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di Emi Nunmul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chap. 1 ***
Capitolo 2: *** Chap. 2 ***
Capitolo 3: *** Chap. 3 ***



Capitolo 1
*** Chap. 1 ***


Pagina autore

 

NdA: Beeeene. Direi che dopo aver pubblicato questa cosa, posso anche andare allegramente a fare in c-… Sì, va beh, quello. Come vedete, stavolta non è sugli SHINee, ma bensì sugli EXO. Dont uorri se non ci capite una cippa all’inizio, perché, sappiate, non ci sto capendo una cippa neanche io. Ho scritto tutto a casaccio, davvero. Sono giorni, giorni e giorni – se non settimane – che ho in testa una cosa del genere su di loro ed avevo bisogno di buttarla giù. Questo è solo un “prologo” senza alcun senso. Non sto puntando proprio nulla su questo scritto, se non divertirmi, cosa che fino ad ora non ho per nulla fatto intanto che scrivevo. Mi spiace per quei pochi che stavano seguendo Forgetting His Conscience, ma ho timore che non la terminerò. Avevo in mente ogni singolo dialogo, ogni singola scena, tutto, ma è troppo personale, nessuno s’è degnato di volerci capire e vedere qualcosa, quindi al diavolo. Poi scrivere quel finale, di quella storia, di quella faccenda, sarebbe come scrivere il mio finale. Ed io, per ora, non voglio arrivarci.

Quiiiiindi! Quindi, godetevi questa cosa senza senso, sperando che possa essere almeno un po’ apprezzata. Vi lovvo tantixximxiximao <33 #eww Buona lettura. ;3

 

 

 

 

 



Ed è quando la fenice ed il dragone iniziano a piangere, che il mondo prende a sanguinare.

 

 

«Tienilo a bada, Kris.»

              «Madre… Le devo ricordare che noi guardiani non siamo stati concepiti per tenere a bada voi dei supremi. Non posso-»

              «Non mi interessa!»

L’universo tremò.

              «Tieni a bada quel dannato Ekhard. Tieni a bada quel cane di tuo padre, Kris! Tieni a bada il caos! Non di certo ChanYeol era stato concepito per vegliare su di me né SuHo ha ricevuto un incarico simile successivamente.»

              «Madre…»

«Ma!, per voi è diverso.»

 

***

 

A Gweluon, “il Mondo di sotto”, in sei stavano vivendo il loro mille tredicesimo anno in agitazione. Si ritrovavano sempre più spesso in cinque, a vegliare sulla propria dimora e a porsi sempre più domande. Per quale motivo il loro guardiano, il dragone, lasciava la sua torre quasi per tutto il giorno? E per quale motivo sentivano la Madre così arrabbiata?

Xiumin, il dio del ghiaccio e del freddo, osservava chissà cosa dalla sua torre bianca senza dire una parola. Sospirando, controllò ancora una volta l’eccessiva rigidità che si sarebbe potuta diffondere nell’atmosfera di Gweluon. Da quando Kris aveva iniziato ad assentarsi così tanto, le fiamme che ardevano nelle profondità degli abissi di quella dimensione avevano iniziato ad affievolirsi. Volendo, Xiumin avrebbe potuto farlo diventare un posto insopportabilmente freddo, l’importante era che fosse stato comunque insopportabile. Il punto era che non aveva alcun potere decisionale. Ekhard voleva che quel posto fosse insopportabilmente caldo – un po’ come una specie di inferno, a volerci intendere meglio – ed insopportabilmente caldo sarebbe dovuto essere.

Sospirò, allontanandosi dal finestrone finemente scolpito nel ghiaccio, e si tirò sulla testa il cappuccio nero della tunica malamente rammendata. Andò a sedersi al tavolo di quel salone che solo lui poteva definire accogliente. Cadeva sempre un po’ di neve che, camminando, s’appiccicava agli stivali – ma tanto lui stava scalzo. Per non parlare, poi, delle stalattiti, massicce o meno, che troneggiavano un po’ ovunque. E Xiumin si cullava nel suo freddo. Lontano dalla torre di pietra centrale ed infinitamente alta di Kris, con quell’enorme abisso a separarli, si divertiva ad inventarsi, giorno dopo giorno, nuovi giochi da fare con i suoi piccoli omini di ghiaccio, simili a delle scimmiette con delle criniere. Erano non più grandi di un avambraccio, altri non superavano il palmo di una mano. Li creava muti, perché se Ekhard avesse sentito ridere, sarebbero stati grossi guai. Chissà… magari avrebbe potuto decidere di bloccare i poteri di Xiumin, interferendo ancora col suo lavoro, perché, insomma, secondo voi per quale motivo al mondo, vi sono così tanti luoghi afflitti dalla siccità?

 

A Gweluon, “il Mondo di sotto”, tutto era estremamente ravvicinato. Nulla poteva muoversi in libertà. Spesso, infatti, il dio del tuono ed il dio dell’ordine finivano con il far scontrare le loro dimore fluttuanti. Non essendo in stretta connessione, però, non apportavano danni rilevanti all’equilibrio già debole dell’universo. Per questo motivo, il dio del tempo, aveva deciso di spostare la sua dimora in uno spazio a parte, apparentemente al di fuori del Mondo di sotto. Originariamente viveva in una bolla – grande quanto bastava per contenerlo – sopra la dimora del dio dell’ordine. Più di una volta questo aveva rischiato di andargli addosso, ed ordine e tempo non si sarebbero mai e poi mai dovuti scontrare.

Da qualche decennio, il dio del tempo continuava a fluttuare in una bolla, regolando il movimento di un’immensa clessidra che dominava il paesaggio confusionario di fuoco di Gweluon, lontano dalla torre di Xiumin, lontano dalla torre del dragone e dalle dimore fluttuanti del dio dell’ordine e del tuono. Tutti gli dei si affacciavano a guardare se l’ultimo grano di sabbia stesse scendendo. Una volta che questo aveva raggiunto tutti gli altri, andavano a dormire.

Anche quel giorno Xiumin osservò quel grano di sabbia scendere inesorabilmente, senza possibilità di essere fermato. Sorridendo allegro – così com’era sempre lui – andò a stendersi nel suo letto scricchiolante, col suo personale omino di ghiaccio accanto (uno di quelli a misura di mano). A dire il vero, Xiumin rimaneva sveglio ancora per un po’ ogni giorno. Col suo specchio d’argento in mano, dava il buongiorno al guardiano di Hestil, “il Mondo di sopra”, dove, quando quel grano di sabbia aveva terminato la sua caduta, tutti si svegliavano.

              «Buongiorno, SuHo.»

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Capitolo 2
*** Chap. 2 ***


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NdA: Oh, io che pubblico due capitolo nel giro di un giorno. Quale incredibile novità!
Voglio scusarmi se i capitoli di questa storia risulteranno schifosamente corti, ma è meglio così, almeno per me. Credetemi, non ho idee su come svilupparla, e le cose iniziano a venir fuori man mano che scrivo. Se i capitoli fossero troppo lunghi, rischierei di mischiare le cose e fare un casino. In più, se anche la lunghezza fosse variabile, non sarebbe male. Prima avevo sempre il pallino di dover scrivere dei capitoli abbastanza consistenti, e mi sentivo decisamente “costretta” a dover sempre scrivere tanto. Così è molto più piacevole, ecco. Poi, volevo dirvi che, in caso aveste bisogno di chiarimenti e di far domande, io sono qui e vi risponderò senza problemi. (: Ancora, scusate se ci sono degli errori o ripetizioni. Non ho mai voglia di rileggere. #facciopena Sentitevi liberi di correggermi, se vi va.









2.

 

Hestil, “il Mondo di sopra”, era un posto di una bellezza impossibile da riprodurre nel resto dell’intero universo, specialmente nel Mondo degli uomini.  Se Gweluon era il mondo insopportabilmente caldo, insopportabilmente stretto e, spesso, insopportabilmente triste, afflitto da scontri – seppur involontari – fra i suoi dei, Hestil era piacevole in ogni suo singolo dettaglio.

Gli dei di Hestil, così come quelli di Gweluon, soffrivano comunque la separazione dalla loro metà originale, nonostante la pace che regnava nella loro dimensione. C’era chi, in ogni caso, affrontava la sofferenza con ottimismo.

              «Buongiorno, Xium-»

Un tonfo. Il dio del ghiaccio, da Gweluon, attraverso il suo specchio, riuscì a sentirlo chiaramente. Non aveva ancora visto il volto del guardiano di Hestil mostrarsi nell’argento, il che, come al solito, stava a significare che fosse caduto a terra, cercando di afferrare lo specchio dal comodino accanto al suo letto. Fortuna per loro che erano immortali!

             «Ghiaccio…?» domandò Xiumin trattenendo una risata, seppur debole. Niente risate a Gweluon. Mai.

              «Sì, Xiumin. Grazie.»

A quel punto, il dio di Gweluon riuscì a vedere il volto del guardiano di Hestil mostrarsi nello specchio. SuHo aveva un viso dai tratti e dalle espressioni gentili, a differenza di quello del guardiano di Gweluon. Così, a Xiumin veniva molto più facile prenderlo in giro, con il suo già spiccato comportamento da folletto dispettoso.

              «Che ne dici di fare piovere un po’ sui deserti, oggi?»

Il guardiano di Hestil, osservando l’espressione speranzosa di Xiumin riflessa nello specchio, scosse la testa, come ogni volta che gli faceva una richiesta del genere. Intanto, si teneva un impacco di ghiaccio – apparentemente comparso dal nulla – sulla tempia, esattamente dove aveva battuto.

              «Lo sai che non potrei anche volendo, Xiumin.»

L’altro sbuffò. «Non è giusto darla sempre vinta ad Ekhard,» disse, col tono di voce estremamente basso «Voglio dire, se tutt’e dodici cercassimo di ribellarci, ci sarebbero intere galassie simili ad Hestil. Immagina gli uomini, poi-»

              «Non è possibile. Non riusciamo neanche ad andare del tutto d’accordo fra di noi. Come pretendi di poter conciliare caos ed ordine? Bene e male?» Sospirò. «Ormai ne abbiamo parlato così tante volte che ripeto queste parole come una mantra. Lasciamo perdere questo discorso, Xiumin, e non riprendiamolo più.»

SuHo, quindi, decise di alzarsi dal suo letto. Lì ad Hestil avevano giacigli e dimore accoglienti, seppur in luoghi decisamente inusuali. Il dio dell’acqua viveva in una struttura fluttuante che spiccava al disopra di nient’altro che l’immenso lago attorno al quale si sviluppava il resto di quel mondo. La sua dimora non era grandissima. Vi era solo la sua stanza, un bagno ed una piccola cucina, tutto arredato in maniera abbastanza sobria, in perfetto stile umano. Quelli eccentrici, del resto, erano tutti a Gweluon.

Mentre si stava dirigendo verso la porta, dovette fermarsi, sentendo Xiumin parlare nuovamente.

              «Mi manchi, SuHo.»

Abbassò la testa, sospirando. Alzando un po’ la voce, in modo da farsi sentire, si apprestò a rispondere.

«Anche tu, Xiumin. Buonanotte.»

 

Andò quindi a salutare le creature che popolavano il lago Ion.

Il lago Ion non aveva una fine, vale a dire che non possedeva un fondale. La sua grandezza era tale che neanche il guardiano di Hestil sapesse per quanto s’estendeva né conoscesse l’ammontare di esseri che vi vivevano. Il lago Ion fu creato successivamente all’albero della vita Gaerdaer in modo da continuare a nutrirlo, eternamente, attraverso le sue acque. Non è propriamente corretto definirle “acque”. Non ci si bagnava nel momento dell’immersione e, a voler raccogliere un po’ di quel liquido azzurro brillante, questo non si sarebbe mai e poi mai trattenuto fra le mani. Era così impossibile asportarlo da Hestil. Tuttavia, nonostante a livello fisico non avesse alcun effetto particolare su chi si immergeva, rimanendo solo con i piedi a mollo per cinque minuti, si poteva sentire un benessere generale diffondersi per tutto il corpo.

Nuotando velocemente verso la superficie, SuHo sbucò dal lago con la velocità simile a quella di un missile, diffondendo zampilli lucenti ovunque. Ed intanto che, con calma, si apprestava ad atterrare sulla sponda, lanciò una fugace occhiata al cielo limpido. Vide la scia che il guardiano di Gweluon stava lasciando intanto che volava chissà dove per poter incontrare la madre. Una volta con i piedi saldi a terra, si voltò a guardare la torre della fenice. Il fuoco che ardeva incessantemente sulla cima aumentò d’intensità luminosa. Si ritrovò a sospirare, prima di iniziare il suo giro di ricognizione.

 

Il guardiano di Gweluon, ascendendo dal fuoco che ardeva sulla torre della fenice, senza potervi – a malincuore – sostare, andò ad incontrare nuovamente la Madre per la quinta volta nel giro di un mese. Generalmente, agli dei, capitava di incontrare i due supremi una volta ogni venti anni. Potete ben capire, quindi, come essere chiamato al suo cospetto per così tante volte di seguito fosse un evento incredibile quanto preoccupante.

Nella dimensione immateriale della Madre, nessun guardiano né tantomeno gli dei minori, potevano utilizzare i loro poteri. Il dragone, così, si ritrovava a dover salire innumerevoli gradini ogni volta, in modo da poter arrivare di fronte a quella donna vestita di bianco. A dire il vero, lì ogni singola cosa era bianca. Non v’era alcuna variazione cromatica minima. Al guardiano di Gweluon, non faceva paura mai nulla, sul serio. Non si vergognava, addirittura, della cicatrice che gli era stata inflitta da Ekhard quando aveva osato provocarlo. Eppure, Ekhard, colui che era il male, colui che era un dio supremo, non lo spaventava. Anzi, si ritrovava a pensare a lui con sufficienza, venendogli spontaneo da parlarne e da trattarlo in maniera beffarda. La Madre, invece, portatrice dell’essenza del bene, di tutto ciò che doveva essere buono, paradossalmente, gli incuteva timore. Il candore esasperante di quel posto nel quale non vi era nient’altro se non una ripida scalinata che portava ad una specie di podio neanche troppo grande, senza nemmeno un “trono”, non faceva altro che aumentare l’ansia che prendeva il sopravvento su di lui.

«Non dovresti venire qui sfruttando il volo, Kris. Non sarà l’ultima volta che ti chiamerò e potresti iniziare sul serio a stancarti.»

Se non altro, per lo meno, quella donna teneva fede all’ideale di bontà, guardando coloro con cui parlava con un’espressione ed un sorriso magnanimo.

              «Dovrei mandare Kai a prenderti, la prossima volta.»

Il guardiano di Gweluon scosse la testa, subito contrariato. «No, è troppo pericoloso che venga da noi.»

Entrambi tacquero. La madre, ora, lo stava guardando con un sorriso per qualche motivo divertito. Più che guardarlo, lo osservava. Prese a girargli intorno, il vestito bianco che, toccando a terra, seguiva i suoi movimenti. Portò una mano sotto il mento, segno che aveva preso a pensare.

La Madre era l’entità che racchiude in sé il significato ultimo di tutte le cose, colei dalla quale, chissà quando e chissà dove, tutto ebbe inizio. Semplicemente, la Madre era eterna, senza un passato, un presente o un futuro. Si presentava come una giovane donna durante i suoi vent’anni. Non vi dirò che era di indubbia bellezza perché lei, invece, oltre che ad essere l’eternità, ad essere l’origine di tutto, era la perfezione.

Ancora, al guardiano di Gweluon tutti questi dettagli non incutevano timore. Erano solo tante cose che, messe insieme, lo portavano a stare al di sotto di lei solo di un gradino. Fra l’altro, al suo cospetto non si inchinava mai. Era quel sorriso bonario, invece, che lo faceva rimanere in tensione come una corda di violino.

La Madre girò attorno a lui almeno due volte. Poi gli si fermò davanti, a braccia incrociate.

              «Se dici che è pericoloso, allora hai intuito cosa sta succedendo, giusto?»

Kris premette due dita contro una tempia, chiudendo gli occhi e sospirando, al limite della sopportazione.

              «Non potrebbe gentilmente dirmi cosa diamine sta succedendo? Sa com’è, ho il fuoco della distruzione da alimentare e tutte queste cosucce che potrebbero mandare in tilt l’universo. Ora,» pausò per un istante, cercando di incanalare altro ossigeno per poter parlare, intanto che l’altra prendeva di nuovo a girare attorno a lui, ridacchiando «Abbiamo capito che Ekhard ha in testa qualcosa perché, oh, ce lo sentiamo dentro quindi devo continuare a venire qui allarmando tutti quanti. Ieri mi ha detto di tenerlo a bada, gridandomi contro, ma non ci sto capendo nu-»

              «Oppure è che vuoi non aver capito, Kris?»

Ora gli si era fermata accanto, mettendogli una mano sulla spalla. Lo guardava sorridendo.

Il guardiano di Gweluon spostò lo sguardo di lato, corrucciato. La Madre, come sempre, aveva ragione.

              «Cosa dobbiamo aspettare?»

              «Che la sabbia smetta di scorrere.»

 

***

              «Stai facendo scorrere la luce, oppure stai qui a far nulla?»

SuHo venne abbagliato da un fascio di luce improvviso. Portando due dita a stropicciarsi gli occhi, prese a lamentarsi, come suo solito, senza ottenere alcun risultato.

              «Sto facendo scorrere la luce, sì, basta che stai zitto, SuHo, cavolo! Non ti si può sentire!»

Il dio della luce si girò su un fianco, rotolando sull’erba, dando così le spalle al guardiano.

              «Grazie per l’attenzione.» disse. Avrebbe voluto avere un’aria infastidita, dura, ma finiva sempre col risultare dispiaciuto e ferito, nonostante cercasse di non darlo a vedere il più possibile.

              «Comunque, hai visto Kai?»

L’altro fece spallucce.

              «BaekHyun…»

              «Non sono affari miei.»

SuHo sospirò, abbassando la testa. Poi riprese. «Se non te ne fossi reso conto, qui sta succedendo qualcosa, e dovreste cercare di mettere la testa a posto e aiutar-»

              «E’ a Gweluon.» lo interruppe il dio della luce, facendolo raggelare all’istante.

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Capitolo 3
*** Chap. 3 ***


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NdA: Boh, sono le quattro di mattina ed io ho scritto il terzo capitolo di questa storia. Non avevo mai finito così tanti capitoli nel giro di un giorno. Mi pare di star sognando. E non me ne frega se fra due ore dovrei alzarmi per andare al mio schifosissimo liceo e sorbirmi le solite battaglie giornaliere. Sono dannatamente felice. E sono qui ad ascoltare Tablo ed i Jazzyfact, tranquilla, a scrivere in pace, e mi sento bene per la prima volta da mesi. Mi ero scordata cosa la scrittura dovrebbe portarmi realmente.
Comunque, venendo al capitolo, mi spiace di aver lasciato quell’accenno di lime così, come sospeso, ma un po’ perché è davvero tardi, un po’ perché – nonostante sia dello spirito adatto per scriverne una – vorrei evitare di scrivere qualcosa di troppo dettagliato fra questi due, che non sono il mio pairing preferito, se non ve ne foste accorti. LOL
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, come sempre. Un bacio.









3.

 

              «Non capisco per quale motivo tu ti stia scaldando tanto!»

BaekHyun, ora spostatosi insieme al guardiano vicino al lago Ion, stava discutendo con lui.

              «Voglio dire, non è la prima volta che va al Mondo di sotto. Tutti ci siamo andati!»

              «Non è questo il punto!»

SuHo era diventato una pentola a pressione, pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Camminava avanti e dietro con passi veloci, ogni tanto portando le mani fra i capelli rossicci, guardando dove capitava con nervosismo, stranamente allarmato. Intanto, BaekHyun continuava a non capire il motivo di così tanta agitazione.

              «E quale sarebbe il punto, SuHo?» chiese, braccia incrociate, aria insofferente come suo solito.

              «Quale sarebbe?» ripeté, fermandosi di fronte a lui, guardandolo arrabbiato, per una volta.

              «Sarebbe che non mi date ascolto mai! E sono altamente stufo. E con darmi ascolto, non dico che dovete fare tutto quello che vi dico…»

              «E ci mancherebbe…» fece l’altro fra i denti, senza guardarlo, determinando solo un’altra stilettata al cuore del guardiano, il quale mandò giù l’ennesimo boccone amaro.

              «Dico che dovete aiutarmi, che dovete informarmi di queste cose. Se sapevi che Kai s’era spostato, avresti dovuto dirmelo, BaekHyun!»

L’altro fece spallucce. «Non vedo per quale motivo. Non sapevo che dovessimo informarti dei nostri spostamenti. Fra l’altro sono affari suoi.»

BaekHyun guardò il dio dell’acqua squadrandolo dalla testa ai piedi. Poi puntò gli occhi nei suoi, assottigliandoli leggermente. L’altro rimase come paralizzato, chiedendosi il perché di quello sguardo apparentemente pieno d’odio.

              «Cos-»

              «Non sei neanche ChanYeol e non vedo per quale motivo dovrei tenere conto di te. Non sei il vero guardiano.»

SuHo ascoltò esterrefatto ciò che l’altro aveva da dire. Pensava che, nel momento in cui sarebbe esploso, avrebbe reagito violentemente ed invece, tutto quello che gli veniva da fare, era lasciare che le lacrime iniziassero a bagnargli gli occhi. Eppure era un uomo, lui. Un uomo, non più un dio. Ed era un uomo estremamente stanco.

              «E’ colpa tua se ChanYeol sta così… E’ sicuramente colpa tua.»

Alle spalle del guardiano, il volume delle acque del lago Ion stava iniziando a crescere, l’azzurro brillante che emanava luce che, presto, sarebbe diventata fastidiosa.

              «Gli hai solo creato problemi. Gli hai fatto fare un passo falso per poter diventare il guardiano di Hestil!»

Avrebbe continuato a parlare, ma si costrinse a serrare la bocca, quando vide le acque sollevarsi in un’onda gigantesca che, però, rimaneva lì dov’era, senza muoversi. Era imponente, incuteva timore, alta almeno una ventina di metri. D’un tratto anche SuHo face paura ed istintivamente BaekHyun indietreggiò di un paio di passi, accovacciandosi, e coprendo la testa con le braccia, nel tentativo di proteggersi dall’onda in caso gliel’avesse scagliata contro, preda della furia e dell’amarezza che aveva fatto crescere in lui senza scrupoli con quelle parole.

Qualche secondo dopo sentì delle gocce leggere bagnarlo. Sollevò lo sguardo, notando che le acque del lago Ion erano tornate allo stesso livello originario, ma continuando ad agitarsi ancora per un po’. Il guardiano era sparito.

 

***

Cantando qualche canzone sentita sulla Terra, il dio dello spazio stava appollaiato su uno degli immensi ed infiniti rami dell’albero Gaerdaer, quello che reggeva la Via Lattea. E si guardava intorno, oscillando le gambe a penzoloni, godendosi un po’ di pace in quel luogo nel quale solo lui poteva arrivare – fatta eccezione per la fenice ed il dragone.

Dopo un po’, decise che poteva finalmente andare a Gweluon e fare visita agli altri dei, andare ad infastidire il dio del tuono, come suo solito, e salutare il guardiano al quale, in vero, era molto affezionato.

Si scostò dal ramo, strofinò le mani per rimuovere la polvere dorata che era rimasta sui palmi, e lo stesso fece con i pantaloni. Teletrasportandosi, iniziò a scendere seguendo il lunghissimo tronco dell’albero. Una volta arrivato in prossimità delle radici, scomparì di nuovo, lasciando un alone per qualche istante, abbandonando così la dimensione dell’albero della vita.

 

              «Mi hai fatto venire un colpo, accidenti!»

Ed il dio del tuono, vedendo quello dello spazio piombare sulla sua scrivania all’improvviso, provocando la caduta istantanea di tutte le sue scartoffie e dei numerosi libri, non fece altro che sollevarsi dalla sedia di almeno un centimetro per lo spavento.

              «Dovrei mandarti una raccomandata la prossima volta che ho intenzione di venire, Chen-Chen?»

              «E non chiamarmi Chen-Chen.» lo rimbeccò il dio del tuono, ora in piedi, puntandogli un dito sul petto.

L’altro lo guardava sorridendo, seduto a gambe incrociate sul tavolo, i capelli scuri e lunghi che gli ricadevano sugli occhi, ma che non si prendeva la briga di spostare.

Chen prese a raccogliere i fogli sparsi sul pavimento, intervallando i suoi movimenti con qualche grugnito di disappunto, che aumentava d’intensità ogni volta che l’altro si ritrovava a ridere.

              «Come stai, Kai?» chiese alla fine, ancora leggermente infastidito, portando alla scrivania alcuni dei fogli che aveva raccolto.

              «Come sempre. Anzi, no…» e assunse un’aria pensosa, per poi riprendere a parlare dopo poco: «Stanotte, cioè, la vostra ieri matti-»

              «Non c’è bisogno che specifichi ogni volta; vieni al dunque.»

L’altro sbuffò, apprestandosi a continuare.

«Ieri notte sono andato a trovare KyungSoo.»

              «Ah. Allora? Come sta?» chiese, adesso interessato a ciò che avrebbe avuto da dirgli.

Kai fece spallucce, abbassando la testa con evidente aria incupita.

              «Sta bene, ma dice che vuole tornare ad Hestil. La Terra non è un bel posto. Gli pare molto più simile a Gweluon. Ogni tanto ci faccio un giro anche io, ma visito i posti che mi consiglia lui e non mi sembrano tanto male, quindi non riesco a capirlo pienamente, ma non ha voluto spiegarmi altro.»

Il dio del tuono, tornando seduto alla sua scrivania, sollevò lo sguardo verso l’altro, appena più addolcito. Gweluon era sicuramente il posto peggiore di tutti. Ogni tanto si vedevano camminare fra le valli deserte alcuni esseri monumentali ed orribili creati da Ekhard per chissà quale motivo, e distruggevano, facevano un gran chiasso e mettevano paura persino a loro dei. A differenza della Terra, però, a Gweluon non c’era mai un attimo di pausa. Tutto doveva essere sempre eternamente terribile, spaventoso ed insopportabile. Loro non vi badavano più di tanto. E Chen non poteva comprendere come KyungSoo potesse trovarsi tanto male sul pianeta degli uomini. Forse qualcosa gli sfuggiva, ma era più propenso a pensare che il dio della terra fosse troppo abituato alla pace di Hestil.

              «Non posso darti una spiegazione, io, al perché KyungSoo si senta così sulla terra. Magari dovresti parlarne con qualcun altro. Qui a Gweluon siamo abituati ad atrocità che penso sulla Terra non si vedano e potrei minimizzare il suo problema.»

Kai sbuffò, scendendo quindi dalla scrivania dell’amico, senza scollargli ancora gli occhi di dosso.

              «Kris è alla torre? Andrò a parlare con lui. E’ da un po’ che non lo vedo.»

Chen si alzò, andando ad avvicinarsi al bordo del pavimento – perché lì non vi erano pareti salde, solo quelle quasi impercettibili di una bolla comunque molto resistente. Guardò in basso, verso la torre del dragone, notando che le fiamme non erano ardenti come al solito.

              «Penso sia ad Hestil.»

              «Ad Hestil?» chiese l’altro, decisamente sorpreso.

              «S’è già spostato cinque volte in questo mese. Non lo sapevi?»

Kai lo fissò per qualche istante e quello bastò al dio del tuono per comprendere che la risposta sarebbe stata negativa.

 

***

«Ti amo. Ti amo tantissimo, lo sai, vero?»

Ogni stanza della torre della fenice era dannatamente confortevole. Il pavimento di legno ogni tanto scricchiolava, ma era piacevole da sentire. Camminando scalzi si poteva sentire quanto fossero morbidi gli enormi tappeti sparsi un po’ ovunque. I mobili antichi ed eleganti arredavano ogni singolo angolo. Le imbottiture delle sedie e dei divani conciliavano il sonno, le pesanti tende bordeaux drappeggiate filtravano quasi totalmente la luce. Tutto ciò di veramente luminoso, lì, erano delle candele e gli innumerevoli camini accesi. Ed il fuoco che ardeva, toccandolo, non bruciava. Guariva.

E BaekHyun si sentiva in pace, lì. Avrebbe voluto passarci il resto della sua vita eterna, se solo avesse potuto. Lui si era sempre rifiutato di avere una fissa dimora, ma lì sarebbe stato diverso.

BaekHyun non era una cattiva persona. E’ vero che nutriva rancore per SuHo – e lui stesso sapeva che era ingiustificato – che, in linea generale, non era troppo simpatico con nessun’altro degli dei, ma, in fondo, sapeva di volere loro bene. Poi, lui era il dio della luce e ciò che maggiormente avrebbe voluto fare, sarebbe stato riuscire ad illuminarli nel profondo del loro essere, permettere a tutt’e dodici di vivere più serenamente, ed invece…

              «Lo so, BaekHyun, lo so…»

Quei baci risultavano roventi, impetuosi, rabbiosi, intanto che ChanYeol, forte, continuava a spingere BaekHyun verso il suo immenso letto. Se non per rispondergli con quelle brevi parole piene di amarezza, non stava accennando a voler far staccare le loro labbra.

E il dio della luce percepiva tutto alla perfezione. Avrebbe voluto permettere a loro dodici di vivere meglio, ma più di ogni altra cosa, avrebbe voluto aiutare la fenice a risorgere dalle ceneri nelle quali s’era ridotta da troppo tempo.

Quasi impercettibili goccioline di sangue iniziarono a venir fuori dal labbro inferiore di BaekHyun, dopo che ChanYeol l’aveva morso forse con troppa forza, ma, in ogni caso, la fenice non vi aveva dato troppo peso. Il dio della luce, comunque, rimaneva immobile, adesso, a guardare di lato, verso le tende pesanti, intanto che l’altro si apprestava a lasciare scie di piccoli baci sul suo collo, fin quando non si fermò all’altezza della clavicola, iniziando a rendere quella porzione di pelle bollente, succhiando, mordendo e leccando, contento solo quando vide comparire un vistoso segno rosso. E BaekHyun si ammaccava ancora un po’, moriva ancora un po’ dentro.

              «Si vede che oggi Kris è ad Hestil…» disse, a voce bassa.

A quella frase, come di riflesso, ChanYeol lo morse sul collo, proprio dove lo fanno i vampiri, e finì con l’aprirgli la camicia bianca strappandola, facendo saltarne i bottoni chissà dove.

              «Sì, si vede. Quanta forza ti dà, mh…?»

ChanYeol spinse col bacino contro quello dell’altro, di scatto, a sentire ancora altre parole provenire dalla bocca di BaekHyun, pervase, in più, da amarezza ed evidente rabbia.

              «Mi ami?» chiese la fenice, guardando l’altro negli occhi, con un’espressione che definirei ermetica.

BaekHyun annuì, senza esitazioni.

              «Allora fai solo la tua parte e sta’ zitto.»

 

BaekHyun era rimasto inerme, di nuovo. Aveva atteso che l’altro lo spogliasse (senza comunque possibilità di sentire freddo, per via della temperatura della torre) e che si fosse sfogato abbastanza sul suo corpo, lasciandogli copiosi graffi sul petto, sulla schiena, altri segni rossi sul collo.

Poi, il dio della luce, era morto ancora un po’, ripensando alle ultime parole che la fenice gli aveva rivolto, quando proprio lui aveva iniziato a prepararlo senza troppa attenzione, non curandosi se, effettivamente, i suoi muscoli potessero finalmente adattarsi alla successiva intrusione senza recargli dolore. E continuò a pensare infinite volte, ancora, a quelle parole. Perché quello era diventato il suo lavoro, appunto: andare di tanto in tanto a fargli visita in modo che ChanYeol potesse sfogarsi e sopperire alla sua parte mancante.

Lasciava che spingesse in lui quanto gli andava, con l’intensità che preferiva, ed apriva solo la bocca, se faceva male; non gridava. Prendeva tutto il dolore, fisico e mentale, e lo chiudeva in una specie di cassaforte che abbandonava da qualche parte in fondo a se stesso.

Non raggiungeva il piacere. O meglio, lo faceva, ma a momenti non se ne accorgeva ed era per semplice reazione delle scariche elettriche del suo corpo.

 

ChanYeol lo lasciò di nuovo in quella stanza enorme che, da essere accogliente, a BaekHyun adesso appariva come delle semplici quattro mura vuote, che non avrebbero potuto trasmettergli più nulla fin quando non avesse mandato giù quell’ennesimo boccone amaro. Si ripulì alla meno peggio e, con su solo i pantaloni e le scarpe, abbandonò la torre della fenice, con la camicia strappata in mano.

Una volta fuori, intanto che camminava, si voltò a guardare verso il lago Ion, sentendosi improvvisamente in colpa per le cose precedentemente dette al guardiano. Notò che le acque erano del loro solito azzurro, ma non splendevano. Ciò poteva solo stare a significare che SuHo si era allontanato da Hestil.

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