~ A Beautiful Mortal - Chicago 1918 di Out of this world (/viewuser.php?uid=3351)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1_gli avvenimenti del passato. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2_Biloxi ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3_Esme ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4_Ora sei un uomo ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5_foto ricordo ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6_amico immaginario ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7_tremore ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8_Chicago 1918 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9_la spagnola ***
Capitolo 11: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Introduzione. ***
Purtroppo per voi sono
tornata! Tanto per iniziare volevo dirvi che ho interrotto Memory. Mi dispiace,
ma non sapevo più come svilupparla. Quando mi verrà in mente qualcosa la
riprenderò con piacere. Intanto volevo postare l’introduzione di quella che mi gira
in testa da parecchio. E’ una fic naturalmente BellaxEdward, un po’ diversa dal
solito perché racconta di un periodo storico per Bella mai vissuto, ma molto
personale per il nostro vampiro preferito. Spero sia di vostro gradimento!
Minako-Lore
~ A Beautiful Mortal - Chicago 1918
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Molte volte mi
chiesi come poteva essere Edward da umano. E altrettante volte desiderai di
poter dare una sbirciata al suo passato per apprendere un poco di più sul suo
conto. Ero curiosa. Avere accanto una persona interessante come lui rendeva le
cose più affascinanti. Com’era il mio Edward da umano? Purtroppo per me
sapevo che quella mia curiosità non sarebbe mai stata soddisfatta. Non avrei mai
visto la mia anima gemella con debolezze umane, e neanche un po’ di rossore
spandersi sulle sue guance di ghiaccio. Ma non sapevo, però, che quel mio
desiderio si sarebbe avverato poco dopo. Io avrei visto per la prima volta
Edward Cullen da umano, e questo a me allora era ancora ignoto.
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Capitolo 2 *** Capitolo 1_gli avvenimenti del passato. ***
Rieccomi! Che dire?
Grazie come al solito ai miei recensori di fiducia XD. Siete fantastici, ogni
volta mi incoraggiate con i vostri commenti! Grazie infinite! Quindi, eccoci
al primo capitolo! Spero non sia troppo noioso, diciamo che la parte più
interessante arriverà nel prossimo capitolo. Bè, vi invito a leggere! Ciao ciao!
Minako-Lore
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 1: gli avvenimenti del passato.
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Quando riaprii gli
occhi non seppi dirmi con precisione dove mi trovavo. Sapevo solo che mi sentivo
leggera, leggera come una piuma. Impossibile sentirsi meglio di come mi trovavo
in quel momento. Lentamente aprii gli occhi, e subito notai con sorpresa una
coperta sopra il mio corpo disteso. Respirai a pieni polmoni, cercando di capire
dov’ero. Poi vidi qualcosa di nero accanto a me. Ancora spaesata dal quella
situazione del tutto nuova, protesi una mano verso quell’ombra scura che
incombeva vicino a me prepotentemente. E allora sobbalzai, quando mi resi conto
che si muoveva. « Bella! » mi chiamò una voce lontana ma che,
inspiegabilmente, arrivò chiara e limpida alle mie orecchie. Mi misi a sedere, e
immediatamente mi girò la testa.
« Sta giù, non sei
abituata. » continuò. E allora la riconobbi: era la voce di Alice.
« Alice? » chiesi
confusa, portandomi una mano alla testa. Iniziava a non girarmi più. E
finalmente la misi a fuoco: i capelli neri, più spettinati del solito,
ricadevano scomposti sul viso e sulle occhiaie simili a bruciature, proprio
sotto ai suoi occhi. Neri. Neri come la pece.
« Bentornata fra noi
Bells. » disse accennando un sorriso, squadrandomi da capo a piedi. Sospirai e
mi misi a sedere su quel corpo morbido. E lo riconobbi: era il divano di pelle
di Edward. Così come anche la stanza in cui mi trovavo era la sua. Ma non mi
ricordavo… cos’era accaduto?
« Che è successo? »
chiesi, mentre lei – da per terra dove si trovava – si spostava a sedersi vicino
a me, circondandomi con quelle braccia graciline che si ritrovava.
« Non ricordi? » mi
chiese, mentre mi lasciavo andare contro il suo petto freddo. Ma come mai non lo
trovavo più così gelido come ricordavo? Cercai comunque di non badare a quella
piccolezza, e di passare invece al setaccio dei miei ultimi ricordi chiari.
Chiusi gli occhi, concentrandomi. Una strada, un semaforo verde, una camion
e…
Mi allontanai come
una furia da lei, cadendo per terra.
« Bells! »
Si precipitò verso di
me, aiutandomi a rimettermi seduta. Ma io ero troppo sconvolta per poter
risponderle.
« I-il cam-mion,
Alice. » balbettai stralunata. Ora mi ricordavo: quella mattina andando a scuola
ero stata investita da un camion. Come dimenticare quelle luci abbaglianti e
quel dolore lancinante quando mi sbatteva per terra? Però… però… insomma… se
mi aveva investito – perché lo aveva
fatto – perché ero li senza il minimo graffio? « Sono incolume… ma io mi
ricordo che quel camion mi ha investito! E c’era sangue… tanto sangue! » Vidi
negli occhi di Alice una scintilla di malinconia. E lo stomaco mi si chiuse in
una morsa. E qualche rivelazione si insinuò nella mia testa… « Alice… non
dirmi che… » Mi guardai le mani. E lì persi quel minimo di lucidità che avevo
ritrovato. Era bianca. Non pallida, ma bianca come il gesso. Senza la minima
imperfezione, spiccava accanto alla maglia scura che indossavo. Alzai gli
occhi verso Alice, a bocca aperta. Mi fissava in silenzio, come in attesa.
Vedevo che non sapeva cosa fare. Da un lato aveva un sorrisetto sulle labbra da
non poco, ma gli occhi rimanevano vigili. Iniziai a respirare a fatica,
mentre cominciavo a toccare con la mano destra quella sinistra. Era dura e…
fredda. Fredda come quella di Edward o Alice. Ma allora… era vero? Ero davvero
un…
« … vampiro. »
mormorai a me stessa. Alzai nuovamente lo sguardo sulla mia migliore amica, e la
vidi ancora agitata. E fu allora che sorrisi. La felicità mi cresceva in tutto
il corpo, investendomi come un fiume in piena. L’adrenalina mi arrivava al
cervello a intervalli irregolari, come a singhiozzo. E in un lampo mi lanciai su
Alice, ridendo a crepapelle. L’abbracciai e anche lei si mise a ridere.
« MIO DIO! » urlai in
preda ad una crisi di risa, mentre cercavo di
controllarmi.
« Edward mi ha morso!
»
Forse non dovevo
dirlo. Forse la mia era stata una reazione esagerata. Fatto sta che Alice si
immobilizzò sul posto, fissandomi con i suoi grandi occhioni scuri, segno che
non faceva una battuta di caccia da un po’.
« … non mi ha morso
Edward, vero? » mormorai. Che stupida. In fondo, lui quel giorno era andato a
caccia con Emmett e Jasper. Ma allora…?
Alice parve notare il
mio turbamento, così mi prese per mano.
« Andiamo da
Carlisle. » mormorò con cautela, facendomi alzare. Vidi che anche lei era
turbata. Sospirai, confusa da tutte quelle informazioni avute così in fretta.
Ero un vampiro. Un vampiro! Sorrisi fra me come una stupida, mentre notavo
come mi risultava facile camminare velocemente al fianco di Alice. Comunque, non
mi resi conto della mia situazione finchè non mi guardai alla specchio del
corridoio. Allora mi immobilizzai. Sentii al mio fianco Alice guardarmi stupita,
mentre mi toccavo il viso spaesata. Ero sempre me stessa, fin li nulla da
ridire. I tratti del mio viso erano sempre quelli, forse leggermente più decisi;
ma gli occhi… gli occhi erano la vera rivelazione!
Erano scuri, come
l’onice. Guardandomeli mi veniva in mente Edward. E poi ero… bella. Sì. Forse
per la prima volta in vita mia, guardando quel viso ben proporzionato, quegli
occhi profondi e quella pelle di gesso mi sentivo… normale. Alice mi accarezzò una
spalla, e io lo interpretai come un invito a seguirla. Lo feci, e attraversammo
la scalinata, arrivando fino al soggiorno.
Lì mi fermai. Così
come i membri nel soggiorno smisero di fare quello che stavano compiendo fino a
quando non ero comparsa in cima alle scale.
« Bella! » esclamò
Esme, la prima a riprendersi. Io finì di scendere la scalinata e mi lasciai
abbracciare da lei. « Come ti senti piccola? » mi chiese accarezzandomi il
volto. Feci un sorriso forzato. All’improvviso non mi sentii più molto bene.
Avevo notato, infatti, che nel salone fra i presenti non spiccavano i capelli
rossi di Edward…dov’era? « Bene. Devo ancora ingerire la notizia, ma è tutto
okay. » risposi, sospirando. Lei parve soddisfatta della spiegazione e,
prendendomi per mano, mi accompagnò fino al divano. Lì mi fece sedere accanto a
lei, e rivolsi l’attenzione ad ognuno di loro. Poi, la curiosità e la necessità
di informazioni prese il sopravvento.
« Dov’è Edward? »
In quel momento, non
uno dei Cullen mi degnò di una risposta. E iniziai a temere il peggio. Se ne era
andato? Non mi voleva più? Qualcuno gli aveva fatto del
male?
Buffo. A volte il
cervello elabora così tante informazioni nell’arco di pochi secondi che alla
fine ti ritrovi con la testa pesante. Troppo, troppo,
pesante!
Ma non ci diedi peso.
Iniziai a fissare Carlisle che, sapevo, era l’unico che mi avrebbe fornito una
risposta degna di essere chiamata con quel nome. Lui mi
capì.
E subito si alzò in
piedi, porgendomi dolcemente un braccetto, che accettai impacciata. Allora mi
sollevai e mi portò nel suo studio. A cosa andavo incontro? Non lo
sapevo…
Il suo studio era
imponente. La prima volta che ero stata li l’avevo paragonato ad un ufficio di
un preside. Tuttavia mi ricredetti quando Carlisle, con i suoi capelli chiari e
il volto giovanile, si sedette dietro alla sua massiccia scrivania di legno
scuro.
« Cosa ti ricordi,
Bella? » mi chiese tranquillo, fissandomi dolcemente.
Sospirai.
« Ricordo il camion…
e il dolore che ho provato. E mi ricordo che c’era tanto sangue… il mio.
»
Annuì più volte,
portandosi le mani sotto il mento.
« Okay… poi?
Nient’altro, vero? » chiese. Io negai.
« No… il resto è
oscurato dal dolore che ho provato. » mormorai. Fino ad allora non avevo più
pensato al dolore della trasformazione… indicibile…
Mi costrinsi a non
pensarci. Quei momenti di assoluta agonia erano troppo freschi per sopportarli
ulteriormente. « Allora… vedi Bella, quando quel camion ti ha investita mi
hanno subito chiamato all’ospedale. Nell’ambulanza che è venuta a prenderti
c’ero pure io. » sospirò. « Ho avuto paura, lo ammetto. Eri in una pozza di
sangue. Ho provato in ogni mezzo di rifarti prendere conoscenza. Ma tu non
aprivi gli occhi. »
D’istinto mi venne la
pelle d’oca.
« Quando siamo
arrivati all’ospedale non riuscivi neanche più a respirare regolarmente. Se
continuavi in quella maniera avresti potuto morire da un momento all’altro.
» Sembrava più stanco del solito. Quella discussione gli doveva far spendere
parecchie forze. « Non sai che odissea è stata farti credere morta. Mi sono
occupato di tutto io. Moduli, carte, prove. Però era difficile portarti qui.
Tuttavia ce l’ho fatta. »
Seguivo concentrata
ogni sua parola. La testa vuota, il corpo leggero…
« Ti ho portata in
camera di Edward e senza perdere un secondo ti ho morsa. Solo in seguito mi sono
reso conto di ciò che ho fatto. E iniziai ad aver paura del ritorno di Edward.
Cosa avrei potuto dirgli? Avrebbe accettato il mio gesto?
»
Sospirò
malinconicamente. « Ti dico la verità Bella. Non l’ha presa bene. » Ecco.
Quella voragine, tanto odiata e tanto detestata, era tornata a impedirmi di
respirare irregolarmente. « Dimmi tutto. » mormorai. Sospirò nuovamente,
alzandosi dalla sua sedia per avvicinarsi a me cauto. « Quando è rientrato
dalla caccia ha capito subito che qualcosa non andava. Non è stupido. Mi si è
avvicinato e mi ha chiesto cosa succedeva. Gli ho raccontato tutto. » « Come
ha reagito? »
« Appena lo ha saputo
è corso da te. Ma stavi già iniziando ad urlare dal dolore. Non ha sopportato
tutto quello… è corso via, urlandomi contro che non aveva nessun diritto di fare
tutto quello. Ce l’ha con me, temo. In questi tre giorni è stato tutto il tempo
nel bosco. » Mio dio… Edward! Mi portai una mano alla testa,
sconvolta. « Devo parlargli! » esclamai, alzandomi di botto. « Voglio
vederlo! »
Carlisle mi fissò
accigliato. Poi annuì. « Penso sia giusto. E’ ai piedi dei monti Olimpici,
dove abbiamo giocato l’ultima volta a baseball. » mormorò più spossato che
mai. Mi diressi verso la porta. Tuttavia, il mio istinto mi precedette. Mi
voltai indietro e corsi contro a Carlisle, abbracciandolo forte. « Grazie.
» « Ti ho reso un mostro Bella, non mi devi ringraziare.
»
« Non ti sto
ringraziando per avermi reso un mostro, ma di avermi permesso di entrare nella tua famiglia
di mostri. » sorrisi debolmente, mentre mi posava un bacio sulla fronte. « Ci
sai arrivare da sola? »
Annuì, e uscì dalla
porta accompagnata da un religioso silenzio.
Lo vidi subito. Come
non notarlo? Era seduto per terra, a occhi chiusi, con la schiena appoggiata
ad un albero. Una bellissima statua Greca. Mi avvicinai cauta, piano e
all’erta. Sapeva che ero lì? Mi aveva sentita? Ma non dovetti aspettare per
saperlo. « Ti sei svegliata. »
Non era una domanda.
La sua voce mi arrivò debole e malinconica. E potei notare come la sua fronte si
fosse corrugata notevolmente. « Edward? » Volevo che aprisse quei suoi
maledetti occhi. Volevo che mi venisse incontro eliminando quei pochi passi che
ci separavano e che mi iniziasse a baciare il viso felice. Felice… sì, è cosi
che volevo Edward. « Mi dispiace. » Ripresi contatto con la realtà, e lo
fissai delusa. E allora non mi importò più se quello che volevo era che mi
venisse incontro abbracciandomi. No. In quel momento, angosciata e delusa, mi
buttai io fra le sue braccia, mentre apriva gli occhi stremato. « Ti prego,
non fare così! » dissi, mentre appoggiavo la testa contro il suo petto « Non
pensare sia colpa tua! » « Come non posso pensarlo? » mormorò contro il mio
collo, facendomi venire i brividi lungo la schiena. « Edward, io… » Ma mi
fermai. Di scatto mi allontanai un po’ da lui, guardandolo in volto. Ma prima
che potessi dire qualcosa le palpebre mi si abbassarono pesantemente. Potei
sentire solo le sue braccia avvolgermi e le sue labbra a poca distanza da me
pronunciare il mio nome. Poi, il buio.
Stavo volando. A occhi chiusi, sentivo il
vento scompigliarmi i capelli. Una sensazione di libertà si spalancò dentro di
me, facendomi volteggiare ancora di più. Poi, sentii delle voci. «
Signor Swan… l’abbiamo subito portata qui. Ma… vede… mi dispiace tanto.
» Aprii gli occhi giusto in tempo per guardare mio padre gemere disperato,
aggrappandosi al camice del dottore di fronte a lui. Allora mi sentii mancare, e
posai un piede a terra. Tutto ad un tratto intorno a me parve prendere forma. Mi
trovavo in ospedale. Ma la cosa strana era che a poca distanza da me c’era mio
padre, ma pareva non accorgersi di me. Continuava a urlare e a gemere,
mormorando parole sconnesse. Fra quelle sentii indistintamente, però, una cosa
che mi fece accapponare la pelle… « Bella… non può essere morta! » Come se
qualcuno mi avesse colpito forte al cuore, sobbalzai impetuosamente, mentre
qualcosa mi tirava verso l’altro. E iniziai a urlare… a urlare tanto…
« BELLA! » Con un
singhiozzo aprii gli occhi sconvolta, tirandomi a sedere dove mi trovavo. Tutto
girava furiosamente. « Bella! Ti prego, dimmi come stai! » La voce di
Edward vicino al mio orecchio mi fece sperdere ancora di più. Mi aggrappai a
quelle che riconobbi come le sue spalle, iniziando a balbettare frasi sconnesse.
« Papà… » sbiascicai impaurita, nascondendo il mio viso nel suo petto.
Sentii le mani di Edward incominciare ad accarezzarmi piano la schiena…
salendo e scendendo… salendo e scendendo… Piano piano mi calmai, e alzai il
volto per appoggiare il naso sotto il suo mento.
« Bella… va meglio? »
mi chiese, baciandomi la fronte, aderendo le sue labbra alla mia pelle. « Ho
tanta confusione… » sbiascicai… l’ospedale, mio padre, il medico… ma cos’era
successo? « E’ stato come se mi fossi catapultata da un’altra parte… c’era
mio padre e un dottore… Charlie diceva che ero morta… » Lo sento irrigidirsi,
per poi guardarmi stralunato « Con che dottore parlava? » chiese paziente.
Cercai di ricordarmelo.
« Aveva i capelli
scuri. Molto alto. » dissi fissandolo a mia volta. Lo vidi sbiancare. «
Dobbiamo tornare a casa. » In un batter d’occhio si alzò, trascinandomi con
se. E allora si bloccò a fissarmi. Mi scrutò minuziosamente il viso, per poi
portare lentamente una mano sulla mia bocca. Chiusi gli occhi al suo tocco,
mentre continuava ad accarezzarmi stavolta il viso. « Sei diversa. »
mormorò. Aprii gli occhi e lo vidi malinconico. « Portami a casa. » risposti
io infelice. Mi stava guardando come se fossi diversa, come se non mi
conoscesse. E mi dava fastidio. Lui annuì solamente, posando la mano sul suo
fianco. Se fossi stata umana, mi sarei messa a piangere. E questo dovette
capirlo pure lui, perché mi fissò un attimo indeciso. Stanca di quei giochi
di sguardi, lo sorpassai, camminando senza forze. Incapace di stare in piedi,
feci per crollare rovinosamente a terra. Ma subito le sue braccia mi bloccarono.
E senza che io potessi impedirlo, posò le sue labbra sulla mie con prepotenza. E
non potei non restituire il bacio, mentre dolcemente mi accarezzava la
schiena. « Sei uno stupido! » mormorai isterica contro le sue labbra, mentre
respiravo irregolarmente. Lui appoggiò la fronte sulla mia. « Ti prego, non
parlare. Non parlare di quello che ti ho fatto. » mormorò con voce rotta. «
Stavi morendo, senza di me al tuo fianco. Senza poterti salvare. » «
Smettila di fare la vittima! Smettila di incolparti di tutto. » dissi più dura
di quanto volessi. Lui parve non gradire. « Se mi mordevi come volevo io non
avrei rischiato la vita. E se quel camion investendomi mi ha regalato quello che
volevo allora non sentirti in colpa per non avermi salvato, ma per non esserti
dato una mossa prima. » E con quelle parole, posai le mie labbra nuovamente
sulle sue, cercando un briciolo di amore che arrivò poco
dopo.
Mi portò in spalla
fino a casa sua. La mia risposta secca e il suo umore già cupo fece calare fra
noi un silenzio rumoroso. Ma, mentre correva con me aggrappata a lui, non potei
che posargli un bacio sul collo. « Cosa pensi mi sia successo? » chiesi
stanca, mentre mi faceva scendere e mi apriva la porta di casa. « Ho una
congettura. Ma bisogna parlare con Carlisle prima. » disse solamente,
appoggiando una mano sul mio fianco. Allora lo bloccai un attimo, fissandolo
negli occhi. « Ti amo. Non mi importa ciò che pensi. » dissi piano, mentre le
rughe sul suo viso si facevano più vivide che mai. « Anch’io ti amo. Ti amo
più della mia esistenza. Ti amo e sempre ti amerò. Quello che non amo è ciò che
ti ho fatto diventare. » Volevo rispondergli, fargli capire che era uno
sciocco, ma proprio in quel momento in cima alle scale comparve Carlisle. «
Ti dobbiamo parlare. » incominciò Edward. Subito ci fu accanto. « Dimmi. » lo
incitò suo padre. Sospirò. « Prima Bella mi è svenuta fra le braccia. »
incominciò. « Papà, penso che abbia acquisito un qualche potere. » aggiunse
veloce. Sobbalzai stupita da quella rivelazione. « E quale? » « Quello di
poter vedere gli avvenimenti del passato. »
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Capitolo 3 *** Capitolo 2_Biloxi ***
Giorno! Ecco qua il
secondo capitolo! Stavolta voglio proprio ringraziare uno ad uno i miei
recensori! Quindi un bacione a:
xChemical_Ladyx
aras
kiakkina
puffoletta
baby_bunny
pinefertari85
Elychan
SamaCullen
clod88
solembun
puffoletta
baby93
Amy89
E
naturalmente anche ai lettori! Grazie ragazzi/e! E poi volevo rispondere alle
domande più interessanti:
1) Come potere non è un
pò... inutile? Cioè... a che le serve? Di
pinefertari85 Sinceramente non
volevo dargli uno scopo. Il mio interesse è un altro. Andando avanti con i
capitoli si capirà. In ogni modo il fatto che questo potere, effettivamente, non
serve a niente è in parte vero. xD Io l’ho usato perché volevo approfondire
un po’ i personaggi, vedendoli prima della trasformazione. Bella domanda,
comunque! Mi hai lasciato un attimo interdetta XD.
Con
questo è tutto! Kiss
Minako-Lore
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 2: Biloxi.
×
Quando Edward
pronunciò quelle parole mi lasciò interdetta per parecchi minuti. Vedere nel
passato? Io? Impossibile! Perché ciò significherebbe avere dei poteri. Io non
sono ne speciale, ne tanto meno in grado di possedere un qualche strano dono. Ma
l’espressione di Carlisle sbriciolò quei pensieri che mi ero fatta. Era stupito
e quasi affascinato. Nei suoi occhi chiari potevo scorgere una scintilla di
emozione. Quindi, si rivolse a me. « Cosa è successo, Bella? » mi chiese
cortesemente, cingendomi con un braccio, mentre mi trascinava nel salone vuoto a
sedermi sul divano. « Mi sono sentita mancare. » mormorai in risposta,
appoggiando la schiena contro il corpo morbido sotto di me. « E poi buio.
Solo dopo ho avvertito una sensazione liberatoria, e mi sono ritrovata in
ospedale. L’ho riconosciuto: era questo di Forks. E c’era mio padre, che…
parlava con un medico di me. » Sospirai. Il suo sguardo su di me mi metteva
in soggezione. Poi, alla fine, parlò. « Interessante… che dici, Edward?
Secondo te può vedere nel passato? » Edward alzò lo sguardo, sedendosi sul
seggiolino del pianoforte a poca distanza da noi. « Non saprei dargli altra
spiegazione, papà. » rispose, dondolando le gambe pensieroso. « Quindi… voi
dite che posso vedere il passato? Però è strano: io non è che l’ho visto, c’ero
dentro! » Sobbalzarono entrambi, fissandomi intensamente. « In che senso?
» chiese Carlisle paziente. Presi un respiro profondo. « Io ero lì! »
insistetti. « Ero a poca distanza da Charlie, ma ne lui ne il medico mi
notavano. Ho provato a muovermi, e ci riuscivo. Ero come un fantasma. » La
mia spiegazione li lasciò increduli. Soprattutto Edward, il quale mi fissava più
intensamente del solito. « Davvero, davvero, interessante. » ripetè Carlisle
con un sorriso. « Che strano potere Bella. Ma veramente incredibile,
aggiungerei, se me lo consenti. » Annuii solamente, fissandomi le scarpe.
Poi, senza il minimo preavviso, Carlisle si alzò. « Bè, comunque non
arriverei a conclusioni affrettate. » disse saggiamente. « Dai Bella, devi
andare a caccia. I primi tempi hai bisogno di nutrirti. » « Okay. » risposi,
mentre si allontanava con un sorriso di incoraggiamento. Rimanemmo soli io e
Edward. Sospirai, e gli rivolsi la mia attenzione. Guardava fuori dalla
finestra, con lo sguardo perso. Odiavo vederlo così. Io volevo il mio Edward,
quello cinico e con il sarcasmo acido che ti faceva drizzare i capelli. Lo
stesso che mi rivolgeva dolce il suo leggendario sorriso sghembo, mentre mi
prendeva in giro o mi faceva arrabbiare. « Edward? » incominciai. Lui si
risvegliò dalla trance nella quale era caduto e mi rivolse la sua
attenzione. « Andiamo a caccia. » disse prima che potessi aggiungere altro.
Ma non volevo quello, così – cauta – lo fermai con uno sguardo severo. « No.
Dobbiamo parlare. » Sbuffò indispettito. « E di cosa? » chiese esasperato,
alzandosi in piedi per darmi le spalle. « Di noi! » dissi. « Cos’è cambiato,
Edward?! Quattro giorni fa eravamo abbracciati sul mio divano, e ora? Perché ti
comporti così?! » chiesi furiosa. Lui si voltò verso di me venendomi incontro,
per poi sedersi accanto a me per abbracciarli velocemente. « Ecco, ci siamo
abbracciati. Visto? Tutto okay! » replicò con rabbia. La collera dentro di me
salì a livelli incontenibili. Mi ci volle tutto il mio controllo per non
aggredirlo. « Edward Anthony Masen Cullen. » iniziai minacciosa. Lui fece una
smorfia: sapevo quanto non gradisse che venisse pronunciato il suo nome intero
ma io, da brava fidanzatina perfida, in quel momento glielo avevo spiattellato
sotto il naso su un piatto d’argento. « Smetti subito di fare il cretino! »
continuai stizzita, fissandolo minacciosa. Lui sbuffò. « Sei la persona più
infantile che io abbia mai conosciuto! Al diavolo, Edward! Hai centosei anni! »
alzai la voce, buttando gli occhi al cielo. « Sono infantile?! ». Alzò anche
lui la voce, guardandomi furioso. « Sì! » risposi incollerita. « Pensi
davvero che sia infantile? Bè, allora perché sei ancora qui?! » mi chiese
alzandosi in piedi e sovrastandomi dal suo metro e ottanta di altezza. « Me
lo stavo chiedendo anch’io! » replicai, alzandomi anch’io. Naturalmente con il
mio metro e sessanta facevo ben poca figura. « Bene, allora vattene! » urlò.
« Certo! » gridai in risposta, rimanendo, però, imbambolata di fronte a
lui. « Ti faccio presente che sei ancora dinanzi a me! » « Non c’è bisogno
che me lo ricordi, ti vedo! Non sei invisibile, anche se in questo momento
sarebbe meglio! » « Vorresti che fossi invisibile?! » « Sì, è questo che
vorrei! » « Bè, anch’io vorrei che tu mi buttassi le braccia al collo
baciandomi, ma non sempre si possono avverare le cose che si vogliono! » urlò
ancora. E io non mi lasciai sminuire. « E perché, di grazia, non mi abbracci
tu e mi baci, invece di aspettare me?! » « Perché no! Voglio che sia tu
a fare la prima mossa! » urlò esasperato. « MA PERCHE’?! » « PERCHE’
VOGLIO SAPERE SE MI AMI O SE MI CONSIDERI UN MOSTRO, DANNAZIONE! » « DA COME
MI HAI TRATTATO IN QUEST’ULTIMA ORA SONO IO CHE DOVREI CHIEDERLO A TE! » Si
bloccò, fissandomi triste. Poi, piano, alzò una mano e la posò sulla mia
guancia. « Bella, io non ti considero un mostro. » mormorò piano, avvicinando
il viso al mio collo. « Potresti anche trattarmi meglio, non ti pare? »
chiesi tremante, mentre mi abbracciava, baciandomi il mento. « Io… io non
sono in collera con te, e mi dispiace di averti urlato addosso. Io… mi sento
così sbagliato. » confessò, nascondendo il viso nell’incavo del mio collo.
Allora, come si fa come un bambino quando scopre qualcosa di nuovo talmente
sconosciuto da farlo impaurire, iniziai ad accarezzargli i capelli. Non so come
ci ritrovammo sul divano – io intenta ad accarezzargli i capelli ramati, lui
appoggiato al mio collo a occhi chiusi -. Rimanemmo in quella posizione a lungo,
avvolti nel silenzio della casa e imprigionati nella nostra intima bolla
privata. Non si sentiva volare una mosca e, anche con il mio udito migliorato,
non riuscivo a captare la presenza degli altri. Solo quando passò un ora capì
che dovevano essersene andati da qualche parte, lasciandoci la casa vuota.
Era bello restare in quella posizione… per una volta, non ero io quella a
essere consolata o abbracciata come una bambina. In quel momento, Edward era più
fragile e stanco che mai. E sapevo che solo io potevo aiutarlo ad accettare
tutto quello, perché ero io la protagonista di quella vicenda che a stento
riusciva ad accettare. E in quel momento, non seppi darmi una spiegazione, mi
venne in mente se quando era umano sua madre l’aveva mai accarezzato
così. Edward non mi parlava mai della sua vita a Chicago, prima della
trasformazione e di quella maledetta malattia. Non che non volesse rendermi
partecipe dei suoi ricordi, ma – come mi ripeteva pacato – non aveva nessuna
memoria al riguardo. Diceva solo che si ricordava alcuni posti di Chicago,
allora non moderna come ora, nella quale passava ore intere a leggere e a
pensare. Avrei tanto voluto saperne di più. Quale erano le sue abitudini, i
suoi modi di fare di allora… era sempre stato così? Oppure era diverso? Tanto
domande e, purtroppo, sapevo, nessuna risposta. Sospirai, e gli baciai la
nuca. « Edward? » lo chiamai. Lui sospirò contro il mio collo, facendomi
rabbrividire. « La sai una cosa? » « Quale? » « Ti amo. » Lo sentì
ridacchiare, e mi si sciolse il cuore. Poi si allontanò per guardarmi in
faccia. « Indovina. » disse sarcastico. Lo fissai confusa. « Anch’io ti
amo. » Restituì il sorriso, e gli accarezzai il volto. Feci per baciarlo, ma
la porta principale si aprì, facendo entrare una Alice e un Jasper carichi di
pacchi. « Ops, scusate! Momento sbagliato? » chiese divertita, notando le
nostre espressioni infuriate. Edward, in risposta, emise un ringhio. Il
divertimento di Alice si allargò. « Bè, pare che non siamo graditi, Jazz.
Andiamo in camera. » Ma prima che potessi vedere altro, mi sentii
all’improvviso stanca. Le palpebre mi si abbassarono e, per la seconda volta in
una giornata, vidi solo il buio.
Volevo svegliarmi, ma
la sensazione di pace che provavo era troppo intensa per poterla trascurare.
Quindi mi lasciai andare libera come l’aria, aspettando di posare i piedi a
terra, cosa che successe poco dopo. Appena toccai un corpo solido sotto di
me, aprii gli occhi, notando quanto fosse buio. Doveva essere sera inoltrata. Mi
stropicciai gli occhi, e misi a fuoco il posto. Dinanzi a me vi era una casa,
non molto grande, dal colore stinto e trascurato. Dietro di me si stendeva una
via molto lunga, con ai margini altre case. Dove mi trovavo? Provai a camminare,
e ci riuscii. Quindi, mi avvicinai alla porta di quella casa così cupa. Notai
una targhetta in oro accanto al portone, e, con sorpresa crescente, lessi il
cognome scritto in bella calligrafia.
Mr. e Mrs.
Brandon.
Ci restai di stucco.
Quel cognome lo avevo già sentito… era quello di Alice da umana! « Non ci
posso credere… non dirmi che sono nel passato di Alice! » mormorai portandomi
una mano alla testa. Tuttavia, la mia attenzione si spostò su degli uomini
vestiti di nero che procedevano in fila lungo la via, in direzione della casa.
Velocemente mi scansai ma – quando vidi che non mi calcolavano – mi diedi della
stupita. In fondo, ero come un fantasma. Loro non potevano scorgermi. Sospirai
un po’ impaurita. Questi ultimi, arrivarono fino al portone, dove bussarono
fortemente.
« Aprite, polizia di
Biloxi! » Sussultai. Biloxi: era dove viveva Alice…! Ma presto la porta
si aprii, e il mio stupore crebbe ulteriormente. Sull’uscio di porta vi era una
donna: avrà avuto una quarantina d’anni; il viso a cuore lasciava intravedere
qualche ruga qua e la; i capelli, scuri e indomabili, le ricadevano scombinato
sul volto stanco. « Buona sera. Siete venuto per lei? » chiese con voce
roca. L’uomo più alto annuii.
Proprio in quel momento gli uomini
entrarono, lasciando sola la donna sull’uscio insieme ad un anziano che reggeva
nelle mani dei fogli. « Questi sono i moduli per il manicomio. E questi per
rilasciare la sua morte. » Prima che potessi formulare dei pensieri sensati,
vidi un’ombra uscire dalla porta, scortata da quegli uomini in nero. E quasi non
caddi a terra quando quella figura minuta alzò la testa. Era buio, quindi non
potei vedere tutto nei minimi dettagli. Ma la luce fioca che arrivava da dentro
casa la illuminò a sufficienza per poterla vedere bene. Aveva un viso da
folletto, a cuore; gli occhi erano scuri, e i capelli neri pece; quest’ultimi
erano lunghi e ondulati, legati in una treccia ormai srotolata; l’espressione
era dolorante, e il bel viso era contratto un una smorfia di dolore. « Stia
tranquilla, signora. Andrà tutto bene. » disse spiccio un uomo. « Vedrò che
starà bene in manicomio. » Al sentir nominare quel nome, la ragazza iniziò a
divincolarsi, urlando a squarciagola. « NO! NO, MAMMA NON SONO PAZZA! NON
MANDARMI LA, MAMMA! AIUTAMI, TE NE PREGO! » Non avrei mai pensato di vedere
un Alice così. Quella che conoscevo io aveva sempre il sorriso sulle labbra
perfette, pronta ad abbracciarmi appena mi vedeva dietro l’angolo. L’Alice che
invece era lì era stremata, e gli occhi sul suo viso pallido spenti. Non c’era
allegria, ne amore nel suo sguardo. Non c’era l’espressione giocosa e sarcastica
che rivolgeva a Edward… non c’era neanche un sorriso dolce di quelli che dava a
Jasper per ravvivarle il viso. E il mio stomaco fece una capriola quando l’uomo
le diede uno schiaffo in pieno viso, facendola gemere. « Sta zitta! » grugnì
l’individuo, mentre calde lacrime le bagnavano la guancia arrossata. Avrei
voluto tanto soccorrerla, rimetterla in piedi e abbracciarla. Ma niente mi diede
la forza. Intanto, sapevo che non sarebbe cambiato niente. Alice non mi avrebbe
visto, ne mi avrebbe rivolto un sorriso di gratitudine. Quindi dovevo rimane
in un angolo, a fissarla rammaricata, sperando che quell’incubo
finisse. Rimasi li impalata, mentre la portavano via. Quindi, mi accasciai a
terra e chiusi gli occhi. La voglia di tornare a casa era enorme. Volevo
andarmene da li! « Voglio andare a casa. » gemei, nascondendo il viso fra le
mani. E di nuovo una sensazione liberatoria. E di nuovo, la mia ascesa nel
paradiso.
Quando riaprii gli
occhi l’intera famiglia Cullen mi stava fissando preoccupata. E subito Edward mi
sostenne, mentre mi dimenavo spaventata. « Alice! Alice! » mormorai spaesata.
Tutto roteava troppo, troppo forte… La diretta interessata si fece spazio e
si sedette vicino a me sul divano. « Sono qui, Bells! » disse, accarezzandomi
una guancia. Io mi calmai un attimo, e chiusi gli occhi. « Ti ho vista,
Alice. » dissi piano, riaprendo gli occhi. Lei parve non capire. « Sono
andata indietro nel tempo e… e c’eri tu. » continuai impaziente che capisse. La
vidi strabuzzare gli occhi. « E’ come vi ho spiegato. » iniziò allora
Carlisle rivolto a tutti i presenti. « Può andare indietro nel tempo. » « E
tu mi hai vista? » disse Alice scettica. Annuii. « Ero a Biloxi… e c’era
buio, doveva essere sera… degli uomini sono entrati in casa tua e ti hanno
portato via. Urlavi tanto, eri stremata… è stato orribile… » Tutti si
gelarono sul posto, mentre vidi Jasper che di soppiatto prendeva la mano di
Alice nella sua. « Ci siamo spaventati, Bella. Sei rimasta a occhi chiusi
per mezz’ora. » dimmi Carlisle in tono grave, mentre Alice ricambiava la stretta
di Jasper. « Mezz’ora? » ripetei incredula. Annuii. « Alice, vieni. »
disse Jasper all’improvviso. Mi voltai verso Alice, che aveva lo sguardo
perso nel vuoto. Jasper la cinse le spalle con un braccio e, parlandole
sottovoce, l’allontanò da noi, portandola al piano di sopra. « Scusala. Deve
esserci rimasta male. » si scusò Esme. « Sapere che tu in un qualche modo hai
visto la sua vita mortale mentre lei non se la ricorda non deve averle fatto
piacere. » concluse con un sospiro. Annuii delusa. Non volevo fare del male ad
Alice. « Senti Bella, penso che questo tuo potere possa essere veramente
affascinante. » iniziò Carlisle. « Tuttavia penso sia anche un poco pericoloso.
» concluse calmo, mentre tutti lo fissavamo improvvisamente atterriti. « Spiegati meglio. » disse Edward
impaziente. Carlisle sospirò. « Avete notato tutti, immagino, come lei non si
sia risvegliata neanche dopo averla quasi fatta cadere dal divano. » e detto
questo lanciò un’occhiata di sbieco a Emmett, che fece finta di niente. « Questo
significa che se non è lei a volerlo non può tornare con noi quando è indietro
nel tempo. » sospirò. Mi rilassai. « Bè, non è niente di che. Basta che io
desideri veramente tornare e il gioco
fatto. » risposi tranquillizzata, mentre tutti mi fissavano un poco più
sereni. « Già. Comunque sei in uno stato pietoso, devi venire a caccia. »
disse senza tanti preamboli Emmett, alzandosi dal divano per venirmi incontro.
Annuii, e lo seguì.
**
Appena tornai a casa
dopo la battuta di caccia mi diressi in camera di Edward. Infatti, non era
venuto con me ed Emmett a bere, e, come avevo previsto, si era rinchiuso nella
sua stanza ad ascoltare a tutto volume della musica rock. Quindi, quando arrivai
di fronte alla sua porta, bussai piano, consapevole, però, che mi avrebbe
sentito. Infatti in un attimo la musica cessò, e lui si presentò davanti a me
con un’espressione neutra. « Com’è andata? » chiese lanciandomi passare.
Quindi entrai e mi fermai di fronte a lui alzando le
spalle.
« E’ andata. »
borbottai sbuffando. « Come sta Alice? » chiese poi in ansia. Lui si soffermò a
fissarmi, poi, con mia grande gioia, mi cinse le spalle con un braccio,
lanciandomi appoggiare la testa sulla sua spalla. « Bene. Jasper ha detto che
ci è rimasta solo un po’ male… sapere cosa le hanno fatto, trascinandola via
mentre sua madre non aveva mosso un dito, è stato un brutto colpo. » Annuii
saggiamente, mentre mi portava verso il divano. Li si sedette e mi mise sul suo
petto. « Papà come l’ha presa? » chiesi poi, giocherellando con i suoi
capelli. Lo sentì irrigidirsi. « Secondo te? Quando il medico glielo ha detto
hai visto anche tu la scena. » ringhiò. Mi diedi mentalmente della stupida. Con
Edward, presi mentalmente nota, non dovevo più parlare di quello che avevo
lasciato indietro. Era già abbastanza cupo di suo senza che io complicassi le
cose. D’istinto chiusi gli occhi, ma non mi sentivo stanca. Al contrario, ero
più rinvigorita. « Hai gli occhi color topazio. » Aprii gli occhi e lo
fissai curiosa. « Davvero? » chiesi sorridente, mentre lui annuiva pacato.
« Perché non sei venuto con noi? » chiesi poi, sfiorando le sue occhiaie
profonde sotto gli occhi scuri. Alzò le spalle. « Non me la sentivo. » disse
solamente. Sospirai. Di sicuro non voleva vedermi cacciare. Quella sarebbe stata
la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. « Bella? » « Sì? » «
Andiamo a prenderci una boccata d’aria. »
Mentre camminavo nel
giardino di casa Cullen con Edward al mio fianco mi sentii un attimo serena. Lui
era sempre muto, ma cercavo di non badarci. Piano piano ci incamminando verso il
fiumiciattolo li vicino e, per una volta, non mi preoccupai di dover camminare
fra radici e buche pericolanti. Tuttavia, dovetti ricredermi, quando inciampati
su un rametto e quasi non caddi per terra, facendo far capolino sul viso di
Edward un’espressione divertita. « Sempre la solita. » boffonchiai
rialzandomi a fatica, mentre mi reggevo all’albero che aveva attutito la caduta.
Continuammo a
camminare in silenzio, fino a quando non vidi il fiume. Allora mi avvicinai
velocemente, inginocchiandomi vicino all’acqua. Era pulitissima. Ma prima che
potessi fare qualcos’altro sentì uno spruzzo d’acqua bagnarmi il viso,
prendendomi di sorpresa. Allora mi girai e vidi Edward che – cauto – mi fissava
con il suo solito sorriso sghembo. Ricambiai il sorriso, mentre cercavo di
bagnarlo io, questa volta. Ma lui fu più veloce: me ne spruzzò un secondo,
stavolta sulla testa. Indignata mi buttai su di lui, mentre scoppiava a ridere e
rotolavamo lontani da li. « Come ti permetti! » risi, mentre lui mi
intrappolava nella sua morsa d’acciaio, finalmente sereno. « Ce l’ha con me
Miss Swan? » mi chiese ridendo di gusto, mentre lo fissavo fintamente
seccata. « Naturalmente Mister Masen! » Allora mi fece la linguaccia, e mi
abbracciò. Ricambiai volentieri quel gesto d’affetto e in men che non si dica mi
prese il volto fra le mani, guardandomi ancora più divertito. « E tu vorresti
dirmi che ti dovrò sopportare per sempre? » chiese scherzoso, mentre gli
tiravo un pugnetto sul petto poco forte. « Certo, ogni singolo, preciso,
continuo, secondo della tua esistenza! Ti starò attaccata come una cozza
ventiquattro su ventiquattro. » replicai stando al suo gioco. Quindi, posò le
sue labbra di ghiaccio sulle mia con dolcezza. Quando si separò, mi sussurrò
solo poche parole. « Parli come se prima non ci stavi... »
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Capitolo 4 *** Capitolo 3_Esme ***
‘Giorno! Eccomi qua
con il terzo capitolo, nella quale si inizia a fare un serio ed entrare nel
pieno della storia! E come al solito (sono molto monotona) ringrazio i miei
recensori e i miei lettori! Grazie a tutti!
Missy16
Hysteria
Amy89
solembun
aras
kiakkina
puffoletta
Mew
Pam
aKifer
Elychan
FrancyChan
xChemical_Ladyx
SamaCullen
__darklily__
baby93
E rispondo a qualche commento:
1) Però, credo ci
siano delle profonde pecche nella storia. Prima tra tutte, della nuova parte
vampiresca (si dirà?) di Bella accentui solo le visioni, tralasciando ciò che
ogni fan attende trepidante: L'iniziazione alla caccia, la scoperta dei nuovi
limiti fisici. Attendevo con ansia, sebbene fossi rimasta scoraggiata dalle sue
debolezze fisiche nel primo capitolo, di vederla iniziare a correre o esporsi al
sole. Di vederla,insomma, contemplare più a lungo il suo nuovo stato. Bella è un
vampiro, ma non lo sembra. Anzi, continua a sembrare "diversa" da loro,quasi
come se fosse un umana sensitiva. Di akifer
Rispondo a questo ottimo commento dicendo che, come si sarà
visto, ho tralasciato la sua “vampirizzazione” perché volevo concentrare la
storia sul passato dei personaggi e – dato che verrà una cosa molto lunga e si
sa, le cose lunghe alla fine stufano – ho dovuto un po’ tagliare. Mi dispiace
molto di questo, perché so che è un argomento molto pieno di sfumature che
sarebbe stato meglio definire. Tuttavia spero nei prossimi capitoli di inserire
qualcosa in più. Già in questo ho detto qualche parola sulla caccia.
Per
ora è tutto! Ciao! Lore-Minako
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 3: Esme.
×
Quando tornammo a
casa mano nella mano non potei non accorgermi delle occhiatine maliziose di
Emmett. In tutta risposta io gli feci la linguaccia, suscitandogli una risata
argentina, mentre mi dirigevo verso il bagno. Avevo bisogno di rilassarmi un
po’. Quindi mi portai il ricambio pulito, aprii la doccia e vi entrai,
aprendo l’acqua calda. Con sollievo chiusi gli occhi, sospirando tranquilla.
L’acqua scorreva quasi ipnotizzandomi, mentre mi lasciavo
andare.
E feci l’errore di chiudere gli occhi. L’ultima cosa che
sentì fu la botta che presi quando caddi rumorosamente nella doccia senza
conoscenza…
E nuovamente mi
ritrovai a vagare, mentre l’aria intorno a me prendeva l’aroma di fiori
selvatici. Respirai a pieni polmoni quel profumo così inebriante, mentre sentivo
delle risa attorno a me. Quindi, quando fui sicura di non volteggiare più, aprii
gli occhi, e mi stupii di trovarmi in un ampio prato verde, ai piedi di una
bella villetta fuori città. Un leggero venticello mi smoveva un poco i miei
capelli castani, mentre rivolgevo la mia attenzione a delle ragazzine di
quattordici-quindici anni giocare fra loro, rincorrendosi. Erano in cinque: la
prima, vidi, se ne stava tranquilla all’ombra di una grossa quercia a guardare
le altre giocare. Aveva boccolosi capelli chiari, che le ricadevano appena sulle
spalle da quanto non erano molto lunghi. Le altre, invece, continuavano a ridere
fra loro, annusando i fiori o chiacchierando amabilmente. Sembrava una scenetta
di quei film vecchi, nella quale le ragazzine di buona famiglia non facevano che
sorridere e starsene tranquille a leggere un libro rilegato in
pelle. Sospirai, rendendomi conto che dovevo essere tornata indietro nel
tempo, di nuovo. Ma in che passato
potevo essere? Emmett? No, quella non era una scena adatta a lui. Jasper? No di
nuovo, e poi li erano tutte femmine! Allora Rosalie? Guardai meglio le
bambine, alla ricerca di una con i capelli biondi. Ma con delusione scoprii che
tutti avevano capelli scuri. Quindi, non rimaneva che Esme. Ma era impossibile:
quelle bambine non potevano essere lei! In effetti nessuna le assomigliava. E
poi, come tutte, rivolsi la mia attenzione a quella con i capelli boccolosi, la
quale – essendosi alzata in piedi e avendosi dapprima spolverato il vestito
pomposo color rosa antico – inizio a salire sulla quercia, provocando non poco
stupore da parte di tutti, perfino da me. « Sta attenta, Esme! Non fare sciocchezze!
» Sobbalzai stupita, fissando la ragazzina che si stava arrampicando. Esme?
Quella era Esme? La stessa che quella
mattina mi aveva fissato con uno sguardo dolce, sposandosi una ciocca dei lunghi
capelli boccolosi dietro l’orecchio? « Sta tranquilla, Charlotte. » disse
“Esme”, continuando la sua scalata. Mi morsi un labbro. Avevo paura che cadesse.
Come tutte le presenti d’altronde. « Potresti farti male! Scendi! » continuò
la bambina che l’aveva chiamata per nome prima, quella con i capelli più scuri
di tutte. Ma prima che Esme potesse dire qualcosa, un ramo si spezzò, e lei
cadde a peso morto sul prato sottostante, facendo urlare le ragazzine. Mi
portai una mano alla bocca, avvicinandomi preoccupata. Esme aveva iniziato a
gemere per il dolore procurato da una brutta ferita alla gamba. « Che male! »
esclamò, chiudendo gli occhi e arricciando il naso. Presto, sentii qualcuno
passarmi vicino correndo, e potei notare una donna simile alla Esme che
conoscevo io nel futuro. Stesso volto a cuore, stessi capelli lunghi: quella
doveva essere sua madre. « Esme, sei veramente impossibile! Avanti, andiamo
all’ospedale! » disse frettolosa la donna, prendendola in braccio, uno sforzo
non da poco visto che continuava a dimenarsi per il dolore. E prima che potessi
fare qualcosa, ecco che se ne stavano già andando. « Aspettatemi! » urlai
stupidamente, correndogli dietro.
Un quarto d’ora dopo mi ritrovai in un
ospedale dell’epoca, completamente privo di personale medico. Si vedevano in
giro solo dottori, nessuna infermiera e neanche qualche sala d’attesa. Sospirai
e aspettai insieme all’Esme ragazzina il dottore di turno che l’avrebbe curata.
Eravamo in una stanza completamente bianche, munita solo di un lettino, sulla
quale vi era lei, con la mano pigiata sulla ferita non poco sanguinante. Sua
madre non faceva che sbuffare. « Aspetta che torniamo a casa e ti sistemo. »
sibilò un paio di volte, facendola sobbalzare di paura. Che donna
antipatica. E poi la porta si aprii e comparve un uomo. Un uomo che, se pur
dall’aria stanca, era più bello di qualsiasi divo. E li lo riconobbi: era
Carlisle. Lo fissai stralunata per un bel po’ prima di rendermi conto di
colui che avevo davanti, completamente ignaro della mia presenza. E quando alla
fine ripresi coscienza di me stessa sogghignai quando vidi che Esme lo fissava
imbambolata. In tutta risposta il dottore le sorrise, facendola arrossire.
« Allora, cosa è successo a questa bella signorina? » chiese con dolcezza
Carlisle, esaminando la ferita. « Sa, dottore, Esme è un po’ esuberante… ha cercato di arrampicarsi
su di una quercia ed è caduta. » disse in imbarazzo la madre, mentre Esme
abbassava lo sguardo rossa di vergogna. Carlisle però non fece una piega e –anzi
– con il pollice le alzò il volto, guardandola negli occhi. « Sta tranquilla,
adesso ti sistemo tutto. » disse sorridendo amorevolmente, mentre Esme arrossiva
come un peperone. « Grazie. » mormorò, e stette in assoluto silenzio quando
Carlisle iniziò a curarla. Sorrisi. E così si erano conosciuti prima
dell’incidente di alcuni anni dopo. « Ora però voglio tornare a casa. Voglio
Edward. » mormorai sospirando. Volevo il mio angelo… lo volevo
davvero…
« BELLA! » Riaprii gli occhi, mentre l’acqua della doccia
mi colpiva forte in pieno viso. Ripresi coscienza di me stessa, e mi lasciai
trasportare da due braccia forti fuori dal vano doccia. « Oh, Bella! Pensavo
non ti svegliassi più! » Chiusi gli occhi stanca, mentre qualcuno,
probabilmente il mio salvatore, mi avvolgeva in un asciugamano coprendomi. E
solo allora mi accorsi del profumo di Edward, mentre mi prendeva in braccio,
chiudendo l’acqua e portandomi fuori dal bagno.
« Edward? » chiesi
stanca come non mai, appoggiando il viso al suo petto. « Tranquilla Bella,
ora sei fra noi. » risposta baciandomi la fronte, mentre mi rilassavo contro di
lui. « Quanto sono stata incosciente? » chiesi, mentre mi appoggiava da
qualche parte. Ma, dato che avevo le palpebre troppo pesanti per aprire gli
occhi, non seppi dire con esattezza dove mi trovavo. « Da un’ora. Gli altri
sono usciti, ed ero rimasto solo in casa. Non uscivi più, così ho bussato. Ma
non rispondevi. Così ho aperto la doccia. » al pronunciare quelle ultime parole
sentii la sua voce incrinarsi imbarazzata, e io sprofondai nell’imbarazzo.
Fantastico, mi aveva vista nuda nella doccia, mi ci mancava solo quello! «
Tranquilla, ho cercato di mantenere l’attenzione sul tuo viso. » sogghignò.
Sospirai di sollievo. « Non sospirare, ho detto che ho cercato di mantenerla, non che sono
riuscito del tutto. » Sbuffai e aprii gli occhi, fissandolo. E allora notai
che eravamo in camera sua, io sul divano e lui accanto a me inginocchiato ai
piedi del mobile. « Cos’hai visto? » chiese poi serio. Mi morsi un
labbro. « Esme e Carlisle. » iniziai. E li raccontò tutta la visione, mentre
ascoltava interessato. « In effetti mi aveva accennato che si erano visti
quando lei si era fatta male. » borbottò. Io sorrisi, più in forze. « Sono
andati a caccia? » chiesi. Lui annuì. E allora mi rabbuiai. « Avresti dovuto
andarci anche tu. Sei in uno stato a dir poco pietoso. » Sbuffò alzando gli
occhi al cielo. E allora mi accorsi che era veramente messo male: le occhiaie
erano più livide che mai, simili a due profonde bruciature; gli occhi erano un
pozzo color onice, e la pelle di un color gesso più bianco del solito. «
Posso chiederti da quanto non vai a caccia? » chiesi guardandolo male, mentre
lui ripercorreva l’ultima volta che aveva bevuto. « Non tanti giorni fa…
ricordi? Quando… quel camion ti ha
investita io ero a caccia. » sbottò contrariato da quella discussione. « Deve
essere il mio umore che ha influito. » concluse in un borbottio sommesso, mentre
iniziavo ad accarezzargli il volto. Solo allora, però, mi accorsi di avere
addosso solo un asciugamano, e allora mi alzai di botto, mentre lui mi fissava
stupito. E l’istinto femminile prese il sopravvento. Gli tirai uno
schiaffo, facendogli fare una capriola all’indietro, mentre correvo in bagno e
prendermi i miei vestiti.
Lo schiaffo non lo prese bene, considerando che
mi guardò in cagnesco per tutto il pomeriggio, nella quale gli altri erano
ancora fra le montagne a caccia. Rimanemmo in salotto, io a leggere per
l’ennesima volta Orgoglio e Pregiudizio e lui che mi fissava irritato. ”Mi
hai fatto fare una capriola” brontolò un paio di volte, mentre io non potevo che
sorridere divertita, cercando di concentrarmi su Mr. Darcy che cercava
l’attenzione di Lizzie. Comunque il libro non mi distolse dalla visione che
avevo visto. Niente di traumatizzante, ma il fatto di esser rimasta senza
coscienza per un’ora mi aveva messa in agitazione. Alla fine sbuffai, annoiata
per quel mio modo di pensare. Perché farla sempre più grande di quella che
era?! « Fra quanto arriveranno? » chiesi a Edward alla fine, chiudendo il
libro con la premessa che l’avrei ripreso in seguito.
« Penso fra poco. E
dovremmo raccontargli tutto. » disse sospirando, accendendo la televisione alla
ricerca di qualche programma interessante. Ma era veramente annoiato, glielo si
leggeva in faccia, mentre cambiava canale con la velocità di un fulmine. « Ti
svelo un segreto. Se non schiacci i bottoni puoi vedere il programma. » dissi
sarcastica, mentre lui mi guardava di sbieco lanciandomi il suo famigerato
sorriso sghembo che adoravo. « Davvero? » mi chiese malizioso, spegnendo la
tv. Io lo fissai, mentre mi si avvicinava piano per poi prendermi fra le
braccia. « Non lo sapevi? » chiesi innocentemente, mentre mi sfiorava il
volto fra le dita. Poi mi incupì. « Ti piaccio anche così? » iniziai
tentennante. « Voglio dire, così vampiro? » Lui divenne serio,
mordendo un labbro perfetto. « Certo che sì, Bella. Tu sei la stessa.
Comunque non è che non mi piaci. Te l’ho già detto, volevo che rimanessi umana.
Ma ti prego, non iniziamo questo discorso. Anzi, sai cosa facciamo? » chiese
sorridendo allegro. Il suo tono influì su di me, e sorrisi a mia volta. « No,
cosa? » chiesi curiosa. Allora lui mi prese per i fianchi, e iniziò a farmi il
solletico. Io, per la sorpresa, caddi dal divano, ridendo a crepapelle, con lui
su di me che continuava a solleticarmi la pancia. « Vigliacco! » urlai in
preda ad una crisi di risa, mentre lui si univa a me. « Allora soffri il
solletico, eh? Interessante! » rise, tornando ad essere l’Edward vero e proprio
che mi aveva raccontato la sua storia nel nostro prato segreto. « Non è
giusto! » dissi col fiatone, quando smise, sdraiandosi di fianco a me sul
pavimento freddo. « Ti amo. » mormorò con le labbra premute sui miei capelli.
Sorrisi estasiata. « Anche io. Tanto. » risposi. Comunque, in quel momento
sentii gli altri arrivare, quindi ci alzammo in piedi entrambi e ci
ricomponemmo. Tempo due minuti ed eccoli sull’uscio della porta. « Carlisle,
Bella è stata nuovamente nel passato. » disse in fretta Edward, tornando serio.
Carlisle e gli altri rimasero di sasso, avvicinandosi a me. « Cos’hai visto?
» mi chiese, sedendosi di fronte a me. Presi un respiro, e indicai Esme, che mi
fissava curiosa. « Esme da ragazzina. Avrà avuto sì e no quattordici anni. E’
caduta da una quercia, e così sua madre l’ha accompagnata all’ospedale, e lì-
» « C’ero io. » concluse Carlisle con un luccichio negli occhi ambrati,
mentre Esme mi fissava emozionata. « Wow! » disse Emmett, per poi rivolgersi
a Edward. « Ma lei non era andata a fare la doccia? » Se fossi stata umana
sarei arrossita, ma la mia espressione dovette metterli sulla buona strada per
capire tutto. Allora Emmett mi guardò malizioso. « Eh bè, visto niente di
interessante, fratellino? » chiese, scatenando le risa di parte di tutti. Edward
in risposta si lasciò sfuggire un ringhio giocoso, per poi diventare per
l’ennesima volta serio. « Dovete sapere che, però, stavolta è rimasta nel
passato per un’ora. » disse in tono grave, facendo sobbalzare per lo stupore
Carlisle. « Un’ora? » ripetè meravigliato, mentre annuivo. Sospirò,
passandosi una mano sul volto. « Non so se bisogna preoccuparsi o no. »
mormorò più a se stesso che ai presenti. Passai in rassegna di ogni volto, e
notai che tutti sembrava in ansia. Alzai le spalle. « Per favore, non
preoccupatevi! Mica posso restare nel passato per sempre, no? » chiese
mettendola sul ridere. Loro si rilassarono. « Ha ragione, non c’è da
preoccuparsi. » iniziò con un sorriso Emmett. « Quello su cui dobbiamo veramente
fermarci a pensare è un’altra cosa. » concluse stranamente serio. Tutti
attendemmo in silenzio, curiosi e anche un po’ spaventati. Vedere Emmett così
riflessivo non portava nulla di buono. Alla fine parlò. « Insomma, voi non
sospettate che Edward l’abbia vista nuda? » E distraendolo con un pugno ben
assestato, Edward gli saltò addosso.
Dopo che Edward ebbe
massacrato di calci e pugni Emmett – il quale si divertiva un mondo a vederlo
così imbarazzato – lo trascinai con la forza ad andare a caccia. E, se sulle
prime era poco convinto, quando lo misi alle strette dicendo che avrei detto a
tutti che mi aveva vista nuda, non se lo fece ripetere due volte, e camminò
anche velocemente. Quindi entrammo nel bosco. Lui non sembrava molto a suo
agio. A quando gli chiesi il perché alzò le spalle vago. Così non gli feci più
domande, pensando di averlo seccato. E, alla fine, notai un paio di cervi
accanto ad un albero, poco distanti da noi. E subito qualcosa scattò. Era
indescrivibile… l’adrenalina in quei momenti arrivava quasi a singhiozzo al
cervello, facendomi venire quasi l’emicrania; i muscoli improvvisamente
guizzavano, facendomi sobbalzare; e, d’improvviso, diventava tutto soffuso. Non
una singola parte del mio cervello mi rispondeva, facendomi mantenere la
concentrazione. L’ultima cosa che vidi prima di catapultarmi come un felino
verso quei poveri animali fu Edward: era diventato rigido, gli occhi onice
liquida, pronto a balzare appena avrebbe visto la mia reazione. E così fu: mi
lanciai con forza, ringhiando dal petto, e lui mi fu accanto. Poi soltanto un
caldo bruciore nella gola prima di saziarmi…
Cademmo entrambi
sull’erba morbida, sazi e lui finalmente con gli occhi chiari color topazio.
Sospirai contenta. « Direi che sei tornato normale. » dissi sorridendogli,
appoggiando il mio viso contro il suo petto. Lui sbuffò. « Grazie. » replicò
sarcastico, mentre lo fissavo di sbieco. « E’ stato così orribile vedermi
cacciare? » chiesi facendo la finta disinteressata. In realtà volevo sapere
tutto.
« Devo solo abituarmi
a vederti sotto questa luce. » disse apprensivo. « Sai quanto sono noioso, per
un po’ rimarrò così. » sospirò, posandomi un bacio sui capelli. Convenni su quel
punto, e chiusi gli occhi. « Secondo te tornerò nel passato anche degli
altri? » chiesi curiosa. Lui alzò le spalle. « Penso di sì. » disse
solamente. « Solo che non vorrei che vedessi cose… come dire… crudeli. Lo sai, no? Insomma, finora non
hai visto belle cose… Alice che veniva portata con la forza in manicomio, Esme
che cadeva da un albero, tuo padre in ospedale… » sospirò nuovamente. « Ti
mancano ancora Jasper, Rosalie e Emmett. » concluse. « E te. » lo corressi.
Lui si irrigidì. « Spero proprio di no. » mormorò secco. Lo guardai
curiosa. « Perché no? » chiesi. Non sembrava molto entusiasta. « Potresti
vedere cose di cui mi vergogno. » disse chiudendo gli occhi. E allora capì: si
riferiva a quando si era allontanato da Carlisle e Esme per nutrirsi di umani…
Rabbrividì. In effetti, neanche io avrei mai voluto vederlo sotto quella
luce.
« Dai, torniamo a
casa. » disse lui con un sorriso triste. Evidentemente stava ancora pensando a
quante vite umane aveva sacrificato per il suo appetito. « Sì, andiamo. »
replicai cercando di distrarlo. Camminammo piano in silenzio, mano nella mano. E
iniziò a piovigginare. « Hai un buon odore. » dissi io all’improvviso. Lui mi
fissò stupito. Risi. « E’ così. Sa di… non saprei… forse limone. » Mi guardò scettico. «
Limone? » « Sì. E’ un odore un po’ aspro, ma incredibilmente buono. » ripetei
io convinta e anche divertita dalla sua espressione. « Grazie per una
spiegazione così esauriente. » disse con un sorriso, mentre glielo ricambiavo.
« Comunque sarei curiosa di vedere il tuo passato. Naturalmente quello a
Chicago. » mi affrettai a dire, quando mi lanciò un’occhiataccia. « Capirei
un po’ più di te… chissà com’eri carino da bambino! » lo presi poi in giro,
scompigliandogli i capelli già spettinati di loro. « Ti immagino, sai? Con
due belle guanciotte rosse e delle belle lentiggini. » risi. Lui, imbarazzato,
guardò altrove. « Non posso dire nulla sua guance, ma… » incominciò in
imbarazzo. Lo fissai senza capire. « Bè, qualche lentiggine ce l’avevo… »
concluse con un sospiro. Io lo fissai un attimo. E non riuscì a
trattenermi. Scoppiai a ridere, facendolo sobbalzare stupito. « Davvero? »
chiesi divertita, mentre – imbarazzato – guardava altrove. « Non era colpa
mia! Con questi dannati capelli rossicci era normale avercele! » borbottò
contrariato.
Gli toccai
amorevolmente una guancia fredda. « Stavo scherzando, permaloso! » scherzai.
« Comunque anche la tua vita a Chicago non sarebbe meglio vederla. » finì con un
sospiro. Lui mi guardò curioso. « E se finissi nell’estate del 1918? Quando
stavi male? Non sopporterei vederti in un letto dolorante. » dissi piano. Lui mi
guardo triste. « Adesso capisci? » mi chiese. « Cosa? » « E’ per questa
stessa ragione che non ti sono stato accanto durante quei tre giorni. » disse in
un sussurro. « La tua vista mentre urlavi, mentre mi chiedevi di ucciderti per
il dolore che ti faceva impazzire… non ho sopportato. » concluse. « Mi
dispiace tanto. » Gli presi il volto fra le mani, e lo guardai negli
occhi. « Non fa niente. L’importante è che ora siamo insieme. » mormorai a un
centimetro dalle sue labbra. Lui chiuse gli occhi. « Già. » replicò. Sorrisi,
e lo baciai. Come al solito le mie gambe iniziarono a cedere, e la mia testa
volò altrove. Ma troppo
altrove… Mi sentii mancare, il corpo pesante e la mente vuota…
Quando riaprii gli occhi mi resi conto di
non essere più nel bosco con Edward. Ero un una via affollata, dove tutti mi
passavano accanto senza degnarmi di uno sguardo. I vestiti curati ed eleganti
svolazzavano via come foglie al vento. E alla fine, ancora scombussolata, alzai
gli occhi verso un cartello. E quasi non svenni. Lì, c’era scritto il nome di
quella città. E io mi sentii male.
CHICAGO.
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Capitolo 5 *** Capitolo 4_Ora sei un uomo ***
Salve! Quarto
capitolo online, e questa storia mi sta prendendo sempre di più. E spero che
anche a voi piaccia *^^. Questo è di certo il capitolo più smielato che
poteva uscirmi. E di questo mi rammarico XD. Scherzo, naturalmente, a volte non
posso proprio non scrivere qualche momento romantico fra i nostri eroi.
D’altronde, se le idee arrivano, perchè rifiutarle? Va bè, basta con le parole e
passiamo ai fatti. Thanks ai lettori, che stanno aumentando dalle statistiche!
Infatti risulta che in 579 hanno letto il primo capitolo. Grasssieeeee!!! E come
al solito i recensori, pronti e gentili che mi ricordano come sono fortunata ad
averli accanto a me ogni volta che pubblico qualche pazzia!
·
Missy16
·
Hysteria
·
Amy89
·
solembun
·
aras
·
puffoletta
·
Giuggiolina
·
aKifer
·
FrancyChan
·
xChemical_Ladyx
·
Hiromi
·
SamaCullen
·
squ1ddy
·
Elychan
E
rispondo a qualche commento:
1) Ma... non voglio
fare una figura alla "emmett", ma finalmente anche lei è vampira...si evolverà
la loro storia? Di
FrancyChan
Questa domanda mi
ha fatto sorridere. Però mi dispiace dirti che non ho mai scritto una scena del
genere, e mi sa che in questa storia non avrò la faccia di farla. XD. Sorry, ma
non mi sento ancora “preparata” per descrivere quella scena. Penso anche che
comunque la farei malissimo, quindi tanto vale lasciarla in un angolino per un
po’. Comunque farò qualche scena carina carina fra i due! In questo capitolo c’è
ne già una! Ciao FrancyChan!
2) Ho notato una
piccola distrazione:quando bella entra nella doccia dici che prima di perdere i
sensi ha chiuso gli occhi...ma erano già chiusi!li aveva chiusi appena entrata
sotto l'acqua! A parte questo non ho notato altro...! di
Elychan
Mea culpa! Grazie per
la dritta, vado subito a modificare! Ciao ciao!
E volevo dire a Hiromi che qualche volta mi sono
collegata a MSN, ma purtroppo non ti ho mai beccata! Ti assicuro che non lo
faccio apposta! E ora ho anche combinato un casino: praticamente mi sono
scordata la password così finchè non riesco a ricordarmela non posso entrare.
Sì, lo so, sono stupida come un asino. Mi dispiace tanto. Appena mi collego te
lo faccio sapere! Ciao Hiromi, e grazie mille per il commento! P.S. Ho letto
l’ultimo capitolo della tue strepitosa storia. Quante lacrime ho versato! Sing!
Okay, ho finito di
ciarlare. Leggete pure! Ciao ciao!
Minako/Lore
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 4: Ora sei un uomo.
×
Mi si fermò il
respiro. Ero a Chicago! Nella città nativa di Edward! Mi portai una mano alla
faccia, e mi girai intorno. Doveva essere li nei paraggi, quindi! Cercavo con
lo sguardo qualunque ragazzo potesse avere occhi chiari e i suoi inconfondibili
capelli ramati. Ma nessuno corrispondeva. Alla fine, confusa e stremata, feci
per andarmene, quando una macchina si fermò di fronte a me: era nera, lunga e
abbastanza bassa; il manubrio era lungo e lo riuscivo a vedere perché la vettura
era aperta, come una decappottabile; i sedili erano in pelle scura, che
contrastavano con i vestiti colorati delle due persone sopra all’auto. Una
donna dai ricci capelli rossi, infatti, indossava un lungo vestito color verde
chiaro, con fiori dai mille colori; i capelli erano legati in uno chignon alla
base della nuca, lasciando però qualche ciuffo davanti agli occhi verdi. E che
occhi! Verde smeraldo, di una magnificenza assurda. Aveva l’aria serena, con un
sorriso sulle labbra coperte dal rossetto rosa. « Forze, svendi! » disse con
voce dolce al figlioletto seduto accanto a lei. Allora posai lo sguardo su di
lui: capelli ramati, occhi come smeraldi, visetto rotondo e sguardo allegro.
Infatti aveva un sorriso stampato in faccia, che gli aveva fatto comparire due
dolce fossette ai bordi delle labbra rosee; le lentiggini gli coprivano il viso
pallido. Avrà avuto quattro-cinque anni, ed era una stupenda, delicata, bambola di porcellana.
« Dai, Edward! » Mi mancò la terra sotto i piedi. E mentre quel
bambino prendeva la mano della sua mamma camminandomi accanto con sguardo
felice, mi sentii male. E caddi nel vuoto…
Quando mi risvegliai
mi ritrovai da sola in una camera sconosciuta. Riaprii gli occhi stanca,
mettendomi a sedere. Allora, accesi la lampada posta sul comodino accanto al
letto sul quale c’ero. Quando la luce illuminò la stanza rimasi a bocca aperta:
era piccola, ma veramente stupenda. Le pareti erano color arancio pastello,
decorate con quadri ritraenti le cose più varie: paesaggi, città, mari in
tempesta… I mobili erano color legno chiaro e – si percepiva – pregiato. Un
grande specchio era posto nell’angolo a destra, accanto ad una grande finestra
che si affacciava sul giardino di Casa Cullen. E poi una scrivania, un
armadio, una sedia a dondolo… ma in che stanza ero? Stremata e con un filo di
emicrania – ma i vampiri, potevano averla? – scesi dal letto, e mi resi conto di
aver addosso un pigiama azzurro, molto pesante. E con meraviglia notai che erano
le tre di mattina, e fuori c’era una vera e propria bufera. Sbuffai, e aprii la
porta, rendendomi contro che ero all’ultimo piano. Allora, scalza e ancora un
po’ su di giri, aprii la porta della stanza di Edward, ma quando vi entrai non
lo trovai. Sospirai, e la richiusi. Quindi presi a scendere le scalinate, finché
non arrivai in salotto. Lì la luce era veramente fioca: il temporale continuava
prepotente fuori, e all’interno il buio sovrastava. L’unica luce presente era
quella che proveniva da una lampada vicino al divano, sulla quale c’era Esme,
intenta a leggere un libro. Allora mi feci notare, e lei alzò gli occhi. Subito
sobbalzò per la sorpresa, e mi invitò a sedermi accanto a lei. « Come ti
senti? » mi chiese preoccupata, mentre mi portavo le gambe sopra il divano per
poi appoggiare sopra le ginocchia la testa. « Ora bene. » dissi convinta,
mentre mi accarezzava una guancia. « Dov’è Edward? » chiesi poi. Lei mi fissò
accigliata. « Non è in camera sua? » disse. Negai.
« Non saprei, allora…
» replicò alzando le spalle. « Comunque non preoccuparti. » mi rassicurò
frettolosamente, quando vide che m’incominciavo ad rabbuiare. « Dove sei
andata stavolta? » chiese poi. Sospirai. « A Chicago… » mormorai. Vidi che
trattenne il respiro. « Ho visto la madre di Edward e lui. Avrà avuto quattro
anni. » finì spossata. Lei annui.
« Sei stata senza
coscienza per un po’… » disse poi sulle spine. Mi accigliai. « Ma io mi
ricordo che sono stata poco nel passato. » replicai confusa. « Non saprei… »
alzò le spalle. Sospirai. « Quanta confusione… » mormorai stanca. Lei mi
fissò un attimo, poi comparve Carlisle. « Ciao Bella. » disse tranquillo.
Accennai un sorriso in risposta. « Stavolta dove? » chiese poi. Gli risposi
come avevo detto a Esme. « Capisco… ma la cosa strana è perché ti è sembrato
che durasse così poco mentre sei rimasta senza conoscenza per molte ore… »
mormorò fra se pensieroso. « Comunque Edward è in biblioteca. » disse poi,
porgendomi una mano. « Ti accompagno. E’ un po’ difficile arrivarci. » Annuì,
e mi alzai, seguendolo.
Aveva ragione: ci volle un po’ prima che
riuscissi più a non cadere sopra le continue mattonelle messe male del pavimento
dei sotterranei. « Allora? » iniziò, facendomi strana sereno. « Com’era
Edward? » finì. Io sorrisi forzatamente. « Piccolo. » dissi pensierosa. « E
anche rotondo. » conclusi facendolo ridere. « Davvero? Non riesco proprio a
immaginarmelo tondo. Adesso è fin troppo magro. » disse con un sorriso sulle
labbra. Annuì, per un attimo rincuorata. Alla fine arrivammo ad un portone in
legno dall’aria vecchia. « Vai pure, io torno di sopra. » mi disse
dolcemente, allontanandosi. Allora presi un bel respiro e spinsi il portone.
All’interno vi era una stanza grande, circolare. Al centro vi era un tavolo di
legno scuro, ricoperto di fogli e libri. Intorno vi erano scaffali su scaffali
di moduli, libri e altri foglie ingialliti e vecchi. « E così ero rotondo,
eh? » Mi voltai a destra, e lo vidi seduto su una sedia con un libro sulle
ginocchia. Sorrisi colpevole. « Scusa. » mormorai. Lui sospirò, e mi chiese
di chiudere le porta. Io obbedii, e mi avvicinai a vedere cosa leggeva. «
Quindi mi hai visto da bambino? » mi chiese, alzando gli occhi per
immobilizzarmi con il suo sguardo. E subito l’immagine di lui da bimbo si fece
largo fra i miei pensieri. E mi stupì della differenza con il ragazzo di fronte
a me: le lentiggini erano scomparse, il viso era magro e gli occhi color
topazio. E comunque, il fisico la diceva lunga. Non era più un bambino. Lui mi
fissò confuso, costatando che ero caduta in una specie di catalessi. «
Bells? » mi chiese. Io mi risvegliai. « Scusa. Comunque sì. » risposi alla
sua domanda. Lui sorrise amaramente. « Non so perché ma mi vergogno. » disse
guardando altrove. Lo fissai confusa. « Insomma… è imbarazzante che la tua
fidanzata ti veda quando sei largo tre metri e alto due centimetri. » sospirò.
Io risi piano. « Dai, non eri così largo. Forse avevi tre chili in più che ti
rendevano… bo, gonfio. » dissi
divertita, mentre lui rideva sottovoce. « Sì, bè, ero carino, però. » mormorò
alzandosi in piedi con eleganza, posando quel libro sulla sedia. Annuì un po’
più entusiasta. « A proposito. Ti piace la tua stanza? » mi chiese,
abbracciandomi. Lo fissai. « Mia? » dissi. Lui annuì. « Sì. L’hanno
preparata Alice e Esme. Ho provato a dirgli che magari preferivi stare in camera
con me, ma Esme ha detto che è ancora presto. » disse cinguettando la voce di
sua madre. Io risi. « Vorrà dire che ti verrò a trovare di nascosto. » disse
divertita sottovoce, con fare cospiratorio. Lui mi baciò la fronte. « Non
servirà. Perché verrò prima io. » Chiusi gli occhi, appoggiando il volto al
suo petto. « Chi mi ha messo il pigiama? » chiesi sospettosa, mentre la sua
stretta intorno ai fianchi diventava più dolce. « Naturalmente io. » disse.
Aprii gli occhi e lo guardai male. Sospirò. « Alice. » Sorrisi e richiusi
gli occhi. « Sei rimasta molte ore senza conoscenza. » sospirò cupo. Strinsi
fra le mani la sua camicia. « Lo so. Ma a me sembra di esserci rimasta poco.
» dissi stufa di tutti quei misteri. « Per favore, però, ora non ne parliamo.
Sono stanca di questo potere. » dichiarai, nascondendo il viso nella sua camicia
chiara. Allora sentii che toccava qualcosa li vicino, ma io rimasi a occhi
chiusi a godere di quel contatto. Solo poco dopo mi resi conto di un suono dolce
che proveniva da qualche stereo li vicino. Quindi, curiosa, aprii gli occhi e
notai un giradischi accanto a me. Sorrisi, e mi rimisi nella posizione di prima
– occhi chiusi e testa appoggiata al suo petto – e lui iniziò a muoversi piano,
quasi cullandomi. E mi tornarono alla mente tutti i nostri momenti insieme… la
prima volta che lo vidi, la prima volta che mi parlò, il salvataggio dalla
macchina che mi stava per investire, a Port Angels, il prato, la sua famiglia,
il mio compleanno… e poi a Volterra, i baci, le carezze, e quella proposta di
matrimonio… Perché avevo risposto di no? A ripensarci ero stata una stupida
fatta e finita. Ma decisi di non pensarci. La musica continuava, con un ritmo
dolce e accattivante allo stesso tempo… sorrisi beata, mentre mi posava un bacio
sulla testa. « Come ho fatto a sopravvivere tutti questi anni senza di te? »
mi mormorò poi in un orecchio, mentre ridevo piano. « Devo ancora capirlo. »
replicai, mentre mi baciava le guance, i capelli, il naso e – sì – anche le
labbra.
E alla fine, mi
lasciai andare. « Sposami. » Lo sentì irrigidirsi, per poi avvicinare le
labbra al mio orecchio. « Non avevi detto che volevi aspettare i trent’anni?
» mi mormorò con voce roca. Rabbrividì. « Penso di poter fare uno sconto. »
replicai completamente soggiogata dal suo profumo. Lui rise piano. « Io
invece penso di no. » disse con un sospiro freddo contro il mio orecchio. Ci
rimasi male. « Perché no? » chiesi piano, non trattenendo una voce delusa.
Lui mi spostò un po’ per guardarmi negli occhi. « Non affrettiamo le cose,
Bella. Prima devi stare un po’ tranquilla, devi imparare a controllare il tuo
potere. E se ti venisse una “visione” all’altare? Che dico al prete quando mi
crolli fra le braccia? » mi chiese tranquillo, sposandomi una ciocca di capelli.
Sorrisi. « Già. » dissi. Però non mi andava ancora giù. Adesso sai cos’ha provato lui quando gli hai
riso in faccia dopo che ti ha fatto la proposta. Accidenti alla mia
coscienza! Comunque era vero… Sospirai, e sorrisi, mentre la musica
continuava. Lui pareva sereno. « Però potremmo fare un’altra cosa nel
frattempo. » disse dolcemente, riposando la mia testa sul suo petto. Aspettai
che continuasse. « Per esempio comprare una casa e andarci a vivere insieme.
» sospirò. Dovetti stare parecchi minuti ad assimilare le sue parole prima di
rispondere. Alla fine, mi spostai per guardarlo in faccia. « Dici sul serio?
» chiesi emozionata. Lui sorrise. « Certo. » disse. « Sempre se tu vuoi. »
replicò poi, diventando serio. Io feci finta di pensarci sopra. « Ad una
condizione, però. » risposi seriamente. Lui aspettò in ansia. Poi sorrisi. «
Voglio il giardino. » Lui mi fissò un attimo, ancora serio. Poi fece
comparire il suo famigerato sorriso sghembo. « Vuoi farmi credere che se non
ha un giardino non vieni a vivere con me? » mi chiese ridendo. Io feci la finta
offesa. « Ma certo! Lo sanno tutti che se nella convivenza non si esaudiscono
i desideri delle compagne la cosa non può andar bene. » dissi saggiamente. Lui
liberò una risata fragorosa, e mi prese i polsi. « Mi scusi, Madame, me ne
ero scordato. » disse galante. Allora sorrisi. « La perdono, ma solo perché
mi sta molto, molto, molto simpatico. » dissi allegra, mentre mi abbracciava
forte, schioccandomi un bacio sulle labbra. « Ti amo! » urlai quasi, ridendo
felice. « Come non amarmi? » mi chiese sarcastico, unendosi alle mie risa,
divenute più forti dopo che mi ebbe baciato di nuovo…
Mi accompagnò mano
nella mano in camera mia, dove potei finalmente levarmi il pigiama. Mi vestì
velocemente con un paio di blue jeans e un dolce vita rosso per poi sedermi sul
letto. Quindi presi un libro dal comodino e iniziai a sfogliarlo. Edward, prima
di uscire dalla biblioteca, me lo aveva messo fra le mani, dicendomi che magari
avrei trovato qualcosa. Lo sfogliai attentamente: parlava di poteri
sovrannaturali. Con la coda dell’occhio adocchiai la lettura del pensiero, la
possibilità di vedere nel futuro, e degli altri poteri che non mi erano nuovi
(la super forza, la velocità, la vista a raggi X e altri ancora). E alla fine
trovai quello che cercavo: le visioni del passato. Iniziai a leggere ansiosa
di sapere, ma già dalle prime righe ne rimasi delusa. Parlava, infatti, di come
certe persone rivedono la loro vita precedente, affermando di essersi
reincarnati. Niente portava al mio potere di viverlo il passato. Sospirai annoiata,
ma finì comunque di leggere il pezzetto che riguardava il mio potere. E, alla
fine, trovai qualcosa d’interessante…
Alcuni
arrivano perfino a credere di vivere il passato. Tuttavia è provato che sono
solo illusioni, niente e vero, ma il possessore di questo potere pensa di essere
nel passato e di poter vedere in primo piano tutto. Alcune streghe vennero
accusate di questo potere. Esse reagivano cadendo in una sorta di catalessi,
quasi avessero perso conoscenza. Quando riaprivano gli occhi raccontavano di
essere tornate indietro nel tempo. Tuttavia alcune erano così felici di vivere
tutte quelle illusioni che ci rimanevano per delle ore – alcune perfino giorni –
, e, quando si riprendevano, affermavano di esserci state poco. Questo è dovuto
al fatto che loro volevano davvero tornare indietro, ma la loro mente no. Alcune
non si sono più risvegliate.
Finì di leggere con il cuore in gola. Oddio.
Alcune non si sono più risvegliate.
Era
questo a cui andavo incontro? Rimanere in quelle illusioni per sempre?
Mai! « Edward! » urlai
terrorizzata. « EDWARD! » Mi crogiolai talmente tanto nella disperazione,
che, inevitabilmente, il buio mi avvolse. E capì che stavo tornando indietro nel
tempo…
Aprii gli occhi
spaventata, battendo i denti per la paura. « Edward?! » gracchiai,
guardandomi intorno. Ma era troppo buio perché io potessi vedere qualcosa. Era
notte. La luce arrivava solo da una lanterna posta sopra il portone di una casa
a pochi passi da me. E lessi con sollievo la scritta “Cullen” a fianco. «
Dove sono?! » mi chiesi con voce roca. Poi sentii dei passi alle mie spalle. Una
figura longilinea camminava verso di me. Passi strascicati, stanchi, lenti…
E poi, grazie alla mia vista migliorata e alla luce fioca poco distante,
potei notare il viso solcato da profonde occhiaie di Edward. Indossava una
camicia larga, di quelle tipiche dell’epoca, fatte come a maglia; i pantaloni
erano neri, e sopra la camicia. Era meraviglioso anche conciato in quel modo da
Clown. Vidi che tentennava. Fissava la porta con uno sguardo indeciso e
sofferente. Se avrebbe potuto, supposi, sarebbe scoppiato a piangere. E alla
fine si avvicinò di più, con una mano alzata pronta a bussare. Ma
niente. Rimase immobile, deglutendo un paio di volte a fatica. Poi, alla
fine, abbassò la mano e fece per allontanarsi. Ma proprio in quel momento la
porta si aprì, e comparve sulla soglia Esme. Una Esme vestita con un vestito non
molto elegante, ma comunque abbastanza carino da far risaltare il suo corpo
longilineo. « … oh, Dio. » mormorò portandosi una mano alla bocca. Edward
sospirò. « Esme. » disse in saluto, chiudendo gli occhi stanco. Esme rimase
in quella posizione. Alla fine lui riaprii gli occhi e le si avvicinò, con il
capo chino. « … non so che dire! » disse disperato, portandosi le mani al
viso. Provai una tenerezza infinita a vederlo in quello stato. E probabilmente
anche Esme, visto che gli scostò una ciocca di capelli ramati dal viso. « Mi
vergogno così tanto! E non so con che faccia mi sono ripresentato alla vostra
porta! Sono un mostro, un assassino! Oh, Esme! Quante persone ho ucciso! » quasi
urlò in preda ad una crisi isterica, mentre singhiozzava sempre far scendere una
lacrima dai suoi occhi chiari e pieni di rimorso. Lei emise un gemito, e lo
abbracciò. « Oh, Edward! Non importa, calmati, tesoro! Si risolverò tutto!
Non sei un mostro, sei ritornato, questo dice tutto! Non sei un assassino, sei
soltanto molto giovane. E’ tutta colpa di questo secolo, Edward. Quante volte ti
abbiamo reputato un adulto? E invece sei solo un bambino. Ma tornando qui hai
fatto una scelta, ora puoi reputarti un uomo. E ti prego, non considerarti un
assassino. » disse Esme disperata, mentre gli baciava la fronte. « Ora
rientriamo, e ti calmi. Stavolta non ti lasceremo andar via, amore, no, stavolta
rimani e facciamo funzionare tutto! » disse poi mentre Edward l’abbracciava
forte. Sospirai, gemendo. Oh, Edward! « EDWARD! » urlai, cercando di
attirare la sua attenzione. Iniziai a singhiozzare. « BASTA, VOGLIO TORNARE
A CASA! SONO STUFA DI QUESTO POTERE! EDWARDDDDDDDD- »
« EDWARD!
» « Sono qui! » Riaprii gli occhi di scatto, e feci per alzarmi frenetica.
Ma andai a sbattere contro una parete dura. « Amore, calmati! E’ finito,
tutto, è finito. » Mi lasciai cullare dalle forti braccia di Edward, mentre
tremavo. « Edward… » mormorai stremata. « Shh, sono qui, non ti lascio. »
continuò a rassicurarmi, mentre piano piano mi tranquillizzavo. Ricominciai a
respirare regolamento, mentre una mano mi accarezzava una guancia. « E’ tutto
okay, Bells. » mormorò la voce di Alice al mio orecchio. « Cosa hai visto? »
chiese Emmett. Sentì Edward che si irrigidiva. « Lasciala riprendere. »
sibilò. Io negai. « No, ve lo dico. Se no impazzisco. » iniziai
allontanandomi da Edward. « H-ho visto… Edward. Di nuovo. » conclusi. Il diretto
interessato mi fissò ansioso. « Era notte, e lui era tornato da Esme e
Carlisle dopo essersene andato per… nutrirsi di… bè, avete capito. » dissi a
disagio, mentre lui mi fissava stupito e frustrato, pronto ad esplodere. Di
sicuro si stava vergognando da morire, sapendo che io avevo visto quella scena.
Conoscendolo probabilmente si stava reputando patetico ai miei occhi. « Ah. »
disse solamente Jasper, capendo il mio disagio. Infatti subito mi sentii più
rilassata, così come Edward, che pian piano ritornava sereno. Probabilmente
Jasper stava utilizzando il suo potere. Gli sorrisi riconoscente: non poteva
trovare momento migliore. « Quanto sono stata senza conoscenza? » chiesi poi
con un sospiro amaro. Loro mi guardarono angosciati. « Tre ore. » Non ebbi
neanche la forza di sobbalzare stupita. Poi vidi il libro che avevo letto
accanto a me. « L’avete letto? » chiese aspramente. Annuirono. « Sì,
Bells. » disse solo Rosalie in tono grave. « E? » chiesi, lasciando la frase
in sospeso.. « Dobbiamo aiutarti a controllare questo tuo potere. » sospirò
Carlisle. Annuì, mentre Edward mi levava da sopra gli occhi la frangetta. «
Ti aiuterò. » mi mormorò. Annuii. Stanca. Mortificata. Stufa. Ma perché io portavo sempre
così tante disgrazie?
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5_foto ricordo ***
Buon giorno! Intanto,
anche se in ritardo, faccio gli auguri a Edward e
gli dedico – quindi – questo capitolo! XD.
Va bè, parlando di
cose serie ringrazio come sempre tuttiiii i lettori e i recensori.
Quindi:
·
Missy16
·
kiakkina
·
Hysteria
·
Amy89
· Ashee
·
solembun
·
aras
·
puffoletta
·
Particular_Girl
·
xChemical_Ladyx
·
Hiromi
·
SamaCullen
·
Elychan
·
Valem
· Particular_Girl
E volevo dire che in
alcune recensioni mi avete dato delle idee. Naturalmente non vi dico quali, così
non vi rovino la sorpresa! Va bè, ciao ciao!
~
Minako - Lore
~ A Beautiful Mortal - Chicago 1918 capitolo 5:
Foto ricordo.
×
Carlisle quel giorno
si era rinchiuso nel suo studio a pensare una tattica per non farmi andare
indietro nel tempo. Ormai eravamo arrivati alla conclusione che era troppo
pericoloso. Dal canto mio, me ne stavo comodamente appoggiata con la testa
sulle gambe di Edward, mentre lui leggeva un libro sul divano. Nessuno era li a
fissarci (Emmett ci aveva provato, ma Edward l’aveva subito scacciato con un
ringhio acuto) e quindi rimanevamo da soli. Inutile dire che non mi
dispiaceva affatto quel contatto così… intimo. « A cosa pensi? » chiese
distratto, mentre mi accarezzava i capelli. Cosa dovevo rispondergli? Che
trovavo quell’innocente contatto appassionante? Mai! « A niente di preciso. »
risposi vaga, chiudendo gli occhi. Non sembrava convinto, ma lasciò perdere.
Ormai si era arreso al leggermi nel pensiero. Ma la cosa ancora non gli andava
giù. « Edward? » « Sì? » « Secondo te cosa si inventerà Carlisle? »
chiesi curiosa, riaprendo gli occhi. Lo vidi sospirare. « Non lo so,
sinceramente. Non mi permette di entrare nella sua mente, in questo momento. »
sbuffò. Evidentemente la cosa non gli andava a genio. Ma, poi, chiuse di scatto
il libro e lo appoggiò sul tavolino vicino. Dopodichè posò il suo sguardo su di
me e sorrise malizioso. « Cambiando discorso: com’è che ti sei messa in
questa posizione? » chiese con fare innocente. Lo fissai in imbarazzo,
alzandomi. « Se ti do fastidio me ne vado. » dissi facendo per scendere dal
divano. Lui in tutta risposta mi acchiappò per la vita, e mi attirò a lui. «
Facciamo che te ne vai più tardi. » mormorò piano sulle mie labbra, facendomi
rabbrividire.
« Ehi, piccioncini,
Esme ha trovato delle cose interessanti sotto consiglio di Carlisle! » La
voce di Emmett – che iniziavo ad odiare seriamente – mi raggiunse distante,
mentre Edward mi lasciava andare seduta di fianco a lui. Neanche lui sembrava
entusiasta di esser stato interrotto. « Spiegati. » replicò acido Edward,
incrociando le braccia al petto. Quindi vidi comparire sulla soglia tutta la
famiglia, che si affrettò a sedersi vicino a noi. L’ultima, comunque, fu Esme,
che aveva fra le braccia un grande scatolone marrone dall’aria vecchia. E,
subito, sentii Edward accanto a me arretrare. « Che intendete fare? » chiese
con voce stizzita. Allora mi voltai a guardarlo: era in imbarazzo. Non lo si
vedeva tutti i giorni Edward così, quindi la cosa mi fece incuriosire. Per cosa
si vergognava?
« Sono giunto ad una
conclusione. Bella, tu vai indietro nel tempo per tua volontà. » disse. Calò
un silenzio rumoroso.
« Per… mia volontà? »
chiesi stupita, mentre tutti imitavano la mia espressione. « Sì. Questo
spiega perché alcune volte ci stai di più, a volte meno… hai mai desiderato
capire più di noi? » Mi sentii a disagio. In effetti, ero sempre stata
curiosa del loro passato. Soprattutto di quello di Edward. Annui solamente. «
E’ così, quindi. Vedi, non sei tu in persona a decidere quando tornare indietro
o no. E’ la tua mente. Come quando hai visto Edward da bambino. Tu volevi
tornare indietro, ma qualcosa dentro di te voleva rimanere per vederlo. E’ come
il tuo subconscio. Riesci a seguirmi? »
Annui. Ora la cosa
diventava più chiara. « Come hai fatto ad arrivare a questo? » chiese curioso
Emmett. Carlisle alzò le spalle. « Si chiama ragionamento Emmett, cosa che tu
non usi mai. » rispose ancora arrabbiato per l’interruzione di prima Edward.
Emmett ringhiò giocosamente. « Comunque, ho pensato ad una cosa. Se noi ti
facessimo vedere qualche foto, raccontando il nostro passato, magari tu non
sentiresti più così il bisogno di tornare indietro nel tempo. » disse
sorridendo, mentre Esme apriva lo scatolone. La fissai curiosa. E, una volta
aperto, ne tirò fuori un album di fotografie. Accanto a me, sentii Edward
sbuffare angosciato. « Ti faccio per esempio vedere delle foto. Queste
risalgono al 1923, quando c’eravamo solo io, Esme ed Edward. » disse Carlisle,
mentre mi passava l’album. Quasi scoppiai a ridere. In quella foto rovinata
in bianco e nero c’erano tre persone molto famigliari: a sinistra in tutta la
sua bellezza c’era Carlisle, vestito in uno smoking d’altri tempi imbottito;
seduta su una sedia davanti a lui in un vestito elegante vi era Esme, con i
capelli legati in uno chignon; e a destra, dietro di lei, c’era lui. Impossibile definirlo. Era
rinchiuso in quello smoking che gli dava un’aria da venticinquenne, lo sguardo
serio e la posizione scomoda. Ma allora perché era così bello? Emmett,
accanto a me, scoppiò a ridere quando vide Edward. « Oddio! Non sapevo che
avevi quel vestito da pinguino! » esclamò, mentre scaturiva le risa di tutti.
Edward gli diede una spintarella. « Ehi, andava di moda così all’epoca! »
protestò quando Emmett restituì la spinta. « Basta, ragazzi! » li rimproverò
Esme, mentre voltavo pagina. In quella c’erano solo Esme e Carlisle. « Mi
ricordo che Edward non aveva voglia di fare le foto. » rise Esme. « Diceva che
era stupido, perché anche da li a sessant’anni non saremmo cambiati. » concluse.
Edward di fianco a me sorrise sarcastico. « E non avevo forse ragione? »
chiese. « E poi si era inventato un piano per non farle. » iniziò divertito
Carlisle. « Disse che, dato che in quel momento non e aveva voglia, le avrebbe
fatte cinque anni dopo, tenendo da parte il vestito per l’occasione, così che
sembrasse fatta in quell’anno. » Scoppiai a ridere, mentre il diretto
interessato accennava un sorriso. Evidentemente il fatto che stessi guardando
quelle foto lo vergognava da morire. « In questa inizia ad esserci anche
Rose. » disse affettuosa Esme, mentre guardavo con invidia una nuova foto con
Rosalie al centro. Inutile dire che anche in quei vestiti novecenteschi era
stupenda. « Questa l’avremmo fatta nel 1934. Un anno prima che si unisse a
noi Emmett. Anzi, subito dopo ci dev’essere anche lui nelle foto. » Con la
coda degli occhi vidi Edward guardare trionfante un Emmett sconvolto. « Pure
io?! » esclamò. Edward scoppiò a ridere. « Eccoti qui! Oh, ma come eri bello
con quel vestito da pinguino. »
Edward a volte sapeva essere molto acido. Ma comunque, non ebbe
tutti i torti. L’Emmett che mi si parò davanti era il solito, ma quel vestito
imbottito lo faceva somigliare ad un orso bianco. Inutile dire che Edward,
invece, era un figurino con il suo sguardo serio e un po’ seccato. Che non
avesse voglia neanche in quell’occasione di fare le foto? Probabilmente
sì.
In quelle tre ore consecutive non facemmo altro che guardare album su
album, e in ogni foto non potevo non sorridere alle espressioni imbronciate di
Edward. Che ci crediate o no, non trovai una sola foto in cui avesse un sorriso
sincero. In compenso, potei vedere con piacere le foto del matrimonio di Esme
e di Alice. E naturalmente quelle di Rosalie, la quale aveva solo dieci
album contenenti foto sui suoi matrimoni. Era divertente e anche
impressionante passare in rassegna di tutti quei volti di anno in anno senza mai
trovarvi una differenza. Ciò che cambiavano erano i vestiti. Che ridere
vedere Emmett vestito in giacca e pantaloni di pelle degli anni ’80! E,
quando avemmo finito, Esme mi mise in mano una videocassetta. « Questa l’ha
fatta Emmett. Dovrebbe essere del 1998. » mi spiegò Esme, e Alice infilò la
cassetta nel videoregistratore. Tutti posammo la nostra attenzione sulla tv al
plasma posta a poca distanza da noi, rilassati sul divano.
Il filmato
iniziò, e vidi in primo piano Emmett. « Salve a tutti! Okay, mi sto riprendendo da
solo, ma vi assicuro che non sono scemo. Sono qui per fare il primo video
amatoriale dei Cullen! Iniziamo quindi da… Jasper! Sperando che non sia con
Alice a fare qualcosa di osceno. Sapete, quel ragazzo è pieno di risorse.
» Risi di gusto insieme agli altri, mentre la scena proseguiva con Emmett
che camminava verso lo studio di Jasper. Quindi si vedeva la sua mano bussare a
la voce di Jasper dire “avanti”. «
Eccolo qui il nostro ragazzo! Sempre a studiare, eh? Non è che nascondi PlayBoy
li sopra? » « Ma che fai? »
« Ti sto riprendendo!
Dai, di qualcosa! Se il primo ad essere ripreso da me nel video amatoriale dei
Cullen! » « Ma cosa ti sei fumato stamattina? » « Niente di ciò che non
fumo quotidianamente. Dai, Jasper! » « Ma che devo dire?! » « E che ne so!
» « Va bè… ciao, sono Jasper, e non sto nascondendo PlayBoy. Anche perché
quelli li tengo al sicuro nella cassaforte. Sapete, Emmett li scova sempre.
» Scoppiammo di nuovo a
ridere, quando Jasper rispose alla domanda di Emmett. E si sentii di sottofondo
anche la sua risata, cosa ancora più ridicola. « Va bè, grazie dell’attenzione. Ora vado
alla ricerca degli altri! » « Che cretino che sei. » Emmett camminò
fuori dal suo studio, e in lontananza, nel corridoio, si intravidero i capelli
rossi di Edward. « Ehi, ma c’è quel
simpaticone di Edward! EDWARD! » « Che cavolo vuoi? Ma che… che fai?! Levami
dalla faccia quella telecamera! » « Eddai, Jasper ha già salutato, fallo pure
tu! » « Non zumare sulla mia faccia! » « Perché? Hai qualche brufolo da
nascondere? » « Levala! » « Prima saluta i telespettatori a casa. » «
Ciao, sono Edward, e ho un fratello orso rompi palle. Non si può neanche più
camminare nei corridoi che i pazzi ti aggrediscono! » « Dai Eddie… » « Lo
sai che lo odio quel diminutivo! Usane uno più intelligente! » « Okay. Pen di
carota, saluta! » « Se non avessi in mano quella videocamera nuova ti avrei
infilzato il naso con una forchetta. »
« Eddai Edward! Va
bè, me ne vado. » « Alleluia! E comunque non sono un pen di carota! Non ho i
capelli così rossi! » « Okay. Ciao Pen di carota. » Ormai non riuscivo
più a trattenere gli eccessi di risa. E come me neanche gli altri. Perfino
Edward si concesse una sana risata al vedersi in tv. « Ed ecco la mia dolce mogliettina. Rose, di
qualc- » « Non provarci nemmeno. » « Okay, cara. » Continuò a camminare, fino a
che non entrò nello studio di Carlisle, il quale era intento a scrivere
qualcosa. «
Ciao Carlisle! Di qualcosa per il video amatoriale dei Cullen!
»
« Ciao. » « Ciao?
Che fantasia! Eddai, perfino Edward ha detto più cose di te. Certo, il novanta
per cento erano stronz- » « Emmett! » « Oh, ciao Esme! Di qualcosa per i
telespettatori a casa! » « Ciao, sono Esme. » « Signore mio, vado da
Alice, sperando che abbia più fantasia. »
« Ma che stai
facendo?! » « Oh, ciao Alice. Capiti a fagiolo. Sto facendo il video
amatoriale dei Cullen, vuoi dire qualcosa? » « Ehm… ma sì, dai. Allora… bè,
sono Alice e sono sicura che: Jasper ti avrà detto che non stava leggendo
PlayBoy. Non credergli, mentiva. Edward ti avrà mandato a quel paese, sparando
cazza- » « Alice! » « Oh, ciao Esme! Comunque… Rose sarà scappata e
Carlisle ed Esme non si saranno molto sprecati. In compenso dirò solo una cosa:
Jazz, per favore, lo sappiamo tutti che leggi PlayBoy. Non negarlo! » « Bene,
e con questa rivelazione shock – bè, lo sapevano tutti, comunque… - direi di
finirla! Voglio solo dire una cosa: Edward, non nasconderti. Lo sappiamo che
Jasper ti passa di nascosto PlayBoy. Va bè, ciao! »
Il video finì, e
quasi non mi vennero le lacrime agli occhi dal ridere. Tutti erano nelle mie
stesse condizioni, e, subito, Emmett guardò malizioso Edward. « Ti abbiamo scoperto! Avanti, dicci
dove nascondi Pl- » Ma una cucinata in pieno viso lo zittì. « Ma sta
zitto! Non l’ho mai letto in vita mia! » Calò in silenzio sospettoso. E lui
sbuffò. « E va bene, una volta di sfuggita, ma non vuol dire niente! Vi
ricordo che sono rimasto senza fidanzata per più di un secolo! » « Cambiando
discorso, mettiamo per scritto dove sei stata. » disse Carlisle di nuovo serio,
prendendo un foglio bianco con una penna in mano. « Ho visto mio padre
all’ospedale con il medico, l’entrata di Alice nel manicomio, Esme quando si è
fatta male, Edward da bambino ed Edward quando è tornato da voi. » elencai,
mentre scrivere con una calligrafia elegante sul foglio. « Bene. Quindi
mancano Emmett, Jasper e Rosalie. » « Pensi che andrà nel loro passato? »
chiese Esme. « Non lo, sinceramente. Potrebbe nuovamente tornare da Edward,
per esempio. Dipende da lei. » Tutti alzarono il loro sguardo su di me, e mi
sentii nuovamente a disagio. Mi sentivo quasi una spiona a voler vedere il loro
passato. « Mi dispiace, mi sento una ladra. » ammisi in imbarazzo. Tutti si
addolcirono. « No, non devi dire questo, Bells. E’ normale. Anch’io vorrei
sapere più di te, quando si vuole tanto bene a qualcuno viene naturale voler
sapere ogni cosa di lui. » mi assicurò Alice con un sorriso. Sorrisi
forzatamente. « Sarà… » sospirai. « Bè, abbiamo finito con filmini e
foto? » chiese Edward rompendo quella situazione per me imbarazzante. Lo
ringraziai mentalmente. « Per oggi sì. Senti, Edward, puoi venire un attimo
nel mio studio con me? » chiese Carlisle con fare frettoloso. Lui annuì, e tutti
li guardammo allontanarsi. « Allora, che ne dite di una partita a carte? Sai
giocarci, Bells? » chiese Emmett alzandosi in piedi. Io lo guardai confusa. «
Certo… » « Bene, allora spostiamoci sul tappeto! »
Passò un’ora, e di
Edward e Carlisle non ci fu neanche traccia. Fui molto brava a nascondere il mio
disappunto per ciò. In compenso mi divertii con gli altri a giocare a carte.
Perfino Rosalie si unì con entusiasmo. E stare lì, sul tappeto, vicini, mi
dava un senso di pace incredibile. Era così che ci si sentiva in famiglia? «
Ah ah, ho vinto! » esultò Jasper, mentre Emmett sbuffava. « La fortuna del
dilettante. » mormorò. Sorrisi. « Ehi, ecco il nostro figliol prodigo! »
annunciò Emmett, mentre nel salone entrava Edward con la più strana delle
espressioni sul volto. « Ti unisci a noi? » chiese Jasper. Lui negò con un
sorriso forzato, mentre Emmett ridava le carte. Passò un’altra ora, nella quale
rimase in silenzio a guardarci. Più volte mi accorsi che mi fissava con
insistenza, ma appena capiva che lo stavo guardando di sottecchi anch’io,
cambiava direzione. Alla fine, la curiosità ebbe la meglio. All’ennesima
vittoria di Jasper, inventai una scusa. « Ehi, ma con te non si può giocare!
» sbuffai. « Va bè, io mi ritiro. » annunciai alzandomi in piedi con un’elegante
slancio, non da me. Quindi lanciai un’occhiata di sbieco a Edward, che mi guardò
allontanarmi verso camera mia. « Me ne vado un po’ in camera. » lo sentii
dire, mentre lo aspettavo in cima alle scale, seduta sull’ultimo scalino. «
Sì sì, una scusa più ovvia no? Va bè, almeno fate i silenziosi, non come Alice e
Jasper che ogni volta fanno tremare la casa. » Mi misi una mano sulla bocca
per non scoppiare a ridere, mentre in lontananza sentivo un tonfo. Forse Jasper
gli si era avventato addosso. E, subito, arrivò Edward. Gli sorrisi, e mi
alzai, in direzione dell’altra scalinata. Lui mi seguiva in silenzio. Alla fine,
arrivai all’ultimo scalino, e sentii la sua mano stringermi la mia. «
Sediamoci qui. » disse piano, mentre si sedeva. Io lo imitai. Alla fine, si
voltò, e provai una sensazione nuova… non seppi spiegarla… Forse il fatto che
eravamo al buio, da soli, in una tranquillità assurda, con le gambe talmente
vicine da sfiorarsi, mi faceva elettrizzare. E in più, il fatto che lui fosse
così strano, accresceva quella sensazione.
« Carlisle mi ha
proposto una cosa. » iniziò titubante. Lo fissai: se pur al buio, potevo
scorgere le piccole rughe che gli si erano formate sulla fronte. « Dimmi. »
lo incoraggiai. Prese un respiro profondo. « Dice che quello a cui sei più
interessata sono io, e della mia vita a Chicago. Quindi mi ha proposto di… sì,
insomma… io ho
ancora la casa dei miei genitori lì, e in questo periodo dell’anno nevica
sempre, senza interruzioni. Quindi per me sarebbe un bene, perché potrei
portarti a fare un giro, e quindi… insomma… e poi mancano tre settimane a
Natale, quindi potrebbe piacerti andare in giro lì per negozi. Torneremmola
Vigilia, quindi staremmo insieme… il
piano di Carlisle è di farti svagare un po’, facendoti vedere qualcosa del mio
passato, così che tu non torni indietro. Ti va? » Lo fissai un attimo
interdetta. Era una sogno? Tre settimane da sola con lui a Chicago?
« Era solo un’idea,
ti capisco se non vuoi! » aggiunse frettoloso, evidentemente sulle spine per il
mio silenzio. Lo fissai dolcemente. « In effetti, l’idea è veramente assurda.
Insomma, cosa ti fa pensare che io voglia venire con te per stare tre settimane
soli soletti, in una grande casa per conoscerci meglio? » Lo vidi guardarmi
finalmente felice. E restituì il sorriso. « Allora, a quando la partenza? »
chiesi, mentre lui mi guardava contento. « Non saprei. Che dici di… stasera?
Così saremo la per domani mattina. » disse. Gongolai deliziata. « Okay! Però
prima voglio un bacio. » dissi facendo la finta piagnucolosa. Rise. « Stai
diventando avida. » mormorò sulle mie labbra. « Con uno come te, come faccio
a non esserlo? » E con dolcezza pigiò le sue labbra di marmo sulle mie.
Immediatamente portai le mie mani ai suoi capelli, e lo attirai a se. Rise
piano, e mi mordicchiò leggermente il labbro superiore. « Ed? » « Mh?
» « Posso chiederti una cosa? » Lui mi posò un bacio sul collo, facendomi
rabbrividire, e mormorò un sì in risposta. « Ma Jasper legge davvero PlayBoy?
»
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Capitolo 7 *** Capitolo 6_amico immaginario ***
Non
ci posso credere! Nel capitolo precedente ho ricevuto 20 recensioni!
GRAZIE!!
Sono
contentissima che i recensori siano così tanti così come i lettori! Grazie
ancora, quindi, a:
1.
Missy16
2.
kiakkina
3.
Hysteria
4.
Amy89
5.
Ashee
6.
solembun
7.
squi1ddy
8.
aras
9.
puffoletta
10.
xChemical_Ladyx
11.
Hiromi
12.
SamaCullen
13.
~Ale
14.
Elychan
15.
silvy
16.
Bea
17.
Killer
18.
PP
19.
Eragon1001
20.
Francychan
Oggi
vi stresso meno, dato che sono le 23 e 50 e ho sonno ^^. Quindi mi limito a
salutarmi e ringraziarvi nuovamente! Ah, a questo link c’è la piantina di Casa Masen XD. Dato
che forse la mia spiegazione di quest’ultima vi risulterà non del tutto chiara
ho deciso di farla XD. Cliccate per ingrandirla:
Ciao
ciao!
~
Minako-Lore
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 6: Amico
immaginario.
×
Quando entrammo a
Chicago rimasi a bocca aperta. E non solo perché davanti a me si districavano
palazzi su palazzi e scritte lampeggianti quasi da farti venire mal di testa, ma
per Edward. Infatti lo vedevo un po’ in difficoltà. « Non me la ricordavo
così. » lo sentii bofonchiare ad un certo punto, mentre i clacson continuavo
imperterriti. Risi piano.
« In questi anni non
hai mai guardato la tv? Chicago è cambiata dal 1918! » risposi sarcastica,
mentre mi accomodavo meglio sul sedile dell’Aston Martin. Edward, infatti,
aveva insistito per portarci quella nella nostra fuga romantica (va bè, era una
vacanza, ma mi piaceva vederla sotto quel punto di vista). E di certo non
obiettai: era veramente bellissima. « Guarda che lo so! » rispose stizzito,
mentre si mordeva un labbro di fronte a un bivio. « A destra, Ed. » risposi
ridendo, mentre davo un rapido uno sguardo alla cartina sulle mie gambe. Lui
sbuffò, e prese quella strada. « Di preciso, dove abitavi? » gli chiesi
curiosa, mentre si fermava ad un semaforo rosso. « Un po’ fuori. » disse
vago. Lasciai perdere, e guardai la moltitudine di gente che attraversava. Di
certo non si poteva dire che tutti erano persone per bene. Alcune ti facevano
venire paura, e dovette accorgersi di quella bella moltitudine di estranei
strani anche Edward, perché mise le sicure. Sorrisi piano, e tornai alla
cartina, dove Edward aveva segnato un punto rosso nella quale dovevamo
andare.
« Gira a destra. »
gli ordinai tranquilla, per poi vederlo eseguire l’ordine. Finalmente la strada
era sgombra, e procedemmo senza intoppi. Il caos della città si stava piano
piano scemando, tanto che mi stupì quando imboccammo una strada con poche
insegne luminose e pochi grattacieli. Comunque notai che non eravamo distanti
dal centro: quel posto doveva essere ancora l’unica parte non toccata da tutte
quelle strutture. « Non mi avevi detto che avevi ancora la casa. » dissi ad
un certo punto, un po’ offesa per quella sua mancanza. Lui mi fissò
dolcemente. « E dire che il mio dolce zietto mi voleva fregare tutto. »
sibilò, facendo una smorfia. Lo fissai curiosa, e lui non mi fece aspettare una
spiegazione. « Quando i miei genitori sono morti di spagnola mio zio pensò
che anche io – il loro erede – avessi fatto la stessa fine. Quando lo venni a
sapere per caso qualche tempo dopo decisi di andare a vendicare mia madre.
Quando lo trovai si stava per accaparrarsi tutto. » iniziò incollerito. « Quando
un pomeriggio andai a trovarlo quasi non gli venne un infarto vedendomi
sull’uscio di casa sua. » rise poi acido. « Di certo non si aspettava che
sopravvivessi. “Hai la carne debole, Edward” mi diceva sempre quando ancora i
miei genitori erano vivi. “Elizabeth, guarda com’è smunto tuo figlio”. Tzè.
Tanto alla fine mi sono ripreso tutto. » Rimasi un attimo interdetta da tutte
quelle informazioni. « Come mai certe cose della tua vita umana te le ricordi
con così chiarezza e altre no? » chiesi, incapace di frenare la mia curiosa. E
lui lo sapeva. « Certe cose rimangono impresse. » mormorò con tristezza. «
Non faceva altro che sgridarmi. » aggiunge poi con rabbia. « Ti sgridava? »
chiesi. « Oh, non mi ricordo molto. Ma so per certo che era sempre lui quello
a riprendermi. Ma parliamo d’altro. » disse poi cambiando discorso.
Evidentemente non gli piaceva molto quell’argomento. Allora lo assecondai, e
guardai avanti. Alcune abitazioni vi erano dinanzi a noi. Era incredibile con
a pochi passi dietro di noi ci fossero tutti quei edifici alti e imponenti, e in
quella striscia di terra delle case normali. Ma fra quelle costruzioni
rettangolari, una attirò la mia attenzione: era a due piani, color arancio
stinto, ma non per questo vecchio; era tutto nuovo, comprese finestre e porta
d’ingresso, ma qualcosa la rendeva senza tempo. « Eccoci qui. Esme l’aveva
restaurata un po’ di anni fa. » disse spegnendo l’auto, parcheggiata proprio
dinanzi alla casa. Quindi scesi affascinata. « E’ un bel posto. » dissi poco
originale. Ma d’altronde, era vero. « Grazie alla linea ferroviaria è un po’
fuori da tutti quei grattacieli. » disse. « Certo, una volta era un po’ diversa,
ma all’interno mi pare sia tutto come una volta. Te l’ho detto: Esme ha
restaurato e aggiustato tutto. » Deliziata, la fissai a lungo, tanto che
Edward dovete accarezzarmi divertito un braccio per farmi tornare coi piedi per
terra. « Entriamo? » mi chiese dolcemente, prendendo entrambi i nostri
bagagli con una mano. Annuii, e salì quegli scalini che ci separavano dal
portone principale. E rimasi innocentemente sorpresa quando notai una targhetta
in marmo con la scritta “Masen” accanto alla porta. « Oh, c’è ancora. »
mormorò imbarazzato. « Va bè, d’altronde tutti qui pensano sia di un discendente
dei Masen di allora. Mi pensano essere un nipote o che so io. » alzò le spalle.
Ero contenta. Per la prima volta mi sentivo coinvolta veramente nei ricordi
di Edward, cosa che fino ad allora non era stato possibile. Entusiasta entrai, e
rimasi di stucco di fronte a tanta magnificenza: L’atrio da solo era grande
come la cucina di mio padre. A terra vi era uno splendido tappeto blu notte, con
vari disegni d’oro; i quadri appesi erano addirittura stinti, e alcune foto
erano in bianco e nero. Fra quelle potei vedere una Chicago ai tempi del 1900.
Sorridendo come una bambina di fronte a un lecca-lecca, fissai contenta Edward,
che aspettava tentennante una qualche mia reazione. « Ma sei più ricco della
regina d’Inghilterra, o sbaglio? » Mi fissò un attimo interdetto, per poi
scoppiare a ridere. E mi sciolsi alla sua vista serena. « Cammina, dai! » mi
disse affettuoso, posandomi una mano sulla spalla, tenendo con l’altra ancora i
bagagli. Dall’atrio passammo al salotto: era rettangolare, molto lungo; a
sinistra vi erano due poltrone, dall’aria molto comode, con davanti un antico
tavolino di legno scuro con sopra alcuni oggetti di cristallo; a destra vi era
un tavolo rotondo, elegante, con tre sedie intorno, anch’esse scure; ma la cosa
spettacolare era che in fondo a destra vi era una grande porta-finestra che dava
su un’altrettanto grande balcone, sulla quale erano sistemati dei fiori
(immaginai finti). « Wow. » riuscii sono a mormorare, prima di posare lo
sguardo sul piccolo cucinino posto in un angolo al centro, proprio accanto ad
una porta. « Vieni. Ti faccio vedere la tua stanza. » mormorò affettuoso
Edward, prendendomi per mano. Quindi aprii la porta, e mi ritrovai davanti ad un
corridoio largo e poco lungo. « Qui c’è uno sgabuzzino. » mi informò, aprendo
una porta a sinistra. Notai quanto fosse grande prima che Edward chiudesse
frettolosamente la porta, su di giri come non mai mentre mi faceva vedere tutto
quello. « Il bagno. » continuò, aprendo un’altra porta in fondo al corridoio,
ma poi notai che quest’ultimo continuava a destra. « E infine le due stanze
da letto. » disse con un velo di rigidezza nella voce. Aprii la prima porta,
quella a sinistra, e vi sbirciai entro. « Questa era dei miei genitori. »
disse, mentre mi faceva passare per notare quanto fosse bella. Era semplice: al
centro vi era una grande letto matrimoniale, a baldacchino; il colore della
prete era un giallo pastello, in correlazione con i mobili di legno chiaro. Vi
erano molti quadri dall’aria vecchia, e una grande finestra sul fondo. « Noi
stremo qui? » chiesi piano. Non ero sicura: magari non voleva che dormissi nella
stanza dei suoi genitori. « Avevo in mente di andare nella mia vecchia
camera. Se riesco a fare spazio. » borbottò, indicandomi un’altra porta, alla
fine del corridoio. Mi indicò di aprirla, e io, eccitata, lo accontentai.
Quando vidi com’era mi si fermò il cuore (ma non era già fermo?). La
camera non era grande come le altre, ma si poteva definire di certo la più
accogliente. A destra vi era una cassettiera in legno scuro, con un bel centrino
lavorato all’uncinetto di color blu chiaro. Sopra vi erano alcuni oggetti, ma
non ci feci caso più di tanto; continuai la mia osservazione, e notai in fondo
una scrivania con alcuni fogli ingialliti sopra, con accanto un calamaio; ancora
a destra vi era una porta che, notai, dava sul grande balcone che avevo notato
anche nel salotto. E poi, a sinistra, che dava verso il centro vi era il letto,
con delle lenzuola blu. E notai con allegria che anche le pareti erano di uno
scoppiettante color azzurro pastello. Ma poi… l’occhio mi cade sul una foto
grande posta sopra al letto. « Oddio… » sentii mormorare dietro di me Edward,
in imbarazzo. Era una foto in bianco e nero, con un ragazzino di
dieci-undici anni immortalato sopra. E quasi non scoppiai a ridere quando vidi
un sorriso tirato su quel visino ricoperto di lentiggini. « Possiamo
toglierla? » mi chiese esasperato, quando vide che la fissavo fin troppo.
Risi. « Va bene. Però poi me la voglio portare a casa. » conclusi
soddisfatta, mentre lui si affrettava ad andarla a togliere. Sorrisi alzando gli
occhi al cielo, mentre gli prendevo di mano i bagagli. « Mi sento più a mio
agio qui. » dichiarai soddisfatta, posando le borse sul letto, guardandomi
attorno contenta. Lui mi sorrise in risposta, facendo scivolare sotto al letto
la foto. « Sei impossibile. Eri venuto bene! » feci la disinvolta io. Mi
guardò scettico. « Ringrazia Dio che mia madre non appendeva per casa le mie
foto a un anno quando mi fece il primo bagnetto. » disse tremando, mentre
scoppiavo a ridere. « Oh, quelle tutte le mamme ce l’hanno. Renèe ha un album
pieno. » aggiunsi ricordandomi, prendendo poi nota di rubarlo di nascosto per
bruciarlo. Sospirai, e – mentre Edward mi abbracciava teneramente – chiusi
gli occhi godendo di quel contatto. « Tre settimane solo per noi. » mormorai
felice. Lo sentii ridere piano. « Tre settimane lontani da tutto. » « Tre
settimane tranquilli e in pace. » « Ma soprattutto, tre settimane lontani da
Emmett. »
Risi con lui,
regalandogli un sorriso luminoso. Lo sapevo, perché io stessa ero felicissima.
Aprii gli occhi, e lentamente avvicinai il mio naso al suo, sfiorandolo. « E
dai giornali osé di Jasper. » aggiunsi divertita. « Quelli poi non sono da
dimenticare. » concluse, sfiorando le sue labbra con le mie. Sorrisi deliziata,
per poi baciarlo. Poi, però, squillò il telefono posto sul comodino di Edward,
che – seccato – rispose mettendo il viva-voce. « Pronto. » « Ciao
fratellino, sono Emmett, volevo saper- tu tu tu » Neanche il tempo di farlo
parlare che spense la telefonata. « Sai una cosa? » mi chiese convinto.
Aspettai che finisse la frase. « Odio Emmett. »
L’ora dopo la passammo
a mettere a posto i nostri vestiti. Per evitare situazioni imbarazzanti decise
di mettere i suoi nel cassettone dei suoi genitori. E io, per nulla scontenta,
annuii sollevata. Trovarmi fra le mani le sue mutande cercando una maglietta
da mettere non mi rendeva il futuro tranquillo. Anche lui dovette pensare una
cosa del genere, perché si mise a ridere senza motivo. Vallo a capire. « Ed,
vado a farmi una doccia. » annunciai, mentre gongolante mi dirigevo verso il
bagno. Inutile dire che era grandissimo: a sinistra della porta vi era una
doccia, a destra un lavandino; ma la cosa spettacolare era che, sul fondo, vi
era una vasca grandissima. Mi
avvicinai a bocca aperta, salendo l’unico scalino che mi separava da
quest’ultima. Era lunga e abbastanza larga, e subito mi ritrovai a immaginare
che bello sarebbe stato rilassarsi con le cuffie nelle orecchie li dentro. Così
andai in camera, presi il cambio di vestiti e soddisfatta entrai dentro. Decisi
subito di aprire l’acqua, così che arrivasse subito bella calda. Ma mi
bloccai: mi erano almeno cinque manovelle. Panico. Mi vergognavo ad
andarlo a chiedere ad Edward, così avrei fatto la figura dell’emerita
deficiente. Quindi provai ad aprire quella con un disegno sopra
verde. Brutta mossa. Improvvisamente l’acqua mi bagnò la faccia, e mi resi
conto che il getto d’acqua era talmente forte da far volare dappertutto il
tubo flessibile da cui
usciva fuori. « AAAAHHH! » urlai sorpresa,
scivolando all’indietro. Subito però mi buttai in avanti, cadendo con un piede
dentro, prendendo una botta al sedere. « Bella! » La porta di aprii con
una botta secca, ed ne entrò Edward, preoccupato e disorientato. « AIUTO! »
urlai, cercando di prendere ancora quel tubo. Ma avevo la vista appannata
dall’acqua, e il fatto che la vasca fosse così scivolosa non giovò alla mia
situazione già di per se precaria. Edward, dapprima stupito, poi incredulo,
si buttò in avanti, ma venne investito dall’acqua e cadde con me
all’interno. Quindi ci ritrovammo bagnati fradici, con i vestiti appiccicati
così tanto quasi da sentirli una seconda pelle. Ma alla fine, buttandomi di
slanciò in avanti, afferrai il tubo, cadendo su Edward, che cercava di respirare
senza bersi tutta quell’acqua che gli era finita in faccia.
Così com’era iniziato
quel finimondo, finì, quando chiusi la manovella verde. E rimanemmo impietriti
per alcuni secondi. « Bella? » « Sì? » « La prossima volta usa la
doccia. » Respirando a fatica mi alzai, e mi resi conto che ero zuppa.
Gemendo uscii, seguita a ruota di Edward, il quale si stava passando una mano
fra i capelli rendendosi conto di averli bagnati pure quelli. Ci fissammo un
attimo negli occhi, e, senza rendercene conto, scoppiammo a ridere. « Sei
impossibile. » disse fra le rise, chiudendo gli occhi. Sbuffai divertita, per
poi dargli un colpetto sulla spalla. « Ora esci! Devo ancora farmi la doccia!
» dissi con voce rauca, a causa di tutte quelle risa. Lui mi fissò un attimo,
per poi annuire e uscire. Ma quando fu fuori dalla porta, mise la testa dentro a
mormorò divertito. « Bella biancheria. » disse solamente, chiudendosi poi la
porta alle spalle. Io fissai un attimo confusa la porta, ma, girandomi verso lo
specchio, notai con orrore che la mia camicetta bianca era completamente
trasparente. E sotto, il mio reggiseno faceva bella mostra di se. «
CULLEEENNN! »
Ancora seccata uscii
dalla doccia, avvolgendomi nel grande accappatoio bianco, appeso accanto al
lavandino. « Dannato vampiro. » mormorai, asciugandomi velocemente, per poi
infilarmi un maglione pesante blu scuro con un paio di blue-jeans. Dopo di che
misi nel cesto della roba sporca i miei indumenti precedenti ed uscii con l’aria
più corrucciata che riuscivo ad avere. Ma servì a poco. Quando misi piedi in
salotto, Edward mi lasciò sul viso il mio cappotto marrone, con una sciarpa e un
capello di lana rossi. « Andiamo? » mi chiese tranquillo, mentre si infilava
i guanti. Lo fissai confusa. « Dove? » « A farci un giro. Probabilmente
non ti farà piacere saperlo, ma nevica. » rispose piano, dirigendosi verso la
porta. Quindi mi vestii e lo seguii. « Roba bagnata. » borbottai, quando misi
piede sulla neve molla fuori dalla porta. Lo sentii ridacchiare. « Non ti è
ancora passata? Pensavo che Forks di avesse reso meno freddolosa. » aggiunse,
prendendomi la mano. Alzai le spalle. Quindi iniziammo a passeggiare, e mi
condusse in centro. Li il caos era così alto che dovette tenermi forte per non
perdermi. « Altro che Forks. » sbottai in tutto quel trambusto. Ma
all’improvviso tutto prese a vorticare velocemente: le persone di fianco a me
divennero ombre confuse e mi sentii mancare. Solo quando Edward mi prese per la
vita capii che stavo tornando indietro nel tempo…
Quando riaprii gli
occhi frastornata mi trovavo in un bosco fitto, ed ero per terra. «
Maledizione. » imprecai sottovoce, per poi alzarmi in piedi, togliendomi l’erba
da sotto il sedere. Come al solito, c’era buio. Doveva essere notte. Sbuffai:
non potevo mai ritrovarmi in un luogo di giorno?! Ma ben presto abbandonai
l’aria da bambina piagnucolosa per guardarmi attorno: in che momento del passato
ero finita stavolta? In quello di Rose? Di Emmett? Oppure si
Jasper? Qualunque cosa sia, pensai, non in quello di Edward! Ma proprio in
quel momento sentii una voce famigliare arrivarmi alle spalle, e, prima che
avessi il tempo di girarmi, Alice e Jasper mi passarono accanto, parlando
fittamente fra di loro. « Ne sei sicura? » chiedeva lui sulle spine. « Sì.
Tranquillo Jazz. Mica mordono. Ormai siamo immuni a quel genere di potere. »
rise lei, prendendogli la mano. Annoiata li seguì, e notai che il bosco iniziava
a diventare meno buio, per poi lasciare spazio ad un’ampia piazzola dove sbucava
una casa antica. Jasper sospirò nervoso, e fece per tornare indietro. « Non
ce la faccio. » disse. Lei sbuffò, tirandolo verso di se. « Non fare il
bambino! Sono loro che ci faranno tirare avanti! » Confusa ma anche molto,
molto curiosa, mi avvicinai e notai la targhetta sopra al portone di quella casa
con su scritto “Cullen”. E ti pareva, pensai. Aspettai che Alice si sporgesse
per bussare, per poi rivolgere la mia attenzione al portone. Ma prima che
potesse aprire qualcuno, Jasper, alle spalle di Alice, sgattaiolò via, non
facendosi accorgere da lei. « Posso fare qualcosa per lei, signorina?
» Una voce famigliare mi fece voltare, e notai Edward in uno smoking d’altri
tempi appoggiato arrogantemente alla maniglia del portone. Alice non si fece
scoraggiare. « Salve! Io e il mio compagno vorremmo chiedervi ospitalità. A
lei e alla sua famiglia. »
Edward alzò un
sopracciglio. « Lei e il suo compagno? » ripetè scettico. Alice annui
entusiasta. « Certo. » « Signorina, si vada a cercare qualche altro buon
partito a cui chiedere l’elemosina. » E un battito di ciglia le chiuse la
porta in faccia, lasciandola imbambolata. Quasi risi. Ma non si abbatté, e
bussò nuovamente al portone, decisa e testarda. E subito Edward fece il suo
ingresso. « Ma noi non ci siamo già conosciuti? » chiese dolcemente,
sbuffando. Alice sorrise acida. « Sì, mi ha appena chiuso la porta in faccia.
» « Scusi, colpa della corrente. Allora, che vuole? » disse impaziente
Edward. E notai quanto il suo atteggiamento fosse arrogante. « Gliel’ho
detto! Io e il mio compagno Jasper, lui è Jasper, vorrem- un attimo. Dov’è
Jasper?! » Non potei non scoppiare a ridere quando finalmente si accorse che
Jasper se ne era andato. « Senta, non sono pazza, davvero. » spiegò Alice
confusa, girandosi attorno alla ricerca del suo compagno. Edward non sembrava di
quell’pinione. « Senta, lei e questo fantomatico “Jasper”, perché non andate
a farvi un giro? » chiese annoiato. Lei pestò un piede a terra scocciata. «
Senti damerino dei miei stivali, potrai anche avere abiti più ben tenuti dei
miei, ma non sono pazza! Esiste Jasper! » « Senta, non volevo offenderla. In
fondo, anch’io ho avuto un amico immaginario. » la beffeggiò. « Ma allora avevo
quattro anni e puzzavo ancora di latte. Lei ne ha decisamente di più, e quindi è
un po’ troppo grandicella per simili sceneggiate. E ora, se non le dispiace,
torno al mio libro. » « Certo che mi dispiace, JASPER! TORNA QUI, IDIOTA! »
E subito qualcuno fra i cespugli al buio si fece avanti scocciato. «
Ecco! Lui è Jasper! E ora lasciami entrare pen di carota! » Edward le lanciò
un’occhiataccia. « Carina, ti consiglio di abbassare la cresta. E lei tenga a
freno quella lingua tagliente della sua fidanzata invece di fare il timido.
Avanti, entrate. Non voglio stare qui tutta la serata. » Ma prima che potesse
accadere qualcosa, chiusi gli occhi e tutto tornò a girare.
Quando riaprii gli
occhi ero fra le braccia di Edward, distesi sul letto di camera
sua…
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Capitolo 8 *** Capitolo 7_tremore ***
Scusate
il ritardo, ma questo capitolo mi ha creato non pochi problemi. Infatti lo
troverete anche un po’ corto, perché proprio non mi convinceva. Comunque l’ho
fatto leggere alla mia fedele Hiromi, e, siccome mi ha detto che le è piaciuto,
ho deciso di tentare con voi. E come al solito ringrazio i miei recensori.
Siccome ho poco tempo oggi, non li scrivo, comunque vi manco un bacione! E anche
ai miei lettori! Grassie!
E, cosa non meno
importante, volevo ringraziare nuovamente Hiromi che mi ha aiutata con la parte
riguardante Rose/Emmett. Infatti l’ha scritta lei! Grazie!! TVB!
Va
bè, leggete! E ditemi! Ciao ciao
Minako-Lore
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 7:
Tremore.
×
Appena riaprii gli occhi trovai
Edward perso nei suoi più remoti pensieri. Quindi emisi un gemito, e subito posò
la sua attenzione su di me. « Bella! » esclamò, mettendosi diritto per
fissarmi in volto.
« Dove sei stata? » chiese un
soffio, mentre chiudevo gli occhi e mi sistemavo meglio accanto a lui. Sentii
impercettibilmente che tremava, ma non ci diedi peso. « Quando Alice e Jasper
si sono presentati alla vostra porta. » mormorai stanca. Sentii che annuiva vago
con la testa. « Capisco. » sospirò. Quindi, stanca e in un qualche modo
spaesata, gli passai una mano sul petto, come a volergli trovare appoggio. Ma
quando lo guardai in volto mi sorpresi. Sembrava in un qualche modo
titubante, come se stesse aspettando qualcosa. Ma cosa? Lo vidi indugiare sul
mio viso, sulle spine. Poi aprii la bocca. « Io… » iniziò quasi confuso. Lo
incitai con uno sguardo a continuare. Quindi sbuffò dolorante. « Sono una
frana… » annunciò, allontanandosi un poco da me. Lo fissai confusa. « Frana?
» ripetei avvicinandomi, ma lui indietreggiò. « Esatto.
»
« Perché? » Era nervosissimo, e
alla fine si alzò in piedi, dondolandosi distrattamente da un piede
all’altro. « Perché sì, perché… invece di pensare a te, ai tuoi problemi, a
questa tua difficoltà io… io non resisto. » « Resistere? A cosa dovresti
resistere? » Ormai non ci stavo più capendo niente. Lui mi fissava in un modo
strano, e io, da sopra il letto, facevo la stessa identica cosa. « Non ti
piacerebbe saperlo. » mormorò in imbarazzo, riavviandosi un ciuffo dei capelli
rossi da sopra gli occhi. Mi avvicinai a lui, e vidi che si mordeva un labbro,
scosso. « Da quando ci sono segreti fra noi? » chiesi quasi dispiaciuta.
Sospirò.
« Bella, è una cosa che imbarazza
perfino me stesso, come puoi pretendere che te ne parli? » chiese esasperato,
mentre mettevo su il broncio. Sbuffai. « D’accordo, fai come vuoi. » dissi
indispettita, alzandomi, per poi uscire dalla stanza. Ma fui a malapena dal
bagno che mi arrivò dietro e mi baciò il collo, abbracciandomi da dietro. «
Perdonami. » mormorò piano. Notai che tremava un poco. Quindi mi girai, e lo
fissai. « Vuoi dirmi cosa ti prende? » chiesi « O è veramente troppo? » mi
affrettai ad aggiungere, quando vidi la sua espressione da cucciolo smarrito.
Accennò un sorriso. « Per ora è troppo. » sospirò, per poi prendermi per
mano. « Senti, perché non andiamo in un posto? » chiese riacquistando un po’
di buon umore. Lo guardai diffidente. « Tranquilla, mica ti porto al
patibolo! » disse con una risata cristallina, mentre mi accarezzava tremante una
guancia. Ma perché tremava? Va bene. Mi fido. Conclusi
Dovetti ammettere che il posto era…
delizioso. Sì, quella era l’espressione adatta. Non seppi dire dove ci
trovavamo, forse ancora a Chicago, forse fuori, fatto sta che davanti a me vi
era un intero piazzale coperto di neve. Non c’era anima viva, forse per colpa
del gelo che incombeva violento. « Dove siamo? » chiesi sorridendo, mentre mi
trascinava al centro.
« Segreto. » disse facendomi
l’occhiolino. Alzai gli occhi al cielo. « Forza, fai cheese! » disse all’improvviso, tirando
fuori dalla tasca dei jeans una macchina fotografica. Presa alla sprovvista ci
restai di sasso, e lui rise guardando l’immagine appena scattata. « Oddio,
molto sexy direi. » disse fra le risate. Quindi mi precipitai a vederla: avevo
la bocca spalancata per la sorpresa, e gli occhi sembravano due palline da
golf. « Cancellala subito! » urlai imbarazzata, mentre si metteva a
correre. « Via! » E ne scattò una seconda. Indispettita lo inseguii, ma la
sua corsa da ghepardo era decisamente più aggraziata a veloce della mia da
tartaruga con la gobba. Per cui lo riuscii ad afferrare solo per un braccio,
mentre ci lasciavamo cadere a terra fra le risate. « Idiota! » gli dissi.
Allora si sedette, mi cinse il collo con un braccio e posizionò la macchina
dinanzi a noi. « Dì “Ti amo
Edward” » « Ti amo edward! » Ciack! Ridendo guardammo com’era
venuta, e dovetti ammettere che per una volta ero soddisfatta. « Bella?
» Mi girai, ma subito mi pentii amaramente. Mi aveva, infatti, tirato una
palla di neve in faccia. Sputacchiando neve, mi alzai e lo presi per
un’orecchia. « Cosa mia hai fatto?! » chiesi, facendo la finta offesa. Lui
ridacchiò. « Cheese! » Ciack! Aspettai che comparisse la foto, e lo
guardai furibonda. Mi aveva fotografato il petto. « Questa me la metto come
salva-schermo del mio computer. » disse ridendo. Poi, quando vide la mia
espressione, alzò gli occhi al cielo « Ehi, mica tutti hanno una foto così! Sai,
potrei pure metterla sul giornale, ne verrebbe un bell’articol- Subito mi
buttai verso di lui, facendolo cadere all’indietro. « CANCELLALA! » Urlai.
Rise più forte. « Senti, se io facessi una foto al tuo… sì, bè, hai capito,
insomma, vorresti che la metterei sul mio computer? » « Sì.
»
« Lo hai detto solo per tenerti
quella del mio seno! » « No! Ma come puoi pensare certe cose?! » « Allora
mettiti in posa, perché ti faccio la foto lì! » annunciai, acchiappando la
fotocamera. Lui rise isterico, in imbarazzo. « Non ci provare! » mi avvertii,
con una ridarella sempre più nervosa. Lo guardai trionfante. « Allora
cancello la mia. » annunciai, schiacciando il pulsante “Delete”. Sbuffò, e
quindi immediatamente gli feci una foto. « Uhh! Questa è fantastica! » risi
mentre vedevo l’immagine di Edward nella foto con gli occhi al cielo e la bocca
spalancata. Lui mi guardò in imbarazzo. « Sei un mostro. » Gli feci la
linguaccia, e mi misi a correre. Passammo il pomeriggio così, a ridere e
scherzare come due idioti. Comunque una cosa mi stupii sempre di più: appena gli
sfioravo il petto, o un braccio si metteva a tremare. Perché?
Tornammo a
casa verso le undici, col fiatone e un sorriso ebete sulla faccia. « Hai
sete? » mi chiese poi affettuoso, levandosi la sciarpa. Negai con la testa,
mentre mi toglievo il giaccone, per poi buttarmi sulla poltrona in salotto.
Lui allora si avvicinò, e fece per prendermi in braccio. Ma all’improvviso
si immobilizzò, e con un sorriso di scuse si sedette sull’altra poltrona. Lo
guardai confusa e dispiaciuta, e cercai di indagare. « Guarda che non ho le
pulci. » dissi stizzita. Lui fece una smorfia. « Lo so, è solo che… che…
» « Riesci a pronunciare una frase di senso compiuto? » replicai seccata,
alzandomi in piedi per dirigermi verso il terrazzo. Lo sentii sbuffare piano,
per poi seguirmi. « Fa parte della cosa di prima. » disse poi, mentre uscivo
all’aria aperta. « Bè, sai, questo non mi aiuta. Per aiutarmi dovresti
dirmela questa “cosa di prima”. » dissi alzando gli occhi al cielo. Quindi mi
avvicinai a lui, e lo abbracciai. « Edward. » pronunciai con dolcezza. « Di
cosa ti vergogni? » « Di me stesso. Di quello che vorrei fare ma da cui devo
trattenermi. » sospirò fra i miei capelli, tremando visibilmente. « Allora
non farlo. » mormorai piano contro il suo collo. « Cosa? » « Allora non trattenerti. » dissi, anche se non
sapevo da cosa. Lui mi fissava con uno sguardo ambiguo. « Non ti piacerebbe.
» replicò in un soffio. Alzai le spalle. « Bè, se non mi dici da cosa ti
trattieni non posso dirti se mi repella oppure no. » sbuffai. Lui alzò gli occhi
al cielo, testardo da non desistere. Quindi mi arresi, e andai verso la porta
che dava sulla nostra camera. « Chiamo a casa. Esme ha detto di chiamar-
» Mi bloccai, quando mi posò le labbra sulle mie. Era dolce, più del solito.
Negli ultimi tempi, infatti, non si era preoccupato di superare i limiti. E mi
stupì di come tremasse mentre mi abbracciava stretto. « Ti amo. » mormorò
piano, mentre portavo le mie mani ai suoi capelli. Il bacio continuò, sempre
dolce, mentre lui mi teneva stretto, come se si dovesse accertare che mi aveva
accanto a se. Teneramente mi accarezzò la schiena, e sorrisi. Poi qualcosa
cambiò. Sospirò visibilmente, e con foga portò le sue mani sul mio viso,
baciandomi con ardore. Risposi stupita, e mi accorsi che non tremava più.
Con delicatezza mi passò un dito sulle labbra, mentre le sue andavano sui
miei occhi. « Ti amo. » ripetè nuovamente, e sospirai, quando la sua mano
andò a intrecciarsi con la mia. E, non so come, finì appiccicata al muro, mentre
mi abbracciava teneramente. Non seppi dire perché, ma lo sentivo più
passionale del solito. Il che era strano, dato che si comportava più dolcemente
del solito. Ma il suo respiro affannato mi metteva in crisi.
E alla fine
capii.
« E’ da questo? » chiesi, mentre mi
baciava il collo. Sussultò. « E’ da questo cosa? » replicò, alzando lo
sguardo. E vidi che i suoi occhi erano di un giallo brillante. « E’ da questo
che ti trattenevi? » Cambiò repentinamente espressione, diventando freddo.
Poi abbassò lo sguardo, allontanandosi. « Scusa. » Lo fissai ancora
emozionata per tutte quelle informazioni, e gli accarezzai una guancia. Era
quasi bollente. « Di cosa? Perché devi trattenerti quando mi abbracci o mi
baci? » chiesi, confusa. Alzò gli occhi al cielo, esasperato. Ma prima che
potesse parlare mi buttai fra le sue braccia, baciandolo voracemente. In un
attimo ricambiò e mi buttai a peso morto sul letto, con lui sopra. Non
sapevo cosa stavo facendo, mi sentivo libera. Con la mano libera andai sotto il
suo maglione, e lo sentii tremare leggermente. « Bel- » mormorò con voce
strozzata. Ma poi tutto divenne troppo. Mi sentii mancare, e tutto
iniziò a vorticare. Non ora mi
ritrovai a pensare. E tornai indietro nel tempo…
Accaldata e col fiatone, aprii gli
occhi. Ma la cosa buffa è che volevo ancora Edward accanto a me, baciarlo,
sentirlo sopra di me. Ancora scombussolata mi guardai in torno annoiata, e
notai una chioma bionda a poca distanza da me. « Rosalie. » Mi voltai al
suono della voce di Esme. Stava composta sulla porta, stretta nel suo tubino blu
che metteva in risalto la carnagione lattea e i capelli color caramello, con uno
sguardo dolce ad illuminarle gli occhi. Mi accorsi solo allora che dietro di
me c’era Rosalie, bellissima ed elegante esattamente come l’avevo lasciata,
seppur con una ruga in mezzo alla fronte marmorea, che mi faceva notare quanto
fosse travolta e spossata. Aveva i capelli biondi scompigliati e le occhiaie
simili ad ustioni sotto gli occhi erano più marcate. Ma nonostante ciò, la sua
bellezza era sempre la stessa. Ciò che mi colpì furono gli occhi: erano neri
come il carbone, segno che non andava a caccia da un po’ di giorni, ma erano
anche colmi di… Preoccupazione? O sbagliavo? Rosalie scattò in piedi, leggera
come una foglia. « Allora? » si torturava le labbra, si dondolava sui tacchi
alti… che era nervosa o si vedeva o si vedeva. Fremeva d’impazienza. Esme
sorrise dolcemente. « Si è appena svegliato. » La vampira bionda non se lo
fece ripetere due volte e si fiondò letteralmente fuori dalla stanza. Per starle
dietro dovetti correre e sorrisi tra me e me quando vidi un Emmett che aveva
tutta l’aria di avere un gran mal di testa e di essere spaesato, visto che si
guardava continuamente intorno… Sembrava proprio che stesse cercando qualcuno
con lo sguardo. E io sapevo benissimo chi. Rosalie entrò nella stanza a passi
lenti e sciolti, con un sorriso imbarazzato dipinto sul volto. « Ehi, ciao.
Bensvegliato. » Emmett si illuminò come un albero di natale. « Ehi, angelo!
» Rosalie sorrise e si sedette accanto a lui. « Angelo? » rise senza
allegria. « Sono ben lungi dall’esserlo, te lo garantisco. » Emmett le
accarezza i capelli biondissimi. E invece lo sei. Sei un angelo e sei pure
bugiarda. Me lo vuoi dire come ti chiami, però? » « Il mio nome è Rosalie.
» « Non è un nome da angelo. » osservò Emmett, contrariato. La vampira
bionda scoppiò a ridere. « No, direi di no. » fece, tra le risate. Poi si
avvicinò a lui come se fosse la cosa più naturale del mondo e gli scompigliò i
capelli. Lui la fissò quasi trasognante e Rosalie, dopo un breve momento di
tensione, si chinò e con delicatezza gli posò le labbra sulla guancia. Un
attimo ripresa, guardai la scena portandomi una mano al viso, con un sorrissetto
malizioso sopra. Ma ben presto dovetti coprirmi il viso con le mani, in
imbarazzo. Rosalie, infatti, dopo aver posato con decisione le sue labbra
sulle sue aveva portato maliziosamente le mani ai suoi pantaloni. E lui non
sembrava affatto contrariato, perché non si rinunciò a sollevarle la
maglietta. « Oddio, ma siamo matti?! Si conoscono da meno di un minuto e già
non si lasciano scappare il momento?! » dissi imbarazza come non mai. «
Conosco Edward da una vita e non siamo mai arrivati a tanto e questi già
vogliono procreare? Oddio, voglio andarmene! Ehi, Emmett, eh fermati! » dissi
poi guardando di sottecchi la scena. Emmett infatti le aveva completamente
levato la maglia. « Ma siete dei maniaci! Potete trattenervi?! » Ma in un
istante mi immobilizzai, mentre continuavo a pomiciare indisturbati. E le parole
di Edward mi rimbombarono in testa…
Di quello che vorrei fare ma da cui
devo trattenermi
Oddio.
Non avevo capito niente. Edward
si tratteneva perché voleva… voleva… fare quello? E d’istinto lanciai
un’occhiata a Rosalie e Emmett che oramai, senza ritegno, erano rimasti in sola
biancheria. « Edward, tu vuoi… » mormorai stupita. Ma quando Rosalie andò ai
boxer di lui mi misi a gemere schifata. Insieme a Emmett. Ma lui senza
dubbio per un altro motivo. « Qualcuno mi aiuti! Non voglio vederlo. O santo
cielo, in che situazioni mi ritrovo! » gemetti nuovamente. Ma in quel momento la
porta si aprii, ed entrò Edward. « Oh, merda! Scusate! » disse girandosi
subito. Sobbalzai a vedermelo lì, dopo quello che avevo appena scoperto. «
Non si bussa più?! » urlò Rosalie, recuperando il maglione. « Scusa Miss
Perfezione, ma non pensavo che in sue secondi che vi conoscevate eravate già
nudi a flirtare! » disse lui sbuffando. « Puoi almeno uscire? » replicò. «
Vorrei, te lo assicuro, vederti nuda non è il massimo della vista, ma Carlisle
vuole parlare con lui. E ringrazia il cielo che Esme non sia entrata. Sai come
la pensa. In casa niente cose intime. » disse alzando gli occhi al cielo. «
Dopo l’incidente in cui l’abbiamo sentita con Carl ha dovuto mettere delle
regole. » Soffocai una risata, ma tutto prese a vorticare. Di nuovo.
« Bella?! » Riaprii gli occhi, e
trovai Edward accanto a me sul letto. Istintivamente mi alzai a sedere lo
guardai confusa. « E’
da questo che ti trattieni? » chiesi quasi furiosa. Lui mi guardò
confuso. « E’ DA QUESTO?! » urlai, mentre restava impietrito. « TI
FACCIO COSI’ SCHIFO CHE TI DEVI TRATTENERE?! » Mi guardò scioccato. « Ma
che dici! Certo che no, io… » « E allora toccami! Forza! Se non ti faccio
schifo potresti riuscirci! » Mi guardò stupito e dolorante, poi si fece
avanti.
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Capitolo 9 *** Capitolo 8_Chicago 1918 ***
Eccomi
qui, stavolta ho aggiornato più velocemente. E, con dispiacere, vi annuncio che
mancano pochi capitoli, tre al massimo. Ma passiamo a cose più allegre. Come
al solito recensite e leggete in tanti, sono felicissima di questo! Quindi
GRAZIE! Questo capitolo è stato facile da scrivere, me lo sarò immaginata
nella mente così tante volte che è stato anche molto veloce come cosa. Spero vi
piaccia!
Lory-Minako
~ A Beautiful Mortal - Chicago 1918 capitolo 8: Chicago
1918.
×
« Sei impazzita,
spero. » mi mormorò a denti stretti, ritraendo la mano. Lo fissai con
rabbia.
« Impazzita? »
ripetei, stringendo talmente le nocche da farmele divenire più bianche di quanto
già non fossero. « Cosa diavolo hai visto per farti dire certe sciocchezze?!
» replicò lui con rabbia, mentre mantenevo saldo il mio sguardo con il suo.
Strinsi i denti, e mi alzai, prendendo dalla sedia un giacchetto grigio chiaro.
« Dove stai andando?! » mi chiese duro, mentre mi affrettavo verso
l’uscita. « T’importa davvero?! » gli risposi io quasi urlando, mentre mi
seguiva. Alla fine mi fermò, tenendomi con un braccio. « Certo! Diavolo,
Bella, cosa hai visto?! » replicò secco, mentre pestavo un piede a terra
stufa. « Sono fatti miei! E ora lasciami! » dissi strattonandomi per poi
posare una mano sulla maniglia. « Maledizione, Isabella! » sbottò
rincorrendomi. L’aria fredda mi sferzava il viso, ma, anche se avevo addosso
solo un paio di blu jeans e la giacchetta a bottoni leggera grigia, non sentii
freddo. « Vattene! E’ da me che ti trattieni, vero?! Bè, se ne vuoi un’altra
vattela a cercare! Io me ne vado! » annunciai, incominciando a camminare più
velocemente. Lui mi seguiva come un cagnolino. « Sei impossibile! » quasi
urlò, mentre lo fulminavo con lo sguardo. « Io?! Dio, stammi lontano! » «
Bella! »
Sbuffai, e mi
allontanai ancora. Non mi vuole. Non
mi vuole. Pensai affranta, con le mani in tasca. Voglio sparire. Voglio andare via! E
fu tutto nero.
« Non ci credo!
» « E’ così, Elizabeth… » Voci lontane e basse mi fecero rinvenire. Quindi
aprii gli occhi e mi ritrovai distesa sul pavimento pregiato di una casa a me
famigliare. Solo quando, con la testa pesante, misi a fuoco tutto, mi resi conto
di essere nel corridoio della casa di Edward. « Accidenti… » gemei,
toccandomi la testa. « Non posso credere che siano morti anche loro! O
signore, cosa faremo, Edward? » Al sentir pronunciare quel nome mi alzai in
piedi, e, nel buio, notai una figura longilinea seduta a origliare dietro alla
porta della camera da letto dei genitori di Edward. Le voci provenivano da
lì. « E la cosa peggiore è che… oh, come faccio a dirtelo? » Una voce di
uomo profonda mi rimbombò nelle orecchie, e alla fine misi a fuoco colui che, in
silenzio assoluto, stava origliando la discussione: Edward. Ma un Edward
diverso. Anche se al buio, grazie alla mia vista da vampiro, potei scorgere
due scintillanti occhi color smeraldo, incorniciati dai soliti capelli rossi;
alcune lentiggini li coprivano le gote, e la pelle era abbastanza
colorata. Avrà avuto sì e no la stessa età in cui era stato morso. Mi si
strinse il cuore, poi, quando feci un passo avanti per guardare chi
origliava: all’interno della stanza da letto dei suoi genitori, vi erano
quest’ultimi. Lei, Elizabeth, l’avevo già vista in un’altra “visione”, bella ed
elegante come una donna di alta società. Ma Edward senior era la vera sorpresa:
non assomigliava al mio Edward. Aveva
folti capelli castani e occhi azzurri, in un volto molto spigoloso. Tuttavia non
era brutto, anzi. Era decisamente più alto di Edward, era un uomo imponente e
dall’aria severa che lui non possedeva. Intuii, con un’altra rapida occhiata
a Elizabeth, che aveva preso molto dalla madre. « Lizzie, amore mio… avevano
fatto il vaccino… » disse con voce intrisa di malinconia Edward. Vidi mutare
l’espressione della moglie come una bomba ad orologeria che cerca di
scoppiare. « Oh mio Dio. » mormorò, portandosi una mano alla bocca. « Ma
quindi il vaccino non funziona! » continuò poi disperata. Edward senior annui
gravemente. « Quelli che l’hanno fatto, addirittura vengono colpiti prima…
non so che fare Lizzie… come faremo a sopravvivere? » chiese gemendo. Ma non fu
il solo. Sentii distante un altro gemito, talmente basso che loro due non
poterono sentirlo. Quindi mi voltai, e sentii Edward muoversi verso il salone.
Quindi percorsi correndo il corridoio, per poi vederlo con il respiro accelerato
appoggiato allo specchio della porta finestra in legno decorato. Era scosso
da tremori, e gemeva piano. Ma non stava piangendo. Con la coda dell’occhio
capii che si stava trattenendo. Poi, si sentirono dei passi, e la madre di
Edward comparve dal corridoio. Edward subito si mise diritto e, velocemente, si
sedette su di una sedia, per poi prendere velocemente un libro posta sopra al
tavolo. « Edward, preparati, dobbiamo andare a Teatro. » mormorò con voce
stridula sua madre, tirando su col naso. Edward annuì, e si alzò, dirigendosi in
camera sua. Lo seguii, anche se quella situazione non mi piaceva molto. Ero
capitata proprio nel momenti in cui la Spagnola stava per colpire la
famiglia Masen, con un Edward decisamente sconvolto da quello che i genitori gli
stavano nascondendo, e con un buco al posto del cuore perché avevo litigato con
lui nel presente, e non intendevo perdonarlo…
Con un po’ di
contegno rimasi fuori dalla sua stanza mentre si cambiava, e lo seguii solo
quando ne uscii in smoking, rigido e con gli occhi spenti. In salotto lo
aspettavo i genitori, entrambi con vestiti d’altri tempi. Ma il vestito di lei
mi rimase impresso nella mente come uno stampo. Era meraviglioso: di un giallo
oro, con ricami grigi, la facevano sembrare una principessa. Era senza dubbio
una bellissima donna. « Forza. » intimò a Edward, posandomi una mano nel
suo guanto bianco sulla spalla del figlio. Quest’ultimo annuì, con un sorriso
tirato. Uscimmo fuori, e mi accorsi solo in quel momento quanto fosse
differente la
Chicago del 1900 con quella del 2000. Era impressionante non
trovarvi più i grattacieli, e al loro posto tutta una serie di ville eleganti.
Per le strade circolavano macchine dalla forme più strane, munite a volta
perfino di cavalli. Sorrisi d’istinto. Era come un sogno. Ma dovetti
risvegliarmi presto, perché la famigliola stava camminando spedita verso un uomo
e una donna posti vicino ad una macchina. « Buona sera. » disse educato
l’uomo, mentre la donna al suo fianco accennava un inchino, ricambiato dai
Masen. « State benissimo, sorella. » disse a Elizabeth, che sorrise, insieme
a Edward senior. Ma il mio Edward rimase impassibile, come disgustato da quello
che era suo zio. E all’improvviso mi ricordai delle sue parole:
E dire che il mio
dolce zietto mi voleva fregare tutto. Quando i miei genitori sono morti di
spagnola mio zio pensò che anche io – il loro erede – avessi fatto la stessa
fine. Quando lo venni a sapere per caso qualche tempo dopo decisi di andare a
vendicare mia madre. Quando lo trovai si stava per accaparrarsi tutto. Lo guardai con odio,
e notai quanto fosse… viscido. Non assomigliava a Elizabeth e Edward: aveva
capelli neri che sembravano sporchi, e la pelle olivastra, quasi malata. Non
faticavo a credere che una persona del genere avesse potuto fare un torto ai
Masen dopo la loro morte. « Oh, Edward, guardati: sei sempre più magro. Carne
debole! » disse poi con una smorfia di disappunto, guardando Edward. E mi
ricordai nuovamente le parole di Edward: Di certo non si
aspettava che sopravvivessi. “Hai la carne debole, Edward” mi diceva sempre
quando ancora i miei genitori erano vivi. “Elizabeth, guarda com’è smunto tuo
figlio”. Tzè. Con rabbia li seguii,
mentre in macchina percorrevano Chicago. Con la mia corsa veloce gli stavo
accanto senza sforzo, e caddi solo due volte. Quando alla fine si fermò la
macchina ci ritrovammo dinanzi ad un ristorante. Quando uscirono, Edward senior
guardò confuso il cognato. « Perdonami, ma non dovevamo andare a teatro? »
chiese educato, mentre lo zio di Edward si avvicinava alla porta d’entrata. «
Suvvia Edward, non faccia il guastafeste. » rise. « E poi se suo figlio non
mette qualcosa in quella pancia rischiamo di vederlo svenire. » continuò a
ridere, mentre Edward, scioccato, sbuffava piano, per poi prendersi una gomitata
da sua madre. Quindi entrammo.
L’interno mi pareva finto. Era elegante, e
molto, molto ricco di particolari. Sembrava la sala da pranzo del Titanic da
quanto era bello e sfarzoso. E i camerieri, non appena videro chi era entrato,
si affrettarono a dare loro il tavolo migliore, a parer loro, vicino alla
finestra che dava sul tramonto. « E’ tutto delizioso. » disse dolce
Elizabeth, sedendosi accanto a Edward nel tavolo rotondo munito di una tovaglia
brillantinosa. « Voglio il meglio. » annunciò suo fratello, prendendo il
menù. Ma quasi subito arrivò il cameriere. Quindi iniziarono ad ordinare.
Ma quando arrivò il turno di Edward per dire cosa voleva, suo zio lo
interruppe bruscamente, sovrastando la sua voce. « Per il ragazzo
dell’agnello. Al sangue. Gli farà bene. » disse, mentre Edward lo fissai
scioccato. « Ti piace la carne, vero ragazzo? » chiese poi suo zio. «
Certo. » replicò Edward, con voce roca. Quasi ebbi compassione per lui. Quello
era un mondo di regole che non si addiceva ad un carattere come il suo.
Iniziarono a parlare di politica, e mi tenni ben lontana dal sentire le loro
opinioni. Continuai a fissare Edward, e a chiedermi se avevo fatto bene a
litigare quel giorno. Alla fine, arrivai alla conclusione che in fondo avevo
ragione, e quindi non dovevo preoccuparmi. Ma ben presto i piatti arrivarono, e
tutti iniziarono a mangiare. Mi stupii quando Edward mandò giù i bocconi
senza una smorfia. Era la prima volta che lo vedevo mangiare, e con che
gusto! Ma, dopo i primi tre bocconi, appoggiò la schiena alla seggiola,
fissando il piatto con sguardo vuoto. « Edward, stai diritto con la schiena.
Non è da gentiluomo stare così sdraiato. » Alzai un sopracciglio, e con me
Edward. Quindi, stringendo i denti per la rabbia, notai, si rimise dritto. Suo
zio parve soddisfatto, e tornò a parlare con il cognato. Edward, comunque,
non era interessato, e rigirò nel piatto la carne. « Edward, smettila di
giocare con il cibo. E mangia qualcosa, per Dio! » sospirò suo zio, mentre
Edward, stringendo le nocche, obbediva, portandosi alla bocca un boccone di
agnello. Ma sì lasciò sfuggire un sospiro. « Insomma, Edward! Ma che
razza di educazione stai mettendo in pratica?! Smetti di sospirare in quel modo!
» esclamò suo zio, ottusamente. Edward, notai, non resistette più. Con un botto
si alzò in piedi, facendo sobbalzare il tavolo e facendo cadere la sedia
all’indietro. « Posso almeno respirare, o anche quello è tabù? » chiese con
voce incrinata dalla rabbia, prima di voltarsi a correre fuori dal
locale. Seguì la sua figura allontanarsi, e, mentre lo inseguivo, sentii la
voce di Elizabeth. « Ti chiedo se, per favore, la prossima volta non
richiamassi Edward. Sono io sua
madre. Con permesso. » E fu dietro di me.
Quando uscimmo notai subito
la chioma ramata di Edward su di una panchina. E anche Elizabeth. Quindi ci
avvicinammo, e vedemmo Edward con le ginocchia attaccate al petto, e la testa
sopra di esse. Lizzie si sedette accanto a lui, circondandogli le spalle con
le braccia gracili. « Tesoro, non fare così. » mormorò dolcemente. Edward non
alzò il volto, e lei lo fissò confuso. « Edward, via, fammi vedere un
sorriso. » disse con uno sguardo tenero, mentre gli accarezzava la testa. Ma lui
non accennava ad alzare il volto. Quindi sua madre gli alzò il viso a forza, e
subito sobbalzai per la sorpresa: non avevo mai visto Edward in quello
stato. Aveva il volto arrossato, come i suoi occhi, mentre candide lacrime
gli scivolavano sulle guance calde; l’espressione era furibonda e malinconica,
mentre volgeva lo sguardo lontano da sua madre, come vergognandosi di ciò che
stava facendo. « Non stai piangendo per tuo zio, non è vero? » chiese in
tono grave sua madre, mentre gli porgeva un fazzoletto ricamato. Edward,
bruscamente, si ritrasse, e si allontanò. « Edward! » lo richiamò sua madre.
Lui si girò, singhiozzando. « Cosa?! Cosa c’è, ancora?! Hai forse paura che
con questa scenata infanghi il buon nome di papà?! » chiese piangendo ancora,
mentre si allontanava. « Voglio sapere perché piangi! » insistette sua madre,
alzandosi. « Perché moriremo tutti! » urlò quasi Edward, facendola
irrigidire. « Cosa credi, che sono scemo?! Vi ho sentiti oggi! » sbottò
ancora, oramai sconvolto, mentre sua mandre si portava una mano alla bocca. «
Oh, Edward, noi… » « Cosa?! Quando me lo volevate dire? Quando inizierò a
perdere sangue dal naso senza sapere perché? » chiese sconvolto, e mi sentii
sprofondare. Elizabeth fece per parlare, ma lui iniziò a correre verso casa
sua. Da lontano, la sua chioma rossa sembrava un puntino di speranza in quel
mare di nero…
Quando lo ritrovai,
era in uno grande spazio verde, proprio su un grande lago. Probabilmente il
famoso lago Michigan. Ma non ci diedi peso, e lo fissai. Aveva ancora lo
sguardo arrossato e un’aria da bambino indifeso. E per la prima volta capii che
in quel momento quella più saggia ero io. Lì, davanti a me, non c’era l’Edward
che avevo lasciato a casa, centenario e con molta esperienza alle spalle. No,
lì c’era un Edward diverso, senza dubbio anche più sensibile e fragile. E mi
venne una voglia insostenibile di toccarlo, abbracciarlo e tenerlo stretto a me.
« Edward… » mormorai al vento. Ma, come da copione, non mi rispose. Però,
chissà perché, insistetti. « Edward… » ripetei. E in un attimo mi
irrigidì, quando i suoi occhi chiari si posarono su di me d’istinto. Come se
avesse davvero sentito il suo nome pronunciato dalle mie labbra. « Edward? »
chiesi incerta, e lo vidi stupito, mentre mi guardava quasi terrorizzato. «
Mi puoi sentire? » continuai a chiedere, mentre deglutivo l’eccesso di veleno in
bocca. Lui boccheggiò. « Chi è?! » chiese preoccupato, arretrando. Quindi,
incerta, allunga la mano, cercando di toccare la sua. Probabilmente sentii
l’aria accanto a me muoversi, perché ebbe la stessa idea. E così ci
ritrovammo entrambi con uno sguardo perso, mentre le nostre mani stavano per
toccarsi. Ma in cuor mio sapevo che non sarebbe mai accaduto.
Quindi mi preparai a
sorpassarla, come un fantasma. Ma fui presa di sorpresa quanto Edward, quando
le nostre dita si toccarono. Lanciai un urlo, e persi il contatto con la
realtà, cadendo all’indietro. Edward rimase fermo, terrorizzato e
scioccato. Ma cosa diavolo era successo?! Con la coda dell’occhio lo vidi
alzarsi e iniziare a camminare via. E sentii le sue ultime parole: « Sto
impazzendo… »
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Capitolo 10 *** Capitolo 9_la spagnola ***
Chiedo
scusa per l’enorme ritardo! Ma ammetto che questo capitolo mi ha dato non pochi
problemi! E’ stato veramente pesante e duro scrivere una cosa del genere.
Per ora vi saluto distrattamente, è tardi e il pc grida vendetta xd. Per cui
non posso far altro che salutarmi e ringraziarvi per l’appoggio che mi date! Il
prossimo sarà l’ultimo capitolo! E, si spera, arrivi presto! Ciao
ciao! Lore-Minako
~ A Beautiful Mortal
- Chicago 1918 capitolo 9: La
spagnola.
×
Il
tempo passò inesorabile e solo una mattina, mentre Edward faceva colazione,
notai con orrore che il calendario segnava il 5 Agosto 19018. Ero in
quell’epoca da una settimana. Con un sospiro, guardai con affetto quella
testa rossa che mangiava piano i suoi biscotti al cioccolato. Proprio come una
bambino. Ma non c’era niente di infantile in quei due smeraldi che aveva come
occhi. C’era solo costante amarezza, angoscia, morte. E, ogni volta che mi veniva
voglia di tornare nel presente, vedendomi specchiata li dentro il mio cuore si
stringeva in una morsa inequivocabile. Volevo stare con lui. Forse per colpa
della litigata avuta con l’Edward del presente, forse perché volevo proteggerlo
e capire come mai ero riuscita a toccarlo… fatto sta che tutto ciò rendeva il
mio soggiorno lì più interessante. « Io vado. » annunciò stanco Edward
senior, prendendo un cappello. La moglie gli schioccò un dolce bacio sulla
guancia, mentre il figlio gli fece un cenno col capo. Ma in quel momento
iniziò a tossire, tanto che dovette sostenersi alla porta di entrata. «
Dovresti stare a casa. » buttò lì Elizabeth apprensiva. « Ti prego, Edward. Hai
una brutta tosse. » « Suvvia, amore. E’ solo un po’ di tosse. Mi è andato di
traverso il tè. » Nessuno credette a quella scusa butta lì solo per zittire
la moglie, e quest’ultimo se ne andò. Lizzie sospirò. « Edward, io esco. Vado
al mercato. Tu resta casa, mi raccomando. » disse la rossa, mentre Edward
annuiva stanco. « Ciao tesoro. » annunciò baciandolo amorevolmente sulla
fronte. « Ciao, mamma. » rispose Edward, più stanco e malinconico che mai.
E, con un sorriso triste, la donna uscii di casa, facendo svolazzare la gonna
elegante. Rimasi da sola con lui. Con un’aria stravolta e il viso solcato
da profonde occhiaie – che comunque non erano niente in confronto a quelle che
aveva da vampiro – si alzò, prendendo il piatto con ancora alcuni biscotti per
riporlo in cucina. Trascinandosi sui piedi, tornò al tavolo, e prese la tazza
vuota del tè. Ma la prese male e, cadendogli di mano, finì sul pavimento in
un’esplosione di cocci. « Dannazione. » imprecò alzando gli occhi al cielo.
Quindi si accovacciò per iniziare a prendere i pezzi più grossi, quando una
scheggia gli punse il pollice. « Ahi. » esclamò, quando alcune gocce di
sangue si spargevano sulle piastrelle lucide. Accadde tutto in un secondo.
Un profumo senza eguali si diffuse nell’aria: era un sapore terribilmente
dissetante, che fece scaturire in me le più fervidi bramosie. E, prima che
potessi rendermele conto, gli fui addosso. Sentii il suo corpo caldo su di
me, mentre cercavo di prendergli la mano. Lo lanciai lontano dal tavolo,
facendolo cadere sul tappeto del piccolo salotto. In quel momento non capivo
più niente. C’era solo il sue sangue, tanto invitante da farmi inebriare i
sensi. E non diedi neanche troppo peso al fatto che potessi toccarlo, mentre
sotto di me chiudeva gli occhi gemendo. Dentro di me volevo fermarmi. Volevo
alzarmi, porgergli una mano e curargli quella ferita come se niente fosse. Ma
non ce la feci. Avevo sete, terribilmente sete. Erano da giorni che non andavo a
caccia, e, supposi, i miei occhi dovevano essere onice pura. Ero a poca
distanza dal suo petto, dove batteva forte il suo cuore. Pieno di sangue, pensai. Stavo per
mordergli la pelle, quando lo sentii gemere più forte. E un’altra ondata di
odore squisito mi inebriò. Ma quando vidi un taglio profondo nella sua testa
perdere sangue, mi sentii male. Di scatto mi allontanai, e tornai ad essere
un fantasma. Lo capii quando sorpassai per la fretta il tavolo. « Edward. »
dissi senza voce. Era a terra, il dito non sembrava neanche più così
invitante ora che vedevo cosa gli avevo fatto. La testa continuava a perdere
sangue, se pur – notai – il taglio non era così profondo. E mi chiesi con cosa
mai avesse potuto tagliarla. E solo quando notai che il mio anulare era
coperto di sangue capii che dovevo essere stata io.
Con
un gesto fulmineo mi ripulì, allontanandomi il più possibile dalla sua figura
che gemeva imprecando. Era da questo che Edward si teneva sempre alla larga?
Era per questo che prendeva tante precauzioni? Mi sentii uno schifo. Tante
volte mi ritrovavo arrabbiata, sconvolta e perfino scocciata quando magari mi
teneva stretta a lui allontanandomi un secondo dopo. Era da quello che mi
proteggeva? « Voglio tornare a casa. » singhiozzai, senza versare neanche
una singola lacrima. « VOGLIO TORNARE A CASA! » Aspettai esanime che tutto
iniziasse a vorticare, segno che stavo tornando indietro. Ma non
accadde. Rimasi lì, con il fiatone, a guardare il mio Edward rimettersi su a
fatica, mentre si toccava dolorante la testa, oramai piena di sangue. Ma, per
fortuna, non mi resi conto di quanto sangue gli fosse uscito. La sua chioma
rossiccia rendeva tutto molto confuso: non capii, stordita com’ero, quale rosso
faceva parte dei capelli e quale del suo sangue delizioso. Passarono alcuni
minuti, nella quale oramai non riusciva neanche ad alzarsi. Probabilmente gli
girava la testa. Alla fine, la maniglia del portone girò, ed entrò
Elizabeth. Appena vide suo figlio, quasi svenne. « EDWARD! » urlò con
voce roca, mentre lasciava cadere per terra il sacchetto con la verdura. Non
volendo vedere la scena, mi concentrai sui pomodori e le melanzane che
ricadevano disordinatamente sul pavimento. Era colpa mia. Era solo ed esclusivamente colpa mia. « Va tutto bene. » bofonchiò
Edward, chiudendo gli occhi. « No che non va bene. Cosa diavolo hai fatto! »
quasi urlò disperata, mentre piangeva forte. Tremante si buttò sul telefono,
facendo un numero a memoria. Aspettò alcuni minuti, e iniziò a singhiozzare più
forte. « Mandatemi un dottore, ve ne prego. Mio figlio sta male. Perde sangue
dalla testa. » pianse preoccupata. Poi la sua espressione si fece a dir poco
disperata. « No, non ha la spagnola. Si è fatto male e… pronto! PRONTO?!
» « Mamma. Va tutto bene. Sono scivolato. » mormorò Edward, toccandosi la
testa, gemendo. « Vuoi morire dissanguato?! Devo trovarti un medico! »
annunciò camminando verso la porta di uscita. E la senti chiamare disperatamente
un dottore. « Edward? » mormorai avvicinandomi un poco. « Edward? Mi
dispiace… » singhiozzai. « Ti amo, Edward, ti prego, ascoltami, ti amo! »
ripetei accasciandomi a terra. Poi, Elizabeth entrò con un uomo dietro. «
Dio sia lodato, e anche lei. » mormorò tremante, mentre l’uomo – evidentemente
un medico che passava e l’aveva notata – chiudeva la
porta.
E
sobbalzai quando notai due occhi ambrati e dei capelli biondo cenere. « Cosa
ti è successo? » gli chiese piano a Edward. Lui sospirò, e mormorò qualcosa che
non capirono, ma io sì. « Penso di essere scivolato. » ecco cosa disse. Ma
evidentemente solo io e il mio udito potevamo scorgerlo, come anche Carlisle. Ma
non lo diede a vedere. Non doveva certo mettere in allarme anche sua madre
dicendo che aveva sentito un mormorio appena distinto. Quindi, con fluidità,
lo prese in braccio, chiedendo a Lizzie dove poteva metterlo. Lei lo accompagnò
nella sua stanza, e io rimasi da sola con un enorme peso nel petto. Avevo
fatto del male a Edward. E non me lo sarei mai
perdonata.
«
E’ una taglio alquanto interessante. »
Sentii
la voce di Carlisle dire a Lizzie, quando, un quarto d’ora dopo, tornarono in
salotto, dove ero rimasta a rimuginare con i sensi di colpa. « Si rimetterà?
» chiese preoccupata Elizabeth. Carlisle sorrise. « Certo signora, non si
deve preoccupare. Anche le schegge che aveva nel braccio non daranno problemi.
Gliele ho levate tutte. » Anche sul braccio? L’avevo ferito anche lì? « Mi
dispiace per questa mia stupida agonia… ma sa, coi tempi che corrono. » iniziò
Elizabeth, dirigendosi verso il cucinino. « Vuole del te? » chiese poi a
Carlisle. Lui negò con la testa. « Mi duole non accettare l’invito, ma fra
poco è il mio turno all’ospedale. » rispose, guardando l’ora sul suo
orologio.
«
Capisco. Bè, che il signore l’aiuti. » disse in un sospiro Elizabeth,
accompagnandolo alla porta. Carlisle accennò un ennesimo sorriso. « Anche a
lei, Miss Masen. Buona giornata. » E con un’espressione tranquilla uscii,
lasciando la casa in un inusuale silenzio tetro. Quindi, sospirando, si diresse
verso il corridoio. Non mi alzai neanche per costatare dove era andata. Mi
sentivo un mostro. « Voglio tornare da Edward. » mi ritrovai a mormorare con
voce sconnessa. Ma non successe niente. Ma perché? Perché?! Io volevo
tornare a casa, dannazione! Ma, proprio quando stavo per urlare dalla
disperazione, il telefono iniziò a squillare. E in men che non si dica Elizabeth
ci si fiondò sopra. « Pronto? » chiese sulle spine, le occhiaie più evidenti
che mai. Passarono alcuni interminabili secondi, nelle quali comparve
perfino Edward sulla porta del corridoio, con aria stanca. Aveva una benda sulla
fronte e una sul braccio destro, entrambe sporche di sangue. Ma cercai di non
farci troppo caso. Perché in quel momento Elizabeth posò il telefono sul
tavolo, e, con sguardo vacuo si voltò verso il figlio. « E-era l’ospedale.
Tuo padre è malato. » E le lacrime sulle sue guance iniziarono a scendere.
Edward iniziò a tremare. « Malato? » ripetè, mentre la rabbia gli saliva fino
agli occhi. « Smettila di trattarmi come uno stupido! Mamma, è malato o ha la
spagnola?! » Le sue erano quasi urla. E sua madre gemette più forte. « E’
spagnola, amore. »
Raggiungemmo
in pochi minuti l’ospedale. Elizabeth era talmente sconvolta da non negare
neanche a Edward di andarci, sanguinante com’era. Solo quando Carlisle li
vide sgridò Edward. « Non avrebbe dovuto alzarsi dal letto! » esclamò
vedendolo arrivare zoppicando. Ma Edward non gli diede peso, e lo sorpassò,
pietrificandosi poi di fronte al letto nel quale era disteso suo padre,
completamente esanime. « Papà… » mormorò senza voce, sedendosi su una sedia
li vicino. Elizabeth gli prese la mano, ma un medico si avvicinò. «
Scusate, ma rischiate di prendervi anche voi la spagnola. » mormorò. Nessuno gli
diede retta. E rimasero lì per tutte le ore seguenti.
Con
l’arrivare della sera se ne andarono. Io non ce la facevo più. Ero stufa,
triste e amareggiata. Mi mancava Edward. Perché quello di fronte a me non era il
mio Edward. No, non era lui. Eppure… aveva il suo viso, la sua voce, i
suoi capelli. Stavo forse impazzendo? Poteva darsi. « Edward. »
gemetti, quando tutti andarono a dormire. « Voglio Edward. » singhiozzai,
dandomi dei pugni in testa. « EDWARD! »
Passai
la notte così, a chiamare il nome di colui che amavo, di colui che mi
completava, e di colui che – forse – non avrei più visto.
La
mattina dopo Edward insistette per accompagnare la madre al mercato.
Decisamente, infatti, non stava bene. Per tutta la notte l’avevo sentita
tossire, e di certo non era sfuggito a Edward. Quindi eccoli camminare per
strada con le buste della spesa, mentre io li seguivo a ruota. Tutto ciò mi
risultava parecchio pesante dal punto di vista emotivo. Ero a pezzi. Ad un
certo punto Edward si fermò di fronte a una drogheria. « Torno subito. »
annunciò a sua madre. Questa annuì, e lui scomparve all’interno del
negozio. A quel punto, Lizzie ricominciò a tossire violentemente, piegandosi
su se stessa. Quello che avvenne dopo mi diede il colpo di grazia.
«
Spagnola. » annunciò con poca sensibilità un dottore, avvicinandosi per
avvertire Edward. Lui rimase neutro. Con la coda dell’occhio guardai
Elizabeth, accanto al letto del marito. E in lontananza notai Carlisle, che
fissava Lizzie. « Lei sta bene? » chiese il medico squadrandolo dalla testa
ai piedi, soffermandosi in particolar modo sulle bende che portava alla
testa. « Sì. » fu la sua unica risposta. Il medico, quindi, si
allontanò. Con un sospiro Edward si avvicinò ad una finestra, da cui entrava
un leggero venticello estivo. Guardarlo era una tortura. E quegli occhi color
smeraldo che mi avevano tanto affascinata, ora mi sembravano vuoti. E avrei dato
tutto ciò che avevo pur di vederli un attimo diventare ambrati, per riavere con
me il mio Edward. Poco importava se eravamo dei mostri. Lo amavo, e mi vergognavo di me stessa per averlo
incolpa così di qualcosa di cui non era sicuro. Persa in quei miei pensieri,
non mi accorsi che Edward, appoggiato alla finestra, aveva chiuso gli occhi,
mentre si portava una mano alla testa. Lo guardai curiosa. E iniziò a gemere
piano. Di sottecchi, in lontananza, notai Carslie che aveva alzato lo
sguardo. Gemette più forte, e notai che il taglio aveva ripreso a perdere
sangue. Di scatto mi allontanai, mentre Carlisle marciava verso di lui
velocemente, per poi toccargli la ferita. « Perde sangue. » mormorò. Ma
quello che non si aspettavamo, fu che Edward si mettesse a tossire. « Edward.
» mormorai a vuoto, mentre Carline lo guardava terrorizzato. Tossiva sempre più
forte. « Dannazione! » sentii Carlisle imprecare, mentre Edward non riusciva
neanche più a respirare per quell’attacco di tosse. E poi, fece un passo avanti,
aggrappandosi a Carl per non cadere. « Te la sei beccata pure tu! » esclamò
angosciato. Edward sospirò stanco. Feci un passo avanti. « Edward. » Aprii
gli occhi e incontrarono di miei. Non seppi se mi aveva visto o se il suo era
stata un’azione involontaria. In quel momento svenne, sotto i miei occhi. Il
suo corpo cadde a rallentatore. Quel corpo delicato e colorato, quel viso stanco
e malato. Edward si era beccato la spagnola, e io non avevo potuto fare
niente. Indietreggiai, mettendomi a singhiozzare, mentre Carlisle veniva
aiutato da altri medici per metterlo su un letto. Quindi mi accasciai a
terra, gemendo. « Voglio tornare a casa. Basta con questo potere. Non ne
posso più. Voglio vivere nel presente! »
E
tutto prese a vorticare moltissimo. Nella mia testa si susseguivano video,
immagini, suoni…
Sei
figlio mio, Carlisle. Devi andare a caccia di vampiri stanotte!
Jasper,
il tuo destino è legato al mio. Non ti lascerò mai.
E’ un maschio,
signora Masen! Uno splendido maschietto!
Se troppo stupido e troppo
codardo per guardare in faccia la vita Emmett.
Con quel carattere non
andrai da nessuna parte Rosalie.
Tu
non mi sopporti, non è vero, Edward? Mi dispiace, forse eri abituato a vivere da
solo con Carlisle, ma prima o poi mi dovrai
accettarmi.
Sono
stufo di questo stile di vita. Per colpa vostra sono sprofondato nella
depressione!
Non
siamo padroni del tempo Edward, solo della nostra vita. Tu vuoi nutrirti di
umani? E sia. Non te lo impedirò.
Voglio qualcuno per Edward, Carlisle!
E’ troppo giovane e troppo solo, e lo sai anche tu!
Questa Bella Swan ti
sta dando alla testa! Siamo venuti per cacciare o per raccontarci le storielle
d’amore?
Volevi che finisse sotto quella macchina?! Eh, Rose?
Credo di essermi innamorato. Ma non ho speranze. Lei mi odia.
Brava
Rose, Bella non si è buttata! Fai un favore a te stessa e rimugina sulla
disgrazia che hai provocato! Edward è andato dai Volturi!
Ho promesso a
Jasper che sarei tornata. E se faccio una promessa a Jazz, io la
mantengo.
Ti amo Bella.
Sarei
morta. Sarei morta e basta. Lo sentivo. Stavo viaggiando a velocità
rapidissima. Sarei sprofondata nell’oblio di un tempo senza fine. Sarei
morta per un capriccio da bambina. Ma almeno, sarei morta, consapevole di
essere stata amata veramente da
qualcuno.
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Capitolo 11 *** Epilogo. ***
Probabilmente mi
ucciderete dopo aver letto questo capitolo, quindi scrivo prima qui le cose che
devo dirvi. XD Intanto
ringrazio dal più profondo del cuore tutti coloro che mi hanno appoggiato
(lettori, recensori, amici…) Grazie a voi sono arrivata fin qui. Questo
capitolo, vi dirò, è una vera e propria pazzia. Ma è che ho in mente una
cosa, e quindi.. bè, vedrete! XD Non posso che invitarvi a leggere ragazzi,
ragazze e vampiri! Ciao a tutti, alla prossima!
~
Minako-Lore
"Nulla è difficile per chi
ama."
Marco Tullio
Cicerone
~ A BEAUTIFUL MORTAL
– CHICAGO 1918 EPILOGO
»
Un
dolce calore mi avvolgeva il corpo, facendomi volare. Ma non era la stessa
sensazione che provavo quando tornavo indietro nel tempo. No. Quella era
decisamente più famigliare, più confortante. Piano aprii gli occhi, anche se
la palpebre pesanti mi rendevano tutto più difficile. Sembrava quasi che mi
risvegliassi da un lungo sonno, durato settimane intense e spiacevoli.
Ancora intontita mi guardai attorno con gli occhi impastati dal sonno. Posta
sopra di me vi era una coperta scozzese rossa, decisamente calda, che mi
riscaldava le ossa gelide che avevo. Gemei assonnata, tirandomi su a sedere:
ero nella stanza di Edward a Villa Cullen. La felicità mi travolse come un
fiume in piena, mentre sorridevo estasiata. E me ne fregai altamente di tutto quello che era
accaduto nel passato di Edward. Non volevo riviverlo, ora che ero nel presente.
Finalmente a casa.
Mi
tolsi la coperta di dosso, ma mi ritrovai stranamente ad avere freddo. Quindi,
ancora un po’ intontita, me la avvolsi addosso sopra il pigiama leggero che
indossavo. Camminai a piedi nudi sul pavimento della stanza, stanca e
affaticata. Aprii la porta e uscì nel corridoio. Lo percorsi, quando sentii in
lontananza delle voci provenire dal piano inferiore. Un chiacchiericcio
vivace, felice. E sentii distintamente il vocione di Emmett dire qualcosa a
proposito di un albero. Strano:
il mio udito era un po’ rovinato, pensai. Non sentivo bene. Scesi la
scalinata che portava al salotto. E li vidi: Alice, Esme e Emmett stavano
incominciando a mettere delle palle colorate su un bel albero di
Natale. Carlisle se ne stava tranquillo a leggere un libro dall’aria vecchia,
mentre accanto a lui Jasper stava scrivendo qualcosa su un quaderno. Rosalie
fissava il lavoro di coloro che stavano abbellendo l’albero con aria critica, a
volte dicendo qualcosa per migliorarlo dal suo punto di vista. E infine, notai
Edward. Ma non l’Edward con gli occhi verdi e il viso coperto di lentiggini e
malato della mia ‘visione’. No, era il VERO Edward. Era seduto sul seggiolino
del pianoforte, rivolto però a guardare l’albero di Natale con un sorriso sulle
labbra perfette. Le braccia erano posate elegantemente sulle gambe, mentre
lo sguardo era brillante.
“Che
fai Jasper? Scrivi la letterina per Babbo Natale?” chiese Emmett divertito,
guardando il ragazzo mentre gli faceva una smorfia. “Ah ah,
divertente.” “Già, lo penso anch’io! Comunque cosa gli chiederai?” “Di
farti inabissare nel grande Oceano Pacifico.” “Allora è vero che gli scrivi
una lettera!” Mi lasciai scappare una risatina, e tutti si voltarono di botto
verso di me. Mi sentii la guance andare in fiamme, e mi stupii. Evidentemente
era il mio subconscio a farmelo credere. In fondo, ero una vampira. Misi da
parte queste spiegazioni, e posai il mio sguardo su Edward: si era fatto un po’
scuro, e il sorriso si era affievolito.
“Ciao.”
Dissi timidamente, e in un attimo fui abbracciata da Esme e Alice. “Oh,
Bella, finalmente ti sei risvegliata!” esclamò Alice disperata, baciandomi sulla
guancia. “Da quanto è che non mi risvegliavo?” chiesi confusa, mentre alcune
fitte di emicrania mi martellavano in testa. Tutti si guardano l’un l’altro
amareggiati. “Quasi tre settimane.” rispose piano Esme, e gemei. “Dove
sei stata?” chiese poi Alice. Sospirai a guardare verso Edward. Lui notò il mio
sguardo, e si alzò in piedi. “Ha bisogno di riposo. Non ha più la forza
fisica di prima.” Annunciò e si avvicinò a me, cingendomi la vita con un
braccio, per poi costringermi a salire le scale. Tutti rimasero nel più assoluto
silenzio. Camminammo piano e, quando giungemmo alla sua stanza, lui la
sorpassò, e si sedette per terra. Lo fissai stralunata, ma lo imitai.
Eravamo al buio, e la sola valvola di luce proveniva da una piccola
finestrella in alto. Grazie a quella fessura potevo scorgere l’incertezza sul
suo viso. “Ho avuto paura. Stavolta sul serio.” Iniziò stanco, portandosi una
mano sul volto. Trattenni il fiato. “Ci sono tante cose da mettere in
chiaro.” Concluse poi con un sospiro, girandosi per incontrare la mia
espressione stanca. “Già.” Rimasimo in silenzio per un po’, poi presi
parola. “Ti devo delle scuse.” Iniziai piano. “Ti ho accusato di… sì,
insomma, di non amarmi. E mi dispiace tanto, Edward, tu non sai quando…” dissi
mentre sentivo gli occhi pungermi gli occhi. Lui gemette, e mi si parò di
fronte. “Non ti posso dar torto, mi hai accusato di vederti brutta, di non
volerti. Però hai ragione, sono troppo possessivo con te, sono asfissiante.”
Replicò dolorante. Gli posai una mano sulla sua guancia. “Hai passato cose terribili. Sia nella tua vita da umano
che in quella da vampiro. Hai visto morire i tuoi genitori, te stesso… hai
vissuto la guerra… solo ora mi rendo veramente conto che inferno è stato per
te.” Sussurrai, avvicinandomi al suo volto. Lui gemette, e posai le mie labbra
sulle sue. Non volevo un bacio violento, e neanche lui. Ci sfiorammo
appena, mentre ci abbracciavamo affettuosamente. Iniziai a ridere come una
bambina per la felicità quando mi accarezzò la schiena. Posai quindi la mia
testa nell’incavo del suo collo freddo, trovandolo decisamente gelido. Ma ero
troppo presa dalla felicità per darci peso.
Lui
soffiò dolcemente sui miei capelli, scompigliandomeli un poco. Mi accorsi che
ridacchiava anche lui. “Ti amo.” Mormorai piano sul suo collo di marmo,
mentre alcuni ciuffi dei suoi buffi capelli rossi mi solleticavano il naso. “A
chi lo dici.” Ridacchiai nuovamente, soffiando contro i suoi capelli per
levarmeli dalla faccia. “Quindi che giorno è?” chiesi, poi, calmandomi un
poco. “La Vigilia di Natale.” Rispose con un
sorriso, staccandosi per guardarmi in faccia. Ci rimasi male. “Dannazione.”
Sbottai. Lo vidi preoccuparsi. “Che c’è?” chiese in ansia. “Non ti ho
comprato niente.” Dissi sbuffando. Mi guardò dolcemente. “Tu mi hai già fatto
un regalo.” Mormorò, mentre appoggiava il viso sulla mia fronte. “A sì?”
chiesi confusa. “E quale?”. “Sei tornata da me.” Disse come se fosse la cosa
più naturale del mondo. Sorrisi come una bambina, e mi sentii nuovamente la
guance in fiamme. Stavolta mi preoccupai. Mi portai titubante una mano sul
volto e, con orrore, mi resi conto che era calda. Cercai con gli occhi
Edward, che si stava mordendo un labbro. “Sono calda.” Constatai confusa.
Lui sospirò, abbassando lo sguardo. “Cosa succede?” chiesi impaziente,
alzandogli il volto con una mano. “Prima dimmi dove sei stata.” Deglutii a
fatica, e sospirai. “Nel tuo passato.” Ammisi, mentre mi guardava con
un’espressione neutra. “Dev’essere stato interessante se ci sei stata così
tanto.” Disse un poco irritato. Lo guardai male. “E’ stato orribile.”
Ammisi, rivivendo con la mente tutte quelle situazioni. Mi guardò
tentennante. “In che momento della mia vita sei stata?” chiese sottovoce,
come avendo paura di dire qualche brutta cosa. Sospirai. “Quando
iniziavate a essere malati.” Gemei. Si irrigidì, e mi guardò triste. Poi
qualcosa mi balenò in mente. “E… ti ho fatto del male.” Dissi chiudendo gli
occhi. Lo sentii muoversi confuso verso di me. “Mi hai fatto male?” chiese
incredulo. Annuii. “Non so come ho fatto male… sono diventata ‘solida’.
Potevi vedermi, potevo toccare gli oggetti. Per disgrazia avevi fatto cadere una
tazza per terra,e prendendola… sì, bè, ti eri tagliato. Quando ho sentito
l’odore del suo sangue non sono riuscita a trattenerti, e ti sono saltata
addosso, facendoti male. Per fortuna l’azione è stata così veloce che non ti sei
accorto di me.” Spiegai. Ogni frase, ogni parola, ogni lettera, era come una
pugnalata nel petto. Lui era lì, e mi fissava ascoltandomi con attenzione. Mi
fissava ardentemente, e io attesi impaziente un suo segno di vita. Alla fine si
riscosse. “Adesso capisci, quando ti dicevo che era difficile per me?” chiese
stanco. Annuii. “Sì. E ti chiedo nuovamente scusa.” Iniziai con un sospiro.
Poi la curiosità ebbe la meglio e continuai: “Secondo te perché sono divenuta…
‘solida’?” Mi guardò un attimo come a valutare la mia domanda, poi risposta
piano. “Penso che… la tua voglia di starmi accanto, immagino fossi ben lungi
dall’esser felice, ha preso il sopravvento e ti sei fatta prendere dal momento.
Nulla di preoccupante comunque, non più, almeno… “ sospirò pesantemente. Lo
guardai accigliata. “Non più?” chiesi confusa. Mi guardò in modo strano.
“Vieni.” Mi aiutò ad alzarmi, la coperta ancora sulle spalle, e mi guidò
per il corridoio fino a trovarvi uno specchio appeso. “Guardati.” Obbedii,
e rivolsi l’attenzione all’immagine riflessa dinanzi a me: occhi castani, pelle
rosea e guance rosse.
Ero
umana.
“S-sono
umana…” balbettai incredula, toccandomi con una mano la guancia arrossita. Lui
sospirò. Per l’ennesima volta. “Sì.” Rispose stancamente. “Ma come
ho fatto?!” esclamai con rabbia, mentre la lacrime stavano via via stuzzicandomi
gli occhi. “Carlisle pensa che il tuo potere ti sia uscito fuori controllo
e… non so come, sei tornata umana.” Non riuscivo a crederci. No. Non era
possibile. “Edward… “ sussurrai. Ma lui non diceva niente. Non mi morderà più, mi lascerà morire
pensai terrorizzata. “Mi morderai, non è vero?” chiesi angosciata, mentre
tentennava. “Non lo so, Bella.” Mi sentii a pezzi. Il mio cuore si
infranse, e le lacrime incominciarono a scendere. Tirai su col naso in fretta.
Non volevo farlo assistere a quello stupido spettacolo umano. “Bella, non per
una ragione personale. Non capisci che se tornerai vampira avrai nuovamente quel
potere?” mi chiese disperato. Sbattei un piede per terra. “Lo so, lo so,
Masen, tu e le tue stupide teorie! Fai un po’ come vuoi! Ma se non mi morderai
io me ne andrò.” singhiozzai con rabbia. Lo vidi sbiancare – per quanto gli
fosse possibile. E anch’io mi sentii male: cosa avevo detto? “Vai.” Mi
pietrificai e lo fissai negli occhi. “Vai.” Ripetè, mettendosi le mani in
tasca. Il sangue mi si gelò. “Io… “ “Bella, tutto questo ha dato prova che
sarà difficile in ogni caso per noi.” Sospirò con dolcezza Edward, gli occhi due
pozzi neri. “Ma io… “ “Vai.” Lo guardai allontanarsi, lasciandomi sola
in mezzo al corridoio. Ero sola. Di nuovo. E stavolta non l’avrei fatta
franca.
In
soggiorno tutti mi guardarono con espressioni tristi. Alice doveva aver avuto
una qualche visione o, semplicemente, avevano sentito tutto. In ogni caso, mi
diressi verso di loro. Mi ero cambiata, avevo indossato un paio di jeans neri
con un maglione bianco sopra. Ma ero un automa. Non riuscivo ancora a capire
bene. “Bella… “ iniziò Alice titubante. Sorrisi mentre le lacrime mi
scendevano giù. “Niente Alice.” La fermai, tirando su col naso. “L’ha
detto perché è sconvolto.” Sussurrò Emmett. Negai con la testa. “In un certo
senso ha ragione. Vi ho creato problemi. A tutti voi.” Singhiozzai. Non
ebbero il coraggio di ribattere. Indicai, poi la mia valigia ai miei
piedi. “Me ne vado. Addio.” Mormorai e, prima che qualcuno di loro mi venisse
in contro supplicandomi di restare, uscii fuori nel turbinio di neve che mi
impediva di camminare bene. Notai il mio pick-up parcheggiato li di fronte, e
vi corsi all’interno. Posai la valigia e notai una figura corrermi incontro,
bussando poi sul finestrino. Senza fiato lo abbassai, e Edward mi si parò di
fronte. “Addio. Stai facendo la cosa migliore.” Mormorò. “No, non è la
cosa migliore.” Replicai acida. Si accigliò. “La cosa migliore sarebbe morire.”
Prima che potesse controbattere gli posai le mie labbra sulle sue con foga.
Lui rispose, e le dischiusi voracemente. Poi con velocità richiusi il
finestrino, e misi la retromarcia. La figura longilinea di Edward si faceva
sempre più lontana, e con lei la mia voglia di vivere. Sapevo cosa stava
pensando. Probabilmente mi augurava felicità. Ma quello che non sapeva era
che io stavo andando a suicidarmi. E lui, questo, forse non se lo aspettava. Ma
intanto, non l’avrei più rivisto.
-
a beautiful mortal * the end -
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