Hello Sanity

di CharlotteisnotReal__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


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Prologo

 

September, 1992.

Era una calda giornata autunnale in California e per i ragazzi della Poway High School, una città nella contea di San Diego, i corsi erano iniziati da tempo, tranne che per Thomas Matthew DeLonge il quale a scuola ci era stato sì e no una decina di volte e di lezioni, non contando le volte che veniva mandato fuori classe o in presidenza, ne aveva seguite ancor di meno.
Quel giorno il ragazzo si era svegliato stranamente presto ed in casa, al suo risveglio, non vi aveva trovato nessuno. I suoi genitori dovevano esser corsi a lavoro molto presto, la sorella, Kari, sicuramente si trovava già a scuola, mentre suo fratello Shon era da giorni che non si faceva vedere. Quella solitudine, da lui tanto beata, mise Thomas di buonumore tanto che decise di prender parte ai corsi, quel giorno.
Dopo una veloce colazione aveva preso il suo skate ed era volato a scuola, non tanto perché consapevole del ritardo, ma più per il fatto che gli piacesse andare sullo skate a tutta velocità, incurante di potersi far male con solo una brutta caduta.
Thomas non passò neanche in segreteria, a ritirare il suo permesso di entrata. Una volta entrato nell’edificio si diresse subito nell’aula di scienze, conscio che lì, seduto in ultima fila, avrebbe trovato il suo amico Mark Hoppus ad aspettarlo. Proprio come immaginava, una volta aperta la porta di quella stanza i suoi compagni lo salutarono in coro e, primo fra tutti, fu proprio il suo amico Mark, sotto l’occhio truce della signora Jenckins.
«Signor DeLonge, le sembra questo il modo di entrare in classe, mentre i suoi compagni svolgono lezione?». Sbottò con suo solito fare arrogante la docente di scienze. «Oh, le sono mancato, vedo». Sorrise sghembo lui, irritando ancor più di quanto la sua sola presenza già facesse, l’insegnante. «Si vada a sedere, DeLonge». Sospirò poi, rassegnata all’idea che il ragazzo non sarebbe mai cambiato. «So che mi ama, Jenckins». La stuzzicò ulteriormente lui. «Non mi provochi, DeLonge! Dovrebbe solo ringraziarmi per non averle fatto ripetere l’anno!». Sbottò lei, puntandogli il suo indice accusatore contro. «Anche lei non è niente male, faremmo scintille insieme!». Continuò, imperterrito, lui mimando un “argh” malizioso con tanto di morso all’aria. Dovette trattenersi dallo scoppiare a riderle in faccia, quando la docente divenne paonazza dalla rabbia e ruppe il gessetto che teneva stretto fra le mani, riducendolo in polvere. Il ragazzo, allora, si andò a sedere in fondo, accanto all’amico, trascinandosi dietro la sua tavola da skate. «Bentornato, amico!- Gli sorrise Mark, stringendogli la mano e battendogli poi un pugno- Come mai da queste parti?». Continuò, sorpreso di veder il biondo fra i banchi di scuola. «Oh, beh. Sai com’è- fece vago lui- Un re non può star troppo tempo lontano dal suo regno!». Ironizzò, pavoneggiandosi. Mark rise, alla battuta del biondo, tornando ad appuntare la lezione sul suo malconcio quaderno, non era una cima in quella materia e di certo non voleva rischiare una “F” già ad inizio anno. Thomas, per quanto poco gli interessasse il suo andamento scolastico, si stravaccò più che poté sulla scomoda sedia e, prendendo dalla tasca il suo walkman fece ripartire la sua cassetta da dove il giorno prima l’aveva interrotta, in attesa che la campanella suonasse.
Da quando era arrivato Thomas non aveva fatto altro che salutare amici, conoscenti e compagni di corsi che gli davano il bentornato; perfino le cheerleader erano felici di rivederlo, nonostante il ragazzo avesse provato più e più volte ad entrare nel loro spogliatoio, ma con scarsi risultati, erano lì, pronte a fargli le feste, come un cane al loro padrone. Era proprio con due cheerleader che Mark e Thomas, si stavano trattenendo in mensa, nel disperato tentativo di abbordarle. Purtroppo per loro, le due non erano minimante interessate ai modi da menefreghisti in fase di ribellione dei due ragazzi, erano più portate per lo spettegolare senza mai una sosta.
«Hai sentito? Pare che Ugly Agh sia tornata in città!». Esclamò la bionda. «La figlia del pastore? –domandò di rimando l’amica- Oddio, non ci voglio credere!». Gridò agitando le mani. «Sì, Karen ha visto il padre scaricare le sue valigie dalla macchina, questa mattina!». Tornò a dire la bionda, accavallando le gambe. «Chi è tornato?». Domandò confuso Thomas, portando un suo braccio attorno alle spalle della mora. «Ugly Agh, la figlia del pastore Edwards». Rispose, portando una mano sulla gamba del ragazzo. «Parli di Agatha, la sua ex vicina di casa?». Domandò allora Mark, facendo riferimento al fatto che Tom abitasse proprio accanto agli Edwards. «Sì, esatto. Proprio lei!- Rispose la bionda- Ci sarà da divertirsi!».
Thomas cercò di ricorda chi fosse quella ragazza di cui le due atlete stessero parlando, ma niente, di lei non ricordava nulla.
Agatha era da poco arrivata, che subito i ricordi d’infanzia l’avevano travolta: Ugly Agh, così la chiamavano. Prima di trasferirsi a Bristol, dagli zii, lì a Poway era sempre stata presa in giro, fin da quando era sol che una bimba. Rispetto alle sue coetanee, all’epoca, era più pienotta e robusta e sul suo viso i segni dell’acne erano comparsi prima del previsto, rendendola così soggetta a derisioni continue, fino ad arrivare ad esser soprannominata “Ugly Agh”.
Agatha da allora era cambiata, e si domandava se qualcuno si ricordasse di lei, o anche solo di chi fosse stata prima. La ragazza, però, non si ricordava di niente e di nessuno, se non delle prese in giro e dei pianti che aveva soffocato sul suo cuscino a causa di queste. Adesso, Agatha non era più Ugly Agh, quel ricordo se lo era lasciata alle spalle il giorni in cui era partita alla volta dell’Inghilterra e, a differenza di quando aveva solo undici anni, la sua pelle ora non era più ricoperta di acne, ma liscia e morbida, quasi quanto quella di un bambino, l’apparecchio era scomparso e i kili di troppo, con tempo li aveva persi, trovando il suo giusto peso forma.
Quella sera aveva appena finito di sistemare tutte le sue cose in camera sua ed era stanca, sia per la pesante giornata che per la tarda ora, così, si affacciò alla finestra, in cerca della pace fra le stelle. Agatha amava osservare il cielo, la faceva sognare. Purtroppo per lei, però, la finestra di camera sua dava di fronte alla casa accanto alla loro, così, al posto della lucente luna la ragazza si ritrovò di fronte due natiche bianche e sode, appartenenti al suo vicino di casa. Quasi non urlò per lo spavento e sussultò quando il ragazzo, si girò e si accorse che lei era lì ad osservarlo. Il biondo era nudo, completamente nudo ed incurante di ciò, fisso la ragazza, facendo sì che il viso le si dipingesse di rosso per l’imbarazzo, mentre sul suo un sorriso sghembo e divertito prendeva vita.
Quella ragazza ebbe una reazione così spropositata che Thomas, una volta datagli le spalle, scoppio in una fragorosa risata e, ancor più divertito, si batte una pacca sul fondoschiena sicuro che la ragazza fosse ancora lì, scioccata ad osservarlo.  




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"Aveva preso il suo skate ed era volato a scuola"
 


  

Charlie’s:
Salve a tutti!
Forse mi conoscerete per via di alcune mie fan fiction sugli One Direcion, ma sicuramente non è così, quindi piacere, Carlotta. :)
Ad esser sincera, ora non so perché me ne salto fuori con una fan fiction sulla mia band preferita, ho sempre scritto sugli One Direction, quindi ritrovarmi con personaggi del tutto differenti come Tom e Mark mi fa uno strano effetto, ma son determinata a portare avanti questa storia! :D
Spero che l’inizio vi abbia incuriosite, infondo è soltanto il Prologo e la storia prenderà vita coi capitoli a venire. Nel frattempo vi anticipo subito che il prossimo capitolo saranno più lunghi più, in genere scrivo sempre prologhi corti, non vi preoccupate.
Fatemi sapere cosa ne pensate, ci terrei molto.
A presto, Carlotta. :) 

Crediti per il banner a: whiteoak

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


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Capitolo uno

 

Quello per Agatha sarebbe stato il primo giorno di scuola, nella Poway High School e la ragazza era alquanto nervosa. Era arrivata fino al cancello di entrata e, fortunatamente, pareva che nessuno si fosse accorto di lei, quando sentì un peso poggiato sulle sue spalle. Si accorse, fin troppo imbarazza, che quel braccio apparteneva al suo vicino di casa, lo stesso ragazzo che la sera precedente aveva fatto con così tanta naturalezza sfoggio delle sue nudità. «Ehilà, guardona!». La salutò Thomas, mostrando lo stesso sorrisino sghembo, della sera prima. Un sorriso che Agatha avrebbe presto imparato ad odiare. «Non sono una guardona, sei tu un maniaco!». Rispose a tono lei, scostando il braccio del biondo. «Va bene, guardona. Io sono Tom, comunque». Rispose lui, tornando a cingerle le spalle col braccio, questa volta Agatha non lo scostò, intuiva che il ragazzo l’avrebbe rimesso dove voleva che stesse. «Agatha». Rispose. «Sì, so chi sei. –Si affrettò a spiegare lui- Qui non si parla d’altro che di Ugly Agh e del suo ritorno». Sorrise sornione. «Fantastico». Sbuffò lei, sarcastica. Si domandava come, dopo cinque anni, le persone non avessero ancora smesso di parlare di lei, e deriderla. «E non hai idea di quante chiacchiere quando sapranno che sei la ragazza di DeLonge». La provocò lui. «E chi sarebbe questo DeLonge?». Domandò spaesata lei. «Io». Rispose sorridente il ragazzo. «Neanche per sogno!». Sbottò la bionda, sfuggendo dalla sua presa e avanzando, a passo spedito, verso l’edificio.
 
La ragazza dovette passare in segreteria a ritirare l’orario dei corsi e la piantina della scuola, e quando ebbe quei fogli fra le mani maledì se stessa e la sua malsana decisione di tornare a casa dai suoi genitori. Chi glielo aveva fatto fare? Infondo, a Bristol lei stava bene. I suoi zii erano come due genitori per lei, aveva avuto un ragazzo, aveva amici ed un’ottima media scolastica. Certo, i suoi le mancavano, ma si disse che avrebbe potuto aspettare ancora un anno, finire gli studi in Inghilterra e poi tornare a casa. Invece no, ora si trovava in una mediocre scuola americana ed alla prima ora avrebbe avuto educazione fisica, ed Agatha odiava con tutta se stessa quella materia. Era un inutile perdita di tempo e di energie e in più aveva da poco fatto colazione, sicuramente avrebbe rimesso tutto a lezione finita.
Sì diresse riluttante verso quella che, secondo la cartina datagli, doveva esser la palestra. Rispetto agli standard cui era abituata non era male: era pulita, spaziosa e ariosa.
Alla porta trovò ad attenderla una signora ben piazzata sulla quarantina d’anni circa. «Tu saresti?». Chiese la donna, scrutando l’esile figura di Agatha dalla testa ai piedi. «Agatha Edwards, quella nuova». Rispose la ragazza, sentendosi in soggezione. La donna ancora la scrutava dall’alto della sua figura quando, portandosi con una mano i corti capelli rosso acceso dietro la testa, le gridò: «Cosa ci fai ancora qui? Corri a cambiarti!». La ragazza sobbalzò e, intimorita, rispose con un sussurro. «E’ il mio primo giorno e non ho la divisa». La donna emise come un grugnito, prima di indicare alla ragazza lo spogliatoio maschile. «Lì dentro c’è un armadio blu, vedi se riesci a trovare qualcosa». E così detto andò a sistemare l’attrezzatura che sarebbe servita per la lezione. La ragazza fece come detto, si diresse verso lo spogliatoio maschile e, quando aprì la porta, quasi non le venne un colpo.
Agatha pensò dovesse trattarsi di una punizione divina per un qualche peccato commesso in una vita precedente, quando vide le natiche sode del suo vicino di casa sventolarle davanti agli occhi, per la seconda volta. Nella stanza le risate dei suoi nuovi compagni rimbombavano assolute, mentre Thomas li intratteneva con una ridicola danza propiziatoria. Quando i ragazzi la videro, Agatha quasi non arrossì e Thomas, non accortosi della presenza della ragazza, ancora ancheggiava a spasmi, imitando un cowboy che agita il lazo. Qualcuno accennò un colpo di tosse, così Thomas dovette interrompersi e, girandosi verso i compagni, si accorse della bionda. Agatha sentì le guance andarle a fuoco, mentre Thomas, scendendo dalla panchina, le si mise di fronte, completamente nudo. «Allora vedi che se proprio una guardona?». La schernì, gonfiando il petto e sfoggiando uno dei suoi sorrisi sghembi migliore. «Non è colpa mia se ti diverti a fare il nudista!».Rispose a tono lei, gonfiando le guancie e sorpassandolo per raggiungere l’armadio blu dal quale estrasse fuori una maglietta sporca ed un pantaloncino malconcio.
 
Agatha aveva detto di non saper giocare a pallavolo, aveva avvertito sia le suo compagne che la sua insegnate, ma loro non le avevano dato retta così adesso si ritrovava in infermeria, con la testa che le pulsava per il colpo subito ed una sconosciuta a farle compagnia. «Wow, ti sei ripresa. E’ stata una bella botta!». Le sorrise la mora seduta al suo fianco. «Dannazione, mi fa male la testa!». Imprecò la ragazza, mettendosi seduta. «Immagino, mi spiace». Sussurrò la mora, chinando il capo. «Di niente. –Le sorrise Agatha- Ma tu chi sei?». Le domandò. «Karen Raynor, colei che ti ha colpita con una schiacciata, piacere». Ironizzò la ragazza, alzandosi e andandole incontro per porgendole la mano. «Agatha Edwards». Agatha strinse la sua mano a quella di Karen, sorridendo alla sua carnefice. «Sei tu Ugly Agh, giusto?». Le domandò con gentilezza la mora. «Sì, ma preferirei esser solo Agatha». Rispose la ragazza con un che di supplichevole nei verdi occhi. «Solo Agatha». Acconsentì Karen, strizzandole l’occhio e sfoggiando un caloroso sorriso, al quale la ragazzanon poté far a meno che sorridere di rimando.
Agatha si alzò dalla branda dell’infermeria e, stiracchiandosi le ossa, chiese: «Che ora è adesso?». La mora alzò lo sguardo verso l’orologio appeso sopra le loro teste.  «Tecnicamente è ora di pranzo, hai dormito parecchio».Così dicendo porse i vestiti alla ragazza, che cominciò a spogliarsi dei malconci vestiti prestatile dall’insegnante, mostrando un corpo perfetto e sinuoso. Karen si chiese come quella ragazza così bella potesse esser stata un tempo Ugly Agh, la figlia cicciottella del pastore Edwards, ma decise di mordersi la lingua, ed evitare domande inopportune.
 
Una volta entrate in mensa Agatha aveva potuto appurare che Karen fosse una ragazza desiderata a scuola, per via degli sguardi ammaliati che gli studenti le riservavano. Di certo non fu sorpresa di quello, Karen possedeva dei lineamenti incisi, una folta chioma corvina e due splendidi occhi da cerbiatta. Ed era intelligente, gentile ed attraente, naturale che facesse colpo. Purtroppo per lei, la sua nuova amica era anche la sorella di Scott Raynor, batterista di una nuova band formatasi a scuola, i Blink; band della quale Thomas Matthew DeLonge faceva parte come chitarrista.
Quel giorno Karen decise di sedere a tavolo con il fratello, per far conoscere ad Agatha i suoi amici ma, disgraziatamente, la bionda si ritrovò seduta proprio accanto al suo vicino di casa.
Thomas, Mark e Scott non si erano ancora accorti delle due ragazze, troppo intenti a parlottare fra di loro, fino a quando Karen non si sedette accanto al fratello, lasciando che il suo vassoio cadesse sul tavolo e provocasse un tonfo violento che attirò l’attenzione dei tre. «Ragazzi, lei è Agatha!». Sorrise sorniona, presentando ai suoi amici la ragazza di fronte a sé. Agatha non fece in tempo ad arrossire che subito si ritrovò ad un palmo dal naso il ghigno divertito di Thomas. «Ehilà guardona!». Thomas irritò la ragazza come solo lui sapeva fare, tanto che quasi rischiò uno schiaffo tanto erano tirati i suoi nervi.
«Mi sorprende il fatto che tu indossi dei vestiti, sai?». Rispose pungente, nonostante la voglia di schiaffeggiarlo ardesse dentro di lei. Thomas scoppiò in una fragorosa risata e, prima che potesse aprir bocca, Karen lo precedette. «Voi due vi conoscete?». Domandò, indicando prima l’uno e poi l’altra. «Certamente! E’ la mia ragazza». Rispose malizioso lui, cingendo le spalle di Agatha con un braccio ed avvicinandola a sé. «Andiamo, DeLonge è impossibile! –Disse una voce alle spalle del ragazzo- E’ troppo carina per stare con uno come te!». A parlare era stato Mark Hoppus, migliore amico di Thomas e cotta segreta di Karen. «Oh, mio caro Mark. Sarà, eppure lei è partita per me, non è vero guardona?». Domandò rivolgendosi alla ragazza. «Primo, non sono una guardona. –Disse divincolandosi dalla presa del ragazzo- Secondo, non sono la ragazza di nessuno. Terzo, mai e poi mai potrebbe piacermi un idiota del tuo calibro!». Esclamò poi, alquanto sgarbatamente.
«Bella e dotata di artigli, hai visto Tom? E’ troppo per uno come te –Schernì l’amico- Piacere, Mark». Sorrise poi alla ragazza, porgendole la mano. «Agatha». Sorrise lei, stringendogliela. «Io sono Scott». Si presentò il ragazzo accanto a Karen. «Mio fratello». Si affrettò a chiarire la mora, con un che di riluttante nel tono di voce utilizzato. «Beh, di cosa stavate parlando Donkey?». Chiese poi, al fratello.
«In pratica non abbiam nulla da fare questo fine settimana». Sintetizzò Mark, precedendo l’amico che avrebbe messo impiegato gli anni a rispondere. «E allora, che problema c’è? Venite tutti a dormire da noi, nostro padre e fuori città per lavoro. Donkey non ve lo ha detto?». Esclamò piccata Karen. «Cazzo, è vero! Me ne sono completamente dimenticato!». Imprecò Scott. «Per voi ragazzi va bene se vi fermate da noi?». Domandò poi. «Non ci sono problemi, amico!». Rispose battendogli la mano Thomas. «E magari proviamo anche!». Esclamò Mark. «Tu vieni a farmi compagnia, Agatha?». Le chiese dolcemente Karen. «Non saprei, io…». Balbettò titubante la bionda. «Tom dormirà nella cuccia del cane!». Esclamò Karen, pensando che questo bastasse a convincere la bionda.
«Va bene, verrò». In realtà Agatha non sapeva quanto quella di accettare potesse essersi rivelata una buona idea, ma si convinse che si sarebbe divertita. Infondo Karen era simpatica.



 

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«Va bene, verrò»

 


Charlie’s:

Primo, chiedo UMILMENTE scusa per la scarsa qualità del capitolo.
Il fatto è che proprio ho la testa da un’altra parte e secondo, perdonatemi ancora per il capitolo per nulla soddisfacente! D:
Sinceramente ho appena concluso una mia storia e son tanto in depressione –lol- e non saprei che dire sul capitolo quindi colgo lo squarcio di angolo autrice per ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente.
Grazie mille di cuore, sono felice che la storia vi piaccia e spero non verrete deluse da questo inizio storia!
P.S.:Al capitolo precedente ho aggiunto la gif di Tom che per problemi tecnici con TinyPic non avevo messo :)

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Capitolo 3
*** Capitolo due. ***


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  Capitolo due

 
Agatha era distratta. Non ascoltava la professoressa spiegare la lezione, ne prestava troppa attenzione a ciò che accadeva fuori dalla finestra, semplicemente era assorta nei suoi pensieri. 
Come aveva potuto constatare era avanti con il programma di quasi tutte le materie ed altro non poteva fare che annoiarsi in classe e ripassare i suoi vecchi appunti.
Proprio quando provò ad aprire il suo quaderno di fisica un qualcosa le colpì il naso; prese l'oggetto in mano, ed una volta accortasi che si trattava di un bigliettino, e non di una semplice palla di carta, lo aprì e lesse.
"Che pigiama hai intenzione di indossare stasera, guardona? Spero sia un qualcosa di sexy perché non vedo l'ora ;)
La ragazza non aveva bisogno di nessuna firma per capire chi fosse il mittente di quel messaggio, una sfacciataggine così poco pudica ed un nomignolo a quei livelli di stupidità potevano esser attribuiti solamente ad una persona: Thomas Matthew DeLonge.
Agatha si girò alla sua destra, direzione dalla quale il messaggio le era arrivato e, come immaginato, Thomas era lì, stravaccato sulla sedia, che le salutava con la manina sfoggiando il suo solito ghigno.
Sotto gli occhi maliziosi del ragazzo, Agatha strappò il foglio, per poi abbandonarne i resti nel cestino, una volta finita l’ora.
 
Era corsa via dall'aula, prima ancora che la professoressa avesse salutato i ragazzi, e con altrettanta velocità era scappata in corridoio, mischiandosi fra la folla e rendendosi  così irriconoscibile agli occhi di Thomas.
Purtroppo per lei la voce del ritorno di Ugly Agh si era sparsa in tutto l'istituto, e nessuno studente voleva farsi scappare l'occasione di poterlo constatare con i proprio occhi, così Agatha si era ritrovata ad esser il centro dell'attenzione dell’intero corpo studentesco.
A causa di tutta quegli sguardi molesti Agatha non si era accorta dell'amica che le camminava affianco, e quasi non urlò dallo spavento quando Karen la salutò. «Buongiorno, Agh! Passato bene le prime due ore?».Le domandò sarcastica la mora. «Un vero e proprio inferno. Sono reduce da una lezione di fisica insieme a DeLonge, ti ho detto tutto!».Sbottò irritata la bionda. «Fammi indovinare... - Prese parola Karen - Ti ha chiesto che intimo indossi?».Azzardò poi.
«No, ma ci sei andata vicina. - Rispose la bionda- Mi ha chiesto se il pigiama che indosserò stasera sarà sexy».Disse, facendo scoppiare in una fragorosa risata Karen, contagiandola a sua volta. 
Così, scherzando e ridendo le due ragazze si lasciarono, tornando ognuna alla propria lezione.
 
«Ciao!».Una voce squillante le perforò le orecchie, e quando alzò lo sguardo vide, di fronte a lei, due ragazze che indossavano solo una misera divisa che poco lasciava all’immaginazione. Erano cheerleader, Agatha le odiava. Odiava il loro esser categoricamente oche, il fatto che frequentassero sempre uno sportivo all'ultimo anno ed odiava anche il loro ancheggiare a ritmo di stupide rime di incitamento.
«Piacere, Cynthia!». Sorrise falsamente la bionda dalla chioma folta e riccia. «Agatha».Rispose freddamente lei. «Io sono Lauren!».Sorrise, giuliva, la seconda ragazza. Questa portava dei lunghi capelli castani che, a differenza di quelli corti dell'amica, erano lisci come degli spaghetti. Entrambe erano di una bellezza indescrivibile, ma se sul viso di Cynthia la furbizia era come stampata, su quello di Lauren Agatha non ci vedeva altro che ingenuità.
«Beh, come mai sei qui, tutta sola?».Domandò la bionda, prendendo a giocare con una ciocca dei suoi capelli e rendendola ancor più ondulata di quanto già non fosse. «Sto aspettando un'amica».Rispose vaga la ragazza; tutto quel l'interesse nei suoi confronti la insospettiva.
«Allora nel frattempo puoi sempre chiacchierare con noi!».Esclamò con tono squillante la mora. «Se non ho altrimenti...».Sussurrò Agatha, quasi impercettibilmente, ma non sfuggendo alle tesissime orecchie di Cynthia York. «Se ti disturba la nostra compagnia possiamo anche andarcene. - Sputò con finta indifferenza la riccia- Volevamo semplicemente fare amicizia. E magari sapere come il brutto anatroccolo sia potuto sbocciare e diventare uno splendido cigno...».Svelò poi, le sue vere intenzioni.
Quelle due erano affamate di gossip ed Agatha non era di certo intenzionata a colmare il loro appetito, aveva di meglio da fare. Come aspettare che i suoi quasi “amici” uscissero da scuola.
La ragazza era calata in un tombale silenzio, al che le due atlete si videro costrette ad accampar per aria le più bizzarre ipotesi.
«Liposuzione?». Domandò, invadente la mora, spezzando quel silenzio che cominciava a statale stretto. «Digiuno?».Provò allora la bionda, quando poi, colte dallo stupore, esclamarono insieme: «Anoressia!».
 
Prima che Agatha potesse risponderle per le rime, e mandare al diavolo la buona reputazione degli Edwards, Karen venne in suo soccorso, scacciando in malo modo le due atlete. «Sloggiate, arpie!».
Le ragazze non se lo fecero ripete e subito se ne andarono, lasciando il posto a Karen. «Ma che diavolo volevano?».Domandò la mora, sistemandosi meglio lo zaino sulle spalle. «Sapere come Ugly Agh "il brutto anatroccolo - Disse citando le parole della bionda- sia potuta sbocciare e diventare un cigno"».Scoppiò a ridere Agatha, pensando a quanto stupide potessero esser quelle due.
Karen non si unì a quella risata, si sentì in colpa. Infondo, anche lei si poneva quella domanda sin da quando aveva visto il pastore Edwards scaricare le valigie della ragazza dalla macchina ed Agatha aiutarlo a portarle in casa, giorni prima.
«Cos'hai?».Le domandò premurosa Agatha, vedendo la preoccupazione negli occhi dell'amica. 
Karen non seppe cosa rispondere, la dolcezza di quella ragazza era un qualcosa di indescrivibile e non voleva ferirla o urtarla. «Beh, ecco io... -Balbettò incerta, non trovando le parole adatte- Ecco, anche io mi chiedevo la stessa cosa».Ammise poi a capo chino, incapace di sostenere lo sguardo della bionda. Contrariamente ad ogni sua aspettativa Agatha scoppiò in un ulteriore risata, che lasciò sconcertata la mora e, come se la cosa non la turbasse, appagò anche la sua curiosità. «Crescita. –Sorrise sorniona- Semplicemente la pubertà mi ha portato fortuna».Sorrise ancora, mentre Karen sprofondava nell'imbarazzo e in una grassa risata.
«Ed io che credevo fossi rivolta ad un qualche rito vudù!».Ironizzò poi la mora, scacciando l'iniziale imbarazzo che aveva provato. Le due ragzze scoppiarono a ridere, come fossero amiche di vecchia data. Era strano come quelle due, poco più che conoscenti, si sentissero a proprio agio l'una con l'altra e quanto potessero essere in sintonia. 
«Cosa avete da ridere così tanto, voi due?».Domandò Scott, andando incontro alla sorella. «Cose da donne, mio caro Donkey. Roba che un ciuco come te non potrebbe capire».Sorrise la ragazza, schernendo il fratello. 
Scott non rispose alle velate provocazioni della sorella, ormai si era abituato a maltrattamenti del genere, semplicemente poco gli importava. 
Sin da quando erano bambini Karen aveva sempre visto il fratello minore come un essere insignificante e stupido, fino a che, alla tenera età di quindici anni non gli attribuì l'appellativo di ciuco, per poi passare ad uno più simpatico, come Donkey.
 
«Ehilà, Scotty!».Salutò Thomas, scompigliando i capelli del giovane. «Bella, Tom!».Sorrise di rimando lui. Thomas si affianco ad Agatha, infastidita alquanto dalla sua presenza e, come se nulla fosse, le posò un bacio sulla guancia, portandole poi un braccio dietro le spalle. «Ciao anche a te, guardona!».
Automaticamente le guance della ragazza si colorarono di un porpora acceso, per l'imbarazzo, mentre dentro di se era fuori dalla rabbia.
«Per l'ennesima volta, non sono una guardona e tutta questa confidenza non so chi te l'abbia mai data!».Sputò acida, gonfiando le guance come una bambina.
Thomas scoppiò a ridere alla vista della buffa espressione della ragazza, per poi tornar serio e dedicarsi alla sua merendina.
Agatha sbuffò, vedendo che il ragazzo aveva preferito cibarsi con una mano sola, piuttosto che sciogliere la presa sulle sue spalle.
«Scotty, hai notato che Lauren Williams non ti toglie gli occhi di dosso?».Esclamò d'un tratto Thomas, con un che di malizioso.
A quelle parole Karen sbiancò, girandosi ad osservare il gruppo più popolare della scuola e constatando ciò che il biondo aveva detto. Lauren Williams non solo teneva la sguardo fisso su di suo fratello, ma osava anche mangiarselo con gli occhi ed il ragazzino pareva apprezzare ciò perché le occhiate che le riservava avevan poco di casto.
«Quella sgualdrina avrà presto poco da guardare, perché se non la smette di provarci con il mio fratellino la disintegro!».Esclamò adirata Karen, alzandosi dal suo posto e dirigendosi a passo spedito dalla mora.
La ragazza, per quanto ritenesse il fratello privo di intelligenza e buon senso, era sempre stata un tipo protettivo nei suoi confronti proprio perché riteneva che avesse bisogno di una guida e di una persona capace al suo fianco, non una stupida sciacquetta che altro non sapeva fare se non agitare il sedere in contemporanea coi pom-pon.
 
«Ehi, tu!- Disse indicando la malcapitata Lauren - Se solo ti azzardi a puntare i tuoi artigli su di mio fratello io ti...». La ragazza non aveva fatto in tempo a finire la frase che subito Mark si era precipitato a tapparle la bocca e sollevarla di peso.
Fortunatamente, il ragazzo aveva visto il terrore dipinto negli occhi della Williams ed aveva deciso di risparmiarle ferite e lividi visto che conosceva Karen e sapeva quanto male potesse fare, se istigata per bene. 
«Mark! Mettimi giù! -Sbraitò infuriata la ragazza- Ti ho detto di lasciarmi subito, dannazione!». Imprecò anche, prima di toccar il suolo coi piedi.
«Ti vuoi calmare?».Le domandò pacifico Mark, poggiandole le mani sulle spalle.
A quel contatto Karen ebbe un brivido e le guance le andarono a fuoco. Erano soli, Mark l'aveva portata fuori, nell'angolo più remoto del giardino ed ora erano a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altra, all'ombra di un grande albero.
«La Williams ha messo gli occhi su Scott...».Sospirò poi la ragazza, sentendo il sangue ribollirle nelle vene. Il ragazzo le carezzo dolcemente una guancia; «È tu stavi per commettere un omicidi per difendere la purezza del tuo caro fratellino?».La schernì lui, non perdendo però quel che di dolce, tipico degli Hoppus.
«Esattamente!».Sorrise lei, stranamente calma.
Mark aveva quello strano effetto sulla ragazza, era in grado di influenzarla con così poco e questa era una delle maggior paure di Karen, visti i suoi sentimenti nei confronti del ragazzo. Era cotta di lui sin dai tempi delle medie, ma mai aveva avuto il coraggio di dichiararsi e da troppo portava il peso di quel fardello.
«Senti, Mark, io...».Era sul punto di dichiararsi, di rivelare il suo amore al ragazzo quando lui la interruppe. «Karen, adesso fai un bel respiro e torniamo a casa».Karen fece come Mark le aveva detto, prese un grosso respiro ed insieme, mano nella mano, tornarono dai loro amici.
Un pensiero fisso, però, torturava la mente della giovane: per quanto ancora avrebbe dovuto nascondere i suoi sentimenti?
 
 

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«Sloggiate, arpie!».

 
 

Charlie's:
Oooooooookay. 
Eccoci qui già al secondo capitolo!
Come avrete potuto constatare quella scuola è una gabbia di matti, e la nostra crew di Bad Boii è messa ancor peggio del resto del corpo studentesco! lol
Tom pare sia stato realmente rapito dagli alieni, Mark sembra vivere in un mondo popolato da My Little Pony tutti queer ed arcobalenosi (?) – ecco spiegato il perché del basso rosa-. Agh è la dolcezza in persona, tranne con Tom. L'unico che sia mai venuto a contatto con il suo lato acido, mentre i due Raynor li lascio commentare a voi, anche perché devo ancora inquadrarli bene anche io. :,D
Ah, a tal proposito tengo a precisare che a Scott è stato abbonato un anno in più, giusto per permettergli di frequentare la scuola con la sorella ed i compagni di band, e che Karen è frutto della mia immaginazione. Non so se i Raynor abbiano avuto altri figli oltre a Scott e tantomeno so se esiste una potenziale sorella maggiore di nome Karen. Il suo personaggio mi serviva per alcuni fini nella storia, ecco perché di questa aggiunta. :)
Mentre le due cheerleader, Cynthia York e Lauren Williams, sono un omaggio a Taylor e Hayley dei Paramore, ispirate a Marti e Savanna del telefilm “Hellcats”. (Rispettivamente Aly Michalka e Ashley Tisdale) :) 
Beh, che altro potrei dire? Credo nulla, solo fatemi sapere che ne pensate del capitolo e dei momenti "Marken" (se avete un nome migliore da shippare si accettano suggerimenti! lol).
So che vi aspettavate il capitolo del pigiama party dai Raynor, ma poi ho pensato a questa splendida coppia e non ho resistito a scriver di loro! **
A presto, un bacio!
Carlotta. :)

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Capitolo 4
*** Capitolo tre. ***


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Capitolo tre

 
Sebbene il signor Edwards fosse contrario all’idea che sua figlia dormisse a casa altrui, in presenza di ben tre ragazzi, acconsentì. Conosceva i signori  Raynor ed aveva una rispettabilissima opinione di loro. Certo, il sapere che non sarebbero stati presenti non lo tranquillizzava affatto, ma aveva avuto modo di intrattenersi con Karen ed aveva potuto appurare che, a differenza del giovane fratello, era una ragazza responsabile ed affidabile. Era felice che lei e sua figlia avessero stretto amicizia, più che altro era felice che la sua amata Agatha si stesse ambientando a Poway.
«Papà, sono le sei, Karen dovrebbe esser qui a momenti». Sorrise allegra Agatha, entrando in cucina. «Sai bene cosa devi fare». Disse solo il Pastore, fiducioso di lei. «Non bere alcolici, non fumare, non star fuori oltre alla mezzanotte e soprattutto non perdere la mia purezza. - Rispose calma la ragazza, come se ripetere quelle ormai medesime regole, fosse per lei naturale - Andrà tutto…». Agatha non fece in tempo a tranquillizzare il padre che l’assordante rumore di clacson, proveniente dal suo giardino, la interruppe scatenando il panico in lei.
Allarmata si precipitò fuori dall’abitazione e quasi non cadde dallo stupore quando, parcheggiata sul suo vialetto, vide unaCitroen XM, a calpestare che aiuole che la madre curava con così tanta premura. Alla guida di essa Thomas DeLonge, sfoggiava il suo più pungente sorriso.
 «Ehi, guardona!». Gridò Thomas, sbracciandosi dalla macchina per farsi vedere, come se a neanche tre metri di distanza ce ne fosse bisogno. «Tom, ma che ci fai qui?! Fa’ silenzio!». Lo rimproverò la ragazza, gesticolando come un ossessa, paonazza in volto dalla rabbia.
«Guarda, guarda. –Disse il signor Edwards, poggiato allo stipite della porta- Thomas Matthew DeLonge… Da quant’è che non ci vediamo?». Domandò, tagliente, al ragazzo. «Credo dal sermone di domenica scorsa, signore». Mentì il ragazzo, grattandosi il capo per l’evidente imbarazzo. L’uomo scoppiò in una risata, e fortunatamente per i due giovani, parve abbonirsi. «Oh, ragazzo mio. Chi credo di prendere in giro, l’ultima volta che ti ho visto pregare il signore avrai avuto sì e no nove anni». Sorrise poi, comprensivo. «Spero, però, di vederti domani. Magari potresti accompagnarlo tu, Agh». Chiese poi alla ragazza che, di risposta, gli riservò un’occhiata così gelida da tener testa al Polo Nord .
«Senz’altro, Pastore Edwards!». Sorrise ebete Thomas, prima di accogliere la ragazza nella macchina dei signori Raynor, diretti verso la loro abitazione, quattro isolati più avanti.
 
«Si può sapere che diamine ti è saltato in mente?!». Sbraitò contro Thomas, Agatha, entrando varcando la soglia della porta. «Che cosa avrei fatto questa volta?». Domandò stridulo il ragazzo, in sua difesa. «Sei venuto a prendermi, ecco cosa!». Sbottò acida lei, dimenticandosi delle buone maniere e gettandosi a peso morto sul divano. «O ti venivo a prendere o aiutavo i ragazzi a sistemare gli strumenti e Karen a preparare la cena. Ho scelto l’opzione meno impegnativa… O così credevo». Borbottò poi, fra sé e sé, non sfuggendo però alle orecchie di Agatha che, in preda ad una crisi di nervi, emise un urlo stridulo, spaventando Karen, in cucina che, reoccupata, accorse dai due.
«Cosa sono tutte queste urla in casa mia?». La ragazza fece il suo trionfale ingresso in salotto con tanto di grembiulino, braccia conserte e mestolo in mano. «Per colpa sua mio padre vuole che domani io lo porti al suo sermone con me, tutto perché il signorino non si è neanche degnato di scendere dalla macchina e bussare alla porta. Ha preferito parcheggiarsi sul mio prato e suonare il clacson come un perfetto energumeno!». Urlò decisamente furiosa la bionda, ormai vicina ad una crisi isterica. «Ma io…». Provò a ribellarsi il ragazzo, ma fu prontamente interrotto da Karen che, sovrapponendosi fra i due li divise con una leggera spinta. «Niente “ma”, DeLonge! Va’ dagli altri che qui ci penso io».
Il ragazzo non ribatté alle parole dell’amica e si diresse in garage, a testa china, pronto a suonare la sua amatissima ed usurata chitarra, lasciandosi alle spalle il brutto episodio.
 
«Grazie per avermi aiutata». Disse Karen, infornando il pollo ed impostando la cottura a 180°. «Di niente. Mi piace cucinare e soprattutto mi rilassa». Rispose pacata lei, alludendo palesemente alla piccola discussione avuta con Thomas poche ore prima. «Ecco, a proposito… - Cominciò la mora sedendosi al modesto tavolo della cucina di casa sua, rivolgendosi ad Agatha – Devi scusare Tom. Non lo fa apposta è che proprio manca di tatto e di buone maniere, a volte, ma ti assicuro che è la persona più buona di questo mondo. Sempre tralasciando il suo egocentrismo». Concluse sarcastica Karen, strappando un sorriso anche alla bionda, che parve addolcirsi alle parole della ragazza. «Sì, solo che è troppo da mandar giù tutto quell’esser pieno di sé». Sorrise, scoppiando a ridere lei, contagiando irrimediabilmente la mora, che si lasciò andare ad una rumorosa risate.
Tutte quelle risa e la fame che cominciava a farsi largo negli stomaci dei neo-musicisti, li avevan attirati in cucina. Mark senza pronunciar parola si gettò di fronte al forno, per vedere a che punto fosse la loro cena, mentre il piccolo Scott addentava famelico uno dei sandwich che la sorella aveva preparato ai ragazzi. «Mark, è inutile che stai lì impalato, non è che fissandolo il pollo cuoce prima». Lo schernì il più piccolo dei fratelli Raynor, finendo in un sol boccone il suo spuntino. «Taci, Scotty! Non ci vedo più dalla fame…». Lo mise a tacere il ragazzo. Karen, udendo i lamenti dello stomaco del moro gli allungo un sandwich e quando le loro mani si sfiorarono la ragazza non poté far a meno di arrossire. «Grazie, Ran». Gli sorrise caloroso, mentre le guancie pian piano le sbollivano.

L’ unico ad aver mantenuto il silenzio da quando aveva varcato la porta della cucina era Thomas; non avrebbe potuto sostenere ancora lo sguardo di Agatha e tantomeno aveva il coraggio di alzar gli occhi dal pavimento. Agatha si era accorta di ciò e, leggendo pentimento nell’innaturale silenzio del biondo si sentì alquanto in colpa. Silenziosa la ragazza si alzò dalla sedia ed andò incontro al pentito Thomas. «Tom, possiamo parlare un attimo?». Domandò in tutta calma, mostrando l’espressione più docile che potesse inscenare. «Ahia, prevedo guai!». Esclamò inopportuno il giovane Scott, rimediando così uno scappellotto in pieno collo dalla sorella, che prontamente lo rimproverò. «Sta’ zitto, Donkey! Stupido di un fratello!». I ragazzi scoppiarono a ridere a quella scena, e Thomas ne approfittò, avvicinandosi silenziosamente all’orecchio di Agatha e sussurrandovi un flebile “andiamo di là”. Sperando che gli amici non li avessero notati, i due ragazzi si allontanarono dalla cucina, andandosi a rifugiare in garage, dove gli strumenti giacevano a riposo.

Silenzioso, Thomas prese in mano la sua chitarra, la mise a tracolla e prese a pizzicare le corde, creando un gracchiante rumore che infastidì le orecchie della ragazza. Agatha, non seppe cosa dire, avrebbe voluto dirgli tante cose, prima fra tutte gli doveva delle scuse, eppure le parole non volevano uscire. «Senti, Tom, io…». Provò allora la bionda, ma il ragazzo la precedette, mettendola a tacere. «No, prima io. – Disse con lo sguardo fisso sulle corde del suo strumento, che mano a mano che accordava prendeva ad aver un suono sempre più dolce- Hai ragione, sono stato uno stupido con te, dal primo giorno. Avrei voluto chiederti scusa prima per questo, ma pensavo ci avrei guadagnato solo una cinquina stampata in viso». Ammise poi, scusandosi con la ragazza, che rimase a bocca aperta per lo stupore, quando il ragazzo impuntò i suoi occhi scuri in quelli chiari di lei. «Scuse accettate, ad una condizione però… - Sorrise la ragazza alzando l’indice a puntare l’alto, mentre il ragazzo parve sbiancare- Tu devi accettare lei mie! Mi son comportata male con te, e non avrei dovuto. Spero noi possiam ricominciare tutto da capo». Concluse tendendo la mano verso Thomas, il quale l’afferrò prontamente. Agatha sorrise felice, finalmente avevano trovato un compromesso, una tregua che gli permettesse di dar inizio alla loro amicizia, senza battibecchi continui. La ragazza si guardò intorno, incuriosita da tutta quella strumentazione, per poi andarsi a sedere alla postazione del fratello della sua amica. «Oh, Scotty non ne sarà felice». Disse Thomas, alludendo a quando il giovane Raynor fosse geloso e possessivo della sua batteria. Agatha non gli diede retta, prese in mano le bacchette e prese a picchiare qua e là i vari piatti e tamburi, senza un filo musicale. Vedendo quanto poco la ragazza fosse portata, Thomas la fermò, prendendole di mano le bacchette e salvaguardando quel poco di udito rimastogli.  «Ehi, Ringo Starr, che ne dici di darci un taglio con quel fracasso e provare con questa?». Le domandò indicandole la chitarra che ancora portava a tracolla. «Perché invece non mi fai sentire di cosa sei capace tu, Jhon Lennon?». Domandò, prendendolo in giro a sua volta. Thomas acconsentì con un cenno del capo, per poi prender la sedia più vicina e sedervi. «Attenta, questo è Frank Navetta, guardona». Sorrise pieno di sé il ragazzo, mostrando quel suo solito ghigno al quale i nervi di Agatha non sapevano resistere.
Fortunatamente la ragazza si trattenne, si erano appena ripromessi una convivenza civile, e lei non poteva mandare tutto all’aria per un istinto primordiale,come quello assassino, ma la sua resistenza venne messa a dura prova quando il ragazzo cominciò a suonare.

L’assordante rumore, proveniente dall’amplificatore, procurò ad Agatha un dolore lancinante alle orecchie, che cominciarono a fischiarle. Esasperata staccò la spina dal generatore, provocando il disappunto del ragazzo. «Ehi! Perché l’hai spento?». Domandò confuso Thomas. «Perdonami, ma tutto quel fracasso mi stava facendo esplodere la testa». Spiegò la ragazza, porgendo la spina che ancora teneva il mano, al ragazzo. «Quel “fracasso” sono i Descendents e dovrai imparare ad amarli se vuoi continuare ad esser la mia ragazza, guardona». Disse il ragazzo, abbandonando tutta la povera strumentazione a terra. «Ancora con questa storia? Io non sono la tua ragazza e non sono una guardona». Rispose a tono la ragazza, mettendo il broncio e gonfiando infantilmente le guance. «Dipende dai punti di vista». Disse solo il ragazzo, circondando le spalle della ragazza con un braccio e scoppiando a ridere, coinvolgendola.
«Ehi, voi due, piccioncini! –Li richiamò Karen da fuori la serranda- Il pollo si sta raffreddando ed il film comincia fra soli venti minuti! Sappiate che non ho intenzione di perdermi l’inizio per colpa vostra!». I due giovani, alle minacce poco velate della loro amica, scoppiarono a ridere come matti, ricordando tanto due buoni amici di vecchia data.


 

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"quando le loro mani si sfiorarono la ragazza non poté far a meno di arrossire"

 

Charlie's:
Eccomi qui, finalmente ho aggiornato! :)
Ragazze, scusatemi veramente per il ritardo, ma ho avuto due settimane che non potete immaginare!

Chiedo ancora scusa per il ritardo e passo subito al capitolo: 
Come avrete visto anche questa terza parte della storia non ha mancato  -anche se minimo- di un momento "Marken" e, udite udite ho finalmente trovato una prestavolto degna del nostro Mark Allan, che interpreti Karen! :) (Phoebie Tonkin)
Bene, ora credo che vi lascierò in pace.
 
Fatemi sapere che ne pensante della storia ora che ci stiamo avvicinando al "vivo" e sopratutto datemi un vostro parere su questa tregua fra Tom ed Agh.
Che dite, li preferivate litigiosi o grandi amici come ora?
La risposta che mi darete segnerà una svolta irrimediabile alla storia, quindi tengo anche al vostro parere. :)

Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo e chi segue la storia, grazie infinite!
A presto, Carlotta. 

P.S.: Scusate gli eventuali errori, ma non ho avuto il tempo di riguardare bene il capitolo. :) 

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro. ***


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Capitolo quattro
 

Quella mattina il sole era alto nel cielo limpido, e batteva impertinente alla finestra, pizzicando lievemente gli occhi serrati di Agatha, che ancora dormiva beata.
La sera precedente non aveva chiuso occhio. Il film che Karen aveva tanto desiderato vedere si era rivelato un cruento horror, poco digeribile alla sua sensibilità, e quando finalmente la ragazza era riuscita a tranquillizzarsi gli schiamazzi della band, che giocava a poker, le avevan impedito di riposare, ragion per cui ancora non si era svegliata.
Agatha era sempre stata una ragazza mattiniera, una di quelle persone che la domenica mattina adoravano ammirare l’alba anziché dormire fino a tardo mattino, ragion per cui quasi non le venne un colpo quando, infastidita dai raggi solari, aveva socchiuso gli occhi notando il tardo orario. La sveglia sul comodino di Karen segnava le 10:40, mancavano solo venti minuti alla messa del padre e non osava immaginare cosa sarebbe potuto accadere se lei e Thomas fossero arrivati in ritardo.
Prese dalla sedia accanto alla scrivania e corse giù per le scale, raggiungendo Thomas in salotto.
Il ragazzo dormiva tranquillo, stravaccato sul divano e coperto solo da un leggero lenzuolo, aggrovigliato a varie parti del suo corpo. La testa era poggiata ad un bracciolo, sorretta da un suo braccio, mentre l’altro penzolava versa il pavimento. Quando Agatha lo vide non poté far a meno di arrossire, notando il leggero rigonfiamento all’altezza del suo bacino, sporger dal lenzuolo, imbarazzata decise così di svegliarlo. «Thomas». Provò a chiamarlo, ma il ragazzo non la sentì, anzi, parve quasi russare. «Thomas, sveglia». Gli sussurrò dolcemente all’orecchio, ma il massimo che ottenne fu un gutturale grugnito. Esasperata, Agatha, capì che con la dolcezza, da Thomas, non si otteneva nulla –né da addormentato, né da sveglio- così opto per le maniere forti.
Prese le gambe del ragazza spalancate sullo schienale del divano e, tirandole da esse, lo trascinò a terra provocando un sordo tonfo.
«Ma che cazz..?». Imprecò Thomas, ancora spaesato, massaggiandosi la testa dolorante e mettendosi a sedere. «Dolcezza, ma che ore sono?». Domandò ad Agatha che, paonazza in viso, faticava a mantenere il contatto visivo con lui.
Thomas era nudo, completamente. Sotto il lenzuolo bianco, rimasto sul divano, non portava nulla e questo provocò un immenso imbarazzo nella bionda.
«Sono le undici meno venti… Maniaco!». Esclamò poi, lanciandogli un cuscino per coprirsi.
Thomas, ancora poco lucido, faticò a capire il perché di tutta quella scontrosità da parte della ragazza, ma quando intercettò il suo sguardo gli fu facile comprendere. «Allora ti diverti a fare la guardona!». Esclamò divertito, coprendosi con il cuscino lanciatogli poco prima dalla ragazza.
Agatha arrossì di colpo, colta in flagrante. «Non è che sei tu che ci tieni così tanto a farti veder nudo da me?». Domandò tagliente la ragazza, ritrovando la sua acidità. «Quando ammetterai che ti piace ciò che vedi?». Chiese sarcastico lui, raccattando i suoi vestiti da terra. Agatha non volle sentir una parola di più, così salì in bagno per prepararsi.
 
Agatha e Thomas correvano, correvano come non mai anche consci di esser ormai in ritardo. «Corri, Thomas! Corri!». Lo incitò la ragazza, cinque passi avanti lui. «Aspettami, Agh!». Gridò lui dietro di lei, senza fiato per la corsa. «Avanti, ci siamo quasi!». L’incoraggiò la ragazza, vedendo in lontananza la piccola chiesa di cui il padre faceva da Pastore.
I due ragazzi correvano come matti, per quella distesa verde, scorciatoia che Agatha aveva trovato quand’era bambina e tardava al sermone del padre.
«Aspetta, non ce la faccio più!». Esclamò Thomas correndo più veloce cercando di raggiungere Agatha, che rideva spensierata, correndo lungo quella distesa d’erba. Il ragazzo l’ebbe quasi raggiunta, quando inciampò su di una radice di un albero lì vicino e cadde a terra.
Quando Agatha non sentì più i passi pesanti del ragazzo dietro di lei si fermò di colpo e, quando una volta girata lo vide a terra, scoppio in una fragorosa risata. Ancora ridendo gli porse una mano, ma quando Thomas la tirò giù con sé fu lui a scoppiar a ridere. «Lo trovi così divertente?». Domandò scocciata lei. «Perché, tu no?». Rispose ridendo sotto i baffi il ragazzo, rialzandosi e tirandola su per un braccio. Agatha, aiutata dai movimenti bruschi del ragazzo finì contro il suo petto, e Thomas ne approfittò per stringer la sua presa sulle spalle di lei. «Ah, si vede proprio che sei la mia ragazza!». Sospirò divertito lui, incamminandosi verso la cappella che si era fatta pian piano più vicina. «Idiota!». Esclamò lei, lasciandogli un buffetto sul collo.
 
«Vedo che siete arrivati in ritardo». Li rimproverò il signor Edwards. La messa era finita da un pezzo ed i ragazzi avevan fatto in tempo ad assistervi solo a metà. Il Pastore aveva trattenuto i ragazzi non tanto per rimproverarli, ma per presentare Thomas alla sua consorte. «Perdonaci, papà. E’ che questa notte non abbiam chiuso occhio!». Si giustificò Agatha, in parte sincera. Lei non era riuscita a dormire, ma Thomas era rimasto alzato tutta la notte a bere e giocare a carte.
«Tranquilla, piccola mia. L’importante e che non vi siate intrattenuti con alcol- disse riluttante, annusando Thomas- e… Erba». Concluse, inspirando un’altra boccata del profumo del ragazzo.
Agatha non ne rimase del tutto sorpresa, non conosceva bene Thomas ed i suoi amici, ma aveva intuito che personaggi fossero. Thomas, invece, era rimasto scioccato dalla perspicacia del signor Edwards. Lo credeva un uomo di chiesa, chiuso e bigotto, non un uomo di mondo così informato.
Sotto pressione, il ragazzo si lasciò scappare un risolino teso. «Oh, rilassati, figliuolo. Son stato ragazzo anche io e son consapevole del fatto che non saranno le prediche a portarti sulla retta via». Gli sorrise comprensivo. «Grazie, Pastore».
Agatha era rimasta scioccata dal comportamento del padre. Sebbene fosse rimasta lontana da lui per molto tempo, avevano avuto modo di tenersi in contatto e lo conosceva bene, tanto da credere che –sotto sotto- Thomas gli andava a genio.
«George». Lo salutò una donna, dall’aspetto giovane, gli occhi chiari ed i capelli scuri; la madre di Agatha. «Ciao, mamma!». La salutò la ragazza, abbracciandola. «Oh, Maggie! Guarda un po’ chi è in compagnia di Agatha». Esclamò l’uomo, riferendosi a Thomas, alquanto imbarazzato.
«Oh, Thomas, ciao! E’ tanto che non ci si vede, come stai?». Gli sorrise la donna, abbracciandosi al marito. «Già, per esser vicini di casa è parecchio tempo, ma sto bene, grazie». Rispose un po’ imbarazzato, nascondendosi quasi dietro ad Agatha.
La ragazza aveva percepito la tensione, da parte di Thomas, così decise che sarebbe stato meglio andarsene. «Mamma, papà. Scusate, ma dobbiamo proprio andare. Scott e Karen ci aspettano per pranzo, ci vediamo questo pomeriggio?». Domandò umile e rispettosa. «Va bene». Disse il padre acconsentendo. «Ma facciamo anche questa sera, okay?». Lo interruppe la moglie, più permissiva nei confronti della ragazza. «Grazie, mamma». La ringraziò Agatha, e, salutando i ragazzi uscirono dalla parrocchia, correndo di nuovo per quella verde scorciatoia.
«Sono carini insieme, non trovi?». Domandò Margaret al marito che, in risposta, borbottò qualcosa di incomprensibile, che la moglie prese come un tormentato sì.
 
Karen si era svegliata presto, quella mattina, quando la sveglia sul suo comodino segnava le undici appena passate. Era strano, per lei, abituata a dormire fino al primo pomeriggio, ma non ci fece caso e, incapace di dormir ancora, scese in cucina per mangiar qualcosa.
Sgranocchiava tranquilla i suoi cereali, quando un suono duro e plettrato provenire dal garage. Incurante del fatto che indossasse solo l’intimo ed una larga maglietta slabbrata uscì di casa con ancora in mano la sua tazza di latte e, passando sull’erba appena bagnata coi piedi nudi aprì la serranda semi aperta del box, trovando dentro Mark con in pugno il suo basso.
«Ehi». Sorrise lui, vedendola. «Ehi». Ricambiò la mora, sorridendo appena quando le guancie le si tinsero di un leggero rosa. «Cosa ci fai qui, tutto solo?». Domandò la ragazza sedendosi sulla prima sedia libera che trovò. «Provo a suonar qualcosa, ma mi viene difficile». Sospirò mal incuorato lui. «Perché?». Chiese spaesata lei, prendendo una cucchiaiata di cereali dal suo latte. «Mi manca l’ispirazione». Rispose desolato.
La ragazza parve pensarci su, ma poi esclamò: «Suona per me». Mark rimase un po’ spaesato, non sapeva dove, con quelle parole la ragazza volesse parare, ma acconsentì, annuendo soltanto.
«Bene, prova a pensare a me, e a che tipo di suono più assomiglio». Esclamò, addentando un altro po’ di cereali. Il ragazzo provò a seguir il suo consiglio e cominciò a muover le dita su e giù fra le corde del suo basso. Ogni tanto, s’inceppava e bloccava proprio quando credeva di esserci quasi riuscito. «Mettimi in musica». Sussurrò incoraggiante Karen, sfoggiando uno dei suoi più bei sorrisi. Fu proprio quel sorriso che Mark suonò, facendo cantare il suo strumento come solo lui sapeva fare. Aveva trovato la melodia giusta, da incastrare col pezzo giusto e non vedeva l’ora di farlo sentire a Tom.
«Grazie, Karen». La ringraziò il ragazzo, poggiando il suo strumento a terra e correndo ad abbracciarla. «Di niente, Sid vicious». Sorrise lei, stringendosi di più al corpo di lui ed inspirandone l’odore. «Grazie mille, Karen. Sei una vera amica». Già, amica…

 

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«E… Erba».
 

Charlie’s:
EXCUSER MOII, MON CHERIEEE!
Un mese per aggiornare, faccio schifo a me stessa lol
Non ho avuto ispirazione, è vero, però oggi mi sono messa di impegno e all’alba delle nove riesco ad aggiornare! :D
Beh, sul capitolo posso dire:
“AVETE VISTO QUALE GRANDISSIMO PEZZO DI MANZO INTERPRETA IL PASTORE EDWARDS?”
Okay, sicuramente pochi di voi lo conosceranno, ma lui è Gibbs –cioè Mark Harmon- di “NCIS” e mia cotta over 50 :3 AHAH
Oltre a questa parentesi, quando dolci sono Marken? ** Boh, non so voi, ma io li adoro. :)
E questo odio e amore fra Agatha e Tom? AHAH non saprei che dire!
Bene, ora scappo!
Fatemi sapere cosa ne pensate, a presto.
Carlotta! ❤
 

P.S.:NON ho riletto il capitolo, quindi se trovate errori/ripetizioni/balle varie scusatemi in anticipo!

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque. ***


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Capitolo cinque.

 
 
«Signorina Edwards!». La richiamò esasperata la signora Moore, che ormai degli irrispettosi alunni ne aveva fin sopra i capelli. «Mi scusi, professoressa». Rispose Agatha, chinando il capo in segno di pentimento. «Me ne faccio un baffo delle tue scuse, è tutta la lezione che non fa altro che infastidire il signor DeLonge!». Sbraitò l’anziana e paffuta signora, con le vene del collo talmente tirate, che la ragazza credeva –sperava- sarebbero esplose. Ma, per quanto educata potesse esser la ragazza, proprio le ingiustizie non poteva sopportare, così si ritrovò a risponder velatamente per le rime all’insegnante di filosofia. «Con tutto il dovuto rispetto, Msr Moore, non crede che dovrebbe rivedere meglio la sua precedente affermazione, in quanto Thomas per primo continua a stuzzicarmi dall’inizio della lezione?».
Thomas, che da dietro la ragazza aveva assistito alla scena, non poté far a meno di ridere, all’incosciente coraggio della ragazza, del tutto ignara di come l’insegnante avrebbe potuto punire la sua arroganza. «Bene, ne ho abbastanza di voi! Edwards, DeLonge in presidenza!». Thomas non se lo fece ripeter, che subito era balzato in piedi ed ora, accanto ad Agatha, le porgeva una mano. «Ah, non vedevo l’ora lo dicesse! Ne avevo abbastanza delle sue grida… Tu che dici guardona, andiamo a farci un giro?». Domandò sprizzante il ragazzo, sfoggiando uno dei suoi tipici sorrisi sghembi. «Con molto piacere!». Affermò la ragazza, accettando la mano di lui ed uscendo dall’aula, sotto lo sguardo scioccato dei suoi compagni ed affrontando, a testa alta, lo sguardo severo dell’ingiusta signora Moore.
«Ah, non vedevo l’ora di potermene andare!». Esclamò Thomas stiracchiandosi e camminando a passo lento lungo il corridoio della scuola, diretto verso l’uscita. «Ehi! Dove pensi di andare?». Domandò Agatha, ancorandosi al suo braccio ed impedendogli di poter fare ancor solo un passo. «Me ne vado, perché?». Rispose spaesato il ragazzo, notando il viso fin troppo contratto della ragazza. «Perché? Tu non vai da nessuna parte, ora mi segui in presidenza e spieghiamo a Mr. Smith che si è trattato solo di un mal’inteso e che è tutta colpa tua!». Esclamò la bionda, prendendo per mano Thomas e tirandolo in sua direzione. «Non se ne parla proprio! –Esclamò- Non andrò proprio da nessuna parte e tantomeno a costituirmi!». Esagerò come suo solito il biondo, strattonando la mano dalla presa della ragazza, liberandosene. «Ma se sei stato tu ad iniziare, lanciandomi quelle fastidiosissime palline di carta!». Ribatté Agatha, ormai gridando, forse fin troppo dato che aveva nuovamente attirato l’attenzione della professoressa, che alle grida dei due era subito corsa fuori dall’aula. «Edwards, DeLonge! Cosa ci fate ancora qua, correte subito in presidenza!». Urlò, così tanto che la voce le cedette a metà frase.
Agatha rivolse un’occhiata spaventata a Thomas, il quale le rivolse un veloce sorriso rassicurante prima di filarsela a gambe levate, sfuggendo dalla signora Moore, che aveva abbandonato l’aula pur di spedirlo dal preside. «A dopo, guardona! Devo scappare, ci vediamo!».
 
La ragazza era subito andata in presidenza, seguita dalla signora Moore, la quale in quel momento sedeva accanto a lei, di fronte all’imponente scrivania del signor Smith. Era la prima volta che Agatha lo incontrava e sperava di non doverlo mai fare, o almeno non in quella situazione. Thomas, Mark, Scott gli avevano raccontato di quanto fosse severo e crudele con i suoi alunni ed addirittura Karen, che poco aveva a che fare con le marachelle di suo fratello e dei suoi amici, aveva potuto constatare ciò. Il preside era dritto in piedi, mostrando la sua possente figura di su per giù due metri e camminava, portando un piede davanti all’altro, avanti e indietro dietro la sua scrivania annuendo impercettibilmente alle parole della signora Moore, che ne stava raccontando di ogni sul conto dei due ragazza. Agatha trovava ingiusto tutto quello, lei non era proprio tipo da bravate, al contrario di Thomas, che di certo si meritava le cattiverie che l’insegnante stava malignamente portando alle orecchie del signor Smith.
«Bene, la ringrazio Msr. Moore. Ora potrebbe lasciarmi solo con la signorina Edwards?». Interruppe la gracchiante parlantina dell’insegnante, sovrastandola con la sua voce calda e grave. La donna annuì silenziosamente, scomparendo dalla stanza. L’uomo, che avrà avuto all’incirca una quarantina di anni, si sedette sulla poltrona in pelle nere, appena più scura della sua carnagione e fisso i suoi altrettanto scuri occhi in quelli chiari e contrastanti della bionda.
«Signorina Edwards, non credo le ne sia a conoscenza, ma io e suo padre abbiamo avuto un’ottimo rapporto di amicizia in passato e tutt’ora ne riconosco l’educazione e la rispettabilità della famiglia-cominciò minaccioso, spaventando non poco la ragazza che di fronte a lui risultava ancor più minuta di quanto già non fosse- pertanto non credo ad una sola parola detta nei suoi confronti dalla signora Moore». Concluse, sorridendo caldamente alla ragazza che si sentì sollevata. «La ringrazio, preside Smith». Sorrise educata la ragazza. «Si figuri. Nella scuola, purtroppo, l’insegnante è conosciuta per la sua spropositata cattiveria, ed a giudicare dai suoi voti mi risulterebbe impossibile da credere che la studentessa migliore dell’istituto sia capace di tutto ciò che è uscito dalle labbra della signora Moore». Agatha sorrise impercettibilmente, ricredendosi sul preside. Non era come lo avevano descritto, anzi, per quanto potesse incutere paura, Agatha era certa si trattasse di un uomo buono d’animo. «Però… -Esclamò d’un tratto l’uomo, facendosi si che Agatha s’irrigidisse nuovamente sul posto- Ciò non si può dire anche del signor DeLonge. Credo sappiamo entrambi quanto poco disciplinato sia e non mi stupirei del fatto che sia realmente scappato dall’istituto. E se così fosse mi ritroverei costretto ad espellerlo…». Agatha a quelle parole non si trattenne. «No! –Gridò, scusandosi subito dopo- Volevo dire, Tom non è scappato. Son sicura si trovi a scuola e son pronta a garantire per lui». Esclamò convincente la ragazza, alzandosi dal posto e porgendo la mano all’uomo di fronte a lei. «Se me lo garantisce lei…». Disse stringendo possentemente la mano della ragazza il signor Smith. «Le do la mia parola».
 
«Tom? Thomas, dove sei?». La ragazza si aggirava quatta fra i corridoi della scuola, chiamando il nome del ragazzo sperando si trovasse realmente a scuola, in quanto se così non fosse stato avrebbe perso la validità della sua parola come membro della famiglia Edwards. «Tom, ti prego esci!». Esclamò disperata e non ricevendo risposta, per l’ennesima volta, decise che sarebbe andata a cercarlo, anche a costo di esser scoperta fuori scuola durante l’orario di lezione. Si diresse a passo spedito verso il corridoio d’uscita, ripercorrendo i passi che Thomas prima di lei aveva fatto, quando improvvisamente si sentì strattonare bruscamente per un braccio, ritrovandosi fra le braccia di uno sconosciuto che le tappava la bocca. Nel buio di quello sgabuzzino tutto ciò che avrebbe voluto fare era urlare e poter scappare in preda alla paura. «Stai tranquilla e non gridare, sono io». Quel sussurro, arrivato alle sue orecchie in soffio la fece rabbrividire. Per quando piano quelle parole furono pronunciate riconobbe subito quella voce e rimaste stupita di quanto fosse vicino quando sentì le labbra di lui sfiorarle l’orecchio ripetutamente; e l’addome piatto e morbido scontrarsi con la sua schiena. Quando il ragazzo tirò la piccola catenella che scendeva dal soffitto accendendo così la piccola lampadina posta sulle loro teste Agatha ebbe involontariamente l’impulso di girarsi verso Thomas, il quale cadde a terra, preso alla sprovvista, trascinandola con sé.
Le guance di lei andarono a fuoco, mentre gli occhi altrettanto ardenti del ragazzo erano come una calamita per i suoi. I loro visi erano a pochi centimetri l’uno dall’altra e quello terrorizzava Agatha, che dentro di sé sentiva come un uragano. Fu quando Thomas poggiò una mano sul suo fianco che le gambe della ragazza si strinsero ancor di più al bacino del biondo, facendo si che la distanza fra i due diminuisse ancora.
Agatha era come paralizzata, non riusciva a muoversi, ipnotizza dagli occhi scuri e tempestosi di Thomas. Si risvegliò da quello stato di trance solo quando sentì la calda mano del ragazzo poggiarsi sul suo collo, e le sue piene labbra poggiarsi sulle sue, fin troppo delicate. Per la ragazza ricambiare quel bacio fu un qualcosa di spontaneo, tanto che presto le loro lingue si unirono come fossero fatte l’una per l’altra. Agatha teneva fra le mani il viso di Thomas, mentre lui carezzava dolcemente il collo e giocava con delle ciocche di capelli della ragazza.
Nessuno dei due sapeva dire con certezza quanto fossero rimasti in quello stretto spazio angusto, perché entrambi sapevano, insanamente, di aver toccato il cielo con un dito, anche per solo un secondo, ma quando vi uscirono, tornando sulla terra ferma, trovarono dietro l’angolo Mrs. Moore e Mr. Smith ad attenderli.
«Voi! –Gridò l’anziana- Questa proprio non la passerete liscia!». Urlò ancora, indicando maleducatamente i due giovani con l’indice sinistro. «Signora Moore, lasci fare a me». Esclamò autoritario il preside, zittendo così la donna. «Signorina Edwards, di grazia, dove siete stati?». Chiese dolcemente, ma non tradendo la sua posizione, l’imponente uomo. «E-Ecco… -Farfugliò incapace di parlare- Tom non si è sentito bene, l’ho trovato in bagno in… Pessime condizioni diciamo». Trovò poi una scusante che, a prima occhiata, pareva aver convinto il signor Smith. «Beh, allora sarà meglio che il signor DeLonge vada a casa». Sentenziò infine il preside, che cercava invano di sovrastare i gracchianti lamenti dell’insegnante alla sua destra. «Potrei accompagnarlo…». Suggerì la bionda, lasciando che Thomas poggiasse un braccio sulle sue spalle, fingendosi instabile. «Perfetto». Concluse il preside, congedando i due e tornandosene alle sue faccende, mentre la signora Moore fremeva, rossa dalla rabbia.
 

 

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"Si risvegliò da quello stato di trance solo quando sentì la calda mano del ragazzo poggiarsi sul suo collo, e le sue piene labbra poggiarsi sulle sue, fin troppo delicate"

 

 
Charlie’s:

Chiedo scusa per la mia ormai irregolarità nell'aggiornare, ma eccomi ORA qui con voi! :D
Beh, riguardo al capito ci sarebbe veramente tanto da dire, ma credo che il grosso lo lascerò a voi...:

Cosa ne pensate di questo inaspettato ed atteso bacio?
Credete cambierà qualcosa fra i due?
Nascerà l'amore o il rapporto andrà peggiorando?


Bene, ringrazio Layla che ha recensito il capitolo precedente e chiunque abbia la storia fra le preferite/seguite/ricordate, o anche chi solo legge e chiederei anche un parere sulla storia a questo punto e delle risposte alle domande sopra scritte. :)

Un bacio, Carlotta! 

 

P.S.: Scusate eventuali errori/ripetizioni/etc. ma non ho avuto il tempo di riguardare il capitolo :)

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Capitolo 7
*** Capitolo sei. ***


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Capitolo sei

 
 

Erano passati giorni dall’ultima volta che si erano parlati, eppure Agatha ancora non trovava il coraggio di affrontare il biondo. Spesso si era torturata, alla ricerca delle parole giuste con le quali affrontarlo, ma di rado le venivano, e quelle poche volte che si presentava l’occasione giusta per intavolare un discorso era il coraggio a venir meno.
Quel giorno, come ogni pomeriggio, stava trascorrendo fra le risate, a casa Raynor e mentre i giovani musicisti si preparavano alla grande vita da rock star, le sole figure femminili del gruppo erano alle prese con la geometria.
«Ehi, Agh, qual è la risposta alla numero cinque?». Domandò Karen, che da troppo ormai si scervellava alla ricerca della corretta risposta. «Uhm – mugugnò la bionda- La “b” è la meno probabile, mentre fra la “a” e la “c” direi che la più plausibile è la “c”».
«Come il voto del mio prossimo test!». Ironizzò la bruna, facendo ridere di gusto l’amica che, marcando con fierezza una crocetta sull’ultima risposta poté finalmente metter da parte il libro e riposarsi un po’.
«Ehi, secchiomerde, avete finito di perder tempo sui libri?». Domandò Scott che, mentre con un asciugamano si ripuliva del sudore che bagnava il suo petto, vagava per la cucina alla ricerca di qualcosa da mangiare. «Donkey, rischi l’anno ed hai i professori più rammolliti di tutto l’istituto. Io non parlerei fossi in te…». Lo mise a tacere la sorella che, con aria scocciata, si era alzata dal tavolo ed era andata a tirar fuori da uno dei tanti sportelli di quella cucina i biscotto preferiti dei due fratelli. «Cercavi questi, macaco?». Domandò con aria saccente, sventolando all’aria la scatola di cartone verde. Il ragazzo non rispose, si limito a strappar la sua merenda dalle grinfie della sorella, regalandole una linguaccia.
«Biscotti!». Esclamò entrando nella stanza Thomas. «Ecco, ci mancava solo l’altro primato. –Esclamò sarcastica la mora- Dov’è l’anello mancante?». Domandò poi, rivolgendosi a Thomas che, a giudicar dall’espressione sconcertata che aveva preso il suo volto, proprio non doveva aver capito l’ilarità della ragazza. «Chi? Hai per caso perso un anello?». Domandò poi, lasciando che sul suo volto si contorcesse un’espressione confusa, scatenando così la risata di Agatha che, in silenzio, si era beata della comicità di quei tre ragazzi.
Quando Thomas udì la sua voce gli fu difficile evitar il contatto visivo con quel dolce viso, tanto che allo scontrarsi dei loro occhi Agatha arrossì, facendo sì che l’immancabile sorriso sghembo di Thomas tornasse ad incorniciargli le labbra.
«Mark! Parlavo di Mark, Tom». Sbottò irritata Karen, spaventando i due che sobbalzarono impercettibilmente. «È in camera di Scotty, che sta accordando il basso. Abbiamo appena finito di scriver una nuova canzone!». Rispose felice, battendo il cinque al piccolo Scott che gli stava sventolando vittorioso una mano di fronte al viso. A quella scena Karen si porto una mano al viso e, sconsolata disse: «E sì che l’uomo si è anche evoluto…». Per poi scomparire su per le scale, seguita dal fratello.
Mark sentì bussare alla porta e, prima ancora che potesse domandare chi fosse, Karen era entrata nella camera del fratello. «È permesso?». Aveva timidamente domandato, acquattandosi accanto alla porta. «Entra pure!». Le sorrise radioso Mark, facendole spazio sul letto e battendo una mano sul materasso accanto a lui, invitandola ad accomodarsi. Karen non se l’era ripetere due volte che subito si era seduta accanto al moro, sorridendogli. «Come sta andando l’ascesa al successo? Mi ha detto Tom che avete già un pezzo pronto». Domandò curiosa lei, piantando i suoi scuri occhi, in quelli chiari e contrastanti del ragazzo, al quale le gote presero uno strano colorito rosato. «Bene, anzi benissimo! –Esclamò euforico- Ho suonato te. Cioè, gli accordi che mi avevi ispirato l’altro giorno in carage…». Si fece scappare Mark, ormai sprofondato nella vergogna.
A quelle parole Karen ebbe quasi un mancamento e, senza rifletterci, si gettò fra le braccia dell’amato, costringendolo al materasso. «Oddio, grazie! È una cosa dolcissima!». Sorrise poi rialzando il viso dall’incavo del suo collo. Entrambi rimasero sorpresi della poca distanza che li divideva; i due erano poco a poco sempre meno distanti, attratti come due calamite,  poco sarebbe bastato ad azzerare i confini e mentre alla ragazza, il cuore stava per esplodere nel petto, Mark cominciava rendersi conto di quanto fosse bella la sorella del suo amico, ed a perdersi nei suoi radiosi occhi da cervo. «Cazzo, che schifo! Almeno non sul mio letto, amico!». Sbottò disgustato il piccolo Scotty Raynor, che vedendo la sorella così vicina al basista, per poco non ci lasciava le penne. «Ah, fanculo Donkey!». Esclamò irritata, e rossa in volto Karen, trottando furiosa verso il fratello e stampandogli con violenza una mano sulla guancia. «Ehi, ma che ho fatto?!». Si chiese stupito, massaggiandosi la guancia arrossata sotto lo sguardo divertito di Mark.
 
Agatha era agitata. Il trovarsi sola in una stanza con Thomas DeLonge, , la metteva alquanto a disagio. Dal canto suo, Thomas, non poteva non sentirsi nel medesimo imbarazzo visti i silenzi che da troppo ormai regnavano fra di loro. «Ciao». Salutò titubante lui. «Ciao». Ripeté lei, ormai rossa come un peperone. «È da un po’ che volevo parlarti…». Cominciò il ragazzo, scatenando così il panico in lei. Agatha temeva le sue parole, aveva paura di ricever un irrimediabile rifiuto o peggio, temeva di perder Thomas. La bionda si era ormai accorta di non poter più far a meno di quel ragazzo così irritante quanto amabile, non voleva rinunciar a lui, sebbene non le fosse stato ancora chiaro qual era il legame che li univa.
«Senti io…». Sussurrò appena, tanto che Thomas non la sentì e la interruppe bruscamente. «Volevo solo chiederti scusa. So che è stato un errore e non avrei dovuto… Ti chiedo scusa». Annuì. Agatha non riuscì in nulla, se non annuire. Thomas li vedeva come un errore, un qualcosa da non commettere e questo la rattristava perché lei quasi ci aveva creduto. Aveva creduto che fra loro sarebbe potuta nascere una grande amicizia, mentre lui si ostinava a metter paletti sempre più numerosi fra loro, la ragazza capì solo allora quanto sciocca e stupidamente infantile aveva potuto esser; a stento trattenne le lacrime, ma la tristezza trasparve ugualmente da quel suo viso così dolce ed innocente, che Thomas malediceva ogni giorno sempre più per non avergli saputo resistere.
«Non fa nulla, accetto le tue scuse». Sorrise amaramente. «Ora scusami tu, ma devo proprio andare…». Detto ciò la ragazza si diresse verso l’ingresso e, sforzandosi di mantenersi comporta e per nulla provata, uscì da casa Raynor e solo allora, quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Agatha si liberò di ogni suo demone e pianse, pianse correndo a piedi nulli pianse, pianse sempre più forte confortata dal riecheggio irregolare delle sue immacolate Superga, al brusco impatto con l’asfalto cocente della strada e dalla brezza leggera che, a contatto con che sue guance umide, ne gelava le gocce salate, raggelando la triste verità. «Stupido! Stupido musicista scapestrato!».



 

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"E solo allora, quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Agatha si liberò di ogni suo demone e pianse"

 


 

Charlie's:
Prima di tutto, voglio ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente e chiunque abbia la storia fra le preferite/seguite/ricordate, o anche chi solo legge. Siete grandiose, grazie mille!
Ed ora, ecco qui anche il capitolo sei! Purtroppo come avrete notato gli aggiornamenti avverranno sempre più lentamente perché avendo la maturità ho sempre meno tempo da dedicare al computer! :( 
Beh, spero non abbiate già deciso di abbandonare la storia proprio adesso che si fa più interessante!
Un bacio, a presto -si spera-, Carlotta! :)


P.S.:Scusate eventuali errori/ripetizioni/etc. ma non ho avuto il tempo di riguardare il capitolo :)

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Capitolo 8
*** Capitolo sette. ***


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Capitolo sette

 
 

«Festa!». Esclamò Scott entusiasta, andandosi a sedere fra la sorella ed il bassista, interrompendo i continui sguardi fugaci fra i due. «Come?». Domandò Agatha, di fronte a lui. «Hai capito bene, festa! Questo sabato c’è una festa spettacolare organizzata da Jason Black a cui sono invitati tutti purché accompagnati da una fregna. – Sorrise sornione, felice che il giorno dopo avrebbe potuto ubriacarsi fino a farsi schifo da solo - È il suo sistema per tenere gli sfigati lontani da casa sua». Spiegò poi. Karen ed Agatha si lanciarono un veloce sguardo d’intesa. Entrambe sarebbero volute andare a quel party, l’unico problema era che entrambe sapevano chi sarebbero stati i rispettivi accompagnatori e l’idea sembrava terrorizzare le due. «E chi sarebbe la tua donzella, animale?». Domandò interessato Thomas, che ancora non aveva accennato nulla riguardo la sua partecipazione o meno. «Che tempismo amico! Puntavo su Lauren Williams, ma visto che dove è lei c’è anche Cynthia York e viceversa speravo potessi farmi da spalla e rimorchiarti la bionda». Esclamò malizioso, strizzando l’occhio a mo’ di intesa verso l’amico, che parve prender in considerazione il piano dell’amico. A quella frase gli occhi di Karen si spostarono ad Agatha, che tutto sembrava meno che turbata dalla probabilità che i meschini ricci biondi di Cynthia potessero catturare il cuore di Thomas. «Femmine più insulse non potevate trovare…». Sussurrò Karen, che come tutti fissava le due Cheerleader atteggiarsi a prime donne di fronte agli sguardi dei quaterback della scuola. «Beh, in alternativa spero che Agh accetti il mio invito di riserva». Ammiccò il più piccolo dei Raynor prima che le sue speranze venissero azzerate dalla mano sempre pronta di Karen che gli si scagliò contro la nuca. «Credo che Karen abbia reso il concetto più chiaro di quanto avrei potuto fare io». Sorrise Aghata, prima di scoppiare a ridere, al seguito di Mark e Thomas. «Donkey, la tua preda ti sta puntando proprio in questo preciso istante. È la tua occasione!». Esclamò sghignazzante Mark, che vedendo il giovane Casanova scattare in piedi non trattene più le risate. «Avanti Tom, andiamo a riscattare in nostro premio». Sorrise vittorioso dirigendosi verso le due atlete.
Agatha guardò, a mal in cuore, Thomas allontanarsi sempre più da lei per andare dritto nella trappola di quelle cacciatrici di uomini. Solo le parole dell’amica la riscossero dai suoi pensieri. «A questo punto credo mi toccherà sperare che a Scotty vada male ed andare a quella festa con il mio caro fratellino se voglio parteciparvi». Sospirò sconsolata Karen, certa che ad un solo giorno dall’evento non avrebbe mai trovato un cavaliere. Per fortuna di entrambi anche Mark si trovava nella sua stessa situazione, e visto che mai avrebbe potuto fare un torto simile a Thomas, come quello di invitare Agatha, si fece coraggio. «Se proprio non hai alternative, in lizza per miss Hoppus non c’è ancora nessuna, e non credo che a questo punto le ragazze si accapiglierebbero per me, quindi accetteresti l’invito del bassista più sexy d’America?». Agatha vide l’imbarazzo stamparsi inconfondibilmente sul viso dell’amica, ed accortasi che quel tavolo stava diventando troppo stretto per tutti e tre prese il suo vassoio, con i resti del suo pranzo ancora caldi, e sparì dentro l’edificio scolastico.
Forse per gelosia, forse per curiosità o anche solo per la voglia di soffrire non riuscì a mantenere lo sguardo davanti a sé e una volta varcata la soglia d’entrata, i suoi occhi andarono a poggiarsi sulla figura allegra di Thomas che intratteneva le due bellezze per il quale in quel momento Agatha provò solo odio. In quel momento, per una frazione di secondo, sentì qualcosa per quel ragazzo privo di pudore e razionalità, ma no. Lo represse con tutta se stessa, perché lei non poteva nulla, se non amicizia nei confronti dell’irrazionale Thomas Matthew DeLonge.
 
Tutta la Poway High School era in fermento. Le gracchianti voci pettegole delle ragazze non facevano altro che parlare di vestiti ed accessori, mentre i pettorali maschili sbattevano l’uno contro l’altro per tutti i corridoi, in segno di vittoria per le belle ragazze accalappiate. Perfino uno o due membri del club di matematica erano riusciti ad aggiudicarsi la partecipazione a casa Black, quasi tutta la scuola era di buon umore. Tutti tranne Agatha, la quale sovrappensiero aveva sbagliato ripetutamente aula ed ora si ritrovava in ritardo per l’ora di inglese.
«Buongiorno, signora Lee. Scusi il ritardo!». Aveva sussurrato sulla soglia della porta, aspettando il permesso dell’insegnante per poter partecipare alla lezione. La signora Lee, conosciuta per esser una donna diretta e di poche parole accennò un consenso con la testa, invitando la ragazza a prender posto, Agatha non se lo fece ripeter e scrutò la classe alla ricerca di un banco libero.
Il cuore della ragazza cominciò a scagliarsi con una forza disumana contro la gabbia toracica quando i suoi occhi così spenti videro la figura dormiente di Thomas in ultima fila, ed un banco vuoto accanto al suo. Si sarebbe rifiutata di partecipare alla lezione se solo avesse dovuto condividerla minuto per minuto accanto a quel ragazzo. Gli occhi della ragazza, però, ripresero vita quando vide dalla parte opposta della classe una mano alzarsi e sventolare in sua direzione. Era Jason Black che la invitava a sedersi accanto a lui.
«Ciao». Sorrise lui, nascosto dalla lunga frangia che portava.  «Ciao». Sussurò Agatha, sorpresa. Il ragazzo le sorrise ancora, scostando il suo lungo ciuffo di lato e lasciando che i suoi glaciali occhi potessero immergersi in quelli di lei. «Tu sei quella nuova, vero?». Domandò curioso, ma non invadente. «Sì, piacere Agatha». Si presentò, ma per Jason non ve n’era bisogno, sapeva già a chi appartenevano quei capelli color del miele e quei lineamenti così dolci. Spesso si era perso nei suoi sorrisi durante le ore di lezione. Sorrisi che però erano sempre indirizzati al suo amico Thomas DeLonge. «So il tuo nome.- Sorrise ancora- Chi non sa del ritorno di Ugly Agh». Disse lasciandosi scappare un sorriso sghembò, uno di quelli che solo a Thomas venivano alla perfezione.
«Già». Sorrise amaramente lei, portando gli occhi sul suo quaderno al triste pensiero che ancora non si erano dimenticati del suo passato. «Oh, comunque il mio nome è Jason». Provò ancora lui, accortosi che quello che aveva detto aveva infastidito la ragazza. «Sì, so anche io come ti chiami. Beh, chi non lo sa? –Citò il moro- La tua festa è sulla bocca di metà istituto». Jason rise a bassa voce, sperando comunque che l’insegnante non lo avesse sentito, poi prese fiato. «Ed a proposito di quella festa, ci verrai?». Domandò speranzoso lui, regalando ad Agatha un altro di quei solari sorrisi. «Uhm… Non credo». Rispose, ma prima che potesse aggiungere altro il ragazzo prese subito parola.  «S’è per l’obbligo di un cavaliere io non ho ancora chiesto a nessuna». Ammiccò il ragazzo, sperando che quello di Agatha non sarebbe stato un no. «Oh, beh, ecco… Io…». La bionda non sapeva cosa dire. Non sapeva come reclinare l’offerta, non avrebbe voluto andare a quella festa e dover sopportare di vedere gli artigli laccati della York su di Thomas. Non l’avrebbe accettato. «Oh, non ti preoccupare. Ma se vuoi venire ti aspetto volentieri, anche senza cavaliere». Rispose cortese lui, sperando sempre che la ragazza accettasse.  «Ti ringrazio».
Dall’altro lato della stanza Thomas osservava il tutto e dentro di lui una forte gelosia prendeva sempre più posto in quella parte di lui che gridava a gran voce il nome di Agatha.
 
«Cosa?!». Le grida incredule di Agatha rimbombarono fra le pareti della stanza dell’amica. «Sì, andrò alla festa di Jason Black con Mark!». Esclamò euforica Karen. «Dio, ma è fantastico!». Esultò ancora Agatha, felice che l’amica avrebbe passato una serata in compagnia del ragazzo che le faceva battere il cuore. «E tu invece?». Domandò d’un tratto la mora. «Io?». Ripeté spaesata la ragazza. «Esattamente, proprio tu. Direi che abbiam parlato di me anche fin troppo, quindi adesso dimmi, chi ti accompagnerà domani sera?». Chiese con malizia Karen in attesa di una risposta. A quelle parole Agatha rimase spiazzata, non sapeva come dire all’amica dell’invito  di Jason Black e del rifiuto di esso. «Credo che andrò da sola». Ammise poi portandosi una ciocca color del sole dietro l’orecchio, in un palese segno nervoso. «Sai che senza accompagnatore non potrai venire, vero?-Domandò- Ed io come farò senza la mia Agh? Non sarà un festa!». Esclamò dispiaciuta Karen, già pronta a raggiunger i ragazzi in salotto ed annullare il suo quasi appuntamento con Mark. «Veramente ho parlato con Jason Black, mi ha detto che se volessi partecipare non avrò l’obbligo dell’accompagnatore». Ammise ad occhi fissi sul letto dove sedevano. «E quando sarebbe successo? Quel ragazzo è così carino!». Esclamò sognante. «Oggi a lezione sedevamo vicini, si è offerto come accompagnatore, ma ho rifiutato». Karen rimase senza fiato, scioccata, e l’unica cosa che aveva in mente era: «Sei stata invitata da Jason Black?!».
“Sei stata invitata da Jason Black?!” Quelle parole, arrivate per caso alle orecchie di Thomas, ferirono il ragazzo come non mai.
 
Agatha non riusciva proprio a rilassarsi, si girava e rigirava nel letto e neppure il suo amato cercar conforto nelle stelle l’aveva aiutata, perché l’unica cosa che riusciva a vedere  dalla sua finestra era la stanza di Thomas, vuota. L’aveva scrutata a lungo, sperando che il ragazzo sarebbe potuto spuntare da un momento all’altro, ma niente. Thomas non si vedeva da quella mattina a scuola, e lei ne soffriva, stava male nel più profondo del suo cuore, eppure non riusciva a distoglier lo sguardo da quella finestra.
Nella speranza di poter conciliare il sonno zampettò silenziosamente giù per le scale, facendo attenzione allo scricchiolante parquè ed alla pesante porta di casa, troppo rumorosa per il silenzio della notte. Fuori di quella casa si sentì più leggera, i suoi piedi nudi sfioravano l’umido prato curato e quella lieve freschezza parve sollevarla. Si accasciò a terra, sperando che quell’alleviare il dolore potesse arrivare ai tormentati pensieri che invadevano la sua mente. Agatha c’era quasi riuscita, ancora una manciata di minuti e sarebbe tornata serena nel suo letto, ma, con suo solito tempismo, Thomas le si sedette accanto rovinando quella pace che pian piano si stava sperdendo fra i suoi tesissimi nervi. «Che ci fai qui a quest’ora?». Domandò il biondo. «Non riuscivo a dormire, così speravo nell’aiuto delle stelle». Rispose sconsolata lei, tirandosi su a sedere. Thomas rimase in silenzio, portando i suoi occhi, come quelli di lei, al profondo cielo. Agatha era come rapita da quelle stelle così lontane, proprio come Thomas, che mai aveva sentito così distante.
«Stanotte si dice dovrebbero esser visibili alcune stelle cadenti». Si rivolse più a se stessa che al ragazzo, ma Thomas era ormai impossibile da ignorare perché poggiava la testa sulle gambe di lei, goffamente spaparanzato. A quel gesto seguirono altri minuti di silenzio, riempiti dal desiderio di entrambi di poter scorgere una stella cadere, ma Thomas era risaputo esser di poca pazienza e quel mutismo cominciava ad essergli stretto, mentre le parole di quel pomeriggio rimbombavano nella sua testa, lasciando ad ogni passaggio un varco ricolmo di centinaia di domande.
Thomas provava fastidio al pensiero di vedere Agatha con un altro e rabbia verso se stesso per aver anche solo potuto concepire un’emozione simile. In quell’esterna apatia entrambi ardevano di gelosia verso l’altro, ma il loro orgoglio non avrebbe di certo lasciato uscire tali sentimenti.
«Andrai alla festa di Black?». Domandò lui, incapaci di mordersi la lingua oltre. «Sì». Sussurrò lei. «Bene…».
In quel momento i loro cuori si spensero, proprio come il cielo in quella notte di stelle mancate.



 

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Donkey, Thomas, Mark

 


 

Charlie's:
I'm Back! 
Un grazie speciale a voi che ancora seguite la storia, a chi ha recensito, preferito, seguito, ricordato..
. Sì, insomma, grazie a chi è qui a leggermi dopo tutto questo tempo! :)
So che è passato molto dall'ultimo aggiornamento, ma ora lavoro partime e faccio la mamma a tempo pieno, quindi spero avrete pazienza :)
Scappo! Fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo!
Un bacio, Carlotta. 

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