Snow in September.

di YummiHoran
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.







Samantha Campbell correva.
Correva sui suoi anfibi, che le proteggevano i piedi come la sua durezza proteggeva il suo cuore.
Samantha correva e piangeva. Gli occhi le pompavano lacrime come il suo cuore le pompava il sangue, a litri.
Samantha correva, piangeva e si stringeva tra le braccia. Le sue braccia la circondavano come i polmoni le circondavano il cuore.
Samantha correva, piangeva, si stringeva e urlava. Urlava dentro, a bocca chiusa, come il suo cuore urlava battiti.
Samantha correva, piangeva, si stringeva, urlava ed era stanca. Era stanca di tutto, come il suo cuore era stanco di soffrire.
Samantha si è fermata. Non corre più, non piange più, non si stringe più, non urla più. Ma è ancora stanca.
Il suo cuore invece corre ancora. Per una volta non erano in simbiosi. Samantha si guardò le mani e si sfiorò il viso. Sentì lo zigomo gonfio e poté immaginarselo nero. Samantha tentò di prendere fiato, ma il freddo glielo impediva.
Il suo cuore continuava a batterle in petto e solo così poteva scaldarsi. Il cuore non doveva smettere di batterle in corpo, ma lei doveva smetterla di fare così, doveva smetterla di subire. Samantha sentì di doverlo fare.
Riprese a correre, nella luce del tramonto, era quasi buio. La stazione non era lontana. Sua zia non era lontana. Doncaster non era lontana.
- Cuore, batti con me e scappa con me. Andiamocene. –
Afferrò la borsa coi quei pochi vestiti che possedeva e si mise a camminare. Era sollevata. Samantha Campbell ora era tranquilla come il suo cuore era tranquillo. Samantha si osservò i polsi, memore delle cicatrici che l’avevano portata a procurarsi.
Una telefonata. Qualche supplica. La stazione, il treno, il viaggio. Doncaster.







------------------------------------- Olga.
Ciao ragazze! Sono tornata :)
Anzi per la verità non me ne sono mai andata, visto che non ho ancora pubblicato l'ultimo capitolo
dell'altra storia ("7 things"). Vabbe sono sempre stata qui per rompere a voi.
Spero che un po' vi faccia piacere. Questa storia sarà un po' diversa
da quella precedente (parlo a chi l'ha letta), nel senso che la protagonista
vivrà una situazione molto diversa rispetto alla protagonista di 7 things.
Però spero che vi possa piacere lo stesso. Comunque sia, questo è il primo capitolo,
sarei onorata se vi andasse di recensirlo e dirmi cosa ne pensate.
Grazie mille piccoline, un bacione!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Scusate ragazze ma nel precedente capitolo mi sono dimenticata di mettere il disclaimer; lo metterò anche nel primo capitolo, ma dato che molte di voi magari non lo rileggeranno, per giustizia lo metto anche qui:
Questi personaggi (purtroppo) non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 






Non avrei mai pensato che un giorno,
i miei sogni avrebbero potuto diventare realtà.





Era notte fonda e sul treno di facce raccomandabili ce ne erano ben poche. Stette tutto il tempo attaccata a una signora, probabilmente madre, che viaggiava con lei, chiedendola di poter stare con lei per paura. La signora ovviamente non aveva fatto problemi e così lei aveva fatto tutto il viaggio in uno strano stato di trance.
I capelli neri erano spettinati e le ricadevano oltre il seno, mentre lei giocava ad arricciarli. Aveva abbandonato tutto, finalmente e purtroppo. La madre, violenta e stupida, Amylee, la sua migliore amica, sempre buona con lei e le sue altre amiche. La persona che più le era dispiaciuto lasciare era suo padre, anche se lui l’aveva lasciata tempo prima. Si osservò il polso. Impresso di inchiostro nero della sua pelle c’era un nome: Edward.
“Oh papà” pensava “quanto mi manchi. Se solo tu fossi ancora qui, tutto sarebbe diverso.”
Scese dal treno con lo sguardo fisso e cupo, in cerca di quegli occhi familiari.
Pattie, sua zia, appena la vide le corse incontro preoccupata:
- Sam, tesoro mio, cosa ci fai qui? Perché sei scappata? Tua madre sarà preocupata. –
Samantha alzò piano lo sguardo, fino a scoprire il suo zigomo nero di sangue.
- A mia mamma non importa nulla di me. Altrimenti non mi avrebbe ridotta così. – disse, seria e anaffettiva.
- Oh mio Dio. Cosa ti ha fatto? –
- Mi ha dato un pugno. – rispose lei, abbassando lo sguardo. – E non solo quello. –
- ..Andiamo a casa Samantha. Forza, vieni. –
Salì in macchina e le due si avviarono a casa, in silenzio. Dopo circa 10 minuti, Pattie  cominciò:
- Ti… Ti devo dire una cosa. Tu ascolti musica? –
- Sì, abbastanza. In realtà un sacco. –
- E… Per esempio, conosci quella band, i One Direction, quei 5 ragazzi inglesi che.. –
- 4 sono inglesi. Uno è irlandese. – la corresse Ollie, lasciando andare il broncio che aveva in viso. Se li conosceva? Erano quelli che l’avevano fatta resistere fino a quel momento. Da più di due anni le tenevano compagnia e la facevano andare avanti.
- ..Ecco, loro. Sai che uno di loro abita qui a Doncaster, no? –
Improvvisamente si ricordò che, sì, uno di loro abitava proprio lì dove era lei ora. Louis William. Lo stupido della situazione. L’uomo ancora bambino. La carota, lo “Swagmasta’ from Doncasta’” e scoppiò a ridere silenziosamente. Ora doveva solo capire capire dove davvero volesse arrivare sua zia. Perciò annuì, spronandola ad andare avanti.
- Ecco.. Io ho cambiato casa e.. Ora viviamo di fianco alla sua famiglia. –
Sam perse un battito. Cominciò a guardare fuori dalla finestra, pensando che forse li avrebbe potuti vedere davvero. Poi si diede un pizzicotto sulla mano.
“Andiamo Sam, tu sei tu. La tua vita fa schifo, scappi da una madre che non è tale, non potrà certo andarti bene sta volta” pensò, prima di chiudere gli occhi. Il movimento delle macchine l’aveva sempre rilassata.

 ***

Sentì Pattie scuoterle piano un braccio, mentre la risvegliava da quella scomoda e breve dormita su un sedile di auto:
- Tesoro vieni, andiamo in casa! –
Sam la seguì a sguardo basso, per evitare che le luci in strada e poi in casa la risvegliassero, perché altrimenti non avrebbe più ripreso sonno. Notò una figura sul lato della strada, accucciato vicino a una macchina.
- Zia, ci sono i ladri qui? – chiese con un fil di voce, piuttosto rintontita.
- No amore, perché? –
- C’era uno semi sdraiato di fianco a una macchina. –
- Oh, sono i paparazzi Sam, dovrai abituartici. –
Samantha mugugnò qualcosa e, ancora vestita, si buttò sul letto. Faceva freddo, e tanto, ma la stanchezza le impedì i brividi e si addormentò in pochi secondi, non prima di essersi baciata il tatuaggio, come faceva ogni sera.

***

Fu un raggio di sole a svegliarla, dritto in faccia. La giornata iniziava bene, pensò amara. Poi si ricordò dove fosse. La giornata sicuramente iniziava meglio di come iniziava prima.
Sentì la zia cantare da sotto. Non era perfettamente intonata, ma Sam pensò che era sicuramente meglio che svegliarsi con le urla di sua madre. Chissà se si era resa conto che lei non c’era più. Guardò il telefono. Sette chiamate, tutte di Amylee. Da sua madre, nulla.
Compose il numero della migliore amica e portò il cellulare all’orecchio:
- Omiodio Samantha, mi hai fatta preoccupare! Dove diavolo sei finita? Ieri sera dovevo raccontarti una cosa di Josh, ma tu non mi hai cagata, grazie tante! Ti pare che non mi –
- Sono a Doncaster. – la bloccò lei.
- Sei… dove?!? –
- A Doncaster, da mia zia Pattie. Ero stufa. Troppo stufa. Mia madre ha esagerato. –
- E… Quando torni? –
- Mai, Amy. Non ho intenzione di tornare. –
- E… E io? – chiese l’amica, con la voce che tremava.
- Sei la benvenuta qui, quando vuoi. Anche per tre mesi di fila. Ma io non ci torno lì. –
- Cos’è successo? –
- Quella troia mi ha messo le mani addosso. – rispose lei, incurante della sua mancata finezza. A quelle parole seguì il silenzio, durante il quale Sam immaginò l’amica che si portava una mano sulla bocca spalancata, come faceva sempre.
- Mi dispiace, Sam. Ma io al più presto voglio venire da te. Facciamo.. Che arrivo il 22 e passiamo il Natale insieme? –
- D’accordo Amy, non vedo l’ora di riabbracciarti. Ho così paura.. Qui sono sola, non conosco praticamente nessuno, sono stata qua pochissime volte.. Però non ce la facevo più. Avere una madre che non ti considera è brutto, ma se ti mette le mani addosso non ne vale più la pena. Basta, cambiamo argomento. Dicevi di Josh? – chiese, con la voce più allegra.
- No, DICEVI TU! Sei a Doncaster, porca troia! –
- Sai che mia zia abita qui.. – rispose Sam confusa.
- Sì ciccia ma Doncaster! Louis, William, One Direction, carote, piccioni, presente? SVEGLIAAAAAA – sbottò l’amica con la voce, già acuta, ancora più alta di un’ottava.
- Lo so “ciccia”, mi abita di fianco – disse lei con non curanza
- CHE COSA? MA IO DOMANI SONO Lì, ALTRO CHE ASPETTARE NATALE – urlò nel ricevitore.
- Piantala di urlare, sono scappata per evitare danni ma così divento sorda! Amore devo scendere, scusa se me ne sono andata senza avvisarti, è che è stata una cosa di impulso. Ci sentiamo poi, ti voglio troppo bene, giuro. –
- Tranquilla beibeeee – disse Amy, storpiando l’accento, - Ci sentiamo quando sei libera, tanto stavo andando al lavoro!
Sam aprì le finestre e inspirò l’aria fredda dei primi di Dicembre a occhi chiusi. Poi l’inimmaginabile successe. La sua camera era la più interna e lontana dalla strada ed era dal lato dei Tomlinson. Sorridendo ignara, aprì gli occhi e se lo trovò davanti a pochi metri. La osservava confuso, non riconoscendola come vicina, sorridendo gentile. Il sorriso di Sam si trasformò in fretta in una O e gli occhi fecero altrettanto, spalancandosi. Il cuore cominciò a batterle. Louis William Tomlinson, portandosi dietro tutta la sua bellezza, stava alla finestra e la osservava. Capelli perfettamente spettinati, occhi splendenti e sorriso stampato in faccia. Che cosa avrebbe dovuto fare? Cadergli ai piedi sarebbe stato scomodo dato che doveva viverci di fianco. Probabilmente era il solito montato che pensava che chiunque lo amasse. Perciò, con una finta noncuranza, che non era sicura le fosse uscita bene, gli sorrise, lo salutò con la mano e chiuse la finestra.
“Merda merda merda merda merda” pensò. “Dio, che figure.” Si buttò sul letto e si coprì il viso col cuscino. Rimase qualche minuto a pensare e poi si alzò a disfare la valigia. Spostò lo sguardo sulla finestra e vide Louis, ancora fisso su di lei. Gli sorrise di nuovo, cortese, e poi continuò a fare quello che stava facendo, ignorandolo. Prese in mano Take Me Home e osservò la copertina. A pochi metri dalla sua finestra c’era quel ragazzo coi capelli castani che tentava di scalare una cabina telefonica, sorretto da un pakistano in bombetta e aiutato da un moro dal sorriso perfetto, sdraiato sulla cabina rossa. E lei lo stava ignorando. Cioè faceva finta di non vederlo.
“Sul serio?” si chiese. Buttò uno sguardo alla finestra e lui era lì, imperterrito, col suo Blackberry in mano che continuava a mandare occhiate dentro la finestra di Sam. Non poteva ignorarlo.
“Samantha, stai ferma” le disse qualcuno da dentro “stai ferma, stai ferma, stai..”
- Ciao, ti serve qualcosa? – chiese ad alta voce, dopo aver aperto la finestra.
“..Ferma”. Non stette ferma, questo è sicuro.
- Non.. Non urli? – chiese lui, spalancando gli occhi.
Sam si chiese se avesse sentito bene. Le aveva davvero chiesto perché non stesse urlando?
- E.. perché dovrei, scusa? – rispose lei sorridendo.
- Non sai chi sono? – alzò le sopracciglia.
Se quel tipo cercava qualcuno che lo tenesse a bada nella sua aria da montato, l’aveva trovato. Samantha non poteva sopportare chi era pieno di sé. Anche se era Louis Tomlinson ed era dannatamente bello.
- Certo che so chi sei, ma questo non mi da motivo di urlare o di buttarmi dalla finestra, anche perché siamo al secondo piano! Potrei chiederti io una cosa? –
Lui rispose con un silenzio.
- Perché sei fermo lì da mezz’ora a fissarmi? –
- C’è un’estranea nella finestra di fronte a camera mia.. – rispose Louis allargando le braccia.
- Non sono un’estranea, signor Tomlinson, sono la nipote della proprietaria di questa casa e mi sono trasferita qui. Adesso, se non ti dispiace, andrei avanti a sistemare le mie cose! Un bacio! –
- Ciao dolcezza – rispose lui, per poi richiudere la finestra.
“Iniziamo bene” pensò Sam “Ho davanti a me uno dei miei 5 più grandi sogni e scopro che non è il simpatico bambinone che fa vedere, ma che è solo un montato che si aspetta che tutti urlino davanti al lui, manco fosse Dio sceso in terra. Che bel vicinato”
Samantha non poteva davvero immaginare. Quello non era che l’inizio.










------------------------------------- Olga.
Eccomi qui col secondo capitolo :3 era già pronto ma ho preferito
non pubblicarlo subito, altrimenti i capitolo già finiti li pubblico
subito e poi devo farvi aspettare un anno per uno nuovo!
Cooooomunque, ho ricevuto moltissime visite, qualche recensione e già alcune di voi
seguono, ricordano e hanno messo tra le preferite la storia.
Mi fate commuovere :')
Un grazie enormissimo a tutte voi :D
Adesso vado perchè è tardi e io sono stanca, questa settimana sto facendo il tirocinio
coi bimbi dell'asilo (sono al terzo anno delle scienze umane) quindi volo nel mio lettino
Ciaaaao piccoline, un bacione :3

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


- Sam, vado a comprare un paio di cose che mi mancano per il pranzo! – urlò Pattie dal pianerottolo. – se hai bisogno, chiama! –
- Tranquilla, zia! Ah, puoi prendermi della cioccolata? E’ un sacco che non ne mangio. – disse ridacchiando
- Ce n’è già un po’ giù, cerca in cucina, a dopo, tesoro! – concluse la donna prima di uscire.
Samantha, con la stanza ormai sistemata, scese e prese una barretta di cioccolato Hershey’s, il suo preferito. La scartò e, seduta in cucina con l’Iphone in mano, si mise a mangiarla a piccoli pezzi. Quando il campanello suonò, lei si alzò piuttosto scocciata, pronta a cacciare via chiunque fosse stato dall’altra parte. Il contatto con la gente le provocava una specie di chiusura in sé stessa, diventava subito scontrosa, incapace di fidarsi. Certo tutti i tuoi pensieri furono vani.
Aprì la porta e un essere castano la superò prima che lei potesse aprire bocca, entrando prepotentemente in casa.
- Sul serio, perché non urli? – chiese una voce allegra, alquanto strafottente, che proveniva da una faccia fin troppo sorridente.
- Sul serio, perché sei qui? – chiese Sam, spostando il peso su un piede solo e mettendosi una mano sul fianco.
- Ma perché tu non urli! – rispose lui con la voce acuta, allargando le braccia come se la risposta fosse stata più che ovvia.
- Senti se credi di aver davanti una di quelle invasate pazze isteriche delle tue fan.. – “Ce l’hai davanti” pensò nascondendo un sorriso – Ti stai sbagliando – disse invece.
- Se prendo in mano una carota svieni? – disse lui, con un tono che sembrò quasi amichevole. Sam scosse la testa.
- Nessuno può starsene calmo davanti a me. Sono Louis Tomlinson. Louis William Tomlinson – continuò lui, ponendo l’accento sul suo secondo nome.
- Sei credente, Louis? – chiese Sam guardandolo dritto negli occhi azzurri.
- Più o meno, perché? –
- Perché, allora, credi nell’esistenza di Dio. Quindi dovresti essere consapevole che non sei tu. Adesso ho da fare. Grazie e arrivederci – disse Sam risoluta, spostandosi dietro a Louis e iniziando a spingerlo dalle spalle. Lui si voltò di colpo e, così facendo, se la ritrovò addosso. Dovette ammettere a sé stesso che era proprio carina.
- D’accordo, toglierò il disturbo, bellezza. – disse lui, prendendole una mano per fingere un patetico baciamano, prima di dire: - Ma cosa vedo qui?? – alzò il viso sorridendo malizioso.
Samantha perse un colpo. Aveva visto i tagli. Ecco, lo sapeva. Sapeva che prima o poi qualcuno se ne sarebbe accorto. Il tatuaggio non copriva certo tutto. Allargò gli occhi.
- Hai un braccialetto con su il mio nome, vedo. – disse lui, alzando un sopracciglio.
Quell’affermazione salvò Sam dall’attacco di cuore che stava per subire, ma non gliene provocò un altro per poco. Perché diamine non si era tolta i bracciali? Effettivamente portava un bracciale di plastica con le sue iniziali e il nome esteso.
- E’ di una mia amica. Me l’ha dato come porta fortuna, come ricordo di lei mentre sto qua. Non ho mai fatto particolare attenzione al nome che c’è sopra. Mi dispiace. –
Riuscì a spingerlo solo fino alla porta, dopodichè lui si voltò e si appoggiò alla porta. Testardo.
- Ancora?!? – disse esasperata Samantha – Ma te ne vai o no? –
Louis le si avvicinò con il viso, le sorrise e poi le disse: - No. –
Sam riuscì solo ad allargare gli occhi, ancora più esasperata. Se avesse scoperto che ogni suo idolo era così, avrebbe finito per odiare la musica.
- Come ti chiami? –
- Samantha Campbell. …Samantha Marie Eleanor Campbell. – disse, scuotendo la testa. Dire che odiava il suo nome era ben poco.
- E ti devi firmare con tutti quei nomi?? –
Sam si chiese fino a che punto quel ragazzo potesse essere idiota. Con tutte le cose che avrebbe potuto rispondere..
- Sì, William. Ora.. Puoi andare? –
- Oddio, Hershey’s! – urlò emozionato Louis, spostando Samantha per entrare nella sua cucina. Lei strinse i pugni. Cercò di ragionare; allora, in casa “sua” c’era uno dei suoi idoli, forse uno di quelli che amava di più, che appariva con un bimbo giocherellone e simpaticissimo, che in realtà era un antipatico, impertinente, sbruffone rompi palle. E si stava mangiando il suo cioccolato. Che cosa? Stava davvero mangiando il suo cioccolato?
- Louis Tomlinson, non mi interessa se tu sei famoso, potresti anche essere Dio, ma adesso metti giù quel cioccolato e te ne vai, o chiamo la polizia e dico che mi stai molestando. PERCHE’ MI STAI MOLESTANDO – urlò più forte l’ultima parte. – E’ stato un piacere averti qui, anche se in realtà non lo è stato affatto, ma ora puoi andare, grazie della visita, torna presto, cioè non tornare mai più. Addio. – e gli chiuse la porta in faccia.
Lo guardò dal lato a vetri della finestra mentre si allontanava, con le mani in tasca, pensieroso. Sam fu pienamente felice di essersene liberata.

***

Erano appena le due quando Sam salì in camera dopo il pranzo. Piena come un uovo, si buttò sul letto e si mise a pensare.
Sua madre non l’aveva ancora cercata, mancava da quasi 24 ore e soprattutto non era tornata per la notte. Ma lei, niente. Probabilmente era troppo impegnata con il suo uomo di turno. Si chiese come fosse possibile che lei, 17enne, fosse più matura di sua madre, 47enne. Eppure, per quanto sembrasse surreale, era così. Era lei che si prendeva cura della madre, che faceva da mangiare, puliva, stirava e tutto il resto. Per seguire quella madre incosciente, attaccata più all’alcool e al sesso che a lei, aveva persino abbandonato gli studi. E sempre quella stupida madre l’aveva obbligata ad abbandonare tutto e a scappare. Poteva sopportare tanto, gli stupidi capricci di una madre che non incarna il personaggio di donna di mezz’età, le sue urla, come quelle che di solito i figli fanno ai genitori, il sentirla fare le sue stupide porcherie dalla camera in fianco. Aveva sopportato tutto questo per almeno 3 anni, ma quando lei le aveva tirato diversi schiaffi, era stato troppo. Aveva preso le sue poche cose ed era scappata. Stava per diventare adulta, anche se di testa adulta c’era già e non poteva più vivere così. Che sua madre si arrangiasse. Non era una madre, non le doveva nessun rispetto. Sentì lacrime di rabbia pungerle gli occhi e le ricacciò. Poi portò lo sguardo sul suo tatuaggio. Suo padre le mancava così tanto. Ed erano le lacrime di dolore che in quel momento le bagnavano gli occhi. E le lacrime di dolore, si sa, non se ne stanno ferme nemmeno se le leghi.
- Eccoloooooooooooooooooooooooooooo! – urlò di colpo una maledetta voce, sbattendo la porta.
Sam sussultò e assunse una posizione tale da fare in modo di sembrare dura e di nascondere le lacrime.
- Come diamine sei entrato? –
- Guarda che io conosco tua zia, ciccia. – rispose lui sorridendo.
- Non chiamarmi ciccia. – disse lei, scontrosa. Si voltò, dirigendosi alla finestra e approfittandone per asciugarsi gli occhi.
- Uuuuh, come siamo irritabili. – rispose lui e fece dei passi avanti. Sam percepì distintamente la sua presenza poco dietro di lei.
- Perché porti quel bracciale? – continuò Louis, con un tono molto più calmo.
- Per me eri diverso. – Samantha riuscì solo a sentire quello che diceva, senza accorgersene, perché le parole uscirono incontrollabili.
- Diverso come? – le si affiancò Louis.
- Simpatico. Giocherellone. Ingenuo. Forse un po’ sciocco. Ma in senso buono. –
- Ma io sono così. –
- “Perché non urli?” – lo imitò lei
- Dovresti imparare a non stare sempre sulla difensiva. A volte la gente.. Scherza. – disse semplicemente. -Provaci. Se ti servo, abito qua di fronte. –
Samantha si girò verso di lui e annuì, guardandolo dirigersi verso la porta.
- Approposito – si voltò lui di scatto – sei bellissima. – e uscì.
Samantha si buttò, per l’ennesima volta sul letto.
“Oh, certo.” Pensò “Mi piomba in casa, dopo che l’ho già cacciato una volta, il mio unico e vero amore, mi guarda dentro, mi dice cosa devo fare e si congeda dicendomi che sono bellissima. Sicuro. Ma tanto la mia vita fa così schifo che peggiorerà a breve. E poi chi si crede di essere quello. Che cosa vuol dire dovresti imparare a stare sulla difensiva.. Ma chi sei?!? Io qua non ci capisco più niente.”
Si mise a pancia in su e sorrise, un po’ felice per le ultime parole di Louis.









------------------------------------- Olga.
Scusatemi ragazze, davvero. Sta volta non è colpa mia perchè si è rotta
la ventola del pc e il pezzo da cambiare doveva arrivare da inculandia
e quindi è rimasto a riparare un bel po', con dentro i miei capitoli.
Ma adesso ci sono, giuro.
Anywayyy ecco qui il nuovo capitolo, spero che vi piaccia
Louis? Cosa ne pensate di lui? Come vorreste continuasse la storia?
Un grazie a tutte quelle che leggerano questo capitolo nonostante
l'abbia postato dopo due vite dall'ultimo, un bacione, vi adoroooo!
Olga xx

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Il giorno dopo Sam decise che avrebbe fatto meglio ad uscire e farsene un giro. Doveva “esplorare la zona”, se doveva viverci. Lei era così, un posto doveva sentirlo suo. Senza gente intorno, però. Uscì di casa e il freddo pungente di fine novembre la investì, facendole lacrimare gli occhi. Sperò di non incontrare nessuno, voleva stare da sola. Si incamminò nel viale, girando a vuoto, svoltando un angolo sì e uno no, fino a trovarsi in un parco. Varcò il cancello guardandosi intorno: il parco era mezzo vuoto. E sembrava davvero enorme. Scorse una casetta di legno, con l’insegna di bar, che sembrava carina e accogliente. Era già decorata con le ghirlande, nonostante mancasse un mese a Natale. Entrò e un dolce caldo la investì; notò che anche dentro era tutto “vecchio stile”, prevalentemente in legno. Si sedette a un tavolo, dopo essersi tolta sciarpa e giacca. Prese il menù e fece per leggerlo, quando una ragazza, da dietro le disse un forte e allegro:
- Ciao! Vuoi ordinare qualcosa? – le chiesero un paio di occhioni azzurri.
- Una cioccolata con panna, grazie. – rispose Samantha, forzandosi di sorridere. La ragazza si allontanò dopo aver annuito. Le servì la sua cioccolata continuando a sorridere, dietro di lei stava in piedi un’altra ragazza, coi capelli nerissimi.
- Ciaaaaao! Ma sei di qui? – disse la nera, con una voce a dir poco acuta. Sembrava amichevole. Fin troppo, per i gusti di Sam.
- Sì. Cioè, lo sono da adesso. –
- Piaceeeere – disse lei, con vocali troppo lunghe – Io sono April e lei è Rebecca – continuò, porgendole la mano.
A quel gesto, istintivamente Samantha si fece indietro, timorosa di qualsiasi mano le si avvicinasse. Le ragazze la guardarono piuttosto confuse, così lei finse di non avere nulla, sorrise e allungò loro la mano.
- Samantha – disse in un mezzo sorriso.
- Da dove arrivi? – disse la nera, sedendosi di fianco a lei. Samantha constatò come tutti in quel paese fossero troppo amichevoli e impiccioni. Prima Louis che non le si schiodava da casa, però era anche Louis Tomlinson, adesso questa qua.
- Abitavo vicino a Londra. – disse, più per cortesia che per intrattenere una conversazione.
- Come mai ti sei trasferita? – continuò lei, mentre la bionda tentava evidentemente di sparire, imbarazzata dal comportamento dell’amica.
-  E’ complicato. Scusate, devo andare. – disse Sam con un groppo in gola, mettendo i soldi della cioccolata sul tavolo.
April tentò di prenderle un braccio con un “Noo” con un’intonazione che Sam credeva inesistente da quanto era alta, mentre Rebecca bloccava l’amica.
- Hai visto che hai combinato? – sentì dire Samantha da Rebecca.
- Ma io non ho fatto niente, cercavo di essere gentile e amichevole. – rispose April, facendo il labbruccio.
Sam si sentì subito in colpa per essere stata così scortese, ma quelli erano punti troppo deboli. Aveva paura delle persone, aveva paura dei sentimenti, aveva paura di tutto e di tutti. E di certo non era colpa sua.

***

Rientrata a casa, uscita dall’incubo di dover.. Stare con la gente, si ritrovò di nuovo in un incubo. Perché quel ragazzo non aveva intenzione di lasciarla andare? Era seduto al tavolo della casa di Pattie e si girò, facendole un segno di saluto con la testa mentre teneva un biscotto solo coi denti. Era ridicolo. Cioè era meravigliosamente meraviglioso e fantasticamente fantastico. Però era anche ridicolo.
- Fao Famanfa! – farfugliò incurante di tutto ciò che aveva in bocca, con gli occhi illuminati.
- Ciao Tomlinson. – disse, prima di lasciare sul divano la sua borsa e imboccare le scale.
- Samantha! Vieni qui, non essere scortese! – la ammonì sua zia. La nipote le rivolse uno sguardo disperato e d’implorazione, ma lei non si raddolcì, richiamandola di nuovo al tavolo.
Sbuffò scontenta e si avvicinò a Louis, con un finto sorriso.
- Mio caro Louis! Come stai? – chiese, fingendosi cortese.
- Benissimo prima e ora anche meglio, Samantha cara. – rispose lui, portandole una mano sulla coscia. Samantha, sconvolta, fissò a bocca aperta prima la sua faccia, poi la sua mano, poi di nuovo la sua faccia. Cercò aiuto nel viso di Pattie, che però era indaffarata a preparare qualcosa sul bancone della cucina. Con due dita, toccò la mano di Louis in modo quasi schifato e la spostò dalla sua gamba. Rimettendo la mano sulla gamba del proprietario, voltò il polso della mano verso l’alto. Louis sbiancò, boccheggiò e aprì la bocca per parlare, a occhi spalancati, ma poi la richiuse.
Le fece un occhiolino e le mandò un bacio, dicendo, piano:
- Non hai scampo. -. Samantha rimase sconvolta. Cioè, più delle altre volte.
- E’ ora che tu vada, Louis, dobbiamo preparare la cena! – lo fece alzare e lo spinse verso la porta.
- E’ stato un vero piacere – continuò – ma ora è tardi, ti rivorranno anche in casa non credi? Ciao ciao e tanti saluti, un bacione! – lo spinse fuori dalla porta, uscendo anche lei, per poi rientrare e chiuderla. Si appoggiò alla porta dall’interno e sbuffò. Poi riuscì, finalmente, a raggiungere la sua camera.

***

Louis, rientrando in casa, continuò a pensare a ciò che aveva visto. Era certo di aver visto delle cicatrici sui polsi di Samantha, mal nascosti da un tatuaggio con un nome. Ecco perché, quando la volta precedente aveva indicato qualcosa sul suo braccio, prima di dire che intendeva il bracciale, lei era sbiancata. Sentì da dentro che voleva scoprirne di più. In un certo modo lui.. Ci teneva a lei. Cioè, non voleva che stesse male. Non la conosceva, ma era così. Scosse la testa. Il fatto che lei lo rifiutasse e ignorasse così, lo faceva imbestialire. Come si permetteva di dire “Non mi interessa se sei famoso”. Lui era Louis Tomlinson, dannazione. E la voleva. E l’avrebbe avuta. Anche a costo di fingersi qualcun altro.

***

Samantha non era proprio una che seguiva il gossip. Anzi, non lo era per niente. Però evidentemente  April lo faceva. Ed ecco perché ora era sulla sua porta, sventolandole una rivista davanti al naso. E intanto sbraitava qualcosa, eccitata.
- April, April, calmati per favore. Si può sapere cosa fai qui? – chiese lei, piuttosto scocciata ma fingendosi cortese.
- Ho un’amica famosaaaaaaaa!! – strillò quella.
- Oookkkeeeeiii…. E quindi?!? –
- Ma comeee seiii tuuuuu guardati sei sul giornaleeee. –
“Io sua amica? Ma se ci ho parlato una volta” pensò Sam.
Poi prese in giornale in mano; recitava: “Nuova fiamma? Vecchia fiamma? Nella città Natale, Louis Tomlinson trova l’amore?” con stampata enorme la foto di lei e Louis fuori dalla sua casa. Impallidì. Era la foto di quando lei lo aveva spinto fuori da casa ma qualcuno era riuscito a scattare una foto nell’unico momento in cui lei non aveva un atteggiamento scocciato e in cui non lo stava cacciando. Come?
Boccheggiò.
- Dove.. April, cosa.. Da dove.. Com’è.. –
- Esci con Louiiiiiiiiis? – disse April lanciando un urletto.
- Ma no! Veramente mi piomba in casa ogni tipo due ore e mi rompe –
- Che cosa fa? Quindi potrebbe, tipo, arrivare qui adesso? – April spalancò gli occhi – Oddio, non sono in ordine! –
- Non gli aprirò okkei? Comunque, io non c’entro niente, non sono niente se non la vicina di casa di un pazzo montato. –
- Ma lui non è un pazzo.. –
- Fidati, lo è. E’ pazzo, montato, superbo, prima donna, sì proprio prima donna e anche odioso. Anche io la pensavo come te, poi l’ho conosciuto. Non sempre le persone sono ciò che sembrano. – gli occhi di Samantha si rabbuiarono, mentre lei ripensava a quanto sua madre sembrasse disponibile, cortese e soprattutto… Normale, quando non era sotto l’effetto dell’alcool.
- Ehi Sam… tutto bene? – chiese ansiosa April.
- Sì, scusa – disse, come uscita da una trance, in modo fin troppo veloce.
- Beh, ora vado! – annunciò la vocettina stridula ma dolce dell’ospite, capendo che il momento stava diventando non adatto alla sua presenza.
- Ciao April, grazie per la visita. –
L’altra tentennò sulla porta, poi disse: - Se.. Mai ti dovesse servire qualcosa, lo so che non siamo amiche né nulla però… Mi stai simpatica, io ci sono. E mi piacerebbe conoscerti meglio. Ciao, Sam –
Samantha annuì sorridente, sorpresa dalla dolcezza della ragazza. Non la conosceva, eppure le aveva offerto il suo aiuto.

***

Il sole già alto illuminava la stanza di Samantha, che però dormiva beata, sconvolta e stravolta dalla nottata passata a piangere pensando a sua madre. Perché sua madre non era tale? Perché una persona a cui non interessa niente di se stessa dovrebbe pensare di generare una vita di cui dovrebbe interessarsi? Se le interessavano le sporche parti intime di sporchi uomini con sporche vite, buon per lei, ma perché fare soffrire qualcun altro? La odiava. Era così tremendamente brutto da dire, ma odiava sua madre perché lei odiava sua figlia. Solo per odio si può far soffrire tanto una persona. Una persona che era venuta a conoscenza del mondo a 10 anni, quella sera in cui era stata dimenticata alla scuola di danza. Nessuno rispondeva al telefono e Samantha era stata costretta a tornare a casa a piedi. A 10 anni e mezzo, pochi mesi dopo, aveva conosciuto il dolore fisico e la felicità del sangue che ti scorre addosso e gocciola piano. Aveva sempre avuto un qualcosa di ipnotico e ancora oggi Samantha si domandasse se fosse proprio quell’ipnosi a renderla estranea a ciò che si faceva. E, quel che era peggio, è che ne era dovuta uscire da sola. “Nessuno si salva da solo” dice la Mazzantini, ma lei si era salvata da sola. Si era salvata andando in un centro d’aiuto per ragazzi. Si era salvata tenendo stretta la foto di suo padre. Ora, scappata da una persona tanto orribile, si era salvata del tutto e dormiva sonni tranquilli. Fin quando il telefono trillò. “Non ti affacci alla finestra, mio amore?” non potè fare a meno di sorridere, ancora persa nel dormiveglia.
Era troppo debole per essere scontrosa. Anzi, aveva un estremo bisogno di qualcuno.
“Vieni qui, Louis?” digitò. Indugiò sul tasto invio, poi lo fece. In quelle condizioni aveva bisogno di qualcuno da stringere e forse lui non era la persona più adatta, ma era la persona che l’avrebbe resa felice.
Nella casa di fianco, Louis cantava sotto la doccia, cantava dentro per quel messaggio. Se avesse vissuto tutto da fuori, nemmeno lui avrebbe creduto a quanto tre parole l’avevano reso allegro. Arrivò da Samantha in fretta, il tempo di una doccia e di due risvolti ai pantaloni.








------------------------------------- Olga.
Ci sono ragazze! Sta volta non vi ho abbandonate, contente? :)
Avrei voluto davvero aggiornare prima, ma sono stata indaffarata perchè martedì
io e il mio ragazzo abbiamo festeggiato i due anni di fidanzamento (*fa gli occhi a cuoricino*)
Allora, che ne dite di questo nuovo capitolo? Rebecca e April vi piacciono? Spero di sì,
ne avrete per molto anche con loro!
Se vi va recensite e un grazie enorme a tutte quelle che mi seguono
Ciao bellissime xx

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


The best true dream ever.





Louis bussò piano alla porta di Samantha, ricevendo un mugolio in risposta. Aperta la porta, trovò Sam che lo fissava imbacuccata nelle lenzuola, che lo guardava mezza imbronciata e mezza imbarazzata. Lui stava per dire qualcosa, ma lei di colpo si alzò e si affrettò ad abbracciarlo. Per conforto, per tristezza, per bisogno, perché le andava. Perché infondo lei lo amava da circa tre anni e perciò quello di abbracciarlo era sempre stato il suo sogno. Inalò tutto il suo meraviglioso profumo, incastrandogli la testa tra spalla e collo, mentre lui chiudeva piano le braccia intorno a lei. Se lo immaginò con gli occhi azzurri spalancati e confuso e le venne da sorridere. Poi, lentamente, lo lasciò andare e lo ringraziò con uno sguardo. Lei notò che lui, guardandola dall’alto, era impercettibilmente arrossito e si chiese il perché. Una specie di corrente le sfiorò i polpacci e solo lì si rese conto di essere vestita a metà. Lei diventò di fuoco, perché di arrossire impercettibilmente e in modo fine e carino non se ne parlava, e gli chiese scusa mille volte prima di ritrovare i pantaloni che nell’agitazione del sonno si era levata. Lui non rispose neanche perché non doveva proprio chiedergli scusa, anzi. Lui doveva ringraziare lei.
- E quindi? – cominciò lui.
- Cosa, Louis? –
- Cosa.. Perché mi hai chiamato – disse il ragazzo, osservandola dagli occhi cristallini.
- Io.. Così. Volevo darti qualche falsa speranza che ti potessi cercare. –
- Ed è per questo che mi sei saltata addosso quando sono entrato? –
- Io non ti sono.. – cominciò a dire nervosa lei, prima di accorgersi che lui stava ridendo e che, perciò, la stava solo prendendo in giro.
Poi lei sbuffò e riprese: - Senti. Avevo bisogno di un abbraccio che non fosse di mia zia. E tu sei il mio vicino di casa e quindi ci avresti messo poco. –
- Solo questo? Davvero? –
- Sì, solo questo. – disse lei, abbassando gli occhi.
Lo sguardo di lui si spense.
- Avrei voluto una risposta del tipo “avevo bisogno di te perché sei tu” e non perché era il suo vicino. Sarebbe anche andato bene un “volevo vederti”. Oppure, e sarebbe stata la cosa migliore, avresti potuto dirmi il reale motivo per cui mi hai scritto. –
- Non c’è un altro reale motivo. – sbottò lei, allontanandosi e mettendosi sulla difensiva.
- Non importa – rispose Louis, mettendole un braccio sulle spalle e baciandole la testa.
- Non mi baciare. –
- Non volevi affetto? –
- Volevo un abbraccio. Non mi baciare. – disse seria solo a metà Sam, mentre agitava la testa per evitare il contatto con la bocca di Louis.
- Come vuoi tu. Però ti abbraccio ancora. – disse lui e nel farlo ruotò il viso della ragazza, mettendo in luce i suoi occhi. Notò con dispiacere che erano gonfi, doveva aver pianto a lungo, forse senza dormire, perciò la sdraiò sul letto, la coprì e si sedette di fianco a lei, accarezzandole i capelli e accompagnandola nel sonno. Samantha si scoprì a non reagire al tocco di lui, si trovò posseduta dai suoi movimenti e non riuscì ad opporre resistenza, accorgendosi della calma che le carezze del ragazzo le infondevano. E poi successe. Il sogno della vita di qualunque ragazza che amasse i One Direction si avverò: Louis cominciò a intonare Little Things. Una Little Things ancora più dolce del solito, una Little Things che restava perfetta anche con solo la sua voce. Se non fosse stata mezza addormentata, probabilmente si sarebbe messa a saltare sul letto urlando e piangendo, tipo concerto, ma il sonno si era ormai impossessato di lei e decise d rimanere solo ad ascoltare, accogliendo felicemente il tuffo al cuore quando lui pronunciò “I’m in love with you and all your little things” immaginandosi che, per una volta, quel “you” era proprio lei, che non era Zayn che dal video la guardava negli occhi, ma che era un vero Louis che, seduto di fianco a lei, le accarezzava i capelli e le cantava dolci parole. E anche se l’innamoramento non era davvero tale, le vennero le lacrime di felicità a sentirselo dire. Quello fu il primo ti amo che le dissero; almeno in teoria, visto che Louis non le pronunciava col cuore. Stava per addormentarsi quando lui si alzò; evidentemente pensava che lei dormisse. Louis si alzò e si avvicinò di più alla scrivania, dove c’erano poche foto di lei e un uomo, probabilmente il padre. Si chiese perché lei stesse con sua zia, perché solo da qualche giorni, perché era così aggressiva, perché, a parte quel momento, aveva quasi temuto qualsiasi contatto fisico, perché portasse i braccialetti col suo nome ma negasse con tutte le forze di essere sua fan, quasi fosse stato un delitto. Si fece tante domande su quella ragazza, avvolta da un alone di mistero che lo affascinava tanto da non fargli temere di risolverlo. Si avvicinò un’ultima volta a lei e si chinò a baciarle una guancia, pericolosamente vicino alle labbra, come a cercare quel particolare contatto. Samantha, che continuava a fingere di dormire, dovette trattenersi dal sobbalzare a quel contatto, che per chiunque non avrebbe significato nulla ma che per lei poteva dire tutto. Poi lo sentì chiudere la porta e sorrise.

***

Louis entrò in casa e si affrettò al bagno, dove riempì di acqua calda la vasca e poi ci si buttò dentro, dopo essersi chiuso a chiave. Lui non era così. Lui non era il tipo di ragazzo che si metteva ad accarezzare i capelli a una ragazza, o che correva da lei in cinque minuti quando lei, mentre era ancora in pigiama, gli chiedeva di andare da lei. Lui non era il tipo che baciava tristemente una ragazza all’angolo della bocca. Non ce ne era bisogno. Anzi, al massimo lui doveva fermare le ragazze dal baciarlo. Lui non si preoccupava di qualcuna che stava male. Non poteva farlo. Se si fosse fermato a pensare a ogni ragazza che stava male, soprattutto se per colpa sua, non ce l’avrebbe fatta a restare sano e ad avere una carriera da cantante. Non baciava i capelli a una semplice ragazza che, sì, era carina, poteva anche piacergli, ma e quindi? Non era niente e niente restava. Si buttò un po’ d’acqua in faccia, facendo ondeggiare e fuoriuscire un po’ d’acqua dall’enorme vasca. Soprattutto. Lui non era, più di tutto, il ragazzo che cantava le canzoni del suo gruppo a una conosciuta qualche giorno prima, tipo serenata, solo perché le trovava gli occhi gonfi. Non era uno stupido sentimentale. Non era sensibile. Non era buono. O, meglio, non lo era più.






------------------------------------- Olga.
Bleah. Che schifo. Un bambino avrebbe potuto scrivere un capitolo più lungo, direte.
Solo che, sapete, a volte ti senti che un capitolo deve finire così. E quindi lo fai finire così.
Mi perdonerete? Se mi avete perdonata dopo che sono temporaneamente morta lo farete anche questa volta.
Spero.
Vi preeeeeeeeeeeeeeego *occhioni dolci*
ANYWAY. La storia prosegue e forse cominciamo a farci strada tra tutto quello che sarà, che è stato.
Fatemi sapere se questa schifezza vi è piaciuta o meno, un bacione enoooooooooooooorme
Olga xx

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