And after all, you're my Wonderwall.

di SayOvolollo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** So we’ll soar, Luminous and wired, We’ll be glowing in the dark ***
Capitolo 2: *** It's time to say goodbye. ***
Capitolo 3: *** Travelling can find yourself. ***



Capitolo 1
*** So we’ll soar, Luminous and wired, We’ll be glowing in the dark ***


Scostò le tende per far entrare un po' di luce: il sole non era ancora sorto, erano le cinque e un quarto del mattino, non era ancora ora di alzarsi e cominciare a prepararsi, ma quella notte non riusciva a dormire per l'eccitazione. Dalla Francia alla magnifica Italia, il luogo che da sempre sognava di visitare, e finalmente adesso aveva l'opportunità di andare a vivere dai nonni, in Sicilia, e frequentare un Liceo assieme ad altri ragazzi italiani. Aveva visto i vari tipi di Licei che aveva la possibilità di frequentare: il Liceo Classico, il Liceo Musicale, il Liceo Alberghiero, il Liceo Linguistico, il Liceo Scientifico, il Conservatorio, e altri di cui non ricordava il nome. Alla fine optò per il Liceo Classico: i suoi genitori le avevano detto mille e mille volte che erano due materie difficili, pesanti e faticose. Ma meglio dello scientifico, sicuramente. Era una schiappa nelle materie scientifiche, anzi no, non le piacevano proprio e non le entravano in testa. Lì avrebbe avuto solamente due ore di matematica alla settimana e un'ora di scienze. Magnifico, no? Inoltre, per il latino e il greco, aveva sua nonna: una professoressa di latino e greco ormai in pensione, che aveva ormai quasi quarant'anni di professione alle spalle e quindi avrebbe potuto darle una mano.
Si sedette sul letto, guardando per terra l'enorme valigia vuota e le pile di vestiti stirati e piegati sul tappeto, pronti per essere messi in valigia. Prese un libro e provò a leggere, non poteva cominciare a fare la valigia senza la madre, che ancora dormiva. Che nervi! Se fosse stato per lei a quest'ora sarebbe già all'aeroporto ad aspettare l'aereo. No, non riusciva a leggere, troppi pensieri per la testa, non riusciva a capire per bene le parole e quindi doveva rileggere la frase almeno settanta volte, poi ripeterla con parole proprie per capirla bene. Quindi lasciò stare la lettura-gettando il libro sul tappeto, sopra una pila di libri per non far rumore-e prese le sue enormi, adorate cuffie bianche e le collegò al lettore cd. Prese il cd dei Linkin Park, lo mise nel lettore cd e premette play. No, okay, nemmeno la musica riusciva a farla stare calma. Cavolo, come poteva stare calma?! Aveva voglia di fare i salti di gioia, saltellare per tutta la casa e andare a svegliare tutti quelli che ancora dormivano. Era tardi ormai, secondo lei, anche se in verità mancavano circa dieci ore alla partenza. Presa dal nervosismo,si tolse le cuffie, saltò giù dal letto e cominciò a passare in rassegna la lista delle cose da mettere in valigia. Cominciò dall'elenco dei vestiti: la felpa verde fosfo extra-large che le aveva regalato suo fratello maggiore per i suoi tredici anni, i jeans con la strappatura al ginocchio, le magliette con delle scritte comiche che in Italia nessuno avrebbe potuto ammirare, dato che le scritte erano tutte in francese, la maglietta autografata della nazionale di calcio francese, che in Italia avrebbe accuratamente evitato di mostrare a qualunque ragazzo italiano accanito di calcio e tifoso della squadra italiana, poi la canottiera lunga dei Guns'n'Roses, e tutto il resto. Okay, c'era tutto. Passò alle scarpe.
“All Star giallo evidenziatore, ci sono. Air Force bianche con lacci verde fosfo, ci sono. Stivaletti neri, ci sono. All Star azzurre, ci sono. Verdi, ci sono. Bianche, ci sono. Perfetto, c'è tutto. Bisognerò vedere come farcele entrare tutte.. va beh, ci penserà la mamma.”
Una cosa positiva era quella che non aveva bisogno d trousse e borsette, aveva solo bisogno del suo spazzolino, da nonna avrebbe trovato gli shampoo, i bagnoschiuma e il dentifricio e gli accappatoi. Di trucchi, non ne aveva bisogno. Non amava truccarsi, anzi detestava totalmente i trucchi.
Bene, c'era tutto. Prese le All Star azzurre dal mucchietto di scarpe pronte per essere messe in valigia, un paio di shorts dalla pila, e la maglia dei Guns'n'Roses. Entrò in bagno e chiuse la porta a chiave, si lavò i denti, la faccia, le mani, poi prese la spazzola e si fece il segno della croce. Aveva i capelli ricci, gonfi, color bianco sporco. Labbra poco carnose, apparecchio ortodontico con le fascette metalliche a forma di stellina e gli elastici azzurri, occhi grandi e grigi, ciglia lunghissime. Per questo detestava i trucchi. Si piaceva così com'era, acqua e sapone. Dopo essersi pettinata, con numerosi gemiti di dolore, che era riuscita a soffocare per un pelo, fece un gran sorriso allo specchio ammirando i suoi denti cosparsi di stelline, e si domandò se anche in Italia usavano degli apparecchi ortodontici con forme stravaganti. Uscì dal bagno, con il foglietto e il pennarello in mano, e scese le scale di corsa senza far rumore. All'ultimo scalino fece un ruzzolone, e cadde per terra con un tonfo secco. Aveva dimenticato di allacciarsi le scarpe e perciò si era pestata i lacci da sola ed era caduta. Si rialzò velocemente, aggiustandosi la maglia e restando per un attimo immobile per sentire se dei rumori provenivano dal piano di sopra, dove i suoi genitori e i suoi fratelli dormivano. Nessun rumore, per fortuna. Avevano il sonno pesante, i suoi cari. Entrò in cucina, prese dei soldi dal portafogli dalla mamma e poi scrisse sul foglietto. “Se vi siete svegliati e io non sono ancora a casa, sto andando a comprare le ultime cose per il viaggio e poi vado a salutare i miei amici. Sarò di ritorno prima di pranzo. Ho preso un po' di soldi dal borsellino di mamma perché con gli amici andiamo a fare colazione tutti assieme.”
Entrò nel bagno piccolo accanto la cucina, si spruzzò abbondante Calvin Klein addosso, poi si ricordò di aver lasciato il telefono in camera, salì a prenderlo e poi scese le scale, aprendo la porta di casa e uscendo. Abitava in un paesino vicinissimo a Parigi, quindi avrebbe preso il pullman per andare in città, e alla fermata avrebbe trovato i suoi amici che la aspettavano. Entrò in un bar, che fungeva anche da biglietteria per le persone che prendevano il pullman alla fermata lì di fronte. Si avvicinò al bancone, con aria tutta contenta.
“Pierre, puoi farmi un biglietto Andata-Ritorno per Parigi? Grazie!”
“Ma certo piccolina, ti vedo più raggiante del solito e -ahimè- molto più furbetta del solito. Che succede?”
“Indovina Pierre, eh? Vado ad abitare in Italia! Ma ci pensi? In Italia! Frequenterò lì il liceo e tutte cose. E non sarò di ritorno prima di aver preso il diploma! Certo ovviamente l'estate tornerò per qualche settimana, ma poi tornerò in Italia, dai nonni, perché sono loro che mi ospitano, sisi!”
Aveva cominciato a parlare a raffica, stava scaricando tutto il suo entusiasmo su un pover'uomo baffuto e panciuto che la stava ad ascoltare a bocca aperta.
“Quindi mi stai dicendo che non avrò più la mia cliente d'onore al banco delle caramelle e dei dolciumi? Oh no, chi più comprerà a quantità industriale i miei muffin?”
“Tranquillo Pierre, ho intenzione di prenderne un bel po' per il viaggio, avrò bisogno di energie, no? Perciò, dammi tutti quelli che hai preparato fino ad ora!”
Erano le otto e un quarto, il bar aveva appena aperto e avevano messo in vetrina solo una ventina di muffin al cioccolato.
“Ma certo, piccolina! E sai cosa? Ti faccio un bel regalino, non pagarmi, in fondo, è l'ultima volta che ti vedo! Tieni!”
“Oh no, Pierre, per l'amor del cielo, non posso accettare! Insomma va bene lo sconto ma un condono totale no! Ti manderei in bancarotta!”
“Ma figurati, piccolina, ora niente storie, va via che ho da fare, su!”
E con un dolce sorriso la spinse fuori dalla porta, per evitare che provasse ancora a mettergli i soldi in mano o in tasca o in qualunque posto le capitasse sottomano.
“Ah, e non dimenticare il biglietto, ecco tieni, e anche il sacchetto. Oh guarda, c'è il pullman, corri!”
“Me la pagherai Pierre, anzi, te li pagherò Pierre!” gli urlò correndo verso il pullman che ormai stava partendo e facendo un cenno all'autista per farsi aprire la bussola. Salì sul pullman, si fece timbrare il biglietto, e andò a sedersi in una coppia di sedili vuoti, dalla parte del finestrino, e appoggiò il sacchetto con i muffin nel sedile accanto a lei, mettendosi le sue cuffione e guardando fuori dal finestrino, dove vide Pierre che la salutava e le sorrideva. Con un sorriso raggiante, agitò la mano e sussurrò “Au revoir, Pierre.”.
Collegò le cuffie al cellulare e mise Charlie Brown dei Coldplay. Era la sua canzone preferita, dopo Hurts like Heaven dei Coldplay e Hall of Fame dei The Script ft Will.I.Am. Appoggiò la testa al sedile e cominciò a pensare.
Dopotutto, le sarebbe mancato tutto della Francia. I suoi genitori, i suoi fratelli, i suoi amici, i muffin di Pierre, Pierre, i suoi muffin, ma anche solamente l'aria francese, la sua casa, il suo cucciolo, il suo letto..
Scese alla sua fermata, e la trovò affollatissima da tutti i suoi amici che non appena la videro le corsero incontro abbracciandola come se fosse l'ultima volta che l'avrebbero vista..oh, aspetta, quella era l'ultima volta che l'avrebbero vista. Beh, l'entusiasmo era ben giustificato.
“Guardate, ha portato la colazione per tutti!”
Urlò Hans, un suo vecchio compagno di scuola, di classe e di banco alle medie. Subito la comitiva decise di andare al parco per stendersi sull'erba a parlare e mangiare. Si fermarono in un bar prima del parco e presero due bottiglie d'acqua, e poi una palla da un venditore ambulante. Arrivati al parco si sedettero tutti sull'erba e cominciarono a mangiare i muffin. Erano circa una dozzina, seduti tutti a cerchio attorno al mucchio di muffin messo al centro.
“Allora, Leila. Cosa farai durante il tuo soggiorno in Italia?” le chiese Hilda, la sua compagna di pazzie preferita. Non era la sua migliore amica, la chiamava solo quando voleva andare a fare qualche cavolata, come un Flash Mob, una manifestazione, un sit-in, andare alle piste di pattinaggio non avendo la più pallida idea di come si pattina, andare all'inaugurazione di un nuovo parco divertimenti, eccetera. Con lei non esistevano le passeggiate tranquille, per questo uscivano praticamente sempre assieme.
“Beh.. studierò là, mi farò degli amici, imparerò a cucinare i piatti tipici siciliani come si deve, e.. boh, non lo so, poi là vedrò!”
“Hai già imparato l'italiano?” Le chiese Marie, una sua amica che faceva pallavolo con lei.
“Oh, si, perfettamente! Mio padre è italiano, mi ha insegnato lui la lingua, e inoltre mi ha regalato la sua collezione di libri di Harry Potter in italiano, per allenarmi. In italiano me la cavo abbastanza bene, sì!”
“Ma sarai solo tu a casa dei tuoi nonni?”
“A dir la verità no, mamma mi ha detto che i nonni ospitavano un'altra studentessa dal Nord Italia, ma non so né chi è, né come si chiama, né quanti anni ha, non so nulla. Spero solo non sia una di quelle che occupano il bagno per mezz'ora solo per truccarsi perché altrimenti pregherei i nonni di rispedirla dal buco da cui è uscita!”
Ci fu una risata generale, poi ricominciarono a farle domande.
“Ma se per esempio vuoi comprare qualcosa inutile, un ricordino, una maglia, devi chiedere i soldi ai tuoi nonni?”
“No, i miei mi hanno fatto una prepagata e ogni mese mi metteranno una bella cifra di soldi, che mi serviranno per le uscite, per i pasti fuori e per i giorni di shopping, per l'attrezzatura scolastica invece ci penseranno i nonni!”
Tutti i suoi amici la tempestarono di domande, poi alcuni si alzarono per seguire Hilda, che si era alzata, aveva preso la palla e aveva cominciato a correre urlando agli altri di provare a batterla a pallavolo, se ci riuscivano. Quasi tutti la seguirono sghignazzando. Quasi tutti, tranne uno. Un ragazzo rimase fermo, seduto a gambe incrociate, con il suo muffin ancora intatto tra le mani, lo sguardo fisso a terra. Leila si alzò per seguire Hilda, ma, notandolo da solo per terra, gli si avvicinò.
“Louis? Che succede?”
Non ricevette risposta. Il ragazzo si morse piano un labbro, chinò ancora di più il capo.
“Louis, rispondimi per favore! E' successo qualcosa?”
Il ragazzo alzò lentamente lo sguardo verso di lei, la guardò con gli occhi color cielo pieni di rancore e le sussurrò solamente: “Fatti tanti amici, in Italia, mi raccomando..” e poi chinò di nuovo la testa, rigirandosi il muffin tra le mani.
“Oooh, Louis!” Esclamò Leila buttandogli le braccia al collo e stringendolo forte, accarezzandogli i bei capelli castani che adorava attorcigliare sempre tra le dita. “Potrò avere tutti gli amici che voglio, ma il mio migliore amico sei e resterai solamente tu!” gli sussurrò in un orecchio, vedendo con la cosa dell'occhio che il ragazzo era arrossito, e anche se non ricambiava l'abbraccio, almeno si stava facendo abbracciare e questo era un buon segno.
“Seria?..”
“Mai stata più seria. Te lo prometto.”
“Mi mancherai tanto Leila!” Esclamò improvvisamente il ragazzo voltandosi e stringendola forte a sé.
Lei sorrise, accarezzandogli la schiena e stampandogli un bacio sulla guancia.
“E' per questo motivo che eri giù di morale?”
Il ragazzo annuì. Leila si staccò delicatamente, si alzò da terra e lo guardò: era ancora rosso in viso. Tese la mano verso di lui.
“Allora, raggiungiamo Hilda e le facciamo vedere chi sono i campioni della pallavolo?” Gli chiese, con un gran sorriso. Louis alzò il capo, la guardò per un attimo, poi prese la sua mano e si alzò da terra, e insieme raggiunsero di corsa la comitiva. Mano nella mano.

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Capitolo 2
*** It's time to say goodbye. ***


“Hey, sono a casa!”
Esclamò salendo le scale di corsa, come era solita fare, anche se in quel momento aveva due sacchetti pesanti in ogni braccio. I sacchetti erano pieni di scatole di dolcetti francesi, altri muffin di Pierre-questa volta era riuscita a infilargli i soldi in tasca con il bigliettino con scritto “te l'ho fatta!”- e merendine varie. Dopotutto, se non le fosse piaciuto il cibo in Italia, cosa avrebbe dovuto mangiare? Non era sicura che le merendine di cui andava pazza fossero in vendita anche in Italia, quindi aveva fatto scorta industriale. Salì direttamente in camera senza fermarsi in cucina. Erano le dodici e venti. Perfettamente in orario. Sarebbe arrivata prima se solo Louis non l'avesse trattenuta per darle un pacchetto, e le disse di aprirlo non prima di essere arrivata in Italia, Lei promise che l'avrebbe aperto non appena avrebbe avuto del tempo libero a casa dei nonni. Non appena fece irruzione in camera notò che la madre le aveva fatto la valigia, e aveva fatto entrare tutto, come per magia. La teca portatile con dentro la sua iguana a cui aveva dato il nome di Louis era pronta sul letto. Prese uno zaino abbastanza capiente dal fondo dell'armadio e ci buttò tutte le merendine dentro. Era pieno, riuscì a chiuderlo per un pelo, facendosi male anche ad una mano. Fece la prova a caricarselo sulle spalle. Era pesante sì, abbastanza anche, ma riusciva a tenerlo perfettamente. Prese il suo Jambè e la teca con l'iguana entrambi in una mano, e provò a prendere la valigia con l'altra. Impossibile.
“Jaaaaaaaaames!” Urlò dalla camera, sperando che il fratello grande la sentisse. Era l'unica femmina con altri tre fratelli maschi in famiglia. Uno più piccolo di lei, Hugo, di sei anni. Tutto una lentiggine, occhi grigi come il padre, biondo, come tutti i componenti della famiglia dopotutto, e un aria da diavoletto che non smentiva per niente il suo vero carattere: era una vera peste! Poi un fratello di quindici anni, Charlie, perseguitato dalle ragazze per la troppa bellezza, che ogni mese cambiava fidanzata, scorbutico all'ennesima potenza, ma che più volte l'aveva difesa davanti a delle ragazzine della sua classe che la stavano insultando pesantemente e più volte aveva dimostrato-a distanza di anni-di volerle bene. Tanto anche. Poi c'era James, 17 anni e un amore di ragazzo. Anche lui aveva tante ragazze che gli ronzavano attorno, ma soprattutto per il suo carattere da tenerone. Era un ragazzo dolcissimo e sempre pronto ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà. Passava molto tempo con Leila, e soprattutto, sarebbe stata la persona che più le sarebbe mancata, dopo Louis ovviamente. La porta si aprì e sulla soglia apparve Charlie, senza maglietta, scalzo, con un paio di jeans indosso e l'aria assonnata di chi è stato buttato dal giù letto a forza.
“Oh ma che schifo Charlie, copriti, non sei un bello spettacolo! E poi io avevo chiamato James, non te!” Disse Leila con una smorfia. Mentiva, lo stava solo punzecchiando, lo sapeva bene che suo fratello avrebbe potuto essere uno tra i tre ragazzi più belli del paese, assieme a James e Louis. Il fratello le fece una linguaccia.
“Lo so che non avevi chiamato me, pensi che sia venuto qui di mia spontanea volontà? James sta aiutando papà a scaricare Skype sul tuo nuovo Mac, così potremo sentirci e vederci, anche se io non ho tutto questo piacere di vedere la tua faccia in HD su uno schermo di computer. Comunque, che vuoi da James?”
“Brutto scemo, dillo che ti mancherò e che sarai felice di sentirmi, dillo!”
“Nah, per niente.”
“Ah, si? Va bene okay, questa me la segno.” Disse, mettendo il broncio.
Il fratello le si avvicinò e le cinse la vita con le braccia, baciandole la fronte. “Mi mancherai, idiota. Contenta ora?” Disse velocemente staccandosi da lei e ricomponendosi.
Leila, lo guardò sorridendo. Poi gli si buttò di nuovo addosso, coprendogli il viso di baci.
“Awww, il mio fratellone che mi dimostra affetto!”
“Heeey, guarda che non sono James-il-pupazzo-coccoloso, sono Charlie!”
“Scusa, ma sai, me lo dovrò far bastare per nove mesi, almeno fino alla prossima estate!”
“Oh beh, hai ragione. Ma ora mi dici perché chiamavi James?”
“Volevo un aiuto per scendere la valigia, io con lo zaino, il Jambè e Louis non ce la faccio a trasportarlo di sotto!”
“Devi proprio portarti il tamburo e la lucertola?”
“Non si chiama tamburo, si chiama Jambè e quella non è una lucertola, è la mia iguana e si chiama Louis!”
“Ah già, si chiama come il tuo fidanzatino!”
“Smettila! Non è il mio fidanzatino, siamo solo amici!”
“Si, si.. dicono tutti così..” Annuì il fratello con un ghigno stampato sul viso, prendendo l'enorme e pesante valigione, cominciando a scendere. Leila lo ignorò. Ormai sapeva che lo faceva per provocarla e non voleva battibeccare prima della partenza. Della grande partenza. Prese lo zaino, il suo Jambè e Louis, e raggiunse tutti gli altri di sotto.
“Ciao mamma, ciao papà, Hugo, James!” Salutò allegramente il fratellone, la madre e il padre con un bacio sulla guancia, mentre al fratellino scompigliò i capelli dolcemente.
“Leila, Leila, guarda cos'abbiamo fatto per te!” Suo fratello Hugo saltellò verso di lei con le mani dietro la schiena, dietro di lui seguiva il resto della famiglia che si godeva la scena sorridendo. Il piccolino le porse un pacchetto abbastanza grande, come un foglio A4, ed era anche un po' pesantuccio. Provò ad agitarlo, ma non fece nessun rumore. Era piatto. Qualcosa le fece pensare ad una cornice. Strappò via la carta: aveva ragione. Era una foto dei suoi fratelli e dei suoi genitori incorniciata, sulla cornice di vetro stava una scritta fatta con un pennarello indelebile rosso: “Così non potrai mai dimenticarci.” Leila rimase a bocca aperta, poi appoggiò la cornice sul tavolo e corse ad abbracciare i suoi familiari, uno per uno. “Come potrei dimenticarvi? Siete fantastici! Mi mancherete un sacco!” Aveva gli occhi lucidi. Ma no, non voleva piangere. “Oh, dimenticavo il Calvin Klein!” Inventò una scusa per non farsi vedere con gli occhi lucidi dalla sua famiglia, così corse in bagno e chiuse la porta, asciugandosi silenziosamente le lacrime e sentendo la madre che diceva ai suoi fratelli di andarsi a preparare per andare all'aeroporto. Si bagnò gli occhi e li asciugò con l'asciugamano, così non sarebbero apparsi arrossati agli occhi degli altri, si spruzzò ancora un po' di profumo e poi portò la bottiglietta in soggiorno, e la mise dentro uno degli scompartimenti esterni della valigia. I fratelli scesero dieci minuti dopo ben vestiti e profumati. Hugo aveva un paio di sneaker della Adidas, dei jeans e una felpa del suo cartone animato preferito dello stesso colore delle scarpe. Charlie invece, aveva un paio di Nike Blazer nere, un paio di pantaloncini che gli arrivavano al ginocchio, e una maglietta nera. James, aveva delle Converse Padded Collar di pelle nere, dei jeans neri, e una camicia rossa a quadretti. Erano bellissimi, pensò Leila. Suo padre invece aveva dei jeans, una camicia bianca, giacca e cravatta e delle sneaker totalmente bianche, e la madre una tailleur formato da una gonna azzurra, una camicia bianca e una giacca abbinata alla gonna. Wow, si erano vestiti davvero bene solo per accompagnarla all'aeroporto. Era fiera di andare in giro per le strade assieme alla sua famiglia. La gente che passava li guardava e sorrideva. Avevano sempre il sorriso stampato in viso, ed era una cosa di cui la famiglia Austin andava fiera.
Entrarono tutti in macchina, e Leila insistette per tenere l'iguana sulle gambe. Charlie le volle portare la valigia, Hugo le permise a malincuore di mettersi dalla parte del finestrino, e, alla fine del viaggio in macchina, James la prese sulle spalle e se la portò in giro per tutto il tragitto a piedi, anche dentro l'aeroporto, mentre suo papà le portava lo zaino, Charlie la valigia, Hugo il Jambè e la sua mamma le portava l'iguana, tenendo la teca il più lontano possibile che poteva da sé con un'aria totalmente contrariata. Fecero il giro dell'aeroporto di Parigi, entrando in tutti i negozi presenti per ammazzare il tempo dell'attesa. Ma alla fine, arrivò il momento tanto atteso: il suo aereo stava per decollare e lei doveva raggiungere al più presto l'hostess che l'avrebbe accompagnata.
“Su, nanerottola, non farla lunga altrimenti mamma scoppia a piangere.” disse Charlie facendole un sorriso. Leila ricambiò il sorriso e lo abbracciò per un lungo momento mentre lui le accarezzava i capelli. “Mi mancherai. Tanto.” le sussurrò in un orecchio, e per un attimo Leila rimase a bocca aperta, ma poi sorridendo gli stampò un grosso bacio sulla guancia e abbracciò Hugo.
“Sorellona, mi mancherai tanto... posso usare la tua tazza mentre tu non ci sei?”
“Hugo!”
“Oh.. scusa mamma.. mi mancherai tanto Leila!”
“Sei sempre il solito, piccola peste. Comunque si, puoi usarla!” gli sorrise vedendo il suo viso illuminarsi. Abbracciò mamma e papà. La mamma scoppiò a piangere, l'abbracciò forte e la riempì di raccomandazioni. Il papà invece stava notevolmente trattenendo le lacrime, l'abbracciò e le diede una pacca sulla spalla. Poi fu il turno di James, che l'abbracciò forte, la coccolò per un po' e con un mitico “Divertiti!” la lasciò andare, dandole in mano il carrello con la valigia, il Jambè, lo zaino e la teca con Louis. Lei trascinò quasi correndo il carrello verso l'hostess, lasciandosi alle spalle sua madre tra le braccia di Charlie, Hugo che la guardava immobile con gli occhi velati di lacrime, con la sua giraffa di peluche che gli pendeva da una mano e che toccava terra con una zampa e con la cosa. L'hostess le prese il carrello.
“Che tenera famigliola. Parti per un po', eh?”
“Eh già!”

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Capitolo 3
*** Travelling can find yourself. ***


Il viaggio in aereo fu molto tranquillo: aveva disattivato la funzione radio per la ricezione dati del suo Blackberry e aveva ascoltato per un po' la musica, poi aveva fatto un delizioso spuntino, poi un sonnellino di dieci minuti circa, e poi, al risveglio, socializzò un po' con la gente dell'aereo. C'era una simpatica coppia di giovani italiani che erano andati ad abitare a Parigi per lavoro e adesso tornavano per un po' a Roma dalle loro famiglie. Si fece un mucchio di risate con una comitiva di ragazzi della sua età di Roma che erano andati ad un campo estivo a Parigi e adesso stavano tornando a casa, erano abbastanza meravigliati da come parlava bene l'italiano, ma la imitavano comunque per il suo accento facendosi un bel po' di risate tutti assieme. Ed ecco che l'aereo atterrò, e lei aveva già un bel po' di numeri, indirizzi, e-mail di nuovi amici.. e non era ancora arrivata a casa! Un'altra hostess l'accompagnò al secondo aereo. Salì a bordo, ma decise di cominciare a socializzare fin da subito, quindi adocchiò un altro gruppo di boy scouts. Tutta la gente italiana aveva l'aria simpatica, socievole e accogliente. In poco tempo tutti i passeggeri avevano socializzato tra loro. Trovarsi in mezzo a quella gente la fece sentire a casa. In Francia, gli estranei erano estranei, e di certo non offrivano torte ricoperte di.. ricotta? A gente che non conoscevano, come stava facendo la vecchietta che sedeva accanto a lei, e che in seguito le diede una scatolina con dei biscotti al cioccolato fatti da lei. Che dolce nonnina! Uno scout le chiese qual era il suo nome. Lei rispose e gli chiese il suo. Riccardo. Che nome strano! “Sicuramente questo nome sarà tipico d'Italia”, pensò. Cominciarono a ridere e a scherzare come se si fossero conosciuti mesi, anni prima. E di nuovo il suo cellulare si riempì di numeri, indirizzi ed e-mail nuovi. Che gente simpatica! All'aeroporto l'hostess l'accompagnò in sala d'attesa, dove l'aspettavano i suoi nonni.
“Nonni!” esclamò correndo quel che poteva verso di loro, trascinandosi dietro il pesante carrello. A guardarli, anche i suoi nonni avevano l'aria simpatica. Andava fiera di loro. Adorava vantarsi con gli amici di avere dei nonni italiani. Corse ad abbracciare la nonna e il nonno, che prese il suo carrello. Salutò cortesemente l'hostess con un “Arrivederscì”, che fece ridere i suoi nonni. Chissà perchè. Caricarono in macchina i bagagli e Leila mostrò la sua iguana alla nonna e le chiese perchè ancora non tornavano a casa.
“Stiamo aspettando una persona! Comincerà il Liceo come te, l'ospitiamo per tutto il tempo in cui frequenterà il Liceo, lo stesso tempo in cui tu starai con noi, ed è una persona davvero speciale, lo scoprirai presto! Ecco guarda: arriva!”
Leila guardò il punto che la nonna indicava: una grande porta a vetri con scritto 'ARRIVI', la stessa da cui era passata lei. La porta si aprì, e spuntò un ragazzo alto più o meno come lei, circa 1.68/70, con dei bellissimi riccioli biondi, rasati ai lati, e gli occhi azzurro cielo, vestito esattamente come suo fratello James quando l'aveva accompagnata all'aeroporto, solo che i pantaloni erano bianchi, aveva delle All Star bianche, e la camicia a quadretti era celeste. Il ragazzo aveva l'aria spaventata, dai lineamenti del viso sembrava avesse la sua stessa età, ovvero quattordici anni. Il nonno gli fece cenno di avvicinarsi e lui trascinò la sua valigia verso di loro. Aveva solo una valigia, uno zaino e una chitarra sulla spalla, al contrario di lei, che invece aveva una valigia enorme, il suo Jambè, una teca grande con un'iguana dentro, e uno zaino. Il nonno gli prese delicatamente i bagagli e li portò verso la macchina.
“Francesco?” Disse dolcemente la nonna. Il ragazzo annuì, balbettando un “S-si..”, la nonna lo abbracciò.
“Benvenuto! Per tutto il tempo in cui frequenterai il Liceo vivrai con noi, lei è l'altra studentessa con cui dovrai dividere la casa oltre a noi: è nostra nipote e viene dalla Francia.”
Leila tese prontamente la mano verso di lui. “Piacere, io mi chiamo Leila!” Gli disse facendogli un sorriso. Lui guardò la sua mano, poi la strinse lievemente.
“Io sono Francesco..”
“Bene, direi che il nonno ha finito di caricare i bagagli, possiamo avviarci!” disse la nonna, facendo cenno a entrambi di seguirla. Salirono entrambi in macchina e nessuno dei due fiatò per tutto il viaggio dall'aeroporto a casa dei nonni, un po' per imbarazzo, un po' per timidezza. Ma Leila notò un paio di volte che Francesco era notevolmente interessato alla sua iguana.
“Si chiama Louis.” disse, all'improvviso, guardandolo. Lui quasi sobbalzò, sorpreso.
“E' un bel nome..” farfugliò guardandosi le mani.
Aveva dimenticato di attivare la funzione radio per la ricezione dati del suo telefono, perciò non appena l'attivò, le arrivarono circa una ventina di messaggi, tutti dai ragazzi che aveva conosciuto sui due aerei. La SIM italiana non era tanto diversa da quella che usava in Francia. Anzi, era uguale, solo che quella italiana era più economica. Sorrise guardando il cellulare e rispondendo a tutti i messaggi, ma questa volta fu lei a sobbalzare.
“Abbiamo lo stesso telefono.” disse Francesco.
“Oh.. ehm, davvero? Posso vederlo?”
Francesco annuì e uscì dalla tasca un Blackberry completamente uguale al suo.
“Curve 9300. Sono identici.”
“Hey.. è vero!”
Lui le sorrise. Per la prima volta. Restò a guardarlo per un po'. Era un sorriso bellissimo, ed era certa che non l'avrebbe rivisto molte volte.
Arrivarono a casa. Era una casa veramente stupenda: una villetta con un giardinetto ben curato, con un piccolo orticello e tanti fiori. Il vialetto era in pietra e la casa era ben curata. Lei e Francesco si guardarono attorno meravigliati: era una casa davvero splendida! La nonna prese le chiavi dalla borsetta, e aprì la porta.
“Su, andate in camera e disfate le valigie mentre io preparo la cena. Leila, sali le scale ed entra nella prima a destra. Tu Francesco sali le scale ed entra nella prima a sinistra. Avete entrambi il bagno in camera, così la mattina non ci saranno seccature!”
I due ragazzi annuirono, salirono assieme le scale in legno e si guardarono prima di aprire la porta.
“Hey, apriamola tutti e due assieme, okay?” disse Leila. Francesco annuì.
“Uno.. due.. tre!” Al tre, entrambi aprirono le porte. Leila rimase a bocca aperta con gli occhi che le brillavano per l'emozione. Una parete era completamente occupata da un ampio balcone che dava sul lato sinistro del giardinetto, in un'altra parete stava l'armadio, un grande cassettone, entrambi in legno, e la porta in legno che portava al bagno. C'erano due tavoli: uno sul balcone, completamente in ferro battuto con tanto di sedie abbinate, e un altro accanto al letto a due piazze. Nella parete sopra la scrivania c'era un enorme tabellone di sughero, e tanti spilli attaccati in un angolo, dove avrebbe potuto appendere tutto ciò che voleva. Non appena entrò posò le valigie e tutto il resto, e si andò a buttare sopra il letto, quando sentì bussare dalla porta aperta. Si voltò a guardare da dove provenisse quel rumore: sulla soglia della porta, con un'aria timida e imbarazzata, stava Francesco.
“Ehm.. volevo vedere.. com'era la tua camera, scusa.”
“Oh, certo, entra!” Gli sorrise, spostando l'enorme valigia dall'ingresso della sua stanza e trascinandola al centro della sua stanza, sul morbido tappeto. Francesco entrò, e provò a sedersi sul letto.
“Oh.. è morbido!” constatò, dondolandosi appena. Leila si voltò a guardarlo e annuì.
“Si.. sarà davvero magnifico dormire qui. E guarda com'è grande! Si ci può dormire anche in tre!”
“Già.. oh, anche tu hai il mazzo di chiavi..” disse Francesco, alzandosi dal letto e avvicinandosi lentamente allo scrittoio, da cui sollevò un mazzetto di chiavi. Leila non l'aveva notato, perciò si alzò e lo raggiunse a bocca aperta.
“Devono essere le chiavi di casa..” disse lui. Leila annuì alle sue parole, prendendo tra le mani il mazzetto di chiavi e guardando il portachiavi: c'era scritto il suo nome.
“Anche nel mio mazzetto c'è il mio nome.. guarda” le disse Francesco estraendo dalla tasca dei pantaloni un mazzetto di chiavi per mostrarle il portachiavi.
“Cavolo, la nonna si è ben attrezzata!”
“E n-non hai ancora visto niente!” disse Francesco, e gli occhi cominciarono a brillargli “Guarda qua!” esclamò aprendo un cassetto dello scrittoio abbastanza grande, dove c'erano numerosi libri di testo scolastici. Poi aprì un altro cassetto, dove stavano due vocabolari enormi: uno di latino, intitolato “IL”, e uno di greco, intitolato “GI”.
“A-a quanto pare andremo nella stessa classe. I miei libri sono uguali ai tuoi.” disse Francesco.
“Wow.. non avevo visto nulla di tutto questo.. ma è magnifico, no?” Sussurrò Leila, in preda all'emozione. Francesco annuì.
“Vado a disfare le valigie.. a dopo” disse lui, ed uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Leila rimase a guardare i suoi libri ancora per un po', poi richiuse tutti i cassetti e si chinò sulla valigia per aprirla. Prese da uno scompartimento esterno la foto dei suoi genitori e dei suoi fratelli che le avevano regalato prima di partire, e la poggiò con cura e con un sorriso sullo scrittoio. Uscì dalla valigia tutti i vestiti, le giacche e i giubbotti e li mise nell'armadio. Poi passò alla biancheria intima e i calzini, che ripose con cura nel cassettone. La valigia adesso sembrava così vuota! Entrò nel bagno e ripose lo spazzolino, il collutorio, la cera per l'apparecchio, lo scovolino e l'idropulsore dentro un armadietto nascosto da uno specchio. Poi tornò in camera, prese la valigia ormai vuota e.. si accorse di aver dimenticato il profumo in uno degli scompartimenti esterni. Lo prese e lo ripose nell'armadietto in bagno assieme a tutte le altre cose. Uscì dal bagno chiudendosi la porta alle spalle, prese la valigia e la ripose sotto il letto, dove non avrebbe dato impaccio. Prese la teca con Louis e la mise in bella vista sul tavolo, tolse il coperchio e coccolò un po' la sua iguana. Poi la rimise dentro, chiuse il coperchio e prese il suo Jambè, e lo mise in un angolo. Restava un cassetto vuoto nel cassettone: perciò prese lo zaino, e lo svuotò di tutte le merendine francesi dentro il cassetto. Soddisfatta, le collocò uniformemente per tutto il cassetto, e restarono fuori due barrette di cioccolato. Chiuse il cassetto, mise lo zaino sul fondo dell'armadio, e uscì dalla camera, con le due barrette di cioccolato in mano. Bussò alla porta della camera di Francesco e poi socchiuse la porta per chiedere di entrare. Francesco aveva già sistemato tutto, e adesso stava seduto sul letto, che accordava la sua chitarra con il diapason, ma sembrava in difficoltà. Non appena la vide smise subito si fare ciò che stava facendo, mise via il diapason e poggiò la chitarra in piedi per terra. Si alzò e le fece cenno di entrare. Leila entrò, guardandosi attorno: la camera di Francesco era tale e quale alla sua, in ogni minimo dettaglio. Le sembrava quasi di stare nella sua camera, senza però il Jambè e Louis.
“Suoni la chitarra?” gli chiese. Lui annuì, imbarazzato.
“Si.. solo che non riesco ad accordarla con il diapason, ho le batterie dell'accordatore elettronico scariche.”
“Capisco.. bella camera, eh?” rispose Leila ridendo. Lui annuì. C'era qualcosa di strano in quel ragazzo. Era timidissimo, nervoso e a pelle sembrava un ragazzo molto dolce. Poi ricordò le parole della nonna: “..è una persona speciale, lo scoprirai presto!”
Chissà cosa volevano dire quelle parole.
“Ragazzi, la cena è pronta!” la voce della nonna risuonò per tutte le scale, Francesco scrollò le spalle ed uscì dalla camera, dopo di lei. Leila aveva accuratamente lasciato sul comodino del ragazzo, senza che lui la vedesse, la barretta di cioccolato. Scesero in sala da pranzo, dove alleggiava un profumino intenso di pollo e patate al forno. I due ragazzi avevano una fame da lupi ed erano molto stanchi dal viaggio, perciò mangiarono in fretta ed andarono subito a letto.
E così, il primo Settembre passò via.

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