Ancora non esiste, verrà dopo.

di Chrysalide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** . ***
Capitolo 3: *** . ***
Capitolo 4: *** . ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 Vuoto.. partiamo da qui.
Un’immensa distesa di bianco; non c’è un pavimento, non c’è un soffitto e nemmeno delle pareti, non c’è aria, non ci sono confini. Tutto è così.. compatto, ovattato, da un senso di “compresso”. Che c’è laggiù? Un piccolo puntino, che si staglia in mezzo a tutto quel niente. E’ una piccola pallina di un argento scuro con barlumi di dorato che compaiono ogni volta che si comprime, e ogni volta che si espande. Esegue questa pratica ritmaticamente, sembra che respiri. Ma cos’è?
E’ un’essenza.. L’essenza di chi? Non lo so, per ora, so solo che respira, che è viva, e che ha paura.
Paura di che, se è in mezzo al niente. Ma forse è questo, è spaventata di essere irrimediabilmente sola, senza nessun punto di riferimento, senza nessun altro.. solo lei.
Ma ecco che ne spunta un’altra di pallina. Eccone un’altra, e un’altra! Stanno venendo fuori come funghi, sono tantissime ora! E lei? Eccola là, un punto indefinito in mezzo a tutte le altre.
Ora è eccitata, non è più sola! Si sente curiosa, vuole andare a conoscere tutte le altre, per capire.
Inizia ad avvicinarsi pian piano, e ad osservare.. Sono tutte ammucchiate, è difficile sceglierne una da esaminare in mezzo a tutta quella confusione. Tutte parlano, o meglio, squittiscono. Emettono dei suoni istintivi, piccoli squittii acuti, tutte. Lei però no, a questo fa subito caso. Non se la sente di farsi sentire, di esprimersi in mezzo a tutto quel caos sconosciuto.
Ferma l’attenzione su una, a caso, e inizia ad osservarla. Questi scuri puntini argentati non hanno occhi, sono presenze come già detto, quindi per “guardare” qualcosa non si affidano alla vista ma a un istinto. Fermano l’attenzione su un punto, ne percepiscono la presenza e lentamente ne iniziano a conoscere l’essenza: iniziano a sentire tutto il turbinio di sentimenti racchiusi, la profondità o la leggerezza dei pensieri, le caratteristiche che prevalgono, i gusti e le predisposizioni, i difetti e le inclinazioni.
Questa pallina che si è messa a fissare non è molto interessante; superficiale, banale.
Ne trova un’altra, che non cambia molto dalla prima. Passa ad un’altra, a un’altra e a un’altra ancora ma non si sente soddisfatta di quello che trova. Ne gira un’immensità ma niente, non cambiano, non ne trova una differente, una che ne valga la pena di essere conosciuta. Sono tutte così.. semplici. Così odiosamente semplici. Tutte facili da comprendere ed interpretare, perché solite sono le basi e poche sono le radici che si diramano in rappresentanza delle singolarità che caratterizzano ognuno di quei punti.
Ora lei non ha più paura, ma prova un sentimento più contrastante nei confronti di quella massa: prova rabbia, e rifiuto. Era meglio quando stava da sola.
Inizia quindi ad allontanarsi da tutte quelle lucine, a cercare posti in cui potesse stare per conto suo, sola con se stessa. Si emargina dal cumulo, e si mette in disparte, continuando ad “osservare” nella loro direzione e sviluppando sentimenti di incomprensione.
Succede qualcosa di strano nel frattempo: alcune palline stanno sparendo.
Lei lo sente.
Spirano dal niente, piano piano spariscono, come risucchiate via.. e basta, non tornano più.
Non si sa dove vanno a finire, non si sa niente di quella misteriosa fine..
Lei lo sente questo, e le viene di nuovo la paura. Perché deve succedere? No, non vuole finire così, non vuole sparire nel nulla senso motivo. Che senso ha? Che senso avrebbe avuto esserci, senza una scopo, e poi andarsene proprio come si è venuti?
I punti continuavano a svanire, mentre altri si creavano, e lei si chiedeva quando sarebbe venuto il suo turno. Si mise a pensare che aveva lo stesso significato e valore di tutti li altri punti, ma si sentiva diversa.. Loro facevano tutte le stesse cose, mentre lei preferiva isolarsi perché odiava tutto questo. Nel frattempo, attendeva in silenzio, lontana da tutta quella mischia rumorosa che la infastidiva tanto, pensando per se e vivendo nella sua mente tanto.. disturbata.
Il tempo passa inequivocabilmente.. a volte troppo veloce, a volte troppo lento, ma questo sta a noi stabilirlo. Lei era sempre lì, emarginata per sua scelta, in uno stato di stand-by. Qualcosa inizia a muoversi nel profondo del suo essere, all'improvviso. Un gorgoglio silenzioso, un movimento invasivo che si faceva sempre più spazio dentro di Lei come se se la stesse mangiando. Gradualmente iniziava a spegnersi, brillava sempre meno e i "respiri" si facevano sempre più radi. Non provava niente, aveva capito che era arrivato il suo momento e che doveva andarsene come era successo a tutti gli altri punti. Aveva la situazione sotto controllo, l'aveva accettata, e mentre perdeva tutto il suo bagliore abbandonava quel mondo che non era mai stato suo, chiedendosi dove sarebbe andata a finire, SE sarebbe andata a finire da qualche parte.

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Capitolo 2
*** . ***


Erano ormai le 9 di mattina, 5 ore e mezzo che Paolo aspettava nervosamente.
Dalle 3 e mezza che era lì, il sonno non l'aveva avuta vinta nemmeno un attimo con tutta quell'adrenalina che gli scorreva nelle vene. Vedeva gente passare, e tutte le volte loro trovavano lui ancora là, nel solito punto: "Ancora niente?" domandavano, "Eh no, ancora non ci sono novità" e questa era sempre la risposta.
Cercava di calmarsi e si metteva seduto, si appoggiava allo schienale e allungava le gambe, poi le ritraeva e poggiava i gomiti sulle ginocchia, rilassando la testa nella presa delle mani.
Poi tornava nuovamente su, si guardava intorno, guardava la porta e iniziava a muovere le gambe velocemente. Prima una, poi entrambe, quindi sbuffava e si rialzava imperterrito.
Guardava l'orologio, e ogni volta che lo guardava le mezz'ore passavano in un battito di ciglia. Questo non toglieva che comunque il tempo passato davanti a quella porta verde non sembrasse un'infinità.
Aveva paura ad entrare là dentro, forse delle occhiate giudiziose che avrebbero potuto riservargli, forse aveva paura di sapere o di venire a conoscenza di qualche brutta notizia, quindi rimase lì dov'era ancora una volta, ad attendere.
Alla sua destra, alla fine della schiera di sedie, c'erano due macchinette: una per i cibi e l'altra per le bevande. Si alzò e si piazzò davanti a quella delle bevande intento a prendersi una cioccolata, il caffè è una scelta monotona pensò. Si frugò in tasca e tirò fuori 50 centesimi, 2 minuti dopo era di nuovo seduto, davanti alla solita porta, a gustarsi la sua cioccolata.
Ha davvero un bel colore, e un ottimo profumo.. sono proprio buone buone le cioccolate delle macchinette, ma la mia ricetta speciale insieme ai marshmellows e la panna non la batte nessuno. Già, infatti Paolo era stimato dai suoi amici per la favolosa cioccolata calda che preparava. Qual'era il suo ingrediente segreto, il solito e rinominato Amore? Beh, sicuramente anche quello, perché quell'uomo dai capelli corvini era un vero patito della cioccolata in tutte le sue forme e combinazioni. Ma non poteva essere solo quello, no, lui ci aggiungeva qualcosa per forza. Nessuno conosceva il suo segreto, e tutti ogni volta cercavano di estirparglielo ma lui teneva duro: che divertimento c'è sennò?
Guardò l'orologio; 10:13. Da 7 ore quasi erano lì, e ancora niente. L'attesa lo faceva uscire di testa.
Ma ecco che, dieci minuti dopo esatti, la porta si apre e ne esce un sorriso a 50 denti. Il cuore gli finisce sotto le suole prima ancora che quella bocca srossettata di viola parlasse, e scatta in piedi. "Signor Kauf, lei sta bene, è iniziato, tra poco sarà un'altra persona" gli disse la donna sempre col solito sorriso, e negli occhi un'eccitazione che non si spegneva mai nonostante tutte le volte che fosse passata da quella situazione. Si vedeva lontano un miglio che amava il suo lavoro. "Vuole entrare o preferisce aspettare fuori?" gli domandò. "..No grazie, dite a Carla che la amo e che sono con lei, ma sa della mia fobia del sangue, capirà."
Paolo aveva veramente un'enorme fobia del sangue che non riusciva a controllare, anche quando vedeva un taglietto manca poco che sviene, peggio se se lo procura, e assistere ad un parto sarebbe stato un suicidio. Quindi aspettò, tanto ormai cosa cambiava.
Dopo venti minuti di strazianti grida di Carla ecco che vengono messe a tacere da incerti e striduli piagnucolii di neonato. O meglio, neonata. Era una bambina, la sua bambina.
Da quando l'aveva sentita piangere non era più riuscito ad emettere un suono, era rimasto muto. 
La porta venne spalancata di nuovo dalla solita infermiera, che annunciò con entusiasmo "E' nata! E' nata! E' una bellissima bambina di 3,7kg, entri su!" Paolo era frastornato e si fece prendere e trascinare dentro dall'infermiera, sottovalutando la gravità dell'emofobia del neopapà, che appena entrò naturalmente svenne di colpo.

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Capitolo 3
*** . ***


Cavolo che mal di testa.. beh, la botta che aveva preso non era da stata da poco.
Teneva gli occhi ancora chiusi, cercando di rimettere in sesto i sensi e di ricordare il motivo del dolore alla testa e di tutta quella felicità di cui si trovava pervaso.
C'è odore di disinfettante e di siringhe, e il silenzio è interrotto dal tenue canticchiare di Carla L'ospedale! Carla! La bambina! Spalancò gli occhi e fu come se il chiarore della luce gli desse uno schiaffo in pieno volto. Le pupille si rentrinsero di colpo e Paolo fu costretto subito a tornare a chiudere gli occhi e a contrarsi dal dolore.
Carla, nel letto accanto a lui, notò i suoi movimenti e si voltò.
"Ma buongiorno" scherzò dolcemente. Paolo riaprì cautamente gli occhi e si girò a sua volta verso sua moglie, con la quale ci fu uno scambio di sorrisi.
Si mise a sedere sulla sua branda e spostò la vista sulle braccia di Carla, che cingevano un fagottino rosa. Si avvicinò e delicatamente scostò il panno rivelando un piccolissimo visetto paffuto. Non ci poteva credere.. "Sono padre" mormorò, tanto piano che Carla fece solo caso al movimento delle labbra del marito, chiedendogli "Che hai detto?"
"Che sono padre.." Rispose lui, continuando a fissare la bambina.
Ormai il viso le si era rilassato e aveva preso un colore più regolare. Aveva la boccuccia molto rosea e da quanto era piccola e carnosa sembrava un gonfio cuoricino. I capelli, radi, erano neri come i suoi e si definivano piccoli boccoli, come aveva la mamma.
Le carezzò leggermente il viso e questa aprì gli occhietti. Si meravigliò nel vederli celesti e chiari come l'acqua dei Caraibi. Paolo e Carla avevano entrambi gli occhi scuri, era curioso che la bambina fosse nata con gli occhi azzurri, ma probabile. Comunque era ancora troppo piccola, si sa che quando i bambini nascono hanno sempre gli occhi azzurri, il colore si definisce dopo un po'.
Si girò a guardare sua moglie, che gli disse "Visto quanto è bella?" sorridendo.
"Si, è devvaro bellissima.. infatti ha preso tutto da me"
Carla rise, e Paolo sorrise a sua volta, contento. E quella risata.. fu quella che lo conquistò 9 anni indietro, quando da ragazzi, in una serata a casa tra amici, dopo un po' che già le stava dietro, la portò su nella terrazza. Si misero a parlare affacciati al balcone, ad ammirare il sole che calava tra le montagne e ad ascoltare le cicale che facevano ininterrottamente da sottofondo. Dopo un po' che parlavano dalla discussione venne fuori un argomento da cui Paolo estrapolò una delle sue battute, non ricordava più cosa disse ma sapeva che era un "colmo", e Carla ne rise allegramente.
Quella risate gli rimase impressa nella testa, ed era convinto che non se la sarebbe mai dimenticata perché gli fece esplodere il cuore da quanto era bella, e da quanto suonava melodica alle sue orecchie.
A volte Paolo ripensava a quella sera, e chiedeva a Carla quale fosse la battuta che le raccontò. Lei ancora se la ricordava, e questo lo rincuorava sempre.
Ecco perché la amo si ripeteva ogni volta. 

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Capitolo 4
*** . ***


La piccola aveva smesso da poco di prendere il latte.
Paolo aveva avvicinato la branda al letto, e ci si era sdraiato. Si massaggiava le tempie con le dita della mano destra, la testa gli faceva ancora abbastanza male.
Carla non aveva smesso un attimo di fissare la bambina, la scrutava, come se in tutta la perfezione che poteva rappresentare per lei potesse trovare qualcosa che non la convinceva, qualcosa che stonava ai suoi occhi, ma non sapeva davvero dire cos'era.
"Ehi, che nome vogliamo darle?" disse ad un certo punto, interrompendo quel silenzio che la stava inquietando. Paolo aprì gli occhi, e si mise a sedere guardandole.
"A me è sempre piaciuto Jenna, ma mi sembra un nome poco serio."
"Già, è bello ma pensiamo a qualcos'altro.. buttiamo giù una lista.
A me piacciono molto i nomi stranieri, lo sai.. francesi, come Jaqueline o Janet"
"Mi piace Janet. Altri?"
"Fammi pensare.. Adele, Thara, Dhana, Maya.. ahah oddio, non so quale sia il più bello!"
"Cavolo, è difficile scegliere"
"Se continuiamo diquesto passo non avrà mai un nome"
Paolo corrugò la fronte per un momento, era incerto se dire quello che stava pensando o no.
"Perché quella faccia?" gli chiese Carla, quell'espressione non le tornava per niente.
"Rose?" disse Paolo dopo qualche secondo di titubanza. Il nome gli uscì fuori dalla bocca come un'esplosione, come quando un toro imbestialito viene liberato dalla piccola gabbia in cui viene fermato poco prima del rodeo. Carla lo guardò notando l'aria un po' stravolta, poi guardò la piccola e si mise a sua volta a riflettere, il nome stava iniziando a piacerle.
"Sai, mia nonna si chiamava così. Non era una donna molto amata, ma io al contrario le volevo davvero bene, le ero affezionato parecchio. Mamma mi diceva sempre di non stare troppo con lei, di riguardarmi bene ma non capivo perché, io la vedevo come la persona più buona del mondo, per questo non l'ascoltavo. Mi ricordo che ogni volta apriva la porta accogliendoci -o meglio, penso sia più vero dire accogliendoMI- con il suo solito sorriso generoso che le faceva venire le fossette sulle guance. Quando mi vedeva i suoi occhi azzurri iniziavano a brillare, e ammetto che questo mi faceva sentire come se fossi "speciale", in qualche modo.. E poi aveva sempre la solita acconciatura, raccoglieva i suoi capelli nella stessa crocchia vaporosa che sembrava un peluche. Mi piaceva pensare che i suoi capelli fossero fatti di neve, tanto che erano bianchi.
Appena mettevo piede in casa sua mi dava uno dei cioccolatini che preparava per me ogni volta che sapeva che sarei andato a farle visita. Tutte le volte erano diversi, a volte con le nocciole o con le mandorle, con la frutta, glassati, pralinati, colorati, e i miei preferiti: col succo di frutta dentro. Normalmente c'è il liquore dentro quei tipi di cioccolatini, lei li personalizzava apposta per me.. Erano talmente buoni che quasi quasi sentivi anche il sapore di tutto l'amore che ci metteva."
Carla a queste parole sorrise. Conosceva suo marito e adorava quando mentre raccontava si faceva trasportare dalla sua nostalgia del passato, perché rendeva le sue storie tremendemante dolci.
"Non sai che ti sei persa! E poi la sua voce.. la sua voce calda, che era la mia ninnananna preferita prima di dormire, e la voce che cercavo ogni volta che volevo rassicurazioni."
"Le volevi proprio bene eh?" lo interruppe. Questa volta fu lui a sorridere.
"Già, ci tenevo non sai quanto" abbassò gli occhi.
"E poi? continua" gli piaceva raccontare le cose a sua moglie perché gli dava spago, sentiva che le piacevano e la cosa gli dava molta soddisfazione. A tutti fa piacere essere ascoltati, e lei lo faceva, quindi non la fece attendere.
"E poi.. quando avevo circa 13 anni i miei mi dettero la notizia che la nonna non c'era più." Paolo s'incupì come Carla non aveva mai visto e quasi si spaventò.
"Com'è successo?" aveva paura a fargli quelle domande perché temeva di riportarlo a ricordi con cui sicuramente voleva chiudere, ma in fondo era sua moglie, e certe cose di suo marito le voleva sapere.
"Mi dissero che voleva andare a trovare il nonno, perché le mancava, ma non ero più un bambino al punto di credere a certe cose, quindi chiesi la verità. I miei fecero passare un giorno o due prima di dirmelo, avranno voluto prendersi un po' di tempo per pensare, credo. Poi mi misero al tavolo, sedendosi entrambi davanti a me. Sembravano due statue, e avevano un'espressione bruttissima che non mi dimenticherò mai. Mia madre mentre parlava cercava di tenere la voce più controllata che poteva, papà invece stava semplicemente muto e fissava un punto nella parete dietro di me.
Insomma, con tutto il tatto che si può usare con un bambino di quell'età mamma mi disse che la nonna si era suicidata. Aveva dei problemi mentali, che la portarono a questo." concluse così, non volle dire altro.
"Tesoro.. mi dispiace che sia andata così" Carla gli prese la faccia con una mano e si sporse un po' verso di lui, quel poco che bastava per fargli capire che voleva baciarlo. Lui si avvicinò e nel bacio che gli venne dato sentì quanto sua moglie gli era vicino. Poi, a malincuore, si staccò.
Dal niente entrò una giovane infermiera, sorprendendo tutti e due. Aveva una cartellina verde acqua tra il braccio, e i capelli lisci le ci finivano sopra da quanto erano lunghi.
"Buongiorno! Sono l'infermiera di turno, e sono nuova. Mi è stato detto dal medico di venire qui per chiedervi se avevate scelto il nome per la piccolina" chiese sorridendo.
"Rose" rispose di scatto Carla, lasciando Paolo molto sorpreso.
“Si chiamerà Rose” disse di nuovo, con più calma.
“Complimenti, bellissimo nome. Anche mia madre si chiama così!” tirò fuori la cartellina e ci appuntò il nome, poi si dileguò salutando cortesemente.
Paolo si voltò subito da Carla appena l’infermiera chiuse la porta
“Pensavo che per come era finita la faccenda di mia nonna non glielo avresti voluto mettere!”
“Ho capito quanto tenevi a tua nonna, e magari quanto ti avrebbe fatto piacere che tua figlia portasse il suo nome, quindi.. se è una cosa che può farti così piacere sono più che felice di accontentarti. In fondo poi Rose è davvero un bellissimo nome, come ha detto la ragazza” gli rivolse un sorriso di pura felicità.
“Ti ringrazio davvero tantissimo, si, mi farebbe molto piacere sinceramente.. grazie.” La baciò cercando di trasmetterle più amore possibile. E in effetti il messaggio le era arrivato, riempiendole il cuore.
“Grazie di cosa? Ehi Rose, saluta papà" sussurrò avvicinandosi alla morbida testolina prendendo il braccetto cicciuto tra le dita e muovendolo, imitando un saluto.

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