Ritorni imprevisti

di sku
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** notte e mattina ***
Capitolo 2: *** tristezza e gioia ***
Capitolo 3: *** amiche ***
Capitolo 4: *** pensieri e parole ***
Capitolo 5: *** incubo ***
Capitolo 6: *** calci e carezze ***
Capitolo 7: *** ricordi e ferite ***
Capitolo 8: *** passi avanti, passi indietro ***
Capitolo 9: *** luce ***
Capitolo 10: *** sospiro di sollievo ***
Capitolo 11: *** proposta o sacrificio ***
Capitolo 12: *** incomprensioni ***
Capitolo 13: *** agguato ***
Capitolo 14: *** fuori dalla nebbia ***



Capitolo 1
*** notte e mattina ***


1. notte e mattina Tutti i personaggi (esclusi quelli di mia invenzione) sono di proprietà di Jeff Davis e sono usati senza fine di lucro.


"CIAO,
SE HAI FAME, C’E’ UN PIATTO DI PASTA DA SCALDARE NEL FRIGO.
SE TI SENTI SPORCO, L’ACCAPPATOIO E’ NELLA CESTA DEI PANNI LAVATI.
SE HAI SONNO, IL PIGIAMA PULITO E’ SOTTO IL CUSCINO.
SE HAI BISOGNO DI ME, CHIAMAMI O RAGGIUNGIMI A QUALSIASI ORA.
TI AMO.
Lil"

Aaron sorrise. Era abituato ormai a trovare i post-it di Liliana ogni volta che rientrava dopo un caso. Come ogni volta dopo la sua telefonata era venuta a casa sua e l’aveva preparata per il suo arrivo con gli onnipresenti biglietti.
Sapeva di cosa aveva bisogno, sapeva che avrebbe voluto parlare con lei ogni volta ma che non poteva, per questo non lo aspettava mai in casa sua, perché sapeva, tra le altre cose, che lui avrebbe potuto non resistere all’impulso di scaricare l’orrore che provava per un caso su di lei. Lui non voleva farlo ma il bisogno era sempre molto forte e Liliana lo aveva intuito.
Probabilmente non lo aspettava in casa anche per farsi desiderare, per fagli capire che non era così scontato che lei fosse lì a sua disposizione.
Rilesse il biglietto, aveva una calligrafia terribile. La immaginò nel suo letto, rannicchiata in posizione fetale con un pigiama con gli orsetti… l’immagine meno sexy a cui riuscisse pensare, eppure era eccitante anche così. Per un momento valutò seriamente la possibilità di presentarsi a casa sua alle tre di notte, sdraiarsi accanto a lei, svegliarla con un bacio e fare l’amore per poi addormentarsi tra le sue braccia, finalmente sereno dopo giorni.
"E’ meglio di no. Domani deve essere presto in università per la visita dei finanziatori. Non posso essere egoista…"
Liliana non si era mai lamentata della loro vita, non lo accusava di trascurarla per via del lavoro, gli aveva solo chiesto di chiamarla subito dopo ogni arresto per rassicurarla. Se la loro relazione funzionava, il merito era in gran parte della donna, che si adattava a lui e alle sue esigenze. Il fatto di essere cresciuti in stati, anzi addirittura in continenti lontani non facilitava le cose. Ma come diceva sempre lei - Per amore bisogna saper scendere a compromessi, mordersi la lingua prima di parlare e ricordarsi di non andare a letto arrabbiati. -
Aprì il frigorifero e trovò il promesso piatto di pasta. Sulla carta stagnola che lo ricopriva era attaccato un altro biglietto adesivo.

"E’ PASTA AL POMODORO E BASILICO, SCALDALA PER 5 MINUTI NEL MICROONDE. SE POI HAI ANCORA FAME CI SONO DUE FETTE DI TORTA AL CIOCCOLATO NEL PORTAPANE. MI RACCOMANDO METTI I PIATTI NELLA LAVASTOVIGLIE, NON ESSERE PIGRO."

Aaron non poté fare a meno di ridere, la pignoleria della sua donna non aveva confronti.
- La mia non è pignoleria, né pedanteria, sono solo molto ma molto premurosa e previdente… l’ultima volta hai lasciato i piatti nel lavandino e poi sei partito. - gli aveva risposto quando le aveva fatto notare l’esagerata accuratezza dei suoi consigli.
Gli mancava la sua voce, il suo modo di parlare che lo aveva fatto innamorare. Forse doveva dirle di lasciargli dei messaggi registrati… "E' meglio di no se non voglio impazzire ad eseguire i suoi comandi a distanza!"
Dopo aver diligentemente rigovernato la cucina, salì in camera e sul cuscino trovò l’ennesimo post-it.

"GIURO CHE QUESTO E’ L’ULTIMO! VOLEVO SOLO AUGURARTI LA BUONA NOTTE.
TI AMO TANTISSIMO. FA SOGNI FELICI."

L’uomo si infilò sotto le coperte e prima di spegnere la luce guardò la foto sul comodino che li ritraeva durante uno dei rari viaggi che avevano potuto fare. Erano stati al mare per una giornata, solo loro due. Lei si era divertita come una bambina, aveva passato il tempo a cercare di affogarlo e a scappare quando lui cercava di ribellarsi.
Probabilmente era stato il giorno più bello della sua vita. Senza pensieri, senza ansia, solo gioia.
"Allora è così che ci si sente quando si è completamente felici." Aveva pensato mentre la guardava coricata sulla sabbia, le gocce d’acqua scintillanti sul suo corpo morbido e imperfetto.
Spense la luce. Si girò verso la parte del letto vuota e allungò la mano sperando quasi di toccarla.
Come ogni sera da quando la conosceva, l’ultimo pensiero prima di scivolare in un sonno ristoratore fu per lei.

Come ogni mattina da quando conosceva Aaron, il primo pensiero prima di iniziare la giornata fu per lui. Quando aveva aperto gli occhi, si era quasi aspettata di trovarlo disteso al suo fianco che la guardava. Non era ancora riuscita a capire come faceva a svegliarsi sempre prima di lei.
Ma Aaron non c’era, probabilmente aveva pensato che era meglio lasciarla riposare dato che la sua giornata sarebbe stata impegnativa.
"Pensa sempre a cosa è meglio per me. Cosa potrei volere di più da un uomo? Forse che avesse degli orari di lavoro normali?"
Si girò nel letto e guardò le numerose fotografie che tappezzavano la parete bianca alla sua destra, c’era tutta la sua vita in quelle immagini. Il primo bagnetto, il giorno della laurea, il matrimonio di suo fratello, il battesimo del suo primo nipote. Quella su cui indugiò più a lungo era una che li ritraeva abbracciati in riva al mare. Quel giorno Aaron aveva capito che poteva essere felice accanto a lei. Liliana sapeva già da tempo di poterlo essere, lui invece le era parso sempre titubante sulla possibilità di un rapporto duraturo e sereno. Fino ad allora. Era stato sicuramente uno dei giorni più felici della sua vita.
La donna si alzò di scatto scalciando le coperte e aprì l’armadio per decidere che vestiti mettere per la giornata. La visita dei finanziatori sarebbe stata una scocciatura, avrebbe solo impedito loro di lavorare, ma era un rito a cui era meglio sottostare se volevano ancora avere un posto.
- Magari incontrerò un uomo ricchissimo che vedendomi così professionale vorrà conoscermi, rimarrà affascinato da me, mi sposerà e io vivrò ricca e potente per il resto dei miei giorni… - aveva fantasticato il giorno prima Mary.
- Certo Cenerentola, anche se è più probabile che ti voglia solo come amante… - l’aveva scoraggiata l’italiana.
- Sempre ottimista! -
- Ma no, lo dico solo perché non vorrei che tu andassi via e mi lasciassi sola… è puro egoismo il mio. - aveva poi concluso lei.
Per fortuna ci sarebbe stata Mary con il suo sarcasmo a tenerle compagnia e a fare in modo che non si addormentasse durante i noiosissimi discorsi in programma.
Mentre appoggiava sul letto il completo che avrebbe indossato si chiese se Aaron avesse trovato tutti i suoi biglietti.

Quando arrivò in laboratorio gli altri assistenti erano in fermento, controllando anche tre o quattro volte che ogni cosa fosse al proprio posto. L’anno prima avevano rischiato di perdere parte dei finanziamenti quando una delle cavie era riuscita ad “evadere”, creando un grande scompiglio poiché aveva deciso che le scarpe italiane fatte su misura di uno dei ricconi erano una toilette adatta alle sue esigenze fisiologiche. La maggior parte degli assistenti avevano riso sotto i baffi insieme a qualcuno dei benefattori più ironici, mentre il rettore e il professor Dale avevano cercato di salvare il salvabile profondendosi in mille scuse. Grazie alle loro arti diplomatiche erano riusciti a scongiurare il taglio dei fondi, ma era chiaro a tutti che non doveva più accadere una cosa simile.
Mary la aspettava appoggiata ad uno dei banconi mentre dettava ordini a un paio di laureandi che faceva correre ovunque con compiti assurdi.
- Non credi di essere troppo cattiva? - la apostrofò Liliana entrando.
- Sono gli unici su cui posso comandare, fammi godere il mio misero potere. - le rispose.
- A che ora arrivano i nostri benefattori? -
- Alle 9.30. Poi c’è la presentazione dei progetti, i discorsi di ringraziamento per i fondi, il pranzo per i ricconi e i veri potenti dell’università e nel pomeriggio il giro dei laboratori. -
- Che programmino interessante. Dato che oggi non concluderemo niente potevo benissimo stare a casa. Anzi no, potrei perdermi la tua ricerca dell’uomo ricco…-
- Voglio un uomo ricco solo per poterlo cornificare con l’aitante giardiniere! Un uomo con uno stipendio normale potrebbe non avere il giardino. Hai presente il giardiniere di "Desperate Housewives"? Ecco, lo voglio così! - cercò di giustificarsi.

Aaron si svegliò quando la luce che filtrava attraverso tende lo colpì negli occhi. Si alzò sbadigliando e si diresse verso l’armadio per cercare qualcosa di comodo da indossare. Aprendo l’anta non poté fare a meno di sorridere.

"LO SO, SONO UNA BUGIARDA, NON ERA L’ULTIMO. MA COME POTEVO ALTRIMENTI ESSERE LA PRIMA AD AUGURARTI IL BUONGIORNO? CI VEDIAMO STASERA, SE TUTTO VA BENE. MI MANCHI. Lil."

"Anche tu mi manchi, non sai quanto…" pensò l’uomo.


"Giornate di una felicità intensa non capitano spesso nella vita. Ed è inseguendo questo vivido miraggio che le persone riescono a tirare avanti e ad invecchiare."
Banana Yoshimoto (da "Tsugumi")



Sono tornata! E anche abbastanza presto, ma non sono riuscita a stare senza le vostre adorabili recensioni! (sì, sono una leccapiedi!)

Capitolo introduttivo, spero di riuscire ad aggiornare con regolarità, soprattutto perché sono riuscita a finire un altro esame e quindi adesso ho un po' di tempo da dedicare a questa ff.
Piccola nota, le frasi in corsivo sono, come dire, in italiano nel testo; cioè Liliana le pronuncia o le scrive così mentre il resto dovrebbe essere in inglese. Spero di essere stata chiara e di non avervi solo confuso le idee!
Grazie in anticipo per la lettura e per i commenti; alla prossima,
sku.

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Capitolo 2
*** tristezza e gioia ***


2. tristezza e gioia Aaron guardò attraverso la porta e la vide, il camice bianco macchiato su un gomito, le mani guantate che si muovevano veloci tra provette e centrifuga. Sotto indossava un completo blu; era strano per lui vederla senza jeans e scarpe da ginnastica. Liliana si era fermata davanti ad un computer e digitava qualcosa sulla tastiera. Non l’aveva mai vista al lavoro, così concentrata e professionale, sembrava qualcosa di diverso dalla Liliana che era abituato a vedere. La donna aveva preso un foglio e lo leggeva giocherellando coi suoi capelli, un vizio che l’uomo aveva già notato altre volte in lei. La sentì canticchiare sottovoce in italiano. Sembrava molto presa, non aveva il coraggio di disturbarla, così decise che l’avrebbe aspettata nel parco. Ma qualcuno si oppose al suo piano.
- Agente Hotchner, a cosa dobbiamo questa visita? - lo chiamò Mary.
- Mary, sempre onorato di vederti. Immagino che con la tua arguzia, tu abbia già capito il motivo della mia presenza. - le rispose l’uomo girandosi nella sua direzione.
- C’è un assassino in circolazione? - ironizzò la farmacologa.
- Esatto, sto cercando di convincerlo a ucciderti. -
- Spiritoso, ho scoperto un altro dei tuoi talenti nascosti. Liliana è in laboratorio, te la chiamo? - gli chiese.
- Lo so, l’ho vista. Non vorrei disturbarla, sembra molto impegnata. -
- Hai detto bene, sembra. Oggi non abbiamo fatto niente per via dei finanziatori, sta solo preparando gli esperimenti per gli studenti nei minimi particolari, è troppo pignola la tua donna, lo sai? -
- Non me n’ero accorto assolutamente. Quindi se la porto via adesso non crollerà il laboratorio, come cerca sempre di farmi credere? -
- Mmh, forse no. Trascinala via di qua, che ieri era tutta esaltata perché saresti tornato. - gli disse spingendolo dentro il laboratorio.
“Era esaltata per il mio ritorno?" pensò l’uomo con piacere. La cosa lo stupiva, lo faceva sentire amato e desiderato. Era una sensazione gratificante e lo rendeva felice.
- Aaron, cosa ci fai qui? - esclamò Liliana sorpresa vedendolo entrare.
- Ti stava spiando perché crede che tu lo tradisca con le cavie. Certo che anche tu fai delle domande idiote. - le rispose Mary al posto dell’uomo, sbucando da dietro la sua schiena - Adesso tu e lui ve ne andate, cosicché io possa concupire uno dei finanziatori mostrandogli la nuova HPLC che abbiamo comprato coi suoi preziosissimi soldi. -

Aaron e Liliana camminavano senza parlare costeggiando il lago del parco cittadino, lui aveva il braccio posato sulle sue spalle mentre lei gli cingeva la vita.
- Grazie per la pasta e la torta. Ma soprattutto grazie per tutti i tuoi post-it. - disse l’uomo dopo un po’. Lei annuì, rimanendo sempre in silenzio.
- C’è qualcosa che non va? - le chiese sospettoso. Non era da lei non parlare, ogni volta che tornava lo assediava con domande minuziose sui posti che aveva visto, sui suoi colleghi o gli descriveva nei minimi dettagli le sue giornate facendole sembrare avventure straordinarie. Avrebbe detto che qualcosa la preoccupasse e che non lo stesse ascoltando. Non sapeva quale ipotesi era più terrificante per lui.
- No, niente, solo sciocchezze. Mi ha fatto piacere che tu sia venuto a prendermi, non l’avevi mai fatto. - disse per cambiare discorso.
Aaron si fermò e si appoggiò alla ringhiera guardando il laghetto per qualche minuto, poi si voltò verso di lei e prese il suo viso tra le mani e le baciò la punta del naso ricoperto di efelidi.
- Ti manca una vita “normale”, vero? - le domandò con gentilezza. Liliana non rispose e abbassò gli occhi.
“Dalla padella alla brace, non potevo parlare del tempo?” pensò lei. “Adesso crede che mi stia lamentando…”
- Lil… -
- Un po’. Non fraintendermi, adoro stare con te, sei fantastico e i momenti che passiamo insieme sono meravigliosi e non posso lamentarmi…- disse concitata.
- Ma? -
- Non c’è nessun ma. No, non è vero. Mi mancano le piccole cose, mi manca la ruotine... ma non ascoltarmi, è solo un momento di malinconia. -
- Ti capisco, anche io vorrei svegliarmi tutte le mattine al tuo fianco, non dover partire all’improvviso senza poterti salutare, non dovermi accontentare dei tuoi deliziosi messaggi scritti quando torno… -
- Mi sento così egoista quando faccio questi pensieri, ho più di quanto possa sperare e non mi accontento. -
- Sono felice che io non ti basti mai! - disse lui scacciando la tristezza del momento.
- Adesso non montarti la testa! - Si alzò in punta di piedi e lo baciò. - Portami a casa e vediamo se riesci a saziarmi… - replicò poi maliziosa.
- E’ una sfida? -
Lei non rispose ma lo guardò con gli occhi bicolori carichi di promesse.
- Accetto la sfida, allora. - le sussurrò nell’orecchio prima di mordicchiarne il lobo.

Liliana si rotolò sul letto finché non riuscì a guardare attraverso la porta aperta del bagno. Aaron si stava facendo la doccia e lei poteva vederlo attraverso il vetro traslucido del box. Aveva un  fisico asciutto e atletico. Le piaceva accarezzarlo e sentire i suoi muscoli che si tendevano sotto la pelle, le piaceva sentirlo sul suo corpo quando facevano l’amore e poter annusare il suo odore che le rimaneva sulle mani. Lui uscì dalla doccia, le gocce d’acqua cadevano dai capelli neri sulle ampie spalle scivolando poi lungo il suo torace. La guardò.
- Ti stai godendo lo spettacolo? E’ di tuo gradimento? -
- Decisamente. - rispose mordicchiandosi il labbro inferiore.
Aaron si avvolse nell’accappatoio e a piedi nudi la raggiunse.
- Vai ad asciugarti che ti ammali. - lo rimproverò.
- Meglio, avrei una scusa per poter stare a letto. Poi tu, quale genio della farmacologia, potresti curarmi. -
Dicendo questo Aaron tirò il lenzuolo verso di sé scoprendo in parte il corpo formoso e nudo della donna.  
- Aaron! - urlò lei fintamente arrabbiata.
Lui lo tirò ancora, scoprendola del tutto. - Adesso è il mio turno per guardare… -
Con una mossa imprevista lei gli fece perdere l’equilibrio e lo fece cadere sul letto, poi si mise cavalcioni su di lui e gli bloccò le mani sopra la testa.
- E adesso? - lo sfidò nuovamente.
- Adesso sono in tuo potere e sarò costretto a fare qualsiasi cosa tu voglia. - replicò lui.
- Qualsiasi? - chiese lei baciandolo sul collo. Aaron gemette di piacere.
- Lo prenderò per un sì. - sussurrò lei lasciandogli le mani che corsero ad accarezzarla.

Aaron si svegliò. Era mattina presto. Liliana era addormentata all’estremità opposta del letto ma con un piede gli toccava il polpaccio. Cercava sempre un contatto con lui, anche quando dormivano lontani per il caldo. Si alzò cercando di fare meno rumore possibile e scese in cucina a preparare un’abbondante colazione per entrambi.

Il trillo del cellulare interruppe il dormiveglia di Liliana, voltandosi verso Aaron non lo trovò così si sporse verso il comodino dell’uomo e rispose.
- Pronto? - disse con voce impastata dal sonno.
All’altro capo ci fu un silenzio imbarazzato - Sono Reid, chi parla? - disse poi.
- Ciao, sono Liliana. Adesso chiamo Aaron, aspetta un momento. - La donna si svegliò del tutto. "Chi dovrebbe parlare secondo te?"
Scese in cucina dove l’uomo in pantaloni del pigiama la accolse con un sorriso.
- Buongiorno fiore, ti stavo… - Le parole gli morirono in gola quando vide il cellulare nelle mani della donna. – E’ Reid. - gli disse consegnandoglielo. Poi si sedette su uno sgabello aspettando che finisse di parlare.
- Ok, sarò lì al più presto. - mormorò l’uomo, poi chiuse la comunicazione e la guardò sconsolato.
- Non preoccuparti, ho capito. Però portami a casa prima di andare a Quantico. Dove devi andare? -
- Idaho. -
- Chiama appena lo avete arrestato e portami un souvenir. -
- Mi dispiace. - Aveva la faccia da cena bastonato.
- A me no, così stasera esco con Mary e Judith e tu soffrirai di gelosia a distanza. - lo rassicurò avvicinandosi a lui e abbracciandolo.
- Ti amo Lil. -
- Lo so. Anch’io. -

L’uomo era seduto su una panchina e vide la macchina accostarsi al marciapiede. Riconobbe l’uomo al volante e lo vide baciare la donna seduta di lato a lui. Poi lei scese e guardò l’auto allontanarsi prima di girarsi con un’espressione triste negli occhi ed entrare nel portone.
“Bene, bene…  Così sarà ancora più divertente.” L’uomo aspettò fermo ancora qualche minuto poi calcandosi il cappello in testa si allontanò.


“ Felicità è amore, nient’altro.”
                              Herman Hesse

HPLC: Cromatografia liquida ad alta risoluzione, strumento per l’analisi dei componenti chimici di una miscela e la determinazione della loro quantità.

Grazie a tutte per avermi accolto così calorosamente, sono commossa! E ben ritrovati a tutti!
Non pensavo che l'idea dei post-it risultasse così apprezzata!
Allora cosa ne pensate di questo secondo capitolo? Anche questo è un po' introduttivo ma qualcosa sta per succedere, non disperate!
Ringraziamenti:
Kley: sono contenta della tua contentezza! E sono felice che ti piaccia l'idea della doppia lingua, a dir la verità è stata l'idea da cui è partita tutta la ff. Grazie per i tuoi complimenti (anche per quelli per l'esame) che sono sempre graditissimi!
LubyLover: evidentemente la disintossicazione che ti ho pagato la ff scorsa non è servita a nulla! Comunque la battuta non era così terribile, le mie possono essere molto peggio! Mary non poteva cambiare, è troppo assurda per farlo! Sono lusingata che le mie idee ti piacciano tanto!
jaja_thrill: alcuni capitoli sono stati ispirati da alcuni aforismi, per altri ho dovuto fare un luuungo lavoro di ricerca su web e libri per trovare quella più adatta, a volte penso sia stata la parte più difficile da scrivere! 
Minerva McGranitt: spero sia abbastanza presto per te! Grazie mille per aver detto che è fantastica!
hikary: grazie per la tua gioia nel ritrovarmi!
sakura_kinomoto: lo so nei riassunti faccio decisamente pena, è un po' un limite! E lo so il capitolo 2 è nc-17, quindi spero che al momento giusto tu abbia chiuso gli occhi! Non temere ho qualcosa in serbo per Mary. Giuro che non mi lamenterò mai più (per in quella su capitan tsubasa sono solo tre... scherzo!)
Grazie anche a chi legge senza recensire.
Alla prossima,
sku.

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Capitolo 3
*** amiche ***


3. amiche Liliana si guardò attorno per il locale stracolmo di gente, ma di Mary nessuna traccia.
- Ma è possibile che non sia mai in orario? - sbuffò Judith.
- Dovremmo esserci abituate, ogni volta è la stessa storia. Intanto raccontami del weekend romantico che hai passato con il tuo bel maritino. -
- E’ stato fantastico, siamo andati in un albergo delizioso e molto costoso, che non guasta mai, ha tenuto il cellulare sempre spento e soprattutto non c’erano bambine a richiedere la nostra più totale attenzione, solo lui ed io… Abbiamo passato una giornata a letto come due sedicenni. Dovremmo farlo più spesso. In più c’era un centro benessere con le terme… è stato anche molto rilassante. -
- Ti invidio…- disse Liliana guardando gli occhi splendenti di gioia dell’amica.
- Tu invidi me? Tu, donna libera da costrizioni matrimoniali e di amore materno? Tu che hai un fusto al tuo fianco? - esclamò Judith con finta indignazione.
- E’ un momento un po’ così, sento molto la sua mancanza, passerà. - cercò di giustificarsi la rossa.
- A proposito dell’agente, gli hai raccontato di quello che ti è successo? - le chiese.
- No. - rispose seccamente.
- Perché no? - Era perplessa.
- Perché è una stupidaggine, non mi va di farlo preoccupare per niente. -
- Scusate, scusate, scusate… - disse Mary trafelata, arrivando alle loro spalle.
- Oh, ma pensa solo 15 minuti di ritardo, è un record positivo per te! - la accolse Judith. - Che scusa hai stavolta? -
- Ti si è rotta la sveglia? Il cane ha mangiato i tuoi compiti? O più semplicemente sei rimasta davanti al tuo armadio per un’ora per decidere cosa metterti? - rincarò la dose Liliana.
Mary non rispose, ma dall’abbigliamento estremamente curato della donna l’italiana capì di aver colpito nel segno.
- Chi tace acconsente. - decretò Judith - Adesso andiamo a recuperare un tavolo che sto morendo di fame. -
Le tre donne raggiunsero con un po’ di fatica un tavolo e furono presto raggiunte da un aitante cameriere che porse loro le liste e scrutò la generosa scollatura di Mary, che sembrò apprezzare.
- Adesso capisco la tua improvvisa voglia di cibo messicano. - insinuò Judith quando l’uomo si allontanò.
- Sentite, voi due siete accoppiate, mentre io posso ancora divertirmi. Adesso non perdetevi in chiacchiere e ditemi cosa volete, penserò poi io ad ordinare. -
- Come mai ci fai questo favore? - chiese stupita Liliana.
- Per stupire il cameriere con il mio spagnolo perfetto. -
- Da quando sai lo spagnolo? -  Judith era sospettosa.
- Mmmmh, da quando ho visto quel gran figo…- replicò persa nei suoi pensieri sicuramente lussuriosi.
Liliana e Judith risero.

- Ascolta, non potrai mai convincermi a ballare dopo tutto quello che ho mangiato! Se tu mi avessi avvisato mi sarei tenuta leggera…- mormorò Judith sconsolata.
- Non fare la vittima con me! Vi avevo avvertite che saremmo andate a ballare. - la aggredì Mary.
- Sì, Mary, è vero, ci avevi avvertite. L’unico problema è che solitamente non andiamo a ballare cinque minuti dopo aver finito la cena. - disse Liliana cercando di riportarla alla ragione. - Non hai mai specificato che il ristorante aveva una pista da ballo. -
- Ok, mi avete convinta, aspetterò un po’ prima di trascinarvi di sotto. - si arrese alla fine.
Liliana guardò le due donne di fronte a lei e sorrise pensando a quanto era stata fortunata a trovare due amiche così. Le mancavano le sue amiche italiane, nonostante la fitta corrispondenza per e-mail e su msn, non le potevano essere molto d’aiuto; aveva bisogno anche di due occhi che le facessero capire i suoi errori senza parole. Lei era stata fortunata, ne aveva trovati quattro. Judith e Mary erano le colonne portanti della sua vita americana, disponibili a parlare con lei e comprensive quelle volte che aveva annullato un appuntamento all’ultimo per un ritorno anticipato di Aaron. Era stata la buona sorte che ci aveva messo mano, era sicura, perché Judith e Mary erano presto diventate buone amiche anche tra di loro. Forse l’essere in un certo senso straniere a Washington; Mary di Seattle, Judith di Miami; le aveva fatte sentire vicine.
Avrebbe voluto dir loro tutto quello che le passava per la testa, dir loro quanto bene voleva ad entrambe, ma sarebbe parso strano. “ Sembrerebbe come un addio…”
- Hai finito di ridere da sola? Vuoi metterci a conoscenza del motivo di tanta felicità? No, non dirmelo, ho capito, stai pensando all’agente Hotchner nudo… non farmi rabbrividire, adesso devo cercare qualche bell’uomo su cui posare gli occhi per purificarli… - disse Mary girando freneticamente la testa e scrutando la sala.
- Devo ancora capire il tuo odio per Hotchner, è sempre così carino… - chiese Judith.
- Carino quel troll? Ma dai, cerca solo di portarci via la nostra cuoca… - precisò Mary.
- Allora io per voi sarei solo una cuoca? Belle amiche, davvero. E lo volete chiamare Aaron, una buona volta? - esclamò Liliana.
- No. -  risposero in coro le due donne.

Mary si stava scatenando in mezzo alla pista, accanto a lei Judith, che la scimmiottava e la prendeva in giro. Liliana si era seduta su uno dei divanetti accaldata e un po’ stanca e le guardava. Improvvisamente si sentì osservata, cercò la fonte di quella sensazione ma c’era troppa gente e non riuscì ad individuarla.
Era una serata divertente, non aveva ancora pensato ad Aaron e questo la fece sentire un po’ in colpa. “Posso dimenticarlo così in fretta?”
- Non essere triste, lui non ti merita. - le disse una voce sconosciuta. Liliana alzò lo sguardo, un bel ragazzo le stava davanti a gambe larghe offrendole un bicchiere.
- Non puoi essere sicuro che lui non mi meriti… non puoi essere neanche sicuro che io stia pensando ad un lui. -
- Una donna bella come te non può non avere un lui a cui pensare. - la adulò.
Liliana sperò di non essere arrossita, i complimenti le facevano piacere. - E questo non ti crea problemi? Intendo insidiare donne occupate. -
- Beh, a dir la verità no. In fondo sono uomini che non conosco e se lasciano uscire certe bellezze senza scorta sono degli sciocchi e si meritano di rimanere soli. -
- Veramente lei la scorta ce l’ha. - si intromise Mary - Io no però. -
- Interessante. Posso offrirti da bere? - le chiese offrendole lo stesso bicchiere di prima.
“ Non molto galante il ragazzo. Ricicla i drink…” pensò Liliana.
- Non accetto mai bicchieri da sconosciuti, però puoi farmi ballare… - lo invitò tirandolo in pista.
- Mary non si smentisce mai. I ragazzi più interessanti sono sempre intorno a lei. - Judith l’aveva raggiunta e si era gettata accanto a lei. - Anche se sinceramente questo non mi sembra il massimo. -
- Deve far passare il tempo, il cameriere non stacca prima delle tre. - la informò Liliana.
- Adesso capisco. E noi possiamo andare a casa prima o dobbiamo aspettare con lei? Ho una certa età e non credo di riuscire a stare alzata fino a quell’ora. -
- Possiamo andare quando vogliamo. Mi ha dato le chiavi della sua macchina e mi ha chiesto di portarla a casa mia e di passarla a prendere domani mattina per andare al lavoro. -
- Mi stai dicendo che tornerà a casa con un estraneo che ha conosciuto stasera? -
- Veramente Mary viene a mangiare qui una sera sì e l’altra pure. Lei e il cameriere si conoscono da due mesi ormai. -
- Ma ha detto che lo aveva visto solo poco prima… -
- Non è esatto, non ha mai detto una cosa del genere, te l’ha lasciato credere. Lo sai com’è Mary, dopo Julian non vuole più storie serie, ma mi sa che sta cambiando idea con Pedro. -
- E a me non ha detto niente! -
- Per forza! Tu avresti scritto le partecipazioni e avresti organizzato il banchetto. Tu vuoi che tutti si sposino! - le fece notare Liliana - Quando ho cominciato ad uscire con Aaron per poco non compravi tu l’anello pur di fargli fare la dichiarazione! -

- Mary, noi andiamo. Ci vediamo domani mattina, passo a prenderti alle otto e trenta! - urlò Liliana cercando di farsi sentire sopra la musica.
Mary annuì e lanciò un bacio nella loro direzione continuando a ballare.
Liliana e Judith uscirono nel parcheggio.
- Ci vediamo domani. Buona notte. - la salutò Judith.
- Magari ci incontriamo sulle scale di casa. - replicò Liliana.
- Ne dubito, in macchina sembri una lumaca. - rise l’altra.

“Judith aveva ragione, è arrivata prima di me, è già in casa.” pensò mentre scendeva dall’auto guardando le finestre della casa dell’amica.
Si avvicinò al portone ed entrò lasciando che si chiudesse da solo. Liliana non si accorse del mancato tonfo del pesante portone, né si accorse dell’ombra scura che scivolava all’interno alle sue spalle.
Infilò le chiavi di casa nella toppa e stava per entrare quando improvvisamente una mano le coprì la bocca lasciandola senza fiato.
- Ssh… - le sussurrò piano all'orecchio.
Liliana cercò di urlare ma un colpo alla testa le fece perdere i sensi.
- Perfetto, tutto va secondo i piani.- disse piano l’uomo.


“ Non ho alcun dubbio di aver meritato i miei nemici, ma non sono sicuro di aver meritato i miei amici.”  
                                                                                                                                          Walt Whitman

Questo capitolo è dedicato a tre persone speciali: Kiara, perchè sopporta tutte le mie mail e le mie filippiche quando usciamo; Miryam, perchè è sempre incasinata e sempre divertente e Ilaria, perchè mi costringe a mangiare multietnico e a fare battute acide. Vi voglio bene!

Allora, comincia ad esserci un po' di movimento! Mi piaceva troppo l'idea di una serata tra donne per non metterla da qualche parte, soprattutto calcolando i personaggi in questione era irresistibile.
Per il resto, vi prego, non odiatemi troppo!
Ringraziamenti:
jaja_thrill: spero tu non abbia più paura a proseguire! Grazie mille per i complimenti, sono orgogliosa che ti sembri ben descritto il rapporto tra Aaron e Liliana. Come va la tua dipendenza adesso?
LubyLover: lo so che è stato un colpo basso, ma del resto ho imparato dai migliori sceneggiatori americani! E adesso che hai scoperto che i tuoi brutti presentimenti si avverano come ti senti? E sì, deve per forza partire (come hai scoperto).
Kley: lo so che Reid compare per poco ma almeno una citazione ci stava. Bella la musichetta lugubre, adesso fai conto che accompagni ogni scena con suspence, ti nomino inoltre creatrice della colonna sonora.
hikary: non ti prendo per una pazza sanguinaria, quella sono io! Spero che i prossimi capitoli riescano a soddisfare la tua brama di colpi di scena.
sakura_kinomoto: allora uccidimi perchè lasciarvi sulle spine a fine capitolo è il mio sport preferito! Non faccio previsioni sulla fine della storia quindi non posso dirti se accetterò o meno il tuo suggerimento.
Un grosso grazie anche a tutti coloro che leggono senza recensire.
Alla prossima,
sku.

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Capitolo 4
*** pensieri e parole ***


4. pensieri e parole "Non risponde, avrà dimenticato la suoneria silenziosa. Peccato, volevo sapere come procedeva la serata… e sentire la sua voce. Mi manca così tanto… Quanto è che non la vedo? Quindici ore? A me sembra un’eternità. Adesso è tardi, devo dormire, domani sarà un’altra giornata impegnativa."
Aaron Hotchner appoggiò il cellulare sul comodino in modo che se lei lo avesse chiamato lui avrebbe potuto rispondere subito. Spense la luce e nel giro di poco si era addormentato.

“ Non risponde, maledizione. Le lascio un giorno, un solo dannatissimo giorno, la mia macchina; le dico di venirmi a prendere e lei è già in ritardo di un quarto d’ora. E non è neppure rintracciabile. Ma questa me la paga, stiamo facendo tardi! Dale ci ucciderà! Non risponde neanche a casa… Sarà bloccata nel traffico… oppure starà guidando lentissimamente come suo solito! Dai rispondi! Ecco è partita la segreteria."
- Liliana muoviti! Giuro che ti ammazzo se arriviamo tardi! - tuonò al telefono.
"Vedrai che dovrò prendere i mezzi… oggi non è decisamente giornata."
Mary Reyer si incamminò verso la fermata dell’autobus continuando a insultare mentalmente la collega.

"Strano, non mi ha mandato il suo solito messaggio di buongiorno. Che sia tornata così tardi da non riuscire a svegliarsi stamattina? Non è mai successo… Oppure era così in ritardo da non potermelo mandare?" Era perplesso, non era il solito comportamento di Liliana.
- Hotch, dobbiamo andare. - disse Morgan affacciandosi alla porta
- Arrivo subito. - rispose.

"Liliana non è al lavoro… si sarà sentita male? Se non è venuta solo perché non si è svegliata è una donna morta… Però è strano che non risponda neanche al telefono di casa. Adesso chiamo Judith e le chiedo di andare a controllare."
- Dottoressa Reyer, vuole mettersi a lavorare o preferisce aspettare la venuta del Messia? E già che c’è copra anche la dottoressa Meli, che non ha avvisato e non si è presentata. E’ così inaffidabile… - continuò il professor Dale mentre usciva dal laboratorio, ignaro delle linguacce che Mary faceva alle le sue spalle.
"Sarà una lunga giornata…" pensò e si mise all’opera.
Oberata di lavoro, Mary scordò di chiamare Judith.

"Adesso comincio a preoccuparmi, continua a non rispondere. Come può pretendere che la chiami appena eseguito l’arresto se poi non risponde…"
- Hotch, dai, sbrigati che dobbiamo prendere l’aereo. Tra qualche ora sarai a casa e la vedrai e non dovrai accontentarti di un surrogato telefonico. - gli disse JJ.

L’aereo dell’FBI era appena atterrato e Hotchner si era attaccato al cellulare, ma lei non rispondeva. Decise di provare un’altra strada.
- Pronto Mary? Sono Hotchner. Non riesco a mettermi in contatto con Liliana. E’ lì in laboratorio con te? Me la passi, per favore? -
- Liliana non è venuta a lavoro, stamattina doveva passare a prendermi ma non si è presentata e neanche io sono riuscita a sentirla. Adesso chiamo Judith e le chiedo di andare a trovarla in casa, magari si è sentita poco bene e ha tolto la suoneria dei telefoni per non essere disturbata. Dopo ti richiamo. -
- Grazie, a dopo. -
"Non è da Liliana staccare i telefoni e non farsi  trovare." Pensò componendo il numero di Judith.
- Pronto? -
- Ciao, sono Mary. Non riesco a parlare con Liliana, non si è presentata al lavoro e non è passata a prendermi. Puoi andare da lei a vedere se sta bene? Poi richiamami. -
- Ok. - Judith attaccò la cornetta e prese le chiavi di scorta dell’appartamento di Liliana.
Guardò dalla finestra e vide che l’auto di Mary era posteggiata ancora davanti a casa.

- Mary, sono io. Liliana non è in casa e la porta è aperta. La tua macchina è ancora qui davanti a casa. Non capisco. Cosa può essere successo? -
- Non lo so. Adesso chiamo l’agente Hotchner, poi se mi dice qualcosa ti faccio sapere. Grazie ancora. -

- Grazie Mary, ho capito. Sì, se so qualcosa ti faccio sapere subito. Anche a me sembra strano. Mmmh, va bene, ciao. -  Aaron chiuse la comunicazione e si girò verso la squadra con il viso terreo.
Gideon stava parlando al telefono. Aspettò che finisse la conversazione.
- C’è un problema, non si trova Liliana e né io né le sue amiche riusciamo a metterci in contatto con lei… - Gideon lo interruppe.
- Allora i problemi sono due… -


"Avere qualcuno che si chiede dove sei quando non torni a casa alla sera è un’esigenza atavica del genere umano."
                                                                                                  Margaret Mead


Capitolo corto, lo so, ma volevo tenervi ancora un po' sulle spine. Questo è uno dei capitoli che mi è piaciuto di più scrivere, forse perchè salta così da uno all'altro, non lo so, ma mi è uscito di getto e non ho quasi dovuto modificarlo dopo la prima stesura.
Ringraziamenti:
jaja_thrill: ma sei lì ogni mercoledì come un falco aspettando che aggiorni?!? Ma allora sei veramente dipendente, comincio a preoccuparmi per la tua salute! Che non le accada nulla non è così ovvio come vorresti... Sono troppo contenta che la mia storia ti piaccia e sono troppo contenta per i tuoi complimenti!
Kley: come ogni volta mi fai arrossire, ma non esagerare, non credo di avere questo grande talento, ho solo una fantasia un po' malata! Questa volta tocca a me complimentarmi con te per l'ottimo lavoro che hai svolto per la mia colonna sonora!
LubyLover: è una tecnica per depistarvi... se il capitolo fosse triste da subito non ci sarebbe shock! E lo shock tiene avvinto il lettore (ok smetto di dire scemate!!!) Spero che la tua pratica di autocovincimento sia servita a qualcosa, in ogni caso l'ultima parte è accaduta (come avrai notato dal capitolo). Sono proprio felice che ti piacciano addirittura i miei ringraziamenti!
sakura_kinomoto: mi dispiace per i tuoi infarti! Ma non preoccuparti esistono altri cardiologi! Magari ti fai operare dalla nazista! E per quanti riguarda Mary... non puoi decidere tu, è un personaggio che non fa mai quello che vorrei...
Grazie a tutti quelli che leggono.
Un bacio,
sku

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Capitolo 5
*** incubo ***


5. incubo Liliana sentiva un dolore lancinante alla testa. Non riusciva a ricordare cosa le fosse successo, era stata fuori con le amiche e poi… il nulla. "Possibile che siano i postumi della sbornia? Non ricordo di aver bevuto. Però la mia memoria non è al massimo al momento… forse dovrei aprire gli occhi. No, forse è meglio di no, mi fa troppo male la testa."
Liliana sentiva freddo, stava scomoda e soprattutto le sembrava ci fosse un odore strano.
"Spero di non essere collassata nel bagno. Dove sono Mary e Judith? Devo aprire gli occhi."
Liliana socchiuse gli occhi con lentezza, per paura che la luce potesse ferirli. Ma si sbagliava, la stanza era buia, non riusciva a distinguere nulla. Improvvisamente fu completamente sveglia. C’era qualcosa che non andava. Alzò un braccio, ma il movimento fu bloccato dalla catena legata all’anello metallico che le stringeva il polso, provò con l’altro braccio ma ottenne lo stesso risultato.
"Deve essere un incubo, deve essere un incubo… Non può succedere davvero, non posso essere legata e imprigionata sul serio…" Liliana sapeva bene di essere sveglia, ma l’idea che qualcuno la tenesse segregata era inconcepibile, terribile e quasi impossibile da accettare. Freneticamente cercò di tirare la catena che legava insieme gli anelli, ma era fissata saldamente al muro e non dava segni di cedimento. Quando il dolore ai polsi aumentò smise. Anche la testa aveva cominciato a pulsarle, ondate di dolore e nausea la assalivano.
Provò ad chiamare aiuto ma la sua voce rimbombò nel locale, con l’unico risultato di peggiorare il suo mal di testa. Allora tese l’orecchio e si accorse di non riuscire a sentire il benché minimo rumore oltre al suo respiro affannoso.
La paura prese il sopravvento su di lei, cominciò ad urlare e a contorcersi provando a liberarsi, scalciando nell’aria, tirando con tutta la sua forza le manette. Quando le forze la abbandonarono, appoggiò la testa dolorante al muro e cominciò a piangere sommessamente.
"Cosa diavolo sta succedendo?" pensò ormai stremata "Cosa ho fatto di male?"
Si sentì molto stanca e nonostante cercasse di rimanere lucida in poco tempo scivolò in un sonno agitato.

- Adesso dovete dirmi come una cosa simile sia potuta succedere… No, non voglio scuse, voglio solo la verità! - Le urla provenienti dall’ufficio di Hotchner fecero sobbalzare Elle e Morgan che si guardarono. Non avevano mai visto il loro capo in quelle condizioni, era sempre così calmo e posato, come se niente potesse scalfire la sua imperturbabilità. Ma la situazione era straordinaria, non era mai accaduto che uno degli agenti fosse coinvolto fino a quel punto.
Quando li aveva messi al corrente della scomparsa di Liliana aveva il volto pallido e tirato, sembrava che improvvisamente tutta la sua energia avesse lasciato il suo corpo. Poi c’era stato il colpo di grazia.

Flashback
- Allora i problemi sono due…-
- Cosa vuoi dire? - chiese Hotchner incuriosito dalle parole di Gideon.
- Mi ha appena chiamato Garcia. Il direttore dell’FBI è nei nostri uffici e vuole immediatamente conferire con noi. Ha detto che dobbiamo presentarci a Quantico prima possibile. -
Erano tutti molto stanchi, avevano dormito poco e pensavano che la convocazione fosse solo una scocciatura. Solo Hotchner non sembrava toccato da quella richiesta, continuava a pensare a Liliana, cercava di convincersi che era solo andata da qualche parte senza avvisarlo. "Certo senza avvisare nessuno, senza cellulare, senza chiudere la porta di casa… devo fare ipotesi più credibili se voglio crederci. Dove sei Lil?"
Lil, che era entrata nella sua vita come un’onda di piena, con la sua risata silenziosa, coi suoi occhi di colore diverso, con la sua voglia di amare, con la sua calligrafia terribile e la sua puntigliosità… perché improvvisamente non riusciva a trovare in lei neanche un difetto?
Guardava fuori dal finestrino senza vedere il suo riflesso sul vetro né le luci della città. Elle lo osservava preoccupata, sembrava essersi estraniato dalla realtà e il suo sguardo era spento e vuoto.
"Non riesco neanche a immaginare cosa sta provando, dev’essere terribile non sapere cosa sta succedendo a qualcuno a cui si vuol bene." Avrebbe voluto abbracciarlo, fargli capire che gli era vicina ma pensò fosse fuori luogo.
Il direttore li aspettava in sala riunioni, seduto al tavolo come se fosse il suo regno, completamente a suo agio. Dalla sua espressione sembrava che dovesse solo sbrigare una formalità, un noioso contrattempo. Aspettò che tutti si fossero seduti, poi girò la sedia verso la parete di vetro e guardò gli uffici vuoti.
- Vi ringrazio per essere venuti, mi dispiace rubarvi tempo prezioso per il vostro riposo… -
- Si risparmi i convenevoli, se ci ha chiamato qui dev’essere successo qualcosa di grave. Ha intenzione di dircelo o dobbiamo indovinare? - lo interruppe seccamente Hotchner, perdendo la sua diplomazia.
Il direttore lo fissò per un momento, come avrebbe guardato un cucciolo che si rivolta contro la mano che gli porge il cibo; poi riprese il discorso. - Come stavo per dire prima di questa interruzione, è accaduto un fatto increscioso che potrebbe avere risvolti molto negativi… -
Hotchner pensò che se non fosse andato subito al punto lo avrebbe ucciso, non aveva tempo da perdere, doveva trovare Liliana.
Il direttore dovette accorgersi dell’impazienza dell’uomo perché improvvisamente si fermò a metà frase e dopo un sospiro riprese.
- Pavlovich è evaso. -
Fine flashback

Gideon entrò nell’ufficio e trovò Hotchner che fissava una fotografia di Liliana. Era stanco, era ormai mattina e lui non aveva dormito granché.
- E’ colpa mia. - gli disse senza staccare lo sguardo dall’immagine.
- No. - Jason si sedette di fronte al collega e lo scrutò per qualche minuto. - Non essere stupido, pensa a quante persone hai detto di non incolparsi inutilmente, non vorrai cadere nel loro stesso errore? - Hotchner annuì senza troppa convinzione.
- Sai che non potrai partecipare alle indagini, vero? - riprese Gideon.
- Puoi scordarti che io rimanga con le mani in mano. -
Gideon sorrise; sapeva che gli avrebbe risposto così. - Sei troppo coinvolto. - tentò di dissuaderlo.
- Tu cosa faresti al mio posto? - gli domandò Aaron a bruciapelo.
L’uomo più anziano aspettò qualche secondo prima di rispondere - Esattamente quello che stai facendo tu. - mormorò - Sia chiaro che il comando delle operazioni lo assumo io, tu non potrai interferire in nessun modo. Non farmi pentire di questa scelta; se non per te stesso, almeno fallo per lei. - lo avvertì uscendo dalla stanza.
- Dobbiamo trovarla. - furono le ultime parole di Hotchner che sentì.
 Gideon scese le scale e chiamò JJ. - Organizza la conferenza stampa per il pomeriggio. -

La stanza era gremita di giornalisti. JJ salì sul palco e li ringraziò per la loro presenza nonostante il breve preavviso.
- Abbiamo indetto questa conferenza stampa per dare la notizia dell’evasione di un pericoloso criminale, Daniel Pavlovich. L’uomo, anche conosciuto come il killer del sonno, è scappato durante un trasferimento dalla prigione al tribunale per un’udienza del processo in cui lo si accusa di cinque omicidi e un sequestro di persona. L’uomo è alto, molto magro, ha capelli grigi molto corti e occhi azzurri, sul dorso della mano sinistra ha una cicatrice lunga cinque centimetri circa dovuta ad una ferita da taglio. Chiunque abbia notizie che possano aiutarci nella cattura è pregato di contattarci. Grazie per la collaborazione, vi terremo aggiornati in caso di progressi. -
JJ non badò al putiferio che si era scatenato in seguito al suo discorso, non ascoltò le domande, a cui comunque rispose con secchi - No comment. - In questo modo riuscì a guadagnare l’uscita e si diresse dagli altri agenti della squadra per potersi rendere utile.

Liliana non sapeva per quanto tempo avesse dormito, si sentiva ancora stanca e senza speranza, la posizione rannicchiata in cui si era addormentata le aveva procurato solo dolori ad ogni muscolo del suo corpo. Distese le gambe che fortunatamente non erano legate e cercò di valutare l’autonomia di movimento che aveva. I polsi erano uniti dalla stessa catena che scorreva dietro una sbarra saldamente fissata alla parete vicino ad un angolo. Il pavimento era freddo e irregolare, il muro era umido. Cercò di alzarsi, ma la sbarra bloccava la catena e le impediva di raddrizzare completamente la schiena, fermandola in una posizione simile ad un inchino.
Si sedette nuovamente, la schiena appoggiata alla parete, le mani in grembo.
Improvvisamente la luce si accese accecando i suoi occhi abituati all’oscurità, sentì la porta aprirsi e dei passi che le si avvicinavano. Non riusciva a vedere chi fosse, ma poi l’uomo parlò.
- Allora dottoressa Meli come ci sente ad essere imprigionati? Scomodo, vero? - le chiese beffardo.
Liliana riconobbe la voce immediatamente e con terrore alzò lo sguardo verso il viso del suo carceriere.
- Pavlovich! -


"L’odio senza desiderio di vendetta è come un seme caduto sul granito."
                                                                                    Honoré de Balzac


Ed ecco il motivo del titolo. Sinceramente ve l'aspettavate o meno questo ritorno? Solo per sapere se è troppo scontato.
Vorrei ringraziare anche quanti di voi hanno letto e recensito la mia flashfic sui post-it ed esprimervi tutta la mia ammirazione per il coraggio dimostrato.
Ringraziamenti:
Kley: in effetti l'idea della frase è venuta proprio da lì! Bella l'immagine della ruota del destino non ci avevo pensato... Sono lieta di sapere che il capitolo corto non ti abbia scoraggiato.
jaja_thrill: non devi aver paura... o forse sì. Grazie per i tuoi complimenti che come puoi ben immaginare sono graditissimi! Bella la Slovenia, beata te che eri in giro! E io qui a faticare per voi.. (scherzo!)
LubyLover: allora Liliana sta ancora bene? Per quanto riguarda il fatto che nel capitolo quattro ci sia e non ci sia: è proprio quello che volevo rendere, come le persone reagiscano ad una scomparsa (sarà che io sono ansiosissima e fatalista e penso subito al peggio!). Ha senso quello che scrivo nei ringraziamenti?
sakura_kinomoto: Reid con una ragazza non è proprio un miracolo dato che una che l'ha baciato l'ha trovata. Comunque immagino che adesso tu abbia capito qual'è il secondo problema. Ma la cardiologia lavora solo per te?
Grazie anche a chi legge senza recensire.
Un bacio,
sku.

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Capitolo 6
*** calci e carezze ***


6. calci e carezze Liliana osservava angosciata l’uomo che la sovrastava. La paura cominciava a crescere dentro di lei, sapeva che quell’uomo aveva ottimi motivi per odiarla e che non aveva nessuna pietà. Era un pluriassassino e non aveva niente da perdere dato le prove contro di lui erano schiacciati e che avrebbe passato la sua vita in galera; cosa poteva contare per lui un omicidio in più o in meno?
- Dovresti essere in carcere… - mormorò.
- Già dovrei; ma sono stato fortunato, hanno lasciato la porta aperta… - la derise.
La donna non si capacitava di essere inerme nelle sue mani "Non può essere vero, non può essere libero."
- Allora ti sei divertita a fare l’eroina? A sabotare le mie ricerche? -
- Ma io non sapevo che dietro quegli omicidi ci fossi tu, come potevo immaginare… - cercò di giustificarsi.
- Non mi interessa cosa tu sapessi e cosa no! - urlò interrompendola - Ti sei intromessa in affari che non ti riguardavano. Dovevi solo rifiutare di collaborare, avrebbero chiesto a qualcun altro che non conosceva l’RM 1982, e io non sarei stato in carcere ed ora non sarei ricercato! - La guardava con odio e disprezzo - Ma tu no, hai dovuto dimostrare che eri all’altezza, li hai portati alla Novalinar dove quel bastardo di Carter ha fatto il mio nome… -
"Non sa che il suo nome l’ho fatto io…" Cercò di aggrapparsi a quella piccola speranza, forse se la sarebbe presa con Carter e l’avrebbe lasciata andare. Sapeva di essere vigliacca a pensarlo, ma preferiva che Pavlovich la liberasse e si accanisse su qualcun altro.
- Allora perché te la prendi con me? - chiese con un filo di voce.
- Preferiresti che accusassi lui, vero? Ma all’origine di tutto ci sei solo tu. E poi tu sei un bersaglio migliore, sei una donna e con te mi divertirò molto di più; abbiamo così tanto tempo da passare insieme. - Le si avvicinò, si accovacciò al suo fianco e con una mano le sfiorò la gamba nuda risalendo verso la coscia, ma Liliana si ritrasse. Vide la rabbia nei suoi occhi e si maledisse per quella reazione istintiva.
Pavlovich si alzò di scatto e le sferrò un calcio colpendola sulle costole, strappandole un grido di dolore.
- Imparerai presto ad apprezzare il mio tocco. - la minacciò, dopo di che uscì dalla stanza e spense la luce.
Liliana era nuovamente sola e al buio, le lacrime le rigavano il viso; erano lacrime di dolore, di rabbia, di disperazione.
- Aaron dove sei? Vieni a prendermi, ti prego… - sussurrò con voce flebile.

L’auto con a bordo gli agenti dell’FBI accostò davanti alla casa di Liliana e ne scesero Gideon, Elle e Hotchner, che li aveva costretti a portarlo con loro.
Dando una rapida occhiata alla strada notò la macchina di Mary ancora parcheggiata, doveva essere a casa di Judith. Salendo le scale sentì mancargli l’aria. Le aveva percorse tante volte, contando i gradini che li separavano. "Non farti impressionare, devi essere forte se vuoi trovarla. Fallo per lei."
Judith aprì loro la porta, aveva gli occhi rossi e i capelli in disordine, dietro la sua gamba faceva capolino il viso triste di Margaret, che però lo riconobbe e gli fece un sorriso. La donna li fece accomodare in salotto e prese in braccio la figlia, come se avesse paura che anche lei potesse scomparire da un momento all’altro. Mary uscì dalla porta della cucina con un vassoio con il tè, che però gli agenti rifiutarono, poi si sedette accanto a Judith e rimase a fissare le sue mani che si contorcevano.
- Io sono l’agente Greenaway, lui è l’agente Gideon. Volevamo chiedervi se avete visto o sentito qualcosa di strano la sera del rapimento. -
Judith sospirò - No. Non siamo tornate a casa insieme, io avevo la mia macchina e sono arrivata prima di lei, che invece è tornata a casa con l’auto di Mary. Non ho sentito niente… niente. - Sembrava farsene una colpa.
- Avete detto all’agente Hotchner che la porta di casa sua era aperta. -
- Era socchiusa. Dopo la telefonata di Mary sono andata a vedere con il mio mazzo di chiavi, ma la porta era accostata, l’ho spinta e sono entrata nell’ingresso, l’ho chiamata ma non ha risposto. Allora ho guardato in camera e nel bagno ma lei non c’era. -
- C’erano vestiti in giro? -
- No, non c’erano. Di solito mette i vestiti già indossati su una sedia in camera da letto, ma i vestiti che aveva al club non c’erano. -
- Cosa indossava? -
- Aveva una gonna nera al ginocchio aderente, una sottoveste azzurra e un coprispalle nero. Anche le scarpe e la borsa erano nere. -
- Aveva anche una giacca nera leggera. - intervenne Mary.
- E’ vero. Aveva i soliti orecchini e la fedina d’argento. -
Aaron sentì stringersi il cuore a quella descrizione, era proprio il suo tipico abbigliamento quando uscivano. Quante volte l’aveva aspettata mentre si preparava, aveva fatto da giudice per le varie opzioni e l’aveva pregata di sbrigarsi? La sottoveste gliel’aveva regalata lui per Natale e anche la fedina era un suo regalo. Forse sarebbe stato meglio non sottoporsi a quella prova e rimanere in ufficio.
- Non avete notato niente di strano, qualcuno che vi guardava insistentemente? - chiese Gideon.
Mary lo guardò basita - Eravamo tre donne sole in un locale pieno di gente, certo che c’erano uomini che ci guardavano insistentemente! -
- Veramente una cosa strana ci sarebbe… - la interruppe Judith - Lily pensava fosse una sciocchezza e l’ha detto solo a me. - Guardò per un istante Aaron ma distolse subito gli occhi, non riusciva a reggere il suo sguardo ferito e si sentiva in colpa. - Aveva ricevuto qualche telefonata anonima, la persona che chiamava non diceva niente e riattaccava dopo poco. -
- Perché non mi ha detto niente? - chiese Aaron.
- Per non farti preoccupare. - rispose - Pensa che con il tuo lavoro tu abbia anche troppi problemi… -
- Da quanto tempo le riceveva? - chiese Elle riportando l'attenzione sul caso.
- Circa una settimana, ma non ne sono sicura, magari me l’ha riferito dopo qualche giorno. -
- Adesso vorremmo chiedervi noi cosa sapete. - disse Mary.
Hotchner guardò Gideon che annuì. - Pavlovich è evaso. E’ l’uomo che abbiamo arrestato quando Liliana ci ha fatto da consulente. -
Judith lanciò un’occhiata a Mary che a quella rivelazione era impallidita.
- E quando avevate intenzione di avvertirci che quel criminale è di nuovo in libertà? - esclamò esasperata.
- Lo abbiamo saputo solo oggi. Lei avrà una scorta, e ci sarà sempre qualcuno che sorveglierà la casa. - le rassicurò Gideon. Le donne comunque non sembravano troppo convinte.
- Non preoccupatevi non correrete pericoli, non permetteremo che accada qualcosa anche a voi. - intervenne Aaron.
Stavano per uscire quando Margaret fermò Aaron - La troverete, vero? Me lo prometti? -
Lui si accovacciò. - Ti prometto che farò il possibile per riportarla a casa. - disse accarezzando la bambina.

Mentre gli agenti scendevano le scale furono bloccati da una signora anziana.
- Voi siete della polizia, vero? Vorrei sapere cosa intendete fare per quel barbone che viene tutti i giorni e si siede sulla panchina davanti a casa mia. -
Hotchner sospirò e si rivolse alla donna armato di tanta pazienza. - Signora Smith, non possiamo fare niente, chiunque può sedersi sulla panchina… -
- Però non è giusto che un uomo si sieda davanti a casa mia e la controlli, guardi che macchine arrivano e controlli tutto. Deve per forza infrangere qualche legge! - Le sembrava impossibile che un simile affronto nei suoi confronti potesse restare impunito.
- Cosa vuol dire che controlla la casa? - chiese Gideon incuriosito.
- Arriva alla mattina, si siede e rimane a guardare la casa tutto il giorno, guarda le macchine che parcheggiano, a volte scrive qualcosa… Va via a orari sempre diversi. -
- Da quanto tempo lo vede? - chiese Elle.
- L’ho notato un paio di settimane fa, più o meno. Però ieri e oggi non è venuto. - Sembrava quasi preoccupata. - E l’altro giorno è arrivato con un altro tizio la mattina presto, poi uno è andato via e il solito è rimasto. -
- Vedremo cosa possiamo fare. Intanto dovrebbe darci una descrizione degli uomini. - la informò Gideon.

- Pavlovich ha un complice, dobbiamo assolutamente trovarlo. Probabilmente ha studiato i vostri movimenti e ha effettuato le chiamate anonime. Controlleremo il registro delle visite in carcere, le telefonate che ha fatto e ricevuto. Dobbiamo controllare anche chi ha telefonato a Liliana. - Gideon assegnò i compiti alla squadra.
- Non abbiamo trovato il cellulare di Liliana, dovremmo chiedere a Garcia se riesce a localizzarlo. - aggiunse Hotchner.
- Buona idea, mettiamoci al lavoro. - approvò Gideon.
"Lil, dove sei? Giuro che ti troverò e ti porterò via da quel pazzo…" pensò Hotchner guardando fuori dalla finestra prima di mettersi al lavoro.



"Promettiamo in base alle nostre speranze e manteniamo le promesse in base ai nostri timori."
                                                                                          François De La Rouchefoucauld


Ok, non sono stata troppo prevedibile, e non può che farmi piacere. Non mi odiate troppo per aver fatto evadere Pavlovich (non fino al capitolo scorso, almeno) e anche questo mi ha fatto enorme piacere!
La riscossa della signora Smith. Del resto non è che potevo non menzionarla!
Spero che le parti che riguardano l'indagini siano abbastanza verosimili e possibili, ditemi voi se c'è qualcosa che non va; e spero anche che Hotch non sia OOC (o per lo meno non troppo).

Ringraziamenti:
jaja_thrill: sempre la prima! Per quanto riguarda la tutina, devi spiegarmi come fai a sapere che il mio Aaron Hotchner nel mio videogioco "The Sims 2" è arrivato al grado di Fantaman e vola al lavoro con la tutina da supereroe. (sì, sono psicopatica e gioco coi Sims facendo la piccola famiglia Hotchner felice!)
Minerva McGrannit: non c'è alcun problema! Certo se recensisci io faccio la danza della gioia; ma anche se fai aumentare il numero delle letture, quindi... L'importante è che tu abbia letto e ti sia piaciuto!
Paola: grazie per le belle parole; anche per quelle sulla mia prima ff! Spero continuerai a seguirmi!
LubyLover: per quanto riguarda super-Hotch al momento ha ancora la tutina in lavanderia (per comprensibili motivi non c'è più Liliana a fargli il bucato). Mi dispiace non aver potuto soddisfare il tuo desiderio di non farle troppo male... Tu avresti anche potuto fare a meno di Pavlovich, ma io no!
Kley: Mi sto soffocando con tutto l'orgoglio che mi è salito dopo aver letto la tua recensione! Sono contenta di essere riuscita a rendere bene le loro emozioni, anche perchè ho sempre il timore di renderle un po' stereotipate; ma tu hai decisamente fugato i miei dubbi (per questo capitolo)!
sakura_kinomoto: tu non fai testo, conoscendo la tua memoria... Comunque all'inizio pensavo mi odiassi per aver fatto evadere Pavlovich, quando ho scoperto che era per aver detto che Gideon è più anziano (attenzione più anziano, non anziano in assoluto) di Hotch ho riso per mezz'ora! Solo tu potevi dirlo! E Elle ci sta perchè a me piace (abbastanza, preferisco Penelope e JJ).
Un grossissimo grazie comunitario a voi che mi recensite; girando qua e là e guardando gli altri commenti non posso che ritenermi fortunata ed onorata per le vostre recensioni esaustive e bellissime.
Grazie anche a tutti coloro che leggono senza recensire.
Un bacio,
sku

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Capitolo 7
*** ricordi e ferite ***


7. ricordi e ferite - Buongiorno raggio di sole, hai riposato bene? Io sì, era tanto che non dormivo così bene; diciamo da quando mi hanno arrestato… - Pavlovich l’aveva svegliata da un altro sonno agitato.
"E’ mattina? O mi sta mentendo ed è sera? Ho perso la cognizione del tempo qui dentro."
- Sei arrabbiata con me e mi tieni il muso? Non dovresti farlo, potresti farmi infuriare e andrebbe tutto a tuo svantaggio. - Pavlovich la stava prendendo in giro, la derideva mentre Liliana si limitava a guardarlo ritirandosi sempre più nel suo angolo.
- Questa mattina mi sento particolarmente buono, così ho deciso di portarti qualcosa da mangiare, se non ricordo male sei sempre stata una buona forchetta. - le disse appoggiando una ciotola con della pasta sul pavimento vicino a lei per poi prendere una sedia su cui si sedette a guardarla.
L’italiana si sentì improvvisamente affamata. “ Da quanto tempo sono qui? Giorni, ore, anni? Ho fame, tanta fame, ma come posso accettare del cibo da lui, che mi sta tutto facendo questo?” Era confusa “ Smettila di farti questi scrupoli, non mangiando non otterrai niente, non soffrirà perché tu ti lasci morire! Devi mantenere le forze, non puoi sapere cosa potrebbe succedere, devi poter scappare se ti si presenterà l’occasione.” Il buon senso prese il sopravvento e Liliana prese la ciotola, ma si bloccò a mezz’aria. Lui sembrò leggere i suoi pensieri.
- Non penserai che ti dia delle posate, vero? Se hai fame mangerai con le mani o come i cani. - La sua risata la fece rabbrividire.
"Vuole togliermi anche la mia dignità…" Sentiva di odiarlo ogni minuto di più. "La dignità non ti servirà a niente quando sarai morta, non fare l’eroina, tu non lo sei, mangia!" Perché la voce della sua coscienza era così insopportabile e così maledettamente ragionevole? Iniziò a mangiare con le mani, mentre Pavlovich eruppe in una risata sarcastica.
- Adesso non sei più tanto sofisticata, vero? Volevo proprio vedere se ti saresti abbassata a tanto. E’ stato molto divertente. - Si alzò e uscì.
Liliana guardò la porta chiudersi alle sue spalle e aspettò che spegnesse la luce, ma lui non lo fece.
"Tornerà presto."

Era tardi ma Hotchner era ancora in ufficio come tutti gli altri, aspettando qualche buona notizia che però stentava ad arrivare.
- Dovresti andare a casa. - gli disse Gideon entrando e sedendosi di fronte a lui.
- Mi fa troppo male. C’è ancora il suo odore nel letto, il suo spazzolino in bagno, i suoi bigliettini sul comodino. Sai, adesso che capisco cosa passano le famiglie dei rapiti comincio a pensare che non riusciremo mai a fare abbastanza per loro, anche se ritroviamo i loro cari e arrestiamo i rapitori. - Era sconsolato.
- Non devi abbatterti, la ritroveremo. -
- Anche se la ritroviamo cosa le sarà successo? E’ nelle sue mani già da ventiquattr’ore! -
- Lo so e tu non hai dormito in tutto questo tempo, non ci sei d’aiuto se non sei al cento per cento. Vai a casa e dormi sul divano piuttosto. -

"Che ore saranno? E’ giorno o mattina? Cosa starà facendo Aaron? Sarà preoccupato da morire… E se non fosse ancora tornato, se ancora non sapesse? No, Mary avrà sicuramente chiamato Judith, Aaron, la polizia, la guardia nazionale quando non sono passata a prenderla."
I suoi pensieri furono interrotti dal rumore della porta che si apriva e dall’apparizione del suo carceriere.
- Ricordavo bene la tua fame. - Pavlovich si avvicinò a lei e le si sedette non troppo vicino appoggiando la schiena al muro. - Sai, quando sei arrivata alla Novalinar ho pensato che saresti stata una buona collega di lavoro, ma il destino non mi ha permesso di scoprirlo, se si può chiamare Carter il destino. Mi ha licenziato solo perchè avrei potuto rubargli il posto, direttore della Novalinar. Lui è un buono a nulla, non è mai entrato in un laboratorio e pretendeva di comandarmi. Anche tu lo pensi? Te ne sei andata per questo? -
Liliana non sapeva come rispondergli, se assecondarlo o se essere sincera.
- Non c’è stata una ragione sola per le mie dimissioni, anche se l’atteggiamento dittatoriale di Carter non mi ha spinto a rimanere con loro. - Mezza verità, era un buon compromesso.
- Posso capirti, sai. Tu sei giovane, hai trovato in fretta un altro posto. Per me era diverso, quel lavoro era tutta la mia vita, soprattutto dopo che Nadja… Dopo il licenziamento non mi hanno voluto in nessuna ditta farmaceutica, Carter mi aveva diffamato ovunque. - L’uomo le sembrava molto diverso da prima; era calmo, sincero, triste, non un pazzo furioso; anche se aveva ancora la tendenza ad accollare agli altri i suoi fallimenti. Liliana rimase in silenzio aspettando che continuasse il racconto, se parlava e si sfogava magari avrebbe dimenticato i suoi propositi di vendetta. "Non illuderti troppo o la delusione sarà maggiore…" Maledetto buon senso!
- Quando mi sono trovato in mezzo alla strada era disperato, non sapevo da che parte girarmi. Poi mi è venuta la brillante idea di una ricerca mia personale, che mi avrebbe portato fama, successo ma soprattutto rispetto. Anche il finanziamento non è stato un problema, con la mia competenza la sintesi delle droghe è stata uno scherzo, il magazzino che avevo affittato tempo prima in periferia era perfetto, isolato, in buone condizioni… -
"Rimpiange davvero quella vita? Non sembra per niente pentito di quello che ha fatto a quelle povere donne."
- … è tutto molto più facile quando non devi seguire maledetti protocolli di sicurezza, non hai la burocrazia tra i piedi, nessun codice deontologico o etico… il paradiso del ricercatore! - Le sorrise e lei poté leggere malinconia e nostalgia nei suoi occhi. Improvvisamente un campanello di allarme suonò nella sua testa, lei aveva rovinato il suo paradiso! In quel momento capì di non avere scampo e la disperazione dilagò nella sua mente.
- Poi come un fulmine a ciel sereno, quegli incompetenti dell’FBI hanno chiesto una consulenza all’università e chi hanno trovato? La dottoressa Liliana Meli, assunta da sei mesi e con un passato alla Novalinar sulla ricerca dell’ultimo farmaco che avevo sperimentato su una cavia… Quante probabilità c’erano che il loro consulente conoscesse l’RM 1982? Una su un milione o meno? - pose la domanda con molta serietà, come fosse il quesito finale di un esame, quello che deciderà la promozione o la bocciatura.
"Pensa veramente quello che sta dicendo! Quest’uomo è psicopatico!" Liliana cominciò a tremare leggermente e sembrò farsi sempre più piccola.
Pavlovich si alzò e si avvicinò al piccolo armadio appoggiato al muro opposto, lo aprì dandole le spalle ed estrasse un oggetto che mise in tasca occultandolo alla vista della donna.

Aaron entrò nella casa buia, sentiva un grande vuoto dentro sé, come se con Liliana Pavlovich si fosse preso una parte della sua anima.
"Da quanto stiamo insieme? Poco più di un anno. Eppure è come non fosse mai esistito un tempo senza lei. Questa casa è vuota senza di lei, senza la promessa di una giornata passata insieme…"
Si guardò attorno e con tristezza si accorse che ogni oggetto, anche il più insignificante; gliela ricordava.
"Quel cuscino l’abbiamo comprato insieme, diceva di non riuscire a guardare bene la tv senza un cuscino sulla pancia. E lì…" Aaron si spostava nelle stanze toccando i mobili  "... lì abbiamo fatto l’amore il giorno del mio compleanno." Pensò guardando il tavolo della cucina "Potrò festeggiare ancora con lei, coi suoi regali pieni di amore e i suoi baci appassionati?" Si sedette sul divano e si prese la testa tra le mani. "Ho una brutta sensazione, la situazione sta peggiorando. Ti prego fa che stia bene…"

- Ti sei divertita a distruggere il mio capolavoro? Spero di sì, perché non penso che avrai molti altri momenti divertenti d’ora in poi. - Il suo tono si era incattivito, la complicità di poco prima era svanita - Sai perché alla fine ho scelto di prendermela con te? Perché tu non solo mi hai impedito di raggiungere il mio scopo, hai pure approfittato della situazione, ti sei fidanzata con uno degli agenti! Hai tratto giovamento dalla mia sconfitta! Ed ora colpendo te potrò far soffrire anche quell’insulso uomo che mi ha fatto confessare, cosa potrei chiedere di più? - Un ghigno di soddisfazione deformò il viso dell’uomo.
- Cosa pensi di ottenere facendo questo? Il tuo è stato un errore, l’FBI avrà solo una motivazione maggiore nel cercarmi, tu fallirai di nuovo! - gli gridò contro. "Idiota, idiota! Perché non sei stata zitta? Ti sembra il caso di farti odiare ancora di più?"
- Vedi la mia mano sinistra? In carcere il mio compagno di cella mi ha ferito con una lametta montata su una spazzolino per dimostrarmi il suo potere su di me. Tu non hai la più pallida idea di cosa ho passato per causa tua; quindi ho deciso che te lo farò scoprire poco per volta… -
Le si era avvicinato per farle vedere la cicatrice, la mano destra sempre in tasca.
- Cosa vuoi fare? - urlò lei in preda al terrore.
- Farti provare le stesse sensazioni che ho provato io. -
Dalla tasca estrasse un bisturi che brillò nella luce artificiale della stanza. Con la mano sinistra le prese per i capelli e le tirò verso l'alto la testa; poi con mosse rapide ed esperte l’uomo ferì la guancia destra della donna con due tagli formanti una X, nonostante i tentativi di lei di divincolarsi dalla presa
- Vediamo se adesso che sei sfregiata l’agente ti vorrà ancora! - disse allontanandosi.
Liliana guardò inorridita le sue mani sporche di sangue, che le scendeva dal viso gocciolando sul pavimento ed impregnandole i vestiti. Nei suoi occhi pieni di lacrime l’uomo scorse orrore ed incredulità e questo lo esaltò.
- Questo è solo l’inizio. -


“Le cose non sono mai così terribili da non poter peggiorare.”
                                                                  Antonio Fogazzano



Come vanno le vostre coronarie? Ancora tutte al loro posto? Ma non volevo farvi agitare così tanto! (sto mentendo, se siete agitati vuol dire che vi prende e che posso gongolare un po'!)
Domanda per voi: il discorso di Pavlovich era coerente e aveva senso? La risposta mi fa un po' paura, perché se è negativa non sono così brava come spero; se è positiva significa che sono un po' psicopatica anch'io!
Ringraziamenti:
Paola: spero che ora tu non sia ancora più agitata! Dai che mercoledì arriva presto!
LubyLover: ok, spero che la nausea ti sia passata un po' e che questo capitolo non te l'abbia fatta tornare! Per quanto riguarda la prima parte, se ti ha disturbato un po' mi spiace, ma del resto una situazione simile va trattata con coerenza, è una situazione inquietante e soffocante dal mio punto di vista e questo volevo rendere. Però per spezzare un po' la tensione ho messo Margaret e quella gran donna di Mrs Smith.
jaja_thrill: ho sempre pensato che in momenti di crisi un bambino fosse l'unica cosa che potesse sostenere gli adulti, perchè deve sempre essere protetto. Per questo ho introdotto Margaret, perchè è l'unica persona che possa risollevare un po' il morale della combriccola o comunque evitare isterismi di massa, anche se giustificati. (Aaron Fantaman si chiede come hai scoperto la sua identità.)
Kley: sono felice che tu ti sia immedesimata coi personaggi della storia, significa che non è una caratterizzazione piatta e che posso saltellare di gioia... Per la presentazione di Elle, non è stata voluta, all'inizio pensavo di cambiare ma poi, come tu hai sottolineato, è abbastanza coerente che sia lei a condurre "l'interrogatorio" proprio perchè si trovano di fronte a due donne.
Minerva McGrannit: sto ballando! Continua a chiederti cosa succederà, perchè come puoi ben immaginare siamo ancora lontani da una conclusione. (o forse no?)
Grazie anche a chi legge senza recensire.
Un bacio,
sku.

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Capitolo 8
*** passi avanti, passi indietro ***


8. passi avanti, passi indietro ATTENZIONE!
Questo capitolo, soprattutto verso la fine, potrebbe contenere scene e argomenti che potrebbero turbarvi. Se pensate possa succedere e preferite essere avvisati prima di leggere (o evitare di leggere questo capitolo ma poter essere in grado di leggere quelli successivi) basta contattarmi e vi farò avere un riassunto via mail, non c'è alcun problema. Buona lettura, sku.


Sentiva un vuoto nel petto, si rigirava sul divano senza pace mentre le ore scorrevano lente, si assopiva e si svegliava di soprassalto a causa di incubi in cui Liliana lo chiamava disperata e lui non riusciva a raggiungerla e a portarla in salvo.
"Il tempo scorre lentamente senza lei, la sua assenza riempie i miei pensieri; la sua voce mi rimbomba nelle orecchie, sento i suoi singhiozzi e i suoi lamenti. Sto decisamente diventando pazzo."
Hotchner fissava il soffitto bianco del soggiorno da un tempo indefinito, aveva rinunciato a dormire e non riusciva a non pensare a lei, odiava non poter fare niente. Improvvisamente si ricordò di quando aveva trovato la sua donna davanti alla porta di casa in lacrime perché pensava gli avessero sparato; adesso capiva come doveva essersi sentita, la paura che doveva aver provato.
Nonostante l’irrequietezza non osava tornare in ufficio, conscio che Gideon l’avrebbe rimandato a casa se l’avesse visto stanco. Si alzò dal divano e si diresse in bagno. "Devo fare qualcosa." Crogiolarsi ulteriormente nel dolore non l’avrebbe portato da nessuna parte. Guardò il suo riflesso nello specchio illuminato dalla luce fredda e asettica del neon e vide un viso quasi estraneo, pallido e tirato. "Non puoi ridurti così, Lil ti sgriderebbe se fosse qui." Aprì il rubinetto e si sciacquò il volto con l’acqua fredda. Poi si tolse il pigiama e si infilò sotto il getto caldo della doccia, che l’avrebbe ritemprato e gli avrebbe dato nuove energie necessarie ad affrontare la giornata.
- Ti troverò Lil, non temere. - sussurrò, lasciando che l’acqua portasse via tutti i cattivi pensieri.
 
Quando uscì di casa il sole era alto ad est, promettendo una tiepida e limpida giornata. "Sta arrivando l’autunno." Senza un motivo sorrise. "Sono sicuro che oggi ci saranno buone notizie." Non aveva mai creduto nei presentimenti, nei presagi e cose simili però era giunto il momento di lasciare che il suo atteggiamento razionale, che per il momento l’aveva solo tenuto sveglio e angosciato, si facesse da parte per lasciare il posto ad un po’ di speranza.

Garcia si affacciò nel suo ufficio mentre parlava con Morgan.
- Buone notizie, cattive notizie. - comunicò loro.
- Comincia dalla buona, ne abbiamo bisogno. - le disse Morgan lanciando un’occhiata significativa ad Hotchner.
- Abbiamo individuato il complice. Si chiama Horace Ellis. E’ stato l’unico a far visita a Pavlovich oltre all’avvocato e l’unico a cui abbia telefonato. Le sue visite sono state frequenti e regolari negli ultimi tre mesi. Inoltre dalla casa dell’uomo sono partite le telefonate fatte a casa di Liliana. - Consegnò loro la foto segnaletica del soggetto.
- E' lo stesso dell'identikit della signora Smith. Cosa sappiamo di lui? - chiese Morgan.
- Horace Ellis, 37 anni, alcune denuncie per rissa e aggressione poi ritirate, una condanna per spaccio, scontata per intero. E se posso permettermi, dalla facilità con cui l'abbiamo individuato, non è che sia poi questa gran cima. -
- Ottimo lavoro, però adesso dicci la cattiva notizia. - chiese quasi timoroso Hotchner.
- Non riusciamo a trovarlo al suo indirizzo, non è in casa, non risponde al telefono e la proprietaria del caseggiato non lo vede rientrare da due giorni. La sua testimonianza è abbastanza sicura, perché abita sotto l’uomo e sostiene che l’avrebbe sentito rincasare. -
- Pensavo peggio, lo troveremo. E’ore di riscuotere qualche favore dagli amici. - Hotchner alzò la cornetta e Morgan sorrise, il suo capo aveva riacquistato parte del suo abituale contegno, del resto avere qualcosa da fare gli avrebbe permesso di non angustiarsi.
- Comunque ho anche un’altra bella notizia… - disse Penelope per attirare nuovamente l'attenzione su di sè. Hotchner e Morgan la guardarono con un po’ di meraviglia e Aaron pensò ai buoni presentimenti della mattina. Avrebbe creduto più spesso in quelle strane sensazioni d’ora in poi.
- Abbiamo localizzato il cellulare di Liliana. Lo hanno trovato due ragazzi sull’interstatale ovest che va fuori città, la 66; lo hanno acceso e noi abbiamo ricevuto il segnale. Adesso lo stanno analizzando i ragazzi della scientifica, appena il rapporto è pronto ce lo inviano, Gideon ha detto loro che l’analisi ha la massima urgenza. - li informò con un sorriso.
- Garcia ti adoro! - esclamò Hotchner.
- Lo so, lo so, non potreste vivere senza la mia intelligenza ma soprattutto senza la mia bellezza. - disse uscendo dall’ufficio.

"L’emorragia si è fermata per ora, ma quanto durerà? Ho bisogno di punti, di disinfettante e di antibiotici, potrebbe svilupparsi un infezione. Anzi non potrebbe, si svilupperà un infezione sicuramente, dato che questo cubicolo non è certamente il paradiso dell’igiene di mastro lindo. Il coagulo è fragile, potrebbe non reggere anche se pensavo che la ferita fosse più profonda." Liliana cercava di ragionare logicamente e razionalmente per non permettere che la paura che l’aveva attanagliata fino a poco prima riprendesse il sopravvento. Aveva molto bisogno di riposo, le altre volte che si era addormentata Pavlovich l’aveva svegliata, aggiungendosi all’agitazione che le impediva un riposo almeno un po’ ristoratore.
"Devo pensare a qualcosa di sicuro, che mi tenga occupata la mente, qualche esercizio mnemonico…" Fu la chimica a venirle in aiuto e Liliana cominciò a ripetere a bassa voce la tavola periodica, tutto quello che riusciva a ricordare di ogni elemento. "Idrogeno, simbolo H, massa atomica 1,0079, stati di ossidazione ±1; litio, simbolo Li, massa atomica 6,941…" Per lei fu come contare le pecore, dopo poco riuscì ad addormentarsi.

Quando dopo qualche ora si svegliò, sentiva tutto il suo corpo rattrappito e indolenzito, la ferita sul viso le bruciava ma era anche più lucida e decisa a vendere cara la pelle. L’aveva presa di sorpresa sulla porta di casa e non si era certo aspettata quel colpo di bisturi dopo tutte quelle confidenze che le aveva fatto. Adesso però era decisa a reagire nel caso si fosse avvicinato troppo. "Certo è facile prendere queste decisioni quando lui non c’è, ma come ti comporterai quando sarà qui? Avrai ancora tutta questa grinta o ti rintanerai nel tuo angolo sperando che abbia compassione per te? Ti ho già spiegato che non sei un’eroina." Era irritante che il buon senso la punzecchiasse in tal modo. "Limitati ad evitare di farlo arrabbiare, il resto non conta."
I suoi pensieri furono interrotti dal cigolio della porta che la mise in allarme e le fece serrare lo stomaco. L’uomo entrò e la fissò per qualche secondo prima di parlare.
- Vedo che non sanguini più. Sarai contenta. -
"Sta scherzando sicuramente, come può pensare che io possa essere contenta in questa situazione!"
- Allora com’è il dolore per una ferita da taglio? Senza contare la pena per il fatto che ho deturpato il tuo bel faccino… Adesso hai una vaga idea di quello che mi è successo, ma non posso fermarmi qui, ti farò provare il vero terrore. - Mentre lo diceva cominciò a slacciarsi la cintura. - Adesso capirai perché me la sono presa con te e non con Carter. -
Il respiro di Liliana accelerò, nelle orecchie sentiva solo il battito veloce del suo cuore e il suo cervello sembrava essersi disconnesso.
- Mi sei piaciuta dal primo momento che ti ho vista, ma ho capito subito che non ti saresti mai interessata a me. Ora però posso fare di te ciò che voglio. -
- No, vattene, non voglio! - gridò Liliana dimenandosi per quanto la catena glielo permettesse.
- Non crederai veramente che mi importi quello che tu vuoi o no. - Le si avvicinava sempre più - Stai ferma, non sprecare energie… - L’uomo si abbassò e le tolse la gonna che si sfilò con facilità, lasciandola solo con la sottoveste. - Sei proprio una gioia per gli occhi. -
Ascoltarlo parlare di lei in quel modo le era insopportabile. - Lasciami stare, vattene via, ti prego... - lo supplicò ma si accorse che nel farlo aveva solo aumentato la sua eccitazione.
Le accarezzò le cosce salendo sempre più, poi cercò di sdraiarsi su di lei tentando di tenerla ferma e di allargarle le gambe ma Liliana senza riflettere sferrò con forza una ginocchiata tra le gambe dell'uomo.
Lo sentì trattenere il fiato per un secondo, poi l’uomo rotolò lontano da lei urlando e contorcendosi per il dolore.
Liliana non aveva mai pensato che fare del male a qualcuno potesse provocarle una sensazione così piacevole, ma si preparava alla vendetta del suo carceriere, consapevole che non avrebbe lasciato impunito il suo gesto.
Quando Pavlovich si alzò aveva ancora il fiato corto e la donna vide la furia nei suoi occhi e perse ogni speranza di uscire viva da quella stanza.
- Hai commesso il più grande errore della tua vita. - sibilò cominciando picchiarla con calci e pugni. Liliana tentò di difendersi ma poi si arrese e si rannicchiò su sé stessa cercando di limitare i danni e le parti esposte a quella cascata di colpi.
"Ti prego fa che tutto questo finisca presto, in qualsiasi modo."

Garcia irruppe nella sala riunioni trafelata e con uno sguardo vittorioso.
- Hanno trovato Ellis e lo stanno portando qui perché lo interroghiate. -
Hotchner si alzò di scattò imitato da Gideon.
- Fammi assistere all’interrogatorio. - chiese a Gideon che annuì.
- Starai dietro lo specchio, non nella stessa stanza. - precisò poi.
Aaron annuì a sua volta. Liliana era vicina, presto l’avrebbe riabbracciata.


"Ci vuole più coraggio per soffrire che per agire"
                                             Sören Kierkergaard



Questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere e immagino che lo sia anche leggerlo. Spero che non sia troppo crudo e che non vi abbia fatto stare troppo male. Se fosse accaduto mi dispiace.
Ringraziamenti:
Paola: hai tutte le ragioni di questo mondo per essere agitata. Comunque chiunque mi conosca può confermare che un po' psicopatica lo sono!
Kley: mi dispiace deluderti ma proprio normale non lo sono! Ecco perchè il discorso di Pavlovich aveva così senso! (Io sono Pavlovich wuhahaha -risata malefica-) Ammetto che le tue recensioni mi fanno sempre molto piace per tutti i tuoi elogi... Per quanto riguarda il metodo rilassante a volte bastano anche i gilet di Reid!
sakura_kinomoto: forse sarebbe il caso che tu usassi qualche arma più silenziosa per potermi cogliere di sorpresa, non so, le repliche di beautiful ad esempio. E solo per te: Lil e Aaron si trasferirono nell casetta di marzapane nel bosco e vissero per sempre felice e contenti. (il problema è sorto quando Hansel ha scambiato Liliana per la vecchiaccia e ha cercato di cuocerla... )
LubyLover: vedo che non sono l'unica anormale... Mi dispiace deluderti ma io non conosco la pietà... Dovete soffrire tutti, wuahahahah! Forse non sta lottando in maniera eccellente, però si dà da fare! Ma come puoi non commuoverti per il povero Pavlovich! Sei proprio senza cuore...
jaja_thrill: hai perso la pole position! E stavo anche in pensiero!
hikary: anche tu sei mancata a questa fic! E a me! Pensavo non ti piacesse più.. sob! Comunque bentornata! Per le coronarie posso darti l'indirizzo di un buon cardiologo. (mamma mia, che uso spropositato di punti esclamativi!)
Grazie mille anche a chi legge senza recensire.
Un bacio,
sku

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Capitolo 9
*** luce ***


9. luce Hotchner guardava l’uomo seduto nella sala interrogatori attraverso il vetro. Sembrava irrequieto e guardingo. La porta si aprì ed entrò Gideon che si sedette davanti a Ellis e appoggiò un fascicolo sul tavolo che li separava. Rimase a fissarlo per qualche minuto in silenzio, cosa che innervosì ulteriormente il sospetto. Hotchner sorrise, Gideon cercava di metterlo a disagio, era una delle sue tecniche di interrogatorio. Durante quegli attimi Jason lo valutò per quello che era.
- Buongiorno signor Ellis, sono l’agente speciale Jason Gideon. Le hanno spiegato perché si trova qui? - disse poi.
- No. - Il tono dell’uomo era sprezzante.
- Vorremmo che lei ci chiarisse alcuni aspetti della sua amicizia con Daniel Pavlovich… -
- Non è mio amico. -
- Interessante. Allora può spiegarmi come mai è andato a trovarlo molte volte in carcere? - Ellis non rispose e tenne lo sguardo fisso oltre le spalle dell’agente. - Signor Ellis, ci pensi bene prima di decidere di non collaborare con l’FBI. Se lo facesse potremmo accusarla di intralcio alle indagini, se non addirittura di complicità. -
- Non potete, voi non avete prove per accusarmi. - Il suo tono era ancora sprezzante ma il profiler intuì una crepa nella sua sicurezza.
- Se fossi in lei non ne sarei così certo. - Gideon cominciò a sfogliare alcune pagine del rapporto. - La sua situazione non è delle più rosee, signor Ellis. In base alle sue visite e alle telefonate di Pavlovich abbiamo ottenuto un mandato per perquisire casa sua. E' stato molto interessante. A quanto pare il carcere non è servito a farla ravvedere, dato che abbiamo trovato un quantitativo di amfetamine ed eroina sufficiente a incriminarla per spaccio. In tal caso sarebbe la sua seconda condanna per questo reato, il giudice potrebbe decidere di non essere molto tenero. - insinuò l’agente. - Ci ha sorpreso molto inoltre trovare alcune fotografie della dottoressa Liliana Meli, senza contare le telefonate a casa della stessa. E’ ancora così certo che non abbiamo prove? Ed è ancora così sicuro di voler rischiare per un uomo che, come lei ha precisato all’inizio, non è neanche suo amico? - Gideon lo guardò negli occhi e intuì che stava rivalutando seriamente la situazione e decise di dare un ulteriore colpo alla sua già vacillante volontà.
- Devo anche avvisarla che lei non è granché a pedinare le persone e a controllarle, abbiamo un testimone in grado di riconoscerla, che l’ha vista spesso nell’ultimo periodo davanti alla casa della dottoressa Meli… -
Per Ellis fu troppo, non poteva aggravare ulteriormente la sua posizione per Pavlovich.
- L’idea è stata di Pavlovich, non mia. Io gli ho solo restituito un favore. -
- Mi parli di questo favore. -
- L’anno scorso mi riforniva di amfetamine, era il mio grossista. Una volta non ho potuto pagarlo e lui è stato, diciamo così, gentile; mi ha detto che avrebbe chiuso un occhio se al momento buono sarei stato altrettanto gentile con lui. Solo da questo si capiva che era un novellino del mestiere. In questi ambienti si paga, sempre. Non ho più avuto sue notizie per un po’ dopo l’arresto. Poi circa tre mesi fa mi ha telefonato dal carcere e mi ha chiesto di tenere d’occhio una donna e mi ha dato una fotografia di una rossa, mi ha detto che era la sua fidanzata e che aveva paura che lo tradisse mentre lui era in carcere. Mi ha dato l’indirizzo e il numero di telefono e mi ha chiesto di pedinarla e di fargli rapporto. Io ho accettato. -
- E così si è messo in un grosso guaio. La dottoressa Meli non è e non è mai stata la fidanzata di Pavlovich, ma per sua sfortuna frequenta un agente dell’FBI. -
Ellis cominciò a sudare freddo - Io non lo sapevo, non l’ho mai toccata, non mi sono mai avvicinato a lei! - Ellis era decisamente spaventato ora e cercava di discolparsi.
- Allora perché le ha fatto delle telefonate anonime? - chiese Gideon alzando la voce. La paura dell'accusato era il segnale che era sulla strada giusta e che mostrarsi duri era la tattica da usare.
- Me l’ha detto lui, ha detto che la donna avrebbe capito che era lui e avrebbe smesso di tradirlo! -
- L’ha anche aiutato ad evadere? - insinuò Jason.
- No! Non potete accusarmi di questo, io ho solo pedinato la donna! -
- Solo? Non sa che Pavlovich l’ha rapita in seguito a quello che lei gli ha detto? - esclamò con rabbia Jason, picchiando un pugno sul tavolo.
L’uomo rimase in silenzio.
- Lei lo sa! E non ha fatto niente per impedirlo? - C'era incredulità e stupore nella voce dell'agente.
- Cosa potevo fare? -
- Aveva un mare di possibiltà! Faccia qualcosa adesso se non vuole aggravare la sua già precaria posizione! Dove la tiene nascosta? -
- Non ne sono sicuro, però ho il numero del suo cellulare, potete provare a rintracciarlo… -
- Mi dica dove la tiene! - Il tono di Gideon non ammetteva ulteriori mezze verità. Ellis lo osservò e degluitì. Poi si decise.
- In un casale fatiscente isolato fuori città, andando verso ovest, non so il nome del posto ma posso portarvici. - L’uomo era molto ansioso di collaborare ora.
- Sarà meglio per lei che le informazioni siano giuste. -
Gideon uscì dall’ufficio e chiamò Morgan e gli altri a gran voce.
- Preparate una squadra, abbiamo la posizione dell’ostaggio, dobbiamo essere pronti il prima possibile! -
Hotchner lo rincorse.
- Fammi venire con voi. -
- Non è una buona idea… - replicò l’agente più anziano.
- Non farò parte della squadra, voglio solo essere presente quando la libererete. Starò indietro e non interverrò. -
Gideon lo guardò e pensò a quanto avesse sofferto in quei giorni e a quanto gli costasse chiedergli tutto quello, pregarlo e accettare di non partecipare attivamente.
- Va bene, ma non potrai fare niente. E come ti ho già detto non farmi pentire di questa decisione. -

La squadra arrivò in prossimità della costruzione seguendo le indicazioni di Ellis. Non erano visibili auto, ma sul prato c’erano evidenti segni recenti di battistrada.
Gli agenti scesero dai veicoli indossando giubbotti antiproiettili e controllando che auricolari e microfoni funzionassero.
Ad un segnale di Gideon entrarono dentro il casale e lo perquisirono; ma non trovarono nessuno al piano terra e nemmeno al piano superiore. Gideon maledisse Ellis e stava per uscire a controllare l’esterno quando Elle lo chiamò.
- Gideon, ci sono delle impronte. -
- Dove? -
- Arrivano da quella parete, sembrano orme di un uomo, aveva le scarpe sporche da sangue. - disse in un sussurro guardandosi attorno. Pensavano tutti la stessa cosa, erano arrivati troppo tardi.
- La parete è finta, non può averla attraversata magicamente. Anche se secondo la fisica quantistica... - disse Reid.
- Reid... - lo richiamò Morgan.
Reid picchiò la parete con le nocche. - Suona a vuoto. -
Fu Morgan a trovare una leva nascosta appena dietro un armadio e a farla scattare permettendo alla parete di spostarsi e lasciare intravedere una scala che scendeva nell’oscurità. La percorsero evitando le macchie di sangue e raggiunsero una pesante porta. Morgan provò a spingerla e la trovò aperta. Ad un cenno di Gideon entrò silenziosamente illuminando con la torcia la stanza buia ma non vide niente e si scostò di lato facendo passare anche gli altri.
- Qui non c’è ness…- Le parole gli morirono in gola quando notò in un angolo la figura della donna distesa per terra con i pochi vestiti sporchi di sangue. Dava le schiena alla porta e non faceva alcun movimento.
Erano incerti sul da farsi, allora Morgan le si avvicinò chiamandola. - Liliana… - La donna restava immobile e non rispondeva. Si inginocchiò a lato del corpo e le toccò leggermente una spalla.
- Sono Morgan. -
Fu solo allora che la donna reagì, girandosi e graffiandolo sulla mano. Morgan fece un salto indietro e vide il volto tumefatto della ragazza, il sangue seccato sui tagli, le labbra spaccate e gli occhi così gonfi per gli ematomi che non riusciva ad aprirli.
- Vattene, vattene, lasciami stare! - urlò in italiano tirando un calcio all’aria.
- Liliana, sono Derek, non mi riconosci? - provò ancora l’uomo tenendosi a distanza.
- Vattene! - gridò lei ancora.
- Morgan vai a chiamare Hotch, non ci riconosce e sembra non capire quello che diciamo. Elle chiama il 911 e richiedi un’ambulanza. - disse Gideon prendendo la situazione in mano.
Morgan corse fuori e trovò Hotchner che li aspettava accanto alla macchina.
- Vieni, presto! - lo chiamò
- Come sta? E’ viva, vero? - L’ansia traspariva dalla sua voce.
- E’ viva ma è in stato confusionale, non riusciamo a calmarla. -
Hotchner scese velocemente le scale ed entrò nel locale illuminato solo dalle torce. i suoi colleghi disposti attorno alla porta evitavano il suo sguardo.
Rimase senza fiato vedendola legata alla parete, seminuda, il bel viso devastato dai lividi e da alcuni tagli. La sentì urlare qualcosa in italiano che non capì e si rimproverò per non aver studiato la sua lingua. Le si avvicinò e la chiamò dolcemente.
- Lil, sono io, sono Aaron. -
La donna voltò il viso verso di lui seguendo la sua voce e sembrò calmarsi ma quando fece per accarezzarla le si ritrasse e urlò -  Non toccarmi! -
Aaron non capiva, pensò alle poche parole di italiano che sapeva, quelle che lei gli aveva pazientemente insegnato nei mesi passati insieme. - Liliana, amore, sono Aaron…-
Liliana cominciò a piangere e cercò di aprire gli occhi.
- Non piangere amore mio, è tutto finito, adesso ci sono qui io. - Si tolse la giacca e la avvolse con essa poi la abbracciò e cominciò a cullarla sussurrandole parole dolci.
- Ho avuto tanta paura, mi dispiace, mi dispiace tanto… - singhiozzò Liliana.
- Ssh, non preoccuparti, non è colpa tua, adesso ce ne andiamo. -
- L’ambulanza sta arrivando e Reid è andato a prendere delle tronchesi per tagliare la catena. - lo avvertì Elle.

Hotchner portò Liliana in braccio fino all’ambulanza e le tenne la mano mentre i paramedici caricavano la barella.
- Non lasciarmi sola… - gli chiese.
- Non ti lascio sola adesso che ti ho ritrovata. - le rispose salendo con lei.


“Anche il giorno più lungo ha il suo tramonto.”
                                               Angelo Monaldi


Capitolo liberatorio, in tutti i sensi. E ci voleva proprio dopo tutto quello che vi ho fatto patire. E lo so, Ellis è decisamente idiota e hanno trovato tutte le prove molto in fretta, ma bisogna calcolare che Pavlovich non è sempre stato un delinquente, anzi si è avvicinato alla malavita da poco e Ellis, beh Ellis l'hanno già preso una volta, quindi... Adesso smetto di scusarmi per il patetico interrogatorio.

Ringraziamenti:
Paola: adesso mi sento in colpa per non averti fatto dormire per dieci giorni... spero che almeno questo capitolo ti piaccia e sia degno dell'attesa insonne (anche se al mare, beata te!)
Kley: oh, quanti ringraziamenti nonostante il capitolo crudo! Purtroppo persone così (o peggio, in fondo Pavlovich è un po' sfigato, non gliene va bene una.) esistono. L'unica cosa che si può fare è ricordarlo e girare con lo spray al peperoncino.
hikary: non preoccuparti, divertiti un po' anche per me, io aspetterò con ansia la tua recensione. Sono contenta che sia tutto realistico anche per una veterana come te. (ma del resto io vivo di questi telefilm, qualcosa ho imparato per forza!)
sakura_kinomoto: si rivelerebbe un grave problema... Il paradiso di mastro lindo serviva solo a spezzare la tensione e a farvi rilassare in attesa della mazzata finale. E poi Liliana è così, fa battute stupide!
LubyLover: per essere una che non sapeva cosa scrivere la recensione ti è venuta lunga! Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo, e poi dai è logico che dopo che Liliana gli ha impedito di avere una discendenza lui si vendichi! A dir la verità è l'unica cosa logica che fa!
Grazie anche a chiunque abbia letto senza recensire.
Alla prossima, un bacio
sku.

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Capitolo 10
*** sospiro di sollievo ***


10. sospiro di sollievo Aaron fissava la porta come se potesse vederci attraverso. In effetti era quello che voleva. Sulla camicia aveva delle macchie del sangue di Liliana dove lei si era appoggiata, sentiva ancora il peso del suo corpo martoriato sulle braccia e sul torace, il suo calore e il respiro affannoso. Tenendola tra le braccia aveva sentito tutto il suo terrore. Appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi. Finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo, Liliana era viva. Ma aveva paura, temeva che se avesse allentato la tensione sarebbe potuto accadere qualcosa di ancora peggio. Non si sarebbe rilassato finché non avesse parlato col medico e non avesse abbracciato ancora la sua donna.
Accanto a lui anche Gideon aspettava che il dottore uscisse per potergli fare alcune domande e per ottenere il permesso di parlare con Liliana o di farla parlare con Elle.
- Ti senti sollevato? -
- Non finché non l’avrò portata a casa e sarò sicuro che Pavlovich non possa più nuocerle. -
- Sei abbastanza esigente! - ironizzò Gideon.
Hotchner sorrise. - No, solo prudente. In ogni caso non l’abbiamo ancora preso. - Il suo sorriso si spense.
Il dottore uscì in quel momento. - Chi è l’agente Hotchner? - chiese.
- Sono io. -
- La paziente ha chiesto di vederla subito, può entrare ma cerchi di non farla stancare e la lasci dormire. -
-Come sta? -
- Sta bene, è stata fortuna nella sfortuna, però ha bisogno di molto riposo. Ha qualche frattura e delle ferite da taglio sul viso. -
- Quando potrà tornare a casa? -
- Quando avrò fatto tutti gli accertamenti necessari le potrò rispondere. -
- Grazie. - Aaron si voltò ed entrò nella stanza.
- Cosa può dirmi? - chiese Gideon.
- La situazione generale è buona, non ha traumi a carico degli organi interni né emorragie. Ha due costole incrinate, la caviglia destra fratturata, è stata sfregiata sul viso e ha numerosi ematomi su tutto il corpo e sul volto. Ha solo bisogno di tempo e tutto andrà a posto, solo i due tagli sulla guancia le lasceranno delle cicatrici, ma più avanti potremmo provvedere anche a questo. -
- Avete controllato che non abbia subito violenza sessuale? - Gideon aveva un po’ paura della risposta, in fondo anche lui la conosceva e non poteva fingere che fosse un caso come un altro.
- Abbiamo fatto tutti gli accertamenti e possiamo escludere lo stupro. - Jason si sentì sollevato. - Comunque abbiamo consegnato le prove al dottor Reid, abbiamo trovato residui epiteliali sotto le unghie, si deve essere difesa. -
- Possiamo parlarle? -
- Preferirei lo faceste domani, ma se proprio è necessario cercate di non farla stancare troppo. -
- Grazie, dottore. - Gideon chiamò Elle per assisterlo mentre raccoglieva la testimonianza.

Aaron rimase sulla porta qualche secondo guardandola distesa in quel letto, era ancora più piccola e fragile del solito.
Le si avvicinò, sembrava dormisse. Osservò lo scempio fatto da Pavlovich sul viso della donna che amava e provò un odio così forte che gli parve di soffocare.
- Aaron… - Il suo fu solo un sussurro ma nelle orecchie dell’uomo risuonò come lo scampanio dei giorni di festa.
- Ciao amore, come ti senti? -
- Cieca, dolorante e sollevata. Tu come stai? - L’uomo non rispose, non sapeva bene come si sentiva.
- Sei senza parole per la mia bellezza? - sdrammatizzò lei. Non riusciva a credere di essere ancora viva.
- Come tutte le volte che ti vedo. - Si sedette sul letto e le accarezzò delicatamente la parte del volto non nascosta dalle bende.
- Mi sei mancato. Tra le altre cose. -
- Anche tu. Non c’era nessuno che mi riempiva la casa di post-it. -
- Bugiardo, ti mancava solo la mia cucina. - Aaron sorrise, la sua Liliana stava reagendo bene.
Si chinò su di lei e le diede un bacio leggero sulle labbra. - Ti amo Lil. ­-
- Anch’io ti amo, Aaron. E vedo che fai progressi con l’italiano. -
La porta si aprì piano e Elle infilò dentro la testa.
- Possiamo entrare? Vorremmo farti qualche domanda. - chiese rivolta a Liliana.
Aaron era diviso tra due sentimenti, come agente capiva l’importanza di raccogliere subito la testimonianza ma voleva anche proteggerla e impedirle di rivivere quell’esperienza. "E non sono sicuro di volerla sentire, non voglio pensare a quello che può averle fatto, non sono certo di avere abbastanza coraggio per affrontarlo."
Ma non era lui a dover decidere e vide che Liliana acconsentiva alla richiesta, così Elle e Gideon entrarono.
- Come ti senti? - chiese Elle sedendosi sulla sedia vicino al letto.
- Meglio. -  "Tutto è meglio di quello che ho passato."
- Vogliamo farti delle domande, se non te la senti basta dircelo e noi smettiamo, ok? -
Lei annuì e strinse la mano di Aaron. "Se lei può sopportarlo, posso farlo anch’io." Ricambiò la stretta e le sorrise.
- Raccontaci di quando ti ha rapita… - disse Gideon.
- Non mi sono accorta che qualcuno mi seguiva per le scale, non so se mi aspettava lì o se è entrato dietro di me. Quando ho infilato la chiave nella serratura lui mi ha coperto la bocca con una mano poi mi ha colpito alla testa e non ricordo più niente finché non mi sono svegliata in quella stanza. - Improvvisamente si agitò e si rivolse a Aaron - Come sta Judith? Non le ha fatto niente, vero? Non ci ho pensato fino ad adesso… -
- Non le ha fatto niente e neanche a Mary, non preoccuparti. Sono solo molto in ansia per te. - la calmò l’uomo.
- Vai avanti, per favore. - le chiese Gideon.
- Non so dopo quanto tempo è arrivato Pavlovich. -
- Non ha cercato di nasconderti la sua identità? - domandò Elle.
- No, anzi voleva che vedessi che era lui. -
"Allora voleva ucciderla…" Aaron fu sconvolto da quel pensiero.
- Mi ha fatto diverse visite… - Liliana era titubante, non voleva raccontare tutto, si vergognava. "Non ha senso, non ho fatto niente di male…" Guardò Aaron e vide che era preoccupato. "Non voglio che lo senta… però non voglio che se ne vada e mi lasci sola." Sospirò e avvertì una fitta intensa di dolore alle costole.  - Una volta ha cominciato a raccontarmi degli esperimenti e di come io l’abbia sabotato, è stato il giorno che mi ha sfregiato. - Appoggiò la testa al cuscino e la scena si ripresentò nella sua mente. - Poi è venuto un’ultima volta e ha cercato di… - non riuscì a dirlo e fu Elle a completare la frase per lei.
- Abusare di te? -
- Sì. Io l’ho colpito con una ginocchiata, quando si è ripreso ha iniziato a picchiarmi, ho cercato di evitare i suoi colpi e mi sono anche difesa a tratti, l’ho graffiato sul viso e l’ho morso su una mano, credo, non riesco a ricordare molto bene. -
- Non preoccuparti, può bastare. - Elle si alzò - Adesso ti lasciamo riposare. Sono contenta che tu stia bene. - le sorrise e si avviò alla porta.
- Grazie, sei molto gentile. -
I due agenti lasciarono la stanza e lei guardò Aaron, che non aveva più detto niente. - Cosa c’è? -
Era preoccupata, credeva che lui si stesse ricredendo su di lei, che l’avesse deluso.
- Vorrei tanto averlo tra le mani e poterlo strangolare. - La guardò con dolcezza - Sono molto fiero di te, ti sei difesa e hai tenuto duro. Sei stata molto coraggiosa. -
- Non dovresti esserlo, non ho avuto tanto coraggio, volevo solo che tutto finisse in qualsiasi modo. E non ero molto razionale quando mi sono difesa, è stato l’istinto. -
- Non mi interessa cosa ti ha spinto, l’importante è che non ti sei arresa; il resto non conta. Adesso dormi, ne hai bisogno. - Si alzò dal letto.
- Vai a casa? - gli chiese timorosa della risposta.
- Non ci penso neanche lontanamente, dovranno portarmi via con la forza se vogliono che me ne vada! - E così dicendo avvicinò la poltrona al letto e vi si accomodò. - Non ho intenzione di perderti di vista. -
- Grazie. Di tutto. - Chiuse gli occhi e stava per scivolare nel sonno quando mormorò:  - Mi sembra di dimenticare qualcosa di importante… -
- Ti verrà in mente prima o poi, adesso riposa che è più importante. - la rassicurò lui.
Aaron la guardò attentamente, mentre il suo respiro diventava pesante e regolare. Appoggiò la sua mano su quella di lei e la accarezzò col pollice, percorrendo i graffi e le abrasioni.
- Sono felice che tu sia di nuovo qui con me. - le disse sottovoce.


"Qualche volta il coraggio si presenta soltanto nel momento in cui non si vede altra via d’uscita."
                                                                                            William Faulkner


Eccoci qui, i due piccioncini sono di nuovo insieme, Pavlovich è uccel di bosco e quello sfigato di Ellis in cella. Alla fine ho deciso di evitare la violenza su Liliana, proprio non ce l'ho fatta a scriverne. Ma Liliana ha deciso comunque di vendicarsi per tutto quello che le ho fatto passare e adesso come lei ho la caviglia destra fratturata. Per lo meno il mio incidente non ha avuto niente a che fare con pazzi psicopatici ma solo con il secondo gradino di una scala. Sono troppo maldestra!
Ringraziamenti:
Minerva McGranitt: OMG! Ho ispirato una scrittrice! Sono davvero commossa, non sto scherzando, appena pubblicherai io leggerò. Non vedo l'ora di non essere più sola in questa sezione!
LubyLover: dove sta scritto che debba esserci il lieto fine? Io non ci giurerei! (Come sono perfida!) Ma povero Ellis, lui la buona volontà ce la mette anche solo che si scorda di alcuni piccolissimi particolari! Sono contenta che l'interrogatorio ti sia piaciuto. Per quel che riguarda gli alieni... ci devo pensare!
sakura_kinomoto: su, su, ecco un fazzoletto. Va meglio? Ma io tratto bene Reid, lo adoro. E poi non è insensibile è solo un po' sociopatico. La cosa importante è che il mio italiano vada bene!
Kley: non ci credo che ti ho commossa! Sono troppo in brodo di giuggiole! La battuta di Reid ci sta stava troppo bene! Quando ho riletto il capitolo la prima volta ho pensato che dovevo assolutament inserirla. Per Pavlovich dovrai aspettare.
Paola: spero che adesso tu sia più tranquilla e possa aspettare con più calma i prossimi capitoli.
Una dedica speciale a mia sorella che è sfigata come me: non preoccuparti non è stata colpa tua ma solo di quei deficienti. Adesso siamo in due con la borsa del ghiaccio sulla gamba e la mamma come servetta personale!
Grazie anche a tutti quelli che leggono senza recensire.
Un bacio a tutti,
sku.

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Capitolo 11
*** proposta o sacrificio ***


11. proposta o sacrificio Liliana aspettò che Aaron le aprisse la portiera e le porgesse le stampelle, ma lui la prese in braccio.
- Posso fare da sola…- cercò di ribellarsi.
- Non mi interessa, sei così sbadata che inciamperesti nelle stampelle. -
-Non è vero! E dimmi, come pensi di fare per aprire la porta senza mettermi a terra? -
- La sfonderò a calci come nei telefilm. -
- La porta di casa tua è blindata. - gli fece notare.
- Allora l’abbatterò a testate. -
Lei rise e lui si sentì così sollevato che avrebbe potuto levitare a mezz’aria.
- Perché sei così soddisfatto? - La appoggiò a terra, ma lei tenne le mani allacciate intorno al suo collo per non perdere l’equilibrio.
- Perché hai riso. Mi fa bene sentirti ridere. - "Credevo che non ti avrei più sentito farlo."
La riprese in braccio e la portò fino al divano dove la adagiò con delicatezza. In altri momenti si sarebbe coricato su di lei e l’avrebbe baciata con passione, l’avrebbe spogliata e avrebbero fatto l’amore. "Ma adesso? Come posso solo pensare di sfiorarla dopo quello che ha passato?" Si rabbuiò.
- Vado a prendere le stampelle e la tua borsa. -
Liliana intuì il cambiamento d’umore dell’uomo e sentì una fitta al cuore. "Ha ribrezzo a toccarmi." Le lacrime le premevano dietro le palpebre cercando una via d’uscita. "Non piangere, non piangere, non piangere!"
- Hanno chiamato Mary e Judith, hanno chiesto "un’udienza privata con sua maestà." Testuali parole. - le disse rientrando. -Te la senti di vederle? -
Liliana annuì. - Non solo me la sento, ma ho voglia di vederle. -
- Allora chiamale e dì loro di venire. -

- Come sta Margaret? -
- Vuole dei biscotti da te, ha detto di dire a Hotchner che è stato bravo e ti manda questo disegno. -
- Uh, bello. Una curiosità, cosa rappresenta? -
- Mmmh, direste che sono una mamma snaturata se vi confessassi che non lo so neanche io? - Risero tutte e tre.
- E come sta il cameriere del messicano? - si rivolse poi a Mary.
- E’ sempre affascinante e caliente, pensa che Judith è stata esemplare, non ha ancora parlato di matrimonio in sua presenza! -

Era appoggiato allo stipite della porta e le osservava, escluso da quel mormorio incessante e da quelle battute che non era sicuro di voler capire. Era bello vederla ridere con loro nonostante i punti le tirassero e si premesse una mano sulle costole ogni volta; se non fosse stato per le bende, il gesso e i lividi poteva sembrare che non fosse successo niente. "Solo che è successo, dovremmo affrontare la questione prima o poi. Cosa cambierà tra di noi? Cosa è cambiato in lei?"

- Mary, devo chiederti un favore. - Judith era già andata via e Aaron la stava accompagnando alla porta.
- Agente Hotchner, sei sicuro di voler essere in debito con me? - rispose lei con aria di sfida.
- Non so a chi altro chiederlo. - le confessò. - Saresti disponibile a passare le notti qui con lei se mi dovessero chiamare per un caso? Intendo dire che potresti essere svegliata alle tre di notte e dovresti venire qui di corsa. Lo so che è un impegno pesante, però almeno all’inizio, non so cos’altro fare, non me la sento di lasciarla sola. Anche se c’è la scorta non mi piace che non ci sia una persona  amica… -
- Non preoccuparti, non sarà un peso. - Mary si era fatta seria, lui non l’aveva mai vista così. Del resto in sua presenza l'unica espressione che assumva May era di sarcastico disgusto.
- Grazie. -
- Naturalmente è sottinteso che lo faccio per lei, non per te e che tu mi sarai debitore a vita. -
- E’ sottinteso. -

Liliana guardò il soffitto della camera da letto e studiò con cura le ombre che la luce del lampione vi disegnava filtrando attraverso le tapparelle e le tende. Non riusciva ad addormentarsi. Aaron dormiva al suo fianco, poteva vedere la sua schiena alzarsi ritmicamente con il suo respiro. C’era qualcosa di strano, aveva una brutta sensazione ma non la sapeva decifrare. Chiuse gli occhi e quando li riaprì restò senza fiato. Un’ombra scura si era staccata dal muro e ora premeva la canna di una pistola contro la fronte dell’uomo sdraiato al suo fianco. Pavlovich si portò un dito sul sorriso sghembo che le rivolgeva intimandogli di tacere. Il respiro della donna si era fatto affannoso e troppo rumoroso alle sue orecchie. "Come ha fatto ad entrare? Cosa faccio?"
- Stai ferma o morirà, vuoi che venga ucciso per causa tua? - sussurrò. Lei scosse la testa. - Brava. Alzati e spogliati. Silenziosamente. - Fece come le aveva ordinato, la minaccia della pistola la rendeva docile. - Adesso coricati per terra a pancia in su. - Si era avvicinato a lei ma continuava a puntare l’arma contro Hotchner.
Mentre si sdraiava su di lei, la donna cominciò a piangere e girò la testa contro il muro. - Guardami. - Lei singhiozzò e quel rumore svegliò Aaron che si voltò verso di loro. Quando li vide cercò con la mano la pistola sul comodino ma Pavlovich fu più veloce e gli sparò.
- Aaron! - urlò la donna mentre l’assassino rideva.

Liliana sbarrò gli occhi e fissò il soffitto ansando, Aaron dormiva pacificamente al suo fianco. Non era coperto di sangue e non aveva gli occhi spalancati e pieni di orrore.
Si sedette sul letto e aspettò che il respiro tornasse normale. "E’ stato solo un incubo, solo un brutto sogno. Devo calmarmi." Era stato l’ennesimo incubo da quando l’avevano liberata, ormai aveva perso il conto di quanti ne aveva fatti.
Si alzò e prese le stampelle con le quali si diresse fuori dalla stanza e scese in cucina. "Non ha senso che si svegli anche lui, deve lavorare." Si versò un bicchiere d'acqua e si sedette sullo sgabello. "Quando tornerò a dormire per tutta la notte?" Passava il dito bagnato sull’orlo del bicchiere ascoltando il rumore che produceva. "Devo andarmene, non posso rovinare la vita anche a lui, almeno lui deve essere felice." Ma il suo buonsenso, che l’aveva punzecchiata e sostenuta durante la prigionia, aveva deciso di non lasciarla in pace e la rimproverò ancora "Sarà felicissimo se lo lasci, ogni innamorato non vede l’ora che la sua donna se ne vada e lo lasci solo come una cane a domandarsi dove ha sbagliato. Dovresti saperlo dato che ti hanno fatto lo stesso." Una lacrima le rigò la guancia sana. "Cosa posso fare? Ho tanta paura, Pavlovich è ancora libero e potrebbero morire persone innocenti per causa mia. Cosa devo fare?" Incrociò le braccia sul tavolo vi appoggiò la testa, continuando a piangere.

Aaron si svegliò e vide che non c’era. Allora scese in cucina e la trovò addormentata con le braccia conserte sul tavolo. "Ancora un incubo. Come posso aiutarla?" Prese una coperta dal divano e la coprì. Adesso che finalmente dormiva non aveva certo intenzione di svegliarla. Si sedette vicino a lei e le accarezzò i capelli morbidi e rossi. "Vorrei poter fare qualcosa per farti stare meglio, vorrei aver trovato Pavlovich, vorrei che tutto questo non fosse mai accaduto, vorrei solo che fossimo felici come prima." Hotchner si era tenuto tutto dentro, la rabbia, il dolore, la delusione, tutti i sentimenti che aveva provato non avevano avuto nessuna valvola di sfogo e fu questa la ragione delle sue lacrime. "Non sono un bambino, cosa mi succede? Devo essere forte per lei." si chiese irato con se stesso.
Liliana si svegliò e ancora insonnolita guardò Aaron asciugarsi una lacrima con il dorso della mano.
- Mi dispiace averti svegliata. -
- Cosa c’è? -
- Niente. -
- Non mentirmi. -
Aaron non rispose. - Non fingere di non soffrire, ti conosco. E’ normale che tu stia male. -  continuò lei.
- Ma io dovrei essere forte, dovrei consolarti, aiutarti e invece non riesco a fare niente, non sono stato capace di proteggerti, hai sofferto per causa mia. - Ormai non c’era più niente che tratteneva la sua frustrazione e la sua sofferenza. - Non riesco neanche a farti sentire al sicuro, continui ad avere degli incubi. Come partner e anche come agente sono un fallimento. E adesso mi metto pure a piangere di fronte a te. -
Liliana lo guardò con tristezza poi lo baciò sulla guancia dove le lacrime l’avevano rigata, lasciandole sulle labbra un sapore salato.
- Non addossarti tutte le colpe. Il solo responsabile è Pavlovich. Mi dispiace che tu stia così male, lo so che non è facile stare con me in questo momento, ma continuo a pensare a quello che è successo e ho tanta paura che possa accadere di nuovo, lui è libero, non sappiamo dove sia e lo so che pensate che voglia ancora vendicarsi su di me. Mi sento soffocare e ogni cosa mi fa venire in mente quei giorni. - Aaron sentì il disagio della donna e intuì dove voleva arrivare ma sperò di sbagliarsi.
- Aaron, devo dirti una cosa… -
- Non credo di volerla sentire. - disse alzandosi e dandole la schiena.
- Voglio tornare in Italia. -
Hotchner si girò a guardarla e sentì il suo cuore andare in mille pezzi.
- Mi stai lasciando? - riuscì a chiederle.
Le lo guardò sorpresa da quello che aveva detto.
- Come ti viene in mente una cosa simile? Io non ho detto questo! - esclamò sconcertata, poi si guardò le mani e a voce più bassa riprese - Veramente vorrei che tu mi accompagnassi… -
Lui rimase senza parole.
- So di chiederti molto così all’improvviso; ma io ho bisogno di cambiare aria per un po’ e forse anche tu. Però non voglio costringerti a fare niente, sappi che in ogni caso io andrò. - Si sentì egoista per quelle parole, ma non aveva senso cercare di indorare la pillola, in quel momento riusciva a pensare solo a sé stessa.
- Non posso risponderti subito, devo pensarci. - replicò serio.
"Speravo tu accettassi immediatamente." Era delusa, non gli aveva chiesto poi un enorme sacrificio.
Forse quello che le era successo era una prova che il loro rapporto era destinato a non superare.


"Le lacrime di un uomo esistono per essere asciugate dalla bocca di una donna."
                                                                                            Proverbio camerunense


Era tutto troppo bello per durare vero? Nei film tutti i pater finiscono in gloria (come dice sempre mia mamma) e io non mi capacito mai di come ai personaggi succedano cose terribili e loro si comportino come se nulla fosse. Io mi ribello a questo, immagino ve ne sareti accorti! Ecco perchè c'è maretta tra i due. Non è possibile fare finta di nulla!
Non sono riuscita a trovare l'autore/autrice della citazione. Se qualcuno lo sa può dirmelo? Grazie.
Risposte:
Minerva McGranitt: aspetto con ansia la tua storia. E hai ragione non mi stanco mai di sentirvi ripetere le lodi al mio modo di scrivere!
hikary: la domanda giusta sarebbe stata "Che sta combinando sku a se stessa?" ma lasciamo perdere. Sei sempre in giro, beata te! Finalmente qualcuno che ha pietà per il povero Ellis!
Kley: tu non hai idea di come mi esalto leggendo le tue recensioni. Le stamperò e me le porterò al prossimo esame in cui sarò sicuramente bocciata così mi si risolleverà il morale! Sono molto contenta che Hotch e Gideon ti siano sembrati IC, è gratificante sentirselo dire da un'appassionata di CM come te! Per la caccia a Pavlovich vi faccio aspettare ancora un po'.
LubyLover: puoi piangere ma non inondare di lacrime la tastiera che poi non puoi più recensire! Se tu dici che il capitolo era perfetto ti credo ma non so come ho fatto a renderlo tale, forse è un po' irreale ma volevo che l'ironia di Liliana non venisse meno. Aspetto per vedere se hai indovinato cosa sfugge a Liliana.
sakura_kinomoto: Penelope non può interrogare nessuno, dato che è solo un'analista di dati. E a me Elle non dispiace, era la più adatta nella siuazione, JJ non mi è neanche venuta in mente, ma mi rifarò con lei.
Grazie a tutti quelli che leggono senza recensire.
Alla prossima, un bacio
sku.

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Capitolo 12
*** incomprensioni ***


12. incomprensioni - Ciao Hotch, come va? - JJ era sola nell’ufficio, era molto presto e gli altri agenti della squadra non erano ancora arrivati.
- Bene. - le rispose un po’ brusco. La mancanza di gentilezza dell’uomo la incuriosì e lo seguì nel suo ufficio.
- Cosa c’è che non va? - gli chiese. Lui non rispose e la guardò di sottecchi.
- Non fare il difficile, ti si legge in faccia che hai qualcosa. -
Sbuffò - Sei troppo curiosa. -
- Deformazione professionale. -
- Già.- Fece una pausa poi riprese. - Liliana vuole tornare in Italia. -
- Per sempre? -
- Non lo so. Vuole che l’accompagni. -
- Dov’è il problema? -
- Non ci sarebbe. Ma io voglio prendere Pavlovich, voglio arrestarlo e metterlo per sempre dietro le sbarre, voglio che Lil abbia giustizia. -
- Capisco. Lei come sta? -
- Ha incubi tutte le notti. -
- E tu pensi che sia colpa tua e vorresti fare qualcosa per lei. - gli disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
- L’unica cosa che so fare è l’agente dell’FBI. - si giustificò lui stringendosi nelle spalle.
- Devi chiederti cosa sia più importante per lei, non cosa sai fare meglio tu. - replicò lei assumendo un’aria da saggio del villaggio.
- Hai mai pensato di fare la psicologa a tempo pieno e non solo per i colleghi? - ironizzò Hotchner.
- La cosa che so fare meglio è l’agente di collegamento. - lo schernì uscendo - Sei hai bisogno di un’altra consulenza sono 100 dollari l’ora. Niente sconti per i colleghi. -

- Ciao Liliana, a cosa dobbiamo questa visita? - la accolse JJ andandole incontro qualche ora dopo. - Come stai? -
- Abbastanza bene, grazie. - La rossa era agitata. - Cercavo Aaron o qualcuno della squadra. -
JJ la fissò incuriosita ma non le chiese altro. -Vieni ti accompagno da Hotch. Quando togli quel sensualissimo gesso azzurro? -
- Tra 40 lunghissimi giorni. Vuoi firmarlo? -
- Non mi lascio certo scappare l’occasione, prima di andare chiamami. - JJ la aspettava pazientemente in cima alle scale - Mi dispiace che tra questi due piani non ci sia l’ascensore. -
- Non è un problema, mi rinforzo le braccia. -
JJ aprì la porta dell’ufficio di Hotchner - Hai una visita. -
- Chi è? - chiese, sgranando poi gli occhi quando JJ fece passare Liliana.
- Ciao, scusa l’intrusione ma devo dirti una cosa importante. -
- Vi lascio soli. - disse la bionda chiudendo la porta.
- No, puoi restare, riguarda Pavlovich. - la richiamò Liliana. JJ rientrò.
- Stamattina mi sono ricordata di una cosa che ha detto, non so come mai non l’ho fatto prima, ma è ancora un po’ confuso nella mia testa… -
- Non preoccuparti è normale. -  la rassicurò lei.
- Pavlovich pensa che la colpa di tutto sia mia ma crede anche che sia stato Carter a farvi il suo nome. Ha detto che era più facile e divertente vendicarsi su di me che su di lui, per questo mi ha rapita ma adesso forse è lui ad essere in pericolo. - Mentre parlava si torturava le dita e JJ vide la sua difficoltà nel ricordare e il dolore che le costava. Le mise una mano sulla spalla - Sei stata bravissima e ci sei di grande aiuto. -
Hotchner la guardava sentendo un nodo allo stomaco, avrebbe voluto consolarla ma si sentiva bloccato, era arrabbiato con lei per avergli posto quella specie di ultimatum.
Liliana lo guardò afflitta, poi si alzò e lo salutò.
JJ lanciò uno sguardo di fuoco a Hotchner poi la seguì.
"Di bene in meglio, adesso mi odia anche JJ."
Le osservò dalle finestre dell’ufficio. Elle, Reid, Morgan e Penelope la stavano salutando e le firmavano il gesso, mentre Gideon entrò dalla porta. - Ho sentito che ci sono novità. -
- Sì, Liliana si è ricordata che Pavlovich attribuisce parte della colpa a Carter. -
- Questo è molto interessante. Potrebbe rivalersi su di lui, adesso che lei ha la scorta e che attorno a lei c’è grande clamore. Potrebbe decidere di agire in fretta prima che noi corriamo ai ripari. Sempre che… -
- … che non abbia già colpito. - terminò Hotchner.
- O che non abbia un altro obbiettivo. - sottolineò Jason. - Chiama la squadra, dobbiamo organizzare un piano. -

La squadra era stata riunita nella sala riunioni e Gideon prese la parola.
- In base alle ultime informazioni che sono arrivate in nostro possesso abbiamo posto Carter sotto sorveglianza e attendiamo una mossa del sospetto. Intanto continuiamo a cercare i suoi nascondigli, i nostri informatori sono al lavoro ma dato che, a parte la collaborazione con Ellis, agisce da solo non abbiamo molte speranze do ottenere risposte da questi canali.
Pensiamo che sia molto arrabbiato perché la sua vittima designata è fuggita e che quindi colpirà molto presto. Adesso definiremo i turni… -

Quando Aaron rientrò era abbastanza tardi ma vide la luce dalle finestre del soggiorno. Entrò e la trovò stesa sul divano che fissava il televisore senza vederlo realmente.
- Ciao. - la salutò sedendosi accanto a lei.
- Bentornato. - Si mise seduta anche lei. - Vi ho aiutati? -
- Molto. Abbiamo organizzato un piano e abbiamo posto Carter sotto sorveglianza, adesso aspettiamo. - Liliana notò nei suoi occhi la scintilla di determinazione che ben conosceva, Aaron amava il suo lavoro; anche se lo portava a contatto con l’orrore gli permetteva di sentirsi utile.
- Sono contenta. Quando farai il turno di guardia? -
- Domani sera. Hai già mangiato? -
- No, ma non ho molta fame. Vuoi che ti prepari qualcosa? -
- No, faccio da solo. - disse dirigendosi verso la cucina.
"Non mi ha neanche sfiorato. Se non fossi stata qui davanti a lui non mi avrebbe neanche cercato, non mi avrebbe neanche detto niente." Il silenzio pervadeva la casa, la televisione col volume al minimo, i suoni della cucina le parevano distanti. "Ha già preso la sua decisione ma non sa come dirmelo."

Mentre Aaron si preparava la cena si sentiva infelice. "Ci stiamo allontanando. Non riesco  toccarla, ho paura di farle male e che lei mi rifiuti, che non voglia che io la sfiori. Non ho ancora deciso cosa risponderle, ma non posso farla aspettare. Forse ha ragione JJ."
Si sentiva solo nella cucina silenziosa, senza il sottofondo del suo chiacchiericcio incessante e i suoi fastidiosi consigli su come era meglio cucinare. Quel silenzio era molto rumoroso per Hotchner, rivelava tutte le cose inespresse tra loro, le accuse non dette e le promesse non mantenute. "Avrei veramente voluto proteggerti da tutto, ma non ci sono riuscito."
- Sei sicura di non voler mangiare? - le chiese.
- Sì, non preoccuparti. - gli rispose dall’altra stanza.

Dopo la cena Aaron la raggiunse; Liliana era ancora sul divano ma aveva spento la televisione e stava leggendo uno dei suoi libri pieni di formule chimiche per lui assolutamente incomprensibili.
- Perché domani sera non fai venire Mary a dormire? - le suggerì. - Così non sarai sola, io sarò più tranquillo, per quanto possa essere tranquillo con quella pazza nei paraggi. -
- Non sarei sola comunque con gli agenti di scorta. Ma è una buona idea; la chiamerò domani mattina. - "Perché non vuoi stare tu con me?"
Rimasero seduti l’uno accanto all’altra senza parlare, vicini eppure distanti come mai prima d’allora.
- Vuoi che ti aiuti a salire di sopra? - le chiese lui speranzoso.
Lo guardò attentamente sperando di aver capito bene. - Sì. -
Lui la prese in braccio e lei si appoggiò alla sua spalla, chiuse gli occhi e per un momento dimenticò tutto. "Vorrei che il tempo si fermasse in questo momento…"
"Vorrei che fossimo sempre così vicini." Per un attimo per entrambi fu come se nulla fosse accaduto, ma quando la depose con cura sul letto tutto ritornò dolorosamente alla mente e si allontanarono di nuovo.

Quando Aaron si svegliò la mattina dopo lei dormiva, girata dall’altra parte. Guardò la sua schiena e desiderò abbracciarla ma ebbe paura di spaventarla. Si alzò e andò in bagno arrabbiato con sé stesso e con il mondo, ma soprattutto con Pavlovich. "Devo arrestarlo."
Quando Aaron si alzò, lei fece finta di dormire. Non aveva voglia di discutere con lui, la decisione l’aveva presa e non voleva che lui le facesse cambiare idea. Solo quando stava per uscire lo chiamò.
- Dimmi. - le disse fermandosi sulla soglia della porta.
- Stai attento. Buon lavoro. - lo salutò.
- Grazie, buona giornata anche a te. - replicò con un sorriso, poi uscì nel mattino piovoso.
- Ti amo. -  sussurrò lei quando ormai lui non poteva più sentirla.


"Se qualcosa può andare male, lo farà."
                                      Legge di Murphy



Niente di buono sotto il sole di Washington D.C. purtroppo! Pavlovich è ancora in giro e ancora peggio, i nostri due eroi sono arrivati alla mancanza di comunicazione! Mi fanno una tristezza anche se l'ho scritto io!
Kley: un po' di sano realismo. O forse troppo. Anche io adoro i lieto fine ma non sempre le cose vanno così. Ho scritto queste ff proprio perchè spesso in televisione le cose sembrano facili e non si soffermano mai sul dopo.
Paola: mi dispiace aver deluso la tua voglia di farli partire per l'Italia, ma non è detto che se non parte la storia finisca! O forse sì.
sakura_kinomoto: immagino tu sia tornata al finale della casetta di marzapane! Non sono io che mi intrometto fanno tutto da soli!
LubyLover: grazie per la provenienza della citazione! Mi spiace per il tuo infarto, spero che ti sia ripresa. Per quanto riguarda Pavlovich forse è alle Antille...
Grazie anche a chi legge senza recensire.
Alla prossima,
sku.

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Capitolo 13
*** agguato ***


13. agguato Aaron e Morgan erano nell’auto davanti a casa di Carter e aspettavano; era ormai sera inoltrata e di Pavlovich non c’era traccia.
- Forse non si farà vedere, non sarà così idiota da tornare subito in pista proprio adesso che c’è un’attenzione spasmodica nei suoi confronti. - disse Morgan.
- Invece credo che agirà il più presto possibile, è furioso e troppo narcisista per resistere. - ribadì Hotchner.
Carter era nella camera da letto, potevano vedere la luce accesa, insieme a lui nella casa c’era Reid che si teneva in collegamento radio con loro.
- Spero che succeda qualcosa quanto prima perché quest’attesa è snervante. - dichiarò Morgan stiracchiandosi.
- Attento a cosa desideri perché potrebbe avverarsi. -
- Come sei saggio e profondo questa sera. Hai parlato con JJ? O è una citazione di Reid? -
Hotch rise. - Sarebbe proprio da lui. - replicò.
"Già, attento a cosa desideri… cosa voglio io veramente? Adesso non è proprio il momento adatto per pensarci."

- Sei sicura di quello che fai? - le chiese Mary mentre addentava un’altra fetta di pizza.
- No. Ma è la cosa migliore. -
- Per chi? - la incalzò l’altra.
Liliana non rispose e fissò intensamente il trancio di pizza che aveva in mano come se i peperoni potessero darle la risposta e la sicurezza che cercava.
- Tu sei mia amica, Mary. Dovresti sostenermi nelle mie decisioni, accettarle e non farmi venire altri dubbi, come se non ne avessi già abbastanza di mio! - recriminò poi l’italiana.
- Io sono tua amica è vero, ma sono anche dotata di un cervello che funziona per conto suo e una bocca che gli dà voce. E se penso che tu ti stia sbagliando te lo dico; appunto perché sono tua amica. - le fece notare.
- Pensi che io stia sbagliando? -
- Penso che stiate sbagliando entrambi, anche se naturalmente l’agente Hotchner ha la maggior parte della colpa. – continuò sottolineando l’ovvietà della cosa.
- E’ difficile, sai? Non lo so spiegare. - la guardò afflitta.
- Non fare la faccia da cucciolo abbandonato e disperato con me perché io sono dura di cuore e non mi impietosisco. Se hai deciso e pensi che sia la scelta giusta vai fino in fondo ma almeno lasciati la porta aperta dietro. Tu lo ami, vero? -
- Sì. - rispose semplicemente.
- Allora tutto andrà a posto. Lui ti ama, questo lo devo ammettere. -
"Non ne sono più molto sicura, non mi guarda più nello stesso modo, non mi vuole sfiorare. Perché? Perché lo disgusto così tanto?"
- Non puoi pensare che tutto torni come prima, non puoi neanche credere che tutto si aggiusterà in fretta, avete bisogno di tempo. - continuò Mary.
- Lo so bene, ma è proprio quello che adesso non abbiamo, lui cerca Pavlovich, il pensiero di quell’uomo è costante… -
- Devi capire che lui è un agente dell’FBI, come altro potrebbe reagire? Non è riuscito a proteggerti, immagina come si sente. -
- Forse non ho voglia né di capirlo né di immaginare di suoi sentimenti. Perché non ne parla apertamente? - Era arrabbiata con lui e con se stessa.
- Tu gli hai detto tutto quello che provi? E sii onesta. -
- No. - rispose dopo una pausa. - Però gli ho spiegato che mi serve un cambiamento. -
- Lui ha bisogno di arrestare Pavlovich, invece. -
- Da quando sei una fan di Aaron? Non lo sopportavi! -
- E non lo sopporto tutt’ora! Però mi piace fare l’avvocato del diavolo. - le rispose con un sorriso diabolico.

I minuti passavano lenti nell’abitacolo dell’auto, i due agenti immersi nei propri pensieri.
- Ci sono dei rumori sospetti nel cortile posteriore, andate a controllare? - li avvertì Reid via radio.
- Va bene arriviamo. - rispose Morgan.
- Pronto, Morgan? - chiese Hotchner controllando la pistola.
- Andiamo. -
I due uomini si mossero in sincronia scivolando silenziosamente nel giardino anteriore e aggirando l’angolo della casa. Erano due ombre armate, nulla più.
Morgan guardò da dietro il muro ma non vide nessuno, il cortile era deserto e non c’erano nascondigli che qualcuno potesse sfruttare. - Non c’è nessuno. -
- Controlliamo la porta posteriore, per sicurezza. - insisté Hotchner.
La serratura era stata scassinata e dalla porta aperta si vedeva l’interno buio della cucina di Carter. Hotchner guardò Morgan ed entrò per primo, la pistola puntata davanti a lui. Quando si fu assicurato che non ci fosse alcun pericolo fece entrare anche Morgan.
- Richiedi rinforzi. Poi andiamo di sopra. -
Derek fece come gli era stato ordinato e chiamò gli altri agenti con il cellulare.
I due agenti salirono per le scale facendo attenzione per evitare anche il minimo rumore. Avevano visitato la casa in precedenza per sapersi muovere con sicurezza all’occorrenza. Voci indistinte arrivarono alle loro orecchie. Percorsero il corridoio in direzione delle voci e della luce che filtrava da sotto la porta. Si avvicinarono e sentirono la voce di Pavlovich mormorare qualcosa in tono basso e un respiro affannoso.
Poi la voce dell’uomo si fece più forte - Non credere di scamparla, toccherà anche a te… -
Hotchner e Morgan si guardarono e ad un cenno del capo entrarono.
- FBI, non ti muovere! - gridò Hotchner.

- Allora mi aiuterai Mary? -
- Se è veramente quello che vuoi, e io ne dubito seriamente, sì. -
- Allora muoviamoci. -

Reid giaceva a terra privo di sensi, mentre Pavlovich, dopo avergli sottratto la pistola d’ordinanza, la usava per minacciare Carter che era seduto immobile su una sedia e lo fissava con occhi privi di espressione. Hotchner osservò l'uomo armato, aveva dei graffi sul viso che stavano guarendo e il segno di un morso su una mano. Liliana si era difesa abbastanza bene e lui non poteva che essere felice per quei segni.
- Agente Hotchner, benvenuto. Speravo proprio di rivederla, non avevo alcun dubbio che sarebbe intervenuto. - disse con ironica formalità.
"Aveva ragione Gideon quando diceva che avrebbe cercato di tendermi una trappola, che anch’io ero un suo obbiettivo."  Hotchner ragionava in fretta.
- Allora agente, cosa hai intenzione di fare? Immagino tu abbia aspettato tanto questo momento, l’attimo in cui mi avresti puntato contro la pistola e avresti provato il piacere di premere il grilletto e di spararmi. Solo che la cosa si è un po’ complicata, non trovi? -
"Parla, parla…"
- Stai cercando di farmi parlare in modo che io abbassi la guardia e tu possa colpirmi? Hai visto troppe puntate di CSI. Comunque se proprio ci tieni potremmo parlare di un interesse comune, la dottoressa Liliana Meli. Cosa ne dici? -
Hotchner sentì un brivido percorrergli la schiena e l’odio crescere dentro di lui. "Devo rimanere calmo, devo lasciare che tutto quello che dirà mi scivoli addosso senza ferirmi. Devo fingere di non odiarlo. Ma lo odio come non ho mai odiato nessuno in vita mia."
- E’ proprio bella e sensuale vero? Ha delle gambe fantastiche, un culo da favola. Per non parlare del suo seno morbido, così eccitante da guardare e da toccare . - L’uomo lo guardava sorridendo malignamente.
Gocce di sudore freddo scorrevano lungo la schiena di Hotchner che strinse con maggior forza l’impugnatura della pistola.
- Vuoi ancora farmi parlare? Perché potrei andare avanti, parlare dei suoi capezzoli turgidi che premevano contro la seta della sottoveste… -
Hotchner rimase in silenzio con notevole sforzo, serrando con forza la mascella.
- Sei noioso. - lo accusò l’assassino. - Mettiamo fine a questa pagliacciata. Tu, lì dietro, metti per terra la pistola e calciala verso di me. - Morgan fece quanto gli era stato detto. - Ora sdraiati faccia a terra con le mani incrociate sulla nuca vicino al tuo amico svenuto. Niente scherzi ho qualcuno morirà. Pensavo che li selezionaste meglio i vostri agenti. - continuò riferendosi a Reid - Metterlo fuori combattimento è stato più facile che pestare quella cagna della tua donna. - Tenendo sempre la pistola contro la tempia di Carter si rivolse ad Hotchner. - Adesso tocca a te, chinati e lancia la pistola verso di me. Poi mettiti con la schiena contro il muro e le mani dietro la testa. Voglio avere il piacere di ucciderti mentre tu non puoi fare niente per fermarmi. -
"Siamo in troppi da controllare, dovrà fare un errore."
Hotchner guardò prima Morgan e poi Pavlovich. Quindi si abbassò lentamente e appoggiò la pistola a terra con la mano sinistra, oltre la sua portata. In quel momento Reid emise un lamento e Pavlovich si distrasse. Hotchner prese con rapidità la pistola di riserva che teneva legata alla caviglia destra.
Pavlovich si accorse troppo tardi della mossa, ma sparò comunque nella direzione dell’agente mentre quest’ultimo faceva fuoco contro di lui.


"Soltanto quelli che sanno odiare sanno anche amare."
                                                             Pëtr Kropotkin


Ok, un po' di suspence che non guasta mai.
Quello che sto per scrivere potrebbe non piacervi (in un certo senso spero sia così): questo è il penultimo capitolo e ancora peggio, non so se mercoledì prossimo potrò aggiornare perchè ho un esame. Cercherò di fare del mio meglio per non farvi rimanere troppo sulle spine!
Ha una parvenza di credibilità questo capitolo?

hikary: bentornata dalle vacanze! Ma dato che Liliana sta tornando in Italia cosa hai intenzione di farmi? No, perchè ho un po' paura!
sakura_kinomoto: certo che fanno tutto da soli! Io mi metto alla tastiera e loro mi dicono cosa scrivere. Sono un po' come Phoebe di "Friends", sento le voci! Non ti faccio firmare la gamba semplicemente perchè non ho il gesso!
Kley: non preoccuparti non mi sono offesa (per così poco poi), lo so che sono testardi, ma del resto non si parlano e non possono chiarire! Sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto anche se era triste.
LubyLover: avevi proprio ragione, Pavlovich non era alle Antille! Spero che adesso che è tornato in circolazione tu sia più contenta! Complimenti per aver indovinato, ma non hai vinto niente! Grazie come sempre per i tuoi complimenti!
Grazie anche a chi legge senza recensire.
Alla prossima,
sku.

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Capitolo 14
*** fuori dalla nebbia ***


14. fuori dalla nebbia Era mattina inoltrata e l’aereo volava sull’Atlantico che si intravedeva ogni tanto tra le nuvole, Liliana lo fissava senza vederlo realmente, il pensiero fisso su Aaron. "Devo distrarmi, devo concentrarmi su qualcos’altro o rischio di dirottare l’aereo per tornare da lui. Ma se voglio lui, perché sono partita?" Quell’interrogativo la perseguitava da quando la sera prima aveva convinto Mary ad accompagnarla nel suo appartamento per preparare le valigie per il suo ritorno in Italia. Era stato strano rimettere piede in quella che era stata la sua casa per più di tre anni e in cui non era più rientrata dalla sera del rapimento. Un sottile strato di polvere ricopriva i mobili, l’armadio era un po’ incasinato, dato che era stato Aaron a prenderle i vestiti quando l’aveva riportata a casa dall’ospedale. Aveva preso il minimo indispensabile, non aveva molto tempo, l’aereo partiva alle sei. Le si era stretto il cuore per ogni cosa che metteva in valigia. Mary l’aveva aiutata in silenzio, senza commenti ma con un’aria di rimprovero sul viso.
E adesso era in viaggio per tornare a casa, da visi amici e in posti che non avessero memoria di quello che le era accaduto. "Anche se ci sarà sempre il mio viso a ricordarmelo." Pensò accarezzandosi la guancia ferita. "Decido i miei spostamenti per scappare dai ricordi dolorosi, sono arrivata a Washington per fuggire da tutto ciò che mi ricordava Marco e adesso torno in Italia per fuggire da… Da cosa, da Pavlovich? O dal dolore del possibile rifiuto di Aaron? Sto giocando d’anticipo per facilitarmi le cose?" Appoggiò la testa al sedile, era stanca e triste. "Voglio smettere di stare male, vorrei solo essere felice."

Gideon era seduto fuori dal reparto di chirurgia. "Ormai passo più tempo qui che in ufficio." Fu presto raggiunto da Reid e Morgan.
- Come stai? - chiese all’agente biondo.
- Niente di grave, anzi niente e basta. Volevano tenermi in osservazione ancora per qualche ora ma io ho firmato per uscire. - gli rispose.
- Allora farai meglio ad andare a casa a riposarti. -
- Che novità ci sono? - domandò Morgan indicando la porta chiusa.
- Non mi hanno ancora dato nessuna notizia. - rispose Jason stringendosi nelle spalle.
- Allora aspetteremo con te. - disse Morgan.

Dopo due ore uscì un chirurgo che li avvicinò. - Siete gli agenti dell’FBI? - chiese loro sfogliando una cartella clinica. I tre assentirono. - Mi dispiace ma non ce l’ha fatta a superare l’operazione, aveva perso troppo sangue e la pallottola aveva danneggiato l’aorta. Abbiamo fatto il possibile. - disse a voce bassa. Poi si voltò e rientrò nel reparto.
Gli agenti si sedettero. - E adesso? - chiese Reid.
- Adesso informiamo i parenti e torniamo a casa a riposare, finalmente. - gli rispose Hotchner voltando l’angolo del corridoio.
- Come sta Carter? - chiese Gideon.
- E’ sotto shock, ma non ha ferite. E’ andato a stare in albergo per qualche giorno, almeno finché non saranno finiti i rilievi a casa sua. -
Uscirono dall’ospedale nel mattino assolato.
- Non riesco a disperarmi per avergli sparato. - mormorò Hotchner.
- E’ normale. - rispose Gideon.
- Ci sarà un’indagine, vero? - Non sembrava preoccupato per quell’eventualità.
- E’ inevitabile; ma ne uscirai pulito, hai fatto solo quello che andava fatto. -  lo rassicurò in ogni caso il collega.

Quando Aaron arrivò a casa rimase stupito non vedendo né la macchina di scorta né quella di Mary. "Gli agenti saranno stati richiamati dopo gli eventi di ieri sera e Mary sarà al lavoro." Cercò di convincersi.
Ma quando entrò in casa il silenzio lo rese sospettoso, non c’era traccia di Liliana al piano inferiore. Salì le scale e la chiamò ma non ottenne risposta. Entrando in camera da letto vide il letto intatto e una lettera sul suo cuscino. "Non può essere quello che penso."
Non osava avvicinarsi, non voleva scoprire cosa gli aveva scritto anche se lo sospettava. Era tornato a casa allegro per la chiusura del caso, per la promessa di una nuova felicità senza l’ombra di Pavlovich a incombere sul loro futuro.
Si avvicinò e la prese in mano, lesse il suo nome sulla busta, scritto con la sua terribile calligrafia. Aveva paura ad aprirla. La rimise sul cuscino e andò a farsi la doccia. "Posso leggerla dopo." Ma quando tornò nella camera gli mancò ancora il coraggio, si coricò dalla parte del letto che la donna solitamente occupava e annusò il suo cuscino, cercando il suo odore così particolare e così seducente, cercando di trattenerla in quel modo.

Quando si svegliò era pomeriggio, alcuni bambini corsero ridendo sotto le finestre, il vicino stava tagliando l’erba del giardino. Solo nella sua casa il silenzio regnava sovrano. Si mise seduto incrociando le gambe e aprì la busta con un gesto deciso. Spiegò il foglio, prese un respiro come se si dovesse tuffare e iniziò a leggere.

Caro Aaron,
quando leggerai queste righe io probabilmente starò volando sopra l’oceano per tornare in Italia. Non ho il coraggio di dirtelo di persona; sono una vigliacca e ho paura che al momento mi mancherebbero le parole e potrei cambiare idea. Per lettera è tutto più facile, non ho davanti i tuoi occhi profondi che mi scrutano e che indagano, gli stessi occhi di cui mi sono innamorata.
Non sono sicura che quella di partire sia la scelta giusta, ma per me è la cosa migliore. Mi fa male stare qui a ricordare gli attimi di orrore che ho passato, ho il terrore che lui rispunti all’improvviso. Ma non è solo questo. Mi fa male stare nei luoghi dove noi due siamo stati così felici e dove adesso soffriamo così tanto; mi fa male non riuscire a parlare con te. Ho bisogno di cambiare.
Vorrei che tu capissi che  io ti amo ancora, ma non sono più certa che tu ricambi i miei sentimenti come prima e quest’insicurezza peggiora solo la situazione. Non odiarmi perché ho deciso io per tutti e due, so che fa male, che questo ti farà soffrire, ma non vedo altre soluzioni per il momento. Probabilmente sto sbagliando tutto.
Qualunque cosa tu decida di fare ricorda che ti amo tanto, anche se ho uno strano modo di dimostrartelo.
Lil

 
"Come ho potuto lasciare che pensasse che non l’amassi più? Quando abbiamo cominciato a non parlarci più? A non capirci più?" Si prese la testa fra le mani cercando di non piangere. Gli mancava la sua voce dolce e bassa, che l’aveva attratto quando l’aveva conosciuta, ogni fibra del suo corpo urlava il dolore che cresceva dentro lui. "Cosa faccio adesso?"


Liliana osservava il panorama che si stendeva davanti a lei, le montagne colorate dall’autunno, il cielo terso di un azzurro impossibile e il sole tiepido che faceva brillare di mille riflessi rossi i suoi capelli scompigliati da un leggero vento. Era seduta su una coperta nel giardino, le stampelle accanto a lei, vicino un libro che il vento sfogliava al posto suo. Guardò il fondovalle immerso nella nebbia che galleggiava come un mare bianco. Era incredibile che dov’era lei ci fosse una giornata stupenda e più in basso il tempo fosse tetro e autunnale.
Erano passate due settimane da quando era tornata dagli Stati Uniti e solo una da quando aveva deciso di rifugiarsi nella casa di montagna per stare un po’ sola e pensare, per estraniarsi da tutto. "E’ come questa giornata. Se fossi rimasta sarei ancora immersa nella nebbia e non capirei dove andare, guardando la situazione con un po’ di distacco, elevandosi sopra di essa, tutto appare chiaro e limpido. Proprio limpido no, a dir la verità, ma almeno mi sento meno impantanta."

Hotchner osservava il paesaggio scorrere dal finestrino di un autobus vuoto e un po’ desolato. Era stata un’impresa per lui arrivare fin lì, riuscire a raggiungere quello sperduto paese di montagna dove Liliana si era rifugiata. Parte del merito per il buon esito dell’impresa andava alla sorella maggiore di Liliana che gli aveva dato tutte le indicazioni fondamentali e gli aveva scritto un biglietto con le frasi che lo avrebbero aiutato. Era stata Verdiana a rispondergli al telefono quando aveva chiamato a casa sua per raccontarle di Pavlovich, era stata sempre lei ad accoglierlo all’aeroporto e a spedirlo in quello strano viaggio in corriera.
- E’ il modo migliore per raggiungerla, fidati di me. Ti sta aspettando, anche se non lo sa. - gli aveva detto alla stazione dei bus. - E’ spaventata e confusa, ma io la conosco meglio di quanto lei conosca se stessa e capisco cosa vuole realmente; lei vuole te.- L’aveva incoraggiato.
Si sentiva spaesato e confuso, non era abituato a quelle strade strette e dissestate, a quel clima tetro, grigio e solitario. Fu quindi con meraviglia che si accorse che all’improvviso erano sbucati dalla nebbia e tutto era illuminato dalla luce del sole, che faceva risaltare i colori caldi degli alberi.
Quando scese in mezzo al paese comprese perché si era rifugiata lì. Il silenzio, la calma erano ciò di cui aveva bisogno e che aveva trovato. Seguendo le indicazioni di Verdiana raggiunse presto una casa che rimaneva spostata rispetto al paese e la vide seduta in contemplazione del panorama, illuminata dal sole e bella come un’apparizione, i capelli arruffati dal vento leggero, la testa inclinata di lato. Conosceva ogni linea del suo corpo, ogni movimento gli era familiare e ritrovarli gli procurò una gioia immensa.

Liliana sentì dei passi far scricchiolare la ghiaia alle sue spalle, si voltò e lo vide. Per un attimo non credette ai suoi occhi, non poteva essere Aaron, come aveva fatto a raggiungerla? "Ricorda, l’amore conosce tutte le strade."
Lui la guardò in silenzio poi lasciò cadere il borsone a terra e le si avvicinò, sedette accanto a lei e ammirò il panorama.
Liliana lo fissò senza parole, il cuore le batteva forte e le sembrò incredibile che lui non lo sentisse.
- Come hai fatto ad arrivare fin qui? - Era incuriosita.
- Non ha importanza. - le rispose dopo un momento di incertezza. Continuava a tenere lo sguardo fisso di fronte a sé. Fece un sospiro per farsi coraggio e le chiese: - Come hai potuto pensare che non ti amassi più? - Solo allora si voltò verso di lei.
Lo guardò negli occhi. Era difficile rispondere a quella domanda. - Era quella la sensazione che provavo. Sembrava che tu non mi volessi più accanto… Non mi toccavi più, non mi abbracciavi, non mi davi la mano… Non sapevo cosa pensare. Credevo che la mia presenza ti fosse insopportabile, come se Pavlovich mi avesse contaminata…-
- Perché non me ne hai parlato? -
- Perché tu non mi hai spiegato perché era così importante per te arrestarlo? Perché non mi hai spiegato perché ti ripugnava tanto baciarmi? – Era sull’orlo delle lacrime, era arrabbiata, si sentiva accusata.
- Volevo farti sentire al sicuro, arrestarlo perché tu non sentissi più il bisogno di partire, di scappare.- si giustificò.
- Ma io non me ne sono andata per quello! Non solo. Avevo solo bisogno di tempo per leccarmi le ferite in un territorio neutro. Anche senza Pavlovich in libertà, Washington era soffocante e terrificante per me.- Rimasero in silenzio guardando di fronte a loro, cercando le parole giuste per esprimere quello che provavano.
 - Mi dispiace non averti capito. E tu non mi hai mai disgustato, avevo solo paura che le mie carezze, i miei baci potessero ricordarti quello che ti ha fatto; temevo che tu mi avresti allontanato e non sarei riuscito a sopportarlo. - Guardò verso il fondovalle avvolto nella nebbia - Pensavo che sarebbe stato più facile, che ci saremmo guardati negli occhi, ci saremmo abbracciati e ci saremmo perdonati, invece… -
Liliana sorrise e gli accarezzò una guancia con il dorso della mano, lui chiuse gli occhi per meglio assaporare quel contatto che gli era mancato così tanto.
- Sei un ingenuo, quello accade nei film. Nella realtà è tutto più difficile, bisogna spiegarsi l’un l’altro ogni pensiero, ogni sensazione. E poi la mia corsa verso di te con le stampelle non sarebbe stata romantica, solo ridicola. -
- Già, me ne sono accorto. - Sorrise a quella battuta, le prese la mano e baciò la punta delle dita, poi la strinse forte. - Mi dispiace non aver capito che avevi bisogno delle mie carezze, della mia presenza. -
- Mi dispiace aver preteso che tu mi seguissi e non aver capito che avevi bisogno di proteggermi come meglio sapevi fare. -
- Adesso cosa succederà? - le chiese dopo qualche attimo.
- Rimetteremo insieme i pezzi, senza fretta. Cercheremo di essere chiari con noi stessi. Sarà lungo e complicato, ma possiamo farcela. - Appoggiò la testa sulla spalla dell’uomo e lui le baciò i capelli e le circondò le spalle con il braccio. Lei inspirò l’odore dell’uomo, si sentì bene, come non le capitava da tempo.
- Mi sei mancato. -
- Anche tu. Ti amo.-
Lei sorrise. - Anch’io. -
- Ce la faremo? - le chiese continuando ad osservare la nebbia che fluttuava inarrestabile più in basso.
- Possiamo solo provarci. -
- Cosa hai intenzione di fare adesso? Vuoi tornare a vivere qui in Italia, a casa? - Trattenne il fiato in attesa della risposta
- Anche se ti sembrerò melensa, la mia casa è dove sei tu. Tornerò a Washington. Però non subito, ho bisogno di tempo. - Lui annuì, era già tanto dopo aver pensato di averla persa per sempre.
- Vuoi venire a vivere con me? - le chiese un po’ imbarazzato. Aveva paura di perderla di nuovo.
Liliana non rispose subito, tenne lo sguardo fisso di fronte a sé. Poi, dopo un silenzio che ad Aaron era parso infinito, rispose. - Sì, ma ad una condizione. -
Lui si sentì mancare il respiro - Quale? -
- Devi assolutamente installare un bidet in bagno!- Rise e alzò il viso verso quello di lui.
Lui abbassò la testa e appoggiò le labbra su quelle di lei, che le schiuse e lo baciò con dolcezza.


"Le cose belle, brutte, commoventi o insignificanti, tutte le cose esistono nello stesso momento e il giorno dopo assumono una forma differente. Noi puntiamo a luce su ciò che vogliamo vedere, entriamo in quello spirito e ci avviamo verso quel punto."
                                                                                                 Banana Yoshimoto (Sly)

***fine***

Questa storia è dedicata a mia sorella, per avermi fatto scoprire EFP, perchè mi sopporta in questo lungo periodo di convalescenza e perchè è così com'è. Ti voglio bene.

Come sono commossa! Sono riuscita ad arrivare alla fine anche di questa storia! E sono riuscita ad aggiornare nonostante sia stravolta, ma non potevo lasciarvi sulle spine, ho un cuore anch'io anche se ben nascosto!
Spero proprio che questo capitolo vi sia piaciuto e che tutta la ff vi abbia fatto passare dei piacevoli momenti.
Kley: sono contenta che ti abbia colpito proprio quello che io intendevo far emergere... Mi sto quasi mettendo a piangere! Spero che tu riesca a leggerla il prima possibile. Grazie davvero per tutti i tuoi commenti entusiasti, non hai idea del piacere che hanno fatto!
lalausonio: un nuovo acquisto! Sono davvero felice che ti abbia fatto una così buona impressione e che ti sia sembrata ben scritta.
Minerva McGranitt: grazie per avermi seguito, spero di poter far presto lo stesso con te! Spero ti sia piaciuta la fine, ti ringrazio per tutti i tuoi commenti.
LubyLover: ti sei ripresa dall'infarto? Sono molto contenta che pensi che abbia del talento, anche se io non ne sono pienamente convinta. Aaron in effetti è un po' freddo e mette il lavoro al primo posto, però qualche volta si lascia andare. E Mary, beh lei è la personificazione dell'incoerenza! Grazie per avermi seguito fin dalla prima puntata coi tuoi commenti chilometrici!
sakura_kinomoto: ecco il secondo episodio. Ti aggrada? Ma se Morgan non l'avesse fatto magari Pavlovich avrebbe sparato a Reid, non ci hai pensato? Grazie per aver sempre commentato anche se so che a volte non ne avevi proprio voglia!
hikary: se fosse illegale far finire così i capitoli io subirei la pena di morte dato che è la mia passione. Del resto Criminal Minds lascia sempre le cose in sospeso con mia grande rabbia! Lo faccio giusto per restare IC! Grazie per la tua presenza!
Un ringraziamento comunitario anche a
Paola e jaja_thrill che mi hanno seguito in quest'avventura.
Naturalmente un'enorme grazie anche a chi ha letto senza recensire, spero l'abbiate gradita. (Sembra che stia parlando di una cena ma non fateci caso, sono in piedi dalle cinque!)
Un bacio a tutti e buone vacanze,
sku

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