Fiabesque

di ScratchThePage
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Rosaspina (Parte I) ***
Capitolo 3: *** Rosaspina (Parte II) ***
Capitolo 4: *** Rosaspina (Parte III) ***
Capitolo 5: *** Rosaspina (Parte IV) ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


                                        Introduzione
 
Francesca avvicinò la sedia alla libreria: era ancora troppo piccola per raggiungere il libro che le serviva. Salì e iniziò a ispezionare uno ad uno quelli grandi: sapeva che era là in mezzo. Passò il dito su ognuno dei titoli, finché non trovò quello che stava cercando; un grosso libro marrone con le bordature dorate e con il dorso molto simile a quelli di un epoca passata. Inoltre aveva una grande scritta blu e molto articolata: Fiabe Tradizionali.
‹‹ Nonno, l’ho trovato!›› esclamò.
Lo estrasse e per poco non le scivolò di mano: non se lo ricordava così pesante.
‹‹ Brava Francesca. Ora portamelo qua. ›› disse una voce anziana.
Francesca scese dalla sedia e raggiunse suo nonno in soggiorno. Notò che si era appena messo i suoi occhiali da lettura, che donavano una certa simpatia al suo viso rotondo. Sorrise: le piaceva fin troppo quella buffa montatura: le sembrava uscita da uno di quei film in bianco e nero.
‹‹ Eccolo qua. ›› disse posando il libro sulle ginocchia dell’uomo e sedendosi sul divano vicino a lui.
Suo nonno iniziò a sfogliare le pagine con molta cura, come se fosse preoccupato di romperle.
‹‹ Nonno, ma perché hai deciso di leggermi delle fiabe? ›› chiese con una certa innocenza.
‹‹ Perché fanno parte della nostra cultura tradizionale e molti si stanno dimenticando come sono in realtà. ›› le rispose, fissandola con i suoi occhi azzurri.
‹‹ Ma perché proprio adesso? ››
‹‹ Perché vedo che stai crescendo velocemente e ho paura che ti disinteressi a queste cose: hai già otto anni, sei una signorina ormai! ››
Francesca sorrise a quel complimento, felice che almeno lui avesse notato che non era più così piccola.
‹‹ E lo hai anche fatto con Michele e Lucia? ››
Suo nonno fece una faccia alquanto strana e lei non capì il perché.
‹‹ Purtroppo no… ››, ammise a malincuore, ‹‹ Chissà, forse adesso tuo fratello non sarebbe tutto il tempo a giocare davanti a quella macchina infernale e tua sorella non sarebbe perennemente in giro con le sue amiche,  a sprecare soldi, e in discoteca. ››
‹‹ Quindi mi stai dicendo che loro… non conoscono le fiabe? ›› domandò la bambina, attorcigliandosi una ciocca di capelli biondo cenere.
‹‹ Ti prego Francesca! Quei due a malapena hanno visto i film della Disney.››
‹‹ Io avrei qualcosa da ribattere. ››, disse una voce maschile alla loro sinistra, ‹‹ Purtroppo, a causa di una certa persona, mi sono dovuto subire anch’io quei cartoni animati fin troppo mielosi. ››
‹‹ Ero piccola e ingenua, cosa potevi aspettarti.›› ribatté un’altra femminile.
Nonno e nipote si girarono verso quella direzione: una ragazza di sedici anni era appoggiata al muro e aveva uno sguardo abbastanza annoiato. Sporadiche ciocche blu fuoriuscivano dai suoi capelli castani, in perfetta tinta con l’enorme cuore della sua collana. I suoi vestiti ricordavano vagamente quelli di una qualsiasi cantante famosa tra i giovani, anche se lei aveva fin troppi accessori.
Il ragazzo vicino a lei, invece, indossava una semplice tuta da ginnastica. Aveva delle profonde occhiaie, che nascondevano parecchio la bellezza dei suoi occhi azzurri, mentre i corti capelli castani erano ridossi a una chioma indomabile.
‹‹ Lucia! Michele! ›› esclamò Francesca, stupita di vederli là.
‹‹ Cosa ci fate qua voi due? ›› domandò suo nonno, quasi infastidito.
‹‹ Eravamo incuriositi dal discorso delle fiabe. ›› rispose Michele.
‹‹ Così tanto da toglierti dai tuoi amatissimi giochi virtuali? ››
Il ragazzo sbuffò, come se fosse stufo di sentire quella frase.
‹‹ Sì, nonno, lo so: tu a tredici anni eri a lavorare i campi con tutta la tua famiglia e nona rincitrullirti davanti ad un computer. ››
L’anziano rimase di stucco, stupito di essere stato anticipato.
‹‹ E comunque, com’è possibile che siate interessati alla fiabe. Non ve n’è mai importato niente! ›› disse infine.
‹‹ Ehi no’, questo non è vero. ›› ribatté Lucia.
‹‹ No’? ›› domandò perplesso l’uomo.
‹‹ E’ un abbreviativo per nonno, come ma’ e pa’.››
Suo nonno scosse una mano, come per esprimere il suo disprezzo per quei stupidi nomignoli.
‹‹ Quindi siete anche voi qua per ascoltare le fiabe?›› domandò Francesca.
Le piaceva l’idea: lei e i suoi fratelli, tutti riuniti attorno al nonno per ascoltare le storie di principi e principesse. Non li vedeva mai e quella le sembrava una buona occasione per stare assieme.
‹‹ In realtà no. ››, rispose Michele, ‹‹ Lucia ed io abbiamo ascoltato tutto il vostro discorso e volgiamo proporvi una sfida. ››
‹‹ Che cosa? ›› chiese Francesca tutta contenta: adorava le sfide, soprattutto se vinceva.
‹‹ Io e Miki racconteremo le fiabe e Francy, tu ci dirai se ti se annoiata e no’, tu ci dirai se abbiamo dimenticato qualche dettaglio. ›› spiegò Lucia, per poi far scoppiare la sua chewing-gum.
Gli occhi della bambina si illuminarono: la proposta le piaceva, anche perché era molto curiosa di vedere chi avrebbe vinto, i due giovani senza speranza o il nonno, vecchio e saggio.
‹‹ E quindi voi conoscete le fiabe? ›› domandò l’anziano, ancora stupito.
‹‹ Certamente, rispose Michele, ‹‹ Però potresti trovare le nostre versioni alquanto… bizzarre. ››
L’uomo iniziò a pensare e ciò a Francesca non piacque: se suo nonno si metteva a meditare per troppo tempo, era sicuro che avrebbe dato una risposte negativa.
‹‹ Dai nonno, ti prego, mi piace la proposta! Voglio accettare la sfida! ›› lo supplicò.
L’anziano osservò prima lei e poi i due ragazzi, per poi prendere finalmente una decisione.
‹‹ E va bene, stupitemi. ››
 
 
 
 
 
Avviso ai gentili lettori:
So di aver messo la storia sotto la sezione “raccolta” ma troverete più capitoli per una fiaba. Infatti, mio grande cruccio, non riesco a scrivere dei capitoli brevi e, quindi, devo tutti dividerli in più parti. Quindi sarebbe una raccolta ma, per non stancare la gente facendole leggere dei capitoli chilometrici, ho deciso di gestirla così.

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Capitolo 2
*** Rosaspina (Parte I) ***


Rosaspina
 
‹‹ Allora, con quale fiaba vuoi iniziare? ›› chiese Lucia, buttandosi sul divano vicino a sua sorella.
‹‹ Devo scegliere io? ›› rispose Francesca, un po’ stupita.
‹‹ Certo, sei il nostro giudice, tocca a te. ››
Lei ci pensò un po’: voleva ascoltare una fiaba abbastanza nota, in modo da notare da sola le stravaganze dei fratelli. Il problema era che ce n’erano parecchie alquanto conosciute e la scelta poteva risultare ardua.
Scartò subito Biancaneve, troppo vista e rivista. Cenerentola non le stava particolarmente simpatica, mentre la Bella e la Bestia le faceva una certa impressione. Cappuccetto Rosso, poi, era stufa di ascoltarla: tra l’asilo e la scuola elementare, sembrava quasi che le maestre fossero prive di fantasia se, ogni volta che volevano fare dei lavori di gruppo, utilizzavano sempre  quella fiaba.
‹‹ La Bella Addormentata nel Bosco! ›› decise alla fine.
‹‹ Allora sia Rosaspina. ›› disse Michele, rivolgendo un sorriso malizioso a suo nonno.
 
Il re stava sprofondando nella sua poltrona di pelle rossa. Fissava un punto indistinto sul soffitto, molto probabilmente la sua strana decorazione: un cielo azzurrissimo pieno di angioletti svolazzanti. Era incredibilmente kitsch, sia per i colori troppo accesi e sia per la plasticità delle figure. Avrebbe dovuto ridipingerlo anzi, l’avrebbe fatto; magari con qualche scena di caccia o un trionfo divino che alludeva alla sua gloria.
‹‹ Mi stai ascoltando? ›› esclamò, alquanto irritata, sua moglie.
Lui abbassò la testa e incrociò lo sguardo inferocito della donna.
‹‹ Prego? ›› domandò, consapevole di essersi distratto.
Era da un buon quarto d’ora che stava girando in circolo per la stanza, blaterando frasi senza senso, e lui si era un po’ scocciato di ascoltarla.
‹‹ Stavi guardando di nuovo il soffitto… ››
‹‹ E’ terribile, non posso farci niente. ›› rispose lui, noncurante.
‹‹ E tu ritieni più importante un soffitto mal dipinto dei miei problemi! ››
Aveva iniziato a strillare emettendo i suoi tremendi squittii, e questo era anche peggio degli angioletti kitsch.
‹‹ Non poso farci niente se non ti decidi a provare quel test di gravidanza. ››
La donna rimase in silenzio per un po’ per poi dire, quasi stizzita: ‹‹ Be’, certo… sarebbe una soluzione…››
‹‹ E allora? ››
‹‹ E’ che ho paura che finisca male come tutte le altre volte. ››
Sbuffò, alzandosi dallo schienale della poltrona. Certo, era vero che stavano cercando di avere un figlio da parecchi anni, ma non capiva perché ogni volta sua moglie si agitasse tanto: al massimo, se fosse andata male ancora per altre volte, ne avrebbero adottato uno. Magari alto , snello, furbo, di bell’aspetto e anche intelligente, in modo che arrecasse onore al suo casato.
‹‹ Ascolta, non devi preoccuparti: sono sicuro che questa volta ti andrà bene. ››
‹‹ Ma l’hai detto anche tutte le altre volte! ››
Grugnò e si infilò la testa tra le mani, disperato.
‹‹ Vuoi che ti tiri su di morale o che ti dica che sei sterile come un mattone? ›› mugugnò.
‹‹ Direi la prima…›› rispose la donna, alzando un dito.
‹‹ Allora va là dentro, prova quel benedetto test e vedrai che andrà tutto bene. ›› disse, indicando una porta rosa, ornata con bordure dorate e con delle piccole piastrelle di marmo che componevano la scritta “Toilette”.
Sua moglie annuì, più o meno convinta, e si avviò all’interno della stanza.
Il re sprofondò nuovamente nella sua poltrona di pelle rossa: tra la vista dell’uscio del bagno e del soffitto, preferiva questa. Primo, perché quell’ennesima attesa gli metteva fin troppo ansia; secondo perché questo era meno kitsch di quella terribile porta. Chissà, forse avrebbe dovuto ristrutturare quel castello da cima a fondo. Si vede fin troppo bene che apparteneva a mia suocera. Pensò.
Improvvisamente sentì un grido provenire dalla toilette. Scattò immediatamente in piedi: non era un urlo di paura o di spavento. Era uno di gioia e questo significava solo una cosa: questa volta ce l’avevano fatta, sarebbero diventati genitori. Quasi quasi era commosso.
Corse incontro a sua moglie, appena uscita dal bagno, abbastanza euforico. Fu felice di abbracciarla, anche se un po’ meno di sentire gran parte del fondotinta della donna finire sulla sua faccia.
‹‹ Oh caro, sono così felice! ›› esclamò quella tra le lacrime.
‹‹ Il test di gravidanza è risultato positivo? ››
‹‹ No, non l’ho nemmeno fatto. ››
Il re sciolse l’abbraccio, le pose le mani sulle spalle e la fissò negli occhi.
‹‹ Non l’hai fatto?! ›› domandò perplesso.
‹‹ No… ma una rana mi ha detto che entro un anno avrò una figlia! ››
Quell’affermazione lo fece rimanere di stucco: sua moglie si stava fidando della parola… di un animale apparso dal nulla?
‹‹ Una rana?››
‹‹ Sì! Caro non sei felice?›› esclamò riabbracciandolo di nuovo.
‹‹ Una rana?! ›› ripeté lui, pensando che forse esisteva qualcosa di peggio del castello kitsch di sua suocera.

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Capitolo 3
*** Rosaspina (Parte II) ***


Il phon le stava asciugando i capelli, mentre il pennellino dello smalto fucsia compiva abilmente il suo lavoro. Sarebbe stato tutto perfettamente rilassante, se la maschera che aveva in faccia non le avesse pizzicato. Maledì il folletto che gliela aveva venduta.
‹‹ Avrai la pelle liscia e pura come la seta! ›› le aveva detto.
Peccato che si era dimenticato di quel particolare irritante. Se lo trovo per strada, gli faccio risputare tutti i soldi che ho speso. Pensò, trattenendo l’ennesimo istinto di grattarsi la faccia.
Sentì il telefono squillare. Grugnì, non ritenendo di avere l’umore adatto a rispondere.
Decise di aspettare che quello scocciatore riattaccasse ma, dopo un minuto abbondante, agitò la mano già smaltata. Il telefono si avvicinò, attivando il tasto di risposta: meglio sentire la voce di qualcuno che la terribile suoneria del suo cordless; cose che capitano quando compri qualcosa a basso prezzo.
‹‹ Chi è ? ›› mugugnò, cercando di muovere la bocca.
Oltre che a irritarla, quella maschera le rendeva difficile anche muovere i muscoli della faccia.
‹‹ Sono Sempreverde. ››
Silenzio: le era troppo difficile ricordarsi tutti i nomi delle sue colleghe. Preferiva utilizzare gli aggettivi: le rendevano più riconoscibili.
‹‹ La fata della natura…›› aggiunse quella, un po’scocciata.
‹‹ Sì, sì…ti avevo presente, solo che non sono in una situazione complicata. ››
‹‹ Tipo? ››
Avrebbe roteato gli occhi, se non gli avesse avuti coperti da due fette di cetriolo: perché l’ambientalista voleva sempre sapere gli affari di tutti?
‹‹ Ho addosso una maschera facciale che mi atrofizza quasi tutti i movimenti. ››
‹‹ Ecco perché hai la voce strana… te l’ha venduta Lollo? ››
‹‹ Sì, perché? ››
Sentì una risatina squillante provenire dall’altra parte della cornetta che la fece innervosire parecchio: era così divertente se, per una volta, si faceva truffare da un folletto?
‹‹ Tranquilla, a Babà è andata peggio! ››
Altro silenzio: per quale motivo c’erano così tante fate in quel mondo?
‹‹ La fata della dolcezza…››
L’obesa. Pensò, associando il nome all’aggettivo.
‹‹ Ok, ok, non voglio saperne di più. Perché mi hai chiamata? ››
‹‹ Volevo proporti di combinare il regalo della principessa. Le altre si sono già organizzate e, purtroppo, sono rimasta da sola. Che ne dici se io le do la voce melodiosa e tu la presenza scenica?››
Il phon cadde al suolo, spegnendosi. La sorte della boccetta di smalto fu più nefasta: appena toccò il pavimento si ruppe in mille pezzi.
‹‹ Il regalo per cosa? ›› sibilò tra i denti.
‹‹ Per la principessa! Scusa, ma non ti è arrivato l’invito per la festa in onore della piccola? ››
Si alzò di scatto facendo cadere i cetrioli. Chiuse il telefono in faccia all’ambientalista, mente l’occhio sinistro si apriva e si chiudeva senza che lei lo controllasse. Sentì la furia crescere senza controllo: il re aveva osato non invitare alla festa LEI, la più bella, la più elegante e la più fascinosa tra le fate!
 
La festa era piena di gioia e di allegria. Tutti si stavano divertendo ed erano felici che finalmente il re e la regina avevano avuto un erede. L’unica cosa che, forse, strideva era il castello: le colonne portanti  tappezzate d’oro e le pareti ricoperte dalle statue dei più grandi scultori del tempo, avevano qualcosa di… kitsch.
Arrivò il momento dei regali per la piccola: la nonna le donò un’enorme culla rosa, piena di fiocchi, assieme a una coperta rosa, piena di pizzi, come il cuscino, con l’aggiunta di un materasso rosa, di un velo scaccia-zanzare rosa e una gigantesca bambola con un vestito rosa.
Il re, non appena vide quel regalo, arricciò il naso: non gli serviva un altro oggetto terribile ( nel senso estetico) in quel luogo privo di gusto.
La regina, invece, ringraziò di aver ordinato un corredo bianco e panna per la figlia.
Fu il turno dei parenti e degli amici, che le regalarono una montagna di giocattoli. Molto probabilmente le sarebbero bastati per tutta la vita. Ci fu anche lo zio che le diede una bustarella con i soldi, lasciando tutti allibiti. Nessuno, però, osò commentare.
Finalmente anche le fate poterono consegnarle i loro doni: le prime tre virtù, bellezza e intelligenza, altre due saggezza e grazia e così via.
Era giunto il turno della dodicesima. Questa avanzò timidamente nel suo concettoso vestito azzurro ghiaccio quando, con grande sorpresa di tutti, il portone d’ingresso si spalancò.
Tutti si voltarono in quella direzione e videro la tredicesima fata del reame sulla soglia, con vestito aderente fucsia, adornato con una larga cintura, e con un volto che poteva essere la perfetta rappresentazione dell’ira.
Iniziò ad avanzare furiosa lungo la sala, facendo rimbombare il rumore dei suoi tacchi. Tutti iniziarono a preoccuparsi: le altre fate perché sapevano come reagiva la loro compagna quand’era arrabbiata; Sempreverde perché era consapevole che, in parte, aveva causato quel danno; la nonna della principessa perché temeva che quella pazza furiosa potesse rovinarle il suo bellissimo castello; e il re, poiché sapeva che non avrebbe dovuto trascurarla solo perché aveva dodici piatti d’oro invece di tredici.
La tredicesima spintonò via la dodicesima e si posizionò davanti alla regina, pallida in volto. La bambina stava dormendo tranquillamente tra le sue braccia, inconsapevole di tutto quel trambusto.
‹‹ Posso spiegare tutto…›› le disse il re, poco distante.
‹‹ Silenzio! ››, tuonò questa, bloccandolo con un gesto della mano, ‹‹ Ciò che hai osato fare ha messo in cattiva luce la mia persona. Perché mai Favolosa, la più elegante e sofisticata tra le fate è stata esclusa dalla più grande festa del reame? Forse non è poi così favolosa?››
L’uomo la guardò strabuzzando gli occhi: che fosse impazzita.
‹‹ No idiota, non sono ancora pazza. Questa è la tipica domanda che tutti potrebbero posi. ›› disse, lanciando un’occhiata sospetta a tutti gli invitati.
Questi, non appena incrociarono il suo sguardo, si nascosero sotto il tavolo o dietro le colonne.
‹‹ Ma torniamo a noi… ››, continuò, rigirandosi, ‹‹ Devo contraccambiare questa tua gentilezza e, quindi, ho deciso di fare anch’io un bellissimo regalo a…a… ››
Schioccò le dita, sperando che il nome della principessa le tornasse alla memoria, Alla fine si arrese, convincendosi che non era così importante. Puntò il dito contro la bambina e, volendo rendere ancora più solenne quel momento.
‹‹ La nostra cara principessa, all’età di quindici anni, si pungerà con un fuso e morirà! ››
Rise di gusto, godendosi quel momento, e poi sparì in una nuvola rosa e piena di brillantini.
La regina iniziò a piangere mentre il re maledisse di aver mantenuto attivi i club dell’ “Antica Arte del Filatoio.” Tutti gli invitati mormorarono tra di loro, preoccupati. Certi, addirittura, continuarono a guardasi attorno, spaventati di vedere nuovamente quella fata con l’abito fucsia.
Alla fine fu la voce della dodicesima fata a calmare la situazione.
‹‹ Non disperate! ›› urlò.
Tutti si voltarono nella sua direzione e lei, per l’imbarazzo, arretrò e si nascose sotto la sciarpa azzurra che aveva al collo.
‹‹ Insomma…no…non tutto è… è perduto…››
I presenti inclinarono la testa, non capendo quella parole.
‹‹ Ho ancora… il mio dono…››
La sala esplose in urla di gioia e di felicità: la principessa era salva.
‹‹ Ma non posso rompere la maledizione! ››
Tutti si zittirono e guardarono irati la fata: perché dava loro false speranze?
‹‹ Po… posso, però…att…attenuarla…›› balbettò, iniziando a sudare per l’agitazione.
Gli invitati restarono impassibili, in attesa di un’azione concreta.
La fata deglutì e si avvicinò alla regina, più bianca di una mozzarella. Posò una mano sulla fronte della bambina, che stava ancora dormendo beatamente.
‹‹ La…la principessa, qua…quando toccherà il fuso, non morirà… ma cadrà in un sonno profondo… co…come questo…››
Fu in quel preciso istante che la regina svenne.

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Capitolo 4
*** Rosaspina (Parte III) ***


Un cumulo di fusi stava bruciando nella piazza centrale della città. Il re sorrise: quello spettacolo lo faceva sentire di buon umore, non solo perché aveva eliminato l’ultimo club dell’ Antica Arte del Filatoio, ma anche perché aveva inserito parte della mobilia del castello nella pira. Con il tempo si sarebbe sbarazzato anche del resto.
‹‹ Papà, perché stai sorridendo? ›› squillò una vocina.
Lei si girò e vide che sua figlia l’aveva raggiunto. Erano passati sei anni da quella nefasta festa e la sua piccolina stava sbocciando come una rosa. Quello era sicuramente il miglior dono che le avevano fatto le fate. Le altre virtù erano trascurabili: o una è bella o il miglior principe del reame non se la sposa.
‹‹ Sono felice perché ho finalmente eliminato quegli oggetti infernali. ››
‹‹ Ma papà, agendo in questo modo, non fai soffrire le persone che ci tenevano? ››
‹‹ Sì, ma è per un bene superiore. ››
‹‹ Ma se loro non sono felici, non può essere un bene! ››
Un giorno farò una chiacchierata con tutte e dodici le fate che ho invitato: perché hanno fatto diventare mia figlia un pozzo di mileosità e compassione?
Prese sua figlia per mano e l’allontanò da quel luogo. Cambiò anche argomento: solo accennare ai club dell’Antica Arte del Filatoio gli faceva ricordare che doveva dare delle spiegazioni esaudenti a una mandria di fanatici. Pensò di promettergli di ricostruire tutti i filatoio non appena sua figlia avesse superato la soglia dell’ultimatum. Inoltre, per evitare ulteriori danni, aveva deciso di comprare un nuovo servizio di piatti, composto da tredici pezzi. Il vecchio di sua suocera era finito nel falò.
 
‹‹ Ma perché non posso venire con voi? ›› chiese educatamente la principessa.
I suoi genitori stavano per partire e l’avrebbero lasciata sola per un intero mese. Siccome il suo quindicesimo compleanno era vicino, avrebbe voluto organizzare una mega-festa, invitando un numero esorbitante di persone e facendola proseguire fino a notte inoltrata. Ovviamente l’avrebbe voluta fare quando i suoi genitori fossero stati lontano dal palazzo. Purtroppo le fate le avevano donato anche l’onestà e la temperanza, piccoli fattori che impedivano i suoi intenti. Così una bella gita avrebbe risolto ogni suo problema.
‹‹ È un posto molto lontano e il viaggio ti stancherebbe troppo. Non sei abbastanza grande per affrontarlo. ›› le spiegò sua madre.
‹‹ Ma ho quasi quindici anni! ››
‹‹ Infatti quasi... e poi non staremo via a lungo. ››
La principessa chinò la testa e si rassegnò: il rispetto era un altro dei fastidiosi doni magici e lei doveva obbedire.
Il re sospirò, sollevato: non poteva portarla dal suo probabile futuro sposo. Quella, con tutte le sue paroline dolci, lo avrebbe potuto convincere che, se non si trattava di vero amore, non bisognava vivere assieme nemmeno per un giorno. E lui non poteva permettere che sua figlia mandasse a monte l’unione che avrebbe sancito l’alleanza con il regno vicino.
Salutò la principessa, augurandole di divertirsi, mente sua moglie iniziava ad elencarle ciò che doveva fare e ciò che non doveva fare.
La carrozza partì e la ragazza rimase da sola in quel castello. Forse sola no, ma la servitù non era poi così divertente. Pensò di chiamare delle sue amiche e di farle dormire da lei un paio di giorni, ma poi si ricordò che non aveva avvisato i suoi genitori. Sbuffò e tornò dentro quell’orribile castello: oltre ad annoiarsi a morte, doveva anche sopportare lo squallore di quel luogo. Sua madre le aveva espressamente raccomandato di non uscire, per qualsiasi motivo. Almeno la pianura che circondava il paese era meglio di quella reggia mal assemblata. Soprattutto adesso che suo padre stava cercando di  soppiantare lo stile kitsch di sua nonna con uno più moderno.
Passarono un paio di giorni e arrivò il suo compleanno. Era riuscita a contattare i suoi genitori, chiedendogli di invitare qualche amica per una piccola festicciola. Loro avevano accettato e lei ne aveva gioito: finalmente avrebbe socializzato con qualcuno!
Purtroppo sarebbero arrivate al pomeriggio e lei non sapeva cosa fare alla mattina. Decise di ispezionare accuratamente il castello cercando, magari, un luogo decente.
Dopo tutte le stanze, i sotterranei, le cucine dove rubò un pasticcino per poi restituirlo immediatamente con mille scuse, arrivò in una torre abbastanza vecchia e in perfetto stile rococò. Non l’aveva mai notata, probabilmente troppo disgustata dal resto del palazzo.
Salì le scale a chiocciola perfettamente lucidate e arrivò davanti ad una porta intagliata con mille fregi dorati. L’aprì incuriosita e si trovò in una piccola stanza circolare, dove una vecchietta stava filando la lana.
La guardò sorpresa: non aveva la più pallida idea di cosa fosse l’affare di legno che stava usando. Le era famigliare, ma i ricordi faticavano a farsi chiari. Troppo fumo.
‹‹ Mi scusi, cos’è questo grazioso oggetto che gira e che frulla? ››
‹‹ Un fuso, piccina. ›› le rispose la vecchietta sorridendole.
Finalmente ebbe l’illuminazione: ero uno di quegli oggetti che suo padre aveva bruciato.
‹‹ Mi scusi, ma lei fa parte del club dell’ “Antica Arte del Filatoio”? ››
‹‹ No, perché? ››
Un’ idea geniale le balenò in mente: e se avesse riparato al danno di suo padre portando uno di quegli oggetti ai fanatici del filatoio?
‹‹ Posso chiederle un favore? ››
‹‹ Certamente. ›› rispose la vecchietta, sistemandosi gli occhiali.
La principessa spiegò tutta la storia all’ anziana signora, in un modo così elegante e gentile che avrebbe fatto invidia a qualsiasi ambasciatore.
‹‹ Oh mia cara, se è per questo, te lo do subito! ››
La principessa sorrise e, dopo aver ringraziato la vecchietta, si avvicinò al filatoio. Cercò di sollevarlo ma, nel tentativo, si punse con il fuso.
L’incantesimo ebbe subito effetto e la fanciulla cadde a terra addormentata con tale eleganza da far invidia a qualsiasi diva del cinema.
L’effetto narcotico si sparse in tutto il castello, rendendolo un enorme dormitorio. Molti, al risveglio, avrebbero provato un terribile dolore alla testa, date le cadute frontali. Altri, come uno dei panettieri, avrebbero dovuto passare cento anni con la faccia dentro a qualcosa o, come una delle cameriere, in una posizione da scogliosi acuta. Purtroppo non era colpa sua se aveva deciso di riordinare l’armadio reale proprio in quell’istante e, soprattutto, non era colpa sua se aveva deciso di aprire uno dei cassetti posti alla fine del mobile.
Persino il re e la regina, come le amiche della principessa, non appena varcarono la soglia della cinta muraria, caddero addormentati.
Poco dopo, un’incredibile foresta di rovi crebbe attorno al castello rendendolo inaccessibile a chiunque.

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Capitolo 5
*** Rosaspina (Parte IV) ***


Esistono vari tipi di coraggio. C’è chi lo sperimenta in continuazione con prove estreme o chi lo utilizza solo quando serve. Altri scoprono di averlo solo in situazioni al limite della sopravvivenza e certi lo usano in imprese suicide.
Possiamo dire che chi appartiene all’ultima categoria abbia cercato di passare attraverso la marea di rovi che circondava il castello. Certo, l’idea di superare un ostacolo quasi titanico per salvare una principessa attirava molti... peccato che dei molti nessuno riuscì a superare quel groviglio di spine. Vi misero persino un cartello all’inizio:” Non tentare di passare, morte sicura”, ma questo stimolò i giovani a provare l’impresa.
In realtà uno ci riuscì ma, quando si accorse che i rovi avevano rovinato la sua perfetta acconciatura e il suo bel viso, decise di buttarsi giù dalla rupe dove sorgeva il castello. Meglio la morte che presentarsi in quelle condizioni, soprattutto davanti ad una principessa bellissima.
Eh già, come spesso accade, devono sempre nascere delle leggende attorno ad un evento misterioso.
Certi dicevano che la principessa fosse la ceratura più bella del mondo, altri che il castello ed il paese erano circondato da tutte quelle spine perché al suo interno era dilagata una pestilenza, altri ancora che quella fosse una base segreta dove facevano esperimenti sugli alieni. Quest’ultima, però, la sostenevano solo i più fanatici.
Tuttavia i cent’anni passarono senza che nessuno riuscisse a giungere all’interno del castello.
Un giorno, però, arrivò un giovane con la sua aereo-moto. Era da un bel po’che meditava di tentare l’impresa e alla fine si era deciso. I suoi amici avevano cercato di dissuaderlo, ma lui era stato irremovibile. Nemmeno le lacrime di sua madre l’avevano piegato.
Scese dal veicolo e si avvicinò ai rovi.
‹‹ Cosa volete fare giovanotto? ›› domandò una voce.
Lui si girò e vide che c’era un vecchietto con una bancarella fluttuante. Il fatto che vendeva souvenir del castello maledetto e magliette che riproducevano la scritta del cartello di avviso lo irritò, ma decise che era inutile arrabbiarsi.
‹‹ Voglio raggiungere la bella Rosaspina. ›› disse solennemente.
Il vecchietto batté le ciglia, perplesso.
‹‹ Mi scusi, ma lei che vende tutte queste cianfrusaglie non sa... ››
L’uomo batté di nuovo le ciglia.
‹‹ Ho capito, ho capito...››, concluse, agitando una mano, ‹‹ Rosaspina è il nome che le persone hanno dato alla principessa del castello. ››
Il vecchietto annuì, comprendendo le sue intenzioni.
‹‹ Io non tenterei l’impresa. ››
‹‹ Perché molti sono già morti? ››
‹‹ Esatto. E siccome lo sai, mi chiedo cosa stai facendo qua. ››
Il giovane estrasse la sua spada laser e la mostrò all’uomo.
‹‹ Nuove armi, maggiore possibilità di vincere.››
‹‹ Fai come credi. Io non piangerò sulla tua tomba. ››
Non gli badò e decise di proseguire. Non appena giunse davanti ai rovi trasse un grande respiro e alzò la sua arma. La abbassò ma, nel momento in cui doveva toccare gli arbusti, questi sparirono in una nuvola rosa.
Si guardò attorno perplesso, per poi fissare la spada laser, il prato davanti a sè, la spada laser e nuovamente il prato. Non era convinto che quell’arma fosse così potente: come poteva far sparire in un solo secondo una mare di rovi?
Scosse la testa e decise di proseguire: aveva la strada spianata, come poteva desiderare altro?
Risalì sulla sua aereo-moto e si diresse verso il castello, sotto gli occhi increduli del vecchietto. Smontò vicino alla cinta muraria ed entrò con cautela. Normalmente non credeva alle dicerie, ma se si parlava di pestilenza era sempre meglio stare attenti.
Sorpassò due individui sdraiati a terra e con delle corone in testa. Erano vestiti in modo alquanto strano ma, dopo che vide gli abiti sgargianti di un gruppo di ragazze poco lontano, decise che i loro erano alquanto normali.
All’inizio non capì il perché  tutti avevano delle vesti così retrò ma, quando si ricordò che l’incantesimo durava da circa cento anni, ebbe la risposta che cercava.
Proseguì ed entrò nella reggia. Dopo un paio di metri storse il naso: l’arredamento era un’accozzaglia di mobili pre-moderni e kitsch, per non parlare delle pareti.
Se questo era il gusto di un tempo, sono felice di essere nato in questa epoca. Pensò, continuando a camminare lungo il corridoio. Fu felice, però, di notare che le persone non sembravano affette da qualche strana malattia, se non solo da un sonno alquanto pesante.
Ora doveva trovare la principessa. Si avvicinò ad una donna che sembrava sul punto di svegliarsi e le chiese: ‹‹ Sa per caso dove si trova la principessa? ››
Questa sbadigliò e si stiracchiò.
‹‹ L’ho vista girare per il palazzo. Credo sia andata in quella direzione. ›› rispose, indicando una via laterale.
‹‹ Grazie mille. ››
‹‹ Di niente. ›› gli disse, mentre l’altro si allontanava.
La donna si stropicciò gli occhi, per poi accorgersi di non aver mai visto quel giovane con quella tuta aderente e nera. Si voltò , sperando di rivederlo, ma era sparito. Forse stavo ancora sognando.
 
Era stufo di girare per il castello a vuoto. Ogni persona che interrogava aveva solo informazioni vaghe su dove fosse la principessa.  Inoltre non riusciva più a sopportare il pessimo gusto dell’arredamento. 
Stava per abbandonare l’impresa quando notò delle scale che non aveva visto prima. Decise di salirle e fu sorpreso di trovare, in cima, una porta socchiusa. La spinse e vide a terra una fanciulla bellissima. Forse le voci riguardo la principessa erano vere o forse no, ma se quella era anche solo una semplice serva si accontentava. Non aveva mai visto una creatura più splendida e, soprattutto, senza alcun rintocco. Ancora non capiva perché certe ragazze si ricostruivano da cima a fondo, per poi sembrare dei cloni.
Si avvicinò con cautela e restò ad ammirarla per un po’. Era tentato di farle una foto e di mandarla ai suoi amici ma poi pensò che non era molto decoroso.
Si chinò per baciarla ma, proprio in quel preciso istante lei sbarrò gli occhi. Non appena lo vide urlò, terrorizzata.
‹‹ No, calma, calma... non è come sembra... ››
Quella, però, nella frazione di un secondo scattò in piedi e si rintanò lungo il muro.
‹‹ Chi sei? Cosa ci fai qua? Perché sei vestito in quel modo? ››
Il giovane perse un bel respiro e spiegò tutta la storia dell’incantesimo, dei pazzi che avevano tentato l’impresa e di come lui era là.
‹‹ Quindi hai spezzato l’incantesimo con la tua spada? ››
‹‹ Io non ne sono sicuro, anzi penso che... ››
‹‹ Allora sei il nostro salvatore! ›› urlò la principessa, per poi scattare verso di lui e abbracciarlo.
In quel preciso istante capì che, se figurava come un salvatore, poteva ottenere una certa ricompensa dal re.
‹‹ Sì, hai ragione. La tecnologia può fare miracoli. ››
‹‹ Oh, ti devo assolutamente presentare ai miei genitori! ›› gli disse, trascinandolo per la scale.
‹‹ I tuoi genitori? ››
‹‹ Sì, gli strani tizi con le corone che hai incontrato all’entrata. E non posso sicuramente fare un’eccezione per le mie amiche! ››
Si morse le labbra per quel commento.

‹‹ Scusa non volevo... ››
‹‹ Tranquillo. Sono passati cento anni: la moda sarà cambiata! ››
E fortunatamente in meglio. Pensò, dando un’altra occhiata a quell’orribile palazzo.
Alla fina trovarono i sovrani nelle cucine, davanti a due enormi tazze di caffè. Rosaspina iniziò a raccontare tutta la storia, mentre i suoi genitori annuivano più o meno consci di ciò che stava accadendo.
La discussione su cosa fare e che ricompensa dare al salvatore proseguì a lungo e fu chiamato in causa anche il consiglio reale, anche se non del tutto sveglio.
Così alla fine, tra una moka di caffè e l’altra, si decise di dare in sposa la principessa al suo salvatore.
Lui ne fu molto felice mentre lei, anche se non lo fosse stata, non avrebbe mai potuto dirlo. I doni delle fate le impedivano di dire qualsiasi cosa potesse ferire una persona.
 
‹‹ Nonostante non approvi la vostra versione, devo ammettere che avete seguito tutti gli eventi dell’originale. ›› disse, ancora incredulo che i suoi nipoti conoscessero così bene le fiaba. Altrimenti non avrebbero potuto creare quella parodia assurda.
Lucia e Michele si batterono il cinque, felici di non aver sbagliato nulla.
‹‹ Ora Francesca deve dare il suo giudizio. ›› annunciò il ragazzo.
La bambina iniziò a meditare, mentre lui sperava ardentemente che avesse un gusto migliore sei fratelli. Forse entrambi erano stati troppo influenzati dalla televisione: solo all’ interno dei suoi programmi si potevano vedere cose simili.
‹‹ Mmm... diciamo che non era male. ›› disse alla fine Francesca.
Sospirò: almeno non l’aveva esaltata.
‹‹ Non mi è piaciuto molto il finale. Volevo che il salvatore baciasse la principessa. ››
‹‹ Mia cara sorellina ››, le sussurrò Michele, cingendole le spalle con un braccio, ‹‹ Secondo te, come reagirebbe una persona se vedesse un perfetto sconosciuto che tenta di baciarla? ››
‹‹ Urlerebbe? ››
‹‹ Troppo gentile. Io gli avrei tirato un sonoro ceffone. ›› commentò Lucia, facendo scoppiare la gomma.
‹‹ Ecco la ciliegina che rovinò completamente la poesia della fiaba. ››
La ragazza sbuffò, seccata da quel commento.
‹‹ Suvvia no’! Ormai nessuno crede alla “poesia delle fiabe” ››
‹‹ Io sì! ›› esclamò Francesca entusiasta.
‹‹ Ma hai otto anni. ››
‹‹ Quindi? ››
Lucia agitò la mano, come se volesse farle capire che era un argomento di scarsa importanza.
‹‹ Quindi, che giudizio diamo a questa fiaba? ›› domandò Michele, cambiando argomento.
‹‹ Che potete fare di meglio? ››
Il sorriso che esibì suo nipote lo fece pentire amaramente di quella risposta.
 
 
Ringraziamenti:
Ringrazio  areon per aver inserito questa storia tra le sue seguite.

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