Appuntamento col Destino di Alexandra e Mac (/viewuser.php?uid=175435)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Frammenti dal passato ***
Capitolo 3: *** Sorprese ***
Capitolo 4: *** Nuove destinazioni ***
Capitolo 5: *** Un caso per due ***
Capitolo 6: *** Manovre d'accerchiamento ***
Capitolo 7: *** Incrinature ***
Capitolo 8: *** Un Incontro ***
Capitolo 9: *** La resa ***
Capitolo 10: *** Inganni ***
Capitolo 11: *** Rivelazioni ***
Capitolo 12: *** Decisioni ***
Capitolo 13: *** Una Scoperta ***
Capitolo 14: *** Qualcosa di diverso nei suoi occhi ***
Capitolo 15: *** Trame misteriose ***
Capitolo 16: *** Appuntamento col Destino ***
Capitolo 1 *** Un nuovo inizio ***
Disclaimers :
Il
marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO
PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di
lucro.
Qualunque riferimento a fatti o persone, che non
siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi
della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti
riservati.
Capitolo I
Un
nuovo inizio
Appartamento
del Capitano Harmon
Rabb
Hyde Park, Londra
Marzo 2005
La sveglia
suonò trillando allegra e lo squillo si diffuse
per l’appartamento semibuio. Fuori, la city aveva già cominciato la sua
frenetica giornata e la gente affollava le strade, i bus e i metrò.
Harm mise un
braccio fuori dalle coperte e assestò un
colpo deciso all’odiato aggeggio che smise di suonare. Aprì gli occhi e
scrutò
la penombra della camera da letto. Udiva il rumore attutito del
traffico cittadino
che gli ricordava dove si trovava: Londra.
In cucina
rumore di piatti e padelle che sbattevano e
armadietti che venivano prima aperti e poi chiusi. Si alzò e s’infilò
una
T-shirt sopra i boxer; scostò i pesanti tendaggi che oscuravano la
camera e guardò
fuori arricciando il naso in una smorfia di disgusto.
“Pioggia”
disse a mezza voce sbuffando, “ma lo sanno cos’è
la primavera o no?” Aprì la finestra per arieggiare la stanza.
Dalla cucina
arrivava profumo di pane tostato, bacon e
uova. Arricciò il naso ancora una volta.
“Ma questi
inglesi lo conoscono il caffè?” si chiese
dirigendosi verso la cucina.
“Ciao!” lo
salutò allegra Belinda e gli andò incontro
baciandolo sulla guancia ancora ispida.
“Ciao” la
salutò lui con affetto.
Lei tornò ad
occuparsi della teiera che cominciava a
fischiare. La pancetta friggeva e le uova strapazzate erano pronte.
Sulla
tavola facevano bella mostra di sé toast fumanti, marmellata di arance
amare e
succo d’arancia appena spremuto.
Si sedette un
po’ frastornato. Non era ancora abituato
alla tipica british breakfast, al massimo, quando era negli States, si
concedeva una tazza di caffè al volo prima di uscire di casa.
Ma ora non
era più a Washington e la sua vita era
completamente cambiata.
Guardò
Belinda che si muoveva con sicurezza come se quella
fosse stata da sempre la sua cucina e la sua casa.
L’aveva
conosciuta un paio di mesi prima ad una delle
solite riunioni con lo staff del Ministero degli Esteri. Era una
civile, la
segretaria di un qualche ministro di cui al momento gli sfuggiva il
nome. Lì
per lì non l’aveva colpito molto: non tanto alta, rossa di capelli e
con un
mare di lentiggini sul viso, assomigliava vagamente alla ex moglie del
principe
Andrea.
Tuttavia si
erano incontrati nuovamente ad un’altra
riunione e durante una pausa avevano incominciato a chiacchierare e tra
una
chiacchiera e l’altra lui le aveva detto di essere in cerca di
un’automobile
inglese d’epoca da acquistare. Belinda l’aveva notevolmente sorpreso
sfoggiando
una cultura in fatto di macchine, inglesi e non, davvero notevole.
Discretamente e con molta prudenza, l’aveva invitata per un drink (“Si dice un
the” l’aveva corretto lei) quella sera stessa per
continuare la conversazione.
Poi dal the era passato ad una cena, fino quando, appuntamento dopo
appuntamento
avevano finito col fare coppia fissa.
Belinda gli
piaceva, era socievole, cortese e dotata di un
sense of humour tipicamente inglese. Non solo, era anche intelligente
e, cosa
più importante, non aveva insistito per ritagliarsi uno spazio nella
sua vita.
Quando accadeva che si fermasse per la notte, e ultimamente stava
accadendo
molto spesso –tanto che lei aveva trasferito parte delle sue cose
nell’appartamento di lui-, non gli dispiaceva ritrovarla al mattino
addormentata accanto a sé oppure impegnata in cucina a preparargli la
colazione.
Stava bene
con lei, era un rapporto franco e sincero e
senza troppe complicazioni.
Le si sedette
di fronte e guardò sospettoso la tazza piena
di the fumante, annusandone l’aroma.
“Guarda che è
solo the, Harmon” gli disse Belinda con aria
canzonatoria. “Non ho intenzione di avvelenarti. È solo un sano e buon
Prince
of Wales tea.”
“Voi inglesi
siete strani, come facciate a bere questa
brodaglia a colazione, pranzo e cena ancora lo devo capire.”
“Noi inglesi
non siamo strani, siete voi americani quelli
fissati col caffè a tutte le ore!” ribattè divertita.
Risero e
terminarono la colazione.
Dopotutto
quella nuova vita non era poi così male, si
disse mentre la baciava prima di uscire.
Magari potrei anche impegnarmi
in qualcosa di più serio
con lei, pensò chiudendo la porta di casa.
Quel nuovo
inizio non gli dispiaceva davvero.
Palazzo di
Lord e Lady Belhaven
Londra
Marzo 1858
Molte
teste si voltarono all’ingresso della
donna in sgargiante abito rosso.
Il
ricevimento che quella sera, nel palazzo di
Lord Belhaven, inaugurava la stagione londinese, era diverso dai soliti
cui
l’aristocrazia inglese era abituata.
Si
trattava, infatti, di un ballo in maschera,
voluto dalla stessa Lady Belhaven per sfoggiare
l’abito che aveva acquistato in Italia poco più di un mese prima,
durante il
Carnevale di Venezia.
Lady
Amanda Belhaven si era invaghita di quella
mise
mascherata fin dal primo momento in cui l’aveva vista nel negozio di
Piazza S. Marco e aveva convinto il riluttante marito a comperargliela.
Lord
Belhaven non ne vedeva la necessità: dopotutto, per la festa di
Carnevale cui
erano stati invitati, era sufficiente fare come tutti gli altri ospiti
ed
affittare un abito adatto all’occasione in una delle varie sartorie che
da
tempo avevano intrapreso quell’usanza. Del resto era più che
comprensibile che gli
aristocratici italiani preferissero affittare ogni anno un abito
diverso, pur
pagandolo una discreta somma, piuttosto che spendere cifre da capogiro
per
costumi favolosi che avrebbero usato una sola volta. In quel modo
potevano
devolvere la stessa cifra per toilettes
che avrebbero potuto sfoggiare per lo
meno due volte nel corso della medesima stagione.
Lord
Anthony aveva tentato inutilmente di
convincere sua moglie ad evitare quell’inutile acquisto, ma lei, pur di
soddisfare il proprio capriccio, lo aveva abilmente convinto che
l’abito
avrebbe potuto usarlo almeno un’altra volta. Lord Belhaven, nel
domandare
ingenuamente dove e quando l’abito avrebbe fatto bella mostra di sé,
mai
avrebbe immaginato che “dove” sarebbe stato in casa propria e “quando”
avrebbe
significato “a breve”, ossia ad appena due settimane dal loro rientro
in
Inghilterra!
Rassegnato
all’inevitabile, aveva acquistato
l’abito per la moglie, evitando di dirle quanto le conferisse un’aria
ancora
più imponente di quella che già aveva, altrimenti era certo che i soldi
sarebbero stati buttati al vento. Lady Amanda, tutta felice, aveva
sfoggiato
l’abito alla festa del carnevale veneziano e quindi, rientrata in
patria, aveva
organizzato un ricevimento in maschera appositamente per farsi ammirare
dalle
sue amiche.
Nonostante
la reale motivazione che aveva dato
origine all’idea del ballo in maschera, Lord Belhaven doveva
riconoscere che la
pensata di sua moglie era stata davvero astuta e, soprattutto, accolta
con
entusiasmo dall’alta società londinese, sempre alla ricerca di
occasioni più o
meno valide per indire o per partecipare ad un serata mondana.
Quella
sera, nella loro sala da ballo, oltre
duecento invitati facevano sfoggio con allegria di abiti in maschera:
erano
soprattutto le signore ad avere le creazioni più stravaganti, come
ovvio; ma
egli aveva notato anche diversi uomini in costume, segno che l’idea era
davvero
piaciuta e aveva soprattutto divertito. Dal canto suo si era limitato
ad
indossare una maschera che gli celava ben poco il volto, lasciando i
riflettori
puntati sulla sua esuberante consorte.
Seguendo
lo sguardo ammirato di parecchi
uomini, nonché quello incuriosito e indagatore di molte signore, Lord
Belhaven
si voltò verso l’entrata del salone e per un attimo si fermò anch’egli
ad
ammirare la giovane donna che aveva appena fatto il suo ingresso.
La
dama in questione era davvero molto bella:
indossava un abito provocante, che scopriva ampiamente le spalle e
metteva in
risalto il seno generoso, molto più di quanto la moda pudica di quegli
anni avrebbe
permesso.
L’esile
collo era evidenziato dall’acconciatura
raccolta, dalla quale sfuggivano piccole ciocche di capelli neri.
Lunghi guanti
rosso fuoco, dello stesso colore dell’abito, coprivano le braccia,
facendo
risaltare maggiormente la pelle delle spalle e del decolleté. Non un
gioiello
adornava la donna, ma non ce n’era bisogno: era talmente seducente con
quell’abito che nessun gioiello avrebbe potuto renderla più
affascinante.
Una
mascherina in velluto nero le copriva gli
occhi, mentre un velo in pizzo, anch’esso nero, le velava il volto,
conferendole un’aria misteriosa e intrigante che attirava ancora di più
gli
sguardi dei signori e l’invidia delle signore.
Lord
Anthony avrebbe voluto poter esprimere a
sua moglie il suo pensiero di quel momento, ma sapeva che, se lo avesse
fatto,
la sua serata sarebbe stata irrimediabilmente rovinata: Lady Amanda si
sarebbe
offesa per il suo commento ed egli avrebbe dovuto dire addio alla pace
in
famiglia come minimo per una settimana. Tuttavia, osservando
l’affascinante
sconosciuta, non poteva fare a meno di pensare che, nonostante gli
sforzi
intrapresi dalle altre signore (alcune delle quali molto graziose) per
trovare
un costume originale o particolarmente appariscente, nessuna di loro,
neppure
sua moglie che indossava il costoso abito veneziano, era stata in grado
di
suscitare tanta ammirazione com’era riuscita a fare la bellissima donna
appena
arrivata semplicemente con un abito rosso fuoco ed una mascherina nera.
Si
domandò chi fosse la nuova invitata e decise
che avrebbe trascorso la serata ad osservarla fare strage di cuori
maschili. Si
divertiva parecchio durante i ricevimenti mondani ad osservare come gli
uomini,
spesso annoiati dai tentativi di parecchie signorine di attirare
l’attenzione
di un buon partito, diventassero istantaneamente interessati al ballo e
al
corteggiamento quando all’orizzonte si profilava una dama
particolarmente bella.
E
la signora in rosso era davvero molto bella ma,
soprattutto, molto intrigante.
Lord
Anthony sorrise tra sé e si disse
compiaciuto che la serata sarebbe stata più divertente di quanto
avrebbe mai
osato sperare.
Dopo
aver consegnato l’invito al maggiordomo
dei Belhaven, Lady Sarah Jane Montagu si fermò per un attimo ad
osservare lo
spettacolo che aveva davanti agli occhi prima di entrare nel vivo della
festa,
senza rendersi conto che, proprio fermandosi, non faceva altro che
attirare
maggiormente gli sguardi su di sé.
Alla
fine era contenta di aver deciso di
prender parte al ricevimento: l’ultimo anno era stato davvero difficile
e aveva
bisogno di godersi una serata in allegria. Il ballo in maschera di Lady
Belhaven era l’occasione adatta per rilassarsi, senza dover essere
costretta a
rispondere a domande fastidiose o a sentirsi fare nuovamente le
condoglianze
per il lutto che l’aveva recentemente colpita. L’anonimato della
maschera le
garantiva la privacy che le serviva per divertirsi, evitando di
sopportare le
noie della vita di società che a volte detestava cordialmente.
Si
guardò attorno: il salone risplendeva di
luci e colori; le signore facevano sfoggio di costumi davvero
appariscenti,
nonché originali, ed erano adornate di gioielli e in alcuni casi anche
parrucche,
per rendere i travestimenti più credibili.
Vi
erano principesse egizie, con tuniche e
tiare dorate e nobildonne in abito settecentesco, che volevano
ricordare la
regina Maria Antonietta; affascinanti corsare e seducenti gitane,
principesse
orientali e domini colorati… era impressionante osservare come la
fantasia delle
nobildonne inglesi si era lasciata trascinare dall’entusiasmo,
scordando
persino il pudore vittoriano che caratterizzava quegli anni, pur di agghindarsi per una
serata in maschera.
Gli
uomini erano più sobri, ma non mancavano
anche alcuni costumi maschili davvero originali. Nonostante il
travestimento riconobbe
facilmente alcuni degli invitati, mentre per altri l’impresa fu più
ardua,
tanto le loro toilettes erano molto convincenti.
Per
se stessa aveva volutamente puntato sul
mistero: nessun costume particolare per attirare l’attenzione, soltanto
una
maschera che le avrebbe permesso di nascondere la sua identità e
passare
inosservata.
Quello
sarebbe stato il suo intento, ma non
aveva tenuto conto di un particolare: l’effetto che faceva il suo
fisico
strepitoso inguainato nel provocante abito rosso.
Non
appena si decise ad entrare nel salone,
immediatamente fu attorniata da alcuni signori, più o meno giovani, che
si
prenotarono per un ballo.
Dopo
pochi minuti il suo carnet
era pieno e
stava già volteggiando tra le braccia del suo primo cavaliere,
travestito da
capitano della Marina britannica (o lo era davvero?).
Decise
di godersi la festa e le attenzioni
degli uomini sui quali, evidentemente, aveva fatto colpo. Per un breve
istante
la sua mente ritornò ad un altro uomo, col quale molto tempo prima e in
un
luogo lontano aveva danzato, ma immediatamente s’impose di scacciare
quel ricordo
dalla mente, prima che l’umore peggiorasse e si ritrovasse con gli
occhi pieni
di lacrime.
Uffici del JAG
Falls Church, Virginia
Marzo 2005
“Colonnello”
la salutò Vukotic incontrandola nell’atrio
del JAG al piano terra.
“Tenente”
rispose un po’ freddamente Mac.
Presero
l’ascensore e salirono al piano senza dirsi una
parola. A Mac Vukotic non piaceva, lo considerava troppo spavaldo e
superficiale nella gestione del lavoro, ed era per questo motivo che,
in più di
un’occasione, non l’aveva voluto come partner nella conduzione di
questa o
quella indagine, preferendogli sempre più spesso Bud.
Quando aveva
espresso le sue perplessità all’Ammiraglio,
questi le aveva risposto che il giovane Tenente gli ricordava un po’
Rabb agli
inizi della carriera.
Mac aveva
replicato che “Harm era
spavaldo e cow boy, ma sapeva
darsi un freno”, Vukotic no. Si impicciava troppo di
affari che non erano suoi
nel tentativo di ingraziarsela.
Dentro di sé,
ma questo all’Ammiraglio non l’aveva detto,
pensava che il tenente non avrebbe mai raggiunto il livello di bravura
del suo
predecessore.
Le porte
dell’ascensore si aprirono e Mac si diresse verso
la sua stanza senza nemmeno prendere un caffè. Ma ormai l’abitudine del
caffè
l’aveva persa da quando Harm non c’era più.
Com’era
difficile abituarsi alla sua assenza! Ancora
adesso, dopo quasi quattro mesi, quando aveva un dubbio su un caso e
desiderava
un consiglio, oppure quando aveva voglia di discutere di un qualcosa,
si alzava
e solo quando arrivava alla porta dell’ufficio si ricordava che la
stanza
attigua era occupata da Sturgis.
Tuttavia si
era adattata abbastanza bene a questa nuova
vita cercando di vederne il lato positivo: senza Harm le cose erano
infinitamente più semplici. Sotto ogni punto di vista.
E poi c’era
Clay. In tutto quel tempo le era sempre stato
accanto facendole una corte abbastanza serrata, ma non insistente o
noiosa:
cene nei più eleganti ristoranti di Washington, prime teatrali, viaggi
e
week-end in posti sempre diversi e bellissimi. E tutto questo senza
forzarle la
mano a prendere una decisione. Sembrava che volesse solo starle accanto
ed
amarla.
All’inizio si
era sentita in imbarazzo, ma poi, con il
passare dei mesi, aveva incominciato ad apprezzare tutto quello che lui
le
offriva. Sapeva che era un tentativo di chiederle scusa per la loro
storia
passata dopo il Paraguay, e Mac era più che disposta ad accettare
quelle scuse.
Clay era un uomo buono e dolce, bastava grattare sotto la scorza della
spia, e
alla fine si era convinta che la felicità con lui era possibile. Le
offriva una
vita agiata senza pretendere che rinunciasse alla carriera, l’amava, la
voleva
e glielo dimostrava. Cosa desiderare di più?
E la sera
prima, a casa di lei, dopo una cena molto
romantica aveva ceduto a lui, gli si era donata e aveva fatto l’amore
con Clay
con tutto il trasporto di cui era capace.
“Perché no?”
si disse mettendo finalmente mano al lavoro.
“Perché negarsi la felicità inseguendo una chimera?”
Per troppo
tempo si era cullata con l’idea di trovare
l’uomo perfetto, per troppo tempo aveva sperato in Harm, poiché in lui
vedeva la
realizzazione di ogni suo ideale. Ma ora era tempo di voltare pagina.
Harmon
Rabb jr le aveva fatto perdere di vista la concretezza e il lume della
ragione.
Certo il rapporto che c’era stato fra di loro era stato un qualcosa di
unico
che non avrebbe mai avuto eguali, ma questo non significava
necessariamente che
non avrebbe potuto vivere qualcosa di altrettanto bello e diverso con
un’altra
persona. Clayton Webb, per esempio.
Un nuovo inizio,
pensò sorridendo alla fotografia di
quello che ormai era diventato il suo compagno.
Ufficio di
Clayton Webb
Langley, Virginia
Marzo 2005
Clayton Webb
fissò il panorama che si distendeva sotto i
suoi occhi dalla vetrata del nuovo ufficio che occupava.
Direttore
Generale delle operazioni in Medioriente: ecco
il suo incarico. Un posto di responsabilità che avrebbe comportato una
sensibile diminuzione delle missioni sotto copertura, e, come
conseguenza, più
tempo da dedicare a Sarah.
“Sarah”
mormorò mentre un sorriso impercettibile piegava
gli angoli della bocca. Ne era innamorato da sempre, sin da quando
l’aveva
conosciuta, ma lei non aveva fatto altro che spasimare per
quell’arrogante
presuntuoso di Rabb, rovinandosi la vita per attirare la sua attenzione.
Ma adesso lui
era fuori gioco, lontano migliaia di miglia
e Sarah era tornata da lui. Finalmente.
Non aveva
voluto forzarla, la decisione era totalmente
dipesa da lei, anche se questo gli era costato un notevole sforzo. Più
di una
volta aveva dovuto trattenersi, ma quell’attesa snervante alla fine
aveva dato
i suoi frutti e la sera prima aveva potuto fare l’amore con lei
nuovamente.
Che
soddisfazione poterla avere fra le braccia mentre la
baciava e lei rispondeva con ardore e passione alle sue carezze e ai
suoi baci!
Quasi quasi avrebbe voluto scrivere due righe a Rabb per informarlo
dell’accaduto, ma poi ci aveva ripensato.
C’erano altri
modi per vincere. Invitarlo a nozze, per
esempio.
Perché lui
Sarah Mackenzie l’avrebbe sposata, anche se lei
ancora non lo sapeva.
“Un nuovo
bellissimo inizio” si disse soddisfatto voltandosi
e chiamando la segretaria.
Palazzo di
Lord e Lady Belhaven
Londra
Marzo 1858
Appoggiato
ad una colonna la osservava
affascinato volteggiare leggera tra le braccia di un ridicolo Lord
Gladstone
travestito da principe egiziano. Neppure l’attempato e notoriamente
misogino
Conte di Mondevale era stato in grado di resistere al fascino della
seducente
dama in rosso.
Da
quando era arrivata era stata travolta da
inviti di quasi ogni uomo presente in sala. Alcuni avevano persino
sopportato
gli sguardi irritati delle rispettive mogli, ben consapevoli che vi
sarebbe
stato più tardi anche un seguito a quelle occhiate, pur di poter
ballare almeno
una volta con lei. E lei danzava civettuola con ognuno dei suoi
cavalieri, ma
non concedeva mai a nessuno un secondo ballo.
Era
davvero molto bella: quell’abito rosso
fuoco le stava d’incanto e la maschera che le velava il volto la
rendeva più
intrigante di qualunque altra dama presente quella sera.
L’uomo
sorrise pigramente al pensiero di avere
tra le braccia quella bellissima donna, ma decise che non avrebbe
danzato con
lei in quel salone, sotto gli sguardi di tutti. Avrebbe atteso quando
certamente si sarebbe appartata un momento in giardino e poi l’avrebbe
invitata
a danzare con lui alla luce soffusa della luna.
Quella
sera di metà marzo, insolitamente
tiepida per il clima inglese, sembrava fare al caso suo: Lady Belhaven,
approfittando dell’insperata concessione del tempo, aveva fatto aprire
il
giardino e molte signore ne avevano già approfittato per prendere una
boccata
d’aria fresca, accompagnate dai gentiluomini che si erano concessi
volentieri
un sigaro.
Quasi
gli avesse letto nel pensiero, la vide
congedarsi da Lord Gladstone, rifiutare l’invito del visconte di
Kesington ad
accompagnarla, e dirigersi verso una portafinestra.
Aveva pensato di
attendere qualche minuto
prima di raggiungerla, ma l’impazienza di esserle accanto ebbe la
meglio su di
lui: uscì sul terrazzo, giusto in tempo per scorgerla scendere i
gradini che
conducevano al giardino.
Rapidamente
la seguì.
Mentre
dalla sala da ballo le giungevano le
note dell’orchestra, Lady Sarah passeggiò lentamente tra le aiuole
abilmente sistemate
dai giardinieri di Palazzo Belhaven, cercando di restare nella parte di
giardino dove erano state sistemate gaie luminarie. Sapeva bene che non
tutti i
sentieri erano illuminati e non voleva incontrare coppie che stavano
cercando
un po’ d’intimità nel buio della notte. Non si era fermata sulla
terrazza solo per
evitare di essere costretta ad intrattenersi con qualcuno, soprattutto
quando aveva
riconosciuto Lord e Lady Lyttelton che stavano parlando con Lord
Palmerston.
Lady Lyttelton era nota come una delle peggiori chiacchierone di Londra
e lei
non aveva alcuna intenzione di essere intrattenuta dalla anziana
nobildonna.
Aveva
appena aggirato un’alta siepe di bosso
quando, all’improvviso, si trovò di fronte un uomo in costume da
pirata.
Lo
sconosciuto, molto alto e di corporatura
atletica, la stava osservando con insistenza. Indossava pantaloni neri
aderenti
e una camicia candida, ampia e parzialmente aperta sul torace
muscoloso. Una
benda nera all’occhio destro e un fazzoletto, anche questo nero e
legato sul
capo alla maniera dei pirati, gli conferivano un aspetto un po’
pericoloso.
Lady
Sarah ricambiò lo sguardo e all’improvviso
pensò di avere una specie di deja-vu: se non fosse stato per la folta
barba scura
che ricopriva totalmente il volto del “pirata”, avrebbe quasi potuto
scambiarlo
per…
No.
Ma che andava a pensare? Non poteva essere
lui.
Doveva
smetterla di vederlo in ogni uomo alto e
bruno che le capitava di scorgere, anche solo da lontano.
Mentre
lo osservava, egli si accese un sigaro,
chinando la testa da un lato e riparando con le mani la fiamma; poi
tornò a
guardarla, mentre lentamente aspirava la prima boccata.
Con
un breve cenno del capo lei fece per
andarsene, ma la voce dello sconosciuto la fermò.
“Siete
bellissima…”
Turbata
da quella frase, si voltò bruscamente
verso di lui, con il cuore in gola: erano le stesse parole che, in
un’altra
vita, un altro uomo le aveva sussurrato mentre la prendeva tra le
braccia per
ballare.
Il
“pirata” la stava osservando intensamente,
quasi a volersi imprimere nella mente la sua immagine. Anche quello
sguardo la
turbò.
“Desidererei
moltissimo danzare con voi,
Milady…” aggiunse lui, porgendole il braccio.
Lady
Sarah rimase immobile, ancora sconvolta
dai ricordi che lo sconosciuto aveva risvegliato in lei: la voce era
diversa,
il timbro più basso, addirittura un po’ cavernoso… e poi mancava
dell’accento
francese che tanto l’aveva intrigata. L’uomo che aveva di fronte in
quel
momento parlava in perfetto inglese, privo d’inflessioni di sorta, come
si
conviene ad un nobile ben istruito.
Ma
quelle parole… e quel “Milady”…
Era
pazza, lo sapeva! Come si aspettava che le si
rivolgesse un gentiluomo inglese se non come “Milady”, non sapendo chi
lei
fosse?
Eppure…
eppure era bastato quell’appellativo,
lo stesso con cui le si rivolgeva prima che l’intimità tra loro gli
facesse
mormorare il suo nome con quel tono di voce sussurrato e appassionato
che le
faceva venire i brividi… era bastato quell’appellativo per farle salire
le
lacrime agli occhi.
Soffocando
a stento i singhiozzi, si voltò di
scatto e prese a correre verso il palazzo, per sfuggire allo
sconosciuto che le
aveva sconvolto la serata con una semplice e innocua frase.
Per
quanto tempo ancora il suo cuore si sarebbe
spezzato al solo ricordo di André François D’Harmòn?
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Capitolo 2 *** Frammenti dal passato ***
Capitolo II
Frammenti
dal passato
Appartamento
del Tenente
Colonnello Sarah MacKenzie
Georgetown
Marzo
2005
Mac stava
facendo la valigia, sarebbe partita l’indomani
per le Hawaii con Clay per una quindicina di giorni. Non era stato
difficile
farsi dare quelle due settimane dall’Ammiraglio, aveva un sacco di
licenze in
arretrato da smaltire.
In sottofondo
Michael Bublé cantava “Feeling
Good”, una
canzone che si addiceva perfettamente al suo stato d’animo attuale.
Aprì
l’armadio e prese la scatola di stoffa dove erano
conservati i costumi da bagno. Per come la stava trattando Clay le
sarebbe
bastato partire con il solo beauty case del bagno, anzi a ben pensarci
nemmeno
quello! Avrebbe potuto andare all’aeroporto l’indomani in divisa e lui
le
avrebbe acquistato tutto ciò che le serviva, e anche qualcosa di più. E
naturalmente si sarebbe trattato di capi della miglior qualità. Per
Webb o il
meglio o niente per la sua donna.
Tuttavia non
voleva approfittarsene, anche se le piaceva
da matti come lui la stava viziando e coccolando, pertanto avrebbe
fatto la
valigia come se nulla fosse.
Era felice.
Aspettava con ansia quella vacanza da tre
settimane prima, quando lui gliel’aveva proposta. Sospettava che stesse
preparando qualcosa solo per loro due, ormai lo conosceva bene, ma non
riusciva
a capire cosa fosse. Da bravo agente CIA aveva mantenuto il più
assoluto
riserbo.
Ad ogni modo
era impaziente di partire e si sentiva bene
come non le accadeva da tempo.
Fischiettando
il motivo principale della canzone, aprì la
scatola e ne estrasse i costumi disponendoli sul copriletto per
scegliere quali
portarsi via e come abbinarli ai pareo e ai copri costumi. A tal fine
prese un
altro contenitore dal fondo dell’armadio e lo aprì estraendo, appunto,
i
coordinati ai bikini.
Passò poi
agli abiti estivi, e al resto della biancheria.
Quando fu
certa che tutto fosse pronto, aprì la porta del
ripostiglio, in corridoio, e prese il trolley, ma nell’estrarlo le
rotelle si
incastrarono in qualcosa e un mucchio di scatoloni cadde a terra
sparpagliando
il contenuto. L’occhio le cadde su una foto scattata tempo addietro da
Benzinger’s.
C’erano
tutti: lei, Bud, Harriet, Sturgis, l’Ammiraglio,
Mickey, Jennifer e Mattie. E naturalmente Harm. Tutti erano in alta
uniforme e
Mattie indossava un abito da cocktail davvero stupefacente. Era la sera
in cui
avevano festeggiato la promozione di Harm a Capitano…
L’Ammiraglio
li aveva convocati tutti in sala riunioni, e
a tutti era parso strano. Di solito non teneva briefing lì e gli ordini
li
comunicava nel suo ufficio.
“Ci sarà un
grosso cambiamento all’interno del JAG” esordì
AJ guardandoli uno ad uno. Non aveva aggiunto altro e aveva consegnato
un
foglio ad Harm.
“Procura
Militare, Forze Navali, Europa” lesse lui ad alta
voce. “Che vuole dire Signore?” chiese perplesso.
“E’ stato
assegnato a Londra, Comandante, partirà fra tre
giorni.”
“Come? Cosa?”
Harm era frastornato, nessuno gli aveva
parlato di un trasferimento. Non fino a quel momento.
“E’ un posto
da Capitano. La Commissione promozioni
ha appena approvato e autorizzato l’avanzamento. Congratulazioni,
Capitano
Rabb.”
Mac si era
accorta che sotto il tono burbero
dell’Ammiraglio si celava una profonda tristezza. Perdeva il migliore
dei suoi,
il suo pupillo, il figlio che avrebbe voluto, il suo erede. Ma gli
ordini erano
ordini e andavano eseguiti senza discussioni. Se Harm era destinato a
Londra, a
Londra sarebbe andato.
E lei? Lei
che avrebbe fatto? Meglio non pensarci per ora.
“Sarà
l’avvocato con maggiore grado di anzianità di
servizio in Europa Comand… Capitano. È un trampolino di lancio verso il
JAG”
era intervenuto entusiasta Bud.
“Non ho
intenzione di dimettermi, Comandante Roberts, non
ancora per il momento” l’aveva redarguito brusco AJ.
Bud era
battuto in ritirata, scusandosi per la gaffe.
“E’
autorizzato a scegliere il suo staff. Solo, per
favore, cerchi di non fare a pugni in pubblico con il Colonnello per
decidere
chi dovrà restare e chi, invece, dovrà partire con lei. Certo sarebbe
qualcosa
cui siamo tutti abituati, ma evitatelo. Intesi?”
Harm e Mac si
guardarono, ancora increduli.
“Sì Signore”
risposero poi.
“E’ tutto,
potete andare” li congedò l’Ammiraglio, la voce
ferma, ma non troppo.
Si
ritrovarono fuori dalla sala riunioni.
“Cos’è
accaduto?”
“Credo che il
nostro mondo si sia rovesciato” le rispose
Harm.
“Capitano…”
lo squadrò lei. “Non avrei mai pensato che ti
avrebbero promosso, specialmente dopo il Paraguay.”
“Non me
l’aspettavo nemmeno io” rispose. “Non ti
preoccupare il tuo turno arriverà presto.”
“Non essere
condiscendente per favore” rispose piccata,
“non lo sopporto.”
“Non volevo
essere condiscendente, cercavo di essere
solidale.”
Mac tornò
alla propria stanza e si sedette pesantemente
sulla poltrona. Tre giorni e poi lui se ne sarebbe andato a Londra per
sempre e
ancora fra loro tutto era come prima.
Londra… 5489 miglia,
dieci ore e mezza di volo. Come
sarebbe stato possibile mantenere i contatti? Come sarebbe stato
possibile
chiarire, parlare…
Non era
accaduto nulla, anzi le cose erano peggiorate a
tal punto che, alla fine, Mac aveva benedetto la partenza di Harm.
Raccolse gli
oggetti e li rimise a posto, ma trattenne
ancora un attimo in mano la foto.
Aveva tanto
sperato che dopo quel bacio tutto sarebbe
andato a posto! E invece Harm aveva, come suo solito, male interpretato
la
situazione che si era creata con Clay dando così un calcio alle sue
speranze.
Al tempo lei
non aveva nessuna intenzione di far entrare
Webb nella sua vita. Voleva il suo marinaio dallo sguardo di mare,
voleva le
sue braccia intorno a sé, le sue labbra per sé, e quando Clay si era
nuovamente
affacciato alla sua esistenza, Harm non le aveva dato il tempo di
spiegarsi.
Era l’ultima
sera che Harm avrebbe trascorso negli States,
si sarebbe aspettata che organizzasse un qualcosa con tutti gli altri,
e invece
lui non aveva detto o fatto alcunché, per cui, nella speranza di in
colloquio
chiarificatore definitivo, si era risolta ad invitarlo a cena a casa
sua.
Voleva
mettere un punto fermo alla loro non-storia, e
forse la scadenza definitiva che quel trasferimento rappresentava
l’avrebbe
fatto decidere.
Radunò le sue
cose e uscì dall’ufficio. Avrebbe voluto
uscire prima, ma all’ultimo minuto un contrattempo l’aveva bloccata e
adesso
era un po’ in ritardo. Desiderava preparare una cena degna di questo
nome. Se poi
era l’ultima che avrebbero consumato insieme…
Meno male che
Harm era un ritardatario cronico!
Sulla via di
casa si sentiva triste. Un pezzo della sua
vita, un pezzo importante, se ne stava andando. Un capitolo si
chiudeva, ma Mac
non voleva che si chiudesse, desiderava giungere ad un inizio con Harm,
anche
se lui sarebbe stato lontano. In qualche modo avrebbero fatto.
Sì, quella
sera, a cena, gli avrebbe parlato, gli avrebbe
aperto il cuore, gli avrebbe confessato tutto senza giri di parole,
senza fronzoli.
Presa quella
decisione si sentì meglio.
Parcheggiò
sotto casa e salì. La sua previdenza l’aveva
spinta a riempire la dispensa il giorno prima, anche se la decisione di
invitarlo a cena l’aveva presa solo quella mattina.
Girò la
chiave nella toppa e aprì la porta. Il profumo di
centinaia di rose la colpì in pieno. Frastornata entrò
nell’appartamento
pensando per un attimo di aver sbagliato. Ma dopo aver acceso la luce
si
accorse che quella era proprio casa sua, completamente invasa da rose
rosse.
Ce n’erano
ovunque, in salotto, in corridoio, in camera,
in bagno e persino in cucina! Tornò verso l’ingresso, sperando di
trovare un
biglietto che le dicesse chi fosse il folle che aveva speso
un’autentica
fortuna per mandarle tutti quei fiori, ma non c’era nulla. Alla fine
rinvenne
una piccola busta posata con cura sul tavolo da toeletta in camera da
letto. La
aprì.
‘Per la più bella delle rose’
c’era scritto. Non era
firmato, ma aveva intuito da chi provenissero tutti quei fiori: Clay,
non
poteva che essere stato lui.
E adesso? Che
fare?
Guardò
l’orologio. Non le restava molto tempo a
disposizione se voleva sgomberare il più possibile l’appartamento e
preparare
la cena.
Prima di
tutto si ficcò sotto la doccia per togliersi la
stanchezza della giornata. Dopo dieci minuti era fuori e stava mettendo
l’acqua
per la pasta a bollire. In attesa che bollisse avrebbe cercato di
sistemare i
mazzi di rose in stanze dove era certa Harm non avrebbe messo il naso.
Che
imbarazzo! Ma cosa era venuto in mente a Clay?!
Purtroppo
l’impresa si rivelò una fatica di Sisifo, perché
Harm arrivò puntuale all’orario prestabilito. E lei non era ancora a
metà
dell’opera!
Una parte dei
numerosi mazzi li aveva sistemati sul
balcone, disponendoli nel maggior numero di vasi possibile, altri erano
finiti in
camera da letto, altri ancora nel piatto doccia, nondimeno ne restavano
ancora
alcune decine in salotto, e Mac non sapeva più da che parte metterli.
La cucina
era impraticabile, fra padelle, piatti, posate e tutto il resto.
Stava
decidendo dove mettere le dannate rose quando il
campanello suonò e contestualmente la porta si aprì.
“Harm?!”
esclamò incredula.
“Per una
volta tanto sono in orario e tu ti lamenti?” le
aveva risposto lui divertito. Poi aveva annusato l’aria della casa
percependo
l’aroma dei fiori e, entrato, aveva dato una lunga occhiata al salotto
notando
i numerosi mazzi di rose.
“Cosa è
accaduto Mac? Il fioraio qui sotto non aveva più
spazio nella sua serra?” le chiese.
“Già… il
fioraio. Magari fosse stato questo” rispose.
“Cosa è
successo allora? Sembra di stare in una giungla di
rose rosse” disse spostando un mazzo e facendo posto sul divano.
Mac era
imbarazzata. Non sapeva cosa dirgli, una bugia le
avrebbe evitato guai, conoscendo la naturale ‘simpatia’ che Harm
provava per
Webb, ma quella era la sera della verità per cui decise di essere
sincera.
“Sono un
regalo di Clay” buttò lì.
“Ah” si
limitò a rispondere lui alzandosi.
“Guarda che
non è come pensi.”
“Io non penso
nulla. Vedo.”
“Harm per
favore non ricominciamo. Io neanche lo sapevo,
sono tornata e c’erano… queste” disse indicando i fiori, “sparse per
tutta la
casa.”
“Però ti ha
fatto piacere.”
“Sì, cioè no.
Non lo so.”
E davvero non
sapeva che pensare. Tutto quello che le
stava accadendo era meraviglioso, ma arrivava dall’uomo sbagliato. E
Harm non
comprendeva il suo disagio, così anziché aiutarla le dava addosso.
“Forse è
meglio che prima ti schiarisci le idee, poi ne
potremo parlare” disse avviandosi verso la porta.
“No aspetta,
non te ne andare!” esclamò Mac quasi
sull’orlo della disperazione. “E’ l’ultima sera… poi…”
“Forse è un
bene Sarah.”
Erano le
ultime parole che le aveva detto. Poi aveva preso
la porta e se ne era andato.
La valigia
era pronta e Michael Bublé era passato ad
un’altra canzone.
Si sedette
sul divano e accese la TV, ma più che guardare
le
immagini che le correvano davanti pensava.
Era stato
senza dubbio un bene, sì, Harm aveva avuto
ragione.
Squillò il
telefono e Mac prese la conversazione.
“Ciao amore”
la salutò con voce dolce Clay.
Harm
scomparve dalla mente di Sarah: “Ciao” rispose al
saluto con altrettanta dolcezza.
“Pronta per
domani?”
“Sì, non vedo
l’ora.”
“Vedrai che
sarà una vacanza speciale. Passo a prenderti
al JAG alle 18 ok?”
“Va bene.”
“Ti amo
Sarah.”
“Anche io.”
Mac chiuse la
conversazione con la sensazione di aver
trovato il suo posto nel mondo.
Casa di Lady
Sarah Montagu
Brook Street, Londra
Marzo 1858
Aveva
lasciato la festa in tutta fretta ed era
rientrata nell’appartamento londinese, che di recente aveva acquistato
proprio
con il compenso pagatole da Francesco Giuseppe. Per come si erano messe
le cose
al suo rientro in Inghilterra, aveva deciso che, se doveva tornare a
fare vita
mondana, era ora che avesse nuovamente una casa nella capitale. Andare
avanti e
indietro da Londra a Beaulieu era impensabile.
Si
gettò sul letto, senza neppure togliersi
l’abito, e finalmente diede libero sfogo alle lacrime. Pianse a lungo,
sentendosi più sola che mai.
Non
era abituata a sentirsi così; di solito era
combattiva e reagiva con grande forza alle avversità della vita. Ma
dalla notte
in cui aveva lasciato il suo cuore sulla Medea era molto
cambiata: si era chiusa
ancora più in se stessa ed era diventata molto taciturna.
Ballare
e divertirsi al ricevimento di Lady
Belhaven credeva potesse essere un nuovo inizio, un segno che il suo
animo a
poco a poco stava guarendo.
Ma
lo sconosciuto nel giardino l’aveva
sconvolta e lei si era ritrovata al punto di partenza, esattamente a
poco più
di un anno prima, alla notte in cui aveva deciso di lasciare l’uomo di
cui si
era follemente innamorata.
Aveva
scritto poche frasi e poi aveva chiuso il
diario.
Si
era alzata e si era avvicinata al letto, per
osservarlo un’ultima volta. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma non
era
riuscita a trattenersi: con la mano gli aveva sfiorato il volto e si
era
chinata a baciargli le labbra.
Era
stato un errore… lui, nel sonno, aveva
socchiuso la bocca e lei si era ritrovata ad assaporare ancora la
dolcezza di
un suo bacio, che l’aveva lasciata insoddisfatta e più tormentata di
prima.
Si
era costretta ad allontanarsi quando aveva
percepito un altro movimento di André: temendo un suo risveglio
improvviso si
era staccata da lui, aveva preso la propria borsa e, con le lacrime che
le
rigavano il volto, era scesa dalla “Medea”, che nel frattempo era
attraccata al
porto di Southampton.
Se
avesse atteso un solo secondo ancora, non lo
avrebbe fatto mai più.
Il
giorno stesso, in serata, era finalmente
giunta a Beaulieu.
Sua
madre, felicissima di rivederla dopo tanto
tempo, l’aveva abbracciata, ma aveva capito immediatamente che le era
successo
qualcosa e aveva cominciato a farle delle domande. Lei aveva raccontato
parte
della vicenda, tralasciando gli aspetti più tremendi, come l’aver
ucciso un
uomo, e soprattutto sorvolando sul fatto che si era perdutamente
innamorata del
Conte francese che era fuggito assieme a lei e che l’aveva protetta per
tutto
il tempo.
Lady
Montagu l’aveva ascoltata senza dire nulla,
domandando solo alla fine del racconto dove si trovasse il Conte. Lei
aveva
risposto che ognuno era ritornato a casa propria, senza aggiungere
altro.
Nelle
settimane successive aveva cercato in
tutti i modi di dimenticare André, trascorrendo tutto il tempo a
cavallo oppure
in biblioteca. Sua madre l’aveva vista taciturna e malinconica, ma non
aveva
fatto altre domande.
Poi
era successo qualcosa che l’aveva scossa
dall’apatia in cui il senso di vuoto per la mancanza di André D’Harmòn
l’aveva
fatta sprofondare: era arrivata una lettera di Marie, una sua carissima
amica
alla corte di Napoleone III, ad informarla che Cedric Hewitt si trovava
in
Francia.
Finalmente,
dopo mesi, sapeva di nuovo dove
trovarlo!
Quando
aveva lasciato Bath, circa cinque mesi
prima, per svolgere l’incarico alla Corte di Vienna, non era riuscita a
parlare
con John Taylor per sapere dove Hewitt si trovasse, anche se
probabilmente non
era troppo distante da lei, poiché era stato certamente lui ad uccidere
l’ex-socio in affari. Cedric Hewitt era uomo capace di quello e altro.
E la
polizia stessa le aveva detto che Mr. Taylor era stato ucciso da
qualcuno che
conosceva, poiché non vi erano segni di effrazione sulla porta della
camera
dove alloggiava.
Erano
anni che Lady Sarah stava dando la caccia
a Cedric Hewitt; da quando suo padre, Lord David J. Montagu, si era
tolto la
vita, oppresso dai debiti, lasciando i suoi familiari in balia del
proprio
destino.
*
Per
secoli i Montagu furono una tra le famiglie
più ricche dell’aristocrazia inglese, citata nell’Almanacco di Gotha,
il
catalogo veridico che assegna con enorme scrupolo, ad ogni casato
nobile, la
posizione occupata in seno ad una delle gerarchie più complesse. Pur
non
essendo imparentati con la famiglia reale, frequentavano la Corte
dai tempi di Enrico
VIII e Anna Bolena, pertanto l’infanzia e l’adolescenza di Sarah Jane
Montagu trascorsero
negli agi e nel lusso.
Tutto
cambiò nel 1844 quando Lord David conobbe
Cedric Hewitt, allora trentacinquenne, un “parvenu” facente parte della
nuova
aristocrazia, ossia un borghese che aveva ottenuto il titolo di barone
di Wiltshire
solo grazie alle sue ricchezze. Fidandosi del consiglio di Hewitt, il
padre di
Lady Sarah investì moltissimo denaro nell’acquisto di svariati acri di
terreno
in Irlanda per la coltivazione delle patate, poiché il barone di
Wiltshire gli
aveva detto che si potevano fare affari d’oro con il prezioso tubero,
ancora
poco conosciuto sulle tavole dei ricchi inglesi, ma comunque molto
ricercato.
L’anno
successivo, nel 1845, una malattia devastò
le colture di patate in Francia, in Belgio e in Irlanda, provocando una
grande
carestia che mandò lentamente in rovina Lord Montagu. Egli s’indebitò
pesantemente con Hewitt per
mantenere il
castello, la moglie e i figli allo stesso tenore di vita, pur di non
far sapere
nulla alla famiglia, convinto dallo stesso Hewitt che presto la
situazione si
sarebbe risolta.
La
carestia durò più del previsto e verso la
fine del 1847 la situazione per Lord David peggiorò al punto da
costringerlo a
contrarre debiti anche con altre persone; quando Milord si trovò con
l’acqua
alla gola poiché impossibilitato ad onorare i propri impegni, fu
proprio Cedric
Hewitt a dargli la possibilità di riscattarsi senza perdere l’onore.
Solo
successivamente Lady Sarah avrebbe
scoperto che Hewitt aveva spinto suo padre ad investimenti rischiosi
molto
probabilmente per averlo in pugno e costringerlo a cederla in
matrimonio. Invaghito
di Sarah fin da quando l’aveva conosciuta, non ancora sedicenne, aveva
quasi
certamente visto la possibilità di ottenere ciò che la sua condizione
di
“parvenu” gli avrebbe difficilmente concesso: sposare una vera nobile.
Pertanto
si propose come marito della ragazza, promettendo di considerare il
prestito
come dote per le nozze e onorando di persona gli altri debiti di Lord
Montagu.
Pur a malincuore, poiché non avrebbe voluto che la figlia prediletta
sposasse
proprio un “parvenu”, Lord David si vide costretto ad accettare, ben
conscio
che sarebbe stata l’unica possibilità che gli restava per salvare onore
e
proprietà.
Quando
il padre le comunicò la decisione, Sarah
si ribellò all’idea: Cedric Hewitt non le piaceva, lo trovava
sgradevole e volgare,
ma purtroppo non poté far altro che obbedire, pur sentendosi tradita
proprio
dal genitore che più adorava.
Non
capiva affatto la decisione paterna: era
consapevole che nel suo destino avrebbe dovuto esserci un matrimonio,
come si
conveniva ad ogni fanciulla della buona società, anche se lei, nel suo
intimo,
anelava ad altro. A lei sarebbe piaciuta una vita avventurosa, come
leggeva nei
suoi libri. Spesso aveva rimpianto di non essere nata maschio, di non
essere al
posto di suo fratello Edward, di tre anni più giovane di lei, solo
perché
avrebbe desiderato poter essere libera di vivere la propria esistenza
senza
essere costretta a dipendere da un uomo. Tuttavia sperava almeno di
poter fare
un matrimonio d’amore. Invece il padre, a soli diciassette anni,
l’aveva
promessa ad un uomo di quasi vent’anni più vecchio di lei, che non le
piaceva
neppure.
Nelle
settimane successive il fidanzamento
Cedric Hewitt cominciò a tormentarla senza un attimo di tregua: voleva
che
trascorresse ogni momento con lui; l’accompagnava a cavallo, alle
serate
danzanti, prendeva il tè con lei ogni giorno, persino quando era in
biblioteca
si ostinava a sedervisi accanto e la fissava con insistenza, tanto che
lei non
riusciva a leggere più di due pagine senza poi spazientirsi.
Sarah
parlò con il padre, implorandolo di
rompere il fidanzamento, ma Lord Montagu fu irremovibile, poiché aveva
dato la
sua parola d’onore.
Ad
un mese dalle nozze Hewitt insistette
affinché lei lo accompagnasse a vedere la sua tenuta; costretta dalle
circostanze lo aveva accontentato, pretendendo di essere riaccompagnata
a casa
per l’ora del tè. Non le piaceva come lui la osservava mentre erano
soli e non
voleva trovarsi troppo a lungo in sua compagnia. Sapeva che prima o poi
ciò
sarebbe dovuto accadere, ma voleva rimandare il più a lungo possibile
l’inevitabile. Durante la visita egli fu sgradevole ed insopportabile;
poco
prima che giungesse l’ora di riaccompagnarla la sua insolenza superò il
limite
quando cercò di possederla contro la sua volontà.
Umiliata
e furibonda Sarah si difese con forza,
nonostante il suo fidanzato continuasse a ripeterle che, poiché presto
avrebbe
dovuto concedergli comunque i privilegi che gli spettavano come marito,
tanto
valeva che lo facesse subito. Ma lei non amava quell’uomo; non lo
trovava
neppure gradevole e non aveva alcuna intenzione di anticipare
l’inevitabile.
Pertanto oppose strenua resistenza e lo schiaffeggiò davanti ad un
domestico
che era accorso richiamato dalle sue grida.
Il
giorno successivo Cedric Hewitt, insultato
da quel gesto davanti alla propria servitù, ruppe il fidanzamento, con
enorme
sollievo di Lady Sarah. Lord Montagu, tuttavia, non gioì come la
ragazza si era
aspettata: solamente una settimana più tardi si uccise con un colpo di
pistola
alla tempia.
Fu
proprio lei a trovare il cadavere del padre
e la lettera in cui lui spiegava tutto quanto alla moglie; leggendo
quelle
parole Sarah si rese conto del vero motivo per cui suo padre l’aveva
promessa
in sposa ad Hewitt e odiò quell’uomo ancora di più. Ma cominciò anche
ad odiare
se stessa, incolpandosi della rovina del genitore.
Ad
un mese dalla morte di Lord David, tutti i
beni della famiglia furono confiscati, lasciando gli eredi sul lastrico
e il
nome dei Montagu infangato dall’onta del suicidio. A quel punto Sarah
giurò a
se stessa che avrebbe dedicato la vita a vendicarsi di Hewitt.
La
confisca dei beni prevedeva anche il
Castello e il titolo nobiliare, ma Sarah nel frattempo era riuscita a
far
pervenire alla Regina Vittoria la lettera del padre; Sua Maestà
acconsentì ad
una proroga sul sequestro del castello e del titolo, per permettere a
Lady
Sarah di trovare le prove che avrebbero dimostrato che Hewitt aveva
imbrogliato
Lord Montagu e che le avrebbero permesso di riabilitare il nome del
padre e del
casato.
La
Regina
le concesse dieci anni: se in quel periodo non
fosse riuscita nel suo intento, i Montagu avrebbero perso tutto quanto
e suo
fratello sarebbe stato privato del titolo che gli spettava per nascita.
Da
quel momento in poi la vita di Lady Sarah
Jane Montagu cambiò radicalmente: grata a Sua Maestà per la
concessione, iniziò
a lavorare proprio per la Regina
Vittoria, svolgendo per suo conto dapprima
piccoli
incarichi, successivamente compiti sempre più impegnativi e delicati,
che la
fecero entrare in contatto con altri sovrani, i quali a loro volta
chiesero i
suoi servigi, pagandoli profumatamente. Cominciò così ad accumulare una
piccola
fortuna che le permise di proseguire nella sua vendetta.
Iniziò
a svolgere anche qualche indagine
personale, partendo dalle informazioni contenute nella lettera del
padre e
scoprì che Hewitt aveva un socio, tale John Taylor, col quale aveva
fatto altri
investimenti poco chiari e col quale aveva abbindolato altri
aristocratici,
aumentando poco alla volta le proprie ricchezze. Purtroppo si trattava
sempre e
solo di voci, senza alcuna prova. Cedric Hewitt era molto abile a non
lasciare
tracce.
La
sua nuova vita al servizio di aristocratici
e regnanti, oltre a fornirle il sostegno economico, le permetteva anche
di
ottenere più facilmente preziose informazioni di cui, altrimenti,
difficilmente
sarebbe entrata in possesso.
Normalmente
ci riusciva con l’ingegno, la
furbizia e la seduzione, ma in alcuni casi era stata costretta a
scendere a
compromessi con se stessa e a concedere in cambio la propria virtù.
Essere
a contatto con certi ambienti l’aveva
resa rapidamente più adulta e disincantata, facendole comprendere ben
presto di
essere in possesso di un corpo che la maggior parte degli uomini
desiderava; aveva
deciso quindi di servirsene, quando le fosse stato assolutamente
necessario.
Del
resto cosa avevano fatto gli uomini per
lei?
Nulla.
Anzi, a ben pensarci, non avevano fatto
altro che tradirla.
L’aveva
tradita l’uomo cui era stata promessa
in sposa, dapprima tentando di possederla prima delle nozze e contro la
sua
volontà e poi rifiutandola, ben consapevole che ciò l’avrebbe ridotta
sul
lastrico. L’aveva tradita il suo stesso padre, vendendola nel tentativo
di
salvare la famiglia dal disastro e poi quando l’aveva lasciata sola, ad
affrontare tutto quanto e facendola sentire anche responsabile del
proprio
suicidio.
La
prima volta che si era concessa ad un uomo
aveva pianto per ore. Ma l’informazione che aveva ottenuto l’aveva
ripagata di
tutto il ribrezzo sopportato: aveva saputo il nome del socio di Hewitt.
Successivamente
aveva utilizzato lo stesso
metodo solo poche altre volte, quando non aveva potuto farne a meno, ed
ogni
volta aveva provato lo stesso disgusto, benché in almeno due casi gli
uomini
che l’avevano posseduta, prima di farle capire cosa volevano in cambio
dell’aiuto che le fornivano, l’avevano anche affascinata. Fascino che
era presto
scomparso non appena si era resa conto che anche loro, come tutti, da
lei
volevano solo una cosa: possedere il suo corpo.
Purtroppo,
nonostante l’assidua caccia che
aveva dato ad Hewitt in quegli anni, fino a sei mesi prima non aveva
ottenuto
molto: mancavano sempre le prove.
Era
cambiato qualcosa solo durante la primavera
precedente, quando seppe che il socio di Hewitt, John Taylor, era
finito a sua
volta sul lastrico, probabilmente imbrogliato dallo stesso Cedric.
Quell’informazione
la spinse a scoprire dove si
trovava Taylor e a fare la mossa successiva: gli fece pervenire una
lettera in
cui prometteva denaro in cambio d’informazioni e di una testimonianza
sui suoi
trascorsi con Hewitt.
All’incirca
un mese dopo ricevette un messaggio
in cui Taylor la invitava a raggiungerlo a Bath. Partì immediatamente,
approfittando anche del fatto che aveva appena terminato un incarico
per conto
di Sua Maestà la Regina Vittoria e che
desiderava riposarsi qualche settimana;
purtroppo giunta a Bath l’unica cosa che scoprì fu che John Taylor era
stato
ucciso.
Mentre
si trovava nella rinomata stazione
termale in attesa di notizie da parte della polizia locale, fu
contattata
dall’Imperatore Francesco Giuseppe per un incarico che le avrebbe
cambiato per
sempre la vita…
*
Quando
la lettera di Marie era giunta a
Beaulieu, si era riscossa ed era ripartita per la Francia,
a caccia
dell’uomo che un tempo sarebbe dovuto diventare suo marito.
Aveva
ancora meno di due anni per dimostrare
che Hewitt aveva portato al suicidio suo padre e non poteva permettere
a
nessuno, neppure al ricordo dell’uomo di cui si era follemente
innamorata, di
interferire con i suoi piani. Aveva tacitato il proprio cuore che le
urlava che
André le sarebbe stato accanto nonostante tutto, anzi che l’avrebbe
aiutata,
con la stessa giustificazione che si era data per costringersi a
lasciarlo: non
voleva fargli correre dei rischi. Ma sapeva che in fondo, rinunciando
all’amore, si stava ancora punendo per ciò di cui si era sempre sentita
in
colpa in quegli anni, ossia il suicidio del padre.
Era
arrivata a Parigi proprio nello stesso
giorno in cui, un anno prima, aveva conosciuto André, solo per scoprire
che
Hewitt si era spostato di nuovo. Fortunatamente aveva saputo subito
dove si era
diretto, perché altrimenti sarebbe stata tentata di dirigersi verso la Borgogna,
per vedere i
luoghi dov’era nato e cresciuto André, con l’unico risultato di
ritrovarsi con
il cuore ancora più spezzato. Aveva seguito Hewitt per
tutto l’autunno del 1857 tra il Regno di
Sicilia, il Granducato di Toscana e il Belgio, facendo il possibile per
dimenticarsi del Conte D’Harmòn, finché non era stata raggiunta dalla
notizia della
malattia di Lady Montagu, che l’aveva riportata in Inghilterra appena
in tempo
per rivedere sua madre viva per l’ultima volta.
Lady
Montagu era deceduta soltanto da poche
settimane, il primo febbraio del 1858, a
meno di undici mesi dallo scadere della
proroga concessa dalla Regina Vittoria e ad un anno di distanza dal
giorno in
cui Sarah aveva lasciato il suo cuore e l’uomo che lo possedeva su una
nave
diretta in America.
Asciugandosi
le lacrime si domandò ancora una
volta come aveva trovato la forza per portare avanti la sua decisione,
dopo
aver letto le pagine del diario di André.
E
tutto per cosa?
Era
passato oltre un anno, da quella notte, e
la sua vita era allo stesso punto di prima, se non peggio: suo fratello
era
ancora disperso dopo la guerra in Crimea; sua madre era morta e lei non
aveva
fatto alcun passo in avanti nel tentativo di riabilitare il nome della famiglia.
Si
sentiva terribilmente sola…
Neppure
l’idea di partecipare alla festa in
maschera era servita a farla stare meglio.
Era
bastato uno sconosciuto alto, dalla voce
profonda, che voleva ballare con lei, per ridurla in uno stato pietoso
e farle
desiderare di poter tornare indietro nel tempo e risvegliarsi ancora
tra le
braccia dell’unico uomo che avrebbe amato per sempre.
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Capitolo 3 *** Sorprese ***
Capitolo III
Sorprese
Appartamento
del Capitano Harmon Rabb
Hyde Park, Londra
Fine
Marzo
2005
Harm non
credeva ai propri occhi: Belinda aveva trovato la
soluzione al suo problema.
Da quando
aveva acquistato la sua Austin
Healey, aveva
speso gran parte del tempo libero alla ricerca di alcuni pezzi di
ricambio,
senza però trovare nulla che lo soddisfacesse completamente.
Come quando
si era trattato di restaurare la Corvette,
anche in questo
caso si era dimostrato molto esigente rifiutandosi di operare una
ricostruzione
tout court:
lui voleva che la macchina ritornasse al suo splendore originario,
non voleva che un carrozziere, un sellaio e un meccanico riproducessero
l’automobile, partendo dal telaio.
Guardò
Belinda da sopra il depliant.
“Sei un
genio. Qui potrò trovare quello che sto cercando,
esattamente come lo voglio io.”
“Per questo
ti sei deciso a condividere la tua casa e la
tua vita con me. Perché sono un genio!” rispose lei asciugando i piatti
della
cena.
Ormai
vivevano insieme già da qualche settimana e proprio
quel giorno Belinda aveva terminato il trasloco e messo in affitto il
suo
appartamento di Kensington.
“Potremmo
andarci insieme” propose Harm. “Dopotutto mi hai
detto di non essere mai stata nell'Hampshire. Che ne dici? Un romantico
week-end in quella splendida cittadina, magari in un alberghetto fuori
mano…”
le disse ammiccando e alzandosi. La raggiunse e la prese fra le braccia
baciandola con passione e togliendole di mano lo strofinaccio.
“Harmon i
piatti…” protestò Belinda, per la verità molto
debolmente, già persa nelle braccia del suo uomo.
“Lascia stare
i piatti Linda” rispose lui in un sussurro,
baciandola con ancora più ardore e sollevandola in braccio in direzione
della
camera da letto.
Casa di Lady
Sarah Montagu
Brook Street, Londra
Fine Marzo
1858
“Perdonatemi,
Milady, c’è una visita per voi.”.
Lady
Sarah alzò il capo dal libro che stava
leggendo, osservando l’impacciato maggiordomo.
“Di
chi si tratta, Albert?”
“Lord
Nicholas Thornton, Milady” disse l’uomo,
indeciso se fare un inchino alla giovane padrona, oppure se attendere
la
risposta ritto in piedi; per evitare di sbagliare, adottava una tecnica
tutta
particolare: al cospetto di Milady, procedeva sempre mezzo incurvato,
con il
risultato di sembrare più vecchio dei cinquantacinque anni che in
realtà aveva.
“Lord
Thornton? Volete dire Sua Grazia il Duca
di Lyndham?” chiese Lady Sarah, richiudendo il romanzo e posandolo sul
tavolino
accanto alla poltrona.
Si
alzò e si avvicinò lentamente alla finestra,
osservando per pochi istanti la pioggia che cadeva incessantemente da
ore.
Chissà come mai il vecchio Duca si trovava in casa sua?
“E’
un signore giovane e molto alto…” disse
Albert, quasi leggendole nella mente.
“Allora
non è il Duca! Il Duca è un signore
anziano, di almeno settant’anni o anche più” rispose Lady Sarah
pensierosa.
Incuriosita
dall’ospite, decise che valeva la
pena di sapere cosa volesse, anche se ciò avrebbe significato rimandare
la fine
del romanzo che stava leggendo: era arrivata proprio al punto che
preferiva,
quando Emma si rendeva conto di amare Mr. Knightley… benché solitamente
preferisse libri d’avventura o romanzi di cappa e spada, da quando
aveva
scoperto l’amore, il romanzo di Jane Austen che prima trovava troppo
sdolcinato
era diventato una delle sue letture preferite e ogni volta adorava
rileggere
come il protagonista, il signor Knightley, si dichiarasse innamorato
della
bella e viziata signorina Woodhouse.
“Bene,
Albert, fallo accomodare.”
“Subito,
Lady Sarah.”
Mentre
attendeva l’ingresso dell’ospite, si
domandò se lo sconosciuto visitatore fosse, in qualche modo,
imparentato con
l’anziano Duca. Forse si trattava del pronipote, unico suo erede poiché
il Duca
non si era mai sposato, figlio della nipote di Sua Grazia, a sua volta
figlia di
Lady Lucy Thornton, sorella del Duca.
Lady
Lucy, di dieci anni più vecchia del
fratello, si era sposata con un Conte prussiano, o austriaco… non
ricordava…
dal quale aveva avuto una figlia, certamente la madre del futuro Duca
di
Lyndham… in società si mormorava che erano anni che l’anziano Duca
stava
preparando il nipote straniero ad ereditare il titolo, ma il giovane
non era
ancora stato presentato ufficialmente, anzi, per molto tempo era stato
lontano
dall’Inghilterra. Da quando era rientrata in patria due mesi prima,
aveva
sentito dire che sembrava che l’erede del Duca si fosse deciso
finalmente a
mostrarsi in società…
Il
rumore della porta che si apriva la distolse
dalle sue elucubrazioni mentali.
Si
voltò, pronta ad accogliere l’ospite che
Albert aveva introdotto nel salotto, ma non appena lo vide rimase
immobile, col
cuore che le galoppava furioso nel petto.
Washington
Fine Marzo
2005
Il viaggio
alle Hawaii era stato semplicemente
meraviglioso. Quindici giorni da sogno in compagnia del… suo fidanzato!
Mac era al
settimo cielo mentre, nella grigia e piovosa
mattina di fine marzo, si dirigeva al lavoro. Ma per lei quella era una
giornata splendida, come era splendida la sua vita attuale.
Clay aveva
organizzato quella loro vacanza in modo
impeccabile e l’ultima sera, a cena, nella più classica delle maniere,
le aveva
porto una scatoletta blu di velluto. All’inizio lei si era sentita
confusa, ma
quando l’aveva aperta e aveva visto il suo contenuto era scoppiata in
lacrime
come un’adolescente.
La sala
dell’hotel era esplosa in un applauso quando tutti
avevano compreso che si stava festeggiando un fidanzamento.
“Voglio
sposarti Sarah” le aveva detto Clay aiutandola ad
infilarsi l’anello, visto che lei, troppo emozionata, non ci riusciva.
“Voglio
stare con te per sempre, nel bene e nel male. Accetti di diventare mia
moglie?”
La
risposta era salita alle labbra sgorgandole
direttamente dal cuore prima che avesse tempo di riflettere: “Sì” aveva
detto e
non se ne era pentita.
Langley, Virginia
Fine Marzo
2005
Quel mattino
Clayton Webb era di molto in anticipo
rispetto al suo solito orario. Arrivò a Langley quando ancora tutti gli
altri
non c’erano oppure erano impegnati a fare colazione.
Non gli
importava granché. Era felice come mai lo era
stato in vita sua e soprattutto molto soddisfatto di sé.
Aveva
calcolato tutto sin nei minimi dettagli e quei
giorni alle Hawaii gli avevano portato ciò che bramava più di ogni
cosa: la
mano di Sarah. A fine Giugno sarebbe divenuta la sua sposa, la sua
compagna di
vita e niente e nessuno avrebbe mai potuto portargliela via.
Naturalmente
il nome di Rabb era in cima alla lista degli
invitati alle nozze, anche se di questo particolare non aveva discusso
con lei.
Sorrise
beffardo mentre entrava nel palazzo: aveva vinto
su tutti i fronti. Se due anni prima gli era andata male, adesso ogni
cosa
volgeva a suo favore.
Era anche
stata un po’ colpa sua, doveva ammetterlo:
sapeva come Sarah desiderava essere trattata, ma nondimeno aveva
giocato
secondo le sue regole e così l’aveva persa.
Adesso no. Il
destino gli aveva fornito una seconda chance
e intendeva sfruttarla fino in fondo, per questo si era adattato a
Sarah, al
suo mondo, alle sue esigenze e alle sue aspettative. Voleva essere il
centro
dell’attenzione? Ebbene lo sarebbe stata. Voleva sincerità? Ebbene,
l’avrebbe
avuta, alle condizioni di Clayton Webb ovviamente. Ma l’importante era
che lei credesse
che lui fosse realmente cambiato.
Il resto?
“Quisquilie”
pensò mentre chiamava gioielliere e fiorista.
Casa di Lady
Sarah Montagu
Brook Street, Londra
Fine Marzo
1858
Non
poteva essere lui!
Lady
Sarah sentì che se non si fosse
appoggiata, sarebbe svenuta.
Fece
pochi passi, fino ad arrivare accanto al
camino, dove un fuoco scoppiettante riscaldava l’ambiente. Si appoggiò
per un
attimo al marmo, fingendo di controllare la legna che bruciava, per
riprendersi
dalla sorpresa.
Senza
guardare l’ospite, gli si rivolse,
cercando di mantenere la voce ferma.
“Lord
Thornton… a cosa debbo l’onore della
vostra visita?”
L’uomo
fece alcuni passi verso di lei, e Lady
Sarah a quel punto non poté fare a meno di voltarsi e guardarlo. Se lo
avesse
insospettito con il proprio comportamento, egli avrebbe potuto
riconoscere in
lei la dama mascherata che solo dieci giorni prima lo aveva abbandonato
nel
giardino di palazzo Belhaven.
“Davvero
non lo immaginate, Milady?” disse
l’uomo, con la stessa voce profonda di quella sera, avvicinandosi per
prenderle
la mano.
A
fatica lei gliela porse, per il consueto
baciamano, che le procurò un brivido intenso, di certo non dovuto alla
folta
barba dell’ospite.
Quando
rialzò il capo, Lady Sarah si rese conto
che l’occhio destro era ancora bendato, nonostante “il pirata” in quel
momento
indossasse un impeccabile completo grigio fumo, con tanto di giacca,
panciotto
e fiocco in tinta che adornava la camicia immacolata.
Alla
luce del giorno l’occhio scoperto aveva un
colore particolare… un grigio verde che, a tratti, illuminato dal
fuoco,
assumeva una strana sfumatura più azzurra.
Non
era possibile… anche il colore, se non
addirittura persino la forma di quell’occhio, l’unico sano a quanto
sembrava,
le rammentava gli occhi dell’uomo di cui si era innamorata...
Nicholas
Thornton era alto quasi quanto il
Conte D’Harmòn, con all’incirca la medesima corporatura, sebbene
sembrasse
essere più magro di André; anche i capelli erano diversi: a differenza
del
ciuffo ribelle che lei adorava tanto, Lord Thornton li portava più
corti, tagliati
all’ultima moda. Mentre baffi e barba, che gli incorniciavano il viso,
non
seguivano esattamente i dettami della moda del momento, che li voleva
piuttosto
appena accennati. La barba, in particolare, era folta, benché curata e
non
troppo lunga.
“Una
ferita in battaglia…” disse lui, alludendo
all’occhio bendato, quando si accorse che lei lo stava fissando.
“Perdonatemi…
è che… oh, ma scusatemi… non vi
ho neppure fatto accomodare… prego…” disse impacciata, allontanandosi
dall’ospite e dirigendosi verso il divano.
Lui
la seguì, sedendosi sulla poltrona di
fronte a lei, la stessa su cui prima lei era seduta a leggere. Volse lo
sguardo
verso il libro appoggiato al tavolino e sorrise, con una lieve e appena
accennata distensione delle labbra, che tuttavia non arrivò allo
sguardo.
“Noto
che siete romantica, Milady.”
Com’era
diverso dal sorriso affascinante di
André, che gli illuminava il volto e gli faceva sorridere anche gli
occhi,
scoprendogli i denti candidi e perfetti.
Quanto
le mancava il suo sorriso!
Osservò
per un attimo ancora l’ospite: come
poteva ricordarle tanto l’uomo di cui si era perdutamente innamorata,
pur
essendo così diverso da lui? La voce non era la sua, il sorriso
stiracchiato
che le aveva rivolto non era il suo, non aveva neanche quel
meraviglioso ciuffo
ribelle in cui lei lasciava scorrere le mani languidamente… neppure
l’odore che
sprigionava dal suo corpo era il suo. Per non parlare dell’occhio
ferito, della
barba e dei baffi. Eppure molte altre cose glielo ricordavano…
Anche
se non lo vedeva da più di un anno ormai,
era quasi sicura che certi particolari
non li avrebbe mai scordati.
O
forse sì? Li avrebbe confusi con aspetti di
un altro uomo?
Si
trattava solo di quella voragine nel suo
cuore. Non c’erano altre spiegazioni.
Di
quella voragine e del rimpianto.
“Lord
Thornton” cominciò, decisa a capire al
più presto perché si trovasse nel proprio salotto per congedarlo il
prima
possibile, “gradirei sapere il motivo della vostra visita. Io non vi
conosco
neppure…”
“Ne
siete sicura?” la interruppe Nicholas
Thornton.
“Certamente!”
rispose Lady Sarah. “Conosco, e
neppure personalmente, un solo Lord Thornton, per la precisione Sua
Grazia il
Duca di Lyndham, e voi non potete essere lui, poiché il gentiluomo in
questione
è molto più anziano di voi.”
“Lord
Andrew Nicholas Thornton, il mio prozio,
di cui io sono l’unico erede” annuì il visitatore.
“Capisco…”
disse Lady Sarah, “ma questo non
spiega comunque la vostra visita e neppure la vostra domanda.”
“Siete
sempre così diretta e tanto bella, Lady Sarah
Jane Montagu?”
Spazientita,
Lady Sarah si alzò e fece per
dirigersi verso la porta, decisa a chiamare Albert, affinché conducesse
Lord
Thornton fuori da casa sua, quando la mano dell’uomo la fermò.
“Aspettate…
ho una proposta da farvi…”
Si
voltò di scatto verso di lui, furibonda per
essere stata trattenuta in quella maniera autorevole e così poco
elegante, ma
al tempo stesso nuovamente turbata dall’emozione che il contatto della
sua mano
le aveva provocato.
Se
quell’uomo non se ne fosse andato alla svelta…
temeva le sue reazioni, esattamente quanto non voleva più averlo
intorno.
“Quale
proposta?” chiese brusca, strattonando
infastidita la mano, per liberarsi dalla sua stretta.
Nicholas
Thornton la lasciò andare, ma si alzò
dalla poltrona, venendosi a trovare a pochi centimetri da lei. Il suo
profumo
l’assalì, così diverso da quello cui era abituata, ma così intensamente
maschile da farla rabbrividire.
“Eravate
molto più provocante l’altra sera, con
quell’abito rosso fuoco che vi stava d’incanto…” disse lui, sfiorando
audacemente la casta scollatura del semplice vestito in mussola gialla
che lei
indossava.
Lady
Sarah sobbalzò a quel contatto.
“Perché
siete scappata? Desideravo così tanto
danzare con voi, stringervi tra le mie braccia…”
“Andatevene!”
disse dura.
“No,
Milady. Non prima che voi abbiate
accettato la mia proposta.”.
“Siete
maleducato, arrogante e presuntuoso. Non
accetterò alcuna proposta da voi… Non voglio più vedervi.”.
“Non
sapete neppure di che proposta si tratta.”.
“Non
voglio saperlo, non mi interessa.
Andatevene!”
“Perché
avete così paura a stare sola con me?”
disse lui, provocandola di nuovo.
“Non
ho paura di voi…”
“Dimostratemelo…”
e così dicendo le strinse la
vita e si chinò su di lei, sfiorandole la bocca, pronto ad avere di
più.
Fu
fermato da uno schiaffo in pieno volto, che
lo fece ridere, una risata che gli proveniva dal petto, ma che non
arrivava né
agli occhi, né alle labbra.
“E’
vera la storia che si racconta su di voi…
siete stata lasciata poco prima delle nozze perché siete ribelle e
impulsiva!”
“Fuori
di qui!” urlò lei, sconvolta.
“Ci
rivedremo presto, Lady Sarah Jane” disse
lui, prima di voltarsi ed uscire dalla stanza.
Lei
si accasciò sulla poltrona, coprendosi il
volto rigato di lacrime.
Non
piangeva per le parole di Nicholas
Thornton, ma per l’emozione che il lieve contatto della sua bocca le
aveva
provocato: per una frazione di secondo le erano sembrate le labbra di
André.
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Capitolo 4 *** Nuove destinazioni ***
Capitolo IV
Nuove
destinazioni
Uffici del JAG
Falls Church, Virginia
Fine
Marzo
2005
La felicità
non abbandonò Mac neanche quando, dopo nemmeno
un’ora dal suo arrivo, si vide chiamare dall’Ammiraglio.
Senza fiatare
andò dal superiore.
“Si accomodi
Colonnello” la invitò quest’ultimo.
Mac fece come
detto, entrò nell’ufficio di AJ rimanendo
sull’attenti davanti alla sua scrivania.
“Si sieda” le
disse mentre si alzava e si accomodava
accanto a lei.
“La trovo in
gran forma, Mac.”
“Grazie
Signore, mi serviva un po’ di riposo.”
“No, non è
solo questo. Sembra… radiosa.”
“Lo sono
Signore. Sto attraversando il periodo più felice
della mia vita.”
Chegwidden
abbassò lo sguardo e solo in quel momento notò
l’anello.
“Si è
fidanzata!” esclamò stupito.
Mac arrossì
un poco. Non l’aveva detto ad anima viva per
una sorta di scaramanzia ed ora le dispiaceva che il suo superiore lo
venisse a
sapere in quel modo.
“Euh.. sì
Signore. La settimana scorsa alle Hawaii.”
“Spero non
con un giovanotto del luogo.”
“Oh, niente
affatto Signore” rispose Mac sorridendo. “Mi
sono fidanzata con Webb” e nel dirlo il viso le si illuminò di luce.
Ancora?!, si chiese
l’Ammiraglio, ma
tacque, preferendo optare per un meno impegnativo: “Congratulazioni.
Avete
intenzione di sposarvi?”.
“Alla fine
del mese di Giugno Signore, il 29 per la
precisione. Ma perché me lo chiede?”
“Oltre che
per motivi personali, in quanto vorrei
accompagnarla all’altare, anche per informarla che i suoi piani
matrimoniali
dovranno subire un piccolo ritardo, Colonnello” disse l’Ammiraglio
prendendo
dalla scrivania una cartella ed aprendola.
“Grazie
Signore, sarò onorata se lei vorrà accompagnarmi
all’altare. E le prometto che questa volta non accadrà come con Mic.”
“Oh, di
questo ne sono più che certo” rispose
l’Ammiraglio, anche se dentro di sé rimpiangeva che lo sposo non fosse
Rabb.
Dannato ragazzo, lui e la sua impulsività!
“Ad ogni
modo, la
Commissione ha deliberato il suo trasferimento
permanente a San Diego” soggiunse dirottando la conversazione su toni
più
formali.
“Ma io no ho
chiesto di essere trasferita!” esclamò Mac.
“L’ufficiale
che dirige l’ufficio JAG è andato in pensione
e il posto si è reso vacante. C’era una rosa di nomi papabili e il suo
era in
cima alla lista. Il trasferimento implica anche la promozione, e…”
Mac non
ascoltava più l’Ammiraglio. Era senza parole e si
sentiva frastornata, esattamente come Harm qualche mese addietro.
Trasferita?
Promossa? E Clay? Avrebbe accettato quella nuova situazione?
“Sono
sinceramente stupita, Signore. Non pensavo ad un
trasferimento né tantomeno ad una promozione.”
“Avrebbe
dovuto aspettarselo un avanzamento” le rispose AJ,
“soprattutto dopo la sua missione in Paraguay e il suo contributo
determinante
a smantellare la rete terroristica di Sadik negli States. Era
inevitabile. Sono
orgoglioso di lei, sarà la prima donna a dirigere un ufficio JAG e
questo…”
“Mi apre le
porte verso la direzione qui a Washington” completò
la frase Mac.
“Mi permetta
di darle un consiglio Mac: non lasci che il
suo cuore guidi le sue decisioni. Sono certo che Mr. Webb comprenderà
l’importanza di questo avanzamento. È un uomo intelligente.”
Mac sorrise:
“Certo che lo è, Signore. Intelligente,
premuroso, dolce…”
“Sono felice
per lei, allora. E spero anche che il suo
fidanzato sia una persona comprensiva” aggiunse traendo dalla scrivania
un
altro fascicolo, “perché prima di partire per San Diego debbo affidarle
un
ultimo incarico” e nel parlare le porse l’incartamento.
“Londra?!”
esclamò Mac mentre scorreva con gli occhi il
fascicolo. “Oggi è decisamente la giornata delle sorprese” commentò
divertita
poi, ancorché fosse letteralmente allibita.
“Comprendo il
suo stupore, ma si tratta di una faccenda
molto delicata e il SecNav pensa che lei e il Capitano Rabb siate le
persone
più indicate per sbrogliare la matassa”.
“Di cosa si
tratta esattamente?” chiese Mac.
“Sembra che
un nostro Marine abbia fatto fuoco contro un
convoglio di soldati inglesi che scortavano un ostaggio liberato e che
procedeva a tutta velocità verso l’aeroporto di Baghdad. Il convoglio
non si è
fermato all’alt del check point ed era senza insegne.”
L’espressione
di Mac si fece grave. Quell’incidente
avrebbe potuto creare una crepa profonda nelle relazioni diplomatiche
con
l’Inghilterra e minare l’alleanza militare fra i due Paesi. Tuttavia si
chiedeva perché proprio lei e non Sturgis o Bud. Non le andava l’idea
di
rivedere Harm e men che meno di lavorare con lui, perché è questo
quello che
sarebbe accaduto.
Dopo che
l’avevano fatto assolvere a La Hague, il Segretario
Sheffield aveva maturato una specie di fissazione per loro due e ogni
volta da
allora che si era presentato un caso particolarmente spinoso aveva
fatto in
modo che lavorassero insieme. Questa volta non sarebbe pertanto stata
molto
diversa dalle altre, anche se Harm era a 5 mila miglia di distanza.
“Si starà
chiedendo perché lei Colonnello.”
“Mi ha letto
nel pensiero, Signore.”
“E’ stata
formata una task force anglo-americana che
indagherà sull’accaduto, a capo di essa, per quanto riguarda la parte
americana,
ci sarete voi: lei e il Capitano Rabb. Il SecNav ritiene che la sua
esperienza
e quella di Rabb siano essenziali al successo. E comunque lei è
l’ufficiale con
più anzianità di servizio dopo il sottoscritto.”
“Sono anche
più alta in grado di Harm, ma hanno promosso
lui prima di me” commentò sarcastica.
“Non le va
l’idea di rivedere il suo vecchio collega e
amico?”
Mac alzò lo
sguardo e fissò dritto AJ negli occhi: “Posso
parlare liberamente Signore?”.
Il CO annuì.
“No, Signore,
non mi va proprio. Ma gli ordini vanno
eseguiti. Non si preoccupi, non ci prenderemo a pugni in pubblico, se è
questo
che teme. Da parte mia terrò un comportamento professionalmente
corretto e farò
il mio dovere. E ora, se mi vuole scusare, dovrei avvertire il mio
futuro sposo
di questi cambiamenti di programma.”
Si alzò e
attese che Chegwidden la congedasse, poi uscì
dalla stanza.
Rimasto solo,
l’Ammiraglio ripensò ai tempi andati quando
il Colonnello e l’allora Comandante formavano una delle coppie più
affiatate
dell’intera Procura militare e di come lui avesse cercato, con
quell’ultimo
caso, di far coincidere le strade della loro vita che fino a quel
momento erano
scorse parallele senza incontrarsi mai.
Il suo
tentativo non aveva dato il risultato sperato, ed
ora si era giunti persino al punto che il Colonnello non sopportava
l’idea di
rivedere il Capitano… da non crederci!
Ciò mi
fornisce la
prova che non era destino, si disse
tornando alla scrivania.
Residenza del
Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra
Fine Marzo
1858
Nicholas
Thornton non finiva mai di stupirsi di
quanto Londra fosse completamente diversa dal resto dell’Europa e di
quanto a
lui piacesse sempre meno.
La
Rivoluzione Industriale,
ancora poco
conosciuta nel vecchio continente, in Inghilterra aveva stravolto la
società.
Il ritmo di vita, sempre più frenetico e caotico, era scandito da
ambizioni
sfrenate e da un’inesauribile avidità di guadagno. I treni
sferragliavano nelle
campagne turbandone la quiete, gli uomini d’affari si affrettavano
nelle strade
della City e gli scontri tra carrozze e omnibus, barrocci e carretti
erano
all’ordine del giorno, in una società in cui stava nascendo il culto
della
velocità. Sembrava che il mondo corresse più in fretta per evitare la
catastrofe incombente, la quale nonostante tutto, sembrava sempre più
vicina.
L’elenco delle dichiarazioni di fallimento sulla “Gazette” si allungava
di anno
in anno. Nella capitale le epidemie di colera, soprattutto tra la
popolazione
indigente, si ripetevano ad intervalli sempre più ravvicinati. Miseria
e
criminalità crescevano assieme alla popolazione, presto alla fame, e
negli
squallidi ospizi dei quartieri poveri di Londra aumentava il numero dei
ricoverati. Nell’autunno del 1857 la notizia della rivolta dei sepoy che
stavano massacrando militari e civili inglesi a Delhi, aveva
contribuito ad
esasperare gli animi dell’opinione pubblica, che cominciò a porsi
interrogativi
sulla supremazia mondiale della Gran Bretagna e sulla competenza del
governo. [1]
Anche
in Prussia, Austria, Francia, Ungheria, e
in molti altri paesi, vi erano povertà e miseria, ma la
Rivoluzione Industriale
a Londra stava creando un profondo divario economico tra l’aristocrazia
e la
popolazione più povera, divario che si poteva osservare attraversando
la città.
Contrapposti a zone eleganti, abitate da aristocratici e ricchi
borghesi, vi
erano quartieri poverissimi, dove la miseria e la sporcizia erano di
casa.
Lord
Thornton non si era ancora abituato a
tutto ciò e si sentiva a disagio quando entrava in una casa elegante
come
quella di suo zio, dopo aver attraversato, pur con la carrozza, strade
sporche
e puzzolenti.
La
residenza del Duca di Lyndham era stata
costruita solamente sei anni prima ed era una raffinata palazzina di
quattro
piani che si affacciava su Hyde Park, nel cuore elegante della città.
Al
suo ingresso Nicholas fu accolto, come sempre,
da Everly, il compito maggiordomo del Duca, che prese mantello,
cappello e
bastone e gli chiese se desiderasse un bicchiere di cognac per
scaldarsi.
“Grazie,
Everly, lo prenderò in salotto, con
mio zio.”.
Andrew
Nicholas Thornton, Duca di Lyndham, lo
attendeva comodamente seduto in poltrona, intento a godersi un sigaro,
a
dispetto di ciò che il medico, suo amico ormai da mezzo secolo,
continuava a
ripetergli.
“Zio,
sai che non dovresti fumare!” lo
rimproverò affettuosamente il nipote.
“Oh,
non fare il guastafeste anche tu, Nick!”,
replicò Sua Grazia, ovviamente senza smettere.
Nicholas
sorrise: un sorriso luminoso, molto
diverso da quello che aveva rivolto quel giorno a Lady Sarah Jane
Montagu. Adorava
quel suo anziano prozio, che non aveva
per nulla l’aria del vecchietto: il Duca di Lyndham, ad ottant’anni
suonati,
era ancora un discreto uomo, piuttosto alto, appena leggermente curvo e
con
ancora un’intelligenza lucida e molto vivace. Solo la capigliatura
candida
poteva far intuire l’età che aveva, anche se l’energia che sprizzava
gli
regalava certamente almeno dieci anni in meno.
“Allora?”
lo incalzò il Duca. “E’ bella come te
la ricordavi?”
Nicholas
Thornton ripensò a Lady Sarah Jane
Montagu e sorrise.
“Bellissima…”
rispose.
Ancora più bella di come la
ricordavo… e ancora
più desiderabile, aggiunse tra sé.
“Ha
accettato la tua proposta?” domandò di
nuovo l’anziano zio.
“Non
gliene ho ancora parlato.”
“Come
mai? Credevo fosse quello lo scopo della
tua visita.”.
Perché mi sono lasciato
trasportare dalle
emozioni e l’ho baciata… o meglio, l’avrei fatto, se non mi avesse
schiaffeggiato!
“Ho
preferito attendere… attendere un momento
più opportuno.”.
“Ossia
quando non ti colpirà di nuovo?”
aggiunse divertito suo zio.
Nicholas
sollevò d’istinto la mano al volto,
toccando la zona di pelle senza barba vicina all’occhio, dove
probabilmente era
rimasto un segno che suo zio aveva notato.
“Credo
che sia davvero la donna che fa per te,
ragazzo mio!” disse Lord Thornton.
“Ne
sono assolutamente certo, zio Andrew. Per questo
farò di tutto per riconquistarla.".
Casa di
Clayton Webb
Fine Marzo
2005
Quella sera a
cena Mac mise Clay al corrente di tutto.
“Non ci sono
problemi” le rispose lui. “Chiederò l’avvicinamento
e anticiperemo le nozze.”
“Davvero
saresti disposto a trasferirti da Washington a
San Diego?” chiese incredula lei.
“E perché no?
Sarah” le disse guardandola intensamente,
“non voglio perderti, ti ho chiesto di sposarmi e lo farò. Dove andrò
non
m’importa, è sufficiente stare con te, il lavoro è secondario. Tu hai
degli
ordini da eseguire, non puoi rifiutarti di trasferirti e io ti seguirò,
dovessi
andare anche in capo al mondo.”
“Oh, ti amo
Clayton Webb!” esclamò lei buttandogli le
braccia al collo e baciandolo con foga.
“Anche io ti
amo Sarah Mackenzie” rispose lui.
La temporanea
permanenza della fidanzata a Londra, però,
gli causava una qualche apprensione, ma le aveva taciuto questo
particolare.
Non è che non si fidasse di lei, era certo del suo amore, non si fidava
di lui. Decise pertanto che un paio
di
occhi per sorvegliare con discrezione l’intera vicenda non sarebbero
stati
sprecati.
Comando Forze
Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
Fine Marzo
2005
“Signore?” la
testa bruno-rossiccia del Tenente Cunningham
fece capolino nell’ufficio di Harm.
Lui sollevò
il capo dal solito mucchio di scartoffie che
gli ingombrava la scrivania. A volte malediceva la promozione e tutto
il carico
di responsabilità che essa aveva recato con sé.
“Sì, Tenente?”
“E’ arrivato
un plico da Washington e c’è il Segretario
della Marina in linea Signore.”
“Mi porti il
plico e mi passi il Segretario” rispose.
“Agli ordini”
disse il Tenente che scomparve per
ricomparire dopo pochi secondi e posare un pacco abbastanza voluminoso
sulla
scrivania.
Harm prese la
conversazione.
“Buongiorno,
Signore” salutò cordialmente il Segretario.
Il tempo delle incomprensioni, dovute alle sue intemperanze, era
passato ed ora
il Capitano Rabb e il Segretario della Marina filavano d’amore e
d’accordo… forse
complice anche la distanza che li separava.
“Buongiorno a
lei, Capitano” rispose Sheffield. “Ha già
ricevuto il plico?” chiese poi venendo subito al sodo.
“In questo
momento.”
“Lo apra e
legga.”
Harm aprì il
pacco ed estrasse il fascicolo dalla cartella
rigida che lo conteneva. Lo aprì e ne lesse il contenuto.
“Non ne
sapevo nulla, Signor Segretario” commentò alla
fine.
“Abbiamo
tenuto segreta la cosa. Capirà, dopo
quell’incidente in cui ci ha rimesso la vita quell'agente del SISMI
italiano,
se la vicenda, un’altra e identica, fosse giunta alle orecchie delle
Autorità
Internazionali e della stampa sarebbe stata la fine. Ho ricevuto gli
ordini
direttamente dal Presidente, Capitano: sarà istituita una task force
che indagherà
nella più assoluta segretezza. Naturalmente parte di questa unità
speciale sarà
formata da inglesi, e proprio per questo il Presidente si è caldamente
raccomandato di evitare le polemiche insorte l’altra volta. Massima
collaborazione e distensione, dunque, non possiamo permetterci di
perdere un
alleato prezioso come l’Inghilterra. Lei riferirà direttamente a me e
al Primo
Ministro inglese e in qualità di Comandante delle Forze Navali in
Europa sarà a
capo dell’unità speciale.”
“Sì Signore.
Ho già in mente fra i miei collaboratori chi
destinare a questa indagine, solo le chiedo di potermi avvalere del
Comandante
Roberts per le ricerche e le indagini sul campo. Gode della mia massima
stima e
fiducia e desidererei che fosse momentaneamente distaccato qui a
Londra.”
“Avrà di
meglio del Lt. Cmdr. Roberts, Capitano. Ho
ordinato all’Ammiraglio Chegwidden di affiancarle nel comando della task force il Colonnello Mackenzie fino
quando la missione non sarà conclusa. Ho avuto modo di sperimentare di
persona
la vostra bravura e questo caso richiede il meglio. E voi lo siete.”
“Capisco.
Quando arriverà il Colonnello?” domandò Harm
mentre una ridda di emozioni gli si scatenava dentro.
“Dopodomani
all’aeroporto di Heathrow con un volo Continental,
alle 12.00 antimeridiane.”
“Manderò
qualcuno a prenderla Signore, grazie della
fiducia.”
“Buon lavoro
Capitano” rispose il Segretario e chiuse la
conversazione.
Mac… erano
passati mesi dacché era partito per Londra e
non si erano più sentiti. Ma del resto cosa avrebbero avuto da dirsi?
In nove
anni non erano riusciti ad arrivare a un dunque e di tempo per parlare
ne
avevano avuto a iosa. Cosa aggiungere di più quando ormai entrambi
conducevano
esistenze diverse e soprattutto lei aveva Webb?
Ricordava
ancora quelle centinaia e centinaia di rose
rosse e le sue scuse per farle sembrare un dono galante poco gradito.
Dopotutto
la sua partenza era stata una fortuna per entrambi: aveva posto fine ad
un
tiramolla inutile e logorante. Per lui, poi, Londra si era rivelata una
vera benedizione,
una benedizione che aveva il viso cordiale di Belinda.
Il secondo
pensiero fu per il week-end a Beaulieu: proprio
quella mattina aveva confermato la prenotazione al Master Builder’s
House
Hotel. Voleva fare una sorpresa alla sua compagna regalandole un
romantico
week-end in quella splendida località dell’Hampshire, ma ora tutto era
rimesso
in discussione.
Per un attimo
fu tentato di annullare e rimandare ad altra
data, ma poi decise di lasciar stare e di parlarne a Belinda quando, di
lì a
poco, si sarebbero visti per pranzo. Ormai la sorpresa era andata a
farsi
benedire, per cui tanto valeva metterla al corrente dei suoi piani.
Hyde Park, Londra
Fine Marzo
2005
Erano seduti
in uno dei tanti pub che si affacciavano su
Hyde Park e stavano pranzando all’aria aperta data l’insolita giornata
calda.
“Ti ricordi
dello Spring AutoMotor Jumble?” chiese Harm.
“Certo, ti ho
dato il depliant l’altro giorno.”
“E ti ricordi
quello che ti ho proposto?”
“Certo che me
lo ricordo, e mi ricordo anche quello che è
accaduto mentre me lo proponevi…” rispose maliziosamente Belinda.
“Per essere
un dolce fanciulla inglese sei un po’ troppo
sfacciata” la prese in giro Harm addentando il sandwich.
“Quello che
non sai è che ho una nonna irlandese” rispose
pronta lei.
Scoppiarono a
ridere.
“Avrei
prenotato in quell’albergo che ti ho mostrato…”
buttò lì lui.
“Harmon è
stupendo!”esclamò Belinda.
“Ma…”
“In quel fine
settimana la mamma organizza il suo torneo
mensile di bridge” disse delusa la ragazza. Ci teneva tantissimo ad
andare con lui,
soprattutto adesso che convivevano, era una sorta di “consacrazione”
della loro
unione che avrebbe preceduto, di lì a poco, la presentazione ufficiale
di
Harmon ai suoi, con una cena già fissata due sabati dopo a casa dei
genitori di
lei a Mayfair.
“Mi ero
scordato il torneo di bridge di tua madre” le fece
eco lui. “Pazienza vorrà dire che andremo un’altra volta.”
“Niente
affatto Harmon! La prossima fiera è a Settembre e dei
pezzi della macchina ne hai bisogno adesso, altrimenti addio vacanze in
Scozia
quest’estate. Non ti preoccupare, vai pure. Tanto io sarò a casa dei
miei per
tutto il fine settimana.”
“Ma… non
saprei” Harm era indeciso. Belinda condivideva la
sua passione per le auto d’epoca ed era una perfetta conoscitrice delle
macchine inglesi. Sarebbe piaciuto anche a lei gironzolare per il
mercato che
si teneva nel parco del Castello di Beaulieu e cercare i pezzi che gli
servivano.
“Harmon
Rabb…” lo richiamò all’ordine la ragazza, “non
fare i capricci e goditi un paio di giorni in compagnia della tua
passione. È
un ordine.”
“La mia
passione sei tu” rispose lui prendendole le mani
attraverso il tavolino. “E comunque sia” cedette alla fine, “meglio a
Beaulieu
che rinchiuso in casa o in ufficio.”
Terminarono
il pranzo e nel mentre le raccontò della
conversazione avuta quella mattina con il Segretario della Marina
americana.
“Spero che
inviterai da noi la tua amica” lo rimbrottò
dolcemente lei.
“Vedremo” si
mantenne sul vago Harm.
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Capitolo 5 *** Un caso per due ***
Capitolo V
Un
caso per due
Areoporto di
Heathrow
Londra
Aprile
2005
Il
volo era stato lungo, noioso e
abbastanza agitato. Mac non soffriva il mal d’aria, ma avevano
incontrato del
brutto tempo e, di conseguenza, l’aereo aveva “ballato” un po’.
Adesso
però era a terra e, nell’attesa di
recuperare il bagaglio, telefonò a Clay incurante del fuso orario. Le
mancava
molto e si era già pentita di non avergli chiesto di seguirla anche a
Londra:
lei avrebbe lavorato e insieme si sarebbero goduti un’anticipazione
della luna
di miele.
Lui
rispose al secondo squillo.
“Ciao”,
lo salutò teneramente.
“Ciao
quasi moglie”, ricambiò il saluto
l’uomo. “Tutto bene?”
“Più
o meno. Un po’ di brutto tempo, ma
alla fine sono atterrata.”
“Dove
alloggi?”
“Al
Grosvenor House, così sono più vicina
al palazzo del Comando.”
“Caspita!”
esclamò lui. “Il JAG non ha
lesinato spese… il Grosvenor è uno degli alberghi più lussuosi di
Londra.”
“Il
Segretario e il Presidente Bush
ritengono che questo sia un caso della massima importanza”, rispose Mac.
Webb
aveva ottenuto l’informazione che
cercava: conosceva l’albergo dove avrebbe pernottato Mac e così avrebbe
potuto
allertare qualcuno dei suoi a Londra e tenerla d’occhio. C’era
parecchia gente
che gli doveva favori nella City, e adesso era venuto il momento di
riscuotere
quei crediti. Prese anche l’appunto mentale di farle trovare qualcosa
di
speciale al suo arrivo.
“Mi
manchi Clay, non vedo l’ora che tutto
questo sia finito.”
“Anche
tu mi manchi Sarah, ma vedrai che
tutto si sistemerà e nel giro di due settimane al massimo saremo di
nuovo
insieme.”
“E
pronti per imbarcarci nella nostra
avventura”, rispose lei entusiasta.
“Un
bacio mia bellissima rosa”, la salutò.
“Ti
amo.”
Mac
chiuse la conversazione e si apprestò a
ritirare la valigia dal tapis roulant.
Residenza del
Visconte di Norwich
Londra
Aprile 1858
“Se
aveste tra le mani un
pugnale, non esistereste ad ucciderlo, vero?”
La
voce inconfondibile e ormai
nota, che la tormentava da settimane, la sorprese mentre stava
osservando
l’entrata di Cedric Hewitt al ballo di Lord e Lady Norwich: era
vicinissima,
troppo vicina al suo orecchio.
Lentamente
Lady Sarah si voltò,
trovandosi a pochi centimetri dal volto di Nicholas Thornton. Fece due
passi
indietro, inspirando profondamente, per mantenere il controllo delle
sue
emozioni. Da dieci giorni si preparava mentalmente all’inevitabile
incontro
che, era certa, prima o poi sarebbe avvenuto. Lui era tornato altre tre
volte a
cercarla, ma lei aveva sempre fatto dire ad Albert che non era in casa.
Non
aveva alcuna intenzione di incontrarlo di nuovo, ma sapeva che prima o
poi l’inevitabile
sarebbe accaduto. Se non fosse stato per la necessità di raggiungere il
suo
obiettivo, avrebbe fatto volentieri a meno di restare a Londra e farsi
vedere
in società, ma purtroppo non poteva: il tempo stava passando troppo
rapidamente
e lei doveva riuscire a trovare le prove necessarie per incastrare
Hewitt.
Quando
si fu calmata, si rivolse
al futuro Duca di Lyndham sfoggiando un’aria leggermente annoiata e
porgendogli
la mano affinché lui potesse salutarla come si conveniva.
“Lord
Thornton, che piacere
rivedervi” disse a beneficio delle due matrone che li stavano
osservando.
“Lady
Sarah…” rispose lui,
baciandole la mano inguantata e trattenendola tra le sue.
Le
due matrone si allontanarono
chiacchierando e non appena se ne furono andate, Lady Sarah gli rivolse
uno
sguardo severo, liberando la mano dalla presa dell’uomo.
“Cosa
volete?” chiese secca.
“Esporvi,
finalmente, la mia
proposta…”
“Vi
dissi che non mi interessava.”
“Come
potete sapere che non vi
interessa, se non avete idea di quello che sto per dirvi?”
“Vi
ripeto che, di qualunque
cosa si tratti, non mi interessa. E ora, se volete scusarmi…” replicò,
decisa
ad andarsene. A parte il fatto che non voleva più stare accanto a Lord
Thornton, non voleva neppure che Hewitt la scorgesse alla festa: non
sapeva se
lui l’avrebbe riconosciuta, erano anni che non la vedeva, poiché era
sempre
stata attenta a non farsi sorprendere a seguirlo, ma non poteva esserne
sicura
e aveva notato che Hewitt si stava dirigendo dove si trovavano loro due.
Nicholas
Thornton intercettò lo
sguardo preoccupato di Lady Sarah e capì al volo la situazione.
“Venite…”
e così dicendo, la
trascinò rapidamente fuori, sul terrazzo, facendola uscire da una porta
finestra proprio dietro di loro.
A
differenza della sera del loro
primo incontro, l’aria della notte era fredda e pungente, evidente
segno che la
primavera in Inghilterra era mutevole quanto il clima in una sola
giornata: era
facile uscire di casa con il cielo sereno, ritrovarsi bagnati poco dopo
e
nuovamente accarezzati dal sole nell’arco di un’ora.
“Ma…”
“Qui
non potrà vedervi” disse
Lord Thornton, mentre si levava la giacca e gliela posava sulle spalle,
per
scaldarla.
“Chi?”
domandò lei con un
sussurro, incapace di dire altro. Il suo profumo la stordiva.
“L’uomo
che doveva diventare
vostro marito… Cedric Hewitt” rispose lui, stupendola.
“Come…
come sapete?”
“Vi
dissi che avevo una proposta
che avrebbe potuto interessarvi!”
Areoporto di
Heathrow
Londra
Aprile
2005
Alla
fine Harm non se l’era sentita di
mandare qualcuno dello staff a prendere Mac all’aeroporto, non solo ma
quando
aveva accennato questa sua intenzione a Beinda, lei si era arrabbiata.
“Ma
come?!” aveva esclamato incredula. “Una
vecchia amica, anzi di più, la collega con la quale hai lavorato per
nove anni
viene a Londra e tu mandi a prenderla un tirapiedi?! Sei incorreggibile
Harmon!”
Lui
le aveva spiegato le circostanze del
loro rapporto, come era nato, cosa era stato per entrambi e come, alla
fine di
tutto, si erano lasciati.
“Qualunque
cosa sia accaduta fra di voi non
si merita di trovare uno sconosciuto ufficiale ad attenderla al suo
arrivo, ma
un viso amico”, aveva replicato un po’ seccata la donna.
E
così, più che altro per farle piacere,
Harm era andato di persona a Heathrow a prendere Mac. Non solo, ma
Belinda gli
aveva fatto promettere che, prima di accompagnarla in albergo, avrebbe
pranzato
a casa loro.
Ed
ora si trovava nell’ampio salone degli
arrivi extra UE ad attendere quella che, Belinda esclusa, era stata la
donna
più importante della sua vita.
Mac
ritirò la valigia e si mise
pazientemente in coda per il controllo dei passaporti.
Era
un po’ ansiosa, lo doveva ammettere.
Rivedere Harm dopo tutto quel tempo non sapeva esattamente che effetto
le
avrebbe fatto. Confidava nella più totale indifferenza.
Avanzò
di qualche metro.
Guardò
l’anello che portava all’anulare
sinistro e le si scaldò il cuore. Ben presto sotto quel solitario dal
centomila
dollari ci sarebbe stata una sottile vera di platino con all’interno
incisa una
data e un nome.
Subito
dopo aver saputo del trasferimento a
San Diego e della missione a Londra, lei e Clay avevano anticipato
tutto: si
sarebbero sposati il 25 Maggio prossimo nella cappella dove il Rev.
Turner
teneva il suo sermone natalizio, e la cerimonia sarebbe stata celebrata
dallo
stesso reverendo Turner.
Sue
testimoni sarebbero state Harriet e
Chloe, mentre Clay aveva chiesto a due colleghi.
Non
avrebbero fatto un viaggio di nozze,
non subito almeno e per un po’ di tempo Clay sarebbe rimasto a Langley,
ma il
suo trasferimento a San Diego era ormai cosa fatta, mancava solo il
visto del
Direttore che sarebbe rientrato proprio alla fine del mese di Maggio,
al
massimo ai primi di Giugno.
Avevano
scelto anche la casa, un
confortevole cottage nella periferia residenziale della città, con due
camere
in più per i figli che certamente, dopo la sua guarigione
dall’endometriosi,
sarebbero arrivati di lì a poco. Durante la sua permanenza a Londra
Clay avrebbe
portato avanti i lavori di ristrutturazione e al rientro di Mac negli
States
tutto sarebbe stato pronto.
Immersa
in questi lieti pensieri e nei
progetti per il futuro, non si era accorta di essere arrivata al desk
dove una
compita impiegata inglese attendeva per il controllo del passaporto.
Un
“Madam” appena accennato la riportò alla
realtà.
“Mi
scusi”, disse estraendo dalla borsa il
documento e mostrandoglielo.
“Buona
permanenza nel Regno Unito”, le
rispose con un sorriso la donna del desk.
“Grazie”,
e si avviò verso l’uscita
trascinando seco il trolley.
Harm
la scorse subito, del resto era abbastanza
facile essendo l’unica donna in mezzo a quella folla che indossava la
divisa
dei Marines.
Rimase
colpito dal suo aspetto: sebbene
fosse rimasta la stessa gli parve dimagrita, i lineamenti del viso si
erano
fatti più dolci, rilassati e… sì, Mac era radiosa. Sembrava che le si
fosse
accesa una lampadina dentro. Conosceva troppo bene Sarah Mackenzie per
non
coglierne ogni mimino cambiamento nella persona e nell’umore: era
cambiata,
apparentemente era rimasta la stessa, ma qualcosa gli diceva che non
era più la
medesima donna che aveva lasciato quella sera in un appartamento di
Georgetown
invaso da rose rosse.
“E
non è solo cambiata”, pensò mentre si muoveva per andarle
incontro. “E’ stata anche promossa”,
aggiunse tra
sé notando i gradi da Colonnello sulla giacca della divisa.
Fendette
la folla che andava in senso
contrario e le si avvicinò.
Residenza del
Visconte di Norwich
Londra
Aprile 1858
“Come
sapete?” domandò di nuovo,
sconvolta.
Lo
guardò in viso, confusa,
rendendosi conto per la prima volta che Nicholas Thornton conosceva del
suo
passato molto più di quanto lei sapesse del futuro Duca di Lyndham.
Prima
di risponderle, egli tirò
fuori un sigaro e fece per accenderlo.
“Vi
dà fastidio?” chiese, prima
di portarselo alle labbra. Attese la sua risposta e, quando lei scosse
il capo
dandogli tacito consenso, lo accese e aspirò lentamente.
“Conosco
tutta la storia…”,
disse mentre assaporava l’aroma del tabacco, “ e so anche che,
nonostante la
mia frase infelice quando l’altro giorno mi avete schiaffeggiato, avete
tutti i
motivi per odiare Hewitt.”
“Ma…
come…”
“Non
ha importanza come lo so.
Lo so e tanto basta. E desidero aiutarvi ad incastrare quel bastardo.”
Il
tono deciso e duro che egli
usò la sorprese non poco. Sembrava quasi che anche Lord Thornton avesse
motivi
validi per odiare il barone di Wiltshire…
“Ha
truffato anche voi?” chiese
all’improvviso.
Lui
la osservò per un attimo,
prima di rispondere, quasi indeciso se dirle o meno la verità.
“No,
al momento non ancora. Ma
ha fatto del male ad una persona cui tengo moltissimo…” aggiunse lui,
quasi tra
sé.
“Cosa
intendete con ‘al
momento non ancora’?” domandò Lady Sarah.
“Che
faremo in modo che presto
accada.”
“Non
capisco…”
“E’
molto semplice: voi cercate
prove per incastrare Hewitt e per dimostrare che fu lui a portare alla
rovina
vostro padre con un imbroglio. Io sarò la prossima vittima
‘inconsapevole’ di
Mr. Hewitt… in questo modo riusciremo ad incastrarlo.”
“Noi?”
chiese lei, stupita.
“Sì,
noi. Ascoltatemi, è
perfetto! Sono il futuro Duca di Lyndham, erede di una delle più
prestigiose e
nobili famiglie d’Inghilterra, per di più ricco sfondato. Ma sono
straniero…
mio zio è anziano e io… be’, io sono un po’ ribelle… appena tornato
dalle
Indie, dove ho combattuto valorosamente durante la rivolta dei sepoy…”
“E’
lì che avete perso
l’occhio?” lo interruppe lei.
Lui
la guardò di nuovo
intensamente, prima di rispondere:
“Sì...”
Poi, scrutandola se
possibile con ancora più attenzione, le chiese in un sussurro: “Mi
trovate
tanto inguardabile?”.
“Non
vedo questo cosa c’entri
con il nostro discorso”, rispose lei, imbarazzata per avergli posto
quella
domanda, facendogli credere di trovarlo ripugnante. Il problema era
tutto il
contrario: quell’uomo non le piaceva; lo riteneva maleducato, arrogante
e
presuntuoso, nonché troppo sicuro di sé e sfuggente… eppure, forse a
causa
dell’incredibile fatto che, in qualche modo e chissà per quale
misteriosa
ragione, le ricordava André, oppure perché i suoi sensi, risvegliati
dall’amore
per il bel Conte francese, stavano facendole ricordare dopo mesi di
essere una
donna, doveva riconoscere, almeno con se stessa, che Nicholas Thornton
la
turbava parecchio e non lo trovava per nulla inguardabile. Anzi! Più lo
conosceva e osservava il suo volto, più lo trovava intrigante e
seducente…
c’era un’innegabile attrazione tra loro…
No!
Che andava a pensare?
La
consapevolezza di trovarlo
affascinante, nonostante tutto, la turbò parecchio: lei era ancora
innamorata
di André…
Si
rese conto che non aveva
ancora risposto alla sua domanda, perché lui la stava fissando. Lo
sguardo di
Nicholas Thornton era improvvisamente diventato freddo e la sua voce
sarcastica.
“Capisco…”
lo sentì dire e si
rese conto che aveva frainteso.
“No…
non vi trovo inguardabile,
e neppure ripugnante, se è questo che state pensando” si affrettò a
chiarire.
Lui
fece un cenno di sorriso.
“Ma
non vedo cosa c’entri questo
con quello che mi stavate dicendo” aggiunse lei.
“Nulla,
in effetti…” rispose lui,
poi continuò: “Tornando alla mia proposta… mi fingerò l’ingenuo ricco
rampollo,
erede di un’immensa fortuna, ma sciocco al punto giusto da essere
ritenuto
un’ottima preda per un truffatore come Hewitt… in questo modo potremo
incastrarlo
e voi potrete conservare il titolo e restituire l’onore alla vostra
famiglia.”.
“E
perché voi dovreste fare
tutto questo per me?” domandò lei, sospettosa.
“Ve
l’ho detto: Hewitt ha fatto
del male ad una persona cui tengo moltissimo…”
“Sì,
lo avete detto. E non mi
sorprende, conoscendo Hewitt. Ma questo non spiega perché non agite da
solo… avreste
potuto mettere in atto il vostro piano senza che io ne sapessi nulla e
senza
che ne ricavi alcunché in cambio. Perché avete deciso di aiutare anche
me?”
“Perché
non dovrei farlo,
sapendo della vostra disgrazia?”
“Perché
nessuno fa nulla per
nulla… soprattutto voi uomini.”
“Non
avete una grande opinione
del sesso forte!” scherzò lui.
“Forte?”
domandò presuntuosa Lady
Sarah, sollevando un sopracciglio.
Nicholas
Thornton se ne uscì con
la sua risata fredda e beffarda, che gli saliva dal petto, senza
arrivare allo
sguardo, limitandosi ad una lieve increspatura delle labbra.
Lei
comprese che quello era il
suo modo usuale di ridere: sarcastico e controllato. E si disse che
quell’uomo
nascondeva di se stesso molto più di un occhio ferito. La cosa la
turbò, ma non
seppe dire se per paura o per desiderio di farlo uscire allo scoperto.
“No,
in effetti non ho una
grande opinione del cosiddetto sesso forte” confermò, sottolineando con
il tono
della voce le ultime due parole e al tempo stesso stupendosi di come un
gentiluomo inglese le avesse usate in sua presenza in maniera tanto
disinvolta.
Ma si disse che il futuro Duca di Lyndham non era né inglese, né tanto
meno un
gentiluomo!
“Non
avete risposto alla mia
domanda…” gli ricordò.
“Credete
che voglia qualcosa in
cambio?”
“Tutti
lo vogliono. E… caro Lord
Thornton vorrei farvi notare che, per la seconda volta, non avete
risposto alla
mia domanda.”
“Siete
davvero caparbia e adorabile
come vi ho immaginata non appena vi ho visto la prima volta…” sussurrò
lui, perdendosi
nei suoi occhi. Poi aggiunse, come a voler precisare: “… inguainata in
quel
provocante abito rosso…”.
Pur
turbata da quello sguardo
penetrante e da quelle parole, lei non desistette:
“Comincio
a pensare che non
serve che mi rispondiate… credo d’aver capito da sola cosa vi aspettate
in
cambio per il vostro aiuto.”.
“E
cosa dovrei volere, secondo
voi?” domandò lui.
“Quello
che vogliono di solito gli
uomini”, rispose Lady Sarah. Poi aggiunse tra sé, ripensando con
rimpianto ad
Andrè: Tutti, tranne
uno…
“E
cosa vogliono?” domandò
Nicholas Thornton.
Lei
lo squadrò dapprima in
silenzio, ormai infastidita per aver capito che era esattamente come
tutti gli
altri; poi finalmente disse:
“Volete
possedere il mio corpo…”.
“Vi
sbagliate, Milady. Io non
voglio quello… non solo, almeno.” Fece una pausa, scrutandola con
attenzione. Quindi
aggiunse: “Io voglio sposarvi.”.
“Sposarmi?”
domandò lei,
allibita.
“La
trovate una cosa tanto
assurda? Siete una bellissima donna, per quale motivo non dovrei
desiderarlo?”
“Ma…
ma voi non mi conoscete
neppure! E io nemmeno…”
“Vi
conosco più di quanto
immaginiate…” sussurrò lui, prima di aggiungere: “E sono innamorato di
voi fin
dalla prima volta che vi ho veduta.”.
Quelle
parole le procurarono uno
strano brivido, che si costrinse a reprimere immediatamente.
“Io
non vi amo…” disse lei.
“Oh,
questo è un fatto
irrilevante! Sarà un piacere conquistare il vostro cuore.”
La
sua sicurezza la fece arrabbiare
e decise di sbattergli in faccia la verità:
“Il
mio cuore non vi apparterrà
mai… è di un altro uomo e sarà suo per sempre.”.
Nicholas
Thornton reagì a
quell’affermazione molto diversamente da come si era immaginata.
Un
sorriso pigro gli increspò le
labbra più del solito, raggiungendo per un breve attimo lo sguardo
dell’unico
occhio sano.
“Questo
lo vedremo…”
Areoporto di
Heathrow
Londra
Aprile
2005
Mac
non vide subito Harm, ma qualcosa,
dentro di lei, percepì la sua vicinanza. Credeva che queste strane
sensazioni,
quel filo invisibile che li univa si fosse spezzato per sempre, ed
invece, con
sua grande sorpresa, ciò non era accaduto.
Quando
scorse il volto di Harm tra la
ressa, per un nanosecondo il suo cuore smise di battere, ma la parte
cosciente e
raziocinante della donna non registrò l’avvenimento. Le sembrò
invecchiato, ”Anche
un po’ ingrassato”, pensò con una punta di malignità, ma
non aveva certamente perso
il fascino e il magnetismo che lo caratterizzava, come poté notare
dalle lunghe
occhiate che gli venivano rivolte dalle signore di passaggio. Inutile
malignare, Harm era sempre bello e affascinante.
Si
incontrarono a mezza via.
“Ciao
Marine” la salutò lui.
“Ciao
Flyboy” rispose al saluto.
Rimasero
in silenzio per alcuni istanti, un
silenzio carico di imbarazzo: non sapevano cosa dirsi dopo tutto quel
tempo.
“Come
è andato il viaggio?” chiese Harm
alla fine.
“Bene”
rispose Mac. “Non mi aspettavo di
trovare te, il Gran Capo in persona.”
“Non
mi piaceva l’idea che fosse uno sconosciuto
ufficiale o sottufficiale ad accoglierti al tuo arrivo” rispose.
“Uh
uh, il solito cavalier servente” ironizzò
Mac.
“Piuttosto
vedo che sei stata promossa.”
“Una
sorpresa anche per me” rispose mentre
si incamminavano verso l’uscita. “Ma tutto ha un prezzo: sarò
trasferita a San
Diego al termine di questa missione.”
Fece
il gesto di prenderle la valigia, ma
lei rifiutò.
“Grazie,
faccio da me” rispose compitamente
e nello scostare il braccio di lui dalla maniglia del trolley un raggio
di luce
fece brillare il solitario.
Harm
vide l’anello e la sensazione che
provò era identica a quella che aveva provato quando, una vita prima,
in un
altro aeroporto agli antipodi del globo terracqueo, non seguendo il
saggio
consiglio dell’Ammiraglio, si era voltato indietro prima dell’imbarco e
aveva
visto Mac che baciava estasiata Brumby.
Lo
stomaco gli si riempì di farfalle.
“Chi
sarebbe il fortunato?” chiese, non
tanto sicuro di voler sapere. Ma di che accidenti si preoccupava? La
vita
privata di Mac non era affar suo dopotutto!
“Ah,
hai visto questo” disse lei alzando la
mano all’altezza del viso e fissando l’anello con aria sognante.
“E’
Webb” ripose poi con semplicità, sempre
mantenendo la stessa espressione.
“Vieni
ti accompagno” replicò Harm
preferendo glissare e non volendo conoscere altro della vita privata di
lei.
Sarebbero
stati, per l’ultima volta,
colleghi; avrebbero dato il meglio di sé nella conduzione delle
indagini, ma il
piano personale sarebbe stato tassativamente escluso dai loro rapporti.
Anzi si
era quasi pentito di aver accondisceso alla richiesta di Linda.
Senza
che Harm lo sapesse, ma com’era naturale
quand’erano insieme, anche Mac pensava le stesse identiche cose.
Uscirono
dal terminal e si diressero verso
una macchina scura che li stava attendendo. L’autista scese e prese la
valigia
di Mac riponendola nel bagagliaio, dopodiché le aprì la portiera
permettendole
di salire. Girò intorno all’autoveicolo e fece la stessa cosa con Harm,
poi si
mise alla guida uscendo dall’aeroporto e immettendosi nel traffico
caotico della
City.
“Si
vede che sei un pezzo grosso, adesso.
Persino l’auto con l’autista” considerò Mac sorniona.
Harm
non rispose.
Fecero
il tragitto in perfetto silenzio,
ognuno immerso nei propri pensieri. Non avevano nulla da dirsi, sebbene
solo
qualche mese prima non potessero fare a meno l’uno dell’altra. Per nove
lunghi
anni avevano lavorato insieme, ora uniti ora su fronti opposti, avevano
condiviso tutto l’uno della vita dell’altro, si erano dati reciproco
sostegno
nei momenti di bisogno e si erano salvati la vita vicendevolmente in
più di
un’occasione.
Si
erano anche amati alla follia, pur se a
modo loro e il fatto che nessuno dei due avesse saputo (o voluto?)
mantenere
una relazione duratura fino al distacco definitivo ne era la prova.
Ma
ora Harm e Mac erano due estranei e
nessuno che non li avesse conosciuti anche prima avrebbe potuto credere
che un
tempo erano stati così uniti.
“Ehi,
ma non stiamo andando in albergo!”
esclamò Mac quando si accorse che la macchina passava davanti all’hotel
senza
fermarsi.
“E’
vero, mi sono scordato di dirtelo: sei
a pranzo da me” rispose laconico Harm.
Perché
aveva parlato al singolare?
Dopotutto quella era casa anche di Belinda non solo sua. Cosa voleva
dimostrarle quando, inevitabilmente, l’altra le avrebbe aperto la
porta? Che anche
lui si era rifatto una vita? Che era indispettito per non avergli detto
di essersi
fidanzata con Webb?
L’autista
parcheggiò davanti ad un’elegante
palazzina in stile vittoriano e scese per aprire la portiera a Mac.
“Le
valigie del Colonnello le porti in
albergo sottufficiale”, ordinò Harm prima di scendere e aprire il
portone di
casa.
Il
sottufficiale annuì e rimontò in
macchina.
“Carino
qui” disse Mac entrando
nell’androne dal quale partiva una scala.
“E’
molto diverso la loft di North of Union
Station, ma confortevole.”
“E’
tutta tua la palazzina?” chiese lei
incamminandosi per la scala.
“Occupo
gli ultimi due piani.”
“Mi
sarei aspettata un super attico con uno
stuolo di domestici” osservò ironica.
“Mi
avevano proposto un castello in Scozia,
ma ho preferito una più modesta sistemazione qui a Hyde Park. Più
vicino al Comando.
E’ stata fatta costruita nel 1852 dal Duca di Lyndham…” rispose.
Mac
sorrise impercettibilmente.
Arrivarono
al piano e subito la porta
laccata di nero si aprì.
“Benvenuta!”
la salutò una florida ragazza
dalla folta chioma rossa e con un viso pieno di efelidi.
Gli
occhi verdi sprizzavano allegria e
cordialità, mentre le stringeva vigorosamente la mano: “Tu devi essere
Mac,
l’amica e collega di Harmon. Entra!” la invitò scostandosi per
lasciarla
passare
“Lei
è Belinda” risuonò alle sue spalle la
voce di lui.
Mac
era convinta di sbagliarsi, ma le era
sembrato di cogliere una nota di soddisfazione. Scosse la testa ed
entrò al
seguito della ragazza, la quale rivolse ad Harm un bonario rimprovero:
“Solo ‘lei
è Belinda’? Il solito orso! Mi hai detto che lei è la tua migliore
amica. Se
così è perché non le hai riferito del fatto che mi sono trasferita
qui?”.
Non
gli lasciò il tempo di replicare e
sollecitò Mac a seguirla nel soggiorno: “Accomodati e non far caso a
quell’orso
polare che è il mio convivente. Siediti pure e mettiti a tuo agio.
Arrivo
subito.”.
Mac
si sedette su uno dei comodi divani.
Convivente,
pensò. Decisamente Harm si era
dato più da fare in cinque-sei mesi a Londra con quella ragazza che non
in nove
anni negli States con lei. Ma del resto cosa aveva sperato? Di trovarlo
solo e
disperato? Era logico che si fosse costruito una vita, anche affettiva,
in
Inghilterra esattamente come lei aveva fatto a Washington.
Girò
lo sguardo nella stanza e intravide
Harm che baciava sulla punta del naso Belinda con un’espressione che
mai gli
aveva visto in faccia.
“E’ innamorato, senza dubbio.
Buon per lui”
si disse.
Lui
tornò poco dopo, in borghese, reggendo
un vassoio con due bicchieri.
“Belinda
non si unisce a noi?” chiese.
“Preferisce
controllare che l’arrosto non
bruci. Suppongo tu non abbia ripreso a bere” le disse poi sedendosi di
fronte e
porgendole il bicchiere con l’acqua tonica.
“Supponi
bene marinaio” rispose.
“Simpatica
la tua ragazza” osservò poi.
“Un
vero tesoro, senza di lei sarei perso”
rispose. E Mac si accorse che era sincero, anche se quelle stesse
parole, tempo
addietro, le aveva rivolte a lei.
Prima
che avessero il tempo di aggiungere
altro, Belinda irruppe nel salone annunciando che il pranzo era pronto.
Residenza del
Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra
Aprile 1858
Il mio cuore non vi
apparterrà
mai… è di un altro uomo e sarà suo per sempre…
Le
parole di Lady Sarah
continuavano a ritornargli in mente, senza tregua.
Era
rientrato da più di un’ora
dalla festa, eppure non riusciva ancora a prendere sonno. Quella frase
lo stava
tenendo sveglio.
Si
era buttato sul letto senza
neppure svestirsi completamente, con la camicia slacciata sul petto e
con
indosso ancora i pantaloni; aveva trovato solo il tempo per versarsi un
abbondante bicchiere di whisky che ora stava centellinando, mentre
immagini di
lei lo riempivano di desiderio… l’avrebbe voluta lì, con lui, nel suo
letto…
allora sì che avrebbe evitato la compagnia solitaria del liquore.
Poteva
sentire ancora il suo
profumo; poteva immaginare la levigatezza della sua pelle, la
morbidezza dei
suoi capelli… era in grado persino di assaporare con la mente le sue
labbra
invitanti. Nei suoi sogni la stringeva tra le braccia
appassionatamente, mentre
lei gli rispondeva con il medesimo trasporto…
Doveva
smetterla!
Doveva
smetterla, o non avrebbe
più chiuso occhio. Ma non l’aveva mai desiderata tanto quanto quella
sera, così
bella e terribilmente irraggiungibile.
Il mio cuore non vi apparterrà
mai…
Quello
avrebbe anche potuto
accettarlo: sapeva quanto fosse ribelle ed indipendente ed era disposto
a
lasciarle tutta la libertà che desiderava, una volta sposati, purché
lei gli
appartenesse.
Che
ironia! Voleva che fosse sua
eppure, pur di averla, era disposto a concederle la più ampia libertà…
quasi un
controsenso!
Ma
sarebbe stato l’unico modo
affinché almeno una piccola parte di lei fosse sua.
… E’ di un altro uomo e sarà suo
per sempre…
Era
questo, invece, che non
riusciva a tollerare! Che il suo cuore appartenesse ad un altro.
E
non importava neppure chi
fosse l’altro uomo. Il solo sentirle pronunciare quella frase lo aveva
reso
geloso.
Era
normale tutto questo?
No,
non lo era affatto.
Ma
era abituato a queste
sensazioni, ormai. Fin da quando l’aveva incontrata per la prima volta,
si era
pazzamente innamorato di lei… e da allora, quando mai con quella donna
si era comportato
come era suo solito fare?
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Capitolo 6 *** Manovre d'accerchiamento ***
Capitolo VI
Manovre
d'accerchiamento
Grosvenor
Hotel
Londra
Aprile
2005
L’uomo
appostato nella hall dell’hotel
attese un paio d’ore, ma quando comprese che la donna non sarebbe
arrivata,
telefonò al suo capo.
“La
ragazza non è arrivata” gli comunicò
asciutto.
“Hai
controllato che non abbia cambiato
prenotazione all’ultimo minuto?”
“Sì
e non l’ha fatto.”
Ma
per chi lo prendeva? Per un novellino?
Si chiese indispettito.
“Rimani
in posizione chiamami quando la
vedi arrivare.”
“Va
bene” e chiuse la conversazione
immergendosi nuovamente nella lettura del “Times”.
Ufficio di
Clayton Webb
Langley, Virginia
Aprile
2005
Webb
sbatté con forza il telefono sulla
forcella.
Ma
dov’era Sarah? Sarebbe dovuta arrivare
al Grosvenor almeno due ore prima.
A
meno che… sollevò la cornetta e compose
il numero di cellulare della fidanzata. Spento o comunque non
raggiungibile,
gli comunicò cortesemente la voce registrata dell’operatore telefonico.
Imprecò
di nuovo.
Pochi
minuti dopo suonò nuovamente il
telefono della linea privata.
“Allora?”
esordì senza altri preamboli.
“E’
arrivata adesso. È alla reception.”
“E’
da sola?”
“No”
rispose l’uomo a Londra.
Un
brivido corse lungo la schiena di Webb:
“Con chi è?”.
“Un
uomo.”
Il
vicedirettore per le operazioni in
Mediorioente sbuffò infastidito:
“Fin
lì credo di arrivarci anche io a meno
che non sia diventata lesbica nel giro di cinque ore o poco più”
rispose
seccato. “Chi è l’uomo? Un fattorino dell’albergo?”
“No,
è un tizio alto e bruno.”
Il
brivido s’intensificò e campanelli d’allarme
cominciarono a risuonare nella mente di Webb.
“E’
in divisa della Marina americana? Ha i
gradi da Capitano?” chiese cercando di nascondere l’apprensione.
“No
e no. Ma comunque sembrano essere
abbastanza in confidenza” aggiunse.
Dannato
Rabb! Non poteva che essere lui.
Non aveva perso tempo.
“Che
sta accadendo?”
“Nulla.
L’uomo ha chiamato un fattorino e
sta salutando la ragazza. È tutto.”
“Continua
a tenere d’occhio la ragazza,
Patrick. E riferiscimi di ogni suo spostamento con quel tizio.”
Chiuse
la comunicazione ancora più nervoso
di prima. Aveva fatto bene a mettere sotto controllo Sarah, con Rabb in
circolazione e a piede libero nulla era sicuro e di certo non voleva
che si
ripetesse quanto accaduto due anni addietro.
Giardini di
Hyde Park
Londra
Aprile 1858
La
giornata era tiepida e
soleggiata, una tipica giornata primaverile che invogliava ad uscire
all’aperto,
lo si poteva osservare da quante persone, quel giorno, stavano
passeggiando per
i giardini di Hyde Park.
Le
dame avevano già aperto i
loro parasole e sfoggiavano abiti leggeri, dalle delicate tinte
pastello,
mentre i gentiluomini avevano lasciato a casa mantelli e soprabiti e
indossavano semplicemente la giacca sopra al panciotto. Le carrozze
chiuse
erano rimaste nelle rimesse ed erano state sostituite dai calessi
scoperti.
Anche
Lady Sarah aveva
approfittato del tepore della bella giornata, preferendo però, come
sempre,
cavalcare Ginger, la sua splendida purosangue; benché dovesse accontentarsi di una
passeggiata all’amazzone,
anziché di una sfrenata galoppata all’arcione, tuttavia uscire a
cavallo in
quel tiepido pomeriggio di inizio aprile serviva a distenderle i nervi.
Erano
passati cinque giorni dal
ricevimento in casa di Lord Norwich e dall’assurda proposta di Nicholas
Thornton,
e Lady Sarah non aveva fatto altro che pensare a quello che si erano
detti lei
e il futuro Duca di Lyndham.
Quell’uomo
era davvero pazzo se
credeva che avrebbe accettato di sposarlo, pur di essere aiutata ad
incastrare
Hewitt!
Eppure…
Da
giorni stava cercando una
soluzione diversa; erano notti che si arrovellava il cervello per
trovare un
piano migliore di quello che Lord Thornton le aveva sottoposto, eppure
non era
riuscita a pensare a nulla di meglio. L’idea di Nicholas Thornton,
nella sua
semplicità, restava la migliore: fingersi un inesperto e sciocco
riccone che
voleva cimentarsi nell’allevamento di cavalli di razza era il modo più
probabile perché Hewitt tentasse di ingannare e frodare anche l’erede
del Duca
di Lyndham.
Il
piano avrebbe potuto funzionare.
Ma, nonostante tutto, lei non poteva sposarlo!
Neppure
se lui l’avesse davvero
aiutata a trovare le prove per incastrare l’uomo che aveva rovinato la
sua
famiglia.
“Vi
trovo pensierosa, Lady
Sarah. State per caso valutando la mia proposta di matrimonio?”
Era
così immersa nei propri
pensieri che non si era neppure accorta che qualcuno le si era
avvicinato e le stava
cavalcando a fianco. Quando la voce beffarda di Lord Thornton raggiunse
il suo
cervello, era troppo tardi per allontanarsi e fingere di non averlo
visto.
Prima
di rispondere, inspirò
profondamente l’aria che profumava di glicine, rose e caprifoglio…
quell’uomo
aveva il potere di renderla nervosa, sgradevole e sempre sulla
difensiva.
“Non
trattenete il fiato, nel
frattempo, Milord,” disse sarcastica, “non vorrei essere causa della
vostra
prematura dipartita!”
“Sempre
così deliziosamente gentile,
la nostra Lady Sarah Jane…” rispose lui, avvicinando di più il suo
cavallo a
Ginger, la quale accolse il morello arabo del Duca senza scomporsi.
Traditrice!,
pensò
irrazionalmente Lady Sarah, sfogando
mentalmente la sua frustrazione sulla cavalla che manteneva il passo
tranquilla.
Lei
era un fascio di nervi.
Perché
quell’uomo la metteva sempre
così tanto in tensione? Non riusciva a spiegarselo.
Lo
guardò di sottecchi e si rese
conto di provare un’assurda e irrazionale, nonché inspiegabile,
attrazione per
Nicholas Thornton.
Continuava
a non piacerle come persona:
lo trovava irritante, troppo sfrontato e in certi momenti addirittura
subdolo,
con un carattere cupo e sgradevole.
Tuttavia,
senza capirne il
motivo, sentiva che non poteva fare a meno di avvertire il magnetismo
che sprigionava
e lo strano fascino che esercitava quando si aveva a che fare con lui.
Nonostante
tutto era un uomo
estremamente interessante.
“Se
volete ancora mettere in
atto il vostro piano con Hewitt, ritengo che non dobbiate farvi vedere
cavalcare il vostro destriero, altrimenti il barone di Wiltshire non
crederà
mai che siate poco esperto di cavalli…” disse per rompere il silenzio
che si
era venuto a creare tra loro e che, inspiegabilmente, la irritava più
delle
loro schermaglie.
“Mi
state per caso facendo un
complimento, Milady?”
Lei
lo guardò, gli rivolse uno
stiracchiato sorriso, ma non rispose.
“Oppure
state davvero prendendo
in considerazione la mia proposta?”, aggiunse lui, beffardo.
“Stavo
semplicemente facendo
conversazione, Milord” rispose lei, con tono falsamente annoiato.
In
realtà l’avrebbe
schiaffeggiato volentieri.
Lui
riconobbe il lampo d’ira nei
suoi occhi e si divertì a prenderla in giro:
“Devo
porgere l’altra guancia?”
disse ironico, coprendosi con la mano la zona di volto che lei aveva
già
colpito una volta.
“Ne
sarei felicissima…” rispose Lady
Sarah, ancora più infastidita perché lui le aveva letto nel pensiero.
“Immagino
quanto”, aggiunse Nicholas
Thornton, col medesimo tono ironico.
Poi,
cambiando improvvisamente
discorso, tornò a farla parlare di cavalli.
“Vi
piace davvero il mio
animale?”
Lei
si sentì spiazzata e per un
attimo non seppe più come comportarsi; quindi decise che era stufa di
sentirsi
nervosa in sua presenza e optò per godersi la passeggiata e la
conversazione.
Se fossero rimasti su argomenti neutri, avrebbe potuto anche essere
piacevole.
“E’
uno splendido animale. E’ un
Arabo, vero?” domandò, genuinamente interessata.
“Sì,
è un morello arabo…”
“E
tra i più rari e apprezzati”
aggiunse lei, accennando ai garretti bianchi dell’animale.
“Ve
ne intendete di cavalli,
Milady!” constatò, piacevolmente sorpreso, Lord Thornton.
“Mio
padre…” disse semplicemente,
come se quel riferimento fosse sufficiente a spiegare tutto.
E
a quanto pare lo fu: Nicholas
Thornton la trascinò per più di un’ora, mentre lentamente passeggiavano
nel
parco, in una piacevole conversazione come non ne faceva da tempo… Da
più di un
anno, si rese conto.
Da quando aveva lasciato André.
Grosvenor
Hotel, camera 512
Londra
Aprile
2005
Mac
entrò nella stanza preceduta dal
fattorino dell’albergo che posò le valigie al centro della stanza.
“Desidera
altro ma’am?” domandò.
“No,
grazie” rispose Mac porgendogli la
mancia.
Il
fattorino ringraziò ed uscì.
Si
sedette sul letto e a tutta prima non
notò il mazzo di rose rosse poggiato quasi distrattamente sullo
scrittoio di
fronte alla finestra che dava su Grosvenor Square. Mise in carica il
cellulare
e non appena lo accese vide la chiamata di Clay e subito lo richiamò.
“Ciao
tesoro” lo salutò affettuosamente.
“Che
è successo Sarah? Ho cercato di
chiamarti ma avevi il cellulare spento. Hai avuto problemi?” domandò
preoccupato lui.
“Nessun
problema. Mi si è scaricata la
batteria mentre ero a pranzo a casa di Harm. È venuto a prendermi di
persona
all’aeroporto. Molto gentile da parte sua” rispose con semplicità Mac.
Sì,
gentile come un serpente a sonagli,
pensò Webb ma tenne per sé la considerazione.
“…
e così ho conosciuto la sua fidanzata”
stava dicendo Sarah.
La
mente di Clay registrò solo di sfuggita
la notizia, ma due minuti dopo se ne ricordò: “Mi stai dicendo che Rabb
si è fidanzato?”
esclamò incredulo quando comprese appieno la portata della
notizia.
Mac
scoppiò a ridere: “Già, da non credere
vero? Belinda è adorabile e sono molto innamorati.”.
“Questa
sì che è una bella notizia” disse
lui, ma Mac non colse il significato recondito di quella frase
apparentemente
innocente.
Continuarono
a parlare del più e del meno e
si salutarono.
Solo
quando ebbe chiuso con il fidanzato,
Mac si accorse del mazzo di fiori.
Si
alzò dal letto e lo prese in mano
assaporandone l’aroma. Poi vide una minuscola scatola posta proprio al
centro
del mazzo. La prese e l’aprì: dentro c’erano due meravigliosi orecchini
in
diamanti montati in oro bianco. Aprì anche il biglietto: “Così puoi
fare
pendant con l’anello” c’era scritto nella chiara
calligrafia di Clay.
Estasiata
da quel dono, lo richiamò
immediatamente e quando sentì che la comunicazione veniva aperta
dall’altra
parte esclamò: “Se non avessi già accettato di sposarti ti sposerei
subito!”.
Webb
rise: “Hai trovato le rose.”.
“Sì
e anche quello che era dentro le
rose”, rispose Sarah quasi
sull’orlo della commozione. “Sono stupendi Clay, ma tu mi vizi troppo.”
“Adoro
viziarti e lo sai” rispose
“Ti
amo.”
“Anche
io e ora riposati, sarai stanca.”
“Agli
ordini signore!”
Chiuse
la conversazione e si distese su
letto con la scatoletta fra le mani e un’espressione estasiata dipinta
sul
volto: la vita era meravigliosamente bella!
Giardini di
Hyde Park
Londra
Aprile 1858
“Posso
avervi come mia ospite a
teatro, domani sera?”
La
passeggiata stava volgendo al
termine e Nicholas era riluttante a lasciarla andare. Per circa un’ora
avevano
chiacchierato piacevolmente di cavalli, ma non solo, ed egli aveva
scoperto un
altro lato di Lady Sarah che lo affascinava: anche lei, come lui, amava
la
propria terra ed era profondamente attaccata alla dimora di famiglia,
al punto
da sacrificare moltissimo per mantenerla di proprietà dei Montagu.
“Che
intenzioni avete, Milord?”
chiese Lady Sarah, “Non crederete che una conversazione sui cavalli,
per altro
piacevole, mi abbia addolcito al punto da farmi cambiare idea su di voi
e sulla
vostra proposta?”
Il
tono con cui parlò, tuttavia,
era più amichevole di quanto non fosse mai stato e strappò un accenno
di
sorriso alle labbra di Nicholas Thornton.
“Oh,
non speravo tanto! Ma
confidavo che potesse farlo un invito a teatro…” rispose lui,
prendendola in
giro. “Ci sarà Romeo e Giulietta. Vi piace?” chiese poi.
“Mhmm…
un amore tormentato e
impossibile… un po’ come l’Amore in genere…”
“Non
sempre è così, Milady.
Spesso l’amore è fonte di gioia e di piacere.”.
Lei
non rispose, tuttavia lui
vide passare nei suoi begli occhi un’ombra di tristezza e di rimpianto.
“Perché
avete avuto una brutta
esperienza questo non significa che l’amore non possa regalarvi, un
giorno,
gioia e piacere…” la stuzzicò lui. Ma subito se ne pentì, quando la
vide
rivolgergli uno sguardo assassino.
“Non
ho avuto una brutta
esperienza” disse secca.
“Un
uomo deve avervi fatto
soffrire molto… l’uomo che ancora amate…”
“Non
fu lui a farmi soffrire…
fui io a fargli del male…” mormorò lei, quasi tra sé.
Poi,
accortasi di aver detto più
di quanto volesse, cambiò argomento, riprendendo un tono volutamente
mondano:
“E
poi devo pensare alla mia
reputazione: cosa direbbero in società se venissi a teatro, sola, con
voi?”
“Mio
zio vi farà da chaperon, se è
questo ciò che temete”
disse rapido lui.
“Vostro
zio? Intendete Sua
Grazia il Duca di Lyndham? Non credete che sia un po’ troppo avventato
presentarmi a vostro zio?” chiese Lady Sarah, prendendolo in giro.
Ma
Nicholas Thornton era serio:
“E’
mio zio che desidera
incontrarvi. Sua Grazia ha espresso il desiderio di conoscere l’unica
donna che
sia riuscita a schiaffeggiarmi, quando neanche mia madre vi è mai stata
capace!”
“Troppo
buona, vostra madre!”
rispose lei, divertita. Poi chiese: “Vostro zio davvero sa che vi ho
schiaffeggiato? Glielo avete detto voi?”
“Non
ce n’è stato bisogno…”
“Capisco.
Non è un gran
biglietto di presentazione, per conoscere personalmente un duca!”
considerò
Lady Sarah.
“Al
contrario! Mio zio, vi
assicuro, vi adora di già per questo!” rispose lui.
Una
risata argentina salì
spontanea alle labbra di Lady Sarah Jane Montagu:
“Credo
che vostro zio mi piacerà
moltissimo, Lord Thornton!”
Mai
quanto voi piacete a me, Lady Sarah,
aggiunse lui, nella sua mente, osservandola incantato.
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Capitolo 7 *** Incrinature ***
Capitolo VII
Incrinature
Uffici del
comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
Aprile
2005
L’appuntamento
per la prima riunione della
task force era fissata alle 8.00 e Mac giunse, come sempre,
puntualissima ed
impeccabile.
Si
presentò all’entrata del Comando e
chiese all’ufficiale di guardia indicazioni per raggiungere il luogo
del
convegno. L’uomo la scortò fino al secondo piano del palazzo e la
introdusse in
un ambiente che, per molti versi, somigliava alla sala riunioni del JAG
a Washington.
La
sala riunioni del JAG… le ricordava quel
bacio dato così impulsivamente al suo ex collega. Aveva provato delle
sensazioni bellissime posando le sue labbra sulle sue, intrecciando la
propria
lingua alla sua, assaporando la mano di lui sulla nuca che l’avvicinava
e la
stringeva ancor di più. Scacciò dalla mente questi pensieri. Ormai era
acqua
passata: le loro strade si erano divise per sempre ed era giusto che
fosse
così.
Girellò
per l’ampio salone curiosando fra
le raccolte di giurisprudenza, i codici, i testi e le riviste.
“Ti
stai ambientando”, risuonò alle sue
spalle la voce profonda di Harm.
Mac
trasalì e si voltò: “Sei diventato
puntuale o gli inglesi ti hanno fatto cambiare abitudini a forza di
riempirti
le stanze di orologi?”, lo prese giro per nascondere il proprio disagio.
“Un
po’ dell’uno e un po’ dell’altro”
rispose lui allontanandosi e sedendo ad un capo del grande tavolo in
noce.
Fuori,
la grigia e piovosa mattinata non
metteva di buonumore, ma Mac era insolitamente piena di energia e
voglia di
fare, proprio lei di norma meteoropatica. Imputò questo suo stato
d’animo alle
parole di incoraggiamento di Clay della sera prima, e non certo al
fatto che
lei e Harm erano tornati a fare squadra.
Si
sedette.
“Quando
arriverà il resto della task
force?”
“Tra
un’ora.”
Mac
lo guardò in tralice: “E perché mi hai
fatta venire alle 8.00 se la riunione era alle 9.00?” chiese truce. Non
le
piacevano questo genere di giochini e voleva che Harm avesse ben chiaro
il
concetto. Il tempo dei giochi fra di loro era finito.
“Perché
prima volevo discutere con te i
dettagli del caso e sentire la tua opinione” le rispose aprendo il
faldone dove
erano custodite le carte. “Se dobbiamo gestire insieme il comando è
opportuno
che la pensiamo alla stessa maniera circa il modo di condurre le
indagini. Se
non c’è armonia fra di noi tutto ne risente senza elencare le
conseguenze
politiche.”
“Harm
il saggio” replicò asciutta Mac, “ma
cosa credi?” proseguì poi infervorandosi, “Che sia venuta qui per
gestire
questo caso con leggerezza? Che non ne conosca i risvolti politici e le
implicazioni nelle relazioni fra Stati Uniti e Inghilterra?” lo guardò
accigliata.
“Non
ti sto dicendo questo Mac, ma la
situazione è più delicata di quanto pensi. Abbiamo già un precedente
con gli italiani
e sai come è andata a finire, per poco non si rompevano le relazioni
diplomatiche. Il Presidente non vuole che accada la medesima cosa.
Tutto qui.
Il fatto è che questa, più che un’indagine militare, ha il sapore di
un’azione
politica.”
“Oh
certo Capitano e tu sei un autentico
animale politico.”
“Anche
tu lo sei” rispose piccato Harm
punto sul vivo. “Webb è una buona scuola. Scommetto che ti ha insegnato
un
sacco di giochetti.”
Mac
lo fulminò con un’occhiata
inceneritrice: “Non ti permettere Rabb. Intesi?” lo ammonì gelida. “La
mia vita
privata non ti riguarda più, se mai ti abbia riguardato in passato”
soggiunse.
E
la temperatura nella grande sala scese di
parecchi gradi.
“Passami
il fascicolo e concentriamoci sul
lavoro” disse piatta e incolore.
Lui
fece quanto chiesto, pentendosi
dell’uscita infelice, ma non scusandosene. Ma cosa gli aveva preso?
Aveva
deciso che la vita di Mac non lo riguardava più, e allora perché
continuava a
tormentarla, e a tormentare se stesso, con quelle idiozie? La notte
scorsa
aveva dormito male, inseguito dagli incubi di lei che si sposava con
Webb,
l’immagine dell’anello al suo dito, il viso di lei perso di felicità…
una
nottataccia. E al mattino aveva quasi litigato con Belinda.
La
guardò di sottecchi mentre leggeva le carte
che le aveva appena passato. Era ancor più bella di quando l’aveva
lasciata.
L’amore
fa miracoli,
pensò, ma sarei dovuto essere io
l’artefice di questo cambiamento.
Tornò
a concentrarsi sul caso eliminando
dalla sua mente qualunque altro pensiero estraneo. Sarebbe stato
difficile, ma
avrebbe superato tutto e una volta che Mac fosse ripartita per gli
States non
si sarebbero mai più rivisiti e la tranquillità sarebbe tornata. E
allora
perché al solo pensiero gli si stringeva lo stomaco?
Un
attimo dopo il Tenente Cunningham entrò
nella sala scortando due ufficiali inglesi.
“Il
Capitano Lockeed e il Comandante
Seymour” annunciò.
Harm
si alzò e accolse i due uomini.
“Benvenuti”
disse. “Accomodatevi. Questa è
il Colonnello dei Marines Sarah Mackenzie, l’altro membro della task
force.”
Mac
si alzò e strinse la mano ai due.
Lockeed,
un biondo sui quarant’anni
allampanato e magrissimo, prese la parola per primo, mentre Seymour,
che
sembrava il fratello gemello di Jean Claude Van Damme, estraeva dalla
valigetta
alcuni documenti.
“Abbiamo
visionato tutti i rapporti e le
testimonianze delle persone che erano a bordo della jeep” esordì con
voce
nasale Lockeed, le vocali arrotondate come se avesse frequentato Oxford
fino al
giorno prima. “Tutti sostengono di non aver visto il check point e di
non
sapere che in quella zona ve ne fosse uno.”
“Sulle
mappe però era segnato. E come mai
le forze armate americane non sapevano dell’operazione in corso?”
chiese Mac.
“Perché
era così che doveva essere” rispose
laconico e atono Seymour.
“Non
è una risposta” replicò Mac. “Il
comando delle operazioni in Iraq è affidato agli Stati Uniti che devono
essere
pertanto messi al corrente di ogni cosa che accade sul suolo iracheno.”
Mac
e Seymour si fissavano con aria per
nulla cordiale, la prima perché non sopportava le non-risposte, il
secondo per
semplice antipatia. Da generazioni, la sua famiglia mandava almeno un
figlio in
Marina e da generazioni erano sostenitori che le donne non dovessero
stare
nell’esercito. Ed ora era costretto a lavorare con una donna più alta
in grado
di lui! Insopportabile.
La
fissò con astio: troppo bella per essere
anche intelligente e capace, e troppo arrogante e saccente per
riuscirgli
gradita. Nella concezione del Comandante della Royal Navy Lancaster
Seymour, le
donne dovevano limitarsi a sposarsi, restare a casa e sfornare figli.
“Andiamo
Signori” intervenne Harm a fare da
paciere. “Siamo qui con il medesimo scopo e non è il caso di partire
con il
piede sbagliato. Dobbiamo giocare a carte scoperte se vogliamo arrivare
in
fondo a questa spiacevole vicenda” proseguì fissando Seymour.
“Ve
lo chiedo ancora: perché non siamo
stati informati della presenza di soldati inglesi dei reparti speciali
della
Marina nell’area di Nassirya? E perché il Comando delle Forze Alleate
non
sapeva dell’esistenza di un ostaggio inglese e dell’operazione di
liberazione?”
Seymour
e Lockeed si guardarono per un
attimo.
“L’ostaggio
era un giornalista del ‘Times’ che
stava seguendo un’indagine
circa una possibile presenza di Al Qaida in Iraq” rispose alla fine
Lockeed.
“Ma
che Al Qaida sia presente in Iraq è
risaputo!” sbottò Mac. “Al Zarqawi ne è uno dei capi.”
“No,
Colonnello” intervenne Seymour con
supponenza. “Herriott, il giornalista, stava cercando di dimostrare che
Bin
Laden in persona si trova in Iraq e non in Afghanistan dove avete
sempre
creduto si trovasse” concluse condiscendente.
Gli
occhi di Mac mandavano lampi in
direzione del Comandante, non sopportava quella tracotanza e quell’aria
da
compatimento che assumeva quando parlava con lei. Mantenendo a stento
la calma
e la voglia di rompergli il naso con un colpo ben assestato, mise le
cose in
chiaro: “Qualcosa nella mia persona la disturba Comandante? Ha
difficoltà a
relazionarsi con una donna superiore a lei nella scala gerarchica? Se
c’è
qualcosa che la irrita, Comandante Seymour, me lo dica qui e subito”.
Harm
guardava ora l’uno ora l’altro dei due
ufficiali. Mac era scesa sul sentiero di guerra e lui adorava vederla
così. Era
una combattente, che non si lasciava sopraffare dalle difficoltà o
dagli
ufficiali presuntuosi. Ora capiva cosa l’aveva attirato in lei e cosa
tutt’ora
lo faceva stare male al pensiero di non poterla più considerare almeno
come
amica. Rimpiangeva i tempi in cui Mac gli riservava lo stesso
trattamento,
quando la loro amicizia era salda e non c’erano muri di incomprensione
dividerli, né un fidanzato e una convivente a rendere le cose ancor più
complicate.
Sperava
ardentemente che quel passato
potesse tornare, anche se lui si era sistemato con Belinda e lei con
Webb. Cosa
avrebbe potuto impedire loro di tornare amici?
Riportò
l’attenzione sulla battaglia che si
stava svolgendo in quel momento: Mac guardava Seymour, che ricambiava
lo
sguardo, in attesa di una risposta, mentre il Capitano Lockeed sembrava
in
imbarazzo.
“Non
ho nulla nei suoi confronti
Colonnello” rispose alla fine l’inglese.
“Ne
sono lieta. Le consiglio pertanto di
assumere un tono più urbano quando si rivolge a me” concluse Mac secca.
Harm
ripetè la domanda: “Come mai non avete
ritenuto opportuno segnalare la missione?”.
“Perché
l’incarico di Herriott era in parte
giornalistico e in parte militare, con un finanziamento dell’MI5”
rispose
Lockeed questa volta. “Non si voleva che la notizia fosse diffusa.”
“Però
i rapitori l’hanno saputo che
Herriott era a Nassirya in cerca di Bin Laden.”
“Sì
e non sappiamo come abbiano potuto
avere le informazioni” rispose desolato Lockeed.
Harm
e Mac si scambiarono uno sguardo
fuggevole ma carico di significati.
“Abbiamo
chiarito un punto” disse poi lei.
“Adesso dobbiamo capire perché il vostro convoglio ha ignorato l’alt
del check
point, peraltro segnalato sulle mappe.”
“Quella
che avevano loro non riportava la
presenza del check point” disse Lockeed.
“Ma
dove l’hanno presa?”
“Gli
è stata fornita dal Comando.”
Si
guardarono perplessi: era notorio che le
mappe in uso alle Forze Armate erano identiche per tutti.
“Dobbiamo
acquisirla” disse Harm
“E’
andata distrutta nel conflitto a fuoco”
rispose Seymour.
“Allora
interrogheremo il furiere che si è
occupato dell’equipaggiamento della spedizione. Da dove è partita?”
“Baghdad.”
“Mi
hai letto nel pensiero Marine” le disse
Harm.
“Non
lo faccio sempre?” rispose Mac con un
sorrisino ironico.
La
riunione proseguì per tutta la mattinata
e parte del pomeriggio, e durante quelle ore vennero suddivisi i
compiti: i due
americani avrebbero interrogato i compatrioti, mentre Lockeed e Seymour
si
sarebbero incaricati di raccogliere le testimonianze dei soldati
inglesi.
Il
giornalista, Jonathan Ascot Herriott,
l’avrebbero sentito insieme.
Discussero
molto circa l’acquisizione delle
prove materiali (cartine, bossoli, la macchina, i rilievi della Polizia
Militare) e alla fine convennero che sarebbe stato meglio acquisire
tutto e
conservarlo in un luogo sicuro, per evitare l’inquinamento delle prove.
Quando
terminarono, Mac era esausta. Tutto
quello che desiderava era una doccia calda e un letto dove potersi
riposare.
Salutò
Harm e prese un taxi in direzione
dell’albergo.
Non
appena giunta nella hall venne fermata
dal concierge che le porse un
elegante
busta color avorio di pregiata fattura.
Mac
l’aprì, convinta di trovarvi dentro
un’ennesima sorpresa di Clay, ma quale fu la sua
di sorpresa quando lesse il cartoncino, vergato a mano in
elegante calligrafia vittoriana: il Premier inglese e la moglie
avrebbero avuto
l’onore della sua presenza quella sera al 10 di Downing Street per una
cena
informale?
“E
adesso dove lo trovo un abito da sera?!”
chiese allarmata Mac ad uno stupito concierge.
Brook Street
Londra
Aprile 1858
La
rappresentazione teatrale era
stata superba e la compagnia di Sua Grazia, il Duca di Lyndham,
piacevole e
divertente. L’anziano gentiluomo non assomigliava affatto a Lord
Thornton,
sempre così sarcastico e arrogante, a volte anche ombroso, come quella
sera.
Andrew Nicholas Thornton aveva in comune con il nipote solo parte del
nome.
Per
tutta la serata, Lord
Thornton era stato sulle sue, parlando poco e solo se interpellato,
tanto che
anche il prozio si era lamentato del suo comportamento.
Lady
Sarah non riusciva a capire
come mai l’avesse invitata, per poi non rivolgerle quasi la parola. Si
era
accorta, tuttavia, che non l’aveva lasciata un attimo con lo sguardo:
più
volte, mentre chiacchierava amabilmente con l’anziano Duca, prima
dell’inizio
dello spettacolo o durante l’intervallo, aveva colto su di sé il suo
occhio
sano che la scrutava, quasi volesse leggerle dentro.
Non
si era mai sentita tanto a
disagio con lui come quella sera.
Al
punto che, all’uscita da
teatro, costatando che il Duca e Lord Thornton erano arrivati con due
carrozze
differenti, aveva suggerito che non era necessario che Lord Thornton la
riaccompagnasse, sarebbe stato sufficiente che le prestassero una delle
due
carrozze.
A
quel tentativo d’indipendenza,
Nicholas rispose secco e deciso:
“Non
se ne parla nemmeno”,
suscitando anche un rimprovero da parte di suo zio.
“Nick,
ragazzo mio, non è così
che si risponde ad una signora!”
“Scusatemi,
Milady…” bofonchiò
lui, solo perché evidentemente costretto dal commento dell’anziano
gentiluomo,
facendole così desiderare maggiormente di poter rincasare sola.
Ma
entrambi i suoi
accompagnatori non avevano voluto sentire ragione e ora lei si trovava
in
carrozza in compagnia del silenzioso e scorbutico futuro Duca di
Lyndham.
Fortunatamente
siamo arrivati,
ringraziò mentalmente
Lady Sarah quando sentì la carrozza accostare, poiché non reggeva più
l’atmosfera.
Fece
per salutare il suo
cavaliere e scendere, senza neppure attendere che egli la precedesse
per
accompagnarla, quando la mano di Nicholas Thornton la bloccò,
trattenendola per
la vita.
“Aspettate…”
ordinò con voce
imperiosa, intensificando la stretta del braccio. Alla debole luce di
un
lampione poco distante, il viso dell’uomo era contratto in
un’espressione
intensa, quasi sofferente.
Sorpresa
da quel gesto e da quello
sguardo, non trovò neppure la forza di ribellarsi quando sentì le sue
labbra
posarsi su di lei.
Nicholas
l’aveva desiderata
talmente tanto per tutta la sera, che non era neppure riuscito a
godersi lo
spettacolo e la sua compagnia: non aveva fatto altro che immaginare di
poterle
baciare la pelle vellutata del decolleté,
che l’ampia scollatura dell’abito, di un delicato rosa
antico, mostrava
generosamente. Portava i capelli raccolti da un lato e lasciati
ricadere in
morbide onde dal lato opposto, in un’acconciatura che la rendeva dolce
e al
tempo stesso misteriosa.
Stregato
dalla sua pelle che
risplendeva al chiarore della luna, si era chinato verso di lei,
posando le
labbra sulla curva delicata del collo per poi lasciarle lentamente
scivolare
verso le spalle, arrischiandosi ad andare oltre, fino a sfiorare
rapidamente
l’attaccatura del seno, e tornare infine ad esplorare la pelle
sensibile della
gola…
Sapeva
perfettamente che
assaporare la dolcezza del suo corpo e la fragranza del suo profumo lo
avrebbe
eccitato maggiormente, ottenendo solo di sentirsi più insoddisfatto di
prima,
ma non era riuscito a farne a meno.
“Questo
colore vi sta
d’incanto…” le sussurrò roco all’orecchio, prima di dirigere le labbra
verso la
sua bocca, una mano che le accarezzava la schiena e l’altra che si
infilava
sensuale tra i suoi capelli.
Voleva
baciarla. Desiderava
assaporare le sue labbra, che in quel momento avevano la stessa
delicata
sfumatura rosa dell’abito che indossava.
Voleva
baciarla ma non solo… ciò
che in quel preciso istante avrebbe desiderato davvero fare era
spogliarla
lentamente e soddisfarsi di lei, fino a non poterne più… anche se
temeva che
neppure dopo anni si sarebbe saziato a sufficienza di quella donna.
Lady
Sarah era rimasta talmente
sconvolta dalle emozioni che il tocco dell’uomo al suo fianco le stava
facendo
provare, che lo aveva lasciato fare, permettendogli una confidenza che
andava
fin troppo oltre i suoi reali desideri.
O,
almeno, così credeva prima…
prima di sentire un brivido di eccitazione raggiungerle il ventre,
mentre il
volto di Nicholas Thornton affondava nella sua scollatura e lei si
trovava
intrappolata nella morsa d’acciaio delle sue braccia.
La
barba le solleticava la pelle
e le labbra gliela incendiavano… nell’attimo in cui lo sentì risalire
verso la
sua bocca, decise di fermarlo, per timore di scoprire di desiderare
ardentemente quel bacio.
“State
pretendendo un anticipo
sul vostro compenso?” domando con voce fredda.
Lui
si bloccò immediatamente, il
respiro leggermente affannato.
“Cosa
intendete?” chiese aspro,
frustrato per essere stato fermato nel momento in cui stava per
impossessarsi
delle sue labbra. Il desiderio intenso lo aveva già spinto oltre con
l’immaginazione, facendolo fantasticare su una sua risposta
appassionata… se
lei avesse ricambiato il bacio come aveva sperato, nulla l’avrebbe
fatto
desistere dal farle desiderare quel piacere che tanto voleva farle
provare,
sollevandole l’abito per accarezzarla ove da tempo sognava di far
scorrere le
mani.
“Oh,
niente… solo che mi era
parso di capire che mi avreste aiutato in cambio di qualcosa…” rispose
Lady
Sarah, con un controllo ben lungi da ciò che realmente stava provando.
Era
spaventata da quanto la condotta disdicevole di quell’uomo arrogante e
odioso
aveva sconvolto i suoi sensi: si era scoperta a desiderare di essere
baciata
con passione, di essere nuovamente toccata e amata da un uomo…
“Non
ho mai detto questo”
replicò lui, furioso.
“No?
E la proposta di
matrimonio, allora, non era compresa nel prezzo che avrei dovuto pagare
per il
vostro aiuto?”
Lui
non rispose e lei continuò,
sprezzante:
“Caro
Lord Thornton, potete
riporre nell’armadio la vostra armatura da cavalier servente. Il vostro
piano e
la vostra nobile e disinteressata proposta d’aiuto non mi servono più…”
Aveva
volutamente forzato, con tono sarcastico, le parole nobile
e disinteressata e, quando vide un lampo d’ira
attraversargli l’occhio sano, sorrise soddisfatta: era come tutti gli
altri, da
lei voleva solo una cosa.
“Non
vi servono più?” domandò
lui, quasi incredulo.
“No.
Proprio stamani ho ricevuto
una proposta migliore della vostra” gli disse provocante.
“Che
genere di proposta?”
chiese, prendendola per le spalle, visibilmente arrabbiato.
“Oh,
nulla che vi debba
interessare…” rispose leggera lei, dandogli un’occhiataccia per come la
stava
nuovamente importunando. Lui si rese conto di quello che stava facendo
e,
riluttante, la lasciò andare, facendo tuttavia scivolare lentamente le
mani
lungo le sue braccia, in una carezza quasi sfacciata.
“L’aiuto
disinteressato di un altro
gentiluomo, magari più ricco del
sottoscritto?” insinuò, volutamente cattivo.
“Il
denaro o un titolo nobiliare
non mi sono mai interessati.”
“Neppure
se non riusciste ad
incastrare Hewitt e la vostra famiglia perdesse tutto?”
“Non
accadrà. Ma se anche
dovesse accadere, non mi venderei mai, come invece fece mio padre, per
riscattare il mio tenore di vita. Lo dimostra il fatto che l’uomo di
cui sono
innamorata era un conte e desiderava sposarmi…”
Lui
non replicò e lei lo vide
deglutire, come costretto dalle sue parole, pur contro la propria
volontà, a
rimangiarsi tutto quello che le aveva detto di fronte all’evidenza di
quel
fatto.
“Ad ogni modo, non che vi debba
interessare, ma la proposta d’aiuto che ho ricevuto è migliore della
vostra per
un unico motivo: pretende in cambio solo del denaro, cosa che sono più
che
disposta a sborsare, per incastrare il truffatore che ha rovinato la
mia
famiglia…” gli disse, mentre scendeva dalla carrozza compiaciuta di se
stessa
per averlo lasciato lì, furibondo nel vedere il proprio piano fallire e
frustrato di desiderio insoddisfatto.
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Capitolo 8 *** Un Incontro ***
Capitolo VIII
Un
Incontro
Residenza del
Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra
Aprile 1858
Lo aveva
sentito rincasare prima di quanto
avrebbe immaginato. Dal rumore della porta sbattuta e dalla rapidità
con cui
era rientrato, aveva intuito che le cose non erano andate come sperava.
Per tutta la
sera l’aveva osservato struggersi
per lei. Lo conosceva bene, ormai, e sapeva che quello sguardo celava
il
profondo desiderio che il suo ragazzo nutriva per quella giovane donna.
Poteva
capirlo: Lady Sarah Jane Montagu si era
rivelata una piacevole e deliziosa sorpresa.
Le voci che
erano girate a suo tempo su di lei,
che l’avevano definita dapprima una mocciosa viziata e troppo ribelle
per
sottomettersi al volere del padre e poi un’avventuriera senza scrupoli,
non le
rendevano affatto giustizia. Ora che conosceva la storia in ogni suo
dettaglio,
dopo che Nick gliel’aveva raccontata, e, soprattutto, ora che l’aveva
conosciuta di persona, l’anziano Duca di Lyndham poteva benissimo
comprendere
l’infatuazione che il nipote nutriva per la bellissima nobildonna.
“Infatuazione…”
Sua Grazia
sorrise, divertito: se Nick lo
avesse sentito definire a tal modo quello che provava per Lady Sarah,
probabilmente lo avrebbe sfidato a duello!
Il ragazzo
era davvero innamorato. Mai, prima
di allora, lo aveva visto così coinvolto da una donna.
Nonostante
Nicholas non abitasse in
Inghilterra, tuttavia aveva compiuto gli studi più importanti ad Oxford
su
espresso desiderio di Sua Grazia, affinché potesse assimilare al meglio
il suo quarto
di sangue inglese e potesse essere, un giorno, suo degno erede tanto
quanto lo
sarebbe stato del titolo paterno.
Pensò con
affetto al giovane fanciullo che
aveva conosciuto ormai quasi vent’anni prima: quando lo aveva veduto
per la
prima volta parlava a stento l’inglese e preferiva cavalcare libero per
i
boschi e i campi che circondavano la residenza di famiglia; un ragazzo
magro
con gambe già allora lunghissime e occhi chiari, intensi, che mutavano
colore all’improvviso
e che spiccavano in un volto scarno, incorniciato da capelli scuri e
ribelli. A
quei tempi era più ossa che altro, ma già allora si poteva intuire
l’uomo forte
e vigoroso che un giorno sarebbe diventato.
Gli era stato
presentato come il Duca, il
prozio di cui lui sarebbe stato l’unico erede.
L’intelligenza
vivace e il senso dell’umorismo
del ragazzo lo avevano colpito fin dal primo momento, quando,
divertito, aveva
replicato al padre: “Non
è troppo, per un solo ragazzo?”, riferendosi al fatto
che, alla morte del prozio inglese e a quella del proprio genitore,
egli
avrebbe ereditato ben due titoli nobiliari.
Da quel primo
incontro l’aveva rivisto soltanto
tre anni dopo quando, terminate le scuole di base, era giunto in
Inghilterra
per compiere gli studi che avrebbero fatto di lui anche un perfetto
Lord
inglese.
Negli anni
successivi, mentre studiava ad Oxford,
Nicholas tornava in patria solo per le vacanze, ma ogni domenica la
trascorreva
con il suo prozio, per imparare a conoscerlo.
Andrew
Thornton, abituato da anni a vivere
solo, aveva temuto che il nipote avrebbe portato scompiglio nella sua
ordinata
vita da scapolo, e così era stato. Eppure l’anziano Duca non avrebbe
scambiato
quei momenti per nulla al mondo.
Quel giovane
era stata la gioia della sua
vecchiaia: lo aveva visto a poco a poco trasformarsi da un imberbe
fanciullo in
un ragazzo studioso e di modi eleganti, pur non affettati o effeminati,
come
capitava a molti rampolli di nobile famiglia. Oltre allo studio si era
appassionato al teatro e a sport di vario genere, tra i quali la
scherma e
l’equitazione, fino a diventare l’uomo muscoloso e aitante, di una
bellezza
quasi irreale, soprattutto perché accompagnata da modi ineccepibili e
da
un’intelligenza acuta e vivace.
Per anni
aveva visto donne di ogni età e di
qualunque estrazione sociale, restare affascinate da quel giovane uomo
forte e
gentile, che le lusingava, le corteggiava, ma che restava sempre
distaccato,
senza mai farsi coinvolgere.
Sua Grazia
sperava, un giorno, di vedere il
ragazzo innamorato e poi felicemente sposato, con una fanciulla di
ottima
famiglia che gli avrebbe dato degli eredi ai quali tramandare il titolo
e le
proprietà. Sapeva che lo stesso desiderio lo avevano i suoi genitori,
ma Nick,
fino a quel momento, aveva deluso le aspettative di tutti.
Terminati gli
studi, cinque anni prima egli era
tornato a casa, con sommo dispiacere dell’anziano zio che aveva in
mente di
presentarlo in società; Nicholas invece aveva preferito arruolarsi per
servire
la sua patria, e non aveva voluto sentire ragioni: gli aveva detto che
tutto
ciò che doveva sapere per succedergli come Duca ormai lo conosceva e
aveva
intenzione di fare altro, in attesa della sua morte! Del resto, aveva
sottolineato abbracciandolo con affetto prima di partire, il suo
adorato prozio
sarebbe vissuto ancora a lungo e lui non aveva intenzione di
invecchiare senza
fare nulla nell’attesa.
Poi,
all’improvviso, nell’autunno precedente,
era ricomparso, notevolmente cambiato, deciso a mettere in atto un suo
piano e
con una storia incredibile alle spalle. Aveva chiesto il suo aiuto,
spiegandogli tutto quanto ed egli non era stato capace di dirgli di no.
Dopo aver
conosciuto Lady Sarah, era ancora più
contento di aver acconsentito ad aiutarlo.
La sera prima
doveva essere accaduto davvero
qualcosa di poco piacevole, per ridurlo in quello stato…
Guardò con affetto il nipote che
dormiva sul
divano, dove probabilmente si era steso dopo aver bevuto del cognac e
aver
fumato più di un sigaro: la giacca era buttata sulla spalliera di una
sedia, le
scarpe giacevano a terra, lontano l’una dall’altra, e il bicchiere
vuoto era
ancora stretto tra le sue dita.
Sala
Interrogatori - Comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
Aprile
2005
Il giorno
dopo la cena dal Primo Ministro, cui aveva
partecipato anche Harm, si ritrovarono in un locale angusto per
interrogare il
Marine che aveva aperto il fuoco contro il convoglio inglese.
Harm e Mac si
sedettero di fronte al prigioniero, un
ragazzone grande e grosso che avrà avuto sì e no vent’anni, mandato in
prima
linea senza sapere il motivo della sua missione e con l’ordine di
sparare a
chiunque non si fosse fermato all’alt.
Quasi si
fossero accordati prima, fu Mac a condurre
l’interrogatorio, mentre Harm si limitò a prendere appunti,
intervenendo di
tanto in tanto.
“Caporale”
esordì Mac con tono pacato e conciliante, “lei
sa perché è rinchiuso in carcere?”
“ No Signora”
rispose il ragazzo con pesante accento del
Mississippi. “Ho solo obbedito ad un ordine.”
Mac scosse
impercettibilmente il capo, ma continuò nelle
domande preliminari: “Lei conosce le accuse che le sono state mosse?”.
“No Signora.”
La donna
guardò il collega che le fece cenno di proseguire
egualmente.
“Mi racconti
la sua versione dei fatti.”
“Erano circa
le 00.30”
cominciò il Caporale, “e la strada che
conduce all’aeroporto di Baghdad era semideserta, non avevamo fatto
molti
controlli, per lo più si trattava di iracheni che andavano per una
qualche
ragione all’aeroporto o nei dintorni. Tutti però sapevano della nostra
presenza, infatti si fermavano non appena vedevano la camionetta
appostata.”
“Era giorno,
Caporale. Mi sembra ovvio che si fermassero.
Vi vedevano” osservò Harm facendo la parte dell’avvocato del diavolo.
“Anche quando
è calata la notte rallentavano prima di
fermarsi del tutto, Signore. C’erano degli avvisi lungo la strada e la
presenza
del check point era segnalata” replicò il Caporale.
“Prosegua” lo
invitò Mac.
“Ormai la
strada era deserta, non passava più nessuno da
un bel pezzo e noi… sì insomma, ci siamo rilassati un po’. Tutta quella
tensione dopo un po’ fa saltare i nervi. Dobbiamo controllare da cima a
fondo
ogni veicolo che passa, perquisire sotto le ruote e anche gli
occupanti. Donne
e bambini compresi. Ogni volta che si avvicina anche solo una moto
dobbiamo
aspettarci che trasporti un terrorista imbottito di dinamite o tritolo”
stava
divagando.
“Si attenga
ai fatti” lo ammonì gentilmente Mac.
“Certo
Signora, scusi Signora.”
“Un ‘Signora’
è più che sufficiente Caporale” sorrise
benevola. “Continui.”
“Insomma, ci
stavamo rilassando un po’ e ad un tratto il
Sergente Thomasson ha sentito un forte rombo che preveniva dal fondo
della
strada.”
“Che tipo di
rombo?” chiese Mac.
“Come se una
macchina fosse smarmittata. Ci siamo portati
sulla strada e meno di un minuto dopo la jeep è piombata su di noi a
tutta
velocità. Viaggiava senza fari e sembrava in tutto e per tutto uno di
quegli
scassoni che usano gli iracheni. Abbiamo urlato al conducente di
fermarsi, ma
quello continuava ad andare avanti fino a che ci ha superati. Solo
allora il
Sergente ha dato l’ordine di sparare un colpo di avvertimento e poi di
fare
fuoco contro il mezzo.”
“Avete
obbedito agli ordini?”
“Sì Signora.”
“In questo
esatto ordine?” volle sapere Harm.
“Sì Signore
in questo esatto ordine.”
“Chi ha fatto
fuoco?”
“Io e il
Caporale Tennison.”
“Per il
momento può bastare Caporale, se avremo bisogno di
altri dettagli le faremo altre domande” concluse Mac.
Harm si alzò
e richiamò il secondino che aprì la porta e
scortò il prigioniero fuori dalla sala, fino alle celle di detenzione
del
carcere militare poco lontano.
“Che ne
pensi?” chiede Mac.
“Che quel
ragazzo non sa nemmeno dove sia. Ha solo
obbedito ad un ordine” le rispose Harm. “Dobbiamo saperne di più dagli
inglesi
e interrogare il Sergente Thomasson. Dove è?”
“Ristretto in
carcere.”
Chiamarono la
guardia e chiesero che fosse condotto loro
il Sergente dei marines degli Stati Uniti Andreas Thomasson.
Lo
interrogarono e le dichiarazioni che questi rilasciò si
rivelano perfettamente in linea con quelle rilasciate dal Caporale
Shriver.
Uscirono dal
Palazzo che era ora di pranzo e Harm la
invitò a mangiare qualcosa con lui.
“Ma di solito
non pranzi con Belinda?” domandò Mac.
“Oggi ha da
fare, comunque lo sa che ti avrei chiesto di
pranzare con me” si premurò di precisare lui.
Mac scoppiò
in una sonora risata:
“Questa è
davvero buona Harm! Tu che informi qualcuno, una
donna, dei tuoi spostamenti!”. Rise fino alle lacrime appoggiandosi
allo
stipite del portale del palazzo dell’Ambasciata americana.
“Sono
cambiato per molti aspetti” borbottò infastidito
lui.
“E si vede!”
esclamò Mac ancora in preda alle risa.
“Allora
accetti o no?” domandò spazientito.
“Va bene, se
a Belinda non crea problemi” replicò lei
soffocando un altro attacco di ilarità.
Uscirono
definitivamente dal Palazzo e attraversarono la
piazza, passando davanti all’Ambasciata italiana. Puntarono verso Hyde
Park.
“Non ho
ancora sentito il tuo cellulare squillare” buttò
lì Harm con fare provocatorio. Non gli era andata giù la presa in giro
di lei
di poco prima.
“Forse perché
a Washington è notte?” rispose ironica Mac.
“Non credo
che Webb si faccia di questi problemi” osservò
lui.
E aveva
ragione. Clayton Webb non si faceva alcun tipo di
problema. Infatti, a poca distanza da loro Patrick, l’uomo sul campo,
li stava
seguendo e nel frattempo relazionava proprio a Webb, sveglio nel cuore
della
notte.
“Stanno
andando verso uno di quei bar aperti per uno
spuntino” disse al cellulare.
“Come ti
sembra la ragazza?”
“A suo agio.
Parla, ride, scherza.”
A molte
miglia di distanza, Webb sbatté un pugno sulla sua
pregiata scrivania di tek.
“Continua a
seguirla” ordinò mantenendo comunque la calma.
Casa di Lady
Sarah Montagu
Brook Street, Londra
Aprile 1858
Mancavano
poco più di due ore all’appuntamento
e Lady Sarah Montagu era irrequieta e nervosa. L’incontro era troppo
importante
per il suo futuro e l’ansia non contribuiva certo a farle passare il
mal di
testa che la tormentava dal mattino.
Aveva
trascorso una notte agitata e insonne e
l’alba l’aveva sorpresa ancora sveglia. Per tutto il tempo non aveva
fatto
altro che ripensare alla conversazione avuta con Lord Thornton ma,
soprattutto,
alle sue mani e alle sue labbra su di sé.
Lo aveva
respinto, era vero, ma quell’uomo,
nonostante la sua maleducazione e il suo pessimo carattere, risvegliava
in lei
sensazioni sopite da tempo.
Non capiva
proprio cosa in lui glielo faceva
desiderare, poiché normalmente lo trovava antipatico e arrogante,
eppure doveva
ammettere, almeno con se stessa, di esserne fortemente attratta.
Come poteva?
Lei era ancora innamorata di
André.
André…
Chissà
dov’era? Che cosa stava facendo?
Era rimasto
in America? Oppure era tornato in
Francia? Era vivo? Stava bene?
Magari, in
quel preciso istante, era tra le
braccia di una donna…
Al solo
pensiero lo stomaco le si strinse in
una morsa: non riusciva a pensarlo tra le braccia di una donna che non
fosse
lei.
Eppure era
passato più di un anno e non poteva
pensare che un uomo tanto passionale come André François D’Harmòn non
trascorresse le sue notti con un’amante. E se si fosse sposato? Una
fitta
all’altezza del cuore le ricordò che, nonostante avesse creduto
d’averlo
lasciato sulla Medea, a quanto sembrava il suo muscolo cardiaco era
ancora al proprio
posto. O meglio, quel poco che ne restava…
André era
sempre lì, in una parte di lei che
era nascosta nel profondo. Ma André le aveva fatto conoscere, oltre
all’amore,
anche la passione e tutta la sensualità che non aveva mai creduto di
possedere.
E le carezze audaci di Lord Thornton avevano risvegliato quella
sensualità.
Odiava
quell’uomo ancora di più, proprio per
questo.
Non voleva
provare certe sensazioni. Non con
lui. Non con un uomo che aveva capito essere come tutti gli altri; un
uomo che,
in cambio del proprio aiuto, voleva possederla, esattamente come tutti
quelli
che l’avevano avuta in cambio di informazioni.
Per un
istante rivide su di sé le mani lascive
di Von Webb e con quel ricordo tornarono prepotenti alla mente anche
tutti gli
istanti vissuti con André: il ballo in cui le aveva sussurrato che era
bellissima, il bacio che le aveva rubato durante la loro cavalcata, il
duello
con le spade, quando ancora lui era all’oscuro che lei sapeva tirare di
scherma
e le aveva insegnato… quel pomeriggio, sola con lui a prendere il tè;
l’altro
bacio rubato durante la festa di Natale… i suoi occhi incupiti dal
desiderio e
le sue mani su di lei, mentre le medicava la ferita alla locanda… la
loro prima
notte d’amore e tutte quelle a seguire, fino al momento in cui si era
volutamente privata dell’uomo meraviglioso che l’amava e che voleva
trascorrere
il resto della vita con lei…
Come poteva,
ora, desiderare le carezze e i
baci di un altro uomo, pur struggendosi ancora nel ricordo di André?
Non avrebbe
mai acconsentito a sposarlo!
Fortunatamente
il biglietto di Robert Taylor
era arrivato giusto in tempo per evitarle di commettere l’errore
peggiore della
sua vita.
Il figlio del
defunto socio di Cedric Hewitt
l’aveva contattata con una proposta che, giunta a questo punto,
considerava
interessante: in cambio di denaro, parecchio denaro, le avrebbe
consegnato
prove e informazioni sulle attività del padre quando era in società con
Hewitt.
Di lì ad
un’ora l’avrebbe incontrato in campagna,
appena fuori Londra. Una
zona isolata,
troppo per i suoi gusti. Ma aveva accettato di andarci e di andarci
sola come
indicava il biglietto, poiché in gioco c’era il futuro della sua
famiglia,
quello per cui stava lottando da quasi dieci anni.
Sapeva che
avrebbe potuto correre dei rischi,
ma non aveva avuto scelta: si sarebbe fatta accompagnare dal cocchiere
fino ad
una locanda a poche miglia dal luogo dell’incontro e, mentre Wes si
sarebbe
fatto un bicchierino credendo che andasse a trovare un’amica nel paese
vicino,
lei avrebbe raggiunto a cavallo Robert Taylor.
Ma non
avrebbe portato con sé il denaro: aveva
in mente di lasciarlo in carrozza; se l’incontro fosse andato come
sperava,
avrebbe chiesto a Taylor di accompagnarla alla locanda e glielo avrebbe
consegnato solo successivamente.
Tuttavia la
prudenza non era mai troppa e prima
di indossare il pesante mantello che l’avrebbe riparata dall’umidità
della sera,
s’infilò lo stiletto nella manica, facendo attenzione a nasconderlo
bene con
l’abito: sola sì, ma il messaggio non specificava “senza armi”!
Pochi secondi
dopo Albert entrò ad avvisarla
che la sua carrozza era pronta.
Giardini di
Hyde Park
Londra
Aprile
2005
Acquistarono
due panini da un chiosco ambulante e si
sedettero su una panchina al sole.
Il parco, un
tempo parte della residenza reale, ora era
aperto al pubblico e molta gente l’affollava, godendosi l'insperato
tepore e la
bella giornata.
“Da quando
sei arrivata sembra che il sole non se ne
voglia più andare via” disse Harm. “Dovresti restare.”
“Non credo
che il mio futuro marito possa essere d’accordo
con te” rispose Mac. “Londra non gli piace.”
“O non gli
piaccio io?”
“Buona la
seconda” rispose Mac addentando il sandwich.
“Sei felice?”
chiese lui all’improvviso.
“Che domande!
Certo che lo sono. La mia vita è completa
adesso, anche se questo non ti riguarda.”
Ma perché gli
stava dicendo tutte quelle cose? Non aveva
forse deciso di mantenere un compassato atteggiamento professionale?
Terminò il
“lauto” pranzo in preda a pensieri e sentimenti
contrastanti.
“Sono
contento per te, Marine” fu l’unico commento di
Harm.
Tornarono a
Grosvenor Square.
|
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Capitolo 9 *** La resa ***
Capitolo IX
La
resa
Camera 512
Grosvenor Hotel, Londra
Aprile
2005
Mac era
esausta. Il lavoro di investigazione si era
dimostrato più difficile del previsto, complice anche la riottosità
degli
inglesi a fornire le informazioni di cui necessitavano lei e Harm.
Quel
pomeriggio avevano insistito per seguire
l’interrogatorio dell’ufficiale dei reparti speciali rimasto ferito nel
conflitto a fuoco, ma Lockeed aveva posto il veto: avrebbero letto le
trascrizioni.
E,
naturalmente, le trascrizioni riportavano una storia
completamente diversa da quella raccontata loro da Shriver e Thomasson.
Il Presidente
Bush e il Premier inglese volevano, anzi
pretendevano, una linea di massima distensione e collaborazione, ma
come poteva
realizzarsi quanto auspicato dai due capi di Stato se Lockeed e Seymour
mettevano loro i bastoni fra le ruote?
Per non
parlare di Harm che con la sua sola presenza le
scombussolava l’anima. Come avrebbe desiderato che Clay fosse andato
con lei!
Lui era geloso, senza dubbio, come spiegarsi altrimenti il quasi
interrogatorio
di quel mezzogiorno ad Hyde Park? Era geloso che Webb avesse ottenuto
il suo
amore e il suo cuore.
“Oppure è geloso di
ogni uomo che mi sta accanto?” si chiese mentre infilava la
porta
dell’ascensore.
Arrivò al
piano della sua camera e, giunta davanti alla
porta, notò che era socchiusa. Al momento non si insospettì, data l’ora
era
probabile che qualcuno del personale di servizio fosse entrato per
preparare la
stanza per la notte.
Cominciò ad
insospettirsi quando, una volta entrata, udì
lo scroscio dell’acqua proveniente dal bagno.
Circospetta,
entrò nel soggiorno-camera da letto e,
ringraziando la presenza della folta moquette che attutiva i suoi
passi, avanzò
verso la piccola anticamera che divideva la camera dal bagno vero e
proprio.
Entrò nel
disimpegno e notò che la porta che lo divideva
dal bagno era accostata e che al di là del vetro smerigliato si
intravedeva una
figura umana.
Appartamento
del Capitano Harmon Rabb
Hyde Park, Londra
Aprile
2005
Harm entrò in
casa e buttò distrattamente la
ventiquattrore sul pavimento. Belinda non era ancora rientrata e
l’appartamento
era al buio. Andò in soggiorno e aprì le finestre, dopodichè dal bar
sotto il
televisore prese un bicchiere e si versò una dose di whisky.
Non rientrava
nelle sue abitudini bere superalcolici, si
potevano contare le volte che l’aveva fatto, ma in quel momento ne
aveva
bisogno.
Si tolse la
giacca, si allentò la cravatta e sprofondò nel
divano di pelle chiara e nelle sue riflessioni.
Non c’era
modo di trovare un’intesa con gli inglesi che si
ostinavano a voler dare credito alle loro testimonianze e, per il
momento, le
posizioni erano molto lontane. Lo insospettiva il fatto che non fosse
stato
permesso a lui e a Mac di presenziare all’interrogatorio dell’ufficiale
ferito,
come se avesse avuto qualcosa da nascondere.
L’indomani
avrebbero raccolto la testimonianza del furiere
che aveva provveduto ad approvvigionare la squadra di soccorso e
avrebbero
sentito anche il giornalista del “Times”,
ma dubitava che ne sarebbe uscito
qualcosa di buono: probabilmente il materiale era già pronto e il
soldato di
turno si era solo occupato di consegnarlo a chi era andato a ritirarlo.
“Un momento” si
disse, “la spedizione era segreta, per cui
non è stato certo il commando a ritirare dalla fureria del centro di
comando
degli inglesi a Baghdad quello che serviva…” Un lampo di illuminazione
gli
attraversò la mente: Lockeed e Seymour mentivano, se non su tutta la
storia,
almeno su buona parte di essa. Da quando in qua una missione dei corpi
speciali
di salvataggio, segreta, si approvvigionava alla fureria? Arrivava sul
luogo già
equipaggiata di tutto punto!
Decise di
mettere Mac al corrente di tutto.
Dintorni di
Londra
due ore dopo
Aprile 1858
Si era
cacciata nei guai. Il figlio di Taylor
la stava palpeggiando maldestramente, mentre il suo complice la teneva
sotto
tiro.
Era arrivata
al luogo dell’appuntamento come
stabilito, ma non appena scesa da cavallo si era ben presto accorta che
si
trattava di una trappola.
“Vi state
divertendo, signore?”
“Stai zitta!
Dove hai messo il denaro?”
Quei due
malviventi volevano solo quello. Solo
i soldi. Non avevano alcuna informazione da darle.
“Solo quando
mi avrete detto ciò che mi avevate
promesso”, rispose decisa.
“Guy, hai
sentito la signora? Vuole essere lei
a dirigere il gioco!” urlò Taylor al suo compare, mentre continuava a
metterle
le mani addosso, perquisendola sotto il mantello.
“Non
troverete nulla, neanche se mi
spogliaste…” lo provocò, sperando che l’uomo non la prendesse alla
lettera. Ma
doveva tentare di distrarlo in qualche modo, prima che scoprisse lo
stiletto
nascosto nella manica.
“Non
tentatemi, signora… Potrei anche decidere
di divertirmi un po’ con voi”, disse l’uomo con un ghigno, mentre, dopo
averle
scostato un lembo del mantello, le infilava la mano ruvida nella casta
scollatura dell’abito, per verificare che non avesse nascosto lì il
denaro e al
tempo stesso approfittare dell’occasione.
“Allora, Bob,
ce li ha i soldi?” chiese il
socio leggermente nervoso. Sembrava che non desiderasse altro che
fuggire da
lì.
“Milady non
ha nulla…” rispose con uno strano
luccichio negli occhi il suo assalitore, “…non ha denaro con sé, a
quanto
sembra… ma ha ben altro che potrebbe offrirmi…” aggiunse poi, con voce
lasciva,
mentre le afferrava il volto con una mano e si protendeva verso le sue
labbra.
All’improvviso
un colpo d’arma da fuoco
echeggiò nel silenzio.
Taylor si
voltò di scatto in direzione dello
sparo e Lady Sarah vide Guy accasciarsi a terra, colpito ad una gamba.
Nell’istante
in cui il suo aguzzino realizzava che il compagno era stato ferito,
un’ombra
scura si era già assicurata di recuperare da terra l’arma del complice
e ora
teneva sotto tiro Taylor.
Ma anche
Taylor fu altrettanto rapido: afferrò
Lady Sarah per la vita, stringendola brutalmente contro il proprio
corpo e,
puntandole la pistola alla tempia, la usò come scudo.
“Gettate le
armi a terra e andatevene, o la
uccido” intimò allo sconosciuto.
A Lady Sarah
si gelò il sangue nelle vene: cosa
sarebbe accaduto se l’uomo non avesse obbedito?
“Siete sicuro
di riuscire ad ucciderla prima
che io uccida voi?” La voce calma e quasi divertita dello sconosciuto
le fece
balzare il cuore in gola.
“Forse no, ma
morirebbe anche lei…” rispose
incerto Taylor.
“Meglio. Non
m’importa della donna. Voglio i
soldi. E sono pronto ad uccidere, per averli” disse secco l’uomo.
Taylor esitò.
Lady Sarah percepì fisicamente l’indecisione
e la paura nel suo aguzzino e temette per la propria vita: sapeva bene
che il
terrore può far perdere la razionalità e far agire d’impulso.
“Andatevene”
disse deciso il nuovo arrivato.
“Lasciatemi la donna con i soldi e avrete salva la vita.”.
“Volete
divertirvi voi, con questo bel
bocconcino, vero?” lo schermì Taylor.
L’uomo non
rispose; semplicemente iniziò ad
avanzare cauto verso di loro, sempre tenendo sotto tiro Robert Taylor.
Lady Sarah
sentì la stretta attorno alla vita
farsi più forte, mentre il figlio del socio di Hewitt le sussurrava
all’orecchio:
“Quel
bastardo vuole i vostri soldi…”.
L’alito caldo
e pesante dell’uomo le provocò un’ondata
di nausea, ma rimase in silenzio, mentre lui aggiungeva, quasi
divertito:
“… non sa che
non li avete con voi…”.
Non appena
finito di pronunciare quelle parole,
la scaraventò con violenza verso l’uomo in mantello nero che ormai era
a poca
distanza da loro due, e fuggì rapidamente alla sua mira.
Camera 512
Grosvenor Hotel, Londra
Aprile
2005
Mac avanzò
verso la porta del bagno, traendo la pistola
dalla borsa che non aveva ancora posato. Dopo la sua “avventura” con
Sadik era divenuta molto
guardinga e le situazioni come quella che stava vivendo ora la
indicevano a non
andare troppo per il sottile.
Lo scroscio
dell’acqua cessò e la figura al di là del
vetro si mosse.
Rompendo gli
indugi, Mac spalancò la porta e puntò la
pistola davanti a sé.
“Fermo”
intimò allo sconosciuto togliendo la sicura
all’arma e mettendo il colpo in canna.
Dalla tenda
che riparava la vasca da bagno si sporse una
mano maschile che afferrò l’accappatoio di spugna appeso lì accanto.
“Esci
immediatamente” minacciò lo sconosciuto armando la
pistola, pronta a fare fuoco.
“Agli ordini,
mia bellissima rosa” rispose la voce di
Clayton Webb mentre la tenda della doccia si scostava.
“Clay!”
esclamò Mac lasciando cadere l’arma a terra e
buttandosi tra le braccia dell’uomo.
“Per poco non
ti sparavo” mormorò.
“Volevo farti
una sorpresa” le rispose lui.
“E ci sei
riuscito!”
“Mi mancavi
da morire” le disse cominciando a baciarla
avidamente mentre le mani correvano ai bottoni della giacca della
divisa
slacciandoli uno per uno con premura.
“Anche tu”
rispose Mac, la voce già arrocchita dal
desiderio mentre rispondeva con altrettanta foga ai baci del suo uomo.
Con le labbra
incollate piombarono sul grande letto
matrimoniale, baciandosi con impazienza e giocando come due bambini con
il
desiderio che li pervadeva di essere l'uno nelle braccia dell’altro,
pelle
contro pelle.
Fu in quel
momento che il telefono squillò.
Appartamento
del Capitano Harmon Rabb
Hyde Park, Londra
Aprile
2005
Uno squillo,
due squilli, tre squilli. Mac non rispondeva.
Stava per chiudere la telefonata quando, al quarto squillo, la voce
della
collega, insolitamente allegra e gioiosa gli rispose con un “chi è”
alquanto
ridanciano.
“Mac sono io”
disse lui.
“Ah ciao
Harm…” risatina in sottofondo e lei che
rispondeva alla risata. “Scusa, dimmi, cosa c’è?”
“Disturbo?”
chiese lui.
“Affatto…”
altra risatina di lei ed un “smettila”
mormorato a mezza voce. “Novità dell’ultimo minuto?” domandò, ma la
voce sembrò
giungere da un’altra galassia.
“Volevo
metterti al corrente di quello che ho scoperto
dopo che ci siamo lasciati.”
“CLAY! MI
STAI FACENDO IL SOLLETICO!” rise a pieni polmoni
Mac dall’altro capo del telefono.
Harm comprese
il motivo del ritardo nel rispondere a delle
risatine in sottofondo, e questo gli diede fastidio. Mac era una sua amica, era la sua collega
era la sua.... non
completò il pensiero rendendosi conto che, dopotutto, Mac non era mai
stata sua
per davvero, né come amica, né come collega, né come donna.
“Harm? Ci sei
ancora? Scusa ma il mio fidanzato mi ha
fatto una sorpresa e…”
“Non ti devi
scusare, è più che giusto, fuori dal lavoro
hai il diritto di goderti la tua vita privata. Scusa per l’intrusione.
Ne
parliamo domani al Comando. Alle 9.00 va bene?”
“Alle 9.00
andrà benissimo” rispose Mac un po’ troppo
ansiosa di concludere la conversazione.
E, infatti,
non appena la donna ebbe posato la cornetta
del telefono sulla forcella Webb s’impossessò della sue labbra e del
suo corpo.
Dintorni di
Londra
nello stesso momento
Aprile 1858
Lady Sarah si
sentì precipitare addosso allo
sconosciuto il quale, disorientato per un attimo dal repentino
movimento di
Taylor, non fu rapido a sparare. Robert Taylor ne approfittò per
raggiungere il
compagno ferito e dileguarsi con lui nel buio della notte.
Mentre Lady
Sarah stava per cadere a terra a
seguito della violenta spinta, l’uomo si disinteressò subito dei due
malviventi
e la trattenne a sé, stringendola con dolcezza tra le braccia.
“Dio, Sarah…”
Furono le
uniche parole che l’uomo pronunciò.
Poi con una mano le sollevò il viso e posò le labbra sulle sue.
Fu un bacio
violento e disperato. Un bacio che
risvegliò nel profondo un milione di ricordi e sensazioni mai
dimenticate e di
desideri da troppo tempo insoddisfatti.
A poco a
poco, mentre nell’uomo l’ansia
d’averla quasi perduta lo abbandonava lentamente, il bacio s’intenerì e
presto
si trasformò in seduzione, quando le mani di lui cominciarono a
muoversi sul
suo corpo, sfiorandole il seno sotto il tessuto del mantello,
accarezzandole il
volto ed infilandosi tra i suoi capelli.
Lei non
riuscì a resistere a quelle labbra
dolci che premevano insistenti sulle proprie, impedendole persino di
respirare.
Si lasciò andare contro di lui cercando conforto nella sua bocca e nel
suo
abbraccio, improvvisamente catapultata indietro nel tempo, in un’altra
vita,
quando si era completamente abbandonata tra le braccia di un uomo.
Il bacio
proseguì ancora per alcuni istanti,
intenso e travolgente; poi, non appena ritornò a respirare e sentì le
labbra
dell’uomo raggiungere lentamente la gola, sussurrò il suo nome,
cercando di
fermarlo.
“Nicholas…”
Lo sentì
sospirare bruscamente, per riprendere
il controllo; poi lui la guardò negli occhi, illuminati dalla luce
della luna.
“Ho creduto
che vi avrei perduta per sempre…” e
così dicendo la strinse ancora a sé, sfiorandole lievemente i capelli
con le
labbra.
Percepì la
sua ansia e si stupì nello scoprire
che lui teneva davvero a lei; fino a quel momento aveva creduto che
desiderasse
semplicemente il suo corpo. Quella consapevolezza la spiazzò e le fece
provare
un’improvvisa e inspiegabile, nonché familiare, sensazione di
protezione.
“Come
sapevate?”
“Vi ho
seguita. Ero preoccupato per voi”, le
disse, trattenendola nel suo abbraccio.
“E perché
mai? Non sapevate che mi sarei dovuta
incontrare con qualcuno…”
“Chi era
quell’uomo?”
“Il figlio di
John Taylor, il socio di Hewitt,
ucciso dallo stesso Cedric quando seppe che avrei dovuto incontrarlo a
Bath… Un
anno e mezzo fa John Taylor stava per farmi importanti rivelazioni ed è
stato
ucciso prima che potesse parlarmi. Fui io a trovare il suo cadavere…”
“Mi spiace”
disse lui. Poi aggiunse,
sussurrandole all’orecchio con la sua voce roca e profonda:
“Sposatemi,
Sarah. Sposatemi, e lasciate che
sia io a prendermi cura di voi, d’ora in poi. Permettetemi di aiutarvi
e
chiuderete con il passato.”.
Chiudere con
il passato… Questo avrebbe
significato anche dire addio per sempre ad André, al suo ricordo e
all’amore
che ancora provava per lui.
Era
impossibile.
Non sarebbe
mai stata capace di dimenticare
André. Ma si sentiva anche tanto stanca e sola… e molto frustrata, per
aver
scoperto che l’ennesima pista che avrebbe potuto condurla finalmente
alla
rovina di Hewitt era stata ancora una volta solo un buco nell’acqua.
Inoltre André
era perduto per sempre. Se anche
non si fosse ancora rifatto una vita e per miracolo l’avesse ritrovato,
di
certo lui non l’avrebbe più voluta, per come lo aveva abbandonato.
Aveva gettato
via l’unico uomo che l’aveva
davvero amata e che lei avrebbe potuto amare. Non le restava
nient’altro.
Con un
sospiro decretò la sua resa all’uomo che
la teneva ancora tra le braccia, dicendo addio per sempre all’amore.
“D’accordo,
Lord Thornton. Accetto di
sposarvi.”
Appartamento
del Capitano Harmon Rabb
Hyde Park, Londra
Aprile
2005
Chiuse la
conversazione e rimase lì, nella penombra
dell’appartamento, a fissare il cellulare. Dentro, un profondo senso di
fastidio stava pericolosamente trasformandosi in qualcos’altro. Scosse
la
testa. Ma cosa gli prendeva? Dopotutto era più che naturale che Webb le
fosse
capitato in albergo, erano fidanzati, in procinto di sposarsi. Anzi,
molto
probabilmente erano già d’accordo prima che lei partisse per Londra.
Un anticipo sulla luna di miele,
suggerì una vocetta
maligna.
Harm la
tacitò con un bicchiere di whisky.
Stava bevendo
troppo in quell’ultimo periodo, avrebbe
dovuto darsi una regolata.
“Le preoccupazioni”
si disse, anche se con poca convinzione.
Posò il
bicchiere sul minibar e andò a cambiarsi.
Camera 512
Grosvenor Hotel, Londra
Aprile
2005
Accoccolata
fra le braccia di Clayton nel grande letto a
baldacchino, Mac si stava godendo le tenerezze del suo fidanzato.
Avevano fatto
l’amore più volte, ma sembrava che a lei non
bastasse mai. Adesso, esausti, giacevano l’uno nelle braccia dell’altro
godendosi il calore reciproco.
“Amore” la
chiamò dolcemente.
“Mmmh”
rispose Mac facendo le fusa.
“Che ne dici
se ci sposiamo qui?”
Di colpo fu
sveglissima. Si voltò verso di lui
sciogliendosi dal suo abbraccio: “Come mai questa idea?” chiese
sorpresa.
“Non posso
più aspettare” rispose Webb baciandola.
“Ma abbiamo
già organizzato tutto a Washington, gli amici,
la festa…” obiettò Sarah.
“La festa la
possiamo fare ugualmente, solo dopo che ci
saremo sposati. Sposiamoci qui, una cerimonia solo per noi due, poi
quando
tornerai negli States festeggeremo
alla grande.”
“Mah... non
so...”
Mac era
indecisa, non per via del matrimonio già
programmato da mesi, bensì per motivi noti solo al suo subconscio e che
nemmeno
lei sapeva spiegarsi.
Da parte sua
Webb sperava ardentemente che lei accettasse
di fare quella “pazzia”. Non importava se Rabb fosse felicemente
fidanzato e
convivesse con una bella inglesina. Quando aveva rivisto la fidanzata,
poche
ore addietro, aveva compreso che quel legame tutto particolare che la
univa a
quell’altro aveva ripreso forza e vigore.
Per questo
aveva deciso di giocare d’anticipo: prima
l’avesse fatta sua per sempre, prima avrebbe spezzato definitivamente
quel
legame. Era notorio che Rabb si sarebbe tirato indietro.
“Pensaci
tesoro, non sarebbe bellissimo? Faremmo una
sorpresa a tutti quanti!”
“Sì anche
all’Ammiraglio che avrebbe voluto accompagnarmi
all’altare” rispose un po’ sarcastica Mac. “Ad ogni modo, facciamolo.
Dopotutto
sposarsi ora o fra qualche settimana non ha importanza” cedette alla
fine.
Un senso di
pace dilagò in entrambi. Adesso le cose erano
definitive per tutti e due.
Webb si alzò
dal letto: “Mi dò da fare immediatamente”.
“Non ti sei
dato abbastanza da fare nelle ultime ore?”
scherzò maliziosa lei rotolandosi nelle coperte felice come una bambina.
Lui la baciò
e andò a farsi una doccia.
Quando uscì
dal bagno si era addormentata e il cellulare
stava squillando.
“Pronto”
rispose con piglio sicuro, per chiudere poco dopo
la conversazione in maniera rabbiosa.
Svegliò la
fidanzata con un bacio e una carezza.
Quando lei
aprì gli occhi cercò di darle la notizia con
tutto il tatto possibile.
“Tesoro
evidentemente non è destino che ci si sposi a
Londra” le disse.
Immediatamente
Mac si levò a sedere: “Perché?” chiese con
aria affranta. “Già stavo sognando di andare in centro ad acquistare
l’abito da
sposa.”
“Un grosso
incidente a Baghdad, hanno catturato uno dei
miei uomini sotto copertura. Devo rientrare stasera a Langley e domani
devo
partire per l’Iraq.”
“E’
terribile!”
“Infatti, ma
è più terribile dover aspettare ancora prima
di poterti chiamare Mrs. Webb” aggiunse.
Le si alzò:
“Non ti preoccupare” gli disse abbracciandolo.
“L’importante è che ci amiamo e il tempo passerà in fretta.”
Webb si
rivestì e dieci minuti dopo usciva dalla porta
della suite, in un certo senso più fiducioso verso il futuro. Questa
volta ce
l’avrebbe fatta. Sarah lo amava sul serio e neanche una volta aveva
nominato
Rabb.
Mac si ficcò
sotto la doccia.
Perché si
sentiva sollevata?
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Capitolo 10 *** Inganni ***
Capitolo X
Inganni
Uffici del
comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
Aprile
2005
Non aveva ben
compreso di cosa volesse parlarle, e del
resto quando le aveva telefonato non gli aveva prestato molto ascolto,
impegnata come era in altre cose… si presentò al Tenente Cunningham e
chiese di
poter essere ricevuta dal Capitano Rabb.
“Un attimo
solo Signora” le rispose l’attendente
sollevando l’interfono.
Mac si
sedette in una delle comode poltrone dirimpetto
l’ufficio di Harm e attese fissando la porta di noce scuro.
“Il Capitano
la può ricevere, Colonnello” le comunicò il
Tenente.
Mac si alzò
ed entrò nella stanza.
“Scusa per
ieri” esordì. In realtà non aveva nulla di cui
scusarsi, nondimeno ritenne fosse meglio evitare qualsiasi discussione
a
priori.
“Non ti devi
scusare” replicò invece Harm facendole cenno
di accomodarsi di fronte a lui. “Nelle ore libere puoi fare ciò che
vuoi.”
“Mi sembrava
che avessi qualcosa d’importante da dirmi”
rispose sorvolando su tutto il resto. Non le andava di aggiungere
altro,
desiderava solo terminare quell’incarico, tornare negli Stati Uniti, e
dimenticarsi di lui. Ci sarebbe mai riuscita?
La risposta,
quella definitiva, non venne. Ma al suo posto
la sua mente citò le parole di una canzone sentita chissà quanto tempo
prima: “se l’amore non è ricambiato diventa
follia”.
Ecco,
appunto, lei non voleva diventare folle. Aveva un
uomo, presto un marito e dei figli, quindi era ovvio che avrebbe
dimenticato
Harm. Anzi l’aveva già fatto!
Rassicurata
da quel pensiero si accinse ad ascoltare ciò
che lui aveva da dirle.
“Quando sono
tornato a casa, ieri sera, ho radunato le
idee sulla riunione della mattina. Gli inglesi ci hanno detto che i
loro
uomini, quelli che volevano liberare il giornalista, si erano
equipaggiati a
Baghdad.”
Mac annuì.
“Ma hanno
anche detto che facevano parte delle squadre
speciali e che la missione era segreta.”
Mac annuì
nuovamente.
All’improvviso
sembrò che una lampadina le avesse
illuminato la mente.
“Ehi, aspetta
un attimo” lo interruppe. “Come potevano
essersi equipaggiati in Iraq se la missione era segreta?”
“Vedo che i
preparativi per il matrimonio non ti hanno
obnubilato del tutto la mente” rispose Harmon un po’ caustico.
“Invece
Belinda a te l’ha ottenebrata del tutto se ci hai
messo due giorni a comprendere che gli inglesi ci stavano prendendo in
giro”
ribattè Mac altrettanto caustica.
“Invece tu ci
sei arrivata mentre ti rotolavi nel letto
con lui vero?”
“Avresti
preferito che l’avessi scoperto mentre mi
rotolavo nel letto con TE?” esplose Mac.
Perché
continuava a farle del male in quel modo? Che gusto
ci provava? E poi per quale motivo? Gelosia? Ma se era stato proprio
lui a
troncare qualunque possibilità quella famosa sera a casa sua!
Harm rimase
spiazzato da quell’esplosione d’ira e fece
marcia indietro: “No certo che no, scusa Mac non volevo”.
“Ma l’hai
fatto” replicò lei rattristata. “Sia chiaro
Rabb: la mia vita non è più affar tuo, come non lo è la tua per me.
Collaboriamo come professionisti ma lasciamo fuori le questioni
personali. Una
volta per tutte.”
“Ti ho
chiesto scusa.”
“Scuse
accettate, ma per l’ultima volta. Se ricapiterà
ancora giuro che non risponderò delle mie azioni. Ora passiamo oltre”
disse Mac
freddamente.
Quel tono di
voce piagò il cuore di Harm. Mac, la sua Mac
che lo minacciava in quel modo. Non era mai accaduto in nove anni. Era
davvero
cambiata e decisa a seguire la sua strada, anche se ciò avrebbe
significato
allontanarsi da lui. Ma se l’era meritato, dopotutto. Si concentrò su
quello
che lei stava dicendo.
“Gli inglesi
ci hanno mentito su tutta la linea. Perché?”
“Forse il
giornalista ne sa di più” rispose Harm.
“Chiediamoglielo.”
Harm prese il
telefono e compose il numero del “Times”
dove Herriott lavorava.
Una garbata
signorina gli rispose che Mr. Herriott era
assente per un lungo periodo. Alla domanda dell’ufficiale se fosse
possibile
rintracciarlo per una questione della massima importanza ed urgenza, la
chiamata venne messa in attesa.
Dopo pochi
minuti rispose il Direttore del quotidiano il
quale, cortesemente ma fermamente, spiegò ad Harm che il giornalista, a
seguito
della brutta avventura in Iraq aveva deciso di lasciare momentaneamente
il
proprio lavoro e di concedersi una lunga vacanza. Purtroppo non aveva
lasciato
un recapito o un numero telefonico al quale contattarlo.
Rimise il
telefono sulla forcella e riferì il tutto a Mac.
“Che caso”
esclamò quest’ultima. “Noi abbiamo bisogno di
parlargli e lui va in vacanza. Lo sapeva che l’avremmo interrogato.”
“E adesso?”
chiese Mac.
“Adesso
chiamo Washington e il Segretario e lo informo dei
nuovi sviluppi.”
“Bene e poi?”
incalzò lei.
“Attendiamo
istruzioni” rispose Harm mentre sollevava
nuovamente il ricevitore.
“Attendiamo
cosa?!” esclamò. “Ma che ti è preso Harm?!
Dobbiamo agire, dobbiamo…”
Ma lui la
tacitò con un cenno della mano: “Non si può”
rispose serafico posando la cornetta sulla forcella.
“Non si può?!
E perché scusa? Hanno deliberatamente
intralciato le nostre indagini, ci hanno raccontato un sacco di
frottole su
come, dove e perché hanno salvato Herriott combinando poi quel gran
pasticcio
al check point, hanno…”
“Lo so
benissimo quello che è accaduto, Mac” la fermò
nuovamente lui. Sprofondò nella poltrona e la fissò.
Impercettibilmente,
ma il cuore di Sarah aumentò i
battiti. Lei lo imputò alla rabbia e alla frustrazione che provava.
“Non sei più
quello di una volta” lo rimproverò mentre
passeggiava per la stanza. “L’Harm che conoscevo non avrebbe
tergiversato.
L’Harm che conoscevo avrebbe ribaltato tutto e tutti pur di arrivare
alla
verità.”
Si fermò al
centro dell’ampio ufficio e lo guardò, gli
occhi tristi: “Dove è andato a finire l’Harm di una volta, il paladino
della
giustizia?”.
“E’ diventato
adulto, Mac e si è assunto le sue
responsabilità” rispose lui pacatamente.
Quelle stesse
che
non ti sei mai preso con me?, fu tentata
di chiedergli ma tacque.
“Perché vuoi
proprio aspettare istruzioni da parte di
Sheffield quando sai benissimo da te cosa c’è da fare?” chiese invece.
“Queste sono
le regole della politica. Ti dissi quando
giungesti qui che questa azione era solo politica pura e nient’altro,
la verità
e la giustizia, quando si è nelle alte sfere, abitano da tutt’altra
parte,
Sarah.”
Questa volta
Mac avvertì il proprio cuore accelerare il
ritmo e minuscoli brividi percorrerle la schiena come uno sciame d’api
impazzite. E non era per la rabbia o la frustrazione.
Clay dove sei?, urlò
angosciata dentro di sé.
“Ho bisogno di un caffè” disse, “ti lascio alla tua
telefonata” e uscì dalla stanza.
Residenza del
Duca di Lyndham
Hyde Park, Londra
Aprile 1858
Finalmente
sarebbe stata sua per sempre. Aveva
atteso così a lungo quel momento che quasi gli sembrava ancora un sogno
impossibile.
Sapeva che il
suo cuore apparteneva ancora
all’uomo di cui aveva detto di essere innamorata e sapeva anche che
aveva ceduto
più che altro per rassegnazione, per disperazione e per solitudine
forse, ma
non gli importava.
Presto
avrebbe scoperto di poterlo amare.
Non era stato
onesto con lei, ma non aveva
avuto scelta, perché altrimenti lei non lo avrebbe mai sposato. E lui,
invece,
non voleva altro che legarla a sé.
Ad essere del
tutto sincero, voleva anche ben
altro da lei.
Da lei voleva
tutto: il suo amore, la sua
compagnia, il suo corpo. E dei figli. Ma al momento si sarebbe
accontentato di
fare in modo che fosse legata a lui per sempre.
Era l’unica possibilità che aveva per poterla amare. Ed
era quello ciò
che più gli premeva avere in quel momento. Tutto il resto sarebbe
arrivato col
tempo.
Aveva infatti
capito che continuare a fuggire
l’amore era il modo inconscio che aveva di punire se stessa per il
suicidio del
padre, del quale continuava a ritenersi colpevole.
Non poteva
sapere, come invece lui aveva
scoperto, che quel bastardo di Hewitt non aveva mai avuto intenzione di
sposarla né di aiutare Lord Montagu, ma soltanto di approfittare di
lei, senza
poi neppure condurla all’altare. Se lei allora non lo avesse rifiutato,
l’onta
del disonore sarebbe stata ancora peggiore e Lord David probabilmente
si
sarebbe ucciso comunque per il semplice rimorso d’averla promessa ad un
uomo
capace di abusare di lei.
Aveva
scoperto quella disgustosa verità
indagando su Hewitt, dopo aver conosciuto la storia dei Montagu.
Fingersi un
domestico pettegolo, a caccia di piccanti retroscena, gli era stato di
grande
aiuto per conoscere particolari scabrosi sulla vita di numerosi suoi
pari. Come
già aveva avuto modo di sperimentare, mescolarsi al popolino portava
sempre i
suoi frutti.
Tuttavia
sapeva anche bene quanto lei fosse
testarda, quasi quanto lui; pertanto era certo che non le sarebbe
bastato
conoscere la verità senza alcuna prova, neppure se gliel’avesse detta
lui
stesso.
Niente
l’avrebbe convinta di non aver avuto
colpa alcuna nella tragedia della sua famiglia, se non per il fatto
d’essere
già così bella e desiderabile a soli sedici anni, tanto da indurre un
uomo
molto più vecchio a volerla possedere a tutti i costi. Ma se quella era
una
colpa, allora avrebbe dovuto pagare per ogni uomo che posava gli occhi
su di
lei…
Nulla di ciò
che aveva fatto suo padre, dal
fidarsi di un truffatore come Hewitt e dilapidare il patrimonio di
famiglia, al
venderla per salvare le sorti dei Montagu fino ad arrivare al suicidio
per non
affrontare il disonore, era responsabilità sua, allora poco più che una
ragazzina.
E lui non
avrebbe più permesso che continuasse ad incolparsi per la morte di Lord David.
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Capitolo 11 *** Rivelazioni ***
Capitolo XI
Rivelazioni
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Metà aprile
1858
La cerimonia,
celebrata poche ore prima nella
piccola abbazia di Beaulieu, era stata breve e con pochissimi invitati.
Data la
rapidità con cui Lord Thornton aveva voluto fissare la data, non c’era
neppure
stato il tempo di radunare più persone, ma a lei non importava.
L’unica cosa
che la lasciava perplessa era la
fretta che le aveva imposto Nicholas, il quale non aveva neppure voluto
attendere l’arrivo dei suoi familiari; a dirla tutta non era neppure
certa che
li avesse avvertiti dell’imminente matrimonio.
Gli unici
presenti da parte dello sposo erano lo
zio, Sua Grazia il Duca di Lyndham, ed Everly, il di lui maggiordomo.
Ma del
resto, anche da parte della sposa la lista si esauriva rapidamente:
pochi domestici
affezionati, una vecchia amica della sua povera madre con la famiglia e
Lord e
Lady Chapman, in rappresentanza di sua Maestà la Regina
Vittoria.
Dopo la
celebrazione, era seguito un piccolo
rinfresco al castello.
Non era stato
il matrimonio che sognava da
bambina, con una cerimonia semplice, attorniata da familiari e pochi
amici
intimi, ma accompagnata da una grande festa cui avrebbe partecipato
tutto il
paese. Ad ogni modo in quelle circostanze non lo avrebbe neanche voluto.
Nicholas le
aveva assicurato che, non appena la
faccenda con Hewitt si fosse conclusa, l’avrebbe accompagnata a
conoscere i
suoi genitori e lì avrebbero festeggiato in maniera ufficiale il loro
matrimonio.
Ad essere
sincera, non ci teneva affatto. Ora
che era diventata Lady Thornton, futura duchessa di Lyndham, riusciva a
provare
solo tanta tristezza e un’incredibile voglia di fuggire lontano.
Si sentiva in
trappola.
Non era colpa
di Nicholas. Lui si era sempre
comportato in maniera ineccepibile, con gentilezza e pazienza, tanto da
esserne
addirittura sorpresa.
Era lei che
si sentiva come svuotata dentro.
Non riusciva
a smettere di pensare ad André e
il suo ricordo la tormentava giorno e notte; si malediceva in
continuazione per
la propria stupidità e per aver deciso di fuggire da lui. Così facendo
si era
condannata ad una vita infelice accanto ad un uomo che non avrebbe mai
potuto
amare.
Anche se
Nicholas risvegliava in lei una
passionalità e un desiderio sopiti da tempo, tuttavia non sarebbe mai
riuscito
a smuovere il macigno che gravava sul suo cuore, soprattutto perché si
era resa
conto d’averlo sposato solo per solitudine e per riuscire ad ottenere
giustizia
per suo padre, quella giustizia che tanto a lungo aveva inseguito.
Ironia della
sorte, alla fine di tutta quella
storia, era stata lei stessa a vendersi per ottenere qualcosa ed ora
poteva
solo disprezzarsi per questo.
Suo marito, e
in questo doveva rendergli
merito, sembrava aver capito perfettamente il suo stato d’animo e le
aveva
promesso che avrebbe atteso con pazienza finché non fosse stata pronta
ad
amarlo.
Mentre
Lynnette, la sua cameriera personale, la
stava aiutando a togliersi l’abito nuziale e prepararsi per la notte,
Lady
Sarah pensava con apprensione che, molto probabilmente, quel momento
non
sarebbe mai giunto.
Cos’avrebbe
dovuto fare, in quel caso?
Continuare a
privare Lord Thornton di sua
moglie, oppure concedersi a lui senza amore? Del resto lo aveva già
fatto, in
poche altre occasioni. Ma la situazione era diversa: allora non era
sposata,
non aveva pronunciato dei voti… Concedersi a suo marito continuando ad
amare un
altro le sembrava un tradimento e, per quanto non amasse Nicholas,
tuttavia
stava imparando a rispettarlo e non le sembrava giusto privarlo della
felicità
che una vera moglie innamorata avrebbe saputo dargli.
Inoltre, se
si fosse concessa a lui senza
amore, avrebbe provato almeno la metà delle meravigliose sensazioni che
solo
con André aveva vissuto? O sarebbe, come sempre, subentrato il disgusto
per un
atto compiuto senza sentimento?
Sentì gli
occhi riempirsi di lacrime e congedò
rapidamente Lynnette, affinché non la vedesse piangere.
Suo marito,
in quel preciso istante, stava
sistemando le proprie cose in una delle camere degli ospiti; si erano
accordati
che avrebbero trascorso la settimana a Beaulieu, prima di tornare a
Londra,
ospiti del duca di Lyndham finché non fossero riusciti a portare a
termine il
piano per incastrare Hewitt. Il matrimonio a Beaulieu era stato una
necessità,
per evitare che Hewitt ne venisse a conoscenza e sospettasse l’inganno.
Ma era
anche stato l’unico regalo di nozze che lei aveva richiesto: temeva
ancora di
non riuscire a riscattare il nome della sua famiglia e voleva rivedere
di
nuovo, forse per l’ultima volta, i luoghi della sua infanzia, prima che
il
castello le fosse sottratto per sempre.
Pensò a
Nicholas e a come le aveva fatto capire
di tenere a lei, a quanto la desiderasse… Forse se si fosse abbandonata
tra le
sue braccia, assecondando il desiderio e la passione che lui sapeva
risvegliarle,
non sarebbe stata un’esperienza tanto brutta. E forse, così facendo,
sarebbe
riuscita ad affezionarsi all’uomo col quale aveva deciso di dividere la
propria
vita.
In fondo suo
marito non meritava che lei lo
umiliasse a tal punto.
Si asciugò le
lacrime e decise di raggiungerlo
in salotto, dove aveva detto che l’avrebbe attesa per augurarle la
buona notte.
Indossò una vestaglia da camera, raffinata ma tutt’altro che seducente,
sopra
una camicia da notte di pizzo italiano. E mentre scendeva le scale si
disse che
forse valeva la pena di scoprire meglio l’uomo che aveva sposato.
Appartamento
del Capitano Harmon Rabb
Hyde Park, Londra
Metà
aprile
2005
La telefonata
con il Segretario era stata burrascosa. Harm
aveva tentato di fare comprendere al superiore che le indagini non
potevano
essere sospese o inventate solo per far piacere alla stampa.
Gli inglesi
avevano mentito, si doveva giungere a scoprire
il perché di tutto quel castello di menzogne.
Tuttavia non
c’era stato verso di convincerlo e aveva
dovuto eseguire l’ordine comunicandolo anche a Mac, la quale, com’era
prevedibile, s’era infuriata accusandolo delle peggiori cose, dalla
codardia al
servilismo nei confronti dei suoi superiori.
Entrò in casa
sbattendo la porta e gettò nervosamente la
borsa a terra.
Sentiva
Belinda che si affaccendava in cucina ma
volutamente la ignorò, preferendo andare in camera, cambiarsi e
buttarsi sotto
una doccia per cercare di scordarsi quella giornata nera. In tutti i
sensi.
Non
sopportava di litigare con Mac a quella maniera. Gli
faceva venire i bruciori di stomaco.
Uscì dalla
doccia più arrabbiato che mai, ma non ce
l’aveva con l’amica, quanto piuttosto con se stesso per non essere
stato in
grado di tenere testa al SecNav. Che stesse davvero perdendo lo smalto
di una
volta?
Andò in
cucina e salutò Belinda con un bacio frettoloso,
dirigendosi immediatamente dopo nel salotto e stravaccatosi sul divano
accese
la televisione, sintonizzandosi su un programma sportivo.
Belinda
rimase stupita da quell’insolito atteggiamento da
parte di Harmon. Non gli era consono arrivare a casa, sbattere la porta
e quasi
non degnarla di uno sguardo. Di solito quando rientrava dopo una
giornata
lavorativa, anche se era stanco o in pensiero per qualche motivo, la
prima cosa
che faceva era andare a salutarla con affetto e qualche volta… arrossì
al
pensiero.
Invece, da un
po’ di giorni a quella parte, lui la stava
ignorando e quando lei gli domandava cosa c’era che non andasse
rispondeva
evasivo di non preoccuparsi, che tutto era ok, e che si trattava solo
di
preoccupazioni di passaggio.
Non capiva
più con chi aveva a che fare. Quell’Harmon non
era l’uomo di cui si era innamorata. Quell’Harmon era chiuso, parlava
solo per
enigmi, non si confidava più con lei.
Abbandonò la
frittata sul fuoco e lo raggiunse in salotto.
Si sedette
sul divano accanto a lui e gli prese il
telecomando dalle mani spegnendo il televisore.
“Mi vuoi dire
cosa ti tormenta Harmon?” domandò.
Lui non
replicò. Odiava sentirsi chiamare con il nome per
esteso, neanche Trish lo faceva più.
“Non c’è
nulla che non va, Linda” cercò di rassicurarla. “Ho
solo delle grosse grane sul lavoro.”
“Perché non
me ne parli? Lo fai sempre. Dici che la mia
opinione ti aiuta a vedere le cose in maniera obiettiva.”
Già perché
non
gliene parlo?, si
chiese Harm.
Belinda lo
guardava, in attesa di una risposta, ma a lui
non andava di dirle alcunché. Lei non avrebbe compreso la complessità
di quello
che aveva dovuto affrontare quella mattina al telefono con Sheffield.
Anche
Mac, a dire il vero, non l’aveva compreso, ma lei almeno lo conosceva
davvero e
dentro di sé sapeva che avrebbe fatto in modo di conoscere la verità.
Se avesse
raccontato a Belinda della telefonata di quella
mattina, molto probabilmente, anzi certamente, lei gli avrebbe risposto
con un
“Hai fatto il tuo dovere Harmon. Cos’hai da rimproverarti?”.
Come farle
capire che lui non era quello che lei vedeva?
Come farle comprendere che non era affatto giusto nei confronti di quei
soldati
americani rinchiusi in prigione con l’accusa di omicidio lasciare che
tutto
s’insabbiasse?
Si rinchiuse
in un silenzio, tipico dei suoi che Sarah
così ben conosceva e interpretava, ma che Belinda non comprese.
Recuperò il
telecomando dalle pieghe del divano e riaccese
la TV
senza dire
una parola.
Non sapendo
cosa fare e come comportarsi, Belinda si alzò
e tornò in cucina prima che la frittata bruciasse del tutto.
Si sentiva
confusa, messa da parte. Non riconosceva più
l’uomo solare, aperto e brioso che aveva conosciuto qualche mese prima
e che
l’aveva affascinata con i racconti delle sue imprese passate da pilota
in
quell’essere taciturno che non le diceva più nulla e che la sera si
girava
dall’altra parte del letto dopo averle borbottato un distratto “buona notte”.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Metà aprile
1858
Era arrivata
in fondo alla scala quando sentì
delle voci provenire dal salotto. Credeva di trovare suo marito solo, e
invece…
Vide il maggiordomo giungere proprio da quella
direzione e lo fermò.
“Albert, chi
c’è con Lord Thornton?”
“Un signore
da Londra, Milady. Doveva portare un’importante
notizia a Milord.”
Sorpresa da
quel fatto, congedò Albert e fece
per tornarsene in camera, evitando di disturbare Nicholas, ma udì
proprio la
voce di suo marito:
“Quindi il
mio piano ha funzionato!”.
“Certamente,
Nick. E quel bastardo di Cedric
Hewitt da oggi è in carcere, come speravi.”
“Fantastico,
Tommy!”
“E così,
Nick, sei finalmente riuscito nella
tua vendetta!”
Che cosa stavano dicendo? Hewitt
in carcere? Vendetta?
All’improvviso ricordò la prima conversazione
avuta con Nicholas a proposito di Hewitt: lui aveva detto che Cedric
aveva
fatto del male ad una persona cui teneva moltissimo.
Ma... Come
poteva essere già in carcere se non
avevano ancora attuato il piano?
A meno che…
Si soffermò
per un attimo a riflettere e quando
comprese che per portare a termine il piano di Nicholas di fingersi uno
sprovveduto allevatore di cavalli non occorreva affatto che lei lo
aiutasse,
come lei stessa aveva osservato la prima volta che lui le aveva
sottoposto
l’idea, diede anche un senso a tutto quanto, a ciò che aveva appena
sentito e
alle nozze celebrate in tutta fretta, e sentì la rabbia crescerle
dentro.
In tutto quel
tempo in cui le aveva fatto
credere di avere un piano per aiutarla, lui aveva già messo in atto
tutto
quanto.
Non poteva
essere altrimenti. Probabilmente
erano mesi che ci stava lavorando… Eppure le aveva lasciato credere che
avrebbe
agito solo se lei lo avesse sposato.
Ed ecco
spiegato anche il perché della cerimonia
tanto affrettata: non voleva correre il rischio che Hewitt fosse
arrestato
prima che lei lo sposasse, altrimenti sapeva bene che non avrebbe mai
acconsentito al matrimonio.
Maledetto!
L’aveva costretta a sposarlo con l’inganno.
Furiosa con
lui e con se stessa per essersi
lasciata abbindolare tanto ingenuamente, attese finché suo marito non
uscì dal
salotto per accompagnare personalmente l’ospite alla porta; quindi
entrò nella
stanza, ad aspettare il suo ritorno.
Pochi istanti
dopo Nicholas comparve e, nel
vederla, l’occhio sano gli si illuminò.
“Mia cara”,
disse avvicinandosi per baciarle
una guancia. Ma, scorgendo l’ira nei suoi occhi, si fermò a metà strada.
“Che cosa vi
succede, Sarah?”
“Avete avuto
ospiti…” disse lei, con
noncuranza.
“Sì, un amico
da Londra, che è venuto a
congratularsi per le nozze. Lo avevo invitato, ma si trovava a
Southampton per
affari… è passato a salutarmi prima di rientrare a Londra. Vi manda i suoi migliori
auguri…”
“Bugiardo!”
lo interruppe lei.
“Scusate…
come dite?” chiese sorpreso lui.
“Ho detto che
siete un bugiardo”, replicò
serafica.
“Che cosa
state insinuando, Milady?” domandò
lui, la voce improvvisamente più fredda.
“Non sto
insinuando nulla. Vi sto dicendo che
state mentendo.”
“Milady, voi
sapete quanto io vi ami... Ma vi
consiglio di non approfittarvi troppo dei miei sentimenti e della mia
dedizione
per voi… potreste pentirvene” la mise in guardia, con voce dura.
Per un attimo
la sua affermazione la stupì e le
smosse qualcosa dentro: lui l’amava?
E quando mai gliel’aveva detto? O anche
soltanto fatto capire?
L’unica cosa
che le aveva lasciato ad intendere
era quanto la desiderasse… Per un attimo ripensò al momento in cui
l’aveva
stretta tra le braccia dopo averla salvata da Taylor, ma scacciò
rapidamente il
pensiero, assunse un’aria dura e beffarda e domandò:
“E ditemi,
Milord: è perché mi amate tanto che
avete deciso di costringermi a sposarvi con l’inganno?”
“A cosa vi
riferite?”
Lo sguardo
dell’occhio privo di benda non
vacillò neppure per un secondo. Quell’uomo era davvero un essere privo
di
qualunque morale.
“Al vostro
piano. E alla cattura di Hewitt.
Ditemi: da quanto tempo ci stavate lavorando?”
“Quasi sette
mesi” rispose lui, con una calma e
una semplicità che la fecero andare su tutte le furie.
“E perché,
allora, mi avete detto che se non
avessi acconsentito a sposarvi non mi avreste aiutato?” chiese lei,
alzando di
un tono la voce.
“Non ho mai
detto questo” disse lui.
“Ma avevate
perfettamente capito che io credevo
che il nostro accordo fosse in questi termini. Perché avete lasciato
che
continuassi a pensarla così, anche quando sapevate benissimo che le
cose
stavano diversamente?”
“Perché se
aveste saputo come stavano davvero
le cose, non mi avreste mai sposato” rispose lui, imperturbabile.
“Ci potete
giurare!” gli urlò lei in faccia.
“Siete un bastardo, anche voi come tutti gli uomini che ho conosciuto!”
continuò piena di rabbia, chiedendo mentalmente perdono ad André,
l’unico che
non avrebbe mai incluso nella lista. Ma non era il momento di
sottilizzare.
Poi, non
paga, aggiunse, senza dargli neppure
il tempo di replicare, ma del resto egli la stava ascoltando serafico,
non
dicendo assolutamente nulla per difendersi o per obiettare:
“E’ sicuro
che se avessi saputo che Hewitt era sul punto di essere arrestato, non
vi avrei
mai e poi mai sposato! Io non ho mai avuto intenzione di sposarmi…”.
A
quest’ultima affermazione,
suo marito la sorprese:
“Oh… Ma io
non intendevo affatto questo, quando
vi ho detto che non mi avreste sposato se solo aveste saputo”.
“E che
cosa intendevate, allora?” domandò lei, per un attimo spiazzata dalle
sue
parole.
“Dovevate
trovare un motivo per convincere voi
stessa. L’unica ragione che non vi avrebbe fatto fuggire da me.”
“State
insinuando che io desideravo sposarvi,
ma che non lo avrei mai ammesso, e soprattutto non lo avrei mai fatto
se non mi
fossi sentita costretta?”
“Precisamente.”
“Voi siete
pazzo. Pazzo e presuntuoso. Per
desiderare di sposarvi, come minimo avrei dovuto provare qualcosa per
voi…”
“Voi già mi
desiderate, Milady”, la interruppe
lui.
“Non è
affatto vero!”
“Chi è che
sta mentendo, ora?” domandò lui,
sollevando impercettibilmente il labbro, nell’accenno di un sorriso.
“Ho capito
che mi desiderate da come avete risposto al mio bacio quando vi ho
salvato da
quel farabutto. Avrei potuto conquistare il vostro cuore come e quando
avessi
voluto…”
“Ma non avete
neppure tentato. Avete preferito
mentirmi, e sposarmi con l’inganno.”
“Io non vi ho
mai mentito, Milady. Siete stata
voi ad aver tratto certe conclusioni.”
“Sottigliezze,
Milord. Voi sapevate come la
pensavo. Lo avevate capito benissimo.”
“Certo. Ma
ditemi, Lady Sarah: davvero avreste
permesso al vostro cuore di innamorarsi di me? Davvero avreste permesso
che vi
corteggiassi, al punto da farvi innamorare, se vi avessi detto come
stavano
davvero le cose?”
“No. Certo
che no. Ma solo perché non mi
piacete, Milord. Non mi piacete e non mi siete mai piaciuto” disse
sprezzante.
Poi aggiunse: “E non è affatto vero che vi desidero”.
“Voi dite?”
la stuzzicò, avvicinandosi lentamente
a lei con una luce provocante nello sguardo.
Dannazione a
lui! Ma perché, in certi momenti,
quando si divertiva a giocare con lei, le ricordava così tanto André?
Arretrò di un
passo, ma lui fu più svelto e
l’afferrò per un braccio.
“State
scappando…” sottolineò divertito.
“Non sto
scappando” ribatté lei, indomita.
“Non fuggire
da me, Sarah…” mormorò lui, con la
voce improvvisamente più roca.
La sua mano
le arrivò dolcemente alla nuca,
avvicinandole il volto per baciarla.
Lei riuscì
solo a pensare per un breve attimo
che avrebbe voluto respingerlo. Ma, non appena si posarono sulle sue,
le labbra
di suo marito la stregarono. Il suo sapore risvegliò in lei ricordi
lontani,
mentre la barba le solleticava piacevolmente la pelle.
Fu incapace
di resistere. Rispose al bacio come
se si trovasse tra le braccia di André, abbandonandosi
completamente al suo ardore e passandogli le
mani tra i capelli.
Lui mormorò
di piacere e la strinse a sé con
più impeto; poi, rapido, sciolse il nodo alla cintura e le abbassò la
vestaglia
sulle spalle, lasciandola coperta soltanto dalla camicia da notte.
Quindi, con
mani affamate di lei, fece scivolare anche il leggero tessuto in pizzo
color
avorio e le accarezzò sensualmente la pelle, mentre la sua bocca non le
dava
tregua.
Lei
rabbrividì a quelle carezze, a quelle mani
che le smuovevano l’inconscio, facendole riaffiorare ricordi dolci, ma
al tempo
stesso troppo dolorosi.
Furono quei
ricordi a trafiggerle il cuore e a
farle provare ribrezzo per quanto stava per permettergli. Aveva avuto
la
risposta che soltanto poco prima cercava: se si fosse abbandonata al
desiderio
che provava per Nicholas Thornton, certamente lui le avrebbe fatto
provare
sensazioni molto simili a quelle che aveva vissuto con André. E,
probabilmente,
alla lunga, avrebbe finito per innamorarsi di lui.
Ma Lord
Thornton, come uomo, non valeva neanche
la metà di André D’Harmòn!
Non appena
lui abbandonò le sue labbra per
baciarle la curva delle spalle, disse fredda:
“Lasciatemi.”.
“No… No,
Sarah…”
Per un attimo
il suo sussurro le sembrò dolce e
disperato, e per poco non fu tentata di lasciarlo continuare. Oramai
era certa
che far l’amore con lui sarebbe stata un’esperienza appassionante e
coinvolgente.
Ma ogni volta
che quell’uomo la toccava,
risvegliava in lei il ricordo di André.
E ogni volta
quel ricordo la devastava.
Soprattutto
ora che, con Hewitt finalmente
nelle mani della giustizia, avrebbe potuto lasciarsi i problemi della
sua
famiglia alle spalle e tentare di ritrovarlo, per supplicare il suo
perdono. Invece
proprio in quel momento si trovava intrappolata in un matrimonio che
non
avrebbe mai voluto se non si fosse sentita tanto sola, disperata e
profondamente determinata a riscattare l’onore dei Montagu, non fosse
altro che
per dare un senso all’aver rinunciato per sempre all’amore.
Sentì la
rabbia montarle dentro più forte di
prima: la rabbia contro se stessa e la sua stupidità e contro
quell’uomo che
voleva farla sua e privarla anche dei meravigliosi e unici ricordi che
ancora
la legavano ad Andrè D’Harmòn.
Si divincolò
con forza e, quando lui tentò di
afferrarla di nuovo, gli rifilò un ceffone e gli urlò in faccia tutto
il suo
disprezzo:
“Non mi
avrete mai! L’unico modo per avermi,
sarà prendermi con la forza”.
Lo vide
impallidire e irrigidirsi per contenere
la rabbia.
“Non ho mai
dovuto usare violenza ad una donna
per averla.”
“Allora
dovrete accontentarvi di una moglie
solo di nome, perché io non sarò mai vostra. Voi mi disgustate, Lord
Thornton.
Esattamente come mi hanno sempre disgustata tutti gli uomini cui ho
concesso il
mio corpo…”
“Vi
disgustava concedere le vostre grazie anche
all’uomo di cui vi dite ancora innamorata?” chiese lui.
“Non vi
permetto di parlare di lui, né dei
sentimenti che nutro per lui…”
“Parliamo
allora degli altri uomini a cui vi siete
concessa…”
“E’ accaduto
solo poche volte e solo per ottenere
qualcosa in cambio.”
“Grazie a me
otterrete comunque la restituzione
dei vostri beni e del titolo per vostro fratello” le ricordò lui,
sarcastico,
“perché non dovreste concedere anche a me le vostre grazie?”
“Ma voi, per
avermi, mi avete ingannato. Mi
avete privata della mia libertà. Eppure questo avrei anche potuto
accettarlo,
se non mi aveste mentito. L’avrei accettato e sarei stata per voi una
vera
moglie, anche se il mio cuore non vi sarebbe mai appartenuto…”
“Siete una
cortigiana, e della peggior specie”
disse lui, sprezzante.
“Pensate pure
di me quello che volete, Milord. Non
m’interessa. C’è un’unica persona di cui m’importava l’opinione e
quella
persona non siete voi.”
“E così
ritenete che il matrimonio sia una
prigione…”
“Il
matrimonio con voi di certo.”
“E che mi
dite dell’uomo misterioso di cui
siete innamorata? Mi diceste che anche lui vi aveva chiesto in sposa.
Come mai,
se lo amate tanto, siete fuggita da lui e dalla sua proposta?” chiese
lui,
crudele.
Prima che
potesse rispondere, aggiunse,
facendola impallidire:
“Lasciate che
vi dica io il perché: Lady Sarah
Jane Montagu, voi avete paura dell’amore. E avete il terrore di fidarvi
di
qualunque uomo, compresi quelli realmente innamorati di voi. Inoltre vi
ritenete responsabile del suicidio di vostro padre. Ecco perché siete
fuggita
dall’uomo che dite di amare e che, a quanto raccontate, vi amava alla
follia.
Privandovi dell’amore continuate a punirvi per quella che ritenete
essere la
vostra colpa. E per lo stesso motivo vi siete sempre impedita di
abbandonarvi a
quello che provate per me. Ora avete deciso di disprezzarmi, di odiarmi
e di resistermi,
e in questo modo potete considerarmi come tutti gli uomini della vostra
vita, a
partire da vostro padre: uomini immeritevoli del vostro amore e della
vostra
fiducia. Il vostro innamorato misterioso resta l’icona di perfezione,
perché
siete stata voi ad abbandonarlo… non gli avete neppure concesso il
tempo di
essere un semplice essere umano, con errori e difetti, e pertanto
deludervi…”
Lei rimase
immobile e in silenzio, mentre le
lacrime cominciavano a rigarle il volto.
Non lo aveva
mai sentito parlare tanto a lungo.
Come aveva fatto quell’uomo a capire così tanto
di lei?
Com’era possibile che fosse riuscito a mettere
a nudo così completamente il suo animo, pur conoscendola da poco tempo?
Sembrava
essere parte dei suoi pensieri...
Quante volte
si era detta che se non fosse
stato per lei suo padre non si sarebbe suicidato? Quante volte aveva
disprezzato
gli uomini perché li riteneva tutti volere un’unica cosa?
Dopo averlo
abbandonato sulla Medea,
quanto
spesso si era domandata cos’avesse di speciale André François D’Harmòn
per
averla fatta innamorare? E quante volte si era detta, pur di
convincersi che
stava facendo la cosa giusta a lasciarlo, che se lo avesse sposato,
prima o poi
anch’egli l’avrebbe delusa?
Dentro se
stessa sapeva bene che ciò non
sarebbe mai successo. E se anche fosse accaduto, l’amore che provava
per lui
avrebbe mitigato il tutto, come accadeva sempre tra ogni uomo e ogni
donna
innamorati.
Del resto
André l’aveva amata, pur sapendo che
si era concessa ad alcuni uomini solo per convenienza. Lui aveva saputo
accettarla e amarla per quello che era realmente, passando sopra
persino a
comportamenti di cui lei stessa non andava fiera. Eppure lei era
fuggita
comunque.
E ora l’uomo
che aveva sposato, l’uomo che le
aveva mentito, le stava dicendo in faccia tutto quanto…
E aveva
maledettamente ragione.
Nicholas la
vide piangere e quell’immagine gli
straziò il cuore: perché mai il destino l’aveva fatto innamorare
proprio di
quella donna?
Avrebbe
potuto avere chiunque, eppure non
voleva altri che lei.
Tentò di
avvicinarsi e prenderla tra le
braccia. Non sopportava di vederla tanto vulnerabile, lei sempre così
fiera e
forte. Si odiava per averle detto tutte quelle cose, anche se erano la
verità.
“Perdonatemi…
Perdonatemi, Sarah…” le disse
dolcemente, cercando di abbracciarla. Voleva stringerla a sé, farla
piangere
tra le sue braccia, confortarla e poi amarla con tutto se stesso, fino
a farle
dimenticare tutte le cose orribili che si erano detti.
Ma lei fuggì
prima ancora che riuscisse a
toccarla. Corse alla porta e, prima di uscire sbattendola dietro di sé,
gli
urlò tra le lacrime:
“Vi odio!”.
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Capitolo 12 *** Decisioni ***
Capitolo XII
Decisioni
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
12 maggio 1858
Sentì un
nitrito provenire dall’esterno e si
alzò lentamente dalla poltrona, abbandonando il libro che stava
leggendo.
Si avvicinò
alla vetrata della biblioteca e
osservò fuori; le scuderie erano dall’altro lato del castello e l’ala
in cui si
trovava in quel momento era sempre molto silenziosa.
Scorse
l’animale, che sembrava passeggiare
libero, sul viale che conduceva verso il parco di Beaulieu, quella zona
alle
spalle della costruzione che si apriva su un’immensa distesa di prati
verdeggianti,
tipici della campagna inglese.
Vide lei
soltanto dopo, quando superò la
cavalla che teneva per le redini.
Era pronta
per una cavalcata, poiché indossava
un paio di calzoni marroni, stivali e una camicia bianca. Sorrise
dolcemente,
notando che non aveva con sé neanche una giacca: sua moglie era solita
uscire a
cavallo con indosso meno di quanto il tempo inglese, sempre molto
volubile,
normalmente richiedeva.
Quella
mattina il sole splendeva luminoso e
l’aria era tiepida, pertanto la giacca probabilmente non le sarebbe
servita; ma
ricordava ancora come, solo una settimana prima, fosse rientrata dalla
sua
cavalcata bagnata fradicia perché, nonostante avesse un logoro giaccone
a
scaldarla, aveva rifiutato l’impermeabile che il solerte Albert
pretendeva che
indossasse in quanto si preannunciava un temporale.
Era tornata
tutta grondante di pioggia, ma con
gli occhi luminosi e le guance arrossate, segno evidente che aveva
goduto
appieno della cavalcata, nonostante l’acquazzone. O, forse, proprio
grazie a
quello.
Con i lunghi
capelli incollati al corpo aveva
l’aria di un pulcino bagnato, eppure lui l’aveva trovata bellissima.
Forse era per
via di quella luce che aveva
scorto nei suoi occhi, che sembrava averla fatta tornare quella di un
tempo. La
donna vivace e brillante che aveva conosciuto, e non l’essere taciturno
e
triste che era diventato da circa un mese, dalla sera del loro
matrimonio
quando, tra le lacrime, gli aveva gridato che l’odiava.
L’aveva vista
così piena di vita che, per un
attimo, aveva sperato che fosse tornata la Sarah Jane
Montagu che
aveva conosciuto, indomita e ribelle. Ma si era accorto ben presto
d’essersi
sbagliato: non appena si era asciugata e rifocillata e subito dopo che
l’ebbrezza della cavalcata l’aveva abbandonata, era tornata spenta e
silenziosa, totalmente immersa nel suo mondo e del tutto indifferente
alla sua
presenza.
Non riusciva
ad avercela con lei, anzi soffriva
molto a vederla così.
Era
assolutamente certo che lei non si stesse
comportando a quel modo di proposito, per fargliela pagare.
Semplicemente stava
cambiando. Ne era sicuro perché, anche quando era sola e non immaginava
che lui
la stesse osservando, quell’aria triste e malinconica non l’abbandonava
mai.
Sembrava
quasi che si stesse spegnendo
lentamente. Che non avesse più nessuna ragione per gioire, ma neppure
per
arrabbiarsi.
Sembrava
quasi che si fosse rassegnata ad una
vita da prigioniera in casa propria.
Avrebbe
preferito vederla infuriata; avrebbe
preferito che litigasse con lui, che gli rinfacciasse ogni giorno
d’averla
sposata con l’inganno, piuttosto che vederla sempre più apatica, quasi
priva
della gioia di vivere.
Non
sopportava di vederla così. L’amava troppo.
Gli unici
momenti in cui sembrava rinascere
erano quelli durante i quali usciva a cavallo. Al rientro la sua
espressione
era più vivace, come se a cavallo ritrovasse quella parte di se stessa
che
stava a poco a poco scomparendo. O come se cavalcare le riportasse alla
mente
ricordi felici, l’unica cosa che ancora le regalasse un motivo per
sopravvivere.
Per questa
ragione, pur desiderando
disperatamente andare con lei, si era sempre trattenuto dal farlo.
Continuava a
sperare che quella malinconia l’abbandonasse; ma più passavano i giorni
e più
la vedeva triste, più temeva che il suo umore peggiorasse.
Sapeva bene
chi era il colpevole di tutto
quanto.
Lui.
Era soltanto
colpa sua. Avrebbe dovuto dirle
tutto quanto fin dall’inizio, ma aveva temuto di perderla. E ora,
forse, era
troppo tardi.
Aveva
sbagliato: aveva davvero creduto che se
fosse riuscito a legarla a sé, avrebbe avuto finalmente la possibilità
di farla
innamorare di nuovo.
Aveva sperato
che lei capisse… che il suo cuore
le parlasse… ma Sarah non voleva più ascoltare il suo cuore. E allora
non ci
sarebbero state speranze che s’innamorasse di Nicholas Thornton.
Aveva fatto
il possibile: era stato gentile,
paziente, dolce, premuroso… Aveva tentato di corteggiarla, di
interessarla a
conversazioni brillanti, persino di spingerla ad una discussione… aveva
tentato
di tutto, pur di ricordarle quanto potesse essere bello condividere le
proprie emozioni
e il proprio tempo assieme ad un uomo.
Non era
servito a nulla.
Osservandola
accarezzare Ginger, si disse che
avrebbe dato dieci anni di vita in cambio della possibilità di
stringerla
ancora tra le braccia…
Ma non
potevano andare avanti così, si
sarebbero distrutti a vicenda.
Per un attimo
ebbe l’impulso di uscire,
raggiungerla e dirle ciò che aveva pensato di fare proprio la notte
prima,
mentre attendeva che il sonno arrivasse e facesse cessare, almeno per
poche
ore, il tormento che provava ogni volta che pensava a lei.
Aveva deciso
che sarebbe tornato a casa sua e
le avrebbe concesso di vivere la propria vita lontana da lui. Non era
certo di
riuscire a sciogliere il loro matrimonio, ma in ogni caso le avrebbe
regalato
la libertà per la quale tanto aveva lottato e che tanto sembrava
desiderare.
Dei colpi
alla porta posero fine ai suoi
pensieri: il maggiordomo entrò e lo avvertì che era appena arrivato suo
zio.
Parco di
Beaulieu
Inghilterra
12 maggio 1858
Le guance
arrossate, il respiro affannato e i
capelli al vento, Lady Sarah Jane Montagu cavalcava la sua purosangue
lanciata
al galoppo.
Quella mattina, approfittando della splendida
giornata, aveva allungato di parecchio il solito giro e tuttavia non
aveva
alcuna voglia di rientrare.
Gli unici momenti in cui si sentiva di nuovo
viva e felice erano quando cavalcava Ginger, come se solo la cavalla
potesse
trasmetterle la sua energia per continuare a sopravvivere.
La sua mente tornava ad essere libera; libera
di abbandonarsi ai ricordi, gli unici momenti che considerava ancora
suoi e che
le regalavano un po’ di gioia.
Quanto si era
sbagliata!
Era convinta
che la sua ragione di vita fosse
riottenere Beaulieu, le proprietà e il titolo dei Montagu; aveva
lottato per
anni per perseguire quello scopo e non si era fatta fermare da nulla,
neppure
dall’amore. Ma quando aveva ottenuto finalmente quello che aveva
rincorso a
lungo, si era sentita soltanto tanto vuota e sola.
Dopo la
discussione con suo marito aveva
riflettuto molto, analizzando eventi e sentimenti con estrema
sincerità, ed era
dolorosamente giunta alla conclusione che Nicholas aveva ragione.
Egli non
l’aveva mai costretta a sposarlo. Era
stata lei a trarre certe conclusioni. Non le aveva mentito,
semplicemente aveva
omesso di chiarirle che non pretendeva lo sposasse solo per ottenere il
suo
aiuto, ma che l’avrebbe aiutata comunque, come in realtà aveva fatto.
Lei sola si
era voluta convincere che lui l’avrebbe
aiutata solo in cambio di qualcosa; e si era convinta di questo per
nascondere a
se stessa di potersi innamorare di Nicholas Thornton, se solo gliene
avesse
dato la possibilità.
Perché, se si
fosse innamorata di Nicholas, avrebbe
potuto dimenticarsi di André. Ma non solo: aveva anche avuto timore di
arrivare
a fidarsi completamente di un uomo. Se il piano avesse avuto successo
(come in
realtà era accaduto), non avrebbe più avuto scuse per fuggire. Con
Hewitt in
galera e il nome dei Montagu riabilitato, non avrebbe avuto più scuse
per
fuggire l’amore, come aveva fatto con André D’Harmòn.
Ripensando
con spietata sincerità ai momenti
passati con André, doveva ammettere che se si era abbandonata all’amore
e ai
sentimenti che provava per lui era stato solo perché sapeva che, prima
o poi,
l’avrebbe lasciato.
Suo marito
aveva ragione: temeva i legami, ma
ancora di più temeva e fuggiva l’amore.
L’aver
accettato finalmente dentro di sé tutto quanto
era stato un notevole passo avanti e solo per quello avrebbe dovuto
ringraziarlo.
Ciò che
tuttavia suo marito ancora non sapeva
era la decisione cui era giunta dopo il procedimento mentale da lui
stesso
innescato: aveva ormai capito che non sarebbe più riuscita ad essere
felice a
metà.
Non poteva
amarlo. Lei amava ancora André François
D’Harmòn e lo avrebbe amato per sempre.
Ora era
intenzionata a fare il possibile per
ritrovarlo, per implorare il suo perdono e dirgli quanto lo amava. E se
egli
fosse stato ancora libero e l’avesse rivoluta con sé, lei sarebbe stata
soltanto
sua.
Nulla
l’avrebbe fatta desistere da questa
decisione, neppure il suo legame con Nicholas Thornton; solamente un
rifiuto di
André l’avrebbe fermata. Pur di vivergli accanto era disposta anche a
mettere a
repentaglio la propria reputazione.
Ripensando a
suo marito e a come si era
comportato con lei in quel mese dalle nozze, ora era dispiaciuta anche
per lui:
aveva capito quanto stesse soffrendo per non poterla avere, eppure era
stato
sempre gentile e dolce. Molti altri uomini non sarebbero stati
altrettanto
pazienti e avrebbero fatto valere i propri diritti, anche con la forza.
Nicholas,
invece, si era limitato ad amarla in
silenzio.
Purtroppo per
lui, lei voleva André.
Era
consapevole che questa sua decisione,
qualora non fosse riuscita a ritrovarlo o se egli l’avesse respinta, le
avrebbe
fatto correre il rischio di perdere anche l’unico altro uomo di cui si
sarebbe
potuta innamorare se solo non lo fosse già stata così tanto del Conte
D’Harmòn,
ma era disposta a correre il rischio.
Quella sera
stessa avrebbe parlato con Nicholas
e poi sarebbe partita per la Francia.
Serena per la
decisione presa, fece rallentare
Ginger e, lentamente, ritornò al castello.
Bond Street
Londra
12
maggio 2005
Quel
pomeriggio, per accontentare sua madre che glielo
chiedeva da tempo, Belinda era uscita in anticipo dall’ufficio e si era
incontrata con lei alla fermata della tube
di Bond Street.
In quel
momento la strada più famosa di Londra per i suoi
negozi di alta moda era affollatissima di ricchi londinesi, turisti e
studenti
sfaccendati. Non capiva il perché sua madre volesse farle acquistare a
tutti i
costi due abiti da cocktail e uno da sera. Aveva l’armadio strapieno di
abiti e
non le mancava certo il modello giusto da indossare per il the di quel
pomeriggio e la cena della sera che avrebbe inaugurato il torneo di
bridge di
Lady Victoria Kent. Vide sua madre scendere da un taxi proprio a pochi
passi da
lei. Elegantissima e impeccabile come sempre nel sobrio tailleur di
Chanel color
panna, le si fece incontro salutandola calorosamente.
“Belinda” le
disse baciandola su entrambe le guance, “mi
fa piacere che tu abbia accettato il mio invito.”
“Mamma sai
benissimo che non ho bisogno di andare da
Armani o Valentino per un nuovo abito.”
“Non è vero
mia cara” replicò Lady Kent. “I tuoi abiti
sono fuori moda e per questa serata ti serve qualcosa di nuovo.”
“Come vuoi”
si arrese alla fine Belinda, lasciandosi
prendere sottobraccio e trascinare in direzione della boutique di
Armani.
Entrarono e
subito le commesse riconobbero Lady Kent e le
proposero gli ultimi arrivi direttamente dalla maison
dello stilista italiano.
“Che ne dici
di questo?” chiese alla figlia mostrandole un
sobrio abito longuette. “Credo che per il the di oggi
andrà benissimo.”
“Non ti
sembra un po’ troppo lugubre per un semplice the?”
chiese un po’ dubbiosa Belinda.
“Ma il nero
ti sta d’incanto mia cara! E s’intona alla
perfezione con i tuoi capelli rossi” replicò Lady Kent.
Seppure poco
convinta di quella scelta, Belinda s’infilò
nel camerino di prova e indossò l’abito. Con suo sommo dispiacere
dovette
convenire che quell’abito le stava d’incanto. Dopo la cura dimagrante
aveva
perso cinque chili e il vestito faceva risaltare le sue forme ben
tornite ma
non troppo. Si rimirò soddisfatta nello specchio.
Cosa avrà lei
più di
me…, si ritrovò
a
pensare. Ma che le veniva in mente?! Harmon aveva dimenticato la sua
amica, e
le aveva detto che fra loro non c’era mai stato nulla. Si stava
preoccupando
eccessivamente.
Uscì dalla
cabina di prova. Sua madre la guardò con aria
soddisfatta.
“Visto che
avevo ragione? Quest’abito ti sta d’incanto
Belinda. Lo prendiamo” aggiunse rivolta alla commessa che le stava
seguendo
solerte e zelante come un cameriere cinese.
“Adesso
vorrei che provassi questo” disse a Belinda
mostrandole un altro abito da cocktail, questa volta composto da una
giacca
color panna e da un pantalone nero in leggero tessuto di fresco di
lana.
L’insieme era completato da una camicetta di seta bianco avorio.
“Ma mamma!”
protestò Belinda. “Si tratta di the, non di
colazioni a Buckingham Palace.”
“Hai bisogno
di rinnovare il guardaroba Belinda” sentenziò
perentoria Lady Kent porgendo il completo alla figlia.
Ormai
rassegnata, Belinda tornò nuovamente nella cabina di
prova.
Uscirono
dalla boutique
dopo circa un’ora: i pacchi sarebbero stati recapitati direttamente
all’abitazione della famiglia di Belinda, a Mayfair.
“Mamma adesso
mi vuoi spiegare cosa hai in mente? Sai
benissimo che non ho affatto bisogno di avere nuovi abiti nel mio
armadio. E
sai benissimo che non ho vestiti fuori moda.”
La donna non
rispose, fermandosi a contemplare una vetrina
di Chanel.
“Non trovi
che quel tailleur sia un amore?” domandò
serafica alla figlia.
“Mamma…” la
incalzò Belinda battendo
un piede a terra. “Sto aspettando.”
“Vorrei che
lo provassi” continuò imperterrita Lady Kent
fissando la vetrina e avviandosi all’ingresso del negozio.
A Belinda non
restò altro da fare che seguirla, tuttavia
aveva la ferma intenzione di scoprire cosa stava tramando sua madre.
Quando
uscirono dalla boutique
di Chanel Belinda possedeva un tailleur, due gonne e un paio di
maglioncini in
più.
Dopo
quell’ennesima performance di sua madre era più che
decisa a scoprire cosa covasse sotto la cenere.
Camminarono
lungo la via affollata, e più lei cercava di
andare a fondo della questione, più sua madre sviava il discorso
parlando del
più e del meno.
Quando
giunsero davanti all’atelier di Valentino e Lady
Kent insistette affinché lei comprasse un abito da sera del valore di
3.000 sterline,
non ci vide più.
“Allora mamma
vuoi dirmi cosa cavolo stai tramando dietro
le quinte? Cosa c’è che non va?” sbottò.
“Belinda!
Siamo in mezzo ad una strada! Non ti comportare
come una straccivendola qualsiasi!” esclamò scandalizzata.
“Se non mi
dici cosa hai in mente giuro che mi metto a
strillare qui” la minacciò.
Allarmata da
quella disdicevolissima prospettiva Lady Kent
si arrese: “Andiamo in quel cafè”.
Si sedettero
all’interno del locale e ordinarono una tazza
di the.
“Ebbene?”
insistette Belinda.
Lady Kent
fissò il soffitto: “Il tuo fidanzato non viene?”
chiese apparentemente più interessata alla complicata decorazione del
soffitto
che non alla figlia.
“Cosa vuoi
dire? Lo sai benissimo che Harmon questo fine
settimana è a Beaulieu per lo Spring Automotor Jumble” replicò Belinda.
“Quindi non
sarà presente alle cena di domenica sera” continuò
Lady Kent.
“No, mamma,
non sarà presente” rispose lei infastidita.
“Te l’avevo detto mi pare.”
“Sì è vero”
disse la madre tornando a posare gli occhi
sulla figlia.
Il cameriere
portò i the.
“Ad ogni
modo, forse è una fortuna che non ci sia.”
Gli occhi
verdi di Belinda si aprirono in un’espressione
interrogativa: “Mamma che vuoi dire? Se non sarà per questo fine
settimana
potremmo sempre organizzare per la prossima. Vorrei presentarvelo senza
tutti i
vostri amici intorno”.
“Sei sicura
di voler stare con lui?” chiese girando
distrattamente il cucchiaio nella tazza.
“Mamma! Ma
come ti permetti?!” esclamò Blinda. “Io lo amo
e lui ama me. Cosa c’è che non va? E per favore parla chiaro questa
volta.”
Lady Kent
smise di girare il the. “Vedi? Anni di
educazione inglese non sono serviti a nulla! Due mesi che convivi con
quell’americano e parli come loro. Ma ti sei sentita almeno?”
“Allora è
questo! Non ti va che mi sia fidanzata con una
persona che non sia inglese purosangue e appartenga ad un altro mondo!”
“Bambina mia”
esordì Lady Kent, “quell’uomo non è alla tua
altezza. Tu puoi meritare di più. Non è inglese” cominciò ad enumerare,
“e quel
che è peggio è un americano. È un militare, uno della Marina e tu sai
come sono
fatti quelli della Marina…”
“Mamma sei
piena di pregiudizi. Harmon non è così. Lui è
diverso” rispose Belinda esasperata da tutte quelle basse insinuazioni.
“Magari
preferiresti che cercassi la compagnia di … aspetta come si chiama?”
disse
sarcastica.
“Charles
Hewitt” rispose Lady Kent. “E, a proposito di
Charles, sarà presente al the di domani pomeriggio” continuò
soddisfatta la
donna.
Belinda quasi
si strozzò con il the: “Ecco il perché di
tutte queste compere!” esclamò. “Tu vuoi….” ma la madre la interruppe.
“Io non
voglio nulla, solo che tu rifletta bene sul tuo
futuro prima di fare certe scelte.”
“Ma io le ho
già fatte le mie scelte mamma! E quando
conoscerai Harmon anche tu cambierai idea.”
Lady Kent non
rispose.
Terminarono
di bere i loro the ed uscirono dal cafè.
“Meglio che
torni a casa mamma, ci vediamo domani mattina”
la salutò freddamente Belinda.
“Come vuoi
cara.”
Guardandola
allontanarsi fra la folla delle cinque del
pomeriggio in direzione della tube, Lady Kent non poté trattenere un
moto di
sollievo.
Belinda cerca
di
nascondere quella che è la sua vera natura, ma se davvero avesse voluto
evitare
di incontrare Charles mi avrebbe risposto con un ‘no’ secco.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
12 maggio 1858
Aveva
lasciato la cavalla nelle mani capaci di
Ben, che l’avrebbe ricondotta alle scuderie e si sarebbe preso cura
dell’animale, e stava per rientrare passando dalle cucine, quando sentì
la voce
di suo marito e quella del Duca suo zio provenire quasi certamente dal
salotto
azzurro che si trovava proprio da quel lato della costruzione.
Prima di
rientrare si fermò un attimo a
cogliere dei fiori da far disporre per la tavola: la presenza di Sua
Grazia
avrebbe richiesto come minimo le porcellane Wedgwood, se non
addirittura
l’argenteria… Strano che Nicholas non l’avesse avvisata che avrebbero
avuto suo
zio a pranzo, a meno che lui stesso non ne fosse a conoscenza se
l’anziano
gentiluomo aveva deciso di fare una sorpresa ai novelli sposi.
Dalla vetrata
aperta poco più in là le voci
arrivavano nitide, senza che zio e nipote potessero vederla.
Lady Sarah
stava decidendo se cogliere delle
rose, nel qual caso sarebbe stato meglio rientrare ed attrezzarsi con
guanti e
forbici adatte, oppure delle semplici margherite a gambo lungo da
abbinare agli
ultimi tulipani gialli e rossi; concentrata sulla scelta, fu sorpresa
di
sentire la voce di suo marito come non l’aveva mai sentita prima.
“Non so più
cosa fare con lei, zio. Sarah mi
odia.”
Il tono di
Nicholas Thornton aveva un che di
sofferente e disperato. Lady Sarah rimase immobile ad ascoltare, con
una
margherita tra le mani.
“Non credo
che ti odi, figliolo.”
“Tu non l’hai
sentita e neppure vista, quella
sera. Era furiosa. E io ho peggiorato la situazione, con quello che le
ho
detto. L’ho distrutta.”
“Hai cercato
di parlare con lei? Di spiegarle
tutto quanto?”
“No. Lei sta
soffrendo troppo e non vuole
avermi intorno.”
“Ma se
soltanto sapesse tutta la verità, Nick…
Sai che quello risolverebbe ogni cosa, vero?”
La verità?
Ma di cosa
stavano parlando?
“Certo che lo
so, zio. Ma io avrei voluto che
si innamorasse di me senza rivelarle ogni cosa. Avrei desiderato che
fosse il
suo cuore a capire…”
“Forse hai
preteso un po’ troppo. Da te stesso
e da lei. Ma puoi ancora rimediare, Nick. Parlale. Raccontale tutto
quanto.”
“E’ troppo
tardi, zio. Non mi perdonerebbe mai.
E poi, nonostante tutto, desidero ancora che si innamori di me, senza
che
sappia…”
“E tu sei
davvero sicuro che se ti rivelasse
d’essersi innamorata di te, senza sapere tutta la verità, poi saresti
felice?”
“Che cosa
vuoi dire, zio?”
“Tu sai che
lei ama un altro uomo. Sei certo di
riuscire ad accettare, e soprattutto a credere,
che si sia innamorata di te? Di Lord
Nicholas Thornton? Pensaci, ragazzo.”
Ma che cosa
stava dicendo Sua Grazia?
Tutto quello
che aveva sentito non aveva alcun senso.
“Forse hai
ragione. Forse soffrirei anche in
quel caso…” sentì dire a Nicholas.
Che cosa
nascondeva ancora suo marito?
E perché il
Duca sosteneva che se avesse
conosciuto la verità, ogni cosa sarebbe andata a posto, mentre se lei
gli
avesse confessato d’amarlo senza conoscere tutto quanto, egli avrebbe
comunque
sofferto?
Ci doveva
essere qualcosa che le era sfuggito…
Ripensò a
quello che aveva appena udito,
cercando di analizzarlo sotto un’altra prospettiva, quella delle sue
sensazioni: tutte le sensazioni che aveva provato da quando aveva
conosciuto
Lord Nicholas Thornton.
Rifletté
sulle parole di suo marito e su quelle
del Duca di Lyndham e su tutto ciò che era accaduto in quei mesi, dal
suo
ritorno in Inghilterra.
All’improvviso
lasciò cadere la margherita che
aveva tra le mani e corse in camera.
Chiamò la
cameriera e si fece preparare una
piccola borsa da viaggio, il necessario per una notte; scrisse poi un
biglietto
a suo marito in cui gli comunicava che aveva saputo di dover andare a
trovare
un’amica, che l’aveva convocata all’improvviso, e che sarebbe rientrata
il
giorno successivo.
Dette
istruzioni ad Albert affinché consegnasse
il messaggio non appena possibile; dopodiché si fece preparare la
carrozza e in
meno di mezz’ora era già sulla strada per Londra.
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Capitolo 13 *** Una Scoperta ***
Capitolo XIII
Una
scoperta
Uffici del
comando delle Forze Navali Americane
Grosvenor Square, Londra
13
maggio 2005
Mac stava
terminando di sistemare le ultime carte relative
al caso appena concluso. Nel frattempo pensava a come, all’improvviso,
sembrava
che il caso avesse trovato una soluzione.
Dopo che Harm
aveva terminato la sua telefonata con il
Segretario e lei si era bevuta il suo caffè, era rientrata in ufficio
da lui e
lo aveva visto pensieroso. Gli aveva domandato cosa gli aveva detto il
Segretario
quando lo aveva informato di ciò che avevano scoperto ed egli aveva
risposto
evasivo, dicendo che aveva avuto ordine di procedere con estrema
cautela.
“Questo mi
puzza d’insabbiamento” era sbottata lei
arrabbiata.
“Non possiamo
esserne certi. Per ora hanno solo deciso di
continuare con le indagini, ma senza smuovere troppo le acque.”
Comunque
gliela vendesse, aveva capito che anche a lui ciò
che gli era stato detto non convinceva affatto. Ma non avevano potuto
far altro
che obbedire.
Quindici
giorni dopo, la risposta definitiva: Sheffield
aveva ordinato d’interrompere le indagini in corso perché il Presidente
si
sarebbe incontrato personalmente con il Premier inglese.
“Come
volevasi dimostrare: insabbiamento” aveva detto lei,
sarcastica.
“Non è vero.
Hanno solo deciso di risolvere le cose in
maniera diversa” le aveva obiettato Harm.
“Insabbiando”
aveva insistito, caparbia. “Bene, almeno
posso tornarmene a casa e pensare al mio matrimonio” aveva aggiunto,
quasi a
volergli fare del male perché aveva avuto la sensazione che lui fosse
d’accordo
con la linea decisa dall’alto.
“Il
Segretario ha tenuto a precisare che, finché
l’incontro tra il Presidente e il Premier non è avvenuto, è meglio che
noi si
faccia in modo di far capire che stiamo proseguendo con le indagini…
Per la
stampa, ha detto” era stato costretto a rivelarle.
“CHE COSA?!!
E questo non lo chiami insabbiamento?!” era
sbottata lei, furibonda. “Dovrei restarmene qui, a fingere di indagare,
per
evitare che la stampa capisca cosa sta succedendo? Quando invece, a
casa, ho di
meglio da fare” aveva soggiunto sempre con l’intenzione di fargli
pesare la
perdita che stava subendo a causa sua.
“Questi sono gli
ordini…”
Brutta
conclusione davvero per quello che sarebbe stato il
loro ultimo caso in senso assoluto.
E così era
stato: per quasi un mese avevano interrogato
testimoni inutili, stilato documenti inutili e rivisto deposizioni
inutili,
cercando di spremersi le meningi su cosa scrivere nei rapporti
ufficiali che
avrebbero dovuto consegnare successivamente. La tensione tra loro era
divenuta
insopportabile.
Fortunatamente,
una settimana prima era avvenuto il
fatidico incontro e subito dopo avevano avuto l’ordine di chiudere il
caso.
E così ora
sarebbe potuta tornare a casa e dimenticarsi di
Harm e dell’Inghilterra.
Un moto di
sollievo la pervase. Dopotutto a casa
l’aspettava un futuro radioso con l’uomo che amava e che sarebbe
diventato suo
marito di lì ad una settimana.
Sperò
ardentemente che Clay venisse a prenderla
all’aeroporto. Aveva voglia di rivederlo, di riabbracciarlo e di
passare una
notte (la prima di quelle che sarebbero venute) fra le sue braccia.
Harm era
partito per l’Hampshire quella mattina stessa. La
sera prima si erano salutati molto frettolosamente sulla porta del suo
ufficio:
non si sarebbe aspettata nulla di diverso, del resto i rapporti si
erano
mantenuti su un piano strettamente formale.
Tuttavia un
po’ le dispiaceva: per tutto il tempo in cui
avevano lavorato assieme, quando lui era ancora al JAG, avevano formato
una
coppia imbattibile e la loro amicizia aveva rappresentato un punto
fermo per
entrambi. Durante gli anni avevano litigato, si erano detti addio,
avevano
frequentato altre persone, ma alla fine erano sempre tornati l’uno
dall’altra.
Sempre,
tranne questa volta.
Ormai la
frattura era irreversibile ed era meglio che
ognuno andasse per la sua strada.
Magari, un
domani
quando riusciremo a dimenticare quello che ci ha uniti potremo tornare
amici, si disse,
ma non ci credeva
molto. Lei e Harm non avrebbero mai potuto essere semplici amici: o si
buttavano l’uno nelle braccia dell’altro, o era meglio dividersi.
Prese il
fascicolo contenente la relazione che avevano
steso per il Segretario e il Presidente e la mise nella borsa porta
documenti.
L’originale sarebbe tornato con lei negli States, mentre Harm ne
avrebbe
trattenuto una copia autentica.
Sfogliò
un’ultima volta il rapporto per assicurarsi che
fosse tutto in ordine e quando arrivò all’ultima pagina si accorse che
lui non
l’aveva firmata.
“Complimenti
Harmon Rabb jr” borbottò inviperita.
Quella sua
svista le sarebbe costato il rientro, e non
sapeva neanche dove rintracciarlo. L’unica cosa di cui era sicura era
che si
trovasse da qualche parte nell’Hampshire nel sud ovest dell’Inghilterra.
Prese a
passeggiare nervosamente su e giù per la stanza,
com’era solita fare da un po’ di tempo a quella parte quando doveva
cercare la
soluzione ad un problema particolarmente fastidioso. Ad un certo punto
si fermò
e si precipitò al telefono. Compose un numero e rimase in attesa.
Hampshire
Inghilterra
13
maggio 2005
Harm si stava
godendo il tepore del sole di Maggio nonché
la vista della campagna inglese che correva accanto a lui.
Era partito
molto presto da Londra per evitare le lunghe
code che si formavano sulla M25, la London
Orbital, all’inizio del weekend a causa
dei londinesi in fuga dalla city.
Non aveva
gradito come erano finite le cose con il caso
Herriott.
A Mac non
aveva potuto dirlo, la sua posizione glielo
imponeva, ma anche lui sospettava che le cose fossero state insabbiate
volontariamente dalle alte sfere quando si era scoperto che gli
inglesi, per
chissà quale motivo, avevano mentito su tutta la linea, o quasi.
Era concorde
con Mac, ma quando lei aveva detto che
sentiva puzza d’insabbiamento non si era potuto esprimere.
Tuttavia,
aveva deciso che, non appena di ritorno da
quella breve vacanza, avrebbe condotto una sua personale indagine per
scoprire
la verità.
Lo doveva a
se stesso, per non tradire ciò che era sempre
stato e sì, lo doveva anche a lei. Per dimostrarle che l’Harm che aveva
conosciuto non era affatto cambiato a dispetto delle parole che era
stato
costretto a dirle.
Come al
solito, la fortuna l’assistette e in meno di due
ore aveva potuto abbandonare l’autostrada e prendere la provinciale che
l’avrebbe condotto alla sua meta.
Beaulieu si
apriva davanti a lui in tutto il suo
splendore, rendendo giustizia al proprio nome: bel luogo.
Si trattava
di un tipico villaggio della campagna inglese,
dove la main street incrociava
altre
vie secondarie affiancate da cottage
che
assomigliavano a case di bambola. Soprattutto lo colpì una strada
costellata di
piccoli negozi (per lo più ad uso e consumo dei turisti sospettò): un
minimarket con relativo post office,
una gelateria con produzione propria di gelati e cioccolato (prodotto
di cui
Beaulieu andava famosa nel Regno Unito), un negozio di souvenir di
varia
natura. Dal fondo della strada gli giungeva il vociare degli alunni in
ricreazione. Proseguì seguendo la main street fino ad un bivio, dove
svoltò a
destra in direzione di Brokenhurst.
Proseguì
ancora per un tratto di strada costeggiando
alcuni cottages che sembravano la
versione moderna della Dolls’ House
della Regina Vittoria e all’improvviso, dopo una curva sbucarono una
giumenta
con puledro al seguito che pascolavano placidamente sul ciglio della
strada.
Prima di
partire aveva letto qualcosa sulla New Forest,
pertanto sapeva trattarsi di una riserva di ripopolamento faunistico,
per lo
più cavalli di una certa razza particolare, ma non si sarebbe certo
aspettato
di trovarli a brucare l’erba sul ciglio di una strada, benché
secondaria.
Superò i
cavalli, che non lo degnarono d’uno sguardo,
proseguì a velocità moderata fino ad un secondo bivio al quale prese a
sinistra
seguendo le indicazioni per il Masters Builders’ House Hotel.
L’aveva
scelto perché era fuori mano e discreto e, in quel
periodo dell’anno molto poco frequentato essendo la stagione velica non
ancora
cominciata. Sperava di passarci un romantico week-end con Belinda e ci
era
rimasto molto male quando lei gli aveva ricordato il mensile torneo di
bridge
organizzato dalla madre, ove la sua presenza era considerata
indispensabile.
Mi godrò
egualmente
il fine settimana,
disse fra sé e sé parcheggiando l’Austin Healey nell’ampio spiazzo
ghiaioso. E fra qualche settimana potrò
sempre
tornarci con lei.
Scese
dall’auto e prese il bagaglio.
Di fronte al
parcheggio un’alta staccionata di legno
impediva la visuale, ma Harm sapeva che oltre, ben protetta agli occhi
dei
curiosi, si trovava una larga baia naturale formata dal fiume che
attraversava
la cittadina, baia all’interno della quale v’erano ancorate numerose
barche di
lusso, tutte rigorosamente a vela.
Entrò nel
cortile dell’albergo, anticamente la casa dei
maestri d’ascia di Buckler’s Yard, villaggio poco distante da lì.
Il sole
cominciava a tramontare e l’aria rinfrescava.
Entrò nella reception dopo aver attraversato un cortile pieno di foglie
secche
e con le aiuole incolte.
“Molto british”
commentò divertito l’aura di studiato disordine e trasandatezza
dell’intero
complesso di mattoni rossi e del giardino stesso.
Spinse la
porta a vetri all’inglesina ed entrò.
Al banco, una
rubiconda signorina inglese si aprì in un
radioso sorriso e l’accolse, lo registrò, dopodiché lo accompagnò alla
sua
stanza.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
13 maggio 1858
Sentì
arrivare la carrozza. Si alzò,
richiudendo il quaderno e posando la penna; quindi uscì dallo studio,
portandolo con sé.
Le andò
incontro, raggiungendola proprio mentre
lei stava entrando.
“Grazie,
Albert”, stava dicendo al maggiordomo
che le aveva preso il mantello. Quando si voltò verso di lui e lo vide,
Nicholas scorse nei suoi occhi un’espressione diversa: un po’ di luce
sembrava
essere tornata in quegli occhi ultimamente inespressivi.
“Buon
pomeriggio, Nicholas.”
Anche nella
voce sembrava esserci maggiore partecipazione
e non più l’indifferenza delle settimane precedenti.
“Sarah…” la
salutò, avvicinandosi a posarle un
bacio sulla guancia. “Siete tornata prima di quanto pensassi. Non vi
aspettavo fin
verso l’ora di cena.”.
Lei lo lasciò
fare, senza scostarsi, ed egli fu
piacevolmente sorpreso.
“Come sta la
vostra amica?” chiese poi,
premuroso.
Vide che
rivolgeva una fugace occhiata a ciò
che aveva tra le mani, ma subito tornò a guardarlo, rispondendogli con
particolare dolcezza nel tono di voce:
“Meglio. Sta
molto meglio, ora…”.
“Ne sono
lieto”, rispose lui. Poi aggiunse:
“Sarete
stanca. Perché non salite a riposarvi?
Darò io disposizioni in cucina perché vi servano la cena in camera
vostra”.
Ultimamente
erano più le sere che lo lasciava mangiare
solo che quelle in cui decideva di fargli compagnia.
“Scenderò in
sala da pranzo. Vorrei cenare con
voi, se non vi dispiace”.
“No, certo
che no”, rispose lui, sorridendo
spontaneo. Contrariamente al suo solito, quel sorriso gli illuminò
l’occhio
sano e gli addolcì la piega delle labbra.
Lei lo guardò
attentamente e, per un momento,
sembrò sul punto di dire qualcosa. Ma subito ci ripensò e si limitò a
ricambiare il sorriso. Poi lo lasciò, per salire in camera propria.
Quando
Lynnette ebbe terminato di sistemare le
sue cose e di sceglierle l’abito per la sera, la congedò rapidamente,
dicendole
che si sarebbe preparata da sola, più tardi, non appena si fosse
riposata un
po’.
Ma, uscita la
cameriera, non le riuscì affatto
di riposarsi. Era troppo agitata.
Un turbinio
di pensieri le affollava la mente,
rendendola irrequieta e nervosa.
Per tutto il
viaggio da Londra non aveva fatto
altro che ripensare a ciò che aveva scoperto con una semplice ricerca
sull’Almanacco del Gotha.
Era partita
da lì, convinta di aver bisogno di
ulteriori indagini per trovare conferma ai propri sospetti. Ma lì si
era
fermata: la verità era racchiusa in quel catalogo delle famiglie nobili
di
tutta Europa.
E, alla luce
di quanto aveva scoperto, ora
sapeva che la decisione che il suo cuore aveva preso soltanto il giorno
prima,
di ritorno dalla sua passeggiata a cavallo, era la decisione giusta.
Ora più che
mai avrebbe fatto il possibile per
ritrovare il Conte André François D’Harmòn.
Hampshire
Inghilterra
13
maggio 2005
Per
l’ennesima volta Mac sbagliò corsia e anziché su
quella riservata al traffico più lento si trovò in quella di sorpasso.
“Maledizione!”
esclamò arrabbiata riportando la Smart
Forfour nera
nella carreggiata centrale.
Aveva saputo
dove si trovava Harm ed era anche riuscita ad
apprendere che l’unico modo per raggiungerlo consisteva nel farsi più
di cento
miglia in contromano.
La tentazione
di lasciar perdere non le era minimamente
transitata nel cervello, non poteva rimandare il suo rientro: Clay
sarebbe
stato di rientro da Baghdad quella sera stessa ed avevano deciso di
incontrasi
all’aeroporto. Era perciò di vitale importanza per lei prendere
quell’aereo.
Pertanto si
era recata all’autonoleggio più vicino
all’albergo e aveva affittato una macchina, decisa a raggiungerlo,
fargli
firmare la relazione e tornarsene a Southampton quella sera stessa per
prendere
l’ultimo aereo in partenza per Washington. Non senza prima avergliene
dette
quattro, ovviamente.
Quel percorso
di guerra stava per finire, sospirò Mac
imboccando l’uscita dell’autostrada. Se i calcoli del navigatore erano
esatti,
e traffico permettendo, di lì a trenta minuti esatti sarebbe arrivata a
destinazione e dopo tre ore, al massimo quattro, sarebbe stata seduta
su un
aereo in partenza da Southampton con destinazione casa.
Non si curò
del fantastico paesaggio che scorreva accanto
a lei: prati verdissimi accarezzati da una leggera brezza e scaldati
dal sole
di Maggio, altri pieni di fiori gialli che sembravano fare a gara con
l’astro
solare in quanto a luminosità; gli animali, per lo più pecore e mucche,
al
pascolo e i filari regolari di alberi che, al posto delle staccionate e
del
filo di ferro, delimitavano i confini fra una proprietà e l’altra. Era
troppo
concentrata sulla guida, in costante tensione per timore di imboccare
le
rotonde nel verso sbagliato, con conseguenze assai dannose per la sua
incolumità personale.
Il suo unico
pensiero, oltre alle rotonde, era raggiungere
Beaulieu ovunque fosse, e poi tornarsene a casa. Ne aveva avuto
abbastanza
dell’Inghilterra.
Guardò
velocemente l’orologio e si accorse che si stava
facendo sera. Sperò ardentemente che la colonna d’auto davanti a lei si
muovesse in fretta.
Cominciava a
smaniare di arrivare: tutto il viaggio, difficoltà
di guida a parte, era stato costellato di imprevisti. Prima il traffico
assurdo
sulla M25, poi i cantieri in autostrada che l’avevano costretta a
restare ferma
in coda in lunghe attese, e adesso quella dannatissima provinciale che,
dopo un
buon inizio, sembrava essersi intasata a meno di due miglia dalla sua
meta.
Picchiò
nervosamente il pugno sul cruscotto, l’aereo le
stava sfuggendo.
Lentamente,
la colonna si mosse e Mac avanzò di qualche
metro.
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
13
maggio 2005
Harm era
appena rientrato da una passeggiata nei dintorni.
Si era recato a Buckler’s Yard, un villaggio di pescatori e costruttori
di
barche, ricostruito nei minimi dettagli.
Mentre girava
fra i viali semideserti e spazzati da una
discreta brezza gli era parso di udire la voce di Mac che lo canzonava:
“Non ti
smentisci mai, marinaio. Anche quando sei in vacanza non riesci a fare
a meno
dell’acqua…”.
Era vero,
aveva scelto quell’albergo e quel luogo perché
era in stile marinaro e per le passate glorie dei suoi abitanti, famosi
maestri
d’ascia.
Sorrise fra
sé.
Mac l’aveva
sempre capito ed era stata l’unica che lo
completasse davvero. Non solo Sarah però. Anche Belinda era una buona
compagna
e aveva immediatamente compreso di che pasta fosse fatto.
Alzò lo
sguardo verso la darsena e fissò gli stralli delle
barche a vela che suonavano come arpe nel vento della sera incipiente.
Gli mancava
da quando se ne era andato e non aveva fatto
che pensare a lei, al modo in cui s’erano lasciati. Dopotutto che male
avrebbe
fatto restare qualche minuto in più ad ascoltare le sue spiegazioni?
Forse tra
loro non sarebbe mai accaduto nulla, forse sarebbero rimasti solo
amici, ma
perché non tentare? Si diede dello stupido, ma ormai era troppo tardi:
le loro
strade erano divise e lei, a quell’ora, era già su un aereo diretta
verso un
matrimonio. E questa volta non ci sarebbe stato nessun tuffo fuori
stagione
nell’Atlantico a fermarla.
Tornò verso
l’albergo, rassegnato.
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
13
maggio 2005
Mac
parcheggiò la
Smart poco distante dall’Austin Healey di Harm,
scese dalla
macchina, afferrò la ventiquattr’ore dal sedile posteriore e, incurante
del
venticello teso e fresco che s’era levato, foriero di un prossimo
peggioramento
delle condizioni atmosferiche, si diresse a passo di marcia verso la
reception.
Era fuori di sé per aver perso l’aereo. Avrebbe dovuto trascorrere la
notte in
aeroporto e mettersi in lista d’attesa per il volo successivo, chissà
quando
avrebbe potuto riguadagnare il suolo patrio e le braccia del fidanzato.
Harm
l’avrebbe pagata salata questa volta.
Sperò
ardentemente che lui fosse in albergo.
Arrivò alla
reception e attese che qualcuno si facesse
vivo, ma sembrava che la stanza fosse deserta.
Mac si
spazientì ancora di più.
“Cosa ci fai
qui?” udì alle sue spalle l’esclamazione
stupita di Harm.
Si voltò
inviperita: “Cosa ci faccio?! Sono venuta fin qui
nel bel mezzo del nulla perché tu, imbecille che non sei altro, hai
scordato di
firmare QUESTO” gli rovesciò addosso, porgendoglielo, il documento.
“Davvero me
ne sono scordato?”
“Sì, capitano
dei miei stivali, e io ho dovuto affittare
una macchina, guidare per oltre cento miglia contromano in mezzo ad un
traffico
pazzesco per raggiungerti qui e così ritardare il mio rientro di almeno
un
giorno” rispose più invelenita che mai dal tono falsamente ingenuo di
lui.
“Il minimo
che posso fare è offrirti una cena.”
“Ne faccio
volentieri a meno” ribatté acida.
Posò il
documento sul bancone: “Firma” gli ordinò
perentoria. “Così me ne posso andare”.
“Davvero Mac,
mi dispiace. Fermati a cena e per la notte.
Domattina potrai tornare a Londra con calma e prendere il primo volo
per gli
Stati Uniti. Sempre meglio che passare la notte sulle sedie di plastica
di una
sala d’attesa.”
“C’è un volo
che parte da Southampton a mezzanotte” mentì
lei. “Se mi sbrigo ce la faccio.”
Ma Harm era
irremovibile. Era sinceramente dispiaciuto per
averla costretta a subire la sua presenza più del necessario e voleva a
tutti i
costi rimediare.
“Vorresti
andare a Southampton ADESSO? Con la pioggia e il
buio? Andiamo Mac, sii ragionevole e non fare il Marine cocciuto. Non
sei
abituata a guidare in Inghilterra, rischieresti inutilmente e Webb
potrebbe
trovarsi vedovo prima ancora di sposarti.”
“Non piove e
se sono arrivata fin qui posso anche coprire
una ventina di miglia in più per giungere a Southampton” ribatté
cocciuta.
“Firma”, insistette poi.
“Adesso non
piove, ma il tempo cambia velocemente qui e
prima del tramonto il vento s’era fatto più freddo e nubi nere si
ammassavano
da ovest. Dammi retta Mac, resta.”
E senza darle
il tempo di reagire o rispondere fece un
cenno. Come per magia comparve la stessa ragazza che l’aveva ricevuto
al suo
arrivo: “La signora si ferma per cena e per la notte. Potete mettere
tutto sul
mio conto”.
Detto questo,
scortò un’esterrefatta Mac al parcheggio
dove la stessa poté recuperare i bagagli.
“Sei
impossibile” commentò al rientro acidamente. “Almeno
posso avere il permesso di chiamare il mio fidanzato?” aggiunse
calcando
l’accento sulla parola “fidanzato”.
“Concesso, ti
aspetto al bar.”
“Vai a quel
paese Harmon Rabb jr” sibilò tra i denti
allontanandosi con l’assistente che l’accompagnava alla sua camera.
La stanza che
le avevano dato confinava con quella di Harm
e Mac provò un ulteriore moto di rabbia interiore. Tuttavia non poteva
negare
che lui aveva avuto ragione nel volerla trattenere. Sbirciò fuori dalla
finestra e notò che aveva cominciato a piovere, e la ghiaia del
parcheggio
brillava lucida sotto la luce dei lampioni.
Diede uno
sguardo alla camera e ciò che vide le piacque:
la moquette, alta e folta, color azzurro carta da zucchero dappertutto
e le
pareti erano rivestite di tappezzeria di un caldo color crema. Alle
finestre
pesanti tendaggi in tinta con la carta da parati, facevano la funzione
delle
persiane, mentre al centro della stanza un grande letto invitava ad
avvolgersi
fra le spire del piumone avorio e rosso.
Sarebbe una
bella
idea fare una cosa simile anche a casa nostra, pensò
rivolgendosi mentalmente a Clay.
Per prima
cosa, dopo aver aperto il trolley, telefonò alla
Continental e chiese di prenotare un posto sul primo volo disponibile
in
partenza per Washington da Southampton. L’impiegata del call
center le riferì che per l’indomani non c’erano posti
disponibili,
ma che era possibile partire la domenica mattina. A malincuore Mac
diede la
conferma. Dopodiché chiamò il fidanzato e gli spiegò per sommi capi
l’accaduto.
Come sempre,
lui la rassicurò, le disse che l’amava e che
l’avrebbe attesa a Washington per la domenica sera.
“Ti preparerò
qualcosa di speciale e irripetibile. Sarà
una serata magica” le promise.
Con un
sospiro di nostalgia Mac chiuse la chiamata e si
ficcò sotto la doccia.
Nel
provvisorio ufficio che in quel momento occupava a
Baghdad, Clayton Webb cominciò a dubitare che tutte quelle coincidenze
e quei
ritardi fossero solo coincidenze. Riaffiorò il vecchio sospetto che
Rabb avesse
orchestrato tutto per attirare Sarah fra le sue braccia.
Rimase in
dubbio se rimettere in pista Patrick e assicurarsi
che tutto procedesse come doveva procedere, ma si rese conto che ormai
era
troppo tardi. Quando fosse giunto a destinazione sarebbe stato già
giorno e
Sarah di ritorno da lui.
Decise, anche
se con molta riluttanza, di fidarsi.
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Capitolo 14 *** Qualcosa di diverso nei suoi occhi ***
Capitolo XIV
Qualcosa
di diverso nei suoi occhi
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
13
maggio 2005
Dopo essere
uscita dalla doccia, Mac sistemò la divisa
nell’armadio di quercia scuro cercando di lisciarne le pieghe e si
vestì. Nulla
d’eclatante, ormai le mise più belle e sexy le riservava all’uomo della
sua
vita. Per Harm un paio di jeans e una camicia potevano bastare. E
avanzare,
decise.
Scese al bar
dove lui la stava aspettando sorseggiando
tranquillamente una birra scura.
Si fermò a
qualche metro da lui per osservarlo meglio: era
sempre bellissimo.
Sospirò
rassegnandosi al fatto che, nonostante tutto, Harm
avrebbe sempre avuto l’effetto di sconvolgerle i sensi. Per un attimo
invidiò
atrocemente Belinda.
Si avvicinò:
“Harm”, lo salutò piatta e incolore.
Lui si voltò
e le riservò uno dei suoi smaglianti sorrisi
ricambiando il saluto.
Lei gli tese
il documento: “Prima che te ne dimentichi
un’altra volta”, disse sempre mantenendo un’inflessione neutra.
Lui prese
quanto gli veniva sporto, afferrò una penna dal
bancone del bar e firmò.
“Ecco fatto”,
le disse restituendo il plico. “Adesso
possiamo goderci la serata senza altri formalismi?”
“Fammi
strada.”
Lui si alzò e
la guidò verso l’anticamera del ristorante
dove furono accolti da un impettito maitre
in giacca nera e panciotto di seta giallo pallido.
“Mr. e Mrs.
Rabb?” domandò compitamente.
“Mr. Rabb e
Miss Mackenzie” lo corresse Mac.
“Chiedo
scusa. Se volete seguirmi.”
Li condusse
attraverso una grande sala con il pavimento
ricoperto da moquette azzurra che attutiva i loro passi. Appliques
d’ottone diffondevano una calda luce ambrata e i pochi
ospiti a cena parlavano a bassa voce. L’atmosfera era quella di un
luogo intimo
e raccolto, nonostante la sala fosse abbastanza grande da accogliere
comodamente un banchetto per duecento persone. Fuori, ad ovest, gli
ultimi
residui del giorno combattevano con le nubi e una leggera pioggerella
velava di
umidità l’oscurità della notte che avanzava.
Il maitre li
guidò ad un tavolo appartato, accanto ad una delle grandi finestre a
ghigliottina che davano sul fiume, ora nero come la pece.
Scostò la
sedia e fece accomodare Mac, dopodiché fece lo
stesso con Harm.
“Porto subito
i menù”, disse prima di eclissarsi.
“Bel posto”,
osservò Mac guardandosi intorno.
“Avevo
pensato di venire con Linda, ma all’ultimo…”
“…ti sei
ritrovato a cena con me” completò la frase.
Harm rise:
“E’ andata bene comunque no?”.
“Belinda lo
sa?”
“Non ho avuto
il tempo di avvisarla, ma anche se lo
sapesse ne sarebbe contenta.”
“Al suo posto
io non reagirei altrettanto bene. Ma forse è
tutta questione di fiducia reciproca.”
“Appunto.”
“E comunque
fra noi è tutto morto e sepolto vero?”
“Vero.
Abbiamo compiuto scelte differenti, ma questo non
c’impedisce di restare amici.”
Mac alzò un
sopracciglio e lo guardò con aria
interrogativa. Nel frattempo era tornato il maitre
e la conversazione s’interruppe per scegliere i piatti della cena.
Dopo
l’ordinazione restarono in silenzio a fissare il
panorama buio.
“Parli come
se fra di noi fosse accaduto qualcosa”,
osservò Mac bevendo un sorso d’acqua. “Mentre lo sai benissimo che non
è
accaduto alcunché.”
“Qualcosa è
successo, su questo non puoi non essere
d’accordo” rispose Harm.
“No, Rabb,
non sono d’accordo. Fra noi è sempre restato
tutto sospeso, non abbiamo mai parlato, non abbiamo mai agito. Solo
amici,
grandi amici, ma nulla più.”
“Stai
dimenticando un particolare, Sarah.”
Oh no!, pensò lei,
ma ormai era troppo
tardi e le conseguenze del sentirsi chiamare per nome da lui erano già
in atto,
devastanti come al solito.
Finse
noncuranza e sperò di riuscirci: “Cosa
dimenticherei?” domandò imburrando un tramezzino caldo e mettendoci
sopra una
fetta di salmone affumicato.
“Quel bacio,
in sala riunioni, qualche tempo fa…”
“Ah quello.
Era solo una provocazione Harm, quando ancora
ero convinta di provare qualcosa per te.”
Il silenzio
calò pesante fra di loro.
“Parto domani
pomeriggio” comunicò asciutta dopo un po’,
più che altro per sviare il discorso da argomenti pericolosi. “Ho
trovato un
posto, l’ultimo”, tenne a sottolineare, “su un aereo che parte da
Southampton
domenica mattina.”
“Ti
accompagno.”
“Preferisco
di no. Goditi la tua vacanza, in qualunque
cosa consista” replicò, “e comunque devo restituire la macchina alla
Hertz.”
Terminarono
di cenare senza aggiungere altro e si
ritirarono nelle proprie stanze.
Non appena
giunta in camera, Mac si buttò a corpo morto
sul letto, sentiva la tensione che le stringeva l’anima in una morsa
d’acciaio,
quasi impedendole di respirare.
Quel bacio…
il suo ricordo l’aveva tormentata per mesi,
per non parlare di quello che le aveva dato lui… sensazione che a
stento era
riuscita a relegare nell’angolo più remoto di se stessa e che adesso,
complice
un innocuo riferimento fatto durante una conversazione senza senso,
tornavano a
tormentarla. Cercò di ricordare quello che provava quando era tra le
braccia di
Clay, ma niente poteva competere con quello che aveva sentito fra
quelle
dell’altro.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
13 maggio 1858
“Perdonate,
Milord…”, la cameriera personale di
sua moglie lo distolse dalla lettura.
“Milady
desidera vedervi.”
“Grazie,
Lynnette. Lady Sarah è in salotto?”
domandò alla donna.
“No, Lord
Thornton. Milady vi attende in camera
sua.”
“Grazie.
Andate pure” disse, congedandola.
Attese che la
donna uscisse dalla biblioteca,
poi chiuse il libro e si alzò.
Mentre saliva
le scale per raggiungerla, si
domandò il motivo di quella richiesta: Sarah non aveva mai voluto
parlargli in
privato in tutte quelle settimane e, soprattutto, mai in camera
propria. Da
quando si era stabilito con lei a Beaulieu, non aveva mai visto la
stanza di
sua moglie, né di notte, né di giorno.
Dal suo
rientro da Londra, tuttavia, Sarah
sembrava un po’ cambiata. A cena era stata di ottima compagnia e aveva
conversato
piacevolmente. La luce sembrava essere tornata a brillare nei suoi
occhi ed
egli ne aveva gioito e sofferto al tempo stesso.
Era felice di
vederla ritornare quella di un
tempo, ma molto meno lo era sapere che quel cambiamento non era
avvenuto grazie
a lui, ma al viaggio a Londra. Rivedere quell’amica doveva essere stato
molto
importante per lei… sempre che di amica si fosse trattato. Non poteva
infatti
escludere che si fosse concessa una notte tra le braccia di un uomo.
Cercò di
reprimere il moto di gelosia che sentì
attanagliargli lo stomaco e si disse che sua moglie non era quel genere
di
donna, nonostante soltanto alcune settimane prima l’avesse offesa
proprio con
quell’insulto.
Giunse
davanti alla camera e bussò
discretamente. La voce di lei gli arrivò attutita dalla pesante porta
in legno,
che egli aprì per entrare.
Si aspettava
di trovarla ad attenderlo in
piedi, o seduta in poltrona, oppure allo scrittoio; invece la vide
distesa sul
letto, languidamente appoggiata alle lenzuola candide, in una posa
molto
sensuale.
Aveva i
capelli lunghi e lucidi come la seta
che le ricadevano morbidi da un lato, un po’ come li portava la sera in
cui
erano stati a teatro.
L'altra
spalla era scoperta: la spallina della
camicia da notte in seta e pizzo scivolava negligente a circondarle il
braccio
e formava una piega morbida all'altezza del petto, lasciando scorgere
l'incavo
dei seni. Anche il rosa delicato della camicia da notte era molto
simile al
colore dell’abito che indossava a teatro.
Un profondo
spacco le scopriva una gamba,
elegantemente accavallata all'altra, in una posa d’invitante abbandono.
Nicholas
registrò ogni particolare, uno dopo
l'altro, partendo dai piedi fino ad arrivare alle sue labbra. Era certo
che non
portasse null’altro sotto quell’unico indumento, e la immaginò
completamente
nuda, pronta per lui.
Deglutì ed
inspirò profondamente, per
trattenere l'eccitazione, ma non riuscì a
muoversi di un passo.
Perché lo
stava torturando a quel modo?
“Venite
avanti, Nicholas” lo invitò lei.
“Desideravate
vedermi, Sarah?” domandò, e
immediatamente di rese conto d’aver la bocca asciutta.
“Venite a
sedervi qui, accanto a me” gli disse,
muovendo appena la mano sul lenzuolo, ad indicare il letto.
“Non credo
che sia il caso” rispose lui,
fermandosi all’istante a quelle parole, dopo aver fatto solo pochi
passi
all’interno della camera.
“Siamo
sposati…” gli ricordò lei, seducente.
C’era
qualcosa che non gli tornava: cos’era
cambiato da due giorni a quella parte?
“Credevo che
pensaste al matrimonio con me come
ad una prigione.”
“Possono
esservi anche dei lati piacevoli…”
disse allusiva, con una luce diversa negli occhi.
“Mi state
dicendo che vorreste fare l’amore?”
precisò lui, senza giri di parole.
Lei sorrise,
distendendo le labbra morbide, in
un’espressione dolce ed invitante che lo fece quasi impazzire… Dio, che
voglia
che aveva di catturarle le labbra in un bacio disperato, fino a farla
bruciare
dello stesso desiderio che stava divorando lui…
“Fino
all’altro giorno, questo sembrava
l’ultimo dei vostri desideri” le ricordò con fatica.
Dannazione!
Perché non era riuscito a
controllare il tono della voce, che si era pericolosamente arrochito?
La vide
socchiudere gli occhi per una frazione
di secondo. Ma poi sembrò non aver registrato il particolare, perché
gli rispose
maliziosa:
“Dovreste
sapere, Lord Thornton, che noi donne
siamo avvezze a cambiare idea”.
“E cosa, se è
lecito saperlo, ve l’avrebbe
fatta cambiare?”
“Voi, Milord.
Le vostre parole. Ho riflettuto
su quanto mi diceste la sera del nostro matrimonio e poco alla volta
sono
giunta alla conclusione che avevate ragione: io vi ho sempre
desiderato.”
Quelle parole
lo sorpresero, ma fu ancora più
sorpreso nel vederla alzarsi e scendere dal letto.
Era così
bella e seducente, mentre si muoveva
lentamente verso di lui, che gli parve di tremare quando fu a pochi
passi dal
suo corpo e lo fissò negli occhi, aggiungendo:
“E ora ho
capito di essermi innamorata di voi,
Nicholas”.
Pronunciò il
suo nome come in un soffio; poi si
avvicinò ancora di più, fino a sfiorargli il torace con il seno,
pericolosamente invitante.
Lui rimase
immobile, quasi pietrificato da
quelle parole, mentre lei si sollevava sulle punte dei piedi e gli
prendeva il
volto tra le mani per baciarlo. Il tocco delle sue labbra sulle proprie
spezzò
del tutto il suo autocontrollo ed egli la strinse a sé con forza.
Invase la sua
bocca socchiusa con la lingua e
la baciò con foga, desiderio e passione, come non aveva mai baciato
nessuna donna
prima d’allora. S’inebriò di lei, del suo sapore, del suo profumo e del
suo
corpo morbido stretto tra le braccia, accecato dal desiderio di averla,
finché
non sentì la rabbia prendere il posto della voglia che aveva di farla
sua e,
con un gemito soffocato, la allontanò bruscamente da sé.
Con le labbra
arrossate da quel bacio
disperato, lei rimase a guardarlo, immobile.
Si
osservarono intensamente per qualche secondo;
poi lui si voltò ed uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
13
maggio 2005
Harm, mani
incrociate dietro la schiena, fissava
l’oscurità davanti a lui. Dalla finestra leggermente aperta entrava il
profumo
del bosco e il rumore della pioggia che ticchettava ritmica sulla
ghiaia del
parcheggio.
Rifletteva.
Se Mac era lì
un motivo c’era e la firma mancante sul
rapporto era un segnale. Il segnale di un’occasione che andava presa al
volo
prima che fosse troppo tardi.
Con Belinda
stava bene, tuttavia sapeva che la donna non
gli faceva provare le stesse sensazioni che provava con Sarah, non
avvertiva
quella medesima alchimia e, pur amandolo senza riserve e rispettando i
suoi
spazi (le sue “paturnie”, come le chiamava lei) nondimeno non l’aveva
capito
fino in fondo. Né tanto meno l’aveva completato.
La verità era
un’altra: Sarah era rimasta lì, in un angolo
del suo cuore, in attesa di essere risvegliata come la Bella
Addormentata
nel bosco, fino a quando il nuovo incontro non aveva portato a galla
ricordi di
una vita, che un po’ rimpiangeva, e sentimenti così forti che si
stupiva di
aver creduto poter dimenticare.
Cosa aveva
Mac di così tanto speciale da primeggiare fra
tutte le donne che aveva conosciuto? E cosa aveva di tanto speciale da
rendere
impossibile dimenticarla? La spiegazione era disarmante nella sua
semplicità:
perché con lei poteva essere se stesso senza tema di venire giudicato e
perché
con lei la maggior parte delle volte, non c’era bisogno di parole.
S’intendevano quasi telepaticamente.
Per quanto
tempo ancora avrebbe ingannato se stesso
fingendo di volerla considerare solo una carissima amica? Per quanto
tempo
ancora avrebbe portato avanti la commedia del “oh come sono felice se
tu sei
felice”?
In realtà,
quella sera a casa sua, avrebbe voluto fermarsi
e darle il tempo di spiegare l’accaduto, ma la rabbia nel venire a
sapere che
Webb aveva svaligiato un fioraio e che lei aveva apprezzato il gesto
gli aveva
impedito di mantenere la calma. Aveva agito d’impulso, mosso solo dalla
gelosia
e i risultati s’erano visti.
Anche se un
Marine, Mac amava ciò che tutte le donne
amano: attenzioni, romantiche cene, un mazzo di fiori e un anello al
dito a
suggellare un’unione. Webb le aveva dato tutto questo, mentre lui, in
nove
anni, era stato solo capace di parlarle per oracoli.
Ovvio che
avesse cercato la felicità altrove.
Con Belinda
era stato diverso, aveva compreso gli errori e
vi aveva posto rimedio, ma sentiva di non essere stato né spontaneo né
se
stesso, e comunque lei non aveva troppe pretese.
Il problema,
ad ogni modo, era un altro: voleva avere al
suo fianco una donna che sapeva accontentarsi delle briciole senza
pretendere,
giustamente, l’intera torta?
Per la prima
volta in vita sua, Harm agì d’istinto. Non
diede retta alla ragione che gli suggeriva di ponderare bene ciò che
stava per
fare e nemmeno diede ascolto alle paure e ai dubbi.
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
13
maggio 2005
Il cellulare
di Mac squillò.
“Pronto?”
rispose assonnata.
“Amore ti ho
svegliata?”
“Più o meno.
Sono così stanca che devo essermi
addormentata davanti al televisore” disse spegnendo l’apparecchio.
“Volevo solo
dirti che ti amo e che ho voglia di riaverti
qui!”
“Anche io,
tanto. Ormai gli imprevisti sono diventati la routine
da quando sono partita.”
Udì un
leggero bussare alla porta e si domandò chi potesse
essere alle dieci di sera passate.
Salutò il
fidanzato e aprì.
“Che c’è?”
chiese stupita trovandosi di fronte Harm.
“Resta” disse
semplicemente.
“Come scusa?”
“Resta qui.
Con me.”
“Harm, hai
bevuto per caso? Entra e fammi capire cosa vuoi
che io faccia esattamente e perché dovrei restare.”
Detto questo
si fece da parte e lui entrò.
Si sedettero
lontani: l’una sulla sponda del letto e
l’altro sulla sedia della toeletta.
“Cosa sarebbe
questa novità?” domandò Mac incuriosita.
“Vorrei che
rimanessi qui e che mi accompagnassi domani.”
“A che pro?”
“In nome dei
vecchi tempi. Puoi sempre restituire la
macchina a Southampton domenica mattina e tornare con me a Londra in
tempo per
l’aereo delle 18.00. Ti accompagno personalmente in aeroporto e da quel
momento
in poi sarai una donna libera” concluse scherzando.
“A dire la
verità sono già una donna libera” puntualizzò
lei.
“Su questo
non sarei molto d’accordo. Sei fidanzata, per
cui tanto libera non sei” precisò questa volta Harm.
“Clay mi fa
sentire libera, con lui sono libera” lo
rintuzzò indispettita.
“Cosa hai
deciso di fare? Resti?” chiese divertito da come
riusciva sempre a stuzzicarla. Ecco perchè non poteva, e non voleva,
lasciarsi
scappare quell’occasione: con quale altra donna avrebbe mai provato
quel senso
di benessere spirituale? La osservò mentre rifletteva sulla sua
proposta,
visibilmente turbata.
Mac si
animava quando stava con lui, la si poteva sentire
pulsare di vita, brillare di luce propria. La radiosità che l’aveva
così
colpito quel giorno all’aeroporto, era solo un pallido riflesso di
quella che
sprigionava da lei quando erano insieme.
Era
innamorata di Webb? Probabilmente sì.
Ma non
abbastanza da dirmi che non intende restare un
minuto di più, pensò.
Mac percepiva
la sua presenza, non parlava, ma il suo viso
lo faceva per lui. Aspettava una risposta e lei non riusciva a decidere.
La cosa più
sensata sarebbe stata quella di dirgli “No
grazie”, anche perché restare avrebbe significato passare un’altra
giornata con
lui, e al di fuori dell’ambito lavorativo per di più. Avrebbe retto?
“Dove mi
porteresti esattamente?” chiese per prendere
tempo.
Harm fu
tentato di mantenersi sul vago e incalzarla a
prendere una decisione, ma si rese conto che quello era un momento
molto
delicato e preferì accontentarla.
“Si tratta di
una mostra scambio d’auto inglesi e nel
biglietto è compresa anche la visita al British Motor Museum e al
Castello”
rispose pazientemente.
Mac
s’incuriosì e ne volle sapere di più.
Harm, quindi,
le spiegò di come Lord Montagu, grande
appassionato e collezionista di auto d’epoca, anni addietro avesse
deciso di
aprire due volte l’anno, a primavera e in autunno, la propria residenza
per
consentire lo svolgersi di una fiera dove gli appassionati come lui
avrebbero
potuto non solo vendere ed acquistare auto e moto, ma altresì trovare,
comperare
e scambiare parti di ricambio delle proprie autovetture.
“A Maggio la
manifestazione è aperta soltanto alle auto
inglesi, mentre in autunno, a Settembre a tutte le case costruttrici”.
“E come mai
t’interessa così tanto?”
“Ho comprato
un’Austin Healey e voglio restaurarla
esattamente come ho fatto per la Corvette.”
”Che è
rimasta nel garage di Stu.”
“Appunto”
replicò Harm con una punta di rimpianto.
Lei era molto
interessata, Harm lo poteva notare dal
brillio che era comparso nei suoi occhi, fattisi di una sfumatura più
scura.
Cercava di nascondere la curiosità che provava, ma quella piega agli
angoli
della bocca la tradiva…
Sorrise
facendole capire che l’aveva smascherata.
“Va bene”
cedette alla fine. “Resto, ma a patto che mi
porti a vedere il castello.”
“Affare
fatto” disse lui alzandosi e stringendole la mano
con soddisfazione.
Quando Harm
fu uscito dalla stanza, Mac provò a chiamare
il fidanzato, ma trovò il telefono staccato. Gli mandò allora un sms
dove, in
maniera sintetica e assai vaga, gli comunicò che aveva trovato posto
solo per
la domenica pomeriggio.
Poi si mise
sotto le coperte, ma faticò a trovare il
sonno, al contrario di Harm che, dall’altra parte del muro, non appena
toccò il
letto si addormentò di colpo.
Continuava a
cercare di convincersi che aveva deciso di
restare solo per un interesse meramente culturale, perché il nome
Beaulieu le
ricordava qualcosa, perché il nome Montagu le riportava alla mente un
ricordo
che adesso le sfuggiva, perché…
Perché vuoi stare con lui,
intervenne secca e decisa la
parte più razionale di sé.
Amava il suo
fidanzato, su questo avrebbe messo la mano
sul fuoco, ma Clay non era Harm.
Questo se
l’era detto molte volte nel corso degli anni:
nessuno era come Harm. Non era solo una questione d’aspetto fisico,
anche se godeva
un mondo quando, quelle rare volte che erano usciti insieme o si erano
trovati
da Benzinger’s, si accorgeva che le altre donne se lo divoravano con
gli occhi
riservando a lei commenti acidi e maligni. C’era qualcosa d’altro.
Cosa aveva di
tanto speciale, a parte una notevolissima
prestanza? Nulla. A ben guardare, anzi, era un tipo che non sapeva
assolutamente come trattare le donne. Aveva fallito con tutte, persino
con
Jordan, una psicanalista! E dire che lei per prima aveva scommesso che
quella
sarebbe stata la volta buona…
Questo prima
che m’innamorassi di lui, pensò senza
rendersi conto.
NO! Lei non
poteva, non doveva, amarlo. Non era lui che
aveva deciso di sposare, non era con lui che voleva avere dei figli.
O sì? Ma
perché aveva accettato di restare?
Si addormentò
maledicendo il destino, mentre le note di
una canzone dei Coors provenienti da una camera vicina si spandevano
nell’aria.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
13
maggio 1858
Lo sentì
chiudere pesantemente un’altra porta
in lontananza e lo immaginò tormentato dai sentimenti che non era
riuscito a
controllare e intrappolato dal suo stesso gioco.
Aveva colto
il cambiamento di tono della sua
voce, che per un attimo aveva fatto vacillare anche in lei il proposito
di
andare sino in fondo. Fortunatamente si era ripresa in tempo e lui
sembrava non
essersene accorto.
Doveva
ammettere che era davvero bravo. Ma mai
si sarebbe aspettata che fosse tanto astuto e attento a certi
particolari.
Il suo piano
aveva funzionato: come aveva
sentito dire da suo zio, sapere che lei si era innamorata di lui senza
che
fosse a conoscenza di tutta la verità, lo aveva profondamente turbato.
Ora bisognava
solo aspettare che assorbisse il
colpo e tornasse da lei.
Era più che
certa che ciò sarebbe avvenuto.
Innanzi tutto
lo sapeva troppo intelligente per
privarsi della felicità che tanto aveva desiderato e che ora poteva
avere a
portata di mano. Inoltre, nel suo bacio, nel suo sguardo e nella sua
passione,
aveva colto quel desiderio tanto intenso che aveva visto già altre
volte
scorrere in lui.
Se lo
conosceva solo la metà di quanto si era
convinta di conoscerlo, non si sarebbe tirato indietro.
Come evocato
dai suoi pensieri, sentì la porta
aprirsi e lo vide fermarsi sulla soglia, con un’espressione tormentata,
ma al
tempo stesso decisa.
Era tornato!
Forse c’erano
ancora speranze per loro due,
dopotutto.
Lo vide
avanzare di qualche passo e richiudersi
la porta alle spalle, mentre continuava ad osservarla. In quel momento
lei non
riusciva neppure a notare la benda nera che gli oscurava un occhio, da
tanto lo
sguardo che scorgeva nell’altro era intenso e la catturava.
Si era
sciolto il nodo del fiocco in seta, che
ora gli penzolava ai lati del collo, e aveva slacciato i primi bottoni
della
camicia: anche a quella distanza poteva scorgergli la vena alla base
della gola
che pulsava rapida.
Sentì il suo
stesso sangue scorrere più
velocemente e non riuscì più a trattenersi. Si gettò tra le sue
braccia,
impaziente di sentirsi stringere di nuovo da lui.
Nicholas la
baciò con un’intensità tale da
farle pensare che volesse possederla solamente con quel bacio. Era
stata baciata diverse volte e in vari modi,
sia con disprezzo e con brutalità, sia con amore e dolcezza. Ma mai a
quel
modo.
Lui le stava ridando la vita, ma al tempo
stesso se ne riappropriava, e tutto solo con un bacio.
“Siete
tornato…” gli disse, non appena lui le
permise di respirare.
“Vi desidero
troppo per riuscire a starvi
lontano”, rispose mentre con le mani le dimostrava quanto.
“Perché ve ne
siete andato?” domandò lei, tra
un suo bacio e l’altro.
“Non ha più
importanza. Ora sono qui.”
La strinse
più forte, come a conferma delle sue
parole. Poi la sollevò tra le braccia e la posò sul letto. Incantato
dalla sua
bellezza rimase ad osservarla per qualche istante, assaporando il
momento e
pregustando ciò che a breve sarebbe avvenuto, prima di levarsi la
camicia e
stendersi accanto a lei.
L’intensità
del desiderio che provava lo stava
quasi uccidendo…
Com’era
possibile provare sentimenti tanto
forti per qualcuno?
Ma con lei
era sempre stato così, fin dalla
prima volta che l’aveva vista.
Dapprima si
era invaghito di lei per la sua
avvenenza e il suo fascino; poi si era innamorato del suo spirito
coraggioso e
indomito. Infine era stata la sua vulnerabilità a farlo capitolare
definitivamente e a fargli desiderare di possedere il suo cuore e non
soltanto
il suo corpo.
“Vi amo…” gli
sussurrò lei, accarezzandogli
dolcemente una guancia, come a voler sciogliere la tensione che leggeva
sul suo
volto.
Lo sentì
irrigidirsi tra le sue braccia a
quelle parole.
“Che cosa vi
succede?” domandò dolcemente.
“Nulla…”
tentò di sorvolare lui, ma poi
aggiunse: “Dite di amarmi… e l’altro uomo di cui mi avete parlato?
L’uomo di
cui avete detto di essere innamorata?”.
Decise di
rispondergli con sincerità:
“Lo amerò per
sempre…”.
Lui si
sollevò su un gomito, scrutandola
attentamente.
“Ma amo anche
voi…” aggiunse lei, dopo un
attimo. Quindi, osservando che sembrava non essere ancora convinto
delle sue
parole, ribadì:
“Mi sono
innamorata di voi, Nicholas”.
Per una
frazione di secondo quella frase,
nonostante tutto, gli fece ancora male. Ma poi si disse che Lord
Nicholas
Thornton si era ampiamente guadagnato il diritto che quelle parole
fossero
rivolte esclusivamente a lui.
Allora le
sorrise come il cuore gli suggerì,
una volta tanto senza trattenersi. Alla luce soffusa della lampada
osservò la
sua espressione, per tentare di comprendere quanto fosse consapevole di
ciò che
realmente stava per accadere.
Ma
l’espressione di sua moglie rimase immutata
nella sua dolcezza: lasciava trasparire soltanto amore.
Si chinò su
di lei e riprese a baciarla, a
toccarla, a farla sua…
Lei rispose
con intensità, abbandonandosi al
suo desiderio ed entrambi si lasciarono travolgere dalla forza
misteriosa di
quell’amore.
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Capitolo 15 *** Trame misteriose ***
Capitolo XV
Trame
misteriose
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
Maggio 2005
Harm e Mac
varcarono la soglia del parco del Castello di
Beaulieu dopo una breve attesa per consentirle di acquistare il
biglietto. Lui
aveva insistito per pagare, ma Sarah era stata irremovibile.
Molte persone
affollavano l’ingresso, ma data l’estensione
del parco la gente sciamava subito via e la ressa si disperdeva
immediatamente.
Sullo sfondo la mole chiara del castello risaltava contro il grigio
plumbeo del
cielo.
Mac alzò lo
sguardo e notò un trenino sopraelevato che
percorreva l’intero perimetro del parco.
“Curioso”
osservò divertita, ma Harm già la stava
trascinando via verso un largo spiazzo di cemento dove erano esposte
numerose
vetture d’epoca. Alcune in pessimo stato di conservazione, altre meglio
tenute.
Sembrava un
bambino alle prese con una torta al cioccolato
e glielo disse.
“Mi sono
sempre piaciute le auto d’epoca” le rispose
ammirando una Jaguar MK2, “ma negli Stati Uniti non c’è nulla di
paragonabile a
questo” terminò indicando la vasta distesa degli stand.
Nell’aria,
oltre al profumo dell’acqua e dell’umidità che
si sprigionava dall’erba, anche il sentore di hamburger, patate fritte,
caffé.
Numerosissimi chioschi per rifocillarsi erano disposti in punti
strategici
della fiera. Quando vide un bar che vendeva gelati, Mac scoppiò a
ridere di
cuore: “Questi inglesi sono davvero unici!” esclamò. “Il tempo fa
assomigliare
la giornata ad un giorno di Ottobre e loro aprono un chiosco per
vendere
gelati!!!”
“Perché non
hai visto il tizio laggiù” le fece eco Harm.
Seguì
l’indicazione dell’amico e vide un uomo in
calzoncini corti, Birkenstock e maglietta a mezze maniche mangiare
tranquillamente un gelato sotto la pioggia che nel frattempo era
ripresa a
scendere. Qualche metro più in là un signore, non più giovanissimo,
vestiva
galosce di gomma alte fino al ginocchio, cerata e cappellino
impermeabili e
camminava serafico bevendo da una tazza una bevanda bollente.
I due si
guardarono e in coro esclamarono: “Sono pazzi
questi inglesi!” ridendo a crepapelle.
Proseguirono
quindi nel loro itinerario e per un po’
curiosarono fra le bancarelle di autoricambi e automobilia, Mac più
attratta
dalle stranezze (un cartello poneva in vendita un’autentica cabina del
telefono
inglese), Harm, invece, più impegnato nella ricerca dei pezzi di
ricambio che
gli occorrevamo per ultimare il restauro della Austin Healey.
Stavano bene
insieme, si stavano divertendo e Harm
raccontava cose molto interessanti circa la sua auto. A Mac non
sembrava vero
di poter avere una normale conversazione con lui. Si ritrovò a
desiderare
spasmodicamente che quella giornata, nonostante il tempo inclemente,
non
terminasse mai.
Ad un certo
punto, deviarono dal percorso che stavano
seguendo e decisero di tornare all’ingresso, verso il National Motor
Museum,
una costruzione semisferica di spiccato gusto moderno, in netto
contrasto con
il castello che, a poca distanza, si ergeva a silenzioso guardiano del
parco.
Entrarono e
ciò che videro li lasciò a bocca aperta.
Persino Mac, che non si era mai interessata di auto d’epoca, rimase
senza
fiato.
Ogni spazio
disponibile della superficie era occupato da
vetture: si andava dalla replica esatta del primo triciclo a motore
ideato da
Gottlieb Benz alle macchine da F1 degli anni ’70 e ’80, passando per i
tipici
autobus londinesi a due piani e a prototipi talmente bizzarri che
nessuno mai
li avrebbe acquistati, fino alle più moderne, ma non meno prestigiose e
classiche, Rolls Royce e Jaguar, alcune appartenute anche a star del
cinema.
“Bella la
collezione di Milord” osservò Mac mentre
giravano fermandosi di tanto in tanto ad ammirare ora questa ora quella
autovettura.
In una parte
del Museo erano stati ricostruiti degli
scorci di una città inglese e in questi scenari erano inserite delle
vetture:
si andava dal furgone del lattaio a quello del panettiere per terminare
con le
auto incidentate e ricoverate da un carrozziere.
Ciò che li
divertì maggiormente fu la ricostruzione,
peraltro assai fedele, di un’officina meccanica degli anni ’20, con
tanto di
macchinari funzionanti e un finto gatto accoccolato sulla sedia
dell’ufficio
del proprietario. Quando uscirono Mac era a dir poco stupefatta, mai
avrebbe
pensato di divertirsi così. Infatti, mentre erano all’interno, Harm le
aveva
fatto da cicerone commentando le caratteristiche più significative
delle
macchine che vedevano o raccontandole aneddoti sulle case costruttrici.
Era un
ottimo narratore e sapeva come catturare l’attenzione.
Ma,
soprattutto, Sarah aveva scoperto un lato nuovo di lui
che non sospettava esistesse. In nove anni Harm non le aveva mai fatto
cenno di
questa sua passione per le auto d’epoca e lei mai avrebbe pensato che
avesse
una simile cultura in materia.
Quest’uomo
non finirà mai di sorprendermi, pensò
guardandolo di sottecchi.
All’uscita
del Museo notarono una targa in marmo: vi si
diceva che la prima pietra di quella costruzione era stata posata nel
“lontano”
Dicembre del 1970 in
onore dei trustees del Beaulieu
Museum Trust, di cui facevano parte anche Milord e Milady.
Si
incamminarono nuovamente verso la fiera per fare un
giro prima di fermarsi per il pranzo. Tuttavia la pioggia che prima
scendeva
leggera, ora s’era fatta più insistente e pertanto decisero di
“rifugiarsi” al
castello.
Percorsero
così un grande viale costeggiato da ippocastani
in fiore, purtroppo sfioriti a causa della pioggia.
Harm la prese
per mano e lei non sollevò obiezioni.
Si sentiva
felice e leggera come non le capitava da tempo,
il cuore era sgombro da pensieri grevi e Clayton Webb, il matrimonio,
Belinda e
tutto il resto erano lontani mille miglia.
Guardò Harm e
lo vide sorridere. Ma non era un sorriso
freddo e di circostanza: affatto, gli brillavano gli occhi. Anche lui,
come
lei, era felice.
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
Maggio 1858
La luce
dell’alba filtrava attraverso le
pesanti tende blu, stemperando l’oscurità della notte e delineando,
poco alla
volta, forme e colori nella stanza.
Lentamente
Lady Sarah si svegliò da un sonno
breve, ma profondo. Mentre le immagini confuse dei sogni lasciavano
pian piano
il posto alla consapevolezza della realtà, si mosse leggermente e nel
farlo si
rese conto che un braccio la tratteneva alla vita.
Sorrise,
ricordando con dolcezza la notte
appena trascorsa a far l’amore con suo marito.
Era così
felice…
Proprio lei,
Lady Sarah Jane Montagu, si era
follemente innamorata. Era innamorata e felice di esserlo. Ma
soprattutto
felice di appartenere completamente ad un uomo.
Proprio la
donna che aveva creduto di non esserne
mai capace… proprio la stessa donna che era stata convinta per anni di
non
potersi mai fidare degli uomini ora giaceva tra le braccia dello stesso
uomo
che aveva accusato d’averla voluta sposare con l’inganno.
Con
delicatezza spostò il braccio posato di
traverso sul suo corpo nudo, ottenendo solo un debole mormorio dalle
labbra di
suo marito, che continuò a dormire profondamente.
Si voltò su
un fianco e rimase ad osservarlo a
lungo.
Lasciò vagare
lo sguardo sul suo corpo
muscoloso, che il lenzuolo aggrovigliato attorno ai fianchi lasciava
parzialmente scoperto; osservò le sue mani, così grandi e tenere al
tempo
stesso… avrebbe dovuto prestare più attenzione a quelle mani.
Mentre lo
guardava, lasciò che i sentimenti che
provava per lui la invadessero completamente, colmando finalmente la
voragine
che aveva avuto nel cuore sino a pochi giorni prima.
Credeva di
essere preparata a ciò che avrebbe
provato tra le sue braccia, quando lo aveva desiderato finalmente nel
proprio
letto. Invece ciò che aveva provato andava ben oltre ogni immaginazione.
Dolcemente
gli sfiorò il volto, osservando che
la benda all’occhio si era spostata, probabilmente a causa dei
movimenti del
sonno e nella foga della loro passione, ed ora gli lasciava quasi
scoperto il
viso: fortunatamente nessuna cicatrice ne deturpava la bellezza.
Decise
di levargli la benda
nera, facendo attenzione a non svegliarlo. Ma egli scelse proprio quel
momento
per aprire gli occhi.
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
Maggio 2005
Camminarono
lentamente tenendosi per mano e giunsero in
breve al castello.
La strada che
avevano scelto li aveva condotti non
all’ingresso principale, ma verso uno dei lati della costruzione, a
fianco
della quale si ergeva una bassa casa. A tutta prima la scambiarono per
l’abitazione del custode, ma ben presto, avvicinandosi, si accorsero
che si trattava
di un museo: lì, proprio a Beaulieu, durante la Seconda
Guerra
Mondiale, era nata una scuola di addestramento per uomini e donne che,
volontari, avevano scelto di arruolarsi nell’esercito di Sua Maestà e
operare
come spie nell’Europa occupata. I pannelli raccontavano la storia di
questi
eroi, alcuni sopravvissuti, altri caduti nell’adempimento del dovere.
Harm e Mac,
ufficiali, provarono commozione leggendo le
gesta di quelle persone e si appassionarono alle spiegazioni delle
tecniche di
addestramento presentate negli altri
pannelli, appresero la complessità dei codici criptati in uso,
ammirarono i
cimeli esposti e si stupirono non poco nell’apprendere che, in tempi
non
sospetti, quando ancora l’attacco a Pearl Harbour era lontano, molti
loro
compatrioti si erano addestrati proprio lì.
“Spero che
adesso avrai un’opinione migliore delle spie”
gli disse Mac quando uscirono.
“Non ho mai
pensato male delle spie” le rispose serio,
“solo di una” precisò poi.
“Non conosci
Clay” replicò. “È un uomo buono e dolce.
Basta saper guardare al di là delle apparenze. Ma tu non lo hai mai
fatto,
esattamente come con Mic, ti sei limitato a giudicare quello che vedevi
senza approfondire.”
Harm si fermò
e si voltò verso di lei: “Mac, lo sai che
con te sono sempre stato onesto e non ti ho mai nascosto nulla”.
Lei annuì.
“Quando ti
dicevo che quell’uomo non mi piaceva avevo le
mie buone ragioni. Non ero geloso…”
Sarah alzò un
sopracciglio, quasi a dire “”Ah no?” e lui
si corresse: “Non del tutto almeno. Webb ti aveva presa di mira da
subito. Ti
voleva e avrebbe fatto carte false pur di averti”.
“Non ti è
passato per la testa che potesse essersi
innamorato di me?” domandò con fare provocatorio Mac.
“Webb?!
Innamorarsi?!” esclamò. “Andiamo Mackenzie, sai
essere molto sveglia quando vuoi. “Webb non si può innamorare perché
gli manca
un cuore.”
E tu ce l’hai
un
cuore per innamorati Harmon Rabb?, fu tentata
di chiedergli, ma si trattenne.
“Sediamoci su
quella panchina” propose e la condusse verso
un sedile di pietra di fronte all’ingresso dal quale erano appena
usciti. La
pioggia, per fortuna, era cessata e sembrava che un timido sole volesse
squarciare il velo delle nubi e affacciarsi a scaldare la terra
inumidita.
Si sedettero
e Harm le prese entrambe le mani,
giocherellando con l’anello di fidanzamento: “Quando ti dico che non
parlo solo
per gelosia, devi credermi. Se solo fossi certo che tu saresti felice
con lui o
con qualsiasi altro uomo non esiterei un attimo a lasciarti andare,
anche a
costo della mia stessa felicità. Questo devi averlo ben presente Sarah.
Se in
tutti questi anni mi sono intromesso nelle tue scelte sentimentali è
stato
perché io vedevo più in là di te. Eri talmente ansiosa di ricevere
attenzioni e
amore da un uomo che ti sei sempre limitata alle superficie delle cose,
senza
andare oltre, e ti sei accontentata”.
Mac sgranò
gli occhi. Quelle parole la ferivano perché
erano la verità nuda e cruda, si rendeva conto che Harm aveva ragione.
Tuttavia
si stupiva anche di tanta franchezza: non le aveva mai parlato così.
Quelle, si
rese conto, erano le parole di un amico vero, sincero ed interessato
solo alla
sua felicità. Ma erano anche le parole di un uomo innamorato.
Nondimeno non
poté esimersi dal giustificarsi: “Volevo
essere amata, volevo che un uomo accettasse di correre tutti i rischi
che una
relazione comporta, non uno che si trincerasse dietro la scusa
dell’amicizia
per non impegnarsi”.
“Touchè” le
rispose. “Hai ragione. Ma io ti ho sempre detto la verità e non ti ho
mai
rifiutata del tutto. Ti chiedevo del tempo…”
Mac si alzò:
non voleva iniziare un’altra
non-conversazione. Avrebbero finito con il rovinarsi la giornata.
“Facciamola
finita prima ancora di cominciare Harm” lo
interruppe. “Conosco le tue posizioni e tu conosci le mie. Perché stare
qui a
ripetere cose già dette un milione di volte?”
Lui l’afferrò
per un polso, costringendola a sedersi
nuovamente. Notò la sua espressione affranta, ma continuò imperterrito:
“Se
avessimo iniziato una storia e poi avessimo rotto, come avremmo potuto
lavorare
insieme e fare finta che nulla fosse accaduto? Io non avrei sopportato
di
vederti accanto ad un altro e tu? Avresti sopportato di vedermi con
un’altra?”.
“No” ammise
Mac anche se con riluttanza. “Ma almeno
avremmo potuto provarci. Avresti potuto dirmele allora queste cose” lo
rimproverò.
“Lo sto
facendo adesso. Meglio tardi che mai” rispose
disarmante.
Sospirò.
Quell’uomo era davvero impossibile ma per quanto
facesse per farselo venire in odio non ci riusciva. L’avrebbe amato
fino alla
consunzione, le piacesse o no.
Si alzarono e
percorsero gli ultimi metri che li
separavano dall’ingresso principale del castello.
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Capitolo 16 *** Appuntamento col Destino ***
Capitolo XVI
Appuntamento
col Destino
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
maggio 2005
Quando videro
il giardino antistante rimasero a bocca
aperta: un prato verdissimo perfettamente curato si apriva davanti a
loro,
punteggiato da siepi e alberi sapientemente potati. Sulla sinistra il
Beaulieu
River formava una larga ansa e nello specchio d’acqua nuotavano coppie
di
anatre.
Il giardino,
ma definire così quell’immenso spiazzo erboso
era solo riduttivo, correva tutto intorno al palazzo e sconfinava nelle
rovine
della Beaulieu Abbey.
L’ingresso
era aperto e una scolaresca in attesa giocava
con i cannoni posti ai lati del ponte levatoio.
Entrarono in
un ampio vestibolo dove le pareti erano
interamente ricoperte da quadri degli antenati di Lord Montagu. A
terra, una
moquette rossa a disegni dorati sembrava ispirata alle mattonelle che
una volta
avevano formato il pavimento della Beaulieu Abbey, le cui rovine,
comprese
entro il perimetro della proprietà della Palace House, si trovavano a
poca
distanza.
Oltre ai
quadri ad olio, di cui uno ritraeva il padre di
Milord in divisa militare, spiccavano anche vecchie fotografie
risalenti, con
tutta probabilità, ai primi del ‘900 e che riproducevano i membri della
famiglia. Nella stessa stanza c’era anche un armadio a muro dalle cui
vetrine
si potevano ammirare cimeli appartenuti ai Montagu.
Un ingresso
ad arco divideva il vestibolo da un’altra
camera dalla quale si dipartiva uno scalone che portava ai piani
superiori.
Non appena
entrò in quella stanza, a Mac sembrò di esservi
già stata, non solo ma il nome Montagu le faceva riaffiorare alla mente
il
ricordo, peraltro indefinito, di qualcosa. Le pareva di averlo già
sentito
altrove, ma non ricordava dove… esternò queste sue sensazione ad Harm:
“Mi prenderai
per visionaria” scherzò.
“Per nulla”
rispose, “anche a me questo nome dice
qualcosa. Andiamo avanti e vediamo se riusciamo a risolvere il mistero.”
Oltrepassarono
la porta ad arco e sulla destra videro che
si apriva un’austera quando grande sala da pranzo. Vedendoli così
incuriositi,
un impeccabile butler
si avvicinò:
“Stupefacente
vero?”
“Già” rispose
Mac, “ma anche molto strano. L’arredamento
di questa stanza mi pare essere in netto contrasto con tutto il resto,
per
quanto poco possiamo avere visto sino ad ora” osservò.
“La Dining Hall
risale al 1414, ma’am,
e sia le volte sia
l’arredamento sono ispirati alla Beaulieu Abbey. In questo momento vi
trovare
nella parte più antica della Palace House. Nel 1982”
proseguì l’uomo, “in
questa sala fu festeggiato il ventunesimo compleanno dell’Hon. Ralph,
figlio
maggiore di Milord nonché suo erede, mentre nel 1995 la famiglia ha
festeggiato, proprio qui, il centenario di Lady Pearl, la madre di
Milord.”
“E’ ancora in
uso?” volle sapere Harm.
“No, questa
parte della Palace House è aperta al pubblico
e non viene più utilizzata dalla famiglia che vive nell’altra ala del
Castello.”
“Spazio non
ne manca davvero…” osservò Harm guardandosi
attorno e pensando alla grandezza del Castello.
“Al piano
superiore cosa c’è?” chiese Mac.
“La Upper
Drawing Room, la Ante Room,
e la
Private Dining
Room, ma’am”
rispose compitamente il butler.
“Ma prego, salite e vedete con i
vostri occhi” li invitò.
Harm e Mac
salutarono calorosamente l’anziano signore e ne
seguirono il consiglio, avviandosi verso la scalinata.
Ma prima di
poter salire si accorsero che, proprio alla
base dello scalone, si apriva un’altra stanza. Entrarono e con sommo
stupore notarono
che era completamente tappezzata di seta azzurra e che tutto
l’arredamento era
di marcata ispirazione cinese, o comunque orientale.
Anche qui
parecchi ritratti alle pareti e un camino in
pietra che era uno splendore. Dall’aria che si respirava in quella
stanza
doveva essere stata una delle più usate in passato, anche per la
splendida vista
che aveva sul giardino e per le grandi finestre a bovindo che la
rendevano
molto luminosa.
Uscirono e
salirono al piano superiore. Sulla parete a
fianco della scala v’erano appesi ancora molti ritratti a olio degli
antenati
dei Montagu, alcuni indossavano le gorgiere tipiche del regno di
Elisabetta I,
famosa per l’eccessiva austerità della moda da lei stessa introdotta,
altri
vestivano abiti di foggia settecentesca ed ottocentesca.
“Di tutti
questi quadri, quello che mi è piaciuto di più
si trova al piano terra, all’ingresso” disse Mac.
“Alludi al
ritratto di Lady Pearl?”
“Sì. Mi è
sembrato molto naturale e poco austero.
Oltretutto Milady era davvero una gran bella donna in gioventù. Ma c’è
di più,
mi sembra d’averla già vista da qualche altra parte…” aggiunse
perplessa.
Giunsero in
cima allo scalone, per fortuna la gente che
affollava il Castello scendeva, mentre loro salivano. Quando arrivarono
al
secondo piano le sale erano vuote e silenziose e i loro passi
risuonavano sulla
moquette che ricopriva un antico parquet di legno pregiato, stando a
quanto
dicevano alcune targhe. Nella stanza che si apriva immediatamente alla
loro
destra, chiamata Upper Drawing Room, la tappezzeria a foglie dorate
riproduceva
la croce e la corona della Beaulieu Abbey nonché lo stemma della
famiglia
nobiliare, e grosse mensole di pietra reggevano le armi di alcuni degli
antenati di Lord Montagu i cui fasci erano dorati con le stelle e le
lune delle
armi della famiglia Scott.
Il piano nel
centro della stanza era un esempio fine di un
Broadwood dell’inizio del 1818.
Una targa,
posta al centro del piano così recitava: “I
visitatori di questa stanza e di quella adiacente, a volte percepiscono
odore
di fiori e odono canti gregoriani, ma non c'è nulla da temere. A
Beaulieu
questi sono fenomeni psichici ben noti!”.
All’improvviso
Mac, che stava ammirando tutti questi
preziosi arredi, si sentì strattonare per la manica del Barbour.
Si voltò e
vide Harm che sorrideva sotto i baffi, la
classica espressione del gatto che ha appena mangiato il topo e l’ha
fatta
franca.
“Cosa sai che
io non so?” chiese pur conoscendo già la
risposta.
“Seguimi e lo
scoprirai” rispose enigmatico.
Rassegnata lo
seguì. Tormentarlo di domande non sarebbe
servito a nulla se non a fargli fare ancor di più il misterioso per
farla
morire di curiosità. Uscirono dalla sala che godeva di una fantastica
vista sul
parco sottostante e si ritrovarono ancora in cima allo scalone.
“Ebbene?”
domandò un po’ seccata, ma anche impaziente.
“Alza gli
occhi Colonnello e dimmi cosa vedi” rispose Harm
mentre il sorriso da sornione diventava a trentasei denti,
illuminandogli lo
sguardo.
Mac fece
quanto consigliato.
“Oh mio Dio!”
esclamò più stupita che mai portando una
mano alla bocca. “Non ci posso credere!”
Si avvicinò
al ritratto per leggere meglio il nome sulla
targhetta di ottone, non ancora del tutto convinta di ciò che aveva
davanti.
“Ma è
davvero…” disse voltandosi verso di lui lo sguardo
illuminato da una luce incredula come di chi abbia ritrovato un vecchio
amico
dopo anni, e stenti a credere che egli sia lì in carne ed ossa.
“Direi di sì”
le rispose con somma soddisfazione: ancora
una volta era riuscito a sorprenderla.
Sopra di
loro, impressa sulla tela, ritratta nel pieno
fiore degli anni e della bellezza, stava Lady Sarah Jane Montagu.
“E’ proprio
lei. Deve esserlo, non ci sono molte altre
Lady Sarah Jane Montagu descritte nel diario di un Conte francese di
metà
Ottocento” osservò Mac ricordando all’improvviso il perché quel nome le
fosse
così tanto familiare.
“Sai che un
po’ ti somiglia?” disse Harm. “Avete lo stesso
sguardo indomito, la stessa luce di determinatezza e lo stesso
portamento
fiero. Sei sicura di non essere una sua discendente?”
Mac si voltò
verso di lui, fissandolo con aria stranita.
Era sbigottita dalle sue parole, non le aveva mai rivolto dei
complimenti così
smaccati. E con quell’aria seria per di più! Apprezzò le sue parole, ma
non
fece commenti ulteriori limitandosi ad un: “Niente affatto Capitano:
bisnonna
indiana Cherokee, bisnonno paterno Cherokee capo indiano, e nonna
iraniana,
ormai dovresti saperlo. Per cui, come vedi, le mie ascendenze non hanno
nulla a
che vedere con la nobiltà inglese di metà Ottocento”.
Tornò poi a
fissare il ritratto: “Chissà come è finita la
sua storia” si chiese, parlando più a se stessa che a lui, “se dopo
aver
lasciato André sulla Medea l’abbia ritrovato, se si siano sposati…”.
Sospirò
guardando la tela quasi che, da un momento all’altro, Lady Sarah
potesse
animarsi e scendere dalla cornice nelle sue eleganti crinoline azzurro
pallido
e, sedendo nella Drawing Room o nella Private Dining Room, raccontare
loro la
sua vita straordinaria davanti ad una tazza di vero the inglese.
Harm vide
l’aria sognante che si era dipinta sul volto di
Mac ed ebbe l’impulso di abbracciarla, stringerla a sé e sussurrarle
che
l’amava perdutamente.
Non poteva
sapere che in quello stesso punto, due secoli
prima, un altro uomo, vedendo una donna piangere, aveva pensato le
medesime
cose…
Ma Sarah si
riebbe dalla momentanea trance romantica e,
tornando il pragmatico Marine di sempre, gli propose: “Cerchiamo una
biblioteca, in un posto così ce ne deve essere una per forza, e vediamo
se ci
sono libri che parlano di lei”.
“Mac non
possiamo metterci a curiosare in giro” la
redarguì. “Scordi che questa è solo in parte una proprietà aperta al
pubblico.”
“Uh uh” lo
prese in giro lei, “allora è vero che la
promozione ti ha reso meno cow boy… ”
“Non è così”
si difese. “Non mi piace essere colto in
flagrante da un Milord. Che figura ci faremmo?”
“O,
piuttosto, dì, che figura ci faresti TU. Il Capo della
Procura Militare delle Forze Navali in Europa, scoperto mentre fruga
nella
biblioteca di un attempato Lord inglese. Già davvero molto
disdicevole…”
proseguì Mac il tono sussiegoso degno di una gran dama dell’Ottocento
prendendolo
in giro atrocemente ma divertendosi un mondo nel farlo.
Harm non
disse nulla, la prese per mano e la condusse via,
prima che ponesse in atto lo “scellerato” proposito.
Si diressero
verso un altro salone, che aveva tutta l’aria
di essere una sala da pranzo per bambini. Al centro un tavolo rotondo
sul quale
erano posati alcuni giocattoli d’epoca.
Mac era
elettrizzata, adesso capiva il perché di quella
continua sensazione di dejà-vu che la tormentava da quando era arrivata
a
Beaulieu e aveva messo piede nel Castello. Quelli erano i luoghi in cui
era
nata e cresciuta Lady Sarah, la protagonista di quell’incredibile
avventura a
Vienna e che era fuggita sulla nave comandata dall’Ammiraglio
Blackbird.
Girando per le stanze della Palace House le pareva quasi di vederla
camminare
fra quelle mura che un tempo erano appartenute alla sua famiglia. Quasi
quasi
sperò che di notte il suo fantasma, nella migliore tradizione dei
castelli
inglesi, si aggirasse nelle sale.
In quel
momento si trovavano nella Private Dining Room.
Questa
stanza, recitava la placca descrittiva, un tempo faceva
parte delle cappelle gemelle della parte a Nord del vecchio Castello,
successivamente divise dopo la
Dissoluzione. Negli anni a venire era stata
dapprima usata come una camera da letto e salotto e, dal 1952, come
sala da
pranzo privata di Lord Montagu.
La
pannellatura di lino viene dalla Camera dei Comuni dopo
che molta parte di essa venne distrutta dal fuoco in 1834. Il dipinto
posto
sopra il camino raffigurava John, Marchese di Morthermer, unico figlio
di
George, Duca di Montagu, ritratto durante il suo Gran Tour in Italia,
dal quale
riportò le deliziose vedute di Napoli dipinte da Antonio Joli, che si
trovavano
appese alle pareti.
In fondo alla
stanza, vicino al caminetto, si apriva una porta
e ne varcarono la soglia, ritrovandosi così in una biblioteca. Dietro
di loro
l’uscio si richiuse rivelandosi essere un falso scaffale colmo di
libri. Nella
nuova stanza, il parquet era coperto da preziosi tappeti, alle pareti
alti
scaffali che giungevano sino al soffitto a cassettoni, carichi di
volumi. A
destra, rispetto all’ingresso, faceva bella mostra un’antica scrivania
accanto
alla quale stava una lampada a stelo lungo che proiettava una calda
luce
ambrata.
Al centro
della stanza comode poltrone di panno piuttosto
consunte riscaldavano l’atmosfera dandole quel tocco di intimità che la
faceva
assomigliare ad un ambiente molto “vissuto”. Fu proprio quell’aria di
vita
vissuta a fare scattare il sospetto nella mente di Mac: “Non è che per
caso siamo
capitati nella parte non aperta al pubblico?”.
“La porta era
aperta. Se questa stanza facesse parte
dell’ala privata del Castello l’avremmo trovata chiusa” le rispose Harm.
“Ottima
deduzione avvocato, dopotutto lo smalto non l’hai
ancora perso fra le scartoffie…” lo prese bonariamente in giro lei.
“E poi non
eri tu quella che cercava una biblioteca?” le
ricordò ignorando la battuta.
“Eh già.”
Mac si fregò
mentalmente le mani e si mise all’opera
curiosando fra gli scaffali cercando un qualsiasi indizio che la
riconducesse a
Lady Sarah, mentre Harm, scuotendo la testa in segno di resa, l’aiutava
“lavorando” sulla parete opposta.
D’un tratto
un leggero colpo di tosse li avvertì che,
oltre a loro, nella stanza c’era anche una terza persona.
Si voltarono
di scatto.
“Credo che
abbiate… come dire… sconfinato?” disse il nuovo
venuto.
Riconosciuto
Lord Montagu nell’alto signore che stava loro
davanti per averne visto il ritratto nella sala che precedeva la Upper
Drawing Room,
Harm e Mac si profusero in scuse.
“Non sapevamo
che fosse la parte privata del Castello
Milord” disse Mac. “Ci trovavamo nella Private Dining Room e la porta
che
conduceva qui era aperta, per cui abbiamo supposto che la biblioteca
fosse
aperta al pubblico” proseguì gettando un’occhiataccia ad Harm, il quale
le
rispose con un’alzata di spalle come a dire “E come lo potevo sapere?!”.
“Probabilmente
mia figlia deve aver pensato che l’orario
delle visite fosse terminato e l’ha lasciata aperta.”
“Togliamo
immediatamente il disturbo Milord” intervenne Harm.
Ma Mac lo fermò prima che uscisse: se c’era qualcuno che poteva fornire
maggiori spiegazioni su Lady Sarah quello era proprio quel simpatico
signore di
mezza età dai lineamenti gentili. Pertanto s’azzardò: “Milord sono
molto
incuriosita da un ritratto appeso nella galleria sulle scale…”.
Harm le
strinse il braccio. Negli occhi una muta
preghiera: “Per favore Mac….”, ma lei, da bravo Marine qual era, non si
diede
per vinta e attese una risposta dal nobiluomo.
“Quale
sarebbe?” chiese alfine quest’ultimo.
“Quello di
Lady Sarah Jane Montagu” rispose. “Vede, io e
il mio collega tempo addietro ci siamo “imbattuti” in una dama che
portava lo
stesso nome e…” in breve raccontò dello strano caso che aveva coinvolto
l’Ammiraglio Blackbird e anche loro due.
“Mai e poi
mai avrei immaginato che l’avventura vissuta a
Vienna della mia antenata avrebbe potuto finire tra le carte di un caso
affidato alla Procura della Marina Militare Americana!” esclamò Lord
Montagu sinceramente
divertito dalla scoperta.
“Ebbene”
proseguì sedendosi in una delle poltrone e
invitando Harm e Mac a fare lo stesso, “credo che abbiate diritto di
conoscere
le vicissitudini della mia famiglia, salvata proprio grazie ai buoni
uffici di
Lady Sarah Jane, figlia di Lord David J. Montagu, Lady Thornton,
Duchessa di
Lyndham.”
“Oh no!” lo
interruppe Mac. “E io che pensavo avesse sposato
il Conte D’Harmòn!”
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
maggio 1858
Una carezza
sul viso lo svegliò da sogni dolci
e arditi, gli stessi che faceva ogni notte, da mesi e mesi ormai.
E come ogni
mattino, temeva il risveglio. Con
il risveglio quei sogni sarebbero sfumati e con
essi la gioia che gli avevano procurato.
Riluttante
decise di aprire gli occhi e scorse un’immagine
china su di sé.
Non appena
mise a fuoco quell’immagine, sorrise
dolcemente, ricordando che ciò che credeva d’aver sognato, quella notte
si era
trasformato in realtà: lei, finalmente, era stata sua.
Stava per
accarezzarla e avvicinare a sé il suo
volto per baciarla, quando si accorse di non avere più la benda a
coprirgli
l’occhio. Istintivamente sollevò una mano per cercarla, finché non vide
che era
nelle sue mani.
Non disse
nulla. Si limitò a fissarla.
Anche lei lo
guardò e Nicholas non riuscì a
capire che cosa stesse passando nella sua mente. La vide esitare un
attimo,
quasi a decidere il da farsi. Stava per dirle qualcosa, quando lei
sorrise e
subito dopo parlò, ormai convinta che fosse giunto
il momento di giocare a carte scoperte.
“Nessuna
cicatrice. E il tuo occhio sembra
vederci benissimo. Perché la porti?”, chiese con tono allegro,
sventolandogli
la benda nera davanti agli occhi; quindi, senza neppure lasciargli il
tempo di
rispondere, gli diede il buongiorno e lo fece seguire da un lungo bacio.
Si staccò
dalle sue labbra, ma continuò ad
accarezzargli la guancia:
“Per questa
facciamo qualcosa”, disse
riferendosi alla folta barba che gli ricopriva buona parte del viso.
Lui
continuava ad osservarla, sempre in
silenzio.
“Mi piaci con
la barba, ti regala un aspetto se
possibile ancora più distinto, da vero Lord inglese. Ma se la facessi
accorciare e sfoltire un po’, come detta la moda, sono sicura che
torneresti ad
avere anche quell’aria un po’ sfrontata e impertinente che mi è sempre
piaciuta
tanto. E poi… via questa benda! Posso fare a meno del tuo ciuffo
ribelle, ma
voglio poterti guardare in entrambi gli occhi. Sai bene quanto adoro i
tuoi
occhi…”
Detto questo
si alzò dal letto.
“Dove vai?”
chiese lui.
Lei si voltò
a guardarlo, splendida nella sua
nudità.
“Conte
D’Harmòn, se non ricordo male, avevamo
ancora un patto da mantenere: un duello con la spada e una cavalcata
nei boschi
di primo mattino. Vado a prepararmi. Non vorrei farvi attendere oltre”,
gli
disse provocante.
Sorridendo,
lui si allungò verso di lei,
catturandole un polso.
“Vieni qui…”
mormorò, facendola cadere tra le
sue braccia.
S’impossessò
della sua bocca, baciandola
intensamente e scoprendosi immediatamente pronto a fare di nuovo
l’amore con
lei.
Non ne aveva
mai abbastanza di sua moglie.
Durante la notte si erano amati più volte eppure non riusciva a
saziarsi a
sufficienza.
“Ti voglio,
Sarah…” sussurrò, spostandosi di
lato e imprigionandola sotto di sé.
“Ma… la
cavalcata? E il duello?” cercò di
protestare lei, mentre un sorriso le increspava gli angoli della bocca.
“Domani.
Abbiamo atteso per oltre un anno…
possiamo attendere un giorno ancora…” rispose, intercalando alle parole
baci e
carezze sulla sua pelle morbida e invitante.
“Questo,
invece, non può attendere…”
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
maggio 2005
All’esclamazione
colma di delusione di Mac, Lord Montagu
non seppe trattenere una risata di gusto. Lei se la prese un po’, ma si
accorse
che Milord non si stava prendendo gioco di lei.
“Gradite
qualcosa da bere prima che cominci il mio
racconto?” chiese.
Prima che
Harm e Mac potessero obiettare alcunché disse:
“Mettetevi pure comodi, sarà una storia lunga”.
“Quand’è
così” replicò Harm, “quello che prende Milord per
me va benissimo.”
“E lei
Colonnello? Gradisce qualcosa?”
“Della
semplice acqua tonica andrà benissimo.”
Lord Montagu
suonò un campanello d’argento che emise un
sommesso scampanellio, ma tanto bastò perché, come comparso dal nulla,
si
materializzasse un maggiordomo.
“Due sherry e
un’acqua tonica Everly” disse con garbo
Milord.
“Subito M’lord” rispose il
maggiordomo e, silenzioso
com’era venuto, se ne andò per essere di ritorno pochissimi minuti dopo
reggendo un vassoio d’argento con tre bicchieri di cristallo che posò
sul
tavolino posto al centro delle poltrone.
“Occorre
altro M’lord?”
chiese.
“Per il
momento nulla. Grazie Everly.”
“Dove eravamo
rimasti?” si rivolse ai due.
Mac ebbe la
risposta pronta, era troppo impaziente di
conoscere la storia di Lady Sarah per strasene zitta e buona, anche di
fronte
ad un Lord inglese: “Doveva raccontarci di Lady Sarah e del Conte
D’Harmòn”
disse.
Harm era
rimasto in silenzio, godendosi la scena. Mac
sprizzava curiosità da tutti i pori, era una vera gioia vederla.
“Dunque…”
cominciò il suo racconto Lord Montagu, mentre
fuori le ombre del pomeriggio cominciavano ad allungarsi.
L’antico
orologio da tavolo scandì le otto, ma Lord
Montagu non aveva ancora terminato di raccontare la storia di Lady
Sarah.
L’anziano gentiluomo, udendo i rintocchi, si rese conto dell’ora tarda
e,
interrompendosi per un attimo, scosse nuovamente il campanello
d’argento.
Come era
accaduto qualche ora prima, Everly si
materializzò dal nulla.
“Per favore”
disse Milord rivolgendosi al maggiordomo, “avvisa
in cucina che stasera avremo ospiti.”
“Certo M’lord” rispose
l’uomo e se ne andò.
Harm e Mac
fecero per protestare, ma Lord Montagu prevenne
ogni loro contestazione: “Come vi accennavo quest’oggi, è una storia
lunga, per
cui avrei molto piacere che vi fermaste in modo da conoscere la mia
famiglia e
saperne qualcosa di più sulla vita di Lady Sarah. Del resto ho l’onore
di avere
come ospiti il Capo della Procura Militare delle Forze Navali in Europa
e il
Comandante di un ufficio della Procura Militare negli Stati Uniti.
Altresì dopo
cena avrei piacere di mostravi i diari di mio nonno. Sono certo che lì
la
vostra curiosità troverà soddisfazione”.
I due
ufficiali si
guardarono: quando mai sarebbe ricapitata l’occasione di cenare con un
Lord?
“Il nostro
abbigliamento non è molto consono Milord”
osservò Harm indicando se stesso, che indossava jeans e un maglione
sportivo, e
Mac anch’essa vestita casual.
“Infatti”
intervenne quest’ultima. “Se per voi non è
troppo incomodo preferiremmo tornare in albergo a cambiarci. Stamani
non
avremmo certo previsto di cenare con un Pari d’Inghilterra.”
“Oh, quante
storie…”
E con questo Lord Montagu chiuse la questione
dell’etichetta.
La cena era
squisita e altrettanto lo fu la compagnia di
Lord Montagu e della sua famiglia deliziosa. Erano persone molto alla
mano, pur
essendo nobili.
Al termine
della cena Milord, come promesso, mostrò loro i
diari del nonno e fu la lettura di quei diari a fare comprendere a Harm
e Mac
il mistero di Lady Sarah e del suo matrimonio con Lord Thornton, futuro
Duca di
Lyndham.
Ripresero la
via del Masters Builders’ House Hotel che era
mezzanotte passata, ognuno immerso nei propri pensieri. La storia
raccontata da
Lord Montagu aveva colpito profondamente entrambi, più di quanto essi
stessi
avrebbero ammesso.
Mac si era
scoperta a voler essere come Lady Sarah capace,
nonostante tutto, le sue paure, i suoi dubbi, i suoi timori, di
affidarsi
completamente ad un uomo, l’uomo che l’amava e che lei stessa aveva
scoperto di
poter amare, pur avendo paura dell’ignoto. Invece lei stava scegliendo
la
strada più facile: Clayton.
Arrivarono in
albergo e si diedero la buonanotte; dopo
averla salutata, tuttavia, Harm non si ritirò subito nella propria
camera, ma
scese a bere qualcosa, a sua volta turbato dagli eventi della giornata.
Aveva
trascorso ore bellissime con lei e si era reso conto d’amarla ancora.
Amava
anche Belinda, ma era diverso: non l’amava a sufficienza da smettere di
amare
Mac. Neppure un oceano di distanza e un'altra donna erano riusciti a
fargliela
dimenticare. E non sarebbe mai successo.
Pensò al
racconto di Lord Montagu, a come un uomo era
stato capace di riconquistare la donna che amava e si disse che non
sarebbe
stato da meno di un nobile europeo di metà Ottocento. Tornò sui suoi
passi e
bussò alla sua porta.
“Abbiamo un
discorso in sospeso” , esordì Harm, quando lei
gli aprì.
“Abbiamo
cosa? Harm hai bevuto per caso?”
Non diede
segno d’averla ascoltata ed entrò.
“Sono stanca,
Harm. Per favore mi vuoi dire cosa c’è di
tanto importante da parlarne proprio ora?”
“Te l’ho
appena detto: abbiamo un discorso in sospeso.”
Mac sospirò,
appoggiandosi alla porta chiusa: “L’Inghilterra
deve averti dato alla tesa, oppure la promozione… o è stato il racconto
di Lord
Montagu?”.
“Dobbiamo
parlare.”
“E di cosa?
Non abbiamo più nulla da dirci. Ci sono state
le occasioni giuste per farlo ma non sono mai state sfruttate… ora non
puoi
pretendere di ‘parlare’ solo perchè non ti va giù l’idea che mi sposi
con Clay…”
Harm le si
avvicinò. Era talmente bella con addosso solo
quella vestaglia di seta color panna!
Le sfiorò la
guancia con una carezza: “Sei talmente
bella…” mormorò.
“Harm, per
favore, cerca di essere ragionevole. Sto per
sposarmi, mi sono impegnata ad amare e rispettare un solo uomo, e
quell’uomo
non sei tu” disse Mac quasi in una supplica portando la mano sinistra
davanti
al viso affinché lui potesse vedere l’anello.
Egli intuì il
significato di quel gesto e, per un attimo,
si riebbe. Ma fu solo un attimo, appunto. Posò lo sguardo sulle labbra
di lei e
ne immaginò il gusto e la morbidezza. Vide il suo petto alzarsi ed
abbassarsi
al ritmo del respiro ed immaginò di far scorrere le sue mani su quella
pelle di
seta.
Nella
penombra creata dalla sola abat-jour posata sul
comodino, Mac stava combattendo la battaglia più dura della sua avita.
L’uomo che
aveva sempre voluto, l’unico che avesse mai
amato con tutto l’ardore di cui era capace, il solo di cui si fidasse e
che non
le aveva mai mentito era lì davanti a lei con un’espressione tale sul
viso
quale non gli aveva mai visto.
Lesse in
quegli occhi il desiderio di lei e ne ebbe paura,
lesse l’amore e ne fu terrorizzata.
Era troppo
tardi ormai. Aveva preso un impegno ed
intendeva onorarlo fino in fondo, aveva deciso che con Harm proprio non
era
possibile costruire un futuro ed ora… ora lui stava rovinando tutto
come al
solito arrivando all’ultimo minuto, provò rabbia e gli occhi le si
riempirono
di lacrime. Non poteva arrogarsi il diritto di trattarla in quel modo
solo
perché era geloso, solo perché non poteva averla.
“Cosa vuoi da
me?” domandò cercando di appiattirsi contro
la porta di robusta quercia inglese, come se volesse divenire tutt’uno
con essa.
“Perché non mi lasci andare? Perché non accetti la realtà e..”
Fu
interrotta: “Perché non posso fare a meno di te”
prendendola per le spalle e avvicinandola a sé.
Percepì il
calore del suo corpo, sentì i suoi muscoli
sotto di sé, le parve quasi di vedere la sua anima che disperatamente
cercava
di trovare le parole giuste, quelle che aveva sempre sognato di
sentirsi dire
sin dal loro primo incontro. E si abbarbicò a lui, mentre sentimenti
che
sperava di aver dimenticato tornarono ad invaderla, privandola d’ogni
forza di
volontà.
Si lasciò
andare alla corrente, senza scampo.
Harm avvertì
il suo cambiamento e la strinse a sé ancora
più forte, staccandola dalla porta alla quale Sarah sì era incollata,
impaurita
e spiazzata.
La sentì
contro di sé mentre si lasciava andare e il suo
corpo rilasciava tutta la tensione accumulata.
Erano due
anime erranti che si erano ritrovate dopo un
lungo viaggio, due pellegrini che avevano raggiunto un traguardo,
ancorché la
strada da percorrere fosse ancora lunga.
Harm respirò
il suo profumo, respirò la sua paura e il suo
desiderio.
Mac alzò il
viso verso di lui, lo fissò intensamente
vedendolo per quello che era e cogliendo una sfumatura di disperazione
in
quello che stava facendo: non era gelosia, la sua, non era indispettito
perché
stava per sposare una persona che lui non poteva soffrire. Harm
l’amava. Sul
serio. E se avesse compreso che lei davvero voleva unirsi per la vita
con Webb,
l’avrebbe lasciata andare. Perché l’amava e l’amore fa fare sacrifici
per la
felicità di chi si ama. Piuttosto che renderla lui stesso infelice
l’avrebbe
lasciata ad un altro.
Egli la
teneva stretta, le sue mani si erano spostate
sulla vita e Sarah avvertiva il contatto attraverso la sottile stoffa
della
vestaglia. Le sembrava che in quel preciso punto del suo corpo la pelle
si
fosse improvvisamente ustionata.
Quella
sensazione l’aveva mai provata fra le braccia del
suo futuro marito? Quel misto di caldo e freddo, paura, desiderio e
aspettativa,
le aveva mai conosciute quando Clay l’abbracciava o la baciava?
“No” rispose
a se stessa.
E la corazza
si sbriciolò definitivamente lasciando che i
sentimenti repressi fluissero liberamente.
Si baciarono
e Mac provò un brivido così intenso da farla
tremare, ma non si staccò. Anzi insistette in quel bacio, quasi volesse
dirgli
tutto ciò che non riusciva a comunicare a parole.
Inconsapevolmente
si diressero verso il letto, ma a poca
distanza Harm si fermò, sciogliendosi dall’abbraccio e dal bacio.
“Sarebbe un
errore” disse carezzandole il volto nel suo
solito gesto.
Con una punta
di cinismo lei si chiese se facesse la
stessa cosa anche con Belinda. Ma sapeva che non era così, quel gesto,
quell’espressione erano riservati a lei sola.
“Perché?”
chiese persa ancora nel suo bacio, con il sapore
delle sue labbra in bocca.
“Perché è
l’emozione del momento. Potremmo pentircene.”
“Mister
razionalità” ironizzò sedendosi sul letto. Per un
attimo le era sembrato che i suoi sogni più sfrenati stessero per
avverarsi, e
ora si dava dell’imbecille per avergli permesso di giungere a tanto. Ma
un moto
di ribellione la indusse ad esigere ciò che agognava da tempo. Si
sentiva come
se avesse superato una linea immaginaria di non ritorno. Non poteva, e
non
voleva, tornare indietro.
“Non puoi
decidere razionalmente certe cose Harm” lo
rimproverò.
Lui le si
sedette accanto: “Mi costa farlo Sarah. Vorrei
averti ora, vorrei averti per sempre, ma…”.
Lei non gli
diede il tempo di portare a termine la frase.
Assetata di
lui come un vampiro gli saltò addosso
baciandolo con forza e costringendolo a togliersi gli indumenti.
Con pochi
gesti veloci si liberò di tutto ciò che aveva
indosso, per la verità molto poco, mentre il fuoco del desiderio troppo
a lungo
represso esplodeva in lei come un’atomica.
Lo possedette
come una furia, come a volersi vendicare di
quell’attesa così lunga, come per affermare il suo diritto di
appropriarsi di quell’essere
umano che stava sotto di lei e si muoveva a sincrono dapprima
lentamente, poi
sempre più veloce fino a quando la terra intera non scomparve e
rimasero solo
loro due, i cuori uniti in un solo battito, i respiri ansanti e i corpi
spossati.
Nell’attimo
del sublime aprì gli occhi e lo guardò, e ciò
che vide la fece sentire un tutt’uno con lui le fece capire che le
affinità
elettive non si possono spezzare.
Si accasciò
sopra di lui, esausta, senza fiato e
completamente svuotata.
“Credo che il
mio matrimonio debba essere annullato”
mormorò prima di crollare addormentata.
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
14
maggio 1858
“Da quanto lo
sai?”
Erano ancora
a letto, dopo aver fatto
nuovamente l’amore. André la teneva tra le braccia, senza smettere di
accarezzarle la schiena. Lei aveva la testa posata sul suo petto e con
una mano
gli sfiorava i muscoli delle braccia e del torace.
Entrambi
amavano concedersi quei momenti di
dolcezza e di intimità, che seguivano alla passione più sfrenata e
all’intensità del loro desiderarsi.
“Dal mio
rientro da Londra. L’altro giorno ti
ho sentito parlare con tuo zio e ho deciso che dovevo sapere cos’altro
mi
nascondevi. Quello che avevo sentito, unito alle sensazioni che avevo
sempre
provato con Lord Nicholas Thornton, mi aveva aperto finalmente gli
occhi e il
cuore, ma volevo essere completamente certa del mio sospetto. Ho
consultato
l’Almanacco del Gotha e non ho avuto bisogno d’indagare oltre. Era
tutto lì,
nel nome per intero dell’erede di Sua Grazia: André François Nicholas,
Conte D’Harmòn
e futuro duca di Lyndham. Nulla da dire, un ottimo partito! Ben due
titoli per
un solo uomo.”
Lui sorrise:
“E’ quello che ho sempre pensato
anch’io. Un po’ troppo, per una sola persona”.
“Porti
entrambi i nomi di tuo zio… e io che
credevo che fosse solo Nicholas ad unirvi…”
“André era
anche il nome del mio bisnonno
paterno. Nicholas, invece, è stato aggiunto proprio per mio zio.
François per
S. Francesco, un santo cui mia nonna paterna era particolarmente
devota. Da mio
zio ho preso in prestito provvisoriamente e in anticipo il cognome,
mentre il titolo
di Lord mi spetta di diritto già da ora, come suo successore… è una
faccenda
abbastanza complicata essere erede di due titoli nobiliari e per di più
in due
paesi diversi.” [1]
“Oh,
lo immagino! Quello che non immaginavo,
però, era che fossi un così bravo attore. E sei molto abile anche a
camuffare
la tua voce e il tuo adorabile accento francese!”
“Mi
è sempre venuto facile. Da ragazzino facevo
ridere tutti. Ma per l’accento… è stato mio zio a pretendere che
frequentassi
le migliori scuole in Inghilterra, per diventare un vero lord inglese e
degno
successore al titolo di Duca. Pur rispettando moltissimo mio padre, Sua
Grazia
ritiene che il sangue francese sia un po’ troppo… passionale per i suoi
gusti.
O meglio, per ciò che richiederebbe l’aplomb tipicamente british della
nobiltà
inglese.”
“Ottima
idea anche la barba folta e la benda da
pirata all’occhio…”
“Non
volevo che mi riconoscessi subito e che
fuggissi prima d’aver avuto il tempo di aiutarti.”
“Eri
davvero convinto che sarei fuggita?”
“Lo
avevi già fatto una volta.”
Percepì
la tensione del suo corpo mentre
ricordava quei momenti.
“Lo
so, hai ragione. E mi dispiace tanto. Non
saprai mai quanto ho sofferto da quando presi quella decisione…” disse
lei,
stringendosi maggiormente a lui.
“Ti
ho odiato, sai? Quando ho capito che te
n’eri andata, per un attimo ti ho odiato.”
“Ti
avrei odiato anch’io… e non sai quanto ho
odiato me stessa.”
“Poi
ho letto il tuo messaggio e ho sentito il
cuore andarmi in mille pezzi…”
“André…”
poteva sentire ancora la sofferenza
che lo aveva devastato allora. “André, perdonami.”
“L’ho
già fatto, tanto tempo fa. Mi sono
accorto d’averti perdonato nell’istante in cui mi dissi che ti sarei
venuto a
cercare non appena fossi riuscito a tornare in Inghilterra.”
“Ed
è quello che hai fatto.”
“Sì,
ma non presto quanto avrei voluto. E non
in tempo per trovarti, purtroppo. Quando giunsi a Beaulieu tua madre mi
disse
che eri ripartita da poco.”
“Hai
conosciuto mia madre?” chiese sollevandosi
su un gomito ad osservarlo.
“Sì.
Fu lei a raccontarmi tutta la storia. Non
appena le dissi chi ero, capì tutto quanto. Allora mi chiese come mai
avessi
aspettato tanto a tornare, se ero innamorato di te. Risposi che ero
appena
sbarcato, di ritorno dall’America, e che ero venuto subito
nell’Hampshire, prima
ancora di tornare in Francia dai miei genitori; se non ero rientrato in
Europa
immediatamente, appena arrivato in America, fu perché per oltre un mese
ero
stato tra la vita e la morte…”
“Che
cosa ti è successo?” domandò lei,
preoccupata.
“Durante
una tempesta in mare mi ammalai di
polmonite. Fui sbarcato incosciente, con la febbre altissima.
L’Ammiraglio
Blackbird diede ordine che mi portassero presso una piccola comunità
religiosa,
dove rimasi per oltre tre mesi. Non appena fui in grado di viaggiare,
tornai in
Europa. Purtroppo nel frattempo la Medea era già ripartita
e non riuscii a recuperare nulla,
neppure il mio diario, che fu lasciato assieme ad alcuni altri miei
effetti
personali sulla nave dai marinai che mi portarono a terra. Chissà dove
sarà
finito, ormai… ”
“L’avrà
trovato l’Ammiraglio?”
“Forse.
O forse sarà andato perduto…”
“Tenevi
molto a quel diario, non è vero?”
“Li
ho tutti conservati, da quando iniziai a
scriverli all’età di sette anni. Quello perduto era il più importante…
c’era la
nostra storia. E c’erano le tue parole…”
“Tu
sei ancora vivo. E’ solo questo che importa.
Ora stai bene, non è vero?”
“Sì,
sto bene.”
“Mi
sono domandata come mai fossi diventato più
magro…”
“Il
medico di mio zio ha detto che è già una
fortuna se sono ancora vivo, con quello che ho avuto, e che devo
ringraziare la
mia tempra robusta e la mia buona stella. Con dell’altro po’ di tempo,
cibo,
riposo e dell’esercizio fisico, nonché una vita tranquilla – e io
aggiungerei
le attenzioni di una moglie innamorata – riacquisterò poco alla volta
il peso
di prima.”
“Avrei
potuto perderti per sempre…”, mormorò
con le lacrime agli occhi.
Lui
gliele asciugò con un tenero gesto della
mano.
“La
mia malattia non fu colpa tua.”
“Ma
se non ti avessi mandato in America pur di
allontanarti da me…”
“Nessuno
può sapere se non sarebbe successo
comunque. E poi sono stato curato bene. Il dottore dice che non è
rimasto
alcuno strascico… Devo solo avere pazienza e seguire i suoi consigli.
Ancora
pochi mesi e tornerò come prima.”
“Ti
vizierò e ti nutrirò personalmente!” disse
lei, finalmente un po’ più serena nel costatare che lui non le portava
rancore
e tranquillizzata dalle sue parole riguardo la sua salute.
“Stai
tranquilla. Ho già ripreso parte del peso
perduto. E non vorrai, per caso, che diventi grasso come Lord
Stevenson, vero?”
disse con un sorriso per metà divertito e per l’altra terrificato
all’idea di
diventare tale e quale ad uno dei nobili più in carne di tutta
l’Inghilterra.
“Dirò
a Martha, la cuoca, che ti prepari il
cibo più saporito e sostanzioso! Proprio l’altro giorno mi ha detto che
Lord
Thornton tocca poco o nulla ai pasti ed era preoccupata…” poi,
abbassando la
voce, quasi gli raccontasse un segreto importante che lui solo doveva
sapere,
aggiunse maliziosa:
”Credo
che si sia un po’ innamorata di te… Ah,
come non capirla!”
“Ma
avrà quasi sessant’anni!” disse lui,
divertito.
“E
che c’entra? E’ una donna anche lei!”
rispose pronta.
“Mi
stai dicendo che qualunque donna si
innamorerebbe di Lord Nicholas Thornton? Qualunque donna tranne Lady
Sarah Jane
Montagu, a quanto sembrava!” la stuzzicò lui.
“Io
non faccio testo: ero pazzamente innamorata
di un bellissimo Conte francese…”
“Ah,
lo ERI?”
“Lo
ero, lo sono, lo sarò per sempre” rispose
lei, baciandolo sulle labbra, prima di aggiungere: “E poi Lord Thornton
era
davvero impossibile con me…”.
“Lo
sono stato davvero?”
“Un
po’ sì. Soprattutto quando mi hai detto in
faccia la verità.”
“Mi
dispiace…” cercò di scusarsi lui, ma lei
gli posò un dito sulle labbra, facendolo tacere.
“Avevi
ragione. Non devi scusarti.”
“Tornando
a Martha”, riprese lui, “rassicurala
che non si tratta della sua cucina, che è eccellente. E’ che non mi
piace
mangiare solo.”
“Non
sarai più solo, amore. Non ti lascerò mai
più”, lo tranquillizzò lei, baciandolo dolcemente, e non si riferiva
soltanto
ai pasti.
Il
corpo di lui reagì all’istante, ma lei, in
quel momento, voleva conoscere tutta la storia.
André
protestò con un mormorio di
disapprovazione, quando sentì che tentava di fermare le sue mani che la
stavano
nuovamente cercando.
“Sei
insaziabile, ma non di cibo!” lo
rimproverò, allegra.
“Mhmm…
ma non ho bisogno solo di cibo! Ho
bisogno anche di riposo – e quindi stare a letto mi fa bene…” disse
mentre si
metteva supino e la trascinava sopra di sé, “… e di esercizio fisico.
Tanto
esercizio fisico…” aggiunse, prima di baciarla e ricominciare ad
eccitarla,
come solo lui sapeva fare. Poi, guardandola negli occhi, mentre si
rendeva
conto che stava per capitolare, le sussurrò all’orecchio, aumentandole
i
brividi che già provava: “In questo modo uniamo l’utile al
dilettevole…”.
“Sei
terribile…” ma aveva già capito d’aver
perso la battaglia.
“E
non è proprio questo ciò che più ti piace in
me?” le disse, poco prima di farla nuovamente sua.
“Mi
piace tutto, di te…” sospirò, mentre lo
sentiva entrare in lei dolce e possessivo, “anche quando la mia mente e
il mio
cuore non ti avevano ancora riconosciuto, il mio corpo lo aveva già
fatto, fin
dall’inizio…”
“Per
questo scappasti da Lord Thornton, la
prima sera, quando ci incontrammo al ballo in maschera?” chiese lui,
lasciando
scorrere le mani nei suoi lunghi capelli, che ricadevano morbidi sul
suo torace.
Era
strano fare l’amore rispondendo alle sue
domande. Ma André sapeva eccitarla anche in quel modo.
“Sì.
E tu sapevi che ero io, vero?” chiese a
sua volta, mentre si lasciava andare al desiderio che provava per lui.
“Ero
lì per incontrarti. Sapevo che ci saresti
stata…” rispose lui, le mani che le stringevano i fianchi a trattenerla
sopra
di sé.
“Eri
meravigliosa con quell’abito rosso fuoco…”,
mormorò al suo orecchio, facendola impazzire, “così seducente e
intrigante… e
io morivo dalla voglia di levartelo…”
Come
ci riusciva? Come riusciva far l’amore con
lei anche con le parole?
“Mi
devi ancora un ballo, con indosso quell’abito…”
aggiunse, prima di perdere definitivamente il controllo, rovesciarla
sul letto
e portarla con sé in paradiso.
Fine
Dedica
Questa
fanfic è
dedicata a Mr.Smith.
E’ un grazie
personalissimo per averci regalato dieci anni di sogni, per averci
fatto scoprire
una vena creativa che non sapevamo di possedere, per averci fatto venir
voglia
di innamorarci di nuovo e per aver reso possibile conoscere tante
persone che
non avremmo mai incontrato se non avessimo visto JAG e non ci fossimo
“innamorate” di lui e dei suoi fantastici occhi.
Dedicata a David: il
classico tipo d’uomo che, quando lo incontri per la strada, ti fa
voltare e
rimanere ferma ad osservarlo fino a quando non scompare dalla tua vista.
Questa
fanfic è
dedicata anche al personaggio di Harmon Rabb jr., eroe gentile ed affascinante, dal cuore
nobile e dal sorriso
splendido.
Di te, Harm, non ne
abbiamo mai abbastanza e, pur di far brillare la tua stella
all’infinito, siamo
riuscite a farti rivivere persino attraverso i secoli.
Grazie per avercelo
permesso, ispirandoci con ciò che mostri, i tuoi silenzi, i tuoi dubbi
e le tue
esitazioni, ma anche con tutto quello che ci hai sempre lasciato
immaginare,
sebbene abilmente rinchiuso nel tuo cuore.
Infine
questa fanfic è
dedicata anche ai personaggi che abbiamo inventato, dai quali abbiamo
fatto
enorme fatica separarci.
Lady Sarah Jane
Montagu e il Conte André François D’Harmòn sono frutto della nostra
fantasia,
ma non per questo
meno “vissuti” o da
noi meno amati di Harm e Mac.
Inventare
un personaggio,
lo abbiamo scoperto e sperimentato sulla nostra pelle, è una faccenda
seria:
diventa parte di te, al punto da immaginartelo quasi reale. Non si
tratta più
solo di far rivivere certi personaggi, restando fedeli a precise
caratteristiche delineate da altri. Si tratta di inventarsi la
personalità e il
back-ground del personaggio ex-novo, “creandolo” in tutto e per tutto
nella
propria mente. E farlo, rendendolo sempre coerente a se stesso, pur
lavorando
in coppia, credeteci non è cosa facile. Ognuna di noi due ha, nella
propria
mente, una sua immagine ben precisa di André e Sarah Jane…
Tuttavia
Lady Sarah e
André D’Harmòn sono due personaggi talmente speciali, al punto che sono
riusciti a prendere il sopravvento sulle loro creatrici e hanno
iniziato a
vivere di vita propria, regalandoci (e speriamo regalandole anche a
voi)
emozioni meravigliose.
Ma,
soprattutto, il
dono più grande che ci hanno fatto, è stato permetterci di vivere
questa
fantastica esperienza assieme.
Mac & Alex
Disclaimers :
Il marchio JAG e tutti
i suoi personaggi appartengono alla
BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno
scopo
di lucro.
Qualunque
riferimento a fatti o persone, che non siano
avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.
I
contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge
633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.
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