essere impegnato con il signor Le… con una faccenda personale. Se vuole li cerco, e li faccio venire qui immediatamente.”
“La ringrazio signorina, vorrei proprio parlarci e spiegare loro perché mi sono fatto trovare svenuto in un campo… a proposito: chi mi ha trovato?”
“Sherlock.” Fu la risposta della ragazza, che posò i vestiti sulla scrivania, prima di sorridere timidamente al soldato ferito.
“La ringrazio signori…. Qual è il suo nome?”
“Mi chiamo Mary, Mary Mostran. E mi può dare del tu… sono solo una cameriera, non la padrona della casa.”
“Mary, la ringrazio molto.”



***



“No. Ho detto no.”
“Mycroft… Ascolti, non vorrei mai arrivare a questo, ma: lei dovrebbe sapere bene che per noi è molto importante il suo patrimonio e che faremmo di tutto pur di prendercelo… persino rivolgerci a un avvocato!”
“Mamma!” Gergory Lestrade era stupito… ecco a cosa riduceva la povertà… a esseri che pensavano solo ai propri comodi, a non crescere da soli come lui voleva fare, se solo sua mamma non si fosse messa in testa di andare a protestare con suo… padre… non poteva credere di essere figlio di Robert Holmes, IV duca di Northblack e di stare parlando, discutendo con suo… fratellastro. Guardò quell’uomo imponente dallo sguardo di ghiaccio e lo trovò quasi attraente. Arrossì, ma prese parola, nonostante l’occhiata di sua mamma.

“Non vogliamo fare del male, non ne saremmo capaci… signor Holmes, ma mia mamma vorrebbe solo gli stessi diritti anche se so di non poter aver nemmeno un penny da voi... Sì, mamma… io studio legge e so queste cose… so che un bastardo non può avere nulla e anche se chiamassimo il migliore degli avvocati, non potremmo pretendere niente da loro.”
“Ma Sir Robert… ti ha fatto per amore, perché era innamorato di me… non di Violet Barrymoore.” Quel nome lo disse quasi sputandolo… Come fosse un insulto. A Gregory faceva male vedere il volto di sua madre così turbato e reso cattivo.
“Signora Lestrade, si calmi. Non insulti il nome di mia madre. Suo figlio per di più ha ragione: lei non può nulla contro di noi. Suo figlio è un bastardo. Se ne vada, per favore.”
“Lei non ci può trattare così. Io ho bisogno di soldi: da quando il mio defunto marito è morto, la mia attività si sta sgretolando. Lei è un bastardo, signor Holmes, scommetto che se mi avesse fatto parlare con suo padre avrei ottenuto tutto… il mio Robert era così buono.” Isobel Lestrade scoppiò a piangere. E Gregory sospirò, prendendo la madre per le spalle.
“Andiamo, mamma… andiamo…” mormorò, portandosi via la vecchia signora.

Mycroft Holmes si mise le mani nei capelli, sospirando. Era stanco, veramente stanco. Stanco dei Lestrade, stanco di suo padre che non faceva mai nulla e che lasciava tutto a lui, stanco di suo fratello minore, che invece faceva anche troppo.

“Signor Holmes, mi scusi…” Mary sbucò dalla porta dalla quale se n’erano andati i Lestrade.
“Dimmi, Mary.”
“Il Signor Watson si è svegliato.”
“Arrivo.” Sospirò Mycroft alzandosi dalla poltrona e seguendo Mary. “Mio fratello?”
“Arriva anche lui, e anche vostro padre.” Disse la donna.
“Oh, bene.” Disse sarcasticamente Mycroft imponendosi una maschera di freddezza.

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Ebbene sì. Sono di nuovo io, lo so che devo pubblicare altro ma, come sapete bene, quando l'ispirazione viene viene... Spero che questo prima capitolo vi piaccia, lo so che non c'è ancora Sherlock, ma nel prossimo vi prometto che ci sarà.

Questa fanfic è dedicata sia alla mia carissima beta, Charme, che mi aiuta sempre, sia alle ragazze del TCTH grazie mille, sono davvero orgogliosa di farne parte. Voglio augurarvi in oltre buon anno a tutti voi. Vi voglio bene <3

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno. ***


Cap II
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!

Buona lettura ;)!


Garden Paradise


Sherlock Holmes aveva sentito i passi della giovane cameriera ed era sceso da cavallo quando essa si era fatta vicina.

La donna era rossa in viso, aveva il fiatone e i capelli erano sconvolti per via della corsa. Non ci voleva un genio per dedurre che qualcosa l’aveva scossa nel profondo.
E Sherlock Holmes era non solo un genio, ma anche un buon osservatore e quindi colse tutto ciò in meno di un minuto, arrivando a chiedere cosa le fosse successo.
“Signori Holmes, mi scusino per la mia invadenza, ma il signor Watson si è svegliato e desira parlarvi.” Disse la giovane cameriera dopo un breve inchino.
Sherlock Holmes guardò suo padre che dopo un attimo scese da cavallo.
“Mycroft lo sa?” domandò.
“No, pensavo di riferirglielo dopo avervi parlato.”
“Molto bene, potete dirgli che lo aspettiamo nella camera dell’uomo.”
Mary fece un breve inchino prima di scomparire di nuovo nella casa, svelta com’era arrivata.

Sherlock studiò suo padre e capì che, come lui era molto curioso di scoprire qualcosa sul passato dell’uomo che avevano trovato non che Sherlock non avesse già dedotto tutto: sapeva che si chiamava John Watson grazie ai documenti trovati dalla cameriera, ma era riuscito a dedurre altro solo da un’occhiata superficiale. L’uomo che aveva raccolto era abbronzato e questo faceva supporre che fosse un soldato, in quanto nessun signorotto di campagna si abbronzava così tanto, aveva anche una piccola ferita alla spalla e questo faceva confermare l’ipotesi del soldato… infatti la ferita era a forma di proiettile, ma era piccola e l’avevano subito curato… non erano i malanni fisici, però, a interessare Sherlock Holmes, bensì le malattie della mente: e di malattie quel soldato doveva averne vissute nel profondo, perché il minore degli Holmes gli era rimasto vicino dormendogli accanto per i due giorni in cui era stato incosciente e aveva visto incubi e deliri colorare la fronte di John Watson.

 Ma comunque c’erano non pochi misteri riguardo questa nuova e intrigante figura che Sherlock Holmes voleva risolvere.
“Andiamo.” Comandò sir Robert Holmes a Sherlock e quest’ultimo ritornò nella realtà.
Da che i suoi genitori avevano deciso di aprire la casa ai malati bisognosi – non sapeva con quanta simpatia da parte di sua madre – con la guerra incalzante e la ferita alla gamba di suo padre, vecchia e curata, ma mai dimenticata, che gli avrebbe impedito di andare a combattere, c’era sempre molta gente che andava a curarsi a casa loro, ormai non più Holmes’ Manor, ma Garden Paradise, il Giardino del Paradiso. -Che nome stupido.- pensava Sherlock, eppure, nonostante tutto, era felice di poter dare una mano, molto più felice rispetto a Mycroft, che era invece sempre freddo e impostato, quando si trattava di aiutare giovani uomini, ma per Sherlock era tutto diverso.
Lui non lo faceva per carità cristiana, bensì per studiare l’animo delle persone, cercare di capirle… arrivava persino a scontrarsi con loro, pur di avere qualcosa da fare…  
che ci poteva fare? Si annoiava, in quella grande casa, dove conosceva tutto e tutti… e invece vedere nuove presone, conoscere i loro segreti, studiarli e infine metterli nel suo palazzo mentale…. Era soddisfacente e ringraziava ogni giorno suo padre e la sua “Stramba idea” come diceva sua nonna, Lady Cora.  

Si mossero, padre e figlio, per entrare nella grande tenuta che era la loro dimora da generazioni.
“Nostra madre?” domandò Sherlock fissando il padre diritto negli occhi, al che l’uomo rispose con un sorrisetto mesto.
“Vostra madre meno sa e meglio è per noi… sai com’è lei… la turberebbe troppo.”
“Già, lei non ha le stesse inclinazioni di noi Holmes.”
Inclinazioni a osservare, vedere e scoprire, avere una mente geniale… tutte cose che facevano di quei uomini delle persone da temere… infatti erano considerati da tutti – compresa dalla loro mamma e moglie – dei tipi strambi. E questo aveva creato attorno a Sherlock e al fratello una rete di profonda avversione verso il prossimo e le loro mente così debole da far rabbrividire persino i loro cari.
 “Vogliamo entrare?” domandò  il padre, quando si ritrovarono davanti alla porta della stanza dell’uomo.  
Sherlock aprì la porta con mano ferma,  non dando a vedere la gioia di poter parlare, finalmente, con l’uomo che aveva stregato i suoi sogni.   

John Watson si era alzato, e gli dava le spalle nude. La sua postura era chinata e Sherlock osservò che si stava mettendo i pantaloni color cachi che aveva lasciato a Mary da portargli, e doveva ammettere che da quel vedeva gli stavano magnificamente (punto e virgola) infatti creavano un forte contrasto con la lieve abbronzatura del soldato; la schiena diritta e le spalle possent finivano con le braccia forti e dalle mani salde dita lunghe  che stavano chiudendo i bottoni del pantalone e i capelli di un biondo cenere facevano da contrasto con il colorito ambrato della pelle… Sherlock questi particolari li sapeva benissimo, in quanto era stato due notti a vegliare e a guardare John Watson: ora quello che voleva vedere erano gli occhi… perché si sa che gli occhi sono lo specchio dell’anima.

“John Watson.” Suo padre, palesemente divertito da ciò che il giovane stava facendo, richiamò il soldato alla realtà.
John si voltò verso padre e figlio stando sull’attenti e Sherlock poté finalmente studiarsi bene il viso del giovane: aveva un naso un po’ grande, a patata, una bocca sottile e delle rughe che gli davano espressione attorno alla fronte e vicino agli occhi. E gli occhi erano due pozze: due pozze d’acqua nel quale annegare, due pozze d’acqua scura e assolutamente espressivi aperti in quel momento in un'espressione  di pura sorpresa oltre che di paura, forse.
“State rilassato, non siamo in guerra… o meglio non lo siamo qua.” Suo padre sorrise, gesticolando con la mano per fargli capire come doveva stare.
Il soldato,  si rilassò prendendo aria e fissando negli occhi suo padre.
“Come mai siete giunto fino a qui, John?” domandò Robert Holmes. Erano domande che suo padre faceva a tutti i soldati e lui Sherlock conosceva già tutte le risposte, eppure questa volta ascoltò con particolare interesse.
“Non vi voglio dire una bugia, duca.”
Incominciò John; aveva una bella voce, forte e chiara.
“I miei superiori non sanno che sono qui, ma loro si trovano lontano, hanno infatti lasciato la postazione – che è qui vicino – per andare in avanscoperta perché si temeva l’attacco del nemico. Hanno lasciato a Thomas Anderson* il compito di badare agli altri, ma quello che ha richiamato via i nostri superiori era un attacco a sorpresa per colpirci, visto che siamo l’unica fortezza rimasta qui, in questa parte della Gran Bretagna. Quando nel cuore della notte quei bastardi sono piombati giù dalle colline, noi siamo rimasti impreparati. Non voglio esprimere opinioni sui miei compagni, ma trovo che Anderson non sia degno di far parte dell’esercito. Non ha fatto assolutamente niente per opporre resistenza all’attacco, arrendendosi passivamente. Io sono riuscito a fuggire solo per miracolo, ma ho visto Anderson e gli altri che venivano fatti prigionieri.”
Il soldato finì di raccontare e Robert Holmes guardò John Watson negli occhi con un'espressione allarmata.
“Se è così bisogna al più presto avvertire le autorità per cercare di prepararci a un altro attacco, probabilmente quello definitivo, ma come mai nessuno ne sa nulla?”

“Ovvio. Perché era un attacco a sorpresa e nessuno ne doveva sapere, nemmeno voi, padre.”
Con queste parole Mycroft Holmes fece la sua comparsa nella stanza, portandosi dietro un’aria grave per tutto quello che si porta con sè. 
Prima Lestrade, poi il soldato John Watson, unico – o così si sperava – sopravvissuto all’attacco da parte del nemico; suo padre e suo fratello minore che adesso ne apevano quanto lui su questa faccenda che in teoria sarebbe dovuta essere essere segreta doveva darsi da fare, doveva contattare la Regina... era lei l’unica in grado di fare qualcosa per John Watson. In quanto a Lestrade, doveva assolutamente farlo tacere perché così non andava bene, poteva renderlo suo alleato… in modo da renderlo innocuo e tenerlo buon solo come… aveva visto gli sguardi che gli lanciava, eppure, non poteva credere a tanta fortuna! 
Per suo fratello e suo padre doveva sopportare la storia di John Watson. Non era tanto difficile, dopotutto.
“Lasciate che mi presenti. Il mio nome è Mycroft Holmes, sono il fratello di Sherlock, colui che l’ha ritrovata, e sono il figlio maggiore di Robert Holmes. Lei può restare il tempo che vuole a Garden Paradise, noi ci occuperemo di lei e si lasci dietro il passato, me ne prenderò cura personalmente. Sherlock, perché non fai vedere la tenuta al nostro ospite?”
Domandò al fratellino, che lo fissava con in viso un’espressione stupita… non capiva infatti da dove venisse tutto questo buonumore.
“Io devo andare a trovare una persona, vogliate scusarmi."

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Eccomi qua ad aggiornare con questo capitolo abbastanza lungo; o meglio più degli altri! Spero tanto che vi piaccia...
e mi raccomando:

Non si vive di sole letture, quindi ricordati di...



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*visto che nel telfilm, non si fa cenno di un nome per Anderson, per me è Thomas.


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Capitolo 3
*** Capitolo Due. ***


Cap 3
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!

Buona lettura ;)!


Garden Paradise

Sherlock Holmes osservava rapito un piccolo ragno che gli solleticava il polso destro.

Sorrise, più incuriosito che spaventato. A lui i ragni piacevano, così come tutti gli insetti… li trovava affascinanti in realtà.
“Signor Holmes.” Moriarty, il suo personale maggiordomo, interruppe la sua pace.
Sherlock sbuffò e si alzò dall’erba alta per farsi vedere da James Moriarty, il quale gli andò incontro con la camminata un po’ ciondoloni. Quasi non sembrava un uomo. Sembra un po’ un ragno che camminava sopra a una ragnatela. E forse per questo piaceva tanto a Sherlock.
Moriarty si avvicinò al suo padrone e lo esaminò: avvicinò la mano al braccio destro di Sherlock e gettò a terra il ragnetto che era salito fino al gomito del nobile.
“È meglio che vi presentiate pulito, mister Holmes. C’è Lady Cora a casa.”  Sibilò.
Lady Cora era sua nonna.
Una donna di bell’aspetto, se si consideravano gli anni che gravavano sul volto rugoso, ma con un caratterino niente male: sarcastica e pungente.
E forse era proprio da lei, così diceva spesso sua madre lady Violet, che doveva aver preso suo figlio minore.
Sherlock Holmes sbuffò. Per quanto adorasse sua nonna, non voleva ricevere visite. Voleva stare nel prato a parlare con gli insetti e a fantasticare su John Watson il quale occupava già gran parte del suo palazzo mentale.
“C’è anche il signor Watson, con loro.”   
Gli occhi chiari si strinsero e l’espressione da annoiata divenne corrucciata.
“Che ne sai che è proprio John che occupa il mio pensiero?” domandò Sherlock.
“So molte cose, signor Holmes. Io osservo proprio come osserva lei, e osservando s’impara. Forza, mister Holmes, andiamo: vostra nonna vi aspetta.” Il domestico parve quasi seccato dalla domanda di Sherlock, molto più di Sherlock stesso, che sbuffò.
Beh, se quella giornata era iniziata in maniera quasi normale, per non dire noiosa, almeno si concludeva in modo divertente. Sua nonna era un esemplare molto simile a lui, e Sherlock si divertiva a osservarla.

Nel salotto c’era una certa tensione: Lady Violet Holmes e Lady Cora Holmes si osservavano inquiete.
Il povero John Watson non sapeva che pesci pigliare… era sceso dalla sua stanza con l’idea di prendere un giornale e di mettersi tranquillamente a leggere, senza mai sospettare di trovare le due anziane donne che si guardavano senza parlare né fare alcunché.
Aveva cercato di parlare con le due signore, ma entrambe l’avevano guardato ed erano rimaste in silenzio, allora lui, con discrezione, aveva chiamato, tramite un campanello, il domestico personale di Sherlock Holmes e gli aveva chiesto il favore di farlo intervenire nella non-discussione fra le due signore.
Il domestico aveva annuito ed era andato a chiamare Sherlock.
Perché aveva pensato al minore degli Holmes, e non al maggiore? Non lo sapeva, ma forse perché aveva pensato che potesse gestire al meglio le due donne.
Ora stava aspettando il minore dietro un divano, appoggiato ad esso con atteggiamento militare, il corpo vestito di un pantalone bianco, e una semplice camicia rosso cupo, il tutto prestato dal suo padrone di casa, il quale arrivò dopo un tempo che sembrò infinito.

Il corpo magro racchiuso in dei pantaloni neri e in una camicia viola, i capelli neri così neri da sembrare ali di corvo e gli occhi azzurri un po’ sorridenti e un po’ scocciati… quante volte John Watson si era perso ad osservare quella bella figura? Troppe volte, e lui non poteva, né voleva, in realtà, pensare che stesse per nascere qualcosa di sbagliato in lui.
Non si poteva provare un desiderio per un altro uomo. Il suo passato era purtroppo costellato da desideri sbagliati e da errori che non voleva assolutamente ripetere, soprattutto perché a quella famiglia doveva molto.
“John.” Il suo nome, detto da quella voce roca e baritonale, fece fremere John, che sorrise, vedendosi ricambiato immediatamente.
“Mi diceva Jim che ci sono problemi.”
John indicò la finestra, oltre la quale si poteva scorgere il salotto, dove su un divano, sedute rigidamente, c’erano le due signore.
“Oh, nonna.” Sherlock si illuminò tutto, e scivolò verso la vecchia signora per baciarle le guance e mettersi fra lei e sua madre quasi a voler essere un angelo protettore.

“Ciao, Sherlock. Allora, come stai? Tua mamma è stata così scortese da non dirmi nulla di te, e se non fosse stato per questo giovinotto così cortese, non ti avrei proprio visto. Non è vero, Violet?”

“Oh, nonna. Va tutto bene!” disse Sherlock facendo finta di non notare che quando sua nonna si era rivolta a sua mamma, sua madre aveva voltato il viso dall’altra parte.
Un comportamento inutile e infantile, soprattutto se praticato davanti a un ospite, era questo che pensava Sherlock mentre fissava la delicata mamma.
Ma non sapeva davvero  come fosse iniziato l’odio che nutriva sua nonna – perché era quest’ultima che disapprovava sua mamma.
Per suo padre era iniziato tutto perché sua madre era Americana e sua nonna Inglese, di Londra, e la vecchia donna disapprovava gli Americani… lui non aveva idea, eppure aveva il sentore che dovesse essere stato scaturito da qualcosa di più profondo di una semplice diffidenza dovuta alla nazionalità.

“Sono veramente felice per te. Sei veramente un bel ragazzo, Sherlock. Dimmi un po’, nipote… quanti anni hai?”
 
 “Nonna, ho 38 anni.”
Si scambiò uno sguardo con sua mamma, capendo che se sua nonna si fosse azzardata a dire di più, ci sarebbe rimasta male… per questo rimase semplicemente zitto, scambiando solo un altro sguardo con il soldato che guardava proprio lui dall’altra parte della stanza.
Sua nonna, al fin riprese:
“C’è Robert o Mycroft?” fortunatamente Lady Cora, si era trattenuta da dire alcun che e questo fece alleggerire la tensione nella stanza. Doveva aver capito, che non era il caso di intromettersi nelle faccende famigliari.
“Non ci sono, nonna, papà è a giocare a brigde con i suoi amici, e Mycroft… dio solo sa dov’è Mycroft.”
“Beh, volevo solo farlo sapere anche a loro, ma visto che non ci sono… mi trasferisco per un po’ di tempo qui, a Garden Paradise.”

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Capitolo di passaggio. Piccolo e quasi inconcludente, lo so. Ma serviva per presentare James Moriarty e Lady Cora, che saranno due personaggi fondamentali per Garden Paradise.

Una curiosità: il nome Cora, non è del tutto mio, ma è un omaggio alla serie da cui ho preso ispirazione Downton, così si chiamava la mamma delle protagoniste.

Ps. prima che ve ne andiate, se potete inserire una recenzione, il mio ego sarà molto felice di ciò... perchè non si vivive di sole letture.
Grazie.
Ringrazio, ovviamente, chi ha commento il precedente capitolo.



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Capitolo 4
*** Capitolo Tre ***


IV
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!


Garden Paradise

John Watson pregava sulle panche di legno della cappella degli Holmes. Era da tanto che non entrava in chiesa, ma adesso aveva finalmente sentito il desiderio di essere in quel luogo tanto caro a sua mamma.
Fece il segno della croce e si alzò con un profondo senso di pace e di tranquillità. Uscì dalla chiesa e s’incamminò per il prato ben curato: la chiesa distava pochi passi dalla casa degli Holmes e difatti arrivò ben presto sotto il porticato della casa colonica. Sospirò perdendosi un attimo a fissare la calma del cielo: era proprio come quand’era arrivato: senza una nuvola, con un sole caldo che splendeva.

Pensare che era passata circa una settimana da quando era stato ritrovato dal minore degli Holmes svenuto nel prato.
E in quella settimana erano successe diverse cose: Lady Cora era andata ad abitare a Garden Paradise perché aveva perso la proprietà – “Perso al gioco d’azzardo.” Gli aveva detto la cameriera Mary, la quale veniva ogni tanto nella sua stanza per sistemargli la fasciatura alla spalla –, Mycroft Holmes aveva interceduto per lui presso la Regina, e sembrava che ci sarebbe stata anche una promozione per lui… o quantomeno una medaglia – che se vogliamo dire con parole povere a lui non faceva né caldo né freddo – per essere sopravvissuto e, infine, e qui il soldato sospirò, non aveva attaccato bottone  con Sherlock Holmes: il ragazzo, infatti, molto spesso non era in casa, e quando tornava era ormai troppo tardi perché o era ora di cena o stavano dormendo.
Che poi cosa avrebbero potuto dirsi due persone diversissime fra di loro?

“Giovanotto?!” una voce di donna anziana lo fece girare e si trovò davanti il volto rugoso di Lady Cora, la cui unica bellezza stava negli occhi, così simili a quelli del nipote.
“Signora?”
“Cosa ci fai lì impalato,  giovanotto, perché non ti vieni a sedere qui con me e  chiacchieriamo un po’.” Disse con decisione la vecchia, colpendo leggermente con la mano il dondolo dov’era seduta.
John sospirò e si andò a sedere sul dondolo, stando a una certa distanza dalla donna, che a dir la verità lo metteva in soggezione.
“Di cosa vuole parlarmi?”
“Come sei arrivato qui?”
“Oh beh… sono rimasto ferito in battaglia, e poiché avevo sentito parlare di Garden Paradise ho usato le mie ultime forze per trascinarmi fino a qui.” Raccontò John, sentendosi sul chi vive.
Gli occhi della donna si illuminarono: “E ho sentito dire che ti daranno una promozione!”
“È probabile.” Borbottò.
Non gli andava di parlare di quello che era successo. In realtà non gli andava di parlare con nessuno di quello che era successo, la ferita scottava ancora.
“E come ti trovi qui?” domandò la donna osservandolo, con quello sguardo che ricordava tanto il nipote.
John sospirò. “Molto bene, a dir la verità. La vostra ospitalità è davvero squisita.”
La vecchia signora fece un sorriso rugoso, ma John fu attratto da altro.
Uno scalpiccio di piedi, lo fece girare: Sherlock Holmes era appena apparso di fronte a lui; i riccioli neri che incorniciavano il volto bianco, gli occhi di un colore non ben definito che guardavano proprio verso di lui e la bocca aperta in un mezzo ghigno.
Il tutto era così bello che John rimase spiazzato ad osservarlo, ma se voleva parlarci -e sentiva l’impellente bisogno di farlo- doveva muoversi.
Si scusò con la signora, che rientrò in casa, e si alzò dal dondolo, uscendo dal porticato e dirigendosi dove stava Sherlock.

“Bella giornata, vero?” domandò nervosamente.
Sherlock guardò il sole, riparandosi gli occhi con la mano, poi sorrise.
“Sì, effettivamente è un po’ strana per noi inglesi.”
Poi guardò John e il giovane soldato si sentì studiato, ma resse bene lo sguardo.
“È la prima volta che mi rivolgi la parola, da quando ti ho salvato… perché proprio ora?”
“Non ci siete mai.” Si giustificò John.
“È vero, ma non è solo quello il motivo. C’è anche dell’altro, in te: prima di intraprendere il servizio militare, vivevi con qualcuno… un fratello, magari, che era un poco di buono… non vai d’accordo con lui, e infatti sei stato ben felice di intraprendere la carriera militare eppure è da quell’esperienza hai costruito un muro attorno al tuo cuore e sei restio a fare nuove amicizie. Ecco perché non parli con me e con mia nonna ti sei sentito in soggezione. Avevi paura che ti giudicassimo, che se avessi detto qualcosa di più ti avremmo etichettato.” Sherlock Holmes parlava in modo velocissimo quasi non si fermava, ed aveva dannatamente ragione.
John lo guardò imbambolato e spaventato. Essere messo a nudo non piaceva a nessuno tantomeno a lui… e poi come faceva a saperlo?
“Fantastico.” Riuscì a dire guardando affascinato Sherlock. Perché anche se aveva paura, era anche attratto da questa nuova, affascinante abilità.
Cioè non solo era bellissimo, ma era anche un deduttore.
“Cosa? Dillo di nuovo John.” Era la prima volta che si sentiva nominare da quella voce morbida, e il suono del suo nome era vellutato fra quelle labbra.
“Sei fantastico. È fantastico quello che hai appena fatto, ma come ci riesci?”
Sherlock fece un mezzo ghigno. “Vuol dire che ho indovinato su tutto?”
“Quasi. Mio fratello in realtà è una donna. Si chiama Harriet, ma preferisce essere chiamata Harry.”
Si fermò qui: non gli andava di dire altro riguardo alla sorella, anche perché aveva già detto troppo, e vista la mente di Sherlock, poteva arrivarci da solo.
Infatti Sherlock emise un debole: “Ah.”, come se avesse capito come stavano le cose e poi andò avanti, senza soffermarsi sulla sorella. Fortunatamente non era poi tanto cinico.
“Ti ho osservato, John. Mi è bastato osservare la tua tristezza per sapere che eri un uomo solo e che dovevi avere problemi con i tuoi famigliari… altrimenti non saresti venuto qui, da sconosciuti, ma saresti stato con la tua famiglia. E a quanto vedo ho indovinato quasi su tutto. Mi dispiace.”
John sorrise, un sorriso triste.
“Dispiace anche a me, credimi, Sherlock.” Mormorò dicendo per la prima volta il nome del nobile.
Un timido sorriso uscì dalle labbra di Sherlock ricambiato da un altrettanto sorriso di John.
Mary Mostran uscì dalla casa, interrompendo quel piccolo momento di pace.
“Signori, il pranzo è servito.”
John sorrise: “Andiamo?”
“Andiamo.” Sherlock si mise di fianco a John e gli posò la mano sulla spalla, gesto che fu notato dal soldato, ma che gli fece piacere.

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Finalmente John e Sherlock si parlano, devo dire che sono davvero soddisfatta di questo capitolo ^_^!
Spero che vi sia piaciuto e di non aver fatto troppo OOC Sherlock, e se mai dovesse capitare, ditemelo.

Nel prossimo capitolo dovrebbero ritornare anche Mycroft, Greg e forse, un altro personaggio. 
Fatto questo piccolo spolier, posso scappare in uganda. 

Ps. Prima che ve ne andiate, se potete inserire una recenzione, il mio ego sarà molto felice di ciò... perchè non si vivive di sole letture.
Grazie.
Ringrazio, ovviamente, chi ha commento il precedente capitolo.

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro. ***


Cap V
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!


Garden Paradise.

Mycroft Holmes era appena uscito da una casa popolare canticchiando e facendo muovere l’ombrello avanti e indietro.

Se qualcuno che lo conosceva l’avesse visto così, non avrebbe creduto ai propri occhi: Mycroft Holmes era considerato un uomo freddo e senza morale, un uomo che, in particolare al lavoro, era da temere, perché sapeva utilizzare pugno di ferro ed era di natura cinico e senza morale.
Sì, quindi se qualcuno l’avesse visto uscire felice e contento da quella casa, non ci avrebbe creduto, eppure era veramente appagato.
Mycroft Holmes corteggiava qualcuno.
Un uomo, per essere precisi, e non del suo rango.
Un suo fratellastro, figlio di suo padre e di una sua amante, per cadere ancora più nella viltà.
Ma gli piaceva la sensazione  che dava l’essere amato e compreso. Era sicuro che Gregory non facesse finta di amarlo, ma che forse, lo faceva per davvero.
“Signor Holmes!” una voce richiamò Mycroft, che smise di fischiettare e si voltò verso la casa bianca dalla quale era uscito.
Da sotto l’arco della porta vide Gregory Lestrade lo fissava con il suo sguardo nero e fiero.
“Si è dimenticato il cappello.” Gli fece notare Greg.
Solo allora Mycroft notò il cappello grigio fra le mani del suo amante. “Grazie, signor Lestrade.” Si avvicinò all’uomo per prendergli il cappello dalle mani e per mormorare, “Vedo se riesco a passare domani sera, Greg.”
“Con molto piacere, Mycroft.” Mormorò Gregory leccandosi le labbra con la lingua in un modo che faceva impazzire Mycroft.
“Addio, signor Lestrade, è stato un piacere fare affari con voi.” Urlò Mycroft alzando il viso e mettendosi il cappello in testa.
Se ne andò verso il Dioneges Club, continuando a camminare e a fischiettare sotto gli occhi ridenti di Gregory Lestrade.
 
***

“Mio fratello è strano da più di una settimana.” Si confidò Sherlock con John una mattina.
Era entrato in camera sua, dove stava con Mary, che gli stava curando la fasciatura, e aveva subito incominciato a parlare senza che John capisse nulla. Il buon soldato aveva fatto cenno a Mary di andarsene e lei l’aveva fatto borbottando qualcosa.
“Come, ‘strano’?! Spiegati meglio.” Chiese John posando la mano su quella fredda del ragazzo.
Sherlock sospirò, quindi prese arco e violino e si mise a suonare.
A John piaceva vederlo suonare, gli dava quell’aria di pace e tranquillità che nella sua giovane vita aveva sempre cercato disperatamente.
Attese pazientemente che Sherlock finisse di suonare, passò più di una decina di minuti, poi finalmente il ragazzo terminò l’opera e riaprì gli occhi azzurri su John. Quest’ultimo aveva già assistito più di una volta a questa scena: Sherlock parlava, poi s’interrompeva improvvisamente, per cominciare a suonare a occhi chiusi, e quando infine li riapriva ricominciava a parlare come se niente fosse successo.
“Perché si distrae molto spesso.”
“Non può essere che vada a lavoro?” domandò John, giocando a fare i cerchi sulla mano di Sherlock. Si stava affezionando troppo al ragazzo. John lo sapeva bene. Prima o poi qualcuno della sua famiglia lo sarebbe venuto a cercare; l’esercito lo avrebbe richiamato allora sarebbe tutto finito.
‘Ma per il momento goditi questo.’ Si disse John, in uno slancio forse egoistico.
“Non può essere.” Rispose Sherlock.
“Si sarà innamorato.” Disse John alzando un sopracciglio. Non aveva avuto occasione di conoscere a fondo – e quindi studiare – Mycroft Holmes, quindi non sapeva con chi aveva a che fare.
Ma Sherlock sì. “No, non è possibile. Fu proprio lui a dirmi, una volta: ‘Fratellino, io non sento nulla, perché i sentimenti sono una debolezza.’”
John si mise a ridere.
Sherlock lo guardò storto. “Perché ridi?” gli domandò.
“Non è possibile, Sherlock, tuo fratello non può averti detto una cosa simile, perché i sentimenti non sono una debolezza. Sono la cosa più bella che uno possieda. E se un tipo così è innamorato, e  – credimi – probabilmente ho ragione i, non vorrei essere nei panni di Mycroft quando lo scoprirà.”
Sherlock sbuffò. “Se lo dici tu.”
Lo guardò malizioso e gli punse la spalla con l’arco. “E tu sei mai stato innamorato, John?” volle sapere.
Se John avesse avuto un tè, o qualsiasi altro liquido in bocca, sarebbe finito tutto a terra, ma per fortuna del buon soldato non stava bevendo niente,  quindi guardò Sherlock come si guarda un fantasma.
“Io…? Una volta sì, lo ero.”
“E ora?”
“Ora no.” Mentì, perché non era vero per nulla. Lui era innamorato di quel bellissimo ragazzo irraggiungibile. “E tu?”
“Sono innamorato del mio lavoro.”
“Che poi vorrei sapere quale sia, a parte rendermi la vita un inferno.” Borbottò John.
“Lo scoprirai.” Disse Sherlock sorridendo allo sguardo interrogativo di John.

***
  
Era una domenica di fine maggio. Era una giornata soleggiata e tranquilla, il che si rifletteva sull’atmosfera che regnava nella casa colonica degli Holmes, dove non stava succedendo quasi nulla, poiché i suoi occupanti erano impegnati in attività di ordinaria amministrazione. Sherlock stava scrivendo, e John stava bevendosi del tè e stava parlando con Mrs. Hudson, una vecchia vicina di casa Holmes, circa le ultime cronache da Londra; Mycroft era come al solito sparito, e i genitori di Sherlock e Mycroft, più la vecchia signora Holmes, erano andati a Londra quindi erano rimasti solamente Sherlock, lui e Mrs. Hudson a casa, se non si considerano i domestici.
“Mrs. Nora non amava veramente suo marito, ma aveva ormai organizzato il suo matrimonio, e quindi… Sherlock, caro, ma c’è?” aveva detto Mrs. Hudson. John era altrettanto stupito dal comportamento strambo del suo amico: si trovava attaccato alla finestra e spiava fuori, come se fosse una vecchia che spia il vicinato.
“Cos’è successo, Sherlock?”
“Volevi sapere qual è il mio lavoro? Credo che il mio lavoro stia venendo da me.” Disse Sherlock scostandosi dalla finestra, ed effettivamente in quel momento qualcuno bussò.

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Inizialmente questo capitolo non mi soddisfaceva molto, invece devo dire che adesso mi piace parecchio (anche se non è molto lungo e sopratutto non compaiono molto nè Greg nè Mycroft). 
Comunque nel prossimo capitolo si saprà chi è l'uomo misterioso, anche se credo che molti di voi già ci siano arrivati  a scoprire la sua identità, e qualcosa in più del mio Mycroft oltre che di Greg.

Ps. Prima che ve ne andiate, se potete inserire una recenzione, il mio ego sarà molto felice di ciò... perchè non si vivive di sole letture.
Grazie.
Ringrazio, ovviamente, chi ha commento il precedente capitolo.
Un bacio, Giù.





 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto. ***


VI cap.
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!


Garden Paradise.



Sherlock andò ad aprire.

Un uomo alto, occhi azzurri e capelli biondi era alla porta. Da come ansimava, Sherlock intuì che l’uomo doveva aver corso molto. “Buon giorno, caro Ispettore Capo.”
“Buon giorno, Sherlock. Io…” ma l’ispettore capo venne interrotto dalla frenesia di Sherlock.
“Venga dentro, Gregson, cosa mi ha portato questa volta?! Un assassino? Un serial killer?  Un sociopatico pieno di problemi?” da come parlava, sembrava un bambino che ha appena ricevuto una marea di dolciumi tutti per lui.
Gregson sospirò, mentre, sempre sotto lo sguardo acuto di Sherlock, salutava prima Mrs. Hudson e poi John.
“No, nulla di tutto questo, Sherlock. Anzi, mi dispiace mi dispiace annunciarvi che sono venuto per una faccenda alquanto… esplosiva.”
“Cosa? Che è successo, Gregson?”
“Ho arrestato tuo fratello. Mycroft è finito dietro le sbarre, Sherlock.”
Lo sguardo che Sherlock Holmes lanciò all’uomo era tutto un programma, non ci credeva. Non poteva essere vero.
“Cosa? Non può essere vero. E perché.”
“È proprio questo il punto, Sherlock. Vedi, è stato portato di peso da due dei nostri che si trovano in uno squallido locale sotto copertura; ora, puoi immaginarti il mio stupore quando l’ho visto! Ovviamente, come te, non potevo credere ai nostri occhi, eppure sembra proprio che sia stato lui a far scoppiare la rissa, ma non sappiamo il perché di tale gesto.”
“Cosa!?” Sherlock Holmes, così come John Watson e Mrs. Hudson non riuscivano a credere alle parole di Gregson.
“No, impossibile. Tobias, tu sai bene che Mycroft non si farebbe mai trovare in uno stato simile. Lui non ha mai bevuto neppure un goccio di alcol; per quanto ne so è astemio.” Ansimò Sherlock, cercando di dare un senso a tutto quello che gli era piombato fra capo e collo.
“Invece era ubriaco, in più non vuole parlare con nessuno.”
“Ma perché ha scatenato questa rissa?”
“Sherlock, ne so quanto te. Se vuoi venire in commissariato, forse può essere che riesca a ottenere qualcosa.”
“Arrivo subito! John, puoi venire con me, se vuoi. Mrs. Hudson, mi dispiace per tutto questo, ma se vuole la posso far accompagnare da dei domestici a casa, oppure le posso offrire una carrozza.”  
“Non ti preoccupare, resterò. Sherlock, John, fate attenzione.” Mrs. Hudson gridò per farsi sentire, visto che i tre uomini erano già fuori di casa.

“Allora è questo quello che fai?” Per interrompere il pesante silenzio che si era venuto a creare nella macchina, John fece quella domanda.
Sherlock era nell’ombra dell’abitacolo e John non poteva vedere il bel viso di Sherlock, poiché lui si era messo – forse proprio per non essere scorto da John – nella parte più oscura dell’abitacolo.
“Lui risolve i casi per conto nostro, quando ce n’è bisogno, certo…” borbottò Gregson, visto che Sherlock non rispondeva;  probabilmente si era rifugiato in quel suo singolare stato di riflessione che lui amava chiamare il suo ‘palazzo mentale’.
“Ah, a proposito. Mi chiamo Tobias Gregson, Ispettore Capo di Scotland Yard.”
“Io sono John Watson, capitano del quinto reggimento dei fucilieri di  Nothumberland.”
Gregson fece il ‘saluto militare’ e John scoppiò a ridere.
“Stia a riposo, Ispettore, adesso sono rilassato anche io. Sono stato ferito alla spalla.” Rispose, lasciando sul vago la storia. Non gli andava di rivelare troppo di sé a uno sconosciuto.
Gregson sorrise, abbassando il braccio e rilassandosi.
“Da quanto tempo conosce gli Holmes, capitano?”
John cercò aiuto in Sherlock, che ancora si trovava per così dire, nel suo ‘palazzo mentale’, capì che non l’avrebbe aiutato e sospirò.
“Sentii parlare di Garden Paradise da dei commilitoni quando stavo bene. Dopo che mi ebbero ferito, cercai questo posto. Fortunatamente il nostro accampamento era vicino alla loro residenza, e gli Holmes si presero cura di me in modo eccellente. Ecco perché desidero aiutare Mycroft Holmes, che, comunque, non è certamente il responsabile da incolpare per lo scatenamento della rissa.”

“Siamo arrivati.” Sherlock Holmes aprì gli occhi azzurri, puntandoli sui due uomini che si sporsero dal finestrino.
Sì, quella era la sede di Scotland Yard e il vetturino stava facendo fermare i cavalli.
Un ragazzino cencioso aprì loro la porta; John gli allungò qualche monetina, come ringraziamento e seguì i due uomini all’interno della sede della polizia.
Era una stanza enorme, con scrivanie e personale in divisa e uomini – e anche donne -, che avevano preso la cattiva strada.
John si guardò intorno, per poi seguire l’ispettore verso una cella in un corridoio un po’ isolato, in cui c’era Mycroft.
Non era messo molto male, certo un occhio nero gliel’avevano fatto, ma per il resto sembrava in forma.
I due fratelli si scambiarono un lungo sguardo, quando furono l’uno davanti all’altro, ma non parlarono.
Fu Gregson il primo a parlare. “Molto bene, Sherlock, spero tu riuscirai a tirare fuori dalla bocca di tuo fratello perché ha scatenato quella rissa. Altrimenti si dovrà fare un'altra notte qui dentro…” spiegò l’ispettore, per poi andarsene via lasciando soli i tre uomini.
John sentì che c’era una tensione molto forte,  nonostante i due fratelli non avessero ancora parlato.
Toccò a Sherlock fare la prima mossa.
“Perché l’hai fatto?”
“E tu perché hai portato lui?” domandò Mycroft, e John capì che si stava riferendo a lui.
Sherlock mise una mano sul braccio di John e quasi ringhiò: “È pulito. Lui sta con me; ti basti sapere questo. Tu, piuttosto; perché hai scatenato quella rissa?”
“Non sono stato io. Io ho solo partecipato.”
Gli occhi azzurri di Sherlock si sgranarono per la sorpresa.  
“Ti meravigli, Sherlock? Ebbene, qualcuno ha parlato male della madre del nostro fratellastro.”
Fu John ad essere sorpreso questa volta. Non si aspettava che gli Holmes avessero un fratellastro.
Guardò verso Sherlock. “Posso pure andare ed aspettarti fuori.” Borbottò. Era imbarazzato, e sperò che Sherlock capisse che non voleva interferire negli affari di famiglia.
Sherlock,  però, sembrò proprio non udirlo. “Pensavo che ci fossimo sbarazzati di lui, Mycroft.” Sibilò.
Mycroft annuì. “Lo sto facendo a modo mio, Sherlock. E ora, se mi vuoi tirare fuori di qui, senza dire niente a nessuno, mi faresti un favore enorme.” Ammise; sembrava un colpo grosso, per Mycroft Holmes, chiedere un favore, ma da quello che aveva capito John ‘grazie’ o ‘per favore’ non erano parole da Holmes.
Sherlock sospirò. Sapeva che il fratello aveva combinato un bel casino, eppure doveva essere successo qualcosa di grave per far scattare la molla.
Andò dunque a parlare con Gregson.
Tobias, conoscendo il carattere degli Holmes, promise a Sherlock di stare in silenzio.
Sherlock si riprese il fratello, e insieme tornarono alla dimora degli Holmes.
In carrozza nessuno aveva voglia di parlare.
Solo quando arrivarono a casa il minore degli Holmes, dopo aver salutato con cortesia Mrs. Hudson ed averle assicurato che stavano bene, disse con estrema freddezza al maggiore: “Non dirò nulla a nostro padre né a nostra madre, Mycroft, ma tu devi giurarmi di farla finita con qualunque cosa ti stia accadendo.”
Mycroft accennò a spiegarsi, ma Sherlock l’interruppe. “Non voglio sapere, Mycroft. E, anzi, è meglio che vada in camera. John, se mi vuoi seguire dentro…”
lasciando la frase in sospeso, Sherlock salì le scale che portavano al piano di sopra.

John e Mycroft si guardarono. Il fratello più grande fece un passo verso il soldato e sospirò.
“Mi creda, John, io… non ho voluto fare niente per danneggiare questa famiglia.”
“Lo so, Mycroft. Anche se dovrebbe parlare con suo fratello di quello che le sta capitando.”
“Perché non gli parla lei? A lei dà ascolto.”  John scosse la testa in segno di diniego.
“Non posso, Mycroft; è lei che deve parlarne. I sentimenti sono i suoi. Farei solo un gran casino. E ora, se non le dispiace…”
Mycroft fece un sorriso amaro. “Mio fratello. Stia attento, John. Sherlock può bruciarla.”
“So giocare col fuoco, Mycroft. E comunque grazie dell’avvertimento.” John sorrise, quindi fece il saluto militare e salì dal ragazzo, lasciando Mycroft solo.


***

John guardò l’aria cupa di Sherlock e capì che doveva essere consolato.
Si mise a sedere sul letto dove stava il giovane nobile e sospirò.
“So che prendersi cura di un fratello è pesante, Sherlock. Credimi. L’ho fatto per anni con mia sorella, anche se lei era più grande di me.”
Gli rivelò John. Sherlock borbottò qualcosa di indefinito e John non disse nulla, limitandosi ad avvicinare la mano all’aggrovigliata testa del giovane. Aveva capito che Sherlock preferiva il silenzio, quando avesse voluto parlare, avrebbe potuto farlo liberamente.
“Siamo messi bene.” Borbottò Sherlock alla fine.
John smise di accarezzare i capelli di Sherlock. “Come?”
“Come fratelli. Siamo messi bene io te, John. Ognuno di noi ha due fratelli grandi che si dovrebbero prendere cura di noi, e invece, siamo noi a prenderci cura di loro.”
John sorrise. Era vero. La situazione era proprio come l’aveva descritto Sherlock. “Hai ragione.”
“Lo so, ma è un po’ difficile avere ragione.”
John non sapeva cosa dirgli. Era la prima volta che vedeva Sherlock così vulnerabile, eppure gli faceva piacere essere proprio lui a vederlo in quella condizione.
“Mi dispiace, ma non so cosa fare.”
“Stammi vicino, John.” Sherlock lo guardò con uno sguardo particolare: gli occhi erano di un azzurro più scuro, e sembrava più umano. John non seppe resistere ed annuì.
Mise la mano sulla testa del ragazzo e prese ad accarezzarlo dolcemente.

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Ed eccomi qui, con un nuovo capitolo. Le cose incominciano a farsi interessanti... Almeno per me xD (?).
Che dire? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, spero che non troviate Sherlock troppo OOC, ma un pò di tenerezza in quest'uomo ci vuole pure. Comunque secondo la mia beta, non lo è, e...
Boh?
Non so che altro dire se non di
inserire una recenzione, il mio ego sarà molto felice di ciò... perchè non si vivive di sole letture.
Grazie.
Ringrazio, ovviamente, chi ha commento il precedente capitolo.
Un bacio, Giù.


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Capitolo 7
*** Capitolo sei. ***


6
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC. 
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme senza la quale questo capitolo sarebbe illegibile, ed inoltre per aver sopportato le mie continue richieste d'aiuto! 
Buona lettura ;)!


 Garden Paradise.



Era l’ora del tè, ci doveva essere un senso di rilassatezza in casa, e invece sua mamma sedeva cupa e chiusa sulla sedia, non gli rivolgeva la parola e beveva a piccoli sorsi dalla tazza di tè.
Ora,  non che Greg fosse questo grande intuitore, ma vedeva che c’era qualcosa nella sua cara mamma che non andava.
“Mamma, tutto bene?” domandò osservando la donna e mettendo una mano su quella guantata di lei
La donna sussultò per poi fissare con occhi smarriti il figlio.
“Greg, mi dispiace, ma, ecco, non sto molto bene.”
“Mamma, cosa ti succede?” domandò con aria preoccupata Greg.
Isobel Lestrade sospirò e scosse la testa. “Mi dispiace darti un peso, Greg, non lo meriti… Ma ecco… L’attività di tuo padre non sta andando molto bene, per niente.”
Gregory guardò la donna: era magra come un’acciuga in quei giorni, il viso era profondamente scavato, e aveva molti più capelli grigi nello chignon disordinato chignon quasi sempre disordinato.
Da quel che si ricordava Greg, sua mamma non andava mai in giro così disordinata, quindi ci dovevano essere veramente dei problemi nel negozio di suo padre.
Strinse la mano fredda della donna e la guardò negli occhi.
“Mi dispiace, mamma. Farò il possibile per aiutarti.”
Quello che disse la donna, sfuggendo al suo sguardo, fu una doccia gelata.
“Greg, ti ricordi quand’eri piccolo, e io ti parlavo spesso di tuo zio Robert, Robert Holmes? Non è tuo zio. È tuo padre… e lui… era così buono con noi, ci trattava veramente bene. Ma poi sua moglie Violet rimase incinta, e noi non esistemmo più, per lui. Lui è un uomo ricco, Greg.”
Isobel alzò finalmente lo sguardo su suo figlio, e quello che vide ferì i suoi sentimenti: il disprezzo accarezzava gli occhi scuri di Greg, rimasto paralizzato sulla poltrona.
Fu Isobel a prende la mano del figlio nella sua, e ci posò un piccolo bacio.
“Mi dispiace, tesoro, e capisco il tuo sdegno. Sono stata una donna debole, un tempo. Quello che chiedo è solamente un po’ di soldi. I soldi del tuo vero padre. Vedi, il figlio più grande gestisce la situazione economica a casa Holmes, e noi… noi… dobbiamo andare lì e vedere come prenderci i nostri soldi.”
Greg fissò sua madre per un attimo, cercando di capire qualcosa in quell’intricato discorso.
“Beh, mamma non so che dire. Mi hai mentito. Io pensavo di essere figlio di tuo marito, e tu mi dici che non è così, che sono… figlio di un altro uomo. In più ho due fratelli.” Disse Greg dolorosamente, mettendosi una mano nei capelli, frizionandoli e scombinandoli.
“Madre, il mio senso morale mi dissuaderebbe dall'aiutarti, ma ammetto che la mia curiosità sia troppa; e sia, andremo a parlare con... mio fratello, ma solo con lui. Non voglio andare a elemosinare di fronte a mio padre. Per di più, chiederai i soldi solo una volta. E se l'uomo ti dice di no, non insisterai. Queste sono le mie condizioni.”
Isobel fissò il figlio, poi annuì piano con la testa: era troppo chiedergli altro, almeno in quel momento.
Greg si alzò, poi tornò a guardare la madre. “Mi vado a schiarire le idee, madre, ma dimmi, come si chiama il mio fratellastro? Almeno questo me lo devi.”
“Si chiama Mycroft, Greg.” Rispose la madre.
Greg fissò sua madre: per un attimo si domandò chi potesse pensare un nome tanto assurdo per un uomo, poi scrollò le spalle ed uscì.

Qualche giorno dopo erano stati cacciati via dalla casa di suo fratello: erano andati a parlargli, ma sua madre non si era contenuta e adesso continuava a sbraitare contro Mycroft definendolo un bastardo, idiota e doppiogiochista.
Ma Greg continuava a pensare a lui… a quando gli aveva lanciato uno sguardo che l’aveva fatto rabbrividire, alla sua voce, ai suoi occhi chiari e i capelli rosso fuoco. Era un bel ragazzo, suo fratello, e questo non gli poteva che far fremere dentro.
Gregory Lestrade era un ragazzo strano a quell’epoca in quanto a passioni amorose; provava attrazione per i ragazzi, non per le giovani donne, com’era giusto che fosse.
Ciò gli aveva procurato un paio di guai con la giustizia e con alcuni dei ragazzi che aveva corteggiato e che non avevano corrisposto: era andato in prigione ed era stato picchiato più volte, perché lui non amava l’ipocrisia e non si voleva creare una famiglia con chi sapeva di non poter amare.
Greg non era fidanzato, né con una donna, né con un uomo; era solo, eppure cercava ancora l’amore.

Quindi, quando una sera di Aprile, due giorni dopo che era andato a trovare gli Holmes, Mycroft Holmes arrivò a casa sua, a bordo di una carrozza pubblica, Gregory Lestrade non poté non essere stupito dalla sua apparizione.
“Pensavo non volessi vedere né me, né mia madre, Mycroft.” Disse Greg, facendo accomodare l’uomo nel piccolo salotto di casa Lestrade.
Si sedette sulla sua poltrona osservando Mycroft camminare avanti e indietro.
“Non c’è nessuno in casa?” domandò il signor Holmes, e quando seppe che erano soli, in casa, continuò: “Non faccio altro che pensarti, Lestrade. Mi hai ossessionato.” Mycroft fece saettare il suo sguardo sul corpo dell’altro uomo.  
“In che senso…? A casa tua mi hai ignorato.” Domandò guardingo Lestrade.
Mycroft Holmes lo guardò, sorrise in modo triste e si avvicinò a lui, era così vicino che Lestrade poté sentire il suo odore. Odorava di carta e di inchiostro.
“In questo senso.” Mycroft Holmes avvicinò ancor di più il suo viso a quello di Gregory e lo baciò, non fu un bacio casto, uno sfiorarsi di labbra, anzi, tutt’altro: fu un bacio avvolto nella passione.
Greg fu il primo a staccarsi da Mycroft, e lo guardò: la prima cosa che vide furono le labbra piene e rosee, il naso dritto, e gli occhi chiusi.
“Non avrei dovuto. Mi sono fatto prendere dall’istinto.” Mormorò Mycroft, aprendo gli occhi chiari e mordendosi il labbro inferiore.
“Fatti prendere più spesso dall’istinto.” Mormorò Greg, prendendo la cravatta di Mycroft.

La loro storia era iniziata così. In realtà non era proprio una storia, era più che altro una passione, un istinto, uno sfiorarsi di labbra, corpi.
Quando Mycroft veniva dai Lestrade, previo avvertimento, Greg si faceva trovare già in camera da letto, facevano sesso, Mycroft rimaneva per un po’ a coccolare l’altro uomo e poi se ne andava. Non parlavano molto. Anzi quasi mai, ma a Lestrade ciò bastava, l’importante era avere sulla propria pelle il profumo di Mycroft quando se ne andava e che le lenzuola del suo letto fossero sgualcite.

Qualche mese dopo il primo bacio, una persona dai baffetti e capelli biondicci lo venne a cercare fuori dall’università.
Greg si stupì molto della cosa, anche perché era sicuro di non aver niente a che fare con quell’individuo, eppure nonostante tutto andò verso di lui.
“Cosa c’è?” domandò.
“Signor Lestrade, non dovrei nemmeno essere qua, ma ecco… so che era lei l’uomo per il quale Mycroft Holmes ha fatto scoppiare una rissa.”
Il cuore di Lestrade smise di battere per un secondo e guardò l’uomo con fare interrogativo.
L’altro sbuffò. “Venga con me.” Consigliò. “Mi chiamo Tobias Gregson a proposito e sono un sergente di polizia.” Si presentò.
Gregory non potè far altro che non seguire Gregson fuori dall’aula e andare verso una carrozza.
Il viaggio durò poco e fu fatto in perfetto silenzio.
Arrivarono al commissariato.
Gregson guardò l’alto uomo che scese dalla carrozza era infastidito di essere stato portato in commissariato, nonostante avesse raccomandato a Sherlock Holmes di non rivelare niente a nessuno, né chi fosse stato l'artefice della rissa -che comunque si sa chi sia, cioè Mycroft- né da cosa fosse stata scatenata.
Insieme si avviarono verso la stanza del commissario.
Gregson raccontò tutto a Greg, che spalancò la bocca e gli occhi… non poteva credere che il composto – certo era tutt’altro che composto, a letto -, Mycroft Holmes avesse aggredito qualcuno per lui, anzi, per difendere l’onore di qualcuno vicino a lui.
“Grazie mille per avermi raccontato tutto, signor Gregson;  vedrò di parlare con Mycroft.”
“Non le ho detto, che ho già parlato con suo fratello, Sherlock, e che lui ha pagato la cauzione e gli ha permesso di tornare a casa. Era sconvolto forse più di lei, signor Lestrade.”
“Molto bene, signor Gregson. Andrò a parlargli lo stesso. Se può indicarmi dove sono le carrozze…”

Arrivò alla dimora Holmes dopo un lungo viaggio passato a rimuginare su quello che aveva scoperto: avrebbe parlato con sua madre dopo aver discusso con Mycroft.
Non incontrò nessuno fortunatamente, fra l’entrata e lo studio dell’uomo.
Mycroft si trovava vicino alla finestra, Gregory poté osservare il suo profilo gli si avvicinò non dimenticandosi di chiudere la porta.
“Come hai potuto?” mormorò piano.
“Ho difeso l’onore di tua madre, pensavo ti avesse fatto piacere sentire che perdevo  il controllo.”
Greg arrossì, rendendosi conto che erano state le sue parole quando si erano baciati la prima volta.
“Non intendevo in quel senso, Mycroft davvero, come hai potuto?”
Mycroft si voltò verso il suo amante, e Greg vide che era stato ferito a un occhio e a un labbro.
“Sei ferito.” Gli si avvicinò.
“Ho perso la ragione, Greg, quando ho sentito quello che dicevano di tua madre… ho pensato a te, ed ecco… credo di averli un po’ provocati… fino a che un tipo non mi ha dato un pugno nell’occhio. Io ho reagito e da qui… mi dispiace Greg.”
“Non ti dispiacere Mycroft, sono contento che abbia pensato a me e che mi abbia difeso. Anche se, sai… posso difendermi benissimo da solo!” l’ultima parte la disse per far sorride l’altro, e ci riuscì; vide, infatti, il volto imbronciato di Mycroft aprirsi in un timido sorriso.
Greg gli accarezzò la pelle del viso soffermandosi in particolare dove era ferito, quindi gli baciò il labbro.
“Grazie per avermi difeso.” Mormorò abbracciando l’uomo e mettendo la testa sul petto di Mycroft.
Mycroft per un attimo restò stupito, ma poi se lo strinse addosso accarezzandogli i capelli.

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Buonasera giovan fanciulle e fanciulli (se ci sono,)!
Vi siete letti un capitolo fondamentale di Garden Paradise, in quanto viene introdotto il punto di vista di Greg, un personaggio che amo tanto e che spero, piaccia anche a voi.
Qui avete visto l'inizio della sua storia con Mycroft (che spero di non aver reso troppo harmony), e alla fine ci siamo riallacciati a quello che era successo nell'altro capitolo: lo scoppio di rabbia di Mycroft etc... Vi avverto che il punto di vista di Greg, nonostante questa sia una johnlock, sarà ripreso in diversi capitoli di passaggio di questa storia.
Che dire? Spero che il tutto vi sia piaciuto, e che abbiate apprezzato il suo punto di vista.
Un bacio.
Giù.



 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo. ***


Cap sett.
Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC. 
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo! 

Buona lettura ;)!


Garden Paradise


Il party organizzato da miss Irene Adler, una bella donna sulla quarantina, bruna, andava avanti già da un po’ di tempo.

La donna, che indossava un vestito rosso scollato che esaltava la bellezza del suo corpo, camminava avanti e indietro da più di un’ora
offrendo sorrisi e smancerie agli uomini presenti, che erano ben felici di essere presi in considerazione e la guardavano con fare seducente.

Solo un giovanotto non la stava guardando: il suo nome era Sherlock Holmes, e stava guardando fuori dalla finestra del salotto dov’era organizzata la festa di beneficenza.
Il profilo di Sherlock era illuminato da una candela, e Irene si perdette un attimo ad ammirare la pelle bianca che contrastava con i ricci neri. Il giovane, sentendosi osservato, si voltò verso di lei e la donna rabbrividì; gli occhi di Sherlock erano sottili, quasi quanto quelli di un gatto, e di un colore strano: verde, ma di verde acqua bellissimo, che ricordavano tanto quelli di un predatore… e lei odiava sentirsi in trappola.
Avanzò verso Sherlock, alta, fiera e con il viso roseo illuminato dalle candele.
“Vi state divertendo, signor Holmes?” domandò con voce dolce.
L’uomo socchiuse gli occhi e, per un momento, la donna ebbe davvero paura e soggezione, poi però Sherlock sorrise inchinandosi leggermente, cosicché arrivarono quasi a toccarsi, fronte contro fronte.
“Diciamo che non mi sto annoiando, miss.” Mormorò con la voce roca.
La donna sorrise e posò una mano sul ginocchio dell’uomo alto.
“Sono contenta, nessuno si dovrebbe annoiare a una festa.”
Sherlock ghignò e si staccò dalla donna.
“Lasciatemi che mi complimenti con lei, miss: siete bellissima, stasera, e la questa stanza è resa al meglio.”
Sherlock fissò il salotto bianco; effettivamente il salotto era reso al massimo splendore: c’erano molti divani color rosa antico messi qua e là, candele per dare un’atmosfera intima, si sentiva una musica classica, che proveniva da un’orchestrina, ed infine dalle finestre aperte si sentiva il buon odore del mare.
“Sono molto felice di questo vostro complimento, mr. Holmes, detto da voi è veramente importante.” Disse la donna sorridendo e inchinandosi ancor di più verso Sherlock.
L’uomo si voltò verso di lei e sorrise. “Molto bene, chiarito questo, che ci fate con me, piuttosto che andare a cinguettare da un vostro amante?”
La donna rise di gusto. “Signor Holmes, voi mi fate solo ridere; mi fa piacere stare con voi, ecco perché rimango. Amante? No, quale amante? Nessuno di questi uomini è venuto qui per ammirarmi, ma per riempire le casse alla parrocchia.”
“Signorina Adler, non fate la furba con me, io so che volete qualcosa da me, e poi… ognuno di questi uomini è venuto per vedervi e per desiderarvi. Dopotutto, siete una bellissima donna.”

Irene lo guardò, beandosi della vicinanza di quel bellissimo e intelligentissimo uomo.
Si inginocchiò dietro l’uomo e fece sfiorare le labbra colorate di rosso, con l’orecchio  di Sherlock.
“Ebbene, signor Holmes, vedo che siete uno che arriva subito al punto. Sono contenta di ciò. Sì, effettivamente c’è una cosa che potreste fare per me… ho delle fotografie in cui sono… ecco… come dire… in pose molto intime con una donna che mi è molto cara, ed è inoltre potentissima. Le fotografie mi sono state prese e beh, questa persona ha paura che possa venir fuori il suo nome. È disposta a pagare davvero tanto per riavere le foto.”
 Irene si scostò da Sherlock, che la guardò a lungo pensieroso… era un caso semplice, quello che gli proponeva la donna, e poteva far partecipare anche John Watson. Era da un po’ di tempo che, chissà per quale ragione, nel suo cervello era venuta a maturare l’idea che John potesse aiutarlo nei casi. Era strano per lui, che preferiva agire in solitaria, volersi far aiutare da qualcuno, quando di aiuto, effettivamente, non c’era bisogno.
“Vi aiuterò, miss.”
“Sapevo di potermi fidare di voi signor Holmes, di voi e della vostra discrezione.” La donna sorrise alzandosi da dietro l’uomo. “Ora continuate a divertirvi, devo andare a cinguettare con altri uomini.” Disse Irene salutandolo con la mano e lasciandolo solo al proprio mormorio della mente.

James Moriarty aspettava davanti al portone principale di Garden Paradise la carrozza di mr. Holmes.
La carrozza arrivò dopo un po’ davanti al portone. James si precipitò al cospetto del padroncino e aprì l’ombrello, visto che c’era una sottile pioggerellina di fine primavera.
“Bentornato, mr. Holmes, come sono andate le cose da miss Adler?” domandò il servitore, fissando negli occhi il signor Holmes.
“Molto bene, James, molto bene. Ho accettato un caso. John è in casa?” domandò Sherlock parlando di fretta, entrando in casa e fissando le scale che portavano di sopra.
“Sì, in realtà non è mai uscito di casa, signor Holmes.” Rispose James prendendosi il cappotto che il suo padrone gli porgeva.
“Vado un attimo di sopra, James. Aspetta altri ordini.”
James Moriarty annuì e scomparve in cucina mentre Sherlock saliva di sopra.
Quest’ultimo arrivò davanti alla porta di John e bussò.
Quando l’altro rispose che poteva entrare aprì la porta.
Dentro c’era John, steso sul letto che leggeva un libro: era vestito con dei pantaloni neri, una maglietta bianca trasparente che mostrava il petto che si alzava e abbassava nei respiri regolari. Gli occhi chiari, ma più scuri di quelli di Sherlock, s’infransero sul viso del detective e rimasero per un attimo incatenati. John chiuse il libro, il respiro affannoso e mozzato.
“Ciao, Sherlock.” Mormorò posando il libro sul comodino e mettendosi seduto sul letto.
“Buonasera, John, scusa se sono venuto a quest’ora.”
John sorrise. “Non fa niente, Sherlock. Come stai?”
Sherlock sorrise di rimando. “Come vuoi che stia, John? Benissimo, non sono passate che poche ore da quando ci siamo lasciati, e va tutto a meraviglia. Ho anche accettato un caso.”
Gli occhi di John luccicarono a quelle informazioni, per poi spegnersi subito dopo da quello che John aveva capito su Sherlock  quest’ultimo preferiva fare le cose da solo, anche se lui, John, voleva tanto dare una mano.  Mentre ragionava su quella realtà, lo colse un inaspettato senso di inadeguatezza: che razza d’aiuto avrebbe potuto dare un soldato ferito?
“Mi servirebbe il tuo aiuto, John, per risolvere questo caso. È un caso molto delicato e, beh, ho paura, che con il mio fare da sociopatico non lo saprei gestire.” Presentato così, John non poteva dire di no; dopo un attimo di turbamento, infatti, il biondino annuì.
“Accetto, ti do una mano, ma solo se mi dai qualcosa in cambio. Non voglio fare qualcosa senza essere ricompensato.”
Sherlock ghignò: anche in quel caso, aveva avuto la meglio su John. “Va bene, John, come vuoi.”
“Raccontami del caso.” Disse John, facendosi interessato a quello che Sherlock aveva da dire.


Il pesce ha abboccato.

Molto bene. Tieniti pronta: il gioco è incominciato.

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Salve, chiedo scusa del vergognoso ritardo nel pubblicare questo capitolo. Non ho scusanti se non che l'ispirazione tardava a venire.
A parte ciò, come avete letto, ho introdotto, finalmente, Irene... Irene è un personaggio parecchio importante, in questa fic, poichè collega sempre più John a Sherlock, in quanto affida un caso parecchio importante, che alla fine non si rileverà così semplice come aveva ipotizzato Sherlock. Ma non voglio dirvi altro, diciamo solo che solo inizialmente è simile a quello della bbc, ma poi si evolverà.
Che altro dire?
Spero che il tutto vi sia piaciuto, e non vi preoccupate: Mycroft e Greg torneranno al più presto. Fra l'altro Greg interagirà  con Sherlock e John... Ma non vi voglio fare più spolier.
Un bacio.
Giù.

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo. ***


7-8 Disclaimer: io non scrivo a scopo di lucro. Tutti i personaggi sono rispettivamente della BBC.
Ringraziamenti: ringrazio, la mia beta Charme per i preziosi consigli riguardante questo capitolo!
Buona lettura ;)!


John Watson si stava avvicinando a Thomas Anderson, suo superiore, con aria grave e compita.
“Buon giorno, Anderson.” Salutò John con aria quasi feroce, mentre l’uomo beveva da una bottiglietta quello che, John ne era sicuro, era whisky della peggior qualità.
Anderson si riparò la faccia dal sole cocente.
“’Giorno, Watson, che volevi?” domandò.
“Non abbiamo più posto per i pazienti.” Sono venuto da te, visto che sei il comandante, per sapere dove fosse possibile metterli.” Fece John con tutta la gentilezza che riuscì a mettere nelle frasi.
Sono venuto da te visto che sei il comandante... blablaba…” Anderson imitò John. “Tu sei il medico, l’unico medico in questo campo di tortura. È compito tuo stabilire dove vanno, se non ci sono posti, meglio così. Avremmo meno bocche da sfamare.” Disse Anderson, facendo ridere coloro con i quali era andato a bere.
John avrebbe tanto voluto uccidere o zittire Anderson. Mentre stava cercando il modo di replicare alle infelici parole uscite dalla bocca di Anderson, si sentì un botto e una puzza di fumo. John si voltò verso il suono, e vide il proprio campo prendere fuoco. Gli avventori della locanda corsero fuori, e chi si trovava già lì corse verso il fuoco con secchi d’acqua.
“Questa è la mia ora. Devo andarmene da qui…” Disse Anderson, facendo per un attimo distrarre John, che guardò, con tanto d’occhi, l’uomo andare verso la parte opposta dalla quale provenivano il fuoco e fumo.
John rimase per un attimo allibito, poi, però, prese un secchio che gli veniva porto da un ragazzo e corse verso il fuoco per cercare di dare una mano.

John Watson si svegliò di colpo, sudato e con un dolore alla spalla, dove il proiettile l’aveva colpito.
Ansimò stando ancora sotto le coperte. Non aveva idea di che ore fossero, ma era sicuro che fosse ancora molto presto.
Rabbrividì pensando all’incubo appena fatto, un incubo molto reale, purtroppo per lui.
Si alzò, tanto non avrebbe più dormito, e andò ad accendere il lumicino sul comodino.
Se non fosse stato per gli Holmes sarebbe, sicuramente morto. Doveva tutto agli Holmes e in particolare a Sherlock, che gli permetteva di collaborare con lui. Avrebbe fatto qualsiasi cosa il ragazzo gli avesse chiesto, per ripagare i propri debiti.
Sorrise.
Teneva tanto a Sherlock. Veramente molto, quasi troppo, forse. Da quando aveva visto quel bellissimo ragazzo, una forte passione si era impossessata del suo corpo e della sua mente, e da allora non se ne era più andata.
Scosse la testa, cercando di togliersi dalla mente Sherlock, anche se sapeva che era inutile: non ce l’avrebbe mai fatta.
Ovviamente, John sapeva che certi sentimenti erano proibiti, aveva sperimentato cosa significava essere diversi, ma non poteva non pensare a Sherlock con lui per sempre, magari che convivevano insieme.
-Che fantasie che mi sto facendo.- si disse mentre prendeva il lumicino dal comodino e andava verso il bagno per lavarsi il viso arrossato.
Avrebbe tanto voluto, una volta tanto, sentire sua sorella.
Harriet avrebbe sicuramente saputo cosa fare, ma Harry era lontano e non voleva di certo sentire lui dato che era stato lui a mandarla via da casa dopo aver scoperto le sue abitudini sessuali, considerate imbarazzanti e sconvenienti.
Frustrato, sospirò e  si specchiò, cogliendo l’immagine di un giovane uomo un po’ scosso. Chiuse gli occhi, si stiracchiò e, pensando che intanto non avrebbe dormito, si mise a leggere nel letto il libro che aveva preso dalla biblioteca la sera prima.

***

Gregory Lestrade aveva parlato a sua madre e dopo una lunga discussione, con rimproveri e sbuffi, erano arrivati a una soluzione: non si sarebbero fatti prestare i soldi dagli Holmes, se Greg avesse lavorato al negozio di suo padre abbandonando l’università che costava troppo per la sua povera madre.
Greg era molto soddisfatto di ciò: avrebbe potuto vedere quasi liberamente Mycroft e conoscere  il minore, Sherlock.
Dopo aver contrattato con sua madre  era partito per la dimora degli Holmes senza avvertire Mycroft della sua visita.
Era arrivato trafelato al portone e si era fatto annunciare dalla domestica, che l’aveva scortato in biblioteca.
Nella biblioteca c’erano due persone. La prima sedeva su una poltrona, la seconda era in piedi e stava parlando con l’altra, agitando le lunghe braccia come a voler enfatizzare un concetto di grande importanza.
Gregory osservò il quadretto in silenzio fin quando non fu notato dall’uomo in poltrona.
“Sherlock.” Mormorò l’uomo, e indicò Greg.
Il ragazzo chiamato Sherlock si fermò un momento e  scrutò negli occhi neri Gregory. Sherlock era un bel ragazzo, a detta di Greg, che fu rapito dagli occhi allungati.
“Chi è lei?” domandò Sherlock fissando sospettoso il viso di Greg: quest’ultimo fece per rispondere, ma fu interrotto da una voce che conosceva bene.
“Lui è con me, Sherlock.”
Greg si girò seguì il suono della voce, ritrovandosi a guardare il volto austero  di Mycroft Holmes che lo fissava dalla porta.
“Greg, ti presento Sherlock, mio fratello, nonché tuo fratellastro, e John Watson, medico militare.” Disse Mycroft.
Gli sguardi che si lanciarono Sherlock e Greg furono stupiti, eppure Greg sapeva bene chi era il ragazzo che lo guardava. Aveva infatti visto dei ritratti nella camera di Mycroft, ma mai si era aspettato di trovarsi davanti un giovane attraente come lui… e così diverso da Mycroft.
“Piacere.” Salutò Greg porgendo la mano a Sherlock, che non la strinse, limitandosi a guardare Greg come si guarderebbe un insetto.
Greg riprese la mano, capendo l’astio del ragazzo moro: probabilmente ce l’aveva  con lui per via del fatto che suo padre aveva tradito il sacro vincolo del matrimonio con un’altra donna che non era sua madre, generando un bastardo, cioè lui… guardò verso Mycroft pensando a cosa avrebbe fatto se mai l’altro l’avesse tradito: sarebbe diventato matto, altro che!
“Cosa ci fa lui qui?” quasi soffiò Sherlock fissando il fratello negli occhi.
“Già… Cosa ci fai qui?” ribatté Mycroft.
“Sono venuto a parlarti, Mycroft.” Fece Lestrade alzando il viso fiero.
“Perfetto. Andiamo. John, Sherlock, ci vediamo.” Disse Mycroft facendo strada a Gregory, che salutò i due con un cenno del capo.

“Che succede, Greg?” domandò Mycroft quando furono nel suo studio.
“Sono riuscito a far ragionare mia madre circa la nostra situazione.”
“E quindi…?”
“Quindi abbiamo risolto in questo modo: io andrò a lavorare al negozio di mio padre rinunciando all’università, in modo tale che mia madre non vi chieda più soldi e io le potrò dare una mano.”
“No.” Mycroft parlò piano, eppure per Greg fu come un urlo.
“Non ti permetterò di rinunciare all’università per noi.” Mycroft ci pensò un po’ su. “Penso che parlerò a tua madre… è l’unica soluzione.” Ammise alla fine.
Il suo amante lo fissò per un lungo momento in silenzio: parlare a sua madre significava rivelare, in parte, la grande attrazione che c’era fra lui e Mycroft, poiché sua madre avrebbe fatto domande… e lui questo non lo voleva, non voleva soffrire di nuovo né far soffrire Mycroft.
“Non c’è un’altra… scelta?”
“Un’altra scelta ci sarebbe, Greg. Separarci, tenerci lontano per un po’ di tempo… così che non soffriresti tu e non soffrirei io.” Rispose quasi con freddezza.
“Io… Non voglio allontanarmi da te, Mycroft.”
“Non vedo altre soluzioni, Greg.” Fece Mycroft.
Greg ci pensò un po’, per poi annuire tristemente. Era così felice quand’era arrivato, e adesso era così triste.
“Hai fatto la scelta giusta, Greg.” Annuì Mycroft.
“Aspetta… lasciami dire che lavorerò per mia madre comunque… cercando di andare anche all'università, in modo tale da non crearti più problemi.”

Mycroft lasciò andare Greg e sospirò. Aveva fatto bene a lasciarlo andare via. Non voleva avere più casini di quanti non avesse avuti finora e Greg si era presentato a lui con una così bella novità.
Si prese la testa fra le mani e sospirò nuovamente.
Un bussare alla porta lo fece voltare: era sua nonna, Cora Holmes che lo guardava. “Ciao, Mycroft. Ho visto un giovanotto scappare da questo studio… chi era?” domandò sua nonna.
Mycroft per poco non le scoppiò a ridere in viso… possibile che proprio fra tutti i suoi parenti, proprio lei, la madre di suo padre, venisse a chiedere chi era Greg??
“Non era nessuno, nonna. Vieni a sederti qui, per favore.” Implorò Mycroft. Era vero, non sopportava i suoi parenti in generale, ma in quel momento aveva bisogno di un po’ d’affetto. E poi sua nonna era l’unica che avrebbe fatto qualsiasi cosa per la famiglia, proprio come aveva fatto lui.
Cora si sedette accanto al nipote e lo guardò con occhi blu che ricordavano tanto Sherlock. “Non mi vuoi dire nulla?” domandò.
“No. Ho bisogno di averti accanto, però.” Disse Mycroft. Lady Cora Holmes sorrise abbracciando il nipote.
-Aveva fatto veramente bene a lasciare andare Greg?- si chiese Mycroft lasciandosi abbracciare dalla nonna.

***

Sherlock Holmes osservò la porta chiusa dalla quale erano usciti il suo fratellastro e Mycroft.
Un vago pensiero di seguirli gli entrò in testa, subito scacciato dal caso che doveva seguire e che si stava facendo sempre più complicato. Inoltre non poteva abbandonare John che lo fissava dalla poltrona.
Fu a lui che dedicò uno sguardo lungo: quella notte John non aveva dormito bene. Aveva avuto degli incubi, riguardanti probabilmente quello che era successo nella cittadina di Old Town.
Sherlock poteva vedere chiaramente il viso pallido e le occhiaie, ma soprattutto, dato che la sua stanza era sotto a quella di John, aveva sentito i piedi muoversi sul pavimento.
“Tutto bene, Sherlock?” domandò John fissando il suo viso.
“Certamente. Vogliamo pensare alla scomparsa, piuttosto?” ribatté freddo il consulente investigativo: non voleva pensare a Greg o a Mycroft, o ancora peggio, al viso di John.
Non si voleva far coinvolgere da qualcosa che non fosse il lavoro; e quel particolare lavoro si stava rivelando più complicato del previsto, ma a detta del maggiordomo con il quale John, secondo consiglio di Sherlock, era andato a discutere, era scomparsa anche la donna ritratta nella fotografia.
“D’accordo.” Annuì John riportando un’altra volta l’attenzione del Consulente sul caso.
“Che fine può aver fatto Miss Amanda?” chiese Sherlock; Amanda era il nome della committente e scomparsa.
“L’ipotesi più plausibile è che sia stata rapita, magari dalla stessa persona che ha preso le fotografie. Comunque, se anche fosse stata rapita… da chi? Perché e quando?” Sherlock fermò il suo lavorio e guardò verso John, che era rimasto in silenzio a fissarlo senza interrompere la sua parlata.
“Diamoci da fare, John: voglio trovare risposte; desidero sapere.” Disse Sherlock con una strana luce negli occhi chiari.
“Non sei l’unico, Sherlock.” Ammise John, che si era appassionato al caso e il cui umore migliorava ogni volta che si trovava coinvolto.

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Buonasera, 
scusate il ritardo nel pubblicare questo capitolo, ma gli esami all'uni mi hanno preso molto, molto tempo.

A questo proposito, vi voglio dire che sicuramente non potrò scrivere per un pò di tempo poichè ho un altro esame il 25 giugno...
Spero che questo capitolo vi piaccia e di ricevere commenti, anche se è un capitolo di transito.

Un bacio. Giù




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