Perchè devo sorvegliarlo proprio io?

di tonksnape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Wanted ***
Capitolo 2: *** Shopping ***
Capitolo 3: *** Wine ***
Capitolo 4: *** True relation ***
Capitolo 5: *** Last letter ***



Capitolo 1
*** Wanted ***


1.     WANTED

Nella notte era difficile distinguere anche solo le sagome dei cespugli che intralciavano il cammino. L’uomo davanti a lei sembrava procedere come se avesse un radar, come se potesse conoscere in anticipo quello che la natura intendeva mettergli davanti. Neppure la costante punzecchiatura della sua bacchetta tra le scapole rappresentava un segnale di pericolo, per lui.

Tonks si scostò velocemente una ciocca di capelli dal volto, utilizzando la mano libera. Non era un problema mantenere l’andatura di Snape. Era allentata e forte. Anche se non dormiva da quasi 24 ore, la tensione che le attraversava il corpo e la mente la aiutavano a non sentire alcuna sonnolenza.

Forse, se si fossero fermati, avrebbe ceduto. Si sarebbe seduta e avrebbe chinato la testa tra le ginocchia, chiudendo gli occhi per un attimo, senza accorgersi che si stava addormentando. Ma Snape non si sarebbe fermato. La loro meta era quasi raggiunta, il paese era vicino.

Tonks continuò a fissare la schiena di Severus Snape.

Feroce assassino e libero prigioniero dell’Ordine della Fenice.

Feroce assassino e latitante per il Ministero della Magia.

 

Nessuno all’interno dell’Ordine si era opposto alla proposta fatta da Remus Lupin di tenere nascosta la cattura di Snape alle autorità del Ministero. Da quasi tre mesi operavano tutti nella completa clandestinità. Lavoravano e vivevano tra la gente, agivano nel silenzio e al buio. Neppure Minerva McGrannit era al corrente di tutte le loro azioni. Adesso avevano un unico obiettivo: proteggere Harry Potter. Il resto, tutto il resto, era in mano di quel ragazzino di 17 anni, chiuso a Godric’s Hollow con i suoi due amici.

I motivi che li avevano portati a scegliere di tenere Snape in vita e in silenzio erano tanti, ma soprattutto era stato il testamento lasciato, in mano a Lupin, dallo stesso Silente. Un testamento scritto a mano e autenticato da un sigillo impresso dalla spada di Godrick Griffondoro, spada che adesso riposava a fianco di Harry Potter.

Quel testamento conteneva solo poche indicazioni. La prima richiesta di Silente era di passare a Remus Lupin il comando dell’Ordine, se così ritenevano i suoi membri, o in alternativa a Minerva McGrannit.

“L’alternativa,” aveva sogghignato Remus leggendolo, “credo fosse la mia morte. Ma per ora sono qui e mi rendo disponibile a farlo, se siete d’accordo.” Anche Minerva sorrise, dato che aveva pensato esattamente la stessa cosa. Silente sapeva come descrivere la realtà in un modo tutto suo.

Pochi avrebbero dubitato della capacità di Remus di far fronte alle difficoltà e di usare con velocità e astuzia il suo cervello. Non c’erano sentimenti di competitività o di voglia di primeggiare nel gruppo. Avrebbe tolto il tempo e le energie che erano necessarie ad affrontare quel periodo di battaglie. Era una responsabilità enorme quella che Remus si era reso disponibile a prendere sulle sue gracili spalle e gli venne riconosciuta all’unanimità.

La seconda richiesta era quella di proteggere Harry Potter, ma nessun membro dell’Ordine avrebbe mai pensato il contrario. E Molly Weasley lo aveva ben sottolineato esclamando, “Vorrei proprio vedere se non venisse fatto!” lasciando così presagire a tutti i presenti quale sarebbe stata la loro sorte se solo avessero provato a dubitare di quella priorità.

La terza richiesta era proprio quella di scegliere la clandestinità. Questa opzione era stata proposta e votata ancor prima di leggere il testamento di Silente. Nessuno dei partecipanti sentiva di avere ancora dei legami di lealtà o di fiducia verso i responsabili del Ministero della Magia, mentre sentivano tutti una forte responsabilità e lealtà verso tutto il mondo magico. Anche Arthur Weasley aveva votato a favore, sostenuto dai figli cinque figli presenti in quel momento e dalla moglie.

C’erano poi alcune sottolineature di Silente rispetto all’uso di alcuni sistemi di sicurezza magici da lui creati e che dovevano essere modificati o eliminati. Compresa la sede di casa Black, ritenuta poco sicura.

Silente aveva anche indicato quali dovevano essere gli obiettivi dell’Ordine per stanare i Mangiamorte e aiutare Harry con Voldemort. In base alle informazioni che era riuscito a raccogliere proponeva loro anche un possibile scenario per i prossimi mesi.

L’ultima richiesta aveva sollevato invece molte perplessità, anche se nessuno aveva osato dissentire con troppa decisione.

Erano riuniti a casa di Remus Lupin, un tugurio perso nella periferia di Londra. Era composto da una camera e un salotto con cucina, un piccolo bagno e un ingresso con ripostiglio. Ci si muoveva a stento tutti insieme, ma per una riunione poteva anche essere sufficiente.  Tranne nel momento in cui qualcuno avesse avuto bisogno del bagno e quindi di spostarsi da un lato all’altro del salotto, costringendo i presenti a forzati contorsionismi per dargli lo spazio sufficiente per mettersi in piedi e camminare. Aprire e chiudere la porta del bagno era legato alla bontà d’animo di Malocchio che si alzava e si spostava per lasciare al malcapitato lo spazio sufficiente per entrare e uscire. In realtà ci aveva provato solo Fred Weasley, ma nessuno aveva osato imitarlo. Aspettavano la fine della riunione e la possibilità di tornarsene a casa propria.

Del resto un lupo mannaro non aveva la possibilità di aspirare a qualcosa di più accogliente, con un misero sussidio di disoccupazione. E Remus non traeva nessun piacere dall’usare la magia per arredare uno spazio che usava solo per dormire e, quando capitava, mangiare.

Erano seduti in quella claustrofobica casa da quasi due ore, quando Remus aveva letto quella parte del testamento. Per quanto avesse controllato il tono della voce era chiaro che ne era rimasto sorpreso anche lui.

Molto semplicemente e molto spietatamente, Silente descriveva quello che era successo la sera della sua morte, specificando chi avrebbe agito e in che modo.

Il testamento era stato scritto più di un mese prima della morte del Preside, chiuso e sigillato e consegnato personalmente da Silente a Fanny, con precise e rigide regole per la consegna. Fanny l’aveva lasciato nelle mani di Remus il giorno del funerale. Erano tre semplici fogli di pergamena, protetti da un incantesimo di Invisibilità che rendeva il testo leggibile solo a chi era in possesso della parola d’ordine. E Silente aveva provveduto ad inviarla a Remus quasi un anno prima, chiedendogli di imparare a memoria una stupida frase perché gli sarebbe stata necessaria in futuro. Tutti questi elementi avevano fatto comprendere al gruppo che la morte di Silente non era stata accidentale, ma un evento programmato. I motivi di questa scelta non erano stati spiegati nel testamento, mentre era stata indicata loro la strada per raggiungere anche quell’obiettivo.

Nel suo testamento Silente chiedeva loro di “prendere in consegna” Severus Snape prima che lo facesse il Ministero della Magia. Di “proteggerlo perché aveva agito per espressa sua richiesta”. Di “ascoltare il suo racconto e i motivi del suo gesto, ma anche gli elementi di conferma che avrebbe fornito”. Di “condurlo con le dovute precauzioni e la necessaria protezione” in un luogo sicuro, lontano dai Mangiamorte e dal Ministero della Magia, e di “lasciar decidere a lui il proprio destino, una volta condiviso con loro le informazioni in suo possesso.”

Ascoltare Severus Snape che spiegava cosa l’aveva portato ad uccidere Silente era doloroso, ma anche necessario. Tutti desideravano conoscere i piani di Albus Silente, i motivi della sua decisione, ma doverlo fare attraverso la voce di Severus Snape rendeva la situazione penosamente assurda.

Ne avevano discusso a lungo, lasciando a tutti lo spazio di esprimersi, commentare, proporre, anche utilizzando un linguaggio poco cortese. E descrivendo Severus in modo decisamente insultante.

Ancora una volta Remus, sostenuto da Arthur, si era dimostrato all’altezza del suo nuovo ruolo.

“Credo che nessuno di noi desideri ascoltare Severus. Nessuno di noi ha motivo di condividere quello che Severus ha fatto. Nessuno di noi approva la scelta di Silente di proteggerlo e renderlo, a quanto dice questo testamento, l’esecutore materiale della volontà dello stesso Silente. Avremmo preferito che lo stesso Albus Silente fosse stato qui a spiegarci quello che è successo. Ma non possiamo farlo. Dobbiamo affidarci alla voce di Severus per ascoltare quella di Silente.”

Remus aveva lasciato che il silenzio facesse penetrare del tutto le sue parole. Aveva guardato tutti negli occhi, comprendendo le schegge di rabbia e di delusione che vedeva in molti dei suoi compagni. Poi si era soffermato su Arthur, sollecitando il suo parere con un cenno della testa. Il signor Wealsey era molto apprezzato dal resto del gruppo per la pacatezza e la lucidità delle sue osservazioni.

“Immagino che sarà difficile ascoltare Severus e accettare che le sue parole siano quelle di Albus. Vorrei che tutti noi facessimo molta attenzione non solo alle informazioni che possiede, ma anche agli elementi di conferma che ci darà. Posso dire solo, con certezza, che a fronte di questa richiesta di Silente, adesso più che mai, desidero avere Severus qui con noi e potergli parlare direttamente.” Molti annuirono decisi.

“Inoltre,” aggiunse quasi immediatamente Arthur, “noi abbiamo le capacità per usare al meglio le informazioni che ci darà. E Severus ha tutto da guadagnare dal parlare con noi piuttosto che con il Ministero della Magia. E non credo che gli stessi Mangiamorte lo accoglierebbero a braccia aperte dopo anni di servizio a Silente.”

“Tu parti dall’ipotesi, come Remus, che Severus abbia agito per decisione di Silente e non di Tu-Sai-Chi…” sottolineò Malocchio. “Neppure un dubbio?” gli chiese ironico.

“Non dopo aver sentito da Silente che era stato programmato da lui stesso,” gli rispose Arthur, accennando al fogli o di pergamenato in cui c’era il testamento. “Silente ha voluto arrivare alla Torre quella sera. Chiedendo l’aiuto di Severus. L’unico disposto a farlo, sottolinerei… Questa scelta deve avere un motivo.”

Tutti accolsero quest’ultima affermazione come insindacabile.

“Bene,” sospirò Remus. “Chi si rende disponibile alla caccia a Severus Snape?”

Ancor prima che avesse terminato la frase, i cinque fratelli Weasley alzarono la mano senza indugio. Con minor velocità, ma altrettanta determinazione, si aggiunsero le mani di tutti gli altri.

Remus sorrise. “Credo di dover essere io a guidare il gruppo, per evitare spiacevoli incidenti particolarmente dolorosi per Severus… Kingsley, Charlie, Arthur ed io,” elencò lentamente. “Minerva mi sostituirai?” le chiese. Lei si limitò ad annuire.

“Fred, George e Molly vi occuperete di preparare, con Malocchio, una base sicura nella quale mandare Severus una volta che avrà parlato con noi. Non voglio nulla di mortale!” sottolineò. “Proprio per questo l’ultima parola sulle vostre decisioni l’avrà sempre Molly.” I gemelli Weasley accennarono ad una protesta, accolta con uno sguardo determinato dalla madre, sguardo che li ridusse al silenzio.

“Ginny,” le disse Remus, sorridendo, “andrai da Harry, Ron e Hermione ad avvisarli di quello che stiamo per fare e ti accerterai che Harry non si muova. Ascolta solo te, in questo periodo.” Ginny annuì, decisa come sempre.

“Tutti gli altri si riorganizzeranno per mantenere i compiti già stabiliti. Deciderà Minerva. Sarà un peso non indifferente, ma spero per poco tempo. Grazie a tutti,” concluse.

Lentamente il gruppo si disperse. Si vedevano così spesso ultimamente che non era neppure necessario fermarsi a chiacchierare per chiedere notizie gli uni degli altri.  Uscirono tutti mesti e silenziosi. Non era stato piacevole capire che la morte di Silente non aveva in realtà nessun colpevole, nessuno con il quale arrabbiarsi.

 

Ripensando a quella sera, Tonks si chiede perché aveva accettato di scortare Snape nella sua nuova dimora e di essere testimone delle sue decisioni, adesso che tutto l’Ordine della Fenice era a conoscenza di quello che Silente aveva organizzato.

Era una notte stellata, grazie ad un cielo invernale terso e privo di luci artificiali. Si trovavano in piena campagna inglese, tra colline coperte di brina e corsi d’acqua ghiacciati. Il fiato di entrambi si perdeva, bianco e vaporoso, nell’aria. Non parlavano da quando erano partiti. Nessuno dei due aveva interesse per intrecciare una conversazione e non avevano nulla da raccontare l’uno all’altro.

All’improvviso Tonks pensò che forse Snape non aveva neppure più la forza di parlare, dato che lo aveva fatto per almeno quattro ore, davanti all’Ordine.

Era stato catturato tre giorni dopo la loro riunione. Si era fatto catturare tre giorni dopo la loro riunione. Non era possibile parlare di tentativo di fuga o di nascondiglio organizzato. Snape era ritornato nella sua casa di Spinner’s End, la stessa in cui si rifugiava da anni. Quando Remus aveva bussato alla porta, aveva aperto dopo pochi secondi, come se si aspettasse il loro arrivo. Era, se possibile, ancora più magro e scavato in volto. La barba lunga, i vestiti logori e rattoppati. Non s’era traccia del professore di Hogwarts. Era un fuggiasco.

Remus si era trattenuto dal dare voce alle considerazioni che gli erano salite immediatamente alla bocca. C’era una tale somiglianza tra quel Severus Snape e Sirius Black, fuggito da Azkaban, da pensare che potessero essere fratelli. Non solo per l’aspetto dimesso, i capelli lunghi e rovinati o l’espressione diffidente, ma soprattutto per quel lampo di follia che pervadeva lo sguardo.

Snape aveva osservato Remus, Arthur e Charlie con attenzione, in silenzio, senza chiedere il motivo di quella visita. Aveva cercato il loro sguardo, sfidandoli a ricambiarlo, come se volesse misurare la loro forza, la loro tempra. Erano in grado di guardare negli occhi l’assassino di Albus Silente? Remus le aveva descritto in questo modo la scena. Durante la cena di quella stessa sera, a casa Weasley, aveva tentato di descrivere il momento in cui la porta della casa si era aperta e Severus Snape era comparso sulla soglia.

“Nero come la notte,” aveva detto Charlie. “E sicuro di sé. Pronto a seguirci, come se sapesse di poter fare solo questa scelta.”

“Folle,” aveva aggiunto Remus. “Follia per la quale non riesco a trovare una ragione, per ora. Sirius aveva lo stesso sguardo, ma la sua follia era legata al desiderio di vendicare James e uccidere Peter. Quella di Severus…” e si era limitato a scuotere la testa, perplesso.

“La follia di un uomo morto…” aveva concluso Arthur, quasi sottovoce.

Tonks aveva sentito i brividi correre lungo la schiena, il gelo penetrarle nelle braccia e nelle gambe. Si era guardata attorno e aveva visto lo sgomento anche negli altri. Molly con un piatto in mano guardava il marito, incredula che potesse aver detto qualcosa di così crudele. Remus scuoteva leggermente la testa in segno di assenso con quanto era stato detto. Charlie osservava suo padre come se avesse compreso solo in quel momento quale era la situazione. Anche i gemelli e Bill aveva la stessa identica espressione in volto.

Severus era un uomo morto, ormai. Lo era diventato la notte in cui Silente era morto. Nessuno aveva più motivo di volerlo in vita. Per i Mangiamorte aveva raggiunto il suo obiettivo. Harry Potter non era più alla sua portata, fuori Hogwarts. E quindi lui era inutile. Un uomo braccato non poteva neppure aiutare in battaglia. Per il resto del mondo della Magia era colpevole di un omicidio per il quale non era prevista alcuna scusante.

Il giorno dopo la cattura Snape era stato ascoltato dall’Ordine. Remus lo aveva ospitato a casa sua e gli aveva anche fornito il necessario per pulirsi e cambiarsi.

Quando era arrivato per l’interrogatorio, aveva i capelli puliti e raccolti con un laccio sulla nuca. La faccia appariva ancora più magra, il naso ancora più adunco. Solo gli occhi brillavano, tanto lucidi da pensare che fosse preda di febbre alta. Non si era rasato e questo gli conferiva un aspetto secco e pungente. Qualcuno gli aveva procurato un maglione blu scuro, di lana grossa, anche un po’ troppo aderente alla sua figura, facendone così risaltare l’eccessiva magrezza, come pure i jeans scoloriti e rovinati che sicuramente appartenevano a Remus. Uno dei due doveva aver fatto un incantesimo per allungarli, rendendoli adatti a Severus. Come scarpe erano stati procurati degli scarponi pesanti. Per la prima volta Tonks si accorse di quando era giovane. E riuscì a vedere l’uomo e non più solo il Professore. Un giovane uomo chiamato a spiegare i motivi delle sue azioni ad un gruppo di altri uomini e donne che avevano perso il loro punto di riferimento proprio per mano sua. Tonks si chiese cosa potesse provare Snape in quel momento. Al suo posto lei sarebbe stata terrorizzata per quello che doveva e poteva dire. Non c’era modo di giustificare la sua azione, non c’era modo di motivare la sua azione. Anche affermare, come oramai avevano accettato tutti, che era stato Silente a decidere il tutto, non avrebbe diminuito l’odio che tutti i presenti sentivano per lui.

E invece, ancora una volta, fu un Weasley a modificare le cose. Molly sbucò dalla cucina con un piatto sul quale era posato un sandwich di verdura e carne e lo posò sul tavolo nel posto accanto a quello di Remus.

“Severus…” lo chiamò con fermezza.

Lui si girò di scatto, catturando subito lo sguardo della donna. Si muoveva come una bestia braccata, pensò Tonks. Pronta ad attaccare pur di vivere.

“Te lo lascio qui, con la birra…” e appoggiò il boccale accanto al piatto.

Tonks non riuscì a vedere l’espressione di Snape, che continuò a girarle le spalle. Ma qualsiasi risposta avesse dato, ottenne un piccolo sorriso da Molly.

Persa in questi ricordi, Tonks inciampò su un radice di un albero che spuntava dal terreno. Diede un piccolo grido, ma riuscì a mantenersi in piedi. Davanti a lei Snape si girò di scatto, bloccandosi. Per non cadere a terra, Tonks allungò le mani alla ricerca di un sostegno e trovò solo lo sterno di Snape. Le mani si appoggiarono, aperte, sulla lana umida del giaccone dell’uomo. E Tonks sentì la forza di quello scheletro d’uomo. Anche se lei gli era piombata addosso senza alcuna possibilità di controllarsi, lui aveva resistito alla sua involontaria spinta ed era rimasto immobile.

“Posso suggerire,” le disse, con voce roca, “di guardare dove appoggia i piedi, Miss Tonks?”

Lei arrossì. Odiava quel tono ironico e saccente. Odiava quell’espressione di derisione e di superiorità che ancora Snape riusciva a trovare in se stesso. Accidenti! pensò Tonks, era lei a dover scortare e controllare lui, non viceversa. Che mostrasse un po’ di rispetto, vecchio gufo!

Probabilmente qualche parte del suo ragionamento trasparì dalla sua espressione perché Snape ebbe il guizzo di un sorriso. Poi le prese i polsi tra le mani e la allontanò da sé, si girò e riprese a camminare. Tonks, irritata oltre ogni limite, per quel gesto così irrispettoso del suo ruolo, si avviò dietro di lui con maggiore vigore, piazzando nuovamente la sua bacchetta tra le scapole dell’uomo.

Il resto del viaggio proseguì in silenzio e Tonks cercò di evitare ogni ricordo o fantasticheria che potessero distoglierla dal mettere i piedi al posto giusto, sul sentiero. Si vedevano già le luci del paesetto dove i gemelli e Molly avevano trovato per lui un nascondiglio.

Remus era stato categorico nel costringere Severus a prendere con sé un Auror come guardiano e come protezione. Era necessario che rimanesse in vita, mentre venivano controllati i particolari che aveva fornito sui motivi della scelta di Silente. Remus era partito il giorno dopo l’incontro per comunicare ad Harry quello che era emerso e aveva lasciato precise istruzioni affinché quell’incarico venisse affidato a Tonks.

Tonks aveva chiarito a Arthur quale fosse la sua opinione su Remus, sulle sue abilità intellettuali, sulle sue competenze di uomo, sul suo futuro e in generale sulla sua persona. Le aveva urlare per la precisione. Poi le aveva scarabocchiate su una pergamena e le aveva inviate al suo capo. Arthur si era limitato ad ascoltare le sue osservazioni, seduto al tavolo di casa di Remus, mentre Molly finiva di preparare la cena per coloro che sarebbero passati di là in serata. Anni di esercizio con sette figli lo rendevano immune dalla maggior parte delle invettive. Semplicemente le ascoltava, migliorando la sua abilità nel non reagire.

Tonks non si era posto il problema, allora, di quello che Snape poteva aver sentito, dato che si trovava nella camera da letto, oltre la porta alle sue spalle. Ma se lo pose adesso. Stava dormendo in quel momento? Sempre che fosse stato possibile dormire mentre lei urlava. Oppure aveva ascoltato tutto? Comprese le sue osservazioni sulla possibilità che il Professore di Pozioni non fosse un uomo, ma un discendente diretto di un’unione tra un drago e una scimmia. Oppure le sue ipotesi sulla sua capacità di procreare. Facendo attenzione a non staccare la punta della sua bacchetta dalle scapole dell’uomo, cercò di immaginare come mai Snape non aveva commentato con il suo solito ironico e malevolo sarcasmo quello che lei aveva detto.

Non appena scorsero la prima casa del paese, entrambi si fermarono.

“Adesso mi seguirete, Professore, fino al rifugio. Restate al mio fianco,” gli disse Tonks, guardando la strada davanti a sé per individuare i riferimenti che le erano stati dati e limitandosi ad un’occhiatina veloce all’uomo.

“Immagino che tu sappia dove siamo diretti, ragazzina,” osservò Snape.

“Preferisco quando mi chiamate Miss Tonks!” disse seccamente.

“Oh, mi scusi, dolce Miss. Sa dove siamo diretti?” le chiese guardandosi attorno. Aveva sussurrato il suo nome come fosse il suono di un serpente.

“Certamente!”

“Allora perché siamo fermi? Problemi di orientamento?” Le lanciò un’occhiatina.

“È stato in silenzio per tutto il viaggio. Deve proprio parlare ora?” chiese Tonks, individuando finalmente il lampione che indicava la strada per raggiungere la casa dove rinchiudere quell’uomo.

“Mi sembrava molto concentrata nel tentare di trovare dei motivi per essere qui. Non voleva disturbarla, dolce Miss.” Snape seguì il suo sguardo e vide la strada.

“La smetta di chiamarmi dolce Miss. Sono Tonks!” disse seccamente puntandogli la bacchetta contro una spalla, con sguardo inferocito.

“Oh, davvero?” le chiese, sorpreso.

Tonks chiuse per un attimo gli occhi e prese un profondo respiro. Poi, senza più degnarlo di uno sguardo, partì a passo spedito verso il lampione. Snape le si mise a fianco.

Entrarono nel paesino seguendo la strada principale, costeggiata in entrambi i lati da piccole casette di uno o due piani, costruite in mattoni. Erano apparentemente tutte uguali. Ogni tanto si notava la presenza di un negozio o di un ufficio. Camminarono per alcuni minuti, superarono una piazza, con un palazzo adornato con una bandiera e una chiesa e passata una curva, Tonks vide il secondo segnale che le era stato dato. Un portone rosso. Doveva solo contare altri tre ingressi e il quarto sarebbe stato il loro.

Mentre camminavano Tonks si rese conto che c’erano alcune donne in piedi, davanti al portone di una casa. Era dall’altro lato della strada, rispetto a dove erano diretti, quasi di fronte. Erano le uniche persone che osavano rimanere all’aperto a quell’ora della sera. Stavano chiacchierando, ma c’era qualcosa di sbagliato in quell’immagine. Qualcosa che le fece scattare un segnale di allarme. Quattro donne. Sole. In una serata gelida. Davanti ad una casa. Vestite anche pochino, secondo lei. Il suo mantello di lana le era appena sufficiente, con berretto, guanti e sciarpa, per ripararla dal freddo pungente. Quelle donne indossavano solo gonna e maglioncino. Gonne corte, inoltre. A qualcuna s’intravedeva anche il bordo della calza, e il gancio della giarrettiera.

Nel preciso istante in cui quel particolare le balzò alla vista, un unico pensiero arrivò al suo cervello.

Fred e George Weasley.

Quasi si bloccò sulla strada, proprio davanti al gruppo di donne. Respirando profondamente, tentò di distogliere lo sguardo, preparandosi mentalmente ad uccidere i due ragazzi. Doveva solo capire il ruolo di Molly in tutto quello.

“Ehi, tesoro!” chiamò una delle donne. Tonks si girò, ma non stava parlando con lei.

“Perché non lasci tua figlia per questa sera e ti dedichi a noi?” continuò la donna.

Tonks guardò in alto, verso il volto di Snape e lo vide con gli occhi socchiusi, lo sguardo rivolto al gruppetto di donne. Ma rimase in silenzio.

“Andiamo, tesoro!” aggiunse un’altra del gruppo. “Non lasciarti distrarre dai tuoi doveri con quella bambina…” e allungò una gamba verso di loro, lasciando che la gonna risalisse leggermente.

Tonks si sentì arrossire. E accelerò il passo.

“Vedi, tesoro,” continuò la donna, “ti lascerebbe con noi…”

Tonks si fermò e si girò a guardare Snape. Era ancora fermo a due metri da lei. Guardava il gruppetto di donne. All’improvviso, spostò lo sguardo su di lei. Sembrava proprio intento a valutare la situazione. Ma poi le si avvicinò.

“Noi siamo qui, se cambi idea dopo averla messa a letto…” gli disse la prima donna, vedendolo allontanarsi.

Tonks velocemente prese le chiavi della casa e aprì il portone d’ingresso.

“Lumus!” sussurrò. E tutte le candele di casa si accesero. Alle sue spalle sentì Snape chiudere la porta.

“Immagino che la scelta del posto abbia coinvolto i gemelli Weasley,” commentò l’uomo, pacatamente.

“Già…” assentì Tonks. Poi si avviò lungo il corridoio d’ingresso, osservando la casa.

“Siamo in zona babbana…” osservò Snape. “Come mai questa scelta?”

“Non mi hanno dato spiegazioni. Lo chieda a Molly, se vuole,” rispose brusca Tonks. In fondo al corridoio si apriva il salotto e a fianco una cucina. Erano collegati, anche se avevano due ingressi indipendenti. Uscendo dalla cucina, vide che Snape era ancora fermo vicino all’ingresso e la guardava. Dopo un breve sguardo, ricambiato, salì al piano di sopra, lasciandolo da solo. C’erano due stanze dal letto e il bagno.

“C’è un solo bagno! Spero che non ci saranno problemi nell’averlo in comune!” disse scendendo le scale e osservando il soffitto. Era stata pulita molto bene, quella casa. Percepì l’ombra di Snape in fondo alle scale solo all’ultimo momento e si fermò, assicurandosi di rimanere più in alto di lui. La fissava negli occhi con tranquillità. Per un attimo le sembrò un sogno surreale nel quale stava cercando casa con quell’uomo. Strinse leggermente gli occhi per il fastidio che le provocava quell’idea.

“Cercherò di usarlo in meno possibile…” le disse, placido.

“Preferirei che si lavasse spesso!” ribatté lei.

“Qualcosa da dire sul mio periodo da fuggiasco?” le chiese. Severus sapeva bene che non c’era stata occasione per lui di lavarsi e lavare i suoi vestiti troppo spesso in quei mesi e questo era stato chiaro a chiunque lo avesse avvicinato prima dell’arrivo a casa di Remus. Tonks era lì, intenta a guardare delle mappe su un tavolo quando lui era entrato nell’appartamento, quando Remus lo aveva portato con sé, e doveva aver colto quel lato dell’esperienza. Dal suo aspetto e dal suo odore.

Non l’aveva certamente resa partecipe del suo profondo disgusto per quella situazione di sporcizia forzata. A volte aveva preferito barattare qualche misero soldo con la possibilità di un bagno piuttosto che con un po’ di cibo. Era insopportabile doversene stare senza lavarsi per intere giornate, se non aveva l’occasione di fare qualche incantesimo e approfittare di qualche ignaro babbano. Facendo attenzione a non farsi individuare da una squadra di controllo del Ministero della Magia. Aveva sempre fatto affidamento sulla presenza di Arthur nel caso in cui qualcuno avesse segnalato un uso improprio della magia nel bagno e nella cucina di un babbano.

“Hanno già trasfigurato i bagagli?” gli chiese, facendo un cenno al corridoio.

Snape la guardò per un attimo e poi sembrò accogliere la sua richiesta. Si spostò e la lasciò scendere. Tonks gli passò accanto, sfiorandogli il petto con una spalla, camminando impettita. Davanti alla porta era comparso il suo baule e una piccola sacca di pelle usata.

“Tutto qui?” gli chiese, senza girarsi.

“Meglio viaggiare leggeri se si scappa,” si limitò a commentare Severus.

“Domani andremo a compare qualcosa,” aggiunse lei sollevando il baule con un colpo di bacchetta e facendolo volteggiare verso le scale. Snape si appoggiò alla parete del corridoio per non esserne travolto e la guardò con un sorriso ironico.

“Hai il compito di sorvegliarmi o di uccidermi, Miss Tonks?”

“Il dovere e il piacere non sempre coincidono!” gli rispose.

“Lo so. L’ho imparato a mie spese,” disse distogliendo lo sguardo da lei, con espressione dura, quasi cattiva.

Per la prima volta da quell’estate, Tonks sentì un lampo di pietà per Snape. Lei lo odiava per quello che aveva fatto e lo riteneva colpevole della sua scelta di assecondare Silente. Ma adesso si rese conto che Snape era a conoscenza da mesi delle richieste del Preside. E da mesi aveva accettato. Doveva sentirsi colpevole e odiarsi da molto tempo. E non poteva ribellarsi o rifiutare. Rifiutare non lo avrebbe portato solo alla morte, ma anche a tradire un uomo che si fidava di lui e della sua lealtà.

Un po’ della pietà passò dai pensieri al volto di Tonks e Snape la vide. Immediatamente, prese l’espressione feroce di sempre. Quella del Professore.

“Non permetterti di provare pietà, Miss Tonks!” sputò con rabbia. “Mai. Odiami, ma non provare pietà, quando sei con me!”

Tonks rimase in silenzio, offesa per quella richiesta e gli passò davanti, seguendo il baule. Ancora una volta la spalla si appoggiò per un attimo allo sterno dell’uomo. Quella casa era sempre più piccola. E Snape sempre più presente.

Tonks salì le scale senza programmare dove stava andando. Cercava solamente di sottrarsi alla puntigliosa presenza di Snape. Si infilò nella prima camera del piano superiore, quella più lontana dal bagno. Lasciò cadere il baule in centro alla stanza e con un aria annoiata lanciò un incantesimo silenzioso, lasciando che gli indumenti si riponessero nell’armadio, i libri negli scaffali, le scarpe nel terrazzino e il necessario per il bagno… si fermò.

Non poteva permettersi di lasciare tutto quello che lei usava in bagno, alla portata delle mani e degli occhi di Snape. Non intendeva commentare con lui la scelta della crema da viso o del fondotinta. Per non parlare di altri accessori più intimi. Lo appoggiò sul comodino vicino al letto.

Attorno a lei c’era il silenzio. Cercò di ascoltare i rumori della camera accanto, ma non si sentiva muovere nulla. Poi il tintinnio di un oggetto in metallo sbattuto contro un altro, le fece capire dove si trovasse il suo prigioniero.

Scese le scale e lo raggiunse in cucina. Stava preparando dell’insalata e, in una padella, sfrigolavano delle salsicce. Tonks rimase a guardarlo con sorpresa e ammirazione. Si stava muovendo in cucina come se fosse il suo ambiente naturale. Tagliava, mescolava, controllava la cottura senza usare la magia, destreggiandosi come un babbano.

“La carriera di fuggiasco prevede anche lezioni di cucina babbana?” gli chiese, appoggiandosi con un fianco e una spalla allo stipite della porta.

“No,” le rispose Snape senza alcun segno di sorpresa al suono della sua voce, “ma mi piace farlo.”

“Chi ti ha insegnato?” gli chiese sorpresa.

“Mia madre,” le rispose facendo sfrigolare un pezzo di pane in un’altra padella per qualche secondo. Poi lo prese con una spatola e lo porse a Tonks.

Tonks lo prese e lo addentò immediatamente, gustando il sapore del burro fuso. Aveva decisamente fame. E probabilmente anche lui. La fatica si dileguò un poco.

“Ho preso la prima camera da letto,” gli annunciò.

“D’accordo…” commento laconico. “Ho messo il mio borsone nella seconda. Apparecchia la tavola, Miss Tonks,” le disse con il solito tono dittatoriale.

Troppo affamata e troppo stanca per ribattere, Tonks cercò il necessario nella cucina. Trovò piatti, bicchiere e posate, un po’ di tovaglioli bianchi, ma nessuna tovaglia, né qualcosa che potesse assomigliarvi. Allora cercò due canovacci della cucina, i più colorati e li usò come sottopiatti. Piton, terminato il suo compito di cuoco, la guardò, le mani appoggiate sul mobile vicino ai fornelli, il corpo inclinato all’indietro e rilassato, gli occhi affaticati quanto quelli di Tonks. Non sarebbe riuscito a fare un altro centinaio di metri, quella sera. Si sentiva sfinito, anche se non avrebbe mai dato la soddisfazione di scoprirlo a quella ragazzina. La prospettiva di un vero letto, con un materasso e delle lenzuola e di una doccia calda… anche mangiare gli sembrava una perdita di tempo. Riscuotendosi dal torpore della sonnolenza, afferrò la padella con le salsicce e ne mise due a testa nei piatti. Poi prese la terrina con l’insalata e, sedendosi, la porse a Tonks, che nel frattempo si era già infilata in bocca un pezzo di carne e masticava soddisfatta. Senza degnarlo di uno sguardo prese anche l’insalata e si riempì il piatto. Continuò a mangiare con tenacia, gustando ogni singolo boccone. Non sembrava particolarmente ingorda, ma apprezzava quello che aveva nel piatto. Lui invece sbocconcellò la salsiccia, arrivando a mangiarne una e qualche boccone di insalata. Era decisamente troppo stanco.

“Scusami, Miss Tonks,” le disse alzandosi, mentre lei terminava di mangiare l’insalata direttamente dalla terrina. “Se non hai nulla da obiettare, andrei a farmi una doccia e poi a dormire.”

Tonks ebbe la precisa sensazione che se anche lei avesse avuto un’opinione diversa, lui avrebbe fatto esattamente quello che le aveva detto. Nulla di diverso. Quindi si limitò a dargli le informazioni basilari.

“Mi piace trovare il bagno pulito. La casa è stata sistemata da Remus per quello che riguarda le misure di sicurezza, anche se lui mi ha detto di dirle che sa benissimo che non servono a nulla dato che il prigioniero era solito ottenere voti migliori dei suoi in Difesa Contro le Arti Oscure. Quindi mi ha raccomandato di non dirgliele per avere almeno la soddisfazione che possa scoprirle da solo.” Si fermò per riprendere fiato. Si accorse con Piton la guardava, ma non la ascoltava. “È chiaro?” gli chiese.

Snape annuì, lentamente. “Abbiamo una sveglia, domani?”

“Io mi sveglio comunque verso le sette,” gli rispose. “La chiamo verso le sette e mezzo, così il bagno è già libero.”

“Mi piace trovare il bagno pulito…” si limitò a ribattere lui, scimmiottandola. E senza dirle altro se ne uscì dalla cucina, diretto alla camera da letto.

Tonks scosse la testa, sconsolata. Una settimana con un uomo così loquace poteva farti dimenticare ogni lato positivo del genere maschile. Terminò di mangiare tutta l’insalata e poi lavò i piatti e sistemò le stoviglie.

Dopo poco più di 30 minuti anche Tonks era pronta per andare a letto. Si avviò sulle scale che conducevano al piano superiore, cercando di capire dai rumori della casa, dove si potesse trovare Snape. Sentì aprire e chiedere lo sportello di un’anta del bagno e poi il rumore dell’acqua.  Si fermò quasi in cima alla scala per osservare meglio la situazione. L’unica luce del corridoio arrivava dal bagno, anche se la porta era socchiusa. Il rumore dello spazzolino che si muove sui denti.

Poi si aprì la porta. Snape ne uscì con un asciugamano stretto ai fianchi e lungo quasi fino a terra, arrossato dal calore dell’acqua. Si era lasciato la barba, fu il primo pensiero. E dovrebbe decisamente tenere i capelli legati dietro il collo. Appariva vulnerabile. Ancora più giovane.  Snape si fermò, sorpreso di vederla lì.

“Ho sistemato il bagno, Miss Tonks. Puoi controllare, se vuoi.” E nel dirlo si avviò alla sua camera, chiudendosi la porta alle spalle prima che Tonks potesse anche solo formulare un pensiero.

Lentamente Tonks raggiunse la propria camera. Non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Snape che aveva appena visto. Non era certamente l’uomo più bello o sensuale o anche solo attraente che avesse visto a petto nudo. Le era sembrato ancora più magro e debilitato, in verità. Prese il necessario per andare a farsi la doccia. Vedere un Professore seminudo non era mai stato un suo desiderio. Camminando, ancora soprapensiero, ritornò verso il bagno e appena entrata capì che quando Snape parlava di sistemare qualcosa sapeva bene di cosa parlava. Il bagno era perfettamente lucido e profumava di qualche fiore, anche se Tonks non riusciva a riconoscere di quale fiore, in particolare, si trattasse. Tutto era perfettamente allineato, perfettamente asciutto e perfettamente impersonale. Tonks si chiese perché una persona trovava importante perdere il suo tempo per ripulire così a fondo un bagno. Certo anche a lei piaceva trovarsi in un ambiente pulito per fare la doccia, ma non così asettico. Sistemò il beauty con quello che le serviva vicino alla doccia e si tolse i vestiti. Li appoggiò disordinatamente sul lavandino, certa che non vi fosse neppure una goccia d’acqua e si lasciò coprire dal getto dell’acqua che aveva già aperto per poterla scaldare. Si concesse una lunga doccia bollente, si asciugò e si lavò i denti. Poi si avvolse nell’asciugamano, raccolse le sue cose e uscì dal bagno, rifugiandosi in  camera. Doveva ricordarsi di ringraziare Molly per averle fatto trovare tutto il necessario.

Qualche minuto dopo, coperta da un rassicurante pigiama, decise di controllare che la casa fosse chiusa e tutti gli allarmi in funzione. Ritornò al pianoterra e controllò porte e imposte. Dalla finestra del salotto si vedeva ancora la luce accesa in strada e si sentivano le voci attutite delle donne che chiacchieravano lì davanti. Una volta rientrata a Londra avrebbe trasformato i capelli dei gemelli in viscide bisce verdi, possibilmente davanti a qualche ragazza.  Salendo di nuovo verso la camera, si ricordò di non aver parlato per l’intera serata con Snape delle regole di quella prigionia. Rimase incerta sul pianerottolo, chiedendosi se poteva o meno entrare nella camera del Professore, oppure se aspettare il mattino successivo.

Snape non aveva nessun motivo per allontanarsi da lì. Era ricercato dal Ministero e dai Mangiamorte. Solo l’Ordine lo cercava per collaborare e non per accusarlo di essere il braccio destro di Voldemort o di Silente. Dai brevi accenni fatti da Snape, Tonks aveva capito che la prospettiva di una doccia, di un letto e di un pasto caldo, era la catena più solida per tenerlo ancorato ad un luogo. Snape doveva aver patito parecchia fame e parecchio freddo in quei mesi. Paura e incertezza. Decise di lasciarlo riposare e di definire il giorno successivo le regole di sicurezza.

Se ne andò in camera, a riflettere a letto. Il mandato dell’Ordine era di custodire quell’uomo in attesa che decidesse come aiutarli, quale missione compiere a loro vantaggio. Remus era andato da Harry per raccontargli quello che Snape aveva raccontato loro. Si girò su un fianco e si sistemò ben bene sotto le coperte. Avrebbe fatto tutto domani. Gli elementi di rischio erano minimi. E si addormentò.

 

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Capitolo 2
*** Shopping ***


1.     SHOPPING

Al mattino furono i rumori fuori della casa a svegliarla. Un cigolio incessante che penetrava la casa e si faceva sentire persino nella sua camera. Snape doveva essere sveglio da parecchio, dato che la sua dava direttamente sulla strada.

Con un sospiro di rassegnata irritazione, Tonks uscì dal guscio piacevole delle coperte e si infilò velocemente un maglione sopra il pigiama, per ripararsi dal freddo. Con le pantofole ai piedi scese le scale, seguendo il profumo di bacon che saliva dal pianterreno. Aveva visto la porta della camera di Snape aperta e l’aveva collegata alla presenza di quel meraviglioso odore in cucina, dato che l’uomo si era dimostrato un buon cuoco.

Lo vide subito, di spalle, impegnato a trafficare con degli attrezzi di cucina.

“Se questo è il ritmo degli Auror, speriamo di non avere attacchi di prima mattina…” lo sentì commentare.

“Solo dopo colazione,” rispose pronta Tonks. “Esiste un regolamento in proposito!”

“Allora sei in grado di svegliarti da sola,” le disse girandosi a guardarla. “Credevo che i bambini avessero bisogno degli adulti anche alla tua età.”

Incerta se rispondere o meno, si ricordò d’un tratto perché erano lì, cosa li aveva condotti in quella situazione. Si fermò e decise di procedere con la preparazione della colazione. Nel silenzio mise in tavola due tazze con relativi piattini, cucchiaini, tovaglioli e posate. Sentiva lo sguardo di Snape sulla sua schiena.

“Cosa desideri mangiare per colazione?” le chiese Snape, secco e quasi irritato dalla situazione.

“Di solito bevo del the con biscotti, oppure una brioche. Ma se mi offre qualcosa di pronto, non disdegno nulla.”

Senza parlare portò in tavola un piatto di bacon, con burro e piccoli panini.

“Da dove arrivano queste cose?” gli chiese incredula.

“Sono della casa,” gli disse. “Forniture base…”

“Allora Molly a sistemato anche la cucina, oltre al bagno…” dedusse, correttamente, Tonks.

Mangiarono nel silenzio. Tonks cercò di osservare Snape senza farsi notare, cosa che era impossibile, come aveva imparato in anni di scuola, ma decise che dopo tanto tempo poteva mandare a quel paese la sua soggezione per quell’uomo.

Era decisamente magro, scarno. I capelli erano sempre i suoi, lunghi, senza forma e troppo lisci. Il naso sembrava raccogliere tutto il resto del volto. Anche gli occhi scomparivano, tranne quando li puntava contro gli altri. Allora diventavano dei punti luminosi. Non potevi non sentirti presa da quello sguardo. Il collo lungo e magro, il segno delle spalle aguzze sotto il maglione, le mani ossute e curate. Solo allora Tonsk notò qualcosa che non quadrava in tutto quello e si diede della stupida. Come poteva pensare di essere un buon Auror se non era in grado di riconoscere un cambiamento come quello?

Snape era vestito come un babbano. E non era vestito di nero. Aveva un maglione di lana marrone scuro, che sembrava tanto una creazione di Molly. E un paio di pantaloni, sempre marroni, di velluto.

Orrido.

Facendo cadere il tovagliolo, Tonks si chinò e gli guardò i piedi. Gli scarponi.

Terrificante.

Terminò velocemente il panino che aveva in mano.

“Dobbiamo cercare qualcosa da vestire per lei che non la faccia sembrare un barbone…” gli disse alzandosi e portando tazza e piattino all’acquaio.

“Ho solo quello che mi ha dato Remus,” disse lui. “E non ho certo soldi babbani,” le rispose irrigidendosi sulla sedia. “Qualcosa da ridire anche sulla mia faccia?”

Tonks rimase in silenzio. Fissandolo.

“Devo cominciare a pensare cosa fare per l’Ordine, Miss Tonks. Questa cosa degli acquisti prevede anche la mia presenza?” le chiese alzandosi a sua volta e avvicinandosi a lei. Subito spostò lo sguardo verso l’estero della casa.

La strada era deserta.

“Non penserà di mandarmi a comprarle maglioni e pantaloni da sola?” le chiese con derisione, senza guardarlo. “Non è certo mio padre! E anch’io devo lavorare per l’Ordine!”

Snape strinse gli occhi, irritato. “Allora cerchiamo di fare in fretta,” concluse attirando a sé le stoviglie e sbattendo tutto nell’acquaio Mormorò un veloce incantesimo che fece sollevare le stoviglie, aprire il rubinetto dell’acqua e apparire una spugna e una schiuma bianca. “Dove sono i soldi e dove si comprano i vestiti?” E dicendolo se ne andò dalla cucina e Tonks lo sentì salire le scale. Fece un gran sospiro. Era l’uomo peggiore con il quale avesse mai condiviso qualcosa.

Rassegnata a trascorrere dei giorni di tormento e di frustrazione si alzò e prese dal cassetto del mobile in corridoio, un piccolo comodino di legno intarsiato, dei soldi babbani. Aveva fatto qualche allentamento nell’usarli e sperò di ricordarsi il corretto valore. Snape stava scendendo le scale. Aveva indossato il giaccone di lana, asciutto.

Lei prese semplicemente il proprio dall’appendiabiti nell’ingresso e appoggiò la mano sulla maniglia della porta. Subito sentì la mano calda e decisa di Snape sopra la propria. Si girò con un’espressione interrogativa. Gli era addosso, vicinissimo. Si sentiva un profumo di muschio, quasi impalpabile. E Snape si sentì colpito dal profumo di arance e limoni. Si scostò all’indietro, anche se di poco.

“Almeno sai dove andare e cosa comprare, Miss Tonks?” Aveva ripreso il suo solito tono di derisione.

“So cosa comprare per non farla sembrare un pazzo trai babbani!” gli rispose piccata. “So come si dovrebbe vestire un uomo della sua età…” disse, sottolineando con enfasi l’ultima parola.

Snape rimase in silenzio per un attimo. “Conosci i soldi babbani?”

“Fa parte dell’addestramento,” disse come per rassicurarlo.

Si aspettava un rimprovero o un giudizio, ma Snape fece un piccolo sorriso di scherno. E aprì la porta.

“Negozio di abbigliamento alla sua sinistra,” gli disse uscendo dietro di lui e chiudendo la porta.

“Non posso rivedere le mie donne?” le chiese, alzando il bavero della giacca e stringendoselo attorno al collo. Le mani erano nude, notò Tonks.

“La lascerò giocare questa sera, se proprio non riesce a farne a meno,” sbottò lei, irritata.

Il silenzio le fece immaginare una smorfia ironica da meritare un pugno in faccia. E allora rimase in silenzio.

Arrivarono velocemente al negozio di abbigliamento. Si trovava a poco più di un centinaio di metri, sempre sulla strada principale. Guardandosi attorno Tonks dedusse che non ci fosse poi molto altro, a parte quella strada principale. Vide due negozi di abbigliamento femminile, un panificio e un negozio di frutta e verdura. Poi, passate due case, arrivarono al negozio di abbigliamento.

C’era un’unica vetrina, a fianco della porta d’ingresso e mostrava una serie di maglioni colorati e di pantaloni in velluto o lana. Sembrava molto rigoroso e formale. Tonks si chiese se mai Snape avesse indossato abiti diversi da quelli che vedeva a scuola. Era un mistero anche nelle piccole cose, quell’uomo.

Entrarono e si sentirono entrambi felici di ritrovarsi al caldo.

“Buongiorno,” disse loro un commesso. “In cosa posso aiutarvi?”

Prima che Tonks proferisse parola, Snape prese l’iniziativa.

“Sto cercando dei vestiti per me. Sono dimagrito e devo cambiare parecchio nel mio guardaroba. A partire dai pantaloni. Sportivi.”

Il commesso, un uomo di almeno un decennio più vecchio di lui, lo squadrò da cima a fondo, senza lasciar trapelare nessuna considerazione sul suo attuale abbigliamento. Gli fece cenno di seguirlo e lo portò vicino ai camerini.

“Colori preferiti?” gli chiese, cortese e professionale.

“Scuri. Nero, blu, grigio…” disse sbrigativamente Snape. “Delle camicie altrettanto scure, niente di bianco.”

Il commesso fece un cenno di approvazione e andò a zonzo.

Solo allora Snape si girò a guardare Tonks. Era in piedi poco distante, le braccia incrociate e lo guardava sorridendo. Indossava quel suo strano giaccone senza forma, degli stivali azzurri sotto ad un paio di jeans sformati e tagliati. Guanti e sciarpa erano di uno strano miscuglio di verde e giallo. Almeno i capelli erano di un comune color castano.

“Le mancava qualcuno da comandare, eh, Professore?” gli disse sottovoce. “Adesso può sfogarsi.”

Snape distolse lo sguardo, irritato, e cercò un camerino libero. In realtà erano gli unici clienti nel negozio, dato l’orario. Avevano aperto da meno di mezz’ora. Erano entrambi così stanchi che si erano svegliati ben oltre l’orario previsto.

Il commesso ritornò con tre diversi tipi di pantaloni.

“Sono diversi per colore e modello. Li provi e mi dica quale preferisce,” gli disse porgendoglieli. Snape li prese e si chiuse dentro uno dei camerini.

Mentre si toglieva quell’odiosa cosa di velluto che Molly gli aveva infilato nella borsa, come pantaloni, sobbalzò sentendo la voce di Tonks, poco distante.

“Devo rimare per dare il mio parere?” chiese pacata.

“Mi vesto da solo da parecchi anni, Miss Tonks!” le rispose a mezza voce, irato.

“Ecco, appunto. Allora rimango qui per darle un occhio, visti i risultati…” ridacchiò la ragazza.

Snape si sfilò scarpe e pantaloni e infilò dei pantaloni lana, grigio scuro. Il commesso ci sapeva fare. La taglia era perfetta. Erano comodi.

“Se non le spiace le passo anche una camicia e un maglione, così può già provarli…” sentì dire dall’uomo. Aprendo leggermente la porta, Severus allungò un braccio e prese gli indumenti, facendo attenzione a non incrociare lo sguardo di quella odiosa ragazzetta che Remus gli aveva propinato come custode. Odiosa, divertente e anche dannatamente attraente. Doveva prendersela con Remus, maledetto Griffondoro!

Finì di spogliarsi e si provò tutti gli indumenti. Il maglione era forse troppo largo, ma le maniche erano perfette. Era dimagrito ancora… pensò. Poi chiuse gli occhi e si domandò perché stava acquistando vestiti, se il suo destino era solo quello di morire. Per mano di un Mangiamorte, probabilmente. Ma il suo destino era morire. Prima di farlo doveva indagare ancora e stanare quanti più luoghi di incontro dei seguaci dell’Oscuro Signore. O qualsiasi altro elemento utile all’Ordine. Riaprì gli occhi e uscì dal camerino per controllare come gli stavano quei vestiti.

Alacremente il commesso si inginocchiò per prendere la misura della lunghezza dei pantaloni.

“Glieli sistemiamo in due giorni, signore, se serve…” gli propose prendendo uno spillo. Ma si accorse che non erano esageratamente lunghi. “Che scarpe desidera, signore? Così troviamo la lunghezza esatta.”

“Dei semplici mocassini, pratici. Delle scarpe da ginnastica, nere.” disse guardando verso Tonks. Che si lasciò quasi sfuggire di mano il maglione che stava osservando.

“Scusate,” disse tirandosi un sorriso sulle labbra e raccogliendo il maglione. Cercò lo sguardo di derisione di Snape, ma il maledetto stava osservandosi allo specchio. E stava dannatamente bene, vestito in quel modo. Anche se le rughe sul volto dimostravano tutta la sua tensione.

Poco meno di dieci minuti dopo aveva anche provato dei jeans, un paio di scarpe e un altro maglione. Due o tre camicie.

Altri dieci minuti ed erano alla cassa per pagare. Snape ascoltò senza battere ciglio l’elenco di quello che aveva acquistato (tre pantaloni, tre maglioni, cinque camicie, due paia di scarpe) fino a quando la signora che era alla cassa non aggiunse sciarpa e guanti grigi e un giaccone imbottito corto. Si girò a guardare verso Tonks che gli sorrise.

“Ho pensato che potevi averne bisogno. Il giaccone è molto usato, oramai, non credi?” gli chiese con voce dolce.

Snape la fissò per alcuni secondi, poi fece un minimo cenno di assenso.

Sentendo il conto finale, Severus di rivolse nuovamente a Tonks, che prese da una qualche tasca del suo giaccone, tasca invisibile a chiunque, le banconote babbane. Severus allungò una mano e gliele sfilò, sfiorandola leggermente sul palmo.

Tonks sentì i brividi risalire fino alla spalla. Ma per fortuna lui si era già rivolto alla cassiera per pagare e non la guardava.

Si diede della stupida. Non era certamente la prima volta che un uomo la sfiorava e del tutto casualmente. Neppure un uomo dell’età di Snape. E soprattutto non poteva assolutamente provare dell’attrazione proprio per quell’uomo. Che era sempre più umano, aggiunse. Lo guardò pagare con disinvoltura, prendere il resto e infilarlo in tasca, prendere i sacchetti e girarsi verso di lei.

“Andiamo?” le chiese.

Lei annuì e salutò. Il negozio aveva già altri clienti.

Uscirono in silenzio e tornarono a casa, uno dietro l’altra, lasciando al commesso l’immagine di una coppia apparentemente unita, ma molto in crisi.

 

Camminando lungo la strada Tonks gli si avvicinò. Trattenendo una risata.

“Scusi la domanda, Professore. Ma come stiamo a slip e magliette?”

Severus si bloccò sul marciapiede, costringendo qualche persona a scendere per superarli. La guardò con gli occhi furiosi.

“Come ti permetti, Miss Tonks?” le chiese a mezza voce, con un sibilo. “Verresti con me a prendere la tua biancheria intima?” la sfidò.

“Beh, serve anche quella, no?” commentò con il cuore in gola e l’espressione tranquilla, la ragazza. “Se non vuole farlo da solo, io adoro fare acquisti.”

E si incamminò verso casa, incerta se scoppiare a ridere o controllare che non la Schiantasse contro qualche muro.

Appena rientrati, Severus si tolse il giaccone e lo appese all’ingresso. Senza girarsi a guardare la ragazza che lo seguiva, salì le scale e si chiuse in camera.

Tonks pensò che volesse sistemare i nuovi acquisti. Non intendeva seguirlo o fargli da balia e se ne andò in salotto, con una mappa del territorio per ripassare gli indizi lasciati dai gemelli.

Cercò di non focalizzare la sua attenzione sulla linea dei pantaloni di Snape oppure sulle sue spalle. Né sul ricordo del suo petto nudo la sera precedente.

Tonks decise che aveva proprio bisogno di un uomo. Non c’erano altre spiegazioni. Un bisogno impellente, visto a chi si stava rivolgendo il suo pensiero.

Il resto della mattina lo passarono separati. Al momento del pranzo Severus scese dal piano delle camere. Tonks era in cucina, intenta a tagliare della verdura.

“Ti occupi tu del pranzo, Miss Tonks?” le chiese.

“Sto facendo le cose un po’ a caso…” ammise Tonks con una smorfia. “Non ho la più pallida idea di cosa preparare…”

Lo disse guardandolo e rimase a fissarlo. Allora ci vuole veramente poco per lasciarsi affascinare da un uomo, si disse Tonks.

Aveva indossato i vestiti nuovi. Dei jeans scuri e un maglione grigio. Le scarpe sportive, quasi da ginnastica, nere. Una camicia blu. I capelli raccolti in una coda sottile. La barba ancora lunga.

Era brutto, si disse Tonks. Non aveva fascino. Almeno per lei. Eppure le dava i brividi.

Di paura, si disse. Di irritazione. Di rabbia.

Ma questo come poteva spiegare l’immagine che le saliva alla mente di un uomo con un asciugamano avvolto ai fianchi? Anche nei momenti meno indicati.

“Cucino io,” disse Snape, un po’ irritato da quello sguardo fisso su di lui.

Senza nessuna cortesia cominciò a lavorare.

 

Il pomeriggio fu lungo e denso di impegni per entrambi. Severus si chiuse nella sua camera con pile di pergamene e non si fece vedere per almeno quattro ore.

Tonks, anche se curiosa, non osò avvicinarsi alla stanza con una scusa. Rimase in salotto, completò l’analisi delle mappe e preparò un resoconto dei primi due giorni che inviò a Remus e ad Arthur, i suoi due riferimenti. La risposta di entrambi, arrivò con i relativi Patronus, dopo un’oretta, durante la quale lei aveva fatto esercizi di ginnastica in camera. Era abituata a correre quasi ogni giorno o a fare palestra, in qualche modo. Non amava l’inattività. Neppure forzata. Muoversi voleva dire sfogarsi e scaricare la tensione. L’arrivo dei messaggi la trovò in cucina, incerta se preparare un po’ di te, fuori orario, solo per sé o anche per il suo prigioniero in libertà.

Prese le due pergamene. La risposta di Arthur era per rassicurarla che tutto procedeva secondo quello che avevano definito. Harry, Ron, Hermione e Ginny stavano bene. Anche Ginny si era fermata con loro. Stranamente Harry si era dimostrato d’accordo con la richiesta della ragazza.

Remus invece le sottolineava il fatto che Severus non poteva essere costretto a fare quello che l’Ordine gli chiedeva e inoltre non erano questi gli accordi. Era sempre stato uno spirito libero, per volontà e necessità. Non aveva mai avuto nessuno con cui condividere la sua vita. Né amici, né una compagna. E quindi doveva essere difficile, anche per lui, passare del tempo a stretto contatto con una donna. Tonks si ripromise di chiedergli se la scelta di mandarla con Snape era dovuta alla fiducia che aveva nei suoi confronti o nel tentativo di creare un’intesa tra lei e il Professore. Gli accordi tra Severus, Arthur e lui erano chiari a tutti e tre.  E comunque sarebbe arrivato domani per condurlo da Harry. Le chiedeva di avvisare Snape.

Ripiegando la pergamena, Tonks decise di andare a chiamare il Professore per il te. Aveva un motivo, adesso.

Salì le scale ascoltando il silenzio. Da quando si era rinchiuso nella camera non aveva sentito nessun rumore, neppure la sua voce. Appoggiò l’orecchio alla porta, ma sentì solo lo sfregare di una penna sulla pergamena. Bussò. Il rumore si interruppe.

“Cosa vuoi, Miss Tonks?” La voce aveva un tono stanco.

“Sto preparando il te e ho una comunicazione da Remus.”

“Scendo tra qualche minuto.”

Tonks rimase indecisa per alcuni secondi tra la scelta di scendere le scale e rispettare la privacy del professore o entrare “per caso” chiedendo quale tipo di te preferiva. Poi, con un sospiro, girò su se stessa e scese le scale. Avrebbe cercato in un altro momento di trovare soddisfazione alla sua curiosità.

Quando ormai stava per versare il te, pronto e caldo, nella sua tazza, la raggiunse il Professore.

“Grazie,” le disse, vedendola versare il te. Lei gli porse la tazzina.

“Manca il latte e lo zucchero,” precisò.

“Ho imparato a berlo senza nulla, così nero,” le rispose con l’accenno di un sorriso.

Tonks notò che gli occhi erano di nuovo lucidi, come se avesse la febbre. Istintivamente gli mise una mano sulla fronte, per capire se stava male. Lui si irrigidì e spalancò gli occhi per la sorpresa.

“Lei ha la febbre,” gli disse, togliendo la mano. Sembrava sorpresa dall’idea che un uomo come il Professor Snape potesse ammalarsi. Lo guardò con meraviglia.

“Lo so,” le disse allontanandosi da lei e mettendosi seduto dall’altra parte del tavolo. “Ho già preso la pozione, questo pomeriggio. Tra qualche ora se ne va.” E si mise a bere il te.

“Avrebbe bisogno di riposare un po’,” suggerì pacatamente. Non sembrava il momento di insistere, neppure per il suo benessere.

“Non ho tempo, Miss Tonks, non ho tempo,” e bevve ancora un po’ della bevanda calda. Ne sentiva un estremo bisogno. La febbre gli faceva salire dei brividi di freddo improvvisi già dall’inizio del pomeriggio.

Aveva dato la sua parola ad Arthur e Remus. Doveva scrivere tutto quello di cui era venuto a conoscenza in quegli anni lavorando per Silente, tutte le informazioni che aveva raccolto sui Mangiamorte, la loro organizzazione, la loro gerarchia, i loro obiettivi. Erano informazioni che aveva passato a Silente sempre verbalmente e di cui non c’era traccia, adesso. Era necessario che l’Ordine potesse averle presto a disposizione. Sicuramente tutto era stato annotato da Silente da qualche parte, ma Minerva era ancora alla ricerca dei suoi diari o dei suoi ricordi. Non era riuscita a trovare neppure il suo Pensatoio. Se Silente non si era preoccupato di far avere all’Ordine quegli appunti era perché sapeva che Snape poteva farlo direttamente. Molto del suo lavoro in quei giorni era proprio quello di ricostruire i ricordi dei suoi ultimi vent’anni, selezionando quello che poteva essere utile.

“Remus passa domani per accompagnarla da Harry. Pensa di poter riprendersi per allora?” gli chiese Tonks, distogliendolo dai suoi pensieri.

“Ci andrei comunque,” le rispose. La testa aveva smesso di pulsare. Chiuse un attimo gli occhi per eliminare la luce che gli dava fastidio. Li riaprì dopo qualche secondo e tutte le luci della casa erano state spente. Guardò Tonks che gli sorrise, dolce.

“A me da sempre fastidio la luce, quando ho la febbre,” e si bevve un po’ del suo te.

Severus non le rispose, ma accennò ad un altro sorriso. Prese la tazza con entrambe le mani per scaldarsi ancora di più.

“Ha acceso il fuoco in camera?” gli chiese. Lui annuì.

“Forse, se si fa una doccia calda…” gli suggerì.

“Dopo…” si limitò a rispondere, quasi casualmente. Sentiva la testa pesante e gli si chiudevano gli occhi. Mentre lavorava almeno non pensava a come il suo corpo lo stava tradendo. Con fatica si alzò dalla sedia, ma barcollò.

“Ehi!” esclamò Tonks raggiungendolo e mettendogli un braccio attorno alla vita. “Adesso lei si sdraia in salotto e si riposa fino a quando la pozione fa effetto. Quando l’ha presa?”

“Prima di scendere, non mi ero accorto dell’orario prima che tu mi chiamassi…” le sussurrò appoggiandosi a lei e al tavolo. Era veramente difficile stare in piedi. E pensare. E quelle braccia che lo toccavano gli riempivano la testa.

“Senta, spostiamoci in salotto. Ce la fa?”

“Lascia che mi appoggi alle pareti…” le disse con fatica.

Lentamente Tonks gli fece fare i pochi passi che dalla cucina lo portarono al divano davanti al camino del salotto. Lo fece sdraiare e gli mise addosso il plaid che era appoggiato su una delle poltrone. Poi accese il fuoco.

“Quanto tempo deve aspettare per la pozione?” Gli stava rimboccando il plaid e, arrivata alle spalle, si era accovacciata vicino a lui.

“Non molto. Ne ho dell’altra di sopra, vicino al letto.”

“Gliela porto qui. Arieggio la stanza, intanto.”

“Le pergamene!” esclamò Severus con forza, afferrandole un braccio. “Non perderle!”

“D’accordo,” gli disse, appoggiando la mano sopra quella che le stava artigliando il polso. “Le porto qui, così sono al sicuro.”

Salì di sopra, preoccupata per la salute di Snape. Si stava esaurendo, concluse. Stava spremendosi oltre il possibile.

Nella stanza regnava il silenzio e il buio. Le luci erano spente e dall’esterno, a quell’ora della sera, arrivava solo il bagliore di un lampione. Anche il camino era stato spento. Vide le pergamene sparse sul letto. Da un lato c’erano quelle ancora vuote e dall’altro tre diverse pile di fogli scritti fittamente. Era la stessa scrittura che lei aveva visto per anni nei suoi compiti di Pozioni. Stretta e angolosa. Prese i fogli mantenendo l’ordine. Per ultimi quelli bianchi. Li appoggiò al comodino con la penna. Andò alla finestra e aprì i vetri e leggermente le imposte per far entrare un po’ d’aria. La stanza sapeva di chiuso. Guardandosi attorno vide che oltre alle pergamene non c’era altro che lasciasse capire chi fosse il proprietario della camera. Nessun indumento, nessun accessorio per il bagno. Ricordandosi della mattinata Tonks aprì l’armadio e vide gli abiti nuovi appesi con cura. In basso c’era la biancheria. Si chiese dove l’aveva comprata. O se l’aveva con sé. Nera e grigia. Odiava il bianco quell’uomo, pensò. Ma aveva degli slip carini, aggiunse ridendo e chiudendo il mobile.

Prese le pergamene, la penna e la pozione e scese al pianterreno. Intenzionata a far vedere al Professore che non aveva rovinato il suo lavoro, gli si avvicinò. Stava dormendo. Profondamente. Era sdraiato sulla schiena, la faccia rivolta leggermente verso il camino. La coda si era disfatta e i capelli erano sparsi sul cuscino. Appariva molto più giovane e molto meno tormentato con gli occhi chiusi e l’espressione rilassata. Il respiro era regolare. Con delicatezza gli scostò dei capelli dalla faccia. Poi Tonks si raddrizzò ripentendosi per l’ennesima volta in quella giornata, che doveva trovarsi un uomo. Assolutamente. Appoggiò i fogli sul tavolino a fianco del divano. Si rannicchiò in poltrona, con un libro, in attesa che si svegliasse. Avrebbe preparato qualcosa di caldo per cena.

 

Severus sapeva dove si trovava. Ricordava di essere passato dalla cucina al salotto e di essere crollato sul divano. Poi più nulla. Doveva essersi addormentato. La testa non gli faceva male, anzi si sentiva meglio. Con attenzione aprì gli occhi e riuscì a guardare il camino, acceso, senza alcun fastidio. Provò a spostare lo sguardo e vide i piedi di Tonks che spuntavano dalla poltrona. Alzò leggermente la testa per osservarla e vide che era sveglia, anche se il volto era rivolto alla finestra. Indossava ancora quegli strani jeans rovinati e un maglione bianco tutto traforato. Su era rannicchiata sulla poltrona, con un libro appoggiato sulle gambe. Era bella. Era bella già quando frequentava Hogwarts. Durante il suo sesto e settimo anno era stato difficile anche per lui non accorgersene. Aveva un volto così espressivo, un sorriso ironico e la battuta pronta. Sapeva essere attraente anche con lui, ma non se ne rendeva conto. Era stata forse l’unica alunna alla quale aveva concesso qualche voto in più solo per il modo in cui riusciva a tenergli testa con le battute e le domande, senza farsi intimidire. Per quanto si dimostrava acuta e capace di gestire il suo metamorfismo con allegria. Lei lo aveva sempre trattato come tutti gli allievi: un Professore odioso e parziale, pronto a difendere solo la parte cattiva delle persone.

“Ciao, Miss Tonks,” sussurrò per non farla trasalire.

Ci riuscì in parte. Lei girò di scatto la testa, sorpresa.

“Sono passate meno di due ore… Credevo avrebbe dormito molto di più!” gli disse, quasi imbronciata.

Lui sorrise. E Tonks lo vide, per la prima volta, come avrebbe potuto essere con una vita diversa. Non sarebbe mai stato bello con quei lineamenti, ma poteva essere interessante. Affascinante. Attraente.

“Sono Professore di Pozioni per qualcosa, no?” le disse togliendosi la coperta e mettendosi seduto. I capelli gli scivolarono sulla faccia e lui li spostò dietro le orecchie, con un gesto lento e gentile. La guardò. No, si disse Tonks, poteva essere anche bello, quando lasciava uscire la sua dolcezza. Rimasero a fissarsi in silenzio per qualche secondo. Severus non capiva quella tensione improvvisa, Tonks non riusciva a liberarsene.

Poi Tonks si tolse da polso una fascetta elastica bianca e gliela porse.

“Credo che la sua sia finita tra i cuscini del divano.”

Severus la prese sfiorandole nuovamente la mano quel giorno, ma intenzionalmente.

Pettinò i capelli con le mani e si rifece la coda.

“Come mai ha sempre portato i capelli lunghi?”

“Perché una ragazza mi ha detto che stavo meglio così,” rispose sbrigativamente.

“Chi?” gli chiese, aspettandosi una risposta caustica.

“Tua zia Bellatrix,” le disse guardandola. Tonks aprì la bocca per la sorpresa. “Vado a preparare la cena. Immagino che tu non sia in grado di usare una pentola,” e la lasciò seduta in poltrona, sorpresa per quella risposta e senza difesa di fronte all’idea che quell’uomo, quell’uomo così scontroso e intrigante, potesse aver avuto una storia con sua zia.

 

Tonks lo raggiunse in cucina dopo qualche minuto. Aveva risistemato il salotto, cercando di abituarsi all’idea di Snape e Bellatrix.

“In che occasione mia zia le ha fatto quella puntualizzazione? Sui capelli, voglio dire…” gli chiese entrando.

“Eravamo molto giovani, Miss Tonks.” Severus stava sistemando della verdura tagliata in una padella e si era già pienamente pentito dell’osservazione fatta, ma era così bella seduta in quella poltrona… Cercò un modo per sviare il discorso da quel suo errore.

“Ma Bellatrix è più vecchia di lei!” esclamò Tonks. “Non potete esservi trovati ad Hogwarts!”

“A casa Malfoy, in effetti. Eravamo tutti più o meno lì,” raccontò laconico. Non era esattamente così, ma nessuno poteva smentirlo.  E soprattutto desiderava chiudere lì con quell’argomento. “Prepara la tavola, Miss Tonks.”

“Immagino che questo voglia dire che non se ne parla più di Bellatrix…” sospirò Tonks, afferrando canovacci e tovaglioli per cominciare ad apparecchiare.

“Limitati a fare quello che ti ho chiesto, Miss Tonks,” commentò acido Snape.

“Non siamo a scuola, Professore. E lei sa essere molto meno antipatico, se vuole!”

Snape scelse il silenzio. Si mise a mescolare le verdure nella padella e a controllare la carne che bolliva vicino. Non voleva farsi coinvolgere in altre discussioni con quella ragazza. Tonks sembrò accettare e riprese ad apparecchiare, senza magia, per far passare del tempo. Snape rimase per tutto il tempo con lo sguardo rivolto verso le pentole, ascoltando il suono di Tonks che sistemava i piatti e i bicchieri, che riempiva una caraffa di acqua, che cercava dei panini da scaldare nel frigo, che prendeva una carota, la puliva e cominciava a morderla.

“Ma,” ricominciò masticando la verdura, “come ha fatto ad imparare a cucinare babbano se sua madre era una strega?” gli chiese. Aveva deciso che era necessario approfittare di quel momento di grazia, prima che sparisse del tutto.

Errore. Snape si girò con uno sguardo di fuoco.

“Cosa sai tu della mia famiglia?” le chiese, guardingo.

“Oh, beh…” disse Tonks quasi intimorita. “Quello che sanno tutti gli studenti di Hogwwarts. Sua madre era una strega e suo padre babbano. Ne sa più lei di Arti Oscure di ogni altro insegnante di Hogwarts. E forse anche di Pozioni. Crede fermamente in Silente. È stato tra i Mangiamorte, ma poi ne è uscito. È stato il solo?” gli chiese infine.

Snape era sbiancato ascoltando quell’elenco. Era la conferma della sua profonda convinzione che non esistesse nulla di più deleterio di un gruppo di alunni adolescenti per rovinarti la vita. Odiosi mocciosi. Ritornò a guardare i fornelli senza rispondere.

“Sa,” continuò imperterrita Tonks, “ a casa mia non era vietato parlare di quel lato della famiglia che aveva scelto di stare con Tu-Sai-Chi. Mia madre aveva delle precise opinioni sulle sorelle. E sui Malfoy. Credo di aver odiato Lucius molto prima di conoscerlo. Ma non ho mai sentito parlare di lei. Mia madre non l’ha conosciuta?”

Ancora silenzio.

“Oh, beh… poco importa,” concluse con uno sbuffo. “Ha avuto una storia con mia zia Bellatrix?”

“Hai avuto una storia con Charlie Weasley? O ti sei limitata a sognarlo di notte?” le chiese immediatamente lui, sbattendo il mestolo sul piano di marmo della cucina e girandosi a guardarla, pronto a incenerirla. Il tono della voce era glaciale.

Tonks rischiò di soffocarsi con un pezzo di carota. Cominciò a tossire e si versò da bere.

“Oppure era Bill a tenerti compagnia nei sogni?” proseguì imperterrito Snape. “Perché era chiaro dove finivano i tuoi sguardi durante pranzi e cene ad Hogwarts!”

“Impiccione!” bofonchiò Tonks, continuando a tossire.

“Cosa hai detto, Miss Tonks?” le chiese lui avvicinandosi e mettendosi davanti a lei, le mani appoggiate sul tavolo e la faccia a pochi centimetri dalla sua.

“Ok, ok… cambiamo argomento!” sussurrò lei. Quello sguardo e quel tono cominciavano a ricordarle più di qualche episodio del suo periodo ad Hogwarts.

“Limitati a fare il tuo lavoro e non intrometterti nella mia vita, Miss Tonks!” la minacciò Snape puntandole un dito direttamente sulla punta del naso. “Chiaro?”

“Cristallino,” disse lentamente Tonks guardandolo negli occhi.

“Bene…” E Snape si girò verso i fornelli per controllare la preparazione della cena.

“E comunque non ho avuto nessuna storia con nessun Weasley…” gli disse all’improvviso, dopo qualche minuto di assoluto silenzio. “E lei dovrebbe limitarsi ad insegnare senza occuparsi degli affari di cuore dei suoi alunni!” concluse, sostenuta.

“Il tuo primo bacio credo sia stato Davidson, Tassorosso. Un anno avanti a te. Quidditch. Hai fatto degli errori enormi in quel match del tuo quinto anno… guardavi sempre dalla parte sbagliata…” Snape stava sorridendo a se stesso mentre ricordava quell’episodio. Tonks era arrossita vistosamente e boccheggiava per la sorpresa e l’imbarazzo.

“Accidenti a lei!” gli urlò, balzando in piedi. Fece il gesto di volerlo strangolare, mentre lui si era girato a guardarla e cominciava a riderle in faccia, divertito dalla reazione di rabbia e stupore.

“Ohhhhh!” urlò poi Tonks risedendosi e cominciando a ridere con lui. Era tutto vero, naturalmente. Aveva giocato in modo terrificante. Il suo capitano l’aveva insultata per ore, a fine partita. “Lei è un essere odioso,” concluse con un piagnucolio. Decisamente troppo esagerato per essere vero.

Snape rideva come mai da anni. Aveva quasi le lacrime agli occhi. Era troppo bello vederla arrabbiarsi in quel modo. Aveva completamente fallito il suo tentativo di irritarlo e rovinargli la serata. Veramente ci era andata molto vicino, ma poi a lui era venuta l’idea di ripagarla con la stessa moneta. E doveva ammettere, mentre lentamente riprendeva il suo autocontrollo, che non si divertiva così tanto da decenni. Sbattendo gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, si girò a prendere le pentole e distribuire il cibo nei piatti.

“È bello quando ride, lo sa?” gli disse Tonks, evitando di guardarlo, mentre lui la serviva.

Severus si bloccò con la pentola in mano. Lentamente, cercando di non pensare troppo, lasciò cadere le verdure nel suo piatto e si girò per riappoggiare la padella sul mobile.

Tonks si morse il labbro inferiore. Aveva esagerato. Adesso aveva decisamente esagerato.

Ma poi Severus si limitò a sedersi a tavola, iniziando a mangiare. Lei aspettò un momento e poi lo imitò.

“Cosa ti ha detto Remus?” le chiese Snape con il suo solito tono direttivo e insofferente.

“Harry ha chiesto di vederla. Arriva domani per accompagnarla da lui.” Sapevano entrambi di esserselo già detti, ma non era importante ricordalo in quel momento.

“Bene, credo che sia necessario incontrare quello smorfiosetto,” commentò pensieroso. “Tu verrai con noi?” le chiese, guardandola per la prima volta dopo il suo commento.

“No,” gli rispose. “Lavoro con Molly e Arthur domani mattina.”

Snape si limitò ad un cenno di assenso e poi terminò quello che aveva nel piatto.

“Vado a dormire, allora. Lascio a te da sistemare qui, mentre faccio la doccia.”

Tonks fece un piccolo cenno di assenso, ripromettendosi di salire solo quando lui fosse stato ben chiuso nella sua stanza. Non era la giornata adatta per vederlo nuovamente avvolto solo nell’asciugamano.

Merlino! Avrebbe accettato persino di avere Charlie Weasley vicino a lei quella sera. Anche se probabilmente lui avrebbe poco cortesemente rifiutato la sua proposta, invitandola ad approfittare della situazione.

 

 

 

Ringraziamenti lunghi.... che bello!

Mi hanno fatto molto piacere tutti i commenti che avete fatto e spero che vi piacerà anche questo capitolo.

Grazie ad Arabesque, Morgan Snape, marygenoana (ne ho scritta un'altra con questa coppia, se vuoi leggerla...), Hotaru_Tomoe (decisamente innocentista...), Mikhy90, Ellinor, VallyBeffy (non riesco ad apprezzare Remus quanto Severus...), Piccola Vero e Kokkina (non entro nei desideri altrui...!).

Aspetto i vostri commenti per questo capitolo.

Grazie a tutti quelli che hanno letto senza commentare.

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Capitolo 3
*** Wine ***


1.     WINE

Tonks corse lungo il corridoio arrivando ad aprire la porta al terzo colpo.

“Dovresti almeno chiedere di chi si tratta, Tonks!” la rimproverò Remus, fermo sulla soglia. Era sempre lo stesso dolce uomo.

“Ti ho visto dalla finestra della cucina!” lo rassicurò Tonks. “Dai, entra. Snape sta preparando la colazione.”

“Severus?” le chiese Remus, togliendosi il giaccone e appoggiandolo sull’appendiabiti. “Severus cucina?” ripeté incredulo.

“E anche bene, amico mio. Molto bene. Dice che è merito di sua mamma,” commentò.

E gli fece cenno di seguirla verso la cucina. In effetti Snape era alle prese con delle fette di pane in una padella e c’erano delle ciambelle calde sul tavolo.

“Non credevo che potessi fare cose così umane, Severus!” ironizzò Remus.

“Non sfidare la sorte,” gli rispose secco l’uomo. “Potrei sempre metterci qualche veleno.” Si girò a guardarlo e gli fece un cenno di saluto. “E poi se lasciassi il cibo in mano alla ragazzina potremmo morire di fame.”

Tonks lo guardò torva. Remus sorrise.

“Mi fa piacere che ti sia comprato qualcosa di decente,” osservò Remus.

“Grazie per i soldi,” gli rispose Snape. “Immagino che siano dell’Ordine.”

“Presi dalle casse dei Malfoy con uno stratagemma…” gli confessò Remus. Severus gli fece un cenno di approvazione. “Merito di Arthur che ha controllato il materiale sequestrato a Casa Malfoy. Malocchio ha smerciato qualcosa al mercato nero e questo sostiene l’Ordine.”

“Lucius sarà entusiasta,” si limitò ad osservare Snape. “E Narcissa orgogliosa!” Dicendolo portò a tavola le fette di pane con il bacon e fece apparire con un cenno un terzo piatto davanti al posto in cui si era seduto Remus.

“Hai preso la mia pozione?” gli chiese, sedendosi.

“Il più regolarmente possibile,” rispose Remus.

“Devi berla ogni giorno, Remus! Non puoi trascurarti, non adesso!” esclamò con insistenza Snape.

“Detto da uno che ha la febbre un giorno sì e uno no e che crolla svenuto sui divani…” commentò acida Tonks.

Remus li guardò preoccupato. “Stai male?” chiese rivolgendosi a Snape.

“Un po’ di febbre, nulla di preoccupante. Ieri mi sono un po’ strapazzato,” minimizzò Severus. “La vicinanza di Miss Tonks non mi tranquillizza,” disse guardandola con irritazione. Perchè si permetteva di parlare dei problemi di un’altra persona? Iniziò a mangiare.

Per qualche minuto ci fu il silenzio totale. Masticavano con voracità tutti e tre.

“Possiamo Smaterializzarci qui fuori?” chiese Snape.

“No troppo rischioso. Dobbiamo spostarci all’esterno del paese.”

“Così potrà rivedere le sue donne, Professore.” Il tono di Tonks era molto casuale. Ma Remus non ci cascò.

“Quali donne?” chiese ad entrambi.

“I gemelli Weasley hanno pensato che avrei gradito la possibilità di uscire di casa e trovare qualche donna sulla porta con addosso solo delle giarrettiere,” disse Snape con freddezza.

Remus spalancò gli occhi per la sorpresa. “Qui fuori?” chiese, indicando genericamente con la mano l’esterno della casa.

“Di fronte, per essere esatti,” confermò Snape. “Miss Tonks ne è rimasta scioccata quando siamo arrivati.”

Remus guardò l’amica, ridacchiando.

“Li trasformerò in bisce striscianti,” minacciò lei, pensando ai gemelli. “E comunque lei non si è tirato indietro,” rimbeccò a Snape, scuotendo un cucchiaino davanti al suo naso.

“Vedo che la forzata convivenza non vi ha reso più gentili l’uno con l’altra,” osservò Remus.

“Non era questo l’obiettivo,” rispose Snape allungando un braccio e prendendo dei fogli. “Tieni,” gli disse poi porgendogli una pila di pergamene scritte. “E anche queste,” e gli diede anche tre boccette di vetro piene di qualche liquido argentato. Era stato tutto appoggiato accuratamente nel ripiano vicino al tavolo.

“Bene,” disse Remus infilandole con cura nel suo zaino. “Hai lavorato parecchio,” osservò.

“Quando ho potuto,” rispose semplicemente Severus. “Andiamo dal piccolo sbruffone, adesso?” e dicendolo di alzò da tavola.

“Harry, Severus. Si chiama Harry,” gli ricordò Remus.

“Si chiama Potter, Lupin. Potter.” Severus era insofferente all’idea di incontrare il figlio di James. “Prendo il giaccone.”

Uscì dalla stanza impettito.

“Ieri sera stava molto male,” disse subito Tonks. Remus la guardò senza capire.

“Ha avuto febbre alta per tutto il pomeriggio. Si è preparato una pozione da solo ed migliorato un po’. Ma è debilitato e non controlla bene le forze, tende a strafare.”

Remus fece un cenno di assenso con la testa. Capiva il desiderio di Snape di uscire da quella situazione di prigioniero per tornare a fare il fuggiasco e incastrare qualche Mangiamorte. Possibilmente il capo.

“Tu come stai?” le chiese.

“Confusa,” rispose. Remus le accarezzò la testa e le sorrise.

“Severus è un mistero per tutti, non pensarci troppo,” la rassicurò.

Si avviò verso il portone, seguito dalla ragazza. Snape li raggiunse dopo qualche attimo, indossando il giaccone di lana e con in mano i guanti e la sciarpa.

“Rientriamo questa sera, credo,” la informò Remus. “Fidati solo del Patronus per i messaggi.” Le fece un cenno di saluto e si avviò all’esterno. Severus la guardò per un attimo e lo seguì. Lei gli restituì lo sguardo e lo guardò andare via.

 

Tonsk risistemò per la terza volta l’elenco dei turni di controllo per Harry. Era un rebus giornaliero incastrare gli impegni di tutti. Per fortuna si era accorta di aver messo Kingsley contemporaneamente in due settori. Ma non riusciva a pensare ad una alternativa. Avrebbe dovuto lasciare scoperto qualcosa. Quando fosse arrivato Arthur glielo avrebbe chiesto. Non era un compito che amava particolarmente, ma essendo costretta a rimanere ferma in quel paesino, era la persona con maggiore tempo a disposizione per poterlo fare.

Dalla cucina arrivava il rumore attutito delle ante che Molly stava aprendo e chiudendo per sistemare la spesa che aveva fatto. Si era basata sulle indicazioni di Tonks ed era arrivata dopo aver già acquistato tutto.

“Tesoro, vuoi del te?” si sentì chiedere dall’amica.

“Sì, Molly. La mia testa sta fumando,” le urlò in risposta.

Pochi minuti dopo Molly la raggiunse con un vassoio, tazzine, te fumante e biscotti. Anche Molly aveva risentito di quel periodo di guerra. Era dimagrita e sempre in ansia per i figli. E anche per Harry.  Dormiva poco e solo quando Arthur le era vicino. E quando non dormiva si preoccupava. Eppure quando c’era bisogno di un po’ di tempo per ascoltare qualcuno o per consolare qualcuno, lei era sempre presente. Ogni volta che vedeva i suoi figli li scrutava per assicurarsi che fossero ancora interi e sani. E tutti loro se la coccolavano e cercavano di darle quanto più tempo potevano. C’era una coalizione silenziosa tra i fratelli Weasley per garantire ad entrambi i genitori almeno un abbraccio di uno di loro ogni giorno. La lontananza di Ron e Ginny veniva parzialmente riscattata da lettere quasi giornaliere.

“Come sta andando la convivenza con Severus?” le chiese ancor prima di sedersi accanto a lei nel divano.

“Oh,” sospirò Tonks prendendo la tazzina in mano e appoggiandosi, stancamente, contro il divano. “Procede, direi. Non molto chiaramente. L’ho anche visto a petto nudo, sai?” le confessò, arrossendo leggermente. Molly sorrise.

“Merlino, Molly! Ho visto un mio professore seminudo! Mi sono vergognata… E poi l’ho accompagnato a prendersi dei vestiti nuovi… e ho scoperto che è pure carino. E comunque ha ucciso Silente!” sbottò alla fine, come per ricordarsi il motivo che li aveva portati lì.

Molly attese in silenzio.

“Credo che abbia sofferto molto, per quello che ha fatto. Mi ha urlato che non dovevo mai provare pietà per lui. E ho pensato che fosse perché ne prova molta per se stesso. Continuo a ripetermi che è colpa sua se Silente non è più con noi, ma poi ripenso a quello che ci ha raccontato, alla freddezza con cui è stato preparato tutto, alle richieste che ci ha fatto Silente stesso. E mi dico che forse è la persona più coraggiosa e coerente che conosca. Beh,” concluse alla fine, sbuffando, “mi ha confusa parecchio!” E iniziò a sorseggiare il te.

“Mi fa così tanta pena, sai?” le confessò Molly. “Oh,” aggiunse dopo lo sguardo meravigliato di Tonks, “l’ho odiato e lo odio per quello che ha accettato di fare, ma penso che tutta la sua vita sia stata un costante dolore. E per questo mi sento triste per lui. Non gli ho mai sentito parlare della famiglia o di una compagna. È sempre stato solo. E questo secondo me lo ha reso ancora più antipatico. E brutto, direi.”

Tonks sorrise. Avrebbe voluto parlare con Molly del desiderio e della repulsione che provava per Snape, ma non era chiaro neppure a lei. Rimase in silenzio, bevendo il te e mangiando biscotti. Fino a quando Molly cominciò a raccontarle delle lettere di Ron e Ginny.

 

Arthur era arrivato, aveva pranzato, aveva chiacchierato ed era tornato al Ministero. Molly era andato via con lui, su insistenza di Tonks, che desiderava lasciarle la possibilità di trascorrere quanto più tempo possibile con il marito.

A lei non era necessario nulla. Si dedicò agli esercizi fisici e a preparare le mappe dell’Inghilterra per Snape, per potersi muovere liberamente, quando se ne fosse andato.

Verso sera uscì per prendere delle verdure per la cena e per acquistare un po’ di lacci per i capelli e qualche altro oggetto per lei. Al rientro si trovò di nuovo sola. Si sistemò in poltrona a leggere, ma non riusciva a concentrarsi. Si chiedeva come mai fosse necessaria ad Harry un’intera giornata per decidere se fidarsi o meno di Snape e sapere cosa Silente gli aveva detto. Era così assorta nei suoi pensieri che trasalì sentendo bussare alla porta. Questa volta guardò prima di aprire.

Snape era sfinito. E gli occhi luccicavano ancora. Entrò in casa senza dire nulla e si tolse il giaccone. Lo allungò, sempre in silenzio, a Tonks che lo sistemò nell’appendiabiti.

“Vado a prenderle la pozione, Professore,” gli propose. “Lei si metta sul divano.”

“Piantala di darmi ordini!” sbottò irritato. “Anche solo consigli, ragazzina!” E se ne andò in salotto, a sedersi sul divano.

In silenzio, cercando di controllare la collera, Tonks prese la pozione che Snape stesso si era preparato e che era rimasta in cucina e gliela portò. Il colloquio con Harry doveva essere stato difficile, a quanto vedeva.

Allungò il braccio verso di lui senza parlare e Snape la afferrò con decisione, quasi strappandogliela dalle mani.

“L’hai avvelenata?” le chiese.

“Non sono cattiva quanto lei,” gli rispose sedendosi in una delle poltrone, senza rivolgergli uno sguardo.

Lui bevve un sorso della pozione e riappoggiò il boccale sul tavolino davanti a lui.

“Bene. Uno smorfiosetto, figlio di un maledetto prepotente, mi ha fatto notare che sono quasi certamente un figlio illegittimo e che mia madre lavorava insieme alle nostre vicine di casa, una ragazzina con il latte alla bocca mi dice che sono peggio di  un orco delle fiabe. Altro?” chiese, retorico appoggiandosi contro lo schienale del divano.

Tonks cominciò a contare per controllare la rabbia.

Severus era sfinito, irritato e spaventato dal futuro. Ma non desiderava ammettere nessuna delle tre cose. Doveva sfogarsi in qualche modo. Era riuscito a dire al piccolo Potter esattamente quello che pensava di lui. Ma il lampo di ammirazione che aveva visto nello sguardo della Granger mentre raccontava i motivi delle sue azioni e lo sguardo attento e partecipe del piccolo di casa Weasley, mentre lo ascoltava, erano ancora più pesanti da sopportare. Lui sapeva cosa fare se gli altri lo odiavano. Solo se lo odiavano. Altrimenti si sentiva impotente, di fronte alle emozioni positive. Il commento finale di Potter, che aveva ammesso di aver imparato da lui più di quanto fosse disposto ad ammettere, lo aveva spiazzato anche di più. Remus era rimasto in silenzio ad ascoltarli e aveva lasciato che il piccolo Potter giungesse da solo alle conclusioni che riteneva più opportune, solo in base alla capacità di Severus di farsi ascoltare e accettare. Ci era riuscito. Più velocemente di quanto avesse mai pensato di poter fare.

Si sentiva indeciso. Avrebbe potuto litigare con Tonks e dare sfogo alla stanchezza, oppure poteva parlarle con lealtà di come si sentiva in quel momento. Non sapeva cosa fare. Chiuse gli occhi.

Tonks lo guardò, sorpresa dal silenzio. Si aspettava un’altra sfuriata. Invece era lì, ad occhi chiusi, sfinito. Scelse la strada della spudorata sincerità.

“Io saprei cosa fare se ci fosse Remus al posto suo, Professore. Ma con lei non riesco a capire come reagirà. Posso avvicinarmi?”

Snape aprì gli occhi immediatamente, stupito. “Fare cosa, Miss Tonks?” le chiese guardingo.

“Farla stare un po’ meglio,” gli rispose con un’alzata di spalle.

Snape accennò ad un sì, tentennante. Forse era tutto più semplice se sceglieva qualcun altro per lui.

Tonks si alzò e lo raggiunse sul divano, sedendosi al suo fianco. Gli mise un braccio attorno alle spalle ossute e lo guidò ad appoggiare la testa contro la sua clavicola.

Snape si irrigidì. Erano anni che non si trovava così vicino al corpo di una donna. Tonks però non fece altro, lasciando la mano appoggiata contro il suo braccio. Con incertezza e molto lentamente Severus si rilassò e fece scivolare le sue braccia vicino alla vita di Tonks, senza abbracciarla, ma quasi a voler trovare una posizione più comoda. Nessuno dei due tentò di parlare, di chiedere o di spiegare. Era una situazione irreale. E continuò ad essere irreale, per tutto il tempo che passarono vicini, senza che nessuno dei due osasse spostarsi.

Lo fece per necessità Tonks, quando il braccio attorno alle spalle di Snape si intorpidì a causa della posizione. Lo scostò leggermente, ma fu sufficiente a Severus per rialzarsi di scatto dal divano.

“No…” sussurrò Tonks.

“Vado a farmi una doccia e poi cucino,” le disse lui, senza guardarla.

“Molly ha già preparato della carne da scaldare,” gli spiegò, ancora a bassa voce.

“Oh, bene. Allora prepara pure la tavola.” Senza guardarla uscì dalla stanza e salì di sopra.

Tonks rimase sul divano, pensierosa. Aveva preso ad esempio Remus perché aveva la stessa età di Snape, ma avrebbe fatto lo stesso con tutti i suoi amici. Però non ne sarebbe rimasta così turbata. Si era lasciato andare contro di lei, senza difese. Era rimasto inerme contro il suo corpo. E la sensazione era piacevole. Aveva un corpo scheletrico e un aspetto arcigno anche visto da così vicino, ma Tonks lo aveva sentito lasciarsi andare con fiducia, dopo i primi momenti di tensione. Quando aveva spostato il braccio era stato anche per non cadere nella tentazione di cominciare ad accarezzarlo. Perché avrebbe voluto farlo. Non poteva proprio nasconderselo.

“Cosa mi sta succedendo?” si chiese ad alta voce, alzandosi per andare in cucina.

Severus non era meno turbato. Mentre l’acqua calda gli scendeva addosso, cercò di non pensare al piacere che aveva provato toccandola. Il piacere di avere qualcuno vicino, qualcuno che si prendeva cura di lui. Il profumo di limone. La mano sul suo braccio che bruciava di calore. Si lasciò scivolare contro il muro e si mise seduto a terra, prendendosi la faccia tra le mani. Non poteva cedere adesso. O forse era meglio adesso di qualsiasi altro momento, dato che sarebbe finito tutto in poche ore. Doveva solo parlare con Minerva. Definire con Remus le modalità per tenersi in contatto. Definire la priorità dei suoi obiettivi. Solo un giorno o due. E poi lo avrebbero lasciato scappare. Anche se Remus era disposto a proteggerlo ancora. L’acqua calda gli bruciava sulla pelle, ma aveva bisogno di sentirsi vivo.

“Cosa stai facendo, Severus?” si chiese ad alta voce.

 

Tonks stava finendo di scaldare la carne preparata da Molly. Aveva già tagliato la verdura e preparato la tavola. Snape arrivò, come il suo solito, in silenzio. Lo sentì spostare la sedia per sedersi. Aveva ancora i capelli umidi e lunghi sulle spalle, il volto arrossato, ma si era finalmente tolto la barba. Era, se possibile, ancora più giovane. Tonks prese un altro dei suoi lacci elastici per i capelli che aveva attorno al polso e glielo porse. Snape lo prese mormorando “Grazie,” e si sistemò i capelli.

“Molly ha preparato lo stufato con le patate,” gli annunciò. “Aveva paura che avessi cucinato io, propinandole solo panini e patatine fritte.”

“L’hai rassicurata che non ti ho fatto toccare i fornelli?” Alzò lo sguardo per fissarla negli occhi. Lei si sentì quasi arrossire.

“Sì, ma non è rimasta sorpresa. Sapeva che lei sa cucinare?”

Snape annuì. “Mi ha visto farlo qualche volta.”

Tonks prese la pentola che fumava e la spostò sul tavolo. Snape la servì per prima e poi passò al proprio piatto. Iniziarono a mangiare con molto gusto.

All’improvviso Tonks si ricordò di quello che aveva portato Arthur e fece apparire in tavola una bottiglia di vino rosso. Snape la guardò con aria interrogativa.

“Regalo di Arthur per lei,” spiegò.

“Però,” commentò contento Snape. E aprì la bottiglia versando da bere ad entrambi.

“Non interferisce con la pozione per la febbre?”

“No, mammina,” la schernì Snape. “Posso anche ubriacarmi, se voglio.”

Tonks gli fece una smorfia. Dopo un attimo di silenzio, Tonks si lasciò andare ad un sorriso.

“Stai pensando a come sarei ubriaco?” le chiese Snape.

“No,” sorrise lei. “Stavo pensando a ieri. Ma davvero sapeva di me e Davidson?” Era un argomento divertente per entrambi. E parecchio distante da quello che era successo prima.

“Sì,” le sorrise lui. “Anche perché nei tuoi compiti di pozioni c’era il suo nome in qualche angolo…”

“Oh Merlino, no!” esclamò lei, mettendosi una mano tra i capelli. “Non l’ho fatto, vero?” chiese con un tono di speranza. Forse stava solo scherzando.

Snape annuì. “Il suo nome e il disegno di un giocatore di Quidditch con dei capelli lunghi. E credo un cuore sulla maglia.”

“Oh Merlino! Oh, che figura!” proruppe Tonks nascondendo la faccia tra le mani.

Snape si appoggiò allo schienale della sedia, guardandola divertito. Era un argomento neutro e divertente.

“Anche Potter è arrossito quando gli ho detto che il nome di Ginny era nel suo ultimo tema. Non lo ricordava neppure lui,” disse per consolarla.

Tonks sbirciò tra le dita. La stava deridendo. Sconsolata appoggiò la testa su una mano e il gomito sul tavolo. “Cosa ne ha pensato, allora?”

“Mi sono chiesto perché ti piacesse un ragazzo con il cervello più piccolo di un Boccino,” affermò. “Credevo ti piacesse più un tipo come Charlie Weasley. Giocatore, ma con una buona capacità di ragionamento.”

“Davidson non è stupido!”

“Infantile?”

“Andiamo, Professore!”

“Leggermente carente in intelligenza?”

“Era un normale adolescente di 16 anni!”

“Hai idea di cosa disegnava nei suoi appunti di pozioni?”

“Cosa? Qualcosa che riguardava me?”

“Qualcosa che dimostrava chiaramente che non aveva idea di come fosse il corpo di una donna!”

“Lei vedeva anche quello?”

“Avevo cassetti e cassetti di pezzi di pergamena sequestrati…”

“Oh, Merlino…” disse nuovamente Tonks, scomparendo dietro le sue mani. “Anche miei?” disse con voce soffocata.

“Non mi ricordo. Però c’era qualcosa di Davidson che scriveva ad un compagno riguardo qualcosa da fare con te in uno stanzino delle scope…”

“COSA?!” sbraitò Tonks, arrossendo vistosamente. In volto e nei capelli.

Snape annuì, serafico. “Lo ha fatto?” le chiese, esageratamente interessato.

“E lei ha fatto qualcosa con Bellatrix?” Tonks si rialzò sulla sedia, fulminandolo con gli occhi.

“Mhm,” annuì Snape, guardandola.

Tonks rimase senza parole. A fissarlo.

“Ma io non ho lasciato appunti. A parte nei ricordi di Bellatrix, immagino. Ma forse neppure in quelli,” disse tra sé e sé.

Tonks lanciò un’occhiata alla bottiglia di vino. Mancava solo il contenuto dei loro bicchieri. Il suo era pieno e quello di Snape vuoto.

“Non sono ubriaco, solo sfinito, Tonks…” Aveva visto dove vagava il suo sguardo. “E mi diverte vederti rimanere senza parole. Non è facile stupirti.”

“Ha fatto qualcosa anche con Narcissa?” gli chiese. “Sa, tanto per approfittare della situazione…”, disse con finta ingenuità, sventolando la mano in aria.

“Miss Tonks, non tirare la corda…”

“Altre donne?”

“Miss Tonks…”

“Colleghe?”

“Tonks…”

“Donne babbane!” Gli puntò un dito contro.

“Tooonks…”

“Vicine di casa?” Tonks inclinò la testa, sorridendo.

Snape sospirò. “Quelle sì,” ammise, prendendosi altro vino.

“Severus!” si lasciò andare Tonks. “Io intendevo…” e indicò l’altro lato della strada.

“Anch’io,” la assicurò Snape. Bevve un sorso di vino. “Beh, non quelle, chiaramente.”

Tonks si lasciò andare contro la sedia, incrociando le braccia. Stravolta. “E lo ammette così?”

“Come dovrei ammetterlo? Piangendo di rimorso?” Ironico.

“No, ma… voglio dire…”

“Fai la stessa domanda a Remus e sappimi dire,” la sollecitò, sicuro di sé.

“Mi sta prendendo in giro,” affermò sicura la ragazza.

“Decidi tu, Miss Tonks,” le disse allargando le braccia e riprendendo a mangiare.

E Tonks rimase incerta su quale potesse essere la verità.

Riprese anche lei a mangiare, imbronciata per essere stata presa in giro e incerta nel decidere se era stata presa in giro. Snape invece appariva sereno e rilassato. Si prese un terzo bicchiere di vino, terminata la cena e un quarto lo portò con sé in salotto, sedendosi nel divano. Erano passate le dieci. Tonks mise in ordine la cucina, sempre in silenzio, meditando su quello che si erano detti. Snape e Bellatrix… chissà se era vero. Come tutto il resto. Era sicura solo degli appunti sui compiti e delle pergamene sequestrate. Davidson si era assicurato uno schiaffo potente in quello stanzino delle scope. E qualsiasi cosa avesse imparato del corpo femminile, non era stato certo grazie al suo.

Raggiunse Snape in salotto. Stava gustandosi il vino, con gli occhi chiusi, un braccio appoggiato sullo schienale del divano. Si era messo nuovamente in pantaloni di lana e un maglione grigio, senza camicia. Si rese conto che aveva solo dei calzini grigi ai piedi. Un’occhiata veloce le fece scoprire le scarpe sotto il tavolino.

“È stata una giornata pesante?” gli chiese, sperando che la serenità della cena fosse sufficiente a d affrontare l’argomento.

“Sì,” si limitò a rispondere, sempre con gli occhi chiusi.

“Harry l’ha ascoltata?”

“Sì.” Sempre con lo stesso tono.

“Anche Ron e Hermione?”

“Sì.”

“Hanno capito cosa ha fatto?”

“Sì.”

“E perché l’ha fatto?”

“Nessuno capisce perché l’ho fatto.”

“Per lealtà, per fiducia. No?” gli chiese lei, ancora in piedi davanti a lui.

Snape aprì gli occhi e la guardò. “Sì, in parte sì. Ma è tutto molto più lungo e complicato di quello che appare.”

“Tutta la sua vita è complicata, Professore,” osservò Tonks, spietatamente.

“Già…” confermò lui, guardando alle sue spalle, un punto nel vuoto.

“Posso sedermi vicino a lei?”

“Ti faccio così paura?” Si sentì a disagio per quella domanda.

“A volte sì. Quando ero sua alunna, molto di più.”

“Siediti, Tonks. Non intendo arrabbiarmi di nuovo senza motivo.” E appoggiò la mano nel divano vicino a sé, per invitarla a farlo. Tonks riuscì a cogliere che le stava chiedendo scusa per come l’aveva aggredita rientrando a casa. Ma il suo risentimento non era scomparso del tutto e decise di non facilitargli oltre la situazione.

“Accetto le sue scuse,” gli disse sedendosi con movimenti sostenuti. O almeno pensò che lo fossero.

Ma Snape aveva di nuovo chiuso gli occhi. “Grazie,” le rispose comunque, confermando la sua sensazione.

“Sembro davvero così cattivo?” le chiese improvvisamente, sempre ad occhi chiusi.

“Sì, le riesce bene,” confermò. Dato che le veniva data la possibilità di essere sincera lo sarebbe stata fino in fondo.

“Cosa mi rende cattivo?”

“Non è mai imparziale, dimostra sempre apertamente le sue preferenze. È insofferente di fronte alle debolezze degli altri. È intransigente di fronte all’incoerenza. È puntiglioso anche quando questo mette in difficoltà le altre persone. Vede solo la perfezione e pretende che tutti la cerchino. Si arrabbia della debolezza degli altri. Non dimostra comprensione ne pietà o possibilità di giustificazione.”

Lo disse con una tale sicurezza e velocità che Snape, aprendo gli occhi, osservò, “Devi averci pensato parecchio…”

“Per tutti i sette anni di scuola, Professore. Io e anche tutti gli altri suoi alunni. Tranne i Serpeverde, naturalmente.” Spietatamente sincera.

Snape prese il bicchiere di vino e lo finì. Poi richiuse gli occhi e ritornò il silenzio.

“Lei cosa pensa di me?” gli chiese Tonks. Non poteva rinunciare a saperlo. Anche se aveva capito che lui la considerava più brava di tanti altri alunni. Si girò a guardarlo, piegando una gamba e infilandola sotto l’altra. Appoggiò il braccio sullo schienale.

Snape non aprì gli occhi.

“Sincerità per sincerità? Ho sempre ammirato il modo in cui hai saputo gestire il tuo metamorfismo. Immagino ci siano state battute e commenti spietati, ma non ci hai mai rinunciato. Sai scegliere quello che vuoi e lo persegui. Questo ti ha resa forte. Sei sincera e sai cogliere le cose essenziali. Sei divertente. E sei diventata una bella ragazza.”

Tonks si sentì arrossire. Lo guardava mentre il cuore martellava in petto cercando di memorizzare perfettamente le sue parole. Lui sembrava del tutto a suo agio, mentre le faceva tutti quei complimenti.

“Riesci a rimanere bella anche con i capelli rosa o il naso da maialino. E quando ti arrabbi.”

Tonks era nella confusione più totale. Le stava facendo un complimento? Ci stava provando? La stava stuzzicando per vedere come reagiva? Era solo ubriaco e parlava senza pensarlo veramente? Rimase a fissarlo, ma lui non si mosse. Doveva almeno provare ad aprire gli occhi. Perché non gli interessava conoscere la sua reazione?

Proprio in quel momento lui aprì gli occhi e la guardò. Tonks sapeva di essere arrossita. Si sentì diventare di fuoco in quel momento. Imbarazzata chinò la testa.

“Ho esagerato?” le chiese, sottovoce.

“Non me l’aspettavo…” si giustificò velocemente lei.

“No, immagino di non averti fatto capire che sei una persona piacevole.”

“Decisamente no. È perché assomiglio a Bellatrix?” gli chiese, fulminata da quella brutta idea. Rialzò la testa e incrociò il suo sguardo.

“Tu?” commentò ironico Snape. “Sei quanto di più diverso da tua zia. Credimi!”

“Fisicamente intendo…”

“Ninphadora, il tuo volto è in grado di esprimere emozioni che non sono alla portata di nessuna delle tue zie. Loro possono essere affascinanti, attraenti. Ma sono troppo cattive per essere belle. Come me, no?” le chiese, ironico. Come se le avesse letto esattamente tutti i pensieri che aveva fatto in quei tre giorni.

Tonks era presa in un turbinio di sensazioni e emozioni. Sentirsi chiamare per nome da lui, sentirmi riconosciuta e ammirata da un uomo tanto più vecchio di lei, sentirsi descrivere come totalmente diversa da due zie che odiava… semplicemente rimase immobile a guardarlo, confusa, sorpresa, felice, orgogliosa.

Snape continuò a guardarla, sorridente. Era una bella ragazza. E lui sarebbe sparito in poche ore. Non sarebbe rimasto poi molto di lui nella vita di Tonks. Poteva permettersi di essere sincero.

“Non credo di poter dire lo stesso di molti altri miei alunni, Tonks.”

“Lo so…” Si morse il labbro inferiore, indecisa su cosa fare.

Snape le lanciò uno sguardo interrogativo.

“Oh, nulla. Mi stavo solo dicendo che dovrei ringraziarla,” inventò Tonks.

“Oh, prego!” le rispose un po’ piccato.

“Non c’entra il vino che ha bevuto, vero?” chiese sospettosa.

“No, Tonks. Sono perfettamente lucido. Barcollante se mi alzo, ma lucido. E domani mi ricorderò di quello che ho detto,” la rassicurò.

“Perché è proprio diverso dal solito, lo sa?”

“Tonks,” si lamentò, gettando la testa nuovamente contro lo schienale del divano e chiudendo gli occhi. “Hai cominciato tu ad essere spietatamente sincera con me. Io mi sono solo adeguato alle tue richieste. Non farmi ricredere sulle tue capacità!”

“Ma lei non è mai gentile!” obiettò Tonks.

“Lo so. Sei stata chiara su questo. Io sono cattivo. Ma a volte non riesco ad esserlo in ogni secondo della mia vita. Ho dei momenti di cedimento anch’io!” sbottò irritato.

Tonks pensò che adesso era di nuovo lui. E voleva tenere con sé l’altro Snape, quello umano, fino a quando le era possibile. Si chinò velocemente su di lui e gli diede un bacio sulla guancia. Snape spalancò gli occhi e la guardò allarmato. Questa volta fu Severus ad arrossire. Cosa diavolo stava facendo quella ragazza? Che barriera voleva infrangere?

Si sfiorò la guancia con una mano come per assicurarsi di quello che era successo.

“Le ho detto che dovevo ringraziarla…” tentò di scherzare lei.

“Accidenti a te, Ninphadora! Non puoi accendere un fuoco e fingere di non averlo fatto!” Aveva lo sguardo pericolosamente furioso. Tonks non riuscì a capire il rimprovero che le faceva e scosse la testa, incredula.

Allora Severus si alzò dal divano e, respirando profondamente, si mise in piedi di fianco al caminetto accesso, una mano appoggiata alla mensola e l’altra stretta a pugno. Come poteva baciarlo e poi scherzarci sopra? Non poteva permettersi di sminuire neppure un piccolo bacio sulla guancia, dopo quello che le aveva detto.

“Vado a letto!” sbottò subito dopo, uscendo dalla stanza senza guardarla.

“Severus!” lo chiamò lei, senza capire quello che era successo. Perché un bacio lo aveva irritato così tanto? E quale fuoco aveva acceso? Rimase seduta sul divano sempre più confusa. Provò a ripensare a quello che si erano detti, ma si era infuriato solo quando gli aveva dato un bacio. Su una guancia. All’improvviso le tornarono in mente le parole di Molly, quella mattina. Sul fatto che Snape era sempre stato solo. E che conosceva solo il dolore. Che stupida, si disse, dando un pugno sul divano. Non poteva pensare che un bacio sulla guancia fosse solo un segno di ringraziamento per lui. E comunque non lo era neppure per lei. Stupida, stupida, stupida. Non aveva voluto giocare con i suoi sentimenti. Invece ci era riuscita.

Scattò in piedi e corse di sopra. Non doveva deluderlo. Facendo le scale due alla volta arrivò davanti alla porta della camera di Snape. Alzò la mano per bussare e di fermò un attimo, incerta. Scuotendo la testa, si scrollò dei dubbi che stavano salendo nella sua testa.

Bussò.

Silenzio.

Bussò di nuovo.

“Vai a letto,” sentì rispondere con tono stanco.

“Professore, per favore, mi lasci capire cosa è successo…, Severus…” gli chiese con un tono il più possibile calmo.

Rimase ad ascoltare il silenzio e poi lo sentì avvicinarsi alla porta. Velocemente si scostò e attese ferma in piedi.

La porta si aprì lentamente, ma completamente.

Era a piedi nudi, senza maglione. La maglietta nera infilata nei pantaloni, i capelli ancora raccolti.

Severus la guardò con gli occhi nuovamente lucidi di febbre.

“Vado a prenderle la pozione…” gli disse preoccupata.

“Sono lucidi per il vino, non ho febbre,” le rispose laconico.

“Oh,” si lasciò sfuggire la ragazza. Indossava i soliti jeans sgualciti, un maglione aderente e coloratissimo. Delle scarpe da ginnastica stranamente nere. E se le stava guardando.

“Cosa vuoi, Miss Tonks?” le chiese stancamente.

“Io… volevo davvero ringraziarla per quello che mi ha detto. Per i complimenti. Con il bacio, intendo. Perché si è irritato?” Alzò lo sguardo verso di lui, curiosa di capire.

“Miss Tonks, non riesco a parlarne adesso. Vai a letto, per favore. Domani…”

“No,” lo interruppe lei. “Non voglio passare la notte a pensare di aver rovinato quel poco di bello che siamo riusciti a dirci.”

Severus sospirò e chiuse gli occhi, appoggiandosi allo stipite. “Non abbiamo rovinato niente, Miss Tonks. Domani possiamo ripartire da oggi, credimi. Ma adesso ho bisogno di dormire, solo di questo.”

“Lo so che non è tutto qui,” si ostinò a dire lei. “Ma va bene, buona notte.” Lo disse con gentilezza, ma Severus sentì la delusione. Mentre chiudeva la porta, si chiese come poteva dirle che era solo un tentativo sgraziato e maldestro di seduzione. E che non era arrabbiato, ma demoralizzato.

 

 

 

Ringrazio ancora per tutte le recensioni che sono arrivate (Piccola Vero, Hotaru_Tomoe, Arabesque,  kloe2004) e per tutti quelli che hanno letto la FF !!

Non dimeticate però che tra i generi è segnato anche "malinconico"... nessuna esagerazione, ma neppure un finale in gloria.

Il prossimo sarà il penultimo capitolo.

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Capitolo 4
*** True relation ***


1.     TRUE RELATION

Quando Snape scese per fare colazione si rese conto di essere solo. Non c’erano rumori in casa. Di Tonks neppure l’ombra.

Controllò in salotto e poi entrò in cucina. Si ricordava esattamente tutto quello che era successo il giorno precedente. Ogni parola. Tonks non gli aveva detto di avere appuntamenti fuori casa. Probabilmente non desiderava parlagli del tutto dopo essere stata cercata e poi rifiutata in quel modo.

Sospirando di frustrazione si guardò attorno e vide, sul tavolo, apparecchiato per la colazione di una persona, anche un pezzo di pergamena.

Riconobbe la scrittura di Tonks, tonda e regolare. Quella che lo faceva ammattire sui compiti, perché sembrava perfetta, ma poi era così rotondeggiante che non si leggeva, perché le lettere erano tutte uguali. Scriveva che sarebbe andata a correre e poi aveva un incontro per l’Ordine. Sarebbe tornata per pranzo. Non l’aveva svegliato perché era molto stanco la sera prima.

Severus accarezzò con il pollice il pezzo di pergamena dove lei aveva firmato. Miss Tonks.

Sospirando di nuovo si preparò il caffé. Aveva tempo per pensare, a quanto sembrava. Per pensare se e come riprovarci con Tonks. E anche tempo per evitarla, perché era possibile anche questa scelta. Avrebbe potuto vedere Minerva nel pomeriggio.

Mangiando distrattamente un panino dolce che era sulla tavola, cercò di focalizzare l’attenzione su quello che doveva fare per l’Ordine e non su quello che avrebbe voluto fare con Tonks.

Minerva. Doveva parlare con lei. E doveva chiederle quando potevano vedersi. Poi doveva accordarsi con Remus. E doveva chiedergli quando potevano vedersi. Dunque, se c’era una riunione dell’Ordine erano tutti lì. Prima di sedersi a colazione prese due pezzi di pergamena e scrisse ad entrambi, chiedendo di poter parlare con loro e per quale motivo. Non si firmò. Sarebbe stato sufficiente il Patronus.

Aspettò le risposte in salotto, controllando le piantine dell’Inghilterra che gli aveva preparato Tonks e progettando dei percorsi ben precisi. Era di nuovo senza laccio per i capelli. Si guardò attorno, ma non c’era nulla che potesse sostituirlo. Passò in cucina e trovò dello spago. Usò quello in attesa di Tonks e di uno dei suoi aggeggini elastici. La tensione e la preoccupazione di riuscire a completare tutto quello che doveva fare, lo aiutarono a concentrarsi sulle mappe, ricacciando il volto di Tonks in fondo alla sua mente ogni volta che si presentava.

Quando rialzò lo sguardo dalle mappe fu perché avevano bussato alla porta. Sobbalzò per la sorpresa. Guardando dalla finestra vide Tonks vicino a Minerva. Aveva i capelli color arancio e secondo lui non era un bel segnale. E li aveva abbinati ad un maglione viola su jeans blu. Terribile. Osservò la luce del sole e capì che dovevano essere passate delle ore. E si rese conto che non aveva ricevuto risposte. Con la bacchetta salda in mano andò alla porta.

Dopo la sua richiesta, la voce di Minerva pronunciò la parola d’ordine e solo allora aprì, mettendo via l’arma. Minerva e Remus erano davanti alla porta e dietro c’era Tonks. Che guardava verso la strada.

“Ciao Minerva, ciao Remus,” li salutò, lasciandoli entrare. Tonks gli fece un cenno con la testa, guardandolo di sfuggita. Salì verso le camere. Snape la seguì con lo sguardo, perplesso.

“Ho detto durante la riunione che avrei concordato con te quando te ne saresti andato,” gli disse Remus, che aveva seguito i loro sguardi. “Qualcuno ha commentato che era giusto lasciarti andare dai Mangiamorte e Tonks si è arrabbiata.”

“Cosa ha detto?” Snape socchiuse gli occhi in attesa della risposta.

“Ha sbattuto un libro sul tavolo. E ha detto che stavi facendo parecchio per l’Ordine e che lasciarti andare a morire non le sembrava poi così corretto.” Remus gli sorrise. “E stranamente anche Harry era d’accordo.”

“Potter?” chiese sorpreso Snape. “C’era anche lui?”

“Già. Ti ha definito in modo molto poco gentili, ma ha riconosciuto la tua utilità per questa guerra.”

Snape prese la sua migliore espressione altezzosa e gli fece cenno di entrare in salotto, dove Minerva era già impegnata ad osservare i segni sulle mappe che lui aveva tracciato.

“Sei incosciente, Severus. Pericolosamente incosciente,” lo sgridò, minacciandolo con un dito. “Hai segnato i posti più pericolosi, qui sopra.”

“Lo so, Minerva. È il mio lavoro, quello,” le rispose, sicuro di sé.

“Non è il tuo lavoro, è la tua scelta. Potresti anche fare altro.”

“Adesso che non ho più debiti da ripagare e patti da rispettare posso fare quello che voglio.” Era un tono che non ammetteva commenti.

“Abbiamo ricevuto il Patronus,” si intromise Remus, mentre i due si guardavano malamente. “E ci siamo invitati a pranzo. Girano voci che cucini bene…” E gli fece cenno di entrare in cucina.

Snape lo assecondò, mettendosi ai fornelli. Aveva fame sempre più spesso da quando aveva ripreso a mangiare regolarmente. Si mise a preparare le verdure e del pollo lasciato da Molly.

Intanto cominciò a parlare e discutere con Minerva. E continuò a farlo fino a quando non scese nuovamente Tonks. Si era messa una tuta da ginnastica nera, senza scritte, tranne una luna e qualche stella d’argento sulla maglia. I capelli erano diventati color limone.

Era arrivata in un momento di pausa e non fu necessario fingere di cambiare argomento.

“Hai ancora qualcosa per i capelli?” le chiese Snape, prima ancora che varcasse la soglia.

Tonks si staccò un altro dei suoi laccetti e glielo passò, tenendolo tra pollice e indice. Snape lo prese, facendo attenzione a non toccarla e lo infilò al polso, come faceva lei. “Grazie. Finisco di cucinare e lo metto. Comunque farei qualcosa anche per i tuoi,” le disse.

Tonks sobbalzò. “Nessuno le ha chiesto nulla!” sbuffò e, sdegnata, cominciò a prendere il necessario per preparare la tavola.

“Mangiamo in salotto, qui stiamo stretti, va bene?” disse genericamente ai presenti.

“Sì, togli pure le mappe e mettile sul tavolino a fianco del caminetto,” le rispose Severus, guardando i fornelli.

“Ah, ah,” si limitò a canticchiare lei, cominciando a farlo.

“Arthur ha portato altro vino?” le chiese Snape dopo un po’, alzando la voce per farsi sentire.

“Nel ripiano vicino alle spezie. Credo ci sia un’altra bottiglia.” Rientrando per prendere i bicchieri gli indicò il punto dove cercare.

Snape la trovò subito e se ne servì per cuocere la carne.

Remus e Minerva li guardarono muoversi in casa percependo la tensione che c’era tra loro. Minerva cercò lo sguardo di Remus che però era stupito. Non gli era stato detto nulla di particolare.

Parlarono di cose superficiali anche durante il pranzo.

“Cucini davvero bene, Severus,” si complimentò Minerva a fine pasto.

“Grazie,” le sorrise lui.

“Hai deciso quando partire, Severus?” gli chiese Remus. Dovevano pur affrontare l’argomento.

“Probabilmente domani,” gli disse, evitando di guardare Tonks. Perché la sentiva spalancare gli occhi per la sorpresa e arrabbiarsi per non essere stata avvisata prima.

“Così presto?” chiese, involontariamente anche per Tonks, Minerva. “Dovresti aspettare l’evolversi della situazione e entrare in gioco nel momento cruciale, non adesso che stiamo qui a guardarci in attesa.”

“E dovrebbe curarsi un po’ meglio,” aggiunse determinata Tonks.

“Hai ancora febbre?” si preoccupò Remus.

“Ieri è stata una giornata dura, Remus. E ancora non sono in forma perfetta. Come mi hai visto ieri,” confermò Severus.

“Dovresti curarti prima di partire,” suggerì anche Remus.

“Hai preso la tua pozione, oggi?” gli chiese retorico Severus.

Remus sorrise, colpevole, e non replicò.

Mentre Tonsk sparecchiava, Remus e Severus tentarono di trovare un accordo per definire come rimanere in contatto, ma Remus era troppo impegnato con altri incontri per poterlo fare quel giorno e rinviarono alla mattina successiva.

Poi si salutarono. Minerva lo abbracciò a lungo, sapendo che quasi certamente non lo avrebbe rivisto. Tonks e Remus rimasero in disparte.

“Vorrei poterti vedere nuovamente, Severus,” gli disse stringendogli le spalle.

“Non credo, Minerva,” le sorrise tristemente.

“Se dovesse servirti un rifugio, anche al di fuori dell’Ordine, dimmelo e lo avrai.”

“Non posso tornare a Hogwarts. Non ce la farei,” le rispose scuotendo la testa deciso.

“Fuori dai soliti posti, Severus. Ricordatelo.” Lo abbracciò nuovamente.

“Grazie, Minerva,” le sussurrò prima di lasciarla andare.

“Ci vediamo domani,” lo salutò Remus con una mano sulla spalla. “Non avete tempo, usa al meglio quello che c’è,” sussurrò con un piccolo cenno a Tonks.

Severus rimase impassibile. E poi richiuse la porta alle loro spalle. Quando si girò, Tonks non era più in vista.

Seguì il rumore dei piatti sbattuti sul lavello e la trovò impegnata a lavarli con il sapone e lo straccio. La guardò di stucco.

“Lavi i piatti come i babbani?”

“Faccio quello che mi serve a sentirmi meglio!” gli rispose, scontrosa.

“Lavare i piatti ti fa sentire meglio?” le chiese ironico e sorpreso insieme.

“Sicuramente fa sentire meglio lei, perché evito di tirarglieli addosso dopo aver faticato per pulirli,” gli urlò, girandosi verso di lui con un piatto insaponato in mano, che sgocciolava sul tappeto ai suoi piedi. I capelli divennero rossi.

“Metti giù tutto e vieni in salotto a parlare,” le ordinò.

“Pezzo di…” iniziò lei.

“Tonks!” le urlò lui, soverchiando la sua voce. “Piantala e vieni a parlare!”

Tonks lo guardò, tremante di rabbia. “Ieri sera non potevo parlarti perchè non volevi e adesso devo parlarti perché tu lo vuoi?” gli chiese alzando progressivamente la voce, fino ad urlargli anche lei in faccia.

“Sì!” esclamò immediatamente lui, senza esitare. “Esattamente così.” Aveva un’aria di sfida, come se le chiedesse di provare a disobbedirgli. I capelli erano ancora ben sistemati dal laccio improvvisato che aveva trovato, il volto era carico di rabbia e di frustrazione. La guardava come se lei fosse responsabile di quella situazione, come se fosse lei la persona che si era comportata da pazza la sera precedente.

Tonks gli lanciò contro un piatto e Severus lo fece scomparire quando era a pochi centimetri dalla sua faccia. Non si aspettava una reazione di questo tipo, da lei. La fissò, meravigliato e arrabbiato. Era una delle poche persone che riusciva a farlo impazzire. Di rabbia e di desiderio.

“Ci sta già pensando qualcun altro a questo,” le intimò.

Per tutta risposta, Tonks lasciò andare lo straccio, mormorò un incantesimo che fece riprendere il lavaggio delle stoviglie e gli passo accanto, andando a sedersi nel divano davanti al camino. Si chiuse come un piccolo riccio, incrociando braccia e le gambe. Però lo guardò negli occhi, mentre attraversava il salotto e si sedeva accanto a lei. Anche il fatto che si ritraesse nell’angolo del divano proprio in quel momento, era un segno evidente della sua ira.

“Miss Tonks, non voglio litigare,” le disse immediatamente Severus con tono calmo.

“Io vorrei strozzarla,” gli rispose sinceramente la ragazza.

“Non capisco da dove nasce questa ostilità, Miss Tonks.” Snape scosse la testa.

Lei lo guardò con ironia, come se si sentisse presa in giro.

Bussarono alla porta.

Entrambi sobbalzarono. Si guardarono, allarmati. Rimasero immobili per pochi secondi, poi si alzarono contemporaneamente, vicini, estraendo le bacchette.

“Aspetti qualcuno?” chiese Snape, avvicinandosi alla finestra.

“No, e tu?” chiese Tonks, precedendolo con una piccola corsa.

All’ingresso c’era Remus Lupin.

Lo fissarono increduli. Era uscito qualche minuto prima. Remus era immobile all’ingresso e si teneva ben chiuso nel cappotto, il solito vecchio cappotto che usava da anni. Gli cadeva addosso, sformato e rovinato. Le mani, nude, stringevano il colletto, come a cercare un po’ di calore e lui vi infilò il mento, incassando leggermente la testa.

Tonks sentì Snape irrigidirsi dietro di lei. Le passò un braccio attorno alla vita e la tolse dalla finestra con un movimento veloce, girandola verso di sé. Tonks si chiese, in un millesimo di secondo, perché il contatto con quell’uomo la faceva sentire così tesa. Ma l’attenzione andò subito al volto di Snape, tirato e preoccupato.

“Non è Remus…” disse, ansante, scuotendo la testa. “Quello non è un movimento di Remus…” La guardava negli occhi, cercando di vedere se comprendeva quello che stava dicendo.

“Neppure quello è il cappotto di Remus. L’ha rotto un mese fa, tra i rovi di un roseto, da Harry…” Tonks lo disse in un sussurro di paura.

Avevano entrambi capito di essere in pericolo.

“Chiunque sia non vede Remus da un mese.” Iniziò Snape a ragionare a voce alta.

“E non sa che è appena stato qui.”

“E quindi non lo controlla direttamente, ma ha avuto delle informazioni recenti su di lui.”

“Ma se che qui c’è qualcuno…” sottolineò Snape. “E io sono con voi da meno di una settimana…” Spalancò gli occhi, con aria interrogativa, come a chiederle se era questo il motivo dell’arrivo di quello sconosciuto.

“Ehi, c’è qualcuno in casa?” sentirono chiamare.

Sussultarono.

“Hai detto che non era un movimento di Remus… di chi è?” chiese Tonks, mettendogli una mano sul braccio.

“Un Mangiamorte, qualcuno che fa sempre quel gesto…,” disse, seccamente, Snape. Era concentrato nel cercare di pensare a come agire. Tonks lo capì e gli strinse il braccio.

“Tu non ti muovi. E soprattutto non apri la porta. Servi ancora qui e vivo!” Lo guardò negli occhi, determinata.

“Dobbiamo sapere cosa sa e cosa cerca, Tonks…” ribatté Snape, parlando tra i denti. “Adesso!”

“Bene. Sono io quella brava a cambiare aspetto, non tu. Avvisa Remus e coprimi le spalle, non fare follie Severus…” E se ne andò alla porta, lasciandolo in salotto, con il suono del suo nome che gli accarezzava le orecchie.

Snape preparò veloce un messaggio e inviò il Patronus a Remus. Era fondamentale avere aiuto e, se ci riuscivano, lasciare che qualcuno seguisse quell’uomo, chiunque fosse e ovunque fosse diretto.

“Salve, tesoro!” sentì dire a Tonks. O almeno immaginò che fosse Tonks, perché la voce era più squillante e l’accento decisamente popolano.

Chiedendosi cosa avesse pensato di fare quell’impudente ragazzina, si spostò sulla porta del salotto, lanciò il Patronus verso il retro della casa, e guardò verso l’ingresso, attraverso un vaso di fiori secchi che Molly aveva sistemato lungo la parete. Almeno sarebbe potuto intervenire in aiuto, se veniva attaccata.

Spalancò gli occhi. Quella era Tonks?

Alla porta, appoggiata allo stipite, c’era una donna, formosa, con lunghi capelli biondi, decisamente tinti, raccolti con una strana pinza in cima alla testa, anche se parecchi erano sfuggiti dal gancio e ricadevano sulla schiena e le spalle. Indossava una mogliettina aderente, bianca e trasparente, attraverso la quale persino lui riusciva a vedere l’ombra del reggiseno nero. Da quando Tonks aveva tutto quel seno? Per non parlare delle gambe che spuntavano da un paio di shorts lunghi fino al ginocchio e aderenti, tanto da lasciar vedere il segno degli slip. Era a piedi nudi. Un piede appoggiato alla parete e le braccia conserte, che facevano risaltare ancora di più la scollatura. Poteva vederne il profilo, illuminato dal sole invernale che cominciava a calare. Era più vecchia di Tonks. Di una decina d’anni. Appariscente.

Remus, o chi per lui, era decisamente a bocca aperta.

“Ciao, tesoro!” disse nuovamente Tonks. “Cerchi qualcuno?”

“Sa…salve,” riuscì a balbettare, sempre tenendosi le mani sul colletto.

“Sa…salve anche a te,” gli sorrise Tonks, con un tono leggermente derisorio. “Cerchi me?”

“Io… veramente cerco un uomo e una donna…”

“Oh, tesoro!” Tonks scosse la testa, con aria di scusa. “Mi spiace, ma solo le mie colleghe nell’altra casa, accettano di farlo in tre…” E gli indicò con un dito, le case di fronte.  “Avevi già un appuntamento?” chiese con sollecitudine.

Mentre Remus, o chi per lui, apriva ancora di più la bocca, incredulo, Snape si mise una mano davanti alla faccia, decisamente scioccato. Lentamente, in silenzio, si fece scivolare a terra, in salotto. Era la cosa più assurda, stupida, pericolosa e geniale che quella ragazzina potesse inventare. L’avrebbe abbracciata se non ci fosse stato quell’impellente desiderio di strozzarla.

Era una situazione plausibile, visto che c’era davvero una casa di appuntamenti dall’altro lato della zona. Era plausibile per l’abbigliamento esagerato di Tonks. Era plausibile per mettere in difficoltà quell’uomo. Era plausibile per cominciare una conversazione. Ma l’avrebbe strozzata lo stesso. Era plausibile anche come mezzo per ottenere qualche informazione. Sospirando, riprese la posizione di controllo da dietro quella cosa indefinibile che aveva preparato Molly.

Remus, o chi per lui, era chiaramente senza parole. Tonks lo guardava in attesa.

“Veramente…” iniziò a dire. Poi si fermò e si schiarì la voce. “Veramente non cerco un uomo e una donna per… quello, ma un uomo e una donna che dovrebbero stare insieme qui. Vorrei vederli…” spiegò.

“Oh, scusami,” sorrise Tonks, facendo un movimento con la mano che a Snape ricordò molto quello di una perfetta smorfiosa, “per guardare solo allora puoi anche stare qui..., sempre che il cliente che ho ora sia disposto a farsi guardare da un altro uomo…” aggiunse con tono perplesso.

Remus, o chi per lui, arrossì. Snape trattenne una risata. “Credo che però sia un tipo, sai…” disse muovendo le mani in aria, “quelli che vogliono fare solo a modo loro. Un dannato egoista!” concluse facendogli l’occhiolino. Snape divenne all’improvviso molto serio e nuovamente pronto a strozzarla.

“No, senti,” disse Remus, o chi per lui, raddrizzandosi eretto e mettendo le mani davanti a Tonks. “Non ci siamo capiti. Io cerco una coppia che dovrebbe abitare qui. La donna è parecchio più giovane dell’uomo. Lui è molto stanco e debole. Lei è una strana.”

“Strana come?” chiese Tonks curiosa.

Snape sentì uno schiocco alle sue spalle e si girò, bacchetta alla mano.

Remus, il vero Remus, era alle sue spalle.

“Parola d’ordine,” gli sussurrò, puntandogli la bacchetta sullo sterno.

Remus rispose correttamente.

“C’è un uomo alla porta, che ha le tue sembianze e cerca un uomo stanco e debole e una donna molto più giovane, strana,” gli disse Snape, velocemente.

Remus spalancò gli occhi preoccupato.

“Tonks è alla porta. Sta cercando di trovare informazioni… almeno credo. Puoi guardare se ti sporgi leggermente dalla porta.” Snape gli fece segno di passargli a fianco.

Remus strisciò fino allo stipite e guardò in corridoio. Per prima cosa vide se stesso. Era decisamente se stesso. Spaventosamente uguale a lui. La sensazione era quella di guardarsi allo specchio. Senza avere uno specchio. Destabilizzava. Si chiese come potevano aver avuto qualcosa di suo per la Pozione Polisucco. Poi vide la donna che stava ascoltando quell’uomo e si ritrasse verso Snape, girandosi a guardarlo, con un sorriso di imbarazzo e stupore.

“Tonks?!” disse, senza fare uscire alcun suono, ma con uno smorfia esagerata di stupore in volto.

Snape scosse la testa, come a dirgli di lasciar perdere ogni possibile commento. “Da un movimento credo sia Avery…” ipotizzò Snape, a fior di labbra. Remus fece un cenno di assenso.

“Ha bisogno di aiuto?” chiese Remus indicando genericamente verso Tonks.

Snape negò con la testa. “Sta facendo un gran lavoro, credimi…” sbottò irritato. Poi rabbrividì.

Rimasero accovacciati sul pavimento ad ascoltare. Due uomini di quarant’anni che spiavano una ragazzina di neppure trenta impegnata a circuire un uomo sconosciuto. Snape si sentì un pervertito.

“... da quasi tre settimane non vedo nessuno qui. C’è stata una coppia,” sentirono dire a Tonks, “ma per pochi giorni. E comunque lui era proprio vecchio e decrepito. Più suo nonno che suo padre, credimi.”

Snape sospirò. Remus ridacchiò senza fare rumore.

“Senti, bellezza,” disse poi Remus, o chi per lui, cambiando decisamente tono. “Ma il tuo appuntamento ci mette poi molto?” le chiese.

Snape si alzò immediatamente in piedi, portandosi vicino allo stipite. Non era quello l’obiettivo della conversazione. Remus lo imitò, preoccupato che potesse fare gesti avventati.

“Oh, sai è di quelli che vuole tutto e subito. Ma sono con lui per parecchio ancora, qualche ora. Poi…” e lasciò la frase in sospeso. “Tu sei qui domani, tesoro? Credo di non avere troppi appuntamenti” gli chiese, invitante.

“No, bellezza. Sarò parecchio impegnato per qualche giorno… ma posso tornare…” gli propose.

Snape strinse la mani a pugno lungo i fianchi. Remus era alle sue spalle, sempre ridendo. Aveva molta più fiducia di lui nelle abilità di Tonks nel far parlare la gente.

“Sai, per rendere le cose più semplici, prendiamo appuntamento…” gli disse per avere un’idea del periodo del quale stava parlando.

“Non prima di…” si fermò un attimo, “di quattro giorni, direi. Un viaggio veloce in Sussex e poi sono qui.”

“Bene,” concluse Tonks. “Però quando torni devi rivolgerti alla casa dall’altra parte della strada, la casa rossa…” E gliela indicò. “Chi comanda sta lì…” gli disse sorridendo. “Come le mie colleghe…” aggiunse.

“Tutte come te?” chiese.

“Come ci vuoi tu, tesoro… Bello il Sussex. Lavoro o divertimento?” gli disse lei facendogli l’occhiolino. All’improvviso fu attratta da un gatto nero che balzò dalla siepe e le si avvicinò, strusciandosi contro le sue gambe.

“Ciao, cucciolo,” disse prendendolo in braccio e accarezzandolo. “Bentornato…” aggiunse guardandolo negli occhi.

“Lavoro, tesoro. Solo lavoro. Devo cercare un tizio, quello che pensavo fosse qui, e portarlo dal mio capo. Bene, bellezza… grazie per le informazioni!” le disse Remus, o chi per lui, salutandola sbrigativamente. Poco prima sembrava sul punto di sporgersi verso di lei per baciarla, ma l’arrivo del gatto doveva avergli fatto cambiare idea.

“Ciao, tesoro,” gli disse Tonks salutandolo con la mano e tenendo ben stretto a sé il gatto. “Ci rivedremo…”

Remus, o chi per lui, si incamminò lungo la strada. Con un balzo il gatto scese dalle braccia di Tonks e seguì Remus, o chi per lui.

Tonks rientrò velocemente e chiuse la porta alle sua spalle, con un sospiro. Senza emettere alcun suono, ritornò al suo aspetto normale, in modo quasi indolore. Quando era costretta ad agire velocemente, le era più difficile poi ritornare alle sue sembianze. Per alcuni secondi si sentiva sempre un po’ confusa. In questo caso la tensione e l’ansia di trovarsi da sola davanti ad un Mangiamorte con il compito di non farsi scoprire e di farlo parlare aveva reso la situazione ancora più difficile. Scosse la testa, come a volersi liberare la mente dalla nebbia provocata dall’Incantesimo e per farlo chiuse un attimo gli occhi. Quando li riaprì si ritrovò di fronte Snape e dietro a lui, Remus.

La prima cosa che notò era la somiglianza tra i due. Avevano all’incirca la stessa età, la stessa espressione preoccupata, con i capelli spettinati e gli abiti spiegazzati. Comprese immediatamente che si trattava realmente di Remus, dallo sguardo, nonostante tutto, ironico con il quale la guardava. Come aveva capito di avere in braccio Minerva poco prima. Ma sentì che stava per perdere l’equilibrio e allungò una mano verso la parete, per contrastare la sensazione e trovare un punto d’appoggio. Solo qualche secondo e sarebbe ritornata pienamente in possesso delle sue abilità.

Si sentì invece sorreggere da due mani che la presero alla vita e la attirarono verso un corpo longilineo e magro. Era caldo. Si appoggiò senza pensarci, grata che qualcuno avesse cura di lei. Pochi secondi e si scostò, raddrizzando le spalle e guardando Remus, ancora vicino alla porta del salotto e poi Snape, che svettava sopra di lei.

“Tutto bene?” Sembrava veramente preoccupato, si disse Tonks.

“Sì,” rispose con voce sicura, allontanandosi ancora di più da lui. “Ho sempre qualche difficoltà quando devo agire d’improvviso. Ciao Remus. Sei tu, vero?”

Remus le sorrise. “Severus ha già controllato. Buon lavoro, Tonks.”

“Ho saputo molto poco, Remus. Il Sussex per qualche giorno è una stupidaggine. Chi deve prendere credo sia lui,” e indicò Snape “… e perché, per portarlo da Tu-Sai-Chi.”

“Hai dato tempo a Minerva e a Molly di prepararsi e seguire quell’uomo. E dopo Molly arriveranno gli altri che Charlie sta organizzando. Sei stata all’altezza, credimi. Lo ha detto anche Severus. E non hai lasciano tracce in questa casa.”

“Ma ho lasciato che pensasse di poter tornare in quella di fronte e chiedere di me…” sospirò, lasciandosi sfuggire l’osservazione su Snape. “Cosa possiamo fare?”

“Tra qualche giorno nessuno sarà qui e se scoprirà di essere stato ingannato saranno problemi solo suoi, Tonks,” le rispose, pratico e deciso, Remus. “Tu sarai già in qualche altro posto.”

Questo, pensò Tonks, è il mio peggior pensiero. Comunque annuì al suo capo.

Remus li salutò, Smaterializzandosi nuovamente da qualche altra parte del Mondo Magico.

Severus si girò verso Tonks, con un’espressione sfinita in volto. Gli occhi erano nuovamente luccicanti e sembrava avere anche un po’ di brividi.

“Professore, lei ha di nuovo la febbre! Vada a distendersi in salotto, le porto la Pozione.” Ogni altro problema finiva in secondo piano.

“No, Miss Tonks,” la bloccò afferrandole il braccio. “Lasciami andare in camera a prepararne dell’altra e poi dormirò un po’,” le disse stancamente.

“Ha finito la Pozione?”

Lui annuì impercettibilmente.

“La preparo io,” si propose Tonks. “Mi dia ingredienti e procedura e se ne vada a letto,” gli intimò.

Snape si sentiva troppo stanco per replicare e si avviò verso le scale. Dopo pochi minuti Tonks vide apparire sul tavolino un foglio di pergamena con gli ingredienti e le modalità per legarli insieme.

Si mise all’opera velocemente e in meno di mezz’ora aveva completato tutto. Ne versò un poca in una boccetta e la portò al piano superiore. Provò a chiamarlo, ma da dietro la stanza chiusa non veniva alcun suono.

Si avvicinò alla porta, cercando di capire se qualcuno dall’altra parte stava russando. Ma non sentì nessun rumore sospetto. Appoggiò la mano sulla maniglia e la spinse verso il basso.

Aprì la porta, ma si trovò davanti solo il buio. Il fascio di luce che entrava dal pianerottolo nel quale si trovava Tonks, lasciava vedere i soliti mobili e spazi curatissimi. Snape era a letto, la faccia rivolto verso il muro, difficile da vedere. Si notava solo il lungo naso. Tonks lo chiamò per due volte. Snape rispose con un grugnito, senza spostarsi. Indossava un pigiama blu, seminascosto dalle coperte. Tonks insistette ancora, chiamandolo, fino a quando, Severus aprì gli occhi, girandosi verso di lei. I capelli, sciolti, gli coprivano in parte il viso, dandogli un aspetto pericoloso e sciatto. Senza parlare Severus la guardò, con gli occhi socchiusi, si appoggiò sui gomiti e si mise seduto sul letto. Allungò una mano e prese la boccetta dalle mani di Tonks, bevendo un lungo sorso della pozione.

“Troppo dolce…” sbiascicò con voce roca.

“Per aiutarla a diventare un po’ più carino con me,” scherzò Tonks, sottovoce.

“Sciocca ragazzina,” le disse stendendosi nuovamente e tendendole la boccetta con mano tremante. Tonks la afferrò prima che cadesse e la mise al sicuro sopra il comodino.

“Dormi, Professore e sogna qualcosa di piacevole…” gli sussurrò, dolce, alzandosi in piedi.

“Essere al posto di Davidson…” rispose Snape.

Tonks di fermò in piedi a guardarlo. Non era il tono di voce di una persona che si sta riaddormentando, decisamente no. Sapeva quello che stava dicendo, non delirava.

“Non avrei nulla in contrario, adesso…” rispose, sentendosi particolarmente sicura di sé e disposta al gioco. Adesso aveva cominciato lui a giocare, lei stava rispondendo. Uscì dalla stanza.

 

Mezz’ora dopo era seduta sulla poltrona in salotto, intenta a guardare il fuoco. Aveva passato tutto il tempo a ripensare alle parole di Snape, ad immaginare il seguito, a rimproverarsi per aver osato desiderare un traditore e omicida, a rassicurarsi che era un fedele seguace di Silente costretto alle azioni che aveva intrapreso. E aspettava che lui scendesse.

Non lo sentì entrare nella stanza. Era abile in questo. Si accorse dell’ombra proiettata sul tappeto davanti a sé e alzò la testa per guardarlo.

“Meglio?” gli chiese, prima di ritrovarsi a balbettare qualche insulso commento su quello che si erano detti.

“Molto,” le rispose. “Era una pozione ben fatta, Miss Tonks. Facile a dire il vero,” e si mise a sedere nel divano davanti al fuoco, allungando le gambe alle fiamme. Si era rivestito con pantaloni e maglione e aveva legato i capelli. La barba era nuovamente visibile.

Rimasero in silenzio per un po’, senza sapere cosa dirsi. Dovevano cominciare dal litigio non terminato, oppure dallo scambio di battute fatte in camera di Severus?

Erano seduti vicini. E non si guardavano.

Severus si disse che comunque era destinato a perdere quella ragazza. Era destinato a morire senza di lei. Ma poteva tentare di avere un ricordo piacevole da portare con sé. Non riuscì a pensare ad altro prima che le parole gli uscissero di bocca.

“Davidson ha fatto la prima mossa?” le chiese, rompendo il silenzio che si era creato. Ma senza guardarla.

Tonks aprì leggermente la bocca sorpresa. Ma cosa poteva aspettarsi da lui, se non la solita arrogante pretesa di avere delle risposte a domande che mettevano in difficoltà?

“Ci siamo ritrovati alla fine di un allenamento. Ho fatto in modo di essere da sola con lui nell’ingresso del campo da Quidditch. E lui ne ha approfittato,” raccontò semplicemente, guardandolo.

“Sciocco ragazzino.” commentò secco Snape. “Ha sprecato una buona occasione per imparare il gusto dell’attesa…”

“Avevamo sedici anni, Professore. Eravamo adolescenti alle prime armi…” minimizzò Tonks.

“Già.” Fece un sospiro e la guardò.

Silenzio.

“Miss Tonks…” le disse, con voce roca.

Tonks si girò verso di lui e lo fissò negli occhi. Non riusciva però a capire a cosa stesse pensando. Si ritrovò a sbattere gli occhi per la tensione.

“Cosa…” iniziò a sussurrare.

“Non fare domande…” la bloccò alzando leggermente una mano. “Vieni qui e siediti sulle mie ginocchia, Ninphadora.”

Forse era un mago capace di lanciare degli Imperius usando solo la voce, si disse immediatamente Tonks. Quella voce era così sensuale… Si alzò in piedi e lentamente si mise a sedere sulle ginocchia di Snape, la schiena dritta per la tensione, per l’eccitazione. Sapeva esattamente come sarebbe finita la serata e cosa l’aspettava il giorno dopo.

Snape le accarezzò la schiena, guardando il volto della donna rivolto vero di lui, guardando il respiro sollevare e abbassare il seno, le gambe appoggiate sulle sue. Continuò ad accarezzarla fino a quando non la sentì rilassarsi leggermente.

“Lasciati andare, Miss Tonks,” le sussurrò all’orecchio e lentamente la fece scivolare sul divano, abbracciandola e sostenendola con un braccio fino a farla distendere, mentre a sua volta scivolava via da sotto le sue gambe e le si stendeva sopra. Tonks lo guardò con gli occhi spalancati, di desiderio e timore. Lui la accarezzò, lentamente, sulla faccia e poi lasciò scendere una mano, facendola sobbalzare, portandola a mordersi le labbra.

“No, Ninphadora, no,” le sussurrò, senza voce. “Questo…” e la baciò sulle labbra.

Lei assecondò ogni movimento delle sue labbra, lo seguì e lo cercò. Nessuno dei due tentò di approfondire. Non sarebbe stato un vero primo bacio, come nei loro desideri. Perché avevano lo stesso desiderio.

Snape si sollevò leggermente per guardarla. “Cosa vuoi, Ninphadora? Cosa preferisci da me?” le chiese, la bocca a pochi centimetri dalla sua.

“La tua voce… le tue mani…” gli chiese. E poi realizzò che le aveva chiesto qualcosa per lei, qualcosa che le facesse piacere.

Cominciò ad accarezzarla, il tocco leggero della punta delle dita, alternato alla forza della sua mano, sussurrando proposte che fecero arrossire i capelli di Tonks. Non se lo aspettava così diretto, esplicito. E soprattutto così abile con una donna. Si ritrovò a lasciarli mettere le mani ovunque e a tentare di mettergli le mani addosso ovunque. Il corpo inarcato alla ricerca delle sue mani. E della sua bocca.

Era bravo, eccitante e sfuggente. Conosceva il corpo di una donna e lo avvicinava con lo stesso rigore che metteva nelle pozioni. Ogni elemento importate curato con attenzione maniacale. Tonks sapeva di essere molto più scomposta e disorganizzata. Ma a lui sembrava piacere. Ansimava quanto lei e si lasciava andare a parecchi apprezzamenti sul suo modo di toccarlo. Poi all’improvviso si fermò, prendendole il mento in una mano e forzandola ad alzare il volto verso di lui.

“Vuoi giocare un po’ tu, adesso o andiamo direttamente in camera mia, Miss Tonks?” La voce sempre più roca, gli occhi scuri e lucidi di desiderio questa volta, i capelli stranamente legati. Era ancora vestito, perché Tonks aveva lasciato vagare le mani sopra e sotto i vestiti senza toglierglieli.

Tonks si alzò dal divano. “Siediti,” gli sussurrò. Lui eseguì. Tonks si mise seduta su di lui, faccia a faccia, le braccia attorno al suo collo. Aveva perso completamente il senso del tempo e solo il buio che copriva le finestre le fece capire che non erano stati per nulla veloci in quel gioco. “Solo un po’ di tempo per me…” gli sussurrò all’orecchio. E cominciò con il togliergli il maglione.

Quando Severus sentì di essere giunto al limite e le stelle brillavano in cielo, la fermò, afferrandole i polsi.

“Non resisterò ancora molto…” la avvisò, guardandola negli occhi. Tonsk fece un cenno di assenso. “Neppure io…” rispose, arrossendo. Severus la baciò con foga, stringendola a sé, lasciando che lei si sciogliesse tra le sue braccia. Poi la fece alzare e la prese per mano.

Salirono le scale vicini, in silenzio, solo con le mani intrecciate, fino alla porta della camera di Severus.

Prima di entrare lui sussurrò qualcosa e quando entrò nella stanza, Tonks si ritrovò in uno dei ripostigli di Hogwarts.

Lei iniziò a ridere quasi fino alle lacrime per quell’idea. Lo abbracciò, guardando il suo sorriso sornione.

“Ti piace l’ambiente, Miss Tonks?” le chiese con tono autoritario.

“Professore, sei decisamente cattivo!” gli ridacchiò vicino all’orecchio.

 

Ripartiamo, con gioia (!!!!!!!!!!!) dai ringraziamenti:

kloe2004, ellinor, Draias (niente tarallucci e vino!), Arabesque (non è una fic felice...), Hotaru_Tomoe, Piccola Vero, marygenoana, Mixky, Astrid, krisy, Jessica P (grazie anche per l'altra).

Chiuderò in brevissimo tempo. Quando inizio a pubblicare ogni fic è praticamente finita, per scelta. I cambiamenti sono minimi. Buona lettura.

 

 

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Capitolo 5
*** Last letter ***


1.     LAST LETTER

Severus si svegliò quasi di soprassalto, con la sensazione di aver appena ricordato qualcosa di fondamentale, ma aveva già dimenticato cosa. Una delle sue mani era appoggiata sul fianco di una donna. Una donna con i capelli rosa, che gli solleticavano la bocca. Una delle sue gambe era tra quelle della donna e l’altra sopra il suo fianco. Tonks. La guardò a lungo. Il volto rilassato, gli occhi chiusi e le ciglia scure. La bocca seria, quasi imbronciata. Le accarezzò una guancia, ma non ottenne nessun movimento in risposta. Dormiva profondamente.

Sorridendo, con lentezza, si districò dal corpo della donna e si alzò dal letto. Tonks borbottò qualcosa di incomprensibile e si girò a pancia in sotto, abbandonando le braccia sopra la testa.

Nudo, Severus attraversò il pianerottolo e si chiuse in bagno. Ne uscì più di mezz’ora dopo, avvolto in un asciugamano. Aprì la porta cercando di non fare rumore. Tonks dormiva ancora, nella stessa posizione. Senza bacchetta e senza usare la voce, fece uscire in silenzio dall’armadio biancheria e vestiti e velocemente li indossò. Prese in mano le scarpe e uscì nuovamente dalla stanza. Si sistemò maglione e pantaloni in cima alle scale e poi si mise seduto sul primo scalino e infilò calzini e scarpe.

Non riusciva a togliersi quel dannato sorriso dalle labbra. Lo aveva da quasi un’ora, accidenti a lei! Dalla sera precedente a dire il vero. Anche peggio!

Scese le scale velocemente, sistemandosi i capelli con uno di quegli aggeggi di Tonks, che lei aveva messo sul suo comodino, mentre la consapevolezza di tutto quello che era accaduto la sera e la notte precedente, e anche quella stessa mattina, molto presto, iniziava a preoccuparlo.

Continuando a ripetersi che era stata una scelta di entrambi e entrambi erano ampiamente nell’età adulta, prese una teiera e la mise sul fuoco. Poi si chiese perché stava preaparando la colazione come un babbano. Sbuffando, diede un piccolo pugno sul mobile e decise che stava ragionando troppo e male. Cucinare come un babbano non era un problema. Il problema era aver dimenticato quello che doveva ricor…

Charlie! Charlie Weasley!

Doveva arrivare quella mattina con Remus portandogli le indicazioni su dove trovare l’Ippogrifo di quel pazzo di Black, per potersi muovere liberamente. Non poteva sopportare l’idea che Remus o, peggio ancora, Weasley si accorgessero di come il rapporto tra lui e Tonks era cambiato.

Imprecando a voce alta, Severus prese quello che gli era necessario dal frigorifero. Chiedendosi perché mai era necessaria quell’invenzione ai babbani.

“Ciao…”

Si girò di scatto, con il vasetto della marmellata in mano.

Tonks era davanti a lui, gli occhi socchiusi dal sonno, i capelli arruffati e il suo maglione della sera prima addosso, con sotto degli slip verdi.

“Avevi quelli, ieri?” le chiese, con una smorfia di disgusto.

“Sì, non li hai visti?” chiese con voce arrochita dal sonno.

“No,” gracchiò lui, decisamente schifato. “O forse li ho tolti il prima possibile proprio per quello!”

Lei ridacchiò. “Posso baciarti anche se non mi sono ancora lavata di denti?” gli chiese, aprendo gli occhi e guardandolo come se facesse le fusa. “Solo sulle labbra…”

Severus sentì il cuore andare a mille e il respiro bloccarsi. Era così ingenua! Come poteva interessargli il fatto che non si fosse lavata i denti, se il giorno dopo se ne sarebbe dovuto andare per sempre lontano da lei?

Allargò le braccia in silenzio per accoglierla, mentre lei si tuffava verso di lui e gli dava un bacio veloce.

Severus la strinse a sé con forza, non lasciandole la possibilità di allontanarsi. Poi si ricordò di Charlie e Remus. E allungò le braccia.

“Aspetto Remus e Charlie Weasley, questa mattina,” la informò.

“Oh Merlino, oh Merlino! Charlie…” esclamò cominciando a saltellare. “Hai sistemato il salotto?”

“Stavo per farlo. Tu vai a fare una doccia e pensa alla camera.”

“Corro!” Gli diede ancora un bacio sulle labbra e scomparve.

Severus, ancora con quello stupido sorriso sulle labbra, guardò il salotto e lo risistemò con quattro Incantesimi, aprendo anche le imposte. Guardò l’orologio alla parete. Erano solo le otto, per fortuna.

Terminò di preparare la colazione e si sistemò al tavolino per mangiare. Non aveva senso aspettare che lei scendesse per farle compagnia. Gli altri potevano arrivare da un momento all’altro e lui doveva accordarsi con Remus. All’improvviso si chiese perché Tonks avesse pronunciato il nome di Weasley. Mentre la sua mente divagava sul quel particolare, bussarono alla porta.

Si alzò di malavoglia e andò alla porta d’ingresso. C’erano delle ombre immobili.

“Parola d’ordine,” chiese perentorio.

Gli rispose, correttamente, la risposta di Remus.

Aprì la porta e se lo trovò davanti, con Charlie e Arthur Weasley alle spalle.

“Entrate.” Fece loro cenno con una mano. “Ciao, Arthur. Buongiorno Charlie.”

“Severus.”

“Professore.”

Li precedette in salotto, facendo cenno di accomodarsi sul divano.

“Tonks?” chiese Charlie.

“Credo sia in doccia,” rispose con tono vago Snape. “Scenderà per la colazione.”

“Il cibo la farebbe arrivare ovunque,” commentò con un sorriso Charlie. Era rimasto il figlio più possente di Arthur e Molly. Lavorare con i draghi sembrava averlo portato ad assomigliare a loro. Placido e serafico fino a quando qualcuno non lo aggrediva. In quel momento sembrava in visita ad amici, rilassato in poltrona che si guardava attorno. I capelli cortissimi e le piccole cicatrici sul viso facevano risaltare gli occhi chiari. Severus si sentì pietosamente geloso.

“Come mai con noi, Arthur?” chiese, per distrarsi.

“Ufficialmente sono insieme a Remus per controllare una segnalazione che potrebbe portare il Ministero a catturati,” gli spiegò con un sorriso.

“Oh,” commentò Snape. “E dove saremmo?”

“In Scozia, dalle parti di Edimburgo.”

“Come mai?” chiese perplesso.

“Una qualche tua vecchia e lontana parente, dalla quale potresti rifugiarti.”

“Ah,” minimizzò Snape. “L’unica parente di mio padre è una sua zia babbana di oltre ottant’anni che ama farsi fotografare da giovani uomini!”

Charlie lo guardò meravigliato.

“Volete qualcosa da bere?” chiese Snape.

“Io devo ancora fare colazione, in effetti,” confessò Remus. “E ho anche fame.”

“Ecco, così poi ti prendi quella maledetta pozione che dimentichi spesso!” sbottò Snape spostandosi in cucina.

Quando Tonks scese, una mezz’ora più tardi, trovò i quattro uomini ancora alle prese con la colazione.

Lei aveva passato l’ultima ora, più o meno, a ripensare alla sera e alla notte precedente, crogiolandosi nei ricordi. Nel piacere di quei ricordi. Ma i ricordi venivano interrotti dalla consapevolezza della fragilità di quella relazione, dal timore di essersi fidata di un traditore. Tutte le certezze date da Snape in quelle settimane non erano sufficienti a cancellare la ferocia di quello che aveva fatto. Né a cancellare anni e anni di brutta reputazione che si era costruito. Ma lei era attratta dal suo strano modo di essere così attraente. Beh, si disse, attraente era decisamente troppo. Un tipo. Un tipo decisamente particolare. Mentre faceva questi ragionamenti, scendendo le scale, aveva sentito la voce di Arthur e la risata di Charlie provenire dal salotto o dalla cucina. Erano parecchi giorni che non vedeva Charlie, uno dei suoi amici più cari. Forse l’unico in grado di capire, anche solo dal suo sguardo, quello che era appena accaduto. E questo la preoccupava. Charlie era anche una persona molto riservata, come suo padre. E questo poteva salvarla.

“Buongiorno a tutti,” disse entrando e andando subito ad abbracciare l’amico. Charlie le diede un bacio sulla guancia e le scompigliò i capelli.

“Ciao, Weasley!” borbottò lei, fingendosi indispettita. E girandosi per afferrare una tazza, pronta ad accogliere il suo te. Snape era appoggiato alla finestra della stanza, alle spalle di Arthur e Remus, in una posizione dalla quale poteva guardarla in ogni momento. Lei si sentiva esposta, troppo esposta

Si mise seduta a fianco di Charlie, l’unico posto rimasto libero e si fece prendere dalle chiacchiere attorno al tavolo.

Snape preferì restarne fuori. Continuava a guardare Tonks come se non ci fosse altro nella stanza. O almeno a lui pareva di fare così. Soprattutto guardava il modo in cui Tonks si rivolgeva a Charlie, lo toccava per attirare la sua attenzione su quello che intendeva dire, il modo in cui si sorridevano, il modo in cui Chiarlie la guardava ironicamente. Avrebbe voluto essere al suo posto. Poterla guardare liberamente in quel modo. La rabbia gli crebbe dentro come un vulcano in eruzione, un vulcano che non doveva esplodere. Non lì e non in quel momento. Si girò a guardare fuori dalla finestra, per cercare una distrazione. Il marciapiede era vuoto.

“Severus!” si sentì chiamare da Remus.

“Cosa c’è?” chiese, girandosi verso il tavolo. Remus si era alzato e gli si era avvicinato. Gli parlò sottovoce, costringendolo a distogliere gli occhi da Tonks per potergli dare attenzione

“Quando intendi partire?”

“Domani in giornata.”

“Non c’è nulla che potrebbe farti cambiare idea?” Remus lo guardava negli occhi, senza timore, senza ironia. Serio.

“No,” gli disse bruscamente. “Cosa ti fa pensare il contrario?”

“La direzione del tuo sguardo. Il fatto che lei non ti guarda.”

“Noi due non siamo mai stati amici, Lupin. Non intendo cominciare adesso,” sibilò irritato.

“Ma lei è amica mia,” sottolineò con durezza Remus.

“Geloso?” sogghignò Snape. Con una dolce sensazione di vendetta.

“No, preoccupato…”

Entrambi sapevano che ci sarebbe dovuto essere un insulto, per concludere la frase.

Rimasero a guardarsi, pronti a passare a modi ancora più duri.

“Sarò io uno di quelli che dovrà consolarla quando non ci sarai. Cosa dovrò dirle?” chiese Remus con ira, prendendolo per un braccio, deluso da quell’indifferenza.

Snape sentì la preoccupazione nella sua voce, la rabbia e il senso di impotenza. Poteva anche fingere con gli altri, ma dentro di lui le emozioni erano le stesse. Era preoccupato per lei, per il suo futuro, era arrabbiato per quello che doveva fare, per il destino che l’aveva costretto a diventare quello che era, si sentiva impotente di fronte ad un impegno che andava oltre i suoi desideri. Distolse lo sguardo da Remus, di scatto, guardando ancora fuori dalla finestra.

“Dille che… che avrei voluto che fosse lei la mia anima.” Forse per la prima volta, Remus sentì il dolore nella sua voce, il rimpianto, il desiderio. La voce però era sicura, determinata.

Gli lasciò andare il braccio.

“Che è stata la mia anima in questi giorni, la mia vita,” aggiunse.

Remus fece un piccolo cenno di assenso, che Severus non poté vedere, ancora impegnato a guardare una strada quasi vuota.

“Remus? Severus?”

Si girarono verso gli altri tre. Li stavano guardando con aria interrogativa.

“Proseguiamo,” disse Remus ritornando a sedersi al tavolo.

“Dove si trova l’Ippogrifo?” chiese Snape, con un cenno a Charlie.

“Appena fuori dal paese, nascosto nel bosco. Da dove siete arrivati.” Di fronte allo sguardo meravigliato del Professore aggiunse. “Gli ho messo addosso un Incantesimo di Invisibilità, l’ho ben nutrito e legato. Aspetta lei. Solo che dovrei farglielo conoscere io. Ha passato parecchi proprietari negli ultimi anni ed è facilmente irritabile.”

“Immagino,” commentò sarcastico Snape. Passare da Black ad Hagrid non doveva essere facile neppure per un Ippogrifo. “Ci andiamo adesso?”

Charlie si alzò subito.

“Ci Smaterializziamo, Weasley. Riusciamo a far passare me per Tonks?” chiese ad Arthur. “Destiamo meno sospetti ai babbani e al Ministero della Magia.” Era necessaria la sua copertura per confermare la presenza del figlio e di Tonks in quel paese. E per autorizzare formalmente quell’Incantesimo, vista la situazione di incertezza e di sfiducia. Avrebbero immediatamente controllato, sapendo che Tonks era un Auror e aveva combattuto a fianco dell’Ordine.

“Certamente,” annuì Arthur.

Snape uscì dalla stanza senza rivolgere uno sguardo a Tonks, seguito da Charlie. Tonks rimase un attimo immobile, lo sguardo concentrato, ma non molto allegro. Uscì dalla stanza e salì le scale dietro a Snape che era andato a prendere il giubbotto imbottito che si era comprato due giorni prima.

Entrò nella camera dietro a lui e aspettò che si girasse, infilando il braccio del giubbotto. Rimase interdetto dalla sua presenza. Guardandola mentre tentava di sistemare la chiusura lampo, la vide avvicinarsi e poi baciarlo sulle labbra.

“Ninphadora…” sussurrò, ansioso.

“Lo so che tu non riesci proprio ad essere romantico, ma io sì!” Gli sorrise quasi intimidita dalla sua stessa audacia.

Snape rimase a fissarla, incapace di arrabbiarsi, troppo irrigidito dalla vita per lasciarsi andare. Tonks gli accarezzò il volto con la punta delle dita. All’improvviso Severus le prese la mano e la portò contro la propria bocca, accarezzandola con il respiro, gli occhi chiusi per non farsi distrarre dalla realtà. Tenendole la mano si accarezzò le labbra e il collo, lasciandola andare. Ninphadora gli sorrise, un sorriso grande come se le avesse appena dichiarato di amarla. E per la prima volta anche lei vide negli occhi di quell’uomo la tristezza e il dolore. Rimase a guardarlo, a farsi penetrare da quelle emozioni, fino a quando Severus decise di riprendere la sua espressione di ironico distacco. Chiuse gli occhi  per un attimo e quando li riaprì, il Professore era ricomparso.

Ninphadora lo lasciò andare, spostandosi di lato e facendo un cenno verso le scale.

“Ti aspetto qui.”

Severus si bloccò all’inizio del secondo gradino, un attimo solamente e poi scese.

 

Charlie era al suo fianco mentre Snape si avvicinava all’Ippogrifo e faceva la sua conoscenza. Riconobbe subito l’abilità del Professore nell’andare incontro a quell’animale. Lento, distaccato e deferente. La risposta fu di accettazione immediata. Snape si era guadagnato un alleato.

“Complimenti, Professore!” esclamò sinceramente Charlie, dopo alcuni voli di prova.

“Grazie, Weasley. Preferirei che mi chiamassi per nome, comunque. Ho smesso da parecchi mesi di essere un Professore.” Non era una richiesta, non poteva esserlo se arrivava dalla bocca di Snape, ma era certamente un segnale di stima. E Charlie lo accolse come tale.

“Ti servono informazioni su come accudirlo?” gli chiese, lasciandosi beccare delicatamente e amichevolmente un avambraccio dall’animale.

“Anni di insegnamento con Hagrid sono stati sufficienti, grazie,” commentò, sarcastico. Ma gli fece un accenno di sorriso.

“Sei sicuro della tua scelta?” chiese, senza titubanza.

“Mi sembrate tutti particolarmente attaccati alla mia vita…”

“Beh, ogni aiuto è prezioso di questi tempi. Soprattutto un aiuto con le tue abilità e conoscenze!”

“Almeno non sei retorico…” commentò sinceramente compiaciuto Snape.

“Non crederesti ad altri motivi, no?” Lo disse con la certezza della risposta.

“No,” riconobbe deciso.

“Come è stata la convivenza con Tonks?” Charlie cominciò a sistemare nuovamente l’Ippogrifo per la notte.

“Interessante…” Snape era un po’ distante e lo stava guardando, per sapere quello che avrebbe dovuto fare, quando si fosse trovato da solo con l’animale.

Charlie si girò a guardarlo come se avesse fatto una battuta divertente.

“Movimentata…” aggiunse.

“Silenziosa? Monotona? Rispettosa, dolce e femminile?” propose Charlie ridacchiando.

“Esatto…” Snape si lasciò sfuggire un sorriso.

“È una delle amiche migliori che abbia dai tempi della scuola.” Charlie gli si avvicinò, terminato il lavoro. “Ho sempre pensato che avesse un pizzico di sana follia.”

“Geni di famiglia,” commentò Snape.

“Non è il tipo che si fida facilmente degli altri, sai?” Charlie lo guardò negli occhi. “È sempre stata selettiva nelle sue relazioni. Tonks si innamora solo quando si sente amata dall’altro. Altrimenti desiste.”

Snape si limitò a restituire lo sguardo.

Charlie gli sorrise. “Andiamo?”

Snape annuì.

 

Al momento del pranzo Snape e Tonks erano nuovamente soli. Distanti, ma soli.

Snape era andato ai fornelli per sfogarsi nella cucina. Cominciava a capire Molly. Concentrarsi sul cibo poteva essere rilassante. Tonks era al piano superiore, ma non sapeva a fare cosa.

Nella pentola stava sobbollendo lo stufato con un piccolo Incantesimo per accelerare i tempi. Le verdure erano in forno.

“Posso disturbarti?”

“Dimmi…” le rispose girandosi.

Tonks indossava nuovamente il suo maglione della sera precedente. Con dei pantaloni pieni di tasche e cerniere.

“Devo considerare quel maglione tuo?” le chiese.

“Si, mi piacerebbe tenerlo,” ammise.

Con un cenno di assenso della testa, Snape si girò nuovamente verso i fornelli.

Tonks si avvicinò e gli mise le braccia attorno alla vita, appoggiandosi alla sua schiena. Mescolando il cibo con una mano, Severus appoggiò l’altra sopra le mani di Tonks. Rimasero così, senza parlare.

“Parti domani?” chiese Tonks in un sussurro.

“Sì,” confermò Severus. “Deve essere così, Ninphadora.”

Senza dire nulla, Tonks aumentò la stretta delle sue braccia attorno ai fianchi di Snape. “Niente ti farà cambiare idea, vero?”

“Ho lavorato diciassette anni per arrivare a questo, Ninphadora. È qualcosa che va oltre me e oltre i miei desideri.”

“Almeno dimmelo, Severus…” gli chiese con voce implorante.

Snape rimase in silenzio per parecchi minuti, accarezzandole le mani. Poi le aprì e si girò verso di lei.

“Ninphadora…”

Lei alzò lo sguardo verso di lui.

“Mi piaci da molto tempo. Ti ammiro già da quanto eri una mia studentessa.” Tonks sentì che cercava di controllare il tono della voce, per evitare di farsi prendere dalle emozioni. Era teso. “Io…” si fermò, incapace di parlare oltre. Si chinò verso di lei per un bacio tenero.

“Lo so che non otterrò di più…” gli rispose Tonks con gli occhi chiusi e il volto rivolto verso di lui. “Ma questo mi basterà anche dopo…”

“Brava ragazzina…” le disse Snape con condiscendenza.

Tonks sorrise.

 

Mentre erano a tavola parlarono del passato e dei ricordi del periodo di scuola. Tonks arrivò a ridere fino alle lacrime ascoltando Severus che le raccontava aneddoti raccolti negli anni. Passarono del tempo anche in salotto, davanti al fuoco acceso, abbracciati.

E il resto della notte insieme.

 

Una manciata di tempo dopo…

Snape arrancava lungo la strada in salita, al centro del paese, alla ricerca del numero civico esatto presso il quale avrebbe trovato una camera e dei pasti caldi. Gli erano stati garantiti attraverso l’Ordine in modo da non destare sospetti di collaborazione né per il Ministero, né per  Mangiamorte.

Da lì avrebbe proseguito fino all’incontro con Voldemort e al suo destino. Le sue valutazioni lo avevano portato a pensare che non avrebbe mai partecipato ad uno scontro diretto con i seguaci dell’Ordine, poiché Voldemort lo avrebbe distrutto prima per il suo tradimento. Perché l’Oscuro Signore oramai sapeva che lo aveva tradito. Doveva saperlo. E questo prevedeva morte certa. Il suo obiettivo era quello di passare quante più informazioni errate ai Mangiamorte.

La casa era una misera catapecchia a due piani, con le pareti verde marcio e scrostate. Suonò il campanello e immediatamente venne accolto da una donnina mingherlina e rugosa, che con voce flebile lo invitò ad entrare e salire le scale che portavano alle camere. Non gli chiese alcun documento, né alcuna motivazione riguardante il suo soggiorno. Lo stava aspettando ed era arrivato. L’avevano assicurata che avrebbe pagato. E questo era sufficiente.

Snape si sistemò nella camera spoglia. Era stata ben pulita, per fortuna.

Lanciò la sua borsa sul letto e iniziò a svuotarla. Ne uscirono i maglioni, i pantaloni e le camicie che aveva comprato. Ma anche una tuta grigia, un maglione arancione e una serie infinita di lacci per capelli di varie dimensioni e colori. E in fondo a questi una lettera. Sorridendo per la folle iniziativa della ragazzina, Snape si mise seduto sul letto e aprì la lettera.

 

“Mio caro Severus,

o forse mio dolce Severus. Dolce? Non ci credi neppure tu, vero?

Mio Severus, allora. Chiaro e conciso. La tuta è solo per avere qualcosa di più, il maglione arancione è per avere qualcosa che ti ricordi di me e i lacci per avere qualcosa di mio. Oltre questi oggetti anche questa lettera. Che ti scrivo mentre stai finendo di prepararti alla partenza. Ti conosco abbastanza da sapere che anche questa doccia durerà per mezz’ora. Ho tempo. Per dirti che ti amo. Non riesco ancora a capire cosa è successo, ma tant’è. Credo che questo dubbio sia reciproco, comunque. Neppure tu sai quello che è successo. Ma siamo innamorati. Vorrei che la tua lealtà ti rendesse così leale e sincero da ammetterlo anche con me… ma se i miei ricordi non sbagliano ti ho sentito mormorare qualcosa del genere questa notte…

 Mi mancherai.

Ti ricorderò.

La mia speranza mi porterà ad aspettare il tuo ritorno e la mia mente continuerà a ripetermi che non ci sarà alcun ritorno. Ma ti porterò con me.

Oltre a questo, amore, ricordati di portarmi sempre con te. Sempre. In ogni momento.

Grazie per questi giorni.

Sii coerente con te stesso e se puoi ritorna.

                                                                                  La tua ragazzina.

 

Snape chiuse gli occhi. E portò la lettera alle labbra.

 

Un mese dopo

Aveva preso l’abitudine di guardare Arthur quando rientrava a casa. Lo osservava per capire quale fosse la situazione al Ministero, se erano arrivate notizie di Severus. Lo stesso faceva quando incontrava Remus, per capire quali informazioni aveva l’Ordine riguardo a Severus. Sapeva riconoscere i segni dell’esultanza o della sconfitta in entrambi i suoi amici. Sapeva, solo guardandoli, se l’Ordine aveva raggiunto un successo oppure se erano chiamati a non dimenticare un amico morto in battaglia.

Remus le aveva detto chiaramente che gli accordi con Severus erano di non mandare notizie all’Ordine, ma di tenere i contatti tramite Hermione. Questo perché molte delle informazioni che Severus poteva fornire sarebbero state utili anche a Harry. E perché i continui movimenti dei tre amici avrebbero reso difficile un controllo sulle rotte dei gufi.

Anche quella sera aspettava il rientro di Arthur. Lei aveva terminato un programma di sorveglianza insieme ad una nuova leva che stava addestrando. Dalla partenza di Severus si era lanciata sul lavoro. Molly la guardava preoccupata per questo, già da parecchi giorni.

Tonks non era ancora riuscita a parlare con Molly del dolore che aveva dentro per quella lontananza senza fine, per la consapevolezza che non sarebbe tornato, ma anche del piacere e della felicità che i ricordi di quei pochi giorni le avevano dato. Il piacere e la felicità di aver avvicinato così tanto un uomo come Severus Snape da sentirgli sussurrare, tra i capelli, “Ti amo.”

Una felicità che si sarebbe portata per tutta la vita. Senza alcun rimpianto per non avergli risposto. Almeno non a parole.

“Ciao, Tonks…”

Girò la testa di scatto verso la porta della Tana. Era così persa nei ricordi che non aveva sentito entrare Remus. Lo fissò accorgendosi della piega dura delle labbra.

“Severus…” disse con calma e consapevolezza.

“Non ho notizie certe Tonks. Ma mi aveva detto, prima di andarsene, che se non avessimo avuto sue notizie per almeno sette giorni dovevo considerarlo disperso in battaglia e consegnare a te questa lettera.”

Remus aveva parlato con voce bassa e arrochita dal dolore. E le stava allungando una pergamena sigillata.

“Ho aspettato un giorno in più,” le confessò con una smorfia di scusa.

Tonks sentiva la mano tremare, ma prese la lettera dalla mano di Remus e la fissò ondeggiare nella sua.

“Grazie,” gorgogliò con la voce rotta dall’emozione.

Senza guardarlo si mise a sedere sul divano, vicino al caminetto. Si accoccolò su un angolo del divano, cercando di trovare un solido appoggio di fronte alla tensione che la stava elettrizzando. Spezzò il sigillo della lettera e la aprì.

Due fogli.

 

Ragazzina,

lascio questa mia lettera a Remus per te con la consegna di fartela avere quando non avrò più notizie di me per almeno sette giorni. A quel punto io non ci sarò più. Ma questo lo sapevamo entrambi.

Quello che non sapevo, che non prevedevo, che non immaginavo, era di innamorarmi di una ragazzina. Una ragazzina con i capelli rosa. Una donna attraente e divertente. Mi hai sconvolto la vita più di ogni altra cosa. Hai portato un tale turbinio di emozioni da rovinarmi del tutto.

Devi avermi fatto bere qualche pozione per rendermi così… umano. Severus Snape innamorato. Non lo avrei mai messo tra le mie attese o tra i miei desideri.

Ti scrivo di notte, l’ultima che passiamo insieme. Tu stai dormendo acciambellata sul letto. Io scrivo a lume di candela seduto davanti a te, per guardarti.

Sarò sincero. Ti desidero da molto tempo. Con vergognosa certezza da quando ti ho rivisto nell’Ordine. Da allora desidero capire cosa nascondono quei vestiti enormi che indossi. Mi immaginavo qualche capo di biancheria intima rosso o arancione. Mi piaceva immaginarlo. Mi è piaciuto scoprire che era vero. Ma questo lo hai visto. Desideravo vedere i tuoi occhi scurirsi per il piacere e le tue labbra aprirsi verso le mie. E desideravo tutto quello che abbiamo vissuto insieme in queste due notti.

Ma innamorarmi, no. Quello non era tra le mie aspettative. Eppure ci sei riuscita. Sappi che io non ho fatto nulla per aiutarti. Non ho cercato motivi per innamorarmi di te, non ho ascoltato mai i miei sentimenti. Ho cercato di oscurarli, di comprimerli, di ignorarli. Ma tu sei stata brava a scovarli e alimentarli. Oltre il desiderio. Fino ad entrare nella mia vita.

Remus mi ha chiesto cosa poteva dirti quando io sarei morto. Gli ho risposto di dirti che sei stata la mia anima, la mia vita.

Sto sgocciolando romanticismo sul pavimento. Imbarazzante.

Ti immagino a casa di Molly e Arthur. Immagino che ti abbracceranno e ti consoleranno. Lasciati consolare da tutti coloro che vorranno farlo. Lasciati amare da altri uomini. E ama altri uomini. Hai la forza per andare oltre. Hai il mio permesso, se dovessi sentirne il bisogno.

Ho provato a dirti quello che provo per te, ma stavi già dormendo. O forse no. Non lo saprò, ma tu sappi che l’ho detto. Sottovoce.

                                                                                              Severus

 

Tonks ripiegò con attenzione le due pergamene e le tenne tra le mani, mentre Molly, seduta al suo fianco, le metteva un braccio attorno alle spalle e la abbracciava, lasciando che le sue lacrime le bagnassero i vestiti.

 

Qualche mese dopo…

Tonks stava percorrendo la strada che l’avrebbe portata a casa di Remus per la riunione dell’Ordine. Erano vicini alla vittoria. Lo sentivano. Lo sapevano.

Lei sentiva anche lo sguardo di qualcuno alle sue spalle. Da alcuni giorni. E da alcuni giorni si ripeteva che era solo la sua immaginazione, il suo desiderio di averlo ancora vicino. Accennò ad un triste sorriso e accelerò il passo.

Qualcuno, dietro di lei, accelerò il passo.

 

 

Il finale "aperto" lascia spazio alla vostra più sfrenata fantasia, in bene e in male.

Grazie per aver letto la FF fino a qui.

Alla prossima.

 

Per gli ultimi commenti grazie a marygenoana, Astrid, Mixky, Piccola Vero, Ellinor, Noel, Kleo2004, AlexandraRoses... sperando di non aver dimenticato nessuno.

 

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