In Joy and Sorrow

di RecklessElf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Confortably Numb ***
Capitolo 2: *** Celebration Day ***
Capitolo 3: *** Strawberry Fields Forever. ***
Capitolo 4: *** Ramble On ***
Capitolo 5: *** High Hopes ***



Capitolo 1
*** Confortably Numb ***


I - Confortably Numb

Il dolore è sparito, ti stai come allontanando 
Pennacchio di fumo d'una nave all'orizzonte 
Ritorni indietro solo a ondate 
Le tue labbra si muovono ma non sento che dici 
Da bambino ho avuto una febbre 
Mi sentivo due mani come palloni 
Adesso provo di nuovo quella sensazione 
Non so spiegartelo, non capiresti
Questo non sono io
Sono diventato piacevolmente insensibile.
(Confortably Numb- Pink Floyd) 

 
 
Bristol, Autunno 2012.
Primo giorno del secondo anno di scuola a Bristol.
Mi sembra di essere arrivato qui un secolo fa. Il tempo scorre lentissimo, e Dublino mi manca da morire. Ma non è certo una novità, questa. 
Prendo un muffin al volo, prima di uscire, e do una rapida occhiata allo specchio, osservandomi. Non sono cambiato di una virgola, in tre anni, se non per i capelli, che sono diventati ancora più lunghi e biondi.
L'autobus è in ritardo, tanto per cambiare. E un sole luminosissimo mi impedisce di tenere gli occhi aperti. 
Credo di essere una di quelle poche persone che preferisce la pioggia al bel tempo. Sarà che ho vissuto a lungo in un luogo dove diluviava anche in pieno luglio.
Non è una gran giornata, oggi, eppure mi dico che devo farmi coraggio, ancora un paio d'anni e poi finalmente è finita.
Ma anche tornando a casa, sarei felice, poi? Sono cambiate già un sacco di cose, e chissà cos'altro potrebbe succedere nel frattempo.
Non importa, dovrò provarci, anche se forse tornare in un luogo così pieno di ricordi mi farà del male, di nuovo.

Trascorro il breve tragitto in 'autobus ascoltando la musica con l’ipod, osservando le case e il panorama grigio e poco vivace intorno a me.
Il basso, dio santo!
Mi sono dimenticato di rimetterlo a post,o meglio..di nasconderlo. 
Spero che mia madre non riattacchi con la solita predica.. 
«Sebastian, smettila di perdere tempo con queste fesserie, la musica non ti porterà a nulla, hai visto tuo padre? Alla tua età dovresti pensare alla scuola! E a divertirti nel tempo libero come tutti i tuoi coetanei, se proprio, non attaccarti a uno strumento!»
Facile, a dirsi! La musica, ormai, è l'unica cosa che susciti in me qualche emozione.
Per il resto, è come se non me ne fregasse nulla.
O come se quasi tutto mi desse fastidio.
Non ho intenzione di fidarmi di nuovo di qualcuno, di affezionarmici, tanto poi lo so come va a finire. L'ho scoperto fin troppo bene.
Comunque, anche se dovrei esserci abituato, mia madre la trovo veramente fastidiosa. Mi chiedo spesso cosa diavolo capisca di me.
Nulla, a quanto pare, e quando siamo venuti a vivere qui me ne sono reso conto davvero.
Forse le manca papà quanto a me, e crede che la musica gliel'ha portato via. A volte vorrei parlarne, ma è così fredda con me, quasi fosse colpa mia.

Ecco, l'autobus è arrivato a scuola.
Metto via le cuffie, entro nell'edificio e cerco la nuova aula.
«Seb, come hai passato le vacanze?»
Mi giro. Un gruppetto di compagni mi saluta, e scambiamo quattro chiacchere.
Non sono male, alcuni di loro, anche non avendo quasi nulla in comune ci si può tranquillamente parlare insieme del più e del meno.
Ma poi arriviamo in classe, e siamo punto a capo.
Le ragazze che si raggruppano, ridacchiando e parlando di smalti, vestiti, fidanzati.
Neppure i ragazzi sono tanto diversi, e attaccano col calcio, discoteche, e compagnia bella.
Non è che non mi vada di parlare con loro. E' che non riesco a fingere che mi piaccia o mi interessi qualcosa che gli altri adorano, se in realtà non me ne importa granché.
E poi sono abbastanza..timido, questo sì. Lo sono sempre stato un po', ma qui mi sento particolarmente fuori posto.
Penso sempre di dire qualcosa che non vada, così molte volte sto zitto e basta.
E poi detesto essere guardato, osservato, scrutato.. ma purtroppo la gente lo fa spesso. 
Dev'essere per via del mio aspetto, non è che sia proprio comunissimo..sono abbastanza alto, magro, con la pelle chiara
e i capelli biondi e mossi, lunghi pressappoco fino alle scapole.
Non mi piaccio granché, più che un sedicenne sembro uno di quei principini delle fiabe.
«Hai una bellezza particolare...direi...androgina!» mi aveva detto Marjane qualche anno fa, e io avevo riso, non sapendo
se prenderlo come un complimento oppure no.

Il rumore delle chiacchiere si interrompe improvvisamente, mentre io sono ancora perso nei miei pensieri, e vedo
il professore di  mate entrare in classe con il suo solito cipiglio severo, seguito da un ragazzo pressappoco della nostra età.
E' molto temuto, questo insegnante, perché è sempre arrabbiato, se la prende per niente e da dei voti bassissimi.
Ma rispettato proprio non lo è, appena non c'è gli ridono tutti dietro.
«Ragazzi,questo è Eric Weymouth» comincia il professore indicando il ragazzo con aria annoiata, quasi a voler dire : " Toh, ecco un nuovo alunno a cui badare, che scocciatura!"

Eric alza gli occhi verde scuro guardando la classe con aria beffarda, e accenna a un sorriso, tormentandosi un ricciolo scuro.
«E' un nuovo compagno, e spero che vi troverete bene con..»
«Sì,grazie,mi troverò benissimo.» taglia corto Eric, guadagnandosi un'occhiataccia dal professore.
«Dov'è che mi siedo?» Il ragazzo si aggira tra i banchi, occupati solo da zaini e cartelle, nessuno si era ancora seduto, e tutti erano occupati a fissare il nuovo arrivato.
«Oh, vicino alla finestra..e nemmeno incollato alla cattedra..direi che va bene.» esclama,sedendosi nel banco di fianco a quello dove avevo poggiato la mia roba. 
Sembrava non rendersi minimamente conto, o meglio, fregarsene completamente, di essere in una scuola, sotto gli occhi di un insegnante. 
Il suo comportamento spigliato mi divertiva.
«Posso?» mi chiede, ma tanto è già seduto. Annuisco con un sorriso, scrutandolo.
Ha sempre quell'aria sarcastica, e mi fissa piantandomi i suoi occhi color smeraldo dritti in faccia, eppure la cosa non mi da fastidio, perché ha un'aria simpatica, e non sembra volermi guardare per trovare qualcosa di negativo in me.
Si alza leggermente, togliendosi di dosso il giubbotto consunto di pelle scura, mentre la maggior parte dei miei compagni lo fissa curiosa.
Eric non sembra neppure farci caso. Si risiede, appoggiando il viso tra le mani e ascoltando il professore con evidentemente disinteresse, mentre illustra il programma dell'anno.
Io la odio, matematica. E' vero che c'entra anche nella musica, ma la roba che studiamo a scuola è una vera palla..radicali, disequazioni, dimostrazioni di teoremi geometrici..tiro fuori il mio quaderno, già fitto di schizzi e disegni, e inizio a scribacchiare qualcosa, fingendo di prendere appunti.
Disegnare e scrivere mi piace da morire. E' diventata la mia attività preferita, durante le lezioni, ed è spesso un ottimo rimedio contro la noia.
I professori non mi crederebbero mai se lo dicessi, ma mi aiuta addirittura a concentrarmi!

E' tutta la mattina che ho in testa "Confortably Numb" dei Pink Floyd. La canticchio a bassa voce, schizzando un viso con degli occhi enormi, neri, vuoti.
Le sue mani sono impigliate tra i capelli, che disegno simili a delle spirali di DNA. Le labbra, invece, sono appena dischiuse, come se  il ragazzo stesse parlando.
Intorno a lui c'è un muro sottile,che lo lo separa dalle altre persone.
La gente attorno al muro bussa su quei mattoni, urla, cerca di comunicare con il ragazzo,ma lui è come se fosse da un'altra parte, non li sentisse, o non li capisse.
Scrivo qualche frase della canzone nel disegno.
"Is there anybody in there? C'è qualcuno,qui dentro?" Urlano le persone, rivolte al ragazzo,
" Your lips are move, but I can't hear what you say! Le tue labbra si muovono, ma non posso sentire ciò che dici! "
" This is not how I am. Questo non sono io."
«Com'è che ti chiami tu,scusa?!» 
Mi volto di scatto, sorpreso, coprendo istintivamente il disegno con le mani. Eric mi sta fissando.
«Io..Sebastian.Ma chiamami pure Seb.» rispondo, guardandolo a mia volta. Indossa una maglietta dei Led Zeppelin.
Chi lo avrebbe mai detto, che un mio nuovo compagno potesse ascoltare lo stesso tipo di musica che piace a me?
Il mio gruppo preferito, per giunta.
Metto da parte tutti i vecchi ricordi che ho legati alle loro canzoni, per evitare di farmi male per l'ennesima volta,e penso che 
vorrei tempestarlo di domande, ma non so da dove cominciare. Ti piace la musica rock? Suoni qualcosa?..Come hai iniziato ad ascoltarla?
 Mentre ci rifletto su, lui mi risponde. 
«D'accordo,Sebastian.» 
«La volete piantare, voi due?!» sbotta il professore. «Tu,Weymouth..partiamo male..malissimo!»  
Eric lo ignora completamente, senza manco guardarlo in faccia.

La campanella suona qualche minuto dopo, e la maggior parte dei miei compagni si raggruppa intorno ad Eric, incuriositi da lui.
Lo riempiono di domande, e alcuni addirittura ne sembrano intimoriti.
«Fai sport?» 
«No.»
«Cosa fai il sabato sera di solito? Discoteche?»
«..Ma manco morto! Concerti,concerti, e concerti.»
«Non segui manco il calcio?!»  
Sembrano tutti stupiti da questo nuovo arrivato, anche se in fin dei conti non sta dicendo cose così strane! Anzi, a me incuriosisce.
Vorrei essere suo amico. Forse un amico qui non sarebbe così male.Un vero amico. E' inutile, ormai, rimpiangere i vecchi tempi e basta.
Ma non so. 
«No, non lo seguo. Mi rompe le palle da morire..ma..beh, se a voi piace, buon per voi!» 
«E..la ragazza?»
«Mi scaricherebbe dopo due giorni, se ce l'avessi. »
E' completamente diverso da me, questo Eric. Dice tutto quello che gli passa per la testa, senza farsi problemi, o nascondersi,
come faccio io, da quando sono qui.
Ricordo come se fosse ieri il primo giorno di scuola a Bistrol, a metà anno della prima, gli occhi di tutti puntati addosso come fari e i ricordi dolorosi a tormentarmi, ancora vivi.
Era cambiato tutto all'improvviso. Dovrei trovare un rimedio, lo so, per cambiare tutto questo, e il prima possibile. Anche io sono cambiato.
Sono diventato piacevolmente insensibile, e niente altro.
 
 
 
                                                                                                                                                          
 
 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Celebration Day ***


II- Celebration day

 

Il suo volto è increspato in un sorriso, 
Tutte le paure che ha tenuto nascoste

E sembra che presto 
Tutti verranno a sapere
E la sua voce è roca per il troppo gridare,
Sostenendo vincenti che stanno perdendo
E lei si preoccupa se i loro giorni sono contati 
E se presto dovranno andarsene

Oh, sono così felice, 
Mi unirò alla banda
Balleremo e canteremo per festeggiare, 
Siamo nella terra promessa
(Led Zeppelin- Celebration Day)




 
E’ proprio vero che certi ricordi ti rimangono così impressi nella mente da dover solamente socchiudere gli occhi e pensare, per tornare a quel giorno di tanti anni prima, e sentire addirittura il profumo dell’erba bagnata, della pioggia, il calore sulla pelle del pallido sole autunnale, e le stesse identiche emozioni.
Ecco, c’è un giorno che ricordo meglio di tutti gli altri, è un giorno di quattro anni fa. Una cosa che mi piace dei ricordi è che puoi tornarti a rifugiarti quanto ne hai voglia, e a volte riesci persino a dimenticarti che il tempo è passato, e le cose sono cambiate.
 
 
Dublino, Autunno 2008.


«Io non ho paura dei tuoni..e tu,Sebastian?» chiese Marjane, fissando la pioggia cadere incessantemente, con il naso incollato alla finestra appannata della casa dell’amico.
« Fanno un suono forte e potente, proprio come quando suono la batteria!» aggiunse, con un sorriso.
«Neppure a me fanno paura» rispose Seb, seduto sul tappeto, la schiena contro il muro e le orecchie tese ad ascoltare il rumore scrosciante della pioggia, quasi come se stesse contando ogni singola goccia d’acqua caduta dal cielo.
«Però che scocciatura, proprio oggi doveva venire questo diluvio? Dobbiamo suonare con Rick,dopo..» sospirò Marjane, imbronciata.
«Quando piove prima o poi smette,Marji!» replicò Sebastian, allegramente «Soprattutto qui a Dublino, che per un minuto viene giù il diluvio universale, e quello dopo c’è un sole che spacca le pietre!»
Era davvero ottimista, quel bambino, pensò Marjane. Non ricordava di averlo mai sentito lamentarsi.
«Cosa facciamo, nel frattempo? In casa è una noia..» mormorò Marjane, sedendosi sul pavimento e tamburellando con le mani sulle proprie ginocchia.
 Aveva solo undici anni, uno in meno di Sebastian,ma sembrava che ce l’avesse nel sangue, il ritmo. E non stava un minuto ferma!
 
«Mi racconti la storia di Gollum e dell’anello,Seb?»
«Ancora?» rise Sebastian «Ma oramai la sai a memoria! E pure il film l’abbiamo visto un miliardo di volte..!»
«Lo so,che lo conosciamo benissimo,il signore degli anelli,ma mi piace quando racconti la parte di Gollum..fai la voce uguale!»
«Il mio…tesssssoro..!» sibilò Sebastian, imitando Gollum alla perfezione.
Il rumore secco di una porta sbattuta interruppe improvvisamente il loro discorso.
«Che sia tuo padre,Seb?»
«Non credo,doveva arrivare stasera..!»
«Ah,allora chi..?»
 
«I miei due piccoli musicisti!»Una figura alta e snella, con un viso allegro e luminoso, incorniciato da lunghi riccioli castano chiaro irruppe
improvvisamente nella stanza, sotto lo sguardo sorpreso di Marjane e Sebastian.
«Papà!» Seb si alzò in piedi di scatto, contento.«Come sono andati i concerti?»
«Benone!» L’uomo sorrise,scompigliandogli i capelli. «E tu..basso o chitarra? Stavi suonando con Marji?»
Già, basso o chitarra.. bella domanda!
Seb aveva iniziato a suonare la chitarra quando aveva sette anni. Lo aveva aiutato suo padre, dopotutto era il suo lavoro, e vedere un figlio così
appassionato di musica lo riempiva di orgoglio. Ma poi aveva preso in mano il basso, l’anno precedente.
 Lo aveva sempre incuriosito, quello strumento dal suono grave e profondo, con quelle corde così spesse e dure.
 Era indubbiamente più ferrato con la chitarra, ma amava anche suonare il basso. Era costantemente indeciso, per un sacco di cose, glielo dicevano tutti.
 
«Non stavamo suonando, stavamo giocando in casa..oggi dovremmo suonare di nuovo con Rick, però diluvia..»
«Diluvia?» il padre di Seb rise, divertito. «C’è un bellissimo sole, vi accompagno io da Rick, così facciamo due passi,che ne dite?»
Seb e Marjane lo guardarono allibiti, per poi spostare lo sguardo sulla finestra, da dove filtrava una forte, improvvisa luce a scaldare la stanza.
«Arrivi tu e ritorna il sole..non ti becchi mai una goccia, non è possibile!» disse Seb, divertito, rivolto al padre.
«Fidati, mi sono beccato un bell’acquazzone anch’io,Seb..appena sceso dall’aereo, tra l’altro!»
«E il viaggio è andato bene, signor Jeffrey?»
«Signor Jeffrey, signor Jeffrey..che formalità,Marji! Ci conosciamo da anni e mi chiami così? Mi fai sentir vecchio!» rise il padre di Seb,
spalancandola porta di casa, e uscendo, seguito dai due ragazzini, che si fiondarono subito tra le stradine alberate,correndo e allontanandosi dalla sua vista.
 
Seb lo adorava, il quartiere dove vivevano.
 Le macchine passavano di rado, perché erano in periferia, ma non era affatto brutto: le case, piccole e accoglienti, erano circondate
da prati e stradine alberate, colline, e vecchi edifici, dove ci si poteva nascondere, o addirittura perdere.
Non erano distanti dal centro di Dublino,bastava una metropolitana, o un autobus, e si era lì in un quarto d’ora. Ci andavano spesso, per girare di pomeriggio,
era una città vivace, e neppure troppo grande.
Ci andavano persino di sera, a volte, quando suo padre li accompagnava per le stradine e i pub, a sentire la gente che suonava.
 
La casa di Marjane era esattamente di fianco alla sua, ma lei non ci passava tanto tempo.
I genitori di Marji lavoravano spesso, nel pomeriggio, così era quasi sempre da lui.
 Si erano conosciuti quando lei si era trasferita lì, in quella casa piena di edera verde scuro, che si arrampicava fitta sull’abitazione, fino ad aggrovigliarsi sulle finestre, sulle tegole del tetto.
La sentiva picchiare tutto il santo giorno, chiusa nel garage, su quella batteria di cui andava tanto fiera; nulla di pretenzioso, certo,
solo una grancassa, per di più dall’aspetto vecchio e consunto, un rullante, un charleston..e altri aggeggi di cui non ricordava mai il nome
– non suonava la batteria,lui! -  ma accidenti, come la suonava!
Aveva un ritmo e una forza fuori dal comune, quella bambina, davvero!
Non si sarebbe certo detto, a guardarla: era piccola e minuta, con gli occhi neri come il carbone, e i capelli lunghissimi dello stesso colore,
lisci e setosi. Eppure era agile e vivace, perfetta per suonare uno strumento del genere.
 
«Marji, Seb!!» un viso simpatico e lentigginoso sbucò improvvisamente fuori da una siepe, quella che circondava il giardino di
Sebastian, facendogli un paio di boccacce.
«Rick! Da dove sei sbucato fuori?» sussultò Marjane, e poi rise «Mi hai fatto prendere un colpo!»
Rick sgusciò completamente fuori dalla siepe, fissando i due amici con un sorriso enorme, i pantaloni sporchi di terra e le foglie impigliate tra i riccioli ramati.
«E’ cinque minuti che sono qui a fissarvi. Potrei fare lo scassinatore,che nessuno mi noterebbe! Fregherei tutto quel ben di dio che hai in casa tu,Seb! Chitarre, microfoni, basso..!»
«Grazie per l’informazione,Rick. Quando non troverò più tutta questa roba, saprò già il colpevole!»
«Sì, ma nel frattempo io me ne sarò già fuggito da un pezzo!» replicò Rick, poi guardò gli altri due, mangiucchiandosi un’unghia con aria dubbiosa.
«Beh,che c’è, Rick?» chiese Marjane, osservandolo.
«Oggi formeremo il gruppo. Ho deciso.»
Rick si voltò di scatto,e corse lontano, tra gli alberi della via, tra l’erba secca e incolta, tra le prime foglie secche che cospargevano le stradine ghiaiose, e scomparendo per un istante, coperto dalla luce del sole, che in quel momento era così forte da nascondere alla vista il resto delle cose.
La luce, quando è troppo potente, è proprio come il buio: inghiotte tutto dentro di sé,e non si vede più nulla, pensò Sebastian.
 
«Riiiiick! Ma dove vai?» Marjane corse più veloce che poté, seguita da Sebastian. Rick si fermò e si voltò verso di loro, con quel suo solito sorriso, così semplice e rassicurante.
«Che dite,ci state?»
«E cosa suoneremo? Abbiamo provato già un sacco di canzoni, ma dobbiamo esercitarci ancora..» rispose Sebastian
«Esatto. Siamo già un gruppo,in pratica.» Rick si morse il labbro «Abbiamo solo bisogno di un nome. E della certezza che suoneremo sempre insieme.»
 Rick si sedette per terra, giocherellando con un filo d’erba, e osservando attentamente il volto degli altri due, per cercare di leggerne una risposta.
Gli occhi azzurri di Sebastian incrociarono i suoi per un istante.
Erano increduli, stupiti, ma erano occhi che sorridevano.
 Il ragazzino biondo annuì con il capo, spostando poi gli occhi sull’amica.
 Marjane sembrava pensierosa, gli occhi scuri velati da un’ombra, intenti a fissare Rick.
«Ma è fantastico! Certo,certo che va bene!» la ragazzina battè le mani, e il suo viso si illuminò improvvisamente.
«Però non mi va che qualcuno faccia il capo. Saremo tutti...ehm,alla pari? Come posso dire?»
Tutti risero, e dopo che Rick e Sebastian le ebbero assicurato che sì, nessuno avrebbe fatto il capo, i tre amici sollevarono le mani al cielo,
stringendole in un muto accordo, sigillato solo dai loro sorrisi, dall’allegria di quell’istante.
Si diressero verso la casa di Seb, e corsero tutti più veloce del solito, quel pomeriggio.
Sfiorarono i tronchi degli alberi con le mani durante quella corsa, come a voler salutare i loro muti compagni di gioco, a volergli annunciare la lieta notizia:
avrebbero formato un gruppo,loro tre!
 
Forse sarebbero stati come uno di quei gruppi che avrebbero dato vita a un sogno, un sogno che sarebbe vissuto per anni e anni,
generazioni e generazioni. Seb ci sperava davvero.
La musica che ascoltava insieme ai suoi amici e a suo padre non era moderna, per lo più, eccetto qualche gruppo.
Ma che importanza aveva? Se riusciva a trasmettere qualcosa di veramente forte ancora adesso, a lui e alle persone che riteneva più importanti,
allora doveva essere davvero forte.
Amava la musica, soprattutto quella rock. Non riusciva seriamente a capacitarsi quando vedeva molti suoi coetanei storcere il naso di fronte a questa
sua affermazione, e fiondarsi ad ascoltare una musichetta commerciale da quattro soldi, che andava di moda un mese e poi scompariva dalla circolazione,
per essere rimpiazzata  da un’altra, se possibile ancor peggiore.
Ma Seb non era un tipo litigioso, così non gli diceva nulla. Peggio per loro, non sanno cosa si perdono. Non capiranno mai quanto è bello suonare,
ascoltare una canzone con attenzione, amarne ogni singola nota, conoscerne ogni singola parola..
 
«Ehi,bella addormentata nel bosco..ci sei?» Rick gli diede una leggera gomitata nelle costole, riportandolo a terra
«Immerso nei tuoi pensieri,come al solito,cervellone!» aggiunse,ridacchiando.
«Che invidia,eh? Deve essere brutto non avercelo,il cervello per pensare!»
Lui e Rick si battibeccavano sempre così, con un sorriso sulle labbra, non appena capitava l’occasione.
 
«Ah, eccovi qui!» il padre di Seb era davanti alla porta di casa, con le chiavi in mano, e sorrise ampiamente ai tre ragazzini, porgendogliele
non appena lo raggiunsero.
«Le chiavi..?» Seb lo guardò incredulo.
«Sì, Seb, vado a prendere la mamma al lavoro, sai, mi aspettava per stasera..le faccio una sorpresa! Ma poi torno!Volevate stare a casa, no? »
«No, suonare..formiamo un gruppo!»  Seb sorrise fieramente.
Suo padre ricambiò il sorriso «Era ora! In bocca al lupo ragazzi, mi raccomando,voglio sentirvi suonare il prima possibile!»
«Allora..possiamo usare la sala prove..cioè,sì,dove si suona..la taverna?»
«Ovvio che sì!» Il padre di Sebastian gli strizzò l’occhio, scompigliandogli i capelli, come faceva sempre,e se ne andò con il solito sorriso
sulle labbra, girandosi un attimo e salutando tutti con la mano.
 
«Tuo padre è un grande!» esclamò Rick,non appena se ne fu andato «E’ un chitarrista pazzesco, è simpatico, non rompe mai le scatole
ed è sempre gentile e allegro con tutti..wow!»
Seb sorrise. Era vero, e lo sapeva.
«Sì,è un bravo papà,dai..!»
«Però se non studi ti rompe?» chiese Marji, curiosa
«Oh,sì,da morire. Dice che è importante nel frattempo andare bene a scuola, importante quanto avere un bell’hobby come suonare,o disegnare
o scrivere, o un lavoro che ti piaccia poi.»
«Beh,credo abbia ragione..» sorrise Marji, e poi entrarono tutti in casa di Sebastian, e scesero correndo le scale del salone, fino ad arrivare in taverna.
Che spettacolo! Sebastian entrava spesso in quella stanza, piena di strumenti e casse ovunque, ma ogni volta era come se la vedesse per la prima volta.
«Con cosa partiamo? Dovremmo iniziare con qualcosa di..beh, dai, insomma..è l’inaugurazione del gruppo!» esclamò Rick, così emozionato
da mangiarsi le parole e non capire più nulla.
«Facciamo Celebration Day! Che ne dite?»
Seb l’aveva buttata lì così, ma c’era un motivo per cui l’aveva proposta.
Era una canzone che avevano provato tantissime volte insieme, e non sapeva manco il perché. Non era neppure una di quelle più famose
o semplici dei Led Zeppelin –suo padre li ascoltava spessissimo,e anche a lui piacevano un sacco-  ma era una delle prime che aveva ascoltato,
e provato con i suoi amici.
E il testo..sembrava fatto apposta per quel momento!
«Direi che va benissimooo!» Marjane si fiondò alla batteria, afferrando le bacchette e sedendosi al proprio posto, entusiasta.
Rick prese il microfono con un sorriso, e guardò Seb.
«Senti,sto io al basso? Con la chitarra..la suoni benissimo tu,questa! E col basso questa la so abbastanza»
«Sì,genietto polistrumentista, tu al basso!» rise Seb, imbracciando la propria chitarra. Suo padre ne aveva mezza dozzina più professionali
e belle, ma non gli importava. La sua personale la preferiva, soprattutto in quell’occasione.
«Senti chi parla..!»
Marji batté il tempo sulla grancassa, quasi a voler richiamare l’attenzione sulla canzone, sulla musica. Non appena si accorse che anche gli
altri due erano concentrati riprese a battere il tempo, e Seb attaccò improvvisamente con la chitarra.
Era bravo a suonare, Sebastian, anzi, pazzesco, pensò Rick mentre guardava l’amico chino
 sulla chitarra, muovendo le mani esili, veloci e sicure sulle corde, con un sorriso trionfante, completamente noncurante dei capelli biondi e
lunghi che gli ricadevano sul viso,coprendogli un occhio. Eppure, non c’era mai stata una volta in cui si fosse vantato.
Anche Marjane se la cavava piuttosto bene, con quel ritmo incalzante, quasi aggressivo.
E poi Rick. Aveva solo tredici anni, ma la sua voce era già cambiata, era così potente, particolare. Era da quando era piccolo che tutti glielo
dicevano, era un portento a cantare. Doveva continuare. E aveva continuato. Lo adorava. Come poteva smettere?
Ecco, ora entrava anche il basso, sempre suonato da Rick. Gli piaceva così tanto,quello strumento. Non si sente nemmeno,dicono alcuni.
Ma immaginiamoci! Si sentiva,eccome. Era come se calibrasse l’intera canzone, e la completasse con quei toni profondi, bassi.
 
 «My, my, my, I'm so happy, I'm gonna join the band» Oh, sono così felice, mi unirò alla banda. Rick cantò il ritornello con il sorriso sulle labbra.
«We are gonna dance and sing in celebration, we are in the promised land » Balleremo e canteremo per festeggiare,siamo nella terra promessa.
 
La voce di Rick riecheggiava potente nella stanza, perdendosi nell’aria, e suonarono ancora e ancora, canzone dopo canzone, pieni di entusiasmo,
e qualche errore dovuto all’inesperienza di suonare tutti insieme, di ascoltare la composizione, oltre che al proprio strumento.
Suonarono fino a quando il sole non si tinse di rosso e giunse il tramonto, e poi, dopo aver riposto gli strumenti, uscirono in giardino di corsa,
scomparendo di nuovo tra gli alberi, e la sottile nebbiolina autunnale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 3
*** Strawberry Fields Forever. ***


III- Strawberry Fields Forever.

 

Lascia che ti porti con me
perché sto andando ai campi di fragole
niente è reale
e non c'è niente per cui stare in attesa,
campi di fragole per sempre.

È facile vivere con gli occhi chiusi
fraintendendo quello che vedi
sta diventando difficile essere qualcuno
ma tutto si risolve
non me ne importa poi molto.

(Strawberry fields forever- The Beatles)


La ricreazione è finita, e il suono della campanella mi riporta finalmente al presente, lontano da quei ricordi felici che, oramai, non mi fanno altro che male.
Ritorno al mio posto, ed Eric è già seduto al suo posto, con un gomito posato sul banco, una mano a sorreggergli il capo,
impigliata tra i riccioli scuri, e l’altra posata su un quaderno.
Il mio quaderno.
I miei disegni. I miei scritti. Sta guardando tutto.
Impallidisco, fissandolo.

«Chi..chi ti ha dato il permesso di guardare il mio quaderno, scusa?!» sbotto. 
Ok, Eric sarà anche originale e interessante quanto vuoi, ma non mi va affatto che veda tutta questa roba! Ne lui, ne nessun altro!
Eric alza lo sguardo su di me, per nulla intimorito dalla mia reazione. Sorride.
« Disegni bene, sai? E disegni cose contorte. Contorte, ma originali. Particolari, belle. Oh, già, e ascolti pure buona musica, da quanto vedo.
Sei molto più interessante di quanto sembri, Sebastian. Perché ti nascondi come un gattino spaventato?»
«Beh..grazie.» replico seccamente «Ma cosa ti fa pensare che io mi nasconda, scusa? Perché dici così? Manco mi conosci!»
Ma chi diavolo è questo Eric, che arriva qui all’improvviso e si mette ad analizzarmi di punto in bianco? Azzeccando la maggior parte delle sue supposizioni, tra l’altro!
«Il tuo sguardo è spento, quando parli con la gente. Quando ti guardi in giro..sembra che tu voglia scomparire. Oppure, che tu voglia essere altrove. Ti nascondi, ecco. Ma prima, durante la lezione, ti ho visto disegnare. Ed eri completamente diverso. Ti brillavano gli occhi,sembravi felice, a tuo agio. Disegnare ti rende felice? »
Ammutolisco un attimo, e mi costringo a non abbassare lo sguardo mentre Eric mi pianta quegli occhi color smeraldo dritti in faccia, senza alcun riguardo,
come se volesse leggere nella mia mente, e capire qualcosa in più oltre alla maschera di freddezza che sembro indossare.
«Sì, mi rende felice, perché collego la matita ai miei pensieri, e così posso creare il mio mondo su un foglio, oltre che dentro alla mia testa.
Preferisco il mio piccolo mondo personale e immaginario che mi sono costruito da solo, piuttosto che quello in cui vivo.»
Ma che cavolo sto facendo? Cosa mi viene in mente di dirgli delle cose del genere? Spero che nessuno ascolti i nostri discorsi, i miei pensieri.
Fortuna che l’insegnante non è ancora arrivato, così ognuno chiacchiera per conto proprio, e nessuno bada a noi.

«Beh, allora il mondo dentro alla tua testa sembra confuse. Folle, e colorato.» Eric sfoglia febbrilmente le pagine del quaderno, osservando i disegni
un’altra volta . Ormai non mi disturba quasi più, la cosa. «A volte malinconico, altre pieno di energia. Non capisco bene.» mi guarda di nuovo.
«Non è che per caso sei infelice, Sebastian?»
Certo che è davvero sfacciato, questo Eric. E adesso cosa pretende? Che gli spieghi tutto così, su due piedi?
«Non sono affari tuoi.» replico seccamente. Ci ho messo così tanto, a costruire una corazza intorno a me, che mi protegga dai ricordi e dalla sofferenza,
e ora ci si mette lui, a voler scoprire tutto su di me? 
Ma Eric non si offende, e non demorde.
«E allora dimmi le cose che ti rendono felice, fammi qualche esempio.»
«Mhm..l’autunno. I suoi colori, le foglie secche che scricchiolano sotto ai piedi, la pioggia leggera,il fuoco che scoppietta nel camino, il vento.
Mi rende felice l’inverno, la neve, i boschi, e le città, piccole o grandi che siano, che abbiano una storia. E poi la musica, che credo che nell’insieme
sia la cosa che mi rende più felice in assoluto, ma che mi ha portato anche molta tristezza. »
«Beh, non sono poche cose, direi! Ma le persone? Non hai detto niente del tipo “Uscire con i miei amici, scherzare con loro, stare con la persona che amo..”»
«Beh, non posso dirti che le persone mi rendono felici, perché mentirei. La maggior parte di quelle a cui ero legato si sono allontanate da me,
o io da loro, o sono cambiate.»

Ecco, Eric, ti ho detto il succo della questione. Sei soddisfatto? No, non sono un misantropo. Ma quel senso di vuoto che provi quando se ne va una
persona che è sempre stata di fianco a te è brutto, davvero tanto. E’ più facile evitare troppi legami, mantenere giusto quelli che hai ancora, perché ci tieni troppo.
Altrimenti ci soffri, e non è affatto bello, Eric.
Scusa se non dico queste cose ad alta voce. Tu sei curioso, ti stai interessando ai miei problemi, nessuno lo fa, e forse è meglio così.
Non voglio sembrare un frignone, non voglio annoiarti. Non voglio che la gente si preoccupi per me, Eric.
«Sì, capisco. Mi dispiace.» replica Eric, e per un attimo i suoi occhi verdi si velano di una leggera tristezza, e allora mi sembra sincero, terribilmente sincero.
Gli sorrido istintivamente.
Mi restituisce il quaderno, e poi l’insegnante di scienze entra in classe improvvisamente, ed Eric non aggiunge altro. Abbassa lo sguardo,
china il capo su un libro, e un sorrisetto trionfante gli increspa le labbra.
Certo che questo ragazzo è un bel mistero! Chissà perché ora sorride in questo modo. Forse mi trova buffo, non so.

Le ore a scuola passano lentamente, quando la campanella suona sono sfinito, mi sento la testa pesante come un mucchio di mattoni.
Rimetto i libri a posto i libri nella cartella, e finalmente mi dirigo verso l’uscita della scuola.
Eric mi segue, affiancandomi. Ha un passo lento, strascicato, bizzarro, e mi scruta con aria interrogativa.
«Eric, tutto a posto? Hai.. ehm..sai come tornare a casa, o la scuola nuova..non conosci bene la strada? »
La mia voce è un sussurro, e mi sento terribilmente idiota a preoccuparmi per questo ragazzo ricciolo dall’aria improvvisamente spaventata, confusa, fragile.
Mi rendo conto di quanto le mie domande suonino idiote, ma sono le prime cose che mi sono venute in mente non appena l’ho visto guardarsi in giro con aria dispersa.
Eric annuisce, sorridendo, e allora io lo saluto rassicurato, con un rapido cenno della mano.
Scendo di corsa la scalinata che conduce al portone d’ingresso, non voglio assolutamente perdere l’autobus. Ma prima di spalancare la porta mi volto istintivamente, cercando Eric con lo sguardo. Dio, ma quanto sarò stupido. Finirò per arrivare a casa a chissà che ora.
Eric si è fermato all’inizio della scalinata. Guarda i gradini, ed esita. Poi si aggrappa saldamente al corrimano, e scende lentamente, con estrema cautela. Sgrana gli occhi verdi, come terrorizzato, e le sue mani tremano. Sembra quasi che zoppichi.
«Ti sei fatto male? »Ecco che mi preoccupo un’altra volta. Mi avvicino a lui per aiutarlo, perché sembra che faccia davvero fatica a camminare, ma lui scuote la testa duramente. Il suo sguardo si fa improvvisamente freddo, tagliente.
«Non è niente.»
«Ti serve una mano? »
«Ti ho detto che non è niente, Sebastian. Ci vediamo domani, ok? Ciao. »
 Eric appoggia un piede sul pavimento, giunto finalmente al pianterreno, tirando un sospiro di sollievo. Socchiude gli occhi, si morde il labbro e corre via, allontanandosi da me.
Non posso fare a meno di pensare che, anche quando corre, abbia qualcosa che non vada. Non è niente di particolarmente grave, suppongo, altrimenti a correre nemmeno ci riuscirebbe, eppure sembra quasi saltellare, come se le sue gambe non facessero esattamente ciò che vorrebbe, o, piuttosto, come se non riuscisse a sorreggersi bene su di esse, o ad aprirle a dovere.


Finalmente salgo sull’autobus e mi perdo nei miei pensieri, nella musica, finché non arrivo a casa.
Non c’è nessuno a pranzare con me.
Mia madre pranza vicino al luogo dove lavora, con colleghi e amici. Io pranzo da solo, e tanto meglio così, tanto io e lei non facciamo altro che litigare.
 Non mi piace particolarmente cucinare, ma ormai ci ho preso l’abitudine, e non sono neppure un completo disastro, ai fornelli.
Però oggi non ne ho proprio voglia, così preparo solo un paio di panini, poi vado in camera a suonare.
Prima suono un paio di canzoni con la chitarra, poi con il basso, giusto per allenamento. Poi decido che, finalmente, devo registrare il nuovo brano, “White Sky” , 
l’ho provato così a lungo che non può venire male. Dopo aver registrato le tracce con i due strumenti, le carico impaziente sul computer, e le sovrappongo
con l’apposito programma. White Sky è un brano strumentale, io non so cantare.
Ascolto l’effetto finale, apporto qualche piccola modifica, e mi soddisfa abbastanza. Però si sente che manca la batteria.
Ma non posso farci granché, né ho intenzione di aggiungerne una elettronica, o via dicendo. Non fa per me, fare la musica in quel modo.
E poi non posso fare a meno di pensare a Marjane, a come sarebbe il pezzo se suonasse la batteria lei. Gli darebbe un tocco di dinamismo, calibrerebbe meglio il ritmo.
Ma Marjane non c’è, e non ho intenzione di sostituirla in questo modo.

Sono pronto per caricare la canzone sul mio canale di YouTube. Mi stupisco sempre di quanta gente lo segua, non riesco a crederci, è una fonte
di enorme soddisfazione, che inizialmente non mi aspettavo di certo. L’ho pubblicizzato qua e là, su facebook, tumblr, twitter..insomma, tutti i social network possibili.
E un po’ alla volta i fans sono cresciuti come funghi. Le mie canzoni vengono ascoltate, condivise, si diffondono. La gente mi scrive, mi fa i complimenti,
però non sanno chi sono realmente. Mi sono dato uno pseudonimo sul web, mi faccio chiamare “Reckless Elf”. Elfo incosciente, spericolato.
Mi piace, questa identità nascosta. Spesso chatto con musicisti, cantanti, o semplicemente con gente che ha i miei stessi gusti musicali.
Qualche minuto dopo che ho caricato la canzone e l’ho condivisa su vari siti, iniziano ad arrivare, su YouTube, alcune valutazioni, e un messaggio.
Guardo la posta, e, come prevedibile, si tratta del solito “Percy”.
Percy è..una specie di amico di tastiera. Non so assolutamente che viso abbia, ma siamo pressappoco coetanei, e ci scambiamo parecchi messaggi
su vari social network. Non conoscendolo, ovviamente, non gli do molte informazioni private, come ad esempio dove vivo, come mi chiamo realmente,
e anche lui fa lo stesso.
Però parliamo spesso di musica, è sorprendente quanto i suoi gusti siano simili ai miei, ma anche di libri, di disegno.
Per essere un diciassettenne, Percy ha hobbies davvero particolari.
Una volta mi ha detto di voler insegnare storia dell’arte, di studiare a un’accademia, finite le superiori.
Ah, e poi ha una voce pazzesca. Ha solo un paio di canzoni, sul suo canale YouTube, in cui canta accompagnato da una chitarra suonata piuttosto bene,
e una batteria niente male. Il basso non c’è, si sente la mancanza.

Apro il messaggio, leggendolo rapidamente.

“Ciao, Reckless. Questo nuovo brano è una figata!  Ti ho già detto che, per fare tutto da solo, sei davvero un genietto?
Sarebbe bello cantare con te, prima o poi. Però ho notato che questo brano ha un tono veramente triste, nostalgico.. o sbaglio? Anche senza un testo, questa canzone trasmette davvero tanto.”
Sorrido a quel messaggio, e gli rispondo subito. Percy ha sempre questo tono allegro, spontaneo. Mi sono chiesto spesso che aspetto abbia. Io lo immagino biondo, riccio, allegro e sempre in movimento.
“Ciao, Percy! Mi fa molto piacere che ti sia piaciuta la canzone. Effettivamente sì, sono un po’ giù di morale, ma niente di preoccupante.
Tu, piuttosto, che mi racconti di nuovo? Non carichi più nessuna canzone? Com’è andato il primo giorno di scuola, sempre che anche dalle tua parti abbiate iniziato oggi? “

Un paio di minuti dopo, Percy mi risponde. Dev’essere connesso.
“Sì, abbiamo iniziato anche noi oggi. Ho cambiato scuola, così la classe è nuova!”
Gli rispondo di nuovo immediatamente,e andiamo avanti così per un po’, a scambiarci messaggi
“Come mai, se posso chiedertelo? Ti trovavi male nella scuola vecchia? Come sono i compagni e i professori nuovi?”
“Sì, beh, non mi trovavo granché bene nella scuola vecchia, ma non è che me ne fregasse poi molto. Ho cambiato perché mi sono trasferito,
e per fortuna mi sono lasciato alle spalle un brutto periodo! I prof..va beh, sì, niente di speciale, e i compagni, visti così, non mi suscitano gran simpatia
o interesse, e poi sembrano addirittura intimoriti da me, anche se non è certo una novità! Però, in compenso, il mio vicino di banco è davvero un tipo interessante.”
“Hahaha, intimoriti? Ma dai, addirittura? Da come mi scrivi mi sembri un tipo allegro e solare, di conseguenza non riesco proprio ad immaginarti con un
aspetto spaventoso! E il tuo vicino di banco che tipo è?”
“Beh, per farti un’idea di che aspetto io abbia.. prendi come riferimento Syd Barrett! Ecco, sono più o meno come lui, fisicamente. Stessi riccioli scuri,
lineamenti simili, e corporatura esile. Ah, però i miei occhi sono verdi, non..buchi neri nel cielo, come dicevano dei suoi! Il mio vicino di banco, invece,
è un tipo alla Sebastian Bach, il cantante degli Skid Row, hai presente? Capelli biondi e lunghi, lineamenti delicati, quasi androgini. Insomma, una bellezza
particolare, non comune. E’ come vedere un personaggio di un dipinto, di un poema cavalleresco, di conseguenza non passa certo inosservato.
Sai la cosa buffa? Si chiama Sebastian anche lui! Comunque, la cosa pià interessante è il carattere. A primo impatto sembra timido, schivo, quasi scontroso.
Poi capisci che in realtà è triste, e cerca di nascondersi, chissà cosa c’è sotto. Mi piacerebbe conoscerlo meglio. E poi disegna benissimo, e ascolta la musica rock. “

Non appena leggo il messaggio, le mie mani iniziano a tremare sulla tastiera, e, incredulo, leggo e rileggo quelle parole innumerevoli volte.
Sta parlando di me. O di un ragazzo identico a me, con il mio stesso nome, ma è assai improbabile.
Faccio un paio di conti, e capisco che il ragazzo che mi ha scritto per internet per mesi non è altri che Eric Weymouth, il mio nuovo, bizzarro compagno di classe.
Percy è Eric. Incredibile, ma vero.
Non ho alcun dubbio su questo. Anche le descrizioni che ha dato di sé negli ultimi messaggi coincidono.
Lo saluto rapidamente con un messaggio, chiudendo la conversazione e dicendo che devo scappare, perché la cosa mi ha lasciato allibito,
chattare insieme ora non ha più senso.
Non so davvero che fare, ora. Da una parte sono felice, felicissimo.
Ho in classe una persona come Percy, potrei confrontarmi con lui su un sacco di cose, potremmo persino diventare..amici.
Ecco, e questo allo stesso tempo mi spaventa. Devo fidarmi? Ne vale la pena, di provarci un’altra volta?

Mentre sono impegnato in queste riflessioni sento il mio telefono squillare nella tasca, e, dopo averlo estratto, rispondo immediatamente, senza neppure
guardare chi mi sta chiamando.
«Pronto?» una voce femminile che riconosco immediatamente mi risponde, e sorrido istintivamente, anche se la persona dall’altro capo di certo non può vedere
la mia espressione.
«Marjane! Tutto a posto?»
«Sì, dai. Domani iniziamo la scuola, qui, ma volevo sapere com’era andato a te il primo giorno.»
E’ da due anni che non vedo Marjane. Quando me ne sono andato da Dublino aveva perso in parte quella vivacità che aveva da bambina, ma per lo meno sembrava
essersi leggermente ripresa da quel fatto terribile che ha sconvolto entrambi.
La sento spesso. Mi fa piacere che, anche se tramite telefono, io e lei possiamo ancora parlarci come una volta. Penso spesso a come dovrà sentirsi, sola a Dublino,
glielo chiedo sempre, ma lei mi rassicura, dicendo che ha fatto molta amicizia lì alle superiori, di non preoccuparmi. Speriamo me la conti giusta.
Le racconto del mio primo giorno di scuola, tralasciando i particolari inutili, e soffermandomi su Eric.
«Wow! Sembra un tipo figo, interessante. Facci amicizia, no?»
Marjane lo dice con un tono estremamente spontaneo e allegro, e non posso fare a meno di sorridere. Con lei mi comporto come ho sempre fatto,
così non ha idea di come invece mi rapporto con gli altri. Ho provato a spiegarglielo, che sono diventato scostante e diffidente, ma dubito abbia realmente capito.
Beh, ha ragione, non è mica nella mia testa, né lei né nessun altro.
Ma ora non ho voglia di fare questi discorsi deprimenti con lei, così le racconto che questo Eric è anche un ragazzo con cui chattavo da tempo,
che canta benissimo, e Marjane ride per la coincidenza
‎«Ma è strepitoso! Piccolo il mondo! Allora è proprio destino che diventiate amici, eh? Digli che sei tu!»
«Eh? Adesso, al computer?»
«No, no, intendo domani, in classe.»
«No, non credo che sia il caso..»
«Dai, Seb, quanto sei scemo. Perché no?»
«Perché poi saprebbe già un sacco di cose su di me, e già è un mezzo impiccione, e saprebbe persino che suono, figurati..»
«Meglio, no? Così entrate subito in confidenza. Dai, ti immagini la faccia che fa quando glielo dici? Poi mica devi vergognarti di suonare..»
«Non dovrei, lo so. Ma tu hai smesso con la batteria, però, no?»
Silenzio. Ho toccato un tasto dolente, ma ormai è troppo tardi. Non aggiungo altro, attendo una risposta.
«Non ho smesso affatto. La suono sempre, quando sono sola, sempre. Ma non voglio un gruppo. Senza di voi non è certo lo stesso, non ce la faccio.
Ma tu devi provare, Sebastian! Non stai bene, e hai bisogno di qualcuno simpatico e intelligente che ti sia amico, con cui puoi suonare tranquillamente insieme.
Fallo per me, non puoi perderti un’opportunità simile. »
«Ma come posso suonare con un cantante che non è Rick?»
Marjane sospira.
«Lo so, lo so. Ma è che.. penso che ti farebbe davvero bene. Io sono qui circondata da gente, tu sei solo, e se Eric.. se Eric fosse con te..non so,
mi ispira così tanta fiducia, questo ragazzo, io..non voglio costringerti, non pensare, è solo per il tuo bene, io..»
«Marjane? » la interrompo un attimo, percependo il suo tono preoccupato.
«Che c’è?»
«Ho capito, dai. Ci vado a parlare a quell’Eric. Prima o poi glielo dico che sono quello con cui chatta..più prima che poi, ok?»
Marjane ride leggermente.
«Bravo, è così che ti voglio! Ora devo scappare, ci sentiamo domani, in caso.»
«D’accordo!»
«Sebastian?»
«Eh? Non dovevi scappare?»
«Sì» ride Marjane «Ma mi ero dimenticata di dirti che ti voglio bene, stupido, anche se sono tanto lontana.»
Sorrido.
«Anche io, stupida, e pure un bel po’.»
 
 

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Capitolo 4
*** Ramble On ***


 

Capitolo IV- Ramble On

Le foglie stanno cadendo,
é tempo che io vada.
Grazie a te, ti sono molto grato
per una così piacevole permanenza.
Ma ora devo andare.
La luna d’autunno m’illumina la strada.
A volte divento così stanco, ma ora c’è una cosa che devo fare…

Vagabondare, e ora è il momento,
il momento è ora, di cantare la mia canzone.
(Ramble On- Led Zeppelin)



Secondo giorno di scuola, un nuovo giorno.
Ma chi ha voglia di andare in quello stupido edificio? Io no di certo. L’unica nota positiva che riesco a trovare è vedere Eric Weymouth.
Perché, lo ammetto, quel ragazzo mi incuriosisce terribilmente. Sono tentato di dirgli subito che sono il ragazzo con cui chatta da mesi,
ma prima voglio osservarlo ancora per un po’.
Il mio umore migliora leggermente, e mi rendo conto che Marjane ha ragione, un amico come Eric mi farebbe  bene.
 Ma ecco che i ricordi tornano a travolgermi come un fiume in piena, ricordi di gente e luoghi troppo lontani, ricordi allegri su cui non voglio più soffermarmi,
perché di essi è rimasto giusto qualche granello di polvere, che tengo inutilmente stretto nella mente.
Ma mi fanno sentire in colpa, questi granelli di polvere. Mi fanno sentire come se non avessi più via di uscita, come se non avessi altra scelta che tenerli con me,
e unirmi a loro, al posto di dimenticare ed andare avanti.
Il primo giorno di scuola della seconda media mi è rimasto impresso almeno quanto quello in cui abbiamo formato il gruppo, io, Richard e Marjane.
E' stato quello il primo giorno in cui decidemmo di fiondarci finalmente nel mondo della musica, affrontando una sfida che per noi era enorme.
I volti dei miei amici li rivedo in quelli di tutti gli altri.          
Il sorrisetto beffardo di Rick, gli occhi scuri e curiosi di Marjane, persino i riccioli castani di mio padre, li rivedo ovunque.
E Richard mi manca, mi manca troppo per poterlo sopportare.
 
.
Era un mattino tiepido. Un pallido sole color mandarino si nascondeva timidamente tra le nuvole grigio chiaro, e la pioggia aveva finalmente smesso di scrosciare
incessantemente sul terreno umido e fangoso.
Sebastian era seduto in un banco accanto alla finestra, gli occhi fissi sul verde paesaggio che circondava l’edificio scolastico, e le mani intrecciate, che tormentava
impaziente.
Era ormai giunto l’autunno, e le foglie secche degli alberi, dai toni caldi e accesi, svolazzavano sul prato, mosse da una leggera brezza, come coriandoli nel vento.
Sebastian sorrise tra sé e sé, e la sua mente, come al solito, volò subito alla musica.
Gli sarebbe piaciuto, prima o poi, comporre un brano che riguardasse l’autunno, la sua stagione preferita.
Già si immaginava un basso che, con un ritmo ordinato, scandiva i passi di un possibile viaggiatore perso in un bosco. La batteria erano i tuoni del temporale,
quando veniva percossa con forza, era le gocce di pioggia quando veniva leggermente picchiettata.
La chitarra, con le sue elaborate melodie, poteva ricordare il suono melodioso del vento, mentre la voce del cantante era il narratore, che descriveva le sensazioni
provate dal protagonista della canzone, il viaggiatore nella foresta autunnale.
 
Il suono acuto di una campanella interruppe il flusso dei pensieri del ragazzo, che si alzò in piedi di scatto, affrettandosi ad uscire dall’aula.
Richard lo aspettava fuori dalla porta, e lo salutò con un ampio sorriso, correndogli incontro.
«Dio, che palle la scuola! Come vorrei tornare in vacanza! Hanno già iniziato a chiedere i compiti.. come se io li avessi fatti, poi!» esclamò il ragazzo con una
smorfia indispettita, sgranando gli occhi castani e corrugando il labbro.
Sebastian rise, stringendosi nelle spalle e indicandogli le scale.
«Andiamo da Marjane? Mi ha detto che è al piano di sotto.»
«Certo! Wow, è strano pensare di averla qui a scuola, adesso. Chissà se le piacciono le medie?»
 
I due amici corsero giù per le scale, fino a raggiungere l’aula dell’amica.
Marjane era in mezzo al corridoio, con aria piuttosto stizzita, intenta a discutere animatamente con un ragazzo, presumibilmente suo coetaneo.
«Sei carina, sul serio! Sei la più carina della classe. Ecco perché voglia che tu esca con me.»  disse seccamente il ragazzo, incrociando le braccia, scocciato.
Marjane gli rise in faccia senza tanti complimenti, scuotendo il capo.
«Ma se non mi conosci neanche! E poi guardami, ho undici anni!»
«Sì, ma te l’ho detto, sei così carina che posso anche far finta di dimenticarmi che sei una straniera, solo per te!»
Il ragazzo appoggiò la schiena contro il muro, senza nemmeno guardare Marjane in faccia, gli occhi incollati a un costoso cellulare mentre masticava
rumorosamente una cicca, a bocca aperta.
Rick lo scrutò con evidente scetticismo: era vestito con abiti firmati da capo a piedi, e portava i capelli tagliati corti, a spazzola. Il suo viso,dai lineamenti
forti e marcati,sarebbe potuto essere considerato bello e regolare, eppure lui non vedeva altro che una faccia da schiaffi grande come un aereo.
Marjane incrociò le braccia, fissando il ragazzo con un sorriso di sufficienza, e sospirò a lungo.
«Mia madre è iraniana, sì. I suoi genitori l’hanno mandata all’estero quand’era giovanissima,perché da loro c’era una guerra terribile.
E’ qui da tanti anni, poi si è sposata con mio padre. Ma tu che cavolo vuoi capirne, marmocchio viziato? »
A quelle parole il ragazzo sembrò vagamente intimidito, tuttavia non si scompose. Finse un’aria spavalda, alzando le spalle con una grossa smorfia,
e assunse un tono di voce offeso, cosa che divertì ulteriormente Marjane.
«Sei comunque una stupida straniera, e sai una cosa? Tanto meglio se non esci con me, sfigata!»
 
Rick e Seb, che avevano osservato la scena da un paio di minuti, si fecero avanti, e finalmente Marji notò che anche i suoi amici erano lì con lei.
«Ti prego, continua a divertirci con i tuoi originalissimi insulti, dai!» disse Richard con un sorrisetto di scherno, guardando il ragazzo negli occhi.
«E fattene una ragione, se non esce con te. » aggiunse Sebastian «Certo, devi capire che se sei così stupido è anche difficile prendere sul serio le tue proposte.»
Il ragazzo ammutolì per una manciata di secondi, per poi scoppiare in una fragorosa risata, e guardare Marjane.
«E questi due capelloni chi sarebbero? Begli amici, due finocchi.»
«Certo, io e Sebastian siamo felicemente sposati da dieci anni, non lo sapevi?»
«Dobbiamo celebrare presto le nozze d’oro! Tu ci sarai, vero?»
Rick e Sebastian si stavano divertendo un mondo a prendere in giro quel ragazzino insopportabile, e non facevano altro che ridere, tuttavia lui non
sembrava di umore altrettanto allegro.
«Ahahah, molto divertenti! Davvero, andatevene tutti a cagare!»
«Ma vacci tu, piuttosto! Che razza di problemi ti fai? Ti stanno antipatici gli stranieri, ti stanno antipatici i gay..oh, beh, tanti saluti, allora.
Però faresti bene, una volt tanto, a tapparti quella fogna.»  replicò Richard  senza scomporsi, alzando le spalle.
Il ragazzino, non trovando più altre parole adatte, si gettò improvvisamente contro Rick, piantandogli un pugno nello stomaco.
Richard si piegò leggermente su sé stesso, con un gemito di dolore, e Sebastian si affrettò ad afferrare il ragazzino per i fianchi, con tutta la forza
che aveva nelle braccia esili, strappandoglielo di dosso.
Il ragazzino si dimenava come un piccolo cavallo imbizzarrito, ma Sebastian si sforzava di tenerlo fermo, mentre Richard stava per accorrergli in soccorso a sua volta.
«Corro a chiamare un professore!» sbottò Marjane, terrorizzata, ma cosciente che quell’avvertimento sarebbe bastato a calmare il piccolo bulletto.
Come volevasi dimostrare, a quelle parole il ragazzino si fermò improvvisamente, smise di tirare calci e guardò le tre figure davanti a lui con muta e disperata rabbia.
Era ancora troppo piccolo, credulone e debole per non spaventarsi al possibile richiamo di un insegnate, e Marjane l’aveva capito subito, nonostante lo conoscesse solo da poche ore.
«Ecco, allora non rompere più a Marjane.» disse Sebastian, allentando la presa sui fianchi del ragazzino, che annuì debolmente.
«Non dite niente ai prof! Se non ho un buon voto in condotta gli insegnanti non mi regaleranno mai un cellulare più figo di quello che ho!»
 
Nessuno dei tre amici replicò, si limitarono ad alzare le spalle con un ghigno, girare i tacchi ed andarsene, scoppiando poi in una fragorosa risata, lasciandolo il ragazzino solo ed irritato a fissarli in mezzo al corridoio.
 
«Iniziamo già con gli spasimanti, eh, Marji? Furbacchiona!» fece Rick, ridacchiando, anche per sdrammatizzare.
Marjane sgranò gli occhi scuri con una smorfia disgustata, per poi scuotere il capo con forza e ridacchiare anche lei.
«Bah, preferisco diventare una zitella piena di gatti piuttosto che uscire con un simile scemo!»
«No, tranquilla, ci saremo sempre io e Rick a portarti la spesa e passare l’aspirapolvere in casa tua, vecchietta!»
Marjane scoppiò a ridere, e diede una leggera gomitata nelle costole di Sebastian.
«No, no, no! Sarò una brava vecchietta energica, che suonerà la batteria tuuuutto il giorno!»
La campanella suonò improvvisamente, proprio quando Richard, Marjane e Sebastian stavano uscendo in cortile.
«Ma come?! Di già?» esclamò Marjane,delusa e sorpresa.
«Eh, alle medie la ricreazione dura pochissimo! A dopo, Marjii!» rispose Richard, affrettandosi a raggiungere la sua classe, di fianco a quella di Seb, che rientrò con più calma.
 
Le ore di lezione trascorsero scorrevoli, veloci.
Il primo giorno di scuola, se non addirittura la prima settimana, erano piuttosto leggeri.
Se solo avessero abolito l’ora di educazione fisica, pensò Sebastian con una punta di sarcasmo. Metterla il primo giorno di scuola aveva reso felici
la maggior parte dei suoi compagni, ma assolutamente non lui.
Non era male nella corsa, perché era abbastanza veloce, ma nelle altre attività si sentiva un disastro completo, soprattutto ginnastica artistica.
E poi veniva quasi sempre scelto per ultimo nelle squadre. Lo imbarazzava da morire, quella cosa, e sinceramente non ne capiva nemmeno il motivo.
Non era un completo sfacelo in tutti gli sport, eppure non lo chiamavano mai.
Sembrava quasi sempre che la gente lo evitasse, che non si accorgesse della sua presenza, e che quando si rivolgeva a lui lo facesse solo per rimproverarlo per sciocchezze.
«Sebastian, sei scemo? Cosa ci vuole a prendere una stupida palla? Ci hai fatto perdere!»
«Sebastian, ma ci sei o ci fai? Perché hai sempre la testa fra le nuvole?»
Insomma, per fortuna che a Richard e Marjane non importava che lui andasse bene negli sport, che amasse giocare a calcio o che avesse l’ultimo
modello di cellulare, l’unica cosa che importava a loro era stare insieme senza farsi troppi problemi, ed era per questo che Sebastian li adorava.
 
 
 

«Oggi avete da fare?»
La voce di Rick risuonò allegra, come al solito, e interruppe il breve silenzio che si era creato tra i tre amici mentre ritornavano a casa insieme,
camminando in una strada larga e poco trafficata.
«Io no, hai già qualche idea?» rispose Marjane, anch’essa di ottimo umore.
«Eccome! Ho letto che in un posto in centro..Eden, mi pare si chiami, organizzano concorsi di musica, e via dicendo. Una sera, verso Maggio, alcune band
si esibiranno. I miei chiaramente non vorranno che io partecipi.» mormorò Richard, dopo qualche istante di riflessione.

Subito dopo, il suo viso assunse un’espressione altezzosa, e, gesticolando ampiamente con le mani, il ragazzò andò ad imitare perfettamente il tono di voce dei propri genitori.
«Riiiichard! Per l’amor del cielo, ma la vuoi piantare con queste scemenze? Ma pensa a studiare che devo far bella figura con gli amici!
Riiichard, ascolti musica da saaatanisti! La musica rock è la musica del diavolo, ommmmmiodddio,chiamiamo un esorcista!Cantare a un concorso?
Manco per sogno! Il coro della chiesa, questo è l’unico posto dove accetteremo vederti cantare!»
I due amici, di fronte a quella scena, non si riuscirono a non a ridere, nonostante purtroppo conoscessero veramente il carattere ossessivamente opprimente dei
genitori di Richard, che non si discostava poi così tanto da quell’imitazione.

Richard sorrise, per poi aggrottare leggermente la fronte. «Ma sinceramente non me ne frega niente se a loro non va. Io ci andrò di nascosto, ma non da solo. Solo con voi due. E’ la nostra occasione, ragazzi! Per il nostro gruppo! Naturalmente non vi obbligo, ma a me piacerebbe tantissimo!»
Marjane e Sebastian non nascosero la loro sorpresa.
Un concerto, un’esibizione di fronte a chissà quante persone! Non era certo una cosa da poco. Sebastian già si sentiva preoccupato.
Lui che si vergognava anche soltanto a parlare con la maggior parte delle persone, lui che si preoccupava che la gente trovasse qualcosa che non andasse in
lui ogni volta che lo guardava, avrebbe dovuto suonare di fronte a della gente, confrontarsi con altri gruppi. Era senz’altro una bella sfida. Ma Richard aveva ragione,
era un’occasione ottima. Forse, con molte prove, avrebbero raggiunto un livello tanto buono da permetter loro di partecipare.
«Maggio? Ma occorre iscriversi subito? »
«Non ne so nulla. Ho visto soltanto dei volantini ieri sera, vicino a casa mia, appesi a dei lampioni, sui muri..ce n’erano un bel po’, e ne ho preso uno.
A casa ce l’ho e posso portarvelo, così vediamo un po’ l’indirizzo del teatro, e magari andiamo direttamente là a controllare. Non ho avuto il tempo di dirvelo oggi a scuola,
ma insomma, ora lo sapete! » replicò Richard, visibilmente emozionato.
«Ma che cos’è questo Eden, scusa? Non l’ho mai sentito, è un gran teatro, un conservatorio, un pub, un circolo..?» chiese Marjan, perplessa.
Sebastian, a quel punto, si accorse di essere stato tanto preso dall’idea del concorso da non aver nemmeno fatto caso al nome del luogo dove si sarebbe tenuto.
Cos’era, un conservatorio? Ci sarebbero stati giudici pignolissimi? O era un locale gigantesco dove suonavano i migliori gruppi della città?

«Ah, è un teatro, cinema, insomma, un posto che ha un palcoscenico e dove occasionalmente ci sono anche film, non so se mi spiego.» rispose Richard, con una risata.
«Ma sicuro l’iscrizione sia permessa agli estranei? E tra l’altro siamo..beh, piccoli. Andiamo ancora alle medie. A te non sembrerebbe strano?» chiese Sebastian, apprensivo.
Richard alzò le spalle, noncurante.
«Certo che sembrerebbe strano, come minimo gli altri saranno molto più grandi, ma dunque?»
«E se non ci fanno iscrivere?» aggiunse Marjane, dando man forte ai dubbi di Sebastian.
Richard, a quel punto, guardò i due amici con una smorfia divertita, scuotendo il capo vigorosamente, e battendosi una mano sulla fronte in un gesto quasi teatrale.

Ormai aveva raggiunto la propria casa, più vicina alla scuola di quelle di Marjane e Sebastian, e si allontanò da loro con una corsa, fino a raggiungere il cancello
che lo avrebbe condotto all’abitazione. Non si risparmiò una sonora pernacchia, prima di scomparire tra le siepi incolte che circondavano il giardino,
e di fronte alle espressioni perplesse dei due ragazzi sospirò con un sorriso rassegnato.
«Siete il gruppo più apprensivo del mondo!»
«E vorrei ben vedere, sarebbe il nostro primo live!» replicò Marjane, con un sorriso indispettito.
«Allora oggi pomeriggio diamoci da fare.» propose Sebastian con un tono deciso, che raramente utilizzava. «Andremo a questo teatro, e capiremo cosa dovremo fare a questo concorso, insomma. Quante canzoni dovremo cantare, e queste cose qui. Non trovate sia una buona idea?»
«E’ un’ottima idea!» concordò Richard, e Marjane annuì a sua volta, con un gran sorriso.
Pochi istanti dopo, senza preavviso, Richard finalmente rincasò, e, aperto il cancelletto, rivolse un ultimo cenno di saluto ai due amici,
che tornarono sulla propria strada confabulando tra loro opinioni entusiaste, elettrizzate su quell’evento annunciato da Rick, che in quel momento gli appariva come la cosa più importante del mondo.


Non passarono molte ore che i tre amici erano di nuovo insieme, ad attendere con impazienza il pullman che li avrebbe condotti in città nel giro di pochi minuti.
Non che conoscessero bene le dinamiche degli autobus, o le tappe che avrebbero dovuto compiere per arrivare a quel teatro di cui conoscevano soltanto il nome,
ma chiedere ad un adulto di accompagnargli sembrava fuori discussione.
I genitori di Richard non avrebbero neppure dovuto sapere, di quel concorso, erano già insofferenti del fatto che il loro figlio suonasse con “quei ragazzini strambi”,
come li avevano definito loro.

I genitori di Marjane erano invece entrambi gentili e accondiscendenti, ma poco presenti durante il pomeriggio.
Marji era spesso a mangiare da Sebastian, nonostante la madre di lui non ne fosse poi così entusiasta. Impossibile chiederglielo.
E la madre di Sebastian, per l’appunto, non li avrebbe certo accompagnati col sorriso sulle labbra, e lo avrebbe rinfacciato al figlio per almeno qualche giorno.
Il padre di Sebastian ancora non lo sapeva, e, nonostante sarebbe stato certamente il più indicato per accompagnarli, in quanto musicista, in quel momento non c’era.

Ma anche aspettare oltre era fuori discussione. Non stavano più nella pelle, e, in un modo o nell’altro, il luogo lo avrebbero raggiunto.

La loro giornata proseguì con venti agitati minuti di autobus, durante i quali Richard si scervellava a cercare di trarre più informazioni possibili dal
volantino stropicciato che teneva tra le mani, decifrando ad alta voce un’arzigogolata mappa e ripetendo i nomi di vie e strade come a volerseli imprimere per bene nella mente.
Una volta scesi alla fermata che gli pareva meno distante dal misterioso bar che avrebbero dovuto trovare, un intreccio di strade ed edifici, rumori e suoni,
vento freddo e automobili accolse i ragazzi non appena misero piede al di fuori dell’autobus, che si affrettarono poi a raggiungere il marciapiede meno distante, appartandosi in un angolo tranquillo per discutere un istante sul percorso che avrebbero dovuto compiere.

Tuttavia, non poterono evitare, almeno per qualche istante, di guardarsi in giro con un sorriso soddisfatto, erano riusciti da soli ad arrivare nella grande città, ed era soltanto l’inizio di ciò che presto avrebbero affrontato, e li rendeva così impazienti ed emozionati.
Dublino, ai loro occhi, era un luogo allegro ed accogliente, nonostante il consueto clima nuvoloso e rigido.
L’aria stessa sembrava impregnata di vita, e allo stesso tempo spazzar via i pensieri più negativi, per lasciar spazio ad altri, più freschi e sereni.
I tre amici sembrarono essere subito coinvolti da quell’atmosfera, fiondandosi con passo rapido per le strade principali, dopo aver osservato frettolosamente la mappa che Richard teneva stretta tra le mani, quasi a volerla custodire gelosamente.

Quel loro spavaldo entusiasmo sarebbe potuto risultare buffo agli occhi di un adulto, si sarebbe quasi potuto ridere di fronte a quei tre ragazzini che correvano per le strade quasi ne valesse della loro stessa vita. Ma alla loro età, il bello stava ancora nell'ebbrezza costituita da tutte quelle cose che apparivano nuove e fuori dal comune, quei venti contrastanti
che s'abbattevano contro gli statici schemi che alcuni adulti gli propinavano, il loro sogno che inseguivano.
Ogni piccola novità era un segnale di libertà.
Il cielo era di una luminosità insolita, quel giorno, non c’era nemmeno una nuvola a interrompere la continuità di un azzurro pallido, rischiarato da un tiepido sole autunnale.
Si stava bene, di Autunno. Sebastian lo adorava. Sembrava sempre di essere avvolti in una crisalide di foglie e vento, un vento freddo che scuoteva ogni cosa,
dalle fronde degli alberi ai cappotti della gente, ma che a lui appariva come un essere invisibile che salutava tutti con la sua strana carezza.
E in quegli istanti il mondo sembrava infinito sia sotto che sopra di loro, tutte le possibilità danzavano loro attorno come piume nel vento, ed era come se stessero solo aspettando un soffio di vento più forte che li sollevasse in aria, a volare.

Per raggiungere il locale chiamato Eden fu necessaria una mezzora buona. Le vie di Dublino potevano essere intricate come una matassa di fili di spago, o larghe, spaziose ed accoglienti, e trovarlo, nonostante l’aiuto della mappa, non fu affatto semplice.
Fu Sebastian a riconoscere per primo il nome della via, e in seguito quello del locale, indicato su una vecchia insegna di legno sbrecciato, a caratteri chiari su sfondo scuro.
«Qui, in questa strada, ragazzi!» urlò il biondo con aria trionfante, avvicinandosi con una breve corsa all’insegna, per riuscire finalmente ad individuare il luogo desiderato.


Giunti vicino al locale, I tre ragazzi lo osservarono per qualche istante, cercando di vincere l'impazienza di fiondarsi al suo interno.
Più che un teatro ricordava un vecchio pub, un ampia vetrata rivelava l'aspetto della sala principale, da cui si diramava poi una fitta rete di corrodoi.

Le sue pareti erano completamente tappezzate di manifesti, mentre le mura esterne avevano un aspetto leggermente decadente, il legno delle travi
che si incrociavano sopra all'intonaco bianco era leggermente consunto, la pittura nera che lo ricopriva era quasi completamente scrostata.
Eppure, nonostante l'aspetto antiquato e vagamente sciatto, quel luogo aveva anche qualcosa che rimandava alla tradizionalità, somigliava così tanto a
quelle case tipiche dell'Irlanda antica, dando cosí un senso di accoglienza, di particolarità.

Marjane spalancò la porta del locale senza preavviso, entrando finalmente in quel piccolo mondo fatto di musica e sfide, seguita subito dopo dai due amici, che si lasciarono immediatamente coinvolgere dall'atmosfera tesa del luogo, in cui si sentivano le melodie e le voci provenienti da un'altra stanza, e in cui dovettero solo attendere che qualcuno venisse a interellare loro, con il cuore in gola e la gioia alle stelle.
 

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Capitolo 5
*** High Hopes ***


Capitolo V- High Hopes

C'era una banda logora che seguiva i nostri passi
correndo prima che il tempo portasse via i nostri sogni
lasciando la miriade di piccole creature a cercare di incatenarci a terra
ad una vita consumata da lento decadimento.

L'erba era più verde,
la luce era più brillante,
circondati di amici
le notti di meraviglie
.


 



E’ inutile, ci penso spesso, troppo spesso. Continuamente.
E non va affatto bene. La macchina del tempo non l’hanno ancora inventata, giusto?
Quindi ormai non posso più cancellare ciò che è successo, è inutile che io provi a immaginare come sarebbero andate le cose se io
non mi fossi trasferito, se Richard fosse rimasto con noi.
Penso tantissimo a Marjane, e mi sento ancora più in colpa. Se io sto male, allora lei cosa dovrebbe dire?
Ce ne siamo andati entrambi, non ha più nulla.
 
Cerco di pensare alla giornata che sto vivendo ora, in questo momento.
Scuola, giusto. Devo andare a scuola. Guardo l’orologio. 8.05.  Fantastico, sembra che io stia già inaugurando la nuova collezione di ritardi,
speriamo non finisca come lo scorso anno. Una decina di ritardi ingiustificati, un conseguente abbassamento della condotta, e, soprattutto,
una predica interminabile da parte di mia madre. Mio padre non ha detto nulla, chiaro. Non mi ha mai messo troppa pressione riguardo faccende scolastiche
e compagnia bella. Ma in questo caso è diverso. E’ diventato quasi invisibile, per me, negli ultimi tempi. Quando l’avrò visto, l’ultima volta?
Tre mesi fa? Un saluto di quindici minuti? Beh, non è stato sufficiente.
 
Scendo dall’autobus in tutta fretta, e inizio a correre in direzione della scuola, sempre più svelto, con i capelli spettinati da un vento gelido, che me li sbatte
prepotentemente sul viso, come dei piccoli colpi di frusta.
Ma non appena rallento leggermente il passo, a causa della stanchezza, noto un paio di compagni seduti su una panchina nei pressi della scuola,
con l’aria più tranquilla del mondo. Come mai non sono ancora in classe? Se avessero saltato scuola non starebbero certo così vicini all’edificio.
«Ehi, Seb! Manca la Bess. La prima ora è buca, non abbiamo nemmeno un supplente. Noi entriamo dopo, ma la scuola è aperta.» mi urla uno, con
un’espressione piuttosto annoiata.
«Oh, ok! Grazie!» gli rispondo, sorridendo rassicurato, e dirigendomi con più calma verso l’edificio scolastico.
 
C’è un silenzio quasi innaturale nell’aria. Giusto il fruscio delle foglie degli alberi scossi dal vento, e il rumore leggero dei miei passi.
E poi, improvvisamente, una voce. Una voce che sembra fondersi perfettamente con i suoni della natura, ma che allo stesso tempo ti costringe a
tendere le orecchie per ascoltarla. E’ una di quelle voci che riconosci immediatamente. Profonda, leggermente roca, intrisa di sentimento, di malinconia.
Il brano che sta cantando lo riconosco immediatamente. E’ “High Hopes”; dei Pink Floyd. Soltanto una piccola parte, ma che roba! Cerco la fonte di quel suono.
E la individuo subito, dando conferma alle mie supposizioni.
 
E’ la voce di Eric Weymouth. O Percy. Identica alle tracce che aveva messo su youtube, se non decisamente migliore.
Mi è impossibile non ascoltare il suo canto, e mi volto lentamente, cercando la sua figura.
Eric è lontano di un bel po’ di metri da me, ma la sua voce la sento vicinissima.
 «Beyond the horizon of the place we lived when we were young, in a world of magnets and miracles.» 
“Oltre l’orizzonte del luogo in cui abbiamo vissuto da giovani,in un mondo di magneti e miracoli”, canta Eric.
E la sua figura sembra confondersi con quella degli alberi, le acque placide del fiume seguire il ritmo della sua voce.
Mi ritrovo a fermarmi a guardarlo, con le labbra leggermente dischiuse per lo stupore, e uno strano brivido che mi percorre da capo a piedi.
Come quando senti suonare un gruppo per la prima volta, e ti colpisce inevitabilmente.
«Our thoughts strayed constantly and without boundary. The ringing of the division bell had begun.»
“I nostri pensieri vagavano costantemente e senza confini, il suono della campana della discordia era iniziato”
La sua figura è sempre più vicina alla mia, e i suoi occhi verdi, limpidi e cristallini, incrociano il mio sguardo.
 
Smette improvvisamente di cantare. Mi raggiunge, zoppicando leggermente, proprio come ieri, e io lo saluto con un gesto rapido della mano.
Eric ricambia il saluto, e poi mi rivolge un sorriso enorme, mettendo in mostra una fila di denti bianchissimi.
Sorride come se fosse felicissimo di vedermi, e i suoi occhi sembrano addirittura risplendere per un istante.
 
 Da quanto tempo non mi sorridevano in questo modo, con questa sincerità?
Anzi, da quanto tempo non mi sorridevano, e basta? Non mi sorride mai nessuno. Non mi guardano neppure in faccia.
E poi arriva questo qui, un giorno fa, e mi tempesta di domande, si interessa a me. Mi verrebbe quasi da sospettare di lui, ma non lo faccio.
Gli leggo la sincerità, negli occhi e nei gesti. Voglio fidarmi di lui, credere che la sua intenzione sia davvero fare amicizia.
Ricambio il sorriso con naturalezza, abbassando leggermente lo sguardo.
«Scusa, non volevo interromperti. Continua pure a cantare!»
Tutto qui, Sebastian? E’ tutto ciò che riesco a dirgli? E’ stato meraviglioso. Pochi secondi in cui ho sentito una voce fenomenale, e non riesco
nemmeno a spiccicare delle parole più gentili? Mi sento un imbranato. Come vorrei sapere esprimere meglio ciò che provo, anche quando parlo.
Per fortuna che ho la mia chitarra, il mio basso per parlare delle mie emozioni.
Eric si stringe nelle spalle, scuotendo leggermente il capo.
«Ma figurati. Non preoccuparti, stavo canticchiando a casaccio! »
«Oh, beh, allora chissà quando canti seriamente!» ridacchio divertito, ed Eric sembra stupito dal mio complimento.
Sgrana gli occhi e fa un ampio sorriso, quasi non riuscisse a credere che qualcuno gli avesse detto che cantava bene.
Strano, possibile che non si accorga di avere una voce tanto bella?
Forse è un po’ complessato, ma, al contrario di me, non lo da a vedere.
Nel mio caso si vede subito. Sembro sempre nervoso, a disagio.
 Lui invece sembra sempre trovarsi a suo agio in ogni situazione, sembra non dar peso a cosa pensano gli altri di lui.
Eppure, quando gli si fa un complimento, sembra così stupito. Quasi non ritenesse di poter essere capace a far qualcosa.
 
«Dai, Seb. C’è gente molto più brava di me. Davvero!»
«Però hai una voce particolarissima, dico davvero. Vedo che ti piacciono molto i Floyd! »
«Certo! Ne vado pazzo, sono uno dei primi gruppi che ho iniziato ad ascoltare seriamente, e..» Eric si interrompe di colpo, posando un attimo
una mano sulla mia spalla e fissandomi con gli occhi sgranati.
«La scuola! Merda, merda, merda, me ne stavo dimenticando! Seb, siamo in un ritardo pazzesco, su!!» mi prende sottobraccio,
e fa per correre verso l’edificio. Io scoppio a ridere, opponendo resistenza, per quanto il mio fisico sia più minuto di quello di Eric, e,di conseguenza, mi risulti un po’ difficile.
«Ehi, signor Weymouth! La prof. è assente! Altrimenti, secondo te, me ne stavo qui bello tranquillo a gironzolare davanti a scuola?»
Eric si unisce alla mia risata, fermandosi di colpo e annuendo vigorosamente.
«Oh, giusto. Sono così dannatamente impulsivo, vedi, Seb? Beh, che ne dici, allora, facciamo un giro? Stiamo qui, o andiamo da qualche parte?»
Mi prende sottobraccio, con una confidenza quasi esagerata, ma che non mi da fastidio.
La spontaneità di Eric inizio a trovarla interessante.
Ho sempre odiato le persone false, le persone che sparlano dietro agli altri, per questo faccio fatica a trovarmi bene con i miei compagni di classe.
Ma Eric non è così. E’ sincero, e sì, farà anche tutto ciò che gli passa per la testa, sarà troppo invadente, ma mi sento sempre più a mio agio in sua compagnia.
 
«E dove andiamo? Meno di un’ora e dobbiamo essere in classe.»
«Allora ci sdraiamo sul prato e ascoltiamo un po’ di musica, ti va? L’iPod ce l’ho io, le cuffie pure. Come musica mi pare che ascoltiamo le stesse cose.
Tanto, guarda, finché non piove e non è tutto fradicio, si può fare! O mica mi dirai che sei uno schizzinoso di città che non mette la testa nell’erba? »
A quelle parole, non posso fare a meno di ridacchiare.
«Schizzinoso di città? Ho passato l’infanzia in mezzo alla campagna, sai, Eric? »
«Sul serio? Da dove vieni? Hai un accento stranissimo! Si sente che non sei della zona. »
«Beh, sono Irlandese. Dublinese, per la precisione. Vengo dall’altra parte del mare, insomma!»
Mi siedo sul prato, ed Eric fa lo stesso. Inizia a frugare nelle tasche del giubbotto, mordendosi il labbro con aria pensierosa.
Ne estrae poco dopo un pacchetto di sigarette, un iPod e degli auricolari.
«Aaah, sei straniero, quindi! L’avevo immaginato! Io non sono mai uscito dall’Inghilterra, e, a dire il vero, fino a quest’anno avevo visto un gran poco al di fuori di Greenwich! »
Eric alza le spalle con un piccolo sorriso, e mi porge il pacchetto di sigarette.
«Prendine pure una, vuoi?»
Ho provato a fumare, qualche volta, ma non mi è mai piaciuto particolarmente, così rifiuto gentilmente.
Nemmeno Eric si mette a fumare, come avevo previsto. Ripone il pacchetto di sigarette nella tasca, accende l’iPod e si sdraia sul prato,
con le mani incrociate dietro al capo, e socchiude gli occhi, porgendomi un auricolare.
«Eric..?» esito un attimo, prima di chiedergli ciò che vorrei. Ma il ragazzo spalanca gli occhi, sorridendo, e rimettendosi seduto.
Mi guarda con quella sua solita sfrontatezza, e si porta le mani ai fianchi, togliendosi l’auricolare dall’orecchio.
«Mi dica, signor Sebastian?»
 «La ricanteresti? High Hopes, intendo.»
Il sorriso di Eric si allarga ancora di più, e prende a giocherellare con una ciocca bionda dei miei capelli. Non mi scosto, come istintivamente avrei fatto in un’altra occasione.
«E perché, ti piaceva così tanto? »
«No, guarda, te l’ho chiesta perché ho voglia di spaccarmi i timpani. »
Eric ride, e scosta la mano dalla mia testa, passandosela tra i folti riccioli corvini.
«Sarà divertente cantare per Lei almeno quanto cantare per Rachel, e molto più divertente che cantare per Vince, signor Sebastian.»
«Amici?»
«Oh, suonano con me. E sì, amici. I miei migliori amici, anche se Vince è un po’uno stronzo.»
«Quindi, hai un gruppo?»
Non mi stupisce affatto. Mi sarebbe sembrato più strano il contrario. Volevi che uno con una voce del genere cantasse da solo?
«No, no. Voglio dire, continuiamo a fare delle Jam Sessions, ma non troviamo mai un chitarrista adatto. Quelli che troviamo sono svogliatissimi.
E per nulla particolari nel modo di suonare. »
La tentazione di dirgli che suono la chitarra, a questo punto, è fortissima. Ma ci ripenso immediatamente. Figurati, se dice che gli altri chitarristi
che ha trovato non erano adatti al suo gruppo, e di conseguenza alla sua voce, penso di riuscirci io?
Eric mi scruta pensieroso, vedendo che non sto gli sto rispondendo.
«E tu suoni qualcosa, Seb? Dato che la musica ti piace così tanto..»
Merda. Beh, in fondo, che male c’è se glielo dico? Mi sono ripromesso di suonare sempre da solo, per non tradire Rick e Marjane.
Ma Rick non c’è più. E Marjane stessa mi ha consigliato di suonare con questo Eric. Ma io ho paura di non esserne all’altezza, ora che l’ho sentito cantare dal vivo.
Chino leggermente il capo, e i capelli biondi mi ricadono morbidamente sul viso, coprendolo parzialmente.
«Io..sì, la chitarra. Un po’. E anche il basso. Ma la chitarra da più tempo.» mormoro con un filo di voce.
Eric sembra abbastanza sorpreso. Mi guarda strabuzzando gli occhi, e poco dopo sorride. E’ un sorriso furbo, compiaciuto.
«Allora oggi pomeriggio suoneremo insieme. Ci stai, vero?»
Affondo le unghie nei palmi della mano, e alzo lo sguardo su di lui. Ci sto? Non lo so nemmeno io. Ma dopotutto, una figuraccia sarebbe la conseguenza peggiore.
E io non ho intenzione di farla. Proverò a suonare nel miglior modo possibile, non voglio deluderlo.
Al massimo si mette a ridermi in faccia. Ma in fondo so che non sarà cpsì, perché Eric Weymouth è gentile.
Terribilmente schietto nel modo di fare, ma gentile. Non farebbe mai una cosa del genere. E io dovrei farmi meno complessi, forse.

«Sì, ci sto. Puoi venire a casa mia, se vuoi. Non ci sono molti vicini, mia madre è via e..ho un basso, e una chitarra. »
Accenno un sorriso, e Eric lo ricambia immediatamente.
« Dopo la scuola, allora. »
« Va bene, signor Weymouth. E ora mi deve una canzone, se non sbaglio.»
Eric si morde il labbro nervosamente per un istante, e subito dopo attacca a cantare, improvvisamente.
Non riparte neppure da capo, ma prosegue come se non si fosse mai interrotto.

E’ straordinario. La sua voce mi inquieta, in un certo senso. Mi costringe ad ascoltarla, non mi lascia scelta. 
Vorrei accompagnarlo. Vorrei suonare con lui, non posso fare a meno di pensarlo. Vorrei completarlo con la mia chitarra.
E’ come se tutto si risvegliasse in me, a quel suono. Il cuore, la mente, le emozioni. Provo ancora qualcosa, sotto questa maschera. 
E a suscitare tutte queste sensazioni in me è una cover. Una canzone che ho sentito moltissime volte, e che conosco praticamente a memoria.
Mi immagino subito che sia lui, a cantare le canzoni che ho composto.
A dare un senso a tutte quelle idee che continuano a ribollirmi in testa, che trovo sempre incomplete.
Quando finisce di cantare quasi non te ne accorgi. La sua voce si fa via via più flebile, naturalmente. Non è un distacco netto dalla melodia al silenzio.
Ha tenuto tutto il tempo gli occhi incollati a terra, e non si è mosso di un passo. Ma ora sposta lo sguardo su di me, e i suoi occhi diventano lucidi per un istante.
Sembra quasi essere insicuro, fragile. Come se avesse paura di sentirmi dire che è pessimo, che questa canzone l’ha cantata malissimo.
E io per una volta voglio tirare fuori quello che ho provato, almeno un po’. Voglio fargli capire che, dannazione, lui non se ne rende conto ma ha una voce pazzesca.
«Penso che potremmo fare grandi cose, insieme. La tua voce è..sei bravissimo. Vorrei suonare con te.»
Da dove mi è uscita questa roba? Ah, non lo so. Spero solo non sia suonato troppo patetico. Almeno era sincero.
Eric mi sorride, alzando le spalle e porgendomi una mano subito dopo.
 «Lo scopriremo presto, signor Sebastian. Adesso dobbiamo tornare tra i libri di scuola. Ma non preoccuparti, la musica non scappa.»
Afferro saldamente la sua mano, rialzandomi immediatamente. Eric si mette a correre con quei suoi strani passi zoppicanti, senza lasciare un attimo la mia mano.
Solitamente evito il contatto fisico, tralasciando le persone che conosco da tantissimo tempo, che sono miei amici.
Eric Weymouth lo conosco da due giorni, ma sento che non ha affatto importanza.
Quando arriviamo a scuola, lascia improvvisamente la mia mano.
Sale le scale zoppicando. Non vuole aiuto, anche se glielo chiedo.
Non capisco proprio cos’abbia, alle gambe. Forse è nato così?Ma a diciassette anni che ha, possibile che non si sia mai fatto un’operazione?
Non sembra gravissimo, certo, ma i suoi genitori non si preoccupano per lui?
Mi rendo conto di preoccuparmi troppo per lui. Cosa penso di fare, io? E’ che lo vedo solo ed indifeso, un po’ come me, anche se all’esterno
sembra così solare e pieno di vita.
Mi sento come se volessi proteggerlo da qualcosa che non conosco neppure, ma non so proteggere nemmeno me stesso.
Ci sediamo ai nostri posti, e dopo qualche minuto l’insegnante arriva in classe.
Temi, vuole che scriviamo. Mi piace scrivere, tantissimo.
 
«Questo è solo un test di inizio anno, nessun voto, ragazzi. Vi do delle tracce diverse, lavorate bene, fate la scaletta con ciò che volete scrivere.»
Eric sbuffa sonoramente, e l’insegnate lo nota.
«Qualcosa non va, Weymouth?»
«Le scalette..» mormora Eric, con una smorfia che mi costringe a trattenere una risatina. Dio, quanto odio fare le scalette prima dei temi,
programmare cosa devo scrivere.
«Cos’hanno le scalette che non vanno?» l’insegnate a questo punto è visibilmente scocciata, e in parte è anche comprensibile.
Non sono certo abituati, i nostri professori, a un alunno che dice tutto ciò che gli passa per la testa, come Eric. Probabilmente lo troveranno sfacciato.
«Sono obbligatorie? Quando faccio un tema con la scaletta mi viene orribile..come faccio a sapere cosa scriverò in una storia, in un tema? E’impossibile!»
La classe ride, e la professoressa fa cenno a tutti di tacere.
«Certo che sono obbligatorie. Forse, Weymouth..dovresti PENSARE, al posto di scrivere a casaccio.» si volta improvvisamente verso di me, che sono il suo compagno di banco.
«Non trovi, Joyce? Che bisogna prima pensare a cosa scrivere, fare una scaletta ordinata, e DOPO fare il tema?»
No, non trovo.  Almeno, per me non è così. Al posto di balbettare un timido sì, come avrei fatto in occasioni normali, mi esce un’altra cosa.
«Non sono d’accordo. Certo, secondo me varia da persona a persona. Alcuni, forse, hanno bisogno di sapere già tutto sulla loro storia.
E non è sbagliato. Ma altri, invece, scrivono la storia anche per sapere come va avanti, è come se si scrivesse da sola.»

E ridono di me, i compagni. Me lo aspettavo, che non capissero. Pazienza.
Sebastian l’asociale, Sebastian lo strano. Che mi considerino pure come preferiscano.
Ma Eric non ride. Anzi, aggiunge altro.
«Ha ragione Seb. Abbiamo tutti modi di scrivere differenti, e non siamo tutti ordinati e metodici. Per me, ad esempio, il pensiero cresce naturalmente. Come crescono gli alberi, come crescono i fiori..sì, dai, ci siam capiti.»
No, non ci siam capiti affatto, sembra pensare l’insegnate. Ci squadra entrambi con disappunto,scuotendo la testa.
Ecco cosa intendo quando dico che a volte, la scuola, inibisce la creatività delle persone.
«Beh, fate come vi pare, al massimo il due ve lo beccate voi.»
La professoressa inizia a dettare le tracce. Una più noiosa dell’altra.
Cos’hai fatto durante le vacanze.
Divertente, molto divertente, sì. Sono stato a rimpiangere le estati precedenti.
Scrivi una lettera d’amore ipotetica a qualcuno che ti piace.
Racconta un episodio divertente che ti è accaduto in queste vacanze.
Parla di qualcosa che ti spaventa.
Oh, l’ultima non è male. Voglio parlare di una mia paura. Che non sia la timidezza, la paura di fidarsi della gente. No, è una paura che riguarda il passato.
Prendo la biro in mano, e inizio a scrivere di getto.
Mi fa male scrivere questo tema, ma non mi importa se lo leggerà altra gente. Probabilmente nemmeno ci crederà.
“Mi chiamo Sebastian, e ho paura del mare. Si è portato via il mio migliore amico, circa due anni e mezzo fa. E me non l’ha più restituito.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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