Engage

di MadAka
(/viewuser.php?uid=240768)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Settembre ***
Capitolo 2: *** Confrontarsi ***
Capitolo 3: *** La Tana ***
Capitolo 4: *** Incontri ***
Capitolo 5: *** Steve ***
Capitolo 6: *** Roy ***
Capitolo 7: *** Andrea ***
Capitolo 8: *** Rebecca ***
Capitolo 9: *** Risvolti ***
Capitolo 10: *** Conquiste ***
Capitolo 11: *** Soluzioni ***
Capitolo 12: *** Music Art Festival ***



Capitolo 1
*** Settembre ***


Le monetine tintinnavano ogni volta che ne aggiungeva una alla pila già presente sul banco.
-…trenta…quaranta…quarantacinque e…cinquanta!  Tre euro e cinquanta, eccoli qua- disse infine sorridendo alla barista e parendo piuttosto soddisfatto di essere riuscito a trovare tutti i soldi.
Lei lo guardò e accennò un sorriso che sembrava più che altro una smorfia di noia.
Così Andrea recuperò la sua birra e uscì.
Una volta fuori si abbassò gli occhiali da sole e cercò un posto per sedersi: optò per il marciapiede dato che non c’erano panchine nei dintorni.
Dopo essersi sistemato guardò in giro, estrasse l’accendino e lo usò per aprirsi la birra.
Ne bevve un sorso e rimase a contemplare la condensa che cominciava a formare delle gocce lungo il collo della bottiglia. Quella birra ghiacciata era proprio quello che gli serviva. Lui non era il tipo da bere alle cinque del pomeriggio, ma quel giorno aveva caldo e, dato che era perfettamente consapevole che avrebbe dovuto aspettare un po’sotto quel sole di settembre, era andato al bar lì vicino per comprarsi qualcosa di fresco. Dopo il secondo sorso tirò fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans blu scuro un pacchetto di sigarette che stava iniziando a deformarsi. Se ne accese una, diede la prima boccata e mentre espirava il fumo rimase a guardare la cenere che lentamente aumentava.
Era in pace con se stesso. L’abbinamento birra-sigaretta lo faceva stare sempre bene, qualunque fosse il suo stato psicologico. 
Sentiva le occhiate dei passanti su di lui. Doveva fare davvero uno strano effetto.
Un giovane di ventidue anni che se ne sta ad aspettare seduto per terra bevendo birra e fumando alle cinque del pomeriggio. In verità lui non ci trovava niente di sbagliato, insomma, chi aveva stabilito cos’era giusto o “normale”? Se lui voleva starsene per terra, era liberissimo di farlo.
Si passò una mano fra i capelli e prese un’altra boccata dalla sigaretta, poi controllò l’ora e vide che erano le 17:23. “Ma dove diavolo è sparita Rebe?!” pensò, l’ora dell’appuntamento era già passata da ventitre minuti e la sua amica non era mai in ritardo. L’unica possibilità sensata era che fosse morta…
-Scusa il ritardo!- disse una voce seccata alle sue spalle. Dopodiché la ragazza, Rebecca, gli si sedette accanto e prese un generoso sorso dalla birra di lui senza tante cerimonie.
Andrea la guardò e le vide un’espressione soddisfatta dipingersi sul volto.
-Mi ci voleva!- disse poi allegramente, asciugandosi le labbra.
-Che è successo?- chiese il ragazzo
-Di tutto! Cioè, in verità no, ma mentre passavo in macchina dalla strada…sai quella che c’è là?- indicò dietro di sé con il pollice: -Be, se n’è uscita una vecchia ed ha iniziato ad urlarmi addosso frasi incomprensibili…dico io, ma siamo normali??-
Lui la guardò in maniera confusa mentre lei prendeva un altro sorso di birra.
-Aspetta un secondo…- disse il ragazzo -hai detto la strada là dietro?-
-Precisamente-
-Ci credo che la tipa ti urlava addosso! L’hai presa contromano-
Lei si voltò a guardare il punto in cui, a grandi linee, avrebbe dovuto esserci la strada:
-Ma seriamente?- chiese
-Si, seriamente- rispose lui riprendendosi la bottiglia.
-Oh cavolo! Ma è molto che è così? No perché l’ultima volta era a doppio senso…-
-No, è così da un po’- disse alzandosi in piedi.
Lei lo guardò. Notò che la sigaretta nella mano destra, ormai prossima a spegnersi, e la birra in quella sinistra gli davano un’aria da cattivo ragazzo, cosa che Andrea non era affatto. Ma non era facile per uno come lui apparire un tipo “a posto” agli occhi della massa. Innanzitutto perché aveva un tatuaggio sull’avambraccio destro . Uno di quei tatuaggi che lei trovava dannatamente belli, in stile giapponese, con lo sfondo nero a spirali sfumate e qualche onda qua e là, che facevano da cornice ad una tigre e un serpente dai colori intensi e vivaci, che sembravano costantemente sul punto di azzannarsi. E poi per via del suo look.
Solitamente vestiva con jeans stretti e colori scuri. Abbinava maglie a camice scozzesi (o da “boscaiolo” come loro si divertivano a chiamarle) oppure a felpe, categoricamente con cerniera.
Però a lei piaceva, e molto. Le piaceva il fatto che avesse quei suoi capelli castano scuro corti dietro e più lunghi davanti e che tenesse la frangia sempre dal lato sinistro senza mai farsela ricadere sui suoi occhi nocciola. E le piaceva molto anche il pizzetto e i baffetti incolti che aveva. Rimase a guardarlo ancora un momento, a sedere sul marciapiede, e lui, che era già alto e slanciato di suo, le pareva distantissimo.
Lui la guardò e sollevò gli occhiali:
-Andiamo Rossa- disse facendole cenno di alzarsi.
Lei eseguì e gli si affiancò sentendosi meno bassa di prima.
L’appellativo di “Rossa” le era stato affibbiato dai ragazzi dopo che aveva deciso di farsi lo stesso taglio di Hayley Williams dei Paramore. La tinta era riuscita, l’acconciatura un po’ meno. Ma era comunque soddisfatta di quei capelli leggeri, rossi, che finalmente stavano come voleva lei e alla quale aveva dato il simpatico nomignolo di “sbarazzini”. A detta di Andrea poi la tinta rossa faceva risaltare maggiormente i suoi occhi castani e il suo sorriso soddisfatto.
Si avviarono uno accanto all’altro verso il negozio di strumenti Guitar shop che si trovava poco distante dal luogo in cui si erano incontrati. Andrea aveva lasciato al negozio la sua chitarra più di una settimana fa per via di un problema a uno dei due pick up, che aveva trasformato il suono della sua Fender in una specie di ruggito gutturale.
I due suonavano insieme, per la precisione lui suonava la chitarra, lei invece cantava, e per tutta quella settimana non erano riusciti a provare. Era difficile fare le prove senza la chitarra solista.
Stavano in una band di coetanei chiamata Engage insieme ad altri tre membri: il bassista Stefano, o meglio Steve, il batterista Daniel, volgarmente detto Dan e infine Roy, cioè Roberto, l’altro chitarrista.
La band si era formata più di un anno fa ed erano già  riusciti a sfornare il loro primo EP, Snapshot, contenente dieci tracce inedite.
Quando chiedevano loro che genere facevano generalizzavano dicendo semplicemente “rock” o “alternative rock”, per via delle influenze musicali che provenivano un po’ da tanti generi diversi e  che ogni membro inseriva durante la lavorazione dei pezzi.
Andrea aveva un passato Metalcore alla Bullet For My Valentine che era poi sfociato in band quali Trivium oDragonforce. Nell’ultimo periodo tuttavia si stava accostando ai grandi classici della musica Rock per colpa di Dan. Lui era un amante del rock anni ’70-’80 e ‘90, dei Guns ‘n Roses, dei Led Zeppelin e deiQueen (solo per citarne tre). Le loro influenze poi si univano ai Red Hot Chili Peppers, ai Primus e ai Muse di Roy. Il problema è che tutto questo, dopo, sbatteva contro un muro: Steve.
Lui era cresciuto a punk californiano: Blik 182, Sum41 e i Green Day di Basket Case.
Grazie a Steve il sound si addolciva, diventando più pop e accessibile alla voce della cantante.
Quest’ultima non aveva mai problemi a cantare sulla base pensata dai ragazzi, dato che anche lei contribuiva a migliorarla e con la sua voce aggiungeva qualche sfumatura mancante.
Le influenze che introduceva lei erano più ampie e mai uguali. La sua collezione di cd conteneva artisti come Stone Sour, System Of A Down, Linkin Park,diventando più punk con Rancid, Anti-Flag, NOFX e The Offspring e si mescolava con RHCP, Nirvana e band italiane come Medusa e The Fire. Tuttavia, da due anni a questa parte, aveva completamente perso la testa per i Foo Fighters e, quando cantava, si sentiva.
L’unione di tutto ciò, mediato, concordato e rielaborato, aveva reso il sound degli Engage totalmente personale. Per questo faticavano a descriverlo perfino loro stessi, limitandosi a dire di far parte della grande famiglia del Rock.
Raggiunsero il negozio, il ragazzo buttò la bottiglia di birra vuota nel cestino lì vicino ed entrarono senza soffermarsi a vedere la vetrina. Dentro non c’era nessuno.
Andrea si tolse gli occhiali da sole e se li agganciò al colletto della t-shirt, poi andò direttamente dal negoziante. L’uomo era un tipo piuttosto bassino, con radi capelli grigi, occhiali tondi e uno sguardo serio che non esitò ad analizzare Andrea da capo a piedi, come per cercare di ricordarselo.
Il ragazzo sfoggiò il suo sorriso più sincero e disse:
-Salve. La settimana scorsa avevo lasciato la mia chitarra qua da lei, a nome Anceschi. È una Fender Stratocaster color panna-
L’uomo perse l’espressione diffidente e annuì con la testa:
-Certo, me la ricordo. È pronta. Vieni a provarla-
Uscì da dietro il bancone e andò nello stanzino accanto riemergendone con una custodia da chitarra rigida. L’aprì, tirò fuori lo strumento e dopo averlo rigirato un momento fra le mani, come per ammirare il suo operato, lo diede al giovane. Andrea lo prese e sorrise.
Per un chitarrista la propria chitarra era come una figlia, o un’innamorata, e lui non faceva eccezione. Gli era mancato suonare, gli era mancato tantissimo.
-Aspetta che ti accendo l’amplificatore- disse l’uomo. Andrea si sedette sullo sgabello e aspettò.
Intanto Rebecca si mise a fare un giro per il negozio.
Nonostante le chitarre variopinte colorassero le due grandi stanze, trovò quel posto un po’ triste. Forse per via delle pareti grigie o forse per l’anomalo silenzio che vi regnava.
Si mise a guardare un po’ di strumenti nuovi tirati a lucido disposti ordinatamente uno accanto all’altro.  Entrò nella stanza accanto dove trovò amplificatori nuovi,  bassi e chitarre acustiche e strumenti usati. Si avvicinò ad una Gibson Explorer usata per vederne il prezzo e il ciondolo della sua collana toccò le corde facendole vibrare. Afferrò immediatamente la catena e strinse il pendente a forma di chitarra con il corpo color azzurro, sentendo finalmente provenire della musica dalla stanza in cui c’era il suo amico. Andrea stava provando la sua chitarra suonando un arpeggio leggero e sorridendo per essersi riunito al suo strumento. Rebecca lo raggiunse, quello smise di suonare e si voltò verso il negoziante:
-È perfetta!- disse soddisfatto.
L’uomo allora ripose la chitarra nella custodia e andò alla cassa per battere lo scontrino.
Quando uscirono la ragazza guardò Andrea e disse:
-Sei felice?-
-Come un bambino- rispose lui sorridendole. Poi si rimise gli occhiali da sole:
-Allora, adesso cosa facciamo?- le chiese
-So che i ragazzi sono in sala prove, se vuoi ti do uno strappo fin là, tanto è sulla strada…-
-Tu non vieni? Ora che la mia bimba è tornata da me possiamo provare…-
Lei alzò le spalle:
-Mi dispiace, ma stasera è compito mio sbrigare i lavori di casa. Se non preparo la cena e non riordino tutto è la volta buona che mi ammazzano…-
-Ho capito, allora accetto il passaggio- disse sorridendole.
Salirono in macchina e misero su un po’ di musica. Dato che l’auto era di Rebecca scelse lei il cd e optò per The Colour And The Shape  dei Foo Fighters.
Circa dieci minuti dopo raggiunsero la loro sala prove che era situata fuori città.
Loro cinque provavano nella vecchia stalla della casa di campagna di Roy. L’avevano insonorizzata come meglio avevano potuto, ma alla fine era irrilevante dato che i genitori di Roberto erano aperti di mente e non li infastidiva affatto che il figlio provasse lì con la sua band. Inoltre, abitando isolati, potevano suonare finché ne avevano voglia senza disturbare nessuno.
Rebecca accostò sul bordo della strada per far scendere Andrea che, dopo averla ringraziata, si incamminò lungo il vialetto sterrato per raggiungere la sala.
 
Quella sera la ragazza aveva la casa vuota. Sua sorella maggiore era uscita con il suo fidanzato mentre i suoi genitori erano andati a teatro. Dopo aver finito di sistemare in cucina prese il suo ultimo acquisto, l’omonimo album dei Them Crooked Vultures, e lo mise nello stereo decisa ad ascoltarselo interamente. Alzò il volume finché non riuscì a sentire anche il più insignificante accordo di chitarra e si sdraiò sul letto ascoltandolo attentamente.
Non si poteva non prestare attenzione ad un sound come quello.
Poco dopo l’inizio della sesta traccia tuttavia sentì qualcosa intromettersi nella canzone.
Qualcosa con un ritmo completamente differente e con un volume più basso.
Ci mise un po’, ma alla fine capì che si trattava della suoneria del suo cellulare.
Mise in pausa lo stereo e andò a recuperare il telefonino notando che effettivamente la stavano chiamando.
Il nome che lampeggiava sullo schermo era quello di Roberto, così lei rispose senza troppi preamboli:
-Hei Roy, che c’è?-
-Scusa Rossa, ti disturbo?- lei guardò le cifre scritte sullo schermo dello stereo che indicavano il minuto esatto a cui aveva interrotto la canzone e rispose:
-Eh, un pochino, ma se è una cosa importante ti perdono-
Il ragazzo sospirò rumorosamente prima di aprire bocca:
-Abbiamo un problema…- disse poi, molto seriamente
-Del tipo?- chiese lei
Dall’altra parte ci fu un lungo silenzio prima che Roy si decidesse a parlare
-Dan ha lasciato la band…-
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Confrontarsi ***


Erano passati tre giorni da quando Daniel aveva lasciato il gruppo.
I quattro ragazzi rimasti ne avevano già discusso più volte ma non si erano ancora decisi su come agire.
Ora erano nella loro sala prove e mancava solo Stefano che sarebbe arrivato a momenti.
Nell’ex stalla aleggiava un’atmosfera abbastanza tesa, sconsolata e forse disillusa.
Era complicata da gestire una simile situazione per loro. Un membro che lascia la propria band automaticamente porta via al gruppo qualcosa di suo e anche questa volta non c’erano eccezioni.
La difficoltà maggiore stava nel trovare un degno sostituto: qualcuno che suonasse per passione e che riportasse nella band le influenze che, senza Dan, mancavano.
Per i gruppi emergenti e poco conosciuti quello era un lavoro ingrato e complicatissimo.
Andrea alzò il volume del proprio amplificatore, prima di sedersi su uno dei due divanetti accostati alla parete di destra, dopodiché si mise a suonare qualcosa di imprecisato sulla sua Fender. Rebecca e Roy erano seduti uno accanto all’altra sui pallet disposti in fondo alla stanza su cui, fino a pochi giorni fa, si trovava la batteria di Daniel.
Lui stava fumando, senza fretta, appoggiando ad ogni boccata la sigaretta nel posacenere. Lei invece se ne stava zitta ad osservare le dita di Andrea che scivolavano lungo i tasti della chitarra creando sempre note diverse.
Poi, come esasperato da quell’atmosfera surreale per loro, Roy spense la sigaretta, che era appena a metà, e disse:
-Perciò cosa vogliamo fare?-
Andrea non smise di suonare ma sollevò lo sguardo e guardò negli occhi l’amico
-Aspettare Steve direi…-
-No, lo sai di cosa parlo! È tre giorni che non caviamo un ragno dal buco e non possiamo continuare così!-
-Dobbiamo trovare un altro batterista…- fu Rebecca a parlare mentre a guardava il fumo salire dal posacenere.
-Quello era sottointeso- le rispose Andrea.
Poi calò di nuovo il silenzio. Roy sospirò e si passò una mano fra i capelli corti color mogano per spettinarseli ulteriormente.
Poco dopo la ragazza aprì bocca:
-Scusate ma…esattamente, Dan che vi ha detto? Vi rendete conto, vero, che nessuno mi ha fatto sapere come sono andate le cose?-
Il ragazzo che era a sedere accanto a lei si voltò guardandola con i suoi occhi verde scuro e alzò le spalle:
-Semplicemente ha detto che non se la sentiva più di suonare con noi. Da quello che ho capito io è intenzionato a mettere su un’altra band…-
-Quindi ci ha piantati per la concorrenza? Bene…- fece lei rassegnata.
Andrea smise di suonare, abbracciò la chitarra e guardò i due amici:
-Ok, ora basta. Le cose sono andate così e mi dispiace, ma non possiamo abbatterci. Troviamo un altro batterista e ricominciamo a fare musica. Io non mollo solo perché Dan ha deciso di lasciarci!-
 -Hei, io neanche!- rispose Roy sentendosi accusato ingiustamente. I due poi guardarono Rebecca:
-Che volete che vi dica ragazzi? È ovvio che anche io voglio continuare, ma guardiamo in faccia alla realtà: trovare un nuovo batterista sarà difficilissimo. Primo, perché non ne conosciamo e secondo, perché siamo una band emergente e a parte i nostri amici ci filano in pochi…-
Aveva ragione.
Trovare un sostituto per una band che riempie gli stadi era una gioco da ragazzi: bastavano dei provini e il gioco era fatto. Ma per loro le cose si complicavano, essendo giovani e poco conosciuti era improbabile che qualcuno si presentasse a dei provini, anche se avessero deciso di farli.
L’unico modo che conoscevano per sostituire Dan era quello di trovare un rimpiazzo tramite amici.
Era un processo che richiedeva tempo, voglia, determinazione e una lista di conoscenti chilometrica.
Si guardarono ancora finché non sentirono il rumore di una moto fuori dalla sala: era Steve con la sua enduro.
Poco dopo lui comparve sulla soglia della porta. Aveva la sua solita espressione soddisfatta e, come sempre, si era pettinato i capelli castano chiari alla Mark Hoppus dei Blink182.
Esordì con un allegro “Come va?” rimanendo piuttosto sconvolto dall’aria che tirava nella stanza.
-Hei ma cosa sono quei musi lunghi?- chiese poi, dopo aver appoggiato il basso accanto al suo amplificatore ed essersi tolto la sua felpa blu.
Guardò i suoi amici uno per uno.
Steve era un ragazzo dannatamente ottimista. Trovava (o almeno tentava di trovare) il lato positivo in ogni situazione, anche quando sembrava che non ci fosse e la sua dote migliore era la sua capacità di riuscire a strappare sempre un sorriso alle persone con cui aveva a che fare.
Andrea si alzò e andò a recuperare le sigarette che aveva lasciato nella custodia della chitarra.
-Indovina…- disse poi rivolto all’ultimo arrivato mentre si accendeva la sigaretta.
-Oh andiamo!! Non sono venuto fino a qua per deprimermi, sia chiaro!- poi si rivolse ad Andrea:
-Ho del materiale nuovo. Sono solo delle basi di basso che ho pensato l’altra sera, ma secondo me può uscire qualcosa di buono!-
Ci fu un lungo silenzio, dopodiché l’atmosfera cambiò.
Stefano aveva indirettamente fatto capire che smettere di suonare solo perché si era senza un membro era la cosa più stupida e autodistruttiva che potessero fare.
Dovevano continuare a crederci, continuare a produrre musica e andare avanti, c’era tempo per trovare un sostituto.
Il ragazzo sorrise agli altri ottenendo finalmente una risposta.
-Al diavolo, Steve!- fece Roy alzandosi energicamente dai pallet –Hai ragione!- 
Anche Rebecca si rianimò e sorrise a Stefano:
-Quante basi hai pensato?- gli chiese
-Soltanto due. Direi che ora possiamo iniziare a lavorarci su, no?-
Lei annuì e rimase a sedere guardando i ragazzi che prendevano in mano i loro strumenti, li amplificavano e si sedevano in cerchio, Steve per terra e Roy e Andrea sui divani, dopodiché si unì a loro anche lei.
-Ci faccia un po’ sentire signore- disse allegramente Roberto rivolto al suo bassista.
 
Due ore dopo, una delle basi aveva un’anima. I quattro, insieme, l’avevano rielaborata aggiungendo ciascuno la propria influenza. L’avevano arricchita di accordi, di note di basso e di assoli di chitarra. Mancava solo il testo e una batteria a sostenere quel ritmo, poi avrebbero avuto fra le mani un valido pezzo nuovo.
Steve si alzò da terra e andò a spegnere il suo amplificatore:
-Ho un sacco male al sedere…- disse massaggiandoselo.
Nessuno di loro si era accorto di quanto tempo era passato. Il rinnovato ottimismo che il bassista era riuscito a portare aveva fatto sì che ogni membro in quella stanza si concentrasse esclusivamente su come migliorare una semplice base e trasformarla in qualcosa di unico. Si alzarono tutti in piedi, Rebecca aiutata da Andrea.
Roberto prese il suo tabacco e iniziò a prepararsi una sigaretta:
-Che ore sono?- chiese mentre spingeva il filtro sulla cartina
-Le sette e dieci…- rispose Stefano - Cavolo di già?!-
-Abbiamo decisamente perso la cognizione del tempo- disse Andrea.
Roy terminò di preparare sua sigaretta e se l’accese dopo aver raggiunto la porta della sala prove.
-Direi di fermarci qui per oggi-
Gli altri acconsentirono, poi Rebecca chiese:
-Sentita ma…se mettessimo in giro dei volantini con scritto che stiamo cercando un batterista? So che serviranno a poco, ma tentare non costa niente-
-Io sono d’accordo- le rispose Andrea, gli altri due ragazzi annuirono con la testa e lei disse:
-Perfetto. Me ne occuperò io, li lascerò nei posti più gettonati: negozi di strumenti, pub, se li prendono, e negozi di CD. Che ne dite?-
-Ottimo- fece Andrea.
 I ragazzi iniziarono a riordinare gli strumenti e mentre Rebecca li guardava chiese:
-Qualcuno stasera va alla Tana?-
Steve fece cenno di no, come Roy. Andrea invece le rispose:
-Io e Ire dovremmo esserci. Vuoi venire con noi?-
-Non voglio costringervi…-
-No, affatto. Se sei da sola ti passiamo a prendere, tanto abiti vicino-
Lei alzò le spalle:
-In effetti stasera sono da sola…le mie amiche mi hanno dato buca. Però non mi va di fare il palo fra te e Irene-
Lui scoppiò a ridere.
-Non preoccuparti. La conosci, sai com’è fatta. Se deve lasciare da sola una sua amica piuttosto lascia da solo il suo ragazzo-
-Ha capito tutto- si intromise Steve. Andrea gli sorrise:
-Ti passo a prendere verso le dieci va bene?- riprese rivolto alla ragazza
-D’accordo. Grazie allora-  poi prese la sua felpa e continuò: -Io ragazzi vado. Ci vediamo-
-Vengo con te- disse Stefano mentre gli altri due la salutavano.
Uscirono dalla sala prove e lui prese il casco che aveva lasciato sul sellino della sua moto da cross:
-Vuoi un passaggio?- le chiese.
-No grazie Steve, ho la macchina- gli rispose sorridendo
-Bene, allora ci vediamo prossimamente-
Lei gli sorrise nuovamente e prima che lui si infilasse il casco gli disse:
-Hei …grazie-
 Ci mise un po’ a collegare le cose, dopodiché sollevò un sopracciglio e rispose:
-Per cosa?-
-Lo sai…-
Lui si mise a ridere, si infilò il casco e salutò la ragazza con un cenno della mano. Dopodiché, con il basso in spalla, accese la moto e partì sollevando un po’ di polvere.
Andrea raggiunse Roberto sulla porta, appoggiò la custodia della sua chitarra a terra e insieme rimasero a guardare Rebecca che avviava il motore della sua Golf e partiva.
Roy allora allungò la sigaretta all’amico ma quello rifiutò con un gesto della mano.
Dopo qualche secondo di silenzio Andrea aprì bocca:
-Non avrei mai pensato che Steve riuscisse a sistemare le cose…e così in fretta poi-
-Io te l’ho sempre detto che è un tipo in gamba, ma tu non mi hai mai creduto-
-Balla! Tutto quello che hai appena detto è una balla!- lo bacchettò
Roy allora sorrise:
-Comunque sia, c’è riuscito. Ammetto che anche io era un po’ preoccupato per come sarebbero andate a finire le cose-
-Quello anche io, ma risolveremo tutto. Troveremo un nuovo batterista e poi ricominceremo a fare concerti-
L’altro annuì e lanciò lontano il mozzicone fumante.
-Proverò a chiedere a Davide se conosce qualcuno- riprese Andrea
-Davide?-
-Si, sai quel mio amico che suona la chitarra? Ha anche lui una band, fanno Grindcore se non mi sbaglio...-
Roy scoppiò a ridere
-Secondo te un batterista Grindcore perderebbe tempo con noi?-
-No genio, ma semplicemente Davide conosce un casino di persone che suonano. Magari può aiutarci-
-Ok, allora chiediglielo. Tanto a domandare ci si mette poco-
-Infatti-
-Io penso che proverò a chiedere giù al pub-
Andrea annuì, dopodiché estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans facendole tintinnare e diede una pacca sulla spalla all’altro:
-Vedrai che si sistemerà tutto-
-Hei, niente pacche sulle spalle, sai come la penso…- fece Roy stizzito
-Oh cielo, come siamo prime donne!- disse Andrea scoppiando a ridere, poi si avviò verso la sua auto
-Si be, spero proprio che ti schianti!- fu la risposta dell’amico sorridente
-Grazie!- fece, salendo in macchina.
Si salutarono con un cenno della mano e Roberto rientrò in sala prove.  

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La Tana ***


Come da accordi quella sera Andrea passò a recuperare Rebecca alle 22.00, più o meno.
Lei salì in macchina e salutò l’amico e la sua ragazza.
Si sentiva sempre un peso ad uscire con una coppia, ma parve che ai due ragazzi la cosa non desse fastidio. Si diressero verso il locale chiacchierando di tante cose diverse mentre, come sottofondo, Andrea aveva messo Appetite for Destruction.
Dopo circa  dieci minuti avevano raggiunto il locale e trovato un parcheggio.
La Tana del Lupo, semplicemente conosciuto come La Tana, era uno di quei locali notturni alternativi in cui gli amanti della musica Rock potevano andare per passare una notte a ballare qualcosa che non fosse House. La programmazione in quel posto era sempre la stessa: si iniziava alle 23.00 con un concerto live fino circa all’una e dopo, su tre piste differenti, i dj iniziavano a passare musica per far ballare la gente.
La pista più grande trasmetteva i classici più conosciuti e commerciali, come Green Day, The Offspring, Limp Bizkit, System Of A Down, Red Hot Chili Peppers ecc. Le altre due erano leggermente più piccole e passavano rispettivamente musica Ska,Funk e Hard Rock, Metal.
Il locale aveva un’enorme distesa all’aperto che gli consentiva di riportare la stessa programmazione invernale anche nel periodo estivo, in questo modo riusciva a non chiudere mai e ad avere clientela tutto l’anno.
Quella sera, dato il clima mite di settembre, il concerto ed il relativo dopo-serata erano all’aperto.
I tre arrivarono all’ingresso e pagarono dopodiché si guardarono un momento intorno per decidere cosa fare. Andarono a sedersi ad uno dei tavolini disposti intorno al bancone circolare, dietro al quale i baristi iniziavano a preparare i primi cocktails della serata e a servire le prime birre. 
Andrea si accese una sigaretta e ne offrì un’altra alla sua ragazza che ne imitò i gesti.
-Chi suona stasera?- chiese quest’ultima mentre faceva uscire un po’ di fumo dalla bocca a quelle parole.
Rebecca la guardò un momento prima di rispondere. Trovava che Irene e Andrea insieme fossero una coppia bellissima. Lei aveva dei capelli corvini lunghi e sottili e quei lineamenti leggermente orientali, per via di discendenze materne, che la rendevano incredibilmente affascinante.
-C’è il tributo a Bon Jovi se non ho letto male- disse infine alla ragazza.
Poi lei e Andrea si scambiarono un’occhiata. Le tribute band non erano viste molto bene dalle band emergenti. Non tanto per la scelta di “carriera” che le prime avevano fatto, ma più che altro per la concorrenza spietata che facevano ai gruppi che cercavano di farcela con la loro musica. Dovendo scegliere, infatti, i locali come la Tana, optavano sempre per le band tributo perché riuscivano ad ottenere una risposta da parte del pubblico, riempiendo il locale. Difficilmente un gruppo poco conosciuto, come potevano essere gli Engage, veniva chiamato per serate in luoghi come quello poiché per i gestori era un rischio.
Irene notò il loro sguardo e disse:
-Brutta bestia eh?-
Andrea le sorrise:
-Un giorno ci saremo noi su quel palco-
-Lo spero!- concluse Rebecca
Il ragazzo decise di cambiare argomento. Anche se quel pomeriggio avevano finalmente ripreso a fare qualcosa di concreto per la band la ricerca del nuovo batterista era ancora in alto mare e lui era sicuro che la cantante non avesse superato l’abbandono da parte di Daniel.
Così spostò la conversazione sul nuovo tatuaggio che aveva in programma, chiedendo loro di consigliarlo.
Non ascoltò nessuno dei suggerimenti. La conversazione era degenerata quando le due ragazze avevano iniziato a darsi corda a vicenda e a dire ad Andrea di tatuarsi dei pony rosa o, a scelta, un paio di fatine.
Mentre le due ancora ridevano immaginandosi il ragazzo con un unicorno sul braccio, lui si alzò esasperato e le guardò.
-Penso che andrò a prendermi da bere…cosa volete?-
-Prendimi un Long Island per favore- gli rispose la sua fidanzata, lui annuì poi guardò Rebecca
-Tu cosa vuoi?-
-Ah, una Caipiroska alla fragola, grazie-
Mentre il ragazzo chiedeva da bere al barista Irene chiese:
-Allora come l’hai presa?-
-Parli di Daniel?- l’altra annuì e Rebecca continuò dopo una leggera alzata di spalle:
-Non lo so. Non ho ancora capito com’è successo e sinceramente non me la sento di trarre delle conclusioni sul perché lo abbia fatto. Mi piacerebbe parlarne con lui, ma non ho il coraggio di cercarlo. Oltretutto i ragazzi non mi hanno detto nulla di preciso e quindi non so neanche come sono andate realmente le cose…-
Poi prese fra le mani una delle sue ciocche rosse e cominciò a tormentarsela:
-…e poi mi chiedo ancora perché abbia deciso di dare la notizia proprio quando io non c’ero. È stato per colpa mia che ha deciso di andarsene? E in quel caso, cosa ho fatto? Perché non me ne ha voluto parlare? Io…non so assolutamente cosa pensare, mi sento così confusa…ed è una situazione così strana…-
Irene era rimasta ad ascoltare annuendo di tanto in tanto, capiva la situazione, magari non alla perfezione, ma poteva immaginare come si sentisse la sua amica.
Espresse quei pensieri a parole poco prima di notare che Andrea stava tornando con i loro due cocktails in mano. Lui li appoggiò sul tavolo poi tornò indietro per prendere la sua birra dal bancone, infine si sedette con le ragazze.
-Di cosa parlavate?- chiese loro
Rebecca e Irene si guardarono.  L’ultima, consapevole che la situazione degli Engage non era esattamente un argomento di conversazione allegro, cercò di sviare il discorso affermando:
-Oh, niente di che…le stavo solo dicendo che l’altro giorno ho visto un video dei Foo Fighters su YouTube in cui Taylor è dannatamente figo!- la credibilità con cui aveva detto quella frase era disarmante.
L’altra ragazza fece cenno di si con la testa per confermare quelle parole e Andrea disse:
-Per favore non mettetevi a parlare dei Foo Fighters…in quel senso intendo…-
Entrambe gli sorrisero poi Irene alzò il suo cocktail per brindare:
-Allora, a Taylor Hawkins!- fece sorridente
Rebecca la imitò:
-A Taylor!- poi si voltarono a guardare il ragazzo, che, sospirando sollevò la sua birra e toccò i due bicchieri in aria:
-Come volete…- disse.
Si persero in chiacchiere per un’altra mezz’ora abbondante, finché, dal palco alle loro spalle, iniziarono a salire i membri della tribute band.
Quando cominciarono a suonare i tre decisero di alzarsi ed andare a seguire il concerto, considerando anche che per parlare erano costretti ad urlare, e non ne valeva la pena.
 
Verso l’una di notte il concerto terminò. I dj iniziarono a far partire la musica nelle loro tre piste, equamente separate, e la gente si allontanò per cominciare a ballare o per andare a prendere qualcosa da bere. Rebecca, Irene ed Andrea rimasero vicino alla pista più grande, che era proprio sotto il palco e distante dalle altre due, indecisi su cosa fare. Si guardarono per un po’ intorno finché in pista non misero Rollin’ dei Limp Bizkit. Irene adorava quella canzone, si voltò verso gli altri due e urlò:
-Andiamo a ballarla!-
Rebecca non era una grande amante del ballo, non da sobria almeno. Gli altri due la guardarono per farle capire che stavano aspettando solo lei, che disse:
-Voi andate, io vado a prendermi qualcosa da bere…-  la coppia fece cenno di aver capito e andarono in pista.
La ragazza si diresse verso il bar circolare a cui era andato Andrea ad inizio serata e rimase sorpresa dalla calca che si era formata lì intorno.
Non avendo voglia di aspettare troppo in mezzo alla massa di persone, più e meno giovani, decise di andare in uno degli altri tre bar della distesa del locale. Percorso lo spiazzo da parte a parte decisa ad andare a prendere da bere vicino alla sala Hard Rock. Si fece largo fra la folla, superò i bagni, il cui ingresso era sul lato posteriore e più corto dell’edificio, e arrivò nel cortile opposto a quello in cui si trovava prima, che era più piccolo ma molto più tranquillo. Nonostante le sue aspettative la fila per quel bar era lunga quasi quanto le altre. Prese posto dietro a due ragazzi, visibilmente fan di musica Metal, e aspettò.
Poco dopo sentì qualcuno toccarle la spalla per chiamarla, ma non si voltò subito. Sperò che non fosse uno di quei tipi ubriachi che volevano abbordarla, perché quella sera non era in vena di scaricare garbatamente qualcuno e si voltò pensando “Fa che sia Andrea”.
Non era Andrea, ma l’ultima persona che si aspettava di incontrare in quel posto.
-Dan!- urlò
L’ex batterista le sorrise e rispose:
-Ciao Rossa-
Rimasero a guardarsi in silenzio per un po’. Lei indecisa su cosa dire, con varie emozioni che le si accavallavano dentro, lui dispiaciuto per come erano andate le cose.
Alla fine il ragazzo fece la prima mossa:
-Come stai?-
Lei sgranò gli occhi
-Come sto?! Vuoi scherzare?- poi cominciò a prenderlo a pugni mentre lui si proteggeva con il braccio sinistro: -Come credi che stia dopo quello che hai combinato?! Dannatissimo bastardo!!-
Dopo quel rapido sfogo si calmò e sospirò. Lui abbassò la guardia.
-Che è successo?- chiese lei alla fine.
Lui abbozzò un sorriso:
-Mi dispiace- disse semplicemente.
Si guardarono ancora. Nonostante la penombra che regnava in tutto lo spiazzo lei conosceva perfettamente il colore dei suoi occhi. Milioni di volte si era persa in quello sguardo colore del mare, quando ancora non si conoscevano bene e ancora non suonavano insieme, quando lei aveva per lui un’enorme cotta.
Daniel si grattò la testa scompigliandosi i lunghi ricci biondi, da vero amante dei Guns ‘n Roses, e disse:
-Senti, vorrei che ne parlassimo. Penso che sia giusto spiegarti bene le cose. Stavi…stavi prendendo da bere giusto? Cosa vuoi? Offro io…-
-Ok, allora prendimi un Baileys con del ghiaccio per favore…-
Lui annuì e si mise in fila.
Rimase ad aspettare da sola quasi cinque minuti, notevolmente infastidita da un tipo, poco distante da lei, che non aveva smesso un secondo di fissarla. Quando Daniel ritornò e le porse il suo drink notò soddisfatta che quel ragazzo, che non era affatto il suo tipo, aveva distolto lo sguardo come preoccupato dalle conseguenze di un possibile incontro con Dan.
Rebecca prese il bicchiere e mosse il contenuto facendo toccare fra di loro i cubetti di ghiaccio.
-Cerchiamo un posto tranquillo- le disse il ragazzo –Non mi va di urlare…-
Lei annuì e lo seguì. Si spostarono dalla pista e dal bar, andando verso l’uscita di sicurezza in cui si rintanavano le coppiette in cerca di privacy o alcuni per poter fumare.
Lui prese un goccio della sua bevanda color ambra: sicuramente Jack Daniels.
-Ok, allora…esattamente cosa vuoi sapere?- le chiese poi
-Tutto! Perché lo hai fatto e soprattutto perché lo hai fatto quando io non c’ero!- era quell’ultima cosa che la faceva sentire peggio, e non sarebbe stata soddisfatta finché non ne avesse scoperto il motivo.
Lui ispirò, si guardò intorno e rispose:
-Non pensare che abbia deciso di dare la notizia quando tu non c’eri proprio perché eri assente. È che quel giorno ci siamo messi a parlare, dopo aver provato un po’, e ho deciso di essere sincero e di dire come stavano le cose…era da un po’ che pensavo di lasciare il gruppo…-
-E come mai?-
-Non me la sentivo più di continuare…voi siete bravissimi e un sacco in gamba, ma non è il mio genere capisci? Non è il tipo di musica che vorrei veramente suonare-
Lei rimase in silenzio ad ascoltarlo e quello continuò:
-Mi conosci. Io sono un amante dell’Hard Rock. Mi piacerebbe mettere su un gruppo mio e suonare questo tipo di musica. So che sarà difficile, ma almeno voglio provarci…-
-Ma quindi tu hai già un altro gruppo?-
Lui le sorrise:
-No-
-E allora perché non hai continuato a suonare con noi? Potevi dircelo, così magari noi iniziavamo a cercare un sostituto, ma senza fermarci. Capisci cosa intendo?-
-Rossa non avrebbe avuto senso. Da troppo tempo io non mi immedesimavo più nella vostra musica. Facevo solo il minimo indispensabile per darvi una mano, ma non introducevo più le stesse influenze che inserivo all’inizio. Se fossi rimasto sarebbe stato come prendervi in giro!-
Rebecca non riuscì a controbattere perché si accorse che Dan era stato incredibilmente sincero.
Si accorse anche che aveva ragione su tutto. Guardò il contenuto del suo bicchiere non sapendo cosa dire.
-Sei arrabbiata?- le chiese dopo un po’ lui.
Lei lo guardò e sospirò:
-No. Non sono arrabbiata. Diamine ci conosciamo da tanto di quel tempo noi due… è che tutta questa situazione è così strana e difficile da gestire che non so da dove cominciare…-
-E i ragazzi? Ce l’hanno con me?-
Lei sollevò le sopracciglia:
-Ma chi? Loro? Oh, per favore! Per voi uomini è tutto più semplice, basta una pacca sulla spalla e una sul culo e siete più amici di prima!-
-Non con Roy, sai come la pensa per le pacche sulle spalle, figuriamoci poi sul culo- fece il ragazzo.
Finalmente i due si misero a ridere facendo scomparire completamente l’aria tesa che regnava appena si erano incontrati quella sera.
-Comunque sia, mi dispiace, davvero. Ma ho preferito essere onesto e sincero con voi proprio perché siete i miei migliori amici-
Lei gli sorrise: -Lo apprezzo-
-Se doveste avere bisogno di aiuto, non esitate a chiederlo, per voi ci sono sempre-
-Ma secondo te…ce la facciamo a trovare un batterista?-
-Secondo me si. Te l’ho detto, siete in gamba. La gente ormai conosce gli Engage, sa chi sono.  Sono certo che non avrete problemi a trovare un rimpiazzo-
Sembrava convinto, ma notò l’espressione di Rebecca e disse:
-Hei, non ti preoccupare-
-Lo so, lo so… ma so anche che non sarà facile se vogliamo trovare il batterista giusto…-
-Questo è vero. Perché non vi meritate uno qualunque, ma vi serve qualcuno che porti influenze nuove e che lavori bene e con passione. In questo modo il vostro sound non potrà che migliorare e diventare ancora più unico e ricercato…ancora più vostro!-
Fece una piccola pausa dopodiché si limitò a dire:
-Dovete solo trovare il Dave Grohl della situazione…-
A quelle parole Rebecca alzò lo sguardo, strinse con la mano libera il suo ciondolo a forma di chitarra e capì che non sarebbe stato affatto facile.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Incontri ***


“Dovete solo trovare il Dave Grohl della situazione”. Quella frase continuava a rimbombare nella testa di Rebecca da quando, la sera prima, Daniel l’aveva pronunciata.
Sapeva esattamente per quale motivo avesse scelto quella metafora: per lei era di semplice interpretazione.
Aveva capito cosa intendesse fin da subito. Significava trovare un batterista dotato di anima, di passione e con del talento, che portasse alla band una notevole quantità di influenze.
Ma dove trovarlo? I musicisti veramente capaci il più delle volte sono già impegnati in grandi progetti, in cui ripongono sempre tutte le loro aspettative, a meno che non stiano nella tribute band del loro gruppo preferito.
Lei e i ragazzi erano ancora al punto di partenza. Anche se aveva chiarito le cose con Daniel continuava, sotto sotto, a chiedersi perché lui avesse preferito lasciare gli Engage piuttosto che parlarne con loro e cercare di risolvere la situazione. Tuttavia le cose erano andate diversamente e avrebbe dovuto farsene una ragione.
Continuò a rimuginare fra sé mentre camminava lungo il vialetto del parco vicino a casa sua.
Erano le 14.00 di domenica pomeriggio e la ragazza era uscita, come spesso faceva quando le giornate erano soleggiate e tiepide, per andare in quel giardino a leggere un po’. Il fatto di conoscere alla perfezione quel posto, dato che vi era praticamente cresciuta, le aveva permesso di camminare in tutta tranquillità isolandosi completamente dall’esterno avvolta nei suoi pensieri, che quel giorno erano più fitti e insistenti che mai.
Passò accanto ad una delle rampe di scale senza prestare troppa attenzione a quello che stava succedendo lì in quel momento.
Fu riportata alla realtà dall’urlo di qualcuno che stava dicendo:
-Stai attenta!!!-
Si voltò in direzione di quella voce.
Dalla rampa di scale, scivolando lungo la ringhiera, stava sopraggiungendo una ragazzo sul suo skateboard. Rebecca agì di istinto e riuscì a spostarsi poco prima che quel tipo saltasse e dopo si voltò a guardarlo.
Non capiva come, ma era riuscito a cadere. Aveva perso la tavola in volo ed era atterrato male sul prato, leggermente in dislivello, rotolando a terra un paio di volte, mentre lo skate si era fermato sbattendo contro il muretto sotto le scale.
La ragazza lo guardò sconvolta ed esclamò:
-Oddio ti sei fatto male??-
Lui sollevò prima una gamba, per darsi equilibrio, poi si mise a sedere passandosi una mano sulla testa, come per vedere di essere tutto intero.
-No…- disse dopo un momento di visibile smarrimento –Sto bene grazie…-
Si alzò, uscì dall’erba e si mise davanti a Rebecca:
-Non volevo spaventarti, scusa-
-Ma figurati! È colpa mia, non stavo guardando dove andavo…forse se avessi prestato un po’ più di attenzione non saresti caduto-
Lui si voltò a guardare la rampa da cui era appena scivolato, o meglio, precipitato.
-Non credo- disse alzando le spalle –L’ho presa malissimo! Sarei caduto ugualmente- sorrise a Rebecca.
Lei rimase affascinata da quel sorriso. Era così amichevole e così sincero. Faceva risaltare lo sguardo furbo del ragazzo caratterizzato da quegli occhi nocciola, con piccoli riflessi verdi, incredibilmente vivaci.
Lui si passò nuovamente una mano in testa spettinandosi i corti capelli neri, che già anticipavano le leggere onde che avrebbero avuto se fossero diventati appena più lunghi, e si guardò intorno.
-Dov’è finito il mio skate?- chiese senza rivolgersi esattamente a qualcuno.
Rebecca si avvicinò al muretto e prese lo skateboard.
-Eccolo- disse porgendoglielo.
Lui lo afferrò e la ragazza notò il tatuaggio sul suo polso sinistro. Due F colorate di nero, legate fra di loro.
Un simbolo universale che per lei e per tanti altri aveva un solo significato: Foo Fighters.
Rimase a guardarlo per un breve istante prima di dire:
-Ti piacciono i Foo Fighters??-
Il ragazzo diede un’occhiata, sorrise e rispose:
-Certo, anche i Nirvana!-
Sollevò il braccio e mostrò a Rebecca la parte interna dello stesso polso. Vi era tatuato lo smile dei Nirvana.
Lei gli sorrise e alzò l’indice della mano sinistra mentre diceva:
-Guarda un po’ qui-
Si voltò e scostò i capelli rossi facendo vedere al ragazzo il collo, sul quale le  FF nere la facevano da padrone: lo stesso tatuaggio di lui, lo stesso logo.
Il ragazzo fischiettò un motivetto soddisfatto e affermò: -Forte!-
Rebecca si girò e gli sorrise, ricevendo in cambio lo stesso gesto.
Era incredibile la rapidità con cui si creava dell’ alchimia fra due persone innamorate delle medesima band, perché se decidi di tatuarti il loro logo, devi per forza amarli!
Quella situazione diede alla ragazza la spinta per provare ad istaurare un rapporto con quel ragazzo precipitato dalle scale. Infondo un nuovo amico non faceva mai male e, oltretutto, lui era persino carino, quindi perché non provarci?
“Dovete solo trovare il Dave Grohl della situazione”. La frase ritornò prepotentemente in testa a Rebecca. Forse quel tatuaggio era un segno e quell’incontro voluto dalla sorte.
-Senti io ci provo…per caso suoni la batteria??- disse tutto d’un fiato, lanciandosi.
-Cosa?- fece lui visibilmente stupito dalla domanda. Poi continuò:
-Solo perché mi piacciono Foo Fighters e Nirvana devo suonare la batteria?-
“Cavolo ma si è offeso??” pensò la ragazza, che subito disse:
-No, no. Scusami. È che io e la mia band stiamo cercando un batterista, così ci provo con chiunque…uomini, donne, bambini…- fece alzando le spalle.
-Suoni?- le chiese lui dopo un leggero sorriso.
Lei annuì. L’alchimia fra i due crebbe ancora, in pochi secondi.
Suonare in una band emergente o essere uno skater era un altro motivo di interesse reciproco.
Erano due passioni differenti fra loro, ma anche diverse da quelle della maggior parte delle persone, che spesso non venivano viste in maniera positiva. Entrambi riuscivano quindi ad immedesimarsi perfettamente nella situazione dell’altro ed erano consapevoli di cosa significasse avere simili interessi.
Il ragazzo si guardò un momento intorno, poi sfiorò alcuni graffi della sua tavola da skate prima di dire:
-Il mio amico suona la batteria. Se vuoi te lo presento…-
Rebecca gli sorrise, sentendo un bel po’ di speranza tornarle in corpo: doveva essere veramente un segno quel tatuaggio.
-Volentieri, grazie-
Anche lui sorrise, affascinando ancora una volta la ragazza.
Appoggiò la tavola a terra e si diede un colpetto sulla fronte:
-Che cavolo, non mi sono neanche presentato- disse tendendole la mano:
-Mi chiamo Jack. Per la verità sarei Giacomo, ma visto che non mi piace il mio nome mi faccio chiamare come il 90% dei Giacomo su questo pianeta…-
-Io sono Rebecca- gli rispose.
-Il mio amico è là….da qualche parte. Vieni..- concluse, facendole strada.
Mentre camminavano Jack ne approfittò per dare un paio di spiegazioni a Rebecca.
-Si chiama Matteo, ma tu chiamalo Gibbo, altrimenti inizia a diventare antipatico. Non so francamente come sia come batterista, non l’ho mai sentito, ma so che suona da un po’. Non ha un gruppo, di questo almeno sono certo. E, in totale onestà, non so se sta cercando qualcuno con cui suonare, ma visto che sei qui e tu e la tua band state cercando un batterista vi faccio incontrare, non si sa mai…-
Lei ascoltava in silenzio, annuendo e sorridendo ogni volta che il ragazzo si girava a guardare dalla sua parte.
Raggiunsero il cosiddetto Gibbo, che se ne stava fermo immobile a osservare il suo telefono cellulare. Era un tipo alto e con le spalle larghe. Aveva un cappellino in testa che gli schiacciava i capelli che, da quel poco che si vedeva, dovevano essere biondi ed era perfettamente sbarbato.
-Hei Gibbo!- urlò Jack prima di arrivargli vicino.
L’altro si voltò verso di lui e con un sorriso esclamò:
-Ma dove cazzo eri finito? Sei mor…oh aspetta….hai rimorchiato!-
Il primo impatto, agli occhi di Rebecca, fu tremendo.
Si rese conto che non riusciva ad immaginare quel tipo alla batteria degli Engage.
E poi cavolo, che modo era di accogliere l’amico che si presenta con una perfetta sconosciuta?!
Jack si voltò verso di lei mostrandole un sorriso imbarazzato.
-Vedi di essere educato! Ci siamo appena conosciuti. L’ho portata qua perché lei e la sua band stanno cercando un batterista, altrimenti non l’avresti vista neanche con il binocolo! Volevamo solo sapere se la cosa potesse incuriosirti…- affermò quest’ultimo avvicinandosi all’amico e mostrando di essere notevolmente più basso.  
Gibbo si voltò e squadrò Rebecca:
-Un batterista?- chiese
-Già- rispose la ragazza,pensando che quell’altone non le piaceva minimamente.
-Fate delle cover per caso? Perché se le fate non sono interessato…-
-No, niente cover. Facciamo pezzi nostri. Abbiamo già un EP con dieci tracce e ne abbiamo altre 4 in lavorazione-
-Che genere?-
Rebecca alzò le spalle: la domanda più complicata era sempre quella.
-Difficile da spiegare. Ma comunque sia facciamo Rock- fu la risposta.
Jack continuava ad osservare la ragazza, negli occhi, con un leggero sorriso sul volto. Quell’incontro casuale stava diventando sempre più interessante per lui.
Gibbo allora si grattò il petto e infilò il telefonino in tasca:
-Come vi chiamate?-
-Engage-
Fece un momento di pausa, riflettendo su quel nome.
-Non lo so. Magari prima do un po’ un’occhiata alla roba che fate…-
Jack intervenne:
-È ovvio che non devi dare una risposta adesso. Io te l’ho presentata perché era qui in zona…-
-Si, ovviamente- disse la ragazza, poi continuò: -Se mai contattaci sulla pagina Facebook, sia che la cosa ti interessi che non. Poi nel caso ne discuteremo meglio. Io ora devo proprio scappare- finse di dare un’occhiata al cellulare e poi si rivolse a Jack:
-Ti ringrazio-
Lui le sorrise: -Figurati!-
Rebecca salutò e si avviò rapidamente lungo il vialetto, stringendo con forza la borsa che aveva sulla spalla sinistra e sentendo la voce pesante e fastidiosa di Gibbo che iniziava a dire:
-Dove cavolo l’hai trovata? È davvero…-
Non voleva assolutamente sapere come andava a finire la frase!
Gibbo non le piaceva, neanche un po’. Aveva una faccia da cerca guai e un’espressione da maniaco che avevano notevolmente irritato Rebecca. Si era a stento trattenuta dal tirargli un calcio quando lui le guardava la scollatura della sua maglia bianca ogni volta che lei rispondeva. Si ritrovò a sperare con tutta sé stessa che non fosse interessato a diventare il nuovo batterista della band, perché non lo avrebbe voluto rivedere mai più!
Ripensò a Jack. Maledizione, lui era così carino!
“Perché i ragazzi interessanti hanno sempre degli amici dementi?!” si chiese con il nervosismo che cresceva.
Si sfiorò il punto del collo dove aveva il tatuaggio, ripensando al sorriso del ragazzo moro dopo che lei glielo aveva mostrato.  Si scoprì a sorridere sentendosi una stupida ragazzina alle prese con la prima cotta:
“Sono davvero ridicola…” si disse.  

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Steve ***


Stefano era fermo in piedi davanti alla macchinetta del caffè, con il viso abbassato a guardare il palmo della sua mano sul quale stava contando le monetine in rame sperando di raggiungere i quaranta centesimi necessari per una bevanda. Aveva appena terminato la lezione di basso alla scuola in cui andava nei pomeriggi di lunedì e mercoledì ed era stanchissimo. La sera prima aveva fatto le ore piccole nonostante fosse un martedì, ma era uscito con un paio di amici che non vedeva da una vita e che lo avevano spronato ad alzare il gomito più del dovuto e a rincasare alle 3.00 passate. Il mattino si era poi svegliato con un forte male alla testa, si era rigirato su un lato nel letto ed aveva mandato al diavolo la lezione all’università.
Toccò per l’ennesima volta la stessa moneta da cinque centesimi rigirandola ancora e, dopo un altro sbadiglio, si rese conto che era proprio quella che le mancava per ottenere la cifra desiderata.
Iniziò ad infilare i soldi uno dopo l’altro all’interno della macchinetta, dopodiché selezionò “caffè espresso” e rimase ad ascoltare i suoni privi di logica generati da quell’affare, dando un’occhiata al suo strumento, appoggiato al muro lì accanto.
Quanto gli piaceva il suo basso. Il suo adorato Fender Precision color mogano con il battipenna bianco.
Si ricordava ancora quando lo aveva comprato, dove lo aveva comprato.
Si mise a ripensare a tutto quello mentre cominciava, lentamente, a soffiare sul caffè nel tentativo di raffreddarlo.
Erano passati tre anni da quando lo aveva acquistato al negozio di strumenti poco lontano da casa sua e ora quel posto non esisteva più. Lo avevano chiuso per fare spazio ad un bar di classe per fighetti.
Si ricordava ancora quel posto. Era fornitissimo, anche se molto piccolo.
Le chitarre dominavano tutta la stanza, stando appese ai muri, accostate alle pareti, appoggiate agli scaffali.
C’erano anche i bassi, segregati con gli amplificatori nello stanzino sul retro, troppo stretto per loro ma che allo stesso tempo li faceva risaltare perché era incredibilmente luminoso.
E il gestore del negozio era un tipo strano.
Steve tornò a ricordarsi di lui dopo parecchio tempo, mentre iniziava a sorseggiare il caffè scottandosi la lingua.
Proprio un tipo strano, ma allo stesso tempo molto preparato su tutto. Si ricordava ancora l’espressione che quell’uomo, un omone alto e barbuto con un sacco di capelli indomabili in testa, aveva assunto quando lui era entrato per la prima volta cercando un basso.
“Un basso?” gli aveva chiesto, poi era scoppiato a ridere. “Ragazzo mio, ne ho pochi ma ho i migliori che tu possa cercare!” aveva urlato soddisfatto e poi glieli aveva mostrati.
Steve sorrise fra sé, la stanchezza che aveva addosso parve allontanarsi da lui lentamente pensando al suo  incontro con il suo amato Fender. Si ricordava ancora la prima occhiata che aveva lanciato a quel basso.
Era pomeriggio e la luce del tramonto filtrava timida dalla grande finestra che illuminva lo stanzino sul retro del negozio. Quei raggi incandescenti avevano sottolineato ancora di più le venature scure sparse su tutto il corpo mogano dello strumento e la sfumatura che dal centro partiva per intensificarsi lungo il bordo esterno. Il gestore doveva aver notato la sua espressione quasi innamorata perché aveva detto “Un Fender Precison, non male vero? Te lo faccio provare ragazzo.”.
Pochi giorno dopo, con la spesa più folle che avesse mai fatto, ancora più folle del tatuaggio che si sarebbe fatto l’anno successivo, Steve era uscito dal negozio con il suo strumento nuovo.
Ne era valsa la pena. Dal primo momento in cui lo aveva suonato aveva capito che era perfetto per lui.
Molte persone, per diverso tempo, gli avevano chiesto come mai si fosse messo a suonare il basso piuttosto che la chitarra dalla quale aveva cominciato, e lui rispondeva sempre con la stessa citazioni di Mike Dirnt dei Green Day: “Potranno esserci tantissimi chitarrista all’interno della stessa band, ma ci sarà sempre un solo bassista”. Più o meno era così, l’aveva dimenticata spesso quella frase.
Per lui era il modo di sentirsi unico in mezzo ad altre persone, ma la verità era che aveva faticato ad apprezzare realmente la chitarra, mentre con il basso in mano si era sempre sentito sé stesso.
Sorseggiò ancora il caffè  iniziando a guardarsi intorno nel corridoio stranamente deserto.
Forse per via della stanchezza o di chissà che cosa ricominciò a pensare alla sua crescita come musicista.
Gli inizi tipici di molti ragazzi: i garage. La sua cover band dei Blink182 a diciassette anni, quando si sentiva il re del mondo e usava il vecchio Squier comprato per pochi euro ad un mercatino dell’usato in fondo alla via.
Suonavano per divertirsi, lui e gli altri membri, facevano pochissimi concerti e quei pochi erano anche pessimi, ma per loro l’importante era fare casino e spassarsela.
Ma a diciannove anni, quando si innamorò del suo Fender, le cose cambiarono.
Incontrò Roy che divenne uno dei suoi più grandi amici e che lo portò ad unirsi a Daniel e Andrea in quelli che ancora non erano gli Engage.
Facevano delle jam session ogni pomeriggio e lui finalmente capì cosa volesse significare fare musica: trasmettere emozioni, divertirsi si, ma comunicare qualcosa perché la musica era un mezzo universale.
Terminò il caffè nel momento esatto in cui pensò all’arrivo di Rebecca all’interno del gruppo “È un’ottima cantante” aveva detto Andrea che la conosceva da tantissimo tempo, ma prima di arrivare al nome e alla musica che suonavano ora, era passato altro tempo.
Il 2011 era stato l’anno della svolta per lui e per gli altri e da allora Steve aveva riposto tutte le sue speranze nella band, negli Engage.
Buttò il bicchierino di plastica vuoto nel cestino.
Daniel aveva mollato ormai una settimana fa, era dura da superare ma lui ce l’aveva fatta più in fretta degli altri, tuttavia ancora non si era trovato l’ombra di un batterista e la cosa iniziava ad innervosirlo.
Si mise il basso in spalla per avviarsi verso casa quando qualcuno da dietro lo chiamò:
-Oh Steve!-
Lui si voltò e vide arrivare verso di lui due suoi amici, entrambi frequentatori del corso di chitarra avanzato nella scuola.
Steve sorrise:
-Ragazzi, come va?-
-Tutto a posto- rispose il primo, robusto con il pizzetto e i capelli legati in un codino scuro.
-Che faccia hai? Tu secondo me non stai bene- fece l’altro, più alto e magro rispetto al primo, con la testa fresca di rasatura e gli occhiali dalla montatura nera spessa.
Il bassista si spettinò i capelli che quel giorno avevano poco di Mark Hoppus:
-Ho fatto un po’ tardi ieri sera…sono sfinito- si limitò a dire.
Gli altri due lo analizzarono dopodiché quello con il codino chiese:
-Come va con il gruppo? Mi avevi detto del batterista, ne avete trovato un altro?-
Stefano si fermò a pensare. Ma quando glielo aveva detto? Poco importava.
Alzò le spalle e rispose:
-Macchè! Noi continuiamo a cercare, ma sembra che qui nessuno voglia farsi vivo. Io ho sentito quei pochi che conoscevo ma non sono interessati e anche se abbiamo messo fuori dei volantini a quanto pare non servono perché nessuno si è fatto avanti-
I due annuirono poi, dopo un’occhiata all’orario, il più alto disse:
-Dobbiamo andare, fra poco iniziamo la lezione. Prova ad andare a vedere giù alla bacheca degli annunci, quella vicino all’ingresso. Magari lì trovi il numero di qualche batterista in cerca di una band-
Si allontanarono senza dare il tempo a Steve di rispondere dopo avergli augurato un “In bocca al lupo”.
Il ragazzo decise di fare una breve sosta a quella bacheca. Mentre si avviava verso quel punto non riuscì a scacciare il pensiero che gli stava annebbiando la mente: e se le cose non si risolvessero? Se loro non fossero riusciti a trovare un nuovo batterista? Per quanto tempo gli Engage avrebbero potuto andare avanti a basi, senza batteria sulla quale lavorare?
-Fanculo…- mormorò fra sé.
Lui era quello positivo nel gruppo, lo era sempre stato e avrebbe continuato ad esserlo, non si sarebbe fatto abbattere da una cosa del genere. Oltretutto, anche se non era modesto da pensare, era merito suo se quel giorno, in sala prove, avevano ricominciato a lavorare.
Si fermò davanti alla bacheca che brulicava di volantini, annunci e foglietti di carta.
Si mise a leggerli in ordine sparso.
Chitarristi in cerca di band, bassisti in cerca di band, band in cerca di chitarristi, bassisti, tastieristi e cantanti.
Niente batteristi in cerca di qualcosa. Un solo volantino aveva la parola “batterista” scritta sopra, ed era l’annuncio di un gruppo che ne cercava uno per completare la formazione.
Con l’irritazione addosso Steve strappò dalla bacheca quell’annunciò “Al diavolo” pensò “Se non possiamo averlo noi un batterista non lo avranno neanche loro”.
Appallottolò il foglio e lo gettò nel cestino subito fuori dalla porta, pensando che aveva proprio voglia di una birra.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Roy ***


Il liquido dorato scivolava lungo il vetro del boccale mentre Roberto spillava da bere al pub in cui lavorava, il giovedì era sempre una serata piuttosto tranquilla.
Rimase ad aspettare che la schiuma diminuisse prima di aggiungere altra birra e dopo aver terminato di riempire il boccale, perfettamente come sempre, lo allungò su un vassoio pronto per il cameriere.
Guardò il post-it successivo, il nuovo ordine. Una birra scura, una di quelle molto schiumose che lui preferiva bere che versare.
Si chinò, afferrò la bottiglia da uno dei frigo sotto il bancone e la stappò. Poi, lentamente, iniziò a versarla.
Compiva i gesti in automatico. Tutte le sere ripeteva le stesse mosse: salutava i clienti che entravano e uscivano quando passavano dal bancone dietro il quale lavorava, posto ad angolo vicino all’ingresso, apriva birre e le versava nei bicchieri, ne spillava altre nei boccali e le allungava tutte ai camerieri che poi portavano a lui altri ordini, scritti su post-it verdi, che attaccava al legno della colonna del bancone.
Appoggiò la birra scura appena versata su un nuovo vassoio, assaporando l’odore tipico della sua tostatura. Poi si accorse di essere rimasto senza lavoro. Avevano servito tutti i clienti nel pub poco affollato.
Ne approfittò per sistemare i bicchieri vuoti che gli erano appena arrivati dalla cucina. Toccava a lui metterli via perché dovevano essere disposti in modo tale da permettergli di lavorare con rapidità, senza doversi fermare sempre a pensare a dove si trovassero.
-Roy ordine- disse Anna, una delle ragazze che serviva ai tavoli.
Il ragazzo prese il foglietto dalla mano di lei senza emettere un suono.
-Stai bene?- gli chiese notando la sua espressione.
Lui la guardò, fece una leggera smorfia e rispose:
-Sono solo sovrappensiero. È tutto a posto tranquilla-
Lei si appoggiò al bancone con i gomiti e lo scrutò mentre versava la birra.
-Vuoi parlarmene? Ho tempo adesso, non ho da fare nulla in pratica…-
Roy non disse niente finché non ebbe terminato di spillare la birra. Poi l’appoggiò sul vassoio di Anna e la guardò con espressione vincente. Lei si allontanò con calma lasciandosi osservare. Che fosse una bellezza lui lo aveva sempre ammesso, ma non era il suo tipo. Era la classica ragazza con i capelli setosi, lunghi e chiari che colpiscono prima per il loro aspetto che per le loro doti. Prima di conoscerla bene ci aveva fantasticato spesso, quando lei lo salutava con dei timidi “Ciao” e sorrideva tutte le volte che le allungava qualcosa.
Poi si era aperta, con semplicità e con antipatia, mostrando di essere sagace e anche un po’ scontrosa.
Così avevano fatto amicizia e lei era diventata la confidente di Roy all’interno del pub. Sapeva tutto quello che lui voleva si sapesse,ma niente di più.
Quando ritornò al bancone vi appoggiò il vassoio con un gesto deciso:
-Spara!- si limitò a dire.
Il ragazzo sollevò un sopracciglio e rispose:
-Sparo cosa? Non ho niente da dire, sul serio-
Lei sospirò, si sistemò il grembiule e si allontanò dove avergli detto:
-Sei il solito. Be, se hai bisogno di me sai dove trovarmi- e si finse offesa.
Lui sorrise e rimase a guardarla andare ad uno dei tavoli, prima che un altro cameriere gli portò un nuovo ordine.
Mentre stappava una bottiglia Roy si domandò cosa gli stesse prendendo. Effettivamente era strano quella sera ma non riusciva bene a capire quale fosse il vero motivo, o meglio, lo sapeva ma sembrava quasi non volerlo ammettere neanche a sé stesso.
Buttò nel vetro la bottiglia rimasta vuota con un suono di cocci fracassati e aspettò che portassero via l’ordine, dopodiché si mise a pulire distrattamente il piano da lavoro con una spugnetta umida.
Quel pomeriggio non avevano provato. Di solito il giovedì si trovavano, anche solo per fare due chiacchiere e magari strimpellare un po’ i loro strumenti in compagnia, cercando di far uscire qualcosa di sensato dalle jam che erano alla base della loro produzione musicale.
Si prese in mano una ciocca di capelli e la misurò immaginariamente, magari se li sarebbe tagliati, giusto per non diventare troppo simile a Steve, gli era già capitato di essere scambiato per suo fratello.
“Ma che diavolo centra?” si chiese lasciando stare i capelli.
Si guardò intorno pregando per l’arrivo di un nuovo ordine. Lo stavano lasciando solo con i suoi pensieri e non se la sentiva di affrontarli quel giorno, neanche un po’. Perché erano negativi.
Ruotavano tutti attorno alla piega che stava prendendo la situazione degli Engage e lui non riusciva a sopportarla. Quanto avrebbe voluto spaccare la faccia a Daniel quando, mercoledì scorso, aveva detto “Ragazzi, mi dispiace ma penso che sia giusto che io lasci la band”. Subito dopo si era trattenuto a stento dall’urlargli in faccia che era un coglione. Ma alla fine si era calmato, grazie soprattutto a Steve, quello più pacifista lì in mezzo, ancora più di Andrea che era l’unico ad avere una situazione sentimentale stabile che dà molti motivi per essere pacifici.
Prendersela con Dan non sarebbe servito, se litighi con uno che vuole lasciare il tuo gruppo di certo non lo convinci a rimanere.
Sospirò soddisfatto quando vide Anna sventolargli sotto il naso due post-it verdi. Li afferrò e ne applicò uno sulla colonna e l’altro, dopo averlo letto, lo buttò nel cestino.
Iniziò a far scendere la birra nel boccale continuando a pensare agli Engage, ormai i suoi pensieri erano partiti di corsa e non li avrebbe più fermati.
Sicuramente la persona che aveva sofferto di più per l’abbandono di Daniel era Rebecca.
Lui non glielo aveva mai chiesto, ma si era accorto che lei era interessata all’ex batterista molto più di quanto non volesse lasciare intendere, almeno nel primo periodo. Ma forse il vero motivo era che la ragazza, all’interno della band, era sempre stata quella che ci credeva più di tutti gli altri, ed era così tutt’ora, perciò il rischio separazione la spaventava.
Se le cose fossero andate per il verso sbagliato lui, Steve e Andrea avrebbero potuto anche mettersi a suonare per i cavoli loro, strumento in mano e via dicendo, ma lei? Certo, a cantare era incredibile, ma avrebbe dovuto trovare un altro gruppo perché non era tipa da fare la solista.
E se gli Engage non ce l’avessero fatta, continuare a suonare tutti e quattro insieme sarebbe stato troppo fastidioso, se non addirittura doloroso.
“Come siamo ottimisti questa sera” si disse dopo aver terminato il secondo ed ultimo ordine per il momento.
Si sforzò di pensare a qualcos’altro e si ricordò che doveva cambiare le corde della sua Epiphone.
La sua piccola, mal ridotta ma pur sempre funzionante Epiphone Les Paul nera e bianca.
“Voi due dovreste odiarvi!” aveva detto Rebecca la prima volta che Andrea e lui avevano tirato fuori le chitarre in sala prove, da una parte una Fender e dall’altra la figlia di una Gibson.
Sorrise ricordando quel momento agli inizi della band. Si era sempre trovato bene, anche quando, prima di fare sul serio, prima di trovare la ragazza, lui e gli altri tre si mettevano a fare delle jam session strumentali.
Era tutto più semplice all’epoca, principalmente perché lui non aveva riposto speranze in qualcosa.
Suonava, si divertiva e fine. Ma con Rebecca le cose cambiarono, non per colpa sua, ma perché con una cantante non si poteva non prendere sul serio il proprio gruppo.
Le jam lentamente diventavano canzoni: così erano nati i primi cinque pezzi, con una rapidità ed una semplicità invidiabile. La cosa che gli piaceva di più era il fatto che nessuno si limitava a fare la sua piccola parte ma tutti contribuivano in grande suggerendo e ascoltando i consigli degli altri. Gli Engage erano un po’come la sua seconda famiglia, anzi lo erano.
Si spettinò i capelli sentendosi nuovamente sé stesso.
Non avrebbe permesso a niente di distruggere la sua famiglia! Lo avrebbe trovato quel fottutissimo batterista!
-Oh Roy a proposito…- gli disse uno dei camerieri appena arrivato dalla sala.
-Ho sentito da quel mio amico sai? Il batterista?-
Roberto annuì sperando in buone notizie.
-È già impegnato, mi dispiace- cercò di rincuorarlo con un sorriso, gli mollò il post-it verde con il nuovo ordine e si allontanò.
Roy lo prese e lesse il nome della birra che vi era scritto sopra.
“Ecco, appunto…quel fottutissimo batterista…”
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Andrea ***


Il ronzio era costante e insopportabile. Andrea continuava a tentare di abituarsi mentre il puntale, imbevuto di inchiostro nero, entrava e usciva dalla pelle della sua schiena, in corrispondenza della sua spalla e poco distante dal suo orecchio sinistro che cominciava a detestare il fastidioso suono della macchinetta per il tatuaggio.
Giorgio, il suo tatuatore di fiducia, lo stesso che gli aveva fatto il suo personale capolavoro sull’avambraccio, era concentrato sul suo lavoro e, anche se era un tipo molto chiacchierone di solito, aspettava che fosse Andrea a rompere il silenzio. Quest’ultimo prestava attenzione al punto in cui l’ago si conficcava nella pelle e ne seguiva i movimenti: era doloroso e sapeva anche perché: “Non pensarci coglione, se no fa un male cane!” si disse.
Avevano appena cominciato, il tatuatore gli aveva detto che non sarebbe durato più di un’ora, ma se Andrea avesse continuato a pensarci gli avrebbe fatto male per tutto il tempo.
Era il suo quarto tatuaggio, il terzo da Giorgio, e questa volta aveva deciso di sigillare definitivamente il suo amore per la musica facendosi una chiave di violino. Il classico, forse anche banale, tatuaggio presentato in tutte le forme possibili e immaginabili. Lo aveva voluto con linee sottili e leggermente sfumate, quasi come fosse una presenza inesistente ma palpabile sul suo corpo: qualcosa di stranamente poetico.
Gli era venuta l’ispirazione il pomeriggio in cui dovette portare la chitarra a far aggiustare.
Il giorno dopo aveva chiamato Giorgio che gli aveva trovato immediatamente un buco, solo per lui.
Nei suoi giorni senza Fender era combattuto fra la mancanza per il suo strumento e la frenesia per il tatuaggio, ma alla fine la mancanza per la sua piccola, la sua amata chitarra, aveva vinto.
E pensare che lui neanche la voleva una Fender!
Era riuscito a mettere da parte un sacco di soldi per comprarsi una Prs ma poi le cose avevano preso una piega diversa.
“Non ne ho al momento di Prs mi dispiace” gli aveva detto il negoziante quando era andato per compiere il grande passo “Ma se vuoi puoi provare qualcos’altro” aveva concluso e lui gli aveva dato ascolto. Aveva suonato un’Ibanez, una Gibson e poi gli avevano dato in mano una Fender, la sua Fender, e lei l’aveva stregato. Nella sua più totale semplicità, con quel colore panna così sobrio che a malapena faceva distinguere il battipenna dal resto del corpo. Appena lui aveva fatto scorrere le dita lungo le sue corde e suonato qualcosa, di veramente semplice e stupido, decise che lei doveva essere la sua compagna, altro che Prs!
Sorrise fra sé notando che in quei brevi istanti in cui si era messo a pensare alla chitarra non aveva minimamente sentito l’ago della macchinetta.
-Come procede?- chiese poi a Giorgio decidendo di fare un po’ di conversazione.
-Ti sei svegliato all’improvviso Andrea?- chiese di rimando l’altro
-Scusami, ho la testa da un’altra parte oggi-
-L’ho notato. Comunque siamo a metà, fra poco comincio con le sfumature-
-Grande- affermò Andrea ripiombando nel suo silenzio, smorzato solo da quell’odiosissimo ronzio.
Il fatto che il ragazzo avesse interrotto il silenzio parve dare a Giorgio la libertà di continuare a parlare:
-Posso chiederti che succede? O non vuoi assolutamente parlarne con nessuno?- fece sistemandosi meglio sul suo sgabello.
-No, macchè. Stavo solo pensando alla mia chitarra-
-Ah, quindi è tornata a casa?-
Andrea sorrise immaginandosi una chitarra con lo zainetto in spalla che apre la porta ed entra in casa.
-Già- si limitò a dire
-Perciò ora tu e il tuo gruppo avete ricominciato a provare?-
Ci mise un po’ a rispondere. Giorgio sapeva degli Engage, lui gliene aveva parlato quando era rimasto otto ore seduto fermo per il suo avambraccio, ma il tatuatore non sapeva le ultime vicende.
Sospirò prima di dire: -Direi di no…- e lasciò cadere la frase.
L’altro si fermò e si sporse leggermente cercando di vedere l’espressione del ragazzo:
-Che significa?- chiese
-Il batterista ci ha mollati- disse tutto d’un fiato Andrea.
Giorgio riprese a lavorare mentre diceva: -Mi dispiace. Ora cosa fate?-
-Ne stiamo cercando un altro. Per il momento però lavoriamo a due pezzi nuovi, senza batterista è un casino, ma se ci fermassimo sarebbe peggio…-
-Senz’altro. Ma come mai ha deciso di andarsene? Da come me ne avevi parlato sembravate molto uniti-
“Sembravamo” pensò, ma non fu quella la sua risposta.
-Divergenze musicali. Ha detto che non se la sentiva più di continuare con noi-
Erano andate proprio così le cose. Lui ci era rimasto male, ma gli era passata in fretta. Aveva apprezzato molto la sincerità di Daniel e non era tipo da mandare all’aria un’amicizia salda come la loro.
Ma il vero problema, per lui, era un altro e si era presentato la sera prima.
Si accorse che Giorgio stava parlando:
-Cos’hai detto scusa?- lo interruppe
-Ho detto che è un vero peccato-
-Sì infatti…-
-Quindi ora siete fermi anche con i concerti. Dev’essere stressante-
Il tatuatore cominciò ad immergere il puntale prima nell’inchiostro e poi nell’acqua distillata, per le sfumature.
Andrea decise di confidarsi con lui per chiedergli un parere.
-Posso avere la tua opinione?-
-Cosa? Sul vostro gruppo?- chiese l’altro
-No,no. Su quello che mi è successo ieri…-
-Vai- esclamò per dargli coraggio
Andrea ispirò profondamente pensando “Gran situazione di merda!”
-Ieri sera…- cominciò guardando fisso un punto davanti a sé: -Mi ha telefonato uno degli organizzatori del Music Art Festival, quello che si occupa della programmazione musicale-
-Ho già capito dove vai a parare- disse Giorgio.
Andrea accennò una risata, il suo interlocutore era furbo e ora voleva il suo consiglio.
Il Music Art Festival era l’ultimo festival della stagione nella loro città. Era conosciuto a livello nazionale e chiamava persone da tutta Italia. Si svolgeva il primo week-end di Ottobre alla pista da skateboard.
Durante la manifestazione c’erano contest di skate, concerti live di band emergenti (nel pomeriggio) e famose (la sera), writers e un sacco di merchandise: una gran festa.
Suonare là per lui era un traguardo oltre che un onore, e lo avevano contattato per far suonare gli Engage proprio mentre loro si trovavano nel periodo più critico che avessero mai affrontato. Quando la sera prima aveva risposto al telefono e aveva sentito il responsabile chiedergli se erano disposti a suonare si era sentito preso per il culo.
 -Gli altri cosa hanno detto?- chiese Giorgio
-Non lo sanno…e non so come dirglielo-
-Come non lo sanno?-
-No. Non li ho ancora visti, ma anche se ci fossimo beccati non so se glielo avrei detto. L’organizzatore ha detto che vuole conferma entro lunedì 24, sono un po’ preoccupato. Visto come stanno andando le cose non penso riusciremo a trovare un batterista in tempo- si notava lo sconforto nella sua voce. Era la sua grande occasione e aveva paura di perderla.
-È un bel problema…- si limitò a dire l’altro
-Secondo te, se non troviamo un sostituto in tempo, ha senso che io chieda a Daniel di suonare insieme a noi solo per questa volta? Un po’ come un concerto di addio…-
Il tatuatore mugugnò un “uum” dubbioso prima di dire:
-E gli altri come pensi che la prenderebbero?-
“Male” penso fra sé Andrea che poi rispose: -Hai ragione…dovrei parlarne con loro…domani ci vediamo in sala prove, vedo come va-
-Cosa fai di bello domani sera? Esci con la ragazza?- chiese Giorgio per cercare di parlare di qualcosa di più allegro.
-Domani usciamo separatamente. Ogni tanto lo facciamo, lei va al pub con le sue amiche, io penso che capiterò nella zona della Tana, infondo è sabato!- disse con un sorriso.
L’altro staccò la macchinetta dalla pelle di Andrea per l’ultima volta affermando: -Abbiamo finito!-
-Sul serio?- gli sembrava fosse passato un attimo
-Eccome! Vedi che se non ci pensi non fa male? Dai, vai a vedere com’è venuto-
Il più giovane dei due rise mentre si avvicinava allo specchio. Si voltò di tre quarti e vide la pelle arrossata attorno a quella che era una chiave di violino perfetta.
Era sottile, leggera e delicata. Le sfumature sembravano rincorrere le linee più nette dando movimento all’insieme.
-Ti sei superato ancora Giorgio!- fece Andrea voltandosi radioso.
-Ti ringrazio. Ora torna qua che devo metterci la vaselina e la pellicola-  disse indicando il punto ai suoi piedi con l’indice.
Pochi minuti dopo Andrea si era rimesso la maglia e stava salutando Giorgio sulla porta del suo negozio.
-Grazie di tutto allora-
-Sono io che ringrazio te Andrea. Oh mi raccomando, tieni duro con la band, si risolverà tutto. Magari fammi sapere come si sistema la cosa del Music Art Festival, mi piacerebbe molto sentirvi. Puoi mandarmi anche un messaggio su Facebook-
-D’accordo, non c’è problema-
-E passa di qua a farmi vedere come guarisce il tuo tatuaggio-
-Ormai li so curare i tatuaggi non credi?- affermò il ragazzo con un eloquente gesto che indicava il suo avambraccio destro.
Giorgio scoppiò a ridere prima di concludere con un: -No, seriamente. Passa! Così magari ci facciamo due chiacchiere-
Si diedero una stretta di mano e un’amichevole pacca sulla spalla.
-Grazie ancora- disse Andrea prima di avviarsi verso la sua macchina.
Mentre si incamminava si passò una mano sulla spalla nel punto in cui il tatuatore aveva appena marcato indelebilmente il suo amore per la musica.
Ripensò alla telefonata della sera precedente. Doveva assolutamente parlarne con i ragazzi, chiedere loro cosa ne pensavano, decidere insieme cosa fare, ma era molto preoccupato per come sarebbero potute andare le cose: la loro grande occasione poteva scomparire con una rapidità incredibile.
Avrebbero dovuto scegliere se chiedere a Daniel di suonare con loro per l’ultima volta, se sbrigarsi e trovare un sostituto o se rinunciare definitivamente al concerto sperando nell’anno successivo.
No, l’ultima opzione non la voleva tenere in conto neanche lontanamente, e la prima era fra tutte la più sconveniente. Quindi non rimaneva che trovare un batterista e in fretta.
“Il mondo è pieno di batteristi. Dove cazzo è finito quello che serve a noi?” pensò.
Salì in macchina, avviò il motore e accese la radio a cui trasmettevano All Summer Long di Kid Rock, poi partì.
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Rebecca ***


La mattina del quindici settembre era mite e soleggiata. Nel parco alcuni bambini scorrazzavano da una parte all’altra, dallo scivolo alle altalene, mentre lungo i vialetti in mattone le signore si salutavano dopo diversi giorni lasciando passare le persone che per il week-end erano a casa dal lavoro.
Rebecca era a sedere con le gambe accavallate e la schiena appoggiata alla panchina in metallo intenta a leggere un libro dalla copertina verde priva di titolo poiché vi aveva tolto la sovraccoperta.
Era uscita verso le 9.00 e, dopo un caffè nel bar lì in zona, aveva preso posto lontano dai bambini e vicino alla rampa in cui aveva incontrato Jack, ormai una settimana fa.
In verità non era concentrata sulle parole. I suoi occhi scorrevano rapidi lungo le righe delle pagine, le terminava e le sfogliava, ma faticava a ricordare ciò che aveva appena letto.
Si guardò intorno per l’ennesima volta quella mattina. Aveva la testa da un’altra parte da diversi giorni.
Pensava soprattutto agli Engage e alla loro situazione.
Per tutta quella settimana non avevano praticamente provato.
Dopo che sabato scorso Steve li aveva spronati a continuare non era successo nient’altro degno di nota ed era un peccato. Come promesso lei aveva lasciato in giro i volantini nei negozi e su svariati muri della città, ma nessuno aveva risposto. In chat gli altri tre ragazzi le dicevano che quelli che avevano contattato non erano disponibili e sulla pagina Facebook della band i commenti degli amici e conoscenti si limitavano a cose tipo “Cavolo mi dispiace”, “Forza ragazzi!!”, “Andrà tutto a posto, vi aspetteremo!” e simili.
Mise la polaroid, che usava come segnalibro, fra le pagine e appoggiò il volume sulla panchina, per avere le mani libere e rifarsi il codino. Si legò nuovamente i capelli nella corta coda alta da cui spuntavano i suoi ciuffi ribelli che parevano più rossi del solito e si lasciò cadere la frangia davanti agli occhi, prima di soffiarsela via. Afferrò il libro e si rimise a leggere.
Ancora non riusciva a memorizzare le parole sul quale faceva scorrere lo sguardo,ripensando agli Engage.
Non era passata altro che una settimana, sapeva perfettamente che ci sarebbe voluto del tempo perché tutto si sistemasse, ma quella situazione era così snervante. Ciò che la preoccupava maggiormente, in realtà, era la sua paura che le cose, con il tempo, potessero peggiorare ancora, cioè che si arrivasse al definitivo scioglimento.
Era improbabile, tutti quanti tenevano alla band, però anche Daniel era legato al gruppo e lei non avrebbe mai immaginato che potesse lasciarli così…
-Ciao Rossa!-
Una voce allegra la riportò alla realtà: era nel parco vicino a casa sua e stava cercando di leggere, non era il momento di fare pensieri negativi.
Alzò lo sguardo quel tanto che bastava per vedere il polso sinistro con le due F nere e riconobbe immediatamente chi l’aveva appena salutata.
-Hei Jack!- disse infilando la polaroid fra le pagine del libro per poi chiuderlo.
Lo guardò in faccia scostandosi la frangia dagli occhi e lui le sorrise.
Teneva fermo lo skateboard con il piede destro, aveva la felpa sulla spalla e gli occhiali da sole abbassati.
-Posso?- le chiese indicando la panchina con un cenno della testa. La ragazza annuì.
Non ricordava il suono della sua voce, infondo era una settimana che non si vedevano e, a parte quel giorno, non avevano più parlato personalmente.
Avevano fatto amicizia sentendosi sulla chat di Facebook. La sera stessa in cui il ragazzo aveva quasi travolto Rebecca lei si era trovata la sua richiesta di amicizia sul profilo e da allora avevano iniziato a sentirsi: “Grazie internet” aveva pensato.
La ragazza si voltò verso di lui mentre questi si sollevava gli occhiali mostrando il suo sguardo furbo.
-Come va?- chiese lei.
Lui alzò le spalle rispondendo:
-Come ieri…-
Si erano sentiti anche il giorno prima e, dopo i convenevoli di rito, si erano messi a parlare di un sacco di cose ma principalmente del Music Art Festival che ci sarebbe stato a breve. Chiacchierando, o meglio chattando, Rebecca aveva scoperto di avere molto in comune con Jack e lo trovava interessante, molto interessante.
Aveva scoperto che il ragazzo si era buttato sullo skate perché da giovane, verso i dodici anni, si era innamorato delle acrobazie di Tony Hawk, che era cresciuto con i Nirvana, che seguiva i Foo Fighters dalla bellissima Learn To Fly e che quella era la sua canzone preferita, aveva scoperto, incredibile ma vero, che stava frequentando la facoltà di chimica all’università e che, nonostante i suoi amici, non fosse un fumatore. Lei invece gli aveva raccontato del perché avesse deciso di iniziare a cantare e di come era entrata a far parte della band, su richiesta di Andrea. Si erano semplicemente raccontati l’un l’altra il minimo indispensabile per fare amicizia e per trovare, ogni volta, un buon argomento di conversazione.
Jack si guardò un momento intorno prima di dire:
-Come mai sei qui?-
-Ammazzo il tempo, ho praticamente tutta la famiglia riunita a casa…-
-Non vai d’accordo con loro?-  le chiese voltandosi per vederla in viso
-No assolutamente, andiamo molto d’accordo. Solo che quando ci siamo tutti e quattro la casa diventa….piccola- disse con un eloquente gesto alla parola “piccola”.
Il ragazzo rispose con un semplice “capisco”, poi continuò:
-…Gibbo mi ha detto che non suonerà con voi…- lasciò cadere la frase con fare dispiaciuto mentre dentro di sé Rebecca pensava “E meno male!”. La prima impressione che quel tipo le aveva fatto era stata pessima  e lei aveva deciso da subito che non avrebbe più voluto vederlo. Ok, se lei e Jack si fossero messi insieme avrebbe avuto a che fare con Gibbo piuttosto spesso, ma avrebbe anche potuto sopportarlo… “Ma che cavolo donna, torna in te!” si disse concentrandosi nuovamente sulla conversazione.
-Già…- disse semplicemente fingendosi dispiaciuta.
Lui temporeggiò un momento, indeciso se dire o no quello che pensava ma alla fine lo disse:
-Forse è meglio così. Voglio dire…non fraintendermi, è che voi siete veramente bravi. Insomma ho ascoltato i vostri pezzi e mi piacciono molto, uno come Gibbo non vi merita proprio. Non prende sul serio praticamente niente di quello che fa,porterebbe solo guai devi credermi-
Gli credeva eccome, se la ricordava la sua faccia da poco di buono!
-Davvero ci hai sentiti?-
Lui annuì sorridendole:
-Eccome, e siete davvero bravi! Diavolo, tu a cantare hai una voce favolosa! Hai studiato vero?-
-Sì, tre anni di canto alla scuola di musica che c’è qui vicino. Cantare mi era sempre piaciuto così mi sono buttata… poi Andrea mi ha scoperta e, bè, benvenuti Engage!- disse sorridendo, anche se era consapevole che queste cose gliele aveva già raccontate.
-Cazzo! Tre anni?? Ci credo, sei davvero bravissima. Poi si sente che i tuoi preferiti sono i Foo Fighters-
Rebecca si mise a ridere, era il primo in assoluto che si accorgeva che lei si ispirava a Dave Grohl quando cantava.
-Ti ringrazio molto- disse con il suo sorriso più sincero.
Jack distolse un momento lo sguardo leggermente imbarazzato senza sapere che altro dire.
Fu la ragazza a riavviare il discorso:
-Senti, posso farti una domanda?-
-Dimmi-
-Non offenderti ma… che centri tu con Gibbo? Mi sembrate così diversi… eccetto per lo skateboard che piace ad entrambi-
Il ragazzo fece una leggera smorfia come per dire “L’hai capito eh?”, dopodiché disse:
-Lo so che è un tipo particolare, è molto scurrile e a volte vorrei ammazzarlo- mimò un pugno all’aria
-Però è il mio più vecchio amico. Ci conosciamo dall’asilo e siamo praticamente cresciuti insieme... Insomma, abbiamo fatto anche le scuole elementari, le medie e le superiori insieme, è un po’ come se fosse mio fratello, alla fine gli voglio bene…capisci no?-
Rebecca annuì  poi gli chiese:
-Fate anche l’università insieme?-
Jack scoppiò a ridere per poi rispondere:
-Scherzi?? Ma ce lo vedi Gibbo alle prese con la chimica?-
-In effetti no-
Ci fu un momento di silenzio e dopo quel breve cambio di argomento il ragazzo decise di spostare nuovamente la conversazione sugli Engage, perché lo stavano interessando da quando li aveva ascoltati la prima volta pochi giorni prima.
-Come  va allora con il gruppo?- chiese alla ragazza.
Rebecca sospirò:
-Non lo so…- era la risposta più sincera che le fosse venuta in mente, perché era la pura verità.
Lei non era nella testa di Steve, Roy e Andrea e non sapeva cosa stessero passando. Per tutta quella settimana si erano sentiti poco e solo per darsi brutte notizie e la cosa cominciava a preoccuparla seriamente.
-Quindi non avete ancora trovato nessuno?-
-No, tutti quelli che abbiamo contattato a quanto pare non sono interessati e abbiamo finito le idee…- disse lei sconsolata.
-Quanti batteristi avete sentito?-
-Sette-
-Cavolo! E davvero nessuno è interessato? Non sanno cosa si perdono, se sapessi suonare la batteria verrei immediatamente!-
Rebecca si voltò a guardarlo e ancora una volta, proprio come la settimana scorsa, rimase incantata sul sorriso sincero del ragazzo.
-Grazie -
Lui si alzò in piedi mettendosi di fronte a lei.
-Su forza, so che te l’avranno detto già in trecento, ma lo faccio anche io- fece una pausa ad effetto:
-Si sistemerà tutto- disse concludendo con un gesto incoraggiante.
Stranamente lei sentì che aveva ragione.
-Ora devo scappare- appoggiò lo skate a terra –Gibbo mi sta aspettando-
-Be, grazie per l’allegra chiacchierata-
-Oh ma grazie a te. Ah, prima che mi dimentichi… vieni alla Tana stasera? C’è il tributo ai Nirvana. So che voi band emergenti non apprezzate i tributi, ma per i Nirvana si può fare che dici?-
Fece un gigantesco sorriso avvicinando la faccia al polso con tatuato lo smile della band in attesa di una risposta.
-Si tranquillo, stasera ci siamo sia io che i ragazzi, così magari te li presento-
-Forte! A stasera allora-
Montò sul suo skateboard, si calò gli occhiali da sole e si infilò la felpa:
-A stasera Rossa!-
-Ciao Jack-
Lui si diede la spinta e iniziò ad allontanarsi.
Lei rimase a guardarlo finché non scomparve, pensando che era proprio carino. Poi sorrise fra sé, prese in mano il suo volume, lo aprì tornando indietro di tre-quattro pagine e si mise a leggere le cose che prima aveva guardato ma non memorizzato e che invece, questa volta, le entravano in testa disegnando le scene esatte del libro. 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Risvolti ***


Quel pomeriggio, sempre il 15 settembre, il clima era diventato ancora più caldo e sembrava voler far capire alle persone che l’estate non aveva nessuna intenzione di andarsene.
Nella sala prove degli Engage, nella casa di campagna di Roberto, lontana da tutto e tutti, i quattro membri rimasti si erano incontrati dopo sette giorni per riprendere in mano quello che avevano iniziato il sabato precedente. Rebecca, Steve e Andrea erano a sedere per terra, all’interno della sala, disposti ai lati di uno dei pallet quadrati che stavano utilizzando come un tavolino. Si stavano arrovellando insieme sullo stesso foglio, su cui erano scritte le parole di una canzone. Era il testo da utilizzare sulla melodia che Steve aveva pensato la settimana prima e che, dopo un intenso lavoro di gruppo in sala, si era trasformata in una canzone a tutti gli effetti, anche se senza batteria. Le parole su quel foglio, scritte con inchiostro blu corretto e un po’ sbavato, erano opera di Rebecca che, come sempre, abbozzava il testo che veniva poi rifinito alla presenza di tutti i membri della band.
Roy era fuori dalla sala e faceva avanti e indietro passando anche in corrispondenza della porta aperta mentre urlava al telefono nel tentativo di recuperare, per l’ennesima volta, la relazione sbagliata.
Rebecca toccò il foglio sulla parte di una frase, stava per dire qualcosa quando da fuori giunse l’urlo del chitarrista:
-Mi spieghi che cazzo vuol dire?! Io davvero mi chiedo…no…no adesso mi ascolti!- poi scomparve dietro la parete di destra.
I tre a sedere dal pallet guardarono verso la porta da cui ancora provenivano delle grida esasperate. 
Steve guardò Andrea e disse:
-Cinque euro che lei lo molla- l’altro diede un’occhiata fuori e ribatté
-Solo se ne scommetti dieci-
-Ci sto!- si strinsero la mano sopra il foglio su cui l’unica ragazza lì in mezzo stava cercando di concentrarsi.
-Forza bambini, non è carino scommettere su queste cose- disse lei senza sollevare gli occhi dalla pagina, poi continuò:
-E poi questa volta la molla lui- gli altri due le sorrisero e finalmente Roy rientrò in sala visibilmente contrariato.
-Che due palle!- urlò questi lanciando il telefonino su uno dei divani.
-Ti ha mollato?- chiese Steve.
Ormai la storia di Roberto andava avanti da un paio di anni, ma non era una relazione stabile, al contrario. In tutti quei mesi si erano lasciati e ripresi una quantità di volte tale che chiunque ne aveva perso il conto. Sembrava sempre che Roy l’avesse lasciata perdere dopo l’ennesima separazione, invece quella tornava lo riconquistava e poi lo mollava di nuovo. Rebecca, lei, la detestava: era in assoluto una delle persone che odiava di più.
-Cosa? No, stiamo ancora insieme- fece Roy mentre Steve soffocò un “Accidenti” e Andrea gli lanciava un’occhiata per dire “Mi devi dei soldi, amico”.
-Senti Rossa, posso farti una domanda?- chiese il ragazzo in piedi.
Lei alzò lo sguardo sul metro e settantacinque di lui che lo facevano apparire lontanissimo e rispose:
-Del tipo?-
-Secondo te cosa devo fare con lei? Sinceramente…-
Il “sinceramente” alla fine della domanda preludeva sempre ad una mazzata nella risposta.
Roy era uno dei suoi amici più cari, e Rebecca gli avrebbe detto le cose come stavano.
-Seriamente? Roy lei non mi piace, neanche un po’-
Il ragazzo le si sedette di fronte, al lato del pallet libero, e rimase ad ascoltarla.
-Lei non va bene per te e tu indubbiamente meriti di meglio. Insomma lasciamelo dire: è una stronza! Credo che rimanga con te solo perché non è in grado di trovare qualcun altro e quando ci riuscirà ti mollerà facendoti sentire una merda, in modo che tu poi le corra dietro per farla sentire importante. Salvo poi liquidarti con un “Non sei il mio tipo”- disse tutto d’un fiato per non perdere il filo dei pensieri e simulando una vocina stridula sull’ultima parte del discorso.
Il ragazzo abbassò lo sguardo dicendo: -Lo immaginavo…-
Rebecca rimase in attesa di uno scoppio di ira che non arrivò mai.
Roy le sorrise dicendole:
-Grazie per la schiettezza-  poi si sistemò a modo a terra: -Quindi come siamo messi qui?- fece indicando il testo.
I quattro si misero a lavorare modificando alcune parti e aggiungendo altre parole mentre il testo lentamente prendeva forma diventando una vera e propria canzone. Ogni tanto si interrompevano, Andrea prendeva in mano la chitarra e cominciava a suonare la melodia mentre Rebecca cantava tenendo in mano il foglio. Poi riprendevano a scrivere segnando quali parti andavano bene e quali invece si potevano migliorare, dove alzare il tono di voce e dove invece modificare un po’ la musica per accompagnare meglio la cantante. Così nasceva una canzone in casa Engage. Ma questa volta era diverso.
I quattro stavano riponendo in quella canzone molte delle loro speranze. Il testo stesso era un inno alla speranza, quasi sdolcinato ma dannatamente energico. Erano decisi a far diventare quella canzone il loro personale capolavoro per mostrare che, anche in un periodo difficile come quello,non si sarebbero fatti abbattere.
La preoccupazione per le ricerche del batterista, che non andavano bene come avrebbero sperato, quando si ritrovavano insieme a suonare lasciava spazio alla determinazione e alla voglia di continuare a credere nella loro band.
Lavorarono ininterrottamente per più di due ore, riempiendo il posacenere di mozziconi di sigarette e bevendo sei lattine di birra e una bottiglietta d’acqua. Dopo tutto quello, però, il testo era pronto.
Rebecca lo guardò soddisfatta dopo averlo scritto in bella copia e allegramente disse:
-Signori, ce l’abbiamo fatta!-
Si alzò in piedi insieme a Roy e Steve che erano felici quanto lei per l’ottimo esito di quel pomeriggio in sala. Certo, mancava la parte di batteria, ma quel testo, con quella base, di per sé era già un ottimo risultato.
Solo Andrea rimase fermo a sedere, con i gomiti appoggiati al pallet a guardare lo scritto in brutta della ragazza e pensando a come dire agli altri del Music Art Festival. L’organizzatore che lo aveva contattato voleva conferma entro lunedì prossimo e lui non sapeva se la band avesse fatto in tempo a trovare un sostituto, anzi, in verità, era convinto che non lo avrebbero mai trovato in così poco tempo. Per questo era preoccupato, perché temeva che non avrebbero potuto suonare a quel festival a cui lui teneva tanto.
Si sentì un egoista. Erano una band, dovevano prendere le decisioni insieme, ma lui dentro di sé non avrebbe mai potuto sopportare di vedere la sua grande occasione sfumare così. In testa gli balenava una sola parola: “Merda”.
-Andrea, che fai ancora lì a terra?- chiese Rebecca svegliandolo dai suoi pensieri negativi.
“Avanti diglielo!” si disse il ragazzo ma l’unica cosa che pronunciò fu: -Ah, niente. Pensavo che magari potremmo appendere questa bozza da qualche parte qui in sala, come un ricordo…- le rispose prendendo in mano il foglio e porgendolo alla ragazza.
-Ottima idea!- disse lei, che poi andò ad attaccarlo con lo scotch alla parete in corrispondenza della quale, una volta, c’era la batteria di Daniel.
Rimase a guardarlo soddisfatta mentre Andrea si alzava.
Poi si voltò verso i suoi tre uomini.
-Ok, ragazzi, io vado. Ci vediamo stasera alla Tana. Passi da me alle dieci Andrea?-
-Direi dieci e trenta…-
-D’accordo!- afferrò la borsa e si diresse verso la porta: -A stasera bellezze!- disse salutandoli con la mano.
-Ciao Rossa- risposero i tre all’unisono che iniziarono a riordinare.
 
Rebecca Andrea e Roy, che aveva chiesto un giorno di permesso per concedersi una serata fuori, erano fermi nel parcheggio poco distante dalla Tana del Lupo. Erano le 22.48 e stavano aspettando Steve quando squillò il telefono a Roberto:
-È lui- disse, poi rispose –Che succede?-
-Ragazzi, ho avuto un contrattempo. Gli sbirri hanno fermato mio padre e finché non torna a casa sono senza macchina-
Steve lo disse con un tono che ricordava vagamente quei film d’azione in stile Miami Vice, come se ne andasse della sua vita.
-Ma è successo qualcosa di grave?- chiese l’altro dopo un’occhiata ad Andrea e Rebecca.
-No no. Solo che ritarderò un po’, non penso di arrivare prima di mezz’ora ecco… quindi se voi volete entrare intanto, ci troviamo dentro-
-Aspetta- Roy allontanò il telefono dalla bocca e riferì la situazione ai due amici.
Dopo una breve consultazione riprese la telefonata con il bassista:
-Ti aspettiamo nel parcheggio,tanto la serata non è ancora iniziata e facciamo meno fatica a trovarci qui che dentro il locale d’accordo?-
Stefano li ringraziò e riattaccò. Gli altri tre intanto rimasero ad aspettare conversando.
Verso le 23:20 la macchina di Steve arrivò nel parcheggio e dopo un paio di giri riuscì a trovare un posto in cui fermarsi. Il ragazzo scese e si diresse di fretta dagli amici.
-Mi dispiace ragazzi!- disse appena arrivò
-Tranquillo non è un problema- rispose Rebecca, poi si avviarono insieme verso l’ingresso.
Il concerto era già cominciato da una decina di minuti e dopo che i quattro ebbero varcato la soglia si resero conto della quantità incredibile di gente. La pista sotto il palco era piena di persone che muovevano a ritmo la testa mentre, sullo stage, quattro uomini sulla trentina cantavano canzoni dei Nirvana con chitarre incredibilmente rovinate e distorte. Erano la classica cover band che credeva tantissimo in quello che stava facendo, si capiva soprattutto dal cantante, che teneva i capelli mossi castano chiari davanti agli occhi mentre con voce graffiante cantava, appoggiando la bocca al microfono, le parole di Aneurysm.
I quattro fecero un rapido sopralluogo del posto. Come la settimana precedente il concerto si teneva all’aperto e quelli che non lo stavano ascoltando avevano occupato tutti i tavolini, mentre altri facevano la fila ai vari bar per prendersi qualcosa da bere.
Rebecca si mise a cercare fra la folla nella speranza di trovare Jack. Anche se l’aveva visto quella stessa mattina aveva voglia di incontrarlo di nuovo per parlare con lui di qualcosa, di qualunque cosa.
Andrea le si avvicinò e le disse all’orecchio:
-Ci guardiamo il concerto e poi prendiamo da bere? C’è casino ovunque stasera- 
Era vero, il locale (o meglio la distesa del locale) era piena di persone e ordinare da bere con la musica a tutto volume era difficile, c’era il rischio di trovarsi nel bicchiere qualcosa che in realtà non si era voluto, a lei era già successo.
Annuì al ragazzo e si misero tutti e quattro insieme a seguire il live, che nonostante tutto li conquistò.
Circa un paio d’ore dopo, alla fine del bis che il gruppo aveva concesso con grandi classici del calibro di Smells Like Teen Spirit, la cover band cominciò a salutare il pubblico ringraziandolo della presenza, del calore ecc. e i quattro, per anticipare la calca che si sarebbe certamente formata dopo, si diressero verso il bar circolare, il più vicino al palco. Roy e Steve conquistarono lo spazio sul bancone, necessario per ordinare, e Andrea disse: -Il primo giro lo pago io, vi va uno shortino?- gli altri tre annuirono e il ragazzo si rivolse alla barista:
-Ciao! Allora, prendiamo: un rhum scuro, una sambuca, una vodka alla menta e una alla pesca per la signorina-
Fece indicando rispettivamente se stesso, Roy, Steve e Rebecca. La barista versò i vari liquori nei bicchierini e dopo aver riscosso i soldi si allontanò per servire gli altri clienti. I quattro vuotarono all’unisono i bicchieri, in un solo sorso, come voleva la “tradizione” e poi si allontanarono dal bancone per fare due chiacchiere.
Si misero vicino alla pista più grande, quella sotto al palco, nella quale il dj aveva appena messo Beat It, la versione dei Fall Out Boy. Si guardarono un po’ intorno, Rebecca sempre in cerca di Jack.
-Ma c’è stasera?- le chiese Roberto che aveva notato la ricerca della ragazza
-Chi?- chiese di rimando lei. Lui la guardò come per dire “Non prendermi in giro” e rispose:
-Il tuo principino, chi se no?-
Quel pomeriggio Rebecca aveva compiuto l’insano gesto di raccontare ai tre amici di Jack. Inizialmente aveva semplicemente detto loro dell’incontro avvenuto nel parco, del suo tatuaggio dei Foo Fighters e di Gibbo (omettendo che lei era felice del fatto che non avesse accettato di diventare il batterista della band), ma i ragazzi erano piuttosto furbi ed erano riusciti a farle vuotare il sacco, ossia erano riusciti a farle ammettere che il ragazzo, in un certo qual senso, le interessava.
-Io non lo vedo…- disse come per dare poca importanza alla cosa, poi subito cambiò argomento:
-Oh, ma avete idea di chi viene al Music Art Festival?-
Sentendo pronunciare quel nome Andrea sbiancò, per sua fortuna c’era buio e nessuno se ne accorse.
-Chi viene?- chiese Steve eccitato
-Una delle band famose già confermate, e lo so da fonti certe, sono i The Fire! Cazzo sono esaltatissima!!-
batté le mani per accentuare il suo livello di gioia e si mise a parlare con Roy e Steve di quanto quella notizia per lei, fan dei The Fire da tre anni più o meno, fosse bella.
Andrea invece si isolò nei suoi pensieri, era riuscito a dimenticarsi di quel festival e della proposta di quell’organizzatore, con cui non si era più fatto vivo,  da quando la serata era cominciata e ora ci stava tornando a pensare. Ma il dubbio continuava a tormentarlo e la paura di perdere quell’occasione gli pesava sopra come un macigno. Sapeva che la cosa giusta da fare era parlarne con la band, con i suoi migliori amici, ma aveva davvero troppa paura di dover rinunciare a tutto che non riusciva a dire niente agli altri.
Decise di provarci ugualmente “Al diavolo quello che succederà, io ci provo!”pensò.
Prese fiato per aprire bocca ma quella che parlò non fu la sua voce:
-Scusate…- disse questa.
I quattro si voltarono verso quello che aveva appena parlato. Davanti a loro, sicuro di sé, c’era un ragazzo sui diciotto anni, non tanto alto e neanche bellissimo, ma con una luce tenace negli occhi.
Teneva le mani nelle tasche della sua felpa a righe nere e verdi il cui lato destro si sollevò insieme alla mano quando salutò i ragazzi che si erano appena girati a guardarlo.
-Hai bisogno?- chiese Roy osservandolo. Non gli piacevano quelli che interrompevano i sui discorsi, soprattutto per chiedere gratis delle sigarette, perché era certo che quel tipo volesse una sigaretta.
Il ragazzo lo guardò negli occhi, poi anche gli altri e infine posò il suo sguardo su Rebecca mentre diceva:
-Voi siete gli Engage, giusto?-

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Conquiste ***


Ci fu un lungo momento di silenzio, nel quale i quattro Engage continuarono a scrutare il loro interlocutore con lo stesso pensiero in testa: “E questo chi è?”.
Il più curioso a scoprire la risposta fu Andrea:
-Sì, siamo noi, perché?-
L’altro ragazzo sorrise e fece un gesto di resa tenendo sempre le mani nelle tasche della felpa e con una mossa della testa si ricacciò indietro, da davanti agli occhi, la frangia bionda fresca di fonata, riunendola all’altro mucchio di capelli lisci che si ritrovava.
-Scusate se vi disturbo, in realtà ero certo che foste voi, ma non sapevo come avviare il discorso- disse ridendo e grattandosi il collo con fare un po’ impacciato.
Gli altri quattro continuavano a guardarlo dubbiosi, non capendo esattamente cosa potesse volere quel ragazzino da loro. Nonostante tutto però erano molto incuriositi dalla tenacia che si riusciva ad intravedere nei suoi occhi che, forse anche per colpa della poca luce, sembravano scurissimi.
Questo intanto continuava a guardarsi intorno nel tentativo di formulare una frase di senso compiuto in modo da non apparire come un ubriaco che ha sbagliato persone.
-Allora… non so esattamente come spiegarvelo, è la prima volta che lo faccio- fece una risatina nervosa sentendosi sotto pressione per colpa delle quattro paia di occhi che continuavano a studiarlo:
-Io… io sono un vostro fan!- disse tutto d’un fiato alla fine e sentendosi un peso in meno addosso.
Gli altri si bloccarono, quasi increduli.
Un fan? Stentavano a crederci e in Roy si poteva notare l’irritazione che cresceva. Lui non ci credeva e se quel tipo li stava prendendo in giro poteva star certo che il giorno dopo non avrebbe avuto gli occhi per vedere il sole che sorge. Ma nonostante tutto non sapeva che dire.
Il loro silenzio durò un po’ troppo per un gruppo che aveva appena ricevuto un vero complimento da parte di uno sconosciuto, ma erano tutti quanti nel dubbio.
Fu Steve a fare la mossa successiva:
-Ma sei ubriaco?- chiese con disarmante onestà.
Rebecca gli tirò una gomitata nelle costole e lo fulminò con lo sguardo.
-Come ti chiami?- fece poi rivolta al ragazzo più giovane.
-Michele, o Miguel, o Mike… mi chiamano in tanti modi-
-Bè, Michele, grazie mille- disse sorridendogli.
-Sul serio sei un nostro fan?- chiese nuovamente Steve dopo essersi massaggiato a sufficienza la parte del fianco entrata in contatto con il gomito della ragazza.
Il giovane parve riacquistare sicurezza perché i suoi occhi brillavano nuovamente, ottimisti.
-Sì, non vi sto prendendo in giro- fece cenno di sì con la testa mentre rispondeva, poi continuò:
-Vi ho conosciuto ad un concerto questa estate, per puro caso lo ammetto, ma mi siete piaciuti tantissimo fin da subito, così ho iniziato a seguirvi. I vostri ultimi concerti li ho visti tutti-
Di nuovo i quattro non seppero cosa rispondere. Era la prima volta in assoluto che un perfetto sconosciuto li fermava per dire loro che apprezzava veramente la loro musica e per una band emergente, questo significava molto più che un semplice complimento.
Riuscire a conquistare qualcuno con il proprio lavoro, con il proprio sforzo, voleva dire essersi impegnati duramente per qualcosa, per ottenere un vero risultato. Era senza dubbio il successo migliore che potessero sperare di raggiungere.
Dopo essersi convinti che il nuovo arrivato non stava mentendo sui loro volti comparve un sorriso soddisfatto.
-Fantastico!-  esclamò Roy visibilmente rincuorato da quelle affermazioni.
Anche Andrea decise di dire qualcosa:
-Davvero, grazie. È stupendo sentire che qualcuno non solo ci ha ascoltati, ma ci ha anche apprezzati- gli diede un’affettuosa pacca sulla spalla.
Michele non aveva ancora perso la sua espressione felice e il suo sorriso crebbe ancora quando notò che i ragazzi non solo si era sciolti e avevano perso l’espressione diffidente, ma erano anche visibilmente felici per la notizia.
-Sei stato molto gentile a venire fin qua per dircelo- disse Rebecca, il ragazzo la guardò e rispose:
-Sì, ma non sono venuto solo per dirvi questo. Vi avrei contattati a breve, ma visto che vi ho trovati tutti quanti qui ho deciso di venire di persona perché si fa molto prima…-
-Di che stai parlando?- chiese Steve
-Bè, ho visto sulla vostra pagina Facebook che siete senza batterista, quindi volevo cercarvi per propormi… no, mi sto spiegando male…- si passò la mano sul viso e poi sintetizzò il concetto con un:
-Io suono la batteria-
Gli Engage si rianimarono ancora più di prima. Dopo tutto quel tempo speso a cercare qualcosa che non erano riusciti a trovare, ora proprio quello che cercavano si proponeva a loro, così, in quel luogo: una discoteca alternativa del sabato sera.
Roy scoppiò in una sonora risata di soddisfazione. Era priva di qualsivoglia ironia, era proprio sincera.
-Cazzo! Sei un batterista? È favoloso!- urlò soddisfatto scandendo accuratamente la parola “favoloso”.
Lo era davvero e si capiva soprattutto dalla faccia di Andrea, che si illuminò cominciando ad immaginare di essere sopra il palco del Music Art Festival con quel piccoletto dietro i piatti.
Rebecca prese le redini della conversazione:
-Quindi volevi chiederci se eravamo disposti a sentirti suonare?-
-Sì. Non so, tipo, fate dei provini, cose del genere?- chiese Mike
-Bè, se qualcuno prima di te ci avesse contattati forse li avremmo organizzati, ma…sei il primo…- si notò una leggera nota di imbarazzo in quella frase.
-Sul serio? La gente non capisce niente!- fece il ragazzo gesticolando e strappando un sorriso a Rebecca.
-Da quanto suoni?- gli chiese Andrea ritornando alla realtà.
-Da sei anni più o meno… ho iniziato nel 2006. Non sono un batterista alle prime armi, state tranquilli. Ho anche una band. Purtroppo facciamo cover, ma io ho sempre desiderato avere un gruppo che fa pezzi propri. Quindi quando ho saputo di voi, ci ho pensato su e sono venuto a propormi-
Avevano a che fare con un ragazzo giovane,energico, che suonava ormai da diverso tempo e soprattutto con tantissima voglia di mettersi in gioco: non potevano lasciarselo scappare.
-Che tipo di cover suonate?- chiese nuovamente Andrea.
-Ne facciamo un po’ di diversi gruppi. Principalmente Nirvana, Pearl Jam, Bush e via dicendo. Poi per mia fortuna sono riuscito a convincere gli altri con cui suono a fare qualche pezzo dei Queens Of The Stone Age, che sono i miei preferiti. Non avevano mai voluto fare canzoni loro perché il chitarrista aveva parecchi problemi con i riff di Josh Homme, non so se mi spiego- disse ridacchiando.
-Ti spieghi eccome!- esclamò Roy che apprezzava molto i QOTSA.
-Ok, ma i Queens centrano poco con quello che fate…- precisò Steve dopo aver riflettuto un momento.
Michele rise: -Sì, hai ragione in effetti. Ma ci tenevo troppo a suonare dei pezzi loro… comunque, per quanto riguarda il provino?-
Rebecca stava per rispondergli ma fu preceduto da Stefano che, senza tanti preamboli, chiese:
-Ma sei bravo?- ancora una volta si ritrovò il gomito della ragazza conficcato nelle costole.
-Ahio! Ok, ok…mi sposto da qui…- mugugnò allontanandosi da lei.
Rebecca si girò e guardò Mike:
-Ascolta, facciamo così… dato che è sabato sera per tutti, forse parlare di “lavoro” non è il massimo. Se mi lasci il tuo numero di cellulare domani pomeriggio ti telefono e ci mettiamo d’accordo, che ne dici?-
-È perfetto!- rispose l’altro.
Si scambiarono i numeri telefonici e dopo un “Ci si vede ragazzi” il più giovane scomparve da qualche parte in mezzo alla calca.
I quattro degli Engage, che dopo questo incontro speravano di rimanere in quattro ancora per poco, si guardarono increduli, senza sapere cosa dire, finché non scoppiarono tutti in una sonora risata di vera gioia.
Quello che era appena successo era incredibile.
Che tutto si stesse risolvendo? Era presto per trarre conclusioni, prima avrebbero dovuto sentire quel ragazzino suonare e poi decidere se concludere la ricerca o provarci ancora, fatto sta che finalmente avevano trovato qualcuno, che non solo li ascoltava, ma che voleva anche provare a suonare con loro.
Era un risultato favoloso, e per Steve questo significava farsi una bella bevuta.
-Signori- iniziò allegramente –Propongo un bel brindisi per festeggiare la notizia! Il secondo giro lo offre Roy-
-Hei, ma dico!- sbottò Roberto.
-Troppo tardi- ribadì nuovamente il bassista ricevendo un sospiro esasperato e un “Ok rompi coglioni” come risposta.
-Io vi aspetto qui- disse Rebecca, che voleva aspettare un po’ prima di un secondo giro di alcool.
-Una in meno- precisò Roy.
-Torniamo subito allora…- disse Andrea che seguì gli altri due verso il bar più vicino.
La ragazza rimase ad aspettarli consapevole che ci avrebbero messo molto più tempo di quanto si potesse immaginare, c’era ressa ovunque. Così pensò a quello che era appena successo.
Era incredibile come una sola persona potesse ridare tante speranze a lei e ai suoi migliori amici. Forse Michele neanche si rendeva conto di quanto li avesse aiutati, anche se magari non fosse entrato a far parte della band, quello che aveva detto e quel gesto, all’apparenza insignificante, avrebbero permesso agli Engage di continuare imperterriti per la loro strada.
Si sentì incredibilmente su di giri, ma aspettare i ragazzi era alquanto noioso, così si mise a guardare fra la folla.
Improvvisamente si ricordò di Jack. Era stranamente riuscita a toglierselo dalla testa durante il concerto e la conversazione di prima, ma ora la voglia di incontrare il ragazzo era tornata e cominciò a cercarlo, ma fra tutta quella gente era un’impresa.
Stranamente però lo trovò. Era poco più avanti di lei e stava ridendo in compagnia del suo gruppo di amici.
Rimase a guardarlo sentendosi piuttosto stupida ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal suo sorriso che, ogni volta, la stregava sempre di più.
-È lui?- la voce di Steve arrivò improvvisamente all’orecchio di Rebecca facendola sussultare.
Si voltò per squadrarlo dicendo:
-Diavolo Steve! Mi hai fatto venire un colpo!!-
- È lui o no?- chiese nuovamente.
La ragazza sperò che solo lui si fosse accorto delle occhiate che stava lanciando a Jack, ma quando si voltò capì che non era affatto così.
Tutti e tre, più alti di lei, stavano osservando il ragazzo da sopra la sua testa, tenendo le loro birre ghiacciate in mano.
-Sì, è quello con la felpa verde- disse infine guardandosi le All Star blu imbarazzata.
Gli altri continuarono a guardarlo in un silenzio che parve durare ore.
Lo ruppe Roy: -Mica male- commentò con disinvoltura posando poi gli occhi su Rebecca.
Stefano gli diede corda affermando: -Sì, è proprio un bell’esemplare-
-Non è una mucca, Steve!- lo ammonì Andrea che poi continuò rivolgendosi alla ragazza:
-Quindi Rossa cosa vuoi fare? Vai da lui o hai intenzione di rimanere qui per tutto il resto della serata facendo finta di non esistere?-
-Perché dovrei essere io ad andare da lui scusa? Non avrei neanche idea di cosa dirgli…- cercò di prendere tempo lei, mentre Roy, fattosi improvvisamente serio disse:
-Non è la tecnica giusta. Qualcosa la devi pur fare se ti interessa. Aspettare che sia lui a venire non servirà a niente-
Rebecca guardò di nuovo Jack preoccupata. Non era mai stata molto brava a buttarsi per provarci con qualcuno, soprattutto se quel qualcuno le piaceva. Si girò cercando comprensione dagli amici:
-Non lo so ragazzi…É che non so cosa dirgli, e se poi si scopre che non gli interesso affatto? Non è neanche detto che sia il mio tipo…-
-Bè cazzo! Avete entrambi tatuato il logo dei Foo Fighters, direi che è una motivazione più che sufficiente per procreare figli insieme!- fece Roy con convinzione mentre accanto a lui Steve faceva sì con la testa a confermare quelle parole.
-Ma non ha senso!!- esclamò la ragazza
-Non lo ha per te- disse Stefano con un sorriso malizioso.
Lei sospirò e alla fine Andrea le venne incontro:
-Di cosa ti vergogni? Ci hai già parlato, lo hai già incontrato, avete molte cose in comune me lo hai detto tu stessa-
Rebecca lo guardò negli occhi. Andrea la conosceva perfettamente e sapeva sempre cosa dirle perché si facesse forza. Il ragazzo continuò dopo un leggerissimo sospiro:
-Ascoltami…hai presente tutta la questione di Daniel?-
Steve e Roy si guardarono consapevoli che non sarebbero riusciti a capire niente di quello che avrebbe seguito dopo:
-Io l’ho sempre pensato che voi due non eravate fatti l’uno per l’altra. Tuttavia non hai mai osato dire a lui quello che provavi, te lo sei lasciata sfuggire e le cose sono andate diversamente da come, di sicuro, ti saresti aspettata e te ne sei pentita. Non fare un’altra stronzata… buttati almeno stavolta Rossa. Guardati, sei uno schianto!- le disse con un sorriso veramente dolce e sincero.
Da dietro Andrea, Steve disse: -Che profondo!- ricevendo in cambio la terza gomitata della serata e allontanandosi farfugliando frasi insensate sul fatto che nessuno lì in mezzo lo capiva.
Rebecca poi guardò negli occhi i suoi tre uomini che fecero all’unisono la stessa espressione, ma era ancora titubante, così quando si voltò per guardare Giacomo, alle sue spalle Roy urlò un sonoro –Jaaack!- mentre Steve spingeva in avanti la ragazza.
Lei si girò per fulminarli con lo sguardo, non capendo se quel gesto l’avesse indispettita o meno, e quando si girò nuovamente vide Jack sorriderle.
Lui si staccò dal suo gruppo e raggiunse la ragazza:
-Hei Rossa- le disse.
Lei si perse per un istante negli occhi così vivaci di lui e smise di preoccuparsi:
-Ciao!- fece con disinvoltura, poi senza esitare continuò: -Ci beviamo qualcosa?-
Jack annuì e insieme si diressero verso il bar.
Roy, Steve e Andrea rimasero a guardarli allontanarsi
-Sono carini- disse Stefano
Roberto acconsentì con un “mmm” mentre Andrea si limitò a dire:
-Ora però lasciamoli in pace…-
Steve sospirò: -D’accordo, d’accordo- sollevò la sua birra e affermò:
-Allora amici, brindo alla curiosa piega che stanno prendendo le cose…e al dottor Stranamore qui presente-
fece un cenno in direzione di Andrea che chiese:
-Ma lo sai almeno di che stai parlando?-
-Certo che no!- fu la risposta, poi le bocche delle birre si toccarono in un sonoro rumore di vetri rotti.    

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Soluzioni ***


Rebecca fissò il microfono all’asta e si sistemò i capelli che le erano andati davanti agli occhi. Si girò e sorrise ai quattro uomini alle sue spalle, ciascuno al proprio strumento.
Erano in una piccola sala prove, affittabile ad ore, della loro città e avevano appena terminato la seconda giornata di prova con Mike alla batteria.
Il risultato era assolutamente soddisfacente. Si erano trovati a provare con lui la prima volta tre giorni prima, ossia martedì. Quando Rebecca lo aveva chiamato per accordarsi, il giorno dopo il loro primo incontro alla Tana, il ragazzo le aveva detto che era già pronto e carico per suonare:
“D’accordo, ma dobbiamo almeno portarti una copia del nostro EP, altrimenti come farai per le canzoni?”  gli aveva chiesto lei e la risposta “Oh assolutamente, ce l’ho il vostro EP. L’ho comprato la sera del vostro Release Party” lasciò incredibilmente di stucco la cantante.
La prima giornata di prove era andata alla grande, i ragazzi adoravano Mike, che per via dell’altezza era stato simpaticamente soprannominato il “Piccoletto”, e lui di tutta risposta si faceva voler bene con un atteggiamento amichevole e una gran voglia di suonare.
Alla batteria era un mostro, sembrava dotato di otto braccia e con un senso del ritmo che avrebbe fatto invidia a chiunque. Gli Engage si erano trovati immediatamente in sintonia con lui che sembrava nato esclusivamente per suonare. Un’altra dote che avevano trovato eccezionale in Michele era la sua incredibile capacità di improvvisazione. All’improvviso aveva cominciato a suonare la batteria seguendo un’imprecisata melodia di chitarra di Andrea creandoci una base niente male.
I quattro si erano convinti a prenderlo come nuovo batterista già dopo il primo pomeriggio di prove, soprattutto Andrea, che sapeva che con Mike il Music Art Festival non sarebbe stato più un miraggio. Tuttavia avevano deciso di sottoporlo ad un secondo giorno di prove insieme prima di dargli il definitivo ok.
E quel secondo giorno si era appena concluso.
Roy appoggiò il braccio sul manico della chitarra e si guardò intorno, Steve inarcò la schiena facendola scrocchiare, Andrea non smise un solo istante di suonare le corde della sua Fender dopo aver abbassato il volume dell’ampli e Mike faceva suonare le bacchette facendole toccare fra di loro.
-Niente male!- disse Rebecca felicemente soddisfatta dopo essersi legata i capelli.
-Sì, davvero! Complimenti Mike, sembra che tu sia il nostro batterista da una vita- esclamò Roy.
-Hei grazie mille ragazzi! A quando le prossime prove?- chiese il più piccolo nella speranza di ottenere delle risposte concrete su un suo possibile futuro nella band.
Gli altri quattro si diedero un’occhiata e poi Rebecca rispose:
-Senti Mike, ti dispiace lasciarci soli un momento?-
Quello rimase un po’ spiazzato, dopodiché parve perdere ogni qualsivoglia preoccupazione, accettò e uscì.
Dopo che gli altri si furono accertati che il ragazzo si fosse allontanato si misero semplicemente a discutere di come dire a Michele che avevano deciso di prenderlo come nuovo batterista.
-Io propongo di fargli credere che non lo vogliamo e poi esplodere con un “È uno scherzo!! Congratulazione, sei dentro!”- disse Steve con convinzione.
Gli altri tre lo guardarono di traverso:
-Ok, non parlo più- si finse offeso e si sedette sul suo amplificatore.
-Secondo me, basta semplicemente dirglielo- fece Roy sollevando le spalle, poi continuò:
-Insomma non c’è bisogno di tanti preamboli. È bravissimo, conosce già tutte le nostre canzoni, ha voglia di mettersi in gioco e secondo me sarà anche fondamentale in fase di produzione dei pezzi musicali. Insomma, ascolta i Queens Of The Stone Age, vi rendete conto di che influenze pazzesche e nuove porterà negli Engage?-
Tutti si trovarono d’accordo con la considerazione di Roy. Erano rimasti fermi e con il rischio di non riuscire a continuare per una settimana che, anche se non è molto, per loro era troppo. Non vedevano l’ora di ricominciare a lavorare sui tre pezzi che avevano lasciato da parte, o meglio, non vedevano l’ora di ricominciare a lavorare come una vera band.
-Glielo dici tu Rossa?- chiese poi Andrea.
Rebecca fece sì con la testa poi disse: -Però esco, ho un caldo assurdo qui dentro- e uscì dalla stanza.
Trovò Mike fuori dall’ingresso principale della sala prove intento a guardare le macchine che passavano ascoltando musica. Quando vide Rebecca si tolse una cuffia e chiese:
-Già fatto?-
-Già fatto! Che ascolti di bello?-
Lui le passò un auricolare per permetterle di ascoltare la canzone. Era Before I Forget degli Slipknot.
-Joey Jordison è un mito- disse il ragazzo con un sorriso soddisfatto.
Aveva già raccontato agli altri che il batterista degli Slipknot era il suoi idolo e quella frase non poteva che essere all’ordine del giorno per lui.
Rimasero ad ascoltare la canzone fino alla fine muovendo la testa come due deficienti. Mike fingeva di suonare la batteria mentre Rebecca era incantata sulla voce di Corey Taylor che lei amava da impazzire. Lo conosceva prevalentemente come cantante degli Stone Sour e non aveva mai trovato voce più bella della sua, non ancora se non altro.
Quando il pezzo finì il ragazzo spense l’iPod e si voltò a guardare la ragazza chiedendo solo:
-Quindi?-
Lei gli sorrise e rispose:
-Benvenuto a bordo!-
Lui scoppiò a ridere visibilmente soddisfatto e urlò:
-Non posso crederci! Ma sul serio??-
-Sì, eccome! Ascolta, non potremmo trovare nessuno più adatto di te, neanche se ci mettessimo seriamente a cercarlo. Sei davvero in gamba e sei proprio il tipo di persona che stiamo cercando, quindi: benvenuto negli Engage!-
 
Intanto nella sala prove Andrea non aveva smesso di suonare un solo momento. Nella sua testa si accavallavano milioni di pensieri: la soddisfazione di essere riusciti a trovare finalmente un batterista, la speranza che, se tutto fosse andato per il meglio, avrebbero potuto suonare al Music Art Festival, ma anche la  consapevolezza che ora avrebbe dovuto parlare con gli altri di quel concerto e spiegare loro perché non lo avesse fatto una settimana prima, quando aveva ricevuto la notizia. Era l’ultima cosa a preoccuparlo di più, perché da sempre i membri degli Engage erano sinceri fra di loro, e questo significava una sola cosa: condividere tutto, sia le buone che le cattive notizie, in modo da risolvere le cose insieme.
Rebecca rientrò nella piccola saletta prove completamente insonorizzata annunciando:
-Gente, date pure il benvenuto al nostro nuovo batterista!- si mise da parte e lasciò entrare Mike simulandogli un inchino mentre gli altri tre ragazzi applaudivano e ridevano divertiti.
Dopo qualche convenevole pacca sulla spalla Michele disse:
-Comunque, volevo ringraziarvi, dico sul serio. Anche se ammetto che tutto questo fa quasi uno strano effetto- ridacchiò: -Insomma, non avrei mai detto che sarei diventato il nuovo batterista di un gruppo che mi piace-
-Non siamo mica i Led Zeppelin. Entrare negli Engage e come entrare nell’ennesima band di garage della zona- intervenne Roy.
-Forse. Ma guardate ragazzi che mi piacete per davvero. Non dovete credere che solo perché non riempite gli stadi allora non siete nessuno- concluse il più piccolo.
Calò un lieve silenzio in parte imbarazzato e in parte incredulo per quell’affermazione che aveva, indubbiamente, rinvigorito le speranza dei ragazzi.
Poco dopo Steve sdrammatizzò con un: -Tosto!- e ci fu uno scoppiò di risa generale.
Mike recuperò le sue bacchette e se le mise nella tasca posteriore dei suoi jeans neri chiedendo:
-Quando posso portare la batteria da te Roy?-
l’altro alzò le spalle e disse:
-Quando ti pare, basta che mi fai un fischio prima così vedo di farmi trovare in casa…-
Il batterista fece segno di “ok” con la mano: -D’accordo, grazie. Sapete, non vedo l’ora di iniziare a lavorare sul serio insieme a voi ragazzi. A fare nuove canzoni, nuovi concerti…-
-Ci vorrà un po’ per i concerti. Dovremmo ricominciare a cercare in giro locali disposti a prenderci- fece Rebecca.
A quel punto Andrea, rimasto zitto, prese il coraggio a due mani e disse:
-Sapete, c’è la possibilità di un concerto…-
Tutti si voltarono a guardarlo
-In che senso?- chiese Steve.
Il chitarrista decise di farsi forza. Ormai non aveva senso stare zitti e tenersi tutto dentro, anche perché ora, con la band nuovamente al completo, il concerto si poteva benissimo fare.
Respirò profondamente e disse:
-Giovedì scorso mi ha telefonato uno dei responsabili del Music Art Festival. È quello che si occupa della programmazione musicale. Mi ha chiesto se noi Engage eravamo interessati a suonare nel pomeriggio insieme ad altri tre gruppi emergenti-
-Stai scherzando??- Steve cominciò ad esaltarsi, così come Roy. Mentre Mike era piuttosto confuso dalla rapidità con cui tutte quelle cose stavano avvenendo.
-No, davvero. Non sapeva del fatto che fossimo senza batterista, così gli ho detto che gli avrei fatto sapere. Vuole la conferma entro lunedì-
-Lunedì questo?- chiese Roy
-Sì, il 24- disse infine Andrea.
Nella sala iniziò ad esserci una strana atmosfera. Steve e Roy erano gasati per la notizia, Mike confuso e Andrea preoccupato, anche se era riuscito, finalmente, a vuotare il sacco.
La prima a riprendere parola fu Rebecca: -Ti ha chiamato giovedì scorso? E perché non ce l’hai detto prima?- la domanda le uscì quasi con un filo di voce.
Andrea fu attraversato da un forte senso di colpa per non aver detto a lei,la sua migliore amica, di tutta quella situazione.
-Mi dispiace- cominciò, per poi continuare: -Ho sbagliato e lo so perfettamente, ma non ho idea di che mi sia preso. Aveva paura che voi mi diceste di no e che decideste di non suonare al festival per via di tutti i casini che stavamo affrontando. Non avrei mai sopportato di perdere quell’occasione…-
-Comprensibile…- intervenne Steve
-Sul serio ragazzi, perdonatemi- concluse il chitarrista.
Rebecca era sorpresa da quella scoperta. Non arrabbiata, non delusa, solo sorpresa.
-Andrea, siamo un gruppo, ci siamo sempre definiti una famiglia e decisioni come questa le abbiamo sempre prese insieme confrontandoci. Dovevi dircelo poi ne avremmo parlato insieme, insomma cosa ti fa pensare che solo perché eravamo senza batterista non avremmo potuto discuterne?- chiese
-Non lo so…è stato più forte di me- fu la risposta.
-Be, almeno ora c’è Mike. Che ne dici Mike, suoniamo a quel concerto?- intervenne ancora Steve cercando di sdrammatizzare perché preoccupato che tutta quella vicende prendesse una piega peggiore e si trasformasse in un pericoloso litigio per la band.
-Altroché!- rispose il piccoletto.
-Visto?- chiese soddisfatto il bassista.
Andrea sentiva tuttavia il bisogno di chiarirsi correttamente con gli altri e disse:
-Davvero, scusate. Ero preoccupato dalle conseguenze, di quello che avreste potuto dire. Adesso che c’è Michele almeno possiamo discuterne diversamente, ma se non lo avessimo trovato non so cosa avrei potuto fare…-
Stressato da quella situazione, Roy intervenne dicendo:
-Ok, ok ora basta! Mi sono scervellato anche io molto spesso sul “come sarebbe andata se” e non porta mai a niente di buono! Chissenefrega di come sarebbero andate le cose se non avessimo trovato Mike, perché non è andata così! Mike, suoniamo al Music Art Festival?- si voltò verso di lui che rispose:
-Altroché!-
-Visto? Due altroché in meno di cinque minuti, direi che l’abbiamo convinto- fece sorridendo. Poi si rivolse al suo chitarrista: -Andrea non preoccuparti va bene? Vai subito fuori e chiama quel fottutissimo organizzatore dicendogli che noi ci siamo! Abbiamo pressappoco tre settimane per addestrare il nuovo arrivato e per perfezionare la nostra ultima canzone, poi saremo pronti e carichi come non mai! Quindi basta preoccuparsi e cominciamo a darci dentro, d’accordo?-
-E bravo Roy!- esclamò Rebecca dopo aver capito che l’altro aveva ragione e che i suoi amici e la sua band erano più importanti di qualunque altra cosa.
Andrea sorrise e guardò gli amici negli occhi affermando: -Sapete ragazzi…credo di amarvi!-
-Ma va là!- fece Steve
-Non ci pensare!- sbottò Roy che poi alzò il braccio e puntò l’indice verso la porta ordinando all’amico:
-Ora muoviti e vai a chiamarlo!-
Andrea eseguì e uscì con il telefono in mano. Nei cinque minuti in cui rimase fuori per la chiamata nella stanza si sollevò un’inspiegabile agitazione dovuta alla notizia del concerto: era semplicemente euforia per come le cose avessero preso il verso giusto in così poco tempo.
Quando il chitarrista rientrò sembrava serio. I quattro si voltarono a guardarlo finché non notarono che sul suo volto era comparso un grande sorriso.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Music Art Festival ***


Il cielo era terso e la giornata luminosissima. Dopo una lunga settimana di mal tempo, il forte vento della sera precedente era riuscito a cacciare ogni nube, regalando finalmente la prima giornata  di sole di ottobre.
Era domenica 7 e i membri degli Engage, dopo aver accordato la data con gli organizzatori, erano pronti per suonare al Music Art Festival, nella giornata conclusiva della manifestazione.
Sulle varie piste da skate molti ragazzi e anche alcune ragazze, eseguivano trick perfetti e incredibili salti, in attesa del loro turno per il contest a cui, praticamente tutti, si erano iscritti.
I writers, invece, agitavano le loro bombolette colorate prima di iniziare i disegni sugli enormi pannelli che l’organizzazione aveva preparato appositamente per loro. Le bancarelle e gli stand di merchandising erano affollatissimi e concludevano una vendita dietro l’altra.
Infine, sul grande palco sopra lo skate park, la penultima band emergente del pomeriggio stava dando il meglio di sé, mentre sotto lo stage un gran numero di persone li ascoltava con interesse.
Subito dopo, sarebbe toccato agli Engage.
I cinque ragazzi erano nella zona del backstage a confrontarsi e chiacchierare nella speranza di ridurre la loro agitazione. Erano alcuni mesi che non suonavano dal vivo e non avrebbero mai pensato di ricominciare da un palco e un evento tanto grande. Inoltre, a causa del brutto tempo dei giorni precedenti, quella domenica si registrava un numero di presenti più alto della media.
Andrea, Roy e Steve erano insieme con i loro strumenti in mano a scambiare due parole durante l’accordatura. Roy pizzicò ancora il Mi e girò lentamente la chiave della corda trovandola scordata:
-Ho seriamente paura che stavolta mi si rompa… senti qua- fece allungando la chitarra ad Andrea che girò debolmente la chiave prestando attenzione al suono della corda:
-Forse ce la fai…- gli disse
L’atmosfera che si percepiva fra i tre era tesa. Come comprensibile erano molto in ansia per il concerto, ma, allo stesso tempo, erano parecchio su di giri ed esaltati.
Chi pareva esaltato e basta, invece, era Steve:
-Fra quanto finiscono gli altri??- chiese per l’ennesima volta a Roy che sbuffò e gli diede un’occhiataccia.
-Dai che io voglio suonaree!!- continuò il bassista dopo aver appoggiato delicatamente a terra il suo Fender Precision ed essere uscito dal backstage per andare a vedere il gruppo che suonava.
Andrea scoppiò a ridere:
-Che scemo!-
-Già…- gli diede ragione Roy che poi si rimise ad accordare la chitarra con estrema calma, consapevole che non avrebbero suonato prima di altri venti minuti.
Andrea invece si mise a guardare un po’ fra la folla che si riusciva ad intravedere anche dal lato del palco in cui erano loro. Riconobbe alcune facce, fra cui Giorgio, il suo tatuatore, e intravide dei suoi amici che sarebbe andato a salutare dopo l’esibizione e mentre continuava a scrutare intravide un giovane con uno skate sottobraccio e un’aria familiare.
-Ma quello non è Jack?- chiese rivolgendosi a Roy che lo raggiunse e lo analizzò insieme all’altro.
-Mi sa di sì- concluse Roberto.
-Credi che Rebecca lo sappia?-
-Bo. Piuttosto, stanno insieme o no loro due?-
La domanda di Roy era dovuta al fatto che, dopo quella la sera del tributo ai Nirvana alla Tana, Rebecca e Jack avevano cominciato a sentirsi spesso, anche via sms, e ad uscire insieme in numerose occasioni.
-No, non stiamo ancora insieme. Ma tranquilli che lo conquisto!-
Rebecca comparve alle loro spalle con quell’affermazione, in compagnia di Mike e di Irene, la ragazza di Andrea.
-È venuto anche a sentirti. Gli piaci proprio!- disse Roberto facendole l’occhiolino, lei gli sorrise.
Intanto Mike si passò una mano fra i capelli sentendosi spoglio. Era stato sottoposto ad una nuova procedura di invenzione degli Engage che loro avevano battezzato “L’Iniziazione”. Sostanzialmente consisteva nel drastico cambio di look del nuovo entrato. Dato che Rebecca era l’unica donna nella band, era spettato a lei l’onore di scegliere in che modo tagliare i capelli del piccoletto, ed essendo una grandissima fan dei Foo Fighters, aveva optato per un’acconciatura alla Taylor Hawkins nel video di The One. Così Michele si era ritrovato con un taglio corto, spettinato e sbarazzino come non lo aveva da tempo.
-La tua ragazza non viene Roy?- chiese il più piccolo
-Non stiamo più insieme- si limitò a dire l’altro che, questa volta, l’aveva lasciata definitivamente, la sua ex ragazza, ed era già partito con il cercarne un’altra, magari quella giusta.
Improvvisamente dalla transenna arrivò un urlo:
-Oh! Engage!!- si voltarono tutti e videro Steve insieme a Daniel.
L’ex batterista aveva entrambi i pugni alzati verso il cielo e un sorriso grandissimo stampato in faccia.
-Dan!!- urlarono all’unisono e si diressero da lui. Si salutarono con pacche sulle spalle e abbracci e Daniel disse:
-Sono venuto a sentirvi, belli! Non vedo l’ora di vedervi su quel cazzo di palco a darci giù di brutto!-
-Grazie amico!- fece Roy
-Allora? Chi è il nuovo batterista? Sono curioso di conoscerlo -
Rebecca gli presentò Michele e Dan gli disse:
-Hai fatto tombola, credimi! Tieniteli stretti questi quattro perché insieme farete strada!- poi si rivolse nuovamente agli amici:
-Sono davvero felice per voi!-
Si persero in una breve conversazione in cui il loro ex batterista spiegò che era riuscito, finalmente, a mettere insieme i componenti di un gruppo come lo voleva lui e che gli sarebbe piaciuto molto suonare insieme agli Engage un giorno.
Dopodiché gli fece gli auguri e li salutò dicendo: -Ci vediamo dopo, vi lascio concentrare adesso-
Mancavano poco meno di dieci minuti alla fine dell’esibizione del gruppo sul palco. Roy e Steve si misero insieme a strimpellare qualcosa per sgranchirsi le dita, Andrea rimase un po’ con Irene e Rebecca era con Mike. Quest’ultimo, che aveva con se il suo iPod, chiese alla ragazza:
-Quale vuoi ascoltare?-
Lei ci pensò e rispose:
-Gunman- lui la cercò nell’elenco e premette play dopo averla trovata, passò una cuffia alla rossa e rimasero in religioso silenzio ad ascoltare attentamente tutti i quattro minuti e quarantasette secondi della traccia.
I due, dopo aver stretto amicizia molto in fretta grazie alla musica, avevano preso come strana abitudine quella di ascoltare un’intera canzone dei Them Crooked Vultures prima di suonare. Era un curioso rituale che avevano assunto da poco senza neanche rendersene conto, nato dal fatto che Mike era un amante di Josh Homme e Rebecca di Dave Grohl e che, i due, suonavano insieme in quella band. Non sapevano davvero spiegare come mai avessero preso tale abitudine, era successo e basta e a loro piaceva.
Terminata la canzone la ragazza guardò Michele mentre metteva in tasca il suo iPod:
-Sei preoccupato?- gli chiese guardandolo nei suoi occhi blu scuro.
Lui alzò le spalle e rispose:
-Direi di sì, credo che sia normale. Ma più che preoccupato sono eccitato… sai, non vedo l’ora di salire su quel palco e cominciare a suonare sentendomi definitivamente uno del gruppo!-
Lei gli sorrise. Le piaceva molto l’energia del ragazzo ed era consapevole che lui non mentiva mai ogni volta che diceva quanto fosse felice di essere entrato a far parte degli Engage. Lo si capiva dal modo in cui suonava, dalla voglia e l’impegno che ci metteva e dal fatto che ci avesse messo anima e corpo, in quelle tre settimane, per collaborare totalmente agli ultimi due pezzi della band, che erano diventati, grazie anche a lui, due canzoni nuove e sorprendenti.
-Vedrai, andrà tutto alla grande! Ti presenterò al pubblico nel modo migliore!- esclamò lei.
Lui scoppiò a ridere e furono raggiunti da Andrea:
-Ci siamo- disse questo.
Gli altri due lo seguirono fino alle scale da cui il gruppo prima stava scendendo. Fecero loro i complimenti e poi, i cinque Engage, si misero in cerchio per un breve incoraggiamento pre-show.
Parlò Rebecca, in veste di cantante:
-Ok ragazzi… io non sono il capitano di questa nave ma…andiamo su quel palco e diamo il meglio di noi! Con Mike alla batteria non ci ferma nessuno, ok?- i ragazzi annuirono e lei riprese:
-Sapete una cosa? Sembrerà sdolcinato e melenso, ma sono davvero felice di condividere la scena con ciascuno di voi!-
Ci furono una serie di affermazioni del tipo “Si sapeva già”, “Sì, melenso!”,” È reciproco”, poi scoppiarono a ridere tutti e si unirono in uno sproporzionato abbraccio di gruppo.
Mentre i quattro ragazzi, dopo essere saliti sul palco, si stavano mettendo alle loro postazioni, amplificando gli strumenti e sistemando le varie parti della batteria aiutati dai fonici del palco, Rebecca si avvicinò all’ingresso del backstage e diede un’occhiata fra la folla decisamente numerosa. Senza neanche farlo apposta posò lo sguardo sugli occhi nocciola di Jack. Le stava sorridendo e la salutò con un cenno della mano scandendo accuratamente le parole “In bocca al lupo”. Lei lo ringraziò e lo salutò a sua volta, poi trovò fra il pubblico anche altri suoi amici, oltre a sua sorella con il suo ragazzo e alcuni suoi ex compagni di scuola.
Salì sul palcoscenico fermandosi sull’ultimo gradino. Avevano deciso che lei sarebbe comparsa davanti al pubblico dopo un intro interamente strumentale, per evitare di farle fare la parte del palo mentre gli altri si sistemavano. Andrea provò il suo microfono, per i cori, e poi provò anche quello di Rebecca, infine si voltò verso di lei per farle capire che erano pronti.
La ragazza respirò profondamente, afferrò il ciondolo a forma di chitarra azzurra e cercò di isolarsi dal mondo mentre in testa le tornarono le note di Gunman che aveva ascoltato prima insieme a Mike, che stava dando in quel momento il quattro per partire.
Guardò i suoi amici uno a uno.
C’era Steve, il bassista svitato che trovava la nota effervescente in tutto, che sul palco si scatenava come un matto e aveva sempre voglia di ridere. Roy, quello scontroso che, sotto sotto, era il più dolce di tutti e che faceva il possibile perché le cose andassero per il meglio. Mike, il nuovo arrivato, con un’energia tale da far invidia a chiunque, il protetto dal resto della band perché più piccolo di quattro anni. Infine Andrea, che non lo sapeva, ma con la sua calma e la sua risolutezza era sempre stato un esempio per Rebecca.
Suonare con loro era quello che lei amava fare più di ogni altra cosa. Il tempo passato a comporre musica insieme agli Engage era come oro.
Fece un lungo sospiro consapevole che c’era già passata da quello stato di ansia prima di un concerto, ma quella volta era diverso: lei e la band erano tornati e avrebbero continuato ad esistere.
Sorrise quando Steve la guardò per farle capire che era ora che lei comparisse davanti al pubblico, mentre le note di una delle loro nuove canzoni, che avevano chiamato Look at Sky, iniziarono a risuonare.
Non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte in quel momento.
Arrivò sicura di sé al microfono, lo afferrò e disse:
-Ciao a tutti! Noi, siamo gli Engage!!-
 
 
È finita!
Lo ammetto, il finale è un po’ scontato e tutto va per il meglio, però cavolo…volevo farla finire così questa storia! u.u
Essendo la mia prima “opera” a più capitoli vorrei usare due righe per i ringraziamenti e le relative note.
Innanzi tutto, vorrei ringraziare tutti voi che avete letto questa storia dall’inizio alla fine, davvero grazie!! Spero sinceramente che vi sia piaciuta e chissà, che magari vi siate affezionati (non molto immagino XD) ad alcuni dei personaggi (tutti di fantasia, giuro).
Vorrei anche dire che dedico questo racconto a tutte le persone che fanno musica con amici, e che un giorno sperano di essere apprezzati per il loro operato.
So cosa si prova a suonare in un garage, a scrivere pezzi e a fare km e km per promuovere il proprio lavoro, quindi tenete duro!
Suonare con i propri amici è la cosa più bella del mondo, la musica è la cosa più bella del mondo!
Grazie ancora a tutti voi che avete letto fin qui  ;)
Alla prossima!
MadAka

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1336117