°° The Bride of Lammermoor °°

di Jessy87g
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vendetta ***
Capitolo 2: *** La fontana della sirena ***
Capitolo 3: *** Un incontro voluto dal destino ***
Capitolo 4: *** una visita inattesa ***
Capitolo 5: *** Confronto ***
Capitolo 6: *** Sotto la luce della Luna ***
Capitolo 7: *** Il Giorno Dopo ***
Capitolo 8: *** Amore di Servo ***
Capitolo 9: *** Un'alba scarlatta ***
Capitolo 10: *** Il Demone e le Streghe ***
Capitolo 11: *** Il Marchese Athol ***
Capitolo 12: *** Ultimo Addio ***
Capitolo 13: *** Notti Parallele ***
Capitolo 14: *** La Crudeltà di Lady Asthon ***
Capitolo 15: *** Il Matrimonio ***
Capitolo 16: *** Il Punto di Non Ritorno ***
Capitolo 17: *** L'Assassinio ***
Capitolo 18: *** La Pazzia ***
Capitolo 19: *** La Fine di Tutto ***



Capitolo 1
*** Vendetta ***


''Sciagurati! Il mio furore
Già su voi tremendo rugge.''




Il sole faceva timidamente capolino tra una spessa coltre di nubi in un grigio pomeriggio scozzese del 1689.
Un piccolo sentiero, coperto di fango a causa della forte pioggia che aveva flagellato sino a poc’anzi la cupa contea di Lammermoor, era battuto dai rapidi zoccoli di un cavallo dal manto bruno: il corpo era coperto di sudore e la bocca schiumava a causa della lunga corsa.
Il cavaliere padroneggiando con autorevolezza il destriero lo condusse attraverso una fitta foresta: al suo arrivo animali di ogni specie fuggivano spaventati: come se la Morte stessa, uscita dall’avello, avesse deciso di calcare quei luoghi solitari.
Gli alberi che innalzavano i loro rami spogli verso il cielo plumbeo, divenuti ormai sempre più radi, lasciavano intravedere un’estesa pianura che terminava in una scogliera a picco su un mare dal colore cupo dove le onde, perennemente sospinte dai venti, si infrangevano contro scogli appuntiti.
In questo luogo isolato si ergeva una grande torre in rovina, conosciuta da tutti con il nome di Wolf’s Crag, ultimo baluardo dell’umanità in quelle coste meridionali, battuta dai flutti che parevano non trovare requie nella loro eterna ira.
Giunto all’entrata dell’immenso maniero il cavaliere fermò la corsa del destriero con un rapido colpo di redini, dopodichè con un balzo inaspettatamente agile per la sua corporatura robusta e alta per uno scozzese scese di sella.
Rimase in piedi con gli occhi fissi sulla torre sistemandosi sulla spalla un lungo tartan cucito con fili di diverso colore che copriva in parte una veste da caccia di colore scuro di pregevole fattura e ricamato con ricchi ornamenti, indice dell’appartenenza a una nobile famiglia, ma oramai usurata e logora. Alla cintura pendeva da un lato una lunga spada dall’elsa finemente intarsiata e dall’altro un piccolo e maneggevole fucile a canne mozze.
A contrasto con il vestiario l’espressione del viso, dai lineamenti delicati e al tempo stesso decisi, lasciavano trasparire una fierezza indice di una nobile nascita. I lunghi capelli, raccolti in una coda, risplendevano di riflessi argentati a contatto con i timidi raggi del sole. Questo colore, insieme a una mezzaluna che troneggiava sulla fronte bianca e quasi sempre corrugata, rivelava l’appartenenza del giovane alla razza demoniaca.
Tuttavia il particolare più notevole erano sicuramente gli occhi: due pupille ambrate impreziosivano, come la perla nell’ostrica, lo sguardo fiero e fiammeggiante di rabbia, il quale a volte veniva oscurato da un lieve velo di tristezza che lasciava appena intuire quanto fossero gravose le sue sventure.
Questa figura era Sesshomaru, signore di Ravenswood: una delle più antichi e nobili stirpi scozzesi ormai caduta in rovina dopo che il potere del denaro aveva calpestato il potere del sangue.
Prima la patria era affidata nelle mani di poche e rinomate famiglie, adesso la tenevano sotto i loro lucidi stivali avvocati e ipocriti borghesi arricchiti, i quali conquistavano e preservavano i propri privilegi non più con la spada ma con scartoffie piene di retorica e frasi in latino che solo loro potevano comprendere.
Il giovane corrugò appena un sopracciglio: sì!Era per colpa di questi damerini senza onore che la sua famiglia aveva perso quasi tutti i possedimenti nella contea di Lammermoor, compreso il castello dove si erano succedute tutte la generazioni dei Ravenswood.
Sesshomaru alzò gli occhi verso la torre: ecco tutto ciò che gli era rimasto, un ammasso di pietre diroccate! Ecco cosa gli aveva lasciato quel pavido borghese di Mr. Asthon, un avvocato venuto dal nulla che aveva compiuto un’ascesa più rapida del tempo che aveva impiegato per baciare gli stivali dei nuovi politici rampanti!
Proprio lui, con abili manovre, aveva spogliato in pochi giorni la famiglia di tutto ciò che gli avi avevano conquistato in secoli!
Il vecchio signore di Ravenswood, non riuscendo a sopportare l’onta ricevuta, si era ammalato ed era morto così velocemente come era stato spogliato della sua dignità.
Fisso nella mente del giovane stava il ricordo del giorno delle esequie quando parenti, che non aveva mai visto prima, si erano prodigati con grande zelo nel porgere ipocrite condoglianze, stimando insanabile la ferita per la morte di un caro del quale già non ricordavano più il volto.
Proprio in quel giorno, sulle ceneri del caro genitore, aveva giurato eterna vendetta scuotendo con le sue parole gli antichi spettri sopiti nella cripta degli avi: oramai il destino era segnato, ed il suo era un destino di vendetta.


Riscossosi da questi ricordi iniziò a incamminarsi verso l’entrata di quella torre che aveva più l’aspetto di un enorme sepolcro di vivi.

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Capitolo 2
*** La fontana della sirena ***


''Regnava nel silenzio
Alta la notte e bruna.
Colpìa la fronte un pallido
Raggio di tetra luna.”




Rin Asthon si svegliò di soprassalto con gli occhi sbarrati per il terrore; dopo un attimo di smarrimento, realizzato di trovarsi nella sua camera da letto, si issò a sedere ponendo una mano sul cuore che non accennava a diminuire i battiti.
Da quando si era trasferita con la famiglia in quel tetro castello, sul quale si mormoravano antiche leggende di sangue e vendette, non era riuscita ancora a dormire una notte senza che una strana inquietudine le togliesse il sonno: quella sera, tuttavia, i vaghi incubi avevano preso una forma terribilmente concreta.
Si alzò sulle gambe ancora tremanti e, coprendosi le spalle con un mantello abbandonato su una vecchia poltrona di velluto rosso che portava lo stemma scolorito dal tempo della famiglia alla quale il padre aveva tolto castello e possedimenti, si avvicinò alla finestra.
Troneggiava in un cielo senza stelle una luna grande e pallida che illuminava con i suoi raggi un paesaggio che pareva irreale.
Proprio una luna simile aveva accompagnato la ragazza nel suo onirico cammino attraverso la fitta foresta che circondava l’ex castello dei Ravenswood sino ad una fontana nascosta da grandi rami intrecciati.
Ad un tratto la nebbia che circondava il luogo lasciò intravedere la figura di una donna il cui corpo era per metà immerso nell’acqua: la pelle era di un pallore innaturale, i lunghi capelli intrecciati le ricadevano dolcemente su una spalla. Con gesti lenti accennava di avvicinarsi mentre le labbra violacee si muovevano per pronunciare parole inudibili.
Rin, piena di terrore, non riusciva ad opporsi ad una forza sconosciuta che la costringeva ad avanzare verso lo spirito che rimaneva immobile, simile una statua marmorea.
Quando l’acqua della fonte stava ormai per lambire la veste da notte della fanciulla e il cuore accelerava insostenibilmente i suoi battiti, il fantasma spalancò gli occhi completamente bianchi e, emesso un grido assordante e terribile, si inabissò.
L’ultima cosa che videro gli occhi inorriditi di Rin fu l’acqua torbida che si tingeva di sangue.


“Signorina, non riuscite a prendere sonno?”
La rassicurante voce della sua damigella riscosse Rin dai terribili pensieri che non volevano lasciare la sua mente.
“No Kagome..come ogni notte del resto” Rispose abbozzando un pallido sorriso, lasciandosi condurre dalla compagna fino al letto mentre ascoltava pazientemente gli usuali rimproveri che le venivano rivolti ogni notte : “dovreste avere più riguardo per la vostra salute..lo sapete quanto siete cagionevole..l’aria fredda non può farvi che male” ed altre parole di tal guisa.
Quella volta, tuttavia, mentre spazzolava i capelli della padrona scompigliati dal vento, Kagome notò con un certo allarme che c’era qualcosa di strano: le dita magre e affusolate tremavano sommessamente e dalla gravosa espressione del bel viso traspariva una grande preoccupazione.
“Cosa vi turba Miss Asthon?” Chiese dopo un lungo istante di silenzio con una punta di apprensione nella voce.
“Come fai a saperlo?” Balbettò stupita la giovane scrutando il volto della compagna con sguardo indagatore.
La damigella, dopo aver sistemato le coperte abbandonate disordinatamente sul pavimento, le sorrise dolcemente “Perché siamo cresciute insieme, nessuno vi conosce meglio di me” e, chiuse le imposte, si sedette accanto al letto pronta ad ascoltare pazientemente ogni confidenza.


Il sole aveva appena fatto capolino dalle verdi colline indorando con la sua luce la piccola contea di Lammermoor; gli abitanti iniziavano a lasciare con passo lento le abitazioni nella solita routine quotidiana.
Due ragazze stavano percorrendo un tortuoso sentiero perso tra gli alberi ancora bagnati dalla rugiada mattutina.
“Miss Asthon, aspettatemi!E’un terribile errore incamminarci nel bosco da sole, vi prego torniamo indietro!” gridò la seconda “Vostro padre non sarebbe affatto felice se sapesse dove ci troviamo” e dopo un attimo di silenzio aggiunse “Per non parlare di vostra madre.”
Rin si fermò improvvisamente volgendo lo sguardo verso la compagna.
“Mio padre è troppo occupato con il suo lavoro mentre mia madre..bhe..non lo saprà mai visto che si trova a Londra dai parenti. Quindi non c’è nulla da temere!” Sentenziò con un tono a cui non si poteva replicare.
In effetti, come si può arguire dalla conversazione, le redini della famiglia Asthon erano inusualmente tenute con grande fermezza dalla moglie: una donna imponente, dal carattere fermo e deciso; l’appartenenza ad una nobile famiglia traspariva dalla fierezza del volto che conservava ancora le vestigia di un’antica bellezza che il tempo non era ancora riuscito a cancellare e dal suo perenne impegno a mantenere intatto l’onore della famiglia anche con mezzi non proprio ortodossi.
Mr. Asthon, invece, era un uomo di piccola statura ma dalla mente sveglia, abituata a dirimere questioni di ogni tipo; le origini borghesi, coadiuvate dai trucchi appresi nell’esercizio del mestiere di avvocato, gli suggerivano saggiamente di tenersi lontano da ogni possibile conflitto con la moglie: così era costretto a esercitare il suo dominio solo nella la polverosa biblioteca e vicino banco dell’imputato.
La figlia, Rin Asthon, perennemente oppressa e intimorita dall’autorità materna, aveva sviluppato un carattere remissivo e affettuoso: come il fiore nato in un terreno ostico appare più bello e prezioso, così lei risplendeva nel tetro grigiore delle mura domestiche.
Usciva raramente di casa a causa della salute cagionevole; passava le lunghe giornate inginocchiata davanti al grande camino a leggere romanzi, a causa dei quali aveva sviluppato una grande vena romantica, pericolosa per una giovane della sua età totalmente estranea al confronto con la vita reale.

“Ecco Kagome, siamo arrivate” esclamò Rin indicando con aria trionfante una piccola fontana seminascosta dalla vegetazione.
“Questa è la ‘fontana della sirena’ bambina.”
Queste parole improvvise fecero voltare all’unisono le due giovani impaurite: a pochi passi di distanza stava una vecchia signora i cui lunghi capelli bianchi circondavano un viso sul quale i segni del tempo avevano lasciato le loro indelebili tracce. Gli occhi, ormai ciechi, erano velati da una patina bianca e fissavo sempre un solito punto, come se fossero i soli capaci di scorgere cose precluse ai vedenti.
“Chi siete signora?” chiese Kagome balbettando leggermente per lo spavento.
“Kaede era il mio nome” rispose la donna con voce bassa e melodiosa “un tempo servitrice dei Ravenswood, padroni della contea…adesso…adesso sono solo una vecchia che attende la fine delle sue sofferenze: troppe sventure hanno visto questi occhi ormai ciechi, troppo dolore ha sopportate questo mio povero cuore per poter vivere ancora a lungo”.
Rin, colpita da tali accenti, abbassò per un lungo istante lo sguardo, non riuscendo a sostenere la vista del viso della donna rigato dalle lacrime; ma, fattasi coraggio, le rivolse la domanda che non le aveva dato requie della notte precedente.
“Cosa sapete dirmi riguardo a questa fontana?”
La vecchia chinò leggermente il capo, come se tentasse di far riaffiorare dalla mente ricordi ormai oscurati dal trascorrere del tempo; infine, con voce che pareva più un sussurro, cominciò il racconto.
“E’ un’antica leggenda , narra di una donna che era divenuta l’amante di un Ravenwood; erano soliti incontrarsi proprio qui, in segreto; passavano le ore tra colloqui e giuramenti d’amore, convinti che quegli istanti di felicità fossero eterni….Un giorno però..”ma non riuscì a continuare, le parole vennero soffocate da un’ inusuale moto di pietà per una donna mai vista; ma, riscossasi subito, riprese con maggiore trasporto “..l’uomo, convinto che l’amante lo tradisse, la uccise. Nessuno sa se quel sospetto fosse vero e meno..l’unica cosa certa è che quella fontana è la sua tomba, dove riposa per l’eternità piangendo il suo triste destino”.
Le giovani, colpite dalla tragica storia, si avvicinarono istintivamente al luogo dove si era consumato un gesto così atroce, come se si aspettassero di veder sorgere da un momento all’altro il pallido fantasma che aveva tormentato il riposo di Mrs. Asthon la notte precedente.


Quando Rin si volse per ringraziare la vecchia delle informazioni datele si accorse con grande stupore che era sparita così misteriosamente come era arrivata. L’insostenibile silenzio era rotto solo dallo scrosciare dell’acqua che il sole nascente tingeva con riflessi sanguigni.

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Capitolo 3
*** Un incontro voluto dal destino ***



“Sulla tomba che rinserra
Il tradito genitore,
Al tuo sangue eterna guerra
Io giurai nel mio furore:
Ma ti vidi...in cor mi nacque
Altro affetto, e l’ira tacque”




“Ma Miss Asthon, non vorrete..”
“Calmati cara, voglio solo fare una passeggiata da sola; sarebbe un peccato non godersi una giornata splendente come questa.” Rispose Rin ad una preoccupatissima Kagome che tentava di dissuaderla dal suo intento con ogni argomentazione che le passava per la mente.
Infine, scocciata dai continui rimproveri della dama da compagnia, Miss Asthon corse via impedendo così alla compagna di replicare; la quale rimase basita ad osservare la figura che si allontanava sempre di più.

Il sole, giunto al suo apice, emanava un piacevole tepore che riscaldava il volto e l’anima della giovane: la Scozia regalava ai suoi abitanti davvero pochi giorni così piacevoli.
I raggi luminosi indoravano il paesaggio il quale, scosso da una brezza leggera, pareva completamente diverso; l’immensa distesa d’erba risplendeva di colori mai visti e i fiori sulle basse colline si estendevano fino a perdersi con l’azzurra linea del cielo.
Rin osservava incantata quello spettacolo volgendo intorno a sé lo sguardo insaziabile dell’ eterea bellezza che la natura spesso regala ma sulla quale poche volte i nostri occhi si soffermano.
Toltasi le scarpe affondò i piedi delicati nell’erba fresca assaporando a pieno quel primordiale contatto; inclinò la testa all’indietro per permettere al sole di baciarle il bel viso mentre il vento la accarezzava dolcemente scompigliando i folti capelli corvini che risplendevano come fossero seta.
Persa nella contemplazione di quel paesaggio ameno, Rin non si rese conto che poco lontano, staccatosi dalla mandria che placidamente pascolava l’erba fresca, un enorme toro dal manto nero come la notte, preso da quella imprevedibile follia che a volte colpisce gli animali senza un evidente motivo, le si era lanciato contro abbassando le lunghe corna appuntite.
Quando infine gli occhi della fanciulla incontrarono quelli sanguigni della enorme bestia il terrore le invase il corpo intorpidendole le membra tanto da renderle impossibile ogni movimento.

Il toro oramai aveva quasi raggiunto il suo obbiettivo e Rin chiuse gli occhi non aspettando altro che l’arrivo del colpo fatale, quando uno scoppio rimbombò per tutta la foresta.
L’animale, colpito alla testa, cadde con un tonfo sordo a terra mentre la schiuma che usciva dalla terribile bocca si mescolava con nero sangue.
L’ultima cosa che vide Rin prima che i suoi sensi fossero sopraffatti dalla paura e dalla tensione fu una figura che si avvicinava avvolta da un chiaro bagliore: come se un angelo fosse sceso dal cielo per salvarle la vita; ma un attimo prima che la mente si oscurasse un grido spettrale le trapassò i timpani.

Quando aprì gli occhi si rese conto di non trovarsi nello stesso luogo dove aveva perso i sensi: i raggi del sole erano in parte soffocati dai fitti rami, l’erba sulla quale era distesa, impregnata di umidità, le bagnava la veste ormai irrimediabilmente sporca.
Mentre osservava il posto e mille domande le occupavano la mente, le sue orecchie furono colpite da un suono conosciuto; drizzatasi a sedere si voltò di scatto verso il rumore che aveva destato la sua attenzione e davanti a sé scorse la Fontana della Sirena.
Un brivido sconosciuto le percorse, senza un apparente motivo, le membra infreddolite.

“Tutto bene signorina?” Una voce profonda e completamente atona le fece mancare un battito; stava per rispondere allo sconosciuto quando la voce le morì in gola: davanti a lei stava un bellissimo demone che la scrutava con una fredda espressione che dava al volto la parvenza di una statua marmorea.
L’attenzione della fanciulla fu immediatamente catturata dai bei lineamenti del giovane sino a perdersi completamente nelle iridi ambrate che impreziosivano il severo sguardo.
Il corpo era completamente avvolto in uno scuro mantello logorato nella parti estreme, dal quale si intravedeva la lucida canna di un fucile.
Sesshomaru, vedendo che la giovane non dava accenno di risposta, inarcò indispettito un sopracciglio, scocciato al solo pensiero di dover ripetere il quesito.
Rin, intuita l’impazienza del suo salvatore, si affrettò a mettere insieme una risposta, arrossendo appena di vergogna per il suo comportamento puerile.
“Sto bene, grazie..siete voi che mi avete salvato, non è vero?”
Il signore di Ravenswood fece un cenno di assenso mentre si chinava per aiutare la fanciulla ad alzarsi, la quale rimase impressionata dalla forza dell’uomo che pur usava nei suoi riguardi la massima delicatezza. Una volta in piedi fu costretta a gravare quasi completamente sul suo braccio a causa della gambe malferme.
Dopo un momento di silenzio imbarazzante si rivolse di nuovo al suo salvatore.
“Posso sapere il vostro nome signore?”
“Il mio nome non è importante..almeno meno non più” Rispose lapidario il giovane sul cui viso Rin credette di intravedere per un momento un’ombra di tristezza.
“Almeno permettete che mi presenti.”
“Non c’è bisogno” la precedette il giovane “che mi informiate di ciò. Il dovere di cavaliere mi impone di prestare soccorso a qualunque donna in pericolo; sia essa un’umile contadina o una ricca dama” aggiunse infine, sperando di porre fine a quella fastidiosa conversazione, smanioso di liberarsi di quella ragazzina e andarsene per la propria strada.
Miss Asthon, punta nell’orgoglio da quelle taglienti parole, si svincolò dalla presa del burbero sconosciuto e, voltatasi verso di lui con i profondi occhi neri infiammati dalla rabbia, sibilò puntandogli minacciosamente il dito contro: “Se foste un vero cavaliere usereste maggior gentilezza nei miei confronti!”
“Vi prego di perdonarmi” rispose Sesshomaru ostentando un elegante inchino “credevo di aver dato prova sufficiente della mia gentilezza salvandovi la vita, portandovi in braccio sino a qui e rimanendo presso di voi per proteggervi” concluse con un marcato accento ironico che stonava con l’espressione cupa del volto.
Rin, colta in fallo da quelle parole alle quali si rese conto di non poter opporre repliche, gli voltò le spalle infuriata e si incamminò sul sentiero che l’avrebbe riportata al castello, decisa a mettere tra lei e il suo scontroso salvatore la maggior distanza possibile. Ma non aveva fatto i conti con le sue gambe ancora malferme le quali, dopo pochi passi, la abbandonarono improvvisamente.
Sarebbe caduta a terra se una mano non l’avesse tempestivamente afferrata.
Il signore di Ravenswood la sorresse delicatamente con entrambe le braccia, come se avesse paura di fare del male a quella fragile creatura che gli stava letteralmente facendo perdere la pazienza e, alzati gli occhi al cielo, imprecò mentalmente contro quella maledetta giornata nella quale, non solo non era riuscito a portare a termine la sua vendetta, ma lo aveva anche costretto a prestare soccorso ad una ragazzina testarda e oltremodo irritante!
Tuttavia quando abbassò sguardo incontrando quello profondo della fanciulla, dal quale era sparita ogni traccia di rancore, ogni pensiero svanì dalla sua mente così velocemente come un soffio di vento riesce a spazzare via anche i nembi più minacciosi.
Questa reazione, non controllata dalla sua mente, lo stupì così tanto da fargli sorgere il dubbio di essere completamente impazzito; ma, quando sentì il suo cuore riscaldato dal sorriso gentile e un poco imbarazzato della fanciulla, il dubbio diventò una pericolosa certezza.

“Rin! Rin! Sei qui?”
Una voce maschile, dalla quale traspariva grande apprensione, ruppe la strana atmosfera che si era creata tra i due giovani facendoli voltare di scatto, come colti in flagrante di un peccato del quale non riuscivano a dare nemmeno un nome.
La giovane, riconoscendo il tono a lei familiare, si incamminò velocemente, per quanto le sue gambe potevano permettere, verso il nuovo arrivato ancora nascosto dalla fitta vegetazione mentre trascinava per una mano il suo salvatore dietro di lei.
“Venite signore..mio padre è venuto a cercarmi..vi sarà eternamente grato quando gli racconterò quello che avete fatto per me!” Ripeteva con evidente eccitazione.
Il signore di Ravenswood si arrese di malavoglia alle insistenze della fanciulla osservando, quasi con divertimento, la piccola mano che afferrava con decisione la sua molto più grande e forte al termine della quale brillavano lunghi artigli affilati, ignaro di ciò che lo aspettava a pochi metri di distanza.

Infatti, quando Mr. Asthon gli apparve davanti, una scarica elettrica corse velocissima attraverso le membra irrigidite.
Fu un attimo: stupore, rabbia, furore, delusione. Tutti questi sentimenti si scontrarono, si mescolarono così velocemente da far perdere al demone ogni barlume di ragione; il sangue infuocato faceva pulsare le tempie e le pupille ambrate furono attraversate da un bagliore vermiglio.
“Tu” Sibilò tra i denti, mettendo in quella sillaba tutto il disprezzo possibile, mentre la mano corse istintivamente all’elsa della spada.
Mr. Asthon stava davanti a lui con gli occhi sbarrati dal terrore e il volto sbiancato madido di freddo sudore.
“Si..signore di Ravenswood..voi..” balbettò cercando inutilmente di frenare il tremore che gli scuoteva il corpo.
Rin, resasi conto del terribile gesto che aveva inconsapevolmente compiuto, si lanciò contro Sesshomaru in un disperato tentativo di proteggere il padre cercando di impedirgli di snudare l’arma.
Quando gli occhi furenti del giovane incontrarono quelli colmi di lacrime della piccola e indifesa umana la rabbia si dileguò in un attimo mentre un fioco barlume di ragione cercava di farsi faticosamente spazio nella sua mente.
La pietosa vista della fanciulla diventò insopportabile, un sentimento sconosciuto gli gravava sul cuore come un macigno.
“Vi prego signore..non fate del male a mio padre..Vi prego!”
Quelle ultime parole rotte dal pianto colpirono il petto del giovane come una lama infuocata.
Sconvolto dai suoi stessi sentimenti che per la prima volta non riusciva a controllare, il signore di Ravenswood saltò a cavallo spronandolo con tutta la forza della sua disperazione e corse via così velocemente da sembrare che la Morte in persona lo stesse incalzando.

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Capitolo 4
*** una visita inattesa ***



“Qui del padre ancor s’aggira
L’ombra inulta, e par che frema!
Morte ogn’aura a te qui spira!
Il terren per te qui trema!”




Il sole, terminato il suo eterno corso, aveva lasciato il posto ad una notte particolarmente fredda; mentre le nuvole, cariche di umidità, sovrastavano la contea di Lammermoor con il loro incedere minaccioso.
Le stelle illuminavano appena l’imponente torre di Wolf’s Crag, mentre il vento, riuscito a insinuarsi attraverso i numerosi fori, dava vita ad un rumore che in una casa in città sarebbe stato impercettibile ma che, in quel vecchio maniero circondato da un tetro silenzio, risultava assordante.
All’interno due uomini erano seduti vicino all’imponente camino che riusciva appena a riscaldare l’immensa stanza; la quale, probabilmente, era stata in tempi remoti una splendente sala da ballo.
Sul soffitto annerito pendevano ancora vecchi stendardi recanti lo stemma ormai sbiadito della famiglia Ravenswood e le pareti erano completamente tappezzate di vecchi arazzi dove erano dipinte varie scene di caccia e battaglie delle quali oramai si era persa la memoria.
Uno dei due uomini, seduto su una spoglia sedia di legno, stava distrattamente lucidando la canna del fucile con lo stesso ripetitivo movimento, mentre gli occhi erano fissi su un punto indecifrato del pavimento intenti a ripercorrere ricordi ben impressi nella mente.

“Dunque abbiamo fatto il galante con la figlia di Asthon..però, chi lo avrebbe mai detto!”
Esordì infine il compagno dopo un lungo momento di esitazione, riuscendo a malapena a trattenere un risolino di scherno.
“Inuyasha!” Sibilò seccato il signore di Ravenswood, più per il tono ironico che per l’osservazione “quante volte ti devo ripetere che..”
“…che non devo permettermi queste confidenze anche se sono vostro fratello.” Concluse il ragazzo ripetendo la cantilena, ormai tristemente nota, con lo stesso tono con cui si recita una poesia imparata per forza e malvolentieri.
“Si, fratello, ma solo da parte di padre” Ci tenne a sottolineare l’altro “il quale, ti rinfresco la memoria, si è guardato bene da riconoscere il figlio che aveva concepito con una serva.
Quindi dovresti solo ringraziarmi di averti concesso di stare con me. Altrimenti adesso saresti ad aumentare le fila, già ben numerose, degli straccioni che strisciano di casa in casa a chiedere l’elemosina!”
“Bell’onore davvero” Borbottò tra sé Inuyasha, guardandosi bene dal farsi udire dal fratello “servo di un signore senza un soldo!Forse sarei stato più ricco facendo il mendicante.”
E, dopo una breve pausa, aggiunse con tono più alto e deciso, smanioso di punzecchiare il fratello con le sue ben note battute sarcastiche: “Siate pure voi l’ultimo erede dei Ravenswood! Non vi invidio certo per questo titolo…per quanto possa ancora valere. D’altra parte, a chi piacerebbe avere una secolare profezia appesa sulla testa come un spada di Damocle?!..Vi ricordate come recitava?

"La stirpe dei Ravenswood si estinguerà Quando l’ultimo erede una morta in moglie chiederà"

Roba da far gelare di paura anche il cuore più coraggioso.”
“Adesso basta!” Tuonò Sesshomaru oltremodo irritato dagli sproloqui del fratello “Quella profezia è solo una stupidaggine, come stupidi sono coloro che le prestano ascolto!” Sentenziò lapidario sbattendo il fucile per terra in un mal controllato scatto d’ira.

Il silenzio piombò di nuovo nella sala, rotto solamente dallo scoppiettare del fuoco che si affievoliva sempre di più.
Inuyasha, resosi conto che forse non era il caso di continuare ad irritare il compagno, si chinò per raccogliere vicino al camino qualche ciocco dall’esigua dispensa per ravvivare la fiamma.
Intanto lo sguardo di Sesshomaru, perso nella contemplazione delle grande sala, si soffermò sulla figura del fratello impegnato nel difficile tentativo di occuparsi del camino.
Era incredibile! Ogni volta che lo osservava riusciva a trovare un nuovo tratto di somiglianza tra loro due!
Questa scoperta veniva accolta dalla sua mente non senza una certo sentimento disprezzo e fastidio per la natura ‘impura’ dell’unico famigliare che gli era rimasto in vita.
Tuttavia questo astio si era notevolmente affievolito negli ultimi tempi a causa, soprattutto, della stretta convivenza a cui erano obbligati a causa della povertà; la quale, nel male, li aveva uniti più di quanto avrebbero mai voluto ammettere.
Inuyasha, scambiando lo sguardo indagatore del fratello per un’autorizzazione a continuare il suo discorso, non si fece sfuggire l’occasione per porgli la domanda che aveva prepotentemente preso posto nella sua testa e non sembrava intenzionata a dargli un attimo di pace, da quando Sesshomaru gli aveva narrato, dopo un lungo e faticoso interrogatorio, del singolare incontro che aveva fatto il giorno precedente.
“Adesso cosa avete intenzione di fare con Mr. Asthon?”
“Che diavolo di domande fai? Lo ucciderò, mi sembra scontato. Come avrei dovuto fare oggi se non si fosse intromessa quella ragazzina.”
“E se lei si intrometterà di nuovo?”
Questo era il punto a cui Inuyasha voleva arrivare per riuscire a decifrare quanto quella fanciulla era riuscita ad incrinare la granitica sicurezza del fratello e fino a che punto era riuscita a turbare il suo animo risoluto.
“Stavolta nessuna lacrima mi potrà fermare. Ho giurato vendetta sulle ceneri di nostro padre e, mi costasse la vita, la porterò a termine.”
L’ultima frase del signore di Ravenswood suonò come un punto definitivo riguardo alla ‘questione Asthon’; anche se Inuyasha sapeva bene che quelle parole erano state pronunciate da Sesshomaru più per convincere sé stesso, che il fratello.

Un lampo improvvisò illuminò l’enorme sala di un alone spettrale, seguito quasi subito da un forte boato e dall’inconfondibile rumore della pioggia che cadeva violentemente sopra il tetto della fatiscente torre.
“Proprio una bella serata.” Sentenziò Inuyasha mentre si apprestava a lasciare la silenziosa compagnia del fratello, conscio che per quella sera non sarebbe riuscito ad estrapolare dalla sua bocca altre informazioni e si incamminò per raggiungere la sua camera nel piano più alto della torre, destinata da sempre alla servitù, ma adesso più povera e spoglia che mai.

Tuttavia, prima che riuscisse a muovere una passo, un suono appena percettibile attirò la sua attenzione; come se qualcuno stesse bussano al portone che, a causa dell’imponente mole, veniva sempre lascito socchiuso fidando nel fatto che nessuno, malintenzionato o meno, si sarebbe avventurato per quelle lande solitarie, tantomeno di notte.
“Avete sentito? Ce qualcuno là fuori.” Disse volgendosi di scatto verso il fratello, il quale scrollò scetticamente le spalle.
“Chi vuoi che venga a quest’ora? E con quest…”
Ma le parole gli morirono in gola quando un’oscura figura apparve nella sala: era completamente avvolta in uno scuro mantello in parte sporco di fango, il volto era coperto da un grande cappuccio che ne accresceva l’aspetto minaccioso.
Sesshomaru, con uno scatto improvviso, si lanciò verso la spada poggiata sopra l’imponente tavola di legno scuro e la snudò con inumana velocità, digrignando minacciosamente i denti .
“Come osi entrare senza permesso in casa mia?! Almeno abbi il coraggio di mostrarmi la tua faccia!” Ringhiò puntando minacciosamente l’arma contro l’intruso.
Inuyasha, rimasto basito dall’inattesa apparizione, se ne stava fermo nella stessa posizione, indeciso se frenare l’ira del fratello o dargli manforte.
Ma il suo stupore crebbe ancor di più quando la figura incappucciata si scoprì il volto.

Una fanciulla indifesa stava in piedi di fronte a loro: i lunghi capelli neri, bagnati dalla pioggia, le ricadevano disordinatamente sulle spalle, il bel viso era coperto di un pallore quasi innaturale e i suoi occhi scuri, come pietre preziose, splendevano di uno strano bagliore.
“Voglio parlare col signore di Ravenswood” Esordì Miss Asthon. Anche se quelle parole, pronunciate dalla sua bocca, parevano più una supplica che un ordine.
Sesshomaru in un primo momento non rispose.
Era troppo stupito, troppo sconvolto dall’apparizione di quella piccola creatura che creava dentro di lui così tanto scompiglio.
Non poteva apparire di nuovo, così improvvisamente e sconvolgere tutti i sentimenti che aveva così faticosamente riportato alla calma! Stava cercando di farlo impazzire? Ed aveva addirittura sfidato la furia degli elementi pur di continuare a perseguitarlo anche nel luogo più remoto di tutta la contea!
Cercò di calmarsi, ma ormai era palese il forte impatto che aveva suscitato in lui quella scoperta; anche il tono sicuro della voce assumeva sfumature innaturali.
“Mia signora. Non credo ci sia nessun argomento sul quale sia così urgente discutere. Vi sarei grato se tornaste al vostro palazzo immediatamente.” Tagliò corto voltandole le spalle nel disperato tentativo di riprendere completamente il controllo.
“Vi prego, è importante.”
“No!”
“Ma signore, riguarda la questione in sospeso tra mio padre e voi!”
“Tutto ciò che viene di male per la vostra famiglia è una gioia per me e tutto ciò che mi nuoce è sollievo per voi! Non vedo a che possa giovare questa discussione, buonanotte Miss Asthon.”
Il sentir pronunciare il suo nome con sì tanta durezza e disprezzo fece sprofondare Rin nella disperazione più totale, tanto che si accasciò a terra in preda allo sconforto.
Tuttavia, quando calde lacrime iniziarono a rigare il viso della fanciulla, il giovane sentì riaffiorare dalla parte più nascosta della sua anima quell’arcano sentimento di angoscia che lo aveva costretto a fuggire come un vigliacco il giorno precedente.
“Va bene, va bene, sedetevi. Ma non vi concederò più di mezz’ora, dopodichè tornerete subito al vostro castello.”
Concesse infine, non riuscendo più a combattere contro quell’irritante sensazione che aveva preso il sopravvento senza, cosa che lo irritava notevolmente, un evidente motivo.

Inuyasha, preso un vecchio candelabro posto sopra il camino, si allontanò silenziosamente dai due giovani e si diresse verso la vecchia e polverosa camera degli ospiti, ormai in disuso da decenni, per cercare di sistemarla al meglio.
Era sicuro che, almeno per quella notte, sarebbe servita.




Chiedo umilmente perdono per il ritardo ^__^ ma è riniziata l'università e il tempo che mi rimane per scrivere è abbastanza esiguo. Grazie per la pazienza.
Baci Jessy

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Capitolo 5
*** Confronto ***




“Tu che vedi il pianto mio
Tu che leggi in questo core,
Se respinto il mio dolore
Come in terra in ciel non è.”




Il signore di Ravenswood fece strada all’inattesa ospite e con un cenno la invitò a sedersi sulla poltrona meno scomoda che riuscì a trovare; sistemandosi a sua volta di fronte ad essa e cercando di richiamare all’ordine tutte le emozioni che avevano anarchicamente preso possesso della sua mente; anche se la vicinanza della fanciulla non dava certo una mano all’arduo compito.
La fievole voce di Rin, dalla quale traspariva un velo di timore, lo riscosse all’improvviso dai suoi pensieri.
“Vi chiedo perdono signore se sono entrata senza permesso, ma avevo urgente bisogno di parlarvi. Altrimenti non mi sarei mai permessa di..”
“Lasciate perdere questi inutili preamboli signorina” la interruppe bruscamente Sesshomaru con un marcato accento di impazienza nella voce “e venite al punto.”
Miss Asthon, ormai rassegnatasi di fronte alla scarsa gentilezza del suo interlocutore, prese coraggio e iniziò a formulare la richiesta che, sapeva bene, lo avrebbe fatto andare su tutte le furie.
“Sono venuta a chiedervi..a supplicarvi di abbandonare il vostro progetto di vendetta contro mio padre. Posso capire che vi ha fatto un grande torto ma..”
“Cosa!? Osate venire a parlare di una cosa del genere qui, in casa mia?!” Ruggì il demone interrompendola senza tante cerimonie, diviso tra la furia e lo stupore, alzandosi di scatto dalla sedia, che si rovesciò con un tonfo così forte da rimbombare per tutta la sala.
“Vi prego ascoltatemi!” insisté la giovane afferrando un lembo della veste di Sesshomaru in preda alla disperazione “Voi non lo conoscete, non è un uomo malvagio!..Ma non è ancora troppo tardi. Potreste trovare un accordo parlando civilmente. In fondo ha comprato i vostri possedimenti legalmente..”
“..legalmente?!” Sibilò il signore di Ravenswood liberandosi dalla presa con un violento strattone “Voi! Maledetti borghesi che affogate tra la vostre scartoffie e vi appellate, insolenti, a cavilli scritti in una lingua con la quale vi riempite la bocca senza capirne una sola parola! Che diritto avete di appellarvi alla giustizia; voi che cercate di trovare ogni strada per aggirarla!? Lo sai ragazzina qual è la vera giustizia? E’ quella che si conquista col sangue e con la spada, mettendo in gioco la vita e l’onore; non quella che dicono di difendere nelle polverose aule di tribunali corrotti!”
Un bagliore rossastro balenò negli occhi del giovane; il quale, accortosi di essersi fatti trascinare dall’ira, tentò disperatamente di recuperare la calma.
Rin, completamente ammutolita, aveva la sguardo fisso a terra, terrorizzata dalla reazione del demone, che era stata più terribile di qualunque previsione; mentre gli occhi, così sicuri fino a poco prima, erano gonfi di pianto.
Allora, accortosi della reazione della fanciulla, Sesshomaru rimase in silenzio, indeciso sul da farsi.
Sentì un profondo senso di disagio affiorare dal profondo, una sorta di pentimento per la propria incapacità di controllarsi.
Non sapeva darsi una spiegazione; ma il solo pensiero che ella potesse essere terrorizzata da lui lo dilaniava, lo feriva, gli lacerava il cuore già piagato da lunghi anni di sofferenze e soprusi.
Miss Asthon, ripreso un poco coraggio, cacciò indietro le lacrime che cercavano insolentemente di rigarle le guance e alzò il volto verso il demone, decisa a tentare un’ultima, disperata, preghiera. Tuttavia, nel momento in cui le parole stavano per uscirle dalle labbra, un brivido le corse lungo la schiena facendo tremare da capo a piedi il fragile corpo.
Solo allora il signore di Ravenswood si rese conte che era completamente fradicia.
“Mia signora” si affrettò a dire, sebbene una punta d’indecisione nella voce lasciasse trasparire la riluttanza a formulare un invio del genere “forse è meglio che vi facciate accompagnare dal mio servitore in camera degli ospiti affinché possiate asciugarvi e cambiarvi d’abito.”
“Ma signore..” balbettò la ragazza, allibita dall’inaspettata gentilezza del suo interlocutore, il quale fino a pochi secondi prima le si era rivolto con davvero poca cortesia.
“Tacete, vi prego” la interruppe “non desidero i vostri ringraziamenti; è un dovere. Non gradirei che mi diate la colpa anche di una vostra eventuale malattia.”
Dopo aver dato questa risposta, che fu per Rin come una doccia gelata, le voltò le spalle e mise mano a una piccola corda per chiamare il servitore.
Inuyasha entrò trafelato nella stanza con un’espressione leggermente scocciata disegnata sul volto.
Era mai possibile il fratello riuscisse a togliergli quei pochi attimi di tranquillità con un tempismo sconvolgente!
Stava per rivolgere delle parole davvero poche consone per un servitore in direzione del signore di Ravenswood, quando quest’ultimo lo bruciò sul tempo.
“Inuyasha, accompagna Miss Asthon nella camera degli ospiti e portale una veste pulita.”
Allora il mezzodemone, messa da parte ogni rimostranza, inchinandosi con quanta più eleganza fosse capace, invitò la fanciulla a seguirlo mentre lanciava di tanto in tanto occhiate ironiche al fratello, il quale lo ricambiava con un’espressione che non prometteva nulla di buono.

*****

Rin seguiva la sua giuda attraverso una stretta e umida scalinata. I gradini, appena illuminati dalla fioca luce della candela che Inuyasha stringeva saldamente in mano, erano ormai completamente lisci e erosi nella parte più esterna.
Si ritrovò infine in un lungo corridoio; la luce della luna, penetrando attraverso le grandi finestre, illuminava una gran quantità di ritratti appesi ordinatamente alle pareti.
La fanciulla avanzava lentamente, osservando non senza un certo timore, i personaggi dipinti. Dovevano essere tutti appartenenti alla famiglia Ravenswood: la gravità dei loro sguardi e le perfette linee del volto lo dimostravano senza alcun dubbio.
Ad un tratto la fanciulla si fermò di scatto spalancando gli occhi incredula.
Davanti a lei era immortalata in un grande dipinto collocata nella parte centrale della parte una figura che conosceva molto bene.
“Se..Sesshomaru.” balbettò stupefatta.
Il demone volgeva il viso dai lineamenti nobili e fini verso lo spettatore con la solita espressione altera che aveva il dono di far sentire a disagio qualunque persona avesse di fronte, mentre il corpo era rivestito da una lucida armatura di antica fattura intarsiata di pietre preziose che facevano risplendere ancora di più la sua figura.
Tuttavia, c’era qualcosa di strano in lui…un qualcosa al quale Rin non riusciva a dare un nome, ma che percepiva come completamente estraneo: gli occhi, sebbene risplendessero del solito colore ambrato, avevano un’espressione diversa…erano duri e fieri come i suoi, ma mancava quel sottile velo di tristezza che tanto l’aveva colpita; come se dentro al corpo del signore di Ravenswood albergasse un’altra anima.
“Quello non è il signor Sesshomaru, Miss Asthon” intervenne all’improvviso Inuyasha, il quale aveva intuito i pensieri della giovane “è un antenato della casata Ravenswood, un guerriero tanto valoroso quanto crudele vissuto molti anni fa” e, dopo un attimo di esitazione, aggiunse “non so se conoscete la leggenda che lo riguarda..la storia della ‘fontana della sirena’..”
Rin spalancò gli occhi attonita.
Dunque era lui..
Era lui che aveva ucciso con tanta crudeltà l’amata per salvare il proprio onore, era lui che aveva dato vita a quel terribile fantasma, era lui che popolava ogni notte i suoi sogni inquieti.
Un brivido la scosse da capo a piedi e un profondo senso di angoscia la costrinse a staccare gli occhi dal dipinto..l’uomo che dominava i suoi incubi non poteva avere lo stesso volto di colui che dominava i suoi sogni..
“Si, la conosco” rispose dopo un lungo istante di silenzio, volgendo al suo accompagnatore un sorriso forzato “ora, se foste così gentile da farmi strada; sto morendo di freddo.”
“Prego signorina, siamo arrivati” disse Inuyasha, indicandole una grande porta di legno scuro in fondo al corridoio, e, dopo averla fatta accomodare, si sbrigò a congedarsi speranzoso che Mrs. Asthon non avrebbe avuto troppo da reclamare sulle condizioni della stanza.
In effetti la camera, arredata molto spartanamente con un letto sul quale erano state sistemate delle vecchie coperte e un piccolo mobile il cui legno era in parte marcito per la grande umidità, era stata pulita molto velocemente e con poca perizia cosicché la polvere risultava la sovrana incontrastata del luogo.
Rin scosse le spalle rassegnata e si affrettò a togliersi la veste fradicia.

*****
Dopo essersi cambiata con un vecchio abito di pregevole fattura impreziosito da merletti e rifiniture argentate, trovato chissà dove dall’ingegnosa mente di Inuyasha, scese in silenzio il cupo passaggio che l’avrebbe riportata nella grande sala.
Tuttavia dopo pochi passi fu costretta a fermarsi da un improvviso moto di ansia: si rese conto di aver paura.
Stava per tornare lì..stava per tornare da lui..
Non si fidava di se stessa..non si fidava della propria debolezza. Cosa avrebbe potuto fare lei, piccola e debole umana di fronte a quel demone così potente, così orgoglioso…così bello...
Si riscosse immediatamente da questi pensieri, intimorita di indagare i segreti del suo stesso cuore e si avvicinò risoluta alla porta decisa a tentare un ultimo disperato tentativo per salvare il padre; ma quel che vide la pietrificò completamente.
Solo, il signore di Ravenswood se ne stava seduto davanti al camino. Il fuoco illuminava con bagliori vermigli il viso marmoreo e i capelli argentei che ricadevano sulle grandi spalle messe in risalto dalla fine camicia bianca scompostamente aperta sul collo.
Gli occhi ferini avevano completamente perso la solita espressione superba; era fissi su un punto innanzi a sé ma senza vedere nulla, come se ripercorressero immagini evocate dalla mente.
Un pesante velo di tristezza copriva lo sguardo fino a poco prima così freddo e fiero, riuscendo a soffocare l’usuale bagliore che faceva risplendere quelle iridi ambrate.
Rin non riusciva a staccare gli occhi da quella figura; le sembrava di essere stata proiettata in un altro luogo e in un altro tempo..come se si trovasse in un sogno.
Di colpo ogni rancore, ogni timore nei confronti di quell’uomo fatale scomparvero.
Così immobile, assorto in oscuri pensieri, pareva uno di quei personaggi tragici che lei così tanto amava e compativa.
Senza sapere il perché si sentì invasa da una soffocante tristezza che permeava l’atmosfera in quella stanza..le sembrò di conoscere quell’uomo da tanto tempo…anzi..di averlo conosciuto da sempre.
Riuscì a sentire, quasi a sfiorare la sua angoscia.
In quel momento capì tutto…
…anche quello che non avrebbe voluto…
Quel demone non era suo nemico, non lo era mai stato. Era una vittima, come lei. Erano entrambi prigionieri di quel mondo falso e corrotto al quale erano consapevoli di non appartenere e dal quale erano rifiutati. I valori ai quali si affidavano, per i quali combattevano erano banditi, erano inutili, erano dannosi in quell’universo dove ogni certezza umana si stava sgretolando.

Come un piccolo sasso, precipitato da un’alta montagna, aumenta sempre di più la sua velocità e trascina nella sua inesorabile caduta altre pietre, devastando tutto ciò che trova sul suo cammino; allo stesso modo quell’immagine così insignificante avrebbe travolto le loro vite trascinandole in una inesorabile corsa verso la disfatta.




Scusate per il ritardo, ma gli esami incombono ç__ç
un ringraziamento speciale a lollyna per i suoi commenti!

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Capitolo 6
*** Sotto la luce della Luna ***




“Qui, di sposa eterna fede
Qui mi giura, al cielo innante.
Dio ci ascolta, Dio ci vede
Tempio, ed ara è un core amante”




La notte particolarmente umida era impreziosita di stelle brillanti, le quali si erano timidamente affacciate dalle folte nubi che avevano oscurato sino a poco prima la contea. La luna, troneggiando incontrastata, si rifletteva in ogni pozza d’acqua; come se fosse stata fatta a brandelli da una lama affilata e i mille pezzi fossero stati gettati negligentemente sulla terra.
Intanto il vento continuava a danzare attraverso le deserte distese d’erba e gli intricati rami dei boschi che circondavano come una fortezza l’antica torre.
Rin, salita sulla terrazza più alta , socchiuse gli occhi ancora più scuri della notte stessa, completamente assorbita da quel paesaggio incantato mentre lasciava che il vento le accarezzasse con la sua dolce mano il volto rigato dalle lacrime.
Adesso era lì, immobile, che respirava a pieni polmoni l’aria fresca mentre tentava di riportare all’ordine i propri sentimenti.
La tempesta di sensazioni inconsciamente provocata dal signore di Ravenswood l’aveva sconvolta così tanto da farla fuggire via. Non si ricordava quali strade avesse preso in quel labirinto di stanze e corridoi, né quale forza irrazionale l’avesse spinta ad allontanarsi il più possibile da quell’uomo; al quale, aveva intuito con terrore, di essere indissolubilmente legata. Dopo un lasso di tempo che non era in grado di calcolare, si era ritrovata in quello spazio all’aperto e, accasciatasi a terra, era scoppiata in un pianto disperato.
Non riusciva a capire se fosse il destino o una crudele casualità a far incrociare continuamente le loro strade; tuttavia aveva la costante sensazione di far parte di un antichissimo disegno del quale non era in grado di discernere i tratti.
Scosse amareggiata la testa, come se volesse cacciare via tali pensieri dalla mente e disperderli nell’oscurità di quella notte. Doveva smetterla con quelle fantasie romantiche da bambina! Ormai era una donna, una donna che doveva preoccuparsi dei problemi della propria famiglia!
Risolutamente si impose che non appena avesse ripreso completamente il controllo si sé, sarebbe tornata da quell’uomo e sarebbe riuscita a convincerlo, con ogni mezzo, a desistere dal suo folle progetto.

“Noto con piacere che avete perso la vostra solita loquacità.”
Una voce profonda, dal leggero accento ironico la fece voltare di scatto.
Davanti a lei apparve il signore di Ravenswood; il quale, mentre avanzava lentamente sicuro della propria innata eleganza, non smetteva di osservarla con le pupille dorate che risplendevano nell’oscurità con un sinistro bagliore. L’espressione del volto, sempre fredda e autoritaria, aveva tuttavia perso la solita durezza, anzi, pareva quasi dolce, così da creare uno strano contrasto con lo sguardo ferino.
La camicia, leggermente aperta, metteva in risalto il collo, perfettamente liscio, di un biancore immacolato; attraverso il quale si intravedevano i muscoli perennemente in tensione: come se si sentisse costantemente minacciato.
I capelli, color della luna, gli sfioravano il viso ad ogni alito di vento per poi ricadere mollemente sulle ampie spalle, protette dal pesante mantello da caccia che sfiorava appena il terreno.
Senza proferire parola si avvicinò a lei; il silenzio assordante era rotto solamente dal cupo rumore che i pesanti stivali di cuoio emettevano ad ogni passo.
Giunto davanti a lei volse per un attimo lo sguardo verso la luna, la quale si imponeva maestosamente, come una vecchia regina ormai avvezza al comando, in mezzo al cielo stellato e rifletteva sul viso del demone una fioca luce tetra.
“Sentivate la mia mancanza per caso?” Chiese Miss Asthon con tono irriverente, rompendo il silenzio che, a suo avviso, stava diventando alquanto fastidioso.
Sesshomaru stette in silenzio per un attimo, poi, voltandosi verso la fanciulla, rispose con aria grave, dalla quale era sparita ogni traccia di ironia.
“Se vi dicessi di si, cosa cambierebbe?”
Rin rimase per basita: non si sarebbe mai aspettata di sentir pronunciare parole del genere dalla bocca di lui e, tantomeno , sarebbe riuscita a trovare immediatamente un’adeguata replica a quel quesito così imbarazzante; al quale, in verità, neanche lei sapeva dare una risposta soddisfacente.
Allora egli, vedendo che la fanciulla non accennava a parlare, con un sorriso amaro le si avvicinò lentamente a un orecchio e, scostati i folti capelli corvini con in leggero tocco delle dita le sussurrò con una voce dolce e malinconica: “Vedete? Non cambia niente..non potrà mai cambiare niente. Siamo due nemici, è inevitabile; per quanto grande sia il mio rispetto e la mia stima nei vostri confronti non possiamo cambiare nulla. Il destino ci ha tolto ogni speranza, e noi non possiamo fare altrimenti che seguire la strada che ci è stata prefissata; per quanto essa possa essere dolorosa.”
Rin rimase completamente impietrita, non riusciva a muoversi né a parlare; sentì un bruciante rossore salirle sino alle guance, mentre gli occhi si colmavano di nuovo di lacrime.
Era la prima volta che lo sentiva così vicino. Un profondo senso di angoscia le provocava un dolore indicibile; desiderò abbracciarlo, stringerlo a sé, prenderlo per la mano e fuggire via, il più lontano possibile, dove la malvagità umana non li avrebbe mai raggiunti. Tuttavia la tristezza delle sue parole non poterono evitare che il respiro caldo del demone, infrangendosi ad intervalli regolari contro l’orecchio di lei, le provocasse delle minuscole scariche elettriche, le quali, partite dal collo le serpeggiarono con crudele lentezza lungo la schiena.
Con uno sforzo supremo ella alzò lo sguardo per cercare quello di lui e, riuscendo a malapena a frenare i singhiozzi, gli poggiò dolcemente le mani sul viso freddo mentre le parole che le uscivano dalla bocca venivano trascinate via dal vento leggero.
“Perché vi arrendete così? Siete un uomo fiero e orgoglioso, dovete combattere per la vostra vita, per ciò che ritenete giusto e non farvi trascinare dagli eventi. Così metterete solo in pericolo la vostra vita!”
In un moto di sconforto Sesshomaru scrollò desolatamente le spalle.
“Come se a qualcuno importasse qualcosa della mia vita!” Sentenziò lapidario, abbassando leggermente lo sguardo; mentre una profonda malinconia avvolgeva le sue parole.
Rin, continuando a carezzare dolcemente il viso di lui, lo costrinse di nuovo a incrociare i loro sguardi. Le lacrime iniziarono a scorrerle liberamente lungo le guance leggermente arrossate mentre con la voce scossa dai singhiozzi cercava di pronunciare ciò che non avrebbe mai dovuto nemmeno pensare.
“A me importa.” Il signore di Ravenswood spalancò gli occhi incredulo.
Quell’umana, lasciando da parte ogni dovere e ogni regola di buon senso, gli aveva completamente aperto il suo cuore senza alcun rimorso, senza alcuna paura!
…A me importa… Quella frase continuava a rimbombargli nella mente. Ad un tratto provò una profonda vergogna: la consapevolezza che una ragazzina così piccola e indifesa, probabilmente ignara fino in fondo di quanto fosse realmente crudele il mondo che li circondava, aveva trovato il coraggio di mostrare senza rimorso i propri sentimenti. Cosa che egli non avrebbe mai trovato la forza di fare, neanche in mille anni!
Era completamente stordito. Non sapeva come comportarsi, cosa risponderle; era la prima volta che si trovava veramente in difficoltà, e per giunta per colpa di una donna!
Una debole voce..un fioco barlume di ragione gridava disperatamente di non lasciarsi affascinare, lo metteva in guardia dai pericoli che avrebbe dovuto affrontare, lo supplicava di non legarsi a lei per nessuna ragione.

Ma, per quella volta, il signore di Ravenswood non l’ascoltò.

Afferrò la fanciulla per le spalle e, prima che potesse capire cosa stesse facendo, appoggiò le proprie labbra sopra quelle tremanti di lei.
Rin rimase per un attimo stupita da quel gesto…ma fu solo un attimo. Chiusi gli occhi si lasciò completamente andare tra le braccia di lui, maledicendo ogni pudica remora; mentre le lacrime rendevano leggermente amara la dolcezza di quel bacio proibito.
Un silenzio irreale avvolgeva la torre deserta. Solamente gli astri erano i muti spettatori di quel gesto fatale; i quali illuminavano pudicamente, con una fioca luce, il fosco paesaggio che assumeva sempre di più le vaghe tinte di una sogno.
I due giovani sapevano che dopo quel gesto niente sarebbe stato più come prima, che quello era il punto di non ritorno dal quale avrebbero dovuto intraprendere una strada sconosciuta, pericolasa, forse impossibile da percorrere.
Ma in quella notte non c’era posto per la ragione.

Dopo qualche secondo, che era parso un’eternità, Sesshomaru scostò leggermente il viso da quello della fanciulla che gli regalò un sorriso così dolce da fargli sentire una forte stretta al cuore.
La notte avvolgeva completamente i due innamorati, proteggendoli da ogni pericolo.
Con l’oscurità ogni cosa prendeva la sua reale forma: non c’era più bisogno di mentire, di dissimulare; è il momento in cui le persone si tolgono le maschere che sono costretti ad usare sotto l’accecante luce del giorni e tornano infine ad essere loro stesse.
Allo stesso modo i due giovani non erano più nemici, rivali. Soli, avvolti dalle tenebre, potevano essere ciò che desideravano semplicemente essere: due amanti.
Il signore di Ravenswood sorrise mentalmente: non avrebbe mai creduto di poter provare una simile felicità; era una sensazione completamente nuova e lo entusiasmava come poteva essere entusiasta un fanciullo davanti alle prime scoperte della vita: una sensazione pura, sconosciuta, incorruttibile. E, adesso che l’aveva conquistata, era pronto a combattere sino alla morte per proteggerla.
Completamente rapito da quell’estasi, socchiuse gli occhi e avvicinò di nuovo il suo viso a quello di Rin, la quale lo stava osservando con tutta la dolcezza che una donna innamorata può regalare al suo amato.

Non seppe mai dire se quello che accadde fu realtà o frutto di una suggestione.
Tuttavia, gli parve terribilmente vero.

Quando le labbra del demone sfiorarono quelle della fanciulla, uno scatto istintivo lo fece allontanare inorridito: erano completamente gelate.
Con gli occhi sbarrati cercò disperatamente di incontrare il viso della fanciulla; ma quello che vide non osò mai raccontarlo, sebbene il ricordo rimase indissolubilmente impresso nei suoi occhi.
Davanti al signore di Ravenswood stava una figura inumana, all’apparenza una giovane donna che per certi tratti, notò Sesshomaru con orrore, somigliava in maniera impressionante a Rin.
Il fantasma, completamente avvolto da un bagliore etereo, lo osservava con le sue orbite completamente bianche. I lunghi capelli neri le ricadevano disordinatamente sul volto e sulle spalle fino a lambirle i fianchi. Il pallore mortale del viso, che portava ancora le vestigia di un’antica bellezza, era a tratti messo in evidenza dalla tetra luce lunare; mentre la bocca violacea si muoveva lentamente, come per pronunciare parole inudibili.
Ad un tratto la fanciulla alzò con straziante lentezza una mano scheletrica puntando accusatoria il dito, affilato come una lama, verso il giovane; il quale, istintivamente, si portò una mano agli occhi; non riuscendo più a sopportare quella visione.

“Signor Sesshomaru..signore. Cosa vi sta succedendo?”
Una voce dolce, colorata da un lieve accento preoccupato, lo riportò alla realtà.
Davanti a lui stava Rin, la sua Rin, che lo osservava stupita; non potendo in alcuna maniera immaginarsi cosa fosse accaduto.
Essa si avvicinò al demone, incuriosita, afferrandogli dolcemente la mano nel tentativo di calmare l’evidente angoscia che vedeva incisa sul volto di lui, senza un evidente motivo.
“Niente..niente..signorina” Balbettò il signore di Ravenswood con un sorriso forzato, cercando di eludere ogni spiegazione per il suo comportamento “direi che forse, per questa sera, è meglio ritirarci. Se continuate a stare qua fuori vi prenderete una malanno. Venite vi faccio strada.”
Poggiatale una mano sulla spalla la condusse verso la scalinata, mentre continuava scrutare, trattenendo il fiato, l’oscurità attorno a loro; come se allo stesse tempo cercasse e avesse il timore di intravedere il fantasma allontanarsi nell’oscurità.

La luna, dall’alto del suo trono celeste, li stava osservando muta e severa. Ad un tratto una nuvola nera, attraversata la volta celeste, corse ad oscurarla; come se volesse coprirle gli occhi di fronte alla vista di un tale amore, esecrato da Dio e maledetto dagli uomini.


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Capitolo 7
*** Il Giorno Dopo ***




“Fia che splenda il terribile vero
come lampo fra nubi d'orror”




“Suppongo che vi dovrò essere eternamente grata per avermi concesso l’onore della vostra compagnia per molto di più della mezz’ora prevista” Ridacchiò Rin, volgendo il fresco volto sorridente al suo imperturbabile accompagnatore, che le offriva il braccio con un’eleganza impeccabile.
Sesshomaru non sembrò in apparenza dare peso all’evidente sarcasmo con cui la fanciulla cercava insolentemente di smuovere il suo orgoglio, ma continuò ad accompagnarla verso le stalle senza fiatare, immerso nei suoi pensieri. La terribile visione delle sera precedente non smetteva di perseguitarlo; non riusciva a scacciare dalla mente l’immagine di quel fantasma che lo guardava minacciosamente con le sue orbite bianche. Non era mai stato superstizioso: quella era una prerogativa degli umani; tuttavia quella volta non riuscì a scacciare quell’inquietante sensazione di pericolo che gli annebbiava la mente e lo tormentava senza requie.
Si rese conto che aveva paura.
Odiava ammetterlo..si sentiva debole, impotente, sconfitto...ma era così.
Temeva non solo per la sua vita, ma, soprattutto, per quella della fanciulla che in quel momento gli stava appoggiata spensieratamente al braccio, ignara del gravoso fardello che l’amato si trascinava dietro con sommo sforzo.

“Sesshomaru, non vi sarete mica offeso?”
La dolce voce della signorina Asthon, la quale lo osservava con un espressione vagamente scocciata, lo distolse improvvisamente dai suoi pensieri.
“Cosa c’è? Prima cercate di farmi indispettire con ogni mezzo e poi vi offendete se non vi degno di risposta?” Ribattè il signore di Ravenswood; il cui accento ironico, tuttavia, rincuorò un poco la sua interlocutrice, preoccupata di quel silenzio da lei giudicato quantomeno irritante.
Entrati nelle stalle, vennero assaliti dall’aria umida e viziata che permeava l’ambiente, completamente isolato da ogni minimo alito di vento. Il luogo, leggermente in penombra, era composto da un gran numero di celle costruite con grandi assi annerite dal tempo e in parte visibilmente scheggiate: segno della frenetica attività di molti anni addietro. Adesso i soli animali che vi si trovavano erano il possente stallone del padrone di casa, il cui manto scuro splendeva di riflessi bluastri anche con la poca luca che filtrava dalle piccole fessure sulla parete e il baio della fanciulla, che scalpitava irrequieto; quasi fosse smanioso di lasciare il prima possibile quel posto.
Sesshomaru con una mossa rapida afferrò le redini e cercò di calmarlo mentre lo conduceva fuori, verso il grande cancello che un tempo era una sicura difesa contro ogni possibile invasore; ma adesso, a causa della sua enorme mole, veniva lasciato aperto, evitando agli inquilini l’immensa fatica di doverlo smuovere ogni volta per entrare e uscire.
Riuscito a calmare l’animale, il signore di Ravenswood si appresto ad aiutare Rin a salire in sella, non prima di aver sfiorato con le labbra la candida mano della fanciulla, la quale sorrise riuscendo a malapena a nascondere il lieve rossore che le aveva infiammato il bel viso.
“Mia signora,” inizio il demone dopo un attimo di esitazione. Il potente grido della ragione, che cercava disperatamente di allontanarlo da lei, oramai era solo un flebile sussurro. “tremo a dirvi queste parole, so bene che non dovrei osare chiedervi una cosa del genere.
Tuttavia questa consapevolezza, per un qualche motivo, non riesce a trattenermi del domandare quando potrò avere l’onore di rivedervi.”
Nell’udire le parole del giovane gli occhi di Rin si gonfiarono di lacrime.
Lui l’amava..
Lui l’amava! Quella sicurezza la inebriava e le donava una felicità mai provata in vita sua, così grande il cuore riusciva a malapena a contenere. Una gioia assoluta, estatica; una gioia che le fece completamente scordare la terribile realtà attorno a loro. La quale, prima o poi, avrebbe richiesto il prezzo di quegli attimi colpevoli.
“Perché non ordinate al vostro servo di recarsi questo pomeriggio al villaggio?” Rispose Rin con uno sguardo enigmatico. “Magari potrebbe per caso imbattersi nella mia dama di compagnia; con la quale, ho avuto modo di sapere, si è già intrattenuto in amabili conversazioni.”
Nel pronunciare queste ultime parole si voltò sorridendo verso Inuyasha, il quale stava arrivando proprio in quel momento in sella al cavallo del fratello, pronto a scortare la fanciulla sino al suo castello. Sentitosi chiamato in causa, cercò di farfugliare qualche spiegazione incomprensibile mentre il volto diventava mano a mano paonazzo.
“Si, farò come mi avete consigliato.” Sussurrò tagliente il signore di Ravenswood senza togliere per un attimo gli occhi minacciosamente socchiusi dal mezzodemone, con l’aria di chi esige una spiegazione precisa e immediata.
Miss Asthon, divertita dalla scena e in parte rammaricata per la sorte del povero accompagnatore, spronò il cavallo e si lanciò al galoppo mentre il vento disperdeva le sue risate da bambina.



Anche questo capitolo è finito!Non è molto lungo ma è un passo avanti ^^
Per lollyna:grazie mille per i commenti!! *__* Ah..non ti dirò chi è il fantasma..però ho sparso un pò di indizi anche nei capitoli precedendi; si dovrebbe intuire. Baci Jessy

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Capitolo 8
*** Amore di Servo ***




“egli è luce ai giorni mei,
è conforto al mio penar”





Kagome passeggiava in silenzio nel villaggio apparentemente deserto in quel fresco pomeriggio scozzese; il cielo, poco prima limpido e luminoso, era coperto di nuvole minacciosamente cariche di pioggia. I suoi grandi occhi ruotavano con apprensione a destra e a sinistra, in evidente contrasto con il portamento forzatamente tranquillo e posato, come se attendesse da un momento all’altro l’arrivo di qualcuno.
Ad un tratto un brivido improvviso le scosse il corpo minuto, costringendola a coprirsi le spalle col pesante tartan che teneva tra le braccia.
Non sapeva spiegarsi il motivo; ma da quando la sua padrona le aveva raccontato con dettagliata perizia il suo incontro col signore di Ravenswood, si era insinuato dentro di lei un tremendo presentimento che non riusciva a scacciare. Certamente era felice per la sua signora, per la gioia incommensurabile che stava dando luce ai suoi giorni monotoni; tuttavia quell’oscura sensazione la poneva in un tale stato di angoscia da non riuscire a condividere appieno lo stato di euforia della padrona, alla quale era legata da un sincero sentimento di affetto.
Temeva che quel legame proibito venisse scoperto, non tanto da Mr. Asthon – il quale probabilmente, vista la possibilità di riappacificarsi con un nemico tanto terribile, avrebbe acconsentito di buon grado a benedire l’unione- quanto che fosse Lady Asthon in persona a penetrare quel segreto. Una donna tanto crudele quanto avida come quella avrebbe certamente usato ogni mezzo, ortodosso o meno, per separare i due amanti senza che il marito osasse intervenire; con conseguenze prevedibilmente disastrose. Avrebbe disprezzato e maledetto con tutte le sue forze qualsiasi legame con quel demone che sfidava con tanto ardore la sua famiglia e, soprattutto, non avrebbe mai accettato che la figlia contraesse un matrimonio con un uomo i cui unici beni posseduti erano una vecchia torre dirocca e un antico blasone ormai riconosciuto soltanto dai vecchi contadini che lavoravano nelle sue proprietà e da nostalgici del passato regime feudale.

All’improvviso una figura incappucciata la riscosse dai suoi pensieri. Lo sconosciuto le fece un rapido cenno di seguirlo e si incamminò con passo rapido verso la foresta. La fanciulla sorrise mentalmente: conosceva anche troppo bene l’identità dell’uomo misterioso e si apprestò a raggiungerlo conscia che, se non si fosse sbrigata, avrebbe avuto l’ennesima prova del suo carattere burbero e irrascibile.
Ogni volta che ripensava allo strano quartetto che si era venuto a formare tra lei e la sua padrona e i due fratelli Ravenswood scuoteva la testa incredula; erano davvero imprevedibile le coincidenze della vita! In più non riusciva a spiegarsi cosa avrebbe potuto avere la sua padrona in comune con quel demone dallo sguardo di ghiaccio, irrequieto e pericoloso per la sua stessa famiglia.
Scrollò le spalle. Forse, anzi, sicuramente la nobile figura e i bei lineamenti di Ravenswood, accesi dall'orgoglio della sua stirpe e dall'intimo senso dell'onore, il tono caldo ed espressivo della sua voce, lo stato di squallore dei suoi beni e l'indifferenza con cui sembrava sopportare ed affrontare il peggio che poteva ancora accadere, lo rendeva pericoloso oggetto di contemplazione per una fanciulla già troppo incline ad indugiare su ricordi associati a lui.
Delle volte si era trovata addirittura a pensare che quell’amore fosse solo un frivolo capriccio di una ragazzina, troppo incline a idealizzare tutto ciò che è proibito; ma presto si era ricreduta.
La parole di Rin, i suoi gesti, l’espressione del voltole avevano dimostrato che quell’affetto era vero, tangibile, profondo; una profondità che Kagome stessa aveva paura di sondare, propria di quegli amori unici, esclusivi, eterni che tacitamente si insinuano nell’animo umano per corroderlo dall’interno e, quando iniziano a palesarsi i primi segni della loro presenza, ormai il danno è irreparabile e la tragedia certa.

“Vi decidete a muovervi?”
La voce scocciata del compagno, che non celava affatto l’impazienza di allontanarsi da occhi indiscreti, le fece allungare il passo mentre, con la gonna leggermente sollevata, cercava di evitare le pozze d’acqua sparse sul terreno accidentato.
Non molti metri dopo la figura incappucciata si fermò e, accertatosi di essere completamente soli, si tolse il mantello rivelando un paio di bellissimi occhi ambrati e delle strane orecchie che facevano capolino da splendenti capelli argentati i quali, accarezzati dal sole, prendevano sfumature ogni volta diverse.
“Sembra che finalmente siamo soli” esordì con voce più dolce afferrando le mani della fanciulla e baciandole con quanta più grazia fosse possibile per l’educazione di un servo.
Kagome arrossì un poco mentre il cuore le batteva all’impazzata per la gioia di rivedere l’amato dopo tanto tempo.
“Come sono felice di rivedervi Inuyasha, mio caro!” Esclamò così raggiante da mettere completamente in imbarazzo il mezzodemone; il quale, al sentirsi accostato quell’appellativo, diventò paonazzo e cercò con risultato scadente di abbozzare una qualche risposta che risultò incomprensibile persino a lui.
Kagome sorrise dolcemente: non era cambiato per niente. Era burbero come al solito, ma al suo interno nascondeva una animo nobile e gentile: per questo lo amava. “Allora” cambiò bruscamente discorso Inuyasha “l’avete con voi?”
“Certamente amore mio.” Rispose prontamente la fanciulla estraendo dalle pieghe della veste un piccolo biglietto e lo porse al compagno, il quale lo afferrò senza indugio e lo mise nella spessa cinta di cuoio borbottando con finta noncuranza “A quanto pare l’unica cosa positiva in questa scocciante faccenda è che potremmo vederci più spesso.”
La fanciulla, rabbuiatasi all’improvviso, fece un distratto cenno di essenza mentre teneva tacitamente gli occhi fissi sul terreno. Allora il mezzodemone, accortosi del repentino cambiamento di umore dell’amata, si avvicinò posandole dolcemente una mano sulla spalla.
“Mia cara” esordì con immensa fatica nel pronunciale quelle semplici sillabe “c’è qualcosa che non va?” domandò con evidente apprensione.
Kagome non rispose subito; era indecisa se fosse il caso o meno di mettere a parte il compagno delle angosce, probabilmente senza fondamento, che l’affliggevano senza requie. Infine, rassicurata da quell’affetto che, inconsciamente o meno, lui le trasmetteva, si decise a parlare.
“Inuyasha” cominciò titubante “secondo voi quello che facciamo è bene oppure stiamo solo assecondando due giovani nella loro follia? C’è..vi prego non mi prendete per una stolta superstiziosa..c’è una sensazione negativa che non mi lascia un attimo di respiro. Temo che..”
“Fhe!” la interruppe il giovane “E cosa potremmo fare altrimenti?! Ti conviene non dare ascolto a quella stupida sensazione. Non affliggerti inutilmente per ciò che non potrai cambiare! Sono entrambi adulti, decideranno da soli la loro strada. Noi siamo solo dei servitori: il nostro compito è solo quello di ascoltarli, ubbidire agli ordini e, se necessario, curare le ferite che si sono procurati volendo fare di testa loro!”
“Si..penso che abbiate ragione.” assentì Kagome con un sorriso amaro dipinto sul volto “E poi, oramai ho paura che sia troppo tardi. Non potremo più fare niente se non sostenerli, qualunque siano le loro decisioni.”
Allora Inuyasha, vinto dall’affetto nei suoi confronti e ferito da quella profonda sofferenza che le rabbuiava i bei lineamenti del viso, lasciò da parte per un momento l’imbarazzo e l’orgoglio e la prese tra le braccia affondando il viso nei suoi folti capelli corvini, il cui odore riusciva miracolosamente a fargli trovare la pace, anche solo per un breve istante. Poi, scostatosi leggermente, le pose un casto bacio sulle labbra stringendola a sé con maggiore forza.
Il silenzio assordante che li avvolgeva con la sua dolce ala era interrotto solo da fruscio delle foglie scosse da un leggera brezza carica di umidità. Gli alberi centenari vegliavano muti su quei giovani legati da un vincolo forse meno pericoloso, ma altrettanto saldo, di quello dei loro padroni.
“Comunque” Sussurrò dopo un lungo istante “non dovete preoccuparvi.”
“Di cosa?” Chiese la fanciulla, ancora sorpresa dai progressi dell’amato; il quale si era sempre distinto per la sua timidezza, a volte anche troppo eccessiva.
“Della salute della signorina Asthon. Ci penserà mio fratello” rispose il mezzodemone.
Allo sguardo dubbioso della compagna continuò più dettagliatamente la spiegazione “Vi posso assicurare che, per quanto possa disprezzarlo per il suo carattere intrattabile e per la scarsa considerazione che ha di me in quanto sono, a suo dire, solo un bastardo mezzosangue, tuttavia via giuro che è una persona leale e coraggiosa. Inoltre sono convinto che l’affetto nei confronti della vostra padrona sia assolutamente veritiero. Vedete, lui è troppo orgoglioso, troppo pieno di sé per poter anche solo fingere di provare sentimenti tanto umani; per di più nei confronti della figlia del suo peggior nemico.
Non so che tremenda battaglia ha combattuto nel suo animo per ammettere a lei e, soprattutto, a se stesso, di essere capace di amare; ma una cosa è certa: lei è sua e la proteggerà, la proteggerà anche a costo della sua stessa vita.”
Kagome osservò a lungo l’amato in silenzio; infine annuì, anche se non si sentiva del tutto rassicurata “Spero davvero che sia così” concluse sforzandosi di sorridere.
Poi, vedendo che Inuyasha aveva raccolto il mantello e si apprestava a indossarlo di nuovo, aggiunse con un forte accento ironico: “E il vostro amore nei miei confronti è veritiero o no?”
L’unica risposta che ottenne fu un gruppo di suoni non ben collegati tra di loro.





Allora..prima di tutto ringrazio lollyna per i suoi commenti, sei troppo buona!!non so come farei senza i tuoi commenti a sostenermi!! *___*
Questa volta mi sono concentrata su due personaggi secondari, poi dai prossimi capitoli entrerò nel cuore della storia.
Per Kaguya: grazie mille, sono contenta che ti piaccia. Ti consiglio di leggere il libro perchè è semplicemente stupendo!L'unico difetto che ha è quello di essere pressochè irreperibile =__= io l'ho dovuto scaricare da internet. Inoltre un'altro consiglio è quello di ascoltare l'opera di Donizetti tratta dal romanzo di Scott "La Lucia di Lammermoor" (le frasette che ho metto all'inizio sono riprese infatti da quest'opera) che è un autentico capolavoro, te lo assicuro.
Ok. Penso di aver detto tutto. Al prossimo capitolo.
Baci Jessy

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Capitolo 9
*** Un'alba scarlatta ***



“D’una misera ascolta l’accento...
È la prece d’immenso dolore
Che più in terra speranza non ha...
E l’estrema domanda del core,
Che sul labbro spirando mi sta!”




Il sole nascente iniziava appena a sfumare le cime degli alberi e le immense distese di erba con i suoi bagliori rossastri; mentre le rade nubi, di un candore immacolato, erano rapite dal vento impetuoso; il quale sferzava, con crudele violenza, il folto fogliame ancoro umido della rugiada mattutina.
In mezzo al bosco secolare l’acqua gelata zampillava ininterrottamente dalla Fontana della Sirena per poi riversarsi in un placido ruscello che scorreva fin dove lo sguardo umano non poteva seguirlo, scostando con il suo incedere tortuoso le grandi radici che intralciavano il suo cammino.

Rin, seduta sul bordo muscoso, osservava distrattamente quel luogo incantato, permeato da così tanti ricordi: l’incontro con l’anziana Kaede, la terribile storia della fanciulla, la bestia terribile che la stava per uccidere…il primo incontro con lui.
Un miscuglio inestricabile di sensazioni sconosciute si susseguirono, si scontrarono, si mischiarono nella sua mente: un vortice inarrestabile che la trascinava inerme senza sosta nel suo fluire incessante…Finché l’immagine di lui si sovrappose tirannicamente sulle altre.
…Lui…
Al solo pensiero Miss Asthon si portò involontariamente una mano al cuore: per la prima volta si rese conto di quanto profondo fosse il suo amore per lui.
Questo pensiero le fece paura.
Sapeva di star commettendo una pazzia, sapeva che quell’amore era sbagliato, sapeva di essere completamente alla mercè di quel demone fatale, sapeva di desiderarlo sopra ogni cosa, sapeva di non poter fare a meno di lui…
…eppure non riusciva a ribellarsi…
non voleva ribellarsi…
Che gli uomini non riescano mai a trovare pace, anche nei momenti più felici, è cosa provata: e Rin non faceva eccezione.
Più sentiva il suo amore diventare esclusivo, indispensabile, più concretizzava nella sua mente i timori che ogni donna innamorata paventa sopra ogni cosa: ora se lo immaginava nelle braccia di un’altra, ora lo vedeva scrivere per lei una crudele lettera d’addio, ora lo ascoltava deridere il suo amore, ora sentiva la sua voce chiederle, come supremo pegno d’amore, le testa di suo padre.
Già…cosa avrebbe fatto se lui le avesse chiesto di uccidere Mr. Asthon?
Ma che stupidaggine! Cosa andava pensando nella sua mente da ragazzina romantica?
…Tuttavia non si diede una risposta…
…la paura divenne terrore…

“Noto con piacere che siete puntuale.”
Una voce profonda e tagliente la fece alzare di scatto dalla fredda pietra su cui era seduta, atterrita come se il nuovo arrivato avesse potuto scorgere i suoi pensieri.
“Perdonatemi. Non volevo spaventarvi.” Aggiunse sorpreso il signore di Ravenswood, inarcando lievemente un sopracciglio, per poi scendere con un balzo elegante dal proprio destriero.
Rin si dette mentalmente della stupida, vergognandosi, come un bambino che è stato sorpreso dalla madre a commettere una marachella, di aver potuto anche solo concepire dei pensieri così assurdi.
Con un sorriso blando si avvicinò al suo amato rassicurandolo: “Non preoccupatevi. Sono io che mi lascio incantare da stupide suggestioni.”
Giunta infine di fronte al demone ristette per un momento, incerta.
Non sapeva come comportarsi: l’etichetta le imponeva di porgergli la mano affinché la baciasse, tuttavia…forse erano le labbra che doveva porgergli; erano o no amanti?! Però…magari lui avrebbe trovato troppo audace quel gesto. In fondo era sempre un nobile, avvezzo alla fredda eleganza delle grandi dame; mentre lei, figlia di un avvocato arricchito, si sentiva così inferiore davanti a quel blasone ricamato con splendenti fili dorati sul mantello si lui.

Sesshomaru, indovinando i dubbi che tormentavano l’amata, sorridendo mentalmente si avvicinò a lei per posarle un lieve bacio sulle labbra.
Allora Miss Asthon, rassicurata da quel gesto, gli circondò dolcemente il collo con le braccia, impedendo di mettere subito fine a quel contatto. Il signore di Ravenswood rimase per un attimo basito da quel gesto inatteso: ma fu solo un attimo. Mandata a benedire ogni remore, l’attirò a sé con maggiore forza.
Quando si separarono l’imbarazzo della fanciulla era completamente scomparso lasciano il posto ad una piacevole sensazione di completa e assoluta felicità. In quel luogo così nascosto agli occhi del mondo sentiva ancora più salda, inscindibile, eterna la loro unione; come se l’incanto che vi regnava li avesse completamente avvolti nel suo intangibile manto.
Fu Sesshomaru il primo a rompere il silenzio che quell’atmosfera eterea aveva prodotto.
“Questo..è il luogo del nostro primo incontro, vero?” Chiese con la solita espressione indecifrabile dipinta sul volto, sebbene conoscesse già la risposta. Sentiva, infatti, l’inspiegabile desiderio di udire la voce dell’amata; era un bisogno impulsivo, quasi infantile, di essere incantato da quel tono appassionato e caldo; allo stesso modo con cui Orfeo incantava le bestie feroci con i sublimi accordi della sua lira.
“ Si, lo è.” Rispose immediatamente Mrs. Asthon alzando incantata i bellissimi occhi neri verso il cielo, come se ripercorresse nella propria mente ogni singolo istante di quel giorno fatale “Vi ricordate quando mi avete salvato la vita?”
“Come potrei dimenticarlo.” Ammise il demone con voce appena udibile, quasi parlasse più a se stesso che all’amate.
“Sembrano passati anni.” continuò il suo discorso la fanciulla con voce sognante “Invece non è accaduto nemmeno una settimana fa.”
“Già, avete ragione.” Sentenziò distratto il signore di Ravenswood. La sua attenzione era completamente assorbita dall’ammirazione di ogni sottile lineamento della giovane, di ogni minimo gesto, di ogni impercettibile cambiamento dell’espressione del volto.
Non sapeva come fosse possibile, ma, ogni volta che spiava di nascosto quella dolce figura, gli sembra sempre più bella.
Probabilmente, si disse, la causa era da ricercarsi in quello strano sentimento che gli umani chiamano amore; dimenticando per un attimo di esserne anche lui una vittima.
Questo ricordo, tuttavia, per la prima volta non lo infastidì.
Quella creatura così testarda e così fiera l’aveva irretito con una velocità sorprendente nei suoi lacci, dei quali, in verità, non sentiva assolutamente il bisogno di liberarsi.

Rin, vedendolo così distratto, gli afferrò la mano costringendolo a seguirla per un sentiero appena visibile celato da un ampio fogliame.
“Dove mi state portando?” Chiese dubbioso il demone, restio a farsi trascinare in qualunque posto senza la sua esplicita approvazione.
“Venite” Lo incitò la giovane aumentando la sua stretta “ voglio andare a cerca la vecchia Kaede! Mi disse che un tempo lavorava per la vostra famiglia. Magari le farà piacere rivedervi!”
A quelle parole il signore di Ravenswood si fermò improvvisamente. Un attento osservatore avrebbe potuto intravedere, anche solo per un attimo , un lieve pallore solcargli il bel viso marmoreo.
“No. Preferirei non andare.” Tagliò corto lapidario dopo un breve istante di silenzio; dopodichè si liberò dalla stretta della fanciulla e fece per tornare indietro ma, voltatosi appena, aggiunse: “Vorrei che il nostro rapporto, signorina Asthon, rimanesse celato.”
Quelle parole, quel nome scondito con maggiore gravosità, quella freddezza nel tono, della voce la fecero bruscamente tornare alla realtà.
Gli ostacoli al loro amore, chi fino a poco prima era disposta ad affrontare con coraggio e fermezza, ora le parevano immensi, invalicabili.
Non resistette più: le lacrime iniziarono a scorrere senza alcun controllo. Mentre i singhiozzi disperati le scuotevano l’esile corpo, si coprì il viso con le mani tremanti, vergognandosi di quel gesto di debolezza al quale non poteva opporsi.
Sesshomaru, spaventato da quel repentino cambiamento di umore, ma ancor di più avvilito al pensiero di esserne la causa, cercò disperatamente di calmarla. Maledicendo il suo carattere brusco e insensibile la strinse tra le braccia, le sussurrò ogni parola di conforto gli passasse per la testa, le deterse le lacrime con la propria mano. La sua disperazione, il suo pianto lo torturavano senza pietà; gli sembrava di avere cento lame roventi conficcate nel petto.
…Ed era colpa sua…
Era solamente colpa sua: colpa del suo orgoglio, colpa della sua insensibilità, colpa della sua testardaggine.
Ma in fondo, si disse cercando impulsivamente di aggrapparsi ad una qualche giustificazione, cosa avrebbe potuto fare uno come lui? Mica era abituato a trattare con le ragazzine innamorate!
Tuttavia questo abbozzo di scusa non placò i suoi sensi di colpa; anzi, li rese ancora più insopportabili.
..Ferire...ecco qual era l’unica cosa che sapeva fare. Con gli artigli o con le parole, era indifferente. E ci riusciva con una abilità così innata da farlo stupire ogni volta sempre di più.

Infine Rin, riuscendo con uno sforzo supremo a dominare il pianto che pure non sembrava voler arrestare la sua corsa, conficcò lo sguardo quasi implorante negli occhi del demone e, dopo un lungo istante, trovò la forza di porre quella terribile domanda riguardo la quale, ne era cosciente, dipendeva non solo il destino del suo cuore, ma anche quello della sua salute mentale.
“Volete che ci lasciamo per sempre?”
Il signore di Ravenswood rimase impietrito da quelle parole, sentì sciogliersi in un attimo la sua leggendaria freddezza per lasciare il posto ad un’angoscia irrefrenabile. Terrorizzato al solo pensiero di poterla perdere per sempre si affrettò a rispondere: “No Rin, questo mai!”
“Allora che diavolo avete intenzione di fare?!” urlò la fanciulla in preda alla più profonda disperazione, portata al limite della sopportazione dal comportamento indecifrabile dell’amato “Non dobbiamo lasciarci, non possiamo palesare il nostro amore..cosa dobbiamo fare?! Nasconderci come dei ladri? Come dei delinquenti? Perché se è questo che volete, io piuttosto preferirei non vedervi mai più!”
Le ultime parole furono stroncate dalle labbra del demone che si impossessarono prepotentemente della sua bocca. Questa volta non ci fu dolcezza…
…solo disperazione…
Sesshomaru la strinse forte a se, fino quasi a mozzarle il respiro: aveva follemente bisogno di lei, di quel corpo, di quel calore. Temeva che se avesse allentato anche solo per un attimo la presa lei sarebbe scomparsa per poi non tornare mai più.
I suoi denti famelici si imprimevano sulle sue labbra delicate, le graffiavano, le violavano, le ferivano. Finché a quel bacio non si mischiò il sapore del sangue. “Piuttosto la morte Rin” ansimò con voce rauca scostandosi da lei per guardarla dritto negli occhi “ Piuttosto la morte!”

La fanciulla non seppe se rallegrarsi o meno per quelle parole, così austere e patetiche da sembrare una profezia.
Tuttavia non riuscì mai a dimenticare il lampo sanguigno che balenò per un attimo attraverso le pupille dorate del Signore di Ravenswood.



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Capitolo 10
*** Il Demone e le Streghe ***



“Porrà fine al nostro foco
Sol di morte il freddo gel”




Il gelido vento mattutino danzava giocherellando dolcemente con le pieghe della lunga veste, mentre le improvvise, violenti raffiche sferzavano taglienti il bel viso marmoreo del signore di Ravenswood; il quale, con la solita espressione stoica, fissava con occhi indifferenti la strada che il cavallo, con passo lento e cadenzato, percorreva per l’ennesima volta.
Le foglie, ormai secche e ingiallite, scivolavano accarezzate dalla brezza sino a posarsi silenziosamente a terra o sotto i pesanti zoccoli dell’imponente animale.
Sesshomaru afferrò il pesante mantello con le sottili dita artigliate e se lo sistemò intorno al collo ormai intorpidito dal freddo, per poi riportare l’attenzione verso quel piccolo sentiero che si snodava tortuoso innanzi a lui e lo avrebbe portato verso la torre di Wolf’s Crag.
Non avrebbe saputo dire quante volte l’avesse percorso, ormai aveva perso il conto.
Erano già trascorsi due mesi dal primo incontro con la signorina Asthon: un giorno che non si sarebbe mai più scordato, ma che sembrava talmente lontano nel tempo da apparire nella sua mente quasi sfumato, a tratti idealizzato: come un bellissimo sogno dove ogni traccia di realtà era stata bandita.
Ogni volta che la vedeva si rendeva conto, con sua costante sorpresa, di amarla sempre di più: cosa che, comunque, si sarebbe guardato bene d’ammettere davanti a lei o a chiunque altro.
Per la prima volta in vita sua si sentiva pienamente felice, appagato; tuttavia c’era qualcosa che non riusciva a fagli assaporare a pieno quel raro momento tranquillità, un’opprimente angoscia che non lo abbandonava mai.
Spesso riaffiorava nella mente il terribile ricordo dell’apparizione di quell’inquietante fantasma che era riuscito a turbare fin nelle più profonde fibre il suo animo imperturbabile. Si sentiva costantemente in pericolo, come se fosse certo che, prima o poi, qualcosa avrebbe turbato il loro idillio.
Inoltre, a dirla tutta, la scelta della Fontana della Sirena come luogo dei loro incontri segreti non lo aiutava certo ad allontanare quelle preoccupazioni. Il fatto di incontrarsi con l’amante proprio là, dove un suo antenato aveva compiuto un delitto così feroce, gli pareva una pericolosa sfida alla sorte.
Naturalmente non avrebbe mai fatto parola a Rin di queste perplessità; avrebbe preferito sopportare in silenzio ogni ostacolo della sorte piuttosto che sembrarle un pavido superstizioso.
Tuttavia sapeva bene quale fosse il motivo principale che gli impediva di sentirsi completamente realizzato: la segretezza del loro rapporto.
Era stanco di nascondersi nel folto del bosco, era stanco di guardarsi intorno col cuore in gola ad ogni minimo rumore, era stanco dei loro messaggi segreti scambiati tramite i servitori!
Aveva addirittura accennato alla fanciulla la sua intenzione di riappacificarsi con Mr. Asthon per poter chiedere in cambio la sua mano!
E’ vero; era stata una decisione dura, sofferta; un affronto al proprio orgoglio e a quello della sua famiglia: ma era inevitabile. Tutto ciò voleva dire rompere la solenne promessa fatta sulla tomba del padre, e Sesshomaru lo sapeva bene.
Tuttavia, cedendo al suo amore per Rin, aveva implicitamente accettato di opporsi saldamente ad ogni prova che si fosse presentata innanzi a lui; e quella era la prima. Non si era chiesto se questa decisione fosse giusta o sbagliata: il destino lo trascinava verso una strada che sarebbe stato costretto a percorrere, contro la suo volontà o meno.
Invece, dopo una richiesta del genere, cosa aveva risposta quella ragazzina?!
Aveva scosso sconvolta le testa!
Il signore di Ravenswood non era riuscito a comprendere molto dalle parole concitate che la fanciulla aveva balbettato subito dopo come giustificazione. L’unica cosa che era riuscito a cogliere, lasciandolo, a dire il vero, alquanto perplesso, era che l’amata non temeva la possibile reazione del padre alla notizia del loro amore segreto; ma era completamente terrorizzata da quella della madre.
Non le aveva comunque chiesto spiegazioni; il suo amore ferito e il suo orgoglio calpestato era dei deterrenti troppo forti rispetto alla legittima curiosità.
Se ne voleva andare, non l’avrebbe voluta vedere mai più, l’accusava rabbioso di non amarlo, di essere una bugiarda. Ma, anche quella volta, Rin era riuscita a placare la sua ira promettendogli un colloquio con il padre a Wolf’s Crag; naturalmente all’insaputa della madre.

Gli alberi si stavano lentamente diradando e la luce del sole cominciava a filtrare in quella scura foresta, quando le sensibili orecchie di Sesshomaru captarono delle voci.
Si ricordò che lì vicino abitavano tre vecchie, allontanate dal villaggio, al tempo in cui suo padre comandava ancora sulla contea, con l’accusa di stregoneria.
Stava per allontanarsi da quelle presenze inquietanti, quando, sentendo pronunciare il suo nome, fermò immediatamente il cavallo per ascoltare le loro parole.
"Sì è proprio vero, comare" gracchiò una delle vecchie con un grande scialle nero avvolto intorno alla testa, volgendosi verso le compagne "mi ricordo quando il padre del signore di Ravenswood uccise il giovane Blackhall per una mala parola detta mentre bevevano allegramente insieme. Quello era entrato gaio come un'allodola ed è uscito coi piedi avanti! Io fui incaricata di preparare il cadavere e quando l'ebbi lavato del sangue, vi assicuro che era proprio un bel cadavere di maschio!"
A un tratto si zittì per un momento osservando con interesse una delle sue compagne, ormai cieca e ingobbita dagli anni che stava tritando in silenzio delle erbe in una piccola bacinella di legno; poi il suo sguardo si spostò sulla catapecchia, che doveva essere la loro casa, le cui assi tarlate erano ormai ingrigite dal tempo.
“Che il diavolo si porti tutti gli abitanti di questa maledetta contea!” esclamò in fine con tono rabbioso “per colpa di quei rozzi contadini riusciamo a fatica a trovare qualcosa da mettere sotto questi pochi denti che ci sono rimasti!”
"Sì, certo, comare!” Le rispose una terza voce, che Sesshomaru riconobbe con un brivido essere quella di Annie Winnie; la più vecchia delle tre. Correva la voce che parlasse personalmente col demonio. E, a guardarle il viso, i cui lineamenti erano completamente irriconoscibili a causa dei profondi solchi scavati delle rughe, sicuramente era difficile inserirla nella categoria ‘esseri umani’.
“Ma oggi anche il diavolo è diventato di cuore duro, come il lord Asthon e la sua gente che hanno il petto come pietra di basalto. Ci pungono e ci torturano con la punta delle baionette come streghe, e neanche se dico le mie preghiere per dieci volte all'indietro, Satana me ne darà ricompensa."
"Lo hai mai visto tu il Maligno?" chiese la vecchia cieca, puntando verso i lei i suoi vacui occhi bianchi.
"No!" le rispose "ma credo di averlo sognato molte volte, e sento che un giorno o l'altro mi bruceranno per questo. Ma non importa, comare! Ormai i tempi sono cambiati; e non ho nessuna remora a confessarti che sicuramente si stava meglio sotto i Ravenswood. Lord Asthon è un incapace, non ha un briciolo di coraggio e di autorità per comandare i suoi sudici servi!”
“Dicono che l’ultimo erede di Ravenswood sia ancora vivo” la interruppe la sua interlocutrice “ma se la profezia è veritiera, non dovrebbe mancargli molto a raggiungere il suo caro e nobile padre”.
"È un uomo sincero e coraggioso il signore di Ravenswood," disse Annie Winnie, "e un'avvenente persona... ampio di spalle e stretto di lombi... farà un bel cadavere... mi piacerebbe essere io a fasciarlo e sistemarlo per la sepoltura."
La tre vecchie scoppiarono insieme in una lugubre risata che avrebbe fatto gelare le ossa anche all’uomo più coraggioso.
Il corpo di Sesshomaru si irrigidì per un attimo mentre il cuore mancava un battito: era la prima volta che provava cosa fosse la paura.
Spronato il cavallo, si lanciò disperatamente al galoppo. Voleva mettere più distanza possibile tra lui e quelle vecchie streghe.
Tuttavia aveva la terribile sensazione che, per quanto veloce potesse correre, non sarebbe mai potuto sfuggire al suo destino.




Scusate per il terribile ritardo! Ecco il nuovo capitolo,spero lo apprezzerete come gli altri ^___^ Grazie ancora per i commenti, continuate così! Baci Jessy

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Capitolo 11
*** Il Marchese Athol ***




“pria che in ciel biancheggi l’alba novella,
dalle patrie sponde lungi sarò”




Il cavallo, schiumante per la fatica, sferzava appena il terreno con i suoi rapidi zoccoli mentre il manto corvino, imperlato di sudore, riluceva a contatto con i timidi raggi di sole.
Il Signore di Ravenswood, non meno esausto del suo destriero, cercava in tutti i modi di non pensare alle pungenti fitte di dolore che gli attanagliavano le gambe e la schiena: non si sarebbe fermato finché non fosse giunto alla sua dimora.
Le inquietanti parole delle streghe continuavano ancora a vorticargli nella testa e, più tentava di scacciarle, più esse ritornavano a torturarlo con maggiore ferocia.
Ed ora stava fuggendo: stava fuggendo da loro, stava fuggendo dalle loro inquietanti risate, stava fuggendo dal proprio destino.
Si dette mentalmente dello stupido, del bambino pauroso, dell’ignorante superstizioso.
Aveva voglia di fermarsi, di tirare quelle maledette redini e di gridare al mondo che lui, il potente Sesshomaru, non avrebbe mai avuto paura; nemmeno se la Morte in persona fosse venuta a reclamarlo…
..ma la sua corsa non rallentava...
Si vergognava di aver provato, per la prima volta nella sua vita, cosa fosse veramente il terrore; si vergognava di aver sentito le sue membra afflosciarsi e il respiro morirgli in gola…
...ma la sua corsa non rallentava..
Pensava a Rin, pensava a Lord Asthon, pensava a suo fratello: a cosa avrebbero detto se avessero saputo che erano bastate delle parole pronunciate da tre vecchie a piegare il suo animo imperturbabile…
..ma la sua corsa non rallentava…

Finalmente iniziarono a mostrarsi in mezzo alla densa nebbia le cime diroccate della torre di Wolf’s Crag e Sesshomaru rallentò gradualmente la sua corsa.
Varcato l’enorme cancello, diede un energico strattone alle briglie mentre si guardava intorno dubbioso: c’era qualcosa di strano, qualcosa di diverso dal solito..una presenza estranea.
Sceso con un agile balzo da cavallo, afferrò le redini carezzando distrattamente il collo muscoloso dell’animale che scuoteva agitato la testa.
Ad un tratto, avvertendo la presenza del fratello che stava correndo verso di lui, si voltò cercando di decifrare l’espressione sul suo volto; percepiva solo una strana ansia. Come se stesse aspettando trepidante il suo arrivo per un qualche strano motivo.
“Cosa sta succedendo?” Chiese con il solito tono freddo, dal quale traspariva una mal celata punta di impazienza.
“E’ arrivato” Ansimò Inuyasha, poggiando le mani alle ginocchia per riprendere fiato “ E’ arrivato un’ora fa il vostro nobile zio, il marchese Athol!”
“Cosa?” Esclamò Sesshomaru, rimasto letteralmente basito a quella notizia inaspettata “E cosa vuole?”
“Non ne ho idea” Rispose il fratello, togliendo le redini dalle mani del demone “L’ho fatto accomodare nella sala da ballo, il posto dove forse è meno evidente lo squallore di questo posto.
Non so cosa possa volere da voi, ma sicuramente è qualcosa di importante. Ha addirittura lasciato la scorta al villaggio ed è arrivato da solo.
Bhe, sicuramente è meglio così. Almeno non dovrò sfamare quegli ubriaconi con le scarse scorte di cibo che ci sono rimaste!”
Ma le ultime parole non furono udite dal signore di Ravenswood che si era precipitato verso l’ampia scalinata, i cui gradini erano in parte erosi dal tempo, che conduceva verso la sala da ballo.
Non era possibile..cosa ci faceva un uomo potente e temuto come suo zio, col quale non aveva stretti rapporti né di affari né di affetto, in un posto sperduto come quello, presso un nipote povero e decaduto?

Il marchese, non appena lo vide entrare, si alzò immediatamente da una scomoda poltrona che si trovava di fronte all’immenso camino di pietra, dalla quale aveva potuto constatare con i suoi stessi occhi le veridicità delle notizie che gli erano giunte riguardo alla sfortuna della famiglia Ravenswood.
Evidentemente, si era detto, sua sorella non aveva fatto un grande affare sposandone uno dei discendenti; ma ormai era storia passata. E il passato a lui non interessava.
Ricambiò con eleganza l’inchino di Sesshomaru e si avvicinò porgendogli con decisione la destra, sempre con un affabile quanto enigmatico sorriso sulle labbra.
Era un demone molto bello, anche se il suo fascino era in qualche modo offuscato da uno strano alone di ambiguità, di doppiezza; confermato dai suoi piccoli occhi nerissimi dai quali traspariva un’acutissima intelligenza, sempre pronta a comprendere in anticipo che partito prendere e chi tradire. I lineamenti ricordavano vagamente quelli del Signore di Ravenswood, ma erano molto più marcati e, a tratti, irregolari. Sul volto, di un bianco quasi innaturale, troneggiava un sorriso bonario, a tratti irriverente; il quale era incorniciato da lucidi capelli corvini, raccolti, secondo la moda dell’epoca, in una coda lunga fino alle spalle.
La figura alta e ben proporzionata era rivestita da un ricco abito di velluto scuro, impreziosito da ricami dorati. Dal mantello, lungo fin quasi a lambire il terreno, spuntava l’elsa finemente intarsiata della grande spada sulla quale il demone faceva scorrere nervosamente la candida mano inanellata.
“Nipote, finalmente vi rivedo!” Esordì stringendogli calorosamente la mano “l’ultima volta, se non erro, è stato al funerale del vostro caro padre. Pover’uomo: così forte, così rispettabile..spero possa aver finalmente trovato la pace.” Concluse con un tono così profondamente patetico che a Sesshomaru parve alquanto esagerato, se non addirittura falso.
“Nobile zio, credevo che i vostri affari vi trattenessero sempre a Edimburgo. A cosa debbo l’onore della vostra visita?” Chiese il demone senza tanti preamboli, stufo dei convenevoli.
“I miei affari mi portano un po’ ovunque..” scherzò il marchese Athol, sedendosi di nuovo sulla poltrona da cui era stato costretto ad alzarsi “..e presto mi porteranno in Francia.”
“Sono felice per voi, visto che vi vengono affidati incarichi così importanti” asserì lapidario il giovane demone“ma non vedo come ciò potrebbe avere a che fare con me.”
“Ma ragazzo impertinente che siete!” lo apostrofò il suo interlocutore, sempre con il solito sorriso bonario che gli increspava le labbra; per poi aggiungere con tono più serio “Io posso far in modo che il vostro casato risorga dalle sue ceneri e torni allo splendore di un tempo.” Il Signore di Ravenswood, folgorato da quelle parole, si sedette di fronte allo zio, scrutandolo per un lungo istante. Da un lato non voleva assolutamente arrischiarsi a diventare una pedina di quel demone così astuto, dall’altro la sua offerta lo allettava…e non poco.
“E come?” Chiese con tono grave, dopo un attimo di silenzio.
“So che siete molto intelligente per la vostra giovane età.” Spiegò il Marchese, sporgendosi leggermente in avanti, in tono confidenziale “Quindi sarò lieto di darvi questa possibilità; inoltre sarà vantaggioso anche per me avere una persona sveglia come voi al mio fianco.
Mi accompagnerete in Francia per una delicatissima missione diplomatica, dalla quale dipendono le sorti della stessa Scozia. Sarete il mio braccio destro.
Se tutto andrà bene, come prevedo, per voi, nipote mio, ci sarà la gloria, l’onore ad aspettarvi…e naturalmente un lauto compenso.
Tutto ciò che possiate desiderare ve lo offro su un piatto d’argento, e voi dovete solo allungare una mano per afferrarlo!
Allora, verrete con me, vero?”
Sesshomaru era rimasto per tutto il tempo in silenzio, sbalordito da quell’offerta.
La gloria e il denaro per lui non erano certamente importanti come per suo zio; ma il pensiero di poter dare di nuovo lustro alla sua casata lo eccitava sopra ogni cosa.
Ad un tratto gli si affacciò alla mente la figura di Rin: sicuramente avrebbe pianto, avrebbe sofferto a quella notizia. La lontananza da lei gli pareva un incubo, una prova insopportabile.
Ma scacciò subito questi pensiero.
Un breve periodo di lontananza, una minima sofferenza…e avrebbe aperto la strada verso una gioia assoluta.
Una volta tornato ad essere veramente il Signore di Ravenswood non avrebbe avuto problemi a chiedere e ottenere la sua mano, neanche la madre a quel punto si sarebbe potuta opporre!
Lontano da odi ancestrali, lontano da interminabili faide, lontano da assurde etichette…ci sarebbero stati solo loro due…finalmente liberi di amarsi…per sempre.

“Si. Verrò con voi; ho deciso” rispose dopo un lungo istante di silenzio, volgendo gli occhi ambrati, dai quali traspariva una determinazione assoluta, verso lo zio “Vi ringrazio per la fiducia che mi accordate.”
“Molto bene…molto bene” Replicò il marchese Athol con un sorriso indecifrabile; mentre i suoi piccoli occhi neri brillavano di una luce inquietante. Era immensamente soddisfatto di avere un giovane così brillante al suo fianco e, se ce ne fosse stato bisogno, un eccellente capro espiatorio.


******


I due fratelli osservavano in silenzio la sagoma del marchese che si allontanava sempre di più, fino a scomparire completamente in mezzo alla foresta.
“Meno male che è il fratello di vostra madre!” sogghignò Inuyasha “Il solo pensiero di avere un tipo così inquietante come partente mi darebbe i brividi!”
Dopodichè si zittì protendendo le orecchie, in attesa dell’acida replica del fratello…ma questa non giunse.
Allora il mezzodemone si voltò dubbioso verso il signore di Ravenswood: questi aveva lo sguardo fisso a terra e le sopracciglia, segno di evidente preoccupazione, erano inusualmente aggrottate.
“Vieni con me” disse infine il demone, voltando le spalle e dirigendosi verso le sue stanze “devi consegnare un messaggio alla signorina Asthon, è urgente.”
Inuyasha lo seguì in silenzio, mentre una sgradevole sensazione di angoscia si faceva strada nel suo petto.
Prima di chiudere la porta dietro di sé, non potè fare a meno di dare un ultima occhiata alle grandi nubi nere che andavano lentamente a coprire il sole morente.





Wow..e anche questa è fatta!
Da ora in poi inizieranno i guai seri ^__^
Grazie per i commenti.
Baci Jessy

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Capitolo 12
*** Ultimo Addio ***




“Verranno a te sull’aure
I miei sospiri ardenti,
udrai nel mar che mormora
l’eco dei miei lamenti..”




“Mia signora, Ho urgentemente bisogno di vedervi. Vi aspetto questo pomeriggio alla Fontana della Sirena.
Vostro servo, per sempre, Sesshomaru di Ravenswood.”


Rin rilesse un ultima volta le poche parole di quella lettere che Kagome le aveva porto in silenzio. Anche se si era accorta, dall’espressione cupa che aveva impressa sul volto, che l’amica sapeva più di quanto non voleva dar a vedere; tuttavia non ebbe il coraggio di interrogarla. Una strana angoscia le faceva morire le parole in gola; quasi volesse proteggerla da una terribile verità.
Mentre le chiome degli alberi, ormai completamente ingiallite, iniziavano a opporsi ai timidi raggi del sole, che erano riusciti faticosamente a farsi spazio in mezzo alle cupe nubi cariche di pioggia; la fanciulla aumento il passo. Si portò inconsciamente una mano al cuore, come se volesse rallentare i battiti che si facevano sempre più veloci, mano a mano che si avvicinava al luogo dell’incontro.
Sentiva i propri passi diventare sempre più malfermi, come se le gambe rischiassero di cedere da un momento all’altro, una tremenda ansia le torturava lo stomaco e le mozzava il respiro.
Aveva paura.
Non avrebbe saputo dire con precisione di cosa; ma la sua immaginazione di donna innamorata creava, per sua angoscia, una gran quantità di terribili immagini nelle quali Sesshomaru le confessava di avere un relazione con un'altra donna o le diceva di non amarla più.
Per quanto la mente di Rin catalogasse come stupidi e bambineschi questi pensieri, in cuor suo sentiva che, qualunque cosa il suo amato avrebbe dovuto dirle con così tanta urgenza, l’avrebbe fatta soffrire, e non poco.

Scostata l’ultima fronda che intralciava il piccolo sentiero, si presentò ai suoi occhi l’elegante figura del signore di Ravenswood; il quale, con le mani incrociate dietro la schiena, volgeva distrattamente gli occhi verso un punto indeterminato innanzi a sé.
Rin notò con preoccupazione l’ombra scura che gli attraversava il bel volto imperturbabile. Lo splendore degli occhi ferini era a tratti velato da una profonda tristezza e le lunghe dita artigliate si contraevano nervosamente.
La ricca veste da viaggio che indossava, faceva da contraltare alla sua espressione funerea: il mantello color perla, fermato sulle spalle con una spilla dorata, ricadeva pesantemente sino a lambire gli alti stivali di pelle scura che gli fasciavano le gambe fino al ginocchio. La casacca, della stessa tonalità, aderiva perfettamente al suo corpo ed era fermata in vita da una grande cintura, alla quale era appesa da un parte la spada e dall’altra una pesante pistola.
“Mia signora” esclamò non appena la vide apparire tra i cespugli ancora bagnati dalla pioggia. Si affrettò ad andarle incontro e, prese le mani tra le sue, le baciò con dolcezza.
“Sesshomaru” mormorò la fanciulla, gettandogli disperatamente le braccia al collo come se qualcosa le dicesse che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro.
Allora il signore di Ravenswood fece scivolare lentamente le mani, sino ad accarezzarle le guance arrossate per la corsa e per il freddo e le posò dolcemente un bacio sulle labbra: una tacita rassicurazione della costanza del suo amore.
“Perché.. perché mi avete chiamato con tanta urgenza?” Mormorò Rin senza togliere le braccia dalle spalle dell’amante; mentre il respiro, infrangendosi contro il collo di lui, gli provocò una scarica elettrica che serpeggiò per tutta la schiena, rischiando per un attimo di fargli dimenticare la ragione per cui si trovava lì.
Il demone si sciolse tacitamente dall’abbraccio e, allontanatosi di pochi passi, volse lo sguardo verso l’acqua fresca che zampillava indifferente dalle fontana; come se stesse cercando le parole per formulale un discorso che era riluttante a cominciare.
La fanciulla osservava in silenzio le ampie spalle di lui, accarezzate dai lunghi, lucenti capelli argentei che il vento muoveva e intrecciava assieme ai lembi del mantello.
“Rin, voi mi amate?”
Queste parole risuonarono alle orecchie di lei, persa nelle contemplazione di quella imponente figura, lontane e vaghe: come se fossero state pronunciate in un sogno.
“Certo!” Rispose d’istinto, senza nemmeno dare il tempo ai suoi pensieri di riordinarsi “Vi ho mai dato modo di dubitarne?”
“No. Ma questo mi darà la forza per sopportare un grande sacrificio.”
“Quale sacrificio?” Balbettò la fanciulla, mentre il cuore le mancò un battito.
“Io parto Rin, per la Francia. Domani, al primo sorgere del sole.”
Miss Asthon rimase completamente paralizzata; un miscuglio di sentimenti tra la rabbia e il dolore vorticarono all’unisono dentro di lei. Portò istintivamente le mani tremanti alla bocca, soffocando un urlo che stava per uscirle dalle labbra. Un bagliore inquietante attraversò per un attimo i suoi occhi increduli; proprio di chi, non trovando più un saldo appiglio alla vita, vacilla pericolosamente sul labile confine della pazzia.
Sesshomaru, afferratala delicatamente per le spalle, tentò di richiamare la sua attenzione per poter terminare il discorso che l’improvvisa reazione di lei aveva interrotto.
“Rin…Rin ascoltatemi vi prego! Lo faccio per voi, solo per voi!”
La fanciulla si liberò con uno strattone dalla sua presa e lo guardò con uno sguardo terrorizzato, nel quale bruciava una scintilla d’odio che le illuminava il volto e infiammava ancora di più i sensi del demone.
“E come, di grazia?” Sibilò stringendo i pugni, finché le nocche non diventarono completamente bianche.
“Mio zio,”si affrettò a spiegare il demone “il potente marchese Athol mi ha chiesto di assisterlo in un’ importantissima missione diplomatica in Francia. Se tutto andrà secondo i miei piani avrò oro e prestigio a sufficienza per far risorgere il mio casato e dargli nuovo lustro.”
“Ah, capisco.” Ribattè Miss Asthon, la cui rabbia non si era affatto placata; anzi, sembrava che le ultima parole dell’amato l’avessero incendiata ancora di più invece che attenuarla “Così riuscirete a spodestare mio padre; è questo il vostro obiettivo, vero? Così vi vendicherete di tutti noi spogliandoci dei nostri beni e buttandoci in mezzo a una strada!” continuò con tono sempre più minaccioso, puntando l’indice accusatorio in direzione di Sesshomaru “E non sarete più costretto a corteggiare la povera figlia di un avvocato, senza un briciolo di sangue blu nelle vene; ma potrete avere ai vostri piedi tutte le fanciulle più nobili della Scozia!...ma che dico?...della Scozia, dell’Inghilterra, della Francia! Tanto per voi è uguale, non è vero?”
“Che stupida ragazzina che siete!” la interruppe, indignato, il signore di Ravenswood “Mi conoscete così poco, dunque, da dubitare della mia serietà?”
“Dunque negate?”
“Certo.”
“E’ il potere che vi interessa?”
“No.”
“Non mi abbandonerete per un’altra donna?”
“E’ più probabile che voi abbandonerete me per un altro uomo.”
“Non lo fate per il denaro?”
“Assolutamente.”
“Ma..allora..”
“Allora cosa?”
“Perché lo fate?”
“Per sposarvi, mia impertinente signora” Ribattè lapidario il demone, il cui sguardo si era fatto sempre più cupo ad ogni risposta “Per sposarvi.”
“S..sposarmi?” Balbettò Miss Asthon, completamente spiazzata da quella risposta.
“Esattamente.”Precisò Sesshomaru, con lo stesso tono di voce che avrebbe usato per spiegare una cosa elementare a un bambino testardo “Una volta ritornato ad essere veramente il signore di Ravenswood, nessuno oserà opporsi alla nostra unione…neanche la madre che temete così tanto.” E aggiunse, soppesando maggiormente le parole “Vi giuro sulla mia vita e sul mio onore che, una volta rimesso piede sul suolo scozzese, neanche un dio riuscirà a strapparvi a me.”
Rin si zittì, abbassando a terra gli occhi completamente velati dalle lacrime, che minacciavano di cadere da un momento all’altro. Sentì un bruciante rossore risalire sul suo viso sino a infiammarle le guance; mentre torceva nervosamente le mani, torturandosi la candida pelle con le unghie ben curate.
Vergogna, ecco cosa provava. Un’indicibile vergogna per aver dimostrato ancora una volta al suo amato di essere una bambina viziata e superficiale.
Il demone sorrise mentalmente: da una parte si sentiva appagato, vendicato per la poca fiducia che l’amata nutriva nei suoi confronti, e per questo era stata giustamente punita dalle sue parole taglienti; dall’altra, tuttavia, sentiva un fastidioso senso di colpa. In fondo quella scenata era stata dettata dalle gelosia, dalla disperazione; confermando nuovamente l’amore di lei nei suoi confronti.
E, a pensarci bene, si rese conto che, se i ruoli si fossero invertiti, sicuramente anche lui avrebbe avuto una reazione simile.
“Scusatemi.” Fu l’unica cosa che la fanciulla riuscì a dire, mentre una solitaria lacrima le rigò il viso. “Sono solo una stupida, non merito il vostro amore. Potrete mai perdonarmi?”
“Ad una sola condizione” Rispose il demone; il quale, sebbene in cuor suo non avesse mai provato veramente risentimento, tuttavia voleva godersi quell’ultima piccola vendetta nei confronti di lei, lasciandola per un attimo dubitare del suo perdono.
“Quale?” Chiese con apprensione la giovane, mentre il suo cuore accelerava di nuovo i battiti.
Sesshomaru non rispose subito. Alzò lentamente gli occhi verso il cielo, come se aspettasse di veder scritta lì la risposta. Poi, ispirata a pieni polmoni l’aria umida di quel primo pomeriggio autunnale, posò nuovamente gli occhi sull’amata, ma questa volta con un’espressione più dolce e parlò con una voce che un estraneo, ascoltato il dialogo precedente, avrebbe difficilmente riconosciuto come sua.
“Giuratemi qui ed ora eterno amore.”
Vedendo gli occhi dell’amata guadarlo con un’espressione a metà tra l’interrogativo e l’incredulo, continuò con maggior trasporto “Sposiamoci adesso! Non abbiamo bisogno di ministri che ci uniscano. Dio ci ascolta, Dio ci vede: chiesa e altare saranno i nostri cuori!”
“Mio signore..io..”riuscì a stento a dire la fanciulla, soffocando un grido di gioia.
“Mi basta solo un “si” Rin, non vi chiedo nient’altro.” La interruppe Sesshomaru prendendo delicatamente le mani della giovane nelle sue e increspando leggermente le labbra in ciò che la fanciulla non ebbe dubbi a classificare come un sorriso.
Il timido “si” venne soffocato immediatamente dalla bocca impaziente di lui che si impadronì di quelle dell’amata senza darle il tempo di terminare la frase.

Dopo un lungo istante il signore di Ravenswood interruppe quel piacevole contatto provocando una piccola smorfia di disapprovazione da parte della compagna; la quale lo guardò incuriosita mentre, messa una mano in tasca, ne cavò fuori una piccola moneta d’oro.
Prese le due estremità tra le dita, la spezzò facilmente, senza che la durezza del metallo facesse alcuna opposizione e porgendo uno dei due frammenti alla fanciulla pronunciò solennemente le parole di rito.
“Sono tuo sposo.”
“Ed io sono tua sposa.” Rispose Rin prendendolo tra le dita e nascondendolo nella sontuosa veste, vicino al cuore.*
Sesshomaru, dopo aver messo al sicuro la sua parte, prese la fanciulla tra le braccia e la strinse a sé, facendo attenzione a non farle male. Ispirò profondamente il suo odore, come se volesse imprimerlo bene in mente, per non dimenticarlo mai più.
Accostata la bocca all’orecchio di lei, dopo averle scansato dolcemente i folti capelli corvini con le proprie dita, articolò a fatica quelle parole che avrebbe sperato di non dover mai pronunciare in vita sua.
“Amore mio, è l’ora. Dobbiamo lasciarci.”
Rin strinse per un attimo con maggiore forza l’amato a sé, quasi volesse impedirgli di andarsene. Poi la ragione prevalse e scioltasi dall’abbraccio gli posò un ultimo bacio sulle labbra.
“Addio mio signore.” Sussurrò mentre le lacrime iniziavano a scendere copiose, rigandole le guance arrossate. “Promettete di scrivermi. Di darmi vostre notizie, ogni volta che i vostri impegni lo permetteranno.”
“Certo che e lo prometto!” la rassicurò il demone “E voi dovrete essere altrettanto celere a rispondermi.”
“Affare fatto, allora.” Scherzò la fanciulla, con un sorriso amaro che le gettava una cupo ombra sul volto “Sarà l’unica consolazione, in questi giorni terribili che mi aspettano.”
“E sarà anche la mia!” ribattè il giovane baciandole galantemente una mano con un elegante inchino, prima di afferrare le briglie del cavallo che scalpitava impaziente a pochi passi da loro.
Montato in sella, stava per lanciare l’animale al galoppo; ma si fermò, voltandosi un’ultima volta verso l’amata che stava già per imboccare il sentiero che l’avrebbe riportata al castello.
“Rin” La chiamò con tono grave.
“Ditemi.” Rispose la fanciulla, guardandolo con espressione interrogativa.
“Vi amo..non dimenticatelo.” Disse il demone; le cui parole sembravano più una preghiera che una richiesta. Dopodichè, spronato il destriero, sparì in un attimo tra gli immensi alberi della foresta; mentre il vento gli portava alle orecchie il flebile “anche io” di risposta della fanciulla, che si disperse nell’immensità di quel luogo senza tempo.


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*Nei tempi a cui risale questo avvenimento era comune credenza in Scozia che il violatore di un giuramento fatto con certe cerimonie soggiacesse in questa terra ad un’esemplare punizione celeste, quasi come l’atto di spergiuro. Perciò allora i giuramenti degli amanti, lontani da considerarsi come cosa di lieve peso, avevano per lo meno l’importanza di un contratto di nozze. – La più famosa di queste cerimonie era quella in cui i due amanti rompevano, e si spartivano, una moneta.


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Ed anche questo è finito. Cosa succedrà ai due amanti? Riusciranno a poter vivere felici insieme?
Grazie in particolare a lollyna per i suoi commenti.
Baci, Jessy

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Capitolo 13
*** Notti Parallele ***





“Il pallor funesto orrendo
Che ricopre il volto mio
Ti rimprovera tacendo
Il mio strazio…il mio dolor.
Perdonar ti possa Iddio
L’inumano tuo rigor.”




Gocce di pioggia cadevano lentamente sul davanzale delle finestra a intervalli regolari: segno che il temporale stava lentamente passando. Il rossore del sole morente si stagliava timidamente all’orizzonte e rade stelle iniziavano a mostrarsi tra le piccole fenditure delle alte nubi.
Miss Asthon, con il gomito poggiato sulla fredda pietra, sosteneva con la piccola mano il viso rivolto verso sud; dove, a diverse miglia di distanza, avrebbe dovuto trovarsi il mare. Quel mare che, sebbene non avesse mai visto, adesso odiava sopra ogni cosa.
Intanto Kagome le aveva sciolto i folti capelli corvini e, sedutasi alle sue spalle, aveva iniziato pazientemente a pettinarli: come faceva ogni sera, prima di far coricare la padrona.
“Ancora niente?” Chiese Rin con un tono sconsolato, dal quale si comprendeva come fosse già a conoscenza della risposta.
“No, signorina. Assolutamente niente. Non sapete quanto mi dispiaccia!” Rispose la compagna, senza interrompere il suo lavoro.
La fanciulla strinse impercettibilmente i pugni; mentre cercava di ricacciare indietro le lacrime, che minacciavano di farle capolino dagli occhi arrossati.
Era già trascorso un mese da quando il signore di Ravenswood era partito alla volta della Francia e aveva ricevuto solamente una lettera da parte sua, dove la informava di essere giunto a destinazione e la esortava di nuovo ad attenderlo…e poi più nulla.
Il silenzio assoluto.
Portò inconsciamente una mano al frammento di moneta che aveva legato al collo con un nastrino celeste, nascondendolo bene sotto i vestiti e sfiorò con le dita il freddo metallo.
Perché…perché…
Questa era l’unica domanda che la torturava da un mese a quella parte, rischiando di farla impazzire.
Non poteva essersi scordato di lei…non riusciva a crederci, non avrebbe voluto crederci. Lo ricordava bene: i suoi occhi, i suoi gesti, le sue parole erano veri, reali...non poteva fingere, non lui!

No! Non gli avrebbe fatto mancare la sua fiducia, non un’altra volta! Lui sarebbe tornato bello e trionfante, sarebbe andato a casa sua, l’avrebbe portata via per poi non lasciarla mai più.
…ma allora perché…
“Si è forse dimenticato di me?” Chiese alla compagna dopo un lungo sospiro.
“No Rin. Non lo farebbe mai.” Cercò di consolarla Kagome, allarmata dallo stato di apatia in cui era caduta la sua signora da un paio di settimane.
“Oddio mi dispiace!” Esclamò Miss Asthon, ricordandosi solo in quel momento che anche la sua dama da compagnia condivideva la sua stessa pena “C’è anche Inuyasha con lui. Chissà quanto sarai preoccupata! Ed io non faccio altro che tormentarti con i miei discorsi! Perdonami, sono solo un’egoista!”
“Non preoccupatevi,” le sorrise dolcemente posando il pettine su un piccolo comodino di legno scuro e le si sedette vicino “comprendo la vostra angoscia. Vedrete che andrà tutto bene. Torneranno e finalmente potrete sposarvi.”
“Potremo sposarci.” La corresse Rin, con un sorrisetto irriverente stampato sul volto.
Bastò un solo istante per far si che le gote di Kagome avvampassero completamente.
Le due donne, dopo essersi lanciate uno sguardo complice, scoppiarono all’unisono in una ristata argentina che rischiarò la notte e risuonò, portata sulle ali del vento, per tutta la pianura deserta.

************

La grande camera della signora Asthon era illuminata dal fuoco che, appena acceso, iniziava pian piano a consumare i piccoli ciocchi ammassati all’interno del camino.
L’imponente figura della donna stava eretta al centro della stanza; il bel volto austero e gli occhi di un azzurro profondo e freddo, erano volti verso una figura smilza e non molto alta, che la osservava con la testa china.
“Allora? L’hai con te?” Chiese impaziente lady Asthon con tono autoritario, dal quale si poteva facilmente intuire quanto fosse avvezza a comandare….servi e non.
“Certo mia signora. Eccole.” Rispose l’uomo; il quale, a giudicare dall’uniforme, doveva essere un corriere. Messa una mano nella logora tasca del vestito, ne cavò fuori una paccata di lettere: tutte recanti sul retro la stessa firma: S. Ravenswood.
“Sono tutte?”
“Tutte milady.”
“Puoi andare, ma ricorda: se ne arriveranno altre intercettale e portamele. Bada bene che non te ne sfugga nemmeno una! E’ una questione di vita e di morte.”
“Certamente signora. Sempre al vostro servizio.” Disse l’uomo, afferrando rapace un piccolo sacchetto pieno di monete che la donna gli stava porgendo prima di eclissarsi completamente nell’ombra, stando ben attento a non farsi vedere da nessun membro della servitù.
Lady Asthon osservò per un lungo istante le lettere, una per una, con una smorfia di disprezzo che, sommata alla tetra luce con cui il fuoco le illuminava gli occhi carichi di odio, faceva sembrare il suo volto ancora più crudele e inquietante di quanto non fosse già.
Poi le gettò con violenza tra le fiamme e le guardò con gioia accartocciarsi e scomparire velocemente: come se con le lettere potesse bruciare anche colui che le aveva scritte.
“Sei furbo, ragazzino insolente” sibilò tra sé “ma non avrai mia figlia, Mai! Preferirei vederla morta, piuttosto che sposata con un Ravenswood! Se mio marito non è abbastanza forte per tenere lontano il suo nemico dalla propria figlia, ci penserò io!”
Socchiuse gli occhi, voltandosi verso il tavolo, dove, accanto a un ricco candelabro d’argento stava socchiusa una lettera sulla cui parte inferiore rilucevano tanti piccoli sigilli rossastri.
Nel contemperarla un sorriso sadico le adombrò il viso marmoreo: un sorriso che avrebbe terrorizzato anche il più temerario fra gli uomini.
“…E so come fare…cara la mia bambina…so come fare.”aggiunse, trionfante “Fra poco lo odierai, con tutto il tuo cuore…”

**********

“Puah! Che puzza. Mi domando come facciano a vivere in questo posto!” Esclamò disgustato Inuyasha, portandosi una mano al naso con una smorfia, cercando di mettere il meno possibile alla prova il suo olfatto sviluppato.
I luridi, stretti vicoli della periferia di Parigi, dove persino la luce del sole si dimenticava di illuminare quelle putride vie, si dislocava innanzi a loro in un groviglio di strade talmente fitto, che avrebbe fatto invidia anche al celebre labirinto di Creta.
“Taci.” Lo zittì Sesshomaru, infastidito “Questa situazione è già abbastanza insopportabile senza i tuoi stupidi commenti!”
Infatti il signore di Ravenswood era impaziente di trovare il prima possibile quella dannatissima casa, dove avrebbe dovuto svolgersi un incontro segreto con dei delegati del re di Francia. E, come era naturalmente prevedibile, in quell’intricato percorso e con le enigmatiche indicazioni del marchese, avevano finito per perdersi.
“Non riseco a capire” Borbottò Inuyasha, ignorando completamente l’ammonimento del fratellastro “perché vostro zio abbia dovuto comprarsi il suo ennesimo appartamento in un posto schifoso e sperduto come questo!”
“Probabilmente non vuole scocciatori alla porta.” Ribattè Sesshomaru, lanciandogli un’occhiata eloquente.
“Mha…” ribatté il mezzodemone “Poi un uomo ricco ed elegante come lui. Perché non si è preso una bella villa nel centro, dato che può tranquillamente permettersela?!”
Il signore di Ravenswood questa volta non rispose, ma continuò ad avanzare con passo deciso, cercando di evitare le numerose pozze di acqua e fango sparpagliate per la strada; mentre osservava con disgusto, sempre tenendo la mano ben salda sul calcio della pistola, il notevole numero di mendicanti e ubriaconi sdraiati sul margine della strada.

“Dormite con me stanotte, bel demone?”
Sesshomaru si voltò di scatto allarmato, stringendo con maggiore forza la pistola, pronto ad usarla, nel caso ci fosse stato bisogno.
Davanti a lui stava una donna sulla ventina, che egli non tardò a classificare come prostituta.
I lunghi e scompigliati capelli, di un biondo paglia, le ricadevano a boccoli sulle spalle scoperte. I seni prosperosi, quasi del tutto scoperti da una generosissima scollatura, erano messi ancora più in risalto da uno strettissimo corpetto che le fasciava la vita sottile. Le gambe, lunghe e pallide, erano messe in mostra grazie a una lunga spaccatura che le percorreva tutta la gonna logora e sporca, partendo appena sotto la cintura.
La figura, che non avrebbe potuto passare inosservata anche in quel posto dove le prostitute erano di casa, avrebbe sicuramente potuto risultare molto più gradevole se il volto non fosse stato ricoperto da uno spesso strato di trucco.
Mentre gli sorrideva maliziosamente, con le labbra carnose tinte da un rossetto di colore acceso; il signore di Ravenswood non poté fare a meno di paragonare quella figura prorompente e a tratti volgare con quella minuta e graziosa di Rin.
“Scusatemi, signorina. Ho fretta. Lasciatemi passare.” Disse, con tono tagliente, cambiando la propria direzione per superarla.
“Suvvia, signore. Come siete crudele.” Civettò la donna con fare puerile, poggiandogli le mani sul torace, così da impedirgli di fuggire “Non volete farmi compagnia nemmeno per pochi minuti? In fondo…sembrate molto ricco.” concluse facendo l’occhiolino.
“E cosa ve lo fa pensare?” ribatté il demone, alquanto infastidito da quella inutile perdita di tempo, che rischiava di farlo arrivare tardi all’appuntamento.
“L’abito che tentate di nascondere sotto il mantello, per esempio o quella bellissima elsa dorata sulla quale tenete poggiata la vostra bianca e delicata manina…ma basta solamente osservare le vostre movenze eleganti. Anzi, visto il vostro portamento fiero e lo sguardo indignato che lanciate agli straccioni che abitano qui…sì…direi che siete anche nobile.”
“Complimenti, che perspicacia!” Ammise scocciato Sesshomaru, cercando di trovare una via di fuga.
“Ma, in un certo senso, siete fortunato.” Tornò nuovamente alla carica la prostituta con sguardo malizioso, accarezzando la guancia levigata del demone.
“Veramente? E pensare che non me ne ero mai accorto.” Ironizzò Sesshomaru, afferrando disgustato la mano di lei per impedirle di continuare a insozzarlo con le sue sudice mani.
“Certamente! Anche se siete ricco vi farò un prezzo di favore. In fondo, non capita tutti i giorni un uomo bello come voi da queste parti.”
Il signore di Ravenswood, avendo ormai perso la speranza della fuga, decise almeno di far tornare utile quella perdita di tempo.
“Facciamo un altro accordo. Che ne dite?”
“Di che tipo?”
“Voi mi dite dov’è Rue Saint-Martin ed io vi ripagherò adeguatamente.”
“Se proprio ci tenete…” Rispose delusa la donna dopo un attimo di esitazione e, dopo un lungo sospiro, gli elencò un tortuoso groviglio di strade da seguire, che Sesshomaru si impresse nella mente senza problemi.
Allora il Signore di Ravenswood le dette in mano, come promesso, alcune monete d’argento, per poi allontanarsi in fretta; seguito da un inebetito Inuyasha, che aveva assistito tutta la scena, tenendosi a debita distanza, ed ora rischiava di scoppiare a ridere da un momento all’altro.
“Se per caso odo un singolo suono da parte tua, che può anche lontanamente ricordare una risata, giuro che ti strappo con le mie stesse mani la tua inutilissima lingua fastidiosa!”Lo prevenne il fratello, conoscendo fin troppo bene quel carattere che gli dava così tanto sui nervi. Il mezzodemone, intuita la pericolosità della minaccia e temendo per la sua incolumità personale, ricacciò indietro le parole che stavano per uscirgli dalla bocca e rimase in silenzio.
Questa volta fu inaspettatamente la voce di Sesshomaru a rimbombare per prima in quegli stretti vicoli. “Non è arrivata ancora nessuna lettera da parte della signora Asthon, vero?”
“No, mi spiace.”Rispose Inuyasha, voltandosi appena per osservare la reazione del fratello.
“Che diavolo starà facendo?! Maledizione! E’ da quando siamo partiti che non so più nulla di lei.”
“Accidenti, non avrei mai creduto di vedervi così innamorato!...per di più di una donna umana, figlia del vostro peggior nemico. Ci verrebbe fuori davvero un bel romanzo!”
Ma, vedendo lo sguardo omicida del fratello posarsi sopra di lui; si affrettò ad aggiungere “Comunque non preoccupatevi, sicuramente ci saranno dei problemi per farvi avere le sue lettere…non si sa mai, di questi tempi i corrieri sono diventati davvero inaffidabili!”
“Spero che tu abbia ragione.” Mormorò Sesshomaru, abbassando lo sguardo carico di preoccupazione.
Non sapeva perché, ma le parole di Inuyasha non riuscivano a calmare quella dolorosa angoscia che, sin da quando erano partiti, non gli dava un attimo di requie.


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Capitolo 14
*** La Crudeltà di Lady Asthon ***



Bene..se avete avuto modo di apprezzare la dolcezza della mammina di Rin nel capitolo precedente; non oso immaginare cosa penserete alla fine di questo ^__^
Grazie per i commenti e buona lettura.

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“Un folle ti accese, un perfido amore:
Tradisti il tuo sangue per vil seduttore
Ma degna dal cielo ne avesti mercé:
Quel core infedele ad altra si diè!”




“Signorina Asthon, signorina Asthon…si svegli, la prego.”
Kagome poggiò le mani sulle spalle della padrona, scuotendola delicatamente.
“Che succede?” Biascicò insonnolita la giovane, aprendo a fatica gli occhi. “Ma è prestissimo!”
“Mi dispiace. Ma vostra madre vi vuole subito.”
“Perché?” Chiese preoccupata Rin, alzandosi a sedere di scatto. “E’ successo qualcosa?”
“Non lo so. Ha detto che vi attende nello studio di vostro padre.”
Afferrata la vestaglia da camera, la fanciulla si ricompose velocemente per poi gettarsi di corsa attraverso l’ampia scalinata di marmo.
I servi la osservarono stupiti attraversare, simile ad un fantasma, le innumerevoli stanze e corridoi che la divedevano dallo studio del padre, situato nell’ala opposta del castello.
Era incredibilmente pallida e la mano tremava mentre la portava vicino al cuore, per stringere il piccolo pezzo di moneta che il suo amato le aveva porto prima di partire, quasi volesse trarre da essa la forza necessaria per sostenere quei terribili momenti.
Cosa poteva volere lady Asthon da lei? Perché l’aveva chiamata con tanta urgenza?...Sicuramente, trattandosi di sua madre, non si aspettava niente di buono…

“Entra cara e chiudi la porta.” Disse la fioca, amorevole voce di Mr. Asthon , che la osservava con uno strano sguardo cupo, seduto sulla ricca poltrona di pelle rossa posta dietro a un’imponente scrivania di mogano, sopra la quale giacevano in un caos incredibile documenti e libri di ogni genere e dimensione.
Lady Asthon stava ferma, in piedi accanto al marito e seguiva tacitamente i movimenti della figlia che si avvicinava timorosa, con un’ombra scura sul viso che non prometteva nulla di buono.
“Rin..”Esordì la donna con voce atona, ma dura. “..Io e tuo padre sappiamo tutto.”
“Tutto?” Chiese spaventata la fanciulla, poggiandosi allo schienale della sedia che provvidenzialmente si trovava davanti a lei, poiché le gambe minacciavano di cedere da un momento all’altro.
“Sì, tutto…di te e del signore di Ravenswood.” Poi, vedendo che la figlia taceva abbassando colpevole gli occhi, aggiunse indignata “Come hai potuto?”
“Madre, io…lo amo.” Balbettò Rin con un filo di voce.
“Lo ami?! E secondo te questo basta come giustificazione? Tu ameresti il nemico della tua famiglia; colui che potrebbe uno di questi giorni uccidere tuo padre?!”
“Non è vero! Lui non è malvagio né un assassino. Mi ha promesso che al suo ritorno dalla Francia mi sposerà e lascerà da parte ogni progetto di vendetta!”
“E’ un bugiardo!”
“E’ una menzogna! Voi non lo conoscete.”
“Rin,” Sospirò la madre, infastidita da quell’ostinazione che non riusciva a comprendere “Sei davvero così stupida da non capire quale sia il vero motivo per cui giura di amarti?”
“E quale sarebbe?”
“Legandoti a lui gli permetterai di avvicinarsi ancora di più a tuo padre e al nostro castello. Così non appena si presenterà l’occasione giusta…”
“Tacete, Tacete! Questa è una menzogna!” La interruppe gridando, non sopportando più le insinuazioni di quella donna crudele, che faticava a riconoscere come madre.
“Dimenticalo, figliola, è per il tuo bene.”
“Mai!”
“dammi ascolto…dimenticalo!”
“Mai, mai!”
“Bene.”Disse Lady Asthon dopo un lungo istante di silenzio “Non avrei mai voluto che tu vedessi questo; ma sembra che non mi lasci altra scelta. Signor Asthon, datele la lettera, prego.”
L’uomo, che aveva assistito a tutta la scena in silenzio, esitò un attimo prima di passare alla figlia il foglio che, sapeva bene, avrebbe compromesso la felicità della figlia per molto tempo…se non addirittura per sempre.
Tuttavia, completamente estraneo alle crudeli macchinazioni della moglie, credeva, con quel gesto sciagurato, di proteggere la sua bambina da una delusione ancora più grande.

Nessuno dei due vide il ghigno malvagio che si allargava sempre di più sul volto di Lady Asthon.

Rin prese la lettera tra le mani e ci vollero diversi secondi prima che riuscisse a trovare la calma per mettere a fuoco le parole.
“L’ho praticamente strappata di mano al corriere che cercava un modo per farvela avere in segreto,” spiegò Lady Asthon, mentre la figlia cercava di leggere con inumana fatica quelle poche, fatali parole “Questo foglio ti dice appieno quale crudele, quale empio ami.”
Vi era scritto con una calligrafia che sembrava in tutto e per tutto quella del signore di Ravenswood; ad eccezione di piccole imperfezioni che, naturalmente, la fanciulla non potè notare in quel momento angoscioso:

Signorina Asthon,
So che questa notizia vi causerà immenso dolore, pure mi sento vincolato dalla mia coscienza a comunicarvelo.
Durante questa mia permanenza in Francia ho avuto modo di conoscere una nobildonna con la quale convolerò presto a nozze.
Non vi narrerò i particolari di questo incontro poiché non è nelle mie intenzioni di gentiluomo provocarvi ulteriore dolore.
Perdonatemi, se potete.

S. Ravenswood


Rin boccheggiò per un attimo, come se volesse urlare ma non ne trovasse la forza; lasciò cadere di scatto il foglio, come se fosse brace, e portò le mani tremanti al volto che aveva preso un colore innaturale. Il soffitto iniziò a vorticare davanti a lei, mentre le gambe malferme cedettero di colpo.
Fortunatamente il padre, preparato a quella reazione, l’afferrò al volo, impedendole di rovinare sul duro pavimento di marmo e la fece sedere sulla sua poltrona, cercando di rifarle riprendere i sensi.
Tuttavia, quando essa riaprì gli occhi, pensò in cuor suo che avrebbe preferito fossero rimasti chiusi.
Infatti lo sguardo, pericolosamente fisso e vacuo, sembrava non fosse capace di vedere cosa le stava accadendo intorno. Le pupille, prima così scure e fiere, adesso erano spente e velate da un’inquietante ombra scura.
Lord Asthon sentì il suo cuore balzargli in petto e le tempie pulsanti, minacciare di scoppiargli da un momento all’altro: quell’aspetto…quello sguardo…gli ricordava troppo bene quello di chi ha ormai attraversato il labile confine tra ragione e pazzia, ed ora viaggia smarrito in quel vuoto deserto.
“Rin...” La chiamò timidamente, con un filo di voce, quasi fosse una sonnambula che aveva timore a destare.
“Eppure soffriva anche lui…” Sussurrò la fanciulla con voce spettrale: sembrava quasi fosse stata ipnotizzata. “..Mi ha abbracciata…sì…mi ha giurato che sarebbe tornato. Lui tornerà, me l’ha promesso…e ci sposeremo. Staremo insieme per sempre…per sempre… Non ti preoccupare, amore mio! Quel fantasma non ci perseguiterà più…guarda…non lo vedi?...E’ sparito …Scomparso! Torna da me! Ti prego…Torna…”
Quel mesto, flebile delirio lacerava sempre più ad ogni parola il povero cuore del padre, che le carezzava con dolcezza una mano, mentre gli occhi arrossati iniziavano a bagnarsi di lacrime.

Ma, evidentemente, quella scena pietosa non scalfì minimamente l’animo crudele di Lady Asthon.
“Rin, ascoltami!” Ordinò imperiosa. “Ora basta con questi discorsi insensati!”
Per qualche strano motivo, la voce forte e autoritaria della madre riuscì a riportare la fanciulla alla realtà. “Bambina mia,” riprese la donna, ora che aveva ottenuto la sua attenzione, con tono raddolcito “Lascia perdere questa storia. Dimenticati di lui e della sua crudeltà.”
“Come è possibile?! Non posso e non voglio.” Si oppose la fanciulla, mentre calde lacrime iniziavano pin piano a rigarle il volto.
“Andiamo, non dire stupidaggini. Ho già trovato chi ti potrà aiutare a superare questo terribile dolore e…a iniziare una nuova vita.”
“Madre.” Riuscì appena a sussurrare la fanciulla con un filo di voce, mentre il cuore le mancò un battito “Cosa state dicendo?”
“Sto organizzando il tuo matrimonio, piccola mia. Tra una settimana questa storia disdicevole sarà solo uno spiacevole ricordo.”
“No!” Gridò incredula la fanciulla, alzandosi di scatto dalla poltrona, con il puro terrore dipinto negli occhi “Come potete farmi questo?...Come potete?”
“Cara,” Intervenne finalmente il padre con tono supplichevole, voltandosi verso la moglie, deciso ad evitare altri terribili strazi della figlia “io non so se sia il caso…”
“Tacete, signor Asthon, ve ne prego!” Lo zittì la moglie, senza neanche fargli finire la frase “Sapete che lo faccio per il bene di tutta la famiglia.”
Poi si avvicinò alla figlia e, afferratala per un braccio, conficcò i suoi freddi e bellissimi occhi azzurri in quelli neri e impauriti di lei.
“Ascoltami bene, Rin. Dal trono d’Inghilterra è stato da poco deposto Giorgio, il re che la famiglia dei Ravenswood appoggiò: e questo fu la loro rovina.
Adesso vedremo ascendere al trono Guglielmo d’Orange, che la nostra famiglia ha sempre sostenuto.” Si interruppe un attimo, voltandosi a guardare il marito, il quale aveva la testa leggermente chinata e gli occhi fissi a terra con fare remissivo.
“Tuttavia,” Riprese “tuo padre è stato accusato da alcuni luridi calunniatori, affamati delle sue ricchezze, di essere un nostalgico del vecchio re.”
“E questo? Cosa c’entra con me?” Chiese Rin, spaesata.
“L’unico modo per salvare tuo padre dal baratro è quello di farti sposare un uomo, la cui famiglia è da sempre amica e fedele di Guglielmo d’Orange.”
“Madre,” Balbettò la fanciulla “io…non posso…non voglio…” “Cosa?!” Sibilò furiosa Lady Asthon “Saresti così crudele ed egoista a condannare tuo padre a morte per un tuo stupido capriccio?!”
“Come a morte?” Chiese terrorizzata Rin, mentre i suoi occhi andarono ad incontrare quelli stanchi e tristi di Lord Asthon.
“La scure, bambina! La scure aspetta i traditori a Londra!...Il boia la sta già affilando…”
Al sentire quelle parole, la fanciulla si accasciò di nuovo sulla grande poltrona del padre. Si sentiva lacerata in due: non poteva, non voleva dimenticare l’unico amore della sua vita; ma non sarebbe stata capace di lasciar uccidere il padre senza tentare qualsiasi espediente pur di salvarlo.
“Allora?” La incalzò Lady Asthon, sapendo di aver fatto leva sul giusto argomento per farla capitolare.
“D’accordo, d’accordo. Lo farò.” Riuscì solo a dire la fanciulla, con immenso sforzo.
In fondo non poteva dare in pasto al boia quel padre che le era stato sempre vicino, per un amore tradito, dimenticato, deriso.
Senza Sesshomaru sentiva che non sarebbe sopravvissuta ancora per molto: quasi che lui solo riuscisse a trattenere la sua anima delicata all’interno della prigione del corpo; ma adesso, sapendo che non sarebbe tornato mai più, sentiva la vita sfuggire pian piano dalle dita e il suo animo distrutto non trovava una valida ragione per opporsi a questo ineluttabile processo.
Dunque, se il suo destino era comunque segnato, non si sarebbe tirata indietro da mettere a disposizione tutta se stessa pur di salvare un membro della sua famiglia, che non le aveva mai fatto mancare amore e sostegno.
“Come si chiama lo sposo?” Chiese, non tanto per curiosità, quanto piuttosto per incrinare quel pesante silenzio che minacciava di farla impazzire, di nuovo.
“Sir Koga Buclaw” Rispose la madre, con un sorriso trionfante che le illuminava il volto.
Rin allora, ritenendo conclusa quella insolita riunione, si affrettò, per quanto le forze glielo permettessero, a raggiungere la porta, sussurrando con un filo di voce: “Su, affrettatevi a preparare l’altare: un’altra vittima deve essere sacrificata…”



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Capitolo 15
*** Il Matrimonio ***





Eccoci..siamo finalmente arrivati al matrimonio.
La povera Rin è completamente nelle subdole mani della madre e di Sesshomaru non si vede neanche l'ombra.
Ce la farà a giungere in tempo per scongiurate i piani della perfida lady Asthon?

Grazie a tutte per i commenti, buona lettura
Jessy


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“Io sperai che a me la vita
Tronca avesse il mio spavento...
Ma la morte non m’aita,
Vivo ancor per mio tormento!
Da’ miei lumi cadde il velo...
Mi tradì la terra e il cielo!
Vorrei pianger, ma non posso...
Ah, mi manca il pianto ancor!”




“Allora, Sir Buclaw. Come state?” Chiese una raggiante Lady Asthon, porgendo galantemente la mano al giovane, che si affrettò a rendere il dovuto omaggio a colei che stava per diventare sua suocera.
La donna, pavoneggiandosi nel suo bellissimo, sontuoso abito di color cielo, impreziosito da tante piccole perle bianche, sorrideva raggiante. Quel giorno, finalmente, un legame si sarebbe venuto a formare, spezzandone un altro; quel giorno il suo odio per la famiglia Ravenswood avrebbe raggiunte il suo apice.
“Starò molto meglio, mia signora, quando finalmente potrò vedere la mia bellissima moglie.” Rispose il futuro genero, un po’ intontito dal frastuono che regnava nell’immenso salone del castello degli Asthon, tutto addobbato per l’occasione.
Erano giunti, da ogni parte del regno, tutti i parenti e gli amici delle due famiglie: uno splendore di nobiltà e gioielli illuminava quella tetra mattina e l’orchestra si apprestava a dare inizio alla prima danza.
Koga Buclaw si rassettò, a disagio, l’elegante abito di velluto rosso dai bottoni dorati e la cravatta di seta bianca; poi, lanciando rapide occhiate ad uno specchio posto fortunatamente lì vicino, mise in ordine con un rapido gesto della mano i pochi ciuffi ribelli, sfuggiti alla lunga coda che ricadeva fin sopra le spalle.
I muscoli tesi e l’irrequietezza con cui si guardava intorno lasciava trasparire un’impazienza, una trepidazione, che non era abituato a sopportare.
In effetti, se un anno addietro qualcuno gli avesse detto che avrebbe sposato, da Sir, la primogenita di una ricca e potente famiglia, gli avrebbe riso in faccia senza pensarci due volte.
Era solo un ladruncolo da due soldi, vestito di stracci e in perenne compagnia di ubriaconi e tagliaborse. Viveva alla giornata e si procurava il cibo attraverso gli espedienti più disparati e piccoli crimini; il suo rifugio era una sudicia osteria, dove passavano tutto il resto della giornata a ubriacarsi e a giocare d’azzardo i pochi spiccioli che aveva in tasca.
Poi c’era stato il miracolo.
Sua zia, Lady Marguerite Buclaw, che non l’aveva mai voluto vedere, né tantomeno riconoscere perché figlio di suo fratello e una contadina, morì improvvisamente vedova e senza eredi. Così, non avendo avuto tempo di fare testamento, lasciò al suo odiato nipote un patrimonio incalcolabile, un titolo nobiliare e una rete di amicizie così preziose da far impallidire anche il più importante cortigiano della reggia di Londra.

Sir Buclaw si avvicinò nuovamente a Lady Asthon e le parlò a bassa voce, non volendo essere udito dal resto della folla: “Milady…c’è una domanda che mi preme farvi sin da quando mi proponeste questo matrimonio.”
“Ditemi pure, caro genero.”
“Ho sentito delle voci, riguardo a un increscioso rapporto tra la signorina Asthon e l’ultimo erede di Ravenswood. Corrisponde forse a verità questa notizia?”
“Sì, in parte è vera.” Rispose la donna, a disagio per l’incresciosa domanda, non sentendosela di mentire del tutto “Quel folle ha osato alzare gli occhi su di lei. Ma per fortuna sono intervenuta in tempo per strappare la mia piccola a quelle empie mani!”
Koga, non del tutto soddisfatto, stava per chiedere ulteriori delucidazioni alla suocera quando, colpito dal silenzio che era sceso nell’ immensa sala, si sporse per vedere cosa stesse accadendo.
Rin, cinta dal sontuoso abito da sposa, che ricopriva metà scalinata con il suo lunghissimo strascico, fece il suo ingresso.
Il velo trasparente, fermato in testa da una corona di fiori intrecciato con gli splendenti capelli corvini, lasciava intravedere un pallore cadaverico sparso per tutto il viso. Gli occhi, vuoti e fissi verso terra, avevano completamente perduto il loro splendore, come se non potesse capire cosa le stava accadendo intorno.
Pareva una bellissima quanto fragile bambola di porcellana.
Kagome, postasi al suo fianco, sosteneva i lenti passi della padrona sorreggendola per un braccio; mentre, con la mano rimasta libera, teneva stretto il bouquet di fiori che le mani di miss Asthon non sarebbero riuscite a reggere.
Lady Asthon si precipitò verso la figlia, con un amorevole sorriso dipinto sul volto e, prendendo il posto di Kagome, si pose al suo fianco sorreggendola.
“Attenta piccola mia,” le sussurrò in un orecchio, preoccupata che quel comportamento potesse far sorgere dei dubbi nello sposo “sorridi e cerca di sembrare più felice…in fondo è il tuo matrimonio.”
Tuttavia, vedendo che la figlia non accennava a risponderle, come se non potesse o non volesse ascoltarla, aggiunse con voce ancora più bassa.
“Ricordati di tuo padre.”
Rin, sentendo quelle ultime parole decise di farsi forza, almeno per il povero Lord Asthon; anche se ormai il grido della ragione si stava facendo sempre più flebile.
“Rin e voi, mio caro genero,” Esclamò la donna in tono trionfale “venite. Andiamo sulla terrazza: tutta la contea di Lammermoor è qui per ammirare i novelli sposi!”

In effetti, non appena le grandi imposte vennero aperte dai servitori, si accorsero che Lady Asthon non aveva mentito: una immensa folla si accalcava freneticamente nel parco del palazzo.
La loro uscita venne accolta con urla e benedizioni varie; probabilmente più per effetto del lauto banchetto che la famiglia Asthon aveva fatto servire alla popolazione per quel giorno di festa, che per una vera e propria ammirazione per i due sposi.
In un angolo appartato dell’immensa tenuta, tre figure vestite di nero stavano sedute sotto un grande albero, osservando la scena mentre terminavano di banchettare con quel poco cibo che erano riuscite a racimolare.
“Però, Annie Winnie,” gracchiò una delle vecchie, addentando l’ultimo pezzo di carne “tu sei la più vecchia di noi tre, hai mai visto nozze più sontuose di queste?” “Non posso dire di averne viste,” rispose la megera, “ma credo che presto vedremo un funerale altrettanto bello.”
“E questo mi piacerebbe altrettanto,” ridacchiò la terza figura; la quale, ormai cieca, riusciva solo a percepire le indistinte grida della folla “perché ai funerali l'elemosina è altrettanto copiosa e la gente non è obbligata a far smorfie, ridere, e far boccucce e auguri a questa razza di deficienti che spadroneggiano su di noi come se fossimo misere bestie.”
“Questo è giusto, comare,” intervenne l’altra. “Che Dio ci mandi un buon Natale e un ben nutrito cimitero!”
“Ma mi piacerebbe sapere, Annie Winnie, da te che sei la più vecchia e la più saggia di tutte noi, a chi di quelli che oggi fan festa toccherà esser colpito per primo?”
“Vedete là quella graziosa fanciulla,” disse la strega, “tutta scintillante d'oro e di gioielli pallida come un fantasma, che ha a fatica la forza di alzare la mano per salutare quelli stupidi che la stanno acclamando?”
“Ma quella è la sposa,” disse la compagna il cui freddo cuore fu toccato da una specie di compassione, “quella è proprio la sposa, proprio lei! Eh, via! così giovane, così bella, così ricca... e il suo tempo è così breve?”
“Vi dico,” aggiunse la sibilla, “che il lenzuolo funebre la copre già fino al collo, lo creda chi mi ascolta. Le foglie avvizziscono presto sugli alberi, ma ella non potrà vederle danzare e turbinare al vento di S. Martino.”
“Ho sentito dire,” fece la cieca, “qualche cosa come se lady Ashton non fosse come tutti gli altri.”
“La vedete laggiù,” rispose Annie Winnie, “che si pavoneggia accanto alla figlia spaurita e a quel bel giovanotto distinto? C'è più diavoleria in quella donna, azzimata e tracotante, che in tutte le streghe della Scozia…se non nel demonio stesso.”

Dopo quella breve apparizione Lady Asthon, senza lasciare il braccio della figlia, la ricondusse all’interno della sala, dove i servitori avevano velocemente addobbato una grande tavola dove si sarebbe firmato il contratto di nozze.
Rin si sentiva stranita, come in un sogno; il brusio indistinto giungeva ovattato alle sue orecchie.
Quando, però, vide stagliarsi dietro la tavola la nera e imponente figura del sacerdote ebbe un piccolo sussulto, quasi si fosse resa conto solo in quel momento di quel che stava accadendo.
Rallentò, incerta, il passo.
Tuttavia bastò una feroce occhiata ammonitrice della madre per convincerla ad avanzare.
“Madre…madre…cosa mi sta succedendo?” Sussurrò in un’ultima, pietosa preghiera; mentre ormai il flebile lume della ragione si stava pian piano spegnendo.
“Niente piccola mia.” Cercò di rassicurarla Lady Asthon, la cui crudeltà non era stata minimamente scalfita dall’evidente sofferenza dalla figlia. “Fai quello che ti dice e vedi che andrà tutto bene.”

Giunti davanti alla tavola, Sir Buclaw si voltò verso Rin e le baciò elegantemente una mano.
“Mia signora,” Disse con dolcezza. “sono onorato di divenire il marito di un fanciulla così bella. Spero potrete essere altrettanto felice al mio fianco.”
Ma ella non rispose.
Allora Koga alzò lo sguardo interrogativo verso Lady Asthon, allarmato dal comportamento della fanciulla.
“Non preoccupatevi.” Tagliò corto, imbarazzata, la donna. “E’ così emozionata che non riesce a parlare. Dopotutto è il giorno del suo matrimonio.” E, con un sorriso forzato, gli porse sbrigativamente il contratto di matrimonio. “Prego, signor Buclaw, è già tutto scritto. Basta solo una vostra firma.”
Il giovane, non del tutto convinto, ristette per un momento; poi, lanciando un’ultima occhiata alla fanciulla che continuava a tacere, afferrò la penna e impresse il suo nome sul foglio fatale.
Venne, infine, il turno di miss Ashton per firmare il documento.
Al primo tentativo, ella cominciò a scrivere con la penna asciutta, e quando le si fece osservare la cosa, sembrò incapace, dopo molti tentativi, di immergere la penna nel massiccio calamaio d'argento che aveva dinanzi. La vigilanza di Lady Ashton si affrettò a riparare a questa deficienza. Chi avesse visto il documento, avrebbe sicuramente notato che il nome di Rin Ashton , tracciato su ogni pagina, non presentava che una lieve tremolante irregolarità a indicare il suo stato d'animo al momento della firma.
Ma l'ultima firma è incompleta, sfigurata e scarabocchiata.
Perché, mentre la mano era impegnata a tracciarla, fu udito al cancello il galoppo precipitoso di un cavallo, seguito da un passo nella galleria esterna e una voce che in tono imperioso imponeva silenzio alle opposizioni dei domestici.
La penna cadde dalle dita della fanciulla mentre esclamava con un grido soffocato:
«È venuto! È venuto!»


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Capitolo 16
*** Il Punto di Non Ritorno ***




Ormai la situazione è completamente compromessa, grazie soprattutto alle dolce attenzioni di Lady Asthon.
Quale sarà la rezione di Sesshomaru? Buona lettura.


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“Maledetto, maledetto sia l’istante
Che di te, sì che di te, mi rese amante.
Stirpe iniqua... abominata
Io dovea da te fuggir!”




“Rin! Rin!” Ruggì una voce a metà tra l’ira e la disperazione, con un grido sovrumano, che fece impallidire tutti i presenti; i quali si voltarono tremanti in direzione delle urla, chiedendosi chi mai potesse osare interrompere quel matrimonio, senza temere le conseguenze: dopotutto il castello era completamente circondato di soldati armati a causa delle illustri personalità che si trovavano in quel salone e nessun intruso avrebbe potuto sperare di sfuggire alle loro spade.
“E’ lui…è mio marito.” Esclamò Rin, come se quella voce l’avesse richiamata dallo stato di torpore in cui era imprigionata. Si stava per slanciare verso il suo amante, quando fu bloccata da una mano, che le strinse con forza il braccio.
“Madre, madre lasciatemi. Vi supplico. Devo andare da lui! E’ venuto a prendermi, è venuto per me. Lasciatemi!” La pregò con un sussurro soffocato, cercando di liberarsi dalla presa.
“Stai ferma qui.” La minacciò la donna costringendola a sedersi “Non osare correre d lui.”
Poi chiamò Kagome; la quale era ferma, impietrita a pochi passi da lei con gli occhi volti in direzione delle voci concitate che si stavano mano a mano avvicinando.
“Stai con lei.” Ordinò perentoria alla serva “E bada che non faccia gesti avventati. Hai capito?”
La giovane chinò malvolentieri la testa, in segno di assenso; non potendo opporsi ad un ordine della Lady. Si accostò a Miss Asthon e le posò dolcemente una mano sulla spalla per rassicurarla.

Ma ciò che avvenne fece sussultare entrambe.

Una guardia venne sbalzata via da una forza sovrumana e rovinò con un tonfo sordo sul lucido pavimento di marmo.
Sulla porta si stagliò l’imponente figura del signore di Ravenswood, seguito da guardie e servi con le armi snudate; che, tuttavia, non osavano utilizzare, terrorizzati dall’inaspettata forza di quel giovane, già tristemente sperimentata da alcuni loro compagni.
Il volto del demone, contratto dalla rabbia, aveva perduto la consueta espressione stoica e indecifrabile: i muscoli tesi incorniciavano il terribile sguardo irato nel quale aleggiava una sinistra luce rossastra, che oscurava le pupille ambrate.
L’elegante veste, sempre tenuta in maniera impeccabile, ora era sgualcita e sporca. La parte inferiore del mantello e gli stivali erano macchiati di fango, che lasciava scure tracce sopra il candore inamidato del lucido pavimento.
In effetti, da quando aveva appreso, in Francia, la notizia che la primogenita degli Asthon stava per convolare a nozze con il rampollo di una delle più importanti famiglie di Scozia, senza pensarci due volte, si era fiondato sulla prima nave diretta in patria e da lì aveva cavalcato senza sosta, sostenuto solamente dalla propria disperazione, sino al castello, deciso a impedire il matrimonio.

Un silenzio tombale piombò tra la folla: gli strumenti smisero di suonare, gli ospiti si voltarono sbalorditi verso il nuovo arrivato e nessuno, terrorizzato, osava muovere un passo.
Sesshomaru scrutò in silenzio la folla, con uno sguardo indecifrabile impresso sul volto, come se stesse cercando qualcosa…o qualcuno.
Non appena individuò Rin, seminascosta da alcuni uomini, si diresse velocemente verso di lei senza curarsi di essere il bersaglio degli sguardi di centinaia di persone. Tuttavia, dopo un istante che parve un’eternità, Lady Asthon si fece avanti, frapponendosi tra il signore di Ravenswood e la figlia, lanciandogli uno sguardo carico d’odio, che non aveva nulla da invidiare a quello del demone.
“Signore,” sibilò tra i denti, rifiutandosi di chiamare il proprio rivale con l’appellativo di Lord, visto che, a parer suo, la famiglia Ravenswood era solo un lontano e sbiadito ricordo della storia scozzese. “non mi pare siate stato invitato a questo matrimonio.”
“Non ci sarà nessun matrimonio!” Rispose lapidario Sesshomaru, volgendosi verso la donna, con gli occhi ridotti a due fessure “Miss Asthon ha giurato fedeltà a me. Solo a me è concesso di diventare suo sposo. E adesso scostatevi, non ho tempo da perdere con voi!”
Continuò ad avanzare con passo deciso verso la fanciulla, finché una lama lucente puntata alla gola non lo costrinse nuovamente a fermarsi.
Koga Buclaw, dopo un attimo di smarrimento dovuto a quell’intrusione totalmente inattesa, aveva sguainato la spada ed ora lo incalzava minaccioso.
In effetti il giovane non ci aveva messo molto per collegare insieme tutti i tasselli di quella storia e aveva intuito quale fosse il legame tra quella furia e Miss Asthon.
Tuttavia non avrebbe permesso che il signore di Ravenswood gli portasse via la moglie, proprio da sotto il suo naso, senza muovere un dito: era in gioco il suo onore.
E quell’onore,conquistato dopo anni di sofferenze, lo avrebbe difeso a qualunque costo.
“Non osate fare un passo avanti, signore. Altrimenti sarò costretto a battermi con voi.” Disse con tono autoritario, sebbene sentisse nel suo cuore un istintivo timore reverenziale per quel demone, che non doveva essere molti anni più anziano di lui, le cui sfortune erano così incessanti e terribili, da sembrare perseguitato da una maledizione.
“Non osate sfidarmi.” Sussurrò gelido il demone, lanciandogli uno sguardo che lo fece completamente impietrire.
“E voi non costringetemi a farlo.” Ribattè lo sposo, cercando di riprendere il controllo delle proprio emozioni. “Badate…” lo minacciò il signore di Ravenswood, la cui voce era ormai ridotta a un terribile sussurro, avanzando fino a trovarsi faccia a faccia col nemico “la mia rabbia e la mia disperazione sono tali, che potrei uccidere decine di uomini senza riuscire a trovare pace.
Se non vi togliete immediatamente da qui vi strapperò il cuore con le mie stesse mani, senza bisogno di sfoderare la spada! Vi giuro che lo farò.”
Sir Buclaw impallidì a quelle parole, rendendosi immediatamente conto di quanto quelle parole non fossero solamente una inconsistente minaccia: dalla strana luce che brillava negli occhi del demone, infatti, comprese che era pronto a tutto…e non avrebbe esitato.
Inaspettatamente Lady Asthon, la quale dimostrava un grande coraggio, e , in ugual misura, una grande sfacciataggine nel tener testa al signore di Ravenswood, intervenne nuovamente in difesa del genero: “Credo, signore,” esclamò con un sorriso a metà tra l’ironico e il soddisfatto “che non ci sia bisogno che diate prova della vostra natura selvaggia. Rin ormai è di un altro uomo e voi non potrete far nulla.”
“Cosa state insinuando?” Sibilò Sesshomaru, spostando gli occhi da Sir Buclaw ad essa.
Per un istante le pupille dorate del demone e quelle azzurre della donna si fronteggiarono. Poi Lady Asthon gli porse trionfante il contratto di nozze sussurrando gelida: “E’ tutto finito per voi ormai.”
Il signore di Ravenswood prese il foglio in silenzio e lo osservò a lungo.
Quello che lesse lo lasciò completamente senza fiato.

Allora Rin, che era rimasta fino a quel momento a osservare la scena in silenzio, accasciata su una sedia completamente senza forze, si slanciò disperata verso l’amato e cercò di strappargli il documento dalle mani.
Sesshomaru, tuttavia, l’afferrò per un braccio, senza staccare gli occhi dal foglio.

“Cosa significa questo Rin?” chiese, mettendole davanti agli occhi il contratto di matrimonio, con un tono nel quale rabbia, delusione, disperazione, paura combattevano e si fondevano allo stesso tempo.
“Sesshomaru…io…” balbettò la fanciulla, lanciandogli un pietoso sguardo supplichevole.
“E’ tua questa firma?” Chiese con un tono apparentemente calmo, cercando di trattenere tutta la disperazione che lo stava dilaniando da dentro: sembrava che qualcuno gli stesse martoriando il cuore con uno stiletto crudelmente affilato, spillandogli piccole gocce di sangue senza interruzione.
Rin non rispose e abbassò tremante lo sguardo.
“E’ tua?” Ruggì il demone con tutta la forza che aveva nei polmoni, mandando a benedire qualsiasi formalismo: sapeva di conoscere bene la risposta, ma il flebile anelito di una speranza ingannatrice non lo aveva ancora del tutto abbandonato.
L’eco della sua voce rimbombò, assordante, per tutta la sala, gelando il sangue di tutti i presenti.
Strinse con più forza la presa, facendo uscire un piccolo gemito di dolore dalla bocca della fanciulla.
“Sì…” sussurrò riluttante Rin, accasciandosi a terra senza forze.
Il signore di Ravenswood la guardò esterrefatto.
Non poteva essere.
Non poteva crederci.
Non voleva crederci.
La donna che gli aveva giurato amore eterno, l’ultima speranza della sua vita, la ragione per cui aveva affrontato tante sofferenze…l’aveva abbandonato.
Sentì un dolore fitto all’altezza del cuore che lo lasciò senza fiato. Si guardò intorno, completamente stranito; mentre un angosciante senso di vuoto interiore gli lacerava l’anima e rischiava di farlo impazzire.
“Mi hai tradito.” Le sussurrò incredulo, con tono pericolosamente calmo. “Hai tradito il nostro amore.”
“No, no, Sesshomaru, amore mio, ascoltatemi…” cercò di calmarlo la fanciulla, prendendo una mano del demone tra le sue.
A quel contatto la rabbia del demone esplose, facendogli perdere completamente il controllo.

“Al diavolo tu e le tue menzogne!” Gridò con tutta la forza che aveva in corpo, liberandosi dalla sua presa con un violento strattone. “Sia maledetto l’istante in cui ti giurai eterno amore! Sia maledetto il momento in cui ti salvai la vita!
Ma ne avrò vendetta; la mia collera ti seguirà fino all’inferno!”
“Fermatevi, vi prego,” piangeva disperata miss Asthon “non capite…non sapete…”
“Taci, bugiarda! Riprenditi pure il tuo pegno!” Ruggì il demone, prendendo il frammento della moneta che aveva nella tasca e lanciandoglielo contro con disprezzo. Poi, afferratala per una spalla, le strappò dal collo, vincendo senza problemi la sua flebile resistenza, il nastrino al quale era appesa l’altra metà del loro pegno d’amore e lo gettò a terra calpestandolo.
A quel gesto Rin lanciò un grido disperato e svenne tra le braccia di Kagome che era accorsa ad aiutare la padrona.
“Adesso basta!” Intervenne Lady Asthon con tono autoritario “Fuori di qui!”
Il signore di Ravenswood si guardò per un momento intorno con disprezzo e infine tuonò:
“Lurida stirpe abominata, avrei dovuto uccidervi tutti!...Ma lo farò, lo giuro sul mio onore!” alzò il dito puntandolo minacciosamente contro i presenti, che lo guardavano terrorizzati “Morirò, si, forse morirò cercando di estirpare la vostra radice infetta da questa terra; ma vi posso assicurare che insieme al mio scorrerà molto altro sangue!” e, volgendo lo sguardo verso Lady Asthon aggiunse, profetico:
“Che Dio vi disperda, razza dannata!”
Un grido indignato si levò a quelle parole e rimbombò per tutte le pareti. Ma gli astanti non fecero in tempo a sguainare le spade per vendicarsi di tanta presunzione, che attraverso il giardino si sentivano già scalpitare gli zoccoli di un cavallo lanciato al galoppo.
Intanto un lungo rivolo di sangue scendeva lento per la scalinata che conduceva verso l’esterno e un macabro calvario di cadaveri ornava quella sontuosa festa di matrimonio.


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Capitolo 17
*** L'Assassinio ***




“Notte, ricopri la ria sventura
Col tenebroso tuo denso vel.
Ah! quella destra di sangue impura
L’ira non chiami su noi del ciel”




Un’ immacolata e imponente falce di luna regnava in quella notte scevra di stelle.
Quel giorno tremendo volgeva infine al suo termine, ma sarebbe continuato a splendere per molti anni nella memoria di coloro che avevano assistito a quel singolare matrimonio.
Tuttavia, dopo la tragica quanto fugace apparizione del signore di Ravenswood, Lady Asthon aveva cercato di far tornare tutto alla normalità e aveva spedito il marito a parlare con Koga Buclaw per rassicurarlo del fatto che nessuno avrebbe più tentato di strappargli la sua legittima consorte.
Così, mentre Rin, semi-svenuta, venne portata di peso dai servitori e da una preoccupatissima Kagome nelle sue stanze, gli astanti avevano preso allegramente parte al banchetto di nozze senza la sposa e, subito dopo, si erano gettati nelle danze -attività alla quale erano tuttora dediti-, con una tale leggerezza e allegria da lasciare letteralmente senza parole lo sposo, seduto in disparte, scuro in volto.
Tuttavia Sir Buclaw, rassicurato dai medici riguardo allo stato di salute della moglie, solo a sera inoltrata aveva deciso di avviarsi al talamo, non prima di aver ingaggiato una dura lotta contro la sua innata e malcelata timidezza.
Non sapeva spiegarsi il perché; ma Miss Asthon, così bianca ed eterea come gli era apparso quel giorno, spendeva ai suoi occhi come una luminosa creatura intangibile, al di fuori di quel tempo e dello spazio; tanto da fargli provare una specie di ansioso timore reverenziale: lo stesso che aveva prodotto in lui, sebbene con maggior violenza, la torbida e affascinante figura del signore di Ravenswood.
Infine, scacciati tali pensieri e spinto da una raggiante lady Asthon, si era deciso e recarsi a compiere i suoi doveri di novello sposo.

Una figura incappucciata si mosse velocemente da un albero all’altro del castello degli Asthon e si appiattì contro il tronco, cercando di non farsi vedere da due uomini che barcollavano ubriachi a poca distanza da lui.
Dopo che se ne furono andati, scivolò, cercando di far meno rumore possibile, dietro un piccolo cespuglio e rimase immobile per un lungo istante, lanciando della fugaci occhiate intorno a sé.
Stava per spiccare un balzo per avvicinarsi ancora di più alle mura, quando, ad un tratto, un odore pungente invase il naso dello sconosciuto.
Si avvicinò incuriosito ad una piccola capanna poco distante: il fetore del sangue, misto a quello della morte era così forte che per poco non gli fece perdere i sensi.
Scosse desolato la testa: lì dentro erano stati ammassati i corpi dei poveri soldati trucidati dalla furia del signore di Ravenswood, in attesa che, la mattina successiva, il carro del becchino venisse a prenderli per il loro ultimo, squallido, viaggio.
Si voltò verso il castello dal quale fuoriuscivano le allegre note della gavotta e le risate allegre di alcune dame: probabilmente quei ricchi tracotanti, che ora stavano ridendo e ballando in uno splendore accecante di oro e gioielli, non si preoccupavano affatto che dei giovani uomini, per proteggere le loro vite, allo spuntare del sole, sarebbero stati ricoperti di terra, per giacere in eterno in una tomba senza nome.
Si riscosse subito da questo lugubre pensiero. Non c’era tempo per l’indugio: aveva una missione da compiere. Sfrecciò attraverso il giardino, stando bene attento a non farsi notare dalle sentinelle, ed entrò in punta di piedi attraverso una porta secondaria, usata solamente dalla servitù, e la richiuse alle sue spalle.
Sentiti dei passi che si stavano avvicinando, si appiattì contro la parete, in un angolo dove le tenebre lo proteggevano dalla flebile luce della luna che penetrava attraverso una piccola finestra.
La porta si aprì e si richiuse in un attimo.
Il nuovo arrivato andò subito verso una piccola lampada ad olio poggiata su un tavolo.
Dai passi piccoli e leggeri doveva essere una donna, si disse l’intruso.
Per sua fortuna era proprio la donna che cercava.
“Kagome!” esclamò non appena il dolce odore della fanciulla gli giunse alle narici e la luce rossastra della lampada illuminò il bel volto.
“Inuyasha!” esclamò incredula la giovane con un grido soffocato, riconoscendo la voce dell’amato “Siete davvero voi?!”
Non appena il mezzodemone si tolse il cappuccio e le mostrò il volto, gli corse incontro, fuori di sé dalla gioia, e lo ricoprì di baci misti a pianto.
Inuyasha la prese tra le braccia e rimase per un lungo momento ad assaporare quell’istante di dolcezza.
“Mi siete mancato moltissimo. Come state?” chiese Kagome, rompendo per prima il silenzio.
“Non preoccupatevi per me.” La interruppe il giovane con un gesto vacuo “Sono venuto qui in primo luogo per accertarmi della vostra salute e, in secondo, per sapere che diavolo ha combinato quell’incosciente di mio fratello.”
“Come? Non lo sapete?”
“Se lo sapessi, mia signora, non ve lo chiederei. Ma si dà il caso che il mio caro fratellino, non appena ha ricevuto, a Parigi, la lettera riguardo all’imminente matrimonio di Miss Asthon, si è fiondato senza pensarci due volte, come se avesse avuto le Furie alle calcagna, sulla prima nave diretta in Scozia, naturalmente lasciando a me l’arduo compito di placare il marchese; il quale, vi posso assicurare, schiumava letteralmente di rabbia!”
“Oh, mio Dio!” esclamò Kagome, compatendo l’amato per la terribile prova che aveva dovuto affrontare.
“Potete dirlo forte!” continuò il mezzodemone “Ma non credo nemmeno Dio in persona avrebbe potuto calmarlo.
“Adesso Sesshomaru è nei davvero guai: non solo non riceverà un soldo per il suo compito, ma dovrà affrontare l’ira dello zio! E vi posso assicurare che egli ha in mano armi che feriscono molto più profondamente rispetto a qualsiasi spada.”
“Suppongo,” disse la fanciulla in tono mesto “che l’ira del marchese non sarà l’unica che il signore di Ravenswood dovrà affrontare.”
“E perché?” chiese, esterrefatto, Inuyasha, mentre il cuore gli mancò un battito: quale altra sventura poteva capitargli ancora?! “Vi prego, amore mio, raccontami cos’è accaduto. Non appena mi è stato possibile liberarmi dal marchese, sono corso qua al castello per tentare di fermare qualsiasi azione avventata da parte di mio fratello. Ma, a quanto vedo, sono arrivato troppo tardi.”
Allora Kagome iniziò pazientemente a narrare, con voce calma, tutti gli avvenimenti: a partire dalla macchinazione di Lady Asthon, per finire con l’intrusione del signore di Ravenswood durante la celebrazione del matrimonio.
Se, ascoltando la prima parte del racconto, Inuyasha aveva stretto convulsamente i pungi, sdegnato dal comportamento crudele della donna; nel sentire la seconda parte, fu costretto a sedersi, poiché le gambe minacciarono di cedere da un momento all’altro.
“E’ impazzito…è impazzito.” Riuscì solamente a balbettare.
Suo fratello era rovinato, per sempre.
Aveva volontariamente firmato la sua stessa condanna a morte: neanche la sua nobiltà e il suo coraggio l’avrebbero salvato dall’ira di quei potenti sdegnati che aveva insultato senza ritegno, con una sfacciataggine inaudita.
“No, amore mio. Sesshomaru non è impazzito, ma Rin lo è quasi, se non del tutto. Povera piccola! Ho visto…ho visto i suoi occhi dopo che vostro fratello ha calpestato il loro pegno d’amore: mi è corso un brivido lungo tutta la schiena! Non si riprenderà mai da questo choc, mai.”
“Povera Rin.” Sospirò Inuyasha, profondamente addolorata per le azioni del fratello “Dov’è ora? Come sta?”
“Adesso è al talamo con il suo sposo: è salito da pochi minuti.”
“Cosa?” gridò il giovane a metà tra l’esterrefatto e lo sdegnato “Ma sta male!”
“I medici hanno detto che non è niente.” Rispose la fanciulla con un amaro sorriso “In fondo loro possono guarire le ferite del corpo, non quelle dell’animo. E quelle nessuno riesce a capire quanto siano profonde…forse nemmeno io.”
Inuyasha le posò un bacio sulla fronte per rassicurarla. “Eppure anche voi sapete cosa vuol dire amare.” Le disse con tono insicuro e un poco imbarazzato.
“Cero che lo so!” Rispose la fanciulla, con tono fermo “Tuttavia è diverso: io vi amo di un amore limpido, luminoso e scevro di preoccupazioni: l’amore semplice delle persone semplici quali noi siamo.
“Invece Rin ama Sesshomaru di un amore ossessivo, angosciante, fosco: come solo una figura enigmatica, pericolosa, e per questo affascinante, come quella di vostro fratello può provocare in una fanciulla che, rinchiusa da sempre in queste mura, non ha mai affrontato la vera realtà del mondo che la circondano. Quel demone per lei è come il fuoco della lampada che attira le falene: incredibilmente irresistibile, ineluttabilmente fatale.
“Questo sentimento si è radicato nel cuore di quella povera bambina come una malattia e, pian piano, la sta uccidendo!”
“L’amore può portare dunque alla morte?” Chiese, titubante, Inuyasha.
“L’Amore, a seconda di come si vive, è la Morte.” Lo corresse la fanciulla, con tono grave e rassegnato.
Il mezzodemone, non del tutto sicuro di aver capito fino in fondo il ragionamento della sua amata, ma percependo una angosciante fatalità in quelle oscure parole, stava per chiedere ulteriori spiegazioni quando una strana sensazione lo bloccò all’improvviso.
Un urlo straziante squarciò la notte.
La musica cessò, gli astanti si guardarono allibiti, Lady e Lord Asthon corsero, seguiti da alcuni servi, ai piani superiori.
Un altro urlo agonizzante risuonò nell’innaturale silenzio, rimbombando attraverso le immense pareti.
Kagome si voltò verso Inuyasha: era pallida come un cadavere.
“Viene dalla stanza degli sposi” balbettò terrorizzata. Il mezzodemone le pose una mano sulla spalla per tranquillizzarla. Cercando di ostentare una calma che non aveva. Ma la fanciulla, troppo preoccupata per l’amica, stava già per correre verso la porta; quando le grida concitate che giunsero alle sue orecchie la pietrificarono completamente.
In un attimo solo poche parole regnavano in quel silenzio di piombo, rimbalzando di stanza, di corridoio in corridoio, di bocca in bocca:
“Sir Koga Buclaw è stato assassinato!”



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Un grazie speciale a lollyna e a caporalez per i loro commenti. Alla prossima, Jessy

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Capitolo 18
*** La Pazzia ***




Chiedo umilmente perdono per il ritardo a tutte quelle che mi seguono.
Questo capitolo è stato tanto lungo quanto difficile da scrivere. Adesso posso ufficilamente annunciare che il prossimo sarà (finalmente!!) l'ultimo.
Grazie per la pazienza e buona lettura.


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“Questo dì che sta sorgendo,
tramontar più non vedrà.”




“Sir Buclaw…morto?!” Balbettò Kagome, incredula, mentre un pallore innaturale le scendeva sul volto.
“Ma chi è?” Chiese Inuyasha, preoccupato dal comportamento dell’amata.
“E’ lo sposo!” Esclamò spaventata la fanciulla.
“Cosa?! Ma non era con Rin?”
“Sì.” Sussurrò, avviandosi verso la porta e facendo un rapido cenno al mezzodemone di seguirlo. “Venite, veloce. Devo vedere se Miss Asthon sta bene!”
Inuyasha, senza pensarci due volte, si tirò il cappuccio del mantello per coprire i capelli argentati, troppo evidente segno di appartenenza alla famiglia Ravenswood e si mise al suo fianco.
“Speriamo nessuno si prenda la briga di controllare il mio volto.” Sospirò, non del tutto convinto “Altrimenti ho paura che il pavimento di questo castello verrà macchiato da altro sangue.”
“Non mi sembra il momento di scherzare.” Lo rimbrottò la fanciulla “E comunque, non dovrete preoccuparvi. Ci sarà una tale confusione che nessuno vi noterà.”
In effetti fu così.
La sala da ballo era completamente ghermita di persone che si guardavano l’un l’altro con espressione sconvolta: alcuni parlottavano tra loro con fare incredulo, altri correvano avanti e indietro per chiedere informazioni, altri seguivano con lo sguardo i servi che salivano e scendevano di continuo dalle scale, senza un attimo di tregua.
Kagome prese per mano Inuyasha, per non perderlo tra la folla, e si lanciò verso la porta che conduceva al piano superiore, facendosi spazio a fatica.
Giunti nei pressi della camera degli sposi, il mormorio cessò di colpo.
Un inquietante e innaturale silenzio regnava in quel luogo, rotto solamente da un qualche sporadico singhiozzo emesso da uno dei parenti più stretti di Sir Buclaw, che osservavano sconvolti dalla soglia della camera nuziale qualcosa che i due giovani non riuscivano ancora a vedere.
Una volta varcata la soglia capirono di cosa si trattava.
Riverso sul letto stava il corpo di Koga Buclaw: gli occhi, sbarrati in una terribile espressione di sorpresa e terrore, erano fissi verso un punto indefinito della stanza; addosso recava ancora le vesti che aveva indossato durante il matrimonio, fatta eccezione per la giacca, abbandonata sul pavimento; la camicia bianca era completamente insozzata di sangue scuro, che non accennava tuttora a smettere di scorrere. La splendente impugnatura di un coltello, immerso per tutta la lunghezza della sua lama, svettava in mezzo al petto.
Lord Asthon, inginocchiato al capezzale, si copriva il viso con le mani tremanti, in preda alla disperazione; mentre Lady Asthon era in piedi, in silenzio, con un’espressione indecifrabile sul volto austero.
Tuttavia Inuyasha, grazie al suo fiuto sviluppato, non poteva essere ingannato dalle apparenze: dentro quel diavolo fatto donna ribollivano un miscuglio di sentimenti così terribili e violenti da fargli correre un brivido lungo la schiena.
Ma tra essi non c’era traccia di rimorso.
Nessuno, davanti a quello spettacolo terribile riusciva da aprir bocca. Erano costretti, da un’inspiegabile quanto sinistra attrazione, a fissare il cadavere del povero Buclaw: come se quegli occhi terrorizzati e vacui monopolizzassero l’attenzione di quegli intrusi che osavano entrare in quello che per un giorno era il regno della Morte.
Infine Lady Asthon, riscossa dai gravi pensieri, si voltò lentamente verso le poche persone che le stavano intorno e con tono cupo, dal quale traspariva una punta malcelata ira:
“Trovatela…è stata lei.”
Al sentire quelle parole, le gambe di Kagome cedettero di colpo e un grido soffocato le uscì dalle labbra tremanti.
Si sarebbe accasciata, senza forze, sul pavimento se Inuyasha non l’avesse prontamente sorretta e trascinata via dagli occhi inferociti di quella donna malvagia.
“Non è possibile…non è possibile,” continuava a ripetere, scuotendo la testa incredula “è solo una fanciulla indifesa. Come potrebbe compiere un gesto del genere?”
“La disperazione porta a compiere dei gesti estremi.” Rispose asciutto il giovane.
“Cosa?! Non ditemi che credete sia stata lei.”
“C’era solo il suo odore in quella stanza. All’inizio ho pensato fosse stato mio fratello ma…evidentemente non è così.” Spiegò, malvolentieri, il mezzodemone abbassando mestamente gli occhi.
Kagome ristette per un lungo momento, mentre l’amato osservava con preoccupazione l’ombra che balenava sul volto pensieroso della fanciulla.
“Che avete?” le chiese, infine, visto che essa non accennava a parlare.
“Voi mi amate?”
“Certo, potete forse dubitarne?” rispose interdetto da quella strana domanda “Ma non capisco adesso cosa…”
“E a vostro fratello? Gli volete bene?”
“Temo che il sangue ci lega mi impedisca di fare altrimenti.”
“Allora dobbiamo muoverci!”
Senza pronunciare una parola in più si lanciarono lungo il buio corridoio, appena illuminato dai bagliori rossastri delle rade fiaccole che rendevano ancora più tetra quell’atmosfera irreale.
Inuyasha non poté far altro che seguirla, con mille domande che gli vorticavano nella testa.
“Cosa avete intenzione di fare?” Riuscì a chiederle, affiancandola e afferrandola delicatamente per un braccio, per essere pronto a proteggerla, qualora si fosse presentato il bisogno.
“E’ naturale. Dobbiamo trovarlo prima di Lady Asthon e portarlo via da questo posto!”
Inuyasha, non del tutto convinto dal piano dell’amata, stava per esprimerle le sue numerose riserve, quando delle urla terrorizzate gli trapassarono i timpani.
“Oh, mio Dio!” esclamò Kagome, senza fiato “Vengono dalla sala da ballo!”
Non fece in tempi a finire la frase, che Inuyasha le aveva cinto la vita con un braccio e si era lanciato giù per la scalinata.
Non appena varcarono la soglia, davanti ai loro occhi si presentò una scena che non avrebbero mai più scordato. Ogni dubbio venne fugato.
Davanti a loro stava la risposta alle loro domande. Oramai era tardi, troppo tardi…anche per la speranza.
In piedi, al centro della stanza, stava quel che all’inizio entrambi avevano scambiato per un fantasma…o avrebbero sperato che lo fosse.
Gli invitati, addossati alle pareti, guardavano inorriditi quell’angosciante apparizione: Rin, ricoperta solamente da una candida veste da camera, si guardava intorno con occhi vacui e disorientati: come se non riuscisse a capire dove fosse.
Il pallore della pelle e della stoffa strideva con il rosso acceso del sangue sparse sulla veste e per tutta la lunghezza del braccio destro; ma lei non poteva avvedersene.
Quella figura suscitava una tale pietà mista a timore che nessuno osava avvicinarsi o rivolgerle una parola.
E’ strano come la pazzia faccia generare, nelle persone che la osservano, un inconscio timore reverenziale; probabilmente frutto di una superstizione dalla quale è pressoché impossibile liberarsi completamente.
Solo una persona pareva non percepire un tale rispetto.
“Rin!” Urlò, rompendo quel silenzio ovattato, Lady Asthon, avvicinandosi come una tigre schiumante di rabbia alla figlia “Cosa hai fatto?!”
La fanciulla la guardò un attimo, con espressione incuriosita; tanto che molti si chiesero se avesse o no riconosciuto la madre.
Infine dischiuse le labbra in un sorriso sinistro, che riuscì per un solo istante a far rabbrividire anche l’animo granitico di Lady Asthon, e sussurrò con una voce che sembrava provenire dall’oltretomba, velata solamente da una sottile crudeltà:
“Allora? L’avete trovato il vostro bello Sposo?”
“C…cosa?” Balbettò incredula la madre “Cosa stai dicendo, figlia mia?!”
Tuttavia Miss Asthon non rispose, come se non avesse sentito la voce della madre; ma prese a guardarsi attentamente intorno, come se stesse cercando qualcosa che non riusciva a individuare tra la folla che la osservava, attonita.
“Dov’è lui?” Chiese, infine, tornando a posare lo sguardo sulla donna.
“Lui chi?”
“Che domande…mio marito, no?”
“Tuo marito, Sir Koga Buclaw,” ruggì la donna con i pugni serrati “è là sopra, steso, cadavere, sul letto nuziale con un coltello piantato nel petto!Tu, sciagurata, hai ucciso tuo marito!”
“No, non è vero.” Sussurrò la fanciulla, stupita di quell’accusa “Mio marito non si chiama Buclaw…ma Ravenswood…Sesshomaru Ravenswood.
“E’ molto bello, sapete? Mi ha giurato eterno amore e mi ha sposata…è tornato solo per me…solo per me…era andato lontano…ma poi è venuto a prendermi.
Ha promesso che andremo a vivere insieme, in un castello lontano da qui.
“Ma adesso dov’è? Perché non è qui? Non riesco a vederlo!”
“Lui se n’è andato, e non tornerà più.” Rispose, gelida, Lady Asthon.
“No!” Gridò Rin con tutta la forza che aveva nei polmoni, fissando sul volto impassibile della madre le pupille scure che il seme della follia faceva risplendere di una luce sinistra. “Lui verrà…verrà!...Me lo ha giurato!...Guardate, mi ha anche lasciato un pegno del suo amore.”
Detto questo, si tastò il collo, in cerca di quel sottile nastro che racchiude la preziosa metà della moneta che Sesshomaru le aveva donato mesi prima.
Ma non la trovò.
Le uscì dalle labbra un flebile grido soffocato e le gambe le cedettero di colpo, quasi fosse mancato all’improvviso l’anelito di vita che premetteva al corpo di reggersi in piedi.
Subito le furono addosso servi e medici, che la condussero di peso in una camera da letto per farla visitare mentre essa continuava a ripetere, mano a mano con minore forza: “Era l’unico filo che mi legava alla vita.”

Inuyasha, seduto in un angolo a braccia conserte, osservava distrattamente il viavai di nobili e donne, che non accennavano a voler lasciare la sala da ballo per coricarsi, nonostante fosse già notte inoltrata, smaniosi di ricevere notizie sulle condizioni di salute della povera Miss Asthon.
Non che fossero realmente in apprensione per lei, ma la sua apparizione grondante di sangue, la sua follia, le sue parole sconnesse e angoscianti, aveva smosso in quei petti sdegnati una pietà che nemmeno il più disgraziato degli uomini, in possesso della sua sanità mentale, avrebbe potuto ottenere.
Il mezzodemone fece un lungo sospiro e allungò le gambe indolenzite: era più di un’ora che Kagome era salita al fianco della padrona, volendo starle vicino e accertarsi del verdetto dei numerosi medici che la stavano visitando. Quanto avrebbe dovuto ancora aspettare?
Aveva osservato da lontano tutto quel pietoso delirio, trattenendo a fatica la smania di prendere tra le braccia quella povera ragazzina e portarla lontano da quei maledetti avvoltoi! Non aveva mai provato in vita sua tanta pietà per una creatura; quella vista, quelle parole…quegli occhi così vacui e sperduti, gli avevano straziato il cuore.
Ripensò istintivamente alle favole che gli leggevano da piccolo per farlo addormentare: là il bel cavaliere arrivava sempre in tempo, all’ultimo istante, per salvare la sua donzella in pericolo.
Questa volta il cavaliere non era giunto.
Già…chissà dove era in quel momento quell’idiota di suo fratello…probabilmente a Wolf’s Crag, si disse…magari avrebbe dovuto correre ad avvertirlo…Lo avrebbe fatto…ma non prima di essere stato rassicurato riguardo alla sorte di Miss Asthon.
Venne a interrompere il suo flusso dei suoi pensieri un odore ben conosciuto, che si insinuò nelle sue sensibili narici.
Alzò lo sguardo e vide innanzi a sé Kagome che lo osservava in silenzio, col viso completamente rigato di lacrime. Rimase per un lungo istante a guardarla senza fiato, timoroso di sentir uscire dalla sua bocca parole che conosceva bene, ma che, pronunciate da lei, sarebbero suonate come una condanna ineluttabile e definitiva.
La fanciulla si passò lentamente una mano per detergersi le lacrime e poi scosse la testa, desolata.
“Non si può fare niente?” Chiese, infine, Inuyasha, alzandosi e facendola accomodare sopra la sua sedia.
“No.” Sussurrò con la voce rotta dai singhiozzi la fanciulla “Non vedrà tramontare il sole che sta sorgendo.”


****************


La luce rossastra, nei primi aneliti di vita, stava pian piano insinuando i suoi raggi attraverso le scure stanze della torre di Wolf’s Crag; mentre la leggera brezza notturna accompagnava lentamente le onde nella loro corsa contro gli scogli che cadevano a picco su quel mare mai calmo.
La timida luce sorprese il signore di Ravenswood, disteso su una vecchia poltrona con gli occhi socchiusi.
Si passò, svogliatamente, le dita attraverso i lunghi capelli lucenti che, sebbene non fossero stati pettinati, erano sempre in perfetto ordine; in contrasto con le vesti, sgualcite e macchiate di sangue, che non aveva ancora avuto la forza di togliersi.
“Sesshomaru, Sesshomaru…dove diavolo siete?”
Nel riconoscere quella voce emise un piccolo ringhio infastidito: non poteva essere lui…non ora…non era in vena di ascoltare le sue prediche.
Tuttavia, sebbene contrariato, si costrinse a voltarsi verso la figura che aveva appena varcato la soglia.
“Che vuoi?” Chiese, svogliato, dopo un lungo sospiro.
Inuyasha non riuscì a rispondere subito: quel volto, sempre così fiero e perfetto, adesso era solcato da profondi, indelebili segni che la stanchezza e la disperazione avevano lasciato; mentre un’ombra scura aveva tolto agli occhi quella luce che li contraddistingueva e lo elevava al di sopra dei comuni esseri umani.
Sembrava l’ombra di se stesso.
“Che diavolo avete fatto?” Chiese il mezzodemone, incredulo di vederlo in quello stato.
“Se avessi saputo che l’amore mi avrebbe ridotto così, avrei aiutato quel toro, invece di ucciderlo.”
“Forse sarebbe stato meglio anche per lei… di sicuro non avrebbe sofferto così tanto!”
“Sofferto?!?” Ruggì il demone, indignato dal quella immotivata pietà che il fratello pareva provare per Miss Asthon, scuotendosi da quello stato di torpore al quale si era volutamente abbandonato “Lo sa quella ragazzina bugiarda e viziata cosa sia la sofferenza?!”
“Sesshomaru, non bestemmiate!” Tentò, inutilmente, di interromperlo il suo interlocutore.
“Taci, Inuyasha, e ascoltami! Rin mi ha abbandonato, ha voluto rompere il nostro patto, facendo torto al mio onore e al nostro amore.
“Questa notte si sarà sicuramente divertita col suo bello sposo effeminato, ridendo di me e delle mie disgrazie!
“Di me…lo capisci?...Di me! Di me che non ho mai osato alzare un solo dito su di lei per mantenere intatto il suo onore fino a un matrimonio che in cuor mio sapevo non sarebbe mai potuto avvenire!
Avrei potuto prendermi subito quel che mi spettava e poi consegnarlo a quell’idiota di suo padre: disonorata e immaritabile. Così l’avrei fatto pagare a tutti quei maledetti!”
Le ultime parole furono stroncate da un pugno che andò a scontrarsi con il suo zigomo destro, scaraventandolo contro il muro.
Sesshomaru guardò per un lungo istante il suo fratello, letteralmente senza parole; non poteva crederci…aveva osato colpire il suo padrone!...Come osava?!
Un acre odore di ferro in bocca lo riportò di colpo alla realtà; si posò un dito sulle labbra e lo portò, grondante di sangue, davanti agli occhi.
Scoprì i canini bianchissimi e fece scivolare con una velocità inumana la destra all’elsa della spada, deciso a fargli pagare quell’insolente affronto.
Ma le parole del fratello congelarono la sua rabbia.
“Rin sta morendo!”
Il signore di Ravenswood sentì il cuore mancargli un battito e le forze venirgli meno; ma cercò di riprendere subito la calma.
“Che diavolo vai blaterando?” Chiese, non riuscendo a mascherare la sua apprensione.
“Miss Asthon non vi ha tradito, non avrebbe mai potuto farlo perché vi amava…e vi ama ancora disperatamente, nonostante il vostro stupido e impulsivo comportamento di poche ore fa…”
“…Ma…il contratto di nozze? Lei ha firmato di suo pugno.”
“L’ha firmata perché sua madre l’ha minacciata e costretta a farlo, ricattandola in un modo così ignobile che non riesco nemmeno a ripetere.
“Tuttavia, a causa del vostro cavalleresco comportamento di ieri sera, è completamente impazzita dal dolore…ha addirittura ucciso lo sposo…”
“Cosa?” Gridò esterrefatto il signore di Ravenswood. “Sì…l’ha uccisa con le proprie mani. Ora è sul letto di morte che delira e vi chiama in continuazione…”
Ma Inuyasha non riuscì a finire la frase che il fratello era già corso in cortile e aveva lanciato il cavallo in una disperata corsa contro il tempo.
Il mezzodemone si passò esasperato una mano sugli occhi: sapeva che era rischioso per il fratello gettarsi tra le braccia degli Asthon; ma non si sarebbe mai perdonato se avesse lasciato morire Rin senza la consolazione di avere al suo fianco l’uomo che tanto aveva amato.
In fondo una volta in moto la macchina del Destino non si poteva più fermare; ma era inevitabile piegarsi e soccombere ad essa.
Sospirò sconsolato.
Destino…Destino…
Perché questa parola continuava a vorticargli nella testa senza un attimo di tregua?
Spalancò gli occhi inorridito.
“La profezia!” sussurrò, senza fiato, cadendo in ginocchio. Si portò le mani ai capelli, in preda alla disperazione.
…No…non poteva essere…
cosa aveva fatto?!
...Come poteva non averci pensato prima?!...
Aveva alzato lui stesso il pugnale per sacrificare il fratello sull’altare del Fato!


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Capitolo 19
*** La Fine di Tutto ***




“Sconto col sangue mio
L'amor che posi in te.”




Il signore di Ravenswood alzò trepidante gli occhi.
L’imponente muro si stagliava, altissimo e impenetrabile, davanti ai suoi occhi.
Strinse rabbioso i pugni.
Quei maledetti Asthon si erano dati molto da fare, una volta scacciata la sua famiglia, per rinsaldare le fortificazioni di quell’antichissimo castello. Dovevano davvero essere terrorizzati al pensiero della possibile vendetta che si sarebbe abbattuta sulle loro teste.
Un ringhio rabbioso gli uscì dalla gola: Rin, la sua Rin, si trovava nei piani più alti e non riusciva a farsi venire un’idea su come arrivare a lei.
Le pupille guardavano disperatamente a destra e a sinistra, alla ricerca di un passaggio, si una porta, di un corridoio dove potesse entrare indisturbato.
Niente.
Fece un profondo sospiro, nel tentativo di calmarsi; ma ormai la sua mente, completamente avvolta nell’angoscia e dalla disperazione, non riusciva a formulare più pensieri lucidi come un tempo.
Maledizione…maledizione…
Non c’era tempo e non poteva permettersi il lusso di perdere dell’altro.
La voleva vedere…la doveva vedere!
Voleva avere dalle sue labbra un’ultima, flebile parola di perdono e poi…e poi chissà…
Si voltò di scatto verso il grande portone che svettava proprio al centro dell’alto muro di pietra e socchiuse appena gli occhi.
Sei…sei soldati erano fuori a guardia dell’entrata e dentro ce ne sarebbero stati molti, molti di più.
Sguainò, freddo, la spada e scattò fulmineo verso l’unica via che l’avrebbe portato verso l’ultima speranza di placare il dilaniante senso di colpa che gli stava lacerando l’anima.
Che importanza aveva?
Il ferro scintillò al sole, già ebbro del sangue di cui si sarebbe nutrito.
Cos’altro aveva da perdere?

*********************************

La fanciulla ansimava con sempre minor frequenza; mentre le mani continuavano, convulsamente, a contrarsi ed a rilassarsi.
Il viso, pallido, imperlato di sudore, si muoveva incosciamente senza sosta, come per cercare di far entrare, attraverso la bocca socchiusa, quell’aria che non riusciva mai a riempirle i polmoni.
Mr Asthon, seduto accanto al sontuoso letto dalle coperte di raso e seta color avorio, osservava la figlia contorcersi con lo sguardo incredulo. Dagli occhi velati dal pianto traboccava un dolore così profondo che tutti i servi, nel vederlo così distrutto, si erano allontanati rispettosamente dalla camera.
Lady Asthon, invece, spostava lo sguardo alternativamente dal marito alla fanciulla, in silenzio.
Nessuno avrebbe potuto intuire cosa esprimesse quel freddo sguardo indecifrabile. Forse qualcuno avrebbe potuto intravedere oltre quegli specchi azzurri un flebile anelito di rimorso, oppure altri avrebbero visto solamente un’insensibile indignazione e rabbia per il suo piano andato in fumo. Ma se, in effetti, Lady Asthon fosse davvero pentita delle sue azioni nessuno lo seppe mai ed essa, dal canto suo, si guardò bene dal palesarlo.

Due pugni che si infransero, agitati, contro la spessa porta di legno ruppero quel silenzio irreale e richiamarono su di sé l’attenzione dei due sposi.
“Avanti.” Ordinò subito la donna, senza neanche attendere che il marito parlasse per primo.
“Mia signora…siamo attaccati!” Ansimò il servo, terrorizzato, chiudendo la porta alle sue spalle.
“Che sciocchezze vai dicendo?” esclamò esasperata Lady Asthon.
“E’ la verità!”
“Ma se questo posto è pieno di guardie!”
“Sì…ma non riescono a opporsi!”
“E quanti sono questi intrusi per riuscire a entrare indisturbati nel mio castello?”
Il ragazzo spostò lo sguardo verso Lord Asthon, che non accennava a staccare gli occhi dalla figlia e poi si volse nuovamente verso la donna e, dopo un attimo di smarrimento, balbettò intimorito:
“Uno solo.”

****************************

Sangue
Sangue
Sangue
Sangue dappertutto.
Sangue sulle pareti, sulle scale, sulle vesti.
Il demone non riusciva a fermarsi. Quel sapore, quell’odore lo attirava, lo inebriava, gli faceva perdere il controllo.
Afferrò per il collo un uomo che gli stava venendo incontro con la spada snudata e lo sbatté alla parete, mentre con l’altra gli squarciò il petto.
Il liquido scuro scivolò sul pavimento insieme al cadavere. L’assassino si pulì con un lembo della manica delle gocce di sangue che gli erano schizzate sul volto pallido.

Ti piace uccidere, demone, vero?
Taci!

Un soldato gli afferrò un braccio per fermare la sua corsa, ma, prima che potesse premere il grilletto della pistola, un rapido colpo di spada fece rotolare la sua testa dalle scale.

Pensa, demone, tu stai compiendo questo massacro per arrivare alla tua donna.
Sì…e allora? E’ inevitabile…
E quanti di questi poveretti non vedranno mai più le loro donne perché tu li hai uccisi?
Ti ho detto di tacere!
E’ inutile che tu ringhi contro di me, demone. Io non potrò mai tacere. Perché in cuor tuo, sebbene tu non lo voglia ammettere, pensi esattamente la stessa cosa.
Un soldato cadde a terra trafitto.
Un altro si accasciò lentamente, mentre tentava inutilmente di tergere con la mano la profonda ferita.

Ma tanto cosa cambia? Non vorrei e non potrei fermarmi.
E perché?
Perché ormai non ho più nulla da perdere.

Il signore di Ravenswood udì uno scoppio e poi del fumo bianco invase lo stretto passaggio.
Per qualche secondo fu il nulla. Poi un dolore lancinante all’altezza della spalla sinistra lo costrinse ad appoggiarsi al muro per non cadere.
Una pallottola di grosso calibro gli si era conficcata nel muscolo ed ora non riusciva a muovere quasi per niente il braccio.
Fu un attimo.
Cinque o sei guardie gli si lanciarono addosso.
Sentì conficcarsi le loro lame nel corpo, desiderose di stillargli fino all’ultima goccia di sangue.

Sei un pazzo, demone.
Perché dici così?
Lo sai benissimo a cosa mi riferisco.
Allora spiegati.
Lo sapevi…sapevi tutto fin dall’inizio…forse prima ancora di innamorarti. Eppure no ti sei fermato.
Avrei dovuto?
Non saresti andato incontro alla morte, almeno. Stupido. Nessuno può evitare che proprio destino si compia, nemmeno io!...E poi…
…E poi, cosa?
Nessuno potrà mai accusarmi di viltà.

Si liberò con un solo gesto dai suoi assalitori e si sbrigò a togliersi dal petto, una per una, tutte le lance che gli provocavano delle fitte di dolore insopportabili, riuscendo a strappare al bel viso impassibile delle piccole smorfie di dolore.
Sangue
Sangue
Sangue
Sangue ovunque.
Sangue sulle pareti, sulle scale, sulle vesti.
Ma questa volta il sangue era suo.
Volò rapido quei maledetti, ultimi gradini che le separavano da lei. Non combatteva nemmeno più. Non c’era tempo. Evitava i suoi assalitori con mosse agili e veloci, mentre il sangue continuava a sgorgare senza sosta dalle numerose, profonde ferite.
Sentiva che le forze lo stavano, a mano a mano, abbandonarlo.
Non poteva cadere, non ora che era così vicino.

Stai morendo, demone.
Lo so…ma non ha importanza. L’unica cosa che voglio è vederla per l’ultima volta.
L’ami così tanto?
Non puoi nemmeno immaginare quanto.
Eppure tu l’hai uccisa.
Non è vero!
Oh…lo sai benissimo, demone, che è vero.
Lei mi perdonerà. Lo sa che l’ho fatto perché ero accecato dalla gelosia.
Allora è solo questo che vuoi?...egoista da parte tua.
Cosa ne sai tu?
Puoi ingannare tutti, anche te stesso, demone. Ma non puoi ingannare me. Vuoi solo che lei ti perdoni per poter morire in pace…per avere la coscienza pulita...Davvero onorevole.
Smettila! Non è così!
Oseresti negarlo?
Si…è anche per quello che voglio vederla…ma non solo… Che altro c’è?
Voglio morire…voglio morire accanto a lei. E’ l’ultimo mio desiderio…lasciami in pace.
I rimorsi ti lacerano?
Lascia perdere le critiche...ormai nulla ha più importanza.
Sto morendo…lasciami in pace. Lei sta morendo…lasciami arrivare da lei. Io l’ho uccisa…fa che mi perdoni!


“T’aveva il ciel per l’amor creata, ed io t’uccido per averti amata.”

***************************************

“Uno solo? Stai scherzando?!” Gridò esterrefatta Lady Asthon.
“Eppure è così, mia signora.”
Lord Asthon stava osservando in silenzio la scena, ma il dolore che provava era talmente forte da non permettergli di provare altre emozioni. Così, sospirando, tornò a seguire, con angoscia, l’irregolare respiro della figlia.
“E chi sarebbe questo portento della natura?” domandò la donna, fulminando il giovano con lo sguardo.
“Ho paura…” iniziò il servo, intimorito, dopo un attimo di pausa. “…che lo conosciate molto bene.” Dopodichè si voltò verso Rin Asthon, distesa sul letto, come per dire che non aveva la minima intenzione di pronunciare davanti a lei quel nome.
“Oh, mio Dio!” Esclamò la donna, dandosi mentalmente della stupida per non averci pensato prima. “Come osa quel maledetto…”
Ma le parole le morirono in gola quando la porta della camera venne aperta con violenza e una voce imperiosa ordinò:
“Fuori di qui...tutti!”

***************************************

Rin spalancò improvvisamente gli occhi, guardandosi intorno, smarrita. Quella voce era riuscita a compiere l’impresa che decine di persone, per tutto l’arco di quella lunghissima giornata, avevano fallito: riportarla per un ultimo, tragico istante alla realtà.
Spostò lo sguardo verso il demone e lo fissò per un lungo istante, incredula, riuscendo a fatica tenere gli occhi aperti. Sorrise appena, mentre le forze l’abbandonarono di colpo e ricadde sul cuscino.
“Siete venuto” Riuscì solo a sussurrare tra le lacrime. “Sono qui solamente per voi.”
“Ma…a quale prezzo…”

Lord Asthon, osservato il signore di Ravenswood per un lungo istante, si alzò in silenzio dalla sedia e si diresse verso l’uscita, facendo cenno alla propria consorte di seguirlo, per una volta, senza fare obbiezioni.
Giunto al fianco del giovane si soffermò per un attimo, voltandosi mestamente verso di lui per costatare meglio la gravità delle ferite, dalle quali il denso sangue scuro non la smetteva di sgorgare copioso.
Sospirò sconsolato.
“Grazie.” Riuscì solo a mormorare, prima di varcare la soglia con passo lento e pesante.
Dal canto suo Lady Asthon, per un motivo apparentemente inspiegabile, quella volta non si oppose; ma seguì in silenzio il marito, non prima di aver lanciato una rapida occhiata ai tagli sul petto del nemico per assicurarsi che da quella stanza sarebbe uscito solamente dentro una robusta cassa di pino.
La porta si richiuse finalmente dietro di loro, lasciando i due giovani nella solitudine che avevano sempre desiderato.
Sesshomaru, finalmente liberato da ogni tensione, si accasciò in ginocchio ad un lato del letto dove era distesa la sua amata e cercò, per quanto gli permettessero le esigue forze rimastegli, di stringere la mano di lei nella sua.
“Cosa vi hanno fatto?” Domandò Rin, non riuscendo, nel pronunciare quelle parole, a mascherare l’evidente sofferenza.
“Lasciate perdere, è tutta colpa mia…in fondo me lo sono meritato.”
“A questo punto…” lo interruppe, sforzandosi di sorridere “potremmo lasciare da parte i formalismi. Ormai non hanno più importanza.”
“Certo Rin…niente ha più importanza.” Le fece eco Sesshomaru, accarezzandole con dolcezza i folti capelli sparsi sul cuscino.

Cosa stai aspettando, demone?
Aspettando cosa?
Diglielo.
Dirle cosa?
Il vero motivo per cui sei qui.
Non ancora…non ancora…
Muoviti, demone, prima che sia troppo tardi!
Lasciami in pace…voglio continuare ad accarezzarle i capelli.
Muoviti, demone. Devi sempre essere assolto dai tuoi peccati!
Lasciami in pace…voglio continuare a baciare il suo volto. Muoviti, demone. Il sangue sta tingendo il pavimento e tu tra poco morirai.
Lasciami in pace…voglio esalare il mio ultimo respiro su un corpo che non è mai stato mio, ma ho sempre posseduto.

“Dimmi che non morirai.”
Il pungente odore delle lacrime lo riportò alla realtà.
Sesshomaru contemplò per un lungo istante il volto sofferente dell’amata: gli occhi erano sbarrati in un’angosciante apprensione.
“Vale la pena aver vissuto, solo per morire accanto a te.”
Rin socchiuse gli occhi, sopraffatta dal dolore, stringendo con maggiore forza la mano dell’amato.
“Ascoltami, ti prego.” Continuò, deciso, il demone “Prima di morire, c’è una cosa che vorrei sentir uscire dalle tue labbra.”
“E cioè?”
“Dimmi che mi perdoni e non avrò nessun rimpianto.”
“Sesshomaru.” Rispose stanca, ma con dolcezza, Miss Asthon “Perché perdonare una persona che non ha colpe?”
“Io ne ho…e tante.” La contraddisse il signore di Ravenswood, con quel poco di voce che riusciva a emettere dalla gola; mentre nei suoi limpidi occhi dorati la morte iniziava a calare, lentamente, il suo velo.
“Tutti noi abbiamo errato più volte nella nostra vita. E’normale…anzi, è inevitabile. Ma da parte tua, amore, non ho subito alcun torto.”
“Ti amo.” Sussurrò Sesshomaru, osservandola con gli occhi traboccanti di gratitudine. Poi, con enorme sforzo, si sporse per baciare un’ultima volta quelle labbra.
Dio, com’erano fredde!
“Il fantasma…” Mormorò Rin, muovendo impercettibilmente le labbra, come se quel contatto l’avesse fatta improvvisamente sprofondare di nuovo nella spirale della propria follia.
“Che fantasma?” Domandò il demone, spaventato da quell’improvviso delirio.
“La donna…alla fontana della sirena…mi voleva avvertire…” “Rin, calmati…ti prego…calmati..”
“…ma io non l’ho ascoltata…certo…anche se muoio per te non posso non amarti…anche se mi avessi ucciso con le tue stesse mai…avrei continuato ad amarti…”
Il signore di Ravenswood fissava esterrefatto l’amata,cercando di comprendere il senso di quelle strane parole sconnesse…a patto che ce l’avessero.
Cercò disperatamente di frenare i movimenti convulsi del piccolo corpo consumato dalla malattia; ma la fanciulla riusciva a liberarsi dalla sua presa che si faceva a mano a mano più debole, con una forza della quale Sesshomaru non riusciva a comprendere l’origine.
Il respiro si faceva sempre più affannoso.
Rin fermati…ti prego.
Il sudore iniziava a scendere a piccole gocce dalla fronte pallida.
Guardami…ti scongiuro…guardami! Apri gli occhi e guardami.
Il gracile corpo venne scosso da un tremore innaturale.
Non morire...Rin…non morire!

Finalmente, dopo pochi secondi, sembrò che si stesse calmando. Persino il respiro parve regolarizzarsi, mentre il viso si distendeva lentamente.
Sesshomaru sospirò, rincuorato e continuò ad accarezzarle con dolcezza i bei lineamenti, che la malattia aveva solo in minima parte privato della loro bellezza.
Magari ce l’avrebbe fatta…si sarebbe salvata e avrebbe continuato a vivere per tutti e due.
Avrebbe dato tutto perché accadesse, anche la speranza dell’eternità.

Ma fu una breve, fallace speranza.
La mano che stringeva spasmodicamente quelle del demone ricadde, inerme, sul letto.

Infine ha trovato pace.
Non è vero…non è morta!
Neghi l’evidenza, demone? Eppure non sei più un bambino…non vedi? Il suo petto non si alza e s’abbassa più come prima.
E’ solo un’illusione, un sogno. Ora riaprirà gli occhi di nuovo e mi sorriderà con la stessa dolcezza di sempre…
No, demone, stavolta non lo farà.
…Allora spero che la morte non tardi…
Forse dovresti preoccuparti più per te che per lei.
Che vuoi dire?
Lei avrà dei funerali splendidi e festosi…pieni di commoventi attori listati a lutto che vengono pagati per piangere e lamentarsi. Ma può darsi che molti di loro proveranno davvero compassione per una ragazzina così bella e giovane.
L’unico tuo requiem, ultimo discendente della famiglia della famiglia Ravenswood, sarà l’eterno oblio della tomba.

Gli uomini vengono ricordati per cosa hanno fatto da vivi e non per i loro funerali.
E tu cosa hai fatto per essere ricordato?
Non mi sono mai piegato; né innanzi a Dio né innanzi agli uomini.
Ne è valsa la pena?
Ne vale sempre la pena.
Ed ora lasciami in pace. Voglio morire in silenzio accanto a lei.
Allora guardala bene finché puoi e imprimiti il suo volto nella mente.
Perché?
Perché non la rivedrai mai più.
Non è vero…ci rincontreremo in un’altra vita e potremo stare insieme per sempre.
Sai bene che non è vero.
Per me lo è.
Sono solo stupide credenze umane!
Per una volta ci voglio credere anche io.
Perché ti inganni?

Perché, per una volta, per un’ultima volta, voglio essere ingannato.


“Ah se l’ira dei mortali
Fece a noi sì lunga guerra,
Se divisi fummo in terra,
Ne congiunga il Nume in ciel.”




FINE


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Finalmente siamo arrivati alla fine della storia.
Ringrazio di cuore tutte coloro che mi hanno seguito con costanza e mi hanno sostenuta per tutto questo tempo.
Probabilmente questa non sarà la mia ultima fict; ma tornerò fra qualche tempo con un'altra AU.
Grazie ancora.
Jessy


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