Live and fly

di uantwothree
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una vita vissuta volando ***
Capitolo 2: *** Aria primaverile ***
Capitolo 3: *** Terrore ***



Capitolo 1
*** Una vita vissuta volando ***


Una vita vissuta volando


Le sette.
Mi alzo con noncuranza. L'ennesima giornata di monotonia, da vivere nel corpo esile di una quindicenne circense dai capelli rossi. Da vivere fra mille acrobazie. Da vivere con nonchalance. Da vivere in una tenda, anche se non è proprio una tenda. E' una specie di piccola casetta monostanza a cui ha diritto ogni circense, con un paio di finestre, in cui si vive massimo in due, dove si sta solo per dormire e negli spazi liberi tra gli allenamenti.
Come al solito esco dalla tenda dirigendomi verso il bagno in comune. Ce n'è uno ogni quattro-cinque tende, nel nostro circo, dove nessuno è ricco, si usa così.
Mi do' una veloce sciaquata alla faccia, voglio andare a far colazione il prima possibile.
Sulla porta vengo bloccata da Samuel.
- Ehilà Sophia, sbaglio o oggi ti sei alzata un po' più tardi?
Samuel è un ragazzo poco più grande di me, e adora scherzare. Siamo amici, almeno credo.
- Sì, il mio cervello ha deciso di farmi sonnecchiare di più.
Qualche secondo di pausa.
- Scansati,Samuel.
- Ti sei alzata con la luna storta?
- Non sono affari tuoi.
Passo sotto il suo braccio,appoggiato allo stipite di legno.
Mentre mi allontano lo sento mormorare "Hmph. Ragazze."
 
Torno alla mia tenda e scaldo il caffellatte sul fornello a gas nell'angolo.
Lo bevo in fretta, ma non mi va per traverso. Ci sono abituata.
Mi cambio con le prime due cose che trovo nell'armadio.
Mancano ancora 20 minuti agli allenamenti. Poco male, mi stendo sul letto e affogo nei miei pensieri, cosa che adoro fare ogni mattina, per distaccarmi un attimo dalla realtà.
Ripenso alla mia vita da quando è iniziata, a come sono finita lì, come se dovessi raccontarla a qualcuno. Ripenso a Mark, con qualche lacrima.
Sa di film visto e rivisto fino a imparare le battute a memoria. Soltanto che in quel film la protagonista sono io, Sophia Laurel.
 
Vivevo a Birmingham. Ero all'inizio della terza media ed ero una sfigata. Venivo presa in giro continuamente, e da quando ero diventata "la sfigatella" anche le mie amiche più intime mi avevano abbandonata.
Mi era rimasto solo Mark, un ragazzo che abitava nel mio quartiere. Mi confidavo con lui tutti i giorni. Ma non era nella mia classe, era al piano di sopra, quindi non ci vedavamo se non nell'intervallo.
Mark  aveva molti amici ed era il contrario di me, che ero la sfigata di turno. Ma io ero la sua migliore amica.
Insomma, riuscivo ad andare avanti solo grazie a lui.
Un giorno ero a casa a fare i compiti, e mi chiamò in lacrime, supplicandomi di incontrarci al parco.
Mia madre mi fermò sull'uscio, vedendomi tutta di fretta.
- Dove vai,signorina?
- Vedo un amico.
- Ti ho chiesto di passare l'aspirapolvere prima. Perchè non l'hai fatto?
- Non avevo voglia, taglia corto, mamma.
- Signorina, tu non puoi decide-
- Ciao.
Sbattei la porta. Mia madre mi dava sempre tutte le faccende da fare, mentre lei stava con i piedi sul tavolo a leggere qualche rivista di gossip.
- Odiosa. - pensavo, mentre correvo al parco.
Mark era già lì.
- Finalmente sei arrivata!
- Ciao Mark! Che è successo? Dimmelo,presto!
- Sai...
Rimasi immobile, seduta sulla panchina vicino a lui, ad ascoltare mentre mi diceva di aver scoperto, dopo l'ennesimo litigio dei suoi genitori, che si sarebbero separati, per poi divorziare. Lui sarebbe andato con sua madre, che stava comprando un appartamento a Plymouth, vicino ai suoi nonni materni, ovvero l'opposto di dove vivevano ora.
Dopo il suo racconto, stetti in silenzio per una decina di lunghissimi secondi. Poi scoppiai in lacrime.
Mark sapeva che non sarei riuscita ad andare avanti senza lui. Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di restare.
Se ne andò il weekend stesso.
Le settimane passavano, e tutto andava sempre peggio. Le prese in giro e gli insulti erano sempre più pesanti, come potevo sopportarle senza l'appoggio di Mark?
Sognavo Parigi ogni giorno. Volevo andarci, e lo volevo con tutto il mio cuore. Volevo scappare là. Odiavo l'Inghilterra.
Parlai con mia madre.
- Voglio scappare a Parigi.
- Per me puoi andartene anche ora.
- Ah sì? Bene,è proprio quello che ho intenzione di fare.
- Prego, sei solo un peso.
Che madre odiosa. La odiavo, la odiavo, la odiavo.
Raccattai più roba che potevo, presi tutti i miei soldi e misi il tutto dentro una valigia di media grandezza.
Il giorno dopo riuscii a procurarmi un biglietto di sola andata per l'aeroporto Charles de Gaulle, partendo da quello di Birmingham.
Non so neanch'io come riuscii ad arrivarci per davvero, so solo che fu un viaggio lungo e stancante, non starò a raccontare tutto nei minimi dettagli.
Arrivata in città, pensai a dove alloggiare.
Persi un intero giorno, e non trovai nulla, nemmeno un hotel che accettasse i miei pochi spiccioli.
Di notte dormii per strada. Sembravo una barbona vagabonda, e mi maledissi più volte per la cavolata che avevo fatto. Mi ero pentita di tutto ciò che avevo fatto, dopo neanche 24 ore. Fantastico.
Il giorno dopo ero già pronta per tornare a Birmingham, quando scoprii l'esistenza di un circo che offriva una casa a chiunque, e che organizzava grandi spettacoli a cui andavano centinaia di spettatori.
Marcel, il direttore, mi accettò senza indugi come acrobata in generale.
E da quasi due anni ormai, il circo è casa mia.

 
Ero uscita dalle mie fantasie per tornare alla realtà. Non poteva essere passato tanto tempo, dopotutto. Al massimo cinque minuti.
Guardo l'orologio, le sette e quaranta.
Le sette e quaranta?
Gli allenamenti!
Corsi il più veloce possibile, imprecando fra me e me, verso il grandissimo stabilimento ben attrezzato da palestra per ogni circense.
- Scusate il ritardo!
- Di nuovo a fantasticare,eh? Dai, corri a scaldarti.
- Ciao! Vado subito!
Renè è il responsabile degli allenamenti e controlla che tutto funzioni perfettamente e che ognuno di noi svolga il suo lavoro.
Faccio una corsetta, qualche spaccata e un paio di verticali.
Sono pronta.

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Capitolo 2
*** Aria primaverile ***


Aria primaverile


- Che si fa oggi? - chiedo a René, mentre qualche timida goccia di sudore inizia ad imperlare la mia fronte.
- Come sai, siamo in tournèè per lo spettacolo, fra due mesi...
- Sì, me lo ripeti ogni giorno - ribatto, con aria sarcastica.
- Ecco,devi provare la prima parte del numero al trapezio, ho visto che c'è qualche imperfezione e vanno corrette al più presto.
- D'accordo...
- Conto su di te.
Salii rapidamente sull'attrezzo e mi lanciai. Sentii l'adrenalina che percorreva il mio corpo mentre volteggiavo, e saltavo sul trapezio dalla parte opposta per poi tornare a volare e saltare.
- Andava molto meglio. Continua così!
Provai per mezzora, poi passai al tessuto aereo,al cerchio e agli altri attrezzi,e provai con gli altri acrobati mentre Samuel mi guardava da lontano.
- Che hai da guardare,eh? Non lavori? - gli urlo in modo sarcastico, dall'altra parte della palestra.
- Mi scusi se l'ho turbata -  ribatte lui.
A volte non ti capisco, Samuel.
Tornai a provare e finimmo alle 12.30, giusto in tempo per il pranzo.
Mi preparo qualcosa in fretta e furia, non ho voglia di mangiare col gruppo.
Verso le 14 esco per andare a farmi un giro per la città, anche se sono da sola.
Ho voglia di tutto, tranne che starmene chiusa in "casa".
 
Prendo la linea uno della metro e scendo alla stazione dei Champs-Élysées, dove sono diretta.
Uscendo dalla metropolitana mi godo il più possibile la leggera brezza di aprile, che mi sfiora il viso piacevolmente. Adoro la primavera e il suo clima.
I colori degli alberi in fiore mi donano un po' più di allegria. Sono meglio di una medicina.
Passeggiando quasi rasente ai negozi, osservo ogni vetrina con interesse, immaginando quei vestiti vistosi addosso alle curve inesistenti del mio corpo esile.
Farei schifo, penso con un sospiro.
Qualsiasi vestito che non sia una tuta da ginnastica mi sta malissimo.
Cerco di ricacciare i pensieri indietro, e mi consolo regalandomi un gelato alla fragola e pistacchio, anche se un po' fuori stagione.
Il tempo vola, e sono già le cinque meno dieci.
Gli allenamenti pomeridiani!
Dannazione, sono sempre in ritardo!
Corro tra la folla parigina, ansimando e tirandomi addosso mentalmente tutti gli insulti possibili.
Merda. Merda. Merda.
Attraverso di corsa, anche se è rosso. Tanto non stava passando nessuna macchina.
René non tollererà un altro ritardo, soprattutto ora che siamo vicini alla tourneé in Europa dello spettacolo.
Corro il più veloce possibile, fino a sentire solo i miei passi e il vento intorno a me.
Per fortuna c'è un vialetto da cui posso tagliare per arrivare subito alla metro. E' un po' isolato, ma devo fare in fretta, mi serve una scorciatoia.
Svolto subito a destra. Sembra che non ci sia nessuno. Cerco di affrettare il passo più di quanto non l'avessi già affrettato prima. La mia corsa si arresta subito, e sbatto contro qualcosa, cadendo a terra.
- Ehi, dove corri?
Non era qualcosa, era qualcuno.
- M-mi scusi...
Mentre mi rialzo lo guardo in faccia, è un robusto ragazzo sulla ventina, se non di più. Sembrava volermi ostacolare per dispetto.
- Mi scusi...Cioè,scusa...Vabbè, ti potresti spostare? Sono in ritardo.
- Perchè tanta fretta?
Non mi aspettavo di certo una domanda del genere.
- Ehm... Sono in ritardo, per degli allenamenti. Potrei passare, gentilmente?
- Eddai, fermati ancora un po'.
- Cos...
Non faccio in tempo a finire la domanda che il tizio mi strattona, e tira fuori un coltello dalla lunga lama.
Ho paura di svenire. Tutto intorno a me si dissolve, ed inizio a sudare più di quanto non abbia mai sudato in allenamento.
Non può finire così, Sophia.
No, non può finire così!

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Capitolo 3
*** Terrore ***


Terrore

Il tizio mi tiene stretta per il collo della maglietta.
In ogni singola parte del mio corpo sento brividi, e non riesco a pensare a niente, se non incentrarmi sulla paura, quella terribile paura che invade il mio corpo.
- Dammi tutto quello che hai. Soldi e cellulare. O sarò costretto a sfigurare il tuo bel faccino.
Non riesco nè a parlare nè a muovermi. Cerco di richiamare le forze per rispondere con un filo di voce.
- N-non ho nulla...
- Ah, non hai nulla eh?
Inizia a muovere piano il coltello sul mio collo, incidendolo con un taglio lungo ma non profondo.
- Mettiamola così. Ora tu mi dai tutto quello che hai, e io cercherò di risparm...
Sento un urlo dalla parte opposta del vialetto. La voce è familiare.
- Vattene, stronzo!
Il tizio molla la presa lasciandomi cadere per terra.
- Cosa hai detto?
Il ragazzo che ha urlato corre verso di noi. Vedendolo in faccia, riesco a ritrovare la forza di gridare.
- Samuel!
Non è possibile. Com'è arrivato fin qui?
Samuel salta addosso il criminale, buttandolo rovinosamente per terra. Il criminale ribatte tentando di sferrargli addosso il coltello, che colpisce Samuel di striscio, ferendolo.
 Il suo sangue macchia la parete lurida e piena di graffiti del vialetto.
Urlo, urlo il più possibile.
- No! Noooo!
- Ci ho messo poco a mettere il tuo amico fuori uso, eh? Era proprio un debole.
Ma ora penserò a te.
Dicendo questa frase inizia ad incamminarsi verso di me.
Lacrime calde iniziano a rigarmi il viso. E' finita.
Sto per pensare il peggio.
Ma in una frazione di secondo, tutto riesce a stravolgersi. Vedo Samuel rialzarsi e gettarsi di nuovo sul delinquente, questa volta fancendolo cadere a pancia in giù, e gli sfila l'arma con una mossa rapida.
Non riesco di nuovo più a parlare, sono ancora una volta immobile per il terrore.
- Non fai più il grosso, eh?
Detto ciò, gli sferra un pugno in testa, facendogli perdere i sensi.
Ce l'ha fatta.
Non so cosa dire. La mia testa è un turbinio di frasi, idee. Non so quale dire prima. Penso che sia lo stesso anche per lui.
- Sophia...Ti cacci sempre nei guai, eh? Brutta scema.
Assurdo. Riesce a scherzare anche in un momento simile.
Ti ammiro, Samuel. Riesci sempre a controllarti e a rimanere lucido.
- Samuel...Come...Come facevi a sapere dov'ero? E hai saltato gli allenamenti. E come hai fatto a non avere paura? Com...
Mi azzittisce con un gesto.
- Una cosa per volta.
Ti ho cercata nella tua tenda, non c'eri. Ti ho cercata ovunque, e non trovandoti, io... mi sono preoccupato.
Stava diventando serio.
- Oh...
- Ti conosco bene, sapevo che saresti venuta a farti un giro qui. Infatti ho controllato tutta la zona. Ma sapevo che ti saresti di nuovo persa nel tuo mondo, che ti saresti accorta di essere in ritardo e avresti preso una scorciatoia per tornare alla metro. Quindi ho percorso la strada a ritroso, controllando ogni vialetto adiacente, finchè ho controllato in questo e...
Non c'è bisogno di continuare la frase. Mezzo minuto di silenzio è indispensabile.
- Beh, ho temuto il peggio.
I nostri visi sono così vicini, riesco quasi a sentire il suo respiro addosso a me.
- Anche io ho temuto il peggio, quando ti ha ferito.
 Grazie, Samuel... Grazie di cuore.
- Non c'è di che. - risponde, e mi fa l'occhiolino. - Oh, non è nulla. La medicherò in fretta. E sembra ne abbia bisogno anche tu.
 - Sì, ci penserò...Chiamiamo la polizia?
- No, meglio di no. Andiamo.
Mi porge la mano per aiutare a rialzarmi, e ci incamminiamo per tornare a casa.
Troviamo uno dei responsabili, Gustave, già pronto per farci la ramanzina.
- Sentiamo un po'... Come mai oggi pomeriggio non siete venuti? Sapete che lo spettacolo è vicino, vero?
Non ho certo voglia di raccontargli tutto, quindi ci pensa Samuel.
Gustave rimane in silenzio, non sapendo come commentare.
- Se è andata davvero così, beh...
Andate, bevete un po' d'acqua, medicatevi e riposate, vi sarete presi un gran bello spavento. Se volete ne parlo con il direttore...
- Non è necessario, grazie.
- D'accordo. Andate pure.
 Torno alla mia tenda, chiudo e mi stendo sul letto, tirando un gran respiro.
Che giornata assurda.
Non ho certo voglia di fare cena, ho lo stomaco chiuso.
Schiaccio un pisolino, finchè non sento bussare.
- E' permesso?
- Entra. - e caccio un gran sbadiglio.
E' Samuel.
- Stavi facendo qualcosa di importante?
- No no, non ti preoccupare. A cosa devo la tua visita?
- Beh, c'è un bellissimo tramonto qui fuori, e volevo chiederti se lo volevi guardarlo con me.
- E va bene...
Mi alzo e cerco una felpa carina da mettermi. Non mi sono neanche pettinata, ho un viso da schifo. Pazienza.
Ci sediamo sopra un muretto non tanto lontano dallo stabilimento dalle tende, ma in un posto dove nessuno ci vede.
- Hai ragione, è fantastico...
- Già.
Entrambi cerchiamo di goderci il più possibile quel cielo pieno di striature arancioni e gialle, in contrasto con l'azzurro del cielo. Un perfetto tramonto primaverile, di quelli che si vedono nelle fotografie sulle riviste o sulle copertine dei libri.
- Senti, per oggi... Non saprò mai come ringraziarti, senza di te non ho idea di quale fine avrei fatto.
- Il fato ha voluto che arrivassi al momento giusto, ed è meglio così. Non pensiamoci più.
Sta ancora guardando il tramonto.
- Solo una cosa...Toglimi una curiosità.
- Dimmi.
- Come mai mi hai cercata nella mia tenda proprio a quell'ora?
- Dovevo dirti una cosa.
- Che cosa?
- Niente.
- E dai...
Finalmente volge lo sguardo verso di me.
- Sophia. C'è una cosa che ti devo dire da due anni, dal primo momento che ti ho vista.
- ...
- Niente mi emoziona più del tuo volto. Mi perdo sempre nei tuoi stupendi occhi color pioggia. Amo vedere il tuo corpo volteggiare agile ed esperto, in allenamento.
- Samuel, io...
Non riesco a finire la frase.
Sento le sue labbra calde appoggiarsi alle mie, per unire i nostri visi illuminati dall'ultimo raggio di sole della giornata.
 

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