The beginning of my real life.

di Like_a_Skyscraper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi nombre es Fer. ***
Capitolo 2: *** Carpe Diem. ***



Capitolo 1
*** Mi nombre es Fer. ***


I Capitolo.
Mi nombre es Fer.

Non avevo mai immaginato, prima di allora, il mio futuro. Non avevo minimamente pensato  a cosa sarei andato incontro dopo aver appena cominciato il mio terzo anno al liceo Zurbaràn: il più prestigioso liceo di Madrid i cui lunghi corridoi si biforcavano in ogni direzione e conducevano alle infinite aule illuminante, la maggior parte delle volte, dalla luce del Sole, a volte debole e tenue nelle giornate d’Inverno, altre volte potente e calda, come nelle giornate d’Estate dove tutto cominciava di nuovo a riprendere vita, come un ciclo che si ripeteva all’infinito. Tuttavia c’erano giornate nelle quali la luce flebile del Sole era offuscata, completamente coperta da stormi di nuvole nere che si addensavano compatte in quel timido cielo che si intravedeva a malapena. Immaginavo spesso che il Sole, in quelle giornate, si sforzasse a combattere le tenebre, si sforzasse a risplendere, con i suoi raggi, in tutta la sua unica bellezza e spesso io mi immaginavo come uno di quei meravigliosi raggi che doveva combattere per splendere nel bel mezzo del cosmo, doveva mettere tutte le sue forze e concentrarsi al massimo per farsi notare, anche solamente da un occhio umano, ma doveva brillare.
Mi trovavo lì, davanti a quell’enorme cancello di un color nero metallico con le punte arrugginite per via delle frequenti piogge passeggere che rovinavano a volte l’intera giornata. Guardavo con uno sguardo ricco di meraviglia quell’ampio cortile messo a nuovo dal dirigente scolastico: era completamente diverso dall’anno precedente. Al centro del cortile era stata infatti posizionata una grande aiuola coperta di fiori ed erbetta che spuntava un po’ da ogni parte. Al centro dell’aiuola invece, si alzava, quasi come una torre di un castello fiabesco, un alto albero di quercia che stava iniziando a far mutare il colore delle foglie che erano appese ai suoi lunghi rami. Si intravedevano infatti delle venature rossastre che percorrevano per intero la maggior parte delle foglie verdi e brillanti ricoperte, tuttavia, dalla fresca rugiada mattutina.   
Il piazzale, dal suo canto, era completamente asfaltato e pulito ma ancora per poco, anzi per altri 15 minuti esatti.
Mi trovavo lì davanti da un bel po’ di tempo pronto per iniziare un nuovo e faticoso anno scolastico che forse mi avrebbe cambiato del tutto la vita, o probabilmente, era soltanto la mia stupida immaginazione e la speranza che qualcosa avrebbe cambiato radicalmente la mia esistenza.  Ero un sognatore, non c’erano dubbi, ero un ragazzo con la testa persa chi sa dove nel mondo delle fiabe, circondato dalle nuvole e magari da sogni irrealizzabili e lontani mille anni luce da me.
Non chiedetemi la ragione per la quale io ero arrivato davanti al mio liceo mezz’ora prima del dovuto, forse perché non volevo arrivare in ritardo proprio nel mio primo giorno di scuola, visto che ero un grande ritardatario ma avevo già programmato il tutto una settimana prima: vestiti,scarpe,libri da portare,sorriso finto da sfoggiare con i miei compagni di classe.
Già, l’ultimo punto era quello da prendere di più in considerazione. Sognavo molto spesso, sì, ma la maggior parte delle volte ricevevo tante di quelle insoddisfazioni e delusioni che ormai il mio sorriso, quello che esprimeva davvero la mia felicità, si era ormai mutato da anni in un finto sorriso forzato, stracolmo di insicurezze e paure.
-Fer?!
Le mie riflessioni davanti a quel possente cancello di ferro vennero turbate dalla voce squillante di una ragazza che intanto aveva chiamato ad alta voce il mio nome, anzi, l’abbreviazione del mio nome. E’vero, scusate, non mi sono ancora presentato; che ragazzo maleducato ma rimedierò subito. Sono Fernando Redondo Ruano, più comunemente chiamato dai miei amici, Fer.
Mi voltai di scatto tenendo il mio zaino violaceo a tracolla sulla mia spalla destra cercando di riconoscere quella ragazza che precedentemente mi aveva chiamato e che adesso si stava avvicinando sempre di più a me. Come potevo non riconoscere quel timbro di voce così allegro? Non potevo. Avrei riconosciuto il tono squillante di quella voce tra altre mille in una stanza completamente affollata da sconosciuti: era Yoli, la mia migliore amica, la mia compagna d’avventure, per così dire la anima gemella con la quale passavo ogni momento, bello o brutto,insieme.  Con lei mi confidavo la maggior parte delle volte, lei sapeva tutto sul mio conto, sulla mia vita, tranne un piccolo ma grande particolare che in fin dei conti avevo tenuto nascosto a tutti, di cui solo io ne ero a conoscenza e che voi però, saprete più in là.
-Oh. Mio. Dio. Yoli!
Esclamai scandendo quelle quattro  e semplici parole con ordine per poi gettarmi tra le sue braccia aperte senza tener conto delle poche persone, tra cui alcuni studenti dello Zurbaràn, che stavano nei dintorni.
-Ehy chico! Piano con gli abbracci o finirà che mi rovinerai il trucco. Ho impiegato un’ora e mezza a truccarmi e devo durare fino alla fine delle lezioni. Intesi?
Era sempre la solita ragazza che avevo conosciuto tempo fa e che tempo fa mi aveva completamente stravolto la vita con la sua effervescente pazzia. In qualche modo però, con quella sua frase diretta, mi fece scappare un piccolo sorriso seguito poi da una leggera risata. Era sempre stata capace di farmi sorridere, forse era quello il motivo reale per cui l’adoravo, sebbene avesse molti difetti.
-Va bene mia principessa, non l’abbraccerò mai più in questo modo, lo giuro!
Promisi davanti a lei mettendomi una mano sul cuore, come se fosse uno dei quegli antichi giuramenti inviolabili e punibili addirittura con la morte. Le sorrisi nuovamente alzando il sopracciglio destro per poi sentirmi spinto da lei con la sua stessa mano.
-Ma piantala Fernando Redondo Ruano. Sii serio.
-Allora, mia cara Yolanda-  questo era infatti il suo nome di battesimo –sei pronta per un nuovo ed estenuante anno scolastico?
-Ma quale pronta?! Io sto già nella merda e ancora non sono iniziate le lezioni, pensa te!
Yoli, rivelava sempre, in ogni sua parola qualche sprazzo di umorismo e a volte anche di volgarità; era il suo carattere dopotutto.
-Beh, ti consiglio di iniziare a studiare seriamente visto che mancano pochissimi minuti prima che questo stramaledetto cancello si apra definitivamente.
Il tempo era voltato quasi magicamente parlando con Yoli e ormai una folla di studenti era tutta rivolta verso il cancello ad aspettare che si aprisse. Alcuni, soprattutto dei ragazzi, si lamentavano, altri sbuffano, altri ancora sembrava che stessero dormendo ancora, magari immaginando di essere nei propri letti sotto le calde e soffici coperte. Mi voltavo da ogni parte e vedevo ragazze che salutavano le proprie amiche con baci sulla guancia o anche con abbracci affettuosi, sentivo dire “Ma quanto sei diventata alta e magra.”  Cosa diavolo hai combinato durante l’Estate” oppure “Dove ti sei cacciata? Non ti ho visto più in giro..”
Insomma, tutto in quel momento era in un grande stato confusionale.
-Yoli, mi sta salendo l’ansia!- come tutti gli anni scolastici dopotutto –Devo stare calmo, okay? Fer, fai un respiro profondo che andrà tutto bene -
Dissi ad alta voce davanti alla mia migliore amica che invano cercava di calmarmi facendomi aria con la propria mano fino a quando l’agitazione crebbe maggiormente al suono stridulo di quella campanella che tanto avevo odiato nei due anni precedenti.
-Avanti Fer, andiamo, muoviti! Su, forza, sbrigati!
La ragazza mi prese per il braccio fortemente facendosi spazio tra quell’immensa folla, dando spintoni e gomitate ad ognuno che le ostacolava la via come se avesse paura di entrare in ritardo.
-Yoli! Non c’è nessuna fretta di entrare, anzi, salvami da quest’agonia! Ti prego.
Intanto la ragazza che spingeva per farsi avanti fece cenno di no con la testa per farmi capire che saremmo entrati nell’atrio del liceo da un momento all’altro ed io, dovetti azzittirmi e sospirare sperando, inutilmente, che qualcuno mi sarebbe venuto a salvare.
Dopo pochi minuti dal suono della campanella e dall’apertura del cancello da parte dei bidelli, sentì la presa di Yoli allentarsi ogni secondo di più fino a lasciare il mio braccio libero del tutto. La vidi poi scomparire ad un tratto lasciandomi solo in mezzo a quel brulichio di studenti per poi vederla baciarsi amorosamente con un ragazzo, a me sconosciuto, contro una parete dell’edificio. Capì allora il vero motivo della sua fretta e della sua impazienza di entrare a scuola. Lei infatti odiava la scuola. Andava discretamente bene in tutte le materie ma non si applicava per niente, non voleva raggiungere mai il massimo dei voti, si accontentava infatti di un semplice sei ma a quanto pare i ragazzi erano il suo punto debole, in ogni circostanza, tanto da farsi soprannominare da tutti con un appellativo non molto carino.
Scossi la testa voltandomi poi verso la vetrina della porta d’entrata sospirando e vedendo entrare gli ultimi studenti che sarebbero venuti quella mattina. Puntavo il mio sguardo al di là di quel cancello che avrei superato soltanto dopo l’una e dieci, quando le lezioni sarebbero finalmente terminate ma per il momento dovetti farmi forza ed affrontare con successo la prima di quelle tremende e infinte giornate che avrei dovuto passare tra quattro mura di un’aula dall’aria irrespirabile.
“Avanti Fer. Che lo show abbia inizio!” Continuai a ripetere questa frase nella mia testa per farmi coraggio e poi mi avviai, con passo lento e indeciso, verso la mia classe; una delle innumerevoli che tempestavano i corridoi di quell’enorme edificio dove tutto sarebbe iniziato, dove finalmente la mia vita avrebbe preso una svolta significativa.

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Capitolo 2
*** Carpe Diem. ***


II Capitolo.
Carpe Diem.

Avevo parlato precedentemente di svolte significative nella mia vita una volta superato quel cancello nero e arrugginito dello Zurabaràn ,giusto? Ebbene, quello sarebbe stato solamente l’inizio di un lungo cammino che avrei dovuto affrontare non da solo, per mia fortuna, ma con affianco persone di cui mi fidavo ciecamente, persone che mi avrebbero supportato, aiutato in qualsiasi mio momento e che inoltre avrebbero accettato le mie decisioni, qualunque esse fossero state. Credevo che quella grande ed imperdibile opportunità, che mi era stata concessa, fosse solamente un frutto della mia grande ed infinita immaginazione. Ero talmente un sognatore perso nelle proprie immaginazione e fantasie che facevo fatica a credere di aver quella lettera dallo stemma blu tra le mie mani. Quella lettera che avevo aspettato per davvero molto tempo. Quella lettera che forse non sarebbe mai arrivata da me, che forse si sarebbe persa,  inviata per sbaglio a qualcun altro o peggio ancora, che forse non avrebbero mai spedito. Ma quello o era uno stupendo sogno, dal quale non avrei voluto assolutamente svegliarmi, o semplicemente era la realtà. 
Ma andiamo con ordine, tornando alla mia prima giornata scolastica in quell’affollato liceo di Madrid.
-CARPE DIEM!- risuonarono allora quelle due sole parole tra le quattro mura della mia aula formata da ben 21 banchetti singoli suddivisi in tre file: una che si affacciava alla finestra la quale dava al giardino, l’altra che si trovava nel bel mezzo della classe e l’ultima era attaccata alla parete. Io mi trovavo seduto al terzo banchetto della prima fila, ovviamente. Molto spesso infatti mi distraevo voltando lo sguardo fuori da quella finestra che dava sul giardino ricco di alberi non molto alti ma ancora completamente rivestiti di foglie rossastre e giallastre che, quando soffiava appena quel vento autunnale, si muovevano insieme verso un’unica direzione come se fossero cullate da una dolce melodia e come se stessero ballando un ballo di corte. Quelle poche volte che succedeva, era davvero uno spettacolo della natura che puntualmente non perdevo.
-Qualcuno sa per caso spiegarmi la filosofia del Carpe Diem del poeta latino Orazio?
La prima giornata di quel terzo anno stava infatti cominciando con due pesanti ore di filosofia della professoressa Irene, Irene Calvo che si domandava, anzi, ci domandava cose significasse quella famosa frase latina che tutti, nel bene o nel male, conoscevano. Quella professoressa alta, dalla carnagione bianca come il latte e dai capelli corti e scuri che le sfioravano a mala pena le spalle, stava passeggiando nel bel mezzo della classe con un piccolo libricino in mano dalla copertina nera che spesso apriva, ne leggeva appena tre righe e poi richiudeva velocemente, tenendo il segno con il dito indice della sua mano destra, continuando a passeggiare per i nostri banchi e aspettando una qualche risposta soddisfacente alla sua domanda.
-Carpe? Io preferisco le vongole prof!
Da chi sarebbe potuta uscire quella stupida battuta? Ovviamente dalla bocca di quell’ignorante ragazzo che si trovava nella fila di mezzo, all’ultimo banco, di nome Gorka. Avevo già passato due anni in classe con quella specie di energumeno dai capelli completamente neri e schizzati da ogni parte. Era un tipo del tutto disinteressato all’apprendimento e allo studio e la maggior parte delle volte non riuscivo a capire perché stesse ancora lì, nella classe, solo per riscaldare la propria sedia e per farsi vedere come il pagliaccio dell’intera classe. Infatti, a quella sua battutina squallida e, a dirla tutta, pessima, subito nell’intera aula scoppiò, come un boato generato dal suono di un cannone, una fragorosa risata che rimbombò per tutta la stanza.
-Gorka, vedo che sei in vena di scherzare stamattina eh. Mi fa piacere, così almeno durante la tua prossima interrogazione farai ridere un po’ anche me dal momento che sei così bravo a fare delle battute.
Rispose così, con un tono ironico, la professoressa che aveva tenuto nascosto per molto tempo la sua relazione con uno studente della nostra classe, o meglio, un vecchio studente della nostra classe: Isaac, morto purtroppo un anno prima, in seguito ad un pericoloso incidente in quad durante una gita di classe. Il ragazzo, con la sua morte, lasciò sua madre Loli, sua sorella Paula, Irene e Yoli, che nel frattempo si erano innamorate di lui, nella più cupa disperazione.
Il ragazzo dall’atteggiamento ribelle sbuffò ascoltando le parole di Irene per poi tornare ad inviare  messaggi, di nascosto, con il proprio cellulare alla sua fidanzata, Ruth Quintana, una ragazza alta e bionda, dal corpo esile e dagli occhi color nocciola, intenta a specchiarsi con lo schermo del cellulare mentre giocava con il chewingum.
-Allora?- continuò la professoressa che intanto si era seduta sulla cattedra a gambe accavallate, come faceva la maggior parte delle volte –Vedo che le vacanze estive vi hanno fatto un brutto effetto! -
Sì, da una parte Irene aveva completamente ragione: il mare, il Sole, il caldo, la fine della scuola, le serate di divertimento con gli amici avevano soppiantato gli studi e i compiti che ci avevano assegnati per le vacanze e che puntualmente si erano volatilizzati, quasi del tutto formattati dalle nostre menti, o meglio, dalle menti della maggior parte degli studenti. Sorrisi ripensando alle parole della professoressa ( legate alla mia Estate ) che in seguito continuò a spiegare anche se non le diedi molta attenzione perché ormai la mia mente non era più in quella classe, non era più seduta su una fredda sedia di legno ad ascoltare discorsi interminabili, anzi al contrario, la mia mente si ritrovava fuori da quella finestra dal vetro sporco, in un tempo e in uno spazio passato: stavo rivivendo i momenti indimenticabili della mia Estate che però non starò qui ad elencare per non farvi annoiare. Semplicemente, in quel momento, viaggiavo. Viaggiavo ripercorrendo il mio passato, tornando con i piedi sulla chiara e pulita sabbia di una spiaggia non molto affollata, dove il mare, dall’acqua limpida e cristallina, si infrangeva dolcemente sugli scogli. Era lì dove avevo passato l’Estate più bella della mia vita, divertendomi dalla mattina alla sera, non pensando a nulla e non avendo alcuna preoccupazione per la testa. C’ero solo io, me stesso ed il mare: un posto dove potermi concentrare,stare in pace e in serenità.
Eppure, quei miei ricordi vennero turbati, quasi distrutti in mille pezzi dal suono potente della campanella che segnava la fine della seconda ora. Pensando all’Estate, le due ore di Irene volarono in un batter d’occhio e non ci feci neanche caso.
-Bene ragazzi, per rinfrescarvi le idee a casa farete un tema sulla filosofia del Carpe Diem che porterete per la prossima lezione così ne riparleremo approfonditamente in classe. Mi raccomando, studiate visto che le vacanze sono finite. – e fu così che, dopo aver fatto un lieve sorriso, la mia professoressa preferita prese la sua borsa ed uscì poi dalla classe aspettando il cambio con il prossimo professore che sarebbe stato Rocco, il professore “svitato” di Arte.
Finalmente, dopo ben cinque ore struggenti di lezioni, la campanella dell’una e dieci si fece sentire e dopo aver salutato frettolosamente Yoli e Julio, il mio miglior amico, del quale vi parlerò in seguito, uscì dalla classe diretto come un razzo verso l’uscita. Stavo aspettando infatti con molt’ ansia la fine delle lezioni per poter poi andar a casa dove, probabilmente, mi sarebbe aspettato l’immaginabile.
Riuscì a varcare quel maledetto cancello con molta difficoltà dando a volte degli spintoni, visto che il cortile si era trasformato letteralmente in una giungla difficile da oltrepassare: tutti in quel momento stavano aspettando il suono della campanella e infatti, appena suonata si diressero fuori come un grande e ronzante sciame d’api.
-Fa attenzione!- mi sentì urlare da un ragazzo alto e muscoloso che avevo involontariamente spinto per l’agitazione.
-Oh, scusa. Mi dispiace!- risposi alzando di poco il tono di voce sperando che mi avrebbe sentito da lontano e poi, superato l’angolo mi misi a correre per tutto il marciapiede sotto gli sguardi incuriositi della gente. Correvo talmente veloce che le persone che mi stavano guardando, avrebbero potuto pensare che fossi matto, o qualcosa del genere ma fortunatamente la mia casa si trovava a pochi metri dalla scuola così, dopo una corsetta di circa dieci minuti, arrivai davanti alla porta blindata della mia casa.
“ Dove diavolo sono? “ domandai tra me e me cercando, nello zaino, le chiavi della porta che sbucarono poi dalla tasca interiore dello zaino.
-Eccole!- esclamai tenendole in mano e cercando la chiave giusta nervosamente. Non potevo più aspettare altro tempo, l’ansia e l’agitazione di quel momento mi stavano corrodendo dentro.
Velocemente introdussi la chiave, la feci girare per ben due volte nella serratura della porta e finalmente entrai in casa. Tutto era silenzioso: evidentemente non c’era ancora nessuno in casa e i miei genitori si trovavano ancora a lavoro così, feci scivolare dalla mia spalla lo zaino che cadde dolcemente sul pavimento e poi mi diressi velocemente in cucina. Arrivato sulla soglia della porta mi guardai intorno socchiudendo gli occhi per poi far cadere l’attenzione su una piccola lettera che si trovava sul tavolino. Deglutii rumorosamente restando in piedi, davanti a quel tavolo di legno di ciliegio, senza accennare una mossa, con lo sguardo dritto e fermo su quella lettera; sembravo davvero un palo della luce. Mi decisi a fare un passo in avanti e poi un altro e un altro ancora fino a sfiorare con le mie dita la lettera che presi definitivamente in mano. La girai e la rigirai tra le mie mani molte volte anche se avevo già capito di cosa si trattava: era la risposta alla mia domanda per entrar a far parte di un famoso stage di canto nella fredda Inghilterra. Tutto sarebbe stato deciso e programmato da quella risposta che tanto avevo aspettato e ovviamente immaginato. Guardai la perfezione racchiusa in un semplice stemma blu stampato su quella busta. Questo era uno dei miei tanti sogni: amavo cantare, più di ogni altra cosa. La musica infatti era l’unica capace di farmi alzarmi su di morale anche solo con una singola strofa di una canzone. Solamente lei c’era a farmi compagnia durante i miei continui momenti bui e tristi, malinconici e nostalgici. Quando nessuno era al mio fianco, la musica diventava per me una migliore amica che non avrei mai abbandonato e che lei, dal suo canto, non avrebbe mai abbandonato me. Era l’unico modo per potermi sfogare, l’unico modo per poter volare anche se solo con l’immaginazione. Io e lei, la musica, eravamo come due fratelli, come due amici per la pelle e anche se lei non lo poteva sapere, mi aveva aiutato tante di quelle volte dove pensavo che non ci sarebbe stata più una via d’uscita e dove il tunnel della mia disperazione sarebbe continuato per chilometri e chilometri senza mai trovare una fessura o un raggio di luce, capace di riportarmi alla vita. Ecco cos’era per me la musica: la vita. Mi mordevo continuamente il labbro inferiore travolto dall’ansia e dall’agitazione, posavo e riprendevo continuamente quella lettera che ancora non avevo aperto, per la mia mancanza di coraggio, e non ero quindi a conoscenza dell’esito. Decisi poi di mettermi seduto su una delle quattro sedie posizionate intorno al tavolo e, dopo aver fatto un lungo sospiro per calmarmi, aprì molto lentamente la busta di quella lettera che avrebbe cambiato letteralmente la mia vita, o almeno, una piccola parte della mia vita.
L’avevo tra le mani che intanto tremavano come foglie scosse violentemente da un vento impertinente. Avrei dovuto aspettare i miei genitori o no? Avrei dovuto immediatamente leggere la lettera o no? Mille domande in quel momento, tempestavano la mia mente, molti dubbi si affollavano nella mia testa ma non potei fare altro che leggere e sapere finalmente quella risposta a lungo aspettata.

“Caro signor Redondo Ruano, siamo lieti di informarla che lei ha diritto a frequentare lo Stage intensivo di musica, della durata di due mesi (oppure una mese) presso laWoodleigh School di Malton, Inghilterra. Ci saranno corsi intensivi di musica classica, rock e pop e corso di inglese integrato. Lezioni di musica singole e di gruppo in lingua inglese con docenti madrelingua. Storia del Rock: analisi letteraria dei testi delle più famose canzoni Rock.  Storia della
musica dal 1960 ad oggi ed in più, studi per chitarra classica ed elettrica, pianoforte classico e moderno ( Keyboard ) , basso elettrico, batteria e percussioni.
Qui accluso troverà il biglietto di andata e ritorno pagato personalmente dalla scuola.I corsi avranno inizio il trenta Settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta e non oltre il quindici Settembre. Egregi saluti.

                                                                                                                            Mr. Michel England”
Dovetti rileggere quella lettera per più di cinque volte per realizzare in ultimo che mi avevano accettato in quella scuola prestigiosa d’Inghilterra. Avevo completamente gli occhi lucidi per via di quella risposta che da moltissimo tempo avevo immaginato con la mia fantasia e che adesso era lì, proprio tra le mie mani. Subito due lacrime scesero dai miei occhi rigando le mie guance rossastre. Tirai su con il naso facendo attenzione a non macchiare la lettera con le mie stesse lacrime continuando a rileggere nella mia mente ogni singola parola scritta con inchiostro e calamaio: quella lettera era perfetta in tutta la sua semplicità.
Non potevo assolutamente risponder di no, non potevo assolutamente rifiutare e perdere quell’occasione che mi sarebbe capitata soltanto un’unica volta nella mia vita. Era un’occasione imperdibile, finalmente una svolta significativa alla mia vita..
Mi alzai dalla sedia e, avendo fermato le lacrime, con la lettera ancora tra le mani mi spostai verso la finestra della cucina guardando oltre il vetro ed immaginandomi già lì, in Inghilterra, in quella fredda e piovosa terra.
Solamente due parole, due semplici parole, fecero volatilizzare ogni dubbio, ogni domanda, ogni incertezza che avevo riguardo al viaggio: CARPE DIEM.
Anche se non avevo dato ascolto alla lezione della professoressa Irene sul Carpe Diem, io ne sapevo il significato: “Cogli il giorno” letteralmente, “Cogli l’attimo” tradotta normalmente. Dovevo infatti cogliere l’attimo, quell’attimo che sarebbe potuto fuggire da un momento all’altro. Dovevo prendere al volo quell’opportunità e non lasciarla scappare dalle mie mani perché purtroppo è vero, si vive una sola volta.
Sentì in quell’attimo la porta aprirsi di scatto e un freddo spiffero di vento accarezzarmi lievemente la nuca. Mi voltai velocemente stando in piedi contro la finestra sentendo poi il rumore di alcuni passi farsi sempre più pesanti e più vicini a me.
-Mamma? Papà? Siete tornati?- Chiesi inclinando la testa verso destra cercando di scorgere chi fosse e aspettando una probabile risposta.

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