Moonchild.

di manicrank
(/viewuser.php?uid=112573)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00053 ***
Capitolo 2: *** Il figlio del sole ***
Capitolo 3: *** In the maze without an end, why do you still breathe? ***
Capitolo 4: *** Cosa nessuno regala mai ***
Capitolo 5: *** I miss you, your eyes... I love you, floating on. ***
Capitolo 6: *** I'm Alone ***
Capitolo 7: *** The Heart of the Sun ***
Capitolo 8: *** Macchie di Roschach ***
Capitolo 9: *** Moonchild ***
Capitolo 10: *** Protège Moi ***
Capitolo 11: *** Frammenti ***
Capitolo 12: *** ☽ ❂ ☾ ***
Capitolo 13: *** L'uomo che camminava sui pezzi di vetro ***



Capitolo 1
*** 00053 ***


Consiglio vivamente la lettura di: “50 sfumature di bianco. La storia di un raggio di luna” perché questa long è un po' sua “figlia”. Grazie.

Sarà strutturata in tre capitoli, ognuno che racconta di tre momenti differenti nella vita di Takanori.Consiglio vivamente l'ascolto di In the Sound of Silence di Simon&Garfunkel

 

 

 

 

                       Moonchild.

 

 

 

 

                                   00053

 

 

Mi illumino d'immenso.

20 dicembre 1998

 

 

 


Le pareti bianche mi si chiudono addosso. Ne sento il peso opprimente. Che ci faccio io qui?
Il letto in cui sono, sempre bianco, sembra volermi inghiottire quasi fosse la bocca di una bestia famelica. Mi rigiro, dando le spalle alla porta della stanza, e mi rannicchio con le mani davanti al viso. Pessima idea. Penso, perché le rivedo macchiate di rosso. Il cremisi, il colore della vita e della passione, è in realtà il mio peggiore incubo.
Stringo forte i pugni, trattenendo le lacrime. Cosa ho fatto?
Il buio è opprimente, mai il buio è stato così opprimente. Anzi, di notte io scappo, vivo. Ma ora, ora anche la notte, da sorella è divenuta cacciatrice. Mi vuole. Ed io ho paura di lei.
Ho paura dei suoni indistinti che arrivano dalla strada, ho paura del silenzio della mia stanza vuota. Però poi tutto cambia non appena la luce pallida della luna inonda il pavimento. Il suo bianco mi ricorda un lago di latte, e la mia mente lo ricollega a mia madre.
Non so perché lo fa, a volte mi spaventano i collegamenti che compie.
Mi metto seduto, tirando le ginocchia al petto e posando il mento su di esse, mentre osservo lo strano arazzo arabescato che si disegna sul parquet bianco. Ha una forma curiosa.
Inclino la testa per osservare meglio, la piego in modo innaturale, e poi mi distendo sul letto. Allungo un braccio, quasi per afferrare quella luce, e poi porto il pugno chiuso al viso. Ci sbircio dentro. Ma non trovo il bianco latteo della luna. Solo oscurità.
Mi hanno mentito. Penso, rimembrando le parole di mia madre: “Qualsiasi cosa vorrai, dovrai solo desiderarla, e lei arriverà”. Era una bugia.
Storco il naso e scendo piano dal letto, camminando scalzo fino al piccolo sgabello posto davanti alla finestra. Mi ci arrampico, abbarbicandomi su di esso nella strana posizione di prima, con le ginocchia al petto.
Ed osservo. Osservo il buio, ferito dalla luce lunare.
Essa è fredda ma di un freddo diverso. Un freddo quasi caldo. Un freddo capace di colmarmi.
I miei occhi vacui si posano sulle nubi che vagano nel cielo, come vascelli di fumo. Sono belle, sono libere. Mentre io sono in questa prigione quadrata.
Il braccialetto al mio polso tintinna, ricordandomi che sono solo un numero. 00053 è il mio nuovo nome. Sono solo uno dei tanti pazzi chiusi qui dentro. Un codice a barre su un documento.
Mi da fastidio, ma il fastidio svanisce. Dopotutto ormai non ho nemmeno più bisogno di un nome.
Non sono più nessuno.
Da una parte è un sollievo, non essere più un Matsumoto, da un'altra invece è una condanna. Non ho più nessuno. Da quando mio padre mi ha lasciato allo studio psichiatrico, tre anni fa, non ho più nessuno. In effetti, forse, non ho mai avuto nessuno. Sono nato solo per ereditare la compagnia, essere un brillante ragazzo laureato alla Todai, con una bella moglie ed una bella famiglia. Ero destinato a tutto questo, perché mio fratello Hideki era troppo impegnato a diventare avvocato.
Ma io ho detto di no. Mi sono ribellato. E sono diventato sbagliato.
Torna lo strano senso di oppressione, il buio cupo che con i lunghi tentacoli mi afferra, mi artiglia lo sterno e mi trattiene. Ma la luna arriva a salvarmi, fende il nero palpabile e mi libera da quella presa.
Osservo a lungo i suoi raggi contro le pareti, le strane forme che assumono a contatto con il muro. Poi un raggio mi bagna, mi lambisce delicatamente un braccio. Sembro rilucere sotto il suo tocco. Mi illumino, splendo.
Io non sono un rifiuto, io non sono sbagliato. Chiudo gli occhi e vorrei dispiegare le ali ed andarmene, volare via, essere libero.
Ma sono bloccato qui, nell'oscurità. E solo la luna mi benedice, mi bacia, mi sfiora, come fossi suo figlio.
Mi piace. Penso. Essere un figlio della luna.









Grazie per essere arrivati fino a qui. Questo è il primo di nove capitoli che caricherò ogni martedì. È una breve fanfiction nata in questi due giorni. Non so come e non so perché. Ma non preoccupatevi, non ho abbandonato Division. Difatti domani metterò il nuovo capitolo *^* È solo che questa storia mi frullava in testa da un po' e allora ho deciso di svilupparla. Spero vi piaccia. 
A presto, tenete d'occhio il mio facebook il mio twitter ed il mio tumblr per gli aggiornamenti, dato che scrivo praticamente tutto lì sopra e se volete menarmi o parlarmi, allora mi trovate lì u.u Dato il mio classico odio profondo per gli mp. 
Vi lascio anche il mio canale youtube e la mia prima parodia creata con l'aiuto della grande AkaRen, che ha contribuito un sacco anche per la creazione della fanfiction. Quindi ringraziate anche lei o vi tiro un fungo. 
Peace&Love
MANICRANK

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il figlio del sole ***


 

 

Consiglio vivamente l'ascolto di Untitled dei GazettE

 

 

 

 

                                Il figlio del sole

 

 

 

Waiting for a smile from a Sunchild.

21 dicembre 1998

 

 

 


Mi stropiccio un occhio con il dorso della mano, mettendo a fuoco il soffitto bianco sopra di me. Dove sono? Penso, non trovando risposta. Mi metto seduto e cerco di ricordare. La stanza in cui sono è completamente bianca, ha due porte. Una, che di sicuro conduce al bagno, e l'altra che, sicuramente, conduce all'esterno. In un angolo c'è uno sgabello ed un piccolo mobile da cucina con uno scaffale. Sono steso in un letto, e davanti ho una grande finestra che prende quasi tutta la parete.
Che posto è?
Mi alzo, sono scalzo, ma non sento freddo ai piedi. Nonostante il parquet sia gelido e sia dicembre.
Sbatto le palpebre un paio di volte e cerco nella mia mente qualche ricordo, ma nulla. Solo il vuoto. Al polso ho un braccialetto. 00053? Leggo, ma archivio quel dettaglio in un angolo della mia mente.
Sento bussare e mi volto di scatto. Non sono solo. Penso, e cauto vado alla porta. Non c'è spioncino, quindi non so chi ho davanti, e sono indeciso se aprire o meno. Mi mordo l'interno della guancia e poi, dopo un'accurata analisi, apro la porta.
Mi ritrovo davanti un uomo sulla cinquantina, con folti capelli grigi e gli occhi penetranti dietro a spesse lenti d'occhiale. Indosso ha un camice bianco da dottore ed un cartellino con appeso il suo nome. Dottor Satoshi.
Sono spaesato, ed il dottore entra nella stanza. Da un'occhiata in giro e poi mi sorride caloroso. “Buongiorno Cinquantatré” mi appella, gettandomi nel panico.
Io mi chiamo Takanori! Matsumoto Takanori! Voglio dirgli, ma sto zitto e lo guardo.
Il dottore continua a sorridere e si sistema sullo sgabello.
Come stai oggi?”.
Silenzio.
Hai paura?”
Annuisco.
Non sai dove ti trovi?”
Annuisco di nuovo.
Ricordi qualcosa?”.
Questa volta faccio cenno di diniego.
Va bene, vieni con me. Può capitare sai? Di perdere la memoria per qualcosa di spiacevole. Il cervello fa da solo. Cancella quei ricordi fastidiosi, ecco perché non sai dove ti trovi”.
Annuisco ed il dottore mi posa la mano sulla schiena. Vorrei ritrarmi inorridito, ma lui mi fa uscire dalla stanza bianca. Il che è una buona cosa, no? Mi fa scendere delle scale, e durante il tragitto incontro altri dottori.
Sono in un ospedale?
Osservo ogni singolo dettaglio di quello che mi circonda e continuo ad avanzare sospinto dal medico. Vorrei solo non trovarmi qui. Essere a casa mia, con i miei amici, a dire cazzate e suonare la chitarra in pace.
Ma sto qui, nel silenzio più totale. Smarrito.
Il dottore poi si ferma davanti ad una porta bianca, dove, inchiodato, c'è un nome in kanji dorati. Dottor Akira Suzuki, psicologo. Recita.
Allora cinquantatré, ora entri e parli con il dottore. Lui ti saprà aiutare, va bene? Io resto qui fuori e ti aspetto”.
Il tono che usa sembra affidabile, come quello di tutti i dottori, e quasi mi convince siano brave persone. Scuoto le spalle e, facendomi coraggio, busso.
Avanti” giunge, da dietro la porta, con un sospiro entro nella stanza. Me l'aspettavo bianca, come quella in cui mi sono svegliato, mentre mi ritrovo in un piccolo studio caldo. Alle pareti ci sono pannelli di legno chiaro, un'imponente scrivania fa bella mostra di sé, e dietro di essa siede un uomo. Anzi, un ragazzo. Ha i capelli biondi, leggermente scompigliati, ed una stranissima fascetta che gli stringe il naso. Il ragazzo si alza facendo volteggiare il camice e mi viene vicino, mi sorride e poi apre la porta.
Io rimango impalato, mentre lo sento parlottare con il dottore che mi ha portato qui.
Chi è lui?”
Numero Cinquantatré”
Dammi la sua cartella”
La trovi in segreteria”
Che mi puoi dire su di lui?”
Non so nulla nemmeno io, parlaci e fattelo dire”
Ah, sei inutile Satoshi”.
Poi i due ridacchiano ed il dottore parla di nuovo: “So solo che si chiama Matsumoto Takanori, diciotto anni, prefettura di Kanagawa” lo sento sussurrare qualcos'altro ma non ne afferro il senso.
Me lo farò bastare”.
Poi il ragazzo biondo chiude di nuovo la porta e mi ripassa davanti, sempre sorridendo. Io lo guardo sospettoso, ma mi siedo appena lui mi indica una poltroncina davanti alla scrivania. Si siede anche lui, venendomi vicino, e mi osserva. “Allora, piccolo Takanori. Che succede?”.
Io sto zitto e lo guardo. Piccolo Takanori. Nessuno mi aveva mai chiamato così.
Non parli?” io scuoto la testa, facendomi finire i ciuffi biondi davanti al viso. Akira Suzuki alza due dita e me li scosta, passandomeli dietro l'orecchio.
Ha le mani bollenti, quasi fosse fatto di fuoco.
E non so perché, ma arrossisco dopo il suo contatto, incapace di mantenere lo sguardo alto. Il dottore ridacchia e torna composto.
Perché non parli?” io alzo le spalle. Non lo so nemmeno io. Ma sento come se qualcosa si fosse spezzato inesorabilmente dentro di me. Le mie corde vocali, a lungo amate, per il canto, si sono bloccate.
Non ci riesci, mi dispiace” sussurra, e sento che è sincero. Scuoto la testa per non farlo sentire in colpa.
Allora, piccolo Takanori...” a quel nome roteo gli occhi, mi da un po' fastidio. Akira Suzuki se ne accorge e ride di nuovo. “...Ricordi nulla?” lo guardo negli occhi e scuoto la testa deciso. Non so nemmeno perché sono qui.
Perfetto. Allora, io posso dirtelo... insomma, perché sei qui. Però preferirei riuscissi a ricordare. Quindi, ora ti dirò qualcosa, e poi ci vedremo ogni giorno per farti tornare la memoria. Va bene?” le sue parole calde mi rassicurano ed io annuisco. Lui non mi fa paura, anzi, mi calma. Riesce a rassicurarmi con due frasi.
Sembra fatto di fuoco.
Sei in questo posto, piccolo Takanori, insieme a tante altre persone come te. Non c'è nulla di cui essere spaventati. Sei qui per guarire, e poi potrai uscire di nuovo”.
Sono malato? Cos'ho? Dov'è la mia famiglia? È grave? Lo guardo negli occhi, sperando che possa leggere le mie domande, e Suzuki mi osserva intrecciando i nostri sguardi. Ha dei magnifici occhi, penetranti, neri. Mi piacciono, sono vivi.
Non sei malato... voglio essere schietto. Non sei malato, fisicamente” fa una piccola pausa per cercare le parole giuste. “È successa una cosa, una cosa brutta e per questo noi vogliamo aiutarti. Nessuno ti farà del male piccolo Takanori. Fidati di noi. Puoi fidarti di noi?”.
Scuoto la testa. No! No che non mi posso fidare di loro. Sono chiuso qui dentro per qualcosa che non ricordo. Sono malato. Anche mio padre mi ha sempre detto che ero malato. Malato perché ero ribelle, malato perché il mio corpo si eccitava davanti ad un bel ragazzo, e mai davanti ad una bella ragazza. Malato perché ero ossessionato dalla musica. Malato, perché non ero il suo amato figlio da centodieci e lode.
Allora, piccolo Takanori, puoi fidarti di me?” mi chiede Akira Suzuki, prendendomi la mano. Lo osservo di sfuggita. Posso fidarmi di lui? Le sue mani sono calde, lui può proteggermi. Annuisco, chinando poi la testa e stringendogli la mano. Ho paura. Akira Suzuki mi alza il viso con due dita e sorride, sorride ed il suo volto si illumina.
Ora ne sono sicuro, non è fatto di fuoco. Lui è fatto di sole. È il sole. È suo figlio. Gli stringo la mano di più, fino a farmi sbiancare le nocche. È bello. Penso, osservando il suo viso rilassato.
Akira Suzuki mi sorride ancora e mi sento morire, poi si alza e mi accompagna alla porta. “Ci vediamo presto, piccolo Takanori” mi dice, lasciandomi di nuovo alle cure di Satoshi. No! Non voglio! Voglio rimanere con lui. Ma la porta si chiude, e piano io torno in camera mia.












allora, che ve ne è sembrato questo capitolo? Ormai ho deciso che metterò un capitolo al giorno... quindi preparatevi psicologicamente!! :D 
Fatemi sapere che ne pensate! *^* 
A presto <3
MR

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** In the maze without an end, why do you still breathe? ***


Consiglio vivamente l'ascolto di The invisible wall dei GazettE  

 

 

In the maze without an end, why do you still breathe?

 

 



 

25 dicembre 2002.

 

 

 

 


Sono appollaiato sul mio sgabello bianco, immerso nell'osservazione del muro. Era bianco, era noioso.
In terra giacciono i resti di un piccolo specchio, spezzato. Ne ho preso un frantume e mi sono tagliato, poi ho iniziato a disegnare con il mio sangue. È l'unico inchiostro di cui dispongo. Ora il muro è molto meno noioso. Un labirinto, nero, senza via d'uscita. Ecco cosa ho disegnato sul muro. Un labirinto nell'oceano.
Lo osservo compiaciuto e mi passo una mano sul viso, per scostare alcuni capelli. Mi macchio di sangue, lo sento gocciare bollente sulla mia pelle.
Stasera starò da solo, perché nessuno rimane mai il giorno di natale. Nessuno è mai rimasto. È ora di cena e piano scendo dallo sgabello, apro la porta della mia stanza e scendo in mensa. Mi hanno concesso quella poca libertà perché sanno che non farei nulla. Sono innocuo.
Solo che appena un'infermiera mi passa vicino si mette ad urlare. Sarà per il sangue che ho schizzato addosso?
È inutile che urli, oggi non c'è nessuno. Vorrei ricordarle, ma vengo tradito da alcuni passi. Mi correggo, non c'è quasi nessuno.
Che succede?” la sua voce. È la sua quella che rimbomba nelle pareti spoglie del corridoio. Mi giro di scatto, cercandolo con lo sguardo, ed appena lo vedo correre in mia direzione, mi sento meglio. È tornato il sole.
Il ragazzo biondo sgrana gli occhi e getta in terra la sua borsa con il camice. Indosso ha un paio di jeans neri ed una camicia bianca. È bello. Maledettamente bello.
Piccolo Takanori” mi chiama non appena mi è vicino, poi mi esamina per cercare la fonte del sangue. Io alzo tacitamente il palmo tagliato della mano, mostrandogli il solco cremisi. Akira trae un sospiro di sollievo e mi abbraccia. Muoio. Non l'aveva mai fatto. In quattro anni non mi aveva quasi più toccato. Ed invece ora lui mi sta abbracciando.
È arrivato davvero il natale allora. Penso, posandogli la mano sana sulla spalla per cercare di ricambiare un poco il gesto.
Mi hai fatto prendere un colpo piccolo Takanori”.
Lui è l'unico che ancora mi chiama così. Per gli altri sono solo Cinquantatré. Gli sorrido, davvero felice per la sua presenza, e lui tranquillizza l'infermiera.
Poi si allontana e muoio di nuovo. Perché mi sta lasciando? Mi chiedo, dandomi dello stupido. Avrà pure una famiglia, è giusto che stia con loro.
Lo vedo recuperare la sacca, e poi, tornarmi vicino. Sgrano gli occhi, oggi è davvero natale.
Akira mi prende per mano e mi porta fino in bagno, mi lava la mano e poi, da un armadietto, prende una benda. Inizia ad avvolgerla attorno al mio palmo e fa una leggera pressione per fermarla. Grazie.
Di nulla” mi risponde. Ormai ci capiamo al volo. Non devo parlare con lui, gli basta osservarmi per capirmi.
Vai a casa dalla tua famiglia? Chiedo tacitamente, sfiorandogli la spalla con due dita. Akira deve concentrarsi di più per rispondermi questa volta, perché la frase è articolata, poi sorride. “No”
come no?
Oggi sto con te” mi sussurra piano, sorridendomi. Sgrano gli occhi.
Con me?

Si piccolo Takanori” poi mi accarezza la guancia, i suoi occhi mutano, si fanno per un attimo più luminosi, poi maschera il tutto dietro al suo solito sorriso e mi da un buffetto sulla guancia. “Andiamo a mangiare, dai” mi prende per mano e mi fa uscire dal bagno, ovviamente, prima mi ha sciacquato via il sangue dal viso.
Gli stringo la mano. È calda. Sempre calda. Con tutto che siamo a dicembre, lui è caldo. È davvero il figlio del sole. Penso ridendo.
Mi perdo nei miei stessi pensieri, cosa che ormai accade di continuo e non mi rendo nemmeno conto di dove sto andando. Mi distacco dalla realtà a livello tale da perdere il senso del tempo e dell'orientamento, e quando Akira mi scuote la spalla per chiedermi cosa volessi mangiare, io mi sento smarrito.
Lo osservo e poi indico un piatto di riso, dietro la vetrina.
Devi mangiare di più”
non ho fame
La prossima volta mangi di più, promesso?”
promesso
Bene” ridacchia “Allora ci dia quel piatto di riso e... uhm... una bevanda energetica”.
Questa volta sono io a guardarlo contrariato. E poi sono io quello che non deve mangiare poco!?
Scusa Takanori, hai ragione, allora due piatti di riso” borbotta, poi prende il vassoio con le nostre ordinazioni e mi porta fino ad un tavolo. Ci sediamo, uno di fronte all'altro, e lui incrocia ancora le nostre dita.
Ricordi qualcosa?”
no
Sono passati quattro anni... è strano... strano che non ricordi nulla”
lo so, ma cosa posso farci?
Niente, hai ragione. Che ne dici se pian piano ti racconto la tua storia?”
si, mi va bene. Sono pronto a qualsiasi cosa ormai.
Però non so se ti riprenderai mai. Non voglio resti chiuso qui dentro per colpa mia”
non ci resterò. O meglio, già ci sto, non sarà colpa tua.
Va bene. Ma andiamo con calma piccolo Takanori”.
Akira inizia a mangiare ed io faccio lo stesso, piluccando il riso. Non ho molta fame a dir la verità, ma incoraggiato dal biondo riesco a finire il mio piatto.
Era da tanto che non mangiavo così. E stranamente, non mi viene la nausea.
Andiamo in camera tua, preparò un tè caldo. Ti va bene?”
si
Perfetto. Così posso darti anche il mio regalo”
un regalo? Io non ne ho uno per te
Lo so, non voglio nulla. Solo che... quando sono uscito ieri l'ho visto ed ho pensato che beh... era perfetto”
grazie
Bene, andiamo dai” poi si rialza, porta via i piatti e torna a prendermi, stringendomi la mano.
Rifacciamo la strada inversa e saliamo fino al secondo piano, fermandoci davanti alla porta numero 53. casa mia. Ormai da quattro lunghi anni.
Entro facendogli strada e lui si accomoda su di un piccolo divanetto che mi hanno portato l'anno scorso. Poi il suo sguardo si posa sul muro, con il mio macabro disegno. Ho paura della sua reazione. E se mi sgridasse? Chino la testa ed alzo una mano per proteggermi non appena lo vedo alzarsi verso di me. Sono certo mi picchierà. Tutti qui dentro lo fanno, era solo questione di tempo.
Invece sento il suo corpo caldo contro il mio, le sue braccia forti mi stringono.
Piccolo Takanori, perché ti fai questo?” mi chiede, in un sussurro, ed io singhiozzo.
Perché ormai, la mia vita è come quel labirinto. Non posso essere libero. Non potrò mai più essere libero. Quattro anni di manicomio non si dimenticano! Sono chiuso qui dentro ed anche se uscirò, la mia mente resterà qui. Sono chiuso in un labirinto senza fine, senza uscita. Sono chiuso qui, e non riesco più a respirare. Sono invidioso, tu puoi uscire, tu respiri. Io affogo. Perché tu respiri?
No, Takanori, no” dice, scostandosi per guardarmi negli occhi. “C'è sempre speranza. Tu uscirai di qui, te lo giuro, e non ti abbandonerò. Non lascerò che qualcuno ti porti via... da me” le ultime due parole le sussurra, ma io riesco a sentirle lo stesso. Ed i miei occhi tornano lucidi. Non me ne andrò. Gli assicuro, stringendomi di nuovo a lui. La mia unica sicurezza è lui. È sempre stato lui. Il mio personale raggio di sole.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eccoci qui funghette, che ve ne pare? Mony, sei ancora convinta che Aki sia un poco di buono? *si sente offeso* 
Beeeene, fatemi sapere che ne pensate!!
A prestoprestissimo.
MR

piesse. Il titolo è una frase di The Invisible Wall, che vuol dire, appunto: nel labirinto senza fine, perché tu respiri? 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Cosa nessuno regala mai ***


 

Consiglio l'ascolto di Every Me and Every You dei Placebo. 

 

 

 




                                 Cosa nessuno regala mai.

 




Il momento più allegro è quello che intercorre
Da quando fai un regalo, a quando la persona cui è destinato, lo apre.
Se sbagli persona poi, è il Nirvana.
-Danilo Sacco




25 dicembre 2002

 

 

 

 

 

 


Mi siedo con Akira sul divano. Abbiamo bevuto il tè caldo, abbiamo parlato. Se posso definire parlare il nostro. Però a me va bene, e sembra andare bene anche a lui. È il primo natale che passo in compagnia, il primo di tutta la mia vita. E gli sono grato.
Mi accoccolo sul suo petto, stringendomi a lui, mentre osservo la neve cadere. In cielo ci sono le nuvole e la luna è nascosta. Ma stasera sto bene anche senza di lei, perché c'è il sole con me e mi riscalda con i suoi raggi gentili. Akira mi accarezza la schiena, parlandomi. Mi racconta del mondo, delle strade, dei negozi, delle persone. Del mare.
Credevo di averlo scordato, il mare, invece la mia mente è riuscita a trattenere quelle immagini tra tutte. Le onde, la schiuma, la sabbia calda.
Akira, se non fosse il sole, sono certo sarebbe il mare.
Guarda l'orologio e mi sorride, alzandosi. Raggiunge la sacca con i suoi abiti e ne trae un pacchettino avvolto con una carta argentea. Poi me lo porge con un largo sorriso.
Non è niente di che, però...” io lo prendo, felicissimo anche solo per il gesto. Mi andrebbe bene anche aprirlo e scoprire che è vuoto. Mi andrebbe benissimo. Perché per me, che mai ho ricevuto qualcosa, anche la sola carta luccicante è meravigliosa. Piano lo scarto, facendo attenzione a non strappare nemmeno un frammento della carta, e rivelo il contenuto. È una stoffa, velluto, nera. Sono perplesso e lo scarto del tutto, soppesando quella stoffa ripiegata.
Oh, aprila” mi dice, ed io, ancora più perplesso, alzo un lembo di stoffa. Quello che vedo mi lascia di sasso. È un lucchetto, un lucchetto argentato con una R incisa, legato ad una sottile catenella. È bellissimo, grazie! Mi giro e corro ad abbracciare Akira, annusandone il profumo di dopobarba pungente. Mi piace.
Di nulla piccolo Takanori. E sai... quella R... sta per... no nulla, non farci caso”
Eh? Ora me lo dici!
No, è una cosa stupida!”
La voglio sapere! Il regalo è mio, ne ho il diritto...
E va bene... hai vinto. Ma solo per oggi. Sai, potrò sembrarti indelicato... ma, ho notato che tu... hai solo me, giusto?”
Si, è giusto
Ed ecco, beh, io suono il basso sai?”
davvero? E sei bravo?
Si, me la cavo. Però, i miei amici mi chiamano... Reita”
oh, Reita... è... strano
Già, ma mi piace. E la R... beh, sta per Reita”.
Rimiro il lucchetto appeso e noto solo ora che ci sono anche le chiavi, legate insieme da un legaccio di stoffa. Così ghigno e gli chiedo di infilarmi il ciondolo, facendo alcuni gesti. Akira prende la catena e me la fissa al collo, sorridendo.
Sono felice ti piaccia” poi io, senza ribattere, prendo il laccio con le chiavi e lo studio tra le mani. È troppo corto. Penso, e mi giro per cercare una cosa sul tavolo. Dovrebbe ancora esserci una sottile catenella metallica che prima avevo al collo, regalo del dottor Satoshi come addio.
Strappo la stringa di stoffa che tiene le chiavi e poi le faccio passare nella catenella metallica.
Perfetto. Poi mi giro senza far vedere nulla ad Akira e gli faccio segno di chiudere gli occhi. Il biondo obbedisce ed io mi avvicino piano a lui. Le mani sono tese sulla sua testa per far passare il ciondolo, ed il mio viso è così vicino al suo che i nostri respiri si mescolano. Le sue labbra, così invitanti, sono a pochi millimetri dalle mie. Potrei scivolare, potrei baciarlo.
Ma non lo faccio, perché so che lui ha una vita fuori da qui. Magari, una ragazza. Ha trentun anni, forse una moglie. Che diritto avrei?
Così mi scosto e gli lego la catenina, osservando le due chiavi piatte penzolare sul suo petto. Gli poso una mano sugli occhi, per fargli capire che può riaprirli, ed Akira obbedisce, trovandomi ancora a pochi centimetri dal suo viso. Vedo i suoi occhi guizzare dai miei alle mie labbra e vorrei quasi chiedergli di farlo, di baciarmi, ma poi ci ripenso e sorrido vago, scansandomi del tutto. Gli passo una mano sul petto per fargli vedere il ciondolo, ed il biondo lo osserva rapito. Arrossisce un poco e mi abbraccia.
Grazie Takanori, ma sicuro che me le merito?”
si
Grazie, grazie” mi stringe forte, ed io ricambio più che posso, per la prima volta desideroso di abbracciare qualcuno in questo modo.
Però ora devo darti il mio regalo. Gli dico, e mi avvicino alla finestra chiusa. Le nuvole si sono diradate, ed un unico raggio di luna filtra nella stanza. Mi siedo sotto di esso, in terra, e lo guardo. Akira sembra confuso e va a sedersi sullo sgabellino su cui io mi appollaio sempre.
Faccio un bel respiro.
È arrivato il momento di regalare a qualcuno l'unica cosa che mai ho pensato di poter donare.
Puoi farcela Takanori, puoi farcela.











Eccoci qui con un altro capitolo. Spero vi sia piaciuto! Ringrazio di cuore chi recensisce e anche chi legge in silenzio ^^ 
Il capitolo l'ho messo ora perché domani starò via, e non volevo saltare l'aggiornamento! A presto Meringhette <3
MR

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** I miss you, your eyes... I love you, floating on. ***


 


Durante la lettura consiglio l'ascolto di Love Song dei Luna Sea <3

 

 

 

 

                   I miss you, your eyes, I love you, floating on

 

 

 


Gay. Straight. Bi. Lesbian. Trans. But. Still. Human.


25 dicembre 2002

 

 


Faccio un bel respiro profondo e poi, con tutto il coraggio che ho in corpo, dischiudo le labbra. Chiudo gli occhi, li serro, mentre mi sento quasi nudo.
Sto regalando l'unica cosa che mai e poi mai avrei pensato di donare.
Hitorikiri ja nai

shinjirarenai mada mayotte...

Kimi o shiru made

sou jubun sae mienakatta...

Hitori de aruita kizukanatta kono mabushisa...

subete to fure

au koto sou naze ka kowakute...
I miss you, kimi no hitomi...” faccio una piccola pausa, indeciso se dire anche l'ultima frase, e poi, in un lieve sussurro, lascio scivolare fuori anche quelle poche sillabe: “I love you, ukandeiru”.
Akira mi osserva con gli occhi sgranati, dalla sua seduta scomoda, ed i suoi occhi rapiti mi guardano. È incapace di parlare, per una volta, è lui quello senza voce.
Lo guardo a mia volta, rendendomi conto di quello che ho fatto. Di quello che ho detto. Rendendomi conto che dopo quattro lunghi anni, ho parlato, anzi, ho cantato.

 

Non posso continuare a credere,

che non sono del tutto solo,

ma continuo a dubitare...

non posso vedermi,

prima di averti incontrato

ho provato a camminare da solo,

e non sono riuscito a vedere

questa luce accecante davanti a me.

Avevo paura di tenerti tra le braccia,

mi manchi, i tuoi occhi,

ti amo, e mi sento fluttuare.


Akira mi guarda quasi shockato, i suoi occhi sono persi nel nulla. Sento le guance imporporarsi. Io che per quattro anni non ho parlato, ora sono riuscito a cantare.
Appena me ne rendo conto inizio a tossire violentemente, la gola brucia e chiede pietà. Quasi la sento sanguinare. Il biondino si tira su di scatto e corre a prendere un bicchiere d'acqua che mi passa subito.
Bevo avidamente, felice di sedare almeno un poco il bruciore, e gli sorrido. Non mi va di parlare, peggiorerei la situazione. Ho resistito per quattro anni, ce la farò per qualche giorno? Mi chiedo, e forse la risposta è no. Perché ora che sono riuscito di nuovo a parlare, a fare uscire la voce, non voglio più tenerla nascosta in me. La voglio tirare fuori, perché mi ha reso felice.
Ho cantato... non credevo di essere ancora capace di farlo.
Piccolo Takanori” mi sussurra Akira, accarezzandomi i capelli.
Si?
Sei bravissimo... cioè... l-la tua voce! È meravigliosa... perché me l'hai tenuta nascosta così a lungo?”
non lo so... scusami
Fa nulla, ora riprenditi... parlerai poco a poco finché non ci riuscirai di nuovo. Okay?” è felice. Akira è felice. Il mio raggio personale di sole è felice. Grazie a me.
Ecco, se adesso un fulmine mi incenerisse, probabilmente morirei senza alcun rimpianto.


Passiamo la serata sul divanetto, abbracciati, mentre Akira continua a raccontarmi del mondo esterno. Le cose che in quattro anni sono cambiate. Ed io provo a sussurrare qualcosa, almeno le affermazioni come: si, e no. Voglio parlare, voglio parlare e non fermarmi.
E poi, con tutto il coraggio del mondo, provo a chiederglielo. “E... l-la... t-tua f-famiglia?”.
Il biondino ci pensa un attimo, sorridendo. “Mia nonna, mia madre e mia sorella maggiore. Siamo solo noi quattro” è felice mentre lo dice. Gli deve volere molto bene.
Un bene, che io mai ho sentito verso la mia di famiglia.
Lo stringo, sbadigliando. Sono stanchissimo. Non che faccia molto in questo posto, però, immerso in questo bianco, sento la vita lasciarmi poco a poco, risucchiata dalle pareti.
Domani manderò qualcuno a smacchiarle” mi indica il labirinto sanguinante, ed io annuisco. È meglio.
Però mi prometti che non ti tagli più? Posso portarti dei colori e dei pennelli, e puoi disegnare se vuoi”.
Io annuisco con energia. Sarebbe meraviglioso. Sarebbe davvero meraviglioso.
E, dato che ti piace cantare, magari anche alcuni CD...”
Grazie Akira...
È il minimo che posso fare. Ma toglimi una curiosità, come facevi a conoscere Love Song dei Luna Sea se è uscita due anni fa... ed insomma, tu eri già qui”.
Sorrido ancora di più, ricordandomi di quelle poche volte che, vagando nell'edificio, ero incappato nello studio di Akira senza doverci entrare. Sentivo costantemente quella canzone proveniente dalla sua stanza, la suonava con una chitarra acustica, e allora mi ero fatto dare il testo da un'infermiera.
Cerco di spiegarglielo alternando i gesti alle parole, e lui annuisce.
Beh, io e la mia band facciamo più che altro... cover dei Luna Sea, quindi”
sono bravi, i Luna Sea, ma voi siete bravi? Sono curioso di sapere di più su di lui. Ora che mi ci sono avvicinato così tanto, non permetterò che lui mi lasci.
Ce la caviamo, ma ci manca un vocalist”
Se ne trovano tanti in giro... cercate!
Lo stiamo facendo”
P-poi... p-portami u-una d-demo, vo-voglio a-ascoltarvi” chiedo, balbettando e tossendo di nuovo.
Non sforzarti!” mi dice serio, passandomi una mano tra i capelli biondi.
Per fortuna ho continuato a tingerli, con l'aiuto di Akira, perché mi sarebbe dispiaciuto farli tornare neri. Secondo lui mi donano, mi danno un aspetto etereo.
E passiamo così la notte, fino a circa le tre, a sentire lui, prima che se ne vada. Lo lascio andare senza rimpianti e senza il desiderio di trattenerlo. So che ora mi aspetterà, e non temo scappi da me.
A domani, Akira” gli dico, in un fiato, e lui mi regala uno di quei suoi sorrisi veri e profondi. Sembra illuminare la stanza. Il mio piccolo figlio del sole.

 

 






Meringhette, ho aggiornato adesso perché domani non ci starò, e nemmeno sabato, quindi vi regalo questi due capitoli ^^ ve gusta? Fatemi sapere!!! Il prossimo lo metto fra un paio d'ore!
A presto ^^
MR

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** I'm Alone ***


consiglio l'ascolto di 21 Century Schizoid Man dei King Crimson

 

 

 

 

                                     I'm Alone

 

 

 

 


Parli, forse, invece, sai quello che io provo per te e ti diverti a rinfacciarmelo, giocando con il mio fragile cuore, che senza chiedere nulla in cambio ti ho donato.
È tuo, e lo rimarrà sempre.


-Parli Giochi Lavori -





1 gennaio 2003

 

 

 

 

Ho passato il capodanno da solo, ovviamente, Akira aveva da fare in casa. Non potevo costringerlo a stare con me, anche se volevo.
Alzo lo sguardo verso lo specchio del bagno, sono appoggiato al lavabo con le mani. Il mio viso è sciupato, pallido, e gli occhi spenti. Sono quattro anni che non esco alla luce del sole, è più che normale.
Ma sembro avvizzito.
Mi mordo piano il labbro inferiore. Ho bisogno di attenzioni, lo sento, questo desiderio bruciante. Vorrei urlare, vorrei avere qualcuno adesso che stesse con me. Ma sono da solo. Sono sempre stato solo.
Ma io ho bisogno d'attenzione. O divento pazzo.
Passo lo sguardo sul mio viso, sul mio corpo coperto dalla maglia bianca. Tutto è così bianco, anche i vestiti...
Akira non mi ha ancora portato i colori che mi aveva promesso.
Akira mi ha abbandonato.
Akira mi ha lasciato solo, a marcire in questa gabbia.
Akira mi ha abbandonato.
Akira se n'è andato e non tornerà.
Lui può avere di meglio, io sono solo un povero pazzo rinchiuso in un manicomio.
Sono solo merda.
Sono malato, non posso guarire. Sono inutile. Sono rotto.
Ghigno, trasformando il mio volto, e poi scappo da quello specchio, raggiungendo la cucina. Bianco. Bianco ovunque.
E non è il bianco caldo della luna. Non è un bianco dovuto al riflesso del sole. È un bianco freddo, un bianco sporco. Un bianco che opprime.
Sto impazzendo. Sul serio questa volta. Perché sono da solo. “Akira!” grido, verso il muro, incapace di contenere le mie azioni. “Akira! Brutto stronzo!” mi butto in ginocchio, infilandomi le mani tra i capelli. “Akira! Ti sei divertito? E poi mi hai abbandonato!” me li strappo, i capelli, e le bionde ciocche rimangono tra le mie dita. 
Akira! Mi hai usato e mi hai gettato via! Non sono una bambola!” grido, fino a raschiarmi la gola. Fino a che non esce nemmeno un suono.
Akira” ma lui non c'è, non mi risponderà, non verrà qui da me a salvarmi. Non lo farà. Lui non c'è. Sono solo.
Akira” sussurro, i miei occhi si riempiono di lacrime. Perché lui non c'è? Mi ha detto che non mi avrebbe abbandonato. Mentiva. Si, mentiva. È ovvio. Lui è il sole, ma un sole bugiardo. È un eclissi, perché ti promette la luce, ma ti dona solo oscurità. Lui mi ha mentito. Deve essere così, magari, magari ha qualcuno di più importante di me. Magari, lo sta aspettando, ed ora sono insieme. Magari si amano. Magari hanno già fatto l'amore per tutta la notte. Magari Akira mi odia. Magari, io non sono nulla se non un numero. Se non un fottuto codice a barre sulla sua cartellina clinica.
Sono solo un pazzo chiuso in una stanza bianca.
Sono solo Cinquantatré.
Non esiste Takanori Matsumoto, non esiste alcun figlio della luna. Sono solo un fottuto numero.
Akira, io ti odio” dico, ridendo. Rido. Rido candidamente. E poi do un cazzotto al muro. Non mi curo della scarica di dolore che mi ha trapassato il braccio ed il cervello come una lama ghiacciata. Non mi curo delle nocche sgrugnate e sporche di sangue. Do altri cazzotti al muro, finché non lo crepo, e l'intonaco non si stacca, finché non vedo i tendini delle dita guizzare sotto l'ormai minimo strato di pelle. Riesco a vedere il bianco delle ossa.
Sono belle, mi hanno sempre incuriosito le ossa umane, mi piace disegnarle. Ed ora le vedo nei minimi dettagli. Come si muovono, come i muscoli che le tengono insieme guizzino. Come il sangue cremisi mi bagni la mano e scivoli a terra. Osservo la mia mano a lungo, mentre ancora rido. E poi, con un dito sanguinante, scrivo un semplice kanji:Akira. Poi insoddisfatto, continuo a segnare convulsamente il suo nome, seguito anche da れいた Reita.
Gratto via il muro con le unghie, non curante che si spezzino e si alzino, che sanguino. Ma devo scrivere quel nome, ignorando il dolore alle mani. O impazzisco. Ci riempio la parete, finché poi qualcuno bussa.
Non rispondo nemmeno, nessuno sa che riesco a parlare, così attendo che entri un dottore a caso per la visita mattutina. E difatti, un uomo alto fa il suo ingresso nella mia stanza. Si chiama Moritaka, è bravo, credo.
Cinqantatré, come st--- Cazzo!”
che finezza.
Lo sento correre verso di me ed alzarmi di scatto dal pavimento, tirandomi in piedi. Mi da fastidio, se le persone mi trattano così. E mi ribello, dandogli una gomitata alla bocca dello stomaco. L'uomo si piega in avanti ed io sguscio via, fuggendo dalla porta aperta.
Lui mi insegue, urla per le scale di fermarmi, ma io sono basso e riesco a sfuggirgli. Corro, finché i miei piedi non raggiungono quella porta, e allora mi fermo.

Busso, ma lui non risponde. Allora mi volto, cerco l'orologio appeso al muro. Sono le otto meno cinque. Lui dovrebbe arrivare ora.
Ma ovviamente non arriverà. A lui non importa di me. Mi ha abbandonato. Così sorrido triste. È vero, lui non tornerà.
Lui è diverso. Mi ha mostrato solo una delle sue facce, ne ha mille, abilmente nascoste. Con me fa l'affabile, ma in realtà vuole solo vedermi morto ed avere una seccatura in meno. Deve essere così.
Lo penso, appena il dottor Moritaka mi raggiunge e mi afferra per le braccia, piegandole dietro la mia schiena in maniera innaturale. Forse mi si spezzeranno. Sento un po' di dolore quando mi strattona e fa per spingermi contro il muro, chiamando la sicurezza. Sono pericoloso.
Mi lasci” chiedo, in un sussurro, e l'uomo mi sbatte solo con più violenza contro il muro.
Mi lasci” ripeto, divincolandomi, ma fa solo più male. Moritaka alza una mano, dandomi un maldestro schiaffo sul viso. Fa male. Brucia. Poi la mano si gira, pronto per darmi anche il malrovescio, ma si ferma. Si ferma.
Mi volto non appena sento la stretta farsi più debole e vedo Akira in piedi dietro a Moritaka che gli tiene il braccio e lo sbatte contro il muro.
Non ti azzardare a toccarlo! Ci siamo capiti?” gli urla, con rabbia, e poi con uno strattone lo lascia andare.
E mi sorride.
Forse non è vero che mi odia. Forse non è vero che mi ha lasciato solo. Forse, forse gli importo almeno un po'.
E forse non sono solo.
Con me c'è il figlio del sole. E non è un eclissi.

















Scusate il mio aggiornamento lampo, ma questi giorni ci sarò a singhiozzo per un esame di recupero e quindi metterò i capitoli quando mi capita. Da lunedì però riprenderò la routine! Anche se ormai siamo agli sgoccioli çç 
Questa fic è un pezzo d'anima ed abbandonarla così mi fa venire da piangere çç 
Ma amore mie, voi mi sostenete sempre, e vi dico grazie. Vi prenderei una per una solo per dirvi grazie. 
Senza lettori non eisterebbero libri. 
La frase iniziale è di una fanfiction che io ho amato, scritta da una bravissima persona. Parli, Giochi, Lavori. Leggetela perché ne vale la pena anche se è un po' cortina, essendo una flashfic. Ve la consiglio a mille! Come tutte le altre fic dell'autrice. 
A presto amori miei <3
MR

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** The Heart of the Sun ***


 

È OBBLIGATORIO L'ASCOLTO DI: SET THE CONTROL FOR THE HEART OF THE SUN, dei Pink Floyd, dall'album: Ummagumma. 

 

 

 

                                the Heart of the Sun

 

 

 

 

Il piccolo clown,

nella scatola di fragole,

dipinge il pianto, in un sorriso.

-Enzo Braschi

 

1 gennaio 2003.

 

 

 

 

 

 


Mi porta fino in camera. Abbiamo passato la mattinata in silenzio, in infermeria, dove mi hanno fasciato la mano e messo dei punti. Mi ero ridotto davvero male.
Akira non mi ha parlato molto, forse spaventato, o preoccupato per quello che ho fatto. Non so nemmeno io perché sono scattato in quel modo, ma l'ho fatto. Ora sono lucido, ora non lo rifarei. Ma è strana la mente umana. E forse, se sono chiuso qui dentro, c'è un motivo.
In compenso Akira ha iniziato a guardare male tutti quelli che mi si avvicinavano.
Da quanto ti picchiano?” mi chiede, preoccupato, mentre saliamo fino alla mia camera.
Qualche tempo... n-non s-so bene quanto” balbetto. Due anni. Ma non voglio che lui sappia.
Ne sei sicuro?”
Si”.
È la prima volta che lui cerca conferma delle mie parole. Prima era diverso, prima, mi leggeva dentro, e sapeva benissimo se mentivo o meno. Mentre ora è confuso, lo sento, perché la voce è differente dai pensieri.
Il biondino apre la porta della mia camera e mi fa entrare per primo. Inorridisco alla visione della camera. Non è sporca, ma un muro, fino al metro e venti d'altezza, è ricoperto del suo nome. Che ho scritto, in preda alla rabbia.
Ed Akira se ne accorge, abbassando lo sguardo.
Scusa”
D-di cosa?”
Ti ho lasciato da solo”
Hai una vita, è giusto”
No, non lo è. Tu non ci dovresti stare qui dentro!” protesta, alzando per la prima volta la voce. Non l'ho mai visto così, sembra trasformato completamente. I suoi occhi, sono cambiati. Ora sono due pozzi di lava.
Akira, non posso andarmene, lo sai”
Si che puoi...”
E come?”
Un modo lo troverò” mi rassicura, abbracciandomi, come la notte di natale, e mi lascio andare al contatto. Mi piace il suo profumo, così come mi piacciono le sue braccia forti che riescono a stringermi. Non esiste nessuno in grado di portarmelo via. Penso egoisticamente, e ci spero sul serio.
Gli attacchi di panico si possono curare, non lascerò che per questo tu resti chiuso qui dentro” mi dice, alzando poi il mignolo per suggellare quella promessa. Io lo intreccio al mio e giuro, con lui. Spero solo la mantenga.
Ci sediamo mentre Akira mi parla della sua piccola band. Non ha ancora un vocalist, però in compenso la loro musica è piaciuta. Mi parla a lungo di questo, spiegandomi che teoricamente un contratto già lo hanno. Per ora canta un membro di supporto, e fanno vari live per Tokyo.
Ma da quando ho sentito cantare te... ho iniziato a cercare ancora di più un vocalist” mi dice, entusiasta. Poi prende dalla tasca un lettore CD e mi passa le cuffie, avviando la traccia.
È uno strumentale, e sinceramente, mi fa venire voglia di cantare, di scrivere qualcosa, di buttarmi in quella canzone frenetica. Così sfilo le cuffie e gli prendo dalle mani l'oggetto, lo poso sul lenzuolo e gli chiedo tacitamente un foglio ed una penna.
Giusto, in macchina ho la vernice. Vado a prenderla e torno, okay?” mi dice, sorridendo. Io annuisco, e mentre lui svanisce oltre la porta, io inizio a scribacchiare la canzone. Deve essere qualcosa di molto affilato, delle parole veloci, la voce distorta. Ma si può fare, con l'ausilio della tecnologia.
E quello che viene fuori, le poche frasi che butto giù, già gli danno la forma. Ed un titolo: Beautiful 5 [Shit]ers.
La scrivo di getto, e sento, con le parole, andare via anche i pensieri e le preoccupazioni. Come la rabbia, e l'ansia.
Mi svuoto, respiro, e non sento la mancanza di Akira, ed il suo nome vergato a sangue sul muro mi fa solo inorridire.
Torno me stesso, quello che ero prima, Takanori.
Torno ad essere lui semplicemente gettando via i pensieri su un foglio di carta.
Riascolto la canzone, visualizzando nella mia mente le parole e cercando di trovargli un ritmo, quando Akira torna in camera con in mano una busta di carta. La posa in terra e sento rumore di metallo, probabilmente dei barattoli per la vernice. “Grazie” gli dico, e poi gli passo il testo della canzone, insieme alle cuffie.
Lui lo guarda dubbioso, ascoltandola, ma non riesce a percepire quello che io volevo la canzone avesse. Per questo storce la bocca.
E come hai in mente di far incastrare testo e ritmo?” io ridacchio, aspettandomi una domanda del genere, e poi chiudo la porta. Solo allora, sfilate le cuffie del lettore per permettere alla musica di diffondersi tranquillamente nella stanza, gli accenno il ritmo provano a fare un lungo scream, per la voce distorta che avevo in mente.
È stancante, ma il risultato mi piace, e sembra piacere anche ad Akira. “È... stupenda” fa, ammirato, ed io scrollo le spalle inchinandomi sulla busta di carta e prendendo i barattoli di vernice bianca e colorata. Poi, con due pennelli, mi avvicino al muro, ed uno lo tiro ad Akira.
Mi aiuti a pulire questo orrore?”
Certo... ma che cosa vuoi disegnarci?”
Mh... non lo so... non lo so ancora”.
È la prima volta che voglio davvero prendermi tempo per fare qualcosa, e mi sembra tutto solo uno spiacevole incubo. Perché io sono Takanori, sto bene, non sono malato. E sono chiuso qui dentro per un fottutissimo errore.

 

 

Akira mi ha aiutato a pitturare i muri di bianco, per ripulirli, ed ha aperto la finestra per arieggiare.
Sono incantato dal vento, dopo quattro anni che non lo sentivo, e mi sono praticamente piazzato davanti alla finestra per godermi del fresco.
Che colore vuoi?” mi chiede Akira, ed io volto la testa nella sua direzione. Ha i capelli tirati indietro in un codino, e la frangia bionda è tenuta da una molletta.
È buffo.
Ridacchio e lo raggiungo. Ora mi sento bene. E prendo un pennello, sono indeciso, non voglio un colore unico, così alla fine apro un barattolo di verde ed inizio a fare sottili ciuffetti in basso. Come fosse erba.
Poi passo la vernice gialla ad Akira, per fargli disegnare il sole. Lui si impegna, lo fa perfetto, un cerchio giallo sulla parete, ed io intingo il pennello a mia volta, nel giallo.
Vado a lavarmi le mani” dice il biondo, soddisfatto dal suo sole perfettamente tondeggiante e realistico. Ma a me così non piace. Gli manca qualcosa. Quindi inizio a farci lunghi raggi tutto intorno mentre Akira è assente.
Mi sembra di essere tornato bambino.
Finiti i raggi intingo il pennello nel nero e disegno un grande sorriso, e due occhi, al sole. Ora si che va bene.
Poi, riposto le pitture in un angolo ed i pennelli in una busta, mi appollaio sullo sgabello ed aspetto il ritorno del biondino.
Il vento mi scompiglia piano i capelli e si insinua sotto la mia lunga maglietta bianca. Mi piace il vento. Sarebbe bello poter tenere la finestra aperta anche di notte, così da essere immerso nei raggi lunari senza il vetro nel mezzo. “Takanori, che hai fatto al mo bellissimo sole?” chiede Akira, osservando il muro con un largo sorriso sul viso. Non l'avevo sentito entrare.
Oh beh, mi sembrava triste, non trovi?”.
Lui mi viene vicino, poggiandomi una mano sulla spalla, e poi mi sfiora la guancia. Sembra quasi un gesto romantico se non mi sentissi bagnato subito dopo. Mi pulisco con il dorso della mano e viene via della vernice gialla.
Ma che?” e noto solo ora che Akira ha le mani ancora sporche. Sorrido e scendo con un salto dallo sgabello.
Anche io sono ancora sporco.
Gli salto addosso lasciandogli l'impronta della mano sul camice, mentre con l'altra gli sporco la fronte.
Andiamo avanti così per un po', Akira mi sporca con le sue mani ed io mi vendico, finché non inciampo nello sgabello. No, va bene, l'unico mobile che ho nella stanza, e ci inciampo? Penso mentre ruzzolo a terra con la schiena, tirandomi dietro Akira. Io volevo aggrapparmi a lui per non cadere, non che mi cadesse addosso! Anche perché pesicchia.
Togliti” dico ridendo, mentre i suoi capelli mi solleticano il viso.
No”
Daaaiii Aki-chan”.
Lui mi guarda con un sopracciglio alzato e scoppia a ridere, sedendosi su di me. “No” poi inizia a pizzicarmi i fianchi per farmi il solletico. No! Il solletico non vale! Scoppio a ridere incontrollato, mentre le sue mani continuano a pizzicarmi i fianchi, e anche lui ride con me.
B-basta Ahahahah-Akira!” lo prego tra una risata e l'altra, mentre mi contorco per scacciarlo, e solo dopo cinque minuti lui si ferma.
Va bene va bene mi arrendo” dice, fermandosi con le mani sul mio petto. Io lo guardo negli occhi, arrossendo un poco quando capisco che mi siede sopra. Ed anche lui sembra riscuotersi, perché fa per alzarsi. Ha le guance arrossate.
Sei bello. Vorrei dirgli, ma non lo faccio. Invece lo trattengo per il camice e lo faccio ricadere su di me.
Akira è in imbarazzo e si puntella con le mani ai lati della mia testa. “Takanori” mi sussurra, ad un soffio dalle mie labbra. Io ghigno, poi, con un lento movimento, mi lecco il labbro inferiore, passandoci sopra la lingua maliziosamente. La lascio scorrere, inumidendolo, prima che, con lentezza estrema, passo a quello superiore.
Akira deglutisce. “Takanori, credo sia meglio che vada” dice, ma il suo corpo non si muove, ed i suoi occhi sono ancora incollati al movimento della mia lingua.
Davvero? Vuoi andartene?” gli chiedo, con una sottile vena di ironia dentro.
S-si”
Akira, non sai mentire” gli dico, sospirando, e lui avvampa di nuovo. Lo vedo mordicchiarsi l'interno del labbro, indeciso, e allora alzo una mano portandogliela sulla nuca e sciogliendogli i capelli. Ci passo le dita in mezzo, le intreccio, beandomi della morbidezza di quei fili d'oro. Sembrano raggi di sole.
Takanori” dice di nuovo, ma il suo tono è cambiato. Ora sembra quasi... aggressivo. Ma non nel senso brutto. Non sembra volersi ribellare o farmi del male. E poi, di lui mi fido. Il biondo sorride e piano si china su di me, annullando la distanza tra i nostri volti, e sempre mantenendo lo sguardo fisso nei miei occhi, poggia la sua fronte sulla mia unendo le punte dei due nasi. La fascetta di cotone che porta mi solletica lievemente la pelle.
Poi muove una mano, sfiorandomi le labbra con un dito.
Takanori, mi piacerebbe baciarti” mi dice, candidamente, ed io socchiudo gli occhi, quasi a dargli il permesso. Che sta aspettando?
Ti ci vuole la laurea?” gli chiedo con sarcasmo, e lui ride piano. “Forse” poi scosta la mano passandomela sul collo e fermandola sul petto, all'altezza del cuore. Discosta il viso e lo inclina da un lato, cercando ancora conferma nei miei occhi. Io annuisco con un gesto impercettibile della testa mentre lui si china nuovamente su di me. I nostri respiri si mescolano, sento il suo forte profumo che mi inebria i sensi. Akira sorride e socchiude gli occhi, io faccio lo stesso, serrandoli. Mi rilasso contro il pavimento ed attendo. Ogni istante si dilata, sembrano passare anni mentre il suo calore mi si deposita sulla pelle.
E poi accade. Mi ustiona con le labbra mentre piano mi lascia un lieve bacio all'angolo della bocca. Scotta. Akira scotta per davvero, o forse è la mia mente? So solo che ora quel calore è passato dentro di me, il mio cuore, così come i polmoni, e poi giù, nello stomaco. Tutto prende fuoco in un istante, e fa male, ma di un male diverso. È un dolore meraviglioso. Mi fermo, tutto in me si spegne, e sento solo quelle labbra che piano si spostano lambendomi il labbro inferiore. Lo sfiora pian piano, quasi avesse paura di farmi male, o di rompermi. Mi viene da ridere, ed Akira si scosta. Apro gli occhi e lo guardo, lui fa lo stesso, poi sorride anche lui e mi bacia di nuovo. Questa volta con più sicurezza, più decisione. Le sue labbra si posano ancora sulle mie, ci giocano, mentre anche io mi decido a muovermi e ricambiare. È la prima volta che bacio qualcuno, e non so assolutamente come muovermi. Ma il tocco di Akira sembra così delicato e giusto che non vedo come io possa sbagliare se lo seguo. Non capisco cosa ci vedesse di sbagliato ed impuro mio padre in questo. Il semplice amare qualcuno è meraviglioso, chi è questo qualcuno è solo un dettaglio inutile a parer mio.
Stringo la presa sulla sua nuca e la raggiungo anche con l'altra mano, avvicinandomi Akira. Poi sento la sua lingua umida dipingermi piano il labbro inferiore, chiedendo un tacito accesso. Io dischiudo le labbra automaticamente. Non mi soffermo a pensare, il mio corpo si muove, sa già esattamente cosa fare. Anche quando sento la sua lingua calda insinuarsi nella mia bocca e sfiorare la mia. La tocca piano, timoroso, in un contatto imbarazzato ed appena accennato. Man mano però trova sicurezza ed inizia a stuzzicarla per farmi rispondere, ed io non lo deludo. Seguo attento i suoi movimenti cercando di assecondarlo più che posso, Akira si stringe di più a me e sento le nostre lingue iniziare a darsi battaglia. Una battaglia gentile, senza vincitori né vinti. Solo un contatto umido, forse più intimo del sesso stesso.
I nostri sapori si mescolano. Akira sa di vaniglia e menta. Mi piace. Maledettamente.
Il suo respiro si fa sempre più affannato e piano si stacca da me, respira con la bocca aperta mentre mi guarda. Io sorrido, senza permettergli di alzarsi. Ho bisogno di lui, del suo corpo e del suo calore. Ora che l'ho assaporato non credo di potermene più staccare. Ho sentito il suo cuore battere lento, insieme al mio, trascinandomi nel suo essere. Quasi ho potuto fondermi con lui, con il suo calore. E l'ho sentito, chiaramente, ne sono convinto, perché non può essere altrimenti. La grande stella per me è esattamente come Akira. E sono certo che anche il suo cuore infuocato batta lento come quello del biondo. L'ho sentito, sai? Il battito del sole.
Takanori” ripete “Ti porterò fuori da qui, costi quel che costi” mi dice, posando la fronte sulla mia spalla. Io gli accarezzo i capelli, respirando a fondo il suo profumo.
Lo so che lo farai, aspetterò”.

 

 

 

 

 






Eccoci, ho ricevuto recensioni ultra mega stupende, e allora, dato che oggi sono riuscita ad appropriarmi del piccì, ho deciso di aggiornare! Domenica sarò ultra impegnata nello studio, lunedì nell'esame (devo passarlo per forza ed ho il terrore perché in matematica faccio schifo) e ufff... ho paura. 
Per questo ho scritto tanto. XD
Appena finisco questa, e porto Division a un buon punto, caricherò "Il Samurai errante" sempre sui nostri Gaze-man.
Coomunque, vi consiglio di leggervi: 50 sbavature di Gigio. 
È la "presa in giro" di 50 sfumature di grigio. Io l'ho trovato molto simpatico. Altro che Mr. Grey. 
Con questo chiudo.
Che ve ne pare della canzone? A me fa venire i brividi e sono convintissima sia l'esatta trasposizione del battito del cuore del sole, ecco perché gli ho dedicato un capitolo intero. 
E altro libro che vi consiglio vivamente: Lo Zen e l'arte di non rompere le scatole. Semplicemente geniale e moolto pieno di Zen. chi è interessato lo troverà istruttivo. (io sono una accanita sostenitrice del pensiero Zen).
Oggi sto sproloquiando, vi dispiace? È che sono nervosa e devo sfogarmi, si si. Ho paura çç 
Mio cugino gioca solo a giochi di guerra ed ho praticamente sparato nelle orecchie il suono dei fucili e le sue imprecazioni >.> mi disturba la lettura/scrittura. 
Ruki ha comprato un nuovo Mac. Quell'uomo caga soldi glitterosi. 
Ecco, ora chiudo davvero, ma prima ringrazio per bene tutte voi 


Un grazie speciale a: 

La Takachan 

La Beta 
La Sempai 
La AkaRen 
La Skè 
La Kohai 
La Miss.Shiroyama 
La MaRmOtTeLlA 
La Funga 
La Waifu 

Eccoci X°° Ora ho finito, giuro!! A prestoprestissimo con il capitolo 9! Ormai ne mancano 2 OwO
Vi amo, tutte voi, che leggete, recensite, seguite, preferite, segnalate tra le scelte, e ricordate. E anche voi che leggete e siete silenziose, ma so che ci siete. E siete tutte egualmente importanti per me. 
Grazie,
MR

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Macchie di Roschach ***


 

consiglio l'ascolto di Miseinen, dei the GazettE

 

 

 

                                 Macchie di Rorschach

 

 

 

 

 

 

Il sole e la luna

Cercandosi ~

Serpenti in amore
-Me stessa

 

 

3 maggio 2003

 

 

 

 

 

 

 

Busso alla porta di legno dello studio di Akira ed entro tranquillamente. Indosso non ho più gli scomodi vestiti bianchi, ma un paio di jeans neri ed una t-shirt fuxia.
Regalo di Akira.
Il biondino è seduto tranquillamente dietro la scrivania e finisce di riporre le sue cose in una scatola di cartone. Mi guarda sorridendo e mi metto seduto, aspettando che tiri fuori le carte necessarie.
Allora piccolo Takanori. Come stai oggi?” mi chiede, tirando fuori dalla scrivania delle tavole colorate. Ormai le conosco a memoria, ma sorrido e gli rispondo con pacatezza: “Bene”
Perfetto, allora, cosa vedi?” poi mi passa la prima tavola ruvida. In bianco e nero, dai margini frastagliati.
Due orsi che ballano” dico in tono piatto, restituendogli il foglio. Poi Akira me ne passa un altro.
Due indiani che si danno il cinque” ridacchio, studiando la seconda tavola, e poi ancora: “Una faccia... che ha tatuate due persone sopra, in nero”.
Akira le ripone e mi passa altri fogli, annotando il tutto su di un foglietto.
Un treno su un ponte di fumo... Un pipistrello... Una spada che apre in due la terra... Una corona fatta di fumo... Una balestra... Un pipistrello ad ali spiegate che prende fuoco... E... l'oscurità” gli passo di nuovo tutte le tavole ed aspetto il verdetto. Nel mentre, Akira scribacchia una ricetta medica che poi mi consegna.
Bene Takanori, da oggi puoi tornare a casa. Devi solo fare uso di quei farmaci che ti ho prescritto” sentenzia il biondo, con una serietà che poche volte gli avevo visto utilizzare. Poi torna a sorridere caldo. Il mio figlio del sole. Penso, piegando accuratamente le ricette ed infilandole nella borsa che mi pende a tracolla.
Il test delle macchie, che spesso ho fallito miseramente, questa volta non è stato un nemico complesso da battere. Anche se quei colori, ed i bordi frastagliati, mi mettevano ansia la prima volta. Ci vedevo di tutto, e quelle cose prendevano il sopravvento su di me. Mi inquietavano.
Akira mi ha sempre detto che mi succedeva perché quei mostri erano, in primis, nella mia mente. Ed era vero.
Ora quelle macchie dalle figure spaventose, dagli artigli e le fauci aperte, non mi mettono più paura, anzi, mi affascinano. Ora le vedo amiche perché sono riuscito a vederle senza paura e timore, e loro mi hanno aiutato ad uscire. In un certo senso.
Sorrido, e mi sento bene. Ora voglio solo andarmene.
Akira si alza e finisce di riporre le sue cose personali nella scatola, poi, sfilandosi il camice e mettendolo in una borsa, mi affianca.
Pronto?” mi dice, sistemandosi meglio in grembo la scatola. Io annuisco, salutando con lo sguardo quelle pareti tristi e bianche. Non voglio più vederle in vita mia.
Pronto”.
Poi insieme varchiamo la soglia. Akira ha mollato il lavoro, sta andando via, con me. Di questo gli sarò sempre grato.
Non vedrò mai più la piccola stanza colorata, la finestra serrata ed i raggi di luna specchiati sul parquet. Mai più.
Molti dottori che ci incrociano ci salutano, altri invece ci ignorano. Ed altri, come quelli che mi picchiavano, non si risparmiano un'occhiata cattiva. Ma oggi anche quell'odio mi scivola addosso. Passo il braccio sotto quello di Akira e mi stringo a lui, voglioso di sentirlo vicino. E sono cinque mesi felici che ormai lui è il mio sole, solo il mio sole.
Poi mi blocco, lo lascio andare, ed Akira varca la soglia da solo. Fuori vedo la strada poco trafficata, gli alti grattacieli di Tokyo, e non riesco ad andare avanti. È troppo tempo che sono chiuso qui dentro. Ho paura.
Mi manca la forza ed il coraggio per uscire definitivamente. Akira mi sorride aldilà del vetro e si volta, raggiungendo una macchina parcheggiata. La apre e posa sul sedile posteriore la scatola, la chiude e poi torna da me.
Piccolo Takanori, andiamo, dai. Non è questo il momento per avere paura” lo so bene. Ho passato quattro anni a sognare questo momento, a sognare la libertà. Ed ora non ho il coraggio di fare un passo. Sono patetico.
Sento gli occhi pizzicare e la mano di Akira intrecciarsi alle mie dita, sorride caldo, illuminandomi quasi con la sua luce. Le sue mani sono bollenti, come sempre.
E piano mi trascina fuori, impedendomi di bloccarmi ancora. Mi passa una mano sulle spalle, per infondermi coraggio, e mi fa fare quel passo che non riuscivo a fare in alcun modo. Grazie. Gli dico, e lui mi capisce, guardandomi negli occhi, e posso leggergli dentro il prego. In risposta. Perché con lui non c'è mai stato bisogno delle parole, mi bastano i suoi occhi per capirlo.
Esco all'aria aperta e vengo investito da una miriade di suoni diversi, ed odori, profumi, colori. L'aria stessa è frizzante, il sole è caldo. Mi ero dimenticato cosa volesse dire essere libero. Mi ero dimenticato il vento tra i capelli. Il semplice  alzare lo sguardo ed essere sovrastato dai grattacieli.
Ed Akira è con me, mi trattiene, impedendomi di scivolare via con la vita frenetica. Come l'onda gentile che non ti fa naufragare, che ti trascina a riva invece che nel mezzo dell'oceano.
E quando alzo lo sguardo al cielo, quello che vedo mi strappa un sorriso. Niente nuvole, solo un mare celeste, e poi, il sole, pieno e caldo, e vicino, quasi nascosto dalla sua luce, un piccolo spicchio di luna.

 

 

 

 

 

 

eccoci, ormai manca solo un capitolo *piange* che ve ne pare? Grazie per tutto! Ed un mega abbraccio fungoso a chi l'ha segnalata per scelte!! Mi ha fatto un immenso piacere! Grazie!
Domani ho un esame di matematica /debito/ e sono spaventata. Inoltre per colpa di mio cugino ho il collo bloccato ed un dolore tremendo. Ma passerà! *spera* 
A presto amori <3
MR

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Moonchild ***


È obbligatorio l'ascolto di Moonchild, dei King Crimson.

 

 

 

                          Il figlio della Luna - Moonchild

 

 

 

 

C'ero soltanto.

C'ero. Intorno

 cadeva la neve.

-Kobayashi Issa 

 

 

 

1 febbraio 2007

 

 

 

 

Osservo il corpo pallido di Takanori steso tra le lenzuola. Trema lievemente ed io lo copro, attento a non svegliarlo con qualche movimento brusco.
I miei occhi si colmano della sua pelle lattea, le spalle strette mosse dal respiro. Sorrido, perché a ben pensarci, sembra assurdo quello che ci è successo.
Gli passo una mano tra i capelli biondi che ricadono in un piacevole disordine sul cuscino. Fuori dalla finestra vedo la neve scendere, e mi ricorda tanto quattro anni fa.
Quattro anni.
Quattro interminabili anni.
Quattro anni che Takanori ha passato chiuso in quattro bianche mura. E mi piange il cuore a pensarci. Lui non doveva soffrire così tanto. Lui non era malato, non lo è mai stato. Ha solo sofferto molto.
Certo, vedere un killer che entra in casa e fa una strage, sterminando la tua famiglia con una pistola, deve averlo distrutto. Ed il suo cervello ha accuratamente cancellato quelle immagini.
Tutto è cominciato due settimane dopo che l'ho dimesso. È venuto a vivere nel mio piccolo appartamento, non avendo una casa, e man mano sognava. Sognava e ricordava. Ed impazziva. Stavo assistendo un'altra volta al suo lento declino, mentre la ragione lasciava spazio al panico. Che psicologo ero? Che ragazzo ero? Se lo lasciavo in quello stato? Ad affogare da solo?
Per questo non l'ho abbandonato un secondo, aiutandolo invece a tornare in sé. Ci ho messo mesi, otto per la precisione, a farlo tornare il Takanori che era. Anche se più volte ho dovuto trattenerlo dall'uccidersi.
Ha usato ogni mezzo di cui disponeva. Medicinali, coltelli, fiamme. E tre volte ha tentato di buttarsi dalla finestra.
Otto mesi d'inferno, dove Takanori era morto, sostituito da un'ombra.
Scuoto la testa, per cancellare quelle immagini, e gli accarezzo la schiena. È tutto passato. Il panico non l'ha più colto, perché è riuscito a vincerlo. Quello che lo faceva impazzire erano solo i ricordi, troppo a lungo repressi e dimenticati, che volevano solo essere ritrovati. Ha dovuto prendere una quantità spropositata di farmaci per anni, antidepressivi, psicofarmaci e sonniferi. Ma ora può dire fieramente di avercela fatta. Lo abbraccio, non curante di svegliarlo o meno, perché rimembrare mi ha rattristato. La sua pelle è gelida, come sempre, ma mia piace. In un certo senso è calda ma in un modo diverso. Lo stringo forte, intrecciando le nostre gambe nude, e gli accarezzo il ventre. Takanori mugola qualcosa ed apre gli occhi, osservandomi stanco.
Ti sembra questa l'ora di svegliarmi?” mi chiede, guardando poi la sveglia. “Sono le quattro!” si rigira nel mio abbraccio e si aggrappa a me, stringendomi a sua volta. Io poso la testa sulla sua spalla, ed annuso il suo penetrante aroma di arance. Non si è mai profumato in questo modo, è davvero l'odore della sua pelle, per questo mi piace tanto.
Beh non è poi tanto presto” gli dico, socchiudendo gli occhi per ascoltare il suo battito cardiaco.
Come no? Siamo andati a letto un'ora fa. Ho sonno”.
Io ridacchio e lo stringo di più, rotolando per farmelo finire sopra, e Takanori si raggomitola sul mio petto come fosse un gatto. “Dai lasciami dormire che domani devo andare presto a lavoro” in tre anni ha preso un diploma all'Accademia d'arte, ed ora, oltre che scrivere canzoni come passatempo, lavora a tempo pieno in una galleria dove espone le sue opere.
A volte, quando torna da una giornata passata in studio, profuma così tanto di colori ad olio che tutto il palazzo ormai sa che lavoro fa. Gli piace, dipingere. Dice che lo calma e lo aiuta a focalizzare i pensieri.
Ogni tanto ha una ricaduta, e lo trovo che dipinge edifici completamente bianchi, o persone legate da camicie di forza, ma non l'ho mai biasimato. So che per lui è importante esternare anche quel suo dolore.
Lo so, scusami” gli dico, rispondendo alla sua precedente affermazione, mentre gli accarezzo i capelli.
Buonanotte” mi fa, e si riaddormenta quasi subito. Solo che io non ho sonno, e lo sistemo meglio nel letto, alzandomi. L'aria fredda dell'appartamento punge il mio corpo nudo e rabbrividisco, cercando con lo sguardo qualche indumento in terra ed infilandomi una maglietta. Poi supero il divano rosso, il tappeto colorato ed il muro che mi separa dalla cucina, dipinto di un bel verde.
Casa nostra è tutta così, l'unico colore assente è il bianco, riservato al massimo per qualche dettaglio.
Il letto è posto in un angolo, ed un separé di carta di riso lo divide dal salone open space. Mentre la cucina è oltre un muro con due archi.
Mi faccio un caffè caldo, aggiungendo due marshmellow che lascio galleggiare nel liquido scuro, e mi avvio alla finestra. Continua a nevicare. Questo è l'unico bianco che Takanori non disdegna. Dice che è un bianco pulito mentre quello del manicomio era sporco.
Non so bene cosa intenda, ma mi piace vedere i suoi occhi illuminarsi ed il suo corpo correre in quella coltre candida. Felice come un bambino, mentre mi tira qualche palla di neve.
Sulla parete ci ho appeso le miriadi di foto che gli ho scattato, e che lui ha scattato a me, ed ogni volta che la guardo posso seguire il filo invisibile degli anni, che serpeggia sui visi felici. Passerei ore a studiare ogni singolo scatto, imprimendomi a fuoco nella mente i lineamenti di Takanori. Anche se già lo conosco come le mie tasche. Una folata di vento trascina via dei fiocchi dal davanzale, creando un turbine latteo che si disperde nell'oscurità, ed alcune nuvole si diradano permettendo alla luna di fare capolino.
Takanori non mi ha mai detto cosa ne pensa della luna, ma ogni volta che spunta, ed i suoi raggi freddi si disegnano in terra, lui l'osserva rapito quasi fosse oro liquido. 
È in quei momenti che i suoi occhi si spengono, tornando indietro di anni, ma tuttavia, rimangono accesi. Di una luce diversa. Come se Takanori tornasse indietro, molto indietro, fino a casa sua.
Una sottile lama candida filtra dalle nubi e si disegna in terra, colpendo il tappeto ed il muro in un cono di luce. Alzo lo sguardo, intravedendo il letto. Al momento il separé è chiuso, siamo solo noi in casa, e la lama di luce colpisce in pieno quella parete.
Takanori si muove, rigirandosi e dandomi la schiena, e le lenzuola scivolano dalle sue spalle, finendogli a stento sul bacino.
Spalanco gli occhi, perché quel cono di luce lo sta bagnando quasi fosse latte, e la sua pelle risplende quasi di quella luce, si illumina.
Sembra lui stesso la luna.
Mi viene da sorridere, mentre poso il braccio sul mio ginocchio e mi siedo sul davanzale interno della finestra. Ora capisco cosa prova Takanori osservando la luce bianca, e capisco anche cosa intende per un bianco diverso.
Mi alzo, sorseggiando il caffè e posando la tazza sul tavolo, e poi con lentezza torno a letto, sedendomi ed osservando il mio ragazzo dormiente. Ha un leggero broncio stampato in faccia, che lo rende adorabile.
Se glielo dicessi probabilmente mi ucciderebbe sul serio. Gli accarezzo le spalle, scostandogli un ciuffo dal viso, poi mi chino su di li e gli lascio un bacio delicato sulla tempia, sussurrandogli, ma senza usare le parole, la mia personale buonanotte.
Sogni d'oro, figlio della luna.

 

 

 

 

 

 

                                      The End!















Amori miei, ho una valanga di novità! Allora, questa fanfiction è finita, e con lei se n'è andato un pezzo d'anima çç
Poooi... Esame di matematica passato alla grande!!! Il 6 so i risultati giusti!
Il dolore al collo è passato OwO
STO PER FIRMARE UN CONTRATTO CON IL MIO AGENTE PER MONDADORI! OGGI MI SPEDISCONO IL CONTRATTO E POI VADO A MILANO A FIRMARLO! CAZZO SI! PUBBLICAZIONE 60% COMPLETE!

sono felicissima!!! Ho anche fatto la tinta rosso rubino per buono augurio OwO 


A prestoprestissimo con: Il Samurai Errante ~ 

un grande bacio a chi mi ha sostenuto. In particolar modo alla mia Beta ed alla mia Takachan, perché in fondo è grazie a lei se questa storia è nata.
Peace&Love
MR



piesse. Se avete un sogno, coltivatelo sempre, se son rose fioriranno! Non ve ne pentirete!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Protège Moi ***


Questo capitolo può essere letto ascoltando varie cose.
1- Protège Moi - Placebo

2- L'orizzonte di K.D - F. Guccini

3- Soaked - Adam Lambert


Fatemi sapere quale avete scelto ^^ 
ci vediamo giù.






 

 

 

                                       Protège Moi

 

 

 

 



 

Un giorno a caso in un lontano 2006. Tokyo.

 

 

 





Poso le palme delle mani aperte sul vetro della finestra. Sospiro aprendola. Poi con un lieve tocco accosto i due vetri al muro, venendo investito dal vento. Traballo quasi sotto quella forza fredda.
Chiudo gli occhi, mettendo un piede sul davanzale. Poi mi isso in piedi su di esso, con le braccia aperte – quasi fossi un Cristo in croce – un Cristo molto sporco, nel mio caso.
Ora mi sento padrone del mondo. Ora mi sento invulnerabile. Sto volando. Posso fare tutto, allungare una mano ed afferrare qualsiasi cosa. Dalla più piccola luce alla più grande stella.
Stasera non c'è la luna. È oscurata dalle nubi gentili portatrici di lacrime. Gli angeli piangono e le piccole gocce pure impregnano così tanto la nebbia da trasformarla in pioggia.
Per questo mi terrorizza. Io non sarò mai così puro da potermi bagnare con essa.
E stasera non c'è nemmeno il mio sole.
Stasera, sono di nuovo solo.

Sul tavolo giacciono intonsi gli antidepressivi, oggi non mi andava di prenderli, tanto non funzionano. Non sono cambiato per niente in questi sei mesi, da quando sono uscito. Allora tanto vale interrompere la cura. Annuisco a me stesso e piano stacco le dita dalla cornice della finestra.
È ora di finirla.
Akira torna dallo studio – perché ora lavora come psicologo privato – fra esattamente quindici minuti. Troppi per essere sopportati. Pochi per ripensare alla mia decisione.
Quindi con un sorriso stampato in volto mi inclino in avanti. Siamo al nono piano, di me dovrebbe rimanere a stento il corpo, una volta arrivato a terra. Va bene così. Indosso ho i vecchi abiti bianchi, che mai ho buttato. Va bene così. Con le braccia spiegate quasi fossero ali, e pronto a farlo.
Volare è quasi come cadere. Solo che ha una destinazione.
Allungo un piede verso l'ignoto, sento quasi la consistenza dell'aria sotto di esso che mi sostiene creando un vero e proprio pavimento. Posso fidarmi di lei. L'aria non è cattiva. L'aria non è nemmeno buona – non ha sapore – è neutrale.

Si dice che quando arriva la propria ora, si veda il nostro nome scritto nel paesaggio. Ed io lo vedo.


Quell'albero è la T, quell'altra casa laggiù sembra proprio una A. C'è scritto tutto, lo vedo nei colori, quasi ne sento il sapore sulla lingua. Sento addirittura il profumo del mio nome. E ne sento lo squillante suono. È arrivato il momento. Ne sono certo.
Non riesco ad essere triste, perché so che è quello che devo fare, la mia missione ultima.
Il mio pensiero va ad Akira, finalmente potrà avere una vita normale. Spero sarà felice anche lui. Se lo merita. Non deve soffrire per la mia giusta scomparsa. È così che deve essere.
Mi umetto le labbra ed inclino ancora il mio corpo in avanti, sento il baricentro spostarsi, come fosse davvero una sfera che si muove dentro le mie viscere, lo sento superare la soglia d'equilibrio.
Eccoci, ci siamo.
Basta solo un altro millimetro in avanti. Mi inclino quel tanto che basta e sento il nulla intorno a me, nulla sotto ai piedi. Solo aria.

 

 


O almeno è quello che credo.

 

 



Due forti braccia m'hanno acchiappato, avvolte intorno al mio corpo, mi sento strappato all'aria e poi vedo il soffitto, avvertendo un forte dolore alla schiena quando cado contro il pavimento di casa. È freddo. Mi volto aprendo gli occhi e trovo il volto di Akira ad un soffio dal mio, ansima, ed ha gli occhi sgranati.
Aki...” sussurro, guardando l'orologio. È in anticipo di quindici minuti. Insolito.
TAKANORI SEI MATTO?!” urla lui, e vedo una singola lacrima scendergli sulla guancia, così porto l'indice a quell'altezza e la sfioro piano, rimirandola interessato, prima di portare il dito alle labbra e succhiarla via. Sa di sale. Il dolore sa di sale.
Lo osservo aprendo di più gli occhi e cercando di interpretare il suo grido, ma non ci riesco. Mi sfugge il senso delle sue parole. Lui mi stringe più forte prima di lasciarmi ed andare a chiudere la finestra, poi si massaggia la fronte.
Cosa sarebbe accaduto se non fossi uscito in anticipo da Studio?”.
Mi mordicchio il labbro e lo guardo. Quello che sarebbe dovuto accadere.
Non è una scusa.. non provarci mai più, ti prego”.
Era il mio momento, era scritto nel cielo e nella terra. Poi mi alzo e gli indico quell'albero che prima tanto somigliava ad una T e quella casa che formava la A. Ma non vedo nulla. Le lettere sono svanite, gli odori, i colori, i suoni. Tutto è andato via. C'era scritto Akira... l'ho visto.
Non lo nego... ma non farlo mai più” mi abbraccia stretto, da dietro, e sento le sue calde lacrime ustionarmi la schiena. Ho fatto piangere il sole.
Mi rigiro nel suo abbraccio e cerco di ritrovare un poco di lucidità, accarezzandogli i capelli mentre lui singhiozza. “Perché volevi ucciderti?”
Dovevo”
Non dire stronzate”
Quei quindici minuti erano troppi”
Da domani tornerò prima tutti i giorni”.

 

 

 


Grazie.























































Eccoci con un extra inaspettato. È che per quanto mi sforzi, non riesco proprio ad abbandonare questa storia. Spero vi sia piaciuto questo intermezzo. 

A presto, perché so che scriverò altri extra per voi. 


Vi lascio come al solito i contatti. Tumblr. Twitter. Facebook. MANICRANK

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Frammenti ***


 

Buonasera. Eccoci ormai agli ultimi due extra. Trasformerò questa fanfiction in un libro, e tutti coloro che, con una recensione, chiederanno semplicemente: "Tienimi aggiornata" io li terrò aggiornati, perché vorrei davvero un giorno potreste comprarla. Comunque, non sono qui per dire questo, ma solo che ancora una volta, sento l'anima spezzarsi, perché anche io sto venendo via con questi ultimi due capitoli. 

È detto. Ma, che voi ci crediate o meno, io sono di quanto più lontano possibile dall'idea di Figlio della Luna. 

Come mi è stato detto, infatti, sono un Figlio del Sole, e sarà così che mi definirò. È così che mi sento. 

Vi lascio, adesso, a questo capitolo.




È CONSIGLIATO L'ASCOLTO DI: Dubstep violin - Lindsey Stirling - Crystallize



 




Frammenti





 





"Oh graziosa Luna, [...] io venìa pien d'angoscia a rimirarti"

-Giacomo Leopardi - Alla Luna
















1233 giorno di prigionia.

Dal diario di Takanori – frammento – riflessione sui figli.

 


Noi non siamo pochi. Lo sembriamo, perché sparsi e deboli, ma in realtà siamo più di quel che si crede.
In verità, ognuno di noi è un figlio ma non un figlio normale, non quello creato da una donna ed un uomo. Tutti siamo anche figli di qualcos'altro.
È in quest'osservazione che io ho passato molto del mio tempo.


Akira è il figlio del sole, dalle mani bollenti ed i capelli fatti di raggi. Mentre io, pallido e minuto, sono un figlio della luna. Perché ella stessa non è che il riflesso della mia stella. Ma ne esistono miliardi. Figli della terra, saldi, forti e dal carattere deciso. Figli del vento, che portano con loro mille tempeste, ma che continuano ad andare avanti. Figli dell'acqua, silenziosi e generosi. Figli del fuoco, che sembrano bruciare dal solo sguardo – questi ardono, ardono davvero, e mettono passione in ogni cosa che fanno, fino a bruciare del tutto, fino a rimanere solo carbone.


E poi ci sono loro, i figli del buio.


Loro mi terrorizzano. Sono vampiri, veri vampiri. Ti risucchiano, ti annullano. Basta una loro parola e tu già non esisti più. Loro hanno un potere terribile, capace di oscurare ogni cosa, loro sono mostri, loro sono squali. Hanno un obiettivo, e nessun rimpianto. Nascondono tutto, lo affogano nel loro animo, nascondono tutto nel buio.
E guai a chi osa fare luce.
Senza buio loro sono solo un pallido scheletro. Per questo mi fanno paura. Non hanno nulla da perdere. Loro sono in grado di eclissarmi. Eclissare la mia luna. Eclissare il mio sole. Loro mi uccidono.

 

                                                 - Tokyo – 2003 – 01 – 16 -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


1275 giorno di prigionia.
Dal diario di Takanori – frammento – il punto e virgola.

 


Oggi stavo pensando, che il punto e virgola più di tutti è democratico. Non aggredisce brutalmente una frase, come i punti, non la spezza, non ti costringe a fermarti, lanciandoti un tacito ma imperativo segnale di stop. Né, come la virgola, ti invita a riposare la lingua o la mente per un attimo, distaccando parole che unite perderebbero senso. Il punto e virgola è qualcosa di strano, perché lui è li, fermo, e ti chiede con voce flebile di essere ascoltato. Non è una pausa breve, ma non è nemmeno una pausa definitiva. Il punto è virgola ti chiede di fermarti e riflettere, ma di non abbandonare il futuro che ti si prospetta davanti.
È forse il segno di punteggiatura più snobbato, ma è il più significativo. È un po' come l'enigma della vita. Abbiamo inconvenienti, pause, virgole, ma non abbiamo punti, finché non arriva la mano di Ade a mettere il punto alla nostra ultima frase.
Ma siamo pieni di punti e virgole.
Giorni in cui ci fermiamo, fermiamo il corpo, fermiamo la mente, e riflettiamo semplicemente. E giorni in cui ignoriamo le pause ed il fiato corto, correndo finché non si risolve qualcosa. Noi uomini siamo dei punti e virgola, forse è per questo che tanto li odiamo. È un po' come mettere noi stessi nei libri. E questo ci spaventa.

 

 

                                                 - Tokyo – 2003 – 03 – 15 -

 

 

 

 

 

 


1323 giorno di prigionia. 

Dal diario di Takanori – frammento – incertezza.

 


In realtà questa pagina doveva avere molti titoli.


Rifiuto;

Incertezza;

Paura;

Amore;

Calore;

Sospiri;

Ma ho reputato che incertezza riesca a racchiudere il mio pensiero. Ieri Akira è venuto qui, e mi ha detto che domani avrei avuto l'ultima visita e che poi sarei stato libero di andare. Ho sentito uno strano senso d'angoscia, e poi è arrivato il rifiuto, perché era impossibile mi avrebbero dimesso. Poi è toccato all'incertezza perché forse, lui non stava mentendo. E si, avevo una speranza. Poi è stata la paura a prendere il sopravvento. Cosa farò? Da solo? Perché? Akira mi lascerà? Ma non ero destinato ad affogare nelle mie domande, perché c'era il mio Sole con me. Mi ha stretto tra le braccia, mi ha detto che aveva dato le dimissioni, e che domani, sarebbe venuto via con me. Casa sua. Una nuova vita. Amore. E l'interminabile calore dei suoi abbracci. Ecco cosa mi ha aiutato. Ecco cosa mi ha sostenuto.
E poi mi ha baciato, mi ha svuotato come al suo solito, ha preso il mio corpo di carta e vetro e l'ha adagiato sul letto. Mi ha spogliato.
Ed io gli ho detto di no.
Semplicemente la mia prima volta doveva essere speciale, doveva essere magica. Doveva essere un'eclissi totale dei sensi, consumata in una sfera di cristallo. Non in un letto di un manicomio.
L'ho scacciato, ho pianto, e lui mi ha capito, scusandosi.


Amore mio, non intendo sporcarti. Non intendo giocare. Così come non intendo abbandonarti” mi ha detto, prendendomi le mani.
Questo posto non deve avere nulla di me, tanto meno il nostro amore, consumato nel più profondo ed intimo dei modi. E lui ha capito, scompigliandomi i capelli. Ha capito, guardandomi negli occhi e facendomi indossare jeans e maglietta, non più un bianco camice. Ha capito, baciandomi la fronte. Riscaldandomi. Facendomi ardere. Ha capito, e con gli occhi quasi liquidi mi ha ringraziato.


Questa notte, ora, mentre scrivo, con me c'è solo l'ombra gentile della luna, che silenziosa mi accarezza, riempiendomi del suo calore diverso. Facendomi sentire vivo. Sono suo figlio, e piango ancora, perché sto per mettere un punto e virgola alla mia vita, chiudendo un capitolo ed aprendone un altro. Ma lei non l'abbandonerò mai, quasi voglioso di morire solo per fondermi a lei e risplendere sulla sua superficie bianca.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** ☽ ❂ ☾ ***




Consiglio l'ascolto di: Outlaws of love - Adam Lambert. 

















 

Sunchild☽❂☾Moonchild



"A volte la migliore cosa da dire,  è il silenzio"
-anonimo













Cerco con gli occhi la massa gialla del sole, con la mano scosto i capelli. Biondi. I raggi mi bagnano e strizzo gli occhi per non accecarmi, beandomi del calore.
L'estate. L'amo.
Il cuore mi batte forte in petto, quasi a voler uscire fuori, e la salsedine mi si appiccica alla pelle insieme al vento marino.
I piedi li affondo nella sabbia dorata e bollente, giocando con i piccoli e fini granelli che un po' mi solleticano la pianta del piede.

Sono immerso nel vociare confuso delle persone e dei bambini allegri, ma è come se mi scivolasse sopra il chiacchiericcio. Sono troppo concentrato per ascoltare.

Concentrato, si. Su di lui.

Il ragazzo col fisico asciutto e leggermente palestrato, i capelli biondo scuro e nero, braccia forti ed un allegro costume celeste.

È esattamente il mio tipo.

Lui mi ricorda il sole. Quello caldo, quello che mi fa stare bene.

Il ragazzo punta gli occhi neri nei miei e mi sorride, alzando a trofeo due ghiaccioli arancioni, poi fa lo slalom tra gli ombrelloni piantati e mi raggiunge allegro.

Sorride. Lo fa con una semplicità disarmante. Mi ustiona.

“Piccolo Takanori” sussurra, accucciandosi davanti a me, porgendomi uno dei due gelati. Io lo prendo dal bastoncino e lo guardo, portandolo alle labbra e carpendone qualche gocciolina fredda. Poi, con quasi naturalezza, ricambio il sorriso.


Mi fa piacere lui non abbia mai smesso di chiamarmi in questo modo. Piccolo Takanori. Sono solo io. Per lui.

Akira si siede al mio fianco e poi mi passa un braccio forte attorno alla vita. Sarebbe il mio tipo, decisamente, se non fosse occupato. Con me.
Poso la testa sulla sua spalla e mi godo il mare caldo, il suo corpo ancora di più. Poi gli prendo la mano libera, intrecciando le dita ed osservando la pelle bianca. Sui polsi abbiamo entrambi un tatuaggio sottile, una parola sola, ripetuta ed alternata a disegni di sole e di luna. Il suo recita 'Sunchild' ed il mio 'Moonchild'.
Anche se un po' mi vergogno ogni volta, perché il mio braccio fino al gomito è coperto da cicatrici lattee e sottili.

Ora ho smesso. Di tagliarmi. Ma il dolore resta, dentro e fuori.

Akira non mi ha mai abbandonato, nonostante sia problematico, e pazzo. Ha continuato a sostenermi, sempre. Mi ha stretto dopo un incubo, mi ha coccolato quando pioveva. Mi ha salvato la vita più volte.

E come sempre gli basta alzarmi il viso e guardarmi negli occhi per capire cosa sto pensando.

“Smettila, è passato” dice, infatti, stringendomi con dolcezza.

Il cuore mi batte fortissimo, mi sento bollente.

Non posso vivere senza di lui. Mai.

 

Il mio Sole.

 

La mia Luna.

 

 

 

 

 

 

 

The ☽❂☾ End





































































 

__**

Ce l'ho fatta a finirla. Che bellezza.......... 
Piango. 

Il 5 uscirà l'antologia 'Nero Natale' in cui c'è un mio racconto. Basta cercare 'Clea Benedetti' OvO 

Vabbene. Che ve ne pare? 
Sono felissssheee! 

A presto
MR

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** L'uomo che camminava sui pezzi di vetro ***


                       




                          L'uomo che camminava sui pezzi di vetro.

 

 



Era un'anima sperduta, ai miei occhi d'allora. Un'anima senza corpo, che vagava nei corpi degli altri. Era sogni ed era sospiri. Perduti nell'aria grave.
Questo paese è il regno dei morti, nebbia e sogni son morti tra le sue strade. Nemmeno io so dove siamo. Per me questo è tutto ed è niente. E la casa di Peter Pan mi sembra già più reale.


Quando lo vidi la prima volta pensai fosse matto, un matto dai capelli lattei e gli occhi neri. Un matto che camminava avvolto dai veli. Nessuno sapeva da dove veniva. Un giorno ci svegliammo e lo trovammo sdraiato in piazza ad aspettare qualcosa.

Mi vide, mi sorrise, e poi tornò a fissare il cielo bianco coperto da nubi.

Era un prigioniero come noi, un prigioniero della mente, del cielo e della terra.

 

Ma era un matto che non aveva parole, non aveva che occhiate, ed i sordi amavano andare da lui, stavano ore ad ascoltarlo mentre non diceva nulla. Così come i ciechi amavano osservarlo quando non faceva niente. Era un matto che aveva tanto da raccontare, forse di mondi e sogni perduti. Rimasti incastrati nella valle ombrosa dalla quale tutti noi veniamo.

 

Ed io strinsi i denti la prima volta che lo vidi camminare, perché il matto si era fatto portare specchi e vasi rotti, piatti, bicchieri e lampade. Poi aveva raccolto quelle cose e le aveva infrante in terra, con rabbia, lasciandosi un po' di frammenti in un cestello.

 

Ed il matto aveva giunto le mani in preghiera quasi, iniziando a muoversi con lentezza sui vetri spezzati. I suoi piedi non si ferivano ed il sangue non sgorgava. Ed il matto osservava e si inchinava a noi, andando lui dai ciechi e dai sordi. Raggiungendo quelle anime e posandogli una mano sul capo.

 

Il matto dopo averli sfiorati giungeva le mani e pregava quasi, mentre i ciechi aprivano gli occhi limpidi ed i sordi venivano investiti dal frastuono del mondo.

 

Poi il matto aveva raggiunto i muti, coloro che tutti guardano storto e che parlano a gesti, quelli che mai lo andavano ad ascoltare perché odiavano rispondere. E gli sfiorò le labbra, alle donne baciò con dolcezza, ai bambini regalò un soffio. Ed i muti parlarono, raccontarono storie.

 

Ed il matto annegò nei fiumi di parole che lo stavano investendo, e sorrise, e parlò anche lui.
La voce cristallina ci fece comprendere perché camminava sui pezzi di vetro. E ci fece sorridere perché lui era vetro. Le sue ossa cristallo ed i suoi occhi diamanti.


Ed il matto mi prese per mano, mi fece camminare con lui sul fiume tagliente. Ed io mi sfilai le scarpe, perché non mi tagliavo e non sentivo dolore. Gli strinsi le dita ed osservai il cielo, sentii le urla dei muti e vidi come un cieco. Fui felice ascoltando la miglior sinfonia di un sordo.

 

E col matto camminai sui pezzi di vetro, scendendo la montagna che non esiste in un paese che non c'è. Scendemmo in Valle d'Ombra e poi giù, nella terra dei mortali. Nel mondo che esiste. Nella città dei vivi. Dove le persone respirano ed i matti sono solo matti.

 

E lui si girò, regalandomi un bacio che mi strappò l'anima. E divenni anche io un matto come lui. Mentre capivo, capivo e sognavo di mondi lontani e di pace. Di frenesia animale.

 

Ed il matto non era più un matto, ma era un uomo, era un'anima ed un corpo. Ed io non ero più un abitante della terra che non esiste, ma ero un uomo, ero un'anima ed un corpo. Eravamo entrambi e ci appartenevamo. Ed il mondo era pieno di matti. Dalle loro rocche di cristallo.

 

E noi due matti insieme camminavamo sui pezzi di vetro, tra le mani noi stessi e nient'altro. E ridevamo, parlavamo ed ascoltavamo, ci beavamo delle bellezze del mondo, donandole ai poveri come fossero gemme. Mentre l'inverno arrivava ed i fiori avvizzivano, mentre la neve scendeva e noi sotto di essa correvamo. Felici, per mano.

 

In un mondo di cristallo e vetro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal diario di Takanori, primo giorno di libertà.

 

Annotazione di Akira: cosa vedono gli occhi strappati da un manicomio? 





























































__** 

Giuro che è l'ultimo capitolo, davvero. Ma ho avuto l'ispirazione e questa è la vera fine. Promesso. 

Buon anno piccole, vi tengo d'occhio. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1232093