Merletto di Mezzanotte

di Alexandra_ph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** MAC ***
Capitolo 3: *** Solo per una notte ***
Capitolo 4: *** HARM ***
Capitolo 5: *** I say love it is a flower... ***
Capitolo 6: *** HARM ***
Capitolo 7: *** MAC ***
Capitolo 8: *** Some say love it is a hunger... ***
Capitolo 9: *** HARM ***
Capitolo 10: *** MAC ***
Capitolo 11: *** Just remember in the winter... ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Disclaimers   : Il marchio Jag e tutti i suoi personaggi appartengono alla Bellisarius Production. 

  In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

 

 

Merletto di Mezzanotte

 

 

 

 

Nota dell’autrice:

 

La nostalgia gioca spesso brutti scherzi: “costringe” a rivedere, e a rivedere ancora, puntate su puntate per sopperire alla mancanza del proprio telefilm preferito.

Anche l’immaginazione gioca spesso brutti scherzi: ad ogni replica nuovi scenari si aprono, nuove domande affollano la mente, e tutto ad un tratto ecco che prevale la rabbia nel vedere, per l’ennesima volta, sguardi che si parlano ma parole che non sono pronunciate, cuori che si amano ma menti e corpi che si respingono.

“E se…?”.

Quante volte me lo sono domandato, ogni volta in cui sembra stia per accadere qualcosa e poi quel qualcosa non accade, rimandato ancora, per l’ennesima volta, ad un finale che, personalmente, non mi ha soddisfatto per niente.

E così anche la fantasia comincia a giocare brutti scherzi: alla mente giungono delle immagini e, da queste immagini, ecco che scaturiscono anche delle parole, e con le parole una storia, che non è quella raccontata dal telefilm, ma neppure un’altra.

E’ un “qualcosa” di diverso, ma al tempo stesso una vicenda conosciuta.

E’ un racconto che parte da un inizio “alternativo” (ma chi dice che sia solo fantasia? Chi dice che la trama non avrebbe potuto essere proprio questa?), procede attraverso il tentativo di dare una spiegazione a certe scelte e a tutti quei silenzi che hanno costellato la storia d’amore tra Harm e Mac, ed infine propone un finale, che forse non risulta essere neppure questo ciò che ognuno di noi ha sognato, ma di sicuro piace all’autrice molto di più dell’originale.

 

Quest’anno ho voluto cambiare (del resto dovevo ben far passare il tempo mentre ero chiusa in casa, ammalata, per quasi tre settimane!): non solo un racconto di Natale, ma anche un piccolo “regalo” per il nuovo anno, una storia che sa di “vecchio”, ma anche di “nuovo”.

 

 

 

Il mio personale augurio a tutti voi di un  Buon 2008!

Alexandra

 

                                              

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Capitolo 2
*** MAC ***


Era nervosa e lo sapeva. Troppo nervosa.

Si infilò le calze velate, nere, che avrebbero reso la sua mise ancora più seducente. Fortunatamente ne aveva acquistate due paia: il primo era già riuscita a smagliarlo.

La sottoveste in seta, nera come l’abito che avrebbe indossato, si tendeva sul petto, rivelando l’assenza del reggiseno. Era un azzardo, lo sapeva: con le misure che portava, non avrebbe potuto permettersi di indossare alcunché senza reggiseno, ma quella serata sarebbe stata un azzardo in tutto e per tutto… uno in più non avrebbe fatto la differenza.

O forse l’avrebbe fatta, finalmente.

Si guardò allo specchio e ritoccò leggermente il trucco. Il livido sulla fronte stava scomparendo, ma per quella sera era meglio farlo sparire artificialmente del tutto. Già così era nervosa a sufficienza… sapere di non essere al meglio, l’avrebbe fatta sentire ancora più impacciata e non ne aveva proprio bisogno.

Fortunatamente si era ripresa rapidamente dall’incidente e anche il dolore alle costole era finalmente scomparso; proprio quel mattino il medico che l’aveva visitata le aveva detto, sorridendo, che non sembrava neppure che soltanto una settimana prima aveva quasi visto la morte in faccia.

Forse era stato proprio quello a farle prendere la decisione che la stava rendendo tanto nervosa.

Accertato che si era completamente ristabilita, uscita dall’ospedale si era diretta in centro, nella sua boutique preferita, quella per le occasioni importanti, e si era fatta consigliare dalla commessa per una serata speciale.

Più tardi, in ufficio, vedendola arrivare con due borse dell’elegante negozio, Jennifer le aveva domandato cosa avesse comperato.

“La mia mise sexy per questa sera” aveva risposto, sorridente.

“Una serata speciale?” si era sentita chiedere da Harm, che aveva ascoltato lo scambio di battute tra lei e il sottufficiale.

“Harm, è l’ultimo dell’anno e ho voglia di festeggiare… Nessuna bionda da accompagnare alla festa?” gli aveva domandato, sarcastica.

“Né bionda, né rossa, né… bruna” aveva risposto lui, soffermandosi un attimo in più sulla parola “bruna” e rivolgendole un lungo sguardo mentre la pronunciava.

Lei si era sentita il cuore in gola.

“Ti vedremo arrivare tutto solo, quindi?”

“Già… A quanto pare, invece, tu hai dei programmi con qualcuno…”.

“Già… dei programmi… con qualcuno”.

“Qualcuno che conosco?”.

“Può darsi…”.

“Non mi dirai che hai ripreso a frequentare Webb? Dopo come ti ha mentito, ha avuto il coraggio di rifarsi vivo? E tu…”.

“Harm!”

“Ok, ok… non sono affari miei, come non detto. Divertiti”.

E con quell’augurio sarcastico e secco, s’era voltato e se n’era andato dall’ufficio, senza neanche darle il tempo di aggiungere una parola.

Ma non si sarebbe fatta rovinare la serata dal suo malumore e dalla sua gelosia.

Aveva deciso che quella sarebbe stata una serata memorabile, molto, molto speciale.

Voleva tornare a sorridere, finalmente. A sentirsi felice, viva, come una sola volta in vita sua si era davvero sentita così.

Ne aveva abbastanza di congelare la propria vita, di sbagliare un uomo dopo l’altro, di farsi mille problemi e domande.

Rivoleva ciò che aveva provato una notte, una sola notte di tanti, troppi anni prima.

 

                                              

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Capitolo 3
*** Solo per una notte ***


Capitolo 1

 

 

Solo per una notte

 

 

Il locale, un pub che le aveva consigliato l’albergatore, era molto caratteristico, in tono con la piccola cittadina sulla costa che aveva scelto come meta per trascorrere il week-end. Erano appena le nove di sera e non era ancora affollato, tuttavia vi era già della musica di sottofondo e le luci erano soffuse. L’arredamento, completamente in legno e ottone, ricordava l’interno di una nave da crociera.

Si stava guardando attorno, meditando nel frattempo se ordinare un bicchiere di vodka ghiacciata. Aveva una disperata voglia di un sorso di liquore; avrebbe attenuato l’ansia che si stava lentamente impadronendo di lei. L’idea del nuovo incarico, che l’attendeva a Washington il lunedì successivo, la stava agitando più del dovuto. Inspiegabilmente era come se si sentisse che, in un modo o nell’altro, quel nuovo incarico le avrebbe cambiato la vita.

Certe sensazioni la turbavano… faticava ancora a gestirle, sebbene fosse ormai abituata ad averle ogni tanto e nei momenti più impensati. Questa volta, però, era diverso: non una sensazione di pericolo imminente, semplicemente una sorta di aspettativa, come se a breve tutte le sue sicurezze (quelle poche che faticosamente aveva conquistato negli anni) sarebbero state messe a dura prova da qualcosa.

O da qualcuno.

Era stata cambiata di assegnazione, cosa normalissima nel suo ambiente. Le avevano detto che avrebbe lavorato in un’ottima squadra. E le poche informazioni che era riuscita a recuperare prima di partire, l’avevano rassicurata. La sua esperienza ne avrebbe tratto giovamento e la sua carriera, probabilmente, altrettanto.

Allora perché queste strane sensazioni?

Forse perché, da tempo, si sentiva troppo sola.

Erano mesi che non godeva del contatto con un uomo. Di quella sensazione di intimità fisica ed emotiva che annebbia i sensi e fa vibrare il cuore. Ma non c’era tempo per una storia importante. Non c’era tempo per nulla, da parecchie, troppe settimane.

Neppure per una notte di solo piacere, senza alcun impegno.

Ma cosa andava a pensare? Doveva essere proprio arrivata al limite…

Cercò di superare, con la solita forza di volontà, il desiderio di vodka e ordinò dell’acqua tonica.

Si portò il bicchiere alle labbra, aspirando il profumo della fettina di limone che l’accompagnava… con un po’ di fantasia poteva immaginare che vi fosse il liquore trasparente, grazie al sentore dell’agrume.

Individuò in un angolo un tavolino particolarmente appartato e decise di trasferirsi lì, per abbandonarsi alla musica e ai pensieri.

Si era appena seduta quando nel locale entrò un uomo. Dopo che si fu avvicinato al bancone lo sentì chiedere una birra; poi lo vide sedersi ad uno degli sgabelli, mentre attendeva che gli servissero l’ordinazione.

Poteva osservarlo di spalle e notò immediatamente che aveva un bel fisico. Era molto alto, il torace ampio e i fianchi stretti.

Non appena gli fu servito il boccale di birra alla spina, egli si voltò, appoggiando la schiena al bancone e allungando pigramente davanti a sé le gambe lunghe e muscolose. Portandosi il bicchiere alle labbra sorseggiò il liquido biondo, mentre con gli occhi si guardava attorno. Quando posò lo sguardo su di lei e si accorse che lo stava fissando, smise per un attimo di bere e le rivolse un sorriso.

Lei si sentì improvvisamente mancare il fiato: il sorriso di quell’uomo era incredibilmente sexy e rendeva ancor più affascinante il bel volto maschio che la stava osservando.

Senza distogliere lo sguardo, continuò a fissarlo, portando a sua volta il bicchiere alle labbra. Egli fece altrettanto e per alcuni secondi rimasero a guardarsi.

Il momento magico fu spezzato dall’ingresso di un gruppetto di quattro uomini che ordinarono da bere e poi si diressero ad un tavolo dal lato opposto al suo; osservò anche gli ultimi arrivati, ma nessuno reggeva il confronto con l’avventore alto e bruno, dal sorriso speciale.

Poco dopo entrarono altre persone, qualche uomo e alcune donne… il locale si stava lentamente riempiendo.

L’affascinante sconosciuto era ancora al bancone, ma ora le dava la schiena e poté osservarlo con calma. Indossava una camicia bianca, ampia, dal taglio sportivo, e un paio di jeans sbiaditi. Ai piedi portava scarpe da jogging e una felpa blu era posata in grembo.

Due donne, appena entrate, lo puntarono immediatamente. Gli si affiancarono, cercando di farsi notare; egli rivolse loro un sorriso e scambiò qualche breve battuta, senza tuttavia prestar loro troppa attenzione.

Continuava a guardarsi attorno e, ritornando a posare pigramente lo sguardo su di lei, le fece un breve cenno col bicchiere. Le due donne se ne accorsero e seguirono il suo sguardo, individuandola. Le vide irrigidirsi per un attimo, ma poi ripresero a parlare e a flirtare con lui.

Ad un tratto una delle due, la rossa, lo invitò a ballare: gli aveva preso la mano e faceva cenno col capo alla piccola pista dal lato opposto, dove alcune coppie già danzavano.

Egli, tuttavia, rifiutò. Lo vide scuotere leggermente la testa e dire qualche parola alla donna; lei sembrò delusa, ma poco dopo entrambe si avvicinarono al gruppetto dei quattro uomini che erano entrati dopo di lui, e fu lasciato solo. Per nulla turbato, ordinò una  nuova birra e poi si alzò, dirigendosi dalla sua parte.

Fece solo pochi passi per raggiungerla, tuttavia furono sufficienti perché lei potesse osservare l’eleganza dei suoi movimenti.

Non le chiese il permesso di sedersi. Lo fece e basta. E continuò a guardarla con lo stesso sguardo di fuoco, mentre sorseggiava pigramente la birra ghiacciata. Lei si sentì turbata da quello sguardo, ma continuò ad osservarlo a sua volta, come incatenata da quegli occhi magnetici dei quali ora, che erano più vicini, poteva scorgerne il colore: grigi, con una lieve sfumatura verde. Ma da quanto erano profondi era certa che, in momenti di particolare coinvolgimento emotivo, avrebbero potuto assumere la cupa tonalità del blu della notte.

Si accorse di desiderare di poter assistere ad uno di quegli attimi, per leggere in quegli occhi l’intensità del desiderio… pur non conoscendolo affatto, qualcosa in lui le faceva supporre che potesse essere un uomo animato da forti passioni.

Era davvero bello. E aveva mani grandi, lunghe, dalle dita perfettamente curate.

Ad un tratto lui parlò, e lei poté osservare compiaciuta che anche la sua voce era piacevole, profonda, quasi sexy.

“Vuoi ballare?”

Si rivolse a lei fin dall’inizio come se la conoscesse da tempo.

“Credevo che non ne avessi voglia…” rispose, alludendo al suo rifiuto di poco prima.

“Ho voglia di farlo con te, non con lei” precisò lui, subito pronto.

Esitò un attimo. Ballare con lui… essere tra le sue braccia… avrebbe potuto condurla altrove. Ma in fondo non era ciò che aveva desiderato, quando lui non era ancora entrato nel locale?

Nel frattempo si era alzato e le stava porgendo la mano, per nulla preoccupato dalla sua esitazione. Sembrava fin troppo sicuro di sé. Invece che infastidirla, come sarebbe accaduto con qualunque altro uomo, una volta tanto quella sicurezza le piacque. La trovò intrigante.

Si alzò anche lei e mise la mano nella sua. Il contatto con la sua pelle le procurò un senso di calore in tutto il corpo, piacevole e conturbante. Lo seguì sulla pista e si lasciò prendere tra le braccia, mentre la musica improvvisamente diventava lenta e sensuale.

Lui la strinse forte a sé, forse più di quanto il ritmo stesso richiedeva. Le sue mani grandi, calde, erano fin troppo intime sulla sua schiena, una premuta in centro, tra le sue scapole, l’altra decisamente più in basso, a farla aderire maggiormente ai suoi fianchi.

Lei sollevò lo sguardo, quasi a cercare nei suoi occhi una risposta a quel comportamento un po’ sfacciato… ma in fondo non le importava granché sapere perché la stava stringendo come se volesse farla sua proprio lì, in quel locale. Le piaceva la sensazione che le stava trasmettendo quel suo abbraccio possessivo; in pochi secondi aveva fugato tutte le sue preoccupazioni e le aveva trasmesso una sensualità erotica che mai nessuno, prima di allora, le aveva fatto provare tanto rapidamente.

Permise a quell’emozione di scorrere in lei come liquido caldo e si lasciò andare al suo abbraccio, stringendosi a lui maggiormente, mentre a sua volta gli posava le mani sulle spalle, a sfiorargli delicatamente la pelle alla base della nuca.

Lui la sovrastava di circa quindici centimetri e il suo corpo, che le era sembrato aitante e bello al solo osservarlo, rispondeva perfettamente alle aspettative anche al contatto.

Si lasciò guidare dalla musica e dai movimenti invitanti di quel corpo vigoroso stretto al suo, in una danza sensuale che andava ben oltre la stessa melodia.

 

***

 

Aveva ballato con lei per circa mezz’ora, finché il ritmo non era cambiato, su richiesta degli altri avventori del locale che ad una certa ora esigevano sempre danze più scatenate.

Quando le note di un pezzo rock li avevano costretti ad allontanarsi, lo avevano fatto a fatica: il filo invisibile che li aveva uniti fin dal primo sguardo, durante tutto il tempo in cui avevano danzato l’una nelle braccia dell’altro si era trasformato in un contatto di sensazioni fisiche ed emotive che aveva turbato entrambi.

Lui era parso restio a rinunciare a quel contatto e aveva proposto una passeggiata lungo il piccolo molo; poi, ad un certo punto, le aveva proposto di scendere e camminare lungo la spiaggia.

L’aveva presa per mano, e, da perfetto cavaliere, con l’altra aveva preso le sue scarpe, che si era tolta perché amava sentire la sabbia umida sotto i piedi.

Lentamente si incamminarono verso il piccolo gruppo di scogli oltre ai quali la spiaggia diventava più selvaggia e dove, più in là ancora, vi erano alcuni cottage utilizzati in estate dai villeggianti. In quel periodo dell’anno probabilmente erano ancora chiusi.

La serata si era fatta più fresca mentre qualche goccia sporadica cominciava a farsi sentire; la sola camicia non le bastava più. Non aveva previsto un fuori programma all’aperto; dopo un po’ di musica al pub, aveva pensato che sarebbe rientrata subito in albergo.

Sentiva caldo solo alla mano che lui tratteneva nella propria; quel contatto le bruciava la pelle. Quasi le avesse letto nel pensiero, ad un tratto lui abbandonò la presa e le mise il braccio attorno alle spalle, stringendola impercettibilmente a sé.

“Va meglio?” domandò, piegandosi verso il suo orecchio.

Fu il soffio del suo alito tra i capelli o il calore che sprigionava il suo corpo a farle battere all’improvviso più rapidamente il cuore?

“Ho un po’ freddo…” riuscì solo a rispondere.

“Allora occorre far qualcosa” disse lui, il tono sorridente e allusivo.

E, senza darle il tempo di riflettere su quelle parole, la fermò, trattenendola alla vita con l’altra mano, che rapida si era liberata delle scarpe, lasciandole cadere a terra.

L’avvolse di nuovo tra le braccia, come quando stavano ballando.

Lei non ricordava di aver mai provato una sensazione di così intensa intimità col semplice trovarsi nell’abbraccio di un uomo. Con lui era come se il mondo intero fosse rinchiuso in quell’abbraccio e, al tempo stesso, tutto ciò che non contava venisse lasciato fuori.

Poi, quasi impercettibile, avvertì la sua mano che le scorreva sulla guancia, in una lenta e tenera carezza. Le sue dita si avvicinarono alla bocca e gliela sfiorarono dolcemente, come se stessero toccando i fragili petali di un fiore.

La sua reazione istintiva fu immediata: al suo tocco, schiuse leggermente le labbra; non appena lo fece, lui la baciò.

Quando sentì la sua bocca posarsi su di lei, un intenso calore la invase ovunque. Ogni punto in cui il suo corpo incontrava quello di lui sembrava incendiarsi. E il freddo la stava abbandonando rapidamente, nonostante la pioggia fosse aumentata.

“Vieni con me…” mormorò lui sulle sue labbra, la voce un sussurro roco e appassionato.
”Dove?”.

“Laggiù, in quel cottage…” disse, sollevando lentamente la testa e indicando con lo sguardo.

Lei si sentì cogliere dal panico: dopotutto lo conosceva da meno di tre ore. Ma comprese anche che poteva fidarsi e gli credette, quando lo sentì dire:

“Non accadrà nulla, se non lo vorrai.”.

Gli credette, anche se percepì con l’istinto, poiché il buio le impediva di scorgere il suo viso, che mantener fede a quella promessa gli sarebbe costato parecchio.

La tentazione di scoprire quanta passione era in grado di suscitare in lui, s’impadronì di lei.

“D’accordo”, rispose. Ma comprese immediatamente che quella risposta altro non era che la propria capitolazione: quell’uomo l’aveva sedotta senza neppure tentar nulla per riuscirci. Era stato sufficiente che fosse semplicemente se stesso.

Si accorse che sorrideva dal lieve incresparsi delle labbra, ancora troppo vicine alle sue. Poi sussurrò: “Dammi la mano...”.

Raccolse le scarpe da terra e insieme iniziarono a correre lungo la spiaggia, sulla sabbia ormai bagnata.

 

***

 

Prima di entrare nel cottage lui si fermò sotto il portico e l’abbracciò nuovamente.

“Voglio fare l’amore con te.” Pronunciò queste parole mentre le scostava una ciocca di capelli bagnati dalla guancia, ugualmente bagnata.

Sapeva che sarebbe accaduto; tuttavia sentirglielo dire dalla sua voce profonda la eccitò, se possibile, ancora di più.

“Lo so…”, rispose, semplicemente. Poi si spinse oltre e aggiunse: “Anch’io.”.

Per un attimo pensò che l’avrebbe baciata ancora. Ma lui era diverso dagli altri uomini: si limitò ad assorbire l’informazione, quasi come se stesse valutando i pro e i contro. O come se stesse assaporando ogni singolo moto dell’animo celato dietro a quel consenso, un preludio di emozioni, anticipo del preludio dei sensi.

“Solo per una notte?” domandò infine.

Lei apprezzò la sua sincerità e il suo coraggio: con quella domanda avrebbe potuto giocarsi ogni possibilità di averla.

Decise che valeva la pena accontentarsi, dopotutto.

Un’occasione simile, e per di più con un uomo simile, non le sarebbe capitata un’altra volta e sarebbe stato un vero peccato sprecarla inseguendo sogni romantici e irrealizzabili. Non lo conosceva che da tre ore, eppure avrebbe dato qualunque cosa per avere quell’uomo, o uno come lui, nella propria vita.

Ma quello, appunto, era solamente un sogno.

La realtà era ciò che lui le stava offrendo in quel momento.

“Solo per una notte” rispose convinta.

L’interno del cottage era anonimo eppure, non appena la porta fu chiusa e si trovarono uno di fronte all’altra, completamente fradici, l’atmosfera cambiò all’improvviso e si caricò dell’elettricità che scorreva intensa tra loro.

In silenzio lui accese una lampada, la cui luce pallida rischiarò appena la stanza; poi sparì per pochi attimi e tornò con due asciugamani, uno dei quali lo porse a lei che, come lui, iniziò a frizionarsi i capelli.

Mentre si asciugavano, si accorse che il suo sguardo non l’aveva lasciata nemmeno per un secondo. Era uno sguardo profondo, che la turbava, poiché da solo riusciva a trasmetterle tutto il desiderio che stava bruciando in lui. Gli occhi di quell’uomo erano talmente belli ed espressivi che, ne era certa, avrebbe potuto imparare a leggervi ogni sua emozione, se solo ne avesse avuto l’opportunità. E come aveva immaginato soltanto poche ore prima, il colore dei suoi occhi, accesi di desiderio, aveva assunto l’intensa sfumatura blu della notte.

“Come ti chiami?” domandò lui, ad un tratto, rompendo il silenzio.

Lei scosse la testa.

“Non vuoi dirmelo?”.

“No.”.

“Perché?”

“Preferisco così.”.

Le si avvicinò; prese dalle sue mani la salvietta e la gettò, assieme alla propria, in un angolo, a terra.

“Voglio un nome, uno qualunque. Anche inventato, se preferisci, ma devi essere tu a dirmelo…”.

“Per identificare il mio volto tra le tue numerose conquiste?” volle provocarlo lei.

“No. Lo voglio per avere un nome con cui pensarti, col quale chiamarti mentre faccio l’amore con te… un nome per dirti quanto sei bella…”.

Non riuscì più a ribattere nulla. Quelle parole la spiazzarono.

Rapita dal suo sguardo, mormorò semplicemente: “Sarah…”.

Continuando a guardarla negli occhi, lentamente iniziò a slacciarle i bottoni della camicia e gliela fece scivolare dalle spalle… rimase di fronte a lui in jeans e reggiseno di pizzo blu.

Lo vide deglutire e subito dopo inspirare profondamente, quasi a trattenersi. Oppure per prendere coraggio, prima di toccarla.

Mentre la sua mano sfiorava il punto esatto in cui il pizzo incontrava la pelle, le disse con un sussurro e gli occhi velati dal desiderio:

“Sei bellissima, Sarah…”.

Lei si sentì sciogliere.

Sollevò la mano verso di lui  e incominciò a slacciargli a sua volta la camicia.

“Io mi chiamo…” iniziò a dire lui. Ma lei, rapida, gli posò l’altra mano sulle labbra, impedendogli di continuare.

Scosse la testa mentre lui le baciava dolcemente le dita.

“Non vuoi sapere il mio nome?” chiese lui.

“No.”.

“Sicura?”.

“Sicurissima. Non voglio essere tentata dalla possibilità di rintracciarti… e poi non ne ho bisogno.”.

“Neppure per dirmi quanto sono bello?” la stuzzicò lui, rivolgendole un sorriso stupendo.

Sorrise anche lei, mentre gli faceva scivolare l’indumento a terra, scoprendo due spalle favolose, un torace ampio, braccia forti e il ventre piatto.

Lo divorò con gli occhi e poi glielo disse, in un sussurro:

“Sei bellissimo… TU sei bellissimo.”.

Sorrise di nuovo e lei si rese conto che avrebbe potuto regalare il suo cuore a quel sorriso. Con dita tremanti gli sfiorò dolcemente il volto e lui non riuscì più a trattenersi: la prese tra le braccia  e la sollevò da terra, come se non pesasse nulla; la portò in camera e la depose sul letto. Si liberò delle scarpe e si stese accanto a lei.

Lentamente le tolse il reggiseno, soffermandosi a guardarla, affascinato dal suo petto nudo. Le sue mani si colmarono di lei, della sua parte più morbida.

E lei si sentì sciogliere a quel contatto.

Lui ricercò quella morbidezza anche con le labbra e a lei parve di morire dal piacere.

Ma quando le tolse i jeans e cominciò a toccarla, fu certa che con lui, anche solo per una notte, sarebbe volata in alto, forse fino in paradiso.

 

 

 

 

 

                                              

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Capitolo 4
*** HARM ***


Allacciò l’ultimo bottone della camicia e si accinse ad annodare il cravattino da sera. Quando riuscì ad ottenere un risultato decente, s’infilò la giacca, si osservò allo specchio e, malgrado tutto, sorrise: non era più un giovincello, ma faceva ancora la sua discreta figura in uniforme di gala.

Sarebbe stato perfetto, accanto a lei. Avrebbero fatto, come sempre, una bella coppia. Peccato che lei non sarebbe stata la sua dama, alla festa.

Quel giorno si era deciso ad invitarla; ci aveva pensato più volte dal suo incidente la notte della vigilia di Natale, ma non era certo che lei se la sarebbe sentita di partecipare al cenone dell’ultimo dell’anno organizzato dalla Marina e alla serata danzante che sarebbe seguita, e quindi aveva tergiversato… facendosi così fregare un’altra volta da Webb.

Non era certo che fosse lui il suo cavaliere… ma chi altri poteva esserlo? Mac aveva detto che lo conosceva. E comunque, Webb o non Webb, qualcuno l’aveva preceduto.

Si era arrabbiato, moltissimo, quando aveva saputo che era già impegnata. La gelosia lo aveva sopraffatto, ma non solo: mesi prima le aveva fatto chiaramente capire di desiderarla, di voler iniziare qualcosa con lei.

E lei lo aveva respinto.

Aveva deciso d’aspettare, di attendere che, questa volta, lei fosse pronta.

In fondo, per certi versi glielo doveva.

Non tanto per quella volta in cui, in Australia, era stato lui a dirle di non essere ancora pronto per una relazione, quanto piuttosto per ciò che era accaduto tra loro molto tempo prima.

Il fatto che lei avesse deciso di partecipare alla serata, accettando l’invito di un altro uomo ad accompagnarla, era la prova che non aveva più intenzione di tornare sui suoi passi. E questo lo aveva fatto sentire definitivamente respinto. E tanto amareggiato.

Probabilmente se lo meritava… in fondo aveva tergiversato per anni, sempre con la motivazione di non voler rovinare la loro amicizia, il fatto che erano colleghi, la sua paura ad avere un legame...

Eppure fin dal loro primo incontro, quasi un gioco del destino, lei gli aveva cambiato la vita.

Ricordava come se fosse ieri l’attimo in cui l’aveva vista per la prima volta: una sconosciuta, bellissima, sola in un pub.

La reazione del proprio corpo era stata immediata e neppure ora, dopo anni, sapeva spiegarsene il motivo. Certo, aveva sempre apprezzato una bella donna, e lei indubbiamente lo era. Allora come adesso; anzi, forse adesso ancora più di allora. Tuttavia non era solito lasciarsi coinvolgere tanto, eppure con lei gli era accaduto, fin da subito.

Ricordava ancora di aver pensato, non appena aveva posato gli occhi su di lei, che avrebbe voluto conoscerla, scoprirla lentamente… e non era neppure sicuro che fosse stata solo l’attrazione fisica a confonderlo tanto, a fargli provare quel forte desiderio d’intimità che aveva immediatamente sentito per lei: mai, infatti, aveva provato un desiderio tanto intenso di far l’amore con una donna.

Era innegabile che l’attrazione, tra loro, fosse esplosa immediatamente, fin dalla prima occhiata che si erano rivolti. Tuttavia non si era riconosciuto in ciò che era successo: solitamente preferiva sondare prima il terreno; come un animale cacciatore, valutava attentamente la sua preda. La quale doveva sì attrarlo, ma al tempo stesso doveva riconoscere in lei anche la medesima lunghezza d’onda, che gli faceva desiderare incontri intensi e appassionati, ma senza legami.

Solo divertimento, per entrambi. E comunque più spesso era solito attendere che fosse la donna a palesargli il suo interesse. Lui, al massimo, si spingeva a flirtare con garbo e ironia.

Con quella sconosciuta, invece, tutto era stato diverso fin dal principio. L’aveva desiderata subito, non appena aveva posato gli occhi su di lei.

C’era stato un qualcosa di indefinito e particolare che lo aveva smosso nel profondo. Un desiderio intenso, selvaggio. Che si sarebbe certamente imposto di controllare, se lei non fosse stata una sconosciuta.

Una donna che non avrebbe mai più rivisto.

Troppo pericoloso, altrimenti. Troppo rischioso per la sua libertà. E, forse, addirittura per il suo cuore.

Invece, si era detto, dopo quella notte non l’avrebbe più rivista: sarebbe stata soltanto poche ore di passione; un incontro intenso e sfrenato… un ricordo ardito e sensuale.

Perché negarselo?

Aveva sperimentato da poco, con la morte di Diane, quanto la vita fosse troppo breve, per non godersela.

La sua dolce e cara amica Diane… la rossa tutta riccioli e lentiggini con cui aveva diviso ansie e gioie durante gli anni in Accademia; a parte Sturgis, l’amica più fidata.

L’uccisione di Diane lo aveva scosso profondamente. Le aveva voluto bene, come ad una sorella. Non aveva mai pensato a lei come ad una potenziale conquista, ma l’aveva amata. Li aveva uniti un legame intenso, fatto di affetto e confidenza, come dovrebbe essere tra fratelli.

E in quel momento Diane non c’era più.

Quella sconosciuta era completamente diversa da Diane: più alta, bruna, occhi scuri e profondi, anziché verdi e limpidi come quelli di Diane… Non si assomigliavano in nulla.

Eppure, dentro di sé, aveva sentito che quella donna, se solo non lo avesse attratto tanto e se si fossero conosciuti in altre circostanze, come Diane sarebbe potuta diventare sua amica.

C’era stato un unico problema: lui l’aveva desiderava immediatamente come si desidera una donna.

E, soltanto per una notte, aveva voluto che fosse sua.

 

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Capitolo 5
*** I say love it is a flower... ***


Capitolo 2

 

“…I say love it is a flower,

and you its only seed...” [1]

 

 

 

Fu il profumo della sua pelle a risvegliarlo. Il profumo della sua pelle e i ricordi della notte appena trascorsa. Rimase ad occhi chiusi, ad attendere di riprendere lentamente coscienza, mentre un pigro sorriso gli distendeva le labbra.

Sarah…

Il ricordo di ogni singolo momento in cui l’aveva chiamata per nome gli procurò un piacere intenso: lo aveva pronunciato guardandola negli occhi mentre la spogliava; lo aveva sussurrato al suo orecchio toccandola… lo aveva mormorato col respiro affannato mentre entrava in lei. E ogni volta che lo aveva pronunciato, gli era sembrato che fosse un suono sempre più dolce.

Un suono dolce che, inspiegabilmente, lo turbava.

La pioggia, fuori, cadeva ancora. Più lenta, ma costante. Lo percepiva dal sommesso ticchettio che faceva da sottofondo al silenzio della stanza. Indugiò ancora per qualche istante con gli occhi chiusi, lasciandosi cullare dai pensieri.

Aveva fama di riscuotere un discreto successo con le donne; gli incontri intensi e senza legami, quelli che lui preferiva, non erano un problema.

Kate, ad esempio.

In genere evitava di avere storie con le sue partner, ma Kate Pike era diversa dalle altre, per questo era l’unica eccezione. Era disinibita e spiritosa, pronta come lui a godersi una notte di piacere senza complicazioni. Inoltre era tenera e appassionata, quel tanto che bastava per farlo sentire speciale. Aveva un unico difetto: Kate adorava ancora più di lui di sentirsi libera e non dava mai ad un uomo la sensazione di essere importante, se non tra le lenzuola. Con lei si aveva sempre la sensazione, non appena terminato l’amplesso, di poter essere immediatamente sostituito da un altro uomo, che lei avrebbe amato con lo stesso entusiasmo e trasporto.

Kate era fatta così, prendere o lasciare. E a lui, nonostante tutto, andava bene: nessun impegno, puro e semplice divertimento, quando entrambi ne avevano voglia.

Con Sarah, invece, era stato tutto diverso.

Anche lei, come Kate, era tenera e appassionata; un’amante perfetta, che lo aveva seguito senza indugi né inibizioni nell’intimo viaggio alla ricerca del piacere. Ma a differenza di Kate, con Sarah si era sentito completamente coinvolto, corpo e mente, poiché in lei aveva percepito il medesimo coinvolgimento di sensi ed emozioni.

Tutto questo era pericoloso, lo sapeva. Molto pericoloso.

Tuttavia il piacere, non solo fisico, provato con lei, lo tentava molto e lo stava spingendo su un terreno fragile, rischioso; ma gli era impossibile resistere.

Voleva averla ancora, una sola notte non gli bastava.

Sarebbe rimasto lì fino alla mattina successiva, poi doveva rientrare a Washington. E lei gli aveva detto, proprio poche ore prima, che avrebbe lasciato l’albergo solo l’indomani.

Mentre facevano l’amore, inspiegabilmente si era trovato a dirle che era meravigliosa e che voleva trascorrere dell’altro tempo con lei…

Era sembrata sorpresa: “Avevi detto solo per una notte…”.

“Hai ragione. Allora sarà solo per due notti…” aveva ribattuto pronto lui, cercando di sdrammatizzare ciò che temeva d’averle trasmesso poco prima, facendole quella proposta con più passione di quanta avrebbe mai immaginato lui stesso di sentire nella propria voce.

Lei lo aveva guardato negli occhi, turbata. Poi gli aveva detto, prendendolo in giro e tentando a sua volta di sdrammatizzare:

“Non sei così irresistibile, sai?”.

Eppure aveva colto un’emozione strana nel suo sguardo. Un’emozione pericolosa. Che tuttavia lo intrigava moltissimo.

Pigramente allungò il braccio, alla ricerca del suo corpo morbido, dalla pelle profumata e vellutata. Quel corpo morbido e invitante che aveva amato per tutta la notte e che desiderava ancora.

Incontrò solamente il lenzuolo.

Aprì finalmente gli occhi e si guardò attorno, confuso. Il profumo della sua pelle, che ancora aleggiava nella stanza, era soltanto un ricordo.

Lei se n’era andata.

 

***

 

Fiori. Tutti quei dannati fiori.

L’Ammiraglio gli stava parlando e lui non riusciva a concentrarsi sulle parole del suo superiore. Riusciva solo a pensare a quel dolce profumo di fiori.

La pelle di Sarah profumava allo stesso modo… Ed era liscia e vellutata al tatto, esattamente come lo sarebbero stati i petali delle rose bianche che riempivano quel giardino, se solo li avesse sfiorati. Ne era certo.

Aveva appena ricevuto una medaglia al valore, eppure l’unico ricordo che aveva di quel momento era l’attimo in cui aveva riportato l’attenzione sul presidente Clinton per ringraziarlo. Per tutto il resto del tempo la sua mente era stata invasa unicamente dal ricordo di lei.

Tutta colpa di quei dannati fiori.

L’Ammiraglio Chegwidden gli stava dicendo qualcosa riguardo al fatto che il guardiamarina Roberts avrebbe fatto parte del suo team, su consiglio del tenente Austen.

Qualcuno avrebbe dovuto sostituire Meg… il guardiamarina Roberts, pur volonteroso, era ancora troppo inesperto per diventare suo partner nelle indagini cui era solitamente assegnato. Doveva ancora farsi le ossa. Tuttavia sarebbe stato un valido supporto e avrebbe avuto modo di imparare.

Si stavano avvicinando all’uscita di quel giardino… forse, finalmente, sarebbe stato in grado di concentrarsi meglio. Invece, proprio in quel punto, sembrava quasi che il profumo di quelle dannate rose fosse ancora più intenso.

Era voltato verso Bud; gli aveva appena rivolto un sorriso d’incoraggiamento, per fargli capire che era felice d’averlo in squadra.

All’improvviso una voce gli fece esplodere il cuore nel petto.

Non era possibile…

Si voltò e si sentì mancare: in piedi, sull’attenti, c’era lei, che aveva appena salutato Chegwidden. Indossava l’uniforme verde militare dei Marine ed era bellissima.

Ancora più bella di come la ricordava.

“Capitano di Corvetta Harmon Rabb, Maggiore Sarah Mackenzie.”.

La voce dell’Ammiraglio che faceva le presentazioni gli arrivò lontana, come se giungesse da un altro pianeta: si sentiva come se gli avessero improvvisamente scollegato tutti i circuiti cerebrali. L’unico pensiero che riuscì ad attraversargli la mente fu che lei, poco prima di fare l’amore, non si era inventata un nome per accontentarlo, ma gli aveva rivelato il proprio.

Gli sembrò che fosse impassibile, per nulla turbata dalla scoperta di trovarsi di fronte allo sconosciuto che l’aveva amata per un’intera notte.

“Mac…”. Rivolgendogli un lieve sorriso, tese la mano verso di lui.

Che stava dicendo?

Mac?

Gli si stava presentando come Mac… già, forse l’abbreviativo di Mackenzie.

Un Maggiore dei Marine.

Non l’avrebbe mai detto.

Un Maggiore dei Marine non aveva il diritto di avere una pelle tanto morbida, di essere tanto bella e di profumare di fiori…

Doveva aver fatto qualcosa che non andava, perché improvvisamente si rese conto che tre paia di occhi erano puntati su di lui: quelli dell’Ammiraglio, sorpresi e indagatori; quelli di Bud, incuriositi, e poi i suoi… non riuscì a capire… sembravano… delusi?

Finalmente notò che lei gli aveva porto la mano, a mo’ di saluto, e lui non gliel’aveva neppure stretta.

Imperdonabile.

Ecco perché lo stavano osservando così.

Vide che stava per ritrarla e si affrettò a prendergliela, mormorando:

“Harm.”.

Il contatto tra le loro mani durò solo una frazione di secondo, ma per lui fu un tormento indescrivibile.

Nel frattempo l’Ammiraglio stava domandando, probabilmente sorpreso dal suo insolito comportamento, se già si conoscessero.

“Sissignore…” gli sfuggì dalle labbra.

Certo che si conoscevano. Eccome se si conoscevano!

“Nossignore.”.

No.

Contemporaneamente a lui, lei aveva detto no.

Saggia donna.

In fondo non si conoscevano affatto. Ricordava a memoria il suo corpo, ma non la conosceva. Sapeva come farla gemere tra le sue braccia, ma non sapeva altro di lei.

L’Ammiraglio lo stava guardando, ancora più sorpreso.

Si affrettò a bofonchiare qualcosa, inventandosi un’assurda storia che lei gli ricordava una donna conosciuta all’Accademia. Dopodiché seguì il gruppetto che si stava avviando all’auto. A quanto sembrava Sarah Mackenzie avrebbe preso il posto di Meg Austen come sua partner.

Nella mente gli transitò un solo pensiero: come avrebbe fatto a lavorare con lei?

 

***

 

Era tesa. Diffidente. Guidava concentrata, ma non smetteva un attimo di lanciargli occhiate.

Temeva che l’avrebbe tradita per la faccenda di suo zio oppure…

Oppure cosa?

Oppure stava disperatamente cercando di tenere a bada le sue emozioni, proprio come stava tentando di fare lui?

Dio, com’era bella.

Ogni fibra del suo essere stava fremendo dal desiderio… in quel preciso istante avrebbe voluto fermare l’auto e gettarsi su di lei come un selvaggio.

“Perché mi guardi così?”.

Santo Cielo. Cosa le saltava in mente di fargli una domanda simile proprio in quel momento?

“Perché sei bella… bellissima”.

“Dobbiamo parlare.”.

“Di che cosa?”.

“Di noi due. Di te e di me.”.

“Sarah…”.

“Mac. Io, per te, sono Mac.”.

“Cosa vuoi dire?”.

“Che Sarah non esiste. Non è mai esistita, tra noi.” La sua voce era fredda, determinata.

“E’ questo che vuoi?”.

“Tu che cosa vorresti?”

“Non lo so…”

“Ecco, appunto. Quindi io sono Mac.”.

“Ma…”

“Smettila, Capitano. Dovremo lavorare assieme. Non possiamo farlo se non scordiamo tutto quanto”.

“Tu ci riesci? Riesci a dimenticare?”.

“L’ho già fatto”, disse risoluta.

“Davvero? Tutto quanto?”.

“Tutto quanto”.

“Anche come ti sentivi tra le mie braccia? O come imploravi che ti facessi mia?”

Lo sguardo che gli rivolse lo fece sentire dannatamente sleale… ma non era riuscito a trattenersi. La vide arrossire ed inspirare profondamente.

No, non aveva scordato tutto quanto.

Le rivolse uno dei suoi sorrisi favolosi, sperando… sperando in che cosa?

Aveva ragione lei. Non c’erano possibilità per loro: lui non voleva complicazioni. Non le aveva mai volute, non avrebbe cominciato a volerne ora. Neanche se lei era la donna più sensuale e desiderabile con cui avesse fatto l’amore.

“Il tuo è un sorriso affascinante, Capitano. E di certo ti fa ottenere ciò che vuoi. Ma io non ti conosco e non ho intenzione di giocarmi la carriera per un’unica notte… “.

“Che cosa proponi, allora?”

“Cominciamo come colleghi, e poi chissà? Magari potremmo diventare persino amici.”.

Amici?

Grandioso.

 

***

 

Una pistola puntata alla schiena non era proprio quello che lui intendeva per “AMICI”.

Come aveva fatto a fregarlo così?

Che domanda idiota! Ovvio come c’era riuscita: gli aveva sorriso, lo aveva involontariamente sfiorato, lo aveva guardato…

E lo aveva fatto impazzire, per tutto quel dannato viaggio, facendogli desiderare di baciarla fino a farla implorare di prenderla, esattamente come aveva fatto l’altra notte, ogni volta che l’aveva baciata.

Poi lo aveva incuriosito con pochi sprazzi della propria vita e lui aveva desiderato prenderla di nuovo tra le braccia, ma per confortarla. Quella storia sul suo alcolismo l’aveva turbato.

Quindi l’aveva spiazzato, consegnandolo allo zio come suo prigioniero, dopo che era riuscita ad averlo sotto tiro.

Ed ora aveva di nuovo voglia di lei.

Suo zio, il Colonnello O’Hara, dopo che lo aveva  convinto a costituirsi con un discorso appassionato, promettendogli di difenderlo in tribunale, aveva appena domandato alla nipote dove lo aveva conosciuto.

Prima di rispondere, lei gli aveva rivolto una lunga occhiata. In quello sguardo, lui aveva potuto leggere tutto il suo desiderio. E scoprirlo, lo aveva nuovamente infiammato.

“In un giardino di rose, zio Matt”, aveva risposto alla fine, dolcemente, riferendosi al loro incontro ufficiale; ma in fondo la risposta poteva valere anche per il loro incontro “ufficioso”: la sua pelle profumava di fiori, e per lui era meglio di un giardino.

Il Colonnello si allontanò da loro, per andare a definire gli ultimi dettagli prima di consegnarsi alla giustizia.

Lei fece per seguirlo, ma lui la fermò, prendendola per una mano. Non appena la toccò, si pentì d’averlo fatto. Doveva mantenere le distanze, altrimenti non avrebbe resistito. Era troppo pericolosa…

“Credevo avessimo detto di diventare amici… è puntandomi un’arma alla schiena che avevi in mente di provarci?”.

Lei non rispose.

“Ok, Mac. Passerò sopra a questo insignificante dettaglio. E hai ragione tu: l’unico modo per riuscire a lavorare assieme è cercare di diventare amici… Posso avere il permesso di provarci? E senza trovarmi di nuovo con una pistola puntata contro?”.

Lei non rispose. Sorrise e s’incamminò per raggiungere suo zio.

Per un po’ lui rimase a guardarla allontanarsi.

Indossava un prendisole a fiori, che le accarezzava dolcemente fianchi e gambe, ondeggiando ad ogni suo passo. Aveva un modo così sensuale di muoversi che sembrava stesse danzando...

Quell’immagine gli riportò alla mente il suo corpo stretto al proprio mentre ballavano al pub… e una strofa della canzone, l’ultimo lento prima che la musica cambiasse:

“… I say Love it is a flower, and you its only seed…”

Ricordava d’aver pensato per un attimo che quelle parole potessero adattarsi a lei…

E anche ora, nel ricordarle, quel pensiero insidioso tentava di farsi nuovamente strada nella sua mente: l’amore è un fiore… e tu il suo unico seme…

Si impose di scacciare quell’idea al più presto, rapidamente, così come era venuta. Già lavorare con lei sarebbe stato un tormento, ma non aveva alternative… altri pensieri su di lei erano fuori discussione.

Aveva deciso: niente complicazioni.



[1]

 I versi che fanno da titolo o sottotitolo ai capitoli sono tratti dal testo della canzone ‘THE ROSE’, cantata da  Betty Midler. 

Un GRAZIE a DESI per avermela fatta scoprire attraverso il suo video.

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Capitolo 6
*** HARM ***


 

(… It's the heart, afraid of breaking,

that never learns  to dance…)

 

 

 

Era iniziato tutto così.

Un incontro per caso, quasi un appuntamento voluto dal destino. Una notte di passione tra due sconosciuti, per poi scoprire che sconosciuti non lo sarebbero rimasti a lungo. L’imbarazzo di dover lavorare assieme, fingendo che nulla ci fosse stato fra loro, e la decisione di essere solamente amici, di evitare qualunque complicazione.

Erano anni, ormai, che viveva in quell’assurda contraddizione… e non era più sicuro di riuscire a farcela ancora.

Anni e anni a lavorare al suo fianco, ad essere solamente amici nonostante ciò che li aveva attratti e uniti quella lontana notte; ad osservare se stesso e lei con i rispettivi partner del momento, consapevole di avere accanto sempre la donna sbagliata e al tempo stesso provare gelosia per chi, nello stesso istante, poteva baciare, toccare ed amare le labbra, il corpo e il cuore di colei che desiderava davvero. E, come una musica in sottofondo, quella tensione tra loro sempre presente; quel desiderio faticosamente trattenuto, che aveva portato sì ad un’amicizia e ad una complicità senza eguali, ma anche ad un rapporto spesso teso, pieno di silenzi e di parole non dette.

Era pronto, ma esitava ad uscire di casa. Non aveva più voglia di partecipare alla festa. Non senza di lei.

Mac sarebbe stata accompagnata da un altro uomo e lui non sarebbe riuscito a sopportarlo, ne era convinto. In ufficio l’aveva vista radiosa; sarebbe stata certamente bellissima… gli era già successo di non riuscire a trattenersi…

L’immagine di un molo, in una mattinata umida di nebbia, gli ritornò alla mente: Holbart aveva appena trovato la morte, restando schiacciato tra lo scafo della nave e la banchina; aveva tentato la fuga quando aveva sentito la voce di Mac che gridava il suo nome per fermarlo, perché stava tenendo sotto tiro l’assassino di Diane, e lei aveva pensato che stesse per ucciderlo. O forse Holbart, da lontano, l’aveva confusa con il fantasma di Diane: Mac aveva indossato l’uniforme da guardiamarina di Harriett perché si era bagnata, così gli aveva detto…

Lo avresti ucciso davvero?

La domanda che gli aveva rivolto Mac risuonava ancora nella sua testa, a quasi sette anni di distanza.

Si era sorpreso a quella domanda. Lo avrebbe ucciso? Forse. Ma non ne era certo. Voleva vendetta, ma gli sarebbe bastato che confessasse e Holbart aveva iniziato a farlo. La sua fuga era stata un’ulteriore conferma.

Non lo sapremo mai…” ricordava d’aver risposto, con un sussurro, continuando a fissarla.

Non riusciva a staccare gli occhi da lei… era così bella…

Aveva i capelli ancora umidi, come quella notte di due anni prima nel cottage sulla spiaggia… e lui la desiderava sempre, forse ancora più di quella notte.

Fino a quel momento era sempre riuscito a trattenersi, a reprimere il desiderio intenso che provava per lei… ma lì, in quel preciso istante era stato così difficile… troppe emozioni da tenere sotto controllo.

E lei era così bella… non riusciva a smettere di guardarla.

Ricordò che nella sua mente erano transitati un ricordo dopo l’altro… le sue labbra piene e così invitanti… il suo corpo premuto contro il proprio… il profumo intenso della sua pelle…

Lentamente aveva piegato il capo, avvicinandosi alla sua bocca. Era rimasto sorpreso che lei non avesse neanche provato a spostarsi… Senza neppure toccarla, senza neanche abbracciarla, l’aveva baciata… Ancora ora ricordava d’aver pensato che se l’avesse stretta tra le braccia non sarebbe stato più in grado di lasciarla andare.

Si era appropriato delle sue labbra, dolci e arrendevoli per lui. Com’erano sempre state. Anche allora…

L’aveva baciata lentamente e, altrettanto lentamente, si era staccato da lei con fatica. Era rimasto a guardarla negli occhi, per leggervi le sue emozioni.

Ma ciò che Mac gli aveva detto dopo quel bacio, lo aveva sconcertato.

“Lo so, stavi baciando lei…”.

Lei?

Lei chi? Diane? Si era reso conto che lei aveva pensato che stesse immaginando di baciare Diane…

Ma come le era venuto in mente un pensiero simile?

“L’amavi tanto?”

“Ho capito quanto l’amavo soltanto quando è morta…”.

All’improvviso aveva ricordato ciò che gli aveva domandato ore prima, e la risposta che le aveva dato. Lui si stava riferendo all’amore fraterno che aveva provato per la sua amica assassinata; Mac doveva aver capito tutt’altro.

Per un secondo aveva avuto l’impulso di dirle la verità: no, non stavo baciando lei. Stavo baciando te. Desideravo farlo di nuovo da tanto, troppo tempo…

Invece l’aveva guardata ancora per un attimo, ma non aveva detto nulla. Si era voltato e si era incamminato verso l’auto.

Erano soltanto amici… A cosa sarebbe servito dirle che era proprio lei che stava baciando?

 

 

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Capitolo 7
*** MAC ***


(…It's the dream, afraid of waking,

that never takes a chance…)

 

 

Si infilò l’abito, uno splendido modello da sera in pizzo nero, lungo sul dietro ma che scopriva le gambe accorciandosi sul davanti in un drappeggio stile danzatrice di flamenco; era un abito che la fasciava come una seconda pelle e la faceva sentire misteriosa ed affascinante. Ne aveva bisogno, per affrontare quella serata.

Con lui ne avrebbe sempre avuto bisogno.

Ricordava ancora, come se fossero trascorse solo poche settimane e non anni, ciò che aveva pensato la prima volta che era stata in casa sua, poche ore dopo il loro incontro “ufficiale”: il suo appartamento era intrigante esattamente come lui. La dannazione, per una donna, ma assolutamente affascinante. Stava aspettando che si cambiasse e intanto si guardava attorno: Capitano di Corvetta Harmon Rabb, pilota di Marina recentemente decorato e avvocato del Jag.

Cervello e istinto. Coraggio e determinazione. Tutto in un solo uomo.

Quel fatidico giorno di nove anni prima era arrivata in anticipo all’appuntamento con l’Ammiraglio: aveva scoperto che il suo nuovo partner avrebbe ricevuto, proprio in quella giornata, una medaglia al valore e non aveva resistito alla curiosità. Voleva osservare da lontano l’uomo con cui avrebbe dovuto lavorare, per essere in vantaggio al momento della presentazione.

Non immaginava di averne realmente bisogno.

Per un attimo, quando aveva visto la sua espressione stupita mentre l’Ammiraglio li presentava, aveva provato pena e un misto di tenerezza per lui. Lei stessa si sarebbe sentita altrettanto sconvolta nel ritrovarselo davanti, senza sapere nulla.

A dire il vero, non appena lo aveva scorto accanto al presidente e aveva capito che lo sconosciuto che l’aveva amata come nessun altro e il suo nuovo collega erano la stessa persona, per un attimo si era sentita morire.

Era così bello nell’uniforme blu della Marina… Il cuore aveva preso a batterle furioso nel petto e tutti i ricordi della loro notte assieme erano tornati prepotenti alla memoria. Per due giorni, due lunghi e interminabili giorni, aveva continuato a domandarsi se aveva fatto bene o male ad andarsene, soprattutto dopo che lui le aveva fatto quella proposta sconvolgente. Una proposta che non aveva potuto accettare per un semplice motivo: se fosse rimasta con lui per un giorno intero e un’altra notte ancora, ne sarebbe uscita col cuore spezzato.

Harmon Rabb era più maschio di tutti gli uomini che aveva conosciuto, ma al tempo stesso era dolce e appassionato. Una combinazione deleteria per qualunque donna.

Bellezza e sensualità… tenerezza e passione. Tutto in un solo uomo.

E quell’uomo sarebbe diventato il suo partner nel lavoro.

Mentre lo aspettava, un movimento alle sue spalle l’aveva fatta voltare e, non appena lo aveva visto, aveva immediatamente rimpianto di non essere ancora in quel letto, dove lo aveva lasciato addormentato, il corpo meraviglioso appena coperto dal lenzuolo: si era tolto la divisa blu ed era in t-shirt bianca, pantaloni cachi e a piedi scalzi. Lei aveva sempre avuto un debole per un uomo in pantaloni lunghi e a piedi nudi… non aveva mai saputo spiegarsene il perché. Stava avvolgendo con uno straccio bagnato una scatola di sigari, e le sorrideva pericolosamente, mentre le spiegava che erano cubani. Non le importava un accidente dei sigari, ma non aveva potuto fare a meno di immaginarselo con uno tra le labbra. Tra quelle labbra sensuali e morbide che l’avevano esplorata ovunque.

Ricordava d’aver pensato a come avrebbe fatto a tenere a bada quel turbinio di emozioni ogni giorno.

Come avrebbero fatto a lavorare come semplici colleghi, senza desiderare in continuazione di essere tra le sue braccia o in un letto con lui? Eppure doveva riuscirci, perché quell’incarico era troppo importante per la sua carriera e quella missione in particolare lo era per altri motivi, più personali. Si era detta che doveva smettere di distrarsi con pensieri che la stavano turbando troppo e pensare piuttosto a come fare per seminarlo, affinché non la seguisse mentre tentava di raggiungere suo zio per convincerlo a restituire la Dichiarazione d’Indipendenza prima di essere catturato, e al tempo stesso senza che la propria carriera ne uscisse compromessa.

Invece non era riuscita ad ingannarlo e lui l’aveva seguita… In quella che in seguito si rivelò essere la loro prima missione insieme aveva capito alcune cose: in primo luogo che il suo nuovo collega era spericolato ed irresistibilmente pazzo! In una situazione così assurda e pericolosa come essersi appeso ad un elicottero, lui riusciva persino a scherzare chiedendole il permesso di salire a bordo… e lei si era resa conto di apprezzare anche quel lato del suo carattere, oltre ad altri che aveva scoperto in quei giorni.

Avrebbe mai trovato qualcosa in lui che non le sarebbe piaciuto? Forse, col tempo. Ma era certa che avrebbe amato anche i suoi difetti.

E, purtroppo per lei, così era stato.

Si era innamorata di Harm fin dall’inizio, fin da quella lontana notte in cui aveva fatto l’amore con un affascinante sconosciuto e benché avesse deciso di essere per lui semplicemente una collega, non aveva potuto impedirsi di amarlo.

Non era cambiato nulla nei suoi sentimenti, neppure quando aveva saputo che lui attendeva da due anni di trovare ed uccidere l’assassino della donna che, come lui stesso le aveva detto, aveva amato.

“L’amavi tanto?”

“Ho capito quanto l’amavo soltanto quando è morta. Succede sempre così, non credi?”

Quando lui glielo aveva confermato, si era sentita come se qualcuno le avesse stretto lo stomaco in un nodo impossibile da sciogliere.

“Stavi cercando un assassino da due anni e non mi hai mai detto niente?”.

Aveva fatto due rapidi conti e si era accorta che, quando lo aveva conosciuto per la prima volta in quel pub… quando ancora non sapeva chi fosse e, nonostante tutto, aveva trascorso con lui la notte più appassionata della sua vita, lui aveva sepolto da pochi giorni la donna che amava.

Quella consapevolezza per poco non l’aveva distrutta. Cos’era stata, per lui, durante tutta quella notte? Solo un corpo caldo per scacciare il dolore e la nostalgia? Mentre faceva l’amore con lei era a Diane che stava pensando? Era per quel motivo che aveva voluto un nome con cui chiamarla? Per non confonderla con lei?

Erano domande che sarebbero rimaste per sempre senza risposta.

Si aggiustò il vestito e si guardò allo specchio, immaginando di vedersi con gli occhi di Harm: cosa avrebbe visto? Una donna disperata? O, più semplicemente, una donna innamorata?

Avevano continuato a recitare la storiella dei colleghi-amici per altri anni.

La prima a cedere era stata lei; in Australia, quando temeva la dichiarazione di un uomo mentre voleva l’amore e la passione di un altro. Forse era stato proprio quello a spingerla a fargli quell’accenno di proposta. Da tempo non reggeva più la tensione sessuale presente ad ogni incontro, in aula e fuori dai tribunali, in ufficio o nei momenti liberi. Credeva fosse giunto il momento anche per lui. Credeva d’aver colto gelosia nel suo sguardo, quando la vedeva con Mic. Aveva sperato che quei segnali stessero ad indicare che lui era pronto ad accettare e a vivere ciò che era esistito tra loro fin dal primo sguardo.

Si era sbagliata.

Lui non era ancora pronto. O non voleva ancora esserlo. Ma si trattava di una differenza sottile, che a lei non cambiava nulla. C’era un altro uomo che la desiderava, che la voleva con tutto se stesso.

E lei avrebbe detto sì a quell’uomo.

 

 

 

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Capitolo 8
*** Some say love it is a hunger... ***


 

Capitolo 3

 

“… Some say love it is a hunger,

an endless aching need…”

 

 

 

 

Il cottage dell’Ammiraglio Chegwidden era illuminato a giorno e dall’interno della casa proveniva un vociare allegro, accompagnato da un sottofondo musicale soft adatto all’occasione.

La festa era in pieno svolgimento.

L’aria della sera si stava rinfrescando, eppure nessuno dei due sembrava accorgersene, presi com’erano dalla conversazione.

“Aveva ragione”.

“Dicendo che ero colpevole?”.

Harm esitò un attimo. Sapeva che ciò che stava per dirle avrebbe suscitato altre domande alle quali non era certo di voler rispondere. Tuttavia non riuscì ad evitare di dire quello che faticava ad ammettere anche con se stesso e di cui, soprattutto, si era reso conto solo da poco, in quell’ultima mezz’ora trascorsa a parlare con lei, rivangando numerosi momenti degli anni trascorsi insieme come amici e colleghi.

Alla fine, nonostante tutto, amici lo erano diventati davvero.

“Dicendo… che qualcuno era innamorato di te”.

La osservò trattenere per un attimo il respiro, come se le sue parole avessero, per un interminabile momento sospeso nel tempo, bloccato le sue funzioni vitali.

Forse era giunta l’ora di rientrare, approfittando del momentaneo silenzio di Mac.

“Scusa, che hai detto?”

La voce di lei lo bloccò mentre aveva già la mano sulla maniglia della porta d’ingresso.

Rassegnato si voltò ad affrontare  l’incendio che le sue stesse parole avevano provveduto ad alimentare.

“Che Brumby aveva ragione…”

“Sul fatto che qualcuno era innamorato di me?”

“Già…”

“Ma… qualcuno chi?”

Non rispose. Non poteva risponderle che quel qualcuno era lui. Sarah si stava per sposare e quella era la sua festa di fidanzamento. Non poteva sconvolgerle così la vita.

 “Qualcuno chi?” insistette lei.

Si voltò a guardarla, rimpiangendo la propria stupidità. Avrebbe voluto baciarla… voleva di nuovo poterla avere tra le braccia, come in quella lontana notte che oramai apparteneva solo ai ricordi… ma era troppo tardi. Sarebbe rimasto soltanto un suo sogno.

“Quando mi guardi in quel modo cosa vedi?”.

La voce di Mac era un sussurro e anche lei sembrava guardarlo con lo stesso rimpianto negli occhi.

“Una donna molto desiderabile…” gli sfuggì dalle labbra.

“E io vedo un uomo che non vuole mai perdere il controllo.”.

“Ho imparato che chi perde il controllo muore…”

“Non stai pilotando un caccia, ora. Non puoi vivere sempre così… lasciati andare, o ti distruggerai…”

Lasciarsi andare… Come poteva farlo, ormai?

“Hai un’aria triste…”

“Non ho bisogno di compassione”

“Vivresti meglio se ti rilassassi, ogni tanto”

“Tu, invece, ti rilassi troppo facilmente”

“Non stiamo parlando di me…”

“E io ho voglia di parlarne… appena qualcuno ti fa gli occhi dolci tu cedi”

“Che fai? Provi a cambiare argomento? Guarda che conosco la tattica, faccio il tuo mestiere…”

“Non sto usando nessuna tattica, Mac… Ero presente quando Brumby ti ha chiesto il primo appuntamento. Te lo ricordi?”

Aveva odiato quel momento. Aveva odiato quell’uomo. E lo odiava tuttora, soprattutto quando la immaginava tra le sue braccia.

“Si è fatto avanti. Sapeva cosa voleva…”

“… e l’ha ottenuta”

“Già… comunque è riuscito a scusarsi in una maniera deliziosa. Il tuo problema è che riesci a rendere complicate anche le cose più semplici”

“E tu, invece, rendi troppo semplici le cose complicate”.

Lo sapeva: si stava arrampicando sui vetri. Ma con lei era sempre stato come essere nel mezzo di un ciclone… le emozioni che provava, e che aveva sempre provato, fin dalla prima volta, lo rendevano una contraddizione unica.

“Tu, che cosa vuoi?”

“Tante cose…”

In realtà era solo una la cosa che voleva: lei. Soltanto lei. Lei e tutto il milione di sensazioni che lei sola gli aveva sempre fatto provare.

“Ma quale di più?”

Ecco la risposta più difficile.

“La cosa che voglio di più è… è non doverti perdere”

“Ti assicuro che qualunque cosa accada non mi perderai mai…”

Non era vero: l’aveva già perduta. Per sempre.

La guardò e non riuscì a fare a meno di domandarglielo.

“Perché ti sei messa subito con lui?”

“Mi avevi respinta… che cosa avrei dovuto fare?”

“Aspettare…”

“Aspettare quanto?”

“Il tempo necessario…”

Vide gli occhi di Mac riempirsi di lacrime e non riuscì a trattenere quel gesto che altre volte aveva fatto: con il pollice le sfiorò dolcemente il viso, asciugando una lacrima che le stava scivolando sulla guancia. Lei assecondò la carezza, con un movimento impercettibile del capo.

“Dovremmo tornare dentro…” si costrinse a dirle, benché fosse l’ultima cosa che desiderasse fare. In quel momento ciò che desiderava era prenderla tra le braccia e fuggire con lei, lontano da tutti…

“Lo so…”

Se soltanto lei gli avesse fatto un piccolissimo cenno… un segno qualunque, per fargli capire che lo desiderava ancora.

“Mac, ricordati che ti vorrò sempre bene…”

“Anch’io ti vorrò sempre bene”.

E all’improvviso, inaspettato, quel piccolissimo segno.

La vide avvicinarsi e sfiorargli le labbra con un bacio leggero, appena accennato. Durò un solo istante e poi si ritrasse; ma per lui, a quel punto, fu assolutamente impossibile resistere.

Le impedì di allontanarsi, trattenendola tra le braccia e catturandole le labbra in un bacio disperato. La baciò con tutto l’amore che sentiva per lei, nella mente le parole di una canzone… sempre quella canzone, il brano che avevano ballato una notte di tanti anni prima: “… Some say love, it is a hunger, an endless aching need.Alcuni dicono che l’amore sia una brama, un bisogno doloroso e senza fine…”

Non ricordava neppure il titolo di quel pezzo, ma continuavano a tornargli alla mente, anche a distanza di anni, alcune parole, quasi che quel brano fosse destinato ad essere la colonna sonora della loro “non” storia. Ma era proprio un bisogno doloroso e senza fine quello che provava per lei, mentre la stringeva in un abbraccio appassionato.

Il tempo sembrò restare sospeso in quell’interminabile, e al tempo stesso rapidissimo, attimo in cui le loro labbra furono unite. Finché lei non si ritrasse. Lo guardò, senza dir nulla, negli occhi una muta domanda che non gli avrebbe mai rivolto.

Si scostò da lui, turbata. Lentamente si tolse la sua giacca, che aveva ancora sulle spalle, e gliela diede, mentre sussurrava:

“Stiamo diventando bravi a dirci addio…”

Quando si era allontanata dalle sue braccia, era rimasto immobile, voltandole le spalle, col rimpianto d’averla turbata col proprio comportamento. Ma sentirle dire quelle parole fu come se lei gli avesse sferrato un pugno dritto allo stomaco:  non voleva affatto dirle addio.

“No” disse, all’improvviso.

Rapido si voltò e le bloccò un polso, mentre lei aveva già l’altra mano sulla maniglia della porta, pronta ad entrare.

Sorpresa dal suo brusco scatto tornò a guardarlo, proprio mentre Harm la tirava di nuovo a sé.

“Non voglio dirti addio…” sussurrò lui, cercandole di nuovo le labbra.

Il bacio fu, se possibile, ancora più disperato e, al tempo stesso, più intimo del precedente. Non si limitò a stringerla tra le braccia; le sue mani scivolarono su di lei, lente e possessive, quasi un dolce preliminare che precede il far l’amore. Le sfiorarono il seno e la pelle nuda della schiena, per insinuarsi dolcemente tra i suoi capelli, in una carezza sensuale, che riportò alla mente ad entrambi una lontana notte in cui si erano amati senza riserve.

“Harm…” tentò di fermarlo con un sussurro, o forse era semplicemente un mormorio di desiderio.

La sentì abbandonarsi al suo abbraccio appassionato e si rese conto di volerla di nuovo, allo stesso modo… forse, se possibile, ancora più di allora.

“Vieni via con me…” sussurrò sulle sue labbra, senza lasciarla andare.

“Con te?”domandò lei, il respiro ancora affannato dopo il bacio, “dove?”

Non lo stava respingendo…

“In quel cottage… sulla nostra spiaggia…”

“E’ molto lontano…”

“Guiderò tutta la notte e arriveremo all’alba, per vedere assieme il sorgere del sole… voglio fare l’amore con te sulla sabbia…” 

“Oh, Harm…”

“Ti voglio, Mac…”

“Non posso… lo sai che non posso…”

“Vieni con me…”

“Oh, ti prego… non chiedermi una cosa simile. Non posso… mi sposo fra pochi giorni…” ribadì lei, scostandosi dalle sue braccia.

“Ti prego, Mac… vieni via con me…” la supplicò di nuovo lui, senza tuttavia trattenerla. Era un ultimo, disperato tentativo… la sentiva ormai già lontana.

All’improvviso la porta si aprì e Tiner si affacciò sul portico.

“Scusate, l’Ammiraglio ha chiesto di voi…”

Senza staccare gli occhi da lei,  fu lui a rispondere:

“Grazie, Tiner, veniamo subito”

“Oh, si gela qua fuori…”

“Sì, fa piuttosto freddino… rientriamo subito, grazie…”

Lei si mosse e fece per seguire Tiner che nel frattempo era rientrato.

“Mac?”

Non era neppure riuscito a dirle che la voleva per sempre e non soltanto per una notte.

Lei si voltò un attimo verso di lui prima di rientrare, lo sguardo pieno di rimpianto per un qualcosa che ancora desiderava, ma che sapeva non sarebbe mai più potuto essere.

E lui comprese che non c’era più nulla che avrebbe potuto dire o fare per fermarla.

 

***

 

Non era neppure rientrato nel suo appartamento; quando la festa era terminata e l’aveva vista allontanarsi con Brumby, era salito in macchina e, senza nemmeno accompagnare a casa Renèe che avrebbe voluto finire la serata nel suo letto, aveva guidato per tutta la notte, macinando miglia su miglia, finché non era giunto in quel piccolo paesino lungo la costa dove tutto era iniziato.

Era arrivato che era quasi l’alba; aveva posteggiato lungo la strada e si era incamminato lungo la spiaggia, nella direzione del cottage che li aveva ospitati tempo addietro. Un passo dopo l’altro, mentre il sole lentamente sorgeva all’orizzonte.

Non era così che aveva immaginato di tornare in quel luogo; nel suo sogno lei sarebbe dovuta essere con lui.

Giunto davanti alla piccola costruzione, si stese sulla spiaggia, le braccia incrociate sotto la testa e lo sguardo al cielo.

Per tutti quegli anni, da quella notte, si era sforzato di dimenticare quello che c’era stato tra loro, per riuscire a mantenere il loro rapporto sul piano dell’amicizia e poter lavorare assieme a lei; in quel momento, invece, lasciò che ogni ricordo, ogni singola emozione vissuta allora, lo invadesse completamente.

Ricordò ogni cosa: l’attimo in cui i loro sguardi si erano incrociati al pub; la prima sensazione del contatto con la sua pelle, quando l’aveva stretta a sé, in maniera forse fin troppo audace, per ballare. Risentì il suo profumo, una delicata essenza di fiori, la stessa che aveva risentito in quegli anni ogni volta che lei gli si era avvicinata. Rivisse l’emozione del primo bacio, che le aveva dato proprio su quella spiaggia; riassaporò il sapore delle sue labbra, i vecchi ricordi che si mescolavano ai recenti…

E poi le ore di passione vissute tra le sue braccia, il suo corpo caldo premuto contro il proprio, le sensazioni che gli avevano procurato le sue mani sulla pelle; i gemiti, i sospiri, le parole appena sussurrate…

Lei, ora, avrebbe vissuto tutte quelle cose con un altro uomo e  non sarebbe mai stata più sua. Non  l’avrebbe più avuta tra le braccia.

Quella consapevolezza fu come una doccia ghiacciata e gli procurò una violenta stretta alla gola, come se una mano, dall’interno, cercasse di soffocarlo. Il cuore prese a battergli rapido nel petto e sentì gli occhi inumidirsi di lacrime.

Le emozioni lo travolsero, violente.

Si sentiva infinitamente solo. Come se la sua parte migliore se ne fosse andata assieme a lei e all’amore che provava per quella donna che lo aveva conquistato fin dal primo sguardo.

Solo per una notte…” le aveva detto quella volta.

In quel momento avrebbe barattato dieci anni di vita per almeno ancora una sola notte tra le sue braccia. Ma lei, ormai, era di un altro e a lui sarebbe rimasto sempre e solo il rimpianto e quel bisogno doloroso e senza fine.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** HARM ***


 

(…When the night has been too lonely,

and the road has been too long…)

 

 

Era sempre stato così, con lei. Un lento e doloroso bisogno senza fine.

Da quella loro prima notte in cui credeva d’aver amato una sconosciuta, fino a quel momento, poche ore prima, quando l’aveva vista tornare la donna di un tempo, splendida e col sorriso sulle labbra, dopo che Webb, per mesi, le aveva quasi tolto la gioia di vivere.

Perché mai Mac sceglieva sempre uomini simili? Uomini che, in un modo o nell’altro, sapevano distruggerla?

Forse era il suo destino… in fondo lui stesso, per primo, probabilmente secondo lei apparteneva a quella categoria di uomini.

Forse proprio per quello era fuggita.

Dopo il suo incidente in mare, che aveva messo la parola fine al rapporto tra Mac e Brumby, lei era fuggita, da Washington e da lui.

E a quel punto le cose, tra loro, erano cambiate: la tensione aveva prevalso sulla complicità e sull’amicizia e l’unico momento in cui l’aveva sentita ancora veramente vicina era stato quando si erano trovati a pregare per la vita di Bud.

Il resto era stato un continuo alternarsi di sguardi e parole non dette, di momenti di tenerezza e di distacco, di battutine acide ed ermetiche frasi d’amore.

Aveva creduto che lasciare addirittura la Marina per andare a salvarla fosse sufficiente a farle capire quanto tenesse a lei… in Paraguay aveva davvero sperato che potessero finalmente lasciarsi andare ai sentimenti che provavano ed essere felici; invece lei voleva parole… inutili parole che non avrebbero aggiunto nulla al gesto che aveva compiuto per amore suo.

Quelle parole erano rimaste ancora una volta racchiuse tra le sue labbra, permettendo così che un altro uomo le dicesse al posto suo.

A quel punto era fuggito lui.

Per sei mesi se n’era andato via, fisicamente; e poi, anche al suo ritorno, se n’era andato lontano col cuore… che si era riempito di Mattie.

Ma il legame che li univa, in un modo o nell’altro, era indissolubile: ne aveva avuto un’ulteriore conferma quando Mac si era presentata in tribunale per l’affidamento di Mattie. Nonostante tutto quello che era recentemente accaduto tra loro, nonostante il distacco fisico ed emotivo che si era venuto a creare, lei lo aveva sostenuto e lo aveva aiutato ad ottenere l’affidamento della ragazzina alla quale si era legato. E lui non era riuscito a stare lontano da lei quando aveva saputo del suo problema di salute o quando Webb l’aveva ingannata, fingendosi morto.

Era l’ultima sera dell’anno, un anno che voleva dimenticare.

Le aveva fatto capire più volte che desiderava stare con lei… glielo aveva persino detto:

Non voglio più essere un estraneo, per te… voglio far parte della tua vita. Non ti metterò fretta… stiamo a vedere, lasciami scoprire se c’è una possibilità…

Quando l’aveva raggiunta in ospedale, dopo l’incidente in cui Mac, solo una settimana prima, aveva rischiato la vita, le aveva ricordato che per lui non era cambiato nulla… non lo aveva mandato via, gli aveva persino detto che la cosa più bella era che lui fosse lì, accanto a lei.

L’espressione felice che le aveva visto in volto soltanto poche ore prima lo aveva reso furioso. Pensava… aveva sperato di riuscire ad invitarla alla festa… voleva trascorrere quella serata con lei; voleva iniziare l’anno nuovo guardandola negli occhi…

Mac, invece, sarebbe andata alla festa con un altro.

Era innamorato di lei da sempre, da quella prima notte che aveva trascorso tra le sue braccia. Semplicemente lo aveva capito, o meglio lo aveva ammesso con se stesso, troppo tardi. E la sua vita si era complicata all’inverosimile.

Aveva sperato fino all’ultimo di essere ancora in tempo per cambiare le cose… ma ormai non c’era più nulla da fare.

Indossò il cappotto e si decise finalmente ad uscire di casa.

 

 

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Capitolo 10
*** MAC ***


 

(… And you think that love is only,

for the lucky and the strong…)

 

 

Controllò un’ultima volta il trucco e ripassò il gloss sulle labbra. Non ne aveva bisogno, in realtà, era solo un modo per calmarsi.

Aveva trascorso le ultime ore troppo immersa nel passato, ad analizzare stati d’animo ed emozioni, frasi e ricordi, dimenticando che ogni frammento di vita proveniente dalla sua memoria era filtrato unicamente attraverso la sua mente, la sua esperienza, i suoi sentimenti.

Com’erano i ricordi di Harm?

Anche lui rammentava un senso di calore nel ricordare le loro mani unite, lo stesso calore che la mano di Harm aveva trasmesso a lei quando aveva preso e stretto la sua, mentre le domandava di dargli una possibilità? O quando, solamente pochi giorni prima, quella stessa mano le aveva regalato conforto e affetto in una stanza d’ospedale?

Ricordava anche lui, nel rammentare d’averla accarezzata, le stesse sensazioni che ricordava d’aver provato lei ogni volta che aveva sentito le sue dita sfiorarle dolcemente il volto, per asciugare le lacrime che stava versando proprio per lui?

E se chiudeva gli occhi e ripensava ai pochi baci che in quegli anni si erano scambiati, rimpiangeva anche lui la dolcezza delle sue labbra, così come lei provava nostalgia per le sue?

Rimpiangeva, al pari di lei, quell’unica notte di amore e si rammaricava di non averne mai avuta almeno un’altra?

Non riusciva a pensare a lui senza riflettere sull’importanza che aveva sempre avuto, per loro due, il contatto fisico, e senza ricordare le sensazioni che, ogni volta, da quel contatto scaturivano; fin dall’inizio erano stati attratti irresistibilmente l’uno dall’altra e quell’attrazione non si era mai esaurita, piuttosto si era trasformata e da puro e semplice desiderio, era divenuta l’espressione più profonda del legame che li avrebbe uniti per sempre.

Quando lui le prendeva la mano, in un gesto quasi timido, ma al tempo stesso forte, rassicurante, riusciva a trasportarla immediatamente in un’altra dimensione, dove tutto appariva più semplice per il solo fatto che Harm era lì, con lei.

Con le parole lo aveva respinto, perché il loro rapporto era diventato troppo complicato; ma nel profondo, quella mano stretta alla sua era stata determinante per comprendere, ed accettare, che non avrebbe mai potuto fare a meno di lui.

Nessun uomo le aveva mai trasmesso la medesima fisicità, neppure durante un amplesso; nessuno era mai riuscito a toccarla così intimamente prendendole semplicemente la mano.  Era come se con quel gesto, così casto e naturale, lui l’avvolgesse nella stretta delle sue braccia, pronto a far l’amore se e quando lei lo avesse voluto, ma capace anche di tenerla soltanto lì, al sicuro, protetta dal resto del mondo.

Aveva un bisogno disperato di sentirsi nuovamente al sicuro… per sempre.

Indossò la lunga e calda mantella in cachemire che accompagnava l’abito, provando un immediato conforto che le rammentò le sue braccia attorno a sé, ma non era la stessa cosa.

Finalmente più tranquilla, recuperò la pochette nera e i guanti, chiuse la porta e raggiunse il taxi che la stava aspettando.

 

 

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Capitolo 11
*** Just remember in the winter... ***


 

Capitolo 4

 

“…Just remember in the winter,

far beneath the bitter snow ,

lies a seed that with the sun's love,

in the spring becomes the rose”

 

 

 

Si sentì sfiorare il braccio e, prima ancora di voltarsi, sapeva che era lei. Il suo profumo era inconfondibile.

Era arrivato alla festa da circa un’ora e fino a quel momento si era sentito come sperduto in un mare di facce che conosceva, ma che non aveva voglia di vedere.

Non aveva fatto altro che pensare a lei.

Mancava poco più di un’ora alla mezzanotte e stava cominciando a temere che non arrivasse neppure, trattenuta dall’uomo che avrebbe dovuto accompagnarla. Come biasimarlo, del resto? Anche lui avrebbe faticato ad uscire di casa, se fosse stato il suo cavaliere. Dopo diverse chiacchierate con se stesso, era giunto alla conclusione che avrebbe preferito vederla accanto ad un altro, piuttosto che non vederla affatto. Per lo meno avrebbe potuto darle un bacio di buon anno, anche se molto fraterno.

“Ciao…”

La sua voce lo fece decidere, finalmente, di voltarsi.

“Mac…”

Quando la vide, la frase che stava per dirle gli morì sulle labbra e nella sua mente transitarono solo tre parole: Merletto di Mezzanotte.

Era il titolo di un film degli anni d’oro di Hollywood. Se non ricordava male si trattava di un film giallo, che aveva visto assieme ad una ragazza dei tempi dell’Accademia, grande appassionata di Doris Day; la trama gli si confondeva in testa (una donna perseguitata? Forse dal marito… lei era una ricca ereditiera, lui la voleva morta…) e soprattutto, in quel momento, gli sfuggiva perché mai s’intitolasse proprio in quel modo… non capiva neppure perché la mente umana facesse certe associazioni… ma non appena la vide fu quello che pensò: merletto di mezzanotte.

Era meravigliosa… al punto da togliergli il fiato.

Il gioco di trasparenze che il pizzo dell’abito si divertiva a fare sul suo corpo sembrava quasi un insulto… come poteva renderla ancora più bella e misteriosa?

La vide sorridere alla sua espressione sorpresa; probabilmente era soddisfatta dell’effetto che aveva avuto su di lui.

Non le avrebbe dato soddisfazione.

“Mac…” riprese a dire, anche se la voce, se ne rese conto troppo tardi, sembrava faticare ancora ad uscirgli “… credevo... credevo che non arrivassi più. La festa è già iniziata da un po’…”.

“Hai ragione, sono in ritardo, ma conto di rifarmi e divertirmi molto… E tu? Ti stai divertendo? Non vedo nessuna donna al tuo fianco…”

Non le avrebbe dato neppure quella, di soddisfazione.

“E il tuo cavaliere? Lo hai già abbandonato?”

Lei lo guardò, l’espressione dei suoi occhi improvvisamente più intensa.

“Il mio cavaliere… sì, giusto. No, non l’ho abbandonato… è proprio qui, di fronte a me…”.

Registrò il senso della sua frase con un attimo di ritardo, perché fece in tempo a vederla sorridere di nuovo, alla sua espressione ancora una volta sorpresa.  

“Credevo avessi un appuntamento…”

“Infatti. Con te. In ufficio non mi hai dato il tempo di dirtelo, o meglio, di domandartelo.”.

“Ti sei divertita, vero?” le chiese, più rilassato.

“A dire la verità non proprio. Ho temuto, per tutta sera, di trovarti abbracciato ad una bionda oppure ad una rossa…”.

“Cosa avresti fatto, in quel caso?” domandò provocante, avvicinandosi impercettibilmente. Lei fece altrettanto, e si sfiorarono.

“L’avrei uccisa…” rispose in un sussurro al suo orecchio, mentre lui la prendeva tra le braccia per danzare. Aveva atteso per tutta la sera di poterla stringere.

Era strano come averla semplicemente così, vicina, facesse cambiare prospettiva alle cose: fino a pochi minuti prima non desiderava altro che andarsene, mentre in quel momento non voleva trovarsi da nessun’altra parte.

“Mhm… l’avresti uccisa… e solo per ballare con un vecchio amico?”

“Tu non sei vecchio… e non stai ballando come ballerebbe un amico…” disse lei, sorridendogli, mentre si sentiva stringere più forte.

“Cosa sarei, allora?”

Lo divertiva flirtare con lei.

“Mhm… vediamo… un affascinante sconosciuto?”.

Si stava divertendo anche lei, a quanto sembrava.

“Uno sconosciuto… mi piace molto, come idea…” disse, alludendo al loro primo incontro.

“Un affascinante sconosciuto”, sottolineò lei.

“Ah… e così sarei affascinante?”

“Sai bene di esserlo”

“Quella affascinante sei tu…”

“Ti piace il mio vestito?” domandò lei, sorridendo.

“Cosa te lo fa pensare?”, chiese a sua volta lui, scherzando con la sua abitudine di rispondere ad una domanda con un’altra domanda.

“Forse la tua espressione quando mi hai vista?”

“O forse il fatto che ho voglia di baciarti, da quando ti ho vista...” ammise lui, sussurrandoglielo all’orecchio. Poi aggiunse: “Mi piace moltissimo il tuo abito… Sei bellissima, Sarah…”.

Le stesse parole che le aveva detto allora.

Lei posò il capo sul suo petto e ballarono così, ignari di tutto e di tutti, persi in un mondo di vecchi ricordi e nuove sensazioni.

Ad una decina di minuti dalla mezzanotte, la musica cambiò, per adeguarsi allo spirito festaiolo dei saluti al nuovo anno. I camerieri già da un po’ stavano circolando con vassoi di flute per il brindisi.

Si unirono al coro dell’immancabile conto alla rovescia, ma al momento degli auguri, furono separati da numerosi colleghi e amici che volevano salutarli e brindare. Infastidito dall’invadenza delle persone, rispose a tutti, ma era come frastornato, lo sguardo continuamente rivolto a cercarla. Lei faceva altrettanto con lui.

Finalmente l’orda di barbari terminò l’assalto e si ritrovarono nuovamente vicini e più o meno soli.

Voleva disperatamente baciarla, ma non lì, non davanti a tutti.

Si avvicinò.

“Vieni con me…” le disse, prendendole una mano.

“Dove?” domandò lei, sorpresa.

Non rispose, si limitò a trascinarla via, verso l’uscita. Lei lo seguì, senza aggiungere altro. Uscirono dal salone in cui si teneva la festa e si diressero verso il guardaroba; recuperò il cappotto e la sua mantella  e poi l’aiutò ad indossarla.

“Dove vuoi andare?” chiese Mac.

“Via da qui…” rispose, mentre la sospingeva dolcemente dentro l’ascensore.

Quando le porte si furono chiuse, le si avvicinò.

“Ma prima questo…”.

Cercò le sue labbra e la baciò per tutto il percorso fino a terra.

“Buon anno, Sarah… “ disse finalmente, quando furono arrivati.

“Buon anno, Harm” rispose lei, ancora stordita dalla sua irruenza, prima di seguirlo all’uscita del palazzo che ospitava, all’ultimo piano, la festa ancora in corso.

“Dove hai l’auto?” domandò lui, pronto a scortarla fino alla macchina. Non voleva lasciarla neppure un attimo.

“Non è qui. Sono venuta in taxi”.

Sorrise, comprendendo, senza più alcun dubbio, quale fosse stato il suo obiettivo fin dall’inizio: aveva deciso. Finalmente aveva deciso di dargli una possibilità.

 

***

 

Guardò dalla finestra: la neve aveva iniziato a cadere, probabilmente da qualche ora, perché le strade, gli alberi, i tetti delle case, tutto era già bianco.

L’alba del primo giorno dell’anno era sorta da poco.

“… Just remember in the winter, far beneath the bitter snow…”

Ancora quella canzone. Possibile che gli fosse rimasta così impressa, tanto da ricordarne i versi a distanza di anni? Doveva averla sentita altre volte, senza rendersene conto, altrimenti non se lo spiegava; o forse tutto si spiegava perché tornando in macchina dalla festa aveva acceso la radio e scelto un canale di musica soft dove, guarda caso, pochi minuti dopo avevano trasmesso proprio quel brano.

S’incantò ad osservare i fiocchi che scendevano lenti. Sembravano quasi petali di rose bianche.

“… Lies a seed that with the sun's love, in the spring becomes the rose.

Stava diventando troppo sentimentale.

Si voltò verso il letto. Lei dormiva.  

Era così bella… ed era così bello starla a guardare.

Se non fosse stato inverno, l’avrebbe portata sulla loro spiaggia, anziché nel suo appartamento. Avrebbe guidato per tutta la notte, come già una volta aveva fatto, pur di far l’amore con lei sulla sabbia, all’alba. Prima o poi avrebbe realizzato quel sogno che custodiva da anni.

Invece aveva guidato per poche miglia, la testa di Mac appoggiata alla sua spalla, ed erano entrati in casa neanche mezz’ora dopo aver lasciato la festa.

Chissà cos’avevano pensato colleghi e amici non trovandoli più.

Non era riuscito neppure a chiudere la porta; l’aveva spinta col piede, facendola sbattere, mentre l’attirava a sé e la baciava di nuovo: sulle labbra, sulle spalle nude, lungo le braccia, percorrendo dolcemente il punto in cui il tessuto dell’abito incontrava la pelle morbida appena sopra il seno.

Era eccitante con quel vestito in pizzo nero.

“Tu mi togli il respiro...” aveva mormorato, sopraffatto dall’emozione.

Si era preso tutto il tempo per guardarla, dopo averla immaginata troppe volte così, tra le sue braccia, fremente del suo stesso desiderio.

L’aveva spogliata lentamente solo dopo averla baciata a lungo.

Lei, invece, era stata più impaziente e gli aveva tolto giacca e camicia prima ancora che lui avesse deciso di abbassarle la cerniera dell’abito.

Nove anni erano misteriosamente svaniti nel nulla, mentre si abbandonavano ad una passione incontenibile, la stessa che li aveva uniti fin dalla loro prima notte insieme.

Avevano fatto l’amore per ore, mentre l’alba del nuovo anno portava con sé la promessa racchiusa nelle parole di una canzone, sulle note della quale il destino aveva voluto che ballassero in quella lontana sera di molti anni prima.

 

 

 

 

 

Quando la notte si è fatta troppo solitaria

E la strada troppo lunga

E pensi che l’amore sia solamente

Per chi è fortunato e forte

Ricorda che in inverno

In profondità, sotto la rigida neve,

Riposa il seme che, con l’amore del sole,

In primavera diventa una rosa

 

 

 

 

fine

 

 

 

 

 

 

 

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