Above and below di Emi Nunmul (/viewuser.php?uid=138947)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap. 1 ***
Capitolo 2: *** Chap. 2 ***
Capitolo 3: *** Chap. 3 ***
Capitolo 1 *** Chap. 1 ***
Pagina autore
NdA: Beeeene. Direi
che dopo aver pubblicato questa cosa, posso anche andare allegramente a
fare in
c-… Sì, va beh, quello. Come vedete, stavolta non
è sugli SHINee, ma bensì
sugli EXO. Dont uorri se non ci capite una cippa all’inizio,
perché, sappiate,
non ci sto capendo una cippa neanche io. Ho scritto tutto a casaccio,
davvero. Sono
giorni, giorni e giorni – se non settimane – che ho
in testa una cosa del
genere su di loro ed avevo bisogno di buttarla giù. Questo
è solo un “prologo”
senza alcun senso. Non sto puntando proprio nulla su questo scritto, se
non divertirmi, cosa che fino ad
ora non ho
per nulla fatto intanto che scrivevo. Mi spiace per quei pochi che
stavano
seguendo Forgetting
His Conscience,
ma ho timore che non la terminerò. Avevo in mente ogni
singolo dialogo, ogni
singola scena, tutto, ma
è troppo
personale, nessuno s’è degnato di volerci capire e
vedere qualcosa, quindi al
diavolo. Poi scrivere quel finale, di quella storia, di quella
faccenda,
sarebbe come scrivere il mio
finale. Ed
io, per ora, non voglio arrivarci.
Quiiiiindi!
Quindi, godetevi questa cosa senza senso, sperando che possa essere
almeno un
po’ apprezzata. Vi lovvo tantixximxiximao <33 #eww
Buona lettura. ;3
Ed è quando la fenice ed il dragone iniziano a piangere, che
il mondo prende a
sanguinare.
«Tienilo
a bada, Kris.»
«Madre…
Le devo ricordare che noi guardiani non siamo stati concepiti per
tenere a bada
voi dei supremi. Non posso-»
«Non mi interessa!»
L’universo
tremò.
«Tieni a bada quel dannato Ekhard.
Tieni a bada quel cane di tuo padre, Kris! Tieni a bada il caos! Non di
certo
ChanYeol era stato concepito per vegliare su di me né SuHo
ha ricevuto un incarico
simile successivamente.»
«Madre…»
«Ma!, per voi è
diverso.»
***
A Gweluon,
“il Mondo di sotto”, in sei
stavano vivendo il loro mille tredicesimo anno in agitazione. Si
ritrovavano
sempre più spesso in cinque, a vegliare sulla propria dimora
e a porsi sempre
più domande. Per quale motivo il loro guardiano, il dragone,
lasciava la sua
torre quasi per tutto il giorno? E per quale motivo sentivano la Madre così arrabbiata?
Xiumin, il dio
del ghiaccio e del
freddo, osservava chissà cosa dalla sua torre bianca senza
dire una parola. Sospirando,
controllò ancora una volta l’eccessiva
rigidità che si sarebbe potuta
diffondere nell’atmosfera di Gweluon. Da quando Kris aveva
iniziato ad
assentarsi così tanto, le fiamme che ardevano nelle
profondità degli abissi di
quella dimensione avevano iniziato ad affievolirsi. Volendo, Xiumin
avrebbe
potuto farlo diventare un posto insopportabilmente freddo,
l’importante era che
fosse stato comunque insopportabile.
Il
punto era che non aveva alcun potere decisionale. Ekhard voleva che
quel posto
fosse insopportabilmente caldo
– un
po’ come una specie di inferno, a volerci intendere meglio
– ed insopportabilmente
caldo sarebbe dovuto essere.
Sospirò,
allontanandosi dal finestrone
finemente scolpito nel ghiaccio, e si tirò sulla testa il
cappuccio nero della
tunica malamente rammendata. Andò a sedersi al tavolo di
quel salone che solo
lui poteva definire accogliente.
Cadeva
sempre un po’ di neve che, camminando,
s’appiccicava agli stivali – ma tanto
lui stava scalzo. Per non parlare, poi, delle stalattiti, massicce o
meno, che
troneggiavano un po’ ovunque. E Xiumin si cullava nel suo
freddo. Lontano dalla
torre di pietra centrale ed infinitamente alta di Kris, con
quell’enorme abisso
a separarli, si divertiva ad inventarsi, giorno dopo giorno, nuovi
giochi da
fare con i suoi piccoli omini di ghiaccio, simili a delle scimmiette
con delle
criniere. Erano non più grandi di un avambraccio, altri non
superavano il palmo
di una mano. Li creava muti, perché se Ekhard avesse sentito
ridere, sarebbero
stati grossi guai. Chissà… magari avrebbe potuto
decidere di bloccare i poteri
di Xiumin, interferendo ancora col suo lavoro, perché,
insomma, secondo voi per
quale motivo al mondo, vi sono così tanti luoghi afflitti
dalla siccità?
A Gweluon,
“il Mondo di sotto”, tutto
era estremamente ravvicinato. Nulla poteva muoversi in
libertà. Spesso,
infatti, il dio del tuono ed il dio dell’ordine finivano con
il far scontrare
le loro dimore fluttuanti. Non essendo in stretta connessione,
però, non
apportavano danni rilevanti all’equilibrio già
debole dell’universo. Per questo
motivo, il dio del tempo, aveva deciso di spostare la sua dimora in uno
spazio
a parte, apparentemente al di fuori del Mondo di sotto. Originariamente
viveva
in una bolla – grande quanto bastava per contenerlo
– sopra la dimora del dio
dell’ordine. Più di una volta questo aveva
rischiato di andargli addosso, ed
ordine e tempo non si sarebbero mai e poi mai dovuti scontrare.
Da qualche
decennio, il dio del tempo
continuava a fluttuare in una bolla, regolando il movimento di
un’immensa
clessidra che dominava il paesaggio confusionario di fuoco di Gweluon,
lontano
dalla torre di Xiumin, lontano dalla torre del dragone e dalle dimore
fluttuanti del dio dell’ordine e del tuono. Tutti gli dei si
affacciavano a
guardare se l’ultimo grano di sabbia stesse scendendo. Una
volta che questo
aveva raggiunto tutti gli altri, andavano a dormire.
Anche quel
giorno Xiumin osservò quel
grano di sabbia scendere inesorabilmente, senza possibilità
di essere fermato. Sorridendo
allegro – così com’era sempre lui
– andò a stendersi nel suo letto
scricchiolante, col suo personale omino di ghiaccio accanto (uno di
quelli a
misura di mano). A dire il vero, Xiumin rimaneva sveglio ancora per un
po’ ogni
giorno. Col suo specchio d’argento in mano, dava il
buongiorno al guardiano di
Hestil, “il Mondo di sopra”, dove, quando quel
grano di sabbia aveva terminato
la sua caduta, tutti si svegliavano.
«Buongiorno, SuHo.»
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Capitolo 2 *** Chap. 2 ***
Pagina autore
NdA:
Oh, io che pubblico due capitolo nel giro di un giorno. Quale
incredibile novità!
Voglio scusarmi se i capitoli di questa storia risulteranno
schifosamente
corti, ma è meglio così, almeno per me.
Credetemi, non ho idee su come
svilupparla, e le cose iniziano a venir fuori man mano che scrivo. Se i
capitoli fossero troppo lunghi, rischierei di mischiare le cose e fare
un
casino. In più, se anche la lunghezza fosse variabile, non
sarebbe male. Prima avevo
sempre il pallino di dover scrivere dei capitoli abbastanza
consistenti, e mi
sentivo decisamente “costretta” a dover sempre
scrivere tanto. Così è molto più
piacevole, ecco. Poi, volevo dirvi che, in caso aveste bisogno di chiarimenti e di far domande, io sono qui e vi risponderò senza problemi. (: Ancora, scusate se ci sono degli errori o ripetizioni. Non ho mai voglia di rileggere. #facciopena Sentitevi liberi di correggermi, se vi va.
2.
Hestil,
“il Mondo di sopra”, era un
posto di una bellezza impossibile da riprodurre nel resto
dell’intero universo,
specialmente nel Mondo degli uomini. Se
Gweluon era il mondo insopportabilmente caldo, insopportabilmente
stretto e,
spesso, insopportabilmente triste, afflitto da scontri –
seppur involontari –
fra i suoi dei, Hestil era piacevole in ogni suo singolo dettaglio.
Gli dei di
Hestil, così come quelli di
Gweluon, soffrivano comunque la separazione dalla loro metà
originale,
nonostante la pace che regnava nella loro dimensione. C’era
chi, in ogni caso,
affrontava la sofferenza con ottimismo.
«Buongiorno,
Xium-»
Un tonfo. Il dio
del ghiaccio, da
Gweluon, attraverso il suo specchio, riuscì a sentirlo
chiaramente. Non aveva
ancora visto il volto del guardiano di Hestil mostrarsi
nell’argento, il che,
come al solito, stava a significare che fosse caduto a terra, cercando
di
afferrare lo specchio dal comodino accanto al suo letto. Fortuna per
loro che
erano immortali!
«Ghiaccio…?»
domandò Xiumin trattenendo una risata, seppur debole. Niente
risate a Gweluon.
Mai.
«Sì,
Xiumin. Grazie.»
A quel punto, il
dio di Gweluon riuscì a
vedere il volto del guardiano di Hestil mostrarsi nello specchio. SuHo
aveva un
viso dai tratti e dalle espressioni gentili, a differenza di quello del
guardiano di Gweluon. Così, a Xiumin veniva molto
più facile prenderlo in giro,
con il suo già spiccato comportamento da folletto dispettoso.
«Che
ne dici di fare piovere un po’ sui deserti, oggi?»
Il guardiano di
Hestil, osservando l’espressione
speranzosa di Xiumin riflessa nello specchio, scosse la testa, come
ogni volta
che gli faceva una richiesta del genere. Intanto, si teneva un impacco
di
ghiaccio – apparentemente comparso dal nulla –
sulla tempia, esattamente dove
aveva battuto.
«Lo
sai che non potrei anche volendo, Xiumin.»
L’altro
sbuffò. «Non è giusto darla
sempre vinta ad Ekhard,» disse, col tono di voce estremamente
basso «Voglio
dire, se tutt’e dodici cercassimo di ribellarci, ci sarebbero
intere galassie
simili ad Hestil. Immagina gli uomini, poi-»
«Non
è possibile. Non riusciamo neanche ad andare del tutto
d’accordo fra di noi. Come
pretendi di poter conciliare caos ed ordine? Bene e male?»
Sospirò. «Ormai ne
abbiamo parlato così tante volte che ripeto queste parole
come una mantra. Lasciamo
perdere questo discorso, Xiumin, e non riprendiamolo
più.»
SuHo, quindi,
decise di alzarsi dal suo
letto. Lì ad Hestil avevano giacigli e dimore accoglienti,
seppur in luoghi
decisamente inusuali. Il dio dell’acqua viveva in una
struttura fluttuante che
spiccava al disopra di nient’altro che l’immenso
lago attorno al quale si
sviluppava il resto di quel mondo. La sua dimora non era grandissima.
Vi era
solo la sua stanza, un bagno ed una piccola cucina, tutto arredato in
maniera
abbastanza sobria, in perfetto stile umano.
Quelli eccentrici, del resto, erano tutti a Gweluon.
Mentre si stava
dirigendo verso la
porta, dovette fermarsi, sentendo Xiumin parlare nuovamente.
«Mi
manchi, SuHo.»
Abbassò
la testa, sospirando. Alzando un
po’ la voce, in modo da farsi sentire, si apprestò
a rispondere.
«Anche
tu, Xiumin. Buonanotte.»
Andò
quindi a salutare le creature che
popolavano il lago Ion.
Il lago Ion non
aveva una fine, vale a
dire che non possedeva un fondale. La sua grandezza era tale che
neanche il
guardiano di Hestil sapesse per quanto s’estendeva
né conoscesse l’ammontare di
esseri che vi vivevano. Il lago Ion fu creato successivamente
all’albero della
vita Gaerdaer in modo da continuare a nutrirlo, eternamente, attraverso
le sue
acque. Non è propriamente corretto definirle
“acque”. Non ci si bagnava nel
momento dell’immersione e, a voler raccogliere un
po’ di quel liquido azzurro
brillante, questo non si sarebbe mai e poi mai trattenuto fra le mani.
Era così
impossibile asportarlo da Hestil. Tuttavia, nonostante a livello fisico
non
avesse alcun effetto particolare su chi si immergeva, rimanendo solo
con i
piedi a mollo per cinque minuti, si poteva sentire un benessere
generale diffondersi
per tutto il corpo.
Nuotando
velocemente verso la superficie,
SuHo sbucò dal lago con la velocità simile a
quella di un missile, diffondendo
zampilli lucenti ovunque. Ed intanto che, con calma, si apprestava ad
atterrare
sulla sponda, lanciò una fugace occhiata al cielo limpido.
Vide la scia che il
guardiano di Gweluon stava lasciando intanto che volava
chissà dove per poter
incontrare la madre. Una volta con i piedi saldi a terra, si
voltò a guardare
la torre della fenice. Il fuoco che ardeva incessantemente sulla cima
aumentò d’intensità
luminosa. Si ritrovò a sospirare, prima di iniziare il suo
giro di
ricognizione.
Il guardiano di
Gweluon, ascendendo dal
fuoco che ardeva sulla torre della fenice, senza potervi – a
malincuore – sostare,
andò ad incontrare nuovamente la Madre per la quinta volta
nel giro di un mese.
Generalmente, agli dei, capitava di incontrare i due supremi una volta
ogni
venti anni. Potete ben capire, quindi, come essere chiamato al suo
cospetto per
così tante volte di seguito fosse un evento incredibile
quanto preoccupante.
Nella dimensione
immateriale della
Madre, nessun guardiano né tantomeno gli dei minori,
potevano utilizzare i loro
poteri. Il dragone, così, si ritrovava a dover salire
innumerevoli gradini ogni
volta, in modo da poter arrivare di fronte a quella donna vestita di
bianco. A dire
il vero, lì ogni singola cosa era bianca. Non
v’era alcuna variazione cromatica
minima. Al guardiano di Gweluon, non faceva paura mai nulla, sul serio.
Non si
vergognava, addirittura, della cicatrice che gli era stata inflitta da
Ekhard
quando aveva osato provocarlo. Eppure, Ekhard, colui che era il male,
colui che
era un dio supremo, non lo spaventava. Anzi, si ritrovava a pensare a
lui con
sufficienza, venendogli spontaneo da parlarne e da trattarlo in maniera
beffarda. La Madre, invece, portatrice dell’essenza del bene,
di tutto ciò che
doveva essere buono, paradossalmente, gli incuteva timore. Il candore esasperante di quel posto nel quale non
vi era nient’altro se non una ripida scalinata che portava ad
una specie di
podio neanche troppo grande, senza nemmeno un
“trono”, non faceva altro che
aumentare l’ansia che prendeva il sopravvento su di lui.
«Non
dovresti venire
qui sfruttando il volo, Kris. Non sarà l’ultima
volta che ti chiamerò e
potresti iniziare sul serio a stancarti.»
Se non altro,
per lo meno, quella donna
teneva fede all’ideale di bontà, guardando coloro
con cui parlava con un’espressione
ed un sorriso magnanimo.
«Dovrei
mandare Kai a prenderti, la prossima volta.»
Il guardiano di
Gweluon scosse la testa,
subito contrariato. «No, è troppo pericoloso che
venga da noi.»
Entrambi
tacquero. La madre, ora, lo
stava guardando con un sorriso per qualche motivo divertito.
Più che guardarlo,
lo osservava. Prese a girargli intorno, il vestito bianco che, toccando
a
terra, seguiva i suoi movimenti. Portò una mano sotto il
mento, segno che aveva
preso a pensare.
La Madre era
l’entità che racchiude in
sé il significato ultimo di tutte le cose, colei dalla
quale, chissà quando e
chissà dove, tutto ebbe inizio. Semplicemente, la Madre era
eterna, senza un passato,
un presente o un futuro. Si presentava come una giovane donna durante i
suoi
vent’anni. Non vi dirò che era di indubbia
bellezza perché lei, invece, oltre
che ad essere l’eternità, ad essere
l’origine di tutto, era la perfezione.
Ancora, al
guardiano di Gweluon tutti
questi dettagli non incutevano timore. Erano solo tante cose che, messe
insieme, lo portavano a stare al di sotto di lei solo di un gradino.
Fra l’altro,
al suo cospetto non si inchinava mai. Era quel sorriso bonario, invece,
che lo
faceva rimanere in tensione come una corda di violino.
La Madre
girò attorno a lui almeno due
volte. Poi gli si fermò davanti, a braccia incrociate.
«Se
dici che è pericoloso, allora hai intuito cosa sta
succedendo, giusto?»
Kris premette
due dita contro una
tempia, chiudendo gli occhi e sospirando, al limite della sopportazione.
«Non
potrebbe gentilmente dirmi cosa diamine sta succedendo? Sa
com’è, ho il fuoco
della distruzione da alimentare e tutte queste cosucce che potrebbero
mandare
in tilt l’universo. Ora,» pausò per un
istante, cercando di incanalare altro
ossigeno per poter parlare, intanto che l’altra prendeva di
nuovo a girare
attorno a lui, ridacchiando «Abbiamo capito che Ekhard ha in
testa qualcosa
perché, oh, ce lo sentiamo dentro
quindi devo continuare a venire qui allarmando tutti quanti. Ieri mi ha
detto
di tenerlo a bada, gridandomi contro, ma non ci sto capendo
nu-»
«Oppure
è che vuoi non aver capito, Kris?»
Ora gli si era
fermata accanto,
mettendogli una mano sulla spalla. Lo guardava sorridendo.
Il guardiano di
Gweluon spostò lo
sguardo di lato, corrucciato. La Madre, come sempre, aveva ragione.
«Cosa
dobbiamo aspettare?»
«Che
la sabbia smetta di scorrere.»
***
«Stai
facendo scorrere la luce, oppure stai qui a far nulla?»
SuHo venne
abbagliato da un fascio di
luce improvviso. Portando due dita a stropicciarsi gli occhi, prese a
lamentarsi, come suo solito, senza ottenere alcun risultato.
«Sto
facendo scorrere la luce, sì, basta che stai zitto, SuHo,
cavolo! Non ti si può
sentire!»
Il dio della
luce si girò su un fianco,
rotolando sull’erba, dando così le spalle al
guardiano.
«Grazie
per l’attenzione.» disse. Avrebbe voluto avere
un’aria infastidita, dura, ma
finiva sempre col risultare dispiaciuto e ferito, nonostante cercasse
di non
darlo a vedere il più possibile.
«Comunque,
hai visto Kai?»
L’altro
fece spallucce.
«BaekHyun…»
«Non
sono affari miei.»
SuHo
sospirò, abbassando la testa. Poi riprese.
«Se non te ne fossi reso conto, qui sta succedendo qualcosa,
e dovreste cercare
di mettere la testa a posto e aiutar-»
«E’
a Gweluon.» lo interruppe il dio della luce, facendolo
raggelare all’istante.
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Capitolo 3 *** Chap. 3 ***
Pagina autore
NdA:
Boh, sono le quattro di mattina ed io ho scritto il terzo capitolo di
questa
storia. Non avevo mai finito così tanti capitoli nel giro di
un giorno. Mi pare
di star sognando. E non me ne frega se fra due ore dovrei alzarmi per
andare al
mio schifosissimo liceo e sorbirmi le solite battaglie giornaliere.
Sono dannatamente
felice. E sono qui ad ascoltare Tablo ed i Jazzyfact, tranquilla, a
scrivere in
pace, e mi sento bene per la prima volta da mesi. Mi ero scordata cosa
la
scrittura dovrebbe portarmi realmente.
Comunque, venendo al capitolo, mi spiace di aver lasciato
quell’accenno di lime
così, come sospeso, ma un po’ perché
è davvero tardi, un po’ perché
– nonostante
sia dello spirito adatto per scriverne una – vorrei evitare
di scrivere
qualcosa di troppo dettagliato fra questi due, che non sono il mio
pairing
preferito, se non ve ne foste accorti. LOL
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, come sempre. Un bacio.
3.
«Non
capisco per quale motivo tu ti stia scaldando tanto!»
BaekHyun, ora
spostatosi insieme al
guardiano vicino al lago Ion, stava discutendo con lui.
«Voglio
dire, non è la prima volta che va al Mondo di sotto. Tutti
ci siamo andati!»
«Non
è questo il punto!»
SuHo era
diventato una pentola a
pressione, pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Camminava avanti e
dietro
con passi veloci, ogni tanto portando le mani fra i capelli rossicci,
guardando
dove capitava con nervosismo, stranamente allarmato. Intanto, BaekHyun
continuava a non capire il motivo di così tanta agitazione.
«E
quale sarebbe il punto, SuHo?» chiese, braccia incrociate,
aria insofferente
come suo solito.
«Quale sarebbe?»
ripeté, fermandosi di
fronte a lui, guardandolo arrabbiato, per una volta.
«Sarebbe
che non mi date ascolto mai! E sono
altamente stufo. E con darmi ascolto, non dico che dovete fare tutto
quello che
vi dico…»
«E
ci mancherebbe…» fece l’altro fra i
denti, senza guardarlo, determinando solo
un’altra stilettata al cuore del guardiano, il quale
mandò giù l’ennesimo
boccone amaro.
«Dico
che dovete aiutarmi, che dovete informarmi di queste cose. Se sapevi
che Kai s’era
spostato, avresti dovuto dirmelo, BaekHyun!»
L’altro
fece spallucce. «Non vedo per
quale motivo. Non sapevo che dovessimo informarti dei nostri
spostamenti. Fra l’altro
sono affari suoi.»
BaekHyun
guardò il dio dell’acqua
squadrandolo dalla testa ai piedi. Poi puntò gli occhi nei
suoi,
assottigliandoli leggermente. L’altro rimase come
paralizzato, chiedendosi il perché di quello sguardo apparentemente pieno d’odio.
«Cos-»
«Non
sei neanche ChanYeol e non vedo per quale motivo dovrei tenere conto di
te. Non
sei il vero guardiano.»
SuHo
ascoltò esterrefatto ciò che l’altro
aveva da dire. Pensava che, nel momento in cui sarebbe esploso, avrebbe
reagito
violentemente ed invece, tutto quello che gli veniva da fare, era
lasciare che
le lacrime iniziassero a bagnargli gli occhi. Eppure era un uomo, lui.
Un uomo,
non più un dio. Ed era un uomo estremamente stanco.
«E’
colpa tua se ChanYeol sta così… E’
sicuramente colpa tua.»
Alle spalle del
guardiano, il volume
delle acque del lago Ion stava iniziando a crescere,
l’azzurro brillante che
emanava luce che, presto, sarebbe diventata fastidiosa.
«Gli
hai solo creato problemi. Gli hai fatto fare un passo falso per poter
diventare
il guardiano di Hestil!»
Avrebbe
continuato a parlare, ma si
costrinse a serrare la bocca, quando vide le acque sollevarsi in
un’onda
gigantesca che, però, rimaneva lì
dov’era, senza muoversi. Era imponente,
incuteva timore, alta almeno una ventina di metri. D’un
tratto anche SuHo face
paura ed istintivamente BaekHyun indietreggiò di un paio di
passi,
accovacciandosi, e coprendo la testa con le braccia, nel tentativo di
proteggersi dall’onda in caso gliel’avesse
scagliata contro, preda della furia
e dell’amarezza che aveva fatto crescere in lui senza
scrupoli con quelle
parole.
Qualche secondo
dopo sentì delle gocce
leggere bagnarlo. Sollevò lo sguardo, notando che le acque
del lago Ion erano
tornate allo stesso livello originario, ma continuando ad agitarsi
ancora per
un po’. Il guardiano era sparito.
***
Cantando qualche
canzone sentita sulla
Terra, il dio dello spazio stava appollaiato su uno degli immensi ed
infiniti
rami dell’albero Gaerdaer, quello che reggeva la Via Lattea.
E si guardava
intorno, oscillando le gambe a penzoloni, godendosi un po’ di
pace in quel
luogo nel quale solo lui poteva arrivare – fatta eccezione
per la fenice ed il
dragone.
Dopo un
po’, decise che poteva
finalmente andare a Gweluon e fare visita agli altri dei, andare ad
infastidire
il dio del tuono, come suo solito, e salutare il guardiano al quale, in
vero,
era molto affezionato.
Si
scostò dal ramo, strofinò le mani per
rimuovere la polvere dorata che era rimasta sui palmi, e lo stesso fece
con i
pantaloni. Teletrasportandosi, iniziò a scendere seguendo il
lunghissimo tronco
dell’albero. Una volta arrivato in prossimità
delle radici, scomparì di nuovo,
lasciando un alone per qualche istante, abbandonando così la
dimensione dell’albero
della vita.
«Mi
hai fatto venire un colpo, accidenti!»
Ed il dio del
tuono, vedendo quello
dello spazio piombare sulla sua scrivania all’improvviso,
provocando la caduta
istantanea di tutte le sue scartoffie e dei numerosi libri, non fece
altro che
sollevarsi dalla sedia di almeno un centimetro per lo spavento.
«Dovrei
mandarti una raccomandata la prossima volta che ho intenzione di
venire, Chen-Chen?»
«E
non chiamarmi Chen-Chen.»
lo rimbeccò
il dio del tuono, ora in piedi, puntandogli un dito sul petto.
L’altro
lo guardava sorridendo, seduto a
gambe incrociate sul tavolo, i capelli scuri e lunghi che gli
ricadevano sugli
occhi, ma che non si prendeva la briga di spostare.
Chen prese a
raccogliere i fogli sparsi
sul pavimento, intervallando i suoi movimenti con qualche grugnito di disappunto, che aumentava
d’intensità ogni volta che
l’altro si ritrovava a ridere.
«Come
stai, Kai?» chiese alla fine, ancora leggermente infastidito,
portando alla
scrivania alcuni dei fogli che aveva raccolto.
«Come
sempre. Anzi, no…» e assunse un’aria
pensosa, per poi riprendere a parlare dopo
poco: «Stanotte, cioè, la vostra ieri
matti-»
«Non
c’è bisogno che specifichi ogni volta; vieni al
dunque.»
L’altro
sbuffò, apprestandosi a continuare.
«Ieri
notte sono andato
a trovare KyungSoo.»
«Ah.
Allora? Come sta?» chiese, adesso interessato a
ciò che avrebbe avuto da
dirgli.
Kai fece
spallucce, abbassando la testa
con evidente aria incupita.
«Sta
bene, ma dice che vuole tornare ad Hestil. La Terra non è un
bel posto. Gli pare
molto più simile a Gweluon. Ogni tanto ci faccio un giro
anche io, ma visito i
posti che mi consiglia lui e non mi sembrano tanto male, quindi non
riesco a
capirlo pienamente, ma non ha voluto spiegarmi altro.»
Il dio del
tuono, tornando seduto alla
sua scrivania, sollevò lo sguardo verso l’altro, appena
più addolcito.
Gweluon era sicuramente il posto peggiore di tutti. Ogni tanto si
vedevano camminare
fra le valli deserte alcuni esseri monumentali ed orribili creati da
Ekhard per
chissà quale motivo, e distruggevano, facevano un gran
chiasso e mettevano paura
persino a loro dei. A differenza della Terra, però, a
Gweluon non c’era mai un
attimo di pausa. Tutto doveva essere sempre eternamente terribile,
spaventoso ed insopportabile. Loro non vi badavano più
di tanto. E Chen non poteva comprendere come KyungSoo potesse trovarsi
tanto
male sul pianeta degli uomini. Forse qualcosa gli sfuggiva, ma era
più propenso
a pensare che il dio della terra fosse troppo abituato alla pace di
Hestil.
«Non
posso darti una spiegazione, io, al perché KyungSoo si senta
così sulla terra. Magari
dovresti parlarne con qualcun altro. Qui a Gweluon siamo abituati ad
atrocità
che penso sulla Terra non si vedano e potrei minimizzare il suo
problema.»
Kai
sbuffò, scendendo quindi dalla
scrivania dell’amico, senza scollargli ancora gli occhi di
dosso.
«Kris
è alla torre? Andrò a parlare con lui.
E’ da un po’ che non lo vedo.»
Chen si
alzò, andando ad avvicinarsi al
bordo del pavimento – perché lì non vi
erano pareti salde, solo quelle quasi
impercettibili di una bolla comunque molto resistente.
Guardò in basso, verso
la torre del dragone, notando che le fiamme non erano ardenti come al
solito.
«Penso
sia ad Hestil.»
«Ad
Hestil?» chiese l’altro, decisamente sorpreso.
«S’è
già spostato cinque volte in questo mese. Non lo
sapevi?»
Kai lo
fissò per qualche istante e
quello bastò al dio del tuono per comprendere che la
risposta sarebbe stata
negativa.
***
«Ti
amo. Ti amo
tantissimo, lo sai, vero?»
Ogni stanza
della torre della fenice era
dannatamente confortevole. Il pavimento di legno ogni tanto
scricchiolava, ma
era piacevole da sentire. Camminando scalzi si poteva sentire quanto
fossero
morbidi gli enormi tappeti sparsi un po’ ovunque. I mobili
antichi ed eleganti
arredavano ogni singolo angolo. Le imbottiture delle sedie e dei divani
conciliavano il sonno, le pesanti tende bordeaux drappeggiate
filtravano quasi
totalmente la luce. Tutto ciò di veramente luminoso,
lì, erano delle candele e
gli innumerevoli camini accesi. Ed il fuoco che ardeva, toccandolo, non
bruciava. Guariva.
E BaekHyun si
sentiva in pace, lì. Avrebbe
voluto passarci il resto della sua vita eterna, se solo avesse potuto.
Lui si
era sempre rifiutato di avere una fissa dimora, ma lì
sarebbe stato diverso.
BaekHyun non era
una cattiva persona. E’
vero che nutriva rancore per SuHo – e lui stesso sapeva che
era ingiustificato –
che, in linea generale, non era troppo simpatico con
nessun’altro degli dei,
ma, in fondo, sapeva di volere loro bene. Poi, lui era il dio della
luce e ciò
che maggiormente avrebbe voluto fare, sarebbe stato riuscire ad
illuminarli nel
profondo del loro essere, permettere a tutt’e dodici di
vivere più serenamente,
ed invece…
«Lo
so, BaekHyun, lo so…»
Quei baci
risultavano roventi,
impetuosi, rabbiosi, intanto che ChanYeol, forte, continuava a spingere
BaekHyun verso il suo immenso letto. Se non per rispondergli con quelle
brevi
parole piene di amarezza, non stava accennando a voler far staccare le
loro
labbra.
E il dio della
luce percepiva tutto alla
perfezione. Avrebbe voluto permettere a loro dodici di vivere meglio,
ma più di
ogni altra cosa, avrebbe voluto aiutare la fenice a risorgere dalle
ceneri
nelle quali s’era ridotta da troppo tempo.
Quasi
impercettibili goccioline di
sangue iniziarono a venir fuori dal labbro inferiore di BaekHyun, dopo
che
ChanYeol l’aveva morso forse con troppa forza, ma, in ogni
caso, la fenice non
vi aveva dato troppo peso. Il dio della luce, comunque, rimaneva
immobile, adesso,
a guardare di lato, verso le tende pesanti, intanto che
l’altro si apprestava a
lasciare scie di piccoli baci sul suo collo, fin quando non si
fermò all’altezza
della clavicola, iniziando a rendere quella porzione di pelle bollente,
succhiando,
mordendo e leccando, contento solo quando vide comparire un vistoso
segno
rosso. E BaekHyun si ammaccava ancora un po’, moriva ancora
un po’ dentro.
«Si
vede che oggi Kris è ad Hestil…» disse,
a voce bassa.
A quella frase,
come di riflesso,
ChanYeol lo morse sul collo, proprio dove lo fanno i vampiri, e
finì con l’aprirgli
la camicia bianca strappandola, facendo saltarne i bottoni
chissà dove.
«Sì,
si vede. Quanta forza ti dà, mh…?»
ChanYeol spinse
col bacino contro quello
dell’altro, di scatto, a sentire ancora altre parole
provenire dalla bocca di
BaekHyun, pervase, in più, da amarezza ed evidente rabbia.
«Mi
ami?» chiese la fenice, guardando l’altro negli
occhi, con un’espressione che
definirei ermetica.
BaekHyun
annuì, senza esitazioni.
«Allora
fai solo la tua parte e sta’ zitto.»
BaekHyun era
rimasto inerme, di nuovo. Aveva
atteso che l’altro lo spogliasse (senza comunque
possibilità di sentire freddo,
per via della temperatura della torre) e che si fosse sfogato
abbastanza sul
suo corpo, lasciandogli copiosi graffi sul petto, sulla schiena, altri
segni
rossi sul collo.
Poi, il dio
della luce, era morto ancora
un po’, ripensando alle ultime parole che la fenice gli aveva
rivolto, quando
proprio lui aveva iniziato a prepararlo senza troppa attenzione, non
curandosi
se, effettivamente, i suoi muscoli potessero finalmente adattarsi alla
successiva intrusione senza recargli dolore. E continuò a
pensare infinite
volte, ancora, a quelle parole. Perché quello era diventato
il suo lavoro,
appunto: andare di tanto in tanto a fargli visita in modo che ChanYeol
potesse
sfogarsi e sopperire alla sua parte mancante.
Lasciava che
spingesse in lui quanto gli
andava, con l’intensità che preferiva, ed apriva
solo la bocca, se faceva male;
non gridava. Prendeva tutto il dolore, fisico e mentale, e lo chiudeva
in una
specie di cassaforte che abbandonava da qualche parte in fondo a se
stesso.
Non raggiungeva
il piacere. O meglio, lo
faceva, ma a momenti non se ne accorgeva ed era per semplice reazione
delle
scariche elettriche del suo corpo.
ChanYeol lo
lasciò di nuovo in quella
stanza enorme che, da essere accogliente, a BaekHyun adesso appariva
come delle
semplici quattro mura vuote, che non avrebbero potuto trasmettergli
più nulla
fin quando non avesse mandato giù quell’ennesimo
boccone amaro. Si ripulì alla
meno peggio e, con su solo i pantaloni e le scarpe,
abbandonò la torre della
fenice, con la camicia strappata in mano.
Una volta fuori,
intanto che camminava,
si voltò a guardare verso il lago Ion, sentendosi
improvvisamente in colpa per
le cose precedentemente dette al guardiano. Notò che le
acque erano del loro
solito azzurro, ma non splendevano. Ciò poteva solo stare a
significare che
SuHo si era allontanato da Hestil.
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