Perchè devo sorvegliarlo proprio io? di tonksnape (/viewuser.php?uid=2765)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wanted ***
Capitolo 2: *** Shopping ***
Capitolo 3: *** Wine ***
Capitolo 4: *** True relation ***
Capitolo 5: *** Last letter ***
Capitolo 1 *** Wanted ***
Nella notte
era difficile distinguere anche solo le sagome dei cespugli che intralciavano il
cammino. L’uomo davanti a lei sembrava procedere come se avesse un radar, come
se potesse conoscere in anticipo quello che la natura intendeva mettergli
davanti. Neppure la costante punzecchiatura della sua bacchetta tra le scapole
rappresentava un segnale di pericolo, per
lui.
Tonks si
scostò velocemente una ciocca di capelli dal volto, utilizzando la mano libera.
Non era un problema mantenere l’andatura di Snape. Era allentata e forte. Anche
se non dormiva da quasi 24 ore, la tensione che le attraversava il corpo e la
mente la aiutavano a non sentire alcuna
sonnolenza.
Forse, se
si fossero fermati, avrebbe ceduto. Si sarebbe seduta e avrebbe chinato la testa
tra le ginocchia, chiudendo gli occhi per un attimo, senza accorgersi che si
stava addormentando. Ma Snape non si sarebbe fermato. La loro meta era quasi
raggiunta, il paese era vicino.
Tonks
continuò a fissare la schiena di Severus
Snape.
Feroce
assassino e libero prigioniero dell’Ordine della
Fenice.
Feroce
assassino e latitante per il Ministero della
Magia.
Nessuno
all’interno dell’Ordine si era opposto alla proposta fatta da Remus Lupin di
tenere nascosta la cattura di Snape alle autorità del Ministero. Da quasi tre
mesi operavano tutti nella completa clandestinità. Lavoravano e vivevano tra la
gente, agivano nel silenzio e al buio. Neppure Minerva McGrannit era al corrente
di tutte le loro azioni. Adesso avevano un unico obiettivo: proteggere Harry
Potter. Il resto, tutto il resto, era in mano di quel ragazzino di 17 anni,
chiuso a Godric’s Hollow con i suoi due amici.
I motivi
che li avevano portati a scegliere di tenere Snape in vita e in silenzio erano
tanti, ma soprattutto era stato il testamento lasciato, in mano a Lupin, dallo
stesso Silente. Un testamento scritto a mano e autenticato da un sigillo
impresso dalla spada di Godrick Griffondoro, spada che adesso riposava a fianco
di Harry Potter.
Quel
testamento conteneva solo poche indicazioni. La prima richiesta di Silente era
di passare a Remus Lupin il comando dell’Ordine, se così ritenevano i suoi
membri, o in alternativa a Minerva
McGrannit.
“L’alternativa,” aveva sogghignato Remus leggendolo, “credo fosse la mia
morte. Ma per ora sono qui e mi rendo disponibile a farlo, se siete d’accordo.”
Anche Minerva sorrise, dato che aveva pensato esattamente la stessa cosa.
Silente sapeva come descrivere la realtà in un modo tutto
suo.
Pochi
avrebbero dubitato della capacità di Remus di far fronte alle difficoltà e di
usare con velocità e astuzia il suo cervello. Non c’erano sentimenti di
competitività o di voglia di primeggiare nel gruppo. Avrebbe tolto il tempo e le
energie che erano necessarie ad affrontare quel periodo di battaglie. Era una
responsabilità enorme quella che Remus si era reso disponibile a prendere sulle
sue gracili spalle e gli venne riconosciuta
all’unanimità.
La seconda
richiesta era quella di proteggere Harry Potter, ma nessun membro dell’Ordine
avrebbe mai pensato il contrario. E Molly Weasley lo aveva ben sottolineato
esclamando, “Vorrei proprio vedere se non venisse fatto!” lasciando così
presagire a tutti i presenti quale sarebbe stata la loro sorte se solo avessero
provato a dubitare di quella priorità.
La terza
richiesta era proprio quella di scegliere la clandestinità. Questa opzione era
stata proposta e votata ancor prima di leggere il testamento di Silente. Nessuno
dei partecipanti sentiva di avere ancora dei legami di lealtà o di fiducia verso
i responsabili del Ministero della Magia, mentre sentivano tutti una forte
responsabilità e lealtà verso tutto il mondo magico. Anche Arthur Weasley aveva
votato a favore, sostenuto dai figli cinque figli presenti in quel momento e
dalla moglie.
C’erano poi
alcune sottolineature di Silente rispetto all’uso di alcuni sistemi di sicurezza
magici da lui creati e che dovevano essere modificati o eliminati. Compresa la
sede di casa Black, ritenuta poco sicura.
Silente
aveva anche indicato quali dovevano essere gli obiettivi dell’Ordine per stanare
i Mangiamorte e aiutare Harry con Voldemort. In base alle informazioni che era
riuscito a raccogliere proponeva loro anche un possibile scenario per i prossimi
mesi.
L’ultima
richiesta aveva sollevato invece molte perplessità, anche se nessuno aveva osato
dissentire con troppa decisione.
Erano
riuniti a casa di Remus Lupin, un tugurio perso nella periferia di Londra. Era
composto da una camera e un salotto con cucina, un piccolo bagno e un ingresso
con ripostiglio. Ci si muoveva a stento tutti insieme, ma per una riunione
poteva anche essere sufficiente.
Tranne nel momento in cui qualcuno avesse avuto bisogno del bagno e
quindi di spostarsi da un lato all’altro del salotto, costringendo i presenti a
forzati contorsionismi per dargli lo spazio sufficiente per mettersi in piedi e
camminare. Aprire e chiudere la porta del bagno era legato alla bontà d’animo di
Malocchio che si alzava e si spostava per lasciare al malcapitato lo spazio
sufficiente per entrare e uscire. In realtà ci aveva provato solo Fred Weasley,
ma nessuno aveva osato imitarlo. Aspettavano la fine della riunione e la
possibilità di tornarsene a casa propria.
Del resto
un lupo mannaro non aveva la possibilità di aspirare a qualcosa di più
accogliente, con un misero sussidio di disoccupazione. E Remus non traeva nessun
piacere dall’usare la magia per arredare uno spazio che usava solo per dormire
e, quando capitava, mangiare.
Erano
seduti in quella claustrofobica casa da quasi due ore, quando Remus aveva letto
quella parte del testamento. Per quanto avesse controllato il tono della voce
era chiaro che ne era rimasto sorpreso anche
lui.
Molto
semplicemente e molto spietatamente, Silente descriveva quello che era successo
la sera della sua morte, specificando chi avrebbe agito e in che
modo.
Il
testamento era stato scritto più di un mese prima della morte del Preside,
chiuso e sigillato e consegnato personalmente da Silente a Fanny, con precise e
rigide regole per la consegna. Fanny l’aveva lasciato nelle mani di Remus il
giorno del funerale. Erano tre semplici fogli di pergamena, protetti da un
incantesimo di Invisibilità che rendeva il testo leggibile solo a chi era in
possesso della parola d’ordine. E Silente aveva provveduto ad inviarla a Remus
quasi un anno prima, chiedendogli di imparare a memoria una stupida frase perché
gli sarebbe stata necessaria in futuro. Tutti questi elementi avevano fatto
comprendere al gruppo che la morte di Silente non era stata accidentale, ma un
evento programmato. I motivi di questa scelta non erano stati spiegati nel
testamento, mentre era stata indicata loro la strada per raggiungere anche
quell’obiettivo.
Nel suo
testamento Silente chiedeva loro di “prendere in consegna” Severus Snape prima
che lo facesse il Ministero della Magia. Di “proteggerlo perché aveva agito per
espressa sua richiesta”. Di “ascoltare il suo racconto e i motivi del suo gesto,
ma anche gli elementi di conferma che avrebbe fornito”. Di “condurlo con le
dovute precauzioni e la necessaria protezione” in un luogo sicuro, lontano dai
Mangiamorte e dal Ministero della Magia, e di “lasciar decidere a lui il proprio
destino, una volta condiviso con loro le informazioni in suo
possesso.”
Ascoltare
Severus Snape che spiegava cosa l’aveva portato ad uccidere Silente era
doloroso, ma anche necessario. Tutti desideravano conoscere i piani di Albus
Silente, i motivi della sua decisione, ma doverlo fare attraverso la voce di
Severus Snape rendeva la situazione penosamente
assurda.
Ne avevano
discusso a lungo, lasciando a tutti lo spazio di esprimersi, commentare,
proporre, anche utilizzando un linguaggio poco cortese. E descrivendo Severus in
modo decisamente insultante.
Ancora una
volta Remus, sostenuto da Arthur, si era dimostrato all’altezza del suo nuovo
ruolo.
“Credo che
nessuno di noi desideri ascoltare Severus. Nessuno di noi ha motivo di
condividere quello che Severus ha fatto. Nessuno di noi approva la scelta di
Silente di proteggerlo e renderlo, a quanto dice questo testamento, l’esecutore
materiale della volontà dello stesso Silente. Avremmo preferito che lo stesso
Albus Silente fosse stato qui a spiegarci quello che è successo. Ma non possiamo
farlo. Dobbiamo affidarci alla voce di Severus per ascoltare quella di
Silente.”
Remus aveva
lasciato che il silenzio facesse penetrare del tutto le sue parole. Aveva
guardato tutti negli occhi, comprendendo le schegge di rabbia e di delusione che
vedeva in molti dei suoi compagni. Poi si era soffermato su Arthur, sollecitando
il suo parere con un cenno della testa. Il signor Wealsey era molto apprezzato
dal resto del gruppo per la pacatezza e la lucidità delle sue
osservazioni.
“Immagino
che sarà difficile ascoltare Severus e accettare che le sue parole siano quelle
di Albus. Vorrei che tutti noi facessimo molta attenzione non solo alle
informazioni che possiede, ma anche agli elementi di conferma che ci darà. Posso
dire solo, con certezza, che a fronte di questa richiesta di Silente, adesso più
che mai, desidero avere Severus qui con noi e potergli parlare direttamente.”
Molti annuirono decisi.
“Inoltre,”
aggiunse quasi immediatamente Arthur, “noi abbiamo le capacità per usare al
meglio le informazioni che ci darà. E Severus ha tutto da guadagnare dal parlare
con noi piuttosto che con il Ministero della Magia. E non credo che gli stessi
Mangiamorte lo accoglierebbero a braccia aperte dopo anni di servizio a
Silente.”
“Tu parti
dall’ipotesi, come Remus, che Severus abbia agito per decisione di Silente e non
di Tu-Sai-Chi…” sottolineò Malocchio. “Neppure un dubbio?” gli chiese
ironico.
“Non dopo
aver sentito da Silente che era stato programmato da lui stesso,” gli rispose
Arthur, accennando al fogli o di pergamenato in cui c’era il testamento.
“Silente ha voluto arrivare alla Torre quella sera. Chiedendo l’aiuto di
Severus. L’unico disposto a farlo, sottolinerei… Questa scelta deve avere un
motivo.”
Tutti
accolsero quest’ultima affermazione come
insindacabile.
“Bene,”
sospirò Remus. “Chi si rende disponibile alla caccia a Severus
Snape?”
Ancor prima
che avesse terminato la frase, i cinque fratelli Weasley alzarono la mano senza
indugio. Con minor velocità, ma altrettanta determinazione, si aggiunsero le
mani di tutti gli altri.
Remus
sorrise. “Credo di dover essere io a guidare il gruppo, per evitare spiacevoli
incidenti particolarmente dolorosi per Severus… Kingsley, Charlie, Arthur ed
io,” elencò lentamente. “Minerva mi sostituirai?” le chiese. Lei si limitò ad
annuire.
“Fred,
George e Molly vi occuperete di preparare, con Malocchio, una base sicura nella
quale mandare Severus una volta che avrà parlato con noi. Non voglio nulla di
mortale!” sottolineò. “Proprio per questo l’ultima parola sulle vostre decisioni
l’avrà sempre Molly.” I gemelli Weasley accennarono ad una protesta, accolta con
uno sguardo determinato dalla madre, sguardo che li ridusse al
silenzio.
“Ginny,” le
disse Remus, sorridendo, “andrai da Harry, Ron e Hermione ad avvisarli di quello
che stiamo per fare e ti accerterai che Harry non si muova. Ascolta solo te, in
questo periodo.” Ginny annuì, decisa come
sempre.
“Tutti gli
altri si riorganizzeranno per mantenere i compiti già stabiliti. Deciderà
Minerva. Sarà un peso non indifferente, ma spero per poco tempo. Grazie a
tutti,” concluse.
Lentamente
il gruppo si disperse. Si vedevano così spesso ultimamente che non era neppure
necessario fermarsi a chiacchierare per chiedere notizie gli uni degli
altri. Uscirono tutti mesti e
silenziosi. Non era stato piacevole capire che la morte di Silente non aveva in
realtà nessun colpevole, nessuno con il quale arrabbiarsi.
Ripensando
a quella sera, Tonks si chiede perché aveva accettato di scortare Snape nella
sua nuova dimora e di essere testimone delle sue decisioni, adesso che tutto
l’Ordine della Fenice era a conoscenza di quello che Silente aveva
organizzato.
Era una
notte stellata, grazie ad un cielo invernale terso e privo di luci artificiali.
Si trovavano in piena campagna inglese, tra colline coperte di brina e corsi
d’acqua ghiacciati. Il fiato di entrambi si perdeva, bianco e vaporoso,
nell’aria. Non parlavano da quando erano partiti. Nessuno dei due aveva
interesse per intrecciare una conversazione e non avevano nulla da raccontare
l’uno all’altro.
All’improvviso Tonks pensò che forse Snape non aveva neppure più la forza
di parlare, dato che lo aveva fatto per almeno quattro ore, davanti all’Ordine.
Era stato
catturato tre giorni dopo la loro riunione. Si era fatto catturare tre giorni
dopo la loro riunione. Non era possibile parlare di tentativo di fuga o di
nascondiglio organizzato. Snape era ritornato nella sua casa di Spinner’s End,
la stessa in cui si rifugiava da anni. Quando Remus aveva bussato alla porta,
aveva aperto dopo pochi secondi, come se si aspettasse il loro arrivo. Era, se
possibile, ancora più magro e scavato in volto. La barba lunga, i vestiti logori
e rattoppati. Non s’era traccia del professore di Hogwarts. Era un
fuggiasco.
Remus si
era trattenuto dal dare voce alle considerazioni che gli erano salite
immediatamente alla bocca. C’era una tale somiglianza tra quel Severus Snape e
Sirius Black, fuggito da Azkaban, da pensare che potessero essere fratelli. Non
solo per l’aspetto dimesso, i capelli lunghi e rovinati o l’espressione
diffidente, ma soprattutto per quel lampo di follia che pervadeva lo
sguardo.
Snape aveva
osservato Remus, Arthur e Charlie con attenzione, in silenzio, senza chiedere il
motivo di quella visita. Aveva cercato il loro sguardo, sfidandoli a
ricambiarlo, come se volesse misurare la loro forza, la loro tempra. Erano in
grado di guardare negli occhi l’assassino di Albus Silente? Remus le aveva
descritto in questo modo la scena. Durante la cena di quella stessa sera, a casa
Weasley, aveva tentato di descrivere il momento in cui la porta della casa si
era aperta e Severus Snape era comparso sulla
soglia.
“Nero come
la notte,” aveva detto Charlie. “E sicuro di sé. Pronto a seguirci, come se
sapesse di poter fare solo questa scelta.”
“Folle,”
aveva aggiunto Remus. “Follia per la quale non riesco a trovare una ragione, per
ora. Sirius aveva lo stesso sguardo, ma la sua follia era legata al desiderio di
vendicare James e uccidere Peter. Quella di Severus…” e si era limitato a
scuotere la testa, perplesso.
“La follia
di un uomo morto…” aveva concluso Arthur, quasi
sottovoce.
Tonks aveva
sentito i brividi correre lungo la schiena, il gelo penetrarle nelle braccia e
nelle gambe. Si era guardata attorno e aveva visto lo sgomento anche negli
altri. Molly con un piatto in mano guardava il marito, incredula che potesse
aver detto qualcosa di così crudele. Remus scuoteva leggermente la testa in
segno di assenso con quanto era stato detto. Charlie osservava suo padre come se
avesse compreso solo in quel momento quale era la situazione. Anche i gemelli e
Bill aveva la stessa identica espressione in
volto.
Severus era
un uomo morto, ormai. Lo era diventato la notte in cui Silente era morto.
Nessuno aveva più motivo di volerlo in vita. Per i Mangiamorte aveva raggiunto
il suo obiettivo. Harry Potter non era più alla sua portata, fuori Hogwarts. E
quindi lui era inutile. Un uomo braccato non poteva neppure aiutare in
battaglia. Per il resto del mondo della Magia era colpevole di un omicidio per
il quale non era prevista alcuna scusante.
Il giorno
dopo la cattura Snape era stato ascoltato dall’Ordine. Remus lo aveva ospitato a
casa sua e gli aveva anche fornito il necessario per pulirsi e
cambiarsi.
Quando era
arrivato per l’interrogatorio, aveva i capelli puliti e raccolti con un laccio
sulla nuca. La faccia appariva ancora più magra, il naso ancora più adunco. Solo
gli occhi brillavano, tanto lucidi da pensare che fosse preda di febbre alta.
Non si era rasato e questo gli conferiva un aspetto secco e pungente. Qualcuno
gli aveva procurato un maglione blu scuro, di lana grossa, anche un po’ troppo
aderente alla sua figura, facendone così risaltare l’eccessiva magrezza, come
pure i jeans scoloriti e rovinati che sicuramente appartenevano a Remus. Uno dei
due doveva aver fatto un incantesimo per allungarli, rendendoli adatti a
Severus. Come scarpe erano stati procurati degli scarponi pesanti. Per la prima
volta Tonks si accorse di quando era giovane. E riuscì a vedere l’uomo e non più
solo il Professore. Un giovane uomo chiamato a spiegare i motivi delle sue
azioni ad un gruppo di altri uomini e donne che avevano perso il loro punto di
riferimento proprio per mano sua. Tonks si chiese cosa potesse provare Snape in
quel momento. Al suo posto lei sarebbe stata terrorizzata per quello che doveva
e poteva dire. Non c’era modo di giustificare la sua azione, non c’era modo di
motivare la sua azione. Anche affermare, come oramai avevano accettato tutti,
che era stato Silente a decidere il tutto, non avrebbe diminuito l’odio che
tutti i presenti sentivano per lui.
E invece,
ancora una volta, fu un Weasley a modificare le cose. Molly sbucò dalla cucina
con un piatto sul quale era posato un sandwich di verdura e carne e lo posò sul
tavolo nel posto accanto a quello di Remus.
“Severus…”
lo chiamò con fermezza.
Lui si girò
di scatto, catturando subito lo sguardo della donna. Si muoveva come una bestia
braccata, pensò Tonks. Pronta ad attaccare pur di
vivere.
“Te lo
lascio qui, con la birra…” e appoggiò il boccale accanto al
piatto.
Tonks non
riuscì a vedere l’espressione di Snape, che continuò a girarle le spalle. Ma
qualsiasi risposta avesse dato, ottenne un piccolo sorriso da
Molly.
Persa in
questi ricordi, Tonks inciampò su un radice di un albero che spuntava dal
terreno. Diede un piccolo grido, ma riuscì a mantenersi in piedi. Davanti a lei
Snape si girò di scatto, bloccandosi. Per non cadere a terra, Tonks allungò le
mani alla ricerca di un sostegno e trovò solo lo sterno di Snape. Le mani si
appoggiarono, aperte, sulla lana umida del giaccone dell’uomo. E Tonks sentì la
forza di quello scheletro d’uomo. Anche se lei gli era piombata addosso senza
alcuna possibilità di controllarsi, lui aveva resistito alla sua involontaria
spinta ed era rimasto immobile.
“Posso
suggerire,” le disse, con voce roca, “di guardare dove appoggia i piedi, Miss
Tonks?”
Lei
arrossì. Odiava quel tono ironico e saccente. Odiava quell’espressione di
derisione e di superiorità che ancora Snape riusciva a trovare in se stesso.
Accidenti! pensò Tonks, era lei a dover scortare e controllare lui, non
viceversa. Che mostrasse un po’ di rispetto, vecchio
gufo!
Probabilmente qualche parte del suo ragionamento trasparì dalla sua
espressione perché Snape ebbe il guizzo di un sorriso. Poi le prese i polsi tra
le mani e la allontanò da sé, si girò e riprese a camminare. Tonks, irritata
oltre ogni limite, per quel gesto così irrispettoso del suo ruolo, si avviò
dietro di lui con maggiore vigore, piazzando nuovamente la sua bacchetta tra le
scapole dell’uomo.
Il resto
del viaggio proseguì in silenzio e Tonks cercò di evitare ogni ricordo o
fantasticheria che potessero distoglierla dal mettere i piedi al posto giusto,
sul sentiero. Si vedevano già le luci del paesetto dove i gemelli e Molly
avevano trovato per lui un nascondiglio.
Remus era
stato categorico nel costringere Severus a prendere con sé un Auror come
guardiano e come protezione. Era necessario che rimanesse in vita, mentre
venivano controllati i particolari che aveva fornito sui motivi della scelta di
Silente. Remus era partito il giorno dopo l’incontro per comunicare ad Harry
quello che era emerso e aveva lasciato precise istruzioni affinché
quell’incarico venisse affidato a Tonks.
Tonks aveva
chiarito a Arthur quale fosse la sua opinione su Remus, sulle sue abilità
intellettuali, sulle sue competenze di uomo, sul suo futuro e in generale sulla
sua persona. Le aveva urlare per la precisione. Poi le aveva scarabocchiate su
una pergamena e le aveva inviate al suo capo. Arthur si era limitato ad
ascoltare le sue osservazioni, seduto al tavolo di casa di Remus, mentre Molly
finiva di preparare la cena per coloro che sarebbero passati di là in serata.
Anni di esercizio con sette figli lo rendevano immune dalla maggior parte delle
invettive. Semplicemente le ascoltava, migliorando la sua abilità nel non
reagire.
Tonks non
si era posto il problema, allora, di quello che Snape poteva aver sentito, dato
che si trovava nella camera da letto, oltre la porta alle sue spalle. Ma se lo
pose adesso. Stava dormendo in quel momento? Sempre che fosse stato possibile
dormire mentre lei urlava. Oppure aveva ascoltato tutto? Comprese le sue
osservazioni sulla possibilità che il Professore di Pozioni non fosse un uomo,
ma un discendente diretto di un’unione tra un drago e una scimmia. Oppure le sue
ipotesi sulla sua capacità di procreare. Facendo attenzione a non staccare la
punta della sua bacchetta dalle scapole dell’uomo, cercò di immaginare come
mai Snape non
aveva commentato con il suo solito ironico e malevolo sarcasmo quello che lei
aveva detto.
Non appena
scorsero la prima casa del paese, entrambi si
fermarono.
“Adesso mi
seguirete, Professore, fino al rifugio. Restate al mio fianco,” gli disse Tonks,
guardando la strada davanti a sé per individuare i riferimenti che le erano
stati dati e limitandosi ad un’occhiatina veloce
all’uomo.
“Immagino
che tu sappia dove siamo diretti, ragazzina,” osservò
Snape.
“Preferisco
quando mi chiamate Miss Tonks!” disse
seccamente.
“Oh, mi
scusi, dolce Miss. Sa dove siamo diretti?” le chiese guardandosi attorno. Aveva
sussurrato il suo nome come fosse il suono di un
serpente.
“Certamente!”
“Allora
perché siamo fermi? Problemi di orientamento?” Le lanciò
un’occhiatina.
“È stato in
silenzio per tutto il viaggio. Deve proprio parlare ora?” chiese Tonks,
individuando finalmente il lampione che indicava la strada per raggiungere la
casa dove rinchiudere quell’uomo.
“Mi
sembrava molto concentrata nel tentare di trovare dei motivi per essere qui. Non
voleva disturbarla, dolce Miss.” Snape seguì il suo sguardo e vide la
strada.
“La smetta
di chiamarmi dolce Miss. Sono Tonks!” disse seccamente puntandogli la bacchetta
contro una spalla, con sguardo inferocito.
“Oh,
davvero?” le chiese, sorpreso.
Tonks
chiuse per un attimo gli occhi e prese un profondo respiro. Poi, senza più
degnarlo di uno sguardo, partì a passo spedito verso il lampione. Snape le si
mise a fianco.
Entrarono
nel paesino seguendo la strada principale, costeggiata in entrambi i lati da
piccole casette di uno o due piani, costruite in mattoni. Erano apparentemente
tutte uguali. Ogni tanto si notava la presenza di un negozio o di un ufficio.
Camminarono per alcuni minuti, superarono una piazza, con un palazzo adornato
con una bandiera e una chiesa e passata una curva, Tonks vide il secondo segnale
che le era stato dato. Un portone rosso. Doveva solo contare altri tre ingressi
e il quarto sarebbe stato il loro.
Mentre
camminavano Tonks si rese conto che c’erano alcune donne in piedi, davanti al
portone di una casa. Era dall’altro lato della strada, rispetto a dove erano
diretti, quasi di fronte. Erano le uniche persone che osavano rimanere
all’aperto a quell’ora della sera. Stavano chiacchierando, ma c’era qualcosa di
sbagliato in quell’immagine. Qualcosa che le fece scattare un segnale di
allarme. Quattro donne. Sole. In una serata gelida. Davanti ad una casa. Vestite
anche pochino, secondo lei. Il suo mantello di lana le era appena sufficiente,
con berretto, guanti e sciarpa, per ripararla dal freddo pungente. Quelle donne
indossavano solo gonna e maglioncino. Gonne corte, inoltre. A qualcuna
s’intravedeva anche il bordo della calza, e il gancio della
giarrettiera.
Nel preciso
istante in cui quel particolare le balzò alla vista, un unico pensiero arrivò al
suo cervello.
Fred e
George Weasley.
Quasi si
bloccò sulla strada, proprio davanti al gruppo di donne. Respirando
profondamente, tentò di distogliere lo sguardo, preparandosi mentalmente ad
uccidere i due ragazzi. Doveva solo capire il ruolo di Molly in tutto
quello.
“Ehi,
tesoro!” chiamò una delle donne. Tonks si girò, ma non stava parlando con
lei.
“Perché non
lasci tua figlia per questa sera e ti dedichi a noi?” continuò la
donna.
Tonks
guardò in alto, verso il volto di Snape e lo vide con gli occhi socchiusi, lo
sguardo rivolto al gruppetto di donne. Ma rimase in
silenzio.
“Andiamo,
tesoro!” aggiunse un’altra del gruppo. “Non lasciarti distrarre dai tuoi doveri
con quella bambina…” e allungò una gamba verso di loro, lasciando che la gonna
risalisse leggermente.
Tonks si
sentì arrossire. E accelerò il passo.
“Vedi,
tesoro,” continuò la donna, “ti lascerebbe con
noi…”
Tonks si
fermò e si girò a guardare Snape. Era ancora fermo a due metri da lei. Guardava
il gruppetto di donne. All’improvviso, spostò lo sguardo su di lei. Sembrava
proprio intento a valutare la situazione. Ma poi le si
avvicinò.
“Noi siamo
qui, se cambi idea dopo averla messa a letto…” gli disse la prima donna,
vedendolo allontanarsi.
Tonks
velocemente prese le chiavi della casa e aprì il portone
d’ingresso.
“Lumus!”
sussurrò. E tutte le candele di casa si accesero. Alle sue spalle sentì Snape
chiudere la porta.
“Immagino
che la scelta del posto abbia coinvolto i gemelli Weasley,” commentò l’uomo,
pacatamente.
“Già…”
assentì Tonks. Poi si avviò lungo il corridoio d’ingresso, osservando la
casa.
“Siamo in
zona babbana…” osservò Snape. “Come mai questa
scelta?”
“Non mi
hanno dato spiegazioni. Lo chieda a Molly, se vuole,” rispose brusca Tonks. In
fondo al corridoio si apriva il salotto e a fianco una cucina. Erano collegati,
anche se avevano due ingressi indipendenti. Uscendo dalla cucina, vide che Snape
era ancora fermo vicino all’ingresso e la guardava. Dopo un breve sguardo,
ricambiato, salì al piano di sopra, lasciandolo da solo. C’erano due stanze dal
letto e il bagno.
“C’è un
solo bagno! Spero che non ci saranno problemi nell’averlo in comune!” disse
scendendo le scale e osservando il soffitto. Era stata pulita molto bene, quella
casa. Percepì l’ombra di Snape in fondo alle scale solo all’ultimo momento e si
fermò, assicurandosi di rimanere più in alto di lui. La fissava negli occhi con
tranquillità. Per un attimo le sembrò un sogno surreale nel quale stava cercando
casa con quell’uomo. Strinse leggermente gli occhi per il fastidio che le
provocava quell’idea.
“Cercherò
di usarlo in meno possibile…” le disse,
placido.
“Preferirei
che si lavasse spesso!” ribatté lei.
“Qualcosa
da dire sul mio periodo da fuggiasco?” le chiese. Severus sapeva bene che non
c’era stata occasione per lui di lavarsi e lavare i suoi vestiti troppo spesso
in quei mesi e questo era stato chiaro a chiunque lo avesse avvicinato prima
dell’arrivo a casa di Remus. Tonks era lì, intenta a guardare delle mappe su un
tavolo quando lui era entrato nell’appartamento, quando Remus lo aveva portato
con sé, e doveva aver colto quel lato dell’esperienza. Dal suo aspetto e dal suo
odore.
Non l’aveva
certamente resa partecipe del suo profondo disgusto per quella situazione di
sporcizia forzata. A volte aveva preferito barattare qualche misero soldo con la
possibilità di un bagno piuttosto che con un po’ di cibo. Era insopportabile
doversene stare senza lavarsi per intere giornate, se non aveva l’occasione di
fare qualche incantesimo e approfittare di qualche ignaro babbano. Facendo
attenzione a non farsi individuare da una squadra di controllo del Ministero
della Magia. Aveva sempre fatto affidamento sulla presenza di Arthur nel caso in
cui qualcuno avesse segnalato un uso improprio della magia nel bagno e nella
cucina di un babbano.
“Hanno già
trasfigurato i bagagli?” gli chiese, facendo un cenno al
corridoio.
Snape la
guardò per un attimo e poi sembrò accogliere la sua richiesta. Si spostò e la
lasciò scendere. Tonks gli passò accanto, sfiorandogli il petto con una spalla,
camminando impettita. Davanti alla porta era comparso il suo baule e una piccola
sacca di pelle usata.
“Tutto
qui?” gli chiese, senza girarsi.
“Meglio
viaggiare leggeri se si scappa,” si limitò a commentare
Severus.
“Domani
andremo a compare qualcosa,” aggiunse lei sollevando il baule con un colpo di
bacchetta e facendolo volteggiare verso le scale. Snape si appoggiò alla parete
del corridoio per non esserne travolto e la guardò con un sorriso
ironico.
“Hai il
compito di sorvegliarmi o di uccidermi, Miss
Tonks?”
“Il dovere
e il piacere non sempre coincidono!” gli
rispose.
“Lo so.
L’ho imparato a mie spese,” disse distogliendo lo sguardo da lei, con
espressione dura, quasi cattiva.
Per la
prima volta da quell’estate, Tonks sentì un lampo di pietà per Snape. Lei lo
odiava per quello che aveva fatto e lo riteneva colpevole della sua scelta di
assecondare Silente. Ma adesso si rese conto che Snape era a conoscenza da mesi
delle richieste del Preside. E da mesi aveva accettato. Doveva sentirsi
colpevole e odiarsi da molto tempo. E non poteva ribellarsi o rifiutare.
Rifiutare non lo avrebbe portato solo alla morte, ma anche a tradire un uomo che
si fidava di lui e della sua lealtà.
Un po’
della pietà passò dai pensieri al volto di Tonks e Snape la vide.
Immediatamente, prese l’espressione feroce di sempre. Quella del
Professore.
“Non
permetterti di provare pietà, Miss Tonks!” sputò con rabbia. “Mai. Odiami, ma
non provare pietà, quando sei con me!”
Tonks
rimase in silenzio, offesa per quella richiesta e gli passò davanti, seguendo il
baule. Ancora una volta la spalla si appoggiò per un attimo allo sterno
dell’uomo. Quella casa era sempre più piccola. E Snape sempre più
presente.
Tonks salì
le scale senza programmare dove stava andando. Cercava solamente di sottrarsi
alla puntigliosa presenza di Snape. Si infilò nella prima camera del piano
superiore, quella più lontana dal bagno. Lasciò cadere il baule in centro alla
stanza e con un aria annoiata lanciò un incantesimo silenzioso, lasciando che
gli indumenti si riponessero nell’armadio, i libri negli scaffali, le scarpe nel
terrazzino e il necessario per il bagno… si
fermò.
Non poteva
permettersi di lasciare tutto quello che lei usava in bagno, alla portata delle
mani e degli occhi di Snape. Non intendeva commentare con lui la scelta della
crema da viso o del fondotinta. Per non parlare di altri accessori più intimi.
Lo appoggiò sul comodino vicino al letto.
Attorno a
lei c’era il silenzio. Cercò di ascoltare i rumori della camera accanto, ma non
si sentiva muovere nulla. Poi il tintinnio di un oggetto in metallo sbattuto
contro un altro, le fece capire dove si trovasse il suo
prigioniero.
Scese le
scale e lo raggiunse in cucina. Stava preparando dell’insalata e, in una
padella, sfrigolavano delle salsicce. Tonks rimase a guardarlo con sorpresa e
ammirazione. Si stava muovendo in cucina come se fosse il suo ambiente naturale.
Tagliava, mescolava, controllava la cottura senza usare la magia,
destreggiandosi come un babbano.
“La
carriera di fuggiasco prevede anche lezioni di cucina babbana?” gli chiese,
appoggiandosi con un fianco e una spalla allo stipite della
porta.
“No,” le
rispose Snape senza alcun segno di sorpresa al suono della sua voce, “ma mi
piace farlo.”
“Chi ti ha
insegnato?” gli chiese sorpresa.
“Mia
madre,” le rispose facendo sfrigolare un pezzo di pane in un’altra padella per
qualche secondo. Poi lo prese con una spatola e lo porse a
Tonks.
Tonks lo
prese e lo addentò immediatamente, gustando il sapore del burro fuso. Aveva
decisamente fame. E probabilmente anche lui. La fatica si dileguò un
poco.
“Ho preso
la prima camera da letto,” gli annunciò.
“D’accordo…” commento laconico. “Ho messo il mio borsone nella seconda.
Apparecchia la tavola, Miss Tonks,” le disse con il solito tono
dittatoriale.
Troppo
affamata e troppo stanca per ribattere, Tonks cercò il necessario nella cucina.
Trovò piatti, bicchiere e posate, un po’ di tovaglioli bianchi, ma nessuna
tovaglia, né qualcosa che potesse assomigliarvi. Allora cercò due canovacci
della cucina, i più colorati e li usò come sottopiatti. Piton, terminato il suo
compito di cuoco, la guardò, le mani appoggiate sul mobile vicino ai fornelli,
il corpo inclinato all’indietro e rilassato, gli occhi affaticati quanto quelli
di Tonks. Non sarebbe riuscito a fare un altro centinaio di metri, quella sera.
Si sentiva sfinito, anche se non avrebbe mai dato la soddisfazione di scoprirlo
a quella ragazzina. La prospettiva di un vero letto, con un materasso e delle
lenzuola e di una doccia calda… anche mangiare gli sembrava una perdita di
tempo. Riscuotendosi dal torpore della sonnolenza, afferrò la padella con le
salsicce e ne mise due a testa nei piatti. Poi prese la terrina con l’insalata
e, sedendosi, la porse a Tonks, che nel frattempo si era già infilata in bocca
un pezzo di carne e masticava soddisfatta. Senza degnarlo di uno sguardo prese
anche l’insalata e si riempì il piatto. Continuò a mangiare con tenacia,
gustando ogni singolo boccone. Non sembrava particolarmente ingorda, ma
apprezzava quello che aveva nel piatto. Lui invece sbocconcellò la salsiccia,
arrivando a mangiarne una e qualche boccone di insalata. Era decisamente troppo
stanco.
“Scusami,
Miss Tonks,” le disse alzandosi, mentre lei terminava di mangiare l’insalata
direttamente dalla terrina. “Se non hai nulla da obiettare, andrei a farmi una
doccia e poi a dormire.”
Tonks ebbe
la precisa sensazione che se anche lei avesse avuto un’opinione diversa, lui
avrebbe fatto esattamente quello che le aveva detto. Nulla di diverso. Quindi si
limitò a dargli le informazioni basilari.
“Mi piace
trovare il bagno pulito. La casa è stata sistemata da Remus per quello che
riguarda le misure di sicurezza, anche se lui mi ha detto di dirle che sa
benissimo che non servono a nulla dato che il prigioniero era solito ottenere
voti migliori dei suoi in Difesa Contro le Arti Oscure. Quindi mi ha
raccomandato di non dirgliele per avere almeno la soddisfazione che possa
scoprirle da solo.” Si fermò per riprendere fiato. Si accorse con Piton la
guardava, ma non la ascoltava. “È chiaro?” gli
chiese.
Snape
annuì, lentamente. “Abbiamo una sveglia,
domani?”
“Io mi
sveglio comunque verso le sette,” gli rispose. “La chiamo verso le sette e
mezzo, così il bagno è già libero.”
“Mi piace
trovare il bagno pulito…” si limitò a ribattere lui, scimmiottandola. E senza
dirle altro se ne uscì dalla cucina, diretto alla camera da
letto.
Tonks
scosse la testa, sconsolata. Una settimana con un uomo così loquace poteva farti
dimenticare ogni lato positivo del genere maschile. Terminò di mangiare tutta
l’insalata e poi lavò i piatti e sistemò le
stoviglie.
Dopo poco
più di 30 minuti anche Tonks era pronta per andare a letto. Si avviò sulle scale
che conducevano al piano superiore, cercando di capire dai rumori della casa,
dove si potesse trovare Snape. Sentì aprire e chiedere lo sportello di un’anta
del bagno e poi il rumore dell’acqua.
Si fermò quasi in cima alla scala per osservare meglio la situazione.
L’unica luce del corridoio arrivava dal bagno, anche se la porta era socchiusa.
Il rumore dello spazzolino che si muove sui
denti.
Poi si aprì
la porta. Snape ne uscì con un asciugamano stretto ai fianchi e lungo quasi fino
a terra, arrossato dal calore dell’acqua. Si era lasciato la barba, fu il primo
pensiero. E dovrebbe decisamente tenere i capelli legati dietro il collo.
Appariva vulnerabile. Ancora più giovane.
Snape si fermò, sorpreso di vederla
lì.
“Ho
sistemato il bagno, Miss Tonks. Puoi controllare, se vuoi.” E nel dirlo si avviò
alla sua camera, chiudendosi la porta alle spalle prima che Tonks potesse anche
solo formulare un pensiero.
Lentamente
Tonks raggiunse la propria camera. Non riusciva a togliersi dalla mente
l’immagine di Snape che aveva appena visto. Non era certamente l’uomo più bello
o sensuale o anche solo attraente che avesse visto a petto nudo. Le era sembrato
ancora più magro e debilitato, in verità. Prese il necessario per andare a farsi
la doccia. Vedere un Professore seminudo non era mai stato un suo desiderio.
Camminando, ancora soprapensiero, ritornò verso il bagno e appena entrata capì
che quando Snape parlava di sistemare qualcosa sapeva bene di cosa parlava. Il
bagno era perfettamente lucido e profumava di qualche fiore, anche se Tonks non
riusciva a riconoscere di quale fiore, in particolare, si trattasse. Tutto era
perfettamente allineato, perfettamente asciutto e perfettamente impersonale.
Tonks si chiese perché una persona trovava importante perdere il suo tempo per
ripulire così a fondo un bagno. Certo anche a lei piaceva trovarsi in un
ambiente pulito per fare la doccia, ma non così asettico. Sistemò il beauty con
quello che le serviva vicino alla doccia e si tolse i vestiti. Li appoggiò
disordinatamente sul lavandino, certa che non vi fosse neppure una goccia
d’acqua e si lasciò coprire dal getto dell’acqua che aveva già aperto per
poterla scaldare. Si concesse una lunga doccia bollente, si asciugò e si lavò i
denti. Poi si avvolse nell’asciugamano, raccolse le sue cose e uscì dal bagno,
rifugiandosi in camera. Doveva
ricordarsi di ringraziare Molly per averle fatto trovare tutto il
necessario.
Qualche
minuto dopo, coperta da un rassicurante pigiama, decise di controllare che la
casa fosse chiusa e tutti gli allarmi in funzione. Ritornò al pianoterra e
controllò porte e imposte. Dalla finestra del salotto si vedeva ancora la luce
accesa in strada e si sentivano le voci attutite delle donne che chiacchieravano
lì davanti. Una volta rientrata a Londra avrebbe trasformato i capelli dei
gemelli in viscide bisce verdi, possibilmente davanti a qualche ragazza. Salendo di nuovo verso la camera, si
ricordò di non aver parlato per l’intera serata con Snape delle regole di quella
prigionia. Rimase incerta sul pianerottolo, chiedendosi se poteva o meno entrare
nella camera del Professore, oppure se aspettare il mattino
successivo.
Snape non
aveva nessun motivo per allontanarsi da lì. Era ricercato dal Ministero e dai
Mangiamorte. Solo l’Ordine lo cercava per collaborare e non per accusarlo di
essere il braccio destro di Voldemort o di Silente. Dai brevi accenni fatti da
Snape, Tonks aveva capito che la prospettiva di una doccia, di un letto e di un
pasto caldo, era la catena più solida per tenerlo ancorato ad un luogo. Snape
doveva aver patito parecchia fame e parecchio freddo in quei mesi. Paura e
incertezza. Decise di lasciarlo riposare e di definire il giorno successivo le
regole di sicurezza.
Se ne andò
in camera, a riflettere a letto. Il mandato dell’Ordine era di custodire
quell’uomo in attesa che decidesse come aiutarli, quale missione compiere a loro
vantaggio. Remus era andato da Harry per raccontargli quello che Snape aveva
raccontato loro. Si girò su un fianco e si sistemò ben bene sotto le coperte.
Avrebbe fatto tutto domani. Gli elementi di rischio erano minimi. E si
addormentò.
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Capitolo 2 *** Shopping ***
Al mattino furono i rumori
fuori della casa a svegliarla. Un cigolio incessante che penetrava la casa e si
faceva sentire persino nella sua camera. Snape doveva essere sveglio da
parecchio, dato che la sua dava direttamente sulla
strada.
Con un sospiro di rassegnata
irritazione, Tonks uscì dal guscio piacevole delle coperte e si infilò
velocemente un maglione sopra il pigiama, per ripararsi dal freddo. Con le
pantofole ai piedi scese le scale, seguendo il profumo di bacon che saliva dal
pianterreno. Aveva visto la porta della camera di Snape aperta e l’aveva
collegata alla presenza di quel meraviglioso odore in cucina, dato che l’uomo si
era dimostrato un buon cuoco.
Lo vide subito, di spalle,
impegnato a trafficare con degli attrezzi di
cucina.
“Se questo è il ritmo degli
Auror, speriamo di non avere attacchi di prima mattina…” lo sentì
commentare.
“Solo dopo colazione,”
rispose pronta Tonks. “Esiste un regolamento in
proposito!”
“Allora sei in grado di
svegliarti da sola,” le disse girandosi a guardarla. “Credevo che i bambini
avessero bisogno degli adulti anche alla tua età.”
Incerta se rispondere o meno,
si ricordò d’un tratto perché erano lì, cosa li aveva condotti in quella
situazione. Si fermò e decise di procedere con la preparazione della colazione.
Nel silenzio mise in tavola due tazze con relativi piattini, cucchiaini,
tovaglioli e posate. Sentiva lo sguardo di Snape sulla sua
schiena.
“Cosa desideri mangiare per
colazione?” le chiese Snape, secco e quasi irritato dalla
situazione.
“Di solito bevo del the con
biscotti, oppure una brioche. Ma se mi offre qualcosa di pronto, non disdegno
nulla.”
Senza parlare portò in tavola
un piatto di bacon, con burro e piccoli panini.
“Da dove arrivano queste
cose?” gli chiese incredula.
“Sono della casa,” gli disse.
“Forniture base…”
“Allora Molly a sistemato
anche la cucina, oltre al bagno…” dedusse, correttamente,
Tonks.
Mangiarono nel silenzio.
Tonks cercò di osservare Snape senza farsi notare, cosa che era impossibile,
come aveva imparato in anni di scuola, ma decise che dopo tanto tempo poteva
mandare a quel paese la sua soggezione per
quell’uomo.
Era decisamente magro,
scarno. I capelli erano sempre i suoi, lunghi, senza forma e troppo lisci. Il
naso sembrava raccogliere tutto il resto del volto. Anche gli occhi
scomparivano, tranne quando li puntava contro gli altri. Allora diventavano dei
punti luminosi. Non potevi non sentirti presa da quello sguardo. Il collo lungo
e magro, il segno delle spalle aguzze sotto il maglione, le mani ossute e
curate. Solo allora Tonsk notò qualcosa che non quadrava in tutto quello e si
diede della stupida. Come poteva pensare di essere un buon Auror se non era in
grado di riconoscere un cambiamento come quello?
Snape era vestito come un
babbano. E non era vestito di nero. Aveva un maglione di lana marrone scuro, che
sembrava tanto una creazione di Molly. E un paio di pantaloni, sempre marroni,
di velluto.
Orrido.
Facendo cadere il tovagliolo,
Tonks si chinò e gli guardò i piedi. Gli scarponi.
Terrificante.
Terminò velocemente il panino
che aveva in mano.
“Dobbiamo cercare qualcosa da
vestire per lei che non la faccia sembrare un barbone…” gli disse alzandosi e
portando tazza e piattino all’acquaio.
“Ho solo quello che mi ha
dato Remus,” disse lui. “E non ho certo soldi babbani,” le rispose irrigidendosi
sulla sedia. “Qualcosa da ridire anche sulla mia
faccia?”
Tonks rimase in silenzio.
Fissandolo.
“Devo cominciare a pensare
cosa fare per l’Ordine, Miss Tonks. Questa cosa degli acquisti prevede anche la
mia presenza?” le chiese alzandosi a sua volta e avvicinandosi a lei. Subito
spostò lo sguardo verso l’estero della casa.
La strada era
deserta.
“Non penserà di mandarmi a
comprarle maglioni e pantaloni da sola?” le chiese con derisione, senza
guardarlo. “Non è certo mio padre! E anch’io devo lavorare per
l’Ordine!”
Snape strinse gli occhi,
irritato. “Allora cerchiamo di fare in fretta,” concluse attirando a sé le
stoviglie e sbattendo tutto nell’acquaio Mormorò un veloce incantesimo che fece
sollevare le stoviglie, aprire il rubinetto dell’acqua e apparire una spugna e
una schiuma bianca. “Dove sono i soldi e dove si comprano i vestiti?” E
dicendolo se ne andò dalla cucina e Tonks lo sentì salire le scale. Fece un gran
sospiro. Era l’uomo peggiore con il quale avesse mai condiviso
qualcosa.
Rassegnata a trascorrere dei
giorni di tormento e di frustrazione si alzò e prese dal cassetto del mobile in
corridoio, un piccolo comodino di legno intarsiato, dei soldi babbani. Aveva
fatto qualche allentamento nell’usarli e sperò di ricordarsi il corretto valore.
Snape stava scendendo le scale. Aveva indossato il giaccone di lana,
asciutto.
Lei prese semplicemente il
proprio dall’appendiabiti nell’ingresso e appoggiò la mano sulla maniglia della
porta. Subito sentì la mano calda e decisa di Snape sopra la propria. Si girò
con un’espressione interrogativa. Gli era addosso, vicinissimo. Si sentiva un
profumo di muschio, quasi impalpabile. E Snape si sentì colpito dal profumo di
arance e limoni. Si scostò all’indietro, anche se di
poco.
“Almeno sai dove andare e
cosa comprare, Miss Tonks?” Aveva ripreso il suo solito tono di
derisione.
“So cosa comprare per non
farla sembrare un pazzo trai babbani!” gli rispose piccata. “So come si dovrebbe
vestire un uomo della sua età…” disse, sottolineando con enfasi l’ultima
parola.
Snape rimase in silenzio per
un attimo. “Conosci i soldi babbani?”
“Fa parte
dell’addestramento,” disse come per rassicurarlo.
Si aspettava un rimprovero o
un giudizio, ma Snape fece un piccolo sorriso di scherno. E aprì la
porta.
“Negozio di abbigliamento
alla sua sinistra,” gli disse uscendo dietro di lui e chiudendo la
porta.
“Non posso rivedere le mie
donne?” le chiese, alzando il bavero della giacca e stringendoselo attorno al
collo. Le mani erano nude, notò Tonks.
“La lascerò giocare questa
sera, se proprio non riesce a farne a meno,” sbottò lei,
irritata.
Il silenzio le fece
immaginare una smorfia ironica da meritare un pugno in faccia. E allora rimase
in silenzio.
Arrivarono velocemente al
negozio di abbigliamento. Si trovava a poco più di un centinaio di metri, sempre
sulla strada principale. Guardandosi attorno Tonks dedusse che non ci fosse poi
molto altro, a parte quella strada principale. Vide due negozi di abbigliamento
femminile, un panificio e un negozio di frutta e verdura. Poi, passate due case,
arrivarono al negozio di abbigliamento.
C’era un’unica vetrina, a
fianco della porta d’ingresso e mostrava una serie di maglioni colorati e di
pantaloni in velluto o lana. Sembrava molto rigoroso e formale. Tonks si chiese
se mai Snape avesse indossato abiti diversi
da quelli che vedeva a scuola. Era un mistero anche nelle piccole cose,
quell’uomo.
Entrarono e si sentirono
entrambi felici di ritrovarsi al caldo.
“Buongiorno,” disse loro un
commesso. “In cosa posso aiutarvi?”
Prima che Tonks proferisse
parola, Snape prese l’iniziativa.
“Sto cercando dei vestiti per
me. Sono dimagrito e devo cambiare parecchio nel mio guardaroba. A partire dai
pantaloni. Sportivi.”
Il commesso, un uomo di
almeno un decennio più vecchio di lui, lo squadrò da cima a fondo, senza lasciar
trapelare nessuna considerazione sul suo attuale abbigliamento. Gli fece cenno
di seguirlo e lo portò vicino ai camerini.
“Colori preferiti?” gli
chiese, cortese e professionale.
“Scuri. Nero, blu, grigio…”
disse sbrigativamente Snape. “Delle camicie altrettanto scure, niente di
bianco.”
Il commesso fece un cenno di
approvazione e andò a zonzo.
Solo allora Snape si girò a
guardare Tonks. Era in piedi poco distante, le braccia incrociate e lo guardava
sorridendo. Indossava quel suo strano giaccone senza forma, degli stivali
azzurri sotto ad un paio di jeans sformati e tagliati. Guanti e sciarpa erano di
uno strano miscuglio di verde e giallo. Almeno i capelli erano di un comune
color castano.
“Le mancava qualcuno da
comandare, eh, Professore?” gli disse sottovoce. “Adesso può
sfogarsi.”
Snape distolse lo sguardo,
irritato, e cercò un camerino libero. In realtà erano gli unici clienti nel
negozio, dato l’orario. Avevano aperto da meno di mezz’ora. Erano entrambi così
stanchi che si erano svegliati ben oltre l’orario
previsto.
Il commesso ritornò con tre
diversi tipi di pantaloni.
“Sono diversi per colore e
modello. Li provi e mi dica quale preferisce,” gli disse porgendoglieli. Snape
li prese e si chiuse dentro uno dei camerini.
Mentre si toglieva
quell’odiosa cosa di velluto che Molly gli aveva infilato nella borsa, come
pantaloni, sobbalzò sentendo la voce di Tonks, poco
distante.
“Devo rimare per dare il mio
parere?” chiese pacata.
“Mi vesto da solo da parecchi
anni, Miss Tonks!” le rispose a mezza voce, irato.
“Ecco, appunto. Allora
rimango qui per darle un occhio, visti i risultati…” ridacchiò la
ragazza.
Snape si sfilò scarpe e
pantaloni e infilò dei pantaloni lana, grigio scuro. Il commesso ci sapeva fare.
La taglia era perfetta. Erano comodi.
“Se non le spiace le passo
anche una camicia e un maglione, così può già provarli…” sentì dire dall’uomo.
Aprendo leggermente la porta, Severus allungò un braccio e prese gli indumenti,
facendo attenzione a non incrociare lo sguardo di quella odiosa ragazzetta che
Remus gli aveva propinato come custode. Odiosa, divertente e anche dannatamente
attraente. Doveva prendersela con Remus, maledetto
Griffondoro!
Finì di spogliarsi e si provò
tutti gli indumenti. Il maglione era forse troppo largo, ma le maniche erano
perfette. Era dimagrito ancora… pensò. Poi chiuse gli occhi e si domandò perché
stava acquistando vestiti, se il suo destino era solo quello di morire. Per mano
di un Mangiamorte, probabilmente. Ma il suo destino era morire. Prima di farlo
doveva indagare ancora e stanare quanti più luoghi di incontro dei seguaci
dell’Oscuro Signore. O qualsiasi altro elemento utile all’Ordine. Riaprì gli
occhi e uscì dal camerino per controllare come gli stavano quei
vestiti.
Alacremente il commesso si
inginocchiò per prendere la misura della lunghezza dei
pantaloni.
“Glieli sistemiamo in due
giorni, signore, se serve…” gli propose prendendo uno spillo. Ma si accorse che
non erano esageratamente lunghi. “Che scarpe desidera, signore? Così troviamo la
lunghezza esatta.”
“Dei semplici mocassini,
pratici. Delle scarpe da ginnastica, nere.” disse guardando verso Tonks. Che si
lasciò quasi sfuggire di mano il maglione che stava
osservando.
“Scusate,” disse tirandosi un
sorriso sulle labbra e raccogliendo il maglione. Cercò lo sguardo di derisione
di Snape, ma il maledetto stava osservandosi allo specchio. E stava dannatamente
bene, vestito in quel modo. Anche se le rughe sul volto dimostravano tutta la
sua tensione.
Poco meno di dieci minuti
dopo aveva anche provato dei jeans, un paio di scarpe e un altro maglione. Due o
tre camicie.
Altri dieci minuti ed erano
alla cassa per pagare. Snape ascoltò senza battere ciglio l’elenco di quello che
aveva acquistato (tre pantaloni, tre maglioni, cinque camicie, due paia di
scarpe) fino a quando la signora che era alla cassa non aggiunse sciarpa e
guanti grigi e un giaccone imbottito corto. Si girò a guardare verso Tonks che
gli sorrise.
“Ho pensato che potevi averne
bisogno. Il giaccone è molto usato, oramai, non credi?” gli chiese con voce
dolce.
Snape la fissò per alcuni
secondi, poi fece un minimo cenno di assenso.
Sentendo il conto finale,
Severus di rivolse nuovamente a Tonks, che prese da una qualche tasca del suo
giaccone, tasca invisibile a chiunque, le banconote babbane. Severus allungò una
mano e gliele sfilò, sfiorandola leggermente sul
palmo.
Tonks sentì i brividi
risalire fino alla spalla. Ma per fortuna lui si era già rivolto alla cassiera
per pagare e non la guardava.
Si diede della stupida. Non
era certamente la prima volta che un uomo la sfiorava e del tutto casualmente.
Neppure un uomo dell’età di Snape. E soprattutto non poteva assolutamente
provare dell’attrazione proprio per quell’uomo. Che era sempre più umano,
aggiunse. Lo guardò pagare con disinvoltura, prendere il resto e infilarlo in
tasca, prendere i sacchetti e girarsi verso di lei.
“Andiamo?” le
chiese.
Lei annuì e salutò. Il
negozio aveva già altri clienti.
Uscirono in silenzio e
tornarono a casa, uno dietro l’altra, lasciando al commesso l’immagine di una
coppia apparentemente unita, ma molto in crisi.
Camminando lungo la strada
Tonks gli si avvicinò. Trattenendo una risata.
“Scusi la domanda,
Professore. Ma come stiamo a slip e magliette?”
Severus si bloccò sul
marciapiede, costringendo qualche persona a scendere per superarli. La guardò
con gli occhi furiosi.
“Come ti permetti, Miss
Tonks?” le chiese a mezza voce, con un sibilo. “Verresti con me a prendere la
tua biancheria intima?” la sfidò.
“Beh, serve anche quella,
no?” commentò con il cuore in gola e l’espressione tranquilla, la ragazza. “Se
non vuole farlo da solo, io adoro fare acquisti.”
E si incamminò verso casa,
incerta se scoppiare a ridere o controllare che non la Schiantasse contro qualche
muro.
Appena rientrati, Severus si
tolse il giaccone e lo appese all’ingresso. Senza girarsi a guardare la ragazza
che lo seguiva, salì le scale e si chiuse in
camera.
Tonks pensò che volesse
sistemare i nuovi acquisti. Non intendeva seguirlo o fargli da balia e se ne
andò in salotto, con una mappa del territorio per ripassare gli indizi lasciati
dai gemelli.
Cercò di non focalizzare la
sua attenzione sulla linea dei pantaloni di Snape oppure sulle sue spalle. Né
sul ricordo del suo petto nudo la sera precedente.
Tonks decise che aveva
proprio bisogno di un uomo. Non c’erano altre spiegazioni. Un bisogno
impellente, visto a chi si stava rivolgendo il suo
pensiero.
Il resto della mattina lo
passarono separati. Al momento del pranzo Severus scese dal piano delle camere.
Tonks era in cucina, intenta a tagliare della
verdura.
“Ti occupi tu del pranzo,
Miss Tonks?” le chiese.
“Sto facendo le cose un po’ a
caso…” ammise Tonks con una smorfia. “Non ho la più pallida idea di cosa
preparare…”
Lo disse guardandolo e rimase
a fissarlo. Allora ci vuole veramente poco per lasciarsi affascinare da un uomo,
si disse Tonks.
Aveva indossato i vestiti
nuovi. Dei jeans scuri e un maglione grigio. Le scarpe sportive, quasi da
ginnastica, nere. Una camicia blu. I capelli raccolti in una coda sottile. La
barba ancora lunga.
Era brutto, si disse Tonks.
Non aveva fascino. Almeno per lei. Eppure le dava i
brividi.
Di paura, si disse. Di
irritazione. Di rabbia.
Ma questo come poteva
spiegare l’immagine che le saliva alla mente di un uomo con un asciugamano
avvolto ai fianchi? Anche nei momenti meno
indicati.
“Cucino io,” disse Snape, un
po’ irritato da quello sguardo fisso su di lui.
Senza nessuna cortesia
cominciò a lavorare.
Il pomeriggio fu lungo e
denso di impegni per entrambi. Severus si chiuse nella sua camera con pile di
pergamene e non si fece vedere per almeno quattro
ore.
Tonks, anche se curiosa, non
osò avvicinarsi alla stanza con una scusa. Rimase in salotto, completò l’analisi
delle mappe e preparò un resoconto dei primi due giorni che inviò a Remus e ad
Arthur, i suoi due riferimenti. La risposta di entrambi, arrivò con i relativi
Patronus, dopo un’oretta, durante la quale lei aveva fatto esercizi di
ginnastica in camera. Era abituata a correre quasi ogni giorno o a fare
palestra, in qualche modo. Non amava l’inattività. Neppure forzata. Muoversi
voleva dire sfogarsi e scaricare la tensione. L’arrivo dei messaggi la trovò in
cucina, incerta se preparare un po’ di te, fuori orario, solo per sé o anche per
il suo prigioniero in libertà.
Prese le due pergamene. La
risposta di Arthur era per rassicurarla che tutto procedeva secondo quello che
avevano definito. Harry, Ron, Hermione e Ginny stavano bene. Anche Ginny si era
fermata con loro. Stranamente Harry si era dimostrato d’accordo con la richiesta
della ragazza.
Remus invece le sottolineava
il fatto che Severus non poteva essere costretto a fare quello che l’Ordine gli
chiedeva e inoltre non erano questi gli accordi. Era sempre stato uno spirito
libero, per volontà e necessità. Non aveva mai avuto nessuno con cui condividere
la sua vita. Né amici, né una compagna. E quindi doveva essere difficile, anche
per lui, passare del tempo a stretto contatto con una donna. Tonks si ripromise
di chiedergli se la scelta di mandarla con Snape era dovuta alla fiducia che
aveva nei suoi confronti o nel tentativo di creare un’intesa tra lei e il
Professore. Gli accordi tra Severus, Arthur e lui erano chiari a tutti e
tre. E comunque sarebbe arrivato
domani per condurlo da Harry. Le chiedeva di avvisare
Snape.
Ripiegando la pergamena,
Tonks decise di andare a chiamare il Professore per il te. Aveva un motivo,
adesso.
Salì le scale ascoltando il
silenzio. Da quando si era rinchiuso nella camera non aveva sentito nessun
rumore, neppure la sua voce. Appoggiò l’orecchio alla porta, ma sentì solo lo
sfregare di una penna sulla pergamena. Bussò. Il rumore si
interruppe.
“Cosa vuoi, Miss Tonks?” La
voce aveva un tono stanco.
“Sto preparando il te e ho
una comunicazione da Remus.”
“Scendo tra qualche
minuto.”
Tonks rimase indecisa per
alcuni secondi tra la scelta di scendere le scale e rispettare la privacy del
professore o entrare “per caso” chiedendo quale tipo di te preferiva. Poi, con
un sospiro, girò su se stessa e scese le scale. Avrebbe cercato in un altro
momento di trovare soddisfazione alla sua
curiosità.
Quando ormai stava per
versare il te, pronto e caldo, nella sua tazza, la raggiunse il
Professore.
“Grazie,” le disse, vedendola
versare il te. Lei gli porse la tazzina.
“Manca il latte e lo
zucchero,” precisò.
“Ho imparato a berlo senza
nulla, così nero,” le rispose con l’accenno di un
sorriso.
Tonks notò che gli occhi
erano di nuovo lucidi, come se avesse la febbre. Istintivamente gli mise una
mano sulla fronte, per capire se stava male. Lui si irrigidì e spalancò gli
occhi per la sorpresa.
“Lei ha la febbre,” gli
disse, togliendo la mano. Sembrava sorpresa dall’idea che un uomo come il
Professor Snape potesse ammalarsi. Lo guardò con
meraviglia.
“Lo so,” le disse
allontanandosi da lei e mettendosi seduto dall’altra parte del tavolo. “Ho già
preso la pozione, questo pomeriggio. Tra qualche ora se ne va.” E si mise a bere
il te.
“Avrebbe bisogno di riposare
un po’,” suggerì pacatamente. Non sembrava il momento di insistere, neppure per
il suo benessere.
“Non ho tempo, Miss Tonks,
non ho tempo,” e bevve ancora un po’ della bevanda calda. Ne sentiva un estremo
bisogno. La febbre gli faceva salire dei brividi di freddo improvvisi già
dall’inizio del pomeriggio.
Aveva dato la sua parola ad
Arthur e Remus. Doveva scrivere tutto quello di cui era venuto a conoscenza in
quegli anni lavorando per Silente, tutte le informazioni che aveva raccolto sui
Mangiamorte, la loro organizzazione, la loro gerarchia, i loro obiettivi. Erano
informazioni che aveva passato a Silente sempre verbalmente e di cui non c’era
traccia, adesso. Era necessario che l’Ordine potesse averle presto a
disposizione. Sicuramente tutto era stato annotato da Silente da qualche parte,
ma Minerva era ancora alla ricerca dei suoi diari o dei suoi ricordi. Non era
riuscita a trovare neppure il suo Pensatoio. Se Silente non si era preoccupato
di far avere all’Ordine quegli appunti era perché sapeva che Snape poteva farlo
direttamente. Molto del suo lavoro in quei giorni era proprio quello di
ricostruire i ricordi dei suoi ultimi vent’anni, selezionando quello che poteva
essere utile.
“Remus passa domani per
accompagnarla da Harry. Pensa di poter riprendersi per allora?” gli chiese
Tonks, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Ci andrei comunque,” le
rispose. La testa aveva smesso di pulsare. Chiuse un attimo gli occhi per
eliminare la luce che gli dava fastidio. Li riaprì dopo qualche secondo e tutte
le luci della casa erano state spente. Guardò Tonks che gli sorrise,
dolce.
“A me da sempre fastidio la
luce, quando ho la febbre,” e si bevve un po’ del suo
te.
Severus non le rispose, ma
accennò ad un altro sorriso. Prese la tazza con entrambe le mani per scaldarsi
ancora di più.
“Ha acceso il fuoco in
camera?” gli chiese. Lui annuì.
“Forse, se si fa una doccia
calda…” gli suggerì.
“Dopo…” si limitò a
rispondere, quasi casualmente. Sentiva la testa pesante e gli si chiudevano gli
occhi. Mentre lavorava almeno non pensava a come il suo corpo lo stava tradendo.
Con fatica si alzò dalla sedia, ma barcollò.
“Ehi!” esclamò Tonks
raggiungendolo e mettendogli un braccio attorno alla vita. “Adesso lei si sdraia
in salotto e si riposa fino a quando la pozione fa effetto. Quando l’ha
presa?”
“Prima di scendere, non mi
ero accorto dell’orario prima che tu mi chiamassi…” le sussurrò appoggiandosi a
lei e al tavolo. Era veramente difficile stare in piedi. E pensare. E quelle
braccia che lo toccavano gli riempivano la testa.
“Senta, spostiamoci in
salotto. Ce la fa?”
“Lascia che mi appoggi alle
pareti…” le disse con fatica.
Lentamente Tonks gli fece
fare i pochi passi che dalla cucina lo portarono al divano davanti al camino del
salotto. Lo fece sdraiare e gli mise addosso il plaid che era appoggiato su una
delle poltrone. Poi accese il fuoco.
“Quanto tempo deve aspettare
per la pozione?” Gli stava rimboccando il plaid e, arrivata alle spalle, si era
accovacciata vicino a lui.
“Non molto. Ne ho dell’altra
di sopra, vicino al letto.”
“Gliela porto qui. Arieggio
la stanza, intanto.”
“Le pergamene!” esclamò
Severus con forza, afferrandole un braccio. “Non
perderle!”
“D’accordo,” gli disse,
appoggiando la mano sopra quella che le stava artigliando il polso. “Le porto
qui, così sono al sicuro.”
Salì di sopra, preoccupata
per la salute di Snape. Si stava esaurendo, concluse. Stava spremendosi oltre il
possibile.
Nella stanza regnava il
silenzio e il buio. Le luci erano spente e dall’esterno, a quell’ora della sera,
arrivava solo il bagliore di un lampione. Anche il camino era stato spento. Vide
le pergamene sparse sul letto. Da un lato c’erano quelle ancora vuote e
dall’altro tre diverse pile di fogli scritti fittamente. Era la stessa scrittura
che lei aveva visto per anni nei suoi compiti di Pozioni. Stretta e angolosa.
Prese i fogli mantenendo l’ordine. Per ultimi quelli bianchi. Li appoggiò al
comodino con la penna. Andò alla finestra e aprì i vetri e leggermente le
imposte per far entrare un po’ d’aria. La stanza sapeva di chiuso. Guardandosi
attorno vide che oltre alle pergamene non c’era altro che lasciasse capire chi
fosse il proprietario della camera. Nessun indumento, nessun accessorio per il
bagno. Ricordandosi della mattinata Tonks aprì l’armadio e vide gli abiti nuovi
appesi con cura. In basso c’era la biancheria. Si chiese dove l’aveva comprata.
O se l’aveva con sé. Nera e grigia. Odiava il bianco quell’uomo, pensò. Ma aveva
degli slip carini, aggiunse ridendo e chiudendo il
mobile.
Prese le pergamene, la penna
e la pozione e scese al pianterreno. Intenzionata a far vedere al Professore che
non aveva rovinato il suo lavoro, gli si avvicinò. Stava dormendo.
Profondamente. Era sdraiato sulla schiena, la faccia rivolta leggermente verso
il camino. La coda si era disfatta e i capelli erano sparsi sul cuscino.
Appariva molto più giovane e molto meno tormentato con gli occhi chiusi e
l’espressione rilassata. Il respiro era regolare. Con delicatezza gli scostò dei
capelli dalla faccia. Poi Tonks si raddrizzò ripentendosi per l’ennesima volta
in quella giornata, che doveva trovarsi un uomo. Assolutamente. Appoggiò i fogli
sul tavolino a fianco del divano. Si rannicchiò in poltrona, con un libro, in
attesa che si svegliasse. Avrebbe preparato qualcosa di caldo per
cena.
Severus sapeva dove si
trovava. Ricordava di essere passato dalla cucina al salotto e di essere
crollato sul divano. Poi più nulla. Doveva essersi addormentato. La testa non
gli faceva male, anzi si sentiva meglio. Con attenzione aprì gli occhi e riuscì
a guardare il camino, acceso, senza alcun fastidio. Provò a spostare lo sguardo
e vide i piedi di Tonks che spuntavano dalla poltrona. Alzò leggermente la testa
per osservarla e vide che era sveglia, anche se il volto era rivolto alla
finestra. Indossava ancora quegli strani jeans rovinati e un maglione bianco
tutto traforato. Su era rannicchiata sulla poltrona, con un libro appoggiato
sulle gambe. Era bella. Era bella già quando frequentava Hogwarts. Durante il
suo sesto e settimo anno era stato difficile anche per lui non accorgersene.
Aveva un volto così espressivo, un sorriso ironico e la battuta pronta. Sapeva
essere attraente anche con lui, ma non se ne rendeva conto. Era stata forse
l’unica alunna alla quale aveva concesso qualche voto in più solo per il modo in
cui riusciva a tenergli testa con le battute e le domande, senza farsi
intimidire. Per quanto si dimostrava acuta e capace di gestire il suo
metamorfismo con allegria. Lei lo aveva sempre trattato come tutti gli allievi:
un Professore odioso e parziale, pronto a difendere solo la parte cattiva delle
persone.
“Ciao, Miss Tonks,” sussurrò
per non farla trasalire.
Ci riuscì in parte. Lei girò
di scatto la testa, sorpresa.
“Sono passate meno di due
ore… Credevo avrebbe dormito molto di più!” gli disse, quasi
imbronciata.
Lui sorrise. E Tonks lo vide,
per la prima volta, come avrebbe potuto essere con una vita diversa. Non sarebbe
mai stato bello con quei lineamenti, ma poteva essere interessante.
Affascinante. Attraente.
“Sono Professore di Pozioni
per qualcosa, no?” le disse togliendosi la coperta e mettendosi seduto. I
capelli gli scivolarono sulla faccia e lui li spostò dietro le orecchie, con un
gesto lento e gentile. La guardò. No, si disse Tonks, poteva essere anche bello,
quando lasciava uscire la sua dolcezza. Rimasero a fissarsi in silenzio per
qualche secondo. Severus non capiva quella tensione improvvisa, Tonks non
riusciva a liberarsene.
Poi Tonks si tolse da polso
una fascetta elastica bianca e gliela porse.
“Credo che la sua sia finita
tra i cuscini del divano.”
Severus la prese sfiorandole
nuovamente la mano quel giorno, ma
intenzionalmente.
Pettinò i capelli con le mani
e si rifece la coda.
“Come mai ha sempre portato i
capelli lunghi?”
“Perché una ragazza mi ha
detto che stavo meglio così,” rispose
sbrigativamente.
“Chi?” gli chiese,
aspettandosi una risposta caustica.
“Tua zia Bellatrix,” le disse
guardandola. Tonks aprì la bocca per la sorpresa. “Vado a preparare la cena.
Immagino che tu non sia in grado di usare una pentola,” e la lasciò seduta in
poltrona, sorpresa per quella risposta e senza difesa di fronte all’idea che
quell’uomo, quell’uomo così scontroso e intrigante, potesse aver avuto una
storia con sua zia.
Tonks lo raggiunse in cucina
dopo qualche minuto. Aveva risistemato il salotto, cercando di abituarsi
all’idea di Snape e Bellatrix.
“In che occasione mia zia le
ha fatto quella puntualizzazione? Sui capelli, voglio dire…” gli chiese
entrando.
“Eravamo molto giovani, Miss
Tonks.” Severus stava sistemando della verdura tagliata in una padella e si era
già pienamente pentito dell’osservazione fatta, ma era così bella seduta in
quella poltrona… Cercò un modo per sviare il discorso da quel suo
errore.
“Ma Bellatrix è più vecchia
di lei!” esclamò Tonks. “Non potete esservi trovati ad
Hogwarts!”
“A casa Malfoy, in effetti.
Eravamo tutti più o meno lì,” raccontò laconico. Non era esattamente così, ma
nessuno poteva smentirlo. E
soprattutto desiderava chiudere lì con quell’argomento. “Prepara la tavola, Miss
Tonks.”
“Immagino che questo voglia
dire che non se ne parla più di Bellatrix…” sospirò Tonks, afferrando canovacci
e tovaglioli per cominciare ad apparecchiare.
“Limitati a fare quello che
ti ho chiesto, Miss Tonks,” commentò acido Snape.
“Non siamo a scuola,
Professore. E lei sa essere molto meno antipatico, se vuole!”
Snape scelse il silenzio. Si
mise a mescolare le verdure nella padella e a controllare la carne che bolliva
vicino. Non voleva farsi coinvolgere in altre discussioni con quella ragazza.
Tonks sembrò accettare e riprese ad apparecchiare, senza magia, per far passare
del tempo. Snape rimase per tutto il tempo con lo sguardo rivolto verso le
pentole, ascoltando il suono di Tonks che sistemava i piatti e i bicchieri, che
riempiva una caraffa di acqua, che cercava dei panini da scaldare nel frigo, che
prendeva una carota, la puliva e cominciava a
morderla.
“Ma,” ricominciò masticando
la verdura, “come ha fatto ad imparare a cucinare babbano se sua madre era una
strega?” gli chiese. Aveva deciso che era necessario approfittare di quel
momento di grazia, prima che sparisse del tutto.
Errore. Snape si girò con uno
sguardo di fuoco.
“Cosa sai tu della mia
famiglia?” le chiese, guardingo.
“Oh, beh…” disse Tonks quasi
intimorita. “Quello che sanno tutti gli studenti di Hogwwarts. Sua madre era una
strega e suo padre babbano. Ne sa più lei di Arti Oscure di ogni altro
insegnante di Hogwarts. E forse anche di Pozioni. Crede fermamente in Silente. È
stato tra i Mangiamorte, ma poi ne è uscito. È stato il solo?” gli chiese
infine.
Snape era sbiancato
ascoltando quell’elenco. Era la conferma della sua profonda convinzione che non
esistesse nulla di più deleterio di un gruppo di alunni adolescenti per
rovinarti la vita. Odiosi mocciosi. Ritornò a guardare i fornelli senza
rispondere.
“Sa,” continuò imperterrita
Tonks, “ a casa mia non era vietato parlare di quel lato della famiglia che
aveva scelto di stare con Tu-Sai-Chi. Mia madre aveva delle precise opinioni
sulle sorelle. E sui Malfoy. Credo di aver odiato Lucius molto prima di
conoscerlo. Ma non ho mai sentito parlare di lei. Mia madre non l’ha
conosciuta?”
Ancora
silenzio.
“Oh, beh… poco importa,”
concluse con uno sbuffo. “Ha avuto una storia con mia zia
Bellatrix?”
“Hai avuto una storia con
Charlie Weasley? O ti sei limitata a sognarlo di notte?” le chiese
immediatamente lui, sbattendo il mestolo sul piano di marmo della cucina e
girandosi a guardarla, pronto a incenerirla. Il tono della voce era
glaciale.
Tonks rischiò di soffocarsi
con un pezzo di carota. Cominciò a tossire e si versò da
bere.
“Oppure era Bill a tenerti
compagnia nei sogni?” proseguì imperterrito Snape. “Perché era chiaro dove
finivano i tuoi sguardi durante pranzi e cene ad
Hogwarts!”
“Impiccione!” bofonchiò
Tonks, continuando a tossire.
“Cosa hai detto, Miss Tonks?”
le chiese lui avvicinandosi e mettendosi davanti a lei, le mani appoggiate sul
tavolo e la faccia a pochi centimetri dalla sua.
“Ok, ok… cambiamo argomento!”
sussurrò lei. Quello sguardo e quel tono cominciavano a ricordarle più di
qualche episodio del suo periodo ad Hogwarts.
“Limitati a fare il tuo
lavoro e non intrometterti nella mia vita, Miss Tonks!” la minacciò Snape
puntandole un dito direttamente sulla punta del naso.
“Chiaro?”
“Cristallino,” disse
lentamente Tonks guardandolo negli occhi.
“Bene…” E Snape si girò verso
i fornelli per controllare la preparazione della
cena.
“E comunque non ho avuto
nessuna storia con nessun Weasley…” gli disse all’improvviso, dopo qualche
minuto di assoluto silenzio. “E lei dovrebbe limitarsi ad insegnare senza
occuparsi degli affari di cuore dei suoi alunni!” concluse,
sostenuta.
“Il tuo primo bacio credo sia
stato Davidson, Tassorosso. Un anno avanti a te. Quidditch. Hai fatto degli
errori enormi in quel match del tuo quinto anno… guardavi sempre dalla parte
sbagliata…” Snape stava sorridendo a se stesso mentre ricordava quell’episodio.
Tonks era arrossita vistosamente e boccheggiava per la sorpresa e
l’imbarazzo.
“Accidenti a lei!” gli urlò,
balzando in piedi. Fece il gesto di volerlo strangolare, mentre lui si era
girato a guardarla e cominciava a riderle in faccia, divertito dalla reazione di
rabbia e stupore.
“Ohhhhh!” urlò poi Tonks
risedendosi e cominciando a ridere con lui. Era tutto vero, naturalmente. Aveva
giocato in modo terrificante. Il suo capitano l’aveva insultata per ore, a fine
partita. “Lei è un essere odioso,” concluse con un piagnucolio. Decisamente
troppo esagerato per essere vero.
Snape rideva come mai da
anni. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Era troppo bello vederla arrabbiarsi in
quel modo. Aveva completamente fallito il suo tentativo di irritarlo e
rovinargli la serata. Veramente ci era andata molto vicino, ma poi a lui era
venuta l’idea di ripagarla con la stessa moneta. E doveva ammettere, mentre
lentamente riprendeva il suo autocontrollo, che non si divertiva così tanto da
decenni. Sbattendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, si girò a
prendere le pentole e distribuire il cibo nei
piatti.
“È bello quando ride, lo sa?”
gli disse Tonks, evitando di guardarlo, mentre lui la
serviva.
Severus si bloccò con la
pentola in mano. Lentamente, cercando di non pensare troppo, lasciò cadere le
verdure nel suo piatto e si girò per riappoggiare la padella sul
mobile.
Tonks si morse il labbro
inferiore. Aveva esagerato. Adesso aveva decisamente
esagerato.
Ma poi Severus si limitò a
sedersi a tavola, iniziando a mangiare. Lei aspettò un momento e poi lo
imitò.
“Cosa ti ha detto Remus?” le
chiese Snape con il suo solito tono direttivo e
insofferente.
“Harry ha chiesto di vederla.
Arriva domani per accompagnarla da lui.” Sapevano entrambi di esserselo già
detti, ma non era importante ricordalo in quel
momento.
“Bene, credo che sia
necessario incontrare quello smorfiosetto,” commentò pensieroso. “Tu verrai con
noi?” le chiese, guardandola per la prima volta dopo il suo
commento.
“No,” gli rispose. “Lavoro
con Molly e Arthur domani mattina.”
Snape si limitò ad un cenno
di assenso e poi terminò quello che aveva nel
piatto.
“Vado a dormire, allora.
Lascio a te da sistemare qui, mentre faccio la
doccia.”
Tonks fece un piccolo cenno
di assenso, ripromettendosi di salire solo quando lui fosse stato ben chiuso
nella sua stanza. Non era la giornata adatta per vederlo nuovamente avvolto solo
nell’asciugamano.
Merlino! Avrebbe accettato
persino di avere Charlie Weasley vicino a lei quella sera. Anche se
probabilmente lui avrebbe poco cortesemente rifiutato la sua proposta,
invitandola ad approfittare della situazione.
Ringraziamenti lunghi.... che bello!
Mi hanno fatto molto piacere tutti i commenti che
avete fatto e spero che vi piacerà anche questo capitolo.
Grazie ad Arabesque, Morgan Snape, marygenoana (ne
ho scritta un'altra con questa coppia, se vuoi leggerla...), Hotaru_Tomoe
(decisamente innocentista...), Mikhy90, Ellinor, VallyBeffy (non riesco ad
apprezzare Remus quanto Severus...), Piccola Vero e Kokkina (non entro nei
desideri altrui...!).
Aspetto i vostri commenti per questo
capitolo.
Grazie a tutti quelli che hanno letto senza
commentare.
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Capitolo 3 *** Wine ***
Tonks corse
lungo il corridoio arrivando ad aprire la porta al terzo
colpo.
“Dovresti
almeno chiedere di chi si tratta, Tonks!” la rimproverò Remus, fermo sulla
soglia. Era sempre lo stesso dolce uomo.
“Ti ho
visto dalla finestra della cucina!” lo rassicurò Tonks. “Dai, entra. Snape sta
preparando la colazione.”
“Severus?”
le chiese Remus, togliendosi il giaccone e appoggiandolo sull’appendiabiti.
“Severus cucina?” ripeté incredulo.
“E anche
bene, amico mio. Molto bene. Dice che è merito di sua mamma,”
commentò.
E gli fece
cenno di seguirla verso la cucina. In effetti Snape era alle prese con delle
fette di pane in una padella e c’erano delle ciambelle calde sul
tavolo.
“Non
credevo che potessi fare cose così umane, Severus!” ironizzò
Remus.
“Non
sfidare la sorte,” gli rispose secco l’uomo. “Potrei sempre metterci qualche
veleno.” Si girò a guardarlo e gli fece un cenno di saluto. “E poi se lasciassi
il cibo in mano alla ragazzina potremmo morire di
fame.”
Tonks lo
guardò torva. Remus sorrise.
“Mi fa
piacere che ti sia comprato qualcosa di decente,” osservò
Remus.
“Grazie per
i soldi,” gli rispose Snape. “Immagino che siano
dell’Ordine.”
“Presi
dalle casse dei Malfoy con uno stratagemma…” gli confessò Remus. Severus gli
fece un cenno di approvazione. “Merito di Arthur che ha controllato il materiale
sequestrato a Casa Malfoy. Malocchio ha smerciato qualcosa al mercato nero e
questo sostiene l’Ordine.”
“Lucius
sarà entusiasta,” si limitò ad osservare Snape. “E Narcissa orgogliosa!”
Dicendolo portò a tavola le fette di pane con il bacon e fece apparire con un
cenno un terzo piatto davanti al posto in cui si era seduto
Remus.
“Hai preso
la mia pozione?” gli chiese, sedendosi.
“Il più
regolarmente possibile,” rispose Remus.
“Devi berla
ogni giorno, Remus! Non puoi trascurarti, non adesso!” esclamò con insistenza
Snape.
“Detto da
uno che ha la febbre un giorno sì e uno no e che crolla svenuto sui divani…”
commentò acida Tonks.
Remus li
guardò preoccupato. “Stai male?” chiese rivolgendosi a
Snape.
“Un po’ di
febbre, nulla di preoccupante. Ieri mi sono un po’ strapazzato,” minimizzò
Severus. “La vicinanza di Miss Tonks non mi tranquillizza,” disse guardandola
con irritazione. Perchè si permetteva di parlare dei problemi di un’altra
persona? Iniziò a mangiare.
Per qualche
minuto ci fu il silenzio totale. Masticavano con voracità tutti e
tre.
“Possiamo
Smaterializzarci qui fuori?” chiese Snape.
“No troppo
rischioso. Dobbiamo spostarci all’esterno del
paese.”
“Così potrà
rivedere le sue donne, Professore.” Il tono di Tonks era molto casuale. Ma Remus
non ci cascò.
“Quali
donne?” chiese ad entrambi.
“I gemelli
Weasley hanno pensato che avrei gradito la possibilità di uscire di casa e
trovare qualche donna sulla porta con addosso solo delle giarrettiere,” disse
Snape con freddezza.
Remus
spalancò gli occhi per la sorpresa. “Qui fuori?” chiese, indicando genericamente
con la mano l’esterno della casa.
“Di fronte,
per essere esatti,” confermò Snape. “Miss Tonks ne è rimasta scioccata quando
siamo arrivati.”
Remus
guardò l’amica, ridacchiando.
“Li
trasformerò in bisce striscianti,” minacciò lei, pensando ai gemelli. “E
comunque lei non si è tirato indietro,” rimbeccò a Snape, scuotendo un
cucchiaino davanti al suo naso.
“Vedo che
la forzata convivenza non vi ha reso più gentili l’uno con l’altra,” osservò
Remus.
“Non era
questo l’obiettivo,” rispose Snape allungando un braccio e prendendo dei fogli.
“Tieni,” gli disse poi porgendogli una pila di pergamene scritte. “E anche
queste,” e gli diede anche tre boccette di vetro piene di qualche liquido
argentato. Era stato tutto appoggiato accuratamente nel ripiano vicino al
tavolo.
“Bene,”
disse Remus infilandole con cura nel suo zaino. “Hai lavorato parecchio,”
osservò.
“Quando ho
potuto,” rispose semplicemente Severus. “Andiamo dal piccolo sbruffone, adesso?”
e dicendolo di alzò da tavola.
“Harry,
Severus. Si chiama Harry,” gli ricordò
Remus.
“Si chiama
Potter, Lupin. Potter.” Severus era insofferente all’idea di incontrare il
figlio di James. “Prendo il giaccone.”
Uscì dalla
stanza impettito.
“Ieri sera
stava molto male,” disse subito Tonks. Remus la guardò senza
capire.
“Ha avuto
febbre alta per tutto il pomeriggio. Si è preparato una pozione da solo ed
migliorato un po’. Ma è debilitato e non controlla bene le forze, tende a
strafare.”
Remus fece
un cenno di assenso con la testa. Capiva il desiderio di Snape di uscire da
quella situazione di prigioniero per tornare a fare il fuggiasco e incastrare
qualche Mangiamorte. Possibilmente il capo.
“Tu come
stai?” le chiese.
“Confusa,”
rispose. Remus le accarezzò la testa e le
sorrise.
“Severus è
un mistero per tutti, non pensarci troppo,” la
rassicurò.
Si avviò
verso il portone, seguito dalla ragazza. Snape li raggiunse dopo qualche attimo,
indossando il giaccone di lana e con in mano i guanti e la
sciarpa.
“Rientriamo
questa sera, credo,” la informò Remus. “Fidati solo del Patronus per i
messaggi.” Le fece un cenno di saluto e si avviò all’esterno. Severus la guardò
per un attimo e lo seguì. Lei gli restituì lo sguardo e lo guardò andare
via.
Tonsk
risistemò per la terza volta l’elenco dei turni di controllo per Harry. Era un
rebus giornaliero incastrare gli impegni di tutti. Per fortuna si era accorta di
aver messo Kingsley contemporaneamente in due settori. Ma non riusciva a pensare
ad una alternativa. Avrebbe dovuto lasciare scoperto qualcosa. Quando fosse
arrivato Arthur glielo avrebbe chiesto. Non era un compito che amava
particolarmente, ma essendo costretta a rimanere ferma in quel paesino, era la
persona con maggiore tempo a disposizione per poterlo
fare.
Dalla
cucina arrivava il rumore attutito delle ante che Molly stava aprendo e
chiudendo per sistemare la spesa che aveva fatto. Si era basata sulle
indicazioni di Tonks ed era arrivata dopo aver già acquistato tutto.
“Tesoro,
vuoi del te?” si sentì chiedere dall’amica.
“Sì, Molly.
La mia testa sta fumando,” le urlò in risposta.
Pochi
minuti dopo Molly la raggiunse con un vassoio, tazzine, te fumante e biscotti.
Anche Molly aveva risentito di quel periodo di guerra. Era dimagrita e sempre in
ansia per i figli. E anche per Harry.
Dormiva poco e solo quando Arthur le era vicino. E quando non dormiva si
preoccupava. Eppure quando c’era bisogno di un po’ di tempo per ascoltare
qualcuno o per consolare qualcuno, lei era sempre presente. Ogni volta che
vedeva i suoi figli li scrutava per assicurarsi che fossero ancora interi e
sani. E tutti loro se la coccolavano e cercavano di darle quanto più tempo
potevano. C’era una coalizione silenziosa tra i fratelli Weasley per garantire
ad entrambi i genitori almeno un abbraccio di uno di loro ogni giorno. La
lontananza di Ron e Ginny veniva parzialmente riscattata da lettere quasi
giornaliere.
“Come sta
andando la convivenza con Severus?” le chiese ancor prima di sedersi accanto a
lei nel divano.
“Oh,”
sospirò Tonks prendendo la tazzina in mano e appoggiandosi, stancamente, contro
il divano. “Procede, direi. Non molto chiaramente. L’ho anche visto a petto
nudo, sai?” le confessò, arrossendo leggermente. Molly
sorrise.
“Merlino,
Molly! Ho visto un mio professore seminudo! Mi sono vergognata… E poi l’ho
accompagnato a prendersi dei vestiti nuovi… e ho scoperto che è pure carino. E
comunque ha ucciso Silente!” sbottò alla fine, come per ricordarsi il motivo che
li aveva portati lì.
Molly
attese in silenzio.
“Credo che
abbia sofferto molto, per quello che ha fatto. Mi ha urlato che non dovevo mai
provare pietà per lui. E ho pensato che fosse perché ne prova molta per se
stesso. Continuo a ripetermi che è colpa sua se Silente non è più con noi, ma
poi ripenso a quello che ci ha raccontato, alla freddezza con cui è stato
preparato tutto, alle richieste che ci ha fatto Silente stesso. E mi dico che
forse è la persona più coraggiosa e coerente che conosca. Beh,” concluse alla
fine, sbuffando, “mi ha confusa parecchio!” E iniziò a sorseggiare il
te.
“Mi fa così
tanta pena, sai?” le confessò Molly. “Oh,” aggiunse dopo lo sguardo meravigliato
di Tonks, “l’ho odiato e lo odio per quello che ha accettato di fare, ma penso
che tutta la sua vita sia stata un costante dolore. E per questo mi sento triste
per lui. Non gli ho mai sentito parlare della famiglia o di una compagna. È
sempre stato solo. E questo secondo me lo ha reso ancora più antipatico. E
brutto, direi.”
Tonks
sorrise. Avrebbe voluto parlare con Molly del desiderio e della repulsione che
provava per Snape, ma non era chiaro neppure a lei. Rimase in silenzio, bevendo
il te e mangiando biscotti. Fino a quando Molly cominciò a raccontarle delle
lettere di Ron e Ginny.
Arthur era
arrivato, aveva pranzato, aveva chiacchierato ed era tornato al Ministero. Molly
era andato via con lui, su insistenza di Tonks, che desiderava lasciarle la
possibilità di trascorrere quanto più tempo possibile con il
marito.
A lei non
era necessario nulla. Si dedicò agli esercizi fisici e a preparare le mappe
dell’Inghilterra per Snape, per potersi muovere liberamente, quando se ne fosse
andato.
Verso sera
uscì per prendere delle verdure per la cena e per acquistare un po’ di lacci per
i capelli e qualche altro oggetto per lei. Al rientro si trovò di nuovo sola. Si
sistemò in poltrona a leggere, ma non riusciva a concentrarsi. Si chiedeva come
mai fosse necessaria ad Harry un’intera giornata per decidere se fidarsi o meno
di Snape e sapere cosa Silente gli aveva detto. Era così assorta nei suoi
pensieri che trasalì sentendo bussare alla porta. Questa volta guardò prima di
aprire.
Snape era
sfinito. E gli occhi luccicavano ancora. Entrò in casa senza dire nulla e si
tolse il giaccone. Lo allungò, sempre in silenzio, a Tonks che lo sistemò
nell’appendiabiti.
“Vado a
prenderle la pozione, Professore,” gli propose. “Lei si metta sul
divano.”
“Piantala
di darmi ordini!” sbottò irritato. “Anche solo consigli, ragazzina!” E se ne
andò in salotto, a sedersi sul divano.
In
silenzio, cercando di controllare la collera, Tonks prese la pozione che Snape
stesso si era preparato e che era rimasta in cucina e gliela portò. Il colloquio
con Harry doveva essere stato difficile, a quanto
vedeva.
Allungò il
braccio verso di lui senza parlare e Snape la afferrò con decisione, quasi
strappandogliela dalle mani.
“L’hai
avvelenata?” le chiese.
“Non sono
cattiva quanto lei,” gli rispose sedendosi in una delle poltrone, senza
rivolgergli uno sguardo.
Lui bevve
un sorso della pozione e riappoggiò il boccale sul tavolino davanti a
lui.
“Bene. Uno
smorfiosetto, figlio di un maledetto prepotente, mi ha fatto notare che sono
quasi certamente un figlio illegittimo e che mia madre lavorava insieme alle
nostre vicine di casa, una ragazzina con il latte alla bocca mi dice che sono
peggio di un orco delle fiabe.
Altro?” chiese, retorico appoggiandosi contro lo schienale del
divano.
Tonks
cominciò a contare per controllare la
rabbia.
Severus era
sfinito, irritato e spaventato dal futuro. Ma non desiderava ammettere nessuna
delle tre cose. Doveva sfogarsi in qualche modo. Era riuscito a dire al piccolo
Potter esattamente quello che pensava di lui. Ma il lampo di ammirazione che
aveva visto nello sguardo della Granger mentre raccontava i motivi delle sue
azioni e lo sguardo attento e partecipe del piccolo di casa Weasley, mentre lo
ascoltava, erano ancora più pesanti da sopportare. Lui sapeva cosa fare se gli
altri lo odiavano. Solo se lo odiavano. Altrimenti si sentiva impotente, di
fronte alle emozioni positive. Il commento finale di Potter, che aveva ammesso
di aver imparato da lui più di quanto fosse disposto ad ammettere, lo aveva
spiazzato anche di più. Remus era rimasto in silenzio ad ascoltarli e aveva
lasciato che il piccolo Potter giungesse da solo alle conclusioni che riteneva
più opportune, solo in base alla capacità di Severus di farsi ascoltare e
accettare. Ci era riuscito. Più velocemente di quanto avesse mai pensato di
poter fare.
Si sentiva
indeciso. Avrebbe potuto litigare con Tonks e dare sfogo alla stanchezza, oppure
poteva parlarle con lealtà di come si sentiva in quel momento. Non sapeva cosa
fare. Chiuse gli occhi.
Tonks lo
guardò, sorpresa dal silenzio. Si aspettava un’altra sfuriata. Invece era lì, ad
occhi chiusi, sfinito. Scelse la strada della spudorata
sincerità.
“Io saprei
cosa fare se ci fosse Remus al posto suo, Professore. Ma con lei non riesco a
capire come reagirà. Posso avvicinarmi?”
Snape aprì
gli occhi immediatamente, stupito. “Fare cosa, Miss Tonks?” le chiese
guardingo.
“Farla
stare un po’ meglio,” gli rispose con un’alzata di
spalle.
Snape
accennò ad un sì, tentennante. Forse era tutto più semplice se sceglieva qualcun
altro per lui.
Tonks si
alzò e lo raggiunse sul divano, sedendosi al suo fianco. Gli mise un braccio
attorno alle spalle ossute e lo guidò ad appoggiare la testa contro la sua
clavicola.
Snape si
irrigidì. Erano anni che non si trovava così vicino al corpo di una donna. Tonks
però non fece altro, lasciando la mano appoggiata contro il suo braccio. Con
incertezza e molto lentamente Severus si rilassò e fece scivolare le sue braccia
vicino alla vita di Tonks, senza abbracciarla, ma quasi a voler trovare una
posizione più comoda. Nessuno dei due tentò di parlare, di chiedere o di
spiegare. Era una situazione irreale. E continuò ad essere irreale, per tutto il
tempo che passarono vicini, senza che nessuno dei due osasse
spostarsi.
Lo fece per
necessità Tonks, quando il braccio attorno alle spalle di Snape si intorpidì a
causa della posizione. Lo scostò leggermente, ma fu sufficiente a Severus per
rialzarsi di scatto dal divano.
“No…”
sussurrò Tonks.
“Vado a
farmi una doccia e poi cucino,” le disse lui, senza
guardarla.
“Molly ha
già preparato della carne da scaldare,” gli spiegò, ancora a bassa
voce.
“Oh, bene.
Allora prepara pure la tavola.” Senza guardarla uscì dalla stanza e salì di
sopra.
Tonks
rimase sul divano, pensierosa. Aveva preso ad esempio Remus perché aveva la
stessa età di Snape, ma avrebbe fatto lo stesso con tutti i suoi amici. Però non
ne sarebbe rimasta così turbata. Si era lasciato andare contro di lei, senza
difese. Era rimasto inerme contro il suo corpo. E la sensazione era piacevole.
Aveva un corpo scheletrico e un aspetto arcigno anche visto da così vicino, ma
Tonks lo aveva sentito lasciarsi andare con fiducia, dopo i primi momenti di
tensione. Quando aveva spostato il braccio era stato anche per non cadere nella
tentazione di cominciare ad accarezzarlo. Perché avrebbe voluto farlo. Non
poteva proprio nasconderselo.
“Cosa mi
sta succedendo?” si chiese ad alta voce, alzandosi per andare in
cucina.
Severus non
era meno turbato. Mentre l’acqua calda gli scendeva addosso, cercò di non
pensare al piacere che aveva provato toccandola. Il piacere di avere qualcuno
vicino, qualcuno che si prendeva cura di lui. Il profumo di limone. La mano sul
suo braccio che bruciava di calore. Si lasciò scivolare contro il muro e si mise
seduto a terra, prendendosi la faccia tra le mani. Non poteva cedere adesso. O
forse era meglio adesso di qualsiasi altro momento, dato che sarebbe finito
tutto in poche ore. Doveva solo parlare con Minerva. Definire con Remus le
modalità per tenersi in contatto. Definire la priorità dei suoi obiettivi. Solo
un giorno o due. E poi lo avrebbero lasciato scappare. Anche se Remus era
disposto a proteggerlo ancora. L’acqua calda gli bruciava sulla pelle, ma aveva
bisogno di sentirsi vivo.
“Cosa stai
facendo, Severus?” si chiese ad alta voce.
Tonks stava
finendo di scaldare la carne preparata da Molly. Aveva già tagliato la verdura e
preparato la tavola. Snape arrivò, come il suo solito, in silenzio. Lo sentì
spostare la sedia per sedersi. Aveva ancora i capelli umidi e lunghi sulle
spalle, il volto arrossato, ma si era finalmente tolto la barba. Era, se
possibile, ancora più giovane. Tonks prese un altro dei suoi lacci elastici per
i capelli che aveva attorno al polso e glielo porse. Snape lo prese mormorando
“Grazie,” e si sistemò i capelli.
“Molly ha
preparato lo stufato con le patate,” gli annunciò. “Aveva paura che avessi
cucinato io, propinandole solo panini e patatine
fritte.”
“L’hai
rassicurata che non ti ho fatto toccare i fornelli?” Alzò lo sguardo per
fissarla negli occhi. Lei si sentì quasi
arrossire.
“Sì, ma non
è rimasta sorpresa. Sapeva che lei sa
cucinare?”
Snape
annuì. “Mi ha visto farlo qualche volta.”
Tonks prese
la pentola che fumava e la spostò sul tavolo. Snape la servì per prima e poi
passò al proprio piatto. Iniziarono a mangiare con molto
gusto.
All’improvviso Tonks si ricordò di quello che aveva portato Arthur e fece
apparire in tavola una bottiglia di vino rosso. Snape la guardò con aria
interrogativa.
“Regalo di
Arthur per lei,” spiegò.
“Però,”
commentò contento Snape. E aprì la bottiglia versando da bere ad
entrambi.
“Non
interferisce con la pozione per la febbre?”
“No,
mammina,” la schernì Snape. “Posso anche ubriacarmi, se
voglio.”
Tonks gli
fece una smorfia. Dopo un attimo di silenzio, Tonks si lasciò andare ad un
sorriso.
“Stai
pensando a come sarei ubriaco?” le chiese
Snape.
“No,”
sorrise lei. “Stavo pensando a ieri. Ma davvero sapeva di me e Davidson?” Era un
argomento divertente per entrambi. E parecchio distante da quello che era
successo prima.
“Sì,” le
sorrise lui. “Anche perché nei tuoi compiti di pozioni c’era il suo nome in
qualche angolo…”
“Oh
Merlino, no!” esclamò lei, mettendosi una mano tra i capelli. “Non l’ho fatto,
vero?” chiese con un tono di speranza. Forse stava solo
scherzando.
Snape
annuì. “Il suo nome e il disegno di un giocatore di Quidditch con dei capelli
lunghi. E credo un cuore sulla maglia.”
“Oh
Merlino! Oh, che figura!” proruppe Tonks nascondendo la faccia tra le
mani.
Snape si
appoggiò allo schienale della sedia, guardandola divertito. Era un argomento
neutro e divertente.
“Anche
Potter è arrossito quando gli ho detto che il nome di Ginny era nel suo ultimo
tema. Non lo ricordava neppure lui,” disse per
consolarla.
Tonks
sbirciò tra le dita. La stava deridendo. Sconsolata appoggiò la testa su una
mano e il gomito sul tavolo. “Cosa ne ha pensato,
allora?”
“Mi sono
chiesto perché ti piacesse un ragazzo con il cervello più piccolo di un
Boccino,” affermò. “Credevo ti piacesse più un tipo come Charlie Weasley.
Giocatore, ma con una buona capacità di
ragionamento.”
“Davidson
non è stupido!”
“Infantile?”
“Andiamo,
Professore!”
“Leggermente carente in
intelligenza?”
“Era un
normale adolescente di 16 anni!”
“Hai idea
di cosa disegnava nei suoi appunti di
pozioni?”
“Cosa?
Qualcosa che riguardava me?”
“Qualcosa
che dimostrava chiaramente che non aveva idea di come fosse il corpo di una
donna!”
“Lei vedeva
anche quello?”
“Avevo
cassetti e cassetti di pezzi di pergamena
sequestrati…”
“Oh,
Merlino…” disse nuovamente Tonks, scomparendo dietro le sue mani. “Anche miei?”
disse con voce soffocata.
“Non mi
ricordo. Però c’era qualcosa di Davidson che scriveva ad un compagno riguardo
qualcosa da fare con te in uno stanzino delle
scope…”
“COSA?!”
sbraitò Tonks, arrossendo vistosamente. In volto e nei
capelli.
Snape
annuì, serafico. “Lo ha fatto?” le chiese, esageratamente
interessato.
“E lei ha
fatto qualcosa con Bellatrix?” Tonks si rialzò sulla sedia, fulminandolo con gli
occhi.
“Mhm,”
annuì Snape, guardandola.
Tonks
rimase senza parole. A fissarlo.
“Ma io non
ho lasciato appunti. A parte nei ricordi di Bellatrix, immagino. Ma forse
neppure in quelli,” disse tra sé e sé.
Tonks
lanciò un’occhiata alla bottiglia di vino. Mancava solo il contenuto dei loro
bicchieri. Il suo era pieno e quello di Snape
vuoto.
“Non sono
ubriaco, solo sfinito, Tonks…” Aveva visto dove vagava il suo sguardo. “E mi
diverte vederti rimanere senza parole. Non è facile
stupirti.”
“Ha fatto
qualcosa anche con Narcissa?” gli chiese. “Sa, tanto per approfittare della
situazione…”, disse con finta ingenuità, sventolando la mano in
aria.
“Miss
Tonks, non tirare la corda…”
“Altre
donne?”
“Miss
Tonks…”
“Colleghe?”
“Tonks…”
“Donne
babbane!” Gli puntò un dito contro.
“Tooonks…”
“Vicine di
casa?” Tonks inclinò la testa, sorridendo.
Snape
sospirò. “Quelle sì,” ammise, prendendosi altro
vino.
“Severus!”
si lasciò andare Tonks. “Io intendevo…” e indicò l’altro lato della
strada.
“Anch’io,”
la assicurò Snape. Bevve un sorso di vino. “Beh, non quelle,
chiaramente.”
Tonks si
lasciò andare contro la sedia, incrociando le braccia. Stravolta. “E lo ammette
così?”
“Come
dovrei ammetterlo? Piangendo di rimorso?”
Ironico.
“No, ma…
voglio dire…”
“Fai la
stessa domanda a Remus e sappimi dire,” la sollecitò, sicuro di
sé.
“Mi sta
prendendo in giro,” affermò sicura la
ragazza.
“Decidi tu,
Miss Tonks,” le disse allargando le braccia e riprendendo a
mangiare.
E Tonks
rimase incerta su quale potesse essere la
verità.
Riprese
anche lei a mangiare, imbronciata per essere stata presa in giro e incerta nel
decidere se era stata presa in giro. Snape invece appariva sereno e rilassato.
Si prese un terzo bicchiere di vino, terminata la cena e un quarto lo portò con
sé in salotto, sedendosi nel divano. Erano passate le dieci. Tonks mise in
ordine la cucina, sempre in silenzio, meditando su quello che si erano detti.
Snape e Bellatrix… chissà se era vero. Come tutto il resto. Era sicura solo
degli appunti sui compiti e delle pergamene sequestrate. Davidson si era
assicurato uno schiaffo potente in quello stanzino delle scope. E qualsiasi cosa
avesse imparato del corpo femminile, non era stato certo grazie al
suo.
Raggiunse
Snape in salotto. Stava gustandosi il vino, con gli occhi chiusi, un braccio
appoggiato sullo schienale del divano. Si era messo nuovamente in pantaloni di
lana e un maglione grigio, senza camicia. Si rese conto che aveva solo dei
calzini grigi ai piedi. Un’occhiata veloce le fece scoprire le scarpe sotto il
tavolino.
“È stata
una giornata pesante?” gli chiese, sperando che la serenità della cena fosse
sufficiente a d affrontare l’argomento.
“Sì,” si
limitò a rispondere, sempre con gli occhi
chiusi.
“Harry l’ha
ascoltata?”
“Sì.”
Sempre con lo stesso tono.
“Anche Ron
e Hermione?”
“Sì.”
“Hanno
capito cosa ha fatto?”
“Sì.”
“E perché
l’ha fatto?”
“Nessuno
capisce perché l’ho fatto.”
“Per
lealtà, per fiducia. No?” gli chiese lei, ancora in piedi davanti a
lui.
Snape aprì
gli occhi e la guardò. “Sì, in parte sì. Ma è tutto molto più lungo e complicato
di quello che appare.”
“Tutta la
sua vita è complicata, Professore,” osservò Tonks,
spietatamente.
“Già…”
confermò lui, guardando alle sue spalle, un punto nel
vuoto.
“Posso
sedermi vicino a lei?”
“Ti faccio
così paura?” Si sentì a disagio per quella
domanda.
“A volte
sì. Quando ero sua alunna, molto di più.”
“Siediti,
Tonks. Non intendo arrabbiarmi di nuovo senza motivo.” E appoggiò la mano nel
divano vicino a sé, per invitarla a farlo. Tonks riuscì a cogliere che le stava
chiedendo scusa per come l’aveva aggredita rientrando a casa. Ma il suo
risentimento non era scomparso del tutto e decise di non facilitargli oltre la
situazione.
“Accetto le
sue scuse,” gli disse sedendosi con movimenti sostenuti. O almeno pensò che lo
fossero.
Ma Snape
aveva di nuovo chiuso gli occhi. “Grazie,” le rispose comunque, confermando la
sua sensazione.
“Sembro
davvero così cattivo?” le chiese improvvisamente, sempre ad occhi
chiusi.
“Sì, le
riesce bene,” confermò. Dato che le veniva data la possibilità di essere sincera
lo sarebbe stata fino in fondo.
“Cosa mi
rende cattivo?”
“Non è mai
imparziale, dimostra sempre apertamente le sue preferenze. È insofferente di
fronte alle debolezze degli altri. È intransigente di fronte all’incoerenza. È
puntiglioso anche quando questo mette in difficoltà le altre persone. Vede solo
la perfezione e pretende che tutti la cerchino. Si arrabbia della debolezza
degli altri. Non dimostra comprensione ne pietà o possibilità di
giustificazione.”
Lo disse
con una tale sicurezza e velocità che Snape, aprendo gli occhi, osservò, “Devi
averci pensato parecchio…”
“Per tutti
i sette anni di scuola, Professore. Io e anche tutti gli altri suoi alunni.
Tranne i Serpeverde, naturalmente.” Spietatamente
sincera.
Snape prese
il bicchiere di vino e lo finì. Poi richiuse gli occhi e ritornò il
silenzio.
“Lei cosa
pensa di me?” gli chiese Tonks. Non poteva rinunciare a saperlo. Anche se aveva
capito che lui la considerava più brava di tanti altri alunni. Si girò a
guardarlo, piegando una gamba e infilandola sotto l’altra. Appoggiò il braccio
sullo schienale.
Snape non
aprì gli occhi.
“Sincerità
per sincerità? Ho sempre ammirato il modo in cui hai saputo gestire il tuo
metamorfismo. Immagino ci siano state battute e commenti spietati, ma non ci hai
mai rinunciato. Sai scegliere quello che vuoi e lo persegui. Questo ti ha resa
forte. Sei sincera e sai cogliere le cose essenziali. Sei divertente. E sei
diventata una bella ragazza.”
Tonks si
sentì arrossire. Lo guardava mentre il cuore martellava in petto cercando di
memorizzare perfettamente le sue parole. Lui sembrava del tutto a suo agio,
mentre le faceva tutti quei complimenti.
“Riesci a
rimanere bella anche con i capelli rosa o il naso da maialino. E quando ti
arrabbi.”
Tonks era
nella confusione più totale. Le stava facendo un complimento? Ci stava provando?
La stava stuzzicando per vedere come reagiva? Era solo ubriaco e parlava senza
pensarlo veramente? Rimase a fissarlo, ma lui non si mosse. Doveva almeno
provare ad aprire gli occhi. Perché non gli interessava conoscere la sua
reazione?
Proprio in
quel momento lui aprì gli occhi e la guardò. Tonks sapeva di essere arrossita.
Si sentì diventare di fuoco in quel momento. Imbarazzata chinò la
testa.
“Ho
esagerato?” le chiese, sottovoce.
“Non me
l’aspettavo…” si giustificò velocemente lei.
“No,
immagino di non averti fatto capire che sei una persona
piacevole.”
“Decisamente no. È perché assomiglio a Bellatrix?” gli chiese, fulminata
da quella brutta idea. Rialzò la testa e incrociò il suo
sguardo.
“Tu?”
commentò ironico Snape. “Sei quanto di più diverso da tua zia.
Credimi!”
“Fisicamente intendo…”
“Ninphadora, il tuo volto è in grado di esprimere emozioni che non sono
alla portata di nessuna delle tue zie. Loro possono essere affascinanti,
attraenti. Ma sono troppo cattive per essere belle. Come me, no?” le chiese,
ironico. Come se le avesse letto esattamente tutti i pensieri che aveva fatto in
quei tre giorni.
Tonks era
presa in un turbinio di sensazioni e emozioni. Sentirsi chiamare per nome da
lui, sentirmi riconosciuta e ammirata da un uomo tanto più vecchio di lei,
sentirsi descrivere come totalmente diversa da due zie che odiava… semplicemente
rimase immobile a guardarlo, confusa, sorpresa, felice,
orgogliosa.
Snape
continuò a guardarla, sorridente. Era una bella ragazza. E lui sarebbe sparito
in poche ore. Non sarebbe rimasto poi molto di lui nella vita di Tonks. Poteva
permettersi di essere sincero.
“Non credo
di poter dire lo stesso di molti altri miei alunni,
Tonks.”
“Lo so…” Si
morse il labbro inferiore, indecisa su cosa
fare.
Snape le
lanciò uno sguardo interrogativo.
“Oh, nulla.
Mi stavo solo dicendo che dovrei ringraziarla,” inventò
Tonks.
“Oh,
prego!” le rispose un po’ piccato.
“Non
c’entra il vino che ha bevuto, vero?” chiese
sospettosa.
“No, Tonks.
Sono perfettamente lucido. Barcollante se mi alzo, ma lucido. E domani mi
ricorderò di quello che ho detto,” la
rassicurò.
“Perché è
proprio diverso dal solito, lo sa?”
“Tonks,” si
lamentò, gettando la testa nuovamente contro lo schienale del divano e chiudendo
gli occhi. “Hai cominciato tu ad essere spietatamente sincera con me. Io mi sono
solo adeguato alle tue richieste. Non farmi ricredere sulle tue
capacità!”
“Ma lei non
è mai gentile!” obiettò Tonks.
“Lo so. Sei
stata chiara su questo. Io sono cattivo. Ma a volte non riesco ad esserlo in
ogni secondo della mia vita. Ho dei momenti di cedimento anch’io!” sbottò
irritato.
Tonks pensò
che adesso era di nuovo lui. E voleva tenere con sé l’altro Snape, quello umano,
fino a quando le era possibile. Si chinò velocemente su di lui e gli diede un
bacio sulla guancia. Snape spalancò gli occhi e la guardò allarmato. Questa
volta fu Severus ad arrossire. Cosa diavolo stava facendo quella ragazza? Che
barriera voleva infrangere?
Si sfiorò
la guancia con una mano come per assicurarsi di quello che era
successo.
“Le ho
detto che dovevo ringraziarla…” tentò di scherzare
lei.
“Accidenti
a te, Ninphadora! Non puoi accendere un fuoco e fingere di non averlo fatto!”
Aveva lo sguardo pericolosamente furioso. Tonks non riuscì a capire il
rimprovero che le faceva e scosse la testa,
incredula.
Allora
Severus si alzò dal divano e, respirando profondamente, si mise in piedi di
fianco al caminetto accesso, una mano appoggiata alla mensola e l’altra stretta
a pugno. Come poteva baciarlo e poi scherzarci sopra? Non poteva permettersi di
sminuire neppure un piccolo bacio sulla guancia, dopo quello che le aveva
detto.
“Vado a
letto!” sbottò subito dopo, uscendo dalla stanza senza
guardarla.
“Severus!”
lo chiamò lei, senza capire quello che era successo. Perché un bacio lo aveva
irritato così tanto? E quale fuoco aveva acceso? Rimase seduta sul divano sempre
più confusa. Provò a ripensare a quello che si erano detti, ma si era infuriato
solo quando gli aveva dato un bacio. Su una guancia. All’improvviso le tornarono
in mente le parole di Molly, quella mattina. Sul fatto che Snape era sempre
stato solo. E che conosceva solo il dolore. Che stupida, si disse, dando un
pugno sul divano. Non poteva pensare che un bacio sulla guancia fosse solo un
segno di ringraziamento per lui. E comunque non lo era neppure per lei. Stupida,
stupida, stupida. Non aveva voluto giocare con i suoi sentimenti. Invece ci era
riuscita.
Scattò in
piedi e corse di sopra. Non doveva deluderlo. Facendo le scale due alla volta
arrivò davanti alla porta della camera di Snape. Alzò la mano per bussare e di
fermò un attimo, incerta. Scuotendo la testa, si scrollò dei dubbi che stavano
salendo nella sua testa.
Bussò.
Silenzio.
Bussò di
nuovo.
“Vai a
letto,” sentì rispondere con tono stanco.
“Professore, per favore, mi lasci capire cosa è successo…, Severus…” gli
chiese con un tono il più possibile calmo.
Rimase ad
ascoltare il silenzio e poi lo sentì avvicinarsi alla porta. Velocemente si
scostò e attese ferma in piedi.
La porta si
aprì lentamente, ma completamente.
Era a piedi
nudi, senza maglione. La maglietta nera infilata nei pantaloni, i capelli ancora
raccolti.
Severus la
guardò con gli occhi nuovamente lucidi di
febbre.
“Vado a
prenderle la pozione…” gli disse
preoccupata.
“Sono
lucidi per il vino, non ho febbre,” le rispose
laconico.
“Oh,” si
lasciò sfuggire la ragazza. Indossava i soliti jeans sgualciti, un maglione
aderente e coloratissimo. Delle scarpe da ginnastica stranamente nere. E se le
stava guardando.
“Cosa vuoi,
Miss Tonks?” le chiese stancamente.
“Io… volevo
davvero ringraziarla per quello che mi ha detto. Per i complimenti. Con il
bacio, intendo. Perché si è irritato?” Alzò lo sguardo verso di lui, curiosa di
capire.
“Miss
Tonks, non riesco a parlarne adesso. Vai a letto, per favore.
Domani…”
“No,” lo
interruppe lei. “Non voglio passare la notte a pensare di aver rovinato quel
poco di bello che siamo riusciti a dirci.”
Severus
sospirò e chiuse gli occhi, appoggiandosi allo stipite. “Non abbiamo rovinato
niente, Miss Tonks. Domani possiamo ripartire da oggi, credimi. Ma adesso ho
bisogno di dormire, solo di questo.”
“Lo so che
non è tutto qui,” si ostinò a dire lei. “Ma va bene, buona notte.” Lo disse con
gentilezza, ma Severus sentì la delusione. Mentre chiudeva la porta, si chiese
come poteva dirle che era solo un tentativo sgraziato e maldestro di seduzione.
E che non era arrabbiato, ma demoralizzato.
Ringrazio ancora per tutte le recensioni che sono
arrivate (Piccola Vero, Hotaru_Tomoe, Arabesque, kloe2004) e per
tutti quelli che hanno letto la FF !!
Non dimeticate però che tra i generi è segnato anche
"malinconico"... nessuna esagerazione, ma neppure un finale in gloria.
Il prossimo sarà il penultimo
capitolo.
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Capitolo 4 *** True relation ***
Quando
Snape scese per fare colazione si rese conto di essere solo. Non c’erano rumori
in casa. Di Tonks neppure l’ombra.
Controllò
in salotto e poi entrò in cucina. Si ricordava esattamente tutto quello che era
successo il giorno precedente. Ogni parola. Tonks non gli aveva detto di avere
appuntamenti fuori casa. Probabilmente non desiderava parlagli del tutto dopo
essere stata cercata e poi rifiutata in quel
modo.
Sospirando
di frustrazione si guardò attorno e vide, sul tavolo, apparecchiato per la
colazione di una persona, anche un pezzo di pergamena.
Riconobbe
la scrittura di Tonks, tonda e regolare. Quella che lo faceva ammattire sui
compiti, perché sembrava perfetta, ma poi era così rotondeggiante che non si
leggeva, perché le lettere erano tutte uguali. Scriveva che sarebbe andata a
correre e poi aveva un incontro per l’Ordine. Sarebbe tornata per pranzo. Non
l’aveva svegliato perché era molto stanco la sera
prima.
Severus
accarezzò con il pollice il pezzo di pergamena dove lei aveva firmato. Miss
Tonks.
Sospirando
di nuovo si preparò il caffé. Aveva tempo per pensare, a quanto sembrava. Per
pensare se e come riprovarci con Tonks. E anche tempo per evitarla, perché era
possibile anche questa scelta. Avrebbe potuto vedere Minerva nel
pomeriggio.
Mangiando
distrattamente un panino dolce che era sulla tavola, cercò di focalizzare
l’attenzione su quello che doveva fare per l’Ordine e non su quello che avrebbe
voluto fare con Tonks.
Minerva.
Doveva parlare con lei. E doveva chiederle quando potevano vedersi. Poi doveva
accordarsi con Remus. E doveva chiedergli quando potevano vedersi. Dunque, se
c’era una riunione dell’Ordine erano tutti lì. Prima di sedersi a colazione
prese due pezzi di pergamena e scrisse ad entrambi, chiedendo di poter parlare
con loro e per quale motivo. Non si firmò. Sarebbe stato sufficiente il
Patronus.
Aspettò le
risposte in salotto, controllando le piantine dell’Inghilterra che gli aveva
preparato Tonks e progettando dei percorsi ben precisi. Era di nuovo senza
laccio per i capelli. Si guardò attorno, ma non c’era nulla che potesse
sostituirlo. Passò in cucina e trovò dello spago. Usò quello in attesa di Tonks
e di uno dei suoi aggeggini elastici. La tensione e la preoccupazione di
riuscire a completare tutto quello che doveva fare, lo aiutarono a concentrarsi
sulle mappe, ricacciando il volto di Tonks in fondo alla sua mente ogni volta
che si presentava.
Quando
rialzò lo sguardo dalle mappe fu perché avevano bussato alla porta. Sobbalzò per
la sorpresa. Guardando dalla finestra vide Tonks vicino a Minerva. Aveva i
capelli color arancio e secondo lui non era un bel segnale. E li aveva abbinati
ad un maglione viola su jeans blu. Terribile. Osservò la luce del sole e capì
che dovevano essere passate delle ore. E si rese conto che non aveva ricevuto
risposte. Con la bacchetta salda in mano andò alla
porta.
Dopo la sua
richiesta, la voce di Minerva pronunciò la parola d’ordine e solo allora aprì,
mettendo via l’arma. Minerva e Remus erano davanti alla porta e dietro c’era
Tonks. Che guardava verso la strada.
“Ciao
Minerva, ciao Remus,” li salutò, lasciandoli entrare. Tonks gli fece un cenno
con la testa, guardandolo di sfuggita. Salì verso le camere. Snape la seguì con
lo sguardo, perplesso.
“Ho detto
durante la riunione che avrei concordato con te quando te ne saresti andato,”
gli disse Remus, che aveva seguito i loro sguardi. “Qualcuno ha commentato che
era giusto lasciarti andare dai Mangiamorte e Tonks si è
arrabbiata.”
“Cosa ha
detto?” Snape socchiuse gli occhi in attesa della
risposta.
“Ha
sbattuto un libro sul tavolo. E ha detto che stavi facendo parecchio per
l’Ordine e che lasciarti andare a morire non le sembrava poi così corretto.”
Remus gli sorrise. “E stranamente anche Harry era
d’accordo.”
“Potter?”
chiese sorpreso Snape. “C’era anche lui?”
“Già. Ti ha
definito in modo molto poco gentili, ma ha riconosciuto la tua utilità per
questa guerra.”
Snape prese
la sua migliore espressione altezzosa e gli fece cenno di entrare in salotto,
dove Minerva era già impegnata ad osservare i segni sulle mappe che lui aveva
tracciato.
“Sei
incosciente, Severus. Pericolosamente incosciente,” lo sgridò, minacciandolo con
un dito. “Hai segnato i posti più pericolosi, qui
sopra.”
“Lo so,
Minerva. È il mio lavoro, quello,” le rispose, sicuro di
sé.
“Non è il
tuo lavoro, è la tua scelta. Potresti anche fare
altro.”
“Adesso che
non ho più debiti da ripagare e patti da rispettare posso fare quello che
voglio.” Era un tono che non ammetteva
commenti.
“Abbiamo
ricevuto il Patronus,” si intromise Remus, mentre i due si guardavano malamente.
“E ci siamo invitati a pranzo. Girano voci che cucini bene…” E gli fece cenno di
entrare in cucina.
Snape lo
assecondò, mettendosi ai fornelli. Aveva fame sempre più spesso da quando aveva
ripreso a mangiare regolarmente. Si mise a preparare le verdure e del pollo
lasciato da Molly.
Intanto
cominciò a parlare e discutere con Minerva. E continuò a farlo fino a quando non
scese nuovamente Tonks. Si era messa una tuta da ginnastica nera, senza scritte,
tranne una luna e qualche stella d’argento sulla maglia. I capelli erano
diventati color limone.
Era
arrivata in un momento di pausa e non fu necessario fingere di cambiare
argomento.
“Hai ancora
qualcosa per i capelli?” le chiese Snape, prima ancora che varcasse la
soglia.
Tonks si
staccò un altro dei suoi laccetti e glielo passò, tenendolo tra pollice e
indice. Snape lo prese, facendo attenzione a non toccarla e lo infilò al polso,
come faceva lei. “Grazie. Finisco di cucinare e lo metto. Comunque farei
qualcosa anche per i tuoi,” le disse.
Tonks
sobbalzò. “Nessuno le ha chiesto nulla!” sbuffò e, sdegnata, cominciò a prendere
il necessario per preparare la tavola.
“Mangiamo
in salotto, qui stiamo stretti, va bene?” disse genericamente ai
presenti.
“Sì, togli
pure le mappe e mettile sul tavolino a fianco del caminetto,” le rispose
Severus, guardando i fornelli.
“Ah, ah,”
si limitò a canticchiare lei, cominciando a
farlo.
“Arthur ha
portato altro vino?” le chiese Snape dopo un po’, alzando la voce per farsi
sentire.
“Nel
ripiano vicino alle spezie. Credo ci sia un’altra bottiglia.” Rientrando per
prendere i bicchieri gli indicò il punto dove
cercare.
Snape la
trovò subito e se ne servì per cuocere la
carne.
Remus e
Minerva li guardarono muoversi in casa percependo la tensione che c’era tra
loro. Minerva cercò lo sguardo di Remus che però era stupito. Non gli era stato
detto nulla di particolare.
Parlarono
di cose superficiali anche durante il
pranzo.
“Cucini
davvero bene, Severus,” si complimentò Minerva a fine
pasto.
“Grazie,”
le sorrise lui.
“Hai deciso
quando partire, Severus?” gli chiese Remus. Dovevano pur affrontare
l’argomento.
“Probabilmente domani,” gli disse, evitando di guardare Tonks. Perché la
sentiva spalancare gli occhi per la sorpresa e arrabbiarsi per non essere stata
avvisata prima.
“Così
presto?” chiese, involontariamente anche per Tonks, Minerva. “Dovresti aspettare
l’evolversi della situazione e entrare in gioco nel momento cruciale, non adesso
che stiamo qui a guardarci in attesa.”
“E dovrebbe
curarsi un po’ meglio,” aggiunse determinata
Tonks.
“Hai ancora
febbre?” si preoccupò Remus.
“Ieri è
stata una giornata dura, Remus. E ancora non sono in forma perfetta. Come mi hai
visto ieri,” confermò Severus.
“Dovresti
curarti prima di partire,” suggerì anche
Remus.
“Hai preso
la tua pozione, oggi?” gli chiese retorico
Severus.
Remus
sorrise, colpevole, e non replicò.
Mentre
Tonsk sparecchiava, Remus e Severus tentarono di trovare un accordo per definire
come rimanere in contatto, ma Remus era troppo impegnato con altri incontri per
poterlo fare quel giorno e rinviarono alla mattina
successiva.
Poi si
salutarono. Minerva lo abbracciò a lungo, sapendo che quasi certamente non lo
avrebbe rivisto. Tonks e Remus rimasero in
disparte.
“Vorrei
poterti vedere nuovamente, Severus,” gli disse stringendogli le
spalle.
“Non credo,
Minerva,” le sorrise tristemente.
“Se dovesse
servirti un rifugio, anche al di fuori dell’Ordine, dimmelo e lo
avrai.”
“Non posso
tornare a Hogwarts. Non ce la farei,” le rispose scuotendo la testa
deciso.
“Fuori dai
soliti posti, Severus. Ricordatelo.” Lo abbracciò
nuovamente.
“Grazie,
Minerva,” le sussurrò prima di lasciarla
andare.
“Ci vediamo
domani,” lo salutò Remus con una mano sulla spalla. “Non avete tempo, usa al
meglio quello che c’è,” sussurrò con un piccolo cenno a
Tonks.
Severus
rimase impassibile. E poi richiuse la porta alle loro spalle. Quando si girò,
Tonks non era più in vista.
Seguì il
rumore dei piatti sbattuti sul lavello e la trovò impegnata a lavarli con il
sapone e lo straccio. La guardò di stucco.
“Lavi i
piatti come i babbani?”
“Faccio
quello che mi serve a sentirmi meglio!” gli rispose,
scontrosa.
“Lavare i
piatti ti fa sentire meglio?” le chiese ironico e sorpreso
insieme.
“Sicuramente fa sentire meglio lei, perché evito di tirarglieli addosso
dopo aver faticato per pulirli,” gli urlò, girandosi verso di lui con un piatto
insaponato in mano, che sgocciolava sul tappeto ai suoi piedi. I capelli
divennero rossi.
“Metti giù
tutto e vieni in salotto a parlare,” le
ordinò.
“Pezzo di…”
iniziò lei.
“Tonks!” le
urlò lui, soverchiando la sua voce. “Piantala e vieni a
parlare!”
Tonks lo
guardò, tremante di rabbia. “Ieri sera non potevo parlarti perchè non volevi e
adesso devo parlarti perché tu lo vuoi?” gli chiese alzando progressivamente la
voce, fino ad urlargli anche lei in faccia.
“Sì!”
esclamò immediatamente lui, senza esitare. “Esattamente così.” Aveva un’aria di
sfida, come se le chiedesse di provare a disobbedirgli. I capelli erano ancora
ben sistemati dal laccio improvvisato che aveva trovato, il volto era carico di
rabbia e di frustrazione. La guardava come se lei fosse responsabile di quella
situazione, come se fosse lei la persona che si era comportata da pazza la sera
precedente.
Tonks gli
lanciò contro un piatto e Severus lo fece scomparire quando era a pochi
centimetri dalla sua faccia. Non si aspettava una reazione di questo tipo, da
lei. La fissò, meravigliato e arrabbiato. Era una delle poche persone che
riusciva a farlo impazzire. Di rabbia e di
desiderio.
“Ci sta già
pensando qualcun altro a questo,” le intimò.
Per tutta
risposta, Tonks lasciò andare lo straccio, mormorò un incantesimo che fece
riprendere il lavaggio delle stoviglie e gli passo accanto, andando a sedersi
nel divano davanti al camino. Si chiuse come un piccolo riccio, incrociando
braccia e le gambe. Però lo guardò negli occhi, mentre attraversava il salotto e
si sedeva accanto a lei. Anche il fatto che si ritraesse nell’angolo del divano
proprio in quel momento, era un segno evidente della sua
ira.
“Miss
Tonks, non voglio litigare,” le disse immediatamente Severus con tono
calmo.
“Io vorrei
strozzarla,” gli rispose sinceramente la
ragazza.
“Non
capisco da dove nasce questa ostilità, Miss Tonks.” Snape scosse la testa.
Lei lo
guardò con ironia, come se si sentisse presa in
giro.
Bussarono
alla porta.
Entrambi
sobbalzarono. Si guardarono, allarmati. Rimasero immobili per pochi secondi, poi
si alzarono contemporaneamente, vicini, estraendo le
bacchette.
“Aspetti
qualcuno?” chiese Snape, avvicinandosi alla
finestra.
“No, e tu?”
chiese Tonks, precedendolo con una piccola
corsa.
All’ingresso c’era Remus Lupin.
Lo
fissarono increduli. Era uscito qualche minuto prima. Remus era immobile
all’ingresso e si teneva ben chiuso nel cappotto, il solito vecchio cappotto che
usava da anni. Gli cadeva addosso, sformato e rovinato. Le mani, nude,
stringevano il colletto, come a cercare un po’ di calore e lui vi infilò il
mento, incassando leggermente la testa.
Tonks sentì
Snape irrigidirsi dietro di lei. Le passò un braccio attorno alla vita e la
tolse dalla finestra con un movimento veloce, girandola verso di sé. Tonks si
chiese, in un millesimo di secondo, perché il contatto con quell’uomo la faceva
sentire così tesa. Ma l’attenzione andò subito al volto di Snape, tirato e
preoccupato.
“Non è
Remus…” disse, ansante, scuotendo la testa. “Quello non è un movimento di
Remus…” La guardava negli occhi, cercando di vedere se comprendeva quello che
stava dicendo.
“Neppure
quello è il cappotto di Remus. L’ha rotto un mese fa, tra i rovi di un roseto,
da Harry…” Tonks lo disse in un sussurro di
paura.
Avevano
entrambi capito di essere in pericolo.
“Chiunque
sia non vede Remus da un mese.” Iniziò Snape a ragionare a voce
alta.
“E non sa
che è appena stato qui.”
“E quindi
non lo controlla direttamente, ma ha avuto delle informazioni recenti su di
lui.”
“Ma se che
qui c’è qualcuno…” sottolineò Snape. “E io sono con voi da meno di una
settimana…” Spalancò gli occhi, con aria interrogativa, come a chiederle se era
questo il motivo dell’arrivo di quello
sconosciuto.
“Ehi, c’è
qualcuno in casa?” sentirono chiamare.
Sussultarono.
“Hai detto
che non era un movimento di Remus… di chi è?” chiese Tonks, mettendogli una mano
sul braccio.
“Un
Mangiamorte, qualcuno che fa sempre quel gesto…,” disse, seccamente, Snape. Era
concentrato nel cercare di pensare a come agire. Tonks lo capì e gli strinse il
braccio.
“Tu non ti
muovi. E soprattutto non apri la porta. Servi ancora qui e vivo!” Lo guardò
negli occhi, determinata.
“Dobbiamo
sapere cosa sa e cosa cerca, Tonks…” ribatté Snape, parlando tra i denti.
“Adesso!”
“Bene. Sono
io quella brava a cambiare aspetto, non tu. Avvisa Remus e coprimi le spalle,
non fare follie Severus…” E se ne andò alla porta, lasciandolo in salotto, con
il suono del suo nome che gli accarezzava le
orecchie.
Snape
preparò veloce un messaggio e inviò il Patronus a Remus. Era fondamentale avere
aiuto e, se ci riuscivano, lasciare che qualcuno seguisse quell’uomo, chiunque
fosse e ovunque fosse diretto.
“Salve,
tesoro!” sentì dire a Tonks. O almeno immaginò che fosse Tonks, perché la voce
era più squillante e l’accento decisamente
popolano.
Chiedendosi
cosa avesse pensato di fare quell’impudente ragazzina, si spostò sulla porta del
salotto, lanciò il Patronus verso il retro della casa, e guardò verso
l’ingresso, attraverso un vaso di fiori secchi che Molly aveva sistemato lungo
la parete. Almeno sarebbe potuto intervenire in aiuto, se veniva
attaccata.
Spalancò
gli occhi. Quella era Tonks?
Alla porta,
appoggiata allo stipite, c’era una donna, formosa, con lunghi capelli biondi,
decisamente tinti, raccolti con una strana pinza in cima alla testa, anche se
parecchi erano sfuggiti dal gancio e ricadevano sulla schiena e le spalle.
Indossava una mogliettina aderente, bianca e trasparente, attraverso la quale
persino lui riusciva a vedere l’ombra del reggiseno nero. Da quando Tonks aveva
tutto quel seno? Per non parlare delle gambe che spuntavano da un paio di shorts
lunghi fino al ginocchio e aderenti, tanto da lasciar vedere il segno degli
slip. Era a piedi nudi. Un piede appoggiato alla parete e le braccia conserte,
che facevano risaltare ancora di più la scollatura. Poteva vederne il profilo,
illuminato dal sole invernale che cominciava a calare. Era più vecchia di Tonks.
Di una decina d’anni. Appariscente.
Remus, o
chi per lui, era decisamente a bocca aperta.
“Ciao,
tesoro!” disse nuovamente Tonks. “Cerchi
qualcuno?”
“Sa…salve,”
riuscì a balbettare, sempre tenendosi le mani sul
colletto.
“Sa…salve
anche a te,” gli sorrise Tonks, con un tono leggermente derisorio. “Cerchi
me?”
“Io…
veramente cerco un uomo e una donna…”
“Oh,
tesoro!” Tonks scosse la testa, con aria di scusa. “Mi spiace, ma solo le mie
colleghe nell’altra casa, accettano di farlo in tre…” E gli indicò con un dito,
le case di fronte. “Avevi già un
appuntamento?” chiese con sollecitudine.
Mentre
Remus, o chi per lui, apriva ancora di più la bocca, incredulo, Snape si mise
una mano davanti alla faccia, decisamente scioccato. Lentamente, in silenzio, si
fece scivolare a terra, in salotto. Era la cosa più assurda, stupida, pericolosa
e geniale che quella ragazzina potesse inventare. L’avrebbe abbracciata se non
ci fosse stato quell’impellente desiderio di strozzarla.
Era una
situazione plausibile, visto che c’era davvero una casa di appuntamenti
dall’altro lato della zona. Era plausibile per l’abbigliamento esagerato di
Tonks. Era plausibile per mettere in difficoltà quell’uomo. Era plausibile per
cominciare una conversazione. Ma l’avrebbe strozzata lo stesso. Era plausibile
anche come mezzo per ottenere qualche informazione. Sospirando, riprese la
posizione di controllo da dietro quella cosa indefinibile che aveva preparato
Molly.
Remus, o
chi per lui, era chiaramente senza parole. Tonks lo guardava in
attesa.
“Veramente…” iniziò a dire. Poi si fermò e si schiarì la voce. “Veramente
non cerco un uomo e una donna per… quello, ma un uomo e una donna che dovrebbero
stare insieme qui. Vorrei vederli…” spiegò.
“Oh,
scusami,” sorrise Tonks, facendo un movimento con la mano che a Snape ricordò
molto quello di una perfetta smorfiosa, “per guardare solo allora puoi anche
stare qui..., sempre che il cliente che ho ora sia disposto a farsi guardare da
un altro uomo…” aggiunse con tono perplesso.
Remus, o
chi per lui, arrossì. Snape trattenne una risata. “Credo che però sia un tipo,
sai…” disse muovendo le mani in aria, “quelli che vogliono fare solo a modo
loro. Un dannato egoista!” concluse facendogli l’occhiolino. Snape divenne
all’improvviso molto serio e nuovamente pronto a
strozzarla.
“No,
senti,” disse Remus, o chi per lui, raddrizzandosi eretto e mettendo le mani
davanti a Tonks. “Non ci siamo capiti. Io cerco una coppia che dovrebbe abitare
qui. La donna è parecchio più giovane dell’uomo. Lui è molto stanco e debole.
Lei è una strana.”
“Strana
come?” chiese Tonks curiosa.
Snape sentì
uno schiocco alle sue spalle e si girò, bacchetta alla
mano.
Remus, il
vero Remus, era alle sue spalle.
“Parola
d’ordine,” gli sussurrò, puntandogli la bacchetta sullo
sterno.
Remus
rispose correttamente.
“C’è un
uomo alla porta, che ha le tue sembianze e cerca un uomo stanco e debole e una
donna molto più giovane, strana,” gli disse Snape,
velocemente.
Remus
spalancò gli occhi preoccupato.
“Tonks è
alla porta. Sta cercando di trovare informazioni… almeno credo. Puoi guardare se
ti sporgi leggermente dalla porta.” Snape gli fece segno di passargli a
fianco.
Remus
strisciò fino allo stipite e guardò in corridoio. Per prima cosa vide se stesso.
Era decisamente se stesso. Spaventosamente uguale a lui. La sensazione era
quella di guardarsi allo specchio. Senza avere uno specchio. Destabilizzava. Si
chiese come potevano aver avuto qualcosa di suo per la Pozione Polisucco.
Poi vide la donna che stava ascoltando quell’uomo e si ritrasse verso Snape,
girandosi a guardarlo, con un sorriso di imbarazzo e
stupore.
“Tonks?!”
disse, senza fare uscire alcun suono, ma con uno smorfia esagerata di stupore in
volto.
Snape
scosse la testa, come a dirgli di lasciar perdere ogni possibile commento. “Da
un movimento credo sia Avery…” ipotizzò Snape, a fior di labbra. Remus fece un
cenno di assenso.
“Ha bisogno
di aiuto?” chiese Remus indicando genericamente verso
Tonks.
Snape negò
con la testa. “Sta facendo un gran lavoro, credimi…” sbottò irritato. Poi
rabbrividì.
Rimasero
accovacciati sul pavimento ad ascoltare. Due uomini di quarant’anni che spiavano
una ragazzina di neppure trenta impegnata a circuire un uomo sconosciuto. Snape
si sentì un pervertito.
“... da
quasi tre settimane non vedo nessuno qui. C’è stata una coppia,” sentirono dire
a Tonks, “ma per pochi giorni. E comunque lui era proprio vecchio e decrepito.
Più suo nonno che suo padre, credimi.”
Snape
sospirò. Remus ridacchiò senza fare rumore.
“Senti,
bellezza,” disse poi Remus, o chi per lui, cambiando decisamente tono. “Ma il
tuo appuntamento ci mette poi molto?” le
chiese.
Snape si
alzò immediatamente in piedi, portandosi vicino allo stipite. Non era quello
l’obiettivo della conversazione. Remus lo imitò, preoccupato che potesse fare
gesti avventati.
“Oh, sai è
di quelli che vuole tutto e subito. Ma sono con lui per parecchio ancora,
qualche ora. Poi…” e lasciò la frase in sospeso. “Tu sei qui domani, tesoro?
Credo di non avere troppi appuntamenti” gli chiese,
invitante.
“No,
bellezza. Sarò parecchio impegnato per qualche giorno… ma posso tornare…” gli
propose.
Snape
strinse la mani a pugno lungo i fianchi. Remus era alle sue spalle, sempre
ridendo. Aveva molta più fiducia di lui nelle abilità di Tonks nel far parlare
la gente.
“Sai, per
rendere le cose più semplici, prendiamo appuntamento…” gli disse per avere
un’idea del periodo del quale stava
parlando.
“Non prima
di…” si fermò un attimo, “di quattro giorni, direi. Un viaggio veloce in Sussex
e poi sono qui.”
“Bene,”
concluse Tonks. “Però quando torni devi rivolgerti alla casa dall’altra parte
della strada, la casa rossa…” E gliela indicò. “Chi comanda sta lì…” gli disse
sorridendo. “Come le mie colleghe…”
aggiunse.
“Tutte come
te?” chiese.
“Come ci
vuoi tu, tesoro… Bello il Sussex. Lavoro o divertimento?” gli disse lei
facendogli l’occhiolino. All’improvviso fu attratta da un gatto nero che balzò
dalla siepe e le si avvicinò, strusciandosi contro le sue
gambe.
“Ciao,
cucciolo,” disse prendendolo in braccio e accarezzandolo. “Bentornato…” aggiunse
guardandolo negli occhi.
“Lavoro,
tesoro. Solo lavoro. Devo cercare un tizio, quello che pensavo fosse qui, e
portarlo dal mio capo. Bene, bellezza… grazie per le informazioni!” le disse
Remus, o chi per lui, salutandola sbrigativamente. Poco prima sembrava sul punto
di sporgersi verso di lei per baciarla, ma l’arrivo del gatto doveva avergli
fatto cambiare idea.
“Ciao,
tesoro,” gli disse Tonks salutandolo con la mano e tenendo ben stretto a sé il
gatto. “Ci rivedremo…”
Remus, o
chi per lui, si incamminò lungo la strada. Con un balzo il gatto scese dalle
braccia di Tonks e seguì Remus, o chi per
lui.
Tonks
rientrò velocemente e chiuse la porta alle sua spalle, con un sospiro. Senza
emettere alcun suono, ritornò al suo aspetto normale, in modo quasi indolore.
Quando era costretta ad agire velocemente, le era più difficile poi ritornare
alle sue sembianze. Per alcuni secondi si sentiva sempre un po’ confusa. In
questo caso la tensione e l’ansia di trovarsi da sola davanti ad un Mangiamorte
con il compito di non farsi scoprire e di farlo parlare aveva reso la situazione
ancora più difficile. Scosse la testa, come a volersi liberare la mente dalla
nebbia provocata dall’Incantesimo e per farlo chiuse un attimo gli occhi. Quando
li riaprì si ritrovò di fronte Snape e dietro a lui, Remus.
La prima
cosa che notò era la somiglianza tra i due. Avevano all’incirca la stessa età,
la stessa espressione preoccupata, con i capelli spettinati e gli abiti
spiegazzati. Comprese immediatamente che si trattava realmente di Remus, dallo
sguardo, nonostante tutto, ironico con il quale la guardava. Come aveva capito
di avere in braccio Minerva poco prima. Ma sentì che stava per perdere
l’equilibrio e allungò una mano verso la parete, per contrastare la sensazione e
trovare un punto d’appoggio. Solo qualche secondo e sarebbe ritornata pienamente
in possesso delle sue abilità.
Si sentì
invece sorreggere da due mani che la presero alla vita e la attirarono verso un
corpo longilineo e magro. Era caldo. Si appoggiò senza pensarci, grata che
qualcuno avesse cura di lei. Pochi secondi e si scostò, raddrizzando le spalle e
guardando Remus, ancora vicino alla porta del salotto e poi Snape, che svettava
sopra di lei.
“Tutto
bene?” Sembrava veramente preoccupato, si disse
Tonks.
“Sì,”
rispose con voce sicura, allontanandosi ancora di più da lui. “Ho sempre qualche
difficoltà quando devo agire d’improvviso. Ciao Remus. Sei tu,
vero?”
Remus le
sorrise. “Severus ha già controllato. Buon lavoro,
Tonks.”
“Ho saputo
molto poco, Remus. Il Sussex per qualche giorno è una stupidaggine. Chi deve
prendere credo sia lui,” e indicò Snape “… e perché, per portarlo da
Tu-Sai-Chi.”
“Hai dato
tempo a Minerva e a Molly di prepararsi e seguire quell’uomo. E dopo Molly
arriveranno gli altri che Charlie sta organizzando. Sei stata all’altezza,
credimi. Lo ha detto anche Severus. E non hai lasciano tracce in questa
casa.”
“Ma ho
lasciato che pensasse di poter tornare in quella di fronte e chiedere di me…”
sospirò, lasciandosi sfuggire l’osservazione su Snape. “Cosa possiamo
fare?”
“Tra
qualche giorno nessuno sarà qui e se scoprirà di essere stato ingannato saranno
problemi solo suoi, Tonks,” le rispose, pratico e deciso, Remus. “Tu sarai già
in qualche altro posto.”
Questo,
pensò Tonks, è il mio peggior pensiero. Comunque annuì al suo
capo.
Remus li
salutò, Smaterializzandosi nuovamente da qualche altra parte del Mondo
Magico.
Severus si
girò verso Tonks, con un’espressione sfinita in volto. Gli occhi erano
nuovamente luccicanti e sembrava avere anche un po’ di
brividi.
“Professore, lei ha di nuovo la febbre! Vada a distendersi in salotto, le
porto la Pozione.”
Ogni altro problema finiva in secondo
piano.
“No, Miss
Tonks,” la bloccò afferrandole il braccio. “Lasciami andare in camera a
prepararne dell’altra e poi dormirò un po’,” le disse
stancamente.
“Ha finito
la
Pozione?”
Lui annuì
impercettibilmente.
“La preparo
io,” si propose Tonks. “Mi dia ingredienti e procedura e se ne vada a letto,”
gli intimò.
Snape si
sentiva troppo stanco per replicare e si avviò verso le scale. Dopo pochi minuti
Tonks vide apparire sul tavolino un foglio di pergamena con gli ingredienti e le
modalità per legarli insieme.
Si mise
all’opera velocemente e in meno di mezz’ora aveva completato tutto. Ne versò un
poca in una boccetta e la portò al piano superiore. Provò a chiamarlo, ma da
dietro la stanza chiusa non veniva alcun
suono.
Si avvicinò
alla porta, cercando di capire se qualcuno dall’altra parte stava russando. Ma
non sentì nessun rumore sospetto. Appoggiò la mano sulla maniglia e la spinse
verso il basso.
Aprì la
porta, ma si trovò davanti solo il buio. Il fascio di luce che entrava dal
pianerottolo nel quale si trovava Tonks, lasciava vedere i soliti mobili e spazi
curatissimi. Snape era a letto, la faccia rivolto verso il muro, difficile da
vedere. Si notava solo il lungo naso. Tonks lo chiamò per due volte. Snape
rispose con un grugnito, senza spostarsi. Indossava un pigiama blu, seminascosto
dalle coperte. Tonks insistette ancora, chiamandolo, fino a quando, Severus aprì
gli occhi, girandosi verso di lei. I capelli, sciolti, gli coprivano in parte il
viso, dandogli un aspetto pericoloso e sciatto. Senza parlare Severus la guardò,
con gli occhi socchiusi, si appoggiò sui gomiti e si mise seduto sul letto.
Allungò una mano e prese la boccetta dalle mani di Tonks, bevendo un lungo sorso
della pozione.
“Troppo
dolce…” sbiascicò con voce roca.
“Per
aiutarla a diventare un po’ più carino con me,” scherzò Tonks,
sottovoce.
“Sciocca
ragazzina,” le disse stendendosi nuovamente e tendendole la boccetta con mano
tremante. Tonks la afferrò prima che cadesse e la mise al sicuro sopra il
comodino.
“Dormi,
Professore e sogna qualcosa di piacevole…” gli sussurrò, dolce, alzandosi in
piedi.
“Essere al
posto di Davidson…” rispose Snape.
Tonks di
fermò in piedi a guardarlo. Non era il tono di voce di una persona che si sta
riaddormentando, decisamente no. Sapeva quello che stava dicendo, non
delirava.
“Non avrei
nulla in contrario, adesso…” rispose, sentendosi particolarmente sicura di sé e
disposta al gioco. Adesso aveva cominciato lui a giocare, lei stava rispondendo.
Uscì dalla stanza.
Mezz’ora
dopo era seduta sulla poltrona in salotto, intenta a guardare il fuoco. Aveva
passato tutto il tempo a ripensare alle parole di Snape, ad immaginare il
seguito, a rimproverarsi per aver osato desiderare un traditore e omicida, a
rassicurarsi che era un fedele seguace di Silente costretto alle azioni che
aveva intrapreso. E aspettava che lui
scendesse.
Non lo
sentì entrare nella stanza. Era abile in questo. Si accorse dell’ombra
proiettata sul tappeto davanti a sé e alzò la testa per
guardarlo.
“Meglio?”
gli chiese, prima di ritrovarsi a balbettare qualche insulso commento su quello
che si erano detti.
“Molto,” le
rispose. “Era una pozione ben fatta, Miss Tonks. Facile a dire il vero,” e si
mise a sedere nel divano davanti al fuoco, allungando le gambe alle fiamme. Si
era rivestito con pantaloni e maglione e aveva legato i capelli. La barba era
nuovamente visibile.
Rimasero in
silenzio per un po’, senza sapere cosa dirsi. Dovevano cominciare dal litigio
non terminato, oppure dallo scambio di battute fatte in camera di
Severus?
Erano
seduti vicini. E non si guardavano.
Severus si
disse che comunque era destinato a perdere quella ragazza. Era destinato a
morire senza di lei. Ma poteva tentare di avere un ricordo piacevole da portare
con sé. Non riuscì a pensare ad altro prima che le parole gli uscissero di
bocca.
“Davidson
ha fatto la prima mossa?” le chiese, rompendo il silenzio che si era creato. Ma
senza guardarla.
Tonks aprì
leggermente la bocca sorpresa. Ma cosa poteva aspettarsi da lui, se non la
solita arrogante pretesa di avere delle risposte a domande che mettevano in
difficoltà?
“Ci siamo
ritrovati alla fine di un allenamento. Ho fatto in modo di essere da sola con
lui nell’ingresso del campo da Quidditch. E lui ne ha approfittato,” raccontò
semplicemente, guardandolo.
“Sciocco
ragazzino.” commentò secco Snape. “Ha sprecato una buona occasione per imparare
il gusto dell’attesa…”
“Avevamo
sedici anni, Professore. Eravamo adolescenti alle prime armi…” minimizzò
Tonks.
“Già.” Fece
un sospiro e la guardò.
Silenzio.
“Miss
Tonks…” le disse, con voce roca.
Tonks si
girò verso di lui e lo fissò negli occhi. Non riusciva però a capire a cosa
stesse pensando. Si ritrovò a sbattere gli occhi per la
tensione.
“Cosa…”
iniziò a sussurrare.
“Non fare
domande…” la bloccò alzando leggermente una mano. “Vieni qui e siediti sulle mie
ginocchia, Ninphadora.”
Forse era
un mago capace di lanciare degli Imperius usando solo la voce, si disse
immediatamente Tonks. Quella voce era così sensuale… Si alzò in piedi e
lentamente si mise a sedere sulle ginocchia di Snape, la schiena dritta per la
tensione, per l’eccitazione. Sapeva esattamente come sarebbe finita la serata e
cosa l’aspettava il giorno dopo.
Snape le
accarezzò la schiena, guardando il volto della donna rivolto vero di lui,
guardando il respiro sollevare e abbassare il seno, le gambe appoggiate sulle
sue. Continuò ad accarezzarla fino a quando non la sentì rilassarsi
leggermente.
“Lasciati
andare, Miss Tonks,” le sussurrò all’orecchio e lentamente la fece scivolare sul
divano, abbracciandola e sostenendola con un braccio fino a farla distendere,
mentre a sua volta scivolava via da sotto le sue gambe e le si stendeva sopra.
Tonks lo guardò con gli occhi spalancati, di desiderio e timore. Lui la
accarezzò, lentamente, sulla faccia e poi lasciò scendere una mano, facendola
sobbalzare, portandola a mordersi le labbra.
“No,
Ninphadora, no,” le sussurrò, senza voce. “Questo…” e la baciò sulle
labbra.
Lei
assecondò ogni movimento delle sue labbra, lo seguì e lo cercò. Nessuno dei due
tentò di approfondire. Non sarebbe stato un vero primo bacio, come nei loro
desideri. Perché avevano lo stesso
desiderio.
Snape si
sollevò leggermente per guardarla. “Cosa vuoi, Ninphadora? Cosa preferisci da
me?” le chiese, la bocca a pochi centimetri dalla
sua.
“La tua
voce… le tue mani…” gli chiese. E poi realizzò che le aveva chiesto qualcosa per
lei, qualcosa che le facesse piacere.
Cominciò ad
accarezzarla, il tocco leggero della punta delle dita, alternato alla forza
della sua mano, sussurrando proposte che fecero arrossire i capelli di Tonks.
Non se lo aspettava così diretto, esplicito. E soprattutto così abile con una
donna. Si ritrovò a lasciarli mettere le mani ovunque e a tentare di mettergli
le mani addosso ovunque. Il corpo inarcato alla ricerca delle sue mani. E della
sua bocca.
Era bravo,
eccitante e sfuggente. Conosceva il corpo di una donna e lo avvicinava con lo
stesso rigore che metteva nelle pozioni. Ogni elemento importate curato con
attenzione maniacale. Tonks sapeva di essere molto più scomposta e
disorganizzata. Ma a lui sembrava piacere. Ansimava quanto lei e si lasciava
andare a parecchi apprezzamenti sul suo modo di toccarlo. Poi all’improvviso si
fermò, prendendole il mento in una mano e forzandola ad alzare il volto verso di
lui.
“Vuoi
giocare un po’ tu, adesso o andiamo direttamente in camera mia, Miss Tonks?” La
voce sempre più roca, gli occhi scuri e lucidi di desiderio questa volta, i
capelli stranamente legati. Era ancora vestito, perché Tonks aveva lasciato
vagare le mani sopra e sotto i vestiti senza
toglierglieli.
Tonks si
alzò dal divano. “Siediti,” gli sussurrò. Lui eseguì. Tonks si mise seduta su di
lui, faccia a faccia, le braccia attorno al suo collo. Aveva perso completamente
il senso del tempo e solo il buio che copriva le finestre le fece capire che non
erano stati per nulla veloci in quel gioco. “Solo un po’ di tempo per me…” gli
sussurrò all’orecchio. E cominciò con il togliergli il
maglione.
Quando
Severus sentì di essere giunto al limite e le stelle brillavano in cielo, la
fermò, afferrandole i polsi.
“Non
resisterò ancora molto…” la avvisò, guardandola negli occhi. Tonsk fece un cenno
di assenso. “Neppure io…” rispose, arrossendo. Severus la baciò con foga,
stringendola a sé, lasciando che lei si sciogliesse tra le sue braccia. Poi la
fece alzare e la prese per mano.
Salirono le
scale vicini, in silenzio, solo con le mani intrecciate, fino alla porta della
camera di Severus.
Prima di
entrare lui sussurrò qualcosa e quando entrò nella stanza, Tonks si ritrovò in
uno dei ripostigli di Hogwarts.
Lei iniziò
a ridere quasi fino alle lacrime per quell’idea. Lo abbracciò, guardando il suo
sorriso sornione.
“Ti piace
l’ambiente, Miss Tonks?” le chiese con tono
autoritario.
“Professore, sei decisamente cattivo!” gli ridacchiò vicino
all’orecchio.
Ripartiamo, con gioia (!!!!!!!!!!!) dai
ringraziamenti:
kloe2004, ellinor, Draias (niente tarallucci e vino!),
Arabesque (non è una fic felice...), Hotaru_Tomoe, Piccola Vero, marygenoana,
Mixky, Astrid, krisy, Jessica P (grazie anche per l'altra).
Chiuderò in brevissimo tempo. Quando inizio a pubblicare
ogni fic è praticamente finita, per scelta. I cambiamenti sono minimi. Buona
lettura.
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Capitolo 5 *** Last letter ***
Severus si svegliò quasi di
soprassalto, con la sensazione di aver appena ricordato qualcosa di
fondamentale, ma aveva già dimenticato cosa. Una delle sue mani era appoggiata
sul fianco di una donna. Una donna con i capelli rosa, che gli solleticavano la
bocca. Una delle sue gambe era tra quelle della donna e l’altra sopra il suo
fianco. Tonks. La guardò a lungo. Il volto rilassato, gli occhi chiusi e le
ciglia scure. La bocca seria, quasi imbronciata. Le accarezzò una guancia, ma
non ottenne nessun movimento in risposta. Dormiva
profondamente.
Sorridendo, con lentezza, si
districò dal corpo della donna e si alzò dal letto. Tonks borbottò qualcosa di
incomprensibile e si girò a pancia in sotto, abbandonando le braccia sopra la
testa.
Nudo, Severus attraversò il
pianerottolo e si chiuse in bagno. Ne uscì più di mezz’ora dopo, avvolto in un
asciugamano. Aprì la porta cercando di non fare rumore. Tonks dormiva ancora,
nella stessa posizione. Senza bacchetta e senza usare la voce, fece uscire in
silenzio dall’armadio biancheria e vestiti e velocemente li indossò. Prese in
mano le scarpe e uscì nuovamente dalla stanza. Si sistemò maglione e pantaloni
in cima alle scale e poi si mise seduto sul primo scalino e infilò calzini e
scarpe.
Non riusciva a togliersi quel
dannato sorriso dalle labbra. Lo aveva da quasi un’ora, accidenti a lei! Dalla
sera precedente a dire il vero. Anche peggio!
Scese le scale velocemente,
sistemandosi i capelli con uno di quegli aggeggi di Tonks, che lei aveva messo
sul suo comodino, mentre la consapevolezza di tutto quello che era accaduto la
sera e la notte precedente, e anche quella stessa mattina, molto presto,
iniziava a preoccuparlo.
Continuando a ripetersi che
era stata una scelta di entrambi e entrambi erano ampiamente nell’età adulta,
prese una teiera e la mise sul fuoco. Poi si chiese perché stava preaparando la
colazione come un babbano. Sbuffando, diede un piccolo pugno sul mobile e decise
che stava ragionando troppo e male. Cucinare come un babbano non era un
problema. Il problema era aver dimenticato quello che doveva
ricor…
Charlie! Charlie
Weasley!
Doveva arrivare quella
mattina con Remus portandogli le indicazioni su dove trovare l’Ippogrifo di quel
pazzo di Black, per potersi muovere liberamente. Non poteva sopportare l’idea
che Remus o, peggio ancora, Weasley si accorgessero di come il rapporto tra lui
e Tonks era cambiato.
Imprecando a voce alta,
Severus prese quello che gli era necessario dal frigorifero. Chiedendosi perché
mai era necessaria quell’invenzione ai babbani.
“Ciao…”
Si girò di scatto, con il
vasetto della marmellata in mano.
Tonks era davanti a lui, gli
occhi socchiusi dal sonno, i capelli arruffati e il suo maglione della sera
prima addosso, con sotto degli slip verdi.
“Avevi quelli, ieri?” le
chiese, con una smorfia di disgusto.
“Sì, non li hai visti?”
chiese con voce arrochita dal sonno.
“No,” gracchiò lui,
decisamente schifato. “O forse li ho tolti il prima possibile proprio per
quello!”
Lei ridacchiò. “Posso
baciarti anche se non mi sono ancora lavata di denti?” gli chiese, aprendo gli
occhi e guardandolo come se facesse le fusa. “Solo sulle
labbra…”
Severus sentì il cuore andare
a mille e il respiro bloccarsi. Era così ingenua! Come poteva interessargli il
fatto che non si fosse lavata i denti, se il giorno dopo se ne sarebbe dovuto
andare per sempre lontano da lei?
Allargò le braccia in
silenzio per accoglierla, mentre lei si tuffava verso di lui e gli dava un bacio
veloce.
Severus la strinse a sé con
forza, non lasciandole la possibilità di allontanarsi. Poi si ricordò di Charlie
e Remus. E allungò le braccia.
“Aspetto Remus e Charlie
Weasley, questa mattina,” la informò.
“Oh Merlino, oh Merlino!
Charlie…” esclamò cominciando a saltellare. “Hai sistemato il
salotto?”
“Stavo per farlo. Tu vai a
fare una doccia e pensa alla camera.”
“Corro!” Gli diede ancora un
bacio sulle labbra e scomparve.
Severus, ancora con quello
stupido sorriso sulle labbra, guardò il salotto e lo risistemò con quattro
Incantesimi, aprendo anche le imposte. Guardò l’orologio alla parete. Erano solo
le otto, per fortuna.
Terminò di preparare la
colazione e si sistemò al tavolino per mangiare. Non aveva senso aspettare che
lei scendesse per farle compagnia. Gli altri potevano arrivare da un momento
all’altro e lui doveva accordarsi con Remus. All’improvviso si chiese perché
Tonks avesse pronunciato il nome di Weasley. Mentre la sua mente divagava sul
quel particolare, bussarono alla porta.
Si alzò di malavoglia e andò
alla porta d’ingresso. C’erano delle ombre
immobili.
“Parola d’ordine,” chiese
perentorio.
Gli rispose, correttamente,
la risposta di Remus.
Aprì la porta e se lo trovò
davanti, con Charlie e Arthur Weasley alle spalle.
“Entrate.” Fece loro cenno
con una mano. “Ciao, Arthur. Buongiorno Charlie.”
“Severus.”
“Professore.”
Li precedette in salotto,
facendo cenno di accomodarsi sul divano.
“Tonks?” chiese
Charlie.
“Credo sia in doccia,”
rispose con tono vago Snape. “Scenderà per la
colazione.”
“Il cibo la farebbe arrivare
ovunque,” commentò con un sorriso Charlie. Era rimasto il figlio più possente di
Arthur e Molly. Lavorare con i draghi sembrava averlo portato ad assomigliare a
loro. Placido e serafico fino a quando qualcuno non lo aggrediva. In quel
momento sembrava in visita ad amici, rilassato in poltrona che si guardava
attorno. I capelli cortissimi e le piccole cicatrici sul viso facevano risaltare
gli occhi chiari. Severus si sentì pietosamente
geloso.
“Come mai con noi, Arthur?”
chiese, per distrarsi.
“Ufficialmente sono insieme a
Remus per controllare una segnalazione che potrebbe portare il Ministero a
catturati,” gli spiegò con un sorriso.
“Oh,” commentò Snape. “E dove
saremmo?”
“In Scozia, dalle parti di
Edimburgo.”
“Come mai?” chiese
perplesso.
“Una qualche tua vecchia e
lontana parente, dalla quale potresti rifugiarti.”
“Ah,” minimizzò Snape.
“L’unica parente di mio padre è una sua zia babbana di oltre ottant’anni che ama
farsi fotografare da giovani uomini!”
Charlie lo guardò
meravigliato.
“Volete qualcosa da bere?”
chiese Snape.
“Io devo ancora fare
colazione, in effetti,” confessò Remus. “E ho anche
fame.”
“Ecco, così poi ti prendi
quella maledetta pozione che dimentichi spesso!” sbottò Snape spostandosi in
cucina.
Quando Tonks scese, una
mezz’ora più tardi, trovò i quattro uomini ancora alle prese con la
colazione.
Lei aveva passato l’ultima
ora, più o meno, a ripensare alla sera e alla notte precedente, crogiolandosi
nei ricordi. Nel piacere di quei ricordi. Ma i ricordi venivano interrotti dalla
consapevolezza della fragilità di quella relazione, dal timore di essersi fidata
di un traditore. Tutte le certezze date da Snape in quelle settimane non erano
sufficienti a cancellare la ferocia di quello che aveva fatto. Né a cancellare
anni e anni di brutta reputazione che si era costruito. Ma lei era attratta dal
suo strano modo di essere così attraente. Beh, si disse, attraente era
decisamente troppo. Un tipo. Un tipo decisamente particolare. Mentre faceva
questi ragionamenti, scendendo le scale, aveva sentito la voce di Arthur e la
risata di Charlie provenire dal salotto o dalla cucina. Erano parecchi giorni
che non vedeva Charlie, uno dei suoi amici più cari. Forse l’unico in grado di
capire, anche solo dal suo sguardo, quello che era appena accaduto. E questo la
preoccupava. Charlie era anche una persona molto riservata, come suo padre. E
questo poteva salvarla.
“Buongiorno a tutti,” disse
entrando e andando subito ad abbracciare l’amico. Charlie le diede un bacio
sulla guancia e le scompigliò i capelli.
“Ciao, Weasley!” borbottò
lei, fingendosi indispettita. E girandosi per afferrare una tazza, pronta ad
accogliere il suo te. Snape era appoggiato alla finestra della stanza, alle
spalle di Arthur e Remus, in una posizione dalla quale poteva guardarla in ogni
momento. Lei si sentiva esposta, troppo esposta
Si mise seduta a fianco di
Charlie, l’unico posto rimasto libero e si fece prendere dalle chiacchiere
attorno al tavolo.
Snape preferì restarne fuori.
Continuava a guardare Tonks come se non ci fosse altro nella stanza. O almeno a
lui pareva di fare così. Soprattutto guardava il modo in cui Tonks si rivolgeva
a Charlie, lo toccava per attirare la sua attenzione su quello che intendeva
dire, il modo in cui si sorridevano, il modo in cui Chiarlie la guardava
ironicamente. Avrebbe voluto essere al suo posto. Poterla guardare liberamente
in quel modo. La rabbia gli crebbe dentro come un vulcano in eruzione, un
vulcano che non doveva esplodere. Non lì e non in quel momento. Si girò a
guardare fuori dalla finestra, per cercare una distrazione. Il marciapiede era
vuoto.
“Severus!” si sentì chiamare
da Remus.
“Cosa c’è?” chiese, girandosi
verso il tavolo. Remus si era alzato e gli si era avvicinato. Gli parlò
sottovoce, costringendolo a distogliere gli occhi da Tonks per potergli dare
attenzione
“Quando intendi
partire?”
“Domani in
giornata.”
“Non c’è nulla che potrebbe
farti cambiare idea?” Remus lo guardava negli occhi, senza timore, senza ironia.
Serio.
“No,” gli disse bruscamente.
“Cosa ti fa pensare il contrario?”
“La direzione del tuo
sguardo. Il fatto che lei non ti guarda.”
“Noi due non siamo mai stati
amici, Lupin. Non intendo cominciare adesso,” sibilò
irritato.
“Ma lei è amica mia,”
sottolineò con durezza Remus.
“Geloso?” sogghignò Snape.
Con una dolce sensazione di vendetta.
“No,
preoccupato…”
Entrambi sapevano che ci
sarebbe dovuto essere un insulto, per concludere la frase.
Rimasero a guardarsi, pronti
a passare a modi ancora più duri.
“Sarò io uno di quelli che
dovrà consolarla quando non ci sarai. Cosa dovrò dirle?” chiese Remus con ira,
prendendolo per un braccio, deluso da
quell’indifferenza.
Snape sentì la preoccupazione
nella sua voce, la rabbia e il senso di impotenza. Poteva anche fingere con gli
altri, ma dentro di lui le emozioni erano le stesse. Era preoccupato per lei,
per il suo futuro, era arrabbiato per quello che doveva fare, per il destino che
l’aveva costretto a diventare quello che era, si sentiva impotente di fronte ad
un impegno che andava oltre i suoi desideri. Distolse lo sguardo da Remus, di
scatto, guardando ancora fuori dalla finestra.
“Dille che… che avrei voluto
che fosse lei la mia anima.” Forse per la prima volta, Remus sentì il dolore
nella sua voce, il rimpianto, il desiderio. La voce però era sicura,
determinata.
Gli lasciò andare il
braccio.
“Che è stata la mia anima in
questi giorni, la mia vita,” aggiunse.
Remus fece un piccolo cenno
di assenso, che Severus non poté vedere, ancora impegnato a guardare una strada
quasi vuota.
“Remus?
Severus?”
Si girarono verso gli altri
tre. Li stavano guardando con aria interrogativa.
“Proseguiamo,” disse Remus
ritornando a sedersi al tavolo.
“Dove si trova l’Ippogrifo?”
chiese Snape, con un cenno a Charlie.
“Appena fuori dal paese,
nascosto nel bosco. Da dove siete arrivati.” Di fronte allo sguardo meravigliato
del Professore aggiunse. “Gli ho messo addosso un Incantesimo di Invisibilità,
l’ho ben nutrito e legato. Aspetta lei. Solo che dovrei farglielo conoscere io.
Ha passato parecchi proprietari negli ultimi anni ed è facilmente
irritabile.”
“Immagino,” commentò
sarcastico Snape. Passare da Black ad Hagrid non doveva essere facile neppure
per un Ippogrifo. “Ci andiamo adesso?”
Charlie si alzò
subito.
“Ci Smaterializziamo,
Weasley. Riusciamo a far passare me per Tonks?” chiese ad Arthur. “Destiamo meno
sospetti ai babbani e al Ministero della Magia.” Era necessaria la sua copertura
per confermare la presenza del figlio e di Tonks in quel paese. E per
autorizzare formalmente quell’Incantesimo, vista la situazione di incertezza e
di sfiducia. Avrebbero immediatamente controllato, sapendo che Tonks era un
Auror e aveva combattuto a fianco dell’Ordine.
“Certamente,” annuì
Arthur.
Snape uscì dalla stanza senza
rivolgere uno sguardo a Tonks, seguito da Charlie. Tonks rimase un attimo
immobile, lo sguardo concentrato, ma non molto allegro. Uscì dalla stanza e salì
le scale dietro a Snape che era andato a prendere il giubbotto imbottito che si
era comprato due giorni prima.
Entrò nella camera dietro a
lui e aspettò che si girasse, infilando il braccio del giubbotto. Rimase
interdetto dalla sua presenza. Guardandola mentre tentava di sistemare la
chiusura lampo, la vide avvicinarsi e poi baciarlo sulle
labbra.
“Ninphadora…” sussurrò,
ansioso.
“Lo so che tu non riesci
proprio ad essere romantico, ma io sì!” Gli sorrise quasi intimidita dalla sua
stessa audacia.
Snape rimase a fissarla,
incapace di arrabbiarsi, troppo irrigidito dalla vita per lasciarsi andare.
Tonks gli accarezzò il volto con la punta delle dita. All’improvviso Severus le
prese la mano e la portò contro la propria bocca, accarezzandola con il respiro,
gli occhi chiusi per non farsi distrarre dalla realtà. Tenendole la mano si
accarezzò le labbra e il collo, lasciandola andare. Ninphadora gli sorrise, un
sorriso grande come se le avesse appena dichiarato di amarla. E per la prima
volta anche lei vide negli occhi di quell’uomo la tristezza e il dolore. Rimase
a guardarlo, a farsi penetrare da quelle emozioni, fino a quando Severus decise
di riprendere la sua espressione di ironico distacco. Chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì, il
Professore era ricomparso.
Ninphadora lo lasciò andare,
spostandosi di lato e facendo un cenno verso le
scale.
“Ti aspetto
qui.”
Severus si bloccò all’inizio
del secondo gradino, un attimo solamente e poi
scese.
Charlie era al suo fianco
mentre Snape si avvicinava all’Ippogrifo e faceva la sua conoscenza. Riconobbe
subito l’abilità del Professore nell’andare incontro a quell’animale. Lento,
distaccato e deferente. La risposta fu di accettazione immediata. Snape si era
guadagnato un alleato.
“Complimenti, Professore!”
esclamò sinceramente Charlie, dopo alcuni voli di
prova.
“Grazie, Weasley. Preferirei
che mi chiamassi per nome, comunque. Ho smesso da parecchi mesi di essere un
Professore.” Non era una richiesta, non poteva esserlo se arrivava dalla bocca
di Snape, ma era certamente un segnale di stima. E Charlie lo accolse come
tale.
“Ti servono informazioni su
come accudirlo?” gli chiese, lasciandosi beccare delicatamente e amichevolmente
un avambraccio dall’animale.
“Anni di insegnamento con
Hagrid sono stati sufficienti, grazie,” commentò, sarcastico. Ma gli fece un
accenno di sorriso.
“Sei sicuro della tua
scelta?” chiese, senza titubanza.
“Mi sembrate tutti
particolarmente attaccati alla mia vita…”
“Beh, ogni aiuto è prezioso
di questi tempi. Soprattutto un aiuto con le tue abilità e
conoscenze!”
“Almeno non sei retorico…”
commentò sinceramente compiaciuto Snape.
“Non crederesti ad altri
motivi, no?” Lo disse con la certezza della
risposta.
“No,” riconobbe
deciso.
“Come è stata la convivenza
con Tonks?” Charlie cominciò a sistemare nuovamente l’Ippogrifo per la
notte.
“Interessante…” Snape era un
po’ distante e lo stava guardando, per sapere quello che avrebbe dovuto fare,
quando si fosse trovato da solo con l’animale.
Charlie si girò a guardarlo
come se avesse fatto una battuta divertente.
“Movimentata…”
aggiunse.
“Silenziosa? Monotona?
Rispettosa, dolce e femminile?” propose Charlie
ridacchiando.
“Esatto…” Snape si lasciò
sfuggire un sorriso.
“È una delle amiche migliori
che abbia dai tempi della scuola.” Charlie gli si avvicinò, terminato il lavoro.
“Ho sempre pensato che avesse un pizzico di sana
follia.”
“Geni di famiglia,” commentò
Snape.
“Non è il tipo che si fida
facilmente degli altri, sai?” Charlie lo guardò negli occhi. “È sempre stata
selettiva nelle sue relazioni. Tonks si innamora solo quando si sente amata
dall’altro. Altrimenti desiste.”
Snape si limitò a restituire
lo sguardo.
Charlie gli sorrise.
“Andiamo?”
Snape
annuì.
Al momento del pranzo Snape e
Tonks erano nuovamente soli. Distanti, ma soli.
Snape era andato ai fornelli
per sfogarsi nella cucina. Cominciava a capire Molly. Concentrarsi sul cibo
poteva essere rilassante. Tonks era al piano superiore, ma non sapeva a fare
cosa.
Nella pentola stava
sobbollendo lo stufato con un piccolo Incantesimo per accelerare i tempi. Le
verdure erano in forno.
“Posso
disturbarti?”
“Dimmi…” le rispose
girandosi.
Tonks indossava nuovamente il
suo maglione della sera precedente. Con dei pantaloni pieni di tasche e
cerniere.
“Devo considerare quel
maglione tuo?” le chiese.
“Si, mi piacerebbe tenerlo,”
ammise.
Con un cenno di assenso della
testa, Snape si girò nuovamente verso i fornelli.
Tonks si avvicinò e gli mise
le braccia attorno alla vita, appoggiandosi alla sua schiena. Mescolando il cibo
con una mano, Severus appoggiò l’altra sopra le mani di Tonks. Rimasero così,
senza parlare.
“Parti domani?” chiese Tonks
in un sussurro.
“Sì,” confermò Severus. “Deve
essere così, Ninphadora.”
Senza dire nulla, Tonks
aumentò la stretta delle sue braccia attorno ai fianchi di Snape. “Niente ti
farà cambiare idea, vero?”
“Ho lavorato diciassette anni
per arrivare a questo, Ninphadora. È qualcosa che va oltre me e oltre i miei
desideri.”
“Almeno dimmelo, Severus…”
gli chiese con voce implorante.
Snape rimase in silenzio per
parecchi minuti, accarezzandole le mani. Poi le aprì e si girò verso di
lei.
“Ninphadora…”
Lei alzò lo sguardo verso di
lui.
“Mi piaci da molto tempo. Ti
ammiro già da quanto eri una mia studentessa.” Tonks sentì che cercava di
controllare il tono della voce, per evitare di farsi prendere dalle emozioni.
Era teso. “Io…” si fermò, incapace di parlare oltre. Si chinò verso di lei per
un bacio tenero.
“Lo so che non otterrò di
più…” gli rispose Tonks con gli occhi chiusi e il volto rivolto verso di lui.
“Ma questo mi basterà anche dopo…”
“Brava ragazzina…” le disse
Snape con condiscendenza.
Tonks
sorrise.
Mentre erano a tavola
parlarono del passato e dei ricordi del periodo di scuola. Tonks arrivò a ridere
fino alle lacrime ascoltando Severus che le raccontava aneddoti raccolti negli
anni. Passarono del tempo anche in salotto, davanti al fuoco acceso,
abbracciati.
E il resto della notte
insieme.
Una manciata
di tempo dopo…
Snape arrancava lungo la
strada in salita, al centro del paese, alla ricerca del numero civico esatto
presso il quale avrebbe trovato una camera e dei pasti caldi. Gli erano stati
garantiti attraverso l’Ordine in modo da non destare sospetti di collaborazione
né per il Ministero, né per
Mangiamorte.
Da lì avrebbe proseguito fino
all’incontro con Voldemort e al suo destino. Le sue valutazioni lo avevano
portato a pensare che non avrebbe mai partecipato ad uno scontro diretto con i
seguaci dell’Ordine, poiché Voldemort lo avrebbe distrutto prima per il suo
tradimento. Perché l’Oscuro Signore oramai sapeva che lo aveva tradito. Doveva
saperlo. E questo prevedeva morte certa. Il suo obiettivo era quello di passare
quante più informazioni errate ai Mangiamorte.
La casa era una misera
catapecchia a due piani, con le pareti verde marcio e scrostate. Suonò il
campanello e immediatamente venne accolto da una donnina mingherlina e rugosa,
che con voce flebile lo invitò ad entrare e salire le scale che portavano alle
camere. Non gli chiese alcun documento, né alcuna motivazione riguardante il suo
soggiorno. Lo stava aspettando ed era arrivato. L’avevano assicurata che avrebbe
pagato. E questo era sufficiente.
Snape si sistemò nella camera
spoglia. Era stata ben pulita, per fortuna.
Lanciò la sua borsa sul letto
e iniziò a svuotarla. Ne uscirono i maglioni, i pantaloni e le camicie che aveva
comprato. Ma anche una tuta grigia, un maglione arancione e una serie infinita
di lacci per capelli di varie dimensioni e colori. E in fondo a questi una
lettera. Sorridendo per la folle iniziativa della ragazzina, Snape si mise
seduto sul letto e aprì la lettera.
“Mio caro
Severus,
o forse mio dolce Severus. Dolce?
Non ci credi neppure tu, vero?
Mio Severus, allora. Chiaro e
conciso. La tuta è solo per avere qualcosa di più, il maglione arancione è per
avere qualcosa che ti ricordi di me e i lacci per avere qualcosa di mio. Oltre
questi oggetti anche questa lettera. Che ti scrivo mentre stai finendo di
prepararti alla partenza. Ti conosco abbastanza da sapere che anche questa
doccia durerà per mezz’ora. Ho tempo. Per dirti che ti amo. Non riesco ancora a
capire cosa è successo, ma tant’è. Credo che questo dubbio sia reciproco,
comunque. Neppure tu sai quello che è successo. Ma siamo innamorati. Vorrei che
la tua lealtà ti rendesse così leale e sincero da ammetterlo anche con me… ma se
i miei ricordi non sbagliano ti ho sentito mormorare qualcosa del genere questa
notte…
Mi
mancherai.
Ti
ricorderò.
La mia speranza mi porterà ad
aspettare il tuo ritorno e la mia mente continuerà a ripetermi che non ci sarà
alcun ritorno. Ma ti porterò con me.
Oltre a questo, amore, ricordati
di portarmi sempre con te. Sempre. In ogni momento.
Grazie per questi
giorni.
Sii coerente con te stesso e se
puoi ritorna.
La tua ragazzina.
Snape chiuse gli occhi. E
portò la lettera alle labbra.
Un mese
dopo
Aveva preso l’abitudine di
guardare Arthur quando rientrava a casa. Lo osservava per capire quale fosse la
situazione al Ministero, se erano arrivate notizie di Severus. Lo stesso faceva
quando incontrava Remus, per capire quali informazioni aveva l’Ordine riguardo a
Severus. Sapeva riconoscere i segni dell’esultanza o della sconfitta in entrambi
i suoi amici. Sapeva, solo guardandoli, se l’Ordine aveva raggiunto un successo
oppure se erano chiamati a non dimenticare un amico morto in
battaglia.
Remus le aveva detto
chiaramente che gli accordi con Severus erano di non mandare notizie all’Ordine,
ma di tenere i contatti tramite Hermione. Questo perché molte delle informazioni
che Severus poteva fornire sarebbero state utili anche a Harry. E perché i
continui movimenti dei tre amici avrebbero reso difficile un controllo sulle
rotte dei gufi.
Anche quella sera aspettava
il rientro di Arthur. Lei aveva terminato un programma di sorveglianza insieme
ad una nuova leva che stava addestrando. Dalla partenza di Severus si era
lanciata sul lavoro. Molly la guardava preoccupata per questo, già da parecchi
giorni.
Tonks non era ancora riuscita
a parlare con Molly del dolore che aveva dentro per quella lontananza senza
fine, per la consapevolezza che non sarebbe tornato, ma anche del piacere e
della felicità che i ricordi di quei pochi giorni le avevano dato. Il piacere e
la felicità di aver avvicinato così tanto un uomo come Severus Snape da
sentirgli sussurrare, tra i capelli, “Ti amo.”
Una felicità che si sarebbe
portata per tutta la vita. Senza alcun rimpianto per non avergli risposto.
Almeno non a parole.
“Ciao,
Tonks…”
Girò la testa di scatto verso
la porta della Tana. Era così persa nei ricordi che non aveva sentito entrare
Remus. Lo fissò accorgendosi della piega dura delle
labbra.
“Severus…” disse con calma e
consapevolezza.
“Non ho notizie certe Tonks.
Ma mi aveva detto, prima di andarsene, che se non avessimo avuto sue notizie per
almeno sette giorni dovevo considerarlo disperso in battaglia e consegnare a te
questa lettera.”
Remus aveva parlato con voce
bassa e arrochita dal dolore. E le stava allungando una pergamena
sigillata.
“Ho aspettato un giorno in
più,” le confessò con una smorfia di scusa.
Tonks sentiva la mano
tremare, ma prese la lettera dalla mano di Remus e la fissò ondeggiare nella
sua.
“Grazie,” gorgogliò con la
voce rotta dall’emozione.
Senza guardarlo si mise a
sedere sul divano, vicino al caminetto. Si accoccolò su un angolo del divano,
cercando di trovare un solido appoggio di fronte alla tensione che la stava
elettrizzando. Spezzò il sigillo della lettera e la
aprì.
Due fogli.
Ragazzina,
lascio questa mia lettera a
Remus per te con la consegna di fartela avere quando non avrò più notizie di me
per almeno sette giorni. A quel punto io non ci sarò più. Ma questo lo sapevamo
entrambi.
Quello che non sapevo, che
non prevedevo, che non immaginavo, era di innamorarmi di una ragazzina. Una
ragazzina con i capelli rosa. Una donna attraente e divertente. Mi hai sconvolto
la vita più di ogni altra cosa. Hai portato un tale turbinio di emozioni da
rovinarmi del tutto.
Devi avermi fatto bere
qualche pozione per rendermi così… umano. Severus Snape innamorato. Non lo avrei
mai messo tra le mie attese o tra i miei desideri.
Ti scrivo di notte,
l’ultima che passiamo insieme. Tu stai dormendo acciambellata sul letto. Io
scrivo a lume di candela seduto davanti a te, per
guardarti.
Sarò sincero. Ti desidero
da molto tempo. Con vergognosa certezza da quando ti ho rivisto nell’Ordine. Da
allora desidero capire cosa nascondono quei vestiti enormi che indossi. Mi
immaginavo qualche capo di biancheria intima rosso o arancione. Mi piaceva
immaginarlo. Mi è piaciuto scoprire che era vero. Ma questo lo hai visto.
Desideravo vedere i tuoi occhi scurirsi per il piacere e le tue labbra aprirsi
verso le mie. E desideravo tutto quello che abbiamo vissuto insieme in queste
due notti.
Ma innamorarmi, no. Quello
non era tra le mie aspettative. Eppure ci sei riuscita. Sappi che io non ho
fatto nulla per aiutarti. Non ho cercato motivi per innamorarmi di te, non ho
ascoltato mai i miei sentimenti. Ho cercato di oscurarli, di comprimerli, di
ignorarli. Ma tu sei stata brava a scovarli e alimentarli. Oltre il desiderio.
Fino ad entrare nella mia vita.
Remus mi ha chiesto cosa
poteva dirti quando io sarei morto. Gli ho risposto di dirti che sei stata la
mia anima, la mia vita.
Sto sgocciolando
romanticismo sul pavimento. Imbarazzante.
Ti immagino a casa di Molly
e Arthur. Immagino che ti abbracceranno e ti consoleranno. Lasciati consolare da
tutti coloro che vorranno farlo. Lasciati amare da altri uomini. E ama altri
uomini. Hai la forza per andare oltre. Hai il mio permesso, se dovessi sentirne
il bisogno.
Ho provato a dirti quello
che provo per te, ma stavi già dormendo. O forse no. Non lo saprò, ma tu sappi
che l’ho detto. Sottovoce.
Severus
Tonks ripiegò con attenzione
le due pergamene e le tenne tra le mani, mentre Molly, seduta al suo fianco, le
metteva un braccio attorno alle spalle e la abbracciava, lasciando che le sue
lacrime le bagnassero i vestiti.
Qualche mese
dopo…
Tonks stava percorrendo la
strada che l’avrebbe portata a casa di Remus per la riunione dell’Ordine. Erano
vicini alla vittoria. Lo sentivano. Lo sapevano.
Lei sentiva anche lo sguardo
di qualcuno alle sue spalle. Da alcuni giorni. E da alcuni giorni si ripeteva
che era solo la sua immaginazione, il suo desiderio di averlo ancora vicino.
Accennò ad un triste sorriso e accelerò il passo.
Qualcuno, dietro di lei,
accelerò il passo.
Il finale "aperto"
lascia spazio alla vostra più sfrenata fantasia, in bene e in
male.
Grazie per aver
letto la FF fino a qui.
Alla
prossima.
Per gli ultimi
commenti grazie a marygenoana, Astrid, Mixky, Piccola Vero, Ellinor, Noel,
Kleo2004, AlexandraRoses... sperando di non aver dimenticato
nessuno.
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