L'altra faccia della medaglia

di Akilendra
(/viewuser.php?uid=280918)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** 33. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1


Penso non ci sia posto più bello nel quale perdersi del mio amato bosco nel distretto 7.
Così io spesso lo faccio, o almeno ci provo, difficile riuscirci, perchè anche se chiudo gli occhi è impossibile non riconoscere ogni singolo altissimo albero, ogni singola verdissima foglia, ogni ago di pino che scricchiola sotto i miei piedi; non è difficile sentire l'odore della pioggia, quell'odore di umido che nel mio distretto è sparso ovunque, o il canto di qualche uccello che, al mio passaggio, troppo timido per continuare, si rifugia su un ramo sopra la mia testa.
Penso non ci sia posto migliore nel quale rifuggiarsi per scappare dalla realtà del mio amato bosco nel distretto 7, io lo faccio spesso, chiudo gli occhi e comincio a correre, lasciando che l'odore forte di resina mi riempia i polmoni, lasciando che il rumore del vento tra gli alberi copra le urla silenziose del mio cuore; che all'improvviso smette di urlare e costringe i miei piedi a fermarsi, un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che sono io la copia originale dalla quale è stata creata; dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, perciò io sono l'originale e lei la copia.

Anna e Jenna, uguali ma diverse, luce e tenebra, stessi capelli corvini, stessi occhi color del buio, stessa bocca rosso sangue, così simili fuori, così opposte dentro...

Anna. Anna, la mia bella e dolce Anna, mia piccola Anna, dolce come lo zucchero filato, bella come il sole. Lei, lei che col suo sorriso conquista tutti, lei che sembra non accorgersi dell'effetto che fa sulla gente, lei è una boccata d'aria fresca, lei è la brezza primaverile che ti accarezza i capelli, lei è un soffio di vita, quella vita che non puoi non notare incrociando i suoi bellissimi occhi.

E poi ci sono io. Jenna. L'altra faccia della medaglia, il pezzo mancante, la sua immagine riflessa allo specchio.
Se solo ci fosse uno specchio che riflettesse anche il cuore delle persone, allora la gente vedrebbe la differenza, capirebbe quanto lei è diversa da me, quanto io sono diversa da lei.

Non potete capire quanto sia frustrante quando anche tuo padre fa fatica a riconoscerti, quando per strada i tuoi amici ti salutano con un gesto della mano, ma non ti chiamano per nome, perché non sanno quale delle due hanno davanti.
La verità? Non esiste persona più diversa da me della mia gemella.
La guardo per un attimo: capelli lunghissimi scuri e mossi, labbra carnose e rosse, occhi grandi e lunghe ciglia nere...io non sono così bella! Ma se guardo meglio in quegli occhi neri, vedo quella dolcezza che i miei non hanno mai contenuto, e se cerco bene nel suo cuore, sento quella purezza e semplicità di una bambina, che anche se volessi, non troverei mai in me.
Anche lei mi guarda e dopo un attimo mi sorride e mi butta le braccia al collo, potrei passare le ore a guardare il suo sorriso, è così bella, così pura, così dolce e indifesa che se penso che è mia sorella mi fa paura, lei è così diversa, che a volte fatico a credere che viviamo sullo stesso pianeta!
Lei è una stella, così luminosa che, dopo averla vista, non vorresti più staccarle gli occhi di dosso; anche io sono una stella, ma la mia è una luce che se la guardi troppo, ti acceca, una luce che se le stai troppo vicino, ti brucia, una luce che dopo averla vista non vorresti più ripoggiarle gli occhi addosso.

Mi beo di quest'abbraccio, perchè il dolce profumo della sua pelle è la cura ad ogni mio male, intreccio le mie dita nelle sue e mi lascio trascinare verso casa. Arrivate nella piazza, già affollata a quest'ora del giorno riconosco tra tutti, un paio di occhi troppo familiari per non notarli, quel paio di occhi che riconoscerei tra mille. Anche Anna li vede e mi lascia la mano, cedendomi alla figura che si sta avvicinando, lo saluta con un sorriso .
– Ti aspetto a casa – dice poi allontanandosi, le faccio un cenno con la testa e ritorno a guardare negli occhi il ragazzo davanti a me. I capelli scuri come la corteccia del più bello degli alberi sono illuminati dal sole, gli occhi azzurri come il mare e il cielo messi assieme si perdono nei miei e il suo largo sorriso brillante convince il mio viso ad imitarlo e le mie labbra si schiudono in un sorriso che arriva dritto ai suoi bellissimi occhi.
Se gli angeli esistono hanno i suoi occhi, e il suo sorriso, e i suoi capelli, e la sua voce, se gli angeli esistono, lui è senz'altro uno di quelli.
Devo alzare lo sguardo per incrociare il suo, e nonostante per i miei diciasette anni non sia bassa, la sua altezza non data di certo dai tre anni in più,mi costringe ad alzarmi sulle punte dei piedi per stampargli un bacio sulla guancia.
- Stamattina sono passato a casa tua per salutarti, ma non c'eri - mi dice prendendomi una mano, mi guardo in giro per vedere se qualcuno ha visto il suo gesto, lui ridacchia e mi tira per un braccio avvicinandomi ancora di più a lui, e cingendomi con un braccio i fianchi.
- Ero nel bosco – dico con un sospiro di rassegnazione, all'idea che sicuramente ci ha visto un sacco di gente, lui ne capisce il motivo e non riesce a trattenere una risata sincera che mi scoppia in faccia e fa ridere anche me. Così tra una risata e l'altra mi accompagna a casa.
Il suo nome è Sam, lo conosco da quattro anni, o meglio lo conosco da sempre, ma è stato quattro anni fa che siamo diventati amici, e col tempo qualcosa di più... quattro anni fa, quando lui era solo un ragazzino spaventato, così fortunato da aver vinto a sedici anni gli Hunger Games pur non essendo un favorito, con una madre troppo occupata a preoccuparsi di cinque fratellini più piccoli per badare a lui, lui che si ostinava a vivere nella sua vecchia casa e non voleva mettere piede nel villaggio dei vincitori, solo, con me come sua unica compagna, una ragazzina silenziosa e scontrosa che veniva pagata dalla madre per cucinargli e controllare che la sua casa non diventasse un porcile.
Era un buon lavoro, da quando aveva vinto gli Hunger Games, di soldi ne aveva quanti ne voleva, invece noi non ce la passavamo bene da quando mio padre aveva chiudo il negozio di famiglia. Era successo poco prima che conoscessi Sam, papà non ce la faceva proprio a passare le giornate in quel posto, un tempo illuminato dai sorrisi, dalle risate, dalla voce di sua moglie... mia madre.
Da quando lei era morta niente era più lo stesso, inutile fingere di essere forti, persino la carta da parati che decoravano lei e papà per venderla al negozio, gridava la sua assenza, assenza che era diventata troppo evidente nel nostro negozio, vuoto e silenzioso senza la sua voce e le sue mani che erano sempre pronte ad accogliere i clienti.
Tutti soffrivamo, ma mentre Anna scacciava il dolore facendo finta di niente e occupandosi della casa, io elaboravo il mio lutto rannicchiata a terra, con le ginocchia al petto, in una specie di doloroso torpore dal quale non riuscivo a svegliarmi, accanto a me c'era mio padre che stringeva due bottiglie di liquore come se fossero loro le sue figlie bisognose delle sue attenzioni.
Poi un giorno lo vidi alzarsi, bruciare tutte le sue bottiglie, ricordarsi di avere due figlie da crescere da solo, e tornare lo splendido padre di cui avevamo bisogno io ed Anna.
Io però non mi alzai, o meglio il mio corpo lo fece, ma il mio cuore rimase rannicchiato per terra,in quel torpore, attanagliato da un dolore troppo vivo e profondo per cercare di essere forti, per cercare di andare avanti; poi un giorno un paio di occhi inconfondibili mi salvarono e mi aiutarono a rialzarmi, a svegliarmi da quel torpore che mi aveva rubato già abbastanza della mia vita, quel giorno promisi a me stessa che sarei stata forte, quel giorno promisi a me stessa che non avrei pianto più.
Ma nonostante Anna che sorrideva, papà che lavorava fino a spezzarsi la schiena e le mie lacrime che non versavo, i soldi purtroppo non crescevano su una pianta nel nostro giardino, così io e mia sorella dovemmo rimboccarci le maniche molto presto. Per la sua innata simpatia e gentilezza fu Anna la prima a trovare lavoro, infatti all'inizio era compito suo andare da Sam, ma un giorno di quattro anni fa, lei era a letto con la febbre e così controvoglia dovetti andare io. Non gli rivolsi parola, fu lui che ruppe il silenzio chiedendomi perchè fossi venuta lì al posto di mia sorella; non risposi ma non sapeva che con quella semplice domanda mi aveva già conquistata, lui mi aveva riconosciuta, vivevamo da anni nello stesso distretto senza esserci mai parlati eppure, lui mi aveva riconosciuta, con una sola occhiata aveva capito di trovarsi di fronte una persona diversa da quella che vedeva tutti i giorni. Da quel giorno in poi, prendermi cura del ragazzino che aveva vinto gli Hunger Games diventò compito mio.
Lui non parlava con nessuno a quanto mi diceva sua madre, solo con me si dilungava in discorsi dal senso compiuto discutibile, e come risposta otteneva solo qualche mia occhiataccia stralunata; fingevo infatti fosse frustrante passare le mie giornate con Sam, in realtà la sera quando me ne andavo da casa sua, non vedevo l'ora di rivederlo il giorno dopo, credo che lui lo avesse capito, altrimenti non riuscirei a spiegarmi perchè ogni giorno continuava a parlarmi, perchè ogni giorno mi sembrava stessi diventanbdo la sua migliore amica, non riuscirei a spiegarmi perchè un giorno cancellò per sempre dalla mia mente la possibilità di essere sua amica posando le sue labbra sulle mie; e anche io avevo ammesso a me stessa i sentimenti che provavo per lui, altrimenti non riuscirei a spiegarmi perchè quel giorno invece di allontanarmi premetti più forte le mie labbra sulle sue.
Lui quel giorno mi salvò, mi aiutò ad alzarmi, mi svegliò da quel torpore che riempiva le mie giornate, io in cambio gli dedicavo ogni mio stralunato sorriso, sostituivo le urla a cui era abituato il mio cuore in sussurri che solo lui poteva udire, da quel giorno gli riservai per sempre un posto unico nei miei pensieri, perchè lui mi aveva fatto scoprire quella vita a cui io avevo rinunciato, quella mia vita che doveva essere ancora vissuta, quella vita che poteva essere ancora bella.

Lui da quel giorno mi prese per mano.

Io da quel giorno non lo lasciai più.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


Sam tre anni fa si può dire fosse guarito, ogni vincitore dopo i giochi è malato, la loro è una malattia che ti leva la voglia di vivere, che ti porta a rimpiangere di non essere morto nell'arena.
Sam finalmente stava meglio, stava uscendo piano piano da quel tunnel, non stava ancora bene, ma qualche volta, quando i ricordi glielo permettevano, usciva anche di casa, percorreva giusto quei pochi metri che lo portavano a casa mia, anche solo per bussare alla porta e salutarmi per poi ritornarsene sul divano di casa sua a rimurginare sui suoi pensieri. Nonostante sua madre avesse notato i suoi miglioramenti, continuava a pagarmi, anche se oramai ero pressocchè inutile, così io non persi il mio lavoro, e non persi l'opportunità di innamorarmi.
Col tempo il rapporto tra me e Sam si è intensificato, ma continuiamo a nasconderci, facendo del nostro amore un segreto, segreto che nel distretto 7 anche i muri conoscono. Come se fosse possibile non accorgersene, come se fosse possibile non notare i suoi occhi puntati sempre su di me, i miei che cercano ovunque i suoi, e che quando li trovano si illuminano della stessa luce che ha il suo sorriso quando mi guarda.
No, è decisamente impossibile non accorgersene, perfino le nostre famiglie credo siano al corrente del rapporto oltre l'amicizia che c'è tra noi, anche se nè loro nè noi abbiamo mai ufficializzato niente; di certo però non sanno delle sere in cui io e Sam ci incontriamo nella sua vecchia casa e passiamo la notte insieme, l'unica che è a conoscenza del nostro segreto, stavolta un vero segreto, è Anna, non potevo non dirglielo, e poi sapevo che avrebbe tenuto la bocca chiusa.
Sam sa tutto di me, ed io so tutto di lui, l'unica parte della sua vita che non mi ha mai voluto raccontare è il periodo che ha trascorso nell'arena, l'avevamo visto tutti nel distretto, impossibile non farlo con i maxischermi sparsi ovunque, ma lui non ne aveva mai parlato con nessuno, aveva passato questi quattro anni a fare finta che non fosse successo niente, a provare a dimenticare, ma non c'è pericolo che lo faccia, ci sono i suoi incubi ogni notte ad impedirglielo, è così per ogni vincitore.
Quando dormo con lui mi accorgo sempre quando li ha, perchè si agita nel letto, e quando apre gli occhi, io sono sempre lì a ricordargli che era solo un sogno, un sogno del quale lui ogni volta non mi parla mai, e del quale io non gli chiedo.
Sam mi assicura sempre che quando dorme con me gli incubi si dimezzano, ed io non so mai se è vero, o se è solo una scusa per vederci ogni sera, ma stasera so che non è una scusa quando mi dice che senza di me affianco non chiuderà occhio, lo so perchè sicuramente sarebbe così anche per me, dopotutto domani c'è la mietitura, e tutti abbiamo paura, anch'io che non do a vederlo ho paura, anche se quest'anno qualcosa mi dice che non sarà il mio nome ad essere estratto, ma di certo questa mia sensazione non mi da la tranquillità che vorrei.
Così passo la notte stretta tra le sue braccia, felice come non lo sono mai stata, e per qualche ora ci dimentichiamo di tutto, lui dei suoi incubi, io delle mie preoccupazioni, e la mattina quando apro gli occhi mi accorgo che stanotte i suoi brutti sogni ci hanno lasciati in pace, per un attimo sorrido al pensiero del regalo che ci è stato fatto; poi però torno subito seria, guardo fuori dalla finestra, e dal sole ormai alto deduco che è tardi, e che siamo nei guai fino al collo!
Lo sveglio, ci vestiamo in fretta e uscendo prendiamo due strade opposte, controllando che nessuno ci abbia visti.
- Metti il vestito bianco oggi – mi urla prima che possa imboccare la mia strada
- Ma è di mia sorella – protesto, dicendo addio al non farci sentire, e domandandomi come faccia a pensare al vestito che indosserò alla mietitura
- Per favore! - mi prega prima di scomparire su per la sua stradina.

Arrivata davanti casa mia noto subito Anna, affacciata alla finestra con una faccia preoccupata, quando mi vede si precipita fuori e prendendomi sotto braccio mi trascina qualche passo verso la strada, lontana dalla finestra aperta - è questa l'ora di tornare? Sono le dieci ed io stamattina ho dovuto disfare il tuo letto prima che entrasse papà – mi sgrida a denti stretti - Lo so, scusa, è che stanotte Sam non ha avuto incubi e non ci siamo svegliati – le spiego, sperando che questo l'addolcista, e quando sul suo viso compare un sorriso so che so che ha funzionato.
- Ah, a proposito...perchè io sto tornanndo a quest'ora? - le domando informandomi su quale scusa ha inventato per coprirmi con papà - Sei andata a fare una passeggiata nel bosco, come al solito! - mi dice ridendo, le lascio un bacio sulla guancia per ringraziarla e corro in casa. Dopo aver ascoltato le ramanzine di mio padre per aver fatto tardi NEI BOSCHI, io ed Anna cominciamo a prepararci per quella che sarà l'ora più brutta di quest'anno. - Posso mettere il tuo vestito bianco? - le chiedo ricordandomi della richiesta di Sam - Perchè mai vorresti un mio vestito?- mi chiede stupita - Mi ha chiesto Sam di indossarlo – rispondo in un sussurro, poi vedo la sua faccia sbalordita, non riesce proprio a credere che metterò il suo vestito, ho gusti molto diversi dai suoi, penso a quel vestito con tutti quei pizzi e merletti...neanche io riesco a credere che lo metterò!
- Non riuscirai a portarlo per più di dieci minuti, non riusciresti a somiglirmi così tanto! - dice risoluta - Riuscirei a fingermi te per una giornata intera, e sai che nessuno noterebbe la differenza! - dico in tono di sfida, lei alza un sopracciglio, non ci crede – Scommettiamo? - la incalzo con un sorrisetto beffardo stampato in faccia - Scommettiamo! - conferma lei ricambiando lo stesso sorriso.
Così stringo i denti e mi costringo ad indossare il suo vestito bianco, mi concedo persino il lusso di un filo di trucco, e sistemo i capelli sciolti su una spalla, proprio come fa sempre lei; Anna invece mette il mio abito blu, è semplice e dritto e, come piace a me, lega i capelli in una coda alta e lascia il viso pulito. Per un attimo ci guardiamo con un po' di rivalità per questo nostro "gioco", entrambe abbiamo fatto un ottimo lavoro: nessuno ci riconoscerebbe; guardo il mio riflesso allo specchio, soffermando lo sguardo sui miei occhi, d'un tratto penso a Sam, per quanto possa mascherarmi so che gli basterà gurdare nelle mie iridi color del buio per riconoscermi, pensandoci non riesco a trattenere un sorriso, che si spegne velocemente quando raggiungo con Anna la piazza.
Il nostro gioco ora diventa solo uno sciocco capriccio, e cominciamo a sentirci a disagio l'una nei panni dell'altra in un momento delicato come questo. Trovo sul palco gli occhi azzurri di Sam, che stavo cercando, e cerco di infondervi un po' di tranquillità, dimenticavo che lui dato che è un vincitore è costretto ad assistere al macabro spettacolo della mietitura da lassù, ed anche se per ora ha sempre ceduto il compito di mentore agli altri vincitori, deve comunque fare questo sforzo per ricordare agli altri e a se stesso il ruolo che occupa.
Prendiamo posto nella piazza e presto la sciocca voce, dal tono inspiegabilmente felice, dell'accompagnatrice del nostro distretto mi trapana le orecchie con quell'accento troppo fastidioso per ascoltare anche quello che dice. Riesco però a sentire che anche quest'anno si comincerà dalle ragazze, si avvicina sfumeggiante all'ampolla, ci infila la minuta manina smaltata di fucsia dentro e mescolta i foglietti all'interno per quella che mi sembra un eternità, poi come attirata da chissà quale forza la sua mano si ferma e afferra un bianchissimo foglietto. Lo spiega, e si riavvicina al microfono, guarda la folla come per cercare il volto della disgraziata a cui appartiene il nome nelle sue mani, per un attimo mi sembra che i suoi occhi truccati si fermino anche su di me, ed io con un occhiataccia torva e carica di tutto l'odio e il disprezzo che riesco a mettere insieme, rispedisco le sue ciglia finte sul foglietto, che stiracchia ancora un po', poi le sue labbra rosa si schiudono...
- Anna Wellington –
E il mondo perde colore, mi gira la testa e le mie orecchie si riempiono di ovatta, sono lontana, sono in un sogno, i miei occhi si chiudono, mi sento svenire, poi sento un sospiro sollevarsi dalla folla, segno che qualcuno è salito sul palco, allungo la mia mano e ne trovo un altra, per fortuna Anna è ancora qui vicino a me, qualcuno si è offerto volontario. Tiro un sospiro di sollievo, così sollevata apro gli occhi...
Ma c'è qualcosa che non va... mi accorgo che sono io ad essere salita sul palco, giro la testa e vedo con amarezza che la mano che stringo non è quella di mia sorella, ma quella della sciocca donna rosa di Capitol City - Sei tu Anna, cara? - mi domanda con voce squillante e un po' imbarazzata dalla situazione.
In un attimo vedo passare la mia vita davanti ai miei occhi, vedo il volto di Anna, il sorriso di Sam, risento gli abbracci di mio padre, la risata di mia madre, i baci di questa notte, l'odore di resina del mio bosco... e poi tutto questo scompare, vedo Anna, così dolce, pura e indifesa, la vedo bella in quel suo vestito bianco che oggi le ho rubato, poi una spada le mozza la testa e schizza il mio viso del suo sangue innocente... lei non sopravviverà nell'arena, lei è troppo buona per uccidere, ma lei non può morire, io non lo permetterò, così adesso so cosa fare, so che l'ho sempre saputo, le mie labbra si schiudono e sto per dire che no, non sono io, ma che mi offro volontaria, quando le parole mi muoiono in gola. Non so perchè ripenso a Sam che mi chide di indossare il vestito di Anna, al nostro stupido gioco, ripenso alla promessa infantile di quando eravamo due ragazzine e ci promettemmo di non offrirci volntaria per l'altra...
il mio sguardo si abbassa sul pavimento legnoso del palco,e come svegliata da un sogno la voce mi esce in un sussurro – Si, sono io – dico.
Mi giro verso Sam, ha il viso pietrificato, poi guardo verso la piazza, faccio appena in tempo a vedere gli occhi di Anna pieni di lacrime, prima che i pacificatori mi scortino nel palazzo alle mie spalle; ripenso ai suoi occhi pieni di quelle lacrime che io, non avrei versato, e penso subito che deve smetterla di piangere...perchè da oggi in poi dovrà essere me!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Angoletto dell'autrice che non si fila nessuno :  Prima di tutto vorrei ringraziare nica89 per aver letto questa storia, averla messa tra le seguite, preferite e averla recensita, GRAZIE DAVVERO, poi un grazie va anche a Moonymu, che l'ha messa tra le seguite. Grazie infinite soprattutto per aver evitato che l'autrice cadesse in depressione...è che è la  mia prima ff a capitoli e non è facile per me scrivere così! Sarei davvero molto molto molto contenta se voleste dirmi la vostra dopo aver letto la storia, è molto importante davvero, essendo la prima sono sicura che ci sarebbero un milione di cose da migliorare, ma se nessuno me lo dice...come posso farlo?
Comunque, dato che scrivere fa bene prima di tutto a me stessa, io continuo imperterrita a sfornare capitoli anche se non se li fila nessuno, però c'è da dire che una recensione, seppur piccicina piccina, contribuirebbe a migliorare di molto il mio umore e quindi gioverebbe a quello che scrivo... fate un po' voi, fate una buona azione, salvate la sottoscritta "autrice" dal suicidio!
Grazie mille, un bacio, Akilendra





Capitolo 3



Sono seduta sulla bianchissima sedia del palazzo di giustizia, la porta si apre rumorosa, e ancora più rumorosa entra Anna accompagnata da mio padre.
Qualche bacio, molti abbracci, troppe lacrime, parole inutili che scivolano sul pavimento della stanza, poi Anna chiede di stare un attimo sola con me.
Appena la porta si chiude, piange ancora più forte e tira deboli pugni sulle mie ginocchia; le blocco i polsi e costringo il suo occhi a fissarsi nei miei, sembra riacquistare un po' di contegno, ma non la smette di piangere.
- Perchè? - riesce solo a sussurrare con la voce rotta dal pianto
– Perché? -   ripete, con voce stavolta udibile
– Perché? -  insiste, ora urla, liberandosi dalla mia presa e alzandosi in piedi, mi alzo anch'io e le metto le mani sulle spalle, costringendola a rimettersi seduta.
Non aspetta la mia risposta, non c'è una risposta, non l'avrei mai lasciata andare nell'arena; le alzo il viso con le mani – Chi sei? - le domando con voce ferma – Anna Wellington – risponde sicura  - NO! - urlo stringendole le spalle – SI! - risponde urlando anche lei – No, tu sei Jenna Wellington – la mia voce non è alta ma è irremovibile – E non piangere! Ricordati che da oggi tu sei me ed io te – dico asciugandole le lacrime con le dita, le mie parole non accettano proteste – Ci proverò – mi dice rassegnata – NO! Tu ci riuscirai! - dico cancellando ogni altro dubbio nella sua testa.
- Chi sei? - chiedo ancora – Jenna Wellington! - risponde con la voce più sicura che riesce a tirare fuori.
Annuisco, come a convincere me stessa, poi un pacificatore irrompe nella stanza, di scatto l'abbraccio, non voglio lasciarla – Non permettergli di toccarti, vai... esci da sola da questa stanza! Ricordati: tu devi essere forte, tu sei Jenna Wellington – le sussurro all'orecchio – Vai! - la incito ancora, lei si stacca lentamente da me, e prima che il pacificatore possa portarla via, Anna lo stupisce, e stupisce anche me uscendo con le sue gambe.

Mi accascio sulla sedia, priva di ogni forza, come un burattino a cui hanno tagliato i fili, sto per crollare, per buttare fuori tutto quello che ho dentro, quando due occhi inconfondibili entrano nella stanza.
Sam si avvicina e si siede sulla sedia di fronte alla mia.
Lo guardo per un lunghissimo istante: posso convincere tutta Panem di essere un altra persona, posso convincere mio padre, posso perfino convincere me stessa, ma non lui, lui no, perchè gli basterà guardare ancora una volta nei miei occhi color della notte per sapere chi sono, gli basterà chiudere gli occhi e riconoscerà il profumo della mia pelle, gli basterà sfiorare il mio viso e saprà che non c'è altra persona al mondo che trema così sotto il suo caldo tocco.

Per una volta nella mia vita mi concedo il lusso di guardarlo e riconoscerlo.

Per la prima volta mi concedo il lusso di riconoscere nelle sue braccia, quelle braccia che mi hanno stretta forte nei momenti difficili, mi concedo di riconoscere nelle sue labbra, quelle labbra che mi hanno baciata fino a far asciugare le lacrime sulle mie guance, e mi concedo di riconoscere nei suoi occhi, quegli occhi che tante volte mi hanno riportata indietro dall'abbisso di dolore in cui ero sprofondata, quegli occhi che mai al mondo dimenticherei.

Per una volta mi concedo il lusso di guardarlo e  riconoscerlo.

Ha gli occhi arrosssati, non dice niente, sa che sarebbe inutile, così mi stringe a sè e mi bacia con tutto il sentimento che ha in corpo, io ricambio; questo bacio è umido come le sue lacrime che bagnano le mie labbra, questo bacio è arrabbiato come lui che non avrebbe mai voluto dire l'addio che questo bacio dice, questo bacio è innamorato come le  due persone che se lo stanno scambiando, questo bacio è forte, dolce,disperato, speranzoso, è tutto, in questo bacio ci sono io, in questo bacio c'è lui.

- Tu devi farmi una promessa – dico staccandomi dalle sue labbra – Tutto – risponde, la voce che ancora gli trema – Tu devi proteggere mia sorella, devi starle vicino, sempre...qualsiasi cosa accada! -  l'ultima frase non la dico con la voce ferma che vorrei, e maledico questa mia debolezza – Io la proteggerò...- dice con il cuore in mano, negli occhi turchesi però vedo una luce che non vorrei vedere, è la luce di quando sta per fare qualcosa di stupido e insensato.
- Promettimelo! - dico afferrandogli le mani – Te lo prometto – dice, ma quella luce non ha abbandonato i suoi occhi.
Lo stesso pacificatore entra e Sam mi da un ultimo bacio prima di scomparire dietro la porta – Addio – sussurro più a me stessa che a lui.

Mi concedo un attimo per rievocare in me l'odore di resina dei miei boschi, che mi da la forza necessaria per salire su quel bestione di metallo che chiamano treno.
Faccio conoscenza anche con l'altro tributo del mio distretto, si chiama Jake, lo conosco solo di vista, non ci eravamo nemmeno mai parlati prima d'ora, sono felice che non sia una persona a cui voglio bene, ma in cuor mio so che non fa nessuna differenza, non riuscirei mai ad ucciderlo una volta nell'arena.
Ci vuole qualche giorno per arrivare nella Capitale, io passo il mio tempo chiusa nella mia cabina, rifiutandomi di vedere anche i miei mentori, una volta arrivati al palazzo però sono costretta ad incontrarli ," loro sono davvero molto, molto importanti se volete sopravvivere" la mia mente imita le parole di Zelda, la nostra accompagnatrice.
Vedo due occhi indimenticabili fissarmi, il bicchiere di cristallo che fino ad un attimo prima tenevo in mano si frantuma a terra, nonostante le gambe mi tremino trovo la forza di alzarmi e raggiungere il ragazzo a cui appartengono, comincio ad urlargli parole orribili e a picchiare pugni sul suo petto, lui con facilità mi alza da terra e mi trascina nella mia stanza sbattendomi letteralmente sul letto e immobilizzandomi col peso del suo corpo così da tenermi ferma.
– Mi avevi promesso che l'avresti protetta! - urlo in preda al panico – Chi le starà vicino? Chi  la consolerà? Chi le impedirà di fare qualcosa di stupido quando mi vedrà morire su un maxischermo? - gli urlo con tutta la voce che ho in corpo – Io lo sto facendo...io la sto proteggendo, perchè le riportrò sua sorella a casa! - accompagna le sue parole con una carezza sul mio viso, che scanzo subito alzandomi per dargli le spalle – Tu mi avevi fatto una promessa, non l'hai mantenuta – la mia voce è fredda e distante.
In quel momento Sam mette in atto la più grande forma di rispetto nei miei confronti, si alza dal letto, riesco a vedere il dolore nei suoi occhi e con passi muti esce dalla stanza.

Mi lascio cadere sul letto, ho voglia di piangere ma non ci riesco, mi stropiccio gli occhi fino a farli arrossare, ci butto sopra un po' d'acqua gelida, ma le uniche gocce che rigano le mie guance sono quelle dell'acqua del rubinetto che mi sono appena spruzzata in faccia.
Dato che non riesco a piangere, allora urlo, chiudo gli occhi e urlo, butto via e distruggo tutto quello che mi capita a tiro, fin quando tre figure ridicole aprono la porta; sono così brutti, esagerti e squallidi che sono certa siano di Capitol City – Ci è stato chiesto di fare il trattamento qui – esordisce quello che presumo essere un uomo, difficile dirlo con tutto quel trucco sul viso.
Nonostante urli più forte di prima e cerchi di colpirli con qualunque cosa sia scampata alla mia precedente furia loro non demordono. 
– Ce lo aveva detto che non sarebbe stato facile – dice una, mi fermo un attimo – Chi vi ha chiesto di venire qui? - chiedo impaurita dalla possibile risposta – Il tuo mentore...credo si chiami Sam – al solo sentire quel nome scatto come una molla, mi butto a terra esasperata, non voglio più sentirlo nominare, eppure vorrei le sue braccia e le sue labbra qui a consolarmi, ma lui non verrà, non dopo il litigio di oggi, se c'è una cosa che odio di lui è il suo orgoglio, così come odio il mio.

Per un attimo lotto contro le mie emozioni contrastanti, e devo ripetermi più volte che lo odio per aver abbandonato mia sorella, ma allora perchè già mi manca?
Maledico me stessa, maledico la mia debolezza, maledico il fatto che non so stare senza di lui.
Prosciugata da ogni forza alzo lo sguardo su un viso truccato e noto un graffio rosso sulla guancia incipriata – Che hai fatto? - chiedo cauta – Bhè...fino ad un secondo fa eri molto arrabbiata – mi risponde con un sorriso isterico, mi scuso goffamente, anche se mi domando come abbia fatto ad oltrepassare con le mie unghie quegli spessi strati di trucco. Rassegnata mi stendo sul letto e mi abandono a qualsiasi trattamento di "bellezza" vogliano farmi, per quanto si può dire che capiscano di bellezza quelli di Capitol City, alla fine mi addormento, e quando mi sveglio sono sola con un biglietto sul comodino con su scritto :
" Non muoverti, non toccarti, non fare niente" , " respira solo se necessario" aggiungo mentalmente, non faccio in tempo a ridire dell'esagerazione del messaggio, quando l'esagerazione incarata nei miei tre preparatori irrompe nella mia camera, accompagnata da Arthur, il mio stilista a quanto dicono.
- Non ho fatto niente – dico alzando le mani, i loro occhi mi scrutano per verificare le mie parole, poi Arthur mi accompagna in una grande sala con dodici carri.
Appena vedo gli occhi azzurri di Sam mi dimentico subito del nostro litigio e lo abbraccio forte, perchè nonostante tutto ho bisogno di lui!

Quando ci stacchiamo noto il suo sorriso malizioso mentre scosta il mantello che ho addosso, così decido che è ora di vedere il lavoro che hanno fatto su di me, abbasso lo sguardo: sono completamente nuda, un groviglio di foglie verdi copre il mio seno ed un altro i miei fianchi, per il resto non ho niente addosso.
Quando poi alzo gli occhi e vedo un ragazzo biondo fissarmi, un senso di pudore mi invade, anche Sam se ne accorge – Che vuole il biondino? - ringhia coprendomi col mantello, ma devo levarlo subito perchè mi fanno salire sul settimo carro, e vicino a me noto con un po' di amarezza che Jake è decisamente più coperto di me.
Grandi luci mi accecano appena le porte pesanti si aprono e i primi carri iniziano a muoversi, quando anche il mio inizia a camminare resisto all'impulso di scappare, riesco solo a sentire le urla incontenibili del pubblico, mi guardo intorno un po' spaesata, poi capisco che stanno acclamando me, e su molte labbra colorate leggo il mio nome.
  

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Su quel carro, con tutti quegli occhi addosso mi sento fuori luogo, ma mi trattengo ancora una volta dal correre via, mi giro solo un attimo, giusto il tempo di incociare l'azzurro degli occhi di Sam e il suo gesto che mi indica le labbra, vuole che sorrida, così lo faccio, e sul mio viso si apre un sorriso che non credevo nemmeno di essere capace di produrre; la folla lo apprezza, e se prima applaudiva ora batte i piedi, se prima mi lanciava baci ora piovono ai miei piedi rose, se prima urlava ora esplode in un boato che non ha voce.

Appena scendo dal carro per fortuna trovo rifugio tra le calde braccia di Sam – Sei stata grandiosa! - mi dice con voce rassicurante all'orecchio, prima di riaccompagnarmi nella mia stanza.
Quando chiude la porta alle sue spalle mi raggiunge subito e mi abbraccia da dietro, posando il suo mento sulla mia spalla nuda, che manda a tutto il corpo piccoli brividi caldi, chiudo gli occhi e cerco di prendere tutto l'amore che c'è in quel contatto.
All'improvviso la porta si apre e la figura rosa di Zelda, l'eccentrica accompagnatrice del nostro distretto, irrompe nella stanza, noi ci allontaniamo subito, ma è chiaro che ci ha visti, ci scruta per un po', poi con un espressione indecifrabile e una voce terribilmente tranquilla rompe l'imparazzante silenzio che si era creato – Ero venuta per comunicare l'orario della sveglia di domani, che sarà alle 7, credo che sia meglio che tu ti metta subito a letto, domani sarà una lunga giornata – dice rivolgendosi a me, fa una piccola pausa e sposta il suo sguardo fulminante su Sam – Suppongo che tu stavi andando in camera tua...- gli suggerisce, invitandolo indirettamente ad uscire – Oh, si...io...ero venuto per... - Sam farfuglia qualche parola un po' confuso, ma lo sguardo di Zelda sembra pregarlo di non continuare, così esce silenziosamente dopo avermi salutata con lo sguardo.
Zelda lo segue abbandonando la stanza, non prima però, di avermi lanciato un occhiata severa.
La mattina dopo quando la rosa capitolina entra in camera mia, mi trova già sveglia e vestita, questa notte è stata infernale, se io non ho chiuso occhi non immagino come l'abbia passata Sam, lei sembra accorgersi che non ho dormito molto, lo capisco dall'espressione a metà tra comprensione e rimprovero che ha sul viso, e quando mi guardo allo specchio capisco che anche i grandi cerchi scuri intorno ai miei occhi la dicono lunga sulla notte insonne che ho appena passato.

Per due giorni non faccio altro che trascinarmi giù dal letto, abbuffarmi a colazione, far finta di allenarmi, abbuffarmi a pranzo, far di nuovo finta di allenarmi, abbuffarmi ancora a cena e ritrascinarmi nel letto.
Duranti gli allenamenti non mi curo degli altri tributi, passo quelle ore a fare quello che so fare meglio: correre.
Infatti quest'anno, per mia fortuna, è stata inserita nella sala degli allenamenti anche una pista dove noi tributi possiamo testare la nostra resistenza; ogni volta che alzo lo sguardo, trovo gli occhi color ghiaccio del biondino, che ho scoperto essere del distretto 2, e gli lancio occhiate stralunate, ma lui non sembra curarsene e qualche volta, mi pare risponda anche con un sorriso.
Stamattina però quando apro gli occhi non posso non pensare che oggi è l'ultimo giorno d'allenamento, e che forse è ora che io la smetta di correre e mi concentri su qualche talento che mi possa essere utile nell'arena a parte quello di scappare!
Mi fermo per un attimo a guardare la mia immagine riflessa nello specchio: non sono bassa, nè gracile, non ho l'aspetto di una denutrita, il mio corpo sembra sano e persino forte, sono sveglia, e ho fegato da vendere...cos'è che mi rende tanto diversa dal biondino, dalla sua compagna di distretto o dal resto dei favoriti?
"Forse il fatto che non sai neanche come si impugna una arma?"
Mi suggerisce una vocina nella mia testa, ma sì, chi voglio prendere in giro?
Loro hanno passato la loro vita ad allenarsi per questo, io ho passato la mia a cercare di scappare dagli Hunger Games, e neanche ci sono riuscita!

Scappare: questa è l'unica cosa che so fare, potrei forse uccidere un tributo costringendolo ad inseguirmi finchè non crolla a terra morto dalla fatica per avermi rincorsa?
Archivio l'idea con un debole sorriso, peccato che ci sia poco da ridere: tra pochi giorni sarò catapultata in un arena, ventitrè ragazzi cercheranno di uccidermi ed io non ho la minima idea di come potrò anche solo provare ad impedirglielo.

Quando arrivo nella sala degli allenamenti sono così assorta nelle mie preoccupazioni che non mi accorgo che il biondino del 2 mi si è avvicinato – Ciao, io sono Ares – la sua voce è così calda che mi scotta quando mi risveglia dai miei pensieri.
Ares, solo il nome mi fa rabbrividere, si chiama come il dio della guerra, un dio che veneravano moltissimi anni fa; per un attimo penso al mio: Jenna, non incude di certo nè timore nè reverenza – Anna – gli rispondo correggendo i miei pensieri, dimenticavo che ora io sono Anna Welington!
- Ti ho vista mentre mi guardavi l'altro giorno! - mi dice ammiccando, tiro fuori un sorrisetto sarcastico che non so neanche da dove venga – E chi ti ha detto che guardavo proprio te? E poi anche se fosse...tu sono due giorni che continui a fissarmi! - sorprendo lui e sorprendo me stessa con un tono impertinente e con una faccia tosta che proprio non è da me.
Lui scoppia a ridere, in una risata che sa tanto di musica, in effetti però è vero, ieri non la smettevo di fissarlo mentre si allenava con la spada, dire che con quell'arma è bravo è davvero poco!
- E comunque guardavo la spada! - non so perchè sento il bisogno di giustificarmi - Quindi vuoi ammetterlo che mi guardavi! - sorride trionfante, io sbuffo estenuata, faccio per allontanarmi ma lui mi segue – Come te la cavi con questa? - mi domanda lanciandomi la spada che tiene in mano.
– Non ne ho neanche mai impugnata una – rispondo afferrandola – Ora lo stai facendo! -
dice accompagnando la frase con un sorriso.
In realtà però quello che ho detto non è esattamente la verità, molti anni fa nel mio distretto girava un cantastorie, le sue fiabe parlavano sempre di antichi cavalieri che combattevano con le loro spade affilate per salvare una principessa, le ascoltavo sempre, mi piacevano molto, un giorno lui mi fece un regalo, una spada, non era una vera arma, era fatta di legno, ma era curata nei minimi dettagli e ne riproduceva esattamente una vera, ricordo che per anni ho assillato Anna affinchè giocasse con me facendo finta di essere il cavaliere cattivo...di certo era piuttosto innocua come arma, ma almeno un idea di come impugnarla ce l'ho.
- Ti insegno io – propone Ares – Perchè dovresti aiutarmi? - chiedo un po' confusa e stizzita dal suo comportamento – Per non sentirmi in colpa quando dovrò ucciderti – la sua voce calma e gentile a dispetto delle sue parole mi fa rabbrividire, non che mi aspettassi che con due parole fosse diventato mio amico, ma forse poteva mentire invece di essere così spudoratamente sincero.
Quando mi corregge la postura e mi sorride però è come se le parole di un attimo prima non contassero più, e inaspettatamente le mie labbra gli regalano un sorriso sincero, senza che me ne accorga; quando però mi cinge in un abbraccio da dietro per accompagnare il movimento del mio barccio, mi pento per un attimo di aver accettato il suo aiuto, non mi piace essere toccata da nessuno, mi piace ancora meno se si tratta di un ragazzo, quest'onore è concesso solo a Sam.
Mi dimentico subito di tutto però quando grazie ai suoi insegnamenti, riesco a parare qualche colpo dell'addestratore della postazione delle spade e riesco persino a mettere a segno un attacco, lui mi sorride raggiante, congratulandosi per gli ottimi risultati e cingendomi le spalle con un braccio mi invita a sedermi accanto a lui quando la sirena annuncia che è ora di pranzo.
Quando mi accorgo che quello in cui sto per sedemi è il tavolo dei favoriti mi sento decisamente fuori posto, ho voglia di andarmene, ma è troppo tardi per scappare.
Presto faccio la conoscenza di Alexandra, la compagna di distretto di Ares, una tipa tosta, che non mi sta per niente simpatica, le ho visto maneggiare qualsiasi tipo di arma, non fallisce mai, quando mira, il colpo va a segno, e colpisce per uccidere.
Poi c'è Lisa, distretto 1, ha l'aria di essere un po' frivola con quegli occhietti verdi, ma con l'arco è letale, il suo compagno, Luke, è un tipo di poche parole, dentro i suoi occhi marroni c'è solo gelo, anche lui sa maneggiare qualsiasi tipo d'arma, ma il suo punto forte sono i coltelli, lui mi fa un po' paura, lui è quel tipo da cui non spererei mai di essere uccisa, ieri aveva l'aria di divertirsi parecchio mentre col suo coltello squartava un manichino.

Quando finalmente suona la sirena per farci riprendere gli allenamenti non ci penso due volte ad alzarmi dal tavolo di assassini e ricomincio ad esercitarmi con la spada, fino a quando una fra le altre tra quelle sul tavolo, attira la mia attenzione;
è leggera, l'impugnatura è sobria, la lama sottile e affusolata, luccica sotto le luci artificiali della sala, e ha l'aria di essere parecchio affilata, ne rimango incantata appena la impugno.
È strano da descrivere lo scintillio negli occhi di Ares mentre mi guarda impugnrla, quando mi volto a guardare il mio riflesso su una parete specchiata della sala capisco...
è perfetta, siamo perfette, sembra il prolungamento del mio braccio, nelle mie mani fa quasi lo stesso effetto dell'arco in quelle di Lisa o del coltello in quelle di Luke.

Così all'improvviso ne sono sicura: questa è la mia spada!








Angoletto dedicato alla mente malata dell'autrice:

Eccoci qua! Grazie innanzi tutto a chi è arrivato a leggere fino a qua, spero che la storia vi sia piaciuta!
Ancora una volta un grazie speciale va a nica89, grazie mille per il sostegno, sappi che questo capitolo senza la tua recensione non so se lo avrei pubblicato, era scritto da un po' di tempo, e grazie a te che mi hai fatto venire il buon umore è uscito dal computer! Spero proprio che la storia andando avanti continui a piacerti!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5


Forza.

Io sono la forza, mentre infliggo con la mia spada un colpo che, se non fosse destinato ad un manichino di pezza, sarebbe mortale.

Leggerezza.

Io sono leggera come una farfalla, mentre schivo quello che, nella mia testa, potrebbe essere un tentativo di attacco del mio avversario.

Bellezza.

Io sono la bellezza, mentre con la grazia di una libellula, compio un affondo nel cuore di pezza del mio nemico.

Come una ballerina, continuo la mia danza mortale, fin quando non sono convinta che, alzando gli occhi verso la balconata degli strateghi, troverò i loro sguardi puntati su di me; spero di aver fatto una buona impressione, sono quasi convinta che una volta uscita da questa sala avrò un punteggio decente. Così orgogliosa della perfezione della mia arma, alzo gli occhi verso la loro vetrata...

Ma perchè nessuno mi guarda?

Perchè invece dei loro occhi ammirati, trovo le loro schiene?

Perchè ritengono più interessante il tacchino sul loro tavolo, rispetto a me, che ho appena concluso il duello più impegnativo, seppure con un manichino, di tutta la mia vita?

In un attimo vengo invasa dalla rabbia, ho voglia di spaccare tutto e di mettermi ad urlare fino a far sanguinare le loro orecchie...invece non lo faccio.

Rimango ferma. Mi hanno completamente ignorata, sono appena diventata invisibile ai loro occhi.

Ad un tratto mi ritrovo a pensare ai miei boschi nel distretto 7, ai loro alberi, così silenziosi, eppure così letali: non ti accorgi di un ramo spezzato finchè non ti cade in testa.

Anch'io posso essere come quegli alberi: silenziosa, invisibile, ma letale...

L'occhio scorre veloce all'unica via d'uscita nella sala, prima che possa accorgermene la mia mano è gia poggiata sulla maniglia, e senza chiedermi il consenso il mio corpo l'attraversa;

'Non può essere così facile!' penso, i miei piedi si ritrovano a salire alcuni gradini, poi altri, la mano apre veloce un'altra porta, infine ora i miei occhi guardano con disprezzo quelle persone che fino ad un minuto fa non mi degnavano di uno sguardo, ora sono tutti là, incollati alla vetrata che dà sulla sala sottostante ora vuota; urlano, si agitano, sotto i loro occhi è appena sparito il tributo femmina del distetto 7.

vorrei sputargli in faccia la mia risata, ' è questa la sicurezza che Capitol City offre ai suoi amati strateghi? Un tributo qualsiasi può intrufolarsi armato nella loro sala come se niente fosse?'

Agguanto un oliva dal vassoio sul tavolo e trattengo la risata che mi sta bruciando la gola, alzo la spada e la punto alla nuca di quello che riconosco come il primo stratega.

La punta argentea della mia arma costringe il suo corpo ad irrigidirsi, quando finalmente gli altri strateghi si voltano e mi vedono, qualcuno lancia un urlo, qualcuno fa cadere sulla moquette viola qualsiasi cosa tenesse in mano prima, qualcuno si porta alla testa le mani smaltate con fare disperato; 'questi sono i potenti strateghi, gli uomini che tra qualche giorno avranno in mano la mia vita...ora io ho in mano la loro'.

Quando abbasso la spada anche il primo stratega si volta, ma lui non fa niente di quello che hanbno fatto i suoi colleghi, mi fissa solo, pietrificato, io indietreggio di qualche passo, e in quello che dovrebbe essere un saluto, tiro le mie labbra in un sorriso finto e faccio un piccolo inchino, senza mai staccare i miei occhi dai suoi – Grazie per la NON attenzione! - dico infine congedandomi e uscendo dalla stanza.

 

Ho appena puntato la spada alla testa del primo stratega.

Ho appena sbandierato agli occhi di Capitol City le lacune nella loro debole sicurezza.

Ho appena firmato la mia condanna a morte.

Ma tutto questo, ora non mi importa. Non mi importa se mi daranno un 2 per non farmi avere nessun sponsor, non mi importa se mi daranno un 11 per farmi prendere di mira dagli altri tributi; non mi importa, davvero non mi importa, tanto in tutti i casi il risultato è sempre lo stesso:

sono morta.

Quando ritorno ai miei alloggi al settimo piano, vengo ivasa da mille domande su come sia andata la mia sessione privata con gli strateghi,mi rifiuto categoricamente di rispondere a ciascuna di queste e sprofondo nel divano con gli occhi di tutti puntati su di me, e i miei puntati sulla tv, pronta a vedere quale strategia abbiano scelto gli strateghi per farmi fuori.

Sam, seduto vicino a me, rispetta il mio silenzio, fino a quando sullo schermo brilla il numero 12 vicino al mio viso, quando lo vede scatta in piedi, mi prende per un braccio e mi trascina nella sua stanza.

- Cosa diavolo hai fatto? - la sua voce è arrabbiata, ma i suoi occhi no, non riesce proprio a credere che mi sia meritata un 12 senza fare cavolate, per un attimo mi sento offesa, ma questa sensazione svanisce subito quando mi accorgo che nemmeno io ci crederei se non sapessi in che guaio mi sono cacciata.

- Sono commossa dal tua fiducia! - cerco di buttarla sul sarcasmo, ma il risultato è più che altro un commento isterico – Sei alta, sei forte, bellissima, sei intelligente, astuta, ti muovi bene nei boschi, sei la persona più veloce che io abbia mai visto...ma non sei da 12, a meno che quel 12 non sia una punizione degli strateghi per averli fatti arrabbiare! - per un attimo rimango colpita dalla sfilza di pregi che trova in me, poi comprendo che sta aspettando delle spiegazioni che gli devo, così mi libero del mio macigno e gli dico tutto, ma proprio tutto.

Il risultato è a dir poco catastrofico, mi urla contro il suo disappunto, mi accusa di essere un egoista, di non pensare a tutti gli sforzi che lui sta facendo e farà per farmi rimanere in vita, mi rinfaccia tutto questo come se la mia vita non mi appartenesse veramente, come se fosse una cosa sua che sta cercando a tutti i costi di proteggere mentre io non faccio che rovinare tutto; non mi sono mai sentita così in vita mia, mi sento come una bambina che viene sgridata per essersi tagliata con un coltello, sgridata perchè non doveva toccarlo, come se il taglio facesse più male a chi la sta sgridando che a lei.

La sera vado a letto presto, scappo letteralmente dal tavolo quando finisce la cena, non sopporto lo sguardo di Sam, o meglio non sopporto che non riesca nemmeno a guardarmi.

La mattina seguente quando mi sveglio vengo strappata dal letto da Zelda, che squittisce qualcosa sulle interviste e mi ficca a forza ai piedi un paio di scarpe col tacco, nonostante siano un po' piccole e non molto comode, la vedo illuminarsi appena mi vede camminare, mi fa un piccolo applauso e mi dice che sono la miglior allieva che abbia mai avuto.

Mi stupisco di me stessa quando sono abbastanza sveglia da notare che non sono ruzzolata per terra e che il mio corpo non è coperto da lividi per aver sbattuto da tutte le parti, pare che me la cavi bene con questi cosi, ma non capisco l'entusiasmo di Zelda, nell'arena questo mio talento non mi sarà utile, almeno che non voglia uccidere un tributo colpendolo con un tacco a spillo.

Non ho il tempo necessario nemmeno per archiviare l'idea, che una Zelda alquanto euforica mi ha già trascinata nella sal comune, dove gli occhi di Sam, Jake e Ania sono puntati su di me – Guarda! Si può dire che io abbia fatto già metà del tuo lavoro! - dice rivolgendosi a Sam, mentre mi invita a fare una camminata davanti agli occhi un po' stupiti di tutti.

 

Ed è per questo che ora mi trovo qui, dietro le quinte del palco, agitata e tremendamente a disagio con questo vestito addosso; il mio corpo è fasciato da stoffa nera e lucida, che ne abbraccia le forme, non termina con una gonna, ma con un paio di aderentissimi pantaloni, andrebbe anche bene, se non fosse per le strisce di pizzo nero semitrasparente che partono da entrambe le caviglie e salgono fino a coprire le mie braccia di questo tessuto che in realtà è come se non ci fosse, per non parlare della mia schiena, completamente nuda, coperta ma non nascosta dal solito pizzo, quando mi sono guardata allo specchio, ho scoperto che il tutto mi rende molto più nuda di quando mi senta.

I capelli lasciati sciolti e mossi sono l'unica parte del mio corpo non contaminata dalle mani chilurgicamente modificate dei miei preparatori,incorniciano il mio viso, gli occhi risaltano contornati da un filo di matita nera, le lunghe ciglia nere sono state pettinate molto di più dei capelli e pesano sui miei occhi ogni volta che li chiudo, le labbra sono state accentuate da un rossetto rosso, scuro e molto intenso, infine sotto ordine di Zelda ai miei piedi sono state allacciate un paio di scarpe col tacco a spillo, così alte che sembra che sia su una scala una volta che le ho indossate.

Non fatico a capire quale strategia abbiano scelto per me, fatico a capire come io possa rendere il tutto credibile.

-Wow...sembri...una pantera! - la voce calda di Ares e la sua espressione stupita fanno aprire le mie labbra in uno di quei sorrisi che Zelda mi ha fatto provare mille volte, siamo rimaste concentrate solo su quello per due ore, quando le ho chiesto cosa avrei dovuto dire la sua risata beffarda mi ha spiazzata – Credimi: quando avremo finito con te, potrai dire ciò che vuoi e nessuno l'ascolterà! - aveva detto. - Sarebbe un complimento? - chiedo incerta – Bhe...le pantere sono molto...sexy! - ma non sono le sue parole, nè il suo sorrisetto a far avvampare il mio viso, sono quegli inconfondibili occhi azzurri che mi fissano insistenti qualche passo dietro Ares, che liquido velocemente per raggiungere Sam.

-Che voleva il biondino? - sorrido compiaciuta, assumendo l'atteggiamento da gatta che mi ha insegnato oggi Zelda – Sei geloso? - chiedo mentre le mie dita giocano sul suo collo lasciato nudo dai primi due bottoni della camicia slacciati - Io? Ma no! Allora cosa voleva? - risponde spavaldo, ' è geloso', dischiudo le labbra, sto per rispondere, quando il segnale acustico segnala che l'intervista del ragazzo del 6 è finita, così avvicino le mie labbra al suo orecchio e tiro fuori la voce più seducente che riesco a trovare – Non lo saprei mai! - sussurro piano, non gli do neanche il tempo di ribattere che mi volto subito e con passi felini raggiungo il palco.

Appena metto un piede fuori le quinte, sotto i riflettori, la maschera che mi sono costruita, minaccia di sciogliersi insieme a tutti gli insegnamenti di Zelda, ma si ricompone in fretta quando un largo sorriso affascinante si dipinge sul mio viso – Dal distretto 7, Anna Wellington! - la voce squillante di Caesar Flickerman mi sprona a fare qualche passo avanti, mi accomodo sulla poltrona e accavallo le gambe come mi è stato detto di fare – Buonasera Caesar e...buonasera Panem! - dico regalando un sorriso alla telecamera e al pubblico, che non ha smesso neanche un attimo di urlare da quando sono entrata, questo mio gesto non fa che fomentare i gridolini estasiati degli sciocchi capitolini, che minacciano, con mio grande piacere, di far esaurire così i tre minuti che mi sono concessi. Io e Caesar scoppiamo in una risata un po' imbarazzata per la situazione e subito dopo deve espressamente pregare il pubblico di fare silenzio per proseguire un intervista che in realtà non è nemmeno iniziata; quando finalmente la situazione sembra un po' più sotto controllo Caesar fa la sua prima domanda banale e scontata su come mi sia trovata a Capitol City, e io ancora più banale e scontata rispondo secondo i convenevoli e mi trattengo dall'insultarlo per aver messo la situazione come se la mia fosse una gita turistica, ignorando il fatto che sono stata condannata contro la mia volontà a morte certa.

- Distretto 7, il distretto della legna...parlaci un po' di casa tua – è quando mi fa questa domanda che inizio a tremare, non sono preparata a questo, non sono preparata a non mentire, cerco di tenere sotto controllo l'uragano di emozioni che sta infuriando dentro di me, ma poi la nostalgia di casa ha la meglio e così lascio che a parlare sia il mio cuore – Penso non ci sia posto più bello nel quale perdersi del mio amato bosco nel distretto 7. Io spesso lo faccio, o almeno ci provo, difficile riuscirci, anche se chiudo gli occhi, è impossibile non riconoscere ogni singolo altissimo albero, ogni singola verdissima foglia, ogni ago di pino che scricchiola sotto i miei piedi; non è difficile sentire l'odore della pioggia, quell'odore di umido che nel mio distretto è sparso ovunque, o il canto di qualche uccello che al mio passaggio, troppo timido per continuare, si rifugia su un ramo sopra la mia testa...adoro passeggiare nei miei boschi, io e mia sorella lo facevamo sempre...- la maschera della ragazza sexy si scioglie, a parlare ora sono solo io, solo Jenna.

- Capisco, casa dolce casa! E come si chiama tua sorella? - mi chiede Caesar, interrompendo le ondate di nostalgici ricordi che affollano la mia testa e mi lasciano un po' stordita, come risvegliata da un sogno, la voce roca e lo sguardo perso a fissare un punto ignoto nel vuoto, rispondo – Anna -

Quando mi rendo conto di quello che ho detto, vorrei solo prendermi a schiaffi!






Angoletto dedicato all'autocommiserazione dell'autrice :
Ma ciao, o temerari che siete arriavati a leggere fin qui! 
Come sempre grazie, grazie, grazie a nica89, che ogni capitolo trova il tempo di scrivermi due parole e di dirmi cosa ne pensa, grazie davvero, ogni parola che mi scrivi per me è davvero importante! 
Grazie anche a tutti quelli che rimangono in silenzio, forse perchè dopo aver letto credono che la storia non meriti una loro recensione, o forse semplicemente perchè non sanno cosa scrivere, vi ringrazio comunque per aver letto, e vi invito se vi va a lascirmele due parole, sono sempre importati anche se non sono positive! 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, che sia valsa la pena di aver letto e che continuerete a farlo!
un bacio, Akilendra

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Angoletto dell'autrice che comincia a perdere colpi:
Ciao a tutti! Questo è stato un capitolo difficile da scrivere, non riuscivo a trovare le parole, non mi era mai successo che dovessi riscrivere un capitolo, questa volta invece l'ho riscritto tante volte prima di pubblicarlo, non riuscivo proprio ad essere soddisfatta... ma del resto è raro che lo sia, comunque questa è la versione che più mi piace, spero piaccia anche a voi!
grazie come sempre a nica98 per la sua recensione, grazie anche per le recensioni di lula99 e Bessie , grazie per aver inserito la storia nelle seguite a captin, bessie e lula99 e grazie di avermi messo fra gli autori preferite a lula99...  GRAZIE DI CUORE!
Alla prossima, un bacio, Akilendra





Capitolo 6


È come se il mio corpo fosse addormentato, uno strano formicolio riempie le mie membra, la mia testa è pesante, e i miei occhi registrano solo nebbia intorno a me.

 

Cosa ho fatto?

'Hai mostrato l'altra faccia della medaglia'

Cosa sta succedendo?

'Stanno tutti guardando il riflesso sbagliato nello specchio'

Chi sono?

'L'altra faccia della medaglia'

Chi sono?

'Il riflesso sbagliato'

Chi sono?

'Anna, Anna Wellington!'

 

- Che sciocca! Scusami Caesar, il suo nome è Jenna!

 

La maschera si ricompone, la medaglia mostra la faccia che tutti vogliono vedere, lo specchio riflette l'immagine che tutti si aspettano; ma dentro di me, sento che qualcosa in quel precario equilibrio che avevo costruito, si è spezzato.

È doloroso rivolgere un sorriso convincente alle telecamere, fa male, fa male al cuore, fa male all'anima, fa male a me.

- Oh, non preoccuparti, l'emozione gioca brutti scherzi! - Smettila Caesar, smettila! Non dire niente, smettila di far finta che tutto questo non sia sbagliato, smettila di far finta di essere un uomo; un uomo non riuscirebbe a sopportare tutto questo, un uomo non lascerebbe morire così, ogni anno dei bambini.

- Ma torniamo a te. 12...mi piacerebbe sapere cosa hai mostrato agli strateghi per ottenere un punteggio così alto! -

Ora il mio sorriso è amaro. Ora il mio sorriso è solo mio, non per il pubblico, non per le telecamere, per Jenna, solo per Jenna.

- Temo che sia un segreto...- la mia voce esce in un sussurro, sottile e affilata come la lama della mia spada, il mio sguardo si alza verso gli spalti riservati agli strateghi - Ma credo concorderanno con me se dico che è stato qualcosa di...indimenticabile –

Ora le mie iridi buie cercano gli occhi verdi del primo stratega, lui sostiene il mio sguardo ' Si, dico proprio a te: puoi provarci, ma non scorderai mai il mio nome!'

- Nessuno in tutta Panem ti dimenticherà Anna! È stato un piacere conoscerti! Signore e Signori, Anna Wellington, distretto 7! - Caesar prende la mia mano, la bacia e la alza al cielo, mentre il pubblico esplode in urla assordanti che minacciano di ferirmi le orecchie e mi accompagnano fin dietro le quinte.

Ma fuori dal palcoscenico non c'é niente che possa ferirmi se non i suoi occhi, quegli occhi inconfondibili che ora mi fissano, arrabbiati.

'Ti prego Sam, non lasciarmi sola anche tu!', qualcosa nel suo sguardo cambia, la mascella serrata, il respiro irregolare, mi prende per un polso, mi porta lontano, quando arriviamo al nostro piano si ferma. Guardo attentamente i suoi occhi lucidi e invidio quelle lacrime che minacciano di uscire, gli invidio quelle lacrime che lui sta tenendo a forza dentro gli occhi, quelle lacrime che vorrei tanto bagnassero i miei.
-Che cosa ti è successo? - mentre me lo chiede il mio sguardo si abbassa, chiudo gli occhi, batto un pugno sul tavolo facendo tintinnare i bicchieri di cristallo che ci sono sopra. Nonmi fermo, continuo a picchiare le mani sul legno in un gesto diventato isterico e disperato, continuo esasperata, anche se i vetri rotti di un bicchiere mi feriscono le mani, è Sam a bloccarmi. Mi tiene stretta, così tanto da farmi male, così tanto da FARSI male, e io non ho la forza di opporre resistenza, in questo momento non ho nemmeno la forza di respirare, mi sento come un palloncino sgonfio che ha buttato fuori tutta la sua aria, come quel burattino a cui hanno tagliato i fili e ora non sa camminare.

Sam allenta la sua stretta, mi rigira piano tra le sue braccia, come fossi così delicata da potermi rompere da un momento all'altro, le sue mani alzano il mio viso, in un gesto improvvisamente dolce ed apprensivo, la rabbia di poco fa è completamnete scomparsa nei suoi occhi – Non ci hanno fatto caso...nessuno se n'è accorto...andrà tutto bene...- le sue parole servono più a lui che a me, eppure quando avvicina il suo viso al mio, non ho la forza di ritrarmi, non ho più la forza di essere forte, non ho la forza di fargli del male, di FARMI del male, non riesco davvero a trovare un buon motivo per cui dovrei negarmi anche quest'ultimo piccolo attimo di felicità.

E così esplodo, butto fuori tutto, ed è come se finora avessi trattenuto il respiro, il palloncino sgonfio capisce che può ancora riempirsi d'aria, il burattino impara che si può camminare anche senza fili, Jenna ora sa che non vale la pena essere forte: gli Hunger Games lo sono più di chiunque altro!

Premo forte le mie labbra sulle sue, assaporando ogni angolo della sua bocca, e per la prima volta mi rendo conto quanto io dipenda da lui, dalle sue labbra, dalla sua pelle, dalle sue carezze, dai suoi baci.

Senza sapere come ci siamo arrivati ci ritroviamo sul pavimento della mia camera, adesso sono io a stringerlo tra le mie braccia, fino a fargli male, fino a FARMI male; tolgo con impazienza i suoi vestiti, ostacoli inutili che mi separano dal profumo della sua pelle, e poi faccio quello che so fare meglio: corro.

Corrono le mie labbra, corrono a baciarlo come non hanno mai fatto.
Corrono le mie mani, corrono a strappare ogni piccolo brivido dal suo corpo.
Corre il mio cuore, corre allo stesso ritmo del suo, batte come se non lo avesse mai fatto.

E la sua bocca, di cui credevo di sapere ogni cosa, adesso ha un sapore nuovo, i nostri baci sono umidi e salati, ma non come le sue lacrime...come le mie!

Piccole gocce di sentimento scivolano via dai miei occhi, e piango, piango per tutte le volte che non l'ho fatto, piango perchè avevo dimenticato come si faceva, ora come una sirena che impara a camminare, lascio che il mio viso si bagni di quelle gocce d'acqua, salate come il mare, salate come il dolore. Piango perché in questo mondo per vivere bisogna pagare un prezzo troppo alto, piango perchè voglio promettere a me stessa che un giorno, prima o poi, sarò davvero padrona della mia vita, che un giorno, prima o poi, i miei figli non dovranno pagare nessun prezzo per vivere, piango per promettermi che questo giorno, prima o poi, arriverà.

E rido, rido perchè finalmente posso sentirmi libera anche solo per un minuto, rido perchè in questo momento non devo fingere di essere nessun altro, rido perchè per un istante posso sentirmi padrona di me stessa, rido perchè questo è l'attimo più bello di tutta la mia vita!

Qui tra le braccia del ragazzo che amo, non c'è niente che possa farmi male, qui gli Hunger Games non possono portarmi via niente, qui il tempo si ferma, non c'è nessun altro posto in cui vorrei stare, ma prima o poi anche le sue barccia dovranno lasciarmi.

- Ho paura - le mie parole sussurrate nella notte sono rivolte soltanto a me, ma Sam è troppo vicino per far finta di non averle sentite, con una mano porta la mia testa sul suo petto nudo, mi stringe forte, le sue labbra baciano la mia tempia, il calore del suo corpo sembra curare almeno in parte le ferite del mio cuore.

- Ti amo – mi dice con le labbra ancora poggiate sulla mia testa, io non gli rispondo, non l'ho mai fatto quando me lo diceva le notti che passavamo insieme nel nostro distretto, e non lo farò ora, così spero di ingannarmi, di far credere a me stessa che non sia cambiato niente da quelle notti che adesso sembrano lontane anni luce. Mi ritrovo a chiudere gli occhi e a sperare di riaprirli e di trovarmi di nuovo a casa, nei miei boschi, mi scopro a pregare che sia tutto un sogno, mi rifiuto di pensare che questa potrebbe essere l'ultima notte che passiamo insieme, mi rifiuto di pensare che tra qualche ora potrei essere morta, ma l'alba sorge maligna e crudele e oggi iniziano i miei Hunger Games.

Quando Zelda entra in camera, come al solito senza bussare, non mi preoccupo neanche di cercare inutilmente di allontanarmi da Sam, non mi preoccupo di spiegare che non è come sembra, è esattamente come sembra, sono un acondannata a morte e voglio il mio ultimo desiderio, mi alzo dal pavimento gelido e lo guardo: eccolo il mio ultimo desiderio, il mio ultimo attimo di felicità.
Spingo Zelda, rimasta pietrificata sull'uscio, fuori dalla porta e gliela chiudo in faccia, prima che possa dire qualsiasi cosa che in questo momento non ho voglia di sentire - Apri! - le parole di Zelda arrivano ovattate da dietro la porta ' Non ci penso nemmeno' – Anna! Apri subito! -
'Qualsiasi cosa tu dica rimarrai fuori' - Apri! Il presidente Snow vuole vederti! - I miei occhi corrono subito a fissarsi in quelli di Sam, lui serio si alza e va ad aprire la porta – Cosa vuole il presidente Snow da lei? - chiede quasi ringhiando – Non lo so...-
- Io non voglio andarci! - dico risoluta – Non si può dire di no al presidente! - la voce di Zelda ha qualcosa che mi spaventa, Sam richiude la porta piano, lasciando una Zelda interdetta fuori, mi fissa a lungo, ci vestiamo in fretta e poi veniamo scortati in una saletta dal soffitto, pavimento e pareti completamente nere.

Continua a stringermi la mano, non vuole proprio saperne di lasciarmi neppure quando uno dei due uomini vestiti di nero gli dice esplicitamente che deve farlo perchè lui non può entrare, sono io che mi alzo e lascio a malincuore la sua mano, gli rivolgo uno sguardo che vorrei sembrasse rassicurante, ma lui mi conosce troppo bene per non notare che dentro di me, tremo.
Oltrepasso la porta metallica e mi ritrovo in una stanzina dalle dimensioni opprimenti, completamente bianca, preferivo l'angusto e tetro nero della precedente, al bianco innaturale e accecante di questa. C'è qualcosa in questo colore di cui è ricoperta ogni cosa, di perverso e maligno, c'è qualcosa di profondamente sbagliato in questo bianco. Una figura anch'essa bianca si muove in un angolo della sala, e voltandosi mi mostra il suo viso, se non fosse per la faccia di un rosso paonazzo, quest'ometto dall'altezza discutibile, si potrebbe tranquillamente mimetizzare col resto della sala, ma quel suo viso per niente pallido tradisce l'illusione.
Quando sento i suoi occhi puntati addosso, un istinto antico quanto la vita mi dice che non dovrei essere qui, che forse farei meglio a scappare via finché sono in tempo, ma non lo faccio e mi costringo a rimanere esattamente dove sono senza distogliere lo sguardo dai suoi spaventosi occhi da rettile.
- Si sieda, stia comoda! - la falsa gentilezza nella sua voce non mi inganna, per un momento vorrei rifiutare, ma decido che forse non è una buona idea, ma sebbene mi siedo, tengo i muscoli tesi, pronti a correre via da tutto questo bianco – Ti chiederai perchè ti ho invitata qui... - ' No, tu mi hai costretta!' vorrei ribattere, ma mi mordo la lingua - Ebbene, volevo augurarti personalmente buona fortuna – le sue parole escono dalla sua bocca insieme ad un sibilio piuttosto inquietante – Ti ho subito notata sai? Fin dalla sfilata dei carri, ho visto anche quanto sei veloce e che te la cavi bene con la spada – mentre dice tutto questo si insinua nella mia mente il dubbio che qualcuno abbia spiato ogni mia mossa per riferirla al presidente, il solo pensiero mi fa sentire braccata, in trappola, ma mi dimentico che io sono un tributo degli Hunger Games, la gente si divertirà guardandomi morire, il fatto che qualcuno mi abba spiata passa in secondo piano.

- Ma soprattutto, ho visto quanto sei brava ad aggirare i sistemi di sicurezza - '

Oh, c'era ben poco d'aggirare, bastava salire due scalini e aprire una porta, ma immagino sia troppo umiliante ammettere che vi ho colto alla sprovvista' - Eri davvero...deliziosa...ieri sera durante le interviste – quando pronuncia la parola 'deliziosa', sussulto dal modo in cui lo dice e quando poi subito dopo si inumidisce le labbra con la lingua, ho seriamente paura che voglia mangiarmi!

Ma quello che davvero mi spaventa, ora che ha parlato dell'intervista, è che possa avere qualche sospetto, che abbia scoperto il mio segreto, ma questa mia paura è del tutto irrazionale e insensata, come potrebbe?

Infondo ho solo sbagliato nome, 'Ma non si sbaglia nome, se quello è il tuo' ... Ma è impossibile che sappia, ma allora perchè sono qui? Il presidente Snow non si scomoda per augurare buona fortuna ad un semplice tributo.

- Perchè sono qui? - decido di dar voce ad una delle mille domande che mi ronzano in testa

– Gliel'ho detto Signorina Wellington – dice con una voce fin troppo ingenua per essere credibile, il fatto che sia pasato al 'lei' mi mette all'allerta; passeggia alle mie spalle, cosa che mi rende nervosa perchè è fuori dal mio campo visivo – E così il grande presidente Snow si prende il disturbo di augurare personalmente buona fortuna ad un semplice tributo... - dico prendendo coragggio e mettendo forse un po' troppo arroganza nella voce.

Un odore nauseabondo mi riempie le narici e un paio di fredde labbra mi sfiorano l'orecchio – Ma tu non sei un semplice tributo... - devo fare appello a tutta la forza di volontà che ho in corpo per non mettermi ad urlare.

Lui.
La sua bocca.
Quell'odore.
Bianco.
Rosso.
Bianco come la rosa nel suo taschino.
Rosso come il sangue.
Quell'odore.
Rosso.
Sangue.
Odore di sangue.

 

Ora è davanti a me, i suoi occhi velenosi mi studiano – è tardi, è ora che tu vada – dice senza nemmeno guardare l'orologio, con grande sollievo mi alzo, mi volto e mi sforzo di non correre, ma camminare per raggiungere la porta - Ah, dimenticavo... ricordati di portare i miei saluti a tua sorella, quando tornerai a casa...-
'Perchè è così sicuro che tornerò? Perchè ha tirato fuori mia sorella?' Mi volto, per un attimo vengo invasa di nuovo dalle mie paure, ma le scaccio in fretta, 'Sto uscendo, è andato tutto bene, lui non sa nulla' , ritorno a guardare la porta, la mia mano si poggia sulla maniglia - Bhè... allora : Buona fortuna...Jenna! - un solo pensiero mi ronza in testa, ed è terribile, inaccettabile, è spaventoso :' LUI SA...'

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7


Il sangue mi si gela nelle vene, riesco ancora a percepire il suo disgustoso odore addosso, risento nelle orecchie le parole che sono la mia condanna, quel nome, un semplice nome, solo un nome...

 

Snow sa…

Il mio segreto non è più tale... ma se io sono in trappola, anche lui lo è,ormai non può annullare i giochi né di certo può dire la verità, ‘Sapete … un tributo si è preso gioco di noi, ci ha ingannati, ed è riuscito a farsi credere un'altra persona, manipolando le nostre rigide ed inviolabili regole, il tutto proprio sotto il nostro naso!’ No, lui non può parlare, metterebbe in ridicolo Capitol City sotto gli occhi di tutta Panem.

Come deve essere furioso in questo momento! L’immagine di quell’orribile ometto bianco che si strappa i capelli dalla rabbia mi farebbe sorridere, se non sapessi che tutto quel rancore è indirizzato proprio a me, e nessuno può prendersi gioco così del Presidente Snow, gli Hunger Games ne sono la prova, chi lo fa paga, io l’ho fatto, e so che prima o poi, dovrò pagare. Ma io sono un tributo, molto probabilmente tra qualche ora sarò morta, cosa potrebbe farmi Snow? Io non ho niente da perdere.

No Jenna, tu hai Anna, tuo padre, tu hai Sam…’ ci penso e capisco che ho molto da perdere, capisco che se solo venisse torto un capello ad una di queste persone io non sopravvivrei, so che preferirei morire piuttosto che vederle soffrire, ma so anche che il lusso della morte non mi sarà mai concesso, perché da morta non potrei pagare, da morta, come potrei soffrire?

Quando esco dalla stanza e vedo l’angoscia negli occhi di Sam, so che devo proteggerlo, so che non devo dirgli niente, ma so anche che non crederà neanche per un secondo alle bugie che gli dirò, e che mi odierà a morte per avergli tenuto nascosta la verità, ma devo provarci, lui è tutto, io devo proteggerlo!

Così quando mi tartassa di domande io cerco di essere più convincente che posso mentre gli dico che voleva solo augurarmi buona fortuna, costringo i miei occhi a provare a mentirgli, ma lui sa che è una bugia e sento che già mi odia per questo; ma non c’è tempo, non c’è tempo per cercare una verità che farà male più della menzogna, non c’è tempo per litigare, non c’è tempo per farsi del male.

Non c’è più tempo, l’hovercraft si poggia sulla terrazza e presto mi porterà lontano, verso un arena di morte e distruzione, non c’è tempo per farsi del male, c’è solo il tempo di dirsi poche parole, quelle parole per cui lotterò, lotterò per far sì che non siano le ultime. La sua bocca si schiude per pronunciarle finalmente, ma anche io ho qualcosa da dire.

- Anch’io – diciamo all’unisono ancor prima di rendercene conto, - Anch’io ti amo – dico guardandogli l’anima dagli occhi, e rispondendo a quelle parole così intime sussurrate stanotte.

- Anch’io ho paura! – mi confessa lui, proprio come ho fatto io poche ore fa .

Vorrei baciarlo, ma sento che nessun contato fisico eguaglierebbe mai il bacio che si stanno scambiando i nostri cuori in questo momento, vorrei stringerlo tra le mie braccia, ma l’unica cosa che stringo sono le sue mani, in quello che è un abbraccio di dita, questo abbraccio dice che non è la fine, dice che non siamo semplice pedine in un gioco più grande di noi, dice che lotteremo, lotteremo per riprenderci la nostra vita, quest'abbraccio promette di non essere l'ultimo, quest'abbraccio giura di riportarmi a casa.

E io mi concedo la speranzosa illusione di crederci, mi concedo di ignorare la ragione, che mi grida nella testa una verità che non accetto, non ora, non ancora...

L'hovercraft vola veloce e quando apro gli occhi, interrompendo i miei pensieri, crollo nell'amara consapevolezza che non sto facendo un viaggio turistico, che quei ragazzini seduti vicino a me, tra poche ore, cercheranno di uccidermi. Davanti a me scorgo il volto familiare di Ares, per un attimo mi sento sollevata e felice che lui sia così vicino, subito dopo vengo invasa dal senso di colpa, mi do dell'illlusa perchè insieme agli altri ventidue tributi, anche lui nei prossimi giorni non vorrà altro che vedermi morta, mi sento una sciocca, perchè anch'io dovrei volerlo, eppure non riesco a pensarlo morto, non per mano mia almeno... 'Ma chi vuoi prendere in giro? Tu non riesci a pensarlo morto per mano di nessuno!'

Quando mi guarda e mi mima con la bocca la parola 'Alleati', capisco in fretta che è una domanda, senza nemmeno pensarci mino a mia volta la stessa parola in segno di accordo, e prima che possa rendermene davvero conto so che abbiamo stretto un accordo, un patto, una promessa, che ora siamo una squadra.

Una squadra... ma la verità è che negli Hunger Games non esistono squadre, non se vuoi vincere...ma io voglio vincere?

'Non ti è permesso di volere niente, Jenna...tu DEVI vincere, almeno devi provarci'.

Il grande uccello di metallo atterra e ognuno di noi viene scortato nella sua camera di lancio, l'ultimo posto che vedremo prima di venire catapultati nell'arena; Arthur, il mio stilista è lì con me, sapere che sarà lui l'ultima persona che vedrò non mi fa stare proprio bene, non so perchè, ma quell'uomo riesce sempre a mettermi a disagio, sarà per come mi guarda, sembra che ogni volta che mi poggia gli occhi addosso sia per analizzare ogni centimetro della mia pelle, mi fa venire i brividi. Ma non oggi, è seduto composto su una sedia, la bocca serrata in un rispettoso silenzio, che apprezzo davvero molto, poi schiude le labbra e la sua espressione si addolcisce - Quando sarai lì dentro...ricordati chi sei...- le sue parole suonano come quelle di un padre a sua figlia, per un momento chiudo gli occhi e immagino che sia il mio a pronunciarle, poi mi accorgo del dolore che mi provocano questi pensieri, mi accorgo di quanto mi rendano debole, mi accorgo che non posso permettermi di esserlo.

E rieccola: riecco la maschera, la mia ancora di salvezza, ma anche la mia dannazione.

Il fastidioso suono acustico segnala che il mio tempo è finito, e il mondo intorno a me perde ogni suo colore, le lacrime che non verserò mi rimangono dentro, e bruciano, diventa doloroso persino respirare; ora tutta la mia situazione mi appare pericolosamente chiara, come non lo è mai stata, l'amara consapevolezza che tanto scacciavo, ora si impossessa di ogni mio muscolo e mi paralizza; è la voce di Arthur a darmi quel tanto di forza che mi serve per entrare nel tubo di vetro

- Buona fortuna, pantera del 7! - mi dice chiamandomi col nome che mi è stato affibbiato dal pubblico di Capitol City dopo l'intervista forse per via dell'abito. Mi piace pensare che il suo, sia un saluto e non un addio, e con questo pensiero che mi culla mi lascio trasportare in alto, in alto, tanto in alto, sempre più in alto, troppo in alto... mi sembra sia passato un tempo infinito, quando finalmente vedo la luce del giorno, il vetro che prima mi abbracciava il corpo opprimente ora non c'è più, un aria piacevolmente fresca mi accarezza il viso, il profumo dei mille fiori vicini ai miei piedi mi riempie le narici. È tutto bellissimo, poi vedo gli altri tributi, alcuni sono poco più che bambini, gli occhi spaventati e le lacrime che minacciano di uscire, altri di bambini non hanno proprio niente, i loro occhi sono assetati del sangue che le loro mani faranno sgorgare, alla vista di questi ventitrè ragazzi niente è più bellissimo e l'arena si rivela per quella che è: un incubo di morte e disperazione.

Ma ancora una volta non c'è tempo, non c'è tempo neanche di compiangersi un ultima volta.

Un minuto, sessanta secondi.

Sessanta secondi, solo sessanta secondi, gli ultimi sessanta secondi della mia vera vita.

Sessanta secondi, solo sessanta secondi, gli ultimi sessanta secondi prima che inizi la fine.

Sessanta secondi, solo sessanta secondi, e quella che tutta Panem vedrà, non sarò io, Jenna Wellington muore qui, su questo prato pieno di fiori, ai piedi di questi ragazzini che, se la vita non fosse stata così bastarda, sarebbero potuti anche essere miei amici.

BUM.

L'aria intorno a me trema, la testa si gira verso la mia destra, ma vorrei non lo avesse mai fatto, quando l'orribile visione dei resti del corpo di un tributo, giungono ai miei occhi; almeno lui o lei non dovrà soffrire una morte violenta per mano di un favorito o di chissà quale dannato ibrido, è bastato poggiare un piede fuori la pedana prima dei sessanta secondi e la sua vita è finita velocemente, mi domando perchè non ci ho pensato anch'io, 'Perchè tu non vuoi morire Jenna!' ed ecco la risposta alla domanda che solo poco fa mi tormentava. Io non voglio morire. I miei piedi, mossi da una forza tutta loro si girano, non verso la cornucopia, ma verso il bosco dagli strani alberi dalla parte opposta.

GONG.

Un suono sconosciuto eppure così familiare rimbomba per tutta l'arena, per tutta Capitol City, per tutta Panem, l'idea che questo suono amaro sia arrivato anche nel mio distretto 7, mi fa arrivare una fitta all'altezza del cuore, ma non c'è tempo, i miei piedi lo sanno meglio di me, scattano avanti come non hanno mai fatto; corro, corro come se non sapessi fare altro e mentre corro ho un solo pensiero in testa: i miei Hunger Games sono iniziati, 'Possa la fortuna essere SEMPRE a tuo favore, Jenna!'

-ANNA! - le mie orecchie non rispondono subito, poi mi ricordo ancora una volta che sono Anna Wellington, e allora riconosco anche la voce di chi mi ha chiamata; panico, è la prima sensazione che provo, indecisione, rimorso, senso di colpa... all'improvviso i miei piedi fanno qualcosa che va completamente contro il mio senso di sopravvivenza, si fermano, e poi ricominciano a correre, ma nella direzione opposta, verso la cornucopia, verso la mischia di gente, verso le mille lame che, disarmata come sono, potrebbero uccidermi con facilità...ma anche verso la voce di chi mi stava chiamando...corrono, corrono verso Ares.




Angoletto dell'autrice mentalmente instabile: 
ciao! :D finalmente ecco messo un altro mattoncino alla storia, dall'ultimo aggiornamento è passata una settimana, forse è tanto, ma per scrivere un capitolo, correggerlo, e pubblicarlo, con la scuola e il resto, una settimana basta appena...
ancora una volta devo ringraziare quella santa ragazza di nica89, che ogni capitolo recensisce e mi regala unsacco di soddisfazioni, molte grazie anche a Bessie che con la sua recensione mi ha messo il buon umore! grazie mille anche a chi ha solo letto, spero riteniate che ne sia valsa la pena!
Alla prossima, un bacio, Akilendra

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8


'Vuoi vivere, Jenna?'
Si!
'E allora perchè non sei al sicuro nel bosco alle tue spalle?'
Non lo so.
'Perchè stai andando da lui?'
Non lo so.

Ares è circondato, il ragazzo del 3 gli è addosso con in mano, quella che mi pare un'ascia, il tributo femminile del 5 cerca di colpirlo con dei coltelli, ma la paura la tiene lontana e fortunatamente non è così brava da centrare il bersaglio a quella distanza; la feroce ragazza del 9 invece, la paura non sa neanche cosa significhi, avanza sicura brandendo con violenza una spada... anzi no, quella non è una semplice spada, quella è la MIA spada!
È uguale a quella del centro di addestramento, gli strateghi l'hanno sicuramente messa vicino alla cornucopia per me, per un attimo la guardo con bramosia, poi il mio sguardo si sposta verso il motivo che mi ha spinta a tornare indietro.
Ares mi guarda, e ripete il mio nome, o meglio quello di mia sorella, mentre para con la sua spada il colpo di un tributo che miriva alla mia testa, lui deve affrontare tre nemici insieme ed io che faccio? Me la do a gambe, 'Ma sei tornata indietro, Jenna' , noi avevamo un patto, io non l'ho rispettato... solo il pensiero mi fa diventare verde di vergogna e disgusto, mi odio per averlo abbandonato qui mentre cercavo egoisticamente di mettermi in salvo, 'Ma solo gli egoisti vincono gli Hunger Games, Jenna' .

Ares trapassa con la sua spada il corpo del ragazzo del 3, nell'attimo di tregua che trova, mi afferra per un braccio e mi grida di mettermi dietro di lui, vorrei aiutarlo, ma so che farei solo danni, qualsiasi arma che non sia la mia spada nelle mie mani è inutile; nel frattempo schiva l'ennesimo coltello della ragazza del 5, ma è un decimo di secondo troppo lento, e la lama argentata lo ferisce di striscio su un braccio.
Sussulto quando vedo i rivoli di sangue uscirgli dalla ferita, e mi ripeto che se non fosse stato occupato a preoccuparsi per me, si sarebbe risparmiato il taglio; mentre allontano con una gomitata il ragazzo del 10, Ares con un unico movimento della sua lama, fa volare lontana dal collo la testa della ragazza dell'8, che nel frattempo si era avvicinata un po' troppo.

Un secondo più tardi una delle frecce di Lisa colpisce a morte la femmina del 5 e in una sincronia quasi artistica, una possente mossa di Alexandra, spezza il collo al tributo femminile del 9...loro sì che sono alleati utili!

La 'mia' spada, prima impugnata dalla ragazza del 5, cade a terra, e prima che chiunque di noi se ne possa accorgere, una piccola sagoma, come un fulmine la raccoglie e scappa verso il bosco; la guardo, arrabbiata perchè quella spada è mia, ma anche un po' ammirata, è veloce penso guardandola correre, mai quanto me però, questi miei ultimi pensieri lasciano nella mia testa una scia di amarezza per quello che sono certa accadrà.

-Corri! Prendila Anna! - eccone la conferma...ci metto qualche secondo per digerire le parole di Ares, ma le mie gambe si mettono in moto, devono, ma mentre corro, per la prima volta nella mia vita, vorrei tanto essere più lenta.
La piccola dodicenne del 12, non è poi così tanto veloce purtroppo, la guardo bloccata sotto il peso del mio corpo, è solo una bambina; la lama di Ares si pianta nel suo petto e mentre vedo la luce abbandonare i suoi occhi, la mia mano si stringe alla sua, in un ultimo inutile gesto fine a se stesso, continuo a ripetermi che è solo una bambina...ERA ..

- Perchè non me l'hai lasciata? - la voce leggermente scocciata di Luke si rivolge al biondo, in quel momento provo un senso di gratitudine nei confronti di Ares, per non aver lasciato quella bambina alle torture di Luke, ma lui l'ha comunque uccisa, questo non posso dimenticarlo...

'Questi sono gli Hunger Games, Jenna, la gente muore e tu non puoi farci niente' .

-  Avrai tutto il tempo per divertirti coi tributi grandi e grossi come te, Luke, gli Hunger Games sono appena iniziati! -  la verità di quelle parole mi colpisce tremenda e meschina, se penso che questo è solo l'inizio non trovo nemmeno la forza di reggermi in piedi, vorrei ancora una volta scappare, correre lontano dall'assurdità di questi giochi di morte.

Ares e Luke si scambiano sguardi un po' tesi, poi Alexandra si china per afferrare quella spada che è costata la vita alla ragazzina del 12, quella spada che dovrebbe appartenere a me, con un occhiata dura ammonisce i due e li minaccia silenziosamente di non continuare la discussione.

Ora che nei pressi della cornucopia non c'è più nessuno, appare tutto più reale, più terribilmente macabro e insopportabile, non c'è più nessuno, nessuno di vivo, i cadaveri dei tributi innocenti riempiono il terreno, il loro sangue, sangue di bambini, tinge di tristezza il verde prato su cui giacciono passivi e senza vita; sento una morsa allo stomaco, cerco in fretta tra i corpi il viso di Jake, ed anche se non eravamo mai stati grandi amici, quando non lo trovo non posso non tirare un sospiro doi sollievo.

- Quanti? - chiede al suo compagno, la bionda del 2 mentre si allontana per lasciare lo spazio necessario all'hovercraft per raccogliere i cadaveri, ha l'aria scherzosa e con fare giocoso da una pacca sulla schiena di Ares – Tre –  il tono del biondo è serio, l'espressione sul viso indurita per la concentrazione che impiga per pulire la lama della sua spada
– Solo? Mi aspettavo qualcosa di più da te... Io 4 - Alexandra fa sembrare tutto un gioco, come se fossimo qui perchè l'avessimo scelto, in realtà solo lei lo ha scelto, si è offerta volontaria senza nemmeno pensarci – Io due – si intromette Lisa, prendendosi quel tanto di importanza che crede le spetti, il quel momento capisco di cosa stanno parlando, capisco che i numeri in questione sono persone, più precisamente bambini, quelli che hanno ucciso, quelli che ora sono solo morti.

- Tu? - questa volta la bionda si rivolge a Luke – Zero – la sua risposta lascia tutti quanti basiti
- Zero è un numero no? - la sua non è una battutta e nessuno ride, credevo che una volta nell'arena avrebbe fatto a gomitate per uccidere.

Quando Alexandra gli chiede il perchè lui risponde così : -  Il bagno di sangue è una cosa stupida...non c'è il tempo di fare una lavoro come si deve, non mi piace uccidere così...-  mi domando cosa intenta per 'lavoro come si deve', poi le immagini di lui al centro di addestramento che dilania col coltello un manichino, mi passano davanti agli occhi
– Bhè...tra qualche ora potrai rifarti: stanotte si va a caccia! -  la risata della bionda mi fa rabbrividire se penso che le prede della loro caccia saranno delle persone.

- E tu? Cosa hai fatto oltre a dartela a gambe? - ora il ghigno di Alexandra è rivolto a me, come se improvvisamente si fosse accorta che ci sono anch'io – Ho recuperato quella spada che tu ti sei fatta sfilare sotto gli occhi da una ragazzina! - la mia risposta non si fa attendere

'Perchè non dici mai la cosa giusta, Jenna?'

- La mia spada? - chiede facendo un passo con fare minaccioso verso di me – No... la MIA spada! - rispondo correggendola 

'Ok, ti stai impegnando per farti ammazzare!' ,

Alexandra ha i denti stretti, gli occhi ridotti a due fessure, – Ares, dobbiamo tenercela per forza questa qui? - dice non smettendo un attimo di fissarmi.

Il fatto che si sia rivolta a lui un po' mi indispettisce, io non dipendo da lui...o forse si?

- Dagli la sua spada, Alex – dice il biondo con tono calmo, quasi annoiato, mentre mette in ordine il bottino trovato vicino la cornucopia – COSA?!? - l'espressione truce e il viso rosso di rabbia di Alexandra, mi dicono che forse, Ares è migliore di me nel mettersi nei guai;
i suoi occhi di ghiaccio si sollevano solo un attimo dalle provviste, per incontrare quelli della sua compagna di distetto.

La bionda ha i denti tanto serrati che ho paura possano sgretolarsi da un momento all'altro, se prima il suo viso era rosso, ora ha assunto una minacciosa sfumatura sul violaceo, le dita troppo lunghe serrate fino a far sbiancare le nocche, intorno all'elsa della mia spada; tutto tace in un silenzio surreale, poi ad un tratto l'unico rumore che si sente è il tintinnio della lama, che in un unico ascesso di rabbia, Alexandra ha buttato ai miei piedi.
Come una furia afferra una lancia dal cumolo di armi minuziosamente sistemate dal suo compagno di distretto, e a grandi passi arrabbiati, si dilegua nella boscaglia – Forse non dovremo lasciarla andare senza nessuno...-  Lisa avanza una debole osservazione – Sa cavarsela da sola!- ma Ares risponde subito secco e asciutto, ma non lascia che il tono calmo e pacato abbandoni la sua voce; per un attimo i suoi occhi limpidi come l'aria si incontrano coi miei, il sorriso che mi rivolge, caldo e rassicurante, irradia calore in ogni fibra del mio essere e mi fa dimenticare per un momento dove sono.

Quando un brusco colpo di cannone fa vibrare l'aria, vengo catapultata di nuovo nell'aspra realtà, sento il rumore dell'hovercraft in mezzo agli alberi, e senza nemmeno rifletterci troppo, so che Alexandra ha ucciso, ad un altro  ragazzino innocente è stata strappata la vita, ed anche stavolta, come con la ragazzina del 12,  sento che una parte della colpa è mia.

Ma è davvero colpa mia se sono così veloce?

È davvero colpa mia se l'unica arma che so usare è la spada?

'Non importa se è colpa tua o no,Jenna, quei ragazzini sono morti, e tu che loi voglia o no, hai fatto la tua parte! '

Ho fatto la mia parte. Mi chiedo cosa sarebbe successo se non fossi tornata indietro questa mattina, forse non sentirei il peso di queste vite gravarmi sulle spalle,
'Certo che non sentiresti nessun peso, Jenna... perchè saresti morta!'  

E adesso come sono?
'Viva', per ora si, ma per continuare ad esserlo cosa diventerò?
Un'assassina forse?
'Diventerai qualsiasi cosa ti permetta di tornare a casa, Jenna!'   
E cosa sono disposta a fare per tornare a casa? 'Tutto'.
Tutto.

La notte cala veloce, e l'artificialità dell'arena si rivela in un cielo scuro senza stelle, ma forse è meglio, anche queste sarebbero solo grottesche imitazioni di una realtà che gli strateghi non potranno mai riprodurre.

Quando Alexandra fa ritorno al nostro accampamento non so se il suo viso sia scuro per l'effettiva mancanza di luce, o per l'arrabbiatura di prima, che la vita del tributo che ha ucciso, non ha placato fino in fondo.
Assieme al buio arriva anche il freddo, e ognuno di noi si rifugia nel proprio sacco a pelo, cercando quel calore che quel tessuto così estraneo non potrà mai dare; vorrei che in questo momento al posto della stoffa ci siano le calde braccia di Sam, un breve ma intenso ricordo della nostra ultima notte si fa strada tra i miei pensieri, lancinanti fitte di dolore mi colpiscono all'altezza del petto, vicino a quel cuore che senza di lui è inutile che batta.

Un brivido gelido interrompe il tepore doloroso dei ricordi, ed il disgustoso sigillo di Capitol City si fa strada tra le tenebre accompagnato dal tradizionale e patetico inno patriottico; uno ad uno sfilano davanti ai miei occhi le faccie dei tributi morti, di quei ragazzi che a casa loro non ci torneranno mai, per un attimo penso alle loro famiglie, negli angoli più sperduti di Panem, che in questo momento piangono la loro morte, poi tra le altre vedo anche la mia di famiglia, la vedo sollevata, per quanto lo si possa essere, persino felice, perchè io sono ancora in vita, io sono ancora viva.

I loro occhi, gli occhi dei morti,  illuminano il cielo fino ad un minuto fa troppo buio per essere vero; i primi sono quelli marrone corteccia del ragazzo del 3, mi ricordo di lui mentre viene trafitto dalla lama di Ares, poi vengono quelli nocciola del tributo del 5 e quelli uguali della sua compagna di distretto, li seguono quelli gialli del ragazzo del 6, lui il più furbo o stupido di tutti, dipende dai punti di vista, che è saltato in aria con una mina ancora prima che i giochi cominciassero, poi appaiono i due fari verdi smeraldo della ragazza dell'8, i begli occhi turchesi quel tributo del 9 vengono seguiti da quelli verde scuro della compagna, dopo arrivano anche quattro paia di occhi marroni dal distretto 10 ed 11; infine quelli che appaiono per ultimi sono i fari grigi di Lucy Shadow, la ragazzina del 12, quegli occhi luminosi come la luce stessa, pulzano di una vita che ora ha abbandonato il suo corpo, riflessi nel cielo artificiale sembrano quasi veri, come se lei fosse ancora viva, come se mi stesse guardando dall'alto ' Se puoi, scusami Lucy!' .

La guardo e anche se non le assomiglia, penso ad Anna, penso alla loro innocenza, a quella purezza così fuori posto in questo mondo maledetto; penso che io quella purezza ci ho rinunciato da un pezzo, ci ho rinunciato quando ho ammesso con me stessa che volevo tornare a casa, quando mi sono promessa che ci avrei provato davvero, quando ho accettato l'alleanza con Ares, quando ho corso per raggiungere Lucy... ci ho rinunciato per l'ennesima volta proprio in questo momento: ma non quando mi sono accorta di essere divenata una favorita, ci ho rinunciato mentre mi sono accorta che mi sentivo una favorita, mentre mi dicevo che infondo lo ero sempre stata...





Angoletto dell'autrice indecisa:

tatatatan! Eh già, chi lo avrebbe mai immaginato che alla fine Jenna sarebbe diventata una favorita? Io sicuramente no...ma sono un caso patologico per quanto sono indecisa, perciò non faccio testo!
Anche stavolta ho qualche ringraziamento da fare:
- a nica89, Bessie e lula99 per le loro recensioni, grazie di cuore!
- e a
 N_Near per aver messo la mia storia tra le seguite
Spero che la storia vi piaccia sempre di più, un grande bacio, Akilendra

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Angoletto dell'autrice frustrata :
Oh, finalmente ce l'ho fatta, non ne uscivo più da questo capitolo!
Spero proprio che vi piaccia, io ho qualche dubbio, ma io non faccio testo, ho sempre dubbi su quello che scrivo, non mi va mai bene niente!
per fortuna voi che leggete siete molto più accomodanti, gentili e simpatici di me, infatti siete sempre più carini nelle recensioni che sono diventate davveor parte integrante e consolazione delle mie giornate... quindi grazie  a:
- Bessie, nica89, lula99, Roberta Salvatore, TheSandPrincess e Nilsson per le loro preziosissime recensioni
- Roberta Salvatore per aver inserito la mia storia tra le preferite
- Diosmira, Roberta Salvatore, TheSandPrincess, Nilsson e Hoshi98 per aver inserito la storia tra le seguite
- Roberta Salvatore, Hoshi98, marylautner e TheSandPrincess per avermi messa tra i loro autori preferiti! Grazie mille a tutti! Senza di voi questa storia non sarebbe la stessa!
un grande bacio, Akilendra






Capitolo 9


Quando sorge il sole, sorge anche una nuova Jenna, o forse è solo quella vecchia, la Jenna forte, la Jenna che si occupa di tutto, la Jenna  che non sa piangere; non sono sicura che mi piaccia questa Jenna, ma so che ho bisogno di essere lei 'Tu devi essere lei!'.
Mentre faccio colazione con le numerose provviste trovate vicino alla cornucopia, non posso non riflettere sul fatto che essere una favorita, ha davvero tanti lati positivi e sul fatto che, a differenza della mia, la pancia di molti tributi rimarrà tristemente vuota.

Una volta riempito ogni angolo dello stomaco, Luke propone di ispezionare il bosco, sperando di trovare qualche tributo ancora addormentato, io mi offro di rimanere a gare la guardia all'accampamento e Alexandra, accusando una misteriosa stanchezza, dice che mi farà compagnia.

La guardo di sottecchi mentre affila con una minuziosità quasi maniacale l'unico coltello che Luke non ha portato con sè, non mi fido di lei, dal primo momento che l'ho vista ho capito che noi due non saremmo mai potute andare d'accordo, che anche in circostanze diverse, anche in un mondo senza Hunger Games, ci saremmo comunque odiate; non ho paura di Alexandra, ma l'idea di lei con in mano un coltello e di me troppo lontana dalla mia spada anche solo per provare ad afferrarla, non mi piace per niente.
La sento fischiettare un motivetto alle mie spalle, se avesse voluto uccidermi lo avrebbe già fatto, se sono ancora viva, vuol dire che non mi vuole morta; ma quando le note della sua canzone smettono di arrivare alle mie orecchie e sento il leggero rumore dei suoi passi alle mie spalle, le mie supposizioni vanno a rotoli e mi dico che forse mi sono sbagliata!
Percepisco il suo respiro sul mio collo  - Ora non c'è qui Ares a proteggerti...- mi dice all'orecchio, le sue parole mi arrivano affilate come rasoi, sussurrate ad un volume così basso da farmi venire i brividi; non mi muovo, non parlo, le lascio fare il suo gioco  - ...E se io volessi ucciderti, qui ed ora, chi potrebbe impedirmelo? - continua tagliente, ora sento la fredda lama del coltello che impugna lisciarmi la pelle indifesa del collo, solo ora mi muovo, lentamente ,mi volto fino a poterla guardare negli occhi – Io ad esempio -  le rispondo in un bisbiglio.
La risata bassa e roca di Alexandra riempie l'aria – Stai attenta pantera del 7! - dice a pochi centimetri dal mio naso, con la punta del coltello traccia il contorno delle mie labbra,  - Posa subito il mio coltello! - ringhia Luke spuntando dal fitto del bosco, Alexandra sbuffa infastidita e lancia controvoglia il coltello, che va a conficcarsi perfettamente nel tronco di un albero – Dove sono gli altri? - chiede la bionda  - Non preoccuparti, Ares era abbastanza lontano da non averti sentita! - risponde Luke con fare ironico mentre Alexandra lo fulmina con lo sguardo.

Dopo poco arrivano anche Ares e Lisa – Gli unici che ancora dormivano erano loro! - dice la ragazza sventolando due scoiattoli, la sua voce è leggera, ma l'aria che aleggia tra me ed Alexandra è ancora tesa, e mentre lei sembra non accorgersene, Ares lo nota subito; la gioranata passa veloce  ma lui non mi rivolge parola, mi lacia solo sguardi interrogativi ed interrogatori, che io puntualmente evito.

Cala veloce anche la sera, il cielo si tinge di un'oscurità assoluta, non ci sono stelle, non ci sono speranze o desideri da esprimere per noi tributi.
Presto nel buio compare il sigillo di Capitol City e mi aspetto di vedere sfilare nel cielo gli occhi  dei numerosi tributi morti anche oggi, ma gli unici occhi che compaiono in cielo sono quelli blu notte della ragazza del 6, braccata come un animale ed uccisa per placare la sete di sangue di Luke l'altra notte.
A parte lei, niente morti oggi, ciò vuol dire che domani dovrà essere una giornata particolarmente 'movimentata', sarà meglio per noi che sia così, altrimenti sarà compito degli strateghi movimentarla, perchè gli Hunger Games non possono essere noiosi, e se non muore nessuno gli sciocchi e viziati capitolini si annoiano.

Prima che possa accorgermene dormono già tutti...anzi no, non tutti: due occhi di ghiaccio mi fissano nelle tenebre – Che ci fai ancora sveglio Ares? - chiedo a bassa voce – Questo è il mio turno di guardia... cosa ci fai tu, ancora sveglia! - mi risponde senza nemmeno sforzarsi di abbassare la voce; immagino sia normale per loro, non avere mai paura di niente, parlare a voce alta anche di notte nell'arena, quando chiunque potrebbe spuntare da dietro un albero ed attaccarli, 'Non essere sciocca, Jenna, nessuno proverebbe mai ad attaccarli!'  già, loro sono favoriti,  'No, NOI siamo favoriti!' .
- Cosa ti è successo? - mi chiede Ares all'improvviso, ora è seduto accanto a me, la sua voce si è abbassata fino a diventare un sussurro, con le dita traccia il contorno delle mie labbra, soffermandosi un po' di più laddove la lama impugnata da Alexandra ha lasciato un piccolo graffio,
- Niente – rispondo non riuscendo a staccare gli occhi dai suoi, - Cosa ti ha fatto, Anna? - insiste, ma stavolta senza pretendere una risposta, i suoi occhi non sono più fissi nei miei, ma guardano le mie labbra, con le dita risale fino alla mia guancia, dove lascia una carezza con una delicatezza che credevo le sue mani non possedessero.

I piccoli brividi che ispiegabilmente percorrono il mio corpo invece, non sono affatto delicati, bruciano, violenti e bollenti come le fiamme, e più le sue mani rallentano e indugiano sul mio viso, più il fuoco aumenta e brucia arrabbiato tutto ciò che trova in me.

- Perchè fai tutto questo? - chiedo in un sospiro e a voce così bassa che, se non fossimo così vicini, non potrebbe sentirmi, so che non serve aggiungere altro, che lui ha capito benissimo, è da prima che iniziassero i giochi che cerca di proteggermi, ha fatto tanto per me, ed io so con amarezza che non posso fare niente per lui... - Noi siamo alleati, no? - risponde con la scusa più ovvia e prevedibile; con un occhiata gli faccio capire che non me la bevo, sospira seccato e abbassa lo sguardo – C'è qualcosa che posso fare per ripagarti? - chiedo, anche se so che non potrei offrirgli niente, lui è un favorito, la sua famiglia è già ricca e quando tornerà a casa da vincitore lo sarà ancora di più, perchè lui tornerà a casa, lui vincerà, e nel profondo del cuore so che se non posso vincere io, allora voglio che sia lui a farlo!

- Tu non puoi darmi niente di quello che voglio, Anna... - sussurra quasi a se stesso –  E anche se potessi, di certo non lo vuoi e allora non lo voglio neanch'io! - continua alzando lo sguardo e puntando i suoi occhi di azzurri nei miei.
Le sue parole mi lasciano interdetta cerco le parole giuste per rispondergli ma non le trovo, forse neanche ci sono, i brividi che fino a poco mi bruciavano dentro, ora non sono più in me, ma se guardo bene nelle sue iridi di ghiaccio li rivedo, e se chiudo gli occhi, giurerei di sentirne ancora il colore bruciarmi.
Il rumore di un ramo spezzato dai maldestri piedi di Lisa, rompe la 'bolla di sapone' che ci eravamo creati, e ci fa ripiombare nella realtà  - Oh, scusate...io...è ora che faccia il mio turno di guardia – dice la ragazza con un tono un po' imbarazzato che mi fa infuriare, non c'è niente per cui essere imbarazzati, non c'è niente per cui si debba scusare.
Ed è come se mi trovassi davanti ad un precipizio e cadessi giù ad un tratto senza preavviso, urtando la terra dura sotto di me, all'improvviso la vicinanza tra me ed Ares, mi sembra del tutto equivoca e tremendamente sbagliata, mi sorprendo e mi chiedo come ho potuto permettere a me stessa di mettermi in questa situazione.
Mi alzo bruscamente e senza aggiungere una parola mi rifugio nel tepore del mio sacco a pelo, voglio sparire, voglio andarmene di qui, nel sonno trovo tutto quello che cerco, e tutt'un tratto le braccia di morfeo mi sembrano una prospettiva di incoscienza molto allettante.
Quando riapro gli occhi scopro che, nonostante il sole nel cielo dica che non è poi così presto, sono tutti già svegli e sono riuniti vicino alle ceneri del fuoco di ieri sera, quando li raggiungo, una strana sensazione mi invade, sento come di essermi persa qualcosa, qualcosa di importante.
Ma questa mia strana sensazione scompare presto, abbiamo altro a cui pensare, l'acqua ad esempio, le scorte nelle borracce trovate vicino alla cornucopia sono finite, così Ares si propone per andarle a riempire dal ruscello nel bosco, e dato che insiste tanto perchè lo accompagni, decido di accontentarlo.
Rimaniamo sempre vicini quando siamo tra i fitti alberi, in modo da poterci guardare le spalle, anche perchè lui non ha voluto portare con sè la sua spada, troppo peso assieme alle borracce piene, ha detto; mi allontano un po' di più solo quando vedo un cespuglio dalle bacche rossicce che conosco molto bene, subito mi ricordo dei boschi del 7, che ne sono pieni.
Ad un tratto, leggero e silenzioso, atterra proprio vicino a me, un piccolo paracadute argenteo, mi guardo intorno, per essere certa che sia proprio per me, ma nel raggio di parecchi metri mi rendo conto che non c'è nessun'altro a parte un piccolo scoiattolo che mi osserva dall'alto di un ramo, escludendo che sia destinato al simpatico animaletto peloso, direi proprio che è per me.
Lo prendo in mano, ho un po' paura di romperlo, con molta cura, quasi contenessse chissà quale ricchezza lo apro, ma il suo contenuto dopo un primo sguardo non si può definire esattamente prezioso: è un foglio, o meglio un biglietto, ma quando guardo la grafia, leggermente storta e un po' disordinata, non c'è neanche bisogno di leggere il nome di Sam e so che quello che ho in mano è la cosa più preziosa che ho, quando la curiosità prende il sopravvento sui sentimenti lo leggo mentalmente:

' Sei in pericolo, Jenna, i favoriti hanno un piano per eliminarti, devi scappare, SUBITO! '

Il mio cervello si spegne, non capisco immediatamente il significato di quelle parole,  ho bisogno di rileggere più volte il messaggio per assimilarlo, per poi sperare che sia tutto un sogno, o meglio un incubo, dal quale potrei facilmente svegliarmi aprendo gli occhi.
E li apro gli occhi, li apro più volte, ma più li apro, più mi accorgo che è tutto squallidamente reale, ma infondo lo sapevo, sapevo che prima o poi sarebbe successo, sapevo che saremmo stati alleati fin quando l'istinto da predatori non avrebbe prevalso su di loro, perchè è questo che sono, loro sono  favoriti, loro sono animali, loro sono macchine costruite pr uccidere, ed io sono solo una stupida ragazzina che in mezzo a loro non c'entra proprio niente.
Ma lo sapevo.
'Ma se lo sapevi, dimmi Jenna, perchè ti fa così male?'
No, non fa male.
'Si che fa male, ma non è il fatto di essere stata usata, tradita, ingannata... è lui, è solo lui, è lui a farti male!'.
È lui. È Ares.
Ares che credevo mi volesse proteggere.
Ares di cui mi fidavo.
Ares che credevo fosse mio amico.
Ma so bene che non esistono amici negli Hunger Games.

Improvvisamente risento nella mia testa le parole che mi disse pochi giorni fa al centro di addestramento, quando gli chiesi perchè mi stesse aiutando, le stesse che mi ha ripetuto ieri sera :
' Per non sentirmi in colpa, quando dovrò ucciderti'.
Tutt'un tratto queste parole non hanno mai avuto un senso piuù chiaro nella mia testa, non hanno mai avuto un senso più doloroso nel mio cuore.
E se fosse stato il suo piano fin dall'inizio?
E se anche le parole di ieri sera fossero state l'ennesima finzione?
Si, fa male pensarci, e a farmi male è lui.
Ora sì che mi sento bruciare, i brividi dell'altra sera non sono niente in confronto alle fiamme che ora mi avvolgono.
Brucia.
Bruciano le sue parole nella mia testa, brucia il ricordo dei sorrisi che mi ha regalato, ed insieme al resto brucio anch'io, brucio anch'io e prego che non sia come sembra e maledico me stessa perchè non riesco ad odiarlo, perchè io a differenza sua, non ho mai finto, io gli ho voluto bene davvero.

- Oh, eccoti qua, Anna! - dice Ares spuntando dal fitto degli alberi, la sua voce è come benzina per il fuoco che ho dentro, mi volto verso di lui e lo guardo negli occhi, guardo attentamente in quegli occhi limpidi e puri e cerco qualcosa, qualsiasi cosa che mi dica che mi sto sbagliando, che lui non sa niente, che non ha mai proggettato la mia morte insime agli altri favoriti.
Per un attimo mi lascio convincere dall'idea che davvero non sappia niente, ma poi la ragione, o forse la paura, prevale, e per tutto il tragitto verso il torrente lo lascio camminare avanti a portata di vista, e ad ogni suo gesto strano mi aspetto di ritrovarmi un coltello piantato dietro la schiena, mi rincuoro solo un po' quando mi ricordo che l'unica dei due ad essere armata sono io.
Quando arriviamo quello ad essere agitato è lui, una parte di me si consola dicendosi che qualcosa di vero forse c'era se si comporta così, che forse per lui non sarà poi così facile uccidermi, voglio persino pensare che proverà dispiacere mentre guarderà la vita abbandonare i miei occhi.
Mi siedo su una roccia, proprio davanti ad una telecamera, la stessa che tra poco riprenderà in diretta la mia morte, lo guardo mentre riempie le borracce e aspetto che venga a darmi il colpo di grazia, lui si gira, quasi avesse percepito il peso dei miei sguardi, schiude la bocca con fare serio, come per dire qualcosa di importante, poi il suo sguardo si sposta poco più in alto verso la telecamera, così si rigira verso il torrente e mi chiede di avvicianrmi per aiutarlo.
Mentre raggiungo la riva, mi dico che è arrivato il momento, mi avvicino a lui come un condannato si avvicina al boia, ma quando non succede niente allora decido di parlare – Allora, che aspetti? Facciamola finita! - sbotto senza riuscire a trattenermi, la sua espressione si indurisce, si gira dando le spalle alla telecamera e con un dito mi fa sengno di fare silenzio – Shhh... non c'è tempo, devi ascoltarmi! Sei in pericolo, sevi scappare, avrai una sola possibilità e non devi sprecarla... ora io mi volterò per riempire la seconda borraccia e tu mi colpirai con l'elsa della tua spada, fallo sembrare  credibile, ne va della vita di entrambi! Dopo voglio che corri, devi correre più veloce che puoi, perchè quando tornerò dai favoriti loro ti cercheranno...bhe, le nostre strade si dividono...Buona fortuna, Anna! -  sussurra tutto d'un fiato, ora capisco perchè mi ha chiesto di avvicianrmi, il rumore dell'acqua del torrente copre le nostre voci, e di spalle alla telecamera nessuno ha visto che ci siamo parlati.
È tutto così confuso, posso fidarmi?
Si, devo!
Ho così tante domande, ma non c'è tempo. Non c'è tempo, avrò una sola possibilità e non posso sprecarla, non devo, ne va della mia vita, ne va della sua.

Quando si volta senza pensarci faccio come mi ha detto, quando sviene a terra per il colpo, prego di aver fatto un buon lavoro, prego di essere stata credibile, e poi corro.

Ancora una volta corro, i miei piedi si muovono come non hanno mai fatto, corrono lontano.
Lontano da tutto, lontano dall'arena, lontano dai favoriti, lontano dagli Hunger Games, lontano da tutto ciò per cui corro, lontano da tutto ciò da cui scappo.

E mentre corro penso ad Ares, a come solo un minuto fa,  fossi convinta che volesse uccidermi, penso che gli devo la mia vita, e prometto a me stessa che un giorno, prima o poi, salderò il mio debito con lui, farò di  tutto per mantenere la mia promessa.

Lo giuro.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Angoletto dell'autrice perennemente in ritardo:
Rieccomi!
Oh, finalmente riesco a pubblicare ad un orario decente!
Questo capitolo è leggermente più lungo rispetto al mio standard, ma avevo tante cose da dire e quindi eccolo qui. Come sempre spero vi piaccia, spero che leggendolo vi venga voglia di continuare a seguire la storia, ma soprattutto spero che vi regali qualche emozione. ( male che va, anche il disgusto è un'emozione no? :D )
Sarò brevissima, faccio i ringraziamenti e poi vi lascio alla lettura, giuro!
Come sempre ringrazio la cerchia delle 'fedelissime' che anche stavolta mi hanno lasciato la loro preziosa recensione : grazie mille a nica89, Bessie e TheSandPrincess.
Grazie anche a lula99 e francicolorata per aver messo questa storia tra le loro preferite.






Capitolo 10


Corro in quel bosco, tra un ramo e l'altro corro, tra gli alberi altissimi e i mille rumori a me sconosciuti corro, corro ormai da giorni cercando di sfuggire dai favoriti, dall'arena, dagli Hunger Games, dal mondo intero.
Corro e ho paura di smettere, come se un minuto di riposo fosse la mia morte, la morte invece è nella mia corsa, che mi svuota i polmoni di qualsiasi aria malsana ed artificiale stia respirando in questo bosco; la morte è nella foresta, che ad ogni mio passo sembra voler tirar fuori gli alberi, i rami, i rumori più oscuri e maligni che ha.
La morte, è nel canto di questi uccelli, così limpido e festoso eppure così crudele e spaventoso da farmi rabbrividire ad ogni singola nota.

Ho persino paura, mentre corro, ad alzare troppo i piedi, ho paura di non ritrovarci la terra sotto quando li riappoggio, così spesso inciampo, cado e striscio, più veloce di qualsiasi altro serpente, finché l'agghiacciante nota acuta di qualche uccellaccio non mi da la forza di alzarmi;
la maggior parte delle volte però loro tacciono, quasi vogliano farmi un dispetto, e allora persino quella misera forza devo trovarmela da me.

Corro finché la luce mi consente di vedere dove andare e corro anche quando questo lusso non mi è concesso, con le braccia in avanti ad spettare che, il ramo che stavo cercando di evitare, mi graffi a sorpresa meschino, aiutato dal buio.
Corro anche quando le mie gambe non hanno più forza per farlo, ma ogni passo è una sofferenza, ogni passo allunga la mia agonia, e allora lotto con tutte le forze che ho.

Corro e lotto.
Lotto per correre.
Corro per lottare.

Corro, o almeno ho corso, fino a quando non ricordo altro che buio e silenzio, fino a quando riaprendo gli occhi non mi trovo davanti ad un viso che mi è familiare.
 

Jake mi guarda con dentro gli occhi un'apprensione che non riesco a spiegarmi, la sua bocca si apre e si chiude, le sue labbra si muovono in una danza che dovrebbe produrre suoni, che però alle mie orecchie non arrivano; quando riprendo coscienza del mio corpo, non è una sensazione affatto piacevole, tutti i sensi che si erano assopiti quando sono svenuta, ora riprendono il loro posto con prepotenza e senza il minimo riguardo mi lasciano in uno stato di confusione totale e con un grande mal di testa.

- Come stai? - chiede il mio compagno di distretto mentre mi aiuta ad alzarmi - Sembra che sia ancora viva! - dico lottando per non perdere l'equilibrio, mi gira la testa, Jake piega un lato della bocca in quello che dovrebbe essere un sorriso, ma somiglia più ad una smorfia.

Ci sono ancora un po' di cose che nella mia testa rimangono confuse, ricordo solo che ho corso, ho corso tanto, per giorni, e ricordo di aver visto il suo viso prima di svenire, come è possibile che mi fosse così vicino senza che me ne accorgessi?

-Mi stavi seguendo? - dico all'improvviso saltando alle conclusioni – Beh, direi che è stata una fortuna! - risponde preso un po' alla sprovvista dalla mia domanda – Quindi mi stavi seguendo...- insisto nel voler avere le idee chiare – Si, ti stavo seguendo! - ammette dopo un po'.
Corrugo la fronte cercando di formulare un pensiero sensato, mi massaggio la testa, ma il dolore sembra proprio non voler passare – Beh, allora grazie...- dico dopo alcuni minuti di silenzio – Di cosa? - ora è lui a corrugare la fronte – Di avermi seguita! Se non l'avessi fatto probabilmente ora sarei morta...- dico mettendo nella voce un po' di gratitudine – Veramente è un po' che ti tengo d'occhio...da quando eri con i favoriti, quelli non mi sono mai piaciuti, ti hanno tradita vero? È per questo che sei scappata! - all'improvviso mi sento invadere da uno strano senso di colpa, mentre lui si preoccupava e mi seguiva, io mi ero quasi completamente dimenticata di lui – Si, mi hanno tradita...- i miei pensieri vanno subito ad Ares, una fitta lancinante mi colpisce la testa, ma una ancora più forte colpisce il mio cuore, gli devo tutto, gli devo la vita.

- Sei sola?- mi domanda destandomi dai miei pensieri, annuisco semplicemente, - D'ora in poi, non lo sei più! - continua con naturalezza – Alleati? - chiedo sorridendo – Alleati! - risponde alle parole e al sorriso.

 

Da quando io e Jake ci siamo alleati, le cose sembrano andare bene, per quanto possa essere bene stare negli Hunger Games; ci guardiamo le spalle a vicenda e le nostre giornate passano tranquille, gli strateghi sembrano volermi concedere ancora un po' di pace, suppongo che i favoriti stiano dando abbastanza spettacolo da tenere incollati i capitolini ai loro televisori, e finché lo faranno, potrò godermi la mia tregua.

Ho finalmente ammesso a me stessa che non sono una favorita , non sono una di loro, non lo sono mai stata, mai lo sarò; ho deciso che le mie mani non si sporcheranno di sangue, ho deciso che mi terrò stretta quel poco di sanità mentale che mi rimane.

Io e Jake la sera non guardiamo mai il cielo, quando sentiamo l'inno distogliamo subito lo sguardo, abbiamo deciso di comune accordo che non ci interessa, stiamo solo aspettando che tutto questo finisca, non abbiamo intenzione di ucciderci a vicenda per intrattenere gli annoiati abitanti della capitale, non abbiamo intenzione di giocarli, i loro giochi.

Anche questa sera passa come le altre, dopo aver guardato intensamente un sasso pur di non vedere i visi dei ragazzi morti oggi, mi rifugio nel piacevole tepore del sacco a pelo che divido con Jake; per un attimo rifletto sul fatto che se non avessi incontrato lui sarei stata persa, non avevo niente, ero scappata senza nemmeno una borraccia d'acqua, ed in più correvo disperata da giorni, lui mi ha trovata, mi ha rimesso in sesto e ha condiviso ogni cosa che aveva con me.

Parlando abbiamo scoperto di avere molte cose in comune, e più di una volta mi sono chiesta come abbiamo fatto in questi anni ad ignorarci pur vivendo nello stesso distretto, in questi pochi giorni abbiamo fatto ogni cosa insieme e non faccio altro che ripetermi che se non fossimo qui dentro, saremmo grandi amici, sarebbe tutto normale, ma qui niente è normale, siamo negli Hunger Games e per quanto posso far finta di niente, so che uno solo vince, uno solo sopravvive.

Censuro i miei pensieri, mi costringo a chiudere gli occhi e cerco di prendere sonno stritolando un braccio di Jake, un suo mugolio di protesta mi informa che neanche lui è del tutto addormentato, prima di cadere definitivamente nel sonno mi domando chi dei due dovrebbe fare il turno di guardia, ma il sonno ha la meglio e mi dico che in tutte queste notti non è mai successo niente, anche questa sarà una notte tranquilla.

Percepisco la luce del sole, ma non apro gli occhi, voglio ritardare il più possibile l'inizio di un nuovo giorno nell'arena, libero il braccio di Jake dalla mia morsa, è ancora addormentato perché non lo sento girarsi nel sacco a pelo come fa di prima mattina; la mia mano vaga oltre il suo corpo in cerca della borraccia, la urto e sento l'acqua, calda per essere stata sotto al sole mattutino, rovesciarsi per terra, dato che non ho ancora voglia di aprire gli occhi, rinuncio a bere.

Riesco a sentire il respiro di Jake in faccia, apro gli occhi, ma le le iridi che trovo a fissarmi non sono quelle color ambra del mio compagno di distretto, quelli non sono gli occhi dolci del mio amico, quegli occhi sono crudeli, quelli sono gli occhi di un assassino.
Quelli sono gli occhi di Luke.

Rimango immobile, come paralizzata.
Cosa diavolo succede?

Mi giro per svegliare Jake, ma Jake non si sveglia, non si sveglierà più.
 

Cosa succede?
Perché è tutto rosso?
Perché la testa di Jake è staccata dal suo corpo?

 

L'acqua della borraccia, versata a terra, si mischia al suo sangue.

Jake non si sveglia, non si sveglierà più.

Sangue.
Tanto sangue.
Sangue rosso.
Il suo sangue.
Jake?
Morto.

Jake non si sveglia, non si sveglierà più.

Lui è morto.
Jake è morto.

Jake non si sveglia, non si sveglierà mai più!

 

Tremo, voglio scappare lontano, voglio che sia tutto un brutto sogno, voglio svegliarmi, ora.
Tremo, so che è troppo tardi per scappare, so che purtroppo non è un sogno, so che non posso svegliarmi, neanche Jake può farlo, non potrà farlo più.

Cerco di scappare, ma in questo momento la mia velocità sembra essere sparita, non riesco neppure ad alzarmi, persino il coltello di Luke è più veloce di me, quando preme sulla mia guancia colorandosi del mio sangue non posso fare niente, posso solo urlare, ed urlo.

Ma la mia voce si mescola ad un'altra però, una voce che appartiene ad una persona che conosco bene.

-Fermati Luke, avevi detto che lei non l'avresti uccisa! - grida Ares
- Si, l'avevo detto...ma ora l'ho vista e ho cambiato idea! – dice l'altro guardandomi con un sorriso sadico.
Poco prima che la sua lama si macchi ancora del mio sangue, Ares si avventa su di lui e gli affonda la sua spada nello stomaco, Luke cade a terra e poco dopo il cannone che segnala la sua morte spara, - Chi di voi vuole fare la sua stessa fine? - urla il biondo rivolto a Lisa ed Alexandra, che guardano la scena da pochi passi di distanza; la ragazza del 1 non ci pensa due volte e scappa via, la bionda esita un po', rivolge ad Ares uno sguardo carico di rancore, disprezzo e disgusto – Hai fatto la tua scelta...- dice prima di scomparire nel fitto degli alberi.

Tremo ancora.
La vista è appannata, le orecchie non registrano più i suoni, il mondo sembra essersi fermato ed io sembro non essere più in possesso del mio corpo.

Jake.

Mi sento attraversare da una fitta di dolore, non è la guancia colpita dalla lama a farmi male, il dolore viene dal petto, il dolore viene dal cuore, nessuna ferita inflitta da un coltello può fare così male, nessuna medicina può guarire questo dolore.

Urlo. Urlo il suo nome, ma lui non può sentirmi, lui non può rispondermi, lui non si sveglia, non si sveglierà più.

Ares cerca di portarmi via, mi trattiene tra le sue braccia, continua a ripetermi parole che le mie orecchie non ascoltano, mi solleva di peso, mi trascina via.
Lentamente asciuga le lacrime dal mio viso, lava via il sangue dalle mie mani, si occupa della ferita sulla guancia e anche di 'quella' sul cuore; non la smette di parlare, continua a sussurrarmi parole rassicuranti, che io non ascolto, le sue braccia mi cullano finché i tremori non abbandonano il mio corpo.

Passano minuti, ore, giorni così, lui è sempre lì, a tenermi la mano, ad impedirmi di scivolare via, ad impedirmi di lasciarmi andare.
Non smette di parlare nemmeno per un attimo, comincia a raccontarmi della sua famiglia, della sua vita prima dell'arena, mi dice che ha una sorella di quindici anni e che il suo nome è Diana, mi racconta di sua madre, della magnifica donna che è, e di suo padre al quale dice di dover tutto; io lo ascolto, senza mai interromperlo, rispondendo alle sue parole solo con gli occhi.
Piano piano scopro lati di lui che credevo non esistessero, il suo viso, che solo pochi giorni fa credevo essere imperturbabile come quello di un antico dio greco, ora mostra quelle emozioni che non riesce a trattenere; scopro di adorare il modo in cui butta indietro la testa prima di ridere e le fossette che gli si formano ai lati della bocca quando cerca di trattenere un sorriso, ma anche il vizio di torturarsi il labbro quando è preoccupato o il modo in cui muove le mani quando cerca di spiegarmi qualcosa.

Stamattina quando apro gli occhi urlando il nome di Jake, Ares mi guarda con un'espressione che ancora non conosco, si avvicina a me e apre le braccia, per farmi sapere che lui ancora una volta c'è e che se voglio, possiamo superare questo momento insieme, ancora una volta; io mi ci tuffo dentro e affondo il mio viso nel suo petto.
Quando sento qualcosa spingere contro la mia guancia, alzo la testa e infilo una mano nella sua maglietta per estrarre l'oggetto del mio disagio, è un ciondolo, una pietra, ha lo stesso colore dei suoi occhi – è bellissima – dico guardandola con aria incantata – Ha lo stesso colore dei tuoi occhi - continuo – Naaaah... - dice lui sorridendo leggermente, si ha ragione i suoi occhi sono decisamente più belli, ma questo, non glielo dico.

Rimaniamo così per gran parte della giornata, all'improvviso il brusco rumore di un colpo di cannone riecheggia nell'aria, ed Ares si stacca da me, con aria preoccupata comincia a fare discorsi che non mi piacciono per niente, bisbiglia parole che hanno un senso solo nella sua testa, continua a ripetere la frase: 'è ora', non so cosa significhi, ma se lo fa stare così male so che non è niente di buono.
Poi come si fosse appena svegliato da un sogno, tutt'un tratto si calma e si avvicina a me – Devo andare – dice accarezzandomi la guancia con una mano, - NO! Tu non puoi lasciarmi da sola! - dico afferrandogli la mano con cui mi accarezzava, sul suo viso si dipinge un'espressione affranta -Promettimi che non te ne andrai! Promettimi che resterai con me! - dico ancorandomi al suo braccio, lui sospira e abbassa lo sguardo – Te lo prometto – sussurra prima che la stanchezza non mi faccia piombare nel sonno.

Quando mi risveglio urlando ancora una volta, con il nome di Jake sulle labbra, mi aspetto che le braccia di Ares vengano a darmi conforto, ma non arrivano, Ares non c'è, Ares se n'è andato. Quando vedo dei pezzetti di legno sistemati a formare la parola 'Scusa', ogni speranza che sia solo un brutto sogno, sparisce.
Non voglio crederci, come ha potuto? Mi aveva promesso che sarebbe rimasto con me, perchè mi ha abbandonata?

Passo tutta la giornata ad aspettarlo, a sperare che da un momento all'altro spunti dal folto degli alberi, che torni indietro, che torni da me, ma non succede e quando cala la sera perdo anche questa misera speranza.

Nel cielo questa sera appaiono gli occhi verdi smeraldo di Lisa, li guardo apparire dal nulla e dal nulla come sono arrivati scompaiono; non so perché ma penso che sia stata Alexandra ad ucciderla e qualcosa mi dice che è per questo che Ares se n'è andato, lo sparo era vicino, lo abbiamo sentito bene, e se Alexandra è vicina, nessuno è al sicuro, ma se siamo in pericolo allora perché lui mi ha lasciata da sola?
'Vuole proteggerti, stupida!' sembra che il mio cervello si sia rimesso in moto dopo il lungo torpore degli scorsi giorni e con lui è tornata anche la sua fastidiosa vocina.

Anche il mio udito funziona bene, infatti capto un rumore, il leggerissimo fruscio di alcune foglie calpestate, è stato quasi impercettibile ed è durato solo un attimo, ma è bastato per farmi balzare in piedi ed afferrare la mia spada, la stessa trovata vicino alla cornucopia, che mi è stata restituita da Ares.
Mi addentro tra gli alberi, nella direzione in cui ho sentito il rumore, aspetto per lunghi istanti di sentirne un altro che mi confermi che non è stata solo una mia illusione, ma non sento niente, proprio quando penso di essermi lasciata suggestionare, lo sento ancora, lo stesso leggerissimo fruscio alle mie spalle.

Mi giro e prima di essere invasa dal panico riesco solo a vedere due grandi occhi gialli fissarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Angoletto dell'autrice mai soddisfatta:
Allora, scrivere questo capitolo è stato un travaglio, tutt'ora penso che avrei dovuto far meglio, ma del resto quand'è che sono pienamente soddisfatta di quello che faccio? MAI.
Per questo in questo capitolo più degli altri ho bisogno di sapere cosa ne pensate, davvero è importantissimo, qualsiasi cosa scriviate!

Passando ai grazie:
- a _Nica89_ , lula99, Bessie, Hoshi98, TheSandPrincess e Woter_wolf per le loro fantastiche e preziosissime recensioni
- a Water_wolf per aver inserito la
 storia tra le preferite e tra le seguite

Grazie a tutti! 







Capitolo 11




Per un attimo resto immobile, incapace di fare o dire qualsiasi cosa, mi manca l'aria, non so che fare, ma non c'è tempo per pensarci, non c'è neanche il tempo necessario per respirare.
Sento il cuore battermi nelle gambe, le sento muoversi e prendere il controllo di un corpo che il mio cervello non è più in grado di dirigere; sento i miei polmoni bruciare, li sento riempirsi e svuotarsi senza mai saziarsi di aria.
Non oso voltarmi per vedere se lei mi ha raggiunta,mi limito a mettere un passo dietro l'altro seguendo il corso del ruscello, non permetto nemmeno al mio cervello di pensarci, corro, corro e basta.

'Ma non si può correre per sempre, Jenna, non negli Hunger Games, l'arena non è infinita!'

Questo lo comprendo bene quando anche la semplice azione di mettere un piede dietro l'altro, mi risulta impossibile, non posso, non c'è più una terra su cui correre, ancora un passo e cadrei nella ripida cascata che ho davanti.
Per la prima volta mi concedo di guardarmi indietro, e la vedo, correre con falcate possenti verso di me, non ho tempo di pensarci due volte, non ho tempo di pensarci neanche una volta, ho appena il tempo di fare quel passo che prima non ho fatto e cadere nel vuoto sotto di me.

L'acqua non è per niente delicata quando impatta col mio corpo, ogni goccia è come se contenesse un ago, ogni goccia mi aggredisce quando entro nell'acqua, ogni ago mi trafigge.
Quando risalgo in superficie è come se non sapessi più come si respira, il cuore in gola blocca l'aria ancora prima che possa essere assaggiata dai miei polmoni.
Spero proprio che non mi abbia seguita, credo che abbia paura dell'acqua, ma non ne sono sicura finchè non alzo lo sguardo sul promontorio di roccia da cui mi sono lanciata e la vedo, ferma lì con gli artigli serrati così forte che temo la pietra si possa sgretolare da un momento all'altro, gli spaventosi occhi gialli fissi nei miei, le zanne affilate scoperte in un ringhio feroce, nella notte il suo corpo sinuoso sembra far parte dell'oscurità, solo il bianco dei suoi denti e il giallo ambra dei suoi occhi brillano di una luce accecante.

Rimango incantata per un attimo dalla sua eleganza, ma poi mi risveglio dal mio torpore, esco dall'acqua, e ricomincio a correre nella notte, pensando solo a mettere il più distanza possibile tra me e l'imponente felino.
Mi ritornano alla mente i suoi occhi che brillano nel buio e nonostante mi faccia paura, nonostante so che vuole uccidermi, non posso non trovarla magnifica, mi sembra strano e inappropriato che mi abbiano paragonata a lei,per un attimo penso agli strateghi, devono divertirsi molto in questo momento, comica la situazione no? 'La pantera del 7 che scappa spavenata da un'altra pantera' , sarebbe stupido credere che la scelta dell'animale sia stato solo un caso, è così chiaro che l'hanno fatto a posta da essere quasi sconcertante, ma quella non era una pantera qualunque, nessuna pantera è alta quanto un uomo, nessuna pantera ha artigli larghi quanto coltelli, nessuna pantera ha il numero sette disegnato in bianco sul petto.
Devono essersi scervellati parecchio per questo scherzetto, peccato per loro che sia finito presto, avevano architettato per bene la mia morte, eppure sono ancora via, di certo non se lo aspettavano, credevano che vedendo la cascata tornassi indietro, che cercassi un'altra via di fuga che non c'era, di certo si aspettavano di tutto tranne che mi lanciassi nel vuoto...o forse si? E se fosse parte del loro paino? E se stessi giocando proprio il loro gioco?
No, impossibile, loro mi vogliono morta, a che pro mandare un'enorme pantera nell'arena se sapevano che sarei scappata così facilmente?

C'è da dire che se avesse fnzionato, la loro sarebbe stata una mossa di grande effetto :
' La pantera del 7 che divora la pantera del 7', devo ammettere che il numero bianco disegnato sul petto del felino, è stato il tocco di classe, mi viene quasi da sorridere se penso alla faccia del primo stratega in questo momento, deve essere furioso, me lo immagino che urla contro i suoi colleghi ingiurie per non aver previsto questa situazione.

Tutt'un tratto mi torna alla mente il primo incontro che ebbi con quell'uomo, durante le sessioni private al centro di addestramento, ricordo bene il suo corpo irrigidirsi sotto la punta della mia spada e i suoi occhi puntati nei miei; come a voler rievocare quel momento, fermo la mia corsa, guardo in alto, verso il cielo, lì da qualche parte c'è la sala di controllo degli strateghi, sul mio viso si apre un sorrisetto beffardo, mi piego in un aggrazziato inchino, come quello che feci la prima volta e faccio un cenno con la testa come volessi salutarlo ' Ehi tu, si dico proprio a te, ti ho fregato, per la seconda volta...puoi provarci, ma non dimenticherai mai il mio nome!'

'E ti pareva, Jenna, non ti smentisci mai : ma sì, facciamo infuriare ancora di più gli strateghi, così la prossima volta stai sicura che ti uccidono davvero! Le mie congratulazioni, sempre più astuta!'

Per una volta mi trovo a concordare con la fastidiosa vocina nella mia testa, ma non me ne importa nulla, perchè dovrebbe? Non devo forse morire prima o poi? Io non uscirò da quest'arena, tanto vale godermi questo mio piccolo momento di vittoria.

Continuo a guardare in alto, immaginandomi che al posto del cielo ci sia la faccia del primo stratega, sono così concentrata, che non mi accorgo nemmeno che qualcosa, o meglio qualcuno, mi è appena venuto a sbattere contro.

Un ragazzo gracile mi fissa, brandendo un coltello che nelle sue mani è evidentemente pericoloso quanto un fiore.

Ci stiudiamo a vicenda , girandoci intorno come due animali, purtroppo per lui, è fin troppo chiaro chi è la preda e chi il predatore, senza preavviso il ragazzo balza in avanti e azzera la distanza che c'era fra noi, agita il coltello con forza provando a colpirmi, schivo il primo tentativo con facilità e al secondo gli blocco le mani dopo averlo disarmato – Fermo! Stai calmo, io non voglio ucciderti! Voglio solo andare via e lo vuoi anche tu, no? - dico guardandolo negli occhi e cercando di convincerlo, non voglio battermi con lui, non voglio doverlo uccidere – Quindi ora io mi volto e riprendo la mia strada e tu fai lo stesso,non ti farò del male...promesso! - continuo con decisione, lui scruta un attimo nei miei occhi, come per leggervi quanta verità c'è nelle mie parole, quando fa un cenno d'assenzo col capo, sento il mio corpo rilassarsi, gli lascio liberi i polsi, gli restituisco il coltello porgendoglielo dalla parte del manico e con cautela mi volto: questa è la prova che ho detto la verità, io mi sono fidata di lui, ho mantenuto il mio patto, ho scoperto le mie spalle per prima, ora tocca a lui.
Inizio a fare piccoli passi in avanti, poi all'improvviso sento il sibilare metallico di una lama, il mio corpo in un gesto instintivo si sposta a sinistra, giro la testa e faccio appena in tempo a vedere la lama di un coltello tagliare l'aria dove pochi istanti fa, c'era la mia testa: questa invece è la prova che negli Hunger Games non ci si può fidare di nessuno, questa è la prova che questo ragazzino non ha mantenuto la sua promessa.

Il mio braccio si muove da solo, la spada, sua fedele compagna, disegna un arco dalla traiettoria perfetta, più veloce di un fulmine la lama brilla al chiaro di luna, il corpo del ragazzo, come quello di un pupazzo di pezza inanimato, cade a terra, la sua testa rotola lontana dal collo a cui, fino a qualche secondo fa, era saldamente attaccata.

Un cannone, nella mia coscienza spara.

' Ti sei sbagliata, Jenna: non hai mantenuto la tua promessa!'

Mi dico che è tutta colpa sua, se non avesse cercato di uccidermi, ora sarebbe ancora vivo, ma le mie scuse appaiono deboli e si dissolvono come sabbia nel vento, quando guardo quel corpo decapitato.

Questa invece, è la prova che gli Hunger Games cambiano tutto, qualsiasi cosa tocchino la rovinano, qualsiaisi cosa, qualsiasi persona; questa è la prova che gli Hunger Games hanno toccato anche me.

Mi sento sporca, mi sento un'assassina, mi sento così male che vorrei non esistere, vorrei non respirare, se penso che ho appena ucciso un ragazzino innocente, vorrei essere morta anch'io.

Mi tremano le mani mentre mi avvicino alla sua testa, piango lacrime asciutte mentre cerco invano di ricongiungerla al suo corpo senza vita, quasi come fosse davvero un pupazzo di pezza, quasi come bastasse davvero un po' d'ago e filo per farlo tornare alla vita, urlo con tutta la voce che ho in gola quando mi accorgo che niente tornerà come prima, che è morto, che sono stata io, che non posso farci niente ora, che non è un pupazzo, che non posso aggiustarlo.

L'hovercraft sopra la mia testa reclama il suo corpo e mi dice che devo andarmene; quando sento il suo ronzio provenire dal cielo mi alzo bruscamente, quasi come mi sentissi in trappola, colta sul fatto, ma dimenticavo che qui non siamo in un mondo etico e morale, qui siamo negli Hunger Games, uccidere fa parte del gioco, uccidere è il gioco.

Ma questo non è il mio, questo è il loro gioco!

'Eppure ci hai giocato anche tu, Jenna, non hai forse appena ucciso?'

Basta! Non ce la faccio più, porto le mani alla testa, da cui proviene quella voce maligna che mi accusa e mi fa del male, non posso restare nemmeno un secondo in più qui, devo andarmene ora, altrimenti non avrò più la forza di farlo.

Così scappo, scappo via da tutto, ma la fonte del mio male è nella mia testa e mi segue, non c'è posto abbastanza lontano dove possa scappare, lei è sempre lì.

Passano giorni in cui non ho la forza necessaria per fare nulla, anche solo respirare mi sembra un impresa, me ne sto impotente e rassegnata sotto un albero con le ginocchia al petto, aspettando, aspetto da giorni ormai, non so neanche più cosa, poi un ricordo si insinua nella mia testa.
È il ricordo di una carezza, è il ricordo di un abbraccio, il ricordo di parole sussurrate al mio orecchio, e tutt'insieme so che non stavo aspettando qualcosa, ma qualcuno e decido che se lui non è ancora ritornato da me, allora io tornerò da lui.

Così mi metto alla ricerca di Ares, pian piano che mi inoltro nella foresta scopro che gli alberi si fanno sempre di meno, le foglie ed il terriccio che prima occupavano il sottobosco, ora lasciano spazio ad una timida erbetta primaverile, e senza che me ne possa accorgere, gli alberi sono spariti, al loro posto ci sono solo cespugli di un verde vivo, e il prato sembre più rigoglioso si è riempito di fiori, colorati dei colori dell'arcobaleno.
Non hanno niente a che vedere con quelli vicino alla cornucopia, questi sono così belli che quando li guardi, per un attimo ti dimentichi di tutto, ti dimentichi che sei negli Hunger Games, ti dimentichi che stai soffrendo, ti dimentichi che fra poco morirai, ti dimentichi dei ragazzini che hai ucciso e se li guardi troppo, rischi perfino di dimenticarti chi sei.

Per un po' mi lascio cullare dalla beata incoscenza che questi fiori regalano, ma poi capisco il loro inganno e si rivelano ai miei occhi per quello che sono veramente, niente di loro ha a che fare con la natura, questi fiori sono ibridi creati nei laboratori di Capitol City, i loro petali colorati, il loro profumo celestiale, è tutto un inganno, l'ennesimo gioco della capitale.

Quando anche i cespugli diventano una manciata, davanti ai miei occhi si apre un immenso prato, anche qui ci sono fiori, ma non sono come gli altri, queste sono rose, rose bianche e non sembrano un inganno.
Tra le rose riesco a vedere in lontananza due persone, quando guardo meglio li riconosco, la ragazza che mi da le spalle è Alexandra, il ragazzo davanti a me è colui che ho disperatamente cercato per tutti questi giorni.
Mi avvicino senza ancora farmi vedere, stanno parlando, ma il loro tono è così basso che non riesco a capire nemmeno una parola, Ares ha un'espressione seria, ma sembra abbastanza tranquillo e questa mia impressione è l'unica cosa che mi trattiene dal saltare fuori dal cespuglio.
Rimango ferma a guardarlo, i capelli color grano sono illuminati dal sole e mossi dal leggero vento che si è alzato, all'improvviso le sue iridi di ghiaccio si spostano dagli occhi di Alexandra e incontrano per un breve momento le mie, dura solo un istante eppure giurerei di aver visto i suoi bellissimi occhi rabbuiarsi, prima di ritornare a fissare la sua compagna di distretto.

Perchè stanno parlando? Cosa si stanno dicendo? Perchè Ares non l'ha uccisa? Perchè fa finta di non vedermi?

Continuano a parlare per quella che mi pare un'eternità, poi le loro bocche si fermano, il lungo silenzio è interrotto solo dai sospiri di Alexandra, che guarda a terra con fare indeciso; non ce la faccio più a rimanere qui a guardare la scena, ma proprio quando decido di uscire allo scoperto e metto un piede fuori dal cespuglio, Ares mentre Alexandra non può vederlo, scuote la testa e mima con le labbra un sonoro 'NO'.
Mi fido di lui, perciò anche se mi costa un'enorme fatica rimango ancora immobile dove sono.

'La senti questa sensazione Jenna? Quel nodo alla gola che non ti fa respiare? Si chiama paura'

Io non ho paura.

'Si che ce ne hai! Ma non per te, per lui, lo sai che è per lui, è sempre per lui!'

All'improvviso so che non posso più aspettare, esco fuori dal mio nascondiglio, alzo lo sguardo e lo vedo, i suoi bellissimi occhi di ghiaccio sono fissi nei miei, le sue labbra mi regalano il più bello dei sorrisi ... prima che la lancia di Alexandra gli si conficchi nello stomaco e lo faccia crollare in ginocchio.

Le mie grida riempiono l'arena.
 

NO.

Non può essere vero.

Non può.

 

Perchè mi stai facendo questo Ares?
Ti prego, non te ne andare.
Rimani con me Ares.
Perchè non ti sei difeso?
Mi stai facendo male Ares.
Io non lo sopporterei.
È vero che ora ti alzi?
È vero che ora mi sorridi e mi dici che è solo uno dei miei incubi?
Ti prego, non puoi lasciarmi sola Ares.
Io ho bisogno di te.
Perchè mi fai questo?
Non te ne andare Ares.
Giuro che farò qualunque cosa, ma tu rimani con me.
Non puoi lasciarmi qui da sola.
Io ho bisogno di te.
Tu hai bisogno di me.

 

 

- Sei contenta ora? È solo colpa tua! - mi urla in faccia Alexandra.

Non ho la forza per guardarla in viso, non ho la forza per risponderle, però ho la forza per impugnare la mia spada, ho la forza per trapassarla, ho la forza di volerla morta con tutta me stessa.
Non mi fermo, continuo a colpirla senza pietà, ma il colpo di grazia, che metta fine al suo travaglio, non arriva mai, nemmeno quando è lei ad implorarlo, continuo a colpirla accecata dal dolore, voglio vedere il suo sangue, voglio che soffra, voglio che se ne vada all'inferno urlando.

Continuo a tormentare il suo corpo anche dopo che il cannone ha sparato, solo un suono mi desta dalla mia rabbia, è una voce strozzata alle mie spalle – Basta – sussurra guardandomi.
 

Lui è vivo.

Ares è vivo.

 

In un attimo gli sono vicina e gli stringo forte la mano – Non andartene! - imploro disperata tra i singhiozzi -Vedrai che riusciranno a curarti, gli sponsor ti manderanno subito una medicina così potente che starai meglio di prima – dico cercando di convincermi che questa sia la verità, lui mi guarda negli occhi, mi sorride debolmente e con molta fatica alza una mano per poggiarla sul mio viso - Sappiamo entrambi che non è vero – dice accarezzandomi i capelli.

Non andartene Ares.
Perchè vuoi lasciarmi sola?
Perchè non combatti?
Ti prego, non lasciarti sciovolare via.

 

- Per te – dice levandosi dal collo la pietra color dei suoi occhi e poggiandola nella mia mano.

Ares, se tu ne vai, io vengo via con te.

Con una mano mi prende la testa e mi avvicina a lui, le mie lacrime ora cadono sul suo viso.
-Promettimi che non ti dimenticherai di me quando tornerai a casa – mi dice asciugando le mie lacrime con i pollici – Io non tornerò a casa, Ares, io non vincerò – gli rispondo spostando un ciuffo di capelli color grano dalla sua fronte – Siamo rimasti solo io e te, Anna...tu tornerai a casa -

Ares, se tu te ne vai, io vengo via con te.

- Ti ricordi quel vecchio debito che volevi tanto saldare? - mi sussurra in un orecchio, annuisco piano, ricordando quella sera davanti al fuoco, in cui gli chiesi come potessi ripagarlo per tutto quello che aveva fatto per me, - Tutto – dico sicura, a confermare che per lui, farei qualsiasi cosa
- Beh, il ricordo delle tue labbra sulle mie, sarebbe un bel modo per morire - sussurra con voce roca al mio orecchio.

Sento il suo respiro caldo ed irregolare sul collo, sento il suo cuore battere veloce quanto il mio e quando mi chino sul suo viso, sento le sue labbra, calde e ruvide appoggiate alle mie, e so che non ho saldato un debito, ma ho appena esaudito un desiderio.

Questo bacio ha il sapore salato delle mie lacrime e delle sue che i suoi occhi lucidi non sono più riusciti a contenere, ha il sapore delle tante parole che non potremo mai dirci, dei tanti altri baci che non potremo mai darci, ha il sapore un po' ruvido delle sue carezze, questo bacio ha il suono delle mie urla, questo bacio ha l'odore della sua pelle.

Con questo bacio gli chiedo di rimanere.
Con questo bacio mi chiede di lasciarlo andare.

 

 

Una fitta lancinante all'altezza del vente mi sorprende senza preavviso e mi costringe ad accasciarmi a terra, una ferita di cui non mi ero accorta si mostra ai miei occhi e sporca le mie mani di sangue, il mio sangue.

La vista comincia ad appannarsi, mi gira la testa, sento che a poco a poco me ne sto andando, le mie dita si intrecciano a quelle di Ares, lui con quel poco di forza che gli è rimasta stringe forte la mia mano, sta ancora cercando di proteggermi, poi lentamente gira la testa verso di me – Ti amo – lo sento sussurrare, e un brivido infuocato come quello di quella sera percorre il mio corpo, poi il mondo perde ogni suo colore.

Ares, se tu te ne vai io vengo con te.


Il cannone spara un colpo.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12



Buio.
È tutto buio.
C'è solo buio.

Vuota.
Ecco come mi sento, sono vuota, prosciugata di qualsiasi forza un tempo mi riempiva.
Non sento più niente, come se qualcuno avesse staccato la spina che mi teneva collegata al mondo, nel silenzio surreale che c'è, non riesco nemmeno a sentire il mio stesso cuore battere...ma ce l'ho ancora un cuore?
Sono ancora viva?
È così che ci si sente quando si muore?

Pensare che passerò la mia eternità in questo stato di incoscienza mi fa impazzire, perchè la morte dovrebbe essere uno stato indolore, un posto in cui della vita terrena, non si ha che uno sbiadito ricordo, il mio di ricordo invece, non è affatto sbiadito.

Non è sbiadito il suo sguardo di ghiaccio.
Non è sbiadito il suono della sua voce.
Non è sbiadito il sapore delle sue labbra.

E fa male.
Fa tanto male.
Fa male come non ha mai fatto male nient'altro.

Ma perchè fa male?
Se io sono morta vuol dire che lui è vivo: due corpi a terra, un solo colpo di cannone, un morto, un vincitore. Quindi io dovrei essere felice, perchè Ares è ancora vivo.
Quel colpo era per me, ne sono sicura, perchè cos'è questa in cui mi trovo, se non la morte?

Eppure fa male.
Mi sento come se stessi rincorrendo qualcosa, quella risposta che, ogni volta che mi ci avvicino ad un soffio, maligna mi sfugge.

E continua a far male.

Perchè fa male?
'morto'.
Chi è morto?
Io sono morta
'morto'.

Una figura dai contorni tremolanti compare in lontananza nel buio, ovunque cammini lascia una scia di luce, sembra un angelo, quando si avvicina meglio lo riconosco.

Vorrei chiedergli tante cose, vorrei sapere perchè è qui, lui non dovrebbe essere qui, lui è vivo.

'morto'.
Vivo, Ares è vivo.
'morto'.

Mi sorride incorniciato dall'alone luminoso, schiude le labbra come per dire qualcosa, la le sue parole non arrivano alle mie orecchie, è come se le sentissi provenire da dentro di me - Lasciami andare, Jenna - sentire il mio vero nome pronunciato dalla sua voce, mi fa pensare che finalmente, almeno da morta ho smesso di fingere di essere qualcun'altro.

Lentamente mi avvicino, lui alza un dito, siamo vicinissimi, ma proprio quando stiamo per sfiorarci, lui si dissolve nel buio – Addio, Jenna – dice prima che anche la sua scia luminosa sparisca inghiottita dal niente che mi circonda.

D'un tratto, tutto quel vuoto che sentivo comincia a riempirsi, comincio a sentire di nuovo il mio corpo e sono certa che il mio cuore batta, ma non riesco a sentirlo, perchè sto urlando.

Tutto dentro e fuori di me urla, urla per quella verità che ho finalmente afferrato, urla per quel torpore da cui mi sto svegliando, tutto urla, urla il suo nome.

Ares.
'morto'.

Quando apro gli occhi e mi ritrovo in camera mia, nella mia vecchia casa, i ricordi sembrano cadermi addosso, tutti insieme, senza riguardo per me che devo sopportarli.

E fa male, fa male sapere che mi sbagliavo, fa male cominciare a ricordare, perchè se io sono viva lui è morto.

Mi ricordo del viso di Ares, delle nostre mani intrecciate, del nostro bacio, del colpo di cannone e poi ricordo il buio, quel buio che associo a ciò che mi ha raccontato Sam, il buio mentre i migliori dottori della capitale cercavano di salvarmi la vita, il buio mentre, una volta che ci sono riusciti, cancellano dal mio corpo ogni singola cicatrice accumulata con tanta fatica negli anni.
Poi il buio viene sostituito dalla luce accecante della saletta asettica dell'ospedale, estranei vestiti di bianco che mi girano intorno parlottando tra loro, ricordo di quando Sam è entrato nella sala, il nostro abbraccio, la paura che mi portassero via anche lui, ricordo che non lo volevo sciogliere quell'abbraccio, ricordo che l'ho trascinato sul pavimento assieme a me pur di non lasciarlo, ma ricordo anche i suoi occhi, come li avevo trovati accesi di felicità perchè ero ancora viva, ma anche spenti di quella tristezza a cui solo io sapevo dare un significato e mi ricordo di come avevo odiato me stessa per avergli causato tutto quel dolore.
Non volevo abitare nella villa assegnatami al villaggio dei vincitori, così sono rimasta qui, nella mia vecchia casa e ricordo che non c'è stato giorno in cui Sam non è stato con me, ma ricordo anche che ogni sera, dopo avermi rimboccato le coperte, se ne andava a dormire nella vecchia camera di mia madre, ricordo perfettamente il solore che mi causava la sua lontananza, almeno finchè le mie urla, segnale che un incubo era arrivato a farmi visita, non lo riportavano da me.

Anche ora, mentre urlo con tutta la voce che ho nell'anima, mentre distruggo qualsiasi cosa mi capiti a tiro, mentre cado in ginocchio esasperata per quelle lacrime che mi bruciano dentro, ma che dagli occhi proprio non vogliono uscire; anche ora, lui è qui, si inginocchia a fianco a me, mi stringe forte ed io affondo la testa nella sua maglietta.
Anche ora, nonostante tutto, lui è qui, è sempre stato qui ed io vorrei tanto che non fosse così, vorrei non dover morire ogni volta che incrocio quegli occhi blu e ci vedo dolore, quel dolore che so bene ho causato io, quel dolore che buca anche il mio di cuore, quel dolore che non so alleviare.

Rimaniamo abbracciati così per un po' e mentre mi culla dolcemente, trovo anche il coraggio di chiudere di nuovo gli occhi e prima che possa scivolare completamente nel sonno sento le sue braccia forti sollevarmi e sdraiarmi delicatamente sul letto, poi sento la sua bocca, ma non dove vorrei che fosse, la sento posarsi delicatamente sulla mia fronte, in una tenera carezza di labbra.

Ma i miei incubi non hanno intenzione di darmi tregua e presto mi risveglio sudata e ansimante, col nome di Ares sulle labbra, ci metto un attimo per rifare il mio percorso mentale, per accorgermi che gli Hunger Games sono finiti, che Ares è morto, che sono nella mia stanza e che Sam è accanto a me, non mi ha mai lasciata da sola, lui non lo fa mai.

Non posso fare a meno di morire un'altra volta quando nel suo sguardo trovo quella tristezza e quelle lacrime che non bagneranno mai i suoi occhi, quella fiamma ardente di chi non si rassegnerà mai ad essere il secondo.
Poi la sua bocca si schiude e mi fa quella domanda che prima d'ora, nelle settimane passate chiusi in questa casa, non ha avuto il coraggio di pormi, quella domanda che in queste settimane, non ho avuto il coraggio di sentire - Lo ami? - mi domanda cogliendomi del tutto impreparata per dare qualsiasi risposta, non serve che dica un nome, sappiamo entrambi di chi sta parlando - Lui è morto, Sam – dico con la voce dura e lo sguardo basso – Lo amavi? - si corregge puntando i suoi occhi su di me, ora anch'io lo guardo negli occhi – Ares è morto...MORTO! - urlo sputandogli le parole in faccia, lui si alza e come un animale ferito, scappa da chi gli ha inflitto la sofferenza, si ferma sull'uscio della porta della mia camera e si volta, giurerei di vedere i suoi occhi lucidi – Io sono ancora vivo, però – bisbiglia piano prima di uscire.

Ecco, ora si che sono morta, morta dentro, mentre lo vedo allontanarsi, vorrei avere la forza di alzarmi e corrergli incontro, vorrei avere la forza di trovare una risposta alla sua domanda, vorrei tanto avere questa forza, ma non ce l'ho, non ho la forza nemmeno di alzarmi da questo letto, non ho nemmeno la forza di riprendermi la mia vita.

Da quando sono tornata dall'ospedale, mi sono rifiutata di vedere chiunque non fosse stato Sam, ma quando Anna fa capolino dalla porta della mia camera, proprio non posso cacciarla via; deve averla fatta entrare Sam, ha deciso per me quando era il momento di rompere la bolla di sapone che mi proteggeva dal mondo, ma lo ha deciso troppo presto.

Anna entra piano, accosta delicatamente la porta e solo ora mi guarda, una lacrima scappa dal suo controllo e le riga la guancia, la guardo e non posso non notare con un po' d'amarezza, che lei non è cambiata affatto, è rimasta la stessa ragazzina pura e sincera di prima degli Hunger Games e non posso non provare un vago senso di rabbia, perchè purtroppo di me non posso dire lo stesso, ma questo non è certo colpa sua.

Quando allargo le braccia, lei salta sul letto e mi abbraccia forte: l'ho ritrovata...
la mia immagine riflessa allo specchio, l'altra me, l'altra faccia della medaglia, mia sorella.

Rimaniamo a lungo abbracciate così e nel silenzio ci raccontiamo tutto quello che la voce non può esprimere, ma sono successe tante cose e qualche parola serve per forza.
Inizia lei, mi parla dei giorni passati in ospedale e riempie i buchi lasciati da Sam nel suo racconto, dovevo essere conciata davvero male, perchè per me Capitol City ha fatto un'eccezione, rinunciando alla tradizionale intervista al vincitore subito dopo i giochi; mi sento sollevata all'idea che non sono stata costretta ad una simile farsa, ma Anna mi informa subito che la tortura non è annullata, ma solo posticipata, infatti l'intervista si terrà, ma dopo il tour della vittoria.

Il tour della vittoria...non voglio farlo, non voglio e non lo farò, sono stanca di recitare la parte di Anna Wellington, io sono Jenna!

- Io non ci andrò! - dico convinta – Ma devi farlo, non puoi non andare, i distretti devono vedere il loro vincitore! - mi risponde Anna – E lo vedranno...- dico mentre una lampadina si accende illuminando il buio della mia mente, Anna mi guarda con sguardo interrogativo così mi affretto a spiegarle – Avranno il loro vincitore, avranno Anna Wellington e chi meglio di te può recitare questa parte? - ci mette un po' a recepire le mie parole, quando le ha assimilate mi guarda di sbiego, preoccupata ed afflitta allo stesso tempo – No Jenna, non se ne parla, io non posso farlo, non saprei cosa dire, cosa fare, loro hanno visto te, tu hai vinto gli Hunger Games, non io! - urla in preda al panico.

Non riesco proprio a capire, sono io quella che ha parteciapto agli Hunger Games, sono io quella che ha rischiato di morire, sono io quella che ha lasciato un pezzo della sua anima in quell'arena, ed ora sono sempre io che devo consolare lei, lei che tutto questo lo ha guardato da uno schermo, cosa le costa? Io sono andata a morire per lei ed ora lei non può neanche fare questo per me?

-Tu dovrai solo sorridere, indossare i vestiti che ti daranno e leggere ciò che scriverò per te – dico cercando di sembrare calma e facendo apparire il tutto, davvero molto semplice – Io non ce la farò mai a sembrare te! - risponde con voce rassegnata guardando verso il basso – Non devi sembrare me, non devi sembrare nessuno, a nessuno interessa chi sei, vogliono solo un vinictore da acclamare – cerco di convincerla – Tu non puoi proprio andarci? - mi chiede con voce fin troppo innocente
- Io non voglio – dico con voce dura scandendo le parole, la mia risposta non ammette repliche, ma Anna ci prova comunque e apre la bocca per ribattere, la guardo negli occhi, in questo sguardo cerco di farle capire tutto quello che ho dovuto sopportare, lei mi fissa come pietrificata, come se tutto il dolore e le sofferenze che ho passato l'avessero trafitta all'improvviso, trema mentre mi guarda, i suoi occhi sono lucidi e capisco che non mi abbandonerà, che farà questo per me; quando annuisce piano ne ho la conferma e nei giorni che seguono mi metto al lavoro per scrivere i discorsi che dovrà fare davanti ogni distretto.

Anna è sempre lì accanto a me, a volte mi fa domande sui tributi di cui scrivo e quando non è troppo doloroso rispondo, alla fine anche se trovo che sia una cosa inutile, perchè queste parole non gli riporteranno indietro i loro ragazzi, scrivo qualche riga per ogni distretto, perchè sento che devo farlo, che glielo devo, ne rimane solo uno... distretto 2.

Mi fa male parlare di entrambi, mi fa male parlare di Ares, perchè ogni volta che penso a lui, ogni volta che penso che è morto, muoio anch'io un po' alla volta, ogni volta muore un pezzo del mio cuore, che rimarrà per sempre intrappolato in quella maledetta arena.
Mi fa male parlare anche di Alexandra, mi fa male perchè penso che per lei non sia ancora abbastanza, penso che dovrà pagare per quello che ha fatto e se un giorno vicino o lontano la rincontrerò all'inferno, giuro che finirò ciò che ho iniziato nell'arena e lì non ci sarà nessun colpo di cannone ad interrompermi, lì avrò l'eternità per farle rimpiangere di essere nata.

-Cos'hai? - mi chiede allarmata Anna quando spezzo la penna che avevo in mano per la rabbia
- Lei lo ha ucciso! - urlo in preda ad un dolore ceco – Lei aveva un patto da onorare – mi risponde piano, come fossi una bomba e lei avesse paura di farmi esplodere – Quale patto? - domando frastornata, l'unica bomba, l'ha appena sganciata lei – Tu non lo sai! - bisbiglia incredula – Quale patto? - ripeto a voce più alta – Non li hai sentiti parlare? - chiede, non si capacita ancora che io non sappia – Parlavano piano ed io ero troppo lontana per sentirli – le spiego – Lui... è stato lui a volerlo, lui l'ha pregata di farlo... - sussurra - Non capisco, lui cosa? Cosa le ha chiesto? - domando confusa, Anna esita, cercando di trovare le parole – COSA? - le urlo incalzandola – Lui le ha chiesto di ucciderlo – dice alla fine tutto d'un fiato.

Per un secondo mi manca l'aria, non posso credere che Ares abbia fatto una cosa del genere – No, è impossibile, ti sbagli! Lui non lo avrebbe mai fatto! - dico tra i singhiozzi, sento salire dentro di me il panico, rivivo nella mia testa ogni momento passato insieme per cercare di capire, ma più ci penso e più sono certa che Ares non l'avrebbe fatto, che lui non mi avrebbe mai lasciata da sola.

'Ma l'ha fatto, Jenna'

Anna cerca di spiegarmi - Lo ha fatto per te, Jenna...eravate rimasti in tre...lui non avrebbe avuto la forza di ucciderti e sapeva che tu non gli avresti mai permesse di togliersi la vita...- .

E il mondo mi crolla addosso.
Continuo a ripetermi che non può essere andata così, ma più lo faccio e più le parole muoino nella mia testa, cerco con tutta me stessa un'altra spiegazione, ma infondo so che non c'è, so che le parole di Anna non sono mai state così vere e nella mia testa si ricompongono con ordine gli eventi, come si incastrano i pezzi di un puzzle, a formare una dolorosa e amara figura.
Mi ritornano alla mente le parole che mi disse Alexandra prima del nostro scontro: 'Sei contenta ora? È solo colpa tua!' , adesso nella mia testa quelle parole sono chiarissime e fanno male come niente prima d'ora.

Perchè?

'Non c'è un perchè, Jenna'

Ares se n'è andato.
Ares non tornerà.
Ares mi ha lasciata.
Ares è morto ed è solo colpa mia.

Stringo forte la pietra color dei suoi occhi che è appesa al mio collo, quella che mi ha regalato prima di andarsene per sempre e piango, piango tutte le lacrime che ho in corpo.








Angoletto dell'Autrice prolissa:

Eccomi.
Allora, questo è un capitolo un po' lento, me ne rendo conto e mi scuso se vi provocherà sonnolenza, ma purtroppo era necessario, speravo di inserire più cose, ma come ripeto sempre alla fine i miei capitoli si scrivono da soli, strafregandosene di me che mi sento sempre di più un misero strumento in balia della mia testolina fantasiosa ( che questa volta tanto fantasiosa non è stata!).

Ma venendo a quello che avete appena letto, come avevate dato già per certo tutti, il colpo di cannone era per Ares...*piccolo momento di lutto* ....Jenna è viva ma è a pezzi e quel povero ragazzo di Sam cerca di raccogliere i cocci di ciò che rimane della ragazza.
Molte nelle recensioni si chiedevano se Jenna ami ancora Sam...il punto è se Ares ha cambiato o no il loro rapporto e se anche da morto, il suo ricordo impedisce comunque a Jenna di ricomincire la sua vita accanto a Sam...per ora lei è molto confusa e la rivelazione con cui si conclude il capitolo non l'aiuta affatto a mettere chiarezza. A questo proposito, con le ultime righe spero di aver chiarito il comportamento strano che ha avuto Alexandra prima di colpire Ares. Spero che i prossimi capitoli siano più brillanti e mi rendano, per quanto sia difficile, soddisfatta.
Come al solito sono grata a chi leggerà questo capitolo e ai coraggiosi che vorranno recensirlo salvandomi dalle mie crisi post-pubblicazione.

Ringrazio tantissimo :
_Nica89_, Bessie, lula99, Hoshi98, Water_wolf, TheSandPrincess per le loro recensioni, grazie, siete voi a darmi forza!



 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Angoletto dell'Autrice che ha finito gli aggettivi:
Ciao! :D
Allora, eccoci quà!
Non voglio perdermi in chiacchiere e vi lascio subito al capitolo, prima però vorriei ringraziare: _Nica89_ , Hoshi98, Roberta Salvatore, Bessie, lula99, Water_wolf, TheSandPrincess e Andrelully per aver recensito la mia storia
jennylnhglove per aver inserito la storia tra le preferite
Andrelully, Audrey L , SelenasHug per averla inserita tra le seguite
Grazie davvero, è grazie a voi se continuo a scrivere!





Capitolo 13



Il giorno le mille domande su Ares mi tormentano, la notte gli incubi in cui lo rivedo morire si prendono gioco di me; e il suo ricordo è così vivo nel mio cuore, il dolore che mi provoca è così reale che non posso neanche provare a dimenticare, non posso far finta di cancellare quello che è stato.
A volte quando apro gli occhi dopo un incubo e sento ancora il suono del suo nome pronunciato dalle mie labbra, vorrei semplicemente potermi dire che era tutto solo un sogno. Vorrei potermi dire che Ares stesso era solo un sogno, che non l'ho mai conosciuto, che anche gli Hunger Games facevano parte di quello stupido irreale sogno.
Poi però lo sento, quel dolore cieco che niente è in grado di alleviare, quel dolore che mi ricorda crudele che lui c'è stato, che niente era un sogno, che l'ho conosciuto, che era mio amico, che gli ho voluto bene, che l'ho baciato, che è morto, che vorrei essere morta io al suo posto, che ogni volta che mi addormento prego di non svegliarmi, imploro di non ricadere in una realtà in cui Ares non c'è più e tutto, per colpa mia.

Non lo perdonerò mai per quello che ha fatto.
Non mi perdonerò mai per averglielo lasciato fare.

E mi tormento, mi odio, mi faccio male, mi punisco, mi commisero, mi condanno, mi anniento, mi annullo, mi impedisco di respirare, mi impedisco di vivere.

Anche ora mentre il mio sangue sporca il pavimento, mentre guardo tra le mie mani, i vetri rotti di quello che pochi istanti fa era un vaso, anche ora, li guardo tagliarmi la pelle e mi tormento, mi odio, mi faccio male, mi punisco, commisero, condanno, anniento, annullo... e penso che potrei farlo, penso che basterebbe poco, poco per porre fine a quella che ormai mi sembra non essere più vita.

'Troppo facile, Jenna! Nella tua vita però, niente è facile, dovresti saperlo ormai, no?'

Sam apre la porta di scatto, sgrana gli occhi ed in un attimo il suo viso è attraversato da mille emozioni; leggo la paura, lo sconcerto,la furia, il terrore, l'angoscia, il dolore, la rabbia, la frustrazione...

Quando corre per raggiungermi e si inginocchia accanto a me, lo ammetto non ho il coraggio di guardarlo in faccia, non ho la forza di rischiare che i miei occhi gli rivelino le mie intenzioni, ma infondo so che è inutile, perchè lui lo ha già fatto, mi ha guardata e mi ha letta dentro, non potrò mai nascondergli la verità che c'è nel mio sguardo.
Sento i suoi occhi poggiati su di me e intuisco che esige che anche i miei lo guardino, ma io non lo faccio, non ho intenzione di alzare la testa, così lui lo fa per me, mi alza con forza il viso e costringe i nostri sguardi ad incontrarsi.
Lo sento tremare sulla mia pelle, vedo la sua mascella contrarsi, serra le labbra e i pugni di scatto e alza una mano, che in un colpo di rabbia è sfuggita dal suo ferreo controllo, penso che potrebbe prendermi a schiaffi per quello che ho pensato anche solo per un attimo di fare, penso ne sarebbe capace, penso che avrebbe ragione; poi però la sua mano si blocca a pochi centimetri dal mio viso, i muscoli del braccio, tesi come le corde di un violino, mostrano lo sforzo che ha fatto per fermarsi, la sua mano posa una carezza sulla mia guancia.
Questa carezza brucia più di qualunque schiaffo.
Avrei preferito che mi avesse colpita, avrei preferito che mi avesse fornito almeno una misera scusa per avercela con lui, sarebbe stato meglio, sarebbe stato più facile.

'Ma niente nella tua vita è facile, Jenna!'


Lo sento e lo vedo tremare come mai ha fatto, guardo i suoi occhi mentre diventano lucidi e il suo viso mentre si colora di rabbia.

Lo odio per avermi fermata.
Mi odia per averci anche solo pensato.

Scuote la testa, con l'espressione delusa di chi è appena stato tradito, raccoglie in fretta i vetri sparsi sul pavimento e mi guarda, non smette mai di farlo e nei suoi occhi riesco a leggere lo sguardo di chi vuole farmi vergognare.
Le sue iridi azzurre mi urlano in faccia insulti come la sua voce non potrebbe mai fare.
Le sue mani mentre medicano le mie, le accarezzano ferendole come quei pezzi di vetro non sono riusciti.

Poi si alza in silenzio e mentre decide che non mi merito nemmeno una parola lo sento uscire dalla stanza; aspetto il rumore di quella porta sbattuta dalla sua rabbia, che però non arriva, nel silenzio che mi circonda l'unico rumore che sento è quello del suo cuore mentre si spezza, si spezzerebbe anche il mio, se solo non l'avessi lasciato in quella maledetta arena insieme alla vecchia me; odio questo silenzio, così assordante da ferirmi le orecchie, cerco invano di soffocarlo in un sonno che so già, non arriverà.

Passano giorni in cui Sam si rifiuta di vedermi, chiuso nella sua stanza esce solo quando è sicuro di non trovarmi lì fuori, è sempre più diffcile però, dato che oramai trascorro le mie giornate rannicchiata davanti alla sua porta.

Lui finge indifferenza, io busso sfacciatamente e gli riservo sbuffi e sospiri esasperati per la situazione, odio che mi ignori, odio che scappi da me invece di affrontarmi.
Dato che sembra intenzionato a portare avanti il suo sciopero della parola, rimanendo rigorosamente in silenzio, decido che farò del mio meglio per farlo fallire, così inizio a parlargli con parole che so già lo stupiranno, perchè mentre escono dalla mia bocca, stupiscono anche me.

- Ti ricordi il giorno che ci siamo conosciuti? - gli chiedo, riesco a sentire i suoi sospiri e so che lui sente i miei nonostante la porta che ci divide – Era l'inverno di quattro anni fa, quel giorno venni io al posto di Anna perchè lei era malata...non mi scorderò mai la sensazione che ho provato quando hai capito che non ero lei- continuo appoggiandomi al legno liscio che ci separa – Mi sono sentita...viva, importante per la prima volta in vita mia, mi sono sentita unica, come non ero mai stata. Mai nessuno mi aveva guardata senza vedere in me anche Anna, a te invece è bastata un'occhiata per capire di avere davanti una persona completamente diversa...come hai fatto? Quale magia hai usato? Dimmelo ti prego...Da quel giorno mi sei stato sempre vicino, da quel giorno siamo stati l'uno l'ombra dell'altra.- mentre le parole escono sole dalla bocca, sento i muscoli rilassarsi e la tensione abbandonare il mio corpo, mi concedo anche un piccolo sorriso tirato mentre i ricordi riaffiorano nella mia mente –. E ti ricordi l'occhio nero di Sally Walker? Quello che le feci quando ti chiese di uscire con lei? - io sì e credo che anche lei se lo ricordi bene...povera Sally: non sapeva che nessuno può guardare ciò che è mio!

'Sam non è più tuo, Jenna, tu hai rinunciato a lui quando hai detto che eri confusa, quando hai baciato Ares, quando non hai risposto alla sua domanda, quando lo hai ferito pensando di toglierti la vita, quella vita che è tua, quanto sua!'

Se solo potessi vedere il sorriso, più simile ad una smorfia, che sono certa, si è appena aperto sul suo viso; se solo potessi vedere la fatica che sta facendo per cancellarlo dalla sua faccia e riacquistare un'espressione seria. Cosa darei per poterlo guardare negli occhi in questo momento!
Per guardare in quegli stessi occhi che in queste settimane non ho fatto altro che evitare, ora vorrei poterli ammirare, vorrei potermi perdere in quell'azzurro che fa invidia perfino al cielo.
Vorrei poterlo avere davanti a me per abbracciarlo, per rubare il calore delle sue solide braccia, che mi è tanto mancato, vorrei risentire le sue labbra sulle mie, per ricordarmi che sapore ha essere amati, vorrei tanto guardarlo negli occhi e vedere dietro la delusione degli ultimi giorni, quell'amore che sono certa, non li ha mai abbandonati.
Vorrei tanto, ma mi accorgo che il mio è solo un capriccio, solo l'ennesimo tentativo che faccio per far chiarezza dentro di me, l'ennesima ferita che infliggerei al suo cuore, così, anche se non c'è cosa al mondo che desideri di più, non glielo dico; non glielo dico perchè so che aprirebbe questa porta e senza esitare mi regalerebbe le sue braccia, le sue labbra, il suo cuore, ancora una volta ed io non posso permetterglielo.

Non posso permettergli di illudersi.
Non posso permettermi di illuderlo.

Continuo a ricordargli aneddoti del passato, ricordi di questi anni passati insieme, lui non risponde, ma lo conosco così bene che è come se la porta che ci dividesse fosse trasparente ed io potessi vedere ogni singola espressione sul suo viso, ogni singola emozione che attraversa i suoi occhi.

-Sei importante Sam...sei molto importante per me – sussurro dopo un attimo di silenzio – Noi abbiamo sempre condiviso tutto, le difficoltà le affrontavamo insieme, ma stavolta non può essere così, questa è una battaglia che devo combattere da sola...riesci a capirlo? - mentre parlo sentro la mia voce affievolirsi parola dopo parola – Lo so, lo so quanto hai sofferto, so che è tutta colpa mia, so che probabilmente dopo oggi anche solo guardarmi negli occhi ti farà male...ma ti prego, ti prego Sam, non voltarmi le spalle anche tu, non lasciarmi da sola! – appoggio una mano sulla superficie levigata della porta, cosa darei per sostituire il legno liscio con le sue mani ruvide.

Fremo mentre aspetto che al porta si apra, ma so che non succederà, infondo so che è giusto che non succeda, non ancora.

Le mie parole però col tempo sembrano aver fatto centro, Sam infatti nei giorni successivi esce dalla sua stanza, non mi parla ancora, ma confido che presto lo farà, eppure del coraggio e della forza che avevo dimostrato parlandogli attraverso quella porta, sembra non essere riamasto più niente, come neve al sole, anche la mia determinazione si è sciolta e mi ha lasciata più fragile di prima a pagare il prezzo di quello che ho detto.
Quel prezzo è là, me lo trovo davanti ogni giorno, il suo sguardo, quando incontra il mio ci leggo dentro la speranza, la fiducia che qualcosa sia cambiato, che abbia finalmente deciso di reagire, di svegliarmi dal torpore in cui ogni giorno sprofondo sempre di più.

Un giorno decide di rompere il silenzio, si avvicina e mi prende le mani in un gesto che appare quasi disperato – Jenna, ti prego, lasciati aiutare! Noi abbiamo sempre affrontato tutto insieme, lo hai detto anche tu, questa volta non è affatto diverso, non c'è niente che non riusciremo a superare, fidati di me, ti scongiuro, insieme ne usciremo – mi dice con la voce strozzata stringendo la presa sulle mie dita, segue un grande silenzio in cui sento di poter toccare nell'aria la sua ostinazione, nei suoi occhi leggo al speranza che tutto torni come una volta.
Ma niente è come una volta, tutto è cambiato, io non sono affatto la stessa, non sarò mai più la vecchia Jenna, quella Jenna è morta, è morta in quell'arena insieme ad Ares.

Mi libero dalla morsa delle sue mani e questo basta a spazzare via dai suoi occhi ogni barlume di speranza, incapace di guardarlo gli volto le spalle e aspetto che mi lasci sola nella mia stanza piena dei suoi sospiri.

Ma Sam non demorde, ostinato nella nostra vecchia realtà, attaccato al ricordo di una felicità che non mi appartiene più.
Oggi è tutto il giorno che ci prova, mi guarda e col suo sguardo cerca di convincermi dove le sue parole hanno fallito, ma anch'io non mollo, per non essere nemmeno tentata di coinvolgerlo nel mio dolore, non lo guardo nemmeno, ma questo lo fa solo infuriare e quando sente di non poterne più sento la sua rabbia riempire la stanza.
Scosta le tende, spalanca le finestre, butta via ai piedi del letto le mie coperte e mi prende per un polso – SMETTILA! - mi urla furioso - Guardami! - mi dice a denti stretti – Guardami! - ripete con una tale convinzione che non posso fare a meno di fare come dice – Hai finito? Quanto deve ancora durare tutto questo? Non credi di aver già sofferto abbastanza?- domanda esasperato, ma non lo capisce che è per il suo bene? Non lo capisce che non voglio vederlo soffrire ancora per colpa mia? - Cosa credi? Pensi di poter fermare la vita?Non puoi, la vita continua e tu non puoi farci niente!- mi sputa le parole in faccia – Io ti capisco, non c'è persona che ti possa capire meglio di me! Ci sono passato anch'io, ho provato sulla mia pelle lo schifo della capitale e dei suoi giochi. Eppure sono qua ed è tutto grazie a te, sei tu che mi hai dato la forza di rialzarmi...ma ora, vuoi impedirmi di fare lo stesso con te! - continua con voce più calma – Smettila! Ti prego, smettila di farti del male, o ne farai anche a chi ti sta vicino! - sussurra più dolce ad un centimentro dal mio viso, mi lascia il polso, fissa un ultima volta i suoi occhi nei miei e poi si volta incamminandosi a grandi passi verso la porta, solo quando gira la maniglia assimilo del tutto le sue parole – Io non ti farei mai del male – gli dico, pensando che non c'è persona 'che mi sta più vicino' di lui, si volta e un sorriso amaro si apre sul suo viso mentre i suoi occhi si velano di tristezza – Lo stai già facendo – mormora prima di andarsene e lasciarmi sola, stordita e ferita dalle sue parole.

Quando entra Anna nella mia stanza sono del tutto impreparata a sentire qualsiasi cosa sia venuta a dirmi, ma lei sembra non leggere la confuisione nei miei occhi o semplicemente la ignora ed inizia a parlare lo stesso – Io non posso farlo, io non ce la faccio! - esordisce ancora prima di raggiungermi ai piedi del letto, la guardo con sguardo interrogativo e lei con aria disperata cerca di spiegarsi – Non ci riesco Jenna, non posso andarci, non ce la farò mai!- continua a ripetere che non ce la fa, non capisco di cosa stia farneticando fino a quando non metto a fuoco la situazione, domani partirà il treno che la accompagnerà per tutto il tour della vittoria.
Continua a ripetere all'infinito che non può farlo e a lamentarsi del fatto che questa mattina i suoi, o meglio i miei, preparatori l'hanno letteralmente scioccata con discorsi senza senso mentre torturavano ogni centimetro della sua pelle.
- Io non ce la farò mai Jenna, davvero non posso! - piagnucola come una bambina a cui hanno levato il suo giocattolo preferito.

Sento la rabbia crescermi dentro, la sento oltrepassare i limiti del tollerabile, sento che prima o poi esploderà.
Più prima che poi.
Ora.

- Come puoi venirmi a dire una cosa del genere? Con che faccia ti presenti da me e mi dici che non puoi farlo eh? - le urlo in faccia, a giudicare dalla sua espressione sconvolta non si aspettava la mia reazione – Tu non capisci! - dico mentre la mia bocca si riempie di una risata isterica – Mi dispiace Jenna, ma io... - cerca di dire con voce mortificata, ma la interrompo prima che possa continuare - Perchè mi fai questo? - le chiedo con voce rotta – Perchè mi fai questo? - ripeto urlando e scuotendola per le spalle – Io non ci andrò, Jenna! - dice cambiando espressione, anche la sua voce è cambiata, ora è più sicura, più dura – Oh, tu ci andrai eccome! - intimo puntandole un dito davanti – No! - mi dice con fare deciso, mi allontano da qualche passo da lei e la guardo come se la vedessi davvero per la prima volta – Io ti ho salvato la vita...- sussurro, non riesco a capacitarmi di come possa parlarmi in questo modo – Io non te l'ho chiesto! - risponde sostenendo il mio sguardo.

L'aria si riempie del sonoro rumore di uno schiaffo e sulla guancia sinistra di Anna appare l'impronta rossastra delle mie cinque dita – Domani parte quel treno...vedi di farti trovare sopra! - dico con voce ferma, il mio tono non ammette repliche lei lo capisce e tenendosi la mano sul viso esce correndo dalla mia stanza.

Appena chiusa la porta si riapre ancora, e Sam, stupito e sconvolto, forse attirato dalle mie urla, guarda Anna correre via, poi il suo sguardo si posa su di me in cerca di spiegazioni, spiegazioni che ora non posso dargli, perchè prima ho bisogno di darle a me; scappo anch'io da quella stanza, che sembra improvvisamente troppo piccola per contenere tutti i sentimenti che martellano il mio cuore, quando sono sulla strada, comincio a correre.

Corro verso la mia vera casa, corro verso il bosco e mente corro sento le mie gambe pesanti per il peso dei pensieri che mi porto dietro: mia sorella, il tour della vittoria, il nostro segreto, Ares, la sua famiglia a cui non potrò mai dare una spiegazione, la mia di famiglia che continuo ad ignorare da settimane, Sam...

Sam.

Ho altri mille problemi, ma ogni volta che penso a lui provo un dolore indicibile, ogni volta che il suo nome indugia tra i miei pensieri mi sento sprofondare.

Un giorno vicino o lontano, avrò di nuovo il coraggio di guardarlo negli occhi?

Corro e penso, penso a tutto tranne che a me, vorrei pensare alla mia vita, a quello che farò quando avrò deciso di smetterla di avercela col mondo, quando avrò smesso di far del male a chi mi vuole bene, vorrei pensarci, vorrei rispondermi, ma la mia mente censura ogni pensiero che non sia lui.

Sam.
'Cosa farai con tua sorella?'
Sam.
' Devi stare assicurarti che domani sia su quel treno'
Sam.
' Cosa farai dopo? Hai intenzione di perdonarla?'
Sam.

Sam. Solo Sam.

'Pensa alla tua vita, Jenna!'
Sam.

 

All'improvviso smetto di correre. Le cose non mi sono mai sembrate più chiare.
Ovunque guardi, c'è lui.

Lui che mi sorride.
Lui che mi dice che andrà tutto bene.
Lui che mi bacia.
Lui che mi consola.
Lui che mi aiuta a rialzarmi quando credevo di essere persa.
Lui che mi parla.
Lui che mi spoglia.
Lui che mi insegna cos'è l'amore.
Lui che mi infonde sicurezza.
Lui che mi protegge.
Lui che mi abbraccia.
Lui che mi guarda.
Lui che mi ama.

Sam.
Solo Sam.

'Pensa alla tua vita, Jenna!'
Sam.

'La tua vita...'
Sam.
'Sam...'
La mia vita.

 

E tutto sembra chiarissimo, limpido e semplice come non lo è mai stato.
Ho provato a non pensarci, ho provato a separarlo da tutto il resto, ho provato a pensare a me, senza lui...non ci sono riuscita e mai ci riuscirò, semplicemente non si può.

E all'improvviso mi rendo conto che quel confine che lo separa dalla mia vita, non esiste, non c'è nessun confine, lui è parte di me, della mia vita, io non sarei la stessa senza di lui, semplicemente non sarei io; se chiudo gli occhi non riesco ad immaginare un mondo nel quale Sam non ci sia, non riesco ad immaginare un mondo nel quale io possa esistere senza di lui.

La mia vita è con lui, la mia vita è lui.

Cado a terra, incapace di trattenere le lacrime che escono da sole dai miei occhi, inginocchiata qui sull' umido sottobosco, mi sembra che il mondo non sia mai stato un posto tanto semplice da capire, all'improvviso le contorte trame che componevano i miei sentimenti si sono sciolte e tutto ha acquistato un senso, ogni cosa è tornata al suo posto.

È ormai buio e illuminata dalla luce nuova della consapevolezza sento le palpebre pesanti, finchè non riesco a tenere più gli occhi aperti e mi lascio andare ad un sonno in cui, almeno per questa notte, gli incubi sono banditi.

Quando riapro gli occhi ho ancora le guance rigate delle lacrime versate ieri sera e al ricordo, delle nuove bagnano il mio viso.

E piango, piango perchè sono stata una stupida a non capirlo prima.
E rido, rido perchè finalmente so cosa devo fare.

Devo correre, ecco cosa devo fare.
Questa mattina Anna parte per il tour della vittoria e Sam, come 'suo' mentore, deve accompagnarla.
Le gambe, mosse dal cuore, non sono mai state tanto veloci, raggiungo in fretta la stazione, ma il loro velocissimo treno, è già partito, la stazione è vuota e spoglia senza il lusso di quel mostro di metallo, anch'io sono vuota, o forse troppo piena, piena di quelle parole che non ho fatto in tempo a dire

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14


Rimango ore ferma lì davanti ai binari, ad aspettare, non so bene neanch'io cosa, ma aspetto; forse è la vana speranza di vedere quel treno tornare indietro a non farmi muovere, o forse rimango lì, perchè non saprei dov'altro andare.

Se solo potessi tornare indietro, riavvolgere il nastro come in un film, mi basterebbero poche ore, giusto il tempo di reagire, il tempo di raccogliere un briciolo di coraggio e non lasciarlo andare, solo il tempo di sussurrare al suo orecchio un 'ti amo'.

Ed ora? Cosa faccio ora?
Cosa farei per averlo qui accanto a me!
'Faresti anche quello che vorrebbe lui?'
Farei tutto!
'Lui vorrebbe che ti alzassi'
Faccio forza sulle gambe e mi alzo in piedi.
'Lui vorrebbe che ti alzassi'
L'ho fatto.
'No Jenna, lui vorrebbe che ti alzassi!'

Solo ora capisco il senso di quelle parole.
Si, lui vorrebbe che mi alzassi, che reagissi, che mi riprendessi la mia vita.

Un nuovo calore invade il mio corpo, sento bruciarmi dentro una fiamma, soprendente quanto inattesa e so che è finito il tempo di compiangersi, è finito il tempo di rimanere immobili, è finito il tempo di guardare la vita scorrere, è arrivato il tempo di rialzarsi, di rinascere dalle ceneri, di vivere quella vita, la mia vita.

Mentre cammino verso casa per le strade del distretto mi sento nuova, più leggera, mi sento forte abbastanza da tenere la testa alta, forte abbastanza da sentirmi quasi viva.
Metto un passo dietro l'altro e la monotonia dei miei movimenti concilia i miei pensieri, penso alle persone che sono lontane.
Ad Anna, che in questo momento starà tremando ripetendosi che non può farcela e nonostante tutto vorrei essere là per poggiarle una mano sulla spalla e dirle che andrà tutto bene, a Sam, che chissà a cosa pensa, vorrei esssere là per abbracciarlo e dirgli quelle parole che non ho fatto in tempo a dire, ad Ares...penso a lui e ritorna il dolore, improvvisamente la forza di poco fa si dissolve e mi lascia vuota e senza fiato.

È facile dire di andare avanti, di rialzarsi, di smetterla di soffrire, ma il dolore che sento quando penso a lui ci sarà sempre, lo stesso che la sera mi impedisce di prendere sonno, lo stesso che la mattina mi sveglia e mi toglie il respiro, ricordandomi che è appena iniziato un nuovo giorno che lui non vivrà mai, uno dei tanti.

Mi sento colpevole e mi condanno pur sapendo in cuor mio di essere innocente; tocco il suo ciondolo che ho intorno al collo, quella pietra color dei suoi occhi sembra tutt'un tratto animarsi e gridarmi in faccia, urla che è colpa mia ed io gli credo.

'Non è colpa tua, Jenna'
Si invece, lui è morto, io sono viva.
'Non è colpa tua'
Farei di tutto per poterlo riavere indietro.
'Faresti anche quello che vorrebbe lui?'
Tutto.
'Lui vorrebbe che ti alzassi'

Loro vorrebbero che mi alzassi.
Ed io mi alzerò, non importa quanto farà male, non importa se ogni giorno penserò di non farcela , non importa quanto sembrerà facile mollare tutto, ricadere; io mi alzerò, per me, per Sam, per Ares.

Un po' più forte con questa nuova consapevolezza, giro la maniglia della porta della mia nuova casa, quella al villaggio dei vincitori, quella in cui non ho mai voluto mettere piede finora e mi preparo a riabbracciare un importante pezzo della mia vecchia vita, mio padre.

Quando entro in casa, lo vedo in piedi davanti a me, come se mi stesse aspettando, in effetti poi capisco che è proprio così, che mi stava aspettando e mi ricordo che ai suoi occhi io sono Jenna, la figlia che gli Hunger Games non hanno sciupato, io sono Jenna, quella che in questo periodo gli è stata accanto mentre Anna, stordita dal dolore si rifiutava di vederlo.
Vorrei abbracciarlo, vorrei dirgli quanto mi è mancato per tutto questo tempo, ma non posso, non ce ne sarebbe motivo, per lui io sono Jenna e sono sempre rimasta qui, con lui.
Così quando i miei occhi non ce la fanno più a trattenersi e qualche lacrima salata mi riga le guance, è facile convincerlo che sono per Anna, che è perchè mi dispiace che sia partita di nuovo, come potrebbe mai sapere che quelle lacrime sono per me? Come potebbe mai pensare che piango per la mia vita?

Finirò mai di recitarla? Inizierò mai a viverla?

Nonostante sia difficile stare vicino a mio padre non potendogli dire la verità, cerco di farlo lo stesso, non perdo occasione per stare insieme a lui, ho passato troppo tempo a fare l'adulta, ora voglio riprendermi quel ruolo che mi è stato strappato, voglio fare la bambina, voglio fare la figlia, voglio godere del calore del suo abbraccio, voglio poter credere di essere al sicuro sotto il suo sguardo protettivo, ne ho bisogno.

Cerchiamo di non parlare di Anna, della sua partenza, di solito quando possiamo teniamo anche la televisone spenta, ma a volte si accende da sola, comandata dai sistemi della capitale e ci mostra senza il nostro permesso i tour della vittoria, se ci riusciamo, sgattaioliamo di comune accordo in cucina, dove le immagini e i suoni dell'apparecchio in soggiorno non possono raggiungerci; altre volte però la curiosità e l'apprensione di papà sono troppo grandi e allora lo vedo guardare con sguardo preoccupato, l'immagine di sua figlia mentre legge con voce tremante i discorsi alle famiglie dei tributi.
Allora lo sento mormorare parole apprensive, si chiede quanto sforzo debba fare e quanto le faccia male ricordare quei ragazzi che ha visto morire, quando succede, mi allontano, devo farlo, o rischierei di mandare all'aria il nostro segreto, proprio non ce la faccio a sentirgli dire quelle parole.

Povera Anna! Eh già, vorrei poterla commiserare anch'io, ma il ricordo di lei mentre mi dice di non avermi chiesto di salvarle la vita, mi sale fino al cervello, mi annebbia la vista e mi fa impazzire dalla rabbia.
Poi, quando dal silenzio capisco che il televisore è spento, la rabbia si attenua, non sparisce mai del tutto, ma le si affianca un altro sentimento che l'annebbia, non so cosa sia, so solo che quando lo sento, vorrei averla vicino, per stringerla forte, non è che la rabbia sparisca, semplicemente passa in secondo piano e non mi importa più quello che è successo, sento solo che è mia sorella e che la voglio vicino a me.

Una delle tante volte che la televisione si accende da sola, sento la voce del presentatore annunciare che la vincitrice quel giorno ci parla dal distretto 2, il distretto di Alexandra...il distretto di Ares.
Non posso trattenermi e prima ancora che Anna inizi a storpiare con la voce un discorso che doveva essere muto, esco di casa sbattendo la porta, ritrovandomi per strada senza sapere neanche dove sto andando.
Proprio non ce la faccio a sentirgliele leggere, quelle parole che so a memoria perchè le ho scritte io, quelle parole pensate come l'ultimo saluto al mio più grande amico.
Così scappo via verso il bosco, non mi fermo finchè non mi sento al sicuro, rannicchiata sotto ad un albero secolare e allora le dico, quelle parole, la bocca chiusa, l'unica voce che si sente è quella del cuore e mentre le pronuncio dico addio ad Ares, lo ringrazio di tutto, gli dico quanto gli ho voluto bene, gli confesso che qualunque cosa accada non riuscirò mai a dimenticarlo e gli prometto, giurandoglielo, che la mia vita continuerà, gli prometto che conserverò il suo ricordo ed in nome di questo non permetterò mai che il dolore della sua perdita mi impedisca di vivere.
Gli prometto che mi alzerò, gli mostrò che lo sto già facendo, mi sto alzando, proprio come avrebbe voluto.

Un giorno, a svegliarmi dal mio lussuoso sonno tra le trapunte ricamate, degne della casa di un vincitore, è la voce di mio padre che mi annuncia che quella stessa mattina Anna sarebbe tornata a casa, mi dice che quest'anno hanno voluto fare un'eccezione e che dopo aver fatto il giro di tutti i distretti, la vincitrice tornerà al suo per la tradizionale festa e poi festeggerà per l'ultima volta a Capitol City.
Penso che ci siamo un po' troppe eccezioni quest'anno per i miei gusti, ma una parte di me, quella assai in minoranza che non è arrabbiata con lei per come si è comportata, è felice di poterla riabbracciare.
Così all'ora prevista la stazione si è riempita della gente di tutto il distretto, venuta ad accogliere la vincitrice e a festeggiare con lei.

Quando la vedo fare capolino dal treno, il suo viso si apre in un sorriso e penso che stia recitando molto meglio ora, qui tra la sua gente dove non ce n'è bisogno, che durante il tour della vittoria, o forse non sta recitando, forse è solo felice di essere tornata a casa.
Dopo aver fatto qualche ripresa i giornalisti ed i camera-men se ne vanno soddisfatti e la stazione comincia a svuotarsi, tutti corrono a casa per prepararsi alla festa di questa sera, allora c'è finalmente spazio per respirare, il sorriso raggiante che mostrava mia sorella sul suo viso si sostituisce con uno un po' più tirato ed un'espressione stanca.
Quando non è più occupata a preoccuparsi di recitare per le telecamere si accorge improvvisamente anche di me, mi fa un cenno della testa a cui rispondo con un'occhiata, vorrei correrle incontro e dirle quanto mi è mancata, ma il mio orgoglio mi trattiene, non posso far finta di niente, troveremo il tempo per chiarire la situazione quando saremo a casa.

Solo ora, per ultimo, anche Sam scende dal treno, ma a differenza di Anna, lui non deve fingere proprio niente e prima ancora che abbia poggiato un piede a terra, i suoi occhi sono già fissati nei miei.
Sento un sussulto nei pressi dello stomaco ed il mio cuore perde un battito, è tornato, ora è qui, ora posso dirgli quello che provo, ora finalmente tornerà tutto come prima tra di noi.

All'improvviso un dubbio si insinua nella mia testa: e se le cose non dovessero tornare come prima? Non ci avevo neanche pensato un attimo, impegnata com'ero a rinfacciarmi di non essere riuscita a dirgli che lo amavo, infondo lui ha sofferto molto e tutto per colpa mia, ha tutto il diritto di non volermi più.
Per un istante soppeso l'idea che tra noi non possa tornare come prima e la approvo, non sarà come prima, gli Hunger Games hanno lasciato in me un segno indelebile, proprio come fu anche con lui, ma Sam mi ama, io amo lui, non riesco a trovare una ragione al mondo per cui lui possa smettere di amarmi, come non riesco a trovare un solo motivo che mi spinga a vivere senza di lui, noi semplicemente ci apparteniamo, siamo fatti per stare insieme.

Ma quando guardo ancora in quegli occhi color cielo le mie solide convinzioni tutt'un tratto crollano e per un istante ho davvero paura.

Nessuno di noi parla durante il breve tragitto che ci conduce fino a casa mia, quando entriamo senza accordarci ci disponiamo a cerchio e ci guardiamo a vicenda, come per indovinare chi sarà il primo a rompere il ghiaccio; ma nessuno di noi lo fa, a spezzare la pesante atmosfera invece è la voce stridula dall'accento tipicamente Capitolino di uno dei miei preparatori, anzi ora di Anna, che sembra essersi materializzato all'improvviso in casa mia, squittisce qualche parola e trascina mia sorella con sè.

- No, io devo parlare con Jenna! - dice guardandomi, ma le sue obiezioni disperate non servo a niente, il capitolino continua a ripeterle che potrà parlare con me più tardi e che ora non c'è tempo perchè devono prepararla per la festa in suo onore che si terrà questa sera.
Così rimaniamo io e Sam, per un attimo entrambi facciamo finta di dedicare la nostra attenzione a le cose più stupide che troviamo nella stanza e mentre io fisso attentamente le mattonelle del pavimento, lui sembra trovare interessantissimi i ricami sulle tende, poi dopo un istante torniamo a guardarci – Io...- bisbigliamo all'unisono cercando di iniziare una conversazione – Tu? - diciamo ancora insime.
Ci concediamo un sorriso tirato e ripiombiamo nel silenzio, quando credo di non poter più sopportare la situazione lo prendo per mano – Vieni con me – gli sussurro facendogli strada.

Lo conduco nel bosco in un posto appartato dove nessuno può sentirci nè vederci, mi siedo per prima ai piedi di un grande albero e lui mi imita, mi sarei aspettata un fiume di parole uscirgli dalla bocca ed invece eccolo qui: muto e pensieroso davanti a me.

Nel silenzio non smettiamo un attimo di guardarci negli occhi ed io che fino a qualche settimana fa facevo fatica, ora avendo fatto chiarezza tra i miei sentimenti, lo guardo senza paura.

Dopo parecchi minuti di taciti sguardi inizio a parlare sorprendendomi di quanto la mia voce risulti calma e molodica, mentre descrivo Ares, non c'è dolore nelle mie parole, forse un po' di nostalgia, come quando si parla di un vecchio amico di infanzia che non si vede da anni.

Molte volte da quando ero tornata dall'arena Sam mi aveva chiesto di lui ed io non avevo mai risposto, quando mi aveva domandato dei sentimenti che nutrivo nei suoi confronti, io mi ero chiusa a ricco, combattendo il mio dolore in solitudine; ora senza che lui mi avesse chiesto niente, gli sto aprendo il mio cuore con una semplicità che faccio fatica a riconoscere in me.
Gli racconto tutto, gli parlo della prima volta che ci ho parlato, al centro di addestramento, di come mi ha aiutato gratuitamente, di come mi ha inserito nel gruppo dei favoriti, gli dico di quando sull'hovercraft mi ha chiesto di diventare sua alleata, di come mi sono sentita una codarda ad averlo abbandonato inizialmente durante il bagno di sangue; poi gli racconto anche di quella notte intorno al fuoco, di come mi sentivo prottetta accanto a lui e di come mi sono sentita sola ed abbandonata quando pensavo che mi avesse tradita.
Gli racconto dei suoi ultimi attimi di vita, delle sue mani che mi mettono al collo la sua collana e anche di quel bacio, il suo ultimo desiderio.

- Ares era un amico, il più grande che avessi mai avuto e che avrò, a lui devo tutto, è merito suo se sono ancora viva, lui mi ha insegnato tante cose ed io sento che mai potrò ripagare il debito che ho nei suoi confronti. Quando è morto mi sono sentita persa, una parte di me è morta in quell'arena insieme a lui... io gli ho voluto davvero molto bene, nemmeno tra un milione di anni potrei dimenticarlo!- dico alla fine, mi concedo un attimo di silenzio e scruto a fondo la sua espressione da cui non riesco a leggere alcuna emozione.

- Gli ho voluto bene, Sam, gliene voglio ancora molto, nonostante non ci sia più – continuo e solo per un attimo mi pare di vedere un'emozione attraversare veloce il suo viso, poi ritorna la maschera illegibile di pochi istanti prima – Ma io amo te, Sam ... amerò sempre te! - dico in un sussurro con le lacrime agli occhi.

Per un attimo è come se il tempo si fermasse, la maschera illegibile che era il suo viso si scioglie e tutti i sentimenti che cercava di trattenere gli piombano addosso, mescolandosi e facendogli abbassare lo sguardo per l'emozione.

Lo vedo tremare, proprio come sto facendo io, mentre trova la forza di alzare lo sguardo e torna a guardarmi negli occhi, schiude più volte le labbra come per dire qualcosa, ma ogni volta che lo fa, le richiude subito dopo bocciando le parole che stava per pronunciare, dato che non trova la forza di parlare decido di aiutarlo, mi avvicino a lui lentamente – Ti amo, Sam – bisbiglio prendendo le sue mani tra le mie.

Le mie parole invece sembrano colpirlo quanto una lama, ritrae le mani come se il contatto con la mia pelle le avesse ustionate, per qualche secondo è combattuto tra le due parti in cui è diviso il suo cuore, alla fine esausto si mette le mani tra i capelli e piano sembra calmarsi, così so che una delle due ha prevalso sull'altra.
Nei suoi occhi riesco a vedere quella fiamma che lo divora e non gli da tregua, mi guarda come un bambino guarda la mamma scusandosi per quello che sta per combinare, poi quella stessa fiamma si impossessa di lui, mi prende il viso tra le mani e preme con foga le sue labbra sulle mie.
In un attimo anch'io vengo presa da quel fuoco, lo sento bruciarmi sulla bocca mentre mi bacia e sul corpo mentre mi spoglia e all'improvviso scompare tutto, niente è più importante, in tutto l'universo non esistiamo che noi.

Non esistiamo che noi mentre mi bacia come non ha mai fatto, mentre mi strappa i vestiti di dosso, mi stringe a lui fino a farmi male eppure sento che potrei morire se le sue braccia mi lasciassero anche solo per un secondo, sento che potrei soffocare se smettesse di baciarmi.

Questa notte stento a riconoscere il ragazzo che stringo fra le braccia, mi sembra di abbracciare il fuoco, mi sembra di baciare il diavolo, questa notte avrebbe potuto chiedermi di raggiungerlo all'inferno ed io avrei accettato.

Quando ci svegliamo ancora morbosamente attaccati l'uno all'altra, ci accorgiamo che siamo nel bosco e ben presto ci rendiamo conto che sarà difficile ritornare a casa conservando un aspetto decoroso.
Impreco a gran voce mentre senza nulla addosso setaccio il sottobosco nei dintorni in cerca dei miei vesiti, Sam invece ride di gusto mentre mi sventola davanti al naso quello che l'altra sera doveva essere una camicetta, ma che ora è ridotta ad un malconcio brandello di stoffa.
Man mano nei cespugli, tra le radici, alcuni persino impigliati su un ramo, ritroviamo i nostri vestiti e un anche se sono sgualciti, strappati e sporchi di terra, cerchiamo di indossarli meglio che possiamo, per fortuna ci sono i cappotti, impossibili da strappare, che sono rimasti intatti e coprono abbastanza bene il resto degli indumenti.

Mentre tremanti dal fredddo, raggiungiamo in fretta il villaggio dei vincitori, non possiamo non scambiarci sguardi complici e divertiti, poi recuperando un po' di serietà entrambi entriamo nelle nostre rispettive case.
Per fortuna sembra che papà ed Anna dormano ancora, sto per entrare silenziosa in camera mia, quando sento una mano poggiarsi sulla mia spalla e trattenermi.

- Ehi! - mi grida Anna facendomi balzare per lo spavento, gli occhi neri fissi nei miei – Shhh! - le intimo di fare silenzio con un dito sulle labbra – Devo parlarti! - mi dice seria senza abbassare la voce – Prima vado a cambiarmi – dico cercando si sgattaiolare nella mia stanza – Ora! - mi ordina con un tono così fermo ed autoritario che non faccio più obiezioni e la seguo.
Mi porta nel bagno e dopo aver accuratamente chiuso la porta a chiave, apre l'acqua del rubinetto e quella della doccia – Ma che fai?- dico sorpresa per un simile spreco, il lusso dell'acqua corrente fino a pochi mesi fa non ci era concesso, ma Anna mi ignora, mi guarda solo negli occhi con un'espressione cupa, sembra molto preoccupata – Devo chiederti scusa...- inizia con voce tremante  - Anch'io devo farlo, l'ultima volta che abbiamo parlato io...- la interrompo, ma lei mi tappa la bocca con le mani e si butta a terra singhiozzando – No, no, è tutta colpa mia...è colpa mia, scusami Jenna, io non volevo, è tutta colpa mia! - dice tra le lacrime, mi inginocchio anch'io e cerco invano di consolarla, le dico che abbiamo sbagliato entrambe ma che ora è acqua passata, ma lei continua a piangere a dirotto e non la smette di dire che è colpa sua – No, tu non capisci, non è questo...è tutta colpa mia...ora lui verrà qui! - mi dice con aria spaventata – Ma di cosa stai parlando? Chi è che verrà qui? - chiedo confusa – Lui! Lui verrà qui, noi l'abbiamo fatto arrabbiare, ha capito tutto, lui sa... - dice con l'affanno – Anna, lui chi? - chiedo all'improvvsio spaventata della sua possibile risposta, quando pronuncia il suo nome sento il mondo crollarmi addosso -Snow!- dice col panico negli occhi – NO! - urlo – Si invece, lui si è accorto che io non ero te! - mi dice disperata – Lui non può fare niente, è tutto finito, lui non ci farà del male! - cerco di tranquillizzare lei ma anche me  - No Jenna, lui verrà qui, verrà a prenderci! - la sua voce è sempre più spaventata – Non può venire qui, non può farci del male! - dico imprimendo in quelle parole tutta la convinzione e la forza di volontà che ho in corpo.

Passano giorni in cui Anna è intrattabile, non fa che ripetere frasi senza senso, quando le sono vicino mi afferra per un braccio e mi prega di scappare, mi dice che lui arriverà, che lui verrà a prenderci, che è tutta colpa sua e mi chiede di perdonarla, ogni volta cerco di tranquillizzarla e col passare dei giorni, la paura che mi aveva contagiata viene sostituita dalla sicurezza che siamo al sicuro, che lui ormai non può farci più nulla.

Poi circa una settimana dopo il campanello di casa suona e quando apro la porta gli occhi da rettile del presidente Snow mi fissano maligni e la sua voce stridula mi augura buongiorno.








Angoletto dell'autrice esaurita:
Ecco finito un altro capitolo, questa settimana non mi pareva quasi impossibile riuscire a pubblicare il capitolo, perciò quando l'ho finito di scrivere, non mi sembrava vero!
Questo non vuol dire che sia per forza bello, o all'altezza ( seppur minima) degli altri, questo dovete dirmelo voi.
Vediamo un po', Jenna fa chiarezza nella sua testa e dice il suo addio ad Ares, nel frattempo Sam ed Anna ritornano e mentre lei e Sam...'fanno pace', Anna si sente in colpa, dice che è tutta colpa sua e che sono in pericolo e poi c'è Snow che bussa alla porta... :O
Bene, sarei molto contenta se voleste lasciarmi una vostra opinione, è davvero importante!
Ringrazio moltissimo chi lo ha fatto nello scorso capitolo: _Nica89_ , TheSandPrincess, Hoshi98, Bessie, lula99, Water_wolf.
Grazie davvero!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Angoletto dell'autrice in ritardo:
Eccomi, un po' in ritardo, ma eccomi!
Ho stravolto un po' le mie idee su come continuare la storia, la mia "decisione" si vedrà nei prossimi capitoli, spero di aver fatto la scelta giusta!
Venendo a questo, trovo che non sia un capitolo particolarmente brillante, mentre lo scrivevo pensavo a quello che sarebbe successo dopo e avevo una tale fretta di finirlo che alla fine ci ho messo un'eternità! -.- 
Ma eccolo quà, non sarà dei migliori, ma c'è!
Come sempre mi farebbe davvero piacere se passasse a recinsirlo per farmi sapere cosa ne pensate...
Ringrazio tantissimo chi lo ha fatto per lo scorso capitolo: _Nica89_ , Bessie, lula99, TheSandPrincess, Water_wolf, Hoshi98, Roberta Salvatore.
GRAZIE! 






Capitolo 15



-Buongiorno signorina Wellington – dice sull'uscio il presidente, con una voce piena di falsa gentilezza – Non mi invita ad entrare? - domanda innocente, ma io nemmeno lo ascolto, presa come sono a cercare un modo per uscire dalla spiacevole situazione che so già si creerà – Oh, suvvia, non vorrà mica fare la maleducata! - così dicendo mi sposta dalla porta ed entra in casa.

Ed ora che faccio?
Non credi di aver già fatto abbastanza?'Non è colpa mia!
'Chi ha fatto partire la gemella sbagliata?'
Io.
'Chi è che deve pagarne le conseguenze?'
Io.
Solo io.

- Che graziosa sistemazione! - commenta l'infimo ammirando come un critico d'arte la tappezzeria del soggiorno – Jenna, Anna! Ma chi è....- urla mio padre dall'altra parte della casa, quando ci raggiunge la sua espressione cambia improvvisamente – Oh... - commenta sinceramente stupito, e come dargli torto? Non capita certo tutti i giorni di avere come ospite il grandissimo, infimo, onorevole, meschino presidente Coriolanus Snow.
- Oh mia cara, non mi avevi detto che c'era in casa anche tuo padre! - sibila verso di me -Buongiorno signor Wellington! Io sono... - comincia Snow – So benissimo chi è lei...quello che mi è meno chiaro è cosa ci faccia in casa mia... - lo interrompe mio padre.
Pessima mossa.
'Ora capisco da chi hai ereditato la tua boccaccia!'

Il presidente sembra pensarci un attimo – Sono venuto a fare i miei migliori auguri alla vincitrice e ad accompagnarla personalmente nel viaggio verso la capitale – dice alla fine facendo mostra del suo sorriso di porcellana – Non avrebbe dovuto prendersi tutto questo disturbo – commenta mio padre sforzandosi invano di essere più gentile – Nessun disturbo! - gli risponde subito il presidente – La sua Anna è davvero una ragazza...deliziosa! - continua guardandomi.
Ci risiamo! Io sono Jenna! Tutto questa fatica per poi tornare a recitare una vita che non è la mia? No grazie!

Non le dispiace se gliela rubo per qualche minuto, vero? - domanda Snow trascinandomi fuori di casa, senza nemmeno aspettare una risposta – Vieni, mia cara – mi dice facendomi accomodare nella sua auto, probabilmente per il presidente, passeggiare a piedi per le strade di un distretto qualunque, non è proprio il metodo migliore per non farsi notare, come se una macchina nel distretto 7 passasse inosservata!

- Allora, venamo a noi... la prego mi illustri il geniale piano che l'ha condotta a disobbedire ai miei ordini! - dice simulando un tono pacato – Non mi pareva mi avesse dato istruzioni su come dovevo vivere la mia vita dopo gli Hunger Games! - rispondo, effettivamente non c'erano stati ordini da parte sua – Ah, quindi vorrebbe farmi credere che l'averla lasciata in vita non era un segnale ben preciso della mia volontà che lei continuasse ad essere Anna? - mi domanda girandosi per guardarmi – E lei vorrebbe farmi credere che anche volendo, avrebbe potuto uccidere un tributo prima ancora di farlo entrare nell'arena? - dico guardandolo anch'io.
'Pessima mossa, Jenna, tutta tuo padre!'

- Io posso tutto, signorina Wellington! - dice e la falsa gentilezza abbandona per un attimo la sua voce – Ed anche il fatto che lei respiri ancora, è solo una mia scelta, IO ho voluto così! IO ho voluto te come vincitrice per la mia gente, una vincitrice, e tu che fai? Mandi tua sorella. Panem vuole vedere una vincitrice, Panem vuole vedere te! - dalle sue parole trasuda la sua frustrazione, ma si ricompone in fretta – Suppongo che lei possa immaginare il danno che mi ha creato...e suppongo che sappia che dovrà risarcirmi per quello che ha fatto... e stavolta non dovrà sbagliare! -
Mi limito a fare silenzio, cercando di capire il significato più profondo di quelle parole – Ecco perchè questa sera stessa partirà per Capitol City insime a me. Pensi che quest'anno ho fatto spostare i festeggiamenti della capitale proprio per permetterle di prendervi parte, sarebbe un peccato se se li perdesse, non trova? - dice riacquistando il suo tono zuccheroso.
Altro che eccezioni! Il presidente Snow non fa regali, la tortura di rivedere la capitale, l'umiliazione di dover ancora mentire e recitare una parte, credevo di essere scampata una volta per tutte da tutto questo, ma a quanto pare mi ero sbagliata.

- E se io non volessi venire a Capitol City con lei? - chiedo in un ultimo slancio di audacia - In questo caso credo che porterò con me la tua amata sorellina, come souvenir... -
- NO! Sono solo io che devo pagare! - rispondo subito - Come immaginavo...è per questo che verrai tu sola con me, non voglio nessuno tra i piedi, nemmeno il tuo amichetto mentore...Sam, giusto? - commenta quasi annoiato – Dimentichi quel nome! Lui non ha niente a che fare con questa storia! Si, verrò con lei! - rispondo con convinzione, la paura che possa anche solo pensare di fare del male a Sam per ferire me è troppa, così rinuncio anche a quel briciolo di speranza che mi era rimasta.

- Non metta alcun vestito nella valigia, il tuo stilista ha già pronto tuttto quello che le serve – mi dice quando mi riaccompagna a casa.

Così non mi è concessa neanche una valigia in cui raggruppare quel poco di casa che posso portare con me, non mi è concesso avere nostalgia, non mi è concesso guardarmi indietro.
Panem vuole una vincitrice e l'avrà!
Reciterò bene la mia parte e tornerò il prima possibile a casa.

- Così presto? Ma sei appena tornata, credevo che rimanessi con noi ancora un po'! - dice dispiaciuto mio padre quando gli dico che tra poche ore partirò – Prima vado e prima torno- mi limito a dire, cercando di mostrare un sorriso convincente, purtroppo non è altrettanto facile convincere Sam.
- Che cosa? No! Io devo venire con te, non ti lascerò andare da sola! - sbraita arrabbiato, gli intimo di fare silenzio mentre lo trascino in camera mia – Calmati! - cerco di rassicurarlo – Calmati?!? Sai dirmi solo questo? Calmati? Non ho fatto tutto questo per lasciarti andare via da sola con lui!- urla battendo un pugno sulla morbida trapunta del letto – Devo andare, non posso tirarmi indietro – cerco di convincerlo – Quando tornerai? - mi chiede prendendomi per le spalle – Non lo so... - ammetto abbassando lo sguardo, quando lo rialzo è lui ad averlo abbassato, gli prendo il viso tra le mani e lo costringo a guardarmi negli occhi – Ricordati che ti amo – gli sussurro, lui mi prende per i fianchi e mi solleva un poco mentre poggia le sue labbra calde sulle mie– Ti amo anch'io! - bisbiglia quando si stacca – Prenditi cura di Anna mentre sarò via... e non fare quella faccia! Tornerò presto, te lo prometto! - gli dico prima di uscire dalla camera.

- Non voglio che tu te ne vada! - mi dice Anna correndomi incontro, mi abbraccia forte ed io ricambio la stretta, poi però devo staccarmi, altrimenti non avrò più la forza per farlo, la guardo un attimo, è bella come un fiore, poso una carezza sulla sua guancia candida – Abbi cura di te – le raccomando, poi mi volto e mi chiudo la porta alle spalle, il presidente Snow mi aspetta dritto davanti alla macchina, mi apre la portiera con piccolo inchino ed entra anche lui nell'auto.

Arriviamo in fretta alla stazione, Snow non vuole perdere nemmeno un minuto, altrettanto in fretta arriviamo a destinazione, la capitale sfarzosa ed esagerata si mostra ai nostri occhi; ora ce ce l'ho davanti, vorrei tanto che questi super-treni fossero andati più piano.
'Ce la puoi fare, Jenna! Devi solo recitare la tua parte, dovresti esserci abituata!'
è tempo di rimettere la maschera, è tempo di sfoggiare falsi sorrisi, accavallare le gambe, lanciare baci a chi mi lancia rose.

Mentre sono nell'auto che mi accompagnerà nell'appartamento che mi ha assegnato il presidente Snow, faccio fatica a sopportare tutta la gente che ho intorno, faccio fatica persino a respirare, l'aria mi sembra irreparabilmente contagiata da tutto quell'eccesso e quella superficialità che è stampata sul volto dei capitolini.
Le loro urla mi feriscono le orecchie, i fiori che mi lanciano sembrano colpirmi come lance, eppure distriguisco sorrisi in gran quantità, ma più i miei occhi indugiano sui loro visi artificiali, più sento crescere dentro di me il disgusto verso questa gente e più ho bisogno di nascondermi dietro la mia maschera e allora i sorrisi si allargano sempre di più.

Finchè non sento di essere salva, barricata dietro i muri spessi della casa che mi è stata assegnata, mi sento un po' più al sicuro.
Sento ancora addosso i loro sguardi, li sento attaccati alla pelle e voglio solo allontanarli, voglio solo lavare via l'odore d'esagerazione che ho appiccicato addosso, anche se so che non basterà, mi faccio una lunga doccia, ma questa invece di levare la disgustosa firma della capitale, sembra rimarcarla, con acqua profumata e saponi all'essenza di frutti sconosciuti che mi fanno venire la nausea: niente a Capitol City sembra conservare una parvenza di decenza, tutto è esasperato, portato al limite della tolleranza.
Così scappo anche dalla doccia, mi avvolgo in un telo e mi butto sul letto, sperando che almeno quello sia più simile a quello che ho a casa, ma persino il materasso è completamente diverso, è così morbido da risultarmi scomodo, le lenzuola sono così sottili e lisce che mi sembrano grezze ed irritanti, non c'è niente che sia normale qui, niente che non sia ricostruito dalla stupidità dell'uomo, tutto è una goffa e ridicola imitazione della normalità.

Esasperata mi alzo anche da questa copia mal riuscita di un letto, ho voglia di urlare, di rompere ogni cosa in questa enorme e lussuosa casa, quando un paio di squittii concitati provenienti dal soggiorno, attirano la mia attenzione.
Li seguo incuriosita finchè non mi ritrovo davanti altre copie mal riuscite sfornate dalla capitale, questa volta però non sono le imitazioni di una doccia o di un letto, ma bensì di persone, ho davanti a me i miei preparatori.
Mi accolgono calorosamente e si preoccupano molto quando vedono lo stato delle mie unghie, si mettono subito al lavoro, le loro lingue biforcute sfornano gli ultimi pettegolezzi mentre le loro mani operano esperte su di me.

Dopo un po' entra nella stanza anche un'altra persona, è Arthur, il mio stilista, mi saluta e mi abbraccia forte, mi chiede come sto, se ho fatto buon viaggio e se ho passato dei giorni sereni a casa, probabilmente se dovessi dirgli la verità farei spegnere il sorriso che ha sul viso, quindi rispondo secondo il protocollo, lui sembra avere qualche dubbio sul fatto che fare un viaggio assieme al presidente Snow sia piacevole, ma non lo fa notare e liquida il discorso con un'occhiata e mi fa capire che gli spiegherò tutto dopo.
Appena i miei preparatori dicono di aver finito mi porta davanti all'armadio, dove è attaccata all'anta una stampella che sorregge un abito monospalla.

- Ti piace? - mi chiede, e la sua espressione tradisce la sua sicurezza, o forse è la mia di espressione, come potrebbe non piacermi? - è bellissimo – dico sinceramente sorpresa.
Lo guardo un po' meglio, la stoffa nera è così lucida che sembra quasi brillare di luce propria, è lungo, molto lungo, ha perfino un piccolo strascico, il che è decisamente confortante, più pelle ho coperta è più mi sento a mio agio, la stoffa scende morbida e forma onde ad ogni movimento, appena sotto il seno è cucita una fascia argentata impreziosita da piccoli brillanti gli stessi della collana che mi mostra poco dopo Arthur.
- Si, è stupendo...ma si può sapere a cosa devo l'onore di indossare una simile opera d'arte? - chiedo rivolta al mio stilista, sperando inutilmente che le mie lusinghe possano in qualche modo cambiare la sua risposta – Questa sera c'è l'intervista, cara - commenta in tono pacato Arthur – Quale intervista? - chiedo un po' frastornata – Ma la tua! L'intervista della vincitrice! Quella che si fa appena dopo i giochi, l'hanno rimandata per le tue condizioni di salute...- mi risponde con semplicità – Non dirmi che non te l'hanno detto! - dice stupito dopo un po' vedendo la mia espressione - Nessuno si è preso il disturbo di avvertirmi! - commento sarcastica alzando leggermente la voce.

Sono del tutto impreparata, fino a poco fa ero pronta a mentire, pronta a fare di tutto per tornare il prima possibile a casa, ma non immaginavo che dovessi cominciare così presto, neanche il tempo di togliere la maschera, che devo rimetterla.

Quando indosso il vestito e faccio qualche passo, la stoffa di distende un po' scoprendo un profondo spacco nascosto bene dalle pieghe che l'abito creava sulla stampella, guardo la mia gamba destra nuda e poi alzo lo sguardo verso Arthur che alza le spalle – Lui lo voleva così! - commenta poi , la mia attenzione viene richiamata lontano dal vestito – Lui chi? - domando perplessa – Il presidente Snow- mi risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Non ci posso credere, il suo volere influisce su ogni singola cosa, perfino sugli abiti che devo indossare!

Lo sento protestare mentre mi lascio cadere esterrefatta sul letto stropicciando un poco la stoffa lucida – Così lo rovinerai! - mi rimprovera pregandomi di alzarmi immediatamente, per paura di ferire il suo orgoglio da stilista, mi trattengo dal dirgli che se fosse per me, brucerei questo abito solo perchè lo ha voluto il presidente Snow e mi alzo solo rispettando la fatica che ha fatto per farmi apparire così bella.
Gli ultimi ritocchi e sono pronta, un sottile strato di trucco orna il mio viso, se si fa eccezione per il vistoso ed immancabile rossetto rosso di cui avrei volentieri fatto a meno, ma che a quanto mi dicono, è diventato una specie di mio marchio di fabbrica, fortunatamente i capelli li hanno lasciati intatti, proprio come nella mia prima intervista ricadono morbidi ed ondulati sulle spalle.
Ai piedi ho allacciate un paio di scarpe di raso nere ornate dagli stessi brillanti che porto al collo e sull'abito, inutile dire che sono esageratamente alte, sembra che si divertano a vedere fin quanto la mia abilità nel camminare su questi trampoli, mi permetta di non ruzzolare per terra.

-Quello devi toglierlo – mi diceArthur indicando il ciondolo di Ares che porto al collo – NO! - rispondo subito stringendo la gemma come se temessi che potesse portarmela via da un momento all'altro – Ma non puoi portare due collane! - protesta, così mi sgancio il prezioso girocollo di brillanti e glielo restituisco, lui sospira rassegnato capendo che almeno su quello sono irremovibile. Possono farmi indossare qualsiasi vestito, scoprire il mio corpo come se fossi in vendita, allacciarmi ai piedi trampoli da equilibrista, tingermi le labbra fino a farmi dimostrare un'età che non mi appartiene, ma non possono levarmi quel ciondolo, non possono togliermi l'unico ricordo che ho del mio migliore amico, non possono.

Credevo di essere pronta vestita e truccata come una principessa, credevo di essere pronta nascosta dietro la mia maschera di sfacciata sicurezza, eppure adesso che sono dietro questo palcoe sbircio verso le centinaia di persone sedute che mi aspettano, non sono più tanto convinta di essere all'altezza del mio compito.
Non riuscirò mai a mentire a tutta quella gente.
Puoi riuscirci Jenna, lo hai già fatto una volta!'
E se questa volta non ce la facessi?
'Devi riuscirci!'
Ci proverò.
'Ci riuscirai! Pensa a tuo padre, ad Anna, a Sam...ci proverai?'
Ci riuscirò!

Quando Caesar annuncia il mio nome e la folla espode in un boato, so che non c'è più tempo per avere dubbi, non mi è concesso esitare nè dubitare, non se voglio tornare a casa, non se voglio proteggere le persone che amo.

Appena poggio l'altissimo tacco sul pavimento scintillante del palco, tutte le paure che attanagliavano il mio cuore e la mia mente fino ad un attimo fa, vengono zittite dal senso di responsabilità che sento gravare sulle mie spalle, tutto dipende da quanto sarò convincente agli occhi di questa gente, qui in questo momento davanti a loro, devono vedere una vincitrice.

- Che piacere riaverti ancora qui, Anna! - commenta Caesar appena il pubblico si zittisce un po' e gli permette di parlare – Un piacere ed un onore – si corregge mentre come un perfetto gentiluomo si porta alle labbra la mia mano e mi accompagna fino alla comoda poltroncina dalla stoffa colorata – Piacere ed onore tutto mio, Caesar - rispondo mostrando un largo sorriso – Molti si chiederanno il motivo per il quale è stata spostata questa tradizionale intervista...è vero che è perchè non stavi bene? - Certo che non stavo bene, sai com'è: sono stata mandata al macello e costretta ad uno scontro all'ultimo sangue... - Si...sapete, non so voi, ma io ero impegnata a vincere gli Hunger Games!- dico sarcastica rivolgendomi alla telecamera e alle persone sedute sotto di me, il pubblico scoppia in una risata a cui si aggiunge anche Caesar, anche se la mia non voleva essere di certo una battituta per farli ridere, non posso che essere sollevata della piega che ha preso la mia affermazione, così mi unisco anche io alla risata.
- Già, e tutti noi ti abbiamo vista mentre vincevi...- dice il coloratissimo presentatore mentre sullo schermo alle sue spalle appaiono all'improvviso due figure coperte di rosso... il mio cervello impiega qualche secondo a ricollegare il tutto e a capire che il rosso è in realtà sangue, quando mi riconosco mentre con la mia spada trapasso Alexandra, mi sento scossa da un brivido e sento l'irrefrenabile impulso di distogliere lo sguardo da quel ricordo fin troppo vivido nei miei incubi.
Mentre le scene salienti di questa edizione degli Hunger Games scorrono sullo schermo, comincio a sentirmi svuotata, come se fossero parte di una storia che non mi riguarda, ma poi quando riconosco i suoi occhi color ghiaccio, gli occhi di Ares, non riesco più ad essere tanto indifferente, il peso dell'amara verità mi crolla addosso ed io non riesco a sopportare di guardare quegli occhi animati solo su uno schermo, non riesco a sopportare che ora siano chiusi e spenti per sempre.

- Gli volevi molto bene eh? - mi chiede Caesar con un tono dolce, io annuisco lievemente tenendo ben chiusa la bocca, ho paura ad aprirla, ho paura che emergano emozioni che su questo palco non possono venir fuori.
- Voi eravate... - sussurra appena – ...Amici – completo la sua frase e per un attimo alcune lacrime minacciano di uscirmi dagli occhi, ma le ricaccio subito indietro – Certo... - dice comprensivo rivolgendosi verso il pubblico – Amici molto stretti... - aggiunge poi tornando a guardarmi.
Ma cosa sta facendo?
Lui non dovrebbe aiutarmi?
Ho paura che tutto possa andare a rotoli, che la sua insinuazione possa compromettere la mia recita, poi però sento i mormorii del pubblico, vedo le loro faccie sconsolate e la malinconia che trapela dai loro occhi, a quanto pare sono tutti convinti che tra me ed Ares ci fosse molto di più di una semplice amicizia.
All'improvviso l'insinuazione di Caesar mi appare un'ottima arma, un ottimo scoglio a cui appigliarmi e sento che è questa la strada giusta per far leva sui cuori sconsolati degli abitanti della capitale: l'amore...chi non si sente il cuore a pezzi nel sentire la tragedia di due ragazzi separati dal fatale destino?

Guardo negli occhi dei capitolini seduti sotto di me e sento di avere in mano un grande potere, sento che in questo momento potrei dire qualsiasi cosa e loro mi crederebbero.

Così lascio uscire dai miei occhi quelle lacrime tanto trattenute e sento che in questo momento sono la mia forza, agli occhi di questa gente sono una povera ragazza che piange il suo amore traicamente perduto, così è molto più romantico, molto più teatrale, nessuno mai penserà che i miei occhi si bagnano per salutare un amico e finchè so che le mie vere emozioni sono così efficacemente coperte, piango liberamente senza il pericolo che nessuno possa leggere la verità nelle mie lacrime.

Per mia sfortuna il discorso 'Ares' si protrae per molto tempo, Caesar non fa altro che ripetere come la vita sia piena di tragiche fatalità a cui non si può scappare, fa molte domande sui sentimenti che provavo per lui e mi chiede più volte di raccontare i momenti passati insieme nell'arena.
Io mi presto perfettamente alla recita, il mio viso si tinge delle emozioni che la gente si aspetta al momento giusto, piango al momento giusto, sorrido al momento giusto e quando Caesar cambia discorso, cambia all'improvviso anche il ruolo che devo interpretare e presto tutti si scordano della morte di Ares.
Ora i loro occhi sono puntati su di me, li sento bruciare sulla pelle, sul mio viso, sul mio collo, sulla coscia lasciata nuda dal profondo spacco del vestito, tutt'un tratto vorrei scappare, cominciare a correre lontano dalla portata dei loro occhi, invece rimango incollata alla poltrona, devo, il mio sorrido si allarga, accavallo meglio le gambe, mi sistemo la mia maschera immaginaria e ritorno a fingere di essere quella che vogliono che io sia.

- E ora? C'è qualcuno di speciale nel cuore della pantera del 7? - domanda Caesar con un sorrisetto ebete stampato in faccia, sento il mormorare emozionato del pubblico, è possibile che questa gente sia così ipocrita? Un minuto fa piangevano per la morte di Ares di cui credevano che fossi innamorata e adesso sono tutti ammutoliti eccitati all'idea di sapere se ho un ragazzo.Guardo per un attimo la strana gente seduta sotto il palco, molti se ne stanno immobili col cuore in gola aspettando una risposta, qualche signora squittisce qualcosa all'orecchio della sua vicina, alcuni si alzano e mi lanciano baci, molti sono ragazzi ma c'è anche qualche uomo che potrebbe essere mio padre, tutti aspettano la mia risposta, tutti sperano che dica di no ed io, chiedendo scusa mentalmente a Sam, decido che è meglio accontentarli.

- No, non c'è nessuno... - rispondo infatti, sorridendo frivola ad un paio di ragazzi che si alzano in piedi gridando il mio nome – Avete sentito gente? Un'ottima notizia direi! - ridacchia Caesar facendo bella mostra del suo sorriso brillante – Chissà, magari qui a Capitol City incontrerai qualcuno di interessante! - ironizza – Chissà... - reggo il gioco ammiccando verso la telecamera.

Sono stanca, tremendamente stanca, mi fa male la bocca a forza di sorridere, mi fa male il cuore a forza di fingere.

Per fortuna anche questa farsa non dura molto e presto Caesar cambia argomento – Com'è stato riabbracciare tua sorella Jenna? - domanda di riserva? 'Non ci sono riserve per la vincitrice degli Hunger Games!' - è stato come riabbracciare me stessa! - affermo con un sorriso amaro, lui non si rende conto di quanto la mia affermazione sia tremendamnete veritiera– Oh, assomigli molto a Jenna eh? - non puoi neanche immaginare quanto Caesar! - In realtà, non c'è persona al mondo più diversa da me di mia sorella e non c'è perosona al mondo che ami di più – rispondo con un sorriso sincero – Io vorrei essere sempre sicura che stia bene, che non le capiti nulla di male, perchè lei non merita di soffrire...io farei qualsiasi cosa per saperla al sicuro, sono pronta a tutto per proteggerla...tutto! - continuo rivolta alla teleamera e il mio sorriso si spegne, per la prima volta su questo palco non so recitando una parte.

Spero che in questo momento il presidente Snow mi stia guardando, spero che abbia sentito le mie parole, perchè gli ho appena promesso la mia lealtà, mi sono appena venduta in cambio dell'incolumità di mia sorella.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16


Quando apro gli occhi ci metto qualche secondo a realizzare dove mi trovo.
'Sei a Capitol City, Jenna'
Già, sono prigioniera, rinchiusa in questo lussuoso appartamento, è una gabbia, dorata, ma pur sempre una gabbia.

Snow non è ancora venuto a parlarmi, l'intervista di ieri sera apparentemente sembra non aver cambiato nulla;eppure qualcosa è cambiato, la paura che ho provato in quel momento per mia sorella mi ha spinto a vendermi, ho ammesso di essere fragile, gli ho esposto il mio punto debole ed anche se ancora non l'ha fatto, sono certa che mi colpirà dove sa che mi fa più male e non c'è niente che mi fa più male di sapere Anna in pericolo.

Cammino nervosamente cercando di indovinare quale diabolico piano sta elaborando la mente malata di Snow, quando senza nemmeno accorgermene arrivo al piano superiore; è possibile che una sola persona possa occupare ben due piani? Il ricordo della mia vecchia casa al distretto 7 irrompe prepotente nella mia mente, allora le cose erano diverse, eravamo poveri, vivevamo in tre in una casa appena sufficente per una persona, eppure credo che fossi felice, quanto meno più di ora, ora che la mia anima è stata massacrata in diretta tv, ora che sono costretta a recitare continuamente, ora che non sono più padrona della mia vita.

Afferro la scodella già pronta sul tavolo, probabilmente preparata da chissà quale tirapiedi della capitale, metto in bocca una cucchiaiata di quella crema apra che qui chiamano 'yogurt', credevo avesse un sapore poco invitante, ma se unita a dolci frutti di bosco come questa, è davvero buona.

- Ehi! Stai mangiando la mia colazione! - il cucchiaio mi cade di mano, mi giro di scatto verso la voce, un bel ragazzo dai capelli color bronzo mi fissa divertito – Chi sei? Che cosa ci fai in casa mia? - urlo sbalordita afferrando un coltello dalla credenza. Ma come diavolo ha fatto ad entrare? Chi è? Che vuole da me?

- Veramente sei tu che sei in casa mia! - risponde ridendo e facendo un passo verso di me, solo ora mi accorgo che ha solo un asciugamano arrotolato sulla vita a coprirlo – Non credo proprio, sono un'ospite del presidente Snow...questa casa me l'ha data lui! - insisto distogliendo lo sguardo per non guardarlo, ma tenendo ben saldo in mano il coltello – Oh, purtroppo anch'io sono un ospite del presidente Snow...questa casa ha due piani però, quello di sotto è il tuo, questo è il mio, quindi sei tu che sei a casa mia! - dice mentre si china a raccogliere il cucchiaio che mi era caduto poco fa. Quando si rialza lo sento troppo vicino per i miei gusti, faccio per spostarmi ma lui rimane fermo dov'è bloccandomi col suo corpo, l'occhio mi cade sugli addominali perfettamente scolpiti, una gocciolina d'acqua scivola sulla sua pelle dorata, seguo il suo tragitto fin quando non si disperde sotto l'asciugamano che ha legato in vita, quando rialzo gli occhi trovo i suoi che mi guardano, ma stavolta non ho la forza di distogliere lo sguardo, le sue iridi verdemare mi hanno ancorata.
Sorride compiaciuto alzando solo un angolo della bocca, prende il coltello che ho in mano e lo posa sul tavolo, poi da una cucchiaiata dalla ciotola che ho ancora in mano, tutto senza mai smettere di fissarmi – Ah, io sono Finnick – dice accarezzandomi con la voce, quando i brividi finiscono di percorrere su e giù la mia schiena elaboro le sue parole – Finnick? Finnick Odair? - domando cercando di trattenere lo stupore da bambina che mi pervade – Si – conferma sorridente.

Finnick Odair, il ragazzo che a quattordici anni ha vinto gli Hunger Games.
Finnick Odair, quello a cui nessuna donna resiste.
Finnick Odair, il pescatore del distretto 4 che ha fatto innamorare tutta Capitol City.
Finnick Odair, la leggenda di Panem.

- E tu devi essere Anna...la pantera del 7 – dice sorridendomi anche con gli occhi, quegli incredibili fari verde acqua, riesco appena ad annuire, incapace di spiccicare anche solo una parola – Bhe, piacere di conoscerti, Anna - dice inclinando leggermente la testa, rimango come pietrificata, lui si volta e fa per andarsene, ma poi torna indietro – Ah, puoi passeggiare in casa mia quando vuoi! - aggiunge facendomi l'occhiolino prima di sparire dietro una porta.

Rimango qualche istante immobile mentre l'immagine dei suoi pettorali abbronzati invade prepotente la mia testa, poi decido che è meglio uscire da 'casa sua' così vado al piano di sotto, 'casa mia', prima che mi riapparga davanti mezzo nudo.

La giornata sembra trascorrere tranquilla, ma poi proprio quando sto per convincermi che mi è stato concesso un attimo di tregua, i miei rumorosi ed eccentrici preparatori irrompono nella stanza e cominciano il loro lavoro su di me senza neanche degnarsi di dirmi perchè sono quà.
- Questa sera c'è una festa, ci saranno le persone più importanti della capitale e Snow vuole che ci sia anche tu – mi spiega finalmente Arthur quando arriva.
Certo, non basta essere prigioniera lontana da casa, vuole anche mostrarmi in giro, espormi dietro un vetro come fossi un animale allo zoo; in effetti quando mi guardo allo specchio non potrei sembrare altro, un animale da zoo, una merce in vendita, non ho la forza di arrabbiarmi con Arthur, so che lui non c'entra niente con tutto questo, anche lui deve rimettersi agli ordini di Snow, proprio come me.

'No Jenna, lui non è come te. C'è una bella differenza tra disegnare i vestiti che ti impongono e far finta di essere un'altra persona!'

Sospiro rassegnata e guardo attraverso lo specchio il corto tubino di pelle, rigorosamente nera, che mi fascia il corpo, è così stretto che mi sento soffocare, ogni centrimentro della mia pelle è compresso in un mini-abito che sarebbe dovuto essere come minimo di due taglie più grande.
Sembra che ci abbiano preso gusto a vestirmi del colore della notte, infondo le pantere sono nere e la mia immagine è accuratamente costruita attorno al soprannome che mi ha fato il pubblico.

- Mi spieghi perchè ogni volta devo sembrare una prostituta? - chiedo indignata ad Arthur – Ma cara, niente farebbe sembrare una ragazza fine ed elegante come te, una prostituta! - mi risponde con fare innocente, gli rivolgo attraverso lo specchio un'occhiataccia con aria poco convinta, fa per ribattere, ma lo blocco subito – Ti prego, non dire niente! - sentenzio esasperata.

Pochi minuti dopo una costosissima macchina bianca mi scorta fino a destinazione e neanche fossi un pacco postale, appena scendo trovo un paio di uomini vestiti da pinguini che mi accompagnano dentro.

Dopo pochi minuti, sento il bisogno di dover rivedere il significato della parola 'festa'; festa al distretto 7 è quando le scuole ed i lavori chiudono e si scende in piazza tutti insieme, si canta e si balla sulle note delle canzoni popolari tramandate dai più anziani, finchè le prime luci del giorno non annunciano che è la notte è finita, un altro giorno è iniziato e tutti dobbiamo tornare a fare quello che facciamo tutti i giorni.
Ma qui è tutto diverso, più mi guardo intorno e più ho l'impressione che Capitol City non faccia parte del mondo, non di quello che conosco, la gente qui è strana, se guardo in faccia queste persone non riesco neanche a notare i tratti che contraddistinguono una persona, sempre che queste davanti a me siano persone.
Ormai non se sono più tanto sicura, i mille strati di trucco nascondono ogni lineamento naturale, i ritocchi chilurgici hanno cancellato ogni segno di bellezza, le parrucche colorate di colori eccentrici ed impossibili hanno abolito le spazzole, non avevo visto mai nessuno volersi allontanare così tanto da se stesso, questa gente si ripudia, si odia a tal punto da voler essere diversa, da voler essere qualcun altro...io invece farei qualsiasi cosa per poter essere me stessa!

Tra la folla noto subito il presidente Snow, anche lui si accorge presto della mia presenza, mi giro solo un attimo e quando mi volto ancora me lo ritrovo davanti; ma perchè ha il potere di apparire all'improvviso come i fantasmi?

- Mia cara, vorrei presentarti Finnick Odair, vincitore dei 65esimi Hunger games - dice con voce velenosa ma leggermente orgogliosa, Finnick mi regala un grande sorriso e avvicina la mia mano alla sua bocca.
Dio quanto è bello, luminoso più del sole, il busto marmoreo è fasciato in una camicia bianca a cui sono stati strategitamente lasciati slacciati i primi bottoni, le gambe sono abbracciate da un paio di pantoloni di pelle nera, questo particolare mi fa sorridere, non capisco perchè ci abbiano vestiti uguali, neanche fossimo due tributi dello stesso distretto che stanno per sfilare per gli Hunger Games.

- Ho già avuto il piacere – dico rivolta a Snow sottintendendo che avrebbe anche potuto avvisarmi che il piano superiore non faceva parte dei miei alloggi, Finnick mi prende per un braccio – Vieni, balliamo! - e mi trascina al centro della sala.

Ho sempre adorato ballare, fin da bambina quando durante le feste nel 7 mi arrampicavo sui tavoli e rallegravo la serata a tutto il distretto, crescendo ho coltivato la mia passione con un po' più di discrezione.

Quando Finnick comincia a muoversi a ritmo di musica, trascina anche me guidandomi nei movimenti con una scioltezza ed una confidenza che personalmente, non sono capace di dare ad una persona che conosco da così poco, invece lui sembra che sappia sempre cosa fare, cosa dire, non sbaglia mai, non si sente mai a disagio e perchè dovrebbe? È un vincitore, è giovane, bello, ha ogni donna che vuole, ogni cosa che vuole, tutto.
Nessuno riesce a negare nulla a Finnick Odair!
Nemmeno io quando azzera la distanza tra noi e mi prende per i finchi, riesco a negarglielo, così mi lascio guidare in una danza che solo lui conosce – Tu sai perchè ci hanno vestiti uguali? - chiedo quando il mio cuore riacquista qualche battito,alzando la voce per la musica alta, lui ride – Vedi qualcun'altro come noi? - mi chiede avvicinando le labbra la mio orecchio – Come? - cerco di capire, alza le spalle – Vincitori, giovani, belli,desiderati da tutta Panem, famosi, ricchi...devo continuare? - risponde irriverente – Ma questo sei tu! Sì, io sono una vincitrice, sono giovane, ma non credo di essere poi così bella, non più di tante altre ragazze, di certo non sono desiderata da tutta Panem e non sarò ricca fin quando non sarò libera di tornare a casa mia a spendere i miei soldi come mi pare! - sentenzio tutto d'un fiato senza nemmeno accertarmi che con questa musica alta abbia capito.
Finnick sfiora con le sue labbra il mio orecchio – Sì che sei bella – mi sussurra con voce suadente per poi scoppiare a ridere; ha davvero solo questo da ribattere al mio discorso?

All'improvviso i suoi occhi verde mare abbandonano i miei e fissano qualcosa dietro di me, quando mi giro vedo il presidente Snow che parla con una donna e di tanto in tanto lancia a Finnick occhiate taglienti, lui si stacca bruscamente allontanandosi da me, mi bacia la mano e raggiunge il presidente e la donna accanto a lui.
Poco dopo lo vedo ballare con la stessa donna, che potrebbe essere sua madre, che gli si avvinghia come un polpo con l'improbabile parrucca viola melanzana appoggiata al suo petto abbronzato, mi domando chi sia quella donna e perchè Finnick sia scappato così quando ha visto che parlava con Snow.
Li guardo disgustata, poi sento qualcuno afferrarmi il braccio – Vieni con me, cara, dobbiamo parlare – dice Snow, preferivo di gran lunga quando mi dava del 'lei', mi dava l'illusione che fosse più distante, che fossi più al sicuro, ora invece mi parla come se ci conoscessimo, come se fossimo amici, lui non mi conosce, lui non è mio amico.

Mi trascina in una stanzetta con dei divani, mi fa accomodare e poi inizia il suo discorso.

Esco scovolta da quella stanza, sbattendo la porta, urlo, sicura che la musica alta coprirà la mia voce, urlo, sicura che nessuno si accorgerà di me, sono tutti troppo impegnati a ballare, a mangiare, a divertirsi nei modi strani e perversi che solo la capitale sa offrire, invece qualcuno mi nota.
Finnick mi prende per mano, mi porta su una terrazza, l'aria fredda mi accarezza il viso, il vento mi scompiglia i capelli, guardo il cielo buio, non ho più la forza nemmeno di urlare.
Perchè Snow mi fa questo? Cosa ho fatto di male? Perchè non vuole lasciarmi in pace? Ho fatto quello che voleva, ho recitato la mia parte, voglio tornare a casa.

- Te l'ha chiesto vero? - domanda a bassa voce Finnick, non gli rispondo e la sua domanda cade nel vuoto, spazzata via dal vento – Ti ha chiesto di vendere il tuo corpo...non è così? - aggiunge dopo un po', segue un lungo silenzio, non c'è bisogno di alcun segno d'assenzo, lui sa che è così – Io non lo farò – sembro convinta mentre dico queste parole al cielo, sento la sua risata alle mie spalle, ma non è frizzante e giocosa, per la prima volta è triste, amara, intrisa di una dura consapevolezza – Oh, si che lo farai! Ti renderà al vita un inferno, prometterà di tenerti qui per il resto dei tuoi giorni, minaccerà ogni persona che ami...e tu lo farai! - .

Non c'è bisogno di chiedergli niente, non c'è bisogno di dirsi nient'altro, quando mi giro e guardo nei suoi occhi verde mare già lo so, so che lui capisce, che lui c'è passato, e all'improvviso diventa chiarissimo chi fosse quella donna con cui ballava, diventa chiarissimo chi è Finnick Odair.

Finnick Odair la leggenda di Panem.
Finnick Odair il vincitore..
Finnick Odair un corpo in vendita.
Finnick Odair il ragazzo che tutti vogliono.
Finnick Odair il ragazzo che tutti possono avere.
Finnick Odair quello che recita una parte, quello che vive una vita che non è la sua.

Quella notte non riesco a dormire, appena chiudo gli occhi i vecchi incubi dell'arena si sovrappongono a quelli nuovi, fatti di segreti ed intrighi, di ricatti e di minacce, non riesco a decidere quali siano peggio.
Quando mi sveglio urlando per l'ennesima volta, la testa ramata di Finnick fa capolino dalla porta

- Incubi eh? - domanda con il tono di chi la sa lunga, anche lui è un vincitore e scommetto che sono i miei stessi incubi a tenerlo sveglio, annuisco con fare distratto, si siede sul letto - Ora calmati – bisbiglia spostandomi i capelli dietro un orecchio – Io...io li rivedo morire, sono tutti morti ed è tutta colpa mia... - annaspo cercando aria – Shhh....dormi - mi sussurra portando la mia testa sul suo petto.
Ma non dormo, ogni volta che chiudo gli occhi gli incubi riaffiorano e l'unico modo di allontanarli è tenerli aperti, non dorme neanche lui, stringe in mano qualcosa, è un pezzo di corda, lo annoda e poi lo scioglie per riannodarlo ancora e riscioglierlo – Che cos'è? - gli chiedo quando oramai entrambi ci siamo arresi a rimanere svegli – è il mio modo per non impazzire – risponde con semplicità – Tu non sei pazzo Finnick! - cerco di rassicurarlo, ma sembra che in qualche modo le mie parole lo abbiano colpito – Non c'è nulla di male ad essere pazzi – mi risponde con fierezza e ricomincia a fare i suoi nodi.

Passa la notte ad armeggiare con il suo pezzetto di corda ed io guardo incantata la danza che compiono le sue dita, che prima creano e poi disfano.

Quando mi alzo, vado in bagno a lavarmi il visto e guardando il mio riflesso noto quanto la scorsa notte insonne sia impressa sulla mia faccia, quando ritorno in camera e guardo Finnick scopro che anche lui non è messo meglio, ridacchio divertita immaginandomi i commentoi inorriditi quando i nostri preparatori verranno a farci visita – Guarda, il tuo bel visino è rovinato da queste occhiaie! Non vorrei trovarmi qui quando arriveranno i tuoi preparatori! - lo prendo in giro mettendogli davanti uno specchietto, lui fa un sorriso tirato ed evita accuratamente di guardare il suo riflesso

- Cos'hai? - domando preoccupata di averlo turbato – Niente, è che non mi piace guardarmi allo specchio...- dice atono, poi notando il mio disappunto sorride per farmi capire che non è successo nulla.
Anche se mi sforzo non riesco proprio a trovare un solo motivo per cui Finnick non dovrebbe aver voglia di guardarsi allo specchio, non c'è ragazzo più bello in tutta Panem, infondo è anche grazie alla sua bellezza che ha vinto gli Hunger Games, soprattutto per quella, se è qui lo deve tutto al suo bel viso e al fisico scolpito.
Tutt'un tratto capisco, è vero la sua bellezza lo ha fatto vincere, lo ha tenuto in vita, ma è colpa della sua bellezza se ora deve stare qui, imprigionato anche lui in questa gabbia dorata, costretto a vendersi per salvare le persone che ama...è così che finirò anch'io? Odierò così tanto quella in cui mi trasformeranno, da non riuscire nemmeno più a guardarmi allo specchio?
No, io non gli permetterò mai di trasformarmi in qualcuno che non sono!
'Lo hanno già fatto!'
No, non è vero.
'Ti chiami forse Anna?'

All'improvviso ho paura, paura che sia troppo tardi anche per me, paura di affondare in quest'abisso e non saperne più emergere, vorrei urlare al mondo quanto sia ingiusto tutto questo, vorrei rivelare a tutti la verità, per non dover più mentire; ma a cosa servirebbe?
'A farti ammazzare, Jenna!'
E se non mi importasse di morire?
'Allora ammazzeranno tutte le persone che ami!'
Allora sono condannata a mentire per il resto dei miei giorni.

- Finnick? - lo chiamo all'improvviso, lui gira la testa verso di me – Sei brutto! - affermo seria, sul suo viso si apre un sorriso – Dico davvero, sei brutto! - insisto indicando il suo viso segnato dalle occhiaie, il suo sorrido si allarga, poi si trasforma in una risata, così limpida e spensierata che mi contagia.

Così ridiamo insieme, ridiamo così tanto che ci fanno male i muscoli della faccia e dobbiamo tenerci la pancia, ridiamo così tanto che ci escono le lacrime dagli occhi, poi la sua risata si spegne come si era accesa e lascia solo una sottile scia: un sorriso, il sorriso di un bambino, non c'è malizia nè sarcasmo in quel sorriso, per una volta c'è spensieratezza, per una volta non è un sorriso finto, costruito per le telecamere, per una volta è un sorriso vero, il sorriso del vero Finnick.

Passiamo giorni in cui ci facciamo compagnia a vicenda e le ombre che perseguitano entrambi, sembrano un po' meno pesanti da portare sulle spalle se hai qualcuno con cui dividerle.
Ma certe ombre devi affrontarle da solo e quando una sera una macchina bianca porta via Finnick, mi chiedo da quale delle sue annoiate e ricche clienti lo stia accompagnando, la notte non riesco a dormire, lui non verrà a consolarmi quando i miei incubi verrano a farmi visita, e chi consolerà lui quando arriveranno i suoi?
Poi trovo sotto il cuscino il suo pezzetto di corda, lo stringo forte nel pugno, e comincio a fare e disfare nodi facendo finta che Finnick sia vicino a me, dopo molto comincio a sentire le palpebre pesanti e credo che la stanchezza stia per vincermi, quando una risatina mi fa riaprire gli occhi - Non li sai fare i nodi! - mi prende in giro Finnick, in effetti ora che guardo il pezzetto di corda annodato, devo ammettere che quando lo fa lui è molto meglio – Insegnami – dico contenta che sia ritornato – Ora sono stanco...Domani! - promette lui.

E mantiene la sua promessa, passiamo tutto il giorno dopo ad annodare quel pezzetto di corda, le ombre sembrano essersene andate, ma poi verso sera ritornano, stavolta tornano per me.
Ma certe ombre devi affrontarle da sola e quando la stessa macchina bianca di ieri si ferma fuori casa, Finnick sa che non può fare niente, mi stringe forte la mano tra le sue prima di lasciarmi andare.

Questa notte io non andrò a consolarlo quando i suoi incubi verrano a fargli visita, e chi mi consolerà quando arriveranno i miei?
Quando apro il pugno vedo che mi ha lasciato in mano il suo pezzo di corda, mentre la macchina mi porta via, faccio e disfo i nodi che mi ha insegnato Finnick.





Angoletto dell'autrice innamorata di Finnick Odair :
Ok, come potevo non metterlo? Dovevo, per forza!
Finnick è il mio personaggio preferito della trilogia, dovevo per forza ficcarlo in qualche capitolo, o il mio cuoricino ne avrebbe risentito davvero molto...ora anche se a malincuore devo devo accantonare 'mio marito' per concentrarmi sul capitolo...
A parte lui c'è poco da dire, solo una precisazione magari qualcuno fraintende: il rapporto che volevo creare tra Finnick e Jenna è fraterno, anche se si conoscono da poco, si aggrappano l'uno all'altra perchè sono soli ad affrontare 'ombre' più grandi di loro.
Spero che questo capitolo, leggendolo, vi abbia suscitato una qualche emozione, qualsiasi!
Come sempre grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, un bacio a tutti: Hoshi98, _Nica89_, Bessie, Water_wolf.... GRAZIE!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Angoletto dell'autrice che sa scrivere solo di sera:
Eccomi quà :)
è liberatorio finire di scrivere un capitolo, mi sento per un momento più leggera, ma dura solo un attimo perchè poi comincio a pensare a cosa scrivere in quello successivo e allora ricomincia tutto da capo...
Mentre scrivevo questo caitolo, ho dovuto prendere una decisione, alla fine ho optato come mio solito, per la via più complicata, ma che ci volete fare, sono una masochista!
Mi farebbe davvero piacere e mi sarebbe utile, se dopo aver letto, vorreste lasciarmi un vostro commento in cui mi dite cosa ne pensate di questa decisione.
Ringrazio moltissimo chi ha la pazienza di recensire ogni mio volta e chi lo ha fatto per l'ultimo capitolo: Hoshi98, _Nica89_, Signora Salvatore, Water_wolf, Bessie  e Giuli_Sunlight .
Spero che vi piaccia quello che ho scritto, un bacio, Akilendra






Capitolo 17



Finnick mi sta vicino, non fa altro da due giorni, all'inizio ha cercato di farmi reagire, di farmi rialzare dal pavimento della mia camera, che era diventato improvvisamente più comodo di una poltrona, poi quando ha capito che non lo avrei fatto, si è seduto accanto a me – Vuoi una zolletta? - mi ha chiesto porgendomi una manciata di quadratini di zucchero.


Ne ciuccio una mentre guardo incantata le sue abili mani intrecciare il solito pezzo di corda, non voglio nient'altro, mi basta tenere il cervello occupato per non permettergli di pensare, mi basta far finta di niente, soffocare il disgusto che provo, mi basta convincermi che niente sia successo.
Eppure è successo e non c'è modo di dimenticare.
Non parlo, non penso, mi limito a guardare Finnick, lui è silenzioso quanto me, con lui sento che sto quasi bene, sicuramente sto meglio che con me stessa, fare i conti con la propria coscienza è molto peggio.

Dopo pochi giorni la macchina bianca ritorna e con lei ritornano anche tutte le mie paure, i miei incubi, tutto quello che in questi giorni Finnick aveva cercato di allontanare.
Il tragitto è breve e quando scendo mi trovo di fronte una casa enorme, anche se forse chiamarla casa è un po' riduttivo date le dimensioni, due uomini vestiti da camerieri mi accompagnano dentro e mi fanno accomodare su una poltrona dalla tinta bizzarra posizionata davanti ad una porta, quando mi fanno cenno che posso entrare, metto la mano sulla maniglia, preparandomi psicologicamente a quello che ciò che mi aspetta.
Una parrucca blu elettrico e un sorriso brillante mi accolgono – Buonasera Anna -  mi saluta Caesar seduto sulla sua sedia dorata.
Non posso crederci, non lui.
Deve aver notato la mia faccia angosciata, perchè si alza e mi corre subito incontro

 - Ehi, tranquilla-  mi rassicura – Non sei qui per quello... - si affretta ad aggiungere subito guardandosi attorno come a controllare che nessuno possa sentirlo.

Mi fa sedere e comincia il suo discorso, man mano che parla, capisco che in realtà lui è dalla mia parte, è stanco di vedere Snow che sfrutta ragazzi innocenti; mi spiega come funziona lo squallido giro di affari del presidente e mi informa che non siamo solo io e Finnick, moltissimi altri vincitori sono costretti dai suoi ricatti a vedere il loro corpo.
Sento un profondo senso di gratitudine quando mi dice che ha 'comprato' ogni minuto del mio tempo mentre sono qui a Capitol City, lui non vuole niente da me, vuole solo aiutarmi, ed io non so  come ripagare il favore, mi ha resa libera, almeno in questo non sono più costretta ad obbedire a Snow.

- Chi te lo ha detto? - domando quando mi rendo conto che lui non poteva sapere dei ricatti del presidente contro di me – Una persona che ti vuole bene – dice sorridendo.

Questa notte dormo, la dolce speranza che niente sia perduto mi culla, Snow non è invincibile, oggi l'abbiamo ingannato.
Il giorno dopo però un po' di quella felicità si dissolve quando guardo Finnick, per lui non c'è stata una speranza, lui non ha avuto l'aiuto di nessuno e all'improvviso mi sento in colpa, come se fosse una gara a chi subisce più torti ed io avessi barato, concedendomi un briciolo di speranza.
Mentre pranziamo, ragiono su quello che è accaduto ieri e tutt'un tratto una convinzione si insinua nella mia testa e così capisco tutto – Finnick, sei stato tu vero?  - gli domando all'improvviso 

- Uhm? A fare cosa? - chiede facendo il vago mentre mastica il suo boccone – So che sei stato tu!- dico convinta che sia stato proprio lui ad avvisare Caesar, alza lo sguardo dal suo piatto e mi guarda ngli occhi senza dire nulla, poi ritorna a concentrarsi sul suo pranzo, dopo un interminabile silenzio,  quando ho rinunciato ad avere una sua risposta, lui parla senza preavviso – Il mio aiuto non può durare per sempre, lo sai vero? Ma per ora andrà bene, tra qualche giorno ripartirai e mi auguro che tu non debba più tornare qui – dice ammettendo la verità, ha ragione, lui e Caesar possono coprirmi solo per questi altri pochi giorni finché non ritorno a casa, spero con tutto il cuore che Snow non mi costringa di nuovo a tornare a Capitol City...ma sono quasi sicura che potrò stare tranquilla, tra non molto inizierà un'altra edizione degli Hunger Games, ci sarà un altro vincitore e Snow avrà un nuovo giocattolo con cui divertirsi.

Nei giorni che seguono non mi stacco un secondo da Finnick, lui mi capisce, lui sa cosa significa essere un vincitore, essere costretto a recitare una parte, con lui non recito, con lui per la prima volta dopo tanto tempo sono completamente me stessa.
Con lui riesco ancora a vedere uno spiraglio di luce, riesco ancora a credere che riuscirò ad andare avanti, a rialzarmi, come ho sempre fatto, mi aiuta ogni giorno, ogni giorno mi porge  la sua  mano, ed io ogni giorno l'afferro, mi ci aggrappo, mi ancoro a quell'unica sicurezza, quell'unico punto di stabilità che ho.
Finnick è una roccia, uno scoglio sul quale è facile trovare appiglio, così mi concedo per un po' di appoggiarmi a lui, lui è il mio bastone, la mia cura, accanto a lui le cose sembrano un po' meno difficili.
Ma prima o poi bisogna mettere da parte il bastone e camminare da soli, ma io non mi sento capace di farlo; quando una lettera di Snow mi comunica che posso tornare a casa, sento le lacrime salirmi agli occhi per la felicità, eppure mi tremano le gambe, come farò a camminare senza il mio bastone?

Finnick mi accompagna alla stazione, lui non viene con me, per lui non è ancora arrivata l'ora di tornare a casa, mi fa salire sul treno e mi permette di appoggiarmi a lui un'ultima volta – Per te – dice mettendomi in mano il suo pezzetto di corda, lo guardo e sento le lacrime salirmi agli occhi, lo abbraccio forte, così forte da fargli male, ma lui non protesta e mi accarezza i capelli – Grazie – gli sussurro all'orecchio.
Si scioglie dall'abbraccio – Abbi cura di te – si raccomanda sistemandomi una ciocca dietro l'orecchio, sospiro divertita preparandomi a sentire la sua predica da fratello maggiore, invece lui non dice niente, mi guarda solo, leggermente commosso non so neanche per cosa, ma non dura neanche un secondo che si ricompone subito – Vuoi una zolletta? - chiede riacquistando il suo solito tono impertinente, sorrido mentre ne afferro una e me la metto in bocca.

Guardo il verde mare dei suoi occhi sparire mentre il treno si allontana, ma sento ancora in bocca il sapore del suo zucchero.

Il viaggio mi sembra troppo lungo se penso alle persone che voglio riabbracciare, così come mi sembra troppo breve se penso alle risposte che dovrò dare loro.
Quando il treno si ferma e scendo gli scalini mi aspetto di sentire il peso di Anna che mi salta addosso... non lo sento.
Il calore del suo abbraccio, non lo sento.
Il tremolio della sua voce emozionata, non lo sento.

Alzo lo sguardo, Anna non c'è, dov'è? Cosa avrà da fare di così tanto importante da non venire a salutare sua sorella? Esiste davvero qualcosa di più importante?
No, non per me.
No, non per lei.

Papà mi abbraccia, in diciassette anni non mi aveva mai abbracciata così forte, appena si stacca mi soffoca subito Sam, quando anche lui si allontana, li guardo entrambi, i miei uomini, sorrido, perché nonostante tutto ora sono qui con loro.

- Lei dov’è? - domando sorridendo, Sam non sorride, papà trattiene una lacrima,  il mio sorriso si spegne subito – Dov'è? - domando tesa come la corda di un violino, nessuno risponde  la stazione risuona in un silenzio inquietante – Anna io... - mio padre cerca di iniziare un discorso che so già non risponderà alla mia domanda, mentre poggia una mano sul mio braccio – Dov’è mia sorella? - urlo liberandomi dalla sua presa.
Tutto tace e nel silenzio surreale che c'è riesco persino a sentire il battito dei nostri cuori, riesco persino a sentire i miei peggiori incubi materializzarsi sotto i miei occhi, prego di sbagliarmi, prego che i miei pensieri non trovino conferma.
Papà mi prende per mano e mi guida finché non si ferma e si gira a guardarmi.

Ho davanti a me i miei boschi...quello che rimane dei miei boschi.

 

Le belle chiome verdeggianti sono state mangiate dalle fiamme, rimane solo la cenere di quelli che un tempo erano pilastri secolari, vecchi testimoni di una storia antica quanto la vita.

Crollo in ginocchio sopraffatta dal dolore, calde lacrime rigano il mio viso mentre guardo la cenere nera in cui è ridotto quello che un tempo era il posto più bello che di tutti, il mio rifugio quando volevo scappare dal mondo.
Un incidente, una tragica fatalità, un fuoco appiccato e poi non spento come si deve, ha bruciato tutto, ha bruciato tutti, Anna era là.
 

Cenere.
No, non può essere.
Cenere.
Lei non può essere  morta.
Cenere.
Se non ho più neanche lei come farò?
Cenere.
Se non ho più lei cosa mi rimane?
Cenere. 

E non c'è voce che basti per urlare il mio dolore, non ci sono lacrime che possano dire quanto ho perso.

Anna, l'altra me.
Anna, la mia immagine riflessa allo specchio.
Anna, il mio pezzo mancante.
Anna, l'altra faccia della medaglia.
Anna, mia sorella. 

Perché? Perché lei?

La vita mi ha tolto l'unica cosa per cui avrei rinunciato a tutto, la vita mi ha tolto l'unica cosa per cui ho già rinunciato a tutto.

E come farò a rialzarmi questa volta? Come farò a guardarmi allo specchio, senza vedere lei?
Questa  volta non ce la faccio, questa volta non mi rialzo.
 

Passano giorni in cui penso di essere morta, semplicemente la mia vita è ferma, non va avanti né indietro, la mattina mi sveglio e non so trovare un motivo per cui l'ho fatto, apro gli occhi e non so trovare una ragione per cui mi meriti di tenerli aperti.
Eppure né papà né Sam sembrano intenzionati a farmi mollare, loro al contrario di me vivono ancora, la loro vita non è ferma, la vedo camminare veloce, ma io non so raggiungerli, sono loro che tornano indietro a riprendermi, mi trascinano avanti, mi guidano tenendomi per mano, ma non capiscono che vivere è camminare da soli.

Un giorno, uno di quelli buoni, di quelli in cui papà si permette di uscire e lasciarmi per pochi minuti da sola senza aver paura che faccia qualcosa di stupido, il telefono squilla, intenzionata ad aspettare che smetta, lo ignoro, ma non smette e allora lo raggiungo e lo fisso, come se il mio sguardo possa dissuaderlo dal continuare a squillare, ma continua e siccome è proprio uno di quei giorni buoni, decido dopo tanto tempo di rispondere.

- Buongiorno – mi saluta una voce che purtroppo conosco bene.
Snow.
Sento gelarsi ogni goccia del sangue che ho nelle vene, è possibile che neanche adesso mi sia concesso un attimo di pace?
- Cosa vuoi? - domando senza sforzarmi di essere garbata, una risata mi risponde dall'altro capo del telefono – Io sarei più cortese fossi in te...- mi dice con un tono di minaccia che non tollero, sto per riappendere la cornetta quando parla di nuovo – Tua sorella è mia ospite –  dice facendomi bloccare all'istante la mano – Mia sorella è morta – dico piano e sto per riattaccare, ma mi blocco di nuovo  – Jenna... -  chiama una voce, la sua voce.
Anna.

No, non può essere, lei è morta.
Sento le lacrime bagnarmi in viso, non posso crederci, non può essere, io ho visto la cenere, lei è morta, eppure ho sentito la sua voce, lei è viva, Anna è viva.

La felicità che provo in questo momento oscura tutto, i giorni di dolore, gli incubi, le lacrime, la disperazione...e per un momento mi sembra che sia davvero cancellato per sempre tutto il male che ho passato; poi dopo un attimo, l'angoscia ritorna più forte di prima: Anna è viva...ma è con Snow.

- Che cosa vuoi? Cosa vuoi ancora da me? Ho fatto tutto quello che volevi! Perché l'hai presa?- urlo in preda al panico – Tua sorella è la garanzia che non farai niente di stupido, è la garanzia della tua lealtà, ma soprattutto è ciò che ti ricorda che le regole in questo gioco le faccio io... prova anche solo a farti venire in mente qualche strana idea e io la uccido! - mi minaccia – Farò tutto quello che vuoi, ma tu lascia andare Anna! -  lo prego tra i singhiozzi – Potresti continuare a recitare la tua parte per cominciare... - dice ricordandomi il mio ruolo – Promettimi che libererai Anna! - insisto – Sei tu Anna! - risponde prima di riattaccare.

Ora sì che le cose sono complicate, Snow ha Anna ed io sono intrappolata nei suoi ricatti e nelle mie bugie e ovviamente sono sola, perché papà deve rimanere fuori da questa storia e per quanto riguarda Sam, meno sa di tutto questo e meglio riuscirò a proteggerlo.

- Cosa è successo? - chiede Sam aprendo all'improvviso la porta e trovandomi accasciata a terra tra le mie lacrime.

Troppo tardi.
Ho fatto di tutto per proteggere le persone che amo, ma non è servito a niente: Snow ha rapito Anna ed ora non posso nemmeno più proteggere Sam.

Gli racconto della telefonata, mi stringe forte a lui – E tu pensavi di non dirmi niente? Volevi affrontare tutto questo da sola? - chiede sconvolto – Io volevo proteggerti... - cerco di giustificarmi tra le lacrime – Lascia che sia io a proteggere te – mi dice dolcemente posandomi una carezza sulla guancia – Dovresti rimanere fuori da tutta questa storia, io non voglio che Snow se la prenda anche con te! - cerco di convincerlo – Ehi, io non ti lascio da sola! - dice prendendomi il viso tra le mani
- Ed ora che facciamo? - domando smarrita, lui invece è sicuro quando mi risponde   – Troviamo il modo di riprenderci Anna! - .

Davvero due semplici ragazzi possono opporsi a Capitol City?
‘Si che possono
E possono anche vincere?
‘Possono provarci’

Noi ci stiamo provando.
per mesi non facciamo altro che pensare ad un modo per liberare Anna, senza mai trovarne uno, è un rebus a cui finora, non siamo riusciti ad arrivare a capo.
Potremmo ingannare Snow, spostare la sua attenzione per un po' altrove, quel tanto che ci basta per riprendere Anna, ma ammesso che ci riuscissimo, cosa faremo dopo?
Ci cercherebbe, ci troverebbe e ci ucciderebbe...e noi non possiamo  permetterci di morire, non dopo tutto quello che abbiamo fatto.

Così il tempo scorre ed ogni secondo che passiamo senza trovare una soluzione ci appare irreparabilmente perso, per sempre, un altro secondo sprecato, un altro secondo che avremmo potuto usare per salvare Anna.

Ogni tanto mentre cerco una soluzione, mi perdo, per fortuna c'è Sam, lui non si perde, non gli capita mai di smarrire se stesso nella ricerca, lui ogni mattina si sveglia sempre più forte per perseguire la sua missione, io ogni giorno mi sveglio più prosciugata da una soluzione che sembra sfuggirmi ogni volta che la sento vicina, è estenuante, ma non mollo, la riporterò a casa.
 

- Svegliati – mi sussurra piano Sam baciandomi un orecchio, sorrido e mi giro dall'altra parte del letto dandogli le spalle, lui non si da per vinto e mi scuote per le spalle – Amore, svegliati- dice prima di ricorrere al solletico, mi contorco tra le lenzuola e non potendo più resistere apro gli occhi, riservandogli un'occhiata truce per avermi svegliata – Come mi hai chiamata? - domando reprimendo uno sbadiglio – Chi, io? In nessun modo, amore – dice con un falso tono innocente – Lo hai appena rifatto – commento trattenendo una risatina – Deve essere un giorno speciale oggi... - commento sarcastica – Oh sì, oggi qualcuno diventa più vecchio...- risponde impertinente regalandomi un grande sorriso, sorrido di rimando, oggi è il mio compleanno.

- Allora cosa vuoi? - mi domanda non smettendo un attimo di sorridere, lo guardo interrogativa
– Oh, andiamo, è il tuo compleanno, esprimi un desiderio - .

 Un desiderio...il pensiero va subito ad Anna, oggi è anche il suo compleanno, chissà cosa starà facendo, chissà se sta bene, chissà a cosa pensa, magari anche lei sta esprimendo il suo desiderio. 

Voglio che ritorni a casa, voglio poterla riabbracciare, voglio poter risentire la sua voce, rivoglio mia sorella.

- Fatto – bisbiglio, Sam mi guarda, aspetta che gli dica il mio desiderio – Non posso dirtelo, altrimenti poi non si avvera – gli spiego – Ma se non me lo dici come faccio ad esaudirlo? - domanda ridendo appena, la verità è che sa benissimo qual'é il mio desiderio, e sa che non può esaudirlo, così come lo so io.

Sam mi riempie di regali, trovo fiori in casa ovunque, biglietti di auguri, biscotti e cioccolatini a volontà e poi un ciondolo, è una pietra, rossa come il sangue, è spezzata, quando guardo meglio noto che l’altra metà la indossa Sam, sorrido e la metto al collo, accanto alla gemma color ghiaccio di Ares.

 

Ma il regalo più bello arriva qualche settimana dopo, quando inizia la nuova edizione degli Hunger Games, è un tributo, una ragazza, la noto immediatamente,  è diversa da tutti gli altri, se c’è qualcuno che può cambiare le cose è lei, appena la guardo capisco che può essere la soluzione che stavo cercando, lei può essere la mia speranza, nei suoi occhi vedo una scintilla, il suo nome è Katniss Everdeen.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Angoletto dell'Autrice mentalmente instabile:
Ce l'ho fatta, con un giorno di ritardo, ma ce l'ho fatta!
Devo ammettere che avevo immaginato il capitolo totalmente diverso, quando l'ho riletto le sensazioni che ho provato non coincidevano con quelle che all'inizio avevo pensato di aver scritto, alla fine ho lasciato il capitolo così perchè sentivo che non c'era altro modo in cui lo avrei potuto scrivere...ok, non preoccupatevi se non avete capito, anch'io certe volte stento a capirmi!
Spero che il capitolo vi piaccia e non deluda le vostre aspettative e spero che vi ispiri qualche recensione da lasciarmi.
Grazie mille a chi ha recensito la volta scorsa: _Nica89_ , Bessie, lula99, Water_wolf, Hoshi98   un grande bacio a tutti!






Capitolo 18



Katniss Everdeen, distretto 12, sedici anni, occhi grigi, capelli scuri raccolti in una treccia.
Katniss Everdeen, la ragazza in fiamme.
Katniss Everdeen, la scintilla.
Katniss Everdeen, la mia ultima speranza.
 
Se c’è una persona in tutta Panem in grado di aiutarmi, quella è lei; lo sapevo, l’ho saputo fin dal primo momento che ho incrociato il suo sguardo sullo schermo, lei è la scintilla, lei è la mia ultima possibilità.
Deve vincere, deve tornare indietro, devo parlarci, deve aiutarmi, devo crederci, altrimenti non vado avanti.
 
 Così decido di non perderla d’occhio, stacco gli occhi dalla schermo solo per dormire, non perdo neanche un secondo dei suoi giochi.
 
Sono lì quando il suo compagno di distretto la tradisce, sono lì quando scappa dai favoriti, sono lì quando strige alleanza con  Rue,  sono lì anche quando le da l’ultimo saluto coprendola di fiori, vedo la sua opera solo per un secondo, prima che gli strateghi censurino la scena e gli schermi diventino neri.
Sono lì quando è ferita, sono lì quando Claudius Templesmith le annuncia il cambio delle regole, sono lì quando urla al cielo il nome di Peeta, sono lì quando lo ritrova.
 
Così diventano in due e capisco che se voglio che torni a casa, devo tifare anche per lui.
E alla fine ce la fanno, rimangono solo loro due nell’arena, sono felice, penso che ce l’hanno fatta finalmente, quando la voce metallica di Claudius Templesmith annuncia che le regole sono cambiate di nuovo:  può esserci un solo vincitore.
 
Si guardano per un lungo istante, li guardo anch’io e il mio cuore si ferma, proprio come i loro, so che se Katniss volesse vincere lo avrebbe già fatto, è senza dubbio più veloce, più forte, più furba, ha ucciso, ma non ucciderà lui, lei non vuole vincere, non se questo significa la morte di Peeta.
 
Poi guardo lui, nei suoi occhi non c’è che amore, se guardando in quelli di lei ho trovato la certezza che non lo ucciderebbe mai, quando guardo nei suoi non ho il minimo dubbio che non esiterebbe un solo secondo a togliersi la vita per darle la vittoria.
 
Ma allora perché non lo fa?
 
Lei deve vincere, lei deve sopravvivere, lei deve tornare a casa, io devo parlarci, lei deve aiutarmi, devo crederci, altrimenti non vado avanti.
 
Ma a quanto pare le sue intenzioni non coincidono con il mio egoismo, la guardo estrarre dalla tasca una manciata di morsi della notte, bacche velenosissime, ne mette un po’ anche nelle mani di lui, si guardano per un momento negli occhi, si stringono la mano libera.
 
Che fai Katniss?
 
Cominciano a contare.
 
Uno.
 
No, non puoi farmi questo.
 
Due.
 
Tu non puoi morire, tu devi aiutarmi, tu sei la scintilla, tu sei la mia ultima possibilità.
 
Tre.
 
Le bacche sono appena passate attraverso le loro labbra che le trombe iniziano a squillare.
La voce concitata di Claudius Templesmith urla sovrastandole – Fermi! Fermi! Signore e signori, sono lieto di presentarvi i vincitori dei Settantaquattresimi Hunger Games, Katniss Everdeen e Peeta Mellark! Ecco a voi…i tributi del Distretto 12! –
 
Ce l’hanno fatta, hanno vinto!
 
Con la loro vittoria ritorna in me anche un po’ di speranza.
Katniss Everdeen e Peeta Mellark, gli innamorati sventurati, loro che ce l’hanno fatta, loro che hanno vinto in due.
Non posso non pensare che per me ed Ares questa possibilità non c’è mai stata, noi non abbiamo avuto la fortuna di avere una scelta, noi non abbiamo avuto la fortuna di avere una speranza.
Non sono stata abbastanza brava, non sono stata all’altezza, Katniss invece ce l’ha fatta, ha convinto tutta Panem del suo amore incondizionato per quel ragazzo … non proprio tutta Panem …
Io non ti credo, Katniss, ho guardato nei tuoi occhi, gli vuoi bene, faresti qualsiasi cosa per lui, gli hai salvato la vita e lo rifaresti altre mille volte, ma non lo ami, non come lui ama te.
Non puoi mentirmi, so bene che colore hanno le bugie negli occhi di chi le dice, perché colorano anche i miei.
 
Adesso non mi resta che aspettare, aspettare che passi il tempo e che arrivi il momento più opportuno per parlarle, ma come farò?  L’occasione potrebbe presentarsi durante il tour della vittoria, in questo modo sarà lei a venire da me, ma ho poco tempo, i vincitori rimangono in ogni distretto per un solo giorno.
Dovrò fare i fretta, ma non è così semplice,desterei troppi sospetti se la prendessi da parte in pubblico, per lo stesso motivo non posso di certo invitarla  a casa mia, la gente lo vedrebbe ed io non posso fidarmi di nessuno; se solo conoscessi qualcuno in grado di aiutarmi …
 
‘ Oh Jenna, tu sei amica della leggenda di Panem!’
Ma certo … Finnick!
 
Così decido di usare quello strambo aggeggio con tanti numeri stampati sopra che ho in casa.
 
-Pronto?  - risponde lui dall’altra parte della cornetta  - Finnick sono io … volevo chiederti un favore-esordisco concisa senza neanche salutarlo  - Oh Anna, buongiorno anche a te! – risponde ridacchiando col suo solito tono impertinente , sorrido anche se lui dall’altra parte della cornetta non può vedermi
 – Scusami, è che ho troppi pensieri per la testa … mi serve il tuo aiuto! – gli spiego – Chiedi e ti sarà dato – mi risponde  spavaldo , sospiro – Finnick? –  lo chiamo – Dimmi – risponde subito  - è una cosa seria! – dico  - Quanto seria? – mi domanda tutt’un tratto acquistando un ton grave  - Molto seria … - rispondo senza scompormi  - Allora non dovremmo parlarne per telefono  … - dice un po’ allarmato e prima che possa aggiungere qualsiasi altra cosa riattacca immediatamente.
Provo a richiamarlo, ma non risponde mai, qualche giorno dopo, all’alba, quando vengo svegliata dai miei incubi, trovo una sua lettera davanti alla porta.
 
Da Finnick, leggenda di Panem, ad Anna, piccola nullità.
Ok, faccio il serio … Ti ho spedito questa lettera perché se la cosa di cui devi parlarmi è così importante, allora non è saggio parlarne per telefono, le nostre linee potrebbero essere controllate o intercettate in qualsiasi momento, mentre invece le lettere sono un metodo molto sicuro, specialmente se a consegnarle è un’ottima amica del sottoscritto …
Spero che ciò che devi dirmi sia davvero qualcosa di serio, non sai quanto costa la carta bollata!
Consegna la tua risposta a Lara, la trovi alla stazione, sempre.
Un grande abbraccio, il tuo creatore di nodi preferito
 

 
Non posso non sorridere, questo ragazzo ne sa una più del diavolo, scrivo subito la mia risposta in cui gli racconto del rapimento di Anna, o meglio Jenna,  gli illustro brevemente le mie idee e la mia convinzione che Katniss Everdeen  la ragazza in fiamme, possa aiutarmi, infine gli chiedo se per caso, lui che sa sempre tutto, sa trovarmi un modo per parlarci in privato; poi vado alla stazione in cerca di questa Lara come mi ha detto lui nella lettera.
 
Mi guardo intorno, all’inizio non noto nessuno, poi la vedo, una ragazza bionda passeggia sui binari, dev’essere per forza lei, non conosco nessun altro che starebbe qui all’alba, mi avvicino piano – Lara? – domando quando la raggiungo, lei si volta e mi fissa con un’espressione dalla quale non trapela nessuna emozione, poi sorride appena, la guardo bene, i bei capelli dorati incorniciano il viso pallido con qualche lentiggine, i grandi e pacifici occhi color ambra brillano sotto la luce del sole nascente, è molto bella.
-Io … mi manda Finnick –  le spiego non sapendo bene cosa dire, lei annuisce comprensiva – Lo so, tu sei Anna … cosa devo dare a Finn? – domanda piegando leggermente la testa da un lato.
‘Finn’ …  mi chiedo che tipo di rapporto abbia con lui.
Le porgo la lettera, lei la prende e la mette a sicuro dentro la tasca della sua giacca, ci studiamo ancora per un attimo, nei suoi occhi da cerbiatto leggo quello che dai suoi gesti gentili e dal suo viso pulito è già chiaro.
-Devo portargli nient’altro? – mi chiede interrompendo i nostri scambi di sguardi – No … solo un abbraccio- rispondo sorridendo, anche lei sorride serena e dalla sua espressione mi sento di escludere che sia la sua fidanzata, so che non dovrei intromettermi in queste faccende, non sono affari miei, ma sono un’amica di Finnick e sono curiosa, cos’ha fatto questa Lara per meritarsi così tanta fiducia?
Decido che chiederò informazioni su di lei nella prossima lettera.
-Allora ciao  -  la saluto, lei accenna un sorriso gentile – Ciao Anna – dice prima di scomparire dentro al treno che è arrivato un attimo fa.
 
Dopo circa una settimana trovo un’altra lettera incastrata sotto la fessura della porta di casa, ovviamente è di Finnick, questa è più seria, mi scrive di quanto è dispiaciuto per mia sorella, non fa altro che ripetere che non è giusto, gran parte della lettera sono ingiurie contro Snow e contro ‘lo schifoso sistema corrotto’ della capitale, come lo chiama lui.
Con un sorriso leggo che ha anche una soluzione per farmi parlare con Katniss, dice spavaldo con testuali parole : “ Cara la mia Anna, dubiti che il tuo Finnick non abbia anche stavolta la soluzione? Te l’ho mai detto che ho un carissimo amico a Capitol City che guida i treni del tour della vittoria? “  poi passa alla spiegazione del suo piano, che in effetti non fa una piega: lui parla col suo amico, il quale felicissimo di fargli un piacere, farà tutto quello che gli chiede Finnick, sembra che nessuno riesca a resistere a questo ragazzo, quindi guiderà il treno fino a quando non si fermerà al Distretto 7, qui, esattamente la sera in cui i due vincitori dovrebbero ripartire si scoprirà un misterioso guasto al treno, quindi si dovranno fermare per quella notte  e ovviamente alloggeranno al villaggio dei vincitori, in cui la gente che non ci abita non passa mai e i vincitori che ci abitano sono troppo impegnati a scolarsi bottiglie di alcolici per dimenticare gli Hunger Games, per notare me che busso alla casa dove alloggia Katniss.
Finnick è un genio!
Lo scrivo anche nella lettera di risposta che consegno a Lara, senza dimenticarmi di aggiungere qualche domanda sulla misteriosa ragazza, il tutto contornato da una quantità esagerata di elogi a Finnick, con cui spero di accontentare il suo insaziabile super-ego.
 
Quindi aspetto, aspetto mesi interi, finché comincia il tour della vittoria ed il treno dei vincitori si ferma al Distretto 7.
 
Sono alla stazione quando Katniss scende dal treno, ha stampato in faccia un sorriso pateticamente finto, ma questo la gente non lo nota, vede solo la sua mano intrecciata a quella di Peeta, vede solo una ragazza follemente innamorata.
Quando i fotografi finiscono il loro assalto, è il turno dei presentazioni, Katniss e Peeta stringono cordialmente la mano prima al sindaco e poi ai vincitori del distretto 7, quando arriva a me la guardo bene negli occhi e mi assicuro che lei guardi nei miei – è un piacere conoscerti – mi dice in tono gentile sottraendosi alla morsa del mio sguardo.
Un po’ alla volta la stazione comincia a svuotarsi e le persone che fino ad un secondo fa la riempivano si spostano tutte nella piazza principale del distretto dove si terrà il discorso dei vincitori; anche noi ci spostiamo lì ed io più nervosa che mai, per il breve tragitto non faccio altro che torturare il braccio di Sam
-Ehi, stai tranquilla, vedrai che filerà tutto liscio. – cerca di tranquillizzarmi lui temendo seriamente per la sanità del suo braccio.
Quando arriviamo noi vincitori del distretto 7 occupiamo i nostri posti sul palco montato per l’occasione, Katniss e Peeta fanno la loro entrata, la gente sembra scaldarsi, applaude e festeggia i nuovi vincitori, applaude e festeggia chi per vincere ha ucciso i loro figli.
È Peeta a parlare, pronuncia il suo discorso con tono impeccabile, chissà in quanti altri distretti ha pronunciato queste stesse parole, quando finisce il sindaco mi mette nelle mani un grande mazzo di fiori, essendo la più giovane tra i vincitori sono io a dover dare l’omaggio del Distretto, mi alzo, sistemo le pieghe che si sono formate sul mio vestito stando seduta,  raggiungo il microfono al centro del palco e sistemo il mazzo di fiori tra le braccia di Katniss, i nostri sguardi si incrociano e per un breve momento ho l’impressione che il tempo si sia fermato, poi ripiombo nella realtà, ritorno seduta al mio posto, ma gli occhi di Katniss non hanno ancora abbandonato i miei.
La cerimonia per fortuna è molto breve e finisce subito, il tempo di un paio di falsi sorrisi, congratulazioni e frasi di circostanza e al tramonto riaccompagniamo i giovani vincitori alla stazione, ma all’improvviso, esattamente come previsto, il macchinista, l’amico di Finnick, annuncia che il treno ha un guasto e che ci vorrà del tempo per ripararlo, il sindaco ovviamente suggerisce subito di utilizzare le case nel villaggio dei vincitori, dice che ce ne sono tante inutilizzate e che sarebbe un onore poterli ospitare per questa notte.
Effie, la buffa donnina rosa accompagnatrice del loro distretto è contrariata, non fa che ripetere che faranno tardi e che la sua tabella di marcia ne risentirà moltissimo, ma alla fine, grazie anche all’insistenza di Haymitch, il loro mentore, accettano di buon grado di passare la notte nel villaggio dei vincitori.
 
Ora tocca a me, mi sento nervosa, e se mi prendessero per una pazza? Non sarebbe poi così lontano dalla realtà … ma non importa, non importa niente, importa solo Anna e so che se voglio liberarla ho bisogno dell’aiuto di quella ragazza.
 
-Vuoi che venga con te? – mi chiede Sam vedendo il mio nervosismo – No – rispondo subito, anche se so che la sua presenza mi calmerebbe – è una cosa che devo fare da sola – dico stampandogli un bacio sulla guancia prima di uscire – Ehi, aspetta! –  blocca la porta appena prima che la chiudessi – Ti sei scordata il tuo diversivo! – dice facendomi l’occhiolino e mettendomi in mano un fagotto con la cena che abbiamo fatto preparare a sua madre, mi batto una mano in fronte ed esco dopo essermi assicurata di non aver scordato nient’altro.
 
Il tragitto tra la mia casa e quella assegnata a Katniss è breve ed anche se non mi giro, so che Sam sta guardando ogni mio singolo passo dalla finestra.
Raggiungo la porta, busso è Peeta ad aprirmi, lo guardo sorpresa, mi aspettavo di trovare solo Katniss in casa, dopo un attimo di indecisione recito ugualmente quelle poche parole che mi ero preparata  - Ehm … io ero venuta per portare la cena e per vedere se avevate bisogno di qualcosa, queste sono pur sempre case inabitate … - dico cercando di mostrarmi gentile ma allo stesso tempo sicura – Oh, grazie mille per la premura – dice prendendomi dalle mani il fagotto, per un momento ho paura che mi richiuda la porta in faccia, per fortuna Peeta è un gentiluomo – Ma prego, entra pure – mi invita mentre spalanca la porta – Accomodati – aggiunge sorridendomi e poggia il fagotto sul tavolo – Tu sei Anna, vero? La vincitrice dei 73esimi Hunger Games – domanda per pura cortesia sapendo già la risposta, annuisco sorridendo, lui mi restituisce il sorriso – Siete stati davvero molo gentili ad ospitarci al villaggio dei vincitori, avremmo potuto dormire sul treno – mi dice ringraziandomi, come se gli avessi offerto di alloggiare in casa mia – Figurati, queste case sono o non sono per i vincitori? – cerco di fare conversazione, Peeta accenna una risata anche se la mia non era una battuta – Non dovevi proprio disturbarti, davvero – dice aprendo il fagotto che ho portato – Ha un odore squisito, lo hai cucinato tu? – domanda entusiasta – Si – mento sperando che non mi chieda niente sulla ricetta; per fortuna non ne ha il tempo, perché veniamo entrambi distratti, Katniss  scende le scale, mi alzo dal divano, mi guarda, poi guarda Peeta che si affretta ad aggiungere – Kat, Anna è venuta a vedere se avevamo bisogno di qualcosa e ci ha anche portato la cena! –  dice con confidenza come se ci conoscessimo da anni, Katniss mi guarda ancora – Grazie mille – dice io sorrido e cerco di dare alla mia espressione un’aria gentile, quando vedo che lei non ci riesce ci rinuncio anch’io e torno a guardare Peeta
 - Io non vorrei disturbarvi … -  inizio a dire capendo che il mio piano è andato a rotoli, dovrò rimandare il mio discorso con Katniss.
-Ma quale disturbo? È un piacere, mangi con noi vero? – mi chiede Peeta, do uno sguardo alla tavola, ha già apparecchiato per tre – Io veramente … - cerco di dire – Oh, non voglio sentire scuse, è il minimo! – sentenzia lui.
Alla fine cedo e mi siedo con loro – Haymitch? – chiede Katniss prima di iniziare a mangiare, Peeta scuote la testa –Non vuole mangiare… - dice scambiandosi uno sguardo di intesa con lei.
 
Per tutta la cena cerco di parlare il meno possibile, apro la bocca solo per mandare giù i bocconi e per rispondere alle domande di Peeta che cerca educatamente di farmi entrare nella conversazione, con un po’ di sollievo noto che anche Katniss è un tipo di poche parole, ogni tanto si scambia lunghi sguardi con Peeta ed è come se avesse fatto un discorso intero, in quei momenti mi sento di troppo, perché anche se sono sicura che quella degli ‘innamorati sventurati’ è solo una recita, non posso non notare il forte legame che li unisce.
Ogni tanto Katniss guarda anche me ed io guardo lei, ci studiamo a vicenda, ho come l’impressione che sappia che non sono passata qui solo per portargli la cena; Peeta invece c’è cascato con tutte le scarpe, col suo sorriso sincero, l’aria innocente  e quell’innata gentilezza, non possiede quella malizia e quella diffidenza che invece ha Katniss, si vede bene nei suoi occhi che la vita, prima degli Hunger Games, lo ha deluso poche altre volte.
 
La serata passa in fretta, per fortuna c’è Peeta a riempire i silenzi miei e di Katniss, sto per andarmene quando lei mi ferma  -Perché sei qui, Anna? – domanda all’improvviso -Ma che dici, Katniss! – la rimprovera lui sorpreso.
Lo sapevo, non ti posso proprio ingannare Katniss, così come te non puoi ingannare me.
Ora dovrò dirgli la verità, vorrà dire che includerò nel mio piano anche Peeta.
 
-Non sono venuta qui per portarvi la cena e nemmeno per vedere se avevate bisogno di qualcosa … - inizio in tono calmo, Peeta mi guarda confuso, Katniss ha un’espressione di pietra – Ho bisogno del vostro aiuto – dico tutto d’un fiato, ora sono sorpresi entrambi, si scambiano un’occhiata interrogativa poi i loro occhi ritornano su di me ed io comincio a raccontare.
 
Gli racconto tutto, non ometto neanche un dettaglio, gli parlo di mia sorella, di come Snow l’ha rapita per colpire me; loro ascoltano in silenzio, quando sono io a zittirmi Katniss mi guarda negli occhi – E cosa avresti fatto per meritare l’odio di Snow? – chiede insospettita, un sorriso amaro si apre sul mio viso, non dovrebbe essere difficile per lei immaginarlo – Quello che avete fatto anche voi, l’ho sfidato, non mi sono piegata alle sue regole … - dico con una calma irreale – Ti sbagli, noi non abbiamo sfidato nessuno … - cerca di dire Katniss, con uno sguardo le chiedo di non continuare,  è inutile negare l’evidenza.
 
Decido di fidarmi di questi due ragazzi fino infondo e dico loro tutta la verità – Ho vinto gli Hunger Games, quando non sarei nemmeno dovuta entrare in quell’arena – cerco di spiegare, ma i loro sguardi mi dicono che non hanno ancora capito – Non è stato il mio nome ad essere estratto il giorno della mietitura …  io non sono Anna, sono Jenna – dico alla fine.
Nel silenzio che segue mi sento leggera, come se mi fossi liberata di un peso enorme e mi sentissi finalmente libera; parlo di nuovo solo quando sono sicura che abbiano recepito le mie precedenti parole 
- Ho bisogno del vostro aiuto – sussurro cercando i loro sguardi, ma i loro occhi sono abbassati sul pavimento incapaci di incrociare i miei – E perché sei così convita che noi possiamo aiutarti? – chiede Peeta alzando gli occhi da terra – Perché noi siamo uguali, condannati a recitare una parte per tutta la vita, il mio destino è anche il vostro. Verrà un giorno, come è stato per me, in cui Snow non si accontenterà più della vostra recita, vorrà sempre di più, vi venderà al miglior offerente, come foste oggetti e se cercherete di alzare la testa, lui minaccerà di fare del male alle persone che amate e allora non ci sarà più niente che non potrà costringervi a fare … - le parole escono sole dalla mia bocca, non so arrestarne il flusso – Voi non avete la minima idea del potere che avete in questo momento, la gente mi adora, ama gli ‘innamorati sventurati’, ama i suoi vincitori, in questo momento siete più potenti di Snow stesso … ho bisogno di voi – dico mettendo in ogni singola parola i mille sentimenti che mi attraversano in questo momento il cuore.
 
Per lunghi istanti cala sulla stanza il silenzio, poi dopo un po’ è Peeta a romperlo – Quello che ti è successo è davvero terribile, ma ti sbagli, noi siamo estranei a tutto questo, noi … - comincia una frase, ma è Katniss a continuarla – Noi non ne sappiamo niente di questa storia, nessuna finzione, nessuna recita ... –
Ci risiamo, perché si ostinano a negare l’evidenza? Non capiscono che di me possono fidarsi?
-Non mentitemi–  dico dura, ci guardiamo negli occhi per un tempo che mi pare un’eternità, poi proprio quando sono quasi convinta che stiano per cedere, che mi stiano per concedere il loro aiuto, il rumore di alcuni passi rompe l’atmosfera che si era creata.
Un uomo sulla mezza età scende sgraziato le scale, lo riconosco, è Haymitch, il loro mentore, ha l’aria di essersi appena svegliato e l’odore forte che emana fa pensare che sia ubriaco, ma quando parla la sua voce è limpida e decisa – Voi due, andate a letto- ordina ai ragazzi, loro sembrano un po’ titubanti per un attimo sono convinta che Katniss stai per replicare, ma poi sale anche lei le scale e scompare al piano di sopra, del coraggio dei due vincitori che hanno sfidato la capitale non rimane più niente.
Haymitch torna a guardare me, mi punta un dito contro – Senti ragazzina, dimenticati di questa sera, tu non hai mai parlato con loro, loro non possono aiutarti – dice in un tono che non ammette repliche, ma io replico lo stesso – Lei non capisce signore, io … - cerco di spiegargli, ma lui non mi ascolta, non mi da nemmeno il tempo di finire la frase – Ascoltami bene ragazzina, non te lo ripeterò ancora, devi dimenticarti di questa chiacchierata, sarà meglio per te, sarà meglio per loro! – dice con tono fermo – No che non sarà meglio per me, io ho bisogno del loro aiuto! –urlo a metà tra la furia e la supplica, la sua espressione si ammorbidisce, per un attimo la speranza che possa ripensarci si insinua tra i miei pensieri – Loro non possono aiutarti – dice alla fine con la voce tremante e gli occhi bassi mentre apre la porta e mi invita ad uscire.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19



Katniss Everdeen, il tributo del 12.
Katniss Everdeen, la vincitrice.
Katniss Everdeen, la ragazza in fiamme.
 
Eppure se penso a lei, non posso non ripensare alla ragazza dell’altra sera, quella ragazza che mi ha negato il suo aiuto.
Mi torna alla mente il suo sguardo confuso quando Haymitch l’ha cacciata, non più c’è traccia del coraggio della vincitrice degli Hunger Games, quel coraggio che ho visto nei suoi occhi dallo schermo, ormai ne è rimasto solo l’involucro, una ragazzina spaesata e diffidente verso il mondo.
Cosa me ne faccio di una ragazzina?
Io avevo visto una fiamma, ma evidentemente mi ero sbagliata, non c’è neanche una scintilla, lei non può aiutarmi.
 
Quando il treno del tour della vittoria lascia il mio distretto, con lei se ne anche la mia speranza, ora al suo posto c’è la rabbia, la frustrazione.
Lei era la mia ultima possibilità, ora non ho più neanche quella.
Eppure mi sembrava così diversa, lei ce l’ha fatta, davanti a lei persino le regole degli Hunger Games sono cambiate,  è in quella Katniss che ho sempre creduto, è di quella Katniss che ho bisogno.
Mi rifiuto di credere che quella con cui ho parlato è la stessa persona in cui ho riposto le mie ultime speranze, non può essere, non posso crederci, se lo faccio cos’altro mi rimane?
Non ho più un’idea, una speranza, non ho nulla in cui riporre la mia fiducia, avevo un piano, ma Katniss Everdeen mi ha tolto anche quello.
 
Col passare dei giorni, mi convinco che forse la vera Katniss è quella che ho visto con i miei occhi, infondo io so meglio di chiunque altro fino a che punto si può far finta di essere un’altra persona.
Una recita, ecco cos’era, tutto una recita, lei stessa una recita e tolta la finzione e le bugie, della vera Katniss rimane solo quella ragazzina confusa e diffidente con cui ho parlato, non la fiamma, non il coraggio, non la speranza, niente di tutto questo era vero, non c’è niente in lei che non fosse una bugia.
Ed io alle sue bugie ho creduto, io alle sue bugie mi sono aggrappata, le ho credute verità, ho creduto che fosse qualcun altro, ho creduto che fosse la persona di cui avevo bisogno.
Una bugiarda, ecco cos’è, solo una bugiarda.
 
‘ Proprio come te, non sei forse una bugiarda anche tu, Jenna?’
Si, è vero, sono anch’io una bugiarda, ma sono una bugiarda diversa, una bugiarda che al suo posto l’avrebbe aiutata.
‘Siete uguali, Jenna’
No, non è vero, sarò anche una bugiarda, ma non sono come lei. Lei è un’egoista, io no.
‘Si, che lo sei. Hai vinto gli Hunger Games, solo gli egoisti possono essere vincitori!’
 
Per settimane non trovo pace, ogni volta che la televisione si accende da sola e mi costringe a vederla, dentro di me combattono sentimenti contrastanti, c’è odio, per non avermi aiutata, c’è invidia, perché lei è riuscita a salvare le persone che ama, ha salvato Peeta, ha salvato sua sorella; io invece non ci sono riuscita, Ares è morto e lei mi ha levato l’ultima possibilità di salvare Anna.
Ma più la guardo e mi scopro che infondo a tutto, sepolto sotto il risentimento , c’è qualcosa che non so spiegare, quel qualcosa che mette a tacere tutto il resto, non so dargli un nome, so solo che ho paura a guardare quei suoi occhi grigi, ho paura di trovarci dentro un po’ di me, infondo ho paura di assomigliarle.
Continuo a ripetermi che è sbagliato quello che provo, che è giusto odiarla, perché lei non ha voluto aiutarmi quando poteva farlo.
 
Penso ad Anna, ripenso a questi anni passati ad essere l’una lo specchio dell’altra ed ora che è lontana mi fa male pensare alle litigate, ai momenti in cui avrei voluto allontanarmi da lei, ora è lontana e mai come ora ho avuto bisogno di averla così vicina.
 
Katniss non mi ha voluto aiutare, quando poteva farlo.
 
‘Le persone sbagliano, le persone hanno paura, poteva aiutarti, ma non era dovuta a farlo’
Non era dovuta a farlo.
‘Anche tua sorella una volta non ha voluto aiutarti quando poteva farlo’
 
Un ricordo si insinua prepotente nella mia mente e rivedo Anna al mio ritorno dagli Hunger Games, rivedo il suo sguardo mentre le chiedo di sostituirmi nel tour della vittoria, mentre le chiedo di ritornare ad essere se stessa, di poter ritornare ad essere me stessa, poi risento le sue parole e quel dolore al cuore forte come un anno fa.
 
Le persone sbagliano, le persone hanno paura, poteva aiutarmi, non voleva, alla fine lo ha fatto lo stesso.
‘Era dovuta a farlo’
Lei è mia sorella, non c’è niente che non le possa perdonare.
‘ Lei è tua sorella, Katniss non è nessuno’
 
 
Basta. Ancora un secondo chiusa in casa a rimuginare e potrei impazzire, ho bisogno di uscire, ho bisogno di aria fresca, ho bisogno di un’idea.
Esco in fretta e furia sbattendo la porta di casa, ma arrivata sul ciglio del marciapiede la mia determinazione si scioglie come neve al sole.
Ed ora che faccio?
Corro.
E all’improvviso il mio corpo sembra trovare un equilibrio che prima non gli apparteneva, troppo tempo passato a camminare, ora che corro mi sembra che la testa si svuoti, corro e non so neanche dove sto andando, non so neanche perché sto correndo.
Sto fuggendo. Lo faccio sempre, fuggo e cerco di mettere maggior distanza possibile tra me ed i problemi e mentre corro per un attimo dimentico da cosa sto scappando, ma dura solo un secondo perché dagli ostacoli non si può scappare, si può solo superarli e andare avanti, quindi mi fermo, mi volto dall’altra parte e ricomincio a correre.
Stavolta so dove sto andando, so perché sto correndo, corro perché ho deciso di oltrepassare l’ostacolo, corro verso ciò da cui fino ad un secondo fa stavo fuggendo, corro verso il bosco.
 
Eccolo, ilmio bosco, il posto in cui mi rifugiavo, il posto in cui scappavo dagli ostacoli, ora è diventato lui stesso un ostacolo, il ricordo tenebroso di ciò che era non potrà mai abbandonare la mia mente.
Ora è cenere.
Cenere può essere distruzione.
Cenere può essere rinascita.
 
Ho bisogno di aggrapparmi con tutta la convinzione e la forza d’animo che possiedo alla seconda, perché assieme a questo bosco possa rinascere io, perché assieme a questo bosco possa rinascere la speranza.
Ora ce l’ho una speranza, la speranza che niente sia perduto, nonostante la vita mi abbia levato molto più di quello che mi ha dato, nonostante debba soffrire per poi gioire, nonostante debba piangere per poi sorridere.
So che non sarà facile, non lo è mai stato.
E capiterà che anche la gioia farà male, che anche i sorrisi saranno amari, ma sarà pur sempre gioia, saranno pur sempre sorrisi, ho bisogno di crederci, ci voglio credere, ci credo.
 
Una mano si poggia delicata sulla mia spalla,mi volto, due occhi azzurri guardano nei miei, Sam mi sorride.
Dicono che il colore della speranza sia il verde, per me il colore della speranza è l’azzurro, azzurro come il mare, azzurro come il cielo, azzurro come gli occhi di Sam.
Lo abbraccio forte, fosse per me rimarrei stretta fra le sue braccia per sempre, è lui a trovare la forza di staccarsi, mi guarda negli occhi – Ed ora che facciamo? – domanda, non so perché me lo chieda, sono sicura che lo legge già nei miei occhi, credo voglia sentirmelo dire, ripenso a qualche mese fa quando fui io con occhi smarriti a fargli questa domanda – Troviamo il modo di riprenderci Anna! – rispondo come fece lui tempo fa e nei suoi occhi leggo al stessa determinazione che c’è nei miei.
Mi prende per mano, serro al stretta, in quell’abbraccio di dita trovo la forza che avevo perso.
Dev’esserci un modo per riportare a casa mia sorella, lo trovo, lo giuro, se non c’è, lo invento.
 
Non passa giorno in cui non concentri ogni fibra del mio essere a cercare un modo per salvare Anna, è difficile, snervante, mi sembra di non riuscire a trovare una soluzione, a volte lo sconforto mi sorprende e allora ombre oscuri si insinuano nella mia mente ed il pensiero che Snow le possa fare del male a mia sorella si fa strada tra i miei incubi la notte.
Per fortuna c’è Sam, lui c’è sempre quando mi succede, mi stringe forte, il calore del suo abbraccio mi tranquillizza, allora inizio di nuovo a ragionare, continuo a ripetermi che Anna sta bene, che Snow non può ucciderla perché lei è l’unica arma che il presidente ha contro di me.
 
Il tempo passa, non posso più aspettare, ho deciso che andrò a Capitol City, voglio incontrare  di persona quel viscido di Snow, ci parlerò, negozierò,ancora una volta sono disposta a tutto pur di salvare mia sorella. So che non è facile, è quasi impossibile andare a Capitol City senza destare sospetti, i treni sono controllati, Snow lo verrà a sapere e mi impedirà di partire, ma non importa, troverò un modo, ho deciso, andrò a Capitol City e mi riprenderò Anna, che lui lo voglia o no.
 
Qualche giorno dopo che ho preso la mia decisione, la televisione si accende, è molto strano mancano ancora un paio di mesi alla prossima edizione degli Hunger Games, poi capisco, questo è il 75esimo anno, l’anno della terza edizione della memoria.
-Ed ora onoriamo la nostra terza Edizione della Memoria – dice il presidente dallo schermo.
Prende tra le altre buste ingiallite, quella col numero 75, fa passare le dita sotto la linguetta ed estrae un piccolo quadrato di carta, senza esitazioni legge – Nel settantacinquesimo anniversario, affinché i ribelli ricordino che anche il più forte tra loro non può prevalere sulla potenza di Capitol City, i tributi maschio e femmina saranno scelti tra i vincitori ancora in vita –
 
Buio.
 
Tremo, eppure non fa freddo.
Perché Sam sta urlando?
Papà piange.
 
Io … non lo so come mi sento, niente, ecco cosa sento.
Niente.
 
Cosa sta succedendo?
Chiudo gli occhi, qualunque cosa sia non voglio vedere, li terrò chiusi fin quando non sentirò che tutto questo sarà passato.
 
Ma non passa, quel dolore allo stomaco è sempre lì, le urla di Sam feriscono ancora le mie orecchie, le lacrime di mio padre bagnano ancora il pavimento.
 
Ed io? Cosa sento io?
Niente, ecco cosa sento.
 
Ma cosa è successo?
Dev’essere colpa di Snow, è sempre colpa di Snow.
Era in televisione sono un attimo fa, ha detto qualcosa riguardo alla prossima edizione degli Hunger Games…
… i vincitori ancora in vita …
Io sono una dei vincitori ancora in vita, non capisco.
 
Poi capisco e vorrei non averlo fatto.
Di nuovo la mia mente sprofonda  nell’oblio.
 
No.
‘Devi essere forte, Jenna’
No.
‘Infondo ce l’hai già fatta una volta’
No. Non tornerò nell’arena.
 
Ed ora che faccio?
‘ L’unica cosa che sai fare, Jenna’
 
Inizio a correre. Scappo, scappo da tutto, scappo dal dolore, scappo dai ricordi, scappo dalla paura, scappo dalla confusione, vorrei scappare anche dagli Hunger Games, ma da quelli non si fugge.
‘Calma Jenna, c’è ancora una speranza’
Già, c’è ancora una speranza, potrei non essere estratta.
‘Ma non è questo a far male, lo sai, vero Jenna?’
Lo so. Fa male dover rivivere il passato, fa male non poter guardare avanti, fa male risvegliare gli incubi, fa male non sentirsi al sicuro.
Due anni fa, quando entrai in quell’arena, non avevo paura, non sapevo nemmeno cosa fosse la paura.
Ora invece ce ne ho, perché so cosa significa, perché ogni notte rivivo quell’orrore che è l’arena nei miei incubi.
Tante volte ho desiderato di morire, in questi due anni da quando sono tornata dall’arena l’ho voluto tante volte, ancora oggi quando penso ad Ares, mi divora il rimorso e mi sento in colpa perché sono viva e lui è morto.
Ma ora è diverso, io non voglio morire.
Non voglio e anche se volessi, non posso, io devo salvare Anna, non posso morire, non ora, non così.
 
Io devo riportare a casa mia sorella, devo andare a Capitol City, devo parlare col presidente Snow, non so come farò, troverò un modo.
‘Non serve trovarlo, un modo già c’è, Jenna’
 
Un’idea si fa strada nella mia mente.
Se devo morire, tanto vale che serva a qualcosa.
 
Mi è appena stato offerto il modo migliore per andare a Capitol City senza destare sospetti.
Ora so cosa devo fare.
Sì, andrò a Capitol City, sì rientrerò nell’arena, ma non perché sono costretta o perché una capitolina oca ha estratto il mio nome fra quello degli altri, questa volta dipende solo da me, questa volta sono padrona del mio destino.
Mi offrirò volontaria.
 
È strano come le cose possano cambiare tanto in fretta, solo un attimo fa non sapevo cosa fare, avevo paura, ora invece è tutto chiaro, ora non ho più paura, la determinazione è più forte di tutto.
 
Ritorno a casa ma Sam non c’è più, papà mi dice che se ne è andato poco dopo di me.
Lo cerco dappertutto, sembra che si sia nascosto proprio bene, poi lo vedo, seduto sullo scalino più alto della scalinata della piazza, guarda i gradini sotto di lui.
Mi avvicino, mi siedo accanto a lui, solleva per un attimo gli occhi dalla scala, i nostri sguardi si incrociano, vorrei dirgli così tante cose in questo momento, che forse la cosa migliore è restare zitta, così lascio che sia il silenzio a colmare gli spazi che le parole non potrebbero mai fare.
Lo abbraccio, e per la prima volta non sono io quella da consolare, per la prima volta è lui ad aggrapparsi a me, è lui a cercare rifugio fra le mie braccia.
-Scusa, sono scappato, non ti sono stato vicino quando avevi bisogno di me … - bisbiglia sciogliendosi dalla stretta, lo guardo un attimo negli occhi – Per una volta, lascia che sia io a prendermi cura di te – dico mentre gli sposto una ciocca di capelli scuri dalla fronte – Andiamo a casa – sussurro prendendolo per mano.
 
Ci vogliono alcuni giorni perché Sam metabolizzi la nuova situazione, riesco a capirlo, mai si sarebbe aspettato di dover subire un’altra mietitura, mai avrebbe immaginato che ci fosse la possibilità di tornare nell’arena, se non fossero così salde le mie convinzioni starei molto peggio di lui.
-Dobbiamo unirci, noi dobbiamo fare squadra – dico un giorno, mi guarda e per un attimo si sveglia dal torpore che avvolge le sue giornate – Noi chi? – domanda confuso, lo guardo, stupita che ancora non ci sia arrivato – Noi vincitori! – gli rispondo come se fosse la cosa più ovvia del mondo, piega la testa da un lato, lo sguardo leggermente interdetto – Facciamo tutti parte della stessa squadra ora – sentenzio alla fine
-Domani mattina a casa mia – dico uscendo dalla sua stanza senza neanche assicurarmi che abbia capito.
 
La mattina seguente Sam arriva, un po’ in ritardo ma arriva, chiude la porta dietro di sé e sbadiglia insonnolito, quando è abbastanza sveglio da mettere a fuoco il resto del mondo, è leggermente stupito, mi guarda interrogativo, io per tutta risposta batto il palmo della mano sulla sedia accanto a me e lo invito a sedersi, intorno al tavolo sono seduti i vincitori del Distretto 7 : Blight e Johanna.
-Dov’è Irina? – chiedo notando che manca, lei è stata la mentore del mio amico Jake, solo a ripensarci una fitta di dolore mi attraversa il petto – Sono passato a casa sua questa mattina, non se l’è sentita di venire –  risponde Blight con uno sguardo eloquente, sappiamo tutti quanto sia difficile accettare questa nuova realtà – Certo, meglio piangere a casa come una deficiente piuttosto che stare qui con noi a trovare un modo per salvarsi la pelle  - commenta sarcastica Johanna  - Jo! – la richiama Blight lanciandole uno sguardo di rimprovero – Oh, intendiamoci, non che questa sia una cosa intelligente – borbotta lei  - Perché si venuta allora? – le chiedo leggermente spazientita, alza le spalle – Non sono il tipo che ama bagnare di lacrime la moquette del soggiorno – risponde pungente.
Non la conosco bene, ma credo che infondo, ma proprio infondo, nonostante l’aria spavalda e le risposte acide che mi fanno perdere la pazienza, Johanna mi piaccia.
 
Alla fine riusciamo a trovare un equilibrio, Blight è un tipo in gamba, è un uomo sulla quarantina, potrebbe essere mio padre e a volte si comporta come se lo fosse. Johanna invece è più giovane di una decina d’anni; a volte si comporta come se ci odiasse , credo che segretamente odi tutto il mondo, ma nonostante le frecciatine che ci riserva, è la prima che arriva alle nostre ‘riunioni’ e l’ultima ad andarsene.  Per proteggere la sua fama da assassina rabbiosa, dice che lo fa perché non ha niente di meglio da fare, ma io sospetto che le piaccia passare del tempo con noi e che infondo anche lei abbia bisogno di qualcuno per superare questo momento difficile.
Alla fine siamo una bella squadra, ci alleniamo, ci aiutiamo a vicenda, ogni tanto Blight che è il più saggio, dispensa perfino qualche consiglio salva-vita.
Sam, sembra aver ritrovato la sua calma, anche se qualche volta riesco a percepire i brutti pensieri insinuarsi nella sua mente, quando succede mi avvicino a lui, basta poco: un abbraccio, uno sguardo, una carezza e riesco a cacciarli indietro.  Abbiamo ripreso la nostra vecchia abitudine di incontrarci nella mia vecchia casa, è bello trascorre la notte abbracciati come facevamo un tempo, qualche volta mentre sono ad occhi chiusi, mi sorprendo a fantasticare sui tempi passati, a sperare di riaprire gli occhi e ritornare a due anni fa, ritornare ad essere semplicemente due ragazzi innamorati.
Era bello allora, quando il nostro unico pensiero era non farci scoprire mentre la notte sgattaiolavamo fuori di casa, ora pensieri ben più gravosi affollano la nostra mente e rimpiango di poter ritrovare quella vecchia spensieratezza solo la notte fra le sue braccia.
 
-Ci hai pensato? – mi chiede una sera Sam girandosi tra le lenzuola per guardarmi negli occhi – A cosa? – chiedo anche se so benissimo che allude alla possibilità che uno di noi due venga estratto, lui lo sa che ho capito, infatti non risponde, anche se è buio posso immaginare che in questo momento i suoi occhi cercano i miei, il mio sguardo invece vaga altrove, come se anche senza luce possa leggervi dentro il segreto della mia decisione.
- Si – sussurro – E come fai? Come fai a non crollare? – chiede, sospiro – Io l’ho già accettato – rispondo a bassa voce, posso immaginare nella penombra la sua espressione accigliata – Ho abbracciato l’idea di essere estratta e l’ho accettata –  continuo vedendo che non risponde, si alza e si avvicina alla finestra, la luna illumina  il suo viso - Beh, io non riesco ad accettarla – dice dopo qualche secondo di silenzio  - Non hai paura? –  mi chiede ancora, scuoto la testa, anche lui scuote la testa, ma non lo fa per il mio stesso motivo.
– Guardami – sussurra ad un tono di voce appena impercettibile, ma il mio sguardo rimane fisso a terra
 – Guardami! – ripete, stavolta urlando, ma io non trovo la forza di alzare gli occhi, lui si avvicina a me, prende il mio viso tra le sue mani e mi costringe a guardarlo.
Nel momento stesso in cui i nostri occhi si incrociano so  che gli è bastata quest’occhiata per capire tutto, mi guarda a lungo, poi distoglie lo sguardo all’improvviso, quasi ferito e ritorna a guardare la luna dalla finestra, quando parla la sua voce esce in un bisbiglio – Tu ti sei già arresa, vero? Tu non stai lottando, tu non lotterai, perché tu vuoi tornarci in quella maledetta arena, non è così? -  non so rispondergli, non ci sono parole che servirebbero a calmarlo, ma provo lo stesso a farlo ragionare – Sam… -  ma lui mi interrompe subito tappandosi le orecchie con le mani – Per favore Jenna, non trovare scuse! Ora guardami negli occhi e dimmi che mi sto sbagliando, ti prego, guardami negli occhi e dimmi che ho frainteso! – la sua voce esce strozzata, non so sostenere il suo sguardo, così abbasso gli occhi, quando li rialzo una sola lacrima si è fatta strada sul viso di Sam.
-Ascoltami … - cerco ancora di parlare, ma lui mi interrompe ancora – No, ascoltami tu! Non puoi farlo,non puoi! Non te lo permetterò! – urla – Chi ti dice che non venga scelta anche se non mi offro volontaria? Siamo solo in tre, Sam! – urlo più forte di lui  - Non è questo, è che nel momento stesso in cui hai pensato di arrenderti, di offrirti volontaria, in quel momento hai reso vani i sacrifici di molte persone. Pensa a Jake, a me… - fa una pausa, posso quasi vedere quanta fatica gli costi quello che sta per dire – Pensa ad Ares … lui è morto per salvarti la vita, Jenna, ed ora tu che fai? Decidi di buttarla via così! – ora non grida più, ma questo tono fa più male alle mie orecchie delle urla.
- Ma io non sto buttando via la mia vita, non lo capisci? Fa parte del piano, questo è l’unico modo per andare a Capitol City, per poter parlare con Snow, per poter riportare a casa Anna! – dico con la disperazione nella voce, inaspettatamente Sam sorride, è un sorriso triste il suo, un sorriso al posto delle lacrime – Non mentirmi, Jenna, non mentirti! Ammetti a te stessa la verità, lo so che è difficile, lo so che è doloroso, lo è anche per me, ma questo non è il modo per porre fine alla sofferenza. Morire non è un buon modo per far finire tutto questo, non cambierà nulla, tutte queste persone saranno morte per niente se tu adesso ti arrendi. Non puoi mollare, non puoi giocare il loro gioco! – .
Cala il silenzio, si riveste in fretta, mi guarda un lungo istante prima di uscire e lasciarmi sola coi miei dubbi.
Pensa davvero che voglia mollare tutto, che mi sia arresa?
Questo è il mio piano per salvare Anna, io non voglio morire… o forse sì?





Angoletto dell'autrice triste : 
Si, sono triste, vorrei che questa storia non finisse mai ed è merito vostro, siete voi con le vostre recensioni che mi avete spinto a continuare a scrivere, non avrei mai creduto di riuscire a potare avanti tanto a lungo una storia ed ora che sono arrivata fin qui, vorrei tanto tornare indietro e ricominciare da capo! 
Ok, questo angolo non è fatto per gli sfoghi depressivi dell'autrice, veniamo al capitolo...
Credo sia un po' più lungo del solito, ho notato che man mano che la storia va avanti i capitoli si allungano sempre di più, finirà che l'epilogo sarà lungo venti pagine! O.O
Le righe in cui Snow legge la busta dedicata alla terza edizione della memoria, sono prese da Catching fire, in un momento come quello volevo essere il più fedele possibile al libro.
In questo capitolo entra in scena anche Johanna, trovo che anche lei sia un personaggio parecchio interessante, mi sarebbe piaciuto che vi fosse stato dedicato più spazio, spero di non aver storpiato il capolavoro che la Cololins ha fatto, scrivendo di lei! XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se voleste lasciarmi una recensione mi rendereste la ragazza più felice del mondo!
Ringrazio moltissimo chi l'ha fatto per lo scorso capitolo: Roberta Salvatore, _Nic89_ , Water_wolf, lula99, Bessie, Hoshi 98, Giuli_Sunlight.... GRAZIE!!! :D
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***




Angoletto dell'autrice terribilmente in ritardo:

ok... vi prego non picchiatemi! si, lo so, sono in clamoroso ritardo, siete tutti autorizzati a tirarmi qualsiasi oggetto appuntito vi capiti a tiro. A parte gli scherzi, mi dispiace davvero tanto di questo ritardo, diciamo che ci sono state varie complicazioni che mi hanno tenuta lontana dal pc... di solito sono una abbastanza puntuale, ma questa volta proprio non ce l'ho fatta, non ho avuto un attimo per scrivere; mille impegni, mille cose da fare: la scuola, la scuola, la scuola... no seriamente, è un periodaccio!
La "buona" notizia è che ora sono qui con il ventesimo capitolo, in realtà non so se sia esattamente una buona notizia, ho sempre paura che quello che scrivo non vi piaccia, a maggior ragione dato che sono in ritardo, dovrei presentarmi con un super capitolo, non sono sicura che sia esattamente 'super',io faccio del mio meglio, sta a voi darmi il vostro parere!

Buona lettura!











Vuota. Mi sento vuota. In un secondo una domanda ha fatto crollare tutte le mie certezze ed ora mi sento vuota. Eppure solo un momento fa era tutto chiaro.
Io non voglio morire.
Credo.

No che non voglio morire, io devo salvare Anna, io non posso morire.
Vuoi vivere, Jenna?’
Devo vivere.
Vuoi o devi?’

Cambia qualcosa? C’è davvero differenza? C’è davvero una scelta? Io non ho mai avuto scelta, hanno sempre deciso gli altri per me. Ha deciso Anna risollevandomi dalla depressione dopo la morte di mia madre. Ha deciso Ares sacrificandosi per farmi vivere. Ha deciso Sam impedendo al dolore e agli incubi di portarmi via. Io non ho deciso proprio niente, ho solo subito le decisioni degli altri, continuo a scappare, non so fare altro.

E l’ho fatto, l’ho fatto ancora quando ho capito che sarei potuta ritornare nell’arena,sono scappata dalla verità, Sam l’ha capito prima di me.
La verità è che sono una codarda, che senza neanche accorgermene ho cercato la via più facile, offrirmi volontaria,ritornare nell’arena, davvero ho pensato di riuscire a tornare indietro? Se rientro nell’arena non torno più a casa, saranno i miei incubi ad uccidermi prima degli altri tributi.

E se fosse questo, quello che volevo? Finirebbe tutto, niente più dolore niente più incubi ... eppure non posso, ripenso alle parole di Sam, renderei inutile il sacrificio di molte persone, renderei inutile il dolore che abbiamo provato finora.
E allora scegli!’
Scelgo cosa?
Scegli di vivere la tua vita!’
Quale vita? La mia vita è da molto tempo che non è più mia, ha smesso di esserlo quando ho cominciato fingere di essere un’altra.
E allora scegli di morire’
Non posso.
Vuoi morire, Jenna?
Non voglio.

No che non voglio, io ho ancora una speranza, ho ancora una scelta.
E ho scelto, ho scelto di vivere, di lottare per riprendermi la mia vita, l’ho scelto quel giorno davanti a ciò che rimane del mio bosco, ho scelto di vivere, di rinascere dalla cenere.

Io non posso morire, non voglio morire.

No, non mi offrirò volontaria, non rientrerò nell’arena, troverò un’altra via, un altro modo per riportare a casa Anna.

 

Apro la porta di casa che poco fa ha sbattuto Sam sco di casa, esco, vedo in lontananza il puntino che è diventato Sam, corro a perdifiato, lo chiamo, ma non risponde, forse sono ancora troppo lontana perché mi senta, ma anche quando sono abbastanza vicina Sam non mi risponde, continua a camminare sulla strada stretta senza nemmeno girarsi.
Con gli ultimi passi ed il cuore in gola lo raggiungo, lo affianco e lo chiamo ancora, ma lui sembra non sentirmi, lo sguardo fisso sulla strada, lo afferro per un braccio costringendolo a girarsi verso di me, si libera dalla mia presa e continua a far finta che io non ci sia.

È proprio un testardo, lo odio quel suo maledetto orgoglio, lo odio perché è troppo simile al mio, ma ora io sono davanti a lui, l’orgoglio l’ho messo da parte, lui è più importante di tutto.

Proprio non ce la fa, non sa tenermi il muso più di tanto, non sa essere arrabbiato con me tanto da non potermi guardare negli occhi, infatti dopo un po’ di tacita lotta, alza lo sguardo.
I suoi occhi azzurri sono due specchi, li guardo e ci vedo dentro me, lui, ci vedo dentro noi, questi anni passati insieme, le lacrime, i sorrisi, i baci, gli abbracci, gli urli, i sussurri, le carezze, gli schiaffi …

Guardo nei suoi occhi e ci vedo dentro la verità, quella verità dalla quale ho cercato di scappare, quella verità di cui ho paura.
Come ho potuto, anche se inconsciamente, pensare di morire?
Sam mi ama, io lo amo, lui è la mia vita, non c’è verità più forte di questa e per una volta questa verità non mi fa paura.

Ho capito, ho capito di essere stata la persona più stupida del mondo, ho capito che se non fosse stato per Sam non me ne sarei mai accorta, anche lui ha capito, ha capito, guardandomi finalmente negli occhi, che questa volta non fuggirò, che non ripeterò l’errore, che non mi offrirò volontaria, perché non voglio morire, perché voglio vivere la mia vita, con lui.
 

Seguono giorni di tranquillità, tutto quello che faccio è stare con Sam, passo ogni singolo secondo con lui, senza preoccuparmi di quello che mi succede attorno, poi un giorno Johanna bussa alla mia porta e con una sola frase mi ributta senza il minimo riguardo, nell’amara realtà.

-Irina è morta – sputa le parole brusca, senza nemmeno aspettare che la inviti ad entrare – Si è impiccata al lampadario del soggiorno questa mattina all’alba – aggiunge subito dopo a bruciapelo, ancora ferma sull’uscio.

Non trovo la forza di dire niente, riesco solo a fissarla per un tempo che mi pare infinito, cerco senza riuscirci, di dire qualcosa, anche solo una di quelle frasi di circostanza, ma la verità è che non esiste una frase per questa circostanza, non esiste proprio questa circostanza, non esiste che una persona si tolga la vita pur di non rivivere un incubo, perché è di questo che si parla, è paura, Irina aveva paura, anch’io ora ho paura, perché domani è il giorno della mietitura.

Sento una mano posarsi sulla mia spalla, mi giro, Sam mi scansa dalla porta e fa entrare Johanna.
Per un attimo tutti seduti sul divano sembriamo tre statue, poi Johanna rompe il silenzio con un sospiro
– Ora siamo in due. Male, più possibilità di essere scelte – sentenzia rivolgendosi a me, alzo gli occhi dal pavimento e li punto nei suoi.
Come può dire una cosa del genere? Come può pensare a questo?
-Se tu non te ne fossi accorta, è morta una persona, una persona che conoscevamo, una nostra amica! – la accuso con la voce rotta, mi guarda intensamente, il suo sguardo è gelido, quando parla le sue parole lo sono di più – Non era mia amica – dice con tono piatto e la discussione sembra finita lì.

In realtà neanch'io posso dire che Irina fosse mia amica, ho avuto modo di conoscerla poco durante i miei Hunger Games, ero troppo impegnata a cercare di sopravvivere, però se penso che è morta, non riesco a fermare quella morsa all’altezza dello stomaco, lei era una di noi ed anche se non veniva mai alle nostre riunioni, faceva parte del gruppo ristretto dei sopravvissuti alle follie sadiche dei giochi della capitale.
Un tempo li ha vinti quei giochi, ora anche solo la paura di ripetere quell’esperienza l’ha portata a rinunciare alla sua vita.

È così che finirò anch'io? Risucchiata dagli incubi, prigioniera della mia stessa paura, è così che andrà a finire? Penserò anch'io che sia più facile morire?
'Non lo hai forse già fatto, Jenna?'
Si, ma io mi sono sempre rialzata, non ho mai permesso alla paura ed al dolore di distruggermi, lei si è lasciata andare, lei ha perso senza combattere.
'Proprio perché ti sei sempre rialzata puoi capirla, lo sai quanto è dura, lo sai quanto costa e sai che non tutti sono così forti' .

È vero, non posso condannarla, ognuno fa la sua scelta, Irina ha scelto di non lottare perché sapeva già che avrebbe perso, sapeva che non ce l'avrebbe fatta, è morta quando, dove e come voleva, ha fatto la sua ultima scelta da persona libera, prima che la capitale potesse togliergli anche quella.

Ed io? Cosa farò io?
'Hai paura, Jenna?'
Si.
'Vuol dire che ci tieni alla tua vita. Vuoi vivere, Jenna?
Si, voglio vivere.
'Lotterai?'
Lotterò!

 

Questa mattina non apro gli occhi, semplicemente non li chiudo, per tutta la notte.
Questa mattina Sam non mi porta la colazione a letto, entrambi i nostri stomaci sono
chiusi.
Questa mattina quando mi alzo, non lo bacio, ho paura di consumarlo, ho paura di
consumarmi sulle sue labbra, di non avere la forza di staccarmi.
Questa mattina sembra uguale a tutte le altre, il sole sorge ignaro fuori dalla finestra, nel cielo non c'è neanche l'ombra di una nuvola, eppure questa mattina è tutto diverso, questa mattina è l'inizio di un giorno d'inferno, il giorno della mietitura.

Nel silenzio che avvolge la camera da letto, alla luce ambrata dell'alba che filtra dalla finestra, Sam mi guarda ed io guardo lui.
Dio solo sa quanto ho bisogno di lui in questo momento.

Ho bisogno di una sua parola di conforto, ho bisogno di aggrapparmi alle sue braccia forti, ho bisogno di sentire il calore delle sue labbra, ho bisogno di mischiare le nostre lacrime, ho bisogno di guardarlo negli occhi e vedere quell'oceano azzurro e rassicurante, quelle acque dove so di non poter affogare.

Lontana di qualche passo, non so avvicinarmi, non so azzerare quella distanza e prendermi quello di cui ho bisogno, è lui a raggiungermi.

Posa una carezza sulla mia guancia, gli occhi chiusi, la sua mano ruvida trema leggermente mentre si poggia delicata sulla mia pelle.
La sento scendere, lenta indugia un attimo sul collo, risale dietro la testa, sento le sue dita intrecciarsi e giocare con i miei capelli, con un piccolo gesto me li scioglie e le ciocche scure ricadono sulle spalle.
Riscende ancora lisciando una ciocca, sfiora come un sospiro la linea del mio braccio, la curva del mio seno, passa per l'ombelico e mi lascia un brivido, poi le sue mani si posano entrambe sui miei fianchi.

Non oso aprire gli occhi, come potessi rovinare le sensazioni che le sue dita mi regalano, sporcandole con la vista.

Sento il suo respiro irregolare, il suo petto vicino al mio, giurerei di riuscire a sentire persino il battito del suo cuore martellargli dentro come un tamburo. Poi le sue labbra sfiorano le mie, non è un bacio quello che mi sta dando, è una carezza. Scendono a giocare col mio labbro inferiore, risalgono ancora a baciare il mio naso, gli occhi, la fronte, poi scendono di nuovo verso il collo, lasciando una scia di brividi caldi.
Si staccano un momento, mi sembra mi manchi il fiato, poi un attimo dopo si poggiano di nuovo sul collo - Ti amo – lo sento sussurrare mentre bacia il mio orecchio – Ti amo – riesco a rispondere, il fiato corto come se mi mancasse l'aria, è lui il mio ossigeno.

Apro gli occhi, la sua pelle è dorata sotto la luce dell'alba, lo guardo e penso che non ci sia niente di più bello, lo guardo e penso sia un angelo.
Vorrei dirgli così tante cose in questo momento, ma non c'è tempo, maledetti i secondi che scorrono veloci, se penso che tra qualche giorno potrei stare di nuovo nell'arena, sento gelarsi il sangue nelle vene, ho così tanto da dire, così tanto da fare, ho così tanto da vivere ancora... ma non c'è tempo.

Quanto tempo sprecato quando credevo di non farcela, quando passavo i giorni accovacciata sul pavimento della mia camera a chiedermi perché fossi ancora viva, ora lo rimpiango, ora che vorrei, non c'è più tempo.

Per le parole, non c'è tempo.
Per gli abbracci, non c'è tempo.
Per i baci, non c'è tempo.
Per le lacrime, non c'è tempo.
Non c'è tempo nemmeno per dirci addio in silenzio.

Non c'è il tempo che vorrei, ma ci basta guardarci negli occhi per leggerci dentro quelle parole che non avremmo mai il tempo di dire e non serve parlare, non serve sporcare il silenzio, il nostro è un 'per sempre' qualunque cosa accada.

Sembriamo due ombre, i fantasmi di noi stessi, mentre ci dirigiamo nella piazza del distretto, le mani intrecciati in un saldo abbraccio di dita.
Al nostro passaggio la gente si ferma, qualunque cosa stia facendo, esce di casa e ci guarda, con quello sguardo ci stanno vicino, ci comunicano il loro rispetto, il loro dolore, con quello sguardo ci dicono addio.

Rimaniamo così, stretti l'una all'altra e non servono a nulla le proteste dei pacificatori, né gli sguardi severi dei camera-man della capitale, non abbiamo intenzione di affrontare tutto questo divisi.
Riuniti nell'immensa piazza del distretto, noi vincitori siamo pochi, sembriamo infinitamente piccoli, irreparabilmente insignificanti, accanto a me lo sguardo caldo di Blight mi infonde un po' di sicurezza, vicino a Sam c'è Johanna, il viso di una statua.
Indago a lungo il suo sguardo, dritto in avanti a fissare il nulla, il mento alto, le spalle aperte, non c'è paura nei suoi occhi, non c'è dolore né rassegnazione, c'è tacita indignazione, c'è silenziosa protesta, ammiro la sua forza, ammiro il suo coraggio, si comporta come se si trovasse in questa piazza a fare una passeggiata, come se quello che sta per accadere non la riguardasse affatto, come se non facesse alcuna differenza se tra qualche secondo venisse estratto il suo nome oppure no.
Purtroppo non posso permettermi il suo stesso coraggio, non posso permettermi la sua indifferenza, non posso rimanere impassibile, proprio non posso, ci sono ancora così tante cose che devo fare, che devo dire, ho ancora una vita intera davanti a me, una vita che pensavo non dovesse conoscere un'altra volta l'orrore degli Hunger Games.
Speravo di aver pagato abbastanza, speravo fosse ora di prendermi una rivincita ed invece eccomi qua, tra qualche secondo la mia vita potrebbe essere rovinata, per sempre, tra qualche giorno la mia vita potrebbe essere finita, per sempre.

La capitolina dal completo verde prato si avvicina al microfono, quest'anno non hanno voluto mandare Zelda, chissà, forse non è lei che non è voluta venire, forse un po' ci voleva bene.
Parla, dice qualcosa, ma non la sento, tutto ciò che sento è un ronzio nelle orecchie, la vista è appannata, stringo la mano sudata in quella di Sam, lui mi accarezza un braccio e con un paio di parole all'orecchio mi riporta alla realtà.

La verde presentatrice si avvia squittendo alla boccia che contiene i nomi femminili, ad un tratto si blocca di colpo, sorride alla telecamera e poi alla gente nella piazza – Scherzetto! Questa volta prima gli uomini! - dice con voce stridula per poi scoppiare in una risatina isterica a cui nessuno si unisce, gli sguardi cagneschi della gente nella piazza devono essere stati abbastanza loquaci, perché il suo sorriso di spegne.

È indicibile quanto disprezzi la gente della capitale, ma la donna, se così la si può chiamare, che ho davanti, verde come una foglia, credo che si sia appena guadagnata il primo posto nella mia classifica mentale delle persone che odio di più.

Si avvicina alla boccia, guarda compiaciuta verso la gente in piazza, poi infila la sua manina guantata dentro l'ampolla.
La paura mi assale all'improvviso.

Sam.

Fa che non esca il suo nome! Non lo sopporterei, non ce la farei.
Farei qualsiasi cosa per assicurarmi che non venga estratto, ma non posso fare niente, impotente posso solo stringere la sua mano fino allo spasmo.
Ti prego, non lui, non Sam!
Lui è tutta la mia vita, non lui.
Non può essere estratto, non sopravviverei.
Se venisse estratto, morirei.
Non lui, ti prego, non lui, piuttosto me, ma non lui.
Io lo amo, non lui.
Sam, ti amo, non andartene, non lasciare che ti portino via da me!

L'eccentrica mano fasciata in un guanto dal verde improbabile si ferma e afferra un biglietto.

Fa che non sia lui. Fa che non sia lui. Fa che non sia lui.

È piegato, lo apre, le labbra truccate si schiudono per leggere il nome che c'è scritto sopra.

Non Sam. Non Sam. Non Sam.

Richiude le labbra, sorride davanti al microfono, a quanto pare vuole torturarci ancora un po'.

Stringo la mano di Sam così forte che ho paura di bloccargli la circolazione, non so dove trovi la forza, ma stacca gli occhi dal palco, gira la testa e mi guarda, anch'io ora lo guardo, mi sorride, come se non stesse succedendo niente, come se non si stesse appena decidendo il suo destino, come se fossi io quella da rassicurare.
'Ti amo' mima con le labbra, in tutta risposta mi alzo in punta di piedi e poso un bacio sulle sue labbra.
Non mi importa se le telecamere ora sono tutte puntate su di noi, non mi importa che tutta Panem ci veda, io lo amo e questi potrebbero essere gli ultimi istanti che passiamo insieme.

Non lo sento nemmeno quando la capitolina legge il nome scritto sul biglietto, sono troppo impegnata a perdermi negli occhi di Sam, lei un po' indispettita dalla nostra noncuranza pesta i piedi a terra e ripete urlando il nome contenuto nel foglietto, faccio appena in tempo a pregare per un ultima volta che non sia lui.

Non è lui.

Il mio cuore smette per un attimo di battere. Non è lui, Sam è salvo, lo abbraccio affondando la testa nel suo petto.

Blight si stacca dal gruppo e con piccoli passi raggiunge il palco, ci metto un secondo in più per riconnettere il cervello, sono due i vincitori maschi del Distretto 7, Sam non è stato estratto, perciò il nome che la capitolina ha letto è quello di Blight.
Non c'è tempo per il dolore, non c'è tempo per le lacrime, la capitolina si affretta a raggiungere l'altra ampolla, quella con dentro i nomi femminili.

Non riesco a pensare a nulla, è come se il tempo volasse via velocissimo.

Vedo la mano verde della presentatrice frugare tra i bigliettini, ne estrae uno, le sue labbra truccate si muovono per leggere il nome che contiene, ma il suono della sua voce dall'accento irritante non raggiunge le mie orecchie, è come se non mi trovassi veramente lì.
Non capisco.
Chi è stato estratto? Di chi è il nome che è appena stato letto?

Tutti gli occhi dei presenti sono fissati su di me, anche Sam mi guarda, mi guarda e piange, con le braccia mi stringe a sé, come per proteggermi... poi capisco.


Sono io.
Sono stata estratta.
Il nome sul biglietto era il mio.
Sto per ritornare nell'arena.

 

 

 

All'improvviso una mano si alza tra le altre – Mi offro volontaria – urla con voce annoiata Johanna Mason.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Quasi la sfondo la porta del palazzo di giustizia, quando entro Johanna è là, sonnecchia comoda sulla poltrona di velluto, come se non fosse accaduto nulla, come se non si fosse appena offerta volontaria per andare a morire, come se non mi avesse appena salvato la vita.
Eppure in un certo senso la odio.
Perché l’ha fatto?
Non è giusto, lei non è stata estratta, perché si è offerta volontaria?
IO dovevo salire su quel palco, IO devo ritornare nell’arena, IO devo pagare questo prezzo, non lei.

-Che cosa hai fatto? – le grido in faccia costringendola ad aprire gli occhi – Cosa diavolo urli? – si lamenta con aria irritata – Cosa hai fatto? – ripeto stizzita a voce più bassa – Ho fatto l’ultima cosa sensata che c’era da fare – risponde con semplicità, la sua risposta mi turba - Perché dici così? – domando con un filo di voce, lei mi guarda per un attimo – Perché la tua vita è più importante della mia – mi risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

Non so come reagire alle sue parole, mi ha appena saltato la vita, dovrei esserle riconoscente, dovrei star qui a baciarle i piedi ed invece sento di odiarla per quello che ha fatto e la mia testa non la smette di rivolgerle insulti per il suo gesto.

-Sei un’idiota! – la ammonisco dando voce ad uno dei tanti insulti che mi vengono in mente, Johanna sorride furba per un attimo – Le salvi la vita e questo è il ringraziamento, tante grazie, la prossima volta mi faccio i fattacci miei! – borbotta lisciando il velluto morbido della poltrona su cui è seduta.
la prossima volta’… Johanna, davvero non riesci a capire che questa è l’ultima volta? Non ce ne sarà un’altra … Johanna, davvero non riesci a capire che se entri in quel’arena potresti non tornare più indietro?

La guardo mentre concentra tutta la sua attenzione sui ghirigori raffinai che impreziosiscono il pavimento

-La prima volta che sono stata in questa stanza il marmo era grigio – commenta indicando il pavimento bianco candido, ora sono diventata meno importante di un paio di mattonelle, la guardo sconcertata ed allibita, come può la sua bocca far uscire certe idiozie in un momento del genere?
Serro i pugni fino a far sbiancare le nocche, credo di stare per sprofondare in un attacco di nervi, un gridolino esasperato sfugge dalle mie labbra – Io ti odio, sei proprio una stupida! Perché l’hai fatto? – domando piagnucolante come una bambina, Johanna alza lo sguardo dal pavimento, mi squadra un momento, i suoi occhi diventano due fessure – Si può sapere perché ti da così tanto fastidio che mi sia offerta volontaria? – domanda sinceramente curiosa, la guardo come se avesse appena fatto una domanda stupida – Perché tu sei mia amica – rispondo come fosse un’ovvietà, i suoi occhi si riaprono ed il suo viso si distende, poi torna a prestare la sua attenzione al marmo candido del pavimento – Allora non dovresti fare tanta fatica a capire perché mi sono offerta volontaria – risponde poco dopo.

È fatta così Johanna, lei è una tosta, se ha qualcosa da dire te lo dice in faccia, se deve darti una brutta notizia lo fa senza alcun riguardo, se deve insultarti lo fa senza peli sulla lingua, ma se deve per caso dirti che per lei sei un’amica, deve ricorrere ad inutili giri di parole.
Per sentirmi dire che per lei sono un’amica, prima sono dovuta essere estratta per ritornare nell’arena.

Rimango qualche istante ferma, ad osservarla mentre studia le lastre di marmo sul pavimento, lei alza lo sguardo solo quando, con una lacrima bagno la mattonella che stava ammirando – Cosa diavolo hai da piangere ora? – mi chiede incredula allargando le braccia.
Sai Jo, in queste situazioni è questo che si dovrebbe fare, è molto più normale piangere che contare le lastre di marmo che ci sono sul pavimento, vorrei risponderle così, ma proprio non ce la faccio a parlare in questo momento, provo un dolore inaudito, perché qui davanti a me c’è un’amica che si è appena sacrificata per salvarmi, un’amica che non so se rivedrò mai, un’amica che ho appena trovato e già devo lasciare.

-Sei proprio una rammollita! – mi apostrofa tornando a contemplare il pavimento, poi quando capisce che non smetterò di piangere si alza e mi si avvicina, credo lo faccia più per paura che le allaghi il suo amato marmo, che per consolarmi, quando è abbastanza vicina apre le braccia in un gesto innaturale e mi abbraccia.
Le sue braccia si stringono rigide attorno a me, mi chiedo quante persone abbia abbracciato e quanto tempo fa lo abbai fatto.
Rimaniamo così’ per un po’ finché non si stacca e ritorna la solita Johanna che conosco – Oh, andiamo! Finirai per allagare tutto il pavimento! – mi canzona, lo dicevo io che era per il marmo!

-Jo, devi farmi una promessa – le dico ad un tratto – Non sono tanto brava a mantenere le promesse – ammette lei storcendo il naso, stranamente non protesta per il nomignolo che le ho affibbiato – Questa volta devi esserlo, devi promettermi che tornerai a casa, che ci proverai almeno – dico con voce tremante, lei mi guarda un momento come per valutare se può davvero promettermi una cosa del genere – Te lo prometto – acconsente alla fine in un sussurro – Ci vediamo presto allora, amica mia – la saluto – Il tempo di vincere questa edizione degli Hunger Games e sono di nuovo qui, non ti libererai tanto facilmente di me… amica – mi risponde sicura.
Rivolgo un ultimo sguardo al marmo del pavimento che tanto piace a Johanna, prima di uscire da quella stanza e lasciarci dentro una delle poche, se non l’unica amica che ho.

Quando esco noto i soliti due pacificatori appoggiati al muro, in un atteggiamento tutt’altro che vigile, mi domando perché non siano entrati a reclamare lo scorrere del tempo mentre parlavo con Johanna, evidentemente anche loro nutrono un briciolo di rispetto e compassione per quelli tra di noi che, nonostante siano vincitori, dovranno rivivere per la seconda volta l’incubo degli Hunger Games.

Fuori dal palazzo di giustizia trovo Sam, che appena mi vede, mi attira a sé e mi stringe fra le sue braccia, poi va anche lui a dare il suo saluto a Johanna, poco dopo si avvicina a noi il sindaco che con fare grave ci comunica che essendo gli unici due vincitori rimasti, dovremo essere noi i due mentori di quest’anno.
A questo davvero non ci avevo pensato.
Sono sconvolta, come possiamo fare da mentori a Blight e Johanna? Loro sono molto più grandi d’età di noi, hanno molta più esperienza, per anni hanno fatto da mentori ai tributi del nostro distretto, Blight è stato addirittura il mentore di Sam.
Noi in confronto non siamo nulla, siamo due ragazzini che hanno vinto per fortuna, come possiamo aiutarli?
È ridicolo pensare che ci sia qualcosa che io e Sam possiamo dire a loro, loro che di edizioni di Hunger Games ne hanno viste a bizzeffe, sono stati loro ad incoraggiarci quando abbiamo saputo delle nuove regole di questa edizione della memoria, Blight si è comportato come un padre con me e Johanna… Johanna è diventata mia amica.

Purtroppo però non c’è altro modo, sembra non ci siano alternative e non servono le nostre considerazioni e le nostre proteste, prima della sera,il treno parte dalla stazione del nostro distretto diretto a Capitol City.

Durante la brevissima parte di tragitto che abbiamo percorso, nessuno di noi ha voglia di parlare, le occasioni in cui ci scambiamo un paio di parole di convenienza si possono contare sulle dita di una mano.

Non credo di farcela, questo orribile incubo è appena iniziato e già non ce la faccio più,vorrei poter chiudere gli occhi e ritornare a tanto tempo fa, chiudere gli occhi e dimenticare tutto tornare indietro a quando avevo ancora una foresta in cui rifugiarmi, a quando avevo ancora una madre, una sorella, a quando non avevo nessun pensiero per la testa.
Ora invece di pensieri ce ne ho, due dei tanti sono seduti davanti a me, alzo lo sguardo, Blight guarda con fare svogliato il cibo che ha nel piatto, proprio non vuole saperne di mangiare, Johanna quando Sam non guarda allunga la sua forchetta e ruba qualche boccone dal piatto dell’amico.
A guardarli così, mi sembrano due ragazzini, in realtà però non lo sono, sono più che adulti, sono due vincitori, più li guardo e più penso che non dovrebbero trovarsi qui.
Quando nel piatto di Blight non è rimasto che qualche boccone, mi decido a lanciare un’occhiataccia a Johanna, lei mi guarda e fa un sorrisetto furbo –Mi scusi, signora mentore! – dice prendendomi in giro enfatizzando la parola ‘signora’, ancora una volta è lei a tirare su il morale a tutti.
Purtroppo però non a Blight, che all’improvviso si alza e accusando un falsissimo mal di testa se ne va nella sua cabina.

Così rimaniamo io, Sam Johanna e l’irritante capitolina che ho conosciuto il giorno della mia seconda mietitura, la sostituta di Zelda, non so neanche come si chiami, non l’ho voluto sapere il suo nome, quando si stava presentando io con orgogliosa maleducazione me ne sono andata lasciandola imbambolata a parlare da sola.
Anche Johanna sembra non sopportarla, le boccacce che le riserva quando non può vederla, sono piuttosto eloquenti.

Finita la cena ognuno si ritira nella propria cabina, io vado nella mia per prendere una camicia da notte e un paio di coperte, poi raggiungo Sam, nonostante si siano ostinati ad assegnarci cabine diverse, non ho intenzione di passare anche solo un minuto nella notte lontana dalle sue braccia.

Abbracciati nel buio io e Sam proprio non riusciamo a dormire, io non mi azzardo a chiudere gli occhi, ho troppa paura che nel sonno i miei incubi si possano popolare delle urla dei miei amici, per Sam credo sia lo stesso, anche se non ne parla spesso anche lui è perseguitato dai suoi incubi, tutti noi vincitori lo siamo, è una specie di penitenza per non si sa quale peccato, il prezzo che ognuno di noi deve pagare.

-Niente da fare eh? – mi chiede Sam, scuoto la testa per dirgli che no, non riesco ad addormentarmi, poi mi ricordo che è buio e che non può vedermi, ma prima che possa dare qualsiasi risposta, lui ha già capito dal mio respiro che sono ancora sveglia - Vuoi parlare? – domanda con un sospiro, non rispondo, ma lui non si scoraggia e comincia imperterrito il suo discorso.
Parla di tutto, mi confida le sue paure, le sue insicurezze nel fare da mentore, che poi sono anche le mie, fa ipotesi su come potrebbero andare questi Hunger Games, dice che il parere della gente è molto importante, dice che la gente può fare la differenza - … Guarda cos’è successo con Katniss e Peeta lo scorso anno, alla gente piacevano così tanto gli innamorati sventurati, che non poteva essere altrimenti, non poteva uscirne solo uno dei due dall’arena. - mi spiega, non ha tutti i torti, eppure non riesco a capire dove vuole arrivare - Snow non annullerebbe per nulla al mondo neanche una sola edizione degli Hunger Games- do voce ai miei dubbi – Ma non capisci? Quest’anno la situazione è ancora peggiore, questa volta i tributi sono diversi, sono tutti vincitori, tutti eroi agli occhi del pubblico, i loro eroi che si uccidono fra loro. Immagina che tutta Panem sia contraria a questa edizione … - dice con enfasi – E noi in tutto questo, cosa potremmo fare? – chiedo disorientata – Potremmo dare una piccola spintarella alla situazione, fare in modo che la gente si accorga del grande torto che si sta facendo - se le luci non fossero spente sono sicura riuscirei a vedere i suoi occhi brillare mentre pronuncia questi discorsi, ma la mia mente si è fermata molto prima, alle sue parole ho avuto un tuffo al cuore : “…Questa volta i tributi sono diversi, sono tutti vincitori…”
Niente che non sapessi già, ma sentirle pronunciare mi ha dato all’improvviso un’amara consapevolezza, una paura cieca si fa strada dentro di me.
Sobbalzo, mi sciolgo dall’abbraccio di Sam e allungo la mano verso il comodino, accendo la luce – Sam, chi è stato estratto nel distretto 4? – domando, mi trema la voce, non voglio sapere la risposta, se fosse come temo, non l’accetterei.

Lui mi guarda sorpreso, con lo sguardo di chi non capisce cosa sta succedendo, scuote la testa, ci sta pensando – Io … non sono sicuro, lui me lo ricordo, ma lei… ma perché è così importante? – domanda tranquillo, chiudo gli occhi e prego mentalmente che i miei incubi non si avverino – Chi? – domando ancora stavolta la mia voce si alza in una nota di disperazione, Sam si passa una mano tra i capelli prima di rispondere – Lei è una donna anziana, non mi ricordo come si chiama e lui… lui me lo ricordo bene, lui è Finnick Odair –

Un colpo al cuore.
Vorrei piangere, ma non trovo le lacrime.
Qualcuno urla, sono grida di dolore, mi accorgo di essere io ad urlare.
Perché? Perché la vita mi toglie sempre tutto?

Prima mia madre, Ares, poi la libertà di essere me stessa, mia sorella, ora anche lui, quello che in poco tempo è diventato il mio migliore amico.
Perché Finnick? Perché?
E vorrei pensare che non è finita, vorrei pensare che c’è un rimedio, ma la mia testa è piena solo di un nome, così enorme che la occupa tutta.

Finnick.
Ragiona Jenna, quello che pensa il pubblico conta e non c’è nessuno che la gente ami più lui ‘
Finnick.
E se poi il pubblico non dovesse avere la meglio, ricordati che tu sei una mentore, non è facile, ma c’è un modo per aiutare un tributo che
non è del tuo distretto, un solo tributo però…’

Finnick.
Riusciresti mai ad abbandonare Johanna e Blight?’
Finnick.
Sei davvero pronta a tutto per riportarlo indietro?’
Finnick.

Un modo ci sarebbe. Un modo c’è.
Dovrei riaprire una vecchia ferita.
Per Finnick.
Dovrei rivivere un incubo.
Per Finnick.
Dovrei dar via la mia libertà ancora una volta.
Per Finnick.
Dovrei svendere me stessa.
Per Finnick.
Per Finnick lo farei. Per Finnick lo faccio.

E non c’è modo di tornare indietro, non c’è spazio per i ripensamenti, ormai ho preso la mia decisione, c’è solo spazio per il coraggio, quello mi servirà e se non lo troverò, chiuderò gli occhi e aspetterò che finisca.

Sam mi guarda nella luce fioca che produce la lampada sul comodino, lo sguardo sgomento nel vedere il dolore nei miei occhi, nel sentire le mie urla.
Non gli ho parlato molto di Finnick, ma credo che abbia capito da solo che per me è un amico molto importante…
O dovresti dire era? Non è forse già condannato?’
NO! Farò qualsiasi cosa per salvarlo, sono una vincitrice, una mentore, ho abbastanza potere qui a Capitol City, c’è un modo ed è disgustosamente a portata di mano… potrei farlo, potrei sopportarlo una seconda volta, per Finnick.
Le braccia di Sam mi cullano per tutta la notte ed è la sua voce a strapparmi ai miei crudeli incubi, in cui la voce di Finnick urla incrinandosi nelle più cupe e strazianti sfumature di dolore.

-Shhhh… è tutto finito, Jenna, tutto finito –sussurra piano, le sue labbra sfiorano il mio orecchio, il suo tono piacevolmente familiare mi riporta indietro alla realtà, che non sia tanto meglio degli incubi poi: sta per iniziare una nuova edizione degli Hunger Games, i tributi sono tutti vincitori, io sarò costretta a guardare tutto questo e a fare da mentore,ma almeno nella realtà, a differenza del mio incubo, Finnick è ancora vivo… e rimarrà così, vivo, sano e vegeto, perché ho un piano e lo porterò a termine.

Con riluttanza mi alzo dal letto e mi crogiolo nella mia nuova determinazione mentre raggiungo il macchinista del treno per sapere quanto ancora manca alla fine di questo viaggio forzato, la sua risposta mi spiazza – La vede, laggiù? Ecco Miss Wellington, quella è Capitol City – afferma con un sorriso cortese sulle labbra, come se non la conoscessi quella città infernale.
Sposto lo sguardo su Sam che trattiene a stento una risatina per come mi ha apostrofata il ragazzo, “Miss Wellington”, suona autorevole, e io gli assesto una gomitata che lo rimette al suo posto, prima di uscire dalla cabina di controllo e scompisciarmi dalle risate insieme a lui.

-Miss Wellington – mi prende in giro ancora, facendosi da parte con fare galante, per darmi la precedenza nello stretto corridoio del treno, ridacchio alzando gli occhi al cielo mentre lo affianco e lo prendo per un lembo della camicia – Faccia poco lo spiritoso, Mister Claflin- soffio sulle sue labbra, è buffo chiamarlo col suo cognome, pochi millimetri ci dividono ed entrambi sappiamo già come andrà a finire, già sento il sapore delle sue labbra, quando un brusco colpo di tosse ci fa allontanare di scatto.
Johanna ci fissa stralunata, alza gli occhi al cielo e fa una smorfia disgustata allargando le braccia
– Oh, andiamo! Tenete a freno gli ormoni voi due, santo cielo! – gracchia acida, le rivolgo un’occhiataccia prima che il mio viso si colori con imbarazzo, di ogni sfumatura di rosso – Andiamo piccioncini, non vi hanno avvisato che stiamo per scendere? – ci canzona, poi punta la porta alle nostre spalle e ci oltrepassa passandoci in mezzo, allargando ulteriormente la distanza tra me e Sam.
Indispettita mi riavvicino a lui intrecciando la mia mano alla sua ed insieme scendiamo dal treno.

La stazione di Capitol City è gremita di gente, mille fotografi ci lanciano addosso i loro flash indiscreti, mi sento leggermente infastidita da tutto ciò, mi ci devo riabituare, dopotutto è da un po’ che tutta questa mondanità non mi appartiene più. Sam nasconde dietro la sua faccia di bronzo la sua irritazione per questo posto e la sua gente. Blight non fa nulla per attirarsi il favore dei fotografi, né per disturbare il loro lavoro, cammina a passi marziali fin quando non si sente sicuro leggermente più lontano dalla folla. Johanna invece non sembra infastidita da tutto questo, semplicemente non se ne cura; si fa i fatti suoi contemplando le mattonelle che compongono il pavimento della stazione, ogni tanto alza lo sguardo verso qualche audace fotografo che ha osato avvicinarsi troppo e come una gatta selvatica gli mostra i denti affilati scoraggiandolo ad andare avanti.

Alla fine ce la facciamo a sopravvivere all’assalto dei curiosi e riusciamo ad arrivare tutti interi al centro di addestramento dove un’odiabile capitolina vestita di giallo evidenziatore ci accompagna al settimo piano, quello che ospita i nostri alloggi.

Subito dopo si mette in moto un vortice di impegni dal quale, mio malgrado vengo risucchiata: sorridi alle telecamere, parla con gli stilisti, fai finta di conoscere chiunque sventoli la mano nella tua direzione in segno di saluto, sorridi ancora, fermati per una foto-ricordo, scegli a caso una delle mille stoffe che ti mettono davanti facendo finta di sapere quale differenza ci sia tra quella che hai scelto e le altre, continua a sorridere, distribuisci una parola gentile per ogni mentore di ogni distretto, sorridi ancora, continua a sorridere, non smettere di sorridere… ritorno nella mia camera alla sera che ho una paresi facciale.

Mi lascio cadere sul mio letto con un sonoro sbuffo, chiudo gli occhi e mi reggo con le mani la testa, sento che potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Sono stanca, terribilmente stanca, tutto questo fingere, questi sorrisi esasperati mi hanno fatto venire la nausea, ho solo voglia di rimanere qui su questo morbido materasso e non alzarmi più… ed invece no! Stasera c’è la sfilata e ovviamente devo essere presente.
Da qualche sperduto angolo della mia coscienza si alza la solita odiosa vocina: 'Oh, andiamo Jenna, ora sei una mentore!' mi rimprovera.
Cedo al senso del dovere così apro con cautela l'anta dell'armadio, gli occhi coperti da una mano, ho quasi timore a scoprirli, non oso immaginare quali 'abiti', se si può chiamare abito un francobollo di stoffa, sono stati preparati per me.
Piano scosto un dito, poi un altro, alla fine mi ritrovo a fissare disperata i mini-abiti tutti rigorosamente neri che straripano dal guardaroba.

Sembra che non mi scollerò mai di dosso questo colore da vedova.
'è anche il colore delle pantere, Jenna, e tu sei una pantera, la pantera del 7!'
Mi fa sembrare in lutto.
'Ti fa sembrare sexy!'

Sbuffo sonoramente, c’è l’imbarazzo della scelta, uno più corto dell’altro, poi come un miraggio ne adocchio uno che sembra coprire le gambe fino a sotto il ginocchio, lo prendo come fosse una reliquia, poi quando ce l’ho in mano scopro l’inganno: sì, il davanti è lungo appena sopra il ginocchio, misura alquanto ragionevole, peccato che sulla stoffa di dietro si sia fatta un po’ troppa economia, la scollatura vertiginosa sulla schiena di questo abito non mi piace affatto.
Lo ripongo avvilita con la sua stampella, fisso ancora un po’ indecisa gli abiti per cercare di capire quale sia il male minore, alla fine opto per un tubino stretto senza spalline, che è comunque troppo corto da sollevarsi in modo molto poco elegante ad ogni mio passo, ma ho forse alternativa? Figurati se posso andare in giro con qualcosa che non mi lasci mezza nuda, non sia mai che indossi un abito che mi copra decentemente!
Penso con un sorriso sulle labbra a Finnick, ci vorrebbe lui adesso ad alleggerire la tensione, lui sì che mi capisce, mi domando con una punta di amarezza quanti millimetri della sua pelle abbiano deciso di tenere coperti, giusto per non offrire uno spettacolo di cattivo gusto, poi mi do della stupida: non ci sono limiti per Capitol City, non importa che sia uno spettacolo di cattivo gusto, basta che sia uno spettacolo e niente attira più spettatori di Finnick Odair mezzo nudo.
Arrivo con tristezza alla conclusione che sicuramente il mio amico è molto meno vestito di me.

Guardo un'ultima volta il mio riflesso attraverso lo specchio: cortissimo vestito nero, rossetto rosso, tacchi vertiginosi... è tornata la pantera del 7!
Tra un sospiro e l'altro raggiungo Sam nel salone, varco la soglia e mi fermo un attimo a contemplarlo.
I capelli scuri scompigliati, gli occhi lucenti, il sorriso abbagliante, la camicia bianca fascia meravigliosamente le sue spalle larghe, i primi bottoni strategicamente slacciati offrono la parziale visuale dei suoi pettorali scolpiti, la cinta lucida regge la camicia dentro i pantaloni blu che gli cadono perfettamente sui fianchi fino ad arrivare ai piedi, racchiusi in un paio di scarpe dello stesso colore.
Lo guardo un istante, il mio sguardo si sofferma su di lui e lo ammira a lungo, è così bello... ed è mio, tutto mio.
Un sorrisetto di tacita approvazione si fa strada sul mio viso, anche lui mi guarda incantato e per un attimo sembra sconnesso dal mondo, poi si sveglia dai suoi pensieri, i suoi occhi azzurri ora risplendono di un luccichio che conosco molto bene.
Si avvicina con passi dannatamente lenti, quando è abbastanza vicino penso che si fermi davanti a me, invece non lo fa, mi sorpassa e si ferma alle mie spalle, avvicina la sua testa alla mia nuca, sento il suo respiro nel mio orecchio – Odio questo vestito – sussurra con voce graffiante, sussulto impercettibilmente, dal suo sguardo si sarebbe detto il contrario, lui coglie il mio disappunto e si affretta ad aggiungere – Vorrei che nessuno oltre me potesse guardarti – .

Le sue parole, la sua voce roca, il suo respiro caldo contro la mia guancia, il mio cuore batte a mille e nemmeno mi ha sfiorata... è possibile che sia diventata così tanto suscettibile? Mi sento bruciare dentro,questo è quello che capita a chi si avvicina troppo al fuoco.
Lui è un fuoco, il più caldo che ci sia, più gli sto vicino e più ho paura di non riuscire a sopportare il freddo che c'è senza di lui, eppure non mi allontano, perché infondo so che il mio posto è qui, in mezzo alle sue fiamme, non mi allontano perché so che in fondo non sarà mai capace di bruciarmi.

-Jenna, vuoi rimanere lì imbambolata tutta la serata? - mi risveglia dai miei pensieri Sam con tono divertito e una mezza risatina.
C'è poco da ridere, prima incendia me, la stanza e tutto il centro di addestramento e poi pretende di trovarmi lucida e attiva? Non basterebbe un estintore in questo momento per liberarmi dal caldo opprimente che mi soffoca il corpo. Tutta colpa tua, Sam Claflin, ti odio... non è vero, ti amo.
Scuoto la testa frastornata, Sam afferra la giacca blu del suo completo con una mano e mi porge l'altra invitandomi a seguirlo, io l'afferro e mi lascio condurre verso l'enorme sala allestita per la sfilata.
Individuiamo Johanna e Blight, ci avviciniamo a loro, rimaniamo in silenzio, cosa potremmo mai dire? Niente, non c'è niente da dire.

Mi sento così ridicola, quasi ognuno degli uomini in questa sala potrebbe essere mio padre, così come ognuna delle donne potrebbero essere mia madre, al solo pensiero una morsa mi stringe il cuore, alcuni potrebbero essere addirittura più simili a dei nonni. Raggiungo con amarezza il mio posto vicino a Sam sugli spalti, dopo poco le porte a doppio battente si aprono ed i carri uno alla volta cominciano a fare il loro ingresso.

Mentre sfilano davanti ai miei occhi penso a questa gente, a questi vincitori, un tempo forti, eroi,ora molti di loro sono sopraffatti dagli anni, le rughe segnano i loro visi e risulta grottesco vederli con addosso questi costumi.
Altri invece qualunque cosa indossino non potrebbero mai sembrare ridicoli, penso mentre il carro numero 4 sfila davanti ai miei occhi.
È come ricevere un pugno nello stomaco, vedere il mio migliore amico su quel carro.
E vorrei prendere a schiaffi la gente che gli lancia fiori, vorrei urlare contro chi sbircia il suo corpo scolpito coperto solo da una rete intorno alla vita.
Finnick sorride a questa gente, che si scioglie sotto il suo sguardo, come si fa a resistere a Finnick Odair? Un pensiero in parte mi rincuora, questa gente lo ama, non lo guarderà morire nell'arena, eppure non troverò pace né consolazione finché non sarà ritornato a casa sano e salvo.
Poco prima che il suo carro si fermi il suo sguardo intercetta il mio, il suo falso sorriso si spegne lentamente, si china a raccogliere una delle tante rose che ha ricevuto e la lancia nella mia direzione, solleva un angolo della bocca in quel suo sorriso sghembo, il primo vero dei mille sorrisi da quando il suo carro ha cominciato a camminare, poi si gira di nuovo verso il suo pubblico ricominciando la sua recita.

Appena finisce la sfilata corro a rifugiarmi nella mia camera, non mi importa dell'occhiata stralunata che Sam ha fatto alla rosa che mi ha lanciato Finnick e non mi importa nemmeno che mi stia rincorrendo attirando l'attenzione di tutti.
Voglio sparire, sprofondare la faccia nel cuscino e non riemergere più.
Qualcuno bussa alla porta, io senza sollevare la testa mugugno qualche insulto che penso possa dissuadere chiunque sia fuori dalla porta, ad entrare, eppure poco dopo la porta si apre e dei passi leggeri entrano nella stanza.
Una ragazza bionda mi fissa con i suoi profondi occhi azzurri e senza fiatare mi porge un biglietto piegato, poi silenziosa come è arrivata se ne va.
Apro il biglietto con riluttanza, ma il nome di chi me lo manda richiama subito la mia attenzione.



 

                                                     Tra un ora, sulla terrazza.

                                                                               Finnick








Angoletto dell'autrice mortificata:
Si, sono di nuovo in ritardo, giuro che ho fatto di tutto per aggiornare il prima possibile, cioè oggi, che è comunque tardi ...
Cosa posso dire a mio favore? Non credo ci sia molto da dire, questo capitolo è leggermente più lungo del solito, quindi ci ho messo più tempo per scriverlo *si arrampica sugli specchi* ....
Ah, ho dato a Sam il cognome Claflin, come l'attore che in Catching Fire interpreterà Finnick, mi sono resa conto che avevano lo stesso nome e allora ne ho approfittato.
Volevo ringraziare tutti quelli che finora mi hanno recensito: siamo arrivati a 100 recensioni... Grazie di cuore!
Poi oggi mentre girovagavo per il fandom di Hunger Games mi sono imbattuta nella lista delle storie con più recensioni positive ed indovinate un po'? La mia piccola insulsa storiella è al 25esimo posto! Grazie ancora, è tutto merito vostro!
Non credo ci sia nient'altro da dire,spero con tutto il cuore che vi piaccia questo capitolo e che mi perdonerete per avervi fatto aspettare!

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Qui fuori è buio.
Un buio pesto, perché nel cielo di Capitol City non ci sono stelle. Soffia un sottile vento mentre aspetto, mi guardo intorno e mi chiedo se non ho sbagliato posto.
Poi lo vedo. Avanza a piccoli passi verso di me, ha abbandonato i vestiti della sfilata per indossare quelli di un semplice ragazzo, ma il viso ancora truccato e la pelle luccicante, lo tradiscono, non sarà mai un ragazzo come un altro: lui è Finnick Odair.
 
Si ferma davanti a me, per un lungo istante rimaniamo in silenzio, ognuno nella tacita contemplazione dell'altro.
Alla fine non ce la faccio più, mi sporgo in avanti e mi lancio letteralmente fra le sue braccia facendogli perdere l'equilibrio ed insieme cadiamo a terra.
- Oh Finnick... - sospiro sul pavimento freddo della terrazza, lo stringo ancora più forte nella vaga illusione di poterlo proteggere da tutto quello che accadrà, ho così tanta paura di perderlo...
Lui senza alzarsi dal pavimento, mi accarezza i capelli con fare protettivo, ancora una volta, nonostante tutto, è lui a consolare me.
Rimaniamo così, immobili e stretti in un abbraccio che è inutile ma che ci fa sentire meglio ed in questo silenzio che ci circonda, per un attimo i problemi che ci affliggono sembrano scomparsi.
Alla fine è Finnick a rompere la magia e a parlare per primo.
- Anna...- mi chiama piano, come se dovesse svegliarmi – Anna – ripete ancora ed io mi sveglio dal mio sogno ad occhi aperti in cui tutto andava come volevo.
Un po' fa male sentirlo chiamarmi con un nome che non è il mio, mi sembra di averlo sempre ingannato.
'Tu lo hai ingannato!'
No! Io gli ho detto la verità sulla storia del rapimento di mia sorella.
'Solo perché ti serviva il suo aiuto '
Non è vero, Finnick è mio amico, non l'ho usato, lui mi ha aiutata, è così che fanno gli amici, no?
'No, gli amici si dicono la verità, sempre!'
 
- Devo dirti una cosa – diciamo all'unisono alzandoci da terra – Anna, non abbiamo molto tempo... e quello che devo dirti io, è decisamente... importante! – dice.
Oh Finnick, se solo sapessi che è importante anche quello che devo dirti io, quanto importante … ‘Sai, non te l’ho mai detto, ma in realtà non sono quella che credi!’.
Si guarda attorno con aria seria, così seria che per un attimo mi fa preoccupare, dov'è finito il mio amico, quello che scherzava su tutto? Finnick Odair, l'ironia fatta persona.
Sospira con aria affranta, si passa una mano fra i capelli ramati e poi mi lancia uno sguardo pieno di tensione.
Ora sì che sono preoccupata, non lo avevo mai visto così, cos'è successo?
- Posso dirtelo? - domanda con un filo di voce, ma ho come l'impressione che, piuttosto che a me, questa domanda sia rivolta a se stesso.
Lo guardo, dicendogli con lo sguardo che può dirmi qualsiasi cosa, certo che può farlo, lui è mio amico, voglio condividere le preoccupazioni con lui, alleggerirgli il cuore.
Scuote impercettibilmente la testa e per un attimo temo che questo gesto sia la risposta alla domanda che si è posto pochi attimi prima.
Poi si gira verso di me, mi guarda negli occhi, le sue iridi verde mare si mescolano con le mie, nere come la notte che ci avvolge e in questo abbraccio di sguardi comincia a parlare.
 
È difficile stargli dietro, sputa le parole come se le avesse imparate a memoria, come se fossero anni che aspetta di farmi questo discorso ed io sono qua a cercare di capire.
Ogni sua parola mi colpisce come un pugno nello stomaco, ogni sua parola è una scossa elettrica, una scintilla.
 
Katniss Everdeen.
Ancora lei, è sempre lei.
Sembra che lei nel suo discorso sia il centro di tutto.
Lei che mi ha negato il suo aiuto.
 
- Ecco perché dobbiamo fare di tutto per farla rimanere in vita – dice alla fine Finnick prendendo fiato dopo il suo discorso, questo è davvero un boccone amaro da mandare giù.
Corrugo la fronte, non capisco, le parole di Finnick mi riempiono la testa, ma io non voglio ascoltarle, nella mente solo il ricordo di lei che mi nega il suo aiuto.
-Non capisco perché dovrei far di tutto per salvarla, quando in quell'arena ci sarai anche tu, Finnick– dico con sincerità, gli occhi del mio amico si riducono a due fessure.
- Ma non capisci? Non hai sentito quello che ti ho detto? Lei è la nostra ultima speranza, Anna, l'unica speranza! - risponde, la voce incrinata dall'esasperazione.
Si passa una mano tra i capelli ramati e cammina per un po' avanti ed indietro per la terrazza, poi si ferma di nuovo davanti a me – Noi dobbiamo fare qualsiasi cosa per farla sopravvive, lei deve arrivare fino alla fine... e alla fine di tutta questa pagliacciata lei sarà la nostra arma contro la capitale – cerca di spiegarmi con quanta pazienza ha in corpo, il mio sguardo è ancora duro, Finnick sbuffa sonoramente – Lo hai detto anche tu, ricordi? Lei è la nostra speranza... – dice cercando di convincermi, ma invano– Oh, si è visto infatti com'è stata d'aiuto! - rispondo sarcastica  - Ragiona, Anna! Era spaventata, infondo è solo una ragazzina, tutto questo è più grande di lei, tu volevi che risolvesse i tuoi problemi quando non sapeva neanche come risolvere i suoi! - dice, la voce sicura
 – Anch'io ero una ragazzina quando ho dovuto affrontare tutto questo e nessuno si è preso il riguardo di salvarmi la pelle! -  protesto alzando appena di un tono la voce.
Ma appena escono dalla mia bocca queste parole, so che non sono vere.
Non è vero che non c'era nessuno a proteggermi, il ricordo si insinua prepotente nella mia testa, chiudo gli occhi e stringo forte tra le dita il ciondolo che ho al collo...io avevo Ares.
 
- Cosa devo fare? - domando alla fine sospirando, completamente arresa al suo piano – Devi promettermi che metterai la sua vita al primo posto, lei è più importante di tutto, ci serve viva! - mi risponde Finnick con ritrovato entusiasmo.
Lo guardo negli occhi per un attimo.
Fa sul serio?
Come può pensare che io metta anche solo per un momento la vita di Katniss davanti alla sua?
 
Inaspettatamente la mia testa annuisce da sola, sul suo viso si apre un sorriso sincero – Ero sicuro che saresti stata dei nostri! - dice con aria trionfante, non capisco – Dei nostri chi? - chiedo perplessa, lui mi fissa come se avesse appena chiesto di che colore è il cielo  - Oh, andiamo Anna! Non avrai mica pensato che volessi mettere su una rivoluzione da solo? - mi canzona con aria divertita.
Allora è di questo che si parla, è ufficiale.
Rivoluzione.
È una parola così grande, meravigliosa e catastrofica allo stesso tempo; come può pronunciarla qui a Capitol City? Qualcuno potrebbe sentirci e allora... sarebbe la fine!
 
- Tranquilla, qui siamo al sicuro! non ci sono telecamere né cimici quassù, ho controllato personalmente – dice rispondendo alla mia domanda inespressa.
Avrei dovuto immaginarlo, Finnick non lascia mai nulla al caso!
Mi guardo un po’ intorno, anche se ci fossero state delle cimici o dei microfoni, non si sarebbero sentite comunque le nostre parole, il possente vento che tira, non lo avrebbe permesso.
-Ci credi davvero? – domando all’improvviso con un filo di voce, Finnick corruga la fronte, così mi affretto a spiegarmi meglio – Credi davvero che sia possibile una… rivoluzione? – mi è difficile persino pronunciarla questa parola, è tutto così strano!
- Devo… se anche ci fosse una possibilità su un milione, io devo crederci, per non impazzire – mi risponde di getto, le sue parole mi colpiscono come uno schiaffo e mi risvegliano dal torpore.
Certo che ci crede, certo che ci credo.
La prospettiva di una rivolta, avere il diritto di lottare per la propria libertà, avere una propria libertà, è elettrizzante.
 
-E lei è proprio necessaria vero? – gli chiedo con un filo di insofferenza, fa una smorfia e alza gli occhi al cielo – Si, se vogliamo che il nostro piano funzioni… - risponde evasivo, poi notando il mio sguardo curioso, avido di informazioni, la sua espressione si addolcisce – Lo so che ora può sembrare tutto assurdo, ma non lo è, può funzionare, ne sono convinto, ti spiegherò meglio in seguito, ma ho bisogno del tuo sostegno, Anna, ti fidi di me? – chiede, più che una domanda sembra una supplica.
Per primo risponde il mio cuore alla sua domanda, poi la testa traduce in parole la scarica di emozioni che mi pervadono  - Certo che mi fido di te, Finn -  sul suo viso si apre un sorriso, mi attira a sé e mi abbraccia stringendomi forte a lui, ci stacchiamo lentamente, con le dita mi blocca il mento, mentre le sue labbra si posano leggere sulla mia fronte, poi si volta, sta pere andarsene quando lo fermo – Abbi cura di te, amico mio – la voce mi trema, sembra quasi un addio, ma non lo è, non voglio che lo sia, non può esserlo, non deve.
Si gira, le sue labbra si piegano in quel suo sorriso sbilenco, poi si volta di nuovo e sparisce dietro
la porta della terrazza.
 
Rimango a lungo a fissare un punto indefinito nel cielo blu spento, fin quando il freddo vento che mi sferza la pelle, mi riscuote dai miei pensieri, infreddolita e confusa torno nella mia camera.
 
Per poco non sobbalzo dallo spavento quando vedo Sam seduto sul letto, ero così sovrappensiero che non avevo neanche notato che la porta era aperta.
-Ehi, mi hai fatto prendere un colpo! – dico col fiato corto, lui mi squadra col suo sguardo torvo, l’espressione severa di chi non si è divertito ad aspettarmi fino ad ora.
- Si può sapere dove sei stata? –  chiede, il suo tono accusatorio non mi piace per niente.
Ed ora che faccio? Potrei inventarmi qualsiasi scusa, dato che sospetto non gli faccia piacere sapere con chi sono stata, oppure potrei dirgli la verità… opto per la seconda, non mi piace dirgli bugie, faccio un respiro profondo e mi preparo alla sua sfuriata.
-Ero con Finnick – dico in un sussurro, il suo viso diventa paonazzo, l’espressione livida di chi sta trattenendo a stento la furia.
Mi preparo ad attutire il suono delle sue urla, ma stranamente dalle sue labbra esce solo un verso gutturale di frustrazione – Si può sapere chi è questo Finnick? – chiede stizzito, alzo un sopracciglio interpretando con umorismo la cosa.
Come sarebbe a dire ‘chi è’? Anche i muri conoscono Finnick Odair!
Lui, comprendendo i miei pensieri, si affretta a correggersi – Voglio sapere chi è per te, Finnick Odair! – dice, la mascella serrata, le guance arrossate, non c’è dubbio: è proprio arrabbiato.
Bella domanda… chi è per me Finnick? La mia testa cerca di elaborare l’infinito materiale che le fornisce il mio cuore, avrei mille parole per Finnick, mille aggettivi con cui descriverlo : amico, fratello, alleato, compagno, coinquilino, salvatore…
Scelgo il primo, il più semplice – Lui è mio amico – rispondo, la voce talmente bassa che è difficile udirla, Sam scuote piano la testa – A me non sembrava che si comportasse come un amico questa sera alla sfilata… - commenta acido, i denti stretti in una morsa di rabbia.
Lo guardo vagamente intontita e sorpresa per un attimo, è davvero questo il suo problema?
Non riesco a trattenere un sorriso al ricordo di un paio d’ore fa, Finnick che mi lancia una delle tante rose che ha ricevuto, Sam che lo guarda con sguardo truce.
Lui non capisce, Finnick è fatto così!
-Cos’è che ti diverte, Jenna? Dimmelo, ti prego, perché io non mi sto divertendo affatto! – il suo tono è duro, ma guardando la sua espressione buffa da ‘cane bastonato’ non riesco a non ridere ancora – Tu! – gli rispondo facendo un cenno con la testa - Io? – ora è confuso, o forse così livido di rabbia da non trovare le parole da urlare, non saprei.
Piega la testa di lato, la bocca schiusa dalla sorpresa, ora direi che l’espressione di poco fa era di confusione, strano ma vero direi che è addirittura curioso – E cosa ci sarebbe di così divertente in me? Sentiamo! – mi sfida.
Io sorrido debolmente mentre con passi di una straziante lentezza mi avvicino a lui, quando ci separa solo un soffio mi fermo, gli occhi di tenebra puntati nell’azzurro dei suoi.
Con un dito percorro la curva pronunciata della sua mascella, al mio tocco giurerei di sentire ogni suo muscolo contrarsi, è ancora arrabbiato.
Ma non demordo, il mio dito continua il suo percorso terapeutico fino alla sua bocca, sfioro col polpastrello il labbro inferiore che trema come sempre quando gli sono vicina, resiste all’impulso di buttare la testa all’indietro, chiude gli occhi cercando un minimo di concentrazione con cui continuare la sua resistenza.
Quando li riapre sono ancora più vicina di prima, gli occhi fissi nei suoi, sento il suo respiro sfiorarmi la pelle, alzo una mano e gliela poggio sul cuore senza interrompere il nostro discorso di sguardi.
Ascolto il suo battito veloce e irregolare pulsare sotto il mio palmo, raggiungo la sua mano e l’afferro, poi la porto sul mio di cuore.
-Lo senti? Questo batte per te, è tuo – sussurro, la voce graffiata, poi la guido alla mia bocca, lascio che giochi con le mie labbra – Sono tue – dico mentre gli bacio le dita, conduco la sua mano più giù verso il collo, poi le spalle, le braccia, la sua mano mi sfiora il seno – Anche questo è tuo –  scendo ancora verso la pancia, all’altezza dell’ombelico, che dicono sia il centro della vita – Tuo – sussurro, i miei occhi ancora nei suoi.
Poi allontano la sua mano dal mio corpo, intreccio le mie dita alle sue, lo guardo ancora negli occhi – Io sono tua – dico sicura, la mia voce è piena di promesse, scuse, sentimenti.
Come fa a non capirlo? Per me non ci sarà mai nessun’altro, lui è l’unico, il solo, lui è tutto…
 
-Stupido geloso testone che non sei altro! – dico scuotendo piano la testa – Pure?!? – incassa il colpo – Si, ma sei il mio, stupido geloso testone – dico accarezzandogli una guancia, per poi baciarlo dolcemente.
Lo sento sorridermi sulle labbra, ma non lo ammetterà mai, deve mantenere il suo onore e far finta di essere ancora arrabbiato, non ci riesce molto bene mentre mi abbassa la zip del vestito, addio onore, addio mantenere la propria posizione, vorrei farglielo notare, ma entrambi facciamo finta di niente.
 
La mattina seguente ci siamo già scordati tutto, litigi, baci, ora vestiti di tutto punto, abbiamo dipinte sul viso due facce serie, siamo o no due mentori?
-Smettila! – sibilo ridacchiando mentre Sam mi agguanta una manica del vestito per cercare di attirarmi più vicina a lui… si, siamo proprio due mentori professionali!
Per fortuna quando arriviamo nella sala comune del nostro piano, la smette di giocare e si concentra sul suo compito permettendomi di fare lo stesso.
Peccato che non ci sia nessuno su cui riversare tutta questa concentrazione.
-Dove sono Blight e Johanna? – chiedo all’irritante capitolina seduta al tavolo, lei solleva le lunghe ciglia finte dalla sua tazza di tè – Oh, loro sono già andati, cara, hanno detto… -neanche le faccio concludere la frase, mi precipito verso l’ascensore, Sam subito dopo di me.
Non è possibile, il primo giorno di addestramento e già siamo in ritardo!
Quando arriviamo troviamo subito Johanna ad aspettarci, sposta lo sguardo su di me e poi su Sam
 – Vi sembra questa l’ora di arrivare? No dico, capisco tutto, l’amore, gli ormoni… ma santo cielo non vi basta tutta la notte? Dovete fare anche il bis la mattina e arrivare tardi? – ci canzona agitandoci l’indice davanti in un gesto di rimprovero, alcuni nella sala ridacchiano al suo commento.
Santo cielo, è così imbarazzante! Sembriamo due bambini disubbidienti sgridati dalla maestra, con la sola eccezione che i ruoli dovrebbero essere capovolti… siamo o non siamo due mentori?
‘Siete o non siete arrivati in riardo?’
Siamo, siamo.
‘Ecco, appunto. Zitta e incassa.’
 
Uno per Johanna, zero per Jenna.
 
Con la coda fra le gambe ci dirigiamo vicino tutti gli altri mentori.
Fa un certo effetto stare in mezzo a loro, sono tutti grandi, adulti ed esperti, noi invece, o quantomeno io, non lo sono affatto.
Tra tutti noto subito gli occhi grigi di Haymitch, distretto 12, mentore di Peeta…e di Katniss.
Anche lui mi ha vista, i guardiamo per un attimo, poi mi fa un cenno della testa e torna a parlare con un tipo al quale manca una mano.
Più tardi scopro che il tipo in questione è Chaff, distretto 11, vincitore dei 45esimi Hunger Games, sembrano ottimi amici mentre discutono di qualcosa che evidentemente trovano simpatico.
Mi avvicino al gruppo di Sam e ascolto la discussione che si sta svolgendo, ma non posso non intercettare qualche parola del discorso dei due ‘ubriaconi’; parlano di Katniss, già non ho più voglia di ascoltare nulla, della sua ingenuità, oh sì come no, proprio ingenua, di un bacio, ridono.
Poi non li sento più, mi volto leggermente per guardare se si sono allontanati o semplicemente stanno continuando la loro conversazione a bassa voce, ma quando mi giro, trovo Haymitch davanti a me – Noi due dobbiamo parlare, ragazzina –dice prendendomi per un braccio, in un tono che non ammette repliche, quindi decido che è meglio non protestare.
 
Lo seguo in un angolo appartato della stanza, la musica è così alta che stento riuscirò a comprendere quello che ha da dirmi, ma forse è meglio così, vorrà dire che nessuno potrà sentire la nostra conversazione, mi domando se è proprio questo il suo intento.
Mi volto per un attimo per vedere se Sam si è accorto della mia assenza, ma per fortuna è troppo preso dalla discussione.
Haymitch ha la faccia un po’ arrossata, l’espressione indecifrabile, i due occhi grigi sono ridotti a due fessure, mi guarda per un po’, si guarda intorno e poi comincia il suo discorso  -Ascoltami, Finnick mi ha detto che tu sai… sappi che non permetterò che niente e nessuno mandi in fumo ….la questione… quindi non c’è spazio per i ripensamenti, se devi tirarti indietro fallo ora… è giusto che tu sappia che non ero d’accordo con metterti al corrente, meno siamo e meglio è, ma Finnick ha insistito così tanto, ha detto che senza te non ci stava e Finnick ci serve. Perciò sembra proprio che dovremo subirti come suo danno collaterale, spero che almeno tu sia un danno utile! – dice con una sincerità disarmante e prima che possa anche solo pensare a come ribattere, se n’è già andato.
 
E così dentro … la questione … c’è anche Haymitch, chi lo avrebbe mai detto? Forse in questi anni abbiamo tutti sbagliato a considerarlo solo un vecchio ubriacone.
 
Sono tre giorni pesanti quelli che seguono, mentre i tributi si allenano, noi mentori cerchiamo di elemosinare anche il più piccolo sponsor.
Sono così confusa, non so che fare, prima avevo un piano, uno scopo: salvare Finnick, e cosa impossibile, anche Johanna e Blight, ma almeno sapevo come muovermi, ora non più.
Certo, fosse per me non ci penserei due volte a continuare per la mia strada, ma Finnick è stato chiaro, la mia priorità deve essere Katniss Everdeen.
Ma come faccio? Cosa vuol dire? Ha detto che mi avrebbe spiegato meglio, non ci capisco niente.
Ho così tante domande da fargli, ho bisogno di parlare con Finnick, ma come?
 
Ci vuole un po’ per rintracciare la senza-voce che qualche giorno fa mi mandò il suo messaggio, ma alla fine la trovo, se Finnick si fida di lei, anch’io mi fido di lei, le do il mio messaggio e poi vado in terrazza ad aspettare il mio amico.
Puntuale arriva all’ora stabilita nel biglietto, non so bene come faccia, infondo è sempre un tributo.
‘Infondo è sempre Finnick Odair!’
 
Adesso che è qui, le mie domande aumentano a dismisura, ho paura di perderlo, ho bisogno di certezze, comincio a tartassarlo con i miei dubbi.
-Vedi Anna, questi Hunger Games saranno esattamente come gli altri, procederanno come al solito, soltanto che ad un certo punto scatterà il nostro piano e con questo la rivoluzione – mi spiega il tono calmo, come fa a parlare di queste cose con così tanta tranquillità?
- Quindi ci saranno dei morti? – la mia voce reagisce prima della mia testa, non ci voglio pensare, certo che non ci saranno morti.
- Si, purtroppo credo di si. Non so dirti quanti, non so dirti niente di tutto ciò, noi abbiamo un piano, ma non sappiamo quando scatterà, questo dipende solo da Katniss. Potrebbe essere all’inizio, così risparmieremo molte inutili morti, o potrebbe essere alla fine dei giochi, potrebbe far scattare il piano quando è rimasta solo lei nell’arena… non lo sappiamo – mi risponde, l’aria un po’ afflitta di chi non può darmi le certezze di cui ho bisogno.
- Ma lei farà scattare il piano il prima possibile, sono certa che non vuole altri morti sulla coscienza!–  dico sicura, Finnick sospira e un sorrisino che sa tanto di presa-in-giro, si fa strada sul suo viso – Oh Anna, lei non sa niente del nostro piano, lei non sospetta neanche minimamente di quello che sta per succedere  - le sue parole mi lasciano senza fiato – E allora come saprà cosa fare?–   domando, il tono leggermente più ingenuo di come avrei voluto – Questo spetta a noi, creeremo l’opportunità, aspetteremo il momento giusto e quando arriverà, inizierà il piano – risponde – Noi tributi-vincitori, noi che siamo nell’arena… - continua rispondendo alla mia domanda inespressa – Tutti voi sapete del piano? – domando – Tutti, tranne Peeta, Katniss e i due morfinomani, non vedo come ci potrebbero essere utili… è ovvio che salveremo anche loro una volta che tutto sarà andato come deve andare… - afferma convinto.
Annuisco con aria distratta, c’è ancora una domanda che mi ronza nella testa – Tu ti salverai,vero Finn? – chiedo in un sussurro, ho paura della risposta che potrebbe darmi.
-Non posso risponderti, Anna, non lo so neanch’io… ma del resto nessuno sa dove e quando morirà, io almeno saprò il perché. Se morirò, sarà perché avrò combattuto per i miei ideali, per la mia libertà e quella della persone che amo. Voglio morire così, non voglio arrivare a settant’anni con le rughe sul viso, seduto su un dondolo a guardare l’ennesima edizione degli Hunger Games, domandandomi cosa avrei potuto fare, a domandarmi cosa non ho fatto. Voglio morire sapendo che anche grazie a me, questo schifo è finito, voglio morire sapendo che un giorno i miei figli, se mai ne avrò, non dovranno convivere con la paura di essere estratti. Voglio morire lottando in quello in cui credo e non c’è niente in cui creda di più di questo… io ci credo. – dice, la voce spezzata, il fiato corto, ha ragione, ha dannatamente ragione.

- Anch’io ci credo, Finn! – le lacrime minacciano di bagnarmi gli occhi, mi rendo conto di aver quasi urlato, enfatizzata dal suo discorso perfetto, lui mi regala un sorriso luminoso, mi prende una mano e se la porta alle labbra a mo’ di saluto, poi si gira e se ne va, sta per varcare la porta quando si volta verso di me – Posso chiamarti Annie? – mi chiede con l’ombra di un sorriso sulle labbra, io piego la testa di lato, quando vorrei dirgli che in realtà il mio nome è Jenna, lo vorrei tanto ma non posso, non qui, non ora, non è ancora il momento.
Annuisco piano ridendo appena, il suo sorriso si allarga, mi lancia un bacio con la mano, poi si volta e scompare dietro la porta della terrazza.





Angoletto dell'autrice che esulta: 
Ehhhhhh! Finalmente è finito quel carcere penitenziario che chiamano scuola ed io vi comunico con grande piacere che avrò più tempo per scrivere! 
Detto ciò, sì, sono sempre in ritardo, ma un po' meno rispetto a l'altra volta, sto migliorando no? :D
Devo dire che speravo di riuscire ad infilare più 'fatti' in questo capitolo, invece le cose camminano a passo di lumaca, purtroppo mi inpongo dei temopi che non rispetto mai, spero che il capitolo o la storia in generale non vi sembri troppo lenta, altrimenti ditemelo!
Passando a quello che c'è nel capitolo, ho inserito Chaff, era irresistibile la tentazione di poter aggiungere scene e dialoghi tra i due amici ubriaconi; comunque per chi non lo avesse capito, il bacio di cui parlavano lui ed Haymitch è quello che lui ha dato a Katniss nel secondo libro subito dopo la sfilata dei carri, non lo so, mi andava di metterlo... XD
Finalmente anche Jenna sa della rivolta, ma Sam? Lei ancora non ci ha pensato, ma nel prossimo capitolo siporrà il problema...
E niente, non credo ci sia altro da dire... fatemi sapere cosa ne pensate!
Un grazie enorme va come sempre, a chi ha recensito lo scorso capitolo, siete davvero degli angeli! 
Grazie mille perchè non solo leggete i capitoli, ma sopportate anche questi angoletti... si spera! 
* E fu così che seppe che nessuno leggeva i suoi angoli d'autore!* 


Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Quella sera torno in camera e non chiudo occhio.
Non bastano le braccia di Sam a scacciare gli incubi questa volta, mi sento in colpa per non avergli ancora detto del piano di Finnick, o meglio del nostro piano; ecco perché questa notte le sue braccia invece di allontanarli, attirano i brutti sogni, mi ricordano costantemente che gli sto mentendo.
Quanto vorrei dirgli tutto, lo vorrei tanto, ma non posso, non prima di aver parlato con Finnick.
La mattina appena apro gli occhi e sono attiva, la mia priorità diventa cercare la senza-voce ‘amica’ di Finn, ma per quanto la cerchi ovunque, non la trovo, sembra scomparsa nel nulla, decido quindi di non perdere altro tempo e mi appunto mentalmente di cercarla più tardi.

Intanto ogni angolo del centro di addestramento è in fibrillo, gli stilisti preparano i vestiti per le interviste di questa sera, i tributi pensano a quale lato mostrare di sé a Capitol City.
Ma quest’anno è tutto diverso, quest’anno ci sono tributi che sono già stati vincitori, che hanno fatto già mille interviste, che conoscono Caesar e lo salutano come un vecchio amico, che salutano Capitol City come una vecchia amica.
Quest’anno ci sono tributi che non hanno voglia di combattere, tributi che non hanno voglia di giocare, non alla regole della Capitale.

Ed io mi sento tanto stupida quando Johanna entra nella stanza e si siede sulla sedia davanti a me.
Dovrei prepararla per l’intervista, ma come faccio? Come si fa a dirle cosa deve fare o dire? Come si può? Non si può, non posso far finta che sia una ragazzina indifesa, lei è una donna ed è una vincitrice.

-Allora? Che si fa, ci giriamo i pollici? – chiede con un po’ d’ironia dopo qualche minuto di silenzio – Non so, tu cosa proponi di fare? - domando senza sapere bene dove vuole andare a parare, lei sbuffa divertita – Oh, sei tu la mentore! – dice alzando le spalle.
A che gioco sta giocando? Fino a ieri mi prende in giro rendendomi ridicola agli occhi di tutti ed ora vorrebbe che mi comportassi come una mentore? - Ma se la prima sei tu a non accettarmi come tua mentore! – protesto, la voce alta per la rabbia, lei ha un’aria stupita e un po’ divertita – Cosa ti fa pensare di non essere accettata? – chiede con aria fin troppo innocente, sbuffo esasperata – Ti prego Johanna, finiamo questa pagliacciata! Dimmi come ti comporterai questa sera e ognuna ritorna a fare quello che stava facendo! – propongo pragmatica con ritrovata pazienza, lei ridacchia un attimo – Si, così puoi ritornare a vendere le tue grazie in cambio di sponsor – borbotta tra sé e sé a voce bassa, ma non abbastanza bassa perché non possa sentirla.
-Cosa hai detto, scusa? – urlo fuori di me, come si permette di giudicarmi così? Lei cosa ne sa? Quello che sarei stata pronta a fare sono solo affari miei!
- Oh, andiamo! Non fare finta di non aver capito! Cosa credi che non lo sapessi? Le voci qui a Capitol City corrono – dice col tono di chi la sa lunga, mi alzo in piedi – Non sono affari tuoi! – le ringhio in faccia a denti stretti, ora anche lei si è alzata in piedi –Oh, certo che non sono affari miei se fai la sciacquetta per elemosinare qualche sponsor, diventano affari miei quando gli sponsor sono per tributi di altri distretti… lo so che ci tieni al tuo Finn, ma sai, lo conosco bene e non credo che gli piacerebbe sapere cosa fai per assicurarti che sopravviva! - mi sputa le parole in faccia, chiudo gli occhi.
Cos’è quella nella sua voce? Rabbia, disgusto, disapprovazione?
Sento il rumore di qualcosa che si frantuma, sarà Johanna che lancia arrabbiata qualsiasi oggetto le sia capitato a tiro, apro gli occhi, mi sbagliavo.
Gli occhi azzurri di Sam mi fissano, ai suoi piedi ci sono i cocci del bicchiere che fino a due secondi fa, aveva in mano.

Silenzio.

Fermi, quasi non respiriamo, sembriamo due statue.
I suoi occhi fissi nei miei, sono gelidi, privi di ogni emozione.
La sua bocca è chiusa, il suo corpo rigido, non c’è niente, non rabbia, non disgusto, non disapprovazione, non c’è niente di tutto questo, c’è solo il vuoto, guardo nei suoi occhi e vedo il vuoto.
Quegli stessi occhi sempre pieni di tutto quando mi guardavano, ora mi fissano per un tempo interminabile e dentro di loro, niente, solo il vuoto.

Sto zitta, ferma, non oso parlare, non oso muovermi.
Cosa c’è da dire? Cosa c’è da fare?
Niente. Silenzio. Vuoto.

La senti, Jenna? Questa è la verità … e fa male!’

Una lacrima solitaria sfugge dai suoi occhi vuoti e riga il viso impallidito, scivola lenta sul mento e si tuffa dentro il colletto della camicia, prima che possa versarne altre si gira e se ne va.

Appena la porta si chiude io crollo a terra.
E se prima ero vuota, ora sono piena, piena di ogni emozione, che mi martella il petto, che mi infuria dentro il cuore.
E se prima ero ferma, adesso non riesco a smettere di tremare, mi contorco cercando un posto dove il dolore non possa raggiungermi, ma lui mi trova sempre.
E se prima ero zitta, ora urlo, urlo emozioni, urlo qualcosa che non sono parole, urlo con gli occhi, con le mani, con la bocca, urlo col cuore.

Sembrano fatte di fuoco le lacrime che escono dai miei occhi e bruciano mentre scendono sulle mie guance.

Una mano si posa leggera sulla mia spalla, Johanna raccolta tutta la forza che ha in corpo, che è molta di più di quanto sembri, mi solleva di peso e mi costringe a stare in piedi, con le mani mi alza il viso con forza.
Cerco di scansarla, non la voglio qui, è solo colpa sua se ora Sam è arrabbiato con me.
No Jenna, è solo colpa tua se Sam è arrabbiato con te ‘
Se lei non avesse sbandierato questa faccenda in questo modo …
Questa è la verità, Jenna, presto o tardi la verità viene sempre a galla ‘
Si, ma non ora, non così, non è così che doveva venirlo a sapere.

Incapace di fare qualsiasi altra cosa comincio a sfogare la mia rabbia su Johanna.
La insulto, le urlo in faccia parole orribili, parole che non le direi mai in un altro momento, ma ora sono troppo arrabbiata per pensare lucidamente, troppo arrabbiata per pensare e basta.
Quando esaurisco gli insulti rimaniamo in silenzio a guardarci negli occhi - Ti sei sfogata? – domanda cauta, per la prima volta nella sua voce non c’è traccia d’ironia, scuoto la testa in senso negativo, lei mi guarda un attimo sbigottita, poi allarga le braccia – Avanti, dacci dentro!– mi esorta a continuare.

Ma all’improvviso non ho più voglia di prendermela con lei, all’improvviso ho solo voglia di prendermi a schiaffi finché non mi si sgretola la faccia.
-è tutta colpa mia – sbotto d’un tratto, Johanna mi guarda come se le avessi appena dato un pugno, mi prende con le mani il viso costringendomi a guardarla negli occhi – NO! Ascoltami bene, non dire mai più una cosa del genere, ok? – scandisce le parole come stesse parlando ad una bambina.
Che cosa vuol dire? Perché ora mi dice questo? Pochi minuti fa mi ha detto quelle cose orribili ed ora mi dice che non è colpa mia, come posso ascoltarla?
Johanna fa un grande sospiro e poi inizia a parlare -Credimi, non è colpa tua. Le cose che ti ho detto prima, ecco… io le ho dette perché volevo farti capire che non era giusto cercare di risolvere un problema così... non è colpa tua se quel viscido verme di Snow ti ha costretta a fare quello che hai fatto, non sei stata la prima, né l’ultima, ci siamo passate tutte… ma la differenza è che tu hai avuto una possibilità. Finnick ti ha dato una possibilità e credimi, lui non vorrebbe che tu la sprecassi per lui, non è questo il modo di salvarlo. Fidati di me… noi abbiamo un piano e se tutto andrà come deve andare… Oh, insomma, non ti devi preoccupare, ci penso io a quel merluzzo lesso di Finn!- .

Non è facile elaborare tutte le sue parole, ma più le risento nella mia mente più capisco quanto Johanna mi ha detto, quanto si è aperta con me.
Lei voleva solo farmi capire che non era il modo giusto per cercare di aiutare Finn, non poteva semplicemente dirmelo come avrebbe fatto un qualsiasi persona normale?
Oh Jenna, lei è Johanna Mason!’

Mi ritornano in mente le sue parole:” non sei stata la prima, né l’ultima, ci siamo passate tutte …”, quindi anche lei è stata ricattata da Snow …. “ Noi abbiamo un piano e se tutto andrà come deve andare …” perciò anche lei è al corrente … “della faccenda… come la chiamerebbe Haymitch.
Solo ora mi rendo conto di quanto è stata imprudente a farmi questo discorso, qui.

Con una mano mi asciuga una lacrima dalla guancia – Ed ora va a riprenderti il tuo ragazzo – mi dice allontanandosi da davanti a me per farmi strada, io non mi muovo, fisso immobile la porta dietro alla quale è sparito Sam – Allora? Sei ancora qui? - mi dice fingendosi spazientita, mi da una spintarella in avanti e basta quella a farmi correre fuori dalla stanza.

Non è difficile trovarlo, è piuttosto prevedibile, nonostante tutto, non c’è nessuno che lo conosca meglio di me, appena apro la porta della terrazza lo vedo, appoggiato al parapetto guarda il cielo colorato di rosso dal tramonto.

Si è accorto che sono arrivata, lo vedo da come ogni suo muscolo si è irrigidito.
Mi fermo dietro di lui, a qualche passo di distanza, ora che sono qui, sembra tutto così inutile, perché sono qua? Cosa posso dirgli?
Puoi cominciare con la verità … per esempio’
E così comincio da quella.

-Quando sono venuta qui a Capitol City, ero sola, sola contro gli incubi, sola contro i ricatti, sola contro i fantasmi che mi portavo dietro dall’arena… poi ho conosciuto Finnick. Da quel momento non sono stata più sola, quando ho avuto gli incubi lui c’è stato, quando si è fatto vivo qualche brutto ricordo dei Giochi lui c’è stato, quando Snow mi ha ricattato e io non ho potuto fare nient’altro che cedere … lui c’è stato ed ha fatto in modo che non accadesse mai più.- prendo fiato un attimo e poi continuo - È facile parlare, è facile armasi di coraggio e dire:” io sono forte, io non cedo ai suoi ricatti, io non accetto le sue condizioni”, ma non si tratta di avere coraggio, non si tratta di essere forti. Quando lui minaccia di uccidere le persone che ami, che fine fa il tuo coraggio? Che fine fa il tuo essere forte? Non hai più coraggio, non sei più forte. Cedi, molli la presa, cadi in ginocchio, accetti ogni condizione. E non importa il prezzo che devi pagare, davvero, non importa, pagheresti qualsiasi prezzo per non vedere soffrire chi ami … Io ho pagato e avrei pagato qualsiasi prezzo per saperti al sicuro …- sospiro guardando la sua schiena -Quindi paghi, paghi il prezzo che devi pagare e torni a casa. Col cuore pesante, con un segreto che non ti lascia respirare e vorresti morire, perché ti fai schifo, perché non riesci nemmeno più a guardarti allo specchio, ma torni a casa e da una parte sei serena, perché pensi: “ Ho fatto quello che voleva, ora le persone che amo sono al sicuro” … e invece no, perché lui rapisce tua sorella, nonostante tu ti sia attenuta alle sue regole, nonostante tu abbia ceduto ai suoi ricatti. E allora pensi che è stato tutto inutile, che hai venduto te stessa per niente e hai ragione, perché ora non hai più tua sorella, ora non riesci più a guardarti allo specchio.- è così difficile tirar fuori queste parole! -
- E dimmi, come fai a dire la verità a chi ti sta vicino? Come fai a confessare qualcosa che stai cercando di dimenticare? Tu puoi capire, sono sicura che nessuno può capire meglio di te.
Come mai non mi hai mai raccontato di Jeremy? Aveva tredici anni, in quell’arena era il più ingenuo, eravate rimasti in pochi, tu eri nel gruppo giusto, quello dei vincenti, ti dissero che se volevi restarci dovevi ucciderlo, non hai avuto scelta, volevi tornare a casa, la tua ascia è affondata fino al manico nel petto di Jeremy. – prendo fiato e mi fermo un attimo a soppesare la sua reazione, ma lui è immobile, continuo a fissare le sue spalle - Allora, dimmi, come puoi confessare qualcosa che stai cercando di dimenticare? – chiedo ancora, questa volta la mia voce lascia trasparire tutte le emozioni che lottano dentro di me.

Dopo un tempo che mi pare interminabile lo vedo muoversi appena, si stacca dal parapetto, la schiena dritta, lo sguardo perso nel cielo davanti a lui - Non puoi. Non puoi perché hai paura che non ti guarderà più negli occhi – risponde cauto alla mia domanda, la voce leggermente incrinata
- Non puoi perché hai paura di averlo deluso – continuo, anche la mia voce trema – Non puoi perché pensi non possa capirti – dice ancora lui – Non puoi perché pensi che non possa perdonarti – aggiungo in un sussurro, trattengo il fiato, tremo – E ti sbagli, perché magari lui non ti avrebbe mai condannato – dice la voce più ferma. Ho sentito bene? Lo ha davvero detto? – Magari ti avrebbe perdonato – azzardo sperando - Magari voleva solo che tu glielo dicessi, voleva solo che tu ti fidassi di lui – pronuncia le ultime parole in un bisbiglio e mi chiedo se ho sentito bene.

Poi si volta, finalmente posso guardare i suoi occhi azzurri, trovarli velati di lacrime mi spezza il cuore.
Rimaniamo così, a guardarci negli occhi per un’eternità, poi schiude le labbra e sembra che finalmente stia per parlare, ma niente, regna ancora il silenzio.
Mi guarda e dal suo sguardo non so capire cosa prova in questo momento.
Parla Sam, ti prego dì qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma Sam non parla parla, sospira, scuote impercettibilmente la testa, ma non parla. Dopo un po' fa per andarsene, lo fermo afferrandogli un braccio, i nostri sguardi si incrociano, con gli occhi mi prega di lasciarlo andare ed anche se mi costa una fatica indicibile mollo la presa dal suo braccio e lo guardo impotente scomparire dietro la porta della terrazza.

Per tutto il giorno mi evita, immerso nei suoi pensieri è chiuso nella sua camera e non permette a nessuno di entrarci. Io cerco di non pensare allo sguardo triste che mi ha lanciato quando ho afferrato il suo braccio, cerco di lasciarlo in pace, di non andare a bussare alla sua porta, ma quando è ormai sera e passo davanti alla sua camera, non resisto, non ce la faccio, ho bisogno di sentire la sua voce, ho bisogno che apra bocca, anche solo per cacciarmi via.
Alzo una mano tremante, sbatto le nocche sulla superficie liscia e smaltata vicino la maniglia.
Niente, silenzio.
Ci appoggio l'orecchio sopra, da dentro non proviene nessun rumore, nessuna voce, nessun respiro.
Aspetto ancora un attimo, incerta sul da farsi, indecisa se rischiare il tutto oppure no.
'Ma hai già bussato, hai già rischiato, sei qui a tremare dietro una porta, vuoi davvero rendere inutile tutto questo?'
No che non voglio.

La mia mano spinge sulla maniglia, la porta è aperta, scivolo dentro.
Sam è là, sdraiato sul letto, la testa immersa nel cuscino, non si muove, faccio qualche passo avanti, ora è terribilmente vicino. Dio solo sa quanto vorrei corrergli incontro ed abbracciarlo, vorrei chiudere gli occhi e riaprirli sapendo che mi ha perdonata.
Raccolgo un briciolo di coraggio e mi siedo lentamente sul bordo del letto, lui continua a non muoversi, la testa ancora affondata nel morbido cuscino. Alzo piano una mano tremante, sfioro con le dita la sua e basta questo piccolo gesto per creare elettricità.
Ma forse tutta questa elettricità è solo in me, perché Sam è ancora là, immobile.
Poi all'improvviso si muove, la sua mano afferra la mia, la stringe forte, mi tira dalla sua parte e colta di sorpresa, perdo l'equilibro cadendo sul letto. Lui è subito su di me, mi abbraccia forte, mi stringe a lui come se non ci vedessimo da anni, non so staccarmi da quell'abbraccio per chiedergli delle spiegazioni, non so interrompere questo contatto che ho agognato per tutta la giornata.
Neanche lui sembra intenzionato a lasciarmi andare, mi stringe ancora, se possibile più forte di prima, mi dico che mi verranno i lividi sulle braccia, ma non mi importa.

- Oh, Jenna – sussurra senza fiato, la voce ruvida, chiama il mio nome come fosse un'invocazione, una preghiera – Ma non capisci che così, prima o poi mi farai morire? - domanda, il tono ancora supplichevole, a cosa si sta riferendo? Non mi parla per un giorno, mi evita, è lui che così mi fa morire!
- Perché? Perché non ti fidi di me? Tutti questi segreti, i ricatti, le cose orribili che sei stata costretta a fare... io odio tutto questo e odio ancora di più il fatto che mi hai tenuto all'oscuro di tutto - parla al mio orecchio, le parole non più sussurrate ora escono con un tono alto dalla sua bocca - Ma non capisci? Non capisci che di me ti puoi fidare? Non capisci che puoi dirmi tutto? So quanto è difficile confessare qualcosa che stai cercando di dimenticare, ma non lo vedi? Non vedi quanto male ci stanno facendo ora quelle bugie? - continua, la voce incrinata, parlo ancora al mio orecchio, sospira forte - Io ti amo Jenna e pensarti costretta a fare quelle cose, mi fa male, pensare che ti sei sentita sola e che un altro ha dovuto consolarti, mi fa male, sapere che lo hai fatto per proteggere anche me, mi fa male. Mi fa male adesso mentre mi accorgo che non c'è niente che possa fare, che ormai è passato, che ormai ti ha lasciato un segno indelebile dentro, che ormai anche questa schifezza andrà ad unirsi alle altre nei tuoi incubi - prende fiato mentre una lacrima esce dai suoi occhi, la sento scivolarmi sul viso per poi bagnare il cuscino.

Poi piano alza la testa, ora riesco a guardarlo negli occhi – Non è giusto tutto questo. Non è giusto a diciannove anni portasi dietro questo peso, non è giusto vedere nel sonno le facce delle persone morte, non è giusto guardarsi le mani e vederle sempre sporche del sangue di quelle stesse persone, non è giusto vendersi per proteggere chi si ama, non è giusto vivere nella paura, nei segreti, nella continua finzione di essere qualcun altro... non è giusto - le guance rigate dalle lacrime, la voce ruvida interrotta dal pianto.
Alzo una mano e gli asciugo le lacrime con le dita, lui appoggia il suo viso al mio palmo, chiude gli occhi, sospira, altre lacrime scendono,
ora sono le mie.
Come vorrei dirgli del piano, ma non ne ho ancora parlato con Finn, eppure non posso continuare a tenergli nascoste le cose, non voglio.
Ma non posso di certo parlarne qui, quindi mi alzo, gli porgo la mia mano, lui l'afferra, insieme usciamo dalla stanza.

Quando arriviamo sulla terrazza il cielo si sta colorando di rosso, prendo un gran respiro ed inizio a parlare, prima a bassa voce, ancora con la paura che qualcuno possa sentirmi, poi pian piano prendo coraggio, alla fine quasi urlo, fomentata dalle parole cariche di speranza che sto dicendo.
All'inizio Sam sembra confuso, stordito dalle mie parole non riesce ad afferrarne fino in fondo il significato, poi sul suo viso si dipinge un'espressione nuova, i suoi occhi brillano d'emozione e di incredulità.

Non sa che dire, la bocca leggermente schiusa, gli occhi sbarrati mentre concludo in bellezza il mio discorso con una sola parola – RIVOLUZIONE – urlo senza contegno – Rivoluzione – ripeto a voce più controllata – Rivoluzione – sussurra incerto lui – Rivoluzione – ripete stavolta convinto ed eccitato.
'Rivoluzione'
Rivoluzione!
Ed insieme esplodiamo, urla, risate, lacrime di gioia...
'La senti, Jenna? Questa si chiama speranza'

 

Quando riacquistiamo un po' di contegno il cielo è già scuro.
Siamo sdraiati sul pavimento della terrazza,abbracciati e col sorriso sulle labbra, siamo rimasti per molto tempo qui sopra – Blight e Johanna ci avranno dati per dispersi - dico sorridendo al pensiero.
All'improvviso scattiamo entrambi in piedi: Le interviste!
Cavolo, come ho fatto a dimenticarmene?
'Beh, sai, eri troppo occupata a far pace col tuo ragazzo e a parlare di rivoluzioni!'
Ah già, ecco come ho fatto.

In fretta e furia corriamo nella mia stanza, in cui pochi giorni fa, Sam ha portato tutti i suoi vestiti, gli lancio una camicia e un paio di pantaloni, poi mi armo di pazienza e do una sbirciata nel mio guardaroba.
Afferro il primo “vestito” che capita e lo indosso velocemente, quando mi giro verso Sam lui ha dipinta sul volto un'espressione severa, abbasso lo sguardo sulle mie game nude... cavolo quanto è corto!
- Non c'è tempo! - dico trascinandolo fuori, arriviamo col fiatone dietro le quinte, i tributi-vincitori degli altri distretti ci guardano con aria divertita, Blight ci viene incontro e con discrezione si astiene dal chiederci il motivo del nostro ritardo.
- Dov'è Johanna? - gli chiedo, lui mi fa un cenno con la testa verso il palco.

La comoda poltroncina di pelle vicino a Caesar è vuota, Johanna è in piedi e chiede a gran voce se non si possa fare niente per questa situazione, urla che non è possibile che dei vincitori ritornino tributi, in mezzo al suo discorso compromettente ci butta dentro anche Snow, quando esce di scena prima del suono della campana, mi sento quasi svenire. Blight per fortuna durante la sua intervista è un po' più misurato, parla di come sia tutto così tragico, ma non fa accenni al presidente, né si alza in piedi urlando la sua disapprovazione. A dar man forte a Johanna però è Seeder, Distretto 11, che rimugina sottovoce su come nel suo distretto tutti pensino che il presidente Snow sia onnipotente, ma se è onnipotente, perché non cambia le regole di questa Edizione della Memoria?
E Chaff aggiunge subito dopo che il presidente potrebbe cambiare le regole, se lo volesse, ma evidentemente pensa che a nessuno importi granché.
Quando presentano Katniss, il pubblico è a pezzi. C'è gente che piange, che sviene o persino che invoca un cambiamento delle regole. La vista di lei con il vestito da sposa scatena una protesta generale. Niente più Katniss, niente più vissero-felici-e-contenti, niente più matrimonio.
Persino la professionalità di Caesar mostra qualche crepa mentre cerca di calmare il pubblico per farla parlare,ma i suoi tre minuti scorrono velocemente.
Alla fine c'è un momento di calma e Caesar domanda a Katniss se c'è qualcosa che vorrebbe dire, le trema la voce mentre parla e dice alla gente che le dispiace tanto che non potranno essere al suo matrimonio, poi fa qualche commento frivolo sul suo vestito e su quanto sia meraviglioso, dicendo che almeno l'hanno potuta vedere con l'abito.
Sta recitando bene la sua parte da “sposina affranta”.
Poi si alza in piedi e inizia a girare lentamente su se stessa, sollevando le maniche del vestito.
Il pubblico urla, qualcosa si alza intorno al suo vestito. Fumo. È fuoco. Non le fiamme tremolanti che ha indossato l'anno scorso sul carro, è qualcosa di più reale che sta divorando il suo vestito.
Pezzi carbonizzati di seta nera turbinano nell'aria e perle cadono tintinnando sul palco. Continua a girare e girare. Poi, all'improvviso, il fuoco si spegne. Si ferma lentamente, mi chiedo se sia nuda, il fuoco ha appena consumato il suo vestito.
Ma non è nuda. Ha addosso un abito identico a quello da sposa, solo che ha il colore del carbone ed è fatto di minuscole penne d'uccello. Solleva a mezz'aria le lunghe maniche fluenti ed è in quel momento che capisco. Vestita tutta di nero, a parte le chiazze bianche sulle maniche. O dovrei chiamarle ali.
Perché Cinna l'ha trasformata in una ghiandaia imitatrice.











Angoletto dell'autrice quasi in orario:
Eccomi quà, non dico che sono in orario... quasi... diciamo che non sono proprio in ritardo.
Ma tralasciando le scadenze veniamo al capitolo: c'è da dire che nella parte delle interviste mi sono attenuta molto al libro, l'ultima parte, l'intervista di Katniss è presa dalle ultime pagine del Capitolo 17 de "La ragazza di fuoco", ovviamente l'ho adattato alla storia, perchè il libro è narrato dal punto di vista di Katniss... non lo so, spero di aver fatto la scelta giusta, volevo essere il più fedele possibile, mi sembrava un momento importante.
Finalmente Sam sa la verità, tutta la verità, non ne potevo più di rifilare una cavolata dietro l'altra a quel povero ragazzo!
Com'è giusto che sia un la prende molto bene all'inizio, poi però vince l'amore, anche se ritorneranno sull'argomento nei prossimi capitoli...
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che non vi siate stancati di leggere questa storia!
Grazie mille a tutti quelli che mi regalano il loro parere nelle recensioni, non so come farei senza di voi!
Un grazie speciale va a JD Jaden  che ha inizato da poco a leggere questa storia e ha deciso di recensire fin dall'inizio ogni capitolo, hai una pazienza immensa, grazie mille!


 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Angoletto dell'autrice in cerca di comprensione: 
OK, dire che sono in ritardo è un eufemismo... purtroppo ho avuto non pochi problemi con la connessione nel posto dov'ero in vacanza. 
Mi dispiace tanto, ho ritardato anche nel rispondere alle vostre recensioni, scusatemi! *si flagella* 
Detto ciò, sono finalmente riuscita a rispondere alle recensioni e a pubblicare, c'è da dire che anche in questo capitolo in alcuni pezzi mi sono attenuta al libro, trovo che in questa parte della storia sia giusto. 
E niente, per qualsiasi cosa, io sono sempre qui, critiche, complimenti, lapidate, pomodori, sempre qui. :D
Spero che il capitolo vi piaccia e che il mio ritardo non vi abbia fatto passare la voglia di seguire la mia storia!
Scusate ancora e buona lettura!






Sono senza fiato quando le porte scorrevoli dell’ascensore si aprono e mi lasciano al settimo piano, esco lentamente e continuo a fissare il marchingegno che scende per andare a trasportare qualcun altro.
Non so capacitarmi di cosa sia successo su quel palco pochi minuti fa, sono sicura che niente in questo momento potrebbe scuotermi dal pesante torpore che ho addosso… poi le porte si aprono di nuovo e una Johanna completamente nuda esce dall’ascensore sghignazzando. Le porte si richiudono e dal vetro riesco a vedere Katniss con un espressione cinerea che sale con Peeta verso il dodicesimo piano.
Giro la testa per guardare Johanna, non faccio in tempo neanche a domandarmi cosa sia successo che qualcuno mi prende per un braccio e mi trascina con sé.
 
Finnick si passa con fare nervoso una mano sul viso, io mi raggomitolo su me stessa per cercare di recuperare un po’ di prezioso calore, qui sulla terrazza fa molto freddo.
Alza lo sguardo un attimo, giusto il tempo di vedere quanto tremo, si leva la giacca e me la poggia sulle spalle, poi  le sue mani tornano a coprirgli il viso.
Vorrei chiedergli cos’ha, perché mi ha fatto venire qui sulla terrazza  a morire dal freddo, ma purtroppo so cos’ha , è quello che ho anch’io e so che sono qui per dargli conforto.
 
Cinna. Ecco cos’ha. Quell’uomo questa sera ha firmato il patto della sua morte, grande gesto il suo, purtroppo sappiamo tutti che gli costerà la vita.
Cosa gli è saltato in mente? Sfidare così la capitale, un affronto del genere è difficile da dimenticare.
Quello che a Capitol City considereranno un cambio d’abito ad effetto, nei distretti verrà vissuto in tutt’altro modo. La ghiandaia imitatrice non è più solo una spilla, il portafortuna di Katniss ha finito col simboleggiare molto di più, ora è simbolo di speranza, ora è simbolo di ribellione.
 
Abbraccio Finnick e lui poggia la sua testa sulla mia spalla. Non sapevo fossero amici lui e Cinna, evidentemente però lo erano.
Cerco le parole giuste per un momento del genere, ma non ci sono parole giuste, non ci sono parole e basta, così rimango zitta e lascio che sia il silenzio a parlare per me.
Rimaniamo abbracciati per minuti interi, forse per ore, non saprei dirlo, poi lui si stacca, quel tanto che basta per guardare nei miei occhi – Grazie – sussurra a mezza voce.
Scuoto lievemente la testa, non c’è nulla di cui debba ringraziarmi, quante volte è stato lui a farlo per me? Quante volte ha asciugato le mie lacrime? Tante, più di quante riuscirei a contarne, per una volta ho voluto essere io quello che lui è sempre stato per me.
 
All’improvviso mi rendo conto che questa potrebbe essere l’ultima sera che lo vedo, domattina un hovercraft lo porterà lontano da me e chissà quando lo rivedrò, chissà se lo rivedrò.
‘Certo che lo rivedrai, Jenna, c’è un piano, non ricordi?’
Già, ma il pensiero di avere un piano non può consolarmi.
 
-Finnick – sussurro nel buio, stretta nel suo abbraccio – Promettimi che tornerai – le mie parole escono dalle mie labbra come un lamento. Sento il suo respiro caldo sfiorarmi il collo. Sospira.
-Promettimelo! – dico con la voce più alta e decisa – Ti prego, promettimelo – ripeto ancora, di nuovo implorante. Lui tace. Poi parla ed è come se mi avesse dato un pugno nello stomaco –Ti prometto che farò di tutto per farti riavere tua sorella, ti prometto che lotterò perché Panem ritrovi la speranza che ha perso da 75 anni e ti prometto che qualunque cosa succeda io… - non fa in tempo a completare la sua frase, sciolgo il nostro abbraccio e lo interrompo – Non succederà proprio niente. Ascoltami bene, Finnick Odair, tu andrai in quella dannata arena, troverai il modo di non farti uccidere, farai scattare il piano e poi tornerai a prendermi, capito bene? – dico risoluta puntandogli un dito contro.  Lui per un attimo rimane senza parole, poi sorride –Ti voglio bene, amica mia – dice dolcemente, poi si volta.
-Finnick – lo chiamo quando ormai ha già aperto la porta della terrazza, lo raggiungo di corsa, come se avessi paura che potesse scappare – Questo è tuo – dico tirando fuori dalla tasca il pezzetto di corda che mi regalò tempo fa, glielo metto nel palmo e stringo forte la sua mano tra le mie.
I suoi occhi sono fissi nei miei, ora non sorride, non fa niente,  il suo viso è pulito, non più contaminato da qualsiasi espressione che deve fare per le telecamere, dal trucco per farlo apparire più sexy di quanto già sia; ora il viso che ho davanti agli occhi è pulito, limpido, niente trucco, niente espressioni forzate, questo è solo Finnick, il mio amico Finnick.
Nella mia testa mi sforzo di scattare una foto di questo momento, di costruire così il mio ricordo di lui, in attesa di poterlo rivedere.
 
La mattina dopo non c’è neanche bisogno di svegliarsi, come potrei se non mi sono mai addormentata?
Ho passato tutta la notte a riflettere sulle interviste, sul gesto di coraggio e ribellione che hanno messo in pratica prendendosi per mano. Su quello che ognuno di loro ha mostrato, ha detto.
Cashmere e le sue lacrime, Gloss con la sua riconoscenza, Finnick e la sua poesia d’amore che ha fatto svenire dalla gioia centinaia di capitoline, Johanna e la sua irriverenza, Blight con la sua dolcezza, Seeder e la sua frecciatina a Snow, Chaff che appoggia la sua compagna di distretto, Katniss e il suo vestito da sposa/ghiandaia imitatrice , Peeta e la sua confessione shock… già, me ne ero quasi dimenticata… il bambino!
È così assurdo, impossibile… ero sicura che loro due, ecco…insomma, che non si amassero davvero, o meglio lui la ama, ma lei…la sua era solo una recita per gli sponsor, che poi è diventata una recita per tutta Panem.
Conosco bene lo sguardo di chi mente, io stessa fingo tutti i giorni di essere qualcun altro.
Nell’arena, durante l’intervista da vincitori, nel tour della vittoria, Katniss mentiva, ne sono certa.
Ma ora? Mente ancora? Non lo so più.  Ora tanti sguardi, tanti piccoli dettagli tra di loro mi sembrano rivelare che qualcosa è cambiato e poi c’è Peeta, che sgancia una vera e propria bomba ad orologeria e tutta Capitol City sta impazzendo per disinnescarla. Nessuno vuole che muoiano gli sfortunati amanti del Distretto 12, nessuno vuole che muoia il loro bambino.
 
Mi vesto in fretta mentre cerco di scovare tra i miei ricordi qualsiasi piccolo dettaglio che possa rivelarmi che quella del bambino è solo un’altra strategia. Una parte di me del resto, ne è sicura, ma l’altra, quella romantica e melodrammatica che di tanto in tanto si fa sentire, si chiede se non sia tutto vero e basta anche il solo più piccolo dubbio a farmi entrare nel pallone.
 
Una mano calda si poggia sulla mia spalla, sussulto per la sorpresa, mi giro ed incontro i suoi occhi azzurri 
-Smettila di tormentarti – mi dice Sam, è un consiglio, ma sembra più un ordine.
Gli passo uno dei completi che ha nel mio armadio, mentre lo indossa mi sistemo i capelli in una treccia laterale, fa il giro della mia nuca e ricade morbida sotto il seno. Non mi sono mai fatta una treccia in tutta la vita, questa è il mio omaggio a Katniss Everdeen.
 
Quando arriviamo in salone Johanna e Blight sono già là.
Prima che possa anche solo pensarci mi butto tra le braccia di Jo, Sam abbraccia con affetto Blight.
Adesso ho paura, lo so che abbiamo un piano, ma non riesco a smettere di pensare che Jo sarà lì in quell’arena, insieme a Finnick e Blight, insieme a Peeta che infondo con il suo animo buono e la sua gamba artificiale è innocuo, insieme a Katniss, che nonostante tutto è la nostra ultima speranza.
Come faccio a stare tranquilla? E se qualcosa andasse storto? E se il piano scattasse troppo tardi? E se invece non scattasse affatto? Loro saranno lì, io sarò qui, lontana ed inutile.
‘Non è vero che sei inutile, tu puoi fare molto da qui e lo sai!’
Lo so, ma per la prima volta nella mia vita vorrei essere stata estratta per questi Hunger Games per stare vicino a loro, per proteggerli.
‘Ma tu sei stata estratta! Soltanto che qualcuno ha ritenuto che la tua vita fosse più importante della sua’
Già, Johanna e il suo senso di inferiorità.
 
Il tempo stringe ed io non vorrei mai sciogliere quest’abbraccio, ma è tardi, devono andare, faccio appena in tempo a bisbigliarle qualche parola nell’orecchio  - Sii forte,amica mia –dico senza saperne bene il perché, poi Johanna in modo composto spezza l’abbraccio ed insieme a Blight si avvia a grandi passi verso l’uscita.
Quando mi giro verso Sam, lo trovo con gli occhi lucidi, Blight è stato il suo mentore, ogni vincitore ha un rapporto speciale col proprio mentore, per Sam è stato come un secondo padre.
Lo abbraccio – Torneranno indietro, entrambi –  sussurro a bassa voce al suo orecchio.
Appena l’hovercraft si alza dalla terrazza, vengo invasa da un senso di vuoto, rimango immobile, anche quando il bestione di metallo sparisce nel cielo limpido, non riesco a muovermi.
È Sam a scuotermi, mi fa un sorriso tirato, mi prende per mano ed insieme raggiungiamo la sala dedicata ai mentori del distretto 7.  Fisso con sguardo truce il maxi-schermo che occupa un’intera parete della stanza, come se fosse colpa sua se dovrò guardare i miei amici nell’arena come fosse uno spettacolo televisivo.
‘Ma è uno spettacolo televisivo, Jenna.’
 
Non so dire quanto tempo aspetto immobile fissando lo schermo buio, non so quantificare l’ansia crescente che mi divora da dentro, poi all’improvviso la parete si illumina e un secondo dopo le facce sorridenti di Claudius Templesmith e Caesar Flickerman appaiono nelle loro vesti e capigliature sgargianti.
 
I loro discorsi futili mi scivolano addosso senza entrare nelle mie orecchie. Guardo il volto di quel Caesar proiettato sullo schermo e lo confronto con quello che tempo fa mi aiutò, non so riconoscerlo.
 
Dopo una ventina di minuti in cui le loro facce sembravano fatte di cera, con sopra dipinti sorrisi di porcellana, le loro espressioni cambiano di botto.
-Dalla regia mi dicono che i tributi sono pronti nelle cabine di lancio, manca poco! – annuncia Cludius con quell’odioso accento capitolino, si direbbe che sia eccitato, il verme.
- Eccoli! – tuona Caesar e all’improvviso cambia lo scenario, non più lo studio da cui i due presentatori commentano i giochi, ora quella che tutta Panem sta guardando è l’arena.
 
Acqua. Tanta acqua blu. Sole dalla luce bianca. Cielo rosa. E ancora acqua. Moltissma acqua.
 
-Signore e signori, che i Settantacinquesimi Hunger Games abbiano inizio! – tuona la voce di Claudius.
 
Da questo momento rimane un minuto prima del suono del gong.
I miei occhi corrono a scovare ognuno dei miei amici sulle piastrelle di metallo.
Il primo che riesco ad intercettare è Finnick, dà un’occhiata in giro, poi sul suo volto appare un sorriso sghembo, non posso che essere felice per il mio amico, quest’arena sembra fatta apposta per lui.
Poi raggiungo con gli occhi Blight, lui non si guarda intorno, fissa la Cornucopia con una determinazione che non gli avevo mai visto nello sguardo. Dopo qualche secondo riesco a vedere Jo, si guarda intorno con aria spaesata, se non la conoscessi bene, direi quasi che sia spaventata, fissa la sua piastrella di metallo cercando di occupare meno spazio possibile, poi guarda con fare ansioso la strisciolina di terra che la collega alla Cornucopia. Le telecamere passano di sfuggita sul volto di Peeta e troppo impegnata a pensare a cos’abbia Johanna, mi perdo il momento. Poi inquadrano Katniss, sporge una mano dalla sua piattaforma e tocca l’acqua con un dito che poi si porta alla bocca, dalla sua espressione direi che l’acqua è salata.
Poi tutto succede in un secondo: il gong, qualcuno si tuffa e nuota, qualcuno si tuffa e rimane impalato cercando di rimanere a galla, qualcun altro non si muove affatto dalla sua piastrella.
 
Katniss arriva abbasanza velocemente alla Cornucopia, recupera un arco dorato, si gira di scatto, ora guarda Finnick con una freccia incoccata, anche lui guarda lei con il tridente in una mano e la rete nell’altra.
Scambiano qualche parola che nella confusione non riesco a sentire, poi Finnick abbassa il tridente e sorride dicendole qualcosa e nel farlo alza il braccio libero. C’è un bracciale d’oro che copre il suo polso, ieri sera non ce lo aveva, dev’essere un segnale, perché Katniss sembra convincersi e abbassa l’arco.
Quando Finnick grida –Giù – riesco a sentirlo anch’io, poi Katniss si abbassa, lui fa volare il suo tridente che impala il vincitore del Distretto 5, quello ubriaco che vomitò sul pavimento dell’area di addestramento. Finnick recupera il suo tridente, dice qualcosa a Katniss, poi si dispongono uno dalla parte opposta dell’altro per difendere meglio la Cornucopia.
Non posso non accorgermi di quanto sia cambiato il comportamento di Katniss, ora non fugge più, ora si comporta come un favorito.
Enobaria e Gloss stanno toccando terra in questo momento, a quattro raggi di distanza. O sono dei pessimi nuotatori o pensavano che nell’acqua ci potessero essere altre insidie, il che non è affatto escluso. A volte non serve pensare troppo. Ma adesso che sono lì sulla sabbia, arriveranno alla Cornucopia in pochi secondi.
Katniss e Finnick non hanno intenzione di affrontarli, non ora, passano in rassegna gli oggetti che contiene la Cornucopia, purtroppo solo armi, Kaniss tira una freccia verso Enobaria, che si è avvicinata un po’ troppo, ma lei se lo aspetta e si tuffa in acqua prima che possa colpirla. Gloss non è altrettanto agile e gli pianta una freccia nel polpaccio mentre si getta tra le onde.
Poi Katniss raggiunge Finnick, si scambiano due parole e lei tira subito una freccia nella direzione di Brutus, ma lui la para con la cintura che si è slacciato e usa come scudo. Quando la freccia buca la cintura, un liquido viola gli schizza in faccia. Mentre Katniss ricarica l’arco, Brutus si getta a terra, rotola per i pochi centimetri che lo separano dall’acqua e si immerge.
Quest’ultimo scontro ha dato ad Enobaria e Gloss il tempo di raggiungere la Cornucopia. Brutus è a distanza di tiro ed anche Cashmere è vicina, devono essersi messi d’accordo in precendenza quei quattro. 
Per un attimo penso che Katniss e Finnick stiano per affrontarli, poi vedo Katniss allontanarsi dalla Cornucopia, arriva fino alla riva, comincia a sfilarsi i coltelli dalla cintura e l’arco di spalla, vuole tuffarsi. Ma perche? Guardo più in là, Peeta è ancora bloccato sulla sua piastra di metallo. Ecco perché.
Finnick le appoggia una mano sulla spalla – Lo prendo io – dice. Devono essersi avvicinati di più a qualche telecamera, perché riesco a sentire le loro parole.
-Ce la faccio – insiste Katniss, evidentemente ancora non si fida del tutto.
Ma Finnick ha già gettato a terra le sue armi – è meglio che non ti stanchi troppo nelle tue condizioni – dice mentre allunga una mano e le sfiora la pancia.
Ah, giusto, lei teoricamente sarebbe incinta.
-Coprimi le spalle – dice Finnick e poi scompare con un tuffo da manuale.
Katniss solleva l’arco per tenere alla larga qualsiasi aggressore in arrivo dalla Cornucopia, ma nessuno sembra intenzionato a dargli la caccia. Come immaginavo, Gloss, Cashmere, Enobaria e Brutus si sono uniti, hanno già formato il loro branco e stanno raccogliendo le armi.
Una veloce panoramica sul resto dell’arena mostra la maggior pate dei tributi ancora intrappolati sulle piastre. Però c’è qualcuno in piedi sul raggio alla sinistra di Katniss. È Mags, la mentore di Finnick. Ma non si sta dirigendo verso la Cornucopia, né sta cercando di scappare. Si tuffa in acqua e inizia a nuotare verso Katniss, la testa grigia che si muove da una parte all’altra sopra le onde. Beh, è vecchia, ma credo che dopo ottant’anni nel Distretto 4 sappia restare a galla.
Finnick ha raggiunto Peeta e lo sta portando indietro, un braccio attorno al suo petto, mentre con l’altro fende l’acqua con colpi sicuri. Peeta si lascia trascinare senza opporre resistenza. Non so cosa abbia fatto o detto Finnick per convincerlo a mettere la propria vita nelle sue mani... forse gli ha mostrato il braccialetto.
Oppure può essergli bastato vedere che Katniss li stava aspettando.
Quando raggiungono la sabbia Katniss aiuta Peeta a salire sulla terra ferma. Lui la saluta e le dà un bacio
– Abbiamo degli alleati – dice – Si, proprio come voleva Haymitch – risponde Katniss  - A proposito: abbiamo fatto degli accordi con qualcun altro? – chiede Peeta – Solo con Mags, credo – dice Katniss indicando la vecchia che si sta avvicinando piano.  – Beh, non posso lasciare indietro Mags – dice Finnick – è una delle poche persone cui piaccio davvero -  continua.
Oh Finnick, amico mio, anche a me tu piaci davvero.
-Non ho problemi con Mags – risponde Katniss – Soprattutto adesso che vedo l’arena. I suoi ami da pesca probabilmente sono la migliore possibilità che abbiamo per procurarci del cibo – continua.
- Katniss la voleva dal primo giorno – dice Peeta – Katniss è decisamente saggia – ribatte Finnick.
Il mio amico allunga una mano verso la vecchietta e la solleva dall’acqua come se non avesse peso, poi se la piazza sulle spalle e tutti insieme corrono via dalla Cornucopia verso la giungla che si erge non molto lontano.
 
Ma le telecamere, non li seguono, si fermano ancora qualche minuto sulla Cornucopia. Solo ora mi rendo davvero conto di cosa è successso. L’acqua intorno alle sottili strisce di terra è completamente rossa e non è finita, qualcuno sta ancora finendo di combattere.  Sono sconvolta.
‘Cosa credevi, Jenna? Che la catena di mani intrecciate di ieri sera avrebbe portato ad una tregua universale? Povera illusa!’
Mi aspettavo quantomeno un po’ più di coscienza, un po’ più di riluttanza nell’uccidere quelli che chiamavano “amici”.
 
Dopo non molto la scena ritorna verso Finnick e gli altri che procedono tra la vegetazione.
Capto subito qualcosa di strano nell’aria, Katniss sale su un albero per vedere la situazione alla Cornucopia, le telecamere inquadrano la sua espressione scura, poi all’improvviso scivola a terra, Finnick alza il suo tridente in una rilassata posizione difensiva. Non c’è più tanto chiasso e riesco a sentire perfettamente le loro parole.
-Cosa succede laggiù, Katniss? Si sono dati la mano? Hanno fatto voto di nonviolenza? Hanno gettato le armi in mare per sfidare Capitol City? – chiede Finnick.
- No – risponde lei.
-No – ripete Finnick – Perché il passato è passato. E nessuno in quest’arena è stato un vincitore per caso – guarda Peeta per un istante – A parte forse Peeta – dice alla fine.
Restano così immobili a soppesarsi, ognuno aspetta che sia l’altro a fare la prima mossa.
Proprio quando inizio ad avere paura di cosa possa succedere Peeta si mette deliberatamente in mezzo a loro e con la scusa, che alla fine non è tanto una scusa, di cercare l’acqua, trova un pretesto per farli muovere, così Katniss rimanda i suoi piani assassini.
Mi chiedo perché sia ancora così sospettosa, ha visto il bracciale al braccio di Finnick, lui ha portato sulle spalle Peeta, cosa le serve ancora? 
‘Ti fideresti se fossi al posto suo?’
Certo, lui è Finnick, il mio amico. Poi penso che per Katniss Finnick non è ancora un amico, deve trovare al più presto un modo per conquistare definitivamente la sua fiducia!
 
Continua la loro marcia, poi d’un tratto Katniss si ferma, sta per dire qualcosa ma non fa in tempo, Peeta in testa al gruppo, continua a camminare e all’improvviso viene sbalzato indietro, come se avesse incontrato un muro, gettando a terra Finnick e Mags.
Per la sorpresa balzo in piedi facendo cadere all’indietro la poltrona su cui ero seduta. Ma cosa diavolo è stato? Le telecamere sono fisse su Peeta.
È lì immobile, Katniss lo scuote, lo chiama, urla il suo nome, gli tira uno schiaffo, ma invano, non si muove.
Poi Finnick la spinge via, si avvicina al corpo di Peeta e gli tappa le narici.
Ma che sta facendo?
Katniss urla ancora più forte e si lancia contro Finnick, lui alza una mano e la colpisce in mezzo al petto sbattendola contro un albero.
Perché fa così?  Lui è mio amico, mi fido di lui, ma non riesco proprio a capire cosa vuole fare.
Finnick si avvicina al naso di Peeta. Katniss ha incoccato una freccia, sta per farla partire.
Oh no, Finnick fai qualcosa!
E Finnick fa qualcosa.
Katniss si blocca, io mi blocco, credo che tutta Panem si blocchi e da qualche parte nelle lussuose case di Capitol City qualche spasimante di Finnick è sicuramente svenuta dallo shock.
Finnick sta baciando Peeta.
Che diavolo sta facendo?
No, non lo sta baciando, gli ha chiuso le narici e gli ha spalancato la bocca, ora sta soffiando aria nei suoi polmoni,il petto di Peeta si alza e si abbassa, tira giù appena la cerniera della parte superiore della tuta, poi preme con entrambe le mani sul suo cuore.
Ecco cosa sta facendo, sta cercando di salvarlo!
Ripete i movimenti in uno schema preciso che solo lui conosce, ma passano i minuti e Peeta non dà segni di vita, proprio quando penso che sia finita, lui emette un lieve colpo di tosse, Finnick si mette a sedere sollevato ed io crollo sulla mia poltrona ribaltata a terra.
 
In un attimo Katniss raggiunge Peeta, lo abbraccia, piange e ride senza un contegno, poi scossa dalle troppe emozioni inizia a singhiozzare senza riuscire a fermarsi. Finnick dà la colpa agli ormoni, per via del bambino, nessuno ci crede. Poi il mio amico li guarda per un attimo, i suoi occhi si spostano da lui a lei, da lei a lui, anch’io li guardo, poi scrolla la testa, come per scrollarsi di dosso un pensiero.
Ma io non riesco a scrollarmelo di dosso il mio pensiero. Continuo a guardarli e i dubbi che appena ieri avevo, si dissolvono.
Quei due si amano. Su di lui non ho alcun dubbio ed ora neanche su di lei, anche se forse deve ancora accorgersene.
 
Poi l’inquadratura cambia all’improvviso. Ora sullo schermo ci sono Johanna, Blight e i due vincitori del Distretto 3, mi pare si chiamassero Wiress e Beete.
Per un attimo mi chiedo cosa ci facciano quei due insieme a Johanna e Blight, poi mi dico che se Jo ha accettato di stare con loro, allora qualcosa valgono.
Procedono non molto veloci, dopo una prima occhiata mi accorgo che l’uomo, Beete è ferito e rallenta il gruppo, Johanna di tanto in tanto si ferma per sbraitargli contro in tono più comprensivo che può che deve tenere duro.
Tutt’un tratto il cielo viene squarciato dai lampi, tutti esultano, io e Sam tiriamo un sospiro di sollievo, sta per piovere, finalmente acqua, anche Finnick e gli altri saranno felici.
Poi succede qualcosa di molto strano.
Comincia a piovere sì, ma non è acqua quella che scende dal cielo, rossa e appiccicosa quella pioggia in pochi secondi ricopre tutto quello che c’è.
-Sangue – grida Johanna, poco prima che scivoli sul terreno rosso e la bocca le si riempia impedendole di parlare.  Procedono a tentoni, gli occhi coperti di rosso gli impediscono di vedere dove stanno andando.
Poi all’improvviso Blight viene sbalzato all’indietro.
Che diavolo è stato?
‘Oh Jenna, purtroppo sai bene cos’è stato’
Oh no.
Proprio quello che è successo a Peeta, soltanto che stavolta non c’è Finnick.
Blight è lì a terra, immobile, nessuno accorre in suo aiuto e come potrebbero? Non riescono a vedere niente. Calde lacrime iniziano ad uscirmi dagli occhi. Mi alzo in piedi. Urlo contro lo schermo. Ma niente, il sangue che ricopre i loro occhi impedisce agli altri di vedere Blight a terra.
Alla fine Johanna ci inciampa sopra, gli mette le mani in faccia, lo riconosce. Dalla sua bocca escono mugolii strozzati, questa pioggia sanguigna le ha anche levato la possibilità di urlare, le lacrime non riescono ad uscirle dagli occhi, le grida trovano la bocca intasata di sangue.
Ma i miei occhi e quelli di Sam possono ancora piangere, le nostre bocche si possono spalancare per urlare il nostro dolore e lo facciamo, anche per Jo.
 
Non è possibile. Non può essere. Non può essere morto, non in questo modo.
La pioggia sanguigna cessa di venire giù, il corpo rosso di Blight è ancora là immobile e noi non abbiamo la forza di staccare gli occhi dallo schermo, non abbiamo la forza di accettare che non respiri più, che sia morto.
Per fortuna Johanna è molto più forte di noi, con dentro le lacrime mai versate e le urla mai uscite, raccoglie ciò che rimane della sua squadra e cerca di andare avanti. È stanca, si capisce, in più deve trascinare Beete e Wiress non l’aiuta di certo, penso sia impazzita per lo shock, cammina in tondo continuando a ripetere “Tic, tac” come se quelle due parole potessero cambiarle la vita.
-Smettila! Zitta, basta, stai zitta! – sbotta ad un certo punto Jo lasciando cadere a terra il corpo inerme di Beete, Wiress sembra calmarsi un attimo, poi ricomincia la sua filastrocca saltellando da tutte le parti.
Non so dove Johanna, nelle sue condizioni, trovi la forza di ignorarla, comunque lo fa, riprende in spalla Beete e ricomincia la sua marcia disperata.
Ho paura per Jo, ho paura che non ce la faccia, che non regga la stanchezza, che ad un certo punto si accasci per terra e non ritrovi l’energia per alzarsi ed in quel caso chi potrebbe aiutarla? Se qualcuno li attaccasse in questo momento, chi potrebbe salvarla? Nessuno, è sola, completamente sola. Beete è ferito e Wiress è impazzita, Jo, la mia amica, è sola.
Ma lei è più forte del previsto, lei non molla,  continua a camminare ed anche se ogni passo le costa una fatica enorme, anche se ad ogni passo è sempre più lenta, lei non molla.
Ad un certo punto però la fatica è troppa, Beete crolla sulla spiaggia, Johanna sbatte un pugno per terra frustrata, Wiress continua a girare in tondo ripetendo sempre le stesse parole, Jo in un attacco di rabbia si volta e la atterra con uno spintone, non ce la fa, non ce la fa più.
Oh no, no Jo, non ora, non ancora!
 
All’improvviso si sente una voce in lontananza e una figura esce dalle fronde – Johanna! – chiama, il volto di Jo si illumina – Finnick! – risponde lei urlando. Dopo poco escono anche gli altri dalla giungla e raggiungono il terzetto sulla spiaggia.
 
Salto in piedi dalla gioia e abbraccio forte Sam. Ce l’ha fatta, li ha trovati, ora Jo non è più sola!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


 Capitolo 25

 
 Primo angoletto dell'autrice: Ebbene sì, sono viva... ancora per poco, lo so, ma sono viva.  Il mio infallibile sesto senso mi suggerisce che potrei essere un tantino in ritardo, giusto un po', è qualche mese che non aggiorno. La scuola, il latino, il greco, l'estate, il mare, il computer che fa i capricci, gli allenamenti, un titolo di campionessa italiana vinto, il latino, il greco, il latino, il greco, il latino, il greco... insomma, una serie di fattori hanno progettato una congiura contro di me, boicottando il mio venticinquesimo capitolo. Dopo una lunga e sanguinosa battaglia, che ha riportato molte perdite, tra cui la mia sanità mentale, ne sono finalmente uscita vincitrice ed eccomi qua con questo benedetto capitolo... Ora, ci si aspetterebbe come minimo che dopo questa lotta per scriverlo, sia almeno qualcosa di strabiliante, eccezionale, favoloso, magnifico, fantastico, epico, irripetibile, unico, un capolavoro... Ecco, io non vorrei deludere le vostre aspettative ( sempre che ci siano delle aspettative, perchè è anche altamente probabile che questo capitolo non se lo filerà nessuno con tutto il tempo che ci ho messo per pubblicarlo, ma voglio essere ottimista...) dicevo, che non vorrei deludere le vostre aspettative, ma non racchiude esattamente tutti quei bellissimi aggettivi sopra elencati. Perciò, non aspettatevi niente di che, ecco...
*fa un sospironone* ora che ho scritto questo angolone dell'autrice ( che è solo il primo, perchè alla fine del capitolo ce n'è un altro eh! ahahahahah) , in cui in pratica, smonto ogni aspettativa e alleggerisco i miei sensi di colpa, direi che mi sento un po' meglio... 
Allora mi dileguo e vi lascio alla lettura ( sempre se ci sarà qualcuno che legge...) Bene, ciao, ci vediamo alla fine della pagina :*









È un sollievo vederli insieme, i miei amici, alleati, compagni, tutti insieme. Ho tanto temuto per Jo quand’era da sola ad occuparsi di Wiress e Beete, ma ora non c’è più nulla da temere, ora sono tutti insieme, ognuno a coprire le spalle dell’altro e quando verrà il momento faranno scattare il nostro piano.
 
Nei giorni che seguono non stacco un attimo gli occhi dallo schermo. Li vedo raccontarsi a vicenda quello che hanno passato nei giorni in cui erano divisi e tirarsi su di morale. Assisto con un po’ di apprensione ai battibecchi tra Jo e Katniss e capisco che non sono l’unica alla quale la ragazza di fuoco non sta molto a genio. Fisso lo schermo stupita quando capiscono grazie ai “Tic, tac” di Wiress, che l’arena è un orologio. Le mie lacrime si uniscono a quelle di Finnick e Katniss quando incontrano le Ghiandaie Chiacchierone ed esulto per la gioia quando riescono uscire da quell’inferno di urla.
‘Oh Finnick, amico mio, tieni duro, presto sarà tutto finito!’
 
Dopo qualche giorno finalmente, intravedo il barlume di quella speranza che stavo tanto cercando quando Beete illustra agli altri il suo piano. Mentre parla so già che questo è quello che stavamo tutti aspettando, questa è la scintilla che farà scattare… la rivoluzione.
‘Dio quanto mi piace questa parola!’
 
Johanna e Katniss cominiciano insieme a scendere la collina, l’immancabile spoletta di filo passa dalle mani di una e poi dell’altra. Poi qualcosa va storto, oppure va dritto, non ne ho idea, non so più cosa sta succedendo, non so più se i miei amici stanno improvvisando, o continuano a seguire il piano. Sta di fatto che il filo viene tagliato e Johanna capisce al volo che deve prendere in mano la situazione.
Con la spoletta di filo colpisce Katniss alla testa, lei perde i sensi, in un attimo Jo la sovrasta e le strappa dal braccio il localizzatore, ma questo forse è chiaro solo a me, in questo momento, agli occhi di chiunque altro, potrebbe tranquillamente sembrare che Johanna la stia attaccando.
E sicuramente è quello che pensa anche Katniss quando si sveglia e si ritrova un braccio insanguinato e un dolore lancinante alla testa, cerca di scappare il più velocemente che può, non sa neanche lei da chi sta scappando, quando vede Beete a terra si ferma.  – Beete! Beete, cosa succede? Chi ti ha ferito? Beete! – lo scuote cercando di avere almeno una risposta, lui mugula qualcosa che non riesco a capire, poi agita una mano come per spostarla, in mano ha un coltello, anche Katniss lo nota.
Si guarda attorno con aria smarrita, poi si ferma a fissare il campo di forza.
‘Si Katniss, so cosa stai pensando. So che ti sembra tutto assurdo e che non stai capendo nulla di quello che sta accadendo, ma si, cavolo si! Sai cosa fare, so che lo puoi fare… fallo!’
 
Haymitch irrompe nella stanza con aria molto poco tranquilla – Cosa diavolo ci fai tu ancora qui? Muovi quel culo! – sbraita usando i suoi elegantissimi francesismi – Immagino che non ci sia modo di liberarsi del ragazzo vero? – chiede facendo un cenno con la testa verso Sam – Lui sa già tutto – dico sicura, Haymitch fa roteare gli occhi – Ma certo, è diventata una cosa da spifferare a tutti non è vero? -.
Protesto mentalmente, Sam non è “tutti”, ma non lo faccio notare ad Haymitch, non c’è tempo a quanto pare, non c’è tempo neanche per respirare. Seguiamo il mentore scorbutico finchè non siamo sulla terrazza, lì c’è un grande hovercraft ad aspettarci – Muovetevi, salite, prima che ci ripensi! – urla per sovrastare il rumore del bestione di metallo, poi torna ad impartire ordini al pilota. Saliamo a bordo, ma lui non ci raggiunge, l’hovercraft comincia ad alzarsi e dal finestrino riesco chiaramente a vedere la sua sagoma sparire dietro la porta della terrazza. Mi avvicino al pilota –Perché Haymitch non è con noi a bordo? – domando un po’ confusa, regna il silenzio, aspetto per qualche minuto parole che non arriveranno, quando mi rendo conto che non ha intenzione di rispondermi raggiungo Sam e mi siedo accanto a lui.
È tutto così strano, perchè Haymitch non è salito con noi? Non capisco, non so se il piano è andato come doveva andare, non so dove sono i miei amici, non so neanche dove siamo diretti, non so più… niente.
E poi sembra che siamo soli su questo hovercraft, perché siamo soli?
Non siamo soli. Le porte scorrevoli si aprono, una ragazza bionda si siede davanti a noi. Il suo viso, i suoi occhi, ho la sensazione di averla già vista da qualche parte, ma non riesco a ricordarmi dove.
Ma francamente non importa granché, con tutte le domande che mi ronzano in testa, questa è proprio l’ultima a cui ho bisogno di dare una risposta. – Luisa – annuncia la bionda guardandoci –Sam -  sorride lui, poi mi da una gomitata, dalla mia bocca esce qualcosa simile ad un grugnito, sto per presentarmi anch’io come Sam e la buona educazione vuole, quando mi viene un dubbio. Ora che è in corso una… Rivoluzione, ( che bella parola!) devo ancora nascondermi dietro l’identità di mia sorella o posso finalmente smettere di recitare? Deciderò più tardi, quando avrò le idee un po’ più chiare, ho passato così tanto tempo a fingere che qualche ora in più non mi cambia certo la vita – Anna – dico infatti, la bionda mi sorride affabile, deve essere una persona che ci sa fare con la gente.
 
Pochi secondi dopo una massa indistinta di colori improbabili fa capolina attraverso le porte scorrevoli. Una donnina avvolta in un tailleur rosa confetto fa la sua entrata nella sala a braccetto di quella che si direbbe essere la sua copia dipinta di lilla. Non so nemmeno perché ma mi alzo in piedi –Zelda – urlo correndo verso la mia accompagnatrice rosa preferita. In uno slancio di rirovato affetto l’abbraccio, quasi le volessi davvero bene, lei ricambia, solo che lo fa come dovrebbe farlo una signora – Oh cara, che piacere rivederti – dice mentre sul viso incipriato si disegna un sorriso, forse uno dei più veri che le abbia mai visto fare. Presto riconosco anche l’altra donna, quella lilla che era a braccetto con Zelda, è Effie, l’accompagnatrice del Distretto 12, l’accompagnatrice di Katniss e Peeta. Saluto brevemente anche lei.
Poi individuo seduto su un divanetto il resto della gente che faceva parte della “massa indistinta di colori improbabili” che avevo visto attraversare le porte scorrevoli. Ci sono i miei preparatori e altri tre personaggi molto simili: due donne, una con la pelle verde e un ragazzo con una matassa di riccioli arancioni… roba da Capitol City. C’è anche Arthur, il mio stilista, anche per lui riservo un saluto caloroso. Ma cosa mi prende, va bene la nostalgia, va bene il sentimentalismo, ma questa è gente di Capitol City.
 ‘Ma ci sarà un motivo se sono qui su questo hovercraft, non ti pare Jenna?’
Già, perché sono su questo hovercraft?
Dopo qualche convenevole decido di dar voce ai miei dubbi –Arthur, ma voi che ci fate qui? – chiedo cauta, lui fa un mezzo sorriso – Noi chi? Noi gente della capitale? È questo che intendi? Beh sai, non è che perché siamo di Capitol vuol dire che ci sta bene Snow… -  dice con voce bassa, come se si trovasse ancora nella capitale, come se queste parole avessero ancora il potere di far rotolare la sua testa.
Ma non siamo più a Capitol City, siamo su questo hovercraft, diretti non so dove.
-Sai dove siamo diretti? – chiedo subito dopo, non so perché ma anche io abbasso la voce, Arthur si sbellica dalle risate, come se avessi appena detto la barzelletta del secolo – Sei forse caduta dalle nuvole, ragazza mia? Stiamo viaggiando verso il Distretto 13 – lo dice come fosse la cosa più naturale del mondo. Io invece sento che potrebbe prendermi un infarto da un momento all’altro. Distretto 13? Ma è stato raso al suolo qualcosa come settantacinque anni fa!
‘Evidentemente no, Jenna’
Arthur nota la mia espressione confusa – Non dirmi che non lo sapevi! – dice, poi la sua espressione si ammorbidisce, diventa più accondiscendente come quella di un adulto che spiega perché il cielo è blu ad una bambina. E così comincia la sua spiegazione, mi dice che in realtà il Distretto 13 non è mai stato raso al suolo, o meglio si, in superficie. Nei settantacinque anni successivi ai Giorni Bui, quando si diceva che il Distretto 13 era stato annientato nella guerra tra Capitol City e i distretti, l’attività di costruzione si svolse quasi completamente sotto terra. C’era già un grande complesso sotterraneo, ampliato nel corso dei secoli, per costruire o un rifugio segreto per i capi di governo in tempo di guerra o un’ultima risorsa per l’umanità nel caso in cui la vita in superficie fosse diventata impossibile. Mi spiega anche che il distretto era il fulcro del programma di sviluppo degli armamenti nucleari di Capitol City. Durante i Giorni , i ribelli del 13 strapparono il controllo alle forze governative, puntarono i loro missili nucleari contro Capitol City e conclusero un patto: avrebbero fatto finta di essere morti se li avessero lasciati in pace, la capitale si vide costretta ad accettare l’accordo.  Capitol City demolì i resti visibili del distretto e bloccò ogni via di accesso dall’esterno, forse i leader pensavano che, senza aiuti, il 13 si sarebbe estinto da solo. Eppure, nonostante le aspettative, il distretto è sopravvissuto.
Quando i nostri hanno organizzato il piano, si sono messi in contatto con il loro capo che ha acconsentito ad ospitarci nel loro Distretto sotterraneo.
Ma perché a me questa parte del piano, non l’ha raccontata nessuno? Mi appunto mentalmente di chiedere spiegazioni a Finnick una volta arrivati.
Finnick.
Chissà dov’è in questo momento, chissà come sta, cosa sta facendo… probabilmente è su un hovercraft proprio come questo, finalmente al sicuro.
Cullata da questo mio dolce pensiero non mi accorgo che Sam si è seduto vicino a me e che ora è lui a parlare con Arthurr. Sta spiegando anche a lui la storia del Distretto 13, sarà lunga la questione, già lo so, perciò guardo fuori dal finestrino e lascio che i pensieri fluiscano nella mia testa senza un ordine.
 
Il primo pensiero è una persona, Anna, ed è lei a riempire subito la mia mente.
Quanto vorrei averla al mio fianco in questo momento! Vorrei abbracciarla, raccontarle della rivolta, vorrei fantastiacare insieme a lei su una Panem diversa da quella che abbiamo sempre conosciuto, su un futuro che non ci siamo mai concesse il lusso di immaginare.
Ora me lo immagino un futuro e la prima cosa che programmo, la prima certezza che ho, è che andrò a riprendermi mia sorella. Mi sono unita ai ribelli, stiamo volando verso un distretto che credevamo distrutto e che vive libero dalle costrizioni di Capitol City, abbiamo stravolto la 75esima edizione degli Hunger Games, abbiamo distrutto un’arena, abbiamo fatto divampare rivolte in tutti i distretti… mi sento forte, potente, mi sento invincibile, mi sento capace di sognare, di sperare. Arriverò al Distretto 13, mi preparerò come si deve e poi andrò a salvare mia sorella.
È una certezza, un punto fermo.
Anche il secondo pensiero è una persona, mio padre.
E all’improvviso vengo assalita dalla paura. Ho paura che possa essergli successo qualcosa, ho paura che la rivolta nel nostro Distretto non sia andata come doveva andare. Ho mille paure e ognuna di queste basta a terrorizzarmi, ma mi ripeto che devo essere forte, che devo esserlo per lui. Infondo era tutto pronto, ogni Distretto a quest’ora è sicuramente in piena rivolta, sono stati mandati hovercraft per prendere la gente da ognuno dei dodici Distretti per portarla al tredicesimo, tutto pronto, un piano meticolosamente studiato. Nulla andrà storto, anzi, è già andato tutto bene.
Al terzo pensiero mi arrendo ormai al fatto che, i miei pensieri, siano solo persone, stavolta sono tante: Finnick, Johanna, Katniss, Peeta, Beete ed ogni altro singolo tributo in quell’arena. Tanti erano già morti, ma molti erano ancora vivi, ho bisogno di sapere che si sono salvati tutti, che stanno tutti bene. Che Johanna è riuscita a scappare da Brutus ed Enobaria. Che Beete sta bene, nonostante la sua ferita. Che Katniss è riuscita a capire chi è il nemico e ha tirato quella freccia nel punto debole del campo di forza.
Ho bisogno di sapere tutto questo. Ho un dannato bisogno di sentirmi dire “va tutto bene”. Ho un disperato bisogno di crederci.
 
-Ehi – Sam mi sposta una ciocca di capelli dietro l’orecchio –A che pensi? – domanda mentre segue il mio sguardo fuori dal finestrino. Scuoto la testa sorridendogli, alzo il viso quel tanto che mi basta per incontrare le sue labbre e ci lascio un bacio sopra. Sento un paio di squittii provenire dai sedili dietro di noi, mi volto e vedo la donna color ranocchia e l’altra sorridermi in modo mieloso. Restituisco un sorriso leggermente intimorito e mi volto di nuovo verso Sam che alza le sopracciglia e ride.
Mi chiedo perché invece loro abbiano fatto questa scelta. Insomma,loro, sono così… non lo so, non riesco a trovare differenza tra queste due dietro di me e la gente che guarda gli Hunger Games come fossero un divertimento. Probabilmente fino all’anno scorso è stato esattamente così anche per queste due signore qua dietro, sono sicura che erano le classiche capitoline annoiate che si divertono col sangue dei ragazzini innocenti.
Quando iniziano a parlare fra di loro, non posso trattenermi dall’ascoltare, nonostante l’accento capitolino e i numerosi versi tra una frase e l’altra, qualcosa riesco a capire. Parlano di Katniss, si chiedono se sia andato tutto bene, sembrano preoccupate. Fanno ipotesi su come potrebbe essere il Distretto 13 e a parte qualche commento sulla moda locale, direi che sono serie. E mi rendo conto che alla fine è quello che mi sono chiesta anch’io, le stesse domande, le stesse preoccupazioni, tranne la parte della moda…
Forse sono saltata troppo in fretta alle conclusioni. Forse tutto lo schifo di Capitol City mi ha impedito di guardare queste due persone per quello che sono. Forse, sotto le parrucche dai colori improbabili e gli strati di trucco, si nascondono persone che non hanno nulla a che fare con quelle che ho imparato a conoscere, persone che si sono ribellate, persone vere.
 
E chi lo avrebbe mai detto che anche quelli di Capitol City potessero essere considerate persone?
‘Evidentemente eri troppo impegnata a generalizzare per accorgertene’
Basta guardare cosa succede ogni anno, per i loro sporchi interessi. So che è sbagliato generalizzare, ma con settantacinque anni di orrori direi proprio che non si sono guadagnati la nostra fiducia e non ci hanno certo aiutato a guardarli senza pregiudizi. È strano come il fatto di essere nati a Capitol City possa cambiare tutto. Cambia il modo di pensare, il modo di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, cambia il concetto di etica, sempre che ce l’abbiano un etica…
‘Lo stai facendo di nuovo’
Già… ma come è possibile cambiare idea? Basta guardarsi un attimo indietro: tutto il male che è stato inflitto a persone innocenti, la cui unica colpa era essere nati in uno dei distretti. Bambini mandati a morire per divertire il pubblico, privati della loro infanzia, della loro innocenza e tutto, perché settantacinque anni prima abbiamo cercato di ribellarci.
Questo è qualcosa che non si può dimenticare, questo è qualcosa che non si deve dimenticare.
 
Ecco perché abbiamo organizzato tutto questo, ecco perché sono su questo hovercraft. Per gridare a tutta Panem che tutto questo non è giusto, che abbiamo sopportato abbastanza. Che è finito il tempo di abbassare la testa, che è arrivato il tempo di guardare negli occhi il nemico e prenderci ciò che ci spetta, ciò che ci è sempre spettato.







Secondo angoletto dell'autrice: Rieccoci... lo so, lo so, ma io vi avevo avvertito sopra! La buona notizia è che ho già iniziato a scrivere il 26, con un po' di impegno non tarderà troppo ad arrivare e con un po' di fortuna, spero sarà migliore di questo.
Inutile dirvi che è un capitolo tremendamente di passaggio, perchè, almeno secondo me e secondo gli sviluppi di questa storia, è dal prossimo, ossia da quando arrivano al distretto 13, che cominciano a muoversi un po' le cose ( questo non vuol dire che il prossimo capitolo sarà strabiliante, eccezionale, favoloso e vedi aggettivi all'inizio della pagina... ma comunque, lascio giudicare, come è giusto, voi ) . Come forse avrete notato è un po' più corto ripetto ai miei soliti standard, in realtà all'inizio aveva l'aria di venire molto più lungo, poi lo stavo rileggendo e ho detto: " Che cavolo è?" ho preso e ho camcellato tutto, sono sopravvissute solo le prime due righe, che poi sono quelle che aprono anche questo. Da quando ho fatto apparire Katniss e tutti gli altri e unito la mia storia al contesto dei libri, sono ossessionata dalla paura di essere banale, ripetitiva, scontata... il fatto è che specialmente nell'edizione della memoria, la mia storia ha seguito bene o male quella del libro, senza troppi sconvolgimenti. Insomma, mi pareva non ci fosse un granchè da dire, due erano le strade: raccontare ( o meglio  ri-raccontare) minuziosamente i settantacinquesimi giochi con l'unica differenza che erano visti dagli occhi di Jenna, oppure passare velocemente al punto in cui volevo arrivare, per le paure dette sopra ho scelto la seconda, cercando di rimanere sempre abbastanza fedele al libro ( infatti qua e là, ho inserito alcune frasi di Catching Fire... Scuuuusami Suzanne ) . Per finire, spero proprio che qualcuno trovi la voglia di leggere questo capitolo, ringrazio in anticipo chi lo farà e chi sarà così gentile da lasciarmi una recensione, un suo parere, anche piccolo piccolo, anche insulti, anche una parola... per qualsiasi dubbio, osservazione, parere, giudizio, annotazione, correzione, suggerimento, consiglio, SCRIVETEMI!  Un bacione a tutti, spero a presto, Akilendra

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 

Capitolo 26




 
Non un rumore, non un segno, mi accorgo che siamo arrivati perché dal vetro del piccolo finestrino capisco che non siamo più tra le nuvole.
Quando scendo il paesaggio che trovo non è esattamente come me l’ero immaginato, né come si vede nei servizi televisivi che trasmette la capitale. Le macerie di quello che un tempo era il distretto non mandano fumo, semplicemente in superficie la vita è pressochè assente.
Haymitch ci viene incontro appena mettiamo piede a terra – Ben arrivati – ci dice, ma non riesco a capire se non sia contento di vederci, o semplicemente è il suo tono di voce che proprio non ce la fa ad essere più gentile. Un grande ascensore ci accompagna nel sottosuolo, la prima cosa che penso è che non mi piacciono gli ascensori, mi ricordano le cabine di lancio che ti portano nell’arena, ma cerco di non pensarci.
-Tu, al comando – ordina Haymitch puntando un dito nella mia direzione, sembra quasi una minaccia –E tu… tu…oh, al diavolo! Non lo so,segui l’altra gente! – così dicendo liquida Sam e prendendomi sotto braccio mi trascina ovunque sia “il comando”. Non posso crederci che siamo appena arrivati e già siamo stati divisi. Haymitch si ferma davanti ad una porta, come per controllare che sia quella giusta, poi entra, io dietro di lui, sembro la sua ombra.
La sala in cui siamo è una specie di prodigio della tecnologia:computer parlanti occupano le pareti, mappe digitali con lucette che si illuminano ad intermittenza mostrano non so bene cosa e un enorme tavolo rettangolare con sopra quadri di comando, riempie la stanza. – Presidente – chiama Haymitch.
Aspetta, è forse un tono riverente quello che ho appena sentito? Haymitch, mi sorprendi!
Tra un piccolo gruppo si gira una testa, è una donna sulla cinquantina, capelli grigi chiarissimi e di un’uniformità impressionante. – Questa è Anna Wellington – mi presenta Haymitch spostandosi di lato per permettere alla donna di vedermi.
‘Non esattamente’ penso nella mia mente, ‘io sono Jenna’
Nella penombra che le pareti scure sembrano donare alla stanza, mi permetto di fare un passo avanti, come avessi paura che non riuscisse a vedermi. Ma sembra essere stato uno sforzo inutile, perché lei è già schizzata via, dopo aver fatto ad Haymitch un breve cenno con la testa; sembra sia molto occupata, come ogni singola altra persona in questa stanza. Mi volto verso Haymitch e alzo un sopracciglio. Insomma, cosa si aspettava? Chissà quanto hanno da fare in questo momento,penso sia meglio rimandare i convenevoli. Infondo non sono certo un’entità di troppa rilevanza per l’andamento della nazione, dentro questa sala invece sembra si stia decidendo delle sorti di Panem. Haymitch fa roteare gli occhi e storce il naso e come un bambino petulante raggiunge di nuovo il presidente cercando in tutti i modi di attirare la sua attenzione. Alla fine si avvicina un po’ di più e le dice qualche parola all’orecchio. La donna dai capelli grigi si volta di scatto verso la mia direzione con ritrovato interesse. Mi domando cosa mai le abbia detto per suscitare in lei un tale interesse nei miei confronti. Sulla faccia di Haymitch si dipinge l’espressione soddisfatta di chi sta pensando ‘Cosa ti avevo detto?’. Con pochi passi, la donna mi raggiune e mi si piazza davanti
-Alma Coin – mi porge la mano, allungo anche la mia, ha una stretta salda – Anna Wellington – mi presento di nuovo cercando di non perdere il contatto visivo. Poi si volta e comincia a camminare verso uno schermo che occupa tutta la parete, Haymitch mi da una spintarella invitandomi a seguirla. Proprio quando siamo arrivati così vicini alla parete che ho paura voglia entrarci dentro, si ferma. – Questa è la situazione nei vari distretti – annuncia fissando la mappa. Sulla parete si illuminano e si spengono diverse lucette. Faccio finta di capire cosa vogliano significare.
– Attualmente sono in corso rivolte nei distretti 3, 4, 6, 7, 8, 11 e 12. Negli altri distretti si sono tentate manovre d’insurrezione ma sono state tutte represse dai pacificatori e dalle autorità – spiega. Ho un tuffo al cuore, anche nel 7 è in corso una rivolta. – Ma noi non demordiamo, secondo le nostre fonti, presto si ritenteranno rivolte nel 5, 9 e 10 – continua – E, nei distretti in cui è già in corso una rivolta, sta procedendo tutto bene? – domando con un po’ di apprensione – Stiamo facendo tutto il possibile per tenerci in contatto con questi distretti, sappiamo per certo che sono a buon punto, ogni giorno inviamo hovercraft che vanno a prendere la gente per portarla qui. Di ora in ora la situazione sembra migliorare, ma siamo ancora in alto mare su molte cose. Nei distretti 1 e 2 la faccenda è più complicata, solo piccoli gruppi sono arrivati qui – dice.
Si, sono sempre stati i distretti preferiti dalla capitale, quelli più vicini ed attacati a Capitol City, quelli che se la passavano meglio, i privilegiati. Ma non posso credere che non abbiano voglia anche loro di ribellarsi, è impossibile, forse ci sono dietro altre faccende politiche e militari di cui non sono a conoscenza.
All’improvviso mi rendo conto che io sono qui a fissare lucette intermittenti su monitor grandi quanto una parete, ma non ho la minima idea di dove siano i miei amici, devo vederli, devo parlarci.
-Come stanno tutti? – chiedo senza preavviso ma Haymitch ovviamente capisce al volo –Katniss per ora è ancora molto debole è sotto le cure mediche dei dottori del distretto, quando si sveglierà potrai vederla. Anche Finnick, le sue condizioni sono migliori, ma è molto provato … - dice
-Gli altri?- domando –Gli altri chi? – chiede lui con un tono fin troppo innocente. Come se non lo sapesse, non sopporto che faccia finta di non aver capito, mi rende nervosa, sa benissimo di chi parlo. Haymitch sospira –Ascolta dolcezza… - inizia, con un’occhiataccia gli faccio presente che non mi piace il suo nomignolo e gli intimo di andare avanti – Diciamo che, c’è stato qualche intoppo – continua – Che stai dicendo, Haymitch? – abbaio –Sto dicendo che Peeta è stato preso da Capitol City e con lui anche Johanna – dice alla fine in un sol respiro.
Perché qualcosa deve sempre andare storto?
‘Oh, è la tua vita, Jenna, dovresti saperlo ormai che niente fila liscio’
 
In un secondo mi ritrovo a scappare verso l’uscita della sala, molte braccia mi si stringono attorno cercando di bloccare la mia corsa, ma io sono più veloce, lo sono sempre stata. Le persone si spostano quando mi vedono correre nei corridoi e quelle che non mi lasciano passare le scanzo io senza troppe cerimonie. Non conosco questo posto, non è casa mia, non sono nei miei boschi, sono sottoterra, non so dove sto andando, sono arrivata da poco e già sto scappando. Penso che corrrerò finchè non mi bruceranno i polmoni, correrò finchè non sarò così stanca da non avere la forza di pensare a quello che ha detto Haymitch.
Ma mi sembra impossibile riuscire a non pensarci. Johanna è stata presa da Capitol City insieme a Peeta. Johanna, la mia amica ora è prigioniera del nemico, come mia sorella. Un altro ostaggio per cui il presidente non ha intenzione di chiedere un riscatto, un’altra ingiustizia, un’altra persona che non sono riuscita a salvare. Mi sento così inutile, così in colpa. Mentre io ero su un hovercraft ad immaginarmi come sarebbe potuto essere il distretto 13, Jo veniva fatta prigioniera. Bell’amica che sono, l’ho lasciata lì, ho dato per scontato che fosse andato tutto bene. Niente è andato bene.
‘Non potevi saperlo, smettila di prenderti colpe che non sono tue, Jenna’
Io… io avrei dovuto fare qualcosa! Io…
‘E cosa potevi fare?’
Non lo so, io…
‘Niente’
Niente.
 
Penso di essere finita in una specie di scuola, sulla porta che ho davanti c’è scritto “Centro studi”, smetto di correre, entro dentro, non c’è nessuno. Devo smetterla di pensare, un giorno di questi a forza di pensare diventerò pazza. Devo distrarmi, pensare ad altro, come si fa a pensare a certe cose a caldo? Mi sembra che il cuore voglia uscirmi dal petto se penso a Jo rinchiusa in chissà quale cella a Capitol City, se penso a mia sorella…
‘Non pensare, Jenna’
Mi rigiro tra le dita un paio di matite colorate, in quest’armadio dove sono entrata è pieno di articoli scolastici completamente nuovi. Per molti di noi che vivevamo nel distretto 7, ma penso fosse così anche per la maggior parte degli altri distretti, le matite colorate erano un lusso, non potevamo permettercele, se avevi delle matite colorate, a scuola eri una piccola celebrità. Bastava poco per sentirsi felici: matite colorate, calze non bucate, nastri per i capelli… non avevamo nulla, eppure era tutto maledettamente più semplice.
Penso mi stiano cercando là fuori, in realtà non me ne importa molto, a parte di Sam, se mi sta cercando lui, mi importa, non vorrei si preoccupasse. Ma Sam sa come sono fatta, probabilmente se anche sapesse della mia fuga, non mi cercherebbe, semplicemente rimarrebbe immobile dov’è, aspettando che sia io a raggiungerlo quando ho finito di avercela con il mondo, perciò non mi preoccupo. A dire la verità, penso che non la smetterò mai di avercela con il mondo, è un posto troppo bastardo per non avercela con lui e la vita sa essere altrettanto stronza, certe volte, molte volte, quasi sempre.
La matita che ho in mano è azzurra. Penso che l’azzurro sia il mio colore preferito, non ho mai sprecato molto tempo a chiedermi quale fosse il mio colore preferito, o quale tipo di vestiti mi piacesse indossare, o che piatto mi piacesse di più mangiare… suppongo non avessi il tempo di pensare a queste cose, suppongo che perdere una madre, avere un padre divorato dall’alcool e una sorella delicata come un fiore mi abbia fatto concentrare di più sulle cose pratiche della vita.
Comunque l’azzurro è il mio colore preferito, il fatto di averlo deciso ora, in quest’armadio in cui mi sono rifugiata per scappare dal mondo è alquanto squallido, ma penso lo sarebbe stato di più non avere un colore preferito.
‘Sai cos’altro è squallido, Jenna? Rimanere chiusa dentro un armadio’
Zitta tu!
Sbuffo , alla fine vince sempre lei…con cautela apro l’anta dell’armadio e sguscio fuori. Cerco di essere naturale mentre mi mescolo alle persone che camminano per i corridoi, imito i loro sguardi e i loro passi decisi, anche se non ho la minima idea di dove stia andando. Poi mi sento trascinare dentro una stanza, qualcuno mi ha preso per il colletto della camicia – Si può sapere dove diavolo eri, ragazzina? - mi chiede Haymitch, ha le braccia conserte e un’espressione risentita, incrocio anch’io le braccia al petto, qua l’unica che può fare l’offesa sono io.
-Non sono fatti tuoi – taglio corto, lui sbuffa e mi afferra per un braccio –Andiamo – dice e ancora una volta mi ritrovo a vagare per i corridoi affollati del distretto 13. Haymitch sembra una guida turistica mentre mi mostra i luoghi più importanti del distretto: le cucine, l’infermeria, la mensa, il comando che già conoscevo, le unità abitative e alla fine ci fermiamo nella sala dell’addestramento. Alcuni si stanno allenando, chi spara su un bersaglio, chi tira con l’arco, due persone stanno improvvisando un corpo a corpo su un materassino. Mi fermo a guardarle mentre smangiucchio un panino che sono riuscita ad estorcere alle cucine, nonostante le rigide regole. Sono già tre combattimenti che guardo e sono stati tutti vinti dalla stessa ragazza. Alla fine del terzo, si appoggia un attimo al muro per riprendere fiato, mentre il ragazzo che è appena stato battuto cerca di sotterrarsi per la vergogna. La guardo un attimo, i capelli ramati appiccicati al viso, la fronte imperlata di sudore, ha il corpo minuto, ma si vede che è un fascio di muscoli, ha l’aria di essere piuttosto giovane. Deve essere imbarazzante essere battuto da una femmina per un ragazzo, me ne rendo conto, commettono sempre lo stesso errore, mai sottovalutare l’avversario, soprattutto se è una femmina, soprattutto se è così carina, la bellezza in generale distrae e i suoi abiti attillati ancora di più.
- Chi è il prossimo? – domanda staccandosi dal muro, per un attimo regna il silenzio.
Io da piccola ero un’attaccabrighe, capitava spesso che venissi coinvolta in piccole risse, eravamo solo ragazzini, ma le davo di santa ragione, me lo ricordo bene, una volta ho avuto un’azzuffata anche con Sam, dev’essere stato intorno agli undici anni, non mi ricordo neanche il perché, ma rido al ricordo – Io – dico alzando una mano, la risata ancora in bocca.
Haymitch mi guarda sbigottito, gli mollo in mano il panino che stavo mangiando. Devo essere matta, che mi salta in mente? Non riesco a smettere di ridere. Mi levo la camicia e anche questa la lancio ad Haymitch, con le mani alliscio la canottiera che avevo sotto. Poi raggiungo la ragazza al centro del materassino. Ci scrutiamo, ognuna guarda negli occhi dell’altra, ma appena incrocio i suoi sento una fitta al petto, proprio all’altezza del cuore. I suoi occhi. Stringo tra le dita la pietra che ho appesa al collo. Ares. I suoi occhi, sono uguali a quelli di lui, non riesco a smettere di fissarli.
-Allora? – domanda un po’ brusca, devo averla guardata troppo a lungo. Annuisco cercando di non guardarla negli occhi, anche lei annuisce, si mette in posizione, io rimango ferma dove sto, i piedi ben piantati a terra. Quando capisce che non ho intenzione di assumere nessuna posizione di partenza comincia. È lei la prima a muoversi, mi si avvicina quanto basta, tira qualche pugno, ma è l’aria che sta picchiando, io sono già sparita, si gira di scatto e mi fissa per un momento, sono dall’altra parte del materassino… si, sono abbastanza veloce, cara.
Un secondo dopo mi è di nuovo addosso, ricomincia il suo attacco, riesco a schivare quasi tutti i colpi, ma non riesco a coprirmi il fianco in tempo e mi becco un calcio fra le costole. Boccheggio per un attimo, poi riprendo fiato e cerco un modo per attaccare. Ma la ragazzina si dimostra più in gamba di quando sembrava già e riesce a schivare o a parare la maggior parte dei miei colpi. Alla fine più esasperata che altro, provo a farle perdere l’equilibrio, infilo una gamba tra le sue e in un attimo è a terra. Sono più pesante perciò riesco ad immobilizzarla sotto il mio corpo, ma lei si muove come una furia e dopo un paio di tentativi ribalta le posizioni. Mi assesta un pugno sulla mascella, incasso il colpo. Con una ginocchiata riesco a levarmela da sopra, sguscio lontano, per riprendere fiato un secondo, mi tasto la mascella nel punto in cui ho ricevuto il colpo, mi fa male, probabilmente si gonfierà. Che diavolo sto facendo? Non riesco a smettere di ridere, devo essere impazzita totalmente ormai. Credo lo pensi anche lei mentre mi guarda di traverso, non è tanto normale una che si sbellica dalle risate mentre sta facendo un combattimento corpo a corpo, ma del resto, non ho mai detto né preteso di essere normale.
Continuiamo a darcene di santa ragione finchè alla fine non crolliamo esauste sul materassino con il fiato corto, la guardo, ha il viso arrossato e coperto di sudore e un taglio sul labbro, io non devo essere messa tanto meglio, mi sento tutta indolenzita, domani sarò coperta di lividi. Al solo pensiero mi do della stupida e non riesco a trattermi un’altra volta dallo scoppiare a ridere, lei mi guarda un attimo intontita, poi scoppia anche lei in una risata liberatoria. Mi metto in piedi e la aiuto a rialzarsi, è strano, era tanto tempo che non mi sentivo così, mi sento bene, nonostante mi faccia male dappertutto.
Siamo in piedi, una di fronte all’altra, la mia espressione torna seria. I suoi occhi. Non può essere lei… - Diana – annuncia tendendomi una mano. È lei. Rimango paralizzata, lo sguardo incastrato nelle sue iridi di ghiacchio che tanto mi ricordano quelle di Ares – Anna – dico alla fine svegliandomi dal mio torpore – Lo so – dice secca annuendo. Che diavolo vuol dire ‘lo so’?
-Non si scorda il volto di chi è sopravvissuta al posto di tuo fratello – continua, l’espressione rigida, i lineamenti del viso induriti, eppure non c’è traccia di rabbia nella sua voce, c’è solo quel gelo che congela anche me. Mi ha riconosciuta, ma è rimasta impassibile, com’è possibile che non provi risentimento nei miei confronti? Dovrebbe odiarmi, io al posto suo mi odierei. In realtà, anche se non sono al suo posto, mi odio comunque.
Senza preavviso si volta ed esce dalla stanza, rimango un attimo intontita a fissare la parete, poi la seguo, quando la raggiungo nel corridoio la prendo per un braccio e la porto nella prima stanza vuota che trovo. Devo parlarle, devo dirle quelle parole che non ho mai detto, non importa se non vuole sentirle, se non ne ha bisogno, ne ho bisogno io.
Ma non mi ero resa conto di quanto fosse difficile tradurre i pensieri in parole, ora che ce l’ho davanti ogni cosa che penso e che sto per dire mi appare stupida e senza senso, inadeguata, sbagliata, ma non esiste qualcosa di sbagliato da dire, esiste solo quello che sento. Così rinuncio a formulare pensieri che mi soddisfino e lascio che le parole mi escano come un fiume in piena su cui non ho alcun controllo – Lo so che non è giusto. Non è giusto che io sia viva e lui sia morto, lui avrebbe dovuto vivere, io sarei dovuta morire in quell’arena. Non meritavo di vincere e se non fosse stato per lui, non sarei qui… - la voce mi si spezza, le lacrime minacciano di farsi strada sul mio viso –Io…gli volevo davvero bene e mi dispiace così tanto…– dico alla fine, vorrei continuare, ma quelle stesse lacrime che cercavo di trattenere,cominciano ad uscirmi prepotenti dagli occhi e bloccano la voce. Diana mi fissa, il suo sguardo è severo, non ha mai smesso di esserlo –Mio fratello ha preferito far vivere te che salvarsi. La vita è… era la sua, ha fatto una scelta ed io la accetto, non la capisco, ma la accetto – dice, la voce ferma, non incrinata dall’emozione, non tremolante per le lacrime che cerca di trattenere, i suoi occhi sono asciutti. Mi chiedo come fa. Forse ha elaborato il dolore, ha sofferto così tanto che ormai ha accettato di conviverci, o forse non vuole mostrarsi debole davanti a me? Io non ho avuto problemi a piangere davanti a lei, non mi sono neanche posta il problema, che senso ha far finta di avere il cuore di pietra? Forse non fa finta… era suo fratello, come fa ad accettare la scelta che ha fatto? Io non ce la farei mai.
All’improvviso mi accorgo che sto stringendo tra le mani la pietra che ho al collo, i suoi occhi si spostano su questa, non è giusto che la tenga io, me la levo e gliela porgo. Lei la prende delicatamente tra le mani, come fosse la cosa più preziosa che c’è, la stringe tra le dita e chiude gli occhi come per voler imprimere dentro di sé un ricordo. Forse il suo cuore non è di pietra. Mi aspetto di trovare l’ombra delle lacrime quando riapre gli occhi, invece quando lo fa non ci sono lacrime e nemmeno le ombre, c’è solo un’emozione lontana che si perde nelle sue iridi prima che possa riuscire a capire quale fosse.
Lentamente allunga un braccio e mi restituisce il ciondolo – No, lo ha dato a te. È tuo – dice semplicemente – Ma tu sei sua sorella – la mia voce esce sottile, sorpresa dal suo gesto, sul suo viso si fa strada un sorriso velato di tristezza – E tu sei la ragazza di cui si era innamorato – mi risponde e le sue parole sono come un pugno nello stomaco, si volta ed esce dalla stanza, lasciandomi da sola a fare i conti con i ricordi e i sensi di colpa.
 
Quando decido che mi sono fatta abbastanza del male esco anch’io dalla stanza. Vago per un po’ lungo i corridoi fin quando non trovo l’unità abitativa che è stata assegnata a Sam e quindi anche a me. Scivolo dentro in silenzio, tutto dentro l’abitazione ha quello strano odore che sa di ospedale, di asettico e pulito, francamente lo odio questo odore. Guardo interdetta i due letti singoli che occupano la camera da letto, non ho intenzione di dormire divisa da Sam, non qui in questo posto che odora di ospedale, non qui che non è casa mia. In realtà, non ho intenzione di dormire divisa da Sam in nessun posto, punto, così unisco i due letti piccoli a formarne un grande e mi rufugio tra le sue braccia forti.
 
Qui al distretto 13 tutto odora di ospedale: le stanze, gli oggetti, il cibo, persino le persone; non sono sicura che mi piaccia questa cosa, è un odore innaturale. Inoltre le persone del distretto seguono regole molto rigide, sono assolutamente vietati gli sprechi, di qualsiasi cosa, anche di tempo. Infatti ognuno la mattina deve ficcare il braccio destro in un aggeggio sulla parete che ti tatua con un inchiostro viola il tuo programma giornaliero, la sera quando fai il bagno l’acqua toglie l’inchiostro e il tuo braccio ritrorna pulito, pronto per essere imbrattato il giorno dopo da un nuovo programma. Io da quando sono qui non l’ho mai fatta questa stupidaggine.
A parte il primo giorno, sono stata lasciata in pace per circa una settimana, ma ora è da un paio di giorni che Haymitch non mi molla un attimo. Mi trascina di qua e di là, mi coinvolge nelle riunioni, non capisco perché lo fa, così come non capisco il fatto che continui a tollerare il mio non fare assolutamente nulla, perché è questo che faccio quando non mi costringe a fare qualcosa lui, nulla. Ogni tanto mi punzecchia, proprio come sta facendo ora – Hai intenzione di continuare a rubare l’aria che respiri in questo posto? Oppure vuoi cominciare finalmente a renderti utile? – mi provoca usando un’espressione che qui ho già sentito più di una volta, qui non tollerano lo spreco, una persona che non fa niente, è uno spreco. Scrollo lo spalle, mi becco le sue battutine tutti i giorni ma mi lascia ugualmente fare quello che voglio –Suppongo che quando la nostra ghiandaia imitatrice Katniss Everdeen si sarà svegliata non ci sarà più bisogno del mio aiuto, penserà a tutto lei e tu la smetterai di rompermi – lo prendo in giro, lui fa finta di allisciarsi una piega sulla giacca –Katniss Everdeen si è svegliata – mi informa. Spalanco gli occhi, quando aveva intenzione di dirmelo? – Quando? – domando subito – Stamattina – risponde mentre incrocia il mio sguardo – Finnick? – chiedo speranzosa –Lui si è già sveglio da un paio di giorni – ammette – Perché non me lo hai detto?- sento la rabbia farsi strada dentro di me, dovevo essere là appena si fosse svgliato, dovevo aiutare il mio amico. Haymitch sembra leggermi nel pensiero quando mi risponde – Non c’era niente che tu avresti potuto fare per lui, credimi, ora puoi andarlo a trovare, sicura che almeno ti ricoscerà – lo guardo sbigottita, stava così tanto male da non riuscire a riconoscermi? Fisso Haymitch in attesa di qualche altra notizia sul mio amico, ma lui non me ne da altre –Katniss Everdeen si è svegliata – ripete invece –Ma noi continuiamo ad avere bisogno del tuo aiuto, dolcezza– finisce la frase con un sorriso sghembo, non faccio neanche in tempo a scoccargli un’occhiataccia per il nomignolo che lui è già sparito. Per un attimo mi chiedo cosa abbia voluto dire con quella frase, ma decido di non dargli troppo penso, infondo è Haymitch, mi godo per un secondo il fatto di non averlo continuamente tra i piedi come è stato per gli ultimi due giorni e poi mi precipito da Finnick.
L’odore di pulito e l’aria asettica si fanno più insistenti mano a mano che raggiungo la parte del distretto in cui si trova l’ospedale, quando finalmente mi ci trovo dentro ho l’istinto di tapparmi il naso, ma reprimo l’impulso, non certo per educazione, semplicemente dovrò farci l’abitudine dato che qui tutto ha quest’odore. Un’infermiera dal tono gentile dopo aver notato i lividi che mi ha lasciato come ricordo Diana e avermi dato una pomata verdognola, mi accompagna alla stanza del “Signor Odair”, come lo chiama lei, a sentirglielo dire un sorriso si allarga sul mio viso.
Quando entro Finnick sta annodando il suo pezzo di corda, fa un nodo, poi lo scioglie e poi lo rifà per poi riscioglierlo ancora. Lo osservo in silenzio per un paio di minuti, le abili dita lavorano sicure ed esperte compiendo gesti che ormai conosce a memoria, alla fine alza lo sguardo e incrocia il mio. Un sorriso lumioso si fa strada sul suo viso e contagia anche gli occhi, gli sorrido di rimando, batte il palmo della mano vicino alla sua gamba, così mi avvicino e mi siedo sul letto accanto a lui.
-Allora? Hai intenzione di startene lì impalata? Puoi abbracciarmi, non mi rompo mica! – è sempre il solito Finn, rido piano mentre lo avvolgo tra le mie braccia con delicatezza –Voglio un abbraccio vero! – dice stringendomi ed anch’io lo stringo di più tra le braccia mentre soffoco una risata sulla sua spalla –Oh Annie – sussurra col viso tra i miei capelli, mi irriggidisco. Non so come comportarmi. Dovrei fare finta di niente, oppure dovrei dirgli che non sono la sua Annie? Forse Haymitch non esagerava quando diceva che un paio di giorni fa non mi avrebbe certamente ricosciuto, non mi riconosce neanche adesso… Oh Finn, cosa ti è successo?
Mi stacco lentamente da lui - Finnick, ascolta… io non sono Annie – bisbiglio a mezza voce, come se avessi paura che le mie parole dette a voce alta potessero fargli più male. Lui mi guarda per un momento con aria interrogativa, la testa inclinata di lato –Sei stata tu a dirmi che potevo chiamarti così… sulla terrazza, prima dell’edizionde della memoria… ricordi? – mi sento un’idiota, qui l’unica che non si ricordava qualcosa ero io. In un attimo la sua epressione cambia e scoppia a ridere –Ehi, non sono così andato!Qui dentro funziona ancora tutto bene! – dice picchiettandosi la testa. Rido di gusto anch’io, con le lacrime agli occhi, perché nonstante tutto nelle sue iridi verdemare riconosco Finnick, quello di prima dei giochi, quello che è stato come un fratello mentre eravamo a Capitol City, il mio Finn.
-Ed ora ti prego, portami fuori di qui – dice con la risata ancora in bocca. Non sono sicura che si possa fare, anzi so già che non si può fare, ma lui si è già staccato i fili e gli aghi che aveva al braccio; il fatto che non suoni nessun allarme subito dopo che l’ha fatto mi convince che forse a parte il pallore e le occhiaie, sta bene e mi dico che non c’è niente di male a farlo uscire per un po’ da questo posto che puzza di malattia, lui al posto mio lo farebbe per me.
Non ci sono molti controlli, infatti riusciamo a svignarcela in fretta. Male, ora Finnick è con me, ma se fosse stato solo? Se ne sarebbe potuto andare con molta facilità, troppa. Non mi piace, sta bene, ma è ancora troppo debole, non può andarsene in giro da solo quando gli pare e piace, dirò ad Haymitch di dare una strigliata alle infermiere.
Camminiamo per pochi passi per il corridoio, poi mi rendo conto che forse non è la cosa più saggia da fare per non attirare l’attenzione, non con Finnick Odair con solo il camice addosso, me ne accorgo dalle occhiate che gli lancia la gente quando gli passa dietro – Finnick, ma non hai nulla sotto? – domando ridendo – No, sono un malato, ricordi? Mangiamo pappette come i neonati, ce ne stiamo in luoghi che puzzano e andiamo in giro con il culo all’aria – sentenzia alzando le sopracciglia –Perché, trovi che questo – dice mentre assume una ridicola posa provocante –Possa distrarti? – non riesco a trattenere una risata che gli scoppia in faccia e contagia anche lui.
Non so dove andare per farlo distrarre un po’ senza farci scoprire, perciò lo porto all’armadio dove mi sono rifugiata il primo giorno, con me ha funzionato, penso.
Ci sediamo uno di fronte all’altra, gli passo la scatola di colori mentre io prendo la matita azzurra, lui guarda il colore nelle mie mani e capisco che l’azzurro è anche il suo colore preferito, sorrido mentre lo do a lui e ne prendo un altro dalla scatola. Insieme cominciamo a disegnare sulla parete interna dell’armadio, non sono molto brava a disegnare e nemmeno Finnick, ma infondo non importa – Mi dispiace di non averti portato in un posto migliore, ma non mi è venuto in mente niente, non conosco molti posti… - comincio, ma lui mi interrompe – Qui, con te, è perfetto – dice con un sorriso sincero, sorrido anch’io guardando i nostri disegni storti.
Qui, con lui, è perfetto.









Angoletto dell'autrice: Rieccomi, stavolta con un capitolo più lungo, non mi pronuncio sul contenuto, anche se devo dire che mi è piaciuto scriverlo, è stato...liberatorio :D   Detto ciò, lascio giudicare a voi!
Per chi non l'avesse riconosciuto, l'armadio con dentro il materiale scolastico in cui si rifuggia Jenna, è lo stesso che è descritto nelle prime pagine di 'Il canto della rivolta', in cui si rifugia Katniss, non lo so, mi piaceva l'idea che avessero questa cosa in comune.
Come avete letto ho fatto dire a Finnick la stessa battuta che dice davanti a Katniss e Boggs, suppongo che neanche qui ci sia un vero motivo, mi è venuta in mente la scena di lui che gira con il camice da paziente per i corridoi del distretto 13 e la gente che si gira per guardarlo... l'ho dovuta scrivere! ahahahahahahah
E niente, per qualsiasi domanda, dubbio, parere, considerazione e quant'altro, io sono sempre qui, nel vero senso della parola, ultimamente ho preso residenza su EFP! 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, mi farebbe molto piacere se mi lasciaste un vostro parere. Spero a prestissimo, un bacio, Akilendra


 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Fisso stupita il ragazzo steso sul tappeto blu della palestra. Ha il fiato corto, la fronte imperlata di sudore e un rossore diffuso su tutta la faccia. È appena stato battuto… da me.
Quand’è che sono diventata così forte? No, perché io non me ne sono accorta. Io non sono forte, sì insomma, me la cavo, sono sopravvissuta ad un’edizione degli Hunger Games infondo, ma sono sopravvissuta, non ho vinto, è una cosa diversa.
Eppure vedendo questo ragazzo a terra, si direbbe che ho sempre fatto questo, che mi piace combattere. Qualcuno nella sala mi fa un cenno d’approvazione con la testa, qualcun altro è rimasto fermo a guardarmi. Diana è appoggiata ad una parete, ha sul viso un sorrisetto compiaciuto e quella faccia tosta che solo una favorita può avere.
‘Smettila di dire queste parole Jenna, quali favoriti? Non siamo più nell’arena, non siamo più in distretti diversi’
Già, certe volte mi dimentico cosa sta succedendo. Siamo nel distretto 13, siamo ribelli, ci opponiamo a Capitol City, portiamo rivolte negli altri distretti, stiamo costruendo una rivoluzione…che bella parola!

Diana si stacca dalla parete e con passi fluidi mi raggiunge, la guardo avvicinarsi. I boccoli ramati le ricadono morbidi sulle spalle e incorniciano un viso che sarebbe bello visto da qualunque prospettiva. Qualche piccola efelide le colora le guance, lunghe ciglia contornano i suoi occhi color ghiaccio. Sono identici a quelli di lui, identici. Scaccio il pensiero in fretta, non devo pensare ai suoi occhi. Invece mi concentro sul piccolo taglio che ha sul labbro, l’unico segno visibile sul suo corpo del combattimento che abbiamo avuto, il mio invece di corpo è tappezzato come una cartina geografica dei lividi che mi ha lasciato; nonostante il taglio però è bella comunque, forse anche di più. Chiunque la guardi penserebbe la stessa cosa: è bella e non fa nulla per esserlo, è bella e non potrebbe fare nulla per non esserlo.
Mi aspetto che si fermi davanti a me, ma non lo fa, invece mentre mi passa a fianco mi sussurra qualcosa nell’orecchio – I miei complimenti – dice con un tono in cui non riesco a capire se prevale l’ironia o il divertimento. In realtà le sue parole mi irritano un po’, non c’è niente di cui complimentarsi. Mi volto verso una parete della palestra su cui è appeso un grande specchio, guardo il mio riflesso e ci vedo dentro qualcosa di nuovo, o forse è solo qualcosa di vecchio, che era molto tempo che non vedevo più. Quel fuoco che ho negli occhi è qualcosa che non dovrei vedere, eppure è qua. È qua, penso toccandomi il petto.

Due giorni più tardi mentre partecipo ad una riunione al controllo, la Coin sta discutendo con alcuni uomini riguardo delle faccende militari. Dice che servono più uomini, più soldati, i soldati possono essere anche donne. La mia mano si alza. E senza neanche averci pensato prima mi rendo conto che voglio diventare un soldato. Voglio combattere affinchè tutto quello che abbiamo passato non si debba ripetere, affinchè nessun altro debba vivere quello che abbiamo vissuto. Voglio combattere per liberare mia sorella, Johanna, Peeta e ogni singola persona che Snow tiene in ostaggio per i suoi tornaconti. Voglio combattere per poter dire a me stessa che ho fatto tutto quello che potevo fare, per non avere rimpianti. Combatterò, perché è quello che voglio.

-Tu cosa? – Sam urla mentre mi chiede di ripetere parole che ha sentito benissimo – Ma sei pazza? È la guerra, Jenna, la guerra. Perché non me ne hai parlato? – chiede, sembra sorpreso e preoccupato, ma non direi arrabbiato, non veramente, ha solo paura per me, posso capirlo, anch’io ho paura per me. – Non lo sapevo neanch’io prima di oggi… - rispondo piano, lui strabuzza gli occhi –Lo hai deciso oggi?- sta urlando, poggio le mani sulle sue braccia per cercare di calmarlo – Voglio farlo, voglio combattere per quello in cui credo – dico convinta, lui scuote la testa – Tu non sai di cosa parli – afferma piano. Vorrei dirgli che si sbaglia, che so esattemente di cosa si sta parlando, che so esattamente che peso ha la decisione che ho preso. In realtà, io la guerra non so neanche cosa sia, ho vissuto tutta la mia vita in un paese in cui non era un’opzione, perché avrebbe voluto dire ribellarsi e noi non potevamo ribellarci. Ma ora è tutto diverso, Panem ha capito che può ribellarsi, Panem si è ribellata.
Lo so che non sarà una passeggiata, lo so che è la guerra, non sono gli Hunger Games, lo so che potrei non vedere mai la Panem libera per cui ho lottato, lo so che potrei morire. Ma so anche che non voglio starmene con le mani in mano, so che se c’è anche solo una piccola cosa che posso fare, voglio farla, voglio fare la mia parte, voglio prendermi una libertà che so di essermi guadagnata.

Ormai i corridoi del distretto 13 sono diventati i miei pensatoi, non faccio altro che rimuginare mentre cammino tra queste pareti bianche e di questi tempi non so quanto mi faccia bene pensare, perciò cerco di tenermi occupata ma soprattutto il più lontana possibile dai corridoi.
Eppure proprio adesso sono in un corridoio, voglio andare a trovare Finnick, ieri gli hanno detto di Annie. Non l’ha presa molto bene, lei è tutto quello che gli rimane, la persona più cara che ha, quella per cui darebbe la vita, saperla prigioniera a Capitol City gli ha spezzato il cuore. Lo capisco e per questo devo aiutarlo, per quello che posso, a superare il dolore, o quanto meno a trasformarlo in qualcosa che lo spinga a reagire.
Entro nella sua camera, ma Finnick non c’è, così chiamo un’infermiera e le mostro la stanza vuota chiedendole spiegazioni, questa diventa paonazza e scappa a chiamare qualcuno. Sento montare dentro di me la rabbia, non posso crederci, si sono lasciati scappare un paziente sotto gli occhi e non uno qualunque, un paziente che in questo momento è confuso e molto probabilmente sull’orlo di un crollo emozionale. L’avevo detto io che bisognava integrare i controlli. Proprio quando sto per andarmene una mano mi afferra la caviglia. Da sotto il letto spunta la testa di Finnick che si porta un dito sulle labbra facendomi segno di stare zitta, alzo gli occhi al cielo e fingo un’espressione di disapprovazione ma poi mi accovaccio e mi sistemo sotto al letto accanto a lui.
-Hai intenzione di far scoppiare il panico qui dentro? – gli chiedo a voce bassa trattenendo un sorriso e cercando di assumere, senza successo, un’espressione severa– Tu hai intenzione di far scoppiare il panico! Se non avessi avvisato l’infermiera non se ne sarebbero accorti - ridacchia senza nemmeno preoccuparsi di abbassare il tono di voce. Mi aspettavo di vederlo diverso, invece sembra che stia abbastanza bene.
– Sai, qua pensano che dato che siamo malati, allora siamo rimbambiti e si sentono in dovere di esserlo anche loro… ma è qui che si sbagliano perché io non sono rimbambito, né malato. Non capisco perché continuano a tenermi qui! – dice semplicemente, il tono di un bambino capriccioso che non vuole andare a scuola – Leggi il braccialetto che hai al polso – lo provoco sbirciando con la coda dell’occhio la sua reazione. Lui si porta il braccio davanti agli occhi, ma so che già l’ha già letto mille volte – Io non sono “mentalmente confuso” – protesta –Dimostraglielo – lo incoraggio.
Lui sembra pensarci un attimo sù – Io non sono affatto confuso, so benissimo cosa voglio, ma se non mi fanno uscire di qui non posso farlo! – mentre lo dice serra la mascella e stringe i pugni, mi accorgo solo ora che ha tra le dita il suo pezzo di corda e che ha le mani fasciate. – Che hai fatto? – chiedo prendendole tra le mie –Troppi nodi – mi risponde e solo ora realizzo quello che può aver passato in questi giorni, quanto possa essere stato male e quanto sia forte in questo momento a non farmi vedere nulla. Ma con me non deve essere forte, come me non ce n’è bisogno, con me può essere Finnick e basta.
-Avanti, sfogati! – lo incito alla fine, lui mi guarda di traverso – Non c’è niente di cui mi debba sfogare – bisbiglia guardando con sguardo vuoto la rete del materasso sopra di lui. Poi una alla volta le lacrime si fanno strada sul suo viso. Silenziose, all’inizio timide, poi sempre più numerose e sfrontate, fino a riempirgli gli occhi e bagnarmi la maglietta. Lo stringo al petto come fosse un bambino da proteggere dalle ingiustizie del mondo, solo che Finnick non è più un bambino e non c’è persona a questo mondo che abbia subito più ingiustizie di lui. – Annie – sussurra piano tra una lacrima e l’altra – La riporteremo indietro, te lo prometto – gli dico piano e la mia è davvero una promessa, che ho intenzione di mantenere.
Più tardi vengo convocata al consiglio, raggiungo la stanza delle diavolerie tecnologiche con riluttanza. Ultimamente stanno diventando parecchio asfisianti queste convocazioni, arriveremo al punto che mi chiameranno anche per rendermi partecipe alla scelta di quale fazzoletto sia più opportuno per soffiarsi il naso!
‘Forse per loro la tua opinione è importante’
Non diciamo sciocchezze, perché dovrebbe esserlo?

Quando entro nella sala noto con piacere che c’è poca gente, solo Haymitch, Plutarch con vicino una donna che gli parlotta all’orecchio e un altro paio di personaggi che credo siano di un certo rilievo, ovviamente seduta al centro del tavolo su una sedia di pelle nera c’è Alma Coin. L’unica che stona in questo quadretto sono io. Rompo il silenzio che regna nella stanza e parlo per prima – Perché sono qui? – chiedo senza troppi giri di parole, nessuno risponde – Siediti – dice la Coin, la capigliatura grigia è più perfetta che mai. Non mi siedo. –Perché sono qui? – chiedo ancora, di nuovo nessuna risposta. Decido di sedermi, quanto meno starò comoda ad ascoltare questo silenzio, penso, ma appena mi siedo la Coin schiude le labbra – Ho una proposta da farti, Anna – annuncia subito in tono amichevole. Mi chiedo quand’è che siamo entrate così in confidenza. – Come tu ben sai il nostro piano è stato fin dall’inizio quello di portare avanti una rivolta sfruttando il simbolo su cui la gente aveva fondato le sue speranze, la Ghiandaia Imitatrice. – fa una breve pausa e si inumidisce le labbra – Per ovvie ragioni abbiamo ritenuto che la cosa migliore fosse che Katniss Everdeen impersonificasse questo simbolo. Ma ahimè ora le nostre convinzioni vacillano…- sposta il suo sguardo su tutte le persone nella sala e poi riporta i suoi occhi su di me, si prende del tempo prima di parlare – Non siamo più così sicuri che Katniss Everdeen possa ricoprire questo ruolo. Ha dimostrato di essere ancora emotivamente instabile, le servirebbe più tempo per stabilizzarsi, ma noi non abbiamo tempo. – si ferma ancora una volta, gli occhi fissi nei miei – Ecco perché avevamo pensato che tu potessi essere una valida opzione. – dice alla fine palesando le sue intenzioni. Questa non me l’aspettavo.
Pian piano tanti piccoli eventi cominciano ad acquistare un significato e come pezzi di un puzzle vanno ad incastrarsi formando una figura che ora mi appare chiara. Il primo giorno che sono arrivata Haymitch ha detto qualcosa alla Coin e lei si è subito interessata a me quando prima non mi aveva degnato di uno sguardo, i continui inviti alle riunioni, la frase inaspettata dell’ex mentore: “Katniss Everdeen si è svegliata, ma noi continuiamo ad aver bisogno del tuo aiuto”… ora torna tutto. Da quant’è che avevano questo piano in mente? Perché me l’hanno detto solo ora? Ma soprattutto, come hanno potuto pensare che io sia meno mentalmente instabile di Katniss?
Mentre mi tormento di domande, mi accorgo che tutti i presenti sono in religioso silenzio aspettando di sentirmi parlare. Ma io non parlo.
– Diavolo dolcezza, dì qualcosa, qualsiasi cosa! – Sbotta alla fine Haymitch, mi volto a guardarlo ma non rispondo. Lentamente sposto lo sguardo su ognuno di quelli che sono nella stanza, poi mi alzo e con una calma che stento a riconoscere come mia, abbandono la sala. Per la seconda volta scappo da questa stanza, solo che a differenza della prima, stavolta non corro, ma anzi cammino più lenta di quanto credevo di poter essere, questa volta nessuno mi impedisce di andarmene, nessuno cerca di fermarmi.

Non so esattamente come mi sento e non voglio sprecare troppo tempo a pensarci, so solo che questa mossa non me la sarei mai aspettata, mi ha colto alla sprovvista e non mi piacciono le cose che mi fanno sentire impreparata. Quindi questa cosa non mi piace. È un concetto semplice, lineare, quello che mi ci vuole per affrontare la questione. Meno penso e meglio è, meno penso e meglio è, meno penso e meglio è…devo smetterla di pensare, come faccio a smettere di pensare?
Ci sono solo due persone che riescono a farmi spegnere il cervello, una è identica a me ed è prigioniera di Capitol City, perciò rimane solo l’altra. Così mi metto a cercare Sam, ma inaspettatamente è lui che trova me. – Ehi, ti stavo cercando – dice accarezzandomi un braccio – Anch’io – confesso abbandonandomi ai brividi che mi provocano le sue dita. Mi abituerò mai al suo tocco? Ogni volta sembra la prima. – Cos’hai? – mi chiede prendendomi il viso tra le mani – Niente, ho solo bisogno di distrarmi, ti prego Sam, non fammi pensare a niente – lo imploro e lui sembra capire al volo – Vieni – dice intrecciando le sue dita con le mie. Mi lascio trascinare ovunque abbia intenzione di portarmi senza pensare a nulla, infondo è proprio questo quello di cui ho bisogno.
È solo quando mi fa salire nell’ascensore che comincio a connettere, mi sta portando fuori. Mi sta portando fuori. Dopo tutto questo tempo sottoterra, che mi pare un’eternità, mi sta portando fuori.
Chiudo gli occhi cercando di godermi ogni singola sensazione. L’aria fresca che il vento muove mi arriva in faccia e mi informa che non siamo più nel sottosuolo del distretto 13, l’odore di terra mi riempie le narici e il cinguettio di qualche uccello in lontananza mi solletica le orecchie. Mi sento bene, mi sento viva. Apro gli occhi e a completare quel meraviglioso quadro disegnato dai miei sensi, la vista mi fa l’ultimo regalo. Pochi centimetri mi separano dal viso di Sam, dai suoi occhi dello stesso colore del cielo che ho sopra la testa, dalle sue labbra che ora più che mai mi sembrano la cosa più allettante che ci sia a questo mondo. Ed è a quelle labbra che mi aggrappo, è su quelle labbra che cerco la conferma di una certezza che già ho, lui c’è sempre stato, lui ci sarà sempre. Da sempre, per sempre.
Ed in un attimo di acuta debolezza, lascio che siano quelle stesse labbra a trasportarmi in un altro mondo. Un mondo in cui non ho bisogno di pensare, in cui ho bisogno solo di lui, delle sue labbra sulle mie, delle sue dita sulla mia pelle.
Sento quasi dolore fisico quando si stacca dalla mia bocca, ripiombo nel mondo reale, il cervello si riconnette. Mugugno un verso simile al lamento di un gatto e lo cerco di nuovo, lui senza farsi pregare mi regala un altro bacio, poi si allontana quel centimetro che gli basta per parlare – Dobbiamo ritornare sotto – bisbiglia con un tono che dovrebbe essere convinto, ma non lo è – Ma siamo stati due minuti – protesto e lo bacio di nuovo, risponde al bacio, rimandando temporaneamente i suoi tentativi di essere convinto. Quando si stacca ancora, cerca di avere un’aria seria, ma si lascia sfuggire un sospiro di troppo, così sto per ritornare all’attacco per cercare di rimanere ancora un po’ qui, ma Sam mi mette le mani sulle spalle per riuscire a tenermi lontana per dì più di due secondi dalla sua bocca. – è circa un ora che siamo qui fuori – mi corregge sforzandosi di mantenere le distanze, perché sa già che con un altro bacio ogni sua convinzione crollerebbe. Non posso negare che mi piaccia questo piccolo potere che ho su di lui, che è lo stesso che lui ha su di me. – Solo un altro po’ – piagnucolo tirandolo per la maglia verso di me – Jenna – mi chiama quando siamo ad un soffio di distanza – Dobbiamo. Tornare. Ora. – dice separando con un piccolo bacio sulle labbra ogni parola dall’altra. Metto sù una finta espressione imbronciata, perché alla fine ha vinto lui, stiamo risalendo, ma la verità è che gli sono infinitamente grata per avermi regalato queste ore di respiro in mezzo a queste settimane di apnea.

Tornata nel sottosuolo, con la vivacità di una talpa cerco un posto per nascondermi fin quando non avrò le idee un po’ più chiare, così mi avvio verso l’armadio del materiale scolastico, ormai passo più tempo lì che in qualunque altra parte del distretto. Apro distrattamente un’anta, ma invece delle scatole di colori mi trovo davanti un viso. Perché Katniss è qui dentro?
Mi guarda attraverso le dita, ha le mani sul viso e le ginocchia al petto. Per un attimo sono tentata di cacciarla via, questo è il mio armadio ed ero venuta qua per starmene da sola. Ma suppongo che non posso farlo, ha un’aria così sconsolata…anche lei per un secondo sembra valutare le mie intenzioni, poi si sposta un po’ più in là lasciando libero un po’ più di spazio. È un invito a sedermi?
Così mi accovaccio accanto a lei, mentre ritorna a coprirsi il viso con le mani. Dev’essere successo qualcosa se sta così, qualcuno al comando liquiderebbe la faccenda dicendo che è “mentalmente confusa”, ma io no, dato che alla fine, non mi sento meno confusa di quanto lo sia lei.

-Sei vivo – sussurra premendosi i palmi delle mani sulle guance, ha sulla faccia un sorriso così largo che sembra quasi una smorfia. Il suo improvviso cambiamento d’umore mi destabilizza, la guardo di sottecchi, il suo viso è un puzzle di emozioni, poi senza che le abbia chiesto nulla, inizia a parlare. E non la smette più,il che mi preoccupa perché stiamo parlando di Katniss, per quel poco che la conosco, posso dire che non è un tipo di molte parole.
Così scopro che poco fa sugli schermi di tutta Panem è apparso Peeta. Ha chiesto un cessate il fuoco, che qui nessuno considererà, ma in quei distretti in cui la ribellione non ha ancora fatto brecccia completamente che peso avranno le sue parole?
Katniss nonostante tutto è felice, glielo si legge in faccia, Peeta è vivo e questa nuova notizia per un attimo sembra occupare tutto lo spazio di cui dispone la sua mente. Poi arrivano le preoccupazioni: il pericolo che possano fargli del male, che lo usino per contrastare i ribelli, che gli mettano in bocca parole non sue.
Più parla e più mi rendo conto che si vede lontano un miglio che è innamorata di quel ragazzo, ora deve solo trovare il coraggio di ammetterlo a sé stessa.

Dopo un tempo che mi pare infinito chiude la bocca e si gira verso la parete dell’armadio dandomi le spalle, come se non mi avesse mai parlato.
-Come l’hai trovato questo posto? – chiedo non sapendo bene cosa dire – Me lo ha mostrato Finnick- dice mentre accarezza i disegni sulla parete che qualche settimana fa ci divertimmo a fare proprio io e lui – Ma non so come abbia fatto a trovarlo lui – aggiunge poco dopo – Ce l’ho portato io – dico e le mie labbra si piegano in un piccolo sorriso: doveva essere un posto segreto, per stare da sola ed è diventato più affollato dei corridoi di questo distretto.
- E tu come l’hai trovato? – chiede voltandosi, sul viso un’espressione interessata. Alzo le spalle – Ero arrabbiata col mondo, volevo un posto in cui nascondermi e l’ho trovato. Suppongo che questi posti abbiano una specie di calamita che ti attira, più sei depressa e più trovi posti come questo – rispondo, la guardo mentre accenna un sorriso – Deve aver attirato anche me. È stato il primo posto a cui ho pensato quando sono scappata dalla sala del controllo – dice cingendosi le gambe con le braccia. - E così non sono l’unica che se la da a gambe...- perché l’ho detto? Doveva rimanere un pensiero invece sono uscite le parole.
Dalla bocca di Katniss invece esce una risatina isterica – Devono essere tutti quegli aggeggi tecnologici, fanno un po’ paura non trovi? Non ti fanno paura? – sorrido anch’io – Io ho paura dei capelli della Coin – rispondo, stavolta non si sforza di trattenere la risata – Già, sono così…grigi – dice facendo una smorfia – E compatti – aggiungo , lei annuisce – Sembrano di pietra – commenta – Cos’è che non è di pietra in quella donna? – dico creandomi un’immagine mentale della rigidissima presidente.
All’improvviso mentre l’atmosfera si è alleggerita un po’ e noi cominciamo a scioglierci, mi rendo conto che abbiamo più di una cosa in comune. Tanto per cominciare abbiamo paura dei capelli della Coin, non male per due vincitrici!
In effetti condividiamo molto di più di questo: l’essere condannate a recitare una parte che non ci appartiene, la preoccupazione per le persone che amiamo, il peso delle nostre scelte… già, forse dovrei chiedergli cosa ha intenzione di fare, qui tutti non fanno che aspettare la sua risposta, o la mia…ma dato che la mia non arriverà, devo sapere se ha intenzione di diventare il modello che tutti già vedono in lei.

- Katniss… - la chiamo, lei si gira e mi fissa aspettando che continui a parlare. Come faccio a dirlo? È un argomento delicato…
- Ecco… io mi chiedevo… sì, insomma… -
‘Oh al diavolo Jenna, sputa il rospo!
-Che hai intenzione di fare? – domando alla fine vuotando il sacco, lei fa finta di non capire – Lo sai quello che tutti si aspettano da te… - comincio sbirciando la sua reazione – Ma nessuno sa quale sarà la tua decisione – concludo guardandola. Lei si prende il suo tempo per pensare – La verità se proprio vuoi saperla, è che non penso di essere adatta per questo ruolo. Io… - scuote la, un verso le sfugge dalla bocca.
- Ma hanno bisogno di te… abbiamo bisogno di te – sussurro cercando di accendere in lei qualcosa. E qualcosa si accende, ma non esattamente nella direzione che volevo – Non è vero! – dice scuotendo forte la testa - Loro… io… tu! – urla esasperata.
Oh già, ora sì che è tutto più chiaro!
– Temo che dovrai essere un po’ più chiara di così – dico cercando il suo sguardo, il grigio dei suoi occhi incontra il nero dei miei – Ci saresti sempre tu… - dice, stavolta con voce molto più bassa.
-Ma che dici? – come ha fatto il discorso a prendere questa piega?
- Oh andiamo… non fare finta di niente, non mi offendo mica! Lo so che pensano che sia una ragazzina confusa che non sa prendere decisioni… è per questo che l’hanno chiesto anche a te, ci hanno ripensato – dice appoggiandosi con le spalle alla parete dell’armadio.
Ora sono io a scuotere la testa – Acoltami Katniss, io non ho nessuna intenzione di accettare la loro proposta, non ho mai neanche preso in considerazione la cosa. Non sono l’eroina che loro si aspettano e non ho intenzione di diventarlo – dico, dura come il marmo, fredda come il ghiaccio.
Non risponde e io non aggiungo una sola parola.
Per un po’ rimaniamo così a fissare pareti diverse dello stesso armadio pur di non doverci guardare, poi quando il silenzio è diventato abbastanza pesante da sbiadire le parole che ci siamo dette prima, parla all’improvviso - Perché credi che l’abbia detto? – domanda, non c’è bisogno che specifichi di chi sta parlando, scommetto che anche mentre faceva finta di parlare d’altro la sua mente è rimasta sempre a Peeta.
- Non lo so… - ammetto non sapendo cosa risponderle. O forse lo so e lo sa anche lei, ma anche solo pensarle certe cose fa male, figuriamoci dirle. Ma lei non so dove, trova la forza di farlo – Pensi che l’abbiano torturato? – chiede, ma è ovvio che non accetterebbe una risposta che non sia negativa. Ma Peeta è prigioniero di Capitol City, non so fino a quanto ci vadano leggero con lui. Dovrei metterla di fronte al fatto che le cose potrebbero andare anche in una maniera diversa da quella che spera, potrebbero essere già andate in una maniera diversa da quella che spera.
Ma non lo faccio. Penso a mia sorella, anche lei prigioniera di Snow, e mi dico che un po’ di speranza in più non fa mai male, per entrambe.
- Potrebbero averlo convinto – dico infatti proponendole un’ottima alternativa a cui aggrapparsi– Potrebbe aver stretto un accordo con Snow e ha dovuto chiedere un cessate il fuoco per rispettarlo – continuo – Accordo per cosa? – chiede con aria perplessa. La facevo un po’ più perspicace.
- Per te. Così da poterti dipingere come una ragazza incinta e confusa che si lascia influenzare dai ribelli senza avere idea di cosa sta succedendo. In questo modo, se i distretti dovessero perdere, recitando la parte che ti è stata affibiata, avresti ancora qualche possibilità di clemenza – continua ad avere quell’aria perplessa che mi convince del fatto che sia meno sveglia di quanto sembri.
- Katniss… lui sta ancora cercando di tenerti in vita – dico lentamente, come se così potesse capire meglio il concetto.
E sembra funzionare, qualcosa dentro di lei comincia a muoversi. Poi anche fuori, le blocco il braccio che agita convulsamente nella mia direzione – Non può esserci un cessate il fuoco – dice con gli occhi spiritati – Non possiamo tornare indietro. Qualunque ragione avesse per dire quelle cose, Peeta si sbaglia – le blocco anche l’altro braccio – So che farà qualsiasi cosa per convincermi del contrario, ma non può esserci un cessate il fuoco – continua.
La guardo negli occhi – La domanda è: cosa farai tu? – si libera dalla mia presa e solleva leggermente le braccia come ricordando le ali di un uccello. Quell’uccello. Poi ritornano lungo i fianchi – Sarò la Ghiandaia Imitatrice – dice guardando avanti a sé, poi gira la testa verso di me – E tu che farai? – mi chiede e la sua domanda è come un lampo che mi illumina dentro. La mia bocca si piega in un sorriso storto – Sarò le tue ali - .






Angoletto dell'autrice depressa: Bene, eccomi, non sono sicura che interessi a qualcuno, ma ho aggiornato...
Non è particolarmente brillante nè niente, ma mi servono questi capitoli per andare avanti, comunque sia, non penso nemmeno sia completamente da buttare, non so, ho scritto di meglio, ma anche di peggio perciò...
Comunque, non so da dove mi sia venuta l'idea, ma ho pensato che fosse carina la storia della Coin che chiede a Jenna se vuole essere lei la Ghiandaia Imitatrice, ovvio che non poteva essere lei, infatti ho avuto la decenza di non storpiare così tanto quello che ha scritto la Collins. Però quest'idea mi piaceva, anche perchè all'inizio quando Katniss era ancora confusa e instabile la Coin durante una riunione aveva detto espressamente che avrebbero dovuto salvare Peeta al suo posto, quindi il fatto che abbia chiesto a Jenna di rimpiazzarla, mi sembrava potesse essere abbastanza credibile. Fatto sta che la nostra Jenna ha deciso come al solito di rimanere nell'ombra e di essere le "ali" della Ghiandaia Imitatrice.
Spero che ci sia qualcuno che voglia lasciarmi la sua opinione, è davvero molto importante!
Ringrazio tantissimo Hoshi98 per averlo fatto lo scorso capitolo!
A presto, Akilendra

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Angoletto dell'autrice che non molla: Rieccomi, anche se da un po' di capitoli sono calate le recensioni nonchè la mia ispirazione, io non ho intenzione di mollare, ho iniziato a scrivere questa storia e la porterò a termine!
Bene, detto ciò, volevo solo dire a chi ha sofferto la lontananza di Sam nei capitoli precedenti di non disperare, perchè in questo capitolo c'è molto di più, non è detto che vi piaccia, ma c'è molto di più.
Non ho nient'altro da dire, spero che questo capitolo vi piaccia e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate, perchè non mi stancherò mai di ripeterlo: non c'è niente di più importante della vostra opinione, anche se non è positiva!
Ah, poi volevo ringraziare tantissimo Hoshi98 per esserci stata anche quando era la sola, Elektra47 per aver cominciato a leggere dall'inizio la mia storia e aver recensito in breve tempo ogni capitolo, a Roberta Salvatore perchè sì e Giuli_Sunlight per la mega-recensione che mi ha lasciato, ho apprezzato davvero molto!
Beh, alla prossima, Buona lettura!








-Accetterà – urlo entrando nella sala del comando –Katniss accetterà – ripeto a voce più bassa –Sarà la Ghiandaia Imitatrice –gli sguardi di tutti i presenti sono fissi su di me. –E tu che ne sai? – chiede Haymich riducendo gli occhi a due fessure, mi guardo le mani – Lo so. Non vi basta? – rispondo, forse un po’ troppo sulla difensiva. Per qualche minuto tutto nella stanza tace, poi è la Coin a parlare – Non è questo il punto… - comincia, ma la interrompo prima che possa finire – è lei. È la persona giusta. – dico lei mi guarda un attimo come per capire da dove provengano le mie parole –Non sto cercando di scappare dalla decisione davanti alla quale mi avete messo – mi affretto  a spiegare – Accetterà, lo so. E so anche che è la cosa giusta – Haymitch annuisce fissando un punto indefinito –Vorrei poter avere la stessa sicurezza – dice in un soffio di voce la presidente, un attimo dopo è tornato il pezzo di marmo che conosco – Sarà meglio per lei – dice gelida – E per noi – aggiunge Haymitch. E per noi.
 
Dopo pranzo Katniss comunica al consiglio che ha acconsentito a diventare la Ghiandaia Imitatrice, ma a patto che rispettino le sue condizioni. Quando la Coin le annuncia pubblicamente destano qualche attimo di agitazione, che lei calma subito chiarendo che alla prima mossa falsa di Katniss, il patto si considererà sciolto e la sorte dei vincitori come quella di Katniss sarà decisa dalle leggi del distretto 13. L’ha incastrata e ormai lei non si può più tirare indietro.
 
Pian piano la sala comune si svuota e la gente torna a fare quello che stava facendo prima di essere stata convocata, rimane solo Katniss, in mezzo alla sala che fissa un punto imprecisato davanti a sé con un’espressione indecifrabile sul viso. Per un secondo dentro di me lottano intenzioni contrastanti. Una parte di me prova pena per lei perché ancora una volta sembra essere diventata una pedina,la stessa che sarei potuta diventare io, questa stessa parte vorrebbe avvicinarsi per parlarle, l’altra parte invece, testarda e orgogliosa vuole solo poter essere indifferente. Ma ormai è da un pezzo che ho spesso di riuscire ad essere indifferente. E poi, siamo nella stessa squadra ormai, e non parlo dei ribelli. No, noi due siamo in una squadra molto più intima, quella delle persone condannate eternamente a recitare una parte.
Perciò non ce la faccio proprio ad essere indifferente con lei, nonostante tutto sarebbe come essere indifferente con me stessa. Così alla fine mi avvicino, le nostre spalle si sfiorano, i nostri sguardi sono puntati in avanti, faccio finta di sapere dove stia guardando, faccio finta di guardare nello stesso punto. Per qualche minuto ci ignoriamo, o almeno facciamo finta di ignorarci, poi decido di rompere il silenzio – Ti ha incastrata eh? – dico, la sento sussultare impercettibilmente contro la mia spalla, come se non si aspettasse che avrei parlato prima o poi. Lo sguardo fisso in avanti, sembra che non mi abbia mai sentito e che io non abbia mai parlato, ma ha sentito e ho parlato.
– Non devi per forza fidarti di lei sai? – non so neanche io perché ho detto questa cosa, so solo che ha capito che sto parlando della Coin e sembra che le mie parole abbiano fatto centro, sussulta per la seconda volta, brevi tremiti, ma che io percepisco chiaramente. Gira di poco la testa, quel tanto che le basta per guardarmi negli occhi, anch’io mi volto poco – Io non mi fido di lei – sussurra – Non mi fido di nessuno di loro – continua a voce così bassa che faccio fatica persino a sentirla. Poi riporta lo sguardo avanti –Neanche io – confesso, lei volta il viso di nuovo –E allora che facciamo? – chiede. I suoi occhi grigi come il metallo fuso scrutano nel buio dei miei cercando risposte che non ho ancora – Teniamo gli occhi aperti – dico.
Insieme torniamo a guardare avanti a noi, come se non ci fossimo mai parlate, come se ieri non avessimo passato ore chiuse in un armadio, come se continuassimo ad odiarci in segreto. Ma ci siamo parlate, ci siamo aperte l’una all’altra e per quanto mi riguarda, da ieri ho smesso di odiarla. Siamo nella stessa squadra, lo siamo sempre state.
 
Quando il giorno dopo le chiedono chi voglia nella sua scorta e lei indica Gale e poi me, mi convinco che forse anche lei ha smesso di odiarmi.
 
Nel pomeriggio raggiungo Sam ed insieme ci avviamo verso l’ascensore. Ho chiesto alla Coin di poter uscire all’aria aperta con lui un’ora al giorno e lei dopo avermi elencato tutte le misure di sicurezza che avremmo dovuto adottare, ha acconsentito.
 
-Guarda! – Sam indica con il dito il cielo, mentre con l’altra mano non fa altro che stropicciare i fili d’erba su cui è sdraiato. Rotolo sul prato come fanno i bambini avvicinandomi di più a lui –Dove? – chiedo alzando gli occhi –Là, quella nuvola!– urla sorridente indicando con insistenza un punto nel cielo. Giro il collo per guardare meglio – Sembra un gatto – dice tutto convinto – Uno dei gatti della signora Miller – precisa ed insieme scoppiamo a ridere.
La signora Miller era una vecchia zitella che abitava nel distretto 7, che non faceva altro che allevare gatti, ne aveva un numero spropositato e li trattava come fossero i suoi figli. Quando camminava per strada era sempre in cerca di nuovi trovatelli da portare a casa, la gente la evitava, non è che fosse cattiva, non avrebbe fatto male ad una mosca, era solo un po’ matta. Un giorno mi ricordo di aver trovato un gatto randagio, probabilmente era stato abbandonato, era ferito ad una zampa, non sapevo cosa farne, io non potevo tenerlo e gli altri abitanti del distretto difficilmente lo avrebbero preso, nessuno aveva bisogno di un’altra bocca da sfamare. Così non sapendo cos’altro fare lo portai dalla signora Miller, ricordo ancora come le si illuminarono gli occhi quando lo prese in braccio, era una brava vecchia, infondo.
 
-Quella sembra un cappello! – dico indicando una nuvola proprio sopra la mia testa Sam segue il mio dito –Un cappello? Certo che hai fantasia tu eh! – commenta ridendo, metto su una finta espressione imbronciata – Tu vedi i gatti nel cielo e io non posso vederci un cappello? – chiedo con l’aria piccata, ma mi ridono perfino gli occhi, anche Sam ride –Puoi vederci quello che vuoi – dice.
La risata piano si spegne e si trasforma in un sorriso, inclina la testa fissandomi per quello che mi pare un tempo infinito–Che c’è? – chiedo ridendo, lui scuote la testa, ha il sorriso ancora sulle labbra – Sei bellissima – dice con un filo di voce, rimango intontita a guardarlo.
I capelli castani mossi dal vento, gli occhi azzurri illuminati dalla luce si confondono con il cielo. Lui è bellissimo.
Le sue mani sono bellissime, mentre mi accarezzano il viso. I suoi occhi sono bellissimi, mentre sono incollati ai miei. La sua bocca è bellissima, mentre solo un respiro la divide dalla mia.
Mi bacia, ci scambiamo i respiri a lungo, come se non fossimo capaci a respirare senza l’aiuto dell’altro. Quando ci stacchiamo ha dipinta sul volto un’espressione che mi sembra nuova, credevo di conoscere ogni più piccola sfumatura di lui, eppure quest’espressione… non l’avevo mai vista.
Mi bacia un’altra volta lentamente, con amore, in un modo in cui non mi aveva mai baciata prima. Una mano scivola lenta sotto il bordo della mia maglia, rido sulle sue labbra, mi fa il solletico – No…– dico staccandomi quanto basta per parlare. Ma lui sembra non sentirmi, o meglio, fa finta di non sentirmi e comincia a lasciare una scia di baci sul collo. Adoro quando mi bacia sul collo, lo sa – No – ripeto cercando di mostrarmi convinta, ma lui non si ferma – No…– ripeto ancora, ma la mia convinzione comincia a vacillare – Dai Sam, non qui!- ma sto ridendo e non mi prende sul serio. – Oh andiamo, lo abbiamo già fatto in un bosco – dice posando un bacio dietro il mio orecchio, rido ancora più forte. Non posso credere che l’abbia detto. – E non succederà una seconda volta – puntualizzo cercando di liberarmi dal suo abbraccio, dalle sue labbra esce un verso simile ad un grugnito – Non vuoi? – chiede con un’espressione che sarebbe in grado di smontare ogni mia convinzione. Come si fa a dire di no a questa faccia? – No – ecco, così.
Ma Sam non demorde e con un solo movimento il suo corpo mi schiaccia contro l’erba del prato
– Ci pensi mai ad un bambino? – mi chiede ad un soffio dalle mie labbra.
Sento che potrei morire da un momento all’altro.
Oh no, no, no. Ho sentito male, vero?
‘No Jenna, hai sentito benissimo’
Ha detto…
‘Bambino! B-A-M-B-I-N-O’
Sta’ zitta!
 
Ho vinto un’edizione degli Hunger Games, ho raggirato i sistemi di sicurezza della capitale, ho vissuto fingendo di essere un’altra persona, ho ucciso un ragazzino, ho ucciso Alexandra, ho visto morire Ares, ho creduto di essere morta, ho creduto di voler morire, hanno venduto il mio corpo come fosse una merce di scambio, hanno rapito mia sorella, sono una dei ribelli, sto partecipando ad una rivoluzione, mi hanno chiesto di diventare la Ghiandaia Imitatrice, ho scelto invece di essere le sue ali, ho deciso di essere un soldato, quando scoppierà la guerra combatterò…
E poi il mio ragazzo parla di avere un bambino ed io me la faccio sotto…strana la vita!
 
 – Un piccolo Claflin che corre di qua e di là e ti chiama mamma – mi sta seriamente spaventando. Ha detto mamma. Ha detto bambino.
– Sam… - lo chiamo cercando di strapparlo via da qualsiasi strana idea lo abbia rapito – Non lo vorresti, amore? – chiede e deposita un bacio sulle mie labbra prima che ne lasci un altro lo fermo mettendo la mia mano fra le nostre bocche – Sam… - lo chiamo cercando le parole giuste – …Amore mio… - aggiungo cercando di addolcirlo un po’e cercando di addolcire anche me – Non ti sembra un po’ presto per certi discorsi? – domando con il cuore in gola. Lui mi guarda come se fossi io quella strana – Non lo vuoi? – mi chiede con quell’aria innocente che mi fa sciogliere quando cerco di rispondere inciampo nelle parole .- Io… ecco, io… si, certo… Un giorno… - solo a pensarci sento crescere nello stomaco un terrore cieco, un giorno molto lontano…
Sam non sembra convinto -Mi ami? – chiede – Certo che ti amo – rispondo subito. Certo che lo amo. Lui continua a fissarmi come stesse pensando, ma a cosa non me lo dice – Ti amo anch’io – dice invece e lascia che le sue labbra si pieghino in un sorriso, poi alza le spalle con noncuranza –Vorrà dire che lo faremo un altro giorno il nostro bambino – dice con leggerezza. Un giorno molto, molto lontano, penso sentendomi stretta da un profondo ed irrazionale senso di terrore.
Sorride ancora e si abbassa per unire le sue labbra alle mie, ma prima che possa farlo lo fermo –Sam, non pensi che potremmo usare quest’ora per fare dell’altro oltre a…questo?- sul suo viso si dipinge un’espressione stupita.
In effetti anch’io sono stupita. Sono io quella che affoga i timori tra le sue braccia, sono io che desidero spegnere il cervello quando sto con lui. Sam è sempre stato il mio scacciapensieri. Ma non si può risolvere sempre tutto con un bacio, ci sono altre mille cose che ho voglia di fare con lui. Noi due siamo più di questo, siamo più di due ragazzini in preda agli ormoni che non ce la fanno a non saltarsi addosso appena si vedono. Tutto quello che abbiamo passato, tutto quello che abbiamo superato insieme, siamo due sopravvissuti, superstiti della vita.
Io sono sua e lui è mio. Ma in un modo molto più profondo di quello carnale.
Lui è mio perché io conosco ogni sua paura e gli offro la mano quando ne sento arrivare anche solo una. Io sono sua perché ha visto e provato sulla sua pelle ognuno dei miei incubi e quando arrivano li chiama per nome, come vecchi compagni di viaggio e mi offre le sue braccia per provare a scacciarli insieme.
Lui è mio quando qualche brutto pensiero lo porta lontano e basta la mia voce a farlo tornare indietro.
Io sono sua quando il mondo mi appare un posto buio e la sua sola presenza mi convince che almeno una luce c’è.
 
-Mh, pensavo ti piacesse…questo – dice figendosi offeso, alzo gli occhi al cielo – Certo che mi piace. Ma ho in mente altre mille cose che potrebbero fare queste belle labbra – e così dicendo traccio con un dito il contorno della sua bocca. Sam mi guarda vagamente divertito –Tipo? – chiede alzando un sopracciglio – Tipo insegnarmi il nome di ognuno di questi stupendi fiori – rispondo indicando i puntini colorati che coprono il prato su cui siamo sdraiati.
Maryse, la mamma di Sam, aveva un negozio di piante al distretto. I fiori erano una specie di ossessione per lei, li chiamava “i miei tesori”, casa sua ne era piena. Ricordo che diceva sempre che ogni fiore è un desiderio, un desiderio che si esprime per la persona a cui lo si regala.
Mi chiedo come Maryse facesse a non accorgersi di come suo figlio rapisse spudoratamente “i suoi tesori” per regalarli a me che di piante ne capisco quanto un orso bruno di danza. A testimoniare la mia completa inattitudine alla botanica erano proprio i cadaveri dalle foglie raggrinzite di quei poveretti, che dopo un giorno o due, nonostante i miei sforzi, morivano miseramente rimpiangendo la loro precente padrona dal pollice più che verde.
 
-Li ammazzavo tutti i poveri fiori di tua madre – gli dico con un pizzico di nostalgia nella voce, la risata cristallina di Sam mi riempie le orecchie e fa vibrare il suo petto –Hai ragione, sei un’assassina – rispodonde sghignazzando – Allora tu eri mio complice! Perché ti ostinavi a regalarmeli se sapevi che sarebbero morti? – chiedo divertita. Sam sorride ma la sua espressione si fa leggermente più seria –Mia madre diceva sempre che ogni fiore è un desiderio– risponde con un filo di voce. Poi raccoglie un piccolo fiore azzurro e lo sistema tra i miei capelli –E questo che desiderio è? – chiedo accarezzando i petali dello stesso colore dei suoi occhi, lui scuote la testa sorridendo – Non posso dirtelo, altrimenti non si avvera - .
 
Nei giorni seguenti tra me e Sam sembra filare tutto liscio, lui per fortuna non ritorna più sull’argomento “bambino”ed io mi guardo bene dal farlo. Ultimamente ho l’impressione che voglia starmi più vicino, il che ovviamente non mi dispiace affatto, senza di lui sarei persa, più mi sta vicino e più mi sento forte.
 
Cammino distrattamente per uno dei tanti corridoi che ci sono qui, ormai li conosco quasi tutti, ma qualche volta se sono particolarmente distratta, capita che prenda quello sbagliato.
Sto andando alla palestra, per allenarmi un po’, l’esercizio fisico mi fa scaricare le tensioni, stranamente poi collezionare nuovi lividi con Diana sta diventando il mio passatempo preferito.
‘Masochista!’
Forse.
‘O magari sono i sensi di colpa… credi forse che per ogni livido che ti fa la ripaghi un po’? Non funziona così’
Taci!
 
Spero proprio che una volta dentro riesca a distrarmi un po’ e a non pensare, non mi fa per niente bene pensare ultimamente. Mi ci vuole qualcosa di forte, qualcosa che mi faccia scordare per un paio d’ore di tutto.
Quando entro e mi ritrovo Sam davanti, mi convinco che riuscirò decisamente a distrarmi un po’, è una distrazione abbastanza forte, direi. Il mio scacciapensieri.
Cosa ci fa qui?
‘Non è abbastanza chiaro forse?’
Lo guardo mentre con una sola mossa sovrasta il suo avversario che ora è bloccato dal suo corpo sotto il materassino.
Già, non è abbastanza chiaro forse?
Lo aiuta a rialzarsi mentre gli da una pacca amichevole sulla spalla. Poi mi vede e mi si avvicina cercando di non sbellicarsi dalle risate, devo proprio avere una faccia da ebete– Ciao – dice, non la smette di fare quel suo sorrisetto combiaciuto. Non riesco a spiccicare parola, lui ride, mette un dito sotto il mio mento e spinge verso su facendo chiudere la mia bocca che si era spalancata, ci posa sopra un bacio e poi si dirige soddisfatto verso le postazioni di tiro. Non può fare così, mi deve delle spiegazioni, non può risolvere tutto come al solito con un bacio.
Rimango un attimo immobile ho un’espressione intontita sul viso, ne sono certa. Quando mi risveglio dal torpore mi affretto a raggiungerlo.
Sta caricando una pistola. E questo dove l’ha imparato? Quando spara e mette a segno ogni singolo colpo con precisione, rimango a bocca aperta, per la seconda volta. E quest’altro dove l’ha imparato?
-Che significa questo? – gli chiedo, ma lui non mi risponde, quando si accorge che lo sto fissando mi fa segno che non sente e ci credo, ha un paio di quelle strane cuffie che si devono mettere per sparare. Gli ripeto la mia domanda ad un volume talmente alto che mi fanno male le mie stesse orecchie, Sam alza leggermente un lato della cuffia liberando un orecchio – Mi spieghi che significa questo? – chiedo ancora, scrolla le spalle – Oh, che so sparare – risponde, scuoto la testa fingendo un’aria contrariata – Intendo, che ci fai qui? – mi correggo – Oh, mi assicuro che tu non faccia niente di stupido, amore – dice sottolineando con quel pizzico d’ironia che non mi sfugge l’ultima parola, guarda verso la sagoma bucherellata dai suoi proiettili– Ma siamo qui dentro, cosa vuoi che faccia? – dico allargando le braccia – Infatti il problema è fuori – risponde tranquillamente rigirandosi tra le mani la pistola e rimettendosi in posizione davanti ad una nuova sagoma – Quando avrò una missione non potrai uscire con me, solo i soldati possono – dico un po’ confusa. Sam volta la testa nella mia direzione, sul suo viso si fa strada uno di quei suoi sorrisetti compiaciuti.
Allora è questo, è diventato un soldato. Lo odio. Non è vero, lo amo.
Si gira, prende la mira e spara. Bersaglio centrato in pieno cuore.
Si toglie le cuffie e le rimette a posto insieme alla pistola – Ora se vuole scusarmi soldato Wellington, devo allenarmi – dice passandomi davanti e andando verso il tappetto del combattimento corpo a corpo. Che faccia tosta, io però sono più tosta.
– Anch’io devo allenarmi – dico piazzandomi al centro del materassino, mi guarda sbigottito – Allora soldato? – lo chiamo – Si faccia sotto – lo incito togliendomi la felpa e lanciandogliela addosso. Lui si toglie la mia felpa dalla faccia e la lancia lontano assieme alla sua, poi si toglie la maglietta rimanendo a torso nudo – Cosa fa? Cerca di distrarre l’avverario? – chiedo stampandomi in faccia un sorrisetto affilato – Strategie di gioco – risponde socchiudendo gli occhi.
Alla mia destra noto una biondina appoggiata al muro che guarda Sam, il mio Sam. Mi sento andare in fiamme. Ah, è così? Beh, mi dispiace per lui ma ci sono più maschi che femmine in questa sala. Mi tolgo anch’io la maglietta e mi congratulo con me stessa per la scelta di stamattina di aver messo sotto questa canottiera attillata invece dell’altra – Strategie di gioco – dico restituendogli le sue parole mentre guardo con piacere il suo viso diventare color fuoco, scoppia in una risata liberatoria, mi sforzo di non ridere con lui e mantenere la mia faccia di bronzo.
Ormai è diventata una sfida, e devo essere io a vincerla.
 
Per un po’ ci giriamo intorno come due animali, due predatori, l’azzurro mare dei suoi occhi cerca il nero notte dei miei. Nel frattempo un po’ delle pesone nella sala si sono avvicinate al materassino, interessate al combattimento, o forse attirate dalle scariche elettriche che ci mandiamo con gli occhi.
Continuo a ripetermi che combattere con Sam sarà una passeggiata, è vero che ci tiene al suo onore, è orgoglioso e tutto quanto, ma non mi torcerebbe neanche un capello, ne sono certa.
‘E tu Jenna, glielo torceresti un capello?’
Beh, ne ha così tanti, cosa vuoi che sia un capello?
Tiro un calcio all’altezza del suo stomaco che para abbastanza facilmente. Sul suo viso appare un’espressione un po’ stupita, cosa credeva che sarei rimasta ferma a guardarlo negli occhi all’infinito? Con movimenti rigidi e fin troppo accademici dà qualche pugno che sarebbe facile parare anche per un bambino. Mi fermo per un attimo abbassando di poco la difesa per lanciargli un’occhiata stralunata, non deve andarci così piano, almeno un po’ so difendermi, non sono mica fatta di porcellana!
Proprio in quel momento Sam lancia un altro pugno colpendomi il braccio, incasso il colpo e mi rimetto in posizione di difesa stampandomi in faccia un sorrisetto compiaciuto. Quindi un po’ fa sul serio, ma dovrà fare meglio di così se vuole battermi.
Continuamo a stuzzicarci a vicenda assestando colpi che siamo certi l’altro parerà, senza mai abbassare la guardia, potremmo andare avanti così all’infinito, ma non ho intenzione di passare in questa palestra, su questo materassino il resto della mia vita, ho aspirazioni leggeremente più alte di queste. Così alzo la gamba mirando al suo fianco, ma sono evidentemente un secondo troppo lenta perché lui capisce le mie intenzioni, o forse me le legge negli occhi e blocca la mia gamba facendomi perdere l’equilibrio. Cado a terra e in un attimo lui è sopra di me e mi schiaccia contro il materassino.
E ora che faccio? È troppo pesante per spostarlo o cercare di ribaltare le posizioni, è più forte, è più alto, più muscoloso, non ha punti deboli.
‘Non ti torcerebbe neanche un capello, Jenna’
Forse uno ce l’ha…il suo punto debole sono io.
All’improvviso la quasi inesistente distanza che separa i nostri corpi mi sembra un’arma da poter usare contro di lui, con un movimento improvviso avvicino il mio viso al suo e premo le mie labbra sulle sue.
‘Ma non si può risolvere sempre tutto con un bacio, Jenna, sono parole tue”
Magari solo per questa volta…
 
Sam rimane un attimo paralizzato, poi allenta la presa sulle mie braccia e si rilassa, quando lo fa ne approfitto per ribaltare le posizioni. Ora sono sopra di lui e lo inchiodo al pavimento bloccandogli le braccia e le gambe, so che se volesse potrebbe spostarmi senza troppi sforzi, ma non lo fa, è troppo impegnato a guardarmi con un’espressione sul viso che sembra voler dire ‘Non vale’, in realtà vale eccome.
-Cerca di non distrarti la prossima volta, amore – gli sussurro in un orecchio sottolineando l’ultima parola, proprio come aveva fatto lui poco prima. Poi mi alzo, raccolgo la maglietta e la felpa a terra ed esco dalla sala in pieno stile ‘Pantera del 7’.
 
‘Bella mossa, Jenna! Sei una stronza, lo sai?’
Grazie, alter-ego rompiscatole di me stessa, tante grazie!
‘Sei sempre la solita e io che ti do pure i suggerimenti!’
Sei solo una voce nella mia testa, sono io che penso le cose , tu le dici solo. Sei una voce molto stressante.
‘Quindi dato che è la tua testa, sei tu ad essere stressante in realtà, dico bene, Jenna?’
Sparisci.Non ti sopporto più.
 
 
È strano allenarmi ogni mattina con Sam, è strano vedere come sia letale con qualsiasi arma abbia in mano. Sam, il mio Sam, il ragazzo dolce e protettivo che non farebbe male nemmeno ad una mosca. Eppure quelle mani che tante volte mi hanno accarezzato, quelle stesse mani che l’altro giorno mi hanno sistemato nei capelli quel fiore azzurro, riescono a serrarsi intorno ad una pistola, quelle braccia che tante volte mi hanno stretto per proteggermi dagli incubi, scagliano coltelli più lontano di come avessi mai visto. Forse dietro al ragazzo innocuo che ho imparato ad amare si nasconde questa parte, una macchina da guerra pronta a scattare se solo ne verrà l'occasione, mi domando come ho fatto a non accorgermene prima. Come ho fatto a non leggerlo nel fuoco che c'era nei suoi occhi ogni volta che parlava di ribellioni, ogni volta che diceva che le cose dovevano cambiare. Come ho fatto?
Eppure è sempre lo stesso, è sempre il mio Sam. Forse dovrei smetterla di farmi troppe domande, forse è stato lui stesso a reprime questa parte di sé dopo gli Hunger Games, forse non sapeva neanche lui che esistesse, questo lato del suo carattere.
Da quando è diventato un soldato stiamo sempre insieme, è strano, ma non chiedo di meglio.
 
E mentre io passo tutto il giorno ad allenarmi con Sam e a parlare con Finnick, Katniss cerca di recitare la parte che le è stata affibbiata e forse, è proprio questo il problema.
Recitare, negli ultimi anni non ha fatto altro che far finta: di essere una stupida ragazzina ingenua, di essere incinta, di essere innamorata di Peeta...beh, forse questa non conta, dato che non è più una recita.
La capisco. Dio quanto la capisco!
La verità è che è una pessima attrice, penso mentre la guardo recitare la sua battuta davanti alla telecamera. Stanno cercando da un'ora di registrare questo benedetto spot, dovrebbe incoraggiare i ribelli, rincuorare i distretti, ma non riuscirà a fare nessuna di queste cose se continua a recitare.
Dal fondo della sala riecheggia una sonora risata, Haymitch è appoggiato allo stipite della porta e si tappa la bocca con una mano per non ridere di nuovo - Ecco, signori miei, come muore una rivoluzione - dice prima di andarsene. Non potrei essere più d'accordo.
 
Nella riunione successiva decidiamo di comune accordo che è ora di smetterla di dirle cosa deve dire, devono smetterla di trattarla come un'attrice. Panem non sa che farsene di un'attrice, abbiamo bisogno di qualcuno che infonda speranza, qualcuno in cui la gente di distretti si rispecchi, non ci serve un altro fantoccio pieno di finzione come quelli di Capitol City.
Haymitch propone quindi di buttarla in mezzo alla battaglia, solo allora Katniss non si sentirà costretta in un ruolo. Arrivano subito le proteste della Coin, di Plutarch e degli altri, hanno paura che la loro bambolina si faccia male, hanno paura che alla Ghiandaia Imitatrice si spezzi un'ala, non possono permetterselo – Voglio andare- dice però Katniss. Batto un palmo della mano sul tavolo come per enfatizzare quello che ha appena detto, gli occhi di tutti i presenti si posano su di me, non mi ero accorta di aver attirato la loro attenzione - Sono d'accordo - dico rispondendo agli sguardi interrogativi che mi rivolgono - Bene, allora andrai con lei - dice la Coin in tono apatico - Certo che andrò con lei, faccio parte della sua squadra- dico risoluta, l'avevo dato per scontato questo, Katniss mi rivolge un sorriso sincero che io ricambio subito.
 
Così il giorno dopo con un hovercraft raggiungiamo il distretto 8, Haymitch rimane a bordo assieme al pilota, mentre io, Katniss, Sam, Gale, Boggs, e un altro paio di soldati seguiti dai cameramen, raggiungiamo l’ospedale improvvisato dagli abitanti del distretto per curare i feriti.
È proprio tra questa gente, tra le barelle e le fasciature sporche di sangue che capisco quanto sia importante per Panem quello che stanno facendo i ribelli. La Ghiandaia Imitartrice smette di essere un simbolo mentre Katniss passa in mezzo ai letti dei feriti, diventa pura e autentica speranza mentre stringe la mano di chi sta per morire o accarezza il viso di chi soffre. Tutto questo mi fa capire con una realtà allucinante che non possiamo permetterci di fare cavolate, che abbiamo in mano un grande potere con cui possiamo salvare molte più vite di quante se ne siano perse, che stiamo facendo la cosa giusta.
Poi vedo succedere sotto i miei occhi l’impensabile, bombardieri con lo stemma di Capitol City compaiono nel cielo. Quando ci arriva l’ordine di ritornare all’hovercraft Gale e Katniss se ne infischiano ed io non ci penso due volte ad unirmi a loro seguita a ruota da Sam. Ma nonostante tutto il nostro aiuto è piccolo contro le bombe che lanciano gli aerei, ne abbattiamo molti, ma loro abbattono l’ospedale.
Quando ritorno al distretto 13 non è la ferita al braccio a farmi male, sono altre ferite a sanguinare, ferite che ci metteranno di più di quelle fisiche a rimarginarsi .
Come si fa a lanciare bombe su dei feriti? Gente disarmata, indifesa. Come si può? Non si può.
Ma alla fine è questo che fa la Capitol City, è quello che ha sempre fatto, distrugge tutto senza fare distinzioni, senza avere morale, loro la morale, la lealtà, la giustizia, non vogliono sapere nemmeno cosa siano. L’unica cosa che vogliono è strappare la speranza alla gente, toglierne anche il più piccolo briciolo dai loro cuori.
Così la prima cosa che faccio, in cuor mio, per contrastare la capitale, è cominciare a sperare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Angoletto dell'autrice: Eccomi! Prima di tutto volevo ringraziare tantissimo imetjoshutcherson e Roberta Salvatore per le loro recensioni. Su questo capitolo non ho molto da dire, solo che è più corto degli altri e che getta le basi per il prossimo, che è stato un vero e proprio travaglio da scrivere! Spero che vi piaccia e che quindi vogliate lasciarmi una recensione piccina piccina, o magari non vi piace ed in quel caso a maggior ragione lasciate a questa poveraccia una recensione piccina picciò, piccola, minuscola, insignificante... per favoooreee *fa gli occhi dolci*
Ok, vi lascio al capitolo, buona lettura!









Pochi giorni dopo veniamo tutti trasportati al distretto 12, i cameramen vogliono fare qualche ripresa a Katniss e Gale mentre parlano della loro città distrutta. Attraversiamo il distretto, o quello che ne rimane in silenzio, questi luoghi un tempo erano casa loro, ora sono solo un ammasso di macerie. Quando raggiungiamo i boschi sento un tuffo al cuore, questi alberi sono sopravvissuti ai bombardamenti a differenza dei miei ridotti in cenere dal fuoco.
Penso che mi piaccia questo bosco, anche se ogni albero che guardo è una lama nel cuore, ogni albero che guardo mi ricorda casa mia, ma forse è proprio per questo che mi piace.
Anche Katniss ha molte lame nel cuore, glielo leggo negli occhi mentre intona le note di una vecchia canzone che le cantava sempre suo padre e perfino gli uccelli si zittiscono per ascoltarla; mentre parla della sua amicizia con Gale sulla sporgenza di roccia dove erano soliti incontrarsi; mentre davanti a ciò che rimane della casa di Peeta, gli manda un appello e ripete che non può esserci un cessate il fuoco.
 
La sera del giorno dopo veniamo tutti convocati al comando, il che non mi fa pensare a nulla di buono. Quando io e Sam entriamo la sala è affollata, con gioia noto che seduto vicino a Katniss c’è Finnick, sono contenta che finalmente gli abbiano permesso di partecipare alle riunioni.
-Eh così non ti reputano più mentalmente confuso – gli sussurro all’orecchio sendendomi vicino a lui e trascinandomi dietro Sam che si siede accanto a me dall’altro lato – Sembrerebbe di no. Oppure sono così disperati che hanno bisogno anche di un povero ragazzo confuso come me – scherza lui, mi concedo un piccolo sorriso – Sai perché siamo qui? – gli chiedo, un tempo lui sapeva tutto, chissà, forse non è cambiato poi tanto – Beete crede di aver trovato un modo per manipolare la programmazione su scala nazionale – risponde, Finnick sa sempre tutto.
Sullo schermo alzato sulla parete compare il sigillo di Capitol City seguito dallo squallido inno. Poco dopo appare Snow sul suo podio e vicino a lui, su una sedia rialzata siede un Peeta decisamente peggiorato dall’ultima volta che l’ho visto. Alla mia coda dell’occhio non sfugge la mano di Katniss stretta in quella di Finnick, l’ha notato anche lei. Peeta comincia a parlare irritato della necessità di un cessate il fuoco, elenca i disastri che ci sono stati nei vari distretti,ovviamente li atribuisce tutti ai ribelli, ho un sussulto quando nomina una diga squarciata nel 7. Poi all’improvvioso sullo schermo spezzoni di alcuni pass-pro realizzati in questi giorni dai ribelli si alternano alle immagini di Peeta e Snow: Beete è riuscito ad inserirsi nel sistema. Dopo vari tentativi alla fine ricompare il sigillo della capitale e Snow dice che le trasmissioni riprenderanno dopo, ma prima di chiudere chiede a Peeta se vuole rivolgere un addio a Katniss. Lui sembra fare uno sforzo immane quando inizia a parlare – Katniss…come credi che finirà? Che cosa credi rimarrà? Nessuno è al sicuro. Non a Capitol City. Non nei distretti. E tu…nel 13…- fa un brusco respiro, come se cercasse disperatamente di trovare aria. Ha occhi da pazzo - …sarai morta prima che faccia mattina! – dice. Subito dopo Snow ordina di chiudere le trasmissioni, ma lo schermo non si oscura abbastanza in fretta, le telecamere buttate a terra registrano le mattonelle bianche, si sente lo strisciare di stivali, l’impatto del colpo, il grido di dolore di Peeta e il suo sangue che schizza le mattonelle.
Nella sala esplode il panico. È Haymitch a zittire tutti e a chiamare l’attenzione su di sé, dice che la frase di Peeta è un chiaro avvertimento, che saremo attaccati, molti nella stanza sembrano titubanti – Voi non lo conoscete, noi sì. Faccia preparare la sua gente – dice alla Coin.
 
Così in poco tempo tutto il distretto 13 si trova ancora più nelle viscere della terra di quanto non sia normalmente. Mi sento mancare l’aria qui sotto, è ancora più opprimente del distretto stesso. Quando la prima bomba colpisce e viene seguita da un’esplosione che mi riecheggia nelle ossa, cambio decisamente idea, sarà opprimente quanto mi pare, ma se fossimo stati un po’ più su non so che fine avremmo fatto.
 
Stretta tra le braccia di Sam aspetto di sentirmi un po’ più al sicuro, ma non ci riesco, non sono le bombe, è un peso che sento all’altezza dello stomaco e che non riesco a levarmi. Quando mi rigiro nel letto per parlarne con Sam lo trovo addormentato, non ho il coraggio di svegliarlo, così mi libero dalle sue braccia cercando di non disturbare il suo sonno. Il pavimento di pietra scura del rifugio sotterraneo è freddo sotto i miei piedi nudi, le unità dove dorme la gente qui sotto mi sembrano tutte uguali, sono tutte uguali, non so se riuscirò a trovare Finnick. Poi lo vedo, lo raggiungo. È seduto a terra e stringe tra le mani il suo pezzo di corda, sto per sedermi vicino a lui, quando noto Katniss rannicchiata al suo fianco – Oh... non pensavo che fosse così affollato qui – dico, non voglio disturbare i loro discorsi, so che anche Katniss è molto amica di Finn. Faccio per andarmene ma lui mi trattiene per un braccio, batte il pavimento vicino a lui dalla parte in cui non è seduta Katniss ed io mi accascio là. Finnick fa un nodo al suo pezzo di corda e poi lo passa me, io faccio un nodo e poi passo a Katniss, anche lei fa un nodo e lo ripassa a Finnick. Continuiamo così finchè non c’è più spazio e allora sciogliamo i nodi e ricominciamo a farli da capo.
-Come fate a sopportarlo? – chiede all’improvviso Katniss, io scuoto la testa, Finnick la guarda, incredulo – Non ci riesco, Katniss! è ovvio che non ci riesco. Mi trascino fuori dai miei incubi ogni mattina e scopro che non c’è alcun sollievo nello svegliarsi - qualcosa nell'espressione di Katniss lo blocca - Farai meglio a non cedere a questa cosa. Rimettere insieme i pezzi richiede il dieci volte il tempo che serve per crollare - dice.
Lui lo sa bene.
Per un attimo Finnick scruta negli occhi di lei, poi guarda me, come per chiedermi il permesso di quello che sta per dire, permesso che gli concedo - Più riesci a distrarti e meglio è. Per prima cosa, domani ti procureremo una corda tutta per te. Sino ad allora, prendi la mia - dice porgendole il suo scacciapensieri.

Finita l'allerta ci viene permesso di ritornare 'sopra', per quanto si possa dire che sia sopra il distretto 13. Molte stanze ed ambienti sono rimasti danneggiati, ma l'efficenza di questo distretto sotterraneo è impareggiabile e ci vengono fornite nuove sistemazioni in un batter d'occhio.
Purtroppo però gli avvenimenti delle ultime ore hanno fatto più danni alle persone che agli edifici. Me ne rendo amaramente conto vedendo Katniss stringere i pugni, la vedo pallida e con gli occhi spalancati mentre cerca di trovare la forza di registrare un nuovo spot in cui mostra che è viva e che Snow non è riuscito con le sue bombe a scalfirla. In realtà c'è riuscito eccome. Ma non sono state le bombe, è stato guardare Peeta, vederlo in condizioni pietose mentre cercava di salvarle ancora una volta la vita. C'è riuscito, ancora una volta. Ormai Katniss ha capito che Snow lo sta usando. Lui è l'unico modo che ha per spezzarla.
In un attimo la vedo esplodere sotto i miei occhi, vedo riaffiorare la rabbia e riempirle gli occhi. Prima che possa accorgersene un ago è infilato nel suo collo e sprofonda nell'incoscienza. Poco dopo assisto con molta tristezza alla stessa scena, un altro ago viene infilato nel collo di Finnick e anche lui scivola nel sonno.
- Devo preparare un ago anche per te, dolcezza? - mi chiede Haymitch. Ma la mia rabbia inspiegabilmente non viene fuori e nessun ago si infila nel mio collo.

- Dobbiamo fare qualcosa! - la mia voce è implorante mentre mi rivolgo ad Haymitch, lui annuisce con aria mesta - La Coin ha ordinato una spedizione. Ci andiamo a riprendere i nostri vincitori... E tua sorella - mi dice cupo ed il mio cuore non può fare a meno di fare capriole. - Quando partiamo? - domando scossa da un tremito, lui mi guarda stralunato e scuote la testa con aria grave - Non c'è nessun 'noi', dolcezza. Loro non ci lasceranno andare. Hanno finto di non vedere la mia mano alzata quando mi sono offerto per la spedizione - mi risponde, mi sento andare a fuoco. - Non possono impedirmi di andare a riprendermi mia sorella! - urlo in preda al panico - Tu non capisci Haymitch, io devo essere là, io devo salvarla, non posso affidare la sua vita ad altri, l'ho già fatto in passato e guarda com'è andata... - farfuglio incapace di contenere le mille emozioni che mi ribollono dentro. All'improvviso qualcosa nel suo sguardo cambia - E invece capisco - bisbiglia a sorpresa Haymitch - Capisco eccome...ma non è questo il modo di comportarsi se vuoi convincerli a mandarti a Capitol City in missione. Devi essere imperturbabile, una roccia. Fagli vedere che non sei una ragazzina isterica sopraffatta dalle emozioni. Mostragli che prima di essere sua sorella, sei un soldato - le sue parole scavano dentro il mio petto e prima che possa anche solo elaborarle so che ha ragione. È esattamente quello che devo fare se voglio guadagnarmi un posto nella missione, è esattamente quello che farò.

È esattamente quello che faccio mentre mi siedo su un cumulo di macerie accanto a Finnick e gli tengo la mano mentre parla davanti alla telecamera - Il presidente Snow aveva l'abitudine di... vendermi... di vendere il mio corpo - inizia lui, con un tono di voce piatto, distante, come se gli orrori che sta per raccontare non lo riguardassero davvero. È esattamente quello che faccio. Sono imperturbabile, sono una roccia mentre comincio anch'io a parlare e le mie parole si intrecciano a quelle di Finnick come le mie dita nelle sue.
Il mio amico comincia a tessere un arazzo così ricco di dettagli che non si può dubitare della sua autenticità. Quando ha svelato i segreti di mezza Capitol City, comincia a snocciolare tutti i sotterfugi di potere con i quali Snow si è fatto strada nella politica. Quando smette di parlare nessuno per qualche minuto osa rompere il silenzio e la telecamera continua ad inquadrare i nostri volti senza che le nostre labbra si schiudano. Ad un tratto sono io a rompere il silenzio - Il mio nome è Jenna Wellington e non sono chi credevate che fossi -.

'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia.

Sento la mano di Finnick irrigidirsi nella mia e lo sguardo di Sam bruciarmi addosso, eppure quando incrocio i suoi occhi, le sue iridi azzurre sembrano voler incoraggiarmi a continuare.
- Io sono Jenna Wellington - ripeto, il mento alto e gli occhi fissi sul puntino rosso che segnala che la telecamera sta registrando - Quando il nome di mia sorella è stato estratto durante la mietitura dei 73esimi Hunger Games ho finto di essere lei e sono entrata nell'arena al suo posto - tutti gli occhi dei presenti sono incollati su di me - Quando ho vinto i giochi e sono tornata a casa, l'unica cosa che volevo era riprendermi la mia vita, ma non ho potuto fare neanche questo. Snow me l'ha impedito. Mi ha ricattata, ha minacciato di fare del male alle persone che amavo ed io ho dovuto continuare a vivere una vita che non era la mia - La mano di Finnick non stringe più la mia, è scivolata sulle sue gambe i suoi occhi sono fissi su di me.
- Ma non bastava. Mi ha esposta come fossi un trofeo, ha venduto il mio corpo, ha bruciato i boschi del mio distretto...ha rapito mia sorella facendo credere a tutti che fosse morta nell'incendio - la mia voce è chiara, nitida, non mossa dai tremiti, non interrotta dai singhiozzi. Sono imperturbabile, sono una roccia.
- In questo momento Anna Wellington è prigioniera del presidente Snow a Capitol City. C'è solo una cosa che vorrei dire al presidente... - mi fermo un attimo e faccio schioccare la lingua sul palato soddisfatta, le mie iridi color notte incatenate al puntino rosso. Sul mio viso si dipinge un sorriso sghembo, mi avvicino alla telecamera fin quasi a sfiorarla col naso - Hai visto? Mi sono ripresa la mia vita. E comunque vada a finire, non c'è niente che tu possa fare... Ho vinto. Ho mostrato a tutti l'altra faccia della medaglia -.

La telecamera non si è neppure spenta che io sono già dalla Coin a chiedere, anzi a pretendere, il mio posto nella missione. All'inizio non è facile, vuole tenermi qui, incatenata e al sicuro nella mia gabbietta dorata come gli altri vincitori. Ma io non sono come gli altri vincitori, io non ho intenzione di mollare. Io sono Jenna, mi sono ripresa la mia vita ed ora vado a riprendermi mia sorella.
Un'ora dopo sono su un hovercraft e sto viaggiando verso Capitol City.

L'hovercraft è enorme, ma desolato se si esclude il pilota. Sono sola, completamente sola.
O almeno credevo di esserlo, poi una chioma rossa spunta da una cabina, i suoi occhi di ghiaccio inchiodano i miei. Ci fissiamo per lunghi istanti, è immobile come una statua di cera, poi il suo viso si rilassa in un piccolo sorriso - Diana - la chiamo piano - Che ci fai qui? - chiedo, sento la testa improvvisamente pesante - Sono un soldato, Jenna, e questa è una missione a cui voglio partecipare - risponde semplicemente mentre afferra un biscotto dal vassoio e lo porta alla bocca. Ma ovviamente non ha risposto alla mia domanda. Perché partire ora? Perché con me? Poteva benissimo andare con gli altri volontari, ma non l'ha fatto.
Tuttavia decido che non è il momento di indagare sulle sue decisioni, la mia mente è occupata da ben altri pensieri. L'hovercraft scivola veloce sulle nuvole e prima ancora che possa rendermene conto la capitale si mostra ai nostri occhi.
- Quando scatterà la missione? - chiedo a Diana interrompendo il silenzio che aveva accompagnato il nostro viaggio - Tra un paio d'ore - dice guardando un aggeggio che ha al polso - Bene. Suppongo che dovremo salutarci qui, allora - dico guardando dappertutto tranne che nei suoi occhi. Corruga la fronte confusa - Raggiungi gli altri. C'è una missione da far partire, no? - le dico decisa - E tu? - mi chiede non proprio convinta - Io vado a far partire la mia, di missione...- rispondo - E non è la stessa? - è sempre più confusa -Non proprio... - rispondo evasiva. Diana si sfila l'aggeggio e me lo aggancia al polso - Un orologio? - chiedo riconoscendo l'oggetto - Non solo, è anche un...oh, non mi ricordo come diavolo si chiama ma puoi parlarci dentro. È collegato con l'hovercraft che verrà a riprenderci quando la missione sarà finita. Penso che serva di più a te...- mi spiega. Do uno sguardo all'orologio, ho sempre avuto un polso piccolo, infatti mi sta lento, spero di non perderlo - Grazie - sussurro e prima che possa dire qualsiasi altra cosa, sono già scesa sul tetto del centro di addestramento ormai abbandonato sul quale siamo atterrati. Cammino a passi decisi ed ormai sono lontana di qualche metro dall'hovercraft, quando la sua voce mi fa voltare indietro - Sii coraggiosa, Jenna - dice ed anche se non urla le sue parole mi arrivano lo stesso chiare.
E all'improvviso sento che voglio tornare indietro ad abbracciarla e lo faccio, perché ne ho tremendamente bisogno.
Sciolto l'abbraccio ognuna riprende la sua strada, lei raggiungerà gli altri, io andrò diretta nella residenza del presidente, so per certo che è là che troverò Anna.

Non è difficile orientarsi per le strade della capitale, scopro che conosco molto meglio di quanto credessi questi vicoli e in un tempo ragionevole arrivo in prossimità della grande e sfarzosa villa, mi nascondo in un edificio abbandonato e aspetto. È davvero molto vicino, deve essere stata l'abitazione del primo stratega, quando ancora ce n'era uno, o comunque di qualcuno di importante, è troppo vicina alla villa del presidente per essere un'abitazione qualsiasi. Sono dentro un armadio, l'anta leggermente aperta così da avere una piccola visuale della televisione appesa al muro, è vuoto se si escludono le stampelle giallo canarino al suo interno, è impensabile che addirittura le stampelle a Capitol City riescano ad essere eccentriche. Do un veloce sguardo all'orologio che mi ha dato Diana, sospiro attenta a non fare rumore, manca ancora un po', devo aspettare, è importante che io aspetti, è fondamentale, ma è così difficile aspettare!
Conto i miei respiri. Chiudo gli occhi.
Uno.
'Calmati'
Due.
'Farai la cosa giusta'
Tre.
'Sii coraggiosa, Jenna'

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Angoletto dell'autrice in ritardo: Scusate, sono in ritardo, di nuovo...Cosa posso dire a mia discolpa? Sono innocente, Vostro Onore, lo giuro! *sospira* è un capitolo lungo, anche per i miei standard, ed è stato un osso duro da scrivere. In più per giorni ho aspettato che un'illuminazione divina mi arrivasse dal cielo e me lo facesse riscrivere in modo migliore, ma non è successo, perciò eccolo quà, spero che non faccia completamente schifo. 
Vi ringrazio perchè avete aperto la mia storia, perchè state leggendo questo angolo dell'autrice, perchè state per leggere questo capitolo e perchè quando avrete finito sarete così gentili da lasciarmi una piccola recensione...Veeero?       Sognare un po' non fa mai male... ahahahahah






Capitolo 30



La televisione si accende da sola dandomi il segnale che stavo aspettando. Sullo schermo appare il volto incipriato eppure ancora paonazzo di Snow, dice che hanno subito un attacco dai ribelli e che hanno rapito Peeta, Johanna ed Annie Cresta, vincitori ospiti di Capitol City. Sento il sangue salirmi al cervello quando sento le parole "rapito" e "ospiti" ma mi impongo di calmarmi. Ricomincio a contare i miei respiri ad occhi chiusi. La voce di Snow continua dicendo che tuttavia la capitale è riuscita a non subire gravi perdite e che lui stesso assieme alle forze militari della città rimarrà sul posto dell'attacco a sincerarsi dei danni subiti.
Non aspettavo altro. Ottima mossa lasciare sguarnita la sua residenza, presidente, i miei complimenti.
Velocemente esco dall'armadio, se prima aspettavo e cercavo di perdere tempo, ora cerco di recuperarne quanto più possibile. Veloce, devo essere veloce, più veloce di quanto sia mai stata, tutto dipende da quanto riesco ad essere veloce.
Nascosta dietro la vicinissima abitazione sbircio in direzione della villa. Due uomini sono fermi davanti al muro eretto intorno alla casa, sono armati. Anch'io sono armata, sfioro con la punta delle dita le due pistole ai lati della mia cintura, gli occhi fissi sulle due figure con i fucili in mano. Potrei sparare, prima ad uno e poi all'altro, ma farei rumore, sicuramente all'interno della villa c'è qualcuno che fa la guardia, i miei spari si sentirebbero. Poco male, il tempo di sentire gli spari che si ritrovano una pallottola in testa anche loro. Quante persone ci saranno là dentro? Sicuramente meno di quante ce ne sono di solito, l'attenzione è focalizzata sulle prigioni in cui il presidente "ospitava" Peeta, Johanna ed Annie, la villa è rimasta sguarnita, ma non abbastanza da farmi passeggiare liberamente nei corridoi della casa del presidente. Ritorno a fissare i due uomini, non c'è tempo, veloce, devo essere veloce. Devo sparare, non importa se chi è dentro all'edificio mi sente, non ho tempo.
'Sei pronta ad ucciderli, Jenna?'
Forse potrei trovare un altro modo. Ma velocemente, conto fino a dieci, se non trovo un altro modo sparo.
Uno. Devo distrarli.
Due. Sono sola, non ho un diversivo.
Tre. Devo cercarlo.
Quattro. Non c'è.
Cinque. Mi sa che devo sparargli,magari ad una gamba.
Sei. Troppo rischioso, potrebbero dare l'allarme. O gli sparo in testa o non gli sparo per niente.
Sette. Devo sparargli in testa.
Otto. Non voglio sparargli.
Nove. Concentrati, guardati attorno. Case. Finestre. Porte. Edifici. Non c'è nient'altro, dannazione! Case, finestre...finestre.
Dieci. Finestre. Case, finestre... Finestre!




Torno dentro il palazzo in cui mi ero nascosta. Veloce, devo essere veloce. Aver scelto di risparmiare la vita di quei due uomini mi farà perdere tempo, perciò devo essere veloce, più veloce.
Salgo le scale saltano i gradini. È l'edificio più vicino alla residenza del presidente, il più vicino e il più alto nelle vicinanze. Così alto che le sue finestre coincidono in linea d'aria con quelle della villa. Così vicino che è l'unica possibilità che ho per arrivarci. Arrivo all'ultimo piano, l'adrenalina che scorre nelle mie vene smorza perfino il fiatone per la corsa sulle scale, fisso la finestra davanti a me. Finestra. Devo trovare qualcosa di abbastanza lungo da arrivare fino alla finestra dell'altro edificio, una superficie liscia, piatta, devo poterci camminare sopra, deve reggere il mio peso. Veloce, devo essere veloce. Metto a soqquadro la casa, tra tutte queste cose inutili ci sarà qualcosa che fa al caso mio! Eppure tra lo sfarzo e l'eccesso in questa casa l'unica cosa che manca è quello che serve a me. Poi la vedo. Dentro quello che penso sia uno sgabuzzino, è una scala ed è la mia unica possibilità. La trascino vicino alla finestra, è pesante, la sollevo quel tanto che basta per arrivare al davanzale, poi la spingo fino a quando non raggiunge la finestra della villa. Riempio i polmoni d'aria e salgo sul davanzale. Con movimenti veloci ma non bruschi comincio a trascinarmi da un gradino a quello successivo della scala, quando sono a metà strada mi concedo una rapida occhiata a quello che succede sotto di me. I due uomini sono ancora davanti al cancello, all'improvviso ho paura che alzino lo sguardo e mi vedano. Impongo ai miei polmoni di respirare normalmente ma mi tremano le mani e il movimento successivo è incerto, le mie dita vanno a vuoto facendomi sbilanciare e la scala sul davanzale che ho davanti si sposta pericolosamente verso il bordo.
No.
'Stai calma, Jenna. Manca poco'



Ce l'ho quasi fatta, mancano pochi gradini che percorro più velocemente che posso. La scala è si avvicina sempre di più al bordo del davanzale, quando salto dentro la finestra sta per cadere, mi volto subito per impedirglielo. Farebbe rumore, i due uomini davanti al cancello se ne accorgerebbero e tutti i miei sforzi non sarebbero serviti a nulla. L'afferro, è molto pesante ma con una forza che non sapevo di possedere, riesco a recuperarla, la poggio sul pavimento, ora non mi serve più.
Solo ora mi rendo conto che ce l'ho fatta, sono dentro la villa di Snow, mi concedo non più di un attimo per alzare la testa e rendermi conto di dove mi trovo. La stanza non è molto grande e la maggior parte dello spazio è occupata da un tavolo bianco, assomiglia vagamente alla sala dove si tenevano le riunioni nel distretto 13. Raggiungo la porta ed esco cercando di non fare rumore. Non ho la minima idea di dove dovrei cercare, di dove dovrei andare, questo posto è come un labirinto e dopo qualche minuto mi rendo conto che sono stata una stupida ad entrare nella tana del lupo senza nemmeno conoscerla.
I miei pensieri vengono interrotti da alcune voci, mi appiattisco più che posso dietro un angolo e aspetto, ma le voci non si interrompono e presto a quelle si aggiunge il rumore di passi. Mi rannicchio ancora di più alla parete che ho alle spalle e mi tappo la bocca con una mano, per paura persino di respirare troppo forte.
È finita, penso. Si stanno avvicinando, mi scopriranno, sarà stato tutto inutile e non sarò riuscita a liberare Anna. Dannazione, non può andare così!
Ma proprio quando mi sono rassegnata al peggio i passi si fermano e le voci si fanno più chiare.
- E allora cosa pensi di fare? - è la voce di una donna - Non lo so, so solo che sono arrivati ordini e che gli ordini vanno rispettati. Manderemo altri uomini. - risponde questa volta una voce maschile. Devono essersi fermati appena prima dell'angolo dietro al quale sono nascosta, perché le loro voci mi sembrano vicinissime. - E... L'ospite del presidente? - la voce della donna si fa incerta, quando l'uomo non le risponde il suo tono si fa più deciso, ma bisbiglia - Oh insomma, cosa ne facciamo della ragazza? - chiede spazientita. Ci metto meno di un secondo a capire chi è "l'ospite", la ragazza di cui stanno parlando.
- Assolutamente niente. È nei sotterranei, questo basta per tenerla al sicuro. Invieremo altri uomini come ci è stato ordinato, entro domani mattina saranno di nuovo qui - afferma risoluto l'uomo e le voci tacciono, sento i loro passi qualche secondo dopo lungo il corridoio, poi il suono di una porta che si chiude e torna il silenzio.
Tolgo la mano dalla bocca e mi accorgo solo ora che da qualche secondo stavo trattenendo il respiro. Sento le gambe intorpidite, le orecchie piene d'ovatta, eppure contemporaneamente è come se avessi dentro al petto una fiamma che arde.
Anna.
Anna! Sotterranei...dove sono i sotterranei?



Sgattaiolo fuori dall'angolo in fretta, devo trovare questi maledetti sotterranei e in fretta. La prima cosa che devo fare è scendere al piano terra, lì cercherò il modo di raggiungerli, proprio là vicino ci sono le scale, ma è troppo pericolo, sarei troppo esposta, se sentissi arrivare qualcuno come poco fa, dove potrei nascondermi sui gradini? No, le scale no. E non se ne parla nemmeno di usare il lussuoso ascensore infondo al corridoio, ancora peggio delle scale, se devo scendere con quell'ascensore che suona ogni piano che raggiunge, tanto varrebbe appendersi un cartello lampeggiante al collo con scritto "Sono qui. Prendetemi".
Sbuffo seccata mentre faccio marcia indietro e ritorno alla finestra dalla quale sono entrata, questo mi farà perdere altro tempo, ma non riesco a trovare altro modo. Mi calo giù con agilità appendendomi al cornicione, poi inizio la mia discesa, ogni finestra che raggiungo mi fermo quel secondo che serve per prendere fiato, né un attimo in più né un attimo in meno. Alla fine riesco ad arrivare all'ultima finestra, quella del piano terra, ma dannazione, è chiusa! Impreco a denti stretti, mentre striscio contro la facciata della villa, quando raggiungo la finestra adiacente a quella chiusa mi tuffo all'interno con un salto molto poco aggraziato, ma cosa ben più grave, rumoroso.
'Tanto valeva scendere in ascensore, Jenna'
Taci.



La sala nella quale mi sono tuffata, è molto diversa da quella all'ultimo piano, più ricca, più lussuosa, le pareti tappezzate di quadri, il pavimento ornato da un lungo tappeto.
'Smettila di guardare la tappezzeria e muoviti. Non sei qui per fare l'arredatrice'
Fuori dalla stanza si apre un lungo corridoio i cui lati sono pieni di porte. Magnifico, ed ora come faccio a sapere qual'è quella giusta?
'C'è solo un modo ed è il più semplice che esiste'
Ed è anche quello che mi farà perdere più tempo.
Ma è l'unico, così silenziosa e sempre all'erta comincio a controllarle una per una. Prima di aprirle ci appoggio un orecchio sopra per sentire se da dentro provengono delle voci, ma finora erano tutte vuote. Ora capisco la perplessità della donna che ho sentito parlare nel corridoio all'ultimo piano, sembra che questa villa sia praticamente deserta. In ogni stanza c'è qualcosa di diverso: quadri, libri, una sauna, quello che mi è sembrato un tavolo da pranzo, una collezione di porcellana, fiori, una piccola cascata artificiale che versava l'acqua in una gigantesca vasca da bagno, bottiglie di liquori, una... scala... una scala? Una scala che scende... La scala!
Mi precipito giù per i gradini, sono di uno strano materiale lucido e bianco, man mano che scendo mi rendo conto che tutto diventa bianco, le pareti, il soffitto, le scale, il pavimento, bianco ovunque. Non mi piace questo bianco, è troppo carico, accecante, innaturale. E ci sono così tanti gradini, non finiscono più, non faccio altro che scendere, ma c'è sempre un altro gradino ad aspettarmi. Quando finalmente arrivo in una stanza, anch'essa tutta bianca, per poco non caso a faccia avanti trasportata dal riflesso di scendere le scale a cui ormai ero abituata. Sulla parete davanti a me ci sono due porte, bianche, identiche.
Ed ora che faccio? Non c'è tempo. Guardo le due porte, prima quella di destra, poi quella di sinistra. Sinistra è il lato del cuore, entro in quella di sinistra.



Sento il rumore della porta che si chiude alle mie spalle, è tutto buio, poi un tonfo sordo e arriva la luce. Mi volto per capire da cosa proveniva il rumore e trovo solo una parete completamente bianca a rispondermi, che non so da dove sia uscita, della porta di prima nemmeno l'ombra. Sento il sangue gelarsi. Sono in trappola.
Mi volto di nuovo ho davanti un piccolo tavolino, le zampe sono fissate al pavimento e sopra di questo c'è una specie di calice che è un tutt'uno con la superficie del tavolo. Affianco al calice c'è un coltello. Alzo gli occhi, dietro al tavolino c'è una porta, mi avvicino e cerco di aprirla, è chiusa, ovviamente. Ritorno al tavolino, lo fisso, come potesse darmi lui le risposte che cerco.
Un calice. Un coltello.
'È un pegno. Devi pagare'
Un calice. Un coltello.
Afferro il coltello, è unito al tavolo con un sottilissimo filo che ha l'aria di essere indistruttibile, a che diavolo serve legarlo con un filo? Ehi Snow, sta' tranquillo, non me lo rubo il tuo coltello!
Stringo forte la lama nella mano, il sangue comincia a gocciolare nel calice. Cosa dovrebbe succedere adesso? Non succede niente. Sbuffo infastidita, ma certo, non basta qualche goccia di sangue, devo riempire il calice e allora potrò andare avanti, sempre che non sia morta dissanguata nel frattempo.
Devo pagare, pagare per cosa poi? Mi chiedo se ogni volta che qualcuno deve accedere ai sotterranei deve dissanguarsi una mano.
'Evidentemente questa non è l'unica entrata'
Ma certo, questa è l'entrata per i ficcanaso come me che non si fanno mai gli affari loro e vanno a curiosare nelle case degli altri.
Il rumore di cardini che proviene dalla porta mi informa che ora è aperta, abbasso gli occhi, il calice è pieno. Per un attimo penso di portare con me il coltello, poi mi ricordo del filo, provo a spezzarlo, ma è indistruttibile proprio come sembrava. Dannato filo, ecco a cosa serviva!
Oltrepasso la porta e appena mi si chiude alle spalle sento un rumore sordo, poi dal muro esce scorrendo una parete bianca proprio come l'altra. Scorre lentamente, se volessi avrei tutto il tempo di tornare indietro. Ma non voglio, devo trovare mia sorella.
Mi guardo intorno, stavolta niente calice e niente coltello, sul piccolo tavolino al centro del pavimento c'è una pistola.
Non ho il tempo necessario per studiarla o capire che modello sia, perché un piccolo rivolo di fumo candido comincia ad uscire da un tubicino attaccato al soffitto, che noto solo ora, si irradia per tutta la stanza. Guardo verso il fumo che nel frattempo si è fatto più consistente, cos'è? Vogliono addormentarmi? Stordirmi? Uccidermi? Mi chiudo naso e bocca con le mani e mi impongo di non respirare. No, questo fumo non mi ucciderà, Snow non vuole uccidermi, vuole farmi soffrire, questo fumo mi farà soffrire. Ma che tipo di dolore? Fisico? Troppo facile. Psicologico. Questo fumo attaccherà la mia mente, il mio cuore. C'è sempre la pistola, la guardo, "prendimi" sembra che mi dica. Per un attimo ci penso, ci penso sul serio, sono davvero pronta a quello che succederà? Cosa succederà? Basterebbe un colpo. Solo un colpo.
Solo un colpo e niente di quello che farà Snow potrà più toccarmi.
Solo un colpo e sarò libera.
Guardo ancora la pistola. Non ho mai chiesto di essere libera. Preferisco essere prigioniera di una vita in cui so che le persone che amo sono al sicuro.
Solo un colpo, quel colpo che non sparerò mai.
Mi bruciano i polmoni, non ce la faccio più a non respirare e non ho intenzione di morire soffocata, le mie mani cedono e il fumo bianco mi entra dentro.
Cado per un attimo in uno stato di dolce incoscienza, poi vengo ributtata nella realtà, quando apro gli occhi niente è come dovrebbe essere.
Niente è al suo posto. Non c'è un pavimento, non c'è un soffitto, non c'è un sopra, non c'è un sotto e non ci sono neanche io. Non percepisco il mio corpo, non sento niente. Non vedo niente, nemmeno il buio, non c'è buio, non c'è nemmeno luce però, non c'è niente. Sono circondata dal niente, niente ovunque. Io stessa sono niente.
Penso che potrebbe scoppiarmi la testa da un momento all'altro. Quale testa? Ho una testa? Non la sento. Dovrei andarmene di qui, ma con quali gambe? E poi, qui dove? Cos'è qui? Non c'è un qui.
Poi come un miraggio tra il nulla fluttua una pistola. L'ho già vista, penso, ma dove? Non mi ricordo. Se solo riuscissi ad afferrarla, ma non ho mani, come potrei afferrarla? Ma è lei che si avvicina, come dotata di vita propria danza allegra nella sua bella cromatura nera. Sento che vorrei afferrarla, ma per fare cosa? Non me lo ricordo. Cosa si fa con una pistola? Si spara. Voglio spararmi? Sparare a cosa? Io sono niente.
Vorrei urlare, ma non ho voce, vorrei prendere a pugni...cosa? Mi circonda il niente. Non ho mani, niente pugni.
Non posso neanche chiudere gli occhi, non ho occhi e non c'è niente che sto vedendo, non sto vedendo niente. Non sto facendo niente. Niente. Sono niente. Penso di avere paura, ma non mi ricordo bene cos'è la paura, sa di qualcosa di troppo vivo perché possa provarla in questo momento. Sono viva? Sono morta? Qual'è la differenza? C'è differenza?
Non riesco a concentrarmi, vorrei ricordarmi qualcosa, ma non ricordo cosa. Cerco di afferrare quel pensiero, ma il mio corpo non ha mani e neanche la mia mente. Non ho un corpo, non ho una mente.
E non è un pensiero quello che sto cercando di ricordare, galleggia tra il niente, riesco quasi a percepirlo, ma non riesco a ricordare cosa sia. È come una stretta al cuore. Quale cuore?
Questo.
Batte, fa male, fa bene, batte.
Forse riesco a riconoscere cos'è che galleggia nel niente...cuore, penso sia mio.
No, non è un cuore, è un volto. Volto, volto, volto. Devo sforzarmi di ricordare. Chi è?
Cuore. No, non è un cuore, è un volto. Chi è? Fili neri, capelli. Punti neri, occhi. Capelli neri, occhi neri.
Cuore. No, non è un cuore, è un volto. Chi è? Anna. Chi è? Anna, mia sorella.
Cuore, penso sia mio. Anna, cuore.



È questo il motivo per cui mi sento così? È per il mio cuore? È per Anna? Non c'è niente che non farei per lei.



Riconosco le pareti bianche quando apro gli occhi. Gli occhi. Ho di nuovo degli occhi. Abbasso lo sguardo sulle mie mani, ho di nuovo anche delle mani. Lascio che le mie dita esplorino la mia pelle, come vecchie amiche separate da troppo tempo si riabbracciano felici. È bello riavere il controllo su me stessa, credevo di essere impazzita, non so cosa sia successo, cosa permetta a Snow di esercitare un controllo tanto potente sulla mente di qualcuno. Perché si tratta di qualcosa che ho immaginato vero? Eppure era tutto così reale, mi sembra di non sapere più niente. L'unica certezza che ho è che è finita.
'E invece ti sbagli, Jenna, non hai neanche quella'
Senza alcun preavviso iniziano a spuntare dal nulla figure incappucciate. Si aggirano per la stanza spinti da una forza invisibile e all'improvviso non sono più in una stanza. C'è un prato, è pieno di fiori, sono colorati, sono belli, li ho già visti. Mi guardo intorno, c'è un bosco, sento in lontananza il suono dell'acqua che si infrange sulle rocce, dev'esserci una cascata. Ricordo con orrore questo posto, come potrei non farlo? Ogni notte lo rivedo nei miei incubi. È l'arena. Le figure incappucciate si dispongono a cerchio intorno a me, uno alla volta portano dietro i cappucci e mostrano i loro visi, purtroppo riconosco anche loro. I loro sguardi mi scrutano nel profondo, ogni paio di occhi che riconosco sono una coltellata al cuore.
Quelli marrone corteccia del ragazzo del 3. I grandi nocciola del tributo del 5 e della sua compagna di distretto. I bellissimi occhi verdi chiaro di Lisa. Quelli marroni e dallo sguardo freddo di Luke. Gli occhi azzurri di Alexandra, che ho ucciso senza pietà. Quelli gialli e scrutatori del ragazzo del 6 che uscì di proposito fuori dalla pedana prima del tempo. I due fari verde smeraldo della ragazza dell'8. Le belle iridi turchesi del tributo del 9. Quelli verde scuro della sua compagna. Quattro paia di occhi marroni dal distretto 10 e 11. I due fari grigi di Lucy Shadow, la ragazzina del 12, quegli occhi luminosi come la luce stessa, quella luce che ho spento io. Una coltellata più forte delle altre. Se puoi, scusami Lucy.
L'ultima figura ha ancora il cappuccio tirato sulla testa, si stacca dal cerchio e si avvicina, quando mi ha raggiungo anche il suo mantello si apre per farmi vedere il suo viso. E un paio di occhi color ghiaccio mi trafiggono come lame.
Ares mi guarda a lungo ed io non posso non abbassare gli occhi, ha uno sguardo gelido, pesa troppo sul mio cuore quello sguardo da estraneo. Penso che non potrebbe farmi più male di così, poi parla e capisco che può farlo e lo fa.
- é colpa tua - dice - è tutta colpa tua - e alla sua voce si uniscono quelle degli altri tributi, al suo sguardo si uniscono i loro occhi carichi d'odio - è colpa tua - dicono e io gli credo - è colpa mia - dico perché non potrei dire altro.
Ares tira fuori da sotto il mantello una pistola, la riconosco, ma non mi ricordo dove l'ho già vista, me la mette in mano - Non meriti di vivere più di noi - sputa le parole quasi disgustato, il suo sguardo è quello di un estraneo. Ma Ares, la sua voce, il suo sguardo, mai mi è stato estraneo, tutto di lui mi è familiare. Questi occhi che ora mi scrutano sono i suoi, ma lo sguardo no. L'Ares che conoscevo, l'Ares a cui volevo bene, non mi avrebbe mai guardata in questo modo. Mai mi avrebbe messo in mano una pistola, mai mi avrebbe detto di uccidermi, mai mi avrebbe dato la colpa della sua morte. L'Ares che conoscevo ha deciso di morire per darmi una possibilità di vivere e l'ha deciso da solo, mi ha lasciata qui a piangere la sua morte senza chiedermi il permesso. Di quell'Ares la persona che ho davanti, non ha proprio niente.
- Tu non sei Ares - sibilo, quando trovo la forza di alzare lo sguardo lui non c'è già più e con lui sono spariti anche tutti gli altri, non sono più nell'arena. Sto percorrendo un sentiero, sono in un bosco, no, non un bosco, il mio bosco, sono a casa. La mia mano è stretta attorno ad un'altra, dalle dita lunghe e fine, le mie si perdono in quel palmo enorme. Alzo lo sguardo e sento un tuffo al cuore. Mamma. Non è la sua mano ad essere enorme, è la mia ad essere piccola, sono tutta piccola, avrò quattro anni al massimo. La mamma si ferma ai piedi di un grande albero e comincia a raccogliere da un cespuglio le more, mi fa vedere come si fa, la aiuto volentieri. Le sto vicina, la mamma dice sempre che quando andiamo nel bosco devo starle vicino e non mi devo allontanare, dice anche che devo fare la brava e io lo faccio perché ho paura di stare da sola nel bosco. Alla mamma però non lo dico, non serve dirle che ho paura ed anche se tengo la manina stretta ad un lembo della sua gonna, fingo che lo faccio per lei. Credo che anche la mamma abbia paura di stare sola nel bosco, neanche lei dice niente però io lo capisco da sola, mi dispiace, perché lei non ha nessuna gonna da stringere nella mano. Io non le porto mai le gonne, ma prometto che la prossima volta che veniamo nel bosco a raccogliere le more me la metto, per la mamma, anche se so che lei non stringerà nel pugno la mia gonna, anche se ha paura. Anna invece le porta sempre le gonne, ma scommetto che la mamma non stringerebbe nel pugno neanche le sue. Anna è piccola, lo dice sempre la mamma. Io questa cosa non la capisco, perché siamo gemelle e lei ha la mia stessa età ma quando cerco di dirlo la mamma mi dice sempre che Anna è piccola e che io devo proteggerla, da cosa non lo so.
Quando abbiamo riempito il cestino la mamma si alza ed inizia a camminare, ma dalla parte opposta rispetto alla nostra casa, glielo dico, ma lei non mi sente, le vado dietro, ma non riesco a raggiungerla. Devo correre più veloce, più veloce, più veloce. E corro più veloce, ma sono sempre troppo lenta. Inizio a piangere, ho paura, lo urlo alla mamma, la sua schiena davanti ai miei occhi abbastanza vicina per sentirmi, non abbastanza per toccarla, ma a lei sembra che non mi senta, forse non le importa che ho paura. Forse ho fatto la cattiva, le chiedo scusa, le prometto che non farò più i dispetti ad Anna. Ma lei non torna in dietro ed io non riesco a raggiungerla, non riuscirò a raggiungerla più, nella testa mi rimbombano le parole di papà "la mamma è volata in cielo". Non lo sapevo che la mamma sapesse volare, forse anche la mamma aveva le ali, come gli angeli, forse la mamma era un angelo.
Un attimo dopo non sono più nei boschi, sono nella mia casa al distretto, quella al villaggio dei vincitori e non sono più una bambina, sono grande. Sono in cucina e sto preparando uno stufato, ha l'aria di essere commestibile, mi meraviglio di me stessa,so anche cucinare. All'improvviso sento un rumore tremendo, come tante urla acutissime, viene dal piano di sopra. Abbandono lo stufato e salgo le scale col cuore in gola. Spalanco la porta della camera da letto, seduto sul letto c'è Sam, mi sorride dolce - Cosa diavolo è questo rumore? - gli chiedo, lui continua a sorridere - Amore, si sono svegliati - risponde con voce di miele - Chi si è svegliato? - sento una nota di allarme nella mia voce , chi dorme in casa mia? Lui si alza dal letto e prendendomi per mano mi porta in un'altra stanza, mi accorgo che è da qui che proviene il rumore. Le pareti sono pitturate con colori pastello, attaccate al muro file su file di culle. Sento crescermi dentro il panico, sono tantissime, decine, mi avvicino con cautela, sono piene - Sono bambini - sussurro scioccata, una mano mi copre la bocca - I nostri bambini - mi corregge abbracciandomi da dietro. Mi divincolo dalla sua presa - Che stai dicendo? Noi non abbiamo figli! - mi si forma un nodo all'altezza dello stomaco, deglutisco a fatica - Si invece. Guardali, Jenna - Sam ha dipinta sul viso l'espressione più dolce e calma del mondo, io invece sono il ritratto dell'ansia e del terrore. Mi avvicino tremante alle culle, piccole goccioline mi scendono lungo la schiena, mi sporgo in avanti quel tanto che basta per vedere il viso del primo bambino. Ma non è un bambino, è un ibrido e all'improvviso salta fuori dalla culla e con un latrato tremendo chiama tutti gli altri ibridi nelle culle. In poco tempo siamo circondati, grido a Sam di fare qualcosa, ma lui sembra non vederli. Col panico crescente scendo giù in cucina, gli ibridi stanno già scendendo le scale, afferro tutti i coltelli che ho nella credenza e li lancio su quei mostri e non c'è un bersaglio che non prenda. Ma sono troppi e i coltelli sono finiti. Mi uccideranno, penso, ma nel frattempo un pensiero più importante mi preme tra le pareti della mente: devo salvare Sam.
E all'improvviso la paura di morire non conta più. Afferro l'accendino poggiato sul piano di cottura, l'unico oggetto che in questo momento potrei usare come arma e con la fiammella cerco di tenere lontano gli esseri. Ma so fin troppo bene che è inutile, sono troppi e in un attimo mi sono tutti addosso. In un barlume di lucidità so qual'è la cosa giusta da fare, apro la credenza e prendo la bottiglia piena del liquido trasparente che tanto piace ad Haymitch, la butto a terra frantumandola in mille pezzi e lascio cadere l'accendino, le fiamme mi avvolgono bruciando con me gli ibridi. Per Sam, mi ripeto mentre le lingue di fuoco mi lambiscono la pelle, per Sam, penso mentre chiudo gli occhi e non ho più paura.
Con mia sorpresa sollevo di nuovo le palpebre, sono viva. Ma ancora per poco, penso mentre voltandomi trovo un muro di fuoco che mi viene incontro, inghiotte alberi, rami e cespugli di un bosco a me troppo familiare. C'è qualcosa che non va, penso mentre comincio a correre. Il mio bosco è già bruciato, è questo che dicono i miei ricordi, è questo che dice il cuore. Non è reale, urla la mia mente. Non è reale, mi ripeto mentre mi fermo e lascio che il fuoco avanzi verso di me. Eppure sembra così reale il dolore che attacca ogni centimetro del mio corpo a contatto con le fiamme e devo lottare contro me stessa, non è reale, non è reale, non è reale - Non è reale - sussurro mentre chiudo gli occhi.
E non li riapro stavolta, ma questo non basta a salvarmi dalla tortura che va avanti da quelli che mi sembrano giorni. Dal buio compare una mano smaltata, le unghie lunghe e pitturate di colori sgargianti. Non è reale, penso con quanta più convinzione posso mentre la mano capitolina posa le sue dita su di me, ancora, ancora e ancora. Mille dita smaltate spuntano dal nulla affamate della mia pelle mi si appiccicano addosso, mentre bui ricordi ritornano a galla nella mia mente. Lotto per allontanarle dal mio corpo finché non capisco che è inutile e allora raggomitolata su me stessa aspetto solo che finisca.
Dopo quella che mi pare un'eternità sono tornata nella sala dalle pareti bianche. Per lunghi momenti rimango rannicchiata in un angolo, le ginocchia strette al petto, gli occhi serrati, aspettando che la prossima tortura venga a prendermi. Ma non succede.
L'unica cosa che si sente è il tonfo sordo che anticipa lo stridere della parete che struscia sul pavimento lasciando via libera ad una nuova stanza.
È finita, penso esausta, è finita, grazie a Dio.
'Grazie a te, Jenna. Hai superato le tue paure'
Le mie paure. Da piccola avevo paura di rimanere da sola nel bosco. Mia madre che mi lascia sola nel bosco, Ares che mi dice che mi incolpa della sua morte, Sam che mi parla di bambini, il mio bosco che va in fiamme, non avere più il controllo di niente, le mani dei capitolini sul mio corpo...tutte cose di cui ho paura.
Quindi era questo che faceva il vapore uscito da quel tubicino sul soffitto, materializzava le paura di chi era nella stanza. Sembrava tutto così reale, ma non lo ora, niente era reale di quello che ho provato, sono rimasta tutto il tempo in questa stanza.
Mi alzo, le gambe malferme tremano un po', mi avvicino al tavolino sul quale è poggiata la pistola, la soppeso sul palmo della mano, la punto verso il pavimento e premo il grilletto, ma non esce nessun proiettile, solo il suono metallico che mi dice che la pistola è scarica. Quel bastardo di Snow non mi ha lasciato nemmeno un proiettile, nemmeno il lusso di scegliere di morire. Quando il falso Ares mi ha messo in mano la pistola, anche se io avessi ceduto, anche se avessi desiderato di morire, non avrei comunque potuto, neanche questo mi sarebbe stato concesso.
- Che bastardo - ringhio mentre oltrepasso l'apertura del muro, prima coperta dalla parete bianca. Questa volta non c'è una stanza ma un lunghissimo corridoio, lo attraverso con passi malfermi mi ci vuole un po', ma alla fine giungo in una nuova stanza. Attaccato alla parete di questa c'è uno specchio, a cosa diavolo serve uno specchio? Per un attimo rimango incantata ad osservare l'immagine del terrore stampata sul mio viso, ma solo un attimo, perché poi capisco che non è uno specchio ma un vetro e che quello che credevo essere il mio riflesso è in realtà mia sorella.
Anna.
Ogni fibra del mio essere viene attratta verso di lei. Anna, sorella mia. Cado in ginocchio ai piedi della parete di vetro, poggio una mano sulla superficie trasparente, lei fa lo stesso mettendo la sua sopra la mia. Un attimo dopo con calci e pugni sto cercando di rompere quest'ultimo muro trasparente che ci divide. È duro, ma io sono più dura e non c'è niente che possa fermarmi, non i lividi, non le nocche sbucciate, esulto quando la mia mano si ferisce per la crepa creata nel vetro. Qualche minuto e qualche livido dopo il vetro cede frantumandosi in mille schegge dalle quali non mi prendo neanche la briga di ripararmi, c'è solo una cosa al mondo che mi importa in questo momento ed è finalmente davanti a me - Anna - la mia voce esce come un lamento mentre crollo ai suoi in ginocchio e la stringo fra le braccia.
- Anna - la chiamo ancora - Jenna - la sua voce è un sussurro debole - Sono venuta a portarti via - le dico accarezzandole i capelli - Sei venuta - mugugna tra le lacrime, ha l'aria distrutta - Shh, sono qui - la tranquillizzo asciugando le sue guance, si stringe al mio petto e io la lascio fare mentre chiudo gli occhi beandomi di quella stretta che negli ultimi mesi ho sognato tante volte.
Ad interrompere il nostro abbraccio è il tonfo sordo che preannuncia lo scorrimento della parete bianca. L'ultima che ho oltrepassato è quella infondo al corridoio e quando sono passata si era appena aperta, questo vuol dire che ora si sta chiudendo. Sento crescermi dentro il panico ma mi impongo di stare calma - Alzati, dobbiamo andare - le dico, quando vedo che ha qualche difficoltà ad alzarsi la sollevo di peso, non mi ero resa conto prima delle sue condizioni, deve avere una caviglia slogata, forse rotta - Ora devi correre Anna, capito? Corri! - le dico prendendola per mano e trascinandola per il lunghissimo corridoio - Corri! - urlo stringendo più forte la sua mano. Sento il cuore martellarmi nel petto, più veloce, penso, più veloce Anna, un ultimo sforzo e il corridoio è finito, la parete bianca avanza lentamente chiudendosi centimetro dopo centimetro davanti a noi. È fatta, ce l'abbiamo fatta, ora usciamo da questo schifo di posto e l'hovercraft ci porta al distretto 13. Ed è con questi pensieri che mi tocco il polso e scopro che l'orologio non c'è più - Anna, ascolta, devi tornare indietro, devi prendere il mio orologio. Deve essermi caduto mentre cercavo di rompere il vetro, devi andare a prenderlo mentre io cerco di rallentare questa parete - dico indicando la fine del corridoio, lei mi guarda smarrita - Un orologio? - chiede - Senza di quello non andiamo da nessuna parte, vallo a prendere dannazione! - urlo spingendola via mentre cerco di bloccare la parete bianca, lei sulle gambe malferme inizia a correre indietro. I secondi passano e la parete avanza nonostante i miei sforzi - Anna! - urlo distrutta, mi risponde un mugolio, qualche secondo dopo la vedo arrancare verso di me con l'orologio in mano, le gambe le tremano, ma lei continua a correre come può. Mi lancia l'orologio, lo afferro con una mano e torni a spingere sulla parete che nel frattempo si chiude sempre di più, comincia a nascere in me una cieca paura - Anna! - urlo disperata, lei è caduta e mi guarda da terra con quel suo sguardo smarrito - Non ce la faccio - piagnucola - Si che ce la fai! - grido. Ma Anna non ce la fa davvero, la caviglia rotta le impedisce di alzarsi e all'improvviso capisco con amarezza che mi trovo davanti ad un bivio, devo scegliere. Posso andare ad aiutarla ad alzarsi e caricarmela in spalla, guardo il sottile spazio che manca prima che la parete bianca chiuda il passaggio e se non ce la facessimo? Rimarremmo entrambe intrappolate qua dentro. Oppure posso uscire di qui, tornare al 13, prepararmi sul serio e tornare a prenderla con una squadra di soldati, ora che so dove la tiene Snow.
Guardo nei suoi occhi neri uguali eppure diversi dai miei. Non dirlo Anna, non dirlo - Non ce la faremo entrambe, Jenna, può passarne solo una - l'ha detto.
Non ho il coraggio di lasciarla qui.
'Sii coraggiosa, Jenna'

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Angoletto dell'autrice che si sente più leggera: Ieri ho finito di scrivere questa fanfiction e mi sento infinitamente più leggera, questo è il penultimo capitolo, poi ci sarà il 32 ed infine l'epilogo. Ringrazio tantissimo Roberta Salatore, Hoshi98 e imetjoshutcherson per aver recensito il capitolo precedente, grazie davvero! Spero vi piaccia quello che ho scritto e come al solito sarei felicissima se mi lasciaste un vostro parere!
Buona lettura, alla prossima!





Guardo Capitol City farsi sempre più piccola sotto di me mentre l'hovercraft prende quota, ho un po' di nausea, ma non credo sia per questo. So bene perché sto così male: mia sorella. Sento un peso gravarmi come un macigno all'altezza dello stomaco, senso di colpa, penso, io sono qui, su un hovercraft diretta verso il distretto 13 e lei è là, prigioniera di Snow. Non sarebbe dovuta andare in questo modo, le mille volte che l'avevo immaginata non era andata in questo modo. Ma la realtà è diversa dall'immaginazione e la cruda verità è che l'ho lasciata lì.
 
-Sappi che la tua è stata la mossa più sciocca e avventata di sempre, dolcezza - dice Haymitch, ha un'espressione stanca - Quando l'hovercraft è tornato al 13 e tu non c'eri, è preso a tutti un colpo, credevamo avessi raggiunto gli altri! Abbiamo messo in viaggio questo per venire a riprenderti e poi ci è arrivato il tuo messaggio grazie all'orologio che ti ha dato Diana - le sue parole mi scivolano addosso senza toccarmi realmente, la sua voce è lontana ed estranea - Cosa credevi di fare? - domanda ed anche se il suo tono si è ammorbidito non riesco a proferire parola.
 
Devono essere le prime ore della mattina quando l'hovercraft tocca terra, la luce dell'alba filtra attraverso le nuvole, poi le nuvole non le vedo più, perché una donna mi mette su una barella e mi trascina in un ascensore. Mi fa male la testa, chiudo gli occhi, quando li riapro sono in una stanza dall'aria asettica e dalle pareti bianche. Oddio no, niente bianco, non lo voglio il bianco!
La stessa donna è china sul mio braccio con un ago in mano, mi dimeno per cercare di sottrarmi dalla sua presa. Non mi bucherai il braccio, niente aghi! - Tranquilla cara, sono l'infermiera Sunder e sono qui per farti stare meglio - dice con aria gentile mentre riprova ad inserire l'ago. Niente da fare, non glielo permetto, l'infermiera Sunder sospira alzandosi dal letto e borbottando qualcosa esce dalla stanza, dopo poco però ritorna con i rinforzi - Non vuoi farti mettere la flebo? - chiede l'uomo con il camice verde accanto a lei, sul petto c'è una targhetta con scritto "Dott. Johnson", lo preferisco all'infermiera Sunder, lei ha il camice bianco. Niente bianco!
Annuisco impercettibilmente, l'infermiera lo guarda con aria cospiratoria , sono sicura che vuole sedarmi e poi mettermi la flebo anche se non voglio ed ora sta cercando di convincere il dottore - Capisco. Faremo in un altro modo allora - risponde invece il dottor Johnson - Bianca, penso che la signorina sia pronta per ricevere le visite, fai entrare il ragazzo - dice rivolgendosi all'infermiera. Bianca, ha un pessimo nome.
L'infermiera Sunder annuisce e con aria efficiente esce dalla stanza, poco dopo anche il dottore lo fa, ma non prima di avermi sorriso. Quando rientrano sono accompagnati da un viso che mi è più che familiare, lo guardo negli occhi e mi si annoda lo stomaco.
Sam avanza con passo impaziente, un accenno d'urgenza nell'espressione, l'amore negli occhi, poi il suo sguardo si posa su di me e per un attimo è come pietrificato, sopraffatto da chissà quale emozione gli baleni nelle iridi azzurre. Quando si avvicina al letto, nel suo sguardo non c'è più traccia di quel sentimento di impazienza e di quell'amore di quando l'ho visto entrare, si sporge in avanti e senza delicatezza mi afferra per il camice - Dov'è lei? - urla - Dov'è Jenna? -
 
                                                                                                ***
 
La luce è troppo intensa, mi ferisce gli occhi quando provo ad aprirli, così cerco di tenerli chiusi fin quando posso, fin quando i ricordi non riempiono le mie palpebre, allora li riapro per cercare di non pensarci. Non ce la faremo mai, Jenna, non c'è abbastanza spazio. Può passarne solo una, le parole di Anna mi risuonano nelle orecchie come fosse qui accanto a me. La fessura nel muro che si faceva sempre più piccola, il suo sguardo perso, l'espressione di puro smarrimento, sapevo che non saremmo riuscire a passare entrambe, ma non ho avuto il coraggio di lasciarla qui.
Non mi accorgo delle due figure che avanzano verso di me finché non mi sono davanti. Si piegano verso di me, mi bloccano le mani con un paio di strane manette e con un fazzoletto di seta mi coprono gli occhi, poi mi tirano sù prendendomi per le braccia, non provo neanche ad opporre resistenza. Senza dire una parola mi trascinano in un percorso che, anche se sono bendata, riconosco senza sforzo che non è lo stesso che ho fatto io per arrivare fin qua. Saliamo molte scale, perciò suppongo che non ci troviamo più nei sotterranei quando ci fermiamo. Dove mi hanno portato? Una porta cigola e due braccia mi spingono a sedermi - Liberatele le mani. Un'ospite come lei non dovrebbe mai essere legata - dice una voce alle mie spalle. Era prevedibile eppure mi viene la pelle d'oca a sentirla. Le mie mani vengono liberate e mi strofino i polsi doloranti - Potete andare, ora - li congeda e quando sento la porta chiudersi, so che i due uomini che mi hanno portata qui hanno ubbidito docili. Spero che ci sia qualcun altro nella stanza, che non sia rimasta da sola con lui, ma so che non è così. La mie mani liberate corrono subito alla benda sugli occhi - No - dice in tono secco e le sue dita gelide sfiorano le mie, le mani mi scivolano immediatamente in grembo e so che sarà meglio non riprovarci.
- Ci rincontriamo, signorina Wellington - la sua voce unta di soddisfazione, so che vuole che gli risponda, che dica qualsiasi cosa, ma non lo faccio, un lungo silenzio segue - Sei molto ostinata, Jenna - lui sa che sono io. Ma certo che lo sa, sono stata una sciocca a pensare che glielo avrei potuto nascondere, lui è il presidente Snow, un viscido serpente a cui non si può mai nascondere niente.
- Dato che sei qui, suppongo che hai attraversato la stanza che avevo preparato per te - dice pacato - Impressionante, non trovi? Tutte le tue più grandi paure che si materializzano davanti ai tuoi occhi, è un'arma davvero potente. L'ho pensata apposta per te, sapevo che saresti venuta e sapevo che saresti riuscita ad attraversare quella stanza - dalla voce direi che è quasi compiaciuto, come se mi stesse descrivendo ciò di cui è più orgoglioso - Sei così coraggiosa, Jenna - sussurra così piano che potrei anche pensare di aver capito male se non fosse che ho davvero un ottimo orecchio - Devo ammettere che però almeno un po' mi hai sorpreso, non avrei mai pensato che saresti venuta qui da sola. Cos'è i tuoi amici ribelli ti hanno abbandonata? Davvero poco gentile da parte loro, non trovi? - il tono è di nuovo fastidioso, la voce di nuovo unta di compiacimento, forse la frase di pochi secondi fa potrei davvero essermela immaginata. Mi irrita il fatto che mi stia dando all'improvviso del "tu", mi irrita che abbia insinuato che i ribelli mi abbiano abbandonata, mi irrita che mi abbia slegato le mani senza però scoprirmi gli occhi, mi irrita tutto di lui.
- Non mi hanno abbandonata, non sapevano che sarei venuta. Loro...- e le parole mi muoiono in gola, perché gli sto dicendo queste cose? - Lei...- mi correggo senza neanche sapere il perché - Lei non voleva che venissi - mi rendo conto di quanto sia ingiusto solo mentre le parole escono fuori dalla mia bocca. È ingiusto che ne stia parlando con lui, è ingiusto che abbia involontariamente scaricato tutte le colpe su di lei.
'E non era forse ingiusto impedirti di venire qui, Jenna?'
Molto ingiusto.
- Eppure sei qui - dice, il tono pacato - Alla mercé di quello che Alma Coin considera il nemico - continua in modo terribilmente calmo. Non è che viene considerato il nemico, lui è il nemico. Vorrei strapparmi la benda dagli occhi ma ho ancora quel pizzico di buonsenso, o forse spirito di auto conservazione, che mi dice di non farlo.
- Tu sei il nemico - sento il bisogno di rimarcare questo concetto - E tu sei qui, nelle mie mani, completamente inerme, indifesa. In questa stanza... - la sua voce è appena udibile e terribilmente più vicina, il rumore dei suoi passi rimbomba in tutta la stanza - ...con me - soffia dietro il mio orecchio. Mi si gela il sangue nelle vene e come una preda sente l'istinto di scappare da un predatore, io sento che non dovrei trovarmi qui per nessuna ragione al mondo. Beh, forse per una sì, per Anna.
- Sei stata stupida, coraggiosa, ma tremendamente stupida - la sua voce è così sottile che non riesco a percepire da quale direzione arrivi - A cos'è servita la tua missione suicida? - domanda con un filo d'ironia nel tono, fremo dal desiderio di schiaffeggiare quella sua viscida faccia, ma mi trattengo - Ho salvato Anna - rispondo invece, quando le sue parole mi raggiungono so per certo che è di nuovo dietro di me - E tu sei qui al suo posto. Non hai risolto granché - mi irrita sempre di più - Meglio lei che io - ringhio. Giurerei di sentire una piccola risata - Coraggiosa, ma tremendamente stupida - ripete, segue un lungo silenzio.
- Dovrei ucciderti, sai? - bisbiglia nel mio orecchio all'improvviso, sussulto, spero non se ne sia accorto - Qualsiasi persona dotata di un minimo di cervello lo farebbe. Sei fastidiosa come una spina nel fianco, ma potresti essere talmente utile se solo ragionassi un po', se solo capissi qual'é la parte giusta in cui stare - sì certo, come no - Scommetto che saresti tu la parte giusta - sputo le parole con una mezza risata amara - Esattamente. Devi solo capirlo - ha la voce estremamente seria - Non succederà mai - quasi urlo, tutto l'aria intorno si riempie del suono della sua risata cupa, quando parla è talmente vicino che sento il fetore del suo fiato scaldarmi il collo - Oh, mia cara Jenna, io credo proprio di sì! -
 
                                                                                                  ***
 
- È davvero così evidente? - chiedo senza riuscire a nascondere quella nota di insofferenza che c'è nella mia voce - Cosa? - abbaia Sam - Che non sono lei - chiarisco, ma lui non mi risponde, mi lancia solo un'occhiata che farebbe sciogliere un intero iceberg in un secondo...già è molto più che evidente.
I due infermieri che prima lo hanno portato via di peso mentre gridava frasi sconnesse e vaghi insulti indirizzati a me, sono sulla soglia della porta, credo pensino che possa esplodere di nuovo da un momento all'altro e che questa volta la sua esplosione mi travolgerà in pieno. Vorrei che non fossero lì, vorrei subire senza che nessuno lo impedisca gli sfoghi di Sam, vorrei sentirmi riempire di insulti, vorrei sentirmi dire che è colpa mia, ma so che non succederà di nuovo, ora tutto quello a cui riesce a pensare Sam è trovare un modo per salvare Jenna.
- Anna, sei sicura di quello che hai detto? - chiede per quella che mi pare la centesima volta, annuisco - Si, sono sicura, ero nella residenza del presidente Snow quando lei è venuta - confermo - E sei sicura che sia rimasta lì? - domanda, sento il sangue affluirmi al viso, chiudo gli occhi cercando di scacciare le immagini che si susseguono nella mia mente - Sam, ho visto quella parete chiudersi tra di noi, l'ho vista mentre ci separava e la imprigionava lì dentro. Quindi sì, sono sicura! - dico, la voce rigida, gli occhi ancora serrati, quando li riapro Sam è già scappato via.
Qualche ora dopo Sam rientra, ha sul viso un'espressione cinerea e affianco una Katniss Everdeen dall'aria malaticcia, un livido violaceo spunta dal collare che ha allacciato al collo, sembra terribilmente stanca. Si fermano sulla porta - Volevi vederla, eccola - Sam parla a Katniss ma non stacca gli occhi da me, l'espressione truce, lo sguardo gelido, un secondo dopo se ne va. Mi sento piuttosto osservata, Katniss non fa altro che fissarmi per lunghissimi minuti dalla soglia della porta, immobile, l'espressione del viso spenta per la stanchezza eppure accesa per una scintilla di cui non saprei dire il nome. Quando comincio a pensare che non voglia andarsene più con passi silenziosi esce dalla stanza.
Qualche giorno dopo vengo dimessa a condizione, testuali parole del dottor Johnson, che non mi sforzi o agiti troppo e che se dovessi sentire qualsiasi dolore correrò, anzi camminerò perché alla caviglia non fa bene, da lui. "Magari può chiamarmi anche se sta bene...insomma, può venire a trovarmi quando vuole" mi ha detto mentre firmava il documento per le mie dimissioni, penso che prima o poi lo farò, è una persona davvero adorabile ed in più porta il camice verde.
Non so perché ma spesso mentre vado a zonzo per il distretto, mentre sto a mensa, mentre mi perdo per i corridoi, mi capita di incrociare lo sguardo di Katniss, i suoi occhi grigi sembrano seguirmi ovunque, il che è un po' imbarazzante e per nulla rassicurante. Sam al contrario sta cercando con tutto se stesso di evitarmi, certo mi sta sempre appiccicato, ma sospetto sia più per compiacere Jenna che per me, penso sia convinto che l'unica cosa che può fare per lei ora sia proteggere me, se mi succedesse qualcosa Jenna non glielo perdonerebbe mai, quindi negli ultimi giorni è diventato la mia ombra. Nonostante questo però mi evita, evita il mio sguardo, mi segue ovunque senza realmente essere con me, deve odiarmi, gli ho portato via Jenna, se lei non fosse venuta a Capitol City per liberarmi ora starebbe qui al distretto 13 al sicuro, con Sam...già, mi odia si sicuro, ma sinceramente non me la sento di fargliene una colpa.
Anche ora, nonostante siamo seduti vicini a mensa, lo sguardo di Sam è rivolto interamente al suo piatto, la bocca da cui entra il cibo ma non esce nemmeno una parola, ed anche ora gli occhi di Katniss sono puntati su di me. Distolgo brevemente lo sguardo dando un'occhiata al mio piatto, quando li rialzo Katniss è seduta davanti a me. Sam per una frazione di secondo sembra intenzionato ad alzare lo sguardo dal suo vassoio, ma l'indecisione dura solo un attimo, perché poi ci ripensa e continua a tenere lo sguardo basso. - Ehi - lo chiama Katniss, Sam continua imperterrito a mangiare, lei gli fischia in uno scarso tentativo di attirare la sua attenzione - Ehi! - dice un po' più forte, alla fine finisce per tirargli un pugno sul vassoio facendo volare un pezzo di pane che cade a terra. Una delle due guardie all'entrata della mensa guarda nella nostra direzione con sguardo truce e Sam senza fare troppo lo schizzinoso raccoglie il pezzo di pane e se lo ficca in bocca, ma non prima di aver alzato gli occhi al cielo - Che c'è? - sospira finalmente guardando Katniss, lei sembra soddisfatta dell'attenzione che si è guadagnata - Voglio chiedere al consiglio di andare a Capitol City - spiega come se stesse parlando della qualità della zuppa che ha nel piatto, guadagnandosi un'occhiata stralunata da parte di Sam - Andiamo a riprenderla - aggiunge, il cucchiaio che stringeva cade dalla mano di Sam, la stessa guardia di prima ci guarda ancora storto - Gliel'ho già chiesto e hanno già detto di no - risponde con un filo di voce scuotendo la testa, Katniss sembra sorpresa dalle sue parole, come se stesse dicendo qualcosa di incredibilmente stupido - Stavolta ci sarò anch'io - dice, la convinzione è palpabile nella sua voce - E ci sarà anche lei - aggiunge indicandomi con la testa senza staccare gli occhi da Sam, anche lui la guarda, il cucchiaio fermo a mezz'aria, sul viso un'espressione indecifrabile. - Non posso più rimanere qui, Sam, non ce la faccio - gli occhi di Katniss sono velati di una tristezza che mi fa stringere lo stomaco, Sam alza piano una mano e per un attimo sembra le voglia sfiorare il vistoso livido che ha sul collo, ma riabbassa subito la mano, per un attimo rimane immobile, poi annuisce senza staccare gli occhi dai suoi.
Mezz'ora dopo siamo tutti nella stanza che chiamano "consiglio".
L'ennesimo urlo di frustrazione esce dalle labbra di Katniss, Sam è in piedi e cammina avanti e indietro per tutta la stanza, i suoi passi rimbombano come cannoni nell'aria - Non capite - ripete Il ragazzo per la centesima volta - Voi non capite! Noi dobbiamo andare, non possiamo lasciarla lì! - dice, nella voce un tono di supplica - Siete voi a non capire. Mi pareva di essere stata chiara l'ultima volta - il tono della presidente è così piatto e calcolato che mi innervosisce - Vi ricordo, Signori, che stiamo parlando di mia sorella, una dei vostri, un vostro soldato - le parole mi scivolano di bocca prima che possa fermarle, tutti gli occhi mi si incollano addosso, stranamente sostengo gli sguardi - Questo non cambia la situazione. Non posso mandarvi nel distretto 2, non finché tutti distretti non sono al sicuro - dice guardandomi per la prima volta da quando sono qui dentro. Sam allarga le braccia in un movimento teatrale - Quali distretti mancano? - chiede - Solo il due in realtà, una settimana e sarà preso - risponde subito Haymitch, l'occhiata che gli rivolge la Coin non mi piace per niente, ma a lui sembra non importare. - Bene. Mandateci nel 2 - dice risoluta Katniss - Non è assolutamente sicuro, non se ne parla - capitola la presidente - Non posso più stare qui. Se volete che io sia la Ghiandaia Imitatrice dovete mandarmi via - afferma la ragazza - Proprio perché sei la Ghiandaia Imitatrice non possiamo permetterci di mandarti al 2. La situazione non è così sbrigativa come ha voluto farla sembrare il signor Abernathy. Non possiamo permetterci di perdere la nostra Ghiandaia Imitatrice - risponde la Coin - Cosa ve ne fate di una Ghiandaia senza ali? - chiede lei, gli occhi grigi accesi della stessa scintilla che ho visto nella camera dell'ospedale. Il silenzio cala nella sala - Jenna è le mie ali - sussurra, ma nel silenzio che c'è la sentiamo tutti - Quindi oggi stesso partiremo per il 2, sistemeremo la situazione e poi andremo a Capitol City - continua, la foce forte e ferma stavolta e nessuno osa contraddirla.
 
Le previsioni di Haymitch si rivelano errate "una settimana e sarà preso", in realtà sono passate due settimane da quando la squadra di soldati è stata mandata nel distretto 2. Ovviamente non hanno voluto portarmi con loro "Non se ne parla nemmeno!" Ha ruggito Sam, inaspettatamente Katniss non era d'accordo con lui "Lasciala venire, più persone siamo e meglio è, giusto?" ha detto "Più persone utili siamo e meglio è" ha risposto lui, evidentemente per lui non rientro in questa categoria. Qui senza di loro è ancora peggio, non so che fare, non so dove andare, mi sento davvero inutile e forse lo sono, proprio come dice Sam, altrimenti sarei al 2 con loro. La gente per i corridoi non fa altro che fissarmi, devo assomigliarle davvero tanto, so che è così, almeno da fuori.
 
- Dio, come le somigli! - una voce mi fa voltare, quando mi giro die grandi occhi di un verde particolarissimo mi stanno fissando, mai visti due occhi simili, mai visto un ragazzo simile, a dire la verità. I capelli ramati scintillano anche se siamo in penombra e anche attraverso i vestiti grigi, larghi e sciatti del distretto 13, si indovina un fisico scolpito. - Scusami se ti sto fissando. Devo sembrarti pazzo - dice all'improvviso dipingendosi sulla faccia un sorriso storto - Oh no, non l'ho pensato - lo rassicuro, ma la sua espressione si fa improvvisamente seria - Ma non c'è assolutamente niente di male ad essere pazzi - dice - No, sono sicura di no - bisbiglio cauta - Certo che no - risponde dopo un po' e sul viso gli si dipinge di nuovo un sorriso, l'espressione di nuovo leggera e frizzante - Oh, ma che maleducato, lascia che mi presenti. Il mio nome è Finnick Odair - si presenta - Anna Wellington - dico, il suo sorriso si allarga, mi prende la mano e se la porta alle labbra - Lo so - bisbiglia guardandomi negli occhi, poi si gira e se ne di spalle per il corridoio - Ci vediamo, Anna - mi urla voltandosi e facendomi l'occhiolino sparisce dietro una porta.
 
Un paio di giorni dopo viene inviata un'altra squadra al 2, composta da quelli che chiamano "i cervelli", dove non arriva la forza bruta arriva l'intelligenza, spero per il bene di tutti che sia davvero così.
Quando ritornano al distretto 13 e vedo Katniss essere trascinata di corsa in ospedale su una barella, mi convinco che forse un po' di forza bruta c'è voluta. - Cosa le è successo? - chiedo impaurita ad Haymitch distogliendo lo sguardo dalle mani insanguinate di Gale che stringono le sue - Le hanno sparato - risponde continuando a correre per il corridoio senza fermarsi - Chi? Quando? Perché? - domando a raffica, ma lui è già scomparso dietro la porta dell'ospedale.
Alla fine trovo qualcuno disposto a rispondere alle mie domande e scopro che il sangue che ho visto sulle mani di Gale non era di Katniss come avevo pensato, la sua divisa da Ghiandaia Imitatrice le ha praticamente salvato la vita bloccando la pallottola, l'unica cosa che non ha potuto impedire è che il colpo le spappolasse la milza. I medici non hanno potuto rimettergliela a posto, ma a quanto pare non serve a granché. Personalmente penso che dato che nasciamo con la milza, non sia proprio una grande idea buttarla via, ma tengo le mie convinzioni per me dato che in tutti i casi Katniss non ha scelto di strapparsela via.
Sono un po' titubante sul ritornare all'ospedale in effetti, anche se non sono io la malata in questo caso non mi piace comunque tornarci, è per Katniss, ricordo a me stessa mentre varco la soglia della sua stanza dall'aria asettica, ha difeso Jenna l'altro giorno al consiglio, potrebbe piacermi anche solo per questo. Quando entro scopro che non è da sola, una ragazza è sdraiata insieme a lei sul letto, appena entro la ragazza si leva la flebo dal braccio e la mette in quello di Katniss, poi mi guarda - Ah no, è lei - dice dopo avermi fissata per qualche secondo e si rimette l'ago nel braccio - Pensavo fosse qualche dottore venuto a dirmi che la devo smettere di fregarti la morfina - aggiunge minimizzando la cosa con un gesto della mano - Ma io la prendo solo in prestito - dice con voce fintamente innocente - Dopo un po' che la prendi ti fa scordare di tutto. Dovrei essere gentile e offrirtene un po' dato che ne hai decisamente bisogno, ma il fatto è che ho qualche problema con la gentilezza. Ma ci sto lavorando con quell'idiota del mio strizza cervelli - dice alzando le spalle, Katniss fa una piccola risata, ma si interrompe subito - Come va la milza? - chiedo vedendo che si tiene il fianco - Oh, alla grande, non c'è più! - risponde per lei la ragazza. - Johanna - la richiama Katniss guadagnandosi da lei un'occhiata stralunata. Johanan Mason registra la mia mente, ricordo vagamente la sua edizione dei giochi, tutti credevano fosse una smidollata invece si è rivelata una vera stronza, non è cambiata per niente, penso.
Un silenzio imbarazzante si diffonde tra noi, è Johanna ad interromperlo - Sei un idiota, lo sai vero? - mi dice senza preavviso - Per tua sorella intendo - aggiunge congelandomi sul posto - Cosa avrei potuto fare? - urlo con le lacrime agli occhi - Saresti potuta non esistere, ad esempio - mi risponde con un sorrisetto finto. Vorrei rispondere che non è stata colpa mia, ma la mia voce non vuole saperne di uscire, ma non me ne starò qua a sentirla insultarmi, né ho voglia di scoppiare a piangerle davanti, indietreggio velocemente ed esco dalla stanza mentre le lacrime mi bagnano il viso.
Non è colpa mia, penso, ma non ne sono più tanto sicura neanch'io.

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Essere prigioniera di Snow non è esattamente come credevo che fosse, penso mentre mi liscio la stoffa rossa del vestito. È ridicolo, il vestito, Snow, il fatto che faccia finta che sia sua ospite, non sono affatto un'ospite e lo so bene. Non importa quali bei vestiti mi obbliga ad indossare, non importa il fatto che sia pulita, ben vestita e non incatenata chissà dove. La catena c'è uguale, anche se non si vede e non è il fatto che sia dorata a farmi scordare che sono in una gabbia.
Forse potrei strapparlo, penso cercando di liberarmi dagli stretti lacci del corpetto, probabilmente sarebbe inutile però, dato che ho già distrutto due dei suoi vestiti e lui me ne ha sempre procurato altri, ogni volta ancora più sfarzosi e pesanti, sembro uscita da uno di quei romanzi dell'Ottocento. Uno stridio mi distoglie dai miei pensieri, una chiave gira nella serratura e la stessa cameriera che mi aiuta ad indossare questi ridicoli vestiti e entra nella stanza - Il Signore vi aspetta per la cena - dice con il suo tono distaccato, dovrebbe essere gentile, le è stato ordinato così, ma suona tanto come un ordine accompagnato dalle occhiate che mi lancia - Al Signore non piace aspettare - aggiunge e un brivido mi sale lungo la schiena - Sto scendendo - rispondo più scontrosa di quanto dovrei. Scendo le scale con lentezza indugiando su ogni scalino e appoggiandomi al corrimano, in realtà le scarpe non sono tanto alte quanto quelle che mi hanno fatto indossare durante l'intervista dei miei Hunger Games e sono comodissime al confronto del vestito che mi stringe e strizza facendomi sentire sull'orlo di scoppiare da un momento all'altro, ma non muoio dalla voglia di raggiungere chi mi sta aspettando, non sarà una cena piacevole, niente da quando sono qui lo è stato.
Quando raggiungo la sala Snow è già seduto ad un capo del tavolo, raggiungo senza guardarlo, ma a testa alta, l'altra sedia posta dall'altra parte del tavolo. L'uomo vestito di nero scosta la sedia per aiutare a sedermi, ma prima che possa farlo vengo interrotta da un gesto della mano del presidente - Puoi andare, Edward - lo congeda e lui sposta le mani dalla sedia lasciandomi in piedi e scompare dietro la porta a due battenti. Gli occhi velenosi del presidente scivolano su di me - Avvicinati - dice cercando di non farlo sembrare un ordine e fallendo miseramente, muovo qualche passo nella sua direzione - Più vicino - richiede, faccio come dice e mi fermo davanti a lui - Voltati, fatti guardare - ingoio la sensazione di disgusto che sento salirmi da dentro ed giro su me stessa lentamente, lottando per mantenere la testa alta e lo sguardo inespressivo - Davvero deliziosa. Ti farò portare altri abiti di questo colore - commenta e ancora una volta, come le prime volte che lo incontrai ho l'angosciante sensazione che stia morendo di fame ed io sia il suo cibo preferito. Mi allontano di un passo, con l'incalzante timore che possa addentarmi da un momento all'altro, sul suo viso si dipinge un'espressione leggermente stupita - Provi paura nei miei confronti, Jenna? - chiede scrutandomi - No - rispondo subito alzando ancora di più il viso - Provo solo disgusto - aggiungo e me ne pento subito dopo. Il suo viso diventa paonazzo e la sua espressione si fa dura, la sua voce lo è ancora di più quando parla - Siediti - questa volta non si sforza neanche di non farlo sembrare un ordine. Per un momento ho creduto che sarebbe scoppiato, che mi avrebbe schiaffeggiato, che avrebbe ordinato all'uomo vestito di nero di sbattermi nel sotterraneo, ma non ha fatto nessuna di queste cose, invece è rimasto in silenzio come ogni cena ordinandomi di mangiare quando il cibo rimaneva per troppo tempo senza essere toccato nel mio piatto. Quando finiamo di mangiare la sua sedia striscia sul pavimento, si alza e percorrendo tutta la sala mi raggiunge da dietro. Sento le sue mani poggiarsi sulle mie spalle e lotto contro l'impulso di ritrarmi bruscamente - Penso che dovresti essere più accondiscendente nei miei confronti, sarebbe più conveniente per entrambi - soffia al mio orecchio, sento il suo fiato sul collo e deglutisco velocemente - Se solo fossi un po' più carina con me, mia dolce Jenna...- il suo alito accarezza il mio collo in un modo squallido, l'odore di sangue che viene dalla sua bocca mi fa rivoltare lo stomaco. Cerco con tutta me stessa di non pensare alle implicazioni che ci sono nelle sue parole mentre sento le sue dita fredde sfiorarmi le spalle lasciate nude dal vestito - E farai meglio a pensare alla mia proposta - aggiunge con un certo compiacimento nella voce prima di raddrizzarsi ed abbandonare la stanza. Già, la sua proposta...
La solita cameriera mi riaccompagna nella mia stanza-cella e mi aiuta a liberarmi dell'odioso vestito rosso, poi si assicura che la finestra sia ermeticamente serrata, si chiude la porta alle spalle e gira la chiave nella serratura. Ascolto i suoi passi rumorosi nel silenzio che regna del corridoio e quando anche loro tacciono, sono di nuovo sola.

***

Guardo due ragazzi piroettare in mezzo agli altri, sembrano così felici, la musica suona veloce, un ritmo festoso si sparge per tutto il distretto. E chi avrebbe mai immaginato che anche il 13 potesse trovare un modo per divertirsi? Non avrei mai detto che ci sarebbero stati colori diversi dal grigio, invece ghirlande colorate sono appese al soffitto, fiori e nastri ornano ogni cosa, persino le persone hanno messo da parte i soliti abiti incolori ed indossano vestiti diversi, che mai in un giorno normale avrebbero portato. Ma questo non è un giorno normale, è un matrimonio, e nemmeno la guerra sembra poter sbiadire un giorno come questo.
Al centro della sala Finnick gira su se stesso e non fa altro che ridere, stretta tra le sue braccia c'è una ragazza vestita di verde, da oggi sua moglie, si chiama Annie ed è bellissima. Con quel sorriso, con quegli occhi innamorati, lo guarda come si guarda il sole dopo aver vissuto anni nell'ombra, lo guarda come si guarda qualcosa di prezioso e raro ed è bellissima mentre anche lui la guarda così. Negli occhi verde mare di entrambi non c'è spazio che per l'amore.
Dietro di me un verso simile ad un grugnito mi fa distogliere gli occhi dai due sposi. Quando mi volto Johanna Mason ha stampata in faccia un'espressione insofferente mentre guarda alle mie spalle, al centro dell'improvvisata pista da ballo - Ah, vi prego, guardateli. Potrei vomitare - dice con una mano sulla fronte - Non dice sul serio. In realtà è contenta per Finn, solo che non può dirlo, la sua reputazione da dura sarebbe compromessa - a parlare è Katniss che mi spunta da dietro reggendo in mano un bicchiere pieno di un liquido trasparente che dubito fortemente sia acqua. Johanna liquida le sue parole con un gestaccio, le ruba il bicchiere e si scola metà liquido trasparente - Fa schifo - annuncia subito dopo, Katniss fa spallucce - Era nelle scorte di Haymitch - risponde - Qualcuno dovrebbe dire a quell'ubriacone che ha un pessimo gusto - fa notare Johanna - Perché non glielo dici tu? - propongo indicando con la testa Haymitch che da pochi secondi, ma abbastanza per sentire il suo commento sgarbato, è dietro Johanna. Lui le strappa il bicchiere di mano e tracanna il liquido rimasto - Ei! - protesta lei indignata, ma Haymitch è già scomparso tra la folla - Ubriacone di mer...- Katniss le ficca in bocca un pezzo di torta interrompendo il suo insulto, o molto più probabilmente rimandolo a più tardi - Mangia, così forse ti addolcisci un po' - dice, non riesco a trattenere una risata. Johanna mi lancia uno sguardo di fuoco, se gli sguardi potessero uccidere, sarei già morta bruciata - Certo che anche te non sei mica un zolletta di zucchero! Quel poveraccio di Peeta ha dovuto subirsi due edizioni degli Hunger Games per avere qualche bacetto - il riferimento a Peeta sembra aver turbato non poco Katniss che è diventata pallida tutto insieme - Zolletta di zucchero? - Finnick compare all'improvviso tra noi, ha l'aria fresca e spensierata - Bella festa - dico sorridendogli cercando di essere gentile, lui ricambia il mio sorriso, seguo la sua figura mentre Annie lo trascina di nuovo in mezzo alla pista - Ti prego, non provarci con lui, si è appena sposato! E poi c'è già una fila...una lunga fila... - dice Johanna guardandomi con aria di superiorità, poi come se ricordasse tutto insieme aggrotta le sopracciglia - E poi tu che ti ridi? - chiede torva, pensavo di averla scampata per la mia risata di prima alla battuta di Katniss - Ce ne ho anche per te, che credi! - l'indice alzato come se stesse rimproverando una bambina disubbidiente. Sto per aprire bocca quando Katniss si mette in mezzo a noi - Così non andiamo da nessuna parte - ci ammonisce guardando prima Johanna e poi me - Non avete ancora capito che vogliono tagliarci fuori? Mi hanno usata finche gli sono servita come Ghiandaia Imitatrice ed ora che non gli servo più mi metteranno da parte, proprio come faranno con voi. Beh, io non ho intenzione di rimanere a guardare mentre danno il colpo di grazia a Capitol City e a Snow, devo esserci anch'io, me lo devono. Già ci sono loro che che ci mettono i bastoni fra le ruote, se poi cominciamo a scannarci a vicenda è la fine - Johanna la guarda con un sorriso sulle labbra che non ha niente di divertito - Devo ricordarti che questo è un matrimonio, non è carino parlare di guerra - la canzona - Come se ti importasse qualcosa del matrimonio - dico, Johanna mi lancia un'occhiataccia ma non ribatte.
Per un secondo mi chiedo chi siano i "loro" di cui parla Katniss, la Coin? Haymitch? Plutarch? Tutto il Consiglio? Era tutto molto più semplice quando credevo che l'unico "cattivo" in circolazione fosse Snow, evidentemente però questi "loro" non sono interamente dalla parte dei buoni. Esiste una via di mezzo? "Loro" chi? La domanda che fa Johanna è leggermente diversa - Noi chi? - sul suo viso sempre il solito sorriso che di un sorriso non ha proprio niente - Non c'è un "noi" - dice risoluta - Noi siamo vincitrici, combattenti, alleate, soldati...tante cose possono essere associate ad un "noi" - continua indicando lei e Katniss - Ma lei - ora indica me - Lei non c'entra proprio niente con noi, Katniss - il disprezzo trabocca dalla sua voce - Ti sbagli, Johanna, c'entra eccome - .

- Che diavolo vuol dire? - le urla di Johanna riempiono la camera dell'ospedale - Esattamente quello che ho detto. Non ci faranno andare a Capitol City se non ci alleniamo - spiega Katniss - Bene. Mi allenerò. Ma andrò in quella capitale puzzolente anche se dovrò uccidere una squadra intera e volare lì da sola - e dall'espressione su viso di Johanna mi rendo conto che potrebbe farlo davvero - Probabilmente è meglio non farne parola durante l’allenamento - inizia Katniss -Ma è bello sapere che avrei un passaggio - continua - Potrebbe esserci un posto anche per te... – Johanna incrocia le braccia sul petto e mi scocca una delle sue occhiatacce - ...ma devi meritartelo - aggiunge. Corruga la fronte come se stesse per compiere un enorme sforzo e alla fine le sue labbra si increspano in un sorriso e sento che noi tre abbiamo appena fatto un piccolo ma significante passo avanti nel nostro rapporto.

E cerco davvero di meritarmelo quel posto sull'hovercraft immaginario di Johanna mentre aiuto il dottor Johnson con i feriti; mentre pulisco la camera di Haymitch e ogni mattina mi assicuro che ci siano meno bottiglie del giorno precedente; mentre fornisco a Plutarch un'accurata descrizione degli ambienti della villa di Snow che ho visto mentre ero sua prigioniera; mentre faccio finta di allenarmi e Johanna riesce perfino a farmi tenere in mano un coltello che non si quello usato per affettare il pane, nonostante le abbia già ripetuto più volte che non ho la minima intenzione di diventare un soldato e che saprò rendermi utile in altri modi.
Quando qualche settimana dopo vedo Katniss correre verso di me penso che finalmente è ora, che stiamo per andare a liberare Jenna - Ho passato l'esame. Tra pochi giorni si parte - dice invece. Vorrei risponderle che non saranno mai pochi i giorni che mi dividono da mia sorella - Jo? - chiedo invece, si rabbuia - è in ospedale. Durante la simulazione cercano di trovare il punto debole di ogni soldato e quando è stato il suo turno hanno allagato la strada - dice - è così che l'hanno torturata a Capitol City. Immersa nell'acqua per poi lanciare scariche elettriche - spiega vedendo la mia espressione confusa. Non so spiegare a stretta che sento al cuore - Haymitch dice che dovremmo andare a trovarla - continua e sorprendo me stessa a pensare che sarei andata a trovarla in tutti i casi, anche se non fosse stato Haymitch a dirlo.

- Odora di casa - dice portandosi al naso il fagotto che le abbiamo portato io e Katniss, alcune lacrime iniziano a bagnarle il viso - è stata un'idea di Anna - le dice Katniss, mi stringo nelle spalle - Mi ricordava il distretto 7 e ho pensato che potesse fare lo stesso effetto anche a te - le spiego, annuisce lentamente. - Devi ucciderlo, Katniss - dice afferrandole il polso dopo qualche secondo di silenzio e la fa promettere - E tu vedi di riportarmi quella squilibrata di tua sorella - dice puntando un dito nella mia direzione - Mi manca - aggiunge e dovrebbe essere qualcosa di dolce e carino, ma lo fa sembrare quasi una minaccia e sorrido mestamente ricordandomi che stiamo pur sempre parlando di Johanna Mason.

- Tu non vai proprio da nessuna parte! - ruggisce Sam e le mie convinzioni vacillano - Ma a Capitol City c'è Jenna, bisogna liberarla - sussurro, ma mentre le parole mi escono dalla bocca mi rendo conto di quanto deboli siano le mie proteste - A quello penserò io - risponde sicuro - Ma...- inizio, ma mi blocco, non so come potrei convincerlo a portarmi, probabilmente sono solo un peso morto, sicuramente - Ti prego, Sam, lascia che faccia la mia parte - mi gioco la carta delle suppliche - Vuoi fare la tua parte? Resta qui al 13 e cerca di rimanere viva, ok? - mi rendo conto che effettivamente Sam sta ancora cercando di compiacere Jenna, nonostante lei non sia qui, nonostante con una guerra in corso nessuno noterà che c'ero anch'io. Nonostante questo Sam sta cercando di esaudire i desideri di Jenna e se tenermi qui impotente ma al sicuro non è uno dei desideri di mia sorella, ci si avvicina molto. Ancora una volta sono la sorella piccola da proteggere, quella a cui non si possono spiegare le cose 'da grandi', quella a cui si dice "fai così e basta". Ma io non sono più piccola di Jenna, non sono più piccola di molti altri soldati che andranno a combattere a Capitol City, non voglio combattere, figurarsi se Sam me lo permetterebbe, tutto quello che voglio è che mi portino con loro. Ma a nessuno interessa cosa voglio, nemmeno a Sam, a lui interessa cosa vuole Jenna.

Chissene frega di Anna, chissene frega di quello che vuole, chissene frega se vuole una volta tanto fare la cosa giusta, chissene frega se è stanca di vivere, chissene frega se viene estratta per gli Hunger Games... C'è sempre Jenna. Jenna che è importante quello che vuole, Jenna che fa sempre la cosa giusta, Jenna che entra nell'arena al posto della sorella.
C'è sempre Jenna, ci sarà sempre Jenna e finché ci sarà Jenna, non ci sarà Anna.
Che sorella ingrata, Jenna le salva la vita ed è questo il modo in cui la ringrazia...la ama, certo che ama sua sorella. Lo capisce che non è colpa sua se lei sarà sempre la seconda. Non è colpa di Jenna, Anna lo sa, è che per una volta vuole provare a non essere la seconda di due, vuole solo essere la prima di una, come tutti gli altri.
Ecco perché per la prima volta non fa quello che gli altri si aspettano che faccia. Ecco perché chiede al dottor Johnson di poterlo aiutare. Ecco perché lui acconsente a portarla a Capitol City. Ecco perché quando scoppia la battaglia non si nasconde.
Ecco perché quando arriva il momento sa qual'è la cosa giusta da fare. E la fa.




Era successo tutto velocemente, troppo velocemente, quasi Sam non se ne era accorto. Le sparatorie, la gente che correva, i baccelli disseminati per le strade che si aprivano sprigionando i loro orrori. E la cosa peggiore era l'incertezza che accompagnava ogni cosa. L'unica certezza era Jenna. A Sam pareva di sentire il cuore di lei battergli nel petto accanto al suo tanto la sentiva vicina. Aveva capito che l'unico modo per liberare Jenna era vincere la battaglia che si stava svolgendo in quel momento, per questo ce la mise tutta.

Era successo tutto velocemente, troppo velocemente, quasi Anna non se ne era accorta. Da quando aveva deciso di aiutare il dottor Johnson era stato tutto un ricordo sfocato. Le pallottole che i dottori estraevano dalle ferite, il sangue, le garze bianche che presto sarebbero diventate vermiglie. Non è che Anna potesse fare grandi cose, ma dava una mano, le piaceva poter aiutare, poter fare qualcosa e poi sapeva che era la cosa giusta. Ecco perché quando i primi paracaduti argentei esplosero tra le mani di centinaia di bambini fuori dal palazzo del presidente Snow, Anna seppe che quella era la cosa giusta da fare. E la fece.
Poco importava che fossero figli dei capitolini, i bambini sono bambini ed Anna sarebbe andata ad aiutarli.

Era successo tutto velocemente, troppo velocemente, quasi Jenna non se ne era accorta. Non aveva avuto il tempo di fare quello che si era progettata di fare. Non aveva avuto il tempo di pensare a nulla. Gli hovercraft che volavano nel cielo di Capitol City, i ribelli che facevano breccia nella città, gli spari, le urla, i corpi accatastati nella piazza, la gente che scappava, i fucili in mano, i proiettili a terra, il sangue, i morti, i bambini fuori dalla residenza del presidente, l'hovercraft con il simbolo di Capitol City, i paracaduti argentati, l'esplosione, la pioggia di sangue, i ribelli accorsi in aiuto, il secondo hovercraft, i secondi paracaduti, la seconda esplosione. E poi più niente.

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** 33. Epilogo ***


Angoletto dell'autrice: Eccomi di nuovo qui! Mi dispiace di aver abbandonato per un periodo questa ff, purtroppo l'altra storia che sto scrivendo mi ha rubato tutta l'attenzione. Comunque ora sono qui e questo è l'epilogo, finalmente, per prima cosa perché sono contenta di aver portato a termine la mia prima long e poi perché non mi piace fare due cose insieme ed in questo modo avrò la mente sgombra pronta a lavorare all'altra ff. Devo sul serio ringraziare moltissimo tutte le persone che hanno dato fiducia alla mia storia e l'hanno messa tra le seguite, ricordate e preferite. Grazie mille a chi ha recensito anche solo una volta e ancora di più a chi ha seguito con assiduità ogni capitolo, l'ultimo grande regalo sarebbe farmi sapere cosa ne pensate un'ultima volta, è veramente importante! Che altro c'è da dire? Grazie, grazie, grazie!








Caro Dottor. Johnson,
Le scrivo questa lettera perché ho tanto piacere di sapere come sta e perché mi mancano terribilmente le sue sedute di psicoanalisi nel distretto 13...
Non è vero, le scrivo questa lettera perché me lo ha chiesto lei e a dire la verità preferisco impugnare carta e penna nel salotto di casa mia che sedermi a parlare seduta sul lettino dell'infermeria del 13, come facevo qualche mese fa. Spero non si offenda, confido che non lo faccia, mi ha sempre dato l'idea di un tipo intelligente.
Le cose sembrano okay da quando mi sono trasferita al distretto 12, non vanno ancora "bene", ma sono okay. Ci sono giorni in cui guardo i boschi dalla mia finestra e sento nostalgia di casa, ma mi sono trasferita qui apposta, per andare avanti ricordando il passato, ho questa ossessione per il rendere onore a tutte quelle persone che non potranno mai vedere questa nuova Panem. Ecco perché ogni giorno appena mi sveglio li guardo, i boschi che vedo non sono belli come sono quelli di casa mia...come erano, ora sono cenere.
A proposito di cenere, gliel'ho detta questa cosa della fenice? Il fatto di rinascere dalle proprie ceneri...non trova sia perfetto? Voglio essere una fenice, ci credo così tanto che me ne sono fatta tatuare una dietro la schiena, Jo dice che sembra un piccione, a Katniss invece piace. Anche a Sam piace, dice che è sexy, l'altro giorno mentre stavamo...okay, va bene che è il mio strizza cervelli, ma forse certe cose dovrei tenermele per me...
Mi manca molto Anna, sa? Mi succede tante volte di ripensare a quel giorno, a quei paracaduti argentati, a quei bambini massacrati per niente. Quando li rivedo ogni notte nei miei incubi e mi risveglio sudata e ansimante, sono contenta di aver votato contro l'ultima edizione degli Hunger Games che la Coin voleva istituire. Anche Anna doveva trovarsi là quando i secondi paracaduti esplosero, ma per un fortuito caso del destino è arrivata troppo tardi.
Una parte di me sperava che si sarebbe trasferita anche lei nel 12, quando non l'ha fatto ero sicura che sarebbe tornata a casa, al distretto 7 e invece è andata nel 2, so che stanno costruendo un grande ospedale lì e che lei sta studiando per diventare una dottoressa.
Ma alla fine, quando mi passa la nostalgia e tutto, so che infondo è meglio così, Anna più di tutto mi ricorda il passato e nonostante la ami incondizionatamente, non so se posso perdonarla per questo. Anna è cenere.
Pensavo che anche Johanna sarebbe ritornata al 7, neanche lei lo ha fatto. Si è trasferita nel distretto 4, lei dice momentaneamente, ma io so meglio di chiunque altro che non lascerebbe mai da sola Annie, non ora che ha da crescere il figlio di Finnick.
Finnick.
Da quando è...da quando lui è...

Non so se è in qualche modo rilevante per la mia terapia, né se devo scriverglielo in questa lettera, ma dall'ultima frase a questa è passato un giorno. Sono scoppiata a piangere, non ce l'ho fatta a continuare e ho smesso di scrivere. Dato che oggi mi sento un po' più forte di ieri, rieccomi qui.
Non le garantisco che questa lettera le arrivi in tempi brevi, potrei impiegarci vari giorni a scriverla, è così doloroso..."rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare".
Ogni tanto vado al distretto 4 a trovarle, ho paura per Annie. È così fragile, un'onda in un mare in tempesta, ho paura si perda, ho paura si infranga contro uno scoglio. Certe volte scivola lontano, risucchiata da chissà quale ricordo, si tappa forte le orecchie per non far entrare le voci del passato. Quando succede, Johanna è sempre lì, le toglie le mani dalle orecchie e le passa le dita fra i capelli finché non torna indietro dall'oblio. Ho paura anche per Jo, nonostante sembri che nulla possa toccarla, nonostante sembri una roccia che non può essere scalfita, so che è fragile quanto Annie, solo che lei non ha nessuno che la riporti indietro dall'oblio, perciò cerca di non sprofondarci.
Ma a spingere entrambe verso la luce c'è il piccolo Atlas. La prima volta che ho incrociato i suoi occhi è stata una coltellata al cuore, sono identici a quelli del padre, mi sono chiesta come facciano Annie e Johanna a guardarlo ogni giorno, poi ho capito che anche loro stanno cercando di essere delle fenici ed Atlas è la vita che nasce fra le ceneri.
Probabilmente ora, se lei fosse qua, mi inviterebbe a parlare di più di me, la verità è che mi sento un po' vuota, sto cercando di cercare qualcosa da fare. Da quando il nome di mia sorella è stato estratto da quella dannata ampolla ho avuto molti obiettivi: salvarle la vita, sopravvivere nell'arena, tenere nascosta la mia identità, proteggere le persone che amavo, uno dei miei ultimi obiettivi è stato uccidere Snow.
Quel momento me lo ricorderò per tutta la vita, la mia spada era sguainata e la sua lama sottile luccicava sotto la luce, davanti a me c'era Katniss, l'arco teso, la freccia incoccata, lui era inginocchiato tra di noi, inutilmente legato. Come avrebbe potuto scappare? Se anche la freccia di Katniss non avesse centrato il bersaglio, la mia spada sarebbe stata veloce a tagliargli il collo.
Ma Katniss non mancò il suo bersaglio, solo non era quello che tutti immaginavamo.
L'avevo capito, mi aveva guardata negli occhi un secondo prima e giuro, l'avevo capito. La sua freccia i conficcò nella tempia della Coin, mentre la risata di Snow riecheggiava nell'aria.

Ci ho parlato con quel serpente velenoso del presidente, sai? Proprio prima dell'esecuzione, abbiamo parlato a lungo, ma non ti dirò cosa ci siamo detti, ti dico sempre tutto, ma questo no, ho promesso che non l'avrei detto a nessuno ed io che non sono un viscido rettile squamoso come era lui, mantengo sempre le mie promesse.
Comunque anche se Katniss mirò più in alto di come era previsto, io mantenni il mio bersaglio e la mia spada tracciò un arco perfetto decapitando quello che per anni era stato la rovina di Panem.
Non l'ho mai condannata per il gesto di quel giorno, nemmeno quando all'inizio tutti l'hanno fatto, nemmeno quando le guardie l'hanno portata via, anzi ho parlato in sua difesa al suo processo.
Ci stavo pensando l'altro giorno, mentre l'aiutavo a pulire la selvaggina che aveva cacciato. Mi ha chiesto se ero io che ogni giorno, mentre era prigioniera in attesa del suo processo, cantavo fuori dalla sua porta, ha detto di aver riconosciuto la mia voce, non le ho risposto, ma lei mi ha ringraziato lo stesso, dice che è grazie alla mia voce che mentre era lì dentro ha ritrovato la sua.
Tutta questa premessa era per dire che ora che ho esaurito anche l'ultimo dei miei obiettivi, non ne ho più uno e non riesco a trovarlo. Sono stata per così tanto tempo impegnata a cercare di sopravvivere, che ho perso di vista cosa vuol dire vivere. Ho l'impressione che dovrò rivedere le mie priorità, magari lei può darmi una mano, è o non è il mio strizza cervelli? Si dia da fare!
Penso che anche Katniss faccia fatica ha trovare un nuovo obiettivo, è un po' il problema di noi vincitori, credo. Ogni tanto la sento parlare da sola, dice cose del tipo:" Il mio nome è Katniss Everdeen. Ho diciassette anni. La mia casa è il distretto 12..." Lei pensa di pensarlo e basta, in realtà lo sussurra tutte le volte. Un giorno mi ha beccata che la fissavo mentre lo faceva e mi ha spiegato tutto. È davvero un giochetto stupido. Dice che le serve a non perdere i contatti con la realtà, a ricordarle chi è, dice che dovrei farlo anch'io. Io non lo faccio, non voglio ricordare chi sono. È che non penso di essere esattamente una bella persona, è più forte di me. Sam dice che devo smetterla di avercela con me stessa, in realtà ce l'ho con tutto il mondo, solo che a lui del mondo non importa granché, vuole solo che smetta di incolparmi un po' di tutto. Sam è la mia medicina ed io sono la sua e nonostante certe volte mi spaventi a morte con quei suoi discorsi sul matrimonio e sui bambini, lo amo, se possibile ogni giorno di più. A proposito di bambini, seriamente, non ci penso nemmeno ad averne uno, non ancora almeno ma... L'altro giorno mi sono sorpresa a pensare che se mai ne avessi uno e fosse maschio, lo chiamerei Ares, quando l'ho detto a Sam lui mi ha risposto che era un bellissimo nome. Ripensandosi su forse lo avrebbe detto per qualsiasi altro nome, il fatto che parlassi di un bambino era già un evento speciale.
Comunque ho promesso al mio ragazzo che proverò a non vedere solo il bianco e il nero nelle cose, a non guardare il mondo come fosse a senso unico, "Devi vedere l'altra faccia della medaglia" da detto. (L'altra faccia della medaglia...ironico parlarne proprio con me, non trova?) "Ci sono infinite sfumature di grigio" ha continuato, ma a me il grigio non piace, è il colore della cenere, perciò ho optato per l'azzurro. Per me tra il bianco e il nero, c'è l'azzurro.
Azzurro come gli occhi di Sam, azzurro come il mare del 4, azzurro come il cielo del distretto 12, azzurro come azzurra è per me la speranza. Oggi Dottor Johnson, mi sento azzurra.


P.S: A proposito, la tratti bene e non si sprechi a far finta di non sapere di chi sto parlando. Lo so che sta con Anna, certe cose una sorella le capisce. Mi sta bene, solo, abbia cura di lei e non le dica di queste lettere. Non le permetta di avere nostalgia di casa, non le permetta di dire che le manco, non le faccia ricordare il passato, la lasci fare l'egoista, la lasci dimenticare. A rendere omaggio per chi non potrà mai vedere questa nuova Panem ci sono già io e di due gemelle, una basta e avanza.

P.P.S: Ah...non è vero che non so se riuscirò a perdonarla. Nonostante mi ricordi continuamente il passato, nonostante più di tutto sia cenere, Anna è mia sorella, l'ho già perdonata e la perdonerò sempre.
Ma pretendo che questo rimanga un segreto tra strizza cervelli e cervello strizzato.


Con affetto, la sua quasi cognata

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1493173