Daddy's Little Girl

di paoletta76
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un delizioso punto di blu ***
Capitolo 2: *** 2. lo voglio anch'io, un fratellino ***
Capitolo 3: *** Natale Con I Tuoi ***
Capitolo 4: *** 4. Ti voglio bene papà ***
Capitolo 5: *** 5. Lady Catherine e il Segreto di Come Nascono I Bambini ***
Capitolo 6: *** 6. Non lo voglio più, un fratellino ***
Capitolo 7: *** 7. L'Estranea ***
Capitolo 8: *** 8. Lo Stesso Spicchio Di Luna ***



Capitolo 1
*** Un delizioso punto di blu ***


Lady Catherine Anne Lawson, principessa di Asgard e Jotunheim, aveva appena compiuto tre anni e nessuno le aveva ancora raccontato di regni, scettri, magia e di tutto quello che c'era oltre le stelle.
 
Per lei la realtà era quella di tutti i giorni, e la magia erano i trucchi di papà per farla divertire.
La realtà era una mamma bellissima, che progettava le case per quei signori che la venivano a trovare nell'ufficio con i vetri e le sorridevano porgendole la mano, era un curioso gruppo di zii molto super, erano un cuginetto abile e sveglio complice in giochi e scoperte, e una nonna che ogni tanto veniva a trovarla e le raccontava le fiabe.
E poi c'era papà.
 
Papà che era tutto, che era il più forte e il più bello e il più bravo di tutti, papà che cura i bambini che stanno male.
Il suo eroe.
 
Insomma, la piccola Katie cresceva, come ogni bambina newyorkese che si rispetti, ed era curiosa di scoprire ed assaggiare il mondo.
 
Aveva appena compiuto tre anni, i nonni le avevano promesso una bellissima festa. E quel pomeriggio, a Central Park, il destino le riservò la prima grande scoperta della sua vita.
 
Diventava blu.
 
Papà stava chiacchierando con il padre di Thomas, il suo compagno dell'asilo, quello simpatico ma un po' fetentotto.
Di lavoro, sicuramente; entrambi dottori, entrambi con il giorno libero e l'auricolare sempre all'orecchio per le chiamate d'urgenza. Entrambi piccoli grandi eroi, per gli occhi dei figli.
 
Papà era sulla panchina, Thomas l'aveva convinta a giocare sulla riva del laghetto.
 
All'improvviso, un grido acuto fece saltare il cuore di Loki poco sopra la sua gola.
Papààà!!
 
Scattò in piedi, lontano dalla panchina, cercandola con gli occhi. Un attimo dopo, la vide comparire in direzione del laghetto.
Il respiro sembrò cessargli. Levò la corsa, la raggiunse, e cadde in ginocchio davanti a lei.
Katie piangeva, con entrambe le mani sul viso. Non aveva nessun segno o ferita visibile, e piangeva come una fontana.
- Amore mio.. cos'è successo? Ti sei fatta male? - lui le raccolse le mani, scostandole con delicatezza dalle sue guance in fiamme. La piccola fece lentamente segno di no con la testa.
- S'è fatto male Tommy? Un altro bambino?
Ancora segno di no.
- Che cos'è successo? Cos'hai visto? - Loki piegò di più il viso, avvicinandosi fronte a fronte e cominciando a preoccuparsi sul serio.
- Sono un mostro..
 
Si scostò appena, aggrottando le sopracciglia, mentre la bimba tornava a nascondersi il viso con le mani.
- Amore mio.. no, che non sei un mostro.. chi t'ha detto queste brutte cose? - lui raccolse fra le dita un ciuffo di quei lisci capelli nerissimi, e glielo sistemò dietro l'orecchio.
- Tommy..
- Tommy è bugiardo e cattivo. Lo sa, che queste cose non si dicono, ad una signorina?
Lo mormorò leggero al suo orecchio, convinto di farla ridere. Katie tirò su col naso, sollevandogli addosso quegli occhi di smeraldo:
- Non è una bugia. Sono un mostro..
- No, amore mio.. non sei un mostro..- lui si sollevò e la raccolse fra le braccia, lasciando che gli circondasse le spalle e si appoggiasse col viso contro il suo petto - perché dici così..?
- Perché divento blu..
 
Ecco. Il sospetto che gli stringeva la gola diventava realtà e paura, nella voce filiforme della figlia.
- Ma no, che non diventi blu..
- Sì, papà.. ho messo la mano nell'acqua del laghetto.. era tutta blu..
 
Sorrise, cercando di darle una spiegazione che la tranquillizzasse.
- Ma è normale, cucciola.. quando l'acqua è tanto fredda e c'è il ghiaccio, se ci tieni un po' la mano dentro diventa blu a tutti. Solo che poi la devi togliere e la devi scaldare, se no non la muovi più. Dov'è la manina blu? Dai qua..
La bimba gli affidò una mano, e lui si affrettò a scaldarla fra le proprie dita, constatandone con sollievo il colore regolare, nonostante la temperatura leggermente sotto la media.
 
La porto a casa.. ci vediamo domani in ospedale.
 
Il padre di Thomas annuì, lasciandolo scivolare via con la figlia fra le braccia, senza chiedergli spiegazioni.
Loki lo ringraziò mentalmente almeno dieci volte.
 
Depositò la bimba sul sedile del passeggero, si piegò ad assicurarle la cintura di sicurezza. Si mise alla guida e riprese la via di casa. Katie era diventata silenziosa; osservava i palazzi intorno e sembrava quasi non respirare.
 
Strano, per la sua chiacchiera d'argento.
Sorrise, leggero. Sua figlia era stata veloce nel nascere quanto pigra nel dire la prima parola, e sembrava guardare storto tutti quegli zii che si affannavano a circondarla con i loro bububu gagaga.
Ma che c'avete, da fare questi versi, idioti?  sembrava dire, con quel sopracciglio appena alzato che faceva tanto dio degli inganni. Al solo pensiero, rideva ancora.
 
Lady Catherine, degna figlia di suo padre, aveva fatto quello che voleva con i tempi che più le aggradavano, ed un giorno, totalmente inaspettata, aveva guardato sua madre e le aveva semplicemente detto Mma. Poi aveva congiunto le manine e aveva riso, come divertita per l'averli presi in giro tanto a lungo.
Da quel momento, era stato tutto in discesa. E la piccola era diventata, grazie alla sua chiacchiera sfacciata ed alla sua curiosità, la beniamina della Stark Tower e dell'asilo.
 
E poi era iniziato l'anno dei perché.
 
Loki lo sapeva, come padre e come medico, che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l'anno dei perché. Era una cosa normale, nella prima fase di crescita di un bambino. La fase della scoperta del mondo.
Quello che i libri non riportavano era il caso specifico. Cioè che Katie era figlia sua. E, cosa un tantino più pericolosa, di Sif.
 
Ormai aveva imparato a riconoscerli, i suoi comportamenti. Lunghi silenzi, cioè attesa. Quando Katie taceva così a lungo, il significato poteva essere uno solo: elaborava. Osservava, ascoltava, e preparava il prossimo perché. Talvolta, qualcuno era imbarazzante da impedirgli di trovare risposte in tempi decenti, ed allora erano bronci lunghissimi.
 
Abbiamo trovato il metodo per mettere a tacere la lingua d'argento di Asgard!- rideva sua moglie - e senza scatenare guerre..
 
Già. Ne troviamo una come lui. Con le aggravanti di tre anni d'età e la sfacciataggine di sua madre.
 
Un sospiro, mentre la macchina si fermava allo stallo riservato al dottor Lawson.
 
- Perché divento blu, papà?
Ecco. La spiegazione non era bastata. Troppo blanda, come al solito. Se non altro, ha il tatto di non elaborare queste domande quando siamo in mezzo ai midgardiani..
Si voltò appena sul sedile, ad incrociare quello sguardo verde e motivatissimo.
Katie chiedeva. E come al solito, esigeva la verità.
- Perché sei come me, amore mio. Noi non veniamo da New York; anche se ci sei nata.. siamo stranieri. Nel nostro paese, tutti diventiamo blu, se tocchiamo qualcosa di molto freddo, tipo il ghiaccio del laghetto. E' la nostra natura, è una cosa normale.
- Come Jessie che è del colore del cioccolato?
- Come Jessie. I suoi genitori vengono da un paese in cui tutti hanno la pelle di cioccolato. O come Mai Lin, che è colore del limone. Ogni paese ha il suo colore.
- E com'è il nostro paese? Perché sei venuto qui?
 
Et voilà. Perché a catena, pensò Loki, emettendo un altro lunghissimo sospiro, e decidendosi a slacciare le cinture di sicurezza di entrambi.
- Il paese di papà era bellissimo, tutto bianco e con tanta neve. Così mi hanno raccontato, perché io non me lo ricordo. So soltanto che mi hanno portato via perché c'era la guerra.
Lo sguardo della bambina si rabbuiò, mentre il padre girava intorno all'auto e le apriva la portiera.
- Eri tanto piccolo?
Loki aggrottò le sopracciglia, lasciando che lei tendesse le mani e si facesse sollevare fra le braccia.
-..Quando sei venuto via dal tuo paese.
- Ero piccolo piccolo, sì.- lui fece scattare la serratura, e con la figlia saldamente avvinghiata al petto si avviò verso l'ascensore - più o meno come te quando sei nata.
- Quanto ero piccola, papà?
 
Un sospiro. Premette il tasto del quarantesimo piano e la ringraziò mentalmente per aver cambiato discorso.
- Eri piccola così.- fece segno a misurare una breve distanza con la mano libera - piccola e con tanti capelli neri neri.
Katie scosse leggera e un po' vanitosa la testa, inondandolo di delicati fili di seta corvina.
Loki rise, coccolandola un po' in attesa del prossimo perché.
 
- Papà..?
- Dimmi.
- Ma anche la mamma diventa blu?
 
Touché.
E adesso che le dico?
 
Katie notò esitazione nel non rispondere del padre, nel suo smozzicare eh.. e beh..
Piccolo broncio di serie nelle labbra di rosa, e non appena i suoi piedi toccarono terra partì in quarta in cerca di risposte in prima persona.
 
L'ufficio della mamma.
I signori se ne stavano andando, salutavano con il solito modo gentile anche se non erano gli stessi dell'ultima volta. Poi la mamma e la zia Pepper oltrepassavano la vetrata, chiacchieravano e sembravano felici e divertite.
 
- Ehi! Già finita, la gita al parco?
Si voltò, sorridendo ed accogliendo la corsa della figlia contro il petto.
- Oggi nuove scoperte.- lui piegò appena le labbra - Tommy l'ha convinta a giocare in riva al laghetto.
- Santo cielo, Loki! - lei sollevò la bimba fra le braccia, innervosendosi - una volta che te la lascio, una! Dimmi che non s'è fatta male!
- Non s'è fatta niente, giuro.- lui sollevò le mani, scuotendo appena la testa insieme alla figlia - ha solo.. ha solo scoperto che diventa blu.
 
Sua moglie rimase per un attimo senza parole, scostandosi ad indagare gli occhi della bambina.
- E.. come?
- Giocavano, ha toccato l'acqua del laghetto. La mano è diventata blu, quel tonto del suo amico le ha detto che è un mostro e lei s'è spaventata.
Una smorfia, uno scambio di linguacce con la bambina, e quella rise, tendendosi poi verso terra.
 
La madre la lasciò andare, e lei fu veloce, a raccoglierle le dita e tirare.
- Dai, vado su.- Sif si rivolse all'amica - andiamo a sentire com'è andata l'avventura.
Uno sguardo di rimprovero al marito, un cenno di saluto. Due minuti, ed erano nel salone.
 
Trattenendo le mani di entrambi ben salde fra le dita, Katie guidò i genitori fino al divano e li fece sedere con una piccola spinta. Poi li lasciò a guardarsi curiosi, e si diresse verso il frigo dello zio Tony, tornando indietro con la vaschetta dei ghiaccioli.
- Che cosa..? Chi ti ha insegnato questi trucchetti? - suo padre provò a ribellarsi. Troppo uguali, per non capire le intenzioni della bambina.
- Che le hai detto?
- Che.. che nel nostro paese diventiamo tutti blu, che è.. una cosa normale.
- Bravo, idiota.
- Che dovevo dirle? Sì, sei un mostriciattolo? Hai una strana malattia? Era spaventata, Sif! - protestò lui, mentre la bambina procedeva col proprio esperimento.
- Che.. oh, lasciamo perdere.- sospirò lei. Sua figlia le aveva acchiappato una mano e l'aveva stesa a palmo in su, prima di depositarvi un ghiacciolo.
 
La mamma non diventava blu. Katie la osservò per un lunghissimo istante, incuriosita, prima di ripetere la stessa operazione su Loki.
A contatto col ghiaccio, la mano di papà, e pian piano anche un po' del suo polso, diventarono di un delizioso punto di blu. Katie aggiunse un altro paio di ghiaccioli e rimase estasiata ad ammirare la magia.
- La mamma è nata al paese dei nonni, amore mio..- la donna sorrise, dopo averle visto mutare espressione e rivolgerle uno sguardo interrogativo - nel paese dei nonni nessuno diventa blu, ma se teniamo troppo le mani nel ghiaccio prendiamo il raffreddore.
 
La bimba osservò di nuovo la mano del padre, poi la vaschetta del ghiaccio e le proprie dita.
Erano dello stesso colore. Sorrise, soddisfatta.
 
Era come il suo papà.
 
- E perché i nonni non diventano blu come papà?
 
Ecco. La domanda che più temeva. Loki spostò lo sguardo, si morse leggermente il labbro inferiore.
- Cosa ti ha raccontato? - Sif lo salvò in corner.
- Che il suo paese è fatto di neve, e che era piccolo e non se lo ricorda tanto.
- Papà era un bambino abbandonato. Il nonno lo ha adottato. E' per questo, che i nonni non diventano blu, come lo zio Donnie.
- Anch'io sono una bambina adottata?
- No. Sei la figlia della mamma e di papà.
 
Sif tese le mani, incontrando il calore di sua figlia, e l'attirò a cavalcioni sulle ginocchia, mentre quella l'abbracciava nascondendosi contro il suo seno.
- Allora sono un po' blu e un po' no..
- Esatto.
- Ma papà è bello anche quando è blu?
- Sì..- Sif rise, leggera e divertita, appoggiando la fronte contro quella della figlia - è bellissimo. E anche tu sei bellissima, quando sei blu.
 
Labbra leggermente schiuse a formare una O, espressione affascinata, i palmi aperti uno contro l'altro. Katie la guardava come tutte le volte in cui si riteneva soddisfatta di una risposta. Poi, silenzio.
Prossima domanda in arrivo..
 
- Come sono? Come sono?
- Allora..- intenerita, la mamma fece scivolare le dita fra i suoi lunghi capelli d'ebano - la tua pelle diventa del colore della notte, una notte dolce e magica.. i tuoi occhi sono due bellissimi rubini.. i tuoi capelli scuri come l'ombra e le tue labbra due piccole rose rosse. Sei bella come una principessa.
- Come la principessa della fiabe della nonna?
- Sì, cucciola mia.
- E papà.. e papà?
 
Ecco. Papà. Papite cronica, sorrise Sif. Katie era felice; non aveva scoperto una diversità alienante, in quella sua pelle blu, ma un legame ancora più forte col padre, più esclusivo. Per un istante, non seppe se provarne sollievo o un pizzico di gelosia.
- Papà è il principe più bello che io abbia mai visto. E' il principe delle fate.
 
Le labbra di Loki si stirarono in un sorriso. Il principe delle fate..
La mano di sua moglie raggiunse la sua, e lui la strinse appena. Solo quattro anni terrestri prima, neppure lui l'avrebbe detta, una cosa del genere. Ma questo sua figlia non lo doveva sapere.
 
Di nuovo quell'espressione a labbra schiuse, e stavolta Katie li sorprese entrambi, scivolando via dalle gambe della madre.
- Giochiamo a diventare blu?
 
Eh?
Di fronte allo sguardo semi disperato del marito, Sif scoppiò a ridere:
- Beh.. stai sereno.. lei l'ha presa bene, mica come te.
- Che discorsi sono..- bofonchiò lui, lasciando che la figlia lo trascinasse lontano dal divano - io l'ho saputo a ventisei anni terrestri, che diventavo blu..
 
Sif rideva ancora, divertita complice della figlia. Davanti alla vasca riempita d'acqua gelata, mentre Katie si affrettava a spogliarsi e tuffare i piedi, Loki emise un lunghissimo afflitto sospiro.
 
- E adesso, vostra altezza, affari tuoi..
- Non è che fai un tuffo al posto mio? - lui fissò perplesso la bambina, che già s'era immersa e lo schizzava.
- E' te, che vuole vedere blu.- lei sollevò le spalle - io posso solo prendere il raffreddore. Quando avete finito di giocare, ricordati di asciugarla bene.
 
Loki crollò col naso verso terra, poi si spogliò fino a rimanere in boxer e si immerse lentamente nella vasca, rassegnato ad un'altra allegra mezz'ora di perché.
 
Colmo di buoni propositi questa beneamata mazza.. era più facile conquistare Midgard..
 
Poi rise, osservando le labbra della figlia schiudersi di nuovo di fronte alla sua natura di jotun.
 
Nessun diverso, nessun cattivo. Nessun mostro sotto il letto.
Papà era come lei. Era bellissimo e blu. Lo abbracciò, felice, senza vedere quella lacrima che gli sfuggiva vigliacca rigandogli la guancia già umida.
 
Loki ringraziò suo padre e il cielo per avergliela data.
 

perdono, perdono e ancora perdono; non ho resistito! Ho trovato questa http://24.media.tumblr.com/tumblr_m1tkn1fAkv1r4ucl6o1_500.jpg immagine troooopppo dolce della mia coppia (ormai lo posso dire) preferita e oggi, presa dallo schizzo, ho buttato giù queste tre righe. Vediamo se sarò capace di andare avanti a rispondere alle domande della "terribile" mostriciattola di papà.. ;)

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Capitolo 2
*** 2. lo voglio anch'io, un fratellino ***


Guardava suo cugino Howie smontare e rimontare le macchinine, ne studiava attenta le mosse, pettinando lentamente la bambola dai lunghi capelli biondi.
Appoggiava lo sguardo sullo zio, pigramente steso sul divano, intento a fissare un po' distratto la partita alla tv.
Gli stessi capelli biondi della bambola, solo che lo zio era un maschio e li portava un po' più corti e legati sulla nuca.
Le era simpatico, lo zio Donnie. Un po' meno dello zio Tony e forse anche dello zio Bruce, però le piaceva. Le portava sempre le caramelle, anche se mamma non voleva che le mangiasse perché facevano venire la carie ai denti.
 
Guardava lo zio Donnie e si chiedeva perché assomigliasse così poco al suo papà. Si chiedeva anche perché sia lui, sia papà e la mamma si facessero chiamare con un nome dagli amici che vivevano con loro nella torre, e con un altro da chiunque ne fosse fuori.
Le avevano detto che, come lei, anche loro avevano due nomi e usavano uno o l'altro a seconda di come andava più a genio al momento. Strano, aveva storto appena le minuscole labbra. A lei nessuno la chiamava mai Anne, al massimo Catherine quando erano un po' arrabbiati.
 
Mamma le aveva spiegato che papà era stato adottato, ma lei ancora non aveva capito bene cosa significasse. Forse era per questo, che assomigliava proprio poco allo zio.
 
Si guardò di nuovo intorno, sollevando gli occhi dalla bambola, appoggiandola poi a terra ed avvicinandosi al divano.
 
Doveva chiederlo a qualcuno. Howie però era piccolo come lei, impossibile che potesse darle la risposta che desiderava. Così si arrampicò sul divano, tendendo le braccia e tirandosi su.
- Vuoi venire qui? Su..- Thor sorrise, sporgendosi un po' ed aiutandola nell'impresa - eccoci. Ti annoi? Vuoi vedere un cartone animato?
Lei aveva fatto cenno di no con la testa, continuando a fissare i suoi con quegli occhioni verdi.
- Mamma non vuole che guardi la tv? Sarà il nostro segreto.- lui si poggiò le dita incrociate sulle labbra, lasciandola accomodarsi al proprio fianco e cominciando a scorrere i canali.
 
- Zio..?
- Dimmi.- lui si scostò appena, e sorrise ancora.
Suo fratello l'aveva avvertito: occhio, che quando le prende lo schizzo sono domande a raffica.
Come la fai grossa.. non ti preoccupare..gli aveva risposto, mimando un gesto alla guarda che ci so fare, coi bambini. Non gli dispiaceva, trascorrere qualche ora con la nipote. Era intelligente, e sveglia.  A tre anni già si esercitava con  le lettere scritte in grande.  A di aquila.. B di bosco.. C di castagna..
Si sarebbe allenato a fare il padre, rispondendo a tutte le sue domande e dandole accurate spiegazioni. Un gioco da ragazzi.
 
Sì. Vabbè.
 
- Perché tu e papà non vi assomigliate?
- Beh.. ecco.. perché.. perché.. tuo papà te l'ha spiegato?
Et voilà. Cascato in pieno alla prima. Grande, vostra altezza.
 
- Mamma mi ha detto che il nonno lo ha adottato. Cosa vuol dire?
- Beh..- lui si schiarì la voce. Non avrebbe fatto del male a nessuno, raccontandole la verità. L'importante sarebbe stato usare le parole giuste.
- Tuo padre.. era appena nato, il nonno era nell'esercito.. sai, c'era una guerra, fra il nostro paese e il suo.
 
No, Thor. Così non va bene. Non puoi parlare di guerre, sangue e battaglie a tua nipote. Per tutti gli dei, è una bambina di tre anni!
Troppo tardi.
- Che cos'è la guerra, zio? - la piccola Katie adesso la fissava assorta e seria, con il pugno chiuso a sostegno del viso. Sembrava aver trovato un interessante argomento di conversazione, e per un attimo Thor comprese il significato delle parole come una mosca nella tela del ragno.
- E'.. è quando le persone non si vogliono più bene.
 
Le parole giuste, dette in un sospiro. Strane, pronunciate proprio dalle labbra dell'uomo che della guerra faceva motivo di vanto fin da ragazzino. Dolci e amare allo stesso tempo.
- Il paese di tuo padre, una volta, era bellissimo, era candido di neve e cristalli che brillavano al sole. Poi un re cattivo salì al trono, ingannando i saggi del suo popolo. In cerca di un potere grandissimo, iniziò a rendere schiavi molti del suo paese, mentre altri credevano in lui e combattevano al suo fianco. Poi iniziò a viaggiare lungo i cieli, cercando altri popoli da far diventare suoi servi. Venne anche qui, su Mid.. sulla Terra. Ma queste cose te le spiegheranno quando sarai più grande.
 
Le labbra della bimba s'incresparono in un minuscolo broncio.
Quando sarai più grande. La scusa che trovavano quando non volevano dirle la verità su una cosa. Uffa.
 
- Sono cose tristi, Katie. I bambini non dovrebbero mai viverle, né sentirle raccontare.- disse lui, in un soffio, tornando con lo sguardo allo schermo della tv.
Lei continuava a fissarlo, con la stessa espressione fiera e priva di paura che aveva visto infinite volte sul viso di Sif.
Un sospiro.
- Davvero vuoi che ti racconti questa storia?
Lei fece un profondo cenno di sì con la testa, riposizionandosi col mento sui polsi. Thor lanciò un'occhiata al bambino che, pochi metri più in là, continuava ad armeggiare con le macchinine senza prestare loro la minima attenzione.
Un altro sospiro.
- Ok.. da dove comincio.. va bè. Io ero un bambino, poco più grande di te. Il nonno era andato con l'esercito nel paese della neve, che si chiama Jotunheim, per difendere i buoni e sconfiggere il re cattivo. Come succede in tutte le guerre, nella città in cui era il castello del re molte case andarono distrutte, e purtroppo molte persone morirono, sia fra i buoni sia fra i cattivi. La città era diventata desolata e buia, e fra le rovine di un tempio il nonno trovò un bambino piccolissimo, che aveva freddo e piangeva. Lo avvolse nel suo mantello, per scaldarlo un po'. Non so come, ma capì che era il figlio del re cattivo, che l'aveva abbandonato perché non era forte e robusto come gli altri. Il nonno ne ebbe compassione e lo portò a casa; lo affidò alla nonna e insieme lo fecero crescere come se fosse nato da loro due.
- Lo sapeva, che papà diventa blu?
Quella vocina, delicata, lo interruppe privandolo di un battito.
- Penso proprio di sì.
- E tu lo sapevi?
- No. Io no.- per un attimo, gli tremò la voce. Loki non era stato il solo, a crescere in una bugia.
- E come facevi?
- A fare cosa, cucciola?
- Come facevi, se non lo sapevi?
- Beh..- sollevò appena le spalle - niente. Ricordo che la nonna arrivò un giorno nella mia stanza, poco dopo che il nonno era tornato dalla guerra. Aveva un fagottino fra le braccia, grande più o meno come te quando sei nata. Si chinò un po' e me lo fece vedere. Questo è Loki disse, sorridendo. Il tuo fratellino. Abbine cura e proteggilo sempre, tu sei il più grande. E lui è diventato il mio fratellino.
 
Katie sentì nella voce dello zio una manciata di lacrime, e fece come le aveva insegnato la mamma quando vedeva triste papà. Allungò le braccia e provò a circondargli il busto, stringendo quanto la sua natura di bimba di tre anni riusciva a consentirle.
- E' l'abbraccio per non essere più triste.- spiegò, solenne. Gli strappò un sorriso.
- Ma io non sono triste, cucciola.
- Sì che sei triste, zio. Piangi. Come fa papà quando è tanto triste.
- Papà piange? - lui aggrottò le sopracciglia.
- Qualche volta va in terrazza da solo, e piange, un po'. Gli ho chiesto perché, ma non me lo vuole dire. La mamma mi ha insegnato che quando lo vedo, non gli devo chiedere niente e lo devo abbracciare. Così.- ripeté il gesto, acchiappando più forte suo zio, che la ricambiò avvolgendola con le sue braccia grandi - èl'abbraccio per non essere più triste.
- E con papà funziona?
La piccola annuì, solenne.
- Bravissima.
- Tu lo sai, perché è triste?
- No, cucciola.- lui scosse appena la testa - non lo so.
Lo sai benissimo, invece. Tuo fratello sa essere triste per un milione di buoni motivi. I rimpianti, gli errori, il dolore. E sai almeno quanto lui che non si perdonerà mai.
 
- E tu perché sei triste? - mugolò la bambina, appoggiata al suo petto.
- Perché non sempre sono stato un bravo fratello. Non sempre ho protetto il tuo papà, spesso l'ho preso in giro, spesso l'ho lasciato da solo. Avrei dovuto essere più bravo, con lui, perché lui mi voleva bene.
- Quanto bene?
- Tanto.
- Tanto quanto?
- Tanto così.- lui aprì le braccia più che poteva, lasciandola sorridere ed imitarlo.
- Lo voglio anch'io, un fratellino.

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Capitolo 3
*** Natale Con I Tuoi ***


Non aveva alcuna fretta di tornare a casa, quel giorno.
Mani in tasca ed aria un filo svagata, scese dalla metropolitana un paio di fermate prima della sua, scivolando all’aperto quasi trascinato dal flusso della folla.
Lo divertiva. Quei momenti di assoluta perdizione stavano seriamente iniziando a piacergli. Nessun piano, nessun programma, nessun pensiero. Bastava solo che i passi seguissero la corrente.
 
Raccolse il fiato, spostando lo sguardo intorno, lungo i palazzi. Chissà perché, si ritrovò a pensare a tutto quello che avrebbe guadagnato, e a tutto quello che avrebbe perso, se le biforcazioni della sua vita l’avessero portato al trono di Asgard. O a governare la città lungo cui lo stavano guidando i propri passi senza meta.
 
Avrebbe guadagnato potere, prestigio. Sicuramente meno stima di quella di cui godeva ora.
Il vecchio sé stesso se ne sarebbe altamente fregato.
 
Avrebbe perso l’esperienza della fondazione. Avrebbe perso il sorriso dei bimbi, che aspettavano il suo giro in corsia come l’arrivo del circo.
C’è il dottor Lawson! C’è il dottor Lawson! quelle vocine si rincorrevano di stanza in stanza.
Aspettavano il suo sorriso, le sue piccole magie, i giochi e quelle parole sempre giuste per dare conforto anche ai genitori.
 
Avrebbe perso una scalcagnata ghenga di amici, il loro sostegno, quella pacca sulla spalla di cui aveva bisogno al rientro da una dura giornata qualsiasi, come da una di quelle da eroe.
Eroe.. una parola che aveva il potere di mettergli smorfie di disappunto sulle labbra. Non era un eroe. Non voleva neppure sentirselo dire.
Sono solo quello che avrei voluto, quando nessuno invece si fidava di me..
Utile.
Non insignificante.
 
Quello che mi basta, è sapere che ho fatto un buon lavoro..
 
Sorrise, osservando il movimento lungo la strada. Gente che andava, gente che veniva. Gli addobbi rossi e verdi alle finestre e alle vetrine, le luci colorate. Le grida di gioia dei bambini.
Non s’era ancora abituato, all’atmosfera di questa curiosa festa midgardiana che chiamavano Natale.
Festeggiavano il compleanno di un re. Un re in cui credevano, come avevano fatto centinaia di anni prima con suo padre. Festeggiavano il suo compleanno e si scambiavano regali fra loro, senza farne neppure uno a lui.
Bah..
 
Sua moglie s’era abituata, invece. E sembrava felice, raggiante, mentre addobbava quell’albero di luci e strani aggeggi nel salone della torre. Metteva su roba, metteva giù roba, rideva con le altre ragazze, progettando menù per pranzi e cene.
Bah..
 
E facendo conti e progetti per i regali.
Oh, cacchio.
A meno di quarantott’ore dalla fatidica data della festa, stava tornando a casa a mani vuote.
 
Sulla via del ritorno, passa a ritirare il regalo per Katie.
Se l’era completamente dimenticato.
 
I passanti non fecero caso più di tanto alla sua esistenza, a parte il signore che si ritrovò sulla traiettoria del suo dietro-front e per un soffio non lo prese in pieno.
- Scusi..- arruffato e leggermente in imbarazzo, il giovane riuscì a schivarlo, guadagnando un’occhiata torva.
 
Fortuna sfacciata. Il negozio di giocattoli distava solo due isolati dalla fermata della metro.
Probabilmente, non era stato un caso lo scendere proprio lì.
 
La signora del bancone sembrava aspettarlo, e lo accompagnò con un sorriso a trentadue denti.
Venga, dottor Lawson. Gliel’ho lasciata da parte, come ha chiesto sua moglie.
 
Katie aveva appena compiuto tre anni, e Babbo Natale le avrebbe portato la simulazione di quello che desiderava da quando aveva accompagnato la mamma a prendere papà al lavoro; un bimbo.
A dire il vero, s’era innamorata di uno dei neonati che aveva in cura in reparto, ed una volta fuori, per mano ad entrambi i genitori, se n’era uscita con un innocentissimo:
Quando me lo regalate un fratellino?
 
Per questo giro, il baby-bambolotto che dice mamma poteva bastare.
 
Dottor Lawson, c'è una visita per lei.
La voce della ragazza alla portineria della Tower lo sorprese in un attimo discretamente imbarazzante: una mano a reggere la borsa di pelle, l'altra a cercare le chiavi della casella postale, e la voluminosa scatola del bambolotto pressata fra braccio e busto, mentre quel bastardo del cellulare aveva preso a vibrargli nella tasca dei jeans.
 
Ti odio ti odio ti odio ti odio..
Sbuffò, rassegnandosi a lasciar cadere la borsa ed appoggiarci sopra la scatola.
 
Fortuna che il pianeta ha un pavimento..
- Accidenti a te..- sibilò. La ragazza aggrottò le sopracciglia.
- No, scusi, Cheryl.. non ce l'avevo con lei.- si affrettò a scuotere una mano, mentre l'altra estraeva il cellulare con quella chiamata ormai persa.
 
Allora ce l'avevi con me..?
Quella voce scura lo sorprese alle spalle.
- No, è questo maledetto coso..- si voltò, e quello che vide lo lasciò di pietra.
 
Suo padre.
Che diavolo..?
- Ehi..- smozzicò un sorriso discretamente tirato. No, questo non se lo sarebbe mai aspettato.
- Ciao, Loki.
 
Un lunghissimo istante di silenzio, carico d'imbarazzo.
- Come.. che ci..?
- Che ci faccio, qui? - Odino replicò con un'alzata di spalle tutt'altro che divina - non posso più neanche venire a trovare mio figlio?
 
Ah. replicò Loki, sollevando il naso.
- Vieni. L'appartamento di Don è al trentasettesimo piano; ti accompagno.
 
La donna della portineria s'era ritratta, rispondendo al suo cenno di saluto con un sorriso.
S'era salvato in corner, chiamando suo fratello con il nome terrestre. Suo padre aveva capito, e l'aveva seguito senza fiatare.
Fu solo al sicuro in ascensore, faccia a faccia senza estranei, che osò parlare di nuovo.
- A dire il vero, sono venuto qui da Asgard per vedere te.
 
Serio. Era tremendamente serio, e Loki rivide in lui l'immagine decisa e un po' cupa del monarca.
- Ah..- voltò il viso, prendendo il respiro.
- Non ricominciare. Pensavo che ci fossimo chiariti, al tuo matrimonio.
- Sì.. scusa. E' che..- trentasei piani erano un bel po', per parlare, e l'ascensore sembrava più lento del solito.
- Che dopo quello che è successo nella nostra famiglia, una manciata di sorrisi ed abbracci non cambierà più niente?
- No. Qualcosa è cambiato.
-..Ma?
- Ma non credo tu sia qui senza un secondo fine. Perdonami la franchezza.
 
Gli occhi di Loki non contenevano rabbia o rancore, solo un velo di tristezza.
Odino sorrise, appena.
- Ammiro la tua sincerità.
Il giovane rispose con un'alzata di spalle.
- Ammiro l'uomo che sei diventato.
- E..?
- E il trono di Jotunheim ti aspetta.
 
Loki voltò appena il viso, aggrottando le sopracciglia. Cosa?
- Il sovrano è morto, pochi giorni fa. Il primo, a scendere dal trono senza una guerra, senza una destituzione o un assassinio. L'erede designato sei tu.
- Questo era il destino di cui parlavi, mentre giacevo nella tua alcova? E' per questo che mi hai adottato?
Stavolta fu Odino, a rivolgergli uno sguardo interrogativo.
- E' così che si dice, qui. L'ha imparato mia figlia, prima di me.
- Desideravo grandi cose, per te.
- E nel frattempo mi hai trattato come un fallito.
La voce di Loki s'era fatta amara, mentre i suoi occhi continuavano a fissare il numerino luminoso che scorreva sopra la porta.
Trentatre, trentaquattro..
 
- Non credo farò mai abbastanza, per farmi perdonare, figlio mio.- replicò Odino, mentre le porte si aprivano scorrendo davanti a loro.
- Errato. Hai fatto tutto quello che potevi, per uno come me.
- Loki..
- Vieni? - il giovane era già scivolato fuori, invitandolo a seguirlo con un leggero cenno della mano libera.
- Smettila. Non voglio più sentirti parlare di inferiorità.- suo padre lo raggiunse, affiancandoglisi lungo il corridoio - sei diventato migliore. Migliore di tuo fratello, e di tutto il popolo dei nostri paesi. Migliore anche di me. Non perdere quest'opportunità.
Loki si fermò davanti ad una porta, piegando appena la testa con aria di compassione:
- Io ce l'ho già, un regno.
 
E dove, qui su Midgard? recitava lo sguardo, scettico, di suo padre. lo intuì, e le labbra si stirarono in un sorriso, leggero.
- Se ti fermi qualche giorno, sarò lieto di mostrartene i luoghi più belli.
 
Odino rimase solo, di fronte alla porta dell'appartamento di suo figlio. Fermo ed in silenzio, prima di decidersi a bussare. Non gli tolse quell'amarezza neppure l'accoglienza gioiosa di Thor.
 
Natale.
La famiglia riunita, la tavola apparecchiata, l'albero colmo di luci. Tony che di nascosto si vestiva da Babbo Natale ed armava i propulsori per arrivare al volo in terrazza con i doni.
 
Il vecchio signore con la barba bianca che faceva la sua comparsa nel salone, affiancato dallo zio Donnie.
Niente giacca rossa né pacchi sottobraccio, ma riuscì comunque ad attirare l'attenzione dei piccini di casa.
 
- Babbo Natale! - esclamò Howie, alzandosi dal suo angolo di tappeto e zompettandogli incontro - Babbo Natale!
 
Ehi! Ehi! Io sono qui! la voce metallica di Tony, quasi in sottofondo e condita di disappunto, si trasformò in sorpresa e poi in sorriso.
Lui lo sapeva, chi fosse quel curioso signore vestito di scuro con una benda sull'occhio. I bambini non l'avevano mai visto, prima d'ora, e godersi la loro sorpresa -ma soprattutto la sua- era un discreto spasso.
 
E poi tuo padre lo sembra davvero, Babbo Natale. Credo che andrò a togliermi quest'affare.. aveva riso, mentre Loki gli indirizzava un'occhiata più torva possibile.
 
- Cos'è che gli manca, a questo giro? - gli era comparso di nuovo accanto, nel giro di una manciata di minuti, vestito normale e armato di sorrisetto ironico di serie - no, aspetta che indovino. Ha bisogno di un paio di renne nuove. No, ci sono - sollevò l'indice, lasciando che Loki incrociasse le braccia e scuotesse la testa sconfitto - le catene per la slitta.
- Piantala, Stark.
- Cos'è, sei giù di pedale perché a te ha portato il carbone? Scusa, sei stato cattivo per un migliaio di anni, cosa volevi, la casa di Barbie?
- Perché devi essere così stronzo anche a Natale? - Loki si morse appena le labbra, cercando a tutti i costi di nascondere una smorfia divertita.
- Parla per te! Ogni anno che passa sembri sempre di più il Grinch, con l'unica differenza che tu sei blu.
Loki cacciò un sospiro, guardando in su.
- Dai, spara. Se è solo venuto a trovarti, perché sei così infastidito? E poi guarda, sta facendo divertire i bambini.
Tony gli indicò i due piccini di casa, che avevano conquistato le ginocchia di Babbo Natale e sembravano aver iniziato ad elaborare desideri.
 
Io vorrei.. vorrei.. il treno con i binari e la stazione! Poi.. una macchina modellino! E poi.. un elicottero!
 
Katie era rimasta di nuovo in silenzio, mentre Howie ne elaborava altri due o tre sempre più grossi ed impossibili.
Osservava il vecchio signore, seria e compita, senza spiccicare parola. Sembrava averlo intuito, il filo sottile che lo legava a suo padre.
 
Poi, all'improvviso, s'era voltata a guardare proprio lui. Come a chiedere il permesso.
 
E tu, piccolina? Tu cosa desideri?
Lei aveva sollevato il nasino, s'era allungata appena verso di lui riparandosi il viso con una mano.
- Vorrei un fratellino.- gli disse, sottovoce - così gli voglio bene come lo zio quando è arrivato papà.
 
Odino aveva aggrottato le sopracciglia, scostandosi appena.
 
Lei raccolse le manine, tornando a guardarlo seria e motivata - sai tenere un segreto?
- Sì.
- Sai che io divento blu?
- Diventi blu?
- Divento blu come il mio papà. Però la mia mamma no, perché papà è un bambino adottato. Era in un paese con tanta tanta neve, piccolo così..- aprì le manine, imitando il gesto del padre - il mio nonno, che è un re bravo, lo ha preso perché aveva freddo e piangeva. E poi l'ha adottato.
- E chi te le ha dette, tutte queste cose?
- La mia mamma. E un po' anche papà. Ma non era tanto felice, quando me l'ha detto. E poi ho capito.
- Che cos'hai capito?
- Che il mio papà era triste. E' per questo che non me lo voleva dire. Sai..- un altro sguardo al padre, che cercava di capire cosa stessero confabulando, ma sembrava aver paura ad avvicinarsi - qualche volta è ancora triste, e piange. Allora io lo abbraccio.. così.- aprì le braccia e andò a circondargli il busto, appoggiandogli il viso sul petto - è un abbraccio per non essere triste.
 
Odino rimase per un attimo come congelato. Sollevò lo sguardo, incrociando di nuovo quello del figlio. Lo riabbassò, ritrovandolo in quello, dolce ed innocente, della bambina.
Gli sembrò per un istante di aver fatto un tuffo indietro nel tempo. Il cucciolo di Jotunheim fra le braccia di Frigga, le minuscole manine. Il bambino gracile e pallido, i rimproveri e le punizioni che gli aveva inflitto quasi sempre per colpa di Thor. La scarsa attenzione che gli aveva dedicato nel corso di tutti quegli anni, considerandolo sempre il secondo, quello debole, quello incapace. L'indifferenza con cui aveva accolto ogni tentativo di mostrargli i suoi progressi nell'arte magica. La solitudine e la tristezza che non era mai stato capace di leggere nei suoi occhi, la rabbia ed il rancore a cui l'aveva condannato.
 
E' così che si ama un figlio, padre degli dei?
Lui è davvero, migliore di te..
 
- Dai, cucciola, vieni.- la voce calda del giovane adesso era vicina, e non bastava a sciogliergli quel nodo in gola - ci sono i regali da aprire. Non disturbare oltre.
- Figliolo.. non mi stava disturbando.- quello sollevò il viso, mostrando l'unico occhio velato - mi ha raccontato un sacco di cose..- notò che la bimba gli faceva segno di tacere, con un dito accostato alla punta del naso, e si sciolse in un piccolo sorriso - ma sono un segreto.
- Racconti i segreti, invece che i desideri, a Babbo Natale? - Loki si piegò sulle ginocchia, arrivando all'altezza della figlia.
- Ma lui non è Babbo Natale quello vero.. - replicò lei, in un soffio - lui è il mio nonno..
I due uomini scambiarono uno sguardo. Nessuno dei due ne aveva fatto parola, l'unico che poteva..
 
Thor li vide, e sorrise, agitando la mano. La bimba gli rispose allo stesso modo, prima di corrergli incontro e lasciare i due a scambiarsi smorfie di disappunto.
- E non venirmi a dire che è più sveglio di te.- Odino si sollevò per primo, tendendo la mano al figlio - sicuro, che non vuoi un trono? Perché la prossima opzione potrebbe essere quella di Asgard..
 
Riuscì a strappare un sorriso alle labbra del giovane.
- Grazie.. ma dicevo sul serio. Senza rancore. Io ce l'ho già, un regno. E.. se desideri, questo pomeriggio posso portarti a visitarlo.
 
I bambini lo aspettavano, come sempre, in corsia.
Per il dottor Lawson, Natale era un pranzo in famiglia, era raccontare alla sua piccolina una fiaba, prima di lasciarla con i nuovi giocattoli e scappare al lavoro.
Come ogni giorno, da poco più tre anni e mezzo terrestri.
 
Quel pomeriggio, chiese al proprio accompagnatore di aspettarlo nella sala d'aspetto, per tornare indossando il camice. Gli sorrise, diede qualche indicazione alle infermiere ed iniziò il giro delle visite.
 
Bambini più grandicelli, altri piccolissimi, feriti o affetti da terribili malattie. Il giovane medico controllava le cartelle, prescriveva farmaci e dosi, e poi si soffermava a giocare o stupirli con minuscoli incantesimi.
Lasciava una delle sue fresche carezze sul viso di quelli che erano troppo deboli per alzarsi dal lettino, portava qualche dolcetto, e piccole parole di incoraggiamento per i familiari.
 
Alla fine, avevi ragione tu..
S'era lasciato andare ad un sospiro, al termine del giro, appoggiandosi un po' stanco alla balaustra di vetro che s'affacciava sull'atrio.
- Il bene c'è sempre stato, lì in fondo.. Lucas.- suo padre gli indicò il cuore - errore mio, non averti dato i mezzi per trovarlo prima.
- Sai quante volte l'ho pensato..? Tutto questo dolore un giorno mi sarà utile.. nei miei giorni più neri, quando sentivo che dentro di me non c'era la minima traccia di qualcosa di utile.. che ero nato con la pelle e il cuore dei mostri che temevo ed odiavo da bambino..
- Che t'ho insegnato, ad odiare. Un altro dei miei milioni di errori.
- Sai che mi ha detto, un giorno, Sif? L'ennesima volta in cui le ho buttato addosso la mia depressione, chiedendole cosa l'avesse spinta ad innamorarsi di un mostro? Non sei un mostro. Sei solo figlio di paese straniero. Sei diverso, ma non per questo devi essere per forza cattivo. L'ho capito qui, cosa intendesse per quel milione di altre cose. L'ho capito scavando a mani nude nel disastro che io stesso avevo causato, e salvando una bambina. L'ho capito proponendo ai miei antichi nemici di fondare qualcosa di utile per aiutare i bambini dei luoghi più poveri. Mi hanno insegnato tanto, mi danno ogni giorno tutto quello che non ho mai avuto abitando in un palazzo reale. Questa gente che ho sempre considerato inferiore, e da sottomettere, è tutt'altro che ciò che appare da oltre le stelle. Hai visto il sorriso di quei bambini? Ellie ha sei anni, ha un tumore. Adora quando le faccio la magia del fiore dietro l'orecchio. Charlie ne ha nove, un incidente gli ha portato via le gambe. Crescerà con protesi di plastica e forse dovrà smettere di giocare al pallone. Non vede l'ora di avere davanti il principe maledetto e le sue storie di fantasmi. Sono la mia forza, il mio regno. Sono il mio trono, la mia famiglia. E Midgard è la mia casa. Per questo il mio è un no.
 
Odino lo stava ascoltando, in silenzio. Il nodo alla gola non si scioglieva, ma non era più tristezza, era gioia infinita.
Poi le sue labbra si schiusero, con le parole che meno suo figlio avrebbe immaginato.
 
Sono orgoglioso di te.
 

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Capitolo 4
*** 4. Ti voglio bene papà ***


Il nonno era venuto a trovarla. Alto alto, dolce e imponente con la sua barba bianca, sembrava un po' il signor Charles delle caramelle e un po' Babbo Natale.
 
Tutta contenta ed orgogliosa, l'aveva guidato fino all'asilo per presentarlo agli increduli compagni, facendosi promettere un regalo prima di lasciarlo andare via con papà.
Non aveva dimenticato di chiedergli il perché di quella curiosa benda dorata sull'occhio, lasciando che suo padre guardasse in su.
 
Il nonno si sarebbe fermato a dormire da loro per una manciata di giorni, e Katie ne era oltremodo eccitata. Aveva visto già diverse volte la nonna, ma lui solo una, ed all'inizio si era mostrata discretamente timida nei suoi confronti. E un po' anche intimorita.
Ora che però aveva iniziato a conoscerlo, non vedeva l'ora che tornasse la sera per sedersi sulle sue ginocchia ed ascoltare la fiaba della buonanotte, fatta di case d'oro, di fate ed unicorni magici.
 
Il nonno era un soldato, ma non uno come tutti gli altri. Era un re, il re buono del suo paese.
Un lavoro decisamente impegnativo..
 
Portava la benda perché si era ferito l'occhio in una battaglia contro i cattivi. Il nonno era un super eroe come lo zio Tony, e chissà se anche lui andava alla guerra con un'armatura rossa e dorata, o se poteva volare.
Aveva deciso che davanti a lui non poteva fare la figura della femminuccia; lei era una bambina grande e non aveva paura di niente, a partire dal buio.
Dormo nella mia cameretta, sai.
 
E quella sera aveva voluto restare sola nel suo lettino, ignorando vistosamente le smorfie scambiate fra i suoi genitori, che conoscevano la verità ed erano abituati a vederla infilarsi fra loro nel lettone.
- Sono coraggiosa, non ho paura del buio e dormo nel mio lettino.
Naso in su, aria seria e determinata, aveva salutato veloce tutti distribuendo baci sulla guancia, ed era scappata ad arrampicarsi fra i pupazzi e quelle curiose lenzuola verde pistacchio.
 
La verità.. era che aveva detto una bugia.
 
C'era qualcosa, nella notte. Qualcosa che aveva il potere di farla gioire oppure tremare.
Nella notte c'erano i sogni.
 
I sogni potevano essere belli, tipo quelli in cui sei alla tua festa, oppure quelli in cui ci sono la mamma e il papà che si danno i baci ed arrossiscono al tuo osservarli, e poi ti abbracciano e ti dicono che sei la cosa più bella della loro vita. Quelli in cui ridete tutti insieme, e stai insegnando al tuo fratellino i segreti della vita.
Poi c'erano i sogni così-così, o quelli strani, tipo quando cammini per una strada e non arrivi mai. E quelli brutti, quelli che fanno davvero paura.
 
Quella notte portò a Katie il sogno più brutto di tutti.
 
Sif e Loki furono svegliati nel cuore della notte da uno strillo acuto, seguito da una cascata di singhiozzi.
Stropicciati, ancora un po' confusi, si voltarono verso i rispettivi angoli accendendo le abat-jour.
Katie mugolava e piangeva.
 
- Vado io..- sospirò lui, scivolando fuori dal letto e dirigendosi quasi a tastoni verso la cameretta.
Sif si sedette sul bordo, infilando la vestaglia e mettendosi in attesa, sicura di vederlo comparire di lì a poco con la bimba in braccio e depositarla come di consueto nel lettone.
 
Uno strillo più forte.
Maaaammmaaaaa!!!!
 
Si sollevò di scatto, raggiungendo il marito oltre la soglia della cameretta, e dovette strizzare gli occhi un paio di volte per credere a quello che stava vedendo.
Loki che la guardava, incredulo e sconvolto, e la bimba chiusa a riccio nell'angolo opposto del letto, con la testina piegata sotto le braccia.
 
- Che accidenti succede? - aggrottò le sopracciglia, davanti a quella inequivocabile posizione di difesa.
- Non chiederlo a me..- replicò lui, in un soffio.
 
Era arrivato al bordo del lettino, trovando sua figlia rannicchiata e tremante. Aveva teso le braccia per raccoglierla e confortarla, e la reazione era stata quello scatto lontano. Il più possibile lontano da lui.
 
- Amore.. vieni qui..- Sif le era arrivata accanto, e la bimba s'era docilmente lasciata prendere in braccio.
 
Non riusciva a spiegarselo.
 
- Eccoci qui.
La mamma l'aveva posata nel lettone, nel centro come al solito. Lei s'era raggomitolata tutta dal suo lato.
 
- Non piangere.. era solo un brutto sogno.- le si stese a fianco, lasciando che la bimba le si rifugiasse stretta addosso. Scambiò uno sguardo col marito, rimasto in disparte nel proprio angolo, e prese ad accarezzarle i capelli - era solo un brutto sogno, cucciola, non succede niente.. sei con la mamma e con papà.
A quella parola, la vide tremare. Letteralmente tremare, e stringersi di più al suo seno. Oltre quelle piccole spalle, Loki la guardava mortificato.
 
Che è successo? gli chiese, a fil di labbra. Lui scosse appena la testa.Non lo so..
Sif piegò il viso su quello della figlia.
- Era tanto tanto brutto, questo sogno?
 
La bimba annuì appena.
- Più brutto di quello in cui c'era il lupo?
Katie annuì di nuovo, senza perdere la posizione avvinghiata alla madre, e singhiozzando sommessa.
 
Una cosa sorprendente, nuova, strana. Di solito, il difensore dai brutti sogni era papà.
- Non me lo vuoi raccontare?
 
La bimba fece lentamente cenno di no.
- Allora proviamo a dormire di nuovo, va bene? Vedrai che vicino alla mamma il brutto sogno non torna più. E poi c'è papà che ti difende, dai brutti sogni..- replicò lei, dolce, accarezzandole i capelli e facendo contemporaneamente cenno al marito di spegnere la luce.
 
Papà è cattivo..
 
Sif si scostò appena, al sentire quel mugolio sommesso.
- Katie..! Cosa dici.. papà non è cattivo.. è il tuo super eroe.
- Nel sogno papà era cattivo..- mugolò la bimba, allo stesso modo. Un filo di voce, che mandò il cuore di Loki a pulsare all'altezza delle sue tempie.
- Cos'è successo, nel sogno?
La mamma insisteva, e pian piano, sempre stringendola forte, la bimba iniziò a raccontare.
 
- Era un posto grande, c'era tanta neve. Tanta tanta neve. E papà era tanto tanto alto.. e aveva un vestito tutto nero, con sopra una cosa d'oro.. qui.- premette una manina sul petto - e aveva i capelli lunghissimi, e stava fermo fermo a guardare il cielo.. poi.. poi guardava me. E i suoi occhi erano cattivi.. erano chiari come quelli del lupo, e cattivi.. e poi mi voleva prendere, e io ho gridato..
 
Sif vide il marito scivolare fuori dal letto, arrivare alla finestra dandole le spalle. Deglutì, raccogliendo il fiato.
- Era solo un brutto sogno, amore mio.. papà non è cattivo.. papà ti vuole bene più che a tutte le cose del mondo.
La sentì emettere un altro mugolio. Sollevò il viso, incrociando lo sguardo in controluce di Loki.
 
Vieni qui..
Lui fece appena cenno di no con la testa.
Era solo un incubo..
Un altro cenno di no, e le sembrò di percepire un'incrinatura nel suo respiro.
 
- Vado di là.. voi dormite..
Loki scivolò fuori dalla stanza, socchiudendosi lentamente la porta alle spalle.
 
- Katie..
Al richiamo della mamma, la bimba sollevò appena gli occhi, mugolando di nuovo.
- Era solo un sogno, non devi fare così. Papà c'è rimasto male. Lui ti adora, cucciola, non ti farebbe mai del male. Non farebbe mai del male a nessuno. Non è cattivo, papà..
 
Ha dato la vita, per te..
 
Un sospiro, lento e pesante. La bimba ancora stretta al seno, la sua mano fra quei capelli d'ebano.
La coccolò a lungo, e si appisolò con lei.
 
La pallida luce dell'alba stava già inondando la stanza, la voce di Jarvis non aveva ancora dato la sveglia. Il lato di Loki era rimasto vuoto.
Sif si scostò dalla bambina, avendo cura di non svegliarla. Le coprì le spalle, e scivolò fuori dal letto.
 
Stretta nella vestaglia, percorse il corridoio cercando di non fare rumore. Raggiunse il salone, incontrando silenzio e penombra. Avanzò ancora, e trovò il marito lì. Seduto a terra, le spalle contro il divano, le braccia a circondare le ginocchia. E l'espressione di chi non ha dormito per tutta la notte.
 
Era solo un sogno..
 
- No, Sif. - replicò lui, sollevando occhi lucidi - mi ha visto.
Lei scosse appena la testa, sedendosi al suo fianco e raccogliendogli le spalle contro di sé.
 
- Mi ha visto, Sif. Ha visto quello che sono. L'uniforme, Jotunheim. Ha visto chi è davvero suo padre.. e ha avuto paura.. ha avuto paura..
Chiuse gli occhi, cercando di non lasciar sfuggire le lacrime, e nascose il viso fra le mani.
- Ha visto l'assassino di suo fratello..
 
- Tu non sei quella persona, Loki. Non la sei più.
- Chi ti dice che non ci sia ancora, lui, nascosto qui? - lui si premette una mano sul cuore - che si risvegli, un giorno? Che ne sarà, di te? Che ne sarà, di lei?
- Non sarai mai più quell'uomo, Loki. Tu puoi scegliere.
Gli strinse appena le spalle, lasciandolo scivolare contro la propria con un mugolare molto simile a quello della bambina. E poi rimase lì, ferma, ad ascoltare il suo respiro.
 
Papà..?
 
Sollevò gli occhi ed eccola, la sua fatina, piedini nudi e lunghi capelli tutti scompigliati. Li fissava intimorita e torceva le piccole dita fra loro.
- Vieni qui, cucciola.
 
La piccola Katie avanzò un passo, due. Poi scivolò addosso al padre, ignorando totalmente il resto del mondo.
 
Lui se la raccolse al petto, e la cullò a lungo, sorridendo fra le lacrime.
 
Ti racconterò tutto, bimba mia. Ti dirò la verità. Ti racconterò del dio degli inganni e delle sue bugie, della sua sete di potere e di rivalsa. Dei Chitauri, del Titano e dei troppi errori che ho commesso nella mia vita. Ti parlerò di quell'uomo dai vestiti neri e d'oro che hai sognato, che forse il suo tendere la mano era solo chiedere una salvezza che solo tu gli puoi dare. Ti parlerò del fratello che hai in cielo, delle mie colpe e del mio dolore. Forse mi capirai, forse non mi perdonerai mai. Forse mi odierai, forse avrai paura di me come del mostro di cui i genitori raccontano ai figli prima di andare a dormire. Sappi solo che ti amo, bimba mia. Ti amo più della mia vita. E questa non è una bugia.
 
Come avesse avuto il potere di leggergli negli occhi, la bimba rimase ad osservarlo durante tutto il suo muto monologo. Poi tuffò la testa contro il suo petto, e strinse forte.
L'abbraccio per non essere triste..
 
Piegò il viso su di lei e le appoggiò un bacio fra i capelli.
 
Ti voglio bene, papà..
 

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Capitolo 5
*** 5. Lady Catherine e il Segreto di Come Nascono I Bambini ***


Non c'è nulla di più imbarazzante di un bambino che entra nella stanza dei genitori e li sorprende proprio mentre sono nella loro ..ahem.. intimità.
 
Imbarazzante per loro.
 
Il nonno era ancora ospite della Stark Tower; aveva trovato nello zio Tony un valido interlocutore su cose complicate che riguardano l'energia ed uno strano coso che chiamavano Tesseract, o più semplicemente.. cubo.
 
Nonno, cos'è il cubo?
 
Odino aveva sorriso, raccogliendo la nipotina da terra ed appoggiandola a sedere sul banco luminoso del laboratorio, mentre lo zio armeggiava con quegli schermi magici che proiettavano le immagini nell'aria e aggiungeva sorrisi.
- E' l'energia.- le aveva risposto.
 
Piccolo broncio. Risposta un po' approssimativa.
- Dovrei dirti un sacco di parole strane che non capiresti, cucciola mia.- il nonno aveva spostato lo sguardo verso uno di quegli schermi, in cui era disegnato un cubo celeste e tutto luccicante - il Tesseract è.. questo - raccolse l'ologramma fra le dita e glielo portò davanti, osservando con attenzione e dolcezza quelle minuscole labbra schiudersi affascinate - dentro c'è tanta energia..
- Un po' come quella delle pile che servono a far parlare la tua bambola, e correre il camioncino di Howie.- specificò lo zio, provando a tradurre.
- La mia bambola parla, se ci metto il cubo blu?
- Basta un pezzettino così..- Odino misurò poco più di un paio di millimetri con le dita - per far parlare la tua bambola. Tutto intero può far illuminare tutta la Terra, e far funzionare tutti i frigoriferi, le macchine e i treni che ci sono nell'universo.
- Oooh.. allora è fortissimo!
- E' fortissimo, sì.
- E' più forte di papà?
- E' molto più forte di papà.
 
Katie rimase per un lunghissimo istante seria, e silenziosa. Poi fece l'atto di voler scendere, e il nonno l'accontentò riappoggiandola a terra.
 
Doveva andarglielo a dire. Doveva dire a papà che -sic!- s'era sbagliata. Che non era lui, il più forte dell'universo, perché esisteva una cosa più forte di lui.
 
- Vado da papà.- disse, solenne, ed imboccò il corridoio oltre la porta a vetri.
- Katie! - la chiamò indietro lo zio - aspetta! Ti accompagno!
Lei fece cenno di no con la testa, lenta.
 
Questa cosa la devo risolvere da sola.
 
- Sicuro..? - Odino seguì preoccupato i passi della nipote.
Tony gli rispose chiedendo a Jarvis di seguirla con le telecamere interne.
 
La videro zompettare lungo il corridoio, aspettare davanti all'ascensore e chiedere un passaggio allo zio Steve tirandogli un po' una gamba dei pantaloni.
 
Sale dal padre.disse la voce un po' metallica di Tony dentro l'altoparlante.
Steve gli fece cenno di ok, le raccolse la mano e poi la prese fra le braccia, premendo il bottone del quarantesimo.
 
Le piaceva, lo zio Steve. Tanto, ma tanto tanto. Le piaceva il suo profumo, le piacevano le braccia forti che la sollevavano da terra e la facevano volare.
Le piaceva perché la faceva ridere e la chiamava moscerino. Lei scuoteva un po' i capelli, piegava la testa e giocava a fare la pin up. Lo zio rideva e strofinava il naso contro il suo.
 
Sai, zio Steve? Quando sarò grande ti sposo. Però mi devi aspettare.
 
Una volta, all'asilo, l'aveva presentato alle amichette come il suo fidanzato, sollevando il nasino con fare da diva e lasciandolo arrossire. Poi lui l'aveva presa in braccio e le amiche l'avevano invidiata tantissimo.
Ne gongolava ancora.
 
Lo zio la depositò nel salone, lei lo ringraziò con un bacio sulla guancia e prese i passi, decisa e solenne, per andare ad avvertire il suo papà.
 
Non che ci fosse una minaccia, il cubo era al paese dei nonni e anche ben custodito.
Menomale.. s'era detta. Aveva sentito dire allo zio Tony che quel coso bruciava, se toccato. Era felice, che fosse lontano. Così non avrebbe bruciato nessuno, mentre faceva l'energia per illuminare tutta la Terra.
 
Però adesso doveva affrontare la difficile questione di dire a papà che non era il più forte di tutti, come lei aveva sempre sostenuto di fronte ad amici e maestre.
 
Bel problema..
 
Arrivò alla porta della camera dei suoi genitori e la trovò chiusa.
Un istante lunghissimo ad osservare la maniglia da sotto in su, poi a guardarsi intorno per vedere se qualcosa o qualcuno l'avrebbe potuta aiutare. Niente.
 
Idea.
 
La sua cameretta era vicina alla stanza del lettone, c'erano solo un piccolo corridoio buio e una porta, a dividerli. Bastava affrontare il buio, e ce l'avrebbe fatta. Missione compiuta.
 
Un sospirone, prima di dirigersi veloce alla cameretta e da lì al confine d'ombra di quel corridoio.
In fondo, una fetta di luce. Piccola piccola, ma luce. Le diede coraggio.
 
Si avvicinò alla porta socchiusa, dopo aver avuto cura di togliersi le scarpe per non fare rumore.
 
Che si possono svegliare i mostri dei brutti sogni.
 
Bene. Aveva fatto piano piano, nessun mostro a farle paura nel buio. Il palmo aperto sulla porta, e aspettare.
 
Dalla camera provenivano degli strani suoni, le voci dei suoi genitori s'intrecciavano in sospiri. La mamma chiamava papà, papà chiamava la mamma, come fossero stati lontani, e invece erano vicinissimi.
 
Per cercare di capire, premette appena sulla porta, spostando l'anta di qualche centimetro.
 
Come mi vuoi? Eh, come mi vuoi..?
 
Ti voglio bellissimo e blu.. ti voglio jotun.. ti voglio.. mio!
 
Le spalle di papà s'erano tinte di blu, il suo corpo si spingeva su e giù, coperto a malapena dalle lenzuola.
 
Ti piace?
 
Sì, mio sovrano.. ancora.. ti prego, ancora..
 
Ridevano, continuando a chiamarsi per nome. Le mani della mamma a tenere salde le braccia di papà, la sua voce più bassa, più roca. Non l'aveva mai sentita, così.
 
Spalancò gli occhi, quando la voce di sua madre esplose in un grido. Non un grido forte, di paura; un gridolino più piccolo, stridulo ed acuto. Il corpo di suo padre la sovrastava, sembrava la stesse schiacciando. Per un attimo, le passò di nuovo davanti l'immagine dell'incubo che le aveva scosso il sonno solo un paio di notti prima.
 
Papà è cattivo..
 
Paura. Il primo istinto fu paura, di quella che ti congela coi piedi su una mattonella e non riesci più a muoverti.
Il secondo istinto fu quello della difesa. Spinse forte la porta, riuscendo ad aprirla quanto bastava per passare.
 
Suo padre ansimava; le sue spalle si alzavano ed abbassavano, lente e ritmate, e continuava a schiacciare la mamma contro le lenzuola.
 
Loki..
 
Sif..
 
No, rimani.. rimani ancora un po'..
 
Cosa stai facendo alla mia mamma?!?
Il grido della piccola Katie li fece sobbalzare. Loki perse la presa sulle lenzuola e si abbatté addosso alla moglie, prima di scattare lontano e portarsi il lenzuolo fino a metà petto. Sif sollevò la testa, e la vide: in piedi a pochi passi dal letto, i pugnetti stretti lungo i fianchi e lo sguardo di un demone.
 
La miniatura del dio degli inganni versione incazzata.
 
- Niente, amore..- lui prese a balbettare, ritraendosi come un riccio e stringendo il lenzuolo fra le dita, mentre la pelle tornava del suo colore umano.
- Sei cattivo! Fai del male alla mia mamma!! - gridò quella, più acuta, battendo appena un piedino.
- Ma no, cucciola.. papà non mi stava facendo male..- completamente rossa in viso, Sif cercò di calmare la figlia e, contemporaneamente, il proprio cuore che aveva preso a batterle in gola - vieni.. vieni qui.
Tese le mani, e quella si avvicinò pestando i passi e continuando a guardare il padre in cagnesco.
 
Sif guardò uno, poi l'altra, poi tornò a guardare Loki, e la sua espressione quasi terrorizzata la fece scoppiare a ridere.
- Non c'è niente da ridere.- bofonchiò lui, mettendo il broncio.
 
In effetti, non poteva dirsi proprio il massimo, essere beccati da tua figlia di tre anni proprio sul più bello..
 
- Ha ha ha.. dovresti vederti allo specchio..- lei si morse le labbra, cercando di smettere ma senza riuscirci. Un colpetto di tosse, e tornò alla piccola, che s'era andata ad allacciare al suo seno nudo e manteneva la propria espressione da chitauro. Pienamente ricambiata dal padre.
- Sembrate fratelli, altro che padre e figlia.. dai, Loki, smettila..
- Ha cominciato lei.- replicò il principe cadetto, incrociando le braccia - guarda qui.. esule da due regni, privato del trono, sconfitto due volte in battaglia.. e adesso sfrattato anche dal suo letto..
 
Fece la linguaccia, Katie lo ricambiò.
Andarono avanti a linguacce per un paio di minuti, fino a quando Sif fischiò la fine.
- Dai, basta. Sei infantile. Su, Katie..- si rivolse alla figlia, che nel frattempo aveva conquistato il lettone e s'era seduta davanti alla madre, a farle da scudo - tranquilla.. papà non mi stava facendo niente di male..
- Gridavi.- replicò lei, in un fiato.
- Sì, ma.. ehm.. non erano grida.. di paura.
 
Mamma adesso aveva messo su una smorfietta imbarazzata, e guardava in un angolino.
- E perché gridavi, mamma?
 
Evvai..
 
Si voltò verso il marito, che le fece cenno come a dire: affari tuoi; spiegaglielo te.
- Ecco.. vedi.. sai, amore..- un altro sguardo in disperata ricerca di un aiutino.
 
Loki sollevò le spalle, puntandosi col mento sul polso. Dai, sentiamo.
 
Un'illuminazione.
 
- Lo vuoi sapere, il segreto di come nascono i bambini?
 
La Dea Sincerità ti ha reso cretina? recitava lo sguardo di Loki, sempre più stretto dentro al lenzuolo.
Stavolta fu lei, a sollevare le spalle, mentre la bambina annuiva e si metteva in paziente attesa.
 
Api, cavoli e cicogne non sarebbero bastate. Non conoscendo sua figlia. E non poteva raccontarle che con papà stava discutendo del tempo.
 
Verità.
 
- Ti ricordi quando hai detto che desideravi tanto un fratellino?
Katie annuì di nuovo, senza smettere di guardarla.
- Stavamo.. ecco.. provando a farne uno.
 
Loki nascose la testa sotto il cuscino, mentre la moglie arginava di nuovo a stento una risata.
 
Che situazione assurda..
 
La più seria sembrava quella di tre anni. Labbra arricciate, posa impettita. Esigeva una spiegazione.
Come al solito. E il dio degli inganni non era per niente d'aiuto.
Dove l'hai messa, la lingua d'argento?
 
- Sì. Volevamo farti un fratellino. O almeno provarci.- Sif sollevò di nuovo le spalle - sai..
- Come si fa a fare un fratellino?
 
Vai così che vai bene!recitò il gesto della mano di Loki, dall'altro lato del letto. Certamente ironico.
Sif sollevò un sopracciglio.
 
- Beh.. amore.. vedi.. un fratellino nasce come sei nata tu. La mamma ha nella sua pancia una cellula grande.. più o meno così.- mise indice e pollice ad anello, e la bimba imitò quella posizione, tornando poi a guardarla - papà ha delle celluline piccole piccole piccole, che regala alla mamma e gliele mette nella pancia. Le celluline piccole vanno dalla cellula grande e le chiedono di entrare, bussando tutte insieme. Se la cellula grande dice di sì, allora una cellulina entra, e subito la cellula grande si divide in due, poi in quattro, poi in tante cellule. Poi tutte insieme crescono, crescono e dopo un po' diventano un bambino.
- Tutte nella pancia della mamma?
- Tutte nella pancia della mamma - Sif annuì, lentamente - crescono e poi il bambino diventa più grande, gli spuntano le ditine dei piedi, quelle delle mani..- accarezzò con la punta delle dita quelle della bimba, lasciandola sorridere - poi spuntano tutti i capelli, il cuore diventa grande, cresce anche la pancia del bimbo, i polmoni per respirare, lo stomaco per mangiare..
Continuava ad illustrare il proprio racconto toccando con la punta del dito le posizioni delle parti descritte, la bimba ripeteva e rideva, affascinata.
- E poi, mamma?
- E poi, quando il bimbo è abbastanza grande, vuole uscire dalla pancia.
- Anch'io?
- Anche tu. Tu avevi così tanta fretta, di uscire e scoprire il mondo, che sei scappata via prima, dalla pancia della mamma.
- E poi? - replicò quella, un pochino preoccupata.
- E poi l'infermiera Cathy ti ha messo dentro una scatola tutta di vetro, dove stavi al caldo e al sicuro, e lì sei cresciuta fino a quando eri abbastanza grande per tornare a casa.
- Ero qui? - la manina di Katie scese a tastare a palmo aperto la pancia della mamma, scivolando sotto le lenzuola, fino alla sua pelle.
- Sì. Eri proprio qui.
 
Loki aveva sfilato pian piano la testa da sotto il cuscino, e adesso le guardava come si guarda la scena più tenera del mondo.
 
Come la notte in cui era tornato. La prima volta in cui aveva visto sua figlia diventare blu.
Quella in cui s'era commosso, di fronte alla moglie che se l'adagiava al seno.
 
Visto? Un gioco da ragazzi..recitava lo sguardo di Sif, mentre la manina della bimba continuava ad esplorare la sua pelle.
- Mamma..?
- Dimmi.
- Ma come fa papà a metterti le celluline nella pancia?
 
EeeeeVvaiiiiii!!
 
Loki tornò a nascondere la testa, mimando la V di vittoria con indice e medio. Avesse avuto la metà della faccia tosta di sua figlia, col cavolo che l'avrebbero scalzato dal trono di Asgard..
 
- Eh.. beh.. ecco..- sua moglie balbettava. Zero vie d'uscita.
Inventati qualcosa..lo implorò con lo sguardo, non appena ebbe a tiro di nuovo i suoi occhi. Niente.
 
Dovette arrangiarsi da sola.
 
- Dal buchino della pipì.- le scappò, rapido e indolore. La testa di Loki scomparve di nuovo sotto il cuscino.
- Ma come si fa? - Katie s'era piegata ad esplorarsi la pancia, sollevando appena il vestitino.
- Si usa il coso di papà.
 
La testa di Loki spuntò da oltre il confine del cuscino. Occhi spalancati, più grandi del Tesseract.
Se avesse potuto, avrebbe aperto in quell'istante un varco spazio temporale per scomparirci dentro.
 
Le labbra di Katie increspate a formare la O che usava per esprimere meraviglia.
 
Lungo silenzo.
 
Questo gli faceva paura. Più paura di Thanos.
 
- Me lo fai vedere, papà?
 
Il dio dell'inganno scivolò via dal letto più veloce di uno dei fulmini di suo fratello, andando a nascondersi in bagno e decidendo che sarebbe uscito solo nel prossimo millennio.
 
 

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Capitolo 6
*** 6. Non lo voglio più, un fratellino ***


La svegliò un fruscio, nel cuore della notte.
 
A dire il vero, era quel senso di malessere ad averla svegliata, dopo averle lasciato prendere sonno molto tardi.
Nell'ombra, però, non riusciva ad ignorare quel fruscio, né il movimento intorno al letto.
Accese l'abat-jour, e trovò la figlia che studiava un modo per arrampicarsi sul lettone in modalità stealth.
Le scappò da ridere; l'aveva sorpresa allungata sulle coperte, con le manine aggrappate e un'espressione concentratissima in quel minuscolo broncio.
- Cos'è che stai combinando? - le chiese, sottovoce.
- Ho freddo..- replicò quella, riprovando a darsi la spinta per salire.
 
La mamma le fece segno di far silenzio, con l'indice davanti al naso.
- Piano.. piano, che svegli papà..
Si scosse, e piegandosi un po' andò a raccoglierla ed aiutarla, mettendo su una smorfietta di disappunto.
- Hai freddo.. o è la pipì nel letto?
- Ho freddo.- replicò quella, sempre più motivata, cercando di scivolare nel lettone.
- Bugiardissima.- Sif la acchiappò e la sollevò fra le braccia, trasportandola tipo sacco verso il bagno.
 
La mise a cavalcioni del bidet, aiutata da una catinella, e armata di santa pazienza la spogliò, la lavò e la cambiò.
Non era la prima volta, ormai c'era allenata. Una cosa però non le andava proprio giù.
 
- Ok.. e adesso siamo pronti.- sospirò, dopo aver smontato anche le lenzuola del lettino ed averle raccolte nella cesta del bucato da lavare.
Katie la osservava, in silenzio. L'aveva lasciata fare, raccogliendosi i pugnetti contro il viso. Sembrava aver intuito qualcosa di strano nel viso della madre.
- Mamma..
- Dimmi..- Sif aveva preso fiato, lentamente, spostando la cesta con un piede.
Per la prima volta da quando aveva iniziato a chiedere perché, la bimba esitò a formulare la sua domanda.
- Posso dormire nel lettone..?
- Sì, che ci puoi dormire, però non farlo più.
Katie abbassò il viso.
- E lo sai, che non intendo la pipì nel letto. Non importa, se ti scappa. Quando sarai grande non succederà più. Non voglio che tu dica le bugie. D'accordo?
 
Katie fece lentamente cenno di sì con la testa.
 
Le raccolse una mano, ignorando il suo tendere le braccia.
- No. Niente prendere in braccio, signorina. Dici le bugie, cammini da sola. Forza, su.
Solo quando furono di nuovo in camera la sollevò, lasciandola scivolare verso il centro del lettone ed infilarsi sotto le coperte.
 
Katie la guardò per un attimo, come a chiederle il permesso per toccare il padre, che dormiva a pancia in giù col viso voltato dall'altro lato. Muovendosi, l'aveva sfiorato e sentito mugugnare appena.
- Lascia dormire papà, che ha finito il turno di notte ed è stanchissimo. Vieni qui.- Sif le fece cenno di avvicinarsi, e se la raccolse addosso.
- Mamma..?
- Dimmi, cucciola.
- Ho un po' sete..
 
La vide mordicchiarsi le labbra, e sospirò guardando per aria.
Non me lo potevi dire in bagno..?
 
- Scusa..- mormorò la bimba, ritraendosi tutta sotto le coperte.
- Dai.. aspettami qui.
Si sollevò, raggiunse il bagno quasi a tastoni. La nausea si faceva sempre più forte, la testa le pulsava. Raccolse la bottiglietta delle emergenze dal bordo del lavabo, la riempì per metà e tornò verso il letto. Un passo dietro l'altro, lenta ed esitante.
 
All'improvviso, una stilettata al basso ventre, e Katie la vide accasciarsi al suolo. Senza alcuna spiegazione.
Spalancò gli occhi, sgusciò fuori dalle coperte, lanciando un'occhiata verso la sagoma del padre. Arrivò all'angolo del letto, e la mamma era stesa lì, che sembrava dormire.
Mamma..
 
Nessuna risposta. La mamma non si muoveva.
Uno sguardo di nuovo al padre, con la paura che cresceva: poteva svegliarlo?
 
Ha finito il turno di notte.. è stanchissimo.. lascialo stare..
 
- Mamma..- mugolò di nuovo. Nessuna risposta.
 
Loki fu svegliato da una mano che lo scuoteva.
Stava camminando lungo il corridoio del palazzo di Asgard, fra l'ondeggiare delle tende di seta. Un braciere illuminava lo spazio intorno di riflessi di bronzo e d'oro, suo fratello l'aspettava accanto al varco che li separava dalla sala del trono.
 
Nervoso, fratello? l'aveva raggiunto, sorridendo.
Mi hai mai visto nervoso? rispondeva Thor, divertito.
C'è stata quella volta a Nornheim.. s'era lasciato andare a prenderlo un po' in giro.
Quelli non erano nervi, fratello.. era la foga della battaglia..
 
Vai avanti tu..
 
Una smorfietta. Ridere insieme. Poi, quelle dita che gli trattenevano la spalla.
Voltarsi, ed al posto di Thor c'era una giovane donna. Lunghi capelli neri, occhi di smeraldo.
 
Papà..
Quella voce lo chiamava, prima timida, poi sempre più forte. Strano.. aggrottò le sopracciglia. La donna continuava a fissarlo, ma le sue labbra non si stavano muovendo.
 
Papà.. papà!
Si scosse, aprì gli occhi. E al posto del palazzo e dei suoi riflessi d'oro trovò la penombra della propria camera da letto.
 
La mano e la voce erano quelle della piccola Katie.
 
- Mmh..- si voltò, infastidito, aggrottando le sopracciglia.
- Papà, la mamma..
- Che c'è..? - mugolò, strizzando gli occhi un paio di volte per abituarsi a quel poco di luce. Katie sembrava spaventata. - che c'è, cucciola..?
- La mamma è caduta.. è caduta e non si muove più..
 
Loki scivolò fuori dalle coperte, girò attorno al letto, e la vide. Sua moglie, stesa a terra in una maniera del tutto innaturale.
 
Il cuore gli balzò alle tempie.
 
Le s'inginocchiò accanto, la rivoltò viso al soffitto, cercandole il respiro e tastandole il lato della gola. Battito presente.
- Sif.. amore, svegliati! - la scosse, le accarezzò il viso. Nessuna risposta, da quegli occhi socchiusi.
Raccolse la bottiglietta, un po' d'acqua nella conca della mano, e provò a bagnarle il viso, le labbra. Nulla.
- Katie!
 
La bimba, rimasta come congelata ad osservare la frenesia delle sue azioni, si scosse e si alzò in ginocchio.
- Corri a chiamare lo zio! Presto!
 
Saltò quasi giù dal letto, correndo via.
 
Lo zio.
 
Doveva fare presto.
 
Solo quando fu in corridoio, al buio e da sola, si rese conto di non saper come fare. Quale zio doveva chiamare? E poi lì c'era tanto buio, le porte delle camere erano tutte chiuse e lei aveva paura..
 
La mamma ha bisogno di te.
 
Raccolse tutto il fiato che aveva, e cacciò uno strillo.
 
Ziooooooooooooo!!!
 
Clint spalancò gli occhi, sollevandosi di scatto a sedere sul letto, col cuore che batteva a mille.
 
Ma che diav.. mormorò Tony, voltandosi su un lato, mentre anche Howie aveva preso, per osmosi, a strillare.
 
Bruce aprì lentamente un occhio, poi l'altro. Raggiunse la sveglia con le dita e cercò di metterla a fuoco. Le cinque e venti.
 
Silenzio. Un silenzio sospeso, quasi irreale, nell'oscurità del corridoio.
I singhiozzi sommessi di una bambina.
 
Natasha mugolò qualcosa, voltandosi nel letto, svegliata dal grido e dal movimento del compagno che scivolava via.
- Mmh.. che c'è? Allarme antintrusione..?
- Non lo so. Resta qui.- replicò lui, muovendosi fino alla porta, aprendola e facendo capolino.
 
Il pianto di Katie.
 
Avanzò lungo il corridoio, e la trovò seduta per terra, che piangeva a dirotto col viso fra le mani.
- Cucciola.. che c'è? Che è successo..? - le si accucciò accanto, senza osare sfiorarla. Di tutti gli abitanti della torre, lui era sicuramente lo zio con cui la figlia di Loki aveva meno confidenza, e viceversa. Uno, perché era la figlia di Loki, cioè un personaggio di cui, amico o non amico, fidarsi era bene e non fidarsi meglio. Due, perché lui con i bambini era sinceramente negato.
- La mamma.. la mamma è caduta e non si muove più.. papà non sa come fare.. la mia mamma..
 
Una morsa a stringergli la gola, e smise di pensare. Tese le braccia, la raccolse da terra, e con lei rannicchiata contro il petto levò il passo verso la stanza di Sif.
 
Gli occhi del dottor Lawson erano gli stessi incrociati la prima volta in cui l'aveva visto. I movimenti nervosi, spaventati. La fronte madida di sudore, il respiro corto.
Quando glieli sollevò addosso, Clint provò un brivido.
 
- Chiama il 911..- disse quella voce, in un soffio, mentre le mani percorrevano ancora una volta, senza esito, il petto della moglie.
 
Clint non pensò nemmeno a posare la bambina. Corse in camera, raccolse il cellulare.
Un'ambulanza alla Stark Tower, massima urgenza!
 
Natasha era rimasta ad osservarlo come stordita.
- Che è successo? Perché Katie è con te?
- Vai di là ad aiutarlo, Sif sta male.- replicò lui, telegrafico.
 
Gli uomini della quindicesima squadra si guardarono intorno, stupiti, attraversando l'atrio della Stark Tower e trovando i Vendicatori al completo, allarmati, ancora storditi dal sonno e in pigiama. Tutti intorno a quel giovane dai capelli corvini e l'aria stravolta, che reggeva fra le braccia una donna sanguinante e svenuta.
 
Al Mercy.. mormorò quello, dopo aver adagiato la donna sulla barella. Gli uomini scambiarono un cenno d'assenso.
 
Loki si voltò a cercare la bambina, e la trovò, in lacrime, ancora fra le braccia di Clint.
- Vai con lei..- quello indicò l'ambulanza con un cenno del viso - a Katie penso io.
 
Io, aveva detto. Non noi. Loki aggrottò le sopracciglia, mentre la bimba tendeva le mani verso di lui.
-..Quello che ho detto.- replicò Clint, intuendone i pensieri.- Katie sta con me. Ti raggiungiamo al Mercy, non ti preoccupare.
Lo vide esitare ancora, e aggiunse:
- L'hai detto tu. Ho cuore. Vai.
 
Annuì, abbassandosi verso la figlia e accarezzandole i capelli:
- Papà va con la mamma, cucciola. Lo zio Clint ti porta dopo, ok? Fai la brava.
Lei annuì, lentamente, tirando su col naso, e si abbandonò sulla spalla dell'arciere.
 
Ehi..
Una mano ad accompagnare le spalle di Loki, mentre saliva sull'ambulanza, a coprirle con una coperta.
Si voltò appena, ed incontrò l'ultimo sguardo in cui sperava.
Jane.
 
Accennò un sorriso, accettando la coperta e scivolando oltre i portelloni.
 
Lo trovarono nel corridoio del reparto, meno di un'ora dopo. Aria distrutta, pallido più del suo solito. Abbandonato su una di quelle sedie di plastica, dopo aver consumato passi avanti e indietro fino a quando Michael non l'aveva raggiunto sciogliendogli la tensione.
 
Era di sei settimane. lo sguardo dell'amico appariva sinceramente dispiaciuto.
Tua moglie è debole, ma sta bene. Dovrete rinunciare ad avere altri figli, almeno per un po'.
 
Sif riposava nella stanza alle sue spalle, l'intervento era stato semplice e s'era concluso positivamente.
Il peso nello stomaco non se ne voleva andare.
 
Sollevò lo sguardo, quando li vide entrare. Le labbra si stirarono in un sorriso. Incombevano su di lui come quando l'avevano sconfitto in battaglia, alti e in controluce. Questa volta, però, apparivano preoccupati anziché minacciosi, e Banner era di dimensioni e colore normale.
 
Non aveva nessuna voglia di un drink.
 
Clint mise a terra la piccola Katie, dopo averle fatto cenno di non gridare con l'indice puntato conto le labbra.
Lei annuì, e levò la corsa tuffandosi fra le braccia di papà.
- Grazie..- mormorò Loki, sollevandola sulle proprie gambe ed appoggiandosela addosso, mentre Natasha gli si sedeva accanto, circondandogli le spalle con un braccio.
- Come sta? - Tony saltò qualunque convenevole.
- Meglio.. è.. adesso riposa.- Lui indicò la stanza alle proprie spalle con un cenno del viso.
- A te non lo chiedo; si vede dall'ingresso, che sei uno straccio.
- Sono pallido dalla nascita, Stark..- lui provò a difendersi con un pizzico d'ironia, meritando una leggera stretta alla spalla.
- Si è saputo cos'è?
- Era incinta di sei settimane. Qualcosa.. qualcosa nel suo corpo l'ha..- Loki scosse appena la testa, abbassando il viso. La voce s'incrinava, le parole gli uscivano a fatica - è stata una specie di rigetto..
 
- Papà..?
La vocina, timida, di sua figlia contro il collo, minuscola ma quasi un grido, in quel silenzio di piombo.
- La mamma sta bene, amore mio..- replicò lui, con le lacrime in gola - voleva regalarti il fratellino che desideri tanto, ma nella sua pancia qualcosa non ha funzionato.. e..
 
Katie gli scivolò addosso, nascondendo il viso contro la sua spalla e stringendo più che poteva, a donargli il suo abbraccio per non essere triste.
- Tranquilla.. la mamma guarisce presto, amore mio.. e magari la prossima volta..
 
Katie si fece seria seria, sollevandosi ed appoggiandogli il minuscolo indice sulle labbra.
Non voglio che piangi. Non voglio che la mamma sta male per colpa mia. Non lo voglio più, un fratellino.
 
Loki le diede un bacio, lunghissimo, sulla fronte, mentre dalle retrovie Clint scivolava fuori.
 
Gli scocciava da morire, che lo vedessero piangere.

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Capitolo 7
*** 7. L'Estranea ***


Avevano portato una persona.
 
In completo segreto, cercando di non farsi vedere da nessuno. Un elicottero nero s'era appoggiato sulla terrazza fuori dal salone grande. Da quello erano scesi due, tre uomini, tutti vestiti di nero. Si muovevano furtivi come gatti, e con loro c'era papà.
 
S'era nascosta dietro il banco del bar, portandosi la bambola al petto, intimandole ad indice teso di fare silenzio.
Una manciata di minuti, poi due di quegli uomini erano tornati sull'elicottero, lasciando indietro il terzo.
 
Ti sono debitore, Loki.
 
Non pensarlo nemmeno. Io ero in debito con te. Siamo pari.
 
L'uomo, poco più basso di suo padre, stirava le labbra abbozzando un sorriso, tendendo la mano e ricevendo la stretta del giovane medico.
In lui qualcosa non andava.
 
Sorrideva con le labbra, non con gli occhi.
 
Katie si strofinò il viso con la mano, e per un attimo le sembrò che la scena cambiasse.
 
Intorno non aveva più il salone, ma pareti di metallo. Semioscurità illuminata da poche lampade artificiali.
 
Gli occhi di quell'uomo.
 
Adesso erano completamente spenti, mentre si accasciava al suolo.
 
Lo sguardo di suo padre era lo stesso del sogno in cui s'era spaventata da morire. E lo scettro, fra le sue mani, era intriso di sangue.
 
Trattenne il respiro, stringendo entrambe le mani sulle labbra per non gridare, e si spinse più forte con le spalle contro il bancone.
 
Quando tornò a guardare verso il salone, l'elicottero non c'era più.
 
Avevano portato una persona, ne era più che sicura. Una persona avvolta da un grande lenzuolo bianco, che quasi stonava con il nero dei loro vestiti.
Esattamente come quando i signori dell'ambulanza avevano portato la mamma all'ospedale, quando aveva perso il suo fratellino.
 
Ma stavolta la mamma non c'entrava, lei stava bene e rideva con la zia Pepper nell'ufficio con le grandi vetrate.
 
Chi era la persona nel lenzuolo bianco? E l'uomo che parlava con papà? Che cosa gli era successo? Che c'entrava con papà?
 
Provò a chiedere qualcosa, ottenendo soltanto dei non lo so, dei non hanno portato nessuna persona, o semplicemente silenzi.
 
Katie odiava i silenzi. Quasi più del non ottenere risposta alle sue domande.
 
L'avrebbe scoperto da sola.
 
Quella mattina era festa, non c'era l'asilo e la mamma le aveva concesso il privilegio di lasciarla dormire un po' di più, al centro del lettone.
Aveva aperto un occhio, rimanendo ferma ferma per far credere di essere ancora addormentata.
 
Nessun ronzio, Jarvis non stava monitorando la stanza.
 
Si sollevò a sedere, e dopo essersi un po' stiracchiata scese dal letto. Poi, senza preoccuparsi di essere scalza e vestita solo della camicina da notte, scivolò nel corridoio alla ricerca della porta. Quella da cui aveva visto uscire papà e lo zio Bruce solo un paio di sere prima.
 
Come sta? aveva chiesto la mamma, trattenendo contro la spalla la sua testa assonnata.
Stabile. Aveva risposto lui, in un sospiro.
 
Ho bisogno di te.
Il viso sconvolto di Phil Coulson era comparso in reparto senza alcun preavviso.
 
Come la prima volta, l'aveva congelato sui propri piedi.
 
Poi, il sangue. Il sangue addosso all'uomo vestito di nero, il suo respiro rarefatto.
No, stavolta tu non c'entri niente.. quello aveva teso appena la mano, arretrando verso il corridoio. Ma mi devi aiutare. Me lo devi.
 
Che è successo..? l'aveva seguito, allontanando quella scena dalla vista dei suoi piccoli pazienti, confinandolo sulla terrazza d'accesso.
Curi i bambini, no?
Loki aveva annuito, lentamente.
La mia bambina..
 
La ragazza non aveva più di venticinque anni, e giaceva abbandonata e sfigurata dal sangue in quel lenzuolo.
Ti prego.. salva mia figlia.
 
Non erano servite altre parole.
 
La Stark Tower vantava una sala operatoria all'avanguardia, fra i locali dei piani privati. La stessa in cui era stato lui, al proprio arrivo da umano.
Non era cambiato niente, in quegli anni, pensò, varcandone di nuovo la porta.
 
Niente, a parte la prospettiva da cui la stava guardando.
 
Bruce era stato veloce, dotato di sangue freddo quanto bastava per lasciare in dubbio che fosse davvero lui, lo stesso uomo che sotto stress poteva arrabbiarsi tanto da diventare l'altro. Qui lo stress c'era. E c'era anche il sangue. Tanto, tanto sangue.
 
Lucas..
Quella voce l'aveva richiamato alla realtà, trovandolo assorto, quasi bloccato, di fronte al corpo esanime di quella ragazza.
Neppure lui era lo stesso di quattro anni fa.
 
Respiratore, microscariche per il riavvio del cuore. Sangue in trasfusione, la ricerca via scanner del proiettile che aveva perforato quel corpo leggero e minuto.
Sulla schiena. Come suo padre. Solo che quella volta non si era trattato di un proiettile.
 
E quella volta la colpa era la sua.
 
- Deja-vu?
La voce di Tony appariva tutto tranne che ironica, oltre la linea dei macchinari.
Emise un sospiro:
- Mettiamoci al lavoro..
 
Adesso la ragazza riposava, immersa nel silenzio di quella stanza. Nessuna reazione, quando la testolina scura di Katie fece capolino da oltre la porta.
 
Avanzò pian piano, labbra socchiuse e mani intrecciate, cercando di non fare rumore, e quando fu ormai accanto al letto, la sorprese la voce della zia Nat.
Katie.. che ci fai, qui?
 
Dolce, leggera come un sospiro. Le avevano detto che la zia Nat riusciva ad usare quel tono così gentile solo con lei, chissà perché. Ma non era quella, la domanda che adesso le frullava per la testa.
- Zia Nat..- sollevò il viso, trovandola seduta sulla poltrona dall'altro lato del letto, accanto ai macchinari che scandivano il battito del cuore della ragazza stesa fra le lenzuola.
- Dimmi, cucciola. Vieni qui. - Natasha le fece cenno di avvicinarsi, e lei andò ad abbracciarle le gambe.
- Zia..- uno sguardo verso il letto - è una sirena?
 
Natasha sorrise, scuotendo appena la testa.
- No, cucciola. Non è una sirena.
- Era nel grande lenzuolo bianco, quando l'hanno portata.
- Lo so.
- E' magica? Perché ha tutti i tubicini?
- Non è magica, è.. un'umana, come tutti noi. Oh, beh, più o meno..- agitò appena la mano, andando poi a raccogliere la bambina e attirandosela sulle ginocchia - è.. è la figlia di un amico di tuo padre. Di un nostro amico.
- Papà gli ha detto che ha un debito con lui.
 
Li hai ascoltati? recitava lo sguardo di rimprovero che la donna le rivolse, piegando appena il viso. Katie abbassò la testa, intrecciando le mani più forte.
 
Loki le aveva detto che sua figlia leggeva i sogni, che riusciva a vedere tutto il male che lui aveva commesso in passato.
E' un dono.. le aveva confidato, davanti a quel bicchiere di succo d'arancia. cioè, dovrebbe esserlo.. ha dei poteri. Siamo connessi. Che sia una cosa positiva, lo escluderei.. a dire il vero, preferirei mille volte che fosse una normale bambina midgardiana.. aveva sollevato le spalle, sospirando.
Sei sicuro? gli aveva chiesto, provando ad indagare nei suoi occhi.
Ha già sognato. Ha sognato me, ha sognato Jotunheim, la mia uniforme. Una notte l'ho trovata ai piedi del letto, voleva sapere perché ho aperto il cielo facendo cadere il fuoco su suo fratello grande. Non ho le risposte da dare a mia figlia.
 
Dille la verità.
 
Le aveva sollevato addosso occhi disperati. Come posso dirle la verità?
Dille che sei stato cattivo. Che hai fatto del male a tante persone, che hai commesso degli errori, che hai sofferto e che tutto quello che fai adesso è per poter rimediare. Sei il suo eroe, Loki. Nel bene e nel male.
 
- Papà ha fatto male a quel signore..- piegò appena il viso verso la bambina - è successo quando aveva scelto di essere cattivo. Ma questo tu lo sai già, vero?
 
Katie annuiva, leggera, e la Vedova Nera decise di dirle la verità.
 
- Quel signore si chiama Phil. E' una brava persona; diciamo.. che gioca nella squadra dei buoni. Tanti anni fa, ero cattiva anch'io. E anch'io facevo male alle persone. Era quello che mi avevano insegnato da bambina, qualcuno aveva fatto del male anche a me, quando ero piccola come te.
 
Sorrise. Adesso la bambina appariva visibilmente più rilassata, e la osservava con attenzione senza più strizzare le mani.
- Insomma.. ero proprio tanto cattiva.
- Più di papà?
- Non lo so. Forse. Però tanto. Tanto tanto. Phil mi ha aiutato a non esserlo più. E' stato mio amico. Mi ha dato buoni consigli, mi ha protetto ed ospitato. Ho sofferto, proprio come il tuo papà, e ho deciso di cambiare.
- Ma papà gli ha fatto male.
- Già. Però tuo papà poi ha trovato noi. Ed è cambiato tutto, pian piano. Ha cominciato ad aiutare i bambini, a fare il dottore. Ha avuto delle idee bellissime, anche se non sempre le ha sviluppate in modo onesto..- una smorfietta, nel ricordare le imprese del principe Lupin - e poi sei nata tu. Il suo piccolo miracolo. Lo dice anche a te, vero?
La lasciò annuire di nuovo, stavolta più decisa.
- E il signor Phil?
 
Sorrise.
Signor Phil. Doveva chiamarcelo, prima o poi. Giusto per vedere che smorfie avrebbe fatto.
- Non so di preciso cosa sia successo.. a me e agli altri zii hanno detto che era volato in cielo. Poi però..
Mordere appena le labbra, ricordando quel giorno.
 
Loki che rientrava col fiato corto, dicendo che l'aveva incontrato. Il fantasma dell'uomo a cui aveva trafitto la schiena. Tony che lo fissava con sufficienza e gli replicava: l'ha detto, che ti avrebbe fatto una sorpresa..
 
Una sorpresa. Già.
 
Ehi, bentornata..
Adesso Natasha s'era distratta un attimo, voltandosi verso la ragazza ed i suoi occhi aperti.
 
Occhi scuri. Un po' a mandorla, che si aprivano e chiudevano pian piano.
Katie pensò che era bella. Che avrebbe voluto essere così, da grande.
 
Poi la ragazza voltò il viso, appena. E Natasha ebbe per un istante l'impressione di trovarsi davanti ad uno sdoppiamento della stessa persona.
Un brivido.
 
Katie..
Quella voce scura, a scuoterla da quella strana sensazione.
- Che ci fa, qui? Avevo detto..
- Lo sai, com'è tua figlia, Loki.- replicò Natasha, in un leggerissimo sospiro.
- Torna subito di là.- lui puntò il dito verso la porta, severo, mentre la bambina abbassava il viso e scivolava via dalle ginocchia della donna.
- Lasciala qui. Non sta facendo niente di male, e poi ci sono io.- lei tese la mano, ad attirarla a sé.
- E' incredibile..
- Come tua figlia risvegli il mio istinto materno? Guarda come ha fatto diventare te..
 
La ragazza adesso sembrava cercare di muoversi, ma una fitta di dolore la piegò spalle al cuscino, e dalle sue labbra sfuggì un lamento.
Inaspettatamente, Katie lasciò la presa mano della zia per andare al bordo del letto e tendere le dita verso di lei.
La sfiorò appena. La ragazza voltò il viso e rimase a guardarla per un lunghissimo istante, in un silenzio rotto solo dai propri battiti amplificati dalla macchina.
 
Vedi quello che vedo io?
Natasha piegò il viso verso l'alto, verso l'antico nemico.
 
Sono..
 
Tua figlia assomiglia in modo impressionante a quella dell'uomo che hai ucciso. Che ci vedi?
 
Un segno.
 
Destino.
 
Adesso le dita di Katie avevano raggiunto quelle della ragazza, lei le aveva strette piano.
 
Le labbra di Loki di stirarono in un sorriso.
Ciao, Sara.

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Capitolo 8
*** 8. Lo Stesso Spicchio Di Luna ***


La luna appariva malinconica, nel cielo terso sopra New York.
 
Oh, luna.. se solo tu potessi parlare..
Un sospiro, prima di appoggiarsi allo schienale della poltrona e lasciarsi andare, il naso all'aria ed un desiderio immenso ed inspiegabile di non essere ora, di non essere qui.
Di non essere mai esistito.
 
Poi, quella voce. La voce minuscola e viva che lo riportava indietro, lasciandogli ricacciare indietro le lacrime insieme ai pensieri negativi.
Papà..?
 
- Sono qui, cucciola.
 
Katie aspettava che la voce scura del padre le desse il segnale, ed allora avanzava, piano piano, fino a raggiungere quel posto che sapeva un po' di magico, ai suoi occhi di bambina.
La poltrona. Quella fatta a sdraio e morbida, imbottita di tessuto rosso. Quella che la zia Pepper aveva regalato alla mamma per il matrimonio, e che lei adorava mentre papà bofonchiava che sarebbe stata più stylish in verde.
La mamma rideva, raccontando della faccia di papà mentre pronunciava la parola stylish. E poi gli faceva l'imitazione, lasciandola ridere mentre lui sbuffava guardando in su.
Poi le raccontava di quante volte l'aveva usata, quando aveva da calmarle il male al pancino o anche solo darle il latte quando era piccola, piccola così. E lei l'ascoltava affascinata, come le avesse parlato di un luogo incantato.
 
E la poltrona rossa lo era, un luogo incantato. Lo era davvero. Era l'oasi pacifica fra gli incubi, la luce amica della luna. Era l'abbraccio forte di papà, il suo respiro sotto il viso.
 
Un attimo lunghissimo, ad osservarla. La poltrona e papà. Adesso era al sicuro.
 
- Hai di nuovo fatto un brutto sogno? - Loki si spostò appena, tendendo la mano.
Rispose facendo appena cenno di sì con la testa.
- Me lo vuoi raccontare?
- C'è un mostro..- lei esitò ancora, intrecciando le dita e stringendole fra loro.
- Più brutto di papà quand'era cattivo?
 
Di nuovo un sì.
- Il mostro rosso, che se gli tagli una testa ne crescono tre..
 
Loki aggrottò le sopracciglia. No, questo non ricordava proprio d'averlo, nel curriculum. Con tutto rispetto parlando. Chitauri, Nani, Elfi. Thanos. Ma non ricordava di nessun nemico o alleato del passato che fosse rosso o dotato di quella caratteristica.
- Era.. ricordi altro?
La bambina avanzò, leggera. Piedi nudi, capelli spettinati. Un sospiro, prima di chinarsi a raccoglierla contro il proprio petto, come ormai stava accadendo sempre più spesso in quelle notti di primavera.
 
- Non era il mio sogno..- mormorò quella vocina, stretta alla sua maglietta - era il sogno dello zio Steve..
- Co.. come? - Loki si scostò appena, andando ad indagare negli occhi impauriti della figlia - tu.. tu hai visto un sogno di..?
Quella testolina scura fece ancora cenno di sì.
- Adesso sei al sicuro, cucciola. Se c'era qualcosa, in quel sogno, che ti ha spaventato, adesso non c'è più. Non può più farti del male, ok?
- Distruggerà tutto..- mormorò quella voce, ridotta ad un filo.
 
Non l'avrebbe mai immaginato, quanto potente fosse la dote di sua figlia.
Lungo le notti che seguirono quella, i sogni iniziarono ad intrecciarsi, collegarsi, passando dalle menti di Natasha e Steve a quelle di Sara.. fino a Phil.
No, questa devo dirgliela. Coulson, mia figlia riesce a leggerti nei sogni. Voglio assolutamente vederla, la faccia che farà.
 
Non era arrivato in tempo.
L'helicarrier che si schiantava contro la base, lo Shield che si sgretolava. Gli occhi chiari e colmi di disincanto di Maria Hill. L'uomo cattivo che costringeva Sara ad inginocchiarsi, prima di tendere una lama e puntarla sul suo collo, incidendo fino a far sgocciolare il suo sangue.
 
Lo stesso viso, teso verso l'orizzonte e rigato da un'unica lacrima.
Farà male a Sara.. devi fermarlo, papà..
 
Credo che dovremmo parlare.
 
Natasha l'aveva fissato a sopracciglia aggrottate, abbassando solo per un attimo lo sguardo su quella mano a trattenerle il braccio.
- Di che..?
- Di quello che sta succedendo.
- E' per lei, vero? Per tua figlia.- lei l'aveva lasciato annuire, facendosi appena più dolce - questa non è la migliore delle situazioni, per una bambina di quattro anni. Dovresti.. sì, faresti meglio a portarla ad Asgard, per un po'. Anzi.. potreste andare insieme, anche tu e Sif. Sareste al sicuro. Sempre che a casa tua non ci siano guerre in atto, al momento.
- Il mio posto è questo, Natasha.
- E per fare che? Sei un umano, ora. Nessun potere. O te lo sei scordato?
- Smettila.
- Questa è la nostra guerra.. Lucas. Stanne fuori.
- AH. E chi vi rattopperà, quando ne uscirete in pezzi?
- Lo-
- Smettila tu, adesso. E ascoltami bene.- lui strinse appena la presa sul braccio della donna, senza smettere di sfidare il suo sguardo - NON HO paura per mia figlia. Ha quattro anni, e sa cavarsela meglio di me. Ha poteri che conosco e che temo. Per lei, e per chi la circonda in questa torre. Mia figlia vede.
- Che significa, vede?
- Può leggere nei pensieri e nei ricordi. Di tutti, nessuno escluso. Ha riconosciuto nel.. ragazzo di Sara un nemico. Mi ha raccontato tutti i sogni di Steve da quando è tornato dall'ospedale e Tony l'ha fatto trasferire qui. Ha visto te, bambina. E la Red Room attraverso i tuoi occhi. Sa quello che ti hanno fatto, Natasha. Sa quello che ho visto io nella testa di Clint quando l'ho sottomessa con lo scettro, ha visto le mie mani sporche del sangue di suo fratello e Thanos che mi trafiggeva. Ha visto il simbolo dell'Hydra che scuriva il cielo sopra il Triskelion.
- Metà delle cose che dici l'hanno mostrate al telegiornale, Loki.- replicò lei, cercando di mascherare quel tremito nella voce con una vena d'ironia - non dovreste lasciarla sola, davanti alla televisione.
- Perché ci tieni così tanto, a catturare l'amico cattivo di Steve?
 
A quella domanda, Natasha non trovò parole. Eppure la risposta la conosceva bene.
Strinse le labbra, deglutì, senza staccare gli occhi da quelli del principe nero.
- Ha fatto del male a troppe persone. A Fury, a Darcy. A Steve.
-..E a te.
- OH. Adesso l'hai capito, perché non porto il bikini.
- Nat.- lui scosse appena la testa - non prendermi in giro. Resti giovane come me. Il tuo corpo si rigenera con velocità invidiabile. E non dire che c'entra il sangue di Sara.
- Chissà.- quella sollevò le spalle, svogliata. Loki aggrottò le sopracciglia. E a lei non restò che cambiare tono - già. Chissà che c'era, nel siero. Roba aliena? Chimica sperimentale come per quello di Steve? Siamo tutti collegati da un sottilissimo filo rosso.. ma questo lo sai meglio di me.- sollevò l'indice, interrompendo sul nascere la prossima domanda - Katie vede. E scivola via dal letto per raccontarlo a papà.
- Tu.. come..?
- Come faccio a saperlo? - Natasha sollevò di nuovo le spalle, ma stavolta la voce aveva perso quel velo d'ironia - è quello che avrei fatto io, se solo avessi..- raccolse il fiato: adesso la mano di Loki non la stringeva più, e sembrava davvero partecipe e dispiaciuto -..spero non sia l'ennesima delle tue fregature, o la pagherai cara. Non ho idea da dove provenga, o cosa sia. Mi hanno iniettato quella roba, c'è stato l'addestramento. Ero poco più che una bambina, o almeno questo è tutto ciò che riesco a ricordare. E poi ricordo lui.
- Lui?
- Lui. L'amichetto cattivo di Steve. Odessa non era la prima volta, in cui lo incontravo. Ma gli altri sono solo flash, ricordi confusi. Credo di aver subito una sorta di.. riprogrammazione. Te l'ho detto, che prima di finire nella rete dello Shield non ero propriamente una brava persona?
 
Ecco. Adesso il velo della sua ironia risaliva, a coprirla tutta come la nebbia su uno stagno in una gelida mattina d'inverno. A difenderla, come un invisibile scudo.
Natasha, e l'inverno. La connessione.
 
- C'era anche lui, là, con te.. vero?
- Non sei l'unico cattivo che esista al mondo, sai?
- Non rispondere con domande. Sai che non lo sopporto.
- Ti dovrai adattare, principe nero. Ti sei pentito, affari tuoi. A cosa ti servirebbe il mio aiuto?
 
Loki non aveva nessun potere. Neppure contro la curiosità di sua figlia, quell'istinto naturale che sapeva suo malgrado di averle trasmesso.
 
Alla fine, l'uomo che avrebbe dovuto far del male a Sara era morto. L'altro, quello mandato per avere il suo sangue con le buone o con le cattive, giaceva in un letto della recovery area della Tower, incatenato da un braccialetto elettronico capace di tramortirlo con una scarica elettrica al minimo tentativo di fuga. E la donna che avrebbe dovuto offendere con un colpo di lama aveva usato la stessa arma per piegarlo e ridurlo allo stato di prigioniero.
Chissà, forse aveva già parlato, con le buone o con le cattive.
 
Fuori dalle sue mura sicure tutto stava andando in frantumi, e la Tower attendeva un nuovo ospite, adesso.
L'uomo con cui Katie non avrebbe mai e poi mai dovuto entrare in contatto.
 
- No. Nel modo più assoluto.- Loki aveva sollevato entrambe le mani, provando a far valere le proprie ragioni - è una bambina, non la userete per fargli ricordare un bel niente. Avete i suoi trucchetti, usate quelli.
Il pollice puntato su Tony, che alle sue spalle stringeva appena le labbra ed annuiva con evidente sforzo.
- Non dire che anche tu sei d'accordo con quest'idea! E'.. è pura follia! - al suo tentativo di schiarirsi la voce per intervenire, Loki s'era voltato di scatto - inventati qualcosa, quello che ti pare! Mia figlia starà LONTANA da quell'uomo, capito?
- Senti.. ragiona. Lui.. lui ha nella sua testa un'infinità di risposte. Omicidi politici, la scomparsa di tutte le persone della lista nera dell'Hydra. Persone che hanno bisogno di giustizia.
-..Almeno quanto tu hai bisogno di sapere se è stato lui ad uccidere i tuoi genitori? - quello lo puntò, incattivito - o quanto tu vuoi ricordare che diavolo t'è successo fra una missione omicida e l'altra? - si rivolse a Natasha, che forse per la prima volta in tutta la vita non riuscì a sotenere uno sguardo, poi a Steve, che lo spostò praticamente subito - e tu? Tu cosa vuoi sapere, a che genere di torture hanno sottoposto l'essere che credi tuo amico? NO. E' mia figlia, la porterò via da qui e non ci rivedrete mai più.
Voltò le spalle, dirigendo i propri passi verso l'uscita. Muscoli tesi e mani strette a pugno fino a veder sbiancare le nocche. Non aveva mai provato così tanta rabbia, tutta insieme. Neppure quando aveva saputo della propria provenienza e del perché di quella pelle blu.
- Loki, aspetta! non-
 
La voce di Tony fu spezzata sul nascere, dalla meno attesa delle risposte.
 
Katie era in piedi, sull'orlo della porta. Comparsa dal buio come un silenzioso fantasma, teneva lo sguardo fisso avanti a sé e sembrava leggerli. Tutti, nella testa e nel cuore.
Non serviva neppure che gridassero tanto.
 
- Andiamo, cucciola.- suo padre le scivolò accanto, tendendo la mano ad acchiapparle il braccio ed attirarla con sé. Uno strattone, leggero, e la bimba non si mosse.
- Andiamo, su.- Loki fece un secondo tentativo, aumentando sensibilmente l'energia. E poi si bloccò sui propri piedi, fissandola con stupore e quasi paura.- Katie..
Silenzio. La bimba continuava a fissarlo da sotto in su, con la tipica insistenza di quando le bastava uno sguardo, per chiedere di sapere.
 
Sapere. Katie voleva sapere. E Loki si stava domandando seriamente cos'avesse a che fare, questo, con la semplice curiosità di una bambina.
- Cucciola, per favore.- provò ad insistere, e tutto quello che quella vocina rispose fu un minuscolo mormorio.
 
Lui non è cattivo, papà..
 
Il cuore dritto dal petto in gola. L'avevano portato meno di un'ora prima, stessa modalità e stesso telo bianco con cui era arrivata Sara. Niente uomini in nero, a muovere i propri passi giù dall'elicottero, solo zia Nat e quel suo piccolo seguito di visi incupiti dalla rabbia e dal dolore.
- Ha fatto del male a tantissime persone, Katie.- si piegò sulle ginocchia, arrivando all'altezza della figlia e provando a convincerla con la dolcezza - anche a Darcy, alla zia Nat. Alle persone a cui vuoi bene.
- Anche tu..- rispose quella, sguardo sempre fisso nel suo e le lacrime ad incrinare quella vocina.
Piegò la testa, andando ad appoggiare la guancia contro quella della bambina, raccolse il respiro e sollevò gli occhi sui compagni, prima di prenderla fra le braccia:
- E va bene, Stark. Ma solo ad una condizione. Studierai le capacità di mia figlia per produrre uno dei tuoi macchinari. Hai il permesso di prelevarle il sangue e testare i suoi poteri. Ma non toccherà quell'uomo, né lo avvicinerà. PER NESSUN MOTIVO.
- Hai la mia parola.- Tony non appariva assolutamente divertito, mano sul petto e respiro rarefatto.
 
Notte. Il cielo di nuovo curiosamente limpido accoglieva uno spicchio di luna calante. Un'ombra si muoveva leggera sulla terrazza oltre il salone. Piedi nudi, passi incerti e lenti. Lo sguardo a vagare intorno, ancora confuso.
 
Dove sono..? Che.. che posto è questo? E perché..?
Non ricordava New York. O almeno, non la ricordava così, con tutte quelle luci sotto di sé ed intorno a quella terrazza. Qualcosa non corrispondeva all'immagine che ogni tanto riaffiorava nella sua mente.
 
Trovò il muretto che bordava quello spazio, tese le mani contro la ringhiera e vi strinse le dita attorno, prima di lasciarsi andare scivolando seduto contro quella lastra di vetro.
Le dita. Sollevò le mani e tornò ad osservarle, per un lunghissimo istante. Strano. Non ricordava di aver avuto altro che sangue e metallo, al posto di quella mano sinistra. Forse aveva solo sognato.
 
O forse era adesso, che stava sognando..
 
Cicatrici. Quelle c'erano ancora, a sfregiargli la pelle. Delle mani, delle braccia, lungo il petto ancora decorato da quei curiosi cerotti con la capocchia colorata.
Rosso, giallo. Ricordava di averli già avuti, addosso. Ma era successo in un altro luogo e in un altro tempo, di questo era sicuro.
Tese la mano destra ed iniziò a staccarli, uno ad uno, lasciandoli cadere a terra accanto a sé, aspettandosi di venire circondato da un momento all'altro da uomini armati. Silenzio. Il bracciale che l'uomo del ponte gli aveva legato al polso continuava ad emettere minuscole pulsazioni verdi.
Nulla. Nessuna azione, nessun dolore improvviso.
Silenzio.
 
Spostò di nuovo lo sguardo oltre il profilo della torre, e poi su, verso quel luminoso spicchio di luna. Le labbra si stirarono in un sorriso, chiudendo gli occhi ed assaporando il piacere della brezza che gli portava una musica minuscola e lontana.
La musica era diversa. Ma era certo di aver già vissuto anche un momento simile.
 
C'era stato un tempo in cui aveva avuto un nome ed una vita.
Un tempo in cui era stato libero.
 
Un fruscio improvviso lo fece trasalire, captando la sua attenzione ed obbligando tutti i suoi muscoli ad irrigidirsi.
 
Una bambina.
 
Lo stava osservando, immobile e silenziosa. Lunghi capelli lisci e neri ad inondarle le minuscole spalle, un abitino candido e lungo che quasi le copriva i piedi nudi. Lo osservava e sembrava cercare di leggergli dentro, col solo potere di un paio di limpidissimi occhi verdi.
 
- Che..- la voce gli sfuggì leggera e roca - chi sei..? Non dovresti essere qui.
- Neanche tu..
- Oh..- lui notò lo spostarsi di quello sguardo sul bracciale, e sollevò il polso - sai..? Possono farmi quello che vogliono. Non è la prima volta.. c'è già, il dolore, nei miei ricordi.. da qualche parte.
 
La bimba avanzò di un paio di passi, piegando appena la testa da un lato e continuando ad osservarlo.
- Non.. smettila di guardarmi così.- lui mosse appena una mano, come a scacciarla - non dovresti essere neppure qui. Sei solo una bambina.. e io.. vai via.
- Non sei cattivo..- replicò quella, leggera leggera, arrivandogli accanto.
- Sei tu, vero? - la lasciò assottigliare lo sguardo -..la bambina di cui parlavano. Quella che può leggere i ricordi.- la vide annuire, e spostò lo sguardo verso lo skyline - li ho sentiti, sai. Loro non vogliono che tu mi stia vicino. Non.. non devi vedere i miei sogni. Non importa quello che dicono. Non voglio. Non voglio ricordare.
- Hai paura..?
- Sì.
 
Ecco, l'aveva detto.
Strano, non aveva mai avuto paura. Non che ricordasse. Se chiudeva gli occhi, davanti aveva solo sangue, e morte, e uomini e donne che avevano paura. Loro, di lui. Della morte che avrebbero avuto dalle sue mani.
Era la prima volta, che confessava di avere paura.
 
Di cosa, poi? Di una bambina..? Sei tu, quello che può farle del male. Non lei a te.
 
Non mi farai male.. non sei cattivo..
Chiuse gli occhi, li strizzò con forza. Quella vocina insisteva, dritta dentro la sua testa.
- Vattene..- mormorò - per favore..
 
Le mani a stringere le tempie, il fiato corto, il cuore in gola. Il tepore di quelle minuscole dita sulla pelle, poco oltre le cicatrici che gli sfregiavano la spalla.
I cattivi non ci sono più..
 
- Io sono il cattivo, io! Ho ucciso..- aprì gli occhi, e la trovò ancora lì, quasi addosso a lui, che tendeva appena le mani come a chiedere di essere presa in braccio.
Un sospiro.
- E va bene..- tese le mani, la raccolse e lasciò che gli si accoccolasse contro il petto - però.. però se c'è qualcosa nei miei ricordi che ti spaventa voglio che me lo dici. E vai via. Ok..?
 
Katie annuì, leggera, continuando a trattenerlo nel suo minuscolo e tenace abbraccio.
L'abbraccio per non essere triste..
 
Un invisibile pugno a stringerle il cuore, lì, nell'angolo buio in cui s'era nascosta a controllare le mosse del Soldato d'Inverno. Tese le dita, portò le mani sulle spalle come a confortarsi con un abbraccio.
 
Era stata lei, a lasciargli aperta la porta della stanza. Lei, a proporre di non bloccarlo tramite il bracciale.
- Aspetta..- aveva trattenuto la mano di Tony, già pronta sullo schermo olografico che riproduceva il sistema di allarme della recovery area - vediamo che fa.
- Non voglio problemi, Nat.- aveva replicato quello, guardandola da sopra la spalla con una velatura di rabbia nella voce - se fa qualcosa di storto..
-..La responsabilità è la mia, ok.- lei aveva storto appena le labbra.
- Cos'hai intenzione di dire a Clint?
- Quell'uomo è il mio passato, Tony. Un passato che non desidero più.
 
Sicura..?
Eccola, la domanda che aveva cercato di respingere con tutta sé stessa. Forte e chiara a riempirle la testa, insieme all'insensata speranza che quell'uomo ricordasse.
Che ricordasse lei, i momenti vissuti fianco a fianco. Andavano bene anche disordinati ed intrecciati, così come affioravano di volta in volta nella sua mente.
Che ricordasse, con quella bambina addosso, di averne tenuta un'altra fra le braccia.
 
Solo per pochi istanti, sotto lo stesso spicchio di luna. Tantissimo tempo fa.

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