Hide and Seek.

di __Jude
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's too cold outside, for angels to fly. ***
Capitolo 2: *** Without you to hold, I'll be freezing. ***
Capitolo 3: *** You' re strumming on my heart strings {Parte Uno} ***
Capitolo 4: *** You' re strumming on my heart strings {Parte Due} ***
Capitolo 5: *** Drunk. ***
Capitolo 6: *** Brand New Eyes. ***
Capitolo 7: *** Try to swim and stay afloat. ***
Capitolo 8: *** Madness. ***
Capitolo 9: *** Like I've never seen the sky before. ***
Capitolo 10: *** Don't talk to strangers. ***
Capitolo 11: *** Overjoyed. ***
Capitolo 12: *** Let The Flames Begin. ***
Capitolo 13: *** The Killing Moon. ***
Capitolo 14: *** Black Holes and Revelations. ***
Capitolo 15: *** Bad Blood. ***
Capitolo 16: *** Graceless, is there a powder to erase this? ***
Capitolo 17: *** He lives to run. ***



Capitolo 1
*** It's too cold outside, for angels to fly. ***


Hide and Seek

 




Capitolo 1.
It' s too cold outside, for angels to fly.


 
Quando faceva notte, il bosco di Beacon Hills era già diverso. Non c’ era più la luce che filtrava tra le foglie o i canti dolci e pacati degli uccelli. Il crepuscolo strisciava sui tronchi, tra le radici, in mezzo ai rami, e tingeva tutto di un altro colore. Perfino gli odori cambiavano. C’ erano odori arcani e segreti nell’ ora del crepuscolo. Stiles aveva imparato a conoscerli tutti: la sfumatura acre dell’ acqua stagnante, l’ umidità del muschio, il profumo pungente delle piante medicamentose…
“Come vanno i tuoi incubi, Stiles?” chiese Scott al suo fianco, dopo aver dato un calcio ad una zolla di terra compatta e grande quanto un pompelmo.
“Come va la tua asma?”.
“Stiles…” sbuffò l’ altro.
Stiles sospirò si prese del tempo per rispondere. Guardò la palla di terra rotolare lontano e trasformarsi in un mucchietto marrone all’ impatto con una radice.
“Meglio. Sai, credo proprio che stiano migliorando!”.
Scott lo guardò a lungo e l’ amico sapeva che l’ unica cosa che proprio non sarebbe mai stato in grado di fare era mentire a quello sguardo da cucciolo di labrador. In più, le occhiaie che gli marcavano la parte inferiore degli occhi non facevano altro che dire la verità.
“Ok, non vanno affatto bene! Sto dormendo pochissimo in questi giorni” sbottò. “E non mi dire di provare a contare le pecore perché ci ho provato. E o non funziona, o le pecore si trasformano in mostri a tre teste che vogliono fare di me la loro colazione!”.
“Beh e che mi dici della camomilla?”.
“E’ solo una leggenda metropolitana, non aiuta per niente”.
“Mmh… qualche tisana alle erbe?”.
“Bleah, per favore!”.
“Una bella botta in testa?”.
“Finalmente un’ idea sensata! Ma solo se me la dai tu”.
Scoppiarono entrambi a ridere, complici, fedeli l’ uno all’ altro. Amici.
Intanto il cielo si faceva sempre più scuro ed entrambi convennero che era meglio terminare lì la loro passeggiata. Ci andavano spesso, nel bosco. Era un mondo per evadere quando la loro vita pesava troppo e, in più, Stiles era convinto che l’ attività fisica aiutasse ad alleviare l’ asma di Scott. E la sua ansia.
Da quando era morta sua madre niente era stato più lo stesso e nonostante fosse passato abbastanza tempo, la mancanza di lei lo tormentava costantemente. Stiles e suo padre erano passati attraverso l’ inferno. C’ erano stati il silenzio, l’ insofferenza, la mancanza di forza per reagire, i calmanti, le crisi di panico. E quando queste sembravano essere finite, erano arrivati gli incubi.
Scott e suo padre, lo sceriffo Stilinski, erano l’ unica cosa che lo tenevano ancorato alla sua vita. Certo, poi c’ era la cotta irreparabile per Lydia; ma dato che non avrebbe portato comunque da nessuna parte, tanto valeva rassegnarsi e vedere tutto come un sogno irrealizzabile che probabilmente neanche la fata turchina di Cenerentola avrebbe potuto realizzare.
 
Era buio anche dentro casa Stilinski. Il rumore delle chiavi nella serratura sembrava rimbombare nelle orecchie per quanto silenzio c’ era. La casa era vuota e non solo perché non c’ era effettivamente nessuno, ma perché anche con milioni di persone al suo interno, si sarebbe percepita comunque la mancanza di qualcosa.
Sul tavolo della cucina c’ era un sacchetto del fast food all’ angolo e un biglietto:

 C’è stato un contrattempo, mi hanno richiamato in centrale.
Forse farò tardi. Ti ho lasciato la cena.
Ti voglio bene.
Scusa

 Stiles sospirò. Lo scusa cancellato alla fine del biglietto rendeva tutto sicuramente più drammatico. E doloroso.
 
Il tempo si consumò in poche azioni. Cena davanti alla tv, ancora tv, computer, pigiama, letto. Il sonno tardò ad arrivare, si prese del tempo, lasciando Stiles a rigirarsi tra le coperte come un pesce in una rete. E proprio quando il ragazzo aveva perso le speranze, si posò sulle palpebre rendendole pesanti e lo fece addormentare.

 
La notte è scura ed il silenzio è tale che quasi pesa. Nell’ aria fredda e pungente ci sono odori che Stiles conosce e non appena la sua mente raggiunge la conclusione ipotizzata, il paesaggio circostante si rivela: il bosco di Beacon Hills.
Le innumerevoli notti passate il balia degli incubi lo hanno reso capace di distinguere la differenza tra realtà e illusione. Questa volta però i dettagli sono più nitidi e coinvolgono tutti e 5 i sensi, anzi li risvegliano. Non è come negli altri sogni, Stiles è consapevole del suo corpo, lo sente, come sente con precisione ogni cosa attorno.
“No, è un sogno, è decisamente un sogno...” borbotta fra sé.
Un rumore al di là dei cespugli rompe il silenzio. I muscoli di Stiles si tendono, gli occhi si spalancano e il cuore inizia a battere presagendo il peggio. Cosa sarà ad ucciderlo questa volta?
Ora c’è nebbia nell’ aria ed il rumore si fa più vicino. Sono passi… no, no, quelli non sono piedi. Sono zampe.
Stiles inizia a tremare e sente il respiro morirgli in gola alla vista della creatura che sbuca fuori dalla vegetazione. E’ un lupo, ma è decisamente troppo grande per essere un lupo normale, e le sue zanne bianche risplendono anche sotto ai raggi della luna che tramonta. Ma è un’ altra cosa a far perdere l’ equilibrio al ragazzo facendolo cadere in mezzo alle foglie secche ed umide: un paio di grandi occhi rossi lo fissano e in quegli occhi c’è il fuoco, c’è l’ ira, c’è il furore animale del predatore.
“Oh mio dio, oh mio dio, ti prego salvami”.
Il lupo spalanca la bocca in un ruggito che quasi fa tremare i rami degli alberi e gli si avvicina lentamente, mostrando le zanne.
“Oh cazzo! Che cosa ci vuoi fare con quelle?!”.
Pochi metri lo separano dall’ animale e Stiles è sicuro che non riuscirà a vedere l’ alba che sta sorgendo al di là delle montagne. Ma qui accade qualcosa di inaspettato. Il lupo si mette improvvisamente in posizione eretta, poggiando sulle zampe posteriori, e più avanza più assume fattezze umane. La coda scompare, le zampe diventano gambe e mani, le zanne e le orecchie si rimpiccioliscono cambiando forma ed i peli del viso si diradano fino a ridursi in capelli, scoprendo uno dei visi più belli che Stiles avesse mai visto in tutta la sua vita.
Nell’ esatto punto in cui pochi secondi prima si trovava un grosso lupo famelico, ora c’è un giovane moro dagli occhi verdi in giacca di pelle e jeans.
Il ragazzo sorride, scoprendo una fila di denti bianchi e perfetti. “Ciao, Stiles. Io sono Derek”.







Angolo dell' autrice:

Ok, questa è la mia prima FF su Teen Wolf e l' idea è anche abbastanza folle, quindi sono terrorizzata di far casino e mandare tutto a quel paese!
Ma era da tanto che volevo scriverne una e quindi boh, ci ho provato.
Immaginate la storia prima che Stiles e Scott sapessero che i licantropi e Derek Hale esistono.
Le parti "sognate" saranno sempre scritte in corsivo, per distinguerle.
Spero continuate a seguirmi :)

J.

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Capitolo 2
*** Without you to hold, I'll be freezing. ***


Capitolo 2. Without you to hold I'll be freezing.




Stiles sbatte le palpebre ripetute volte, nel tentativo di svegliarsi ed evadere da quell’ assurda situazione – atto decisamente stupido ed insensato – prima di prendere fiato e cercare di articolare qualche parola. Ma tutto quello che gli esce dalla bocca è un insieme di sillabe sconnesse che lo fanno sembrare un rapper di beatbox con difficoltà respiratorie.

Derek se ne sta fermo, le braccia incrociate sul petto, gli occhi puntati sul ragazzo davanti a lui.
Intanto la notte se n’è andata e l’ alba sta scoppiando in una cascata di raggi che inondano di rosso e arancione il bosco. Ora non fa più tanto paura.
“Oh, accidenti!” esclama Stiles per porre fine al suo imbarazzante monologo di suoni pre - verbali. “Senti, ma tu hai intenzione di restare lì a fissarmi senza fare o dire nulla?”.
“Preferisci che mi ritrasformi in un lupo e ti sbrani?” risposte brusco il moro. “E poi il sogno è il tuo, mica il mio”.
Stiles si alza, mettendo su quella sua faccia accigliata da ‘nontistoseguendo’. “Il mio sogno? E questo che dovrebbe significare?”.
Ed ecco le labbra che si incurvano, i denti bianchi scoperti, gli occhi che s’ infiammano sotto i colori dell’ alba. Con la luce rossastra alle sue spalle e quell’ espressione enigmatica, Derek sembra uscito da un romanzo inglese. “Speravo me lo chiedessi. Vieni con me”.
Stiles esita, stringe le labbra. Chissà perché qualcosa gli dice che non sia proprio una buona idea seguire un uomo – lupo in mezzo al bosco. Ma aveva visto e sperimentato sogni ben peggiori di quello e poi quella che sta vivendo è comunque un’ illusione, no? La cosa più brutta che può capitare sarebbe svegliarsi di soprassalto nel suo letto nel bel mezzo della notte. La notte vera, quella che non si trasforma in un’ alba mozzafiato come quella che ha davanti.
Derek non si accerta che Stiles lo segua, sa che lo farà. E così è.
“Quindi tu che cosa saresti? Un lupo o un uomo?” domanda il giovane Stilinski dopo qualche minuto.
“Entrambi”.
“Entrambi? Cioè sei un… lupo mannaro?”.
“Sono un mutaforma. Il fatto che l’ altra mia metà sia un lupo dipende da te”.
“Da me? Che vuol dire da me? Io non ho mai voluto un cane perché i cani poliziotti di mio padre mi hanno traumatizzato da piccolo, figurati se posso volere un lupo!”.
Derek lo aspetta e lo affianca velocemente. “In questa dimensione non si parla solo di desideri, Stiles, ma anche di necessità nascoste nel tuo subconscio che si proiettano nei sogni”.
“Necessità?! Io non ho mai necessitato morti violente e mostri da brivido! Perché è questo che sogno da quasi un mese ormai e non tranquillità e benessere”.
“E’ di tranquillità e benessere che credi di aver bisogno?”.
“E di cosa sennò? Di un uomo – lupo che mi faccia da sensei?”.
La mano di Derek vola veloce sul petto di Stiles, sbattendolo contro il tronco di una grande quercia; e negli occhi sembra che stia comparendo di nuovo il lupo famelico perché ora sono rosso cremisi. Il cuore di Stiles inizia a battere all’ impazzata e un brivido gli percorre la schiena dolorante per l’ impatto.
“Sento il tuo cuore…” ringhia Derek a pochi centimetri dal suo viso. Il suo alito caldo sa di fresco, con una leggera punta di liquirizia. E’ buono, è umano, ma il fuoco che ha negli occhi divampa violento e animalesco. “Hai paura”.
Stiles deglutisce a fatica e sente la saliva scivolargli in gola pesante come una pietra. Ma qualcosa scatta dentro di lui ed ha la stessa intensità delle fiamme cremisi degli occhi di Derek. Non vuole che il sogno diventi incubo, non vuole doversi svegliare urlando e non vuole essere vinto di nuovo dalle tenebre del suo sonno. Così si inumidisce le labbra, usando una delle poche armi che possiede, se non l’ unica: le parole.
“Tu non puoi farmi del male. Tu non sei reale”.
Derek inclina la testa e, senza distogliere lo sguardo da Stiles, si avvicina al suo orecchio. La sua mano, dal petto del ragazzo, scivola lentamente fino al fianco, tastando con una precisione quasi chirurgica ogni muscolo che incontra sulla sua strada. Indugia sulla cassa toracica, sulle costole, assaporando il ritmo del respiro della sua preda. Poi scende giù, passando per la parte alta del fianco e stabilendosi sull’ inclinatura dell’ anca, lì dove l’ osso del bacino deforma leggermente la pelle. E Stiles percepisce tutto, ogni singolo movimento della mano di Derek, ogni impulso caldo che il suo tocco gli provoca, ogni respiro fresco di liquirizia che gli sfiora l’ orecchio.
Ma le parole, le parole che il moro gli sussurra sono quelle che sente di più. Lo tagliano da parte a parte, trapassandogli il cervello come una scarica elettrica.
“Io sono vero qui, Stiles. Ed esisto con la stessa intensità dei tuoi incubi… e dei tuoi sogni più belli”.
 
Gli occhi si aprirono di botto, rivelando le ombre della stanza e le coperte grigie nelle quali era avvolto. Con un scatto Stiles si mise dritto sul letto, il respiro affannato, la fronte leggermente umida di sudore, la testa che girava. Al centro del petto il cuore batteva velocissimo, probabilmente con la stessa frequenza che aveva percepito nel sogno. No, quel Derek l’ aveva percepita, lui era sicuro di averla sentita chiaramente, ricordava la sensazione violenta del cuore che sembrava bucargli il petto. Poi per un millesimo di secondo perse un battito. Avvertì una sorta di tonfo sordo e poi un’ acuta e breve fitta di dolore. Gemette piano portandosi una mano sul petto mentre il cuore tornava a battere lentamente.
Fu lì che si accorse di una cosa piuttosto insolita. Tutta la parte sinistra del torace, dal plesso solare al bacino, era incredibilmente calda, quasi bollente; mentre la parte destra, come quasi tutto il resto del corpo, era gelida. Percorse con le dita quella linea di fuoco immaginaria e realizzò che era esattamente la parte che aveva toccato il licantropo del sogno– no, mutaforma, così aveva detto. Quel pensiero lo attraversò come una lama. Strinse gli occhi e si rannicchiò di nuovo sotto le coperte, combattendo contro la cascata di pensieri che stavano inondando la sua testa.
Guardò la radiosveglia sul comodino: le 7 del mattino. Mezz’ ora dopo si sarebbe dovuto svegliare, così decise di non considerare l’ idea di riaddormentarsi.
Un sogno. Tutto un sogno, un’ illusione, non poteva essere altrimenti. Eppure ogni emozione, ogni dettaglio del paesaggio ed ogni parola che aveva detto e ascoltato erano sembrati così veri!
Come attraversato da un’ improvvisa febbre, ricordò perfettamente le tenebre notturne che lo avevano accolto e che poi si erano trasformate in un’ alba purpurea e sfavillante. Un’ alba rosso fuoco, come il fuoco che ardeva negli occhi del lupo che si era poi trasformato in un giovane tenebroso e con problemi a gestire la rabbia.
Col tempo arrivarono altre immagini e ovviamente altri dubbi. Nonostante cercasse di convincersi che era solo un altro dei suoi strambi sogni, c’ era qualcosa che lo tormentava, qualcosa che lo rendeva qualcosa di più di un sogno. Decise così che ne avrebbe parlato con Scott, lui sicuramente avrebbe potuto dargli un’ opinione oggettiva.
 
 
Se c’ era un momento perfetto per confabulare, quello era proprio l’ ora di chimica del Professor Harris. Tanto quello era talmente viscido, scontroso e amante dell’ abuso del potere che Stiles e Scott già non l’ avrebbero ascoltato per principio, figuriamoci poi se a una personalità del genere si aggiungevano formule chimiche e nomenclature da capogiro.
“Ho ricevuto il tuo messaggio stamattina. Di che mi devi parlare?” bisbigliò Scott al suo fianco. “Non sarà un’ altro piano per conquistare Lydia?! Perché l’ ultimo era talmente assurdo che penso mi basti fino al prossimo Natale”.
“No, no, Lydia non c’ entra niente! Ha a che fare con i miei… sogni”.
“Che è successo?”.
“Ecco ho fatto uno strano sogno… e dico sogno, non incubo. Ed era tutto così reale che quando mi sono svegliato faticavo a convincermi che fosse stato tutto frutto della mia fantasia”.
“Stilinski e McCall, gradirei che ci risparmiaste questo adorabile sottofondo, grazie” tuonò Harris.
Stiles roteò gli occhi e, senza dar peso alle parole del professore, iniziò a raccontare della sua avventura notturna. Non tralasciò nulla, neanche sul modo in cui Derek l’ aveva toccato e di come al risveglio avesse ritrovato, in un certo senso, i segno di quel contatto.
Scott ascoltò pazientemente, ma a fine racconto diede la risposta che Stiles già si aspettava. “Ascolta, io penso che tu sia molto stressato e mia madre una volta mi ha detto che il nervosismo e lo stress a volte provocano sogni strani o addirittura visioni. Anche io quando i miei hanno divorziato non dormivo bene la notte e credevo di sentire la voce di mio padre nel giardino”.
“Sì, ma è diverso!” rispose l’ altro gesticolando. “Ci sono tutta una serie di fattori che rendono la cosa più che insolita! E poi quel tizio, Derek, ha usato la parola dimensione per definire il mio sogno. Dimensione, Scott! E tutto quel discorso sulle necessità e il lupo e il mutare forma? Non sono certo un prodotto dello stress! Che poi io non sono stressato, ho voti alti in tutto e la mia vita procede monotona e senza grandi emozioni, non capisco perché dovrei…”.
“Stiles…”.
Scott guardò l’ amico con apprensione. Non voleva che si facesse trasportare da qualcosa che probabilmente non aveva nessun significato particolare, ma conoscendolo sapeva che non si sarebbe fermato. Forse Stiles aveva solo bisogno di credere, di applicarsi in qualcosa che non fosse la scuola. E se davvero tutta quella faccenda del sogno lo poteva tenere lontano dal dolore e dalle tenebre della sua vita per un po’, allora Scott lo avrebbe assecondato. Per proteggerlo.
“Facciamo così. Domani ci vediamo in biblioteca per documentarci. Hanno scritto un sacco di roba sui sogni” disse il moro dando all’ amico una pacca sulla spalla.
Stiles sorrise e Scott già pensava di averlo salvato un po’.





Author's Corner.

Volevo fare una premessa prima di continuare con i prossimi capitoli:
Derek potrebbe essere un po' OOC, perchè in realtà il suo personaggio in questa storia non è lo stesso che tutti conosciamo nella serie.
Questo perché vive in una dimensione diversa, che è quella dei sogni e deve essere una sorta di guida per Stiles.
Detto ciò, mi fermo sennò vi spoilero troppo xD e spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Ora come ora ho tanto da fare per questo è un po' corto, ma il prossimo sarà ancora più denso di fatti, promesso ;)

J.

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Capitolo 3
*** You' re strumming on my heart strings {Parte Uno} ***


Capitolo 3, parte uno.
You're strumming on my heart strings.





La giornata passò veloce ed inesorabile. Tutto come sempre, tutto che scorreva al solito modo, un fiume dalle correnti deboli che percorre lo stesso solco nella terra ora dopo ora.
L’ entusiasmo e la sorpresa della mattina erano svaniti e più la sera si avvicinava, più Stiles si convinceva che aveva avuto una reazione decisamente esagerata. Forse Scott aveva ragione, forse avrebbe dovuto aggrapparsi di più alla realtà invece di perdersi in ipotesi su quello che non era nient’ altro che un sogno. In più quel Derek lo inquietava un po’, a dir la verità.
“Stiles, tu mi devi dire qualcosa, vero?” chiese il padre a metà della cena.
“Eh? No, ma che ti salta in mente, papà!? Non ho proprio niente da dire, proprio niente” rispose il figlio.
Lo sceriffo posò le posate ed incrociò le braccia mettendosi comodo sulla sedia. Stiles maledisse l’ assurda abilità del padre di capire subito quando nascondeva qualcosa. Avrebbe dovuto lavorarci, sul nascondere bene i segreti.
“Ok, credo di essere stressato”.
Non era proprio quello il segreto che nascondeva, ma far preoccupare il padre facendo il pazzo con le sue teorie sui sogni non gli sembrava proprio un’ ottima mossa.
Lo sceriffo sospirò. “Tu non sei stressato, è solo che non dormi bene. Forse dovrei prenderti qualcosa per…”.
“No, papà, no, niente medicine” sbottò il ragazzo. “E poi te lo giuro, sono decisamente stressato. Fidati”.
“Ok, figliolo ti conosco troppo bene e se questo è un modo per farti rimanere a casa domani, hai decisamente sbagliato strategia. Il compito di economia lo fai, punto e basta. Ti riposerai nel weekend”.
“Grazie per considerarmi un tale traditore bugiardo”.
“Hai preso dal migliore” rispose indicandosi. “E ora sparecchiamo che ci sono i Mets in tv”.
I due si godettero quei pochi attimi di gioia e serenità davanti alla televisione e fu bello concentrarsi su palle curve e infiniti modi per insultare giocatori e arbitro, invece che sentire il vuoto della casa pesare sulle spalle. Allo sceriffo piacevano quei momenti con suo figlio, quelli in cui non si pensava troppo, quelli in cui lo vedeva sorridere e quel sorriso era talmente brillante che le occhiaie sotto ai suoi occhi sembravano meno evidenti.
Quando il padre era troppo concentrato sulla tv per accorgersene, Stiles lo guardava; e più l’ osservava più gli pareva di sentirsi più forte.
Forte abbastanza per ritornare a dirigere una vita pseudo – normale.
Forte abbastanza per affrontare qualsiasi cosa la notte gli avrebbe portato.
 
Gli occhi si sono chiusi da poco, ma già si riaprono e si affacciano su quello strano mondo parallelo che assomiglia tanto a casa, ma casa non è.
Anche se non ci vede bene, Stiles sa che non è notte e sente di essere nel bosco, sdraiato su un letto d’ erba verde e alta. Ma le cose attorno tardano a mettersi a fuoco e tutto ciò che riesce a vedere sono macchie opache marroni e verdi tutt’ attorno e un cielo azzurro.
Sta dormendo o è sveglio? Difficile da capire, con tutta quella valanga di odori e sensazioni inequivocabili ed incredibilmente reali.
Sbatte ripetutamente le palpebre, ma niente. Tutto rimane uguale, un enorme vetro appannato che lo circonda e lo tiene in trappola.
Poi, una voce.
“Stiles”.
Il suono rimbomba nella testa e le lettere della parola pronunciata sono distorte. Sente un dolore lieve alle tempie, come quello di un bel dopo – sbornia. Ma la sera prima tutto ciò che aveva bevuto era dell’ acqua e una Dr Pepper.
“Stiles, devi concentrarti. Concentrati sulla mia voce”.
Stiles stringe gli occhi, cercando di ripescare nel suo cervello qualche informazione che lo possa aiutare a riconoscere quella voce. La risposta non arriva a tardare.
“Ciao, uomo – lupo”.
“Ciao, ragazzino”.
Finalmente il vetro di spanna e i dettagli diventano nitidi. Una grande radura verde ed illuminata da un sole tenue e bianco si estende tutt’ attorno. Ai suoi estremi, alberi di vari tipi e dimensioni delimitano la linea dove inizia il bosco.
Dalla posizione che lo teneva su un fianco, Stiles si gira a pancia in su e un paio di occhi verdi e attenti gli danno il benvenuto. Derek è incredibilmente vicino, decisamente troppo vicino al viso di Stiles.
“Ehm, senti lupo cattivo, lo so che il mio fascino è ipnotico, ma ti sposteresti così posso alzarmi?”.
Negli occhi verdi lampeggia del rosso. “Volevo assicurarmi che mi sentissi” risponde ritraendosi.
Stiles si solleva fino ad arrivare ad appoggiarsi sui gomiti. Gli occhi e le orecchie funzionano bene ormai, ma la testa è ancora pesante.
“Fa piano” lo ammonisce Derek.
Lentamente il ragazzo si tira su e si mette a gambe incrociate. Il moro è già in piedi e lo guarda aspettando un domanda inevitabile.
“Che… che diavolo mi è successo?!” chiede Stiles. “Non riuscivo a vedere!”
“Per forza, eri ancora legato alla dimensione terrena”.
Stiles inarca un sopracciglio, mostrando di non aver capito.
Derek sospira e allaccia le mani dietro la schiena. “Se la tua mente non è concentrata al cento per cento sul sogno, questo non può mostrarsi con chiarezza ai tuoi occhi e l’ essenza del tuo corpo, la sua forma e le sue fattezze, non può essere trasportata in questa dimensione”.
“Tipo in Peter Pan? Che se non credi alle fate, allora quelle smettono di esistere?”.
Derek fa roteare gli occhi. “Se ti viene più semplice, pensala così…” risponde, ed ha il tono di una maestra che insegna ai bambini la matematica. “Ieri per caso hai iniziato a dubitare dell’ esistenza di questo sogno? Della mia esistenza?”.
“Beh, ecco… oh andiamo, che cosa avrei dovuto pensare? Che posso viaggiare attraverso lo spazio e il tempo come gli astronauti nello spazio?”.
“Ma non dire stupidaggini, Stiles! Non siamo mica in un film di Richard Kelly*! Qui non si parla di un viaggio, questa è una dimensione che esiste già da tempo nella tua testa, ma che solo ora si è rivelata attraverso i sogni”.
“E perché? Perché proprio adesso?”.
“Questo non te lo posso dire io, devi scoprirlo da solo” dice offrendogli la mano per alzarsi.
Stiles sbuffa. Tutta questa storia del maestro e dell’ allievo gli sta iniziando a dare sui nervi.
“Devi solo fidarti di me” mormora il lupo.
Il ragazzo lotta contro l’ impulso di non credere ad una singola parola di quello strano individuo; e mente a sé stesso perché in realtà tutto ciò che vuole è credere in qualcosa.
“Ok, grande saggio, basta con tutte queste frasi enigmatiche, sei peggio di mio nonno. Adesso che si fa?”.
Gli occhi di Derek si stringono e sembrano due fessure con una scheggia di smeraldo incastrata nella roccia. Si gira ed inizia a camminare verso il bosco, senza preoccuparsi di aspettare Stiles. Di nuovo.
“Oggi ti insegno a prendere il controllo su questa dimensione. Sei troppo inconsapevole”.
“E perché la cosa dovrebbe darti fastidio?” ribatte affrettandosi a raggiungere il moro.
“Perché sennò non c’è alcun divertimento”.
“Oh, quindi adesso è diventato tutto un gioco? Grandioso, ora si che sono felice di essere qui”.
Il bosco si fa sempre più vicino fino ad ingoiarli del tutto. E’ meno spaventoso della prima volta. Il sole filtra tra i rami degli alberi ed i suoi raggi bianchi trapassano le chiome delle piante e cadono in diagonale fino al terreno, creando pozze di ombra e luce. Nell’ aria ci sono profumi di fiori selvatici e muschio e Stiles inspira con forza, inebriato da quella meravigliosa miscela di odori. Nel bosco non c’è più il silenzio pesante ed angoscioso della paura, ma la musica frizzante e selvaggia della vita.
Stiles spalanca gli occhi dalla meraviglia, sorride, alza la testa al cielo per farsi bagnare dal sole, tocca le cortecce degli alberi e continua a stupirsi che sia tutto vero. Derek lo guarda con apprensione e pensa che Stiles gli piace decisamente di più quando è sereno, di quando è spaventato o agitato.
“Whoa! E’ bellissimo qui! Sembra di stare a Narnia!”.
“Dove?”.
“A Nar… ah, lascia perdere!” risponde accarezzando le foglie di un giovane tasso. Osservandole con più attenzione si accorge di alcune macchie biancastre che ricoprono quasi interamente la superficie verde, rendendola ruvida e fragile.
Una voce alle sue spalle e di nuovo il profumo di fresco e liquirizia. “Sai, potresti guarirla”.
“Guarirla? E come? Mica sono una mago”.
“No, ma in questa dimensione ci sono cose che puoi controllare e che possono mutare a tuo piacimento”.
Stiles gli rivolge uno sguardo scettico.
“Come sei faticoso… dai, metti la mano sopra la foglia cercando di posizionarla esattamente sopra le macchie” sbuffa Derek.
Il ragazzo esegue i movimenti, lentamente, come se avesse paura che la pianta prendesse vita ed iniziasse ad insultarlo ferocemente per non essersi fatto gli affari suoi.
“Ora chiudi gli occhi ed immagina il processo di guarigione, il bianco che diventa di nuovo verde, la malattia che abbandona la foglia non lasciando tracce della sua presenza”.
Le palpebre si chiudono, ma nel buio Stiles non vede né piante né nient’ altro, solo una grande patina nera senza vita.
“Devi crederci Stiles, credici come credi in me”.
“Ti stai prendendo troppe liberta, lupo”.
“Sai che è vero”.
Stiles apre gli occhi e Derek è così vicino, così presente, così vero, che non può far altro che dargli ragione.
“Ok, d’accordo, proviamoci”.
Le ombre tornano di nuovo sugli occhi e, senza sapere perché, Stiles cerca col pensiero il calore del corpo di Derek, la luce dei suoi occhi, il suono della sua voce e sente una forza misteriosa e potente invaderlo e avvolgerlo, come se il suo corpo stesse andando a fuoco senza sentire dolore. Da lì riesce ad afferrare l’ immagine della foglia verde, senza imperfezioni, in salute. Ci si aggrappa con tutte le sue forze, intrappolandola in una stretta vigorosa nella sua mente.
“Apri gli occhi”.
Stile solleva le palpebre e tra le sue mani brilla sotto ai raggi del sole una foglia verde e intonsa, senza più imperfezione. Ma la meraviglia è un’ altra: tutto il ramo della pianta sembra essere rinato.
“Oh mio dio! Oh mio dio, sono un genio!” esclama, esaminando l’ opera più da vicino.
“Già, non male”.
“Non male?! Ho guarito una pianta malata con il solo tocco!”.
“E questo è un chiaro esempio di cosa?”.
Stiles fa roteare gli occhi e incrocia le braccia. “Che per avere consapevolezza delle cose qui attorno devo solo crederci”.
Derek sorride compiaciuto. “Esatto, ora proseguiamo, abbiamo un’ altra cosa importante da fare” afferma iniziando a camminare verso destra. “Ah, per curiosità… qual è stato il tuo trampolino?”.
“Trampolino?”.
“A cosa ti sei aggrappato per visualizzare l’ immagine della pianta?”.
Stiles arrossisce violentemente ed inizia a boccheggiare come un pesce strappato via dall’ acqua. “Beh, io… non è che mi sia proprio aggrappato a qualcosa, diciamo che è venuto da sé e…”.
Derek si gode quel rossore e abbassa lo sguardo sentendosi più che soddisfatto. “Come pensavo”.
“Eh? Perché, a che pensavi?”.
Il lupo non risponde e si volta per continuare a camminare.
“Ehi, dico a te, brutto lupo cattivo ed approfittatore che non sei altro!” sbraita correndogli dietro. Ma Derek si ferma di colpo, si gira e Stiles fa a malapena in tempo ad accorgersene, che è già a pochi centimetri da lui.
“Pensavo a come sei carino quando arrossisci”.
Il fuoco si impossessa di nuovo delle guance di Stiles e, per quanto lo odi e lo trovi assurdo, sente i muscoli immobilizzati e come carichi di elettricità. Rimane un po’ imbambolato ed immobile prima di accorgersi che Derek ha ricominciato la sua marcia senza prendersi il disturbo di avvertirlo – per l’ ennesima volta.
“Quanto ti piacciono le uscite di scena ad effetto…” mormora correndo verso il lupo. “E io non sono carino! Io sono… io guarisco le piante!”.
“Non mi dire che il complimento non ti ha lusingato perché non ci credo”.
“Oh certo, come potrei non rimanere lusingato dalle dolci parole di un tizio che si trasforma in un lupo e ha lunghe zanne e occhi cremisi! Davvero, sarebbe impossibile”.
“Continua pure a fare il sostenuto, tanto so che ti ha fatto piacere. Come ti è stato di grande aiuto usarmi come trampolino”.
“Sì, sì, crogiolati pure nel tuo fascino da alternativo, poi vedi dove te lo do il trampolino!”.












*Richard Kelly è un regista che si è occupato di film sul sovrannaturale, come "Donnie Darko" o "The Box".
Se non li avete visti ve lo consiglio vivamente ;)

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Capitolo 4
*** You' re strumming on my heart strings {Parte Due} ***


Capitolo 3, parte due.
You' re strumming on my heart strings.




Mano a mano che avanzano, la vegetazione sembra cambiare, diventando sempre meno selvaggia e sempre più rada. Stiles riconosce alcune piante e sembrano tutte tipiche di terreni vicino ad estese zone d’ acqua: salici bianchi e salici piangenti, qualche ontano nero, per poi arrivare a mestole e cannucce di palude. L’ aria si è fatta più densa e umida e ormai non c’  è più alcun dubbio. Si trovano decisamente vicino ad un lago.
Derek sposta con le braccia un paio di folti rami di salice bianco e lo spettacolo che rivela sembra ancora più bello di quello nel bosco. Un grande lago luccicante e dalla forma a ovale brilla sotto al sole e riempie gli occhi di Stiles di nuovo di meraviglia. In tutta la sua vita, ci era andato solo una volta al lago e non era stato neanche un granché. Quello dei suoi ricordi è paludoso e puzza di acqua stagnante, questo invece sembra avere acque limpide e profuma di fresco, probabilmente grazie alle foglie di ninfee che ne ricoprono parte della riva destra.
“Ma c’è un posto, qui, che non sia così incredibilmente bello?” chiese Stiles dopo essersi fermato ad ammirare il paesaggio.
Derek lo sorpassa con noncuranza ed inizia a scendere verso le rive del lago. “Evidentemente la tua testa non è così incasinata come credi”.
Dopo aver sorpassato un canneto più che impervio – almeno per Stiles -, raggiungono una sorta di passerella in legno che arriva più o meno al centro del lago. Intanto il sole si abbassa verso l’ orizzonte e Stiles non può fare a meno di sorprendersi di come il tempo passi in fretta in quella dimensione, nel vero senso della parola.
Derek si ferma alla fine della passerella, dando le spalle al ragazzo e guardando in basso, verso l’ acqua. Ha il viso girato di tre quarti e Stiles riesce a vedere il suo profilo illuminato dal sole. La linea del naso e della fronte, l’ accenno di barba sulla pelle, la curva delle labbra…
E’ lo sguardo del lupo puntato su di lui a ridestarlo.
“Insomma, che ci facciamo qui?” chiede infilandosi le mani in tasca ostentando noncuranza.
“Tu non puoi avere il controllo solo su alcune delle cose che ti circondano, ma anche sul tuo corpo. Puoi ampliare i tuoi sensi o le tue abilità, anche se di poco, come la velocità o la forza…”.
“Oh, accidenti, mi sento sempre di più come un supereroe! Sai, non sei più così tanto spaventoso ora che so queste cose”.
Gli occhi di Derek diventano di fuoco e la bocca si spalanca in un ringhio, mostrando la perfetta e poco rassicurante fila di zanne affilate. Stiles sussulta e deglutisce rumorosamente.
“Ok, sei tu il capo, mi hai convinto”.
Le iridi del lupo tornano al suo stato naturale e Stiles si sente già più tranquillo.
“Per avere il controllo anche sul tuo corpo devi basarti sullo stesso principio che ti ha permesso di guarire la foglia”.
“Ah già, quindi chiudi gli occhi, trampolino e abracad…ehi! Ma che diavolo stai facendo?!”.
La giacca di pelle e la maglietta di Derek finiscono velocemente in un angolo della passerella, rivelando pettorali e addominali scolpiti. Per qualche motivo a lui ancora sconosciuto, tutto quell’ insieme di muscoli, tendini e pelle nuda provocano a Stiles più o meno lo stesso effetto degli occhi rossi e delle zanne, solo con una sfumatura differente. Il cuore inizia a pulsare frenetico e il sangue circola troppo velocemente all’ interno del suo corpo. Sente il fuoco nelle vene e sicuramente anche le sue guance stanno andando in fiamme. Se tutto non fosse così totalmente assurdo, ammetterebbe a sé stesso che il ragazzo davanti a lui è davvero sexy e attraente. Il ragazzo, maschile singolare… ma soprattutto maschile!
In quei casi, c’è solo una cosa che può salvare il culo a Stiles ed è quello che ormai lui considera la sua unica difesa: il sarcasmo.
“Non avrai mica intenzione di fare un bagno? Perché non credo che i lupi sappiano nuotare e in più non ho nessuna intenzione di seguirti!”.
‘O di guardarti mentre nuoti mezzo nudo nelle acque limpide di questo paradiso terrestre…’ pensa il giovane. ‘Oddio, che pensiero gay!’.
“Hai ragione, i lupi non sanno nuotare”. Derek si volta verso Stiles e gli rivolge quello che sembra essere uno sguardo di sfida. “Salvami, ragazzino”.
In un secondo, il moro si lascia cadere di spalle finendo dritto nel lago. Stiles non fa un passo, aspettandosi che la testa del lupo fuoriesca dall’ acqua con la suo solita espressione da provocatore. Ma la superficie rimane immobile, se non per alcune bolle d’ aria che increspano appena il pelo dell’ acqua. Quando anche quelle spariscono, Stiles inizia ad andare in iperventilazione e corre verso il bordo della passerella.
“Oh mio dio, oh mio dio, oh mio dio, lo sapevo che i lupi non potevano nuotare! Ma chi pensa di essere? Un cane da salvataggio?! Ok, devo stare calmo. Allora, pensa Stiles, pensa in fretta… ah già, aumentare i propri sensi e le proprie abilità, non c’è altro da fare, sennò come lo tiro fuori da lì?! Bene, ci siamo, ora mi butto…chiudi gli occhi, trampolino, superforza vieni a me… oddio, ma come diavolo faccio a chiudere gli occhi sott’ acqua? Cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo?!”.
Esita un altro secondo.
Altri due.
Altri tre.
E al quarto è già in acqua.
Sott’ acqua l’ aspetto rassicurante e paradisiaco del lago si ribalta, trasformandosi in un mondo sottomarino fatto di ombre spettrali. E’ più profondo di quanto sembri e per un attimo Stiles indugia intimorito; ma i raggi del sole filtrano attraverso la superficie, illuminando appena il fondo e donando coraggio al ragazzo. Gli ci vuole un po’ per rintracciare il corpo di Derek, sospeso a metà di profondità, gli occhi chiusi, il viso pallido, le labbra appena dischiuse in un respiro immobile.
Al diavolo il trampolino, tutto ciò a cui Stiles riesce a pensare è che deve salvarlo. Deve, perché se lui muore, se lui sparisce, ritorneranno gli incubi. Perché se lui sparisce, con lui se ne andrebbe quel mondo nuovo e meraviglioso che ancora aspetta di essere scoperto. Perché se lui sparisce, Stiles non avrà più niente in cui credere. Perché se lui sparisce… inspiegabilmente, Stiles ne sentirebbe la mancanza.
E sono questi assurdi pensieri a rendere i muscoli del ragazzo più forti e a permettergli di afferrare Derek per trascinarlo su con sé. Il cuore di Stiles batte forte e spera con tutto sé stesso che quello del ragazzo che tiene tra le braccia faccia lo stesso.
Nuota fino alla riva e tira il corpo di Derek lontano dall’ acqua, lontano dalle ombre del lago. Un tramonto dalla luce debole e fioca sfuma lentamente nel principio del crepuscolo e tutto sembra avvolto da una luce violacea.
Il cuore gli sta esplodendo nel petto e tutta la forza acquisita in acqua scompare all’ improvviso come una fiammella spenta dall’ acqua, facendolo collassare a terra. Congiunge i rimasugli di quel miracolo in un unico gesto e si volta per prendere il viso di Derek tra le mani e dare dei leggeri colpetti alle guance.
“Svegliati, ti prego svegliati”.
Il respiro accelera insieme al cuore e proprio quando è sicuro di aver fallito, vede quegli occhi verdi aprirsi. E’ proprio vero che il verde è il colore della speranza.
“Oh, grazie al cielo… Derek? Derek, stai bene?”.
Il lupo di rannicchia su un lato sputacchiando acqua senza dire una parola. Quando il suo viso comincia a diventare di nuovo di un colore normale, si tira su facendo forza sui gomiti.
“Mi hai salvato, Stiles. Bravo”.
Il giovane sgrana gli occhi dorati. “Bravo?! Stai scherzando? Mi hai fatto prendere un colpo!” sbraita. “Ci stavi per rimanere secco lì sotto, lo sai?”.
“Sapevo che saresti stato in grado di riportarmi a galla”.
Stiles sente il sangue ghiacciarsi nelle vene e sul suo viso lo sconcerto ha lasciato posto a un’ emozione che sembra incredibilmente vicina alla rabbia o alla disperazione.
“Quindi era tutta una prova, eh?”.
“Era un rischio che valeva la pena di correre!”.
“E non hai pensato a me? Non hai pensato a come mi sarei sentito, a cosa avrei sentito?”.
Derek si acciglia e piccole gocce d’ acqua gli corrono lungo il viso.
Stiles sa che non può permetterselo, ma cede e lascia andare la sua angoscia. E le sue parole sono come una frana di rocce in caduta libera.
“Panico, terrore, incertezza! Di certo, non so come, tu eri sicuro che ti avrei salvato, ma io no! Io ero già a pronto a credere che non sarei riuscito a fare nulla, ero già pronto a crederti morto. E la morte è spietata e cieca, Derek, la morte ti passa sopra come se neanche esistessi, togliendoti qualunque cosa abbia senso. Hai pensato a questo, Derek, mentre architettavi un’ altra delle tue sfide per me? Hai pensato a quanto mi sarei sentito… devastato, se tu fossi davvero annegato?”.
Una sensazione di freddo percorre il corpo del lupo, mentre, per la prima volta, sente una nuova forza impadronirsi dei suoi sensi: il dubbio, l’ accecante e paralizzante dubbio. Investito da tutte quelle parole, gli riesce improvvisamente difficile distinguere cos’ è giusto e cos’ è sbagliato.
“Ho già perso tanto nella mia vita, non sono disposto a stare ai tuoi giochetti e perdere anche…anche tutto questo”.
Ora è un’ altra la sensazione che investe con forza le membra di Derek, con la stessa intensità della precedente; ma questa ha l’ aroma caldo degli occhi di Stiles.
“Che c’è adesso? Perché mi guardi cosi?” chiede Stiles in preda all’ esasperazione.
“E’ la prima volta che mi chiami per nome. Da quando ci siamo incontrati, non mi avevi mai chiamato Derek”.
Stiles non fa in tempo a metabolizzare a fondo quella frase che vede gli angoli della suo campo visivo farsi sfocati e un’ improvvisa sensazione di spossatezza invaderlo. Sbatte le palpebre, tenta di tenersi ancorato ancora a quel mondo e cerca nel viso di Derek un appiglio. Ma non c’è più tempo per sognare.
 
Stiles si svegliò in un bagno di sudore e fuoco. Gli occhi bruciavano e sentiva i muscoli doloranti come se avesse corso per ore. Le ossa sembravano macigni e ogni minimo movimento richiedeva uno sforzo spropositato. E il suo cuore! Il suo cuore batteva così veloce che per un attimo pensò di avere un attacco di tachicardia! Si passò una mano sulla fronte madida e la sentì bollente, come il resto del corpo. Si allungò vero il comodino per prendere il termometro, ma si rese conto che ormai era inutile prendersi in giro.
Aveva dormito, ma di certo non aveva riposato.
Come la volta precedente, ricordava tutto alla perfezione, ogni minimo dettaglio, ogni sensazione. Ed il fatto che tutto fosse stato di nuovo così fottutamente vero lo stava facendo impazzire. Aveva davvero curato una pianta col solo tocco. Aveva davvero sentito il sole investirgli il viso. E aveva davvero salvato quell’ insopportabile e ombroso Derek da una morte certa. Erano accadute troppe cose troppo intense per poterle sopportare; aveva conosciuto e visto davanti a sé vita e morte e una quantità spropositata di emozioni lo avevano attraversato in una maniera mai provata prima.
La mente non riusciva ad assemblare pensieri concreti, niente che fosse abbastanza oggettivo da permettergli di ragionare.
E la realtà dei fatti lo investì con tanta intensità che ne fu sopraffatto.
Stiles sapeva cosa stava per succedere ed era troppo debole per combatterla. Riconosceva cosa stava accadendo dentro il suo corpo e ogni sintomo funzionava come segnale di allarme che lo conduceva verso due uniche parole: crisi e panico.
Iniziò come sempre, un formicolio pungente alle mani e ai piedi e il cuore che batte veloce e pesante come un martello pneumatico. Cominciò ad ansimare, si sentì invadere da un senso di nausea e la sua temperatura corporea sembrava altalenare dal freddo al caldo, producendo forti vertigini. Fu lì che arrivò la parte peggiore: il respiro che muore in gola e la progressiva paralisi dei sensi.
Stiles era un naufrago tra quel mare infinito di emozioni e andava alla deriva. Stiles stava affogando, Stiles aveva un buco al centro del petto che gli rubava l’ aria.
In pochi secondi, non c’era più niente a parte quella voragine.
Io impazzirò, impazzirò…’  pensava ossessivamente. ‘Io ne morirò, ne morirò…’.
Seppe che stava finendo quando finalmente percepì le braccia di suo padre che lo avvolgevano e la sua voce che lo rassicurava che non era solo.
Lo sceriffo lo cullò e lo calmò pazientemente. Tra le sue braccia c’ era un gomitolo di membra stanche ed emozioni violente. E non sa come fermare quel fiume di lacrime se non incanalando in quell’ abbraccio tutto l’ amore di cui è capace.
 
 
 
“Posso fare una domanda?”.
Stiles sollevò infastidito gli occhi dal volume vecchio e polveroso che stava esaminando. “Se mi stai per chiedere chi è Freud è meglio che stai zitto perché potrei farti davvero del male”.
Scott sbuffò, appoggiandosi leggermente al piccolo scaffale della sezione ‘Psicologia e sogni’ della biblioteca, ormai quasi svuotato. “Non è questo. Cos’è che stiamo cercando esattamente? Testimonianze, leggende o semplicemente trattati scientifici e psicologici sull’ argomento?”.
Il figlio dello sceriffo si abbandonò sopra al libro. Non aveva ancora recuperato le forze e sarebbe potuto anche restare a casa – come aveva suggerito suo padre – ma aveva bisogno di saperne di più su tutta quella faccenda dei sogni o sarebbe diventato pazzo. Anche se era sicuro di essere sulla buona strada.
Anche quella volta aveva raccontato del sogno a Scott, ma non era riuscito a trattare quella piccola e alquanto fastidiosa parte che riguardava l’ improvviso risveglio ormonale dovuto alla visione di Derek senza maglietta. O il rossore che gli aveva infiammato le guance quando il lupo gli aveva fatto quel complimento. Stiles non era gay, ma in tutta quella faccenda c’ era qualcosa di più profondo ed intricato che neanche lui sarebbe stato in grado di spiegare; ancor meno ad un tipo come Scott.
Stiles sbuffò tra le pagine del libro. “In realtà non lo so. Diciamo qualsiasi cosa ci possa aiutare a fare chiarezza su tutta quella faccenda”.
“Scusa, ma quel tizio, Dave…”.
“Derek, si chiama Derek”.
“Ok, come ti pare, non ti ha dato qualche spiegazione? Insomma, in fondo è lui che è entrato senza bussare”.
Stiles si accigliò. “Sorvolerò su questa tua ultima frase dicendoti che devi davvero migliorare con le metafore. Comunque, è stato molto vago su tutta la faccenda, in realtà. Ha parlato di una dimensione che già esisteva da tempo nella mia testa, ma che solo ora si è rivelata” rispose. “Il che potrebbe essere collegato con l’ interpretazione dei sogni di Freud, ma ci sono comunque molti punti che non coincidono”.
“Ad esempio?”.
“Freud ha ipotizzato un modello psichico che riuscisse a spiegare la formazione di un ‘mondo onirico’ come proiezione della percezione dell’ individuo. Praticamente, alcuni sogni sono una regressione dei nostri sensi che si sintetizzano in forme dotate di significato, come azioni, immagini o gli stessi 5 sensi. Il problema è che nei miei sogni le cose che vedo le vedo sul serio, le azioni sono azioni che io compio davvero, tanto che ne sento l’ effetto sul mio corpo. Scott, ancora sento i muscoli che mi fanno male! E tutte e due le volte, quando mi sono svegliato, gli occhi mi bruciavano come se non si fossero mai chiusi! Non si tratta di sensi, nel mio caso si tratta di fatti”.
“Ok, ma invece di essere la proiezione dei sensi, non potrebbero derivare dai desideri del tuo subconscio? Prima non abbiamo letto che se i desideri inconsci sono rifiutati dall’ Io, allora si manifestano nel mondo onirico, magari attraverso l’ Es*?”.
“Non mi fido di Derek, ma è giusto dire che non ha mai parlato di desideri, ma sempre di necessità, di un bisogno che è dentro di me e che non riesco a vedere chiaramente. Ma io non ho mai avuto bisogno di guarire piante, salvare lupi mannari da morte certa in un lago o ricevere stupidi complimenti da ragazzina delle medie!”.
“Come? Complimenti?”.
“Niente, lascia stare…”.
Stiles si prese la testa tra le mani, in balia di una valanga di pensieri senza senso.
Scott, dopo aver osservato a lungo lo scaffale, afferrò un libro a caso e si sedette accanto all’ amico. “Dai, non ti abbattere, sono sicuro che troviamo qualcosa. Guarda questo è un libro d’ occulto e parla dei sogni. Magari dice qualcosa che ci può servire” esordì iniziando a sfogliare le pagine.
“Scott” iniziò Stiles sospettoso. “Perché ti importa così tanto?”.
“Perché sono il tuo migliore amico e voglio aiutarti a fare luce su questa faccenda”.
Scott era sempre stato un pessimo bugiardo e la verità venne a galla con facilità, Stiles la vide con chiarezza nei suoi occhi.
“Oh mio dio! Tu mi stai assecondando!” sbraitò, guadagnandosi un ammonimento dalla bibliotecaria.
“Cosa? No, non è vero!” bisbigliò l’ altro.
“Oh, sì che è vero! Tu non vuoi veramente aiutarmi, stai solo facendo finta! Non ci posso credere, mi sento davvero ferito, Scott”.
Il moro strinse le labbra, colto in fallo. “Pensavo che aiutarti a fare ricerche su qualcosa, qualsiasi cosa, ti avrebbe tirato su. Una volta ti piaceva indagare, curiosare e fare assurde ipotesi. Intercettavi addirittura le chiamate di tuo padre! Forse è questo il famoso bisogno di cui parlavamo prima”.
“Ma mi piace ancora” mentì. “Solo che mi piace farlo con qualcuno che ci crede veramente e non qualcuno che mi asseconda come fossi pazzo!”.
“Io non penso che tu sia pazzo”.
Stiles inarcò un sopracciglio con eloquenza.
“Ok, per un attimo l’ ho pensato. Ma è stato solo un attimo, lo giuro”.
Il figlio dello sceriffo sospirò sonoramente. Si stava facendo trascinare da quella faccenda e per di più dalla parte sbagliata. E’ vero, aveva bisogno di riprendere in mano la sua vita, ma non in quel modo. Non credendo in qualcosa che forse neanche esisteva.
In effetti, non aveva nessuna prova, niente che lo potesse convincere del fatto che non fosse tutta un’ illusione. Aveva solo i ricordi del suo sogno e le sue ipotesi strampalate. E mancanza di prove voleva dire causa archiviata.
“Sai che ti dico, Scott? Smettiamola di fare queste assurde ricerche, non ci porteranno da nessuna parte. E sai perché? Perché sono stati solo sogni, assurdi certo, ma solo sogni e nient’ altro. E poi mi è capitato solo due volte e…”.
L’ amico incurvò un lato della bocca, capendo al volo dove voleva andare a parare Stiles. “Uno è un incidente, due è una coincidenza”.
“Esatto. In più, non voglio che pensi che sia pazzo. Sei il mio unico amico e la mia incapacità di fare amicizia mi impedirebbe di trovarmene un altro”.
“Sono commosso”.
“Lo so, a volte faccio questo effetto. Ma sappi che in camera tengo sempre un foglio per le audizioni per un tuo rimpiazzo” scherzò infilandosi due libri nello zaino e andando a registrarli dalla bibliotecaria.
Il sole scendeva sempre di più verso l’ orizzonte e la luce bluastra del crepuscolo si apprestava ad avvolgere Beacon Hills. Con l’ intenzione di passare una serata senza pensieri e preoccupazioni, Scott e Stiles si organizzarono per passare la serata nella radura vicino alla riserva, in compagnia dei cari amici Jack Daniel’ s e Vodka.
Per quanto assurdo potesse sembrare, di nuovo il bosco sembrava il posto che li faceva sentire più al sicuro.








*L' Es è la sfera che in un certo senso si oppone all' Io ed 
è il luogo dei contenuti psichici rimossi - cioè scartati dalla coscienza tramite il processo di rimozione.












Author's Corner:
Chiedo scusa per il ritardo ma la quantità esorbitante di impegni mi ha tenuta lontana dal computer per un nel po'!
Il capitolo non doveva essere così tragico,
ma non so come mi sono fatta prendere la mano ed è uscito fuori così.
Spero comunque che vi sia piaciuto
e perdonatemi il pippone su Freud e la teoria sui sogni, ma mi serviva inserirlo nella storia
e non sapevo come spiegarlo in modo più semplice! Non lapidatemi xD
Love,


J.

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Capitolo 5
*** Drunk. ***


Capitolo 4
Drunk.

 


Can't rely on my heart to beat in
'cause you take parts of it every evening
take words out of my mind
just from breathing
replace with phrases like "when you're leaving me?"
Ed Sheeran - Drunk.






Basilarmente era un venerdì sera come tanti altri. Una leggera umidità nell’ aria, niente scuola il giorno dopo e tanta voglia di non pensare. I due amici si muovevano sicuri tra le ombre del bosco, ma non altrettanto silenziosamente. Certo, Stiles conosceva bene ogni metro e centimetro di quel luogo, ma ancora non riusciva ad affrontarne l’ aspetto più selvaggio, come le radici che lo facevano incespicare, le foglie a terra che rendevano difficile il suo avanzare e i rumori che spesso lo facevano sussultare.
“La vuoi smettere di fare tutto questo casino?” sbottò Scott a metà del percorso.
“Perché? Hai paura che qualcuno ci scopra?”.
“Beh, potrebbe succedere! Io almeno cerco di stare in silenzio e non casco per terra come una pera cotta ad ogni rametto che trovo sotto i miei piedi”.
Stiles incrociò le braccia. “Allora, intanto non sono rametti, ma radici di alberi centenari, se non millenari. E poi scusa, creatura della notte, secondo te perché ti ho proposto di andare alla radura? Perché è un posto sicuro! Le pattuglie non ci arrivano mai e gli animali tendono a nascondersi nel bosco, quindi… non fare la nonnina ansiosa”.
Scott si limitò a far roteare gli occhi per poi aspirare dal suo inalatore.
Finalmente arrivarono a destinazione e dopo le prime due sorsate di Jack Daniel’ s, il tempo si restrinse e sembrò accartocciarsi su sé stesso. L’ alcool scendeva giù nella gola come fuoco, come il fuoco che aveva Derek negli occhi. E anche se per la prima mezzora quel pensiero fastidioso e pungente attraversava la mente di Stiles come un chiodo, con il passare dei minuti l’ alcool si occupò di cancellarne ogni traccia.
Fanculo quel lupo psicotico di Derek, fanculo i sogni, il lago, la paura, le guance che si arrossavano. Fanculo tutto.
Stiles affogò ogni cosa nella sua bottiglia di vodka e questa volta non si sarebbe preoccupato di salvare la situazione. Neanche Scott toccò più l’ argomento per tutta la serata e, dato che reggeva meglio l’ alcool, si godette lo spettacolo che solo uno Stiles Stilinski ubriaco poteva offrire. Era esilarante, perché il suo umore altalenava dall’ euforico all’ affettuoso, dal malinconico all’ infuriato, trascinando lui e chi lo osservava in una sorta di corsa sulle montagne russe.
Tornarono a casa barcollando e sorreggendosi l’ uno a l’ altro per non cadere. Stiles entrò in casa silenziosamente, dopo svariati tentativi andati a vuoto di infilare la chiave nella toppa. Trovò suo padre addormentato sul divano, la tv accesa su un canale sportivo, la giacca da sceriffo ancora addosso.
Si trascinò in camera sua con estrema fatica e lentezza e quando si sdraiò sul letto, gli sembrò di essere stato catapultato su una giostra. Sentiva la testa pesante e lo stomaco sottosopra, ma sapeva che non sarebbe riuscito ad arrivare in bagno per una doccia fredda, così s’ infilò sotto le coperte e chiuse gli occhi.
Il buio delle palpebre era avvolgente e rassicurante. Sarebbe andato tutto bene, quella sera, se lo sentiva. Non avrebbe danzato tra i sogni.
 
 

Il cinguettio degli uccelli riempie l’ aria di suoni dolci e melodiosi, ma nella testa di Stiles risuona come un susseguirsi di colpi di cannone. C’ è odore di resina e aghi di pino e qualcosa di duro e ruvido sotto la sua schiena, probabilmente la corteccia di un albero.
Non vuole crederci, ma sa esattamente dove si trova.
Lotta ossessivamente contro l’ impulso di aprire gli occhi e sgusciare via dal nero delle palpebre chiuse, ma queste si sollevano lentamente e le iridi ambrate vengono investite dal sole.
“Finalmente ti sei svegliato! Mi ero davvero stufato di aspettare”.
Derek è lì, sempre uguale, seduto a gambe incrociate a pochi metri di distanza e con quei due fari verdi puntati su di lui. Stiles distoglie lo sguardo, non sapendo se sentirsi ferito o imbarazzato a causa dei fatti della notte precedente. Non vuole parlarne e anche il solo pensarci gli fa venire la nausea. O forse è colpa della vodka.
Sente un frusciare di foglie e passi e sa che Derek è più vicino, ma non vuole alzare lo sguardo.
“Stiles, prima o poi dovrai guardarmi. O vuoi passare tutto il tempo a fissarti i lacci delle scarpe?”.
Il ragazzo stringe i pugni e sente che quel muro immaginario costruito per difendersi sta già cedendo. “E tu potresti anche chiedermi scusa”.
“Io l’ ho fatto per un motivo, dannazione, per insegnarti come controllare le tue capacità!”
“Beh, non è stato piacevole! E dato che sembra che non ci sia verso di evitarti, gradirei che ti preoccupassi almeno un po’ della mia salute mentale e usassi i tuoi sensi da lupo cattivo per percepire, che so, il battito del mio cuore, così da capire se sono spaventato, in ansia o in totale disaccordo con le tue idee strampalate da maestro di tai-chi!”.
“Per tua informazione, io sento ogni cosa. Ogni cosa! Anche il tuo imbarazzo quando ti guardo o il fluire veloce del tuo sangue quando ti sono vicino, razza di liceale con gli ormoni in subbuglio che non sei altro!”.
Stiles spalanca la bocca, scioccato dalle parole del lupo, e si mette subito in piedi con uno scatto. “Lo vedi? Lo fai di nuovo! Pensi solo a te stesso e neanche ti rendi conto di quello che dici! Hai per caso pensato quanto risultino spiacevoli queste tue ultime frasi alle mie orecchie?”.
“Dico solo la verità”.
“Non mi piace per niente, la tua verità”.
“Temo proprio che dovrai imparare a conviverci”.
“E io temo proprio che dovrai smetterla di provarci con me!”.
Stiles si rende conto della gravità delle sue parole solo un attimo dopo averle pronunciate. Sente le ginocchia tremare leggermente e sa che il peggio deve ancora arrivare.
Derek si acciglia e si inumidisce le labbra. Per un attimo si sente preso in contropiede e il fiato in gola non riesce a tramutarsi in parole. Ma improvvisamente, sul suo viso si dipinge l’ espressione del predatore che ha finalmente trascinato la sua preda in un angolo, senza lasciargli via di scampo, e che già sembra pregustare il sapore della sua vittoria.
“Non sono io quello che sente il cuore battere all’ impazzata e lo stomaco in subbuglio a stretta vicinanza con l’ altro. E credo, solo a livello ipotetico, che quella sensazione si chiami ‘avere le farfalle nello stomaco’. E sai quando si ha questa sensazione? Quando si desidera qualcuno”.
Le nocche di Stiles sono bianche e i tendini delle mani fanno male per quanto sono tesi. Pungi stretti e labbra serrate, è così Stiles davanti a quell’ insulsa – e stranamente pungente- frase da commedia romantica.
“Credo che adesso dovresti veramente chiedere scusa” mormora.
“Io non chiedo mai scusa”.
“Mai? Mai fatto in vita tua? Wow, allora sì che sei uno tosto”.
“Io non ho mai avuto una vita, Stiles. Non sono mai nato”.
Derek ha giusto il tempo di finire la frase prima di venire colpito violentemente da un ramo, apparentemente sbucato dal nulla. Il colpo lo prende direttamente sul naso ed è così forte da farlo cadere per terra con un tonfo sordo. Il moro ringhia di dolore, portandosi le mani sul viso.
Stiles allenta i pugni e si avvicina a Derek, inginocchiandosi accanto a lui e chiedendosi da dove diavolo sia sbucato quel grosso ramo. La risposta arriva quando guarda alla sua sinistra, notando una profonda incisione sul tronco di un albero non molto lontano, probabilmente nel punto dove prima si trovava quell’ arma quasi mortale.
“Derek? Oh cristo, stai perdendo un sacco di sangue!”.
Il lupo ha parte del viso e gli occhi tinti di rosso e sfugge alle mani di Stiles che cercando di aiutarlo.
“Ma che diavolo era?!” chiede Derek per poi raddrizzarsi il naso con uno schiocco, in modo tale che non si rigeneri storto.
Stiles deglutisce rumorosamente a quel rumore secco. “Un ramo”.
“E come ci è arrivato un ramo addosso al mio naso?!” ringhia.
“Io… io non lo so! Anche se il tuo naso mi sembra stia molto meglio…”.
“Sì, posso guarire in fretta, ma questo non toglie che abbia fatto male!”.
“Senti, so solo che ero molto arrabbiato e per un attimo ho veramente desiderato colpirti, ma sapevo che l’ avessi fatto mi avresti sbranato con i tuoi simpatici dentini da lupo mannaro e così… oh, mio dio”.
Derek si pulisce il sangue dal viso con gesti rapidi e nervosi. Alle parole di Stiles si blocca e i suoi occhi in fiamme lo fissano con rabbia. “Sei stato tu… sei stato tu, Stiles! Questa volta giuro che ti ammazzo!”.
“Non l’ ho fatto apposta! Ti giuro, non ho fatto tutta quella roba del trampolino! E’ solo… successo! Posso far succedere le cose senza motivo qui?”.
Le iridi del lupo tornano al verde e un pensiero assurdo ed apparentemente improponibile lo attraversa.
Si alza lentamente e Stiles con lui. Il naso è ormai guarito e tornato allo stato iniziale, quindi Derek può decisamente fidarsi del suo olfatto. E questo non lo tradisce, perché c’è un odore più forte a coprire il profumo di Stiles: alcool.
“Tu sei ubriaco, Stiles”.
Il ragazzo aggrotta le sopracciglia. “Ti sembro ubriaco?”.
“Non è questo il punto. Tu hai bevuto”.
“Sì, sì mamma, ho bevuto con Scott stasera e se proprio lo vuoi sapere l’ ho fatto per evitare di pensare a te e a tutta questa faccenda dei sogni”.
Derek sospira, ignorando l’ ultima parte della frase, e incrocia le braccia. “Pessima mossa”.
“Perché?”.
“Perché l’ alcool circola con facilità nell’ organismo e quindi condiziona moltissimo questa dimensione. Ecco perché quel ramo si è staccato senza che tu ne avessi pienamente il controllo”.
“Bene…quindi mi sa che siamo nei guai”.
“Beh, abbastanza, se consideri il fatto che a ogni sbalzo del tuo umore può succedere qualsiasi cosa! Perciò, ti consiglio vivamente di darti un contegno, ragazzino” lo ammonisce Derek con quel suo tono da paternale. “E sai bene a cosa mi riferisco”.
Il problema è Stiles non lo sa. Non sa perché la vicinanza di Derek lo rende così nervoso, perché ad una sua occhiata sente i muscoli tendersi come molle, perché a volte gli era sembrato che Derek ci stesse davvero provando con lui. E soprattutto perché alla vista del ragazzo senza maglietta aveva sentito formicolii dove non avrebbe dovuto sentirli.
 
“Senti, ormai mi sono rassegnato a tutto questo traffico tra sogno e realtà, ma se vogliamo che la cosa funzioni, dobbiamo davvero lavorare sulla comunicazione” protesta Stiles, scavalcando con non poca difficoltà un tronco d’ albero abbandonato in mezzo ai cespugli.
Ovviamente Derek sta camminando a passo spedito nel bosco, senza degnarsi di comunicargli dove diavolo stanno andando.
Derek abbassa le testa e ridacchia, sommessamente, senza farsi notare. “Non siamo mica una coppia”.
“Dai, un po’ lo siamo. Non mi sembra che qui ci sia tutto questo affollamento e tra l’ altro non sei neanche di grande compagnia”.
Il lupo si blocca per fulminare Stiles con lo sguardo.
“Ok, non lo dico più… però ammetti che è davvero difficile fare conversazione con te”.
“Allora cammina pure da solo nel bosco, senza una guida!”.
“Ma se non so neanche dove stiamo andando!”.
“In un posto dove tu non possa lanciarmi addosso oggetti contundenti”.
Stiles fa roteare gli occhi e accelera il passo per affiancare Derek. Non c’è nessun rumore nell’ aria a parte quello dei loro passi, persino il cinguettio degli uccelli sembra lontano e quasi impercettibile.
“Derek, ma perché non ci sono animali? Cioè, con tutta questa vegetazione selvaggia da film di Indiana Jones pensavo che è veramente strano che non abbiamo ancora incontrato una volpe, uno scoiattolo, un’ anaconda gigante…”.
Il lupo tende le orecchie e sente il rumore delle zampe di un cervo sulle foglie secche, il frusciare della coda di un castoro, il battere ritmico del becco di un picchio su un albero. Sono lontani, lontani chilometri e chilometri. E Stiles non può sentirli, ma soprattutto non può vederli, per colpa sua.
“Hanno paura di me. Loro… si tengono a distanza”.
Stiles si acciglia e guarda il moro al suo fianco. Certo, Derek non è proprio un tipo dall’ aspetto rassicurante e se si arrabbia si trasforma in un lupo gigante; ma che addirittura gli animali non si avvicinino a lui gli sembra davvero assurdo. Insomma, allora perché lui gli stava camminando a fianco senza timore?
Derek si accorge degli occhi di Stiles su di lui, brillanti come due schegge d’ oro, e i suoi muscoli si bloccano, arrestando il suo passo. “E non guardarmi così! Come puoi biasimarli? Chi vorrebbe stare vicino ad una bestiacome me?”.
Non ci sono pretese nelle parole del moro, né richieste di pietà, né dolore. Sono solo il prodotto di ciò che pensa e di ciò che effettivamente è vero.
Il figlio dello sceriffo incurva le labbra e in quel movimento c’è una dolcezza tale che Derek si sente scosso e instabile.
“Io sì” risponde. “Sono tre notti che ti sto appresso”.
“Ma tu sei qui per un altro motivo, è una condizione più grande che ti fa stare vicino a me. In un’ altra situazione avresti paura”.
“Derek, pensala come ti pare, ma non è certo il lupo che è in te a farmi paura”.
Stiles vorrebbe continuare a parlare, ma ogni frase che si assembla nella sua mente non sembra giusta abbastanza e i battiti accelerati del suo cuore scandiscono una lotta all’ interno del petto che brucia e quasi fa male. Il ritmo di quella battaglia interiore risuona nitidamente nelle orecchie di Derek ed i suoi occhi per un attimo sono persi in quelli dorati del ragazzo. Stiles non ce la fa, non resiste più, e distoglie lo sguardo, lasciandolo vagare tra i cespugli in lontananza. Ed è lì che Derek vede la sua mascella contrarsi e gli occhi spalancarsi dallo stupore, rompendo la tensione insopportabile che grava su entrambi.
“Derek, resta immobile”.
“Perché che c’è?” chiede mettendosi sull’ attenti e guardando nella stessa direzione di Stiles, senza notare nulla.
Aspetta qualche secondo, ma Stiles non apre bocca.
“Allora? Mi dici che c’è?” ripete Derek.
“Sssh! Fai silenzio o lo spaventerai”.
“Eh? Ma di che diavolo stai…?”.
Le parole gli muoiono in gola alla vista del batuffolo di pelo che li sta fissando a pochi metri di distanza: un adorabile scoiattolo dal pelo rossiccio e la coda folta e vaporosa come una nuvola.
“Com’ era? Gli animali non si avvicinano a me, sono un lupo grosso e cattivo” lo prese in giro Stiles, mantenendo la voce bassa ed il corpo immobile.
“La puzza di alcool che emani deve aver coperto il mio odore”.
“Puzza di alcool? Ma che stai dicendo? Mica si sente così tanto”.
“Per chi ha un olfatto sviluppato come il mio sì, si sente tanto”.
“Ok, d’accordo, come ti pare, ma non fare tutti questi movimenti bruschi”.
Derek irrigidisce i muscoli e segue inspiegabilmente il consiglio di Stiles. “Giuro che questa è la volta buona che ti sbrano”.
“Sssh! Guarda che capisce, mica è stupido” dice facendo un cenno verso lo scoiattolo, che nel frattempo si avvicinava annusando l’ aria.
“Beh, non deve essere molto furbo se si è avvicinato così tanto”.
“Voglio provare ad accarezzarlo” mormora. “Oh, ecco! Provo ad avvicinarlo con questa ghianda”.
“Oh cristo...”.
Stiles afferra una piccola ghianda per terra ed inizia ad avvicinarsi allo scoiattolo ripetendo insulsi nomignoli affettuosi. L’ animaletto sembra dapprima titubante, ma poi, a piccoli passi, si fa sempre più vicino al ragazzo. E non sembra avere alcuna paura.
Forse il sorriso di Stiles è davvero troppo irresistibile, forse la sua voce suona davvero come musica, forse quel ragazzo è davvero la persona più dolce e rassicurante che esista, perché il batuffolo rosso non solo prende la ghianda dalla mano di Stiles, ma si accoccola anche accanto a lui a gustarla.
“Oddio, Derek, ma guardalo! Non è carinissimo?” trilla accarezzando la testolina dell’ animale.
Derek rompe l’ assurda immobilità imposta da Stiles e sospira, rassegnato. “Sì, adorabile. Ora possiamo andarcene?”.
“Dai, non fare il lupo brontolone e vieni ad accarezzarlo!”.
“Scapperà”.
“Non lo farà”.
“Ma sì che lo farà! E’ nella sua natura!”.
“Senti, lo so che non ti fidi di me, ma potresti almeno provarci”.
Derek lo guarda restio e negli occhi ha la diffidenza di un animale selvatico che non vuole farsi catturare. In più, l’ orgoglio gioca una parte fondamentale. Lui, un lupo grande e feroce, che si abbassa a coccolare uno scoiattolo? Neanche per idea! E' già abbastanza snervante stare dietro a Stiles.
“Guarda che non ce ne andiamo finché non ti avvicini almeno un po’. So che puoi farcela” continua.
Ma quella voce è così calda e buona che Derek per un attimo smette di sentirsi lupo ed inizia ad assomigliare ad un uomo.
Fragile.
Spaventato.
Sensibile.
Curioso.
E sì, forse anche debole, ma sempre più lontano dall’ istinto selvaggio della bestia.
Segue il palpitare delle iridi luminose di Stiles come un bambino che si fa guidare da una piccola luce attraverso un corridoio buio; lentamente, cautamente, si fa sempre più vicino a quella strana coppia. Ad ogni passo sembra sempre più sicuro che il piccolo animale scappi lontano, terrorizzato, ma non succede.
Stiles sorride e incita Derek con lo sguardo ad avvicinare la mano al dorso dello scoiattolo. Se potesse sentire il battito del lupo, si stupirebbe di quanta paura possano avere le bestie e soprattutto di come questa possieda una sfumatura che la rende diversa da quella umana.
Derek si vergogna di sé stesso e di quel pulsare frenetico. Così chiude gli occhi, di nuovo come un bambino, e lascia che la sua mano continui per la sua strada. Li riapre solo quando questa incontra una superficie di pelo soffice e vaporoso, sfiorandola delicatamente in un gesto che fa avanti e indietro sul dorso dell’ animaletto.
“Hai visto? Non era tanto difficile, dopo tutto”.
Derek non dice nulla, rimane lì a fissare lo scoiattolo, stupito dal suo gesto. Rimangono in silenzio per un po’, inginocchiati accanto a quel batuffolo rosso intento a rosicchiare la ghianda e a godersi le coccole. A pasto terminato, alza la testa di scatto puntando gli occhi piccoli e neri sui due giovani e, dopo aver indugiato un po’ sui loro visi, corre via come un razzo immergendosi nella vegetazione.
Derek rimane per qualche secondo con la mano ferma a mezzaria e gli occhi bassi. Stupidamente, insulsamente, inconsapevolmente felice.














Author's Corner:
Capitolo dinamico? Smielato? Patetico?
Boh, non saprei come definirlo. E' che scrivere di questi due mi fa uno strano effetto! xD
Povero Derek, sto ribaltando il suo personaggio come un uovo strapazzato >.<
Anyway, a voi l' arduo compito! ;) *scarica barile in corso*
Spero comunque che sia piaciuto e che recensiate in tanti!
Un grazie a chi commenta sempre e anche a chi mi segue silenziosamente.


J.

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Capitolo 6
*** Brand New Eyes. ***


Capitolo 5
Brand New eyes


"It is invariably saddening to look through new eyes
at things upon wich you have expended
your own powers of adjustment"
- The Great Gatsby,  F. Scott Fitzgerald





Derek tenta di scrollarsi di dosso quella sensazione di benessere, come se fosse un peso insostenibile. Ma la sua intolleranza è semplicemente dovuta al fatto che un’ emozione come quella lui non l’ ha mai conosciuta. E si sa, un animale improvvisamente catapultato in un habitat diverso, tenta in tutti i modi di scappare.
Eppure, sa che sarà difficile liberarsi di quella sensazione, perché appena di volta la ritrova negli occhi di Stiles. Mista ad uno sguardo risoluto e soddisfatto.
“Che c’è, vuoi sentirti dire che avevi ragione?” grugnisce Derek alzandosi di scatto.
“No, tanto so già di avere ragione” risponde l’ altro. “Prima o poi mi ringrazierai”.
“Forza, muovi il culo, sono ancora intenzionato a raggiungere quel posto sicuro e privo di piccoli cuccioli petulanti al di fuori di te”.
Stiles sbuffa. “Ok, farò la persona matura ed ignorerò questa tua simpatica insinuazione, che tra l’ altro rivela il fatto che io sia assolutamente adorabile e…”.
“STILES!”.
“Ok, ok, sto zitto”.
 
 
Mentre continuano a dirigersi verso est, quella faticosa traversata tra i boschi si tramuta in una tranquilla passeggiata. Stiles insegna al lupo come mantenere una conversazione pressoché decente e Derek pian piano inizia ad abituarsi a quel suo strano ritmo nel vivere ed interagire con le cose. Lo aspetta, lo guida, segue il suo sguardo quando si perde nel cielo e torna su di lui come un aereo in picchiata.
In quella dimensione, per Stiles ogni cosa è sorpresa, è bellezza, e Derek si chiede il motivo. Che il figlio dello sceriffo non riesca a meravigliarsi delle cose nel suo mondo?
Mondo. Che parola sbagliata. Ormai anche questo sogno fa parte del mondo di Stiles, Derek fa parte del mondo di Stiles.
Arriva poi un momento in cui entrambi sembrano dimenticarsi della direzione da prendere e Derek si ferma per valutare la loro posizione. La voce e gli occhi di quel ragazzino gli hanno reso difficile persino muoversi in un luogo che conosce alla perfezione.
Stiles coglie l’ occasione per appoggiarsi ad un albero e riposarsi. Il licantropo, a pochi metri da lui, annusa l’ aria, fa vagare lo sguardo tra gli alberi e blatera frasi che Stiles non riesce a capire; perché è troppo impegnato a seguire le linee biancastre che il sole disegna sul viso di Derek, scivolando sulle labbra ed illuminando gli occhi come fossero pietre preziose. Il parlare gli si vede sul collo, su quel piccolo movimento dei tendini che si contraggono insieme alla mascella, e il modo in cui gli zigomi modellano il volto gli dona una sensualità arcana e fulminante. I lineamenti del suo viso possiedono una bellezza che sa di terre lontane e segreti e Stiles se ne sorprende, mentre lo esamina meticolosamente. E’ lì che si rende conto di una verità seppellita in profondità nella sua mente.
Derek è bello.
Sì, per i suoi occhi è piacevole da guardare, per le sue mani appare come una terra ambita e a lungo cercata e per la sua mente è decisamente da desiderare.
In mezzo a quel guazzabuglio di pensieri, ovviamente Stiles non si accorge che Derek lo sta guardando. E lo sta guardando con un grande punto interrogativo disegnato sulla faccia.
Gli ha fatto sicuramente una domanda. Una domanda importante, a giudicare dalla sua espressione, ma soprattutto una domanda che non sembra aver intenzione di ripetere.
“Ehm…”. Stiles non riesce a dire altro.
Lì succede l’ irreparabile.
Durante la sua vita da adolescente iperattivo e logorroico, il piccolo Stilinski ha sempre saputo che ai suoi ormoni piace molto giocargli brutti scherzi. Questi di solito si manifestano alla vista di una minigonna troppo corta, di una scena di sesso spinto nei film o semplicemente al suo risveglio la mattina. Mai si sarebbe aspettato che avrebbero avuto quell’ effetto.
La maglietta di Derek si è sgretolata piano piano fino a diventare un mucchietto di stoffa ai suoi piedi, lasciando scoperto l’ addome e tutto quell’ insieme di muscoli e addominali compreso nel pacchetto.
Stiles a malapena riesce a respirare. “Oh… porca… miseria”.
E le parole gli mancano non solo per il fatto che adesso Derek sembri ancora più attraente, ma anche perché sicuramente sta per entrare nella parte del licantropo arrabbiato.
Il lupo guarda per un secondo i brandelli della sua maglietta e poi punta gli occhi cremisi sull’ umano.
“Stiles” ringhia, mentre avanza lentamente verso il ragazzo.
“N-non è colpa mia, è l’ alcool che fa questi effetti! Dai, io non ti strapperei mai la maglietta di dosso!”.
“Ah davvero? E allora perché l’ hai ridotta in pezzi?!”.
“Già, perché? Domanda interessante”.
“Ti avevo detto di controllarti, dannazione!”.
“Scusami, non l’ ho fatto apposta! Cioè, ammetto che i miei pensieri avevano preso una strana piega e credo che se la siano presa con la tua maglietta”.
Derek sbuffa, sapendo di non poter intraprendere una conversazione che in qualsiasi caso non sarebbe andata a toccare tasti sensibili per entrambi.
“Ringrazia che sono molto felice del mio corpo e non ho problemi a farmi vedere senza maglietta” afferma il lupo, mentre i suoi occhi tornano verdi e abbandonano il fuoco.
Stiles deglutisce e nella sua mente risuona una bel “puoi dirlo forte!”.
Derek si concede un lungo sguardo verso il ragazzo, profondo e tagliente.
“Potresti togliertela anche tu, me lo devi” azzarda il lupo.
Il ragazzo dai capelli castani spalanca la bocca in un’ espressione esterrefatta. Non sta succedendo davvero. Non sta realmente arrossendo come un peperone davanti alle avance di un altroragazzo, come non sta veramente tenendo in considerazione l’ opzione di rispondere a tutte quelle frecciatine e lusinghe. Ma che diavolo gli sta succedendo?
“Sento un po’ di tensione sessuale nell’ aria, lupo”.
“Senti bene”.
Stiles è delizioso nel suo rossore adolescenziale, con tutto quell’ affanno nel respiro e nel petto. E il modo in cui tenta di tenergli testa è assolutamente adorabile.
“Mi stai seriamente intimando di togliermi la maglietta?”.
“Tu hai iniziato, tu finisci”.
Il figlio dello sceriffo deglutisce a vuoto, tentando di pensare ad un modo per evadere da quella scomoda situazione. Il cuore gli martella nel petto, nelle orecchie e sente il sangue fluire così forte nelle vene che fa quasi male. Ironicamente, sente i vestiti pesargli addosso come fossero piombo, ma non ha assolutamente intenzione di liberarsene. Intanto, sarebbe un punto a segno per Derek e poi, a differenza del moro, lui non ha proprio tutto questo amore per il suo corpo. Non che si consideri completamente da buttare, ma di certo non potrebbe reggere il confronto con la sinfonia di muscoli e pelle tesa che gli si para davanti.
Gli occhi di Derek lo trapassano da parte a parte, lasciandolo indifeso, insicuro, segato in due insieme a tutte le sue convinzioni.
Ci deve pur essere qualcosa, qualsiasi a cosa a salvarlo da quell’ assurda ed ingestibile situazione, qualsiasi cosa!
Derek ne sente l’ odore prima ancora che tocchi terra.
Pioggia.
Una pioggia leggera e fitta sbucata da un’ improvviso addensarsi di nubi nel cielo azzurro e limpido che poco prima li sovrastava.
Un sorriso smagliante si apre sul viso di Stiles, il quale si lascia andare a gesti di esultanza e felicità. Derek lo guarda truce e sbuffa irritato.
“Giuro, al prossimo guaio che combini ti faccio a pezzi!” esclama, rassegnato davanti agli effetti che l’ alcool nel corpo di Stiles stava infliggendo a lui e al paesaggio circostante. Ma soprattutto a lui.
“Dai, seguimi, troviamo in fretta un posto per ripararci” continua il licantropo.
 

Corrono fianco a fianco sotto la pioggia, mentre l’ aria si fa umida ed i vestiti cominciano ad inzupparsi. Il primo riparo che incontrano sulla loro strada è una piccola grotta scavata nella roccia sabbiosa a pochi metri dal lago.
“Vieni, qui saremo all’ asciutto” dice Derek indicando l’ entrata ed infilandocisi rapidamente.
“Dritto nella tana del lupo… questo sogno sta diventando un po’ un cliché, sai?”.
L’ interno della grotta consiste principalmente in una sorta di tunnel dalle pareti levigate e sviluppato più in lunghezza che in larghezza, ma c’è abbastanza posto per entrambi. Stiles si accovaccia a gambe incrociate, mentre Derek ha la schiena appoggiata alla parete opposta a lui, le caviglie che sfiorano le ginocchia di Stiles.
Lo spazio è angusto e decisamente ridotto, il che li costringe ad una vicinanza tesa e quasi imbarazzante. E il fatto che uno dei due sia senza maglietta e non aiuta.
 “Mi piacerebbe davvero che ti mettessi qualcosa addosso” borbotta Stiles.
“E ti sembra un’ opzione sensata? Che cosa dovrei mettermi?”.
“Non lo so, qualsiasi cosa! Una foglia, un ramo, due pietre sui capezzoli…”.
Un suono profondo e gutturale esce dalla gola di Derek, costringendo il figlio dello sceriffo a farsi piccolo piccolo e ad alzare le mani in segno di resa.
Fuori la pioggia sembra farsi più insistente, battendo sulle pareti di roccia. Stiles è bagnato fradicio, ma non ha freddo, né quella sensazione di umido gli provoca fastidio. Piuttosto, è Derek a sentirsi turbato dal modo in cui la maglia gli aderisce al corpo come un ventosa.
“Derek, visto che probabilmente dovremo restare qui per un po’, posso farti una domanda?”.
Il lupo si limita ad annuire.
“Prima, durante il nostro primo avvincente disguido, prima che io ti scagliassi contro un ramo, hai… hai detto che non sei mai nato. Che vuol dire?”.
La sua voce è leggera e buona, affievolita dall’ importanza di quelle parole, e Derek non sente paura avvolto da quei suoni caldi.
“Credo che ormai tu abbia capito che questa dimensione esiste grazie a te e che soprattutto è alimentata dalle energie del tuo corpo e dalle fantasie della tua mente. In sostanza, non esiste al di fuori di te. E dato che io vivo qui, se il posto in cui vivo non ha forma se tu non gliela concedi, neanche io posso esistere e avere una vita vera e propria al di fuori di questo sogno, al di fuori di… te. Per questo ho detto che non sono mai nato, perché la nascita è un fenomeno del mondo reale, al quale io non posso accedere. Capisci quello che voglio dire?”.
“Sì, sì, certo. Ma rimane comunque un quesito fondamentale: hai detto che il motivo per cui ho iniziato a fare questi sogni è perché la mia mente era pronta per farlo, perché era spinta da un bisogno. Ma tu, prima che questo accadesse, che facevi?”.
Derek sorride piano e i suoi occhi sfuggono a quelli di Stiles. Come avrebbe fatto a dirgli che prima di lui, non c’ era vita? Che prima di lui c’ era solo il nulla?
Stringe i denti e prende fiato, mentre le parole gli bruciano nella gola.
“Niente, non facevo niente. E in realtà, io stesso per un po’ sono stato niente, un fantoccio senza vita, un involucro vuoto abbandonato in angolo e dimenticato. Di quel periodo non ho ricordi, perché i miei occhi non ne hanno visto niente e il mio cuore neanche batteva. Poi ho iniziato a sentire. Non è arrivata tutta insieme, la vita, ma gradualmente e in piccole parti. Si è sviluppata al mio interno lentamente, nel cuore che pulsava e nella mente che piano piano ha iniziato a ragionare. Sapevo di essere intrappolato in un corpo che non riuscivo a controllare e mi ponevo domande silenziose senza ricevere nessuna risposta. Più tardi, la vita mi è arrivata nelle ossa, nei muscoli, nel sangue e mi è stato concesso di respirare”.
Stiles non dice nulla e neanche i suoi occhi, attenti, concentrati, sembrano aver intenzione di parlare.
“Non ci misi molto a capire che i miei sensi erano incredibilmente sviluppati e che dovevo convivere con due parti di me completamente diverse tra di loro. All’ inizio era difficile capire quale delle due dettasse le mia azioni e quando arrivò la prima notte di luna piena capii che c’ era qualcosa di pericoloso in me. Cos’ ero veramente? Un animale? Un uomo? Fu dura, un po’ come sopportare il dolore di un rogo una, due, tre, quattro volte…ero completamente solo e condannato non solo dall’ abilità di poter mutare forma, ma anche dalla consapevolezza che, dopo tutto, se avevo ricevuto il dono del sentire, doveva pur esserci un destino per me!
Alla quarta luna nuova arrivarono le risposte. Accadde a mezzanotte, mentre vagavo nella parte sud del bosco. Sentii una sensazione di caldo invadermi il corpo e le gambe indebolirsi come fossero tubi di gomma vuoti. Un’ infinità di immagini mi attraversò le iridi spalancate ed altrettante voci mi arrivarono alle orecchie: parlavano tutte di te”.
Derek sospira inebriandosi di quel ricordo così lontano e guarda Stiles negli occhi, in quel suo modo cupo e misterioso.
“Improvvisamente sapevo esattamentecosa dovevo fare e, non te lo nascondo, il fatto che finalmente la mia esistenza avesse un senso mi riempì di… sì, di gioia”.
Fuori piove, il vento soffia violento e Derek… Derek sorride.
“Certo, non sapevo che poi saresti stato così petulante!”.
Stiles sorride con lui, ma dentro trema. Le parole di Derek sono pesanti di emozioni, di sentimenti che non avrebbe mai pensato che quel licantropo burbero potesse avere.
Voleva delle risposte e Derek gliele stava dando, ma non si sarebbe mai aspettato delle rivelazioni di quel tipo.
Stiles trema, ma sa che andrà tutto bene.
“E poi che hai fatto?”.
“Ho aspettato” risponde il lupo. E la mancanza di quel “ti” all’ inizio della frase si sente nel sua mascella che si contrae.
“Per quanto?”.
“Non so… giorni, mesi, anni? Qui non si riesce molto a stare in pari con il passare del tempo. Ma so che è stata lunga, quell’ attesa. Tuttavia, sapere per certo che c’ era una sorta di missione per me, mi ha dato la forza necessaria per sopportarla. E l’ occasione di esplorare a fondo questo posto. Non è un caso che io lo conosca alla perfezione”.
Stiles vorrebbe dire qualcosa, ma la luminosità degli occhi verdi del lupo lo distrae e non riesce a trovare nulla di adatto da dire.
Derek lo ha aspettato. Derek era sempre stato pronto a prenderlo, se fosse caduto in pezzi, e lo avrebbe riportato a casa, se si fosse perso. Derek c’ era sempre stato.
Il moro guarda la fronte di Stiles che si aggrotta e tra quelle pieghe della pelle legge la sua preoccupazione, la sua insicurezza.
“Lo so che è un bel fardello da portare, ma dovevi saperlo” mormora il licantropo.
Si scrutano per qualche secondo, l’ uno davanti all’ altro, con i respiri lenti di chi sa di essere al sicuro. Ma Stiles è pur sempre Stiles e zitto per troppo tempo proprio non ci sa stare.
“Avrei un’ ultima domanda, Derek”.
Il lupo si passa una mano tra i capelli umidi e pensa che gli piace davvero tanto sentire il suo nome uscire dalle labbra di Stiles. “Dimmi”.
“Tu sei qui per salvarmi?”.
Lì Derek non ce la fa più e si fa più vicino al ragazzo. Mantenere le distanze gli sembra ormai inutile e senza senso. L’ istinto fa premere la schiena di Stiles contro la parete mentre Derek gli si piazza davanti poggiando sulle ginocchia. Il cuore del piccolo Stilinski inizia a battere più forte e la sua bocca è dischiusa, cercando sollievo nell’ aria, invano.
“Sono qui per mostrarti che hai tutte le forze necessarie per salvarti da solo”.
Gli angoli della grotta si fanno sfocati e gli occhi iniziano a pizzicare. Stiles riconosce quella sensazione: si sta svegliando.
Gli occhi di Derek sono vicini e di un rosso caldo che fa paura come la pima volta, ma ormai in un modo totalmente diverso. Le sue labbra si piegano in un piccolo sorriso e in pochi secondi Stiles non riesce a vedere altro se non quella curva delle labbra ed il fuoco degli occhi.
“A presto, Stiles”.
















Author's Corner:
Perdonate il ritardo, ma ho avuto due settimane assurde
e non ho avuto molto tempo per lavorare al capitolo.
In più, questa è una fase molto importante nella storia
e volevo scriverla nel miglior modo possibile.
In più, ho finalmente dato sfogo alle crisi ormonali che questi due mi provocano xD
E la cosa bella è che nei prossimi capitoli sarà ancora peggio (o forse meglio?)
Anyway, spero vi sia piaciuto e mi raccomando, recensite recensite e RECENSITE!!
I vostri commenti mi sono sempre di grande aiuto <3


J.

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Capitolo 7
*** Try to swim and stay afloat. ***


Capitolo 6
Try to swim and stay afloat.
 
 


 
La stanza era già inondata di luce quando Stiles aprì gli occhi. Inspirò con forza contro il cuscino e gli parve ancora di sentire l’ odore del bosco e della terra bagnata dalla pioggia. Si girò su un fianco sbattendo le palpebre e subito sentì il familiare bruciore agli occhi, il quale aggravava le sue condizioni fisiche già di per sé preoccupanti a causa della quantità di alcool ingurgitata la sera prima.
Lentamente i dettagli della camera iniziarono a dipingersi con più chiarezza e con essi anche i colori: forti, decisamente troppo forti. Le tempie pulsavano e la testa era così pesante che sollevarsi sembrava un’ impresa più che complessa. Tentò di alzarsi facendo leva sui gomiti, ma lo invase un’ improvvisa sensazione di nausea. Lo stomaco sembrò accartocciarsi come carta che brucia ed in una manciata di secondi Stiles era già piegato sul water.
Il pavimento freddo sotto la stoffa sottile dei pantaloni gli donò un po’ di lucidità e piano piano, di nuovo allo stesso modo, iniziò a ricordare.
Si appoggiò alla parete del bagno, stanco e svuotato. Dentro al suo corpo sembrava non esserci più niente se non precise immagini del suo sogno. Sogno? Ma quale sogno! Non era di certo la parola adatta a definire la sua esperienza notturna, perché anche se il paesaggio ed il viso di Derek erano di una bellezza surreale, di certo quello non era solo un sogno, era molto di più.
Si piegò di nuovo sul water e sotto le palpebre brucianti rivide gli occhi di Derek, rossi, accesi dall’ istinto animale, e poi verdi e liquidi, rassicuranti e penetranti. Aveva ascoltato con attenzione la sua storia, ma la sorgente delle sue emozioni più vere erano stati gli occhi.
Si alzò a fatica dal pavimento, avvicinandosi al lavandino. Si sciacquò più volte la bocca per lavar via quel sapore acido ed insopportabile e si bagnò il viso con acqua fresca. Sollevò lo sguardo per guardarsi allo specchio, ritrovandosi davanti un centrifugato di occhiaie, pelle pallida e tirata e occhi arrossati.
“Fai proprio schifo, amico” disse al suo riflesso.
Improvvisamente si chiese se stesse meglio adesso o prima che arrivasse Derek nella sua vita. Stranamente, non seppe rispondersi.
Dopo aver passato una buona mezzora tentando di riassumere un aspetto pressoché decente, scese al piano inferiore, anche se mangiare era l’ ultima cosa di cui aveva voglia. Ad accoglierlo in cucina c’ era il padre intento a lavare i piatti. Il che era abbastanza strano, perché di solito era sempre Stiles quello a fare faccende di quel tipo. Se non lo avesse fatto lui, probabilmente la casa sarebbe diventata un porcile.
Il tintinnio delle posate risuonava nella testa del piccolo Stilinski come l’ inno d’ attacco di un esercito carico di artiglieria.
“Buongiorno, figliolo” lo apostrofò il padre.
“ Buongiorno, pa’ “.
Lo sceriffo guardò il viso stanco di Stiles e sentì una morsa stringergli lo stomaco. “Hai fatto di nuovo incubi?”.
No, sono andato a fare una scampagnata nel bosco con un uomo-lupo e ho influenzato le condizioni atmosferiche con il solo pensiero, tanto che alla fine mi sono ritrovato bagnato fradicio, bloccato in una grotta con quel tizio, bello da far impazzire, tra parentesi ad ascoltare una storia che ha dell’ impossibile.
“Già, ancora incubi” mentì il ragazzo. “Ma sto bene, mi sento solo un po’ stanco”.
“Vuoi che ti prepari delle uova?”.
Stiles si sentì male solo al pensiero. “Oh, no per l’ amor del cielo…” mormorò.
Il padre inarcò un sopracciglio ed incrociò le braccia al petto. “Hai qualcosa da ridire sulle mie uova?”.
“Ma no, non sulle tue in particolare, sulle uova in generale”.
“Le mie uova sono buonissime”.
“Ok, se proprio lo vuoi sapere a volte ci metti troppo pepe!”.
“Le mie uova sono buonissime”.
“E una paio di volte le hai pure bru…”.
“Le mie uova… sono… buonissime”.
Stiles sospirò sconfitto e lo sceriffo si concesse un sorriso compiaciuto.
“Le tue uova sono buonissime” lo imitò il giovane.
“Bravo. Ora le vuoi o no?”.
Quella strana conversazione sulle uova risultò così esilarante, che Stiles scoppiò in una risata che non gli incurvò solo le labbra ma gli fece sorridere anche gli occhi. Fece cenno di no con la testa, accettando però un bicchiere d’ acqua e una fetta di pane tostato.
Mentre sbocconcellava quella misera colazione, Stiles iniziò a pensare a come avrebbe potuto spendere quella giornata. Si ricordò dei libri che aveva preso in biblioteca e decise che avrebbe dato un’ occhiata, per conto suo. Non voleva coinvolgere Scott in quella faccenda, anche perché non era sicuro che l’ avrebbe preso sul serio e l’ ultima cosa di cui aveva bisogno era sentirsi dire che era stressato o addirittura che era pazzo. Per questo doveva assolutamente saperne di più su quei suoi strani sogni, doveva avere la certezza di non essere completamente uscito di testa perché in quel caso… non si sarebbe più ripreso.
In un angolo remoto del suo petto sentiva strattonare quella piccola parte di sé che aveva seppellito insieme a sua madre, quel suo lato curioso, coraggioso e sempre affamato di avventure, e anche se questa s’ imponeva sulle tenebre in modo decisamente debole, Stiles sentiva che doveva darle ascolto.
“A che pensi, figliolo?” chiese la voce di suo padre.
Stiles aggrottò le sopracciglia e bevve un sorso d’ acqua. “A niente. Sto facendo colazione, a cosa dovrei pensare?”.
“Uhm, non lo so… hai semplicemente la faccia di chi sta facendo un ragionamento piuttosto intricato”.
“E tu questo lo sai perché sei mio padre o perché sei lo sceriffo?”.
“Entrambi” rispose con un sorriso. “Stavi pensando a Lydia?” chiese cautamente dopo essersi preso una pausa per sistemare dei piatti.
Il ragazzo incrociò le braccia sul petto e strinse le labbra. “No, per quanto assurdo possa sembrare, non stavo pensando a lei”.
Assurdo. Sì, lo era, era decisamente strano che Lydia Martin con i suoi capelli rosso rame e i suoi occhi verdi non avesse neanche sfiorato la mente di Stiles in quegli ultimi due giorni. Non che i suoi sentimenti per lei si fossero completamente azzerati, ma semplicemente aveva avuto altro a cui pensare, cose più importanti. Come il fatto di avere sogni così realistici e soprattutto di trovare Derek così attraente e desiderabile. Accantonò quell’ ultima considerazione, sentendo le guance avvampare al solo pensiero.
“Allora, magari… stavi pensando a qualcun’ altro?”.
Non vi era ombra di dubbio nel constatare che dopo la morte della moglie, lo sceriffo e suo figlio aveva legato moltissimo e anche se a volte i ruoli addirittura si capovolgevano, dove Stiles si ritrovava a prendersi cura di un padre devastato e spaventato, questo non faceva altro che rafforzare il loro legame. Tuttavia, affrontare argomenti delicati, specialmente quelli che riguardavano sentimenti personali, diventata spesso difficile ed entrambi si vedevano terrorizzati dal poter rompere la tranquillità apparente dell’ altro. Per questo in quel momento, lo sceriffo avanzava lentamente verso il cuore di Stiles, accertandosi di non distruggere nulla lungo la strada.
“Qualcun’ altro? E a chi dovrei pensare?” biascicò Stiles di rimando.
“Beh, esistono altre ragazze al di fuori di Lydia… o ragazzi…”.
“Oh mio dio, stiamo facendo davvero questa conversazione?”.
“Guarda che io sono una persona molto aperta, non mi arrabbierei se…”.
“Papà! Senti, non stavo pensando a nessuno, stavo semplicemente organizzando la mia giornata, tutto qui. Lo sai che lo faccio sempre”.
Da quando la madre era morta, Stiles aveva sviluppato una razionalità a tratti spiazzante, la quale lo spingeva ad organizzare tutto nei minimi dettagli, ad avere tutto sotto controllo. Mentre lui, l’ adulto, la base della famiglia, tendeva a lasciare che le cose gli sfuggissero dalle dita.
Lo sceriffo sorrise stancamente, appoggiandosi al ripiano della cucina. “Volevo solo…”.
“Lo so”.
E Stiles lo sapeva veramente, sapeva che in quel momento il padre aveva solo intenzione di chiacchierare, di fargli sapere che per qualsiasi cosa le sue spalle erano pronte a sostenere qualsiasi tipo di peso per lui. Ma il giovane sapeva che la mole del segreto che aveva dato una svolta alle sue nottate era decisamente troppo pesante. Se a malapena riusciva a sostenerla lui, come poteva anche solo ipotizzare di condividerla con suo padre?
“Vado di sopra, ho dei compiti da fare” disse Stiles alzandosi dalla sedia.
“Io tra un’ ora devo uscire per passare in centrale, ma dovrei tornare nel pomeriggio”.
“Ok, mi preparerò qualcosa per pranzo” rispose puntando dritto verso le scale. “Ah, papà?”.
“Sì?”.
“Grazie”.
Quella parola e un sorriso, così fece Stiles, perché nonostante avesse spesso l’ istinto di chiudersi dietro la sua corazza da riccio, era davvero grato quando vedeva suo padre tentare di avvicinarsi al suo cuore. Voleva dire che stava lottando.
 

Dopo una lunga ricerca su internet che si era rivelata un grandissimo buco nell’ acqua, Stiles decise di dedicarsi ai due libri della biblioteca. Accoccolato sul letto, con il sole delle due che filtrava dalle tende e i due volumi davanti agli occhi, iniziò la sua accurata ispezione. Il primo libro era un trattato delle diverse teorie sui sogni ipotizzate e studiate nei secoli, da alcuni filosofi greci a Freud. C’ erano alcune note di qualche scienziato contemporaneo, le quali però risultavano una ripetizione delle precedenti o del tutto inconcludenti. Il secondo era una raccolta di miti e leggende e una attirarò l’ attenzione di Stiles in modo particolare.
Era una leggenda Cheyenne sull’ acchiappasogni, famoso strumento indiano utilizzato per scacciare i brutti sogni – e che nel caso di Stiles non aveva mai funzionato. Un mattino, una bambina di un villaggio Cheyenne chiamata “Nuvola Fresca” corse da sua madre, “Ultimo Sospiro Della Sera”, lamentandosi dei brutti sogni che la tormentavano di notte. Le succedeva quasi sempre la stessa cosa: un volatile più nero della notte entrava nella sua tenda per nutrirsi del suo corpo, beccandola pezzo per pezzo, finché arrivava una donna avvolta di bianco che lo cacciava via. La cosa che spaventava di più la bambina, era che il dolore e la paura erano reali e al mattino si svegliava ansimante e terrorizzata. Così chiese alla madre se c’ era un modo per vedere solo la donna avvolta di bianco, che rappresentava le visioni buone del sonno. “Ultimo Sospiro Della Sera” le disse di non preoccuparsi e iniziò a costruire una rete tondeggiante che avrebbe scacciato i brutti sogni e avrebbe invece accolto quelli buoni. Andò a procurarsi l’ occorrente da un anziano del suo villaggio, “Occhio del Lupo”, il quale si offrì di aiutarla poiché anch’ egli voleva molto bene alla piccola “Nuvola Fresca”. Misero al centro della rete una goccia d’ argento come catalizzatore, un petto di turchese per il desiderio e un dente di un animale forte che potesse combattere le tenebre: il lupo.
Quella notte, l’ incubo sotto forma di uccello nero venne a trovare la bambina e, fendendo l’ aria con il becco, impedì alla donna in bianco di avvicinarsi per salvare la piccola. In quel momento, apparve un grosso lupo grigio che scacciò l’ incubo e permise alla donna di tranquillizzare la bambina. L’ animale rimase a proteggere la famiglia di “Nuvola Fresca” e tutti i suoi discendenti. *
Stiles rimase a rimuginare per un po’, sdraiato sul letto, i libri sul petto, un peso sul cuore. Il suo cervello sembrava un motore instancabile e velocissimo e i risultati delle sue ricerche non erano stati soddisfacenti come sperava. Quella leggenda Cheyenne sembrava l’ unica cosa a cui aggrapparsi, ma non sapeva neanche se Derek sarebbe stato disposto a parlarne.
Chiuse gli occhi sul viso stanco, ma non trovò il buio, bensì pezzi di immagini troppo vivide per essere ignorate. Troppo reali.
Tutti avevano vissuto nel miraggio di un sogno. Ma quello di Stiles era diverso, era palpabile, era vero! E il suo ricordo non lo aveva abbandonato. Dimenticare era impossibile. Ricordare faceva paura.
 

Era già metà pomeriggio quando il giovane Stilinski uscì di casa come una furia, catapultandosi dentro la sua jeep e mettendo in moto senza esitazioni. Aveva decisamente bisogno di schiarirsi le idee, di riflettere, e guidare senza meta per un po’ sembrava la soluzione migliore. Insieme ai libri, era stato il suo unico sollievo quando le pareti della casa emanavano troppi ricordi e rimanere in balia dei pensieri diventava insopportabile. In quelle ultime ore gli era parso di aver consumato tutto l’ ossigeno nella sua stanza e non poteva permettersi di distrarsi un attimo che nella sua mente lampeggiava il verde del bosco e degli occhi di Derek.
Attraversò tutta Beacon Hills senza neanche accorgersene, cullato dall’ aria fresca di un Febbraio piuttosto mite e dagli Stereophonics che cantavano la loro “Dakota” alla radio. Arrivato al confine della riserva iniziò a chiedersi se fosse il caso di tornare indietro o per lo meno di decidere una meta da raggiungere. Stava proprio per fare inversione di marcia quando sentì un tonfo sordo e uno strano rumore provenire dalla parte posteriore della vettura. La strada era deserta, né macchine, né tantomeno persone a piedi così accostò e scese dalla jeep. Si lasciò sfuggire diversi tipi di imprecazioni quando si accorse di aver bucato una ruota.
La cosa preoccupante era che si trovava in una strada piuttosto isolata che costeggiava i boschi, un budello asfaltato in mezzo al verde, e benché avesse una gomma di riserva, non aveva la più pallida idea di come fare a montarla.
Si passò le mani nei capelli nervosamente e iniziò a fissare la ruota bucata, chiedendosi che cosa avesse fatto di male per meritarsi tutte quelle disgrazie.
“Guarda che anche se la guardi intensamente non si ripara da sola”.
Una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare, facendo accelerare il battito del suo cuore in maniera preoccupante. Quando si voltò, il suo sguardo incontrò quello accigliato di una ragazza dai capelli coloro mogano, lunghissimi e legati in una treccia che le scendeva sulla spalla sinistra. Aveva la carnagione chiarissima, un fisico minuto e atletico e tra le braccia un fascio di rami di diverse dimensioni.
Stiles si appoggiò con una mano alla jeep per riprendersi dallo spavento. “Mio dio, mi hai fatto prendere un colpo…”.
“Scusa”.
“E si può sapere a dove sbuchi?”.
La ragazza aggrottò ancora di più le sopracciglia. “Dal bosco?” rispose indicando gli alberi alle sue spalle.
Stiles si sforzò di sorridere con tranquillità, ma il fatto che quella ragazza fosse sbucata praticamente dal nulla gli sembrava decisamente strano. “Stavi nel bosco da sola?”.
“Sì, vagavo da sola nel bosco con il lupo cattivo in agguato… guarda che se non sapessi badare a me stessa non ci andrei!”.
“Già, hai ragione. E poi non ci sono lupi in California”.
La giovane distolse lo sguardo e strinse le labbra, come presa da un pensiero torbido e scomodo. Poi posò a terra il carico che teneva tra le braccia e puntò i suoi occhi scuri sul ragazzo davanti a lei. “Allora, lo vuoi o no un aiuto con quella ruota?”.
L’ abilità con cui soccorse la sua macchina fu a dir poco incredibile. Era dotata di grande forza e precisione nei movimenti, tanto che si fece aiutare da Stiles solo per posizionare bene il crick e la tavoletta – improvvisata con un sasso trovato nelle vicinanze. Non che Stiles avesse dei pregiudizi sul gentil sesso, ci mancherebbe, ma non si sarebbe mai aspettato che un’ adolescente come lui fosse in grado di fare una cosa simile. Constatò tristemente che quello era l’ ennesimo attentato alla sua virilità.
Mentre teneva tra le mani i bulloni appena svitati, notò che oltre ad essere in gamba era anche molto carina. Aveva dei lineamenti dolci e morbidi, specialmente nel disegno delle labbra e nella forma del naso, punteggiato appena da qualche lentiggine. Le sopracciglia erano leggermente arcuate e folte, decisamente non curate come quelle delle ragazze della sua scuola, ma non per questo meno belle.
Non aveva detto una parola da quando aveva iniziato la sua operazione di salvataggio, così Stiles si decise a spezzare il silenzio. “Mi stai veramente salvando la vita. Non mi era mai successo di bucare e non aveva la minima idea di cosa fare! Ma questo probabilmente l’ avrai notato da sola. Come avrai probabilmente intuito che ci deve essere qualcosa che non va in me, dato che la maggior parte dei ragazzi sarebbe stata perfettamente in grado di risolvere la situazione. Comunque, potrei sapere come ti chiami?”.
La ragazza interruppe il suo lavoro e guardò Stiles con quei suoi grandi occhi scuri. “Kaya. Mi chiamo Kaya”.
“Wow, che nome strano… vuol dire qualcosa?”.
“Sì, significa ‘sorella maggiore’ “ rispose, afferrando la ruota nuova.
“Io mi chiamo Stiles”.
“Beh, questo sì che è un nome strano”.
Una folata di vento portò l’ odore dei pini fino ai loro nasi. Fu in quel momento che il giovane Stilinski fu di nuovo investito dai ricordi e dall’ aroma dolce del suo sogno. E lo sentì nel leggero sospiro che gli gonfiò il petto e nel battito triste delle sue ciglia che il modo in cui Kaya appariva desiderabile ai suoi occhi era completamente diverso da quanto trovasse disarmante la bellezza di Derek.














Author's Corner

Di nuovo in ritardo, lo so.
E' che questo capitolo continuava a lasciarmi insoddisfatta e tutt' ora non mi sembra neanche un granché >.<
L' unica cosa che lo salva forse è la presenza dello sceriffo.
Purtroppo, i capitoli di transizione sono necessari, anche perchè nel prossimo....
Ho voluto inserire un nuovo personaggio,
ma ancora non so bene quale sia il destino di Kaya.
Per ora che ne pensate?
Comunque voglio rassicurarvi che non sarà un intralcio per la nostra Sterek ;)
Perdonate se ci sono degli errori che mi sono sfuggiti.
Come sempre, grazie a chi mi segue e a chi esprime le proprie opinioni sui capitoli!
Ovviamente, sapete che lo adoro quindi... RECENSITE <3



* Questa leggenda è una mia variante alla vera leggenda dell' acchiappasogni, di origine Cheyenne.

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Capitolo 8
*** Madness. ***


Capitolo 7
Madness.

 

Come to me
Just in a dream,
come on and rescue me
Yes, I know, I can't be wrong
Baby, you' re too headstrong
Our love is... madness
Muse - Madness






Kaya non disse altro per un' altra bella manciata di minuti e questa volta neanche Stiles si disturbò a infrangere il silenzio. Era troppo perso nei suoi strani ragionamenti, i quali ovviamente includevano quel Derek e tutto ciò che ne conseguiva.
La luce chiara del pomeriggio stava facendo spazio ad un crepuscolo violaceo e scuro e nel cielo si stavano addensando delle grossi nubi. Probabilmente avrebbe piovuto e Stiles sentì di nuovo quella fastidiosa sensazione di elettricità percorrergli la schiena, pensando che, purtroppo, la pioggia gli ricordava la chiacchierata con Derek nella grotta.
“Ho finito”.
Quella voce tagliente lo destò dai suoi pensieri, catapultandolo di nuovo nella realtà.
La ruota nuova era stata inserita senza problemi e Kaya si alzò da terra, spolverandosi i jeans. Andò a recuperare il fascio di legna che aveva abbandonato a pochi metri di distanza e Stiles pensò che era davvero strano che una ragazza andasse a raccogliere la legna. O che si raccogliesse legna in generale. Insomma, dove viveva? In un bunker senza riscaldamento?
“Beh, ti auguro buon rientro a casa… o dovunque tu stia andando” disse Kaya per poi fare rotta verso il bosco.
“Grazie. Sì, forse è meglio che torni a casa. E tu torni a casa passando dal bosco?”.
La ragazza si voltò e in quel movimento alcune ciocche sfuggirono alla lunga treccia andandole a sfiorare il viso. “Casa mia è nel bosco”.
 “Oh... allora direi allora che è meglio che mi faccia gli affari miei. Grazie di tutto, comunque”.
L’ imbrunire stava inghiottendo ogni cosa e Stiles si rese conto che doveva davvero tornare a casa prima che facesse buio.
Dopo la morte di sua madre, spesso spariva per intere giornate, guidando fino ai limiti della riserva o passeggiando nel bosco con Scott, ed il padre, col passare del tempo, si era in un certo senso abituato a quelle fughe. In fondo, almeno uno dei due doveva pur poter scappare per un po’ dalla tristezza di quella casa. Ma Stiles era un fuggitivo, non un irresponsabile.
Il ragazzo smontò il crick e lo ripose nel portabagagli, insieme alla ruota danneggiata, convinto che Kaya fosse già sparita nel bosco. Ma improvvisamente sentì la sua voce arrivargli alle orecchie come un soffio di vento.
“Stiles?”.
“Sì?” domandò accigliandosi.
Kaya sorrise e anche se quel sorriso non scopriva i denti ma incurvava appena le labbra, Stiles rimase stupito. Era la prima volta che lo faceva da quando l’ aveva incontrata.
“Non c’ è niente che non va in te”.
E s’ immerse tra gli alberi, senza più voltarsi.
 
 
La pioggia ticchettava sul vetro e Stiles se ne stava al buio, in cerca di un conforto che faticò a trovare. Le coperte pesavano addosso e con quelle pesavano i pensieri, le domande senza risposta, i cambiamenti scagliati come meteore contro una vita piatta e grigia.
Il suo cuore era un campo di battaglia dove si fronteggiavano soffici essenze nate dai suoi sogni più belli e mostri fatti di morte. Esplodevano fuochi d’ artificio e granate, fendevano l’ aria areoplani di carta e frecce avvelenate e scricchiolavano sotto i piedi ciottoli levigati e filo spinato. Era una carneficina di tutte le sue convinzioni e Stiles doveva decidere in fretta a cosa aggrapparsi.
Chiuse gli occhi e sperò di sognare di ciottoli bianchi, areoplani di carta e fuochi d’ artificio.
 
 
Il buio che si trova davanti agli occhi è diverso da quello della sua camera. E’ bluastro, scuro, ma non abbastanza da impedire di distinguere le cose e decisamente meno opprimente. Si tira su lentamente e alza lo sguardo verso un cielo punteggiato da un’ infinità di stelle. Una luna quasi piena brilla di luce bianca ed illumina leggermente le piante e la terra brulla sotto ai suoi piedi.
La notte è bella e non fa paura, ma Stiles è solo. Cerca tra i cespugli due bagliori rossi, invano, e gli ritorna alla mente il ricordo del primo incontro con Derek, un lupo famelico accompagnato da una notte fatta di nebbia e freddo.
Dov’è adesso? Dov’è Derek? Lo ha lasciato davvero solo?
Per un attimo ha il presentimento di trovarsi di nuovo in uno dei suoi incubi, solo con le sue paure, e un senso d’ affanno gli preme sul petto. Si alza di scatto e voltandosi da una parte all’ altra inizia a gridare il suo nome, incanalando su quelle cinque lettere tutte le sue ultime speranze.
Ma quella voce profonda a calda arriva finalmente a salvarlo.
“Stiles! Sono qui”.
Il licantropo arriva di corsa, sbucando da dietro un grande albero e Stiles sente un immediato sollievo. Non è solo, Derek è lì.
Non sa esattamente perché, ma è talmente grato di non essere in un incubo e di avere Derek a proteggerlo che le sue gambe iniziano a muoversi, bruciando la distanza che li separa, e le sue braccia avvolgono il torace del lupo, stringendolo in un abbraccio saldo e vigoroso.
Derek sente i muscoli tesi come molle e il cuore di Stiles batte veloce contro il suo petto. Costringe le braccia a flettersi e a circondare le spalle del ragazzo, con cautela e delicatezza, come se avesse paura di spezzarlo. O di spezzare la dolcezza di quel momento.
“Non farlo mai più” mormora Stiles contro la maglia del moro. “Se mi lasci un’ altra volta solo in mezzo al bosco, giuro che ti affogo nel lago”.
Derek sorride. “Non succederà più. Te lo prometto”.
Stiles adesso ha meno paura e si decide a sciogliere l’ abbraccio.  Accenna un sorriso in quel suo modo ammiccante, le labbra incurvate, gli occhi che brillano.
Il licantropo si sente un po’ scosso da quel contatto e sbatte ripetutamente le palpebre per riacquistare un po’ di lucidità e soprattutto ridarsi un contegno.
“Da dove arrivi così trafelato?” chiede Stiles dondolando appena sui talloni.
“Perché me lo chiedi?”.
“Sai, senza offesa, ma hai un odore un po’ strano… come di legno bruciato”.
Derek ficca le mani nelle tasche dei pantaloni e si inumidisce la labbra, lasciando vagare lo sguardo tra le irregolarità del terreno.
“Oh, no… stai facendo di nuovo il lupo tenebroso. Ergo, c’è qualcosa che non vuoi dirmi”.
“E cosa te lo fa pensare?” risponde sorpreso.
“Quel tuo sguardo da Heathcliff”.
“Heathcliff?”.
“Dai, ‘Cime Tempestose’!” esclama allargando le braccia in un gesto plateale. “Non ti dice niente?”.
“Dovrebbe?”.
“Oh Gesù, ma come fai a dormire la notte non conoscendo… ah, lasciamo perdere! Ora, dimmi quello che non vuoi dirmi”.
“Se non voglio dirtelo ci sarà un motivo!”.
“Derek, giuro che se non me lo dici inizio a parlare a manetta in quel modo che odi tanto”.
Stiles sostiene lo sguardo di Derek, cercando di non fare caso ai suoi pugni che si serrano e alla mandibola che si contrae. Non ci vuole molto prima che il moro ceda.
“E va bene. Seguimi”.
 

Derek è luce nel buio della notte e a Stiles piace vederlo girarsi ogni tanto, per controllare che non si sia perso o che non sia inciampato su qualcosa. La vegetazione è rigogliosa e fatta di arbusti e alberi dal tronco fino che sembrano così familiari. Quella porzione del bosco è decisamente una copia quasi fedelissima del bosco di Beacon Hills.
Mentre camminano, Derek per la prima volta gli chiede come sta, come è andata la giornata. Stiles lo prende in giro, lo punzecchia, e ride quando il lupo gli risponde con uno sguardo truce.
“Guarda che mi interessa davvero sapere come è andata la tua giornata” sbotta Derek dopo l’ ennesima battuta sarcastica.
 “Scusa, è che non sono abituato a…”.
Il figlio dello sceriffo abbassa leggermente lo sguardo, sfuggendo agli occhi luminosi di Derek e al suo silenzio; che sembra supplicarlo di continuare a parlare.
“Dopo la morte di mia madre la gente non faceva altro che chiedermi come stavo. All’ inizio penso fossero davvero interessati alla risposta, ma dopo un po’ si vedeva che quelle parole non avevano significato. Erano solo suoni e io con solo suoni ho iniziato a rispondere. Battute, bugie, monosillabi, frasi buttate lì giusto per dire qualcosa, come se dovessi alla persona che mi parlava almeno qualche parola a cui aggrapparsi per non sentirsi in colpa. Era diventato tutta una convenzione e ho perso l’ abitudine a rispondere con la verità”.
Derek guarda Stiles e sente improvvisamente l’ impulso di abbracciarlo di nuovo. Non perché gli faccia pena o compassione, semplicemente per dargli il suo conforto e sostegno, perché di nuovo non c’è nessuna frase adatta da dire, nessuna parola che possa sostenere il peso del dolore di Stiles. Così il lupo torna lentamente sui suoi passi, sorridendo con cautela.
“Bene, allora sapendo questo e sapendo che a me interessa davvero la tua risposta, ricominciamo daccapo… com’è andata la tua giornata, Stiles?”.
 
 
“Siamo arrivati”.
Davanti agli occhi di Stiles, c’è un grande spiazzo circondato dagli alberi, un cratere ovale di terra brulla e erba secca in mezzo al bosco folto e selvaggio. Al centro si staglia una grande casa in legno e mattoni. Ha un aspetto malandato, molti vetri delle finestre sono rotti, i muri sono anneriti e a Stiles sembra di intravedere anche un buco sul tetto. Tuttavia la struttura è decisamente quella di un edificio che in passato doveva essere stato molto bello: una pianta rettangolare e ampia, finestre grandi, due piani e un piccolo patio coperto che precede l’ entrata.
Il ragazzo guarda Derek incuriosito. “E questa?”.
“E’ casa mia. O almeno, è dove mi sono svegliato quando ho iniziato ad esistere in questa dimensione. In più, qualcosa nel mio cervello l’ ha sempre registrata come un luogo dove tornare, dove ripararsi quando piove… insomma, come casa”.
I due si avvicinano lentamente e ora che Stiles la guarda più da vicino, non ha più alcun dubbio sulla causa del nero che ricopre le pareti esterne. E sullo strano odore di Derek.
Il lupo lo guarda di sottecchi, soppesando la sua reazione davanti a quel tugurio che mai avrebbe voluto mostrargli e che sarebbe dovuto rimanere un segreto per sempre. Si morde l’ interno della guancia nervosamente, maledicendosi per aver ceduto alle richiese del ragazzo.
“Sembra che sia andata a fuoco…” mormora tastando i gradini che fanno accedere al patio.
“Già, pare di sì. Non so come e quando sia successo. E’ sempre stata così da quando ho memoria”.
L’ interno è ancora peggio dell’ esterno, per quanto possibile. C’è odore di muffa e cenere e sia i muri che il pavimento sono seriamente danneggiati. Tuttavia, gli spazi sono molto ampi e dall’ ingresso si può intravedere un grande salone in fondo e una sala da pranzo a sinistra. Lungo i muri si snodano numerose porte malandate, chiuse a custodire chissà quale segreto.
La luce lunare che filtra dalle tende strappate o entra direttamente dai buchi dei vetri rotti dona alla casa un aspetto decisamente inquietante.
“Come diavolo fai a vivere qui?! Insomma, sembra la casa delle vacanze della famiglia Adams!” esclama Stiles.
Derek fa spallucce, ignorando il sarcasmo di Stiles. Che tra l’ altro non ha capito. Di nuovo.
“Non è che io abbia avuto grandi alternative”.
“Ma sei un lupo! Non potresti vivere nel bosco, sopravvivendo con quello che la natura ti da?”.
“Sono anche un uomo, Stiles! Avrò pure bisogno di un tetto sulla testa”.
“Beh, se proprio lo vuoi sapere, la grotta dell’ ultima volta sembrava molto più confortevole. Dai, potresti vivere come il protagonista di ‘Into the Wild’! Anche se non sono certo che sia proprio un esempio incoraggiante. L’ hai mai…?”.
Il ragazzo s’ interrompe notando l’ espressione interrogativa del moro.
“No, ovviamente non l’ hai mai visto… sai, dobbiamo proprio lavorare sul versante film e libri. Non c’è gusto sennò a prenderti in giro”.
Derek rotea gli occhi rassegnato. “Vuoi vedere anche il piano di sopra?”.
Stiles annuisce, mentre esamina con la punta delle dita una vecchia credenza piena di argenteria.
Salgono una rampa di scale scricchiolanti, sulla quali Stiles incespica più volte strappando sospiri e qualche risata sommessa a Derek.
Il piano superiore è un po’ più piccolo di quello inferiore e consiste per lo più in molte camere da letto e un paio di bagni. I vetri delle finestre sono meno danneggiati e i mobili hanno un aspetto quasi consono; ma sebbene alla vista si sia risparmiato un po’ di orrore, non si può certo dire lo stesso dell’ olfatto.
“Mio dio, ma che cos’è quest’ odore? C’è puzza di.. di… non so neanche io di cosa! Sembra solo che abbiano bruciato una dozzina delle vecchie ciabatte puzzolenti di mio padre”.
Derek rimane in silenzio e si limita a ridacchiare appoggiato a una parete, lasciando che Stiles esplori per conto suo. E’ quando lo vede posare la mano sulla parete in fondo al corridoio che scatta come una molla, raggiungendolo in pochi secondi.
Quattro profondi solchi attraversano il legno, scendendo fino al pavimento e terminando in una preoccupante incrinatura a forma di conca. Hanno le fattezze animalesche di una bestia dalle grandi unghie e per alcuni tratti sono tinti di rosso; ma il segno sul pavimento è stato certamente inflitto dal pugno di un uomo.
Cautamente, Stiles percorre con i polpastrelli quelle scie bianche e purpuree sul nero e sente il respiro di Derek a pochi centimetri dalla sua spalla. Stranamente non è spaventato da ciò che vede, ma quando si volta non vede altro che paura negli occhi verdi del moro.
“Derek…”.
“E’ stato durante una luna piena. Come sai posso trasformarmi completamente in lupo, ma posso anche assumerne solo alcune caratteristiche. Come i denti o gli artigli, per esempio”.
Scandisce le parole lentamente e con sicurezza, come se non volesse lasciare spazio a fraintendimenti, ma il tono della sua voce è grave, strascicato, quasi timoroso.
Il figlio dello sceriffo si abbassa e appoggia le nocche nella conca sul pavimento. La sua mano è decisamene più piccola di quella di Derek, ma quel segno è sicuramente molto grande e molto profondo. Quanta forza ci può volere per incrinare un pavimento di legno così spesso?
“Mi dispiace, io…”.
“Derek, va tutto bene”.
“No, meglio che ce ne andiamo, tu non…”.
Stiles si alza e punta quei suoi occhi ambrati su Derek, rassicurandolo. “Sto bene. Non ho paura”.
Ed è vero, Derek lo vede nei suoi occhi caldi, lo sente nel battito regolare e morbido del cuore del ragazzo. Eppure, è davvero giusto mostrargli altro orrore, dopo tutto quello che ha passato? E’ giusto combattere i suoi demoni con altri mostri?
E’ giusto volergli bene in quel modo?
Il lupo serra i pugni e i denti, in una morsa che sa di dubbio e rabbia. Ha avuto così tanto tempo per organizzare, studiare, riordinare, valutare, per prepararsi all’ arrivo di Stiles, ma ora inizia seriamente a mettere in discussione i suoi metodi. Certo, portarlo a casa sua non è stato di certo pianificato, ma è una deviazione che Derek non avrebbe dovuto permettere.
Perso nei suoi pensieri, non si rende subito conto che Stiles ha iniziato ad ispezionare le varie stanze di quel piano e che trovandosi davanti ad una porta chiusa, ha subito avuto il desiderio di aprirla.
Alle orecchie di Derek, il suo respiro che muore in gola è un vaso di cristallo che si rompe in mille pezzi.
“Stiles! No!”.
Se la morte avesse avuto una stanza dei giochi, probabilmente avrebbe avuto quell’ aspetto.
Non ci sono mobili e l’ unica finestra presente è murata dall’ interno. Le pareti sono nude, spoglie, quattro lamine scure imbrattate di rosso. Ma quel rosso non è il segno del pennello di un artista, né il lavoro accurato di un architetto: è sangue secco e rattrappito, l’ estrema conseguenza di una violenza crudele e cieca. Le prove schiaccianti di quell’ atto sono in un angolo della stanza, sono i corpi di due grandi corvi neri, orribilmente mutilati e aperti in due come noci marce.
Dal lato opposto, tre grosse catene collegate ad una lamina d’ acciaio sul pavimento giacciono attorcigliate su sé stesse come grossi serpenti. Hanno dei bracciali spessi alle estremità, due piccoli e uno più grande. Due per i polsi, uno per il collo.
Ma ciò che sembra sfiorare i limiti dell’ umano è l’ oggetto posto esattamente accanto a quelle serpi di metallo: un enorme trono, scuro, sporco, imponente. Anche questo ha dei bracciali di metallo, due per i polsi, due per le caviglie e uno in alto, probabilmente destinato alla testa. Ma l’ orrore non sta nel colore di quell’ ordigno, né nel suo aspetto in generale. Sta negli spuntoni acuminati che riempiono l’ interno dei bracciali, come spine di rovi fitti e mortali. Stiles sente un forte senso di nausea realizzando che quello più grande serve a cingere il cranio all’ altezza delle tempie.
Il sangue è asciutto e la decomposizione delle carcasse è ormai terminata, ma un tanfo nauseabondo colpisce Stiles in pieno volto, costringendolo a tapparsi naso e bocca con una mano. L’ orrore è tale che sente le ginocchia tremare e impulsivamente tenta di sorreggersi allo stipite della porta con un braccio. C’ è morte in quella stanza e Stiles serra per un attimo gli occhi, incapace di fare altri movimenti.
Derek gli posa una mano sulla spalla e lo chiama, ripete il suo nome in una cantilena che sembra quasi una preghiera.
“Stiles… Stiles… mi dispiace”.
Per qualche istante nessuno dei due ha il coraggio di fare niente, poi Derek chiude la porta con forza. Stiles si volta verso di lui, guardandolo con gli occhi spalancati e il viso teso di chi è decisamente sotto shock. Ma chissà cosa, chissà quale assurda forza, gli impedisce di scappare da quella casa senza aver almeno chiesto spiegazioni.
“Derek… cos’è successo in questa stanza?”.
“Andiamo via, ti prego, fai finta di non aver visto niente”.
“No, io non vado da nessuna parte”.
“Stiles, ti prego, ne possiamo parlare un’ altra volta…”.
“No, voglio che me lo dici qui e voglio che me lo dici adesso!”.
Il moro abbassa il capo sconfitto, intrappolato dagli occhi severi di Stiles, e con un cenno gli intima di seguirlo al piano di sotto.
Scendono le scale lentamente e raggiungono il salone. Derek tenta di convincere Stiles a sedersi, ma lui non ne vuole sapere e finiscono per rimanere tutte e due in piedi, a guardarsi con quegli sguardi seri di chi conosce la morte troppo bene.
“E’ stato ovviamente durante l’ ultima luna piena” comincia Derek. “Le catene di solito riescono a contenermi, credo siano intrise di un sostanza nociva che mi brucia la pelle se provo a strapparle. Ma quella notte sentivo che c’ era qualcosa di diverso nel mio corpo, qualcosa di pericoloso e distruttivo. Così decisi che avrei usato quella sedia… e che avrei sopportato tutto il dolore necessario. Ma qualcosa andò storto. Mi ero allontanato troppo da casa e la luna piena mi prese schiavo sulla soglia di quella stanza. Fortunatamente ero riuscito ad entrare e a chiudermi a chiave, ma non avevo tenuto conto della finestra aperta dalla quale erano entrati due corvi. Mi trasformai e subito fui accecato da… dal desiderio di uccidere”.
Derek soffre. Soffre perché quel ricordo è già doloroso di per sé e poi perché Stiles lo sta ascoltando. Non avrebbe mai e poi mai voluto esporlo all’ orrore di quella notte.
“Ne straziai i corpi. La mattina dopo, coperto di sangue, straziai me stesso”.
Stiles è fermo, attento e lo shock iniziale è ormai scivolato via, non lasciando nessuna traccia. Vedere Derek così disperato, schiacciato sotto il peso di una maledizione di cui non ha colpa lo convince sempre di più che non è cattivo. E’ solo molto solo.
“Hai fatto male a te stesso?” chiede Stiles.
“Non fisicamente, non funzionerebbe in ogni caso, lo sai. No, io ho solo…”.
Derek s’ interrompe, chiudendo gli occhi e coprendosi il viso con le mani.
Inspiegabilmente, Stiles lo capisce. Sa cosa vuol dire essere schiavo di un ricordo di morte e avere la consapevolezza che non importa quanto tempo passi, quello farà sempre male e sempre allo stesso modo.
“Derek, va tutto bene”.
“No, non va bene!” ringhia scoprendo il volto. “Io sono un mostro, Stiles, una bestia! Come potrò mai insegnarti qualcosa di buono? Come potrò mai prometterti di essere al sicuro?”.
“Non ho bisogno di nessuna promessa! Lo so che forse non te ne rendi conto, ma tu mi hai già salvato da una vita senza senso e da notti piene di fottuti incubi e paure!”.
“Salvato? Io ti ho condannato! E se ti dovesse succedere qualcosa per colpa mia impazzirei!”.
“Ma non succederà! Sai anche tu che non potresti mai farmi del male”.
“Non quando sono lucido, ma durante una notte di luna piena potrei ucciderti! Potrei ucciderti, Stiles, te ne rendi conto? Quindi smettila di vedermi per ciò che non sono e ti prego, ti supplico, ogni volta che mi guardi negli occhi pensa all’ orrore di quella stanza, perché tutto sarebbe più semplice e meno doloroso se tu mi odiassi!”.
“Ma io non potrei mai odiarti…”.
Stiles sente le viscere aggrovigliate in una morsa che non blocca le parole, ma le sprona ad uscire. Che sia giusto o sbagliato non importa, perché ormai, lo sa, è giunto a un capolinea che potrebbe essere definitivo.
“Senti, vuoi proprio sentirtelo dire? E va bene, tieniti forte. Mi fai paura, Derek, mi fai terribilmente paura. Ma non quando tiri fuori le zanne o gli artigli, quando mi punti addosso quegli occhi rossi da lupo o quando mi sbatti contro qualsiasi superficie verticale ti capiti d’ incontrare. Mi fai paura quando mi sfiori con le tue mani di uomo o quando abbassi gli occhi e poi mi guardi in quel modo che potrei vedere su di te e solo su di te. Mi fai paura quando mi sorridi, perché non so se è normale che io mi senta avvampare in quel modo così strano, così diverso. E mi terrorizzi quando mi parli in quel tuo modo provocatorio e malizioso, perché mi fai sentire una ragazzina delle medie che non ha ancora dato il primo bacio. E Derek, sappi che se anche tu fossi un mostro, io ti… io ti vorrei bene lo stesso”.
Derek sente una strana vertigine rivoltargli lo stomaco e poi sembra esserci solo Stiles. Stiles e nient’ altro, perché è lui l’ unica cosa che sembra assurdamente giusta in tutto quell’ insieme di pensieri sbagliati.
E Stiles vede il suo mondo ribaltarsi, cambiare e mutare migliaia di volte nel giro di millesimi di secondo, e trovando finalmente il suo asse portante negli occhi verdi davanti a lui.
Derek elimina con pochi passi la distanza che li separa per poi gettarsi sulle sue labbra. Stiles d’ istinto le serra sotto quelle del moro, ma poi sente qualcosa smuoversi nell’ addome, lì all’ altezza dello sterno, e una sensazione di caldo premergli sulla schiena. Improvvisamente è come se una leggera scossa elettrica lo stesse attraversando, percorrendo la spina dorsale e raggiungendo ogni singolo nervo, muscolo o poro della pelle.
Non c’è niente di sbagliato e Stiles, ora, non ha paura.
Apre la bocca avvolgendo le labbra di Derek in un bacio ricco di trasporto e di una passione di cui neanche pensava di essere capace. Le mani di entrambi corrono ad assaporare i visi ed è tutto un cercarsi, volersi, accettarsi senza più freni. Derek spinge Stiles contro il muro e mentre le sue mani scivolano a stringere i fianchi del ragazzo, quelle del giovane Stilinski si ancorano ai suoi capelli per poi scendere a premere leggermene sul collo.
Quando si separano, il fiato corto, le pupille dilatate, Derek posa la fronte su quella del giovane, in un gesto così assurdamente tenero che a Stiles quasi viene da sorridere.
Non c’è niente di sbagliato, perché quel sentimento che sentivano nel cuore non brucia più: riscalda.














Author's Corner
Bene, ora direi di fare tutti un trenino per ciò che è appena successo xD
Tra un po' sono più felice io di voi lettori! ahahah
Anyway, spero che la lunghezza e l' intensità del capitolo
abbiamo ripagato la lunga attesa.
Sono abbastanza soddisfatta, ma penso che avrei potuto rendere meglio la scena finale.
Non so, le solite pippe mentali xD
Di nuovo un grazie a tutti quelli che mi seguono e che recensiscono
perchè ogni volta mi sento dire un sacco di cose belle che non credo neanche di meritare!
Un grazie particolare alla mia Beta (HowlingFang), a martab78 e a KiloCharlie05 :3
recensite in tanti che ho bisogno di sapere che ne pensate di questo momento cruciale ù.ù

J.

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Capitolo 9
*** Like I've never seen the sky before. ***


Capitolo 8
Like I've never seen the sky before


 

Never knew I could feel like this
Like I've never seen the sky before
Want to vanish inside your kiss...
Moulin Rouge - Come What May






“Allora è per questo che dicono di sperimentare…” sussurra Stiles sulle labbra del lupo.
Derek sorride contro il collo del ragazzo, lasciando che la sua bocca disegni linee immaginarie sulla sua pelle chiara e liscia. Stiles sussulta a quel contatto e il fiato gli si fa corto, come se gli avessero sferrato un pugno dritto nello stomaco.
Derek non chiede nessun permesso e lo bacia di nuovo sulle labbra. I suoi baci sono ruvidi, umidi, violenti, ma nell’ insieme hanno quel tepore avvolgente del fuoco nel camino. Quei baci Stiles li sente nelle ossa, nei fasci di nervi, nel cuore che batte, e gli piacciono. Gli piacciono da impazzire.
Il figlio dello sceriffo inizia a sospettare che la cosa stia prendendo una piega pericolosa quando le labbra di Derek scivolano a baciargli la mandibola e lui sente il sangue fluire dove non dovrebbe fluire.
“Aspetta, Derek… mio dio, mi serve un minuto” biascica posando le mani sul petto del moro per allontanarlo.
Derek lo guarda passarsi una mano tra i capelli nervosamente. “Tutto bene?”.
“No… cioè, sì, sto bene. E’ solo che… non avevo mai baciato un ragazzo”.
Stiles si morde la lingua subito dopo aver parlato, ma con gli occhi cerca quelli di Derek, bloccato in un vortice di domande silenziose.
Derek stringe le labbra e uno strano imbarazzo lo costringe ad abbassare lo sguardo per un secondo. “Se ti può consolare, io non avevo mai baciato nessuno prima d’ ora”.
Stiles sorride e i suoi occhi brillano. Non sa perché, ma il fatto di essere stato il primo a toccare le labbra di Derek lo rende orgoglioso, lo riempie.
Il lupo può vedere le sue guance colorarsi appena, in un rossore giovane e dolcissimo. Tuttavia è difficile dire chi sia in quel momento l’ adolescente inesperto.
“Credo che sarò un pessimo insegnante allora”.
Le mani del moro tornano ad appropriarsi dei fianchi di Stiles. “Non preoccuparti, sono uno che si accontenta”.
Mentre Derek lo bacia di nuovo, Stiles non può fare a meno di chiedersi come sia possibile che sia davvero tutto un sogno, perché il sapore dei baci di Derek è più vero di qualsiasi altro di cui abbia memoria.
Stringe tra le dita la maglia del licantropo, afferrando con forza l’ assurdità di quel momento.
Quando la sua bocca abbandona quella di Derek, gli sembra che tutto si stia facendo più rarefatto. Dopo qualche secondo rimane solo un odore, il suo odore fresco e pungente. Poi più nulla.
 
 

Stiles aprì gli occhi affacciandosi di nuovo sulla sua vita e improvvisamente lo prese una sensazione strana, come se non capisse bene dove fosse. C’ era sempre la stessa penombra della stanza, la stessa puzza di chiuso e lo stesso caos di vestiti e libri sparsi ovunque. Ma sulle labbra aveva il sapore di Derek e la consistenza della sua pelle impressa nei polpastrelli. Il corpo, come sempre, affaticato e turgido di emozioni.
Si rigirò a pancia sopra, tirando fuori le braccia da sotto il peso delle coperte e prendendo un lungo e meritato respiro.
Archiviare tutto nella cartella è stato solo un sogno era sicuramente fuori discussione. Anzi, effettivamente quella cartella Stiles aveva deciso di ignorarla totalmente da un bel po’.
“Ho baciato un ragazzo” sussurrò fissando il soffitto. “Ho baciato un ragazzo e mi è pure piaciuto”.
Era estremamente difficile abbandonarsi al fatto che – porca miseria – era stato un bacio fantastico e che lo aveva fatto sentire così bene da volerne altri cento, perché per contorno di quella pietanza così prelibata e succulenta, c’ era un abbondante e preoccupante contorno: la stanza insanguinata, la compromettente presenza della luna piena e della conseguente licantropia e l’ assurda confusione sessuale che si era impossessata di Stiles. Insomma, a lui le ragazze piacevano, gli erano sempre piaciute e tutt’ ora le vedeva allo stesso modo, desiderabili e spesso irraggiungibili. E poi lui era innamorato di Lydia, era sempre stato innamorato di Lydia. Ma quando pensava a Derek, le carte in tavola cambiavano radicalmente. Derek era salvezza, era bellezza e meraviglia e l’ intimità che erano riusciti a raggiungere aveva la stessa sfumatura di pericolo e sorpresa dello sguardo di un bambino che si affaccia nella stanza dei genitori. Per Stiles anche solo sentire di provare quelle sensazioni era affascinante e sconvolgente in un modo che ti si piazza nel cuore e non ti lascia più. Lydia era sempre stata nell’ aria, Derek gli entrava nelle ossa. E non era perché era un ragazzo, un maschio, ma semplicemente perché era Derek.

Stiles uscì di casa frettolosamente, buttandosi nell’ umidità di quella domenica mattina e dirigendosi verso casa di Scott. Sapeva che l’ amico non gli credeva riguardo a tutta quella faccenda della dimensione onirica di cui parlava Derek, ma poteva sempre mantenere un profilo basso, parlando di ciò che gli era successo quella notte solo come uno strano sogno. Doveva assolutamente parlarne con qualcuno e dato che decisamente non poteva farlo con suo padre – in realtà, non parlava mai molto con suo padre – la prima persona nella lista era Scott.
Le strade erano bagnate dalla pioggia della sera precedente e nel cielo troneggiavano ancora gomitoli di nuvole grigie, intenzionate a non far passare neanche un raggio di sole. L’ idea di salire in macchina e rifugiarsi nel tepore dell’ abitacolo lo allettò parecchio, ma l’ aria era fresca e l’ umidità non pesava; così Stiles decise di andare a piedi, le mani in tasca, lo sguardo pensoso.
Non se ne rese conto subito, ma ad ogni ragazzo che passava i suoi occhi indugiavano sui visi di quegli sconosciuti per vedere quale reazioni provocassero nel suo corpo. Rischiò anche di sembrare un pazzo, soprattutto perché la maggior parte frequentavano la sua stessa scuola, ma era una cosa che gli era venuta d’ istinto, un esperimento che era necessario fare.
Dato che non aveva mai provato nessun tipo di attrazione per nessun altro, paragonò la sensazione che gli dava il vedere Derek, con quella provocata da quei ragazzi. Non ci volle molto per realizzare che era come mettere vicini uno smeraldo e un fascio d’ erba di campo. Erano così quei ragazzi ai suoi occhi, piccoli ciuffi d’ erba selvatica. Dotati di una bellezza fresca e spontanea, certo, ma neanche lontanamente attraenti quanto uno smeraldo. A dirla tutta, non gli suscitavano niente di particolare, nessun desiderio, nessun rossore, nessun pensiero o parere personale sussurrato con cautela nella mente.
Era a metà strada quando iniziò a guardare le ragazze. Erano belle, gli piaceva guardarle, osservare il frusciare dei loro vestiti o il modo in cui sbattevano le ciglia e abbassavano lo sguardo. Una biondina gli passò accanto guardandolo dritto negli occhi, con quel fare spigliato che hanno le ragazze quando vogliono attirare l’ attenzione di un uomo, e lui non poté fare a meno di ricambiare quello sguardo e sentire il cuore accelerare per qualche secondo – anche perché non è che le ragazze lo guardassero in quel modo così spesso.
Di nuovo, però, se confrontava quella sensazione con quella che gli aveva rivoltato lo stomaco quando Derek lo aveva guardato prima di baciarlo, il paragone perdeva senso e Stiles smetteva di pensare alle ragazze. Derek era di nuovo il fulcro dei suoi pensieri e il motore che dava ritmo al suo cuore.
Arrivò a casa di Scott ancora più confuso di prima. Attraversò il cortile a grandi passi e suonò il campanello, pregando di non aver svegliato nessuno. Scott aveva la faccia assonnata quando gli aprì la porta.
“Stiles! E’ da venerdì che non ti fai sentire! Smaltito la sbornia?”.
“Decisamente, anche se a dirla tutta ho problemi ben più gravi di una sbronza”.
“Perché? E’ successo qualcosa?”.
“Se mi fai entrare te lo dico”.
Il moro si spostò di lato, facendo spaziò all’ amico, e richiuse la porta. La casa era vuota, probabilmente la signora McCall era uscita presto per il turno all’ ospedale.
Scott si buttò di peso sul divano, invitando Stiles a fare lo stesso. Notò subito che c’ era qualcosa che non andava. Stiles sedeva rigido, teso, e i suoi occhi sembravano vuoti, vagavano lontano, in un mare di pensieri scomodi e scuri.
“Ho sognato di nuovo” si decise a dire Stiles. “A dire il vero, dopo la prima, è successo altre tre volte e, sai, i sogni erano sempre gli stessi, sempre assurdamente reali. E c’ era sempre Derek”.
Stiles parlava lentamente, tentando di mantenere il tanto premeditato profilo basso, anche se tutto nel suo corpo gli intimava di non farlo.
“E perché non me l’ hai detto subito?” chiese Scott.
“Non lo so, forse perché pensavo che prima o poi sarebbe tutto finito. Insomma, inizialmente non gli ho dato molta importanza”.
“E perché gliene stai dando ora?”.
“Cos’è che dice sempre mio padre? Uno è un incidente, due è una coincidenza, tre è uno schema… ma quattro che cos’è?”.
Scott scosse la testa pensieroso, preso in contropiede da quell’ affermazione. Insolita, ma assolutamente plausibile.
Il figlio dello sceriffo sospirò con forza. “Tutto è legato e tutto, per quanto assurdo, sembra avere un senso. Non si tratta di sogni sconnessi, ma di una serie di appuntamenti notturni dove ritrovo sempre le stesse cose e sempre allo stesso modo. E lo so che detto così sembra che io sia completamente fuori di testa, ma non so con chi parlarne e tu sei il mio migliore amico e… ho davvero bisogno che provi a credermi”.
Scott strinse le labbra e puntò i suoi occhi scuri su quelli di Stiles.
Razionalmente, quello che il suo amico gli stava dicendo non aveva nessun senso e sembrava solo un residuo dello shock post-traumatico dopo la morte della madre. Ma erano passati mesi ed erano stati tanti i momenti in cui Scott aveva temuto che Stiles stesse davvero per crollare definitivamente. Invece in quell’ attimo, mentre lo guardava negli occhi, gli sembrava di rivedere quella scintilla di vitalità che da tempo non brillava più. Fu quella a convincerlo a provare a credere.
“Raccontami. Raccontami tutto”.
Quella volta Stiles non tralasciò nulla e lentamente mandò in frantumi tutte le bugie che si era preparato. Non avrebbe mai potuto mentire su una cosa così importante, non con Scott.
Ripercorrere ogni momento passato con Derek fu come un viaggio in treno pieno di gallerie. C’ era buio, poi luce, poi di nuovo buio. Scott partecipava al racconto con entusiasmo, facendosi trascinare dalle parole dell’ amico, così vere, così piene d’  importanza che dopo un po’ gli risultò impossibile non restarne affascinato. Per quanto si sforzasse di rimanere scettico, quella scintilla negli occhi di Stiles sembrava pregarlo di credergli ogni volta che la incrociava con lo sguardo.
Quando arrivò il momento di raccontare del bacio, Stiles sentì il cuore farsi pesante. La gola gli si chiuse in un nodo e continuava a chiedersi ossessivamente se era davvero giusto parlarne con Scott. Strinse i pugni contro le ginocchia e lentamente sgusciò dall’ involucro di vergogna che lo aveva trattenuto per tutto quel tempo. Ormai era davvero troppo tardi per tornare indietro.
“L’ ho baciato” ammise con lo sguardo basso. “Cioè, tecnicamente è lui che ha baciato me, ma io non l’ ho fermato”.
“Baciato? Ma tu intendi… cioè, baciato davvero?”.
“Sì, davvero, Scott. E’ stato un bel bacio appassionato, eccitante e pieno di lingua se proprio lo vuoi sapere. Mi ha anche sbattuto contro il muro. Non che la cosa mi sia dispiaciuta, anzi… ecco, è proprio questo il problema! Non mi è dispiaciuta per niente!”.
“Stai cercando di dirmi che sei gay?”.
“Non sono gay”.
“Ma se hai appena detto che hai sognato di baciare un ragazzo e ti è piaciuto!”.
“Scott, io non ho baciato un ragazzo. Io ho baciato Derek, mi è piaciuto baciare Derek, lo bacerei altre mille volte, ma non penso che ci riuscirei con un altro ragazzo”.
“Beh, ma che ne sai, non ne hai mai baciato un altro”.
“Sinceramente, non mi è mai venuto l’ impulso prima d’ ora”.
“Quindi gli altri ragazzi non ti attirano? Per esempio, baceresti me?”.
“No! Oh mio dio, Scott, ma che domande fai?!”.
“Che ne so, era per sapere!”.
“Comunque, no, non bacerei nessun’ altro ragazzo. Infatti, mentre venivo da te, mi sono messo a guardare dei ragazzi per strada…”.
“Ma sei un pervertito!”.
“Fammi finire, deficiente! Allora, stavo guardando questi ragazzi per vedere se mi facevano lo stesso effetto che mi faceva Derek e… insomma, non ho sentito niente di che. Poi ho guardato le ragazze e loro, beh, loro mi piacciono, però è sempre una sensazione molto diversa da quella che sento quando sto con Derek”.
Scott si accoccolò sul divano a gambe incrociate e aggrottò le sopracciglia. “Ok, mi sento veramente confuso ora”.
“Fidati lo sono più di te” sbuffò Stiles.
“Cioè, praticamente ti piacciono le ragazze, però ti piace anche Derek, e ti piace comunque in un modo diverso”.
“Bingo”.
“Il quale tra l’ altro è una sorta di lupo mannaro che, correggimi se sbaglio, esiste solo nei tuoi sogni ma che durante una luna piena potrebbe comunque sbranarti nel giro di un secondo”.
“Esatto, cervellone”.
Seguì qualche secondo di silenzio, dove Stiles desiderava ardentemente sotterrarsi e Scott rimuginava sulle parole dell’ amico, ancora indeciso se credergli o no.
“Tu sei sicuro che non siano solo sogni e che stasera rivedrai questo Derek di nuovo?” chiese il giovane McCall.
“Sì, sicuro al cento per cento. Non so perché, ma dentro di me sento che sognerò ancora. E’ come un riflesso del mio corpo, come quando senti che ti sta per venire il raffreddore anche se ancora non si manifestano del tutto i sintomi”.
Scott lo guardava attentamente e dietro a quella facciata di pesce intrappolato nella rete, riuscì a vedere il vero Stiles. Quello che lottava, che credeva, che amava incondizionatamente, che provava sentimenti violenti e se ne preoccupava. Non riusciva a spiegarsi perché, ma ci doveva essere un motivo se quei sogni erano iniziati proprio in quel momento e lo avevano portato a sentire proprio quel tipo di emozioni. In più, chi era lui per comportarsi da scettico e voltargli le spalle a causa di qualcosa che non conosceva? Aveva davvero il diritto di sentirsi migliore di Stiles e giudicarlo? No, erano pari.
“Ascolta, Stiles. Io penso che ci sia qualcosa di più grande dietro a questi sogni e per questo ti credo. Non ti nascondo che ci sono molte cose che non riesco ancora ad accettare, ma ti prometto che lo affronteremo insieme e scopriremo la ragione che ti ha portato a incontrare Derek, possa cadermi addosso la casa”.
Stiles sentì il peso che gli gravava sul petto alleggerirsi e ripromise a sé stesso che avrebbe fatto di tutto per convincere pienamente Scott che stava dicendo la verità.
“Grazie, amico, davvero. Anche solo il fatto che tu ci stia provando mi fa sentire meglio”.
Scott sorrise in quel suo modo luminoso e avvolgente. “Ora, che ne dici di un assalto al frigo?”.
“Speravo me lo chiedessi”.
 

Stiles si piazzò seduto sul ripiano della cucina, facendo oscillare leggermente le gambe come quando da piccolo veniva a fare merenda da Scott, e osservò l’ amico intento a preparare il loro pranzo: due giganteschi panini prosciutto e formaggio.
“Ehi, sai per caso di famiglie che vivono ai limiti della riserva?” chiese Stiles.
Scott corrugò la fronte. “Non credo che ci viva qualcuno lì”.
“Perché?”.
“Le poche case che c’ erano sono stati vendute ad agenzie che le hanno demolite, ne saranno rimaste tre o quattro. Erano troppo vecchie, in alcune non si riusciva neanche ad avere acqua calda. In più, lì si è proprio isolati. Anche solo per fare la spesa devi fare almeno una ventina di kilometri in macchina. Perché me lo chiedi?”.
“Ieri sono andato a fare un giro in macchina, sai, per schiarirmi le idee, e ho bucato proprio vicino al confine della riserva. Improvvisamente, è sbucata dal bosco una ragazza con un fascio di legna in mano e mi ha aiutato a cambiare la ruota”.
Scott tossì nel tentativo di soffocare una risata. “Fammi capire… una ragazza ti ha cambiato la gomma della macchina?”.
“Sì, Scott, una ragazza… e ora togliti dalla faccia quell’ espressione da idiota! Come se non fosse stato già abbastanza umiliante per me…”.
“Ok, a parte il fatto che non sai neanche cambiare una ruota, cosa c’è di così strano?”.
“Quella ragazza mi ha detto che vive nel bosco”.
Scott posò i due panini su un grande piatto di porcellana e guardò l’ amico con uno sguardo interrogativo. Stiles roteò gli occhi, di nuovo meravigliato dalla quasi completa assenza di intuito da parte di Scott.
“Pronto? Nel bosco, Scott! Ha una casa nel bosco!”.
“Oh, allora vive sicuramente in una di quelle case di cui ti parlavo”.
“Bene, allora ecco risolto il mistero del perché era a raccogliere la legna. Come hai detto, sono strutture vecchie, sicuramente non hanno un impianto centralizzato di riscaldamento”.
Scott annuì masticando con la bocca semiaperta. “Com’è che si chiama?” biascicò.
“Kaya”.
“Mmmh… mai sentito parlare di nessuna Kaya, si deve essere trasferita da poco”.
“Sei sicuro?”.
“Certo, mia madre l’ avrebbe nominata. Sai, lavorando all’ ospedale conosce quasi tutti in questo buco di città”.
“Mmh… e poi ora che ci penso non l’ ho mai vista a scuola”.
Stiles scese dal ripiano della cucina e si sedette al tavolo davanti a Scott. Addentò il suo panino e alla mente gli tornò l’ immagine del viso di Kaya, i suoi capelli luminosi, quello sguardo scuro e selvaggio. Tentò di immaginare come potesse essere la sua famiglia, sempre che ne avesse una.
“Un momento” disse Stiles improvvisamente. “Perché una famiglia venuta da fuori dovrebbe scegliere una casa così isolata e vecchia?”.
Scott fece spallucce. “Magari non hanno abbastanza soldi”.
“Forse. Ma non ti sembra comunque strana una scelta del genere? Cioè, giù oltre il centro commerciale è strapieno di piccoli appartamenti a basso prezzo e con molti più confort di quelle baracche”.
Il moro sospirò e abbassò lo sguardo, guardando le linee scure del legno del tavolo. Dopo un mese dalla morte della madre, c’ era stato un periodo in cui Stiles e il padre avevano pensato di cambiare casa, per sfuggire ai ricordi, e ricordò di aver sorpreso l’ amico a cercare appartamenti a basso prezzo diverse volte.
“Insomma, non ha senso… nessuno compra case in quella zona da anni, vero?” continuò Stiles.
“Già. E poi stabilirsi proprio vicino al confine è assurdo, addirittura a pochi metri dall’ autostrada. E’ come… come se…”.
“Come se volessero essere in grado di scappare in qualsiasi momento” lo interruppe il figlio dello sceriffo.
Stiles abbandonò il suo pranzo nel piatto e puntò i suoi grandi occhi su Scott. Aveva le fiamme in quegli occhi, non più scintille. “Sai chi mi viene in mente se penso a qualcuno che sceglie un nascondiglio nel mezzo del bosco e che sembra pronto a qualsiasi eventuale fuga? A qualcuno che nasconde un segreto”.















Author's Corner:
Allooooora...
diciamo che l' eccessiva consumazione di cioccolata e l' ascolto compulsivo di 'Come What May' (chi segue Glee capirà anche perchè xD),
hanno scatenato un putiferio nella mia testa che mi ha portato a eccessi di fluffosità e verso nuove idee.
Inizialmente in questo capitolo ci dovevano essere più avvenimenti, ma poi era diventato troppo lungo quindi ho deciso di dividere "la creatura" in due parti separate.
Questo potrebbe sembrare un capitolo inutile ma in realtà contiene idee fondamentali per la storia.
Spero che non vi faccia troppo schifo e che recensiate in tanti :3
Sapete che la vostra opinione è sempre fondamentale <3
Grazie come sempre per il supporto - e il "sopporto" (?)


J.

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Capitolo 10
*** Don't talk to strangers. ***


Capitolo 9
Don' t talk to strangers







Scott sorrise e si sentì come se una brezza d’ aria fresca lo avesse colpito in pieno volto. Dopo mesi di nulla e tenebre, riusciva a vedere Stiles. Era lì, insieme a lui, con i lati della bocca sporchi di briciole di pane e la passione che gli illuminava gli occhi. Stiles c’ era e Scott si ritrovò a sperare che il mistero dietro a quella Kaya fosse davvero difficile da scoprire; così avrebbe avuto Stiles al suo fianco ancora per un po’.
“Che c’è?”.
Scott non nascose un sorriso nostalgico. “Niente… è che non ti vedevo così da tanto tempo”.
Stiles si umettò le labbra, tentando di sembrare rilassato. Dentro, però, sentì qualcosa rompersi e ferirlo con uno schiocco, come un filo rimasto teso per troppo tempo che improvvisamente viene tagliato. Era davvero così privo di vita? Era davvero ridotto in pezzi in un modo così irreparabile? 
Scacciò quei pensieri con un battito di ciglia ed ebbe di nuovo il coraggio di guardare Scott negli occhi. “Accompagnami in centro, devo restituire i libri alla biblioteca”.
 
 Spinti da un’ improvvisa pigrizia, decisero che non avevano nessuna voglia di arrivare a piedi fino alla biblioteca. Così, dato che l’ unico mezzo in possesso di Scott era una bicicletta, tornarono a casa di Stiles e s’ infilarono nella jeep.
La città era ancora immersa nel torpore della domenica e perfino la bibliotecaria aveva perso il suo sguardo vigile da mangusta, scivolando lentamente in una pelle da leone annoiato. Stiles scambiò i due libri presi precedentemente con un volume sulle leggende indiane, specialmente del popolo Cheyenne, convinto che almeno quella strada lo avrebbe portato da qualche parte.
Avevano deciso di dirigersi alla tavola calda in fondo alla strada quando Stiles vide qualcosa – o meglio, qualcuno – che mandò in fumo tutti i suoi programmi.
“Scott! E’ lei! E’ Kaya!” bisbigliò afferrando la spalla dell’ amico.
La ragazza camminava lentamente verso di loro, affaticata e appesantita da tre casse di media dimensione d’ acqua in bottiglia. Guardava verso il basso, anzi tutto il suo corpo sembrava tendere verso terra, come se non riuscisse più a resistere alla forza di gravità. I capelli folti erano legati in un treccia, come la volta precedente, e addosso portava una camicia a quadri sformata e un paio di jeans neri, stretti sulle gambe magre. I piedi si muovevano sicuri negli anfibi neri e consumati.
“Che faccio?” chiese Stiles.
“Salutala! Che cosa vorresti fare? E prega il cielo che si ricordi di te”.
Kaya alzò lo sguardo solo quando si accorse che quei due le bloccavano la strada, impedendole di proseguire. Corrugò le sopracciglia, osservandoli con i suoi grandi occhi scuri.
“Ciao! Non so se ti ricordi, sono quello della gomma, mi hai…”.
“Stiles” lo interruppe lei appoggiando le casse d’ acqua a terra. “Sì, mi ricordo di te”.
“Oh, wow, grande… ah, lui è il mio amico Scott” disse indicando il moro al suo fianco.
Kaya gli rivolse un timido sorriso. Stiles non ci aveva fatto caso prima, ma quando sorrideva le si formavano delle piccole fossette ai lati della bocca. Le davano un’ aria dolce ed indifesa, completamente in contrasto con il suo fisico asciutto da atleta e i suoi occhi taglienti.
“Piacere mio. Ora, se volete scusarmi, avrei un po’ di fretta”.
Scott non aveva mai avuto grandi lampi di genio, preferiva dare ascolto ai sensi, domandare, rimuginare. Non era certo il tipo da uscirsene all’ improvviso con una idea brillante fatta apposta per l’ occasione. Non perché non fosse intelligente, ma solo perché non lo faceva mai e basta.
Quel giorno, Stiles capì che il suo amico era davvero pieno di sorprese.
“Aspetta, quelle casse devono pesare tantissimo! Magari ti possiamo dare una mano” si offrì Scott.
“No, grazie, ce la faccio da sola. E poi abito lontano da qui”.
“Perfetto! Stiles ha parcheggiato la jeep all’ angolo. Potremmo darti uno strappo”.
Stiles capì dove voleva andare a parare e lo fulminò con lo sguardo. Da troppo tempo non prendeva rischi di quel tipo e sentì immediatamente l’ ansia premergli sul petto e stringergli la gola. In più, si chiese se sarebbe stato in grado di trasportare l’ acqua o se avrebbe fatto l’ ennesima ed apocalittica figuraccia davanti a quella ragazza. E tanti cari saluti all’ autostima.
La fronte di Kaya era ancora corrugata e dal suo sguardo sembrava spaesata, come un cervo che non sa più in che direzione correre. “Non voglio disturbarvi… Ce la faccio da sola”.
Scott si aprì in uno dei suoi grandi sorrisi. “Ma quale disturbo! Non abbiamo niente da fare”.
Dopo un altro paio di occhiate sospettose, rivolte per lo più a Stiles, la ragazza si convinse e seguì i due amici fino alla jeep. Caricarono l’ acqua nell’ ampio portabagagli e Scott cedette il posto davanti a Kaya. Stiles si posizionò alla guida e ricevette da Kaya precise indicazioni su come arrivare a casa sua.
Stavano quasi per uscire dalla città quando Scott sentì la necessità di rompere il silenzio.
“Quindi, Kaya… quand’ è che ti sei trasferita a Beacon Hills?”.
“Come fai a sapere che mi sono trasferita?”.
Stiles tossicchiò, affrettandosi a rimediare al danno dell’ amico. “Beh, non ti abbiamo mai vista in giro. Se fossi stata di qui ci saremmo incontrati almeno a scuola”.
Kaya spostò lo sguardo verso il finestrino e arrotolò le dita nel lembo della camicia. “Siamo arrivati una settimana fa, io, mio padre, il mio fratellino e mia nonna”.
Stiles sentì la gola stringersi in un nodo quando si rese conto che non c’ era nessun ‘mamma’ in quella frase. Strinse la mani sul volante, lottando contro l’ impulso di guardare la ragazza al suo fianco.
“E frequenterai il liceo di Beacon Hills?” chiese Scott.
“Sì, inizio domani. Anche se sarà piuttosto difficile dato che ho sempre studiato a casa”.
“Come mai?” domandò Stiles improvvisamente incuriosito.
“Ci spostiamo spesso e mio padre vorrebbe evitarci la maggiore quantità possibile di sofferenza, per questo evitiamo di affezionarci alle persone, instaurare legami duraturi. La scuola pubblica non è certo il posto adatto a questo scopo”.
Il giovane Stilinski strinse le labbra, pensieroso, non potendo fare a meno di notare che quella era la frase più lunga che Kaya aveva mai pronunciato da quando si erano incontrati.
“E ti aiuta qualcuno?”.
“No, di solito faccio da sola. Se non capisco qualcosa chiedo a mia nonna. Lei sa un sacco di cose e ci aiuta moltissimo, a me e a mio fratello. Lui ha solo dieci anni”.
“Wow… io non riuscirei mai a studiare da solo cose come, che ne so… la matematica!” esclamò Scott.
“Scott, tu non riesci a studiare da solo neanche per il corso di falegnameria” lo prese in giro Stiles.
“Senti, non è colpa mia se non vedo nessuna differenza tra una sega circolare e una manuale! Insomma, alla fine servono sempre per tagliare, che importa che forma hanno?”.
Con le dita ancora strette attorno al lembo della camicia e gli occhi che sembravano brillare, Kaya rise. Non si aprì in una risata sguaiata e fragorosa, ma ridacchiò sommessamente, gli occhi bassi e semichiusi, i denti appena scoperti. Rise in quel modo incerto e simile a un tintinnio che solo le ragazze hanno. Stiles si sorprese a sorridere, perché era stato come sentire un feroce giaguaro mettersi improvvisamente a fare le fusa. Era strano, ma strano in un modo bello.
Per il resto del tragitto si persero in altre chiacchiere e Stiles e Scott si dimenticarono del vero motivo per cui avevano offerto un passaggio a quella ragazza. In più, Kaya era tornata sulla difensiva e rispondeva alle domande con monosillabi o frasi smozzicate, rendendo vano ogni tentativo di ottenere informazioni. In uno slancio di coraggio, Stiles si offrì di aiutarla con i compiti a scuola, se le lezioni fossero state troppo difficili, anche se era chiaro che Kaya era decisamente molto intelligente per la sua età. Se fosse stato un atleta o uno dei ragazzi più popolari della scuola le avrebbe proposto una bella scalata sociale fino alla vetta, ma era chiaro che l’ unica cosa che poteva offrirle era un posto accanto a sé alla mensa. Sempre che lei l’ avesse voluto.
Sorpassarono un paio di case ai limiti della città e dopo un po’ Kaya consigliò a Stiles di accostare davanti ad un vialetto di ghiaia e terriccio che serpeggiava verso l’ interno del bosco. Lì dove iniziava il sentiero stava parcheggiata una vecchia Volvo color verde bottiglia. Probabilmente apparteneva al padre di Kaya.
“E’ troppo stretto, non ci si passa con la macchina” disse la ragazza saltando giù dalla jeep.
Si divisero le bottiglie d’ acqua da portare e mentre Stiles si chiedeva se la misera massa muscolare acquisita negli allenamenti di lacrosse sarebbe stata abbastanza, Scott si tastava nervosamente la tasca dei jeans, sfiorando i contorni del suo inalatore.
“Scusa l’ indiscrezione, ma come mai avete scelto una casa in mezzo al bosco?” domandò il giovane McCall dopo aver aspirato dal suo prezioso oggetto.
Stiles sospirò, maledicendosi per aver permesso al suo amico di trascinarlo in quella situazione e guardando Kaya nervosamente.
“Mio padre è un erborista. Dice sempre che vuole stare vicino alla sua materia prima” rispose lei.
Era chiaro che c’ era molto di più. Non lo si capiva dai suoi occhi, no, quelli erano due barriere intoccabili; ma dal modo in cui irrigidì le spalle e dall’ arricciarsi del naso. Stiles riconosceva quei gesti: erano quelli di chi soffriva ma per qualche motivo non poteva permetterselo.
Percorsero il sentiero per un paio di minuti, senza cadere a terra stremati – grazie al cielo – fino ad arrivare ad una casetta a due piani di mattoni scuri. Attorno il terreno era arido, per lo più costituito da terriccio secco e qualche ciuffo d’ erba che sbucava stancamente tra i sassi. Dal comignolo usciva una sottile scia di fumo grigio e tutta la casa era protetta da un recinto in legno. Stiles intravide degli strani disegni rossastri sul cancelletto d’ ingresso e per un attimo gli tornarono alla mente le tracce di sangue sulle pareti della casa di Derek. Rabbrividì e scosse il capo, ammettendo a sé stesso che quello decisamente non era sangue.
Portarono le casse proprio fino al cancelletto e il ragazzo non poté fare a meno di chinarsi per esaminarli. Erano un insieme di linee curve e rette, cerchi e altre figure geometriche. Apparentemente non sembravano avere nessun senso.
“Sono molto belli” disse Stiles quando si accorse che Kaya lo stava fissando.
“Li ha fatti mia nonna” rispose frettolosamente.
“E che cosa significano?”.
Kaya si mordicchiò le labbra, con un aria improvvisamente combattuta e tesa. “Beh, lei dice che…”.
In quel momento la grande porta di casa si spalancò e ne uscì un ragazzino scuro di capelli e dalla carnagione olivastra come quella di Scott, vestito decisamente in modo troppo leggero per quel fresco di Febbraio.
“Kaya!” squittì, precipitandosi ad abbracciare la ragazza.
“Sam, mio dio, mettiti qualcosa addosso o prenderai freddo!” lo rimproverò lei mentre le avvolgeva il busto con le braccia.
“No, io non ho freddo, io sono come te”.
“Va bene, allora sai che facciamo? Visto che siamo uguali, ci infiliamo tutti e due una bella felpa e ci mettiamo davanti al camino a fare i compiti, d’accordo?”.
Il piccolo Sam annuì e con rapido gesto si scostò i capelli che gli piovevano sulla fronte. Solo in quel momento si accorse dei due ragazzi.
Sciolse l’ abbraccio con la sorella e li guardò aggrottando le sopracciglia, proprio come faceva Kaya. Lui però aveva gli occhi più chiari, di un marrone caldo con pagliuzze verdi ad illuminare le iridi. Un contrasto più che spiazzante con la pelle olivastra e i capelli neri.
“Voi chi siete?”.
Parlò con un tono serio, da adulto, affrontandoli in un modo spavaldo e senza timore. 
“Io sono Scott e lui è il mio amico Stiles”.
“E perché state con mia sorella?”.
“Mi hanno aiutato a portare l’ acqua, Sam. Stiles ha una macchina fatta apposta per trasportare cose pesanti” disse Kaya accarezzando la testolina del fratello.
“Eh sì, è bellissima. E’ una jeep” si vantò Stiles, chiedendosi subito dopo se il bambino sapesse anche lontanamente cosa fosse una jeep.
“Una jeep? Che bella! La posso vedere? Eh, Stiles? Me la fai vedere, per favore?” esclamò entusiasta.
“Sam, ora Stiles e Scott devono andare via…”.
Il bambino guardò triste sua sorella e abbassò lo sguardo, di nuovo in un modo per niente infantile, ma rigido, sommesso.
“Kaya, non c’è problema, non abbiamo fretta” disse Stiles ridacchiando.
Sam s’ illuminò. “Allora posso andare a vedere la jeep di Stiles? Eh, posso, Kaya?”.
La ragazza sospirò sconfitta. “Va bene. Però devi aspettare che io metta apposto queste casse e che ti accompagni, ok?”.
Il piccolo annuì e corse di nuovo verso la porta di casa.
“Scusatelo, è che adora in modo assurdo le jeep. Ha già annunciato che quando sarà grande ne comprerà una” spiegò Kaya afferrando due casse con una facilità impressionante e incamminandosi verso l’ ingresso.
Scott sollevò l’ altra cassa e insieme a Stiles la seguì fino alla porta, lasciata aperta da quella furia di Sam. Erano a pochi metri quando dalla penombra della casa uscì un’ anziana, piccola di statura e con la carnagione della stessa tonalità di quella di Sam. Uno scialle ricamato le copriva la schiena leggermente curva e si chiudeva in un nodo al centro del petto. I capelli argentei, divisi da un riga centrale e separati in due grandi ciocche, le incorniciavano il viso scendendo dritti sulle spalle. Aveva gli occhi scuri e vigili di Kaya, piccoli e luminosi su un viso tondo da mela, e la vecchiaia la si vedeva nelle rughe che li contornavano.
Non parve per niente sorpresa di vedere i due ragazzi e rivolse al gruppetto un sorriso e un breve cenno del capo.
“Che gentili ad aiutare mia nipote! Dice sempre che ce la fa da sola, ma sono sicura che le farebbe piacere essere aiutata. Se avessi 30 in meno sarei la prima ad offrirmi”.
“Oh, sì, adoro chiedere aiuto. Vorrà dire che 10 anni passati a sfacchinare da sola me li sarò immaginati” ironizzò Kaya.
“E quand’è che ti deciderai a diventare tutta verde e grande quanto due mucche una sopra l’ altra?” ribatté la nonna.
Kaya rise e per un attimo non sembrava più la ragazza cupa e sfuggente di qualche minuto prima.
Stiles inarcò le sopracciglia. “Signora, ha appena fatto un riferimento a Hulk, personaggio della Marvel?”.
L’ anziana donna ridacchio. “Tutte quelle storie di mutazioni e esseri soprannaturali mi affascinano. Colpa di Sam, probabilmente. E comunque non si è mai troppo vecchi per credere agli eroi”.
Aveva una voce dolce e morbida, intensa nel modo in cui pronunciava le parole e a tratti quasi ammaliante.
“Io mi chiamo Niabi” disse con un sorriso.
“Io sono Stiles e lui è Scott. Presto saremo anche compagni di classe di sua nipote, andiamo alla Beacon Hills High”.
La donna annuì, ma era come se di nuovo non la sorprendesse sentire quei nomi, di trovarsi quei due ragazzi alla sua porta.
Kaya dondolava sui talloni mordicchiandosi l’ interno della guancia, lo sguardo da felino che annusa il pericolo.
E il pericolo arrivò.
Un uomo alto, magro e scuro chiamò a gran voce Kaya da fuori il recinto. Scuro perché neri erano gli occhi, neri i capelli, le sopracciglia folte, i baffi e la pelle aveva lo stesso colore caldo di quella di Sam e Niabi. Kaya, con la sua pelle chiara e la chioma color mogano, era come un agnello candido in un gregge di pecore nere.
“Che state combinando? Chi sono quei due?” domandò brusco.
Scott non ne fu completamente sicuro, ma gli sembrò che al suo fianco Kaya avesse smesso per un attimo di respirare.
“Abbiamo solo aiutato sua figlia a trasportare l’ acqua, signore. Ce ne stiamo andando”.
“Bene, che sia così allora. Andatevene, qui abbiamo da fare”.
In quel momento – più che sbagliato – Sam fece capolino da dietro la nonna. “No, papà!” esclamò e c’ era un che di supplichevole nella sua voce. “Stiles mi deve far vedere la sua jeep!”.
“Temo proprio che non sia possibile, Sam”.
E davvero sembrava che non fossero ammesse obiezioni.
Kaya e suo padre si scambiarono un lungo sguardo prima che lei prendesse tutte e tre le casse per portarle in casa. Lui non sembrava arrabbiato, per lo meno non in modo distruttivo, ma più frustrato, infastidito, forse preoccupato.
“Kaya, aspetta, lascia che…”.
“Vai, Stiles. Vai a casa”.
La ragazza sfuggì allo sguardo interrogativo di Stiles e sparì velocemente dentro casa, seguita a ruota dal fratello che accennò ai due un piccolo saluto con la mano. Il padre non si mosse fino a che non furono usciti dal recinto.
“Arrivederci, ragazzi” disse l’ anziana alle loro spalle.
“Arrivederci” risposero. Anche se la parola ‘rivedersi’ sembrava più proibita che mai.
















Author's Corner
Di nuovo in ritardo, lo so, ma sono stata a Vienna per 5 giorni e non ho avuto molto tempo per mettere a punto il capitolo (bellissima città, tra l' altro).
Spero che comunque sia venuta fuori una cosa pressocché decente...
Poca Sterek in questo chapter, ma non temete, rafforzerò la dose nei prossimi! ;)
In più la mia mente diabolica ha architettato nuovi intrighi e complicazioni muahahahah!
Grazie a tutti quelli che hanno messo la storia nelle preferite e nelle seguite e a chi ha deciso di ricordarla :)
Aspetto con piacere le vostre recensioni!

J.

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Capitolo 11
*** Overjoyed. ***


Capitolo 10
Overjoyed

 

Oh, I feel overjoyed
when you listen to my words,
I see them sinking in,
Oh, I see them crawling underneath your skin.
- Bastille, Overjoyed







Stiles tornò a casa con l’ intenzione di chiedere qualcosa di più a suo padre riguardo a quella strana famiglia, magari durante la cena. Avrebbe cucinato lui e sarebbe rimasto a tavola anche dopo aver finito di mangiare, tessendo ipotesi e ravvivando la sua curiosità sotto lo sguardo vigile del suo papà.
Ma appena varcò la soglia di casa facendosi avvolgere dal tepore all’ ingresso, vide che la giacca da sceriffo non c’ era e che in cucina tutto ciò che rimaneva di suo padre era un biglietto. Un altro impegno improvviso, un altro delinquente, forse un’ altra scusa, chissà.
Non si sentì arrabbiato, né ferito. Non colpevolizzava il padre per un dolore che conosceva alla perfezione e che spesso teneva tra le sue grinfie anche lui.
Cenò presto in compagnia della tv, passando da uno strano programma di Real Time sulle fobie a un documentario sugli animali predatori. Di solito i canali della National Geographic gli conciliavano il sonno, con quelle voci narranti incredibilmente soporifere; ma quella volta, vedendo il modo in cui la pantera drizzava le orecchie e il lupo socchiudeva gli occhi contro il gelo della neve, esalò un lungo sospiro e pensò a Derek. Si chiese se anche quella notte sarebbe stato lì ad aspettarlo e se avrebbe avuto il coraggio – e il desiderio- di baciarlo ancora.
Mentre stirava le dita contro la stoffa del divano, constatando di ricordare alla perfezione la consistenza della pelle di Derek, una volpe si accucciava su un prato verde e posava il muso sulle zampe sporche di fango, frustando l’ aria con la coda. Lì Stiles pensò a Kaya.
Il sonno tardava ad arrivare e il ragazzo si sentiva come un motore lasciato acceso per troppo tempo, surriscaldato e intorpidito. Si sdraiò sul letto e per combattere l’ insonnia si mise a leggere il libro cheyenne preso in biblioteca. Dopo un po’ sentì la chiave sferragliare nella toppa e la porta d’ ingresso aprirsi. Un sospiro, qualche rumore, poi un incedere lento e leggero su per le scale, come se la casa fosse piena di gente che dorme e che non deve essere svegliata. Poi più nulla.
Stiles chiuse finalmente gli occhi quando il libro parlava di storie di lupi e uomini che vivevano sulla stessa terra e, talvolta, nello stesso corpo.
 
 
L’ aria è calda, profumata, estiva. Sulla pelle Stiles sente il tepore del sole di Giugno e gli odori delle piante accaldate punge nel naso. Nel sollevarsi, stringe tra le dita dei ciuffi d’ erba che gli rimangono incollati ai palmi sudati, linee palpitanti di vita sulla pelle chiara. La freschezza del bosco è lì, nella terra e nelle piante, e negli occhi di Derek che lo guardano.
Ha un’ aria imbarazzata, con le mani dentro le tasche posteriori dei jeans e le labbra serrate di chi non sa cosa dire. E in fondo Stiles lo capisce. Quando due persone che si desiderano finalmente s’ incontrano e ammettono di volersi, tutto ciò che viene dopo è sempre difficile. Come se dopo una lunga caduta nel vuoto s’ incontrasse il terreno e ci si dimenticasse com’ era camminarci.
Le gambe di Stiles tremano un po’, in effetti, e quell’ instabilità gli impedisce di andare avanti,  di camminare verso Derek; anzi no, di correre verso di lui e di ubriacarsi del suo profumo, del calore del suo corpo. Sente di nuovo quella sensazione strana di caldo e un leggero dolore nelle ossa, come se Derek con i suoi occhi avesse oltrepassato pelle e muscoli per piantarsi lì, nelle lamelle del tessuto.
Il licantropo ha gli occhi che viaggiano dal prato fino al viso di Stiles, poi di nuovo giù tra la terra e ancora una volta in alto. Il sole gli batte sulla schiena, biforcandosi in mille saette oltre le sue spalle larghe.
“Ciao, ragazzino”.
Stiles lo guarda sorridere e sente che vorrebbe etichettare quel momento e conservarlo per sempre, come un souvenir di un paese lontano.
Lentamente sguscia via da quella sua immobilità ed a passo deciso si dirige verso Derek. Non smettono mai di guardarsi, l’ uno perso nel mondo segreto degli occhi dell’ altro. La distanza tra di loro si consuma in pochi secondi e Stiles affonda il viso nel collo di Derek.
“Ti sono mancato?”.
Le sue mani sfiorano la nuca di Stiles, accarezzando i capelli e provocando brividi sulla pelle.
“Ogni secondo” mormora contro la sua spalla. “Il che è piuttosto inquietante”.
La risata di Stiles vibra in quel punto tra l’ orecchio e la nuca e Derek la può sentire irrorare sotto i muscoli come il sangue pompato dal cuore. Si chiede se Stiles si spaventerebbe sapendo che lui sente la sua mancanza ogni secondo da quanto ha aperto gli occhi per la prima volta.
“Cosa mi farai fare oggi? Un'altra allegra scampagnata nei boschi facendomi fare cose che normalmente non mi verrebbe mai in mente di fare?” chiede il ragazzo allontanandosi quel che basta da Derek per guardarlo negli occhi.
“No, stai tranquillo, niente esperienze pericolose. Ti porto in un bel posto”.
Le braccia di Stiles scivolano a cingere i fianchi del licantropo e i suoi occhi scintillano come biglie dorate.
E com’è bello il mondo attraverso quelli di Derek! Quanto vigore danno al corpo e come acquietano la mente! Improvvisamente Stiles sente che potrebbe fare il giro del bosco di corsa almeno tre volte se Derek rimanesse sempre al suo fianco.
“Beh, allora andiamo! Che stiamo aspettando?”.
Derek abbassa lo sguardo per un secondo e le ciglia scure proiettano ombre piccole e flebili sulla pelle. “Sto pensando a un bel modo per iniziare”.
Stiles sorride e attinge una goccia di coraggio da quella strana energia che ha iniziato a fluirgli nelle vene. “Io un’ idea ce l’ avrei…”
Si avvicina per premere la bocca su quella di Derek e in un attimo tutto è avvolto da una nuova bellezza. Nessuno l’ aveva mai baciato con così tanta dolcezza, in un modo così intenso che a malapena riusciva a percepire il suo corpo. E non aveva ricordi di mani come quelle di Derek,  forti e salde sul suo viso. Lo sente sorridere contro le sue labbra e trovare quegli occhi a guardarlo non appena apre i suoi è come guardare un paesaggio da metri a metri d’ altezza. Un inevitabile senso di vertigine gli stringe lo stomaco mentre Derek gli accarezza lo zigomo con il pollice.
 
 
Camminano lentamente l’ uno accanto all’ altro, percorrendo un sentiero in discesa tra gli alberi. Questi diminuiscono sempre di più e al loro fianco appaiono arbusti e cespugli di more.
Stiles parla senza mai fermarsi. Gli racconta di quella nuova famiglia appena arrivata in città e della chiacchierata con Scott. Non parla di Kaya, non ne ha voglia e soprattutto non ha voglia di parlarne con Derek.
Il licantropo lo ascolta pazientemente e in silenzio, ma il cipiglio che gli si forma tra le sopracciglia è impossibile da non notare.
“Che c’è?” chiede il figlio dello sceriffo. “Hai la faccia da lupo brontolone”.
Derek si stringe nelle spalle. “E’ che non penso che sia una buona idea parlare con Scott di questa cosa”.
“Con qualcuno dovrò pure parlare, Derek!”.
“Sì, ma non è saggio coinvolgerlo”.
“Perché?”.
“Perché ci sono molte cose che non sa e molte cose che potrebbe non capire. E’… è rischioso, Stiles! Insomma, potrebbe anche prenderti per un pazzo e rivoltartisi contro”.
“Ma che dici?! E’ Scott, non lo farebbe mai!”.
“Come fai ad esserne così sicuro?”.
Stiles si ferma e fissa Derek con uno sguardo che potrebbe perforare la roccia. “Eravamo alle medie, in seconda, troppo piccoli per fare a pugni ma abbastanza grandi per prenderle da quelli più grandi. C’ era questo gruppo di bulletti che mi aveva preso di mira. Mi davano spintoni nel corridoio, mi rovesciavano il vassoio in mensa, cose così… niente di estremo, solo semplice routine. Un giorno però ci andarono giù più pesante, forse perché erano annoiati, forse perché avevano capito che non mi sarei mai difeso. Erano in quattro, mi circondarono negli spogliatoi dopo ginnastica e iniziarono a picchiarmi. Non so quante botte presi prima che arrivasse Scott, sicuramente tante perché mi spaccarono il labbro e il sopracciglio. Non è che Scott fosse più forte di me o di quegli stronzi, ma li provocò per farsi picchiare, in modo tale che lasciassero stare me. Sapeva che non ce l’ avrebbe fatta, ma li affrontò lo stesso”.
Derek stringe le labbra, rabbrividendo al pensiero del viso da bambino di Stiles imbrattato di sangue. “E poi che è successo?”.
“Fortunatamente è arrivata un’ insegnante e ci ha salvato il culo. Quando chiesi a Scott perché lo aveva fatto mi rispose che ero il suo Robin e Batman avrebbe sempre difeso il suo Robin, proteggendolo ad ogni costo”.
Il licantropo rimane in silenzio. Una leggera brezza lo investe, facendo sbatacchiare l’ orlo della giacca di pelle.
“Quello che voglio dire” continua Stiles, “è che Scott non mi tradirebbe mai, come io non tradirei mai lui. Ci proteggiamo a vicenda da troppo tempo ormai”.
“Non conoscevo questa storia… mi dispiace”.
Stiles sospira, si avvicina a Derek e gli prende la mano timidamente, tentando di rassicurarlo con il solo tocco. “Come potresti?”.
Derek serra la presa attorno alle dita del ragazzo. “Dimentichi che ho avuto accesso a gran parte dei tuoi ricordi mentre ti aspettavo”.
“Giusto, sei il mio stalker numero uno, dimenticavo”.
Derek ride e tutto sembra avere di nuovo una luce diversa, più forte del sole e mutevole come un camaleonte.
Dopo pochi metri la discesa finisce e una vallata ampia e verde si spalanca davanti ai loro occhi. In fondo, lì dove la pianura si rialza in piccole colline, ricomincia il bosco e il verde scintillante della valle sfuma di nuovo in tonalità scure e variegate.
Stiles per un attimo trattiene il respiro. Il bosco fitto e tenebroso alle sue spalle sembra lontano anni luce ed è felice di non sentirsi più accerchiato da alberi e radici coperte di muschio. Inspira e sente i polmoni gonfiarsi con leggerezza, la gabbia delle costole dilatarsi senza sforzo, come se tutti i pesi che trascina ogni ora di ogni suo giorno fossero volati via insieme al vento.
Qualcosa si muove a pochi metri da loro, come un onda che va e viene sulla sabbia. S’ increspa sotto alla brezza e rotea in mulinelli verdi e dorati.
Derek lo chiama e lo porta in mezzo a quelle strane onde. Stiles ha bisogno di sentire la consistenza delle spighe sotto i palmi per capire che quello non è un mare, ma un campo di grano.
“Spighe di grano? Seriamente? Che ci fa un campo di spighe di grano in mezzo a questo… quasi - bosco?”.
Derek fa spallucce. “Non lo so, c’è sempre stato”.
“E come si fa quando le spighe maturano? Le raccogli da bravo uomo selvaggio?”.
“E’ questo il punto… non maturano mai” risponde, “crescono di dimensione ma rimangono verdi e poi muoiono. Passa poco tempo e tutto ricomincia daccapo”.
Stiles aggrotta le sopracciglia e stringe tra le dita una spiga, sottile e ancora acerba.
“La cosa curiosa” continua Derek, “è che da quando sei arrivato qualcuna si tinge di giallo e a volte penso di ritrovarle tutte in quel modo, dorate e mature”.
Un vento leggero e tiepido li investe con dolcezza, facendo smuovere le spighe e scompigliando i capelli castani di Stiles.
“Ci deve essere sicuramente un motivo” risponde stancamente il ragazzo, “ma non ho nessuna voglia di pensarci ora come ora”.
“E a cosa vuoi pensare?”.
“A niente”.
Stiles sorride appena e si abbassa fino a sdraiarsi per terra. Gli steli si piegano sotto al suo corpo e quelli restanti creano un muro ondeggiante attorno a lui. Derek può riuscire ad intravederlo in mezzo al verde, gli occhi socchiusi e le mani giunte sul petto, come una creatura del bosco che si riposa sotto al sole. La luce trapassa tra le spighe, creando tagli di luce e ombra sul suo viso.
Scivola anche lui lentamente accanto a Stiles, mettendosi a guardare il cielo blu e limpido.
“Sai, oggi leggevo un libro di folklore che ho preso in biblioteca. Molte storie parlavano di lupi”.
La voce di Stiles è dolce e morbida, leggermente roca quando viene presa dall’ emozione, e Derek si trattiene dal socchiudere gli occhi ed eclissarsi totalmente per ascoltarla indisturbato.
“E che raccontavano?”.
Stiles si volta verso di lui, contemplando la bellezza del suo viso. I capelli neri creano un risalto meraviglioso con il verde delle spighe e i suoi occhi sotto al sole sembrano quasi fatti di vetro.
“C’ è questa leggenda di origine Sioux nella quale si parla della duplicità delle persone”.
Derek lo guarda e rimane in silenzio. Il respiro lento e tranquillo gli gonfia appena il petto, scostando a intervalli regolari la giacca e scoprendo la maglia grigia e aderente.
“Una sera una anziano Sioux raccontò al nipote della battaglia che avviene dentro le persone. Disse: ‘figliolo, la battaglia è tra due lupi dentro ognuno di noi. Un Lupo è l'ingordigia,  l'odio e la corruzione, il rancore, l'arroganza, l'autocompatimento, il falso orgoglio, la superiorità e l'ego. L'altro Lupo è quello dell'amore, della pace, della speranza, della serenità, umiltà, benevolenza, empatia, generosità, compassione e fede’. Allora il nipote chiese quale lupo avrebbe vinto e il nonno rispose:  ‘Qualsiasi dei due si voglia nutrire’ “.
Derek si volta di nuovo per guardare il cielo e corruga le sopracciglia folte. “Mmmh… e tu quale lupo pensi che sia io?”.
Stiles ridacchia, sollevando il mento verso il sole. “Non hai capito il senso della leggenda? In ognuno di noi ci sono entrambi i lupi, il bene e il male, la luce e il buio”.
“Ma io sono il lupo, Stiles”.
“Tu sei convinto di esserlo, ma io so che c’è molto di più in te. Insomma, non so se ti sei visto, ma hai in tutto e per tutto l’ aspetto di un uomo” risponde incrociando la caviglie. “Tu pensi che esista solo quella parte di te che è brutale e pericolosa, ma non siamo mai solo bianchi o solo neri. Ci sono tutte le altre sfumature. Devi solo capire come entrare in contatto con l’ altro lato e accettare il fatto che entrambi coesistano dentro di te”.
Derek cerca di nuovo gli occhi di Stiles e sente il respiro accelerare leggermente. Gli sta mostrando una prospettiva nuova, una strada che aveva troppa paura di intraprendere: la possibilità di smettere di pensare solo al bianco o al nero e di considerare l’ idea del grigio.
Quel ragazzino è davvero una delle cose più preziose che possano esistere.
Stiles arrossisce appena sotto allo sguardo di Derek e socchiude gli occhi con dolcezza. “Che c’è?”.
Di nuovo, almeno per la centesima volta, Derek sente che c’è qualcosa che dovrebbe dire, qualcosa di perfetto per quel momento. Ma mentre la gola gli si chiude con un singulto, incapace di formulare qualsiasi frase, le sue labbra viaggiano verso quelle di Stiles trascinando tutto il corpo. Le mani si chiudono dolcemente sul viso del ragazzo, il bacino preme leggermente sul suo fianco e le loro spalle si ritrovano in un secondo parallele.
Stiles inarca la sopracciglia, preso alla sprovvista, ancora sconvolto dalla facilità con cui le sue labbra si incastrino alla perfezione con quelle di Derek.
Per il suo corpo è comunque tutta un’ altra storia. Ancora non sa bene come muoversi contro quello del ragazzo che lo sta baciando, perché ancora c’è una parte che fugge i contatti troppo intimi. Non per paura, né per ostilità. Il suo corpo è inesperto, ma non teme la vicinanza con quello di Derek.
“Che dici, sto migliorando con i baci?” mormora Derek senza allontanarsi.
Stiles ride e posa delicatamente i polpastrelli sulle sue labbra. Derek non esita a chiuderle contro quelle dita sottili, disegnando spirali immaginarie e scendendo fino alle nocche.
“Direi di sì” risponde, “ma non crogiolarti troppo nel tuo orgoglio, lupo”.
“Altrimenti?”.
“Altrimenti mi ubriaco di nuovo e sai cosa potrebbe succederti”.
Il moro ride contro i palmi di Stiles e si piega di nuovo a baciarlo.
Il sole sta tramontando e la luce si abbassa tra le spighe, zigzagando in strisce rossastre e creando piccole zone d’ ombra tra il verde e tra i loro visi. Gli occhi di Stiles, al riparo dalla luce diretta del sole, non sono più dorati, ma di un marrone chiaro e caldo, con quella sfumatura rossastra delle pietre spaccate dei canyon o delle campagne austriache in autunno. Hanno ancora la tenerezza dell’ ambra, ma sembrano improvvisamente avvolti da un alone scuro e misterioso.
Derek rimane per un attimo a guardarli, affascinato da quel mutamento così spiazzante, e poi scivola lentamente di lato, accogliendo Stiles tra le sue braccia.
“Perché quella sera ti sei ubriacato?” chiede circondandogli spalle con un braccio.
“Volevo scappare”.
“Da cosa?”.
“Da te, da questi sogni, da quella parte di me che voleva credere che fosse tutto vero”.
“Ma è vero, tutto questo lo è”.
“Lo so, ormai lo so” risponde sistemando la testa appena sotto la scapola di Derek. “E’ che all’ inizio ero spaventato, credevo di essere pazzo. Non lo so, semplicemente quella sera non volevo pensare”.
“Credi di pensare troppo a volte?”.
“Sì, decisamente. Anche se ultimamente non l’ ho fatto molto, mi sono semplicemente stancato. Prima di incontrare te, ovviamente”.
Stiles sorride, ma c’è una ombra sul suo viso e non è quella delle spighe.
“Dopo che io e mio padre siamo rimasti da soli ho lottato un po’, ma poi mi sono sentito esausto, come se non ci fosse più niente da fare. Era inutile stare a ragionare, macinare pensieri inutili quando avrei potuto risparmiare energie per…”.
“Per cosa?”.
“Per lacrosse, ad esempio”.
“Ma se il coach ti tiene sempre in panchina” ribatte dandogli un colpetto sulla spalla.
“Ehi, piano con le parole” esclama ridendo e pizzicandolo sul fianco.
Rimangono in silenzio per qualche secondo, ad ascoltare il soffio leggero del vento. Poi Stiles si volta ed è così vicino che i loro nasi si sfiorano.
“Ho toccato il fondo, Derek, e neanche me ne sono accorto. L’ ho realizzato oggi perché Scott involontariamente me l’ ha fatto notare”.
I suoi occhi sono liquidi, due immense aperture spalancate sul suo dolore.
“Ehi, ci sono io con te…”.
“Ho perso me stesso e non so se sarò capace di ritrovarmi”.
La sua voce si fa improvvisamente flebile e alle orecchie di Derek è un sussurro che taglia i timpani come un coltello.
“Ce la farai, Stiles. Io lo so”.
“E come fai a saperlo?”.
“Perché non importa quanto male cadi, ma quanto bene riesci a rialzarti”.
Le labbra di Stiles si piegano in un sorriso e anche i suoi occhi ora sembrano ridere. “E questa dove l’ hai presa? Sai, sei veramente profondo, penso che mi commuoverò”.
“Mi è venuta così” risponde. “Sono o non sono il tuo lupo sensei?”.
Stiles spalanca gli occhi e le ciglia lunghe vanno a sfiorare la pelle sotto alle sopracciglia. “Te lo ricordi? Ti ricordi ogni mia presa per il culo?”.
Derek annuisce. “Me l’ hai detto la prima volta che ci siamo visti”.
“E tu mi hai sbattuto contro un albero. Direi che vinco sia sulla simpatia che sulla gentilezza”.
Il moro sospira e si gira a guardare il cielo ormai tinto dei colori caldi del tramonto. “Mi dispiace”.
Stiles fa roteare gli occhi, riconoscendo sul viso di Derek quell’ espressione tormentata di chi non sa perdonarsi neanche le piccole cose. Si solleva lentamente per metà e piazza le mani ai lati della testa di Derek, guardandolo dritto negli occhi e arricciando le labbra.
“A volte sei proprio un coglione”.
Si china per baciarlo e sente Derek rispondere con trasporto, lasciando perdere qualsiasi risposta burbera stesse per pronunciare.
 
Rimangono per un po’ vicini tra le spighe; in silenzio, perché non c’è bisogno di dire più niente. E quando la vista di Stiles inizia ad appannarsi, entrambi sentono che è troppo presto per salutarsi.















Author's Corner.
Non mi dilungherò sul fatto che è stato un mese di merda e che a malapena ho il tempo per respirare,
perchè so che divento noiosa.
E poi ci sono cose più importanti, tipo il TRAILER UFFICIALE DELLA TERZA STAGIONE ashgajvdasbjsb *-*
Scleriamo tutti insieme.
In più dopo un capitolo del genere non posso parlare di cose brutte.
Non so, in questo periodo c' ho avuto quest' attacco di fluffosità assurdo
e questo cap ne è il risultato.
Potete odiarmi per l' orribile attacco di diabete che vi è venuto ù.ù
Non farò promesse sui tempi, perchè so di non poterle mantenere,
ma voglio solo dire che a questa storia ci tengo e non la mollerò :)
As usual, recensite recensite e recensite <3

J
.

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Capitolo 12
*** Let The Flames Begin. ***


Capitolo 11
Let The Flames Begin








I suoi occhi aperti ritrovarono la stanza esattamente come l’ aveva lasciata, buia, disordinata, tetra, e per qualche strano motivo gli diede fastidio. Ricercava la freschezza delle colline e del campo di grano e il caos attorno a sé era una minaccia per quell’ immagine che custodiva nei suoi ricordi. Improvvisamente si sentì come schiacciato, come se la stanza si stesse accartocciando su sé stessa intrappolandolo nelle pieghe dei muri e tra il legno dei mobili. Venne preso dal bisogno impellente di aprire le tende e le finestre e con uno scatto fulmineo scese dal letto e spalancò le imposte, facendo entrare l’ aria fresca del mattino. La luce biancastra di Beacon Hills serpeggiò nella camera, tagliando l’ ombra e ravvivando parzialmente i colori.
Stiles restò per qualche secondo a guardare fuori dalla finestra, socchiudendo di tanto in tanto gli occhi stanchi. In compenso i muscoli non gli facevano tanto male e anche se non poteva definirsi totalmente risposato, forse sarebbe riuscito ad affrontare la giornata senza sembrare uno zombie.
Si umettò le labbra e quasi gli sembrò di sentire il sapore di Derek. Sorrise ripensando alle sue carezze, al suo cipiglio burbero tra le sopracciglia, alle labbra che si tendevano sopra i denti quando sorrideva.
La sveglia che suonava rumorosamente lo riportò alla realtà, ricordandogli che lo aspettava una lunga giornata di scuola. Si preparò velocemente e rimise un po’ di ordine nella stanza - cosa mai successa prima. All’ improvviso tutto lì attorno lo infastidiva ed era come se lo vedesse per la prima volta. Come aveva fatto a vivere in quell’ ambiente così triste per tutto quel tempo?
Piegò i vestiti sparsi sul pavimento e li ripose nei cassetti e nell’ armadio. Lasciò le finestre aperte, facendo entrare finalmente un po’ d’ aria fresca. Guardava la luce flebile del mattino sognando ancora, ad occhi aperti, l’ oro del sole tra le spighe e il modo in cui col passare delle ore scendeva sul viso di Derek, illuminando i suoi occhi socchiusi.
Prima di scendere al piano di sotto si diede un’ altra controllata allo specchio e si rese conto di quanto effettivamente apparisse trascurato e sciupato. Si passò una mano tra i capelli constatando che erano decisamente più lunghi di quanto pensasse.* Sgranò gli occhi davanti al suo riflesso, fissando dei piccoli ciuffi castani che gli si appiccicavano sulla fronte e sulle tempie.
“Mio dio, se non faccio qualcosa diventerò come Sam Winchester nella prima stagione di Supernatural” pensò tra sé e sé.
Frugò impetuosamente nella credenza del bagno finché non trovò finalmente del gel, grazie al quale riuscì di nuovo a dare un senso ai suoi capelli.
Che poi, come mai ora gli importava così tanto? Non era mai stata una grande preoccupazione, l’ aspetto esteriore.
Rimuginando sulla questione scese velocemente al piano di sotto. Suo padre preparava svogliatamente il caffè e appena sentì i passi del figlio sulle scale, si voltò.
“Buongiorno, Stiles. Ho prep… oh mio dio”.
Il ragazzo si pietrificò accanto al tavolo, lanciando sguardi qua e là con un’ espressione confusa.
“Ti sei sistemato i capelli”.
“Sì, perché è illegale? Avete appena approvato una nuova legge voi sceriffi?”.
“Tu non sei mio figlio”.
“Eh? Ma che diavolo stai dicendo?”.
Lo sceriffo si avvicinò lentamente. “Porca miseria, ti sei pure messo il deodorante!”.
“Certo che me lo sono messo!”.
“Pensavo fosse una cosa trimestrale!”.
“Ah – ah – ah… molto divertente” rispose sedendosi e versando i cereali nella ciotola.
Lo sceriffo ridacchiò e tornò al suo caffè. Forse anche lui avrebbe dovuto fare un salto dal barbiere.
 
 
La giornata a scuola fu stranamente diversa. Durante le lezioni Stiles si concesse qualche minuto di distrazione, abbandonando la penna sul quaderno e lasciandosi trasportare dai pensieri. Di solito non distoglieva mai l’ attenzione dalle lezioni proprio per sfuggire ai pensieri, per riempirsi la testa di calcoli, nomi, date, autori e non lasciare neanche un piccolissimo spazio al dolore. L’ unica occasione in cui si disinteressava di qualunque cosa stesse accadendo nell’ aula era l’ ora di chimica di Harris, che senza ombra di dubbio non meritava neanche un briciolo della sua attenzione.
Durante la classe di letteratura l’ insegnante presentò Kaya. Aveva i capelli acconciati come sempre in una lunga treccia che scendeva sulla spalla sinistra e portava un paio di jeans blu e un maglietta color kaki, stretta sulla vita e morbida sui fianchi, con l’ orlo leggermente arricciato. Stringeva i libri tra le mani, mordendosi le labbra nervosamente. Era presa sia dall’ emozione di essere finalmente in una scuola pubblica, sia da una strana sensazione di disagio. Sua nonna le aveva detto di farsi qualche amico, ma non sapeva neanche da che parte cominciare.
Stiles le sorrideva dalla terza fila di banchi, in un modo che avrebbe fatto calmato chiunque, indicandole con un cenno il banco libero dietro a lui. Kaya rispose debolmente al suo sorriso e si sedette, posando sul banco il pesante volume di letteratura romantica.
Ebbero altre lezioni insieme e Kaya si fece scortare senza obiezioni tra i corridoi affollati.
“Il segreto per sopravvivere qui è non farsi coinvolgere dai pettegolezzi” disse Stiles mentre camminavano verso l’ aula di scienze. “Tutti sono sempre pronti a parlar male di qualcuno, quindi non dargli niente di cui parlare”.
“Stiles, non può mica diventare un fantasma!” esclamò Scott. “Io sinceramente ti consiglierei di prendere parte a qualche club, ci sono così tante cose”.
Kaya arricciò il naso. L’ idea di un’ attività extrascolastica non la entusiasmava molto, preferiva di gran lunga limitarsi a studiare e a passare l’ anno.
“Voi fate parte di qualche club?” chiese.
“Lacrosse, ma il coach non ci fa giocare mai” rispose Stiles con una smorfia. “In compenso, siamo diventati grandi amici, io e la panchina”.
Lasciarono Scott davanti all’ aula di sociologia e svoltarono a destra. Stiles parlava animatamente, cercando di coinvolgere Kaya che rispondeva con frasi brevi e tentava disperatamente di stare al passo con il ritmo del ragazzo. Il flusso di parole si interruppe momentaneamente al passaggio di una ragazza dai capelli rossicci in un vestitino color fragola. Kaya vide Stiles sorriderle, ma lei lo ignorò totalmente, stringendosi al fianco del ragazzo biondo e con un pullover di Calvin Klain che le camminava affianco.
“Chi è?”.
Stiles sospirò, maledicendosi mentalmente. “E’ Lydia Martin”.
Non disse nient’ altro, perché solo il nome bastava per ribaltargli lo stomaco come una frittella.
“E questa è la nostra classe di biologia”.
Sorrise ma, nonostante non lo conoscesse così bene, Kaya intuì quanto fosse falso. In ogni caso, non disse nulla, sentiva di non averne il diritto. In fondo, non è che Stiles fosse proprio suo amico.
Per il resto della giornata, Kaya sembrò adattarsi bene alla frenesia della scuola, tra alti e bassi. Brillò in letteratura, scienze e storia, mentre si trovò più in difficoltà in matematica ed economia. D’ altronde erano corsi avanzati persino per Stiles, ma dato che riusciva comunque a prendere voti alti, il figlio dello sceriffo si offrì di aiutarla.
“Magari puoi venire da me oggi pomeriggio, possiamo dare un’ occhiata alle equazioni che ci ha assegnato il professore” disse mentre si tirava lo zaino sulla spalla.
Kaya si mordicchiò il labbro, arricciando le dita attorno al lembo della maglietta.
“Dai, non ti mangio mica. Lo faccio per aiutarti”.
“Lo so, hai ragione. Ho davvero bisogno di aiuto con quelle equazioni”.
“Perfetto! Allora ci vediamo da me alle 5”.
Ritrovarono Scott a mensa e quando si sedettero al tavolo, Stiles notò uno strano libro nella borsa di Kaya. Era decisamente troppo grande per quella borsa e la copertina di cuoio, con delle incisioni sui bordi, sbucava fuori dal tessuto azzurro. Stiles aguzzò la vista e gli sembrò che quei simboli fossero molto simili a quelli che aveva visto sulla porta di casa della famiglia di Kaya. Lanciò uno sguardo a Scott, che lo scrutava dall’ altra parte del tavolo.
“Che cos’è quello?”.
“Oh, questo? Niente”.
“Sembra vecchio e poi quei simboli…”.
“Non è niente, Stiles”.
 
 
Kaya arrivò a casa di Stiles puntualissima, la borsa dei libri ben piazzata sulla spalla, il cuore che fremeva di emozione. Se da una parte la sua natura schiva l’ aveva spinta più volte a considerare l’ idea di ritornare indietro, dall’ altra avrebbe voluto iniziare a correre per arrivare al più presto. Aveva dovuto mentire a suo padre per riuscire ad uscire di casa e questo rendeva tutto ancora più emozionante.
Per quanto provasse a negarlo a sé stessa, Stiles le piaceva e le piaceva il modo in cui la trattava, con semplicità e franchezza.
Tuttavia le sue aspettative furono distrutte nel giro di pochi secondi. Lì per lì, quando vide Stiles e Scott chiacchierare appoggiati alla jeep, il viso le si colorò di un tenero rossore e le sopracciglia folte s’ incresparono dalla sorpresa. Che fossero lì fuori solo per lei, per aspettarla? Poi realizzò che l’ invito che Stiles aveva pronunciato quel giorno a scuola non includeva nessun’ altro ospite e che tra le mani dei due ragazzi non vi era traccia di libri.
“Che ci fate qua fuori?” chiese non appena fu abbastanza vicina.
“Ciao! Scusami se non ti ho avvertito, ma mi ero scordato che oggi è l’ ultimo lunedì del mese” disse Stiles grattandosi la nuca.
“E quindi?”.
Scott sorrise e tamburellò con le dita sulla macchina. “Ogni ultimo lunedì del mese su quella strada laggiù passa il vecchio Josh, un fornitore del centro commerciale in centro. Ha il cassone del suo pick - up strapieno di cose e ci divertiamo a scommettere quante ne cadranno. Josh è talmente vecchio e sordo che neanche se ne accorge e quando arriva ai magazzini c’è sempre la metà della roba che gli hanno commissionato”.
Kaya corrugò ancora di più la fronte, tentando di trovare un senso a quello che il giovane le aveva appena detto.
“Capirai meglio ora che lo vedrai” tentò di rimediare Stiles prendendola delicatamente per la spalla.
Kaya si lasciò guidare, ma senza rilassare il viso. “Non dovremmo studiare?”.
“Oh, c’è sempre tempo per studiare! Lo farete domani. Dai, Kaya, non puoi proprio perdertelo!” esclamò Scott.
Avrebbe voluto sfuggire alle mani gentili di Stiles e al sorriso di Scott, tornare indietro e non voltarsi mai. Ma aveva davanti una piccola promessa di pace, un rifugio dalle stranezze della sua quotidianità e così si fece convincere.
Camminarono per qualche minuto fino ad immergersi nel bosco. Una luce bianca e fioca filtrava tra i rami e qualche uccellino cinguettava tra gli alberi. In realtà, Stiles aveva sempre saputo che era lunedì e tutto era stato pianificato per una sola unica cosa: scoprire cosa fosse quel libro. Sentiva dentro di sé che era importante saperlo e con questo istinto aveva trascinato anche Scott in quel suo strano piano. Non è che avesse brutte intenzioni, di certo non voleva prendersi gioco di Kaya. Lei gli piaceva e desiderava ardentemente conquistare la sua fiducia; non solo per saperne di più sul libro e sulla sua famiglia, ma anche perché gli sarebbe piaciuto considerarla sua amica.
Si arrampicarono su una piccola collinetta che si affacciava direttamente sulla strada asfaltata e si appostarono dietro degli arbusti.
“Quindi è così che vi divertite a Beacon Hills” disse Kaya sedendosi per terra.
Stiles ridacchiò. “Non è che ci sia granché da fare. Cerchiamo di ammazzare il tempo come possiamo”.
“Ragazzi, eccolo!”.
Scott inspirò dal suo inalatore e indicò con il dito un punto lontano. Un piccolo pick – up arancione si avvicinava lentamente. Non se ne accorsero subito, ma trasportava una quantità esorbitante di manichini, nudi e accatastati malamente uno sopra l’ altro. Alcune teste erano girate in modo innaturale e qualche braccio si era addirittura staccato, sbatacchiando contro il metallo del cassone. C’ erano maschi dai muscoli scolpiti e figure femminili sinuose e con lunghi capelli. Tutti quei dettagli fin troppo curati si perdevano nella parte in mezzo alle gambe, priva di sesso, inumana.
Kaya sentì un brivido lungo la schiena. Sembrava uno di quei lugubri carri che aveva visto nei libri di storia, quelli che trasportavano i cadaveri dei morti di peste o lebbra. In realtà assomigliavano molto ai cadaveri, quei manichini, salvo per quei loro sorrisi bianchi di plastica e gli occhi spalancati.
Le sue dita si strinsero d’ istinto contro il tessuto dei jeans, mentre un orribile ricordo lampeggiò nella testa come la luce di un flash.
“Quei due in alto sul lato destro, la bionda e la copia di Ken. Cadono quelli” disse Scott senza smettere di guardare il pick – up che avanzava, riportando Kaya alla realtà.
“Sono troppo ben piazzati. No, no, cade la rossa sulla sinistra” ribatté Stiles.
“Ok, che ci giochiamo? Un pranzo al fast food?”.
“Scherzi? Se ho ragione io per una settimana mi porti l’ attrezzatura di lacrosse e se hai ragione tu, lo farò io per te”.
“Ci sto”.
“Tu che dici, Kaya? Sei d’accordo con me o con Scott?”.
Stiles la guardava con i suoi grandi occhi gentili e Kaya sussultò appena. Incrociò le braccia e si strinse nelle spalle, cercando di formulare una risposta, ma evitando di guardare di nuovo quei manichini.
“Beh… penso abbia ragione Scott. La bionda cade sicuramente, ha praticamente tutto il busto fuori dal mucchio” rispose timidamente.
E così fu. Appena la macchina percorse la curva proprio sotto di loro, il manichino dalla chioma dorata fu sbalzato via e, insieme a quello che Scott aveva definito la copia di Ken, ruzzolò sull’ asfalto.
“Hai perso, amico” disse il giovane McCall trionfante. Poi uscì fuori dai cespugli e scese giù per la collinetta. Voleva rimettere in piedi i manichini e pizzarli sul ciglio della strada, seduti con una mano in avanti, come stessero aspettando un passaggio.
Kaya si mise a ridere, osservando Scott che trascinava quel manichino nudo come uno strano profanatore di tombe.
“Allora, che cos’ era quel libro che avevi oggi a scuola?” chiese improvvisamente il figlio dello sceriffo.
“Non è niente, Stiles, solo un vecchio libro”.
“Se non vuoi dirmi che cos’ è deve essere sicuramente qualcosa di particolare, no? Altrimenti non lo nasconderesti come un segreto”.
Kaya sospirò. “Siete tutti così insistenti voi ragazzi di Beacon Hills?”.
“Trovare un buon partito qui sarà dura per te, cara fanciulla. Allora che cos’è?”.
“Stiles, sei un estraneo. Non vengo a raccontarti qualsiasi cosa riguardi la mia vita”.
“Allora, innanzitutto hai appena ammesso che ti riguarda” rimbeccò lui con un sorriso furbo, “e poi io non sono un estraneo: sono tuo amico”.
Kaya abbassò lo sguardo e strinse forte le labbra, il cuore che le pesava nel petto come piombo. “No, non lo sei”.
“Ma potrei esserlo”.
Gli occhi scuri di lei si sollevarono di nuovo e in quei pozzi neri c’ era l’ intensità dello sguardo di un animale selvatico che finalmente si fa avvicinare dall’ uomo. Per qualche assurda ragione, Kaya, stupida, incosciente, ingenua, non ebbe più voglia di scappare. Non voleva più correre, ma solo abbandonarsi alla dolcezza di quell’ unica parola: amico.
“E’ il diario della mia bisnonna” esalò con un sospiro.
“E cos’è c’è scritto di così importante?” incalzò Stiles.
“Stranezze di ogni tipo. Incantesimi, infusi curativi, invocazioni agli spirti e una strana teoria sui sogni”.
Il ragazzo sentì il cuore battere improvvisamente più veloce. “Sogni?”.
“Già. Conosci la leggenda cheyenne del lupo grigio e di Ultimo Sospiro Della Sera?”.
“Sì, sì, la conosco”.
“Ecco, la mia famiglia è di origine cheyenne, quella di mio padre almeno, e secondo la nostra cultura il lupo è il protettore dei sogni. La mia bisnonna parla però di un lupo che…”.
Kaya fu interrotta dal passo pesante di Scott che risaliva la collina di corsa. “Dovremmo vestirli quei manichini, non sono credibili così… oh, scusate, interrompo qualcosa?”.
Stiles ignorò totalmente il suo amico, non staccando gli occhi da Kaya. “E che cosa, Kaya? Un lupo che…?”.
La ragazza si sistemò una ciocca di capelli dietro l’ orecchio nervosamente e distolse lo sguardo.
Scott rimase in silenzio e per un attimo senza accorgersene trattenne il fiato.
“Che cosa ha fatto? Kaya, devi dirmelo”.
“Io... non…”.
“Kaya, ti prego!”.
Lei guardò prima Scott e poi Stiles, che la osservava con occhi accesi come due fiamme vive.
Sostenne il suo sguardo, di nuovo una creatura selvaggia che sfida l’ uomo. “E’ meglio che vada”.
Stiles non fece in tempo a fermarla perché lei scappò via velocemente. Vide la sua treccia color mogano oscillare nella corsa, come la coda di una volpe in fuga.
 
 
Nella penombra della stanza, finalmente in ordine e ripulita, Stiles era inquieto. Non riusciva a smettere di pensare a quel libro, a Kaya, ai misteri della sua famiglia. Ne aveva parlato a lungo con Scott, senza arrivare a nessuna conclusione plausibile. Forse avrebbe dovuto raccontare tutto a Derek. Forse no.
Chiuse gli occhi e il buio non faceva paura. Derek lo aspettava, non c’ era niente di cui aver paura.
Fuori però, oltre le tende bianche, oltre il vetro spesso delle finestre, una luna piena regnava nel cielo nero come una regina.















Author's Corner.
Eccomi qui, sono resuscitata!
Grazie a dio la scuola è finita e potrò dedicarmi di più a questa storia (yay! :D),
anche se sarò spesso presa dallo sclero per la nuova stagione! ashjsdbahbj *-*
Anyway, credo che questo capitolo rappresenti la seconda svolta della storia, anche se meno "drastica" diciamo.
La prima è stata il bacio tra Stiles e Derek e ora tutto cambia di nuovo nella vita di Stiles.
Credo ormai abbiate capito l' importanza di Kaya (per quelli che la odiano, come la mia Beta, mi dispiace xD).
Ricordo che ogni incognita sul suo personaggio sarà svelata, abbiate ancora un po' di pazienza.
Grazie per le recensioni che lasciate e grazie anche a chi legge questa storia in silenzio e a chi si è perso per strada :3
Grazie soprattutto perchè sopportate i miei terribili ritardi nel postare!

Aspetto i vostri commenti ;)
J.



*I capelli di Stiles non sono rasati come nelle prime due stagioni, ma lunghi più o meno come li ha ora :)

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Capitolo 13
*** The Killing Moon. ***


Capitolo 12
The Killing Moon


 

Under blue moon I saw you
So soon you'll take me
Up in your arms was too late to beg you or cancel it
I though I know it must be the killing time
Unwillingly mine

Fate, up against your will
Through the thick and thin
He will wait until you give yourself to him

In starlight nights I saw you
So cruelly you kissed me
Your lips a magic world
Your sky all hung with jewels
The killing moon will come too soon
The Killing Moon - Echo & The Bunnymen









L’ aria è fredda ed immobile. Fredda in un modo fastidioso, di quel gelo umido che scivola nelle ossa e arrossa il naso.
Stiles aveva sperato nel sole, ma i suoi occhi aperti trovano solo il nero di una notte senza stelle.
Si mette seduto velocemente e sbatte ripetutamente le palpebre, tentando di abituarsi al buio. Alle sue spalle, un uccello notturno spicca il volo rumorosamente facendolo sussultare.
Derek non c’è.
Per un attimo, Stiles teme di ritrovarsi di nuovo in uno dei suoi vecchi incubi e d’ istinto stringe tra le dita della terra umida accanto a lui. I granelli scuri sfregano contro i palmi, nel modo vero a autentico che caratterizza quel tipo di sogni. Ma Stiles si rende conto che non può permettersi di tirare un sospiro di sollievo quando, alzando lo sguardo, vede una luna piena a bianchissima brillare nel cielo.
Il suo cuore inizia a battere all’ impazzata e in un attimo il ragazzo sta già camminando nel bosco. Non sa neanche dove andare, tutto ciò a cui riesce a pensare è trovare Derek. Non gli importa in che stato lo troverà o quanto sarà pericoloso. Deve trovarlo e basta.
Improvvisamente, un lungo ululato squarcia il silenzio, come un lungo strappo su un foglio di carta.
“Derek…” mormora Stiles.
Senza pensarci due volte inizia a dirigersi verso l’ origine di quel terribile suono. Piccoli tremori lo scuotono appena mentre avanza freneticamente tra la vegetazione ed il suo fiato si condensa in vapore contro il gelo della notte. A malapena riesce a guardare dove mette i piedi e cercando di scavalcare una grossa radice finisce per ferirsi la guancia contro un ramo basso.
L’ ululato si ripete altre due volte e finalmente Stiles giunge a destinazione: la grande casa diroccata di Derek.
All’ interno è ancora più buio, per quanto possibile. I raggi della luna scivolano sui muri, illuminando debolmente il legno e creando grandi zone d’ ombra. Stiles deglutisce rumorosamente, prendendosi un attimo per recuperare il fiato.
Trova Derek nella stessa stanza che in precedenza gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene, quella delle catene e del sangue, al piano di sopra. Lui è rannicchiato in un angolo e anche quando Stiles entra nella stanza chiamando il suo nome, non si muove di un millimetro.
“Stiles… perché sei qui? Devi andartene, devi andartene subito”.
La sua voce è flebile, bassa, roca, e sulle sue dita scintillano dei lunghi artigli. Derek sa che sta per arrivare, lo sente nei muscoli che mutano lentamente e nella pelle che tira.
Stiles si avvicina lentamente, accovacciandosi accanto a lui.
“Derek, andrà tutto bene”.
“NO!” ringhia l’ altro, facendo ritrarre Stiles di qualche centimetro.
Ed è lì che finalmente alza lo sguardo.
Il suo viso è certamente lo stesso, è sempre Derek, ma in alcuni punti la pelle è leggermente increspata in un’ espressione rigida e animalesca. I canini sono più sporgenti, tanto che fuoriescono dalla bocca premendo sul labbro inferiore. Poi il mondo si ferma per un attimo quando Stiles vede i suoi occhi: non rossi e spaventosi, ma verdi e umidi, spalancati come due grandi stagni puntellati dalla pioggia.
Derek ha paura.
“Stiles, non riuscirò a trattenerlo per molto quindi ascoltami bene: esci da questa casa e corri, corri come non hai mai corso in vita tua perché se ti raggiungo… se ti raggiungo morirai”.
Ora Derek fa quasi fatica a parlare. Il suo respiro è accelerato e gli riesce difficile concentrarsi a causa del battito del cuore di Stiles che gli rimbomba nelle orecchie.
“Ma che dici? No, Derek, io non ti lascio qui da solo”.
“Mio dio, ma cosa non ti è chiaro della parola ‘morirai’?!”.
“Ma è una follia! Dove dovrei correre poi?”.
“Appena esci, vai verso sinistra. Prosegui per questa… direzione finché non trovi una grande quercia abbattuta e senza foglie. A quel punto… gira a destra e continua a correre… arriverai al lago. Ti ricordi? I lupi non sanno nuotare”.
Stiles stringe le labbra soffiando rumorosamente dalle narici. “Derek, per favore…”.
“Devo chiederti anche un’ altra cosa”.
Con un cenno del capo, Derek indica verso la sedia di ferro. E Stiles si sente morire perché ha capito perfettamente cosa deve fare.
“E’ veramente necessario?”.
Il licantropo annuisce lentamente.
Derek non riesce a stare bene in piedi, così Stiles lo aiuta a raggiungere la sedia. Lo fa sedere e, con il petto che sembra invaso da mille proiettili, chiude le catene e i ganci. Si rifiuta categoricamente di fare lo stesso anche con il cerchio di spine sulla testa e Derek ha i sensi troppo appannati per controbattere.
Il figlio dello sceriffo socchiude gli occhi e delicatamente posa una mano sulla guancia del licantropo, dimenticandosi del bruciore sulla sua di guancia.
Ora è Derek a sentirsi morire, quando vede quella linea rossa e sottile sulla guancia pallida di Stiles.
“La… la tua guancia…”.
Il ragazzo aggrotta le sopracciglia e si sfiora la pelle bruciante. “Oh, già, mi sono tagliato con un ramo”.
Quando ritrae le dita, entrambi si ritrovano a fissare il rosso sangue che le macchia.
Improvvisamente Derek si sente come se stesse andando a fuoco; come se ossa, tendini, muscoli, organi e tessuti si stessero lentamente riducendo in brandelli, strappati in minuscoli pezzetti da un’ infinità di mani invisibili entrate a forza nel suo corpo per cancellarne ogni forma.
Le sue mani si serrano e gli artigli sfregano sull’ acciaio, producendo uno stridio assordante. Stiles lo vede scoprire i denti e stringere forte gli occhi fino a farli lacrimare. Quando li riapre, sono due fari rossi nel buio.
“CORRI!” grida Derek con tutte le sue forze.
Stiles si alza e per il troppo impeto scivola sul legno prima di arrivare alla porta, sbattendo pesantemente il gomito a terra. Ignorando il dolore, si rialza e si precipita fuori dalla casa. Una volta fuori, un ululato lungo e profondo echeggia alla sue spalle.
Il cuore pompa nel petto e concentrarsi è difficile con gli occhi rossi di Derek che lampeggiano nella sua mente. Gli ci vogliono una manciata di secondi per ricordarsi di correre verso sinistra. La paura gli impedisce di chiedersi quanto durerà quella fuga e l’ adrenalina è l’ unica cosa che fa muovere le sue gambe.
Non era questo che si era aspettato quando era andato a dormire. Sperava di ritornare al campo di grano, di rivedere il sole scivolare sul viso di Derek, di ridere quando non lui capiva le sue battute, di sentire l’ odore dell’ erba e quel profumo d’ estate.
Sente gli occhi pungere ed il cuore farsi pesante, come in quei momenti in cui sente troppo la mancanza di sua madre e il mondo non sembra più degno della sua attenzione.
Ma Stiles ora è un soldato che deve combattere e poi tornare a casa. Ed i soldati non piangono.
Corre incessantemente per una buona manciata di minuti e, non sentendo nessun’ altro rumore al di fuori dei suoi piedi sull’ erba, decide di fermarsi a riprendere fiato. Il gelo preme sulla pelle accaldata quasi volesse perforare le ossa e scivola lungo la laringe ghiacciando il respiro.
Stiles è sempre stato bravo a mantenere il sangue freddo, ma in quel momento sono troppe le cose che lo stanno facendo uscire di testa. Primo nella lista, il suo caro Derek trasformato in un lupo assetato di sangue. In seconda posizione, la terrificante e alquanto incombente possibilità che sarebbe potuto rimanerci secco. E se fosse morto nel sogno, cosa sarebbe successo al suo corpo nella realtà?
La lista degli orrori si arricchisce con l’ aggiunta del buio pesto, del freddo pungente, del fiatone, del dolore al gomito e di quell’ inquietante uccellaccio che lo sta fissando da un albero vicino…
All’ improvviso, qualcosa inizia a muoversi dietro di lui. E’ un rumore lontano e confuso che mano a mano si fa sempre più vicino e Stiles non ha bisogno di conferme: Derek lo ha raggiunto.
Sente i muscoli pietrificarsi al pensiero che probabilmente le catene da lui accuratamente sistemate sono finite in pezzi nel giro di pochi secondi. Un brivido gli corre lungo la schiena pensando che le sue ossa potrebbero essere le prossime.
Dei cespugli a una decina di metri da lui vibrano producendo un leggero fruscio. Ed ecco che Stiles si ritrova davanti quel grande lupo nero che lo aveva accolto la prima volta. Il pelo folto è scompigliato e sporco di terra in alcuni punti e le zanne candide brillano nel buio della notte.
“Derek, non sai quanto ti odio in questo momento…” sussurra Stiles prima di ricominciare a scappare.
Corre a perdifiato tra gli alberi, cercando con lo sguardo la famosa quercia e pregando che il lupo dietro di lui sia più lontano di quanto sembri; anche se quasi riesce a sentire chiaramente i suoi artigli sprofondare nella terra.
Sotto i suoi piedi il terreno si fa sempre più scosceso, fino a inclinarsi pericolosamente verso il basso in una discesa ripidissima. Alla sua base sta una grossa quercia dal tronco chiarissimo, quasi bianco e spoglio. Sotto i raggi della luna e così circondata da erbacce e muschio fa pensare subito al cadavere di un grande gigante.
Stiles non esita un attimo a ricominciare a correre, ma la sua caviglia sbatte contro una radice facendogli perdere l’ equilibrio e facendolo rotolare giù per quella discesa di terra e sassi. Finisce inevitabilmente per sbattere schiena e nuca contro il tronco della quercia. Il colpo gli toglie il respiro per un attimo e sente della terra raggrumarsi sulle labbra umide di saliva.
Ora non percepisce nient’ altro se non dolore.
Il lembo dei pantaloni sulla caviglia si è strappato, rivelando un grosso taglio che brucia talmente tanto che sembra che qualcuno ci abbia buttato del sale. Il gomito è messo anche peggio, dato che ogni movimento del braccio gli provoca un’ acuta fitta di dolore. La schiena è indolenzita e Stiles sente come un enorme peso gravare sullo sterno e sulla parte alta del cranio.
La botta in testa gli appanna la vista, tanto che il lupo nero che ringhia in cima alla discesa è una macchia scura che si confonde con la vegetazione.
Lo vede scivolare agilmente sulla terra e il ragazzo tenta disperatamente di riacquistare lucidità aprendo e chiudendo gli occhi. Ed è lì che gli viene un’ idea.
Si ricorda di come Derek gli abbia insegnato a mettersi in contatto con la natura attorno a lui, chiudendo gli occhi e cercando qualcosa che funga da trampolino di lancio, e di come le emozioni forti influiscano su questa sua capacità.
Il ricordo di Derek è offuscato da quello del mostro che in quel momento gli ringhia contro ed ora Stiles come appiglio ha solo la paura. Ci si attacca più intensamente che può, spinto più dalla disperazione che dal coraggio.
Il lupo ha occhi grandi e rossi e della bava gli scivola sulle zanne. Si avvicina a Stiles lentamente, come se trovasse piacere a vederlo tremare di paura, mentre il giovane si appiattisce contro il tronco.
“Derek, per favore, so che sei lì… devi smetterla, mi farai male”.
Gli occhi di Stiles tornando a funzionare correttamente giusto in tempo per vedere una grossa zampa nera scendere su di lui. Gli artigli tagliano la carne sul fianco destro di Stiles, trapassando la felpa e la maglietta e strappandogli un grido di dolore.
L’ animale spalanca le fauci e Stiles si prepara per la fine, l’ odore di sangue e terra che punge nel naso.
Ma improvvisamente una pietra colpisce il lupo sulle costole. Poi una seconda, proprio dietro all’ orecchio, e una terza che si scaglia dritta sulle zampe facendolo cadere a terra. Il lupo ulula dal dolore, mostrando i denti e dimenandosi. Altri due sassi si sollevano tra le erbacce e Stiles sorride appena, stupendosi di nuovo delle sue capacità.
Il graffio pulsa sul fianco, ma fortunatamente la ferita non è tanto profonda e facendo appello a quel poco di forze rimaste, Stiles riesce ad alzarsi. Deve allontanarsi da lì, deve almeno arrivare al lago.
Di certo non può più correre e, stringendo i denti dal dolore, inizia ad arrancare verso destra. Ogni passo è agonia e il sangue inizia a bagnargli leggermente la mano tesa sul fianco.
Quanto passerà prima che collassi a terra? E quanto prima che il freddo gli consumi i polmoni e lo distrugga dall’ interno?
La vista va e viene, le tempie pulsano e il caldo della ferita diventa sempre più opprimente. Così Stiles si sfila prima la felpa e poi la maglietta, legando quest’ ultima saldamente attorno ai fianchi per tamponare il sangue. Si rinfila la felpa sulla pelle nuda, intorpidito dal freddo e grato per aver visto tutti quei film d’ azione.
Dopo un’ altra manciata di passi, il lago gli appare finalmente davanti agli occhi, scintillante come un gioiello sotto la luna. Nell’ aria c’è un forte odore di piante acquatiche e di marcio e Stiles non fa in tempo a riprendere fiato che alle sue spalle si alza un nuovo ululato, gutturale e terrificante.
Il giovane cerca di raggiungere più velocemente possibile l’ acqua, intenzionato a buttarsi e sperando di riuscire a rimanere a galla. Ma il lupo è troppo veloce e lui è troppo malandato.
Sente l’ aria muoversi alla sua sinistra e l’ animale gli si para davanti con un balzo. Stiles non ce la fa, è terrorizzato, e le sua gambe cedono.
Il lupo gli si avvicina, le zampe che sfregano contro i sassi, il fiato caldo che s’ infrange sul suo viso.
“Derek, torna da me… non deve essere per forza così, tu non devi essere per forza così. Torna da me, andremo di nuovo a sdraiarci tra le spighe e tutto sarà bello di nuovo. E io non morirò. Derek, ti prego, Derek…”.
In quel momento, qualcosa scatta nell’ animo maledetto di Derek, come un ingranaggio che finalmente ricomincia a girare. Il tempo si ferma tutt’ attorno, condensandosi in un unico piccolo gesto: Stiles piange.
Tutto ricomincia a scorrere, ma stavolta all’ indietro. E Derek vede Stiles vestito di nero, suo padre accanto a lui, due figure evocate da quel triste ricordo seppellito nella mente del licantropo. Derek lo vede piangere, in silenzio, tranne che per il leggero tremolio del suo labbro inferiore. Piccole sfere d’ acqua si fermano per qualche secondo sulle sue ciglia lunghe, come la rugiada sulle felci. Piange davanti ad una lapide, piange per sua madre. Ha il fuoco dei bambini sulle guance e la disperazione negli occhi.
Di pianto parla quel ricordo e grazie al pianto Derek torna ad essere di nuovo Derek. Non con il corpo, quello rimane da animale, ma con la mente.
Gli occhi del lupo sfumano dal rosso al verde e il grosso predatore si ritrae a piccoli passi. L’ istinto gli dice di correre via, scappare lontano e non tornare più, ma sa che non può lasciare Stiles in quello stato.
Altre due lacrime scivolano sul viso sporco del ragazzo, mentre lo stupore gli illumina gli occhi.
“Derek, sei tu. Sei tornato da me”.
Ora Stiles piange e ride allo stesso tempo, ma la sua voce è debole. Il lupo osserva attentamente il graffio sul fianco, abbassando le orecchie.
“Non è colpa tua. Sto bene”.
Ma Derek sa che non sta bene. Così si accuccia al suo fianco, combattendo contro l’ impulso di sprofondare nel dolore. Ora deve aiutare Stiles, deve rimediare ai suoi errori, non può permettersi nessun crollo.
Con la zampa preme delicatamente sulla chiusura della felpa, come se volesse chiedere di aprirla. Stiles, sempre più stupito, abbassa la zip e vede il lupo infilare il muso sotto la maglietta annodata sul fianco e iniziare a leccare la ferita, pulendola dalla terra e dallo sporco.
Stiles ridacchia stancamente. “Come sei tenero, quasi quasi ti adotto”.
Se ha ancora la forza di fare del sarcasmo, vuol dire che non è messo poi così male.
 
Durante le ore seguenti, se ne restano lì ad aspettare l’ alba. L’ aiuto di Derek ha recato un po’ di sollievo alla pelle bruciante e una parte della ferita si è rimarginata grazie alla concentrazione di Stiles, usando lo stesso metodo che gli aveva permesso di curare quella foglia malata. Ormai ha quasi recuperato le forze e con lo stesso meccanismo riesce persino ad avere una maglietta e un paio di pantaloni per il suo licantropo.
Quando i raggi del sole squarciano il buio di quella lunga notte, Derek torna a riappropriarsi del suo corpo. Stiles continua a guardare verso il lago e lui si infila i vestiti in silenzio, per poi sedersi accanto al figlio dello sceriffo.
“Come hai fatto a tornare in te?”.
Derek sospira. “Ti ho visto piangere e sono scattati come dei ricordi nella mia testa. Penso mi abbiano riportato verso il mio lato umano”.
“Cosa hai ricordato?”.
“Il funerale di tua madre”.
Stiles inspira rumorosamente e inizia a giocherellare con un sassolino. “Bastava solo che io piangessi, quindi?”.
“Non sono state solo le lacrime a riportarmi indietro. E’ stato il dolore provocato dal tuo pianto, il ricordo della tua sofferenza che è sempre stata come mia” risponde. “Il dolore mi ha trasformato e il dolore mi ha portato indietro”.
L’ aria non è più tanto fredda e l’ alba sta scoppiando in una moltitudine di colori.
“Stiles?”.
“Mmh?”.
“Mi dispiace così tanto…”.
Stiles si volta a guardarlo e vede delle lacrime scintillare ai lati degli occhi.
“Derek, va tutto bene, stiamo bene”.
“Ti ho quasi ucciso”.
“Hai detto bene, quasi”.
Stiles si allunga a prendere il viso di Derek tra le mani, ripetendo come una ninna nanna “va tutto bene, tu starai bene, noi staremo bene”.
“Non succederà mai più” lo interrompe Derek con convinzione. “Non ti farò più del male”.
“Te la senti di prometterlo?”.
“Sì, te lo prometto. Mai più”.
Le lacrime rimangono ai lati dei suoi occhi verdi. Non scenderanno sulle guance, rimarranno lì, bloccate tra le ciglia, come un continuo promemoria del rischio che avevano corso. Ma il dolore, la paura, il rischio stesso, vanno bene, perché accendono la vita. Sia Derek che Stiles pensano di saperlo, ma lo stanno appena imparando.














Author's Corner
Eccomi finalmente con questo dannatissimo capitolo! Yay!
Lo so, avete aspettato molto, ma ero al mare SENZA WI - FI (ciò vuol dire che è stato difficile anche vedere le puntate di TW, ma ce l' ho fatta) e appena tornata mi sono subito messa a finire il cap.
Dico solo che mentre lo scrivevo stavo praticamente annegando nei feels che io stessa ho creato. Dannata Sterek! Tra l'altro scusate in anticipo se soffrirete come me xD
Sono abbastanza soddisfatta, anche se alcuni punti non mi fanno particolarmente impazzire.
E' stata un po' una sfida perchè di solito non scrivo grandi scene d' azione, ma cimentarmi con questo genere è stato divertente :3
Fatemi assolutamente sapere cosa ne pensate *occhi rossi da alfa* ahah no just kidding, vi è concesso anche rimanere in silenzio.
Grazie a tutti come sempre e in modo particolare alla nuova arrivata in questo universo folle, strangerinthistown :)



PS: vi consiglio vivamente la canzone che ho messo sotto al titolo (The Killing Moon), credo sia assurdamente Sterek *-*


J.


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Capitolo 14
*** Black Holes and Revelations. ***


Capitolo 13
Black Holes and Revelations





 


Gli occhi di Stiles scivolavano attenti sulle linee del suo riflesso nello specchio, nell’ ormai terza meticolosa ispezione. Sentiva l’ ansia chiudergli pian piano la gola, mentre tentava con tutte le sue forze di non lasciarsi impressionare dalla visione del suo corpo. Passò una mano sul torace nudo.
“Merda…” sussurrò.
Se nei giorni precedenti gli era sembrato di percepire gli effetti dei suoi strani sogni, ora li poteva vedere chiaramente. La guancia era ancora leggermente segnata, il gomito si era colorato di un livido violaceo e sulla caviglia troneggiava ancora un taglio rossastro, ma fortunatamente in via di cicatrizzazione. Ma ciò che spaventava di più Stiles non erano quelle ferite, ormai quasi guarite e di poco conto, ma il graffio che bruciava sul fianco. Mentre era con Derek, gli era sembrato che la ferita si fosse rimarginata quasi del tutto, ma evidentemente non era così. Certo, non perdeva sangue e agli angoli di quelle orribili linee oblique si erano iniziate a formare delle crosticine; ma questo non toglieva che fosse una ferita abbastanza seria e che facesse una male cane.
Stiles socchiuse gli occhi e inspirò rumorosamente dal naso. Era terrorizzato e sapeva che se non avesse riassunto immediatamente il controllo di sé, sarebbe stato risucchiato da un altro attacco di panico. Così prese un paio di respiri profondi, mandò giù un paio di calmanti ed iniziò a pensare al da farsi.
Cosa avrebbe raccontato a suo padre? Di certo non poteva raccontargli la verità e tanto meno mostrargli quelle ferite perché si sicuro non sarebbe riuscito a trovare una bugia plausibile. Non poteva neanche andare all’ ospedale. A Beacon Hills lo conoscevano quasi tutti, anche solo di vista, e in più ci sarebbe stato il rischio di incontrare la mamma di Scott, che sicuramente era di turno e che avrebbe poi raccontato tutto a suo padre. No, doveva provvedere da solo, evitare qualsiasi contatto con altre forme di vita al di fuori di Scott e filare dritto a scuola.
Già, chissà poi come l’ avrebbe presa Scott. In compenso avrebbe avuto davanti agli occhi le prove schiaccianti che Stiles non era un pazzo psicotico.
Con il cuore che martellava nel petto, entrò in bagno ed aprì il cassetto con tutto il materiale di primo soccorso, estraendo delle bende e del disinfettante. Pulì il graffio sulla guancia e quello sulla caviglia, lasciando il fianco per ultimo. Quando premette l’ ovatta imbevuta di disinfettate sul taglio dovette reprimere un urlo di dolore tra i denti.
Dopo poco i lamenti per il bruciore si trasformarono in frustrazione e infine in grugniti di rabbia. Sentiva di essere arrivato a un punto dove si era trasformato in una vittima di qualcosa di più grande, qualcosa di sconosciuto che, se Stiles fosse rimasto nell’ ignoranza, lo avrebbe potuto distruggere definitivamente. Qualcosa di cui ormai non poteva più liberarsi, non importava quante volte si fosse chiesto perché era capitato proprio a lui. Qualcosa che solo una persona poteva spiegargli: Kaya.
Una volta sistemato il bendaggio sul fianco si appoggiò pesantemente al lavandino, stringendo le mani sul bordo laccato. Quella notte era stato così vicino alla morte, così vicino…
Non voleva essere una vittima, non voleva che tutto ciò che c’ era di bello nei sogni con Derek si trasformasse in un incubo. C’ era in ballo qualcosa di importante e lui non si sarebbe fermato finché non l’ avrebbe scoperto.
Scese velocemente al piano inferiore e sgusciò fuori di casa strisciando sui muri come un ninja. Anche se l’ unica parola che si sentiva di associare a sé stesso era “idiota”.
 
 
“Una radice? Sei inciampato su una radice proprio al momento cruciale come nei film? Seriamente?”.
Scott lo guardava con uno degli sguardi più sarcastici che gli avesse mai visto in faccia. Anche perché, di solito, Scott e il sarcasmo non andavano tanto d’accordo.
“Guarda che mica ce l’ ho messa io lì!” protestò Stiles.
“E ti sei anche salvato il culo all’ ultimo momento, proprio come un vero eroe da film?”.
“Già, raggiungimi sul red carpet, ti autografo lo zaino”.
Scott ridacchiò.
“Prego, continua pure a prenderti gioco della mia sventura, intanto sono io quello tutto ammaccato e con uno squarcio sul fianco!”.
Il professor Harris entrò in classe, esortando tutti a fare silenzio e condendo il tutto con svariate minacce. Come sempre.
I due amici si acquattarono sul banco, cercando di coprirsi il più possibile con i libri.
“Cosa pensi di fare adesso?” chiese Scott, fattosi improvvisamente serio.
Stiles sospirò, frustrato. “La faccenda si sta facendo seria, Scott. E’ tutto così incasinato… a volte è come se stessi cercando di comporre un puzzle pur avendo un sacco di pezzi mancanti. Non posso più restare all’ oscuro di cose che dovrei sapere altrimenti la prossima volta, nonostante le promesse di Derek, ci rimango secco”.
“E come le scopriamo queste cose?”.
“Usi il plurale?”.
“Amico, ormai ci sono dentro anch’ io. Pensavi che bombardandomi di tutti questi racconti non mi facessi coinvolgere? Guarda che pure io sono preoccupato”.
“Quindi ora mi credi?”.
Scott annuì e Stiles incurvò un lato della bocca in un sorriso, sentendosi già meno solo e disperato.
“Ascolta, Kaya è l’ unica che può aiutarmi. Hai presente quel grosso libro che si è portata appresso per tutto il giorno? E’ il diario della sua bisnonna e credo proprio che dentro ci sia qualcosa di importante riguardo ai sogni”.
“Quindi la tua è solo un’ ipotesi?”.
“Sarebbe una conferma se solo tu non ci avessi interrotto ieri”.
“Ops…” mormorò sorridendo con imbarazzo. “Dov’è Kaya, in ogni caso?”.
“Non frequenta i corsi di Harris, la cercheremo nelle prossime ore. E saremo molto diretti e molto persuasivi”.
“Sì, come quelli di CSI!”.
“Scott, CSI fa schifo”.
“Ma perché devi sempre…”.
“Stilinski e McCall!” tuonò Harris, puntando i suoi piccoli occhi di ghiaccio su di loro. “Vi vedo presi da un’ avvincente chiacchierata! Forse potrei portarvi del tè freddo e delle riviste di gossip, così potrete spettegolare sulle nuove figuracce di Kristen Stewart, valutando se difenderla o criticarla, e su quanto adorate il look di Jennifer Lawrence!”.
“Wow, certo che lei è molto informato sulle nuove tendenze” disse Stiles.
“Potremo discuterne insieme, signor Stilnski… oppure potrei spedirvi dal preside!”.
Così furono mandati nell’ ufficio del preside, il quale svogliatamente li mandò a sua volta in punizione, giusto per placare le lamentele di Harris. Non mancò di precisare che la punizione durava fino alla fine dell’ orario scolastico.
“Immagino che vestiremo i panni dei detective questo pomeriggio” sbuffò Stiles, abbandonandosi su un banco nell’ aula punizioni.
“Ehm, non posso. Ho promesso a mia madre che l’ avrei aiutata a sistemare la soffitta”.
Il figlio dello sceriffo lo guardò corrugando la fronte, inarcando le sopracciglia in un’ espressione stupita. “Sai, non dureresti un giorno tra quelli di CSI”.
“E a Law & Order?”.
“Non ti prenderebbero neanche in considerazione”.
 
 
La pelle bruciava sul fianco, Stiles poteva sentire le bende strusciare contro la ferita: non le aveva strette abbastanza. Sospirò e strinse la mani sul volante, un’ espressione seria e pensierosa dipinta sul volto.
Era ormai Marzo e il paesaggio si ripopolava di colori nuovi, il clima era già più mite, tutto sembrava avvolto da un senso di calma e pace. La mente di Stiles, però, rombava come un motore. Era nervoso, inquieto, preoccupato. Non si era preparato niente da dire per quando si sarebbe trovato faccia a faccia con Kaya; sapeva che in ogni caso le sue emozioni lo avrebbero tradito.
Accostò davanti al vialetto e scese dalla macchina sbattendo la portiera con forza. Improvvisamente si sentiva in preda alla rabbia, si sentiva addirittura in diritto di colpevolizzare Kaya per quello squarcio bruciante che aveva sul fianco. Certo, Stiles era di animo troppo buono per odiare a morte una persona. Ma lei sapeva e aveva deciso di non dirgli nulla e questo lo feriva più di ogni altra cosa.
Arrivò davanti alla casa e senza preoccuparsi si chi gli avrebbe aperto, iniziò a bussare con forza contro la porta. Kaya ci mise qualche secondo ad aprire.
“Stiles! Che cosa ci fai qui?”.
Lui rimase in silenzio, stringendo i pugni e inspirando rumorosamente. Kaya lo guardava preoccupata, soffermandosi sul taglio che gli segnava la guancia.
“Stai bene? Che cosa hai fatto al viso?”.
“Devi farmi vedere il diario”.
“Il – il diario? Perché vuoi vederlo?”.
“Lo sai perché”.
“No, che non lo so! E non capisco proprio perché tu sia interessato a tutte quelle cose senza senso”.
“Kaya, io non so cosa ci sia scritto esattamente lì dentro, ma ho una vaga idea e penso che tu sappia esattamente di cosa sto parlando”.
Lei strinse la labbra, assumendo un’ aria improvvisamente rigida e austera.
“Rimani in silenzio? Bene, allora vediamo se questo ti può far parlare” disse e con un gesto rapido si sollevò la felpa sul fianco.
Kaya tentò di mantenere un contegno, ma appena vide la pelle fasciata e le bende leggermente puntellate di rosso trasalì. La sua espressione cambiò, mostrando chiare manifestazioni di timore e stupore.
Stiles la fissava, inchiodandola contro quel muro di inutili difese che si era costruita, non lasciandole via di scampo.
Quando Kaya parlò, la sua voce era un sussurro. “E’ stato il lupo?”.
Stiles abbassò la felpa e la guardò sorpreso. “Sì, ma è complicato, lui…”.
“Aspettami qui”.
Il ragazzo la vide sparire dentro casa e ricomparire dopo qualche secondo con il grosso libro in mano.
“Mio padre è al lavoro, ma mia nonna e Sam potrebbero tornare a momenti” disse chiudendo la porta di casa alle sue spalle. “Andiamo in un posto più sicuro”.
Nessuno dei due disse più nulla lungo il tragitto che li portò nel cuore del bosco. L’ insieme di odori e suoni che caratterizzava quel luogo provocò a Stiles un tuffo al cuore. Tutto sembrava parlare di Derek.
Arrivarono ad uno spiazzo in mezzo agli alberi, probabilmente adibito al camping. Kaya sembrò soddisfatta di quel nascondiglio e si andò a sedere sopra a un tavolo malandato di legno. Stiles la imitò, occupando lo spazio al suo fianco.
Non era più arrabbiato e aveva sentito i muscoli rilassarsi appena Kaya aveva pronunciato la parola “lupo”. Anche se tecnicamente quella era l’ unica parola che avrebbe dovuto farlo trasalire.
“Mi dispiace che tu sia ferito” mormorò lei.
Non lo guardò, fissava solo gli alberi davanti a sé. E se Stiles avesse deciso di incrociare il suo sguardo avrebbe compreso il duplice significato di quella frase.
“Non preoccuparti, non sono messo così male. Guarirà entro tre o quattro giorni probabilmente”.
“Chi altro lo sa?” chiese Kaya, tornando a posare i suoi occhi su Stiles. “Dei sogni, delle ferite…”.
“Solo tu e Scott” rispose stringendosi nelle spalle. “La domanda però è cosa sai tu”.
Kaya prese un respiro profondo ed iniziò a sfogliare le pagine del diario.
“E’ tutto molto confuso” iniziò, “non sono sicura neanche di quanto seriamente dovremmo prendere questa faccenda…”.
“Kaya, non cercare di convincermi che è solo un sogno perché sappiamo entrambi che non lo è” la interruppe lui. “Devi dirmi tutto quello che sai”.
La ragazza annuì, arricciando un dito attorno all’ estremità della treccia. “Come già sai, il lupo è non solo simbolo di potere ma anche protettore dei sogni. C’è una preghiera che si recita per invocarne la protezione ed è proprio quello che ha fatto la mia bisnonna. Era perseguitata sempre dallo stesso incubo, in cui vedeva i suoi figli affogare in un mare nero. Ecco, senti cosa dice:
 
L’ incubo mi viene a trovare ogni notte ed ogni notte è sempre uguale. Mi uccide, mi strazia. Ogni mattina quando mi sveglio non posso fare altro che chiedermi se è veramente questo il destino dei miei figli, addirittura se dovrei averne. In fondo ora ho solo 20 anni, il mio ventre è vuoto, sono ancora in tempo per salvarli. Sento che non c’è speranza.”
 
Stiles sentì un brivido corrergli lungo la schiena ripensando a quel periodo in cui anche lui di notte si ritrovava in balia delle ombre.
Kaya girò la pagina e ricominciò a leggere:
 
La mia vita è cambiata.
Ieri notte, prima di coricarmi, invece di pregare gli spiriti della terra come sempre ho deciso di agire con un po’ di egoismo ed ho pregato il Lupo Grigio. Gli ho chiesto di proteggermi dalle tenebre dell’ incubo, affinché io possa vedere con chiarezza non solo il mio presente ma anche il mio futuro. Ed Egli mi ha ascoltata.
Mi è apparso in sogno, su quella spiaggia dove ogni notte vedevo i miei cari affogare. Solo che il mare era calmo e nessuno si agitava tra le sue acque. E tutti gli odori, i suoni, il vento che sferzava sul mio viso, ogni cosa era incredibilmente reale. Persino adesso mi sembra di risentire il profumo del mare e della sabbia.
“Ayasha, il nome che porti ha significato di piccolo ma io ho deciso di renderti parte di qualcosa di grande” iniziò il Lupo guardandomi con i suoi grandi occhi azzurri. “L a tua preghiera mi ha toccato il cuore e non solo acconsento a proteggere te, ma anche i tuoi figli”.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime e lottai per non cadere a terra dalla felicità.
“Grazie, Lupo Grigio, grazie!”.
“Aspetta, Ayasha, non abbandonarti alle emozioni. C’è altro che devo dirti. Prima di tutto, la mia protezione sulla tua stirpe durerà finché crederete in me e finché aprirete il vostro cuore accettando ciò che siete e ciò che sono io. Nell’ istante in cui anche solo uno di voi mi vedrà come un nemico, il nostro legame si spezzerà”.
“Lo terrò bene a mente, Lupo”.
“Bene. Ora, lascia che io ti spieghi quale sarà la svolta che prenderà la tua esistenza. C’è una vita che corre parallelamente alla tua, senza che nessuno dei due lo sappia. Le vostre anime sono deboli negli stessi punti e i vostri corpi inesperti alla meraviglia. L’ anima di costui ti guiderà lungo un cammino che ti porterà a ritrovare te stessa e la tua colmerà le lacune di lui. Imparerete il rispetto, il coraggio, la fratellanza, la compassione. E tu imparerai a tessere sogni”.
“Ma chi è costui? Un lupo o un uomo?”.
Il Lupo Grigio abbassò il capo e scosse appena il pelo argenteo. Se non avesse avuto sembianze di animale, avrei giurato che stesse sorridendo.
“Non ho mai trovato molte differenze fra lupi e uomini. Sono sicuro che sarai d’accordo con me”.
Non osando controbattere, me ne restai in silenzio. L’ ultima cosa che mi disse fu: “ci sono altri come te, Ayasha. Alcuni tessono i sogni grazie a me, altri hanno il potere di farlo già nel sangue. Che questo possa sempre ricordarti che non sei sola”.
E poi il sogno è svanito, lasciandomi cullare da un sonno profondo e tranquillo. Al mio risveglio già mi sentivo diversa. Ora sono parte di qualcosa di grande.

 
Kaya terminò di leggere, ritrovandosi a guardare uno Stiles pensieroso e corrucciato.
“Sinceramente mi sento più confuso di prima” sbuffò lui. “E' tutto diverso, io... Io non ho fatto nessuna preghiera, Derek è semplicemente arrivato nei miei sogni, puff, sbucato dal nulla come un fungo!”.
“Derek?”.
“Sì, il mio simpatico lupo mannaro da compagnia”.
Kaya sgranò gli occhi. “Anche la mia bisnonna parla di un uomo – lupo! Lo chiama Ohcù, che credo siano il diminutivo di Ohcumgache, piccolo lupo. Gran parte del diario parla di lui, in effetti”.
“Wow, capisco perché gli ha dato un soprannome… Grazie a dio Derek ha un nome facile da ricordare”.
Kaya non si fece coinvolgere dall’ ironia di Stiles e aggrottò le sopracciglia, riprendendo a giocherellare con i capelli. Improvvisamente sembrava vedere chiaramente anche tra quei buchi neri che oscuravano la storia della sua famiglia.
“Secondo te che vuol dire questo tessere sogni?” chiese Stiles, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
“Non saprei… forse è quest’ abilità speciale che hanno quelli come te, la capacità di vivere sogni assurdamente reali. Perché è questo che ti succede, no? E’ questo che ti ha fatto pensare che ci fosse dell’ altro?”.
“Beh, sì, ma che c’ entro io con il popolo Cheyenne?”.
“In campo genetico niente, ma per qualche motivo anche tu sei come la mia bisnonna. Lo scrive lei stessa che molti ce l’ hanno nel sangue”.
“Ma perché questa cosa si è manifestata proprio ora? La tua bisnonna aveva 20 anni, io ne ho solo 16, le età non coincidono! E poi qual è lo scopo di tutto questo se io non ho chiesto alcun aiuto?”.
Per la prima volta Kaya lo guardò con dolcezza, con le labbra arricciate in un sorriso e gli occhi leggermente socchiusi. Sotto a quello sguardo Stiles sentì il petto scaldarsi. Da tempo nessuno lo guardava così: con sincerità, senza alcuna traccia di pietà, ma solo di grande empatia.
“Forse perché solo ora sei caduto in pezzi e magari Derek è qui per rimetterti insieme”.
Stiles inspirò violentemente dalle narici. Quello che diceva Kaya era vero, lo aveva imparato a sue spese che chi non chiede mai aiuto è sempre chi ne ha più bisogno. Solo avrebbe voluto accorgersene prima, di aver toccato il fondo.
Rimase per qualche secondo a guardare Kaya negli occhi. Lei arrossì appena, ma la sua indole combattiva la spinse a non distogliere lo sguardo.
“Che cosa ti è successo, Stiles?”.
Il ragazzo sorrise amaramente, in un modo che stonava troppo col suo viso giovane da adolescente.
“Tesso sogni” scherzò.
“Intendo prima, prima di tutto questo”.
Stiles non si ricordava il momento esatto in cui era andato in pezzi. Anche con la massima concentrazione, non riusciva ad individuare un istante preciso in cui aveva perso sé stesso, solo ricordi dilatati e confusi. Probabilmente aveva già perso i contatti col mondo quando si erano manifestati i primi campanelli d’ allarme. Avrebbe dovuto ascoltare di più in quel periodo, avrebbe dovuto ascoltarsi di più. Tuttavia sapeva cosa lo aveva fatto smarrire. Gli sarebbe piaciuto dire che non se lo ricordava, ma c’ erano dei ricordi che erano ormai marchiate a fuoco nella sua memoria.
“Ho perso mia madre”.
Smisero di guardarsi. Eppure c’ era ancora qualcosa che li legava.
“Anche io”.



















Author's Corner:
Salve a tutti!
Inizio col dire che questo capitolo doveva essere più lungo e sostanzioso, ma ho dovuto spezzarlo perchè domani parto per New York (yay!).
Starò via due settimane e ci tenevo a postarvi un capitolo prima di partire, per evitare di far passare troppo tempo come mio solito.
Solo che la seconda parte non è ancora terminata e non potevo né mettere il capitolo incompleto, né lasciarvi a bocca asciutta per così tanto tempo. Ecco perchè è uscita fuori questa cosa insulsa che, se non fosse per le simpatiche battute tra Scott e Stiles (chiedo venia ai fan di CSI), non dovrebbe neanche esser chiamato capitolo. (non uccidetemi, lo sapete che vi amo <3).
La storia del Lupo Grigio vi ha confuso ancora di più? Non vi preoccupate, nel prossimo capitolo verrà spiegato tutto ulteriormente e scoprirete finalmente la storia della famiglia di Kaya (stavolta per davvero, non è una bufala ù.ù).
Scusate se vi lascio con così tanta suspance, penso che molti di voi mi vorranno torturare nei peggiori modi e altri forse si chiedono "ma perchè ho iniziato questa maledetta storia?" xD
Anyway, statemi bene, amatevi, sclerate per le puntate di TW anche per me (dato che non potro vederle sigh ç_____ç) e via quelle bambole voodo con la mia faccia!
Love,

J.

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Capitolo 15
*** Bad Blood. ***


Capitolo 14
Bad Blood











Anche Kaya ricordava. Non aveva mai dimenticato cosa aveva distrutto la sua famiglia.
Stiles non disse nulla, né ebbe la presunzione di chiederle di continuare; eppure qualcuno decise di farlo al posto suo.
“Tuo padre non è sempre stato così burbero, sai?”.
La voce di Niabi li fece sobbalzare.
L’ anziana sorrideva a pochi metri da loro, i capelli argentei che brillavano sotto i raggi del sole.
“Nonna! Che ci fai qui? Come ci hai trovati?”.
“Piano, tesoro, troppe domande tutte insieme non fanno mai bene, né allo spirito, né al cervello” rispose lei tranquillamente e con pochi passi si andò a sedere su un tronco intagliato a mo’ di panca lì vicino. “Oh, vedo che sono riuscita a farti trovare il diario. Bene, bene, spero che voi l’ abbiate letto con attenzione”.
Sospirò stancamente, appoggiando le mani sul grembo e umettandosi le labbra.
“Mio figlio Paytah era un uomo sicuro di sé, spregiudicato, appassionato e affabile. Non così devoto alle sue origini come lo ero io, ma comunque consapevole dell’ importanza di conoscere la propria cultura. L’ avevo istruito alla riflessione e al rispetto, secondo la tradizione Cheyenne, forgiando il suo spirito affinché potesse essere sempre un uomo buono. In effetti non è che disprezzasse le sue radici, ma semplicemente non erano un fattore importante nella sua vita. Finché non conobbe tua madre, Hannah. S’ innamorò all’ istante di lei. E d’ altronde come biasimarlo? Lei era bellissima e molto intelligente”.
Gli occhi di Niabi si fecero ampi e scintillanti e Stiles la vide sorridere mestamente, come se non potesse sentirsi in nessun’ altro modo davanti all’ immagine del bellissimo ricordo di quella donna.
“Paytah non tardò a rendermi partecipe delle fiamme che bruciavano nel suo cuore. Presto si fidanzarono e arrivò il momento di presentarmela. Personalmente, non mi piaceva molto l’ idea di un incontro così ufficiale, ma lui ci teneva così tanto che evitai di obiettare. Mia cara Kaya, erano tempi diversi, tempi in cui io e tuo padre riuscivamo sempre a trovare un accordo che compiacesse entrambi!”.
La donna ridacchiò e intrecciò le dita nodose sospirando di nuovo.
“Hannah rimase stupita quando lo chiamai Paytah e non Patrick, come si faceva chiamare da tutti. Come lo aveva sempre chiamato lei. Credo che fu lì che venne a conoscenza delle antiche origini di mio figlio, le quali, chissà perché, erano sempre state un mistero per lei. Ne rimase completamente affascinata e più imparava, più voleva sapere. Lui non se ne preoccupò più di tanto all’ inizio, poiché era in effetti solo forte curiosità, e proseguì la sua vita insieme a lei.
“Iniziai a volerle bene come ad una figlia e quel legame si consolidò ancora di più quando si sposarono. Un’ unione più che insolita per la nostra cultura, una donna americana e un uomo cheyenne; ma Hannah era più che disposta a seguire le nostre regole, a pensare come una di noi, a costruire la propria famiglia come noi abbiamo fatto per secoli e secoli. Era già incinta di te, Kaya, quando si decise ad affidare la protezione della sua famiglia al Lupo Grigio, spirito protettore della nostra stirpe dai tempi di mia madre. Le insegnai la preghiera, le raccontai ogni cosa sugli spiriti dei lupi, la istruii a vederli come fratelli e a voler bene alla natura come ad una sorella. Sai, ti amò subito, Kaya. Quando pregava, pregava per te”.
Niabi fece una pausa, socchiudendo leggermente gli occhi, in un modo così delicato e quasi impercettibile che sembrava essere entrata in una sorta di meditazione. Quando li riaprì il suo sguardo si fece più serio.
“Quando Paytah venne a sapere delle lunghe chiacchierate tra me ed Hanna s’ infuriò. Tentava ogni giorno di convincerla a lasciar perdere, che erano tutte storielle, che niente di quello che io le avevo spiegato in quell’ ultimo periodo andava preso sul serio. Venne addirittura a parlare con me, intimandomi di smetterla di raccontarle tutte quelle cose. Già allora lo stavo vedendo cambiare, indurirsi come la terra d’ inverno. Forse aveva smesso di credere da tempo. L’ unica cosa che lo rendeva vivo era l’ amore per lei e per sua figlia, per questo si sentiva in dovere di sottrarre entrambe a ciò che aveva evitato per quasi tutta la sua vita. Voleva che viveste normalmente. Ora, con il senno di poi, in parte posso comprendere le sue ragioni. Il suo nome vuol dire fuoco ed il suo temperamento è proprio esplosivo come una fiamma viva. Vi amava più di ogni altra cosa” soggiunse posando dolcemente lo sguardo su Kaya.
“E anche Hannah per amore smise di dedicarsi così assiduamente alle mansioni della cultura cheyenne. Inoltre ora aveva una bambina da accudire, una nuova casa da governare…
“Ma non ha mai smesso di credere, vero?” la interruppe Stiles, la voce bassa, flebile, gli occhi vivi e attenti.
Niabi sorrise compiaciuta. “Ogni volta che Paytah era fuori e lei non aveva particolari faccende da sbrigare, prendeva Kaya e veniva da me”.
“Sì, mi ricordo” mormorò Kaya sorridendo appena. Erano ricordi dolci e buoni quelli in cui rivedeva sua madre prenderla per mano e portarla a casa della nonna. Stavano lì per un’ ora o due e poi passeggiavano nel bosco, ridendo e giocando come se non esistessero problemi al mondo.
“Quando rimase incinta di Sam le visite diventarono meno frequenti, così decisi che sarei stata io ad andare a trovarla. A volte arrivavo che c’ era anche Paytah in casa. I nostri rapporti si erano già fatti un po’ tesi, ma eravamo pur sempre madre e figlio e riuscimmo a rendere la nostra convivenza più che piacevole per entrambi.
“Negli ultimi mesi della gravidanza ero sempre in casa con Hannah ad aiutarla. Paytah lavorava molto e così io mi occupavo di Kaya e delle faccende domestiche. Era tuo padre a preparati il letto tutte le sere, Kaya, ma era tua madre quella che si assicurava che ti addormentassi. Probabilmente te lo ricordi”.
“Mi cantava la preghiera, la preghiera al Lupo Grigio” disse la ragazza e poi riprese così:
 

Seguimi lungo il sentiero,
Io camminerò accanto a te.
Ti aiuterò e ti mostrerò la strada.
Io non ti lascerò.
                
Sarò in piedi sul sentiero,
mentre ti guardo.
 
Se ti senti solo
Chiudi gli occhi e
Vedrai sei serie di impronte.
 
Due appartengono a te,
quattro sono le mie.
Allora saprai che non ti ho mai lasciato.

 
Stiles sentì una fitta al petto e improvvisamente si ritrovò a pensare di nuovo a Derek.
Kaya aveva gli occhi lucidi e le mani strette a pugno sulle ginocchia. Il suo viso era però rilassato e composto, modellato da quel contegno che la caratterizzava.
“So cosa succede dopo” disse la ragazza dopo qualche secondo di silenzio.
Niabi tacque.
“Avevo otto anni, Sam solo due. Eravamo tutti in salotto, c’ erano anche papà e la nonna. Era inverno, un Gennaio freddo e rigido. Mamma stava preparando una tisana o qualcosa del genere e si è accorta che mancava un ingrediente importante, un’ erba che cresceva proprio nel boschetto vicino a casa. Così è uscita, rifiutando di essere accompagnata perché ci avrebbe messo davvero solo un paio di minuti. Non è più tornata”.
Kaya strinse gli occhi convulsamente e due piccole lacrime scivolarono sulle guance, mandando in frantumi la compostezza del suo viso. Se le asciugò subito con il dorso della mano serrando le labbra, quasi come se si vergognasse.
“La ritrovò una pattuglia della polizia due giorni dopo” continuò con un filo di voce. “Lei era… non mi hanno fatto vedere il corpo ma dicevano che era piena di graffi e morsi, squarciata, sfigurata… un attacco di un animale, hanno detto”.
Lentamente scivolò su sé stessa, accartocciandosi fino ad appoggiare i gomiti sulle ginocchia. Stiles, al suo fianco non poteva più vederle bene il viso, ma il modo in cui la sua schiena si allargava in profondi sospiri gli suggerì che espressione potesse avere in viso.
“Non un animale, Kaya” soggiunse Niabi con fermezza. “Un lupo”.
“Ma non ci sono lupi in California” disse Stiles inarcando le sopracciglia, ancora scosso da quella storia. “Voi… voi vivevate in California, vero? Allora non ha alcun senso. Perché pensate che sia stato un lupo?”.
Niabi sorrise e l’ incurvarsi delle sue labbra sottili arricciò la pelle in altre rughe ai lati della bocca e degli occhi, come i solchi che fa l’ acqua piovana nella terra. “Anche Paytah diceva così. Non ci sono lupi in California”.
Non disse nient’ altro, ma ci fu qualcosa nel modo in cui sorrise, o forse nel luccichio dei suoi occhi, che scosse Stiles nel profondo. Stava ancora pensando alla sua famiglia o stava cercando di dire qualcosa lui?
E come era possibile che fosse così sicura che un lupo l’ avesse uccisa, quando tutto diceva il contrario? O almeno tutto ciò che poteva ancora essere considerato razionale.
“Ho sempre saputo che era stato un lupo, non ho mai avuto nessun dubbio” continuò l’ anziana. “Non l’ avevo allora e non ce l’ ho neanche adesso. Ad ogni modo, Paytah si fece trascinare dalla disperazione e si aggrappò all’ unica cosa che l’ avrebbe potuto far sentire meglio. Mi accusò pesantemente, dicendo che ero una stupida a pensare che fosse stato un lupo e che stavo cercando solo una scusa per non sentirmi in colpa. Secondo lui, era colpa mia se Hannah si era voluta avventurare nel bosco e sostenendo la mia teoria sulla sua uccisione non stavo facendo altro che aumentare il dolore suo e dei suoi figli. Diceva che avevo riempito la testa di sua moglie con una valanga di sciocchezze, influenzandola, condannandola”.
Stiles sentì un’ improvvisa sensazione di secchezza alla gola, un’ aridità che si allargava lentamente fino ai polmoni e allo stomaco. Deglutì con forza, tentando di non farsi influenzare così tanto da quella storia. Ma come avrebbe potuto? C’ erano così tante cose che combaciavano alla perfezione con la forma che aveva assunto il suo dolore durante gli anni.
“Nel giro di pochi mesi Paytah perse la testa. Non resistette a lungo in quella casa che gli ricordava costantemente l’ amore che provava per lei e così ci trasferimmo. Poi accadde una seconda volta e una terza e poi una quarta. Ancora oggi siamo in fuga. Non penso che stesse scappando da qualcosa di preciso, anche se tutto dava da pensare quello. Credo che per lo più stesse cercando un posto a cui potesse appartenere un’ altra volta. Un lupo gli aveva distrutto la vita ma un lupo lo stava diventando lui stesso, vagabondando, trascinando il suo piccolo e malconcio branco in una città dopo l’ altra. Il suo animo si era perso e non voleva essere ritrovato”.
Il figlio dello sceriffo ripensò a quell’ uomo che qualche giorno prima lo aveva praticamente cacciato dalla sua proprietà. La durezza del suo viso ed il suo tono così minaccioso gli facevano venire i brividi solo a pensarci. Solo che poteva capire, poteva capire davvero perché era cambiato così tanto. Il dolore che aveva provato era violento e fulminante. Nessuno ti prepara a quel tipo di sofferenza, o almeno così era stato per lui quando aveva perso sua madre.
“Io vorrei solo che lui vedesse la verità, che la accettasse. Mi odia ancora probabilmente” disse Niabi, leggermente malinconica.
“Non è vero, nonna. Lui non ti odia” replicò Kaya.
“Mi ha permesso di restare sotto il suo stesso tetto solo perché aveva bisogno di aiuto con voi due. E le cose che sai tu sulla nostra cultura, Kaya, te le ho dovute insegnare di nascosto, lo sai bene! Certo, non dico che mi lascerebbe morire tra le fiamme senza batter ciglio, sono pur sempre sua madre, ma sicuramente non mi rispetta come un tempo. Qualcosa si è rotto tra di noi quel giorno in cui Hannah morì… o forse entrambi siamo andati in frantumi e non siamo stati capaci di raccogliere i pezzi. L’ animo umano è così fragile se non è protetto…”.
Stiles rizzò la schiena improvvisamente. Protetto, proteggere, protezione“la mia protezione sulla tua stirpe durerà finché crederete in me. Nell’ istante in cui anche solo uno di voi mi vedrà come un nemico, il nostro legame si spezzerà”.
Anche uno solo di voi.
Uno solo.
“La protezione del Lupo Grigio” disse Stiles a voce bassa, ma abbastanza chiaramente perché sia Niabi che sua nipote sentissero.
Kaya si voltò bruscamente verso di lui, gli occhi neri spalancati come due grandi pozze di petrolio.
“E’ per questo che lei è convinta che sia stato un lupo” continuò lui, “perché Paytah ha infranto la promessa. Ha smesso di credere”.
Il viso di Niabi si illuminò di nuovo di un sorriso compiaciuto. “Sapevo che eri un ragazzo sveglio, Stiles. Devi solo essere guidato un po’ “.
Detto ciò, si alzò stancamente e con un cenno del capo salutò i due ragazzi, avviandosi verso casa.
Stiles era talmente scioccato che non si accorse subito che lo stava piantando in asso dopo una rivelazione di quella portata. Gli ci volle qualche secondo per richiamarla a gran voce.
“Lei lo sa, vero? Lo sa cosa mi succede di notte?” le chiese, avvicinandosi di qualche passo, il cuore che martellava nel petto.
Era un azzardo esporsi così, ma Stiles sentiva che ormai l’ unica cosa che lo avrebbe potuto aiutare da uscire da quel tunnel di domande e questioni irrisolte era proprio il rischio.
“Ciò che so io lo hai già letto nel diario di mia madre. Non posso dirti altro che tu già non sappia, Stiles”.
Il petto di Stiles si gonfiò in un profondo sospiro. Doveva crederle? Poteva permettersi di credere che non ci fosse nient’ altro in più da sapere?
Il ragazzo abbassò lo sguardo facendo ciondolare leggermente la testa. Quando lo rialzò le sue labbra era una linea sottile e tirata.
“Immagino che dovrò scoprire tutto da solo, allora”.
Niabi sorrise di nuovo in quel suo modo pacato e tranquillo, come se nessuna delle parole pronunciate in quel frangente l’ avessero toccata. “Sai cosa diciamo noi anziani ai giovani cheyenne? Persevera, ascolta e prega. Spero che questo ti possa guidare in qualche modo. A presto”.
La guardarono addentrarsi nel bosco e sparire tra gli alberi, in silenzio assoluto, proprio come era arrivata.
Stiles si lasciò cadere di nuovo sul tavolo, passandosi pensosamente una mano tra i capelli. Kaya lo osservò per qualche secondo, soffermandosi sulle sue dita affusolate che spazzolavano i capelli sulla nuca, corti e scuri. Era strano, ma nonostante gli avesse rivelato le assurdità che rendevano il passato della sua famiglia così oscuro, non si sentiva per niente a disagio. Era… giusto che lui sapesse.
“Credo che questo serva di più a te, ora” disse porgendogli il diario di Ayasha.
Stiles prese il volume e le sorrise con gratitudine.
“Mi dispiace che tu sia finito in mezzo a tutto questo” aggiunse subito dopo.
“Non ti preoccupare, non potevi saperlo. E’ successo e basta” rispose lui e nella sua voce c’ era qualcosa di molto vicino alla frustrazione. “Spiegami solo una cosa: perché ogni volta che tua nonna mi parla sembra che mi conosca già da tempo? Come se sapesse esattamente cosa sto per dire e cosa lei debba rispondermi”.
Kaya si voltò verso di lui ed incrociò le gambe sopra al tavolo. “Penso che lei in un certo senso ti stesse aspettando. Diceva che gli spiriti le avevano parlato dell’ arrivo di un sognatore di sangue, dagli occhi dorati e dal cuore grande. Non ci ho dato tanto peso all’ inizio, poi però ci siamo incontrati quella volta nel bosco e poi giù in città… un po’ ho iniziato a crederci anche io”.
Stiles aggrottò le sopracciglia. “Un sognatore di sangue… cioè, un sognatore che possiede le sua abilità non perché qualcuno gliel’ ha conferite, ma perché ce l’ ha già nel sangue”.
Kaya annuì, colpita dalla capacità di intuizione del ragazzo che la stava davanti.
Il sole stava tramontando lentamente dietro gli alberi, colorando la terra di una luce rossastra, e l’ aria si stava facendo sempre più fresca. Era ora di tornare a casa.
 
Kaya accompagnò Stiles fino alla jeep, parcheggiata all’ inizio del vialetto di ghiaia che s’ infiltrava nel bosco. Lungo il tragitto, gli indicò la pagina del diario dove era scritta la preghiera del Lupo, così che potesse rileggerla ogni qual volta ne avesse avuto bisogno.
Prima di aprire la portiera e salire in macchina, Stiles si voltò verso di lei. La sua pelle sembrava ancora più bianca alla luce fioca del crepuscolo e gli occhi erano velati a lucidi di stanchezza.
“Senti Kaya, grazie per aver condiviso la tua storia con me. So quanto sia difficile convivere con un peso del genere e soprattutto quanto lo sia parlarne con gli altri, perciò… sì, insomma, grazie per esserti fidata di me così tanto da raccontarmelo”.
La ragazza sorrise debolmente e sentì subito le guance avvampare. C’ erano così tante parole che le riempivano la testa ma non seppe rispondere niente. Il cuore aveva accelerato prepotentemente il suo battito e l’ aria che entrava e usciva dai polmoni le sembrò subito più calda.
Rimase per un po’ a guardare la jeep che si allontanava, inesperta e indifesa di fronte a quella grande parola che le arroventava i pensieri: fiducia.















Author's Corner.

Eccomi, resuscito di nuovo peggio dello zio Peter.
Dunque, ci tengo a spiegarvi brevemente il motivo di questa mia lunghissima assenza. Tornata da New York, ho trovato ad aspettarmi una valanga di brutte notizie e problemi in famiglia che mi hanno costretta a partire di nuovo. Sono stata fuori tutto il mese, spostandomi così tante volte che non ho avuto accesso ad internet se non dal cellulare e per questo non ho avuto modo di aggiornare la fanfiction. Sono tornata proprio ieri e grazie a dio, durante la mia assenza, ho comunque trovato il tempo per scrivere e così postare il nuovo capitolo è stata una delle prime cose da fare. Ed eccomi qui :)
Tornando alle cose che vi interessano davvero... finalmente sapete la storia di Kaya! Ora potete anche metter via tutte le bamboline voodoo che volevate usare per torturarmi xD
La preghiera che ho riportato esiste davvero ed è proprio una preghiera per invocare la protezione dello spirito del lupo. Io la trovo bellissima *-* Dovrei informare Jeff di questa cosa...
Il prossimo capitolo sarà totalmente Sterek, per la vostra gioia... e anche la mia!
Vi ringrazio come sempre per il supporto <3
E ora su su, alla tastiera, che ho bisogno di una bella dose di recensioni!

J.


ps: Se in futuro volete andare a New York, non andateci d' estate... SI MUORE DI CALDO, in una maniera che non potete neanche immaginare xD

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Capitolo 16
*** Graceless, is there a powder to erase this? ***


Capitolo 15
Graceless, is there a powder to erase this?
 


I'm in the crush and I hate it
my eyes are falling
I'm having trouble inside my skin
I tried to keep my skeletons in
- The National, Slipped

 









Stiles parcheggiò nel vialetto di casa con il cuore pesante. Credeva che parlando con Kaya tutto sarebbe stato più chiaro, ma il risultato era che si sentiva ancora più smarrito. Mentre suonava il campanello, pensò che forse era ora di parlarne con Derek.
Attese per una buona manciata di secondi, ma nessuno venne ad aprire la porta.
Strano, pensò. Papà dovrebbe essere a casa a quest’ ora.
Infilò la chiave nella serratura e aprì la porta. La casa era silenziosa e sarebbe stata completamente immersa nell’ ombra della sera se un bagliore proveniente dalla cucina non stesse squarciando il nero del pavimento.
“Papà?” chiamò Stiles dall’ ingresso. “Sono a casa!”.
In risposta ebbe solo altro silenzio. Lentamente avanzò nella penombra grigiastra della casa fino alla cucina e una volta aperta la porta, sospirò dolorosamente davanti alla scena che gli si parava davanti.
L’ odore di alcool era forte e se le lacrime avessero avuto un profumo, Stiles sarebbe riuscito a sentirlo. Suo padre non si mosse dalla sedia ma alzò gli occhi dal tavolo e il suo volto sembrava corroso, scavato da chissà quali orribili pensieri. Gli occhi gonfi come due olive e il naso arrossato. Con le dita picchiettò leggermente sul bicchiere di vetro pieno di whiskey fino a metà e rivolse a suo figlio uno sguardo che sembrava quasi mortificato.
“Papà…” esalò Stiles.
“Mi mancava così tanto, Stiles…”.
“Ok, papà, adesso ci sono io”.
“Tu non capisci”.
“Dai, ti porto a letto”.
Fece per avvicinarsi, ma lo sceriffo si alzò bruscamente dalla sedia, i palmi delle mani aperti sul legno in tutta la loro ampiezza. Lo guardò con quello sguardo appannato e lucido degli ubriachi, ma con un velo di disperazione febbricitante che quasi faceva paura.
“Tu non sai com’è, avere una persona piantata nei pensieri! Essere perseguitato dal suo fantasma giorno e notte, ogni ora, ogni secondo… avere addosso questa sensazione di impotenza, come se non ci fosse niente da fare per essere libero” sbraitò parlandogli dall’ altra parte del tavolo. “Lei non mi lascia mai, mai, mai… dio, se solo potessi tornare indietro, salvarla magari. Ma non c’è penitenza, mortificazione o distrazione che cancelli tutto questo. Non potrei mai stancarmi di lei, dopo tutto”.
Stiles sentì il naso pizzicare. Sapeva che doveva essere forte, ma come tutte le volte l’ unica cosa che riusciva a pensare era “sì, sì, lo so che vuol dire! Anche per me è così!”. Ma non c’ era niente che poteva condividere con suo padre che non lo avrebbe fatto soffrire di più.
“Amore… amore, amore mio! Lasciami in pace, ti prego, lasciami e basta” cantilenò lo sceriffo con voce grave.
Collassò di nuovo sulla sedia e continuò a borbottare frasi sconnesse per un altro po’; almeno fin quando Stiles non cacciò indietro le lacrime e lo fece alzare delicatamente sorreggendolo con la spalla.
Percorsero le scale accompagnati dal regolare scricchiolio dei gradini sotto i loro piedi e dai loro respiri pesanti. L’ affanno, l’ oppressione, la spossatezza dello spirito, tagliavano l’ aria nel torace e raffreddavano il cuore.
Stiles fece stendere suo padre nel suo letto delicatamente e iniziò a slacciargli gli scarponi da lavoro. Gli sembrava di combattere con dei serpenti pronti a squartarlo più che con dei lacci. Poi lo fece sistemare sotto le coperte, lasciandogli il resto dei vestiti addosso dato che comunque non sarebbe mai riuscito a sfilarglieli.
“Buonanotte” soffiò sul ciglio della porta.
“Devi liberartene” biascicò il padre di rimando. “Del suo ricordo, dico, devi liberartene”.
Stiles abbassò il capo e soffiò rumorosamente dalle narici. “E’ difficile liberarsi di qualcosa che hai sempre avuto con te”.
Non capì se suo padre lo sentì, non ricevette alcuna risposta e onestamente forse era meglio che non avesse capito.
Consumò una cena rapida e povera al piano di sotto e diede una sistemata alla cucina. Una volta terminato salì stancamente al piano di sopra, fermandosi qualche secondo davanti alla porta chiusa della camera di suo padre. Da dietro il legno si sentiva un russare lento e regolare.
Finalmente raggiunse la sua stanza, scalciò via le scarpe senza troppi complimenti e si sfilò i vestiti lanciandoli a caso sul pavimento.
Si rigirò tra le coperte più volte, ritrovandosi poi a fissare il soffitto bianco e opprimente. Non è che si sentisse ferito dal comportamento di suo padre, né infastidito. Non era certo la prima volta che lo trovava in quelle condizioni e probabilmente non sarebbe stata l’ ultima. Sospirò pesantemente a questo pensiero.
Si sentiva arrabbiato, furioso quasi, perché non riusciva a trovare nulla che potesse tirare fuori entrambi da quella situazione, nessuna luce nell’ ombra. Si sentiva inutile, debole, senza alcuno scopo. Senza contare tutte le informazioni scioccanti e decisamente assurde apprese durante quella giornata.
Si voltò bruscamente su un fianco e allungò il braccio fino a raggiungere il diario di Ayasha posato sul comodino. Sfogliò qualche pagina a caso, fino a trovare finalmente quello che stava cercando. Recitò la preghiera del Lupo, piano e sottovoce, per sé stesso, ma con voce chiara e ferma, come se veramente ci fosse qualcun’ altro ad ascoltare.
 


 
Quando Stiles riemerge dall’ ombra per ritrovarsi di nuovo nel bosco, gli sembra di avere ancora sulle labbra le parole della preghiera.
Il cielo è nuvoloso, grosse forme grigie e bianche troneggiano sopra di lui come il soffitto della sua stanza. Ci sono davvero tante cose della sua vita che lo seguono anche nei sogni.
“Wow, sei in piedi”.
Una voce bassa e calda che conosce ormai fin troppo bene lo fa sobbalzare. Quando si volta, si trova davanti Derek con il suo miglior cipiglio di sempre, ad una distanza decisamente minima.
 
‘Allora saprai che non ti ho mai lasciato…’.
 
“Come devo interpretare questa tua frase?” chiede Stiles mettendo le mani sui fianchi.
“Di solito ti svegli sempre per terra, oggi sei arrivato qui in piedi… vuol dire che stai diventando più forte”.
Il figlio dello sceriffo socchiude gli occhi stancamente. “Davvero affascinante”.
Perché tutti - Kaya, Derek, Niabi - continuano a parlargli come se lui fosse una specie di aspirante jedi con una missione da compiere?
Derek fa qualche passo indietro, come se volesse studiarlo meglio. “Che cos’ hai?”.
Non sembra arrabbiato, anzi è decisamente meno scontroso del solito. Eppure c’è qualcosa di diverso in Derek, qualcosa di oscuro e ostacolante che lo rende quasi un’ altra persona. C’ è qualcosa in lui, lo si vede bene dal suo sguardo, che lo rende rigido nei movimenti e gli indurisce il viso come fosse di pietra scolpita.
Stiles sospira, grattandosi la nuca, e non dice nulla; così è Derek a riempire di nuovo il silenzio.
“E’ per la scorsa notte, vero? Ascolta, mi dispiace davvero, non volevo farti del male. Non capiterà più”.
Sì, c’ è decisamente qualcosa di diverso in lui.
“Come vanno le tue ferite?” continua.
“Bene, vanno bene”.
“Fammi vedere”.
Il moro gli si avvicina ispezionando velocemente il suo viso e alzando il lembo della maglietta per controllare la ferita sul fianco, la quale in realtà sta veramente bene.
“Ehi! Smettila, Derek!” esclama scostandolo e coprendosi la pelle nuda. “Spazi personali! Devi rispettare gli spazi personali, cristo santo! E lavorare anche sulle interazioni sociali”.
Il licantropo indietreggia ancora di un altro passo e Stiles lo vede stringere i pugni e tendere la braccia lungo i fianchi. Finalmente lo guarda negli occhi e gli basta questo per capire.
Derek non è arrabbiato. E’ tormentato.
Lo ha sorpreso alle spalle perché non sapeva come salutarlo con naturalezza, fingendo che la notte precedente non fosse successo nulla. Vi è sempre in lui il desiderio di stargli vicino, di volergli bene come ha sempre fatto, ma continua a chiedersi quanto si possa avvicinare senza ferirlo o turbarlo; per questo gli improvvisi cambiamenti di distanza, l’ invadere i suoi spazi. Nel gesto di controllare le sue ferite non c’ era altro che premura, non insolenza, non mancanza di rispetto.
Improvvisamente Stiles non si sente più così arrabbiato, almeno non con Derek. E davvero non gli importa più tanto della notte di luna piena, è ben disposto a dimenticarsene.
 
‘Seguimi lungo il sentiero, io camminerò accanto a te. Ti aiuterò e ti mostrerò la strada. Io non ti lascerò’.
 
“Scusami, sono un idiota” inizia Stiles accennando un sorriso. “Sono solo - ”.
“Arrabbiato” lo interrompe Derek. “Sei arrabbiato”.
“Sì, hai ragione” continua Stiles avvicinandosi al moro e circondandogli i fianchi con le braccia. “Ma non con te”.
Derek sembra rilassarsi un po’ contro il tepore di Stiles, ma sicuramente ci vorrà molto più di questo per liberarlo dai suoi demoni. Così quello che viene dopo sembra così ovvio, così naturale, che Stiles non ricorda neanche di averlo pianificato.
Preme le sue labbra contro quelle di Derek, separandole poi con uno schiocco. Il licantropo abbozza un sorriso e finalmente si decide ad attirarlo verso di sé, accarezzandogli la nuca e posandogli un bacio sulla tempia.
“Ci sono delle cose di cui ti devo parare” mormora Stiles contro il suo collo.
La pelle nuda di Derek è calda e profumata, deliziosa sotto le labbra e inebriante come incenso.
Stiles si scosta quanto basta per guardarlo negli occhi e ritrova quell’ espressione grave e distante di prima, come se Derek fosse invecchiato improvvisamente di 10 anni.
Risalgono il sottobosco e raggiungono la cima di una collina abbastanza alta da offrire un panorama mozzafiato. Si vede persino il lago scintillare in lontananza e la vegetazione che si estende per kilometri come una coperta variopinta.
Si siedono sull’ erba umida e Stiles raccoglie le gambe contro il petto, rabbrividendo appena per un’ improvvisa folata di vento. Gli ci vuole un po’ per prendere coraggio e iniziare a parlare.
Le parole iniziano a scorrere fuori dalle sue labbra come un torrente e decide che è inutile celare i dettagli a Derek, anche i più insignificanti. Così gli racconta tutto, ogni singola e assurda informazione acquisita in quegli ultimi giorni: la storia di Kaya e della sua famiglia, il diario di Ayasha, la protezione del Lupo Grigio, lo strano atteggiamento di Niabi nei suoi confronti. Tutto, ogni cosa.
Il licantropo lo ascolta con pazienza, come sempre, e si riesce ad intuire dalle rughe sulla sua fronte che non ha mai sentito parlare di cose del genere.
“Non so, non mi sembrano proprio le persone che vanno a raccontare cazzate così grandi. E’ vero che ci sono tante cose strane e inquietanti e poi strane di nuovo, ma ci sono anche così tante cose che combaciano - cioè tipo, whoa, è proprio quello che mi sta succedendo! - partendo dalla faccenda dei sogni fino a quello che racconta Ayasha. Anche lei come me era in una brutta situazione quando il Lupo Grigio le è apparso in sogno per la prima volta e credo fosse come se la stesse affidando a qualcuno che la potesse guarire, dandole lui stesso anche quest’ abilità di tessere sogni. Anche se io penso che lei l’ abbia sempre avuta”.
Stiles parla velocissimo, così tanto che Derek si chiede più volte se stia respirando correttamente.
“Sai cosa proprio non riesco a togliermi dalla testa? Uno: perché Niabi ha avuto questa sorta di premonizione su di me, sul mio arrivo nella loro vita e tutto il resto. Due: perché è così irremovibile sul fatto che un lupo abbia ucciso Hannah. Insomma, andiamo, un lupo? Lo stesso animale che guida i tessitori di sogni? Dai, una coincidenza un po’ troppo evidente!”.
“Se stiamo ancora parlando di lupi, perché ti sembra così strano? Poteva essere un lupo magari reso aggressivo dalla fame che ha attaccato Hannah”.
“Non ci sono lupi in California”.
Derek si sfrega le dita sulle labbra, pensieroso.
“Che cosa c’è?” sbuffa Stiles.
“Niente, non ha importanza”.
Stiles sbuffa e si mette a gambe incrociate, fissando Derek e tamburellando con le dita sul ginocchio. “Sto aspettando”.
Il licantropo sospira, mettendosi nella stessa posizione di Stiles. “Tu sembri molto importante per questa gente. Come se fossi la risposta a chissà quale domanda. E questo mi preoccupa perché potrebbero coinvolgerti in situazioni spiacevoli, addirittura pericolose, o magari potrebbero riempirti la testa di bugie, e io non potrei proteggerti da qui”.
Stiles vorrebbe ridere, perché davvero Derek non capisce come riesca ad essere sempre la sua ancora anche quando è sveglio, anche quando non lo ha con sé.
“Non devi preoccuparti” gli risponde con un sorriso. “Non penso che ci sia chissà quale pericolo in questa storia”.
Derek gli rivolse uno sguardo severo. “Promettimi che starai attento, che non cercherai di andare più a fondo in questa faccenda”.
Stiles è proprio sul punto di controbattere quando qualcosa nell’ espressione del licantropo lo ferma. Rifiutarsi di assecondare le sue preoccupazioni significherebbe non solo turbarlo in modo eccessivo, ma anche compromettere il loro rapporto. E Stiles non vuole rompere quella sintonia tra di loro; ha bisogno di Derek ed ha bisogno di un Derek sereno, che gli voglia bene e che lo tratti con serenità. Non di un Derek rigido, schivo e freddo come una pietra.
“D’ accordo, starò attento”.
A quelle parole è come se Derek avesse ripreso a respirare. Si sistema meglio sdraiandosi per metà ed appoggiando il peso del corpo sugli avambracci.
“Come mai sei arrabbiato oggi?”.
Stiles si mordicchia l’ interno della guancia. Non ha senso mentire, in ogni caso, non con Derek.
“Mio padre. Ha avuto di nuovo un crollo, ha bevuto. Sono tornato a casa che era ubriaco da far schifo. Mi fa star male vederlo così perché non so mai come aiutarlo a stare meglio. Mi fa arrabbiare, a dire la verità. E poi si è aggiunta tutta questa faccenda dei tessitori di sogni, dei lupi, di Niabi che sta diventando praticamente il mio Yoda… uno schifo, insomma”.
Un’ altra folata di vento freddo smuove le piante con un fruscio.
Derek annuisce e mormora qualcosa che Stiles non coglie. Poi è come se fosse stato invaso da una scossa elettrica, perché balza subito in piedi, tirando Stiles su con sé.
“Che cos’ hai adesso?” chiede Stiles ridacchiando.
La luce grigiastra di quel giorno dona alla sua pelle un’ ombreggiatura tetra e sensuale ed i suoi occhi sono del colore della terra rossa dei deserti messicani. La bellezza così insolita di quel ragazzo meraviglia Derek ogni volta.
“Hai detto che eri arrabbiato, no?” inizia il moro per poi allargare le braccia. “Sfogati pure”.
Segue qualche secondo di silenzio in cui Stiles si convince che davvero nel mondo c’è gente più fuori di testa di lui. “Come prego?”.
“Sì, insomma, prendimi a pugni, scarica la tua rabbia su di me” ribatte, come se fosse la cosa più normale del mondo. “Se ci riesci, ovviamente”.
Stiles incrocia le braccia sul petto. “Sai, il nostro dev’ essere un rapporto davvero malsano se ti viene voglia di farti picchiare da me”.
Derek si stringe nelle spalle, aprendosi in uno dei sorrisi più belli di sempre.
Il figlio dello sceriffo studia il suo avversario per qualche secondo, constatando che ovviamente non ha nessuna possibilità contro di lui.
Il licantropo inizia a saltellare sul posto scrollandosi le braccia, facendo scappare a Stiles una risata.
“Questa è una cosa davvero stupida”.
“Dai, Stiles! Non c’è nessuno qui, non hai niente di perdere”.
Piano piano Stiles scioglie l’ intreccio delle sue braccia sul petto e si avvicina a Derek. “Ti farò perdere la dignità, lupo” sibila.
Decide di partire dalle basi, provando a colpire Derek con un gancio sullo stomaco, che il moro evita senza sforzo. Il ragazzo tenta di nuovo con altri colpi lanciati a casaccio, dei quali nessuno va a segno, finché non si ritrova a rincorrere il licantropo intorno alla radura come un bambino al parco giochi.
“Questa cosa non è solo stupida… è anche molto gay! Vuoi anche un po’ di spazio nella tenda, Ennis del Mar?”.
“Sei sprechi fiato non mi prenderai mai!”.
A dir la verità, anche se non sta sfogando la rabbia direttamente su Derek come fosse un sacco da box, quella terapia improvvisata sta davvero funzionando. La sensazione opprimente d’ odio e rancore sta scivolando via ad ogni movimento.
“Quindi sei così quando ti arrabbi? Un cerbiattino appena svezzato?” lo punzecchia Derek piazzandosi dietro a un piccolo cespuglio.
“E tu che razza di lupo sei se ti fai ricorrere dal cerbiatto?” ribatte l’ altro, beccandosi un lungo sguardo truce. “Ah no, scusa, devo averto confuso con uno dei tre porcellini”.
Derek scavalca la pianta con un balzo, atterrando Stiles sul prato e intrappolandolo piantando le mani ai lati delle sue spalle.
Il respiro affannato per la fatica gonfia il petto di entrambi e Stiles può vedere l’ esatto punto del collo di Derek in cui si sono formate delle goccioline di sudore, i muscoli che si contraggono per deglutire, lo sterno scoperto dalla scollatura della maglietta…
“Devi smetterla… di fare riferimenti… a cose che non conosco” lo rimprovera Derek, la voce spezzata dal fiatone.
Stiles sente improvvisamente la gola arida e un brivido corrergli lungo la spina dorsale. Prende un lungo respiro dal naso, cercando di placare il battito impazzito del suo cuore, causato probabilmente dalla corsa. O dalla vicinanza di Derek. O da entrambi.
“E’ u- una fiaba, i tre porcellini e il lupo” mormora Stiles.
“Di fiabe conosco solo quella di Cappuccetto Rosso”.
Gli occhi di Derek percorrono il viso di Stiles, divorandolo, indugiando sulle labbra e sui piccoli nei che punteggiano la pelle bianca.
C’è un momento in cui Stiles non è più Stiles. Improvvisamente non riesce più a sentire sé stesso, come se tutto il suo essere fosse stato annullato, azzerato, ridotto in un vuoto che ha come unica luce gli occhi di Derek. E da quella luce inizia a palpitare di nuovo, ritrasformandosi da nulla a tutto, in un unico caos che divampa come fuoco e li avvolge entrambi, unendoli su un nuovo orizzonte che non ha senso se si è da soli.
La mano di Stiles scivola sul bicipite di Derek, premendo contro la carne con insistenza, ricercando sé stesso nel suo calore. E le dita di Derek scivolano sui capelli di Stiles, scoprendo la fronte e tastando delicatamente la cute.
“Che occhi grandi che hai…”.
Le parole escono da sole, con un tremore febbrile che sa di desiderio e passione.
Derek curva le labbra in un leggero sorriso. “Sono per guardarti meglio, al buio e alla luce”.
“Che mani grandi che hai”.
“Sono per accarezzarti e proteggerti in ogni momento”.
“E… che bocca grande che hai”.
Le narici di Derek si dilatano in due buchi neri. “E’ per baciarti meglio quando ti sembra che ti manchi il respiro”.
Stiles bacia Derek, Derek bacia Stiles, e così di nuovo per un'altra lunga serie di volte finché non finiscono per perdersi l’ uno nell’ altro, travolti dall’ urgenza di un desiderio che li sconvolge come dinamite nelle ossa.
Il calore della bocca di Derek è dolce e ammaliante e Stiles si ritrova ad affondare le unghie contro la stoffa della sua maglietta. Lascia che la sua mente si smarrisca in quel caos di emozioni e che ogni parte di sé stesso si consumi lentamente ad ogni tocco e ad ogni bacio.
Con Derek, non sono mai arrivati ad un livello simile di intimità e lui mai si era sentito così preso dal desiderio di avere quel tipo di intimità. Dovrebbe far paura, dovrebbe essere più concentrato e lucido, sentirsi nervoso e  incerto. Dovrebbe sentirsi in tutt’ altro modo.
Ma ha davvero importanza? Hanno davvero importanza le convenzioni, gli step da seguire, le regole? La cosa che gli ha permesso di legarsi così tanto a quel lupo scorbutico è proprio l’ assenza di regole, il capovolgimento totale del suo mondo e del suo modo di essere, la scoperta di qualcosa di nuovo.
Con uno scatto improvviso fa rotolare Derek su un fianco, invertendo le posizioni. I tessuti dei loro jeans sfregano l’ uno contro l’ altro , all’ altezza del cavallo, sprigionando ondate di piacere in tutto il corpo. Pian piano le labbra di Stiles iniziano a scendere sul collo di Derek, succhiando delicatamente la pelle. Quando viene ripreso dall’ urgenza di baciarlo sulle labbra, sorride sentendo il respiro accelerato di Derek infrangersi contro la sua bocca.
Si lascia guidare dall’ istinto e le dita corrono sotto la sua maglia, tastando i muscoli tesi e la pelle incandescente.
“Stiles…”.
Sentire il suo nome pronunciato dalla voce di Derek non fa che aumentare il suo desiderio e le sue mani scendono ad armeggiare goffamente con il bottone dei jeans del ragazzo sotto su lui.
“Stiles… fermati”.
Il figlio dello sceriffo si blocca, le pupille dilatate, il respiro affannato. Una mano calda gli fa allentare dolcemente la presa sui jeans.
“Tu… è meglio che ti fermi. Sei arrabbiato, non lo devi fare da arrabbiato” sussurra Derek.
Per un attimo Stiles si sente ferito, rifiutato. Il classico due di picche che fa pungere gli occhi e il naso. “Derek, io ti voglio”.
“Anche io, Stiles! Dio solo lo sa come ho avuto la forza di fermarti” risponde posando una mano sulla guancia del ragazzo. “Ma voglio anche che tu sia lucido quando mi tocchi in questo modo, che tu mi voglia e basta e non perché ti senti arrabbiato, triste o oppresso da qualunque cosa brutta ti sia successa”.
Stiles si allontana, mettendosi dritto, con le ginocchia che toccano ancora i fianchi di Derek. Il lupo si alza a metà, appoggiandosi sui gomiti e guardandolo  quasi senza respirare.
Una sensazione di nausea invade lo stomaco di Stiles. E’ così forte che quasi sembra che da un momento all’ altro possa iniziare a vomitare tutto: polponi, intestino, fegato, cuore, in un conato continuo e senza fine; fino a quando anche le ossa non gli spuntino fuori dalla pelle, trasformandolo in un disgustoso cumulo sanguinolento. Di nuovo un niente senza inizio e fine, ma senza scopo, senza una forza di rinascere, senza un fulcro caldo e palpitante.
Sente gli occhi pungere ma non esce nessuna lacrima. Fa per prendere fiato ma è come se avesse un tappo sulla bocca dello stomaco e il respiro gli si blocca in gola con un singulto. Il tempo si dilata, la vista gli si appanna e per quei due secondi quasi pensa di morire. Stringe gli occhi, arrendendosi all’ apnea, mentre si porta le mani sul viso.
Derek lo avvolge immediatamente, tentando di attutire i singhiozzi che gli scuotono il corpo e respirando rumorosamente sperando che il ragazzo tra le sue braccia lo imiti. Stiles e di nuovo piccolo e fragile, un giovane uomo spezzato come una vaso di porcellana.
“Sshh… va tutto bene”.
“Quante volte dovrò ancora perdere me stesso prima di scomparire del tutto, Derek? Quanto ancora?!”.
Il moro gli scosta dolcemente le mani dal viso, stringendole tra le sue. Stiles non piange, ma nei suoi occhi c’è qualcosa che sta morendo.
“Combattilo, Stiles! Devi combattere o non ne uscirai mai! Io sarò sempre al tuo fianco ma solo tu ti conosci meglio di tutti e solo tu puoi metter fine a tutto questo! Devi tenerti stretto ciò che sei, la parte bella e forte di te, quella che illumina la stanza quando entri, quella che mi ha salvato dal lago, quella che si è presa cura di tuo padre quando nessuno sapeva che fare”.
Il tremore si attenua lentamente e Stiles si stente così esausto che quasi si appoggia alla mano di Derek che ora gli accarezza dolcemente i capelli.
“Io non so come -”.
“Troveremo un modo. Tu non sei senza speranza, Stiles, non lo sei mai stato, mi hai capito?”.
Stiles annuisce e prende un lungo respiro. Derek continua ad accarezzargli i capelli e poi la nuca e le guance arrossate, anche quando il ragazzo si china per baciarlo a fior di labbra.
“Mi dispiace“.
“Non dispiacerti mai, non chiedermi mai scusa per una cosa del genere” lo rimprovera bruscamente. “Chiedimi scusa quando fai battute che non capisco”.
 
 
Stiles sente che sta per svegliarsi quando ormai sta facendo buio. Arriccia il naso con disappunto dato che aveva appena trovato una posizione comoda, accoccolato contro Derek che se ne sta appoggiato al tronco di un albero. In più dopo la storia dei tre porcellini, Derek ne voleva sentire altre.
“Me le racconterai la prossima volta” dice sospirando. “Non che mi interessi granché, ovviamente”.
Stiles rotea gli occhi dando un buffetto sul petto di Derek. “Ovviamente”.












Author's Corner:
Un mese? E' passato un mese, vero? Forse più, forse meno.
E' stato un lungo e terribile mese, comunque.
Spero che le mie parole vi piacciano sempre allo stesso modo.
Consiglio vivamente di ascoltare la canzone nell' introduzione (Slipped) e anche Graceless, sempre dei The National :)
xxx

J.

 

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Capitolo 17
*** He lives to run. ***


Capitolo 16
He Lives To Run
 



But I still believe though these cracks you'll see
When I'm on my knees I'll still believe
And when I've hit the ground, neither lost nor found
If you believe in me I'll still believe
Mumford & Sons - Holland Road
 






Durante la prima lezione della giornata, i pensieri di Stiles fluttuavano come bolle di sapone.
Quella mattina era uscito di casa silenziosamente, cautamente evitando di incrociare lo sguardo del padre o di pronunciare frasi composte da più di tre parole. Di nuovo, non sentiva di avercela con lui, più che altro ce l’ aveva con la vita, col modo in cui gli scorreva davanti agli occhi senza che riuscisse a fare niente. Era ora di cambiare le cose. Come aveva detto Derek, niente era veramente senza speranza.
Affrontò il test a sorpresa di letteratura con decisione e cercò di convincere il coach a farlo giocare agli allenamenti di lacrosse. Di solito passava la maggior parte del suo tempo in panchina con Scott, il quale raramente lasciava quella postazione a causa dell’ asma.
Quando finalmente Stiles riuscì a farsi inserire nella simulazione di partita alla fine dell’ allenamento, decise di adottare una tecnica che consisteva principalmente nel non creare intralcio ai compagni più bravi. In qualche modo funzionò e la solita quantità di insulti che si beccava dal coach diminuì notevolmente. Tranne in quei momenti in cui finiva rovinosamente a faccia a terra o non riusciva a raccogliere la palla. O quando Jackson – il bello e popolare ragazzo di Lydia – gli riservò una bella gomitata sullo stomaco.
“Stilinski, per l’ amor del cielo rimettiti in piedi e torna a quella parvenza di decenza che hai adottato fino a un secondo fa! Sembra che tu ti sia bevuto tutta la riserva di mio zio Hern!” sbraitò il coach.
“Suo zio Hern?” chiese Stiles con voce strozzata, mentre si rialzava dal prato umido.
“Sì, faceva sidro di mele. Gran produzione, molto genuina, forse un po’ troppo alcolica…” rispose e per un attimo sembrò preso da un qualche strano ricordo. Non gli ci volle molto per tornare in sé. “E ora sistemati i reggicalze, signorina, e torna a giocare!”.
Jackson ridacchiò, battendo il cinque a un paio dei suoi compagni. “Stilinski, un piccolo consiglio: credo proprio che la panchina ti doni di più” disse appoggiandosi alla racchetta da lacrosse.
“Witthermore, per quanto adori vedere voi ragazzi massacrarvi fisicamente e psicologicamente,” soggiunse il coach “mi piace ancora di più quando giocate! E ora forza, tutti in campo! O vi sono forse venute le vostre cose, principesse? Muovetevi!”.
 
Arrivò presto l’ ora di pranzo e Stiles e Scott si trascinarono verso la mensa, il primo carico dell’ attrezzatura di entrambi. Dannata scommessa e dannato vecchio Josh con i suoi manichini.
“Avrei dovuto rispondergli” disse improvvisamente Stiles, giocherellando con le patatine fritte nel piatto.
Scott lo guardò confuso, trangugiando l’ ultimo pezzo di pizza.
“A Jackson, avrei dovuto rispondergli”.
Scott per un attimo smise di masticare, decisamente sorpreso da quella frase. Erano anni ormai che Jackson dava il tormento ad entrambi e non è che a Stiles non desse fastidio, ma semplicemente non reagiva mai, nessuno dei due lo faceva. Forse si erano talmente abituati ad essere presi di mira che avevano smesso di preoccuparsene così tanto. Almeno così credeva Scott, come credeva che al suo amico ormai gli scivolasse addosso qualsiasi insulto, sempre. Ma ora c’ era qualcosa nel suo tono di voce che dimostrava il contrario.
“Derek ti sta facendo davvero bene” esordì Scott sorseggiando dalla sua bottiglia d’ acqua.
“Che vuoi dire?”.
“Prima che arrivasse lui non avresti mai detto una cosa del genere, non avresti neanche considerato l’ idea di affrontare Jackson. Oggi, invece, l’ hai fatto. Per questo dico che stare con Derek ti sta facendo bene e qualsiasi cosa voi facciate, ti sta salvando”.
Stiles si sistemò meglio sulla sedia. “E cosa pensi che facciamo, esattamente?”.
“Non penso che cogliate margheritine, no? Oppure lo fate? Sarebbe davvero molto gay… non che ci sia niente di male, ovviamente…”
“Scott” lo interruppe Stiles. “Io non sono gay”.
“Ma Derek ti piace! Cioè, ti piace davvero in quel senso!”.
“E abbassa la voce!” lo ammonì tirandogli una patatina. “Non è il genere di cose da scrivere sui manifesti”.
“Guarda che questa cosa è imbarazzante per te quanto lo è per me”.
“Bene, allora cerca di capire che a me piace Derek, lui e solo lui. Non i ragazzi in generale… te l’ ho già spiegato”.
“Ma le ragazze continuano a piacerti?”.
Stiles annuì. “Le minigonne di Jane Flanagan mi fanno ancora un certo effetto”.
“Stiles, ma allora sei bisessuale!”.
“E non urlare, porca miseria!”.
Fortunatamente nella mensa il vociare era abbastanza alto da coprire le loro conversazioni. Non che nessuno a scuola fosse interessato a quello che dicevano in ogni caso.
Scott aprì la bocca per dire qualcosa ma si fermò, iniziando invece a massaggiarsi le tempie.
“Senti, se non ne vuoi parlare, va bene. Sappi solo che io non ti giudico” aggiunse poco dopo.
“Lo so, lo so. E’ solo che è così strano, desiderare qualcuno a cui non avresti mai pensato in quel modo e avere una parte di te ancora attaccata alle vecchie abitudini. Per me è tutto così nuovo, ma sembra sempre così giusto e perfetto. So che è tutto molto confuso ma mi fa sentire bene”.
Scott sorrise scoprendo i denti bianchi, brillanti come perle sulla sua carnagione olivastra.
Erano ormai quasi al termine del loro pranzo quando Kaya sbatté il suo vassoio sul tavolo sedendosi poi accanto a Stiles.
“Mi è venuta in mente una cosa” disse con espressione seria.
Sembrava stanca. Si tolse la tracolla posandola ai piedi della sedia e si sistemò nervosamente dei ciuffi di capelli dietro le orecchie. La treccia che le scendeva sulla spalla era diversa, più elaborata, intrecciata in modo da formare una sorta di spiga di grano.
“E ciao anche a te, Kaya. Come mai ci hai messo così tanto a venire a pranzo?” chiese Stiles.
“Mi sono persa, questi corridoi tutti uguali mi confondono” si affrettò a rispondere.
Scott e Stiles si scambiarono uno sguardo divertito, mentre lei arrossiva leggermente.
“Ma questo non è importante” continuò lei. “Lo è invece una cosa a cui pensavo ieri. Ho rimuginato un po’ su tutta la faccenda dei sognatori, specialmente su quelli di sangue. Mia nonna mi ha detto che ogni sognatore di sangue tramanda l’ abilità di tessere sogni ai suoi figli e questi sono destinati a farlo anche con i loro figli e così via. E’ intuibile perché io non l’ abbia ereditato, perché mio padre ha infranto la promessa, ma se Ayasha era una sognatrice, avrebbe dovuto trasmetterlo anche a mio nonna, giusto? E perché questo non è accaduto allora?”.
“E sei certa che tua nonna non sia una sognatrice?” domandò Stiles.
“Gliel’ ho chiesto, dice di no”.
“Potrebbe mentire” suggerì Scott.
“A che scopo? Non è che si sia fatta grandi scrupoli a rivelare i segreti della nostra stirpe a Stiles, perché dovrebbe mentire su una cosa del genere?”.
Stiles strinse le labbra, tamburellando con le dita sul suo vassoio di plastica. “Non potrebbe semplicemente aver saltato una generazione? Insomma, in genetica succede. Non tutti i geni vengono trasmessi e alcuni si manifestano solo molte generazioni più in là”.
Kaya scosse la testa. “Impossibile. Controlla anche sul diario di Ayasha, c’è un passaggio in cui dice chiaramente che sarà destinata a tramandare questo potere. In più, sappiamo bene entrambi che qui si parla di cose sovrannaturali. Non c’è decisamente spazio per la genetica”.
Calò il silenzio.
“Ve l’ avevo detto che era importante” mormorò Kaya, dedicandosi finalmente al suo pranzo.
“Un altro bel punto interrogativo sulle pagine della nostra vita” sbuffò Scott.
“Sembra che tu abbia preso davvero a cuore tutta questa faccenda” disse la ragazza a metà tra la gioia ed il sospetto.
“Ovvio! Voglio aiutarvi e poi non è che la mia vita sia così piena di impegni da tenermi lontano da qualsiasi tipo di investigazione”.
“Sempre che tu riesca a gestirla, un’ investigazione…” sussurrò Stiles.
“Ancora con questa storia? Guarda che quelli di NCIS e Law & Order pagherebbero per avermi nella loro squadra!”.
Stiles roteò gli occhi e rise, contraddicendo ripetutamente Scott mentre l’ amico continuava ad elencare i motivi per cui sarebbe stato un grande agente segreto.
Kaya sfregò delicatamente i polpastrelli contro i jeans. Era bello che Stiles avesse qualcun’ atro ad aiutarlo, ma questo voleva dire che anche Scott conosceva tutti i segreti della sua famiglia e la cosa non le andava particolarmente a genio. Non che Scott sembrasse inaffidabile, ma non le piaceva che la gente sapesse troppe cose sul suo conto. Era cresciuta proteggendo sé stessa ed i suoi segreti ed ora era difficile lasciarsi andare.
Mentre si dirigeva in classe proprio insieme a Scott per la lezione di francese, tentò di focalizzare la sua attenzione su qualcos’ altro. Lasciò vagare lo sguardo tra i corridoi affollati, finché un poster sulla parete catturò la sua attenzione. Si fermò ad osservarlo, confusa e curiosa come un gatto davanti ad un nuovo giocattolo.
Scott sorrise al suo fianco. “Il ballo di primavera. Un’ altra grande occasione per renderci conto di quanto facciamo schifo”.
“Perché?” chiese lei, senza staccare gli occhi dal foglio. “E’ una cosa brutta?”.
“No, non è poi così brutta! Diciamo solo che la caratteristica principale è che sono le ragazze ad invitare i ragazzi, quindi viviamo tutti nella frustrazione e nella speranza che qualcuna ci inviti. Alla fine tutte le cheerleader finiranno per invitare i giocatori di lacrosse più bravi e più belli, mentre il resto delle ragazze, salvo qualche eccezione, saranno troppo spaventate per dire anche solo una parola. O non si interesseranno minimamente ad invitare uno come me”.
Kaya si voltò a guardarlo, corrugando la fronte. “Sembra che tu ci tenga davvero ad andare a questo… ballo”.
Scott ridacchiò, facendo schioccare la lingua sui denti. “Io? Pff, no, no. E’ una cosa come un’ altra”.
“Stai mentendo. Non farlo, capisco subito quando la gente dice bugie” rispose, lasciandolo senza parole.
Kaya sembrava avere un sacco di qualità, ma di certo aveva molto da imparare sulle relazioni interpersonali.
“E che cosa si fa durante questa festa?” continuò lei.
Il ragazzo si umettò le labbra, sistemandosi lo zaino su una spalla. “Aspetta, non sei mai stata ad un ballo?”.
Kaya fece spallucce. “Non ho mai fatto un sacco di cose. Non sono proprio il prototipo della tipica ragazza americana”.
Scott si prese un momento per guardarla, per capirla. Immaginò che infanzia solitaria avesse avuto, troppo impegnata a nascondere i suoi segreti per poter lasciarsi andare ed imparare a conoscere le altre persone. Per questo risultava così schiva e ruvida nei modi; non perché fosse cattiva, ma semplicemente perché era inesperta.
“Beh, come ti suggerisce al parola, ai balli per lo più di balla. E si chiacchiera. Almeno credo” disse appoggiandosi al muro, proprio accanto al poster. “Sai, in realtà sono stato solo a due balli in tutta la mia vita. E non sono stati un granché”.
Kaya rimase in silenzio. Era tutto così nuovo da quando si era trasferita a Beacon Hills che non aveva neanche avuto la decenza di interessarsi veramente a Stiles e Scott come persone. Certo, con Stiles era stato diverso. Con Stiles c’ era qualcosa di vivo e vibrante, come una scintilla, un fuoco che consumava ogni paura. Ma con Scott non aveva provato neanche ad avvicinarsi, neanche quel che bastava per dare un’ occhiata e vedere come era fatto, se anche la sua anima bruciava come fuoco.
“Scott, io penso che qualche ragazza ti inviterà”.
“Davvero?”.
“Non vedo perché no. Da come parli di te stesso sembra che tu faccia schifo, ma non è vero. Non fai schifo”.
Kaya socchiuse gli occhi per un attimo e sbuffò leggermente, imbarazzata. Davvero quella era la cosa più carina che riusciva a dire?
Ma Scott vide lo sforzo che si nascondeva dietro quelle parole, il modo in cui lei aveva per un attimo abbassato le difese semplicemente per farlo sentire meglio, per sentirsi in sintonia con lui. E questo, considerato che tipo sembrava essere Kaya, era davvero strabiliante.
“Grazie” disse sorridendo, gli occhi neri che brillavano come inchiostro alla luce del sole. “Andiamo, altrimenti arriveremo tardi. Manca ancora un mese al ballo, abbiamo tempo per pensarci”.
 
 
Durante la strada verso casa, Stiles si sentiva quasi leggero, privo di tutta quella spossatezza che lo aveva perseguitato per anni. Cosa fosse stato esattamente che lo aveva liberato non riusciva a capirlo; forse le parole di Derek, forse il desiderio, forse la curiosità o le rivelazioni sulla famiglia di Kaya. Non lo sapeva. E di certo non sapeva neanche se i suoi demoni sarebbero ritornati a tormentarlo.
Tuttavia, questo non sembrava destabilizzarlo più di tanto. Aveva un modo nuovo di affrontare la paura, una nuova tattica ancora traballante e fragile, ma pur sempre presente.
Arrivare nella solita casa vuota e buia non gli provocò quel senso di inadeguatezza e rimorso che gli era ormai familiare, ma solo un grande fastidio. Buttò lo zaino sul pavimento dell’ ingresso e corse ad alzare le serrande e spalancare le finestre. Suo padre le apriva così di rado…
La luce entrò ad ondate e Stiles si rese conto di quanto la casa fosse poco curata, notando i numerosissimi granelli di polvere che galleggiavano nell’ aria. Non riusciva a ricordarsi dell’ ultima volta in cui lui e suo padre avevano pulito sopra le mensole. O se l’ avevano mai fatto dopo la morte di sua madre. Si trovò a pensare che avevano il diritto di essere addolorati quanto volevano, ma di certo non potevano vivere in quelle condizioni, umiliando sé stessi e quella casa a cui sua madre teneva così tanto.
L’ aveva scelta lei ed aveva insistito così tanto per comprarla. Si era innamorata delle scale in legno di ciliegio, le ricordavano un piccolo cottage nelle campagne scozzesi dove lei e il padre di Stiles avevano passato il viaggio di nozze; e le grandi finestre che illuminavano la cucina di luce bianca a mezzogiorno la riportavano, per qualche assurdo motivo, a quella vacanza che aveva fatto con la sua famiglia in Florida. Stiles aveva sempre pensato che forse dietro quelle grandi placche di vetro lei s’ immaginasse il mare.
Lottando con tutte le sue forze contro i ricordi che improvvisamente sembravano assalirlo come cavallette, prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, scavando nell’ oscurità per ritrovare quel coraggio che in quegli ultimi giorni lo aveva spinto a fare cose straordinarie. Atterrò i demoni pronti a saltargli alla gola, aggrappandosi alla vita che avrebbe voluto costruirsi.
Scattò verso il ripostiglio per prendere tutto il necessario per ridare a quella casa un aspetto pressoché decente. Accese la radio e Back To You dei Twin Forks riempì l’ aria.
Da quant’è che non ascoltava della musica semplicemente per il gusto di farlo? Da quant’è che la ripugnava così tanto ricercando solo il silenzio?
“I was young so I forgot, which was my place and which was not. Thought I had a good shot, I took it right in my eye” iniziò a canticchiare.
Si sforzò di pensare alle cose belle, a tutto quello che aveva e che avrebbe dovuto essere un motivo valido per alzarsi dal letto la mattina ed iniziare a vivere la sua giornata. Pensò a suo padre che mai come in quel momento aveva bisogno di lui, a Scott, allo sguardo di Kaya, al sole che brillava sul campo di spighe di grano, a Derek. A come Derek parlava, a come lo toccava, al cipiglio che a volte gli si formava tra le sopracciglia folte.
Ad ogni velo di polvere che eliminava gli sembrava di togliere ogni singolo strato di quel lutto pesante ed opprimente che aveva infestato la casa. Non avrebbe di certo cancellato ogni ricordo doloroso - anzi era convinto che c’ erano cose che lo avrebbero tormentato per sempre - ma era già un inizio potersi lasciare qualcosa alle spalle, giusto quelle poche, piccole manciate di polvere e ricordi ormai inutili e nocivi. Se si fosse visto, probabilmente non si sarebbe riconosciuto.
La musica suonava, la luce serpeggiava nella stanza fino a raggiungere le scale in ciliegio e quando Stiles iniziò a passare un panno sui vetri delle finestre, provò ad immaginare anche lui il mare.
“So put a poesy in your hair, pretend you couldn't give a care. Whistle past the graveyard, even the dead deserve a song”.
Preso com’ era dalla musica rischiò più volte di far cadere gli oggetti dalle mensole mentre le puliva o di rovesciare il secchio con acqua e detersivo, ma nel complesso riuscì a fare un buon lavoro. Fece un promemoria mentale per ricordarsi di riservare lo stesso trattamento al piano di sopra l’ indomani.
Contemplò soddisfatto il suo lavoro e si asciugò la fronte leggermente sudata, mentre alla radio i Twin Forks lasciavano spazio ai The Cure e alla loro Inbetween Days.
Passò il resto della giornata a barcamenarsi tra siti di cucina e programmi tv che proponevano ricette di ogni tipo. Era stufo dei cibi precotti e dei fast food, non erano salutari, né per lui né tantomeno per suo padre. Ma dato che non aveva mai cucinato niente di più complicato di un omelette, non ci volle molto prima di ridurre la cucina ad un vero e proprio disastro. In compenso, dopo svariati tentativi, era riuscito a preparare un’ ottima cena: pollo al limone con contorno di riso e asparagi e una mousse al cioccolato e lamponi. Chissà, forse aveva scoperto un nuovo talento.
Alla radio suonava My Sharona quando lo sceriffo varcò la soglia di casa.
“Ehi, questa canzone me la ricordo! Era un must da mettere al vecchio jukebox del mio amico Randy!” esclamò ancheggiando e schioccando le dita a ritmo di musica. “My – my – my Sharona!”.
“Piano con i fianchi, Fonzie, o ti verrà il fuoco di sant’ Antonio” rispose Stiles dalla cucina.
“Io sono fatto di fuoco, ragazzo, sant’ Antonio può baciarmi il…”.
“E questo è più di quello che volevo sentire, grazie!”.
Lo sceriffo appese ad un gancio la giacca e la cintura ridacchiando. “Che cos’è questo profumino?”.
“Ho cucinato”.
“Sì, certo, e allora io sono davvero Fonzie”.
Attraversò l’ ingresso e raggiunse la cucina. Alla vista della tavola apparecchiata e del cibo vero quasi gli venne un colpo.
“Come puoi vedere, non stavo scherzando” incalzò il ragazzo con aria compiaciuta.
Il padre dovette appoggiarsi ad una delle sedie, la bocca semiaperta in un’ espressione d’ incredulità. Certo, la cucina era davvero in disordine, ma la cena che gli si presentava davanti non poteva essere opera di suo figlio. Lo stesso figlio che non si era alzato dal letto per giorni. Lo stesso figlio che viveva in continua lotta con gli attacchi di panico. Lo stesso figlio che soffriva, che viveva il lutto in modo malsano, evitando persino di guardare le foto di sua madre. Lo stesso figlio che sembrava aver smesso di credere.
Fu lì che si rese conto della scottante e dura verità: Stiles aveva ritrovato qualche briciolo di forza e non aveva mai perso la speranza in lui, aiutandolo a rialzarsi ogni volta che toccava il fondo; mentre lui invece si era lasciato andare come una zattera alla deriva.
Fece vagare lo sguardo nel disordine della cucina e poi oltre la porta spalancata fino al salotto. Tutto sembrava avere un’ aria così diversa, così fresca e meno lugubre.
“Ho anche pulito. Non puoi immaginare le schifezze che ho trovato in giro, roba da non crederci” disse Stiles riponendo qualcosa nel frigo.
Lo sceriffo sorrise. Tutto quel tempo che avevano passato a tamponare l’ uno le ferite dell’ altro, tra alcool e crisi di panico, non era stato vano. Era la prova che entrambi, fianco a fianco, senza più doversi respingere, potevano davvero andare avanti. A piccola passi, certo, e chissà quante altre volte sarebbero caduti, ma almeno avrebbero smesso di guardare sempre indietro.
C’ era qualcosa in Stiles che, in qualche modo, stava rinascendo dalle ceneri e forse avrebbe dato un bella spolverata anche a lui. Non si poteva vivere nella polvere per sempre.
“E’ fantastico, figliolo”.
Stiles si aprì un sorriso smagliante. “Bene. Ora vado a spegnere la radio e mangiamo”.
“No, lasciala pure. Lasciala suonare. E’ troppo tempo che manca la musica in questa casa” rispose sedendosi a tavola.
Mangiarono di gusto e in allegria, tra una vecchia canzone di Bruce Springsteen e Suspicious Minds di Elvis. Anche se fuori era buio e dalle finestre non entrava più luce bianca, entrambi pensarono al mare quando sbirciavano oltre il vetro della cucina.












Author's Corner:
Quanto è passato... troppo, troppo tempo lontana da questa storia!
Solo ora capisco quanto mi piaccia, quanto mi ispiri. E non voglio più lasciarla.
Se anche ci dovessi bisticciare, dopo qualche giorno voglio tornare e amarla allo stesso modo.
Mi scuso con tutti voi per questa lunghissima assenza, ma ho passato un periodo terribile
che purtroppo ha contaminato anche la mia inventiva e la mia produttività.
Ma ora va meglio ed è arrivata anche la nostra season 3B! E, giuro, tutta questa faccenda dei sogni mi ha scioccato dato che è un tema che fa parte anche di questa fanfiction.
Come sempre, spero che le mie parole vi piacciano sempre allo stesso modo <3
Aspetto recensioni e insulti ;)

xxx J.

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